Secret Crush

di Yuffietheninja
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'inizio ***
Capitolo 2: *** Infiltrazione ***
Capitolo 3: *** Passi falsi ***
Capitolo 4: *** Il deserto dei peccati ***
Capitolo 5: *** Incidenti di percorso ***



Capitolo 1
*** L'inizio ***


Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà della Square-Enix, così come la canzone utilizzata, mia traduzione di Secret Crush di Rin Kagamine, Vocaloid appartenente alla Crypton. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

Capitolo 1: L’inizio

Come provo ad odiarti

Il mio amore per te è immenso

Perciò, desidero poter dimenticare

Tutti i miei sentimenti per te

“Chi sta cantando?”

Lasciami godere dei momenti dolci solo per ora

So cosa è vero

Per favore almeno

Fatti sentire chiamare il mio nome …

“Ehi, c’è nessuno? Yu-huuu!!”

Anche se un giorno

Questo sentimento andasse via,

Ti voglio nel mio cuore

Per restare per sempre dove eri in quel momento

“Pronto, pronto, ci sei?”

 

D’improvviso svanì tutto. O meglio, non svanì nulla, dato che vedevo tutto nero. Mi svegliai ai piedi di un albero, con la testa dolorante. Dannazione a me e al mio vizio di sonnecchiare sugli alberi, DANNAZIONE.

“Stupido albero! Ma un giorno te la farò pagare, sai? Ricordati questo nome: Yuffie Kisaragi!”

Ebbene sì, giurai vendetta contro un albero. Un albero. Oh, giusto, sottolineo che la cretina che ha fatto una cosa del genere sono IO, Yuffie Kisaragi, ninja di 16 anni. Oddio, proprio ninja non direi … Diciamo che ero ancora una praticante, più che ninja ero una ladra. Ma mi rendevo conto che il sottile fra le due cose era molto labile: molti dei ninja che conoscevo si erano ritrovati a fare i ladri a causa della guerra a Wutai. Stupida guerra, ancora mi chiedo chi avesse avuto la malaugurata idea di darle avvio. Oh, vero, quel CRETINO di mio padre. E io ero l’unica che tentasse di risistemare la situazione.

Certo, Kisaragi, inventati scuse per giustificare il fatto che vai in giro a fregare Materia alla gente. Ma finché la freghi alla Shinra mettiti l’anima in pace: loro sono i maledetti che hanno rovinato la tua Wutai. Un attimo, da quando parlo con me stessa?!

“Ahhh, tutta colpa della solitudine! Ecco cosa succede dopo essere rimasta sei mesi da sola, si dà di matto! Beh, almeno gli psicologi sapranno su cosa lavorare”.

L’unica cosa che mi giovasse era il fatto di non aver perso la mia allegria, almeno quello. Per il resto, posso giurare di aver perso tutto. Avevo gentilmente preso la mia vita e l’avevo buttata nel gabinetto. Ah, e poi avevo tirato lo sciacquone. Come sprecare occasioni, parte 1. Sì, ci verrebbe un bel libro.

“Ha ha, che battutone. Sto perdendo colpi”. E stavo perdendo davvero colpi, una settimana che non fregavo niente a nessuno. Una settimana. Io. Non frego nulla. No materia. No cibo. No soldi. Mi ci voleva giusto un aiuto del mio fattore C per poter rientrare in gioco. Tra l’altro, la probabilità di trovare gente nelle foreste sai di quant’è? Il 20%, se sei in periodo di pic-nic, altrimenti ci trovi giusto gli scout. Poveracci, mi hanno sempre fatto tanta pena, con quelle divisine. Eppure da piccola ci avevo pensato. Le contorsioni del mio cervello, penso che non le capirò mai. Fatto sta che non eravamo in periodo pic-nic, la gente preferiva andare al mare ultimamente, chissà perché. Tutti lecchini della Shinra, da quando la società ha aperto uno stabilimento balneare a Costa del Sol stanno tutti lì. Ma il fato volle che il mio fattore C non fallisse. E così, trovai la mia preda. Se mi avessero detto cosa sarebbe successo poi, non ci avrei creduto. Il finimondo, e non è per dire.

“Huh huh huh, la Shinra pensa di prendere possesso anche della mia foresta? Si sbagliano!”

Sì, la Shinra. O almeno così pensavo. Vai a spiegare alla gente che le divise di SOLDIER sono solo per chi lavora ancora con quelli. Quando non si ha sale in zucca. Mai in vita mia feci cretinata più grande. O forse sì. Beh, se è accaduto, è dipeso comunque da quell’evento. E il bello è che fu tutto un errore.

Decisi che era ora di riprendere il mio lavoro. Vai a capire a sedici anni che fare la ladra non è un lavoro e che potresti essere indagata per furto di proprietà e finire in galera. Con nessuno che te lo spiega, poi. La cosa più normale del mondo, penseresti.

Forse è solo il tuo cervello farlocco, Kisaragi. Ecco, lo sto facendo di nuovo.

La strategia dei miei furti è la più semplice del mondo: bomba fumogena. Ti fai una bella nebbiolina, il poveraccio che ci capita in mezzo non capisce nulla e puoi darti alla pazza gioia. Peccato solo che quel giorno le bombe fumogene avessero deciso di entrare in sciopero. Lancio una bomba. Salto fuori dal mio nascondiglio. La bomba non esplode.

Sono fo****a. Perché non hai il buonsenso di pensare prima di agire?

La situazione era spiacevole. Mi trovavo davanti un agente SOLDIER, un tizio abbastanza … enorme con una mitragliatrice al posto di una mano e un leone addomesticato. Forse la belva feroce era quella che faceva meno paura. Almeno finché rimase zitto.

“Chiedo scusa signorina, ma dovremmo passare” disse.

Parla?! Ok, o sto ancora dormendo, o ho sbattuto la testa talmente forte da essere diventata matta.

Non sapevo più che fare. Ancora una volta prevalse l’istinto al buonsenso. Che cosa fareste in una situazione del genere? Scappare, no? Miss Furbizia decise invece di rimanere lì e affrontarli in combattimento.

Bella mossa, davvero bella mossa.

Le presi di santa ragione. E forse mi stava anche bene, ero io ad aver cominciato. Ma loro avevano risposto alla provocazione, quindi la colpa non era solo mia. Anzi, forse non era per niente mia, in fondo avrebbero ben potuto fare i galantuomini e lasciar correre. No, ero innocente, ne sono certa.

Ero stesa per terra, con uno dei miei migliori bronci. Non è bello starmi intorno quando sono nervosa, sono parecchio irascibile. Divento intrattabile. E poi ho uno sguardo tagliente, da far venire i brividi lungo la schiena: l’effetto è come quando ti ficcano del ghiaccio nella maglietta. Ovviamente queste descrizioni provengono da conoscenti, non certo da me. Beh, la situazione era simile. Gli attributi descritti sopra c’erano tutti, ma in più mi rodeva incredibilmente per essere stata sconfitta. Da tre passanti che sembravano quasi più pericolosi di me. Quasi.

Mi tirai su barcollando. Vidi i tre che mi fissavano. Li gelai con un’occhiata: distolsero tutti lo sguardo. Tutti tranne il SOLDIER, quello continuava a fissarmi. Quel poveraccio era stato scelto come bersaglio della mia invettiva.

“Che hai da fissare, cerchi rogne? I SOLDIER non mi stanno per niente simpatici, quindi gira alla larga da me se non vuoi trovarti all’ospedale con un trauma cranico!” gli gridai. Non mi parve più di tanto sconvolto, secondo me più che altro mi prese per matta. E in effetti, non è che avesse tutti i torti, li avevo praticamente attaccati senza motivo. Ovvio che tutto ciò era dal loro punto di vista, io i motivi ce li avevo eccome. Ma non mi ero resa abbastanza ridicola, una volta fatto trenta, perché non fare trentuno? Cominciai a tirare pugni in aria, urlando più forte di prima: “Fatti sotto, avanti! Ne hai già abbastanza? O forse hai paura?”. Fra me e me mi ero già detta che questa me la potevo risparmiare, la mia parte masochista poteva rimanere a fare la nanna. Fortunatamente il biondino si limitò a rispondermi con un ironico: “… Sono pietrificato”. Ma no, non era ancora abbastanza. Non avevo dato spettacolo a sufficienza, dovevo sembrare un clown. Beh, c’ero quasi.

“Hmm, proprio come pensavo. Siete mediocri, non siete alla mia altezza. Chissà, magari quando sarete più forti …”.

Cretina, sei stata sconfitta.

Cominciai ad allontanarmi con passo lento. La scenata era servita a suscitare quasi pena per me. Alla fine però ebbi l’esito sperato. Il SOLDIER capelli-a-punta mi fermò e cominciò con tutte quelle moine che uso di solito io quando voglio qualcosa. Il ragazzo non era esperto, sono io la maestra nell’inventare scuse. Non so come, alla fine mi feci convincere ad andare con loro. In realtà ciò che mi convinse ad andare fu una cosa: Materia. Non me ne fregava assolutamente niente di fare amici e tutte queste storielle sdolcinate, volevo quelle belle biglie colorate, specialmente perché ne avevo adocchiate alcune discretamente rare. Il gruppetto si mise a discutere e dopo un po’ vidi il mitragliatore umano andarsene. Bello, scaricato per far posto alla prima che passa, pensa come si doveva sentire.

Faccio davvero così pena?

Fu l’unica cosa che riuscii a pensare. La risposta arrivò: sì. La depressione s’impadronì di me: ero proprio scesa in basso. Dovevo scendere in pista e prendere le mie Materia. Certo, sarebbero state presto mie, non lo erano ancora. Ma per farcela dovevo guadagnarmi almeno un pochino di fiducia. Il leone sembrava più disponibile, tra l’altro con il SOLDIER non ci volevo manco trattare. L’unico vantaggio: parlava poco, almeno quello. Cominciai a discutere con il leone, e non prendetemi per pazza, un leone che parla non l’avevo mai visto nemmeno io.

“Allora … Siccome dobbiamo viaggiare insieme, da quel che ho capito, almeno posso sapere il tuo nome?”.

“Certamente. Mi chiamo Red XIII, esemplare di una razza quasi estinta”.

“Ok … E cosa fai nella vita?”. Cielo, questa me la potevo risparmiare.

“Sono stato una cavia di laboratorio”.

“Uh … buono a sapersi, ecco. Io mi chiamo Yuffie. Yuffie Kisaragi ad essere precisi, ma il cognome puoi anche scordartelo. In quanto ad occupazione, beh, sarei una ninja, ma per vivere prendo in prestito “cose” dalle persone”.

“Prendere in prestito … Si chiama rubare” si intromise il SOLDIER.

“ScusaMI, se non ti sta bene me ne vado. Tra l’altro, sei anonimo o cosa? Ce l’hai il nome o ti devo chiamare fischiando?”. Ecco, le battute ci servivano proprio. Non sono brava a scegliere i momenti giusti.

“…..Cloud” disse.

“Allora ce l’hai la voce, pensavo fossi muto. Se sei sempre così sai che noia! Non ti annoi con lui, Red?”

“Mi chiamo Red XIII, gradirei essere chiamato con il mio nome completo”.

“Oh, dai, Red XIII è troppo lungo! E poi Red è più carino!” sentenziai.

“Ma stai mai zitta?” mi chiese Cloud.

“Ah, ah, ma che simpatico. E se t’interessa, no, non sto mai zitta, ma d’altronde faccio quello che mi pare, SOLDIER! Il fatto che tu sia della Shinra non m’imp …”.

“Non sono più un SOLDIER”.

“Ma sei un genio, continua a girare vestito da SOLDIER, nessuno penserà che stai con la Shinra. Ma dico, ti funziona il cervello al contrario?”.

“Sai una cosa? Penso che tuo padre ti chiudesse la bocca con lo scotch per farti stare zitta” disse, per poi allontanarsi.

“È davvero odioso! Ma non t’infastidisce?” chiesi a Red XIII.

“No. È la prima volta che lo vedo così indisponente, potresti stabilire un nuovo record, Yuffie” rispose.

“Oh che bello, mi sento proprio importante ora” dissi alzando il braccio con poca flemma.

 

Camminare per lande sterminate sotto il sole in compagnia di un leone e un SOLDIER … ops, scusatemi, di un ex-SOLDIER, altrimenti ci si offende … dicevo, non è proprio il massimo che ci si aspetta nella vita. Tra l’altro, specialmente se i due fanno a gara a chi parla di meno, ti viene voglia di ficcarti una pallottola nel cranio. A forza di camminare eravamo quasi arrivati a Junon, ed eravamo partiti dalla zona di Fort Condor. 

Certo che questi hanno proprio una voglia di camminare … Cielo, mi butterei per terra a dormire!

Purtroppo sono una che raramente si trattiene, così mi piantai in mezzo alla strada e mi sdraiai sul prato. Vi lascio immaginare cosa potessero aver pensato i miei due “accompagnatori”: ciò che so è che Red XIII mi disse che fermarsi al sole non era una buona idea, perché quelle erano le ore del giorno più calde e i raggi solari erano più pericolosi (fece un discorso sui raggi ultravioletti, cose che non posso certo ricordare), mentre il biondino, che cominciava a darmi davvero sui nervi, disse:

“Togliti di lì, rischi di bruciare quel poco di cervello che ti rimane”.

Alla provocazione scattai in piedi e gli mollai un ceffone. Senza scrupoli, dico sul serio. L’unica cosa che fece fu bisbigliare un “… Mi hai fatto male”.

“Ti sta bene, sei un cafone!” gli gridai, allungando il passo. Riusciva ad aprire la bocca ogni mezz’ora e quando lo faceva era per insultarmi. Una cosa intollerabile, avrebbe fatto i conti con il mio orgoglio.

Arrivammo a Junon e … beh, non era certo come la immaginavo. Sapevo vagamente che nella parte alta della città, o come la chiamano qui Upper Junon, c’era una delle tante basi della Shinra, ma non avrei mai pensato che ci fosse un tale divario tra la parte alta e i “sobborghi”, se così li volete chiamare. Mi ero già preparata all’idea di andare nella locanda cittadina, buttarmi sul letto e fare il sonnellino che mi spettava, dopo aver camminato così tanto. Ma quando ti fai dei piani tutti carini e piacevoli, ecco che arriva sempre qualcuno o qualcosa a guastarti la festa.

“A quanto pare siete arrivati prima voi, avete vinto la scommessa”. Era una voce femminile, di una ragazza sulla ventina, ed aveva un tono quasi materno. Mi girai e vidi due ragazze e l’uomo che prima viaggiava con Cloud e Red XIII. Una delle due ragazze indossava un lungo abito rosa che le arrivava quasi alle caviglie, una giacchetta a maniche corte rossa e un paio di anfibi marroni, il tutto contornato da una treccia tenuta ferma da un enorme fiocco rosa. L’altra invece aveva una canotta bianca, una mini-gonna nera (veramente mini, qualcosa di impressionante), un paio di guanti rossi e pure lei un paio di anfibi, però rossi. Aveva lunghi capelli neri legati sul fondo, quasi a mo’ di coda di delfino. Ma ciò che più mi stupì era il suo seno. Dire abbondante è dire poco. Ma non sembrava una che si mette in mostra. L’uomo mitragliatrice invece era lo stesso di prima.

Scoprii che erano un unico gruppo e che si erano divisi per non dare nell’occhio. Le due ragazze si chiamavano Aerith Gainsborough e Tifa Lockheart, mentre l’uomo si chiamava Barret Wallace. Mi avevano fatto una buona impressione, tra l’altro le due ragazze non mi sembravano nemmeno delle smorfiose, di quella specie che ti fa venire l’urticaria. Aerith era una fioraia, mentre Tifa era la gestrice di un bar, il Settimo Cielo. Venivano entrambe dai sobborghi di Midgar. Sembravano avermi preso di buon occhio, e questo era tutto sommato un punto a mio vantaggio, ottenere la fiducia dei membri della squadra era ciò che mi serviva per portare a compimento il furto di Materia.

Avevo notato che c’erano delle scale che sembravano portare ad una spiaggia. Purtroppo per me, quando decido qualcosa, non riesco a cambiare idea, così decisi di andare a dare un occhiata. Mi allontanai dal gruppo, causando non poco stupore, dato che si era nel bel mezzo di una discussione per decidere i piani del giorno seguente. Vidi in fondo alla scalinata una spiaggia bianchissima … Purtroppo quella bellissima vista era turbata della presenza di una torre della Shinra. C’era una bambina lì, che giocava con un delfino. La sentii chiamarlo Mr. Dolphin. Sembrava felice … Chissà che lei non lo fosse stata veramente. Qualcosa che io volevo e non avevo ottenuto … Un infanzia. Mi ero persa nei miei pensieri, nei miei ricordi di una vita che forse avrei potuto vivere diversamente. Ma qualcuno pensò bene di riportarmi alla realtà.

“Cos’è, stai meditando se buttarti in mare e porre fine alle nostre sofferenze?”

Mi girai e vidi lui, la causa di tutte le MIE, di sofferenze. L’avevo conosciuto poche ore prima, eppure era già riuscito ad ottenere un posto nella mia mente. Sì, un posto perché mi stava facendo dannare.

“Ma che problemi hai? Ti diverte tanto insultarmi? Allora ti do una notizia: a me non piace”. Scesi di corsa le scale e arrivai sulla spiaggia. La bambina si voltò a guardarmi, come se avessi interrotto un momento per lei magico. Mi sentivo quasi colpevole. Il vedere la piccola rimettersi subito a giocare mi fece tornare serena. Una serenità che presto svanì, quando comparve dal mare un enorme serpente marino. In seguito mi informai, e scoprii il suo nome: Bottomswell. Bello poco, era tendente al blu, con qualche riflesso iridescente, enormi pinne rosacee ed occhi gialli. Quando lo vidi avvicinarsi alla spiaggia, un brivido mi percorse la schiena. Provocò un onda che sommerse la bambina. Degli schizzi arrivarono fino a me. Temevo che l’acqua avesse inghiottito la bambina. Ed io non avevo fatto nulla per aiutarla. Nulla. Non sapevo che fare. So solo che in quel momento, mi venne alla mente un nome. Solo uno. Il nome che meno che mai avrei voluto pronunciare. Corsi al villaggio, mi scrutai intorno.

Dannazione, quando serve aiuto non si trova mai chi cerchi.

Io che cerco qualcuno? No, non è possibile. Sto forse male?

Eccolo. Lo vedo. Sento l’odio bollirmi dentro … e poi sparire. In quel momento avevo sentito di avere bisogno di aiuto. Il suo aiuto.

“Cloud!” gridai il suo nome con quanto fiato avevo in corpo. Corsi da lui, lo afferrai per un braccio e lo trascinai giù per le scale. Feci in tempo a dire a Red XIII di venire. Arrivati sulla spiaggia, l’imponenza del mostro mi fece letteralmente impallidire. Sì, avevo paura. Feci un passo indietro, ripensai alla bambina. Dovevo fare qualcosa, lo sentivo. Combattemmo il mostro e riuscimmo a sconfiggerlo.

Corsi verso l’acqua e presi in braccio la bambina. Riuscii a malapena a tirarla fuori dai flutti. Cloud la prese dalle mie braccia e la portò al sicuro sul lido. Vidi un anziano arrivare dal villaggio. Gridava il nome della bambina, Priscilla, ed aveva paura. Era il nonno. Ordinò a Cloud di eseguire la CPR, respirazione bocca a bocca. Perché Priscilla non stava respirando. Eppure … era restio. Non voleva. Continuavo a guardare impietrita il corpo disteso sulla spiaggia della piccola.

Perché diamine non ti decidi a fare qualcosa? Sei un cretino.

Mi sentii osservata. Alzai lo sguardo. Mi fissava.

Che vuoi, che ti dica io cosa devi fare?

Distolse da me lo sguardo, fissò un punto indefinito del suolo. Disse con voce flebile che l’avrebbe fatto. Quando cominciò la respirazione bocca a bocca …

Perché mi sento infastidita? Mi sento bruciare di rabbia.

“Che cos’hai, Yuffie?” mi chiese Red XIII.

“N-Non è niente”.

È … gelosia? No, non può essere. Perché mai dovrei essere gelosa?

La gelosia è … per chi ama.

 

Quella notte dormii poco e malissimo. Priscilla si era salvata, ci aveva anche donato una rara Summon Materia , Shiva, eppure … c’era qualcosa che non mi faceva dormire. Eravamo tutti in un'unica camera. Red XIII si era addormentato ai piedi del mio letto. Noi ragazze eravamo da un lato della stanza, molto piccola a dire il vero. Una vecchietta del luogo ci aveva offerto ospitalità, perciò gli spazi erano compatibili con le sue possibilità economiche. D’altronde era già tanto che ci avesse offerto un letto. Ciò che più mi infastidiva era il fatto che io fossi la ragazza più vicina al lato degli uomini, e sulla parte più vicina a noi dormiva Cloud. Sì, mi dava fastidio di essere vicino al SUO letto. Soprattutto dopo quello che era successo quel giorno.

Non è successo nulla. È solo stata la tua immaginazione. Nulla di quello che hai sentito poteva essere vero. E soprattutto, non avresti mai potuto essere gelosa.

Già, gelosa. Io. Non era possibile, assolutamente no.

Non di una persona che odio. Non di … lui.

Mi caddero gli occhi su di lui. Non riuscivo a distogliere lo sguardo. Ed era …

“Hai finito di fissarmi?”

Sobbalzai. Era sveglio, e si era accorto che lo stavo fissando. Mi fece prendere un colpo, possa essere sempre dannato. Mi girai subito dall’altra parte, gridando al: “Non guardavo te”. Certo, guardavo il muro, bello che non ti dico. Una meraviglia.

“Meglio così, e vedi di dormire. Ah, un'altra cosa: mi dà fastidio il fatto che tu mi stessi fissando”.

Bene, siamo in due ad essere infastiditi, a me dà fastidio la tua presenza.

Non mi addormentai comunque. Nella mia testa c’erano troppi pensieri. Quell’inizio così improvviso, quel viaggio, quelle persone … quella persona, il mio maggior problema attualmente. Ciò che più mi turbava era quel sentimento … la gelosia.

Toglitelo dalla testa, la gelosia non è roba per te.

Già, forse è così. Non mi fermerò mai, porterò a compimento il furto. E poi … laverò via tutti i miei problemi.

Mi sentii rinnovata, come se in un attimo tutte le paure, le preoccupazioni che per poco si erano affacciate alla mia porta fossero andate via. Cavolo, dovevo ancora imparare che non è così facile scacciare certi fantasmi. Non so come, ma riuscii a prendere sonno. Un sonno breve e tormentato. Rividi la guerra, la mia Wutai distrutta, disonorata … SOLDIER ovunque, la Shinra che mette a ferro e fiamme il villaggio. Mio padre che si arrende, la guerra è persa. Tutto è perso. Nulla ha più senso. E all’improvviso … il buio che avvolge tutto. Sento solo una voce … una voce che canta sempre la stessa canzone, con voce insistente … Una voce dolce e calma, una voce che porta serenità.

 

La pioggia che cade fuori dalla finestra

Ho scritto il tuo nome con le mie dita

Con chi sei ora?

Chi stai fissando?

Fissando. Quella parola risuonò con uno strano eco, e mi fece trasalire. “Cosa vuoi da me?” dissi con voce tremolante.

 

Non importa quanto duramente io preghi

Non ho possibilità di starti vicino

Se è così, spero di poter cancellare

I frammenti dei miei sentimenti

“Fai silenzio … Stai zitta!!” ero esasperata, continuava a ripetere sempre la stessa cosa, sempre con lo stesso tono, e non si curava di me. Volevo ucciderla, farla stare zitta.

 

Questo … Non accadrà mai.

Non sono debole.

Non lo sono.

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Capitolo 2
*** Infiltrazione ***


Capitolo 2: Infiltrazione

Mi svegliai madida di sudore. Quel sogno mi aveva messo un ansia terribile. E quella canzone … ero sicura di averla già sentita. Tentai di rimettere in ordine i pensieri, quando mi accorsi che non c’era più nessuno nella stanza. Ero l’unica ancora a letto. Sentii delle voci di fuori, fra le quali una che diceva:

“Mi chiedo come faccia a dormire nonostante tutto questo rumore …”. Era Aerith a parlare. E non riuscivo a capire di cosa stesse parlando, c’era una calma assoluta. Ma all’improvviso, ecco che si ode il tanto anelato rumore: una strombettata che mi spaccò i timpani. Caddi letteralmente dal letto, dando una sederata sul pavimento.

Ottimo, come cominciare al meglio la giornata.

Mi alzai dolorante, raccolsi alla bell’e meglio le mie cose ed uscii di fuori. Vidi tutti radunati in cerchio con le teste alzate a guardare la parte alta della città, da dove veniva quel rumore infernale. Mi balenò in mente di chiedere cosa stava succedendo, ma per carità, mi morsi la lingua. Non volevo cominciare la giornata con un insulto. Preferii rimanere in silenzio in attesa di capire da sola.

“Certo che si stanno proprio dando da fare con i festeggiamenti … Deve essere per l’arrivo di Rufus” disse Tifa. Rufus? Non parlavano mica di Rufus Shinra, il figlio del presidente?!

“Ma intendete quel Rufus?! Che cosa verrebbe mai a fare qui? E poi, agli affari di stato ci pensa il padre!” urlai, con la paura di non essere sentita.

“Se hai deciso di spaccarci i timpani di prima mattina, ti avviso che abbiamo già trovato una soluzione più che efficace, non ci serve il tuo supporto”. Eccolo, sapevo che sarebbe arrivato. Non potevo sfuggirgli. Tentai di lasciar correre, ma a lungo andare sarei esplosa. E considerare che ci dovevo viaggiare insieme non mi aiutava a sentirmi meglio.

“Cloud, non essere scortese!” lo sgridò Aerith. E questo mi fece scappare un sorrisetto, la fioraia non sembrava il tipo da sgridare.

“Sì, si parla proprio di Rufus Shinra. Non hai sentito? Il padre è stato ucciso” mi spiegò Red XIII.

“Oh, beh, un problema di meno. E si sa chi è stato? Non è che siete stati voi?” dissi con una punta di sarcasmo, che a quanto pare non fu ben accetta.

“Sephiroth. È stato lui” quando Tifa pronunciò quel nome, vidi gli sguardi di tutti disperdersi. Ciascuno allontanò lo sguardo da una parte. E anche io, quando sentii quel nome, un po’ mi stupii. Pensavo che fosse uno scherzo.

“Su, su, ragazzi, seriamente” e sentito dalla mia bocca, sembrava quello lo scherzo.

“Siamo seri”. Ok, va bene che l’aveva detto Cloud, ma il tono era talmente freddo che mi tolsi ogni dubbio. Sephiroth, l’eroe, che aveva ucciso il presidente della Shinra?! Non era possibile. Assolutamente no. Odiavo la Shinra, e la morte del presidente non era certo una tragedia, anzi … Ma pur essendo contro di loro, la fama di Sephiroth era talmente grande che era un eroe nonostante tutto. Com’era potuto accadere? Che fosse stato un complotto per affossarlo? O era veramente stato lui? Non sapevo che pensare. Sapevo solo che in quel momento, tutti quei rumori mi attiravano terribilmente, volevo scoprire cosa stava accadendo.

“Voglio andare nella parte alta della città e scoprire cosa diamine stanno combinando … Insomma, questo Rufus deve essere importante se si sente la marcia da qui!” dissi.

Stranamente, arrivò una risposta che mai avrei aspettato. “È un’ottima idea, così possiamo anche controllare la loro prossima destinazione … però dovremo infiltrarci in qualche modo, non dobbiamo farci notare”. Cosa? COSA?! Un’ottima idea? La mia? Cavoli, dovevo pensare che stesse male, quando mai mi avrebbe dato ragione così facilmente?

Ok, qui stiamo calando proooooprio in basso. Cedi troppo facilmente, ragazzo … Un attimo, questo è un bene o un male?

Un bene, assolutamente. Avevo campo libero per il furto, niente di meglio. L’avrei osannato per questo. No, aspetta, non avrei mai fatto una cosa simile. Falso allarme.

“E come facciamo ad arrivare lassù, mettiamo le ali?” disse Barret. Beh, in effetti non l’avevamo considerato … Ma insomma, anche mettere le ali non era una cattiva idea.

“Cloud, ma non dovevi dare nulla a Yuffie?” chiese Aerith. Non so perché, ma sentivo che c’era un po’ di malizia nella sua voce, e questo non mi piaceva.

Cloud tirò fuori dalla tasca una specie di cellulare e me lo diede, il tutto senza fiatare, ovvio. E mi sembra anche inutile dire che me ne dovevo uscire con una cretinata.

“Cos’è, ora mi chiederai di uscire?”.

Idiota, idiota, idiota, questa te la potevi DAVVERO risparmiare. Sei una deficiente.

Non so descrivere la faccia con cui mi guardò. Allucinata penso che fosse il termine più giusto. Io mi limitai ad aggrottare un ciglio e dire un atono “Beh?”. Mi resi conto solo dopo che mi guardavano tutti come se fossi stata un’aliena. Gente, dopo questa avevo sicuramente fatto colpo. Già, in senso negativo. State sicuri che se cominciavo a piacere loro, ogni dubbio se n’era andato. Mi ero scavata la fossa. Il biondino era completamente impallidito, non se l’aspettava. Le ragazze avevano sbarrato gli occhi, il mitragliatore se la rideva e Red … guardava. Sembrava non capire bene le meccaniche umane, gli animali non avranno avuto la concezione di “appuntamento”.

Poveretto, un po’ ti compatisco. Se non altro per aver avuto la sfortuna di trovare me, ti farò dannare più di quanto tu non farai dannare me. Ben ti sta, biondo.

Sì, avevo deciso che lo volevo mandare fuori di testa. Prima che lui mandasse fuori di testa me.

1 a 0 per me, SOLDIER. Palla al centro, ma stai sicuro che il prossimo punto sarà di nuovo mio.

L’avevo presa come una cosa seria, ormai era nella mia testa che lo avrei massacrato prima di fregarmi tutte le sue Materia. Ben gli sta, così impara a prendersi gioco di me.

“Allora, come funziona il piano, capo?”.

“…………”

“Simpatico, sono riuscita a farti zittire. È forse un record o cosa?” continuavo a punzecchiarlo, volevo vedere fino a che punto avrebbe resistito. Cielo, nessuno sa come stavo godendo nel vederlo ribollire di rabbia. Lo odiavo. Davvero, senza scherzi.

“Yuffie, lascialo perdere”. Ecco, giusto della voce della coscienza avevo bisogno in quel momento, altrimenti chi mi avrebbe più fermato. Il mio buonsenso felino, alias Red XIII, mi convinse a lasciare in pace testa-a-punta. Era completamente sbiancato. Cominciavo quasi a pentirmi di essermi comportata in quel modo. Ma solo ripensare a come mi aveva trattato LUI, il giorno prima, mi fece passare ogni risentimento.

“Penso che dovremmo trovare il modo di entrare da lì” disse Tifa indicando una porta enorme con un fante della Shinra di guardia. La ragazza sembrava infastidita da quello che avevo fatto, ma sinceramente non ne capivo il motivo. Va bene, potevo aver esagerato, ma in fondo che le importava?

“Ooook, gente, lasciate fare a me, sono un asso nel trattare, ci penso io!” dissi fiera di me. E chi mi diceva che avrebbero lasciato a me l’incarico?

“Ma desteremmo sospetti così!”. Aerith non aveva torto, ma non c’era altra scelta.

Un attimo, perché diamine mi sto scervellando a pensare a come aiutarli?!

Ad un tratto, arrivò Priscilla, la bambina del giorno precedente. “Se volete andare nella parte alta, non potete certamente passare della torre sulla spiaggia, ha un alto voltaggio e potrebbe essere pericoloso! Però … Forse se Mr. Dolphin vi aiutasse potreste passare senza problemi”.

Ottimo, ci mancava solo l’aiuto di un delfino. Certo che questi stanno messi proprio male.

Arrivammo al compromesso che Cloud avrebbe fatto l’eroe e sarebbe andato a friggersi sulla torre ad alto voltaggio e noi, grandi sfigati, ci saremmo salvati la pelle passando della via più normale. Con tanti auguri e a mai più rivederci, fai l’eroe e crepa.

Un problema in meno, il mio più grande ostacolo fatto fuori. Cosa voglio di più dalla vita?

Lasciammo il biondo sulla spiaggia a giocare col delfino e a beccarsi una polmonite stando in acqua, mentre noialtri andammo al portone. Mi misi a parlare col fante lì di guardia, e in poco tempo arrivai al compromesso che ci avrebbe fatto passare se gli avessimo dato una manciata di guil. Passammo e ci ritrovammo su un enorme montacarichi.

“Bene bene, ho fatto il mio lavoro. Ora però non vorrete mica girare lì in mezzo così conciati?” dissi appoggiandomi alla ringhiera dell’elevatore.

“Beh, in effetti  così siamo troppo riconoscibili … Dovremmo procurarci delle divise da fanti, così passeremo inosservati” propose la fioraia.

“Nessun problema, ci penso io a recuperare le divise” dissi con un mezzo sorriso. Allora essere una ladra non era così inutile.

“E come fai a procurartele?” mi chiese la barista.

“Cara, se non avessi tentato di rubare le vostre Materia non sarei qui … Rubare è il mio lavoro. E non ti preoccupare, non vi metto nei guai, nemmeno se ne accorgeranno”.

“Cosa si è messo in testa quel mezzo SOLDIER, ha reclutato una ladra!” gridò l’uomo-mitra.

“Ehi, ehi, piano con le parole, lo dici come se fosse un crimine!”.

Idiota, rubare È un crimine.

Arrivammo in cima. Mi intrufolai nello spogliatoio e cercai quanto più potevo. Sfortunatamente, trovai solo tre divise da fante. Il meglio che potevo procurarmi in alternativa erano delle divise da marinaretto.

“E vada per quelle … Lo sento, mi dovrò vestire così”. Una smorfia di disgusto si disegnò sul mio volto, mai avrei immaginato di ridurmi così. Tornai indietro col bottino e spiegai il problema che si era venuto a creare. Inutile dire che la soluzione fu quella che temevo: mi dovevo vestire da marinaretta. Ciò che mi fece ridere fu il fatto che Barret mi faceva compagnia: sembrava … un orso con un marshmallow addosso. Orripilante, sul serio.

Vestiti in questo modo, riuscimmo ad entrare nella zona senza problemi. Quando vidi il luogo in cui dovevamo ficcarci, rischiai l’infarto: una nave. Pensavo di morire. Il fatto è che soffro terribilmente di mal di mare e mal d’aria, cose da non riuscire a tenere il pranzo nello stomaco.

“Dobbiamo nasconderci lì … Mi raccomando, per nessun motivo devi toglierti il travestimento” mi spiegò Red XIII. Era così buffo vederlo su due zampe con indosso una divisa da fante che non potei fare a meno di ridere.

Sono tipi strani, ma almeno sembrano simpatici.

Entrammo dentro. Vidi un gruppo di tre fanti che marciavano davanti a … Rufus Shinra. Era lì, con la sua perfezione schifoltante. Sì, schifosa e rivoltante, schifoltante. I capelli tra il rosso e il biondo perfettamente ordinati, il vestito perfettamente bianco, lo sguardo perfettamente fisso. Troppa perfezione in un uomo così schifoso, il capo di tutti quei vermi della Shinra. Gli sarei voluta saltare addosso e squartarlo vivo, ma qualcosa mi disse di trattenermi. Tra l’altro, mi sembrava che uno dei tre fanti mi avesse notato. Mi ritirai dietro ai cassoni che mi nascondevano.

Mah, sarà stata la mia testa bacata.

Terminata la marcia, Rufus se ne andò e i fanti scapparono tutti via. Ma uno entrò nella nave. Era stranamente circospetto. Il portellone si chiuse, e quello cominciò a guardarsi intorno. Volevo andare da lui e capire chi diamine era, ma la nave partì. Il suo inizio, la mia fine. Mi fermai di botto, lo stomaco mi si contorceva. A breve, avrei vomitato. Lo sapevo. L’unica cosa che mi avrebbe potuto aiutare era un Tranquillizer, trovalo lì però. Non è che potevo andare dal primo marinaio che c’era e chiedere: “Ehi, non è che mi puoi dare qualcosa per non dare di stomaco? Sai, soffro il mal di mare”. Sarebbe stato ridicolo, oltre che imbarazzante. Ma dico, di cinque che eravamo, proprio a me dovevate far fare il marinaio? Io che ho il mal di mare?

Mi appoggiai ai cassoni, cominciavo anche ad avere i capogiri. Forse sarei svenuta nel giro di cinque minuti, mi avrebbero portato in infermeria e tanti saluti. ZAC! Scoperta. Gettata in mare perché clandestinamente a bordo. Vidi il fante avvicinarmisi. Non potevo sfoderare lo shuriken, non solo perché mi avrebbe causato l’espulsione diretta dalla nave, ma anche perché non ne avevo la forza. Mi si piazzò dietro e cominciò a guardarmi.

“Mal di mare?”. Voce familiare, ti avrei risposto.

Non dare nell’occhio, ricordati.

“Hmm, un pochino”.

“Fai poco l’orgogliosa, stai male” mi disse il fante. OrgogliosA? Bene, scoperta. Fregata, fregata in prima linea.

“Come hai fatto a capire che sono un ragazza?!”.

“Perché ancora non sono stupido, Yuffie. E per la tua gioia, i cavi elettrici non mi hanno ammazzato”.

“Non ti avevo riconosciuto così conciato. E così, già ci eri passato, eh? Cosa si prova a tornare indietro a quando si era una nullità?”.Ora che avevo realizzato che era Cloud, non potevo certo starmene zitta. La lotta era ricominciata.

“Assolutamente nulla”. Non sembrava scosso per niente dalla domanda. Io, invece, ero scossa a causa delle onde. Non volevo cedere a chiedergli di aiutarmi, non lo avrei mai fatto. Invece fu lui a darmi un Tranquillizer.

“Perché me l’hai dato? Non ne ho bisogno”.

“Smettila di fare la bambina, non vorrai mica dare di stomaco qui. Se poi vuoi star male, affari tuoi”.

La solita gentilezza …

Presi il Tranquillizer. Non so se lo feci perché stavo talmente male da non poterne fare a meno, per farlo contento o perché mi sentivo orgogliosa del fatto che mi avesse aiutato. So solo che lo ringraziai, e lui mi disse di starmene in coperta fino alla fine del viaggio. Mi disse anche che muovermi un pochino mi avrebbe fatto bene. Se ne andò sul ponte, forse a vedere la condizione degli altri.

Strano, sembra uno che se ne intende di queste cose … Chissà che non faccia l’orgoglioso e che non stia male anche lui.

Mi misi poi a pensare sul fatto che mi avesse aiutato. Conclusi che l’aveva fatto perché avrei potuto far saltare la copertura. Sì, doveva essere così.

Quello ha il cuore di ghiaccio, non aiuterebbe mai senza un motivo specifico.

Mentre pensavo, sentii suonare l’allarme della nave. Temevo che ci avessero scoperto. Feci per andare verso le scale, ma vidi una scia di cadaveri andare verso una stanza chiusa a chiave. La sala motori. Mi chiesi come avevo potuto non accorgermi di nulla. Forse perché mi ero messa in un angolo al buio, nascosta. Ringraziai di non aver fatto quella fine e corsi di sopra. Gli altri stavano tutti bene, ero l’unica che mancava, e cominciavano a preoccuparsi.

“Se siamo tutti qui, allora perché l’allarme ha suonato?!” gridò Barret.

“C’è solo una spiegazione … c’è un altro intruso sulla nave” disse il biondino.

“Sephiroth!” gridarono tutti all’unisono.

Decidemmo che una squadra sarebbe andata a controllare. Io avevo implorato di non andare, perché mi sentivo male, ma il biondino sadico decise che la cosa migliore, giustamente, era potarmi in giro per la nave alla ricerca dell’intruso n°2. Ah, giusto, c’era anche il leone con noi.

Grazie mille, te ne sarò eternamente riconoscente. Dì la verità, mi vuoi portare perché così ti faccio da scudo umano e ti liberi di me. Bella fine, grazie del pensiero.

Arrivammo nella sala motori. Un uomo si era piantato in piedi davanti al motore principale della nave. Bellissimo, mi ricorda tanto il muro che fissavo stanotte.

Testa-a-punta aveva deciso di fare il temerario e andare a vedere chi fosse quel tipo, temendo fosse Sephiroth. Arrivato diero a lui, il tizio si girò. Aveva uno squarcio nel petto. Crollò a terra morto.

“Non è Sephiroth …”

“Ma sei un vero genio, non l’avrei mai detto” dissi.

Ad un tratto, mi sembrò che le luci si fossero abbassate. Pensavo avessi le traveggole, invece ben presto mi resi conto che anche Red XIII se n’era accorto.

“Red, non mi piace questa cosa …”.

“Ti ho già detto di chiamarmi Red XIII … Comunque, suppongo che tu abbia ragione, ho una brutta sensazione” disse cominciando a fiutare per terra.

Si sentì una voce, che diceva pressappoco “La madre sta per rinascere …”. Sì, domani, come se i morti tornassero in vita. Torna sul Pianeta, bello!

Solo quando vidi la sagoma emergere dal pavimento cominciai a temere per la mia vita, fino ad allora l’avevo presa molto alla leggera. Vidi dei capelli argentei, poi un cappotto di pelle nero … Ed infine, una lunghissima spada, circe 2 metri e mezzo ad occhio. Era lui, l’eroe, Sephiroth, di fronte a noi. E se era vero che era impazzito, eravamo in guai grossi. Nonostante tutto, il biondino, che era davanti, non si scompose, continuava a fissarlo con odio. Sephiroth se ne volò via, lasciandoci come regalino un qualche pezzo di braccio di un alieno, che presto cominciò a mutare. Era un essere orrido, enorme, tendente al grigiastro, con tentacoli e una specie di coda attaccata a quell’ammasso di corpo che si poteva definire come gambe. Era la prima forma di Jenova che avremmo affrontato: Jenova Birth. La battaglia non fu troppo difficile, fortunatamente ce la cavammo con poco, giusto qualche piccolo graffio. Io ero sicuramente quella messa meglio, combattevo a distanza, quindi giravo alla larga dai mostri; Red XIII era forse quello messo peggio, perché usava morsi e graffi per attaccare, quindi andava a diretto contatto con chiunque. Cloud aveva qualche graffietto, poteva sopravvivere.

Il mostro bellamente sconfitto era tornato il tentacolo che era in partenza, e lentamente si dissolse, lasciando abbandonata una Materia rossa come il fuoco: era Ifrit. Mi gettai a prendere la Materia … o meglio, tentai di, ma SOLDIER mi disse che l’avrebbe presa lui.

E ti pareva,mai una volta che riesco ad avere qualcosa anch’io.

Uscimmo dalla stanza e ci riunimmo agli altri, che cominciarono a discutere dell’accaduto. Io, come al solito, mi limitavo ad ascoltare. In breve arrivammo alla nostra nuova fermata: Costa del Sol. Ne ho già parlato, no? Quella bella cittadina sul mare, con una spiaggia deliziosa per le gite … Bella finché non scopri che è l’ennesimo giochetto della Shinra per accalappiare gente. E il bello è che ci cascano pure. Finalmente toccammo terra: il primo impulso che ebbi era quello di gettarmi a baciare il suolo, ma una volta tanto decisi di trattenermi. Eravamo finalmente liberi da tutti quei travestimenti … Tutti meno che Barret, che per qualche arcana ragione aveva ancora il completo da marinaretto indosso.

“Barret, hai intenzione di rimanere così vestito?” chiese Tifa. In effetti, me lo chiedevo anch’io, dato che non era il suo tipo di vestiti. L’ho già detto che era orripilante?

“Fa talmente caldo che mi si sono incollati i vestiti addosso” rispose l’uomo.

“Carino, sembri un orso con un marshmallow addosso … Consolati, puoi usarlo come pigiama” commentò il biondo.

Eh no, oltre a rompermi le scatole ora mi copi anche la battute? E poi … Aspetta, ma come diamine ha fatto a pensare la stessa cosa?!

Rimasi un attimo perplessa, ma non ci feci molto caso. Aerith aggiunse che Barret era carino, non stava poi tanto male, mentre Red XIII disse:

“Possiamo sbrigarci, per piacere? Il caldo sta seccando il mio naso”.

“Già, anche il mio!” soggiunsi, guardata perplessamente da tutti. “Che c’è, è vero!”.

Dopo il mio intelligente intervento, decidemmo di muoverci dal porto. Decidemmo di fare tappa alla spiaggia, non tanto perché volevamo fare il bagno, ma perché passando davanti alle scale che conducevano ad essa Cloud aveva notato una “faccia nota”. Arrivati sulla spiaggia, scoprimmo chi era la faccia nota: un certo Hojo, che da quanto ne sapevo era il responsabile del dipartimento scientifico della Shinra. Lo scienziato pazzo, detto in termini spiccioli. Era circondato da un gruppetto di tizie in bikini, saranno state tre.

Ma che ci trovano in uno così? Fosse almeno uno della Shinra, ma bello … Chessò, uno alto, biondo e con gli occhi azzurri …

Mi resi subito conto di quello che avevo detto fra me. Guardai un attimo la persona che fra me avevo ritratto. Se non fosse stato un maleducato e un cafone, nonché un musone, forse un pensierino avrei potuto farcelo, ma dato che era quello … No, assolutamente no. E poi, era stato con la Shinra.

A proposito di lui, aveva deciso di andare a parlare con quell’Hojo. Non sembrava ci fosse un bel rapporto fra i due, così come con tutti gli altri. Mi guardava come se fossi stata un’aliena, forse perché si chiedeva dove mi avessero acchiappato, chissà. Scoprii ascoltando che di bello questo Hojo aveva fatto parecchio: aveva tenuto chiuso in un laboratorio Red XIII, voleva usare Aerith come tester per altri esperimenti … Già, perché a quanto pare Aerith era l’ultima Cetra, o Antica che dir si voglia, in vita sul Pianeta. Hojo aveva una risata sguaiata, proprio da scienziato pazzo … Non mi piaceva per niente.

“Prendilo a calci nel sedere, magari ci dice qualcosa” dissi a Cloud. Si limitò a scuotere la testa, come per dirmi di no.

Cavolo, fossi stata in lui lo avrei già gonfiato.

Aerith cominciò a martellarlo di domande. Hojo le chiese come stesse la madre, Ifalna, e lei rispose che era morta. Poi gli chiese se Sephiroth e Jenova erano degli Antichi. Hojo continuava a rimuginare fra sé, non voleva rispondere alla ragazza. Si sistemò sulla sdraio, continuando a rimuginare. Decidemmo che era meglio lasciar perdere, anche perché cominciava a farsi tardi e dovevamo trovare un posto dove dormire. Fortunatamente trovammo una stanza libera nella locanda locale.

Anche quel giorno, la stanza era unica, e mi toccò la stessa postazione della notte precedente. Che fortuna.

Fortunatamente non feci fatica ad addormentarmi. Anche quella notte però sognai quella canzone. Cominciavo ad odiarla.

 

Per favore, per favore continua a sorridere

Più di quanto tu stia facendo ora

Finché sorridi sotto lo sconosciuto cielo stellato

Sono soddisfatta

Volevo capire chi era a cantare. Cercai di individuare da dove veniva il canto e cominciai a camminare in quella direzione. Riuscii ad intravedere una sagoma, molto confusa. Era una ragazza, forse di 18 anni, con dei lunghi capelli corvini. Era seduta a terra. Mi avvicinai ancora, e notai che aveva due scintillanti occhi castani scuro, con dei riflessi violacei. Esattamente come i miei, era una strana coincidenza.

“Chi sei?” chiesi.

La ragazza smise di cantare. Si alzò, si avvicinò a me. Ebbi un sussulto. Ciò che vidi mi spaventò. La ragazza che cantava …

… ero io.

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Capitolo 3
*** Passi falsi ***


Capitolo 3 – Passi falsi

Quella mattina mi risvegliai ancora più sudata del giorno precedente. Non mi sarei mai immaginata una cosa del genere. Come diamine era possibile poi che fossi io a cantare? È vero, quella canzone aveva un’aria familiare, ma non avevo la più pallida idea di dove potevo averla sentita. Quando vivi nella foresta da chi la impari, dagli alberi? Non ricordavo quasi per nulla le parole.

Accidenti, mi devo impegnare di più per ricordarle … Chissà che leggendole non mi venga in mente dove ho sentito la canzone.

Ciò che più mi straniva era che fosse una canzone d’amore. Quando avevo cominciato a sognarla?

È stato prima di incontrare loro … Che strana coincidenza.

Già, e chi mi diceva che era una coincidenza?

Nel frattempo ero rimasta a letto, semi-sconvolta e con i capelli scarmigliati. Dannazione, dovevo assolutamente darmi una sistemata e vestirmi. Mi dà profondamente fastidio avere i capelli in disordine. Ok, è vero, ho i capelli corti, ma mi dà fastidio comunque. E su questo punto, no comment, so che non ha senso. Il fatto è che avere i capelli lunghi impiccia molto quando devi saltare da un albero ad un altro o quando c’è vento. Ed in cima agli alberi ce n’è parecchio.

Fatto sta che riuscii appena ad alzarmi del letto e ad andare verso il bagno che sentii la porta della stanza aprirsi. Non volevo che mi si vedesse in disordine, almeno mantenere quel poco di dignità che avevo … Sempre che avessi ancora avuto un po’ di dignità. Mi precipitai in bagno e chiusi a chiave la porta. Il pericolo era passato. Tirai un sospiro di sollievo, ce l’avevo fatta. E senza cadere in qualche tappeto, incredibile. Mi voltai soddisfatta, andando verso il lavandino. Peccato solo che lungo la strada inciampai … sì, proprio nel tappetino della doccia. Capitombolai per terra.

“Dannato tappetino …” mugugnai da per terra. Mi alzai un po’ dolorante.

La giornata comincia davveeeero male. Già so che finirà peggio.

Con questa convinzione nella testa, mi sistemai per bene. Mi sciacquai la faccia, mi lavai i denti e mi spazzolai i capelli. “Una ninja ordinata è una ninja vittoriosa”, diceva il mio maestro. Peccato che non avessi mai avuto un maestro, era una frase che mi ero inventata io. Il mio maestro, tristemente, ero me stessa.

Mi guardai allo specchio sorridente, strizzandomi l’occhio. L’allegria, meno male che anche in tempi bui mi era rimasta. Era la mia migliore amica.

Mi autocompatisco per questo.

Uscii dal bagno e scoprii chi era il misterioso visitatore … O meglio, dovrei dire LA visitatrice. Tifa aveva deciso di venire a dare un’occhiata. Diciamo più che altro che non aveva scelta, perché gliel’aveva ordinato qualcuno … Ma bravi, proprio il biondino. Che nervi, non avevo bisogno di un servizio di babysitteraggio. Soprattutto non se era lui il babysitter.

Uscimmo dalla locanda. Fuori faceva un caldo incredibile e il sole era bollente. Non a caso si dice che a Costa del Sol è sempre estate, chissà perché. Ed era Dicembre. Erano già tutti riuniti fuori della locanda, mancavo solo io. Per soddisfazione personale, avrei voluto un giorno svegliarmi per prima. Tanto per vedere la SUA espressione e, perché no, sbatterglielo in faccia. Ma conoscendomi, non ci sarei mai riuscita.

“Scusate per il ritardo, non è suonata la sveglia … E sì, so che non abbiamo una sveglia, è un modo di dire” affermai stroncando sul nascere ogni possibile contestazione.

“Bene, ora che ci siamo tutti direi che possiamo andare, no?” Aerith sfoggiò uno dei suoi migliori sorrisi. Era davvero spontanea, quasi la invidiavo. Mi chiedevo come facesse.

“Allora, che si fa, ci si divide di nuovo?” chiese Red XIII.

“Direi di sì, ancora ci stanno cercando, non è sicuro viaggiare tutti insieme” rispose Cloud.

“Ehi, piano, SOLDIER, perché devi decidere sempre tu?!” gridò Barret. Si sentiva aria di discussione … “Fantastico”, pensai con un sorrisetto che non prometteva nulla di buono. Cloud mi vide, e io girai subito la testa facendo finta di niente. Poi pensai che forse mi sarebbe convenuto entrare nelle sue grazie. E si sa, quale metodo migliore per ingraziarsi gli uomini, specialmente se orgogliosi, se non dargli ragione?

“Beh, andiamo, in fondo è il capo, lo saprà cos’è più giusto. E poi, se ti dà fastidio che scelga lui, perché hai approvato a farlo coordinatore del gruppo?”.

“Ha deciso da solo, non gliel’ha chiesto nessuno!”. Ok, l’uomo mitragliatore restava fermo sulla sua posizione. E Cloud mi guardava.

Cosa vuoi? Non ti sto aiutando così a vuoto, se è quello che pensi. Ogni cosa ha un suo secondo fine, imparalo.

“Senti, io qui sono l’ultima arrivata, ma mi permetto di dire che se non ti va bene, te ne vai”. Non l’avessi mai detto. Il finimondo. Quello cominciò a gridarmi contro, utilizzando un linguaggio anche piuttosto … colorito, insomma. Tifa ed Aerith tentarono di bloccarlo, altrimenti, sarebbe venuto ad ammazzarmi in un accesso d’ira. Mi limitai a guardarlo perplessa, dargli le spalle ed allontanarmi a testa alta.

“Ma questo fa sempre così? È matto o cosa?” chiesi al biondo, che per tutta risposta mi guardò perplesso e mi disse: “Dimmi la verità, hai deciso di farti ammazzare da Barret?”.

“Se mi uccidessero per ogni volta che faccio così, a quest’ora sarei morta e resuscitata un buon centinaio di volte”. Red mi fecce cenno di finirla lì, le ragazze erano riuscite a calmare Barret e Cloud … era decisamente perplesso.

Sì, caro, sono una ragazzaccia che provoca la gente anche se è il doppio di me. Problemi?

Alzai gli occhi al cielo. Certe cose potrei anche risparmiarmi dal pensarle.

Riuscimmo finalmente a giungere ad un accordo: ci saremmo divisi. Toccava decidere le squadre. Ero sicura che sarei stata liquidata con le ragazze, si sarebbero messe a parlare di cinema, vestiti e ragazzi e avrei fatto la figura dell’imbecille emarginata. E invece no, udite udite. Per l’ennesima volta, il SOLDIER aveva deciso di prendere me e il leone con lui. Ero allibita. Il gruppo si separò, fissando come prossimo punto d’incontro North Corel, per poi andare al Gold Saucer.

“Andiamo al Gold Saucer? Intendi il gigantesco parco dei divertimenti al centro del continente?” chiesi con occhi sognanti.

“Sì, il posto più agevole per incontrarci è North Corel, già che siamo lì possiamo fare un salto al Gold Saucer” mi rispose Cloud. Ero al settimo cielo, era da quando ero bambina che sognavo di andare in quel posto. Sarà anche stato costruito dalla Shinra, ma era un posto troppo bello per non desiderare di andarci.

“Ho sentito che è colmo di attrazioni interessanti. Sarà piacevole stare lì per un po’”.

“Stai scherzando, Red? PIACEVOLE? Sarà divertentissimissimo, altro che piacevole!”.

“Mi chiamo Red XIII … Fa nulla, ci rinuncio”.

“Evita di sprecare tempo a ripeterglielo”.

“Oh, andiamo, ti ho anche difeso prima, almeno sii un po’ più gentile! Non chiedo molto! Non ti sto chiedendo di togliere il muso e sorridere gridando quant’è bella la vita, voglio che mi tratti con un po’ di gentilezza! Sono una persona, pretendo di essere trattata come tale!”.

“Hai finito di lagnarti?! E prendi fiato quando parli!”. Ecco, lo sapevo, non era possibile trattare con lui senza entrare in un loop e discutere all’infinito. Per fortuna Red XIII ci interruppe, ricordandoci che il nostro obiettivo era andare a North Corel, e non passare la giornata a Costa del Sol a litigare.

 

Erano ore che camminavamo. ORE, infinite ore. Non ne potevo più. E come al solito cominciai a lamentarmi.

“Uffaaaa, quanto ancora dobbiamo camminare? Io sono stanca! E poi non abbiamo un mezzo di trasporto? Faremmo molto prima! E poi c’è un sole terribile, fa caldo e la mia pelle è sensibile ai raggi solari, rischio di ustionarmi!”.

“Qualcos’altro? Milady vuole anche un principe a cavallo e un castello pieno di tesori?” disse Cloud irritato dalle mie lamentele.

“Beh, i tesori non mi dispiacerebbero … Sarei disposta a sposarmi il principe, prendermi i tesori e poi scappare”.

“Opportunista …”.

“Ti ringrazio, è bello vedere che gli allenamenti danno frutti …”.

“Pensavo fosse una dote naturale, sapere che ti impegni anche non ti fa onore … Per essere davvero brava ad essere rompiscatole lo devi essere di natura”.

Red sospirò, si era rassegnato a dover sentire le nostre discussioni. Senza accorgercene eravamo arrivati sulle rotaie del Monte Corel, e davanti a noi (dietro per me che camminavo all’indietro) c’era un ponte alzato, davanti al quale erano fermi Aerith, Tifa e Barret. Cominciai a correre verso di loro per capire come mai non lo avevano abbassato, interrompendo sul più bello la discussione. Non mi ero accorta che le rotaie facevano un rumoraccio quando ci correvo sopra, ed alcune travi erano anche traballanti. Cloud, che invece se n’era accorto, mi gridò di fare attenzione e di non correre, ma io andai avanti noncurante. Ad un certo punto una delle travi cedette ed io caddi. Sotto c’era il vuoto. Pensavo che fosse la fine, quando ad un tratto sentii una mano stringere la mia. Aprii gli occhi chiusi nella paura e alzai lo sguardo. Cloud mi aveva presa al volo. Mi tirò su e sospirò.

“Te l’avevo detto di non correre … Ti sei fatta male?” mi chiese.

“No, però per un attimo ho avuto paura di essere vicina alla morte … Piuttosto, come hai fatto a capire che le travi erano pericolanti?”.

“Te lo spiego io: si vedeva che traballavano, facevano rumore ed in più sono molto vecchie … Bastava fare due più due” disse Red XIII.

“Se non c’ero io, quest’ora eri già all’altro mondo …” disse Cloud con una sorta di orgoglio nella voce. Sembrava quasi soddisfatto di avermi salvato, almeno così ero in debito con lui.

Bella mossa, Kisaragi, ora può chiederti di fare qualunque cosa.

E per di più, ero stata salvata da un uomo, quello che odiavo di più al mondo. Ah, no, quello è mio padre. Riassestata la situazione, riprendemmo il cammino e raggiungemmo gli altri, che non si erano accorti dell’“incidente”.

“Ragazzi, eccovi! Come mai ci avete messo tanto?” chiese la fioraia.

“Sorvolerei su questo punto, i due qui presenti hanno deciso di entrare in una eterna discussione” rispose il leone.

“Lui provoca, io rispondo, mi pare logico” dissi. Il biondino fece scena muta.

“Il ponte è alzato e pare non ci sia modo di abbassarlo … Non sappiamo come andare dall’altro lato del fiume” spiegò Tifa.

“Avete provato con quella casetta laggiù? Forse lì ci sono i comandi per azionare il ponte”. Indicai una casetta quasi interamente nascosta dal pendio della montagna, parecchio lontana, che nessuno aveva notato. Fare la ninja mi aveva insegnato a prestare molta attenzione ai dettagli. Andammo a controllare tutti insieme la casetta: ed in effetti dentro c’erano proprio i comandi del ponte. Purtroppo nessuno di noi sapeva come azionarlo.

“Ragazzi, fate fare a me, so come farlo partire!” dissi con fierezza.

“E quale leva bisogna tirare?” chiese Aerith osservandomi con curiosità.

“Oh, non lo so, ma a forza di muoverle prima o poi troverò quella giusta!” risposi convinta. Peccato solo che gli altri non concordassero con il mio metodo.

“Non vorrai mica bloccarlo?! Togliti di lì e non toccare nulla!” mi disse testa-a-punta. Che odio.

“Perché, tu hai un metodo migliore? Vai, prego, alzalo se ne sei in grado”.

Cominciò ad analizzare le leve, ed ero convinta che avremmo fatto notte a guardare le leve colorate.

Ma che carine, peccato che ne dobbiamo scegliere solo una. E tanto già so che farai la conta per decidere quale abbassare.

Alla fine si decise ad abbassare la leva gialla, ed il ponte cominciò a scendere. Mi rodeva incredibilmente, come aveva fatto ad indovinare al primo tentativo?!

“Visto? Bastava pensarci un attimo”.

“Tieniteli per te i tuoi pensieri! È stata tutta fortuna!” ero davvero arrabbiata. Uscii dal capanno e mi misi in un angolo a guardarmi nell’acqua. Che ODIO. Arrivò Red XIII.

“Che ti è preso? Hai dato di matto là dentro. Perché ti sei arrabbiata tanto?”.

“Non lo so. Mi dà fastidio che abbia ragione in ogni singola dannatissima cosa. È fastidioso. No, aspetta, fastidioso è poco”.

“E tu pretendi sempre di avere l’ultima parola in capitolo. Direi che su questo punto andate molto d’accordo, motivo per il quale non la smettete di litigare” osservò il leonlupo.

“È lui che comincia, è sempre lui! E chiudiamo qui il discorso, non ho voglia di andare oltre”. La verità è che volevo chiudere il discorso perché non sapevo nemmeno io cosa mi fosse preso. Quando il gruppo si riunì, nessuno accennò al mio comportamento. Si ribadì solo il punto di incontro, poi ci dividemmo di nuovo e ci rimettemmo in marcia. Non dissi più una parola fino a North Corel. Mi volevo sotterrare.

 

Arrivammo a North Corel non molto dopo, forse un paio d’ore. Gli altri erano già lì, e Barret era circondato da un gruppetto di gente del luogo. Sembravano ostili, da quello che mi parve di sentire dicevano cose come: “Hai fegato a tornare qui!” e: “È colpa tua se North Corel è ridotta così!”. In effetti, la città non era proprio in buono stato. Sempre se si poteva chiamare quella città. Più che altro era un ammasso di tende locato vicino ad un reattore Mako. Il complesso delle due cose non la rendeva certo una vista piacevole. Barret si lasciava picchiare dai quei tizi, e non ne capivo il motivo, grosso com’era li poteva stendere tutti in un colpo.

Tanto siete tutti uguali, fate gli orgogliosi e siete i primi a subire.

Diceva di essere dispiaciuto. Beh, se la colpa era veramente sua, dire che era dispiaciuto non era decisamente abbastanza. Alla fine la gente del luogo si rese conto che non valeva nemmeno la pena perdere tempo a parlarci. Venne da noi sconsolato, dicendoci che era colpa sua se la città era ridotta in quello stato.

Ma dai, non l’avevo intuito.

Poi il mitragliatore umano se ne andò via correndo. La gente del luogo, per colpa sua, era ostile anche con noi, non eravamo i benvenuti. Solo un vecchietto ci disse che la funivia per il Gold Saucer stava per arrivare e ci indicò la strada per la stazione. Ci recammo lì e trovammo Barret.

“Si può sapere perché tutti qui in città ce l’hanno con te? Cosa hai fatto di male?” chiese Aerith, visibilmente dispiaciuta per il trattamento subito da Barret.

“È colpa mia se la città è stata distrutta …” rispose.

“Cos’è successo, Barret?” chiese Cloud. Non voleva mollare. Come sempre d’altronde. Era un impiccione, non erano affari suoi.

“La mia città si trovava qui …”.

“Perché si trovava? Non è forse questa?” obiettò Red XIII.

“Fino a circa quattro anni fa, in questa zona c’era la mia città, Corel. In quel periodo, Corel era una città che usava solo il carbone. Non conoscevamo il Mako. Un giorno, la Shinra ci propose di costruire un reattore. Eravamo tutti a favore. Tutti tranne il mio migliore amico, Dyne. Alla fine, a forza di suppliche e persuasioni riuscimmo a convincerlo a far costruire il reattore. Sembrava andasse tutto bene, ma … Un giorno, mentre eravamo fuori città, la città venne bruciata dalle truppe della Shinra. Quando tornammo, non c’era più nulla da fare …”.

“Perché la Shinra ha bruciato Corel?!”.

“SOLDIER, pensavo che dopo un po’ di tempo nella Shinra avessi capito come funzionano le cose lì dentro. Quelli vedono i pericoli zampillare da ogni dove, spuntare come funghi. Avranno pensato ad un attacco terroristico o cose del genere” dissi.

“Infatti. Il reattore fu trovato danneggiato e si pensò ad un attacco terroristico. La Shinra incendiò la città per punirli … Ma loro non c’entravano nulla …”.

“È terribile …” commentò Tifa.

“Odio la Shinra … Ma più di loro odio me stesso. Se non avessi convinto Dyne ad approvare la costruzione del reattore, non sarebbe successo nulla …”.

“Non è stata colpa tua, Barret. Tutti ci siamo lasciati ingannare dalla Shinra”. Tifa tentava di consolarlo. Avrebbe fatto meglio a lasciar perdere.

“Non è stata solo distrutta la città … Quel giorno è morta anche mia moglie Myrna …”.

Il conducente ci gridò di sbrigarci a salire se volevamo andare al Gold Saucer. Barret e Cloud salirono.

“La verità è che la colpa è tutta di Barret. Non avrebbe mai dovuto fidarsi della Shinra. Va sempre a finire così, distruggono tutto ciò che vedono. Ed io … io ne so qualcosa. Non solo Corel ha patito per colpa loro” e con questa frase sibillina, che lasciò intendere forse qualcosa del mio passato, salii sulla funivia, seguita dalle ragazze e Red XIII.

 

Il viaggio in funivia non era stato affatto piacevole. Barret era sgarbato con tutti, voleva essere lasciato in pace, e gli altri non dissero una parola. Mi misi a fischiettare una musichetta allegra, così, tanto per. Mi stavo annoiando a morte. Ma a quanto pare, se giravano a Barret era vietato anche quello. Mi beccai un “Ma la vuoi smettere?!” nell’orecchio, dato che era toccato a me sedermi vicino a lui. O meglio, mi ero messa lì perché non volevo stare in piedi, e la panca era una sola.

Arrivammo finalmente al Gold Saucer. Il mondo del divertimento e dello spasso. Ero … sia al settimo cielo per essere in un luogo del genere, sia schifata dal fatto che quel posto fosse stato costruito dalla Shinra. Per usare uno dei miei termini, ero eccifata, eccitata e schifata. Fatto sta che forse alla fine l’eccitazione prevalse. Scesi dalla funivia, inciampando in un gradino che non avevo notato. Persi un po’ l’equilibrio, sembrava fossi riuscita a rimettermi in piedi, e invece … Capitombolai per terra, travolgendo in un colpo Red XIII e Cloud. Quest’ultimo sembrava abbastanza irritato.

“Ma vuoi stare attenta a dove metti i piedi?!”.

“Scusa scusa, sono inciampata, non ho visto il gradino …” tentai di giustificarmi. Beh, in effetti il gradino non l’avevo davvero visto.

“Ma dove hai la testa, fra le nuvole?!”. Intanto Red mugugnava da sotto di spostarsi.

“Ti ho chiesto scusa, mi dispiace! Mi ero distratta a vedere tutte queste luci e non ho guardato per terra …”.

“Ho notato … Ti potresti gentilmente alzare?” disse tentando di riacquistare la calma. Intanto Red aveva abbandonato ogni tentativo di farsi sentire.

Aerith mi diede una mano ad alzarmi, chiedendomi se mi fossi fatta male, mentre Tifa aiutò Cloud. E sentii di nuovo quella sensazione così strana. Quel fuoco dentro, la rabbia … era uguale, se possibile mi sentivo bruciare di più. E non me ne davo ragione. Distolsi lo sguardo per non pensarci e cominciai a guardare il pavimento.

“Yuffie, mi sembri un po’ rossa … Sicura di stare bene?” mi chiese Aerith. Nel frattempo Red XIII, finalmente libero, tentava di riacquistare il fiato, mentre Barret si era messo in un angolo fregandosene altamente di tutti.

“Rossa, dici? Mah, sarà il caldo … Con tutte queste luci, farà almeno 40° … Mi sembra di essere tornata a Costa del Sol” dissi cercando una scappatoia. Aerith mi guardò perplessa.

“Ma come fai ad avere caldo?” mi chiese squadrando il mio vestiario. In effetti, poteva sembrare ridicolo. Anzi, ERA ridicolo.

“Non lo so, ma sono sempre stata molto calorosa!” troncai il discorso. Andai da Red XIII e mi scusai anche con lui per averlo investito, chiedendo se stesse bene. Mi rispose che dovevo essere un po’ sorda, perché non avevo sentito che mi chiedeva di alzarmi.

“Scusami, ma in fondo, l’importante è non essersi fatti male, no?” dissi sorridendo e ridacchiando. Un atteggiamento finto quanto le promesse della Shinra. Ma dovevo pur ingraziarmeli, e questo era l’unico modo.

Riassestata la situazione, ci avviammo alla biglietteria. Pagammo il biglietto: ben 3000 gil. Che ladri, si vede che siamo comunque in territorio Shinra. Finalmente entrammo: ci trovammo in una piazzetta gialla con tanti tubi che portavano alle zone del parco. Il giallo era un colore che mi dava sui nervi, ma se si trovava su soldi o Materia, allora diventava il mio colore preferito. Colore delle Materia = mio colore preferito. Semplice come cosa, no?

Barret era alterato dallo stare in un parco divertimenti. Cominciò a gridare che stare lì non aveva senso, che non era il momento di divertirsi e bla bla bla. Fanfarone, era un vero fanfarone. Ma chi lo ascoltava quando parlava? Io no di certo. Per fortuna decise di andare a sbraitare altrove. Saltò in uno dei tubi e via. A volte il cielo ti fa dei piccoli regali.

Cominciai ad osservare i vari simboli delle zone … Battle Square, Chocobo Square, Wonder Square … ce n’era per tutti i gusti. Non sapevo davvero da che parte incominciare. Ero trepidante, volevo andare in giro e divertirmi. E perché no, magari anche fuggire da quella banda di pazzi.

Non puoi ancora, dimentichi le Materia. Senza quelle, tu non ti schiodi di qui.

Sospirai, pensando a quanto ancora mi sarebbe toccato stare con loro. Decisi di fare la conta per decidere dove andare prima. Cominciai a contare fino a quaranta. Ma persi il conto.

“Uhm, a che numero ero arrivata? Era ventidue o ventitré? E poi quale piazza stavo indicando?” sussurrai tentando di ricordare, mettendo la punta dell’indice sulle labbra e alzando gli occhi. Cloud mi si avvicinò.

“Che diamine stai facendo?”. Gli avrei risposto che non era affar suo, ma mi diedi una controllata. Dovevo ingraziarmeli, la priorità era quella.

“Decidevo dove andare … È che non sono mai stata qui, fosse per me visiterei tutto! Ma il tempo è poco e non posso vedere tutto insieme … Solo che non so da dove incominciare!”. Facendo finta di niente, ricominciai a contare. Cloud mi guardava con un misto di curiosità e perplessità, e non accennava ad andarsene. Pensavo che volesse qualcosa, ma dato che non parlava, ci pensai io, anche se questo mi fece perdere di nuovo il conto.

“Mi devi dire qualcosa?”.

“Chi, io?”

“No, io. Certo, tu, vedi altre persone che mi stanno appiccicate come la colla?”.

“Non ti sto appiccicato come la colla!” disse voltando lo sguardo al muro.

“Allora, si può sapere cosa vuoi o no?” mi stava irritando, o parlava o mi lasciava in pace.

“Ecco … Mi chiedevo se volessi andare a fare un giro per il Gold Saucer” sussurrò cominciando a guardare per terra.

“Con gli altri? Mah, non saprei, ma in generale …”.

“Non con gli altri, con me”. Stavolta fu il mio turno a cominciare a fissarlo.

“Prego?” mi aveva spiazzato. La cosa puzzava. Ci doveva essere qualcosa sotto.

“Ho detto se …”.

“L’ho capito cosa hai detto, non sono sorda!”.

“Allora?”.

“Beh, tanto in giro ci volevo andare, a questo punto … Basta che non cominci a sbraitare come al solito!” dissi fingendomi offesa. In realtà mi sentivo … felice. Non so perché, ma quando me l’aveva chiesto, il mio cuore aveva cominciato a battere all’impazzata. Non capivo. Cosa mi stava succedendo?

“Fare un giro non vuol dire rimanere impalata con lo sguardo assente” mi disse Cloud, svegliandomi da uno stato di quasi catalessi. Cominciammo il nostro giro andando alla Speed Square. Qui incontrammo un tizio chiamato Dio, che ci disse di essere il proprietario della struttura. Era un tipo piuttosto strano. Era vestito con un … perizoma. Rivoltante. SOLDIER gli chiese se avesse visto un tizio vestito di nero e quello rispose che era passato di lì cercando una certa “Black Materia”. Quando se ne andò tirai un sospiro di sollievo, se non altro perché non c’era più quella vista nauseabonda.

“Esistono davvero uomini che girano con quella roba addosso?! Orribile. Davvero, è piuttosto sconcertate” commentai.

“Attenta, ci sono telecamere ovunque, magari in questo momento ti sta ascoltando e sta mandando della gente a prenderti per quello che hai detto” rispose il biondino riprendendo a camminare.

“Ehi, non è carino da parte tua!”.

“Non voglio essere carino”.

“Allora avevo ragione a pensare che c’era un motivo per cui mi hai chiesto di venire!”. Si fermò.

“Sì, c’è un motivo. Non hai ancora detto a nessuno da dove vieni, chi sei, quanti anni hai …”.

“E secondo te lo vengo a dire a te? Hai fatto male ad illuderti. Ed impara a farti gli affari tuoi, non mi pare che tu sia tanto meglio. Nemmeno tu hai mai detto niente di te”.

“Sei davvero maleducata. Tua madre non ti ha insegnato a rispondere decentemente?”. Quelle parole mi fulminarono. Sul mio volto si disegnò un’espressione di tristezza e malinconia.

“Io … Io non ho mai avuto … una madre” balbettai. Cloud sembrò quasi dispiacersi per avermi fatto quella domanda.

“Mi dispiace, non l’avrei immaginato … Non …”.

“Perché, secondo te uno gira per il mondo a fare la ladra se ha una casa e una famiglia?!” gli gridai. Non avevo intenzione di rivelargli nulla, ma l’avevo fatto. Era andata. Ora mi aspettavo la raffica di domande. A cui ovviamente non avrei risposto.

“ … Sì, hai ragione. Scusami se te l’ho fatta ricordare. E comunque, capisco come ti senti”.

“Che vuol dire che mi capisci?” chiesi con un velo di tentennamento nella voce.

“Anche mia madre è morta … Ma nel mio caso, avevo sedici anni … In compenso, non ho mai conosciuto mio padre”. Incredibile. Allora anche lui aveva un cuore.

“Tu … sei orfano …”. Calò il silenzio. Mi sentivo in colpa per aver aperto quel discorso. Tra l’altro, avevo scoperto che non aveva nessuno. Ora cominciavo a capire perché si comportava così freddamente. Ma nemmeno lui riusciva a rimanere composto in una situazione come quella. Sentii di dover aggiungere qualcosa. E così, decisi di dirgli quanti anni avevo.

“Cloud … Mi hai chiesto quanti anni ho prima. Beh, ne ho sedici”.

“Sedici?! Come sarebbe a dire sedici?!” disse sconvolto.

“Sarebbe a dire quello che ho detto. Ho sedici anni”.

“P-Pensavo fossi più grande …”.

“Ah sì? Perché, tu quanti ne hai invece?”. Ora che avevo parlato doveva parlare lui. Ad occhio, avrei detto che ne avrà avuti diciannove.

“ … Ventuno”. Spalancai gli occhi e cominciai a fissarlo. Toppato. Aveva cinque anni più di me. Ora capisco l’attitudine a fare il capo e a trattarmi male, in confronto a lui ero una bambina. E lo ero anche senza fare confronti. Non solo per fisico, anche per testa.

“Caspita … Beh, sei messo male: ventun’ anni e ti diverti a fare il bambino con le ragazzine”. Evvai, la provocazione quotidiana.

Mi mancava oggi. Beh, presto o tardi sarebbe arrivata.

Non si arrabbiò più di tanto, stranamente. Sembrava ancora scioccato dal fatto che fossi più piccola di quel che pensava. Riprendemmo finalmente a camminare.

Era ora, mi si stavano paralizzando le gambe.

Andammo alla Wonder Square. Una meraviglia. C’era una struttura che sembrava quasi un casinò, e io volevo vederla. Ad un certo punto un gatto a cavallo di un Moguri gigante ci si avvicinò.

“Ehi, sembri un po’ giù! Che succede? Vuoi una predizione del futuro?” disse il gatto a Cloud. Ormai avevo fatto l’abitudine ad animali che parlano. Era un gatto nero con il muso, la punta della coda e la pancia bianca, una corona in testa, un mantello rosso, dei guanti bianchi e un paio di stivaletti. Sembrava il re di Fantasilandia. Ridicolo.

“Predici il futuro? Sei anche in grado di dirci dove si trova una persona? Stiamo cercando un certo Sephiroth”.

“Cloud, andiamo, non crederai ad un gatto! E poi, queste cose del futuro sono tutte farlocche”.

“Come scusa?! Adesso ti faccio vedere!” il gatto cominciò a fare un balletto strano, per poi darci un foglietto.

“… <> … Aspetta un attimo, cosa c’entra questo con quello che ti ho chiesto?!”. Mi scappò una risata, e presi a canzonare il gatto.

“No no no, aspetta, ci riprovo!”. Fece di nuovo il balletto e ci diede un altro biglietto.

“<> Guarda, lascia perdere, non possiamo sprecare tempo” disse Cloud.

“No, questa volta sento che è quella buona!”. Il balletto fu ancora più veloce. Ci diede l’ennesimo biglietto.

“Ma che diamine …?”.

“Fa’ un po’ vedere, voglio leggere anch’io! <> Che vuol dire?!”. Lo sapevo, era farlocco.

“Hmm … Non è mai uscita una predizione del genere. Non so se sia bene o male … Voglio venire con voi per scoprirlo!” disse il gatto.

“Come scusa?! Andiamo, non lo lascerai mica venire! Non abbiamo bisogno di un altro fenomeno da baraccone!”. Mi ero autodefinita un fenomeno da baraccone, accidenti alla mia boccaccia.

“Silenzio, hai una voce irritante!” mi gridò il gatto. Tentai di corrergli incontro per tirargli il collo, ma Cloud mi disse di darmi una calmata. Aggiunse che non avevamo bisogno di lui.

“Non mi importa, dite quello che volete, io vengo con voi! A proposito, il mio nome è Cait Sith!”. E così, il gatto ci si incollò. Che diamine voleva da noi, gli avevamo detto di no.  Era fastidioso. E poi, come si permetteva di dire che la mia voce è irritante?!

Andammo alla Battle Square. Cloud voleva parlare con quel Dio e il luogo che ci aveva dato come riferimento per trovarlo era proprio quello. Appena arrivammo trovammo una brutta sorpresa. Una scia di sangue. L’atmosfera era spenta, sembrava che la Morte stessa fosse passata a fare razzia di uomini. Un fante della Shinra giaceva esanime alla base della scalinata che conduceva alla struttura principale. Sul petto aveva segni di arma da fuoco.

“Cosa sta succedendo qui? Il Gold Saucer è sempre stato un posto tranquillo, perché sono venuti a fare guai? Non è che verranno a darci la colpa per questo?” Cait cominciava a dami sui nervi con tutte quelle domande. Tra l’altro, non era un luogo piacevole dove chiacchierare. Noncurante dell’avvertimento di Cait Sith, Cloud decise di salire all’arena, per vedere com’era la situazione lì. Non avevo affatto intenzione di restare da sola, perciò lo seguii. Venne con me anche il gatto. All’interno era ancora peggio: era stata fatta una strage. Tutti morti per colpi di arma da fuoco. C’era una delle hostess ancora viva nascosta dietro al bancone. Era riuscita a salvarsi. Le chiedemmo cos’era successo. Ci spiegò che era arrivato un uomo con una mitragliatrice al posto di una mano e aveva cominciato a sparare. Io e Cloud ci guardammo allucinati: poteva davvero essere stato Barret? Insomma, da quello che risultava era l’unico con quelle caratteristiche.

Mentre eravamo lì, arrivò Dio. Tentammo di spiegargli la situazione, ma non ci credette. Pensò che la colpa fosse stata nostra. Tentammo di scappare all’interno dell’arena, ma venimmo a trovarci in un vicolo cieco. Gli uomini della sicurezza ci presero e ci portarono via. Ci portarono in una sala di pietra, con una voragine nel pavimento. Attorno a questa, c’era un anello con una scritta: “Portale per il paradiso”. Poi fummo presi da dei robot. Stringevano piuttosto forte. Mi faceva male il braccio destro. Cominciai a gridare di lasciarmi, che mi stava facendo male, ma niente. Dio disse che era il momento di pagare per ciò che avevamo fatto. Il robot che mi teneva si avvicinò alla voragine. Ad un certo punto, mollò la presa e precipitai nel vuoto. L’ultima cosa che ricordo è un tonfo sordo, poi il buio più totale.

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Capitolo 4
*** Il deserto dei peccati ***


Capitolo 4 – Il deserto dei peccati

“Yuffie? Yuffie, svegliati”.

“Siamo finalmente riusciti a farla star zitta, cosa vuoi di meglio?”.

“Vorrei che si svegliasse, e ora vedi di tapparti tu la bocca, gatto”.

Sentendo parlare, tentai di svegliarmi. Emisi un mugugno, o qualcosa del genere, comunque un suono indefinito, attirando l’attenzione. Aprii lentamente gli occhi. Ero stesa per terra su qualcosa che a prima vista sembrava sabbia, ma non avrei potuto dirlo con certezza, vedevo tutto sfocato. Mi girava terribilmente la testa e mi faceva male tutto, specialmente la suddetta parte del corpo.

“Yuffie, come ti senti?”.

“Non so come rispondere, mi fa male tutto, mi gira la testa e vedo sfocato … tutto sommato direi che potrebbe andare meglio”. Tra l’altro, ancora faticavo a capire con chi stavo parlando. Mr. Qualcuno mi aiutò ad alzarmi, prendendomi per una mano e con l’altra sulla mia schiena. Mi misi la mano libera sulla testa.

“Scommetto che ci vorrà parecchio prima che passi …”.

“Guarda il lato positivo: col volo che abbiamo fatto, è già tanto che siamo tutti interi”.

“Perché, c’è un lato positivo? Oh, bene, ora mi sento davvero meglio. Devo farti notare che siamo chissà dove? A proposito, ti dispiacerebbe dirmi chi sei?”.

“Sei diventata cieca? Sono Cloud”.

“Te l’ho già detto che ci vedo sfocato …”. Cominciai lentamente a ricostruire quello che era successo. Il buco nel pavimento, il robot che mi butta dentro, la caduta, il tonfo. Cavolo, avevo dato davvero una bella botta. All’improvviso mi accorsi di sentire male al braccio. Ricordai che il robot mi stringeva proprio in quel punto. Quando lo guardai, vidi un livido. O meglio, INTRAvidi.

Ci mancava solo questa.

“Ti fa male?” mi chiese il ragazzo.

“Insomma, stavo meglio senza, ora me lo devo tenere. Non sarà questo a fermarmi, il problema maggiore ora è capire dove siamo”.

“Oh, facile. Ci troviamo nel deserto attorno al Gold Saucer, chiamato la Prigione del Deserto. Qui vengono spediti tutti i peggiori criminali. Pare non ci siano vie d’uscita da questo luogo. Tutto intorno alla zona ci sono le sabbie mobili, quindi l’unico modo per uscire sarebbe aggirarle”. Dato quanto quella voce era fastidiosa, avrei giurato che era il gatto a parlare. E infatti era così.

Rimanemmo ancora qualche minuto lì. Pian piano cominciò a tornarmi la vista, così cominciammo a dare un’occhiata a quel posto. Era pieno di gentaccia: le loro facce mettevano quasi paura. Senza accorgermene mi ero incollata al braccio di Cloud, che cominciò a guardarmi storto. Quando me ne resi conto, balzai all’indietro, cominciando a farneticare alla ricerca di una scusa. Cosa ne uscì fuori? Che la mia era stata una “reazione nervosa da stress”. Tutto sommato, potevo tirar fuori di peggio. Il biondo fece finta di niente e allungò il passo.

Non ne combino una giusta …

Qualunque cosa facessi, facevo un disastro. Me lo dicevo sempre che dovevo essere meno impulsiva, ma era più forte di me, non ci riuscivo. Fatto sta che dopo pochi passi vedemmo in lontananza Barret, così gli andammo incontro. Di fronte a lui giaceva un uomo morto, trucidato nello stesso modo di tutti gli altri su alla Battle Square: pallottole.

“Barret, spero che non sia stato tu a fare tutto questo”. Cloud si avvicinò a lui, che di tutta risposta gli gridò contro che aveva un affare da sistemare. La nostra mina vagante corse via, di nuovo. Il punto di partenza era sparito, dovevamo ricominciare da zero.

“Quello è un amico vostro? Sembra proprio pericoloso …” osservò il gatto.

Ma bravo, hai scoperto l’acqua calda.

“Sei un vero osservatore dell’ovvio, lo pratichi come sport? Perché se sì sei proprio bravo, meriti l’oro olimpico”. Le battute migliori, per una strana legge del cosmo, le tiravo sempre fuori nei momenti peggiori. Fui fulminata da un’occhiataccia di Cait Sith, mentre Cloud fece una faccia rassegnata.

Riprendemmo le ricerche di Barret. Girammo a vuoto per parecchio, tra l’altro sembrava che uno dei banditi lì dentro ci avesse preso di mira. Avrei giurato che ci stesse seguendo.

No, Kisaragi, ancora non hai capito: il tuo cervello è bacato. Se ogni cosa che credi fosse vera, staremmo messi davvero male.

Già, non ho tutti i torti …

Arrivammo di fronte ad una casa. Già, che cosa ci faceva una casa nel bel mezzo di una prigione? Una prigione in un deserto, poi. Mistero, non lo venni mai a sapere. Era un po’ malmessa, le tegole quasi crollavano giù dal tetto, per non parlare dei muri, l’intonaco cadeva a pezzi. Toccai il muro per vedere quanto era in decomposizione. Come lo sfiorai venne via un pezzo.

“Hai deciso di smontarla o la vuoi lasciare in piedi?” mi chiese il biondo.

“Secondo me una mano di vernice non ci starebbe male” sentenziai, fra la rassegnazione generale. Dopo la mia geniale osservazione, entrammo dentro. E dentro era ancora peggio di fuori. Divano bucato con le molle saltate come la mia pazienza, armadi rotti, vernice totalmente ammuffita. E in effetti c’era anche un certo olezzo di muffa.

“Certo che potevano sistemare un po’ la tappezzeria qui dentro! Sembra una discarica”.

“Non sembra una casa abitata, perché mai la dovrebbero sistemare?” disse Cait.

“Beh, sai com’è, se fosse sistemata magari qualcuno ci vivrebbe … Io di certo con questa puzza non ci starei nemmeno morta!”.

All’improvviso entrò Barret, spalancando la porta già penzolante con una delicatezza che la fece quasi staccare dai cardini.

Aggraziato come un elefante …

“Vi avevo detto di non venire!” gridò. Pensò un attimo, poi ci puntò contro la mano con la mitragliatrice. Sembrava in procinto di sparare, così mi nascosi dietro Cloud.

“Grazie, ho sempre sognato di fare lo scudo umano …” sussurrò.

“Ehi, ehi, un attimo, vogliamo solo parlare! Non c’è bisogno di sparare!” disse il gatto con una certa paura nella voce. Barret cominciò a sparare verso di noi, per poi fermarsi dopo un po’. Mi girai di scatto, per vedere il bandito che mi sembrava ci seguisse cadere a terra ucciso dai colpi di Barret.

Allora non me l’ero sognato.

“Non voglio coinvolgervi in questa storia, tutto qui” disse l’omone. Dalla porta comparvero le ragazze e Red XIII. Sembravano stare bene, fortunatamente.

“Sbaglio o questa è la battuta di Cloud?” disse sarcasticamente la fioraia. Barret sembrava quasi stupito dal fatto che tutti fossero preoccupati per lui. Non è forse questo quello che succede quando si hanno degli “amici”?

Chi lo sa, magari avere amici non è poi così male.

“Abbiamo sentito che nella Battle Arena ci sono stati degli omicidi …” disse Red, lasciando a metà la frase. Barret aveva capito, così decise di spiegarci la situazione. Era anche ora, dopo che era fuggito in lungo e in largo senza aprire bocca.

“Vedete, c’è un’altra persona con una mitragliatrice al posto di una mano. È successo quattro anni fa … Stavo tornando con Dyne dal reattore Mako, quando un anziano di Corel ci venne incontro, dicendo che il villaggio era stato attaccato dalle truppe della Shinra. Dalle montagne si vedevano le fiamme che bruciavano ogni cosa. Io ero … a pezzi; ma Dyne mi disse che non era finita, che potevamo ancora tornare al villaggio per aiutare. Purtroppo era tardi. Le truppe della Shinra ci avevano trovato. Uccisero il vecchio e ci presero di mira. Riuscimmo a scappare per poco, perché arrivò Scarlet, uno dei capi della Shinra, che guidò le operazioni per ucciderci. Dyne scivolò dal dirupo, ma riuscii ad afferrare la sua mano. Poco dopo però … uno dei proiettili ci colpì, separandoci. Non fui più in grado di utilizzare il mio braccio destro. Decisi di farmi impiantare una mitragliatrice al posto della mano persa, per avere la mia vendetta sulla Shinra. Venni poi a sapere che anche un’altra persona aveva fatto la mia stessa operazione, ma al braccio sinistro. Capii che era Dyne” ci spiegò.

Ma che storia avvincente e commovente. Quasi mi viene da piangere. Patetico.

“Se è così, allora Dyne ci darà una mano a combattere la Shinra” disse Tifa.

“Non ne sarei così sicuro. Intanto, ciò che devo fare è scusarmi con Dyne. Ma stavolta andrò da solo”.

“Fai quello che ti pare … Vuoi che ti dica questo, vero? Beh, mi dispiace, ma non posso. Perché se muori per colpa mia, stanotte avrò gli incubi”. Anche se scherzava, il SOLDIER lo disse così seriamente che … sembrava serio. E sinceramente, spero che non lo fosse.

“Barret, andiamo. Sai che lo facciamo per te” disse la barista con un tono rassicurante. Tutta quella sdolcinatezza mi avrebbe fatto venire una carie.

“Me**a! E va bene, fate come vi pare!” non sembrava molto allegro della sua stessa scelta, ma non lo aveva obbligato nessuno. E indovinate un po’ a chi toccò andare con il duo dell’allegria? Esatto, proprio alla sottoscritta. Mi avrebbero pagato loro le sedute di psicanalisi se fossi andata in depressione per colpa loro, sia chiaro.

Cominciammo a dare un’occhiata in giro: certo che di quella catapecchie cadenti la prigione ne era stracolma.

Continuo a dire che una verniciatina non farebbe male.

L’unica cosa di interesse che trovammo fu una casa con dentro un certo Mr.Coates, che ci disse che se volevamo “salire” l’unico modo era vincere la gara di Chocobo. Ma noi eravamo, detto in parole povere, degli sfigati, e dovevamo avere il permesso del boss per partecipare alla gara.

Non potevi essere più chiaro. Chi è il boss? E che vuol dire “salire”?

Riprendemmo la ricerca di Dyne: continuavo a chiedermi come avevamo la sicurezza che fosse lì. Chi ce lo confermava? L’avevate visto? In fondo avevano dato la colpa dell’incidente a noi, poteva anche essere fuggito dal Gold Saucer prima di essere beccato e sbattuto nella Desert Prison. Ma tutti sembravano convinti della sua presenza in quel luogo, perciò tanto vale uniformarsi al pensiero comune. Nella zona centrale della prigione, tanto per capirci quella dove si concentrava la maggior parte dei reclusi, non cavammo un ragno dal buco, perciò mi decisi finalmente a proporre di cambiare zona, anche perché dopo due ore sotto il sole cocente del deserto non ne potevo assolutamente più di girare a vuoto sempre nello stesso posto. Stranamente, il mio consiglio fu ben accolto; ci spostammo quindi nella zona più periferica della prigione. Da quelle parti c’era il nulla, lì si capiva ancora di più di essere in un deserto. Volevo avvicinarmi all’area delle sabbie mobili, tanto per vedere se c’erano davvero o era solo una voce buttata là tanto per convincere i prigionieri a non tentare la fuga. Per fortuna, una volta tanto prevalse il buonsenso: capii di aver fatto già abbastanza guai in giornata, perciò mi tenni lontana dagli “aspirapolvere di sabbia”.

Arrivammo in una specie di discarica: c’era davvero di tutto, specialmente rottami di macchine impilati l’uno sull’altro. Mi chiedevo cosa sarebbe successo se fossero crollati quei cumuli. Già mi immaginavo il titolo dell’articolo sulla Gazzetta di Wutai: “Desert Prison sommersa da un’onda anomala di rottami automobilistici: centinaia di ladri e assassini rimasti feriti”.

Frena la fantasia e torna in te, Yuffie. Spari fin troppe cretinate.

Poco più avanti rispetto alla discarica c’era un promontorio. Chiariamoci, più che un promontorio era uno strapiombo, uno strapiombo che terminava nel vuoto, il promontorio fa troppo romantico. Fatto sta che lì c’era lo strapiombo, una casa mezza distrutta (e non c’entravo io, una volta tanto), delle croci piantate nel terreno a mo’ di tomba e … Dyne. L’avevamo trovato finalmente, la causa delle nostre sofferenze, dei nostri patimenti e della nostra permanenza in prigione. Ci doveva come minimo delle spiegazioni e un cartellino “Esci gratis di prigione”, perché non volevo rimanere lì dentro a vita. Stava sparando, sparando a vuoto.

“Dyne, sei davvero tu?”.

No, è suo zio.

Barret si avvicinò a lui, che come sentì la voce dell’amico smise di sparare e lo cominciò a guardare fisso in volto. Aveva uno sguardo che incuteva timore … Lo sguardo di un pazzo.

“Una voce che non sento da anni … Una voce che non dimenticherò mai”. La sua voce confermava la mia tesi: si sentiva la follia. Probabilmente la solitudine l’aveva fatto uscire di testa.

“Ho sempre sperato di poterti rivedere un giorno, Dyne … È passato così tanto tempo …”. Barret forse non aveva capito con chi stava parlando. Quello non era più Dyne, era un pazzo, uno psicopatico, un assassino. Barret si avvicinò a lui, volendo forse spiegargli cosa era successo il giorno in cui si erano separati. L’uomo però non ne volle sapere di parlare civilmente. Sparò a terra, costringendo Barret a fermarsi.

“Sento la sua voce … È lei …”. Ok, gli erano proprio saltate tutte le rotelle. Il gigante lo guardava stranito, non capiva. Penso proprio che in quel momento, Dyne pensava di aver sentito la voce di un fantasma.

“Eleanor … mi sta dicendo di non farvi del male. Ecco perché non vi ho uccisi …”.

Grazie della clemenza, Mr. Parlo-con-i-fantasmi.

“Non ti chiedo di perdonarmi, Dyne, perché capisco che non potrai mai … Ma perché hai ucciso tutte quelle persone? Che ci fai in un posto come questo?”. Barret sembrava essere davvero in pena per l’amico di vecchia data: il fatto è che si stava rendendo conto anche lui di ciò che l’amico era diventato.

“Perché?! Che te ne importa?! Ai morti non importano le tue scuse, né quelle della Shinra. E NON IMPORTANO NEMMENO A ME! Hanno usato scuse per manipolarci, ci hanno preso tutto … e così come l’hanno preso, l’hanno distrutto. Ma se ancora ti interessa una spiegazione, te la darò. Io voglio distruggere tutto. Le persone di questa città. La stessa città. Il mondo intero! Non mi è rimasto nulla. Marlene, Eleanor, Corel …”. Più parlava, più quel pazzo mi faceva paura. Continuava a sparare con quella maledettissima mitragliatrice. Ad ogni frase accompagnava uno sparo. La sua voce sembrava calma, ma di tanto in tanto alzava la voce, gridava, e parlava in uno strano modo.

“Dyne, Marlene è viva!”. Non so chi fosse Marlene, ma Dyne si girò e guardò Barret con una faccia perplessa, come se non ci credesse. Chiesi a Cloud chi fosse Marlene, e il ragazzo mi rispose che era la figlia di Barret, o almeno così credeva fino a quel momento. Barret spiegò a Dyne che la trovò fra le macerie, pur credendo che fosse quasi certamente morta.

“Quindi è viva …”.

“Dyne, andiamo insieme a Midgar, andiamo a trovarla insieme”.

“Mi dispiace Barret, ma dovremo combattere. Eleanor è da sola, perciò devo portarle Marlene”. Continuava a vagare nella sua follia. Ora voleva anche uccidere sua figlia.

“Sei diventato matto, Dyne?! Non puoi ucciderla!”.

“Marlene vuole vedere sua madre, vero? Beh, le sto offrendo questa possibilità!” disse cominciando a sparare. Cloud voleva andare ad aiutare Barret, che di tutta risposta gli disse di starne fuori, perché era un suo problema. Sembrava una risposta registrata, sempre la stessa. La battaglia fra i due amici cominciò. Sembrava quasi il tragico finale di una storia di amicizia, un libro destinato a vedere il suo epilogo nella fine di uno dei due.

Che scena strappalacrime. Uno spettacolo per gli occhi.

Guardavo la scena non più spaventata dalla follia di Dyne, ma quasi eccitata dallo scontro fra i due, una lotta estenuante, senza esclusione di colpi. Stupendo. Il mio egoismo non mi faceva preoccupare della salute né dell’uno, né dell’altro, ciò che mi importava era divertirmi. E mi stavo divertendo nel vedere quel bagno di sangue.

Alla fine Barret prevalse. Dyne sembrava debole, in poco tempo le gambe non gli ressero più, ma nonostante tutto non voleva aiuto. Si alzò a fatica e si diresse zoppicante verso ciò che era rimasto del muro della casa. Ci si appoggiò e cominciò a pronunciare quello che sembrava quasi un discorso da letto di morte.

“Quel giorno non persi solo un braccio … Persi qualcosa di insostituibile. Perché è andata così?”. Barret disse di non saperlo e chiese se quello era l’unico modo per risolvere la questione.

“Te l’ho già detto, voglio distruggere tutto, anche me stesso”. La follia di Dyne … sembrava che se ne stesse andando, lasciando posto ad un ultimo barlume di lucidità.

“Che ne sarà di Marlene, Dyne?!”.

“Quanti anni aveva allora Marlene? Nemmeno uno. Pensi che si ricorderebbe di me? Che mi riconoscerebbe come suo padre? Non mi conosce nemmeno. E poi … ormai le mie mani sono troppo sporche per portarla in braccio …”. Per un po’ calò il silenzio. I due non si guardavano nemmeno. Poi Dyne riprese la parola.

“Barret … Fammi un favore … Dai a Marlene questo ciondolo … era di Eleanor … mia moglie …” disse lanciando a Barret una collanina d’oro.

“Va bene, lo farò”.

“Quindi … Marlene ha già quattro anni … Barret … Non … Non farla mai … piangere …” mentre parlava, Dyne, sempre barcollante, andava verso lo strapiombo. Ad un certo punto, in quel luogo che fino a quel punto era stato coperto dalle nubi, comparve una raggio di sole.

“Dyne …? Cosa vuol dire …?”.

L’uomo arrivò sull’orlo del precipizio. Si girò e guardò in volto il suo amico, versando una lacrima. Poi, si lasciò andare nel vuoto. Barret gridò il suo nome e si gettò a terra in preda allo sconforto.

“Dyne … Nemmeno le mie mani sono pulite … Non potrei portare Marlene nemmeno io …”. L’uomo mitragliatore gridò, e continuava a farlo. Era stato messo un epilogo alla storia, e, come previsto, era stato segnato dalla fine di uno dei due. Una tragedia degna di essere chiamata tale.

 

Tornammo da quel tale Mr.Coates che ci aveva parlato del modo per uscire dalla prigione. Ci ridisse esattamente le stesse cose riguardo al modo per uscire, solo che stavolta sapevamo chi era il boss, Dyne. Così, Barret gli mostrò il ciondolo di Eleanor, dicendo che Dyne ora aveva le sue ragioni per non parlare. Coates indietreggiò un po’ balbettando qualcosa che non riuscii a capire bene. Ci disse che uno di noi poteva salire per la corsa di Chocobo. Finalmente era chiaro che voleva dire “salire”: eravamo esattamente sotto il Gold Saucer, e salire voleva dire andare a disputare la corsa che sarebbe valsa la libertà. Peccato che solo uno poteva salire, vincere ed andarsene, perciò Barret mostrò il suo disappunto prendendo Coates per il colletto della camicia e intimandolo di liberarci tutti. Alla fine, giungemmo ad un compromesso: Coates avrebbe convinto Dio a liberarci tutti, a condizione che Cloud vincesse la corsa. Non sembrava convinto di quella decisione.

“Sbrigati a vincere quella corsa e tirarci fuori di qui!” gli gridò Barret.

“Se non ci vai tu, ci vado io, non dev’essere poi tanto difficile!” dissi. Il biondino mi guardò, al che gli avrei voluto mollare un ceffone e costringerlo ad andare su, perché non ci sarei mai andata io, mai avrei toccato quei luridi pennuti. Alla fine fece le spallucce e disse che ci avrebbe pensato lui. Trattenni con difficoltà una smorfia di disgusto, la mia libertà era condizionata dalla sua vittoria in una corsa di Chocobo. Una donna di nome Ester si offrì di fare da manager al SOLDIER, gli avrebbe procurato un buon Chocobo e lo avrebbe iscritto alla corsa. I due salirono, mentre io e Barret tornammo dagli altri, che ci aspettavano nella casa diroccata.

 

Fortunatamente per lui, il biondino vinse la corsa, e Dio per scusarsi per il malinteso ci regalò una Buggy nuova di zecca e ci disse che Sephiroth era diretto verso Gongaga. Nel sentire quel nome, Aerith mi sembrò un po’ scossa. Dato che dovevo socializzare un po’, le chiesi se conoscesse quel posto. Mi spiegò che era un piccolo villaggio, lo conosceva bene dato che il suo ragazzo era di lì.

Ma che bello, mi mancava giusto di sapere un po’ di pettegolezzi sulla vita privata di questi spavaldi viaggiatori.

Da quel momento in poi, dato che avevamo un mezzo di trasporto, avremmo viaggiato in gruppo. Meglio così, avrei avuto modo di farmi conoscere, farmi credere una personcina non dico perbene, ma se non altro non una delinquente, e poi al momento più opportuno avrei finalmente messo in atto il mio piano. Mi avrebbe fatto comodo per portarlo a compimento trovarmi vicino al villaggio, ma meglio di niente, a quel punto qualunque cosa mi sarebbe andata bene. Aerith, vedendomi assorta nei miei pensieri, mi riportò alla realtà, chiedendomi qualcosa su di me, del tipo età, data di nascita, luogo di nascita … Ovvio che omisi parecchi particolari, come il rivelare da dove provenissi o dettagli sulla mia famiglia, c’era già qualcuno lì dentro che sapeva fin troppo. E stava ascoltando il nostro dialogo, anche se a vederlo sembrava totalmente disinteressato e impegnato nel guidare la Buggy verso Gongaga. La fioraia continuava ad insistere, ma continuai a mostrarmi ritrosa. Di quel passo, presto mi avrebbe fatta parlare, sarei sembrata sospetta altrimenti. Per fortuna, QUALCUNO decise di intromettersi. Cloud le disse che mentre eravamo al Gold Saucer aveva ampiamente provato a farmi raccontare qualcosa, ma non avevo voluto dicendo che non volevo ripensare al passato. Stranamente, la ragazza si lasciò convincere dal farneticare di Cloud e mi lasciò perdere, trovando in Tifa un altro punto di interesse e andando a parlare con lei. A quel punto tirai un sospiro di sollievo e andai da Red XIII, l’unico con cui forse cominciavo davvero ad entrare vagamente in sintonia. D’altronde, di solito eravamo in squadra insieme, perciò ci capitava di frequente di aver modo di parlare. Lo trovavo un tipo piuttosto saggio, anche se un po’ troppo serio. Nonostante tutto era piacevole chiacchierare.

 

Arrivammo nei pressi di Gongaga verso tardo pomeriggio, quando il sole già cominciava a calare. Scendemmo tutti dalla Buggy e ci avviammo verso il bosco circostante il villaggio, dove però trovammo una spiacevole sorpresa: degli uomini vestiti di nero. Erano due, uno con i capelli più rossi del rosso e un che di capelli non aveva nemmeno l’ombra, però aveva gli occhiali da sole. Il rosso era palesemente tinto. Dall’abito che indossavano capii che erano dei Turks, un reparto speciale della Shinra che si occupava di rapimenti e spionaggio; facevano il lavoro sporco, in sostanza. Cloud sembrò irritato dalla loro presenza lì; tra l’altro, quei due parlavano di gossip all’interno del settore. Due Turks che spettegolano, pensa se lo sapesse il loro superiore. Quando si accorsero di noi, ci dissero che erano stati avvisati del nostro arrivo e fummo costretti a sfidarli: peccato solo che dopo un po’ i due si diedero alla fuga dicendo che avevano da fare.

“Reno e Rude hanno detto che sono stati avvisati … Sai che vuol dire questo?” chiede Red a Cloud.

“Sì, vuol dire che c’è una spia fra di noi … Mi fido di ognuno di voi, non posso credere che ci sia un traditore”.

Ma che caro, si fida di ognuno di noi. Svegliati, è palese che il gatto è la spia, si è voluto unire a noi a forza.

Proseguimmo il cammino, passando davanti ad un reattore Mako abbandonato ormai diventato una discarica abusiva peggiore persino di quella nella prigione. Arrivammo finalmente al villaggio vero e proprio. All’ingresso di questo c’era un piccolo cimitero, dove vidi una vecchietta pregare su una tomba. Poco più avanti, un piccolo gruppetto di case costituiva Gongaga. Entrammo in una casa, dove una coppia anziana, vedendo Cloud, gli chiese se fosse nei SOLDIER, chiedendo notizie del figlio di nome Zack. Vidi Aerith rimanere sconvolta nell’udire quel nome. La ragazza corse fuori dall’edificio. Dato che non avevo nulla da fare lì, la seguii.

“Aerith, che ti è preso, perché sei scappata così?” le chiesi.

“Beh, perché Zack … era il mio ragazzo”.

“Perché dici ERA? Non lo è più?”.

“Lui … è morto. I genitori a quanto pare nemmeno lo sanno”. Mi chiedevo perché Aerith avesse deciso di dirmelo così apertamente. In fondo, io non le avevo detto nulla, perché lei lo aveva fatto? Forse nella vita non ci sono solo scambi di informazioni della serie “se parli tu, parlo anche io”. Le dissi che mi dispiaceva e che non era mia intenzione ricordarle “momenti duri”, come se me ne importasse qualcosa. Tentò di scacciare quei pensieri e mi consigliò di cominciare ad avviarmi verso la locanda locale, dato che cominciava a farsi buio. Andammo insieme a prenotare i letti, pagando la camera per la modica cifra di 100 gil. Ci spiegò che in un periodo come quello anche il minimo incasso poteva servire a comprare almeno i beni necessari per la sopravvivenza. In realtà non vedevo alcun problema anche nel non avere soldi: bastava rubare. Così come la Shinra rubava a noi, noi potevamo rubare a loro. È ciò che si definisce “scambio equo”. Già, era proprio questa la convinzione che avevo all’epoca. Aerith andò in camera e si stese sul letto, tentando di dormire un po’. Sembrava davvero a pezzi e, a dir la verità, mi faceva anche un po’ pena. Dopo non molto arrivarono gli altri, preoccupati perla giovane fioraia. Dissi loro che era andata a dormire perché aveva avuto un lieve giramento di testa.

Bella bugia. Non posso mica dire loro la verità.

Avrei tanto voluto andare a fare un giro, peccato solo che quella fosse una brutta zona: un reattore Mako nei paraggi, un piccolo villaggio, un bosco mezzo distrutto. Mi misi dunque a letto, ma non dormii: piuttosto pensai  agli avvenimenti di quel giorno. Il risveglio a Costa del Sol dopo quel sogno assurdo, la gita al Gold Saucer, quel nuovo spiraglio di gelosia, il mio discorso con Cloud … Quel ragazzo cominciava a farmi venire davvero tanti dubbi. Troppi per una che di solito se ne frega di tutto e di tutti. Poi l’incontro con Cait Sith, la cattura, il deserto … e ora anche Aerith che mi ha preso per un confessionale. Non riuscivo proprio a spiegarmi tutta la fiducia che mi aveva dato, mi era venuta a raccontare la sua vita praticamente. Forse le avrei potuto dire qualcosa, ma dovevo attentamente selezionare le informazioni, altrimenti sarebbe andata probabilmente a spifferare tutto al grande capo. Ne sapeva già anche troppo. Dovevo sbarazzarmi in fretta di loro, se avessi cominciato a stringere un legame di amicizia con qualcuno.

L’idea non ti deve nemmeno sfiorare. Mai una volta hai avuto amici.

No, non è vero … Non era così prima di diventare una ladra … Avevo pochi amici, ma ne avevo.

“Sei sveglia?”. Cercai di capire di chi era la voce. Non avevo voglia di aprire gli occhi, altrimenti avrei perso quel poco di voglia di dormire che mi stava venendo. Eppure non riuscivo a distinguere chi aveva parlato. Sentii di nuovo farmi quella domanda. La voce era più vicina, come se qualcuno fosse vicino al mio letto. Aspettai la terza domanda: c’era una certa titubanza nella voce, che era sempre più vicina. Voltai la testa e aprii gli occhi. Era LUI, in ginocchio vicino al mio letto, con gli occhi fissi sul pavimento e un vago rossore sulle gote.

“Cosa succede?” dissi con voce stanca, come per fargli capire che doveva sbrigarsi perché avevo sonno.

“Volevo darti la buonanotte, tutto qui …”. Sentii le mie guance cominciare a bollire, la voce strozzarsi in gola, il cuore battere all’impazzata. Mormorai un grazie e gli diedi anch’io la buonanotte. Poi mi girai verso il muro e lo sentii andarsene. Non sapevo più che pensare. Se avevo già dubbi prima, adesso era come se si fosse alzata una coltre di nebbia.

 

Riuscii ad addormentarmi a fatica. Tra l’altro, sognai di nuovo quella canzone e la ragazza che diceva di essere me. Mi avvicinai a lei. Smise di cantare e mi guardò.

“Ciao Yuffie”.

“Voglio delle spiegazioni”.

“Hai troppe domande. Non posso rispondere a tutto” mi disse con voce dolce.

“Chi sei tu? Cos’è questa canzone che canti sempre? Perché mi sembra di conoscerla?”.

“Troppe domande, te l’ho detto. Posso dirti che è vero, conosci questa canzone, ma non la ricordi con chiarezza. Se tu riuscissi a ricordarla, capiresti chi la cantava”.

“Voglio sapere chi sei”.

“Tu lo sai già. Lo sai perché siamo la stessa persona. Ora devo andare”. Se ne andò continuando a cantare la canzone.

 

La pioggia che cade fuori dalla finestra

Ho scritto il tuo nome con le mie dita

Con chi sei ora?

Chi stai fissando?

NOTE DELL'AUTRICE 

Allora, inauguro questa sezione completamente inutile, giusto così, per buttare al vento tutta la serietà della fanfic. Innanzitutto ne approfitto per ringraziare tutti i lettori (come se ci fosse qualcuno che ancora legge XD) e i recensori, in particolar modo il mio fratellone Kurogami: se non fosse stato per il tuo incoraggiamento non mi sarei mai decisa nè ad iscrivermi ad EFP, nè a cominciare questa fanfic. Ringrazio anche WaterfallFromTheSky e the one winged angel per la loro assiduità nelle recensioni, se non avessi avuto un minimo di sostegno avrei probablimente già abbandonato la stesura della fic. Vi dico solo che dovrete ancora aspettare un pochino per un po' di love, ma non manca molto, resistete!

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Capitolo 5
*** Incidenti di percorso ***


Capitolo 5 – Incidenti di percorso

Il mattino seguente fu esattamente ciò che si può definire come “amaro risveglio”. A messo e non concesso che fuori il tempo fosse stato non dico bello, ma quantomeno decente, avrei comunque avuto il problema di quei sogni. Cominciavo seriamente a dubitare del livello di sanità della mia psiche, specialmente dopo il dialogo avuto con me stessa. Ok, bene, è un sogno, mondo onirico, detto in termini aulici (parole che non userò mai e poi mai in vita mia), ma la cosa rimaneva bizzarra. E bizzarra a mio avviso è comunque poco. Come al solito ero l’ultima ad aprire gli occhi, e mi chiedevo perché nessun’anima pia si degnasse di svegliarmi ad un orario decente.

Mi preparai di corsa, dedicando buona parte del mio tempo a sistemarmi i capelli che, dannazione, erano ridotti ogni giorno peggio. Non mi andava proprio a genio come cosa, solo quello mi metteva una rabbia immensa. Recuperai le mie cose nella stanza: shuriken, oggetti vari, materia … Ero un po’ scarsa per quanto riguarda quest’ultimo punto, avevo in dotazione solo la mia fedele Throw Materia più un paio di altre biglie concessemi gentilmente perché “Non si sa mai, potrebbero tornarti utili”. Grazie, mister simpatia.

Uscii dalla locanda, trovando come al solito tutti già pronti a partire. In effetti, ero un po’ imbarazzata dal fatto di arrivare sempre tardi, pur essendo io il ritardo fatto persona. Non a caso, quando c’era da andare da qualche parte, papà mi svegliava sempre 30 minuti prima, dato il tempo che ci mettevo a prepararmi. Ce ne andammo da Gongaga, montando in fretta sulla Buggy, dato che stava per venire un diluvio di quelli che non vedevo da secoli.

 

Quella giornata fu molto particolare. Non c’erano città o villaggi in vista, perciò passammo buona parte del tempo a viaggiare sulla Buggy, alla guida della quale si alternavano Cloud e Barret. Mi misi in un angolo a sonnecchiare, quando ad un certo punto Aerith mi venne a svegliare.

“Ehi, Yuffie, che ne dici di venire un po’ a chiacchierare con noi? Vogliamo fare un po’ di conversazione, giusto per passare il tempo” mi disse. Non avevo nulla da perdere, così la seguii. Il gruppo si divise praticamente in due: da una parte noi ragazze, dall’altra gli uomini più l’essere asessuato, o comunque del quale non mi interessava il genere. Non mi importa sapere se i gatti robotici sono maschi o femmine, diciamo che per canone, e per sua precisazione, avevamo stabilito che fosse un maschio.

“Allora, ora che siamo senza i ragazzi possiamo parlare di qualunque cosa, no?” disse la fioraia con un sorrisetto.

“Già, a quanto pare siamo finalmente da sole! Yuffie, è la prima volta che ci sei anche tu con noi, cercheremo di non andarci giù pesante” al che mi preoccupai un po’, non volevo sapere in che cosa andavano giù pesante di solito.

“Dunque, avevamo già esaminato Rufus … Chi è il prossimo?” dedussi che le ragazze nel loro tempo da sole parlavano di ragazzi, dato che Rufus era sì un verme della Shinra, ma pur sempre un “essere umano di sesso maschile”.

“Hmm … Che ne dici di Rude?”.

“Se non erro, Rude era quel Turk con la pelata … Avevo sentito mentre spettegolava con il rosso che ha un debole per te, Tifa” dissi. Non mi piaceva molto sentire pettegolezzi su di me, ma quando si trattava di spettegolare sugli altri mi divertivo molto.

“Chi è il rosso? Reno?” chiese Aerith, mentre Tifa rimase perplessa dalla mia affermazione.

“Sì, lui. Cielo, quello è palesemente tinto … E poi, hai visto che capelli? Sembra quasi una moda”. Mentre lo dicevo, buttai un occhio sul biondo.

Sì, sembra essere una moda all’interno della Shinra.

“Sì, ma a parte i capelli, non è male” disse Tifa dopo aver fatto mente locale su Rude. Forse aveva escluso l’idea di farci un pensierino. In effetti, Rude non era esattamente ciò che si può definire lo stereotipo di bellezza.

“In effetti è carino … Però Yuffie ha ragione, i capelli sembrano finti. No, io lo boccerei”.

“Sono d’accordo con Aerith, per me è out”.

“Ok, ok, andiamo avanti. Chi è il prossimo?” domandò la barista.

“Ehi, non correre, se non sbaglio non avevamo ancora finito con Rude” puntualizzai.

“Rude ha un bel fisico … Peccato per la pelata, altrimenti sarebbe stato decente” osservò Aerith.

“Vogliamo parlare del fatto che ha sempre degli occhiali da sole? Non so, ma se non vedo gli occhi non mi esprimo”. Questa me la potevo risparmiare. Ok, sì, in un ragazzo mi potevano piacere gli occhi, ma bocciare uno perché porta sempre gli occhiali …

“Non saprei, io non lo butterei via”.

“Tifa, tu non bocci quasi mai nessuno! Qualche volta devi ammettere anche i difetti degli uomini!”. La filosofia di Aerith mi intrigava molto, aveva pienamente ragione.

“Bene, passiamo oltre … A chi tocca?” mi cominciavo ad appassionare a questa discussione, tra l’altro era piacevole stare con loro due.

“Che ne dite di Sephiroth?”. Tifa stava per cominciare a inveire contro il SOLDIER di prima classe, perciò preferimmo passare oltre, optando per un altro SOLDIER di prima classe. Sentivo che la mia fine era vicina, per un attimo mi ero dimenticata gli avvenimenti dei giorni precedenti e lo avevo eliminato dalla lista dei ragazzi. Dovevo trovare una via di fuga.

“Ragazze, non mi pare il caso di prendere in esame né Cloud né Barret … Insomma, sono lì, potrebbero sentirci”.

“Ma che t’importa, non ci sentiranno mai, non vedi come chiacchierano per conto loro?”. Mi girai, ed in effetti, Tifa aveva ragione, erano tranquillamente immersi nei loro discorsi.

“E poi, Cloud è forse il soggetto più interessante!”. Le affermazioni di Aerith erano spesso fraintendibili, nel senso che se ascoltate una seconda volta, avrebbero lasciato adito a dubbi. Molti dubbi.

“Aerith, solo per il fatto che a Wall Market è successo quello che è successo …”.

“Frena, frena, frena. Che cos’è successo a Wall Market?”.

“Oh, niente, Cloud si è SOLO vestito da donna”. Tifa guardò Aerith allucinata. Io spalancai gli occhi.

“CHE COSA?! CLOUD VESTITO DA DONNA?!”. Le mie grida raggiunsero le orecchie dell’interessato in una frazione di secondo, lasciandolo talmente di stucco che inchiodò la Buggy nel bel mezzo delle pianure di Gongaga.

“Che cos’hai fatto?!” il coro di voci di Barret e Cait Sith peggiorò la situazione. Red XIII si astenne, non sapeva che differenza ci fosse negli indumenti umani, mentre Cait scoppiò in una fragorosa ristata. Barret continuava a cercare spiegazioni, Aerith sembrava basita dal fatto che io avessi urlato una cosa del genere, Tifa sembrò arrabbiarsi per la mia uscita e io … mi sarei voluta sotterrare. Non era esattamente il tipo di cosa che volevo fare, specialmente dopo essermi resa conto che la metà del gruppo non ne era a conoscenza. Avevo fissato il pavimento ascoltando le risate del gatto proseguire per un buon lasso di tempo, senza accorgermi che le mie guance erano diventate completamente rosse. Alzai leggermente lo sguardo, solo per accorgermi che le gote del biondo erano ancora più rosse delle mie. Aerith cercò dunque di spiegare la cosa, dicendo che Tifa era sotto le grinfie di Don Corneo, una specie di boss mafioso dei bassifondi, e che l’unico modo per salvarla era infiltrarsi nella residenza del Don. Purtroppo il Don accettava solo donzelle alla ricerca di un marito (o anche donne di facili costumi, o donne in generale) e per entrare nel palazzo Cloud si era vestito da donna. Barret continuò ad insistere un po’ per sapere in dettaglio tutti i capi di abbigliamento indossati da “Miss Cloud”, ma Aerith non volle cedere. Fu categorica su questo punto. Solo dopo, in privato, mi disse con minuzia di particolari il set completo: parrucca con trecce, abito viola di seta con tanto di fiocco rosso, colonia, tiara, trucco e … ciò che disse dopo mi sconvolse come non mai, tanto che lei stessa mi squadrò da testa a piedi, evidentemente pensava che mi sarei messa a ridere. Cloud si era messo in lingerie. Stavo per svenire. Tifa se la prese con Aerith, dicendo che non c’era bisogno di aggiungere questo dettaglio. Io nel frattempo ero come pietrificata.

Dopo essermi ripresa dallo shock, continuammo la discussione, e non c’era verso di far cambiare idea ad Aerith, dovevamo proprio parlare di LUI, che nel frattempo aveva ceduto il posto alla guida a Barret e si era messo da parte con Red XIII, che riteneva “l’unico sano di mente qui dentro”.

“Secondo me dovrebbe cambiare taglio di capelli, per il resto, direi che è un bel ragazzo, non c’è che dire”. Tifa annuì convinta per quanto riguardava la seconda parte, poi le ragazze chiesero la mia opinione. Non sapevo cosa dire. In quel momento ero completamente fuori di testa, così non riuscii a controllarmi e feci un affermazione che lasciò sconvolta anche me.

“Mi piace”. Al che le ragazze mi guardarono stupefatte. Mi resi conto in un secondo momento di quello che era uscito dalla mia bocca, e trovai una scappatoia.

“Ma che diamine avete capito?! I-Intendevo che è un bel ragazzo, anche se non lo sopporto!” proferii tutto d’un fiato, tentando di nascondere il fatto che fossi diventata più rossa delle pareti esterne della Buggy.

“In effetti mi pareva strano, non fate altro che litigare” osservò la fioraia. Mi ero salvata.

Questa è l’ultima volta che faccio le cose senza pensare.

“Ok, siamo d’accordo sul fatto che è un bel ragazzo … Ora, cosa vi piace di più di lui?” Tifa non voleva mollare, per una volta che eravamo tutte d’accordo voleva andare fino in fondo.

“Andiamo, stai scherzando, vero?”.

“No, sono seria. Tanto non abbiamo niente da nascondere, fra di noi possiamo dire quello che vogliamo”.

“Ok, comincio io! Vediamo … A me piace il suo carattere. Insomma, è sempre così serio e controllato …”. Aerith aveva detto la sua, ora toccava Tifa.

“A me ti dirò, non dispiacciono i suoi capelli. E poi, di biondi naturali così se ne trovano pochi!”.

Toccava a me. Quelle due cominciarono a fissarmi, in attesa di una risposta. I loro occhi mi fissavano, da una parte verdi, dall’altra rossi. Fui costretta a rispondere.

“M-Mi piacciono … i suoi occhi”.

Ecco, l’ho detto.

Le ragazze ricollegarono questo discorso a quello che avevo detto prima su Rude, del fatto degli occhiali, spiegandosi il perché della mia affermazione. In realtà, le due cose non erano per nulla collegate.

“Beh, in effetti anche i suoi occhi non sono male …” commentò la barista.

“Sì, ma se ci pensi è grazie al Mako che ha quegli occhi … tutti nei SOLDIER hanno gli occhi di quel colore”.

Mentre le due discutevano su questo, io cambiai zona, andando a sedermi da sola nell’angolo in cui sonnecchiavo a inizio viaggio. Non volevo in alcun modo partecipare oltre a quel discorso, avevo già fatto abbastanza guai. Tra l’altro, ero rimasta un po’ scossa da quello che avevo detto. Ci ripensai, dicendomi che era stato un lapsus.

Sì, è stato un lapsus, un semplice e banale lapsus. Nient’altro.

E se invece ci fosse dell’altro?

Scossi la testa, scacciando la probabilità di presenza di questo “altro”, che non volevo nemmeno nominare. Per dimenticarmene definitivamente mi misi a ripensare al mio piano, che avrei attuato il prima possibile. Mi sarebbe servito un diversivo per poter appropriarmi delle Materia, poi sarei fuggita nella più vicina foresta e, una volta lì, tanti saluti. Eppure un po’ mi dispiaceva, cominciavo a simpatizzare con le ragazze, con Red e, forse, anche se non lo volevo ammettere, anche con Cloud. Le ragazze mi avevano tranquillamente accolte nei loro discorsi, erano gentili e disponibili, tra l’altro andavano anche d’accordo fra di loro, pur essendo diverse di carattere: in fondo, Aerith era così spigliata e diretta, nonostante sembrasse una ragazza timida e riservata, mentre Tifa era lievemente più chiusa, ma comunque non si nascondeva di certo. Diciamo che lei era più dolce, penso che lei se avesse avuto un problema con qualcuno non glielo avrebbe mai sbattuto in faccia.

Red XIII invece era più calmo e pacato, tutte le volte che immaginavo dei discorsi con lui pensavo a discorsi filosofici o sugli astri … insomma, sembrava talmente saggio da andare sempre a ficcare la filosofia o l’astronomia in qualunque discorso, anche se parlavi di quello che hai mangiato a pranzo, non so se mi spiego. Comunque, mi trovavo bene con lui, di fatto era stato il primo con cui avevo socializzato, o, se non altro, a cui avevo detto il mio nome e scambiato qualche parola.

Barret … boh, lui mi sembrava tanto uno di quelli che ti ci mandano se gli dici ciao, eppure a detta di Tifa con la figlia Marlene era dolce ed affettuoso. Con lui non avevo parlato mai molto e tutta la storia della Desert Prison mi era sembrata fin troppo sdolcinata e della serie “abbracciamo i ricordi”. Però in effetti, anche se a me non aveva per nulla sfiorato, è stata toccante, lo ammetto.

Cait Sith non lo potevo sopportare. Non solo aveva quella voce stranissima, quasi nasale, poi veniva anche a dire a me che la MIA voce era fastidiosa. Lo avrei strozzato con le mie mani. In più, ero assolutamente certa che fosse lui la spia del gruppo, si era infiltrato a forza quando non gli aveva chiesto niente nessuno. E quel moguri gigante, poi, lasciava peli ovunque, manco fosse lui il gatto. Serviva solo al robottino a sembrare “alla nostra altezza”, altrimenti ci avrebbe guardato i piedi. E la cosa più odiosa era il megafono che aveva, ci parlava sempre dentro, con il risultato di spaccarmi quotidianamente i timpani. A questo proposito mi viene in mente una persona a caso, che mi aveva gentilmente detto che io il megafono ce l’ho incorporato, dato che sto sempre a gridare.

Avevo passato in rassegna tutti … Beh, quasi tutti. Mancava una persona, ma volevo evitare di pensarci. Aerith aveva ragione, passavamo tutto il tempo a discutere. E quando non lo facevamo, combinavo qualche guaio. Battute fuori luogo, figuracce e chi più ne ha più ne metta. Solo al Gold Saucer eravamo riusciti ad avere un dialogo decente, in cui mi ero un po’ aperta. Anche se non volevo, mi era venuto forse spontaneo dirgli qualcosa. La verità è che in quel momento mi ero sentita a mio agio, cosa che non mi accadeva da molto tempo. La solitudine mi aveva fatto diventare fredda e distaccata, forse quasi cinica. Non lo ero sempre stata, e un po’ rimpiangevo quando non lo ero. Ma vivere la vita che DOVEVO vivere comportava questi sacrifici, abbandonare i sentimentalismi, pensare solo a sé stessi. Quando si è da soli, o ci si arrangia o si soccombe. Cominciavo a pensare che forse la mia vera me era assopita, che forse non ero del tutto cambiata. Il mio vero carattere era solo nascosto, e qualche volta balenava fuori.

Mi scappò un sorriso pensando a questo: il buonumore, l’ottimismo e la spigliatezza erano dei miei tratti caratteriali, e quelli non se n’erano mai andati.

In fondo, non si può cambiare ciò che si è veramente.

Se fossi stata da sola probabilmente sarei scoppiata a ridere, certe volte me ne uscivo con dei discorsi che non sembravano nemmeno da me.

Mi si avvicinò Red XIII, sembrava in vena di chiacchiere.

“Come mai sei qui da sola?” mi chiese.

“Oh, niente, mi dovevo solo prendere una pausa dai pettegolezzi, a lungo andare stancano, sai?”.

“Chissà perché ero quasi certo del fatto che ti piacesse sparlare della gente”. Ecco, ECCO, si doveva sempre mettere in mezzo. Poi mi ricordai di quello che era successo prima, e capii che la battuta acida ci stava tutta, gli dovevo delle scuse.

“Senti, mi dispiace per quello che è successo prima … Non volevo, è solo che …”. Mi fece cenno di stare zitta. L’avevo combinata davvero grossa. E per una volta tanto, mi sentivo il morale a terra. Ero stata presa e calpestata da un Red Dragon, se rende l’idea. Red XIII mi si avvicinò all’orecchio, dicendomi di cercare di farmi perdonare, poi se ne andò dalle ragazze, che a quanto pare avevano cambiato argomento di discussione.

“Cloud, io …”.

“Stai zitta”. Non l’avevo mai visto così arrabbiato, eppure ne avevo combinate tante. Non sapevo come fare per chiedergli scusa. Volevo veramente che mi perdonasse. Per un po’ ci fu un silenzio tombale. Dopo qualche minuto passato così, provai di nuovo a parlare.

“I-Io …” non riuscii nemmeno ad articolare una sillaba della parola successiva. Dovetti usare tutta la mia forza di volontà per trattenere le lacrime. Purtroppo questo è sempre stato un mio problema, piangevo raramente, ma quando lo facevo era sempre nei momenti più critici. E il fatto che stessi per farlo mi fece capire quanto nel profondo ero dispiaciuta per quello che era successo. Strinsi i pugni, riuscendo a trattenermi. Solo una lacrima fece per conto suo e mi rigò il viso, e il più in fretta possibile tentai di asciugarla. Il ragazzo se ne accorse e cominciò a guardarmi con quegli occhi verde acqua di cui mi ero … innamorata. Uno sguardo fuggevole dei miei occhi violacei capitò sul suo viso. Cambiai subito soggetto, cominciando a fissare per terra. Ero arrossita e il mio cuore palpitava talmente forte che sembrava volesse uscire dal mio petto. Per un attimo mi sembrò che fossimo solo lui ed io.

“Stavi piangendo?”. Rimasi in silenzio per un po’, fremendo e tremando.

“Io non piango mai!” sbottai all’improvviso. Senza accorgermene mi ero messa in piedi e avevo cominciato a fissarlo dall’alto, come se volessi fargli paura.

Tsè, IO fare paura a LUI.

Tutti si girarono un attimo, per poi tornare alle loro occupazioni. Avevo quasi il fiatone a causa di quel battito accelerato. Mi misi a sedere dopo essermi calmata un po’, il tutto sotto i suoi occhi attenti. Sembrava che volesse captare ogni mio gesto, ogni singolo segno di cedimento … e non parlava più. Feci un grande respiro e mi decisi a scusarmi.

“M-Mi dispiace p-per quello che è successo prima … Forse m-mi sono lasciata prendere un po’ t-troppo dalla foga e non mi sono resa conto d-di quello che facevo … Non volevo … Scusami, C-Cloud”. Abbassai la testa, lasciando che il mio corto caschetto mi coprisse il volto. La frangia mi scese sull’occhio destro, coprendolo. Era come se mi stessi nascondendo da lui, non volevo che mi guardasse. Mi metteva a disagio essere oggetto dei suoi sguardi. E il fatto che avessi praticamente biascicato le mie scuse, riempiendole di balbetti vari, mi faceva sentire quasi impotente. Sentii improvvisamente una mano poggiarsi sulla mia spalla sinistra. Lentamente, il ragazzo la fece scorrere fino alla spalla destra, poi la fece scorrere sul fianco e … mi tirò verso di sé. Mi trovai improvvisamente intrappolata in un abbraccio. La mia testa era poggiata sulla sua spalla sinistra. Mi sussurrò in un orecchio che aveva accettato le mie scuse. Stette un po’ in silenzio, poi riprese.

“Cosa ti ha detto esattamente Aerith su Wall Market?”.

“Ecco … M-Mi ha detto come … ti sei … vestito … e … di … sì, ecco … insomma … della … b-biancheria intima …”. Mi lasciò. Era tutto rosso.

“… Aerith ha esagerato” più che sentirlo, lo intuii dal labiale, dato quanto parlava piano. Dato che in quel momento mi sentivo piuttosto sincera, e dato che fatto trenta, perché non fare trentuno (o per restare in ambito numerico, non c’è due senza tre), mi avvicinai al suo orecchio e sussurrai:

“Mi piacciono molto i tuoi occhi. Li trovo davvero belli”. Mi allontanai, solo per vederlo arrossire più di prima e cominciare a balbettare frasi sconnesse come “sì … ecco … insomma … io …”. Mi guardò. Sorrisi e lo salutai, poi, andai a raggiungere Red XIII e le ragazze. Recuperai Red e me lo portai da una parte.

“Red, fra voi … ehm … animali … come funzionano le cose quando si è innamorati?” ostentavo una certa sicurezza nel parlare, la realtà era che non ci stavo più con la testa, ero persa nel mondo dei sogni. Perché ormai avevo quasi capito che cosa mi era preso.

“Com’è che ti interessano queste cose?” mi chiese. In effetti era una domanda più che legittima. Sentivo di potermi fidare di Red XIII, così decisi di aprirmi. Forse scaricarmi mi avrebbe fatto tornare in me.

“Io … penso di … avere una cotta … cioè, in realtà non so se è una cotta, o una cotta cotta, o se sono proprio innamorata, o se è solo la mia testa che fa cilecca, è che non mi è mai capitata una cosa del genere, quindi non so come mi devo comportare, in realtà non so nemmeno cosa provo, se provo qualcosa e …”. Per fortuna Red mi fermò, sarei potuta andare avanti per secoli a farneticare senza concludere un bel niente.

“Primo, parla piano; secondo, prendi fiato; terzo, è Cloud?”. Centro. Colpita e affondata.

“… sì …” dissi non nascondendo un vago rossore e cominciando a giocherellare con una ciocca di capelli.

“Per noi animali la fase di corteggiamento è fondamentale, si conquista un esemplare femminile mettendo in mostra le proprie capacità e, spesso, negli esemplari sottosviluppati e/o con una corteccia meno attiva, con fasi di ululati alla luna”. Lo guardai con una faccia tra il perplesso e lo sbigottito. Inclinai leggermente la testa, cercando di acquisire le informazioni e confrontandole con le poche nozioni che avevo in merito. No, non combaciavano affatto. Se volevo evitare di fare casini, dovevo affidarmi ad altri metodi.

“Oook, per noi umani le cose funzionano un tantino diversamente … Anche se in effetti ho sentito parlare di serenate alla luna … ma primo, sono cose che fanno gli uomini e secondo … non voglio certo sembrare un fenomeno da baraccone!”.

“Allora perché mi hai chiesto aiuto se le mie informazioni non ti servivano?”.

“Perché pensavo che mi avrebbero potuto dare qualche idea!”. Mentre esponevo la mia “tesi” a Red XIII, sentii la Buggy fare un rumoraccio e fermarsi. Una nuvola di fumo cominciò ad uscire dal motore, che era incredibilmente vicino a noi, perciò mi allontanai ed informai Barret, attualmente alla guida, del problema avuto al motore. L’uomo rispose così (testuali parole):

“Me**a! Questo strafo****issimo affare si è già rotto! Ca**o, quel Dio non ci poteva dare un mezzo che non fosse da buttare al ce**o dopo due giorni?!”.

Dopo la soave affermazione di Barret, scendemmo tutti dalla Buggy, io e Red più intossicati degli altri dalle esalazioni del motore arrugginito di quell’aggeggio semovente. Fortunatamente eravamo vicini ad un villaggio; peccato solo che nessuno sapesse di quale sperduto villaggio si trattasse. O per meglio dire, quasi nessuno. Red ci spiegò che quella era Cosmo Canyon, la sua città natale, luogo in cui era conservato il sapere di tutto il Pianeta.

NOTE DELL'AUTRICE

Non ci credo, un nuovo capitolo scritto in un solo giorno *^* Anyway, per tutti coloro che volevano un po' di romanticismo, eccovi accontentati! Finalmente la nostra ninja si è resa conto dei suoi sentimenti, e le cose da ora si faranno più interessanti che mai! In questo ho dato spazio solo ai rapporti fra Yuffie e gli altri, e sinceramente le tre ragazze a spettegolare sui ragazzi ce le ho sempre viste bene XD In attesa del prossimo capitolo, stay tuned, e mi raccomando, recensite, recensite e fatemi sapere che ne pensate ;)

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