La Volpe e il Lupo.

di Harmony394
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The little fox. ***
Capitolo 2: *** Bells. ***
Capitolo 3: *** Please, don't leave me. ***
Capitolo 4: *** Stay with me. ***
Capitolo 5: *** Doubts. ***
Capitolo 6: *** Jealousy. ***
Capitolo 7: *** Nightmares. ***
Capitolo 8: *** Celebrations and Questions. ***
Capitolo 9: *** Imposed Love. ***
Capitolo 10: *** The green-eyed monster. ***
Capitolo 11: *** Lies. ***
Capitolo 12: *** Challenge. ***
Capitolo 13: *** Wireless puppett. ***
Capitolo 14: *** Jötunheimr. ***
Capitolo 15: *** Cleritide's mith. ***
Capitolo 16: *** Bloody Dreams. ***
Capitolo 17: *** Everything is nothing. ***
Capitolo 18: *** The red string of fate. ***
Capitolo 19: *** Sunrise. ***
Capitolo 20: *** This is War. ***
Capitolo 21: *** Real or not Real? ***
Capitolo 22: *** Claddagh Ring. ***
Capitolo 23: *** The Snider Trick. ***
Capitolo 24: *** Fallen. ***
Capitolo 25: *** Epilogue. ***



Capitolo 1
*** The little fox. ***


~The little fox.

“Sono al limite e sto urlando il mio nome a squarciagola,
come uno stupido.
A volte, quando chiudo gli occhi,
faccio finta di stare bene.
Ma non è mai abbastanza
perché la mia eco,
è l'unica voce che ritorna.
La mia ombra,
è l'unica amica che ho.

Echo - Jason Walker 
 



Loki non aveva mai creduto nel destino.
 
Molti dicevano che esso fosse già stato scritto, come un bellissimo poema che dava vita a un’opera piena di versi e parole meravigliose, che non andavano semplicemente ascoltate, ma vissute momento per momento come se quel canto non dovesse mai avere una fine; altri invece che fosse relegato alla terra, che nel momento stesso in cui nasciamo esso nasca insieme a noi e che ci conduca ad una strada già tracciata, come le radici degli alberi che, via via che crescono, formano intrecci e nodi sempre più intricati e fitti con altre radici; altri ancora che al destino non si comanda, che non è una cosa su cui poter porre mutamenti poiché sono state le Norne* a filarlo, e ciò che le Norne tessono non si può recidere o mutare: bisogna soltanto viverlo e accettarlo.

Lui invece credeva che si potesse cambiare ogni cosa nella vita, purché lo si desiderasse veramente, e che il fato fosse solo una delle solite ciance che le Völve* gli dicevano per mettergli soggezione e indurlo a non combinare guai. Anche suo padre, il potente Odino, era solito a raccontargli quelle storie prima che lui e Thor andassero a dormire, ma Loki non ci aveva mai veramente creduto.
 
«Uno solo di voi potrà ascendere al trono, ma entrambi siete nati per essere Re.» Diceva.

Ma Loki non era affatto uno stupido. Al contrario, nonostante fosse solo un ragazzino di dodici anni possedeva una spiccata intelligenza.
Era quasi del tutto certo, che il trono di Asgard sarebbe toccato  a suo fratello Thor anziché a lui. Lo supponeva, perché aveva imparato a cogliere gli sguardi colmi d’orgoglio di suo padre destinati a Thor, e purtroppo, aveva anche colto le occhiate di sufficienza che invece lanciava a lui, Loki.
Nonostante ciò, non si era mai arreso e aveva continuato a credere a quella splendida utopia. Infondo, sognare non costava nulla.

Il fatto che però Thor fosse il probabile futuro sovrano,  non solo non gli dava il diritto di fare l'arrogante, ma non lo autorizzava neppure a comportarsi da imbecille.
 
«Ehi Loki, dovresti mangiare un po’ di più! Insomma, se vuoi diventare grande e forte come me non crederai mica di poter continuare a mangiare così poco, vero?» La sua voce fastidiosa e canzonatoria di  si insinuò  velocemente nelle orecchie di Loki che, distrattosi dai suoi pensieri, rivolse al fratello un’occhiataccia risentita.

Non era di certo colpa sua se era nato così maledettamente gracile e smilzo: lui si allenava duramente tutti i giorni per riuscire a diventare forte come tutti i suoi coetanei, ma suo malgrado rimaneva sempre così com’era: gracile.
E ad Asgard, popolo di guerra, non era di certo visto di buon occhio essere così. Infatti, con un fisico come il suo, sapeva bene che non sarebbe mai potuto scendere in battaglia contro gli eserciti nemici, pertanto non c’era alcun bisogno che suo fratello rigirasse il dito nella piaga. Era proprio un insolente e uno sbruffone!

Decise di ignorarlo: prima o poi avrebbe smesso. Inoltre, quello non era proprio il momento migliore per cominciare una disputa.
Eppure, vedendolo mangiare con così tanta foga e ingordigia, Loki non poté trattenersi dal fare una delle sue solite battutine sarcastiche e pungenti che tanto gli venivano bene.

«Perlomeno io non rischio di spaccare la sedia con il mio peso, fratello» Lo schernì, guardandolo con superbia dall’alto del suo calice d’acqua.

Thor lo osservò un po’ intontito per alcuni secondi finché, improvvisamente, la sua bocca smise di masticare. Osservandolo, Loki notò che aveva i capelli decisamente unticci per via dell’olio che gli era finito addosso.


Era disgustoso.

 
«Ehi non c’è mica bisogno di prendersela! Ti ho semplicemente dato un consiglio» Ribatté quello stizzito, scrutandolo di sbieco. Poi, come se non fosse successo nulla, ricominciò a mangiare con avidità.

Arricciò il naso: possibile che un elemento simile, un giorno, avrebbe potuto avere in mano le redini di Asgard? No, certo che no. In verità, solo lui era adatto a quel compito tanto arduo; non di certo un idiota come suo fratello. Nonostante ciò, la passività con cui aveva risposto al suo commento lo aveva urtato non poco, poiché si aspettava che si infuriasse e desse vita a una delle sue solite scenate. Dunque, decise di punzecchiarlo un’altra volta.

«Faccio quello che voglio, Thor» Concluse.

Fece per riprendere a mangiare, finalmente soddisfatto di aver risposto a tono al fratello – il quale però mangiava con così tanta foga che non se ne accorse nemmeno – , finché qualcosa lo fece scattare in piedi inorridito: Thor, per via della troppa foga nell'inghiottire tutto quello che gli capitava a tiro, aveva accidentalmente fatto finire un pezzo di fagiano nel suo piatto.
 
«Ah, che schifezza!» Disse, il viso contratto in una smorfia di puro ribrezzo. «Dannazione, Thor! Potresti gentilmente evitare di sputare i resti del tuo dannato cibo nel mio piatto? ».
 
Thor lo squadrò per bene dalla testa ai piedi, come se lo vedesse per la prima volta, poi fece spallucce.

«Quante storie per un pezzo di carne…» Mormorò piano, ma non troppo da non farsi sentire da lui, che assottigliò le labbra in una linea esangue.
«Puliscilo subito! » Gli ordinò.
«Altrimenti? ».
«Basta così! » Tuonò a un tratto Odino adirato, stanco di quell’insulsa commedia da quattro soldi che si era venuta a creare.

I due si ammutolirono di colpo e Loki digrignò i denti e si morse la lingua per impedirsi di rispondergli a tono, poi, con passo spedito, sgusciò fuori dal palazzo evitando accuratamente di guardare negli occhi suo padre.

«Ehi, dove credi di andare?! » Gli urlò dietro Thor facendo per seguirlo. «Torna qui, stavo scherzando! Dai non arrabbiarti, insomma!»Venne però interrotto da Odino che, con fermezza, lo tenne fermo per un polso e con un’occhiata gli intimò di sedersi.

«Lascialo andare, Thor» Dichiarò lapidario, «Un po’ d’aria fresca gli farà schiarire le idee» Concluse.

Lui alzò un sopracciglio, attonito: strano che suo padre desse a Loki tante libertà. Solitamente, ad ogni suo minimo sgarro, non esitava a richiamarlo sonoramente. Guardò un’ultima volta nella direzione presa da suo fratello pochi attimi prima e dopo un po’ fece spallucce, ritornando a sedersi e a mangiare voracemente come stava facendo prima di essere interrotto.


“Starà benone”, si limitò a pensare prima di addentare un'altra coscia di fagiano.
 
 


 

Ma a dispetto di quanto suo fratello potesse pensare, Loki non stava affatto bene.
Era furente. Le sue dita sottili e affusolate tremavano per la troppa collera mentre i suoi piedi intraprendevano una strada qualunque alla ricerca di uno sfogo. Non aveva idea di dove stesse andando, sapeva solo che doveva assolutamente allontanarsi dal palazzo. Se non lo avesse fatto, sarebbe certamente andato incontro ad una crisi di nervi.

Col fiato corto e gli occhi verdi assottigliati in due fessure, arrivò nei pressi di un boschetto lì vicino dove sapeva nessuno sarebbe mai andato a cercarlo. Sentiva il cuore pompargli con forza dentro la cassa toracica e il fortissimo impulso di spaccare tutto avvolgerlo.

Odiava Thor.

Anzi no, non odiava lui, bensì il fatto che Padre stesse sempre dalla sua parte, nonostante fosse lui ad avere ragione.
Odiava anche il fatto che lui fosse così bello, forte e così amato da tutti. Al contrario suo che veniva sempre guardato male ogni qualvolta entrasse in una stanza, come se fosse stato un mostro.

Non odiava Thor, odiava il fatto che ogni cosa di lui sembrasse urlargli a pieni polmoni che non sarebbe mai potuto essere suo eguale. Che sarebbe stato sempre un gradino al disopra di lui; che avrebbe costantemente vissuto nella sua ombra.

Frustrato come non mai, urlò: un urlo carico di rabbia e frustrazione che squarciò quello strano silenzio che avvolgeva il  boschetto nel quale si era rifugiato, facendo volare via spaventati alcuni uccellini poggiati sui rami degli alberi. Sentì tutto il suo corpo tremare per via dell’agitazione egli occhi cominciarono a bruciargli.

Ma non avrebbe pianto. Non avrebbe pianto neppure quella volta.

Non piangeva mai, lui. Stringeva i denti e ingoiava la cosa con dignità, proprio come avrebbe dovuto fare un vero guerriero.

Eppure… eppure non riusciva a capire. Perché? Perché suo padre non riusciva a comprendere quanto lui si stesse sforzando per essere il figlio perfetto? Perché i suoi amici lo guardavano sempre con occhi cattivi e lo deridevano quando lo vedevano? Perché? Cos’aveva lui di diverso da Thor, che invece era così benvoluto da tutti? Cosa, dannazione? Cosa?

«Perché stai piangendo?» Una voce infantile e femminile alle sue spalle lo fece sussultare e lui, istintivamente, si voltò a fronteggiare chiunque fosse stata l’artefice di quella domanda. Quando si voltò, i suoi occhi proiettarono quella che doveva essere la sagoma di una bambina di circa dieci anni. Aveva dei folti e ricci capelli rossi che le incorniciavano il viso piccolo e sottile ricoperto di lentiggini e dei grandi occhi color cielo curiosi e vispi che non smettevano di scrutarlo. Non era molto alta, arrivava all’incirca alle sue spalle e inoltre era anche parecchio magrolina. Pareva quasi uno scricciolo, tanto era piccola.

Non seppe il perché di quello strano pensiero, ma Loki ebbe come l’impressione di avere dinanzi a sé una… sì, una piccola volpe!

«Io non sto affatto piangendo, ragazzina. Tu, piuttosto, chi sei? E soprattutto, come osi rivolgere a me certe domande tanto impertinenti?! » Il suo tono di voce era duro e senza ammissioni di repliche. Nonostante avesse solo dodici anni e non rappresentasse di certo l’emblema del coraggio e della forza, aveva imparato da Padre come farsi rispettare; inoltre, anni di lotte con Thor erano riusciti a infondergli un po’ di coraggio e sfrontatezza.

Nonostante ciò, la bambina sembrò scrutarlo, se possibile, con ancora più curiosità di prima e il suo viso si corrucciò in un’espressione sinceramente incuriosita.
Per un momento, Loki fu certo che sarebbe scappata via in preda alle lacrime come di solito faceva chiunque avesse avuto la sfortuna di incontrarlo. Tutti andavano via quando c’era lui. Tutti. Nessuno escluso.

Tutti, ma non quella strana bambina dai capelli rossi. Infatti, invece di correre via, la “piccola volpe” fece nascere sul suo viso lentigginoso un gran sorriso amichevole che lo lasciò perplesso per qualche secondo. Sicché non seppe più che dire.

«Io sono Emily» Disse semplicemente lei, porgendogli la mano. « Tu invece come ti chiami? » Domandò poi con quel suo tono di voce infantile e curioso, tipico delle bambine della sua età.

Dopo la sorpresa iniziale, storse il naso, indignato. Come osava quella piccoletta non sapere con chi stesse parlando? Per gli dèi, lui era Loki! Il figlio di Odino, principe e probabilmente futuro Re di Asgard! Gli si doveva mostrare rispetto, diamine!

«Tutti qui sanno il mio nome, piccola sconsiderata. Io sono Loki: figlio di Odino e futuro Re di Asgard. Dovresti avere timore di me!» Esalò con voce pomposa e arrogante, incrociando le braccia al petto.
«E perché dovrei avere paura?».
«Perché io sono il figlio di Odino e quindi, sono forte come lo è lui!» Ribatté prontamente, visibilmente infastidito dall’ignoranza della bambina.

Lei scrollò le spalle, per nulla preoccupata, e lo fissò con quei suoi enormi occhi azzurri e un sopracciglio inarcato, quasi come se stesse studiando qualcosa di parecchio interessante. Era davvero strana quella mocciosa.

«Però prima ti ho sentito piangere»Mormorò, sincera.«Come mai eri triste? Hai litigato con il tuo papà?» Chiese inclinando la testa di lato. « Ti sei fatto male?» Aggiunse, cercando di trovare nell’aspetto di Loki qualche segnetto o graffio che avrebbe dato conferma alle sue tesi.

Lui strinse i pugni così forte da farsi diventare bianche le nocche delle dita. Non stava affatto piangendo, prima. Lui era un uomo! E gli uomini non piangevano mai. Quella bambina stava davvero cominciando a dargli sui nervi. Ma cosa voleva? Perché non si faceva gli affari suoi?!
 In un impeto di rabbia, si avventò sui di lei e la spinse forte, facendola cadere a terra.

«IO NON STAVO AFFATTO PIANGENDO, CHIARO?» Tuonò rosso in viso e con gli occhi assottigliati in due fessure ormai simili a due tizzoni ardenti.

La “piccola volpe” non si scompose. Imbronciò un po’ le labbra e gonfiò le guancie, ma non sembrò essersi arrabbiata. Si tirò su a sedere con velocità, si pulì il vestitino verde scuro dalla polvere, e riprese ad osservarlo con insistenza. Loki roteò gli occhi, ora seriamente infastidito.

«Be'? Che hai da guardare?» Domandò secco.
«Pensavo che, visto che sei così triste e arrabbiato, forse giocare a nascondino potrebbe farti stare meglio. Ti va di giocarci? Èun bel gioco, sai? Me l’ha insegnato mia zia! Dice che non è di qui, ma di Midgard e sai? Io ci gioco spesso con lei e…».

Ma Loki aveva smesso di ascoltarla da un pezzo.
 
Non ne seppe il motivo, ma non appena aveva incrociato il suo sguardo sorridente aveva provato una sensazione stranissima al centro del petto; come se qualcuno gli avesse appena dato un pugno fortissimo. Era un’emozione strana, nuova, e per quanto si sforzasse di capire di cosa si trattasse, nella sua mente c’era solo il vuoto più totale.
 
Eccitazione?
Ansia?
Felicità?
Allegria?
Rabbia?
 
Credette di star provando tutto questo in un solo, singolo, momento. Erano confusionarie tutte quelle emozioni a cui lui, freddo e calcolatore per com’era, non era abituato. Quindi, quando finalmente capì il motivo di tanta agitazione, si sorprese non poco.
 
Quello era stato il sorriso più vero che qualcuno gli avesse mai indirizzato. Non era come quello di Thor, pieno di malizia e idiozia, e non era nemmeno come quei dannati sorrisi di circostanza che alcune volte i suoi “amici” gli rivolgevano quando chiedeva loro di poter giocare.
Quello che Emily gli aveva rivolto era stato un sorriso vero: uno di quei sorrisi senza doppi fini o falsità, uno di quelli che ti tolgono il fiato e che ti fanno sorridere a tua volta quando ne vedi uno. E quel sorriso era per lui, ed era sincero!

Ritornò a guardarla: aveva ancora quel grande sorriso dipinto sul viso e la sua mano era ancora stretta alla sua in un chiaro tentativo di persuasione.

«Quindi? Giochi? Eh? Eh? Dai, dai, dai!! Ti prometto che ci divertiremo! Daiii, ti preeeeeegooo!».


Guardandola, Loki pensò che, forse, giocare con lei non sarebbe dovuto essere poi tanto male.



 
 


 



-Note dell'autrice.

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(1) NORNE: Le norne (norreno: norn, plurale: nornir) nella mitologia norrena sono tre dísir chiamate Urðr, Verðandi e Skuld.
Le norne vivono tra le radici di Yggdrasill, l'albero della Vita al centro del cosmo (benché alcune fonti asseriscano che esse dimorino sotto l'arco formato da Bifröst, il ponte arcobaleno), dove tessono l'arazzo del destino. La vita di ogni persona è una corda nel loro telaio e la lunghezza della corda è la lunghezza della vita dell'individuo.
(2) VöLVA: La völva (o vala) è una maga esperta nella divinazione e negli oracoli: veniva consultata anche dagli dèi, ai quali predisse le vicissitudini future della famiglia divina. È una veggente e una sacerdotessa presso il popolo dei Germani e nei paesi nordici (esempio völve di Olaf).
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Per cominciare, vorrei seriamente ringraziarvi per essere arrivati fin qui: sappiate, che mi rendete molto, molto felice. :)

Comunque, questa storia é nata principalmente per levarmi quel dannato interrogativo dalla testa: "Se Loki avesse avuto una piccola amica, avrebbe comunque intrapreso le stesse scelte?" E fu così, che per vostra sfortuna, nacque questa storia.
Ho creato il personaggio di Emily insieme a una mia carissima amica (Paolina <3) e in teoria, la lei bambina ha lo stesso caratterino di mia sorella più piccola. Ma non voglio dirvi di più, non vorrei annoiarvi! ^^''
Permettetemi però un'ultima cosa: se siete arrivati fin qui, anche solo per fare felice questa povera e disgraziata anima pia, potreste per piacere lasciare una piccola recensione? Vi prego! ç^ç.

Ahaha xD Ok, ok. Vado via! xD

 P.S: Questa storia è dedicata a Giulia: una mia carissima amica. Senza di lei questa fan fiction non sarebbe mai, ripeto, mai esistita. Grazie mille, Giuli <3
P.P.S: la citazione iniziale è ispirata e "modificata" da una presente nel film di The Brave.


 
Ringrazio di cuore mio padre, quarantottenne laureato, che ha avuto la pazienza e la bontà di correggermi tutti gli errori di ortografia presenti nel testo.

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Capitolo 2
*** Bells. ***


~Bells.

“Ed è per questo che sorrido.
E’ passato un po’ di tempo dall’ultima volta che
tutti i giorni e tutte le cose mi sembravano così belle.
Ed ora.
Hai capovolto tutto.
E all’improvviso tu sei tutto quello di cui ho bisogno.
Il motivo per cui,
Io sorrido.
Il motivo per cui,
Io sorrido. “

Avril Lavigne; Smile!

 
 


I giorni passavano in fretta e, senza accorgersene, lui ed Emily divennero inseparabili.

Si vedevano ogni qualvolta fosse loro possibile, giocavano fino allo spasmo e cercava sempre di insegnare ad Emily alcune magie che aveva imparato grazie ad alcuni libri di antiche rune. Lei era per la stragrande maggioranza del suo tempo sola a casa e senza nessuno e anche lui si sentiva solo pur avendo una famiglia. Col tempo, riuscì a scoprire anche il perché la “piccola volpe” – come la chiamava sempre lui – fosse costantemente lasciata sola a casa: in realtà, Emily aveva una zia di nome Kim ma, purtroppo, la donna era sempre fuori casa per un motivo o per un altro ed Emily, suo malgrado, era costretta a restare da sola.

«Non è un comportamento molto gentile da parte sua» Le fece notare un giorno, piccato.

Lei gli sorrise e, con naturalezza, gli rispose che non importava e che andava benissimo così. Gli disse che “zia Kim” le voleva molto bene e che se non era spesso a casa era perché lavorava per darle da mangiare. Ma nonostante dicesse così, era convinto che mentisse. In fondo, a nessuno piaceva stare soli.

Fu tentato di dirle che, se voleva, poteva benissimo andare a vivere da lui poiché il suo palazzo era grande e quindi non ci sarebbero stati problemi. Ma al pensiero che, probabilmente, suo padre non avrebbe gradito la sua presenza e lo avrebbe punito scosse la testa. Voleva bene ad Emily, però voleva anche compiacere suo padre e quindi, dopo una breve riflessione, decise di abbandonare l’idea.

Ciononostante,  col tempo adottò la consuetudine di andarla a trovare quasi ogni giorno. Lo infastidiva ammetterlo, ma alla fine non era poi tanto male giocare con lei, conosceva dei giochi davvero divertenti! In questo modo, passarono i loro giorni all’insegna del divertimento e dello “studio delle arti magiche”.

Una mattina la giornata era uggiosa, c’era un leggero venticello e il cielo era coperto da grandi e grigi nuvoloni, segno che ormai la Stagione delle Piogge era alle porte. A lui ed Emily però il vento non portava fastidio, al contrario: si divertivano a bighellonare nelle giornate come quella ed Emily adorava quando dopo la pioggia si formavano piccole pozzanghere stagnanti dove poteva giocare. 

Però, quella mattina avevano deciso di lasciar perdere i giochi e le pozzanghere,  optando per una piccola siesta sotto un grande salice piangente dove si recavano di solito quando volevano riposarsi un po’. C’era una bella atmosfera: il vento soffiava dolce e spettinava i capelli riccioluti di Emily e nell’aria si respirava un gradevole odore di erba bagnata. Stava sonnecchiando all’ombra di quel grande albero e, sulla sua spalla, la testolina di Emily gli faceva compagnia.

«Ehi, Loki» Lo chiamò d’un tratto lei, scuotendogli leggermente il braccio.
«Cosa c'è?» Chiese, con un sorriso che incurvava le sue labbra sottili.
«Tu ci pensi mai al futuro?».

La guardò incuriosito: era strano che una bambina della sua età chiedesse qualcosa riguardo al futuro. Solitamente, i bambini non ci pensavano poiché erano troppo impegnati a pensare ad altro, non si curavano né del passato, né del futuro: vivevano il presente. 

Esitò un po’ a rispondere, ma dopo un po’ prese la parola: «Certo che ci penso, Emily, e sono certo che sarà fantastico! Diverrò il sovrano di Asgard e tutti mi ameranno, mi vorranno bene e poi–».
«E poi?» Lo interruppe Emily. «Io resterò sempre tua amica?» Domandò con un chiaro tono di speranza nella voce e le labbra imbronciate.

Quella domanda lo lasciò senza parole per alcuni secondi: quella bambina aveva sempre il potere di lasciarlo interdetto con quelle sue strane domande.
Si schiarì la voce e la guardò con lo sguardo di chi spiega a un bambino che, naturalmente, due più due faceva quattro: possibile che non sapesse cose tanto ovvie?

«Certo che no, Emily. Tu diverrai mia moglie: la Regina di Asgard» Affermò con naturalezza, tranquillo.

Quando però alzò lo sguardo sul suo viso, si stupì nel trovarci sopra un sorriso così grande.

«Dici sul serio, Loki?!» Gli chiese prendendogli le mani con energia, tradendo una malcelata speranza.

Accortosi solo in quel momento di quello che aveva realmente detto, il suo viso diventò di un colorato rosso acceso e, imbarazzato, abbassò repentinamente lo sguardo, fissando i propri piedi come se fossero stati tremendamente interessanti.

«B-Be’ … certo che sì, Emily, ma–».

Emily non lo fece finire. Scattò in piedi e prese a saltellare di qua e di là, felice come non mai. Quando poi si fermò, corse da lui e gli stampò un tenero bacio sulla guancia, facendolo arrossire più di quanto non fosse già.

«Grazie mille, Loki!» Gli sussurrò poi all’orecchio.

Nonostante le nuvole fossero diventate più minacciose e cariche di pioggia, e il vento aveva cominciato a soffiare più forte del previsto, Loki non poté evitare di sentire un dolcissimo senso di calore dentro il petto e, di nuovo, quella stranissima sensazione di calore lo avvolse.

« Ma ti pare … » Rispose brusco, alzando il naso al cielo imbarazzato. «Comunque, dovremmo tornare dentro… sta per piovere.» L’avvertì, quando alcune goccioline d’acqua gli bagnarono il piccolo viso ossuto.

Emily alzò gli occhi al cielo repentinamente. Aveva spalancato i suoi grossi occhioni azzurri e che le sue piccole manine erano scosse da forti tremiti. In principio, non comprese quale fosse la causa di quel suo strano e improvviso timore, ma  tutto gli fu chiaro quando il rombo forte di un tuono la fece urlare forte e scattare subito in piedi: «Devo andare! Giocheremo domani, ok? Ciao, ciao!» Esclamò poco prima di correre verso sua piccola dimora, che era nelle vicinanze, lasciandolo lì, immobile e con lo sguardo dubbioso e un po’ stordito.

«Ma che–  Emily! » Le urlò dietro scattando in piedi per seguirla, ma quella si era già rintanata in casa.

Quando ansimante e bagnato fradicio a causa della pioggia arrivò a casa della bambina, per un momento credette che all’interno non ci fosse nessuno.
La casa odorava di umido e di legno bagnato ed era decisamente piccola. Un buco, in confronto al suo egregio e sfarzoso palazzo. Inoltre, al suo interno non sembrava esserci anima viva: la casa sembrava essersi profondamente addormentata.

«Emily? Sei qui dentro? Esci fuori, smettila di nasconderti!» Ordinò drizzando le orecchie in attesa di una qualsiasi risposta da parte dell’amica. Ma l'unico suono  che ottenne fu lo scrosciare della pioggia la quale, via via che cadeva, sembrava farsi sempre più forte e fastidiosa.

Stava per perdere del tutto le speranze ed era sul punto di andarsene via, quando improvvisamente lo sentì: subito tese l’orecchio, alla ricerca di un qualsiasi altro suono nelle vicinanze e, dopo quella che parve un’eternità, lo risentì nuovamente.

Un singhiozzo. Flebile e basso. Un singhiozzo appena percepibile attraverso il rumore scrosciante della pioggia che batteva senza sosta contro il vetro della finestrella al lato della piccola cucina impolverata.

«… Emily?» La richiamò esitante, avvicinandosi al luogo da dove aveva sentito provenire il gemito - ovvero un grosso tavolo in noce un po’ impolverato.
 
Un altro lampo, uno ancora più forte del precedente, si scagliò con violenza su Asgard illuminando per un momento la piccola dimora della bambina. Fu in quel momento che la vide: era rannicchiata su se stessa sotto il grosso tavolo, vecchio e logoro, e si teneva la testolina ricoperta dai folti capelli rossi fra le piccole manine in un vago tentativo di tapparsi le orecchie; aveva gli occhi serrati e la bocca distorta in una smorfia di puro terrore. Istintivamente, pensò a suo padre: il possente Odino. Era lui che controllava i fenomeni atmosferici grazie al suo scettro e, sicuramente, quel temporale era frutto di una delle sue solite collere: probabilmente lo stava cercando.

I suoi pensieri vennero deviati da un singhiozzo che Emily si lasciò sfuggire a causa di un nuovo tuono. Sospirò e, senza indugiare oltre, si accovacciò e raggiunse l’amica che se ne stava rannicchiata in posizione fetale a singhiozzare gattonando.

«Loki … » Mormorò piano lei alzando di poco il capo verso di lui, rivelando così i suoi occhioni pieni di lacrime e le gote arrossate. «I-Io ho paura … dei temporali» Sussurrò poi così piano che dovette sporgersi un po’ per capire cosa stesse dicendo. Era rossa in viso e non poté fare a meno di notare che nel dirgli quelle brevi parole aveva evitato bene di guardarlo, quasi come se avesse detto una cosa tremendamente imbarazzante.

Non seppe cosa risponderle. Cosa si diceva di solito in momenti come quelli? Non ne aveva idea, lui. In fondo, non era che un semplice ragazzino di dodici anni. Eppure, dentro di sé, sapeva che doveva assolutamente fare qualcosa. Doveva distrarla e farla ritornare a sorridere. Odiava sentir piangere qualcuno, non gli erano mai piaciute le lacrime: piangere era inutile.

Ma prima che la sua mente potesse elaborare qualcosa di sensato, l'ennesimo lampo squarciò il cielo e venne subito seguito da un rumore assordante che spezzò le sue parole sul nascere; poi fu tutto un susseguirsi di eventi: Emily fece un balzo, squittì in preda al panico e gli si gettò addosso a in cerca di protezione. Lui, non aspettandosi quella reazione così inaspettata, si limitò a mantenere il suo solito religioso silenzio.

«Non sapevo che avessi paura della pioggia» Disse ad un tratto, rompendo il silenzio.
«Io non ho paura della pioggia!» Lo rimbeccò lei indispettita, allontanandosi un po’.
«Hai paura dei tuoni, no? E’ più o meno la stessa cosa».
«Non è affatto la stessa cosa! ».
«Si, certo. Sei proprio una fifona …».
«Statti zitt-- » Le parole le morirono in bocca in quanto l’ennesimo tuono rimbombò tra le mura della casa, facendo tramutare le sue frasi arrabbiate e indispettite in un piccolo gemito sommesso che cercò di soffocare rigettando le braccia al suo collo. Stavolta si avvolse stretta a lui come se fosse stata la sua unica ancora di salvezza.

Non seppe quanto tempo restarono così: abbracciati. Forse minuti, giorni … o addirittura secoli. Di una cosa però era certo: avrebbe dato tutto l’oro del mondo per far sì che quel momento a lui così … sconosciuto durasse in eterno.

Era inebriante sentire le piccola dita sottili di Emily sul suo petto.
E si sentiva quasi ubriacato da quel vortice di emozioni che quel piccolo gesto era riuscito a infondergli.  Non aveva mai provato una sensazione così piacevole quando stava con Thor o Sif, o con qualsiasi altro suo “amico”. Era un mondo nuovo per lui che non aveva mai provato il calore di un abbraccio sincero.
Preso com’era da quei pensieri, quasi non si accorse della voce di Emily che lo chiamava insistentemente.

«Loki?» Lo richiamò di nuovo lei, la piccola testa nell’incavo della sua spalla.
«Cosa c’è?» Le chiese, cercando di sembrare freddo e distaccato. Non voleva di certo farsi vedere debole da lei!

Quella però non parve notare il suo tono di voce e strinse ancor di più la stoffa dei suoi vestiti.

«Non lasciarmi mai da sola. Mai. Hai capito?» Concluse con voce tremante per via dei singhiozzi che il pianto le aveva inflitto in precedenza.

Sul suo viso si formò un piccolo abbozzo di sorriso. Lentamente, strinse di più il corpicino della bambina che, notò, era ancora scosso dai brividi. Con delicatezza, quasi come se avesse paura di romperla da un momento all’altro, affondò le dita sottili nei suoi capelli rossi.

Ormai lui e Emily si conoscevano da molti mesi, ed era capitato spesso che giocando insieme avessero avuto altri contatti diretti. A volte le stringeva la mano, oppure capitava che lei lo abbracciasse forte o gli desse qualche bacetto sulla guancia in modo affettuoso; capitava perfino che la sollevasse di peso quando giocavano. Ma il punto era, che nonostante entrambi si conoscessero ormai bene, tutto quello che avevano passato sembrava il nulla in confronto a quello che aveva appena provato. Aveva scoperto una parte segreta dell’anima di Emily e ora si sentiva … bene. Felice.

Poter toccare i suoi capelli, giocare insieme a lei, prenderla in giro, potersi sentire per una volta speciale per qualcuno... Erano tutte emozioni nuove per lui, che non aveva mai davvero scoperto il significato della parola “amicizia”. L’aveva sempre vista con gli occhi di uno spettatore, non aveva mai scoperto cosa si provasse a sentirsi importanti per qualcuno.

Fu in quel momento che capì che Emily era davvero speciale per lui, che le voleva bene e che lei era sua amica. Ma non un’amica qualsiasi, come quelle che aveva Thor, lei lo era davvero.

A quel punto, decise che per lei avrebbe fatto di tutto. Pur di averla accanto, di avere un’amica, qualcuno che sorridesse come faceva lei.
 
«Non lo farò» Sussurrò piano.
«Croce sul cuore?» Domandò speranzosa lei, guardandolo negli occhi in un modo tremendamente serio.

Annuì con poca convinzione. Che bisogno c’era di fare un giuramento se tanto in cuor suo aveva già promesso da un pezzo?

«Però non barare, altrimenti ti picchio» Lo minacciò la vocina di Emily ancora scossa da alcuni sussulti.
«Come vuoi» ribatté lui, mimando il gesto di una croce all’altezza del petto.

Emily, felice della risposta che aveva ricevuto, rise sonoramente e quella risata gli ricordò il suono di tanti campanelli.

Lui amava i campanelli, gli piaceva il suono che emettevano quando venivano sbatacchiati a destra e a sinistra: gli ricordavano il suono delle campane. Quelle grandi e grosse che c’erano nei campanili che indicavano l’orario durante il giorno.

A lui piaceva la risata di Emily.

«Sai? Ora non ho più paura dei tuoni» Lo informò ad un tratto lei, asciugandosi una volta per tutte i grossi goccioloni che le incorniciavano i lati degli occhi.

Alzò un sopracciglio, curioso.

«E come mai?» Domandò.

A quel punto Emily sorrise giocosa e assunse un’aria serena e tranquilla – decisamente in contrasto con quella che aveva avuto in precedenza.

«Perché ci sei tu qui con me. Non sono più sola! Quindi niente può farmi paura. Nemmeno i tuoni!» Rispose lei con quella sua solita risatina un po’ alterata.
«Ehi, guarda!» Esclamò poi d’un tratto. «È uscito il sole! Andiamo a giocare nelle pozzanghere? Dai, dai, dai! Forza muoviti!» Lo spronò uscendo precipitosamente da sotto il tavolo,  andando fuori correndo.

Una volta uscito anche lui da sotto il tavolo, Loki non poté fare a meno di constatare che sì … a lui la risata di Emily piaceva davvero tanto!
 

 
 
 
 
 



- Note dell’Autrice.

Salve a tutti, ragaSSuoli!
Come va? Come al solito, se siete arrivati a leggere fin qui siete degni di tutta la mia stima! <3 .
Comunque sia, vorrei fare alcune precisazioni sulla paura dei temporali di Emily. Avendo lo stesso caratterino della mia piccola sorellina, ho deciso di donarle anche le sue paure, ovvero quella dei tuoni e dei temporali.
Credo che il capitolo in sé per sé sia stato abbastanza … ecco … sdolcinato, sì. Però suvvia, datemela buona, sono ancora dei piccoli e teneri bambini di 10 e 12 anni! (Non incominciate  a dirmi che quando si hanno 12 anni si incomincia a essere adolescenti perché non lo accetto in quanto io fino ai miei 13 anni giocavo ancora con le Barbie e i Pokemon. Anzi a dirla tutta ci gioco tutt’ora. Ebbene sì, lo confesso.)
Sappiate comunque che questo è un semplice “intermezzo” al capitolo che verrà dopo, quindi perdonatemi se è risultato un po’ noioso. >\\\>
Per la questione METEO DÌ ASGARD.” Vi prego, abbiate pietà di me! Non conoscendo che tipo di meteo possa esserci lì su Asgard, ho deciso di inventare questa cosa del fatto che fosse Odino a decidere il tempo di Asgard grazie al suo “scettromagicodicuinonmiricordoilnome”. 
Vi lascio, un bacione!
Ah! Volevo avvertirvi che le recensioni sono molto apprezzate quindi, se magari me ne lasciaste qualcuna vi ringrazierei eternamente!

Ringrazio di cuore mio padre, quarantottenne laureato, che mi ha aiutata a correggere tutti gli errori ortografici di questa fan fiction nonostante abbia questioni ben più urgenti da sbrigare! Bye-Bye.

Grazie mille, papi! *scuoricina*


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Capitolo 3
*** Please, don't leave me. ***


~Please,don't leave me.

“Dimmi che ti senti sola,
Dimmi che di me hai bisogno,
Ovunque ci sarò, in ogni attimo.
Non lasciarmi qui da solo,
Io ti prego,ti scongiuro,
Noi siamo infondo …
un'anima che batte.

Ad ogni fiocco,
sembri appassire come fossi un fiore.
Ed io sto qui senza poter far niente per te.
Se fosse possibile,
lascia che senta ancora la tua voce.
(ancora, ancora, ancora, ancora)
Chiamami ...”

Len Kagamine -Soundless Voice. (Vocaloid).

 
 



Con il passare dei giorni e l’arrivo imminente della Stagione del Sole, lui ed Emily divennero inseparabili. Anche se continuava ostinatamente a mantenere quel suo tono burbero e un po’ distaccato che lo differenziava da tutti gli altri bambini, Loki dovette ammettere a sé stesso che stava lentamente cominciando ad affezionarsi sul serio a quella piccola bambinetta pestifera dai capelli rossi e gli occhi furbi. Quella, al contrario, non si vergognava minimamente a dimostrare il suo affetto per lui: non per niente, quando lo vedeva, non esitava ad andargli incontro piena di gioia.

Andava tutto bene.

«Ehi Loki, ma non ti annoi mai a leggere sempre tutta quella roba? Che noia che sei!» Chiese una mattina lei, indicando il grosso tomo che riportava a lettere gotiche: “Magie e Sortilegi” che stava leggendo.

Sapeva che non sopportava quando non le dedicava attenzione, che voleva continuamente giocare e che si annoiava subito a sentirlo leggere quei libri che a lui piacevano tanto, ma questo non era un suo problema: se voleva stare in sua compagnia, sarebbe dovuta sottostare alle sue regole e su questo non si discuteva.  
Malcelando il fastidio che le parole di Emily gli avevano provocato, staccò gli occhi dal suo enorme libro di antiche rune e le scoccò un’occhiataccia irritata.

«Certo che no, sciocca. Come ben sai, io un giorno diventerò Re di Asgard e quindi dovrò sapere quanto più mi è possibile, cosa che dovresti fare anche tu … Ehi ma mi stai ascoltando?» Aggiunse stizzito quando vide la figura smilza di Emily alzarsi dall’erba.
«No! Loki, io voglio giocare! Voglio giocare, giocare e gioca-- » Non finì la frase, poiché venne  stroncata da dei violenti colpi di tosse che le impedirono di proseguire; forti e violenti.

Sollevò un sopracciglio, accigliato. Possibile che quell’imbranata si fosse beccata l’influenza?

Pensò a come potesse averla presa: forse in quel giorno in cui avevano giocato sotto la pioggia? O magari quando entrambi, sudati e sporchi, si erano messi a giocare a “Guardie e Ladri”? O chissà, forse si era ammalata dopo che avevano giocato nei pressi del laghetto al calar della sera, quando entrambi erano finiti col tornare a casa fradici fino alla punta dei capelli. Non lo sapeva e probabilmente non lo avrebbe mai scoperto, ma in fondo, a lui cosa importava? Era un dio e gli dèi non si preoccupavano di malattie e problemi vari poiché erano immortali e quindi sarebbe stato inutile pensare a roba simile.
 
Fece spallucce. Quella di Emily era sicuramente una tosse passeggera, probabilmente le era andata un po’ di saliva di traverso. Tutto qui.

«Ehi, la vuoi piantare? Sto cercando di leggere» Disse infastidito, celando un po’ di preoccupazione, notando che non smetteva.

Dopo alcuni secondi, la tosse di Emily cessò ma lei sembrava comunque essere un po’ fiacca. Aggrottò le sopracciglie e, sbuffando, si costrinse a poggiare il libro sul prato e alzarsi per andare a controllare se effettivamente quella stupida si fosse beccata la febbre. Quando però provò ad avvicinare la mano alla sua fronte, Emily lo spinse via, correndo verso il boschetto lì vicino.

«Ah-Ah! Ci sei cascato! Come sei tonto, Loki!» Lo sbeffeggiò. «E sei anche lentissimo!» Aggiunse ridendo e correndo via.

Capendo che il suo fosse stato solo uno sporco trucchetto per prestarle attenzione, Loki non resistette più e anche lui corse verso il boschetto intenzionato a fargliela pagare.

Dannata mocciosa! Appena ti prendo ti faccio vedere io chi è il tonto!
 
Il bosco era un susseguirsi di grandissimi alberi e animaletti selvaggi ed era molto facile perdersi al suo interno. Quando non riuscì più a scorgere la sagoma della bambina, si sentì improvvisamente ansioso. E se si fosse persa?
Non ebbe il tempo di cercarla che vide sbucare da dietro un grande albero la sua chioma riccioluta color carota; era voltata e quindi non poteva vederlo.

Un ghigno di soddisfazione gli incurvò le labbra e, eccitato, decise di farle uno “scherzetto” per ricambiare il suo tiro mancino di poco prima.

«Loki, guarda che sono qui!» Lo chiamò lei, guardandosi attorno nel tentativo di scorgerlo. «Loki?» Lo richiamò quindi, con un tono di voce basso e dubbioso.

Gettò un urlo chiaro e forte quando due braccia esili ma ricche di forza le serrarono la vita, costringendola a gettarsi in avanti e ruzzolando così per tutta la collina, portandosi dietro anche il suo avventore che, nella foga di prenderla di sorpresa, non aveva calcolato il fatto che potesse fare resistenza. Quando arrivarono ai piedi di quest’ultima, i loro corpi erano uno sopra l’altra ma non ci badò più di tanto, troppo impegnato ad osservare il viso di Emily macchiato di terra e il suo sorriso allegro e divertito.

Credette di trovarsi davanti alla cosa più fragile e strana del mondo. Come faceva quella mocciosetta a ridere in continuazione? Non si stancava mai? Non riusciva proprio a capirla: era così bizzarra. Eppure… era sua amica.

«Loki, mi stai schiacciando. Togliti, idiota!»Lo apostrofò lei d’un tratto, spingendolo via.

Accorgendosi della situazione compromettente che si era venuta a creare, non poté evitare di arrossire vistosamente e affrettarsi ad allontanarsi velocemente da Emily, che era pure arrossita. Però, guardandola meglio, notò che effettivamente sembrava avere qualcosa che non andava.

«Ehi, piccoletta, sei sicura di stare bene? Hai la faccia tutta rossa» Osservò.
«Certo che sto bene, Loki. Forza andiamo a giocare!» Rispose lei ancora rossa in viso, balzando in piedi.

Dubbioso, si alzò anche lui da terra e le lanciò uno sguardo corrucciato, incrociando le braccia al petto.

«No. Credo che sia meglio tornare a casa, si sta facendo tardi e non voglio che Padre mi sgridi» Dichiarò voltandosi dall’altra parte, facendo spallucce e avviandosi con  passo spedito verso il Palazzo, certo del fatto che lei lo avrebbe seguito.

Sentì Emily dietro di sé sbuffare sonoramente a quelle parole, ma alla fine parve arrendersi e incominciò a seguirlo.

Intrapresero la strada in silenzio. Cosa piuttosto strana dato che la Mocciosa, ogniqualvolta si presentasse l’occasione, non perdeva tempo a dar vita a una nuova estenuante conversazione. In principio, non badò molto a quel particolare, dando la colpa di quell’imbarazzante silenzio alla stanchezza di entrambi, ma arrivati a un certo punto della strada capì che qualcosa non andava.

«Come mai non parli più? Cos’è, il gatto ti ha mangiato la lingua?»La canzonò, cercando di stroncare il silenzio.

Di certo, si aspettava una risposta a tono da parte sua o per lo meno, un minimo mormorio contrariato. Eppure, Emily non gli rispose.

Si voltò nella sua direzione, pronto a dirgliene quattro per la sua sfrontataggine nell'osare a non rispondere al Principe di Asgard, ma non appena lo fece quello che vide lo sconvolse non poco: Emily si reggeva a malapena in piedi: aveva gli occhi lucidi e vitrei e il suo viso era decisamente più arrossato del solito.

«Ehi, ti senti bene? Non sei affatto carina con quell’espressione sulla faccia, sai? Emily, mi stai ascoltando? … EMILY!».

Successe tutto in pochi secondi: Emily cadde a terra come una marionetta a cui avevano tagliato i fili e lui, con poche falcate, le fu subito addosso.
 
«E-Ehi, che ti prende? Avanti smettila di giocare, non sei affatto divertente!» Non aveva idea di cosa le stesse succedendo: tutto il suo corpo tremava ed era scosso da sussulti e la sua fronte diventava sempre più bollente; aveva il fiatone e respirava a fatica.

Provò a sollevarla e a metterla seduta, ma non appena lo fece la bambina sgranò gli occhi e cominciò a tossire con rabbia, come se non potesse fare nient’altro. Loki le batté alcune pacche sulla schiena, cercando di aiutarla a far passare la tosse, ma in questo modo non fece altro che peggiorarla. Terrorizzato, decise di aspettare che le passasse.

«L-Loki?» Non seppe quanti minuti fossero passati dall’ultimo colpo di tosse, né se le fosse passata del tutto, eppure la voce minuta e sommessa di Emily risuonò come il suono di un gong nella sua testa e subito si premurò di cingerle le spalle, quasi come se potesse darle un po’ di sollievo solo toccandola.


«Emily, come ti senti?» Le chiese, il timbro della voce tremante e spaventato.
«Io … non credo di sentirmi molto bene, Loki. C-Credo di aver bisogno d’aiuto … aiutami!».

Senza indugiare ulteriormente la prese in braccio e cercò di non farla cadere, dopodiché corse che poteva.

Doveva portarla a casa sua, al palazzo! Lì certamente le avrebbero dato le cure di cui necessitava; suo padre l’avrebbe certamente guarita!

Correndo, credette di star per inciampare parecchie volte: non era mai stato una cima in quanto a forza fisica e di certo le sue braccia decisamente ossute non avrebbero retto per molto il peso di Emily. Ma non doveva pensarci, doveva semplicemente arrivare al palazzo e affidarla alle cure dei suoi migliori Guaritori; certamente loro l’avrebbero guarita! Le avrebbero fatto passare quella dannatissima tosse e, una volta guarita, sarebbero ritornati vivere la vita di sempre.


Quando scorse l’entrata principale del palazzo, qualcosa – la disperazione, forse – lo spinse a correre ancora più velocemente, sfidando il sudore che gli imperlava la fronte e il senso di affaticamento che gli intorpidiva le gambe. La sua corsa fu però fermata da una donna bellissima e con un portamento fiero che riconobbe subito come sua madre.

«M-Madre … »Ansimò, rosso in viso.

Frigga fece scorrere il suo sguardo su di lui e, non appena notò il corpicino di Emily fra le braccia del figlio, la sua espressione divenne confusa e stordita.

«Loki, cosa sta succedendo? Chi è questa fanciulla? ».
Lui scosse la testa. «Madre, vi prego, aiutatemi … Lei … lei ... » Le parole gli morirono in gola e non riuscì a concludere la frase.

Non aveva idea del perché Emily stesse cosi male. Voleva aiutarla, voleva fare qualcosa per lei, ma… era solo un bambino. Cosa poteva fare oltre al chiedere aiuto?


Improvvisamente, Emily ebbe altri forti colpi di tosse; così forti che per un momento credette che non riuscisse più a respirare. Non poté fare altro che guardarla: impotente. Si sentiva inutile: quella mocciosa stava male e lui non poteva fare nulla per aiutarla. Sentì qualcosa pizzicargli gli occhi e le dita tremare, minacciando di far cadere la bambina a terra, ma lui ricacciò indietro le lacrime e si morse con prepotenza il labbro inferiore. Poi, alzò lo sguardo su quello di sua madre.


«Ti prego…» Mormorò con la voce ridotta a un singhiozzo.

Frigga, senza aggiungere altro, annuì velocemente e subito dopo aver preso Emily dalle sue braccia si avviò con passo spedito verso la Sala della Guarigione, lasciandolo lì da solo, con il cuore che sembrava stesse per scoppiargli nel petto e la sensazione di star perdendo l’unica cosa a cui avesse davvero tenuto pervaderlo. Sentiva Emily andare via da lui; scivolare via, come la sabbia.

A quel pensiero strinse i pugni così forte da farsi diventare le nocche delle dita bianche e digrignò i denti per la frustrazione.

Emily guarirà. Quella è solo una semplicissima febbre, nulla di particolare. Domani mattina sarà tutto come prima. Tutto come prima!

Avvilito, si diresse correndo verso la Sala della Guarigione. Doveva sapere cosa aveva la sua amica che non andava; doveva avere la certezza che quella era solo una semplice febbre passeggera, che presto le sarebbe passata e che sarebbero potuti tornare a giocare come sempre.

Quando arrivò con passo felpato nell’infermeria, scorse Madre e Padre discutere a bassa voce con un Guaritore: avevano l’aria afflitta e dispiaciuta di chi ha appena ricevuto una brutta notizia e, quello sguardo, fece scattare in lui un campanello d’allarme e il suo cuore perse un battito. Quando vide uno dei Guaritori fu in procinto di scorgerlo , si nascose istintivamente dietro una colonna. Non sapeva perché si stava nascondendo, sapeva solo che doveva farlo se voleva sapere cosa avesse sul serio Emily che non andava.

Rizzò le orecchie in direzione del Guaritore che stava visitando il piccolo corpicino di Emily, e guardando meglio si accorse che anche nello sguardo di quest’ultimo non c’era nessuna traccia di un sorriso. Solo dispiacere.

«Padre degli Dèi, di chi è questa bambina?» Chiese a un tratto l’uomo quando concluse la visita.

Frigga scosse leggermente la testa.

«Non lo sappiamo, era con Loki … » Rispose guardando apprensiva il marito e il Guaritore.

Quest’ultimo fece un’enorme sospiro di rassegnazione, poi si rivolse ai coniugi con l’aria più afflitta che potesse assumere il suo volto appuntito e spigoloso.


«Non so se il principe Loki fosse al corrente di quanto sto per dirvi, ma questa bambina ha contratto una grave forma di polmonite, il che è parecchio strano dato che solitamente questa malattia risiede nel Regno di Midgard, ma non è raro che venga riscontrata anche qui in quanto i due mondi sono fra di essi collegati. Purtroppo la bambina non è una divinità, bensì una semplice Servitrice del Regno e dunque non è salvaguardata da possibili malattie o lesioni fisiche, esattamente come la maggioranza della popolazione. Mi dispiace» Concluse.

Non comprese molto di quello che disse, né cosa fosse la “polmonite” o che differenza ci fosse fra una divinità e una Servitrice del Regno, ma dagli sguardi dispiaciuti e seri dei suoi genitori riuscì a capire che quella cosa gli stava portando via l’unica persona che gli aveva rivolto un sorriso sincero. La “polmonite”  gli stava portando via Emily.

«Quanto le resta?» Domandò Odino con voce profonda.
Il Guaritore scosse la testa, sconsolato. «Poco. Molto, molto poco. La bambina è davvero molto fragile, sarebbe bastata una semplice folata di vento per farle venire un forte raffreddore. Probabilmente ha resistito perché non è stata esposta a dei climi rigidi. Non dovrebbe rimanerle più di una settimana, suppongo. Sono davvero dispiaciuto, maestà».

E tutto sparì.
 
C’era una cacofonia insopportabile di voci ammassate fra di loro nella sua testa, ma non riuscì a comprendere a chi appartassero; sentiva rumore, parole sconclusionate e un forte senso di oppressione lambirgli le viscere. Tutto incominciò a vorticare spaventosamente e qualcosa dentro di lui continuava a urlare che non poteva essere vero, che era impossibile e che si trattava solo di un terribile scherzo di cattivo gusto.

Emily… La sua Emily sarebbe … No! Non riusciva nemmeno a pensarci. Gli veniva impossibile!

Eppure era sempre stata bene quando era con lui! Forse qualche volta aveva avuto qualche piccolo colpo di tosse, o qualche starnuto … ma erano cose così piccole e superficiali che non ci aveva neanche fatto caso. Doveva assolutamente esserci un malinteso… Si sbagliavano! Non poteva essere come dicevano loro!
 
No, no, no! Emily no! Tutti, ma non Emily!

Restò in silenzio per alcuni istanti, lo sguardo stordito e vacuo di chi non capisce cosa stia succedendo, finché, senza alcun preavviso, la verità gli piombò addosso come se fosse stata una secchiata d’acqua gelida, e fu devastante.


Emily, quella mocciosa impertinente e dalla voce squillante ,la prima persona che gli aveva rivolto un sorriso sincero, che gli aveva offerto la sua amicizia senza volere nulla in cambio e che lo aveva abbracciato, stava morendo.

E lui non poteva fare nulla per evitarlo.


 
 
-Angolino dell’Autrice.
  Saaalvee gente!
Spero vivamente, che dopo questo capitolo nessuno di voi venga sotto casa mia armato di forconi e trattori (??).
So perfettamente che questo capitolo non è l'emblema della felicità, ma vi assicuro che servirà per tutta la storia! Anzi, direi che sarà piuttosto essenziale.
Povera Emily, così piccola e già così sfigata ç^ç.
Spero che non vi stiate annoiando e che la storia continui a piacervi.

Comunque,  vorrei ringraziare tutti coloro che hanno recensito il capitolo precedente! Grazie mille ragazzi! <3
Ringrazio moltissimo anche tutti coloro che hanno messo la storia nelle preferite, ricordate e seguite.
Sul serio voi non avete idea di quanto possiate farmi felice.
Ora vado, sappiate che se non aggiornerò per un po' di tempo sarà perché mi hanno assassinata mentre dormivo.


Bye - Bye!-
P.S: Ringrazio di cuore mio padre per avermi corretto anche questo capitolo! Grazie mille papà! <3

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Capitolo 4
*** Stay with me. ***


~Stay with me.

“Stai con me,
non lasciarmi andare.
Perché non posso stare senza te.
Stai con me
e stringimi forte.
Perché ho costruito il mio mondo intorno a te
e non voglio sapere come sarebbe senza di te.
Quindi stai con me.
Stai con me.”

Danity Kane- Stay With Me.




Nonostante le incessanti suppliche di lasciar perdere e di rassegnarsi all’evidenza da parte dei suoi genitori e compagni, Loki non ebbe mai davvero intenzione di farlo. Non avrebbe lasciato che Emily morisse, avrebbe lottato con tutto se stesso per impedirle di chiudere gli occhi per sempre.

In quegli ultimi cinque giorni si era dedicato più del dovuto alla lettura di antichi incantesimi che, in qualche modo, avrebbero guarito la bambina e l’avrebbero fatta tornare quella di sempre. Quando però finiva i suoi studi, si recava nella Camera della Guarigione per andare a trovare la sua amica che, ogni giorno che passava, stava sempre peggio. La febbre le era aumentata vertiginosamente e adesso Emily aveva assunto un colorito pallido e cinereo. Inoltre, la tosse sembrava non voler assolutamente cessare, ma, al contrario, andava sempre più a peggiorare, finendo col farla respirare a fatica e con dolore.

Quella mattina poi, Emily sembrava stare particolarmente male, più del solito: la tosse sembrava essere diventata un tutt’uno con lei e i suoi occhi erano arrossati e velati di lacrime. Tutto del suo aspetto sembrava gridare aiuto: i suoi occhi, i suoi atteggiamenti e persino il suo colorito della sua pelle, adesso pallido e quasi esangue.

Sospirò, impotente, e si sedette su una piccola sedia accanto al letto della bambina e, con delicatezza, le accarezzò la mano destra.

A quel tocco gli occhi di Emily si aprirono e saettarono verso di lui: provò a dire qualcosa, ma, non appena utilizzò le corde vocali, dalla sua bocca uscirono parecchi violenti colpi di tosse che, per un momento, le impedirono di respirare. Quando parve calmarsi un po’, si lasciò cadere con pesantezza sul cuscino e, chiusi gli occhi, cominciò a inalare quanta più aria le fosse possibile attraverso la bocca dato che, ormai, il naso era completamente otturato.
Amareggiato, le strinse istintivamente forte la mano e lei ricambiò la stretta con flebile forza.

Emily …

«Ti prego, Emily… Non te ne andare, non mi lasciare qui da solo. Io … Io devo ancora farti vedere tutte le magie che ho imparato, devo insegnarti a scrivere e a fare le magie! Però se tu te ne vai, io non posso più farlo… capisci? Ti prego, resta con me, non te ne andare via … Ti prego Emily… Emily… » La voce di Loki si ridusse a un sussurro e gli si spezzò in gola; il dolore era forte e lancinante e la rabbia per non poter far nulla era tagliente come un rasoio; avrebbe voluto urlare, ma la voce era bloccata in gola e tutto, dentro di lui, sembrava fare a pugni e dimenarsi forte.

Sentì qualcosa pungergli gli occhi e subito dopo qualcos’altro di liquido e umidiccio scivolargli giù per le guance; fece saettare le dita all’altezza degli occhi, sfiorando il sottopalpebra con titubanza, e con sorpresa si accorse che erano lacrime. Stupito, prese ad osservare con sguardo vacuo le proprie dita bagnate, non riuscendo a capacitarsi di come potesse essere possibile; lui non piangeva mai: piangere era per deboli, per bambini stupidi come gli amici di suo fratello Thor, non di certo per lui, che era sempre stato freddo e distaccato da tutti e che non si era mai lasciato sopraffare dalle emozioni.
Si sfregò con prepotenza gli occhi, cercando di eliminare le prove di quanto era accaduto, ma improvvisamente la vista gli si annebbiò e le lacrime presero a sgorgare con prepotenza giù dai suoi occhi senza che potesse fare nulla per fermarle. Si diede dell’idiota: se suo padre l’avesse visto, lo avrebbe certamente preso a ceffoni.
Eppure, nonostante si stesse maledicendo per non riuscire a smettere di piangere, si accorse ben presto che era l’unica cosa che potesse fare in quel momento. Capì che doveva farlo perché se non si fosse sfogato in qualche modo sarebbe scoppiato. Nessuno poteva contenere tutto quel dolore.

Malgrado ciò, continuava a sentirsi uno stupido e desiderò che quelle lacrime si fermassero subito, perché lui non le voleva. Non le sopportava!

«L-Loki?» Nonostante Emily avesse appena sussurrato quel nome, il suo capo, fino a quel momento chino sulla fodera del materassino, scattò verso l’alto così velocemente da fargli persino male. «Perché piangi?».

Infastidito da quella domanda, aggrottò le sopracciglia e prese a strofinarsi con più prepotenza gli occhi, arrabbiato per essersi fatto scoprire in quello stato.

«Ma che dici, io non sto mica piangendo! I-Io non piango mai. M-mai …
» Rispose, il timbro della voce tremolante.

Probabilmente l’avrebbe persino convinta, se la sua voce non l’avesse tradito, tramutandosi in un singhiozzo instabile.

«Loki… »Sussurrò piano lei, sfiorando la sua mano con delicatezza.
«IO NON STO PIANGENDO!» Le urlò contro, scattando subito in piedi e allontanandosi.

Emily lo guardò malinconica, quasi amareggiata, e lui si sentì in colpa. Distolse lo sguardo, mordendosi il labbro inferiore e cercando di trattenere i singhiozzi, e prese a torturarsi le mani.
Perché era dovuto capitare proprio a lei una cosa del genere? Cos’aveva fatto di male lei, che sapeva a malapena reggersi in piedi tanto era piccola? Forse era colpa sua: magari gli dèi del passato avevano deciso di punirla per essere stata in compagnia del principe Loki, il maledetto; lo strano. Quei pensieri lo fecero sentire il peggiore dei mostri e di nuovo sentì le lacrime riaffiorare nei suoi occhi. Avrebbe dovuto chiederle scusa, che non voleva trattarla male e che non aveva mai desiderato che stesse male per colpa sua. Serrò i pugni, frustrato: avrebbe voluto dirgliele queste cose, lo avrebbe voluto fare sul serio. Ma non riusciva neppure a muovere un muscolo tanta era la tensione, figuriamoci a fare un discorso tanto lungo.

Ma non ce ne fu bisogno, poiché lei lo precedette.

«Scusami se non posso più uscire a giocare con te» Disse, improvvisando un piccolo e tentennante sorriso. «Però non piangere. Ti prometto che quando starò meglio usciremo di nuovo, però se piangi non gioco più. Non mi piace quando sei triste, diventi brutto».

Scusami.

Erano solo sette banalissime lettere collegate fra di loro e che, alla fine, non avevano alcun significato; eppure, in quel momento, sentì un improvviso calore al petto prendere il posto della morsa allo stomaco che lo attanagliava da tutta la mattinata. Osservò il suo viso pallido e con delle profonde occhiaie violacee sotto gli occhi azzurri, le labbra sottili incurvate in un piccolissimo sorriso sghembo, e qualcosa dentro il suo petto prese a spingere con insistenza, quasi come se volesse uscire. Faceva male, era doloroso e straziante.  

Non lasciarmi, Emily.

In un ultimo disperato gesto, prese la mano della bambina e la strinse con forza alla sua, poggiandoci con forza il viso.
Voleva far capire a Emily che lui non avrebbe mollato e che quindi, non avrebbe dovuto farlo neanche lei. Voleva che capisse che avrebbero lottato insieme e che loro, una volta finito tutto ciò, avrebbero ripreso a giocare a nascondino; come sempre. Voleva dirgliele queste cose; urlargliele a pieni polmoni.

E infine, le parole gli uscirono forti e prepotenti dalle labbra, quasi come se per tutto quel tempo non avessero agognato altro che quello.

«Non te ne andare» Erano parole concise, brevi e quasi banali, ma la malinconia e l’angoscia con cui le aveva pronunciate le fecero sembrare quasi come un’ultima disperata preghiera, una supplica più che una richiesta.
Emily sorrise, gli occhi lucidi e stanchi. «Certo che non vado via, stupido! Ce ne vuole prima che la febbre mi pass--»Non riuscì a terminare la frase, perché di nuovo, la tosse prese il sopravvento su di lei facendola tossire forte.

Ma stavolta era più alta, più roca e più tremenda. Emily si allontanò di scatto da lui, che, intuendo che qualcosa non andava, si allontanò dal  letto e chiamò aiuto a gran voce, sperando con tutto sé stesso che qualcuno lo sentisse.
Nel frattempo, la bambina continuava a tossire sempre più forte e, con orrore, Loki si accorse che quello che tossiva non era più semplice saliva o catarro: era sangue.

Sangue misto a un’orribile sostanza giallognola che stava lentamente sporcando le lenzuola candide che avvolgevano la bambina; la quale, aveva gli occhi spalancati e le pupille dilatate in una chiara richiesta di aiuto; si tenne il petto con una mano, mentre con l’altra si coprì la bocca e si accasciò su sé stessa, più morta che viva, cominciando a rantolare in maniera quasi ossessiva.
Spaventato, chiamò più forte aiuto; ma, nonostante stesse urlando a pieni polmoni, nessuno sembrò sentirlo.
Disperato, corse da lei e, quando notò che la bambina tossì nuovamente sangue, il panico si impossessò di lui.

«Emily!»La chiamò, cercando di farla rimanere sveglia, ma lei non rispondeva, continuava ad ansimare e tossire. «Emily no! No!» Urlò, ma fu inutile poiché dalla sua bocca continuava ad uscire del sangue. Solo in quel momento si accorse di avere tanta, tanta paura di perderla e di non poterla salvare.
«Ti prego, non mi lasciare! Resta con me! Resta con me!» Urlò avvilito, stringendo con forza il corpicino rantolante della bambina.

E, di nuovo, lei tossì con più forza: stavolta rigettando una grossa quantità di sangue sul letto, che adesso riportava delle grosse chiazze color cremisi, simili a chiazze d’olio. La testa cominciò a girargli e le gambe divennero molli, ma non voleva arrendersi, non poteva permettere che se ne andasse! Che lo lasciasse di nuovo solo!

«Non addormentarti Emily, non addormentarti!».

Sentì il suo piccolo corpo farsi sempre più debole e il suo rantolio diminuire e, ingenuamente, pensò che doveva essere una buona cosa perché, se Emily avesse smesso di rantolare, sarebbe stata bene. Eppure nella sua testa, incessante, qualcosa urlava che, al contrario di quanto potesse credere, quella non era assolutamente una buona cosa; che doveva impedirla e che doveva farlo in fretta.
Cercò nuovamente di chiamare aiuto, ma un lamento appena percepibile da parte di Emily lo fermò.

«Loki … Mi dispiace, non ce la faccio più. Sono stanca e ho molto sonno … Ho tanto sonno, Loki» Mormorò a fatica cominciando a piangere per il troppo dolore, portandosi una mano al petto, come se così avesse potuto lenire il dolore.

Loki sentì di nuovo gli occhi inumidirsi, e pregò con tutto sé stesso che Emily non chiudesse gli occhi, che non si addormentasse; che continuasse a stare con lui.
Non gli importava di essere egoista, lui non voleva che Emily morisse! Non voleva, dannazione!

«No! Non è vero! Tu … Tu non puoi! Ti prego … Ti prego, Emily … » Capì di star nuovamente piangendo solo quando la voce gli si spezzò in gola, impedendogli di continuare. Sentì le guance bagnarsi e, di nuovo, strinse a sé il piccolo corpo della bambina, affondando le dita tra i suoi capelli rossicci. Sperava che, così facendo, nulla di lei lo avrebbe potuto abbandonare e che la sua anima restasse lì, che non volasse via.

Emily, ti prego …

«Scusami, Loki … » Rantolò lei, agonizzante, mentre le sue palpebre cominciavano ad abbassarsi. «Scusam- »I suoi occhi si chiusero improvvisamente e il braccio che prima gli sfiorava la schiena scivolò giù, penzolando senza vita, e la sua voce si interruppe di colpo. Sul suo viso erano ancora impressi i rivoli che le lacrime avevano lasciato sulle sue guancie.

Tremando, Loki si allontanò un po’ da lei, giusto per poterla guardare meglio. I riccioli rossi le incorniciavano il viso sottile, le labbra erano schiuse in un piccolo ovale e il capo era reclinato all’indietro come quello di una bambola.

«E-Emily?» Provò a chiamarla, inquieto. «Emily? Rispondimi, dai. Non è divertente questo gioco. Emily … Emily ti prego … Emily» Un singhiozzo uscì prepotentemente dalle sue labbra, disperdendosi nel silenzio della Camera. Provò a scuotere il corpo esamine della bambina, ma quella non dava segni di vita. Il suo cuore perse un battito, poi un altro ancora ed infine la consapevolezza che Emily non avrebbe più riaperto gli occhi gli piombò addosso.
Emily… Emily era … No! Non era affatto così! Lei … Lei lo stava solo prendendo in giro! Ma sì, certo! Doveva per forza essere così, non poteva mica morire sul serio, no? Adesso si sarebbe risvegliata e gli avrebbe detto che si trattava solo di uno scherzo di pessimo gusto, lui l’avrebbe picchiata un po’ ma poi entrambi avrebbero finito col fare di nuovo la pace. Proprio come sempre!

«Emily, ti prego, svegliati. Ti prometto che, se lo farai, non leggerò più quei libri che ti danno tanta noia e… e ti assicuro che ti insegnerò a fare le magie che ti piacciono tanto! Però tu devi svegliarti! Emily devi svegliarti, dobbiamo andare a casa! Emily… » Non voleva credere a quello che la sua mente gli proiettava, no, quella era solo un’illusione; una di quelle che gli riuscivano tanto bene ma che, negli ultimi tempi, non riusciva più a controllare. Quando quella storia sarebbe finita, sarebbe subito corso a imparare altre magie, così non avrebbe avuto più problemi.

Le cinse le spalle con forza, sperando che si svegliasse, che riaprisse gli occhi e che gli dicesse di essere stato di uno stupido a credere a una bugia simile. Nella sua mente vigeva un unico, costante pensiero: resta con me, Emily! Resta con me!

E fu in quel momento che accadde.

Nessuno seppe mai spiegare cosa esattamente fosse successo in quel pomeriggio di inizio Stagione del Sole, neppure lui ne fu mai capace, ma rimase il fatto che quel giorno successe qualcosa di incredibile.

Tutto si fermò: era come se il mondo fosse stato messo in pausa, e una piccola e flebile lucina fuoriuscì dal palmo della sua mano destra, per finire poi col tramutarsi in dei lunghi e sottili filamenti argentati. Lo stesso successe ad Emily, ma i suoi “fili” non erano argentati, bensì di un macabro e grottesco color pece.
Quando tutti i filamenti uscirono dalle mani di entrambi, Loki ebbe la strana, ma allo stesso tempo bellissima sensazione, di essersi improvvisamente svuotato di tutti i propri sentimenti negativi, le sue paure e persino di alcuni suoi ricordi. Ma questa sensazione sparì quando, senza alcun preavviso, i fili color pece di Emily si addentrarono all’interno del suo palmo della mano, facendolo fremere. Lo stesso successe a lei quando i suoi “fili” si riversarono sul suo palmo della mano, prendendo il posto di quelli neri.

Subito dopo, quella strana illusione svanì, e tutto tornò alla normalità.

Per un momento, credette di aver sognato. Ma si dovette ricredere quando, osservando il palmo della propria mano destra, ritrovò impressa una grossa X tracciata come se fosse stata una cicatrice. Confuso, controllò anche la mano di Emily ed ebbe così la conferma che quello che aveva visto poco prima non era stato un sogno: sul palmo della sua mano destra c’era tracciata una grossa X che, al contrario della sua, era di color argentato.

Ma questo cosa significava?

Ripresosi da quello strano torpore, Loki capì che quello non era proprio il momento giusto per pensare a cosa fosse accaduto pochi istanti prima. Doveva prima risvegliare Emily da quel suo sonno interminabile, poi avrebbe razionalizzato.
La scosse parecchie volte, quasi sperando che quello strano avvenimento avesse influito su quello che le era accaduto,  ma, quando si accorse che era del tutto inutile, si sentì mancare e trattenne il fiato.

Era andata via.

Spaventato, incredulo e angosciato, Loki si accasciò sul letto della bambina e la strinse a sé con quanta più forza aveva in corpo. Dannata mocciosa. Come si era permessa a non ascoltarlo? Le aveva detto di restare con lui! Glielo aveva detto! Perché non lo aveva ascoltato?! Perché nessuno voleva restare con lui?!

Non seppe per quanto tempo restò così; inerme e in quella posizione fetale. Seppe solo che non volle in alcun modo staccarsi dal corpo di Emily, che doveva restare con lei. Non lo aveva ascoltato, era andata via anche lei e adesso lui era rimasto di nuovo solo. E lui non poteva farci niente.

Sentì qualcosa dentro di sé crescere e gonfiarsi: non seppe dire se si trattasse di rabbia, paura o angoscia, e non gli importava. Sapeva solo che improvvisamente tutto era diventato di nuovo buio e la voglia scalpitante di urlare gli lambiva le viscere, gonfiandogli le vene delle tempie e facendolo grugnire di rabbia.
Era doloroso vedere la sua unica vera amica inerme su quel letto, sapere che non avrebbe più potuto sentire la sua voce acuta e strillante, ed era doloroso sapere che niente e nessuno l’avrebbe riportata indietro. Perché? Perché gliela avevano portata via? Perché proprio lei?

E finalmente la voce esalò fuori dalla sua gola, e Loki urlò a pieni polmoni tutta la sua disperazione. Voleva che lo sentissero, tutto il mondo doveva saperlo! Dovevano sapere che lei era stata la sua unica vera amica e che, nonostante ciò, gliela avevano portata via, crudelmente e senza preavviso. Era come se qualcuno gli avesse strappato via un pezzo di sé con violenza, provocandogli una ferita enorme che non si poteva più rimarginare: sanguinava, faceva male e il dolore continuava a crescere.

Strinse ancora più forte il corpicino ancora caldo della bambina, affondando il viso nell’incavo della sua spalla. La supplicò di riaprire gli occhi, di parlargli; preghiere che restarono inascoltate e che si persero nell’aria.

Improvvisamente, la voce di sua madre risuonò forte e chiara nella sua mente. Sua madre era lì, lo aveva sentito. Cosa avrebbe detto trovandolo in quello stato pietoso? E come avrebbe reagito alla vista di Emily? Nonostante queste domande lo stessero assillando, Loki non accennò a volersi allontanare dal corpicino di Emily e, anzi, lo strinse a sé con ancora più disperazione.

«Loki! Cos’erano quelle urla? Ti sei fatto male?» Gli domandò lei visibilmente preoccupata, accorrendo in suo soccorso. Quando poi abbassò lo sguardo su Emily, che se ne stava inerte fra le sue braccia, disse, con la voce ridotta a un filo: «Oh, povera piccola… ». Subito, tolse il corpicino della bambina dalla stretta di Loki che, ormai avvilito, fece solo una lieve resistenza. Quest’ultimo, allontanatosi di poco dal giaciglio della sua piccola amica, evitò accuratamente di guardare sua madre finché, improvvisamente, un suo strillo chiaro e forte gli fece fare un balzo.

«M-Madre?» Domandò esitante, volgendo lo sguardo verso di lei, osservandolo con occhi dubbiosi.

Frigga si allontanò di alcuni metri dal giaciglio della piccola Emily e si affrettò a chiamare aiuto con quanta più voce aveva in corpo.

«Vado a chiamare un Guaritore, tu resta qui! Non accetterò proteste al riguardo!» Disse avviandosi con passo svelto fuori dalla Camera alla ricerca di qualcuno.

Loki non accennò parola e si limitò a guardarla dubbioso; poi, con lentezza quasi palpabile e con il cuore che cominciava a martellargli nel petto, si avviò verso il capezzale della bambina e quando la vide, sentì il fiato mozzarsi.

Emily aveva riaperto gli occhi e lo osservava con sospetto, come se non riuscisse a capire cosa fosse accaduto; l’eccessiva magrezza era completamente svanita dal suo viso, facendolo ritornare quello paffuto e infantile che era prima della malattia, e i suoi occhi erano di nuovo grandi e senza il minimo accenno di rossore o irritazione. Subito, un sorriso che andava da un orecchio all’altro gli si dipinse sul volto magro.

Era guarita! Emily era guarita!

«L-Loki? Cosa è successo? Perché mi trovo qui? Dov’è zia Kim?» Domandò esitante lei, strofinandosi gli occhi.
Lo sapeva! Lo sapeva che non l’avrebbe abbandonato!

Incredulo e incapace di fare qualsiasi cosa, si limitò a guardarla con avidità, quasi come se temesse che sparisse da un momento all’altro. Poi, le parole uscirono da sole, e lui non fece nulla per fermarle.

«Mi hai ascoltato: sei rimasta. »Sussurrò, più a sé stesso che ad Emily.
Lei alzò un sopracciglio. «Eh? Di cosa stai parlando? Ti senti bene?» Domandò scettica, guardandolo male.

Prima che Loki potesse anche solo provare a risponderle, una Guaritrice di grossa stazza e con dei lunghi capelli color grano raccolti in una crocchia si avventò su Emily, seguita poi da Odino e Frigga, che la scrutarono ansiosi e allibiti.

«Si può sapere cosa sta succedendo?!» Urlò lei, non capendo nulla.

Ma nessuno le badò, poiché improvvisamente la Guaritrice si alzò dalla posizione piegata che aveva assunto per poter visitare meglio Emily e disse con occhi colmi di gioia e un sorriso grande e commosso: «Che gli dèi siano lodati! La bambina è salva!».






 
- Note dell’autrice!

Ebbene sì, per la vostra gioia (??) sono tornata! Ditemi un po’, vi sono mancata?Ehehehe.

Comunque, spero che la storia non sia risultata troppo forzata perché vi assicuro che non era mia intenzione! Insomma, non è che ora è successa ‘sta cosa dei fili magici tutti vivono felici e contenti, eh! :P

Ebbene si. Mi odierete, miei cari.
Ad ogni modo, ringrazio dal profondo del mio HEART tutte le 21 persone che seguono la mia storia! Sul serio ragazzi, siete eccezionali. *si asciuga una lacrimuccia.*
Vi voglio bene, ragaSSuoli ç^ç.
Chiusa questa breve parentesi, vi lascio.
Vi ringrazio infinitamente per essere arrivati fin qui! Fatemi sapere che ne pensate!

RINGRAZIO INFINITAMENTE DARMA PER AVER BETATO IL CAPITOLO!
GRAZIE MILLE! :*

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Capitolo 5
*** Doubts. ***


~Doubts.

"Che fino a quando sarai con me,
Da ogni cosa ti proteggerò.
E non permetterò mai a niente e nessuno
Di portarti lontano da me.
Quindi se vorrai starmi vicino,
Dovrai accettarmi per quello che sono.
Se non ne hai voglia cammina lontano.
Potrei impazzire a vederti mano per mano
Con uno che non sono io. "

Modà - Mia.



Non ci volle molto prima che Emily fosse dimessa dalla Camera della Guarigione.

Infatti, dopo qualche giorno di accertamenti, venne riportata a casa; con non poca delusione da parte sua, che già si immaginava una lussuosa e bellissima vita al palazzo di Odino.

«Emily, tua zia non è ancora in casa?» La voce bassa e cauta di Loki si insinuò fra le poche mura della piccola dimora in legno della bambina, che stava comodamente seduta su una brandina.
«No» Rispose semplicemente lei, facendo spallucce.
«Perché? ».
«Non lo so. La zia è sempre fuori, non sta mai a casa e quando c’è io non ci sono perché sono fuori a giocare. Mi sembrava di avertelo già detto» Dichiarò infine, scrollando le spalle.

Loki alzò un sopracciglio, accigliato.

«Perché è sempre fuori? Lavora?» Domandò.

Emily alzò le spalle.

«Credo di sì» Rispose lei, incerta.

Sospirò pesantemente e alzò gli occhi al cielo, scorgendo così alcune ragnatele ai lati del soffitto della piccola dimora. Guardando meglio, scoprì che quasi tutta la casa era piena di polvere e piccoli insetti. In fondo non c’era da stupirsene: Emily era pur sempre una bambina e non era ancora in grado di occuparsi delle faccende domestiche. Ad ogni modo, questo non giustificava il fatto che dovesse vivere in quel modo.

«I bambini non dovrebbero stare soli in casa per troppo tempo.»Dichiarò, severo, incrociando le braccia al petto.
«Io non sono mica una bambina, ho dieci anni ormai! » Rispose quella, stizzita.
«Certo. Mi piacerebbe proprio sapere come fai a procurarti da mangiare».
«La zia mi lascia sempre alcuni soldi sul tavolo e, quando ho fame, vado a comprarmi qualcosa al mercato … »Spiegò lei.
«Capisco».

Calarono alcuni secondi di silenzio fra lui ed Emily, disturbati solamente da alcune assi di legno che scricchiolavano di tanto in tanto. Probabilmente quella casa sarebbe presto crollata al suolo.
Loki volse il suo sguardo ad Emily, che se ne stava appollaiata sulla sua brandina decisamente troppo piccola per i suoi standard, e la squadrò dall’alto in basso come se non l’avesse mai vista prima: era decisamente minuta per la sua età, arrivava all’incirca sotto le sue ascelle ed oltretutto era anche parecchio magrolina. Era convinto che, al contrario di quanto diceva lei, Emily non mangiasse praticamente nulla. Nonostante ciò, quella mocciosa aveva sempre quel suo solito sorriso dipinto sul volto; quasi come se fosse un tutt’uno con lei.

E in cuor suo amava davvero tanto quel sorriso.

Di colpo, Emily emise un grosso sbadiglio e stiracchiò le braccia al cielo e, aprendo le mani, ne mostrò involontariamente i palmi.
Con la coda dell’occhio, Loki intravide il segno a X che aveva nella mano destra; il suo viso si irrigidì a quella vista.
Istintivamente, si guardò il proprio palmo della mano e scorse che quello strano segno a forma di X, che possedeva anche lui, non era ancora scomparso.

Cosa voleva significare? Cosa rappresentavano quegli strani filamenti che erano dalle loro mani pochi giorni prima? E come aveva fatto Emily a risvegliarsi dal sonno eterno? Troppe domande gli affollavano la mente e per lui, che era abituato a darsi sempre una risposta a tutto, il fatto di non poter avere una risposta concreta ad un evento strano come quello era inaccettabile.

Doveva saperne di più al riguardo.

«...ki?Loki? Ehi, ma ci senti? » Perso com’era nei suoi pensieri non si era minimamente accorto del fatto che Emily lo stesse chiamando da qualche minuto.
«Loki, ma sei sordo? » Aggiunse lei, decisamente infastidita. «Ehi … ma ti senti bene? Sei bianco come un lenzuolo.» Domandò piano, avvicinando una mano al suo viso nel tentativo di capire se fosse malato o meno. Quest’ultimo ne approfittò per agguantarle la mano in una stretta di ferro e, con velocità, la portò davanti al proprio viso, in modo che potesse vederla bene.

Non si era sbagliato: quello strano segno era ancora lì.

«Sei impazzito? Lasciami stare, idiota! Mi fai male!» Urlò irritata, allontanandolo con uno spintone.
«Emily, guarda… Guarda qua! »Le disse, indicandole lo strano segno a forma di X che aveva sulla mano destra, uguale a quello sulla mano di lei.

Emily alzò un sopracciglio e incrociò le braccia al petto.

«E allora?» Domandò, insolente.
«Emily, guarda la tua mano destra!» Le urlò, stringendole la mano. «Guardala!» Aggiunse, agitato, indicandogliela.
«La sto guardando, Loki! Smettila di stringerla così forte, dannazione!»Strillò lei, tirando via la mano dalla sua presa e incominciando a studiarla con vero interesse.

Quando ebbe finito, guardò il moro come per dirgli “mi stai prendendo in giro? ”.

«Oh, sì, sai cosa vedo? Vedo che sei un idiota, ecco cosa. E che mi hai fatto male al braccio, prima» Dichiarò, scandendo per bene le parole.

«Cosa?» Le parole gli uscirono prepotenti dalla bocca. «Parli sul serio? Tu … Tu non riesci a vedere nulla? Neanche questa?» Chiese sconcertato, indicando poi la propria cicatrice.

«Loki, adesso basta con questi giochi! Mi stai mettendo paura» Concluse Emily, scoccandogli un’occhiataccia.

Era sconvolto. Quindi, davvero lei non riusciva a vedere quelle cicatrici? Perché? Cosa stava succedendo?

«Ma … ma la polmonite e … e … tu, tu stavi male e poi queste cicatrici … ».
«Polmonite? Loki, io non ho mai avuto nessun tipo di malessere» Lo zittì lei, infastidita.

Fu in quel momento che capì che qualcosa non andava.

«Io devo … devo andare a casa, adesso» Parlò, cercando di mantenere quel suo solito tono pacato e tranquillo, fallendo miseramente. Poi si avviò con velocità verso il palazzo, lasciando Emily con uno sguardo fra il dubbioso e l’irritato.

«Loki, fermati!» Gli urlò dietro quest’ultima, vedendolo stranamente ansioso.

Provò a corrergli dietro per qualche minuto, ma le gambe di Loki erano parecchi centimetri più lunghe delle sue e in poche falcate, la seminò. Sconfitta, Emily imprecò e si avviò a passo spedito verso casa sua, inveendo contro di lui e lanciandogli tutti gli insulti che le venissero in mente.
«Maschi. Che branco di idioti» Farfugliò poi mentre chiudeva a chiave la porta in legno dell’entrata, preparandosi alla notte.


Appena arrivato al palazzo, si diresse subito nella vecchia libreria reale dove risiedevano tutti i più antichi manufatti e volumi riguardanti i Nove Regni. Sicuramente, lì avrebbe trovato quello che cercava.

Eppure, dovette sfogliare parecchi libri prima di arrivare alla conclusione che, purtroppo, non c’era nulla che soddisfacesse le sue aspettative. Ormai sconfitto, fece un grosso sospiro di rassegnazione e si dondolò un po’ con la sedia, annoiato.
Non riusciva a capacitarsi di come una cosa del genere fosse potuta accadere. Oltretutto, nonostante cercasse di darsi una risposta, davanti a sé non riusciva a scorgere altro che nebbia, segno di come la risposta a quella questione fosse ancora molto lontana.

Ma, in un modo o nell’altro, lo avrebbe scoperto. Ricordava ancora perfettamente gli occhi di Emily chiusi e le sue guancie solcate dalle lacrime, e ricordava anche che il cuore della bambina aveva smesso di battere. Cosa era successo, dunque? Un miracolo da parte degli dèi? Un ritorno dal Regno dei Morti: l’Hel? No, certo che no. Era una follia solo pensare a una cosa tanto stupida. Eppure … eppure … ah! Era tutto così confuso!
 
«Non riesci a dormire, Loki?» Improvvisamente, una voce grossa e profonda lo fece sussultare e subito si affrettò a riposare subito i libri che aveva preso. Ma nella fretta ne urtò qualcuno, facendolo cadere a terra a con un tonfo. Non fece in tempo a riprenderlo che qualcun altro lo precedette.

«Malattie e affezioni da tutti i Nove Regni? Loki, hai solamente dodici anni e sei un dio. Sai bene quanto me che gli dèi non possono ammalarsi. Cosa stai cercando di fare?» Con orrore, Loki si accorse che la voce che l’aveva richiamato dai suoi pensieri, altri non era che quella di suo fratello Thor che, a quanto pareva, aveva ricevuto in dono dagli dèi la capacità sovrannaturale di irritarlo come nessun’altro.

«Fratello» Sibilò, infastidito. «Gradirei che tu non ti immischiassi negli affari che non ti riguardano. Non dovresti essere a dormire?» Lo sbeffeggiò, strappandoli via il libro dalle mani, rimettendolo al suo posto.

«Loki» Fece allora Thor, calcando bene le parole «Sono venuto qui per sapere come stavi; da qualche giorno ormai non ci parliamo quasi più. Sei mio fratello, ero preoccupato» Dichiarò con una nota di malinconia nella voce.

Sbuffò divertito e rivolse al fratello un sorriso di scherno.

«E quando mai noi due abbiamo davvero parlato, Thor? Le nostre conversazioni sono sempre state incentrate su di te e su quanto tu sia potente nonostante la tua giovane età. Noi due non abbiamo mai avuto una conversazione vera e propria, e il fatto che tu cerchi di averla adesso non fa che renderti un ipocrita» Tagliò corto, sapendo che quelle parole avrebbero certamente ferito il suo animo orgoglioso, facendolo allontanare.

E, in effetti, la cosa in parte funzionò.

Infatti, con la coda dell’occhio, poté scorgere Thor mordersi il labbro inferiore e assumere un'espressione profondamente afflitta e irritata. Lo vide aprire la bocca per ribattere qualcosa, ma lui lo precedette.

«Ora, se non ti dispiace, vorrei continuare i miei studi» Concluse.

Thor fu in procinto di dire qualcosa, ma un’occhiataccia da parte sua lo fece ammutolire. Fece quindi per andarsene, ferito, ma prima di varcare la soglia della porta si voltò e sorrise mestamente.
 «Comunque sia, sono felice che tu ti sia finalmente fatto degli amici. Sai? Credo che quella bambina con cui giochi sempre e che è stata qui per un po’ di tempo sia davvero carina. Un giorno potreste giocare con noi se vi v-- ».

«No! Non giocherà mai con voi idioti! Lei preferisce giocare solo con me!» Sbraitò di colpo, scattando repentinamente in piedi e guardando Thor con occhi furenti di rabbia. Il solo pensiero di dover condividere l’amicizia di Emily con lui lo irritava oltre ogni limite; non voleva che stesse insieme a lui, era fuori discussione!

Quello sbatté le palpebre per alcuni secondi, decisamente sbigottito. Nel vederlo così spaesato, Loki non poté evitare di provare un forte senso di spavalderia e coraggio.

«O-Ok … stai calmo! Non ti ho detto nulla di male» Gli rispose a quel punto Thor, evasivo.
«FUORI DÌ QUI, THOR!»Urlò Loki con tutto il fiato che aveva in gola.

Il maggiore rimase in silenzio per alcuni secondi, gli lanciò un’occhiataccia risentita e decisamente dubbiosa ed infine si affrettò a uscire dalla sala. Quando sentì la porta chiudersi con un tonfo,Loki sentì la rabbia prendere il sopravvento in lui e, frustrato, gettò un urlo carico di rancore. Dopodiché mollò un pugno alla libreria lì vicina finendo col far cadere a terra alcuni libri di testo.

Thor l’aveva sempre superato in tutto.

Era sempre stato il preferito da parte di tutti, che erano sempre tanto felici di vedere il loro principino dai capelli biondi combattere con maestria contro parecchi mostri di montagna mentre lui, piccolo e fragile, era sempre stato l’eterno secondo.
Era nato gracile, non era molto forte e per questo non era adatto alla guerra. Loki era certo che perfino suo padre preferisse di gran lunga Thor a lui.

Ma non importava; ci aveva fatto l’abitudine, ormai. Lui era diverso, era decisamente diverso da tutti gli altri asgardiani: era in grado di fare le magie e sapeva controllare il potere del ghiaccio e del fuoco; sapeva creare delle illusioni di se stesso ed era in grado perfino di soggiogare qualcuno solamente grazie alle sue tecniche di persuasione e alla sua retorica.
Lui era in grado di fare cose impossibili agli altri asgardiani, di questo ne era certo.
Nonostante ciò, se all’inizio si era considerato orgoglioso di queste sue caratteristiche che lo differenziavano da quella massa di idioti, ora non ne era più così sicuro. Chi mai poteva amare qualcuno di diverso? L’essere vivente, in qualsiasi sua forma, aveva sempre temuto chi era diverso da lui, chi era strano.
Era per questo che lui era sempre solo. Non perché non volesse farsi degli amici, ma perché gli altri non lo volevano come amico.
Col tempo, aveva imparato a farci l’abitudine e, anzi, dovette ammettere che alle volte era persino piacevole non far parte del branco di beoti che formavano la cerchia degli amici di suo fratello, che altri non erano che un pugno di smidollati che non aveva mai sopportato.

Aveva imparato ad essere indipendente da chiunque, a riuscire a cavarsela da solo e a non avere bisogno di nessuno. In fondo, lui era Loki, il principe di Asgard, e non aveva bisogno di stupidi bifolchi come scagnozzi.

Non aveva bisogno di nessuno, lui.

Eppure, dal giorno in cui aveva incontrato Emily, tutto era cambiato. Stando con lei, aveva capito cosa significasse la parola calore, poiché lo sentiva sulla sua pelle ogni volta che gli sorrideva e che lo abbracciava; aveva potuto finalmente comprendere il significato dell’amicizia, perché lei era stata la sua prima vera amica, l’unica che avesse donato un po’ d’affetto sincero e senza doppi fini.

E quella era l’unica cosa di cui aveva bisogno: l'affetto.

Perché era questo che gli dava: il calore di un abbraccio, una risata spontanea e sincera, la lealtà di una vera amica. Erano cose semplici, certo, ma per lui erano tutto.

Il solo pensiero che un idiota come Thor potesse strappargli via tutto ciò era inaccettabile; non poteva permetterlo! Emily era la sua amica! Sua! Solo sua e di nessun altro!

Era come se qualcuno gli avesse preso il cuore attanagliando in una presa di ferro, spremendolo fino all’ultima goccia. Provò a liberarsi di quel senso d'oppressione ed ansia emettendo forti grugniti di rabbia e premendosi forte una mano sul petto, come se quel semplice gesto potesse bastare per alleviare quell’incessante fastidio che aveva dentro di sé, ma era tutto inutile.

Si guardò il palmo della mano destra e, di nuovo, scorse quel macabro segno a X sulla sua pelle chiara. Strinse forte il pugno e lo sbatté contro il tavolo in legno pregiato, facendo rovesciare tutto l’inchiostro all’interno delle boccette sopra di esso e macchiando così alcune pergamene su cui aveva preso degli appunti.

Ma non importava, in quel momento tutto quello non aveva alcun significato.

Sapeva che, in un modo o nell’altro, Thor, anche se involontariamente, avrebbe cercato di portargli via tutta quella felicità che lui aveva finalmente trovato dopo tanto tempo. Lo sapeva, perché era così che andava sempre: se lui aveva una cosa, allora anche Thor doveva averla. E, per la precisione, doveva avere la sua di cosa.

Questa volta, però, non glielo avrebbe permesso.

Avrebbe lottato con le unghie e con i denti per tenersi stretta Emily. Avrebbe fatto tutto ciò che era in suo potere per assicurarsi che lui non interferisse, che le stesse lontano.

Ormai era chiaro quello che doveva fare: capire cosa fossero quelle strane cicatrici sulle loro mani e, contemporaneamente, proteggere la sua amicizia con Emily da Thor, che aspirava solamente a distruggerla.



 
 
 
-Angolino dell'Autrice.

Buongiorno stelle del cielo, la Terra vi saluta! (Willy Wonka cit. )

Siamo arrivati al quinto capitolo! Yeeaah! *stappa spumante*
Nonostante abbia ricevuto una scarpa in testa da parte di mia madre per aggiornare (lei non voleva che stessi troppo davanti al pc. ), dopo lunghe ed estenuanti lotte sono riuscita ad aggiornare! Oléé!


Comunque, spero di non aver fatto entrare Loki troppo nell'OOC ma, se così fosse, vi prego di perdonarmi perché non era mia intenzione in quanto io cerco di mantenere il più possibile i personaggi nell' IC. Mi sembrava giusto far provare per la prima volta l'emozione della "gelosia" ( se così si può definire .-.), considerando che alla fine, ‘sto povero Cristo, non ha mai avuto qualcuno di davvero importante per lui.
Per adesso, la trama non é congruente a quella del film (io mi baso su quello. ndr) ma vi assicuro che fra qualche capitolo, quando i due signorini cresceranno un po', lo diventerà. (Ovviamente, riporterà delle piccole modifiche, ma non voglio dirvi nulla di più. oh-oh-oh.)
Ringrazio tantissimo coloro che seguono la mia storia, che l'hanno messa fra i preferiti o nelle ricordate e, ringrazio ancor di più coloro che mi hanno lasciato una piccola recensione. Vi ringrazio di cuore, siete dolcissimi! **
Detto ciò, vi lascio.
Ciao Ciao :)


RINGRAZIO INFINITAMENTE DARMA PER AVERMI BETATO IL CAPITOLO!
GRAZIE MILLE!! <3

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Capitolo 6
*** Jealousy. ***


~Jealousy.

    I suoi occhi sul tuo viso,
     la sua mano sulla tua mano,
       le sue labbra accarezzano la tua pelle.
       E’ più di quanto possa sopportare!

          Moulin Rouge – El Tango de Roxanne.






 
Come ogni mattina, allo scoccare delle otto, le ancelle del principe Loki si recarono nelle sue stanze e, cautamente, una di loro bussò alla porta che portava all’entrata della stanza.

«Principe di Asgard, siamo le vostre ancelle»Disse una di loro, annunciandole.

A quel richiamo, Loki emise un flebile lamento e portò svogliatamente la testa sotto il cuscino sperando che, almeno quella mattina, le sue serve lo lasciassero in pace. Era troppo stanco per alzarsi. Lo era perché aveva passato l'intera sera precedente a cercare le risposte alle domande che lo tormentavano da ben cinque giorni  e che non gli permettevano di dormire.  Voleva scoprire a tutti i costi cosa fosse accaduto quella notte, nella Camera della Guarigione, e voleva anche sapere cosa fosse successo a lui ed Emily.

«Con il vostro permesso, noi entriamo» Nuovamente, la voce roca e gracchiante dell’ancella che aveva parlato poco prima si insinuò nelle sue orecchie e, nel vedere entrare con prepotenza le serve nelle sue stanze, Loki emise un profondo e malcelato sbuffo di disapprovazione. Si mise a sedere e, irritato, lanciò uno dei suoi cuscini addosso a una di loro, colpendola in pieno.

«Chi vi ha dato l’autorità di irrompere nelle stanze del vostro principe senza il suo consenso? Andate subito fuori di qui, ve lo ordino!»Sbraitò saltando giù dal grosso letto e ergendosi in tutta la sua piccola statura.

In un primo momento, le donne rimasero un po’ perplesse dal comportamento arrogante del loro principe che, solitamente, restava impassibile e quieto quando veniva svegliato; ma, dopo quel breve momento di sorpresa, la servitrice più anziana prese la parola e i mormorii concitati che si erano venuti a creare fra le più giovani di loro si interruppero istantaneamente.

«Mio principe, questi sono ordini provenienti dal Padre degli Dèi. Egli desidera che voi vi prepariate per andare insieme ad lui a caccia per commemorare l’inizio della Stagione del Sole. Sapete bene quanto vostro padre tenga a queste tradizioni» Spiegò, senza scomporsi. «Noi siamo solo delle umili servitrici e il nostro unico desiderio è servire gli dèi. Quindi, vi pregherei di seguirmi: il vostro bagno mattutino è già pronto»L’ancella si voltò nella direzione opposta, dirigendosi verso l’uscita della stanza.
Subito, le compagne più giovani si affrettarono a seguirla.

Nel vederle, Loki emise uno sbuffo infastidito e irritato: come si permetteva una misera serva come quella di parlargli così? A lui, il Principe di Asgard! Sarebbe dovuta essere uccisa per questo!

Sentì l’irritazione scattare in lui come una molla ed ebbe l’impulso di prendere a calci quella sfacciata. Eppure, nonostante cercasse in tutti i modi di incolpare la vecchia per il suo malumore, in cuor suo, sapeva bene che non era lei quella la causa di quel suo malessere.

Era nervoso poiché sapeva che quel giorno non avrebbe potuto vedere Emily. L’andare a caccia con Padre gli avrebbe portato via troppo tempo e lui, dopo un certo orario, non poteva assolutamente uscire dal palazzo. Oltretutto, era agitato anche perché sapeva che solo lui sarebbe dovuto andare alla battuta di caccia, al contrario di suo fratello Thor che sarebbe rimasto a casa, in panciolle. A pensarci bene, la cosa non gli dispiaceva più di tanto: in fin dei conti, quella sarebbe potuta diventare un’ottima occasione per catturare l’attenzione di Padre e renderlo fiero di lui. Nonostante ciò, ebbe un orribile presentimento; era come se fosse certo che, da un momento all’altro, sarebbe capitato qualcosa di terribile.

Sospirò, cercando di cacciare via quegli assurdi pensieri, e subito dopo si arrese nel seguire la vecchia ancella presso i bagni reali. Sapeva bene che, se avesse disobbedito a un’usanza tanto importante per Padre, quest’ultimo lo avrebbe certamente punito. E lui ne faceva volentieri a meno.
Quando arrivò alle porte del bagno reale, sapendo qual era la procedura che andava fatta ogniqualvolta dovesse fare un bagno, emise un lamento di disapprovazione. Infatti, come da copione, alcune ancelle cominciarono ad attorniarlo e, con delicatezza, lo spogliarono delle sue vesti notturne mentre altre si dedicavano a profumare con vari aromi la sala.

Era ormai abituato a quelle norme … regali, eppure non poté evitare di sentirsi profondamente in imbarazzo non appena un’ancella fece per togliergli i pantaloni. Cercando di nascondere la vergogna si affrettò a immergersi nella vasca, provocandosi così un brivido lungo la schiena per il contatto troppo veloce avuto con l’acqua fredda.
Irritato, si rivolse con rabbia alla serva più anziana.

«Perché quest’acqua è gelida?».
«Si dice che l’acqua fredda tonifichi i muscoli, mio signore» Gli rispose con calma quella, cominciando a insaponargli la schiena, imitata subito da altre ancelle. «Può avere solo effetti benefici su di voi».

A quella risposta non poté fare a meno di restare in silenzio, infastidito, ma quando una mano un po’ più delicata delle altre fece per insaponargli il collo, si voltò irritato e diede uno schiaffo alla mano della ragazza, allontanandola.

«Posso farlo da solo, serva» Ringhiò a una ragazza decisamente più giovane delle altre.
«Perdonatemi, mio principe» Si scusò quest’ultima.

Non rispose. Si limitò semplicemente a sbuffare infastidito e a portarsi le ginocchia al petto, furioso.


Non ho nemmeno potuto dirle che oggi non ci saremmo visti.  Speriamo solo che non si arrabbi, odio quando incomincia a frignare.
 
Poi sorrise sornione.
 
Probabilmente, pigra com’è,  starà ancora dormendo.  Pensò, e finalmente decise di lasciarsi andare alle cure delle ancelle.
 


 

Al contrario di quanto Loki potesse pensare, quella mattina Emily si era alzata parecchio presto. Lo fece perché la sera prima aveva preso la decisione che la mattina seguente, dopo essersi alzata, avrebbe finalmente dato una pulita alla casa. Volle farlo soprattutto per dimostrare a Loki che poteva benissimo cavarsela da sola e che non aveva bisogno di nessuno; neanche di sua zia. Oltretutto, non sapeva perché non avesse mai incontrato i suoi genitori. La zia le diceva che avevano avuto un brutto incidente a causa dei Giganti di Ghiaccio e che adesso, non erano più lì ad Asgard. Quando però le domandava dove si trovassero e se mai un giorno sarebbero tornati, lei le rispondeva sempre la stessa cosa: lontano da qui, tesoro. Molto lontano. In un posto che nessun asgardiano ha mai visto coi propri occhi: si chiama Valhalla, e ci vivono solo gli eroi più coraggiosi. Coloro che hanno combattuto per il popolo di Asgard e i suoi abitanti. Però se le chiedeva se un giorno sarebbero venuti a prenderla, lei scuoteva leggermente il capo e le rivolgeva un sorriso amaro che significava più di mille parole.

Eppure, non le credeva affatto.

Nella sua ingenuità, era certa che, un giorno, i suoi genitori sarebbero tornati a prenderla e a portarla a casa, dandole tutto l’affetto della quale era stata privata in quegli anni. Ne era certa, non poteva essere altrimenti.

A quei pensieri, un po’ di malinconia si fece largo in lei, facendola rattristare. In fondo, nonostante non li avesse mai visti, i suoi genitori le mancavano davvero tanto e, in cuor suo, avrebbe davvero voluto vederli. Le sarebbero bastati anche pochi minuti, purché li potesse passare con loro. Inoltre, avrebbe tanto desiderato un fratellino o una sorellina da accudire e a cui voler bene.
Subito, nella sua mente riaffiorarono alcune parole cariche di odio dette da Loki nei confronti del fratello maggiore, il Principe Thor. Loki le diceva che era un presuntuoso e un arrogante da cui bisognava stare lontani e al quale era meglio non dare confidenza. Eppure, era certa che Loki si sbagliasse: aveva visto pochissime volte il Principe Thor, ma, nelle rare occasioni che i suoi occhietti vispi avevano incontrato quelli azzurri del dio, aveva visto del buono in lui. Di certo, una persona di bell’aspetto come Thor non poteva assolutamente essere cattiva, perché le persone malvagie erano sempre brutte e raggrinzite, proprio come raccontavano le favole midgardiane che sua zia le leggeva quando era in casa. E il Principe Thor non rientrava in nessuna delle due categorie.

Quando si accorse dei pensieri decisamente imbarazzanti che stava facendo, scosse energicamente la testa: non aveva tempo per quelli! Doveva sbrigarsi a pulire la casa poiché Loki sarebbe arrivato a momenti per giocare con lei e di certo, dopo tutto quello che  aveva fatto per lei, doveva come minimo fargliela in ordine e offrirgli una bella accoglienza. Già. Doveva proprio darsi da fare.

«Forza!» Si incoraggiò «Devo pulire tutto prima che arrivi! ».

Pulì alla meglio tutto ciò che le sembrò sporco o in disordine e, quando giudicò di aver finito, tirò un sospirò di sollievo.

«Finalmente!» Urlò, esausta.

Si guardò attorno e notò con piacere che le cose, anche se non di molto, erano migliorate. Ora il pavimento non aveva più quegli odiosissimi filetti di polvere e le coperte del suo piccolo letto erano finalmente state messe a lavare dopo quella che sembrava un’eternità. Il grosso tavolo in legno era stato lucidato e la dispensa svuotata da tutti i cibi avariati.
Felice come non mai, si avviò verso il salice piangente dove lei e Loki si incontravano abitualmente, certa del fatto che di lì a poco lui l’avrebbe raggiunta e lodata per il lavoro svolto.

Voglio proprio vedere la sua faccia non appena gli farò vedere come ho ben pulito casa mia.”

Passarono i primi secondi, poi i minuti e infine le ore. Emily si accorse del tempo trascorso solo quando vide il cielo tingersi di un allegro arancione che stonava del tutto con i suoi sentimenti. Sospirando, si arrese all’idea che quel giorno, Loki non sarebbe venuto.

“Perché?” fu il suo primo pensiero. Perché non è venuto? Io volevo fargli vedere com’ero stata brava nel riordinare… Perché non è venuto? Che si sia arrabbiato con me? Si domandò tristemente con gli occhi che cominciavano ad inumidirsi e bruciarle.

Dove aveva sbagliato? Cos’era successo? Perché Loki non era venuto? Che fosse realmente arrabbiato con lei? Che stesse male? O forse aveva trovato un’altra bambina dai capelli rossi con cui giocare. Magari era perfino più bella di lei quella bambina. Subito, provò un profondo senso di angoscia all’altezza del petto e fu come se qualcuno le avesse preso il cuore per tenerlo stretto in una morsa di ferro.

Forse Loki aveva davvero trovato un’altra bambina con cui giocare?

Irrequieta, si alzò da terra, pronta a dirigersi con passo spedito verso il palazzo di Odino per poter constatare con i suoi stessi occhi che lui non aveva trovato un’altra compagna di giochi. Doveva sapere. Doveva capire perché non fosse venuto da lei, che lo aveva sempre aspettato tutti i pomeriggi.

Correndo quanto più velocemente le sue gambette glielo permettessero, Emily arrivò di fronte al palazzo di Odino, dove l’entrata era sbarrata da due guardie alte il doppio di lei e con un’espressione decisamente poco simpatica. Per un momento, a causa della sua piccola statura, nemmeno si accorsero della sua presenza, ma quando si lasciò sfuggire un borbottio, i due si accorsero di lei e subito dopo essersi scambiati un’occhiata fugace, entrambi si chinarono per sentire quello che aveva da dire.

«Cosa ti porta qui, piccoletta?» Domandò a un tratto uno di loro, fissandola.

Emily deglutì più volte prima di rispondergli. Sentì un nodo alla gola che le impediva di parlare e che le teneva la lingua attaccata al palato. Ebbe timore che le guardie avrebbero potuto farle del male se non avesse risposto a dovere. Non aveva mai avuto un buon rapporto con le persone più grandi di lei, soprattutto se si trattava di uomini.

«I-Io … »Boccheggiò lei. «V-Vorrei vedere il p-principe Loki … » Disse infine con voce minuta.

Le due guardie si scambiarono un’occhiata divertita e poi scoppiarono a ridere.

«Padre degli Dèi! Questa ragazzina parla sul serio!» Fece uno al compagno, che sembrava non volesse più smettere di ridere. «E dimmi, uccellino, cosa avresti di così importante da riferire al giovane principe, eh?» La sbeffeggiò poi con aria canzonatoria.

Emily si sentì rimpicciolire. Le sembrò quasi che tutto il suo coraggio fosse scomparso e, al suo posto, un crescente senso di ansia spintonava per farsi posto. Deglutì spaventata e dopo aver fatto un enorme respiro, disse: «Q-Questi non sono affari vostri! ».

Le guardie, decisamente sbigottite per la sua reazione, si guardarono con perplessità per alcuni secondi. Subito dopo le rivolsero uno sguardo carico di astio e rimprovero.

«Cos’hai detto, ragazzina?» Ringhiò uno di loro, avvicinandosi pericolosamente ad Emily, che indietreggiò subito, allarmata.
«Ritiralo subito!» Gli fece eco l’altro.

Emily sentì il respiro mozzarsi quando una delle guardie levò una mano su di lei, come a volerle dare un ceffone. Serrò gli occhi impaurita e si portò le mani davanti al viso,  preparandosi mentalmente  al dolore che avrebbe subito.

Eppure, niente di tutto ciò che aveva previsto accadde.

«Fermatevi!» Urlò una voce che aveva già sentito da qualche parte.

Avvertendo che qualcuno era venuto in suo soccorso, riaprì piano gli occhi, cercando di mettere a fuoco chi fosse stato l’artefice di quel grido e, con sua enorme sorpresa, vide un ragazzino alto un po’ più di lei e con un fisico slanciato e forte, nonostante l’età. Aveva dei folti capelli biondi tagliati in un caschetto e dei lineamenti decisamente duri e delineati. Ma solo quando incrociò il suo sguardo ceruleo capì di chi si trattava.

«P-principe Thor!» Pigolarono all’unisono le guardie alla vista del Dio, scattando sull’attenti.
«Lasciatela in pace, vili codardi! Con che coraggio ve la prendete con una femmina? Tornate ai vostri posti, prima che vi faccia punire da mio Padre!» Sbraitò quest’ultimo.

Per un momento, Emily credette che quei due, che erano circa il triplo di lui, lo avrebbero senza alcun ripensamento preso a pugni. Si stupì non poco quando, al contrario di tutte le sue aspettative, le guardie fecero una profonda e rispettosa riverenza.

«Certo, principe Thor. Siamo ai vostri ordini!» Dissero, intimorite. Poi, con malagrazia, si allontanarono da lui.

Thor scoccò loro un ultimo sguardo carico di ira e gonfiò il petto, orgoglioso del risultato ottenuto. Subito dopo si voltò verso di lei e le si avvicinò.

«Scusali … sono dei completi idioti. Avranno ciò che meritano» Disse duramente.
«Grazie mille! »Urlò lei, improvvisando un inchino. «Non so davvero come ringraziarti! »Aggiunse.
«Sono felice di averti aiutata, ho assistito a tutta la scena: perché desideri parlare con mio fratello? » Domandò lui, sorridendole.

In un primo momento Emily pensò bene di lasciar perdere e di non rispondergli. In fondo, non voleva mica mettere Loki in imbarazzo. Oltretutto, lui parlava sempre male di Thor e quindi, per un momento, fu tentata di non fidarsi di lui. Eppure, quando incrociò i suoi occhi, un dolcissimo calore al petto l’avvolse facendola sentire al sicuro e piena di fiducia nei suoi confronti. Decise quindi di fidarsi e raccontargli quello che era successo, ma lui la precedette.

«Ora ti riconosco!»Urlò. «Tu sei quella bambina con cui Loki gioca sempre! Ma certo, devi per forza essere tu! Io non sbaglio mai!» Gongolò, scrutandola per bene con l’aria di chi non voleva essere contraddetto.

Per un momento, Emily pensò che effettivamente Loki non avesse tutti i torti a definire suo fratello un tipo presuntuoso e arrogante; ma i suoi pensieri vennero deviati dal fatto che lui le avesse appena regalato uno dei suoi migliori sorrisi e, istintivamente, chinò il capo e arrossì un po’ a quel gesto così diretto e strano, poi però ricambiò anche lei il sorriso.

«Come ti chiami? »Le domandò Thor.
«Emily» Disse abbozzando un sorrisetto incerto.
«Emily? Che nome assai buffo! »La sbeffeggiò l’altro. «Io sono Thor, il Principe di Asgard. Piacere di conoscerti, Emily» Si presentò lui baciandole la mano. Emily a quel gesto arrossì ancor più vistosamente, e per un momento si dimenticò del perché si trovasse lì e cosa dovesse fare.

«Ti va di giocare a guardie e ladri? » Domandò ad un tratto.
«Guardie e ladri? Che cos’è?» Replicò lui.
«È un gioco. Me l’ha insegnato mia zia; dice che è una cosa che fanno i bambini su Midgard» Rispose, saccente.
«Interessante! Andiamo a giocarci, forza!» Fece lui prendendola per mano e cominciando a correre verso il giardino del palazzo.


Felici, i due bambini giocarono tutta la sera; entrambi contenti di aver fatto conoscenza. Quando però alcune ancelle si avviarono verso di loro, i due smisero subito di bighellonare.

«Principe Thor, volevamo avvertirla che vostro fratello, il principe Loki, è tornato al palazzo» Proferì una di loro mentre scrutava con un’espressione accigliata la piccola Emily, che aveva i piedi e il corto vestito bianco sporchi di terra.

«Vostro Padre vi ha sempre detto di non giocare con la plebe, signorino Thor» Dichiarò poi arricciando il naso.
«Lei è amica mia » Sbraitò a quel punto Thor. «E non è assolutamente vero che Padre non vuole che io giochi con lei! E ora va via, serva!»Urlò all’ancella che rimase sbigottita.
«Vogliate perdonarmi, Principe Thor»Rispose la giovane, ritirandosi e scoccando un’occhiataccia a Emily.

Nonostante l’aria fosse pesante e umida, Emily sentì dentro di sé un profondo senso di gratitudine nei confronti del suo nuovo amico; sentimento che venne subito represso dal fatto che, in effetti, l’ancella aveva ragione: lei non era una reale. Era una semplice servitrice del regno. Oltretutto, in quel momento era davvero sporca e, di certo, non era molto presentabile.

«Normalmente non sono tutti così antipatici.» Dichiarò Thor a ‘mo di scusante, distogliendola dai suoi pensieri.
«Non fa niente, sul serio. In fondo, abbiamo giocato vicino alla terra, è normale che mi sia sporcata» Fu la sua risposta.

Thor la guardò un po’ incuriosito e accigliato, ma subito dopo le rivolse un grosso sorriso che la fece nuovamente arrossire.

«Mio fratello è tornato, vuoi ancora parlargli?» Le domandò, cambiando discorso.

In quel momento, le ritornò in mente il perché si trovasse lì e subito, risentì l’angoscia avvolgerla come una coperta molto, molto pesante e si morse il labbro inferiore, in soggezione.

«Qualcosa non va?» Chiese Thor.

Scosse energicamente la testa in senso di dissenso.
 
«N-No! Certo che no. Però, be’ … In effetti mi piacerebbe poter parlare con Loki. Oggi non ho potuto vederlo e spero vivamente che non sia arrabbiato con me» Rispose con un filo di voce.
«Arrabbiato? E perché mai? Credevo andaste d'accordo».
«E infatti è così, ma …».
«Ma?»La spronò lui.
«Ma oggi non è venuto a giocare con me al bosco. Quindi, credo sia arrabbiato per qualcosa che devo avergli fatto. Solitamente viene sempre.»Biascicò con un filo di voce.

Improvvisamente, Thor scoppiò a ridere e, a quella vista, uno sguardo interrogativo si dipinse sul suo viso lentigginoso.

«Perché stai ridendo? »Domandò.
«Rido perché ti sei sbagliata! Quest’oggi Loki non è potuto venire a causa della battuta di caccia che Padre gli riserva a ogni inizio Stagione del Sole. Non c’entri nulla tu » Sghignazzò quello, divertito. 

Nell’udire quelle parole, sentì quel grosso e pesante macigno che aveva sopra il cuore dissolversi.

Quindi Loki non era arrabbiato con lei e non aveva nemmeno trovato un’altra bambina con cui giocare!

«Sono così felice! Grazie mille, Thor!»Urlò gioiosa gettandogli le braccia al collo, sporcandolo un po’ di terriccio.

Thor, preso alla sprovvista, arrossì un po’ e si irrigidì come una corda di violino; poi subito dopo ricambiò con foga l’abbraccio e la fece perfino volteggiare in aria per un po’.

«Ti andrebbe di giocare anche domani?» Domandò, speranzoso.
Ci pensò un po’su, poi esordì con un semplice. «Solo se con noi gioca anche Loki!».
«Certo che con noi gioca pure Loki, è mio fratello!».
«Allora va bene! » Gongolò lei. «Però … ora potresti mettermi giù, per favore? ».
«Oh. Certo… Scusa» Biascicò Thor in risposta, poggiandola a terra.

I due si guardarono e, dopo alcuni secondi, cominciarono a ridere di gusto per la strana, ma divertente situazione di pochi attimi prima.

Continuarono a ridere e a punzecchiarsi a vicenda, inconsci del fatto che dall’alto di una delle vetrate del palazzo di Odino, due profondi occhi verdi li fissavano con crescente astio e decisamente tanta, tanta gelosia.
 





 
-Angolino dell’Autrice.

 
SSSSalve a voi tutti! Ogni tanto mi faccio viva! :3

Perdonate l'enorme ritardo, sono dispiaciutissima! >-< Ma ho avuto parecchio da fare a casa e poi il computer aveva pure smesso di funzionare per un certo periodo di tempo... ( Dannati aggeggi babbani.)
Comunque sia, spero che il capitolo vi sia piaciuto. Era da tanto che volevo scriverlo! Finalmente la storia comincia a prendere una svolta! Direi che era ora che Thor ed Emily ( con grande felicità da parte di Loki. ndr) si incontrassero.
Comunque sia, credo che questo sia l'ultimo capitolo dove li vedremo piccini-piccio. Dal prossimo, se la mia testa non mi dice il contrario, questi tre bimbetti diventeranno dei bei ragaSSuoli.
A parte ciò, sono un po' triste in questo periodo. Ho scoperto che uno\a  di voi che leggeva la mia fic l'ha tolta dalle seguite e onestamente, ci sono rimasta un po' male.
Sul serio, perdonatemi se la storia non è avvincente o se per qualsiasi altro motivo non vi intriga. Cercherò di fare il possibile per migliorarla! Però mi servono consigli. Altrimenti non so proprio come muovermi! ç\\\ç

Detto ciò, vi saluto.
Adieu.<3
 
RINGRAZIO INFINITAMENTE DARMA PER AVER BETATO IL CAPITOLO!
GRAZIE MILLE!! <3
 
    

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Capitolo 7
*** Nightmares. ***


~Nightmares.

  Come fai a vedere dentro i miei occhi
come se fossero porte aperte?
Arrivando nelle profondità del mio corpo,
dove sto diventando ghiacciata.
Senza un'anima.
Il mio spirito sta dormendo in qualche luogo freddo,
fino a che non la ritroverai e la riporterai a casa. 

Bring Me To Life - Evanescence

 



«Ditemi, Padre, quante possibilità ho di diventare il futuro Re di Asgard?».

Era stata la voce di un bambino a parlare: aveva dei corti capelli neri tirati all’indietro e indossava delle vesti molto eleganti. I suoi occhi, molto grandi e di un acceso color verde chiaro, non lasciavano trasparire alcuna emozione. Nonostante ciò, il grande e potente Odino, suo padre, vedeva fin troppo bene quanto in realtà desiderasse una risposta degna delle sue aspettative.

 
Per il Padre degli Dèi suo figlio era un libro aperto e lui, avido lettore com’era, aveva già imparato a memoria tutte le sue pagine.
Intenerito, gli rivolse un sorriso paterno e, con la grossa e ruvida mano, accarezzò lievemente la testa del suo figlio minore: Loki.

«Tu e tuo fratello Thor avete le stesse identiche possibilità di diventarlo, ma solo uno di voi sarà degno di esserlo. Questo, però, lo deciderà il destino. La sola cosa che ti è data sapere, figlio mio, è il fatto che entrambi siete destinati ad essere Re.» Dichiarò solennemente.

Loki annuii e rivolse un inchino al padre, congedandosi da lui. Sapeva già che avrebbe ricevuto quella risposta; ormai l’aveva persino imparata a memoria tante erano state le volte in cui gliela aveva rifilata. Eppure, nonostante sapesse già cosa Padre gli avrebbe sempre e comunque risposto, lui continuava a domandare. Sperava sempre, in cuor suo, che uno di quei giorni la risposta sarebbe cambiata e gli avrebbe dato la completa certezza che sì, lui sarebbe divenuto il legittimo Re di Asgard. Ogniqualvolta pensasse a come doveva essere grande e maestosa la vita di un sovrano, sentiva crescere dentro di sé un’emozione così forte e scalpitante che raramente riusciva a contenerla. Era certo che l’unico degno erede al trono di Asgard sarebbe potuto essere solo lui e questo non faceva altro che far aumentare la sua agitazione.

Eppure, non tutti la pensavano così.

Era dannatamente evidente che la plebe, e persino la sua stessa famiglia, preferisse Thor a lui; l’eterno secondo. L’anello debole. La pecora nera della famiglia.
Loki aveva cercato più volte di lasciar perdere questi pensieri dicendosi che, in realtà, erano solo stupidi e folli deliri della sua testa. Nonostante ciò, la sua mente andava a sbattere sempre contro quel muro in cemento armato impossibile da scalfire e che faceva male. Molto male.


Era per questo che odiava suo fratello e i suoi stupidi amici. Odiava il fatto che loro fossero sempre messi in primo piano rispetto a lui, che fossero più forti e possenti e che non venissero guardati con occhi cattivi ogniqualvolta entrassero in una stanza.

Loki sapeva che quella che provava per Thor era invidia, era cosciente di essere invidioso di lui e della sua bellezza così dannatamente perfetta, degna del principe qual era. Sapeva di essere invidioso del fatto che lui riuscisse a farsi così benvolere da tutti mentre lui, povero diavolo, veniva evitato come se avesse la peste.

Era invidioso di lui e dei suoi amici perché loro erano tutto ciò che lui aveva sempre desiderato essere.

Per questo aveva sempre desiderato imparare a combattere: voleva essere simile a lui almeno nell’aspetto, nell’ardore della guerra.
Eppure, a quanto pareva, la fortuna non era dalla sua parte e Loki capì ben presto di non essere tagliato per i combattimenti corpo a corpo come lo era Thor. Infatti, al contrario suo, si sarebbe dovuto accontentare delle arti magiche e di altre nozioni illusorie e ingannevoli.


A quei pensieri, preso da un impeto di rabbia, strinse forte i pugni. Era stufo. Stufo di essere sempre la seconda scelta, di venire oscurato da Thor e di restare sempre nella sua ombra, o al massimo brillare di un po’di luce riflessa. Mai realmente sua. 
Era stufo di tutto.
Eppure, in cuor suo, sapeva che per qualcuno non sarebbe mai stato messo in secondo piano; mai.
Quella persona era Emily: la sua unica vera amica.
Era certo di poter sempre contare su di lei. Lo sapeva, perché glielo leggeva negli occhi ogni qualvolta lo guardasse, in quel suo sorriso così sbarazzino e impertinente e quelle risate così piene di vita e di gioia infantile. 

Sicuramente, Emily non lo avrebbe mai abbandonato.


Pensandola, Loki sentì un dolcissimo senso di calore avvolgergli il petto ed ebbe l’irrefrenabile desiderio di vederla e poterla abbracciare. Desideroso di andare da lei, si avviò verso il giardino reale; certo di trovarla lì - non sapeva il motivo, ne era sicuro e basta.
Mentre correva però non si accorse di star crescendo a vista d’occhio. Non si rendeva conto, che ad ogni passo che faceva il suo corpo si allungava di qualche centimetro e che i suoi lineamenti, un tempo così delicati e infantili, stessero diventano marcati e delineati. Non si accorse neanche di star cambiando nel colore della pelle che, via via che percorreva il lungo corridoio che portava fuori dal palazzo, diventava di un grottesco color blu notte.


Loki non si accorse di niente di tutto ciò e continuò a correre, imperterrito.

Quando arrivò di fronte all’entrata del grande giardino reale, scorse con gioia un’ombra che riconobbe come quella di Emily. Quando però le si avvicinò, si accorse con sgomento che la bambina non era più come la ricordava: era cresciuta, adesso aveva sì e no diciassette anni e questo poteva benissimo notarsi dal fatto che il suo corpo non fosse più quello di una bambina. Infatti, le era cresciuto il seno. Non di molto, anzi era molto piccolo, ma non abbastanza da non riuscire a farne intravedere la forma attraverso la stoffa del vestito di lino. Oltre al poco petto, Emily aveva mantenuto sempre quel suo fisico asciutto e mingherlino e il suo viso aveva i tratti del viso dolci e da bambina. Constatò che stesse leggendo solamente quando il suo sguardo cadde sulle sue mani, che reggevano saldamente la copertina di un libro di cui non riuscì a scorgere il titolo. Non se ne curò molto e senza ulteriori indugi, le andò incontro.

«Emily!» La chiamò.

Quest’ultima, nel sentirsi chiamare, alzò repentinamente gli occhi dal libro, facendoli saettare nella sua direzione. Aveva un bellissimo sorriso dipinto sul viso paffuto e istintivamente Loki pensò che quel sorriso gli era mancato terribilmente e che, se avesse potuto, sarebbe rimasto ore a guardarlo.
Eppure, improvvisamente, l’espressione beata e sorridente di Emily si tramutò in un viso pieno di sgomento e paura non appena incrociò i suoi occhi. Incuriosito dalla sua strana reazione aggrottò la fronte; cercando di capire cosa  fosse successo per farla spaventare così.

Fece per avvicinarla ma, senza alcun preavviso, da una siepe fece capolino Thor che con spavalderia si fiondò ad abbracciare Emily che, ancora scossa, lo accolse a braccia aperte e con gli occhi sgranati per la paura.


In quel preciso istante, Loki sentì tutti i suoi muscoli irrigidirsi e la mascella contrarsi. Si sentì sperduto e incredibilmente irrequieto; era come se qualcuno gli stesse sussurrando malignità all’orecchio e lui non potesse fare nulla per fermarle. Era una sensazione fastidiosa ed irritante ed ebbe come l'impressione di avere dentro la propria testa un enorme sciame di vespe che non la smettevano di ronzare e dargli noia.

 Improvvisamente, Emily si allontanò un po’ da Thor e rivolse il suo sguardo verso di lui; guardandolo come se lo vedesse per la prima volta.  Istintivamente, Loki credette che si trattasse di uno scherzo. Una stupida commedia da quattro soldi ideata solo per farlo arrabbiare; ma sul viso della ragazza non si formò nessuno dei suoi soliti sorrisi che avrebbero dovuto dargli la conferma che sì, quello era solamente uno stupido scherzo. Al contrario, i suoi occhi si spalancarono e le sue piccole dita strinsero più forte la veste di Thor, aggrappandosi a lui come se da quest’ultimo dipendesse la sua stessa vita.

Per la prima volta, Loki capì cosa fosse davvero l’angoscia.

Sentì tutto il suo corpo sprofondare in un limbo senza fine ed ebbe l’impressione che tutto cominciasse a girare vorticosamente. Era come se tutte le sue paure avessero preso vita. Vedere Emily terrorizzata da lui, che desiderava solo farle del bene e che non avrebbe mai osato sfiorarle un singolo capello, fece scemare tutte le sue certezze. Mandandolo allo sfascio.

Perché? Perché aveva paura di lui? Cos’aveva di sbagliato? Perché cercava protezione da Thor, anziché da lui?

Ancora scombussolato, levò una mano su di lei; come a volerla calmare e a farle capire che no, lui non le avrebbe mai fatto del male. Ma uno strillo alto parecchie ottave lo fece arrestare di colpo.

«VAI VIA! SEI UN MOSTRO! UN GIGANTE DÌ GHIACCIO. TU E I TUOI SIMILI AVETE UCCISO I MIEI GENITORI! VATTENE VIA! » Urlò accucciandosi al petto di Thor, guardandolo con crescente terrore.

Sentì quelle parole pungerlo come se fossero state parecchie spilli. Lì sentiva dentro, quegli aghi, e facevano male. Maledettamente male.
Perché aveva detto una cosa simile? Come poteva accusarlo di tale assurdità, a lui che era il figlio di Odino? Lui, che aveva sempre cercato di proteggerla? Come? Ma soprattutto … perché?

«Emily … »La richiamò, flebilmente e con voce tremante.

Lei non gli rispose e nascose il viso nel petto di Thor, che continuava ad accarezzarle i capelli in chiaro segno di protezione.
Ma proteggerla da cosa, esattamente? Da lui? No, era una follia solo pensarlo. Eppure … eppure …
Distrutto, si portò le mani al viso, come a volerlo nascondere, ma non appena vide le proprie dita, realizzò perché Emily gridasse tanto.

La sua pelle diafana era divenuta di un macabro color blu notte e constatò anche che le sue mani sembravano quelle di un anziano. Si leggevano le venature violacee che aveva sotto pelle e parecchie macchioline nere e color ghiaccio gliela impreziosivano, rendendo il tutto molto più grottesco di quanto non fosse già.

In un impeto di follia, si levò di dosso la maglietta e notò con orrore che tutto il suo corpo era divenuto quello di un Gigante di Ghiaccio.
Con gli occhi sbarrati dall’orrore, issò lo sguardo verso quello Emily; come a voler cercare conforto, ma lo fece, constatò che di lei e Thor non c’era più traccia e, al loro posto, troneggiava un Odino furente che lo guardava con astio.

«P-Padre … I-Io …  »Biascicò,troppo sconvolto per fare un discorso sensato.
«Mi hai mentito. Tu non sei mio figlio: sei un mostro! Un Gigante di Ghiaccio! Ed è per questo che ti condanno a morte!» Sbraitò Odino con voce alterata, puntandogli addosso il suo scettro e facendo così fuoriuscire un lampo di luce che lo colpi in pieno.

Non ebbe neanche il tempo di urlare che, con orrore, capì che il suo corpo si stava lentamente riducendo in mille pezzi. Provò a gridare, ma la sua voce era prigioniera della sua stessa gola; provò a muoversi, ma tutto il suo corpo stava andando in frantumi. Era una sensazione orribile. Stava cadendo a pezzi. Il Principe di Asgard, stava morendo; ucciso dal suo stesso padre.

«oki … Loki!»

Sentì la voce di qualcuno chiamarlo. Era troppo ovattata per riconoscerla, ma era certo che appartenesse a una persona molto, molto importante.

«Loki, svegliati!» Continuò quella, insistente.
«LOKI!» Questa volta la voce, da prima ovattata e lontana, diventò  improvvisamente forte e acuta arrivandogli dritta e assordante nelle orecchie, e lui,  preso dal panico, aprì gli occhi di scatto e spinse tutto il suo busto verso l’alto mettendosi in posizione supina. Aveva il respiro affannato, come se avesse corso una lunghissima corsa, e i suoi occhi erano innaturalmente sgranati e impauriti.

Gli ci vollero alcuni secondi per capire che quello che aveva avuto era stato solo un incubo.

Con stanchezza e con il fiatone, si passò le lunghe dita sottili fra i capelli come se quel gesto avesse potuto cancellare tutte le sue preoccupazioni. Aveva ancora il respiro irregolare ed il suo viso era ricoperto da un sottilissimo strato di sudore che gli ricadeva giù per le tempie.

«Loki, ti senti bene? Stavi urlando. Mi sono preoccupata...»La voce di Emily arrivò  forte come il suono di un gong alle sue orecchie e, nel sentirla, voltò istintivamente la testa verso la sua direzione. Non appena capì che quella che aveva di fronte fosse la vera Emily, si lasciò andare a un sospiro di sollievo mentre si appoggiava al tronco dell’albero contro il quale si era addormentato.

«Sto bene, Emily» Rispose, avvilito, passandosi con spossatezza una mano sulla fronte. «Ho solo avuto un incubo» Dichiarò poi, passandosela sugli occhi, oscurandoseli.

Nonostante fosse evidente che stesse dicendo il vero, Emily non fu per niente convinta di quella risposta così evasiva. Sapeva che c’era qualcosa che non andava: conosceva Loki da ben otto anni, ormai. Erano cresciuti insieme e, per lei, era divenuto trasparente come l’acqua.

«Loki, cos’è che ti preoccupa? Sei strano di questi tempi. Dormi ovunque, hai l’aria di chi ha combattuto contro un intero esercito tutto da solo e molto spesso fai incubi. Cosa ti sta succedendo?» Domandò, pur non aspettandosi davvero una risposta da parte sua.

Quella domanda lo infastidì e, difatti, dischiuse un po’ gli occhi e fece un verso stizzito con le labbra. Quella era la quinta volta nell’arco di una settimana che Emily gli poneva la stessa identica domanda.

«Non ho niente che non va, sciocca. Quante volte dovrò ripetertelo ancora? Lasciami stare» Le rispose, piccato, scattando in piedi.
«Oh, scusami se mi preoccupo per te!» Rispose allora Emily con rabbia, scattando in piedi anche lei. «Cercavo solo di essere gentile!».

Per un momento, non seppe più cosa risponderle. In fin dei conti, Emily si stava solo preoccupando per la sua salute e, effettivamente, lui non era stato molto gentile. Inoltre, gli doleva ancora la testa e, in tutta onestà, non gli andava proprio di litigare con lei o di sorbirsi una delle sue enormi e devastanti scenate.
Sospirò stancamente e alzò le mani in segno di arresa.

«Ok, va bene. Come vuoi: mi dispiace. Contenta? Ora però finiscila con questi piagnistei» Dichiarò infine, distogliendo lo sguardo. Non glielo avrebbe mai detto, ma lei era l’unica a cui avesse mai porso delle scuse.

Non sapeva perché lo faceva, in realtà. In fondo, lui era sempre stato un ragazzo orgoglioso e scorbutico con il quale nessuno aveva mai voluto avere niente a che fare e che quindi, col tempo, aveva imparato a costruirsi una corazza di ferro; impossibile da scalfire. E, a dirla tutta, gli dava abbastanza fastidio essere sempre così volubile e accondiscendente con Emily, che era l’unica in grado di far crollare tutti i pezzi della sua armatura con un solo sguardo.
Si domandò cosa avesse di tanto speciale quella ragazzina. Non era nulla di speciale e a conti fatti, era anche piuttosto irritante.


Istintivamente si domandò perché, caspita, non l’avesse ancora mandata a quel paese.

«Cos’hai sognato?»Chiese lei d’un tratto, facendolo sobbalzare. Emily sembrò notare questo piccolo scatto da parte sua e divertita gli rivolse una delle sue solite risate che tanto gli piacevano.

Ecco perché.

«Niente di particolare» Esclamò con nonchalance, cercando di chiudere lì il discorso.

Era sempre stato bravo a mentire: si divertiva un mondo quando lo faceva. Adorava vedere la gente pendere dalle sue labbra quando raccontava loro una delle sue avventure appositamente inventate per far sì che risaltasse come uno dei più gloriosi degli eroi. Col tempo aveva imparato anche a saper ingannare la gente e a manovrarla a suo piacimento solo grazie all’uso delle parole. Non era difficile soggiogarli; gli asgardiani erano un popolo forte, ma non si poteva certo dire che brillassero in astuzia. Bastavano un po’ di adulazioni, qualche parolina un po’ più colta, ed eccoli lì che cadevano ai tuoi piedi.
Però, col passare del tempo, la gente cominciò ad accorgersi delle sue bugie e a gli fu affibbiato il soprannome di “Dio degli Inganni”. Non che a lui dispiacesse tale nomina, al contrario si considerava onorato di tale titolo, però c’era da dire che questo non lo aiutava di certo nel compiere i suoi scherzi e le marachelle che tanto lo divertivano. Se prima impiegava dieci minuti scarsi per convincere la gente che ciò che stava dicendo era vero, adesso ci metteva il doppio del tempo. Era fastidioso, ma non ingestibile. Anche perché alla fine in un modo o nell’altro riusciva comunque a metterli nel sacco.

Col tempo però, si era accorto di non essere in grado di ingannare tutti.

Se c’era qualcuno che non riusciva proprio a soggiogare, quella era Emily. Ci aveva provato alcune volte, anche solo per vedere se ci cadeva, ma ogniqualvolta ci provasse, falliva miseramente. Dopo un po’ imparò a farci l’abitudine e ad arrendersi di fronte all’evidenza: non poteva ingannare Emily, che lo conosceva troppo bene per cadere in una delle sue trappole. Era una battaglia già persa in partenza e lui lo aveva imparato a sue spese.

«Sei sicuro, Loki? Dimmi la verità» Gli impose infatti lei, sfiorandogli il braccio e distogliendolo dai suoi pensieri.
«Perché mai dovrei dirti una bugia, mia cara Emily?» Chiese a quel punto con voce beffarda, guardandola con l’espressione più angelica che riuscisse a fare.
«Perché sei fatto così, Loki. Tu menti. Continuamente» Gli rispose, scura in viso.

Loki sentì qualcosa di molto spiacevole all’altezza della bocca dello stomaco: era come se qualcosa di molto grosso e pesante gli fosse attorcigliato dentro e adesso si stesse contorcendo come un serpente a sonagli, facendogli venire una forte inquietudine e parecchia agitazione.

Era forse rimorso, quello?

Decise di non pensarci. In fondo, lui era un dio e non poteva di certo lasciarsi sopraffare da quegli insulsi sentimentalismi da dodicenne. Per la miseria, aveva vent’anni ormai. Era diventato un uomo e come tale doveva comportarsi. Per quanto Emily potesse disorientarlo e confonderlo, lui era molto più forte di lei, sia fisicamente che psicologicamente. E in un modo o nell’altro, le avrebbe fatto capire che lui era nel giusto e come fosse lei, invece, ad essere nel torto.

Aprì la bocca, come a volerle dire qualcosa, ma prima di poterlo fare qualcosa lo precedette.
Assomigliava a un guaito o a qualcosa di molto simile a un lamento, ma, voltandosi, non vide nulla di strano.

«L’hai sentito anche tu?» Chiese a quel punto rivolgendosi a Emily, che stava guardando a destra e a sinistra, probabilmente anche lei alla ricerca di qualcosa.
«Sì. Cos’era?».
«Non lo so. Probabilmente c’è lo siamo solo immaginati».
«Loki, le cose non si immaginano in due» Replicò lei, cominciando a ispezionare la zona.

Sospirò esasperato: possibile che quella sciocca non gli desse mai un attimo di tregua?

«Si può sapere cosa stai facendo, di grazia?» Domandò a quel punto.
«Invece di stare lì a perder tempo potresti anche darmi una mano a cercare!» Urlò lei in risposta.
«Cercare cosa, esattamente?» Chiese sbuffando, avvicinandosi a lei, che aveva la testa immersa in un cespuglio.

Si aspettava una risposta. Una qualsiasi risposta che però, da parte sua, non arrivò mai. O almeno fino a che, con un urlo vittorioso, Emily fece capire di aver effettivamente trovato qualcosa.

«Lui!» Esultò infine, indicando qualcosa dietro il cespuglio.

Con un sopracciglio alzato e con l’esasperazione a mille, Loki si avvicinò al cespuglio e scorse così un piccolo cucciolo di lupo ferito gravemente a una zampetta anteriore.

«Ebbene?» Chiese piccato, alzando un sopracciglio e incrociando le braccia al petto.

Quella, nel sentirsi porre quella domanda, gli lanciò uno sguardo sbieco e si mise le mani sui fianchi assumendo così una posa degna di una lavandaia infervorata con uno dei suoi bambini.

«Come sarebbe a dire “ebbene”?» Domandò scandendo per bene le parole. «Non vedi che è ferito? »Aggiunse indicando il cucciolo che, nel vederli, stava cercando di rimettersi in piedi e scappare via.

«E quindi?».
«Se non lo curiamo morirà per colpa di qualche infezione!» Sbraitò a quel punto Emily.
«Un carnivoro in meno di cui preoccuparsi» Rispose tagliente, affatto preoccupato.

Emily roteo gli occhi al cielo e fece un grugnito con la bocca, esasperata. Subito dopo si diresse verso il cucciolo di lupo, stando ben attenta a non spaventarlo. Quest’ultimo, in un primo momento tentò di fuggire, ma, una volta constatato che effettivamente non poteva scappare viste le condizioni della sua zampa, cominciò a guaire impaurito. Quando però Emily poggiò le dita sul suo piccolo capo si calmò: probabilmente aveva intuito che non aveva cattive intenzioni.

«Ti sei fatto male, piccolino? Dove si trova la tua mamma?» Domandò Emily con la voce simile a quella di una bambina che gioca con la bambole.
«Non ti aspetterai sul serio che ti risponda? »La sbeffeggiò Loki, beffardo.

Lei gli lanciò un’occhiataccia e gli fece segno di tacere.

«Lascialo stare, piccolino. Loki non è davvero così cattivo, è solo un po’ stupido».
«Ehi!».
«Gli ho solo detto la verità» Fece lei facendogli la linguaccia. «Comunque sia, dobbiamo curarlo. Guardalo, non può vivere così! Tu sei bravo con la magia, no? Aiutami!».

Loki sbuffò e fece uno strano verso stizzito e deridente con la bocca.

«E perché mai dovrei farlo?» Chiese.

Emily restò in silenzio per alcuni secondi, poi come se fosse appena uscita da una trance, guardò Loki con quanta più sincerità i suoi occhi potessero esprimere.

«Perché lui ti somiglia, Loki».

Il suddetto alzò un sopracciglio, incuriosito da quella strana risposta.

«Mi stai dicendo che assomiglio a un animale?» Domandò a quel punto, piccato e anche un po’ offeso.
«Sì. Ma naturalmente non parlo dell’aspetto fisico… genio. Mia sorella di cinque anni è molto più furba di te».
«Tu non hai una sorella, Emily».
«Infatti».

Capendo solo in quel momento la “sarcastica” battutina che gli aveva rifilato, improvvisò una risatina decisamente falsa.

«Molto divertente» Esclamò poi, ironico.
«Già!»Sorrise beffarda lei.

Per un momento, ebbe l’impulso di toglierle una volta per tutte quel dannatissimo ghigno dalla faccia con uno dei suoi incantesimi. Poi però, pensò a quanto se ne sarebbe pentito se l’avesse effettivamente fatto e, frustrato, si limitò a sospirare.

«Sei proprio impossibile» Dichiarò, lanciandole un’occhiataccia.
«Quindi? Mi aiuterai?»Chiese lei, speranzosa.
«Se non lo farò mi terrai il muso per settimane. Non mi sembra di avere tanta scelta»Accordò infine, sorridendo sotto i baffi alla vista di Emily felice come non mai. «Ma» Naturalmente c’era un “ma”.  L’avrebbe fatto, certo, ma non così facilmente. Voleva prima divertirsi un po’. «Sarai tu a fare l’incantesimo, io ti dirò solo come farlo» Concluse infine, sentendo il suo ego gonfiarsi come un enorme palloncino non appena vide sorriso soddisfatto di Emily sparire di colpo.

«Cosa? »Urlò quella in risposta.
«Hai capito benissimo, mia dolce Emily. Sarai tu a creare l’incantesimo, io ti darò solamente le basi per farlo» Disse, con un sorrisetto sornione dipinto sul volto.
«Ma … Ma … io non son in grado di fare le magie, Loki! Tu sei l’unico in tutta Asgard in grado di riuscirci! »Pigolò lei.
«Infatti. È giunto il momento che anche qualcun altro ne sia in grado, no? »Le rispose semplicemente lui, scrollando le spalle.

Sconfitta, Emily si ritrovò a dover acconsentire alle sue strampalate idee. Alzò quindi le mani al cielo, in segno di arresa.
«Ok, d’accordo … mi arrendo, Loki. Dimmi cosa devo fare».
Soddisfatto, il Dio delle Malefatte le sorrise e, con un rapido gesto, mise la mani all’altezza della vita di Emily e subito dopo le voltò; facendo in modo che sembrasse che stesse sorreggendo qualcosa.
«Prendi le mie mani» Le ordinò infine.
Un po’ titubante, la ragazza acconsentì a fare come diceva e pose le proprie mani sopra quelle dell'amico che, nonostante fossero curate e ben tenute, erano un po’ più grandi e robuste delle sue. Notò che le mani di Loki fossero fredde come ghiaccio e fu in quel momento che le venne in mente una frase che le diceva sempre sua zia quando era bambina: le persone con le mani fredde, in realtà hanno il cuore molto caldo.

Istintivamente, prese a stringere più forte le mani del dio, facendolo irrigidire un po’.
«Concentrati. Non pensare più a nulla. Sgombra la mente da ogni pensiero superfluo» Disse lui chiudendo gli occhi e aumentando la presa sulle sue dita.
Quest’ultima annuii e cercò di svuotare la mente di qualsiasi pensiero negativo o felice che fosse. Fu strano. Non aveva mai provato a svuotare la mente, presa com’era da tutti i suoi doveri. Eppure, in quel momento si sentì come se stesse galleggiando su delle nuvole e che, improvvisamente, tutto avesse perso di significato. Cominciò a respirare con più calma e molta meno energia e pian piano, sentì come se tutto intorno a lei fosse sparito.
«Ora, pensa invece a qualcosa che desideri ardentemente» Le disse lui.
La cosa che desiderava più ardentemente di tutte in quel momento, era riuscire a guarire quel lupo. Lo desiderava con ogni fibra del suo corpo e con ogni sua singola molecola, goccia di sangue o capello. Voleva solo guarirlo e poterlo vedere tornare dalla sua mamma: solo questo.
Subito, sentì qualcosa di molto caldo e ruvido sfiorarle la mano e intuendo che non fosse la mano di Loki, aprì gli occhi notando così il piccolo –ma davvero molto piccolo – fascio di luce verdognola che era scaturita dalla sua mano e che adesso, galleggiava sopra di essa come se fosse stata appesa a un filo.

Incredula, guardò Loki, che ricambiò il suo sguardo con stupore e smarrimento: non si aspettava che Emily ci sarebbe riuscita per davvero. Insomma, lui aveva impiegato un intero mese per imparare a farlo. Era tutto così strano, forse troppo strano. Istintivamente, poggiò il suo sguardo sulla mano della ragazza e notò con orrore che quella lucina verdognola galleggiava perfettamente sulla sua mano destra, quella che riportava la X argentata che però, a quanto pareva, lei non riusciva a vedere.

«Guarda, Loki! Ci sono riuscita! »La voce squillante e sovreccitata di Emily lo raggiunse di colpo, facendolo sobbalzare sul posto e distraendolo dai suoi pensieri.
«Loki … stai bene? » Aggiunse, vedendolo impallidire.
«C-Certo. Va ... va tutto bene, Emily. Sei stata molto brava. Ora vai a curare quel mostriciattolo, muoviti» La spronò, cercando di raggirarla.

Emily lo guardò un po’ dubbiosa, ma, dopo alcuni secondi, decise di andare in soccorso del piccolo lupo.

«Cosa devo fare, ora? » Chiese.
«Poggiare la tua mano sulla sua ferita, genio» Le rispose saccente, con il tono di uno che spiegava a un bambino ostinato che due più due fa quattro.

Dopo avergli lanciato un’occhiata truce, Emily si sistemò accanto al piccolo lupo e, con dolcezza, gli poggiò le dita sulla ferita. Il lupetto inizialmente guaì, ma, dopo un po’, cominciò a scodinzolare e a rimettersi in piedi.
Immediatamente sul viso della ragazza si allargò un enorme sorriso.

«È guarito! Il cucciolo è guarito!» Urlò felice correndo ad abbracciarlo, gettandogli le braccia al collo.

Loki ebbe un momento di esitazione e notò con sgomento che qualcosa dentro di lui aveva cominciato a dimenarsi furiosamente e che la sua pelle aveva cominciato a diventare di un vivace rosso scarlatto.

«Grazie mille, Loki!»  Lo ringraziò Emily, scoccandogli un piccolo bacio sulla guancia. Subito dopo si staccò e corse a giocare con il piccolo lupo.

Ancora un po’ scosso, come se fosse stato in uno stato di trance, si portò delicatamente le dita alla guancia destra, che ora si sentiva bruciare terribilmente, quasi fosse stata appena toccata dal fuoco.

Volse lo sguardo verso di lei e la vide giocare felicemente con il piccolo lupo che ora era guarito del tutto: i lunghi capelli ricci le ricadevano disordinati sul viso arrossato e cosparso di piccole lentiggini, mentre i suoi occhi – quei suoi dannatissimi occhi- brillavano di luce propria. Rideva sguaiatamente e pensò che una risata così chiassosa non doveva di certo stare bene a una ragazza dell’età di Emily. Eppure, nonostante ciò, non riuscì a fare a meno di pensare che sarebbe rimasto per ore a guardarla ridere in quel modo.


Pensò ai momenti in cui erano stati bambini e si divertivano nel giocare a Guardie e Ladri o Nascondino. Tutti giochi che gli aveva insegnato lei.
Sorrise nostalgico a quei ricordi e infine giunse alla conclusione che, in fondo, a lui Emily andava benissimo così com’era.
 




- Angolino dell'Autrice.
 
Buongiorno a tutti voi!
Ebbene sì, per la vostra felicità (??) SONO TORNATA!! MUHAUHAUHAU. *Va in escandescenza.*
Coff - Coff, bene tornando al nostro discorso ... SONO COSI FELICE DÌ AVER FINALMENTE POSTATO!! *Lancia cuoricini a Random* Insomma, vi giuro che è da tipo due settimane che cerco di farlo ma per un motivo o per un altro ho sempre dovuto rinviare ç^ç. Perdonate l'enorme attesa! Per farmi perdonare vi ho fatto trovare questo capitoletto lungo-lungo! :33
Ho visto che siete in tanti a seguirmi e questo non avete la minima idea di quanto possa farmi piacere! Vi ringrazio tantissimo, non tutti sono disposti ad ascoltare i miei scleri. Ohohoh. *gongola*

Parliamo della storia: Spero di non aver reso Loki troppo OOC, insomma ... ho cercato di renderlo il più freddo possibile quando parla con Emily. Mentre ho cercato di far affiorare tutti i suoi sentimenti attraverso il suo SUBCONSCIO *Si sente Freud*. Perché tanto lo sappiamo tutti che quella di Loki è solo una corazza che lui si è costruito col passare degli anni e che lui in realtà è dolce-tenero-e-spupazzoso. (COSA? ndLoki.) (ZITTO TU. NdAutrice.) … Ok, no, non è vero, ma facciamo finta che sia così.
Detto ciò, spero che il capitolo vi sia piaciuto e che vi piaccia come la storia si sta sviluppando.
Ah! Mi sono scordata di dirvi che questo è uno dei pochissimi capitoli dove Loki e Emily sono tutti Love-Love-Happy fra di loro. Se credete che la storia sarà tutta così ... vi sbagliate di grosso, credetemi.
Credo di aver detto tutto, miei cariH.
Ci vediamo al prossimo capitolo!!
Adios.
 
RINGRAZIO DI CUORE DARMA PER AVERMI BETATO ANCHE QUESTO CAPITOLO!
GRAZIE!! <3

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Capitolo 8
*** Celebrations and Questions. ***


~ Celebrations and Questions.

“E mi assicurerò
Di mantenere le distanze
Dico “ti amo
Quando tu non mi ascolti.
E per quanto tempo,
possiamo continuare?”

Christina Perri and Jason Mraz – Distance.
 
 
Quella mattina, quando il sole s’innalzò su Asgard, l’intero palazzo entrò in un trambusto generale che coinvolse tutta la servitù e non solo. Nei ricchi saloni c’era un fittissimo via vai di persone: chi metteva decorava le sale, chi lucidava i pavimenti e imbandiva i banchetti mentre altri ancora si premuravano di pulire i giardini reali. In tutta questa cacofonia di persone, dove ognuno si dava da fare, solo uno sembrava essere assente: Loki.

Il giovane principe era ancora rinchiuso nelle sue stanze nella più completa e totale agitazione. Quel giorno, lì ad Asgard, c’era qualcosa di molto importante da celebrare  di cui sarebbe stato il protagonista indiscusso, ma, per quanto potesse esserne onorato, Loki non riusciva ad evitare di sentire lo stomaco sotto sopra. Quel giorno non era come tanti altri: quello era il giorno del suo ventunesimo compleanno, ossia il raggiungimento della maturità.
 
Ed era proprio per questo motivo che non riusciva a rilassarsi: era in fibrillazione, eccitato all’idea di poter finalmente essere libero da ogni restrizione. Aveva tanto atteso quel momento e finalmente era giunto!Eppure, Loki aveva come l’orribile sensazione di star dimenticando qualcosa di molto, molto importante. Per quanto la sua mente si sforzasse di ricordare, però, non ci riuscì proprio.
Frustrato dai suoi stessi pensieri, si vestì; quella mattina sarebbe dovuto essere impeccabile sotto ogni punto di vista. Una volta sistematosi, si avviò con passo veloce e spedito verso la Sala del Trono, certo di trovare lì i suoi genitori. Si meravigliò non poco quando, una volta arrivatoci, non lì trovò.

Strano,  pensò, Solitamente sono sempre qui.

«Cerchi i nostri genitori, fratello?» Fu la voce profonda e tonante di Thor a parlare e, per riflesso, Loki si voltò verso di lui.

Thor aveva un grande sorriso dipinto sul viso squadrato ed i capelli biondi erano raccolti in quella che doveva sicuramente essere la grossolana parodia di una coda di cavallo. Loki fece una smorfia.

«Fratello»Lo salutò quindi, accennando un sorriso palesemente falso.

Thor si diresse verso di lui con aria bonaria ed esaltata, aprì le muscolose e possenti braccia e lo strinse in quello che aveva tutta l’aria di essere un abbraccio. D’istinto, Loki fece per scansarsi dalla sua presa ma fu troppo lento e Thor lo avvolse con la sua enorme mole da guerriero.

«E così hai raggiunto finalmente la maggiore età! Sono così orgoglioso di te, vile canaglia!» Lo canzonò, spettinandogli i capelli che lui si era accuratamente sistemato quella stessa mattina.

«F-Frate… llo… N-Non… NON RESPIRO!» Biascicò Loki in segno di protesta, provando a liberarsi dall’abbraccio del fratello, fallendo miseramente.

Sapeva bene che quelle di Thor erano solo enormi manifestazioni d’affetto, eppure, per quanto ci provasse, non riusciva proprio a farsele piacere. Odiava il contatto fisico. Anzi, odiava proprio la gente.

Thor mollò la presa di slancio, lasciandolo cadere a terra con un tonfo. Sul suo volto era dipinta un’espressione di scuse, ma Loki non volle vederla.
«Oh, ehm… Sono solo molto felice per te, ecco tutto» Cercò di scusarsi, leggermente imbarazzato.

Loki alzò un sopracciglio, si alzò con stizza e spazzolò via la polvere dai vestiti. Trattieniti, pensò irritato, se lo maledici adesso causerai solo problemi indesiderati.

«Bene», disse laconico, arcuando un sopracciglio « Dopo questa tua sentimentale manifestazione d’affetto, Thor, sarei felice di sapere dove soggiornano i nostri genitori»,domandò piccato, incrociando le braccia al petto.

Thor sembrò pensarci un attimo e il suo volto assunse l’espressione corrucciata di chi stava rimembrando qualcosa di molto importante; poi, dopo qualche secondo, alzò gli occhi su di lui, contento.

«Li ho visti in giardino, discutevano molto fittamente. Non ho potuto capire di cosa stessero parlando, ma sono quasi certo che c’entrassi tu. Ho cercato di avvicinarmi a loro per capire meglio, ma improvvisamente hanno cambiato discorso. Probabilmente devono avermi notato…»,concluse, alzando le spalle.

Loki alzò gli occhi al cielo. Che razza di idiota. Possibile che non fosse nemmeno in grado di scoprire qualcosa senza farsi scoprire?

« Vedrò di scoprire io stesso di cosa si tratta, allora. Ora, se permetti … »Biascicò, avviandosi verso i giardini.

Mentre camminava sotto lo sguardo attento di molte ancelle e servitori, Loki cominciò a pensare a cosa Madre e Padre stessero dicendo di lui, finché quella strana sensazione di inadeguatezza tornò a fare capolino, irrigidendolo: era come se si fosse dimenticato di qualcosa di davvero molto, molto importante e che doveva assolutamente ricordare.

Sì, ma di cosa si trattava?

Si passò lentamente una mano sul viso, come se quel semplice gesto avesse potuto  portar via tutte le sue preoccupazioni e aiutarlo a ricordare. Irritato, Loki si fece scivolare stancamente la mano sugli occhi, stanco di quella strana e frustrante situazione.

Poi successe: i suoi occhi si poggiarono sul palmo della sua mano destra e, immediatamente, scorsero quel famoso segno a X su cui aveva tanto studiato durante la sua adolescenza. Aveva provato per anni a capire il significato di quello strano simbolo che si era procurato da bambino durante, ma, nonostante avesse esaminato decine e decine di libri, non era ancora riuscito a darsi una spiegazione plausibile. Si era detto che magari non era nulla di preoccupante, che doveva semplicemente smetterla di rimuginarci sopra tanto a lungo. Eppure non poteva essere una cosa così normale; non dopo quello che era successo, non dopo che Emily era ritornata in vita!
 
Al suo ricordo un lampo balenò nella mente di Loki, facendolo realizzare.

Si affrettò dunque  ad accelerare il passo, arrivando così al cospetto del Padre e della Madre degli Dèi in poche falcate. Sii convincente, si ripeté mentre loro si voltavano verso di lui, Non lasciarti scappare più del dovuto e non dire meno del necessario.

«Buongiorno Padre, e buongiorno a te, Madre» Li salutò con tono reverenziale, improvvisando un inchino.
«Buongiorno, figlio. Ti stavamo aspettando» Fu la pronta risposta di Frigga, gentile come al solito. «Siamo felici di poter finalmente celebrare una data così importante per te, e orgogliosi di averti come figlio».

Anche se non diede a vedere nessun segno di felicità o tristezza, negli occhi di Loki era evidente l’orgoglio del sentire quelle parole. In fondo, l’unico suo desiderio era sempre stato far felice Padre e Madre; mai al mondo avrebbe voluto deluderli. Per questo, quando Frigga lo strinse in un abbraccio di quelli che solo lei riusciva a dargli, incurvò le labbra in un breve sorriso.

«Vi ringrazio, Madre», disse, guardandola con dolcezza. «E ringrazio anche voi, Padre», continuò rivolgendosi ad Odino, che gli rivolse uno sguardo conciliante. Dallo sguardo che gli venne rivolto da quest’ultimo, Loki capì che quella era la sua unica occasione per prendere la parola.
«Madre, posso chiedervi se avete preso in considerazione la proposta che vi ho fatto la scorsa sera?» Chiese a un tratto, le viscere aggrovigliate e il cuore che batteva sempre più forte.

La Regina sembrò pensare un attimo a cosa le avesse domandato, poi, quando rimembrò, si lasciò sfuggire un sorriso comprensivo.

«Ci tieni davvero così tanto, Loki? Sai bene che è proibito per chi non è membro dell’aristocrazia», disse, aggrottando la fronte. «Nonostante ciò, sai bene che la scelta non spetta a me, figlio mio»Dichiarò, accarezzandogli i lati del viso un po’ smunto e facendo scorrere il suo sguardo verso il marito.

«Di cosa state discutendo, mia diletta?»Domandò a quel punto Odino, sinceramente curioso.
«Mio Re, rimembrate la piccola bambina graziata dagli Dèi nostri avi? Colei che è sopravvissuta alla morte? ».
 Odino si tambureggiò le lunghe dita ossute sul mento, pensieroso. Finché ad un tratto sul suo viso si formò un’espressione comprensiva.

«Certamente. Voi vi riferite alla bambina che ha avuto il privilegio di poter continuare a vivere nonostante Hela, la dèa degli Inferi, l’avesse già condotta a sé. Ma certo… certo…» disse, con gli occhi di chi non riusciva ancora a capacitarsi di un simile evento. «Cosa volete che faccia?», domandò infine.
 
Loki tentò di camuffare il nervosismo che faceva tremare le dita e sorrise mestamente al Padre degli Dèi.  Aveva sempre avuto timore di lui, infondo al suo cuore: con un suo semplice sguardo, Odino riusciva a infondergli tanta di quella pressione che, alle volte, Loki si dimenticava cosa dovesse dire o fare. In sua presenza, si sentiva costantemente sottopressione, come se dovesse sempre dimostrargli d’essere degno di venire chiamato figlio da lui.
 
Prese un profondo respiro e allacciò le braccia dietro la schiena mentre, con voce controllata, esponeva quello per cui si era preparato in quegli ultimi giorni.

«Vedete Padre, »Cominciò, cercando di essere persuasivo. «Quello che vorrei chiedervi e se, dato che quest’oggi è un giorno davvero importante per me, potreste permettermi di avere qui con me a corte quella ragazza. Mi è molto affezionata e sarei lieto di averla accanto a me, se per voi non è un problema» Aggiunse poi.

Odino aggrottò le sopracciglia, stranito.
«Oh, certo. Capisco. Quale sarebbe il problema, dunque?».
«Il fatto è che lei … ».
«Non è di famiglia aristocratica, mio signore», lo precedette Frigga, rubandogli  le parole di bocca.

Il Padre degli dèi sembrò pensarci un po’ su e il suo sguardo si fece, se possibile, ancora più serio. In soggezione, Loki raddrizzò la schiena e chinò lo sguardo.

«Loki, vorrei porti una domanda»Esclamò a un tratto Odino, serio come una tomba.
«Certamente, Padre».
«Non lo ripeterò due volte, quindi è meglio che tu apra le orecchie e mi dica la verità: provi qualcosa di molto più del semplice affetto per questa ragazza?».

Quella domanda arrivò dritta e dolorosa come un pugno in pieno petto alle orecchie di Loki, che subito sentì tutti i muscoli del proprio corpo irrigidirsi e la mandibola contrarsi. Si accorse di essersi teso come una corda di violino.

Cosa provo per Emily? Il mio è molto più di semplice affetto?

No. Certo che no. Era stupido anche solo pensarlo. Non era che una semplice amica di vecchia data alla quale era legato. Non c’era niente di inerente a quello sciocco sentimento che i midgardiani si dilettavano a chiamare “amore “. Nulla. Assolutamente niente di niente.

Eppure, c’era ancora un quesito che non era ancora riuscito a risolvere: perché, allora, quando Emily poggiava i suoi occhi su di lui, si sentiva improvvisamente scosso? E perché desiderava averla al suo fianco per la propria cerimonia di ventunesimo compleanno più di chiunque altro? E perché – per le Norne! – si irrigidiva tanto quando quest’ultima lo abbracciava?

Loki non faceva altro che porsi delle domande, ma di risposte non ne aveva neppure una e questo lo infastidiva più di ogni altra cosa.
Sapeva però che semmai una cosa del genere sarebbe divenuta realtà, tutto sarebbe crollato. Frantumato in mille pezzi. L’amicizia che avevano creato, la confidenza, le discussioni… tutto sarebbe andato in frantumi. Ne era più che certo.  E sapeva anche con terribile concretezza che, semmai Emily venisse a conoscenza di quei suoi “strani” pensieri, lo avrebbe certamente allontanato; non per cattiveria e non per perfidia, semplicemente per autodifesa. In fondo, chi mai poteva amare uno come lui? Il Dio degli Inganni, il Debole, la pecora nera della famiglia; gli erano stati affibbiati tanti di quei soprannomi, che Loki spesso dimenticava persino qual era il suo vero nome.  Alla fine, però, ci aveva fatto i calli a quella situazione e si era perfino abituato, decidendo di fare di quelle offese la propria forza, un motivo per cui dimostrare a tutti che si sbagliavano. Voleva che Padre lo guardasse con orgoglio e che gli dicesse che andava bene, che era orgoglioso di lui. Già si immaginava seduto su quel trono ornato di oro e pietre preziose, con tutti i sudditi inginocchiati ai suoi piedi e una donna al suo fianco che lo amava e rispettava. Pensò a che aspetto potesse avere la sua futura moglie e nella sua mente apparve il volto lentigginoso e vispo di Emily.

Scosse la testa, imponendosi di smetterla con quegli assurdi pensieri. Emily è solo un’amica, si ripeteva, Solo un’amica!

«No, Padre. L'unico sentimento che provo per lei è la semplice amicizia» Dichiarò, certo che la risposta che aveva rifilato a suo padre fosse quella giusta, razionale e che andava data. Nonostante ciò, Loki sentì dentro di sé qualcosa di molto pesante piombargli sul petto. Somigliava a ciò che provava da bambino quando diceva delle piccole bugie un po’ cattivelle ad Emily, che credendogli si rattristava e piangeva. Era come avere il cuore stretto in una morsa di ferro che, con il passare del tempo, si stringeva sempre di più.

In quel momento, Loki ebbe l’impressione di aver appena detto una delle sue ennesime bugie. Questa volta non a Emily, bensì a se stesso.

« Allora sono lieto di dirti che la tua amica può perfettamente assistere alla cerimonia; sono io stesso che la invito e, quindi, non dovrebbero esserci problemi. Stamani le invierò una lettera di invito con uno dei miei subordinati e, con essa, sarà perfettamente consona per poter partecipare» Decise infine Odino, riportandolo alla realtà.

Loki fece un inchino di ringraziamento verso di loro e, con discrezione, si congedò; avviandosi fuori dal palazzo reale. Raggiunse le scuderie e, dopo aver preso il suo cavallo, ci saltò su e trottò verso casa di Emily come era consono fare quasi ogni giorno.
Era un'abitudine che aveva preso quando era bambino. Ricordava ancora perfettamente il primo incontro avuto con lei, i loro piccoli battibecchi che, puntualmente, finivano con le loro piccole lotte goffe e infantili. Ricordava tutto perfettamente, non aveva dimenticato nulla. Conosceva ogni singolo pregio di Emily, così come conosceva anche tutti i suoi difetti.

Sapeva che era parecchio irascibile e violenta quando la si insultava per  il  colore dei suoi capelli, che lei odiava; che era una piagnucolona come poche e che era sempre propensa a fare a botte coi ragazzi, anche quando quest’ultimi erano parecchio più grandi di lei – Loki ricordava perfettamente quella volta in cui dovette separare lei e Thor da una lotta all’ultimo sangue. O meglio, all’ultimo capello, visto che entrambi continuavano a tirarseli. Emily era il tipo di ragazza che si arrampicava sugli alberi e che indossava i pantaloni – sono comodi, diceva. - ed era anche il tipo che passava più tempo con gli animali piuttosto che con la gente. Era un po’ strana, in effetti, ma forse era proprio per questo che era sua amica.
 
Scacciò via quei pensieri una volta arrivato di fronte alla sua piccola casa e, sceso dal cavallo, si diresse con passo spedito davanti alla porta di legno. Bussò per ben tre volte, ma, per ognuna, non ricevette risposa. Provò nuovamente ma, anche stavolta, non ricevette alcuna risposta.

Spazientito, fece per andarsene capendo che, evidentemente, Emily non era in casa per chissà quale arcano motivo. Quando però qualcosa di scuro e morbido gli si appallottolò fra le gambe, facendolo quasi cadere, dovette scartare quell’idea.

«Ma che diavolo!? » Biascicò sorpreso, abbassando lo sguardo alla ricerca della fonte della sua quasi caduta. Subito i suoi occhi proiettarono quella che doveva essere la sagoma di un cane ma, a guardalo meglio, Loki si accorse che lo era solo in parte.

«Lupo rognoso!» Sbraitò, riconoscendo finalmente cosa fosse quell’ammasso di pelo nero e grigio.

Era Fenrir, il lupo che lui ed Emily avevano trovato poco tempo prima e che avevano salvato da una possibile morte per infezione. In verità, se non fosse stato per Emily, l’avrebbe lasciato a marcire lì dov’era; non amava particolarmente gli animali, lui, però ad Emily piacevano tanto e quando quest’ultima gli aveva esplicitamente detto che quel cucciolo di lupo sarebbe rimasto con lei, non c’era stato verso di dissuaderla. Oltretutto, l’animale non sembrava aver proprio voglia di ritornare nel branco da dove era venuto e quindi, da quel giorno, si era aggregato al loro, di “branco”.

Fece per assestargli un calcio negli stinchi, ma fu prontamente fermato da quella che riconobbe come la voce di Emily.

«Fenrir!» Urlò. «Quante volte devo dirti di non scappare?! Dannato animal–  oh, ciao Loki!».

Loki inarcò un sopracciglio. Tutto qui? Un semplice “Ciao, Loki”? Nessun augurio? Niente di niente? Pensò, accigliato. Non che fosse di vitale importanza ricevere degli auguri, ma si aspettava qualcosa di più di un misero: ‘Ciao, Loki!’.  Aveva finalmente compiuto ventuno anni, dannazione.

«Ebbene?» Chiese schiettamente, incrociando le braccia al petto.
«Ebbene cosa?»Rispose Emily, evasiva. Loki notò che cercava di nascondere qualcosa dietro la schiena e, incuriosito, fece per avvicinarsi.
«Cosa nascondi lì dietro?»Domandò, raggirandola.
«I-Io … niente! Non nascondo proprio nulla! E… e credo che tu debba andare! È tardi!» Urlò a quel punto Emily, rossa in viso quanto i suoi capelli.

Loki fece una smorfia, piccato: Emily non era mai stata brava a mentire. Non le veniva proprio bene, era decisamente troppo imbranata per riuscirci.

E pensare che lui lo faceva così spesso! Si divertiva un mondo a vedere tutti quegli stupidi omuncoli cadere nella sua ragnatela mentre lui, ragno predatore, tesseva fili sempre più fitti dove avvolgere le proprie prede, ignare del proprio destino.

Stanco di quello stupido teatrino da quattro soldi che si era venuto a creare, decise di mettere fine alla questione una volta per tutte: prese Emily per una spalla e la costrinse a voltarsi mentre con l’altra mano la teneva ferma per un braccio, costringendola in una posizione un po’ scomoda dalla quale non avrebbe potuto muoversi. Strinse con forza il polso di Emily, che cercava di sfuggire dalla sua presa di ferro, ma dopo un po’ smise di fare resistenza e si diede per vinta. Quando fu sicuro che si fosse tranquillizzata e che non volesse più opporre resistenza, Loki posò il suo sguardo sullo strano oggetto che, per la troppa pressione che esercitava sui polsi di Emily, era appena caduto a terra.

Curioso, si chinò a raccoglierlo e lasciò andare la stretta che esercitava sulla ragazza, che una volta liberata cominciò a massaggiarsi i polsi e a guardarlo con astio.

«Sei contento adesso?»Gli domandò lei a quel punto, irritata e con la voce alterata per il trattamento che le era stato rifilato.
«Cos’è questo?» Chiese Loki, osservando lo strano oggetto in metallo che si stava rigirando fra le mani.
«Non lo vedi da solo? È un elmo. Tuo padre ne ha a migliaia, dovresti riconoscerli ormai» Rispose Emily con rabbia.

Le scoccò un’occhiata tagliente, ma non rispose alla provocazione. Al contrario, riprese a guardare l’elmo che aveva fra le mani: era in metallo ed era ricoperto di oro; riportava due grandi corna da stambecco ed era ornato da parecchie rifiniture eleganti sul dorso. Era davvero bellissimo e doveva certamente valere una fortuna.

«Sei uno stupido. Hai rovinato la sorpresa»Borbottò Emily, più imbarazzata che infastidita.
«Sorpresa? ».
«Sì, sì ... sorpresa, hai capito bene. Quando giocavamo nei giardini, da bambini, ho notato che spesso ti bloccavi a fissare gli elmi dei soldati che passavano da quelle parti. Credevo ti piacessero e quindi ho pensato di regalartene uno. Dovevo dartelo più tardi, non credevo saresti arrivato in anticipo…»Disse infine.

Loki si rigirò nuovamente l’elmo fra le mani. Era così elegante! Doveva certamente valere un occhio della testa per una tipa come Emily, che non possedeva tanto denaro. Come aveva fatto quindi a procurarselo? Che lo avesse … ?

«No, idiota. Non l’ho rubato se è a questo che stai pensando»Lo precedette lei e Loki ebbe la strana sensazione che gli avesse appena letto nel pensiero. «Me lo sono guadagnata».
«Come? »Domandò a quel punto.

Lei gli lanciò un’occhiataccia, come per dirgli: “Mi prendi in giro?“ e lui, intuendolo, scosse la testa in senso di dissenso.
Emily sospirò e strinse le braccia al petto.

« Lavoro come aiutante di un fabbro da circa … ecco … diciamo sei anni? Anno più, anno meno? Te ne ho parlato tante di quelle volte che è davvero incredibile che tu non lo sappia. Evidentemente non stavi ascoltando…. Come sempre, del resto.», disse sarcasticamente, ma a Loki sembrò di scorgere una nota di tristezza nella sua voce. «Comunque,», continuò Emily. «Vista l’occasione avevo messo da parte un po’ di pezzi d’oro e quando finalmente ho raggiunto la quota prefissata, l’ho comprato. Non è la miglior cosa che tu possa ricevere per il tuo ventunesimo compleanno, ma …»

«È perfetto» La interruppe lui. «È davvero bellissimo. Io non credevo ... voglio dire, pensavo te ne fossi dimenticata».

Emily alzò un sopracciglio e lo guardò divertita. «Dimenticare, io? Ah! Questa è buona. Non mi sono mai dimenticata di un tuo compleanno, Loki. Perché mai avrei dovuto iniziare adesso? Piuttosto, dimmi perché sei venuto in anticipo. Non dovresti essere occupato in una toeletta ristoratrice o che so io? E poi, non credere che prima non ti abbia visto! Stavi per dare un calcio a Fenrir e l’hai pure chiamato lupo rognoso! Vergognati! » Lo rimproverò lei, correndo ad abbracciare il lupo che, a quella manifestazione d’affetto, prese subito a strusciarsi su di lei.

«Vedo che tutti e due andate d’accordo» Constatò Loki, alzando un sopracciglio.
«A quanto pare» Emily fece spallucce e subito dopo sussurrò qualcosa nell’orecchio del lupo. Quando finì, si rivolse a Loki con aria saccente. «E comunque, ha detto che se lo rifai di nuovo ti da un morso lì dove non batte il sole».
«Oh, vedrò di fare attenzione allora», le rispose lui, beffardo. «Ad ogni modo, sono qui per dirti che stasera sei invitata alla cerimonia per i miei ventuno anni. A breve arriverà qualcuno a portarti una lettera di invito da parte di mio padre in persona, quindi  vedi di farti trovare … ecco … in buone condizioni» Aggiunse, riferendosi al suo vestiario più da maschio mancato che da donna.

Lei, per tutta risposta, gli fece la linguaccia e subito dopo saltò in piedi, facendo una piroetta su se stessa.
 
«Oh Loki, mio principe serio e tenebroso, che ne diresti di andare a prendere una tazza di tè? Suvvia caro, non fare complimenti! Oh, e hai fatto il bagno stamattina? Un principe è sempre pulito e ben vestito... Cosa sono quindi quegli stracci? Corri a metterti qualcosa di più elegante!» Fece, imitando una tipica donna di corte e assumendo un accento decisamente comico.

A quello spettacolo, Loki fece una risatina sommessa e, con passo felpato, le si avvicinò tanto quanto bastava per poter incrociare appieno i suoi occhi. Le accarezzò una gota e subito dopo, con una lentezza quasi palpabile, le passò una mano fra i capelli mentre con delicatezza le slegava il nastrino azzurro che li teneva legati in una treccia disordinata: una volta liberati, i riccioli rossi le caddero con delicatezza sulle spalle.

Aveva dei bei capelli, Emily, ricci e vaporosi. Proprio come li aveva sua madre da giovane. Ricordava perfettamente un quadro dove erano raffigurati lei e Padre, ancora in fase di fidanzamento, e di esserne rimasto incantato, tanta era la bellezza di sua madre. Adesso però non li portava più in quel modo, perché per una donna sposata non era affatto raffinato andare in giro con i capelli sciolti.
 
Pensò a come sarebbe stata Emily con i capelli raccolti in una di quelle pettinature e, a quel pensiero, un sorriso divertito gli si dipinse sul viso. Non riusciva a immaginarla come una donna. O almeno, non come quelle donne che era ormai abituato a vedere: perfette, eleganti e senza alcun difetto. Lui non le sopportava. Le trovava irritanti e fastidiose. Non voleva che diventasse come una di loro. No, per lui, Emily non era altro che quella piccola bambina dai capelli rossi e gli occhi vispi, molto simile a una volpe, che lui aveva conosciuto da bambino.

Immerso com’era in quei pensieri, quasi non si accorse di star accarezzando i capelli rossi della giovane che, a quel contatto così ravvicinato, era diventata rossa come un pomodoro. Subito ritirò la mano, come scottato.

«Ti stanno meglio sciolti, i capelli»Disse, cercando di rompere l’improvviso silenzio che si era venuto a creare.
«Fa caldo per tenerli sciolti»Disse lei a ‘mo di scusa, distogliendo lo sguardo.
«Ma se siamo nel bel mezzo della Stagione del Vento! ».
«Q-Questi sono dettagli»Replicò lei, rossa in viso.

In quel preciso istante, Loki capì di esserle troppo vicino.

Poteva perfettamente contare ogni sua piccola lentiggine, le sue ciglia e i colori chiarissimi dei suoi occhi; notò anche che sarebbe bastato un solo singolo passo in avanti per poterla baciare. Un solo, piccolo, passo…

Erano vicini, troppo vicini. Così vicini da sentire l’odore di Emily invadergli le narici, il suo respiro caldo sulla sua pelle.
Basterebbe solo un passo…

«E comunque, non ho niente di elegante da mettere per stasera» La voce di Emily spezzò completamente l’atmosfera che si era venuta a creare e Loki ritornò alla ragione con violenza. Tentando di nascondere il battito violento del proprio cuore, si allontanò da lei con urgenza.


«Vieni vestita come vuoi. Per me non fa differenza.»Le disse. Dopodiché si congedò,  salutandola con uno dei suoi soliti mezzi sorrisi.

«Ci vediamo stasera. A più tardi» Concluse, montando sul cavallo e avviandosi verso il sentiero che conduceva al palazzo, lanciandole un’ultima occhiata ancora un po’ imbarazzata e un po’ intontita.

Nonostante Loki fosse sparito da un pezzo, Emily rimase lì, ferma e impalata come un’idiota a fissare un punto impreciso. Poi, quando rinvenne dalla sua trance momentanea, mormorò qualcosa sul fatto che dovesse sbrigarsi a fare un bagno e cercare di indossare qualcosa di decente per quella sera. Mentre si spogliava dei propri abiti, il pensiero di lei e Loki vicini come non mai la fece diventare rossa come i suoi capelli e, in un impeto di imbarazzo, si immerse nell’acqua, desiderosa di sprofondare fra i suoi pensieri.

Improvvisamente, un pensiero le si piazzò prepotentemente in mente, confondendola.



Non era stato poi tanto male averlo avuto così vicino… 



 
 
- Angolino dell'Autrice.
 

Ebbene sì, sono tornata. Mi dispiace immensamente per il ritardo ma non avevo per niente ispirazione! Tutte le volte che scrivevo qualcosa lo buttavo subito giù. Era frustrante! ç_ç
Ma finalmente sono riuscita a scrivere ben 6 pagine di capitolo!! Olé!
Comunque, ho notato che pian piano state crescendo di numero! Me felice! *^* Siete ben 35 a seguirmi, vi ringrazio di cuore!! *Si asciuga una lacrimuccia, commossa.*
Ringrazio tutti voi che recensite, che avete messo la storia nei preferiti, nelle ricordate e nelle seguite. GRAZIE DAVVERO!
A parte ciò, spero di sapere cosa ne pensiate.
Un bacio!
P.S: Nel prossimo capitolo ci sarà la festa per i ventuno anni di Loki, vi anticipo sin da subito che ci saranno tanti di quei colpi di scena che ad un certo punto vi metterete le mani nei capelli.
Detto ciò mi congedo, grazie ancora per il sostegno! \^o^/
P.P.S; Il nome del lupo “Fenrir” è preso dalla mitologia nordica in quanto quest’ultimo è il “figlio” di Loki. Mi sembrava carino dargli questo nome, vista l’occasione. :)
Bye bye!

RINGRAZIO IMMENSAMENTE PER AVERMI BETATO ANCHE QUESTO CAPITOLO. 
GRAZIE MILLE!! <3 <3

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Capitolo 9
*** Imposed Love. ***


~Imposed Love.

“Sono in una situazione di infelicità.
iniziamo dal principio:
Lei ha un corpo come una clessidra,
che fa tic tac come un orologio.
E’ una questione di molto tempo prima
che noi tutti ci esaurissimo.
Quando pensavo che lui fosse mio
e lei lo afferrò per la bocca.”

Misery Business – Paramore.
 

 
 

Era ormai sera ad Asgard: il sole era tramontato da un pezzo e adesso, sopra la reggia di Odino, si ergeva un bellissimo e luminoso firmamento di stelle dai toni splendenti con una Luna piena e dal sorriso ghignante a impreziosire il tutto. Soffiava un fresco venticello fra le fronde degli alberi e, in lontananza, si poteva quasi sentire il canto di alcuni grilli che villeggiavano nelle vicinanze.

Nonostante ciò, la calma e la tranquillità quasi tangibile che si estendeva nelle terre della patria degli dèi, non sembrava essere affatto presente all’interno della lussuosa dimora di Odino, la quale era in gran fermento per l’avvento che si sarebbe dovuto celebrare fra pochi minuti. Infatti, il Padre degli Dèi aveva indetto una festa, in onore del ventunesimo compleanno del suo figlio minore, Loki, alla quale era stata invitata tutta la nobiltà del Regno.

In vista di quell’occasione, non c’era stata una sola persona che non avesse lavorato dall’inizio della mattinata: alcuni avevano lucidato i pavimenti, altri rivestito di ornamenti le Sale e certuni sistemato i fiori in base alla colorazione delle pareti. Il palazzo sembrava essere più maestoso e lussuoso del solito, assomigliando tanto a uno di quelli dei racconti fantastici che Frigga, la Regina di Asgard, raccontava sempre ai propri bambini per farli dormire.

Sembrava essere tutto perfetto. Eppure, in tutto ciò, mancava ancora qualcosa.
Qualcosa di molto, molto importante.

Molti lo chiamavano il “Dio degli Inganni e della Malizia”, altri ancora “Lingua d’Argento”, ma per quanti soprannomi potesse la gente affibbiargli, il suo nome era soltanto uno: Loki.

Nell’accorgersi che il proprio figlio minore, nonché festeggiato, non era presente, Odino si recò di corsa nelle sue stanze; smanioso di scoprire cosa fosse successo per giustificare il fatto che non fosse ancora pronto.
Una volta arrivato di fronte alla porta che dava alla sua stanza, l’aprì con un semplice e veloce gesto delle mani e, una volta che l’ebbe fatto, i suoi occhi proiettarono quella che doveva essere la figura di Loki  intento ad osservarsi allo specchio. Guardandolo, Odino notò che la sua espressione era assente e priva di emozioni; decisamente non adatta a un ragazzo della sua età. Non se ne rammaricò, poiché un principe doveva pur sempre avere un portamento composto e serio; degno di un tale titolo nobiliare.

Rimase quindi lì a fissarlo mentre si specchiava, in silenzio.

O almeno lo fece fino a che quest’ultimo non si accorse di lui attraverso il riflesso dello specchio.

«Buonasera, Padre. »Lo salutò a quel punto Loki, voltandosi verso di lui e improvvisando un inchino.

Sul viso di Odino si scoprì un grande sorriso mentre con passo veloce e le braccia allargate si dirigeva verso di lui, invitandolo in un abbraccio.

«Figlio mio, Loki!» Disse abbracciandolo energicamente. «Sono così fiero di te! »Gli sussurrò poi all’orecchio con tono paterno.
«Vi ringrazio, Padre. »Rispose allora quello, contraccambiando il suo abbraccio.

Dopo qualche secondo, Odino si staccò da lui e gli mise le grandi mani callose sulle spalle, guardandolo dritto negli occhi.

«Ora che sei adulto sono certo che sarai in grado di destreggiarti nell’ardire di decidere per il bene del Regno di Asgard e, sono sicuro, saprai gestire ogni cosa in modo egregio in compagnia di tuo fratello Thor. Inoltre, voglio che tu sappia, Loki, che io confido in te. Sempre» Esclamò, continuando a sorridergli bonario.

Non capì appieno il significato di quelle parole, seppe però che suo Padre era fiero di lui e questo lo rese molto felice. In fondo, non desiderava altro che quello.

«Farò di tutto per essere all’altezza, Padre. » Esclamò quindi con lo sguardo chino e reverenziale.

Odino sorrise e, nuovamente, diede alcune pacche sulle sue spalle. Dopodiché si guardò un po’ intorno con aria trasognata e, subito dopo, fece ricadere il suo sguardo su quello del figlio.

«Ne sono certo, ora però dobbiamo andare. Sono certo che molti invitati saranno già arrivati e non sta affatto bene farli aspettare»Affermò, facendo per avviarsi fuori dalla camera.
«Certamente, Padre» Rispose Loki. «Però, prima di andare, desidererei chiedervi una cosa. »Aggiunse, con voce ferma e mitigata.

Odino si voltò a guardarlo e gli rivolse un sorriso affabile.

«Qualsiasi cosa»Rispose.

Lui fece un mezzo sorriso, poi si voltò e si diresse verso uno scaffale nelle prossimità del suo letto. Con un rapido gesto delle dita prese qualcosa di molto simile a un copricapo e, subito, lo indossò.
Odino notò che si trattava di un elmo e, da quello che poté constatare, anche abbastanza prezioso. Non seppe quando e in che occasione se lo fosse procurato, ma a quanto pareva doveva piacergli molto visto il grande sorriso che gli si era appena dipinto sul volto.

«Potrei … insomma, è un gran bell’elmo, no?» Chiese a quel punto, un po’ imbarazzato, ma pur sempre contenuto.
«Già, lo è. Dove lo hai preso?» Chiese Padre.
«Non l’ho preso, me l’hanno regalato».

Odino sbatté più volte le palpebre perplesso.

«Chi? » Domandò.

Lui rimase in silenzio per alcuni secondi, come se non volesse dargli una risposta o stesse soppesando le parole giuste da dire. Dopo un po’ però si decise a replicare.

«Un’amica» Rispose semplicemente.
«Un’amica?» Ripeté l’altro, scandendo per bene le parole.
«Sì. ».

Odino non rispose, si limitò semplicemente a fissarlo con le braccia conserte e un cipiglio un po’ severo. Capì che parlava certamente di quella ragazzina dai capelli rossi che era sopravvissuta per grazia divina. In fondo, per quel che ne sapeva,  non aveva mai avuto altre amiche oltre lei e lady Sif – con la quale era palese non avesse buoni rapporti – e, se le aveva avute, lui non le aveva mai viste. Il fatto che poi stesse indossando un copricapo che quest’ultima gli aveva regalato, non significava nulla di buono.

Pensieroso, corrucciò la fronte e aggrottò le sopracciglia in un chiaro segno di contemplazione. Sapeva dove Loki voleva andare a parare ponendogli quella constatazione e, in verità, non gli piaceva molto la piega che stavano prendendo gli eventi. Non con quello che doveva venire.
Nonostante ciò, non si poteva di certo negare che quell’elmo fosse effettivamente molto elegante e che, sul capo corvino del figlio, facesse una gran bella figura.
Era lieto che Loki avesse delle amiche tanto premurose nei suoi confronti, eppure, non poté fare a meno di chiedersi se realmente quella fosse solo un’amica e non qualcosa di più. Perché se fosse stato così le cose sarebbero andate molto, molto male.

E questo non poteva permetterlo. Non dopo tutto quello che aveva fatto per dar vita ai suoi piani politici.

«Padre, vi sentite bene?» La voce di Loki gli arrivò forte e tagliente alle orecchie e, nel sentirla, sobbalzò un po’. Poi, notando che suo figlio lo stesse fissando, fece per voltarsi dall’altra parte e andarsene.

«Potrai indossare quell’elmo, se lo desideri. Non credo ci siano problemi al riguardo. Ora però dobbiamo scendere, si è già fatto molto tardi»Parlò, assumendo un tono di voce profondo e imperiale che non ammetteva repliche.

Intuendo che qualcosa non andava, Loki non replicò e, dopo essersi sistemato meglio l’elmo sul capo, si avviò verso la sua festa.
 
Camminò con passo veloce e contenuto, quasi come se fosse costantemente osservato e dovesse dare prova di essere il principe che tutti si aspettavano che fosse. Il cuore continuava a battergli in modo forsennato, quasi come se stesse percorrendo una lunghissima corsa, e per un momento sentì l’aria mancare al pensiero di dover affrontare tutta quella gente. Non aveva mai amato la confusione, ancor meno se in essa erano presenti odiosi aristocratici con la puzza sotto il naso.

Inspirò profondamente, sperando in cuor suo che quel semplice gesto potesse dargli un po’ di sollievo. Sollievo che però non accennò ad arrivare.
Sentiva l’ansia continuare a crescere dentro di sé e le mani sudargli ma sapeva che non poteva assolutamente mostrarsi debole di fronte a quella gente. Non lo aveva mai fatto prima d’ora e di certo non avrebbe cominciato quel giorno.

Alzò quindi il capo e raddrizzò la schiena. Sì rassettò il colletto della giacca e si sforzò di sorridere. Doveva calmarsi, non era da lui essere così nervoso.

Improvvisamente pensò ad Emily, ai suoi capelli rossi e gli occhi vispi e furbetti. Gli vennero in mente i momenti passati con lei poco prima e il fatto che qualcosa di molto strano avesse inspiegabilmente preso vita in lui, facendolo andare fuori controllo. Probabilmente avrebbe davvero baciato Emily, se quest’ultima non lo avesse interrotto.

A quel pensiero, fece una faccia disgustata: per gli dèi, stava parlando di Emily! Quella Emily. La Emily che aveva conosciuto da bambino e con la quale era cresciuto insieme. La stessa Emily con la quale litigava per cose futili e sciocche, con la quale aveva condiviso tutto e che considerava tale e quale a una sorella.

Ma era davvero solo una sorella?

Non lo sapeva e, in verità, non voleva neppure scoprirlo. Era certo però del fatto che, se mai avesse sul serio provato qualcosa per lei, non glielo avrebbe mai detto poiché farlo avrebbe distrutto tutto quello per cui aveva lottato durante quegli anni: la loro amicizia, il loro legame e la loro complicità.
E non poteva permettersi di perdere Emily, non lei.


Si stupì di quel pensiero: non era mai stato molto attaccato alla gente e perlopiù tendeva a isolarsi, in un chiaro segno di distacco dal mondo. Non sapeva il perché di quelle strane emozioni, eppure, ogniqualvolta che un amico di suo fratello o chiunque altro provasse ad avvicinarlo, lo allontanava repentinamente come se fosse stato infettato da una qualche malattia contagiosa che non voleva assolutamente contrarre.

Con Emily, però, era diverso: ricordava ancora perfettamente il giorno in cui l’aveva vista per la prima volta, circa sette anni addietro. Era così piccola e fragile che quasi si sconvolse nel constatare che di “fragile” quella bambina non aveva decisamente nulla. Al contrario, non poteva far altro che ricordarla impertinente come poche, vispa e decisamente mascolina.

Eppure, dopo un po’ di tempo, imparò a volerle bene. Ad amare quelle sue piccole sfaccettature un po’ irritanti e, col tempo, comprese che era diventata la sua prima vera amica. Ed era proprio per questo che tremava ancora al ricordo di lei agonizzante sul letto della Camera della Guarigione, in preda a un fortissimo malore inguaribile che l’aveva quasi condotta alla “morte”. Quasi, perché non aveva ancora dimenticato il momento in cui aveva visto gli occhi di Emily riaprirsi da quel sonno eterno e quella strana cicatrice che si era impressa nel palmo della mano destra di entrambi.
 
Infastidito dai suoi stessi pensieri, cercò di scacciarli via dalla sua mente e ritornare con i piedi per terra.

Non c’era motivo di preoccuparsi, adesso stava bene e quella sera sarebbe stata lì con lui; probabilmente avrebbe indossato una delle sue solite vesti un po’ logore e rattoppate, ma sarebbe stata lì. Lo avrebbe certamente incoraggiato nei momenti di imbarazzo e gli sarebbe stata accanto quando avrebbe dovuto affrontare quegli antipatici marchesi e conti che lui tanto odiava.

Emily ci sarebbe stata, non sarebbe più andata via.

Preso com’era da quei pensieri, quasi non si accorse di essere arrivato di fronte al portone in oro e argento che portava alla Sala dei Ricevimenti. Poteva benissimo sentire un fitto mormorio provenire da oltre la porta, segno che gli invitati erano già arrivati. Era così preso da quel fitto cianciare, che si accorse con fatica della grossa mano di suo padre poggiata sulla sua spalla in un chiaro segno di incoraggiamento.

«Andrà tutto bene. »Lo tranquillizzò Odino, sorridendogli affabile.

Improvvisò un sorrisetto nervoso e, una volta fatto un bel respiro, ordinò alle guardie di aprire il portone. Queste non se lo fecero ripetere due volte e subito fecero come era stato loro ordinato, scatenando così una fortissima cacofonia di voci e acclamazioni una volta aperte le porte.
Il primo a uscire allo “scoperto” fu Odino: non appena il vecchio Re mise un piede fuori dall’uscio della porta, un boato di applausi si erse in tutta la Sala facendola quasi tremare. Subito, il Padre degli Dèi fece il solito discorso che andava detto come da copione e, una volta che lo ebbe finito, lo presentò agli ospiti, facendogli segno di raggiungerlo.

Agitato e con l’adrenalina a fior di pelle, si decise a varcare la soglia del portone e, subito dopo averlo fatto, una miriade di applausi e urla di approvazione gli diedero il benvenuto. Sembravano tutti molto eccitati e felici: c’era chi beveva, chi rideva e chi esultava; in lontananza, seduti sul trono, notò suo fratello Thor in compagnia di sua madre; entrambi con un ampio sorriso dipinto sul volto.
Fece un breve sorriso nella loro direzione e prese a camminare verso il trono percorrendo con passo veloce quel piccolo tratto di strada che li divideva. Nel sentire tutte quelle grida di gioia e approvazione per lui, ebbe la bellissima sensazione di essere finalmente diventato Re. Si sentì potente, forte e invincibile.

Sorrise compiaciuto a quella constatazione e nel farlo, capì che lui voleva davvero diventare il Re di Asgard. Per lui quello non era un semplice desiderio infantile, come poteva invece esserlo per Thor, lui se lo sentiva dentro. Voleva governare quel Regno, portarlo alla gloria! Desiderava essere ricordato per sempre come il Re più glorioso di tutti i tempi! Lo voleva, lo voleva davvero!

Con questi pensieri in mente, lui e suo Padre si accomodarono sul trono rivestito in pelle e, non appena tutti i membri della famiglia reale furono comodi, un nuovo boato di applausi scoppiò nella Sala. Dopo qualche secondo, Odino gli fece segno di procedere.

Lui, avendo ricevuto il “via” da Padre, levò una mano verso la gente pochi metri più in basso e questi subito ammutolirono. Provò una forte scarica di eccitazione nel constatare che fossero tutti ai suoi comandi. Sorrise accattivante alla folla e, con un elegante gesto delle mani, incominciò a parlare con voce calma e chiara.

«Vi sono grato per essere qui con me stasera. Vi prego di fare come se foste a casa vostra, spero che il banchetto sia di vostra gratitudine e che il vino possa rendervi gioiosi quanto lo sono io quest’oggi. Dunque, dichiaro che i festeggiamenti possono avere inizio!» Esclamò, e la Sala si aprì nuovamente in un fragoroso boato di applausi.

Subito, l’orchestra ai lati della Sala cominciò a suonare e tutti presero a socializzare e a parlare fra di loro. Si accoccolò nel trono e cominciò a fissare gli invitati uno per uno: giusto per sapere che facce avessero, e poggiò la testa sulle nocche delle dita. Venne però interrotto da suo fratello Thor, che gli diede una gomitata nell’avambraccio, facendogli quasi perdere l’equilibrio. Quando si voltò verso di lui per lanciargli un’occhiataccia, lo trovò intento nel fissare un punto imprecisato della reggia con gli occhi assottigliati e uno sguardo scrutatore.

«Ehi, Loki, ma quella non sarà mica la piccola Emily? Cosa ci fa qui?» Nonostante Thor avesse appena sussurrato quelle parole, Loki le udì come se fossero rimbombate per tutta la Sala. Repentinamente, alzò lo sguardo e cercò di intravedere la sagoma di Emily in mezzo alla folla.

«Dove? »Chiese, cercando di rimanere impassibile.
«Guarda lì! Vicino al banchetto» Gli rispose l’altro, indicando un preciso punto della Sala.

Fece guizzare il suo sguardo nel punto indicatogli da Thor e, dopo alcuni secondi, la vide.

Emily era lì: aveva lo sguardo confuso e disorientato di chi non era abituato a vedere tutte quelle persone intorno a sé. Indossava una semplicissima tunica di un chiaro color avorio e non aveva gioielli vistosi a impreziosirla, solo un semplicissimo braccialetto dorato troppo largo per i suoi polsi. Portava i capelli legati in una goffa coda di cavallo che le ricadeva ai lati delle spalle e dalla quale fuoriuscivano diverse ciocche di capelli rossicci. Non aveva nulla di particolare e anzi, era anche piuttosto scialba rispetto a molte altre dame che erano lì, ma nonostante ciò la trovò bellissima.

Thor sembrò notare lo sguardo che lanciò alla ragazza e, con un ghigno dipinto sul bel viso, gli diede una pacca sulla schiena, facendolo sobbalzare.

«Che ne diresti, fratello, di aprire le danze? »Gli domandò, facendogli l’occhiolino. «Io saprei già chi potrebbe essere la candidata ideale per ricevere l’onore di danzare col principe cadetto di Asgard!» Aggiunse, sornione.

Per un momento, Loki fu seriamente tentato di cavargli gli occhi. Quell’idea fu però abbandonata non appena si ricordò di trovarsi nel bel mezzo di una festa in suo onore e che, quindi, compiere un fratricidio non avrebbe di certo giovato alla sua persona  Quindi, con sincero dispiacere, dovette rinunciare alle sue manie di vendetta e sospirò, rammaricato.

Ma quando il suo sguardo cadde nuovamente sulla figura di Emily, un mesto sorrisetto bonario gli incurvò le labbra sottili.

«Credo sia un’ottima idea. »Rispose d’un tratto, alzandosi dal trono e avviandosi verso di lei, sotto lo sguardo divertito di Thor che lo fissava dall’alto del trono.

Quando Emily lo vide arrivare, sul suo viso cosparso di lentiggini si aprì un grande sorriso e subito gli andò incontro.

«Quindi, alla fine sei venuta» Disse semplicemente, con un mezzo sorriso dipinto sul viso. La sua non fu una domanda, ma una constatazione.

Emily si limitò ad annuire mentre, con dolcezza, incurvava le labbra in un sorriso.

«Così pare»Annuì lei. Poi, il suo sguardo cadde sull’elmo che Loki indossava e sul suo viso si dipinse un sorriso compiaciuto e contento. «Vedo che ti è piaciuto» Disse.

Fece scorrere due dita sopra la superficie metallica dell’oggetto mentre sul suo viso di dipingeva un’espressione sorniona e ghignante.

«Molto» Le rispose quindi, abbassando il suo sguardo su di lei.

Restarono in silenzio per alcuni minuti, intenti a fissarsi come se non si fossero mai visti. Era strano: loro avevano sempre parlato liberamente di tutto, non erano mai stati più di cinque minuti in assoluto silenzio, mentre ora entrambi sembravano essere diventati dei perfetti sconosciuti. Poi, l’orchestra prese a suonare una musica più lenta, soave.

«Che ne dici di ballare?» Fu lui a spezzare quel silenzio, e fu come se quella bolla di sapone che si era venuta a creare attorno a loro fosse improvvisamente scoppiata, facendoli ritornare alla realtà.
«Io non so ballare, lo sai» Disse Emily, mettendo su un finto broncio.
«Non importa» Rispose. «Neanche io sono capace» Confessò poi, sorridendole ironico.
«Allora va bene!»Acconsentì infine lei, sorridente.

Si diressero verso la pista da ballo e, un po’ impacciatamente, posò le sue dita affusolate all’altezza della vita di Emily mentre lei gli sfiorava la spalla con le sue dita. Quando però le loro mani vennero a contatto, provò la strana sensazione di essersi appena scottato e subito distolse lo sguardo, imbarazzato.

Bizzarro: non aveva mai provato questo sentimento così strano quando stava con Emily, era sempre stato certa che lei, per lui, fosse solo una sorella, un’amica molto cara e di vecchia data. Nulla di più.
Eppure, non appena sentì le sue lunghe dita affusolate di intrecciarsi con le sue,  ebbe la sensazione di essere appena stato preso dalla marea e trasportato lontano, molto lontano. Ora c’erano solo loro due in quella sala; nessun altro. O almeno, così gli sembrava.

Cominciò a muovere i passi e lei cominciò a pregare tutti gli dèi a lei conosciuti per fare in modo che non sbagliasse i passi e non gli pestasse i piedi. Era decisamente nervosa e, questo, lui lo notò.

«Perché sei così agitata, Emily? Qualcosa non va? »Domandò a quel punto, sussurrando al suo orecchio.

Vide il suo viso andarle in fiamme, facendola assomigliare più a un papavero che a una ragazzina, e inarcò un sopracciglio, non capendo cosa le stesse succedendo. Vedendola così imbarazzata, nella sua mente fecero capolino i ricordi di poche ore prima, quando il suo viso era a pochi centimetri dal suo e le sue labbra vicinissime alle proprie. A quei pensieri, sentì uno strano senso di agitazione avvolgerlo e non poté fare a meno di chiedersi se, effettivamente, quel suo atteggiamento c’entrasse qualcosa con quello che era accaduto prima.

Cosa le stava succedendo?

«I-Io … non sono affatto agita-ta-t… aah! »  Presa com’era dall’agitazione, Emily aveva cercato di strattonarsi via da lui che, per riflesso, aveva cercato di riattrarla a sé. Così facendo, però, aveva fatto  in modo che la poverina, che aveva perso l’equilibrio, gli pestasse i piedi, facendolo guaire per il dolore.

«Ahia! »Urlò.

Emily si portò le mani alle labbra, mortificata, e i suoi occhi si sgranarono.


«I-Io … sono davvero dispiaciuta! Scusami, Loki! Scusa, scusa … scusa! »Disse, sinceramente dispiaciuta per l’accaduto.

Lui, che ancora si stava massaggiando il piede, stava per risponderle che andava tutto bene , che non si era fatto niente e che lei era ancora la stessa imbranata di sette anni fa. Ma venne preceduto da qualcun altro.

«Loki, cosa stai facendo?» Riconobbe subito la voce di sua Madre, e subito si voltò verso di lei cercando di assumere l’aria meno drammatica o corrucciata che potesse avere. Voltandosi, però, notò che non era sola: accanto a lei c’erano infatti Odino, un uomo di mezz’età e una giovane donna che non conosceva.

Il suo sguardo si focalizzò sulla ragazza al fianco dell’uomo: era molto alta, probabilmente era solo due o tre centimetri più bassa di lui, aveva un fisico asciutto e slanciato e i suoi capelli erano lunghi, morbidi e di uno scurissimo color nero.

Era davvero bellissima.

«Io … mi stavo levando una cosa dallo stivale, madre. » Rispose evasivo, lanciando un’occhiata fugace ad Emily, che sembrava ancora sconvolta per prima.

Frigga non sembrò credere molto alle sue  parole, ma preferì sorvolare e, per questo, le fu grato.

«Loki, vorrei presentarti una persona»Esordì a quel punto Odino, con un grande sorriso compiaciuto sul viso.

Non ne capì la motivazione, ma ebbe un orribile presentimento e sentì il cuore cominciare a pompare con più veemenza, facendogli mancare il respiro.

«Come desiderate, Padre. »Acconsentì, lanciando un’occhiata repentina a Emily che, notò, era improvvisamente sbiancata in viso.

Non ne capì il motivo: cosa c’era di così spaventoso?

«Loki, ti presento Lord Zeus, un mio caro amico. Insieme, abbiamo combattuto i Giganti di Ghiaccio ed è anche grazie a lui che abbiamo trionfato. Questa fanciulla invece è Lady Eris; sua figlia. Sono certo che sarete molto in sintonia.»Dichiarò Odino, felice come non mai.
 
Fece uno dei suoi soliti sorrisi di circostanza e protese la sua mano per poterla stringere a quella di Lord Zeus, subito la stretta venne ricambiata con vigore da quest’ultimo. Subito dopo si rivolse a sua figlia, Lady Eris, e le fece un breve inchino.
 
«È un piacere per me conoscervi, Lady Eris. Vi ringrazio per la vostra presenza» Disse.

Quella sorrise melliflua e assottigliò gli occhi, civettuola.

«Il piacere è tutto mio, principe Loki. Sono certa che la nostra unione sarà duratura e serena. Sono lieta di essere la vostra futura moglie! Aspetto da molto tempo questo momento!» Dichiarò lei, con un ampio sorriso sul volto.
 
…Cosa?
 
Rivolse repentinamente un’occhiata curiosa al padre, disorientato e sperduto.
 
Di cosa stava parlando quella donna?
 
«Padre … cos’è questa storia?»Biascicò Loki, più confuso che altro.
 
Odino gli rivolse un sorriso mesto e lo guardò con il suo unico occhio buono come per dirgli: “sta' calmo e non fare storie. Ti spiegherò tutto più tardi”.

Quando lo capì, sentì il sangue salirgli al cervello: cosa significava quella storia? Era uno scherzo? Lo stavano prendendo in giro? Lo voleva sapere, dannazione. E lo voleva sapere subito!
 
«Madre … » vedendo che suo padre non gli rispondeva, Loki provò a rivolgersi a sua madre; ma anch’ella sembrò far finta di niente e continuò a sorridere accondiscendente a Lord Zeus e figlia.
 
Improvvisamente, sentì qualcosa di piccolo e caldo poggiarsi sul suo petto e, abbassando lo sguardo, si accorse che si trattava della mano della sua “futura sposa”. Subito si scansò da lei, come scottato.
 
«Principe Loki, vi sentite bene? Sembrate sconvolto» Gli domandò Eris, con tono cordiale.

Ebbe l’impressione che il mondo avesse cominciato a girare troppo velocemente; così velocemente che, per un attimo, credette di perdere l’equilibrio e cadere a terra. Non riusciva a crederci, o, meglio, non voleva crederci. Era tutto troppo ridicolo e irrazionale per essere vero, suo padre stava certamente scherzando. Non c’era altra soluzione.

Insomma, non poteva sposare quella donna! Non poteva assolutamente. Aveva piani troppo grandi per prendere moglie. Suo Padre non poteva obbligarlo!

E poi… non l’amava. Ma in fondo, come poteva amare una donna che aveva appena conosciuto? Era impossibile e lui non voleva di certo sposare qualcuno che non amasse. Era fuori discussione.

Solo in quel momento comprese quanto fosse realmente essenziale l’amore in un’unione come il matrimonio. Aveva sempre pensato che fosse solo un semplice rito senza alcun valore, una cosa che non lo riguardasse; ma ora che si trovava in quella situazione, riusciva realmente a comprendere il peso della cosa e di quanto gli stesse gravando sulle spalle.
C’erano tanti di quei sentimenti che lo stavano avvolgendo che, per un momento, si sentì stravolto, stanco e incredibilmente confuso.
Non aveva idea di cosa dire. Sembrava quasi che gli avessero strappato via le corde vocali e che la lingua gli si fosse appiccicata al palato. Apriva e chiudeva le labbra a intermittenza, quasi come se volesse dire qualcosa; ma, non appena cercava di parlare, dalla sua bocca usciva solo aria.

Poi, le parole uscirono prepotenti dalle sue labbra, prima ancora che potesse soppesarle o fare qualcosa per fermarle.
 

«No!».


 




- L’angolino dell’Autrice.
 
 
 
Salve, mia armata (?). La qui presente Harmony394 vi saluta!

Oddio, finalmente ho finito di correggere anche questo capitolo! *me commossa* sono felicissima! Comunque, semmai doveste trovare altri errori di grammatica vi pregherei cortesemente di farmeli notare attraverso recensione o messaggio personale.
Comunque, avrete notato che il personaggio di “Sigyn” è stato sostituito con “Eris”, che è la Dea della Discordia nella mitologia Greca. –Non sono riuscita a trovare qualcosa di simile nella mitologia nordica, perdonatemi. ç_ç. Come si può intuire dal suo “soprannome”, Eris porterà un bel po’ di scompiglio nella storia; spero che mi perdoniate! ^^’’

Spero che possiate perdonarmi per il ritardo con la stesura della storia. Vi prometto che al più presto metterò il decimo capitolo.
Nel frattempo, vi ringrazio per il vostro appoggio. Grazie davvero, siete fantastici. *Si asciuga una lacrimuccia*  ç_ç
Adesso vado, spero che con queste piccole modifiche io possa aver fatto tutti felici. XD


 Lasciate una recensione se vi va! Farete felice una povera anima pia come me, che è ansiosa di sapere cosa ne pensate di questo capitolo!



P.S: GRAZIE MILLE A DARMA PER AVERMI BETATO ANCHE QUESTO CAPITOLO! <3

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Capitolo 10
*** The green-eyed monster. ***


 

~The green-eyed monster.
 
 “Successe tutto in breve tempo.
Lasciandomi sola a guardare, piangendo come Juliet.
Ti ricordi la promessa che ci siamo fatti,
nel corso di un avventura che vivemmo da bambini?
“Tutte eccetto me, tutti eccetto te.”
Il sipario di questa storia non può scendere.
Quel lontano ricordo in cui giocavamo insieme sta svanendo.
(…)
"Sono felice per te, congratulazioni!"
"Voi due sembrate così felici insieme"
Ho mentito con false parole e un sorriso.”

-Mirishira Romeo And Cinderella; Vocaloid.


Attenzione!
Durante questa mia assenza, la storia ha subito dei mutamenti.
Adesso, il personaggio di "Sigyn" è stato sostituito da "Eris" -la Dea della Discordia- e quello di Lord Bragi da Zeus, ovvero suo padre nella mitologia greca.
Spero che la storia possa piacervi lo stesso!
<3


 
 
 
 



«No».

Fu Loki a pronunciare queste parole e, nonostante le avesse solo sussurrate, sembrarono rimbombare per tutta la Sala. Improvvisamente, vide i suoi genitori sbiancare come cenci e Lord Zeus e figlia diventare rigidi come delle corde di violino. Sembrò quasi che tutto intorno a loro si fosse fermato, come in un macabro varietà. La tensione, constatò, era così palpabile da potersi quasi tagliare.

Fu Lord Zeus a spezzare il silenzio.

«”No”, principe Loki? Perdonatemi, ma credo proprio di non capire: cosa vorreste intendere con quel “no” ? Vorreste forse dirmi di non avere intenzione di sposare mia figlia?» Domandò, retoricamente.

Durante il suo discorso, Loki notò come a Lord Zeus stessero tremando le mani per la troppa agitazione. Era un uomo dal fisico atletico, parecchi centimetri più basso di lui, con una folta barba scura e dei profondi occhi chiari. Poteva perfino sembrare un dio buono e accondiscendete ma lo sguardo che gli lanciò fu così penetrante e carico d'ira che Loki credette che, se avesse potuto, lo avrebbe incenerito con il solo sguardo. Sorrise mellifluo a quella constatazione: a volte la gente sapeva essere davvero ridicola.

Non rispose subito alla domanda postagli dall’uomo e non incrociò il suo sguardo irato; lanciò invece un’occhiata risentita a suo padre che, adesso, era livido di rabbia.

Per la prima volta, non gli importò.

Non provò quello strano e fastidioso senso di timore e soggezione che sentiva ogniqualvolta che Odino lo guardava con occhi cattivi e astiosi e non percepì neanche il bisogno impellente di rimediare al danno combinato. Sentì invece l’adrenalina scorrergli su per la schiena e percorrergli la pelle mentre un glorioso senso di supremazia e invincibilità lo stringeva a sé. Era proprio come quando architettava una delle sue malefatte: bellissimo, perfido e grandioso.
Non si era mai sentito così bene.

Sapeva di aver recato una grave offesa a Lord Zeus e sapeva anche di aver disobbedito a suo padre, che non aveva fatto altro che usarlo come una pedina da gioco; ma non gli importò. Era colpa loro: l’avevano usato per i loro piani politici e avevano ignorato deliberatamente la sua volontà, decidendo per lui cosa fosse giusto e cosa invece non lo fosse. E, questo, non andava bene.

Lui non riceveva ordini da nessuno.
Lui faceva quello che voleva, nessuno poteva dirgli quello che poteva fare.
Nessuno. Neanche il Padre degli Dèi.

Si aspettavano forse che rispondesse loro un felicissimo e accondiscendente “sì”,  senza fare storie? Be’, non lo conoscevano abbastanza. Non era fatto per essere sottomesso, poiché era lui a sottomettere gli altri al suo volere, non il contrario. Qualcuno poteva accusarlo di essere egoista, meschino e cinico: ma che lo facessero pure. Non avrebbe comunque ceduto le armi e avrebbe combattuto fino all’ultimo respiro per farsi rispettare. Lui era un ingannatore, un mago e un dio. E gli Dèi non erano fatti per essere governati.

Decise quindi di porre fine a quella questione una volta per tutte.

«Esattamente, Lord Zeus» Dichiarò, tranquillamente. «Non ho intenzione di sposare vostra figlia, in quanto il matrimonio non rientra nelle mie priorità, al momento. Ora, vogliate perdonarmi…» Si congedò con disinvoltura dai suddetti, conscio del fatto che di lì a poco si sarebbe scatenato un pandemonio.
Ghignò a quel pensiero: finalmente un po’ di sano caos.

Si avviò quindi fuori dalla reggia con passo deciso e fiero, degno di un principe qual era, e una volta uscito si beò della sensazione che l’aria fresca gli dava.
L’aria di Asgard era pulita, fresca e profumata; odorava di erba bagnata e di terra. Gli piaceva quell’odore, gli ricordava i momenti in cui da bambino giocava nei boschi in compagnia di Emily. Pensandola, si rese conto che prima, dopo che si era voltato per uscire fuori dalla reggia, non l’aveva vista da nessuna parte. Un punto interrogativo gli si formò in testa e, istintivamente, si chiese dove potesse essere andata e perché si fosse allontanata così di colpo.
I suoi dubbi vennero dissipati non appena alle sue orecchie arrivò un suono rotto e basso, simile a quello di un guaito. Subito, scattò sull’attenti; come se fosse stato un cane da guardia che cercava  di scovare la sua preda. Stette in silenzio, pronto a percepire nuovamente uno di quei lamenti, che però non arrivò.

Stanco, si disse che probabilmente se lo era solo immaginato.

Fece per proseguire, ma qualcosa lo fece arrestare. E di nuovo, Loki lo sentì: più forte e disperato di prima.

Un singhiozzo.

Prontamente, si voltò nella direzione da dove era provenuto il lamento e, con passo veloce, quasi sapesse già chi ci fosse dall’altra parte dell’aiuola, si ci recò. Non appena varcò il sentiero che conduceva al giardino interno, scorse la solita fontana in marmo che si vedeva sempre dall’alto delle sue stanze e, più in fondo, qualcuno seduto su di essa. Attraverso il riflesso dell’acqua non riusciuva a intravedere bene chi fosse, ma era quasi del tutto certo che si trattasse di una donna. Fece per avvicinarla con cautela, quasi temesse che scappasse via, e quando con discrezione  si accorse di chi si trattava ebbe come la sensazione di aver appena ricevuto un pugno al centro del petto.

Emily

Fece per andarle incontro con passo veloce, curioso di sapere cosa la turbasse. Quando le arrivò di fianco, scoprì che non si era sbagliato e che Emily stava davvero piangendo. Improvvisamente, la ragazza si voltò con aria sorpresa e Loki s’accorse di come le sue pupille fossero rosse di pianto. Emily non gli parlò, ma lo ammazzò con un’occhiata quasi volesse dirgli: “Tu mi hai ridotta così“.

A quella vista, tutto l’entusiasmo e l’adrenalina che aveva provato poco prima si dissolsero completamente. Ed ora, al loro posto, un fastidiosissimo senso di claustrofobia e ansia si era fatto spazio dentro di lui; scavandogli dentro.

Calò un silenzio assordante tra di loro e Loki notò che nell’aria c'era una strana atmosfera, quasi di pericolo imminente. Era come se, di lì a poco, sarebbe dovuta accadere una delle peggiori catastrofi. Istintivamente, si irrigidì come se fosse stato una statua di cera.
Aprì la bocca, nel tentativo di dire qualcosa, ma, prima che potesse iniziare a parlare, Emily lo precedette.

«Congratulazioni.» Disse spostando lo sguardo altrove. «Siete proprio una bella coppia.» Aggiunse, tirando su col naso.
«Di cosa stai parlando?» Domandò lui, alzando un sopracciglio.

Lei gli lanciò uno sguardo di sbieco e s’alzò in piedi, fronteggiandolo, le braccia conserte e il naso all’insù.

«Del tuo matrimonio, ovviamente. Sono felice per te: sembrate davvero una bella coppia.» Rispose, cercando di sorridere, e lui non poté far altro che constatare che, nonostante fossero passati tutti quegli anni, non fosse cambiata neppure di una virgola. Era ancora la solita bambina di dieci anni incapace di mentire. Era evidente che fosse turbata, glielo si leggeva in faccia. Poteva vederlo dalla sua fronte aggrottata, le labbra dischiuse in un malcelato sorriso di circostanza e le sue gote ancora rigate da alcune striature lasciate dalle lacrime.

Emily non era mai stata brava quanto lui a mentire. Ci aveva provato svariate volte, ma mai c’era davvero riuscita. E a lui andava bene così; non gli piaceva che qualcuno provasse a ingannarlo, specialmente se quel qualcuno era lei.
Decise quindi di toglierle una volta per tutte la maschera che portava.

«Ah, ma davvero?» Domandò quindi,  ironico.
«Ti sembra la faccia di una che scherza?» Rispose acida lei.
«Affatto. Più che altro, mi sembra il viso di qualcuno incapace a mentire».

Emily si irrigidirsi e le sue guance iniziavano a colorarsi di un vermiglio rosso acceso.

«Chi ti dice che io stia mentendo?!» Chiese, irritata.

Lui fece un ghigno e si avvicinò a lei, che arretrò di alcuni passi.

«Non puoi ingannare l’Ingannatore, Emily. Dimmi la verità: perché piangevi? » La sua voce era cauta e bassa, quasi come se avesse paura di dire qualcosa di sbagliato e indurla così a fuggire via. Non voleva che se ne andasse, voleva solo capire.

La vide assottigliare gli occhi e stringere le labbra, infastidita.

«Non sono affari che ti riguardano!» Gli urlò a pieni polmoni. «Lasciami in pace!» Aggiunse poi. Subito dopo, Loki la vide sgusciare via da lui come se fosse stata un qualche tipo di serpente molto veloce e difficile da prendere ma lui, repentinamente, le afferrò il polso. Poi, la tirò verso di sé con una facilità tale che, per un momento, pensò che fosse fatta di sola aria.

Adesso erano a una distanza quasi inesistente. Si fissavano entrambi insistentemente, ma non parlavano e nessuno dei due sembrava voler dar cenno di distogliere lo sguardo dall’altro. Emily aveva lo sguardo truce di chi aveva visto qualcosa di molto sgradevole, mentre Loki gli occhi spaesati di chi desiderava comprendere cosa stava succedendo, ma non ci riusciva.
Il suono del silenzio, in quel giardino, era assordante, e lui non riusciva più a sopportarlo. Aveva sempre amato la solitudine e, alle volte, la voce squillante e allegra di Emily gli portava non poco fastidio; ma adesso, in quel giardino, desiderò con tutto se stesso che parlasse, che gli urlasse contro, che lo insultasse … che  gli dicesse qualcosa. Qualsiasi cosa.

Non lo fece e, allora decise di prendere lui stesso la parola.

«Perché?».

Fu una sola singola parola a uscire dalle sue labbra, eppure, l’impatto che ebbe su Emily fu così forte che, per un istante, la sentì rabbrividire e irrigidirsi come una statua. Vide l’irritazione sparire dai suoi occhi mentre un velo di malinconia faceva capolino dentro di lei. Si morse il labbro, forse per trattenere le lacrime, forse per rabbia. Non lo scoprì mai. Fatto sta che, in quel momento, gli parve così piccola e fragile che credette di avere dinanzi a sé un piccolo uccellino spaventato e non più la fanciulla impertinente e dalla lingua lunga che conosceva.

Improvvisamente, Emily dischiuse le labbra, come a voler dire qualcosa, ma non appena alzo lo sguardo su di lui la vide arrestarsi di colpo e sbarrare gli occhi in un chiaro segno di sorpresa. Subito, si voltò e così facendo riuscì ad incontrare il riflesso di due occhi d’ambra che lo scrutavano, maliziosi. Sussultò spaventato, ma, non appena riconobbe la figura della donna dietro di sé, il suo battito cardiaco si calmò.

«Lady Eris… mi avete spaventato» Biascicò, passandosi una mano fra i capelli. «Mi auguro che non siate qui per la faccenda successa prima nella Sala del Trono. In tal caso, ci terrei a precisare che sono molto amareggiato per l’accaduto, ma confido che possiate comprendermi» Disse poi.

La dea non si scompose e, sorridendo, poggiò delicatamente una mano sul suo petto, irritandolo oltre ogni limite. Odiava farsi mettere le mani addosso.

«Lady Eris--».
«Quindi, è questa la causa del nostro mancato amore, Principe Loki?» Miagolò con una lieve nota di tristezza nella voce indicando Emily e, subito dopo, la sua mano che era ancora serrata tra le sue dita. Immediatamente, quella ritrasse la mano dalla sua, come se si fosse appena scottata.

A quel gesto, un sorriso mellifluo si dipinse sul volto della Dèa del Caos che subito cercò di riavvicinarsi a lui, cercando un contatto.

«Un’umile servitrice del Regno?» Domandò poi, il timbro della voce suadente e persuasivo.

Prima che potesse risponderle qualcosa, Emily prese la parola.

«No. Vi sbagliate, avete equivocato tutto. Io sono solo un’amica d’infanzia. Niente di più. Mi dispiace che abbiate pensato qualcosa di simile, mia signora, non era mia intenzione dare una tale visuale delle cose. Ora, con il vostro consenso, preferirei ritornare a casa. Sono molto stanca.» La sua voce risuonò bassa e flebile, quasi come se sussurrasse. Poi, si voltò dalla parte opposta e fece per andarsene, ma venne prontamente fermata da Eris.

«Fermati!» Fu l’ordine della donna e, subito, Emily si arrestò. Poi si girò, con lentezza quasi palpabile, verso di loro. Nei suoi occhi poteva benissimo leggersi la confusione e l’irrequietezza di chi voleva scappare via. Non parlò, ma rivolse a Eris un’occhiata dubbiosa e accigliata.

«Resta dove sei.» Continuò quella, sogghignando, e avvicinandosi a lei col passo sensuale e felino di chi sapeva il fatto suo.

Loki vide che Eris superava Emily di diversi centimetri e che, al suo confronto, lei sembrava davvero uno scricciolo. Probabilmente doveva averlo notato anche la dea, poiché le vide comparire sul volto un sorrisetto astioso e derisorio che non gli piacque per niente.

«Come ti chiami?» Domandò Eris con tono canzonatorio.
«Emily.» Fu la pronta risposta della ragazza.
«Emily? Hai un nome davvero insolito per essere un’asgardiana».
Lo sguardo di Emily si rabbuiò. «I miei genitori amavano molto Midgard, era il Regno che preferivano in assoluto. Infatti, combatterono contro i Giganti di Ghiaccio per proteggerlo. Ne rimasero uccisi e io fui affidata a mia zia. Non avevo ancora un nome, quindi mi fu dato questo, che è originario di quel Regno, in onore dei miei genitori» Spiegò, senza distogliere lo sguardo.

A quelle parole, Loki sentì una morsa stringergli il petto. Non aveva mai sentito quella storia, poiché Emily non gliela aveva mai raccontata. Probabilmente, lo aveva fatto per non rievocare ricordi del passato e farlo sentire in imbarazzo, eppure percepì quel gesto come una mancanza di fiducia nei suoi confronti e ne fu ferito.

«Non sapevo che il tuo nome fosse originario di Midgard» Si intromise.
«Non me l’hai mai chiesto» Rispose quindi lei, voltandosi.
«Non credevo ci fosse bisogno di chiedere queste cose. Pensavo fosse normale saperle.».
«Infatti. Ma a quanto pare, tu non le sapevi».
«Adesso basta!» La voce alterata e femminile di Eris fece sobbalzare entrambi. «Non sono venuta fin qui dal Regno di Midgard per assistere ai vostri battibecchi, Principe Loki.».

Preso alla sprovvista,Loki strabuzzò un po’gli occhi, sbigottito dalla strana reazione della dèa. Dopodiché, sorrise beffardo nella sua direzione; voleva vedere fino a che punto si sarebbe spinta. La situazione stava cominciando a prendere una piega interessante.

«E perché siete dunque qui, Lady Eris? Come vi ho già detto, non ho intenzione di prendere moglie e, quindi, la vostra presenza è inutile.» Rispose, divertito dalla situazione.

Sentì Emily sussultare accanto a lui, sorpresa. Probabilmente, pensò, non si aspettava una reazione del genere da parte sua. Ma quando la sentì tirare un grosso sospiro di sollievo, si sorprese non poco e la sua fronte si aggrottò, accigliato.

«Voi dite?» Fu la voce suadente e cristallina di Eris a distoglierlo dal suo momentaneo stato di sorpresa, facendolo ritornare coi piedi per terra. «Be’, allora mi perdonerete se vi do dell’egoista e dell’arrogante. Pensate solo a voi stessi. Non avete pensato che, a causa dei vostri sciocchi desideri, tutta Asgard cadrà in rovina? Per mano vostra, tutto il Regno cadrà a pezzi!» Sbraitò la donna, furente.

Notò che il discorso che aveva fatto era rivolto a lui solo il parte: infatti, constatò con non poca sorpresa, che la sua ultima frase non era stata rivolta ad Emily. Vide gli occhi ambrati della dèa lampeggiare di invidia e rancore mentre, con ostentata sicurezza, le rivolgeva uno sguardo di puro rancore e odio.

Desiderò risponderle che si sbagliava. Che lui teneva ad Asgard come una madre  ai propri figli e che, una volta che sarebbe divenuto Re, l’avrebbe portata alla gloria eterna. Avrebbe voluto dirgliele queste cose, ma era come se la lingua gli si fosse appiccicata al palato, impedendogli di parlare, e dunque  rimase in silenzio; un nodo allo stomaco e la voglia matta di urlare bloccata nel petto.

Poi, una voce esplose.

«Non è vero!».

Con sua enorme sorpresa, si accorse che fosse stata Emily a parlare. La sua voce, chiara e minuta, risuonò forte come un ruggito nel silenzio che si era venuto a creare. Si voltò e incrociò il suo sguardo: era arrabbiato. Furente. Una strana luce brillava nei suoi occhi: era battagliera, coraggiosa e di sfida. Per un momento, stentò a riconoscerla.

«Loki non è un egoista!» Urlò a pieni polmoni. «Lui ama Asgard! Farebbe di tutto per proteggerla! Tu ...  tu sei nel torto!».

Nonostante l’atmosfera fosse tagliente come la lama di un coltello e l’aria fosse pesante e soffocante, Loki si sentì improvvisamente più sollevato. Lo stesso non poteva dire per Eris, la quale aveva assunto un’espressione piena di rancore e rabbia che deformava i suoi lineamenti femminili e sensuali.

«Come osi rivolgerti così alla Dèa del Caos? Chi ti credi di essere, piccola impertinente?» La sua voce era dura e minatoria, segno di chi aveva ormai perso la pazienza. Questo a non gli piacque affatto e nemmeno a Emily che  rabbrividì alla vista dell’ira della dèa. Decise quindi di intervenire.

«Basta così, Eris. Questa faccenda finisce qui. Non ci saranno più dispute. Se tu e il tuo popolo avrete intenzione di attaccare Asgard, ti assicuro che io sarò il primo a scendere in battaglia e difendere la mia patria. In caso non fosse così, ti pregherei di andartene senza ulteriori indugi. Fallo, e avrai per sempre la mia riconoscenza e la mia gratitudine» Dichiarò con solennità.

Quella sorrise, sprezzante.

«Cosa me ne faccio della tua gratitudine, piccolo principe? Quello che tu mi hai rivolto è stata una grave offesa e pagherai per questo affronto. Io, Eris, Dèa del Caos e della Discordia,  ti prometto che questa tua azione non resterà impunita. Dunque preparati, Loki di Asgard, a provare il più acuto dei dolori.» Non c’era nessuna traccia di divertimento nel suo tono di voce, solo odio e perfidia.

Nonostante ciò, non si scompose e continuò a tenere alto lo sguardo, senza mai distoglierlo. Mostrarsi debole in quel momento sarebbe stato come firmare la sua dichiarazione di resa. Inoltre, scusarsi non era nel suo stile; preferiva fossero gli altri a farlo, non il contrario. Sorrise mellifluo e, con un breve cenno del capo, intimò ad Emily di andare via. Voleva discutere quella questione da solo.

In un primo momento, la ragazza sembrò protestare, ma, non appena incontrò il suo sguardo di fuoco, non poté fare a meno di obbedire. Quindi, con malcelata irritazione, fu costretta a ritirarsi all’interno della reggia.

Una volta che Emily fu andata via, ci fu un breve momento di silenzio fra lui ed Eris, rotto soltanto dal frusciare delle fronde degli alberi nelle vicinanze e dal mormorio che poteva ancora udirsi dall’interno della reggia.
«Mi piacerebbe proprio sapere come  farai a farmela pagare.» Disse a un tratto, avvicinandosi a lei a passo volutamente lento. «Una guerra? Un complotto? Cos’hai in mente, Eris?» Domandò, beffardo.

Quella sorrise, suadente, e gli si avvicinò con passo accattivante: aveva uno strano sorriso sul volto e la sua mano destra si era andata a poggiare sul suo fianco destro, in un impeto alquanto provocatorio.  Bella quanto fatale,  pensò istintivamente. Si irrigidì non poco quando, con delicatezza, Eris si avvicinò a lui e gli spostò una ciocca di capelli neri dall’orecchio, pretenziosa.

«Oh, ve lo direi, se potessi, principe Loki» Sussurrò il suo nome con una lentezza tale che sentì un brivido salirgli su per la schiena. «Ma non me ne vogliate se vi dirò che preferisco che lo scopriate voi stessi. Spero solo che diffidiate dal mostro dagli occhi verdi, poiché sarà lui che vi porterà alla rovina.» Sussurrò ridendo, mentre si allontanava.

Loki cercò di capire il significato di quelle parole, ma, per quanto si sforzasse, nella sua mente aleggiava il nulla più totale. Non riusciva proprio a comprendere a cosa si riferisse Eris parlando del “Mostro dagli occhi verdi”. Forse si trattava di qualche belva feroce che avrebbe sguinzagliato lei stessa, o forse di qualche incantesimo dai toni verdastri. Non lo sapeva e, in verità, non intendeva proprio saperlo. Sapeva, però, che di qualunque cosa si sarebbe trattato, l’avrebbe affrontata. Fece quindi per rivolgersi a lei, quando si voltò, notò che non c'era più nessuno.

Sorpreso, sbatté più volte le palpebre: forse era semplicemente ritornata al palazzo. Probabile. Decise di non pensarci e, con passo veloce, fece per andare da Emily per riprendere la conversazione che avevano lasciato in sospeso.

Non gli ci volle molto per trovarla; infatti, la pestifera gli aveva fatto credere di essersi recata di nuovo alla reggia, ma invece era rimasta lì per tutto il tempo. Colta con le mani nel sacco, sul suo viso si dipinse un’espressione tra il sorpreso e l’imbarazzato che gli ricordò molto quella di una bambina che era stata trovata con le dita nella marmellata. Fece per assumere un cipiglio severo, quasi di rimprovero, ma, notando che la sua faccia era divenuta rossa come un pomodoro non poté fare altro che scoppiare a ridere.

«Cosa ci trovi da ridere?» Domandò quella, piccata.

Cercò di calmarsi e, con delicatezza, le spostò una ciocca di capelli dietro l’ orecchio. In quel breve frangente di tempo, si accorse di quanto quel piccolo gesto gli fosse mancato. Sorrise nostalgico e, con tono canzonatorio, le disse: «Avevi il viso rosso ed eri buffa. Tutto qui».

Quella, colta alla sprovvista, annuì lievemente col capo e distolse lo sguardo da lui, imbarazzata.
Tutto parve improvvisamente calmarsi. Eris era andata via, lui era più tranquillo ed Emily aveva smesso di piangere. A quel pensiero, non poté fare a meno di riproporsi quel quesito: perché stava piangendo? Poco prima di essere interrotta, la ragazza sembrava stesse per dirglielo ma, purtroppo, non aveva fatto in tempo. Curioso, decise di ridomandarglielo; questa volta nessuno li avrebbe interrotti.

«Sto ancora aspettando una risposta» Dichiarò, con voce neutra.

Emily, intuendo a cosa dovesse riferirsi sussultò appena e si irrigidì; poi, distolse velocemente lo sguardo.

«A cosa?» Chiese.
«Lo sai».
«No che non lo so» Rispose velocemente.

Sospirò spazientito: quando voleva, sapeva essere davvero cocciuta.

«Perché prima stavi piangendo?» Domandò quindi schiettamente, incrociando le braccia al petto.

Emily non rispose e ciò non fece altro che infastidirlo; stava cominciando a innervosirsi. Voleva una risposta, e la voleva subito.

«Emily … » La chiamò, nel tentativo di spronarla a parlare.
«Mi era andata una cosa negli occhi.» Rispose, evasiva.

A quella risposta, sbuffò spazientito e roteò gli occhi.

«Vorrei che mi dicessi la verità, per cortesia» Le disse poi, piccato.

La vide volgere il suo sguardo verso il basso, mentre cominciava a  mordicchiarsi il labbro inferiore e a torturarsi i capelli. Loki pensò che, di questo passo, non gli avrebbe mai dato una risposta.
«Ecco … è solo che … ».
«Che?» La incalzò.

Emily prese un profondo respiro, aprì la bocca e finalmente parlò. Gli disse cosa c’era che non andava e si chiarirono. Poi, tornarono al palazzo.

O almeno, questo era quello che sarebbe dovuto succedere.

Invece, con parecchia irritazione da parte sua, venne nuovamente interrotta. Questa volta però a disturbarla non fu Eris, bensì Thor. Infatti, poco prima che potesse finalmente esporre la causa del suo malessere emotivo, la voce di suo fratello risuonò grossa e possente nelle orecchie dei due ragazzi, che, nel sentirlo arrivare, sobbalzarono di colpo. Con malcelata irritazione, si voltò verso di lui e, non appena lo vide, dovette frenarsi dal lanciargli una delle sue maledizioni.
Thor stava camminando verso di loro con un sorriso tronfio sulle labbra e l’elmo alato sul capo. Indossava una delle sue migliori armature e il mantello rosso che gli ricadeva giù per la schiena gli conferiva un’aria possente e di supremazia. Nonostante ciò, Loki lo trovò decisamente ridicolo.

«Finalmente ti ho trovato!» Esclamò. «Ho una splendida notizia da darti!» Aggiunse.  Poi, notando Emily, le rivolse un sorriso gioviale e le baciò il dorso della mano, facendola arrossire prepotentemente. « Buonasera, Emily. Sei incantevole stasera!» Le disse, ammaliatore. Loki roteò gli occhi infastidito.
Emily fece un piccolo cenno di ringraziamento col capo e nel suo sguardo scorse che il ringraziamento fosse più per il fatto che l’avesse appena salvata da quel discorso scomodo, che per il complimento appena ricevuto. Nonostante ciò, non poté evitare di provare una fastidiosissima morsa allo stomaco e l’irrefrenabile voglia di prendere a calci Thor fremere in lui.

«Dicevi, Thor?» Domandò a quel punto, irritato.

Il dio, a quel richiamo, smise di osservare Emily e rivolse la sua attenzione a lui. Subito, sul suo viso comparve nuovamente il sorriso tronfio di poco prima.

«Lord Zeus ha ritirato la sua richiesta di matrimonio! Lui e Padre hanno avuto una chiacchierata e la conclusione è stata quella dell’annullare le nozze. Inoltre, Lady Eris è stata sorprendentemente d’accordo all’annullare tutto. Sono molto felice per te, fratello. In fondo, sappiamo entrambi di non essere portati per il matrimonio, eh?» Dichiarò gaio.

A quelle parole, non poté fare a meno di tirare un grosso sospiro di sollievo.

Non si sarebbe sposato. Non ancora.

Pensò che quello fosse stato il miglior regalo che avesse potuto riceve in quella serata. La sua libertà era stato il miglior dono di tutti. Fu pervaso da un improvviso attacco di felicità, quasi di gioia. Gioia che venne subito sovrastata dal senso di irrequietudine e ansia che gli aveva appena attanagliato lo stomaco in una stratta quasi mortale.

Perché Lady Eris aveva ritirato la proposta? Che c’entrasse qualcosa con il suo piano?

Come prima, decise di non pensarci. Cercò invece di lasciarsi andare e di godersi finalmente la propria festa. Ripensandoci, quello era stato uno dei compleanni più movimentati che aveva mai avuto.

«Un’altra cosa,» Esclamò a quel punto Thor, improvvisamente serio. «Padre vuole vederti».

E, di nuovo, sentì tutte le preoccupazioni piovergli addosso come se fossero state delle secchiate di acqua gelata. Pensò che Padre avrebbe voluto punirlo, probabilmente lo avrebbe rinchiuso nelle sue stanze per giorni interi. O, forse, lo avrebbe privato dei suoi poteri per alcune ore, o peggio, giorni. Il solo pensiero lo faceva rabbrividire i, non osava neppure  immaginarsi una vita priva della sua magia; era orribile solo pensarlo.

Deglutì e, cercando di mantenere la sua solita aria composta e seria, si erse in tutta la sua statura.

«Allora sarà meglio non farlo aspettare.» Dichiarò, serio. Poi, si diresse con passo veloce verso la reggia, ansioso di sapere cosa Padre avrebbe avuto in serbo per lui. Nel tragitto, notò con la coda dell’occhio come Emily e Thor stessero parlottando fra di loro, affiatati. Era alcuni metri lontano da loro e quindi non riuscì a comprendere del tutto ciò che si stavano dicendo, ma quello che riuscì a sentire bastò per far scattare in lui un campanello d’allarme.

«Ti ricordi quando da bambini giocavamo alla lotta? Eri davvero un maschiaccio, tu! È sorprendente vedere quanto sei cambiata in questi anni. Non sembri più tu!» La canzonava Thor.
«Non è vero! Sono sempre stata così! E poi, eri tu che mi insultavi; io mi difendevo soltanto! » Obiettò quella, ridendo.
«Be’, ci terrei a farti sapere che ho ancora uno dei graffi che mi sono procurato durante una delle nostre lotte. Proprio qui, guarda!».

Non seppe esattamente cosa provò nel sentirli parlare così fittamente, ma Loki fu certo che non doveva essere nulla di buono. Era come quando era bambino ed Emily correva a giocare con Thor, Sif e gli altri suoi amici, lasciandolo solo. In cuor suo, sapeva che non c’era nulla di male, poiché Emily non era di sua proprietà ed era libera di giocare con chi voleva, ma, nel profondo, non poteva fare a meno di provare un sentimento contrastante e che gli faceva rivoltare lo stomaco: era come se qualcuno lo avesse rinchiuso in uno spazio troppo piccolo dalla quale non poteva scappare. Si sentiva soffocare lì dentro, voleva uscire, respirare.

Ecco come si sentiva: oppresso.

Si sentiva oppresso da tutte quelle emozioni che non facevano altro che annebbiargli la mente e mandarlo al delirio. Avrebbe voluto urlare, dire che non voleva che Emily giocasse con qualcun altro che non fosse lui e strattonarla via da quegli stolti. Ecco cosa avrebbe voluto fare.
Nonostante ciò, sapeva fin troppo bene di non poterlo fare e, quindi, non gli rimaneva altro che rimanere lì, inerme, ad aspettare che Emily ritornasse da lui e che gli richiedesse per l’ennesima volta di giocare insieme a lei, Thor e i suoi stupidi amici.

Con questi pensieri per la mente, non si accorse nemmeno di aver smesso di camminare da alcuni minuti e di essere rimasto immobile sul sentiero che doveva riportarlo al palazzo. Ridestatosi, si guardò intorno e, con un tuffo al cuore, scoprì che Emily e Thor erano già parecchi metri davanti a lui e che stavano ancora parlottando tra di loro. Probabilmente, non si erano neppure accorti della sua assenza.

In una vampata di rabbia, strinse i pugni e stridette i denti, tendendosi come una corda di violino. Improvvisamente, nella sua mente riaffiorarono le parole pronunciate da Eris poco prima del suo congedo: Diffidiate dal mostro dagli occhi verdi, poiché sarà lui che vi porterà alla rovina.

E finalmente, capì il significato di quelle parole: le comprese appieno. E, con un sorriso amaro sul volto, si disse che lui, quel mostro dagli occhi verdi, lo conosceva già da un bel po’ .

Poiché altri non era che lui stesso.




 
 
-Note dell’autrice.



È un miraggio? No!

È un’illusione – creata appositamente da Loki stesso? No!

È un sogno? Neanche!

È la realtà? Ebbene sì, miei carissimi.

Finalmente, dopo lunghissimi mesi di assenza – perdonatemi vi prego. Vi giuro che non mancherò mai più per così tanto tempo! Prometto! ç^ç –  eccomi di nuovo qui con un nuovo e lunghissimo capitolo!
Come potete ben vedere, il personaggio di Sigyn è ormai sparito dalla storia e, al suo posto, è entrata la nostra cara (?) Eris; direttamente da Midgard.
– Facciamo finta che qui sulla Terra ci sono gli dèi greci, ok? Ok. – Come avrete potuto notare, i rapporti fra i Eris e Loki non sono stati dei migliori e alla fine la Dea se n’è uscita con una maledizione in stile strega cattiva. E vabbè.

Un’altra cosa, in questo capitolo ci sono alcune citazioni da parte di famosi scrittori: la prima, è di Ugo Foscolo mentre la seconda è di William Shakespeare - autore che, personalmente, amo. Ditemi se riuscite a trovarle, in tal caso le scriverò nel capitolo successivo :)

Spero che il capitolo vi sia piaciuto e mi scuso ancora per il ritardo immenso. Colgo l’occasione per dirvi grazie per essere rimasti comunque un numero così ampio! Siete circa in cinquanta a seguire la storia! Vi ringrazio di cuore.

 
Vi auguro una buona domenica!<3



P.P.S: Ho aperto un nuovo profilo su Facebook. Se qualcuna\o di voi vuole aggiungermi lì, sarò contenta di conoscerla\o. In questo profilo metterò: foto, video, news, spoiler e moltissimo altro ancora sulle mie storie. Inoltre, sarà un modo come un altro di conoscerci :)

Link del sito: http://www.facebook.com/harmony.efp.9
 
Un "GRAZIE MILLE!" va a Darma per aver corretto anche questo capitolo! Grazie mille! <3

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Capitolo 11
*** Lies. ***


~Lies.

Mi piacerebbe andarmene questa volta.
Interrompendo tutti i miei legami.
Senza essere più
L'uso per qualsiasi travestimento.
Bugie, bugie, bugie.


Black Keys (The) - Lies

 




 
Non ci volle molto a Loki per arrivare di fronte ai cancelli che portavano a una delle tante sale del palazzo.

Infatti, dopo essere rinvenuto dalla sua “trance momentanea”, non esitò a dirigersi con passo spedito e veloce verso la sala dei ricevimenti, il cuore in gola e la testa piena di pensieri. Non aveva dimenticato le parole che suo fratello gli aveva rivolto prima di dileguarsi da lui – in compagnia di Emily –  che dicevano che Padre desiderasse parlargli. Inoltre, anche se Thor non gli aveva effettivamente detto cosa Padre volesse riferirgli, in cuor suo sapeva già la risposta.

Infatti, era più che certo che Odino desiderasse punirlo per il comportamento da lui adottato poco prima. Nel pensarci, gli vennero subito in mente le parole piene di odio e sadismo che Eris gli aveva rivolto poco prima e, mentalmente, si disse che, se avesse mantenuto la calma e non si fosse fatto prendere dal panico, probabilmente sarebbe riuscito a risolvere quella situazione tanto sconveniente per tutti. Si passò una mano sul viso e si disse che, la prossima volta, avrebbe dovuto fare più attenzione, poiché, se adesso si trovava in quel guaio, la colpa era solamente sua.
Inoltre, c’era anche il problema che, nonostante Lord Zeus e Padre avessero chiarito pacificamente la questione, restava il fatto che lui lo avesse offeso e che, quindi, ora ne avrebbe dovuto pagare le conseguenze.

Immediatamente, nella sua mente si formarono mille e mille pensieri e, fra di essi, il più impellente era sapere come suo padre lo avrebbe punito.

La reclusione? No, troppo scontato.
La tortura? Per gli dèi, no. Insomma … non aveva mica ucciso qualcuno.
O forse lo avrebbe privato dei suoi poteri? Fra le tre, questa era certamente la più probabile.

Deglutì a fatica a quel pensiero: non riusciva a immaginarsi una vita senza la magia, che era sempre stata la sua arma di contraddizione, l'elemento che lo contraddistingueva da tutti gli altri asgardiani. La magia era tutto per lui; era il suo modo di esprimersi, il suo rifugio … era tutto. Il solo immaginarsi senza lo faceva impazzire.

«Principe Loki.» Improvvisamente una voce roca e astiosa lo distolse dai suoi pensieri e lo fece sobbalzare. Voltandosi, constatò che il suono era provenuto dalla bocca sottile e barbuta di un uomo di circa quarant’anni, una guardia. Subito si raddrizzò in tutta la sua statura e cercò di riprendere il controllo di se stesso, sperando di non cadere vittima della sua stessa mente; per tutti i Nove Regni, lui era un principe! Anzi, era il principe Loki, figlio di Odino e quindi mostrarsi debole era fuori discussione.

«Sì, soldato?»Chiese quindi, nel modo più neutrale possibile.

Quello chinò lo sguardo e cercò di non guardarlo dritto negli occhi «Mi domandavo se qualcosa non andasse ... mio signore»Rispose poi.  «Avevate lo sguardo assente da alcuni minuti … mi chiedevo se potessi fare qualcosa per voi» Dichiarò.

Loki stette in silenzio per alcuni secondi, ma, dopo un po’, un sorriso gli illuminò il volto smunto.

«Sì che puoi farla. Ti pregherei di scortarmi dinanzi al tuo Re, mio padre, immediatamente. Sono certo che mi stiano aspettando»Esalò.

L’uomo non se lo fece ripetere due volte e subito fece come gli era stato ordinato: aprì, con una spinta, i cancelli e una volta entrato dentro urlò a tutti i partecipanti di zittirsi poiché il Principe Loki era appena rientrato in Sala. L’uomo dovette essere convincente perché, non appena lui oltrepassò la soglia della porta, tutta la cacofonia di voci concitate e ansiose che si mischiavano fra di loro ammutolì repentinamente. Con passo veloce e fiero, si avviò al cospetto del trono dove sedeva suo Padre che, accompagnato da Frigga e un furente Lord Zeus, lo scrutava con occhi acquosi e torvi.  

Cercò di non curarsi di loro e, tenendo la testa alta, si guardò intorno, scorgendo così miriadi di occhi sconosciuti aventi l’aria sorpresa e curiosa. Non capì il motivo di quegli sguardi così strani e sospetti ma, troppo preoccupato com’era per la punizione che avrebbe dovuto ricevere a breve, non se ne curò più di tanto. Arrivato infine di fronte a loro, si inginocchiò, in segno di rispetto. Tenne lo sguardo basso mentre, in cuor suo, sperava che il castigo che avrebbe ricevuto non risultasse troppo severo.

«Padre degli dèi … » Sussurrò, cercando di avere un contatto con Odino che, stranamente, non disse nulla.

A quel gesto, con il cuore che continuava a battergli forsennato nel petto, cominciò a porsi delle domande: si chiese cosa stesse succedendo, perché i sudditi continuassero a scrutarlo con occhi sorpresi e attenti e, soprattutto, la causa del perché suo padre non avesse ancora accennato a proferire parola. Prima che potesse darsi una risposta a queste domande, vide, con la coda nell’occhio, sbucare da dietro una colonna Thor; l’andatura fiera e possente. Dopo che Odino gli ebbe fatto un cenno col capo, si diresse con passo veloce e schietto giù per la scalinata in oro che lo distanziava da lui che, vedendosi affiancare dal fratello, assunse un’aria stupita e incredula.

«Cosa stai facendo?» Gli sussurrò poi quando anche Thor si inginocchiò al cospetto del Padre degli dèi.
Thor volse il suo sguardo azzurro verso il suo e gli sorrise beffardo.
«Lo vedrai» Rispose.

Ancor prima che potesse capire cosa stesse succedendo, Odino si alzò dal suo trono e si erse in tutta la sua statura; lo sguardo fisso sulla folla ai suoi piedi.

«Parecchi anni fa, mia moglie diede alla luce i miei due figli: Thor Odinson e Loki Odinson, entrambi destinati a regnare su Asgard. Quest’oggi, il mio secondogenito ha compiuto la maggiore età e quindi ha finalmente raggiunto anche lui il diritto di poter succedermi alla mia morte e affiancare Thor nelle sue imprese. Ma, per quanto affetto io nutra nei confronti dei miei due figli, le Sacre Scritture impongono chiaramente che solo uno di loro potrà governare su Asgard e divenirne il legittimo Re. Quindi, in occasione del ventunesimo compleanno del mio figlio minore, bandisco una sfida e chi dei due miei figli ne uscirà vincitore diverrà il futuro erede al Trono di  Asgard. Così è deciso!» Concluse Odino, facendo scoppiare la Sala in un boato di scalpitanti urla d’incitamento e approvazioni.

Nel momento stesso in cui ebbe finito di parlare, Loki sentì il fiato mozzarsi e il suo cuore battergli in modo forsennato. Intorno a lui era divenuto tutto improvvisamente ovattato e confusionario mentre nella sua mente una miriade di pensieri esplodevano in contemporanea.

Non riusciva a crederci… non riusciva a crederci! Finalmente, dopo anni e anni passati all’ombra di Thor, poteva finalmente uscire allo scoperto e mostrare a tutti di che pasta fosse fatto. Quel giorno che tanto aveva agognato era lì … davanti ai suoi occhi! E non se ne sarebbe andato! Sarebbe rimasto lì, portandolo alla gloria, all’ammirazione … al trono. Improvvisamente, una scossa d’euforia lo trapassò da parte a parte e un brivido d’eccitazione gli risalì su per la schiena, facendolo fremere. Prima ancora che potesse rendersene conto, era già scattato in piedi, subito seguito da Thor –anche lui visibilmente eccitato, con una strana luce negli occhi; probabilmente, in un altro momento avrebbe mantenuto la calma e sarebbe andato dritto da suo padre a chiedere spiegazioni, ma adesso non sarebbe successo.

Le sole cose che voleva in quell’attimo erano: sapere in cosa consistesse la prova, quando si sarebbe tenuta e, soprattutto, vincerla.  Il resto non importava.
Fece quindi per dire qualcosa, ma, prima che potesse farlo, Thor lo precedette, troncando le sue parole sul nascere.

«Quando si terrà la prova, Padre?» Domandò.
«Fra due giorni» Gli rispose Odino con voce rauca.
«E in cosa consisterà?» Chiese a quel punto lui con la voce tremante per l’emozione.

Quello rimase in silenzio per alcuni secondi, ma, dopo quelli che parvero secoli, parlò.

«Molti secoli fa, i Nani, sotto mio ordine, forgiarono nel cuore di una stella morente l’arma più antica e potente di tutte le altre: il Mjolnir, il martello indistruttibile. Ma solo dopo che mi recapitarono l’artefatto riuscì a intravedere l’enorme potere in esso contenuto e capii che quello stesso potere che io avevo tanto desiderato sarebbe stato troppo per chiunque, perfino per me. Inoltre, se il martello fosse caduto nelle mani sbagliate, tutti i Nove Regni sarebbero precipitati nella più completa e totale disperazione e il mondo che noi conosciamo sarebbe andato distrutto. Decisi quindi di imporre dei vincoli al martello: primo fra tutti, quello che solo chi fosse stato degno sarebbe riuscito ad impugnarlo. Col tempo ho capito che nessuno, oltre me, ci sarebbe mai riuscito. Nonostante ciò sono certo che voi, che siete i discendenti del mio stesso sangue, potreste riuscirci. Quindi, chi di voi due riuscirà a sollevare il martello, diverrà il legittimo erede al Trono.» Dichiarò l’uomo con voce solenne.
 
Non appena ebbe finito il discorso, la sala risuonò di nuovo in un enorme e fragoroso boato di urla che gli fecero venire il mal di testa.

Quindi era tutto qui? Avrebbe solo dovuto sollevare uno stupido martello? Solo questo? No, no … doveva assolutamente esserci qualcos’altro.
Ripensò alle parole dette poco prima da suo padre e la sua mente si soffermò alla parte dove diceva che una volta impugnato il martello, quest’ultimo avrebbe sprigionato poteri troppo potenti per un uomo solo. Così grandi, da intimorire perfino il Padre degli dèi.
Doveva dunque essere pericoloso, se suo padre aveva rinunciato al suo potere. Sarebbe certamente stato un’arma maestosa e invincibile! Qualcosa che tutti avrebbero temuto … rispettato. Fremette a quelle considerazioni e provò a immaginarsi sul trono di velluto cremisi dove adesso sedeva suo padre con in mano quel martello. Per un breve e piccolo lasso di tempo, si vide forte, temuto, rispettato e perfino amato. E lui, che non desiderava altro che questo, sentì il desiderio di avere quel martello fra le sue dita perforarlo come se fossero stati migliaia di spilli. Nella sua mente, adesso, tutto era divenuto un enorme e caotico coro di voci che gli urlava a squarciagola: Tuo! Tuo! Deve essere tuo!
 
«oki … Loki! Loki!».
 
Fu un attimo: sentì qualcosa di grande e possente premere contro la sua spalla sinistra e, a quel tocco improvviso, rinvenne dai suoi pensieri con un sobbalzo. Si voltò e subito i suoi occhi si andarono a scontrare con quelli di suo fratello Thor, che lo fissava preoccupato.
 
«Loki, ti senti bene? Eri completamente assente» Esclamò Thor, alzando un sopracciglio.

Istintivamente, si guardò intorno, preoccupato, e subito constatò che attorno a lui non era rimasto quasi più nessuno; tutta la cacofonia di persone che albergavano nella sala pochi attimi prima adesso era del tutto sparita nel nulla.

«Dove sono tutti?» Chiese quindi, spaesato.
«Andati. Padre li ha cacciati quasi tutti … riteneva che la cerimonia fosse finita e che fosse giunto il momento per loro di tornare a casa. Comunque è strano: non è da te non essere attento a ciò che ti circonda… La vecchiaia si fa sentire, eh?» Scherzò, dandogli una forte pacca sulla schiena, facendolo quasi cadere.

Lui, oltre al lanciargli una delle sue solite occhiatacce, non rispose, ma volse invece il suo sguardo al trono alla ricerca dello sguardo di suo padre che però non riuscì a trovare. Guardò meglio nei meandri della Sala e, dopo alcuni secondi, il suo sguardo scorse la corpulenta figura di Odino accompagnata da quella longilinea di Frigga che si stava dirigendo in qualche altra sala.

Prima che riuscisse a razionalizzare ciò che stava facendo, corse verso di loro, agitato come non mai. Sentendo il rumore dei passi sul pavimento di marmo, Odino e Frigga si voltarono quasi contemporaneamente e gli rivolsero uno sguardo infuocato, segno che il suo sgarbo di poco prima non era stato dimenticato. Nel vederli così furenti, Loki deglutì a fatica e, per un momento, considerò perfino l’ipotesi di porgere loro delle scuse. Ipotesi che fu immediatamente cancellata non appena si ricordò il motivo per cui aveva compiuto quello sgarbo. Subito, sentì rimontare dentro di sé quella rabbia cieca che lo aveva avvolto pochi attimi prima e, istintivamente, strinse i pugni, conficcandosi le unghie nella pelle pallida.

Solo dopo alcuni minuti si accorse che intorno a loro regnava un silenzio così teso da potersi quasi tagliare. Lo sguardo di Odino era tagliente come rasoi e ciò che lasciava intendere era chiaro: “mi hai disobbedito, quindi sono deluso e arrabbiato”. Se si fosse trattato di un altro contesto, forse si sarebbe perfino sentito un po’ in colpa, ma, date le circostanze – e il suo punto di vista, quelli ad essere nel torto erano loro, quindi non aveva nulla da temere. Se fino a poche ore fa temeva Padre più di ogni altra cosa per la punizione che avrebbe potuto infliggergli, adesso lo sfidava a testa alta.

«Padre» Parlò d’un tratto, spezzando il silenzio. «Sono venuto da voi per ciò che è successo poche ore fa».
Odino sembrò irrigidirsi un po’ a quelle parole, ma, nonostante ciò, non diede segno d’irritazione.
«Credevo di aver mandato tuo fratello Thor a dirti che la questione, grazie agli dèi, fosse stata conclusa in modo pacifico; per tua fortuna, Lord Zeus è un uomo molto generoso» Proclamò voce tremante di rabbia.
«Oh, non ne dubito» Gli rispose, tagliente. «Ma mi chiedo come un padre possa permettere che sua figlia sposi un uomo che non ha mai conosciuto prima d’ora. Sono certo che Lady Eris avrebbe desiderato sposarsi di gran lunga con qualcuno che, magari, l’amasse» Disse poi, alludendo al fatto che Odino aveva fatto la stessa identica cosa con lui.

Sorrise soddisfatto quando vide le labbra fine e ruvide del Padre incresparsi e divenire fine come dei fili. Lo vide diventare paonazzo e tremare di rabbia e solo quando Frigga poggiò una delle sue mani sulla sua spalla, vide suo padre scoppiare come un pallone troppo gonfiato.

«Certe cose non devono essere coordinate secondo i sentimenti; non quando c’è di mezzo l’onore della famiglia e dei piani politici!» Urlò, alterato.

Quelle parole gli arrivarono dritte in pieno petto ed ebbe come la sensazione di aver appena ricevuto un pugno nello stomaco, uno di quelli che tolgono il respiro per alcuni secondi. Quindi era a questo che puntavano? Lui non era nient’altro che una stupida pedina? Un modo come un altro per unire i Regni? No, doveva senz’altro esserci una spiegazione. Doveva esserci.

Furente, guardò suo padre e nei suoi occhi scoprì la rabbia e l’angoscia di chi si era appena fatto scappare un segreto che non doveva rivelare. Nel vedere quello sguardo, ebbe la conferma di tutti i suoi dubbi.

E fu in quel momento che esplose di rabbia.

«Quindi è questo che sono stato io: un piano politico! Una pedina da gioco nella tua enorme scacchiera  ricolma di inganni e sotterfugi … è a questo che puntavi! Chiamate me Dio degli Inganni, ma, in quanto a bugie e menzogne, voi non siete da meno a quanto pare!» Urlò con una voce che non era la sua, che non gli apparteneva.

Era sempre stato un tipo tranquillo, lui, quel tipo di persona che nonostante tutto cerca sempre di mantenere la calma e razionalizzare. Lo era sempre stato. Eppure, nonostante tutto, adesso l’unica cosa che sentiva dentro di sé era il fuoco: un fuoco ardente che bruciava tutto ciò che incontrava sul suo cammino e che lo mandava al delirio. Era in preda alla collera: non gli importava di avere di fronte il Padre degli dèi in persona, lui doveva urlare, farsi sentire. Era sempre stato in silenzio per tutti quegli anni, all’ombra costante di Thor, ma adesso quei momenti erano finiti; adesso il sole era uscito e lui si era finalmente rivelato per quello che era: un semplice ragazzo. Per quanto potesse mentire, ingannare se stesso e evitare la verità, sapeva bene di essere solo un ragazzo bisognoso di affetto dalla propria famiglia; non necessitava di altro.

Per questo adesso si sentiva così male. Così… tradito.

Ecco, tradito era la parola giusta: si sentiva tradito dalla propria famiglia.

Volse il suo sguardo carico di rancore verso la figura femminile di sua madre, Frigga, che lo fissava assorta e con gli occhi lucidi come se fosse pentita di qualcosa. Guardandola, si chiese come anche lei avesse potuto mentirgli; si fissarono per un istante che gli parve un’eternità, finché Odino li riportò alla realtà, facendoli rinvenire.

«Adesso basta!» Urlò. «Io sono tuo padre e io decido cosa è meglio per te! Ti ho allevato per ventuno anni, ne ho tutto il diritto!» Sbraitò.

Loki fece un sorriso amaro e si passò una mano sul volto con fare stanco, segno che era ormai arrivato al capolinea.

«E non hai mai pensato, nella tua lungimiranza, che magari avresti potuto consultarmi prima di donarmi come oggetto di scambio a una donna che non ho mai visto prima? Di cui non conoscevo nemmeno il nome fino a pochi minuti fa? Come hai detto tu stesso, Lord Zeus è stato un uomo ragionevole e generoso e per questo gliene saremo sempre riconoscenti; ma se non fosse stato così? Se avesse scatenato una guerra?! Cosa avresti fatto a quel punto?».

«A quel punto la colpa sarebbe stata tua e non mia, sciocco!» Rispose quello, il volto segnato dall’età sfigurato dalla rabbia.

«E quale sarebbe stata la mia colpa? Quella di non aver voluto sposare una donna che non conoscevo?!».

Per un momento Odino sembrò non sapere più cosa rispondere. Sembrò confuso, stordito e perfino stanco; nel vederlo così Loki rimembrò che, effettivamente, non doveva mancare poi tanto alla sua nel “sonno di Odino”: una sorta di letargo rigenerante, in cui suo Padre sarebbe riuscito a vedere tutto ciò che accadeva intorno a lui, ma non gli sarebbe stato possibile intervenire. Per un momento credette che la discussione fosse finita, che lui avesse vinto la questione e che sarebbe potuto andare a dormire tranquillamente; poi, però, Odino lanciò un ruggito di rabbia e gli si avvicinò con fare minaccioso, puntandogli un dito contro.

«Sei un ragazzo irresponsabile, egoista e arrogante! Pensi più al tuo benessere che a quello del Regno! Attraverso la tua arroganza e stupidità stavi per esporre questi pacifici Regni e vite innocenti alla devastazione della guerra! Dovresti vergognarti e supplicare il perdono!» Sbraitò Odino con il viso paonazzo a causa della rabbia.

Nel momento stesso in cui, ancora tremante, Odino finì la frase, Loki sentì una scarica di adrenalina e irritazione salirgli su per la schiena e la rabbia pervaderlo.

Egoista? Arrogante? Lui?! Basta così! Questo era troppo!

In un impeto di rabbia, fece per scagliare un incantesimo contro di lui ma, prima che potesse portare a termine la magia, qualcosa lo fermò.

«Che sta succedendo qui?» Fu la voce di Thor a parlare e, nonostante fosse abituato a sentirla, l’impatto che ebbe su di lui fu così forte da farlo sobbalzare. Solo in quel momento razionalizzò cosa stesse davvero per fare e immediatamente si chiese se non fosse impazzito del tutto: se Thor non lo avesse fermato, se non fosse intervenuto … cosa sarebbe successo? Lui ... avrebbe ucciso suo padre?

Il solo pensiero gli fece salire un conato di vomito su per la gola: potevano affibbiargli il titolo di Dio degli Inganni, di Bugiardo o di qualsiasi altra cosa alla gente sarebbe venuta in mente, ma non di assassino, perché non lo era. Ed era per questo che adesso si sentiva strano, sporco… infetto. Stava per uccidere il sangue del suo stesso sangue, suo padre; come aveva potuto anche solo pensarlo?

«Le vostre grida si sentivano fin dal corridoio. Si può sapere cosa succede?» Borbottò suo fratello con fare irritato e confuso.

Ancora scosso, lanciò di sottecchi uno sguardo a suo padre e lo vide stremato e affiancato da una preoccupatissima Frigga, che cercava di consolarlo. Improvvisamente, Odino alzò lo sguardo su di lui facendolo irrigidire come se fosse stato una corda di violino: si fissarono per un tempo che non riuscì a razionalizzare, uno con gli occhi fissi sull’altro, sembrò quasi una gara a chi distoglieva prima lo sguardo. Quando però Thor emise dei flebili colpi di tosse, come a volerli riportare alla realtà, entrambi gli uomini distolsero lo sguardo e cominciarono a fissare altrove.

«Non è successo niente di grave, Thor» Esalò a un tratto Padre, guardandolo con la coda nell’occhio. « Io e Loki abbiamo solo avuto una discussione» Ammise infine, con voce stanca. «Adesso andate nelle vostre stanze, fra pochi giorni si deciderà il futuro Re di Asgard e io pretendo che i miei due figli siano entrambi in perfetta forma così da non dover avere disparità. Muovetevi, forza! Non ammetterò repliche!» Ordinò con voce altera.

Subito lui e Thor fecero come era stato loro ordinato ma, se il secondo aveva eseguito l’ordine senza esitare un momento, lui aveva indugiato un po’ prima di fare lo stesso. Voleva continuare la discussione che lui e Padre avevano incominciato, poiché, per lui ,non era ancora stata conclusa. Quando però sua madre gli lanciò uno sguardo tra la tristezza e la supplica, sentì qualcosa aggrovigliarsi fra le budella e, con malcelata irritazione, decise che, per quella sera, non avrebbe più detto parola.

Lanciò un’ultima occhiata a Padre e Madre e, subito dopo, si voltò dalla parte opposta, intraprendendo il percorso a ritroso che avrebbe dovuto riportarlo alle sue stanze. Mentre percorreva l’enorme corridoio con passo veloce e deciso, i suoi occhi caddero sul riflesso che la sua immagine trasmetteva attraverso le lucide colonne in oro che adornavano la reggia. Subito si fermò e, con espressione corrucciata e irritata, guardò il suo riflesso.

L’immagine rifletteva la figura, un po’ distorta, ma pur sempre distinguibile, di un uomo molto alto e con dei lineamenti sottili e scarni che portava un’armatura possente e ben lucidata. Sul capo aveva un grande elmo cornuto, molto elegante. Sospirando, Loki si tolse l’elmo dalla testa e se lo rigiro fra le dita sottili, ammirandolo: era davvero bello, proprio degno di un principe. Stentava ancora a credere che la persona che glielo aveva regalato fosse la stessa che viveva in una casa decadente e piccola come una stalla.

Emily …

Nel pensarla, sorrise fra sé e sé in modo un po’ amaro: alla fine, non aveva neanche scoperto perché stava piangendo, prima.
Subito la sua mente ritornò al ricordo di poche ore prima, nel giardino, accanto alla fontana e l’immagine del viso pallido e lentigginoso di Emily arrossato e impiastricciato dalle lacrime che le scendevano giù per le guance gli si ficcò prepotentemente in mente e non ci fu verso di riuscire a mandarla via: poteva ancora vedere le sue mani tremanti, sentire la sua voce spezzata, i suoi singhiozzi struggenti…

Poteva sentire tutto.

E adesso, oltre a quei ricordi, nella sua mente si formarono altri pensieri ben più confusionari e strani a cui lui, per l’ennesima volta, non riuscì a dare risposta: perché Emily piangeva? Perché era scappata via? E perché, adesso, si sentiva così maledettamente in colpa come se fosse colpa sua? Lui non c’entrava niente, per la miseria! Non era mica colpa sua se Emily aveva quegli strani attacchi di follia così di colpo; cosa c’entrava lui, se era pazza? Non era un problema suo; doveva smetterla di porsi tutti quei problemi.

Poi, però, una vocina nella sua mente, che aveva lo stesso tono di voce di Emily, incominciò a parlargli e a stuzzicarlo: «Se davvero non ti importa niente di me», diceva «allora vai da tuo Padre, ponigli le tue scuse più profonde e chiedigli di richiamare Lord Zeus e sua figlia, poiché hai finalmente preso in considerazione l’idea di sposare una donna. Poco importa se non la conosci … » Continuò, melliflua. «Farete conoscenza sotto le lenzuola. In fondo, non mi sembra che Lady Eris sia brutta, no? Parecchi uomini farebbero carte false pur di passare una sola notte d’amore con lei. Eppure tu, che avevi tutto ciò a portata di mano, hai rinunciato per un motivo che sappiamo entrambi benissimo. E sai bene che quella roba del “io non la conosco” o, “il matrimonio non rientra nelle mie priorità”, non c’entrano nulla. Non mentire a te stesso, Loki; puoi ingannare gli altri... non te stesso.» Concluse, sparendo dalla sua mente così come c’era arrivata.

Per un momento pensò di essere impazzito e che qualche spirito maligno avesse preso il controllo della sua mente, scavando a fondo nei suoi pensieri più intimi e tirandoli fuori come se fossero stati fatti di sola aria. Si appoggiò allo stipite della colonna e si premette la mano sugli occhi, come se quel piccolo gesto avesse potuto spazzar via tutte le sue preoccupazioni; quando capì che, effettivamente, non era così, tirò un sospiro rassegnato mentre si rigirava l’elmo tra le dita, guardando il suo riflesso su di esso. Si morse il labbro e, con il capo corvino poggiato nuovamente alla colonna dietro di lui, chiuse gli occhi, pensando che, in realtà, la vocina maligna dentro di lui aveva ragione e che, in tutto quel tempo, aveva solo cercato di nascondere la verità a se stesso.

Ovvero il fatto che, per lui, Emily non era più solo una semplice amica.

 
 
 
 
 


-Angolino dell’autrice.

EEEEEEED ECCOMI QUI!

In anzi tutto, vi dico GRAZIE per tutto quello che state facendo. Siete sempre di più a seguire la storia e davvero io non so più come ringraziarvi! Grazie, grazie e ancora grazie!
Comunque, come avrete notato in questo capitolo Emily non compare se non solo come “nomina” nel senso che viene solo nominata da Loki, infatti il capitolo è in sé per sé dedicato ai sentimenti del nostro caro Dio degli Inganni che –finalmente- scopre la verità riguardo a ciò che prova per Emily e comincia a comprendere che, effettivamente, la sua famiglia non è sempre stata sincera e leale come credeva.  


Come al solito vi pregherei di lasciare una recensione. Non per la cosa in sé, ma perché necessito di sapere i vostri pareri riguardo alla storia! Capitemi, siete in moltissimi, ma le recensioni stentano ad arrivare e io non riesco a capire il perché!
Comunque, come vi avevo già detto nel capitolo precedente, ecco a voi il mio profilo facebook dove metto: immagini, video, spoiler e molto altro sulle mie storie.
Aggiungetemi se vi va!


Link; http://www.facebook.com/harmony.efp.9

Baci! :)
 
 PURE QUI: GRAZIE DI CUORE A DARMA CHE HA CORRETTO ANCHE QUESTO CAPITOLO!
GRAZIE MILLE! *Scuoricina per lei*

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Capitolo 12
*** Challenge. ***


~Challenge.

Resti sveglio nel letto la notte
E pensi alla tua vita.
Vuoi essere diverso (diverso)?
Cerca di lasciar andare la verità.
Le battaglie della tua gioventù.
Perché questo è solo un sogno.
E’ una bella bugia …
E’ una perfetta negazione …
Una bugia così bella in cui credere.
Così bella, così bella …
Che mi realizza.

A Beautiful Lie – 30 Seconds To Mars.
 


Si racconta che Odino, Padre degli dèi, dormì profondamente la notte prima dell’assalto a  Jötunheimr: ma, in primo luogo, egli era molto affaticato; secondariamente, aveva già dato tutte le disposizioni necessarie e stabilito ciò che dovesse essere fatto la mattina seguente. Loki, invece, non sapeva altro che l’indomani sarebbe stato il giorno della sfida che avrebbe stabilito, una volta per tutte, chi sarebbe divenuto il futuro e legittimo erede al Trono di Asgard; quindi, spese una gran parte della notte in consulte interiori angosciose e preoccupate riguardanti il futuro esito della prova.

Si trovava nell’alto delle sue stanze, sotto le lenzuola candide del suo letto a baldacchino, quando le parole di suo padre gli tornarono prepotentemente in mente: «”Decisi quindi di imporre dei vincoli al martello: primo fra tutti, quello che solo chi fosse stato degno sarebbe riuscito ad impugnarlo“» Ecco cosa aveva detto il sommo Odino dall’alto del suo trono due giorni prima e, da allora, Loki non era più riuscito a chiudere occhio la notte.

Infatti, nonostante avesse passato tutto il suo tempo libero nell’apprendere cose nuove attraverso i libri di testo trovati nella biblioteca e nell’esercitarsi a sollevare pesi senza concedersi un attimo di pausa, il giovane principe non riuscì a darsi pace: aveva paura che il giorno seguente, davanti a tutta quella folla di nobili e aristocratici venuti appositamente da terre lontane e mistiche, non sarebbe riuscito ad impugnare il Mjolnir. Si ripeté più volte che ciò era impossibile, che lui sarebbe riuscito a sollevarlo e sarebbe quindi stato proclamato futuro Re di Asgard, lo disse tante di quelle volte che, alla fine, si convinse delle sue stesse parole.

E poi, in fondo, chi se non luipoteva sollevarlo?

Eppure, anche se cercava di convincersi dal lasciar perdere quelle fantomatiche supposizioni e provò a rimettersi a dormire, il cuore continuava a martellargli forte nel petto e un fastidioso formicolio gli risalì su per la schiena, facendolo rabbrividire e non permettendogli di chiudere occhio.

Dopo un po’, si arrese all’evidenza che, no, anche quella notte non avrebbe dormito.

Sospirando per la frustrazione si rivoltò nel letto, mettendosi a pancia in su e, con un braccio dietro la nuca, osservò il soffitto sperando che il farlo lo avrebbe – in qualche modo – fatto addormentare. Con ancora lo sguardo puntato agli affreschi sopra di lui, pensò a tutto quello che gli era successo in quei giorni: il suo compleanno, Eris, il matrimonio, suo padre … Emily.

Già, Emily: erano già trascorsi due giorni da quando aveva finalmente ammesso a se stesso che non era più solo una semplice amica, ed erano passati due giorni anche dall’ultima volta in cui l’aveva vista. Istintivamente, pensò che le due cose fossero collegate.

Scosse la testa e si diede dell’idiota: come poteva pensare a una donna in un momento simile? Per i Nove Regni, ancora poche ore e si sarebbe tenuta la prova che avrebbe stabilito il futuro Re di Asgard! Non poteva lasciarsi distrarre così.

Ancora disteso nel letto, volse il suo sguardo alla finestra vicino a sé e, con la coda dell’occhio, riuscì a scorgere il cielo stellato che si stendeva sopra la città di Asgard. Sorrise fra sé e sé e, come quando era bambino, cominciò a contarle: Una, due, tre …

Erano così luminose e splendenti! Durante i suoi studi, aveva appreso che fossero dei corpi celesti che brillavano di luce propria e che si trovavano miglia e miglia lontano da Asgard, vicino al posto dove risiedevano tutti gli dèi, e probabilmente sarebbe stato convinto per sempre di quell’ipotesi – che era quella giusta e razionale– finché un giorno, ricordò, Emily non gli disse quelle parole:
 
«Ti sbagli, Loki. Le stelle sono molto più di questo! Sai? Quando ero bambina mia zia mi raccontò una storia, una di quelle antiche e che si tramandano ai propri figli e nipoti: mi disse che, quando una persona buona muore, sale in cielo e va su, su, sempre più su, fino ad arrivare accanto agli dèi. Salendo, la sua anima, se buona e caritatevole, incomincia a splendere e a diventare luminosissima ed è così che si formano le stelle. Quelle che vedi lassù, Loki, non sono delle stupide cose che si studiano nei libri: sono anime che gli dèi hanno deciso di prendere a loro fianco. Hai capito, adesso?».

Ricordava di essere scoppiato a ridere a quelle parole: per tutti gli dèi, cosa stava farneticando quella sciocca ragazza? Ricordava anche che, dopo aver smesso di ridere, si era voltato verso di lei con lo sguardo canzonatorio di chi sapeva come andava il mondo e che, dopo aver visto il suo volto, che era un misto di irritazione e furia, aveva cambiato completamente espressione, passando dall’esuberante al sorpreso e dal sorpreso allo sbigottito.

«Ti sto dicendo la verità!» Aveva urlato con foga Emily.«È vero! È tutto vero! Ho anche le prove!».

«Mostramele» Le aveva risposto lui, ripresosi dalla sorpresa iniziale.

Quella tremò di rabbia per alcuni secondi e poi, con uno strattone deciso, lo prese per un braccio e lo trascinò al centro del bosco dove entrambi si recavano sempre quando erano bambini.

«Guarda lassù!» Esclamò, indicando il cielo.«Guarda, ho detto!» Ripeté, constatando che lui non eseguiva l’ordine.

Con un sopracciglio inarcato per la titubanza, aveva alzato lo sguardo verso il cielo notturno. Subito un enorme firmamento di stelle gli si era parato davanti, sorprendendolo un po’: per carità, non era mica la prima volta che vedeva le stelle, ma quella sera erano particolarmente luminose. Le aveva sempre viste sotto le luci di Asgard o del palazzo e quindi non aveva saputo scorgerle proprio benissimo, inoltre non erano mai state un argomento che gli interessava esplorare in particolar modo. Eppure, in quel momento, in quel bosco, aveva creduto di non aver mai visto qualcosa di così bello in tutta la sua vita.

Probabilmente, doveva aver assunto  uno sguardo anche abbastanza basito, poiché, con la coda dell’occhio, era riuscito a scorgere Emily sorridere soddisfatta.

«Non sono bellissime?» Aveva chiesto lei, emozionata.«Come puoi credere che una cosa tanto bella possa essere frutto di una cosa così semplice e banale? Tutte quelle luci sono anime di persone, Loki. Persone buone e che si sono comportate bene durante tutta la loro vita. Lassù ci sono anche i miei genitori, per questo la sera vengo sempre qui: così posso vederli. Loro mi parlano. Sussurrano attraverso il vento, piangono con la pioggia, mi abbracciano con i raggi della luce che emana la luna. Anche ora, Loki, stanno parlando».

Sicuramente, se si fosse trattato di qualcun altro, nel sentire quelle parole sarebbe scappato via terrorizzato, convinto di avere a che fare con una strega o, come minimo, una pazza. Anche lui, per un momento, pensò bene che Emily fosse impazzita sul serio, ma, guardandola meglio, capì che non stesse affatto scherzando.

«Cosa dicono?» Domandò allora, veramente incuriosito.

Ricordava ancora con perfetta nitidezza e sgomento cosa fosse successo subito dopo, quasi come un velocissimo flash back, e la cosa riusciva a turbarlo tutt’ora: il vento si era innalzato improvvisamente e un’improvvisa folata di vento aveva scompigliato i capelli suoi e di Emily che, tranquilla, aveva chiuso gli occhi e inalato quanta più aria le fosse possibile. Quando li riaprì, gli rivolse uno sguardo colmo di serenità, al contrario suo che la osservava sbigottito.

«Resta con me.» Aveva dichiarato a mezza voce con lo sguardo fisso sui suoi piedi, evidentemente a disagio.

Ricordava che nel vederla così, indifesa e imbarazzata, aveva avuto come la sensazione di qualche anno prima, quando aveva creduto di perderla per sempre. Era un’emozione strana, istintiva e irrazionale, perché non riusciva mai a dargli un nome: era tenerezza? O imbarazzo? Non ne aveva idea, ma era frustrante.
 
Collegò questo suo sentimento a ciò che “i genitori di Emily” volessero dirgli e, subito, sentì riaffiorare dentro di sé quei sentimenti di protezione che aveva sempre avuto solo ed esclusivamente per lei. Quando, infine, sentì il vento soffiargli sul collo, fresco e piacevole, fu certo di avere avuto la conferma alle sue ipotesi.

«Lo prometto.» Disse d’un tratto ed Emily alzò lo sguardo verso di lui, meravigliata: probabilmente, non credeva al fatto che lui potesse risponderle una cosa simile. La vide sorridere felice e giuliva mentre, con occhi sorridenti e i folti capelli crespi scarmigliati dal vento, portava le mani all’altezza delle labbra, in un discreto segno di ringraziamento.

«Grazie» Gli sussurrò, e rimembrava che, in quel momento, aveva pensato bene che forse, per una volta, poteva anche mettere da parte la magia e le conoscenze astronomiche se il farlo avrebbe sempre fatto sorridere Emily in quel modo.
 
Passarono i minuti e con essi le ore, ma, con questi ricordi per la mente, non si accorse nemmeno di essersi addormentato.
 


Quando, la mattina seguente, si svegliò alle prime luci dell’alba, Loki si tirò su di scatto con un improvviso senso di panico. Non ebbe bisogno di realizzare che giorno fosse, non dovette pensarci sopra nemmeno un attimo. Lo sapeva già fin troppo bene.

Era il giorno della sfida.

Ci mise un po’ a realizzarlo, seduto sopra le coperte rigido come un cadavere. D’un tratto fece un profondo respiro e si impose di analizzare con calma gli avvenimenti degli ultimi due giorni, prima di affrontare la mattinata che si trovava davanti.

Probabilmente, di quei due giorni, l’ultimo era stato il peggiore: aveva ancora sulla pelle la sensazione di adrenalina e irrequietezza che sentiva una volta distesosi nell’enorme e sontuoso letto a baldacchino e, a quanto pareva, quest’ultima sensazione non aveva ancora intenzione di lasciarlo andare. Sospirò, e con un balzo si decise a mettere i piedi fuori dal letto per sistemarsi in vista del grande evento. Nessuno venne a svegliarlo e a vestirlo; aveva ordinato espressamente alle guardie di non far entrare anima viva quel giorno, poiché quelle ore che gli rimanevano doveva – e voleva – passarle in completa solitudine immerso fra i suoi pensieri.

Si lavò il viso e, mentre strofinava per bene gli occhi cercando di levarsi gli ultimi residui del sonno, pensò al fatto che aveva atteso quel giorno per così tanto tempo che ancora non riusciva a credere che fosse arrivato davvero .

Si sistemò i capelli, i vestiti e gli stivali, poi si guardò allo specchio per darsi un’ultima occhiata: subito l’oggetto gli restituì il suo riflesso che, constatò Loki, era quello di un ragazzo troppo pallido e smilzo per appartenere sul serio alla razza degli asgardiani. Per un momento, ebbe un tuffo al cuore, uno di quelli che ti mozzano il fiato e ti fanno sgranare gli occhi, e deglutì sommessamente, cercando di trovare qualsiasi cosa nel suo aspetto che gli avrebbe fatto credere di essere nel torto e che quella che aveva avuto fosse stata solo un’illusione. Non ci riuscì, e allora distolse lo sguardo, imponendosi di finirla con quegli schiocchi e assurdi pensieri. Lui era un asgardiano, anzi, era il principe di tutti gli asgardiani e, fra non molto, loro futuro Re. Si voltò, e il suo sguardo cadde sull’oggetto poggiato sopra il comodino accanto al letto: il suo elmo.

Si avvicinò ad esso con passo spedito e irrequieto e, senza pensarci nemmeno un attimo, lo indossò. Si rivoltò quindi verso lo specchio dietro di lui e, nuovamente, il suo sguardo cadde sul riflesso che l’oggetto rifletteva: stavolta, però, quest’ultimo trasmise la sagoma di un ragazzo alto e smilzo, con un grosso elmo cornuto sulla testa e sul viso una maschera di determinazione e fermezza che tramutò i suoi lineamenti sottili e dolci in qualcosa di arrabbiato e sfigurato.
In quel preciso momento un gallo cantò e, subito, il pensiero che fosse giunto il momento di scendere nella Sala del Trono si infiltrò nella sua mente.

«Date il benvenuto al nuovo Re di Asgard.» Sussurrò a se stesso e, quando il gallo cantò nuovamente, si diresse verso la scalinata; la determinazione dipinta negli occhi e il cuore che sembrava voler spaccare la cassa toracica tanto batteva forte.


Si trovava in una piccola stanzetta che portava alla Sala del Trono: era illuminata da un focolare e, intorno ad esso, enormi pilastri in oro riflettevano la sua immagine. Da dietro l’enormità del portone in argento e rame che gli si parava di fronte, si trovavano un centinaio – o forse più – di persone; se restava in assoluto silenzio, poteva perfino sentirne le voci.

 Si guardò intorno con agitazione, il cuore che scalpitava, e cominciò a torturarsi le mani. Era stato scortato fin lì da un suo sottoposto, che  gli aveva premurosamente raccomandato di restarci fino a che non sarebbe cominciata la cerimonia. Nonostante avesse storto il naso all’idea di dover aspettare i comodi di suo padre prima di poter finalmente dare inizio alla sfida, aveva acconsentito ed era rimasto lì zitto e senza protestare. Adesso erano già passati ben più venti minuti da l’ultima volta che aveva visto il servo e stava davvero cominciando ad irritarsi.
 
Inoltre, come se tutto questo non bastasse, di suo fratello non c’era traccia e lui non poteva fare a meno di chiedersi se non li avessero appositamente messi in stanze separate.

Prima ancora che potesse darsi una risposta, un rumore catturò la sua attenzione.

Più che rumore era stato un fruscio. Probabilmente se lo era solo immaginato, ma la noia gli impose di andare a cercare la provenienza di quel suono. Si guardò quindi attorno, alla ricerca di un qualsiasi indizio finché, improvvisamente, qualcosa di piccolo e veloce gli si gettò addosso con una tale foga che per un momento riuscì a vedere solo un enorme cespuglio di capelli rossi inondargli la visuale. Non ci fu bisogno di capire chi fosse: lo seppe fin da subito.

«Emily. Per i Nove Regni, si può sapere cosa ci fai qui?».

Era felice di vederla. Non si vedevano da ben due giorni e doveva ammettere che gli era mancata quell’enorme massa di cespugliosi e folti capelli; fece comunque finta di niente e anzi, incrociò le braccia al petto in un chiaro segno di distacco.

Quella si allontanò da lui e alzò un sopracciglio. Dopodiché lo guardò un po’ irritata, non riuscendo a comprendere la sua reazione.

«Ero venuta per augurarti buona fortuna.» Esclamò, piccata.
«Come hai fatto a sfuggire alla vista delle guardie?».
«Be’ … diciamo che Thor mi ha insegnato un po’ di cose riguardo il castello» Ammise mentre giocherellava con uno dei suoi tanti riccioli rossi.
«Capisco» Rispose a denti stretti, improvvisamente agitato. «Immagino che tu e mio fratello siate diventati molto intimi se lui ha voluto rivelarti i segreti del palazzo».

Da quando aveva scoperto i propri sentimenti per Emily, il solo pensare a Thor lo irritava, in quanto lui, fin da quando erano bambini, aveva sempre provato a portargli via ogni singola cosa. Quando li vedeva insieme, o magari lei accennava a lui nei suoi discorsi chilometrici, Loki non poteva fare a meno di storcere il naso e lasciarsi ghermire dalla rabbia.

«Ti sbagli» Rispose Emily, tagliente, distogliendolo dai suoi pensieri. «Sono venuta a conoscenza di quel passaggio segreto solo perché, pochi giorni fa, quando parlavamo delle nostre avventure da bambini, si è lasciato sfuggire questo piccolo segreto. Solo per questo. Non capisco perché tu debba sempre trattarmi così … Sono venuta fin qui per augurarti in bocca a lupo per la prova e tu mi stai letteralmente trattando come una stupida.» Disse, incrociando le braccia al petto.

A quelle parole, Loki, dapprima serio e austero, si afflosciò un po’ e non seppe più cosa dire: non aveva voluto trattare male Emily, ma alle volte aveva questi atteggiamenti e non poteva farci nulla. Fece quindi un enorme sospiro di rassegnazione e rivolse il suo sguardo a quello ceruleo della ragazza, che adesso lo guardava con malcelata irritazione.

«Che hai da guardare, adesso?» Domandò lei, vedendo che la fissava insistentemente.

Lui si passò una mano sulla fronte e poi se la fece scorrere su tutto il viso, stanco.

«Non volevo offenderti » Dichiarò.

Prima che la ragazza potesse rispondergli, qualcuno entrò nella stanza facendo non poco chiasso.

«E va bene, va bene! Non c’è mica bisogno di spingere, dannazione!».

Non gli ci volle neanche un minuto per capire a chi appartenesse quella voce: Thor.

Infatti, con non poca arroganza, il primogenito di Odino era entrato nella piccola stanza con ancora un calice di vino nelle possenti mani e, dopo averlo bevuto tutto, lo spaccò con violenza a terra mentre urlava un fragoroso: “ANCORA!” ai servi, che subito si precipitarono a portargliene un altro.

«Buongiorno, fratello» Lo salutò, funereo.

Quello parve accorgersi solo in quel momento della sua presenza e, subito, si avviò a salutarlo con la sua solita aria baldanzosa e solare.

«Buongiorno a te, fratello! Pronto a perdere la sfida?» Lo canzonò; Loki non poté fare a meno di irrigidirsi come una statua e digrignare i denti.
«Avrei detto il contrario» Biascicò.

Thor strabuzzò gli occhi e subito scoppiò in una grassa risata, poi gli diede una forte pacca sulle spalle, che lo fece tentennare un po’.

«Ahahahah! Sono lieto di vederti così determinato, Loki!» Esclamò. Poi, ad un tratto, la sua attenzione venne catturata da qualcos’altro e sul suo volto si dipinse un sorriso bonario «Oh, ma quella è la piccola Emily! Felice di vederti, mia cara» Disse, accorgendosi solo in quel momento della ragazza. Le si avvicinò con spavalderia e, con una breve mossa delle dita, portò il dorso della mano della rossa alle sue labbra e ne baciò la pelle in un chiaro segno di galanteria. Quella arrossì violentemente e subito si morse il labbro inferiore, cercando di camuffare la cosa.

Loki roteò gli occhi al cielo, stanco della compagnia di suo fratello e dei suoi modi fin troppo confidenziali con Emily. Fece quindi per dirgli qualcosa, ma venne prontamente interrotto dalla voce bassa e roca di un uomo di bassa statura che aveva tutta l’aria di essere un messaggero.

«Miei signori, sono qui per dirvi che la cerimonia sta per avere inizio e che voi siete richiesti all’udienza di vostro padre. Vi pregherei di seguirmi … E tu cosa ci fai qui?» Chiese rivolgendosi ad Emily la quale, non sapendo cosa rispondere, fece un breve sorrisetto di circostanza.
«B-Be’ … io sono -».
«Lei è la mia fidanzata» Dichiarò ad un tratto Thor, mettendole le mani sui fianchi e attirandola a sé con uno strattone. «Ho voluto che venisse qui per farmi compagnia dato il mio nervosismo in vista della sfida; qualche problema al riguardo?» Chiese all’ometto, che, non sapendo più cosa dire, stette zitto e si congedò dai presenti, dicendo loro che li avrebbe aspettati fuori.

Quando la porta si richiuse, Emily, che era rimasta paralizzata per tutto il tempo, sbarrò gli occhi e si scansò da Thor con velocità.

«I-Io sarei cosa?» Urlò.
Thor rise. «Oh, vorrai perdonarmi, ma ho dovuto mettere in atto questa sceneggiata solo per salvarti da un possibile inconveniente. Mi dispiace di averti messa in imbarazzo» Disse con semplicità, sorridendole complice.
«Potevi benissimo dire che fosse una tua amica, Thor» Esclamò invece Loki, palesemente irritato. «Sei stato arrogante!» Aggiunse.
«Ehi!» Ribatté quello aggrottando le sopracciglia. «Chi è che sarebbe arrogante, mucca?».

«R-Ragazzi, credo che dovreste andare nella Sala del Trono: vi staranno aspettando tutti!» Disse Emily, a disagio, cercando di mettere fine a quella disputa.

I due si scambiarono un’ultima occhiataccia, poi, con ancora lo sguardo fisso su di lui, Thor gli porse la mano.

«Che vinca il migliore» Disse.

Gli sorrise mellifluo. «Oh, puoi starne certo» Rispose, ignorando la mano ancora tesa di Thor. Rivolse un ultimo sguardo ad Emily e, subito dopo, si diresse fuori dalla stanza con andatura spedita e decisa.

Dopo un po’ Thor fece lo stesso, ma, prima di andarsene, diede un’energica carezza ai capelli della ragazza, spettinandoglieli, seguito da uno sbuffo sulla guancia.

«Fai il tifo per me, piccola Emily» Sospirò. Poi anche lui si diresse fuori dalla sala.

Rimasta sola con i suoi pensieri e i capelli ancora più spettinati di prima, Emily pensò che, in verità, non era stato poi tanto male sentirsi chiamare fidanzata da Thor.


Restarono in silenzio per tutta la durata del discorso di loro padre, che si sentiva provenire da dietro il portone dorato, ognuno con i propri pensieri per la testa. L’aria, dentro quell’enorme corridoio, era così pesante e tesa che, per un momento, si sentì mancare: mancavano solo pochi minuti.
Solo quando entrambi sentirono provenire dall’interno della Sala del Trono la voce rauca, ma possente, di loro padre annunciarli, ebbero un sussulto e Loki si accorse che il suo cuore stava battendo troppo forte.

Tum, tum, tum …

Quasi contemporaneamente, i due campioni si scambiarono un’occhiata fugace e, dopo essersi scambiati un segno di assenso con il capo, si diressero con passo pesante all’interno della Sala. Subito il portone venne loro aperto e, immediatamente, entrambi vennero avvolti da un enorme cacofonia di urla e approvazioni. Percorrendo insieme a Thor il breve lasso di strada che li distanziava da loro padre, Loki si accorse che la Sala del Trono era stata allestita e addobbata con lussureggianti oggetti dorati che riflettevano ancora di più tutto lo sfarzo che li circondava e, per permettere ai nobili di partecipare all’evento, erano stati eretti sul pavimento di marmo bianco degli ampi spalti circolari.

Anche alla popolazione comune era stato permesso prendere parte ai festeggiamenti, ma loro, notò, si trovavano un po’ più in basso.

Tum, tum, tum …

Si voltò e, con la coda dell’occhio, scorse il viso baldanzoso e sorridente di Thor che ammiccava alla folla acclamante. Lo osservò: portava un elmo molto elegante, in argento, e dalle grandi spalle gli ricadeva sinuoso l’enorme mantello rosso cremisi che lo faceva sembrare più grosso e possente di quello che non fosse già. Portava i capelli legati in una coda dalla quale uscivano parecchi ciuffi biondi e sul suo mento si esibiva un accenno di barbetta bionda incolta della quale lui andava molto fiero. Guardandolo, capì che la sua fosse solo una maschera: infatti, negli occhi del fratello, si leggeva perfettamente un filo di irrequietudine e ansietà che, nonostante i sorrisini di circostanza e le esultanze verso la folla, non era riuscito a nascondere al Dio degli Inganni.

Per un momento, pensò che forse, alla fine, Thor era esattamente come lui.

Subito scosse la testa e strinse forte i pugni nel tentativo di distrarsi: ancora pochi metri e sarebbe arrivato al cospetto di Odino… mancavano solo pochissimi passi! Non poteva lasciarsi distrarre.

Cominciò a guardarsi nervosamente intorno nel tentativo di trovare un viso a lui conosciuto, ma, più guardava, più si arrabbiava, poiché in tutta quella calca di gente non riusciva ancora a trovare quella persona, quel viso.

Dove diamine si era cacciata? Dove, dannazione?

Poi lo sentì, chiaro e forte: «Loki!».

Si voltò e, per un brevissimo lasso di tempo, la vide: lì, i capelli spettinati e in disordine a causa della foga che ci stava mettendo nel salterellare di qua e di là nell’intento di farsi notare da lui, gli occhi sorridenti e la mano svolazzante a mezz’aria.

La sua piccola volpe.

Lei si accorse della cosa e subito, presa dall’euforia, ricominciò a saltellare di qua e di là, più forte e emozionata di prima. Nel vederla lì, a fare il tifo per lui, ebbe come la sensazione di essersi tolto un enorme peso dalle spalle e, un po’ più sollevato, le rivolse un mesto sorriso.
La cosa durò non più di pochi secondi poiché, subito dopo, si trovò faccia a faccia con suo padre, Odino, il Padre degli dèi. Lo guardò e vide che, accanto a lui, c’era sua madre, vestita di tutto punto e bella come non mai, mentre, più in basso, una guardia reale che sembrava fare la guardia a qualcosa di non definito. Non poté capire di cosa si trattasse, poiché l'oggetto era coperto da una pezza di velluto rosso che non lasciava intravedere cosa si celasse al di sotto.

«Ecco qui i due campioni, nonché miei figli, Thor Odinson e Loki Odinson!» Proclamò Odino, e Loki si accorse di come la sua voce tremasse per l’emozione.
 
«Come ben sapete, quest’oggi si terrà la sfida che determinerà il futuro Re di Asgard, nonché mio successore. La prova, come vi ho già annunciato in precedenza, consisterà nel sollevare il portentoso Mjolnir; arma forgiata dai Nani secoli e secoli fa sotto mio ordine. Solo uno riuscirà nell’impresa e solo uno si aggiudicherà il titolo di futuro Re. Detto ciò, io, Odino, Padre degli dèi, annuncio che la sfida ha inizio!» Esclamò e, nello stesso istante in cui lo disse, tutta la sala scoppiò in un tumulto di urla e scalpiti mentre il sottoposto di prima correva a togliere la pezza che ricopriva l’oggetto che, constatò Loki, non era niente di meno che il Mjolnir.

Il Mjolnir era un martello decisamente più grande del normale, aveva l’impugnatura in pelle e ogni tanto lanciava qualche scossa elettrica di poca importanza. Non si seppe spiegare il motivo, ma nel vederlo provò un improvviso istinto animalesco nei suoi confronti e desiderò ardentemente che fosse suo, costasse quel che costasse.

«Essendo tu il minore, Loki, sarai tu a provare per primo. Ricorda però: un solo tentativo» Parlò Odino dall’alto del suo trono.

Subito la Sala piombò nel silenzio più assoluto e Loki, con il cuore in gola, si fece strada verso l’oggetto.

Tum, tum, tum …

Ad ogni passo che faceva, sentiva il proprio cuore perdere un colpo, facendogli mancare il respiro. Mancavano soli pochi istanti e avrebbe impugnato quel martello. Solo pochissimi, brevissimi istanti.

Tum, tum, tum …

Eccolo lì, il portentoso Mjolnir. Solo pochi centimetri da lui. Gli sarebbe bastato allungare la mano per raccoglierlo, ma, senza farci nemmeno caso, rimase lì a fissarlo immobile come in trance. Solo quando il fiato gli venne a mancare si accorse di aver trattenuto il respiro per tutto quel tempo.

Ancora un piccolo passo e Asgard sarebbe stata sua. Per sempre.

Tum, tum, tum …

Lo sentiva forte e chiaro, il battito del suo cuore che gli martellava nel petto e perfino nel cervello, tanto era forte il suono che emetteva. D’un tratto, fece un respiro profondo e inalò tutta l’aria che potesse assorbire, poi, con un colpo secco, attorcigliò le proprie dita attorno all’impugnatura del martello e, con una forza che non credeva di poter mai possedere, fece per sollevare il martello.

TumTumTumTumTumTumTum …

I secondi passarono; la folla trattenne il fiato, Sif e i Tre Guerrieri trattennero il fiato, Odino e Frigga lo trattennero … lui lo trattenne.

Fu un colpo secco: fece leva sull’impugnatura del Mjolnir e, quando fece per sollevarlo …

Ci riuscì.

Non fece neanche il tempo a realizzarlo che improvvisamente si sentì strano, diverso dal solito. Provò un sentimento nuovo, magico … sconosciuto: era, pensò Loki, come se il martello fosse stato costruito per lui. Più piccolo dei suoi fratelli, come lui. Imperfetto, come lui, incompreso... come lui.

«Mjolnir… ».

E rise. Rise di gioia come non aveva mai fatto in vita sua.

C’era riuscito! Ce l’aveva fatta! Era il Re, il futuro Re di Asgard! Lo sapeva… lo sapeva! Ne era sempre stato certo!
Si voltò per guardare la gente intorno a lui e si accorse che tutti, compresi Thor, Sif, i Tre guerrieri e Odino, stessero trattenendo il fiato; sbigottiti. Probabilmente, pensò, non credevano che potesse riuscirci.

Poi, d’un tratto, tutta la Sala scoppiò in un tumulto di urla e schiamazzi così assordanti che per un momento, Loki credette di diventare sordo.

Si stanno congratulando con me, pensò, mi hanno accettato come loro Re.

A quel pensiero il suo sorriso si allargò ancor di più e, con gli occhi trionfanti di gioia, fece per voltarsi verso Odino per fargli capire che sì, lui era sempre stato degno di essere suo figlio.
Aprì la bocca per parlare, ma, prima che potesse farlo, il martello diventò incandescente e nonostante in un primo momento tentò di tenerlo stretto a sé, questo diventò troppo caldo e lui fu costretto a lasciarlo cadere a terra.

Di colpo, tutte le urla, gli schiamazzi e le congratulazioni svanirono nel nulla. Al loro posto, ci fu un tesissimo silenzio che sembrò spaccare i timpani ancor di più di tutte quelle urla e grida. Spaesato, si guardò intorno e, notando gli sguardi curiosi e sorpresi dei nobili seduti sugli spalti, cercò di riprendere in mano il Mjolnir. Allacciò quindi di nuovo le dita al manico in pelle del martello e provò a sollevarlo come poco prima: era certo che quello che era successo era  stato solo un caso. Lui era riuscito a sollevarlo e quindi si era aggiudicato a pieno il titolo di successore al trono… Vero?

Fece quindi più forza su di esso e di nuovo provò a tirarlo verso di sé con quanto più ardore potesse metterci. Nonostante ciò, con non poco sgomento da parte dei presenti, quest’ultimo non accennò ad alzarsi da terra.

Fu in quel momento che Loki capì di aver fallito.

La sua speranza di diventare Re di Asgard, di essere accettato dalla comunità degli Asgardiani, di riuscire, per una volta, in un impresa e poter finalmente rendere suo padre orgoglioso di lui, era svanita.

Aveva fallito.

Perché? In fondo era riuscito a sollevarlo, no? Aveva vinto. Per poco, sì, ma c’era riuscito. E allora perché? Perché il Mjolnir non si stava più sollevando? Cos’era successo?!

Improvvisamente tutto attorno a lui cominciò a girare vorticosamente e gli venne la nausea. Poi, con ancora le dita ferme sull’impugnatura del martello, ebbe una breve visione di tutto quello che fosse successo in tutto quel tempo, e la testa sembrò scoppiargli come un maglio a vapore: ricordò di essere sempre stato messo da parte, di aver sempre vissuto all’ombra di Thor fin da bambino.  

«… ki!».

Ricordò le carezze di sua madre sulla nuca quando gli diceva che sì, da grande sarebbe diventato Re.

«… oki!».

Ricordò la promessa fatta ad Emily da bambini, quando le disse che una volta diventato Re l’avrebbe sposata.

«…Loki!».

Ricordò anche lo sguardo di suo padre, serio e deluso, quando gli disse di non avere intenzione di sposare lady Eris. Ricordò anche la propria delusione nel sapere di essere stato usato come una pedina da gioco, un mezzo per raggiungere dei piani politici.
Loki ricordò tutto.

«Loki, per gli dèi, ascoltami!».

Poi, d’un tratto, due grosse mani possenti lo presero per le spalle e lo scossero violentemente, facendolo rinsavire. Subito dopo, le stesse mani che lo avevano scosso poco prima lo voltarono e, immediatamente, Loki si ritrovò faccia a faccia con due glaciali occhi azzurri che riconobbe come quelli di suo fratello. Istintivamente si guardò attorno e vide che gli occhi di tutti erano puntati su loro due: alcuni stavano sogghignando, soddisfatti del fatto che non fosse riuscito nell’impresa, altri invece restavano in silenzio con un espressione molto seria e composta.
 
Ma tutti, nessuno escluso, avevano nei loro sguardi la chiara scritta: “lo sapevo” che lo trafisse più di ogni altra cosa.

Guardò quindi nuovamente suo fratello, il volto ancora sfigurato dall’incomprensione e la delusione: eccolo qui, il futuro Re di Asgard.

Fece una smorfia di indignazione e fece per scansarlo e passargli accanto, ma venne prontamente fermato dal Thor stesso che lo trattenne per un braccio. Loki si voltò e lo incenerì con lo sguardo, ma, quando vide gli occhi pieni di apprensione del fratello, rimase perplesso.

«Mi dispiace» Sussurrò, e lui poté giurare di sentire della tristezza provenire dalla sua voce.

Tutto ciò non fece altro che incrementare ancor di più la sua rabbia e, trattenendosi dal maledirlo, si strattonò con forza via dalla sua presa e si diresse lontano da lui, verso alcune colonne.
Thor, dal canto suo, gli lanciò un’ultima occhiata rammaricata mentre, con un sorriso tirato, si avviava a provare ad alzare il Mjolnir. Fece quindi per allacciare le proprie dita attorno al martello.

E di nuovo tutti trattennero il fiato: Loki stesso lo fece, poiché, dentro di sé, sperava ancora che non ci riuscisse, che il martello non si alzasse e che Thor non venisse incoronato. Improvvisamente sentì di nuovo quell’odiosa marcia di tamburi suonare dentro di sé: Tum,tum,tum,tum …

E poi fu tutto un susseguirsi di eventi : vide Thor rivolgergli un’ultima occhiata triste e dispiaciuta, ma, subito dopo, lo vide alzare il martello con una facilità tale che perfino lui, per un momento, credette di avere le allucinazioni. Si aspettò quindi di vederglielo cadere dalle dita come era successo a lui, ma niente di tutto questo accadde e, al contrario, il martello scatenò alcune saette che percorsero tutto il braccio del fratello che, preso dall’euforia, gettò un lungo grido di sfogo.

Passarono alcuni secondi e, capendo ormai il legittimo vincitore, tutta la sala scoppiò in una cacofonia di urla di gioia. Vide Sif e i Tre Guerrieri esultare fra di loro come non avevano mai fatto prima e Odino e Frigga sorridere soddisfatti, solo lui sembrava essere estraneo a tutta quella gioia.

«PADRE!» Urlò con vittoriosa gioia Thor. « CE L’HO FATTA, PADRE!».

Vide allora Frigga applaudirgli entusiasta mentre Odino, con ancora quel suo sorrisetto felice sul viso segnato dall’età, si alzava dal suo trono per dirigersi verso il suo primogenito: una volta arrivato al suo fianco, il Padre degli dèi sollevò il suo braccio destro, nel cui pugno stringeva il Mjolnir.

«Ecco a voi mio figlio: Thor, Dio del Tuono e futuro Re di Asgard!» Gridò, e tutta la Sala esplose in un boato di grida d’esultanza e d’approvazione.

Disgustato da quella scena e infuriato come non mai, decise di abbandonare la sala una volta per tutte.



Adesso nella sua mente c’era un unico pensiero: avere la sua vendetta e diventare davvero quello che tutti pensavano che fosse, ossia il Dio degli Inganni.
 
 


 
 
 
-Angolino dell’autrice.

TA-DAAAN!

Ebbene sì, miei carissimi, per la vostra gioia (???) ‘son tornata!

Porto belle notizie (almeno per me x°D): prima fra tutte, La Volpe e il Lupo ha raggiunto le settanta recensioni! Grazie di cuore a tutti coloro che hanno commentato! Mi avete resa la ragazza più felice del mondo!


Seconda cosa: siete aumentati ancora di più! Adesso siete la bellezza di settanta e più persone! *^* Non potete neanche immaginare la gioia che mi da sapere una cosa del genere!


Terza cosa: avrete tutti notato il fatto che questo capitolo è  parecchio più lungo dei precedenti. Vi dico subito il perché: allora, in primis, questo capitolo è lungo perché parla, appunto, della parte ESSENZIALE di tutta la storia; ovvero quella in cui Thor vince la sfida e si aggiudica il titolo di Erede al Trono. Secondariamente, perché una volta che ho iniziato a scrivere non mi sono più fermata e terzo, perché volevo lasciarvi qualcosa di abbastanza lungo visto che è da molto che manco a causa della scuola :c . Spero di avervi lasciato soddisfatti!


Quarta cosa: avrete certamente notato alcune citazioni nella storia! Bene, vi faccio sapere che per la prima volta in tutta la mia carriera scolastica, il libro di Manzoni “i Promessi Sposi” mi è stato di grande aiuto. Infatti, se anche voi avrete dei vostri professori che vi inculcano ogni-dannato-giorno quel romanzo, saprete bene che la prima parte della fanfiction è stata ispirata al racconto del “Principe di Condé”. Vi assicuro che cercare di decifrare cosa, effettivamente, il Manzoni volesse dire è stata un’impresa a dir poco titanica.


Altra cosa! –ultima e poi vo’ via, promesso!- La frase: “Era, pensò Loki, come se il martello fosse stato costruito per lui. Più piccolo dei suoi fratelli, come lui. Imperfetto, come lui, incompreso..come lui.“ è stata “rubata” dal fumetto della Marvel: “Le fatiche di Loki” dove, appunto, Loki riesce a sollevare il Mjolnir. xD
Ok, ammetto di essere stata veramente una stronza nel far succedere tutte quelle cose a quel poraccio. E pensare che per un momento ha avuto una speranza… Povero cucciolo. Oh, be’ … un po’ di ANGST non guasta mai, eh? (STRONZA SADICA. Ndtutti)
 
Adesso, miei cari, vi saluto! Al prossimo capitolo!


PS: Se qualcuna di voi non mi ha ancora aggiunta su Facebook, questo è il mio indirizzo: 

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GRAZIE MILLE A DARMA PER AVER CORRETTO ANCHE QUESTO CAPITOLO! <3

 

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Capitolo 13
*** Wireless puppett. ***


~Wireless puppet.

Faticoso e infinito è il gioco della vita,
tutto si verifica per un capriccio di Dio.
Che pretende che ci piaccia il nostro fato,
Ma è solo una commedia!

Game of Life - Miku Hatsune (Vocaloid).
 
 

Furioso.


Era questo l’aggettivo che più descriveva Loki in quel momento.

Non riusciva a crederci… non riusciva a crederci! Dopo tutto quello che aveva fatto, dopo averci creduto per così tanto tempo! Lui… lui aveva perso.

Aveva fallito di nuovo. Non era riuscito a sollevare il Mjolnir! O, per la precisione, c’era riuscito,  solo che poi quel dannato martello era diventato incandescente e lui non era più riuscito ad alzarlo da terra, fallendo miseramente. Nella sua mente erano ancora chiari e tremendi tutti gli sguardi carichi di scherno e derisione che l'intera corte gli aveva indirizzato: erano cattivi, perfidi e derisori. Ricordava perfettamente di aver desiderato poterli uccidere tutti e riuscire finalmente a cancellare da quei loro volti stucchevoli quei maledettissimi sorrisetti di circostanza che tanto lo innervosivano. Ma più di ogni altra cosa, desiderò ardentemente che tutto quello che stava accadendo intorno a lui fosse solo un sogno, un incubo dalla quale si sarebbe presto svegliato. Lo desiderò così ardentemente e con così tanta forza che quasi si sorprese quando si rese conto che quello che stava vivendo non era affatto un incubo, ma la cruda realtà.

Sembrava tutta una beffa da parte del destino creata per farlo apparire come quello debole e malvagio che tutti credevano che fosse. Era tutta una commedia da quattro soldi, niente di più che un teatrino: uno di quelli con cui gli dèi si divertivano e che aveva già un finale scritto e scontato di cui lui aveva sempre fatto involontariamente parte. E a lui, in quella commedia, avevano assegnato il ruolo di antagonista e quindi gli spettava atteggiarsi come tale: non si ammettevano sgarri.

Istintivamente, pensò che tutto quello non fosse giusto.

Non era giusto il fatto che a lui, sin dalla nascita, fosse stato imposto un ruolo che non aveva chiesto: quello del cattivo e dell’antagonista che si frappone al valoroso eroe della situazione; che non era giusto che la gente gli avesse sempre riservato un trattamento diverso, quasi di una malcelata paura, nonostante non avesse mai fatto loro alcun male.
Ripensò a tutte le ingiurie e le risatine che gli amici di Thor avevano detto alle sue spalle, alle volte in cui, da bambino, veniva lasciato in disparte, al dolore che aveva provato nel non essere riuscito a sollevare il Mjolnir e, infine, ripensò allo sguardo carico di delusione che aveva visto negli occhi di suo padre.

Ripensò a tutto ciò e, alla fine, capì che tutto quello lui non se lo meritava, che non era giusto. Fu allora che giunse alla conclusione che tutti avrebbero dovuto pagare per il dolore che gli era stato inferto in quegli anni; ogni loro risatina, ogni loro sguardo di diffidenza lanciato nella sua direzione, ogni loro insulto sommesso.

Avrebbero pagato tutto.

Furioso, diede un pugno a una colonna lì vicino e, a causa del forte impatto che le nocche ebbero contro il marmo freddo, le sue dita cominciarono a sanguinare. Nonostante ciò, il dolore fisico sembrò nulla in confronto a quello psicologico.

Appoggiò la fronte al pilastro a cui aveva appena sferrato un pugno e, frustrato, si morse il labbro inferiore mentre si imponeva mentalmente di non lasciarsi andare alle emozioni. Prese due grossi respiri e chinò la testa, si morse il pugno e cercò di trattenersi dall’urlare: il suo corpo era diventato un fremito continuo. Dopodiché si lasciò scivolare giù a terra, avvilito e stanco come non mai, e si prese la testa fra le mani.

Voleva gridare. Urlare al mondo tutta la sua frustrazione e la sua rabbia; spiegare a tutti che non era lui ad essere cattivo, ma che erano stati gli altri a imporgli questo ruolo. Voleva dire loro che non era stata colpa sua se era nato più gracile rispetto agli altri asgardiani e far loro capire che si sbagliavano, poiché lui non era mai stato il mostro della situazione, né la vittima; semplicemente un attore a cui avevano assegnato una parte che non gli si addiceva.

«Stai sanguinando».

Riconobbe subito quella voce e repentinamente alzò il capo, facendo cadere il proprio sguardo sull’enorme massa di riccioli rossi che formava la folta chioma di Emily.
Non parlò. Anzi, non respirò nemmeno. Da quanto tempo Emily era lì?! Si domandò subito, allarmato all’idea di essersi fatto cogliere in flagrante in un momento di debolezza. Ma, non potendo ricevere risposta, si limitò ad osservarla e a mantenere il suo religioso silenzio: lei gli stava di fronte, bassa diversi centimetri rispetto a lui e gli occhi grandi e azzurri puntati sulla sua figura ancora piegata contro la colonna di marmo. Nelle dita sottili, notò che stringeva un lembo di stoffa dai ricami sottili e floreali che allungò verso di lui che, vedendolo, lo squadrò per bene per poi rivolgerle un’occhiata interrogativa, non capendo cosa volesse.

«Credo che la tua mano abbia bisogno di essere ripulita» Rispose lei con voce sottile.

Prima che potesse avere il tempo di ribattere, lei gli si avvicinò con passo veloce e deciso e, subito dopo, gli si sedette accanto. Con ancora il panno di stoffa nella mano destra, Emily prese la sua mano insanguinata e, con delicatezza, fece per passarglielo sopra, tamponando la ferita in un vano tentativo di fermare il sangue che scendeva lento dalle sue dita.  

Avrebbe potuto ritirare la mano e andarsene via, ma non lo fece. Non desiderò farlo neanche per un momento. Al contrario, rimase lì tutto il tempo, in assoluto silenzio, a contemplare ogni movimento che la piccola mano di Emily faceva sulla sua. Intorno a loro la quiete e il silenzio regnavano sovrani, non una mosca fiatava. Parve quasi che tutto il mondo fosse stato messo in pausa. Osservò Emily, china su di lui e il viso nascosto dai folti capelli rossi, e constatò che il suo volto, lentigginoso e nascosto da alcuni ciuffi ribelli, era una maschera impossibile da penetrare. Nonostante ciò, poté giurare di vedere un lampo d’angoscia nei suoi occhi chiari.

Allora sollevò la sua mano sinistra, quella buona, e la passò fra i capelli gonfi di Emily, che a quel tocco si irrigidì come una corda di violino, poi le sollevò il mento con due dita per poterla guardare dritta negli occhi e, subito dopo, le rivolse un sorriso mesto: uno di quelli amari che si usano quando non si vuol far vedere che si è tristi per qualcosa.

«Grazie» Le sussurrò e, nel dirlo, cercò di trasmetterle quanto più gli fosse possibile.

Poi fu tutto un susseguirsi di eventi: vide gli occhi di Emily riempirsi di lacrime e subito dopo le sue braccia sottili e chiare avvolgergli il collo, sorprendendolo non poco. Lui, da sempre chiuso e riservato, non poté fare a meno di strabuzzare gli occhi e arrossire vistosamente mentre, con ancora la testolina riccioluta di Emily sulla sua spalla, tratteneva il respiro. Restarono in silenzio per un tempo che gli parve infinito, finché Emily ruppe il silenzio.
 
«Mi dispiace» Disse, la voce rotta e singhiozzante. «Mi dispiace… » Ripeté nuovamente, quasi come se il continuare a dirlo potesse assolverla da una colpa che non era la sua.

Passarono alcuni secondi prima che riuscisse a comprendere che quelle scuse non erano rivolte a lui per una cosa che lei aveva fatto, bensì per quello che era successo poche ore prima nella Sala del Trono.


Era dispiaciuta per lui.

Piangeva, constatò, perché era l’unica a sapere quanto ci avesse sperato. Quanto ci avesse tenuto.

Emily stava piangendo per lui.


Realizzando ciò, sentì qualcosa avvolgergli il petto e, istintivamente, strinse di più a sé la ragazza affondando con forza le sue lunghe dita fra i suoi capelli annodati.

Non le parlò: rimase in silenzio per tutto il tempo, quasi come se temesse che un qualsiasi rumore avrebbe potuto spezzare quel momento e dissolverlo nell’aria come se fosse stato fatto di sabbia.
Passarono quindi i minuti, le ore e forse i giorni; questo non lo seppe mai con certezza. Ciò che però fu certo, è che improvvisamente non la  sentì più singhiozzare. Chinò quindi il capo per vedere cosa stesse facendo e, con ancora quell’espressione imperturbabile sul viso, constatò che si era addormentata. Adesso, al posto dei singhiozzi, c’era il suo leggero respiro che soffiava sul suo collo freddo.

Loki non disse nulla neanche in quel momento.

Si limitò a chiudere gli occhi e ad appoggiare il capo sulla colonna dietro di sé, pensando che adesso voleva mantenere la promessa che aveva fatto ad Emily da bambino più di ogni altra cosa.


 

Il giorno della sfida passò, e con lui anche la finta benevolenza di Thor. Accadde infatti che il futuro Re di Asgard, una volta riuscito a sollevare il Mjolnir, diede campo libero a tutti i sentimenti d’arroganza e spacconeria che lo avevano sempre contraddistinto da bambino, rivelandosi così come quello che lui aveva sempre pensato che fosse: un infante capriccioso e viziato. Inoltre, nonostante fosse evidente il cambiamento ormai fin troppo radicale di Thor – che se prima era un po’ più quieto e gentile, adesso l’arroganza aveva completamente preso il sopravvento su di lui – nessuno gli fece mai notare nulla e, anzi, molti lo elogiarono per la sua rinomata forza bruta e la sua eleganza nel saper maneggiare con tale maestria il Mjolnir, da cui non si separava mai se non per dormire. Di fronte a tutta questa foschia di leccapiedi e finta benevolenza, non poteva fare a meno di storcere il naso e domandarsi se lì dentro i veri ingannatori non fossero loro, anziché lui. Alla fine, cercò di lasciar perdere tutti quegli sproloqui di suo fratello e dei suoi fantomatici amici e si impose di concentrarsi sul suo piano, poiché, se gli altri avevano dimenticato che avrebbe fatto di tutto pur di ottenere il trono, lui lo ricordava ancora perfettamente.

Era da due settimane che ci stava lavorando, ormai. Ed era da due settimane che sperava che tutto andasse per il verso giusto e non ci fossero intoppi, poiché, se qualcuno lo avesse scoperto, sarebbe stato accusato di alto tradimento e, probabilmente, messo a morte. Infatti, ad Asgard, città di guerra e di onore, il tradimento era visto come il peggiore dei reati ed esso era severamente punito. E lui sapeva bene che tutti non desideravano altro che questo.

Si fermò un attimo a pensare: No … non tutti. Sua madre non lo avrebbe mai voluto, e sicuramente nemmeno Emily.

Nel pensarla, non poté fare a meno di sorridere malinconico: se stava facendo tutto questo, era più per lei che per sé stesso. Perché, se una parte di sé aveva ormai rinunciato al salire al trono, l’altra gli imponeva di continuare a provarci per riuscire a mantenere la promessa che aveva fatto da bambino all’amica, il giorno stesso in cui le aveva anche giurato di restare per sempre con lei; e se alla seconda promessa poteva mantener fede senza troppi problemi, per la prima non sarebbe stato affatto così facile. Ma lui era intelligente, scaltro e molto più astuto di tutti quegli omuncoli senza cervello dediti solo all’arte della guerra: era un ingannatore, il migliore di tutti, e se ingannare tutta Asgard avrebbe significato poter riuscire a portare a buon fine i suoi piani, lui l’avrebbe fatto senza rimorsi sulla coscienza.
Aveva già programmato tutto, niente poteva andare storto: l’inganno si sarebbe tenuto per la cerimonia d’incoronazione di Thor e, una volta riuscito nell’impresa, sarebbe stato lui stesso a salire al trono ed Emily lo avrebbe affiancato in veste di regina.

La celebrazione si sarebbe tenuta di lì a poco, mancavano ancora tre giorni e nessuno si sarebbe mai aspettato un colpo di scena come quello.

Constatando ciò, sorrise mellifluo fra sé e sé: se era uno spettacolo quello che gli dèi suoi avi volevano, allora avrebbe dato loro la migliore performance che fosse mai stata loro offerta, qualcosa che non avrebbero dimenticato facilmente e che, sicuramente, non era stata scritta nel copione.

Arrivò dunque il giorno e, quella mattina, Loki e Thor si svegliarono molto presto, entrambi ansiosi per diversi motivi: il primo, per paura che il suo piano fallisse e che lui venisse accusato di alto tradimento, il secondo era invece inquieto perché di lì a poco sarebbe dovuto divenire il Re di un popolo da sempre temuto e rispettato.

Entrambi si lavarono, si vestirono e, dopo aver ricevuto l’ordine, si diressero verso la sala che veniva prima di quella del trono.

Quando quindi Thor, con un calice di vino fra le possenti dita, arrivò davanti alle porte che avrebbero dovuto portarlo all’interno della sala, la stessa in cui avevano atteso prima della sfida di pochi giorni prima, subito le guardie gli aprirono il passaggio, permettendogli di varcare la soglia: lui l’attraversò con l’andatura spocchiosa e piena di sé che aveva assunto in quei giorni, dopodiché bevve il vino che stava dentro il suo calice e poi, dopo averlo gettato con un cenno stizzito della mano all’interno di un braciere lì vicino, che avvampò, urlò: «Un altro!».

Subito dopo, si andò a posizionare accanto a uno degli enormi pilastri dorati che impreziosivano la stanza e che le donavano un’aria sfarzosa e lussureggiante.

In quel preciso istante, l’elmo cornuto di Loki fece capolino da dietro una colonna accanto a Thor e il dio, un po’ allarmato, si voltò istintivamente per fronteggiarlo: notò che suo fratello aveva dipinto sul viso scarno il suo solito sorrisetto furbo e canzonatorio, eppure nel suo sguardo poteva benissimo leggersi una nota di preoccupazione che Thor, ansioso com’era, non riuscì a cogliere. Con poche falcate, Loki affiancò il fratello, posizionandosi alla sua sinistra, e lo guardò di sottecchi.

«Nervoso, fratello?» Domandò quindi con una sottile nota canzonatoria nella voce.

Lui gli lanciò una rapida occhiata e subito dopo scoppio a ridere. «Secondo te? No. Non sono mai stato nervoso» Rispose secco.
Loki alzò un sopracciglio. «Be’ … in verità, c’è stata quella volta a Nornheim--».

«Quello non era nervosismo, fratello, era solamente la furia della battaglia» Ribatté irritato Thor, spezzando le parole del fratello.
«Oh, certo … certo».
Thor aggrottò le sopracciglia, infastidito. «Altrimenti come avrei potuto farcela ad affrontare centinaia di guerrieri e a portare tutti quanti in salvo?» Chiese poi con l’aria saccente e un po’ spazientita di chi non è proprio nel momento adatto per discutere.

Loki si irrigidì un po’, poiché sapeva che, quella volta a Nornheim non era stato di certo grazie al fratello se tutti erano stati tratti in salvo. Al contrario: Thor, a differenza di quanto affermava con tanta ostentata sicurezza, aveva non solo esposto lui e tutti suoi amici a un pericolo ben maggiore di quanto potesse immaginare, ma li aveva perfino fatti quasi ammazzare.

«Per quel che ricordo, sono stato io ad evocare quella coltre di fumo per coprirci e facilitare la nostra fuga» Precisò allora, irritato.

Thor non lo fece finire di parlare che subito scoppiò a ridere divertito, nello stesso momento entrò in sala un ometto grassoccio con un vassoio su cui era posato il calice di vino che Thor aveva richiesto poco prima.

«Certo. Alcuni combattono, altri invece si limitano ad usare dei trucchetti» Disse, canzonatorio.

L’ometto al suo fianco non disse nulla in proposito, ma fu certo di vederlo ghignare accondiscendente a Thor in quel modo estremamente falso e stucchevole che tanto detestava. Lo fulminò con lo sguardo e decise di fargliela pagare: fece un rapido movimento delle dita e mormorò a bassa voce un sortilegio che considerava davvero divertente. Passarono non pochi secondi che l’omuncolo cominciò a guardare stranito e dubbioso il calice finché, spaventato da qualcosa che vide al suo interno, lasciò cadere il vassoio a terra rovesciandone il contenuto: adesso, dalla coppa dorata, al posto del vino fresco stavano due lunghe bisce che si contorcevano fra di loro.

L’ometto, ancora visibilmente sconvolto, fece passare il suo sguardo dalle bisce a lui, che se la rideva divertito.

«Loki… hai sprecato dell’ottimo vino!» Lo rimproverò Thor con tono severo.
«Oh, vorrai perdonarmi. Mi sono solo divertito un po’… giusto, amico mio?» Chiese con voce suadente e provocatoria al servo. Poi, con un altro gesto delle dita, fece sparire le due bisce che si dissolsero in un batter d’occhio. Subito dopo l’uomo andò via con la coda fra le gambe e, nel vederlo, i due fratelli risero sommessamente fra di loro.

Non passarono che pochi secondi dall’arrivo di un’altra guardia che, con l’elmo di Thor fra le tozze dita, si avvicino a lui e glielo porse con un delicatezza. Thor lo prese e la guardia, dopo aver fatto un inchino, si congedò da loro.

«Oh, belle penne» Disse lui sarcastico, riferendosi alle grosse ali in argento che l’elmo del fratello riportava.

Quello fece una risatina divertita e poi si voltò a fronteggiarlo.

«Non vorrai ricominciare con questa storia, vero, caprone?» Lo sbeffeggiò, osservando le grandi corna da stambecco che l’elmo di Loki riportava.

Si irrigidì un po’ a quel commento: non gli piaceva quando Thor lo prendeva in giro. Quello era un regalo di Emily, era una cosa che si era guadagnata per donarla a lui, e di certo valeva molto più di quell’insulso copricapo da quattro soldi che si ritrovava Thor. Nonostante ciò, il piano prevedeva che, almeno per quel giorno, doveva mostrarsi bendisposto e felice per il fratello; quindi, decise di stare al gioco.

«Guarda che ero sincero!» Mentì, ostentando un finto sorriso.
«Tu non sai essere sincero» Gli rispose allora l’altro.
«Ah, davvero?».
«Sì!».

Chissà, forse Thor non era poi così stupido come voleva far credere.

Be’, questo non faceva altro che rendere le cose più interessanti. Diceva che non gli credeva? Ottimo. Era proprio quello che voleva! Adesso era il momento di dare carta bianca a tutte le sue doti d’attore e da ingannatore: sarebbe riuscito a rifilargli un discorso così commovente e fraterno che, in modo o nell’altro, Thor avrebbe finito non solo col credergli, ma si sarebbe perfino fidato di lui. Perché, in fondo, si sa: la fiducia è l'arma più pericolosa e, se manovrata a dovere, può diventare letale.

Sorrise mellifluo fra sé e sé e nei suoi occhi si accese una luce di furbizia e malizia: che lo spettacolo avesse inizio.

«Ho aspettato a lungo questo giorno, proprio come te» Cominciò, la voce ridotta a un sussurro e gli occhi colmi di finta benevolenza. «Sei mio fratello, mio amico... e a volte sono un po’ invidioso» Disse quelle parole cercando di apparire il più credibile possibile: doveva convincerlo, avere la sua fiducia. Non poteva fallire. Ad un tratto, vide Thor sorridere affabile di fronte a sé, segno che ormai era in procinto di cedere, e fu allora che decise di dargli il “colpo di grazia”: quello che avrebbe firmato la sua vittoria.

«Però … non dubitare mai del fatto che ti amo.» Concluse, e per un momento, guardando negli occhi cristallini di suo fratello, sentì le viscere contorcersi. Durò solo un istante, giusto il tempo di un battito di ciglia e di dirsi che non era il momento di farsi prendere dai sentimentalismi, ma ciò che provò in quel momento fu come la sensazione del ricevere un pugno in pancia ben assestato. Non lo avrebbe mai ammesso a se stesso, ma lui, nonostante tutto, voleva davvero bene a Thor e quindi sapere di stare per “tradirlo”, per quanto potesse dire il contrario, non lo lasciava affatto indifferente.

Ma ormai era tardi per i rimorsi.

Guardò di nuovo dentro gli occhi azzurri del fratello, che ricambiò lo sguardo, e gli fece un mesto sorriso: poi Thor poggiò la mano possente dietro il suo collo coperto dai capelli neri e sorrise.

«Grazie» Gli disse semplicemente, e per lui quelle parole furono come una pugnalata.
Era un paradosso, constatò, perché era stato lui a volere tutto quello; eppure, non riuscì a togliersi di dosso quell’orribile sensazione, quasi di sporco, e, per la prima volta in vita sua, si sentì inetto, malvagio e inadeguato.

Improvvisamente, desiderò scappare via da tutta quella situazione che lui stesso aveva creato.

«E ora dammi un bacio!» Scherzò, cercando di smorzare il fastidioso silenzio che si era venuto a creare.

Thor rise e, con occhi sorridenti, gli diede una leggera pacca sul petto. «Smettila!» Lo ammonì.

Restarono in silenzio per alcuni secondi, ognuno immerso nei propri pensieri, finché Thor ruppe il silenzio.
 «Davvero, come sto?» Chiese, preoccupato.
Lo guardò: la barba bionda e incolta sul mento, le grandi e larghe spalle avvolte dal lungo mantello rosso, il Mjolnir fra le dita possenti e i biondi capelli ancora un po’ spettinati, e pensò che suo fratello era sempre stato quello che lui aveva sempre desiderato essere. Pensò che, forse, se le cose fossero andate per una volta come desiderava, adesso al posto di Thor ci sarebbe stato lui e quindi niente di tutto ciò sarebbe successo e non sarebbe stato costretto a guardare per l’ennesima volta suo fratello come l’utopia irraggiungibile, l’eroe che aveva sempre desiderato diventare.

Fece un sospiro e, con gli occhi  chiari fissi sul volto del fratello, disse: «Come un Re».

Thor lo guardò, ma non disse nulla: probabilmente aveva capito cosa si celava dietro a quella breve frase ricca di significato per entrambi.

«È ora» Disse a un tratto, guardando dritto di fronte a sé.
«Vai avanti tu» Rispose Thor, senza guardarlo.

Girò il capo verso di lui e lo guardò, confuso; Thor fece lo stesso, ma nei suoi occhi non c’era confusione: solo ansia.

«Ti verrò dietro, cammina!» Aggiunse con voce bassa.

Loki accennò a un mezzo sorriso, uno di quelli nervosi e brevi, e fece come gli era stato detto dal fratello. Quando la sua sagoma longilinea fu del tutto sparita, Thor fece un grande respiro.

Il momento era arrivato.



Urla, schiamazzi e baldoria.

Ecco cosa regnava in quel momento.

Quando le porte della Sala d’Aspetto si erano aperte, Thor si era fatto coraggio da solo e, impugnando più saldamente il Mjolnir tra le forti dita, si era deciso ad avanzare al disotto della scalinata che portava al trono reale. Nel percorrere la scalinata, si mise a giocherellare con il Mjolnir facendogli fare diverse capriole e salti, ognuno di essi accompagnato da un urlo d’apprezzamento. Camminando, il suo sguardo cadde sul trono dinanzi a sé e, con gli occhi che brillavano di una gioia sincera, vide lo sguardo colmo d’orgoglio di suo padre fissarlo dall’alto del trono. Si avvicinò quindi a lui e, guardandolo dritto nel suo unico occhio buono, si inginocchiò al suo cospetto. Poi si guardò intorno e scorse sua madre, Frigga, che lo guardava con un misto di orgoglio e severità; sfrontatamente, Thor ammiccò nella sua direzione. Guardò l’altro lato del trono e ci trovò i suoi amici, ognuno con un sorriso compiaciuto sul volto. Nuovamente, Thor ammiccò anche a loro.

Improvvisamente Odino si innalzò dal suo trono, lo scettro stretto nelle vecchie e ruvide dita, e tutti tacquero; poi, guardò il figlio con il suo unico occhio buono. Nel suo sguardo, nonostante fosse vecchio e spossato, si riusciva ancora a leggere tutta la saggezza e la lungimiranza che possedeva. Adesso, nell’enormità della sala, l’unica voce che risuonava era quella vecchia, ma possente, del Padre degli dèi.

«Thor» Disse. «Figlio di Odino, mio erede, mio primogenito» Nella voce del vecchio c’era stanchezza e indolenzimento, dovuti al fatto che di lì a poco l’uomo sarebbe caduto nel “Sonno di Odino”, ma, nonostante ciò, in essa si poteva ancora udire l’autorità che l’aveva da sempre contraddistinta. «Da tempo ti è stato affidato il martello Mjolnir, forgiato nel cuore di una stella morente. Il suo potere non ha eguali: come arma per distruggere o come strumento per edificare. È un compagno adatto ad un Re».

Dall’altra parte della sala, accanto a Frigga, Loki digrignò i denti e strinse forte i pugni. In quel momento, al posto di Thor, sarebbe dovuto esserci lui. Avrebbe sempre dovuto esserci lui.
Ma ora non aveva più importanza, mancava ancora poco e il suo piano avrebbe avuto inizio. Ancora pochi minuti e si sarebbe ripreso ciò che era suo di diritto.

«Io ho difeso Asgard e le vite degli innocenti in tutti i Nove Regni dal tempo del grande inizio. Nonostante sia …»




Contemporaneamente, all’interno della Camera delle Armi, una minaccia incombeva sul Regno di Asgard: il piano di Loki aveva avuto inizio.
Le due guardie, che sorvegliavano una reliquia di gradissimo valore, marciavano su e giù per la stanza, entrambe in vigilanza costante. Nonostante, però, fossero due dei migliori soldati di tutto il palazzo, entrambi non si accorsero delle due losche figure, alte circa il triplo di loro, che si erano infiltrate nella Camera delle Armi.





«Giuri di sorvegliare i Nove Regni?» Domandò Odino a Thor dopo il suo lunghissimo discorso.
«Lo giuro» Rispose quello.
«E giuri di preservare la pace?».
«Lo giuro!».
«E giuri di mettere da parte qualunque ambizione egoista e di prodigarti per il bene dei Regni?».
«LO GIURO!» Urlò con foga Thor in risposta, sollevando il Mjolnir.

Improvvisamente, Loki razionalizzò che ancora niente era successo, che il suo piano non stava funzionando e che Thor stava per essere incoronato.

Il panico lo avvolse.

«In questo giorno io, Odino, Padre degli dèi, ti proclamo …».

Sgranò gli occhi in un impeto di terrore e per un istante volle mettere fine lui stesso alla cerimonia. Era già in procinto di scattare verso Odino per impedirgli di continuare il discorso, ma, quando volse il suo sguardo su quello del padre, vide qualcosa che non aveva mai visto prima d’allora: la paura.




Un rumore simile a quello del brulicare di insetti fece scattare sull’attenti una delle due guardie che, intuendo che qualcosa non andava, si guardò intorno confuso. Il suo sguardo cadde sotto i suoi piedi, sul pavimento, e solo allora constatò che il suono che aveva udito non era altro che quello del ghiaccio che, stranamente, si stava formando sotto i suoi piedi.
Poi fu tutto un susseguirsi di eventi: l’uomo abbassò la guardia e quella piccola distrazione gli fu fatale in quanto, in pochi istanti, una delle losche figure che si aggirava prima nei meandri della sala gli fu addosso e lo stordì con un semplice colpo alla nuca. Lo stesso accadde con l’altra guardia che, non aspettandosi un attacco a sorpresa, si lasciò sopraffare facilmente dai mostri.
Adesso nessuno poteva più interferire.





 
«I Giganti di Ghiaccio…» Sussurrò Odino dall’alto del suo trono, il volto divenuto ormai una maschera di paura. Prima che qualcuno potesse capire cosa stesse succedendo, il Padre degli dèi sbatté con forza il proprio scettro sul pavimento. Quello fu il segnale d’allarme che arrivò al Distruttore, l’arma costruita appositamente per eliminare gli intrusi, che, udendolo, non esitò a uscire dalla propria tana e sterminare la minaccia che si era abbattuta su Asgard. Quando ebbe finito, si ritirò.

Odino tirò un brevissimo sospiro di sollievo, poi guardò Thor e Loki, entrambi sgomenti, e fece loro segno di seguirli. I due ragazzi si diedero una breve occhiata, annuirono e subito si diressero verso la Sala delle Armi. Durante il tragitto, nessuno notò il ghigno soddisfatto impresso sul viso di Loki.

Arrivarono dunque alla Camera delle Armi e, una volta varcata l’entrata, ciò che si presentò davanti ai loro occhi era la devastazione più totale. Le due guardie erano state uccise, metà sala era bruciata o ghiacciata e la maggior parte delle armi di Odino erano state distrutte dall'intervento del Distruttore.
 
La tensione era palpabile.

«Gli Jotun devono pagare per ciò che hanno fatto» Dichiarò ad un tratto Thor, le mani che erano diventate un tremolio convulso.
«Hanno pagato con la vita» Replicò Odino. «Il Distruttore ha fatto il suo lavoro, lo scrigno è salvo e va tutto bene» Concluse.
«Va tutto bene?!» Esclamò allora Thor, gli occhi azzurri spalancati per l’incredulità. «Sono entrati nella camera delle armi! Se i Giganti di Ghiaccio avessero depredato una sola reliquia--».
«Non l’hanno fatto».
«Bene, voglio sapere il perché!» Ribatté l’altro infuriato.

Loki se ne stava in silenzio, zitto zitto a godersi la scena. Tutto stava andando secondo i piani: povero Thor, la sua prevedibilità e la sua arroganza lo stavano lentamente portando al baratro e lui, povero stolto, non se ne accorgeva neppure.

«Ho stabilito una tregua con Laufey, Re degli Jotun--» Riprese allora Odino, ma fu bruscamente interrotto da Thor.
«Ha appena violato la tua tregua! Sanno che sei vulnerabile!».
Odino lo guardò, lo sguardo stanco di un vecchio che si portava avanti a fatica, e con voce calma e roca gli chiese: «A quale azione hai pensato?».
«Marciare su Jötunheimr come tu facesti un tempo. Punirli severamente. Logorare il loro stato d’animo in modo che non osino più oltrepassare i confini!»Fu la pronta risposta di Thor.
Il voltò di Odino si aggrottò, facendo divenire i suoi lineamenti più marcati e duri. «Pensi solo come guerriero!».
«È stato un atto di guerra!».
«È stato un atto di pochi. Destinato a fallire!».
«Guarda dove sono arrivati!» Urlò allora Thor, ormai su tutte le furie.
«Troveremo la breccia delle nostre difese e sarà sigillata» Dichiarò allora Odino, sempre mantenendo quel suo tono pacato e severo.
«Come Re di Asgard io--».
«MA TU NON SEI RE!» Scoppiò a un tratto, e la sua voce rimbombò fra le mura della sala. «Non ancora» Riprese, la voce più bassa e affaticata di prima.

Improvvisamente la Camera delle Armi sembrò divenire fredda come il ghiaccio e l’atmosfera che si venne a creare diventò così tagliente che Loki, per un momento, credette di potersi quasi tagliare. Guardò suo padre e suo fratello e notò che tutti e due si stessero fissando in cagnesco; come dei lupi che si squadravano prima di attaccare. Gli venne da ridere nel vederli così fragili e sciocchi, ma nonostante ciò si trattenne perché non voleva che il suo piano andasse in fumo proprio sul più bello.

I due uomini continuarono a squadrarsi con aria seccata e irritata e lui, istintivamente, pensò che mancasse poco alla lotta. Un pensiero davvero ridicolo, si disse, poiché nemmeno Thor, che era tanto arrogante e presuntuoso, osava paragonarsi al Padre degli dèi che, per quanto potesse essere debole e stanco, era ancora l’uomo più forte e potente di tutti i Nove Regni. Passarono alcuni secondi, poi i minuti finché Odino, stanco e irato, andò via dalla Camera delle Armi, lasciando dietro di sé un Thor furioso come pochi e un Loki soddisfatto e appagato.

 
La cerimonia fu annullata e, come prevedevano i piani, Thor non venne incoronato.

Nonostante questo gli avesse portato non poca gioia e soddisfazione, lo stesso non si poteva certo dire per Thor che, rosso di rabbia, stava letteralmente distruggendo la sala dei ricevimenti imbandita in vista del suo incoronamento. Una volta che si fu calmato, andò a sedersi in uno degli scalini che stavano vicino alla ex tavola imbandita, lo sguardo chino e deluso di chi non si era aspettato un tale sviluppo degli eventi. Da dietro la colonna che stava alle sue spalle spuntò Loki, l’andatura lenta e sinuosa di un felino e il solito ghigno stampato sul volto diafano: si sedette accanto a lui e cercò di assumere l’espressione più angosciata e angelica che il suo viso gli permettesse di ottenere.

«Non è saggio farsi trovare in mia compagnia, fratello» Disse allora Thor, vedendolo. Loki non gli rispose e quindi lui si sentì quasi in dovere di parlare, di sfogarsi. «Questo … questo era il giorno della mia celebrazione!» Esclamò, stringendo i forte i pugni.

«Giungerà» Rispose Loki, serafico. «Col tempo. E, se può consolarti, io dico che hai ragione: riguardo i Giganti di Ghiaccio, a Laufey e a tutto il resto. In fondo, se hanno già trovato il modo di penetrare le difese di Asgard un volta, chi ci dice che non torneranno con un esercito?» Sussurrò con voce suadente e persuasiva.
«Esatto!»Esclamò allora Thor, felice che qualcuno gli desse ragione.

Loki sorrise mellifluo e fu certo di aver ottenuto quello che voleva. In quel momento, Thor era fragile, confuso e arrabbiato: si chiedeva se ci fosse qualcosa di sbagliato in lui e se avesse errato nel comportarsi in quel modo tanto impulsivo. L’unica cosa di cui aveva realmente bisogno era un amico, qualcuno che gli dicesse che aveva ragione, e, adesso che suo fratello gli aveva dato conferma sul fatto che lui non fosse pazzo, aveva riacquistato tutta l’arroganza che, per un momento, era andata perduta.

Allora Loki gli si avvicinò, le labbra sottili e suadenti pronunciate verso il suo orecchio. «Non c’è nulla che tu possa fare senza disubbidire a nostro padre» Disse con voce persuasiva.

Come volevasi dimostrare, quella frase fu come l’accensione di una miccia per Thor, che subito scattò in piedi con un enorme sorriso dipinto sul volto. Ovviamente, Loki, per quanto potesse essere lieto del fatto che il suo piano stesse filando liscio come l’olio, dovette comunque recitare la parte del fratello preoccupato e ansioso.

«No. No, no, no … conosco quello sguardo!» Obbiettò debolmente.
«È  l’unico modo!» Esclamò allora Thor in risposta.
«Thor, è una pazzia!» Ribatté lui.
«Pazzia? Che genere di pazzia?» A parlare fu Volstagg, seguito dagli altri due guerrieri e Sif che entrarono tutti in quel  preciso istante nella stanza.
«Già! Che genere di pazzia?» Questa volta a parlare non fu nessuno dei Tre Guerrieri e neppure Sif. La voce proveniva da dietro ognuno di loro e, se gli altri ci misero un po’ di tempo per capire di chi fosse, Loki invece lo intuì subito.

«Emily!» Esclamò scattando in piedi, giusto per capire se fosse veramente la sua di voce e non quella di qualcun’altra.
Vedendolo incamminarsi verso la loro direzione, i Tre Guerrieri e Sif si scansarono un po’ per riuscire a vedere anche loro, e un po’ perché lo sguardo del Dio degli Inganni in quel momento non presagiva nulla di buono, facendo così sbucare la folta chioma riccioluta di Emily e il suo viso paffuto e lentigginoso da dietro le loro sagome.

«Ciao, Loki!» Disse quella, pimpante. «Di che follia stavate parlando?» Domandò.
«Cosa ci fai tu qui?» Domandò Loki con la voce ridotta a un sibilo.
«Già! Cosa ci fa qui? Chi ce l’ha portata? Chi è lei?!» Intervenne allora Volstagg, il viso grassoccio e coperto dalla folta barba rossa pieno di stupore.

Thor, riconoscendo Emily, rise di gusto e si avvicinò all’amico che lo scrutava dubbioso, poi gli batté una pacca sulle enormi spalle: «Miei cari amici, ma come? Non vi ricordate della nostra compagna di giochi? La piccola Emily?».

Tutti scossero la testa, tranne Lady Sif che la guardò furente: «Certo che mi ricordo di lei» Dichiarò.

Fu allora che negli occhi di Fandral, un guerriero dal portamento fiero e cavalleresco, si accese una luce di comprendonio: «La piccola Emily! Ma certamente! E anche grazie a lei se adesso la nostra cara Sif ha i capelli di uno splendido color corvino» Gongolò, ricevendo uno sguardo di fuoco da Sif che, a quanto pareva, non aveva digerito del tutto la cosa.

Era infatti successo che da bambini, Sif, invidiosa del fatto che Thor nutrisse un grande affetto per la piccola Emily, le facesse sempre i peggiori degli scherzi: dal nasconderle le sue bambole fino allo spingerla nel fiumiciattolo accanto alla radura dove i ragazzi si recavano sempre per giocare, facendola quasi affogare. Un giorno, Loki, stufo che Emily fosse sempre la vittima dei suoi scherzi, le fece un sortilegio che tramutò i suoi bellissimi e lunghi capelli biondi in corti e brutti capelli neri. Quando la ragazza si accorse del maleficio ricevuto, pianse tutte le notti e giurò sul proprio onore di farla pagare a Loki e a quella sciocca ragazzina dai capelli rossi. Nonostante ciò, a nessuno dei due ragazzi fu mai toccato un capello.
 
Ricordandosi tutti dell’accaduto, ognuno di loro rimembrò il viso ancora acerbo della piccola Emily e, dopo averlo messo a confronto con quello un po’ più maturo della ragazza ormai cresciuta, capirono tutto e Volstagg andò persino ad abbracciarla, rischiando di spezzarle tutte le ossa.

«Avete finito con i vostri sciocchi convenevoli? Be’ io vorrei capire come ha fatto ad arrivare qui senza che le guardie le dicessero nulla. È una ragazzina, non può stare qui!» Sbottò a quel punto Loki, irato del fatto che tutti la stessero studiando come se fosse stato un fenomeno da baraccone.
«Lo vorremo sapere tutti» Dichiarò allora Hogun, diffidente.

Tutti gli sguardi si puntarono su Emily che, imbarazzata, cominciò a torturarsi i capelli.

«Ehm… Ti ricordi quando ti ho detto che Thor mi aveva rivelato un bel po’ di passaggi segreti? Ecco … diciamo che non li ho ancora dimenticati» Balbettò, facendo un sorrisetto di circostanza.

Subito tutti si voltarono verso Thor e gli lanciarono un’occhiataccia, quello istintivamente alzò le mani come a volersi difendere da quegli sguardi iracondi: «Che c’è?» Chiese poi, offeso. «Ero solo un bambino! Che potevo saperne io, che la ragazzina avrebbe avuto una memoria così di ferro?» Esclamò.
Tutti sospirarono e Loki si rivolse di nuovo ad Emily: «Comunque sia, devi andare via di qui. Questi non sono discorsi adatti a te» Sentenziò.
Quella puntò i piedi a terra e gonfiò le guance, contrariata. «Voglio saperlo anch’io! Cosa dovete fare di così pazzesco? Non mi rendi mai partecipe di nulla! Non sono più una bambina!» Urlò in risposta.
«È troppo pericoloso per te, anche se te lo dicessi non potresti venirci comunque!» Ribatté allora Loki.
«Dove non potrei venire?! Si può sapere cosa dovete fare?».
«Non sono affari che ti riguardano».
«Se non me lo dici, lo andrò a riferire a Odino!».

Loki aggrottò la fronte: possibile che fosse ancora così infantile?

«Non possiamo permettere che lo riferisca nostro padre, Loki. Sai che ci punirebbe» Dichiarò Thor, poggiando una mano sulla sua spalla.
«Permetteresti che lei venga con noi a Jötunheimr?» Sibilò con voce tremante e occhi iracondi lui, scansandosi dalla sua presa.
«Jötunheimr?»Esclamarono allora tutti i presenti.

Roteò gli occhi al cielo mentre Thor, invece, si limitò a guardare negli occhi ognuno di loro ed annuire col capo.

«Cosa? Questo non è un viaggetto su Midgard, dove chiami a raccolta qualche tuono e saetta e i mortali ti adulano come un dio. Si tratta di Jötunheimr!» Dichiarò Fandral contrariato.
«Mio padre è entrato a Jötunheimr combattendo, ha sconfitto i loro eserciti e ha preso il loro scrigno. Andremo solo alla ricerca di risposte!»Disse allora Thor.
«È  proibito!» Si intromise allora Sif.

Thor fece una risatina nervosa e poi allargò le braccia in modo amichevole, quasi volesse abbracciarli tutti. «Amici!» Esclamò. «Avete dimenticato quello che abbiamo fatto insieme? Fandral, Hogun! Ditemi: chi vi ha condotto nelle battaglie più gloriose?».
Quelli si rabbuiarono un po’, ma poi fecero un mesto sorriso. «Sei stato tu» Rispose a bassa voce Hogun.
Thor sorrise, compiaciuto, e si rivolse all’altro suo amico, il più voluminoso: «E Volstagg, chi ti ha condotto a sublimi leccornie fino a pensare di essere morto ed essere nel Valhalla? Eh?» Chiese.
E anche lui chinò il capo e, dopo aver fatto una risatina nervosa, disse: «Tu!».


Infine Thor si rivolse a Sif, le braccia spalancate come a volerla abbracciare da un momento all’altro, e le chiese:«E chi ha dimostrato che aveva torto a chi scherniva l'idea che una giovane fanciulla potesse essere fra i guerrieri più spietati di questo regno?».
«Sono stata io!» Rispose prontamente quella.
«Vero, ma io ti ho sostenuta!».
Alla fine si rivolse ad Emily, che era stranamente sbiancata come un cencio, e le disse dolcemente: «Capisci Emily, non puoi venire con noi. Lo facciamo per il tuo bene, moriresti lì dentro. Sei troppo piccola e inesperta per una missione simile».
La ragazza, che adesso tremava come una foglia , non disse nulla per alcuni istanti e Loki pensò che fosse lì per lì per svenire.
Poi però, improvvisamente, parlò: «Jötunheimr … è il regno dei Giganti di Ghiaccio, non è vero?».

Capendo subito il motivo di tale domanda, scattò repentinamente verso di lei e la strattonò via con forza da Thor, stringendola per le spalle.
«Ascolta, non c’è niente che non va, ok? Ritorneremo tutti sani e salvi, però tu non devi venire con noi. Non devi, è chiaro, Emily? Hai capito ciò che ti sto dicendo?» Domandò, guardandola dritta negli occhi che ormai erano diventati vitrei e inespressivi.
Poi, improvvisamente, si staccò da lui con uno scatto quasi impaurito e si guardò attorno, confusa e preoccupata.

«No … NO! Non vi permetterò di andare da quei mostri! Sarebbe un suicidio! Io … io non voglio perdere di nuovo le persone che amo per colpa di quegli esseri! Non voglio!No! No! No!».

Prima che potesse fare qualcosa per calmarla, Thor le fu accanto e le cinse le spalle con le dita possenti.

«Non succederà nulla, Emily. Vogliamo solo sapere cosa sta succedendo!».
«Allora, se è solo per questo, voglio venire con voi. Riuscirò a difendermi, so fare anch’io delle magie e un po’ me la cavo nel maneggiare i coltelli. Fatemi venire con voi!» Urlò decisa.

La guardò negli occhi e vide tutta la paura che ci risiedeva dentro. Sapeva da cosa dipendeva: Emily aveva perso i genitori da bambina proprio a causa dei Giganti di Ghiaccio e, probabilmente, sapere che lui e Thor stessero andando incontro a una probabile morte la terrorizzava più di qualsiasi altra cosa. Era evidente che la sua paura fosse quella di perdere di nuovo le persone che amava senza poter far nulla per aiutarle e lui, nel suo inconscio, era convinto del fatto che volesse venire con loro solo per poter essere al loro fianco, nel caso fosse successo qualcosa.
Nonostante ciò, non poteva permettere di lasciar partire Emily e esporla a un pericolo così grande. Cosa sarebbe successo se si fosse ferita? Se qualcuno di quei mostri le avesse fatto del male? O peggio, se fosse addirittura … no. Non voleva neanche pensarci. Emily rimaneva lì, fine della storia.

«Se non mi farete venire con voi lo andrò a riferire al Padre degli dèi e tutta Asgard saprà ciò che state per fare!» Li minacciò allora la ragazza, quasi come ad aver intuito i suoi pensieri.

Stava per dire nuovamente che no, non avrebbe affatto accettato che lei partisse con loro, ma fu preceduto da Thor:
«D’accordo, Emily. D’accordo. Potrai venire con noi» Esclamò in modo un po’ astioso e stanco, lasciando tutti sgomenti.
«Cosa?!» Fece allora Loki incredulo.
«È una follia!» Urlò Volstagg «È ancora una ragazzina! Non sa neanche maneggiare una spada!».
«Si farà uccidere!» Disse a quel punto Fandral.
«Farà uccidere tutti noi» Dichiarò Hogun, scuro in volto.
«Non può venire con noi, Thor! Dobbiamo lasciarla qui» Fece Sif.
«E far sì che vada a riferire tutto a mio padre? No. Non posso permetterlo » Disse Thor, il volto divenuto una maschera di rassegnazione.


Loki pensò che stava andando tutto allo sfascio. Il suo piano si stava distruggendo e, con lui, anche l’ultima possibilità di diventare erede al trono, poiché, se non fossero partiti, tutto sarebbe stato inutile! Strinse i pugni fino farsi diventare le nocche  bianche e pensò che, se davvero voleva diventare il Re di Asgard, doveva lasciar partire Emily con loro. Non c’era via d’uscita.

Ma il gioco valeva davvero la candela?

Guardò Emily, lo sguardo determinato e i pugni stretti in petto, e si disse che sì, la valeva, perché lui voleva davvero mantenere quella promessa.

«Non sarò un peso per nessuno. Sarò in grado di difendermi e, se dovrò combattere, lo farò con onore, come hanno fatto i miei genitori».
«I tuoi genitori sono morti!» A parlare fu Sif, le voce divenuta un sibilo e gli occhi verdi ridotti a due fessure. «E moriremo anche noi se tu ti ostini a voler venire con noi, sciocca ragazzina!».
«Abbassa il tono, Sif. È con una fanciulla che stai parlando, non con un maschiaccio come te» Ad ammonirla fu Loki, che fulmino la Dea con un solo sguardo. «Mettiamola così: se il vostro problema è la sua vita, io stesso mi assumerò tutte le responsabilità in caso dovesse accaderle qualcosa; voi potete stare tranquilli e combattere una battaglia che spero non debba venirsi a creare senza avere altri pensieri per la testa».
«Mi sembrava che tu fossi il primo ad essere contrario per far venire lady Emily con noi, Loki» Dichiarò Hogun diffidente.
«Hogun ha ragione. Come mai questo improvviso cambio di programma?» Gli fece eco Fandral.
«Adesso basta! Questo non è il momento di metterci a discutere. Abbiamo una guerra da combattere!» Esordì Thor. «Emily verrà con noi: non possiamo correre il rischio che Padre venga a scoprire tutto. E adesso, miei amici, si va a Jötunheimr!».


Quando ebbe finito di parlare, Loki sentì Emily dietro di sé sussultare e, quasi istintivamente, cercò la sua mano. Quando la trovò, la strinse nella sua e subito sentì le dita piccole e sottili contrarsi per la sorpresa, ma, dopo pochi secondi, queste si rilassarono e ricambiarono forte la presa.

Sperò con tutto il cuore che quella non sarebbe stata l’ultima volta in cui le loro dita si sarebbero unite.
 
 


 
 
 
-Angolino dell’autrice.


E con grandissimo ritardo ma sì! Ce la fa!
Ed eccomi qui con questo tanto atteso (???) capitolo! YEAH!
Comunque, comunque, comunque … adesso che ci sono le vacanze natalizie aggiornerò molto presto. Decisamente mooolto presto. Specialmente perché devo farmi perdonare del ritardo di questi ultimi giorni! Sorry <3 Inoltre questo è un capitolo davvero MOLTO importante per lo sviluppo della storia. Ammetto che in principio volevo cambiarlo perché avevo paura di cadere nel banale ma alla fine ho lasciato stare perché appunto ho già tutta la storia fatta … non uccidetemi, pls. @.@
Vado! Un bacione! <3

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 Anche qui: GRAZIE MILLE A DARMA PER AVER BETATO IL CAPITOLO! <3 <3

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Capitolo 14
*** Jötunheimr. ***


~Jötunheimr.

L’acqua santa non può aiutarti ora.
Mille eserciti non riusciranno a tenermi fuori.
Non voglio i tuoi soldi.
Non voglio la tua corona.
Vedi, sono venuta a radere al suolo il tuo regno.

Seven Devils- Florence and The Machine.

 
 
 
«Dunque, andrò a prendere le mie cose. Vi consiglio di fare lo stesso: Jötunheimr non è celebre per la sua ospitalità»A parlare fu Thor e, nel suo sguardo, Loki notò un barlume di avventatezza, quasi di sfida. Sembrava esaltato all’idea di andare a combattere contro i Giganti di Ghiaccio e nulla, nemmeno l’idea di star mettendo tutti loro in pericolo, sembrava distoglierlo da quella sua ambigua felicità. Guardandolo, non poté evitare di chiedersi come un simile soggetto potesse davvero essere colui che avrebbe preso le redini del regno Asgard e, istintivamente, si disse che, forse, quello che stava facendo non era poi così sbagliato.

Accanto a lui, Sif e i Tre Guerrieri si scambiarono uno sguardo d’intesa e subito fecero per dirigersi fuori dalla sala; Thor fece lo stesso, ma, una volta arrivato all’uscio della porta, si voltò e fece scattare il suo sguardo verso quello verde del fratello minore, che si arrestò di colpo.

«Tu resta qui» Gli disse, «Non hai bisogno di armamenti, giusto? Hai già le tue sleali magie. Rimarrai qui di guardia, caso mai qualcuno dovesse domandare di noi. Puoi farlo. Non è così, fratello?» Nonostante la sua voce fosse neutra e indifferente, Loki percepì le parole di Thor come un ordine nei suoi confronti e istintivamente digrignò i denti, irritato. Lui faceva quello che voleva, nessuno poteva dargli degli ordini. Men che meno Thor.
Ma, nonostante la rabbia crescente, si impose mentalmente di non farlo adirare e di andare per il suo verso, cosicché non ci sarebbero stati ulteriori intoppi con il procedimento del piano.

«Certo. Non ci sono problemi, Thor» Dichiarò quindi, gli occhi involontariamente assottigliati in due fessure.

Thor sembrò percepire l’irritazione del fratello, ma non se ne curò più di tanto, rivolse invece lo sguardo alla piccola figura che gli stava accanto e con voce dura e decisa le disse: «Vieni con me, Emily. Devi prepararti per il viaggio, non puoi andare a Jötunheimr con quelle vesti: moriresti di freddo». 

A quel richiamo, la ragazza si fece, se possibile, ancor più piccola di quanto non fosse già e istintivamente strinse la sua mano più forte di prima, facendolo irrigidire un po’: sapeva che Thor era arrabbiato con lei a causa della sua cocciutaggine nel volerli seguire ad ogni costo a Jötunheimr e quindi, vedere quegli occhi così chiari e accusatori puntati su di lei, non faceva altro che aumentare il senso di colpa che stava provando in quel momento.

«N-No. Voglio restare qui, Thor» Pigolò ad un tratto, sorprendendo entrambi i fratelli, che la fissarono con tanto di occhi. Il maggiore, perché aveva ricevuto il suo primo rifiuto da quando aveva vinto la sfida, mentre il minore perché era convinto che Emily sarebbe andata con Thor.
«E come farai a procurarti ciò di cui hai bisogno? Mancano ancora pochi minuti e dovremmo partire per il Regno dei Giganti di Ghiaccio, ovvero il posto più freddo e desolato che ci sia in tutti i Nove Regni. Se devi venire, dovrai perlomeno avere qualcosa che ti protegga da quei mostri e dal freddo» Dichiarò con evidente fastidio nella voce.

Loki abbassò lo sguardo su quello ceruleo di Emily e constatò che era evidentemente intimorita da suo fratello, probabilmente a causa dello sguardo carico di astio che le stava rivolgendo. Quando infine vide le sue mani piccole e delicate cominciare a torturarsi l’un con l’altra –atteggiamento che Emily assumeva ogniqualvolta fosse imbarazzata o agitata, capì di dover intervenire.

«Penserò io a questo, Thor. Tu va pure a imbellirti come meglio credi, ormai manca poco alla partenza e quindi farai meglio a sbrigarti. Sono certo che se Padre venisse a scoprire ciò che stiamo per fare prima ancora che la missione sia portata a termine, non ne sarebbe molto felice.» Dichiarò, e nella sua voce ci fu una sottile nota di sfacciataggine e arroganza che non sfuggi a Thor, che, irritato, assottigliò gli occhi e li ridusse così a due fessure azzurre.

«E come pensi di fare?» Gli domandò quindi, le sopracciglia aggrottate per la rabbia.

Sogghignò e, con occhi furbi e sagaci, fece una rapida mossa con le dita e mormorò qualche parola in una lingua antica che Thor non conosceva. Poi alzò lo sguardo nella direzione del fratello e avvicinandosi a lui gli diede spettacolo di ciò che stava accadendo alle sue mani, lasciandolo sbalordito: all’inizio, sopra i palmi delle mani delle sue mani ci fu solo una piccola lucina argentata, ma poi, col passare dei secondi, questa diventò più grande fino a prendere la forma di due pugnali visibilmente molto affilati. Dopo di ciò, improvvisamente, la luce argentata che teneva i pugnali sollevati si dissipò e questi caddero dritti nelle sue  lunghe dita, afferrandoli con ancora il suo sorriso sornione sul volto affusolato. Dopodiché si voltò e li diede ad Emily, che era rimasta in silenzio per il troppo stupore.

«In questo modo» Dichiarò infine, le labbra arricciate in un sorriso di scherno che, per un momento, mandò su tutte le furie il Dio del Tuono. Osservando di sottecchi il fratello, credette lì per lì che Thor gli avrebbe caricato un pugno, uno di quelli che facevano male e che gli avrebbe certamente tolto il sorriso dalla faccia, ma si dovette ricredere quando vide sul volto del biondo aprirsi un ghigno canzonatorio che non gli piacque per nulla.

Lo vide avvicinarsi ad Emily, che lo fissava con le sopracciglia aggrottate e le labbra serrate e ridotte a un filo, e prendere uno dei pugnali che teneva nelle dita sottili col chiaro intento di studiarlo. Dopo aver preso il pugnale, Thor lo osservò un po’ in modo puntiglioso e minuzioso, ma dopo alcuni secondi, scoppiò a ridere divertito.

«È questo che sai fare, fratello?» Chiese, arrogante. «Far apparire oggetti dal nulla? Davvero sorprendente! Bravo! Tipico di te usare trucchetti così sleali e poco onorevoli» Esclamò in modo sarcastico e canzonatorio.

Stridette i denti ed improvvisamente ebbe l’istinto animalesco di prendere quel pugnale e conficcarglielo nella testa, così: giusto per sfizio. Chissà se, con un coltello piantato in quel poco cervello che aveva, Thor avrebbe cambiato atteggiamento. Ma, nonostante la furia che gli montava nel petto, si impose di rimanere calmo e seguire il piano; se c’era qualcosa che in quel momento non andava fatta, quella era certamente perdere la pazienza.

«La magia è parte di me, fratello. Non posso non usarla» Sibilò.

A quelle parole Thor sorrise beffardo e gli rivolse un’occhiata sprezzante. «La magia è inganno, Loki. Usarla è sinonimo di codardia e disonestà: non è onorevole, per un figlio di Odino, usare un sotterfugio simile» Dichiarò, improvvisamente scuro in volto. Poi rivolse il suo sguardo ad Emily, che lo fissava con occhi pieni di rabbia, e le ridiede il coltello con un sorriso mellifluo sulle labbra rosse. «Sii giudiziosa, piccola Emily. Usalo solo in caso di necessità» Le disse, ed Emily ebbe voglia di rispondergli che se non se ne fosse andato entro pochi secondi, quel coltello glielo  avrebbe ficcato lì dove non batteva il soleper necessità personale.

Come se avesse sentito i suoi pensieri, Thor si voltò e fece per andarsene, ma, una volta arrivato all’uscio, si fermò e gli lanciò uno sguardo d’intesa.

«Fra pochi minuti tornerò con tutti gli armamenti necessari, se dovete fare qualcosa fatela adesso. A dopo» Soffiò, prima di richiudersi le porte dietro di sé.
Poi successe tutto in un attimo: Loki, furioso come non mai per quell’ennesima frecciatina che gli era stata rivolta, si avviò con passo spedito lontano da Emily, che, vedendolo in quello stato, gli corse istintivamente dietro.

«Dove stai andando?!» Urlò. «Thor ha detto che dobbiamo restare qui!».

Si voltò di scatto e le puntò un dito accusatorio contro. «No, tu devi restare qui. Ti avevo detto fin dal principio di tornare a casa, perché non l’hai fatto?!».
Era stanco di essere sempre preso di mira da Thor e dai suoi stupidi amici, stanco di essere sempre considerato il reietto della famiglia solo perché non era riuscito a sollevare uno stupido martello. Stanco di essere accusato di essere senza onore solo perché al posto delle armi lui usava la magia.

Era stanco di tutto e di tutti.

Lo stress per lo sviluppo del piano lo stava facendo impazzire e, di certo, la voce squillante e preoccupata di Emily in quel momento non lo aiutava. In fondo era anche colpa sua se adesso stava così: se non fosse stata così testarda e cocciuta e non avesse insistito nel voler venire con loro, di certo si sarebbe risparmiato quell’ennesima palettata al suo orgoglio.

O almeno, questo era quello che la rabbia gli faceva credere.

«Perché voglio venire con voi. Cosa c’è di così complicato da capire?» Rispose allora Emily, gli occhi azzurri pieni di stupore a causa del repentino cambio d’umore dell’amico.

Nonostante fosse evidente che fosse realmente preoccupata per lui, si sentì infastidito da tutte quelle attenzioni. Voleva rimanere solo, sfogarsi per conto proprio: non gli andava che qualcuno lo vedesse in quello stato, lo faceva sentire debole e indifeso. Quasi come un infante bisognoso di attenzioni.

«Non puoi. Te l’ho già detto! Saresti solo un peso» La sue voce era tagliente e cattiva ed Emily non riusciva proprio a capire perché improvvisamente lui ce l’avesse tanto con lei. Non le piaceva lo sguardo di fuoco che le stava riservando, e non le piaceva nemmeno il fatto che le stesse urlando contro. Non sopportava le persone che urlavano: le considerava odiose e antipatiche e Loki, in quel momento, sembrava ricalcare alla perfezione quel tipo di gente che a lei proprio non piaceva.

«Perché dici questo? Avevi detto che saresti rimasto con me, che mi avresti protetta!» Esclamò allora, confusa e arrabbiata.
«È quello che sto cercando di fare, infatti, razza di stupida!» Sbraitò lui in risposta, furente di rabbia.

Nella sala calò il silenzio più assoluto e Loki ebbe quasi l’impressione che tutto intorno a lui fosse diventato incredibilmente freddo ed ostile. Vide Emily dinanzi a lui mordersi il labbro inferiore a sangue e le sue dita stringere con forza la sua veste blu; subito sentì una fastidiosissima stretta allo stomaco, che diventò un vero e proprio dolore quando notò che la ragazza era prossima alle lacrime – come ogni volta che litigavano. Stanco, si lasciò andare a un sospiro rassegnato e, mentalmente, si disse che l’unica cosa che ci mancava per completare in bellezza la giornata era vederla piangere. Decise quindi di usare un tono più calmo e mansueto, in modo che così magari anche lui si sarebbe calmato un po’.

«Non puoi venire con noi, Emily. Sarebbe una follia» Le sussurrò piano, cingendole le spalle.
«Questa missione è già una follia!» Ribatté allora lei, testarda, scrollandosi dalla sua presa.
«Una follia di cui tu non dovrai far parte» Tagliò corto lui, sperando che il discorso finisse lì.
«Perché?!» Gli chiese l’altra, gli occhi azzurri ridotti a due fessure. «Avevi detto che andava bene! Che non ci sarebbero stati problemi! E… E poi, se il problema è il fatto che io non sono brava come Sif nel combattere, ti assicuro che farò di tutto per evitare problemi alla squadra e cavarmela da sola! Io… io so fare perfino alcune magie e riesco anche a maneggiare bene i coltelli! E … e poi io … io devo andarci.» Concluse piano, e la sua voce, dapprima acuta e squillante, sembrò ridursi a un pigolio indistinto che lui, che era a pochi centimetri da lei, riuscì a capire a fatica.

Improvvisamente, Emily alzò lo sguardo e i suoi occhi si andarono a poggiare su quelli suoi, in un chiaro senso di supplica. Lui ricambiò l’occhiata e, nel farlo, scorse un velo di determinazione mista ad angoscia nello suo sguardo. Subito capì che Emily voleva venire con loro per un fine ben preciso che, per chissà quale arcano motivo, non voleva rivelargli. Decise quindi di indagare.

«Perché devi? Cosa devi fare?» Le domandò, schietto e senza tanti giri di parole.

Emily cominciò a torturarsi le mani, quasi come se quel piccolo gesto avesse potuto alleviare l’imbarazzo che stava provando in quel momento, poi fece un respiro profondo e rispose:
 
«Ciò per cui stiamo partendo, Loki. Uccidere i Giganti di Ghiaccio» Disse quelle parole con una tale convinzione che, per un momento, Loki credette sul serio che fosse seria. “Impossibile” si disse, “Non può davvero essere così stupida!”.

 Ma, guardandola, si rese conto del fatto che non stesse affatto scherzando. Restò sbigottito e silenzioso per alcuni minuti finché, alla fine, scoppiò in una grossa risata nervosa, alta e perfino un po’ sguaiata.

«Parli sul serio? Tu, uccidere un Gigante di Ghiaccio? Emily, scoppi a piangere per una piccola ferita o per la morte di un animaletto, come credi di poter riuscire a uccidere uno di quei mostri? Non puoi. Non ci riuscirai. Cosa credi di ottenere? Pensi forse che così facendo diventerai una guerriera come Sif?» Le domandò quando le risate si furono placate.

«Cosa puoi saperne tu?!» Urlò allora lei a pieni polmoni, profondamente ferita dalla reazione che lui aveva adottato poco prima. « Tu non sai cosa significa sentirsi soli! Non avere dei genitori, dover passare ogni compleanno senza tua madre o tuo padre che ti dicono quanto ti amano, che sono felici di stare con te … non hai la minima idea di cosa significa perdere qualcuno di caro solo per un capriccio di quei mostri. Tu non sai niente, quindi non hai il diritto di parlarmi cos--» Fu bruscamente interrotta da Loki che, senza preavviso, l’aveva afferrata con veemenza per le spalle e spinta con forza contro un pilastro lì vicino, bloccandola con le braccia. L’impatto che ebbe con l’oro della colonna fu forte e le fece male, ma quando, alzando lo sguardo, vide i suoi occhi verdi colmi d’una rabbia e una frustrazione che non gli aveva mai visto prima, non ebbe la forza di ribellarsi e si sentì improvvisamente piccola e indifesa. Deglutì.

«Sei una stupida» Disse. «Proprio tu mi parli di quanto sia dolorosa la solitudine? Di quanto sia brutto non sentirsi amati? No, non te lo permetto. Cosa speri di ottenere andando fin laggiù? Credi davvero di riuscire a uccidere il Gigante di Ghiaccio che ha assassinato i tuoi genitori? Eh, è così? Tu non hai la minima idea di che follie stai dicendo. Credi che uccidere sia facile? Che sia tutto un gioco e che una volta ucciso il presunto assassino dei tuoi genitori tu possa trovare la pace? No, non è così che andrà! Emily, apri bene le orecchie: qui non si parla di Midgard, dove gli esseri umani sono dei poveri stolti, incapaci di campare per più di qualche anno e facili da ingannare con due semplici paroline un po’ più forbite... si tratta di Jötunheimr. Lo capisci questo?» La voce di Loki era dura e senza ammissioni di repliche ed Emily, per un momento, si sentì mortificata.
 
Nonostante ciò, non riuscì a distogliere lo sguardo da lui e dai suoi occhi verdi, che la tenevano inchiodata lì e la facevano sentire incredibilmente piccola.

«… Sì» Pigolò.

«E allora resterai qui, giusto? Lo farai?» Domandò Loki con una scintilla di speranza negli occhi.

Emily non rispose subito, al contrario: passarono alcuni minuti prima che si decidesse ad aprir bocca. Era confusa, arrabbiata e piena di paura: sapeva a cosa sarebbe andata incontro se avesse deciso di partire per Jötunheimr e quindi le parole di Loki non facevano altro che aumentare questo suo timore. Si disse che forse aveva ragione, che sarebbe dovuta restare a casa al sicuro, e, per un momento, fu in procinto di cedere alle sue imposizioni. Poi però le ritornarono in mente i ricordi della lei bambina, quella piccola e gracile che era sempre stata, mentre giocava da sola con delle bambole di pezza senza la compagnia di nessuno, o quando la zia Kim le diceva dolcemente che neanche quell’anno i suoi genitori sarebbero potuti esserci al suo compleanno, facendola scoppiare inevitabilmente a piangere. Ricordò tutto e, improvvisamente, tagliente come un fulmine, il dolore e la rabbia esplosero in lei perché, probabilmente, tutto ciò non lo avrebbe mai passato se i suoi genitori fossero stati ancora vivi.

Pensò che non le importava niente di morire: voleva vendicarsi di quegli orrendi mostri che avevano ucciso i suoi genitori e che le avevano impedito di vivere un’infanzia normale. Se sarebbe dovuta morire, si disse, lo avrebbe fatto con onore. Proprio come avevano fatto loro.
Alzò quindi lo sguardo su quello di Loki, che continuava a fissarla in cerca di una risposta, e nel riscontrare quegli occhi verdi su di sé si disse che nessuno, nemmeno lui, avrebbe potuto impedirglielo.

«No» Rispose, cercando di avere il tono più serio e convinto possibile.

Lo mormorò appena, ma nel silenzio totale che albergava nella sala quel “no”  risuonò forte come un grido. Subito pensò di aver fatto una stupidata, una di quelle di cui si sarebbe pentita amaramente, e quasi d’istinto cercò gli occhi di Loki: aveva lo sguardo confuso e dubbioso di chi non ha ben capito bene cosa stesse succedendo ed i suoi occhi erano innaturalmente sgranati e apprensivi. Poi, improvvisamente, il suo  sguardo mutò di colpo e qualcosa, dentro di lei –simile a un campanello d’allarme, le urlò di rimangiarsi quello che aveva detto poiché il suo viso ossuto e affilato dell’amico era diventato improvvisamente una maschera piena di rabbia e frustrazione.

Per un momento, fu certa che le avrebbe fatto del male, ma poi si accorse che quella di Loki era una rabbia dolorosa, stanca e assolutamente non violenta; probabilmente era arrivato al limite della sopportazione. Sorpresa, non riuscì a distogliere gli occhi da lui nemmeno per un istante e con fatica si accorse di star trattenendo il fiato nell’attesa di una sua reazione. Loki la teneva inchiodata lì, con il suo sguardo irritato e la mascella contratta, senza dire una sola parola.

Ad un tratto si allontanò bruscamente da lei, le lanciò un’ultima occhiata ed assottigliò le labbra fino a farle diventare un filo. Guardandolo, constatò che tutto di lui era un constante tremolio.  

«Bene!» Sussurrò a un tratto, gli occhi ormai ridotti a due fessure verdi. «Fa' come credi!» Disse, furente. «Ma ascoltami attentamente: stai percorrendo una strada pericolosa, che ti porterà in un mucchio di guai! Stai giocando col fuoco, Emily, e bada bene che quando ti scotterai io non sarò lì per medicarti le ferite e asciugarti le lacrime. Non questa volta» Aggiunse, mentre si affrettava ad uscire dalla sala con passo veloce e spedito.

Nel tragitto, si scontrò con Volstagg che era venuto per avvisarli che stavano per partire. Quello, nel vedere il compagno così adirato, fece una faccia stupita e si gratto la folta barba rossa, mormorando un “Ma cosa—?” sommesso quando Loki lo superò senza degnarlo neanche d’uno sguardo.

«Bene!» Sibilò fra i denti Emily, piccata. Ed anche lei fece per andarsene via senza degnare d’uno sguardo il povero Volstagg, che cominciava a non capirci più nulla.

«Per la barba di Odino, si può sapere cosa sta succedendo?!».



«Dobbiamo trovare un modo per passare oltre Heimdall» A parlare fu Thor e sul suo viso abbronzato e ricoperto da alcuni peletti biondi si dipinse un espressione di pura concentrazione.
«Non sarà un'impresa semplice! Si dice che il guardiano del Bifröst possa scorgere una singola goccia di rugiada cadere da una foglia a migliaia di mondi di distanza!» Intervenne allora Volstagg, sinceramente preoccupato.
«Sì, e che possa sentire un grillo scorreggiare a Niffleheim!» Ribatté Fandral, scatenando l’ilarità di quasi tutti i presenti.
 
Quasi, perché a differenza di tutto il resto del gruppo, Loki ed Emily erano entrambi silenziosi come tombe e adirati come non mai a causa della discussione avuta poco prima. Di tanto in tanto, entrambi si scambiavano delle occhiate di sottecchi, ma nessuno dei due sembrava essere in vena di iniziare una conversazione.

«Non scherzare! Lui sente tutto!» Irruppe Volstagg, ansioso.
«Oh, per piacere! Passare dovrà essere semplice, a questo punto, visto che sembra che si lasci sfuggire i Giganti di Ghiaccio proprio sotto al suo naso!» Commentò Fandral con spacconeria, mentre cominciava ad avviarsi verso le scuderie.

«Oh, perdonalo, non intende offenderti!» Supplicò l’altro al cielo, seriamente preoccupato per ciò che avrebbe detto il Guardiano del Bifröst.

Si avviarono tutti verso le scuderie, ad eccezione di Loki, che tardò un po’ poiché intraprese una piccola conversazione con una guardia di passaggio che, inconsapevolmente, lo stava aiutando nell’ennesima fase del suo piano per la conquista al trono. Dopo che ebbe finito di discutere, anche lui si avviò alle stalle con un sorrisetto appena accennato sul volto. Emily, che a sua volta si stava attardando per ben altri motivi – doveva allacciarsi lo stivale, lo notò e, per un momento, fu tentata di domandargli cosa avesse detto alla guardia. Alla fine però si limitò a fare dietrofront ed avviarsi anche lei nelle scuderie.
 
«Cosa dovrei fare adesso!?» Domandò irritata  quando, dopo essere arrivata alle stalle, si ricordò che lei non sapeva andare a cavallo. Le erano sempre piaciuti quei mastodontici animali così eleganti e raffinati, ma purtroppo, non aveva mai avuto la possibilità di imparare a cavalcare.

«Resterai qui. Com’è giusto che sia!»Rispose Sif con un sardonico sorrisetto sul viso delicato.
«Sarebbe la cosa più saggia» Mormorò Hogun.
«Già, ma non credo sia una buona idea. La piccoletta potrebbe andare a riferire al Padre degli Dèi quello che stiamo facendo!» Soffiò Fandral, sospettoso.
«Anch’io dubito che sia una buona idea, amici miei» Gli fece eco Thor, scoccando un’occhiata dubbiosa ad Emily, che li fissava dal basso con aria infastidita e le mani sui fianchi.
«Ehi! Vorrei ricordarvi che io sono ancora qui!» Dichiarò ad un tratto, irritata dai commenti dei guerrieri.
«Esatto. Sei qui, ma non dovresti esserci» Ribatté Thor, scontroso. «In ogni caso, potrai venire con me. Quindi monta su, il mio cavallo può reggerci entrambi» Fece, porgendole la mano.

Nel momento stesso in cui, con titubanza e malvolentieri, Emily accettò l’aiuto di Thor, Loki sentì la rabbia dentro di sé aumentare. Fu come se qualcosa di grosso e squamoso avesse preso bruscamente vita nel suo stomaco, artigliandogli le viscere; il sangue caldo gli salì al cervello e gli spense ogni pensiero, sostituito da un selvaggio impulso di trasformare Thor in budino. Era una sensazione fastidiosa ed antipatica, che non gli piaceva per niente. Si sentiva fragile in quei momenti, perché, per lui, cedere ai sentimenti era sinonimo di fallimento e idiozia. E lui era tutto, fuorché un idiota.

Lottando contro questa improvvisa follia, sentì la voce di Hogun come da un’enorme distanza.

«Muoviti: Thor non ti aspetterà a lungo» Gli disse.

Con le labbra ridotte a un filo e lo stomaco sotto sopra, si costrinse a prendere le redini del proprio cavallo ed avviarsi anche lui verso il Bifröst. Nel tragitto, cercò di distrarsi osservando con piccole occhiate sfuggevoli le abitazioni e le città di Asgard e si sorprese un po’ nel vedere così tante sfaccettature di colori che l’abbellivano.
Asgard era davvero meravigliosa.
Arrivarono al Bifröst e lo percorsero senza indugi fino alla fine, dove dovettero fermarsi per poter dialogare con Heimdall, che li scrutava con lo sguardo di chi sapeva già tutto.

Scese dal cavallo e, nel percorrere l'ultimo pezzo di strada che lo distanziava dal Guardiano, sentì provenire da dietro di sé un flebile “Hai visto? Sapeva già che stavamo per arrivare. Che ti dicevo, eh? Malfidato miscredente…” appena sussurrato da Volstagg in direzione di Fandral, che, ancora sorpreso, non rispose alla provocazione lanciatagli dal compagno.

Di fronte a lui, Emily e Thor camminavano a pochi centimetri di distanza. Non poteva vedere che espressione avevano in quel momento i loro visi, ma fu certo che Thor avesse il solito sorriso spaccone che lo contraddistingueva sempre, mentre Emily un piccolo broncio impaurito.
Si avviò verso il Guardiano e superò Thor velocemente, liquidandolo con un semplice “Lasciate fare a me” accompagnato da un sorrisetto un po’ canzonatorio. Fece per iniziare il discorso, ma Heimdall lo precedette, senza dargli nemmeno il tempo di finire ciò che stava per dire.

«Servono indumenti caldi a sufficienza» Dichiarò, cupo.

Aggrottò le sopracciglia, confuso.

«Come, scusa?» Chiese allora, non aspettandosi quella reazione.
«Credi di potermi ingannare?» Soffiò il Guardiano, mantenendo quell’espressione neutra e composta.

Heimdall era sempre stato un dio di grande valore, questo lui lo sapeva bene. Da bambino lo aveva sempre temuto, perché suo padre diceva che, in quanto a forza fisica e intelletto, era uno dei migliori in tutta Asgard; motivo per cui era stato proclamato come Guardiano del Bifröst. Era un uomo dalla pelle scura, gli occhi di un acceso marrone e una folta barba nera; molto diverso dalla classica bellezza chiara e pura degli altri asgardiani. Nonostante ciò, non riusciva a credere che i suoi presunti “poteri” fossero reali; era certo che in tutta Asgard, solo lui ed Emily fossero in grado di fare magie. E, quest’ultima, nemmeno tanto bene.

«Devi esserti sbagliato» Rispose allora con un sorriso di circostanza sulle labbra. «Io non so--».
«Basta!» A parlare fu Thor e la sua voce risuonò forte e chiara nelle sue orecchie e, istintivamente, smise di parlare.
«Heimdall possiamo passare?» Domandò.
«Mai un nemico ha eluso la mia sorveglianza, sino a questo giorno. Vorrei sapere com’è accaduto.» Rispose Heimdall con voce decisamente infastidita ed irritata, quasi come se gli desse fastidio ammettere di aver fallito nel suo ruolo di Protettore di Asgard.
«Allora non dirai dove siamo andati fino al nostro ritorno. È chiaro?» Domandò Thor in modo serio e deciso.

Heimdall non rispose e quindi Thor avanzò con la certezza di avere il suo consenso. Lo stesso fecero gli altri e Volstagg, quando gli passò accanto, sussurrò un canzonatorio: “Che c’è? La lingua sciolta si è annodata?” che lo fece infuriare ancora di più.

Lanciò un’occhiataccia all’uomo di grossa stazza mentre, con la coda dell’occhio, fissava i movimenti di Emily che camminava lenta e titubante davanti a lui, quasi come se avesse avuto paura di procedere. Improvvisamente, lei si voltò per guardarlo e, constando che lui la stesse già osservando di suo, distolse subito lo sguardo e accelerò il passo. Accigliato, Loki ebbe la sensazione di essere stufo di tutta quella situazione a dir poco ridicola e, senza rendersene neanche conto, aggrottò le sopracciglia e assottigliò le labbra.
Si avviarono dunque all’interno di un enorme sala in cui era posizionata una sottospecie di incudine che, una volta azionata, avrebbe fatto sì che tutti loro venissero teletrasportati in uno dei Nove Regni.

Heimdall sfoderò la spada in pesante oro e subito la conficcò all’interno della cavità che stava dentro la pietra che, una volta azionata, cominciò a far saettare fulmini a destra e a manca. Improvvisamente tutto cominciò a girare vorticosamente ed Emily, impaurita, gettò uno squittio involontario. Quando poi esplose un enorme lampo verticale dalla roccia, dovette premersi le mani sulla bocca per non urlare di sorpresa.

«Siete avvertiti: io onererò il mio giuramento di proteggere questo regno come Guardiano. Se il vostro ritorno minaccerà la sicurezza di Asgard, il Bifröst resterà chiuso e morirete nella fredda terra desolata di Jötunheimr» Dichiarò solennemente, facendo rabbrividire tutti i presenti.
«Non potresti lasciarci aperto il ponte?» Domandò Volstagg.
«Lasciare aperto il ponte libererebbe il pieno potere del Bifröst e distruggerebbe Jötunheimr con voi al suo interno»Rispose Heimdall prontamente.

A quelle parole, credette per un momento che, arrivati a quel punto, con un rischio tanto alto e pericoloso, Thor decidesse di lasciar perdere tutto e ritornare ad Asgard o, magari, cosa più probabile, di partire solo lui lasciando gli altri al sicuro. Ma, ovviamente, non fu ciò che accadde. Infatti, al contrario di Emily che stava letteralmente tremando spaurita e aveva gli occhi sgranati, sul viso di Thor si dipinse un sorriso sghembo decisamente fuori luogo.

«Oggi non ho intenzione di morire!» Ghignò.
«Come nessuno» Fu la repentina risposta del Guardiano.

Poi successe tutto molto velocemente, forse troppo: Heimdall azionò con un rapido movimento delle braccia il “portale” ed in pochissimi secondi, senza neanche rendersene conto, tutti vennero teletrasportati a Jötunheimr.

Quando Emily si fu ripresa dal forte impatto che il teletrasporto aveva avuto su di lei, si guardò intorno con aria preoccupata e spaventata. Jötunheimr era una terra aspra, fredda e ricca di rocce spigolose ed appuntite; era del tutto diversa dalla soleggiata e rigogliosa Asgard che conosceva e che tanto amava. Per un momento desiderò ardentemente tornare a casa con tutta se stessa, ma, ricordandosi il motivo per cui era lì, si impose di restare calma e agire con lucidità: aveva desiderato lei finire laggiù, lo aveva preteso con tutta se stessa, adesso era tardi per tirarsi indietro.

«Non dovremmo essere qui»Fu il commento di Hogun dopo parecchi minuti di silenzio.

Loki si guardò intorno nervoso, come se si aspettasse che, da un momento all’altro, qualcuno gli saltasse addosso pronto a ferirlo, ed istintivamente il suo sguardo cadde su Emily, che, nonostante stesse tremando dalla testa ai piedi – probabilmente più per la paura che per il freddo, non osava proferire parola. Senza pensare a ciò che stava facendo, le si avvicinò velocemente e dopo averle scoccato un’occhiataccia che diceva chiaramente: “Ti avevo detto di non venire, guarda ora in che guaio ti sei cacciata, razza di sconsiderata!”, le diede il suo mantello con un gesto stizzito della mano. Emily fu stupita da quel gesto, ma non disse nulla. Probabilmente, pensò, perché aveva capito di aver fatto una stupidaggine bella e buona e che quindi era meglio tacere.

Succedeva spesso che dopo un battibecco o una litigata, entrambi finissero con l’accantonare la rabbia e fare “pace” senza neanche accorgersene o porsi tante questioni al riguardo. Probabilmente, tutto ciò accadeva perché si conoscevano sin da bambini e quindi ogni tabù, segreto o imbarazzo tra di loro non aveva motivo di esistere. Specialmente in una situazione simile, dove l’unica cosa che importava era sopravvivere e farsi forza l’un l’altro. I litigi e le incomprensioni le avrebbero lasciate a dopo, quello non era affatto il momento per pensarci.

«Muoviamoci.» Dichiarò a un tratto Thor, rigido e serio, distogliendolo dai suoi pensieri.

Mentre camminavano, si accorse di come il freddo che albergava in quelle lande desolate non lo toccasse minimamente. Al contrario, sembrava infondergli piacere. Sembrava qualcosa che, inconsapevolmente, aveva sempre desiderato. Era una sensazione strana ed inquietante, soprattutto perché, accanto a lui, Emily continuava a battere i denti per il troppo freddo. Quando la guardò, constatò che le sue labbra fossero diventate violacee e la sua pelle si fosse, nonostante l’abbigliamento pesante e caldo, impallidita di colpo.

Camminarono per un tempo che parve infinito, finché qualcosa non li fece sobbalzare e arrestare sul posto.

«Avete fatto molta strada per morire, asgardiani» Fu una voce profonda e macabra a parlare, quasi gelida, e accanto a lui, Emily, improvvisamente spaventata, fece cadere la proprio mano sul fodero che conteneva uno dei suoi coltelli, sguainando uno dei pugnali.
«Io sono Thor, figlio di Odino!» Urlò di colpo Thor in modo spavaldo.
«Sappiamo chi sei…» Rispose la voce.
«Come ha fatto la tua gente ad entrare ad Asgard?!» Domandò allora Thor, gli occhi saettanti di rabbia.

Improvvisamente, un leggero e debole fascio di luce illuminò un determinato punto davanti a loro, rivelando così un grandissimo trono fatto di pietra su cui era seduto l’essere più disgustoso e temibile che avessero mai avuto la sfortuna di vedere: era alto diversi metri, di un temibile color blu notte e con grandi e grossi occhi rossi fiammeggianti. Aveva il corpo di un uomo, ma di umano non aveva pressoché nulla. Nel vederlo, Emily gettò uno squittio spaventato e lui dovette stringerle il braccio con forza mentre, con voce incrinata e ansiosa, le sussurrava di restare calma e di non fare mosse avventate.

Poi successe una cosa molto strana che non riuscì a comprendere: Laufey volse il suo sguardo verso di loro, precisamente su di lui, e l’osservò con una minuziosità tale da fargli salire un brivido su per la schiena. Era terrificante.
 
«La casa di Odino… è colma di traditori» Biascicò, la voce tetra e gutturale.

Subito Thor, avventato e spavaldo, partì al contrattacco: «Non disonorare con le tue bugie il nome di mio padre!» Urlò inferocito, sguainando il Mjolnir.
Vide il Gigante di Ghiaccio assottigliare gli occhi, riducendoli a due fessure scarlatte, e in un impeto di rabbia alzarsi in piedi, rivelandosi in tutta la sua enorme statura. Poi rivolse a Thor un’occhiata di puro astio e disgusto.

«Tuo padre è un assassino e un ladro!» Sputò fuori. «E tu perché sei qui? Per la pace?! No… tu vuoi la battaglia, la brami! » Fece una pausa, senza smettere di osservarlo. «Sei solo un ragazzo che vuole dimostrare a se stesso di essere uomo» Dichiarò.

Thor strinse più forte l’impugnatura del martello ed anche lui assottigliò gli occhi, irato. «Questo ragazzo si è stancato del tuo scherno!» Disse, furente.

Solo allora si rese conto del fatto che fossero circondati da migliaia di Giganti di Ghiaccio, pronti ad attaccarli all’ordine del loro Re. Subito il suo sguardo cadde su Emily, che adesso stava tremando come una foglia, e capì di dover fare qualcosa. Qualsiasi cosa.
Corse da Thor e cercò di dissuaderlo da quella pazzia, mentre, con tutto il cuore, sperava che Padre avesse ricevuto il messaggio dalla guardia e arrivasse presto in loro soccorso.

«Thor, fermati e rifletti: siamo inferiori numericamente e--».
«Sta’ al tuo posto, fratello» Lo zittì lui, furioso.
«Non sai cosa potrebbero scatenare le tue azioni…» Lo avverti Laufey  con voce melliflua e strascicata. «Io sì. Andate, finché ancora ve lo consento».

Dopodiché si avvicinò a loro, facendo tremare la terra ad ogni passo, e li guardò dall’alto della sua enorme stazza con sguardo irritato, come a volerli sfidare a rifiutare la sua offerta.

«Accetteremo questa tua gentile offerta» Gli rispose allora, temendo quello che sarebbe potuto accadere se avessero risposto diversamente.

Thor fece passare il suo sguardo da lui al gigante con una rabbia tale che, per un momento,  credette che di lì a poco sarebbe scoppiato per la troppa ira ed avrebbe ammazzato quanti più Giganti di Ghiaccio possibili. Non che la cosa non lo allettasse: avrebbe pagato oro per vedere qualcuno di quei mostri spappolato contro il muro, ma nonostante ciò cercò comunque di rabbonirlo e dissuaderlo dai suoi istinti animaleschi.

Non potevano permettersi una battaglia: non con Emily nei paraggi.

«Andiamo, fratello!» Sussurrò poi, trascinandolo via.

Ecco fatto: aveva vinto. Adesso sarebbe certamente arrivato Padre e, constatando ciò che Thor aveva quasi scatenato, lo avrebbe certamente dimesso dal suo ruolo di quasi sovrano di Asgard. Poi avrebbe assegnato a lui, Loki, quel titolo e tutto sarebbe andato secondo i suoi piani. Tutti vincevano e nessuno perdeva.

Ovviamente, nessuno tranne Thor.

Fece quindi per andarsene, sollevato,  erto di essere finalmente fuori pericolo e di aver concluso ciò per cui era venuto. Adesso non restava altro che andarsene il prima possibile da quei mostri ed aspettare che Padre venisse a “salvarli”. Solo questo.
Fece dunque per andare verso Emily, che lo guardava con gli occhi sbarrati dalla paura, per rassicurarla che stavano per tornare a casa e che tutto sarebbe presto finito. Prima che però potesse prenderle la mano, successe qualcosa che non solo non si aspettava, ma che non era compresa nel piano.

«Torna a casa, principessina!» A parlare fu Laufey e, nello stesso momento in cui lo fece, Loki si sentì congelare dalla paura poiché sapeva già cosa sarebbe successo dopo.

«Dannazione…» Sussurrò fra i denti.

Accadde tutto in breve tempo: vide Thor sorridere beffardo mentre, in un impeto di follia, si voltava con un ringhio verso il Re dei Giganti di Ghiaccio e lo colpiva con il Mjolnir, facendolo volare diversi metri in aria.

«Avanti!» Urlò poi, colpendo un altro Jotun che, anche lui, volò diversi metri più in là.


Fu come far esplodere una bomba.

I Giganti di Ghiaccio avanzarono all’attacco contro di loro, che subito partirono al contrattacco sguainando le proprie armi e caricando colpi a destra e a manca. Loki vide la scena come a rallentatore: Hogun e Fandral combattevano fianco a fianco, proteggendosi a vicenda, Thor si prodigava nell’uccidere uno di quei mostri e Volstagg e Sif cercavano di difendersi a vicenda dai colpi sferragliati dai Giganti. Nel frattempo, con una lentezza quasi palpabile, Loki vide Emily sguainare i propri coltelli e, in un probabile impeto di follia dettato dalla paura stessa, correre verso uno di loro nel tentativo di colpirlo. Loki non fece in tempo a fermarla.

«No…» Sussurrò incredulo fra sé e sé a quella vista. «No! Che stai facendo?! Torna indietro, brutta stupida!» Le urlò dietro, facendo per rincorrerla. La sua corsa fu però fermata dall’arrivo di un Gigante di Ghiaccio che gli si era parato dinanzi in chiaro segno di minaccia. Irritato, gli lanciò una delle sue magie, che lo mandò in pezzi. Subito ne arrivarono altri e la sua vista fu dunque oscurata dalle enormi figure di quegli imponenti esseri, non permettendogli così di vedere cosa Emily stesse facendo.
Imprecò forte e chiamò a gran voce il suo nome, giurando sulla sua stessa vita che, una volta che tutto quello sarebbe finito, le avrebbe inflitto una lezione così forte che non se la sarebbe mai più scordata.

Per il momento, però, la voleva viva.

Frattanto, Thor stava finendo di uccidere l’ennesimo Gigante di Ghiaccio: il tutto sotto gli occhi scarlatti di Laufey. Sentendosi dunque invincibile e potente, il Dio del Tuono azzardò un’ennesima sfida nei suoi confronti, urlando a gran voce che quella, per lui, non era affatto una sfida. Bensì un gioco.

Sentendolo, imprecò sulla sua idiozia e gli urlò di stare zitto, che stava solo aggravando la situazione. Thor però non parve sentirlo, tanto era preso dalla battaglia, e quindi continuò il suo scherno nei confronti del Gigante di Ghiaccio che, irritato, sguinzagliò contro di loro l’ennesimo mostro: stavolta più grosso e potente dei precedenti.

Agitato, uccise l’ennesimo Gigante di Ghiaccio e si prodigò di tutta fretta a recarsi da Emily che, constatò, stava cercando di uccidere uno di quegli esseri. Le si avvicinò correndo ed in quel momento poté notare tutta la furia e l’istinto di sopravvivenza che si celava dentro i suoi occhi cerulei. Fu allora che capì che Emily non combatteva per uccidere, bensì per sopravvivere. Nei suoi goffi movimenti contro uno di quei giganti, vide l’esitazione che si celava dietro ogni suo attacco per paura di uccidere per davvero il mostro dinanzi a lei che, però, non sembrava essere ugualmente insicuro.
Prima che quest’ultimo potesse sferrarle un attacco allo sterno, scattò prontamente verso di lui e lo uccise con un semplice incantesimo.

Poi si voltò a guardare l’amica, che aveva il fiatone e una guancia rigata da un profondo taglio, e capì che il motivo per cui lui stava combattendo con tutte le sue forze non era l’odio, la voglia di massacrare quei mostri o il desiderio di rivalsa nei confronti di Thor.

Era lei.  

Fece appena in tempo a rendersene conto che l’ennesimo Jotun  si avventò su di loro e lui, istintivamente, gli scagliò contro una delle sue magie. Il mostro non morì, ma si accasciò al suolo in preda agli spasmi che la magia gli aveva procurato. Fu allora che vide Emily sgusciare nuovamente via da lui, sguainando il proprio coltello e infliggendo il colpo di grazia al mostro, che morì con un ultimo sussulto.

«Questo era per i miei genitori!» Urlò, cercando di avere un tono spavaldo; ma, guardandola bene, poté giurare di vedere una lacrima solitaria che rigava il suo volto sporco e ferito. Probabilmente, pensò, per la paura che quel gesto le aveva procurato e per la “piccola” rivincita morale che aveva ottenuto su quegli esseri dopo tutti quegli anni. Non si stupì affatto quando la vide trattenere un singhiozzo.

Improvvisamente un fragoroso rumore causato dall’ennesima corsa di quei mostri fece tremare la terra e Loki agì d’istinto: la prese per un braccio e la trascinò via di lì.

«Dobbiamo andare via di qui!» Le urlò dirigendosi verso un punto un po’ più coperto e non molto in vista.
« Non farti vedere assolutamente da nessuno. Sono stato chiaro, Emily? Nessuno!» Le disse con espressione grave, guardandola dritta negli occhi arrossati.
«No! Sono venuta fin quaggiù per aiutarvi! Non posso restare qui! N-Non dopo quello che ho fatto!» Ribatté lei, titubante ed impaurita.
«Fa come ti ho detto!» Gridò prima di allontanarsi, dirigendosi verso il posto dove si stava tenendo la battaglia. Una volta arrivato fin lì cercò di dare man forte a Thor, che se la stava vedendo brutta a causa di un sinistro mollatogli da uno di quei mostri, poi evitò la carica di un altro di loro grazie a una delle sue illusioni, che fece sì che il gigante precipitasse in un burrone, ed infine, grazie a un altro dei suoi trucchi, riuscì ad uccidere un altro gigante.

Nella furia della battaglia, riuscì a vedere con la coda dell’occhio che Volstagg si era appena ustionato un braccio solamente toccando il mostro; istintivamente, sperò che la stessa sorte non toccasse a lui.

Poi successe tutto in pochi minuti: un ennesimo Gigante di Ghiaccio gli si scagliò contro e lui, per riflesso, fece lo stesso. Quello che però accadde dopo fu strano e decisamente confusionario: il gigantegli afferrò il braccio, bruciando una parte della sua manica, che si frantumò in mille pezzi, e, quando fu certo che anche a lui sarebbe toccata la stessa sorte di Volstagg, vide il suo braccio divenire di un macabro color blu notte, proprio come quello del suo aggressore. Sgomento e spiazzato, lo fisso senza fiatare, immobile come una statua di cera.
 
Cosa gli stava succedendo?

Poi, successe qualcosa che lo fece distrarre del tutto da ciò che stava facendo: quella cosa fu Emily.

Infatti, la ragazza, credendo che lui fosse in pericolo e che il Gigante lo stesse tramutando in uno di loro, disobbedì all’ordine impartitole poc’anzi e corse in suo soccorso. Approfittando della momentanea distrazione della creatura, sfoderò i suoi coltelli e con balzo gli fu addosso,  piantandogli le lame nella schiena. Quello con un urlo si dimenò, riuscì ad afferrarle il braccio e la scaraventò contro un’enorme lastra di ghiaccio come se fosse stata un fuscello. L’impatto che ebbe contro il muro dovette essere troppo forte, perché improvvisamente non si mosse più.

E Loki urlò. Così forte e disperatamente che sentì le vene delle tempie gonfiarsi e la gola dolergli.

Preso dalla collera, emise un verso simile a un ruggito e, iracondo, si scagliò contro il Gigante di Ghiaccio, uccidendolo sul colpo. Sentì la testa pulsargli dolorosamente e il cuore battere forte nel petto come un rullo di tamburi. Nella sua mente, c’era un unico pensiero: “Fa che non sia morta. Fa che non sia morta!”.

Corse da lei con quanta più velocità le sue gambe gli permettessero di avere e, quando le arrivò accanto, le fu subito addosso. Si inginocchiò accanto a lei e le spostò le lunghe ciocche rosse dal viso, rivelando così un lento rivolo di sangue che le rigava la fronte, il naso ed il collo. Allarmato, guardò da dove provenisse la ferita e la punta delle sue dita si macchiò di sangue quando le sfiorò la testa. Subito, la sua mano si ritrasse e si strinse in un pugno così forte che le unghie gli si conficcarono nella carne e ne lasciano alcuni segni ben visibili. Digrignò i denti, chinò la testa e si morse il pugno a sangue, come a volersi trattenere dall’urlare di nuovo. Voleva piangere. Gridare e spaccare tutto. Ma non riuscì a muoversi, poiché la sua voce era bloccata all’interno della gola e non sembra avere intenzione di uscire.

Fuori si continuava a combattere. Thor stava distruggendo l’ennesimo Gigante di Ghiaccio, Sif aiutava Fandral, che era stato ferito gravemente, e Volstagg ed Hogun non potevano far altro che dare man forte al resto del gruppo.

Nessuno sembrava  aver notato la loro assenza.

Osservò con occhi vitrei il volto di Emily: era giovane, acerbo, decisamente non adatto a morire e ad appassire come un fiore strappato. Il sangue cremisi continuava a rigarle il viso, creando un forte contrasto con la sua pelle chiara e lentigginosa, ed i suoi occhi erano chiusi. Subito, pensò che non li avrebbe rivisti aperti mai più. Non avrebbe più rivisto il sorriso radioso di Emily quando giocava con Fenrir, il suo naso arricciarsi ogni qualvolta rideva, lo sguardo frizzante ed allegro che aveva sempre e che la contraddistingueva da tutte le altre e, cosa più importante, non avrebbe più sentito la sua voce.

Nel pensare ciò, sentì gli occhi annebbiarsi e la voglia scalpitante di piangere ed urlare farsi strada in lui. Si morse il labbro inferiore, che prese a sanguinare, e le sue dita si strinsero attorno al polso secco di Emily.

“Perché non mi hai ascoltato?! Perché devi sempre fare di testa tua? Perché, per una volta, non potresti semplicemente fare quello che ti dico io?! Perché, dannazione? Perché non mi hai dato retta?!” Sentiva  l’aria mancargli ad ogni respiro che faceva e, per un momento, credette di stare per morire. Di non poter più respirare. Il senso di colpa si fece largo in lui e sembrò ucciderlo lentamente, come una terribile tortura.

Sentì gli occhi bruciargli ma, proprio quando una lacrima stava per rigare il suo viso ossuto e affilato, i sentì qualcosa sotto di sé muoversi. Abbassò lo sguardo e, con tuffo al cuore, si accorse che si trattava delle dita di Emily. Con una velocità e una foga disumana, le si avvicinò e appoggiò il proprio orecchio sul suo petto.

E fu  solo quando lo sentì, che si accorse di aver trattenuto il fiato per tutto il tempo.

Tum, tum, tum, tum, tum…

Eccolo lì, il battito del cuore di Emily. C’era, era lì! Lo sentiva!

Emily era viva! Era viva!

Quello che successe dopo fu tutto un susseguirsi di eventi fin troppo veloci. Così veloci, che riuscì a capire a stento cosa stesse succedendo attorno a lui.
Laufey scatenò contro di loro l’ennesimo mostro, il peggiore di tutti: era alto decine e decine di metri e il suo enorme corpo stava per spaccare il ghiaccio che lo teneva imprigionato. Restarono tutti a fissare quel mostro con l’aria di chi non sapeva cosa stesse realmente accadendo, poi, improvvisamente, la voce di Volstagg irruppe, facendoli sobbalzare.

«VIA!!» Gridò con voce possente e spaventata.

Subito tutti si prodigarono a scappare: lui prese di peso Emily e se la caricò sulle spalle, ringraziando mentalmente tutti gli dèi in suo ascolto per aver fatto sì che fosse incredibilmente leggera, e si allontanò il più possibile da quel luogo prima che quel mostro si fosse risvegliato del tutto.
Si voltò un attimo dietro di sé, giusto per vedere cosa stesse succedendo, ma non fece in tempo a scorgere suo fratello Thor , ancora intento nella lotta contro i Giganti di Ghiaccio, che l’enorme bestia si scagliò su di loro.

Sgranò gli occhi spaventato, convinto di star per morire, finché il crepitio del ghiaccio sotto di sé non lo avvisò che il suolo stava per franare a causa del troppo peso del mostro che, in pochi istanti, finì sotto terra. Non ebbe neppure il tempo di esultare che subito, quasi come un automa, riprese la sua corsa sfrenata nel tentativo di portare in salvo lui ed Emily. Corse più veloce che poté, finché non arrivò nello stesso punto da cui erano partiti.

«Heimdall! Apri il ponte!» Urlò Volstagg, ma non ebbe nemmeno il tempo di ricevere risposta che la grottesca e gigante zampa del mostro sbucò fuori da sotto la terra, facendoli tutti sobbalzare. Adesso era dinanzi a loro, alto e grosso il quintuplo di lui ed armato di aguzze zanne da cui pendevano diversi fili di saliva e qualche altra roba schifosa che non riuscì a definire, ma che gli diede comunque il voltastomaco.

La bestia cercò di divorarli, ma, prima che potesse farlo, venne fermata da Thor che, grazie alla forza del suo Mjolnir, lo uccise fracassandogli il cranio.

Per la prima volta in vita sua, fu davvero felice di vedere suo fratello.

Ma la sua contentezza venne placata di colpo quando, voltandosi, vide un enorme esercito di Giganti di Ghiaccio pronti ad ucciderli uno per uno. Istintivamente, strinse più forte Emily a sé, in un vago tentativo di nasconderla dalla vista di quei mostri, e sperò con tutto se stesso che qualcuno, chiunque, venisse ad aiutarli. Non gli importava più nulla del piano e del fatto che fosse andato a monte: adesso desiderava solamente tornare a casa, mettersi al sicuro ed accertarsi che Emily stesse bene.

Voleva solo tornare a casa.

Nel momento stesso in cui lo pensò, vennero tutti avvolti da un fascio di luce argentea che fece allontanare di colpo tutti i Giganti di Ghiaccio, terrorizzati.

Confuso, alzò il capo. Odino, suo padre, sopra di loro, troneggiava in groppa al suo cavallo Sleipnir, lo scettro levato e il volto pallido e furente.
Si sentì attraversare da una sorta di scarica elettrica. Erano salvi.

«PADRE! INSIEME LI STERMINEREMO!» Gridò Thor, con folle estasi.
«Silenzio!» Rispose tagliente Odino, zittendolo.

In quel preciso momento, Laufey si levò in tutta la sua statura e si contrappose a Odino, che lo scrutava con sincera vergogna negli occhi da sopra il suo cavallo.

«Padre degli dèi…» Mormorò il gigante con un sorriso canzonatorio sul volto.  «Sembri stremato» Aggiunse poi, con una nota d’ironia nella voce burbera e grottesca.
«Laufey…» Esalò allora Odino con voce ansimante. «Adesso finiamola».
«È stato tuo figlio a volerlo» Ribatté adirato il gigante.
«È vero… e sono state le azioni di un infante!» Acconsentì l’altro, fulminando il suo primogenito con lo sguardo. Poi il suo unico occhio tornò a fissare quelli rossi di Laufey. «Considerale tali! Poniamo fine alla cosa. Qui ed ora… prima di spargere altro sangue» Concluse, lanciando una veloce occhiata ad Emily, che giaceva ancora esanime sopra la sua spalla.
«Siamo oltre la diplomazia, Padre degli dèi…» Dichiarò Laufey con voce truce. «Avrà ciò per cui è venuto: guerra e morte» Sentenziò, malsanamente compiaciuto dalla cosa.

Odino rimase in silenzio per alcuni secondi, il peso della corona che gli gravava sulle spalle come mai: non voleva tornare in guerra contro Jötunheimr . Erano anni che cercava di mantenere una pace durevole! Ma che altra scelta aveva? Poteva forse soccombere per un capriccio di quel mostro? No, questo mai.
Fece un grande sospiro, uno di quelli stanchi e pesanti, ed infine esclamò: «Così sia!».

Successivamente, Laufey cercò di pugnalarlo con una delle sue lame di ghiaccio, ma lui, sveglio e attento nonostante l’età, lo precedette e lo allontanò grazie al proprio scettro. Poi si teletrasportò insieme a tutti gli altri ad Asgard, lasciando il Gigante di Ghiaccio alle spalle e la promessa di una guerra che non aveva mai voluto dinanzi a sé.
 
 



 
-Note dell’Autrice


Ebbene, eccoci arrivati al quattordicesimo capitolo! Evviva!
Diciamo che questo capitolo, oltre brevi –brevissime- parti, è stato uno dei più difficili da scrivere! Vi dico solo che è stata DURISSIMA seguire passo per passo la battaglia di Jötunheimr per come veniva raccontata nel film ed aggiungere comunque scene in più create da me @_@. I personaggi non mi convincevano mai e io dovevo mettere qualcosa che si collegava sia con la storia principale, sia con gli avvenimenti del film e sia con tutto quello che dovrà accadere in futuro a Loki ed Emily che, povera ragazza, ne ha sempre una. Povera cucciola.
Mi scuso infinitamente per l’orario disumano con cui sto postando il capitolo ma capitemi: sono stanca, lavoro a questo capitolo da GIORNI e, come se tutto questo non bastasse, ultimamente mi hanno riempita di compiti in classe. Sono sull’orlo della follia, giuro.
Ringrazio tutti coloro che seguono la storia! Aumentate ogni giorno di più! Adesso siete più di 80 *O*.

Vi mando un bacione!

P.S: Se volete, ditemi che ne pensate del capitolo! –suvvia, fatemi felice!
P.P.S: Nel capitolo ci sono delle citazioni nascoste prese da alcuni libri di Harry Potter: chi di voi le ha trovate? :P
P.P.P.S: Se volete potete aggiungermi al mio indirizzo Facebook, dove aggiorno e metto alcune robe in più sulla storia :)

Link: http://www.facebook.com/harmony.efp.9

Al prossimo capitolo!

RINGRAZIO VIVAMENTE DARMA PER IL BETAGGIO! GRAZIE ANCORA <3 <3

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Capitolo 15
*** Cleritide's mith. ***


~Cleritide's mith.

Oh Morte, оh Morte, oh Morte
Mi risparmieresti ancora per un anno?

Cos’è questa cosa che non riesco a vedere
Con mani fredde che mi afferrano?

Quando Dio se ne andrà e il diavolo prenderà il sopravvento,
Chi avrà pietà della tua anima?

O’ Death -  Jen Titus

 


Era vivo.

Fu questo il primo pensiero che attraversò la mente di Loki quando rinvenne dalla trance momentanea che il teletrasporto gli aveva procurato.

Era vivo. Sano e salvo.

Il secondo pensiero fu invece che Emily, ancora svenuta pochi metri lontano da lui e con il sangue che le colava giù dalle tempie, forse non lo era più.

Realizzando ciò, si alzò subito in piedi e si diresse con passo svelto e ansioso verso di lei, sperando con tutto se stesso che fosse ancora viva.

Accanto a lui, c’erano Padre e Thor che si dilettavano nell’ingiuriarsi a vicenda, ma, per la prima volta, a Loki non importò. Arrivatole accanto, fece per prenderla in braccio, ma, prima che potesse farlo, Heimdall lo precedette e prese di peso la fanciulla, caricandosela sulle spalle con decisamente poca grazia. Lo stesso fecero Sif e i Tre Guerrieri con Fandral, che era rimasto gravemente ferito nello scontro con gli Jotun.

Si avviarono quindi velocemente verso la Camera delle Guarigioni, ma ancor prima che potesse seguirli, le parole cariche di astio e rabbia di suo fratello gli entrarono dritte nel cervello e lo distrassero da ciò che stava facendo.

«Non ci sarà nessun regno da proteggere se hai paura di agire!» Urlava. «Gli Jotun devono imparare a temermi, proprio come una volta temevano te!».

«Sono orgoglio e vanità a parlare, non l’autorità! Hai dimenticato i miei insegnamenti sulla pazienza d’un guerriero?» Ribatté Odino con sguardo furioso e la voce incrinata dall’ira.

«Mentre tu aspetti e sei paziente, i Nove Regni ci deridono!» Gridò Thor. « I vecchi metodi sono finiti! Tu fai discorsi mentre Asgard cade in rovina!».

L’unico occhio buono di Odino si ridusse in una piccola fessura azzurra e tutti i suoi muscoli si contrassero per la rabbia. «SEI UN RAGAZZO AVIDO!» Sbraitò ad un tratto. «CRUDELE ED ARROGANTE!» Aggiunse poi.

«E TU SEI UN VECCHIO E UN FOLLE!» Fu la pronta risposta del figlio.

Nello stesso istante in cui i due si furono scambiati queste brevi, ma ricche di rabbia, parole, Loki realizzò di aver vinto. Di aver finalmente ottenuto ciò che voleva: ovvero mettere Thor in cattiva luce. Lo capì grazie allo sguardo colmo di delusione e amarezza che Padre rivolse al suo primogenito, che valeva più di mille parole.

A quella constatazione, dovette mordersi a sangue l’interno guancia per evitare di esalare una risata vittoriosa.

Era incredibile come, per una volta, le cose fossero andate non solo secondoi piani, ma persino meglio! Poiché, a dispetto di ciò che sembrava, lui non aveva mai desiderato entrare in guerra con Jötunheimr; non era così folle da spingersi fino a tal punto.

In verità, il  suo piano consisteva solamente nel far disobbedire Thor a un ordine di Padre, indurlo a comportarsi da arrogante e spaccone qual era, ed infine restare a guardare l’espressione smarrita e adirata di Odino una volta che fosse venuto a scoprire in che pericolo, il suo figlio prediletto, avesse cacciato tutti loro; godendosi bellamente la scena in cui lo avrebbe obbligatoriamente sollevato dal suo incarico di futuro Re di Asgard.

Certamente, non si aspettava quel gesto da parte di Thor. Insomma, era a conoscenza del fatto che fosse un emerito idiota, ma non immaginava che lo fosse fino al punto di condurli in una guerra contro i Giganti di Ghiaccio. Questo non lo aveva programmato. In ogni caso, il tutto era andato a suo favore poiché, grazie a questo suo intervento– che non aveva fatto altro che dare un’ulteriore prova di quanto fosse poco adatto al titolo di Sovrano, Odino aveva finalmente compreso che lui non era degno di una nomina importante quanto quella di diventare Re di Asgard.

Non quanto lui, perlomeno.

Nella sala calò improvvisamente il silenzio, spezzato a volte solo dai sospiri amari e pieni di tristezza di Odino, e Loki ebbe l’impressione che l’aria si fosse fatta improvvisamente pesante e carica di tensione; un toccasana per lui, che non aveva aspirato ad altro fin dall’inizio.

Poi Odino parlò, rompendo il silenzio. «Sì, sono stato un folle… a pensare che fossi pronto».

A quelle parole, convinto di avere ormai le redini del gioco in mano e aver ottenuto quello che desiderava, Loki prese la palla al balzo e fece per inscenare la parte del figlio lungimirante e saggio che desiderava solamente calmare l’ira del padre: si mosse quindi per parlare, ma, prima che potesse farlo, venne prontamente interrotto da Odino, che improvvisamente era divenuto furioso e arrabbiato come non mai. Immediatamente indietreggiò, capendo che quello non era affatto il momento più adatto per fare mostra delle sue doti drammaturgiche, e restò a guardare in silenzio ciò che stava accadendo dinanzi a sé.

«Thor… figlio di Odino»Parlò con voce tremante di rancore il Padre degli dèi. «Hai tradito esplicitamente il comando del tuo Re, attraverso la tua arroganza e la tua stupidità hai esposto questi pacifici regni all’orrore e alla devastazione della guerra!».

La sua voce si tramutò in un urlo carico d’ira e Loki sussultò spaventato: lo vide issare il suo scettro, dando nuovamente vita al portale che subito cominciò a far saettare fulmini a destra e a manca, e avvicinarsi con fare minaccioso e irrequieto a Thor. Adesso erano a pochi centimetri di distanza e, nonostante il figlio superasse di molto l’altezza del padre, guardadoli ebbe l’impressione che Odino sembrasse molto più forte e potente rispetto a lui.

I due dèi restarono in silenzio per alcuni minuti, entrambi intenti a scrutarsi, finché accadde qualcosa di decisamente inaspettato che lasciò Loki stupito e con gli occhi sgranati per la sorpresa: Odino, accecato dalla rabbia, spogliò Thor dei suoi poteri e subito dopo gli rimproverò di non essere degno né di quei regni, né del suo titolo di principe e né delle persone care che aveva tradito. Dopodiché gli ritirò il Mjolnir, gli strappò via il mantello e distrusse l’armatura di cui andava tanto fiero il figlio.

Poi, proprio quando era certo che non sarebbe andato oltre, Odino scagliò Thor fuori dal portale, bandendolo da Asgard.

Successe tutto così velocemente che fece non poca fatica a ricollegare gli eventi appena accaduti. Improvvisamente, la sua testa diventò un’accozzaglia di colori e voci confuse che gli martellarono nelle orecchie e gli fecero venire alcuni capogiri. Per un momento, pensò di essere lì per lì per svenire. Gli ci volle un bel po’ per realizzare il fatto che Thor, il fratello da sempre preferito da tutti, fosse stato realmente bandito dal Regno. Quando però lo capì, non poté evitare di provare due sentimenti decisamente contrastanti fra loro: il rimorso e la felicità.

Ancora visibilmente sconvolto e con la testa che gli girava vorticosamente, tentò di andare via da lì poiché tutti quei suoni e rumori gli stavano facendo scoppiare la testa; poi, di colpo, alle orecchie gli arrivò la voce bassa e sommessa di suo padre: «Chiunque impugnerà questo martello, se ne sarà degno, possiederà il potere di Thor!».

Prima che potesse fare qualcosa per fermarlo, Odino lanciò il Mjolnir dentro il portale che, dopo pochi minuti, si richiuse con il martello e Thor al suo interno. Subito tutti i colori, le luci ed i suoni che tanto gli portavano fastidio svanirono, lasciando dentro di lui solo un enorme senso d’impotenza e stupidità per non essere riuscito a dissuadere suo padre dal lanciare via il Mjolnir.

Si voltò verso la sua direzione e, con sgomento, gli vide addosso l’espressione stanca e afflitta di chi non riesce più a reggersi in piedi. Senza perder tempo, gli fu subito accanto e fece per sorreggerlo.

«Padre!»Esclamò, avvolgendo il proprio braccio sotto le ascelle del Re di Asgard. «Aggrappatevi a me!».

Odino fece come gli era stato detto e portò un braccio dietro la nuca del figlio, affaticato e dolorante. Non disse nulla –non ne aveva le forze- ma non ci fu bisogno di nessuna parola per capire quanto fosse debole e bisognoso di cure. Strinse un po’ di più la presa che esercitava su di lui, dopodiché entrambi si diressero verso il palazzo in assoluto silenzio.

Ognuno perso nei propri pensieri.




 

Una volta attraversato il Bifröst e arrivati di fronte ai cancelli che portavano all’entrata del palazzo, Loki propose di accompagnare Padre fino alle sue stanze, cosicché potesse aiutarlo a riposarsi e riprendersi da ciò che era successo. Lui dissentì e lo congedò con brevi cenni del capo. Ubbidì, ma prima di allontanarsi lo affidò alle cure di alcune guardie di fiducia e solo quando fu certo che fosse fuori pericolo si avviò correndo verso la Camera delle Cure, desideroso di sapere come stesse Emily.

Una volta arrivato fin laggiù, nel rivedere gli stessi muri e le stesse colonne di quella stanza tanto odiata, gli tornarono in mente i terribili momenti che aveva passato da giovane e si ritrovò a sorridere amaramente quando constatò che il motivo per cui si trovava nuovamente lì era lo stesso di pochi anni prima: Emily.
Anche quella volta la ragazza aveva rischiato di perdere la vita e lui aveva ancora nitida nella sua mente la sensazione di pura angoscia che aveva provato nel vederla esanime in quella piccola brandina dalle lenzuola candide. Era ancora un bambino quando accadde, eppure ancora rabbrividiva al solo pensiero di quel giorno: ricordava il respiro fiacco di Emily, la sua fronte imperlata dal sudore, i polsi dannatamente magri e smunti e le guance incavate. Rimembrò la paura provata nel vederla morta, il disperato bisogno di risentire la sua voce acuta e squillante che alle volte gli portava tanto fastidio, la terribile constatazione che non avrebbe mai più riaperto gli occhi e non avrebbero più potuto giocare insieme.

Ricordò tutto quello e per un momento si sentì come quel bambino di pochi anni prima: impotente e impaurito.

Poi però pensò che Emily era ancora lì, era rimasta con lui in tutti quegli anni. Non sapeva cosa l’avesse salvata, in realtà, ricordava solo di aver espresso un desiderio: che ritornasse in vita e restasse per sempre con lui. L’aveva desiderato con tutto il suo cuore, con ogni fibra del suo corpo, aveva pregato tutti gli dèi in suo ascolto per esaudirlo, per far sì che riaprisse gli occhi, e alla fine  gli avevano dato ascolto ed Emily gli era rimasta accanto per tutti quegli anni, in ogni momento ed in ogni circostanza. A dimostrare ciò, oltre al fatto che la ragazza era effettivamente tornata in vita, c’era il fatto che entrambi riportassero un vistoso segno a forma di X sulla mano destra, che però solo lui riusciva a vedere.

Pensandoci, Loki si guardò istintivamente il palmo della mano e subito strinse il pugno così forte da conficcarsi le unghie nella pelle fredda.

Ricordava tutto perfettamente, eppure dentro di sé avrebbe tanto voluto dimenticare.

Si avviò con passo spedito verso l’interno della Camera delle Cure, finché arrivò all’interno di un’ampia stanza bianca piena di brandine e tende in cui alloggiavano Fandral, che era disteso in uno di quei lettini a torso nudo e con una grave ferita al centro del petto, Sif, Volstagg ed Hogun, che, silenzioso come una tomba, rivolgeva loro uno sguardo grave.

Li guardò, e si rese conto del fatto che di loro, stupidi idioti, non gli importava niente.

Non gli importava che stessero male, che avessero riportato  una grave ferita nello scontro o se stessero per morire. Non gli importava niente di loro. E perché mai avrebbe dovuto? In fondo, lo avevano sempre disprezzato, ingiuriato, ridicolizzato e molto altro ancora: che marcissero in preda a tutte le loro sofferenze, che si tenessero la loro forza bruta e le loro armi; solo di questo potevano vantarsi, in fondo. Nient’altro.

Li riteneva inutili: stupidi cagnolini che seguivano il loro padrone, ossia Thor, incapaci di star da soli e decidere per conto proprio.

Sogghignò. Chissà cosa avrebbero fatto ora che lui non c’era più.

Quando i suddetti lo videro arrivare smisero istantaneamente di fare ciò in cui erano intenti e Sif balzò prontamente in piedi, guardandolo con l’ansia negli occhi. Probabilmente, pensò, era preoccupata per Thor.

«Cos’è successo? Dov’è Thor?»Domandò infatti la guerriera, cercando comunque di mantenere un certo contegno nella voce.

Loki dovette mordersi il labbro inferiore a sangue per impedirsi di scoppiare a riderle in faccia.
 
Godeva maledettamente nel vedere quei loro sguardi così pieni di paura e ansia, inoltre il constatare che, per la prima volta, tutti – a parte Fandral, che stava ancora dormendo- pendessero dalle sue labbra era una sensazione meravigliosa, quasi inebriante: essere colui che dirigeva il “gioco”, sentire i loro sguardi supplichevoli di risposte su di lui… erano tutte sensazioni nuove, ma assolutamente brillanti per lui che, con nessun stupore, si rese conto di amare e bramare ancor di più di quanto non avesse già fatto in precedenza.

«Thor è stato bandito da Asgard. Padre ha ritenuto che questa fosse la giusta punizione per la sua avventatezza e arroganza» Rispose con voce solenne.
Vide gli occhi verdi di Sif perdersi nel vuoto e diventare vitrei come il ghiaccio e lui, che era a conoscenza dell’affetto che la ragazza provasse per il fratello, ne gioì oltre ogni limite. Capitava spesso, infatti, che da bambini Sif gli rivolgesse peggiori sgarbi e le più disgustose delle perfidie e quindi, nel vederla finalmente senza quel suo dannatissimo sorrisetto canzonatorio sul suo viso, Loki si sentì potente ed ebbe la sensazione di aver ottenuto una piccola rivincita su di lei.

«Cosa?!» Preso com’era dalle sue constatazioni, la voce di Volstagg gli arrivò lontana come un’eco.

Lo guardò, e nei suoi occhi vide la stessa paura che albergava negli occhi verdi di Sif. Istintivamente, guardò anche quelli di Hogun e, seppur nascosta, trovò all’interno del suo sguardo un barlume di sorpresa; probabilmente il guerriero sapeva già che Odino avrebbe punito severamente l’amico, ma non si aspettava un castigo di tale misura. Infine guardò Fandral, che dormiva disteso nella propria brandina, e si disse che probabilmente anche lui sarebbe stato sgomento e impaurito come gli altri se fosse stato sveglio.

Nel vederli così indifesi, dovette trattenersi dal ridere, poiché quella vista lo mandava in uno stato di giubilo quasi malsano e decisamente non adeguato a un carattere calmo e riflessivo come il suo. Eppure, in quel momento sentiva l’eccitazione percorrere ogni fibra del proprio corpo, scorrergli nelle vene e salirgli fino al cervello, facendolo fremere.

Li osservò: erano deboli. Impauriti. Non avevano più una guida, il loro “capogruppo” era stato esiliato e ognuno di loro aveva dentro di sé il fardello d’aver contribuito, involontariamente, a mandare Asgard in guerra contro Jötunheimr. Si sentivano colpevoli, macchiati di una colpa che non volevano assumersi, persi.

Sorrise: quale occasione migliore per far crollare ogni loro certezza? Metterli con le spalle al muro e imporre loro l’idea che , era colpa loro?

Era tutto un piano architettato nei minimi dettagli: Sif e i Tre Guerrieri sarebbero crollati psicologicamente, lui avrebbe loro offerto il suo aiuto e loro avrebbero riposto la fiducia in lui, l’unico in grado di capirli, comprenderli ed aiutarli.

Probabilmente ci sarebbe stato un po’ a convincerli, ma era pur sempre il Dio degli Inganni e quella per lui non era altro che l’ennesima sfida. Non negava che avrebbe di gran lunga preferito ucciderli uno per uno –in fondo, con Thor fuori dai piedi e Padre ormai prossimo al “Sonno di Odino”, chi poteva contrastarlo?- ma erano pur sempre degli ottimi Guerrieri, ed è risaputo che con una guerra in vista i morti non sono dei validi alleati.

«Credetemi, miei amici, dispiace a me più di chiunque altro. Ho cercato di fermare mio padre, ma non c’è stato modo di deviarlo dalle sue idee. Asgard non sarà più la stessa, senza il suo erede al trono» Soffiò con voce falsamente rammaricata. Poi rivolse un’occhiata a Sif, che sembrava la più sconvolta dei quattro, e le poggiò una mano sulla spalla.

«Sono così addolorato per la tua perdita, Sif. Io so cosa stai provando» Sussurrò suadente al suo orecchio. «È dolore, il tuo. Un dolore così straziante che sembra lacerarti, perché  sai bene che niente potrà aiutarti a ricucirloSe non il ritorno di Thor. Mi dispiace così tanto…» Disse spostandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Poi alzò lo sguardo e si rivolse a tutti gli altri, che lo fissavano ancora storditi.

«Eppure, Thor è stato bandito e noi non abbiamo potuto fare nulla per impedirlo. Probabilmente, se non lo avessimo aiutato nella sua folle idea di partire per Jötunheimr, sarebbe stato ancora qui. Me ne rammarico, ma è mio dovere dirvi che la colpa è mia…» Fece una pausa, godendosi per un attimo la tensione che albergava nei loro sguardi, il panico, l’irrequietezza e i loro piccoli segnali di turbamento. Ne era compiaciuto, perché sapeva di essere lui a dirigere il gioco, per una volta. «Quanto vostra» Concluse.

Subito, vide i volti dei suoi compagni d’avventure mutare come un’ombra, da prima grande e grossa alla luce del sole e poi improvvisamente invisibile e piccola al contatto con l’oscurità. Li vide guardarsi in modo nervoso, abbassare lo sguardo e torturarsi le mani o le labbra, profondamente pentiti.
Sogghignò a quella vista: a quanto pareva, persino gli eroi più gloriosi provavano rimorso e il Dio degli Inganni notò bene che il loro non era solo senso di colpa, bensì pentimento per essere stati partecipi di quella follia che aveva fatto finire il loro amico nei guai. Poteva quasi sentire i loro cuori  battere forte come una marcia di tamburi e le loro coscienze urlare perdono.

«Adesso vi lascio, miei amici, poiché c’è ancora una persona a cui devo parlare e riferire la grave situazione in cui il Regno di Asgard si trova. Col vostro permesso…».

Quando uscì dalla stanza, non poté fare a meno di scoppiare in una risata sommessa, bassa, ma decisamente sardonica: finalmente, dopo tutti quegli anni, aveva avuto la sua rivincita. Thor era andato via e con lui tutto il coraggio della sua stupida combriccola da quattro soldi.

Era così gioioso che sentì il cuore traboccargli dentro al petto e battere forte fino a fargli male.

Finalmente! Finalmente!

Era da tanto, forse troppo, che non provava quella bellissima sensazione al centro del petto; quasi di supremazia e felicità. Si sentì potente, forte ed invincibile, e per lui, che era sempre stato trattato come l’ultimo dei rifiuti, quella fu una percezione così bella, così agognata, che quasi si commosse nel sentirsela dentro. Aveva vinto, alla fine. Dopo tante lotte contro il mondo intero, c’era riuscito: aveva battuto Thor e i suoi amici sul loro stesso campo, li aveva ingannati e fatti diventare semplici burattini nelle sue mani.

Nello stesso momento in cui realizzò ciò, nella sua mente riaffiorò il pensiero del perché avesse fatto tutto questo.

Lei.

Per Emily. La sua piccola volpe, ecco per chi.

L’aveva fatto solo per mantenere quella promessa, per non infrangere quel voto fatto da bambini, e adesso che quel desiderio era lì, nelle sue mani, pronto per essere esaudito, sentì un brivido salirgli su per la schiena.

Avrebbe mantenuto la promessa.

Eccitato, si avviò con passo affrettato e irrequieto verso la saletta un po’ più appartata dove un Guaritore di passaggio gli riferì che si trovava Emily. Quando arrivò di fronte all’uscio della porta, quasi non la spalancò per la troppa foga e contentezza.

Eppure, una volta entrato all’interno della sala, il suo sorriso si spense e si tramutò in una smorfia.

Dinanzi a sé, sdraiata in una piccola brandina, stava Emily, profondamente addormentata. Nel vederla, Loki non poté fare a meno di ricordare quello che le era accaduto qualche anno prima e, istintivamente, deglutì e contrasse la mandibola. Le si avvicinò con circospezione, quasi come se avesse paura che potesse svanire da un momento all’altro, finché scorse il suo viso ovale e lentigginoso: riportava una grossa benda attorno alla fronte e la sua guancia destra aveva un lungo graffio; anche il suo braccio sinistro era fasciato, ma la sua espressione era quella beata e tranquilla di chi stava sognando; decisamente in contrasto con tutte le ferite che il suo corpo riportava.

Si morse il labbro inferiore e pensò al momento in cui aveva visto il corpo di Emily lanciato via come se fosse stato quello di una bambola di pezza e sbattere contro quell’enorme lastra di ghiaccio. Rimembrò il senso d’impotenza nel vederla esanime a terra, la paura nel crederla morta e il pensiero costante di star rivivendo la scena di quando erano bambini. Ricordò il tutto con tanta nitidezza che, istintivamente, chiuse gli occhi e cercò di cacciar via quel pensiero dalla sua mente; dopodiché deglutì, le si sedette accanto e le sfiorò delicatamente il braccio con la mano.

«Emily, riesci a sentirmi?» Parlò a un tratto, spezzando il silenzio.

In principio non volle svegliarla, gli era bastato vedere che stesse bene e che fosse viva per tranquillizzarsi, ma qualcosa, probabilmente l’ansia e la preoccupazione, si era improvvisamente impossessata di lui, facendogli venire l’istinto di accertarsi con i propri occhi che Emily stesse bene sul serio. Nonostante i suoi richiami, però, quella non diede alcun cenno di volersi svegliare. Le scosse più forte il braccio, improvvisamente ansioso, e cominciò a chiamarla più forte.

«Emily, svegliati!» Gridò, la fronte aggrottata e le dite divenute un tremolio convulso.

Emily aprì di scatto gli occhi e subito il suo busto si sollevò verso l’alto: aveva il respiro affannoso, come se avesse corso una lunga corsa, e la usa espressione, da prima beata e serena, si era tramutata in sgomenta e impaurita. Si portò una mano al petto e prese a fare respiri profondi, poi si voltò con lentezza verso la sua destra, incrociando così lo sguardo verde intenso di Loki, e sgranò gli occhi.

Passarono pochi secondi in cui i due continuarono a fissarsi intensamente, quasi si vedessero per la prima volta, finché Emily gli gettò con un balzo le braccia attorno al suo collo, stringendolo come se non lo vedesse da secoli. Subito ricambiò con foga l’abbraccio e affondò con veemenza le dita nei suoi capelli ricci e crespi, stringendola a sé come se da quello dipendesse la sua stessa vita. In quella stretta, si rese conto di come tutte le loro preoccupazioni, dispute e i litigi passati si fossero sciolti come neve al sole. Si sentì struggere da una sofferenza strana, quasi straziante, e si accorse di quanto avesse avuto paura nel crederla morta. Venne improvvisamente sopraffatto da una scarica di adrenalina e, istintivamente, strinse più forte il corpo magro e smunto di Emily, tanto che per un momento ebbe paura di poterla rompere.

Restarono così per alcuni minuti che glib parvero secoli, finché Emily parlò: «Sono viva» Sussurrò, più a se stessa che a Loki. «Siamo vivi» Ripeté, cercando di tranquillizzarsi.

«Sì, Emily. Va tutto bene. Sei al sicuro, adesso» Disse lui, e per un momento ebbe l’impressione di non star tranquillizzando lei, bensì se stesso.
«Cos’è successo? Perché mi trovo qui? Dove sono gli altri?» Domandò smarrita lei, staccandosi da lui e guardandosi attorno con curiosità.
«Ti trovi nella Camera delle Cure, sei stata attaccata da un Gigante di Ghiaccio e hai rischiato di morire» Rispose. «Grazie agli dèi non hai riportato nessun trauma, ma è bene che tu sappia che ti sei comportata da incosciente, Emily» Aggiunse, con un cipiglio severo.

Emily restò in silenzio per alcuni secondi, poi, improvvisamente, il suo sguardo si illuminò di colpo e le sue mani piccole e chiare artigliarono il suo braccio destro, facendolo sussultare; poi cominciò a studiarglielo come se fosse stata la cosa più interessante del mondo, tanto che per un momento pensò che la botta che aveva ricevuto l’avesse fatta diventare stupida.

«Che stai facendo!?» Chiese, con un sopracciglio alzato.
«Quel mostro ti aveva attaccato!» Rispose subito lei, ansiosa. «Ricordo di aver visto il tuo braccio diventare blu! Per questo gli sono saltata addosso: avevo paura che diventassi uno di loro.Però… però qui non c’è niente!» Esclamò lei, indicandogli il braccio.

Loki strattonò subito via il braccio e distolse repentinamente lo sguardo.

Ricordava perfettamente quel momento.

La manica della sua giacca che si distruggeva, il suo braccio che mutava colore, lo sguardo scarlatto e austero del Gigante di Ghiaccio dinanzi a sé. Era come rivivere uno dei suoi peggiori incubi e si sa che, a differenza dei sogni, gli incubi non si dimenticano tanto facilmente.

«Ti sarai immaginata tutto, Emily» Fece allora, evasivo. «Sarà stato certamente un riflesso della luce di Jötunheimr… ma se anche fosse stato come dici tu, avrei benissimo potuto cavarmela da solo. Il tuo è stato un intervento inutile e pericoloso! Saresti potuta morire, lo capisci questo?».

Non sapeva perché le si stesse rivolgendo con così tanto fastidio nella voce, considerando che fino a pochi attimi prima la stesse abbracciando come se non la vedesse da secoli, eppure il solo pensiero che lui potesse effettivamente avere a che fare con quei mostri lo faceva infuriare; trasformandolo in ciò che non era.

Di colpo, vide lo sguardo dell’amica mutare, trasformandosi in deluso e arrabbiato.

«Scusami tanto!» Disse. «Ho solo cercato di salvarti la vita!».
«E a cosa sarebbe servito? Thor ha cercato di salvare Asgard ed è stato bandito, cosa pensavi di poter fare tu? Se non ci fossi stato io ad aiutarti, adesso saresti spezzatino in venti stomaci diversi!» Urlò l’altro, scontroso.

Ma Emily non lo ascoltava più. Il suo viso tondo e lentigginoso era diventato una maschera di sorpresa e incredulità.

«Che cos’hai detto?» Riuscì a mormorare a mezza voce dopo un po’.

Loki si morse la lingua: aveva sbagliato a rivelare in quel modo la dipartita di Thor, lo sapeva, ma la rabbia gli aveva fatto perdere il controllo. Si portò una mano in fronte, passandosela lentamente sui contorni del viso, e sospirò pesantemente. Poi si alzò in piedi e si fermò a pochi centimetri più in là dal letto della ragazza, che lo fissava ancora con tanto di occhi.

«Thor è stato bandito da Asgard» Ripeté solenne. «Non so esattamente dove sia finito, presumo su Midgard, ma non ne sono del tutto sicuro. Padre ha ritenuto che questa fosse la giusta punizione per la sua impudenza ed arroganza. Mi dispiace che tu lo sia venuta a scoprire così…».

Emily si premette le mani sulle labbra, sbalordita, e Loki si ritrovò a fissare la sua reazione con un sopracciglio alzato, non riuscendo a capirla: sapeva che lei e Thor erano sempre stati amici, e alle volte vederli così intimi gli faceva sorgere il fastidioso presentimento che lei nutrisse per il fratello molto più di una semplice ammirazione. Ultimamente però lei e Thor avevano instaurato un rapporto un po’ conflittuale e formale, sicuramente causato dall’improvviso cambio di carattere del dio, che li aveva portati ad allontanarsi. Non che a lui dispiacesse, al contrario, ma se pochi attimi prima era certo che Emily avesse ormai del tutto mutato i propri sentimenti per il Dio del Tuono, adesso non ne era più così sicuro.

La vide fissare il vuoto per parecchi secondi e pensò istintivamente che fosse caduta in uno qualche strano stato di trance. Poi però Emily riprese a parlare, la voce acuta e squillante alzata di qualche ottava: «Sei sicuro?!».

«Certo che sono sicuro, sciocca» Rispose lui, tranquillamente.

La ragazza sembrò in procinto di ribattere qualcosa, ma le sue labbra, che continuavano ad aprirsi e chiudersi ad intermittenza, non fecero uscire alcun suono. Poi, d’un tratto, i suoi occhi  si poggiarono sul suo viso scarno e affilato e la sua espressione divenne perplessa e dubbiosa.

«Perché sei così calmo!?» Esclamò, agitata. «Tuo fratello è appena stato esiliato chissà dove e tu non sembri affatto preoccupato. Perfino io, che ultimamente non riuscivo proprio a soffrirlo, sono in ansia per lui!».

Loki sollevò le sopracciglia e strinse le labbra: Emily era fin troppo brava a far cadere ogni sua maschera. Aveva sempre avuto questa sua tanto odiosa capacità di smascherare le sue bugie fin da bambina e lui non era ancora riuscito a capire come diavolo ci riuscisse. Nonostante ciò, non poteva permetterle di mandare a monte il suo piano o di farle scoprire qualcosa. Non questa volta.

«Non so di cosa tu stia parlando» Dichiarò quindi, freddamente. «Ed è evidente che ti sbagli. Thor è mio fratello e, nonostante sia un arrogante ed un folle, anch’io sono preoccupato per lui, cosa credi? Il fatto che io non esprima i miei sentimenti in modo vistoso come fai tu non significa assolutamente nulla. Mi consideri forse malvagio fino al punto di gioire per la disfatta di mio fratello?».

«Non ho detto questo!».
«Ma è quello che hai pensato. La tua è un’affermazione, o meglio un’accusa, velata da una domanda. Ebbene, questa è la mia risposta al tuo quesito: se davvero credi che io possa odiare Thor fino al tal punto, ti sbagli di grosso: io amo Thor esattamente come un fratello può amarlo, ma molto più di quanto possa farlo tu o quegli altri idioti di laggù. È un arrogante, un presuntuoso e un egoista, ed io sono il primo a rimproverarglielo, lo sai bene, ma è pur sempre mio fratello!» Esclamò, gli occhi ridotti a due fessure.

Stava fingendo. E lo stava facendo brillantemente, proprio come ci si aspetterebbe dal Dio degli Inganni.

In un’altra occasione, sarebbe stato perfino orgoglioso della sua performance, eppure in quel momento non poteva fare altro che sentirsi un verme in piena regola: non amava mentire ad Emily, così come lei non amava farlo con lui, ma quella era l’unica scappatoia possibile da una situazione tanto ostica. Inoltre, era già nervoso per la storia dei Giganti di Ghiaccio, non aveva tempo di mettersi a cianciare su ciò che era accaduto a Thor, poiché quello non era più affar suo. Poco importava cosa potesse dire Emily: Thor non era più lì e l’unica cosa che adesso importava era prendere le redini del trono, portare Asgard alla gloria ed evitare di farle scoprire tutto ciò che aveva architettato. Solo questo.

Approfittò dunque del momento di dispersione che vide nei suoi occhi, le lanciò un ultimo sguardo e fece per sgusciare via dalla camera, cercando di non voltarsi al suo richiamo –Dove vai? Fermati Loki!

Una volta varcato l’uscio della porta e avviatosi verso la fine del corridoio lungo e stretto, non poté fare a meno di notare che quella era la prima volta in cui diceva una bugia tanto grossa ad Emily e adesso quelle mura così strette e piccole, che prima non gli avevano portato alcun tipo di fastidio, sembravano fossero in procinto di soffocarlo.







Non riusciva a comprendere perché ci stesse pensando tanto.

Erano già passati venti minuti buoni dalla discussione avuta con Emily, eppure non riusciva ancora a levarsi dalla testa quel suo sguardo tanto dispersivo e confuso. Insomma, non era mica la prima volta che mentiva a qualcuno! Anzi, ogni volta che lo faceva si sentiva particolarmente potente e intelligente e quindi la voglia di inventare una nuova menzogna era sempre lì, in agguato. Perciò non riusciva proprio a capire questo suo improvviso atteggiamento che, a parer suo, era non solo ingiustificato, ma anche piuttosto stupido; soprattutto perché non c’era motivo di sentirsi in colpa, poiché stava solo facendo ciò che andava fatto per poter mantenere la promessa e salvare Asgard da un imminente guerra contro i Giganti di Ghiaccio. Quindi perché diamine si sentiva così ansioso e irrequieto non riusciva proprio a spiegarselo.

Prima che potesse darsi una risposta, una piccola vocina si insinuò nella sua mente: E se scopre tutto?

A quel pensiero Loki si irrigidì, perché sapeva che, se Emily fosse davvero venuta a scoprire cosa aveva fatto, si sarebbe non solo infuriata, ma avrebbe perfino smesso di parlargli. Probabilmente per sempre.

Oh, ti odierà così tanto...

Scosse la testa: no. Emily non avrebbe mai scoperto niente, glielo avrebbe impedito a qualsiasi costo. Non poteva permettere che accadesse una cosa simile… era fuori discussione!

Ti chiederà perché, Loki,  ti domanderà come hai potuto farle una cosa simile.  

Loki sentì quella voce come un prepotente ronzio nella sua mente e istintivamente si portò le mani alle orecchie, sperando che così facendo il rimorso avrebbe smesso di torturarlo.   

«Le risponderò che l’ho fatto per lei!» Disse allora, sottovoce. «Per noi!» Aggiunse.

Non ti crederà. Perché dovrebbe? In fondo, le hai già mentito una volta, chi le assicurerebbe che tu non possa farlo di nuovo? Ti tratterà per quello che sei: un ingannatore e un bugiardo.

«ORA BASTA!!» Quasi lo urlò, in un vago tentativo di azzittire la voce dentro di sé, ed improvvisamente quella ammutolì. Si sentì subito meglio, come se non avesse aspettato altro da tempo. Nonostante ciò, non poté evitare di sentirsi la testa girare e le forze mancargli. 

Ingannatore e bugiardo.

Era vero, e proprio per questo che gli parve che quelle parole lo  stessero uccidendo: perché erano giuste, reali e tangibili. Non erano delle menzogne, come quelle che lui si divertiva a raccontare, erano la verità.

Lui era un ingannatore, un bugiardo e un doppiogiochista. Lo era sempre stato, era nella sua natura, e di certo non voleva cambiarla. Era così e basta.
In passato aveva cercato di somigliare a Thor, essere suo pari e comportarsi come suo eguale, ma non aveva funzionato e allora aveva preso la strada più facile, quella che piaceva a lui e non agli altri.
Col tempo si era abituato al fatto che, qualsiasi cosa avesse fatto, tutti lo avrebbero sempre additato come il Male. Il mostro dal quale stare lontani. Non sapeva il perché di quel loro odio nei suoi confronti, ma se all’inizio aveva cercato di far loro cambiare idea, alla fine ci aveva fatto i calli a quella situazione ed era arrivato al punto in cui lasciava correre e smetteva di lottare contro le loro stupide menti. Aveva compreso che era inutile discutere, quindi aveva smesso e li aveva lasciati alle loro sciocche idee. Del loro giudizio a lui non importava. Non più, almeno.

Eppure, ciò che realmente gli premeva e che gli portava tanto fastidio e frustrazione non era il fatto che perfino lui sapesse di non essere esattamente l’emblema del giusto e del buono, bensì il fatto che Emily fosse il suo antitesi, il lato opposto della medaglia.

Se lui era il Nero, lei era il Bianco. Se lui era il Ghiaccio, lei era il Fuoco. Se lui era Realtà, lei era Fantasia.

Tutto ciò non faceva altro che farlo sbattere contro una domanda che lo tormentava ormai da un po’ e che sembrava non avesse alcuna intenzione di lasciarlo in pace: Emily valeva davvero tutto questo? Era davvero così importante per lui?

Ci pensò un po’, la testa dolorante e il cuore che gli batteva all’impazzata nel petto, ed infine si disse che sì, Emily valeva tutto questo.

Ma lei preferisce Thor a te. Questo lo sai anche tu!, lo rimbeccò la voce dentro di sé, canzonatoria e irritante.

Istintivamente, gli tornarono in mente gli istanti in cui aveva visto Thor ed Emily scambiarsi alcuni sguardi eloquenti, gesta d’affetto e parole scherzose e amichevoli e subito il sangue gli andò alla testa. Grugnì, furioso e frustrato al pensiero degli occhi azzurri di Emily così preoccupati per suo fratello, e subito strinse i pugni così forte da conficcarsi le unghie nella carne.

Poi, preso dalla rabbia, diede un pugno ad una libreria lì vicino, facendo così cadere moltissimi libri dagli scaffali. Il rumore dei libri che rovinavano a terra arrivò forte come un grido alle sue orecchie, e, immediatamente, si guardò attorno: nella furia, non si era nemmeno accorto di essere entrato nella biblioteca reale. Per di più, quello era un reparto proibito e lui non avrebbe dovuto trovarsi lì.

Inspirò profondamente, cercando di calmare la rabbia di poco prima, ed infine decise che, dato che ormai era arrivato fin laggiù, tanto valeva dare un’occhiata a tutti quei libri così “illeciti”. Abbassò lo sguardo verso il pavimento in marmo lucido e diede un’occhiata veloce a tutte le copertine dei tomi che erano caduti, finché uno attirò la sua attenzione.

Aveva la copertina rilegata in pelle e al centro un grande simbolo che non conosceva. Lo aprì e poté finalmente leggerne il titolo: “Miti e Leggende degli antichi greci”.

Alzò un sopracciglio, stranito: cosa c’era di così proibito in delle storielle da due soldi riguardanti i miti midgardiani? Il fatto che quell’arpia di Eris ne facesse parte?
Cominciò a sfogliare svogliatamente le pagine vecchie e logore del libro, finché qualcosa non attirò la sua attenzione. Incuriosito, iniziò a leggere.


Si racconta che un tempo vivessero due giovani, Cleritide e Kyros, entrambi di famiglia povera, ma molto innamorati; non passava giorno in cui i due non si vedessero e si scambiassero promesse d’amore eterno, giurandosi di rimanere per sempre insieme.

Un giorno, Eris, La Dea della Discordia e del Caos, invidiosa dell’amore dei due fanciulli, lanciò un maleficio a Cleritide la quale s’ammalò di una grave malattia incurabile. Kyros pianse tutte le notti, cercò di guarire l’amata come meglio poteva e pregò gli dèi, sperando che avessero clemenza e risparmiassero la ragazza.
Passarono diversi giorni, finché Afrodite, impietosita, decise di aiutare i due innamorati: si recò quindi dal ragazzo e strinse un patto con lui: se Kyros desiderava davvero che la Cleritide continuasse a vivere, allora doveva donare metà dei suoi anni e delle sue capacità a lei: solo a queste condizioni lei avrebbe continuato a vivere. Egli accettò e una volta suggellato il patto, Afrodite incise sul palmo della sua mano un segno a X come pegno del loro accordo;  poi, lo inflisse anche a Cleritide. Dopodiché soffiò sulla ragazza, ch’era ormai prossima alla morte, e la fece ritornare in vita; quella si alzò, ma, ancor prima che potesse ringraziare la Dea, ella le fece un incantesimo che le fece dimenticare tutto.

Kyros le domandò il motivo di quel suo gesto e Afrodite rispose che, di ciò che era accaduto quel giorno, solo lui poteva sapere, poiché, se qualcun’altro ne sarebbe venuto a conoscenza, l’avrebbe ucciso.

Kyros annuì e salutò la dèa, ringraziandola. Lei gli accarezzò i contorni del viso e gli raccomandò di amare per sempre Cleritide. Dopodiché sparì, lasciando dietro di sé solo una leggera folata di vento.
Passarono alcuni anni, in cui i due amanti si sposarono ed ebbero dei figli, e Kyros in tutto quel tempo fece come gli era stato detto da Afrodite e amò la moglie ogni giorno di più, non lasciandola mai da sola. Un giorno, però, Eris, infuriata per non essere riuscita a separare i due giovani, decise di farla pagare ai due. Architettò un piano con il Dio degli Inferi, anche lui infuriato a causa della perdita dell’anima della fanciulla, e scese sulla Terra, recandosi dal ragazzo al quale porse una mela dorata come simbolo di scuse. Gli disse che nessuno, neanche lui, poteva mangiarla e se così non fosse stato lei lo sarebbe venuta a scoprire e avrebbe scatenato delle terribili catastrofi.

Kyros accettò il dono con sospetto, ringraziò la dèa e si diresse verso casa propria. Una volta entrato, Cleritide lo abbracciò, lo bacio e gli sussurrò parole dolci all’orecchio; quando poi notò lo strano frutto che il marito teneva fra le mani, gli domandò cosa fosse. Kyros glielo mostrò, ma le raccomandò di non mangiarlo per nessun motivo al mondo. Cleritide annuì e lo nascose dentro un cassetto.

Un giorno Kyros andò a lavoro, lasciando la moglie sola a casa, e mentre lei finiva si spolverare e badare ai figli, una piccola voce sibilante la fece distrarre da ciò che stava facendo: “Apri il cassetto!” , Diceva, “Aprilo, per favore! Non si respira qui dentro!”. Curiosa, la donna fece come le era stato detto e, una volta aperto il cassetto, ci trovò dentro la mela donata da Eris. “Prendila!” Ordinò allora la voce.
Cleritide, come incantata, la prese e la studiò per bene: sembrava così succosa, così buona… così appetitosa! Non era forse da egoisti tenere quella delizia sola soletta in un piccolo angolo della casa?
“Mangiala!” Impartì la voce. “Ti farà stare meglio e sazierà quel languore che hai nello stomaco!” Sussurrò, ma Cleritide dissentì: “Non posso. Kyros mi ha detto di non farlo assolutamente!”. La voce rise: “E tu fai tutto quello che ti dice il tuo Kyros? Chi ti dice che lui non stia già programmando di mangiarla e tenerla tutta per sé? Suvvia, solo un morso! Non se ne accorgerà mica!”.

Cleritide non avrebbe mai voluto assaggiare la mela, ma quella era così invitante e accattivante che le fu impossibile resistere alla tentazione: affondò con veemenza i denti sulla buccia e ne staccò un pezzo, portandoselo alle labbra. Nello stesso istante in cui lo fece il frutto cominciò a marcire e le si bloccò in gola, soffocandola. Cleritide annaspò, cercò di respirare e di ingurgitare quanta più aria le fosse possibile, ma ad un tratto l’aria le venne a mancare e lei cadde a terra, morta.


Dopo alcune ore Kyros tornò a casa e, vedendo l’amata senza vita, si sentì mancare. Improvvisamente, ciò che era rimasto del frutto marcio cominciò a trasformarsi e prese la forma di una giovane donna che altri non era che Eris, soddisfatta e felice del risultato ottenuto.

“Ti avevo detto di non farla mangiare a nessuno, ma tu non mi hai ascoltata. Adesso, oltre alla morte di tua moglie, patirai la sofferenza più atroce che tu possa aver mai vissuto, dove nessuna dèa, dio o umano che sia potrà salvarti. Sarai spedito in una landa deserta, solo e senza nessuno, legato a una colonna dalla quale non potrai né muoverti né liberarti! Questa è la tua punizione per esserti fatto beffe della Morte e della Dea della Discordia!” Sentenziò, e così fu: Kyros fu spedito in un deserto caldo e afoso, dove non si riusciva a respirare, e fu legato ad un pilastro dove gli avvoltoi  si nutrirono delle sue carni.


Nessuno poté aiutarlo, perché volente o nolente, nessun uomo può scappare all’abbraccio della Morte. Può cercare di sfuggirle, di trovare sotterfugi e inganni, ma prima o poi Lei arriverà e lo porterà via con sé; non importa quanto può supplicare o pregare il contrario. La Morte non si può Ingannare.




«Ti è piaciuta?».

Loki sussultò violentemente e fece cadere il libro dalle mani; si voltò istintivamente, spaventato, e i suoi occhi si andarono a scontrare con quelli dorati di Eris.

La guardò: era bellissima, proprio come la ricordava: la sua pelle candida era in netto contrasto con i capelli corvini e le labbra rosse e voluttuose, arricciate in un sorrisetto canzonatorio e sardonico, le donavano un aspetto regale e sensuale; quasi di perfezione. Il suo corpo era esattamente come quello che si ci poteva aspettare che avesse una dèa: alto, slanciato e lussurioso, quasi erotico, e Loki si ritrovò a pensare a come sarebbe stato bello poter baciare quelle labbra scarlatte e accarezzare quei fianchi prosperosi.

Ma per quanto quella donna potesse risvegliare in lui desideri tanto peccaminosi e illeciti, Loki sapeva che Eris era proprio come la mela d’orata di Cleritide: meravigliosa e succosa all’esterno, ma marcia e putrida all’interno. E lui non aveva nessuna intenzione di avere a che fare con soggetti simili.
 
Fece una smorfia e incrociò le braccia al petto, cercando di pretendere le distanze da lei.

«Cosa ci fai qui? Vattene, o chiamerò la guardie!» Disse.

La Dea non si scompose e, al contrario, cominciò a battere le ciglia civettuola e ad arricciarsi lentamente una ciocca di capelli corvini sul dito.
«Non si risponde a una domanda con un’altra domanda, principe Loki. Non è educazione!» Lo rimproverò, divertita.

«Cosa ne sai, tu, di cos’è l’educazione?» Esalò allora lui, diffidente. «Non sono io ad essermi introdotto in un’abitazione che non è la mia senza invito» Esclamò, improvvisando un sorriso di scherno.

La donna aspettò a rispondere. Si fermò a osservarlo in modo minuzioso e penetrante, quasi come se cercasse sul suo volto le parole più adatte per rispondere a quella sua esclamazione. A quello sguardo, il sorrisetto soddisfatto e canzonatorio di Loki scomparve lentamente e gli occhi maliziosi e seducenti di Eris arrivarono a metterlo perfino un po’ in soggezione.

Poi, dopo quella che gli parve un’eternità, la Eris alzò una mano e, in un battito di ciglia, gli fu a pochi centimetri davanti al viso, accarezzandogli dolcemente una guancia.

«Oh, assolutamente nulla, lo ammetto, però mi ritengo abbastanza brava nell’ingannare la gente…» Sussurrò. Poi, con una breve mossa delle dita, fece sollevare il libro che Loki aveva fatto cadere poco prima e osservò le pagine, soddisfatta. «Proprio come ho fatto con il povero Kyros» Aggiunse.

Loki strabuzzò gli occhi e improvvisamente sentì il proprio cuore battere veloce come un tamburo: «Quindi, quella storia è vera?» Chiese, spiazzato.

Era rimasto sconvolto da quella leggenda: la prima parte era simile, troppo simile, alla sua storia. A quello che era successo qualche anno prima a lui ed Emily: la malattia, il rinvenimento di lei e le X sulle mani. Era impossibile che fosse una coincidenza.

Fece scorrere il suo sguardo sulla dèa, squadrandola per bene, e fu in quel momento che una domanda gli si formò in mente: cosa ci faceva lei qui? Forse la sua non era una semplice visita di cortesia.

Eris gli accarezzò il petto, leziosa: «Oh, certo che no: quella è solo una storiella che gli umani si divertono a raccontare nelle notti d’estate, niente di più. Eppure, principe Loki, sappiamo entrambi che in essa risiede un briciolo di verità… di storia vissuta. Non è forse così?» La sua voce era sottile e beffarda, tipica di chi crede di aver ottenuto l’attenzione dal proprio interlocutore.

 Irrequieto, Loki non poté fare a meno di stringere le labbra.

Sapeva di cosa Eris stesse parlando poiché la donna aveva appena confermato la sua teoria, quella che riteneva che lei sapesse qualcosa. Eppure, una parte di sé, quella incredula e ansiosa, continuava a urlargli che no, non poteva certamente essere così. Che si sbagliava. Che lei stava bluffando.

«Cosa stai insinuando?» Sputò quindi fuori, nel tentativo di dissimulare il proprio nervosismo.

Eris fece una risatina, una di quelle argentine e musicali, ma al tempo stesso così dura e beffarda da far pensare che un suono simile non possa uscire da simili labbra femminili, poi scosse il capo, provocatoria, e avvicinò le labbra al suo orecchio.
 «Ti sembra forse che non lo sappia? Pensi forse che io non sia a conoscenza della storia pietosadella tua Cleritide? Come sei sciocco, amore mio…» Loki, che era rimasto rigido come una statua per tutto il tempo, a quel tocco spalancò gli occhi e trattenne il respiro: no, non poteva davvero essere così! Lei non poteva davvero conoscere quella storia…

Eris ghignò. «Io so tutto di lei, perché quel  giorno, mentre tu supplicavi gli dèi, sono stata io a salvarla».



 


 
 
-Note dell’Autrice.



Ebbene, eccomi qui! :D
Come state? Vi sono mancata? ^^

Ammetto di essere piacevolmente sorpresa dal feed-back che questa storia sta ricevendo: non credevo possibile arrivare alle 100 recensioni! Grazie di cuore a tutti voi! Non nego di essermi emozionata nel vedervi così numerosi!

Comunque, parlando del capitolo in sé: su Facebook vi avevo già anticipato un “futuro” ritorno della nostra cara (??) Eris, e adesso eccola qui! Vi annuncio fin da subito che questo personaggio avrà un ruolo fondamentale nella storia, ma credo che lo avrete già capito leggendo la fine del capitolo. (Sì, sono stata spietata in quanto a suspense, ma capitemi: è mio compito lasciarvi con un po’ di dubbio!Ehehehe ).

Riguardo a Thor, Emily, Loki & Company: allora, allora, allora… Thor è stato bandito da Asgard, e questo purtroppo è stato un dettaglio che non ho potuto cambiare o modificare. Mi dispiace. Spero almeno di aver reso le emozioni di Loki consone al suo personaggio e al momento che sta vivendo! Io ce la metto tutta, giuro! çWç
Riguardo a Sif e i Tre Guerrieri: dato che il film non ci da una visuale vera e propria dell’atteggiamento che assumono i caVissimi amici di Thor quando vengono a scoprire che è il loro futuro Re è stato bandito, io ho ben pensato che fossero spaesati e sorpresi. Inoltre, dato che nei fumetti Thor e Sif stanno insieme -o hanno una specie di rapporto- ho immaginato che Sif fosse infatuata di Thor… E poi, andiamo! Chi non sarebbe infatuato di quel gran pezzo di figo?
Ovviamente Loki gode come un matto per la “dipartita” di Thor e ne approfitta per usare i compagni per i suoi scopi, com’è giusto (????) che sia. Insomma, personalmente io ce lo vedo molto Loki subdolo ed eccitato per la rivalsa che ha avuto su di loro, Diavolo sono ventuno anni che –soprattutto Sif *coff-coff* - gli sfracassano le scatole, mi sembrava più che doveroso farlo sentire forte e potente per una volta. (Hai perfettamente ragione, midgardiana! N.d. Loki)
Riguardo a Loki ed Emily: ok, questi due stanno davvero cominciando ad esasperarmi. Ogni volta che scrivo di loro devo mettermi a sfogliare tutti i miei dannati libri di psicologia – sì, vado allo psicopedagogico.- per cercare di capire come Loki si dovrebbe (potrebbe) approcciare con Emily… E ALLA FINE ‘STI DUE SI AMMAZZANO SEMPRE AAARRRGHH.

Comunque, è anche vero che ultimamente Loki è stato un po’ stressato. Insomma, tutto quel via vai fra i mondi, Thor che viene bandito e lui che rischia di essere ammazzato da qualche sentenza asgardiana se viene scoperto il suo piano… diciamo che sono state tutte una serie di cose che lo hanno fatto andare un po’ fuori di testa, ecco. Mettetevi un po’ nei suoi panni, su!
Insomma, con gli altri è sempre calmo e riflessivo, è con la povera Emily –che dalla regia minaccia di starlo per prendere a calci lì dove non batte il sole- che è costantemente nervoso. Sarà perché sono i nostri cari e le persone a cui teniamo di più che spesso ci fanno perdere la pazienza anche per le cose più futili? Probabilmente è così (O, forse quei due hanno solo bisogno di una sana scopata, giusto per non essere volgare).
Comunque sia, credo che adesso Loki possa rilassarsi un po’… diciamo. (Speriamo. N.d. Loki ed Emily)
Vi lascio, ci rivedremo al prossimo incontro! –ovvero al prossimo capitolo. Scusate ma la visione del Signore degli Anelli mi porta a scrivere ‘ste robe. Sorry.


P.S: Questo è il mio profilo Facebook:http://www.facebook.com/harmony.efp.9?ref=ts&fref=ts

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RINGRAZIO DARMA PER IL BETAGGIO! GRAZIE MILLE! <3 <3
 

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Capitolo 16
*** Bloody Dreams. ***


~Bloody dreams.

Nonostante io sia il sacrificio,
tu non mi cercherai, non ora
Sebbene io morirei per sapere che tu mi ami,
sono sola.
Non c'è qualcosa che manca?

Missing – Evanescence.



Attenzione!
Volevo solo dirvi, per evitare equivoci, che
il nome di “Lord Bragi” è stato
 volutamente sostituito con quello di “Lord Zeus”.
La motivazione la troverete sulle note dell’autore!
Spero che la cosa non vi disturbi!


Buona lettura. :)

 


Loki era spiazzato.

Non aveva ancora ben capito cosa Eris avesse voluto intendere con quella frase, poiché quelle parole gli erano risuonate così strane e sconosciute da renderlo interdetto e incapace di proferire parola per alcuni minuti, ma improvvisamente si sentì la testa scoppiare giacché un’enorme quantità di ricordi, suoni ed immagini riguardanti lui ed Emily gli offuscarono di colpo la vista. Stordito, si  allontanò con uno strattone dalla dèa, che continuava a fissarlo con occhi gelidi e canzonatori, e si prese la testa fra le mani; come se questo avesse potuto lenire il suo dolore.

Avrebbe voluto urlare, chiedere che cosa stesse succedendo. Perché, se quella di Eris era una menzogna, lui l’avrebbe smascherata senza pietà; mentre se invece fosse stata la verità, una maledetta ed orrida verità, avrebbe mentito a se stesso e si sarebbe detto che quello che stava vivendo era soltanto un incubo. Uno dei brutti sogni che lo aggredivano ultimamente la notte e che venivano partoriti dal rimorso e dalla propria inconscia paura di essere scoperto e condannato dalla giustizia di Asgard. Quindi, come in ogni incubo o sogno, alla fine si sarebbe risvegliato. Perché alla fine, ci si risveglia sempre.

Di colpo il forte dolore nella sua mente scomparve e, alzando lo sguardo, si rese conto che era stata Eris a farlo sparire. Il tutto con un semplice schiocco delle dita e il solito sorrisetto diabolico dipinto sulle sue labbra rosse.

Fece un verso stizzito con la bocca, irritato dal fatto che fosse stata lei a fargli sparire il dolore, si erse in tutta la sua altezza e incrociò il suo sguardo d’ambra con evidente fastidio e sospetto negli occhi. Quella, dal canto suo, non provò nemmeno per un istante a distogliere gli occhi da lui e, anzi, cominciò a scrutarlo come se fosse stato il più appetitoso dei dolci.

Si accorse di quello sguardo, ma, sia per imbarazzo che per irritazione, non disse nulla al riguardo. Al contrario, diede voce alla domanda che non faceva altro che torturarlo da alcuni minuti: «Di cosa stai parlando?».

Guardò dentro gli occhi ambrati di Eris e ci vide dentro il proprio sgomento e la propria ansia. Improvvisamente, lei gli si avvicinò e gli accarezzò una gote con tenerezza; quasi come se stesse cullando un bambino.

«Di ciò che è accaduto alla tua “piccola volpe”, ovviamente» Ridacchiò, mostrando così i canini più aguzzi del normale.

Quando guardandola dentro quei suoi occhi dorati Loki si rese conto, con malcelato terrore, che Eris non aveva mentito, dentro di lui si fecero strada un’infinità di domande. Come poteva lei, una dèa che aveva visto sì e no due volte, conoscere quel suo ricordo d’infanzia? Sapere perfino il soprannome che aveva affibbiato ad Emily quando erano bambini? La cosa era tanto incredibile quanto irreale e, per la seconda volta in vita sua, non riuscì a darsi una spiegazione plausibile alle sue domande.

Istintivamente, si guardò attorno con circospezione, quasi come se avesse avuto paura che qualcuno fosse in ascolto, e quando si rivolse ad Eris il suo tono era duro e minatorio: «Cosa sai di lei?».
«Tutto quello che c’è da sapere, mio amore» Soffiò prontamente l’altra. «e anche di più».
« Cosa intendi?» Domandò allora lui, irritato.
«Quello che ho detto. Niente di più, niente di meno».

Loki sentì le vene pulsargli con veemenza all’interno della testa e il sangue scorrergli più velocemente e fastidiosamente sotto la pelle. Era come essere punti da una miriade di aghi di pino e non poter far nulla per fermare quella lenta tortura. Lo assalì la voglia di urlare e spaccare tutto e, in verità, lo avrebbe certamente fatto se questo non avesse aumentato il compiacimento della dèa che, in quel momento, lo aveva in pugno e non aspettava altro che un suo scatto d’ira. Tuttavia, non poté evitare di andare in escandescenza quando vide l’ennesimo sorrisetto bastardo dipingere le sue labbra voluttuose.
 
«Basta!» Urlò, afferrandola per le spalle con forza. «Con questi insulsi giochetti, e dimmi subito come sai a sapere di noi!».

Dopo aver pronunciato quel “noi” con così tanta energia, vide gli occhi di Eris ridursi a due fessure dorate e le sue labbra stringersi fino a diventare due fili rosso ciliegia.

«Non posso dirtelo» Dichiarò ad un tratto. « Ho giurato di non farlo e sai bene quanto me che una dèa è vincolata per l’eternità a onorare un giuramento di qualsiasi tipo. Dovresti conoscere alla perfezione questo piccolo dettaglio, Loki, visto che anche tu stai lottando con il mondo intero per mantenere una promessa».

A quelle parole, sgranò gli occhi: come faceva Eris a sapere della promessa? E se avesse saputo anche del tradimento verso suo fratello? E se conosceva già tutto? Forse era giunta fin lì solo per consegnarlo alla giustizia di Asgard! Per vendicarsi di quel torto subito tempo fa!

Subito gli ritornarono prepotentemente alla mente le parole pronunciate da Eris qualche tempo prima, durante la celebrazione dei suoi ventuno anni d’età: “Ti prometto che questa tua azione non resterà impunita. Preparati, Loki di Asgard, a provare il più acuto dei dolori”.

A quel pensiero, nella sua testa si frapposero una miriade di pensieri e domande: e se Eris avesse già spifferato tutto alla coorte di Asgard e loro stessero solo aspettando il momento giusto in cui lui dichiarasse, inconsapevolmente, i suoi reati? Forse si trovavano già tutti fuori dalla stanza, pronti ad acciuffarlo. Per quanto ne sapeva poteva benissimo essere così.

Repentinamente lo avvolse un’aura di ansia e di timore e, istintivamente, deglutì impaurito. Cercò comunque di mantenere la calma, di respirare normalmente e di non farsi prendere dal panico. Si disse che era inutile agitarsi, poiché questo avrebbe solo dato prova della sua colpevolezza.
Si tranquillizzò e cercò di mantenere quel suo solito sguardo freddo e distaccato che tanto lo distingueva dagli altri asgardiani. Per i primi minuti ci riuscì alla perfezione, finché Eris, con una semplice frase, fece crollare ogni sua maschera.

«Calma, calma, amor mio» Sussurrò con voce carezzevole. «Non c’è bisogno di spaventarsi, non ti farò del male; non a te, perlomeno».

Loki puntò lo sguardo sugli occhi della donna, trovandoci dentro tanto sadismo e un’inquietante felicità. Ne fu momentaneamente sconcertato, perché non aveva mai visto uno sguardo così perverso e folle; ma, nonostante ciò, non si mosse. Rimase fermo lì, impalato come una statua, a fissare ogni mossa della donna che stava dinanzi a sé, che dal canto suo lo studiava minuziosamente e con insolenza.

Poi, Eris approfittò della tensione che si era venuta a creare per avvicinarsi nuovamente a lui ed abbracciarlo con dolcezza, e lui, sentendo le dita affusolate della donna poggiarsi sul suo petto con quella sua preoccupante delicatezza, inorridì e qualcosa dentro gli urlò di scansarsi e sgusciare via da lei. Malgrado ciò, rimase fermo e teso come una corda di violino, come se qualcosa lo tenesse fisso in quel punto impedendogli di scansarsi dalla presa della donna. Solo dopo qualche minuto si accorse che gli era possibile muoversi.

«Non riesco a muovermi…»Biascicò quindi, sgomento. « Cosa mi hai fatto, strega?!».

Quella rise, una risata cristallina e perfida che gli fece accapponare la pelle, dopodiché si avventò su di lui e gli afferrò la mandibola con forza, avvicinando con prepotenza le sue labbra carnose alle sue.

«Non posso raccontarti quel che vuoi sapere, amore mio, ma se vuoi…» Fece una pausa, il fiato leggero e carezzevole e le labbra piene a pochi centimetri dalle sue. «…posso fartelo vedere».

Loki non ebbe il tempo o la forza di ritrarsi che sentì la bocca di Eris poggiarsi sulla sua e le sue dita affusolate stringere forte la sua nuca, attirandolo con maggiore forza verso di sé. Fu un bacio violento, pieno di desiderio e di rabbia, e quando sentì la lingua prepotente di Eris farsi largo nella sua bocca, gemette di dissenso. Era una sensazione sgradevole, disgustosa e indesiderata e per un momento, giusto quello per riprendere fiato, intravide gli stessi filamenti argentati che erano usciti dalla mano di Emily pochi anni prima evadere dalla bocca di Eris e riversarsi dentro di lui, provocandogli un dolore atroce e forte.
 
Durò pochi istanti, ma nonostante ciò si sentì contaminato, stremato e dolorante.

Alzò lo sguardo su quello della dèa, ma, prima che potesse dirle qualcosa, Eris si staccò completamente da lui e si leccò le labbra, poi lo prese per i capelli e lo attirò nuovamente a sé. Quando infine si allontanò, Loki sentì la testa ronzargli e pulsare forte come se dentro ci fosse stata una guerra. Dentro la bocca aveva il sapore ferroso del sangue e della ruggine e quando fece per portarsi le dita alle labbra, si accorse con inquietudine che non si era sbagliato e che stesse davvero sanguinando.

Issò di nuovo lo sguardo su Eris, che lo fissava con prepotenza e un sadico sorrisetto sul viso, e improvvisamente vide tutto attorno a sé affievolirsi e le palpebre farsi sempre più pesanti. Prima che potesse dire qualcosa, il suo corpo smise di rispondergli e rovinò a terra, inerme e profondamente addormentato.


L’ultima cosa che ricordò, fu la voce cristallina e sadica di Eris: «Buona notte, dolce principe. Fai un buon riposo!».

 

Quando riaprì gli occhi, Loki credette di essere morto e che quello dovesse essere l’Hel, il posto in cui andavano le anime delle persone morte. Osservando bene il paesaggio che lo circondava, però, giunse alla conclusione che quello non poteva essere il Regno dei Morti.

Si alzò in piedi e osservò meglio il paesaggio che si parava di fronte a lui: era floreale, ricco di vegetazione e molto caldo, e pensò bene che un luogo simile era molto somigliante alle foreste dove lui ed Emily si recavano spesso a giocare da bambini. Dinanzi a lui si espandeva una lunga stradicciola che portava ad un bosco un po’ più grande dalla quale si sentivano provenire alcune grida eccitate di bambini. Curioso di sapere dove si trovasse e cosa stesse succedendo, fece l’unica cosa che potesse fare: si inoltrò all’interno del bosco.

La foresta era molto grande. Era ricolma di grandissimi alberi di ciliegio e di pesco e il prato era rigoglioso, molto verde, e ricco di bellissimi fiori. Avvicinandosi ancor di più verso l’interno, Loki sentì le urla dei bambini farsi sempre più vicine finché, dietro una siepe, non ci trovò tantissimi mocciosi che giocavano a rincorrersi fra di loro. Fece una smorfia di disappunto e avanzò, dirigendosi verso uno di loro.

«Ehi tu! Ehi, vedi che sto parlando con te, insolente!» Ma, nonostante i suoi richiami, il bambino non lo degnò di uno sguardo e continuò a giocare imperterrito con i suoi amici. Loki strinse le labbra, riducendole ad un sottilissimo filo: non  gli erano mai piaciuti i bambini.
Sospirò e fece per rivolgersi ad una mocciosa dai capelli biondi di passaggio, ma anche lei sembrò non vederlo affatto. Era come se non esistesse.

«Dannati mocciosi!»Imprecò adirato. Improvvisamente uno di quei bambini indicò ad un suo amico una bambina dai lunghi capelli neri e una grossa sfera violacea tra le dita sottili che stava riposando sotto un enorme ciliegio. Era da sola e sembrava essere felicissima di ciò. Era come se gli altri bambini non potessero eguagliarla e quindi lei li avesse esclusi in partenza.
 
Osservandola, Loki giunse alla conclusione che quella bambina gli stava più antipatica di tutti gli altri mocciosi nei dintorni.

Vide i due ragazzini di poco prima sfrecciare verso di lei e, istintivamente, li seguì curioso di sapere come si sarebbero svolti gli eventi. Una volta arrivato nei pressi del ciliegio, quasi non rimase folgorato sul colpo nel vedere il viso di quella fanciulla: aveva la pelle bianca e vellutata, tipica dei bambini della sua età, i capelli le incorniciavano il viso paffuto e i suoi occhi erano dorati come solo l’oro poteva esserlo. Loki deglutì, smarrito: conosceva fin troppo bene quegli occhi.

«Che stai facendo qui da sola? Sei pazza?» Domandò senza peli sulla lingua il bambino dai capelli neri e gli occhi del medesimo colore accanto a lui. L’altro bambino, dai capelli chiari e gli occhi azzurri, gli tirò preoccupato la manica del maglione, quasi a volerlo mettere all’erta: «Attento, Eracle. Eris è una maga… non farla arrabbiare o si vendicherà!» Lo avvertì.

Eracle non si scompose ed anzi rise divertito, scrutando Eris dall’alto della sua breve altezza.

«Macché. Questa qui più che maga è completamente fuori di testa. Me lo ha detto Afrodite, sai? Dice che non hai amici perché sei pazza. Perfino tuo padre, il possente Zeus, non ti vuole vicino. Per questo ti manda sempre qui… per levarti dai piedi».
Loki vide la Eris bambina irrigidirsi come una statua e il suo sguardo diventare di fuoco. Non disse nulla, ma i suoi occhi ambrati lasciarono intendere più di mille parole.

«E adesso che fai, piangi? Guarda che lo so perché stai sempre con quella sfera di cristallo nelle mani! È per vedere quel ragazzo, non è vero?! Lo spii tutto il giorno! Me l’ha detto Afrodite, che sei pazza di lui! Che non fai che parlarne! E aveva ragione! Visto, Zefiro? Visto? Lo diceva Afrodite che era pazza! E-Ehi che stai facendo?!».

Improvvisamente, Eris si alzò dal suo giaciglio e si diresse verso il bambino dai capelli neri, saltandogli addosso per picchiarlo. Quello si dimenò, cominciò a scalciare e a tentare di picchiarla e imprecò forte. Quando però lei poggiò una  mano sulla sua guancia, quello cominciò ad urlare come un ossesso a dimenarsi per il dolore; cercò di spintonare via Eris da sopra di sé, ma quella gli piantò l’altra mano sulla base del collo, facendolo gridare ancor più forte e sguaiatamente. Dopo un po’, il bambino smise di dimenarsi e si accasciò a terra, troppo affaticato e dolorante per continuare a ribellarsi, e quando Eris si sollevò da sopra di lui, Loki poté vedere che le parti che aveva toccato erano state carbonizzate e ridotte a poco più che brandelli. Il sangue sgorgava dalle ferite e la pelle era stata così profondamente bruciata da far vedere i muscoli del viso e del collo, i quali erano ancora vivi e pulsavano sinistramente. Gli venne da vomitare, ma, prima che potesse farlo, la scena attorno a lui cambiò e tutto cominciò a girare vorticosamente finché non si ritrovò nei pressi di una grande sala dai colori argentati e dorati, molto lussuosa, dove al centro stava un enorme letto a baldacchino dalle lenzuola lilla e le tende del medesimo colore.
 
Si avvicinò ad esso e, con sorpresa, scoprì che al suo centro stava una Eris di circa dieci anni, i lineamenti un po’ più marcati e una sfera stretta fra le dita. Si avvicinò ancor di più a lei, ormai conscio del fatto che non potesse vederlo, e guardò cosa la stesse osservando. Quando all’interno della sfera scorse le sagome piccole e infantili di lui e Thor intenti a giocare tra di loro, quasi non gli venne un colpo. Si avventò sulla sfera, quasi potesse prenderla davvero, e incominciò a studiarla ancor di più finché non giunse alla inquietante conclusione che, sì, Eris stava osservando proprio loro due.

Sgranò gli occhi, sorpreso, e osservò il viso impassibile della bambina che non si era accorta assolutamente della sua presenza.
 
La vide osservare quella sfera con una minuziosità tale, un interessamento così vero e sincero, che rabbrividì. Improvvisamente quella sospirò, trasognante: «Oh, Loki!» Miagolò, serafica. «Solo tu riesci a comprendermi…» Accarezzò la sfera, poggiandoci la guancia sopra, e l’abbracciò forte come se quella stretta potesse arrivare al diretto interessato che, a quella vista, rimase più che sbigottito.

«Loro non ci capiscono. Loro non sanno nulla! Non sanno che noi due, prima o poi, staremo insieme! Credono che io sia pazza… ma io lo so che non è così. Io so che, prima o poi, riuscirò a incontrarti. E quando questo accadrà giuro che farò di tutto per poter restare al tuo fianco… lo prometto!».

Loki continuava a guardarla interdetto e spaventato, come se Eris dovesse esplodere da un momento all’altro. Non riusciva a credere alle sue orecchie… era incredibile anche il solo pensiero! Quindi lei, la Dea del Caos, era infatuata di lui fin da quando era bambina? Ma perché? Che cosa aveva lui di così speciale?!
Ci rimuginò su per molto tempo ma più ci rifletteva e più non riusciva a trarne una conclusione. Quando però il suo sguardo cadde su quello trasognante della ragazza accanto a lui, non poté fare a meno di notare che fosse sola. Senza alcun amico.

Proprio come lo era lui.

Lui però, durante la sua infanzia, aveva avuto Emily come amica, confidente… famiglia.

Lei invece nessuno. Era sola, molto più di quanto lo fosse stato lui da giovane. Probabilmente, Eris aveva rivisto in lui l’esatto ideale di amico, qualcuno che le assomigliasse, e quindi aveva riversato su di lui e la sua figura tutto il suo affetto negato. Tutto il suo “amore”.

Non seppe di preciso cosa provò nel constatare questo, ma ebbe quasi la sensazione che qualcosa di molto grosso avesse cominciato a muoversi dentro il suo stomaco e lo stesse mandando completamente in subbuglio. Era una sensazione spiacevole, antipatica e rancorosa, che non gli piacque affatto. Era la stessa sensazione che provava da bambino, quando vedeva Thor accerchiato da migliaia di amici e piccole spasimanti, mentre a lui venivano rivolte solo occhiate di sufficienza.

Prima che potesse fare qualcosa per liberarsi da quel sentimento contrastante, la scena attorno a sé mutò nuovamente e tutto prese a girare in tondo mentre migliaia di colori e voci lontane gli aggredivano la mente. Poi, proprio come era accaduto prima, tutto si fermò e poté vedere con chiarezza l’immagine di una ragazzina di circa undici anni in lacrime, che riconobbe subito come quella di Eris.

Era seduta a terra, le mani strette al petto e il viso dai lineamenti dolci nascosto dai folti capelli scuri. Loki non riuscì a scorgere molto bene i suoi occhi, ma dai singhiozzi che stava esalando fu certo di non essersi sbagliato e che Eris stesse davvero piangendo.
Le si avvicinò, e subito, lo sguardo cadde pochi metri più in là, dove la sfera che Eris era solita ad avere era stata gettata. Le andò vicino e, una volta osservata per bene, constatò che l’oggetto riportasse una grossa ammaccatura sulla superficie, un tempo, liscia. Probabilmente, pensò, Eris doveva averla scaraventata a terra per la troppa rabbia.

Guardò al suo interno e si sorprese non poco quando constatò che le immagini che la sfera stava proiettando erano quelle di lui ed Emily pochi istanti prima che lei svenisse a causa della febbre. Aggrottò la fronte e deglutì, poiché quel ricordo lontano lo tormentava ancora nei suoi incubi peggiori e rivederlo lì, da veste di spettatore, gli fece un effetto strano e insolito che gli fece salire l’ennesimo brivido su per la schiena. Improvvisamente Eris urlò di rabbia, spezzando il silenzio che si era venuto a creare, si alzò di scatto e si diresse con passo furente verso la sfera prendendola con forza e rabbia.

«Non lo permetterò! Non permetterò che quella mocciosa le lo porti via! Non voglio! Non voglio!» La sua voce era uno strillo acuto parecchie ottave e il suo viso era divenuto una maschera di rabbia che deformava tutti i suoi lineamenti. Inizialmente, non capì bene cosa avesse intenzione di fare, ma quando la vide prendere la sfera fra le dita e cominciò a mormorare strane parole, non ebbe più dubbi su cosa stesse succedendo: Eris stava facendo il malocchio ad Emily.
Per riflesso, le si gettò addosso, ma, essendo lei solo un ricordo, ci passò attraverso e rovinò al suolo. Alzò subito lo sguardo, gli occhi verdi sgranati e basiti, e quando poggiò lo sguardo sulla sfera, ciò che vide fu la stessa cosa di qualche anno prima.
Emily era appena caduta al suolo, inerme e ammalata.
Loki sapeva già che sarebbe successo, eppure la sua bocca si spalancò per l’orrore e la sua voce si spezzò, non permettendogli nemmeno di gridare. Vide il sé bambino correre incontro all’amica, che giaceva a terra esanime, e pregare chiunque fosse in ascolto che si riprendesse; che riaprisse gli occhi.

«Se non potrò averlo io, non lo avrà nessun altro!».

Le parole di Eris, nonostante fossero appena sussurrate, gli arrivarono nelle orecchie forti come un grido e, immediatamente, tutti i suoi muscoli si contrassero e il sangue gli salì al cervello, annebbiandogli la vista. Il suo corpo era tutto un fremito convulso, la sua voce divenuta un ringhio costante. Tutto di lui lasciava presagire che di lì a poco sarebbe scoppiato.

Era colpa sua se Emily aveva rischiato di morire. Era stata lei. Era sempre stata lei! Lei e la sua assurda follia!

Agì d’istinto: si alzò in piedi e, con velocità, sfrecciò verso il corpo di Eris, desideroso di farle del male. Voleva ucciderla. Vendicarsi per tutto il male che gli era stato arrecato in quegli anni! Il solo pensiero di saperla viva lo infastidiva, gli recava rabbia e irritazione. E lui odiava essere arrabbiato.

Si scagliò con prepotenza su di lei, dimenticandosi del fatto che non potesse né toccarla né parlarle, ma prima che potesse anche solo raggiungerla tutto intorno a sé ricominciò a ruotare e sentì la terra sotto i piedi mancargli. Nuovamente, nella sua mente esplosero una marea di colori, suoni e voci confuse che lo fecero adirare più di quanto non fosse già: era stufo di tutto quel via vai di ricordi! Voleva tornare a casa e uccidere quella strega con le proprie mani, senza l’ausilio della magia o di altre vili meschinerie.
 
Improvvisamente però tutto cessò di ruotare e nella visuale di Loki apparve l’ennesima stanza dorata e ricca di sfarzi che, se in principio gli erano tanto piaciuti, adesso gli davano solo noia e fastidio. Guardandosi attorno, scorse improvvisamente la figura massiccia e possente di Lord Zeus troneggiare su quella piccola ed esile di Eris, la quale stava ricevendo una sonora sgridata da parte del padre.

«Un’asgardiana! Hai fatto il malocchio a un’asgardiana! Amica del principe cadetto di Asgard, per di più!» Urlava lui.
 «Lei non è sua amica! Io ho solo cercato di proteggerlo!» Ribatté quella, frustrata.
«Hai la minima idea del danno che hai recato a tutto il nostro popolo?! Semmai Odino dovesse scoprire una cosa simile, ci dichiarerebbe guerra poiché lo prenderebbe per un atto di guerra, in quanto tu sei mia figlia e hai ucciso un membro del suo popolo!».
«Non è stato un atto di guerra! Volevo solo proteggerlo!».
«E da cosa? Dalla furia di una bambina di dieci anni?!» La voce del possente di lord Zeus si alzò di qualche ottava e il suo viso divenne paonazzo e carico d’ira. Loki guardò Eris e la vide con gli occhi lucidi, i pugni serrati e il labbro inferiore in constante tremolio.
«Io volevo… io volevo solo…» La sua voce era un sussurro e Loki dovette sporgersi un po’ più avanti per sentire ciò che stesse dicendo, nonostante l’idea di starle vicino lo disgustasse. «Io volevo essere l’unica per lui! Volevo proteggerlo da quella mocciosa che gli stava sempre addosso! Io non la sopportavo! La odiavo! La odiavo! La odiavo!» Il suono della sua voce diventò improvvisamente alto e stridulo e dai suoi occhi cominciarono a scendere parecchie lacrime che le rigarono le guance.

A quella vista, chiunque avrebbe provato un minimo di compassione per la fanciulla; chiunque, ma non Loki, il quale la stava fissando con malcelato disgusto. Il solo fatto che fosse arrivata a un punto di ossessione per lui tale da renderla una piccola assassina lo nauseava e gli faceva venire il voltastomaco. Lui era sempre stato un ingannatore, un bugiardo, un meschino e a volte perfino un sadico, ma mai un assassino. E se fino a poco prima nella sua mente ronzava forte l’idea di uccidere Eris, adesso aveva capito che non ne valeva la pena. Che quella donna era così pietosa da non meritare neppure un briciolo della sua attenzione.
Era pazza. Solo una folle psicopatica. E lui voleva sbarazzarsene, non avere pietà di lei perché, appunto, lei non ne aveva avuta con lui. Con Emily.

Fu un attimo: Zeus si avventò sulla ragazza e le diede uno schiaffo così forte che lo schiocco rimbombò per tutta la sala. Quella non disse nulla, si limitò solamente a guardare con occhi vitrei il padre e a non fiatare. Nella sala calò il silenzio e solo quando, improvvisamente, l’uomo le prese il polso e la fece avvicinare ad un ampio tavolo circolare, si accorse di aver trattenuto il fiato per tutto il tempo. Vide il tavolo mutare aspetto, diventando una sottospecie di planisfero rappresentante tutti i Nove Regni, dopodiché Zeus poggiò la mano sul Regno di Asgard e mormorò alcune parole in greco; subito la visuale del Regno si accentuò ancor di più e, in pochi istanti, sul tavolo apparvero le sagome di lui ed Emily: la bambina respirava a fatica e con dolore, stesa nella sua brandina, mentre il lui bambino le stringeva forte la mano e la guardava impotente e con le lacrime agli occhi; nel suo labiale, potevano benissimo leggersi le parole “resta con me”.

Voltò istintivamente lo sguardo dall’altra parte e strinse forte i pugni, quasi come se quel gesto potesse distrarlo da ciò che stava accadendo, finché la voce prorompente di Lord Zeus irruppe nelle sue orecchie.
 
«Ed è così che speri che lui si innamori di te? Uccidendo la sua amica?! Guardalo, figlia mia, ti sembra forse il viso di un ragazzo felice? Ti sembra giusto quello che stai arrecando a quel ragazzo e alla sua amica, che non ti ha mai fatto alcun male?».
«I-Io…».
«Rispondimi, Eris: tu tieni davvero così tanto a quel ragazzo?» Chiese, cingendole le spalle da uccellino.
«S-Sì, padre!».
«Non ti credo! Quando si vuole bene a una persona, se vuoi davvero bene a qualcuno, desideri per lei solo il meglio. Vuoi sempre vederla felice! E ora rispondimi sinceramente: tu vuoi vedere felice il principe Loki?».
Quella annuì con convinzione, incapace di proferire parola a causa dei singhiozzi.
«Voglio p-per lui tutto il bene, padre. V-voglio, hic, voglio v-vederlo felice!» Esclamò infine.
«E allora corri a spezzare quel malocchio, prima che non si possa più tornare indietro! Prima che accadano cose di cui tutti noi potremmo pentirci in seguito!» Ribatté l’altro.

Subito, Eris fece come le era stato detto ma, appena arrivata dinanzi al tavolo, si bloccò.

«Padre… lei è… lei è…».
«Morta» Fu Loki a parlare, e la sua voce uscì dalle sue labbra come se fosse stata un sibilo quasi impercettibile; un flebile sussurro. Nel rivedere quelle immagini di una Emily esanime,morta, sentì nuovamente la rabbia dentro di sé esplodere e un’improvvisa voglia di spaccare tutto avvolgerlo.

Nonostante ciò, la sua espressione rimase immutata e, a differenza di prima, nulla di lui fece intravedere la propria ira nei confronti della dèa e del suo stupido capriccio. Si impose mentalmente di restare calmo, di non perdere la pazienza, perché adesso che era arrivato fin lì doveva sapere come Eris aveva fatto a guarire Emily. A salvarla dalla malattia. Perché alla fine Emily si era salvata. Era rimasta con lui. Ciò che però gli premeva sapere era come e, soprattutto, perché?

«Oh… per tutti gli dèi» Dichiarò ad un tratto Zeus, spaventato da ciò che sarebbe avvenuto una volta che Odino li avrebbe scoperti. «Per tutti gli dèi…» Ripeté, catatonico.
«Padre… padre mi dispiace!» Urlò Eris.
«Io… non posso far nulla» Ansimò, attonito.
A quelle parole, nella mente di Loki si fece largo un pensiero terrificante e orribile che lo fece paralizzare dalla paura: non la stavano aiutando!

«No… no, no, no, no! Dovete aiutarla! Dovete fare qualcosa! Razza di imbecilli! Dovete salvarla!» Urlò, la voce alzata di qualche ottava a causa dell’isterismo.

Ma nessuno sembrava sentirlo. Eris e suo padre erano ancora in stato catatonico e niente sembrava rianimarli, mentre dalle immagini che il planisfero proiettava si poteva benissimo vedere il lui bambino abbracciato al corpicino di Emily e le sue guance rigate dai profondi solchi delle lacrime.

Improvvisamente, fu avvolto dal panico e la testa cominciò a girargli. Senti tutto il suo corpo diventare pesante e il suo fiato farsi corto e ansimante. Iniziò a sudare per la paura, per il terrore di quello che stava accadendo, mentre nella sua mente si faceva largo la domanda che chiedeva perché non stesse ancora accadendo nulla. Cosa dovesse fare.

E poi fu tutto chiaro. Loki capì. Doveva essere lui a intervenire, non loro!

Subito si avviò con passo spedito verso l’oggetto dalla quale il lui bambino ed Emily si vedevano e cominciò a mormorare quanti più incantesimi la sua mente rimembrasse. Nonostante ciò, niente accadde. Non demorse e allora provò a entrare dentro il ricordo stesso, fare qualcosa da lì.
Passarono alcuni minuti e, a parte il colorito di pelle della bambina –che era diventata un po’ più pallida rispetto a prima-, nulla cambiò. Adirato, fece per dare un calcio a una sedia, ma,  prevedibilmente, il suo piede ci passò attraverso e non accadde nulla.



Nel frattempo, Zeus continuava a girare in tondo alla sala, preoccupato e con l’ansia negli occhi chiari. Ad un tratto, preso dall’ira, caricò un forte calcio ad una sedia lì accanto che rimbalzò, urtò un comodino e fece rovesciare alcuni libri di testo a terra. Lui non sembrò badarci mentre invece a Loki, che era a pochi metri dagli oggetti, si illuminarono gli occhi.
Si avventò con velocità verso uno di essi, quasi come se temesse che sparisse da un momento all’altro, e quando i suoi occhi lessero ciò che stava scritto sulla pagina non ebbe più dubbi: era il mito di Cleritide. Il libro che Eris aveva messo nella sua libreria.

« Quindi, quella storia è vera?»
« Oh, certo che no: quella è solo una storiella che gli umani si divertono a raccontare nelle notti d’estate, niente di più.”

 
E se in realtà non si fosse trattata di una semplice favola raccontata dai midgardiani?

Nello stesso istante in cui lo pensò ciò, ebbe ben chiaro ciò che doveva fare: si precipito verso la dèa, che stava seduta su una sedia con lo sguardo perso nel vuoto, e cominciò a passarle attraverso, urlarle quanto più forte gli era possibile di leggere il libro, di fare qualcosa! Eppure, come prevedibile, lei non sentì nulla.
Urlò di disperazione, conscio del fatto che di lì a poco sarebbe arrivata sua madre a vedere cosa stesse succedendo al lui bambino e che quindi presto il ricordo sarebbe sbiadito, e si portò le mani alle tempie; maledicendo Eris e tutta la razza greca in generale per la loro arroganza e follia.

Devo fare qualcosa. Devo fare qualcosa. Devo fare qualcosa!

Quando però  si rese conto di non poter far nulla, si lasciò andare ad un ruggito degno del più grande leoni: «IL MITO DI CLERITIDE, DANNAZIONE!» Sbraitò alla ragazza dinanzi a sé, che continuò a guardarlo attraverso.

Si accasciò al suolo, piegato su se stesso, sentì gli occhi bruciare e divenire lucidi ma, pur di non piangere, strinse i pugni così forte da conficcarsi le unghie nella carne e procurarsi diversi piccoli taglietti. Guardò la sua mano destra, quella dove c’era il segno a X, quando improvvisamente non lo trovò più. Era sparito nel nulla.
Fu in quel momento che sentì qualcosa dentro di lui rompersi e andare in mille pezzi e una cosa appiccicosa e liquida scivolargli giù per la guancia destra: una lacrima.  Una sola, piccola, lacrima.
Loki trattenne il fiato, stordito e impaurito, aggrottò la fronte e sgranò gli occhi: no. No, non poteva davvero essere andata così…
Si alzò in piedi, lo sguardo puntato verso l’immagine che proiettava il planisfero, e vide una cosa che lo lasciò stordito e inquieto: Emily non si era ancora svegliata.
Arretrò di qualche passo, gli occhi sgranati e fissi sull’immagine, e fu in procinto di borbottare qualcosa quando, improvvisamente, sentì tutti i ricordi di lui ed Emily abbandonarlo; lasciare la sua mente. Non riusciva più a ricordare il suo viso da adulta, solo i ricordi di quando lei era viva. Bambina.

E urlò. Così forte e sguaiatamente che sentì la gola fargli male e le vene della testa gonfiarsi. Non voleva dimenticare. Lui voleva ricordare tutto!

E allora urlò di nuovo, più forte e prepotentemente di prima: «IO NON VOGLIO DIMENTICARE!» Lo gridò con così tanta foga, con così tanta sincerità, che si fece male. Male dentro. Perché quello che diceva era reale, era la verità. Per una volta, il Dio degli Inganni non stava mentendo.

E poi, improvvisamente accadde: vide i colori della stanza mutare e diventare più vividi, più reali e tangibili e, guardando dentro gli occhi dorati della piccola Eris, Loki si accorse con malcelata sorpresa che era lui che stava guardando. Non il muro, non l’arazzo dietro di sé: lui.
Fece giusto in tempo a urlarle con tutto il fiato che aveva in gola “IL MITO DI CLERITIDE!” che tutto tornò alla normalità, come se si fosse trattato di un battito di ciglia.
Per un momento, Eris sbiancò e strabuzzò un po’ gli occhi, stordita; poi, improvvisamente, il suo sguardo si illuminò e scatto in piedi, dirigendosi con velocità verso l’enorme tavolo.

«Figlia, ma cos--».
«Non c’è tempo per spiegare, padre! So come aiutare la bambina!» Urlò a pieni polmoni.

Quello la guardò stranito, come se stesse soppesando cosa rispondere a quell’esclamazione, poi le disse: «Spiegami».

Sul viso di Eris si aprì un breve sorriso e, subito dopo, spiegò in fretta e furia il piano al proprio padre che la osservava con sguardo grave. Quando ebbe finito, l’uomo lanciò uno sguardo alle immagini che proiettava il planisfero, poi guardò la figlia: «Quella di cui tu parli è una magia molto potente e che richiede grande sacrificio, Eris. Attuando ciò, farai in modo che alla bambina venga donata metà della tua anima, alcuni dei tuoi poteri da dèa e metà dei tuoi anni da vivere. Saresti disposta a fare tutto questo per il principe Loki? Soppesa bene quello che decidi, bambina, perché non potrai più tornare indietro» Le parole di Zeus erano forti, dure e troppo grandi per la mente di una bambina di undici anni ossessionata da qualcuno che non aveva mai visto prima. Da un Ingannatore. Nonostante ciò, Loki fu pronto a giurare che quello che il padre stesse facendo attuare alla figlia non era altro che un sotterfugio per mettere in atto i propri piani politici. Lo dedusse dal sorrisetto soddisfatto appena accentuato dell’uomo, dalle sue pupille dilatate, dalle sue grandi e possenti dita strette sulle spalle della figlia. Osservò tutto questo e, nonostante tutto il rancore che provasse per Eris e l’ansia che lo stava tormentando, sentì un profondo senso di disgusto salirgli su per la gola.

«Sì, padre. Voglio che il principe Loki sia felice!» Sussurrò, e subito Loki vide Zeus estrarre dal corpicino di Eris alcuni filamenti bianchi –gli stessi che erano usciti dal corpicino di Emily- e passarli, attraverso quello strano planisfero nel corpo della bambina che di conseguenza li passò al lui bambino. Contemporaneamente a ciò, sentì i ricordi di lui ed Emily ritornargli prepotentemente alla mente così come ne erano usciti e, nonostante ciò gli provocò un po’ di dolore alla testa, non poté fare a meno di sospirare di sollievo quando si rese conto di ricordarsi di Emily, del suo viso lentigginoso e da bambina troppo cresciuta e, soprattutto, fu lieto del fatto di constatare che sul palmo della sua mano destra fosse riapparso quello stranissimo segno a forma di X.

«Padre… cosa sta succedendo a Loki?» Perso com’era nelle sue constatazioni, la voce di Eris gli arrivò lontana come un’eco. Nonostante ciò, si voltò a guardarla e, dato che il discorso lo riguardava personalmente, aprì bene le orecchie poiché era intenzionato più che mai a fare chiarezza su quell’argomento.

«Questo… questo non lo avevo programmato» Sussurrò l’uomo, accigliato, in risposta. «Sembra che, a causa della troppa vicinanza tra i due corpi, i loro sentimenti abbiano fatto contatto tra di loro e che… come dire? Abbiano stretto un legame. Un collegamento, capisci? Qualcosa di indissolubile. Non riesco a dire se sarà qualcosa di buono o cattivo, nelle scritture non viene riportata una cosa simile, ma credo che quei due adesso siano un po’ più, ecco… più simili a dei fratelli; diversi, ma pur sempre legati da qualcosa di inscindibile. Io... io spero solo che non accada mai quella cosa…».

«Quale cosa, padre!?».

Ma prima che potesse comprendere cosa stesse dicendo Zeus a proposito di quello strano mistero, tutto intorno a lui incominciò a girare vorticosamente e questa volta con più forza e violenza, tanto che, per un momento, credette di essere lì per svenire. Sentì una grandissima cacofonia di voci invadergli le orecchie e le scene che aveva vissuto pochi attimi prima ritornare indietro come un velocissimo susseguirsi d’eventi. Ad un certo punto, le immagini, i suoni e i colori divennero così vividi che gli sembrò che la testa gli stesse scoppiando finché, improvvisamente, non si risvegliò di soprassalto da quello strano sogno.
Il risveglio fu brusco, violento e poco piacevole. Aveva issato tutto il suo corpo verso l’alto e il suo cuore sembrava fosse improvvisamente diventato una marcia di tamburi. Tutto il suo fisico era sudato e dalle tempie scendeva lenta un’appiccicosa goccia di sudore, che asciugò con il dorso della mano.

«Dormito bene, amore mio?» Quando sentì il tocco vellutato e leggero della mano di Eris poggiarsi sulla sua spalla, sussultò così forte che, istintivamente, si alzò in piedi e fece per scansarsi il più possibile da lei, che lo guardava con un non so che di delusione negli occhi.

Quando il respiro gli tornò regolare, le lanciò un’occhiata carica d’ira e, ricordandosi tutto quello che era accaduto poco prima, quando aveva infranto perfino le leggi della fisica e dello spazio tempo  riuscendo a parlare, seppur per pochi istanti, con la lei del passato, sentì montare dentro di sé una rabbia cieca; la stessa che lo aveva aggredito quando l’aveva vista maledire Emily. Provò l’impulso di ferirla, rompere quel maledetto visino da bambola e farle provare una minima parte dell’orrore che aveva dentro. Fremeva e il suo fiato era improvvisamente diventato pesante, fiacco, quasi come se una parte di lui stesse per esplodere.

«Tu… TU!» Ruggì ad un tratto, indirizzandosi con velocità verso di lei che, per riflesso incondizionato, indietreggiò di alcuni passi e finì con le spalle al muro. «SEI STATA TU!» Urlò con rabbia, quasi come se il farlo potesse sbollire l’ira che lo opprimeva, prendendola per la scollatura e alzandola da terra. «TU L’HAI UCCISA!».

Eris, che non si aspettava una reazione simile da parte sua, cominciò a boccheggiare parole incomprensibili e prive di nesso logico e questo non fece altro che incrementare la sua furia e, ancor più irritato di prima, le diede uno scossone; sbattendola nuovamente al muro con più violenza. Quella emise un flebile lamento, molto simile a un singhiozzo, e lo guardò con lo sguardo spaesato di chi non capiva cosa stesse succedendo.

«Tu… tu ti ricordi ancora…?» Pigolò, il volto paonazzo e gli occhi sgranati.

Loki aggrottò la fronte, certo che quello fosse l’ennesimo trucco di Eris per ingannarlo, finché il ricordo della X che spariva e dei ricordi di lui ed Emily che abbandonavano la sua memoria non si fecero prepotentemente strada in lui, facendogli comprendere tutto.

Eris voleva che dimenticasse.

La cosa era così ovvia, così semplice, che si diede mentalmente dello stupido per non averlo capito subito. Era stato tutto un suo piano, un suo inganno, creato appositamente per far sì che si dimenticasse di Emily, che la cancellasse dalla sua mente per sempre. Poiché, se avesse modificato le sue memorie grazie all’uso della magia, se gli avesse fatto credere di aver perso Emily durante la sua infanzia, tutti i ricordi riguardanti se stesso e lei adulta sarebbero spariti facendogli rimanere solo la convinzione che, essendo la sua amica ormai morta, nulla di tutto quello che era accaduto in quegli anni tra loro due era mai davvero successo.
Era riuscita, usufruendo della sua magia, a ricreare l’esatto momento in cui Emily era in fin di vita e, in qualche modo, aveva modificato il ricordo; facendo sì che sembrasse che, per lei, non ci fosse più via di scampo. In realtà, capì Loki, lei e Zeus avevano già guarito la bambina, probabilmente utilizzando sempre l’incantesimo del “Mito di Cleritide”, ma Eris aveva ben congegnato che, se lui avesse visto la bambina morire con i propri occhi, sarebbe stato convinto di averla persa per sempre e quindi nella sua mente si sarebbero sviluppati dei meccanismi che avrebbero fatto sì che, per lui, la Emily adulta non fosse mai esistita. Ma non aveva programmato che sarebbe riuscito non solo a ricordare, ma perfino a guarire la bambina attraverso il fantoccio che, seppur manovrato, era pur sempre la lei bambina e che quindi agiva esattamente come avrebbe dovuto agire in quel momento una ragazzina di undici anni in preda al senso di colpa.
 
Nel realizzare ciò, sentì tutti i propri muscoli contrarsi e le viscere contorcersi per l’esaltazione. Era riuscito a smascherare il piano di Eris, le aveva ritorto contro il suo stesso inganno. Era riuscito a ricordare.

«Oh, sì. Io ricordo ancora tutto, Eris. E so anche quello che hai cercato di farmi attraverso le tue sporche magie!» Sputò fuori, gli occhi assottigliati in due fessure e la bocca distorta in un ghigno. «Cosa cercavi di ottenere attraverso questo tuo sporco trucchetto? Credevi davvero che avrei potuto dimenticarla?  Che una volta eliminata lei dalla scena, saresti diventata il mio amore? Il mio balsamo? La spalla su cui piangere? Hai fatto male i tuoi calcoli, Dea del Caos» Il suo viso era a pochi centimetri dal suo, la vicinanza era tale che poteva contare ogni sua singola ciglia, sentire il suo profumo agre e forte inalargli le narici, vedere con precisione i suoi occhi dorati. «Perché ci sono cose che neppure il più potente dei sortilegi può cancellare… o cambiare» Eris non parlava. Il suo viso era diventato una maschera di sgomento e rabbia. La stava umiliando, disprezzando come se fosse stata la più disgustosa degli oggetti, e poté giurare di vedere della frustrazione in lei; come se avesse voluto urlare, ma non ne avesse la forza.

«Ma tu… noi…».
«Noi?!» Si lasciò andare in una risatina di scherno, crudele e perfida che ferì Eris più di ogni altra cosa. «Come puoi anche solo pensare ad un possibile noi dopo quello che hai fatto? Dopo quello che le hai fatto?» Domandò, la voce incrinata dalla rabbia.
«Lei... lei era un ostacolo… io volevo solo starti vicino! Perché ti ostini a non capire i miei sentimenti? Perché mi tratti in questo modo?! Io… io ti amo, Loki» Piagnucolò lei, gli occhi pieni di lacrime.

Non aveva mai visto Eris così. Sembrava che tutta la sua armatura da donna furba e sensuale fosse svanita in poco meno di qualche minuto, rivelando la sua vera natura. Vide la frustrazione nei suoi occhi, la rabbia dello star piangendo, e quando la sentì pronunciare quelle tre brevi parole capì che aveva davvero toccato il fondo.

 «Tu mi disgusti» Sussurrò, dopo pochi istanti di silenzio. «Credevi forse che mostrarmi quei tuoi ricordi d’infanzia tormentata e afflitta potesse, in qualche modo, intenerirmi? Farmi provare compassione per te? Quello che tu hai provato è miele in confronto a ciò che ho subito io, e il fatto che tu mi abbia mostrato quei frangenti di vita in modo così semplice e superficiale implica che il tuo è solo esibizionismo. Mancanza di attenzione. E credi davvero che sbattendo la tua sofferenza in faccia a gente non più virtuosa di te possa far cambiare loro idea sul tuo conto? È la preghiera di uno sciocco. Il pianto del coccodrillo che prima uccide e poi piange. Patetico. Tu non mi ami, Eris. Tu non mi hai mai amato. La tua è solo ossessione. Follia. E ora vattene, hai già toccato il fondo; non voglio più avere nulla a che fare con te».

Si allontanò da lei, dandole le spalle, e si diresse con passo affrettato verso l’uscita. Dopo aver mosso pochi passi, gli tornò in mente la frase lasciata a metà da Zeus e, curioso di sapere come finisse il discorso, fece per voltarsi nuovamente verso la donna, che adesso lo guardava con occhi truci e carichi di odio. Istintivamente, pensò che somigliasse ad un cobra pronto ad attaccare.

Fece per aprire la bocca, ma, prima che potesse parlare, Eris lo precedette: «È per colpa sua, non è vero? Per colpa di quella sciocca ragazzina dai capelli rossi che nemmeno si accorge di come ti agiti quando ti è accanto! Avrei dovuto ucciderla molto tempo fa, quando ne ho avuto l’occasione!» La sua voce si era improvvisamente trasformata in un urlo alto e acuto, ed i suoi occhi erano sgranati enormemente e le bocca rossa distorta in un ringhio feroce. Fu momentaneamente sorpreso da questa sua reazione, ma non riuscì ad soppesare bene le parole di Eris, che gli erano arrivate troppo velocemente e troppo forti per capirle del tutto.

Improvvisamente lei puntò un dito minatorio su di lui, lo sguardo dorato infuocato e grave, e tutto del suo aspetto sembrò urlare “pericolo imminente”.
«Basta così!» Esplose.«Avrò la mia vendetta!» Urlò. «AVRÓ LA MIA VENDETTA!» La sua voce era grottesca, sadica e piena di rancore e per un momento Loki credette che gli avrebbe scagliato contro qualche maleficio.

Non fece nulla di questo, ma ciò che disse lo sconvolse più di ogni altra cosa, tanto da fargli per un momento girare la testa: «La tua sfrontatezza verrà punita come è giusto che sia, e le tue colpe ricadranno anche sugli innocenti. Ti farò capire quanto quel dolore che ti avevo anticipato tempo fa sia niente in confronto a quello che verrà. Conoscerai, principe di Asgard, la verità più cruda ed inaspettata che tu possa mai aspettarti e tutte le urla, il dolore e la confusione che proverai saranno solo un assaggio di ciò che sarà il vero dolore: quello che ti lacererà dentro e ti porterà alla follia. Prega gli dèi affinché abbiano pietà di te, Loki Laufeyson, perché io non ne avrò. Non più!» E, prima che potesse anche solo capire cosa stesse succedendo, Eris sparì, dissolvendosi nel nulla, così come era apparsa.

Passarono alcuni minuti in cui rimase in assoluto silenzio, quasi come se stesse meditando, finché il pensiero che aveva cercato di allontanare per tutto quel tempo gli si ricacciò prepotentemente in mente, facendogli sgranare gli occhi e trattenere il fiato.
Perché Eris lo aveva chiamato “Loki Laufeyson?”.
 
 
 



- Note dell’autrice. 
 
EEEEED ECCOMI QUI!

Ho fatto i salti mortali per aggiornare perché purtroppo presto i miei genitori prenderanno la pagella del primo quadrimestre e, dato che non brillo di bravura nell’ambito scolastico, mi metteranno certamente in punizione per una settimana. Motivo per cui aggiorno OGGI! :D
Coomunque, spero vivamente di non avervi fatto girare la testa con tutti quei ragionamenti che fa Loki. Sul serio, se qualcosa non vi è chiara non esitate a dirmelo e vedrò di chiarire ogni dubbio! :)

Come vi avevo già anticipato su Facebook, da questo capitolo in poi si entra nella parte “semi-finale” della storia, ovvero ci avviciniamo sempre di più alla fine. Già – sento già la mancanza di ‘sti due. – motivo per cui i toni della storia diverranno più cupi e “complessi” (metto complessi fra virgolette perché, avendo pur sempre quindici anni, sono ancora una scrittrice in erba e quindi non so fino a che punto i miei scritti possano essere “complessi”. *piange*). Inoltre, non so se avete notato, questo capitolo è colmo di citazioni ai grandissimi (e bellissimi) libri di Harry Potter! :) Quante ne avete trovate? *vi dico fin da subito che sono circa due o tre *non ricorda bene @_@*.
 
Detto ciò, ci vediamo –se sarò ancora viva e vegeta – al prossimo capitolo! Spero che questo vi sia piaciuto! ^_^

P.S: Mi dispiace di aver cambiato – ancora una volta - il personaggio di Lord Bragi con quello di Zeus, ma mi sono resa conto che, effettivamente, Bragi non c’entrava nulla con la mitologia greca. Quindi era inutile. Inoltre, Zeus è il vero e proprio padre della Dea Eris, quindi credo (spero) sia più appropriato…


P.S.S: RINGRAZIO INFINITAMENTE DARMA PER AVER BETATO ANCHE QUESTO CAPITOLO! *le dedica una statua*.

 
Bacini! :**


 

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Capitolo 17
*** Everything is nothing. ***


~Everything is nothing.

Oh, puoi sentirmi piangere
puoi vedere morire tutti i miei sogni
da dove stai.
E' cosi silenzioso qui
e sento cosi freddo
questa casa non la sento più
come "casa".

So Cold; Ben Cocks.




 

Ad Emily non era mai piaciuto il freddo.

Lei amava il sole, il caldo, le giornate afose della Stagione del Sole.
Adorava correre nei prati delle colline, respirare l’aria fresca della sera e riposare sotto i grandi salici della foresta dell’Eldo; quella in cui lei e Loki si recavano sempre da bambini.

Emily amava il caldo, quello focoso e bruciante, eppure negli occhi di Loki c’era sempre tanto freddo. Un freddo congelante, pauroso e quasi impossibile da scongelare.

Sospirò: ricordava ancora perfettamente i suoi occhi, il suo sguardo pieno di apprensione e rabbia mentre le si rivolgeva e, subito dopo, sgusciava via dall’uscio della porta quasi come se fuggisse da qualcosa più grande di lui; qualcosa che lei non avrebbe dovuto scoprire. Sentiva ancora rimbombare nella sua mente il suo tono piatto e infastidito mentre le diceva che Thor era stato bandito da Asgard, che non sarebbe più potuto tornare, e ricordò che non c’era tristezza nelle sue parole, né angoscia. A dire il vero, non c’era proprio nulla lì dentro. I suoi occhi erano vuoti, freddi e vitrei e ricordava che, quando li aveva visti, aveva provato tanta paura. Paura di aver perso per sempre lo sguardo del vero Loki, del ragazzo che conosceva lei. Quello stesso sguardo che le era sempre tanto, tanto piaciuto.
Ricordò tutto questo e, con ancora le coperte tirate sopra il naso cosparso dalle piccole lentiggini, si disse che a lei il caldo piaceva, ma amava ancora di più lo sguardo freddo e malinconico di Loki.

Si tirò su a sedere, conscia del fatto che non avrebbe dovuto fare sforzi troppo pesanti visto quello che le era accaduto qualche ora prima, e il suo sguardo cadde alla finestra dinanzi a sé, precisamente sul paesaggio che lasciava scorgere: Asgard. Era ormai calata la sera, la giornata stava volgendo al termine e quegli ultimi barlumi rossastri infierivano al Regno un’atmosfera fiabesca e quasi irreale. Il cielo era di un meraviglioso color arancio e in lontananza potevano quasi sentirsi le grida delle madri che richiamavano i propri figli per avvertirli che era ora di ritornare a casa.

Era tutto meraviglioso.

Contemplò il paesaggio che le si parava davanti per un po’, finché un pensiero non le attraversò la mente e la fece irrigidire di colpo: se non fosse stato per Loki, lei non avrebbe potuto vederlo…

Sì, perché era stata lui a salvarla; a proteggerla dalle grinfie di quei mostri. Nonostante la sua cocciutaggine ed arroganza nel volerli seguire in quella terra desolata e inospitale, lui l’aveva comunque aiutata.

Era sempre così: lei si metteva nei guai e lui accorreva in suo soccorso; la salvava. Veniva in suo aiuto. Lo aveva sempre fatto, fin da quando erano bambini, e per questo Emily gli era riconoscente perché, se adesso si trovava lì, era solo grazie a lui.

Loki era la sua famiglia, il fratello che non aveva mai avuto, l’amico con il quale confidarsi e sfogarsi, ma con cui bisognava fare attenzione, perché era come il vetro: fragile, delicato e tagliente. Era un castello di carte costruito con estrema cura e attenzione, forte e possente all’apparenza, ma dannatamente friabile al minimo soffio di vento. Era riuscito a crearsi una bella maschera, il Dio degli Inganni, così bella e dettagliata da riuscire ad ingannare persino se stesso. Non si era mai reso conto, nella sua arroganza, del fatto che quella maschera che utilizzava sempre per nascondersi dagli occhi cattivi e acquosi della gente per lei non era mai esistita; che non l’aveva mai nemmeno notata.

Non aveva mai avuto nessun superpotere o talento speciale che le permettesse di capire Loki e la sua psicologia, semplicemente lo faceva e basta. Le veniva naturale guardare i suoi occhi verdi e capire a cosa stesse pensando, se stesse mentendo. Era chiaro, scritto lì a lettere grosse e maiuscole che aspettavano solo di essere lette. Comprese.

Perché alla fine quelle di Loki non erano nemmeno menzogne celate tanto bene. Era una persona molto logorroica lui, abile nel maneggiare le parole a suo piacimento e a dare loro il senso che desiderava; ma era pur sempre una persona. E come tutti aveva le sue debolezze che lei aveva imparato a cogliere durante quegli anni trascorsi insieme a lui: aveva compreso che non era cattivo, o malvagio; semplicemente era insicuro, cinico e privo di fiducia nei confronti della gente che, invece di imparare a leggere le sue parole velate, le sue frasi con doppi significati e i suoi silenzi, avevano preferito prendere la via più breve e credere a tutto ciò che diceva loro ed etichettarlo come il “male” e “inganno”; inconsapevoli del fatto che non fosse Loki ad essere un bugiardo, ma loro troppo vili per capire la menzogna.

Ed era proprio perché era sempre riuscita a cogliere ogni sua sfaccettatura, ogni piccola sfumatura del suo complicatissimo carattere, che adesso si dannava l’anima e si malediva con ogni fibra del suo corpo. Lo faceva perché, da qualche mese ormai, non riusciva più a leggere lo sguardo dell’amico.

A capirlo.

Anche prima, durante la loro ultima lite, non era riuscita a comprenderlo: perché aveva reagito così? Perché era fuggito via come una gazzella impaurita? E perché il nome di Thor e la sua dipartita gli portavano tanto fastidio? Cosa stava succedendo? Anzi, cosa gli era successo?
Ma più si poneva domande, e più la sua mente si annebbiava.

Era frustrante, pensò, e demoralizzante. Decisamente un sentimento fastidioso.

Non riusciva ad accettare l’idea di non sapere cosa stesse succedendo; le era insopportabile il solo pensiero. Nonostante ciò, dopo dieci minuti buoni di rimurginamento in cui mille e mille domande le affollarono la mente, raggiunse la conclusione che, se voleva sapere qualcosa, doveva chiederla al diretto interessato.

Si alzò quindi dal letto, poggiò le piante dei piedi sul pavimento e indossò con velocità le scarpe; dopodiché si avviò con passo barcollante verso un’altra stanza, quella in cui alloggiavano i suoi amici. Una volta arrivata, aprì le porte con velocità e si inoltrò all’interno della sala dove Fandral, Sif, Volstagg ed Hogun si stavano riprendendo: li vide stanchi, emaciati e feriti e quelli, nel vederla arrivare, le scoccarono subito un’occhiata curiosa, ma non dissero nulla. Nemmeno lei proferì parola – cosa si poteva dire in un momento simile?, finché davanti ai suoi occhi non si parò la figura longilinea di Loki.

Quello si voltò a guardarla con sguardo grave, quasi come se avesse visto un fantasma, ma anche lui non disse nulla. Il suo volto era stravolto, affilato e rigido, e tutto il suo corpo era un fremito continuo. Non capì il perché di questo suo atteggiamento e ne fu confusa: non poteva sapere, povera ingenua, quello che Loki aveva vissuto pochi attimi prima del suo arrivo; dello scontro avuto con la Dea del Caos e di ciò che gli aveva detto; di come le sue parole lo avessero turbato.

Non sapeva nulla di tutto questo e, innocentemente, associò l’ira dell’amico alla breve disputa che avevano contratto poche ore prima e, presa da un improvviso senso di colpa, gli andò vicino e gli sfiorò il braccio delicatamente; come a volergli chiedere scusa.

«Loki…»Mormorò poi, sinceramente dispiaciuta.

Loki chinò il capo per guardarla, non ritrasse il braccio, ma non proferì alcuna parola e continuò a fissarla con minuziosità: sembrava quasi che la vedesse dopo tanto tempo e non ricordasse più come fosse fatta. Fu messa in soggezione da quello sguardo che sembrava scrutarla così in profondità e che, ultimamente, non riusciva proprio a sostenere, quindi arrossì e girò istintivamente la testa dall’altra parte, rossa di vergogna.

«Mi dispiace per prima, non dovevo dirti quelle cose… sono stata cattiva. Scusami.» Pigolò a mezza voce, convinta del fatto che lo sguardo penetrante che le stava rivolgendo fosse dovuto alla litigata di  poche ore prima.

Anche in quel momento Loki non disse nulla, ma il suo corpo parve rilassarsi un po’ e la mascella decontrarsi. Il suo sguardo austero si addolcì, diventando più mansueto, e poté giurare di vedere del sollievo dentro i suoi occhi verdi.

«Non ero arrabbiato» Dichiarò ad un tratto, sorprendendola.
 
Non si aspettava davvero una risposta da parte sua, credeva che avrebbe mantenuto quel suo solito silenzio tanto odioso e antipatico.

Fece perciò saettare il suo sguardo su di lui e, nonostante le sue parole non fossero state infastidite o irritate, ebbe l’impressione di scorgere una nota di preoccupazione nei suoi occhi. Aggrottò le sopracciglia, piccata, poiché, anche in quel momento, non era riuscita a capire la motivazione dello stato d’animo dell’amico.

Cercò di ribattere qualcosa, ma prima che potesse farlo Volstagg parlò: « Avremmo dovuto fermarlo!».

In principio, non comprese appieno a cosa si stesse riferendo, ma quando anche Sif intervenne dicendo che non ci sarebbe comunque stata possibilità, capì che stessero parlando di Thor. Subito sentì Loki, accanto a sé, irrigidirsi come una statua.

«Almeno è solo bandito e non morto!» Esclamò allora Fandral con voce incrinata. «Ed ora lo saremo tutti se quella guardia non avesse detto a Odino dove eravamo andati».

Accanto a sé, vide Loki chinare il capo e scrutare con un’improvvisa ansia negli occhi la propria mano destra; precisamente la stessa che era stata toccata dal Gigante di Ghiaccio. Anche quella volta, fu in procinto di dirgli qualcosa, ma venne nuovamente interrotta da Volstagg: «Come faceva la guardia a saperlo?» Chiese, dando vita a una domanda che tutti si ponevano da quando erano ritornati ad Asgard.

Poi, dopo qualche minuto di assoluto silenzio, Loki parlò e ciò che disse lasciò tutti senza fiato: «Gliel’ho detto io» Dichiarò con voce ferma.

Ci fu un momento di smarrimento collettivo durante il quale nessuno riuscì a spiccicare parola; fece quindi saettare il proprio sguardo verso quello di Loki e la sua espressione fu quella sgomenta e sbigottita di chi non aveva ben inteso ciò che aveva sentito; Loki non le parlò, continuò a fissare dritto dinanzi a sé come se avesse appena detto la cosa più normale del mondo, finché Fandral non spezzò il silenzio che si era venuto a formare con un semplice “Cosa?!” appena sussurrato.

Loki lo fissò: «Di andare da Odino dopo che ce ne saremmo andati, meriterebbe la frusta per quanto ha impiegato; non dovevamo arrivare a Jötunheimr».
«LO HAI DETTO ALLA GUARDIA?!» Sbottò allora Volstagg, incredulo.

L’interpellato non si scompose e, al contrario, continuò a tenere fisso lo sguardo sui presenti; le mani congiunte al petto e lo sguardo grave e infastidito di chi è stufo di parlare di un argomento che non vuole trattare. «Ho salvato le nostre vite» Disse. «E quella di Thor. Non potevo immaginare che nostro padre lo avrebbe bandito!».

Di nuovo, fece per aprire la bocca per parlare, ma, ancora una volta, qualcuno la precedette. Quel qualcuno, stavolta, fu Sif che, alle parole di Loki, si era repentinamente alzata dal comodo divanetto su cui era seduta e diretta con fare ansioso verso di lui: «Loki, devi andare dal padre degli dèi e convincerlo a cambiare idea!».

Vide gli occhi di Loki divenire due fessure verdi per la collera: «E se lo facessi che cambierebbe?» Mormorò, la voce incrinata dalla rabbia. «Io amo Thor più di chiunque di voi, ma sapete com’è fatto: è arrogante, è sconsiderato e imprudente. Avete visto com’era oggi? Asgard necessita questo dal proprio Re?!» La sua voce era divenuta inaspettatamente irritata ma pur sempre contenuta, quasi come se avesse trattenuto quelle parole da troppo tempo e, adesso che le aveva fatte uscire fuori non poteva fare a meno di urlarle. Il suo sguardo era furibondo, infastidito e adirato, tanto che per un momento nessuno riuscì a ribattere nulla.

Poi, Loki si voltò verso di lei, scoccandole uno sguardo che sembrò dire “E tu che fai? Sei dalla mia parte sì o no?” che capì troppo tardi poiché lui, vedendo che non diceva nulla, le diede le spalle e si avviò con passo veloce e arrabbiato fuori dalla sala. Non fece in tempo a corrergli dietro che era già diversi metri lontano da tutti loro.
 
Di colpo, un silenzio pesante come una coperta calò nella stanza.

«Può darsi che parli per il bene di Asgard…» Parlò ad un tratto Sif, spezzando il silenzio. «Ma lui è sempre stato geloso di Thor».
A quelle parole qualcosa dentro di lei scattò come una molla e subito strinse forte i pugni e si morse la lingua per impedirsi di dire sciocchezze.
«Dovremmo essergli grati, ci ha salvato la vita!» Ribatté allora Volstagg con fastidio nella voce; quasi come se dire quelle frasi gli recasse un enorme dispiacere.
«Laufey ha detto…» La voce di Hogun risuonò bassa e cupa come un’ombra nei meandri della sala e, nel sentirla, un brivido le percorse la schiena e la fece rabbrividire. «… che ci sono traditori, nella casa di Odino. Un maestro di magia potrebbe portare tre Jotun dentro Asgard!» Continuò, lo sguardo grave e obliquo diretto verso lei.

Capendo subito cosa volesse insinuare, ad Emily salì il sangue alla testa e sentì tutto il proprio corpo tremare per la troppa rabbia. Desiderò urlare, dire loro che si sbagliavano e che Loki era innocente! Che lui amava Asgard più di chiunque altro e che non avrebbe mai fatto qualcosa di simile! Ma, prima che potesse farlo, Fandral prese la parola e la batté sul tempo: «Loki ha sempre provato piacere dei guai altrui, ma tu ti riferisci a qualcosa del tutto diverso!».

Subito, vide le labbra di Volstagg spalancarsi nel tentativo di ribattere, ma, prima che potesse farlo, scattò verso di loro e prese finalmente la parola: «Basta così!» Disse, la voce ferma e decisa. «Anch’io, come voi, sono confusa e frastornata a causa di ciò che è successo stamattina, ma non riesco a tollerare che parliate male di Loki e che lo accusiate di crimini che non commetterebbe mai in mia presenza! Loki ama Asgard più di tutti voi, e dunque so per certo che quello che ha fatto lo ha compiuto solo per proteggere la sua patria. Per proteggerci. Dovreste essergliene grati, e invece proclamate ipotesi su un suo presunto tradimento» La sua voce era alta e acuta, decisamente nervosa, e i suoi occhi sembravano esser diventati due tizzoni ardenti tanto erano infuriati. Nessuno parlava o proferiva parola, e non perché non trovassero qualcosa da ribattere, ma semplicemente perché non dava loro il tempo di poter rispondere dato che parlava troppo velocemente e con troppa foga.
 
Nessuno l’aveva mai vista così adirata, probabilmente nemmeno lei si era resa conto di come il suo viso fosse divenuto improvvisamente una maschera di rabbia e ira. 

Ci fu un momento di assoluto silenzio, durante il quale nessuno osò proferire parola, finché lei non riprese a parlare con lo stesso tono furioso e infastidito di prima: «Se per voi è così importante sapere come e perché Loki abbia riferito quelle cose alla guardia, salvando così le nostre vite e quella di Thor, sarà mia assoluta premura scoprirlo e riferirvelo al più presto. Nel frattempo, consiglio a tutti voi di farvi un bell’esame di coscienza!» Concluse, dopodiché si diresse con passo svelto e furioso fuori dalla sala, lasciandoli con un amaro senso di colpevolezza ed irritabilità addosso, poiché non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire e loro stavano facendo di tutto pur di non udire le parole lei che aveva loro rivolto e che, forse, bruciavano così tanto proprio perché, in fondo, sapevano tutti che non erano poi così infondate.



Non riusciva più a sopportarlo.

Non ne era più in grado!

Camminava con passo spedito verso un luogo non precisato del palazzo, non sapeva nemmeno lui dove stava andando, l’unica cosa sicura era che doveva assolutamente andare via da lì. Subito.
Era da quando aveva avuto quella discussione con Eris che non era più riuscito a levarsi dalla mente le sue parole; il nome con la quale lo aveva apostrofato prima di sparire.

Loki Laufeyson.

Oh, per gli dèi! Era una situazione a dir poco ridicola. Una buffonata! Come poteva anche solo pensare a qualcosa di simile? Era assurdo il solo pensiero. Lui era il figlio di Odino, Principe di Asgard e figlio della famiglia più nobile di tutti i Nove Regni. Lui viveva lì, in mezzo a quelle mura dorate; a quegli affreschi sfarzosi e meravigliosi, a quel continuo odore d’incenso che si respirava durante le celebrazioni e i tributi agli dèi loro avi. Era la sua vita, non importava cosa potesse dire una lurida strega come lei. Lui era il figlio di Odino e Frigga, fratello minore del Dio del Tuono, Thor, e Principe cadetto di Asgard, nonché suo futuro erede al Trono.

Era sempre stato così, sempre. Quindi quelle che si poneva erano solo domande prive di nesso logico; idiozie dettate dalla stanchezza. Solo questo, nient’altro.

Mentre avanzava, gli si parò improvvisamente dinanzi un enorme pilastro in oro massiccio, ben lucidato e molto sfarzoso, che rifletteva la sua immagine un po’ distorta, ma ancora riconoscibile; si avvicinò e guardò fisso il suo riflesso, quasi come se sperasse che potesse prendere vita e dargli le certezze che sperava.
Aveva il respiro affannoso, la gola secca e le mani erano ormai divenute in tremolio continuo; ma nonostante ciò continuò a guardare fisso il suo riflesso: osservò i suoi occhi verdi, il viso affilato e magro, le proprie labbra sottili e rosee, i capelli corvini che gli incorniciavano il viso. Guardò tutto questo con ostinazione, quasi come se da un momento all’altro avesse dovuto vedere la sua pelle divenire blu e i suoi occhi cremisi come quelli dei Giganti di Ghiaccio, e mentre osservava i suoi stessi occhi, distorti e un po’ confusi a causa del metallo, giunse alla conclusione che a lui delle semplici ipotesi non andavano più bene e che aveva bisogno di certezze. Ne necessitava. Le voleva subito.

Ma come ottenerle? E in che modo? Non poteva di certo recarsi da Padre e chiedergli se quando era giovane aveva avuto la brillante idea di adottarlo. Gli avrebbe certamente riso in faccia.

Loki pensò, rimuginò e ripensò a come fare, finché ad un tratto gli fu tutto chiaro. Capì.

Lo Scrigno degli Antichi Inverni.

I Giganti di Ghiaccio avevano voluto rubare quello una volta riusciti a entrare ad Asgard. Non gli avevano rivelato il motivo per il quale volevano quel manufatto, ma se ne erano usciti con qualcosa di simile ad un “ci appartiene di diritto”. Quindi, se ciò che avevano detto era vero, allora quel manufatto aveva a che fare con il popolo degli Jotun e, di conseguenza, poteva rivelargli la verità! Ma certo! Perché non ci aveva pensato prima?

Corse con velocità verso la Camera delle Armi con quanta più velocità le proprie gambe gli permettessero di percorrere ed infine, quando congedò le sentinelle di guardia alla camera e si addentrò dentro di essa, ebbe quasi paura di avanzare.

E se le sue paure non fossero state infondate?Forse era meglio lasciare tutto com’era. In fondo, la verità non era altro che un sottogruppo della menzogna; qualcosa che poteva essere manipolata a proprio piacimento e del tutto relativa. Quindi perché complicarsi la vita con simili fesserie? Doveva evitare certi pensieri, scansarsi da ogni tipo di imbroglio, poiché la sua situazione era già abbastanza critica di per sé e di certo lui non necessitava di altri grattacapi.

Eppure c’era qualcosa, non seppe dire di preciso cosa, che continuava a intimargli di proseguire. Era come se lo Scrigno lo chiamasse nel più dolce dei modi e lo attirasse a sé come le sirene facevano con i marinai. Era una sensazione strana e contraddittoria perché una parte di sé continuava a urlargli di lasciar perdere, di correre via da quel luogo prima che fosse stato troppo tardi, mentre l’altra continuava a dirgli di avanzare e non fermarsi; che così facendo avrebbe scoperto la verità sulla sua vita e sulle sue domande.

Quando arrivò dinanzi all’oggetto illuminato da una forte luce blu, non se ne accorse neppure poiché era troppo intento ad osservarlo. Pensò subito che fosse bellissimo, magnifico, e che doveva essere suo. Suo e di nessun altro. Gli tornò prepotentemente alla mente il ricordo di qualche ora prima, quando stava lottando contro i Giganti di Ghiaccio ed uno di loro gli aveva agguantato il braccio e fatto divenire la pelle di un macabro color blu notte, e subito rabbrividì.

Dopodiché chinò la testa, confuso, e guardò il manufatto con occhi sbarrati e spauriti: voleva davvero conoscere la verità?

Prima che potesse darsi una risposta concreta e potesse soppesare con attenzione ciò che stesse per fare, agì d’istinto e afferrò i manici dello Scrigno; aspettandosi che questo, data la sua origine asgardiana, lo avrebbe ferito o congelato. Non accadde nulla di tutto ciò e allora si sentì disorientato, confuso e terrorizzato; poiché il solo pensiero che le sue paure potessero prendere vita lo spaventava a morte.
E infine successe: vide con orrore la propria pelle divenire blu, mutare colore e cambiare senza che potesse fare nulla per fermarla e sentì la propria testa girare vorticosamente mentre il cuore accelerava i battiti.

No, non poteva davvero essere vero. No, no, no…

Alzò, in un gesto quasi meccanico, lo Scrigno dalla colonna che lo sorreggeva e lo fissò con occhi sgranati e vitrei; quasi come se non riuscisse ancora a crederci e avesse bisogno di guardare l’oggetto più da vicino. Si disse che era impossibile. Assolutamente impossibile. Quella doveva sicuramente essere una bugia, una terribile menzogna!

Eppure la verità era lì, davanti a lui, gli stava di fronte e non c’era modo di raggirarla; di scappare da lei. A nulla servivano adesso le sue parole tanto forbite, tutti i suoi giri e rigiri di parole per cambiare la realtà dei fatti; questa volta non avrebbe potuto imbrogliare nessuno poiché la realtà era così grande, così evidente, che nemmeno lui, che era il Dio degli Inganni, le sarebbe potuto sfuggire.

«Fermo!» La voce di Odino tuonò forte e chiara nei meandri della sala, ma lui non sobbalzò, anzi non fece proprio nulla.
 
Continuò a tenere saldamente i manici del manufatto, a osservare come ogni singolo millimetro della sua pelle chiara e giovane si stesse tramutando in quella scura e grinzosa di uno Jotun; il tutto continuando a mantenere quel suo religioso silenzio che, sembrò a Odino, fosse più forte di qualsiasi grido.

«Sono maledetto?» Sussurrò ad un tratto, più a sé stesso che al padre. La sua voce era bassa, roca e tremolante.

«No...» Rispose Odino, stanco. Loki percepì le sue parole come una bugia e digrignò i denti.

Prese un respiro profondo e si impose di non urlare; di mantenere la calma, poiché quello doveva certamente essere un equivoco, uno stupido malinteso.

«Che cosa sono?» La voce gli uscì roca, quasi gutturale, e una sensazione di malessere, di inadeguatezza e apprensione si fece prepotentemente largo in lui; perché una parte di sé, quella che continuava ad urlare di star vivendo solo un brutto sogno e che presto si sarebbe svegliato, non voleva conoscere davvero verità e continuava ad aggrapparsi all’appiglio che forse, quello era davvero un incubo o, magari, un malinteso.

«Sei mio figlio» Dichiarò il Padre degli dèi con solennità.

Non seppe che cosa accadde dentro di sé quando udì quella frase, ma d’un tratto tutti i muscoli del proprio corpo s’irrigidirono e la sua visuale si annebbiò; segno che le emozioni stessero per prendere il sopravvento. Poteva leggere la menzogna nelle parole di suo padre, il tono sommesso e sorpreso di chi non si aspettava che un segreto venisse svelato, il suo sguardo  preoccupato addosso.

E allora capì, dovette per forza capire; comprese di non essere un asgardiano, di non far parte della famiglia degli Odinson, di essere un bastardo; un figlio illegittimo. Lo capì, e nello stesso momento in cui lo fece sentì il dolore esplodere in lui tagliente come una lama, conficcarsi nella carne e impedirgli perfino di respirare. Avrebbe voluto urlare, spaccare tutto, svegliarsi da quell’incubo che sembrava non avere più una fine; ma tutto ciò che riuscì a fare fu voltarsi verso suo padre, o l’uomo che una volta chiamava così, e guardarlo dritto nel suo unico occhio buono.

Posò il manufatto: «E cosa, più di questo?» Le parole gli uscirono fuori a fatica e con rabbia, il suo corpo stava cominciando a ritornare del pallido colorito latteo che aveva sempre avuto e i suoi occhi si ridipingevano di un acceso color verde pallido.

«Lo scrigno non è stata l’unica cosa che hai portato via da Jötunheimr quel giorno, non è vero?».

Si avvicinò ad Odino con passo strascicato e lento, come se volesse osservare nel minimo dettaglio ogni sua mossa o mimica facciale, e mentre si dirigeva verso la sua figura vedeva lo sguardo grave e vecchio del Padre di Tutti cambiare; divenendo improvvisamente vitreo e sofferente, quasi come se stesse rimembrando un ricordo lontano e passato. Infine, solo quando fu a pochi centimetri da lui, il Padre degli dèi parlò: «No».

Sebbene si aspettasse quella risposta, Loki sentì il mondo crollargli addosso in quel preciso momento. Un’improvvisa voglia di piangere lo assalì, come degli avvoltoi avrebbero potuto fare con un cucciolo di capriolo ormai prossimo alla morte, e lui si sentì perduto; stordito. Adesso era lui il capriolo, lui era il martire: la vittima di qualcosa da cui non poteva difendersi, che non poteva combattere; la verità. Una sanguinosa e dolorosa verità che lo stava lentamente uccidendo.

«Al termine della battaglia sono andato nel tempio e ho trovato un bambino: troppo minuto per essere figlio di un gigante, lasciato lì; sofferente. Solo. A morire.» Fece una pausa e tirò su un grosso sospiro afflitto. «Il figlio di Laufey».

Di colpo tutto cominciò a girare, girare e girare ancora. Sempre più forte e velocemente, tanto che per un istante pensò che sarebbe svenuto di lì. Le gambe si fecero molli e il fiato divenne affannoso e spezzato. Gli sembrò di essere sul punto di morire.

Non ci credeva, non ci voleva credere: era assurdo il solo pensiero! Non era possibile una cosa simile! Non poteva essere vero! Suo padre, Odino, lui … lui stava mentendo! Lo stava prendendo in giro e si stava facendo beffe di lui! Ma certo, non poteva essere altrimenti... era sicuramente così.

Vero?

La sua mente divenne un caos, un tumulto così forte da fargli perfino male, ma non gli importò: l’importante era che suo padre, o chiunque egli fosse realmente, smettesse di fingere che lui fosse il figlio del Re di quei mostri: lo stesso mostro che aveva tentato di ucciderli senza pietà qualche ora prima.
Ma anche mentre continuava a cercare una via di fuga da quell’assurda idea, una parte di lui si rese conto che Odino non stava mentendo, che tutto ciò che gli aveva detto fino a quel momento era vero e reale; tangibile. Lo vide scritto nel suo unico occhio azzurro, nella sua espressione stanca e segnata di chi avrebbe voluto che tutto tornasse come prima e nelle sue mani divenute un fremito continuo.

Quando realizzò ciò, l’angoscia che risiedeva in lui divenne rabbia, una rabbia cieca e funesta, poiché se davvero era quella la realtà allora tutto diveniva chiaro, limpido come l’acqua: diveniva chiaro il perché, per tutti quegli anni, avesse sempre preferito Thor a lui, il motivo per cui tutti lo avessero sempre trattato come se avesse la lebbra o una qualche malattia contagiosa da cui bisognava stare lontani, il perché lui fosse sempre stato l’eterno secondo rispetto a Thor, che lo aveva sempre superato in tutto.

Repentinamente si fece largo in lui il pensiero che lo aveva tormentato per tutti quegli anni, che aveva sempre pensato, ma che aveva taciuto per paura di essere additato per folle: ovvero che non era lui ad essere sbagliato, ma loro. Poiché erano stati loro ad avergli mentito, ad averlo emarginato solo perché la sua unica colpa era quella di essere macchiato dei reati di un padre che lo aveva rifiutato sin dalla nascita. Chiamavano lui Dio dell’Inganno, il Signore delle Malefatte, ma in quanto a menzogne e sotterfugi loro non erano certo da meno. Perché lui non ingannava, luiera l’Inganno. Un inganno durato ventuno anni, montato alla perfezione da qualcuno che non aveva fatto altro che illuderlo per una vita intera solo per tenerlo buono e riuscire a portare a termine i suoi scopi personali. I propri piani politici.

«Perché?!»Domandò a un tratto, la voce spezzata dalla rabbia e la confusione. «Eri fino alle ginocchia nel sangue degli Jotun, perché mi hai preso?!» Era furioso. Adirato con il mondo intero e con tutti loro che non avevano fatto altro che additarlo solo perché era diverso; differente da tutti loro. Probabilmente, tutti sapevano già della sua vera natura; tutti eccettolui.

Si chiese se lì dentro, in quelle stesse mura dove aveva mosso i primi passi e aveva sillabato le prime parole, qualcuno fosse mai stato sincero con lui. Se la sua vita fosse tutta solo una grossa e una tremenda bugia. Si domandò se non fosse diventato quello che era solo per conformarsi a loro, adeguarsi alle loro bugie; nascondersi dietro la maschera dell’Ingannatore nonostante lì dentro gli unici bugiardi fossero loro, e non lui.

«Eri un bambino innocente…» La voce di Odino divenne bassa e gracchiante, ed il suo sguardo quello di uomo pentito; di qualcuno che non ha più parole per chiedere perdono. Ma a lui non importava, non voleva vedere quello sguardo di silenziosa supplica e non voleva provare compassione, poiché suo Padre stesso era stato il primo a celargli la verità, a mentirgli.

Ebbene, lui era ormai stanco delle menzogne. Dei sotterfugi e delle bugie. Il Dio degli Inganni era stanco di essere ingannato. Voleva la verità, la pretendeva, la esigeva subito.

«No!» Disse allora, gli occhi ridotti in due fessure infuocate e le mani in constante tremolio. «Mi hai preso per un motivo… qual era?» Aveva il fiatone, la voce tremolante e gli occhi lucidi; sentì le lacrime inumidirgli gli occhi e la voce incrinarsi, ma cercò in tutti i modi di non piangere; di mostrarsi fiero e forte. Perché piangere era da codardi, da stupidi, e non serviva a nulla. E questo lo sapeva bene, perché aveva passato una vita intera a cercare costantemente di non piangere, di restare in silenzio. Di lasciar correre.

Odino non gli rispose, continuava a guardarlo con l’angoscia negli occhi e la fronte aggrottata di chi non sapeva più cosa dire e ciò non fece altro che farlo imbestialire.
 
«DIMMELO!» Gridò, il battito del suo cuore così forte da fargli male.

«Pensavo che avremmo potuto unire i nostri Regni un giorno: costituire un’alleanza, creare una pace durevole… attraverso te» Dichiarò, e quelle parole lo ferirono più di ogni altra cosa. Furono come dei tizzoni ardenti gettati addosso, una secchiata di acqua fredda nelle notti d’inverno, dei coltelli avvelenati conficcati nella carne. Quelle parole gli fecero così male, che si sentì come se fosse stato un semplice pedone in un’enorme scacchiera e i suoi occhi non poterono più evitare di trattenere il pianto, facendo scivolare giù parecchie lacrime di rabbia.

Si sentì tradito dal suo stesso padre, l’uomo che lo aveva allevato e cresciuto, e istintivamente pensò che, se nemmeno Laufey lo aveva voluto ed Odino lo aveva solamente usato come merce di scambio, allora forse era davvero un mostro; quello stesso mostro di cui i bambini avevano paura, di cui luistesso aveva timore.

Sono un mostro, concluse. Una semplice pedina collocata in una scacchiera con pezzi troppo differenti dal mio, dove io sono un pedone nero intrappolato fra a quelli bianchi e perfetti. Sono il tassello del puzzle che serve esclusivamente per completare un mosaico già disegnato in precedenza. Sono solo un oggetto.

«Ma quei piani non hanno più importanza…» Sussurrò improvvisamente Odino, così piano che Loki poté far finta di non aver sentito.
«Allora io non sono niente più che un’altra reliquia rubata!» Sbottò ad un tratto, le lacrime che continuavano a scorrere giù dal suo viso ossuto e smunto. «Relegata quassù fino quando non potrò esserti utile!» Le sue parole erano piene di rabbia e risentimento, e in esse era celato tutto il rancore per aver avuto un’infanzia negata, per essere sempre stato trattato come uno strumento: qualcosa che serviva solo per doppi fini.
«Perché deformi le mie parole?».
«Avresti potuto dirmi cos’ero fin dal principio, perché non l’hai fatto?!».
«Tu sei mio figlio…»Il tono di voce di Padre era stanco, affaticato, come di chi aveva corso una lunga corsa e non riusciva più ad andare avanti; ma a Loki questo non importava. Non più.

In quel momento, l’unica cosa importante da fare era urlare, gridare, farsi sentire; perché erano ventuno anni che restava in silenzio, che si mordeva la lingua pur di accontentare Padre in tutto, e adesso sentiva il bisogno impellente di parlare e dare voce a tutto ciò che sentiva. Di sfogarsi.

«Perché?» Sbottò. «Perché i-io sono il mostro dal quale i genitori mettono in guardia i p-propri figli la notte?! Bene, tutto ha senso ora! Perché hai sempre preferito Thor in tutti questi anni...» Odino si accasciò al suolo, troppo stremato per continuare a stare in piedi, e Loki ne approfittò per avventarsi su di lui e urlargli quelle cose ad una vicinanza maggiore. «PERCHÉ NONOSTANTE TU AFFERMI DÌ AMARMI, NON POTRESTI MAI SOPPORTARE UN GIGANTE DÌ GHIACCIO SUL TRONO DÌ ASGARD!» Gridò, facendo rimbombare la propria voce fra le pareti.

Odino però non lo sentì, poiché non diede più segno di vita. Agitato, gli si avvicinò con inquietudine e, dopo averlo guardato attentamente, poté constatare che avesse contratto, dopo averlo rimandato per troppo tempo, il Sonno di Odino.

Tacque, e di colpo sentì tutta la rabbia dentro di lui acquietarsi e trasformarsi nuovamente in angoscia e tristezza. In un gesto quasi meccanico, andò a sfiorare la mano ruvida e callosa di Padre e nel farlo, non poté fare a meno di chiedersi il perché di tutto quello; come fosse possibile che una cosa simile fosse capitata proprio a lui.

Si alzò in piedi di scatto, quasi come se il contatto con l’uomo lo avesse bruciato, e cominciò ad urlare aiuto. Subito le guardie accorsero in suo soccorso e, con sgomento, trascinarono Odino fuori dalla sala in fretta e furia.

Agitato, si prodigò a seguirli ma, una volta varcato l’uscio dell’enorme portone, ciò che vide gli fece salire il cuore in gola: Emily era lì, i ricci capelli rossi in disordine e gli occhi azzurri e spauriti che lo fissavano come se avessero visto un fantasma.
 
Osservò l’espressione di assoluta paura impressa sui tratti docili del suo viso e, dopo averlo fatto, non necessitarono parole per intuire ciò che era successo, i suoi occhi parlarono per lei.


E ciò che dissero, fu che Emily aveva sentito ogni cosa.
 
 
 





- Note dell'autrice.

ZAN-ZAN-ZAAAN.

No, per vostra fortuna (?) non sono morta :,D
Ho solo avuto parecchi tipi di problemi, molti dei quali riguardano la scuola. Ricordate le note del capitolo precedente? Ecco, è già tanto se sono qui. Credetemi.
Ad ogni modo, questo capitolo è molto breve appunto perché è solo un “capitolo di passaggio”, ossia un intermezzo per il prossimo chap, che sarà quello “clou” – sì, mi diverto ad usare tutti ‘sti termini. LOL
Comunque, non immaginate che faticaccia è stata scrivere questo capitolo! Ho cercato di immedesimarmi in Loki il più possibile e ve lo assicuro: NON È STATO FACILE. MA PROPRIO PER NIENTE. @_@ Spero dunque di averci preso almeno un pochino XD
Inoltre, spero di avervi incuriosito con l’ultima frase :P

Come sempre, se vorrete seguirmi/mettervi in contatto con me o qualsiasi altra cosa che adesso non mi viene in mente, mi troverete al mio indirizzo Facebook di EFP: http://www.facebook.com/harmony.efp.9/timeline

Ah! Se avete pareri, constatazioni o qualsiasi altra cosa riguardo al capitolo, non esitate a lasciarmi una recensione! :) Faccio oro di tutte le vostre recensioni e dei vostri pareri riguardanti la fan fiction! Mi fanno sempre venire ancor più voglia di scrivere!
Baci :*

RINGRAZIO DI CUORE DARMA PER AVERMI BETATO ANCHE QUESTO CAPITOLO!
GRAZIE MILLE!! ** <3

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Capitolo 18
*** The red string of fate. ***


~The red string of fate.

E se ti mostro il mio lato oscuro
Mi stringerai ugualmente questa notte?
E se ti apro il mio cuore
E ti mostro il mio lato debole,
Che cosa farai?

- Pink Floyd; The Final Cut.
 

 


«Hai sentito tutto?».

La voce di Loki risuonò forte e chiara nel silenzio assoluto del corridoio ma, nonostante ciò, Emily non gli rispose. Si limitò a fissarlo con gli stessi occhi con cui lui aveva osservato la propria mano mutare colore: nel modo estremamente spaventato e incredulo di chi non riesce a comprendere. Vide le sue labbra tremare e i suoi occhi sgranarsi per la paura e questo non riuscì a sopportarlo poiché se c’era qualcuno che non doveva avere timore di lui, che non doveva temerlo, quella era lei.

«Rispondimi!» La sua non era una richiesta, bensì un ordine, ma dovette usare un tono troppo brusco nel dirlo poiché Emily emise un flebile sussulto di spavento e arretrò di qualche passo. Poi alzò nuovamente lo sguardo, rimase in silenzio e annuì mestamente col capo. Dopodiché chinò la testa.

La osservò: il suo corpo era un fremito continuo, le sue labbra un tremolio convulso e sembrava essere sul punto di scoppiare a piangere da un momento all’altro. Era spaventata, constatò. Inorridita da ciò che aveva scoperto.

In un gesto quasi meccanico, protese una mano verso di lei: come a volerla tranquillizzare e farle capire che non le avrebbe fatto del male, ma quella istintivamente arretrò di parecchi passi e finì contro il muro; i ricci capelli rossi le ricadevano in modo scarmigliato sul viso.

A quella reazione sentì come un vuoto al centro del petto, quasi come se una parte di lui fosse stata brutalmente strappata via e martoriata a sangue, e tutti i suoi muscoli si irrigidirono e cuore cominciò prese a battere sempre più velocemente. La testa gli pulsava forte, le gambe erano molle e deboli e un improvviso impulso di mettersi ad urlare lo assalì. Non riusciva a sopportare quel viso, quegli occhi, e senza neanche rendersene conto si ritrovò a correre via da lei, dal suo sguardo e da tutto ciò che aveva scoperto riguardo la propria natura.

Con il cuore in mano e gli occhi ricolmi di apprensione, si diresse verso le proprie stanze. Vi entrò, e subito dopo aver chiuso le porte dietro di sé la rabbia si impadronì di lui e, senza neanche accorgersene, iniziò a spaccare quanti più oggetti possibili: poco importava che fossero vasi pregiati o semplici statuine in legno, doveva distruggere tutto. Cancellare un passato che non gli apparteneva.

Ma quando gli ritornò alla mente lo sguardo afflitto di suo padre e quello impaurito di Emily, la rabbia si placò e lui pianse di rabbia. Una rabbia così grande e strepitante che credette di non essere in grado di contenerla tutta. Si odiò per questo, perché piangere era da deboli e da stupide donnicciole , e lui non era né l’uno né l’altra. Eppure, in quel momento, era l’unica cosa che potesse fare.

D’un tratto il suo sguardo cadde su uno specchio pochi metri più in là e subito quello gli restituì l’immagine di due occhi che sembravano quelli di un folle e di un mostro. Indietreggiò istintivamente, andando a sbattere contro un comodino e rovesciando a terra quello che sorreggeva; quando si voltò vide il suo elmo a terra, il metallo dorato rifletteva la sua immagine distorta e confusa.

Lo raccolse, e subito ripensò a quando Emily, la sua piccola Emily, glielo aveva regalato. Rimembrò il suo viso paffuto e lentigginoso imbarazzarsi mentre glielo porgeva, le sue labbra sottili a pochi centimetri dalle sue e l’odore che i suoi capelli ricci, costantemente in disordine, gli aveva inalato le narici.

Loki ricordò tutto, ma non riuscì a sopportare il ricordo.

Rancoroso, scaraventò l’oggetto lontano da lui, colpendo lo specchio che andò in frantumi con un boato sordo, e quando si rese conto di ciò che aveva fatto crollò su se stesso e si accucciò in un angolo della stanza; stanco e avvilito.
Quando si addormentò, fece incubi spaventosi.  

 

 

Era andato via.

Loki era corso via, sgusciato lontano, e lei non lo aveva fermato. Non aveva potuto perché era successo tutto troppo in fretta. Così velocemente, che aveva ancora un ricordo confuso e sfocato della sua sagoma longilinea che si allontanava in fretta e furia.

Ricordava di essere andata alla ricerca dell’amico per chiedergli spiegazioni riguardo a quello che era successo con la fantomatica guardia, ma quando lo aveva visto entrare dentro la Camera delle Armi non aveva potuto fare a meno di origliare ciò che lui e suo padre si stessero dicendo – tutta colpa della sua dannata curiosità! Quando infine Odino aveva dichiarato che Loki non faceva parte della famiglia degli Odinson, bensì di quella dei Laufeyson, aveva dovuto premersi le mani sulla bocca per impedirsi di urlare.

Loki… quel Loki… un Gigante di Ghiaccio? Il figlio di Laufey, perlopiù? Che stupidaggine! Si era detta, una follia vera e propria. Un’assurdità!
Ma quando udì l’urlo angosciato e adirato dell'amico irrompere nella sala, capì che quello non era affatto uno scherzo.

Ricordava di aver sentito la testa girarle vertiginosamente e tutto il suo corpo tremare in preda ai brividi. Provò la fastidiosa sensazione claustrofobica che sia ha quando si riceve una notizia che non si vuole accettare, che fa stare male, e fece la prima cosa che le sembrò giusta fare: pregare e sperare che tutto fosse soltanto un incubo. Un orribile incubo.

Era inutile negarlo: aveva paura. Anzi, era terrorizzata. Il solo pensiero che uno Jotun potesse esserle stato vicino per tutto quel tempo la inorridiva e le faceva mancare il fiato. In fondo erano stati loro ad aver ucciso i suoi genitori e a negarle l’infanzia, loro a portarle via tutto.
Non li sopportava. Li reputava dei mostri: degli esseri ripugnanti e incapaci di provare sentimenti. Inclini solo all’odio e alla devastazione. E il suo giudizio sarebbe rimasto del tutto immutato se non avesse scoperto quella cosa; quel segreto.

Ebbe paura e si sentì confusa. Non aveva idea di cosa fare: scappare e fare finta che non fosse successo niente o restare lì, immobile, ad attendere che qualcuno la trovasse? Solo quando Loki le si era parato davanti e aveva incrociato i suoi occhi, capì che, anche se avesse potuto, non sarebbe scappata.
Lo vide stanco, emaciato, e la paura impressa nei suoi occhi chiari era evidente. Quando quello sguardo si poggiò sul proprio, vide la sua espressione mutare, divenendo improvvisamente inquieta ed ansiosa, e finalmente, dopo tanto tempo, riuscì a comprendere cosa i suoi occhi le stessero comunicando: non sono un mostro.

Sembrava lo stessero gridando tanto era l’angoscia dentro di essi, ma lei era troppo intimorita per poterli ascoltare. Nella sua testa rimbombavano forti le parole pronunciate poco prima dal Padre degli dèi e sembravano avere tutta l’intenzione di non voler più uscire dalla sua mente; quindi lasciò il muto grido di Loki inaudito e continuò a scrutarlo con occhi spalancati e terrorizzati, sperando invece che lui sentisse il suo di grido e comprendesse che non era colpa sua se stava reagendo così, che non poteva fare altrimenti poiché quella situazione era qualcosa di troppo grande persino per lei.

Ma lui non capì – o forse, come lei, non volle capire, e quando provò a toccarla, lei, per riflesso incondizionato, si tirò indietro spaventata, capendo troppo tardi il terribile errore che aveva commesso.

Infatti, Loki, dopo averle lanciato un ultimo sguardo carico di rabbia e amarezza, era andato via; non lasciandole neppure il tempo di chiamarlo, di redimersi, di porre rimedio ai suoi errori. Era andato via, lasciandola lì, da sola, in preda ai suoi pensieri e alla sua agitazione.
 
Capendo solo in quel momento ciò che era accaduto, Emily chiamò a gran voce il nome di Loki e sperò con tutta se stessa che tornasse indietro, le dicesse che andava tutto bene e magari le rivolgesse perfino uno di quei sorrisetti canzonatori che trovava sempre tanto fastidiosi. Era un sentimento contraddittorio il suo, strano, ma se da una parte provava timore, dall’altra non riusciva a fare a meno di pensare a come si stesse sentendo Loki in quel momento e a che pugnalata  gli avesse inflitto. Si sentiva persa e confusa perché qualunque cosa facesse, non c’era via d’uscita: era un vicolo cieco.
 
Le tornarono prepotentemente alla mente i ricordi della sua infanzia e della sua adolescenza – ricordi in cui lui non mancava mai, e ad un tratto si rese conto che avrebbe dato qualsiasi cosa pur di vederlo tornare da lei; di risentire la sua voce profonda e rassicurante e poterlo riabbracciare.

Combattuta tra quei sentimenti così nuovi e sconosciuti nei confronti del vecchio amico d’infanzia, pianse. Pianse forte, rumorosamente e pietosamente; perché era questo che era lei: pietosa. Pietosa come amica e come persona, perché solo qualcuno di pietoso avrebbe permesso una cosa simile. Solo una persona pietosa si sarebbe comportata come aveva fatto lei.

Sarebbe voluta andare da lui, correre a chiedergli scusa, ma qualcosa la frenava e la faceva rimanere con i piedi puntati a terra e le impediva di muoversi. Era una paura antica la sua: qualcosa che aveva sempre avuto fin da bambina ma che era riuscita ad affrontare, per alcune ore, una volta andata su Jötunheimr. Ora che però l’aveva di nuovo dinanzi a sé, con le sembianze di Loki, non aveva più la forza per combatterla.

Improvvisamente sentì il tocco leggero di una mano sfiorarle le spalle. Subito sussultò spaventata e si voltò di scatto per vedere di chi si trattasse. Quando si girò e incrociò lo sguardo ceruleo della regina Frigga, i suoi occhi si spalancarono per la sorpresa.

«M-Mia signora…»Mormorò, sfregandosi istintivamente gli occhi per togliersi le lacrime dal viso.

Frigga era la moglie di Odino e, come lui, era temuta e rispettata da tutto il popolo di Asgard. Era una donna sulla cinquantina d’anni, con dei lunghi capelli biondi intrecciati in bellissime ed eleganti acconciature e degli occhi azzurri molto severi che sembravano trapassarla da parte a parte. Tutto di lei lasciava intuire che fosse una donna forte, severa ed  austera, ma nonostante ciò, Emily poté giurare di vedere una nota di preoccupazione nel suo sguardo.

«Tu sei l’amica di Loki…» Sussurrò la sovrana con voce roca. « Dove si trova lui adesso? E perché piangi?».

Non c’era rabbia nelle sue parole, ma lei si sentì lo stesso in soggezione e si vergognò da morire quando dovette tirare sul col naso per via del pianto avuto di poco prima. Chinò lo sguardo, rossa di vergogna, e cominciò a torturarsi le mani.

«I-Io… io non so dove si trovi adesso vostro figlio, maestà» Balbettò.

Frigga aggrottò la fronte, scrutandola con un espressione accigliata e dura, e a quello sguardo Emily desiderò diventare più piccola di quanto non fosse già.

«Non hai risposto all’altra mia domanda» Disse.

A quelle parole, Emily divenne rossa quanto i suoi capelli e sentì le lacrime riaffiorare ai suoi occhi. Si morse il labbro inferiore e distolse lo sguardo da quello della regina, dopodiché maledisse il fatto di non poter evitare di rispondere alla sua domanda poiché il farlo sarebbe stato considerato come una grave mancanza di rispetto. Prese quindi un profondo respiro e si costrinse, seppur di malavoglia, a parlare.

«Piangevo perché ho fatto una cosa molto brutta, mia signora, e me ne vergogno tanto…».
«Parlamene» Rispose lei.

Emily pensò a quello che sarebbe potuto accaderle se le avesse detto quello che aveva scoperto su di Loki e subito rabbrividì, certa del fatto che l’avrebbero uccisa pur di far rimanere segreta la vera natura del loro “secondogenito”.

«Non vorrei annoiare vostra maestà con le mie futili discussioni, davvero io--».
«È un ordine, cara. Vorresti forse disobbedire alla tua regina?».

Si morse l’interno guancia, indispettita dal fatto di doverle rispondere obbligatoriamente, e per un momento soppesò l’idea di risponderle di farsi gli affari suoi. Idea che venne subito scartata non appena si ricordò chi avesse davanti.

«No, maestà» Pigolò, arresa. «È solo che mi vergogno molto di ciò che ho fatto e non vorrei che raccontandovi ciò la vostra opinione su di me cambiasse, in qualche modo…».

Frigga abbozzò un sorriso ma nel sul viso non c’erano tracce di divertimento o allegria: «Certo che cambierà, mia cara. L’opinione di una persona non resta mai la stessa che abbiamo avuto nel momento in cui l’abbiamo conosciuta, questo credo che tu lo abbia imparato a tue spese stando insieme al mio figlio minore. Ma forse è proprio di lui che vuoi parlarmi, non è così?».

A quelle parole sbarrò gli occhi e sentì il proprio cuore battere forte come un tamburo. Non riusciva a crederci: come poteva saperlo? Li aveva spiati? Una guardia l’aveva forse avvertita? E ora cosa le cosa sarebbe successo? L’avrebbero uccisa per paura che spifferasse a tutti il segreto di Loki?
Frigga fece una breve e vellutata risata, ma nel caos della mente di Emily risuonò forte come un grido. La ragazza volse allora i suoi occhi sulla figura della donna e le vide addosso uno sguardo con stanco, arreso e saggio: come quello di un vecchio che aveva atteso la morte per troppo tempo e adesso che era arrivata l’accoglieva come un’amica di vecchia data.

Si sedette in una panchina di marmo lì accanto, i lunghi capelli biondi che risplendevano sotto la luce dei candelabri, e guardò dinanzi a sé, in un punto non definito, con sguardo assente.

«Sapevo che prima o poi sarebbe giunto il momento…» Mormorò, la voce stanca e afflitta. «Solo… non credevo sarebbe giunto così presto».
Lei la osservò confusa, aggrottando la fronte, e le si avvicinò di più. Quella alzò lo sguardo su di lei e, con occhi tranquilli e sereni, la invitò a sederle accanto. Una volta fatto come diceva, Frigga le prese la mano e la poggiò sulla sua in modo pacato e affettuoso.
«Mia signora…?».
«Sai, mia cara Emily, c’è una leggenda su Midgard. È molto antica e ricordo che a parlarmene fu la mia badante, il giorno prima del mio matrimonio. A quell’epoca ero terrorizzata all’idea di prender marito a soli diciotto anni, ma grazie all’aiuto di questa storia mi calmai e tutto filò liscio. Credo che sia giunto il momento di raccontarla a qualcuno.» Fece un respiro profondo, poi guardò Emily negli occhi e cominciò a narrare la leggenda: «Racconta che ognuno di noi nasce con un filo rosso legato al mignolo della mano sinistra. Questo filo ci lega indissolubilmente alla persona a cui siamo destinati, il grande amore, l’anima gemella. Le anime unite dal filo rosso sono destinate, prima o poi, ad incontrarsi. Potranno passare anni, decenni, ma prima o poi le circostanze ci condurranno a questa persona speciale: non si può sfuggire al destino, mia cara. Neanche le grandi distanze temporali o spaziali potranno impedire alle due persone di incontrarsi. Inoltre, il filo rosso non potrà mai essere tagliato o spezzato da nessuno: il legame che simboleggia è forte, indissolubile, e niente e nessuno potrà metterlo alla prova» Concluse, in tono affabile.

La ragazza, non capendo a cosa la donna si stesse riferendo, alzò un sopracciglio, pensierosa. La leggenda era molto bella e dolce, e in verità non credeva possibile che su Asgard qualcun altro oltre lei e sua zia conoscesse le leggende midgardiane, ma non riusciva comunque a trovare il nesso logico con ciò che le stava accadendo. Dubbiosa, si chiese se la Regina sapesse sul serio cosa fosse successo.
 
«Mia Regina, io--».
«Si è fatto tardi. Credo di dover andare: mio marito sta molto male ed è ormai caduto nel Suo Sonno. Andrò a parlare con Loki domani, sono dell’idea che non sia la mia compagnia che voglia. Non per il momento, almeno. Ti auguro una buona serata, lady Emily. » Sussurrò, alzandosi dalla panchina e congedandosi da lei.
«Maestà, perché mi dite queste cose?!» Esclamò allora lei, confusa dal comportamento della sovrana.

Quella, che era già diversi passi davanti a lei, si voltò con lentezza e le rivolse un mesto sorriso: «Perché, mia piccola Emily, forse dovresti semplicemente seguire il tuo filo rosso. Il tuo destino. Fai ciò che ritieni più adatto per la tua felicità. Vedrai che ti condurrà nella retta via, proprio come ha fatto con me» Detto ciò si girò e andò via, lasciandola da sola e con la testa piena di pensieri.

Solo dopo qualche minuto, capì quello che la Regina aveva voluto dirle e, nello stesso momento in cui lo comprese, intuì ciò che doveva fare.


Sentiva un neonato piangere. Forse aveva  bisogno di aiuto.

Allarmato, si recò nelle prossimità da cui proveniva l’urlo e, una volta arrivatoci, vide la fonte di quel pianto irrefrenabile. Si avvicino al fagotto ma, una volta scoperto il velo che gli copriva il viso, trattenne un urlo poiché quel bambino non era altri che uno Jotun ancora in fasce. Decisamente più minuto dei suoi coetanei, ma sempre uno della loro razza.

Aveva la pelle blu, gli occhi rossi che lo fissano con curiosità e i piccoli pugni erano serrati al petto. Ad un tratto smise di piangere, e sul suo volto si impresse un grande sorriso. In un’altra situazione avrebbe certamente cercato aiuto, ma in quel momento non gli importava nulla e anzi, sentiva un irrefrenabile e ingiustificata rabbia verso il lattante avvolgerlo come una coperta. Decise dunque che doveva morire e ad ucciderlo sarebbe stato lui stesso.


Prese un pugnale e, senza proferire una sola parola, infilzò il piccolo corpo del bambino che subito urlò come un ossesso.
Improvvisamente sentì la rabbia lasciarlo e una gioia malsana e grottesca prendere il suo posto. Era lieto di aver provocato la morte di uno di quei mostri. Orgoglioso. Continuò dunque a sentirsi bene e in pace con se stesso, quasi come se avesse fatto un grande favore a tutto l’universo, finché qualcosa di caldo e appiccicoso cominciò a colargli giù per il ventre e, quando scoprì la maglietta, si rese conto con malcelato terrore di star perdendo parecchio sangue.

Si lasciò quindi cadere bocconi a terra, sconvolto e con il viso pallido e imperlato di sudore, quando si rese conto di non avere nemmeno più la forza di urlare. In un gesto quasi meccanico, alzò il capo verso il bambino ma, sorprendentemente, quello non c’era più e al suo posto stava Emily: i ricci capelli rossi che le ricadono leggeri e disordinati sul viso, e i freddi occhi azzurri che lo trafiggono da parte a parte.

Schiuse le labbra, balbettò qualche sillaba, ma lei non fece niente per aiutarlo e, al contrario, continuò fissarlo con disgusto.

Stremato, alzò una mano verso di lei in un vano tentativo di chiederle aiuto, ma quella fece un passo indietro e distorse l’espressione in una smorfia.
 
 «Mi hai mentito» Sussurrò a un tratto, la voce stranamente tetra e grave. «Tu non sei un asgardiano, ma un mostro. Un Gigante di Ghiaccio».

Sentì quelle parole trafiggerlo come coltelli e, continuando ad annaspare per via del dolore al torace, le rivolse uno sguardo di pura angoscia e dolore che lei ignorò tranquillamente.

«Emily, Emily ti prego, Emily…».
«Addio, Loki Laufeyson. Nessuno piangerà la tua morte».
«No… no, Emily… Emily ti prego! ».

Ma lei non rispondeva più e, al contrario, la sua figura cominciò pian piano ad affievolirsi fino a sparire del tutto. Sorpreso, spalancò la bocca e fece per urlare il suo nome, ma dalla sua gola uscì solo un suono gutturale e roco. Sentì le lacrime pizzicargli gli occhi, quando ad un tratto la voce sensuale e vellutata di Eris si insinuò nelle sue orecchie facendogli mancare il fiato. Si voltò a fatica, la vista ormai  parecchio ovattata a causa del troppo sangue perduto, e quando riuscì a mettere a fuoco lo sguardo canzonatorio e sadico della Dea della Discordia, che brandiva un pugnale imbrattato di sangue,  sentì il panico avvolgerlo e il cuore accelerare i battiti in modo forsennato e ansioso.

Lei gli si avvicinò con andatura lenta e sinuosa, poi si chinò, gli sorrise sadica e il suo sguardo dorato e divertito lo trafisse come uno stiletto piantato nel fianco.

« Buona notte, dolce principe. E che voli di demoni ti conducano al tuo riposo».

Eris si avventò su di lui con ferocia e infilzò il pugnale nella sua schiena. Repentinamente, cominciò a sentire tutti i muscoli contrarsi e fargli male mentre la lama si impregnava del suo sangue.  Provò a urlare, ma il dolore fu così forte da non permettergli neppure di muoversi. Nonostante ciò tentò ancora di muoversi, di dimenarsi dall’abbraccio della morte che si stava facendo sempre più forte e pesante, finché il respiro gli venne meno e capì che la vita lo stava lasciando definitivamente. Il sangue grondava dalla ferita e il sudore gli colava giù dal viso magro e ossuto.

Sarebbe morto. Nessuno si sarebbe più ricordato di lui, e semmai lo avrebbero fatto sarebbe stato solo per narrare le gesta maligne e malvagie che aveva compiuto in vita; i suoi sbagli.
Provò freddo: era più gelido dei precedenti; uno di quelli che entra nelle ossa e fa agognare come il più folle dei desideri un bel camino e una tisana calda giù per la gola. Quel tipo di freddo che fa stare male. Quello stesso freddo che ha pelle delle persone morte.

Solo in quel momento si rese conto di essere morto e, nello stesso momento in cui lo capì, sentì la testa girargli forte e pulsare come un cuore.

No, non era possibile. Non voleva morire!

Cominciò a supplicare il vuoto di riportarlo in vita, urlò che non desiderava la morte e che aveva ancora tanto tempo per vivere. Tanti anni davanti a sé.

No. Supplicò. No, vi prego, no. No…
 
 

«NO!».

Si svegliò di soprassalto e subito la mente cominciò a martellargli forte e dolorosamente. Si guardò intorno e, quando riconobbe le mura delle propria stanza, si passò stancamente una mano tra i capelli neri, quasi come se quel gesto potesse fargli dimenticare quell’incubo.  Quando il respiro si fu destabilizzato, chiuse gli occhi e poggiò il capo sul muro dietro di lui. Dopodiché cominciò a fare grossi sospiri.

Era solo un incubo, si disse, Va tutto bene adesso.

Quando però gli ritornarono alla mente le immagini di ciò che era accaduto poche ore prima nella Camera delle Armi, sgranò gli occhi come se si fosse appena ridestato da un sogno. Ricordò l’espressione demoralizzata di Odino mentre gli diceva che era stato adottato, la rabbia e la demoralizzazione provata nell’aver scoperto la verità, ovvero essere uno Jotun.

No, non andava tutto bene.

Per un momento, un brevissimo momento, nutrì la speranza di star ancora sognando: che quello che stesse vivendo fosse solo un altro orribile incubo e che presto si sarebbe risvegliato, ma quando giunse alla terribile conclusione che no, quello non era incubo, sentì sorgere in lui la stessa angoscia che aveva provato nel momento in cui aveva scoperto la verità e, questa volta, non provò nemmeno a cacciarla via. Lasciò che si impadronisse di lui, che gli dilaniasse la mente e lo portasse all’oblio.
Chissà,si disse, forse laggiù troverò qualcuno come me.

Fece un sorriso amaro, uno di quelli strazianti e che lacerano l’anima di chi li guarda, e cominciò a fantasticare su quanto la sua vita sarebbe stata diversa se non fosse stato un Gigante di Ghiaccio. Se fosse stato come tutti gli altri. Probabilmente, se così fosse stato, adesso non starebbe così male.

Ma la vita non era fatta di se o di ma, bensì di oggi e domani. E sprecare tempo a sognare una vita diversa non serviva a nulla se non a illuderlo e deprimerlo ancora di più. Che utilità poteva avere il rifugiarsi nei sogni per poi risvegliarsi di soprassalto in una realtà brutta e grigia? Nessuna. Era da masochisti e da idioti, perché per quanto avrebbe potuto affermare il contrario, sognare il contrario, la realtà non poteva essere cambiata. Lui era uno Jotun. Un mostro. E nessuno poteva – purtroppo – affermare il contrario.

Si alzò da terra e provò a muovere qualche passo verso la finestra a pochi passi da lui. Quando ci arrivò davanti, osservò Asgard con malinconia e tristezza: quasi come se dinanzi a lui si estendesse un paesaggio di morte e devastazione piuttosto che uno di bellezza e meraviglia.

Repentinamente rimembrò tutti i ricordi legati a quella città: ricordò le foreste dove lui ed Emily si recavano da bambini, i giochi in cui lui e Thor si dilettavano da adolescenti, i parchi dove correva ad allenarsi ogni giorno nella speranza di somigliare al fratello e le spiagge da cui osservava il movimento sinuoso dell’oceano mentre si infrangeva sulle rive sabbiose.
 
Loki ricordò tutto e, subito dopo averlo fatto, si rese conto che quelli erano ricordi che non gli appartenevano poiché la sua infanzia, come tutto il resto della sua vita, era solo un enorme menzogna.

Era ironico, in fondo: lui, il Dio degli Inganni, ingannato per una vita intera. E pensare che fino a qualche ora prima stava coraggiosamente combattendo contro i Giganti di Ghiaccio, ignaro di star lottando contro la sua vera razza. Contro se stesso.

Eppure la realtà era lì, chiara e luminosa come il sole, che non gli lasciava nemmeno il tempo di respirare; di farsene una ragione. Di comprendere.

Anche se poi, alla fine, non c’era proprio nulla da comprendere.

E fu in quel momento che si arrese. Cedette le armi. Perché che senso aveva combattere per qualcosa che non gli apparteneva? Che diritto aveva avuto lui, rispetto a Thor, di divenire Re? Di essere apprezzato dal popolo di Asgard? Nessuno. Era un mostro, quello stesso mostro da cui i genitori mettevano in guardia i propri figli la notte, e non c’era niente da fare se non accettare la realtà così com’era: lui era un Gigante di Ghiaccio. Il Mostro Orrendo. E quindi, chi mai poteva amare qualcuno come lui?

Chinò la testa, sconfitto, e il suo sguardo cadde sul pavimento in pietra: «Sono un mostro…» Sussurrò a se stesso, quasi come se continuare a dirlo avrebbe lenito il proprio dolore. «Sono un mostro…» Ripeté, la voce incrinata e scossa dai fremiti.

«Ti sbagli».

Al sentire quella voce, sbarrò gli occhi sorpreso e sentì tutti i propri muscoli irrigidirsi e il cuore salirgli in gola. Non ci fu bisogno di voltarsi per capire chi fosse, lo sapeva già. Lo aveva sempre saputo.

«Dovresti smetterla di comparire così dal nulla, Emily. La gente potrebbe infastidirsi» Mormorò senza girarsi.
«La mia presenza ti disturba?».

Quella domanda colpì Loki, che soppesò un po’ prima di risponderle, ma quando alla fine parlò il suo sguardo era ancora puntato dritto dinanzi a sé, cosicché Emily non potesse vedere il sorrisetto canzonatorio e amaro che gli si era dipinto sulle labbra.
 
«No» Dichiarò. «Ma sono dell’idea che la mia potrebbe infastidire te. E tutto il resto del mondo, probabilmente».

Sentì Emily dietro di sé fare uno sbuffo e avvicinarsi a lui: «Credo che tu abbia commesso un grave errore. Sono anni che ci conosciamo, eppure non hai ancora compreso che se adesso mi trovo qui, è per un motivo».

A quelle parole decise di voltarsi, scontrandosi con lo sguardo ceruleo di lei. «Ti ascolto».

Emily fece un grosso sospiro, dopodiché aprì la bocca: «Ho parlato con la Regina» Disse. «Ed è solo grazie alla discussione che abbiamo avuto che ho capito cosa dovessi fare».
Aggrottò la fronte, sinceramente incuriosito: «Cosa?».

E poi Emily lo baciò. Fu un bacio veloce, imbarazzato e perfino un po’ strano poiché la ragazza aveva accidentalmente premuto con troppa foga sulla sue labbra, creando così uno scontro di nasi decisamente divertente, ma lui non ci badò più di tanto, troppo sorpreso per accorgersene. Gli sembrò di morire e di rinascere lì, sulla punta delle labbra rosee della ragazza, e quando Emily si allontanò da lui, il viso rosso per la vergogna e le mani tremanti per l’imbarazzo, non poté fare a meno di sentirsi frastornato e confuso come se si fosse appena risvegliato da un sogno.

Lo aveva baciato. Emily lo aveva baciato!

Nonostante fosse durato solo qualche secondo, sentì tutti i muscoli tremare e qualcosa di caldo e energico scaturirgli dal petto, lì dove era sempre stato certo risiedessero i sentimenti, e un brivido gli percorse la schiena.

«Questo» Pigolò lei, rossa quanto i suoi capelli.

La guardò e, per un momento, desiderò riappropriarsi di quelle labbra, premere su di loro con voracità e baciarle fino a che non si sarebbero consumate. Ma di colpo tutta l’esaltazione, l’euforia e la passione svanirono e al loro posto, si fece spazio un sentimento contrastante con quello avuto poco prima. Un emozione che riconobbe come la rabbia.

«Perché?!» Urlò, sospettoso. «Perché lo hai fatto?».

Emily aggrottò la fronte e le sue guancie si colorarono di un rosso più acceso: «Ti ho offeso?».

A quella domanda, Loki si irrigidì e osservò meglio il suo sguardo: non sembrava intimorita o spaventata, o se lo era non lo stava dando a vedere, bensì curiosa e un po’ imbarazza. Ma dentro i suoi occhi, non c’era nemmeno un po’ di pentimento per il gesto appena compiuto.

E allora che capì di non essere ancora in grado di rispondere a quella domanda.

Gli ritornarono alla mente, come un velocissimo flashback, l’imbarazzo che si era venuto a creare tra di loro da alcuni anni, la gelosia che lo ghermiva quando la vedeva in compagnia di Thor, l’istinto di protezione che sentiva solo per lei, i ricordi del bacio che si erano scambiati poco secondi prima, il fatto che il loro rapporto non fosse più lo stesso da un pezzo. Era cambiato, maturato in qualcosa di più grande e ardente che sembrava aspettare solo di poter uscire fuori, e si accorse con sorpresa del fatto che la risposta a quel quesito,lui a la conosceva già da troppo tempo.

«No».

 Si accorse di ciò che aveva detto solo quando vide sul viso di Emily un grande sorriso compiaciuto. Allarmato e imbarazzato, cercò subito di riparare al danno che aveva combinato mentre, mentalmente, malediceva la sua boccaccia.

«Non essere tanto contenta.» Dichiarò, piccato. «Non mi hai dato fastidio, ma non capisco il perché di questo tuo gesto dato che fino a poco prima mi fissavi con occhi ricolmi di paura, quasi come se fossi stato un mostro. Non sono uno stupido, Emily, e riesco a capire quando le persone mi  prendendo in giro. Ed io sono stufo delle bugie. Quindi va’ via, ti sei già presa gioco di me a sufficienza».

 Calò un silenzio pesante nella sala, uno di quelli tristi e tesi che fanno desiderare ardentemente di trovarsi altrove, finché Emily parlò: «Sai cosa mi ha detto la regina, Loki?» Chiese, la voce sottile e sommessa di chi parlava col cuore in mano. Lui si voltò a guardarla. «Mi ha detto di seguire il mio filo rosso, quello che mi avrebbe portato all’atra estremità del mio cuore: al mio amore. Io l’ho fatto, Loki, per questo sono qui».

Inarcò un sopracciglio, non capendo cosa volesse dirgli; quando però ricordò la leggenda che sua madre era solita a narrare a lui e Thor da bambini prima di andare a dormire, non poté fare a meno di dischiudere le labbra per la sorpresa.

«La leggenda del filo rosso?» Chiese, sbuffando.  « Lascia perdere. È solo una leggenda per bambini. Sei stata una sciocca a crederci. Un’ ingenua!» Aggiunse voltandosi dall’altra parte, dandole nuovamente le spalle.

Dietro di lui, Emily aggrottò la fronte ma, invece di andar via, gli si avvicinò ancor di più: «So benissimo cos’è, Loki, ma io--».
Non la fece finire: si voltò verso di lei con rabbia e i suoi occhi divennero due fessure verdi e crudeli che trapassarono la ragazza da parte a parte, improvvisamente gonfio di rabbia. Era stufo di quella situazione!

«E allora perché sei qui?» Sbottò. «Cosa vuoi che faccia? Credi che con una stupida storiella io possa dimenticarmi di tutto ciò che è successo e ricominciare a vivere come se niente fosse? È in questo che speravi quando sei venuta qui? Magari credevi pure che avrei cercato di convincere Padre a far tornare Thor, visto che tieni tanto a lui! Be’, se è così che stanno le cose, credo che rimarrai delusa perché Padre è caduto nel Sonno di Odino ed io non potrei cambiare un suo ordine neppure se lo volessi. Ma spero di non aver stravolto i tuoi piani, Emily! Oh, no! Anzi, ti dirò di più: mi dispiace di esserti così avverso da farti pensare che un semplice bacio tu possa cambiare ciò che sono, credimi! Eppure, dovrai pur capire che qui non siamo dentro una delle favole che raccontano su Midgard, quelle che tanto piacciono a te e dove basta qualche bacetto e un “vissero tutti felici e contenti” per far ritornare tutto com’era  prima. Questa è una storia diversa, Emily, una di quelle che si raccontano ai bambini per farli spaventare, ed io sono il mostro. Il Gigante di Ghiaccio. Qualcuno da tenere lontano. E tu questo non puoi cambiarlo. Quindi smettila di annoiarmi e vattene via, prima che decida di farti del male».

Emily restò in silenzio, tremante di rabbia e rossa come un peperone, poi, veloce come un battito di ciglia, gli diede uno schiaffo così forte che il suono che le sue dita ebbero a contatto con sua la pelle rimbombò per alcuni istanti nei meandri della sala.

«Sei uno stupido!» Urlò. «Sei davvero uno stupido! Come puoi anche solo pensare a una cosa simile? Io… io sono qui per te! Ho combattuto contro tutte le mie paure per esserci, e tu pensi che io ti abbia baciato per farti un torto? Per prenderti in giro? Ma ti senti?! La rabbia ti ha fatto divenire cieco! Non riesci più a distinguere la realtà dalla menzogna! Qui dentro sei tu ad esserti sbagliato e a dover aprire gli occhi, non io!» La sua voce si fece alta, acuta e furiosa ed i suoi occhi si assottigliarono così tanto da divenire due piccole fessure azzurre. «Credi che non lo abbia notato? Pensi che non abbia capito che fra noi due è cambiato qualcosa?! Che niente è più come prima?! Sono stanca di non riuscire a capire ciò che vuoi, Loki. Non riesco più a capire perché ti comporti così! A leggere i tuoi sguardi…» Improvvisamente la sua voce si fece più bassa, meno stridula e con una lieve sfumatura di tristezza. Loki vide le sue sopracciglia inarcarsi, infierendole uno sguardo quasi di supplica, mentre si accingeva ad avvicinarsi sempre di più a lui – che si massaggiava la guancia offesa.

«Ma non lo capisci? Sono venuta fin qui per stare con te!» Tutto di lei era diventato un tremolio convulso: le sue mani, le sue labbra e perfino i suoi occhi lasciavano trapelare l’emozione. Sembrò essere sul punto di piangere, ma lui notò che stesse cercando in tutti i modi di trattenere le lacrime. «È da quando sono qui che sto tentando di farti capire ciò che provo per te, quello che ho scoperto di provare, ma tu continui a non sentirmi! Non mi vuoi sentire! Sei troppo impaurito dalla situazione, quando qui l’unica che dovrebbe avere paura sono io!».

«E allora perché non scappi?! Va’ via! Vattene! Non ho bisogno di te, né della tua pietà! Perché resti qui se hai paura di me? Di ciò che potrei farti?! Perché non vai via come fanno tutti gli altri?!» Sputò fuori quelle parole con rabbia, urlandole così forte da sovrastare la piccola vocina insistente che si era fatta largo dentro di lui e gli diceva di star zitto, che mandare via Emily sarebbe stato un grandissimo errore, uno di quelli di cui poi si sarebbe pentito amaramente. Ma a lui non importava più.
 
Lui quella vocina non voleva sentirla!

Vide l’espressione di Emily mutare, e fu solo quando guardò i suoi grandi occhi azzurri spalancati per la tristezza che capì che non stesse mentendo, che le sue parole fossero vere e sincere. Quando poi vide le lacrime scivolare giù dalle sue guancie paffute, ebbe come l’impressione di aver appena ricevuto una stilettata al centro del petto.

«Perché io ti amo, Loki.» Le sussurrò appena quelle parole, così piano e sommessamente che somigliarono tanto al pigolio di un pulcino, ma per lui risuonarono così forti e chiare da fargli mancare l’aria e venire il mal di testa.

Restò in silenzio, incapace di proferire parola, troppo sconvolto per riuscirci, finché sentì un improvviso miscuglio di emozioni contrastanti tra di loro esplodergli in petto: si sentì struggere e provò una sofferenza strana, quasi malsana. Di colpo tutta la sua nostalgia, i suoi sogni, ogni sua piccolissima ansia, ogni segreto rimasto in lui assopito si destò, e tutto fu trasformato e incantato: tutto aveva acquistato un senso.

Ripensò al momento in cui aveva visto per la prima volta Emily, piccola e con un enorme matassa di cespugliosi capelli rossi a incorniciarle il viso paffuto e pieno di lentiggini, ai momenti che avevano passato insieme da adolescenti, momenti in cui lei gli era sempre stata accanto, a quando gli aveva donato l’elmo e l’aveva quasi baciata, ricordava ancora il suo odore inebriargli le narici, e quando l’aveva creduta morta dopo l’attacco a Jötunheimr, poteva quasi sentire la propria voce esplodere in un grido mentre lei veniva sbattuta al muro come se fosse stata una bambola di pezza.

Ricordò tutto, e nell’esatto momento in cui lo fece comprese tutto ciò che Emily aveva voluto dirgli: lei era lì per lui. C’era sempre stata. Anche in quel momento, nonostante fosse evidente che avesse paura, era lì; non era andata via. Non lo aveva lasciato ed anzi gli era corsa dietro affrontando tutte le sue fobie. Era rimasta lì, con il cuore in mano e le lacrime che le solcavano le guancie, e gli aveva appena detto che lo amava.

Realizzare ciò fece scattare in lui qualcosa di molto simile a una molla e, senza pensare davvero a ciò che stesse facendo, agì d’istinto: le andò incontro con passo spedito e una volta arrivatole a pochi centimetri di distanza affondò le mani nei suoi capelli ricci, dopodiché avvicinò la sua nuca al proprio viso e le baciò le labbra con foga, come se da quel bacio dipendesse la sua stessa vita. Strinse con più energia il suo corpo, quasi come se temesse che potesse scappare via all’ultimo momento, e quando lei ricambiò, dopo la sorpresa e l’intorpidimento iniziale, il bacio con le stessa foga, sentì la testa girargli vorticosamente. Credette di essere attraversato da una dozzina di scosse elettriche che riempivano ogni porzione del suo corpo di energia, di elettricità e di forza, e si sentì vivo. Felice. Come se ogni più piccola molecola del suo intero essere, corpo e mente, anima e spirito, si fosse attivata, dandogli una forza che non aveva mai immaginato nemmeno di possedere.

Era sua. Emily, la sua piccola Emily, era sua. Sua e basta.

Le baciò le guancie e asciugò le sue lacrime, accarezzò la sua schiena e lasciò una piccola scia di baci sulle spalle, il collo, le orecchie e le sue labbra, finché l’intensità che raggiunse il bacio gli infierì l’ennesima scarica di adrenalina e lui, istintivamente, la prese per le cosce e la issò su di se in modo tale che lei potesse allacciare le proprie gambe dietro la sua schiena.

Cominciò ad armeggiare con il suo corsetto nel tentativo di toglierlo, mentre lei, seppur in modo estremamente goffo e impacciato, cercava di sbottonargli la giacca. Sentì le sue labbra dischiudersi quando riprese a baciarla e sorrise compiaciuto quando Emily si fece sfuggire un sospiro più forte dei precedenti. Quando poi cercò la sua lingua, si sentì percuotere da un brivido di piacere vero e proprio e meccanicamente andò a sfiorarle i fianchi e lei, al tocco delle sue dita gelide, si irrigidì e si fece scappare un piccolo sussulto. Allora si fermò per un momento, la guardò dritta negli occhi e le sue dita andarono a sfiorarle la schiena con una delicatezza quasi disarmante.

«Le mie mani devono essere molto fredde.»Sussurrò ad un tratto con voce malinconica, mentre le immagini di lui che scopriva di essere uno Jotun tornavano a far capolino nella sua mente.

Subito Emily alzò lo sguardo su di lui e gli accarezzò una gote, anch’essa fredda come il marmo, con tenerezza; quasi come se stesse cullando un bambino.

«Sì, lo sono» Mormorò, senza distogliere lo sguardo. «Ma vanno bene così. Mi piace sapere… che sarò io a risaldarle».

Loki non seppe di preciso cosa provò nell’udire quelle parole, l’unica cosa certa era che, improvvisamente, sentì qualcosa di caldo e dolce avvolgergli il petto e un’infinta voglia di baciare Emily impadronirsi di lui. Non lo fece, ma non perché non volesse, bensì perché il momento che si era creato, lo sguardo che entrambi si stavano scambiando, fu così bello che gli parve un terribile crimine spezzarlo.
 Poi però Emily poggiò nuovamente le labbra sulle sue, in un leggero e delicato bacio che sapeva di dolcezza, e mise la testa sull’incavo del suo collo.

«Resta con me» Gli sussurrò. «Tutta la notte».

Loki la guardò, e nei suoi occhi rivide tutti i momenti passati insieme a lei: il loro primo incontro, i loro giochi, il momento in cui aveva scoperto della sua fobia per i tuoni, , la paura che provata quando gli era morta fra le braccia e, sempre tra le sue braccia, era ritornata a vivere; ricordò il sorriso raggiante che gli rivolgeva ogni volta che chiacchieravano, il suo odore di erba bagnata e la voce squillante quando lo rimproverava, le labbra piccole e ruvide che si poggiavano sulla sua bocca.

Quindi, decise di accontentarla.

L’appoggiò sul letto e cominciò nuovamente a baciarla con più dolcezza e delicatezza di prima, quasi temesse che potesse rompersi tra le sue dita, mentre cercava di scacciare via un pensiero della sua mente gli urlava che quello che stava facendo era sbagliato, che un mostro e che quindi non aveva alcun diritto di provare tenerezza per Emily; di condannarla a un sopruso tale. Ma lei non sembrava affatto scontenta o impaurita e Loki pensò che fosse davvero coraggiosa. Molto più di come la ricordava.

Nonostante ciò, nella sua mente tornò prepotentemente il ricordo dello sguardo pieno di amarezza e angoscia di suo padre mentre gli rivelava la verità e il suo cuore ricominciò a battere furiosamente. Forse doveva fermarsi, forse quella vocina aveva ragione e lui stava facendo qualcosa di assolutamente orribile ad Emily, forse doveva sotterrare –per l’ennesima volta – i suoi sentimenti e fare ciò che era giusto invece di ciò che era più semplice.
Poi però Emily poggiò una mano sul suo volto e lo attirò a sé con dolcezza, quasi come se avesse intuito quali fossero i suoi pensieri, e allora Loki si dimenticò di tutto e si lasciò andare.

Quando la baciò nuovamente, sentì il cuore salirgli in gola poiché sapeva cosa sarebbe venuto dopo quel bacio. Nonostante ciò, Emily non distolse lo sguardo da lui neppure per un momento e rimase sorpreso quando, dentro i suoi occhi, ci vide determinazione e tranquillità invece di paura e terrore. Con il fiato mozzo si adagiò, puntellandosi con i gomiti, sopra di lei e fece per sbottonarle la gonna e issarle la camicetta; prese a baciare ogni lembo di pelle che le sue labbra riuscivano a raggiungere e lo stesso fece, seppur maldestramente e con il viso rosso per l’imbarazzo, lei. Quando entrambi furono spogli dei loro abiti, Emily accarezzò il suo corpo con la delicatezza e timidezza di chi non sapeva cosa dovesse esattamente fare in una situazione del genere, ma quelle effusioni lo fecero sospirare di piacere e, chiuse gli occhi.

Ma quando le accarezzò i fianchi, sentì nuovamente quella vocina entrare nella sua testa e, repentinamente, si chiese se dovesse darle retta e se fosse giusto quello che stavano facendo.

«Non voglio costringerti a fare qualcosa di cui potresti pentirti, Emily. Hai già fatto a sufficienza, puoi anche andare adesso»Le disse.
L’ansia lo aveva ormai avvolto tra sue spire e dentro di sé quella vocina che gli intimava di andare via si faceva più forte e più acuta ogni secondo che passava, ma lui, da bravo attore qual era, rimase impassibile e freddo come sempre e cercò di dissimulare la confusione e la paura che si stavano beffando di lui.
Lo stesso però non fece Emily che, negata nel riuscire a mentire, si morse il labbro inferiore e strinse forte il lenzuolo.

«Farà male, non è vero?».

Loki aggrottò la fronte e studiò meglio il suo sguardo, come se fissandola così intensamente riuscisse a capire cosa si celasse dietro quegli occhi azzurri.

«Non lo so, non sono una donna» Mormorò canzonatorio, nonostante dentro di sé stesse tremando per l’agitazione.

Emily alzò un sopracciglio e lo guardò piccata:«Questo lo avevo capito, genio» Disse. «Ciò che volevo dire è… resterai comunque con me, dopo?».
Nel vederla così piccola e spoglia – letteralmente – di ogni protezione, abbozzò un breve sorriso che si perse nell’oscurità della notte.

«Non pormi domande di cui conosci già la risposta» Dichiarò, senza smettere di guardarla.

Allora Emily fece un sorriso nervoso e incerto ma Loki poté benissimo sentire il suo corpo esile e smilzo sotto di sé rilassarsi: aveva le guancie rosse per l’imbarazzo, i capelli rossi sparsi sul cuscino e gli occhi lucidi e grandi che lanciavano un messaggio che non riuscì a decifrare del tutto a causa del proprio cuore che batteva troppo forte e rumorosamente.
 
Guardandola, pensò che sarebbe potuto stare a fissarla per ore.

«Non sei obbligata. Non devi farlo se non vuoi, ed io non ti obbligherò di certo» Le ripeté allora, poiché il solo pensiero di giacere con Emily senza che lei fosse consenziente lo disgustava.

Lei lo guardò con uno sguardo penetrante e sincero, e fu sorpreso di trovare tanta fiducia e tenerezza nei suoi occhi. Non era preparato per quello sguardo.

«Lo so.» Rispose ad un tratto Emily. «Ma io voglio farlo, Loki. Perché ti amo: ti amo quando mi guardi e mi fai uno di quei tuoi sorrisini di scherno, ti amo quando mi prendi per mano e me la stringi forte ma poi non mi guardi negli occhi perché ti imbarazzi, ti amo quando sorridi e, di conseguenza, fai sorridere anche me. Ti amo quando ti urlo che sei uno stupido e tu mi rispondi con una delle tua battutine taglienti come rasoi. Ti amo quando ti dico di restare e tu lo fai; resti con me. Non mi importa che tu sia uno Jotun, Loki… anzi sì, mi importa, e pure tanto se vuoi la verità, ma ho deciso di non pensarci. Di amare anche questo tuo lato. Perché quando sei andato via da me, quando sei corso via, ho capito che avrei dato qualsiasi cosa pur di vederti tornare indietro. Perché per quanto tu possa essere “diverso”, freddo e cinico, resti sempre ciò che sei…» Gli poggiò una mano sul petto, precisamente all’altezza del cuore, e la sua voce si fece piccola e sottile.

«… resti sempre Loki».

Ciò che provò nell’udire quelle parole fu così stravolgente, così grande e sorprendente, che per un momento credette di non riuscire più a respirare, che gli avessero portato via tutta l’aria.

Il cuore cominciò ad accelerare ancora di più i ritmi, pompando furiosamente e donandogli delle scariche di adrenalina così potenti e forti che lo fecero sentire come fulminato; le gambe gli tremarono e la lingua si inchiodò al palato mentre i suoi occhi si sgranavano per la gioia e la sorpresa.

La baciò di slancio, con così tanta foga e passione che le labbra gli fecero male, e iniziò a baciarle le orecchie, il collo, i seni, il torace e le gambe, per poi risalire e baciarla con più passione e foga di prima. Sentì l’eccitazione invadergli ogni lembo di pelle e si sentì come rinato; felice.
La strinse a sé, mentre le sussurrava con voce roca e stanca: «Sì, sì mia cara» e poi tornava a baciarle il collo, le guance e i capelli.
E poi, quando sentì l’ennesimo brivido percorrergli la schiena, Loki la strinse a sé con più forza e, in un gesto quasi meccanico, entrò in lei. Subito Emily emise un gemito di dolore e lui,con quel briciolo di lucidità che gli era rimasta, cominciò a baciarle la fronte, sperando di darle un po’ di sollievo. Il suo cuore batteva fortissimo.

Iniziò a muoversi dentro di lei ad un ritmo piano e lento, mentre nella sua mente prendevano vita dei ricordi sfocati di lui ed Emily da bambini, della lei adulta e del fatto che il loro rapporto fosse completamente cambiato. Per un istante gli ritornò alla mente l’attimo in cui aveva toccato lo Scrigno degli Antichi Inverni e le sue dita fossero divenute quelle di uno Jotun, ma quell’immagine venne subito sostituita dal viso sudato e accaldato di Emily mentre gli regalava flebili sospiri spezzati e invocava il suo nome a voce così bassa da fargli percepire quel suono come un piccolo bisbiglio. Venne sopraffatto da un’altra scarica di piacere, stavolta più forte e lunga delle precedenti, e istintivamente strinse più forte la ragazza che, per riflesso, si aggrappò a lui con la medesima forza. Dopo che entrambi ebbero raggiunto l’apice, Loki aveva ancora gli occhi chiusi e poteva sentire il respiro caldo e affaticato di Emily sul suo viso. Quindi, appoggiò la fronte contro la sua e sorrise, dopo tanto tempo, sereno.

Erano ancora abbracciati quando capì che, se avesse potuto, l’avrebbe tenuta tra le sue braccia per sempre. Restarono in silenzio per alcuni minuti nei quali lui continuò a giocherellare con una ciocca dei capelli di Emily, ognuno perso nei propri pensieri, finché non si decise a dare voce a una domanda che lo tormentava e gli impediva di prendere sonno.

«Come l’hai capito?».

Lei alzò lo sguardo sul suo viso: «Che cosa?».
«Tutto questo. Come hai capito di... insomma, di volermi bene?» Faceva ancora fatica a pronunciare quelle parole, perché per lui rappresentavano qualcosa di così bello, di così agognato, che sentirsele dire era stata una sorpresa troppo grande. Una gioia troppo potente.
Accanto a lui, Emily sorrise tranquilla ma distolse lo sguardo imbarazzata: «Credo di averlo sempre saputo, in realtà. Solo… avevo bisogno di una piccola spinta per esserne sicura».

Loki aggrottò la fronte, ma dentro di sé sentì il proprio cuore mancare dei battiti: «E adesso lo sei? Sei sicura?».
Lei alzò gli occhi azzurri su di lui, scontrandosi con il suo sguardo enigmatico e scrutatore, e restò in silenzio per alcuni minuti, intenta a fissarlo come se dal suo viso potesse ricavare la risposta che cercava.

«Sì, lo sono» Rispose, e stavolta non distolse lo sguardo.

Loki abbozzò un sorriso e chiuse gli occhi, stanco, dopodiché si lasciò cadere sul cuscino del proprio letto; li riaprì subito quando sentì il corpo da uccellino di Emily farsi nuovamente largo tra le sue braccia, silenziosa e perfettamente combaciante con il suo corpo. Non disse nulla, ma improvvisamente un piccolo pensiero fece capolino nella sua mente: tutto era stato più semplice di quanto si aspettasse: si erano entrambi adattati l'uno all'altra come frammenti di un puzzle, e ciò gli procurò una soddisfazione segreta che decise di tener nascosta per paura che si potesse perdere nel buio della notte.

Entrambi si completavano. Lei era il sole e lui la luna; elementi del tutto diversi tra di loro ma indispensabili per la sopravvivenza dell’altro. Nessuno di loro era indipendente, bensì  interdipendente, poiché tutto era un gioco d'alternanza, complementarietà e dualità. E loro erano il motore di tutto questo. Pensando ciò, non poté fare a meno di sorridere sornione sotto i baffi, decidendo che mai a nessuno avrebbe rivelato di quella notte, che sarebbero stati solo loro due a saperlo. Il suo era un sentimento egoistico e avaro, ma non gli importò: quella notte era stata solo sua e di Emily. Nessun altro sarebbe dovuto venirne a conoscenza.

Preso com’era dai suoi pensieri, quasi non si accorse del fatto che Emily, ancora stretta fra le sue braccia, si era profondamente addormentata. Anche in quel momento non disse niente, restò ad osservarla in silenzio finché anche lui non si addormentò; certo del fatto che niente avrebbe potuto spezzare quel momento.

 
 
 

 
Quella notte, Loki sognò di distruggere Jötunheimr e uccidere Thor.
 

 

 
 
 
 
 
 

- Note dell’autrice.

Ebbene sì, miei cari. Ce l’abbiamo fatta!

Dopo 18 capitoli di follia, deliri e piagnistei, ‘sti due hanno FINALMENTE combinato! Olééé!! *stappa spumante*.
Non riesco ancora a crederci! Finalmente sono riuscita a scrivere questa benedettissima scena! *si commuove*. Spero con tutto il cuore di non aver combinato un pasticcio con QUELLA parte ma, se così fosse, vi prego di perdonarmi in quanto io sono del tutto inesperta in materia – eh, che ci volete fare? – e l’unica “fonte” che avevo erano i libri e le fan fiction. Potete immaginare che trauma è stato per me scrivere quella parte… *ha il terrore di aver scritto idiozie*.
Ad ogni modo, questo capitolo non è stato ancora betato a causa di alcuni imprevisti ma, non appena la mia caVissima beta rinsavirà da un possibile attacco alieno (Darma T.V.B pls don’t leave me alone), provvederò a postare quello sistemato :,)
Scusatemi ancora per l’enorme ritardo! Spero che il capitolo vi sia piaciuto! :)
Come al solito ogni parere al riguardo è ben accetto!

Se vorrete mettervi in contatto con me, qui trovate il mio profilo di Facebook: https://www.facebook.com/harmony.efp.9?ref=ts&fref=ts
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Bacii!! :) 
 
P.S: Il capitolo è coooolmo di citazioni tratte da libri, film, leggende e frasi famose! Riuscite a scovarle tutte? Un premio a chi ci riuscirà! Ah ah :) Piccolo indizio: nessuna di esse c’entra niente con la Marvel. :*
 

 
 

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Capitolo 19
*** Sunrise. ***


~Sunrise.

Il piano è preciso,
perfetto e conciso,
decenni di attesa,
vedrai che sorpresa!
Sarò un re stimato,
temuto ed amato,
nessuno è meglio di me.
Affiliamo le zanne perché
sarò re!
Affiliamo le zanne perché
sarò re!

- Sarò Re; Il Re Leone.

 
 
 
 


Quando Emily riaprì gli occhi, si ritrovò il viso a pochi centimetri da quello di Loki.

Inizialmente sentì il proprio cuore mancare un battito e il respiro mozzarsi, ma non appena rimembrò cosa fosse successo, sul suo viso apparve un sorriso sereno e rilassato.

Aveva fatto l’amore con Loki quella notte.

A quel pensiero la ragazza sentì il proprio battito accelerare e il sangue scorrerle con più fluidità nelle vene facendole arrossire violentemente le guance: se chiudeva gli occhi poteva quasi sentire le mani fredde del Dio degli Inganni carezzarle la pelle.

Non era pentita di ciò che aveva fatto. E soprattutto, se lo aveva fatto, non era stato per rincuorare l’amico da ciò che aveva scoperto o per farsi “perdonare” da lui. No: se aveva giaciuto con lui quella notte era perché era quello che voleva e che aveva scoperto di desiderare da sempre.

Emily aveva capito di provare quei sentimenti per Loki nel momento stesso in cui lui era andato  –  o meglio, scappato  –  via da lei. Nello stesso momento in cui, per la prima volta in vita sua, aveva sentito qualcosa dentro di sé spezzarsi e andare in frantumi come piccoli cocci di vetro. Lo aveva compreso, anzi, lo aveva sempre saputo, ma quella era una verità troppo grande da riuscire ad ammettere persino a sé stessa, e dunque l’aveva accantonata in un remoto angolino del suo subconscio, ammonendola di non ripresentarsi mai più. Ma naturalmente, ciò non era accaduto.

Ricordava ancora con tremenda nitidezza lo sguardo che Loki le aveva lanciato prima di correre via: i suoi occhi verdi pieni di angoscia e tristezza, i tratti spigolosi del viso contratti per la rabbia e l’incredulità, la bocca dischiusa in un vano tentativo di dire qualcosa; erano immagini così vive nella sua mente, così limpide, che ad Emily sembrò di star inghiottendo un boccone amaro che non sembrava voler andare giù. Istintivamente, rabbrividì.

Scosse la testa: no, quello non era affatto il momento adatto per rimuginare. Adesso c’erano solo lei, Loki e nessun’altro. Non c’era spazio per le preoccupazioni.
 Si soffermò dunque sul suo viso addormentato, con i capelli corvini  scomposti e arruffati sul cuscino e le labbra dischiuse in un piccolo ovale da cui usciva il respiro forte e spezzato. Guardandolo, Emily non poté fare a meno di pensare che fosse bellissimo.

Sorrise al ricordo della notte trascorsa finché un pensiero non fece capolino nella sua mente, facendola arrestare: cosa sarebbe successo, ora?
Avrebbe dovuto far finta di niente? Magari per Loki quella non era stata niente di più che un’avventura: qualcosa per distrarsi dal dolore, del semplice sesso con l’amica d’infanzia dai capelli troppo crespi e troppo gonfi che non si filava nessuno: il solo pensiero la fece rabbrividire.

E lei, allora?Voleva davvero vivere una vita in compagnia del Dio degli Inganni? Sopportare ogni sua frustrazione, ogni sua bugia, ogni piccolissima imperfezione del suo carattere scontroso e sfuggente?

Emily ripensò alla prima volta che lo aveva visto nascosto tra le fronde degli alberi della foresta dell’Eldo, al suo carattere scorbutico che nascondeva tutta la dolcezza che un bambino potesse avere, ai suoi sorrisi appena accennati, ai momenti in cui le aveva insegnato a leggere e scrivere, alla gelosia provata quando Lady Eris era giunta al palazzo per sposarlo, all’abbraccio che si erano dati una volta tornati –  sani e salvi -  da Jötunheimr ed infine alle sue labbra sottili che premevano con forza sulle sue e alle carezze delicate che le sue dita lunghe e ruvide avevano tracciato sulla sua pelle nivea facendola fremere.

Emily ripensò a tutto questo e a quel punto la risposta arrivò spontanea e naturale, quasi come se l’avesse sempre conosciuta e avesse aspettato solo il momento giusto per ammetterla a sé stessa, e prima ancora che potesse realizzare ciò che il suo cuore avesse scoperto – o, perlomeno, quella parte di sé che aveva sempre accostato al proprio cuore -, capì.

Sì, era ciò che desiderava.

In quel preciso momento Loki si risvegliò, e quando gli occhi verdi si posarono sui suoi ad Emily si mozzò il respiro, perché non aveva idea di come si dovesse comportare in una situazione simile, né quale potesse essere la reazione di Loki. Doveva baciarlo? O magari doveva far finta di niente e andarsene via? O chissà, probabilmente bisognava cominciare a parlare a raffica per smorzare la tensione… insomma, cosa doveva fare?

Per fortuna Loki venne in suo soccorso e, a dispetto di tutti pregiudizi di Emily, non era affatto arrabbiato, o irritato: a dirla tutta sembrava semplicemente assonnato.

«’Giorno» Le disse tra uno sbadiglio e l’altro, ed Emily si affrettò a rispondere un velocissimo “buongiornoatecomestai?”che gli fece alzare un sopracciglio, facendola morire di vergogna. Poi Loki scoppiò a ridere, beccandosi un’occhiataccia da lei, che sembrava stesse per prendere fuoco tanto erano rosse le sue guance.

«Emily, stai andando in iperventilazione» Le disse a un tratto il dio, canzonatorio, e la rossa si coprì istintivamente il viso con le mani.

«N-Non è vero!» Urlò, la voce soffocata dai palmi delle mani sulle labbra. Sentì Loki sbuffare divertito e mormorare qualcosa che non riuscì a comprendere e subito dopo alzarsi e rivestirsi. Nonostante fosse ancora imbarazzatissima e con un colorito del viso scarlatto, Emily si tolse le mani dalla faccia e osservò il principe cadetto mentre armeggiava con la sua armatura e si riallacciava i pantaloni. Aveva ancora i capelli arruffati e questo la fece sorridere ed, improvvisamente, rilassarsi.

«Il mio aspetto ti fa ridere?» Domandò Loki osservandola dal riflesso di uno specchio accanto a sé , uno dei pochi che la sera prima non era finito in frantumi.
Emily sorrise: «Non il tuo aspetto, i tuoi capelli!».

Notando solo in quel momento la condizione dei propri capelli, Loki fece per pettinarseli come meglio poteva mentre, indispettito, rimetteva in ordine ciò che aveva distrutto la notte prima con uno schiocco delle dita. Fu in quel momento che Emily notò che tra tutti gli oggetti sparsi a terra vi era anche l’elmo che gli aveva regalato per il suo ventunesimo compleanno.

Istintivamente si chiese se Loki non lo avesse gettato lì per la troppa rabbia nei suoi confronti.

In quel preciso momento l’elmo si mise a fluttuare nell'aria verso il dio, mentre  dei cocci di vetro provenienti da uno specchio che era andato distrutto la sera prima si riassemblavano tra di loro facendolo tornare come nuovo. In un altro momento Emily avrebbe pensato che quella fosse una gran bella magia, ma adesso si sentiva profondamente in colpa: se la sera precedente Loki era esploso in una rabbia così devastante da portarlo a distruggere in quel modo persino la propria stanza la colpa era in parte sua, pensò.

«Mi dispiace» Annunciò all'improvviso, e Loki si voltò immediatamente a fissarla.
«Per cosa?» Le chiese, ma Emily era certa che sapesse già a cosa si stesse riferendo.
«Per ieri sera».

Loki si irrigidì come una statua: le diede di nuovo le spalle e prese a sfogliare un tomo lì vicino. Emily trovò questo suo atteggiamento davvero fastidioso.

«Sto parlando con te. Potresti almeno voltart...».
«Non hai niente di cui scusarti.» La interruppe lui chiudendo di colpo il libro, ed Emily si accorse di come la sua voce fosse diventata improvvisamente distaccata e dura. «Non è colpa tua se non sono asgardiano, né se provengo da una famiglia di mostri.»

Quelle parole furono come una stilettata per lei che aveva definito gli Jotun dei mostri anche davanti a lui, in passato. Si sentì in colpa e improvvisamente le sembrò che tutte le parole della scorsa notte, d’amore e tenerezza, non fossero mai esistite; o perlomeno, che erano state messe in ombra dalla pesantezza e dalla gravità di altre. Pensò a quanto male avessero inflitto quelle frasi sulla mente già corrotta di Loki, a quanto lo avessero ferito, e fu come se qualcosa dentro di lei – qualcosa di molto simile a un mostro squamoso che si dimenava senza pietà – avesse preso vita facendole salire un nodo alla gola.

Alzò lo sguardo su di lui, e attraverso il riflesso dello specchio poté osservare il profilo appuntito del principe cadetto di Asgard: la malinconia era scolpita sul suo viso, impressa chiaramente nei suoi occhi chiari e verdi come le fronde degli alberi quando in autunno gli ultimi residui di verde diventano più chiari e sfumati di giallo pallido. Emily lo fissò insistentemente per alcuni minuti, come se cercasse di comprendere cosa si stesse celando dietro quello sguardo di ghiaccio, e si sorprese di come gli occhi di Loki riuscissero ad esprimere i suoi sentimenti molto più di quanto facessero le parole. Sembrava quasi che tutto, di lui, stesse urlando “Aiutatemi, hanno preso l’uomo sbagliato. Io non sono uno Jotun! Sono un asgardiano! Sono innocente! Sono innocente!” .

Poteva quasi sentirlo quell’urlo, leggere la disperazione e l’angoscia nascosti dietro i suoi occhi e sentire sulla propria pelle l’odio e la rabbia che provava per quel popolo, per gli Jotun, perché era la stessa che aveva provato quando sua zia Kim le aveva rivelato che erano stati loro ad uccidere i suoi genitori.

E allora Emily capì cosa fare, cosa dire, e le parole le uscirono dalle labbra prima che potesse fermarle: «Loki, tu non sei un mostro».
 

 

 
Non era preparato.

Nonostante Emily avesse appena sussurrato quelle parole, Loki se le sentì piombare addosso con una violenza e una forza tale da lasciarlo sbigottito e attonito per alcuni istanti. Sentì tutta la rabbia acquietarsi. Ma fu solo per un momento, prima che l’ennesimo sorriso di scherno si dipingesse sul viso e di nuovo, l’idea che Emily gli stesse mentendo si fece largo in lui facendolo tremare di rabbia.
E’ una bugia, si disse. L’ennesima.

Nessuno può davvero pensare una cosa simile, Loki, soprattutto lei: alla quale hanno strappato via brutalmente i genitori quando era ancora in fasce. Sai bene dell’odio e del ribrezzo che prova per quei mostri, per la tua razza e dunque anche per te. Ne sei a conoscenza, quindi il suo è solo un vano tentativo di ingannarti, proprio come hanno fatto tutti gli altri.

Poi però Loki si voltò verso lei, che era ancora nuda sotto le coperte e con i capelli in disordine in modo quasi disarmante, e quando incontrò i suoi occhi si ricordò che Emily  non fosse in grado di mentire.

«Fandonie» Le disse comunque, alzandosi e dirigendosi con passo volutamente lento verso di lei. «Solo fandonie. Sai bene quanto me ciò che sono, Emily, perciò non mentirmi: non ne sei capace» Scandì bene le ultime parole quasi come se in questo modo potesse ben rimarcare il concetto di quella che secondo lui fosse la verità. La realtà dei fatti.
La risposta di Emily fu pronta e veloce: «No» disse «non sto mentendo, sono sincera.».

Loki la fissò attentamente, come se la stesse guardando per la prima volta in vita sua, ed ebbe la sensazione che Emily stesse intrattenendo una guerra contro qualcosa dentro di sé, qualcosa che lottava per essere liberata, qualcosa che ai suoi occhi prese la forma del senso di colpa. Tutto ciò non fece altro ingigantire la sua ira, e Loki si convinse di aver avuto ancora una volta ragione: gli stavano mentendo. Di nuovo.

«Bugiarda» Le sussurrò piano, ma Emily si alzò bruscamente dal letto e si scagliò dinanzi  a lui con lo stesso sguardo di sfida e rabbia che assumeva quando si imponeva per far valere le sue idee.
«Sei tu il bugiardo!» Urlò. «Proprio come ieri, menti riguardo a tutto: a me, ai tuoi sentimenti e a te stesso! Solo perché molte persone ti hanno raccontato una bugia a cui tu hai creduto, non significa che tutto il mondo ti sta ingannando! Guardami, Loki: ieri notte mi sono concessa a te, abbiamo fatto l’amore ed io ti ho detto che ti amo, e ti assicuro che non mentivo. Se l'avessi fatto sarei già andata via da un pezzo, non credi? Non sarei ancora qui a cercare di farti aprire gli occhi!».

Quelle parole furono come rasoi per il Dio dell’Inganno che in cuor suo sapeva quanto fossero vere, che non fosse Emily a mentire ma lui ad essere troppo diffidente e reticente per paura di ricevere l’ennesima pugnalata, di essere di nuovo tradito e ingannato. Era il Dio delle Menzogne, il Re delle Burle, ma doveva aver indossato quella maschera per troppo tempo poiché adesso, nella sua mente, si era imposto il pensiero fisso che tutto il mondo fosse un enorme bugia a cui tutti, nessuno escluso, stessero partecipando.

Loki sapeva di sbagliare, ma non gli importava: non gli importava più niente e di nessuno se non di sé stesso. Emily doveva solo tacere, non aveva alcun diritto di parlare! Doveva stare zitta, zitta!

«Stai… ZITTA!» Urlò, stanco di sentirla parlare. 

Emily fece per replicare, ma un bussare alle porte della stanza la fece paralizzare e impallidire come un cencio. Solo in quel momento Loki si ricordò che era ancora nuda e subito la sua espressione irosa si tramutò in una sorpresa e sbigottita: se l’avessero trovata così, nelle stanze del principe minore di Asgard, sarebbe scoppiato uno scandalo in tutto il Regno!

Con uno scatto felino, Loki raccolse i vestiti di Emily, li gettò sotto il letto e le buttò un lenzuolo addosso  per coprirla. Poi l'aiutò a nascondersi in fretta e furia dentro un enorme armadio e, prima di rinchiudere le ante, le raccomandò velocemente di non muoversi. Dopodiché, cercando di recuperare una parvenza di calma, invitò la persona dall’altra parte della porta ad entrare.

Sif varcò la soglia, i capelli castani che le aveva reciso da bambina legati in una lunga coda di cavallo che metteva in risalto i suoi lineamenti duri e affascinanti, il corpo atletico fasciato dagli abiti da guerriera e sul viso un'espressione di puro fastidio e spacconeria.

«Lady Sif…» Esalò allora Loki, cercando di sembrare il più naturale possibile. «Cosa ti porta qui?».

Lei lanciò un’occhiata curiosa alla stanza, quasi come se sapesse già cosa fosse successo lì dentro. «Ero venuta a portarti un ordine da parte della Madre degli Dèi, Loki, ma prima di entrare ti ho sentito urlare. Nascondi forse qualcosa?».
Loki trovò particolarmente fastidioso il modo saccente e sospettoso con cui Sif aveva posto quella domanda ma, nonostante ciò, cercò di cambiare discorso il prima possibile.

«Non ho proprio nulla da nascondere, mia cara Sif. Come puoi ben vedere, qui dentro non c’è niente di strano, è tutto esattamente come sempre. Dunque, se non ti dispiace, vorrei sapere in cosa consiste l’ordine di mia madre».

Sif non sembrò credere alle sue parole: al contrario sembrava essere lì per lì per frugare in ogni angolo della stanza in cerca di prove. Quando però Loki le lanciò un’occhiata di fuoco, la skjaldmær* sembrò calmarsi e si decise a parlare.

«La Regina Frigga vuole parlarti di una cosa importante, ti aspetta nella Sala di Riposo del sommo Odino. Purtroppo non sono a conoscenza di cosa, di preciso, ma presumo si tratti di Thor, ragion per cui farai meglio a sbrigart— ehi, cos’è quello?!» Prima ancora che Loki comprendesse cosa stesse succedendo, Sif si avventò con uno scatto degno delle migliori pantere sull’oggetto del misfatto, ed esultò di depravata gioia quando si rese conto che quello che teneva in mano era un corpetto femminile. Precisamente, quello di Emily.

«Lo sapevo che nascondevi qualcosa, principe delle Menzogne!» Gioì godendosi l’espressione  impietrita e pallida di Loki, che fissava quell’indumento come se fosse stato un pentapalmo in procinto di attaccare.

«Quello… quello è…» Biascicò lui, cercando di trovare una scusa. «Quello è di mia madre, sì. E’ proprio suo! Infatti, stavo giusto per andare a restituirglielo. Per cosa credi ti abbia mandato da me? Voleva che glielo restituissi, ovviamente. Dunque mi ritengo particolarmente offeso dalle tue accuse, Lady Sif.» Improvvisò Loki, assumendo l’espressione più indignata e alterata che la sua faccia gli consentisse di fare.

«Certo, e come mai, di grazia, si trovava qui? A meno che tu non usi vestiti da donna – cosa che, tra parentesi, io ho sempre sospettato facessi – non riesco proprio a comprendere quale sia la sua utilità» Lo rimbeccò Sif, con un sorriso sornione che andava da un orecchio all’altro.

Loki boccheggiò e sentì il proprio cuore aumentare i battiti. Lanciò istintivamente un’occhiata furtiva all’armadio dietro di lui, sperando che Emily non commettesse qualche follia e uscisse allo scoperto, e tirò un sospiro di sollievo quando si rese conto che non l'avrebbe fatto.

«Si trova qui» Iniziò dunque a spiegare, sperando di sembrare convincente. «… perché si era rotto ed io mi ero prodigato a risistemarlo. Non c’è nulla di scandaloso o eclatante, Sif. Inoltre, trovo che il tuo sia un atteggiamento che ti si addice proprio: spregiudicato e maleducato, affatto adatto a quello di una Lady. Chissà, forse ti farebbe più piacere essere soprannominata Sif il guerriero, piuttosto che Sif la guerriera».

La risposta di Sif fu repentina: sguainò la spada e la puntò al collo del principe di Asgard che, aspettandosi quella reazione, restò impassibile.

«Attento Loki, non ti conviene provocarmi: sappi che qui dentro sono io quella con il coltello dalla parte del manico» Sibilò, tagliente come la lama della sua spada.
«E allora non immischiarti in affari che non ti riguardano» L’ammonì l’altro, lo sguardo da prima canzonatorio e derisorio adesso divenuto affilato come un rasoio. «Ora, se permetti, desidererei parlare con mia madre. Dunque, sei congedata; grazie per i servizi resimi questa mattina, non ho più bisogno di te».

Sif lo guardò di traverso, gli occhi verdi sembravano mandare saette tanto era infuriata, ma infine ripose la spada nella federa e se ne andò chiudendo forte la porta dietro di sé. Solo quando Loki udì i suoi passi pesanti allontanarsi dalla camera, si lanciò verso l'armadio dove stava Emily , aprendolo velocemente, per trovarla che, avvolta in quel lenzuolo parecchio più grande di lei, sembrava la parodia mal riuscita di una mummia.

Si fissarono per alcuni secondi in silenzio, senza osar proferire parola, fin quando Emily iniziò a ridere sommessamente, finché il risolino si trasformò in una risata vera e propria che sembrava non finire mai. Loki cercò di restare serio, come se mantenere quell’espressione distaccata e di rimprovero rendesse la situazione meno ilare di quanto non fosse già, ma anche lui non riuscì più a trattenersi dallo scoppiare a ridere.

Entrambi sembravano essersi completamente dimenticati della discussione di poco prima e, anche nel caso se la ricordassero, non pareva che avessero affatto voglia di riesumarla tanto erano presi dalle risate.

«Ci pensi alla faccia di Sif se ci avrebbe scoperti?» Sogghignò la rossa paonazza in viso mentre usciva dall’armadio e si rimetteva i propri vestiti.

Loki rise. «Credo che per lei sarebbe stata più grande la sorpresa nell'apprendere la mia vita sessuale, piuttosto che sapermi con te».

Emily gli lanciò un’occhiata di sottecchi mentre cercava di sistemarsi i lunghi e gonfi capelli in una treccia – dalla quale uscivano ciuffi rossi da tutte le parti – e Loki alzò un sopracciglio nel vederla più disordinata di prima quando ebbe finito.

«Come sto?!» Domandò lei, evidentemente soddisfatta per essere riuscita a raccogliere tutta quell’enorme matassa di riccioli rossi in un’unica treccia.
Lui le si avvicinò e, con velocità e quasi con fastidio, le sciolse i capelli – ignorando bellamente le proteste della ragazza che lo malediceva in tutte le lingue possibili per averle slegato, dopo la sua enorme fatica, il nastro che teneva insieme l’acconciatura.

«Come ti ho già detto » Incominciò allora Loki «sono dell’idea che i capelli sciolti ti donino di più. Dunque, questo lo prendo io» Soffiò, mettendosi il nastro azzurro nella tasca dei pantaloni.

Emily incrociò le braccia al petto, piccata: «Guarda che io mi acconcio i capelli come più mi aggrada» disse. «Rendimi subito il mio nastro, Loki. Io faccio quello che voglio!».

«Questa frase mi pare di averla già sentita…».

«Loki, ridammi quel nastro».

«Non credo lo farò».

«Loki, rivoglio indietro quel dannato nastro! ORA!» Gridò la ragazza cercando di saltargli addosso, ma Loki la scansò con facilità e, una volta preso il nastro dalla tasca, gli fece prendere fuoco proprio davanti gli occhi  azzurri di Emily, che rimase sconvolta.

«Dimmi che non l’hai fatto sul serio».

«Credo di doverti deludere».

«Tu, brutto... ».

«Risparmiati la tua ira per dopo, Emily.» La canzonò Loki. «Adesso non è proprio il momento: devo andare dalla Madre degli Dèi per risolvere alcune questioni, tu invece muoviti ad uscire di qui: presto verrà la governante a riordinare i letti e non credo sarà molto lieta di vederti…» Disse con voce melliflua e quasi annoiata mentre si dirigeva con passo spedito verso l’uscita della stanza.

«Eh, no!Questa me la paghi!!» Sbraitò lei, e irata fece per saltargli addosso, ma quando saltò per aggrapparsi alle sue larghe spalle, questo scomparve e lei rovinò a terra con un tonfo. Solo dopo alcuni secondi sembrò comprendere cosa fosse successo.

Un'illusione. Una stramaledettissima illusione.

Fece appena in tempo ad accorgersene che Loki era già fuori dalla stanza e, con baldanzosa spacconeria e un sorrisetto soddisfatto sulle labbra, si rigirava il nastro azzurrino di Emily tra le dita – che non si era accorta che in realtà la sua fosse stata solo una messa in scena e il nastro lo avesse ancora lui.
Mentre si avviava verso la fine del corridoio, Loki si fece sfuggire un sorrisetto divertito quando udì l’urlo esasperato di Emily provenire da dietro sé.
 

 ∞


«Loki, vieni qui».

La voce della regina arrivò così chiara e limpida alle sue orecchie che, nel sentirla, il dio alzò repentinamente il capo verso di lei e la fissò con occhi curiosi e attenti. Poi si avvicinò e il suo sguardo cadde su ciò che teneva in mano: un fazzoletto. Un candido e setoso fazzoletto che, probabilmente, era servito per asciugare le lacrime della sovrana. Allora Loki voltò il capo si verso destra, esattamente nell’esatto punto in cui suo padre – non riusciva ancora a definirlo diversamente, dormiva beato e sospirò profondamente.

Alla fine, il Padre degli Dèi era caduto nel Sonno di Odino.

Loki sapeva che prima o poi sarebbe successo – succedeva ogni anno, in fondo – ma adesso che il problema gli si era presentato davanti con così tanta prepotenza e irruenza, si era reso conto che non era ancora pronto. Aveva bisogno di più risposte, ne necessitava, e l’unico a potergliele dare era solamente Odino. E adesso lui non c’era. Non più.

Non è mica la prima volta, disse una vocina fastidiosa dentro di sé e Loki, seppur controvoglia, non poté fare a meno di darle ragione. Non erano molte le volte in cui suo padre era venuto in suo soccorso, o perlomeno lui ne ricordava molto poche. Diceva sempre “Dovete essere in grado di cavarvela da soli, Asgard sarà in mano ad uno di voi un giorno, ed io non sarò lì a proteggervi quando qualche nemico attaccherà il vostro Regno”, ma in realtà lui non c’era mai realmente stato. Era sempre stata una figura sfuggevole, più un Re che un padre, e alla fine Loki aveva imparato a cavarsela da solo; a capire quale fosse il giusto e quale il bene, cosa fare o non fare senza l’ausilio di nessuno se non di se stesso.

Nonostante ciò, nella sua mente si affollavano già troppi pensieri per poter dar retta anche a quello, e dunque Loki lo accantonò in un angolo remoto della sua mente, come aveva sempre fatto.

Volse nuovamente lo sguardo verso sua madre, il volto segnato dall’età e dall’angoscia era ancora bello come quello di una rosa, e di nuovo dentro di sé sentì farsi largo quella fastidiosissima vocina che gli domandava come avesse potuto lei, che lo aveva sempre tanto amato, mentirgli per tutto questo tempo. Perché per quanto la cosa lo infastidisse e lo facesse arrabbiare, per quanto nella sua mente fosse ancora vivo e scalpitante il ricordo di Frigga che gli carezzava le guance, baciandogli i capelli quando tornava sudato e trasandato a palazzo da bambino, per quanto le sue parole erano ancora vive e chiare nella sua mente  “Sei sempre il mio bambino, Loki. Ti amo proprio come amo tuo fratello Thor “  Loki dovette ammettere a sé stesso che anche lei, alla fine, gli aveva mentito come tutti gli altri. 

«Sono qui».

Le si avvicinò ulteriormente, con passo volutamente lento, e Frigga gli regalò uno dei suoi sorrisi amorevoli che lui aveva sempre trovato tristi: quello stesso sorriso che gli rivolgeva da bambino quando le chiedeva perché non potesse andare a giocare nella neve come tutti gli altri.

«Le tue mani sono molto fredde, figlio mio...» Gli sussurrò con voce flebile e bassa quando portò una delle sue mani sul suo viso.

Loki non ritrasse la mano, né rispose a quella osservazione. Si limitò ad osservare in silenzio le dita affusolate della madre che accarezzavano con dolcezza le sue, a sentire il calore che la sua guancia vellutata gli infondeva e si confondeva con il freddo delle proprie mani, a sospirare di tristezza quando si rese conto di non poter fare nient’altro. Quando Frigga lasciò la presa, Loki ebbe come la sensazione che qualcosa, dentro di sé, si fosse spezzato. Probabilmente, si disse, si trattava del cuore. Ma poteva il cuore di un Gigante di Ghiaccio spezzarsi?

«Sapevamo che questo giorno sarebbe giunto prima o poi. Ma adesso che è qui non so se sarò così forte da riuscire ad affrontarlo…» Frigga lo guardò, e Loki vide dentro i suoi occhi una stanchezza e un’afflizione tale da lasciarlo interdetto per alcuni secondi: sua madre stava male, era stanca, ma continuava a reggere le redini di un Regno ormai prossimo alla rovina, che sarebbe presto caduto in mano ad una guerra contro Jötunheimr che, in assenza di Odino, forse non sarebbero riusciti a vincere. Solo in quel momento Loki si rese conto del fatto che, a parer suo, quell’idea non era poi così male e che, anzi, lo allettava parecchio. Se lo meritano, si disse,  magari riusciranno a comprendere un minimo il dolore che mi hanno fatto passare in questi anni. 

Poi però rincontrò lo sguardo angosciato di sua madre, e allora Loki si disse che no, lei non lo meritava.

Poi Frigga parlò: «Gli ho chiesto di essere sincero con te sin dall'inizio. Non ci dovrebbero essere segreti in una famiglia».

Nell’udire quelle parole Loki sentì il proprio cuore mancare un battito: era uscito quel discorso, alla fine. Dunque ne era già a conoscenza.
Nonostante ciò, cercò di mantenere il contegno che non era riuscito ad avere con Odino nella Camera delle Armi e la scrutò con attenzione; voleva le sue risposte, il principe di Asgard, e forse la moglie di Odino era l’unica a potergliele fornire.

«Perché quella bugia?».

Colpita e affondata.
Esattamente come una nave presa di mira da un attacco dell’hafgufa*, Loki vide il viso di sua madre cambiare espressione, diventando una maschera di tristezza e pentimento.

«Ti ha tenuto nascosta la verità per non farti sentire diverso. Tu sei nostro figlio, Loki, e noi siamo la tua famiglia. Questo lo sai.» Fece una pausa, e accarezzo una delle mani di Odino mentre gli sorrideva amorevole. «Parlagli. Può ancora vederci e sentirci» Frigga volse il suo sguardo verso di lui, come ad invitarlo a farlo, ma Loki non riuscì a proferire parola. «Quanto resisterà?» Le domandò a un tratto.

«Non lo so, questa volta è diverso. Eravamo impreparati.» Loki, seppur con reticenza, notò che la sua voce stesse tremando. Era strano, pensò: aveva sempre visto sua madre come una donna forte e impossibile da piegare ma adesso che Odino era caduto nel suo Sonno, sembrava che tutte le sue certezze, la sua forza d’animo e la sua imponenza fossero sparite di colpo. Volse nuovamente il proprio sguardo verso suo “padre”, quasi a volersi accertare che stesse davvero dormendo, ed ebbe la sensazione di aver appena ricevuto una stilettata al centro del petto quando ricordò cosa gli avesse rinfacciato prima che lui perdesse i sensi.

Non gli aveva mai parlato in quel modo prima di allora.

«Non mi abituo mai a vederlo così. L'essere più potente dei Nove Regni che giace indifeso, finché il suo corpo non si riprende…» Sussurrò, continuando a fissare il corpo esamine del Padre degli Dèi.

«Ha rimandato così a lungo che ora temo...» La voce di Frigga si spezzò e Loki alzò istintivamente il suo sguardo su di lei, che gli sorrise mestamente. «Sei un bravo figlio. Dobbiamo continuare a sperare che tuo padre torni da noi. E anche tuo fratello.»

Loki sentì un brivido salirgli lungo la schiena: Thor non doveva tornare. Era fuori discussione!

«Quale speranza c'è per Thor?» Chiese, cercando di controllare il suo tono di voce il più possibile.
«Esiste sempre un disegno in ogni decisione di tuo padre. Thor può ancora trovare un modo per tornare».

Quelle parole lo infastidirono, perché il solo pensiero che ci fosse una piccola possibilità che Thor potesse tornare e che tutto ritornasse esattamente come prima era un’idea impensabile per lui. Impossibile da accettare o anche solo ascoltare. Thor era stato esiliato, era lontano da Asgard ed è lì che sarebbe dovuto rimanere.
Senza aggiungere altro Loki fece per alzarsi e andarsene via dalla sala, ma improvvisamente le porte si spalancarono, mostrando una schiera di guardie inchinate in sua presenza.

Un sacerdote si avvicinò con andatura veloce e impacciata e, quando gli fu abbastanza vicino, Loki constatò con malcelata sorpresa che ciò reggeva in mano altro non fosse che la lancia di suo padre, Gungnir*. Quando si inchinò al suo cospetto porgendogli la lancia, Loki – decisamente confuso e impallidito – si voltò verso Frigga e le lanciò uno sguardo interrogativo.

«Thor è stato esiliato. Sei tu il suo diretto successore. Finché Odino non si sveglierà, Asgard è tua. Rendi orgoglioso tuo padre. Mio Re.».
Con il cuore che sembrava stesse per scoppiargli nel petto, Loki posò le mani su Gungnir e la strinse. Aspettò qualche secondo, quasi temesse che diventasse incandescente come il Mjolnir, ma quando si rese conto che la lancia non opponeva alcuna resistenza Loki sorrise: il sorriso vittorioso di chi ha appena raggiunto il suo scopo.


Inginocchiatevi dinanzi al Re di Asgard.

 

 
 
 





Note dell’Autrice.


Non ci credo nemmeno io ma ebbene sì, eccomi qui. Non sono morta – per vostra sfortuna (?)

Dunque, come avrete notato questo è un capitolo parecchio più leggero rispetto al precedente, e soprattutto è un capitolo di transazione ossia è una sottospecie di antecedente – ma va? – a ciò che verrà dopo. Motivo per cui è parecchio più corto dei precedenti – tranquilli, mi rifarò col prossimo. LOL
Cooomunque, mi sono divertita davvero moltissimo a scrivere questo capitolo! Soprattutto la scena in cui entra Sif. Personalmente, credo che se fossi stata in Emily sarei scoppiata a ridere a crepapelle, altro che silenzio…
Anyway, le frasi dello scorso capitolo erano un bel po’ ma nessuno di voi è riuscito ad indovinarle! Vergogna!! Ahahah :)

Dunque, ve le elencherò quaggiù:

•  « Buona notte, dolce principe. E che voli di demoni ti conducano al tuo riposo».
• «Non posso vivere senza di te, preferirei morire che vivere senza te... non posso sopportare che mi guardi come hai fatto, non posso sopportare che non mi ami!».
Mi chinai e le baciai il collo e le guance dicendole: «sì sì mia cara».


Queste due, sono prese dal famosissimo libro di Anne Rice: “Intervista col Vampiro”, se non lo conoscete ve lo consiglio caldamente! E’ meraviglioso!

« Si appoggiò a me e quando chiusi gli occhi, capì che tutto quello che desideravo era tenerla tra le mie braccia per sempre»
Questa, invece, è di Nicholas Spark.


«Scusami, la mia mano dev'essere veramente fredda».
«...Si lo è, ma mi piace, mi piace così, mi piace sapere... che sarò io a riscaldarla».


Mentre questa meravigliosa citazione invece è di Suzuko Elric, una bravissima cosplayer italiana a cui ho gentilmente chiesto se potevo usarla, dato che è davvero stupenda. Lei, gentilissima, me l'ha concesso! Facciamole tutti un applauso di 92 minuti. <3 <3


Ed infine, la Leggenda del Filo Rosso del Destino esiste sul serio, basta cercarla su Internet. Non so chi l’abbia inventata, ma credo che inizialmente fosse una leggenda cinese e poi divenuta giapponese… ad ogni modo io la reputo meravigliosa!
 


Inoltre in questo capitolo, come avete potuto notare, ho inserito alcuni termini tipici della mitologia nordica: qui sotto, vi riporterò il significato di ognuno di essi. Non vi nascondo di essermi parecchio divertita a cercarli!!
 
•  1)Una skjaldmær (sköldmö in svedese, skjoldmø in norvegese), nota in inglese come shieldmaiden, nella mitologia norrena, era una vergine che aveva scelto di combattere come guerriero.
 
•   2) Sebbene il nome kraken non appaia mai nei testi della mitologia norrena, le sue caratteristiche possono ricondursi a quelle dell'hafgufa, descritto nella Saga di HYPERLINK e nel KonungsHYPERLINK . In questi testi si parla dell'hafgufa come di un mostro marino talmente grande da poter essere scambiato per un'isola quando si trovava in superficie.
 
•  3)Gungnir (altre dizioni sono Gungni, Gungner e Gungrir, il termine in norreno significa letteralmente "implacabile") è, nella mitologia norrena, la lancia di Odino.
 
 
Grazie ancora per aver letto il capitolo! Se vi va, lasciatemi un parere al riguardo!
Se volete mettervi in contatto con me, qui sotto vi linko il mio contatto Facebook e Ask. Fm:

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Un'altra persona che ci terrei a nominare - manco stessi facendo un discorso per gli Oscar -  è 
Evilcassy, un'altra bravissima autrice di fanfiction, nonché compagna di scleri su Loki e la Marvel in generale, che mi ha aiutata moltissimo sia per la scelta del titolo, sia per il betaggio! Come le ho già ripetuto più e più volte, prima o poi le dedicherò una statua. E' deciso.
Fate un giro tra le sue storie! Scrive bellissime clintasha e, ultimamente, una meravigliosa Long su Loki\OC: The Seventh.  Se non la conoscete, andate subito a leggerla!



 Al prossimo capitolo! Baci! :)

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Capitolo 20
*** This is War. ***


~This is War.

Un avvertimento al profeta
al bugiardo, all'onesto
Questa è la guerra
per il capo, il paria,
la vittima, il messia
questa è la guerra.

This is War – 30 Seconds to Mars.


 

ECCO IL TRAILER DELLA STORIA! :))
LINK:
http://www.youtube.com/watch?v=1T2lMF3JVlk


 

 
Se c’era una persona che a Sif proprio non piaceva, quello era Loki.

Non sapeva di preciso quando aveva iniziato a detestarlo, probabilmente dalla prima volta che l'aveva visto , ma la cosa aveva raggiunto i suoi massimi vertici dopo che le aveva tagliato i capelli, i suoi bellissimi capelli biondi. Lo aveva fatto con uno stiletto regalatogli dai nani, mentre lei dormiva e non poteva accorgersi di ciò che le stesse accadendo, come i ladri che si nascondono nell’oscurità della notte per non essere colti con le mani nel sacco.
 E lui, alla fine, aveva rubato i suoi bellissimi boccoli biondi, recisi senza lasciarle la minima possibilità d’appello e rendendola diversa da tutti gli altri.

Brutta.

Quando si era risvegliata, sentendosi la testa stranamente leggera, aveva istintivamente portato le dita lì dove solitamente trovava i riccioli. Ma quando si era accorta del fatto che non c'erano piùaveva gettato uno strillo di puro terrore, giungendo un attimo dopo alla conclusione della tremenda verità: non era rimasto  che un corto e asimmetrico taglio a spazzola, nero come la pece. Del biondo che una volta regnava sui suoi lineamenti fini e femminili non c’era più la minima traccia, era scomparso insieme alla notte.

A nulla sarebbero servite le lacrime, le urla e gli strepiti;  la realtà era una e una sola soltanto: i suoi capelli non sarebbero più tornati come quelli di una volta. Sarebbero ricresciuti, certo, ma  mai più del colore del grano che le piaceva tanto da renderla orgogliosa, una volta tanto, di essere nata femmina. Non avrebbe più rivisto quei riflessi dorati e rossicci accarezzati dal sole a picco e il biondo non sarebbe più riemerso dal fango dopo le lotte con Thor, Hogun, Fandral e Volstagg.

Sarebbero stati neri, come il cuore di Loki.

Sif ricordava bene quando aveva scoperto che era stato lui a tagliargli:  la mattina stessa dopo il misfatto, quando quel lupo era tornato a rivendicare il suo premio con un sorriso tronfio sul muso, come se vederla star male gli procurasse una gioia immensa. Rammentava lo sguardo verde soddisfatto ed il ghigno canzonatorio, pieno di perversa felicità mentre si avvicinava per sfiorarle il viso pallido con le dita, compiaciuto.

«Che peccato, Sif» Aveva detto, velenoso. «Sono certo che a Thor quei tuoi capelli così chiari e biondi piacevano davvero tanto. Ma sai, quello che hai fatto è sbagliato: spingere Emily nel fiume  ben sapendo che non sappia nuotare non è stato un atto molto onorevole da parte tua. Inoltre, conosci bene la legge di Asgard: occhio per occhio, dente per dente.» Le sua voce era perfida e melliflua, e Sif non riuscì mai più a dimenticare la rabbia e l’odio che l'aveva investita nel comprendere che fosse stato lui a reciderle i capelli e ad umiliarla, a farle subire quell'affronto.

Fu una rabbia così intensa chesentì tutti i muscoli contrarsi in uno spasmo e il cuore saltare diversi battiti. Il viso divenne paonazzo e le mani tremarono in modo a dir poco convulso, ma nonostante ciò Sif non si mosse né lo picchiò, e rimase ferma lì, impotente: le braccia ormai percorse da fremito continuo e gli occhi inchiodati a terra.

Si era domandata per giorni perché Loki avesse compiuto quel gesto e a quale fosse stata la causa scatenante, e nonostante trovasse ogni volta una scusa diversa, tutte finivano sempre nella stessa direzione: lo aveva fatto per quella bambina, quel piccolo mostriciattolo più simile a una volpe che ad un’asgardiana, ecco perché – o meglio, per chi.

Sif ricordava di essersi chiesta più volte se fosse davvero possibile che quel lupo con le sembianze di Áss* potesse davvero provare un sentimento di protezione per quella poppante così apparentemente benvoluta da tutti – ma che a detta sua non aveva niente di particolare o singolare, e, irata, si era detta che non fosse giusto che le venissero date tutte quelle attenzioni poiché era solo una mocciosa come tutte le altre che non sapeva nemmeno tenere in mano una spada. Dunque non riusciva a comprendere perché Loki fosse arrivato a tanto per lei, né perché Thor sembrava volerle così tanto bene.

Le tornò alla mente che fosse stato proprio a causa dell'invidia per il legame con Thor che l’aveva spinta nel fiume, che le si manifestava dentro quando vedeva il suo migliore amico rivolgerle tutte quelle attenzioni. La stessa invidia che provava quando gli altri tre amici giocavano con Emily e si dimenticavano della sua esistenza, e del senso di ingiustizia che provava nell'essere messa da parte perché loro avevano trovato un nuovo “giocattolino” con cui trascorrere il tempo. E’ ingiusto, si ripeteva, perché stanno con lei, che sa solo lagnarsi e frignare, quando potrebbero giocare con me? Cos’ho io in meno di lei?

Sif si era ripromessa di farla pagare a Loki, che sarebbe riuscita a vendicarsi sia di lui che di quell’altra dannata mocciosa. Avrebbe avuto la sua rivincita e tutti sarebbero tornati a considerarla la Sif bella e coraggiosa di sempre, non più la povera bambina a cui avevano tagliato i capelli per sgarbo e con la magia, e Thor avrebbe certamente smesso di dedicare le sue attenzioni a quella Emily e sarebbe tornato a giocare con lei, come era giusto fosse.

Ma poi lo osservava mentre scherzava con lei, notava il sorriso che le rivolgeva e l’evidente felicità che si dipingeva nei suoi occhi azzurri mentre le stava accanto, e allora si accorgeva che sarebbe stato tutto inutile, stupido anche solo a provarci, sfavorevole ed infamante.

Non era mai stata una ragazza che si arrendeva facilmente; al contrario: lottava come una leonessa per raggiungere i propri obbiettivi, sino a quando non riusciva a toccarli, prenderli e superarli per porsene dei nuovi. Ma questa volta la realtà le si era abbattuta sulle spalle con una violenza e una forza tale da far male, e anche con le parole e la forza fisica i tentativi di riuscire a conquistare un premio irraggiungibile si erano mostrati vani. Combattere era inutile e l'unica via d'uscita sembrava quella di ignorare il problema sforzandosi di dimenticarlo perché non vi era niente di peggio che  il sentirsi dei perdenti nonostante i propri sforzi per raggiungere e tagliare il traguardo di qualcun'altro; quando si perde l'ennesima battaglia contro sé stessi perché la realtà è divenuta troppo grande da abbattere o cambiare.

Quindi aveva deciso di lasciar perdere, convincendosi che alla fine Thor non era nemmeno così forte e bello da meritarsi tutte quelle attenzioni, e dignitosamente era rimasta nell’ombra di qualcuno che, per ottenere quello per cui lei aveva lottato per così tanto tempo, non aveva dovuto neppure muovere un dito o provare a farlo. E mentre gli anni passavano, Sif non si rendeva conto che la sua anima stesse diventano sempre più nera e arrabbiata, quasi come se con le sue ciocche chiare le avessero reciso anche la speranza e la voglia di lottare.
 
Ripensava a tutto ciò mentre, seduta sul solito divanetto in velluto bordeaux  di una sala del palazzo, osservava Fandral e Volstagg cimentarsi nell’ennesimo battibecco. Uno dei soliti, stupidi motivi, ma stavolta né lei né Hogun avevano voglia di intervenire per fermarli e adesso Fandral stava per rimetterci un braccio a causa di una presa di Volstagg più forte delle precedenti.

Nella foga della lotta, Volstagg urtò accidentalmente un tavolino lì accanto, che a sua volta colpì un vaso che cadde a terra frantumandosi in mille cocci, il tutto scatenando un rumore assordante che distolse la guerriera dai suoi pensieri e la fece scattare sull’attenti infervorata.

«Adesso basta voi due!» Esclamò, gli occhi verdi che sembravano due tizzoni ardenti.

Volstagg e Fandral si immobilizzarono per la sorpresa e, con ancora le dita di entrambi chiuse nel collo dell’altro, osservarono con sincero stupore il viso di Sif come se la vedessero per la prima volta.

«Non è questo il modo di comportarsi mentre Thor è bandito! Dovremmo aiutarci tra di noi, non dare vita a inutili dispute!».

Storditi, Fandral e Volstagg si scambiarono un sguardo allibito e subito entrambi si rimisero in piedi in quattro e quattr’otto, scrollandosi di dosso della polvere dalle rispettive armature, borbottarono qualcosa che Sif non riuscì ad afferrare per poi ricominciare a scrutarsi in cagnesco restando entrambi sulla difensiva, senza mostrar segno di volersi attaccare.

«Dobbiamo trovare il modo per far tornare Thor ad Asgard» Esalò a un tratto Hogun, scuro in volto, avanzando verso il caminetto con passo spedito.
Sif annuì. «Ma come possiamo fare? Avete sentito Loki, ha detto che è stato Odino stesso a bandirlo e  non possiamo opporci al suo volere».

«Opporci no, ma farlo ragionare sì» Osservò Fandral, massaggiandosi il braccio. «Per le Norne, Volstagg: mancava poco e mi rompevi il braccio!» aggiunse rivolto all'altro scoccandogli un'occhiata fulminate.

«E ti sarebbe andata pure bene, razza di idiota! Prova un’altra volta a darmi del ciccione borioso e vedi dove te lo ficco quel tuo dannato braccio!» Fu la rabbiosa risposta.

Fandral aprì la bocca per replicare, ma Sif li zittì tutti e due con un solo 'SILENZIO!' che non ammetteva repliche, e i due Guerrieri furono costretti a mordersi la lingua per evitare di mandarla  su tutte le furie. Dal canto suo, Sif iniziò a massaggiarsi la sella del naso mormorando parole decisamente inadatte alla bocca di una Lady, mentre cercava di imporsi di non prenderli entrambi a ceffoni. Dopodiché, alzò gli occhi su di loro e li inchiodò con uno sguardo che sembrava dire “un’altra parola e giuro che vi scuoio vivi a tutti e due”.

Calò un silenzio un po’ teso nella sala, rotto solo dallo scoppiettare delle fiamme e lo bruciacchiare del fuoco, finché Volstagg parlò. «Dovremo parlarci» Esalò, lanciando occhiate di sottecchi a Sif per paura che potesse saltargli al collo da un momento all’altro. «Dirgli di farlo tornare, che senza di lui il Regno è in grave pericolo!».
«Invero, il pericolo lui l’ha portato.» Obiettò Fandral, oggettivo.
«Non è il momento di perderci in dettagli!».
«Tu li chiami dettagli questi?!».
«Io li chiamo come mi pare!».
«Vogliamo provare a vedere dove te li ficco quei tuoi dannati dettagli?!».
«Fatti sotto, principino!».
«Brutto ciccione, io ti--».
«RAGAZZI!».

Erano a pochi centimetri di distanza, pronti a darsi di nuovo battaglia, quando Sif si avventò su di loro e gli caricò un pugno in testa ciascuno, ammonendoli che la prossima volta la botta sarebbe stata lì dove non batteva il sole. Nessuno dei due osò più proferire parola.

«Credo dovremo almeno provarci, Sif. E’ una questione urgente, senza di Thor il trono spetterebbe di diritto a Loki e dubito che Asgard, con una guerra contro Jötunheimr  in vista, sarebbe al sicuro con un sovrano come lui. Inoltre, Thor da esiliato non può fare molto per aiutarci e sappiamo tutti che Il Padre degli Dèi è ormai prossimo al cadere nel suo Sonno. Capisci la gravità della situazione, adesso?» Hogun le sussurrò appena quelle parole, ma alle orecchie dei presenti giunsero forti come un grido: il solo pensiero di Loki sul trono e di una possibile vincita da parte di Jötunheimr faceva inorridire tutti quanti.

Istintivamente, Sif sentì un brivido salirle lungo la schiena e subito chiuse gli occhi come a voler scacciare via quei pensieri. Asgard non poteva avere un sovrano come lui, era assurdo il solo pensiero; sarebbe stato come consegnarsi al nemico.

Poi, improvvisamente, capì cosa dovesse fare.

«Muoviamoci, forza. Dobbiamo andare a parlare con Odino prima che sia troppo tardi!».

Tutti la seguirono senza fiatare.
 


Loki accarezzava con malcelata compiacenza Gungnir tra le sue dita affusolate.

C’era qualcosa di magico in quello scettro, e non si trattava solo dell’enorme potere che conteneva: Loki lo aveva notato, in fondo era pur sempre un incantatore, di queste cose ne era un maestro e sapeva come funzionavano. Sentiva qualcosa scorrergli nelle vene quando la stringeva e provava come una sensazione di eterna estasi quando la osservava in tutta la sua magnificenza: Gungnir non era solo una semplice lancia, bensì qualcosa di più. Qualcosa di cui non riusciva più a fare a meno.

Erano passati solo tre giorni da quando sua madre gli aveva conferito il titolo di Sovrano di Asgard, e lui si sentiva già il più potente dei Re, come se quel trono fosse stato costruito solo per lui e gli appartenesse di diritto.

Sorrise. In fondo, non era forse così? Non era un asgardiano, questo era pur vero, ma Odino non mentiva quando gli aveva detto che sia lui che Thor erano entrambi nati per essere Re.

Per governare.

Loki era il figlio diseredato di Laufey, e per quanto ciò potesse sdegnarlo, per quanto provasse ribrezzo al solo pensiero, ormai comprendeva la verità e sapeva anche che non poteva mutarla a suo piacimento come per le sue bugie e i suoi inganni. E quando qualcosa diventava troppo brutta o irritante, per poterla eliminare l’unico rimedio era accettarla e trovarne i lati positivi.

In fondo, si diceva, era pur sempre un Principe. Ripudiato, certo, ma comunque di sangue reale e destinato a possedere un Trono. Dunque, se non poteva essere il degno sovrano di Jötunheimr, lo sarebbe stato per Asgard e nessuno avrebbe osato mettergli i bastoni tra le ruote. E anche questa era una solida certezza.
Incredibile quanto la fortuna giocasse a suo favore negli ultimi tempi. Loki si ritrovò a sorridere nel pensare che, a differenza di quanto si potesse pensare, fosse una delle cose più importanti nella vita, quasi quanto il saper leggere o saper fare i calcoli matematici. Chi sosteneva il contrario era un gran falso, poiché per quanto si possedesse una peculiare capacità, era comunque la fortuna a decidere la vittoria o il fallimento. Come in una partita a scacchi: sbagliando a muovere un pezzo davanti ad un avversario distratto, la partita poteva proseguire ininterrotta regalando la mossa giusta per uno scacco matto vincitore, mentre quando l'altro riusciva a comprendere l’errore si veniva messi con le spalle al muro: l'abilità era tutta nel riuscire a togliersi d'impiccio il più velocemente possibile, per non far terminare la partita con la vittoria dell'avversario.

In tanti pensavano fosse l’abilità del giocatore a decidere o meno la vittoria, ma si sbagliavano: nel momento stesso in cui si attende la mossa dell'altro non si ha la benché minima idea di quale sia la pedina scelta, se l’alfiere o il cavallo, e dunque tutto resta nelle mani del fato. Per quanto il nostro avversario possa essere abile nel gioco degli scacchi, vi è la possibilità di una distrazione o di una mossa errata che regalerebbe la possibilità di un passo vincente, di ribaltare la situazione e vincere la partita.

Il tutto stava nella direzione che la fortuna intendeva intraprendere.

Per questo quando Loki vide arrivare dinanzi a sé la cerchia di idioti che idolatrava Thor non poté fare a meno di sogghignare sommessamente e pensare a quanto invece loro, di fortuna, ne avessero davvero poca.

«Padre degli dèi!» Esordì Sif dirigendosi velocemente verso di lui, capo chino e mano destra stretta al petto. «Dobbiamo parlare con voi urgentemente!».
Quando però la Dea della Guerra alzò lo sguardo per incontrare quello del proprio Re, Loki dovette trattenersi dallo scoppiarle a ridere in faccia: la sua espressione spaesata e sbigottita era il miglior premio a cui potesse mai ambire, vedere quegli occhi verdi così belli, dannatamente disorientati e confusi gli infondeva un senso di supremazia assoluta che lo portò a incurvare le labbra in una smorfia soddisfatta.
Ripensò a tutte le angherie che quella vipera velenosa e la sua schiera di amici gli avevano riservato da giovane, ai suoi occhi chiari pieni di disprezzo e disgusto, agli scherzi crudeli , e un sorriso gli si dipinse sul viso: un sorriso sghembo, sadico e affilato, che somigliava più a un ghigno.

Il sorriso di chi sta per fare scacco.

«Miei… amici» Pronunciò quelle parole con lentezza, quasi come se lui stesso faticasse a farle uscire dalle sue labbra, e ciò non fece altro che renderli nervosi: ritrovato l’uso della parola, si precipitarono verso di lui con occhi colmi di apprensione e le sopracciglia aggrottate.

«Dov’è Odino?!» Quasi le urlò quelle parole, Fandral, e Loki provò una profonda compiacenza nel rispondere, quasi come se non avesse aspettato altro. Assunse l’aria più afflitta che il suo viso affusolato potesse contrarre e la sua voce assunse automaticamente una sfumatura tremolante e ambigua che sarebbe potuta sembrare quella di qualcuno prossimo alle lacrime, che non riesce a parlare per l’emozione se solo non fosse stato evidente che di angoscia Loki non ne avesse in nessuna parte del corpo.  Nonostante ciò, nessuno avrebbe immaginato che quella del Dio degli Inganni fosse euforia, o meglio, felicità; una malata e perversa felicità causata dalla sensazione di rivalsa verso quegli inetti che non avevano fatto altro che deriderlo per tutta la sua esistenza.

«Padre è caduto nel Sonno di Odino» Disse, e fece una pausa ben cosciente che tutti stessero pendendo dalle sue labbra e lo stessero ascoltando, forse per la prima volta in vita loro, con attenzione. «Madre teme che possa non risvegliarsi più».

«Vorremo parlare con lei» Aggiunse Sif con tono di sfida.

Loki stridette i denti e rafforzò la presa su Gungnir, come se quel gesto potesse infondergli più coraggio e determinazione e mostrare loro chi comandava.

«Si rifiuta di abbandonare il capezzale di mio padre» Asserì, e la sua voce risuonò mite e risoluta. «Potete rivolgere la questione urgente a me…» Si alzò in piedi, così da poter incontrare i loro occhi mentre gli rivolgeva quelle parole. «… il vostro Re».

Vide gli sguardi da prima spavaldi e insolenti di Sif e i Tre Guerrieri diventare improvvisamente allarmati e nervosi, per poi scambiarsi un'occhiata talmente confusa e disorientata che Loki fu certo che se non ci fossero state le due guardie dinanzi al trono a proteggerlo gli sarebbero saltati addosso. Fissandoli dall’alto del Trono, Loki si sentì forte come non mai e, inebriato dal potere che sentiva scorrersi dentro le vene e dall’egemonia che quel titolo gli conferiva, assottigliò lo sguardo e osservò quelli che una volta chiamava “compagni” come i più miserabili dei parassiti. Poi fece loro un breve cenno del capo e, seppur con reticenza, Sif e i Tre Guerrieri furono costretti a inchinarsi.

«Mio Re» Incominciò a un tratto la guerriera, la voce distorta a causa del sarcasmo pungente che colorava la frase. «La nostra richiesta e di porre fine all’esilio di Thor».

Le labbra di Loki si piegarono in un piccolo sorrisetto di scherno. «Il mio primo ordine non può contrapporre l’ultimo del Padre degli Dèi» disse, avvicinandosi scendendo di alcuni gradini, gli occhi verdi fissi sulle loro figure accovacciate. «Siamo sull’orlo di una guerra con Jötunheimr, il nostro popolo necessita di un senso di continuità per sentirsi al sicuro in questi tempi difficili» La sua voce era bassa e roca, ma da essa traspariva chiaramente una nota di irriverenza, quasi d’arroganza e di sfida. Loki non voleva che Thor tornasse ad Asgard, questo era palese, e Sif e i Tre Idioti dovevano averlo capito già da un pezzo. Ma lui era un bravo attore e in un modo o nell’altro sarebbe riuscito a convincere loro e tutti gli altri asgardiani di non essere lui il cattivo a desiderare ciò, bensì Asgard stessa a volerlo. La pace ad esigerlo!

Gli asgardiani erano un grande popolo: potente, dedito alla guerra e con una grandissima forza fisica, ma non spiccavano in quanto a intelligenza. Bastava irretirli con qualche parolina un po’ più colta, qualche adulazione in più e riuscire a giocare bene le proprie carte che quelli incappavano come mosche nella ragnatela piena di bugie ed inganni che lui aveva tessuto con tanta premura e dedizione. Naturalmente, Loki, tarantola qual era, non si sarebbe di certo lasciato sfuggire l’occasione di cibarsi di loro, poveri sciocchi, che non avevano fatto altro che fare il suo gioco senza neppure saperlo. Li avrebbe soggiogati, si diceva, e alla fine si sarebbero inginocchiati al suo volere.

«Dobbiamo restare uniti» Dichiarò infine con solennità, le labbra ridotte a un filo e gli occhi gelidi. «per il bene di Asgard».

Tra quegli insetti uno sarebbe stato più difficile da intrappolare: colei a cui Loki aveva tagliato i capelli da bambina, che adesso lo guardava come se fosse stato il peggiore dei mostri: Sif. Non era una preda qualsiasi, oh no, era quel tipo di moscerino fastidioso che ronzava attorno alla ragnatela per tutto il tempo ma che nonostante fosse attirata dai ricami e dalle sue finiture non si lasciava catturare. Non si lasciava ingannare. Era lo stesso tipo di insetto che continuava a ronzare, ronzare, ronzare e ronzare e che dava un enorme fastidio al ragno perché impossibile da ghermire.

Era sempre lì, a fissare la ragnatela con aria di sfida, lo stesso sguardo di chi aveva capito l’inganno e non aveva intenzione di cascarci, e continuava a ronzare, ronzare e ronzare sempre in modo più forte e fastidioso.

Era furba, Sif. Unavedova nera piuttosto che una semplice mosca, ma Loki era più astuto  e, soprattutto, era un predatore paziente, e alla fine, con le buone o con le cattive,  sarebbe riuscito a farla cadere nella sua trappola e l’avrebbe mangiata proprio come avrebbe fatto con tutti gli altri sciocchi parassiti. Era solo questione di tempo.

Non si stupì quando la vide scattare in piedi con un’irruenza e ferocia pari a quella di una fiera, né ringraziò Hogun e Fandral per averla tenuta ferma. Semplicemente, si limitò a scrutarla e non distolse lo sguardo dal suo nemmeno per un momento. La rabbia che gli montava in petto era così forte e scalpitante che Loki udì le parole di Fandral lontane come un’eco.

«Sì, certo!» Lo sentì biascicare con un sorriso tirato sul volto falso quanto la sua calma apparente.
«Attenderete la mia parola» Ordinò allora il Re di Asgard, scuro in volto.

Volstagg provò a parlare, le mani grassocce sudate e i piccoli occhietti porcini colmi di apprensione. «Se posso, supplico l’indulgenza di vostra maestà nel riesaminare la questione--».

« È deciso!» Tagliò corto Loki, e la sua voce rimbombò forte tra le mura della sala con un fortissimo eco.

Calò un improvviso silenzio, così pesante e tagliente che il Dio degli Inganni pensò per un attimo potesse restarne ferito. Nonostante ciò non si scompose e non osò distogliere lo sguardo dai suddetti nemmeno quando quest’ultimi si alzarono e se ne andarono con la coda tra le gambe. L’ultima ad uscire fu Sif che, prima di voltarsi, gli dedicò un breve sorrisetto di scherno che Loki non riuscì a decifrare, ma che sapeva già significasse nulla di buono.

Ciò che era certo, pensò, era che la guerra era appena cominciata. E sarebbe stato lui a vincerla questa volta.

Quando lo era venuto a sapere, Emily si trovava a palazzo per sbrigare delle commissioni per Frigga – con la quale aveva ancora un debito da saldare. L’avevano incaricata di portare il cesto della biancheria sporca ai giardini dove si trovavano le lavandaie, ma passando per il corridoio che portava all’uscita del palazzo aveva sentito due ancelle cianciare fra di loro preoccupate e sconfortate, quasi prossime alle lacrime. Subito, si era nascosta dietro un pilastro per sentire cosa si stessero dicendo.

«Suvvia Hlyn*» Diceva quella che aveva l’aria di essere la più grande all’altra, che sembrava davvero scossa. «Sarà solo finché Odino non si risveglierà!».
Ma quella continuava a guardarla spaurita e tremava dalla testa ai piedi. «Ma Fylla*, e se il Padre degli dèi non si risveglierà? Cosa succederà a quel punto? Non voglio che ci sia quel… quel mostro come nostro sovrano! Hai visto i suoi occhi? Sono malvagi. Tutto di lui è sinistro. E poi, a palazzo girano strane voci sul suo conto…».

Emily continuò ad ascoltare in silenzio nonostante sentisse dentro di sé il proprio cuore accelerare i battiti spasmodicamente, quasi come se sapesse già quello di cui le ragazze stessero discutendo. Strinse di più le maniglie della cesta che conteneva la roba da lavare, e istintivamente si sporse un po’ di più verso di loro.

Vide la ragazza più alta, quella dai lunghi capelli biondi legati in una treccia, assumere un cipiglio severo e di rimprovero: «Hlyn! Sai bene che non bisogna parlare in questo modo del principe Loki! Se ti sentissero ti getterebbero nelle prigioni del palazzo!» Da dietro il pilastro, Emily sentì il cuore salirle in gola e gli occhi sgranarsi per la troppa sorpresa, ma quando Fylla continuò a parlare il cervello sembrò spegnersi completamente e la sua attenzione si focalizzò interamente su ciò che la fanciulla stava dicendo. «Adesso lui è il tuo Re, Hlyn, e dunque devi portargli rispetto! Non importa cosa pensi di lui, basta che lo tieni per te!».

Non seppe di preciso che cosa accadde dentro di lei quando udì quelle parole, ma all’improvviso Emily non sentì più le ragazze parlare. A dirla tutta, non riuscì a percepire altro che silenzi. Si sentì improvvisamente leggera, e per un momento non capì più nulla.

Loki … Re di Asgard?

Poi, improvvisamente, Emily razionalizzò e subito le sue dita cedettero sotto il peso della cesta che rotolò a terra con un tonfo. Poi, con una mano premuta sulla bocca per impedirsi di urlare e gli occhi azzurri spalancati, le sue gambe presero a correre quanto più velocemente possibile verso la sala del trono e, ancora prima che potesse soppesasse le sue azioni, aprì i portoni che l’avrebbero portata dentro la camera. Una volta entrata ciò che vide la lasciò senza fiato.

Loki, quel Loki, era seduto pigramente sopra il trono di Odino e nella mano destra reggeva saldamente la sua lancia, Gungnir. Da lontano, Emily accordò la sua figura a quella di una statua.

Quando la mise a fuoco, Loki non disse inizialmente nulla, ma d’un tratto le guardie vennero mandate fuori dalla sala e loro due rimasero soli. Ancora interdetta e confusa Emily avanzò qualche passo verso di lui, ma quando gli fu dinanzi, non seppe precisamente cosa dire o fare.

«Inginocchiati» Disse Loki tranquillamente, ed Emily inarcò un sopracciglio.
«Come, scusa?».
«Fa come ti ho detto, Emily» Ordinò lui, e la rossa sentì un sentimento strano farsi largo dentro di sé e artigliargli lo stomaco, qualcosa di molto simile al fastidio e alla rabbia. Restò in silenzio per alcuni istanti, ma alla fine fece come le era stato detto.
«Vieni qui» Parlò Loki, improvvisamente docile e gentile e sul suo viso si aprì un sorriso sinistro che ad Emily non piacque per niente. «Aspetto da tanto questo giorno…».

Gli si avvicinò lentamente ma mantenne comunque un po’ di distanza. Non sapeva perché, ma improvvisamente tutta l’esaltazione, l’esultanza e persino la gioia che aveva provato qualche minuto prima erano scomparse nel nulla; quasi come se non fossero mai esistite. Guardò Loki e lo vide diverso, strano. Era come se fosse cambiato. In peggio.

«Quando pensavi di dirmelo?» Domandò con voce bassa ma chiara, e Loki girò il capo verso di lei. Poi le sue labbra si allargarono in un sorriso obliquo.
«Quando avrei avuto intenzione di farlo» Dichiarò, ed Emily sentì nuovamente quella sensazione di poco prima farle male come se fosse stata una stilettata al centro del petto. Strinse le labbra e lo guardò piccata.
«Perché non me lo hai detto?» Gli chiese, sperando che dietro al suo silenzio ci fosse stata una motivazione valida.
«Perché io faccio quello che voglio».

Quelle parole così piene di disprezzo e irritazione fecero rattristare Emily , incupendole il viso: perché Loki si comportava così? Cosa era successo? Aveva forse fatto qualcosa che non andava? Magari aveva fatto qualcosa che gli aveva dato fastidio e non se n’era neppure accorta, o forse aveva conosciuto qualche ragazza più carina di lei e quindi il suo comportamento era così mite e distaccato perché non aveva il coraggio di lasciarla…

Senza preavviso, le tornarono prepotenti alla mente i ricordi di loro due insieme mentre facevano l’amore, delle loro bocche che si baciavano e dei loro corpi che si sfioravano, e si sentì come morire. Non sapeva perché Loki le si stesse rivolgendo con quel tono, né perché la stesse trattando così, ma qualsiasi cosa fosse successa lei non gli avrebbe permesso di metterle i piedi in testa in quel modo senza nemmeno conoscere la motivazione del suo astio. 

«Loki, adesso basta!» Gridò con rabbia, gli occhi ormai divenuti lucidi e prossimi alle lacrime.«Non ti permetterò di trattarmi così!».

La reazione di Loki fu repentina ma non quella sperata da Emily: la fulminò con lo sguardo, quasi come se avesse avuto davanti a sé un insetto fastidioso, e qualcosa dentro di lei le ordinò di scappare, che quello che aveva davanti non era Loki ma un’altra persona, qualcuno che non conosceva.

Eppure quelli erano i suoi occhi, quelle le sue labbra e quelli i suoi capelli neri nei quali amava tanto affondare le dita. Quello era Loki, non c’erano dubbi, eppure il dio che le si presentava davanti di lui aveva solo l’aspetto. Per la prima volta, Emily ebbe davvero paura di lui.

«Basta?» Cominciò quello con voce pacata, quasi derisoria, poi improvvisamente i suoi lineamenti divennero duri e deformati dalla rabbia ed Emily pensò che fosse lì per lì per picchiarla. «BASTA?!» Urlò, e lei si portò istintivamente le braccia di fronte al viso come a volersi difendere da un possibile attacco. Loki non demorse e, agguantatole le braccia, gridò ancora più forte. «IO SONO IL RE ED IO DECIDO QUANDO DIRE BASTA! TU NON HAI IL DIRITTO DI DARMI ORDINI!!».

Prima che potesse fare qualcosa per fermarle, le lacrime salirono agli occhi di Emily tutte in una volta e lei cadde bocconi a terra con Loki che continuava ad urlarle contro. Le strattonò il braccio con forza verso l’esterno in un vago tentativo di guardarla in viso, ma quando gli occhi verdi incontrarono i suoi pieni di lacrime e paura lasciò il polso di colpo come se fosse ustionante, e si allontanò da lei con lo sguardo sconvolto di chi si era appena risvegliato da un sogno.

«Emily…» Mormorò, la voce da prima altera e grottesca divenuta improvvisamente bassa e flebile, quasi dispiaciuta.

Ad Emily parve di vedere un’ombra di rimpianto negli occhi di Loki, ma la rabbia che aveva in petto era troppo grande e dunque spostò lo sguardo sul pavimento e si rannicchiò di più su se stessa, portandosi le gambe al petto e nascondendo il viso tra le ginocchia. Le lacrime sembravano non avere più intenzione di smettere di scivolarle sulle guance.

«Emily…» Insistette, mollando da una parte lo scettro e avvicinandosi con circospezione e colpevolezza, come se si fosse appena accorto di quanto accaduto, e di colpo Emily lo riconobbe. Era tornato ad essere il Loki di sempre, quello stesso che aveva conosciuto da bambino e a cui si era donata, lo stesso che non le avrebbe mai fatto del male. Alzò gli occhi su lui, e si sorprese nel vederci dentro quella stessa paura che gli aveva visto addosso quando aveva scoperto di essere uno Jotun. Probabilmente, pensò, non si era reso neppure conto di come le si era rivolto poco prima.

All’improvviso la sua attenzione venne attirata dallo scettro di Odino, Gungnir, abbandonato a pochi metri distanti da lei e subito capì cosa fosse accaduto.

«Devi far tornare Thor» Disse, la voce impastata dal pianto e dai singhiozzi. «Questa faccenda ti sta facendo diventare matto. Quella… cosa, non è adatta a te. Ti rende diverso da quello che sei realmente, più… cattivo. Come loro, i Giganti di Ghiaccio…» Fece una pausa, tirò su col naso e rivolse nuovamente il suo sguardo su quello di Loki, che la fissava come se stesse bestemmiando ad alta voce. «Devi sbarazzartene, Loki».

Loki la fissava attonito, senza dire nulla.

Aveva aggredito Emily. Quella stessa Emily per cui aveva fatto tutto ciò, con cui aveva condiviso tutto e che aveva giurato di proteggere ad ogni costo, che fino all’altra notte gli sussurrava con voce dolce e adorante quanto lo amasse.

Aveva ancora impressi nella mente i suoi grandi occhi azzurri mentre la strattonava per le braccia, le lacrime che le rigavano le gote e il viso che diveniva improvvisamente paonazzo e rosso come i capelli. Si guardò le mani, aspettandosi che diventassero blu e come quelle di quei mostri a cui adesso sentiva tanto di assomigliare, e si sorprese quando si rese conto del fatto non sarebbe successo.

Il cuore cominciò a battere furioso dentro la cassa toracica e ogni battito sembrò rimbombargli nella testa tanto era forte il senso di colpa che lo attanagliava. Si chiese perché avesse reagito così, cosa lo avesse portato a fare un gesto tanto avventato, ma quando Emily indovinò per lui la risposta, incolpando la lancia di Odino e il suo potere troppo grande da governare perfino per uno come lui, Loki provò l’insensato istinto di attaccarla di nuovo.
Gungnir era sua. Gli apparteneva di diritto. Era sua e basta, dunque separarsene era fuori discussione. Era una follia!

Dopo tutto quello che aveva compiuto per arrivare fin lì, dopo tutto ciò che aveva fatto per loro, per costruire un futuro migliore per tutti e per Asgard stessa eper diventare il figlio che suo padre aveva sempre voluto avere!Come poteva Emily domandargli una cosa simile? Credere che fosse Gungnir l’errore? Dirgli di far tornare Thor ad Asgard?!

La risposta gli salì alle labbra prima che potesse accorgersene, e Loki realizzò con sgomento quale fosse la verità: non era lui ad essere sbagliato, ma lei che non capiva! Loro che non avevano mai compreso nulla!

«NO!» Urlò, il viso contratto in una smorfia di indignato stupore. «Thor non tornerà ad Asgard!».
Come se la paura le avesse donato coraggio, Emily si alzò in piedi con velocità e prontezza e il suo sguardo, da prima triste e deluso, divenne improvvisamente duro e deciso.

«Loki, devi ascoltarmi!» Gridò, stringendo un lembo della sua giacca con forza. «Non sei tu a parlare, è lo scettro che ti fa agire così! Questo non sei tu, apri gli occhi!».

«ORA BASTA!» La voce di Loki proruppe con irruenza sopra quella piccola e minuta di Emily, che subito si ammutolì. Si allontanò da lei con uno scatto d’ira e, preso lo scettro e strettolo forte tra le dita, si voltò a guardarla con rabbia. «Questo sono io, Emily» parlò. «Sono finalmente diventato quello che sarei sempre dovuto essere: il Re. Asgard è mia, adesso. Mi appartiene. E se tu non hai intenzione di seguire i miei comandi, perirai esattamente come faranno tutti gli altri che oseranno contrapporsi a me!» La sua mano destra, la stessa in cui stava reciso il segno ad X con cui i due si erano involontariamente legati da bambini, andò ad afferrare il braccio destro di lei, che insolente assottigliò gli occhi in due fessure azzurre e la sua bocca si ridusse in una piccola linea retta.

«Fai la tua scelta Emily» Biascicò Loki con voce roca. «O sei con me, o sei contro di me».

Ma nonostante avesse posto quella domanda con così tanta schiettezza e risolutezza, Loki sentiva dentro di sé il proprio cuore correre veloce come un cavallo da corsa e i suoi battiti rimbombavano forti nella sua mente. Una parte di sé, quella codarda e sentimentale, non voleva sapere quale fosse la risposta di Emily poiché se avesse risposto negativamente non avrebbe sopportato l’idea di perderla; ma un’altra parte di sé, quella che corrispondeva all’orgoglio e alla vanità, pretendeva una risposta che fosse la verità, poiché di bugie era stufo perfino lui, che era il Dio degli Inganni.

Vide la forma sottile delle labbra di Emily corrucciarsi in un broncio irritato, la sua fronte aggrottarsi e le sue mani stringersi a pugno. Guardandola, Loki intuì che stesse combattendo contro qualcosa, dentro di sé, che nemmeno lui sapeva cosa fosse. Era evidente che Emily, come lui, fosse divisa in due parti: quella che le urlava di fare come le suggeriva il cuore e l’altra che le imponeva di seguire il buon senso. Eppure, Loki intuì ciò che avrebbe risposto prima ancora di sentire la sua voce.

«Preferisco morire, piuttosto che osservarti mentre ti avvii a tutta velocità verso un sentiero che ti condurrà inevitabilmente alla tua stessa distruzione».
Nonostante Loki si aspettasse quella risposta, le parole di Emily gli arrivarono addosso pesanti e violente come un colpo di frusta, e digrignò i denti mentre sentiva la rabbia ribollire in modo vertiginoso dentro di sé.

«Bene» Soffiò, profondamente ferito. Poi si girò verso i portoni che davano all’ingresso dalla sala. «Guardie!» Chiamò, e subito le porte vennero spalancate da una cerchia di soldati.

«Portate Lady Emily nelle mie stanze, e fate in modo che ci resti. Non voglio che le venga fatto del male. In alcun modo.» Sbottò, e pochi secondi dopo subentrarono degli uomini della Guardia Reale, che la immobilizzarono fra loro tenendola ferma per le braccia. Lei tentò di sferrar loro un calcio, ma l’angolazione era sbagliata e tutto quel che riuscì a fare fu produrre un grande rumore.

«Lasciatemi! Lasciatemi!» Gridava. «Io non vado da nessuna parte! Lasciatemi ho detto!».

Loki non l’aiutò e si risedette svogliatamente sul suo trono mentre osservava le guardie trafficare più del dovuto con Emily, che sembrava non avere nessuna intenzione di cedere alla loro forza.

Se non voleva stare con lui per sua compiacenza, si diceva, allora lo avrebbe fatto per obbligo.

Poi però le porte si chiusero e Loki si sentì come morire.

Solo in quel momento capì che non aveva mai desiderato il trono, ma solo poter stare con Emily e mantenere la promessa fattale da bambino. Lui non voleva che lo odiasse, voleva solo che capisse.

Mentre realizzava ciò, gli tornarono alla mente le immagini di lei che veniva trascinata via e dei suoi occhi simili a tizzoni ardenti che lo scrutavano con rabbia e ira, e subito sentì morire. Adesso anche lei lo avrebbe odiato, come tutti gli altri.

Si sentì impazzire e pregò di trovarsi in uno dei suoi tanti incubi e di doversi risvegliare il più presto possibile. Ma sapeva che non era così: Emily lo avrebbe odiato, tutti lo avrebbero odiato, e lui sarebbe rimasto nuovamente solo. Senza nessuno. Senza di lei.

A quel punto urlò, un grido così feroce e brutale che faticò a credere provenisse davvero dalla sua gola e non da quella di un animale selvatico, e provò odio. Odio per non essere mai stato davvero un asgardiano, odio per appartenere a una razza di mostri, odio per essere sempre stato messo un gradino sotto di Thor e odio per essere riuscito, alla fine, a farsi odiare anche da lei. L’unica persona che gli fosse mai stata davvero vicina nonostante tutto.

Loki sentì il senso di colpa lambirgli le viscere, divagando con forza dentro di sé e riempiendolo di desiderio di recarsi subito da Emily ed abbracciarla, chiederle scusa, baciarla e fare di nuovo l’amore con lei. Ripensò allo scambio di battute che si erano scambiati tre giorni prima, a quanto adesso sembrassero un ricordo lontano, e un grugnito di rabbia uscì prepotentemente dalle sue labbra quando comprese che la causa di tutto quel dolore, un dolore così forte che sembrava lo stesse corrodendo dall’interno, fosse stato lui stesso a causarlo.

Poi, così come era arrivato, il dolore cessò e al suo posto si fece largo un profondo senso di amarezza, subito seguito da un intensa rabbia. Non una rabbia violenta, bensì una triste, delusa e infelice. Loki si sentì così demoralizzato e afflitto nel cuore, che d’un tratto la mente gli si annebbiò e i suoi pensieri vennero sopraffatti da un improvviso senso di tristezza che sembrava nascergli dal petto e risalirgli a tutta velocità al cervello, mandandolo in panne. E il dolore esplose nuovamente in lui, tagliente e affilato come un coltello conficcato nei fianchi. Il senso di colpa.

Poi, ricordò: “Devi far tornare Thor”, aveva detto lei “quella… cosa, non è adatta a te. Ti rende diverso da quello che sei realmente, più… cattivo”.
Un sorriso ironico gli si dipinse sul volto, e Loki strinse i pugni in uno scatto di rabbia; poi, caricò un colpo al muro dietro di lui, che s’incrinò sotto la potenza del gesto irruento, e le labbra gli si deformarono in una smorfia sadica.

Cattivo aveva detto lei, diverso.

Se era così che stavano le cose, allora lui avrebbe compiuto tutto il contrario di ciò che lei gli aveva imposto moralmente di fare. Far tornare Thor diceva? Ebbene, lui avrebbe fatto sì che non solo il suo esilio divenisse permanente, ma avrebbe anche fatto passare al fratello ogni singola voglia di ritornare, gli avrebbe fatto pesare la sua dipartita più di ogni altra cosa. Era diventato cattivo, no? E allora, dato che tutti pensavano che lo fosse davvero, Loki avrebbe dato loro ciò che desideravano! Avrebbero conosciuto la paura, il terrore dell’oscurità e della devastazione della guerra, si sarebbero pentiti di non averlo amato quando ne avevano avuto l’occasione, quando lui li aveva supplicati di trattarlo al pari di tutti loro!

Sarebbe caduto, Loki. Questo lo sapeva già. La sua era, come diceva Emily, una strada che portava inesorabilmente all’autodistruzione.


Ma mentre si avviava con passo spedito fuori dalle mura di Asgard, là dove neppure il Guardiano del Bifrost riusciva a porre il suo sguardo, Loki giunse alla conclusione che se fosse caduto, Asgard sarebbe dovuta crollare al suolo con lui.
 
 


- Note dell'autrice!

Ed ecco che ricominciano i casini, già. Be'... non vi aspettavate mica che sarebbe tutto filato liscio come l'olio, no? :P


Comunque, siamo finalmente arrivati al capitolo 20! Mamma mia, sembra passato un secolo da quando ho iniziato a scrivere questa ff! Ne approfitto per ringraziare sentitamente tutti coloro che hanno messo la storia tra le preferite, seguite e ricordate: siamo più di 100!! *-*
Ringrazio di cuore anche tutti coloro che hanno dedicato fino ad ora il loro tempo per lasciarmi qualche recensione, davvero voi non avete la minima idea di quanto possiate rendermi felice e esortarmi a scrivere ancor di più! Se sono arrivata fin qui, è sopratutto grazie al vostro calorosissimo supporto! :)


 Come avete potuto notare, lassù in cima ho inserito il TRAILER della FanFiction. Mi è stato fatto da  thecarnivalefp, la quale ringrazio sentitamente! Vi consiglio caldamente di fare un giro tra i suoi video!!
Un'altra persona che voglio ringraziare è
Evilcassy , la quale mi ha aiutata a betare anche questo capitolo! Grazie mille, Cassy! <3

Come nello scorso capitolo, quaggiù riporterò il significato di alcuni termini "nordici" presenti nella fanfiction!

1) Áss: No, non è una brutta parola in inglese (che battuta squallida). Il termine Áss, nel mondo norreno, sta a indicare gli Æsir. Áss è il singolare maschile di, appunto, Æsir che sono gli dèi, signori assoluti del cielo.

2)Hlyn e Fylla: Queste due ragazze sono, nella mitologia nordica, delle ancelle di Frigga.

Credo di non aver dimenticato
nulla, spero... caso mai non esitate a riferirmi i vostri dubbi caso mai io avessi scordato qualcosa! ^^''

E ricordate che ogni volta che non recensite ciò che leggete, un piccolo Loki là fuori muore. Fate sapere all'autrice ciò che pensate del capitolo, ve ne sarà grata a vita e voi non vi sarete macchiate\i di un Lokicidio (?).
Sperando che il mio appello venga accolto, vi saluto! :)

Al prossimo capitolo! ^_^



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Capitolo 21
*** Real or not Real? ***


~Real or not real?

Il significato
Di tutte le parole d’amore
È svanito
Ci amavamo l’una con l’atra
Ci dedicavamo l’una all’altra
Menti sotto coperture dunque
Sei un’amica o una nemica?

Friend Or Foe – T.A.T.U.

 
 

 

Midgard non era come l’aveva immaginata.

Era un luogo ben diverso dall’immaginario che Emily gli aveva imposto attraverso le sue storie e leggende: non era rigogliosa e soleggiante come Asgard, bensì cupa e grigia, piena di fumo e pochissimo verde. Era una distesa di asfalti e palazzi dall’aspetto strano che lui non aveva mai visto prima e tutto sembrava urlare al degrado ambientale. Persino la luna piena, dall’alto del cielo notturno, sembrava emanare una luce più fioca, e Loki non poté fare a meno di chiedersi se si nascondesse tra le nuvole per timore di illuminare un paesaggio tanto devastato.

Non sapeva come simili racconti pieni d’amore e poesia potessero essere nati da un luogo così cupo e incolore, ma se una volta quel Regno doveva essere stato culla di civiltà e meraviglie, adesso era diventato un banale recipiente che conteneva  gente senza il rispetto per il luogo in cui vivevano.
Tutto ciò lo disgustava e se avesse potuto avrebbe messo fine alle sofferenze di quel pianeta lui stesso, ma adesso aveva del lavoro da svolgere, e indugiare sul panorama che gli si prospettava davanti non era certamente la scelta migliore. Doveva sbrigarsi.

Vestito con abiti prettamente midgardiani e uno sguardo freddo, Loki si diresse nel luogo in cui sapeva esserci Thor, ridotto all’esilio e ormai poco più che un semplice umano. Nessuno sapeva della sua improvvisa “visita” su Midgard, nemmeno Emily, e nel pensarla Loki sentì un fremito di rabbia percorrergli tutto il corpo facendogli digrignare i denti e serrare le dita a pugno. Nella sua mente era ancora viva l’immagine di quegli occhi azzurri, carichi di astio nei suoi confronti che sembravano urlare “La pagherai! Thor tornerà! Tornerà, e te la farà pagare!!”.

Si destò dai suoi pensieri quando, improvvisamente, lo vide grazie alla sua vista da Jotun più sviluppata del normale: seduto su una piccola seggiola che sembra stesse per fracassarsi sotto il suo peso con lo sguardo una volta pieno di baldanzosa spacconeria e arroganza ridotto a niente più di un guizzo azzurro senza emozioni. Lì, impotente, c'era Thor: lo stesso che una volta era il più glorioso dei guerrieri e il Dio del Tuono.

Loki sorrise.

Era suo, adesso.

Il midgardiano che gli stava parlando andò via e lui ne approfittò per prendere il suo posto teletrasportandosi dinanzi al fratello in pochi secondi. Il suo corpo era celato alla vista degli altri esseri umani, solo Thor poteva vederlo, e l’espressione che lui gli rivolse quando lo vide, di sorpresa mista a incredulità, era quanto di più meraviglioso il cuore di Loki potesse ambire.

«Loki... che ci fai qui?» La voce di Thor risuonò tentennante e incrinata dalla sorpresa, inadatta ad un guerriero del suo calibro, ma Loki non si scompose.
«Dovevo vederti» Sussurrò, addolorato. Ma il suo sguardo tradì le sue parole, e se Thor non fosse stato così sorpreso di vederlo dopo tanto tempo probabilmente si sarebbe accorto della perversa compiacenza celata dietro i suoi occhi verdi.
«Cos’è successo? Dimmi, si tratta di Jötunheimr?» Chiese, agitato. Loki non rispose.

Vedendo che non parlava, Thor si inquietò e le sue grosse e ruvide mani presero a sfregarsi nervosamente tra loro. « Fammi spiegare a nostro padre…».

«Padre è morto» La menzogna risuonò forte e tagliente come un rasoio nel silenzio pesante della camera, e il viso di Thor, dopo l’intontimento iniziale, divenne una maschera di sgomento e paura.
«… cosa?» Gemette, e parve più un flebile lamento piuttosto che una domanda vera e propria. Eppure Loki non fece fatica a comprendere cosa avesse detto e la sua espressione divenne meno dispiaciuta e più affilata, quasi come quella di una fiera che studiava con soddisfazione la propria preda prima di divorarla.

Restò alcuni minuti in silenzio, e solo quando Thor sembrò fosse sul punto di saltargli al collo tanto era forte il suo desiderio di conoscere la verità si decise a parlare.

«Il tuo allontanamento…», fece una pausa, quasi come se faticasse a continuare ad esporre un discorso tanto tragico, ma che si era perfettamente studiato a tavolino « e la minaccia di una nuova guerra, erano fardelli troppo pesanti» Spiegò.

L’espressione addolorata e piena di rimorso del “fratello maggiore” mentre abboccava come un allocco alla sua menzogna fu per lui, che di tutti gli inganni n’era il dio, un toccasana e istintivamente Loki associò quella sensazione al fatto che, di nuovo, Thor fosse caduto nella sua ragnatela proprio come un banale moscerino. Adesso doveva solo infliggergli il colpo finale, morderlo, e finalmente avrebbe potuto gustarsi il suo tanto ambito pasto: il trono.

«Non dare la colpa a te stesso» Sibilò premuroso. «Io so che tu lo amavi».

Vide tutte le certezze di Thor crollare come un burattino a cui avevano tagliato i fili, improvvisamente e senza possibilità di appello; osservò i suoi occhi azzurri incupirsi e per un momento provò persino della compassione per lui. Compassione che venne subito sostituita dalla sete di vendetta e dalla soddisfazione nel poter finalmente dimostrare a suo padre di essere sempre stato lui il figlio degno, colui che meritavadi regnare sul trono di Asgard.

«Ho provato a dirglielo, ma lui non mi ha dato ascolto» Continuò, falsamente addolorato. Poi Thor chinò il capo, profondamente angosciato, e una lacrima scivolò giù dai suoi occhi. Per nulla commosso Loki decise di sferrare l’ennesima stilettata al suo povero cuore. «Oh, è stato crudele farti trovare il martello pur sapendo che non avresti potuto sollevarlo!» Esclamò, sorprendendosi di come la sua voce diventasse fredda e pungente quando intendeva ferire qualcuno psicologicamente – perché si sa: le parole, a volte, tagliano molto più di qualsiasi spada.

Quando però vide nel fratello l’ombra di una tristezza così profonda e devastante da fargli per un momento ricordare tutte le volte in cui quel dolore l'aveva provato per ben dieci volte più forte, Loki sentì come una morsa stringergli il cuore e una voce lontana, somigliante alla propria di quando era bambino, supplicare Emily di tornare con lui e di non morire, in modo così forte e pietoso che la testa gli diventò improvvisamente pesante come un macigno e una cacofonia di emozioni e sentimenti lo colpirono al centro del petto. Sapeva cosa stava provando Thor in quel momento: era la paura di aver appena perso qualcuno di importante, il dolore atroce di quando si capisce che non si può più nulla, il desiderio scalpitante di rivolere quella persona quasi come se dalla sua vita dipendesse la propria. Un sentimento così forte e devastante, da far credere di stare per morire.

Dunque, col cuore che aveva preso a battere forsennatamente contro la cassa toracica quasi come se volesse spaccarla e uscire fuori, Loki decise che quello era il momento giusto per infliggere il colpo di grazia a Thor: fargli provare un minimo del dolore che aveva provato lui a causa sua in passato e di uscire, finalmente, dalla sua ombra.

«Il peso del trono è caduto su di me, ora» Dichiarò solenne, e nonostante la sua voce fosse pacata e mitigata, dentro di sé sentiva la rabbia ribollire e scalpitare come un vulcano che, dopo il suo lungo sonno, aveva deciso di risvegliarsi ed eruttare.

Thor, troppo preso a maledirsi e detestarsi per la presunta morte di suo padre, non percepì questo suo improvviso cambio di umore e un’altra lacrima scivolò giù per il suo viso ricoperto dalla lanugine bionda della barba. Sembrò che una cinquantina di risposte danzassero sulle sue labbra screpolate. Infine, tuttavia, dalla sua bocca uscì solo una misera e tentennate supplica. «Fammi tornare, ti prego…».

«La tregua con Jötunheimr è subordinata al tuo esilio» Rispose Loki austero.
«Sì, ma… non potremmo trovare un--».
«E Madre ha proibito il tuo ritorno».

La bocca di Thor si aprì in un ovale disorientato e confuso, ma anche quella volta non disse nulla e Loki non riuscì a comprendere se fosse stato dettato dalla troppa angoscia piuttosto che dalla notizia in sé. Poi improvvisamente i suoi occhi si fecero ancora più tristi e lucidi e un’altra lacrima scivolò giù dal viso per poi infrangersi sul pavimento; chinò il capo e la voce gli uscì flebile e sommessa come quella di un carcerato che aveva appena saputo della sua imminente condanna a morte ma riservava comunque una misera speranza di sopravvivenza.

«E Sif?» Esalò piano. «E Volstagg, Hogun e Fandral? Anche loro mi hanno dimenticato? E la piccola Emily? Non ha detto nulla riguardo al mio esilio? Che ne è stato di loro? Stanno bene? Nostro padre ha punito anche loro?».

Nel sentirgli pronunciare il nome di Emily con tanto sentimento e curiosità, e ricordando che fino a poche ore prima lei gli avesse espressamente chiesto di far ritornare Thor ad Asgard, Loki sentì il mostro della gelosia dentro di sé dimenarsi con violenza e per riflesso strinse le labbra in una sottile linea retta mentre i suoi occhi diventavano due verdi tizzoni ardenti.

«Emily è mia moglie, adesso. Io e lei ci siamo uniti in matrimonio pochi giorni dopo la tua dipartita. Padre diceva che un Re necessitava di una regina al suo fianco per governare, io ho solo esaudito un suo desiderio espresso in punto di morte. Per Sif e i Tre Guerrieri non saprei garantirti, ma ti assicuro che lei al mio fianco, è al sicuro» Fece una pausa, consenziente del fatto che Thor stesse pendendo dalle sue labbra, e sul suo viso si dipinse un breve sorriso di scherno. «Come tutta Asgard, del resto».

Loki non capì il perché di quella bugia, né perché l’avesse detta proprio in un momento in cui il rapporto tra lui e la ragazza potesse sfocare in tutto fuorché in un matrimonio. Non seppe dire se si trattasse di orgoglio o di gelosia, ciò che però era certo era che, fondamentalmente, Thor dovesse perdere ogni possibile speranza nei confronti di Emily perché lei era sua. Lo era sempre stato, e avrebbe continuato ad esserlo.

Quando poi vide lo sguardo sbigottito del “fratello” in risposta alle sue parole, Loki capì di aver fatto la cosa giusta e, prima ancora che potesse replicare, lo zittì con una semplice frase.

«Questo è un addio, fratello» Concluse. «Mi dispiace davvero…».

Infine, Thor sembrò in procinto di rispondergli qualcosa ma evidentemente troppo avvilito e depresso, chinò il capo; il minuscolo briciolo di speranza che albergava nei suoi occhi pochi istanti prima era sparito del tutto e solo con enorme fatica riuscì a sillabare uno stentato: “No, è a me che dispiace…”, rivolto più a se stesso che a Loki, il quale non disse nulla e si limitò a osservarlo grave.

Poi alzò nuovamente lo sguardo, che era pieno di sincera gratitudine, e sussurrò: «Grazie per essere venuto qui», lasciando Loki senza parole. Dunque lui, inebetito dalle parole dell’altro, rimase in silenzio, la rabbia che gli montava dentro fino a pochi minuti prima improvvisamente acquietata, e cercò di abbozzare un sorriso di consolazione.

«Addio» Mormorò infine, e si voltò per andarsene.

Una volta uscito da quella camera e portato finalmente a termine il suo ultimo inganno, forse il più riuscito di tutti, Loki sentì il proprio ego gonfiarsi come un palloncino e un ghignò tronfio gli stese le labbra sottili.

Aveva vinto lui, alla fine.

Era riuscito a sottomettere persino il Dio del Tuono, il potente Thor! Adesso chi avrebbe osato interferire contro di lui? Chi avrebbe avuto la sfrontatezza di ingiuriare e detestare il Re di Asgard? Nessuno. Nessuno lo avrebbe fatto, perché avevano tutti troppo cara la vita per permettersi di perderla per una stupida sommossa, e quindi sarebbero rimasti in silenzio. A soccombere, come sarebbe dovuto essere nella loro natura.

Adesso Asgard era solosua. Tutti coloro che credevano di potersi rivoltare contro di lui, sarebbero morti - Li avrebbe uccisi lui stesso! -. Nessuno, nessuno gli avrebbe più messo i bastoni fra le ruote. E tutti, chi per volontà propria e chi per costrizione, lo avrebbero amato. Rispettato. E finalmente, Loki Laufeyson avrebbe avuto la sua vendetta.

Mentre realizzava, passò accanto ad un gruppo di midgardiani in una strana tutina in lattice che reggevano in mano degli strani oggetti dal suono fastidioso e squillante. Avvicinandosi un po’ di più si accorse che lì, esattamente sopra un cumolo di terra, stava il Mjolnir.
Fuorviato dalla sua stessa arroganza e superbia, e ancora coperto agli occhi dei mortali, aggirò l’oggetto con passo felpato e senza indugiare più del dovuto cercò di sollevarlo.

Fece leva su di esso con forza, quasi convinto che questo potesse sollevarsi davvero e dargli così la certezza di essere il vero erede al trono di Asgard, e provò parecchie volte - tante e tante altre ancora - finché la realtà non gli piombò nuovamente addosso come la prima volta e, sconfitto, si arrese al fatto che non sarebbe mai riuscito a sollevarlo.

Irritato per aver fallito ancora una volta, Loki sentì il sangue scorrergli con più veemenza dentro le vene e il proprio corpo divenire un fremito continuo; nella sua mente, una voce profonda e graffiante gli soffiava parole derisorie e fastidiose.

Hai fallito di nuovo. Ammetti a te stesso che la tua è solo un’utopia irrealizzabile, qualcosa che non riuscirai mai a raggiungere. Hai usurpato il trono di Asgard con la forza e con l’inganno, non sei diventato Re perché meriti davvero quel titolo. Hai soggiogato tutti, Dio degli Inganni, sei finalmente diventato il sovrano indiscusso! Ma guarda un po’ là: il Mjolnir non è ancora nelle tue mani, né lo sarà mai, e tu sai bene che l’unica persona che hai ingannato, qui dentro, non sei altri che te stesso.


Ma mentre sentiva il proprio corpo dissolversi come fumo per potersi teletrasportare nuovamente ad Asgard e poter lasciare Midgard, Loki si rese conto che quelle cose le sapeva già da un bel pezzo.
 

Quando le guardie l’avevano trasportata di forza nelle camere di Loki e avevano chiuso la porta a chiave dall’esterno, Emily aveva urlato di rabbia e aveva dato un calcio alla porta, facendosi male al piede – dannazione a te, Loki!

Non riusciva a credere che fossero giunti a tanto, né che Loki avesse davvero potuto farle una cosa simile.

Come si era permesso? Farla trascinare nelle sue stanze come se fosse stata una semplice bambola di pezza! Niente più che un oggetto! Chi si credeva di essere? Quel… coso gli aveva dato alla testa, aveva completamente perso il nume della ragione se pensava sul serio che si sarebbe stata lì zitta zitta senza ribellarsi!
Cercò di trovare una via d’uscita, qualcosa che le permettesse di evadere da quella camera che sembrava farsi sempre più stretta e soffocante, ma invano. Tutte le porte erano serrate e il balcone che dava all’esterno era troppo in alto per potersi lanciare di sotto. Non si arrese, e dopo aver rimuginato un po’ su cosa fare le venne un’idea: buttò all’aria tutte le coperte che ricoprivano il letto di Loki, prese i lenzuoli e li legò stretti tra di loro in modo da creare una corda abbastanza lunga e, dopo averli annodati alle colonne del parapetto del balcone, fece per scavalcarlo e calarsi di sotto. Ma nel momento stesso in cui stava per scendere, la porta si spalancò e Loki entrò nella camera. Emily si pietrificò come una statua.

La beccò con una gamba a cavalcioni sul marmo del balcone, l’espressioneindicibile sul viso di chi è stata appena colta in flagrante, e dopo averla squadrata per un lasso di tempo che a lei parve interminabile, richiuse la porta dietro di sé e senza dir nulla si sedette su una poltroncina lì accanto; il volto stremato di chi non sapeva più che pesci pigliare. Cominciò a massaggiarsi con pesantezza la sella del naso, mormorò parole sconnesse e decisamente infastidite e infine sospirò profondamente e sollevò lo sguardo su quello ancora sbigottito e perplesso di lei, che stava ancora sorretta sulla sporgenza a mezz’aria.

«Potresti gentilmente scendere da lì? Capisco che la mia compagnia non ti sia molto gradita, ma dubito che ci sia bisogno di arrivare al suicidio… » Disse a un tratto svogliatamente, cominciando a sfogliare un libro di antiche rune.

Emily aprì le labbra per ribattere ma nessun suono fuoriuscì dalla sua bocca: sembrava che volesse davvero dire qualcosa, ma che fosse troppo a disagio per farlo davvero. Alla fine non disse nulla e si decise a scendere da lì.

«Ti sei decisa, finalmente» L’apostrofò Loki senza smettere di leggere. «ero quasi del tutto certo che ti saresti buttata giù».
Emily aggrottò la fronte, piccata, e incrociò le braccia al petto. «Probabilmente lo avrei fatto se non fossi arrivato»
Loki rise e finalmente si decise a posare il libro per dedicarle un po’ d’attenzione: «Perdonami per aver distrutto i tuoi piani suicidi!».
«Chi ti dice che volessi suicidarmi?»
«Il fatto che tu stessi penzolando da un balcone alto più di sei metri ti dice nulla?»
«Stavo scappando»
Loki alzò un sopracciglio. «Da me?»
«No, da ciò che sei diventato»
«Un Re?»
«Un tiranno».

Calò un improvviso silenzio nella stanza, spezzato solo dal cinguettare di alcuni uccelli e il fruscio delle fronde degli alberi, ed Emily si sentì improvvisamente inadeguata e in soggezione perché Loki la stava fissando con insistenza e famelica curiosità, quasi come se dal suo sguardo potesse ricavare la risposta che stava cercando. Poi, improvvisamente, sospirò stanco, riprese a massaggiarsi la sella del naso e distolse lo sguardo. Emily si concesse un sospiro di sollievo.

«Non potresti, per una volta, stare al mio fianco e basta? Senza obiezioni o moralismi seccanti?» Domandò a bassa voce, alzando nuovamente il capo verso di lei. Nei suoi occhi verdi Emily lesse frustrazione.

«L’ho fatto, Loki» Rispose avvilita. «Sono sempre stata al tuo fianco, sempre! Non ho mai sindacato su nulla: ho sempre accettato quei difetti che tutti gli altri sembrano detestare, amato ogni singolo lato di te, anche il peggiore; persino che tu menta sempre, costantemente e inevitabilmente! Ho amato tutto di te, Loki, e ti amo tutt’ora più di quanto tu possa immaginare…» Fece una pausa, quasi come se si fosse appena resa conto di aver detto qualcosa di troppo grande che lo avrebbe fatto fuggire, ma lui non si mosse e allora continuò a parlare, stavolta con più calma e autocontrollo. Gli si avvicinò lentamente, le labbra incurvate in un malinconico sorriso e una mano stretta al petto. « … ma ho dei codici morali che vengono prima di ogni altra cosa e che devo rispettare» Dichiarò seria, e nello sguardo di Loki vide un lampo di fastidio e di rabbia che la fece andare nel panico e costringere ad affrettarsi a concludere il discorso. «E…  e tutto questo è sbagliato! La dipartita di Thor, il trono, la guerra in vista contro Jötunheimr... è tutto troppo errato, Loki! Le cose non sarebbero dovute andare così!».

Loki si alzò dallo scranno in velluto smeraldo di colpo e con evidente fastidio e prese a fare ampi giri della sala nervosamente e facendo a volte ampi sospiri per calmarsi. Tutto di lui sembrava urlare “pericolo imminente” ma Emily, troppo intestardita nel farlo ragionare, non ci badò. Dunque, quando le dita sottili e ossute di Loki andarono ad artigliare quello che era il marmo del davanzale di una finestra e lei, stupidamente, era andata a sfiorargli la spalla con un gesto pacato e quieto delle dita quasi come a volerlo tranquillizzare, si stupì non poco della sua reazione.

Loki si era voltato di scatto verso di lei, gli occhi ricolmi di ira e frustrazione, e le aveva artigliato le spalle in una morsa di ferro; poi l’aveva spinta con forza contro il muro bloccandola in una grottesca parodia di un abbraccio, ed Emily aveva appena fatto in tempo a comprendere cosa stesse succedendo, a sentire la testa dolerle per l’impatto col muro, che lui aveva cominciato a parlare: «Sai cos’è davvero sbagliato, Emily?» Chiese serio, inumidendosi le labbra screpolate con la lingua. «Il fatto che qui dentro, qualsiasi cosa io faccia, non sia mai retribuita o apprezzata come dovrebbe; è sbagliato il fatto che nonostante Thor sia stato esiliato da Odino stesso per aver causato una guerra contro i Giganti di Ghiaccio, venga sempre messo un gradino sopra di me; ed infine, sai cos’è davvero, davvero sbagliato? » La presa di Loki sui bracci della ragazza si era fatta improvvisamente più salda, addirittura prepotente, tanto che Emily gemette di dissenso e fastidio, ma Loki non parve nemmeno accorgersene e continuò a fissarla con spietato disappunto. Si avvicinò al suo orecchio ed Emily lo sentì sorridere contro di esso, subito un brivido le salì lungo la schiena.

«Il fatto che tupossa comunque fare la moralista e credere di star facendo la cosa giusta, dirmi ti amo e subito dopo esalare che però non puoi stare con me perché “quello che stai facendo è sbagliato!”» Disse facendole il verso, e rise piano e canzonatorio.

Emily era senza parole: sembrava che qualcosa le avesse preso le corde vocali e gliele avesse strappate via dalla gola con forza, lasciandola senza fiato. Sentiva il corpo di Loki premere forte contro il suo, il suo fiato caldo soffiarle sul collo facendole salire i brividi lungo la schiena e le sue dita fredde percorrerle con maledetta lentezza la pelle. Cercò comunque di star zitta, di non lasciarsi sfuggire neppure un sibilo, ma quando la gamba di Loki andò – probabilmente per sbaglio – a poggiarsi sul suo interno coscia, Emily dovette mordersi forte l’interno guancia per impedirsi di singhiozzare di sorpresa e paura.

Loki se ne accorse e, ormai a pochi centimetri dalle sue labbra, sorrise mellifluo e il suo corpo si fece più vicino a quello di Emily, che sussultò. 

«Potrei prenderti in questo preciso istante, volente o nolente, senza che tu possa far niente per impedirlo. Nessuno verrebbe in tuo soccorso, nemmeno Thor che tanto hai caro…» Sussurrò, ed Emily sentì il cuore mancare un battito e tutto il corpo tremare impaurito. Non aveva il coraggio di guardare Loki negli occhi, perché ciò che rivedeva in essi non era più l’uomo che conosceva ma la bestia – no, il tiranno – che era diventato. Un singhiozzo le sfuggì dalla bocca, e improvvisamente lui si irrigidì come una statua. Si allontanò un po’ da lei lasciandola attonita e confusa.

Proprio quando nella sua mente balenò il pensiero che, finalmente, Loki fosse tornato in sé, Emily distinse la sua mano issarsi per aria e per un istante ebbe il timore che le avrebbe fatto del male, dunque chiuse gli occhi di scatto e si preparò al colpo. Quella che però arrivò fu una carezza. Una carezza dolce e tenera, decisamente stonante con il tono usato da Loki poco prima, e fredda come il marmo.

«Ma non lo farò» Dichiarò lui, solenne, e le sue dita scivolarono sotto il mento di Emily, alzandoglielo cosicché potesse guardarla meglio. «Perché non è ciò che voglio. Il solo pensiero mi disgusta e mi fa venire il voltastomaco. E sai perché?» Chiese, il timbro della voce improvvisamente basso e pacato, ma lei non gli rispose poiché era ancora troppo scossa e confusa.

«Perché non c’è niente che possa soddisfarmi più del sapere che i tuoi gemiti mentre ti faccio mia siano sinceri, niente che possa appagarmi più dell’essere certo del fatto che tu stia con me perché sei tu a volerloe non perché sono io ad importelo; niente, che mi sfami più del saperti mia per tua volontà e non per mio capriccio».
Emily era sconvolta. Loki non le aveva mai parlato in quel modo, era sempre stato pacato nei suoi modi, a volte perfino freddo e distaccato, ma mai così audace.

Inoltre, era ancora parecchio basita per il suo comportamento di poco prima, quindi non aveva idea di cosa dire o fare.

Ma non ci fu bisogno di risposte o parole inutili, perché Loki aveva improvvisamente premuto con forza le sue labbra sulle sue e lei, presa alla sprovvista e allarmata, sgranò gli occhi e si dibatté con forza da lui che, non aspettandosi quella reazione, si allontanò.

«Mi hai baciata» Sussurrò sconvolta, portandosi le dita alle labbra quasi come a volersi accertare di ciò che era accaduto. «Mi hai baciata!» Ripeté, con voce stridula.
Loki non batté ciglio. «Devi certamente sentirti molto acuta per aver notato una cosa tanto ovvia».
«Non avevi alcun diritto di farlo!» Urlò.
«Perché?»
A quel punto, Emily esplose: «Perché io non sono un oggetto che puoi usare a tuo piacimento, Loki! Sono una persona con dei sentimenti, e credi che sentirmi dire che non mi farai del male solo perché desideri che sia io a voler stare con te mi renda felice? Credi sia una cosa leggera da dire a qualcuno? Pensi forse che io sia disposta a stare insieme a qualcuno con la mente deviata da quel… quel coso?!» E indicò la lancia di Odino poggiata accanto al letto.

Loki corrugò la fronte, guardò Gungnir quasi come se si fosse appena reso conto del fatto che fosse effettivamente un’arma non adatta a lui, troppo potente, ma non disse nulla. Si limitò a fissare Emily in silenzio, sulla difensiva.

Lei si portò le mani ai capelli, reggendoseli con forza e strattonandoli in un gesto di rabbia e frustrazione. Poi si voltò verso Loki, gli occhi improvvisamente lucidi.

«E’ tutto solo un gioco per te?» Domandò, angosciata, ma lui continuò a non rispondere. Cominciava ad innervosirla. «Sono solo un gioco per te? Una vincita? Un premio di consolazione, o… cos’altro? Cosa sono per te, Loki?».

Sembrò che la domanda lo avesse disorientato del tutto: aveva sgranato gli occhi e serrato le labbra riducendole ad un filo retto e sottile. Emily lo vide deglutire, ma lui non si scompose e anzi si riprese ed alzò spalle, mettendosi in posizione eretta e difensiva – quasi come se volesse mantenere le distanze. Parve che mille risposte danzassero sulle sue labbra, ma infine non disse nulla e si limitò a deglutire sommessamente.

«Non lo so» Esalò a un tratto, proprio quando lei stava cominciando a perdere la speranza, ma quelle parole fecero desiderare ad Emily di tornare indietro nel tempo per non porre quella domanda. Si sentì morire e fu come se quella piccola aspettativa che albergava dentro il suo cuore fosse scomparsa nel nulla, sommersa dall’enorme quantità di angoscia che il suo petto stentava a contenere.

Stanca, fece un profondo sospiro, chinò il capo e si morse l’interno guancia, cercando di non piangere – non avrebbe pianto, non quella volta; non davanti a lui. Alzò lo sguardo e, prima che Loki potesse dire qualcosa, parlò: «Non voglio stare con qualcuno che non sa nemmeno cosa vuole.» Disse seria « Ho già parecchie incertezze per conto mio, non necessito di altre preoccupazioni che non mi appartengono. Io non sono la bambola di nessuno, Loki, nemmeno quella del Re di Asgard. Hai detto chiaramente che volevi che stessi al tuo fianco per mio diletto, ma sarà tua premura sapere che io non ho intenzione di stare accanto a qualcuno che non vuole stare al mio, di fianco. Voglio certezze, non illusioni. Ed io non posso più credere alle promesse fatte dal Dio degli Inganni» Dichiarò, e la sua voce risuonò, seppur tremolante e bassa, come quella di una donna sicura di ciò che stesse dicendo.

Loki non parlava, eppure Emily capì, guardando i suoi occhi, che dentro di sé avesse una guerra, qualcosa che sembrava attanagliarlo e che gli impediva di parlare. Era dolore, quello che stava provando, forte e straziante. Ma anche Emily soffriva e stava male, forse anche più di lui, e dunque fece finta di non vederlo.
«Se vorrai uccidermi» Esalò, la voce spezzata da un improvviso singhiozzo «Io non ti fermerò. Né ti supplicherò di risparmiarmi. Ma per adesso, permettimi di ritornare a casa. Solo… solo per adesso, ti prego».

Vide il labbro inferiore di Loki tremare e il suo corpo divenire un fremito continuo, ma nonostante ciò continuava a non parlare. Restava in silenzio e fissava un punto lontano e non definito quasi come se volesse estraniarsi da tutto ciò che stava accadendo attorno a lui – come se non volesse vedere.

«Loki, ti prego, parlami…».
«Vattene» Sussurrò lui ad un tratto, così piano che Emily dovette sforzarsi per sentirlo.
«Loki, io…».
 «VATTENE!» Esplose poi, sovrastandola con la sua enorme voce.

Presa dal panico, Emily si avviò correndo verso la porta senza fiatare ma, prima di aprirla, si voltò un momento verso di Loki, che si reggeva in piedi solo grazie all’ausilio di un mobile sulla quale stava pesantemente appoggiato, e una domanda le uscì dalle labbra prima ancora che potesse fermarla.

«Prima di andare via» Sussurrò piano, ma abbastanza forte da far sì che Loki la sentisse: «voglio chiederti una cosa. Ti prego di rispondere con onestà» Rimarcò bene quell’ultima parola, quasi come se volesse convincere la parte bugiarda di Loki, quella più marcata in lui, a farsi per un momento da parte per permetterle di capire quale fosse a verità.

Loki non disse nulla, e dunque Emily fece un grosso sospiro d’incoraggiamento e si decise a parlare. «Tu mi ami. Vero o falso?».

Aspettò una risposta, un segno, qualsiasi cosa da parte sua; ma niente, nemmeno un misero sussurro, uscì dalle labbra del Dio degli Inganni. Dunque quella, per Emily, fu la risposta alla sua domanda – perché il silenzio, si sa, vale più di mille parole.

Ed anche quella sua minuscola speranza che tutto potesse tornare come prima, sparì.

Così, quando uscì dalla sala, gli occhi lucidi e il labbro inferiore morso a sangue per impedirsi di piangere, e si diresse con passo spedito verso casa, Emily non riuscì a sentire le parole di Loki.

«Vero».
 
 
 




- Note (e scleri) dell’Autrice.

Ed eccoci arrivati al capitolo super-extra-mega-mortaccisua-ANGST che ho tanto, TANTO faticato a scrivere. Credetemi: ho sudato tremila camice per riuscire a mantenere i personaggi IC, e spero con tutto il cuore di esserci riuscita, specialmente per quanto riguarda Loki. *agita i pugni in aria*

Dunque, questo capitolo, seppur breve, è stato anche abbastanza movimentato e darà inizio a una mega serie di OMMIODDDIOLOKISMETTILADIFARTITUTTE’STESEGHEMENTALIDIOSANTOBASTA, che io mi divertirò (?) un casino a scrivere. Già. ( Ehilà Loki! Sei venuto fin quaggiù per darmi un abbraccio? Ehm… no Loki, le mani non vanno sul collo… Loki, cosa stai-- ARGH! ).

Chiusa questa piccola parentesi, vi chiedo umilmente SCUSA per l’immenso ritardo con cui ho aggiornato. Sul serio, sono tremenda. Dovrei essere legata a una roccia e un serpente dovrebbe vomitarmi addosso il suo veleno fino alla fine dei tempi. E per giunta vi ho rifilato un capitolo ANGST che più angst non può (secondo, almeno, i miei canoni). Lo so, sono una persona orribile, scusatemi (Però vi voglio bene lo stesso  <3 <3 <3 <3 <3 ).

Anyway, ne approfitto per ringraziare tutte le ragazze (e i ragazzi :P ) che hanno recensito lo scorso capitolo: sul serio, siete stati dolcissimi e mi fa un sacco piacere ricevere dei vostri pareri riguardo alla storia, dunque grazie davvero tantissimo!! ^.^ Un’altra persona che ci tengo a ringraziare è Evilcassy, che mi ha aiutato a betare il capitolo e mi da sempre consigli molto utili per quanto riguarda la scrittura. Grazie mille, Cassy! <3
Ringrazio tantissimo anche tutti coloro che hanno messo la storia nelle preferite\ricordate\seguite. Siete davvero tantissimi!! Riempite il mio cuoricino corroso dalla rabbia per l’umanità di speranza <3

Come al solito, vi lascio i miei indirizzi Ask.fm – caso mai qualcuno di voi volesse pormi delle domande – e quello di Facebook, che uso per tenermi in contatto con i miei lettori e dare “news” riguardo la ff.

Ask.fm: http://ask.fm/HarmonyEfp
Facebook: https://www.facebook.com/harmony.efp.9?fref=ts

E per chi se lo fosse perso, vi linko anche l’url del Trailer di La Volpe e il Lupo!
Link: http://www.youtube.com/watch?v=1T2lMF3JVlk.
     
 P.S: C’è una citazione palesissssssima rubacchiata dal bellissimo libro di Hunger Games (<3 ). A chi riuscirà a scovarla per primo darò in premio tanti bei gattini neri dagli occhi verdi (o se volete rossi con gli occhi azzurri).

E ricordate che ogni volta che non recensite ciò che leggete, un piccolo Loki, da qualche parte del mondo, muore.  Non macchiatevi di una colpa grande quanto quella di un Lokicidio, recensite! *cerca di persuaderli*

 
Al prossimo capitolo! :D
 

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Capitolo 22
*** Claddagh Ring. ***


~ Claddagh Ring.

Questa volta era diverso
Mi sono sentita come se fossi la vittima
E quando sei uscito dalla mia vita
Mi hai ferito come un coltello
Ora sono in questa condizione
E ho tutti i sintomi
Di una ragazza col cuore spezzato
Ma non importa, non mi vedrai mai piangere


Cry – Rihanna.
 

 

L’assenza di Emily era soffocante.

Erano passate tre settimane da quando avevano smesso di vedersi, da quando tutto era finito, e Loki non riusciva ancora a capacitarsi di come quei loro sentimenti, i ricordi e gli anni trascorsi insieme potessero essersi volatilizzati in quel modo: come se fossero stati di sabbia.
Si era detto più volte che la colpa non era stata la sua, bensì di Emily e della sua maledetta cocciutaggine, ma con i giorni la rabbia che aveva in corpo si era acquietata e con essa anche l’arroganza e la presunzione di aver ragione; adesso era rimasto solo il desiderio scalpitante di riaverla con sé e un senso di colpa quasi doloroso a opprimergli il cuore.

Averla avuta sempre vicino era diventata una cosa così naturale e ordinaria che Loki aveva dimenticato quanto la sua assenza potesse fargli male. Col tempo la compagnia di Emily era diventata quasi scontata, ovvia, e quindi quando lei era andata via si era trovato impreparato e, per la prima volta, senza parole. Quando poi aveva capito che non sarebbe più tornata indietro Loki aveva sentito qualcosa di molto simile a una stilettata al centro del petto e fu come se un pezzo di sé fosse andato via insieme a lei.

Ma era andato avanti.

Aveva comunque cercato di metterci una pietra sopra, nonostante i suoi occhi brillassero di rinnovata speranza quando in lontananza scorgevano una folta chioma di capelli rossi e il suo cuore sprofondasse in una profonda delusione quando comprendeva che non si trattava dei suoi capelli, aveva continuato a governare Asgard con somma maestria, impartendo ordini a destra e a manca e creando ibridi che avrebbero dovuto, almeno in parte, tener buono il popolo e il loro timore riguardo un presunto attacco dei Giganti di Ghiaccio. Infine, Loki si era dato parecchio da fare anche nel suggellare una volta per tutte i patti già sanciti in precedenza con niente meno che gli Jotun stessi.

Infatti subito dopo la sua sfuriata con Emily era stato persuaso da un improvviso spirito di vendetta ancor più forte di quello provato nei giorni precedenti nei confronti dei Giganti di Ghiaccio e aveva, in qualche modo, appioppato loro la colpa per tutto ciò che gli stava accadendo:è colpa loro se adesso mi trovo qui, si era detto, colpa loro se sono costretto a provare questi sentimenti angoscianti; loro se sono nato. Dunque, per tutto questo dolore, dovranno pagare. Morire. E il primo a soccombere sarà il loro Re.

Si era perciò diretto verso le lande desolate di Jötunheimr, i coltelli da lancio stretti sotto il mantello pronti all’utilizzo e gli Incantesimi Oscuri lucidi nella mente; dentro il petto scalpitava il desiderio di vendetta nei confronti di quei mostri e i suoi occhi erano gelidi come quel suolo. Li avrebbe ingannati: trascinati alla loro stessa tomba prima che se ne potessero accorgere. E loro, da bravi allocchi quali erano, lo avrebbero aiutato nell’impresa.

Il freddo che gli ghermiva il viso non gli recava fastidio, anzi gli infondeva sicurezza e familiarità e provò un profondo ribrezzo nel paragonarsi ad uno di quei mostri a sangue freddo. Avanzò di qualche metro consapevole che alla minima mossa falsa sarebbe stato attaccato da una miriade di esseri senza civiltà né onore, finché finalmente arrivò dinanzi a Laufey: il Re degli Jotun, e suo vero padre, che dall’alto del suo enorme trono di ghiaccio non sembrava neppure averlo scorto.

Osservandolo, Loki represse a stento e faticosamente la vocina nella sua mente che gli urlava forte di ucciderlo. Avrebbe voluto tagliargli la gola in modo tale da poter chiarire una volta per tutte se il sangue che gli scorreva nelle vene fosse lo stesso che fluiva nelle proprie, ma doveva restare calmo e  fingere come al solito.
Era pur sempre il Dio degli Inganni, no? Dunque perché privarsi di un dono magnifico quanto menzogne e retorica, specialmente se poteva usarle a suo vantaggio nei confronti di chi lo aveva rifiutato già dalla nascita come se fosse stato un scarto?
 
Irato dai suoi stessi pensieri, strinse i pugni così forte da conficcarsi le unghie nella carne pallida graffiandola e facendosi male, ma cercò comunque di mantenere una mimica facciale neutra e pacata. Ogni cosa al suo tempo, la pazienza è la virtù dei forti si ripeteva, ma dovette reprimere un ghigno beffardo e sardonico quando nella sua mente si fece chiara e limpida l’immagine della testa di suo padre sopra la picca di una lancia.

«Uccidilo» La voce tetra e gutturale di Laufey risuonò bassa e mite nel silenzio innaturale del luogo, ma Loki non si fece intimidire e al contrario, gli rivolse un sorriso affabile.
«Dopo tutto quello che ho fatto per voi?» Chiese derisorio, e nella sua voce trasparì tutto il disprezzò che provava. Era ironico che proprio lui ordinasse alle sue guardie di ucciderlo quando ventuno anni fa non era riuscito, non per sua mano perlomeno, a portare a termine quell’azione.  A questo pensiero Loki sentì qualcosa di grosso e squamoso attanagliargli lo stomaco e fu come se un mostro dentro di sé avesse preso vita e si stesse dibattendo e dimenando forsennatamente. Dovette mordersi la lingua per non urlare di rabbia.

Laufey lo stava studiando con interesse, quasi come un leopardo che osservava una gazzella dall’alto del suo ramo, e Loki aveva a stento represso una smorfia di disgusto nel vedere quei suoi terribili occhi sanguinolenti scrutarlo. Il solo pensiero che fosse stato lui a crearlo gli recava una tale rabbia e un tale disgusto da lasciarlo interdetto.

Dallo sguardo che gli rivolse, Loki capì che Laufey avesse intuito che fosse stato lui a permettere agli Jotun di infiltrarsi ad Asgard durante la cerimonia d’incoronazione, e per un momento pensò che avesse anche riconosciuto il suo figlio ripudiato e abbandonato. Subito accantonò l’idea in un angolino remoto della sua mente, ammonendola di non ripresentarsi mai più, e chiuse gli occhi come a voler scacciare via qual pensiero. Quando li riaprì, il suo sguardo era pari a quello di un lupo che stava per attaccare.

Gli propose un patto: se fosse stato alle sue direttive, avrebbe nascosto lui e una manciata dei suoi soldati all’interno dell’alloggio di Odino, in modo da poterlo uccidere lì nel suo giaciglio. Gli spiegò il piano con naturalezza e disinvoltura quasi come se un assassinio premeditato fosse una cosa frequente e nella norma, e non si sorprese quando lo sguardo di Laufey si fece ancor più insistente e inquisitore di prima, quasi come se stesse soppesando se credere o meno alle sue parole. Dopo un po’ di titubanza, il mostrogli chiese il perché del complotto e quando lui gli rispose con tranquillità il sospetto che gli asgardiani non avrebbero accettato benevolmente un Re assassino del suo predecessore: “una volta morto Odino ti restituirò lo Scrigno. E tu restuirai a Jötunheimr tutta la sua… Gloria”, Laufey restò in silenzio, a contemplare ciò che aveva appena appreso.

Dopo un’attesa infinita per Loki, il Re dei Giganti di Ghiaccio lo inchiodò con uno sguardo e nella sua mente balenò l’idea che stesse per aizzargli contro le sue sentinelle. Istintivamente, la sua mano destra andò a sfiorare l’elsa dei coltelli da lancio.

«Io… accetto» Dichiarò a un tratto, e Loki capendo di essersi sbagliato, ghignò soddisfatto e lasciò andare la presa sulle armi. Dopodiché i due si accordarono sul giorno, l’orario e il modo in cui avrebbero dovuto uccidere Odino, ed infine Loki riuscì a convincere - a sua insaputa -  l’altro a dare inizio al piano il giorno in cui Odino si sarebbe risvegliato dal suo Sonno. In quel modo Loki avrebbe potuto uccidere Laufey e quindi salvare la vita di Padre davanti ai suoi occhi e, finalmente, sarebbe riuscito a convincerlo di essere sempre stato lui il figlio degno.

Stretto l’accordo Loki si dileguò con velocità da Jötunheimr e tornò ad Asgard con un sorriso compiaciuto e soddisfatto sul volto magro. Ad attenderlo dinanzi all’entrata del Bifröst trovò Heimdall, il quale non sembrava affatto felice di vederlo, e nel suo sguardo Loki poté leggere tutto il suo sospetto.
Irritato e in soggezione, decise nuovamente di dissimulare.

«Cosa ti turba, guardiano?» Gli chiese gentile.
«Ho volto lo sguardo verso te a Jötunheimr, ma non ho potuto né vederti né sentirti. Eri celato ai miei occhi, come i Giganti di Ghiaccio entrati nel Regno» Rispose diffidente il Guardiano.

Loki sorrise spavaldamente e avanzò qualche passo verso di lui. «Forse i tuoi sensi si sono affievoliti dopo anni di servizio».

«O forse qualcuno ha trovato un modo per velare ciò che desidera non farmi vedere».

A quel punto comprese che Heimdall era davvero furbo come reputava. Una volpe, rispetto a tutti gli altri asgardiani. Ma lui era più astuto e anche più potente e abile nell’uso delle parole: dunque la sua, per quanto potesse lottare, era una battaglia già persa in partenza. In quanto ad astuzia, non si poteva vincere contro il Dio degli Inganni.

«Tu hai grande potere Heimdall. Odino… ti ha mai temuto?»Chiese circospetto, girandogli attorno.
«No».

Loki gli rivolse uno sguardo canzonatorio. «E… come mai?»

«Perché lui è il mio Re, e io ho giurato obbedienza»
«Erail tuo Re», sibilò allora Loki, arrogante «e giuri obbedienza a me adesso. Sì».

Heimdall lo fissò con disprezzo e Loki fu certo che se avesse potuto lo avrebbe ucciso in quel preciso momento. Ma adesso era lui ad avere il coltello dalla parte del manico e dunque ogni istinto omicida nei suoi confronti era frenato dal suo incarico di Guardiano e Protettore della Corona. E dato che questo Loki lo sapeva bene, avrebbe inflitto su di lui senza esclusione di colpi.

«Sì.» Aveva infine dichiarato Heimdall, e Loki gli aveva scoccato un’occhiataccia prima di recarsi fuori dal portale.
«Allora non aprirai il Bifröst a nessuno, fin quando non avrò rimediato al danno causato da mio fratello!» Disse, e dentro di sé aveva sentito la rabbia lambirgli le viscere.
 


Adesso si trovava seduto sul trono a rimuginare su cosa fare, al perché  le cose avessero preso quella piega, sorprendendosi a sorridere quando pensò a come il destino fosse davvero beffardo: tutto quello – oltre e soprattutto – per rivincita personale, lo aveva compiuto per Emily: per poter governare insieme a lei e mantenere la promessa fatta da bambino, ma tutto era andato storto. Era ironico come, per una volta che cercava di mantenere una promessa, succedeva qualcosa che gli impediva di farlo.

Non c’era qualcosa di maledettamente sbagliato, allora?

Aveva creduto che una volta conquistato il Trono si sarebbe sentito migliore, addirittura felice e giusto, ma le cose erano andate diversamente da come le aveva immaginate e adesso ciò che gli era rimasto erano solo una lancia e uno scranno su cui stare seduto a impartire degli ordini. Non che a lui dispiacesse, anzi gli dava sempre un enorme senso di supremazia riuscire a sottomettere così quel branco di idioti, ma Loki sentiva che gli mancava qualcosa; qualcosa che non poteva essere sostituita né con l’oro né con la gloria, qualcosa  - anzi, qualcuno – che aveva lunghi capelli rossi e un caratterino davvero irritate.

Sospirò maledicendosi per aver di nuovo pensato ad Emily. Si passò lentamente le dita fra i capelli neri, spettinandoseli, e in quel gesto Loki rimembrò come lei fosse sempre propensa a toccarglieli e scompigliarglieli. Irato, soffocò un grido di frustrazione, gettò la testa all’indietro e dalle sue labbra uscì uno sbuffo infastidito: quella situazione lo stava facendo impazzire.

Improvvisamente un leggero colpo di tosse attirò la sua attenzione, e subito Loki aprì gli occhi e volse il suo sguardo alla persona che aveva chiesto udienza. Si tranquillizzò quando i suoi occhi si incontrarono con quelli chiari di Frigga.

«Madre» Sospirò stanco, e fece per alzarsi, ma lei lo fermò con un cenno del capo dirigendosi nella sua direzione. Una volta arrivatagli accanto mandò via le guardie che prontamente li lasciarono soli. Loki la ringraziò mentalmente: adesso poteva stare un po’ più sereno.
«Cosa ti porta qui?» Le chiese, cordiale. Frigga gli accarezzò dolcemente una gota.

«Sono venuta per stare un po’ in tua compagnia, Loki» Rispose lei, amorevole, e Loki si beò di quel contatto che gli infondeva sempre tanta sicurezza e tenerezza. Sua madre era sempre stata l’unica a trattarlo esattamente come se fosse stato davvero suo figlio, e Loki l’amava profondamente per questo: il suo era un bene che superava ogni limite.

«Sarò lieto di esaudire questo tuo desiderio»rispose baciandole il dorso della mano «è sempre un onore averti accanto».

Frigga rise felice: «Ruffiano che non sei altro!» Scherzò, e Loki poté giurare di veder sparire per un momento la costante tristezza che albergava dentro i suoi occhi in quei giorni: Finalmente, la vedeva rilassata. «E per darti una cosa» Aggiunse poi, sorprendendolo.

«Cosa potresti darmi, più del tuo affetto?»

Frigga gli sorrise dolcemente e poi, delicatamente, andò a sfilarsi un anello dal proprio anulare e guardando Loki negli occhi lo posò sul palmo della sua  mano richiudendo le dita a pugno come a voler suggellare quello scambio avvenuto tra madre e figlio.

Prima che lui potesse chiedere spiegazioni, Frigga iniziò a parlare: «Ci fu un Re» Cominciò, e Loki sorrise di riflesso perché conosceva molto bene quella storia «innamorato di una giovane contadina. Ella aveva dei lunghi capelli color dell’oro e gli occhi scuri come la notte; tutti quanti al paese la chiamavano Stella della Notte. Era molto buona e gentile e si faceva ben volere da tutti. Un giorno, il dispotico Re di un regno antico la vide mentre raccoglieva delle mele e, folgorato dalla sua bellezza, cadde in un folle amore. Decise dunque di volere la sua mano a tutti i costi. La fanciulla però era, oltre che bella e buona, molto accorta e giudiziosa e non aveva alcuna intenzione di sposarsi con il Re poiché lo riteneva un uomo crudele e malvagio. Nonostante ciò, tentò in tutti i modi di conquistarla: le regalò fiori, cavalli e tantissimo oro, ma non ci fu mai verso di farle cambiare idea. Dopo mesi, il Re non riuscì più a sopportare il dolore e alla fine si uccise, chiedendo che sulla sua lapide fossero incise due mani intorno a un cuore incoronato come simbolo del suo eterno amore per la contadina. Fu sciocco, perché non capì mai che per conquistare il cuore della fanciulla non occorrevano doni e ghingheri vari, bensì solo un amore sincero e dolcezza, che nei doni e nell’oro non sarebbero mai stati presenti».

La storia era finita, ma nello sguardo della Regina Loki lesse ancora molte parole.

«Conosco molto bene questa storia» Sussurrò un tratto lui, pacato. «e so anche che questo, l’anello di Claddagh, è una fede che nella nostra famiglia viene tramandata da generazioni a generazioni. Ciò che però adesso mi chiedo, è perché lo stia consegnando a me che non sono ancora né sposato né fidanzato».

Frigga non distolse lo sguardo e la sua espressione si fece improvvisamente più seria, quasi austera, ma i suoi lineamenti continuarono ad essere gentili e sereni.

«Questo anello non è usato solo per i matrimoni, Loki» Gli disse, accarezzandogli le dita affusolate. «Esso può rappresentare parecchie cose, tutte nobili quanto un’unione. Può rappresentare l’amicizia e la lealtà fra due fratelli, oppure la gioia del primo amore o la tragedia della vedovanza. Ma sta a te decidere a chi donarlo e che significato vuoi attribuirgli. Ciò che però posso assicurarti, è che il matrimonio è, di per sé solo formalità: l’amore ha parecchie sfaccettature, molte delle quali sfociano nell’unione tra due persone, e se i loro sentimenti sono reali, allora, qualsiasi cosa accada, i due saranno destinati a ritrovarsi sempre. Il matrimonio sarà solo un suggellamento del loro amore. Una promessa».

Improvvisamente comprese tutto ciò che sua madre volesse dirgli e, come fulminato, ritrasse la mano dalla sua. Nella mente gli si affollarono miriadi di pensieri e il cuore cominciò a battergli forte come un tamburo. Come faceva sua madre a sapere di?

Poi Frigga sorrise. «L’anello è tuo ora, Loki. Sta a te decidere cosa farne e a chi regalarlo. Ciò che ti chiedo però è di averne cura e di donarlo con giudizio, perché una volta dato non si può più riavere indietro: l’unione che ti legherà a quella persona sarà per sempre e diverrà indissolubile».
«Madre, come avete fatto a… ».
«Ah Loki per piacere: di’ a Lady Emily che la scorsa sera ha lasciato il lavoro che le avevo assegnato incompleto, e che anzi due delle mie ancelle hanno ritrovato la cesta della biancheria a lei assegnatale sparsa a terra. Confido nel fatto che tu possa riferirglielo, dunque aspetto una sua risposta. Siamo d’accordo?».

Poi si alzò, gli rivolse un ultimo sorriso e gli carezzò i capelli amorevolmente; sussurrò qualcosa tra sé e sé che Loki non riuscì ad udire ed infine si avviò verso l’uscita della sala, i capelli biondi che le scendevano lunghi sulla schiena erano morbidi e ondulati e Loki pensò che fosse davvero bellissima. Ma quando le porte vennero chiuse con un tonfo, rinsavì come se si fosse appena risvegliato da un sogno.

Guardò l’anello stretto ancora tra le sue dita e subito Loki capì cosa sua madre volesse dirgli. E cosa dovesse fare.

 

Quella mattina il mercato straripava di gente.

Emily sentiva il sole picchiarle forte sulla testa e le braccia della gente spingerla di qua e di là come se fosse stata una bambolina di pezza. Dovette più volte mordersi la lingua per impedirsi di inveire maleducatamente contro le persone che continuavano a pestarle i piedi e a spintonarla, che piccola com’era sembravano non vederla neppure. Soffiava un venticello piacevole e il fornaio quella mattina aveva perfino deciso di venderle il pane a un prezzo inferiore, passandolo da tre pezzi d’oro e cinque di rame a due pezzi d’argento e solo uno di oro: un vero affare! Inoltre, il fabbro dove lavorava le aveva dato dei giorni di pausa che lei aveva deciso saggiamente di impiegare facendo compere al mercato in cerca di qualcosa da mettere sotto i denti che non fosse troppo caro o rilassandosi nei pressi della radura vicino a casa. Non poteva chiedere di meglio!

Sembrava un giorno come tanti altri, uno dei classici della Stagione dei Fiori, eppure quella era una mattina importante per lei: un giorno diverso dal solito, o almeno così sarebbe dovuto essere.

Era il giorno del suo diciannovesimo compleanno, uno di quei giorni particolari in cui ogni ragazza si dovrebbe sentire più donna e meno bambina e dove tutto dovrebbe essere perfetto e secondo le proprie aspettative. Eppure, ammassata in quella cacofonia di persone che sembravano essere lì lì per schiacciarla, Emily pensò che quel giorno, di differente, non avesse proprio nulla se non la mancanza di Loki.

Faticava ad ammetterlo a sé stessa, ma Loki le mancava terribilmente. Sentiva la sua assenza come qualcosa di grande, prepotente e devastante e nonostante l’orgoglio continuasse a imporle di lasciarlo perdere e di pensare ad altro, Emily non faceva altro che vederlo ovunque. Quello era il primo compleanno che passava senza lui da quando si erano conosciuti, e adesso la sua mancanza era più forte che mai. Nonostante ciò, avrebbe comunque tirato avanti e, in un modo o nell’altro, si sarebbe dimenticata di lui. Perché nessuno nella vita è indispensabile, si ripeteva, e dunque lei poteva benissimo convivere con la sua assenza.

Arrivò sulla sponda del fiume, si sedette nei pressi del salice dove si recava sempre e fece un fischio forte e chiaro, uno di quelli che una lady non dovrebbe mai fare, dopodiché chiamò a gran voce il nome del suo lupo: Fenrir.

Arrivò in fretta e furia, quasi come se non aspettasse altro che quel richiamo, ed avvicinatosi prese a leccarle il viso con vivacità tanto che Emily, stanca delle moine dell’animale, dovette urlare per farlo smettere. Poi prese ad accarezzargli il pelo fulvo dolcemente, sussurrando tra sé e sé una lenta nenia che Loki le aveva insegnato tanto tempo addietro e socchiuse gli occhi beandosi della luce del sole che filtrava attraverso le fronde dell’albero.

Stava quasi per addormentarsi quando di colpo un rumore spezzò il silenzio e Fenrir rizzò le orecchie istintivamente assumendo una posa attenta e vigile. Intuendo che qualcosa non andava, anche Emily si riprese e cominciò a guardarsi attorno in cerca della cosa che avesse prodotto quel fruscio.

Ci fu un secondo rumore, stavolta ben distinguibile attraverso le fronde dei cespugli, e subito Fenrir cominciò a ringhiare assumendo una posizione di difesa. Emily, dal canto suo, era più infastidita per essere stata disturbata che spaventata.

«Chi è là?»Chiese senza avere risposta. Avanzò qualche passo in direzione del cespuglio finché, improvvisamente, dei capelli corvini sbucarono seguiti da due grandi occhi verdi in cui Emily riconobbe, con sgomento, Loki.

Lui quando la vide sbatté diverse volte le palpebre e sulle sue labbra parvero danzare una decina di risposte, ma alla fine l’unica cosa che disse fu un semplice e quasi timido “ciao” che disorientò del tutto la ragazza, che resasi conto di ciò che stava accadendo sentì la testa girarle vorticosamente e il cuore mancare diversi battiti. Nel frattempo Fenrir, accertatosi che l’intruso fosse Loki, gli era corso in contro pimpante saltandogli letteralmente addosso. Loki dovette imporsi con parecchia forza prima di scacciarlo via, ed Emily gli sentì sussurrare tanti di quegli epiteti così poco gentili che le sue labbra si stesero istintivamente in un sorrisetto divertito appena accennato.

«Dovevo vederti» Sussurrò Loki una volta issatosi in piedi, ed Emily fu tentata di rispondergli un energico “anch’io!” e di gettargli le bracci al collo tanto gli era mancato. Non lo fece, e si voltò dall’altra parte per nascondere il rossore che le aveva imporporato le guance.

Loki non demorse. «Sto parlando con te» disse forzandola per girarsi verso di lui. Emily cercò in tutti modi di non guardarlo negli occhi.

«Che cosa vuoi?» Domandò decisa nonostante lo sguardo basso. «Noi due non abbiamo più nulla di dirci!».

Come se avesse intuito l’astio presente tra i suoi due padroni, Fenrir cominciò a guaire.

Loki aggrottò le sopracciglia, assumendo un’espressione austera. «Io ho qualcosa da dirti».
«E cosa vuoi?!» Urlò Emily alzando gli occhi, imponendosi di sembrare dura e arrabbiata, quando in realtà avrebbe solo voluto baciarlo e stringerlo forte.

Calò un silenzio pesante nella radura, spezzato solo dallo scrosciare dell’acqua del fiume e il vento che faceva dibattere le fronte degli alberi, in cui nessuno dei due sembrava avere intenzione di distogliere lo sguardo dall’altro. Fenrir stava in silenzio ad osservarli, le orecchie abbassate e il muso nascosto tra le zampe quasi come se capisse che nell’aria ci fosse tensione.

«Volevo renderti questo» Dichiarò Loki, mettendo una mano in tasca e estraendo il fiocco che le aveva rubato poche settimane prima. Quando lo vide Emily sgranò gli occhi.

«Cosa? Ma lo avevi bruciato davanti ai miei occhi! Io ti ho visto!» Esclamò togliendoglielo dalle mani e osservandolo con incredulità.
Loki sorrise canzonatorio. «Si vede che non hai ancora imparato a conoscermi, allora».

Lei alzò repentinamente lo sguardo: «No, ti sbagli» disse seria «Io ti conosco perfettamente. E sapevo che saresti tornato, me lo aspettavo: tu torni sempre a riprendere le tue cose. Solo… non mi aspettavo così presto. E non in questo giorno, almeno» Aggiunse, scoccandogli un’occhiataccia risentita.
 
«Perché, che giorno è oggi?» Domandò lui alzando un sopracciglio.

Emily si sentì sinceramente offesa: «Davvero non te lo ricordi?».

Lui restò in silenzio a rimuginare su che giorno potesse essere, e proprio quando Emily aveva perso le speranze gli si illuminarono gli occhi e un’espressione di pura sorpresa si dipinse sui lineamenti sottili: «Oggi è il tuo compleanno, non è così?»

Emily sorrise amaramente, tornando a sedersi sotto il salice ad accarezzare il dorso di Fenrir, che le leccò la mano. Provava un sentimento contrastante, perché se da un lato aveva sperato con tutta se stessa che Loki si ricordasse del suo compleanno, dall’altro voleva che si scordasse di lei e la lasciasse in pace. Quando però le aveva dato conferma del fatto che non ricordasse, la delusione prese il posto della speranza e, inevitabilmente, si rattristì.
 
«È ironico, non trovi? Al tuo compleanno, avevi creduto che io me ne fossi dimenticata e che non ti avessi fatto alcun regalo, ma invece stavo solo cercando di nascondere la verità. Adesso invece non c’è nulla da nascondere, semplicemente perché tu ti sei dimenticato di tutto. Anche di me».

Sentì Loki sospirare amaramente e con la coda dell’occhio Emily vide che si stava passando una mano sul viso nel il tipico atteggiamento che assumeva ogniqualvolta fosse frustato o irritato per qualcosa. Poi le si sedette accanto,  ma lei non lo cacciò via.

«Mi dispiace»Dichiarò, storcendo gli angoli della bocca in una smorfia «Purtroppo governare il Regno mi prende ogni energia e pensiero. E la guerra con Jötunheimr non fa che aggravare le cose… ».

Emily sbuffò. «E allora perché sei qui? Dovresti trovarti al palazzo. Un Re non dovrebbe mai allontanarsi dal proprio trono».
«Avevo una cosa urgente da fare».
Emily rise e voltò il capo per incrociare il suo sguardo. «E cosa, restituirmi un nastrino per capelli?».
«No»fece una pausa e il suo sguardo si fece più serio e insistente, quasi come se stesse cercando di scavare dentro di lei. «Sono qui per chiederti di diventare la mia Regina».

E tutto, improvvisamente, scomparve.

Fu come se quelle parole le fossero arrivate in modo così brutale e violento alle orecchie che inizialmente Emily non riuscì a comprenderle a pieno. Restò in assoluto silenzio, a ripetersi quella frase nelle testa come un’antica cantilena, e tutto le parve improvvisamente estraneo e bizzarro. Poi, la realtà le piombò addosso come una secchiata d’acqua gelida ed Emily scattò in piedi come se si fosse scottata.

Anche Loki si alzò da terra e la sua altezza sovrastò quella della ragazza di fronte a lui, che continuava a fissarlo con occhi sgranati e le mani premute sulla bocca.

«Emily…»Iniziò lui a un tratto, evidentemente a disagio dalla sua reazione.

Continuava squadrarlo con sospetto e incredulità, convinta che di lì a poco Loki le avrebbe detto che si trattava di uno scherzo di pessimo gusto e che era stata una stupida a credergli. Sentiva le labbra secche ed era come se la lingua le si fosse appiccicata al palato, impedendole di parlare. Nella mente c’era una confusione così devastante, che Emily sentì la testa dolerle.

«Emily…»Riprese Loki avvicinandosi, ma istintivamente Emily si ritrasse e indietreggiò di alcuni passi.

Poi le parole le salirono alla bocca prima che potesse fermarle: «Cosa?».

Loki sospirò amaramente e prese a fissarla insistentemente con lo sguardo malinconico di chi sapeva di essersi messo in un guaio e adesso rimpiangeva di aver compiuto una determinata azione, poi le si avvicinò e questa volta lei non si ritrasse.

«Non lo ripeterò due volte, Emily. Lo sai benissimo ciò che ho detto, e vorrei non ripeterlo».

Sentiva la testa girarle vorticosamente, le gambe molli e il respiro mancarle, ma cercò comunque di mantenere l’autocontrollo. Non ci riuscì, e dunque decise di dar sfogo a tutto ciò che aveva pensato in tutti quei giorni, a tutte le sue frustrazioni e le rabbie represse e a tutto ciò che l’aveva fatta stare male: perché adesso era proprio stufa del comportamento di Loki.

 «Tu… tu non puoi venire qui dopo… dopo tre settimane, dopo quella sfuriata e… e… tu non puoi! Non puoi, non te lo permetto! Devi smetterla di irrompere nelle mia vita, di parlarmi e di tornare da me dopo… dopo tre dannate settimane! Non puoi chiedermi di diventare tua moglie così di colpo, quando non ti ricordi nemmeno che oggi è il mio compleanno! Io… io…»La voce le si spezzò, ed Emily fu costretta a fare dei respiri profondi per non permettere alle emozioni di avere il sopravvento, poi chiuse gli occhi e quando li riaprì sul suo viso era segnata l’espressione di chi stava per esplodere.

«Io ti odio, ok? Odio il modo sempre freddo e distaccato in cui mi parli; odio il fatto che, qualsiasi cosa io faccia, tu trovi sempre il modo di sminuirla; odio i tuoi complessi di inferiorità e il fatto che credi che tutti al mondo ce l’abbiano con te quando sai benissimo che non è affatto così; odio vederti diventare un totale idiota a causa di quell’aggeggio infernale che hai sottratto a Odino; odio anche sapere che sei la persona più lunatica che io abbia mai conosciuto e non riesco mai a comprendere quello che pensi o quello che vuoi realmente! »La sua voce era più alta del solito, più arrabbiata e carica di frustrazione e astio, tanto che ad un tratto divenne quasi isterica. Emily continuava a fare una lista interminabile di tutte le cose che odiava di Loki, infischiandosene altamente del fatto che lui potesse restarci male, e mentre parlava gli si avvicinava sempre di più, così tanto che alla fine dovette fermarsi e imporsi di respirare. Quando poi riprese a parlare, i suoi occhi erano lucidi e la sua voce tremante e instabile.

«Ma sai cosa odio di più?» Chiese affranta. Loki non rispose. «Odio il fatto che dopo tutto ciò, nonostante io debba odiarti, io ti ami ancora più di prima. Ti amo così tanto, Loki, così maledettamente tanto, che anche se ci provo e ci riprovo io non riesco ad odiarti! Non riesco non desiderarti accanto a me, a cercare le tue mani la sera sotto le coperte, a voler baciare le tue labbra e a voler scompigliare i tuoi capelli; ad amarti nonostante tu sia un Gigante di Ghiaccio e il tuo carattere, alle volte, sia molto simile al loro più di quanto credi e  credere che le tue parole, infondo, siano sincere e che tu voglia davvero stare con me. E adesso mi sto rendendo ridicola, ti… ti sto dicendo tutte queste cose pur sapendo che tu non cambierai, che non sarai mai diverso per qualcun altro e che continuerai a farmi del male senza neanche accorgertene! Che non capirai nulla, perché tu… tu…» Gettò un sospiro amareggiato, quasi come se in esso potesse gettar via tutti quei pensieri. Poi, alzò nuovamente gli occhi su di lui e sorrise beffarda. «Tu non sai neanche se vuoi o non vuoi stare con me, Loki. Me lo hai detto tu stesso poche settimane fa, prima che io andassi via. Come fai dunque a chiedermi di diventare la tua Regina? È assurdo. Ammetti che sei qui solo per farmi star male, per vedermi in questo stato pietoso!».

«Sono qui perché voglio te, Emily. Ti voglio come mia Regina, come sposa e come compagna; per una volta smettila di fare la vulvetta lamentosa e capisciquello che io ti voglio dire!».

Emily assottigliò gli occhi in due fessure azzurre. «Non voglio più sentire parole, Loki. Voglio fatti!».

«È quello che ti sto dando!».
«Non mi basta più!».
«E allora cosa vuoi? Cosa vuoi?!».
«Voglio che tu mi dica la verità, Loki: tu mi ami sì o no?!».

Loki esitò, e rimase in silenzio per alcuni istante. Emily lo guardò insistentemente senza distogliere lo sguardo nemmeno per un momento, e fu certa di vedere della frustrazione negli occhi di Loki.

«Ti ho già dato la risposta a questa domanda, non farmela ripetere».

Emily lo guardò irritata e improvvisamente avvolse le braccia intorno al suo collo e lo attirò a sé con forza:

«Dimmela, Loki. Dammi una risposta e io capirò se mi stai mentendo oppure no».

Loki ghignò, le labbra a pochi centimetri da quelle di Emily. «La risposta, Emily, è no».
Emily sorrise, beffarda. «Lo sapevo» bisbigliò, il naso che sfregava contro il suo.
«Cosa?» Mormorò lui a pochi centimetri dalle sue labbra, con voce bassa e roca, condividendo i suoi lenti respiri con lei.
«Il lupo perde il pelo ma non il vizio».
«E quale sarebbe il mio vizio?» Le chiese, stringendole una mano sulla schiena attirandola a sé.
Emily socchiuse gli occhi e sorridendo avvicinò ancora di più i loro visi. «Dici sempre le bugie» Sussurrò, e premette con forza la bocca sulla sua.

Subito, lui rispose con energia e fu come se il tocco della pelle di Loki, delle labbra, delle mani, affondasse nella pelle e nelle ossa. Come se scavasse dentro di lei. E la ragazza si sorprese nel riscoprirsi ad amarlo più di prima. E mentre stringeva con forza le dita nei suoi capelli, supplicandolo mentalmente di non lasciarla, di baciarla più a lungo, Emily sentì un brivido salirle veloce lungo la schiena e istintivamente tirò indietro il capo, estasiata da quel contatto così a lungo desiderato. Loki le baciò il collo e le guance per poi ritornare sulle labbra, e lei si sentì come morire e fu certa che se lui si fosse staccato, avrebbe smesso di respirare. Era come se tutto fosse sparito: la rabbia, la frustrazione e l’orgoglio erano stati sostituiti da un sentimento così energico e passionale che Emily si sentì disorientata e confusa e le sembrò di non aver mai provato nulla di simile. Stringeva a sé il tessuto della giacca di Loki quasi come se temesse che potesse sgusciare via da lei da un momento all’altro e in un barlume di lucidità si chiese se fosse normale provare così tante emozioni in un solo momento. Si sentiva quasi scoppiare tanto il suo cuore batteva forte.  

Si sdraiarono nell’erba e fecero di nuovo l’amore, e quando finirono Emily si sentì incredibilmente stanca, quasi come se avesse appena combattuto da sola contro un esercito intero, le tremavano ancora le gambe e la mente era ancora piena di confusione e immagini, ma cercò comunque di restare sveglia e vigile. D’altro canto Loki sembrava stranamente desto e attento, tanto che si ricompose subito e le dedicò uno sguardo sfuggente prima di sedersi nei pressi del fiumiciattolo. Dopo che si fu rivestita si sedette accanto a Loki e improvvisamente sentì nel petto una profonda agitazione.

«Loki» Lui voltò la testa verso di lei. «Cosa succederà adesso?».
«Che ne dici di incominciare dal fatto che io stia aspettando ancora una risposta alla mia domanda?».

In principio, Emily non capì di cosa stesse parlando, ma dopo un po’ lo comprese e allora arrossì violentemente.

«Non so se sono adatta a diventare Regina. Insomma, sono solo una contadina, io. Non sono in grado di governare una nazione. Farei solo una figuraccia…».

A quel punto Loki estrasse dalla tasca qualcosa che Emily non riconobbe subito ma, quando glielo fece vedere, capì repentinamente di cosa si trattava.
«Volevo dartelo in un secondo momento, ma credo che adesso sia più che adatto. Sai già cos’è, vero?».
«È un anello» Mormorò lei perplessa.
«Molto arguta» La canzonò, ricevendo una spintarella giocosa in risposta. «Eppure, questo è molto più che semplice anello. Questo è una promessa».
Emily corrugò la fronte. «Una promessa?».
«Una promessa» Ripeté lui serafico. Poi le si avvicinò, le prese la mano destra e prima che potesse replicare infilò l’anello nel suo anulare, la corona disegnata nel gioiello rivolta verso il polso: il simbolo del fidanzamento. «Con questo anello ti faccio una promessa. E noi dèi siamo obbligati a mantenere la parola data, questo lo sai bene».
Emily abbozzò un sorriso di scherno: «Come faccio a credere alla parola del Dio degli Inganni?».
 Loki alzò un sopracciglio: «Anch’io ho dei codici morali. » Rispose arricciando il naso piccato «E ti posso assicurare che questa è una delle poche promesse a cui voglio tenere fede. E ne varrà il mio onore se non lo farò» Fece una pausa, quasi come se stesse soppesando le sue parole. «O meglio la mia vita, per quanto quella degli dèi possa definirsi tale».

«Che promessa vuoi farmi?» Domandò lei guardandolo dritto negli occhi, improvvisamente ansiosa.
Lui non distolse lo sguardo: «Ciò che ti sto promettendo, e che questo anello ne sia la prova, è che prima o poi, presto o tardi, tu diventerai mia moglie: la Regina di Asgard. E governerai al mio fianco, com’è giusto che sia».
Lei restò in silenzio, gli occhi fissi sull’anello d’oro al dito e un’espressione confusa in viso: «Posso fidarmi?» Chiese a un tratto, guardandolo negli occhi.
«Questo mai» Rise.
Emily alzò un sopracciglio, con l’espressione ilare e compiaciuta di chi aveva appena ricevuto una bella notizia. Poi scoppiò a ridere anche lei e gli diede un bacio. Non aspettandosi quel contatto così improvviso, Loki restò interdetto e distolse lo sguardo, imbarazzato.

« È sorprendente, no?» Domandò poi Emily guardandosi intorno «Mi hai chiesto di diventare la tua Regina nel luogo esatto in cui ci siamo conosciuti: sotto il nostro albero. È davvero magnifico, sono senza parole. Non credevo che questo giorno giungesse davvero, e adesso mi sento imbarazzata e allo stesso tempo tanto, tanto felice. E la cosa più assurda è che sino a ieri ero certa che non ti avrei mai più rivisto! Sono... sono sconvolta!» Rise talmente forte da sorprendersi di quanta felicità il suo corpo potesse contenere.

Loki la guardò: «Te lo avevo promesso, no?».
«Cosa?».
«Quando eravamo bambini ti promisi che saresti diventata la mia Regina. Adesso, sotto lo stesso albero, sto suggellando quella promessa con un anello di fidanzamento che la mia famiglia si tramanda da generazioni. E questa, Emily, è forse l’unica promessa che valga la pena mantenere».

Emily sgranò gli occhi, profondamente colpita, e dentro di sé sentì nascere qualcosa di caldo e avvolgente che le strinse il cuore in una morsa. Adesso era tutto chiaro: Loki aveva fatto tutto quello per lei, per poter mantenere quella promessa fattale da bambini. Solo in quel momento comprese quanto veramente lo amasse, e per un istante credette che il suo corpo non potesse contenere tutto quell’amore e che sarebbe esplosa. Commossa ed emozionata gli accarezzò una guancia, facendolo istintivamente irrigidire a quel gesto così improvviso, e appoggiò la testa sul suo petto, consapevole che lo stesse mettendo a disagio con tutte quelle effusioni, ma non potendo farne a meno.

«Sì» Pigolò, la voce ridotta a un misero sussurro.
Loki si scansò un po’ da lei. «Sì?».
«Sì, diventerò la tua Regina».

Loki restò in silenzio per parecchi secondi, lo sguardo interdetto e basito di chi aveva ricevuto una notizia davvero incredibile, e la sua bocca si spalancò in un piccolo ovale. Sembrò che volesse dire parecchie cose, ma che fosse troppo imbarazzato per riuscire a parlare. Alla fine, ciò che riuscì a dire fu un misero “ottimo”, che la fece sorridere.

«Grazie» Gli sussurrò poi quest’ultima, serena.

Loki sorrise e si arricciò una ciocca dei riccioli capelli rossi attorno ad un dito, giocandoci: «Buon compleanno, Emily».
 
 
 

Quella notte, Loki sognò di cadere dal Bifröst e precipitare nei meandri più oscuri dell’Universo.

 
 
 
 
- Note dell’Autrice.

FLUFF. FLUUUFF OVUNQUE E DOVUNQUE, NON C’E’ VIA D’USCITA. AIUTO! MUOIO SOMMERSA DALLA DOLCEZZA NNGGGH--- *decede*

Ok, ok, torniamo alla realtà. Finalmente ‘sti due hanno fatto pace, direi fosse anche ora, no? E poi dai, finalmente quel poverino di Loki dopo 22 capitoli di scleri e mazzi vari riesce a mantenere – in parte - la promessa fatta ad Emily! Propongo di stappare lo spumante e brindare. Olé!

Spero con tutto il mio cuore di non aver reso Loki troppo OOC, perché sul serio ho cercato di fare il possibile per tenerlo normale. Spero con tutto il cuore di non averlo fatto sembrare un idiota e di averlo tenuto abbastanza in character. Se così non fosse, perdonatemi! Giuro che coi prossimi mi riprenderò! ç___ç

Anyway, questo capitolo, come ho già detto su Facebook, è IL FLUFF fatto e finito. Specialmente nell’ultima parte. Spero che a nessuno sia venuto il diabete, anche perché dal prossimo capitolo in poi riprendiamo con l’angst e le seghe mentali, quindi non abituatevi alla cosa! *risata sadica*

Vi annuncio infine che, finalmente per voi – ma non per me -, ci stiamo avvicinando tantisssssimo alla fine della storia. Eh, sì. Mancano sì e no 3 capitoli, o forse pure di meno, più l’epilogo e poi FINE. Siete felici? Sì? Be’, io no. Mi sono affezionata davvero tantissimo a questa storia e ai lettori che la seguono, e sarà un dispiacere enorme per me metterci un punto fermo. NON VOGLIO CHE TUTTO FINISCA AAAAAAAAAARGH *piange*.

Grazie di cuore a tutti coloro che hanno recensito lo scorso capitolo, siete l’amore. Sul serio, non potete nemmeno immaginare quanto mi rendete felice! Grazie mille ! <3 Ringrazio anche tutti coloro che hanno messo la storia tra le preferite/ricordate/seguite! Siete davvero, DAVVERO tantissimi! Non so più come ringraziarvi!

Giusto per informazione, questa settimana da me a Catania si terrà l’EtnaComics; un festival del fumetto davvero molto carino. Si terrà il 7\8\9 e io sarò presente probabilmente tutti e tre giorni; se qualcuno di voi è di Catania e vuole fare un salto alla fiera, avvertitemi! Mi piacerebbe davvero tantissimo potervi conoscere e poter scuoricinare su tutti voi come se non ci fosse un domani <3 <3 (ok, ok la smetto). Ad ogni modo, io sarò una Merida di The Brave un po’ (UN PO’??) in carne e decisamente più esaltata del normale. Quindi se mi vedete ditemelo! ^-^

Ci leggiamo al prossimo capitolo!

Vi lascio, come sempre, i miei link di Facebook e Ask.Fm:
Facebook: https://www.facebook.com/harmony.efp.9?fref=ts
Ask. Fm: http://ask.fm/HarmonyEfp

E giusto perché voglio spammare un po’, vi linko anche il trailer della Volpe e il Lupo!
TRAILER: http://www.youtube.com/watch?v=1T2lMF3JVlk
 
Ciao! :)

P.S: Grazie mille ad
Evilcassy per aver betato anche questo capitolo! Cassy, sei la salvezza! <3 <3 <3
P.SS: Qui trovate il LINK della leggenda del Claddagh Ring!
Vi consiglio caldamente di leggerla! **

Link: http://it.wikipedia.org/wiki/Claddagh_Ring

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Capitolo 23
*** The Snider Trick. ***


~The Snider Trick.

Tu fai la vittima molto bene
Tu costruisci da te un inferno indulgente
Tu volevi qualcuno che ti capisse
Bene, stai attento a ciò che desideri perché io ti capisco
Tu hai un fantasioso modo di rigirare le frasi
Tu hai piazzato la tua trappola
Tu hai messo in atto i tuoi giochi
Tu sei così affezionato ai giochi
Tu non devi perdere mai
Divertente come l'unico nel tuo letto sia tu.

I Know Where You Sleep- Emilie Autumn
 

 



La sfera stretta tra le lunghe e sottili dita era di un chiaro cristallo color violaceo e a donargliela era stata sua madre quando era bambina, durante un banchetto in onore della nascita del suo fratellastro Thanos, e da quel giorno non se n’era più separata. Era diventata come un’amica, qualcuno con cui confidarsi nei momenti di solitudine; ma quando Eris ci discorreva, non era ad essa che si rivolgeva.

La sfera mostrava un ragazzo, al di là della superficie: capelli neri, volto affilato e occhi di un verde davvero molto chiaro. Dimostrava una ventina d’anni, ed Eris ricordava con innaturale nitidezza quanto lo avesse trovato bello la prima volta che i suoi occhi lo avevano visto verso il vetro. Col tempo, infatti, aveva assunto l’abitudine di spiarlo attraverso la sfera e, se alle volte non riusciva a vedere cosa il suo principe – così lo aveva soprannominato – stesse facendo, si agitava non poco. Poi però era cresciuta e aveva compreso che la sua non era una semplice cotta da adolescente, bensì amore e adorazione per lui, il Dio degli Inganni. Il suo Loki. Aveva deciso di sposarlo, avrebbero unito i Regni e i loro padri avrebbero avuto un’alleanza durevole attraverso loro! Eppure… Qualcosa era andato storto.

«Oh, Loki... sei stato così cattivo con me! Lasciarmi per quella piccola insolente! Ah, mi hai così tanto deluso! Ma come devo farti capire che sei solo ed esclusivamente mio, amore?» Miagolava mentre accarezzava la sfera, poggiandoci la guancia estasiata. «Tu mi appartieni …».

Mentre osservava adorante ciò che stava accadendo dall’altra parte dell’oggetto, Eris provò a immaginare come sarebbe potuta essere la sua vita al fianco di Loki in veste di sua Regina e sorrise estasiata al pensiero. «Ah, come vorrei che fosse possibile!» Esclamò serafica. Ma guardando meglio attraverso il vetro si rese conto che qualcosa non andava.

Loki si stava dirigendo verso quel bosco, lo stesso dove aveva conosciuto quella smorfiosa senza attributi, e il suo comportamento, seppur fiero e altezzoso, lasciava intendere che qualcosa non andava e che fosse parecchio agitato. Sapendo cosa fosse successo tra lui ed Emily – o almeno così credeva si chiamasse quell’insolente - Eris sentì il cuore mancare un battito e quando infine Loki arrivò in prossimità di una radura dove si trovava quella insieme al suo dannato lupo, pensò che avesse completamente smesso di battere e il fiato le si mozzò in gola. Strinse la sfera con più sforza e avvicinò ancora di più il viso, quasi come se avesse potuto entrare dentro la scena.

Stavano discutendo, constatò. Di nuovo: niente di sorprendente si disse. Anzi, era solo un bene che lo facessero, almeno si sarebbero allontanati ancor di più. Eppure quella dannata gatta morta le dava un immenso fastidio, ed Eris sentì il sangue ribollirle con veemenza nello stomaco e fu come se qualcosa di grosso e squamoso avesse preso a dimenarsi dentro il suo petto facendola fremere di rabbia e gelosia.

Doveva stargli lontano.

Passarono alcuni minuti nei quali si sentì morire ogni secondo di più, finché accadde una cosa che la lasciò del tutto spiazzata: quella sgualdrina lo aveva baciato!

Il sangue le andò al cervello facendola andare su tutte le furie e istintivamente scaraventò la sfera lontano da lei, facendola sbattere contro il muro e cadere con pesantezza a terra. Si prese i capelli fra le mani e cominciò a inveire contro Emily, a maledirla e immaginare la sua morte nella maniera più atroce possibile. La gelosia la corrodeva ed Eris si sentiva bruciare: ogni suo singolo muscolo sembrava essersi infuocato e il ricordo persistente delle loro labbra unite aveva su di lei lo stesso effetto di combustibile gettato sulla brace. Per un istante pensò che sarebbe esplosa e che il suo fisico non avrebbe sopportato oltre quella vista.

Pianse di rabbia e d’angoscia, perché dentro di sé era certa che quello che provava per Loki fosse amore, e dunque in qualche modo la sua mente le aveva impostodi disperarsi e provare dolore, convincendola del fatto che il suo fosse un sentimento vero e forte. Era Quella lì  l’errore.  L’ostacolo al compimento dell’amore fra le lei e Loki. Doveva eliminarla … doveva eliminarla!

Non puoi, lerispose prontamente una voce dentro la testa, Se muore lei, muore anche Loki. Lo sai questo. Sono legati, non puoi fare nulla; puoi solo sperare che sparisca.
Digrignò i denti. Era vero: a causa di quel sigillo non poteva ucciderla, altrimenti la maledettaavrebbe trascinato Loki negli Inferi insieme a lei. Imprecò.Che fosse dannata.
Eppure non poteva lasciare le cose in quello stato; Loki non poteva stare con una sudicia contadina, lui meritava di meglio! Qualcuno che lo sapesse soddisfare pienamente, qualcuno bello quanto lui ma non troppo, così da non offuscare la sua magnificenza, qualcuno di alto rango sociale che gli avrebbe garantito una vita meravigliosa: qualcuno come lei.

Improvvisamente la risata argentina di Emily la distrasse dai suoi pensieri e in uno scattò felino, si scagliò prontamente sulla sfera abbandonata a terra, smaniosa di sapere cosa stesse succedendo, e di nuovo ciò che vide la lasciò senza fiato: No… non poteva essere vero. Era sicuramente uno scherzo, quello. Sì, non poteva essere altrimenti.
Ma la voce di Loki le tolse ogni dubbio: «Ciò che ti sto promettendo, Emily, e che questo anello ne sia la prova, è che prima o poi, presto o tardi, tu diventerai mia moglie: la Regina di Asgard. E governerai al mio fianco, come è giusto sia».

Tutto parve scomparire e si accorse di aver trattenuto il fiato per tutto quel tempo solo quando un singhiozzo le sfuggì prepotente dalle labbra. Si lasciò cadere bocconi a terra, la sfera ancora stretta saldamente tra le dita e le lacrime che sgorgavano dagli occhi, delineandone i contorni e scendendo giù per il viso fino ad infrangersi sul pavimento.

Il suo Loki… il suo amato Loki…

Solo allora si rese conto del fatto che quell’anello – che ricordava bene di aver visto indossato a Frigga, quella sera al palazzo di Odino – fosse l’Anello di Claddagh; simbolo dell’unione fra due persone che stanno per sposarsi o desiderano scambiarsi un giuramento. Osservandolo, Eris si sentì come in preda a una tempesta, e si chiese se ne sarebbe mai più venuta a galla. Era una sensazione devastante, e si accorse di come l’amore non corrisposto fosse la peggior tortura che qualcuno potesse infliggere a un suo simile. La devastazione interiore più logorante.

Poi, così com’era venuta, l’angoscia cessò e al suo posto si fece spazio una rabbia folle, cruenta e violenta, e le sue labbra si piegarono in un sorriso sinistro che le deformò i lineamenti docili e affascinanti del viso. Improvvisamente incominciò a ridacchiare, un risolino basso e freddo che dopo alcuni secondi divenne una risata vera e propria, alta e sguaiata. Terrificante.

Si asciugò le lacrime e con minuzia prese ad accarezzare i bordi della sfera tracciandone i contorni con il dito mentre i suoi occhi si assottigliavano in due fessure dorate. Poi sorrise felice e il suo sguardo si posò su quello di Emily, che dall’altra parte della sfera riposava con la testa poggiata sul petto di Loki e un sorriso beato che le incurvava le labbra sottili.

 «Credo sia giunta l’ora di fare una visitina all’altra metà della medaglia. Magari sarà così gentile da decidere di rendermi quel bel gingillo che porta al dito … » Sogghignò melliflua fra sé e sé.

Si alzò da terra e andò a riposizionare la sfera sopra il tavolino della propria toeletta per il trucco e si sedette sullo sgabello. Si sistemò con cura i capelli corvini, stringendoli in una delicata acconciatura, e colorò le labbra di rosso beandosi della propria bellezza. Solo un dettaglio stonava con l’armonia del suo viso: i suoi occhi. Erano grandi e con lunghe ciglia, davvero meravigliosi, ma il loro colore, da prima dorato e penetrante come quello dell’ambra, era diverso ora: viola. E non un viola caldo, gentile o elegante ma uno chiaro, strano e decisamente inquietante, quasi simile al grigio, con la pupilla sorprendentemente rimpicciolita come quella di un rettile. Solo allora Eris si accorse del fatto che la sua pelle stesse assumendo uno strano colorito ametista e si stessero frammentando in scaglie. Spaventata sussultò, chiuse gli occhi di scatto e cercò di mantenere il controllo della propria mente. Quando li riaprì tutto era tornato alla normalità, il suo viso e la sua pelle erano quelli di prima. Tirò un sospirò di sollievo e riprese ad acconciarsi i capelli e agghindarsi proprio come se non fosse successo nulla. Quando ebbe finito poggiò la spazzola sul marmo del tavolo e si osservò allo specchio: lo sguardo che esso le restituì fu quello di una bellissima donna che aveva due profonde venature violacee che le marcavano il contorno degli occhi, segno inequivocabile che Lui si stava risvegliando.

Sorrise. Se non avesse potuto ucciderla, allora avrebbe fatto in modo che sparisse.

 
Era sorprendente come Volstagg riuscisse a ingurgitare tutta quella somma sproporzionata di cibo in così breve tempo, e se si fosse trovata in un altro momento Emily ne sarebbe stata perfino ammirata e lo avrebbe esortato con tanto di cori da battaglia a spingersi fino al limite; eppure da quando Loki le aveva regalato l’Anello di Claddagh e le aveva promesso che presto si sarebbero uniti in matrimonio, aveva preso a vagare nel Regno dei Sogni e si era completamente estraniata dalla realtà che la circondava. Inoltre, in quegli ultimi giorni era diventata tremendamente emotiva – più del solito – e anche parecchio nervosa e suscettibile. Non sapeva esattamente perché da una settimana dal suo rappacificamento con Loki a quella parte si comportasse così, ma alla fine associò quelle strane emozioni alle novità recenti e alla fine non ci fece più caso.

Stava giusto immaginando che tipo di moglie sarebbe divenuta una volta sposata – fedele, premurosa e attenta o scialba e disordinata? - quando un vassoio fu scaraventato a terra e il rumore che ne provocò le fece fare un balzò e squittire per lo spavento. Infastidita per essere stata disturbata nel bel mezzo di una contemplazione, Emily rivolse un’occhiataccia a Fandral e Volstagg, che si stavano di nuovo cimentando in una delle loro solite dispute.

«La volete piantare una buona volta?!» Gridò facendoli voltare verso di lei, evidentemente sorpresi di sentirla parlare.
«Ha ragione! Smettetela, tutti e due!» Intervenne Sif andando a bloccare Fandral dal piantare un pugno ben assestato al compagno. Hogun andò a fare lo stesso con Volstagg «Sappiamo che cosa dobbiamo fare» Disse poi, seria.
«Dobbiamo andare» Dichiarò Hogun, serio.
Emily aggrottò le sopracciglia, non capendo a cosa si riferisse. «Cosa? Dove? Perché?».

Tutti parvero avere lo stesso pensiero e osservarono Hogun come se lo vedessero per la prima volta. Sembrava che avesse appena dato vita a un’idea a cui tutti avevano pensato ma troppo grossa e devastante da esprimere ad alta voce. Lui non demorse: «Dobbiamo trovare Thor!»

«È tradimento!» Fece Fandral, frustrato.
«Al diavolo il tradimento! È suicidio!» Ribatté Volstagg, timoroso.
«Thor farebbe lo stesso per noi …» Mormorò Sif con sguardo perso nel vuoto.
«Siete impazziti?» Esclamò a quel punto Emily, sconvolta dall’idea dei compagni ma tentata allo stesso tempo. «Se Loki lo scoprisse verremo condannati alla Giustizia di Asgard. Questo è tradimento, e voi sapete che punizione spetta per chi va contro la Corona!» Gli sguardi di tutti si puntarono su di lei ed Emily si sentì quasi in soggezione e in imbarazzo. Distolse lo sguardo per un momento, le guance improvvisamente imporporate, ma riprese subito dopo. «Avete visto cos’è successo a Thor!».

Sif si voltò, lo sguardo grave e lapidario. «Questo non è un tuo problema, Lady Emily» disse. «Noi Guerrieri sappiamo esattamente cosa è meglio fare per il bene di Asgard».
«Anche Loki lo sa!» Rispose quella, prontamente, e il cuore cominciò a batterle con più vigore contro il petto. «Se solo voi … se solo voi gli deste un’opportunità, lui …».
«Silenzio ora» La bloccò Volstagg, guardandosi attorno spaurito. «Heimdall potrebbe osservarci».

Come se avesse pronunciato la parola d’ordine le porte della sala vennero spalancate e una guardia fece il suo ingresso ma nel momento stesso in cui stava per aprire bocca per incominciare a parlare, Emily, non sopportando più la vista dei compagni, si diresse fuori dalla sala a tutta velocità non permettendo al paggio nemmeno di poterla fermare, troppo veloce rispetto alle sue piccole gambe tozze. Nonostante ciò, nessuno di loro la seguì e di questo lei ne fu sollevata.

Camminando arrivò in un’Ala del palazzo che non aveva mai visto prima: stranamente deserta, spoglia ma ricca di porte e di stanze. Il corridoio era di pietra, umido e scuro, ed illuminato solo da alcune fiaccole. Nell’aria c’era tensione, quasi elettricità ed ebbe l’inquietante sensazione che potesse succedere qualcosa di sinistro da un momento all’altro e che doveva andarsene subito. Deglutì e fece per tornare indietro ma improvvisamente tutto divenne buio. Non ebbe il tempo di capire cosa stesse succedendo che un braccio sconosciuto le si chiuse attorno alla gola, fece forza facendola annaspare per lo spavento mentre per riflesso lei cercava disperatamente di spostare le dita del suo aggressore dal suo collo. Il cuore le batteva a mille e la testa sembrava scoppiarle. Cercò di lottare ma la stretta si rafforzò, e sentì la gola bruciarle e i polmoni chiedere ossigeno. Lo sconosciuto le afferrò la mano destra, le tolse l’Anello di Claddagh e poi riavvolse nuovamente le sue lunghe dita attorno al suo collo, stringendolo più forte, ed Emily non ebbe più la forza di dimenarsi e chiuse gli occhi sconfitta. Venne gettata con forza all’interno di una stanza dai contorni sbiaditi e scoloriti, con la testa che le doleva ed il sapore ferroso del sangue in bocca. Provò ad alzare il capo per vedere chi fosse il suo avventore, ma le palpebre erano troppo pesanti e alla fine l’unica cosa riuscì a fare fu lasciarsi nuovamente scivolare a terra.

L’ultima cosa che sentì fu la voce lontana di una donna. «È mio, adesso».

Poi, buio.
 

Un’esplosione. Proveniva dal Bifröst. Un’altra ancora e infine un raggio di luce indirizzato verso Midgard.

Una sentinella arrivò trafelata al suo cospetto e prima ancora che potesse dar voce a ciò che lui aveva già intuito, la voce di Loki esplose: «Quegli idioti!».
Senza degnare la guardia di un solo sguardo gli intimò di tornare al suo posto e di non muoversi mentre lui, con passo spedito, si dirigeva con rabbia verso l’entrata del palazzo furioso per la disobbedienza. L’avrebbero pagata cara quei quattro idioti al ritorno!

Si fermò. Poi sorrise, compiaciuto. Se fossero tornati.

Con il lungo mantello smeraldo che gli solleticava le caviglie e il cuore gonfio di rabbia e rancore, Loki si inoltrò nella Camera delle Armi, avvertì le sentinelle a guardia della sala di non far entrare nessuno e si chiuse le porte alle spalle avviandosi verso lo Scrigno degli Antichi Inverni. Quando lo prese in mano un brivido gelido corse lungo la sua schiena, ma lui non sentì freddo – come sempre.

Mormorò un incantesimo per far scomparire l’artefatto – e farlo riapparire secondo la sua volontà – e un altro brivido gli percorse la schiena, stavolta più marcato e gelido del precedente. Il suo sguardo divenne cupo e tutto in lui sembrò urlare pericolo imminente. Deglutì e tenendo fisso lo sguardo sulla piattaforma del Distruttore, lo richiamò a sé: alto circa il triplo di lui, massiccio e impossibile da scalfire. Letale e devastante proprio come il suo nome faceva presagire.

«Assicurati che mio fratello non ritorni» Ordinò irato. «Distruggi ogni cosa».

Il Distruttore emise un rantolio d'assenso, poi improvvisamente ruggì, facendo aprire un portale dove sparì.

Immediatamente Loki provò un forte mal di testa che gli offuscò la vista. Solo dopo alcuni minuti si rese conto che quello che stava guardando adesso era Midgard: un deserto desolato esattamente come lo ricordava, ed ebbe appena il tempo di scorgere degli strani carri senza cavalli che subito il dolore cessò e ritornò a vedere il Palazzo e le sue mura.
Guardò a terra e si accorse che Gungnir, la sua lancia, gli era scivolata dalle dita a causa dell’improvviso stordimento e di conseguenza comprese che il Distruttore fosse collegato con essa: quindi, se lui lasciava andare il controllo su ciò che stava facendo il Distruttore si fermava.
Rise. Nessuno gli avrebbe messo i bastoni tra le ruote.

Si recò al Bifröst con l’intenzione di farla pagare a Heimdall e toglierselo dai piedi una volta per tutte, ma lui aveva già capito intuito quale fosse il suo piano e che era stato lui a fare entrare gli Jotun ad Asgard. Irritato e infastidito per essere stato scoperto, Loki lo accusò di essere un traditore e lo sollevò dal suo incarico di Guardiano. La risposta dell’altro fu repentina: approfittando della scusa di non essere più cittadino di Asgard, tentò un attacco con la sua enorme spada. Ma Loki fu più veloce: evocò lo Scrigno e, usufruendo dei suoi poteri da Jotun, congelò Heimdall scatenandogli addosso una tempesta di ghiaccio. Poi fece sparire nuovamente lo Scrigno e sorrise beffardo.

«Ringrazia la mia clemenza Heimdall» Sussurrò, come se lui avesse potuto udirlo. «Potrei distruggerti in questo preciso istante e fare di te niente più che semplice granello di ghiaccio ma, come vedi, mi accontenterò di saperti così. E’ bello il freddo, non trovi? Ti entra dentro: ti consuma.» Rise, ma il suo sguardo era amareggiato e arrabbiato. «Pensa, io ho dovuto conviverci per secoli.»Osservò il cielo, scuro, segno che la notte era ormai giunta, e sorrise. Mancava poco tempo alla giunta degli Jotun.

Si voltò e si diresse nuovamente verso il suo trono, una volta arrivato un sorriso gli incurvò le labbra sottili e Loki incominciò a ridere sommessamente nonostante dentro di sé sentisse il proprio cuore scalpitare per l’agitazione e le mani tremare. Non era mai stato un tipo nervoso, al contrario aveva sempre prediletto la calma e l'autocontrollo, ma da quegli ultimi minuti si sarebbe deciso il suo destino. Sarebbe stato l’inizio di una nuova Era.

Solo in quel momento l’idea di aver appena mandato a uccidere i suoi compagni d’avventure e suo fratello gli piombò addosso, e per un istante si sentì disorientato e confuso, quasi inebetito. Gli mancò il fiato e il cuore perse diversi battiti, mozzandogli il respiro.

Lui… li aveva davvero uccisi?

Era un assassino, dunque? Era davvero arrivato fino a quel punto? Aveva ucciso Thor… Thor. Come aveva potuto? Lui non era un assassino. Era un Ingannatore, un dio … ma non un assassino! Non lo era mai stato!

Poi una voce gli arrivò profonda e tonante alle orecchie, e Loki sussultò. Era quella di Thor.

Fratello qualunque torto io ti abbia recato, qualunque cosa io abbia fatto per condurti a questo, ti chiedo umilmente scusa. Ma queste persone sono innocenti, prendendo le loro vite non otterrai nulla! Perciò prendi la mia … e finiamola qui.

Come poteva essere ancora vivo? Si chiese inizialmente. Eppure ne fu quasi sollevato.

Nonostante ciò, quel discorso non istaurò in lui altro che nuova rabbia perché adesso la vittima sembrava lui, Thor, e il Loki il carnefice. Ma non era così che doveva andare! Non era lui il cattivo, erano stati loro a portarlo a questo, a mettergli i bastoni tra le ruote!

Il Distruttore stava per carbonizzare Thor con il suo getto di fuoco, ma prima che potesse farlo Loki lo fermò in una mossa quasi istintiva. Irato per essersi mostrato debole e non essere riuscito neanche a portare a termine qualcosa di così sciocco e semplice come il mettere fine una volta per tutte a questa storia, si alzò dal suo scranno e fece un gesto infuriato con le braccia. Subito ai suoi occhi venne proiettata l’immagine distorta di Thor che veniva scaraventato lontano e di una donna che gli correva incontro angosciata. Poi il contatto sparì e Loki non vide più nulla. Associando ciò al suo avvilimento e al fatto che la sua mente non riuscisse più a sopportare un controllo tanto arduo, non ci badò. Si voltò e si sedette nuovamente sul suo scranno, stanco e avvilito, e si sorprese del fatto che adesso che tutto fosse davvero finito lui non provasse nulla: né gioia o esaltazione, nessun sentimento. Si sentiva come un guscio vuoto e si disse che di tutti gli inganni che gli erano stati rivolti, forse questo era il più beffardo.

«Compiangi la tua perdita, Dio degli Inganni?» Fu una voce femminile e vellutata a parlare, e Loki non ebbe bisogno di voltarsi per capire di chi si trattasse. Lo sapeva già benissimo.
«Eris…» Disse, volgendo lo sguardo verso di lei. «Che cosa vuoi, ancora? Ti avevo detto di non tornare più».
«Nessuno può darmi degli ordini, amor mio. Specialmente tu, che pur di mantenere il tuo titolo di Sovrano non hai fatto altro che distruggere la cosa che avevi più cara …» Rise, cristallina. «Oh, ma forse non lo era poi così tanto, nevvero?».

Loki aggrottò le sopracciglia e un improvviso brutto presentimento si fece largo nella sua mente. «Se ti riferisci a Thor» Disse. «Sarà tua premura sapere che era già tutto progettato. Doveva andare così, era stato scritto nell’ordine delle cose. Le Norne lo avevano predetto».

Lei arcuò un sopracciglio e gli rivolse un’occhiata canzonatoria mentre si avvicinava a lui con passo volutamente lento.

«Le Norne… o il Dio degli Inganni?»Chiese melliflua. Dopodiché sparì per poi ricomparire alle sue spalle, facendogli venire il mal di collo, e fece scendere le proprie mani sul suo petto. «Sicuro di non aver creduto alla tua stessa bugia?».

Loki si alzò con uno scatto repentino dal trono, sottraendosi dalla presa di Eris, e cominciò a scrutarla con diffidenza e odio. Avrebbe dato un occhio per levarle una volta per tutte quel sorrisetto beffardo dalla faccia.

«Che cosa vuoi, Eris?» Domandò schiettamente. Quella allargò il suo sorriso ancor di più tramutandolo in un ghigno.
«Tuo fratello non è morto, amore mio… al contrario! Ha riacquistato i suoi poteri e sta per giungere qui per riprendersi ciò che è suo di diritto!».

Il volto di Loki si fece improvvisamente pallido, i suoi occhi si sgranarono e nella mente cominciarono ad affollarsi migliaia di pensieri e immagini. Gli parve di star per impazzire.  «Cos’hai detto?».

Lei rise, sinceramente divertita, e prese a piroettare di qua e di là imitando la sua espressione come se fosse la cosa più spassosa che avesse mai visto: il suo sguardo era folle.

«Lunga vita al Re! Lunga vita al Re!» Esclamò canzonatoria, e Loki trovò la sua voce il suono più fastidioso che avesse mai udito in vita sua. Ad un tratto smise di ridere e prima che lui capisse cosa stesse accadendo il viso di Eris fu a pochi centimetri dal suo e le sue labbra rosse piegate in una smorfia sardonica e gioiosa. Gli accarezzò una guancia e Loki riuscì a notare che i suoi occhi avessero qualcosa di diverso, strano. Sembravano quelli di un rettile.

«Sì, sì, sì amore mio! Esatto! Esatto, esatto, esatto! Non è morto! Non lo è proprio per niente! E questa è solo una delle tante novità che ho in cantiere! Vuoi sapere chi sul è morto? Eh? Lo vuoi sapere, amore mio? Tesoro della mia vita? Luce dei miei occhi? Dèi, quanto amo i tuoi bellissimi occhi!» Miagolò, le palpebre degli occhi tremendamente spalancate, folli. Loki deglutì inorridito e sgomento e quella rise ancora più forte.

Poi fece comparire della polvere nel palmo della sua mano e la diede a lui, che la guardò allibito e senza capire. «È della polvere, questa, Eris. Cosa c’è di strano?» Domandò esitante, e quella prese a ridere più forte di prima, sguaiatamente e quasi con le lacrime; poi prese a battere le mani in una malsana parodia di un applauso.

«Bravo, molto arguto amor mio! Ti piace?Be’, deve per forza piacerti…  Di lei è rimastosolo questo!» Miagolò, quasi piagnucolando.
Il battito del cuore di Loki accelerò, divenendo sempre più veloce e forsennato, e Loki sentì quasi l’aria mancargli perché una parte di sé, quella che lui associava al cuore, sapeva cosa la dèa stava per dirgli.

«Lei chi?» Chiese, con voce titubante.

A quel punto le labbra di Eris si aprirono in un sorriso grande, malato, e Loki ne fu spaventato per un momento. Nonostante ciò non si mosse: era come se tutti i suoi muscoli si fossero atrofizzati nell’attesa dell’avere una risposta. Alla fine però Eris parlò e le sue parole per furono come una secchiata d’acqua gelata.

«Ma della tua piccola volpe, ovviamente!».
 

 
 





- Note dell’Autrice.

Ed eccoci arrivati anche al penultimo capitolo! Oléé! :,D     

Ebbene sì, miei carissimi, il prossimo sarà l’ultimo. E sarà anche bello lungo! ^^’’ Poi ci sarà l’epilogo e poi… FINE. Felici, eh? Be’, ve lo credo. Dopo un anno che seguite questa storia anch’io vorrei sapere come finisce! X°°D

Visto che siamo in tema, lo scorso tredici giugno La Volpe e il Lupo ha compiuto un anno! :,D Che felicità! È la prima volta che continuo una fan fiction per così tanto tempo, solitamente le abbandono - sì, sono una persona orribile, lo so. Dunque, grazie a tutti voi per l’appoggio! ^O^

Anyway, come avete potuto ben vedere il momento Fluff  è durato ben poco. Anzi pochissimo. Ve lo dicevo io di non abituarvi. :P Adesso ci saranno un bel po’ di grane. Ringraziate tutti Eris, che non si fa mai i cavoli suoi e ormai è completamente partita per la tangente, per questo.

Sempre riguardo ad Eris: provate a leggere tra le righe, perché non è quella che sembra! Non ho inserito la scena degli occhi bi-color (?) e della pelle violetta solo perché volevo occupare spazio o perché fa figo, bensì perché sarà una cosa abbastanza importante semmai dovrebbe esserci un possibile sequel. Sì, comincio già a spianarmi la strada, non si sa mai decida di farlo sul serio. (Per il momento che ne dici di concludere questa storia, eh? Nd. Tutti).

Per quanto riguarda Loki: sì, è un idiota. E nel prossimo capitolo ce ne darà la conferma. Vi dico solo che quando il caro vecchio Phil diceva “manchi di convinzione”, aveva ragione. Decisamente. Ne è la prova il fatto che non riesce ad ammazzare il fratello neppure quando ha l’occasione servita su un piatto d’argento (vedi: Thor). Tsk, Loki sei un buono a nulla. (Ehi! N.dLoki)

Per quanto invece riguarda Emily: oh, anche lei tenetela d’occhio che se mi gira nel sequel – sempre se decido si scriverlo, eh! – le faccio succedere cose pazzesche. Cercate di cogliere alcuni indizi che spargo nel testo! Prendetela come una caccia al tesoro! XD Vi assicuro che anche lei non è ciò che sembra, e non è diventata lunatica come Luna Lovegood solo perché mi girava! C’è un motivo anche per lei che vi rivelerò solo alla fine della storia. :)


Ne approfitto per ringraziare tutti coloro che hanno messo la storia tra le preferite/ricordate/seguite, le persone dolcissime e gentilissime che hanno recensito lo scorso capitolo e tutti coloro che su Facebook mi contattano per farmi sapere quanto la storia sia loro piaciuta. Siete davvero tantissimi e sul serio io non so più come ringraziarvi. Grazie di cuore. *si asciuga una lacrimuccia*
 
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Un’altra persona che ci tenevo DAVVERO a ringraziare è
Evilcassy, che mi ha aiutata un sacco con il betaggio di questo capitolo che, fra parentesi, era particolarmente messo male e mi ha perfino fornito la traduzione in inglese per il titolo! Ah, Cassy, sei una vera e propria manna dal cielo <3 <3. Ad ogni modo, se non la conoscete passate anche da lei: scrive davvero bellissime fan fiction! <3 <3 <3

Al prossimo capitolo!
 
P.S: se non dovessi aggiornare in fretta, sappiate che la colpa non è mia – cioè, oddio, in parte sì ma vabbé – bensì dei miei professori che avranno deciso di rimandarmi. Sperando che non sia così – più che altro PREGANDO, vi lascio. Sappiate solo che la ff è già finita e quindi in un modo o nell’altro riuscirò a postare i capitoli! Tranquilli, non vi libererete presto di me! :PP
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 24
*** Fallen. ***


~ Fallen.
 
Io, io ho atteso qualcuno come te
Ma ora stai scivolando via
Cosa hai fatto adesso?
Perché, perché il destino ci fa soffrire?
C'è una maledizione tra di noi?
Tra me e te
Cosa hai fatto?

Within Temptation - What Have You Done

 
 


La Sala del Trono era spaventosamente cupa e silenziosa e nell’aria si respirava un’atmosfera così pesante e tagliente che poteva quasi ferire ma Loki tutto questo non lo sentiva. In realtà non sentiva più niente.

Le parole di Eris gli erano arrivate addosso con una violenza tale da lasciarlo stordito, senza parole, e nella sua mente adesso albergava il caos più assoluto. Non capiva più niente, c’era solo rumore e un impellente bisogno fisico di urlare a squarciagola. Solo in quel momento si rese conto si rese conto che non aveva più visto Emily da quando si erano riappacificati e la sua mancanza si fece impellente, quasi esistenziale: gli lambì le viscere e lo fece sentire vuoto. Poi una vocina, piccola ma ben chiara si sovrappose a tutte quelle che gli affollavano la mente facendolo sentire perduto: dov’è Emily?

In un gesto istintivo alzò la mano dove stava rinchiusa quella strana polverina che Eris gli aveva donato e il suo sguardo si corrucciò mentre sentiva le gambe diventare molli.

Emily?

Davanti a lui Eris sorrise: «Ti aveva forse accennato al fatto che lei, Sif e i Tre Guerrieri sarebbero partiti per andare a riprendere Thor?» Gli chiese, e la sua voce lo fece sobbalzare. Sentiva la testa scoppiargli e tutto, nella sua mente, era confuso e sbiadito ma infine, come in un dolorosissimo flashback, ricordò.
Devi far tornare Thor”, aveva detto lei. “quella… cosa, non è adatta a te. Ti rende diverso da quello che sei realmente, più… cattivo”.
Una terribile idea si fece largo fra i suoi pensieri e chiuse gli occhi d’istinto, quasi come se desiderasse scacciare via quei pensieri.

Che cosa ho fatto?

«Cosa intendi dire?» Domandò con un filo di voce, continuando a non capire.

Eris ghignò e si avvicinò con passo sinuoso e sicuro, poi gli cinse un fianco e gli accarezzò il petto.

«Ricordi, Loki? Sei stato tu a volerlo, quando hai ordinato al Distruttore di eliminare ogni cosa. Lui ha solo eseguito l’ordine» fece una pausa e la sua mano andò a tracciare una leggera carezza di conforto sulla spalla di Loki, che non parlava. Dunque assottigliò gli occhi, riducendoli a un’obliqua linea dorata, e lo osservò con più insistenza.

«Qualche volta gli innocenti vengono trucidati per un disegno più grande. Lei è stata solo un danno collaterale*» Concluse poi con voce falsamente dispiaciuta, il timbro simile al sibilo di un serpente.

L’istinto di correre in tutte le sale del palazzo a cercare Emily pervarse Loki, che si trovò spaesato e per la prima volta in vita sua impaurito; ma razionale e cinico qual era sempre stato riuscì infine a mantenere la calma e cercò di ragionare. Fece un respiro, poi un altro ancora ed infine giunse alla conclusione che Emily non poteva  morire poiché in quel caso anche lui avrebbe contratto la stessa fine. Realizzando ciò, Loki, in una mossa quasi istintiva, alzò la propria mano destra e quando notò che il segno a X non era  ancora sparito, comprese che la Dea del Caos aveva cercato di ingannarlo. Alzò lo sguardo su di lei e scosse la testa, canzonatorio. Dannata sgualdrina.

«Devo ammettere che hai davvero molta fantasia» Disse, avvicinandosi con passo volutamente lento. Eris assottigliò ancor di più gli occhi e inarcò un sopracciglio; poi incrociò le braccia al petto, assumendo involontariamente una posizione difensiva. «Addirittura cenere! Eris, ti stai rendendo ridicola. Credi sul serio che io possa cadere in un tranello simile? Io, il Dio degli Inganni?» Rise beffardo, e allargò le braccia come a voler mostrare quanto fosse stata sciocca. Le sorrise, ma il suo sguardo era serio e quasi cattivo, come quello di un lupo che braccava la preda. «Sei molto intelligente, lo ammetto, ma pecchi in quanto a memoria. Non ti ricordi, Eris, che sei stata proprio tu a dirmi – o meglio, mostrarmi – che se Emily fosse  morta io, a causa del vincolo che ci lega, avrei subito la stessa sorte?».
Si aspettava che una volta scoperta avrebbe fatto una delle sue solite scenate in cui proclamava vendetta e maledizioni, ma a dispetto di ogni sua prospettiva Eris non fece nulla e anzi il suo sorriso si allargò ancor di più, tanto da lasciarlo momentaneamente interdetto. Aggrottò la fronte perplesso dalla sua reazione, mentre lei si avvicinava; poi mise qualcosa nel palmo della sua mano e quando richiuse le dita a pugno, come a volergli fare un dono, Loki riconobbe con orrore la forma dell’oggetto. Lo guardò, e a quel punto la sua bocca si schiuse in un piccolo ovale di sgomento.

L’anello di Claddagh.

«Questo era suo, non è vero? L’ho trovato fra le macerie. Sai, dall’Olimpo ho visto tutto perfettamente. Oh… è un bene che tu non abbia assistito alla scena: saresti certamente impazzito per il dolore. Thor, purtroppo, non ha potuto fare nulla per aiutarla e di lei è rimasto solo questo anello che io, da dèa misericordiosa quale sono, ho creduto fosse giusto renderti…» Fece una pausa, beandosi dell’espressione devastata di Loki. «Ammetto di aver pensato di tenerlo, in fondo è pur sempre un magnifico gioiello e al mio dito farebbe una superba figura, però… credo che tu ne abbia più bisogno di me, al momento» Concluse sospirando.
Vedendo che Loki non emetteva alcun suono poggiò con delicatezza una mano sulla sua spalla, amorevole, ma lui, scosso com’era dalle sue parole, non poté accorgersi nel perverso sorriso di soddisfazione che le incurvò le labbra.

«Via, via…» Sussurrò al suo orecchio, affabile. «Non è stata poi del tutto colpa tua! Anche lei sarebbe dovuta stare al suo posto. Ah! Se solo non fosse stata così cocciuta!» Esclamò, portandosi una mano alla fronte.
«E’ impossibile…» Insistette Loki quasi sussurrando, allontanandosi da lei senza degnarla di uno sguardo. «A quest’ora dovrei essere-».
«Morto?» Ribatté l’altra, incurvando le labbra in un mesto sorriso. Gli si avvicinò velocemente e gli sfiorò con delicatezza la guancia come se lo stesse cullando. «Hai dimenticato, amor mio, che nessuna magia, nessun tranello, nessun inganno o sotterfugio può uccidere noi dèi?».
Loki aggrottò le sopracciglia, piccato. «Ti sbagli. Sai bene quanto me che un dio può essere ucciso!».

«Non così semplicemente. Fino a che nell’Universo esisteranno gli inganni, Loki, o le diffidenze e le beffe, tu non potrai morire. O meglio, non potrai essere dimenticato. Perché noi dèi non moriamo, amore mio, ma veniamo dimenticati, sostituiti da nuove divinità. Ed ogni volta che un umano smette di credere in noi una piccola fiammella, che corrisponde alla nostra esistenza, da qualche parte nell’Universo perde calore e più essa si consuma più noi ci avviciniamo alla distruzione. Solo così un dio può morire; o così, oppure a causa di un attacco diretto in un momento a noi particolarmente fragile: come per esempio durante una malattia o un letargo, oppure quando veniamo privati dei nostri poteri. Gli altri metodi sono solo idiozie dettate da un criterio idiota secondo la quale noi dovremmo sottostare» Fece un verso stizzito con la bocca, infastidita. Lui restava in silenzio, confuso dalle sue parole. Eris si voltò di scatto e il suo sguardo gli parve quello di un serpente in procinto di attaccare. « Non sono i malocchi, gli incantesimi o le promesse non mantenute ad uccidere un dio, Loki. Né il dolore che si prova quando uno stiletto ci colpisce il cuore. E’ la solitudine di non avere nessuno che crede in noi a farlo, la paura di essere dimenticati. Solo questo può uccidere un dio ed è per questo che quella smorfiosa non ce l’ha fatta. Perché lei non era una dea. Possedeva già una vita longeva ed era riuscita a sfuggire alla morte per via di una serie di… sfortunati eventi, ma non era immortale come noi. Era una mezzosangue come tutti gli asgardiani, e la Morte non si può ingannare due volte. Se non sei perito con lei, Loki, è solo perché – nonostante tu sia uno Jotun – hai acquisito il titolo di Dio degli Inganni e di conseguenza sei divenuto immortale. O perlomeno, così recitano le Sacre Scritture».

«Ma Lord Zeus ha espressamente detto-».

Eris non lo fece finire perché la sua risata divertita e la sua espressione canzonatoria stroncarono le sue parole, quando ebbe finito il suo sguardo era carico di rancore e astio. «Mio padre era un folle e un maiale che pensava esclusivamente al denaro, al potere e alle donne; non gli importava nulla di me, o di te o di quella mocciosa. Lui desiderava solamente non cacciarsi nei guai con Odino, ecco cosa voleva, ed è a causa di questo suo atteggiamento che mia madre è morta. Lui l’ha… sostituita. Ha imposto agli esseri umani un'altra dèa da venerare, qualcuna più bella, più potente e fertile… qualcuna come Sui-San, l’Eterna, sicché tutti… tutti hanno finito col dimenticarla» Si bloccò e strinse forte i pugni, ostile. Loki poté giurare di vedere i suoi occhi diventare lucidi di lacrime. «Ma questo è un discorso che non ti riguarda. Ciò che sto cercando di dirti, è che mio padre non ha mai saputo nulla. Si è sempre vantato della sua grande saggezza quando invece era solo un villano, un ipocrita e un traditore! Dunque tener fede alle sue teorie sarebbe come dar ragione a un ritardato».

Loki non rispondeva, era come assente, estraneo alla conversazione e il suo sguardo era inespressivo. Eris continuava a osservarlo senza distogliere gli occhi dai suoi nemmeno per un momento facendolo sentire come un animale braccato e senza via di fuga. Divertente, pensò, come i ruoli si siano  invertiti in così poco tempo.

Quando si allontanò sorrise di nuovo compiaciuta e lui e fu certo di non aver mai visto un sorriso più diabolico in vita sua. Poi, prima che potesse fermarla, Eris premette con energia le labbra sulle sue e quando si staccò il suo sguardo era quello voluttuoso e soddisfatto di una predatrice. «Ti avevo promesso il più acuto dei dolori, principe di Asgard…» Sussurrò con voce roca, accarezzandogli i contorni del viso con un dito. «Ma a quanto pare, hai già fatto tutto da solo» Dopodiché mimò un saluto con le dita e dopo avergli regalato un ultimo sorriso sardonico, sparì. La sua risata forte e sguaiata risuonava ancora tra le mura della Sala del Trono.

Restò così, in silenzio per alcuni istanti. Poi, all’improvviso, tagliente come la lama di un rasoio, la consapevolezza che Eris non gli avesse mentito si fece strada in lui e il dolore sembrò scoppiargli nel petto distruggendo ogni cosa. Sentì la testa girare vorticosamente e la risata sguaiata di Eris risuonargli nelle orecchie. Credette di svenire si sentì  il peggiore dei mostri perché adesso di Emily non era rimasto più niente se non della cenere e la colpa era solamente sua. Un urlo crebbe dentro di lui, selvaggio e devastante che stentava a contenere, e si portò il pugno alla bocca per impedirsi di farlo uscire, di dar sfogo ai suoi sentimenti. Non voleva sentire più niente, voleva solo sparire; il dolore era troppo forte, troppo devastante!

Che cosa hai fatto, Loki? Una vocina somigliante a quella di Emily si insinuò nella sua mente e per si portò le mani alle orecchie nel tentativo di non udire più nulla. Tutto faceva male, doleva, e sembrava quasi che una grossa mano gli stesse artigliando il cuore con così tanta energia da fargli mancare il respiro. Si sentiva soffocare.

Che cosa hai fatto? Che cosa hai fatto? Continuava quella alzando sempre di più il tono della voce, diventato improvvisamente simile a un pianto. Poteva quasi sentire il battito del suo cuore rimbombare forte fino alle orecchie ed era certo che di lì a poco sarebbe morto; nessuno poteva contenere tutta quell’angoscia, nemmeno un dio.

L’hai uccisa! Sei stato tu. L’hai uccisa! L’hai uccisa! Adesso la voce era cambiata, divenendo più grave e austera, simile a quella di Eris. Una risata sguaiata e sardonica che associò a quella della dèa gli risuonò nella mente, poi ne giunsero altre ma non seppe capire a chi appartenessero; sapeva solo che doveva sbarazzarsene al più presto perché lo stavano facendo impazzire.

Colpevole! Colpevole! Assassino!

«ORA BASTA!» Gridò ad un tratto, e tutte le voci dentro la sua testa cessarono. Respirò a fatica, il fiato mozzo e fiacco, e si passo una mano sul viso come se questo avesse potuto lenire tutte le sue sofferenze; il cuore continuava a battergli forte dentro la cassa toracica e gli occhi divennero lucidi mentre un improvvisa e scalpitante rabbia si propagava per tutto il suo corpo. Si accorse di star tremando solo quando una guardia aprì le porte della sala con irruenza, facendolo sobbalzare. Aveva lo sguardo stravolto, gli occhi chiari erano sgranati e quasi fuori dalle orbite e ansimava per la lunga corsa che aveva fatto.

«Mio Signore…» Cominciò, terrorizzato. «I Giganti di Ghiaccio…».

Non riuscì a finire la frase che subito Loki si diresse fuori dalla sala, Gungnir stretta tra le dita e lo sguardo di un folle che saettava da una colonna all’altra in cerca della Camera in cui Padre alloggiava. Riuscì appena a impartire l’ordine di radunare le guardie e combattere l’assalto nemico che era già arrivato alla sala. Spalancate le porte, trovò sua madre stesa a terra priva di sensi e Laufey chino sul giaciglio di Odino, un pugnale di ghiaccio stretto nelle dita bluastre pronto a porre fine alla sua vita, e Loki sapeva che se non avesse fatto qualcosa lo avrebbe ucciso sul serio. Digrignò i denti e strinse i pugni fino a far diventare le nocche delle dita bianche.

Forse poteva ancora portare a termine il piano, dopotutto. Poteva ancora farcela!

«Si dice che puoi ancora sentire e vedere ciò che si manifesta intorno a te, spero che sia vero, così potrai sapere che la tua morte è giunta per mano di Laufey!» Le sentì appena quelle parole, ma bastarono per far sì che tutta la rabbia accumulata in quegli anni, quell’atroce dolore che lo scoprire di essere un Gigante di Ghiaccio gli aveva procurato, la paura di essere un mostro, scoppiassero in lui. In un impeto di rabbia artigliò lo scettro e lo puntò verso la schiena di Laufey, che non parve accorgersi di niente, e subito fece saettare un fulmine verso di lui che lo fece grugnire di dolore e cadere bocconi a terra.

«E la tua è giunta per mano del figlio di Odino!» Parlò, e la sua voce risuonò calma e mitigata nonostante dentro di lui regnasse il caos più totale.

Quello fece per issarsi, lo sguardo stordito e frastornato di chi ha compreso di essere stato ingannato, ma prima che potesse farlo un'altra saetta lo colpì facendolo finire in mille minuscoli pezzi.

«Loki! Loki l'hai salvato!» Non fece in tempo a rendersi conto di aver appena ucciso il suo vero padre, che Frigga rinvenne e gli gettò le braccia al collo, stringendolo in un abbraccio che sapeva di calore e amore. Uno di quelli che Emily era solita dargli, ma che lui non avrebbe sentito mai più. Lo assalì il desiderio di urlare, gridare che non sarebbe dovuta andare così, ma infine si limitò a mordersi la lingua e a stringere i pugni, pensando a quanto il destino fosse stato beffardo e di come lui fosse riuscito ad eliminare tutto quello per cui aveva realmente lottato senza neppure accorgersene.

«Ti giuro Madre, pagheranno per quello che hanno compiuto oggi!».

«Loki!» Fu una voce profonda e tonante a parlare, e non ci fu bisogno di voltarsi per comprendere a chi appartenesse.

Erano passati solo pochi mesi dal suo esilio, eppure non era cambiato di una virgola: alto, muscoloso e possente; i capelli biondi gli ricadevano arruffati sui contorni del viso e i suoi occhi azzurri lasciavano trasparire tutto il rancore e le emozioni che, a differenza sua, non era mai riuscito a celare. Thor era tornato.
Sentì sua madre allontanarsi da lui con una velocità tale da ricordargli per un momento quella di una biscia, e non fece in tempo a trattenerla che quella aveva già le braccia gettate al collo del suo figlio maggiore, ringraziando gli avi per aver fatto sì che fosse di nuovo a casa. Guardandoli, Loki sentì una fastidiosa fitta al basso ventre che gli fece digrignare i denti.

Ne seguì una breve conversazione tra lui e il Dio del Tuono nella quale Thor gli rinfacciò di essere un traditore e un bugiardo di grande talento, accusandolo di aver aizzato il Distruttore contro lui e i suoi amici.

Loki non rispose, perché alle volte il silenzio è la migliore delle armi, ma quando incontrò lo sguardo pieno di delusione e incomprensione di Frigga, capì che quello era troppo anche per luiecosì agì d’istinto, senza pensare alle conseguenze: puntò Gungnir contro Thor e, prima che potesse fare qualcosa per fermarlo, fece sì che un getto di elettricità lo scagliasse contro il muro dietro di lui che, sotto il suo peso, si distrusse facendolo cadere di sotto. Fece appena in tempo ad udire l’urlo di Frigga rimbombare per le pareti che era già diretto verso le scuderie: doveva recarsi al Bifröst.

Sentiva la rabbia e la frustrazione scorrere con veemenza dentro di sé, facendogli gonfiare le vene della testa e tremare le mani, ma Loki non ci badava; in verità, non pensava più a nulla se non a se stesso e alla distruzione di quell’ammasso di mostri. Voleva distruggere Jötunheimr. Lo doveva ad Emily: doveva vendicarla in qualche modo, fare a pezzi quei mostri. Perché era soprattutto colpa loro se era morta: se non avessero ucciso i suoi genitori forse lei non lo avrebbe mai incontrato, non sarebbe mai partita per Midgard e non sarebbe mai stata ridotta in cenere. Sarebbe ancora lì. Viva.

Inoltre, solo così Padre avrebbe capito che era sempre stato lui il Figlio Degno. Solo così tutti avrebbero capito che era sempre stato come gli altri, se non migliore!
Arrivò nei pressi del Bifröst e senza indugiare oltre fece partire il meccanismo che lo avrebbe azionato, indirizzando il raggio distruttore su Jötunheimr. Subito dopo, Loki congelò  l’aria che fuoriusciva dal getto dell’enorme meccanismo, creando così un enorme albero di ghiaccio che avrebbe avuto la funzione di accelerare il processo di distruzione senza che si inceppasse o smettesse di funzionare.

«Dimmi: perché lo hai fatto?!» Fu Thor a parlare, anche lui era giunto al Bifröst, e la sua voce era incrinata dallo sgomento.

Loki sentì il proprio battito cardiaco accelerare e un improvvisavoglia di ucciderlo Thor pervaderlo. Doveva lasciarlo in pace, quell’idiota.

«Per dimostrare a mio padre che io sono il figlio degno. Quando si risveglierà avrò salvato la sua vita, avrò annientato quella razza di mostri e sarò il vero erede al trono!».
«Non puoi sterminare un'intera razza!».
«Perché no?!» Rise «E… cos'è questo ritrovato amore per i Giganti di Ghiaccio? Tu!» Rise di nuovo, canzonatorio, ma dentro di sé la rabbia ribolliva senza sosta «Avresti potuto trucidarli a mani nude!».
«Sono cambiato».
«Anch'io!» In un istante Gungnir rovinò contro la guancia di Thor, graffiandolo e facendogli male. Ma non importa, si disse Loki. Non importa più niente, ormai.
«Ora combatti con me!» Un’altra sferzata e Thor finì a terra. A Loki continuava a non importare.
«Non ho mai bramato il trono!» Urlò avvilito, avvicinandosi a lui. «Volevo solo essere tuo pari!».
«Non combatterò contro di te, fratello!».
«Non sono tuo fratello, non lo sono mai stato!» Una lacrima scese giù dal suo occhio destro, tracciando una scia umida  e salata. Loki si rese conto di aver perso il controllo, di stare sbagliando, ma improvvisamente il viso di Emily, la sua risata e i suoi capelli costantemente in disordine gli ritornano alla mente e una fitta allo stomaco gli mozzò il respiro.

La morte di Emily era la causa della fine di ogni cosa*.

«Loki, questa è demenza!» Le parole di Thor erano forti, affilate come coltelli, e lui non riuscì a sopportarle. Non dopo quello che era successo, non dopo quello che aveva fatto. E di nuovo, l’ira prese il sopravvento e lui si sentì male, sporco e indegno. Assassino, ripeté una vocina nella sua testa, colpevole! Colpevole! le fece eco un’altra, e l’aria sembrò mancargli. Sono innocente! Gridò in risposta la sua coscienza, ma nessuno sembrò ascoltarla e allora urlò più forte, fino a farsi male e graffiarsi le corde vocali. Sono innocente!

«È demenza!? Lo è!? LO È!?Raccontami: prima che venisse ridotta in cenere, cosa ti ha detto? Era felice di vederti, fratello? Lieta, di sapere che tu non avresti fatto nulla per proteggerla?! O magari, la tua vista era già offuscata dal viso di un’altra donna per poterti permettere di trarla in salvo. Lei, che era venuta fin laggiù per te, brutto idiota, e tu non hai fatto niente per salvarla!» Gridò sprezzante, gli occhi verdi incredibilmente sgranati e la voce alterata. Thor non diceva niente, stava in silenzio a fissarlo con lo sguardo interrogativo e disperso di chi non capiva di cosa stesse parlando e ciò non fece altro che accrescere la sua rabbia. « Oooh… è cosi! Allora magari quando avremo finito qui, andrò a farle visita di persona!».

Thor si lanciò su di lui e Loki fece lo stesso. Si scontrarono in una lotta corpo a corpo in cui nessuno dei due parve sopraffare l’altro, ma entrambi combattevano allo stesso livello. All’ennesimo tentativo di Loki di battere l’altro, entrambi vennero spazzati fuori dal Bifröst e finirono distesi sul ponte; provò a ingannare Thor con delle illusioni, ma fallì miseramente e cadde nuovamente disteso sulla superficie del Ponte dell’Arcobaleno, indolenzito e con la testa che sembrava stesse per scoppiargli da un momento all’altro. Quando  infine Thor poggiò il Mjolnir sopra il suo petto, qualcosa in lui, la sua coscienza forse, gli disse chiaramente che era finita. Aveva perso, di nuovo.

Divertente come le pagine di quel bellissimo libro pieno di bugie e inganni che lui stesso aveva scritto si fossero sgretolate proprio alla fine della storia, cancellando il finale che aveva scritto.

La storia è finita. Ma il finale non è dei migliori, si disse.

Davanti agli occhi scorsero le immagini di tutto quello che aveva compiuto fino a quel momento per poter arrivare a quel punto: la sfida, il patto con gli Jotun, la dipartita di Thor, la sua ascesa al Trono di Asgard… sicché qualcosa dentro di lui cominciò ad agitarsi: non era rabbia o tristezza, bensì qualcosa a cui non riuscì a dare un nome, che continuava a spingere, spingere e ancora spingere dentro il petto quasi volesse uscire fuori. Una scarica di adrenalina gli attraversò la schiena e con un ultimo briciolo di speranza si disse che no, non era ancora finita!

Provò a sollevare il Mjolnir, urlò forte nel tentativo di riuscirci ma quello continuava a restare inchiodato sul suo petto. Nel frattempo, Thor si avvicinava sempre di più al centro del Bifröst dove stava l’enorme cupola da cui fuoriusciva tutta l’energia per distruggere Jötunheimr, e sembrava profondamente frustrato. Loki lo trovò ridicolo oltre ogni limite.

«Guardati! Il potente Thor! Con tutta la tua forza! Dimmi a cosa ti serve adesso, Eh!?» Gli urlò contro con voce straziata e roca a causa dell’enorme peso sul petto. «Mi hai sentito fratello? Non puoi fare niente!».
 
Ad un tratto lui richiamò il Mjolnir verso di sé e, sotto lo sguardo allibito e sconvolto di Loki, prese a caricare potenti colpi sulla superficie piana del Bifröst che si incrinò. Improvvisamente, capì cosa stesse cercando di fare e il panico lo avvolse. 

«Che stai facendo!?» Gridò, sconvolto. «Se distruggi il ponte non potrai mai più rivederla!».

Ma Thor non lo ascoltava. Continuava a dare colpi di martello al Bifröst con movimenti quasi automatici e forzati, seppur forti e decisi, e lui capì che se non avesse fatto qualcosa al più presto quell’idiota avrebbe sul serio distrutto il ponte e spezzato il processo di distruzione di Jötunheimr.

Corse verso di lui cercando di fermarlo, ma nel momento esatto in cui saltò per colpirlo con la lancia, Thor caricò l’ennesimo colpo al Bifröst che si ruppe e scatenò un’onda di energia che li sbalzò via a tutti e due. Thor si aggrappò istintivamente a Gungnir e qualcosa – o meglio, qualcuno -  lo tenne ben stretto per una gamba; contemporaneamente, Loki artigliò per riflesso il manico dello scettro per evitare di cadere nel vuoto. Quando alzò gli occhi, riconobbe il viso di suo padre ma in esso non era impresso orgoglio o felicità, bensì delusione. Odino aveva un unico occhio, ma bastò un suo solo sguardo per far crollare tutti i suoi castelli come se fossero stati fatti di sabbia.

«Ci sarei riuscito, Padre!» La sua voce era strozzata, più un singhiozzo piuttosto che un urlo, e i suoi occhi lucidi. C’era una lacrima appesa tra le sue ciglia ma non cadde; restò lì, immobile, esattamente come lui che in quel momento credeva di non poter fare altro che restare attaccato all’acciaio della lancia. Curioso come, oltre ad essere un pessimo dio, fosse anche un pessimo figlio. «Ci sarei riuscito!» La voce gli si spezzò in gola e i suoi occhi divennero più lucidi.  «Per te! Per tutti noi…».


Non seppe esattamente cosa accadde nella sua testa – o meglio, nel suo cuore – ma Loki sperò con tutto sé stesso, con ogni piccola particella del suo corpo, che Odino lo tirasse su, lo abbracciasse e gli dicesse che andava tutto bene. Che lui aveva provato, aveva fallito ma che nonostante ciò fosse comunque suo figlio e che accettava il fatto che ci avesse almeno provato. Lo sperò così ardentemente e in modo così doloroso e straziante, che la risposta che ricevette ebbe per lui lo stesso effetto di una stilettata al centro del petto e si chiese se Eris non avesse mentito quando aveva detto che un dio non poteva morire a causa del dolore.

«No, Loki…».

Non chiuse gli occhi nel tentativo di scacciare il dolore, né distolse lo sguardo da Odino. Restò lì a guardarlo, lo sguardo di chi ormai non aveva più nulla da perdere, finché infine la lacrima scese giù e venne trasportata via dal vento, disperdendosi nello spazio cosmico. E proprio come quella lacrima, Loki mollò la presa e si lasciò cadere, scivolare. Perché che senso aveva lottare se tutto era andato perduto?

Sentì suo fratello chiamare il suo nome con disperazione, ma la sua voce gli arrivò lontana come un’eco e non fece in tempo a distinguere i mille colori che gli offuscavano la vista che tutto divenne buio e cadde giù, annegando nei meandri più profondi dell’Oscurità consapevole che non sarebbe più potuto tornare a galla.
Il suo ultimo pensiero andò ad Emily, quell’antica bambina che aveva tanto amato e voluto bene per tutti quegli anni, e sentì subito le sue braccia che lo cingevano, vedeva la curva delle sue guance nella luce nella sua mente, il dolce languido frullio delle sue ciglia*, il suo sorriso e i suoi capelli rossi tingersi di un colore più chiaro alla luce del sole.

Un’altra lacrima gli rigò la guancia e un amaro sorriso gli distese le labbra sottili. Chiuse gli occhi e, con l’ultimo barlume di consapevolezza, si rese conto che, alla fine, non era riuscito a mantenere la promessa.




Emily si risvegliò con un sussulto.

Si guardò attorno con aria spaesata, impaurita e col cuore che aveva preso a batterle forte contro la cassa toracica; cercò di alzarsi, ma nel tentativo sentì una profonda fitta al basso ventre che la fece ripiegare su se stessa e il collo dolerle forte. La testa cominciò a girarle vorticosamente mentre cercava di rimettere a posto i pezzi – o meglio, i ricordi – che avrebbero dovuto aiutarla a rimembrare cosa fosse successo in quelle ultime ore. Ricordava di star camminando in un corridoio deserto finché qualcuno, una donna probabilmente – ricordava ancora la voce,  l’aveva quasi strangolata e gettata di forza dentro quella sottospecie di scantinato. Un’altra fitta le colpì forte la pancia e di nuovo Emily fu costretta a ripiegarsi su se stessa, mentre il sapore ferroso del sangue le inondava la bocca.
Solo in quel momento si rese conto del fatto che l’Anello di Claddagh non sitrovava più sul suo dito e la conclusione che la sconosciuta avesse cercato di ucciderla solo per prenderle l’anello la fece rabbrividire: chi poteva spingersi a tanto per un semplice gingillo?

 Si alzò da terra, dolorante, e fece per aprire la porta della stanza, ma era chiusa a chiave. Fece forza, diede parecchie spallate  ma l’unica cosa che ottenne fu un gran male alla schiena. Imprecò e cominciò a chiamare aiuto a gran voce sperando che qualcuno la sentisse, ma nessuno accorse.

Senza via d’uscita, osservò la stanza: era piccola, senza porte o finestre e c’era solo una fiaccola a far luce; questo non fece altro che farla sentire ancora più braccata di prima; era proprio come un uccellino in gabbia. Frustrata, cominciò a prendere a calci la porta più forte di prima ma inutilmente. Stanca, appoggiò la testa contro il legno e cominciò a fissare il pavimento come se fosse stato qualcosa di estremamente interessante.

Improvvisamente ci fu uno squittio, poi un altro ancora e infine qualcosa le passo tra i piedi velocemente, facendole fare un salto per lo spavento. Prese velocemente  la fiaccola e cominciò a puntarla sul pavimento per vedere cosa stesse succedendo. Di nuovo, qualcosa le passò a gran velocità sotto i piedi ma questa volta riuscì ben a capire di cosa si trattasse.

«Un topo!» Esclamò, affatto sorpresa. Si trovava pur sempre in un luogo abbastanza isolato dove probabilmente non pulivano da anni; era abbastanza normale che ci fosse qualche topo lì in mezzo. Non le facevano paura, solo un po’ schifo ma nulla per cui sarebbe stata disposta a urlare e arrampicarsi su delle sedie.  Nonostante ciò, in quel momento rappresentava la sua salvezza!

Prese a inseguirlo e quando lo vide rifugiarsi all’interno di un piccolo cunicolo  esultò  soddisfatta. Dopodiché cominciò a frugare in giro alla ricerca di qualcosa abbastanza duro da poter utilizzare e una volta trovato una sedia di legno malandata, la gettò con forza a terra rompendola e scatenando un gran polverone. Afferrò un piede spezzato e cominciò a irrompere sul muro in cui il topolino aveva scavato, certa del fatto che fosse il punto più debole della stanza. Dopo alcuni colpi questo cominciò a formare alcune crepe e prese a sbriciolarsi, facendo crollare alcuni intarsi dal muro e creando così una stretta e piccola via d’uscita. Subito si ci infilò dentro e una volta trovato il corridoio che l’avrebbe riportata al palazzo tirò un grosso sospiro di sollievo. Era fuori!

Mentre si avviava con passo spedito verso la Sala del Trono in cerca di Loki, fu pervasa da un improvviso brutto presentimento che si propagò nel petto e le fece aggrottare le sopracciglia, pensierosa. Non seppe il perché di quella strana sensazione, ma qualcosa le diceva di trovare Loki il prima possibile.

Camminando, si accorse che la maggior parte della servitù si stesse dirigendo frettolosamente fuori dalle mura del palazzo ma non riuscì a capire il perché. Curiosa, decise di seguirli.
Una volta uscita notò che ci fosse una grandissima folla di gente ammassata tra di loro per vedere qualcosa – o qualcuno – che lei  da quel punto non riusciva a scorgere. Cercò di farsi strada a forza di spintoni tra la folla, finché finalmente non riuscì a capire di chi si trattasse e istintivamente, sul suo volto si aprì un grande sorriso.

«Thor!» Urlò felice, correndogli incontro. «Sei tornato davvero! Sei di nuovo qui!».

Quello alzò repentinamente lo sguardo su di lei, come se la vedesse per la prima volta, ma osservandolo Emily intuì che ci fosse qualcosa di sbagliato in lui, qualcosa di strano. Solo quando vide il suo viso contratto in una smorfia di dolore e tristezza, nella sua mente scattò un campanello d’allarme e un pensiero le attraversò la mente: dov’è Loki?

Le si avvicinò con sguardo grave, gli occhi azzurri sembravano aver perso tutta la loro luce, e senza dire niente l’abbracciò forte, lasciandola senza parole. Subito nella sua testa si vennero a formare miliardi di pensieri tutti riguardanti la stessa persona: Loki.

«Cos’è successo, Thor?» Domandò esitante, scostandosi da lui. Ma qualcosa, il suo cuore forse, non voleva davvero sapere quale sarebbe stata la sua risposta. Lui non le rispondeva, restava in silenzio, lo sguardo chino e angosciato di chi ha visto la morte con i propri occhi, e questo non fece altro che incrementare la paura di Emily che adesso si sentiva come in preda alla marea, sballottata da una parte all’altra. «Dimmelo!».

«Devi essere forte, piccola Emily» Disse a un tratto, cercando di mantenere un tono della voce mitigato. «Purtroppo, alle volte le Norne tessono storie con un finale tragico a cui nessuno può opporsi. Lui se ne è andato combattendo come un vero guerriero».

«Di che cosa stai parlando? Lui chi? Dov’è Loki? Perché non è qui a… a riempirti di insulti, o a dirti di andartene o… o qualsiasi altra cosa?!».

Thor sospirò pesantemente e solo in quel momento Emily si accorse che tutti li stessero osservando in silenzio. «Sono tornato per riprendermi il mio Regno, Emily, ed è ciò che ho fatto, ma nell’impresa ho perduto qualcosa che non potrò riavere mai più…» Le strinse le spalle, quasi come se sapesse già quale sarebbe stata la sua reazione una volta che avrebbe pronunciato quelle parole, e quella stretta – così forte e possente – valle per lei più di mille parole.

«Loki è caduto giù dal Bifröst durante uno scontro. Io e Padre non abbiamo potuto fare nulla per fermarlo…».

E il dolore scoppiò in lei, così forte e fulminante che Emily dovette premersi le mani sulla bocca per impedirsi di urlare. Le lacrime salirono tutte in una volta, senza che lei potesse fermarle, e il respiro si mozzò. Non gridò: il dolore era così intenso da impedirle di fare qualsiasi cosa, ma sentì le ginocchia cedere sotto il suo peso e solo quando Thor le strinse le braccia, cercando di sorreggerla, la voce che le uscì dalla gola diede vita a un lamento così straziante e penoso che chiunque, persino chi aveva gioito della notizia della morte del principe Loki, ne fu impietosito.

Loki… il suo Loki…

«Emily, non fare così… ti supplico! La morte di Loki è una tremenda notizia che addolora tutti noi, e io più di chiunque altro riesco a comprendere il tuo dolore… Emily, per i Nove Regni, ascoltami!» Tuonò scuotendola con vigore, cercando di farla calmare.

Ma lei non rispondeva più. Restava in silenzio, lo sguardo perso nel vuoto e le lacrime che continuavano a rigare con lentezza il suo volto; a Thor parve la strana parodia di una bambola di porcellana, una di quelle con cui era solita giocare lei da bambina. Ad un tratto Odino si avvicinò a loro, il dolore impresso nel suo unico occhioe la stanchezza nel viso, subito seguito da una Frigga piangente e spossata. Quest’ultima cercò di asciugarsi le lacrime che le solcavano il viso, improvvisò un sorriso consolatorio e di circostanza e andò da Emily, che sembrava essere entrata in trance.

«Vieni, cara» Incominciò, prendendola delicatamente per mano. «Questo non è un luogo adatto a te».

Emily sentì la voce di Frigga come se si fosse trattato di un’eco: era lontana, così lontana che faticava quasi ad udirla, ma quando sentì sfiorarsi la mano si ritrasse come se si fosse appena scottata.

«No» Sussurrò, la voce così flebile e bassa da sembrare quasi un pigolio. «Non posso…».

Tutti cominciarono a osservarla con curiosità e insistenza e Frigga stessa per un momento non seppe cosa dire; nonostante ciò, cercò di farle riprendere il nume della ragione e fece per stringerle delicatamente le spalle ma quella, prevedibilmente, si scansò e arretrò di qualche passo. Nell’aria cominciò ad esserci uno strano clima di tensione.

«Devo andare a casa» Continuò, la voce tremolante e minuta. «Mi dispiace…» e prima che potessero fare qualcosa per fermarla, corse via lasciandoli sorpresi e straniti. Le parve di udire Thor, o forse Fandral o Volstagg, chiamarla, ma non ci badò. Non le importava di risultare irrispettosa, né di sembrare pazza. Loki non era più con lei e tutto aveva perso di significato. Non le importava più di niente. Voleva solo sparire.

Si diresse velocemente verso il Bifröst, il cuore che le martellava nel petto e un profondo senso d’angoscia a lambirle le viscere, e per tutto il tragitto continuò a sperare che si trattasse di un incubo, che presto si sarebbe risvegliata e avrebbe rivisto Loki accanto a sé: i capelli corvini scompigliati sul cuscino e le labbra dischiuse in un piccolissimo ovale. Lo avrebbe abbracciato forte e gli avrebbe detto quanto realmente lo amasse, perché solo adesso si era resa conto di quanto la sua assenza fosse devastante, di come la sua voce, il suo sguardo derisorio e le sue mani affusolate le mancassero e di come il pensiero che lui non fosse più accanto a lei la stesse uccidendo dentro. Lo voleva con lei, per gli dèi, e lo voleva subito!

Voleva svegliarsi.
Doveva svegliarsi!

Ma quando arrivò dinanzi al Bifröst, ormai ridotto a condizioni disastrose, Emily comprese che quello non era un sogno e che quello che stava vivendo era la realtà. Una realtà brutta, tragica e nefasta; una di quelle che ti arrivano addosso senza che riesci ad accorgertene e che ti lasciano stordito, senza parole o lacrime da versare.Si sentiva morire, perché sapeva che Loki non sarebbe mai più tornato da lei. Non avrebbe mai più potuto parlare con lui, baciarlo, sfiorare la sua pelle o incontrare il suo sguardo sfuggevole e derisorio, sentire la sua risata roca e malinconica. Era andato via, e lei non  aveva potuto fare niente per fermarlo.
La brutalità con cui giunse quella constatazione fu così paurosa e inaspettata che  le  fece perdere l’equilibrio e cadere bocconi per terra; si sentì male, malissimo, e non riuscì a fare altro che premersi le mani alla bocca e piangere, aspettandosi chissà quale miracolo o che qualcuno le dicesse che quello era solo uno stupido scherzo. Una burla architettata per farla stare male. Nonostante la realtà fosse evidente, qualcosa dentro di lei continuava a negare, negare e negare ancora. Non voleva crederci, la terrorizzava il solo pensiero.

Loki non è morto… non è morto!

Un luccichio attirò la sua attenzione e voltandosi, si accorse che provenisse da un esatto punto del ponte. Si alzò e quasi correndo si avvicinò ad esso. Quando riuscì a capire di che si trattava,  un amaro sorriso le incurvò le labbra sottili.

L’Anello di Claddagh.

E poi fu tutto chiaro. Emily capì. Qualcuno aveva ingannato Loki, inducendolo credere a chissà quale terribile menzogna, e aveva fatto in modo che si scagliasse contro Thor, distruggendosi con le sue stesse mani. Era già tutto premeditato, e lei aveva involontariamente collaborato al piano. Emise un verso stizzito con le labbra e un sorriso triste gliele incurvò: come aveva fatto Loki credere a un’idiozia simile?

Stupido caprone. Come puoi definirti il Dio degli Inganni se ti fai mettere nel sacco così facilmente, eh? Brutto idiota. Quando ti prendo giuro che ti… io ti… ti…

La realizzazione del fatto che non avrebbe potuto fare nulla fu così angosciante e crudele da lasciarla senza fiato, ed Emily non riuscì a fare nient’altro se non stringersi le ginocchia al petto e nascondere la testa fra di esse nel tentativo di celarsi da tutto e tutti. I ricordi le tornarono prepotentemente in mente ed ebbero la stessa brutalità di rasoi affilati che scavavano nella carne sempre più in profondità, uccidendola lentamente. Era una sensazione devastante, impossibile da soffrire.
Chi sapeva di loro due? E soprattutto: perché aveva compiuto un’azione simile? Cosa voleva da loro? O meglio, da Loki? Non lo sapeva, né probabilmente lo avrebbe mai saputo, ma il pensiero le faceva ribollire il sangue e le metteva addosso una furia così irruenta che fu costretta a mordersi a sangue il labbro inferiore pur di non urlare. Pianse di rabbia. Il dolore insostenibile per la morte – o meglio, l’assassinio – di Loki le faceva male, la corrodeva dall’interno.

Improvvisamente qualcosa si poggiò sulle sue spalle e lei sussultò spaventata, smettendo immediatamente di piangere. Si voltò di scatto e la sua visuale venne occupata dal viso di Thor, che la osservava con la commiserazione di chi condivide un dolore. Non disse nulla, ma il suo sguardo valle più di mille parole. Le porse la mano, che afferrò con titubanza, e l’aiutò ad alzarsi. Le sorrise e il suo fu uno dei sorrisi più tristi che aveva mai visto in vita sua.

«Mio fratello era molto legato a te, piccola Emily» Disse a bassa voce. «E viceversa» Emily sentì lo stomaco contrarsi in una morsa e strinse i pugni. «La tua lealtà nei suoi confronti ti fa onore e al Palazzo ci sarà sempre posto riservato a te e alla tua famiglia» Continuava a non parlare, fissava Thor con sguardo vacuo, vuoto. Lui sospirò, sinceramente affranto, e le poggiò un mano sulla spalla. «I sentimenti che ti legavano a mio fratello, Emily, il pericolo e…».
«L’amore mi legava a lui*».
Thor tentennò un po’ a quell’interruzione, ma non disse nulla al riguardo. «… la fedeltà, non verranno dimenticati. I midgardiani parleranno di voi per secoli, scriveranno leggende e storie senza fine».
«Non voglio leggende sul mio conto e nemmeno lui le desidererebbe. Voglio soltanto riaverlo indietro…».

Calò un silenzio pesante, in cui nessuno sapeva cosa dire o fare, finché ad un tratto Thor prese la parola: «Mi dispiace per la tua perdita, Emily, ma so cosa stai provando giacché Loki era pur sempre mio fratello e nonostante tutto io continuo ancora a volergli bene… Mi dispiace solo di essermene reso conto troppo tardi. Voglio solo che tu sappia, che fino a quando ci sarò io non sarai mai da sola in mezzo a questa tempesta, e che prima o poi il sole tornerà a splendere anche su di noi. D’accordo?».

Ma Emily non lo ascoltava. Stava in silenzio, il capo chino e lo sguardo fisso sui propri piedi. Non riusciva a sopportare le parole di Thor, le sue frasi fatte e moraliste, il fatto che cercasse di aiutarla nonostante lei non avesse chiesto alcun tipo di soccorso. Voleva stare da sola, non voleva vedere nessuno. La sua presenza la irritava soltanto e il fatto che anche solo pensasse di poter provare un minimo del suo dolore la mandava fuori da gangheri. Era insopportabile. Nessuno poteva sapere quello che stava passando, soprattutto lui che non aveva fatto altro che denigrare Loki e trattarlo come un inetto per tutta la vita. Ad un tratto, forse per levarselo di torno o farla finita con quella farsa, annuì mestamente col capo e cercò di abbozzare un sorriso tremolante e incerto.

«Devo andare a casa, Thor. Mia zia mi starà aspettando e… e devo ancora dar da mangiare a Fenrir. Sono felice che tu sia tornato, sul serio. Però… però adesso io… Io devodevo…» La voce le si spezzò in gola, tramutandosi in un singhiozzo basso e scosso, e improvvisamente tutte le lacrime che aveva cercato di trattenere nel tentativo di sembrare forte e coraggiosa sgorgarono dai suoi occhi, senza che lei potesse fare nulla  per fermarle. Si sentì una stupida, debole, perché se c’era una cosa che detestava fare era piangere davanti agli altri. Era denigrante, imbarazzante ed irritante e se Loki l’avesse vista in quello stato l’avrebbe certamente presa in giro con una delle sue battutine di scherno.

Cercò di asciugarsi in fretta e furia il viso, rossa sia di vergogna che per il pianto, e balbettò qualcosa come “devo davvero andare a casa, è tardi, tardissimo…”  nel tentativo di andarsene velocemente, speranzosa nel fatto che Thor l’avrebbe lasciata andare, ma lui fu più veloce: allungò un braccio e con uno strattone deciso l’attirò a sé, stringendola in un abbraccio. Era uno di quegli abbracci che si scambiavano i fratelli o gli amici molto stretti, non c’era nulla di malizioso o sentimentale, ma prima che potesse accorgersene Emily si ritrovò a piangere più forte di prima sulla sua spalla e stavolta non fece niente per trattenersi. Doveva sfogarsi, urlare e fare qualcosa, ma l’unica cosa che riuscì a fare fu stringere più forte il lembo della maglia di Thor e nascondere la testa nel suo enorme petto quasi come se così facendo potesse sparire. Pensava a Loki e ogni ricordo era come una sferzata di frusta; e nonostante volesse sul serio smettere di piangere e cercasse impedirselo in tutti i modi, si accorse ben presto che era l’unica cosa che potesse fare in quel momento.

Restarono così per un lasso di tempo che ad Emily parve infinito e alla fine, con gli occhi gonfi di lacrime e il naso completamente rosso, si accorse che Thor fosse rimasto lì per tutto il tempo senza dire nulla.

«Grazie» Mormorò impacciata, tra un singhiozzo e l’altro.
«Sii forte, piccola Emily» Le rispose. «Non devi piangere. E’ una cosa che fanno i deboli e non è affatto onorevole. Bisogna sempre tirare avanti, in un modo o nell’altro, anche se fa male. Alzare la testa. Tienilo sempre a mente».

Ma quando alzò il capo per incontrare il suo sguardo, Emily si accorse che anche lui, silenziosamente, stava piangendo.
 
 
 
 
 
 
 - Note dell'autrice!

*citazione dal film “Match Point”.
*citazione dal libro “Intervista col Vampiro”.
*citazione dal libro “intervista col Vampiro”.
*citazione dal libro “intervista col Vampiro – again and again XD*


Oh, mamma mia. Eccoci giunti all'ultimo capitolo! Non riesco ancora a crederci ç\\\ç
Ho davvero tantissimo da dire a riguardo, ma vi farei troppo "spoiler" riguardo l'epilogo e dunque preferisco dare una "conclusione finale" al prossimo capitolo (no, in realtà il problema è che non ho ancora realizzato di aver terminato questa storia, dunque cerco di allungare la cosa il più possibile perché mi fa male fisicamente mettere nero su bianco che è finita. Capitemi, vi prego).
Mi dispiace enormemente di avervi rifilato un capitolo così drammatico! A mia discolpa, dico che avevo scritto fin dall'inizio che avrei seguito gli sviluppi della storia e così è stato! Spero di non aver urtato nessuno, mi dispiacerebbe tantissimo perché tengo davvero tanto a questa storia e ai suoi lettori. :)

Per inciso: sono davvero frustrata; una grandissima parte di me vorrebbe scrivere un sequel, ma l'altra mi dice di non farlo perché non lo seguirebbe nessuno ( con i sequel funziona sempre così...). Mi sento tanto come Harry Potter quando nel quinto libro era indeciso sul fatto di andare o non andare all'ufficio Misteri per trovare Sirius, quindi immaginatevi il mio stato d'animo.

Ringrazio di cuore tutte le persone che hanno recensito lo scorso capitolo, i nuovi lettori che hanno messo la storia nelle preferite\seguite\ricordate e la mia amica
Evilcassy per avermi aiutato a betare il capitolo ed essere sempre così gentile con me. Grazie mille Cassy! <3 <3 <3

Sarebbe davvero fantastico ricevere diversi pareri riguardo questo capitolo, perché credetemi sono PARECCHIO in ansia al riguardo (chi mi ha su Facebook lo sa bene). Quindi, se vorrete recensire e farmi sapere un parere, la cosa sarà parecchio gradita! ^-^


Vi lascio i miei indirizzi Facebook, Ask.fm e Tumblr, alla quale mi sono iscritta da poco.

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Ci vediamo all'epilogo - che, se tutto va bene, verrà postato tra un paio di giorini! :)

Vi mando un grandissimo abbraccio virtuale!

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Capitolo 25
*** Epilogue. ***


~Epilogue.
 

 
Queste gioie violente hanno fini violenti.
Muoiono nel loro trionfo come la polvere da sparo e il fuoco che si consumano al primo bacio.

-William Shakespeare.
 
 
 


Era passato un mese dal suo ritorno ad Asgard, dalla morte di Loki e la distruzione del Bifröst, eppure non riusciva ancora a farsene una ragione. Rispetto ai primi giorni il dolore si era un po’ alleviato ma continuava ad essere lì, dentro il petto, e faceva male. Così male che alle volte gli impediva di chiudere occhio la notte, poiché anche nel sonno il senso di colpa lo tormentava opprimendogli il cuore. Poteva ancora vederlo: lì, gli occhi verdi e lucidi e lo sguardo vacuo di chi ha perso ogni speranza, mentre si lasciava cadere nel vuoto senza che potesse far nulla per fermarlo. Il dolore era così sconvolgente che spesso Thor si risvegliava con un sussulto e il battito cardiaco così forte da riuscire sentire il suo rimbombo. Emetteva un suono devastante, il senso di colpa.

Non era ancora stato incoronato Re. Odino aveva espressamente indetto un periodo di lutto intutto il Regno in quanto Loki, seppur per poco tempo e in qualità di “vice”, aveva governato su Asgard divenendone il Sovrano Assoluto e le Antiche Scritture recitavano espressamente che per ogni Re disperso, ucciso o deceduto era obbligatorio un periodo di lutto di non meno di un mese per onorarlo. Al termine di questo periodo, si sarebbe tenuta la cerimonia d’incoronazione per il suo successore.

Se fino a qualche mese prima avrebbe pensato che quella legge fosse assurda e ridicola, in quel momento non poteva fare altro che sottoporsi ad essa in quanto il solo pensiero di governare il Regno con la morte di Loki nel cuore e il dolore dovuto alla lontananza di Jane lo rendeva riluttante. La sua cerimonia di incoronazione doveva essere un momento di gioia, non la sostituzione di un lutto.

Eppure ad Asgard adesso regnava un clima più sereno e tranquillo: la tirannia di Loki era terminata e nonostante la maggior parte della popolazione cercasse di celare la felicità al riguardo era a tutti ben chiaro che gioisse della sua morte. Solo una persona non ne era affatto lieta, ed era colei che aveva sempre reputato tale e quale a una sorella minore, un’amica, qualcuno con cui condividere il dolore straziante del lutto: Emily.

Alla fine, era riuscito a convincerla di venire a vivere al palazzo, e nonostante lei continuasse a ripetergli che lo aveva fatto solo per dare a sua zia una dimora migliore che le avrebbe permesso di vivere più agiatamente, era certo che avesse accettato solo per potersi allontanare dal luogo in cui lei e Loki avevano trascorso così tanto tempo insieme da bambini.

Non era cambiata, Emily. Aveva sempre li stessi lineamenti da bambina, dolci e un po’ infantili, alcune lentiggini spruzzate sul naso e i polsi davvero piccoli. Eppure, qualcosa in lei era diverso e Thor non sapeva dire se si trattasse dei suoi occhi, da prima sempre sorridenti e furbi, o del suo sorriso, adesso forzato e di circostanza. I suoi atteggiamenti non erano più quelli di una bambina capricciosa e chiacchierona, bensì quelli di una donna: soppesava bene le parole quando discorreva con Odino o qualche altro nobile e non si curava delle voci di corridoio che alle volte giravano al palazzo riguardanti lei e Loki. Trovò questo suo ultimo atteggiamento molto simile a quello esercitato da Loki stesso quando era in vita e, osservandola, non poté fare a meno di chiedersi se non fosse stato lui ad insegnarle, involontariamente, a recitare così bene una parte di cui non aveva mai letto il copione.

Adesso portava i capelli legati, erano rare le volte in cui glieli vedeva sciolti, e indossava vesti che Frigga non metteva da tempo o non le donavano più. Era nato un rapporto un po’ più complice fra di loro, più unito, ma entrambe continuavano a mantenere le distanze che i loro ceti sociali richiedevano. Probabilmente, Emily rappresentava per Madre la figlia che non aveva mai avuto.


 
Quella sera al Palazzo si festeggiava la riuscita dell’ennesima lotta contro dei Pentapalmi che minacciavano di irrompere dentro le mura di Asgard. Erano tutti radunati nei pressi di un enorme banchetto: Volstagg beveva l’idromele e raccontava di come aveva lottato con vigore contro uno di quei mostri mettendolo KO in un solo colpo, Fandral rideva e persino Hogun e Sif non potevano fare a meno di sorridere sotto i baffi. Era tutto perfetto, proprio come ai vecchi tempi, eppure lui non riusciva proprio a lasciarsi trasportare dalla gioia generale. Gli mancava lei, la sua Jane, e il solo pensiero di non poterla riabbracciare mai più era come veleno, e inoltre… gli mancava suo fratello. C’erano tante cose che avrebbe voluto dirgli, tante parole mai pronunciate, domande a cui non avrebbe mai risposto. Sospirò: se solo fosse stato diverso con lui.

Uscì dalla sala e si avviò verso suo padre, che con sguardo solenne e schiena dritta osservava il cielo di Asgard al tramonto. Nel suo unico occhio, Thor riuscì a leggere tutta la lungimiranza che un dio come lui potesse contenere ma, osservandolo meglio, si accorse che il suo fosse uno sguardo malinconico, triste. Nella sua esistenza, Odino aveva vinto parecchie battaglie ed era stato acclamato come eroe da tutto il popolo, ma questa volta aveva perso una guerra ben più importante di tutte le altre: non era riuscito a salvare suo figlio – perché Loki era pur sempre suo figlio – dalla sua follia e la sua stessa mente deviata. Fargli capire che lo amasse esattamente quanto Thor e che per lui non era mai stato una pedina per i suoi piani politici o una reliquia rubata, ma un figlio vero e proprio.
 E questa era la peggiore della sconfitte.

«Sarai un Re saggio» Dichiarò ad un tratto, senza distogliere lo sguardo dal panorama che Asgard regalava e Thor aggrottò la fronte.
«Non esisterà un Re più saggio di te. O un padre migliore» Ribatté.

Odino abbassò il capo, stanco, e lui riuscì a comprendere dai suoi movimenti quanto tutto ciò gli stesse pesando, quanto realmente la morte di Loki lo tormentasse.

Provò imbarazzo a vederlo così: era come se avesse scoperto una sua parte nascosta che non aveva mai visto prima, qualcosa di troppo grande da reggere persino per lui, e la cosa gli fece storcere il naso e chinare lo sguardo a sua volta.

«Io ho molto da apprendere, ora ne sono consapevole. Un giorno, forse, ti renderò fiero di me» Disse col cuore in mano, sincero.

Odino si voltò verso di lui, lo sguardo fiero e affabile che solo un padre poteva rivolgere a un figlio, ma osservandolo con più attenzione Thor si rese conto che ci fosse una profonda crepatura in esso – angoscia, constatò – e sospirò amareggiato per non poter far nulla.

«Tu mi hai già reso fiero» Rispose, poggiandogli una mano sulla spalla, e dopo avergli rivolto un ultimo sguardo andò via, il passo stanco e pesante che rimbombava attraverso le pareti del corridoio. Thor sorrise malinconicamente, osservò la sua figura mentre si allontanava ma non disse nulla. Rimase in silenzio a meditare finché improvvisamente la scorse: i lunghi capelli ricci legati in una coda di riccioli rossi e un leggero vestito di lino a ricoprirle le spalle; sembrava che stesse osservando la città di Asgard, ma c’era qualcosa di più profondo nel suo sguardo, qualcosa che celava con egregia maestria come se si fosse trattato di un gioiello prezioso. Era persa fra i suoi pensieri, guardava oltre la città, il cielo e le stelle. Osservava dentro di sé, ricordava frammenti di passato che non sarebbero ritornati mai più.

Le si avvicinò e lei gli rivolse un’occhiata sfuggevole, ma non parlò; continuava ad osservare il paesaggio e sorrideva tranquilla.

«Qualcosa ti turba» La sua non era una domanda, bensì una constatazione. Lei gli rivolse lo sguardo.
«Ti sbagli» Disse. «In realtà, non sono mai stata più tranquilla di adesso».

Thor aggrottò le sopracciglia, incuriosito da quella risposta. «Vorrei saperne il motivo, se mi è concesso».
Emily sospirò, ma infine si decise a parlare. «Tornerà» Dichiarò semplicemente. Lui non capì.
«Chi?».
«Loki» Gli rispose tranquillamente. «Ha ancora una promessa da mantenere e lui detesta lasciare le cose a metà: la ritiene una sconfitta personale» Sorrise mestamente e il suo sorriso gli parve così sincero da lasciarlo senza parole per alcuni secondi. Aveva sempre avuto un bellissimo sorriso, la sua piccola Emily.

«In fondo lo conosci, sai com’è fatto: torna sempre indietro a riprendere le sue cose. E poi…» Fece una pausa, si voltò verso di lui, che la fissava con occhi attenti e curiosi, e le sue dita andarono a sfiorare il ventre, uno sguardo di pura tenerezza impresso sul viso. Capendo cosa stesse per rivelare, sgranò gli occhi sorpreso e il suo volto divenne così pallido da sembrare quasi esangue. Fece per dire qualcosa ma Emily lo precedette:

«Non lascerebbe mai che suo figlio cresca da solo. Non dopo tutto quello che ha trascorso. Loki è il figlio di Laufey, il Re dei Giganti di Ghiaccio che alla sua nascita lo ha abbandonato come se fosse stato il peggiore dei rifiuti semplicemente perché era diverso, più minuto e fragile. Non ha mai conosciuto la sua vera madre né probabilmente la conoscerà mai e quando ha scoperto la verità sulla sua vera natura per lui è stato un duro colpo. Per questo motivo non permetterebbe mai che suo figlio subisca la stessa sorte» Disse, la voce sicura e chiara come non l’aveva mai sentita prima.

Fu in procinto di ribattere, ma alla fine si rese conto che quello che diceva fosse il vero e dunque si limitò a serrare i pugni fino a far sbiancare le nocche delle dita, rancoroso per non aver potuto fare nulla per dissuadere Loki dai suoi piani di rivalsa. Sospirò affranto e pensieroso, e osservando la ragazza dinanzi a sé si chiese come facesse ad essere così tranquilla pur sapendo ciò che stava per succederle.

«Come fai ad essere così serena?» Le chiese a un certo punto, incredulo. «Il figlio di Loki sta crescendo dentro di te e tu… tu sei calmissima, come se la faccenda non ti riguardasse nemmeno!» Fece una pausa e prese a guardarsi intorno con sospetto, sperando che nessuno li avesse sentiti. Poi riabbassò lo sguardo su di lei.
«Da quanto tempo lo sai?».
«L’ho scoperto qualche settimana dopo la sua dipartita. E ti assicuro che non è stata affatto facile come credi!» Aggiunse, offesa dalla sua reazione.
«Qualcun altro oltre me lo sa?».
«Odino… e la Regina» Rispose, titubante.

Si passò una mano fra i capelli, sconvolto.  «E cosa ti hanno detto?».

«Odino era abbastanza stravolto, così come Frigga, ma alla fine hanno detto che sarebbe andato tutto bene e che dovevo prendermene cura».
«Solo?».
«Solo. Erano tutti sconvolti. Io per prima e– ».
«Sai già che questo bambino sarà differente da tutti gli altri asgardiani, non è così? Nelle vene di Loki scorreva il sangue dei Giganti di Ghiaccio e non mi sorprenderei se ne uscisse fuori un mezzo gigante o un--».

«Mio figlio sarà esattamente come tutti gli altri!» Gridò arrabbiata, zittendolo. Passarono alcuni minuti in assoluto silenzio in cui nessuno dei due sapeva cosa dire e l’aria si fece improvvisamente pesante e insostenibile. Stava per dire qualcosa per smorzare la tensione, scusarsi per il suo comportamento arrogante, ma lei lo precedette.

«Mi dispiace» Disse. «Lo so che sei solo preoccupato per me e anch’io lo sono, ma ho davvero bisogno del tuo aiuto, Thor. Non posso portare avanti tutto questo da sola…» Si passò una mano sui contorni del viso, stanca, e lui fu certo di vedere i suoi occhi divenire più lucidi. «Non più!».
Aggrottò le sopracciglia, frustrato, e sussurrò qualcosa come “E pensare che fino a qualche tempo fa giocavamo ancora a nascondino…” mentre si passava anche lui una mano sulla fronte in modo esasperato. Poi, il suo sguardo cadde improvvisamente sull’anello che lei portava al dito, divenendo più attento e minuzioso.

«Dove lo hai preso?» Domandò avvicinandosi.

«Ti riferisci a questo?» Fece lei alzando la mano per riflesso. «Me lo ha dato Loki. È...» Si bloccò, come se stesse soppesando che cosa dire. Infine sorrise serafica.
«Una promessa».

A quella risposta alzò un sopracciglio e incrociò le braccia al petto, turbato. «Una promessa? Riguardo a cosa?».

«A noi. Quando tornerà, ci uniremo in matrimonio. Me lo ha promesso quando eravamo bambini e questo anello è la dimostrazione che non stesse scherzando. Sai bene quanto me che un dio deve mantenere la parola data, Thor, per questo sono convinta di quello che dico: perché deve ancora mantenerla».

Per quanto una parte di sé gli urlasse di far aprire gli occhi ad Emily dicendole chiaro e tondo che Loki non sarebbe tornato, l’altra parte – quella che aveva sempre associato all’anima – gridava ancor più forte di non dirglielo, poiché il farlo non avrebbe portato a nulla se non a una profonda delusione da parte dell’amica. Sbuffò infastidito: anche da morto, Loki riusciva sempre a metterli nei guai.

Quando però il suo sguardo si posò nuovamente sulla figura piccola e bassina di Emily, la quale lo osservava con lo sguardo più speranzoso e fiducioso che avesse mai visto, capì cosa dovesse fare. Sospirò profondamente, le si avvicinò e le accarezzò i capelli e quando lei alzò lo sguardo su di lui, curiosa, fece incurvare le proprie labbra in un sorriso tirato.

«Come lo chiamerai?» Chiese.

Lei sorrise, sinceramente felice. «Váli» Rispose. «È un bel nome, non credi?».

Le strinse il braccio, cercando di infonderle in quel modo un po’ di calore. «Sì. È davvero bellissimo».

Nel sorriso che Emily gli rivolse subito dopo, Thor rivide la bambina di parecchi anni prima dagli occhi vispi e furbi come quelli di una piccola volpe. Intenerito, sorrise anche lui di riflesso e osservandola una parte di sé sperò con tutto se stesso che Loki fosse ancora vivo, che potesse tornare. Se così fosse stato, si disse, avrebbe fatto di tutto pur di trovarlo e farlo tornare a casa dalla sua famiglia.



E questa, invece, era la sua di promessa.

 

 

Non poteva sapere, Thor, che l’avrebbe davvero mantenuta.

 


 



Una brezza di aria fredda gli percorse la nuca facendolo risvegliare con un sussulto. Provò ad alzarsi, spossato, ma una fitta di dolore al sottoventre lo fece ricadere su se stesso, agonizzante, e la vista gli si annebbiò. Sentì qualcosa di appiccicoso e denso scendergli giù per le tempie e solo in un secondo momento si accorse che si trattava del suo stesso sangue. Subito, i ricordi gli ritornarono alla mente dolorosi e fulminanti come una scarica elettrica e fu costretto a mordersi il labbro inferiore a sangue pur di non urlare.
 

«Alla fine hai perso, nevvero… Loki?» Conosceva quella voce. L’aveva già sentita parecchie volte durante i suoi recenti incubi e ogni volta l’agitazione che gli provocava lo induceva a svegliarsi di soprassalto e con il cuore in gola. Questa volta però era reale, infida, e svegliarsi non gli era più concesso.

«Non ho perso. Sono soltanto caduto» Biasciò, cercando di tirarsi in piedi. Il sapore ferroso del sangue gli inondò la bocca e un flebile gemito uscì prepotentemente dalle sue labbra, irritandolo. Odiava mostrarsi debole.

Sentì l’altro sogghignare accanto a sé e di nuovo una leggera folata di vento gli solleticò la nulla, facendolo rabbrividire.

«E cosa sei disposto a fare per tornare in superficie?» Chiese la voce, lui digrignò i denti infuriato. Voleva vederlo in faccia!

«Nulla per cui valga la pena lottare» Rispose piccato, strizzando gli occhi nel tentativo di mettere a fuoco il paesaggio che lo circondava – sempre se un ammasso di nebbia e rocce potevano definirsi “paesaggio”. Sospirò: era finito ai confini dell’Universo, a quanto pareva.
 

Lo Sconosciuto uscì dalle tenebre per rivelarsi ai suoi occhi e finalmente Loki poté osservarlo bene: aveva la pelle spessa e robusta di colore grigio violaceo, un mento che richiamava molto quello della razza Skrull, una totale mancanza di capelli ed un corpo massiccio; era alto il doppio di lui, possente, il volto rugoso e gli occhi scintillanti. Non gli ci volle molto per capire di chi si trattasse, aveva sentito parlare di lui tante di quelle volte da averne quasi la nausea. Eppure, nel ritrovarselo dinanzi in tutta la sua enorme stazza, Loki sentì riaffiorare la stessa sensazione che provava da bambino quando le Völve narravano a lui e suo fratello le terribili azioni di Thanos, colui che aveva ucciso la propria madre per rendere omaggio alla Morte, e un brivido gli percorse la schiena. Era lui.
 

«Nemmeno… la tua donna?» Chiese il Titano, la voce grottesca e gutturale. Loki non distolse lo sguardo dal suo nemmeno per un momento.

«Lei è morta. Sono stato io ad ucciderla» Disse, e la voce gli si incrinò appena nel dire quelle parole.

Thanos ghignò e il suo viso divenne una maschera di cattiveria e perfidia. Poi, dalle sua dita apparve un ologramma. «Perché non provi a dare un’occhiata?».

Delle immagini vennero proiettate davanti ai suoi occhi: una donna: aveva lunghi capelli rossi legati in una coda e la sua pelle era cosparsa di lentiggini e piccole efelidi. Non ebbe bisogno di osservarla più da vicino per capire chi fosse, la riconobbe subito e istantaneamente nella sua mente esplosero una cacofonia di voci e pensieri. Poi, tagliente come la lama di un rasoio, la constatazione del fatto che Eris lo avesse ingannato si fece viva e tagliente. Dannata sgualdrina!

«Ti ripeterò la domanda, piccolo dio: cosa sei disposto a fare pur di ritornare in superficie?».

Loki alzò lo sguardo su di lui, i suoi occhi color ametista sembravano scrutarlo con un’insistenza quasi morbosa, tanto da farlo sentire in soggezione, e un fastidioso senso di timore gli lambì le viscere facendogli desiderare la fuga – come i vigliacchi. Non lo fece, era stanco di scappare o nascondersi, e un fortissimo senso di rivalsa prese il posto della paura, infondendogli coraggio: voleva la sua vendetta nei confronti di Asgard e di quella meretrice, e la voleva subito. Non ambiva più al Trono, bensì alla distruzione di Asgard stessa e quella dei suoi abitanti.

Pagheranno per tutto quello che mi hanno fatto, sussurrò fra i denti e la mascella gli si contrasse per la rabbia. Pagheranno tutto.

Ora sapeva per cosa valeva la pena lottare.

«Qualsiasi cosa» Dichiarò, il timbro della voce stanco e tremulo.

Lo sguardo dell’Eterno si fece, se possibile, ancor più obliquo e aguzzo, quasi come quello di un rettile, e le sue labbra si stesero in un sorriso perverso. La sua espressione era sardonica e soddisfatta: come quella di una fiera che osservava con baldanzosa spacconeria la preda che aveva appena catturato, e lui sentiva braccato.

«Ti propongo un patto, Dio degli Inganni, alla quale dovrai sottostare e dare la tua parola. Se lo manterrai verrai ricoperto di doni, potere e avrai la vendetta a cui tanto ambisci nei confronti del Regno che ti ha bandito; ma se non lo onorerai, ti prometto che non esisteranno Regni, o lune deserte, né crepacci dove non verrò a trovarti» Le sue parole erano chiare quanto tremende e Loki le soppeso con la stessa minuzia con cui si decide qualcosa di vitale importanza.

L’offerta di Thanos era allettante e rifiutarla sarebbe stata una follia, ma qualcosa – il suo istinto – gli diceva di lasciar perdere, che aveva già toccato il fondo e che doveva allontanarsi da quella creatura il prima possibile poiché non c’era da fidarsi, che c’era di sicuro qualcosa sotto e che non poteva permettersi di lasciarsi soggiogare così, non da qualcuno come lui.  

E la tua promessa? Sussurrò una vocina dentro di sé proprio quando stava per rifiutare, Non l’hai ancora mantenuta, questo è il momento adatto per farlo! Pensaci: otterrai la tua rivincita nei confronti di chi ti ha denigrato e maltrattato per tutti questi secoli e riuscirai a mantenere il giuramento. Devi soltanto sottostare al patto e il resto verrà da sé.

I suoi occhi scattarono istintivamente verso l’ologramma in cui Emily era ritratta: sorrideva mestamente e la curva delle sue guancie era rotonda e paffuta esattamente come la ricordava; i lunghi capelli rossi le incorniciano il viso pallido e lentigginoso e le labbra erano incurvate in un sorriso gentile, quasi malinconico. Osservandola, Loki sentì la mancanza del sentire la sua pelle ruvida sotto le dita farsi impellente, quasi oppressiva.

Strinse i pugni e si morse il labbro inferiore: questa volta, si disse, manterrò la promessa.

E nonostante dentro di sé sapesse benissimo di star sbagliando, di star giocando col fuoco, le parole gli uscirono prepotentemente dalle labbra prima ancora che potesse fermarle.

«Accetto».

Thanos rise e nonostante la sua risata fosse bassa e divertita, alle sue orecchie risuonò acuta e fastidiosa come lo stridio del ferro, rimbombò nella testa e sembrò non volerne più uscire. Assomigliava a un antico requiem, pensò, e si chiese se fosse normale che al mondo potesse esistere un suono così grottesco.

Tornò ad osservare la figura di Emily e un’improvvisa agitazione, la stessa che lo attanagliava quando era ansioso per qualcosa e il cuore sembrava voler spaccare la cassa toracica tanto era forte il suo battito, gli serpeggiò su per la schiena regalandogli odiosi brividi di freddo. Un rivolo di sangue scese giù dalla nuca per poi strisciare sulla sua guancia destra e al pensiero che fosse stata la sua stessa “famiglia” a ridurlo in quello stato non poté fare a meno di digrignare i denti e stringere forte i pugni fino a conficcarsi le unghie nel palmo delle mani.

Avrebbero pagato tutto. Non avrebbe avuto pietà per nessuno. Questa volta, non avrebbe fallito.

E mentre la risata di Thanos riecheggiava forte nella sue orecchie e un’improvvisa irrequietezza gli attanagliava il petto, un pensiero maligno gli attraversò la mente e Loki chiuse gli occhi, il volto steso in un’espressione seria e incredibilmente solenne. Quando li riaprì, il suo sguardo era obliquo e cattivo, tanto da sembrare quello di un lupo in procinto di attaccare. Si leccò le labbra, assaporando il sapore ferroso del sangue, e sorrise.

 



Non era ancora finita.

 

 

 

 

 

 

 



- Note dell’Autrice.

Ed eccoci giunti all’epilogo. Buon Dio, ho le lacrime agli occhi. Credo che piangerò. :,D

Questa storia è stata un vero e proprio parto. Un parto durato un anno di cui spero non dovrò mai pentirmi in futuro - come invece succede SEMPRE per le altre storie, soprattutto se long. Ad ogni modo, siamo arrivati fin qui e credetemi non c’è per me soddisfazione più grande. Sono molto orgogliosa di questa fan fiction, e non perché la considero particolarmente bella o quant’altro, ma perché sono riuscita a finirla! Oddio, che felicità! È la prima volta che riesco in un’impresa simile! Mi sento invincibile! **

Ad ogni modo, questa storia non sarebbe mai stata conclusa senza il vostro aiuto. Sul serio, grazie. Grazie, grazie e ancora grazie per tutto. Le recensioni, le visite, i preferiti\seguiti\ricordati… Grazie. Non smetterò mai di ripetervi che se fosse per me vi abbraccerei tutti uno per uno. Senza il vostro appoggio non l’avrei mai conclusa.
Mi dispiace di avervi rifilato questo epilogo così… agrodolce, ecco. Ma diciamo che non sono portata per i finali “Happy Ending”, però scrivere quelli troppo tragici mi mette ansia e quindi alla fine è uscito questo qui, che contiene tutte e due le cose xD. Mi dispiace da morire se qualcuno di voi ci è rimasto male, ma a mia discolpa posso dire di aver messo negli avvertimenti “drammatico” e “angst”, e ho avvertito tutti fin dall’inizio che la storia avrebbe seguito l’andamento del film ^^’’. Inoltre ho lasciato il finale aperto perché sono sempre stata una grande fan di questo tipo di epiloghi e l’idea che i lettori possano immaginarsi un ipotetico continuo mi alletta un sacco!

Ho scritto l’epilogo dal punto di vista di Thor perché è uno dei personaggi più importanti di tutta la ff e volevo dedicare una piccola parte anche a lui, che sotto tutti quei muscoli è tenero-tenero e tanto buono! <3 In sintesi: amate Thor e vi regalerò tanti micetti.

Non so se scriverò un sequel. Forse sì, forse no… chi lo sa? Boh. Per il momento però voglio prendermi una pausa, perché sono davvero distrutta. Vi assicuro che non è affatto facile cercare di termine una long – o perlomeno, non lo è per me. Ma comunque, ci sono parecchie cose che dovrebbero far presupporre un possibile sequel, a cominciare dalla gravidanza di Emily ( e a questo proposito: no, non sono impazzita. Sono seria. E no, non ho messo il nome di Vàli lì perché fa figo, bensì perché anche per questo c’è un motivo che volevo spiegare nel probabile sequel. Tranquilli, non sono impazzita – non del tutto, almeno) quindi diciamo che è più un “” piuttosto che un “” vero e proprio. :)
Ne approfitto anche per ringraziare Cassy (
Evilcassy), Darma (Darma) , Claire (ClaireCarriedo) e mio padre per avermi aiutato a betare i capitoli della storia. Non avete la minima idea di quanto vi sia grata quindi grazie, grazie e ancora grazie.

Vi chiedo solo una cortesia: fate in modo che questa storia non "muoia" o meglio, non venga "dimenticata" (giusto per restare in tema con la ff).
Perché, come ha detto la Rowling (donna che amo oltre ogni limite): "
Nessuna storia vive se non c’e’ nessuno che la vuole ascoltare. (...), le storie che più amiamo vivono in noi per sempre, quindi sia che torniate sulla prima pagina dei libri, sia sul grande schermo, Hogwarts sarà sempre lì a darvi il bentornato a casa.".

Be', insomma... si capisce cosa sto cercando di dirvi no? :)


 
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Alla prossima! :)

Un abbraccio forte forte!

Vostra, Harmony394.

 
 

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