Secret Crush di Yuffietheninja (/viewuser.php?uid=423749)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'inizio ***
Capitolo 2: *** Infiltrazione ***
Capitolo 3: *** Passi falsi ***
Capitolo 4: *** Il deserto dei peccati ***
Capitolo 5: *** Incidenti di percorso ***
Capitolo 1 *** L'inizio ***
Questi
personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà della
Square-Enix, così come la canzone utilizzata, mia traduzione
di Secret Crush di Rin Kagamine, Vocaloid appartenente alla Crypton.
Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.
Capitolo
1: L’inizio
Come
provo ad
odiarti
Il
mio amore per
te è immenso
Perciò,
desidero
poter dimenticare
Tutti i miei sentimenti per
te
“Chi sta
cantando?”
Lasciami
godere
dei momenti dolci solo per ora
So cosa è vero
Per favore almeno
Fatti
sentire chiamare
il mio nome …
“Ehi,
c’è nessuno? Yu-huuu!!”
Anche se un giorno
Questo sentimento andasse via,
Ti voglio nel mio cuore
Per restare
per sempre
dove eri in quel momento
“Pronto, pronto, ci
sei?”
D’improvviso
svanì tutto. O meglio, non svanì nulla, dato che
vedevo tutto nero. Mi svegliai
ai piedi di un albero, con la testa dolorante. Dannazione a me e al mio
vizio
di sonnecchiare sugli alberi, DANNAZIONE.
“Stupido
albero! Ma un giorno te la farò pagare, sai? Ricordati
questo nome: Yuffie
Kisaragi!”
Ebbene
sì,
giurai vendetta contro un albero. Un albero. Oh, giusto, sottolineo che
la
cretina che ha fatto una cosa del genere sono IO, Yuffie Kisaragi,
ninja di 16
anni. Oddio, proprio ninja non direi … Diciamo che ero
ancora una praticante,
più che ninja ero una ladra. Ma mi rendevo conto che il
sottile fra le due cose
era molto labile: molti dei ninja che conoscevo si erano ritrovati a
fare i
ladri a causa della guerra a Wutai. Stupida guerra, ancora mi chiedo
chi avesse
avuto la malaugurata idea di darle avvio. Oh, vero, quel CRETINO di mio
padre.
E io ero l’unica che tentasse di risistemare la situazione.
Certo, Kisaragi, inventati scuse per giustificare
il fatto che vai in giro a fregare Materia alla gente. Ma
finché la freghi alla
Shinra mettiti l’anima in pace: loro sono i maledetti che
hanno rovinato la tua
Wutai. Un attimo, da quando parlo con me stessa?!
“Ahhh,
tutta
colpa della solitudine! Ecco cosa succede dopo essere rimasta sei mesi
da sola,
si dà di matto! Beh, almeno gli psicologi sapranno su cosa
lavorare”.
L’unica
cosa
che mi giovasse era il fatto di non aver perso la mia allegria, almeno
quello.
Per il resto, posso giurare di aver perso tutto. Avevo gentilmente
preso la mia
vita e l’avevo buttata nel gabinetto. Ah, e poi avevo tirato
lo sciacquone.
Come sprecare occasioni, parte 1. Sì, ci verrebbe un bel
libro.
“Ha
ha, che
battutone. Sto perdendo colpi”. E stavo perdendo davvero
colpi, una settimana
che non fregavo niente a nessuno. Una settimana. Io. Non frego nulla.
No
materia. No cibo. No soldi. Mi ci voleva giusto un aiuto del mio
fattore C per
poter rientrare in gioco. Tra l’altro, la
probabilità di trovare gente nelle
foreste sai di quant’è? Il 20%, se sei in periodo
di pic-nic, altrimenti ci
trovi giusto gli scout. Poveracci, mi hanno sempre fatto tanta pena,
con quelle
divisine. Eppure da piccola ci avevo pensato. Le contorsioni del mio
cervello,
penso che non le capirò mai. Fatto sta che non eravamo in
periodo pic-nic, la
gente preferiva andare al mare ultimamente, chissà
perché. Tutti lecchini della
Shinra, da quando la società ha aperto uno stabilimento
balneare a Costa del
Sol stanno tutti lì. Ma il fato volle che il mio fattore C
non fallisse. E
così, trovai la mia preda. Se mi avessero detto cosa sarebbe
successo poi, non
ci avrei creduto. Il finimondo, e non è per dire.
“Huh
huh
huh, la Shinra pensa di prendere possesso anche della mia foresta? Si
sbagliano!”
Sì,
la
Shinra. O almeno così pensavo. Vai a spiegare alla gente che
le divise di
SOLDIER sono solo per chi lavora ancora con quelli. Quando non si ha
sale in
zucca. Mai in vita mia feci cretinata più grande. O forse
sì. Beh, se è accaduto,
è dipeso comunque da quell’evento. E il bello
è che fu tutto un errore.
Decisi
che
era ora di riprendere il mio lavoro. Vai a capire a sedici anni che
fare la ladra
non è un lavoro e che potresti essere indagata per furto di
proprietà e finire
in galera. Con nessuno che te lo spiega, poi. La cosa più
normale del mondo,
penseresti.
Forse è solo il tuo cervello farlocco,
Kisaragi. Ecco, lo sto facendo di nuovo.
La
strategia
dei miei furti è la più semplice del mondo: bomba
fumogena. Ti fai una bella
nebbiolina, il poveraccio che ci capita in mezzo non capisce nulla e
puoi darti
alla pazza gioia. Peccato solo che quel giorno le bombe fumogene
avessero
deciso di entrare in sciopero. Lancio una bomba. Salto fuori dal mio
nascondiglio. La bomba non esplode.
Sono fo****a. Perché non hai il
buonsenso di
pensare prima di agire?
La
situazione era spiacevole. Mi trovavo davanti un agente SOLDIER, un
tizio
abbastanza … enorme con una mitragliatrice al posto di una
mano e un leone
addomesticato. Forse la belva feroce era quella che faceva meno paura.
Almeno
finché rimase zitto.
“Chiedo
scusa signorina, ma dovremmo passare” disse.
Parla?! Ok, o sto ancora dormendo, o ho sbattuto
la testa talmente forte da essere diventata matta.
Non
sapevo
più che fare. Ancora una volta prevalse l’istinto
al buonsenso. Che cosa
fareste in una situazione del genere? Scappare, no? Miss Furbizia
decise invece
di rimanere lì e affrontarli in combattimento.
Bella mossa, davvero bella mossa.
Le
presi di
santa ragione. E forse mi stava anche bene, ero io ad aver cominciato.
Ma loro
avevano risposto alla provocazione, quindi la colpa non era solo mia.
Anzi,
forse non era per niente mia, in fondo avrebbero ben potuto fare i
galantuomini
e lasciar correre. No, ero innocente, ne sono certa.
Ero
stesa
per terra, con uno dei miei migliori bronci. Non è bello
starmi intorno quando
sono nervosa, sono parecchio irascibile. Divento intrattabile. E poi ho
uno sguardo
tagliente, da far venire i brividi lungo la schiena:
l’effetto è come quando ti
ficcano del ghiaccio nella maglietta. Ovviamente queste descrizioni
provengono
da conoscenti, non certo da me. Beh, la situazione era simile. Gli
attributi
descritti sopra c’erano tutti, ma in più mi rodeva
incredibilmente per essere
stata sconfitta. Da tre passanti che sembravano quasi più
pericolosi di me.
Quasi.
Mi
tirai su
barcollando. Vidi i tre che mi fissavano. Li gelai con
un’occhiata: distolsero
tutti lo sguardo. Tutti tranne il SOLDIER, quello continuava a
fissarmi. Quel
poveraccio era stato scelto come bersaglio della mia invettiva.
“Che
hai da
fissare, cerchi rogne? I SOLDIER non mi stanno per niente simpatici,
quindi
gira alla larga da me se non vuoi trovarti all’ospedale con
un trauma cranico!”
gli gridai. Non mi parve più di tanto sconvolto, secondo me
più che altro mi
prese per matta. E in effetti, non è che avesse tutti i
torti, li avevo
praticamente attaccati senza motivo. Ovvio che tutto ciò era
dal loro punto di
vista, io i motivi ce li avevo eccome. Ma non mi ero resa abbastanza
ridicola,
una volta fatto trenta, perché non fare trentuno? Cominciai
a tirare pugni in
aria, urlando più forte di prima: “Fatti sotto,
avanti! Ne hai già abbastanza?
O forse hai paura?”. Fra me e me mi ero già detta
che questa me la potevo
risparmiare, la mia parte masochista poteva rimanere a fare la nanna.
Fortunatamente il biondino si limitò a rispondermi con un
ironico: “… Sono
pietrificato”. Ma no, non era ancora abbastanza. Non avevo
dato spettacolo a
sufficienza, dovevo sembrare un clown. Beh, c’ero quasi.
“Hmm,
proprio come pensavo. Siete mediocri, non siete alla mia altezza.
Chissà,
magari quando sarete più forti …”.
Cretina, sei stata sconfitta.
Cominciai
ad
allontanarmi con passo lento. La scenata era servita a suscitare quasi
pena per
me. Alla fine però ebbi l’esito sperato. Il
SOLDIER capelli-a-punta mi fermò e
cominciò con tutte quelle moine che uso di solito io quando
voglio qualcosa. Il
ragazzo non era esperto, sono io la maestra nell’inventare
scuse. Non so come,
alla fine mi feci convincere ad andare con loro. In realtà
ciò che mi convinse
ad andare fu una cosa: Materia. Non me ne fregava assolutamente niente
di fare
amici e tutte queste storielle sdolcinate, volevo quelle belle biglie
colorate,
specialmente perché ne avevo adocchiate alcune discretamente
rare. Il gruppetto
si mise a discutere e dopo un po’ vidi il mitragliatore umano
andarsene. Bello,
scaricato per far posto alla prima che passa, pensa come si doveva
sentire.
Faccio davvero così pena?
Fu
l’unica
cosa che riuscii a pensare. La risposta arrivò:
sì. La depressione s’impadronì
di me: ero proprio scesa in basso. Dovevo scendere in pista e prendere
le mie
Materia. Certo, sarebbero state presto mie, non lo erano ancora. Ma per
farcela
dovevo guadagnarmi almeno un pochino di fiducia. Il leone sembrava
più
disponibile, tra l’altro con il SOLDIER non ci volevo manco
trattare. L’unico
vantaggio: parlava poco, almeno quello. Cominciai a discutere con il
leone, e
non prendetemi per pazza, un leone che parla non l’avevo mai
visto nemmeno io.
“Allora
… Siccome
dobbiamo viaggiare insieme, da quel che ho capito, almeno posso sapere
il tuo
nome?”.
“Certamente.
Mi chiamo Red XIII, esemplare di una razza quasi estinta”.
“Ok
… E cosa
fai nella vita?”. Cielo, questa me la potevo risparmiare.
“Sono
stato
una cavia di laboratorio”.
“Uh
… buono
a sapersi, ecco. Io mi chiamo Yuffie. Yuffie Kisaragi ad essere
precisi, ma il
cognome puoi anche scordartelo. In quanto ad occupazione, beh, sarei
una ninja,
ma per vivere prendo in prestito “cose” dalle
persone”.
“Prendere
in
prestito … Si chiama rubare” si intromise il
SOLDIER.
“ScusaMI,
se
non ti sta bene me ne vado. Tra l’altro, sei anonimo o cosa?
Ce l’hai il nome o
ti devo chiamare fischiando?”. Ecco, le battute ci servivano
proprio. Non sono
brava a scegliere i momenti giusti.
“…..Cloud”
disse.
“Allora
ce
l’hai la voce, pensavo fossi muto. Se sei sempre
così sai che noia! Non ti
annoi con lui, Red?”
“Mi
chiamo
Red XIII, gradirei essere chiamato con il mio nome completo”.
“Oh,
dai,
Red XIII è troppo lungo! E poi Red è
più carino!” sentenziai.
“Ma
stai mai
zitta?” mi chiese Cloud.
“Ah,
ah, ma
che simpatico. E se t’interessa, no, non sto mai zitta, ma
d’altronde faccio
quello che mi pare, SOLDIER! Il fatto che tu sia della Shinra non
m’imp …”.
“Non
sono
più un SOLDIER”.
“Ma
sei un
genio, continua a girare vestito da SOLDIER, nessuno penserà
che stai con la
Shinra. Ma dico, ti funziona il cervello al contrario?”.
“Sai
una
cosa? Penso che tuo padre ti chiudesse la bocca con lo scotch per farti
stare
zitta” disse, per poi allontanarsi.
“È
davvero
odioso! Ma non t’infastidisce?” chiesi a Red XIII.
“No.
È la
prima volta che lo vedo così indisponente, potresti
stabilire un nuovo record,
Yuffie” rispose.
“Oh
che
bello, mi sento proprio importante ora” dissi alzando il
braccio con poca
flemma.
Camminare
per lande sterminate sotto il sole in compagnia di un leone e un
SOLDIER … ops,
scusatemi, di un ex-SOLDIER, altrimenti ci si offende …
dicevo, non è proprio
il massimo che ci si aspetta nella vita. Tra l’altro,
specialmente se i due
fanno a gara a chi parla di meno, ti viene voglia di ficcarti una
pallottola
nel cranio. A forza di camminare eravamo quasi arrivati a Junon, ed
eravamo partiti
dalla zona di Fort Condor.
Certo che questi hanno proprio una voglia di
camminare … Cielo, mi butterei per terra a dormire!
Purtroppo
sono una che raramente si trattiene, così mi piantai in
mezzo alla strada e mi
sdraiai sul prato. Vi lascio immaginare cosa potessero aver pensato i
miei due
“accompagnatori”: ciò che so
è che Red XIII mi disse che fermarsi al sole non
era una buona idea, perché quelle erano le ore del giorno
più calde e i raggi
solari erano più pericolosi (fece un discorso sui raggi
ultravioletti, cose che
non posso certo ricordare), mentre il biondino, che cominciava a darmi
davvero
sui nervi, disse:
“Togliti
di
lì, rischi di bruciare quel poco di cervello che ti
rimane”.
Alla
provocazione scattai in piedi e gli mollai un ceffone. Senza scrupoli,
dico sul
serio. L’unica cosa che fece fu bisbigliare un
“… Mi hai fatto male”.
“Ti
sta
bene, sei un cafone!” gli gridai, allungando il passo.
Riusciva ad aprire la
bocca ogni mezz’ora e quando lo faceva era per insultarmi.
Una cosa intollerabile,
avrebbe fatto i conti con il mio orgoglio.
Arrivammo
a
Junon e … beh, non era certo come la immaginavo. Sapevo
vagamente che nella
parte alta della città, o come la chiamano qui Upper Junon,
c’era una delle
tante basi della Shinra, ma non avrei mai pensato che ci fosse un tale
divario
tra la parte alta e i “sobborghi”, se
così li volete chiamare. Mi ero già
preparata all’idea di andare nella locanda cittadina,
buttarmi sul letto e fare
il sonnellino che mi spettava, dopo aver camminato così
tanto. Ma quando ti fai
dei piani tutti carini e piacevoli, ecco che arriva sempre qualcuno o
qualcosa
a guastarti la festa.
“A
quanto
pare siete arrivati prima voi, avete vinto la scommessa”. Era
una voce
femminile, di una ragazza sulla ventina, ed aveva un tono quasi
materno. Mi
girai e vidi due ragazze e l’uomo che prima viaggiava con
Cloud e Red XIII. Una
delle due ragazze indossava un lungo abito rosa che le arrivava quasi
alle
caviglie, una giacchetta a maniche corte rossa e un paio di anfibi
marroni, il
tutto contornato da una treccia tenuta ferma da un enorme fiocco rosa.
L’altra
invece aveva una canotta bianca, una mini-gonna nera (veramente mini,
qualcosa
di impressionante), un paio di guanti rossi e pure lei un paio di
anfibi, però
rossi. Aveva lunghi capelli neri legati sul fondo, quasi a
mo’ di coda di
delfino. Ma ciò che più mi stupì era
il suo seno. Dire abbondante è dire poco.
Ma non sembrava una che si mette in mostra. L’uomo
mitragliatrice invece era lo
stesso di prima.
Scoprii
che
erano un unico gruppo e che si erano divisi per non dare
nell’occhio. Le due
ragazze si chiamavano Aerith Gainsborough e Tifa Lockheart, mentre
l’uomo si
chiamava Barret Wallace. Mi avevano fatto una buona impressione, tra
l’altro le
due ragazze non mi sembravano nemmeno delle smorfiose, di quella specie
che ti
fa venire l’urticaria. Aerith era una fioraia, mentre Tifa
era la gestrice di
un bar, il Settimo Cielo. Venivano entrambe dai sobborghi di Midgar.
Sembravano
avermi preso di buon occhio, e questo era tutto sommato un punto a mio
vantaggio, ottenere la fiducia dei membri della squadra era
ciò che mi serviva
per portare a compimento il furto di Materia.
Avevo
notato
che c’erano delle scale che sembravano portare ad una
spiaggia. Purtroppo per
me, quando decido qualcosa, non riesco a cambiare idea, così
decisi di andare a
dare un occhiata. Mi allontanai dal gruppo, causando non poco stupore,
dato che
si era nel bel mezzo di una discussione per decidere i piani del giorno
seguente. Vidi in fondo alla scalinata una spiaggia bianchissima
… Purtroppo
quella bellissima vista era turbata della presenza di una torre della
Shinra.
C’era una bambina lì, che giocava con un delfino.
La sentii chiamarlo Mr.
Dolphin. Sembrava felice … Chissà che lei non lo
fosse stata veramente. Qualcosa
che io volevo e non avevo ottenuto … Un infanzia. Mi ero
persa nei miei
pensieri, nei miei ricordi di una vita che forse avrei potuto vivere
diversamente. Ma qualcuno pensò bene di riportarmi alla
realtà.
“Cos’è,
stai
meditando se buttarti in mare e porre fine alle nostre
sofferenze?”
Mi
girai e
vidi lui, la causa di tutte le MIE, di sofferenze. L’avevo
conosciuto poche ore
prima, eppure era già riuscito ad ottenere un posto nella
mia mente. Sì, un
posto perché mi stava facendo dannare.
“Ma
che
problemi hai? Ti diverte tanto insultarmi? Allora ti do una notizia: a
me non
piace”. Scesi di corsa le scale e arrivai sulla spiaggia. La
bambina si voltò a
guardarmi, come se avessi interrotto un momento per lei magico. Mi
sentivo
quasi colpevole. Il vedere la piccola rimettersi subito a giocare mi
fece
tornare serena. Una serenità che presto svanì,
quando comparve dal mare un
enorme serpente marino. In seguito mi informai, e scoprii il suo nome:
Bottomswell. Bello poco, era tendente al blu, con qualche riflesso
iridescente,
enormi pinne rosacee ed occhi gialli. Quando lo vidi avvicinarsi alla
spiaggia,
un brivido mi percorse la schiena. Provocò un onda che
sommerse la bambina.
Degli schizzi arrivarono fino a me. Temevo che l’acqua avesse
inghiottito la
bambina. Ed io non avevo fatto nulla per aiutarla. Nulla. Non sapevo
che fare.
So solo che in quel momento, mi venne alla mente un nome. Solo uno. Il
nome che
meno che mai avrei voluto pronunciare. Corsi al villaggio, mi scrutai
intorno.
Dannazione, quando serve aiuto non si trova
mai chi cerchi.
Io che cerco qualcuno? No, non è
possibile.
Sto forse male?
Eccolo.
Lo
vedo. Sento l’odio bollirmi dentro … e poi
sparire. In quel momento avevo
sentito di avere bisogno di aiuto. Il suo aiuto.
“Cloud!”
gridai il suo nome con quanto fiato avevo in corpo. Corsi da lui, lo
afferrai
per un braccio e lo trascinai giù per le scale. Feci in
tempo a dire a Red XIII
di venire. Arrivati sulla spiaggia, l’imponenza del mostro mi
fece
letteralmente impallidire. Sì, avevo paura. Feci un passo
indietro, ripensai
alla bambina. Dovevo fare qualcosa, lo sentivo. Combattemmo il mostro e
riuscimmo a sconfiggerlo.
Corsi
verso
l’acqua e presi in braccio la bambina. Riuscii a malapena a
tirarla fuori dai
flutti. Cloud la prese dalle mie braccia e la portò al
sicuro sul lido. Vidi un
anziano arrivare dal villaggio. Gridava il nome della bambina,
Priscilla, ed
aveva paura. Era il nonno. Ordinò a Cloud di eseguire la
CPR, respirazione
bocca a bocca. Perché Priscilla non stava respirando. Eppure
… era restio. Non
voleva. Continuavo a guardare impietrita il corpo disteso sulla
spiaggia della
piccola.
Perché diamine non ti decidi a fare
qualcosa? Sei un cretino.
Mi
sentii
osservata. Alzai lo sguardo. Mi fissava.
Che vuoi, che ti dica io cosa devi fare?
Distolse
da
me lo sguardo, fissò un punto indefinito del suolo. Disse
con voce flebile che
l’avrebbe fatto. Quando cominciò la respirazione
bocca a bocca …
Perché mi sento infastidita? Mi sento
bruciare di rabbia.
“Che
cos’hai, Yuffie?” mi chiese Red XIII.
“N-Non
è
niente”.
È … gelosia? No, non
può essere. Perché mai
dovrei essere gelosa?
La gelosia è … per chi ama.
Quella
notte
dormii poco e malissimo. Priscilla si era salvata, ci aveva anche
donato una
rara Summon Materia , Shiva, eppure … c’era
qualcosa che non mi faceva dormire.
Eravamo tutti in un'unica camera. Red XIII si era addormentato ai piedi
del mio
letto. Noi ragazze eravamo da un lato della stanza, molto piccola a
dire il
vero. Una vecchietta del luogo ci aveva offerto ospitalità,
perciò gli spazi
erano compatibili con le sue possibilità economiche.
D’altronde era già tanto
che ci avesse offerto un letto. Ciò che più mi
infastidiva era il fatto che io
fossi la ragazza più vicina al lato degli uomini, e sulla
parte più vicina a
noi dormiva Cloud. Sì, mi dava fastidio di essere vicino al
SUO letto.
Soprattutto dopo quello che era successo quel giorno.
Non è successo nulla. È solo
stata la tua
immaginazione. Nulla di quello che hai sentito poteva essere vero. E
soprattutto, non avresti mai potuto essere gelosa.
Già,
gelosa.
Io. Non era possibile, assolutamente no.
Non di una persona che odio. Non di …
lui.
Mi
caddero
gli occhi su di lui. Non riuscivo a distogliere lo sguardo. Ed era
…
“Hai
finito
di fissarmi?”
Sobbalzai.
Era sveglio, e si era accorto che lo stavo fissando. Mi fece prendere
un colpo,
possa essere sempre dannato. Mi girai subito dall’altra
parte, gridando al:
“Non guardavo te”. Certo, guardavo il muro, bello
che non ti dico. Una
meraviglia.
“Meglio
così, e vedi di dormire. Ah, un'altra cosa: mi dà
fastidio il fatto che tu mi
stessi fissando”.
Bene, siamo in due ad essere infastiditi, a
me dà fastidio la tua presenza.
Non
mi
addormentai comunque. Nella mia testa c’erano troppi
pensieri. Quell’inizio
così improvviso, quel viaggio, quelle persone …
quella persona, il mio maggior
problema attualmente. Ciò che più mi turbava era
quel sentimento … la gelosia.
Toglitelo dalla testa, la gelosia non è
roba
per te.
Già, forse è così.
Non mi fermerò mai,
porterò a compimento il furto. E poi …
laverò via tutti i miei problemi.
Mi
sentii
rinnovata, come se in un attimo tutte le paure, le preoccupazioni che
per poco
si erano affacciate alla mia porta fossero andate via. Cavolo, dovevo
ancora
imparare che non è così facile scacciare certi
fantasmi. Non so come, ma
riuscii a prendere sonno. Un sonno breve e tormentato. Rividi la
guerra, la mia
Wutai distrutta, disonorata … SOLDIER ovunque, la Shinra che
mette a ferro e
fiamme il villaggio. Mio padre che si arrende, la guerra è
persa. Tutto è
perso. Nulla ha più senso. E all’improvviso
… il buio che avvolge tutto. Sento
solo una voce … una voce che canta sempre la stessa canzone,
con voce
insistente … Una voce dolce e calma, una voce che porta
serenità.
La
pioggia che
cade fuori dalla finestra
Ho
scritto il
tuo nome con le mie dita
Con
chi sei ora?
Chi stai fissando?
Fissando.
Quella parola risuonò con uno strano eco, e mi fece
trasalire. “Cosa vuoi da
me?” dissi con voce tremolante.
Non
importa
quanto duramente io preghi
Non
ho
possibilità di starti vicino
Se
è così, spero
di poter cancellare
I frammenti dei miei
sentimenti
“Fai
silenzio … Stai zitta!!” ero esasperata,
continuava a ripetere sempre la stessa
cosa, sempre con lo stesso tono, e non si curava di me. Volevo
ucciderla, farla
stare zitta.
Questo …
Non accadrà
mai.
Non sono debole.
Non lo sono.
|
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Capitolo 2 *** Infiltrazione ***
Capitolo 2:
Infiltrazione
Mi
svegliai
madida di sudore. Quel sogno mi aveva messo un ansia terribile. E
quella
canzone … ero sicura di averla già sentita.
Tentai di rimettere in ordine i
pensieri, quando mi accorsi che non c’era più
nessuno nella stanza. Ero l’unica
ancora a letto. Sentii delle voci di fuori, fra le quali una che diceva:
“Mi
chiedo
come faccia a dormire nonostante tutto questo rumore
…”. Era Aerith a parlare.
E non riuscivo a capire di cosa stesse parlando, c’era una
calma assoluta. Ma
all’improvviso, ecco che si ode il tanto anelato rumore: una
strombettata che
mi spaccò i timpani. Caddi letteralmente dal letto, dando
una sederata sul
pavimento.
Ottimo, come cominciare al meglio la
giornata.
Mi
alzai
dolorante, raccolsi alla bell’e meglio le mie cose ed uscii
di fuori. Vidi
tutti radunati in cerchio con le teste alzate a guardare la parte alta
della
città, da dove veniva quel rumore infernale. Mi
balenò in mente di chiedere
cosa stava succedendo, ma per carità, mi morsi la lingua.
Non volevo cominciare
la giornata con un insulto. Preferii rimanere in silenzio in attesa di
capire
da sola.
“Certo
che
si stanno proprio dando da fare con i festeggiamenti … Deve
essere per l’arrivo
di Rufus” disse Tifa. Rufus? Non parlavano mica di Rufus
Shinra, il figlio del
presidente?!
“Ma
intendete quel Rufus?! Che cosa verrebbe mai a fare qui? E poi, agli
affari di
stato ci pensa il padre!” urlai, con la paura di non essere
sentita.
“Se
hai
deciso di spaccarci i timpani di prima mattina, ti avviso che abbiamo
già
trovato una soluzione più che efficace, non ci serve il tuo
supporto”. Eccolo,
sapevo che sarebbe arrivato. Non potevo sfuggirgli. Tentai di lasciar
correre,
ma a lungo andare sarei esplosa. E considerare che ci dovevo viaggiare
insieme
non mi aiutava a sentirmi meglio.
“Cloud,
non
essere scortese!” lo sgridò Aerith. E questo mi
fece scappare un sorrisetto, la
fioraia non sembrava il tipo da sgridare.
“Sì,
si
parla proprio di Rufus Shinra. Non hai sentito? Il padre è
stato ucciso” mi
spiegò Red XIII.
“Oh,
beh, un
problema di meno. E si sa chi è stato? Non è che
siete stati voi?” dissi con
una punta di sarcasmo, che a quanto pare non fu ben accetta.
“Sephiroth.
È stato lui” quando Tifa pronunciò quel
nome, vidi gli sguardi di tutti
disperdersi. Ciascuno allontanò lo sguardo da una parte. E
anche io, quando
sentii quel nome, un po’ mi stupii. Pensavo che fosse uno
scherzo.
“Su,
su,
ragazzi, seriamente” e sentito dalla mia bocca, sembrava
quello lo scherzo.
“Siamo
seri”. Ok, va bene che l’aveva detto Cloud, ma il
tono era talmente freddo che
mi tolsi ogni dubbio. Sephiroth, l’eroe, che aveva ucciso il
presidente della
Shinra?! Non era possibile. Assolutamente no. Odiavo la Shinra, e la
morte del
presidente non era certo una tragedia, anzi … Ma pur essendo
contro di loro, la
fama di Sephiroth era talmente grande che era un eroe nonostante tutto.
Com’era
potuto accadere? Che fosse stato un complotto per affossarlo? O era
veramente
stato lui? Non sapevo che pensare. Sapevo solo che in quel momento,
tutti quei
rumori mi attiravano terribilmente, volevo scoprire cosa stava
accadendo.
“Voglio
andare nella parte alta della città e scoprire cosa diamine
stanno combinando …
Insomma, questo Rufus deve essere importante se si sente la marcia da
qui!”
dissi.
Stranamente,
arrivò una risposta che mai avrei aspettato.
“È un’ottima idea, così
possiamo
anche controllare la loro prossima destinazione …
però dovremo infiltrarci in
qualche modo, non dobbiamo farci notare”. Cosa? COSA?!
Un’ottima idea? La mia?
Cavoli, dovevo pensare che stesse male, quando mai mi avrebbe dato
ragione così
facilmente?
Ok, qui stiamo calando proooooprio in basso.
Cedi troppo facilmente, ragazzo … Un attimo, questo
è un bene o un male?
Un
bene,
assolutamente. Avevo campo libero per il furto, niente di meglio.
L’avrei
osannato per questo. No, aspetta, non avrei mai fatto una cosa simile.
Falso
allarme.
“E
come
facciamo ad arrivare lassù, mettiamo le ali?”
disse Barret. Beh, in effetti non
l’avevamo considerato … Ma insomma, anche mettere
le ali non era una cattiva
idea.
“Cloud,
ma
non dovevi dare nulla a Yuffie?” chiese Aerith. Non so
perché, ma sentivo che
c’era un po’ di malizia nella sua voce, e questo
non mi piaceva.
Cloud
tirò
fuori dalla tasca una specie di cellulare e me lo diede, il tutto senza
fiatare, ovvio. E mi sembra anche inutile dire che me ne dovevo uscire
con una
cretinata.
“Cos’è,
ora
mi chiederai di uscire?”.
Idiota, idiota, idiota, questa te la potevi
DAVVERO risparmiare. Sei una deficiente.
Non
so
descrivere la faccia con cui mi guardò. Allucinata penso che
fosse il termine
più giusto. Io mi limitai ad aggrottare un ciglio e dire un
atono “Beh?”. Mi
resi conto solo dopo che mi guardavano tutti come se fossi stata
un’aliena.
Gente, dopo questa avevo sicuramente fatto colpo. Già, in
senso negativo. State
sicuri che se cominciavo a piacere loro, ogni dubbio se n’era
andato. Mi ero
scavata la fossa. Il biondino era completamente impallidito, non se
l’aspettava. Le ragazze avevano sbarrato gli occhi, il
mitragliatore se la
rideva e Red … guardava. Sembrava non capire bene le
meccaniche umane, gli
animali non avranno avuto la concezione di
“appuntamento”.
Poveretto, un po’ ti compatisco. Se non
altro per aver avuto la sfortuna di trovare me, ti farò
dannare più di quanto
tu non farai dannare me. Ben ti sta, biondo.
Sì,
avevo
deciso che lo volevo mandare fuori di testa. Prima che lui mandasse
fuori di
testa me.
1 a 0 per me, SOLDIER. Palla al centro, ma
stai sicuro che il prossimo punto sarà di nuovo mio.
L’avevo
presa come una cosa seria, ormai era nella mia testa che lo avrei
massacrato
prima di fregarmi tutte le sue Materia. Ben gli sta, così
impara a prendersi
gioco di me.
“Allora,
come funziona il piano, capo?”.
“…………”
“Simpatico,
sono riuscita a farti zittire. È forse un record o
cosa?” continuavo a
punzecchiarlo, volevo vedere fino a che punto avrebbe resistito. Cielo,
nessuno
sa come stavo godendo nel vederlo ribollire di rabbia. Lo odiavo.
Davvero,
senza scherzi.
“Yuffie,
lascialo perdere”. Ecco, giusto della voce della coscienza
avevo bisogno in
quel momento, altrimenti chi mi avrebbe più fermato. Il mio
buonsenso felino,
alias Red XIII, mi convinse a lasciare in pace testa-a-punta. Era
completamente
sbiancato. Cominciavo quasi a pentirmi di essermi comportata in quel
modo. Ma
solo ripensare a come mi aveva trattato LUI, il giorno prima, mi fece
passare
ogni risentimento.
“Penso
che
dovremmo trovare il modo di entrare da lì” disse
Tifa indicando una porta
enorme con un fante della Shinra di guardia. La ragazza sembrava
infastidita da
quello che avevo fatto, ma sinceramente non ne capivo il motivo. Va
bene,
potevo aver esagerato, ma in fondo che le importava?
“Ooook,
gente, lasciate fare a me, sono un asso nel trattare, ci penso
io!” dissi fiera
di me. E chi mi diceva che avrebbero lasciato a me l’incarico?
“Ma
desteremmo sospetti così!”. Aerith non aveva
torto, ma non c’era altra scelta.
Un attimo, perché diamine mi sto
scervellando a pensare a come aiutarli?!
Ad
un
tratto, arrivò Priscilla, la bambina del giorno precedente.
“Se volete andare
nella parte alta, non potete certamente passare della torre sulla
spiaggia, ha
un alto voltaggio e potrebbe essere pericoloso! Però
… Forse se Mr. Dolphin vi
aiutasse potreste passare senza problemi”.
Ottimo, ci mancava solo l’aiuto di un
delfino. Certo che questi stanno messi proprio male.
Arrivammo
al
compromesso che Cloud avrebbe fatto l’eroe e sarebbe andato a
friggersi sulla
torre ad alto voltaggio e noi, grandi sfigati, ci saremmo salvati la
pelle
passando della via più normale. Con tanti auguri e a mai
più rivederci, fai
l’eroe e crepa.
Un problema in meno, il mio più grande
ostacolo fatto fuori. Cosa voglio di più dalla vita?
Lasciammo
il
biondo sulla spiaggia a giocare col delfino e a beccarsi una polmonite
stando
in acqua, mentre noialtri andammo al portone. Mi misi a parlare col
fante lì di
guardia, e in poco tempo arrivai al compromesso che ci avrebbe fatto
passare se
gli avessimo dato una manciata di guil. Passammo e ci ritrovammo su un
enorme
montacarichi.
“Bene
bene,
ho fatto il mio lavoro. Ora però non vorrete mica girare
lì in mezzo così
conciati?” dissi appoggiandomi alla ringhiera
dell’elevatore.
“Beh,
in
effetti così
siamo troppo riconoscibili
… Dovremmo procurarci delle divise da fanti, così
passeremo inosservati” propose
la fioraia.
“Nessun
problema, ci penso io a recuperare le divise” dissi con un
mezzo sorriso. Allora
essere una ladra non era così inutile.
“E
come fai
a procurartele?” mi chiese la barista.
“Cara,
se
non avessi tentato di rubare le vostre Materia non sarei qui
… Rubare è il mio
lavoro. E non ti preoccupare, non vi metto nei guai, nemmeno se ne
accorgeranno”.
“Cosa
si è
messo in testa quel mezzo SOLDIER, ha reclutato una ladra!”
gridò l’uomo-mitra.
“Ehi,
ehi,
piano con le parole, lo dici come se fosse un crimine!”.
Idiota, rubare È un crimine.
Arrivammo
in
cima. Mi intrufolai nello spogliatoio e cercai quanto più
potevo.
Sfortunatamente, trovai solo tre divise da fante. Il meglio che potevo
procurarmi in alternativa erano delle divise da marinaretto.
“E
vada per
quelle … Lo sento, mi dovrò vestire
così”. Una smorfia di disgusto si
disegnò
sul mio volto, mai avrei immaginato di ridurmi così. Tornai
indietro col
bottino e spiegai il problema che si era venuto a creare. Inutile dire
che la
soluzione fu quella che temevo: mi dovevo vestire da marinaretta.
Ciò che mi
fece ridere fu il fatto che Barret mi faceva compagnia: sembrava
… un orso con
un marshmallow addosso. Orripilante, sul serio.
Vestiti
in
questo modo, riuscimmo ad entrare nella zona senza problemi. Quando
vidi il
luogo in cui dovevamo ficcarci, rischiai l’infarto: una nave.
Pensavo di
morire. Il fatto è che soffro terribilmente di mal di mare e
mal d’aria, cose
da non riuscire a tenere il pranzo nello stomaco.
“Dobbiamo
nasconderci lì … Mi raccomando, per nessun motivo
devi toglierti il
travestimento” mi spiegò Red XIII. Era
così buffo vederlo su due zampe con
indosso una divisa da fante che non potei fare a meno di ridere.
Sono tipi strani, ma almeno sembrano
simpatici.
Entrammo
dentro. Vidi un gruppo di tre fanti che marciavano davanti a
… Rufus Shinra.
Era lì, con la sua perfezione schifoltante. Sì,
schifosa e rivoltante,
schifoltante. I capelli tra il rosso e il biondo perfettamente
ordinati, il
vestito perfettamente bianco, lo sguardo perfettamente fisso. Troppa
perfezione
in un uomo così schifoso, il capo di tutti quei vermi della
Shinra. Gli sarei
voluta saltare addosso e squartarlo vivo, ma qualcosa mi disse di
trattenermi.
Tra l’altro, mi sembrava che uno dei tre fanti mi avesse
notato. Mi ritirai
dietro ai cassoni che mi nascondevano.
Mah, sarà stata la mia testa bacata.
Terminata
la
marcia, Rufus se ne andò e i fanti scapparono tutti via. Ma
uno entrò nella
nave. Era stranamente circospetto. Il portellone si chiuse, e quello
cominciò a
guardarsi intorno. Volevo andare da lui e capire chi diamine era, ma la
nave
partì. Il suo inizio, la mia fine. Mi fermai di botto, lo
stomaco mi si contorceva.
A breve, avrei vomitato. Lo sapevo. L’unica cosa che mi
avrebbe potuto aiutare
era un Tranquillizer, trovalo lì però. Non
è che potevo andare dal primo
marinaio che c’era e chiedere: “Ehi, non
è che mi puoi dare qualcosa per non
dare di stomaco? Sai, soffro il mal di mare”. Sarebbe stato
ridicolo, oltre che
imbarazzante. Ma dico, di cinque che eravamo, proprio a me dovevate far
fare il
marinaio? Io che ho il mal di mare?
Mi
appoggiai
ai cassoni, cominciavo anche ad avere i capogiri. Forse sarei svenuta
nel giro
di cinque minuti, mi avrebbero portato in infermeria e tanti saluti.
ZAC!
Scoperta. Gettata in mare perché clandestinamente a bordo.
Vidi il fante
avvicinarmisi. Non potevo sfoderare lo shuriken, non solo
perché mi avrebbe
causato l’espulsione diretta dalla nave, ma anche
perché non ne avevo la forza.
Mi si piazzò dietro e cominciò a guardarmi.
“Mal
di
mare?”. Voce familiare, ti avrei risposto.
Non dare nell’occhio, ricordati.
“Hmm,
un
pochino”.
“Fai
poco
l’orgogliosa, stai male” mi disse il fante.
OrgogliosA? Bene, scoperta.
Fregata, fregata in prima linea.
“Come
hai
fatto a capire che sono un ragazza?!”.
“Perché
ancora non sono stupido, Yuffie. E per la tua gioia, i cavi elettrici
non mi
hanno ammazzato”.
“Non
ti
avevo riconosciuto così conciato. E così,
già ci eri passato, eh? Cosa si prova
a tornare indietro a quando si era una
nullità?”.Ora che avevo realizzato che
era Cloud, non potevo certo starmene zitta. La lotta era ricominciata.
“Assolutamente
nulla”. Non sembrava scosso per niente dalla domanda. Io,
invece, ero scossa a
causa delle onde. Non volevo cedere a chiedergli di aiutarmi, non lo
avrei mai
fatto. Invece fu lui a darmi un Tranquillizer.
“Perché
me
l’hai dato? Non ne ho bisogno”.
“Smettila
di
fare la bambina, non vorrai mica dare di stomaco qui. Se poi vuoi star
male,
affari tuoi”.
La solita gentilezza …
Presi
il
Tranquillizer. Non so se lo feci perché stavo talmente male
da non poterne fare
a meno, per farlo contento o perché mi sentivo orgogliosa
del fatto che mi
avesse aiutato. So solo che lo ringraziai, e lui mi disse di starmene
in
coperta fino alla fine del viaggio. Mi disse anche che muovermi un
pochino mi
avrebbe fatto bene. Se ne andò sul ponte, forse a vedere la
condizione degli
altri.
Strano, sembra uno che se ne intende di
queste cose … Chissà che non faccia
l’orgoglioso e che non stia male anche lui.
Mi
misi poi
a pensare sul fatto che mi avesse aiutato. Conclusi che
l’aveva fatto perché
avrei potuto far saltare la copertura. Sì, doveva essere
così.
Quello ha il cuore di ghiaccio, non
aiuterebbe mai senza un motivo specifico.
Mentre
pensavo, sentii suonare l’allarme della nave. Temevo che ci
avessero scoperto.
Feci per andare verso le scale, ma vidi una scia di cadaveri andare
verso una
stanza chiusa a chiave. La sala motori. Mi chiesi come avevo potuto non
accorgermi di nulla. Forse perché mi ero messa in un angolo
al buio, nascosta.
Ringraziai di non aver fatto quella fine e corsi di sopra. Gli altri
stavano
tutti bene, ero l’unica che mancava, e cominciavano a
preoccuparsi.
“Se
siamo
tutti qui, allora perché l’allarme ha
suonato?!” gridò Barret.
“C’è
solo
una spiegazione … c’è un altro intruso
sulla nave” disse il biondino.
“Sephiroth!”
gridarono tutti all’unisono.
Decidemmo
che una squadra sarebbe andata a controllare. Io avevo implorato di non
andare,
perché mi sentivo male, ma il biondino sadico decise che la
cosa migliore,
giustamente, era potarmi in giro per la nave alla ricerca
dell’intruso n°2. Ah,
giusto, c’era anche il leone con noi.
Grazie mille, te ne sarò eternamente
riconoscente. Dì la verità, mi vuoi portare
perché così ti faccio da scudo
umano e ti liberi di me. Bella fine, grazie del pensiero.
Arrivammo
nella sala motori. Un uomo si era piantato in piedi davanti al motore
principale della nave. Bellissimo, mi
ricorda tanto il muro che fissavo stanotte.
Testa-a-punta
aveva deciso di fare il temerario e andare a vedere chi fosse quel
tipo, temendo
fosse Sephiroth. Arrivato diero a lui, il tizio si girò.
Aveva uno squarcio nel
petto. Crollò a terra morto.
“Non
è
Sephiroth …”
“Ma
sei un
vero genio, non l’avrei mai detto” dissi.
Ad
un
tratto, mi sembrò che le luci si fossero abbassate. Pensavo
avessi le
traveggole, invece ben presto mi resi conto che anche Red XIII se
n’era
accorto.
“Red,
non mi
piace questa cosa …”.
“Ti
ho già
detto di chiamarmi Red XIII … Comunque, suppongo che tu
abbia ragione, ho una
brutta sensazione” disse cominciando a fiutare per terra.
Si
sentì una
voce, che diceva pressappoco “La madre sta per rinascere
…”. Sì, domani, come
se i morti tornassero in vita. Torna sul Pianeta, bello!
Solo
quando
vidi la sagoma emergere dal pavimento cominciai a temere per la mia
vita, fino
ad allora l’avevo presa molto alla leggera. Vidi dei capelli
argentei, poi un
cappotto di pelle nero … Ed infine, una lunghissima spada,
circe 2 metri e
mezzo ad occhio. Era lui, l’eroe, Sephiroth, di fronte a noi.
E se era vero che
era impazzito, eravamo in guai grossi. Nonostante tutto, il biondino,
che era
davanti, non si scompose, continuava a fissarlo con odio. Sephiroth se
ne volò
via, lasciandoci come regalino un qualche pezzo di braccio di un
alieno, che presto
cominciò a mutare. Era un essere orrido, enorme, tendente al
grigiastro, con
tentacoli e una specie di coda attaccata a quell’ammasso di
corpo che si poteva
definire come gambe. Era la prima forma di Jenova che avremmo
affrontato:
Jenova Birth. La battaglia non fu troppo difficile, fortunatamente ce
la
cavammo con poco, giusto qualche piccolo graffio. Io ero sicuramente
quella
messa meglio, combattevo a distanza, quindi giravo alla larga dai
mostri; Red
XIII era forse quello messo peggio, perché usava morsi e
graffi per attaccare,
quindi andava a diretto contatto con chiunque. Cloud aveva qualche
graffietto,
poteva sopravvivere.
Il
mostro
bellamente sconfitto era tornato il tentacolo che era in partenza, e
lentamente
si dissolse, lasciando abbandonata una Materia rossa come il fuoco: era
Ifrit.
Mi gettai a prendere la Materia … o meglio, tentai di, ma
SOLDIER mi disse che
l’avrebbe presa lui.
E ti pareva,mai una volta che riesco ad
avere qualcosa anch’io.
Uscimmo
dalla stanza e ci riunimmo agli altri, che cominciarono a discutere
dell’accaduto.
Io, come al solito, mi limitavo ad ascoltare. In breve arrivammo alla
nostra
nuova fermata: Costa del Sol. Ne ho già parlato, no? Quella
bella cittadina sul
mare, con una spiaggia deliziosa per le gite … Bella
finché non scopri che è l’ennesimo
giochetto della Shinra per accalappiare gente. E il bello è
che ci cascano
pure. Finalmente toccammo terra: il primo impulso che ebbi era quello
di
gettarmi a baciare il suolo, ma una volta tanto decisi di trattenermi.
Eravamo
finalmente liberi da tutti quei travestimenti … Tutti meno
che Barret, che per
qualche arcana ragione aveva ancora il completo da marinaretto indosso.
“Barret,
hai
intenzione di rimanere così vestito?” chiese Tifa.
In effetti, me lo chiedevo
anch’io, dato che non era il suo tipo di vestiti.
L’ho già detto che era
orripilante?
“Fa
talmente
caldo che mi si sono incollati i vestiti addosso” rispose
l’uomo.
“Carino,
sembri un orso con un marshmallow addosso … Consolati, puoi
usarlo come pigiama”
commentò il biondo.
Eh no, oltre a rompermi le scatole ora mi
copi anche la battute? E poi … Aspetta, ma come diamine ha
fatto a pensare la
stessa cosa?!
Rimasi
un
attimo perplessa, ma non ci feci molto caso. Aerith aggiunse che Barret
era carino,
non stava poi tanto male, mentre Red XIII disse:
“Possiamo
sbrigarci, per piacere? Il caldo sta seccando il mio naso”.
“Già,
anche
il mio!” soggiunsi, guardata perplessamente da tutti.
“Che c’è, è vero!”.
Dopo
il mio
intelligente intervento, decidemmo di muoverci dal porto. Decidemmo di
fare
tappa alla spiaggia, non tanto perché volevamo fare il
bagno, ma perché passando
davanti alle scale che conducevano ad essa Cloud aveva notato una
“faccia nota”.
Arrivati sulla spiaggia, scoprimmo chi era la faccia nota: un certo
Hojo, che
da quanto ne sapevo era il responsabile del dipartimento scientifico
della
Shinra. Lo scienziato pazzo, detto in termini spiccioli. Era circondato
da un
gruppetto di tizie in bikini, saranno state tre.
Ma che ci trovano in uno così? Fosse
almeno
uno della Shinra, ma bello … Chessò, uno alto,
biondo e con gli occhi azzurri …
Mi
resi
subito conto di quello che avevo detto fra me. Guardai un attimo la
persona che
fra me avevo ritratto. Se non fosse stato un maleducato e un cafone,
nonché un
musone, forse un pensierino avrei potuto farcelo, ma dato che era
quello … No,
assolutamente no. E poi, era stato con la Shinra.
A
proposito
di lui, aveva deciso di andare a parlare con quell’Hojo. Non
sembrava ci fosse
un bel rapporto fra i due, così come con tutti gli altri. Mi
guardava come se
fossi stata un’aliena, forse perché si chiedeva
dove mi avessero acchiappato,
chissà. Scoprii ascoltando che di bello questo Hojo aveva
fatto parecchio:
aveva tenuto chiuso in un laboratorio Red XIII, voleva usare Aerith
come tester
per altri esperimenti … Già, perché a
quanto pare Aerith era l’ultima Cetra, o
Antica che dir si voglia, in vita sul Pianeta. Hojo aveva una risata
sguaiata,
proprio da scienziato pazzo … Non mi piaceva per niente.
“Prendilo
a
calci nel sedere, magari ci dice qualcosa” dissi a Cloud. Si
limitò a scuotere
la testa, come per dirmi di no.
Cavolo, fossi stata in lui lo avrei già
gonfiato.
Aerith
cominciò a martellarlo di domande. Hojo le chiese come
stesse la madre, Ifalna,
e lei rispose che era morta. Poi gli chiese se Sephiroth e Jenova erano
degli
Antichi. Hojo continuava a rimuginare fra sé, non voleva
rispondere alla
ragazza. Si sistemò sulla sdraio, continuando a rimuginare.
Decidemmo che era
meglio lasciar perdere, anche perché cominciava a farsi
tardi e dovevamo
trovare un posto dove dormire. Fortunatamente trovammo una stanza
libera nella
locanda locale.
Anche
quel
giorno, la stanza era unica, e mi toccò la stessa postazione
della notte
precedente. Che fortuna.
Fortunatamente
non feci fatica ad addormentarmi. Anche quella notte però
sognai quella
canzone. Cominciavo ad odiarla.
Per favore, per favore continua a sorridere
Più di quanto tu stia facendo ora
Finché sorridi sotto lo sconosciuto
cielo
stellato
Sono
soddisfatta
Volevo
capire chi era a cantare. Cercai di individuare da dove veniva il canto
e
cominciai a camminare in quella direzione. Riuscii ad intravedere una
sagoma, molto
confusa. Era una ragazza, forse di 18 anni, con dei lunghi capelli
corvini. Era
seduta a terra. Mi avvicinai ancora, e notai che aveva due scintillanti
occhi
castani scuro, con dei riflessi violacei. Esattamente come i miei, era
una
strana coincidenza.
“Chi
sei?”
chiesi.
La
ragazza
smise di cantare. Si alzò, si avvicinò a me. Ebbi
un sussulto. Ciò che vidi mi
spaventò. La ragazza che cantava …
… ero io.
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Capitolo 3 *** Passi falsi ***
Capitolo 3
– Passi
falsi
Quella
mattina mi risvegliai ancora più sudata del giorno
precedente. Non mi sarei mai
immaginata una cosa del genere. Come diamine era possibile poi che
fossi io a
cantare? È vero, quella canzone aveva un’aria
familiare, ma non avevo la più
pallida idea di dove potevo averla sentita. Quando vivi nella foresta
da chi la
impari, dagli alberi? Non ricordavo quasi per nulla le parole.
Accidenti, mi devo impegnare di più per
ricordarle … Chissà che leggendole non mi venga
in mente dove ho sentito la
canzone.
Ciò
che più
mi straniva era che fosse una canzone d’amore. Quando avevo
cominciato a
sognarla?
È stato prima di incontrare loro
… Che
strana coincidenza.
Già,
e chi
mi diceva che era una coincidenza?
Nel
frattempo ero rimasta a letto, semi-sconvolta e con i capelli
scarmigliati.
Dannazione, dovevo assolutamente darmi una sistemata e vestirmi. Mi
dà
profondamente fastidio avere i capelli in disordine. Ok, è
vero, ho i capelli
corti, ma mi dà fastidio comunque. E su questo punto, no
comment, so che non ha
senso. Il fatto è che avere i capelli lunghi impiccia molto
quando devi saltare
da un albero ad un altro o quando c’è vento. Ed in
cima agli alberi ce n’è
parecchio.
Fatto
sta
che riuscii appena ad alzarmi del letto e ad andare verso il bagno che
sentii
la porta della stanza aprirsi. Non volevo che mi si vedesse in
disordine,
almeno mantenere quel poco di dignità che avevo …
Sempre che avessi ancora
avuto un po’ di dignità. Mi precipitai in bagno e
chiusi a chiave la porta. Il
pericolo era passato. Tirai un sospiro di sollievo, ce
l’avevo fatta. E senza
cadere in qualche tappeto, incredibile. Mi voltai soddisfatta, andando
verso il
lavandino. Peccato solo che lungo la strada inciampai …
sì, proprio nel
tappetino della doccia. Capitombolai per terra.
“Dannato
tappetino …” mugugnai da per terra. Mi alzai un
po’ dolorante.
La giornata comincia davveeeero male.
Già so
che finirà peggio.
Con
questa
convinzione nella testa, mi sistemai per bene. Mi sciacquai la faccia,
mi lavai
i denti e mi spazzolai i capelli. “Una ninja ordinata
è una ninja vittoriosa”,
diceva il mio maestro. Peccato che non avessi mai avuto un maestro, era
una
frase che mi ero inventata io. Il mio maestro, tristemente, ero me
stessa.
Mi
guardai
allo specchio sorridente, strizzandomi l’occhio.
L’allegria, meno male che
anche in tempi bui mi era rimasta. Era la mia migliore amica.
Mi autocompatisco per questo.
Uscii
dal
bagno e scoprii chi era il misterioso visitatore … O meglio,
dovrei dire LA
visitatrice. Tifa aveva deciso di venire a dare un’occhiata.
Diciamo più che
altro che non aveva scelta, perché gliel’aveva
ordinato qualcuno … Ma bravi,
proprio il biondino. Che nervi, non avevo bisogno di un servizio di
babysitteraggio. Soprattutto non se era lui il babysitter.
Uscimmo
dalla locanda. Fuori faceva un caldo incredibile e il sole era
bollente. Non a
caso si dice che a Costa del Sol è sempre estate,
chissà perché. Ed era
Dicembre. Erano già tutti riuniti fuori della locanda,
mancavo solo io. Per
soddisfazione personale, avrei voluto un giorno svegliarmi per prima.
Tanto per
vedere la SUA espressione e, perché no, sbatterglielo in
faccia. Ma
conoscendomi, non ci sarei mai riuscita.
“Scusate
per
il ritardo, non è suonata la sveglia … E
sì, so che non abbiamo una sveglia, è
un modo di dire” affermai stroncando sul nascere ogni
possibile contestazione.
“Bene,
ora
che ci siamo tutti direi che possiamo andare, no?” Aerith
sfoggiò uno dei suoi
migliori sorrisi. Era davvero spontanea, quasi la invidiavo. Mi
chiedevo come
facesse.
“Allora,
che
si fa, ci si divide di nuovo?” chiese Red XIII.
“Direi
di
sì, ancora ci stanno cercando, non è sicuro
viaggiare tutti insieme” rispose
Cloud.
“Ehi,
piano,
SOLDIER, perché devi decidere sempre tu?!”
gridò Barret. Si sentiva aria di
discussione … “Fantastico”, pensai con
un sorrisetto che non prometteva nulla
di buono. Cloud mi vide, e io girai subito la testa facendo finta di
niente.
Poi pensai che forse mi sarebbe convenuto entrare nelle sue grazie. E
si sa,
quale metodo migliore per ingraziarsi gli uomini, specialmente se
orgogliosi,
se non dargli ragione?
“Beh,
andiamo, in fondo è il capo, lo saprà
cos’è più giusto. E poi, se ti
dà
fastidio che scelga lui, perché hai approvato a farlo
coordinatore del
gruppo?”.
“Ha
deciso
da solo, non gliel’ha chiesto nessuno!”. Ok,
l’uomo mitragliatore restava fermo
sulla sua posizione. E Cloud mi guardava.
Cosa vuoi? Non ti sto aiutando così a
vuoto,
se è quello che pensi. Ogni cosa ha un suo secondo fine,
imparalo.
“Senti,
io
qui sono l’ultima arrivata, ma mi permetto di dire che se non
ti va bene, te ne
vai”. Non l’avessi mai detto. Il finimondo. Quello
cominciò a gridarmi contro,
utilizzando un linguaggio anche piuttosto … colorito,
insomma. Tifa ed Aerith
tentarono di bloccarlo, altrimenti, sarebbe venuto ad ammazzarmi in un
accesso
d’ira. Mi limitai a guardarlo perplessa, dargli le spalle ed
allontanarmi a
testa alta.
“Ma
questo
fa sempre così? È matto o cosa?” chiesi
al biondo, che per tutta risposta mi
guardò perplesso e mi disse: “Dimmi la
verità, hai deciso di farti ammazzare da
Barret?”.
“Se
mi
uccidessero per ogni volta che faccio così, a
quest’ora sarei morta e
resuscitata un buon centinaio di volte”. Red mi fecce cenno
di finirla lì, le
ragazze erano riuscite a calmare Barret e Cloud … era
decisamente perplesso.
Sì, caro, sono una ragazzaccia che
provoca
la gente anche se è il doppio di me. Problemi?
Alzai
gli
occhi al cielo. Certe cose potrei anche risparmiarmi dal pensarle.
Riuscimmo
finalmente a giungere ad un accordo: ci saremmo divisi. Toccava
decidere le
squadre. Ero sicura che sarei stata liquidata con le ragazze, si
sarebbero
messe a parlare di cinema, vestiti e ragazzi e avrei fatto la figura
dell’imbecille emarginata. E invece no, udite udite. Per
l’ennesima volta, il
SOLDIER aveva deciso di prendere me e il leone con lui. Ero allibita.
Il gruppo
si separò, fissando come prossimo punto d’incontro
North Corel, per poi andare
al Gold Saucer.
“Andiamo
al
Gold Saucer? Intendi il gigantesco parco dei divertimenti al centro del
continente?” chiesi con occhi sognanti.
“Sì,
il
posto più agevole per incontrarci è North Corel,
già che siamo lì possiamo fare
un salto al Gold Saucer” mi rispose Cloud. Ero al settimo
cielo, era da quando
ero bambina che sognavo di andare in quel posto. Sarà anche
stato costruito
dalla Shinra, ma era un posto troppo bello per non desiderare di
andarci.
“Ho
sentito
che è colmo di attrazioni interessanti. Sarà
piacevole stare lì per un po’”.
“Stai
scherzando, Red? PIACEVOLE? Sarà divertentissimissimo, altro
che piacevole!”.
“Mi
chiamo
Red XIII … Fa nulla, ci rinuncio”.
“Evita
di
sprecare tempo a ripeterglielo”.
“Oh,
andiamo, ti ho anche difeso prima, almeno sii un po’
più gentile! Non chiedo
molto! Non ti sto chiedendo di togliere il muso e sorridere gridando
quant’è
bella la vita, voglio che mi tratti con un po’ di gentilezza!
Sono una persona,
pretendo di essere trattata come tale!”.
“Hai
finito
di lagnarti?! E prendi fiato quando parli!”. Ecco, lo sapevo,
non era possibile
trattare con lui senza entrare in un loop e discutere
all’infinito. Per fortuna
Red XIII ci interruppe, ricordandoci che il nostro obiettivo era andare
a North
Corel, e non passare la giornata a Costa del Sol a litigare.
Erano
ore
che camminavamo. ORE, infinite ore. Non ne potevo più. E
come al solito
cominciai a lamentarmi.
“Uffaaaa,
quanto ancora dobbiamo camminare? Io sono stanca! E poi non abbiamo un
mezzo di
trasporto? Faremmo molto prima! E poi c’è un sole
terribile, fa caldo e la mia
pelle è sensibile ai raggi solari, rischio di
ustionarmi!”.
“Qualcos’altro?
Milady vuole anche un principe a cavallo e un castello pieno di
tesori?” disse
Cloud irritato dalle mie lamentele.
“Beh,
i
tesori non mi dispiacerebbero … Sarei disposta a sposarmi il
principe,
prendermi i tesori e poi scappare”.
“Opportunista
…”.
“Ti
ringrazio, è bello vedere che gli allenamenti danno frutti
…”.
“Pensavo
fosse una dote naturale, sapere che ti impegni anche non ti fa onore
… Per
essere davvero brava ad essere rompiscatole lo devi essere di
natura”.
Red
sospirò,
si era rassegnato a dover sentire le nostre discussioni. Senza
accorgercene
eravamo arrivati sulle rotaie del Monte Corel, e davanti a noi (dietro
per me
che camminavo all’indietro) c’era un ponte alzato,
davanti al quale erano fermi
Aerith, Tifa e Barret. Cominciai a correre verso di loro per capire
come mai
non lo avevano abbassato, interrompendo sul più bello la
discussione. Non mi
ero accorta che le rotaie facevano un rumoraccio quando ci correvo
sopra, ed
alcune travi erano anche traballanti. Cloud, che invece se
n’era accorto, mi
gridò di fare attenzione e di non correre, ma io andai
avanti noncurante. Ad un
certo punto una delle travi cedette ed io caddi. Sotto c’era
il vuoto. Pensavo
che fosse la fine, quando ad un tratto sentii una mano stringere la
mia. Aprii
gli occhi chiusi nella paura e alzai lo sguardo. Cloud mi aveva presa
al volo.
Mi tirò su e sospirò.
“Te
l’avevo
detto di non correre … Ti sei fatta male?” mi
chiese.
“No,
però
per un attimo ho avuto paura di essere vicina alla morte …
Piuttosto, come hai
fatto a capire che le travi erano pericolanti?”.
“Te
lo
spiego io: si vedeva che traballavano, facevano rumore ed in
più sono molto
vecchie … Bastava fare due più due”
disse Red XIII.
“Se
non
c’ero io, quest’ora eri già
all’altro mondo …” disse Cloud con una
sorta di
orgoglio nella voce. Sembrava quasi soddisfatto di avermi salvato,
almeno così
ero in debito con lui.
Bella mossa, Kisaragi, ora può chiederti
di
fare qualunque cosa.
E
per di più,
ero stata salvata da un uomo, quello che odiavo di più al
mondo. Ah, no, quello
è mio padre. Riassestata la situazione, riprendemmo il
cammino e raggiungemmo
gli altri, che non si erano accorti
dell’“incidente”.
“Ragazzi,
eccovi! Come mai ci avete messo tanto?” chiese la fioraia.
“Sorvolerei
su questo punto, i due qui presenti hanno deciso di entrare in una
eterna
discussione” rispose il leone.
“Lui
provoca, io rispondo, mi pare logico” dissi. Il biondino fece
scena muta.
“Il
ponte è
alzato e pare non ci sia modo di abbassarlo … Non sappiamo
come andare
dall’altro lato del fiume” spiegò Tifa.
“Avete
provato con quella casetta laggiù? Forse lì ci
sono i comandi per azionare il
ponte”. Indicai una casetta quasi interamente nascosta dal
pendio della montagna,
parecchio lontana, che nessuno aveva notato. Fare la ninja mi aveva
insegnato a
prestare molta attenzione ai dettagli. Andammo a controllare tutti
insieme la
casetta: ed in effetti dentro c’erano proprio i comandi del
ponte. Purtroppo
nessuno di noi sapeva come azionarlo.
“Ragazzi,
fate fare a me, so come farlo partire!” dissi con fierezza.
“E
quale
leva bisogna tirare?” chiese Aerith osservandomi con
curiosità.
“Oh,
non lo
so, ma a forza di muoverle prima o poi troverò quella
giusta!” risposi
convinta. Peccato solo che gli altri non concordassero con il mio
metodo.
“Non
vorrai
mica bloccarlo?! Togliti di lì e non toccare
nulla!” mi disse testa-a-punta.
Che odio.
“Perché,
tu
hai un metodo migliore? Vai, prego, alzalo se ne sei in
grado”.
Cominciò
ad
analizzare le leve, ed ero convinta che avremmo fatto notte a guardare
le leve
colorate.
Ma che carine, peccato che ne dobbiamo
scegliere solo una. E tanto già so che farai la conta per
decidere quale
abbassare.
Alla
fine si
decise ad abbassare la leva gialla, ed il ponte cominciò a
scendere. Mi rodeva
incredibilmente, come aveva fatto ad indovinare al primo tentativo?!
“Visto?
Bastava pensarci un attimo”.
“Tieniteli
per te i tuoi pensieri! È stata tutta fortuna!”
ero davvero arrabbiata. Uscii
dal capanno e mi misi in un angolo a guardarmi nell’acqua.
Che ODIO. Arrivò Red
XIII.
“Che
ti è
preso? Hai dato di matto là dentro. Perché ti sei
arrabbiata tanto?”.
“Non
lo so.
Mi dà fastidio che abbia ragione in ogni singola
dannatissima cosa. È
fastidioso. No, aspetta, fastidioso è poco”.
“E
tu
pretendi sempre di avere l’ultima parola in capitolo. Direi
che su questo punto
andate molto d’accordo, motivo per il quale non la smettete
di litigare”
osservò il leonlupo.
“È
lui che
comincia, è sempre lui! E chiudiamo qui il discorso, non ho
voglia di andare
oltre”. La verità è che volevo chiudere
il discorso perché non sapevo nemmeno
io cosa mi fosse preso. Quando il gruppo si riunì, nessuno
accennò al mio
comportamento. Si ribadì solo il punto di incontro, poi ci
dividemmo di nuovo e
ci rimettemmo in marcia. Non dissi più una parola fino a
North Corel. Mi volevo
sotterrare.
Arrivammo
a
North Corel non molto dopo, forse un paio d’ore. Gli altri
erano già lì, e
Barret era circondato da un gruppetto di gente del luogo. Sembravano
ostili, da
quello che mi parve di sentire dicevano cose come: “Hai
fegato a tornare qui!”
e: “È colpa tua se North Corel è
ridotta così!”. In effetti, la città
non era
proprio in buono stato. Sempre se si poteva chiamare quella
città. Più che
altro era un ammasso di tende locato vicino ad un reattore Mako. Il
complesso
delle due cose non la rendeva certo una vista piacevole. Barret si
lasciava
picchiare dai quei tizi, e non ne capivo il motivo, grosso
com’era li poteva
stendere tutti in un colpo.
Tanto siete tutti uguali, fate gli
orgogliosi e siete i primi a subire.
Diceva
di
essere dispiaciuto. Beh, se la colpa era veramente sua, dire che era
dispiaciuto non era decisamente abbastanza. Alla fine la gente del
luogo si
rese conto che non valeva nemmeno la pena perdere tempo a parlarci.
Venne da
noi sconsolato, dicendoci che era colpa sua se la città era
ridotta in quello
stato.
Ma dai, non l’avevo intuito.
Poi
il
mitragliatore umano se ne andò via correndo. La gente del
luogo, per colpa sua,
era ostile anche con noi, non eravamo i benvenuti. Solo un vecchietto
ci disse
che la funivia per il Gold Saucer stava per arrivare e ci
indicò la strada per
la stazione. Ci recammo lì e trovammo Barret.
“Si
può
sapere perché tutti qui in città ce
l’hanno con te? Cosa hai fatto di male?”
chiese Aerith, visibilmente dispiaciuta per il trattamento subito da
Barret.
“È
colpa mia
se la città è stata distrutta
…” rispose.
“Cos’è
successo, Barret?” chiese Cloud. Non voleva mollare. Come
sempre d’altronde.
Era un impiccione, non erano affari suoi.
“La
mia
città si trovava qui …”.
“Perché
si
trovava? Non è forse questa?” obiettò
Red XIII.
“Fino
a
circa quattro anni fa, in questa zona c’era la mia
città, Corel. In quel
periodo, Corel era una città che usava solo il carbone. Non
conoscevamo il
Mako. Un giorno, la Shinra ci propose di costruire un reattore. Eravamo
tutti a
favore. Tutti tranne il mio migliore amico, Dyne. Alla fine, a forza di
suppliche e persuasioni riuscimmo a convincerlo a far costruire il
reattore.
Sembrava andasse tutto bene, ma … Un giorno, mentre eravamo
fuori città, la
città venne bruciata dalle truppe della Shinra. Quando
tornammo, non c’era più
nulla da fare …”.
“Perché
la
Shinra ha bruciato Corel?!”.
“SOLDIER,
pensavo che dopo un po’ di tempo nella Shinra avessi capito
come funzionano le
cose lì dentro. Quelli vedono i pericoli zampillare da ogni
dove, spuntare come
funghi. Avranno pensato ad un attacco terroristico o cose del
genere” dissi.
“Infatti.
Il
reattore fu trovato danneggiato e si pensò ad un attacco
terroristico. La
Shinra incendiò la città per punirli …
Ma loro non c’entravano nulla …”.
“È
terribile
…” commentò Tifa.
“Odio
la
Shinra … Ma più di loro odio me stesso. Se non
avessi convinto Dyne ad
approvare la costruzione del reattore, non sarebbe successo nulla
…”.
“Non
è stata
colpa tua, Barret. Tutti ci siamo lasciati ingannare dalla
Shinra”. Tifa
tentava di consolarlo. Avrebbe fatto meglio a lasciar perdere.
“Non
è stata
solo distrutta la città … Quel giorno
è morta anche mia moglie Myrna …”.
Il
conducente
ci gridò di sbrigarci a salire se volevamo andare al Gold
Saucer. Barret e
Cloud salirono.
“La
verità è
che la colpa è tutta di Barret. Non avrebbe mai dovuto
fidarsi della Shinra. Va
sempre a finire così, distruggono tutto ciò che
vedono. Ed io … io ne so
qualcosa. Non solo Corel ha patito per colpa loro” e con
questa frase
sibillina, che lasciò intendere forse qualcosa del mio
passato, salii sulla
funivia, seguita dalle ragazze e Red XIII.
Il
viaggio
in funivia non era stato affatto piacevole. Barret era sgarbato con
tutti,
voleva essere lasciato in pace, e gli altri non dissero una parola. Mi
misi a
fischiettare una musichetta allegra, così, tanto per. Mi
stavo annoiando a
morte. Ma a quanto pare, se giravano a Barret era vietato anche quello.
Mi
beccai un “Ma la vuoi smettere?!”
nell’orecchio, dato che era toccato a me
sedermi vicino a lui. O meglio, mi ero messa lì
perché non volevo stare in
piedi, e la panca era una sola.
Arrivammo
finalmente al Gold Saucer. Il mondo del divertimento e dello spasso.
Ero … sia
al settimo cielo per essere in un luogo del genere, sia schifata dal
fatto che
quel posto fosse stato costruito dalla Shinra. Per usare uno dei miei
termini,
ero eccifata, eccitata e schifata. Fatto sta che forse alla fine
l’eccitazione prevalse.
Scesi dalla funivia, inciampando in un gradino che non avevo notato.
Persi un
po’ l’equilibrio, sembrava fossi riuscita a
rimettermi in piedi, e invece …
Capitombolai per terra, travolgendo in un colpo Red XIII e Cloud.
Quest’ultimo
sembrava abbastanza irritato.
“Ma
vuoi
stare attenta a dove metti i piedi?!”.
“Scusa
scusa, sono inciampata, non ho visto il gradino …”
tentai di giustificarmi.
Beh, in effetti il gradino non l’avevo davvero visto.
“Ma
dove hai
la testa, fra le nuvole?!”. Intanto Red mugugnava da sotto di
spostarsi.
“Ti
ho
chiesto scusa, mi dispiace! Mi ero distratta a vedere tutte queste luci
e non
ho guardato per terra …”.
“Ho
notato …
Ti potresti gentilmente alzare?” disse tentando di
riacquistare la calma.
Intanto Red aveva abbandonato ogni tentativo di farsi sentire.
Aerith
mi
diede una mano ad alzarmi, chiedendomi se mi fossi fatta male, mentre
Tifa
aiutò Cloud. E sentii di nuovo quella sensazione
così strana. Quel fuoco
dentro, la rabbia … era uguale, se possibile mi sentivo
bruciare di più. E non
me ne davo ragione. Distolsi lo sguardo per non pensarci e cominciai a
guardare
il pavimento.
“Yuffie,
mi
sembri un po’ rossa … Sicura di stare
bene?” mi chiese Aerith. Nel frattempo
Red XIII, finalmente libero, tentava di riacquistare il fiato, mentre
Barret si
era messo in un angolo fregandosene altamente di tutti.
“Rossa,
dici? Mah, sarà il caldo … Con tutte queste luci,
farà almeno 40° … Mi sembra
di essere tornata a Costa del Sol” dissi cercando una
scappatoia. Aerith mi
guardò perplessa.
“Ma
come fai
ad avere caldo?” mi chiese squadrando il mio vestiario. In
effetti, poteva
sembrare ridicolo. Anzi, ERA ridicolo.
“Non
lo so,
ma sono sempre stata molto calorosa!” troncai il discorso.
Andai da Red XIII e
mi scusai anche con lui per averlo investito, chiedendo se stesse bene.
Mi
rispose che dovevo essere un po’ sorda, perché non
avevo sentito che mi
chiedeva di alzarmi.
“Scusami,
ma
in fondo, l’importante è non essersi fatti male,
no?” dissi sorridendo e
ridacchiando. Un atteggiamento finto quanto le promesse della Shinra.
Ma dovevo
pur ingraziarmeli, e questo era l’unico modo.
Riassestata
la situazione, ci avviammo alla biglietteria. Pagammo il biglietto: ben
3000 gil.
Che ladri, si vede che siamo comunque in territorio Shinra. Finalmente
entrammo:
ci trovammo in una piazzetta gialla con tanti tubi che portavano alle
zone del
parco. Il giallo era un colore che mi dava sui nervi, ma se si trovava
su soldi
o Materia, allora diventava il mio colore preferito. Colore delle
Materia = mio
colore preferito. Semplice come cosa, no?
Barret
era
alterato dallo stare in un parco divertimenti. Cominciò a
gridare che stare lì
non aveva senso, che non era il momento di divertirsi e bla bla bla.
Fanfarone,
era un vero fanfarone. Ma chi lo ascoltava quando parlava? Io no di
certo. Per
fortuna decise di andare a sbraitare altrove. Saltò in uno
dei tubi e via. A
volte il cielo ti fa dei piccoli regali.
Cominciai
ad
osservare i vari simboli delle zone … Battle Square, Chocobo
Square, Wonder
Square … ce n’era per tutti i gusti. Non sapevo
davvero da che parte
incominciare. Ero trepidante, volevo andare in giro e divertirmi. E
perché no,
magari anche fuggire da quella banda di pazzi.
Non puoi ancora, dimentichi le Materia.
Senza quelle, tu non ti schiodi di qui.
Sospirai,
pensando a quanto ancora mi sarebbe toccato stare con loro. Decisi di
fare la
conta per decidere dove andare prima. Cominciai a contare fino a
quaranta. Ma
persi il conto.
“Uhm,
a che numero
ero arrivata? Era ventidue o ventitré? E poi quale piazza
stavo indicando?”
sussurrai tentando di ricordare, mettendo la punta
dell’indice sulle labbra e
alzando gli occhi. Cloud mi si avvicinò.
“Che
diamine
stai facendo?”. Gli avrei risposto che non era affar suo, ma
mi diedi una
controllata. Dovevo ingraziarmeli, la priorità era quella.
“Decidevo
dove andare … È che non sono mai stata qui, fosse
per me visiterei tutto! Ma il
tempo è poco e non posso vedere tutto insieme …
Solo che non so da dove
incominciare!”. Facendo finta di niente, ricominciai a
contare. Cloud mi
guardava con un misto di curiosità e perplessità,
e non accennava ad andarsene.
Pensavo che volesse qualcosa, ma dato che non parlava, ci pensai io,
anche se
questo mi fece perdere di nuovo il conto.
“Mi
devi
dire qualcosa?”.
“Chi,
io?”
“No,
io.
Certo, tu, vedi altre persone che mi stanno appiccicate come la
colla?”.
“Non
ti sto
appiccicato come la colla!” disse voltando lo sguardo al muro.
“Allora,
si
può sapere cosa vuoi o no?” mi stava irritando, o
parlava o mi lasciava in
pace.
“Ecco
… Mi
chiedevo se volessi andare a fare un giro per il Gold Saucer”
sussurrò
cominciando a guardare per terra.
“Con
gli
altri? Mah, non saprei, ma in generale …”.
“Non
con gli
altri, con me”. Stavolta fu il mio turno a cominciare a
fissarlo.
“Prego?”
mi
aveva spiazzato. La cosa puzzava. Ci doveva essere qualcosa sotto.
“Ho
detto se
…”.
“L’ho
capito
cosa hai detto, non sono sorda!”.
“Allora?”.
“Beh,
tanto
in giro ci volevo andare, a questo punto … Basta che non
cominci a sbraitare
come al solito!” dissi fingendomi offesa. In
realtà mi sentivo … felice. Non so
perché, ma quando me l’aveva chiesto, il mio cuore
aveva cominciato a battere
all’impazzata. Non capivo. Cosa mi stava succedendo?
“Fare
un
giro non vuol dire rimanere impalata con lo sguardo assente”
mi disse Cloud,
svegliandomi da uno stato di quasi catalessi. Cominciammo il nostro
giro
andando alla Speed Square. Qui incontrammo un tizio chiamato Dio, che
ci disse
di essere il proprietario della struttura. Era un tipo piuttosto
strano. Era
vestito con un … perizoma. Rivoltante. SOLDIER gli chiese se
avesse visto un
tizio vestito di nero e quello rispose che era passato di lì
cercando una certa
“Black Materia”. Quando se ne andò tirai
un sospiro di sollievo, se non altro
perché non c’era più quella vista
nauseabonda.
“Esistono
davvero uomini che girano con quella roba addosso?! Orribile. Davvero,
è
piuttosto sconcertate” commentai.
“Attenta,
ci
sono telecamere ovunque, magari in questo momento ti sta ascoltando e
sta
mandando della gente a prenderti per quello che hai detto”
rispose il biondino
riprendendo a camminare.
“Ehi,
non è
carino da parte tua!”.
“Non
voglio
essere carino”.
“Allora
avevo ragione a pensare che c’era un motivo per cui mi hai
chiesto di venire!”.
Si fermò.
“Sì,
c’è un
motivo. Non hai ancora detto a nessuno da dove vieni, chi sei, quanti
anni hai
…”.
“E
secondo
te lo vengo a dire a te? Hai fatto male ad illuderti. Ed impara a farti
gli
affari tuoi, non mi pare che tu sia tanto meglio. Nemmeno tu hai mai
detto
niente di te”.
“Sei
davvero
maleducata. Tua madre non ti ha insegnato a rispondere
decentemente?”. Quelle
parole mi fulminarono. Sul mio volto si disegnò
un’espressione di tristezza e
malinconia.
“Io
… Io non
ho mai avuto … una madre” balbettai. Cloud
sembrò quasi dispiacersi per avermi
fatto quella domanda.
“Mi
dispiace, non l’avrei immaginato … Non
…”.
“Perché,
secondo te uno gira per il mondo a fare la ladra se ha una casa e una
famiglia?!” gli gridai. Non avevo intenzione di rivelargli
nulla, ma l’avevo
fatto. Era andata. Ora mi aspettavo la raffica di domande. A cui
ovviamente non
avrei risposto.
“
… Sì, hai
ragione. Scusami se te l’ho fatta ricordare. E comunque,
capisco come ti
senti”.
“Che
vuol
dire che mi capisci?” chiesi con un velo di tentennamento
nella voce.
“Anche
mia
madre è morta … Ma nel mio caso, avevo sedici
anni … In compenso, non ho mai
conosciuto mio padre”. Incredibile. Allora anche lui aveva un
cuore.
“Tu
… sei
orfano …”. Calò il silenzio. Mi sentivo
in colpa per aver aperto quel discorso.
Tra l’altro, avevo scoperto che non aveva nessuno. Ora
cominciavo a capire
perché si comportava così freddamente. Ma nemmeno
lui riusciva a rimanere
composto in una situazione come quella. Sentii di dover aggiungere
qualcosa. E
così, decisi di dirgli quanti anni avevo.
“Cloud
… Mi
hai chiesto quanti anni ho prima. Beh, ne ho sedici”.
“Sedici?!
Come sarebbe a dire sedici?!” disse sconvolto.
“Sarebbe
a
dire quello che ho detto. Ho sedici anni”.
“P-Pensavo
fossi più grande …”.
“Ah
sì?
Perché, tu quanti ne hai invece?”. Ora che avevo
parlato doveva parlare lui. Ad
occhio, avrei detto che ne avrà avuti diciannove.
“
…
Ventuno”. Spalancai gli occhi e cominciai a fissarlo.
Toppato. Aveva cinque
anni più di me. Ora capisco l’attitudine a fare il
capo e a trattarmi male, in
confronto a lui ero una bambina. E lo ero anche senza fare confronti.
Non solo
per fisico, anche per testa.
“Caspita
…
Beh, sei messo male: ventun’ anni e ti diverti a fare il
bambino con le
ragazzine”. Evvai, la provocazione quotidiana.
Mi mancava oggi. Beh, presto o tardi sarebbe
arrivata.
Non
si
arrabbiò più di tanto, stranamente. Sembrava
ancora scioccato dal fatto che
fossi più piccola di quel che pensava. Riprendemmo
finalmente a camminare.
Era ora, mi si stavano paralizzando le
gambe.
Andammo
alla
Wonder Square. Una meraviglia. C’era una struttura che
sembrava quasi un
casinò, e io volevo vederla. Ad un certo punto un gatto a
cavallo di un Moguri
gigante ci si avvicinò.
“Ehi,
sembri
un po’ giù! Che succede? Vuoi una predizione del
futuro?” disse il gatto a
Cloud. Ormai avevo fatto l’abitudine ad animali che parlano.
Era un gatto nero
con il muso, la punta della coda e la pancia bianca, una corona in
testa, un
mantello rosso, dei guanti bianchi e un paio di stivaletti. Sembrava il
re di
Fantasilandia. Ridicolo.
“Predici
il
futuro? Sei anche in grado di dirci dove si trova una persona? Stiamo
cercando
un certo Sephiroth”.
“Cloud,
andiamo, non crederai ad un gatto! E poi, queste cose del futuro sono
tutte
farlocche”.
“Come
scusa?! Adesso ti faccio vedere!” il gatto
cominciò a fare un balletto strano,
per poi darci un foglietto.
“…
<> … Aspetta un attimo, cosa
c’entra questo con quello che ti ho chiesto?!”. Mi
scappò una risata, e presi a
canzonare il gatto.
“No
no no,
aspetta, ci riprovo!”. Fece di nuovo il balletto e ci diede
un altro biglietto.
“<> Guarda, lascia
perdere, non possiamo sprecare tempo” disse Cloud.
“No,
questa
volta sento che è quella buona!”. Il balletto fu
ancora più veloce. Ci diede
l’ennesimo biglietto.
“Ma
che
diamine …?”.
“Fa’
un po’
vedere, voglio leggere anch’io!
<> Che vuol dire?!”. Lo
sapevo, era farlocco.
“Hmm
… Non è
mai uscita una predizione del genere. Non so se sia bene o male
… Voglio venire
con voi per scoprirlo!” disse il gatto.
“Come
scusa?! Andiamo, non lo lascerai mica venire! Non abbiamo bisogno di un
altro
fenomeno da baraccone!”. Mi ero autodefinita un fenomeno da
baraccone,
accidenti alla mia boccaccia.
“Silenzio,
hai una voce irritante!” mi gridò il gatto. Tentai
di corrergli incontro per
tirargli il collo, ma Cloud mi disse di darmi una calmata. Aggiunse che
non
avevamo bisogno di lui.
“Non
mi
importa, dite quello che volete, io vengo con voi! A proposito, il mio
nome è
Cait Sith!”. E così, il gatto ci si
incollò. Che diamine voleva da noi, gli
avevamo detto di no. Era
fastidioso. E
poi, come si permetteva di dire che la mia voce è irritante?!
Andammo
alla
Battle Square. Cloud voleva parlare con quel Dio e il luogo che ci
aveva dato come
riferimento per trovarlo era proprio quello. Appena arrivammo trovammo
una
brutta sorpresa. Una scia di sangue. L’atmosfera era spenta,
sembrava che la Morte
stessa fosse passata a fare razzia di uomini. Un fante della Shinra
giaceva
esanime alla base della scalinata che conduceva alla struttura
principale. Sul
petto aveva segni di arma da fuoco.
“Cosa
sta
succedendo qui? Il Gold Saucer è sempre stato un posto
tranquillo, perché sono
venuti a fare guai? Non è che verranno a darci la colpa per
questo?” Cait
cominciava a dami sui nervi con tutte quelle domande. Tra
l’altro, non era un
luogo piacevole dove chiacchierare. Noncurante
dell’avvertimento di Cait Sith,
Cloud decise di salire all’arena, per vedere
com’era la situazione lì. Non
avevo affatto intenzione di restare da sola, perciò lo
seguii. Venne con me
anche il gatto. All’interno era ancora peggio: era stata
fatta una strage.
Tutti morti per colpi di arma da fuoco. C’era una delle
hostess ancora viva
nascosta dietro al bancone. Era riuscita a salvarsi. Le chiedemmo
cos’era
successo. Ci spiegò che era arrivato un uomo con una
mitragliatrice al posto di
una mano e aveva cominciato a sparare. Io e Cloud ci guardammo
allucinati:
poteva davvero essere stato Barret? Insomma, da quello che risultava
era l’unico
con quelle caratteristiche.
Mentre
eravamo lì, arrivò Dio. Tentammo di spiegargli la
situazione, ma non ci credette.
Pensò che la colpa fosse stata nostra. Tentammo di scappare
all’interno dell’arena,
ma venimmo a trovarci in un vicolo cieco. Gli uomini della sicurezza ci
presero
e ci portarono via. Ci portarono in una sala di pietra, con una
voragine nel
pavimento. Attorno a questa, c’era un anello con una scritta:
“Portale per il
paradiso”. Poi fummo presi da dei robot. Stringevano
piuttosto forte. Mi faceva
male il braccio destro. Cominciai a gridare di lasciarmi, che mi stava
facendo
male, ma niente. Dio disse che era il momento di pagare per
ciò che avevamo
fatto. Il robot che mi teneva si avvicinò alla voragine. Ad
un certo punto,
mollò la presa e precipitai nel vuoto. L’ultima
cosa che ricordo è un tonfo
sordo, poi il buio più totale.
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Capitolo 4 *** Il deserto dei peccati ***
Capitolo 4
– Il
deserto dei peccati
“Yuffie?
Yuffie, svegliati”.
“Siamo
finalmente riusciti a farla star zitta, cosa vuoi di meglio?”.
“Vorrei
che
si svegliasse, e ora vedi di tapparti tu la bocca, gatto”.
Sentendo
parlare, tentai di svegliarmi. Emisi un mugugno, o qualcosa del genere,
comunque
un suono indefinito, attirando l’attenzione. Aprii lentamente
gli occhi. Ero
stesa per terra su qualcosa che a prima vista sembrava sabbia, ma non
avrei
potuto dirlo con certezza, vedevo tutto sfocato. Mi girava
terribilmente la
testa e mi faceva male tutto, specialmente la suddetta parte del corpo.
“Yuffie,
come ti senti?”.
“Non
so come
rispondere, mi fa male tutto, mi gira la testa e vedo sfocato
… tutto sommato
direi che potrebbe andare meglio”. Tra l’altro,
ancora faticavo a capire con
chi stavo parlando. Mr. Qualcuno mi aiutò ad alzarmi,
prendendomi per una mano
e con l’altra sulla mia schiena. Mi misi la mano libera sulla
testa.
“Scommetto
che ci vorrà parecchio prima che passi
…”.
“Guarda
il
lato positivo: col volo che abbiamo fatto, è già
tanto che siamo tutti interi”.
“Perché,
c’è
un lato positivo? Oh, bene, ora mi sento davvero meglio. Devo farti
notare che
siamo chissà dove? A proposito, ti dispiacerebbe dirmi chi
sei?”.
“Sei
diventata cieca? Sono Cloud”.
“Te
l’ho già
detto che ci vedo sfocato …”. Cominciai lentamente
a ricostruire quello che era
successo. Il buco nel pavimento, il robot che mi butta dentro, la
caduta, il
tonfo. Cavolo, avevo dato davvero una bella botta.
All’improvviso mi accorsi di
sentire male al braccio. Ricordai che il robot mi stringeva proprio in
quel
punto. Quando lo guardai, vidi un livido. O meglio, INTRAvidi.
Ci mancava solo questa.
“Ti
fa
male?” mi chiese il ragazzo.
“Insomma,
stavo meglio senza, ora me lo devo tenere. Non sarà questo a
fermarmi, il
problema maggiore ora è capire dove siamo”.
“Oh,
facile.
Ci troviamo nel deserto attorno al Gold Saucer, chiamato la Prigione
del
Deserto. Qui vengono spediti tutti i peggiori criminali. Pare non ci
siano vie
d’uscita da questo luogo. Tutto intorno alla zona ci sono le
sabbie mobili,
quindi l’unico modo per uscire sarebbe aggirarle”.
Dato quanto quella voce era
fastidiosa, avrei giurato che era il gatto a parlare. E infatti era
così.
Rimanemmo
ancora qualche minuto lì. Pian piano cominciò a
tornarmi la vista, così
cominciammo a dare un’occhiata a quel posto. Era pieno di
gentaccia: le loro
facce mettevano quasi paura. Senza accorgermene mi ero incollata al
braccio di
Cloud, che cominciò a guardarmi storto. Quando me ne resi
conto, balzai
all’indietro, cominciando a farneticare alla ricerca di una
scusa. Cosa ne uscì
fuori? Che la mia era stata una “reazione nervosa da
stress”. Tutto sommato,
potevo tirar fuori di peggio. Il biondo fece finta di niente e
allungò il
passo.
Non ne combino una giusta …
Qualunque
cosa facessi, facevo un disastro. Me lo dicevo sempre che dovevo essere
meno
impulsiva, ma era più forte di me, non ci riuscivo. Fatto
sta che dopo pochi
passi vedemmo in lontananza Barret, così gli andammo
incontro. Di fronte a lui
giaceva un uomo morto, trucidato nello stesso modo di tutti gli altri
su alla
Battle Square: pallottole.
“Barret,
spero che non sia stato tu a fare tutto questo”. Cloud si
avvicinò a lui, che
di tutta risposta gli gridò contro che aveva un affare da
sistemare. La nostra
mina vagante corse via, di nuovo. Il punto di partenza era sparito,
dovevamo
ricominciare da zero.
“Quello
è un
amico vostro? Sembra proprio pericoloso …”
osservò il gatto.
Ma bravo, hai scoperto l’acqua calda.
“Sei
un vero
osservatore dell’ovvio, lo pratichi come sport?
Perché se sì sei proprio bravo,
meriti l’oro olimpico”. Le battute migliori, per
una strana legge del cosmo, le
tiravo sempre fuori nei momenti peggiori. Fui fulminata da
un’occhiataccia di
Cait Sith, mentre Cloud fece una faccia rassegnata.
Riprendemmo
le ricerche di Barret. Girammo a vuoto per parecchio, tra
l’altro sembrava che
uno dei banditi lì dentro ci avesse preso di mira. Avrei
giurato che ci stesse
seguendo.
No, Kisaragi, ancora non hai capito: il tuo
cervello è bacato. Se ogni cosa che credi fosse vera,
staremmo messi davvero
male.
Già, non ho tutti i torti …
Arrivammo
di
fronte ad una casa. Già, che cosa ci faceva una casa nel bel
mezzo di una
prigione? Una prigione in un deserto, poi. Mistero, non lo venni mai a
sapere.
Era un po’ malmessa, le tegole quasi crollavano
giù dal tetto, per non parlare
dei muri, l’intonaco cadeva a pezzi. Toccai il muro per
vedere quanto era in
decomposizione. Come lo sfiorai venne via un pezzo.
“Hai
deciso di
smontarla o la vuoi lasciare in piedi?” mi chiese il biondo.
“Secondo
me
una mano di vernice non ci starebbe male” sentenziai, fra la
rassegnazione
generale. Dopo la mia geniale osservazione, entrammo dentro. E dentro
era
ancora peggio di fuori. Divano bucato con le molle saltate come la mia
pazienza, armadi rotti, vernice totalmente ammuffita. E in effetti
c’era anche
un certo olezzo di muffa.
“Certo
che
potevano sistemare un po’ la tappezzeria qui dentro! Sembra
una discarica”.
“Non
sembra
una casa abitata, perché mai la dovrebbero
sistemare?” disse Cait.
“Beh,
sai
com’è, se fosse sistemata magari qualcuno ci
vivrebbe … Io di certo con questa
puzza non ci starei nemmeno morta!”.
All’improvviso
entrò Barret, spalancando la porta già penzolante
con una delicatezza che la
fece quasi staccare dai cardini.
Aggraziato come un elefante …
“Vi
avevo
detto di non venire!” gridò. Pensò un
attimo, poi ci puntò contro la mano con
la mitragliatrice. Sembrava in procinto di sparare, così mi
nascosi dietro
Cloud.
“Grazie,
ho
sempre sognato di fare lo scudo umano …”
sussurrò.
“Ehi,
ehi,
un attimo, vogliamo solo parlare! Non c’è bisogno
di sparare!” disse il gatto
con una certa paura nella voce. Barret cominciò a sparare
verso di noi, per poi
fermarsi dopo un po’. Mi girai di scatto, per vedere il
bandito che mi sembrava
ci seguisse cadere a terra ucciso dai colpi di Barret.
Allora non me l’ero sognato.
“Non
voglio
coinvolgervi in questa storia, tutto qui” disse
l’omone. Dalla porta comparvero
le ragazze e Red XIII. Sembravano stare bene, fortunatamente.
“Sbaglio
o
questa è la battuta di Cloud?” disse
sarcasticamente la fioraia. Barret
sembrava quasi stupito dal fatto che tutti fossero preoccupati per lui.
Non è
forse questo quello che succede quando si hanno degli
“amici”?
Chi lo sa, magari avere amici non è poi
così
male.
“Abbiamo
sentito che nella Battle Arena ci sono stati degli omicidi
…” disse Red,
lasciando a metà la frase. Barret aveva capito,
così decise di spiegarci la
situazione. Era anche ora, dopo che era fuggito in lungo e in largo
senza
aprire bocca.
“Vedete,
c’è
un’altra persona con una mitragliatrice al posto di una mano.
È successo
quattro anni fa … Stavo tornando con Dyne dal reattore Mako,
quando un anziano
di Corel ci venne incontro, dicendo che il villaggio era stato
attaccato dalle
truppe della Shinra. Dalle montagne si vedevano le fiamme che
bruciavano ogni
cosa. Io ero … a pezzi; ma Dyne mi disse che non era finita,
che potevamo
ancora tornare al villaggio per aiutare. Purtroppo era tardi. Le truppe
della
Shinra ci avevano trovato. Uccisero il vecchio e ci presero di mira.
Riuscimmo
a scappare per poco, perché arrivò Scarlet, uno
dei capi della Shinra, che
guidò le operazioni per ucciderci. Dyne scivolò
dal dirupo, ma riuscii ad afferrare
la sua mano. Poco dopo però … uno dei proiettili
ci colpì, separandoci. Non fui
più in grado di utilizzare il mio braccio destro. Decisi di
farmi impiantare
una mitragliatrice al posto della mano persa, per avere la mia vendetta
sulla
Shinra. Venni poi a sapere che anche un’altra persona aveva
fatto la mia stessa
operazione, ma al braccio sinistro. Capii che era Dyne” ci
spiegò.
Ma che storia avvincente e commovente. Quasi
mi viene da piangere. Patetico.
“Se
è così,
allora Dyne ci darà una mano a combattere la
Shinra” disse Tifa.
“Non
ne
sarei così sicuro. Intanto, ciò che devo fare
è scusarmi con Dyne. Ma stavolta
andrò da solo”.
“Fai
quello
che ti pare … Vuoi che ti dica questo, vero? Beh, mi
dispiace, ma non posso.
Perché se muori per colpa mia, stanotte avrò gli
incubi”. Anche se scherzava,
il SOLDIER lo disse così seriamente che …
sembrava serio. E sinceramente, spero
che non lo fosse.
“Barret,
andiamo. Sai che lo facciamo per te” disse la barista con un
tono rassicurante.
Tutta quella sdolcinatezza mi avrebbe fatto venire una carie.
“Me**a!
E va
bene, fate come vi pare!” non sembrava molto allegro della
sua stessa scelta,
ma non lo aveva obbligato nessuno. E indovinate un po’ a chi
toccò andare con
il duo dell’allegria? Esatto, proprio alla sottoscritta. Mi
avrebbero pagato
loro le sedute di psicanalisi se fossi andata in depressione per colpa
loro,
sia chiaro.
Cominciammo
a dare un’occhiata in giro: certo che di quella catapecchie
cadenti la prigione
ne era stracolma.
Continuo a dire che una verniciatina non
farebbe male.
L’unica
cosa
di interesse che trovammo fu una casa con dentro un certo Mr.Coates,
che ci
disse che se volevamo “salire” l’unico
modo era vincere la gara di Chocobo. Ma
noi eravamo, detto in parole povere, degli sfigati, e dovevamo avere il
permesso del boss per partecipare alla gara.
Non potevi essere più chiaro. Chi
è il boss?
E che vuol dire “salire”?
Riprendemmo
la ricerca di Dyne: continuavo a chiedermi come avevamo la sicurezza
che fosse
lì. Chi ce lo confermava? L’avevate visto? In
fondo avevano dato la colpa
dell’incidente a noi, poteva anche essere fuggito dal Gold
Saucer prima di
essere beccato e sbattuto nella Desert Prison. Ma tutti sembravano
convinti
della sua presenza in quel luogo, perciò tanto vale
uniformarsi al pensiero
comune. Nella zona centrale della prigione, tanto per capirci quella
dove si
concentrava la maggior parte dei reclusi, non cavammo un ragno dal
buco, perciò
mi decisi finalmente a proporre di cambiare zona, anche
perché dopo due ore
sotto il sole cocente del deserto non ne potevo assolutamente
più di girare a
vuoto sempre nello stesso posto. Stranamente, il mio consiglio fu ben
accolto;
ci spostammo quindi nella zona più periferica della
prigione. Da quelle parti
c’era il nulla, lì si capiva ancora di
più di essere in un deserto. Volevo
avvicinarmi all’area delle sabbie mobili, tanto per vedere se
c’erano davvero o
era solo una voce buttata là tanto per convincere i
prigionieri a non tentare
la fuga. Per fortuna, una volta tanto prevalse il buonsenso: capii di
aver
fatto già abbastanza guai in giornata, perciò mi
tenni lontana dagli
“aspirapolvere di sabbia”.
Arrivammo
in
una specie di discarica: c’era davvero di tutto, specialmente
rottami di
macchine impilati l’uno sull’altro. Mi chiedevo
cosa sarebbe successo se
fossero crollati quei cumuli. Già mi immaginavo il titolo
dell’articolo sulla
Gazzetta di Wutai: “Desert Prison sommersa da
un’onda anomala di rottami
automobilistici: centinaia di ladri e assassini rimasti
feriti”.
Frena la fantasia e torna in te, Yuffie.
Spari fin troppe cretinate.
Poco
più
avanti rispetto alla discarica c’era un promontorio.
Chiariamoci, più che un
promontorio era uno strapiombo, uno strapiombo che terminava nel vuoto,
il
promontorio fa troppo romantico. Fatto sta che lì
c’era lo strapiombo, una casa
mezza distrutta (e non c’entravo io, una volta tanto), delle
croci piantate nel
terreno a mo’ di tomba e … Dyne.
L’avevamo trovato finalmente, la causa delle
nostre sofferenze, dei nostri patimenti e della nostra permanenza in
prigione.
Ci doveva come minimo delle spiegazioni e un cartellino “Esci
gratis di
prigione”, perché non volevo rimanere
lì dentro a vita. Stava sparando,
sparando a vuoto.
“Dyne,
sei
davvero tu?”.
No, è suo zio.
Barret
si
avvicinò a lui, che come sentì la voce
dell’amico smise di sparare e lo
cominciò a guardare fisso in volto. Aveva uno sguardo che
incuteva timore … Lo
sguardo di un pazzo.
“Una
voce
che non sento da anni … Una voce che non
dimenticherò mai”. La sua voce
confermava la mia tesi: si sentiva la follia. Probabilmente la
solitudine
l’aveva fatto uscire di testa.
“Ho
sempre
sperato di poterti rivedere un giorno, Dyne … È
passato così tanto tempo …”.
Barret forse non aveva capito con chi stava parlando. Quello non era
più Dyne,
era un pazzo, uno psicopatico, un assassino. Barret si
avvicinò a lui, volendo
forse spiegargli cosa era successo il giorno in cui si erano separati.
L’uomo
però non ne volle sapere di parlare civilmente.
Sparò a terra, costringendo
Barret a fermarsi.
“Sento
la
sua voce … È lei …”. Ok, gli
erano proprio saltate tutte le rotelle. Il gigante
lo guardava stranito, non capiva. Penso proprio che in quel momento,
Dyne
pensava di aver sentito la voce di un fantasma.
“Eleanor
…
mi sta dicendo di non farvi del male. Ecco perché non vi ho
uccisi …”.
Grazie della clemenza, Mr.
Parlo-con-i-fantasmi.
“Non
ti
chiedo di perdonarmi, Dyne, perché capisco che non potrai
mai … Ma perché hai
ucciso tutte quelle persone? Che ci fai in un posto come
questo?”. Barret
sembrava essere davvero in pena per l’amico di vecchia data:
il fatto è che si
stava rendendo conto anche lui di ciò che l’amico
era diventato.
“Perché?!
Che te ne importa?! Ai morti non importano le tue scuse, né
quelle della
Shinra. E NON IMPORTANO NEMMENO A ME! Hanno usato scuse per
manipolarci, ci
hanno preso tutto … e così come l’hanno
preso, l’hanno distrutto. Ma se ancora
ti interessa una spiegazione, te la darò. Io voglio
distruggere tutto. Le
persone di questa città. La stessa città. Il
mondo intero! Non mi è rimasto
nulla. Marlene, Eleanor, Corel …”. Più
parlava, più quel pazzo mi faceva paura.
Continuava a sparare con quella maledettissima mitragliatrice. Ad ogni
frase
accompagnava uno sparo. La sua voce sembrava calma, ma di tanto in
tanto alzava
la voce, gridava, e parlava in uno strano modo.
“Dyne,
Marlene è viva!”. Non so chi fosse Marlene, ma
Dyne si girò e guardò Barret con
una faccia perplessa, come se non ci credesse. Chiesi a Cloud chi fosse
Marlene, e il ragazzo mi rispose che era la figlia di Barret, o almeno
così credeva
fino a quel momento. Barret spiegò a Dyne che la
trovò fra le macerie, pur
credendo che fosse quasi certamente morta.
“Quindi
è
viva …”.
“Dyne,
andiamo insieme a Midgar, andiamo a trovarla insieme”.
“Mi
dispiace
Barret, ma dovremo combattere. Eleanor è da sola,
perciò devo portarle
Marlene”. Continuava a vagare nella sua follia. Ora voleva
anche uccidere sua
figlia.
“Sei
diventato matto, Dyne?! Non puoi ucciderla!”.
“Marlene
vuole vedere sua madre, vero? Beh, le sto offrendo questa
possibilità!” disse
cominciando a sparare. Cloud voleva andare ad aiutare Barret, che di
tutta
risposta gli disse di starne fuori, perché era un suo
problema. Sembrava una
risposta registrata, sempre la stessa. La battaglia fra i due amici
cominciò.
Sembrava quasi il tragico finale di una storia di amicizia, un libro
destinato
a vedere il suo epilogo nella fine di uno dei due.
Che scena strappalacrime. Uno spettacolo per
gli occhi.
Guardavo
la
scena non più spaventata dalla follia di Dyne, ma quasi
eccitata dallo scontro
fra i due, una lotta estenuante, senza esclusione di colpi. Stupendo.
Il mio
egoismo non mi faceva preoccupare della salute né
dell’uno, né dell’altro, ciò
che mi importava era divertirmi. E mi stavo divertendo nel vedere quel
bagno di
sangue.
Alla
fine
Barret prevalse. Dyne sembrava debole, in poco tempo le gambe non gli
ressero
più, ma nonostante tutto non voleva aiuto. Si
alzò a fatica e si diresse
zoppicante verso ciò che era rimasto del muro della casa. Ci
si appoggiò e
cominciò a pronunciare quello che sembrava quasi un discorso
da letto di morte.
“Quel
giorno
non persi solo un braccio … Persi qualcosa di
insostituibile. Perché è andata
così?”. Barret disse di non saperlo e chiese se
quello era l’unico modo per
risolvere la questione.
“Te
l’ho già
detto, voglio distruggere tutto, anche me stesso”. La follia
di Dyne … sembrava
che se ne stesse andando, lasciando posto ad un ultimo barlume di
lucidità.
“Che
ne sarà
di Marlene, Dyne?!”.
“Quanti
anni
aveva allora Marlene? Nemmeno uno. Pensi che si ricorderebbe di me? Che
mi
riconoscerebbe come suo padre? Non mi conosce nemmeno. E poi
… ormai le mie mani
sono troppo sporche per portarla in braccio …”.
Per un po’ calò il silenzio. I
due non si guardavano nemmeno. Poi Dyne riprese la parola.
“Barret
…
Fammi un favore … Dai a Marlene questo ciondolo …
era di Eleanor … mia moglie
…” disse lanciando a Barret una collanina
d’oro.
“Va
bene, lo
farò”.
“Quindi
…
Marlene ha già quattro anni … Barret …
Non … Non farla mai … piangere
…” mentre
parlava, Dyne, sempre barcollante, andava verso lo strapiombo. Ad un
certo
punto, in quel luogo che fino a quel punto era stato coperto dalle
nubi,
comparve una raggio di sole.
“Dyne
…?
Cosa vuol dire …?”.
L’uomo
arrivò sull’orlo del precipizio. Si
girò e guardò in volto il suo amico,
versando una lacrima. Poi, si lasciò andare nel vuoto.
Barret gridò il suo nome
e si gettò a terra in preda allo sconforto.
“Dyne
…
Nemmeno le mie mani sono pulite … Non potrei portare Marlene
nemmeno io …”.
L’uomo mitragliatore gridò, e continuava a farlo.
Era stato messo un epilogo
alla storia, e, come previsto, era stato segnato dalla fine di uno dei
due. Una
tragedia degna di essere chiamata tale.
Tornammo
da
quel tale Mr.Coates che ci aveva parlato del modo per uscire dalla
prigione. Ci
ridisse esattamente le stesse cose riguardo al modo per uscire, solo
che
stavolta sapevamo chi era il boss, Dyne. Così, Barret gli
mostrò il ciondolo di
Eleanor, dicendo che Dyne ora aveva le sue ragioni per non parlare.
Coates
indietreggiò un po’ balbettando qualcosa che non
riuscii a capire bene. Ci
disse che uno di noi poteva salire per la corsa di Chocobo. Finalmente
era
chiaro che voleva dire “salire”: eravamo
esattamente sotto il Gold Saucer, e
salire voleva dire andare a disputare la corsa che sarebbe valsa la
libertà.
Peccato che solo uno poteva salire, vincere ed andarsene,
perciò Barret mostrò
il suo disappunto prendendo Coates per il colletto della camicia e
intimandolo
di liberarci tutti. Alla fine, giungemmo ad un compromesso: Coates
avrebbe
convinto Dio a liberarci tutti, a condizione che Cloud vincesse la
corsa. Non
sembrava convinto di quella decisione.
“Sbrigati
a
vincere quella corsa e tirarci fuori di qui!” gli
gridò Barret.
“Se
non ci
vai tu, ci vado io, non dev’essere poi tanto
difficile!” dissi. Il biondino mi
guardò, al che gli avrei voluto mollare un ceffone e
costringerlo ad andare su,
perché non ci sarei mai andata io, mai avrei toccato quei
luridi pennuti. Alla
fine fece le spallucce e disse che ci avrebbe pensato lui. Trattenni
con
difficoltà una smorfia di disgusto, la mia
libertà era condizionata dalla sua
vittoria in una corsa di Chocobo. Una donna di nome Ester si
offrì di fare da
manager al SOLDIER, gli avrebbe procurato un buon Chocobo e lo avrebbe
iscritto
alla corsa. I due salirono, mentre io e Barret tornammo dagli altri,
che ci
aspettavano nella casa diroccata.
Fortunatamente
per lui, il biondino vinse la corsa, e Dio per scusarsi per il
malinteso ci
regalò una Buggy nuova di zecca e ci disse che Sephiroth era
diretto verso
Gongaga. Nel sentire quel nome, Aerith mi sembrò un
po’ scossa. Dato che dovevo
socializzare un po’, le chiesi se conoscesse quel posto. Mi
spiegò che era un
piccolo villaggio, lo conosceva bene dato che il suo ragazzo era di
lì.
Ma che bello, mi mancava giusto di sapere un
po’ di pettegolezzi sulla vita privata di questi spavaldi
viaggiatori.
Da
quel
momento in poi, dato che avevamo un mezzo di trasporto, avremmo
viaggiato in
gruppo. Meglio così, avrei avuto modo di farmi conoscere,
farmi credere una
personcina non dico perbene, ma se non altro non una delinquente, e poi
al
momento più opportuno avrei finalmente messo in atto il mio
piano. Mi avrebbe
fatto comodo per portarlo a compimento trovarmi vicino al villaggio, ma
meglio
di niente, a quel punto qualunque cosa mi sarebbe andata bene. Aerith,
vedendomi assorta nei miei pensieri, mi riportò alla
realtà, chiedendomi
qualcosa su di me, del tipo età, data di nascita, luogo di
nascita … Ovvio che
omisi parecchi particolari, come il rivelare da dove provenissi o
dettagli
sulla mia famiglia, c’era già qualcuno
lì dentro che sapeva fin troppo. E stava
ascoltando il nostro dialogo, anche se a vederlo sembrava totalmente
disinteressato e impegnato nel guidare la Buggy verso Gongaga. La
fioraia
continuava ad insistere, ma continuai a mostrarmi ritrosa. Di quel
passo,
presto mi avrebbe fatta parlare, sarei sembrata sospetta altrimenti.
Per
fortuna, QUALCUNO decise di intromettersi. Cloud le disse che mentre
eravamo al
Gold Saucer aveva ampiamente provato a farmi raccontare qualcosa, ma
non avevo
voluto dicendo che non volevo ripensare al passato. Stranamente, la
ragazza si
lasciò convincere dal farneticare di Cloud e mi
lasciò perdere, trovando in
Tifa un altro punto di interesse e andando a parlare con lei. A quel
punto
tirai un sospiro di sollievo e andai da Red XIII, l’unico con
cui forse
cominciavo davvero ad entrare vagamente in sintonia.
D’altronde, di solito
eravamo in squadra insieme, perciò ci capitava di frequente
di aver modo di
parlare. Lo trovavo un tipo piuttosto saggio, anche se un po’
troppo serio.
Nonostante tutto era piacevole chiacchierare.
Arrivammo
nei pressi di Gongaga verso tardo pomeriggio, quando il sole
già cominciava a
calare. Scendemmo tutti dalla Buggy e ci avviammo verso il bosco
circostante il
villaggio, dove però trovammo una spiacevole sorpresa: degli
uomini vestiti di
nero. Erano due, uno con i capelli più rossi del rosso e un
che di capelli non
aveva nemmeno l’ombra, però aveva gli occhiali da
sole. Il rosso era
palesemente tinto. Dall’abito che indossavano capii che erano
dei Turks, un
reparto speciale della Shinra che si occupava di rapimenti e
spionaggio;
facevano il lavoro sporco, in sostanza. Cloud sembrò
irritato dalla loro
presenza lì; tra l’altro, quei due parlavano di
gossip all’interno del settore.
Due Turks che spettegolano, pensa se lo sapesse il loro superiore.
Quando si
accorsero di noi, ci dissero che erano stati avvisati del nostro arrivo
e fummo
costretti a sfidarli: peccato solo che dopo un po’ i due si
diedero alla fuga
dicendo che avevano da fare.
“Reno
e Rude
hanno detto che sono stati avvisati … Sai che vuol dire
questo?” chiede Red a
Cloud.
“Sì,
vuol
dire che c’è una spia fra di noi … Mi
fido di ognuno di voi, non posso credere
che ci sia un traditore”.
Ma che caro, si fida di ognuno di noi.
Svegliati, è palese che il gatto è la spia, si
è voluto unire a noi a forza.
Proseguimmo
il cammino, passando davanti ad un reattore Mako abbandonato ormai
diventato
una discarica abusiva peggiore persino di quella nella prigione.
Arrivammo
finalmente al villaggio vero e proprio. All’ingresso di
questo c’era un piccolo
cimitero, dove vidi una vecchietta pregare su una tomba. Poco
più avanti, un
piccolo gruppetto di case costituiva Gongaga. Entrammo in una casa,
dove una coppia
anziana, vedendo Cloud, gli chiese se fosse nei SOLDIER, chiedendo
notizie del
figlio di nome Zack. Vidi Aerith rimanere sconvolta
nell’udire quel nome. La
ragazza corse fuori dall’edificio. Dato che non avevo nulla
da fare lì, la
seguii.
“Aerith,
che
ti è preso, perché sei scappata
così?” le chiesi.
“Beh,
perché
Zack … era il mio ragazzo”.
“Perché
dici
ERA? Non lo è più?”.
“Lui
… è
morto. I genitori a quanto pare nemmeno lo sanno”. Mi
chiedevo perché Aerith
avesse deciso di dirmelo così apertamente. In fondo, io non
le avevo detto
nulla, perché lei lo aveva fatto? Forse nella vita non ci
sono solo scambi di
informazioni della serie “se parli tu, parlo anche
io”. Le dissi che mi
dispiaceva e che non era mia intenzione ricordarle “momenti
duri”, come se me
ne importasse qualcosa. Tentò di scacciare quei pensieri e
mi consigliò di
cominciare ad avviarmi verso la locanda locale, dato che cominciava a
farsi
buio. Andammo insieme a prenotare i letti, pagando la camera per la
modica
cifra di 100 gil. Ci spiegò che in un periodo come quello
anche il minimo
incasso poteva servire a comprare almeno i beni necessari per la
sopravvivenza.
In realtà non vedevo alcun problema anche nel non avere
soldi: bastava rubare.
Così come la Shinra rubava a noi, noi potevamo rubare a
loro. È ciò che si
definisce “scambio equo”. Già, era
proprio questa la convinzione che avevo
all’epoca. Aerith andò in camera e si stese sul
letto, tentando di dormire un
po’. Sembrava davvero a pezzi e, a dir la verità,
mi faceva anche un po’ pena.
Dopo non molto arrivarono gli altri, preoccupati perla giovane fioraia.
Dissi
loro che era andata a dormire perché aveva avuto un lieve
giramento di testa.
Bella bugia. Non posso mica dire loro la
verità.
Avrei
tanto
voluto andare a fare un giro, peccato solo che quella fosse una brutta
zona: un
reattore Mako nei paraggi, un piccolo villaggio, un bosco mezzo
distrutto. Mi
misi dunque a letto, ma non dormii: piuttosto pensai
agli avvenimenti di quel giorno. Il risveglio
a Costa del Sol dopo quel sogno assurdo, la gita al Gold Saucer, quel
nuovo
spiraglio di gelosia, il mio discorso con Cloud … Quel
ragazzo cominciava a
farmi venire davvero tanti dubbi. Troppi per una che di solito se ne
frega di
tutto e di tutti. Poi l’incontro con Cait Sith, la cattura,
il deserto … e ora
anche Aerith che mi ha preso per un confessionale. Non riuscivo proprio
a
spiegarmi tutta la fiducia che mi aveva dato, mi era venuta a
raccontare la sua
vita praticamente. Forse le avrei potuto dire qualcosa, ma dovevo
attentamente
selezionare le informazioni, altrimenti sarebbe andata probabilmente a
spifferare tutto al grande capo. Ne sapeva già anche troppo.
Dovevo sbarazzarmi
in fretta di loro, se avessi cominciato a stringere un legame di
amicizia con
qualcuno.
L’idea non ti deve nemmeno sfiorare. Mai
una
volta hai avuto amici.
No, non è vero … Non era
così prima di
diventare una ladra … Avevo pochi amici, ma ne avevo.
“Sei
sveglia?”. Cercai di capire di chi era la voce. Non avevo
voglia di aprire gli
occhi, altrimenti avrei perso quel poco di voglia di dormire che mi
stava
venendo. Eppure non riuscivo a distinguere chi aveva parlato. Sentii di
nuovo
farmi quella domanda. La voce era più vicina, come se
qualcuno fosse vicino al
mio letto. Aspettai la terza domanda: c’era una certa
titubanza nella voce, che
era sempre più vicina. Voltai la testa e aprii gli occhi.
Era LUI, in ginocchio
vicino al mio letto, con gli occhi fissi sul pavimento e un vago
rossore sulle
gote.
“Cosa
succede?” dissi con voce stanca, come per fargli capire che
doveva sbrigarsi
perché avevo sonno.
“Volevo
darti la buonanotte, tutto qui …”. Sentii le mie
guance cominciare a bollire,
la voce strozzarsi in gola, il cuore battere all’impazzata.
Mormorai un grazie
e gli diedi anch’io la buonanotte. Poi mi girai verso il muro
e lo sentii
andarsene. Non sapevo più che pensare. Se avevo
già dubbi prima, adesso era
come se si fosse alzata una coltre di nebbia.
Riuscii
ad
addormentarmi a fatica. Tra l’altro, sognai di nuovo quella
canzone e la
ragazza che diceva di essere me. Mi avvicinai a lei. Smise di cantare e
mi
guardò.
“Ciao
Yuffie”.
“Voglio
delle spiegazioni”.
“Hai
troppe
domande. Non posso rispondere a tutto” mi disse con voce
dolce.
“Chi
sei tu?
Cos’è questa canzone che canti sempre?
Perché mi sembra di conoscerla?”.
“Troppe
domande, te l’ho detto. Posso dirti che è vero,
conosci questa canzone, ma non
la ricordi con chiarezza. Se tu riuscissi a ricordarla, capiresti chi
la
cantava”.
“Voglio
sapere chi sei”.
“Tu
lo sai già.
Lo sai perché siamo la stessa persona. Ora devo
andare”. Se ne andò continuando
a cantare la canzone.
La
pioggia che
cade fuori dalla finestra
Ho
scritto il
tuo nome con le mie dita
Con
chi sei ora?
Chi stai fissando?
NOTE DELL'AUTRICE
Allora, inauguro questa sezione
completamente inutile, giusto così, per buttare al vento
tutta la serietà della fanfic. Innanzitutto ne approfitto
per ringraziare tutti i lettori (come se ci fosse qualcuno che ancora
legge XD) e i recensori, in particolar modo il mio fratellone Kurogami:
se non fosse stato per il tuo incoraggiamento non mi sarei mai decisa
nè ad iscrivermi ad EFP, nè a cominciare questa
fanfic. Ringrazio anche WaterfallFromTheSky e the one winged angel per
la loro assiduità nelle recensioni, se non avessi avuto un
minimo di sostegno avrei probablimente già abbandonato la
stesura della fic. Vi dico solo che dovrete ancora aspettare un pochino
per un po' di love, ma non manca molto, resistete!
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Capitolo 5 *** Incidenti di percorso ***
Capitolo
5 – Incidenti di percorso
Il mattino seguente fu
esattamente ciò che si può
definire come “amaro risveglio”. A messo e non
concesso che fuori il tempo
fosse stato non dico bello, ma quantomeno decente, avrei comunque avuto
il
problema di quei sogni. Cominciavo seriamente a dubitare del livello di
sanità
della mia psiche, specialmente dopo il dialogo avuto con me stessa. Ok,
bene, è
un sogno, mondo onirico, detto in termini aulici (parole che non
userò mai e
poi mai in vita mia), ma la cosa rimaneva bizzarra. E bizzarra a mio
avviso è
comunque poco. Come al solito ero l’ultima ad aprire gli
occhi, e mi chiedevo
perché nessun’anima pia si degnasse di svegliarmi
ad un orario decente.
Mi preparai di corsa,
dedicando buona parte del mio tempo
a sistemarmi i capelli che, dannazione, erano ridotti ogni giorno
peggio. Non
mi andava proprio a genio come cosa, solo quello mi metteva una rabbia
immensa.
Recuperai le mie cose nella stanza: shuriken, oggetti vari, materia
… Ero un
po’ scarsa per quanto riguarda quest’ultimo punto,
avevo in dotazione solo la
mia fedele Throw Materia più un paio di altre biglie
concessemi gentilmente
perché “Non si sa mai, potrebbero tornarti
utili”. Grazie, mister simpatia.
Uscii dalla locanda,
trovando come al solito tutti già
pronti a partire. In effetti, ero un po’ imbarazzata dal
fatto di arrivare
sempre tardi, pur essendo io il ritardo fatto persona. Non a caso,
quando c’era
da andare da qualche parte, papà mi svegliava sempre 30
minuti prima, dato il
tempo che ci mettevo a prepararmi. Ce ne andammo da Gongaga, montando
in fretta
sulla Buggy, dato che stava per venire un diluvio di quelli che non
vedevo da
secoli.
Quella giornata fu molto
particolare. Non c’erano città o
villaggi in vista, perciò passammo buona parte del tempo a
viaggiare sulla
Buggy, alla guida della quale si alternavano Cloud e Barret. Mi misi in
un
angolo a sonnecchiare, quando ad un certo punto Aerith mi venne a
svegliare.
“Ehi, Yuffie, che
ne dici di venire un po’ a
chiacchierare con noi? Vogliamo fare un po’ di conversazione,
giusto per
passare il tempo” mi disse. Non avevo nulla da perdere,
così la seguii. Il
gruppo si divise praticamente in due: da una parte noi ragazze,
dall’altra gli
uomini più l’essere asessuato, o comunque del
quale non mi interessava il
genere. Non mi importa sapere se i gatti robotici sono maschi o
femmine,
diciamo che per canone, e per sua precisazione, avevamo stabilito che
fosse un
maschio.
“Allora, ora che
siamo senza i ragazzi possiamo parlare
di qualunque cosa, no?” disse la fioraia con un sorrisetto.
“Già, a
quanto pare siamo finalmente da sole! Yuffie, è
la prima volta che ci sei anche tu con noi, cercheremo di non andarci
giù
pesante” al che mi preoccupai un po’, non volevo
sapere in che cosa andavano
giù pesante di solito.
“Dunque, avevamo
già esaminato Rufus … Chi è il
prossimo?” dedussi che le ragazze nel loro tempo da sole
parlavano di ragazzi,
dato che Rufus era sì un verme della Shinra, ma pur sempre
un “essere umano di
sesso maschile”.
“Hmm …
Che ne dici di Rude?”.
“Se non erro, Rude
era quel Turk con la pelata … Avevo
sentito mentre spettegolava con il rosso che ha un debole per te,
Tifa” dissi.
Non mi piaceva molto sentire pettegolezzi su di me, ma quando si
trattava di
spettegolare sugli altri mi divertivo molto.
“Chi è
il rosso? Reno?” chiese Aerith, mentre Tifa rimase
perplessa dalla mia affermazione.
“Sì,
lui. Cielo, quello è palesemente tinto … E poi,
hai
visto che capelli? Sembra quasi una moda”. Mentre lo dicevo,
buttai un occhio
sul biondo.
Sì,
sembra
essere una moda all’interno della Shinra.
“Sì, ma
a parte i capelli, non è male” disse Tifa dopo
aver fatto mente locale su Rude. Forse aveva escluso l’idea
di farci un
pensierino. In effetti, Rude non era esattamente ciò che si
può definire lo
stereotipo di bellezza.
“In effetti
è carino … Però Yuffie ha ragione, i
capelli
sembrano finti. No, io lo boccerei”.
“Sono
d’accordo con Aerith, per me è out”.
“Ok, ok, andiamo
avanti. Chi è il prossimo?” domandò la
barista.
“Ehi, non correre,
se non sbaglio non avevamo ancora
finito con Rude” puntualizzai.
“Rude ha un bel
fisico … Peccato per la pelata,
altrimenti sarebbe stato decente” osservò Aerith.
“Vogliamo parlare
del fatto che ha sempre degli occhiali
da sole? Non so, ma se non vedo gli occhi non mi esprimo”.
Questa me la potevo
risparmiare. Ok, sì, in un ragazzo mi potevano piacere gli
occhi, ma bocciare
uno perché porta sempre gli occhiali …
“Non saprei, io
non lo butterei via”.
“Tifa, tu non
bocci quasi mai nessuno! Qualche volta devi
ammettere anche i difetti degli uomini!”. La filosofia di
Aerith mi intrigava
molto, aveva pienamente ragione.
“Bene, passiamo
oltre … A chi tocca?” mi cominciavo ad
appassionare a questa discussione, tra l’altro era piacevole
stare con loro
due.
“Che ne dite di
Sephiroth?”. Tifa stava per cominciare a
inveire contro il SOLDIER di prima classe, perciò preferimmo
passare oltre,
optando per un altro SOLDIER di prima classe. Sentivo che la mia fine
era
vicina, per un attimo mi ero dimenticata gli avvenimenti dei giorni
precedenti
e lo avevo eliminato dalla lista dei ragazzi. Dovevo trovare una via di
fuga.
“Ragazze, non mi
pare il caso di prendere in esame né
Cloud né Barret … Insomma, sono lì,
potrebbero sentirci”.
“Ma che
t’importa, non ci sentiranno mai, non vedi come
chiacchierano per conto loro?”. Mi girai, ed in effetti, Tifa
aveva ragione,
erano tranquillamente immersi nei loro discorsi.
“E poi, Cloud
è forse il soggetto più interessante!”.
Le
affermazioni di Aerith erano spesso fraintendibili, nel senso che se
ascoltate
una seconda volta, avrebbero lasciato adito a dubbi. Molti dubbi.
“Aerith, solo per
il fatto che a Wall Market è successo
quello che è successo …”.
“Frena, frena,
frena. Che cos’è successo a Wall
Market?”.
“Oh, niente, Cloud
si è SOLO vestito da donna”. Tifa
guardò Aerith allucinata. Io spalancai gli occhi.
“CHE COSA?! CLOUD
VESTITO DA DONNA?!”. Le mie grida
raggiunsero le orecchie dell’interessato in una frazione di
secondo,
lasciandolo talmente di stucco che inchiodò la Buggy nel bel
mezzo delle
pianure di Gongaga.
“Che
cos’hai fatto?!” il coro di voci di Barret e Cait
Sith peggiorò la situazione. Red XIII si astenne, non sapeva
che differenza ci
fosse negli indumenti umani, mentre Cait scoppiò in una
fragorosa ristata.
Barret continuava a cercare spiegazioni, Aerith sembrava basita dal
fatto che
io avessi urlato una cosa del genere, Tifa sembrò
arrabbiarsi per la mia uscita
e io … mi sarei voluta sotterrare. Non era esattamente il
tipo di cosa che
volevo fare, specialmente dopo essermi resa conto che la
metà del gruppo non ne
era a conoscenza. Avevo fissato il pavimento ascoltando le risate del
gatto
proseguire per un buon lasso di tempo, senza accorgermi che le mie
guance erano
diventate completamente rosse. Alzai leggermente lo sguardo, solo per
accorgermi che le gote del biondo erano ancora più rosse
delle mie. Aerith
cercò dunque di spiegare la cosa, dicendo che Tifa era sotto
le grinfie di Don
Corneo, una specie di boss mafioso dei bassifondi, e che
l’unico modo per
salvarla era infiltrarsi nella residenza del Don. Purtroppo il Don
accettava
solo donzelle alla ricerca di un marito (o anche donne di facili
costumi, o
donne in generale) e per entrare nel palazzo Cloud si era vestito da
donna. Barret
continuò ad insistere un po’ per sapere in
dettaglio tutti i capi di
abbigliamento indossati da “Miss Cloud”, ma Aerith
non volle cedere. Fu
categorica su questo punto. Solo dopo, in privato, mi disse con minuzia
di
particolari il set completo: parrucca con trecce, abito viola di seta
con tanto
di fiocco rosso, colonia, tiara, trucco e … ciò
che disse dopo mi sconvolse
come non mai, tanto che lei stessa mi squadrò da testa a
piedi, evidentemente
pensava che mi sarei messa a ridere. Cloud si era messo in lingerie.
Stavo per
svenire. Tifa se la prese con Aerith, dicendo che non c’era
bisogno di
aggiungere questo dettaglio. Io nel frattempo ero come pietrificata.
Dopo essermi ripresa dallo
shock, continuammo la
discussione, e non c’era verso di far cambiare idea ad
Aerith, dovevamo proprio
parlare di LUI, che nel frattempo aveva ceduto il posto alla guida a
Barret e
si era messo da parte con Red XIII, che riteneva
“l’unico sano di mente qui
dentro”.
“Secondo me
dovrebbe cambiare taglio di capelli, per il resto,
direi che è un bel ragazzo, non c’è che
dire”. Tifa annuì convinta per quanto
riguardava la seconda parte, poi le ragazze chiesero la mia opinione.
Non
sapevo cosa dire. In quel momento ero completamente fuori di testa,
così non
riuscii a controllarmi e feci un affermazione che lasciò
sconvolta anche me.
“Mi
piace”. Al che le ragazze mi guardarono stupefatte.
Mi resi conto in un secondo momento di quello che era uscito dalla mia
bocca, e
trovai una scappatoia.
“Ma che diamine
avete capito?! I-Intendevo che è un bel
ragazzo, anche se non lo sopporto!” proferii tutto
d’un fiato, tentando di
nascondere il fatto che fossi diventata più rossa delle
pareti esterne della
Buggy.
“In effetti mi
pareva strano, non fate altro che
litigare” osservò la fioraia. Mi ero salvata.
Questa
è
l’ultima volta che faccio le cose senza pensare.
“Ok, siamo
d’accordo sul fatto che è un bel ragazzo
…
Ora, cosa vi piace di più di lui?” Tifa non voleva
mollare, per una volta che
eravamo tutte d’accordo voleva andare fino in fondo.
“Andiamo, stai
scherzando, vero?”.
“No, sono seria.
Tanto non abbiamo niente da nascondere,
fra di noi possiamo dire quello che vogliamo”.
“Ok, comincio io!
Vediamo … A me piace il suo carattere.
Insomma, è sempre così serio e controllato
…”. Aerith aveva detto la sua, ora
toccava Tifa.
“A me ti
dirò, non dispiacciono i suoi capelli. E poi, di
biondi naturali così se ne trovano pochi!”.
Toccava a me. Quelle due
cominciarono a fissarmi, in
attesa di una risposta. I loro occhi mi fissavano, da una parte verdi,
dall’altra rossi. Fui costretta a rispondere.
“M-Mi piacciono
… i suoi occhi”.
Ecco,
l’ho
detto.
Le ragazze ricollegarono
questo discorso a quello che
avevo detto prima su Rude, del fatto degli occhiali, spiegandosi il
perché
della mia affermazione. In realtà, le due cose non erano per
nulla collegate.
“Beh, in effetti
anche i suoi occhi non sono male …”
commentò la barista.
“Sì, ma
se ci pensi è grazie al Mako che ha quegli occhi
… tutti nei SOLDIER hanno gli occhi di quel
colore”.
Mentre le due discutevano su
questo, io cambiai zona,
andando a sedermi da sola nell’angolo in cui sonnecchiavo a
inizio viaggio. Non
volevo in alcun modo partecipare oltre a quel discorso, avevo
già fatto
abbastanza guai. Tra l’altro, ero rimasta un po’
scossa da quello che avevo
detto. Ci ripensai, dicendomi che era stato un lapsus.
Sì,
è stato un
lapsus, un semplice e banale lapsus. Nient’altro.
E
se invece ci
fosse dell’altro?
Scossi la testa, scacciando
la probabilità di presenza di
questo “altro”, che non volevo nemmeno nominare.
Per dimenticarmene
definitivamente mi misi a ripensare al mio piano, che avrei attuato il
prima
possibile. Mi sarebbe servito un diversivo per poter appropriarmi delle
Materia, poi sarei fuggita nella più vicina foresta e, una
volta lì, tanti saluti.
Eppure un po’ mi dispiaceva, cominciavo a simpatizzare con le
ragazze, con Red
e, forse, anche se non lo volevo ammettere, anche con Cloud. Le ragazze
mi
avevano tranquillamente accolte nei loro discorsi, erano gentili e
disponibili,
tra l’altro andavano anche d’accordo fra di loro,
pur essendo diverse di
carattere: in fondo, Aerith era così spigliata e diretta,
nonostante sembrasse
una ragazza timida e riservata, mentre Tifa era lievemente
più chiusa, ma
comunque non si nascondeva di certo. Diciamo che lei era più
dolce, penso che lei
se avesse avuto un problema con qualcuno non glielo avrebbe mai
sbattuto in
faccia.
Red XIII invece era
più calmo e pacato, tutte le volte
che immaginavo dei discorsi con lui pensavo a discorsi filosofici o
sugli astri
… insomma, sembrava talmente saggio da andare sempre a
ficcare la filosofia o
l’astronomia in qualunque discorso, anche se parlavi di
quello che hai mangiato
a pranzo, non so se mi spiego. Comunque, mi trovavo bene con lui, di
fatto era
stato il primo con cui avevo socializzato, o, se non altro, a cui avevo
detto
il mio nome e scambiato qualche parola.
Barret … boh, lui
mi sembrava tanto uno di quelli che ti
ci mandano se gli dici ciao, eppure a detta di Tifa con la figlia
Marlene era
dolce ed affettuoso. Con lui non avevo parlato mai molto e tutta la
storia
della Desert Prison mi era sembrata fin troppo sdolcinata e della serie
“abbracciamo i ricordi”. Però in
effetti, anche se a me non aveva per nulla
sfiorato, è stata toccante, lo ammetto.
Cait Sith non lo potevo
sopportare. Non solo aveva quella
voce stranissima, quasi nasale, poi veniva anche a dire a me che la MIA
voce
era fastidiosa. Lo avrei strozzato con le mie mani. In più,
ero assolutamente
certa che fosse lui la spia del gruppo, si era infiltrato a forza
quando non
gli aveva chiesto niente nessuno. E quel moguri gigante, poi, lasciava
peli
ovunque, manco fosse lui il gatto. Serviva solo al robottino a sembrare
“alla
nostra altezza”, altrimenti ci avrebbe guardato i piedi. E la
cosa più odiosa
era il megafono che aveva, ci parlava sempre dentro, con il risultato
di
spaccarmi quotidianamente i timpani. A questo proposito mi viene in
mente una
persona a caso, che mi aveva gentilmente detto che io il megafono ce
l’ho
incorporato, dato che sto sempre a gridare.
Avevo passato in rassegna
tutti … Beh, quasi tutti.
Mancava una persona, ma volevo evitare di pensarci. Aerith aveva
ragione,
passavamo tutto il tempo a discutere. E quando non lo facevamo,
combinavo
qualche guaio. Battute fuori luogo, figuracce e chi più ne
ha più ne metta.
Solo al Gold Saucer eravamo riusciti ad avere un dialogo decente, in
cui mi ero
un po’ aperta. Anche se non volevo, mi era venuto forse
spontaneo dirgli
qualcosa. La verità è che in quel momento mi ero
sentita a mio agio, cosa che
non mi accadeva da molto tempo. La solitudine mi aveva fatto diventare
fredda e
distaccata, forse quasi cinica. Non lo ero sempre stata, e un
po’ rimpiangevo
quando non lo ero. Ma vivere la vita che DOVEVO vivere comportava
questi
sacrifici, abbandonare i sentimentalismi, pensare solo a sé
stessi. Quando si è
da soli, o ci si arrangia o si soccombe. Cominciavo a pensare che forse
la mia
vera me era assopita, che forse non ero del tutto cambiata. Il mio vero
carattere era solo nascosto, e qualche volta balenava fuori.
Mi scappò un
sorriso pensando a questo: il buonumore,
l’ottimismo e la spigliatezza erano dei miei tratti
caratteriali, e quelli non
se n’erano mai andati.
In
fondo, non si
può cambiare ciò che si è veramente.
Se fossi stata da sola
probabilmente sarei scoppiata a
ridere, certe volte me ne uscivo con dei discorsi che non sembravano
nemmeno da
me.
Mi si avvicinò
Red XIII, sembrava in vena di chiacchiere.
“Come mai sei qui
da sola?” mi chiese.
“Oh, niente, mi
dovevo solo prendere una pausa dai
pettegolezzi, a lungo andare stancano, sai?”.
“Chissà
perché ero quasi certo del fatto che ti piacesse
sparlare della gente”. Ecco, ECCO, si doveva sempre
mettere in mezzo. Poi mi ricordai di quello che era successo
prima, e capii che la battuta acida ci stava tutta, gli dovevo delle
scuse.
“Senti, mi
dispiace per quello che è successo prima … Non
volevo, è solo che …”. Mi fece cenno di
stare zitta. L’avevo combinata davvero
grossa. E per una volta tanto, mi sentivo il morale a terra. Ero stata
presa e
calpestata da un Red Dragon, se rende l’idea. Red XIII mi si
avvicinò
all’orecchio, dicendomi di cercare di farmi perdonare, poi se
ne andò dalle
ragazze, che a quanto pare avevano cambiato argomento di discussione.
“Cloud, io
…”.
“Stai
zitta”. Non l’avevo mai visto così
arrabbiato,
eppure ne avevo combinate tante. Non sapevo come fare per chiedergli
scusa.
Volevo veramente che mi perdonasse. Per un po’ ci fu un
silenzio tombale. Dopo
qualche minuto passato così, provai di nuovo a parlare.
“I-Io
…” non riuscii nemmeno ad articolare una sillaba
della parola successiva. Dovetti usare tutta la mia forza di
volontà per
trattenere le lacrime. Purtroppo questo è sempre stato un
mio problema,
piangevo raramente, ma quando lo facevo era sempre nei momenti
più critici. E
il fatto che stessi per farlo mi fece capire quanto nel profondo ero
dispiaciuta per quello che era successo. Strinsi i pugni, riuscendo a
trattenermi. Solo una lacrima fece per conto suo e mi rigò
il viso, e il più in
fretta possibile tentai di asciugarla. Il ragazzo se ne accorse e
cominciò a
guardarmi con quegli occhi verde acqua di cui mi ero …
innamorata. Uno sguardo
fuggevole dei miei occhi violacei capitò sul suo viso.
Cambiai subito soggetto,
cominciando a fissare per terra. Ero arrossita e il mio cuore palpitava
talmente forte che sembrava volesse uscire dal mio petto. Per un attimo
mi
sembrò che fossimo solo lui ed io.
“Stavi
piangendo?”. Rimasi in silenzio per un po’,
fremendo e tremando.
“Io non piango
mai!” sbottai all’improvviso. Senza accorgermene
mi ero messa in piedi e avevo cominciato a fissarlo
dall’alto, come se volessi
fargli paura.
Tsè,
IO fare
paura a LUI.
Tutti si girarono un attimo,
per poi tornare alle loro
occupazioni. Avevo quasi il fiatone a causa di quel battito accelerato.
Mi misi
a sedere dopo essermi calmata un po’, il tutto sotto i suoi
occhi attenti.
Sembrava che volesse captare ogni mio gesto, ogni singolo segno di
cedimento …
e non parlava più. Feci un grande respiro e mi decisi a
scusarmi.
“M-Mi dispiace
p-per quello che è successo prima … Forse
m-mi sono lasciata prendere un po’ t-troppo dalla foga e non
mi sono resa conto
d-di quello che facevo … Non volevo … Scusami,
C-Cloud”. Abbassai la testa,
lasciando che il mio corto caschetto mi coprisse il volto. La frangia
mi scese
sull’occhio destro, coprendolo. Era come se mi stessi
nascondendo da lui, non
volevo che mi guardasse. Mi metteva a disagio essere oggetto dei suoi
sguardi.
E il fatto che avessi praticamente biascicato le mie scuse,
riempiendole di
balbetti vari, mi faceva sentire quasi impotente. Sentii
improvvisamente una
mano poggiarsi sulla mia spalla sinistra. Lentamente, il ragazzo la
fece
scorrere fino alla spalla destra, poi la fece scorrere sul fianco e
… mi tirò
verso di sé. Mi trovai improvvisamente intrappolata in un
abbraccio. La mia
testa era poggiata sulla sua spalla sinistra. Mi sussurrò in
un orecchio che
aveva accettato le mie scuse. Stette un po’ in silenzio, poi
riprese.
“Cosa ti ha detto
esattamente Aerith su Wall Market?”.
“Ecco …
M-Mi ha detto come … ti sei … vestito
… e … di …
sì, ecco … insomma … della
… b-biancheria intima …”. Mi
lasciò. Era tutto
rosso.
“…
Aerith ha esagerato” più che sentirlo, lo intuii
dal
labiale, dato quanto parlava piano. Dato che in quel momento mi sentivo
piuttosto sincera, e dato che fatto trenta, perché non fare
trentuno (o per
restare in ambito numerico, non c’è due senza
tre), mi avvicinai al suo
orecchio e sussurrai:
“Mi piacciono
molto i tuoi occhi. Li trovo davvero
belli”. Mi allontanai, solo per vederlo arrossire
più di prima e cominciare a
balbettare frasi sconnesse come “sì …
ecco … insomma … io …”. Mi
guardò.
Sorrisi e lo salutai, poi, andai a raggiungere Red XIII e le ragazze.
Recuperai
Red e me lo portai da una parte.
“Red, fra voi
… ehm … animali … come funzionano le
cose
quando si è innamorati?” ostentavo una certa
sicurezza nel parlare, la realtà
era che non ci stavo più con la testa, ero persa nel mondo
dei sogni. Perché
ormai avevo quasi capito che cosa mi era preso.
“Com’è
che ti interessano queste cose?” mi chiese. In
effetti era una domanda più che legittima. Sentivo di
potermi fidare di Red
XIII, così decisi di aprirmi. Forse scaricarmi mi avrebbe
fatto tornare in me.
“Io …
penso di … avere una cotta … cioè, in
realtà non so
se è una cotta, o una cotta cotta, o se sono proprio
innamorata, o se è solo la
mia testa che fa cilecca, è che non mi è mai
capitata una cosa del genere,
quindi non so come mi devo comportare, in realtà non so
nemmeno cosa provo, se
provo qualcosa e …”. Per fortuna Red mi
fermò, sarei potuta andare avanti per
secoli a farneticare senza concludere un bel niente.
“Primo, parla
piano; secondo, prendi fiato; terzo, è
Cloud?”. Centro. Colpita e affondata.
“…
sì …” dissi non nascondendo un vago
rossore e
cominciando a giocherellare con una ciocca di capelli.
“Per noi animali
la fase di corteggiamento è
fondamentale, si conquista un esemplare femminile mettendo in mostra le
proprie
capacità e, spesso, negli esemplari sottosviluppati e/o con
una corteccia meno
attiva, con fasi di ululati alla luna”. Lo guardai con una
faccia tra il
perplesso e lo sbigottito. Inclinai leggermente la testa, cercando di
acquisire
le informazioni e confrontandole con le poche nozioni che avevo in
merito. No,
non combaciavano affatto. Se volevo evitare di fare casini, dovevo
affidarmi ad
altri metodi.
“Oook, per noi
umani le cose funzionano un tantino
diversamente … Anche se in effetti ho sentito parlare di
serenate alla luna …
ma primo, sono cose che fanno gli uomini e secondo … non
voglio certo sembrare
un fenomeno da baraccone!”.
“Allora
perché mi hai chiesto aiuto se le mie
informazioni non ti servivano?”.
“Perché
pensavo che mi avrebbero potuto dare qualche
idea!”. Mentre esponevo la mia “tesi” a
Red XIII, sentii la Buggy fare un
rumoraccio e fermarsi. Una nuvola di fumo cominciò ad uscire
dal motore, che
era incredibilmente vicino a noi, perciò mi allontanai ed
informai Barret,
attualmente alla guida, del problema avuto al motore. L’uomo
rispose così
(testuali parole):
“Me**a! Questo
strafo****issimo affare si è già rotto!
Ca**o, quel Dio non ci poteva dare un mezzo che non fosse da buttare al
ce**o
dopo due giorni?!”.
Dopo la soave affermazione
di Barret, scendemmo tutti
dalla Buggy, io e Red più intossicati degli altri dalle
esalazioni del motore
arrugginito di quell’aggeggio semovente. Fortunatamente
eravamo vicini ad un
villaggio; peccato solo che nessuno sapesse di quale sperduto villaggio
si
trattasse. O per meglio dire, quasi nessuno.
Red ci spiegò che quella era Cosmo Canyon, la sua
città natale, luogo in cui
era conservato il sapere di tutto il Pianeta.
NOTE
DELL'AUTRICE
Non
ci credo, un nuovo capitolo scritto in un solo giorno *^* Anyway, per
tutti coloro che volevano un po' di romanticismo, eccovi accontentati!
Finalmente la nostra ninja si è resa conto dei suoi
sentimenti, e le cose da ora si faranno più interessanti che
mai! In questo ho dato spazio solo ai rapporti fra Yuffie e gli altri,
e sinceramente le tre ragazze a spettegolare sui ragazzi ce le ho
sempre viste bene XD In attesa del prossimo capitolo, stay tuned, e mi
raccomando, recensite, recensite e fatemi sapere che ne pensate ;)
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