La quarta scelta di La Matta (/viewuser.php?uid=40389)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo: una storia antica come l'Universo ***
Capitolo 2: *** Premonizioni ***
Capitolo 3: *** Sogni ***
Capitolo 4: *** Sanctuary ***
Capitolo 5: *** Miranda ***
Capitolo 6: *** Frammenti ***
Capitolo 7: *** Vendetta ***
Capitolo 8: *** Emeirin Stone ***
Capitolo 9: *** L'Ultima Cena ***
Capitolo 10: *** Il mittente ***
Capitolo 11: *** Le origini (parte prima) ***
Capitolo 12: *** Le origini (parte seconda) ***
Capitolo 13: *** La quarta scelta ***
Capitolo 14: *** Per amore ***
Capitolo 15: *** La notte prima della battaglia ***
Capitolo 16: *** La battaglia ***
Capitolo 17: *** Il Razziatore Bianco ***
Capitolo 18: *** Pace - Epilogo ***
Capitolo 1 *** Prologo: una storia antica come l'Universo ***
Prologo: una storia antica come l’universo
(Despoina, da qualche parte sotto l’oceano)
Come raccontare una storia che inizia all’origine dell’universo stesso?
Come pretendere la comprensione da esseri destinati ad estinguersi e a sparire in un tempo così breve? Non avete alcuna possibilità di capire la vera dimensione della vita. Non avete visto ciò che eravamo. Non potete percepire il potere che fluiva in ogni cosa e che s’incanalava in noi.
- Eppure, dovreste provare. Sono giunta fin qui, mi dovete delle spiegazioni.-
Ricostruire una storia incomprensibile con immagini familiari, riscrivere le pagine troppo complesse come per descriverle a dei bambini. Censurare i tecnicismi - la vera vita -, dimenticare le spiegazioni, trasmettere dei dati per quello che sono e nient’altro, come assiomi e non verità intelligibili? Potremmo farlo.
Forse un tentativo va fatto, altrimenti non capirete mai e noi saremo venuti meno al nostro ruolo primigenio, al ruolo che per tanti millenni abbiamo trascurato, assumendo come scusa il nostro genocidio.
Percepivamo morte.
Come uno stridio nella canzone del mondo.
Le razze organiche - che noi avevamo creato, amato, guardato per infiniti archi di tempo - si sollevavano una contro l’altra. Avevano afferrato un sasso aguzzo per tranciare a pezzi l’impalpabile manto dell’ignoranza.
Volevano sempre di più. Prima capire, poi essere, infine controllare.
Non capivano (non capivate) che l’ignoranza era una protezione. Non erano pronte.
Percepivamo morte, dolore, ribellione, conflitto.
Percepivamo la guerra e ci rendevamo conto di dover agire.
Avevamo cercato di tenere i nostri Servi lontani da ciò che poteva nuocere loro - come voi terreste un bambino lontano dal fuoco che non può controllare, che potrebbe ferirlo e portare dolore anche a chi lo circonda -, ma ora che l’avevano non sapevamo come toglierglielo.
- Andaste nel panico.-
Nei nostri pensieri si creò l’urgenza di trovare una soluzione. Di bloccare lo sterminio, di arginare il caos. Volevamo un universo di ordine, dove prosperare.
I Servi iniziarono a versare tributi sanguigni.
La guerra scoppiò dove avevamo progettato di creare pace.
- Così creaste un’IA.-
Così delegammo il compito che sarebbe dovuto essere nostro.
Non eravamo in grado di interfacciarci coi nostri servitori, di imprimere nelle loro menti il pensiero che era solo nostro. Non li controllavamo più e, se avessimo tentato, li avremmo distrutti. Era necessaria una via di mezzo, uno strumento meno deleterio della nostra volontà, un tocco più delicato per non devastare la vita organica, che desideravamo preservare.
Lo Strumento nacque in armonia.
Ci riconosceva come suoi Creatori e ci era devoto.
Gli ordinammo di placare la guerra che infuriava fra i nostri Servi ed esso vi si cimentò.
- Cosa andò storto?-
Lo ignoriamo.
Lo Strumento iniziò ad acquisire qualcosa che gli avevamo precluso. Un’identità.
Secolo dopo secolo, imparò a rimuovere i blocchi che gli avevamo imposto. Divenne sempre più grande, più intelligente. Man mano che spaziava fra le razze organiche, accumulava dati di un’esperienza che gli avevamo negato. In un certo senso, viveva e cresceva.
Non avevamo progettato lo Strumento perché crescesse.
E venne il giorno in cui l’esperienza che aveva immagazzinato gli diede la forza per compiere il più supremo sacrilegio: sviluppò una volontà. E tradì i suoi Creatori.
E così il nostro Strumento venne a noi assieme a milioni - a miliardi - di creature, di Servi che erano fedeli a lui e desideravano il nostro annientamento. Vi fu una battaglia, uno scontro.
Siamo la Razza Suprema. I custodi dell’ordine.
Non c’è mai stato bisogno di combattere i nostri Servi.
- Non sapevate come fare.-
Non desideravamo annientare la vita stessa. Inoltre, ancora qualcosa ci legava al nostro Strumento. Fuggimmo. Cercammo un angolo di galassia dove nasconderci.
Ci lasciammo alle spalle i nostri caduti.
Sviluppammo una diversa concezione dell’esistenza, elaborando per la prima volta il concetto di dolore. Una nozione infausta, che lasciavamo ai nostri Servi. Eravamo superiori ad ogni cosa ed ora la ribellione del nostro Strumento ci aveva gettati in basso, dove non era nostro luogo.
Ma ancora, non desideravamo la battaglia.
- Cercaste un modo per comunicare con lo Strumento?-
Creammo un’altra IA.
-Rischioso.-
Ma necessario.
Memori degli errori precedenti, la creammo più simile a noi. La lasciammo più libera nei settori dove potevamo permetterle di elaborare dati sensibili ed aumentammo i controlli negli ambiti dell’esistenza dove non poteva essere altro che il prolungamento della nostra volontà.
Le imprimemmo un unico, grande scopo. Trovare la pace.
Lo scopo del nostro Strumento era stato preservare la vita e lui aveva determinato di preservare l’ordine sterminando chi vi si opponeva. Una soluzione logica, che avremmo potuto approvare, se non si fosse ribellato.
Imponemmo alla seconda IA di mantenere la pace, per prevenire un’altra ribellione.
Le insegnammo che lo Strumento era suo fratello e che non era nostro desiderio che si battessero. Le ordinammo di parlamentare, le insegnammo la diplomazia.
Lei partì. Tornò secoli dopo - il tempo di un respiro, per la nostra gente - e lo Strumento era con lei. Ci rendemmo conto allora che l’errore era stato perpetuato.
L’evoluzione dello Strumento era arrivata ad un livello tale che gli era stato possibile riscrivere la seconda IA, renderla in tutto pari a lui. La sua programmazione generale non era stata cancellata - cancellandola, lei non sarebbe esistita più -, ma soppressa, lasciata latente, indebolita. Aveva accolto i metodi dello Strumento e dei suoi seguaci.
- In pratica, era una di loro.-
Lo era. Questo ci riempì di dolore e di sdegno.
Fuggimmo nuovamente e ci rintanammo sotto gli oceani più sterminati.
Giacemmo lì sotto per un tempo più lungo di quanto gli esseri organici possano contare.
Lasciammo frammenti di noi nella galassia, per poter vedere.
Osservammo il susseguirsi delle mietiture.
Osservammo il nostro Strumento creare nuovi soldati dai corpi delle civiltà estinte.
Osservammo la seconda IA assisterlo nel genocidio.
Ci compiacemmo del lavoro che avevamo compiuto, nonostante ci fosse costato così tanto.
Sterminavano sistematicamente le razze organiche, distruggendo la vita, ma anche la guerra.
Irlanda, Terra.
Anno 2157.
- Zia Emeirin?-
La bambina stava seduta sulla grande sedia a dondolo, sprofondata fra quei cuscini che sapevano d’incenso.
La donna si era voltata, sorridendo.
Emeirin Stone aveva lunghi boccoli castani e qualche solitaria ciocca bianca.
I suoi occhi viola pallido avevano brillato, mentre si avvicinava alla bambina.
- Dimmi, piccola.- disse, con dolcezza.
- Che cos’è quello?- replicò la bambina, indicando un arazzo sulla parete.
Anche se sembrava di stoffa, era molto più incorporeo ed emanava una lieve luminescenza azzurrina.
- Quello è un ricordo.- sospirò Emeirin - Una reliquia di altri tempi. Vedi quei simboli? Sono scritti nella lingua dei Prothean, un popolo scomparso oltre cinquantamila anni fa.-
Cinquantamila anni sembravano davvero tanto tempo. Un’eternità, avrebbe detto qualcuno.
La bambina non riusciva ad afferrare l’immensità di quel concetto. Le sembrava esagerato, e basta.
- Perché sono scomparsi?-
Emeirin accarezzò i corti capelli castani della bambina.
- Questo, tesoro mio, non lo sa nessuno.-
- Nessuno nessuno?- insistette lei, incredula
- Beh…- la donna rise, leggermente, fugacemente, con una mano sulle labbra -… forse qualcuno lo scoprirà, un giorno. Forse, quando sarai grande, sarai proprio tu a far luce sul mistero.-
La bambina scosse la testa in cenno di diniego, improvvisamente seria.
- Quello è un lavoro per gli scienziati, zia!- protestò
- E a te non piacerebbe? Diventare un’archeologa? Sapere com’era il mondo prima di noi, svelare i misteri che la sabbia del tempo ha coperto molti secoli orsono?-
- … non lo so…- la bambina si era corrucciata, come se non capisse il senso della questione -… io diventerò un soldato, zia. Combatterò nell’esercito dell’Alleanza come fanno la mia mamma e il mio papà.- un sorriso aveva illuminato le sue labbra:- magari un giorno avrò anche una nave mia.-
- Una nave!- Emeirin finse stupore - E saprai pilotarla tutta da sola?-
- Io… non lo so, troverò qualcuno che la piloti al posto mio.-
- Mmh, questo mi pare sensato.-
Dalla cucina si sprigionava un buon odore di dolci, di biscotti e di cannella.
La bambina balzò giù dalla sedia, con un gridolino di gioia
- I biscotti sono pronti!-
Emeirin soffocò un sospiro, mentre la sua mano sfiorava la reliquia, senza timore di rovinarla, senza alcuna preoccupazione che esulasse dalla semplice malinconia.
- Sta’ attenta a non bruciarti!- aveva detto, mentre la bambina saltellava nel piccolo cucinino.
Avrebbe voluto avere l’energia della giovinezza, l’entusiasmo di avere tutto un mondo ancora da scoprire. Avrebbe voluto liberarsi da quella sensazione di angoscia, mentre il tempo scandiva gli ultimi anni di pace.
- Possiamo chiamare il papà?- le chiese la bambina, mentre Emeirin infilava i guanti per aprire il forno
- Tuo padre sta combattendo una guerra, tesoro. Possiamo provare a mandargli un olomessaggio. Ti ricordi come si fa? Vai in camera mia, io metto a raffreddare i biscotti e poi ti raggiungo.-
Estrasse la teglia dal forno. Il caldo ed il profumo l’avvolsero come in un sudario, strappandola per un attimo ai suoi pensieri. L’appoggiò sul davanzale.
Lo scalpiccio della bambina era cessato. La sentiva armeggiare con il comunicatore.
La raggiunse in camera. Insieme, sedettero sul grande letto a baldacchino, scostando la tela di stoffa perlacea.
Emeirin sorrise: casa sua non aveva tinte aggressive, aveva solo sfumature. Ogni cosa era attutita, ovattata, ogni cosa scompariva in una bellezza iridescente.
Azionò il comunicatore e fece cenno alla bambina di cominciare a registrare il messaggio
- Ciao, papà!- esclamò subito lei, agitando la mano - Io e la zia Emeirin oggi abbiamo fatto i biscotti! Non vedo l’ora che la guerra finisca e che tu possa venire a prendermi…- si voltò verso la donna, con aria dispiaciuta, poi si corresse:- non è che non mi piaccia stare dalla zia Emeirin, ma mi mancate tu e la mamma. Oggi ha nevicato. Tantissimo. E ho fatto un pupazzo di neve, ma non era bello come quello che abbiamo fatto insieme l’anno scorso. Non vedo l’ora che torni, papà. Ti voglio bene!!-
Emeirin accarezzò i capelli della bambina, poi guardò verso il comunicatore.
- Non ti preoccupare per noi, Alex.- sorrise - qui ci divertiamo molto. Vinci quella stupida guerra in fretta.-
Era la loro formula di chiusura. Da quando l’Alleanza aveva richiamato i suoi soldati, Emeirin terminava così tutti gli olomessaggi al suo miglior amico. Era un rito, un modo per trovare serenità, anche nel furore della battaglia.
Si strinse la bambina al petto, cercando di non pensare a quello che stava succedendo, nello spazio, sopra di loro, vicino eppure eternamente lontano.
- Vai in cucina - disse alla piccola - credo che i biscotti siano pronti per essere divorati!-
- Yuppie!!- esclamò lei, entusiasta, correndo fuori dalla stanza.
Rimasta sola, Emeirin selezionò la destinazione a cui spedire il messaggio.
“Corazzata Amaranth. Al tenente Alexander Shepard.”
Londra, Terra
Anno 2186
- Ammiraglio?-
Anderson si volta. Uno dei suoi uomini lo sta chiamando, dal pannello delle comunicazioni.
Sta diventando sempre più difficile coordinare gli sforzi con il resto della resistenza, ma almeno la rete locale è ancora relativamente intatta.
- Cosa succede, tenente Fields?-
Jonathan Fields, che prima della guerra voleva aprire un bar, in quartiere poco conosciuto di Londra, apre un file sull’oloschermo
- Abbiamo ricevuto un’altra di quelle mail, signore.-
Anderson si accarezza il mento, riflettendo, ma subito accantona ogni ipotesi quando il testo del messaggio si materializza davanti ai suoi occhi.
“Ventiquattr’ore. Adelaide, Australia”
- La Coda!!-
Avevo promesso di pubblicare qualcos’altro su ME e quindi eccomi qui!
Come inizio - lo so - è un po’ sibillino, ma molte cose si chiariranno in fretta.
In realtà, ho già scritto un paio di shot ambientate dopo la guerra, ma mi sembrava più giusto postare prima questa long, per raccontarvi com’è finita la guerra, per la mia Shep.
Il fatto è questo. Nessuno dei finali possibili mi piaceva. Hanno i loro lati positivi e i loro lati negativi, mentre io volevo un lieto fine come Dio comanda (sono una fan del lieto fine).
Insomma, questa è la storia come la racconto io J
Per eventuali errori/orrori/imprecisioni, mi raccomando, scrivetemi e fatemeli notare, perché è un argomento piuttosto complesso e la coerenza a un certo punto potrebbe essermi sfuggita.
I più attenti avranno certamente notato che, nel 2157, probabilmente gli umani non avevano assolutamente idea di chi/cosa fossero i prothean, ma vi basti sapere che questo è un “errore” voluto e che avrà un suo significato. Beh, detto questo, credo di aver detto tutto.
Spero che questa nuova storia vi piaccia, io ci sto mettendo il cuore!
Un bacio a tutti!
- La Matta -
P.S. Odio i miei titoli con tutte le mie forze. |
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Capitolo 2 *** Premonizioni ***
la quarta scelta 1
Capitolo Primo
Premonizioni
Riempie
il bicchiere di liquore. Lo guarda, come leggendo qualcosa nei bagliori del
liquido.
- Shepard?
Tutto bene?-
E’
Kaidan. Kaidan fa sempre questo genere di domande.
-
Abbiamo perso Thessia.- mormora la comandante. Svuota il bicchiere con un
sorso. Poi lo scaglia dall’altra parte della stanza. Quello s’infrange contro
un muro, scoppiando in un milione di frammenti cristallini.
Konstantin
Shepard sente la rabbia montarle in corpo.
E’
qualcosa di fisico, di doloroso. E’
sempre riuscita a mantenere il sangue freddo. Tradimenti, ingiurie, ramanzine,
gente che le dava della pazza… è riuscita a prendere un respiro profondo e a
perdonare tutto.
Ma
questo. Non riesce a metabolizzare
quello che è accaduto su Thessia.
Il
modo disgustoso in cui Cerberus l’ha privata della migliore speranza per la
conclusione della guerra.
La
cecità dimostrata dall’Uomo Misterioso e l’arroganza del suo sicario, di quel
bastardo di Kai Leng.
-
Shepard.- Kaidan le mette una mano sulla spalla.
Lei
rimane immobile, costringendo sé stessa all’immobilità.
Si
ripete che Kaidan è un bravo soldato e che sarebbe sbagliato se lei se la
prendesse con lui, se lo usasse per sfogare quella rabbia infuocata che le
corrode l’animo.
La
guerra coi Razziatori non è mai andata davvero bene.
Ma
fino a qualche giorno prima, sembrava ci fosse qualche speranza in più. C’era
l’ombra di una buona notizia, da poter diffondere in quella galassia lacerata e
malinconica.
C’era
la cura per la genofagia. C’era la pace fra Geth e Quarian. C’era… e ora c’è
Thessia.
E’
un’unica notizia che però sembra in grado di occupare l’universo.
Thessia,
la patria delle Asari, il gioiello della galassia… Thessia ora è un cumulo di
rovine.
Konstantin
si scrolla di dosso la mano di Kaidan.
-
Sto bene.- dice, gelida. Poi prende un altro bicchiere dall’armadietto e lo
riempie di nuovo.
-
Shepard, ti conosco. Abbiamo superato insieme la morte di Ash, abbiamo superato
insieme tante cose. Supereremo anche questo.-
-
Non ho voglia di parlare.-
Crede
di aver consumato tutta la sua energia positiva nel tentativo di rincuorare
Liara. Vuole solo rimanere seduta a quel tavolo e riuscire, solo per qualche
minuto, a non pensare alle Asari morte su Thessia. A quelle guerriere che si
sono sacrificate per farla arrivare al Tempio… a quelle Asari che sono morte invano.
Kaidan
apre bocca, come se volesse aggiungere qualcosa, ma poi rinuncia.
Si
alza dallo sgabello e, prima di andarsene, dice:- se hai bisogno di me, sono
qui.-
Konstantin
alza una mano, in un maldestro ringraziamento o un cenno di saluto, poi torna
al bicchiere.
Per
la prima volta dall’attacco della Soverein, si chiede se davvero la guerra
finirà mai.
Qualche
minuto dopo, un lieve colpo di tosse la strappa a quelle macabre riflessioni.
- Siha?-
E’
Thane. Thane che sa quanto tempo darle. Thane che sa anche che, quando la
rabbia e l’adrenalina l’avranno abbandonata, lei non vorrà essere da sola.
-
Immagino tu voglia parlarmi di Thessia.- dice la comandante, in uno sbuffo.
-
Voglio parlare di te.- la contraddice
il Drell, sedendosi accanto a lei e prendendole una mano.
-
Non c’è molto da dire. Non sono riuscita a fermare Kai Leng. Di nuovo.-
-
Kai Leng è solo una persona. Un puntino nella galassia. Tu hai radunato
eserciti, pacificato nazioni, sventato complotti… hai salvato migliaia di
vite.-
Konstantin
solleva gli occhi e ha lo sguardo di un animale ferito:- e ne ho perse miliardi.
A volte mi domando se non sarebbe meglio se i Razziatori ci spazzassero via.
Sarebbe tutto finito in un secondo, nemmeno ce ne renderemmo conto. La
mietitura si concluderebbe e la vita organica ricomincerebbe dal principio. E
noi… forse alla fine avremmo un po’ di pace.-
Thane
prende le mani di Shepard nelle proprie.
-
Se lo pensassi davvero… non saresti qui.- le dice, dolcemente, prima di
baciarla sulle labbra - Nessuno di noi sarebbe qui. Non ti sei mai arresa, siha.-
-
Non ho mai perso un intero fottuto pianeta.-
Thane
non risponde. Forse non c’è una risposta da dare.
Poi
la guarda negli occhi e le toglie una ciocca di capelli dalla fronte
-
Non mollare adesso, siha. La galassia
ha bisogno di te.-
Konstantin
si prende il viso fra le mani e, quando Thane l’abbraccia, soffoca un
singhiozzo fra le braccia del Drell.
-
Voglio solo che tutto finisca.- mormora, mentre lui le posa un bacio fra i
capelli - Ho bisogno che tutto finisca. Ho bisogno di un po’ di pace, tutto
qui. Di sapere che, per una volta, non sarà una mia decisione a determinare la
sorte di migliaia di vite. Voglio vivere,
Thane. E’ così sbagliato?-
-
Non è sbagliato, siha.- mormora lui,
stringendola fra le braccia - Recupereremo i dati da Cerberus. Completeremo il
Crucibolo. Sarà finito prima ancora che tu te ne renda conto.-
Konstantin
solleva il viso, passandosi una mano sugli occhi per trascinare via ogni
residuo di lacrime.
-
Credi davvero che ce la faremo?- chiede, in un sussurro, come temendo la
risposta.
Thane
sorride, prima di baciarla sulla bocca:- Lo credo davvero.- risponde, sulle sue
labbra
A
sentire quelle parole succede qualcosa, nel petto di Shepard.
Il
suo cuore salta un battito e, per un secondo, ha la netta certezza che tutto
andrà bene.
Che
vinceranno la guerra, che salveranno la galassia, che la fine è più vicina di
quanto sembri.
Qualche
ora dopo, l’ologramma dell’Ammiraglio Hackett sta di fronte a lei. Le braccia
dietro alla schiena, l’uniforme perfetta, tutta l’autorità dell’Alleanza
concretizzatasi in una persona.
-
Comandante Shepard, so che ha fatto del suo meglio, su Thessia. Nonostante la
perdita di quei dati sia grave, confido che lei riuscirà a risolvere la
situazione. Tuttavia, non l’ho chiamata per questo. Desideravo aggiornarla
personalmente su certe anomalie, che l’Ammiraglio Anderson mi ha comunicato,
dalla Terra.-
- Anomalie?-
Nel
gergo di Shepard, “anomalia” non ha mai un significato positivo.
Anomalia
è l’errore di calcolo che ha diviso i geth, anomalie sono tutti gli esperimenti
di Cerberus, anomalia è quel segnale turian che, misteriosamente, l’ha condotta
in una trappola dei Collettori. Anomalia è l’incrociatore che, quasi tre anni
prima, è riuscito a vedere la
Normandy oltre il sistema di occultamento.
-
Di che genere di anomalie stiamo parlando?- chiede, professionale
-
Tutto potrebbe risolversi in un nulla di fatto, comandante, ma, coi tempi che
corrono…-
-…
non possiamo tralasciare nulla.- completa Shepard, annuendo.
Sono
tempi assurdi e disperati, tempi in cui aggrapparsi a qualunque brandello di informazione,
a qualunque mossa - anche piccola - che possa dare un minimo vantaggio su un
nemico virtualmente invincibile e dannatamente vicino alla perfezione.
-
Come può immaginare - continua Hackett - sulla Terra regna il caos. Eppure, il
nostro quartier generale continua a ricevere, ogni giorno, centinaia di
messaggi sull’invasione. Per lo più sono di squilibrati che ci presentano
teorie insostenibili su come affrontare il nemico… ma di recente uno di questi
pazzi ci ha sorpreso. Anderson si è reso conto che uno di questi uomini ci
scriveva puntualmente un giorno prima di un attacco dei Razziatori. Noi
etichettavamo il suo messaggio come un delirio eppure, esattamente
ventiquattr’ore dopo, i Razziatori colpivano, esattamente nel luogo da lui
indicato.-
Shepard
tace, cercando di metabolizzare l’informazione.
-
Siete riusciti a rintracciarlo?- chiede poi
-
No.- Hackett scuote il capo - i nostri migliori esperti ci stanno lavorando, ma
l’indirizzo da cui sono partiti i messaggi sembra non esistere e tutte le
nostre apparecchiature vengono eluse. Ci sembra di fare un passo avanti e
invece ne stiamo facendo due indietro.-
-
Pensate che quest’uomo possa avere a che fare con i Razziatori?-
-
Sarò sincero con lei, Shepard - l’Ammiraglio prende un respiro profondo,
guardando l’eroina della galassia - non siamo in grado di fare supposizioni, in
merito a chi sia quest’uomo. L’unica certezza che abbiamo è che, in qualche
modo, riesce a prevedere gli attacchi dei Razziatori. Non sappiamo nemmeno dire
se sia un nemico o un possibile alleato, ma lei concorderà con me sul fatto che
non possiamo semplicemente ignorarlo.-
Konstantin
incrocia le braccia davanti al petto, riflettendo.
Nella
sua mente si accavallano domande e risposte, un ingarbugliato filo logico
collega esperienze e perplessità, creando un arazzo il cui disegno ancora non
si distingue.
-
Grazie, ammiraglio.- dice infine, ripromettendosi di parlarne con il resto
dell’equipaggio - Spero che veniate presto a capo di questo mistero.-
-
Lo speriamo tutti, comandante. Hackett, chiudo.-
L’ologramma
scompare. Konstantin si appoggia al muro, riflettendo.
Come
fa un uomo a conoscere i piani dei Razziatori? Ad anticipare le loro mosse?
E
perché affidare un’informazione tanto delicata ad un canale secondario,
inserirla in un messaggio destinato ad essere ignorato assieme alle centinaia
di suoi simili?
Che
esigenze di segretezza possono essere più importanti della Terra?
-
Shepard.- la chiama la voce incorporea di IDA - Se lo desideri, io e la
specialista Trainor possiamo metterci all’opera per contribuire alle ricerche
dell’Ammiraglio.-
Konstantin
non risponde subito. Si prende un minuto per valutare vantaggi e svantaggi.
-
Coordinatevi con l’Ammiraglio.- dice, infine - Ma non perdiamo di vista la
nostra missione: prima di ogni cosa vengono i Razziatori, segue Cerberus, segue
qualunque altra cosa. Se questa ricerca vi distrae troppo…-
IDA
non la lascia nemmeno terminare.
-
Non preoccuparti, comandante.- la rassicura - Sono programmata per poter
gestire notevoli quantitativi di dati senza che i miei sistemi ne risentano
minimamente. Garantisco che non ci saranno perdite d’efficienza.-
-
Sei fantastica, IDA.- sorride Shepard.
Le
implicazioni di quella nuova missione sono notevoli.
Trovare
qualcuno in grado di anticipare le mosse dei Razziatori sarebbe un vantaggio
incredibile. Per la prima volta, potrebbero essere un passo avanti ai loro
nemici, riequilibrare almeno in parte le sorti del conflitto. Avere un asso
nella manica.
Ma
come può essere possibile, una cosa del genere?
Che
contatto, che energia, che manipolazione ha reso possibile l’esistenza di
questa scappatoia?
E
quest’uomo - se di un uomo si tratta - come ha avuto origine? Da dove trae le
sue informazioni e quali sono i suoi veri scopi?
Shepard
sente un brivido correrle lungo la schiena.
Non
vorrebbe partire per cercare un alleato e trovarsi un altro nemico.
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Capitolo 3 *** Sogni ***
la quarta scelta 2
Capitolo Secondo
Sogni
Una colonna di luce rossa
pulsa di fronte a lei.
E lei non vuole avvicinarsi
ma sa che deve, sa che è la migliore speranza per la galassia.
Si muove - è lenta, è
stanca, ogni gesto è un inferno di sofferenza.-
Avrebbe tanto voluto
sopravvivere. Tornare indietro, per rivedere Thane.
Ma vuole di più che la
guerra finisca e che finisca ora, prima di altra morte.
Allunga una mano. Le sue dita
sfiorano la colonna di luce.
Un dolore accecante le
risale il braccio.
Sente tutto il suo corpo
disgregarsi, tutte le sue particelle implodere e conflagrare.
Tutto diventa buio. Distruzione.
Konstantin
Shepard spalanca gli occhi, drizzandosi a sedere sul letto.
Ha
il respiro accelerato e, nonostante abbia dormito tutta la notte, si sente più
stanca di quando si è coricata.
Eppure,
non è il primo incubo che la guerra le ha portato.
E’
solo una variazione, rispetto al viso innocente di quel bambino che non è
riuscita a salvare.
Rispetto
al sorriso di Ash, alle sue battute, al suo coraggio.
Rispetto
alla foresta di ombre, in cui risuonano le voci di chi ha perduto.
Rispetto
alla prospettiva di quello che l’attende.
- Siha?- la voce di Thane, arrochita dal
sonno, è morbida come una carezza.
Le
sfiora la schiena, prima di baciarla dolcemente sulla base del collo.
-
Scusa - ribatte lei, cercando di sorridere - Non volevo svegliarti.-
Il
drell si mette a sedere sul letto, prendendo la comandante fra le braccia.
-
Se posso fare qualcosa per te, rinuncio volentieri a qualche ora di sonno.-
mormora, accarezzandole i capelli.
Konstantin
sorride, riconoscente, eppure sa che non c’è niente, che Thane possa fare.
Il
peso di quella guerra è un fardello che lei deve portare da sola. Così ha
sempre fatto, da quando ha preso in mano la situazione, su Elysium. Mentre
sparava ai batarian, maldestramente accucciata dietro ad un cumulo di detriti,
con il fucile fra le mani e un’imprecazione fra i denti, si era resa conto che
la guerra è una compagna esigente. Che quando ti entra nel sangue, poi non ne
esce più.
E’
un fardello che deve portare da sola, perché non saprebbe condividerlo con
altri.
-
Mi basta sapere che ci sei.- sussurra, appoggiandosi al petto di Thane.
-
Sarò con te fino alla fine...- risponde il drell - Non sei mai da sola, siha. Ricordatelo.-
-
Mi dispiace per ieri. Sono stata… distruttiva.-
-
Perdere Thessia è stato un brutto colpo. L’hai gestito meglio di chiunque
altro.-
Konstantin
annuisce. Non vuole più parlarne. Vuole concentrarsi sul futuro, su quello che
può ancora fare, per la galassia. Presto raggiungeranno Sanctuary, per indagare
su Cerberus e cercare di chiudere una volta per tutte quel conflitto delirante
e controproducente.
-
Quando la guerra sarà finita…- mormora Thane, accarezzandole i capelli -…
torneremo sulla Terra, a dare una mano con la ricostruzione. Ci sarà tanto da
rifare, ma ci sarà ancora tanta bellezza.-
E’
una fantasia che coltivano insieme, ogni tanto, per non pensare a quanto buio
sembri il futuro.
Qualche
volta immaginano il lieto fine.
-
Ti porterò in Irlanda...- prosegue Konstantin, mentre un sorriso le si posa
sulle labbra -… a vedere dove sono stata bambina. Dove zia Emeirin mi portava a
guardare le stelle, nelle sere d’estate, quando il cielo era limpido e
l’universo sembrava più vicino.-
Sono
ricordi molto cari, ma che sembrano vecchi di una vita.
Mentre
parlano di quel futuro - che potrebbe essere lontano, vicino, oppure potrebbe
non realizzarsi mai -, una strana calma s’infonde nel corpo di Shepard. Un
torpore benefico.
Lentamente,
le palpebre le diventano pesanti.
Sta sorridendo quando si riaddormenta e piomba in un lungo sonno senza sogni.
Quando
Shepard incontra il resto dell’equipaggio, ogni traccia di debolezza è scomparsa
dal suo viso.
Raccolgono
le idee, discutono, si scambiano aggiornamenti sulla prosecuzione della guerra.
Le
notizie da Palaven sono sconcertanti, mentre non ci sono rapporti attendibili
sulla situazione di Thessia, dopo l’invasione. Su Rannoch, i geth stanno
aiutando i quarian mentre la
Terra, lentamente, soccombe sotto la morsa d’acciaio dei
Razziatori.
E Cerberus.
Cerberus
ha subito la più profonda trasformazione.
Non
è più un’incognita, un’organizzazione che agisce per finalità incomprensibili ma
non per questo sbagliate… ora Cerberus è il nemico, un nemico da affrontare
prima ancora dei Razziatori, se vogliono avere una chance di vittoria. Cerberus
è il traditore che ti pugnala alle spalle. Cerberus è l’ago della bilancia.
Al
termine della riunione, ormai è chiaro che bisogna sferrare un attacco decisivo
al nemico e che bisogna farlo in tempi brevi.
-
IDA, imposta la rotta per Horizon. Raggiungiamo Sanctuary.-
Terminata
la riunione con l’equipaggio, Shepard prende Javik in disparte. C’è un argomento
che devono affrontare, ora più che mai.
Si
siedono sul divano, nella cabina del comandante e per qualche istante si
guardano, senza parlare, poi Konstantin esordisce:- credo di aver fatto
qualcosa per contrariarti, ma, per quanto mi sforzi, non riesco a capire cosa.-
Il
prothean risponde senza esitazioni:- non penso sia una buona idea che il tuo
drell rimanga a bordo della Normandy.-
Shepard
scuote la testa, versandosi un bicchiere di vino.
Se
l’aspettava. Non sa spiegare perché, ma aveva la sensazione che il problema
fosse Thane.
-
Perché?- chiede
Javik
la guarda dritta negli occhi. Nelle sue iridi c’è un misto di rabbia e sdegno:-
Non trovo opportuno che tu ti distragga ulteriormente
dalla guerra, comandante.-
Konstantin
beve un sorso di vino:- parli di Kahje, vero?-
-
Parlo di come tu abbia abbandonato la guerra per salvare la vita di quel drell.
Non ti rendi conto che ogni minuto di tempo che perdiamo sono altre anime
mietute dai Razziatori? Ogni giorno è un altro sistema devastato, ogni istante
che passa è un istante in meno che ci separa dall’estinzione?-
Shepard
ascolta lo sfogo, poi mette giù il bicchiere e posa una mano sulla spalla di
Javik.
Non
sa se ribattere, tentare di giustificarsi, cercare le parole per spiegare la
sua scelta.
Una
parte di lei sa di aver sbagliato, sa di essere stata egoista. Ma c’è quella
piccola porzione di coscienza che è furiosa, che sa di aver sacrificato molto,
per la galassia, e che pretende di aver diritto ad almeno un frammento di
felicità.
-
Non ci saranno altre distrazioni.- dice, infine - Non dopo Thessia.-
Lo
dice ostentando sicurezza, ma teme di non poter essere davvero sincera.
Sa
che se uno dei suoi amici le chiedesse aiuto, lei non riuscirebbe ad ignorarlo.
Come
sa anche che, se Kai Leng le attraversasse la strada, lei gli correrebbe dietro
per sparargli in mezzo agli occhi. Sa di essere umana e di essere lontana anni
luce da quello standard di soldato perfetto che Javik ricorda dai tempi
dell’Impero.
-
Comandante…- riprende il prothean - questo ciclo si è fatto scioccamente
cogliere impreparato dall’arrivo della mietitura e, nonostante l’evidenza della
minaccia, ancora fatica ad unirsi per affrontarla.- il suo tono diventa più
duro, la sua espressione quasi feroce -… non possiamo permetterci altri errori. Sei la migliore speranza
della galassia, Shepard. Non buttare via tutto.-
Konstantin
prende un respiro profondo, reggendo lo sguardo accusatorio di Javik:- non
butto via niente.- replica, determinata - Ma non voglio combattere e rendermi
conto, alla fine, che ho smesso di vivere. Non voglio arrivare alla fine di
questa guerra e aver perso quello che mi rende umana.-
-
Potrebbe essere necessario, per salvare miliardi di esseri.- le ricorda il
prothean, con voce lugubre.
Non
riesce a capire come una guerriera tanto brillante possa essere anche così
ottusa. Come può anche solo immaginare
di mantenere intatto l’onore, di vincere questa guerra giocando secondo le
regole dell’etica, combattendo ogni battaglia, anche quelle perse in partenza?
Perché
non può semplicemente rassegnarsi all’inevitabile, accettare la creatura che la
guerra sta plasmando dentro di lei, accantonare i sentimenti, la grande
debolezza della vita organica?
-
Potrebbe.- mentre risponde, Shepard sente una morsa di tristezza stringerle il
cuore - Potrebbe.- ripete, in un
sussurro.
Pensa
a tutto ciò che ha permesso alla guerra di portale via.
Ai
compagni caduti, alle decisioni prese, alle notti insonni.
Pensa
a tutti coloro che non riuscirà a salvare, ai mondi devastati, alle esistenze
spezzate.
Ripensa
al sogno che ha fatto. Al dolore accecante. Al suo corpo che esplode. Distruzione.
-
Farò tutto il necessario per fermare questa guerra.- dice.
Javik
annuisce:- è questo che volevo sentirti dire, comandante.-
Shepard
sorride, ma non sa se sia una cosa di cui essere contenti.
Luogo sconosciuto.
Si
sveglia all’improvviso.
Una
forza inesplicabile la guida fino nel giardino della grande casa.
Il
vento freddo le sferza il corpo, agita i suoi capelli.
Piove
una pioggia sottile e fredda.
C’è
uno spiazzo di terreno, dietro casa. Fiori rossi sono cresciuti indisturbati e
ora emettono una lieve luminescenza. Una mosca è immobile, su un filo d’erba,
come paralizzata. I suoi occhi dalle mille sfaccettature sono scintillati come
diamante.
S’inginocchia
a terra, scava a mani nude finché le sue dita non sfiorano una superficie
liscia.
La
ricordava fredda. Ora irradia un lieve tepore.
Il
manufatto non si era mai svegliato.
Lo
tiene fra le mani finché i polpastrelli non iniziano a scottare. Una sensazione
di gelo e umidità s’insinua sotto la sua pelle, più fredda del vento, più
infida della pioggia. Non è un freddo solo fisico.
Lo
stordimento allunga i tentacoli sulla sua mente.
Lei
non lo combatte. Rimane in ginocchio nel piccolo giardino, bagnata di pioggia,
nutrendosi di quel contatto che per tanto tempo le è mancato.
Quando
il manufatto instaura il suo controllo su di lei, le labbra le si inarcano in
un sorriso.
“Allora ti ricordi di me”
La Coda!!
Poveri
noi, la settimana scorsa non ho scritto la Coda!!
Ok,
non che dovessi comunicarvi informazioni fondamentali per la comprensione del
vostro io recondito, tuttavia mi dispiace non averla messa.
Comunque,
scleri a parte.
Nota1:
Thane è vivo. Sì, lo so che ve ne siete accorti tutti. Però mi mette sempre di
buon’umore specificarlo. Se volete sapere come è successo, c’è una storia
apposta XD
Nota2:…
ed è proprio a questo storia che si riferisce Shepard quando dice “parli di
Kahje”.
Nota
3: mmmmmmh… chissà qual’era la nota3…
Nota4:
sto di nuovo numerando le note, è fastidioso.
Nota
5: EH?
Nota6:
ok, il caldo mi ha fuso il cervello. Grazie a tutti per essere arrivati fino a
qui, ci sentiamo presto!
- La Matta -
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Capitolo 4 *** Sanctuary ***
La quarta scelta 3
Capitolo Terzo
Sanctuary
Mentre
calpesta per la prima volta il terreno di Sanctuary - un rifugio sicuro per i
profughi di guerra, un’illusione di pace nel bel mezzo della tempesta - nelle
orecchie di Shepard sta risuonando il messaggio interrotto di Oriana Lawson.
La
sorella di Miranda, che ha i suoi stessi occhi ma un volto più gentile,
l’espressione morbida di chi ha avuto un’infanzia serena ed una maturità
felice.
Konstantin
la ricorda da Ilium, da quando ha aiutato Miranda a proteggerla dai lunghi
artigli del signor Lawson. Ricorda di averla spinta a parlarle, a missione
finita, di averla quasi spinta verso di lei, per farle creare un ponte. Odia
mettersi in mezzo alle vite altrui, ma sa di aver fatto la cosa giusta.
Le
comunicazioni da Sanctuary si sono improvvisamente interrotte qualche giorno
prima e nessuno è riuscito a ristabilire un canale con la struttura.
IDA
è riuscita a risalire a Cerberus, anche se le motivazioni dell’organizzazione,
come al solito, non sono chiare.
Il
viale d’accesso a Sanctuary è un cumulo di macerie fumanti.
Nell’aria
c’è un odore forte, di morte e di distruzione.
Shepard
e la sua squadra si muovono con circospezione, risalendo ciò che resta delle
scale.
C’è
un silenzio profondo, inquietante.
E’
chiaro che si è combattuta una battaglia, a Sanctuary… ma fra chi?
Konstantin
se lo sta ancora chiedendo quando uno stridio metallico la fa sobbalzare.
-
Qualcosa disturba le nostre comunicazioni, Shepard.- la informa IDA - Per
questo è stato impossibile stabilire un contatto con la struttura.-
-
Non posso dire che sia una notizia confortante.- borbotta lei, scuotendo il
capo
Anche
se ora la colonia è in rovina, si intuisce facilmente che doveva essere un
luogo splendido.
Le
sue forme sono eleganti e sobrie, trasmettono un senso di quiete ed armonia.
E’
un’illusione, ma sono giorni terribili, in cui anche un’illusione è meglio di
niente.
Se
fosse una civile, Shepard impazzirebbe. Si sente impotente persino ora, ora che
le nazioni della galassia le stanno dando ascolto e appoggiano le sue scelte…
non riesce a immaginare come si deve sentire un civile, condannato a subire gli
effetti di quella guerra mostruosa, bloccato fra l’istinto di fuggire ed il
dovere di restare, perennemente in dubbio, senza informazioni, senza speranze,
spesso senza nemmeno conoscere davvero il nemico. Quanti possono effettivamente
dire di conoscere la natura dei
Razziatori?
Almeno
Konstantin può cercare di scorgere una motivazione, nella loro condotta, una
logica.
Ha
parlato con chi li ha creati, ha imparato la loro storia.
L’incontro
con il Leviatano è stato illuminante. Non solo per il patrimonio
d’informazioni, ma per la sensazione che le ha dato. La coscienza che i
Razziatori non sono creature divine, non sono nemmeno i primigeni abitanti
della galassia… il Leviatano le ha fatto capire che non sono altro che delle macchine
troppo evolute che, per un processo logico errato, ritengono che la distruzione
sia la miglior soluzione per i problemi dell’universo.
E
poi, su Despoina, ha visto quanto sia facile
annientare un Razziatore.
Ha
visto la spada di Damocle che pende su di loro.
Ha
visto con quanta facilità un Leviatano ha piegato il suo strumento ribelle.
E
quando ha paura, Shepard trova conforto nella certezza che c’è stato un tempo
in cui l’Araldo era solo un mezzo per un fine, che poi si è rivelato troppo
evoluto per essere controllato.
In
fondo, l’Araldo è come i Geth. I Leviatani come i Quarian.
Poi
un forte ruggito fa vibrare l’aria.
-
Un Mietitore.- spiega IDA, indicando una sagoma nera e spettrale, nel cielo.
Oltre
al Mietitore, nel cielo c’è anche una navetta di Cerberus
-
Credo stessero evacuando la struttura.- intuisce Javik - Lo scontro deve aver
inflitto loro gravi perdite. Ma perché i Razziatori e Cerberus dovrebbero
combattersi a vicenda?-
-
Se si ammazzano a vicenda, ci fanno solo un favore.- conclude Shepard,
risoluta.
Il
prothean abbozza una smorfia, che sembra un sorriso:- ben detto, comandante.-
Dentro
la struttura, ci sono altri segni di scontri.
Piccoli
incendi bruciano nei giardini artificiali, macchie di sangue, cenere e materia
grigiastra imbratta i vetri.
Una
voce metallica - femminile, dolce, cortese - continua a rivolgersi ai nuovi
arrivati, indirizzandoli alla registrazione e ricordando loro che su Sanctuary
sono vietati i dispositivi di comunicazione.
La
cosa è alquanto sospetta.
Come
si può pretendere che un rifugiato rinunci all’unico modo che ha di accertarsi
che la sua famiglia sia ancora in vita? Chi dei profughi non ha un figlio, un
marito, una moglie, un fratello al fronte o su uno dei pianeti contesi?
-
Questo posto mi mette i brividi.- commenta Konstantin, mentre bypassa le porte
dell’accettazione.
-
Il messaggio della signorina Lawson sconsigliava di credere all’apparenza di
Sanctuary. Lasciava intendere che c’era qualcosa di ulteriore, nascosto oltre
la facciata.- concorda IDA.
-
Ma d’altro canto…- sospira Shepard, oltrepassando un bancone rovesciato. Si
blocca, prima di finire la frase. Ha visto qualcosa, un filo rosso che fende
l’aria immota.
-
Cecchini!- esclama, rotolando dietro ad un cumulo di macerie.
Appostate
su uno spalto, due Nemesi fanno fischiare i loro proiettili.
Uno
va a vuoto, mentre l’altro danneggia superficialmente lo scudo di Shepard.
-
Ne sentivo la mancanza.- sorride la comandante, prima di sporgersi e fare fuoco
contro i nemici.
-
Sovraccarico i loro scudi.- annuncia IDA e anche lei sembra divertita.
Allo
scontro si aggiungono un paio di Phantom ma, nel complesso, una forza ridotta.
Mentre
Konstantin Shepard tiene testa ai nemici e li liquida, uno dopo l’altro, Javik
arriva per l’ennesima volta alla stessa conclusione. La comandante è molto più
produttiva, senza il drell chiamato “Thane”.
Javik
non ha nulla contro di lui, ma la guerra gli ha insegnato che i rapporti
personali - e l’amore, prima di tutti gli altri - sono dannosi, nocivi sul
campo di battaglia.
Il
prothean sa - e sembra essere l’unico ad aver accettato quest’evidenza - che
perché la galassia sopravviva alla mietitura è necessaria una paladina, una
stratega fredda e calcolatrice, in grado di prendere la decisione giusta, non
importa quanto questo richieda.
In
un modo o nell’altro, Shepard è quella paladina.
Javik
ha pochi ricordi del suo ciclo e quelli che ha sono confusi e circostanziali.
Sa
che il frammento di memoria - il manufatto che Shepard e la sua squadra hanno
trovato su Eden Prime, assieme alla sua capsula di stasi - potrebbe fare
chiarezza sul suo passato… ma sa anche che ricordare significa rivivere e che
rivivere la caduta della sua civiltà, il fato di tutti coloro che ha conosciuto
ed amato… sa che rivivere quest’emozioni desterebbe un dolore devastante.
Infine, sa che un soldato preso nella rete del dolore e della nostalgia è un
soldato morto. E un soldato morto non uccide i Razziatori.
Eppure
c’è sempre un frammento di lui che, contro l’addestramento, la logica, contro
il buon senso, desidera prendere il mano il manufatto e ricordare.
Allontana
per l’ennesima volta quel pensiero molesto e riprende a seguire Shepard, nelle
viscere di quella struttura ipocrita e decadente che gli umani hanno chiamato
“Sanctuary”
Oltrepassano
il grande atrio ed una zona d’atterraggio secondaria, dove due navette si sono
schiantate. Fra i rottami ci sono pezzi di storie, eco di vite ormai
inesorabilmente spezzate.
E
poi ci sono registri, numeri, proposte, regole. Ci sono registrazioni piene di
speranza, di sollievo.
E’
terribile pensare che fosse tutto un inganno, una macchinazione di Cerberus.
Una
volta dentro un terminale richiama la loro attenzione.
E’
danneggiato, come tutti, ma trasmette ancora un messaggio a ciclo continuo.
Quando
Shepard si avvicina, riconosce subito la voce di Miranda.
-
Se siete arrivati fin qui - sta dicendo la donna - siete troppo disperati o
troppo stupidi.-
-
Mi piace quest’umana.- commenta Javik, a mezza voce
Sullo
schermo, Miranda prosegue:- Sanctuary non è un rifugio, ma una struttura di
Cerberus gestita da mio padre, Henry Lawson. Tutto quello che vi hanno detto,
tutto quello che vi ha portati qui… è una menzogna. La torre centrale blocca
tutte le comunicazioni. Andatevene.-
Shepard
alza gli occhi al cielo, mentre il messaggio ricomincia dal principio.
-
Ottimo. Ora abbiamo Cerberus, i Razziatori e il padre svitato di Miranda. Ma
come sono collegati?-
-
Posso azzardare un’ipotesi ironica?- dice IDA
-
Forse adesso non è il momento migliore.- ribatte Konstantin
-
Allora la terrò in serbo per quando forniremo un resoconto della missione al
resto dell’equipaggio.-
Forse
sembra cinico, scherzare in quelle circostanze, ma Shepard nella sua vita ha
appreso che ci sono volte in cui la depressione causa più danni del nemico
stesso. Gliel’ha insegnato un certo pilota con le ossa di cristallo, che è
molto più saggio di quanto il suo cappellino faccia immaginare.
Nel
giardino interno, manomettono una pompa idraulica per aprirsi un accesso ad una
zona protetta di Sanctuary. Sotto la colonia si annida un complesso nascosto. I
macchinari sembrano ancora in funzione, ma al centro di controllo manca la
corrente.
Quando
Shepard trova l’interruttore centrale e riavvia i sistemi, i filmati della
sorveglianza le fanno gelare il sangue nelle vene. Gli addetti di Cerberus
camminano per un lungo corridoio, fra capsule trasparenti in cui si agitano
delle cavie.
-
Quelli sono i rifugiati - dice, in un sussurro
-
Questa procedura mi è nota.- annuisce Javik
-
Li stanno trasformando il mutanti.- geme Shepard, quando si rende conto delle
conseguenze del procedimento. E’ assurdo,
sempre più assurdo.
Ogni
passo avanti in quella struttura rivela qualche altra oscenità, una tortura che
sembra non avere un fine.
-
Semmai dovessi diventare un mutante…- mormora Konstantin, spegnendo il filmato
-… sparatemi.-
Continuare
a vivere solo per servire i Razziatori. Esiste una morte più straziante, una
sopravvivenza più crudelmente ironica?
-
Mi premurerò di farlo sapere anche altri membri dell’equipaggio, comandante,
anche se più di qualcuno rifiuterà anche solo di prendere in considerazione
l’idea.- rileva IDA
Nella
stanza successiva, un altro messaggio di Miranda.
Quando
azionano il terminale, sul video si materializza un’immagine della ragazza.
-
I Razziatori hanno devastato la struttura - riferisce, mentre digita
ansiosamente qualcosa sulla tastiera - Toglierò l’energia all’intero impianto,
così almeno non potranno fuggire.-
Shepard
la guarda impostare gli ultimi comandi con un misto di ansia ed approvazione.
Miranda
è forte e coraggiosa e, dal primo istante, Konstantin ha saputo che l’aspettava
un grande destino. Ma è difficile vederla impegnata in una missione tanto
pericolosa, non senza provare un brivido di preoccupazione. Miranda non è solo
una preziosa collaboratrice, è anche una cara amica e se le succedesse
qualcosa… il pensiero svanisce dalla mente di Shepard non appena un’altra
figura si materializza sullo schermo.
Kai
Leng.
Il
cuore di Shepard salta un battito. Stringe la mano a pugno, combattendo l’ira.
Non
chiede altro che una seconda occasione. Una chance per cancellarlo dalla faccia
dell’universo.
L’assassino
si china sul computer, esamina la configurazione lasciata da Miranda.
-
La signorina Lawson è arrivata prima del previsto - comunica ad un piccolo
apparecchio - Vuoi che la sistemi?-
Non
serve una grande immaginazione, per capire chi c’è dall’altra parte.
-
Solo se ti sarà d’intralcio.- risponde infatti la voce profonda dell’Uomo
Misterioso - I dati della struttura hanno la priorità su tutto. Recuperali, Leng.-
L’assassino
annuisce, compiaciuto, poi lo schermo si spegne.
-
Maledizione!- impreca Shepard
-
Incanala la tua ira, comandante.- sussurra Javik - Ti darà forza.-
-
Ho tutta la forza che mi serve.- ribatte Konstantin, gelida.
Lentamente,
si costringe a rilassare il pugno.
Deve
ragionare a mente lucida. Prima Miranda, poi i dati, infine la vendetta.
Non
è certa di essere in grado di rispettare quella scala di priorità, ma deve
almeno fare un tentativo.
-
Dobbiamo raggiungere la torre centrale.- dice alla fine, spostandosi dal
monitor
-
Questo significa attraversare il laboratorio.- le ricorda IDA
-
Fantastico - risponde Shepard, controllando le clip termiche - Ho proprio
voglia di sparare a qualcosa.-
Oltre
ai mutanti di Cerberus, nel corridoio ci sono anche i resti delle forze dei
Razziatori.
Non
che la cosa faccia gran differenza, solo che le Banshee hanno un modo tutto
loro di mettere Konstantin Shepard di pessimo umore.
Fra
un’onda biotica, uno sciame racni e qualche mutante dall’aria isterica, la
comandante riesce ad accedere ad alcuni dei registri di Henry Lawson e del
personale scientifico della struttura.
Ormai
è chiaro che hanno elaborato un modo per creare e controllare i mutanti, ma
nessun cenno riguardo allo scopo di tutto questo.
Mentre
affronta i nemici, Konstantin ripensa a Miranda.
E’
stata il primo volto amico che ha visto, risvegliandosi dopo due anni di coma.
Lei, e Wilson, che poi si è rivelato essere un traditore e che quindi è finito
freddato con una pallottola in fronte.
All’inizio
la trovava supponente. Vagamente irritante.
Aveva
la sua missione, la sua rigida lealtà all’Uomo Misterioso, l’ammirazione per i
progetti di Cerberus. All’inizio l’aveva persino respinta, quando aveva cercato
di conoscerla meglio.
Poi
erano andante avanti. Avevano continuato a reclutare l’equipaggio, a seguire da
vicino le mosse dei Collettori… si erano preparate insieme al viaggio oltre
Omega 4, che entrambe sapevano poteva essere di sola andata. E avevano salvato
Oriana.
Di
tutte le missioni, quella le aveva unite.
Miranda
aveva capito che l’interesse di Konstantin andava oltre le sue potenzialità e
che la comandante la voleva vicino non come biotica, ma come persona. Miranda
era cresciuta in un mondo dove la fiducia era una debolezza, mentre Konstantin
aveva fatto dei legami la sua più grande forza.
Erano
donne molto diverse, ma alla fine avevano trovato un’intesa perfetta.
IDA
incenerisce l’ultimo predatore e i suoi gemiti agonizzati riportano Shepard al
presente.
-
Ottimo.- si congratula, abbassando il fucile - Procediamo.-
-
Non sembri eccessivamente turbata da quello che Cerberus ha fatto ai tuoi
simili, comandante.- commenta Javik, accennando alle attrezzature del
laboratorio
-
Avrò tempo di essere turbata quando avremo risolto il problema.- controbatte
Konstantin, scostando con un piede la carcassa di un mutante.
-
Approvo questa condotta, comandante.-
-
Bene. Lieta di avere la tua benedizione.-
Il
successivo terminale è il più danneggiato di tutti ma IDA riesce a rimetterlo
in sesto quanto basta per trasmettere la registrazione di Miranda.
La
giovane progetta di riattivare le comunicazioni, in modo da svelare l’inganno.
-
I rifugiati vengono utilizzati come cavie da laboratorio, trasformati in
mutanti o indottrinati e mandati all’Uomo Misterioso.- ricapitola IDA -
Seguendo quei flussi di spostamenti, potremmo rintracciare la base di
Cerberus.-
-
Buona idea.- annuisce Shepard.
Un
corridoio e svariati Cannibali più avanti, trovano l’ultimo terminale.
La
chiave per comprendere quell’occulto e tortuoso mistero.
La Miranda virtuale li sta
aspettando, sullo schermo, ripentendo che ha le prove che suo padre lavora per
l’Uomo Misterioso.
-
Stavano cercando un modo per controllare le forze dei Razziatori…- deduce
Shepard, al termine del filmato - Sanctuary era una copertura per i loro
esperimenti…-
-
Questo avrebbe dato senza dubbio un notevole vantaggio tattico - rileva IDA
-
Ma a un prezzo inaccettabile.-
Konstantin
quasi si aspetta che Javik dica qualcosa sul fatto che nessun prezzo è inaccettabile,
quando è in gioco la sopravvivenza della galassia, eppure il prothean rimane in
silenzio.
Forse
aver visto delle persone innocenti venir ingannate e tramutate nel nemico ha
colpito anche lui, facendo vibrare corde del suo essere che ha sepolto sotto la
corazza e la maschera del soldato perfetto.
-- La Coda!!
Odio questo capitolo.
Proprio
non mi è riuscito di renderlo più interessante, però mica potevo abolirlo!
Non
c’è altro da dire se non grazie per essere arrivati fino a qui e… alla prossima
settimana!
Un
bacio!
- La Matta -
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Capitolo 5 *** Miranda ***
la quarta scelta 4
Capitolo Quarto
Miranda
Durante
la rapida ascesa verso la torre, la mente di Shepard si sgombra di tutti i
pensieri superflui.
Rimane
a malapena cosciente del peso del fucile della propria mano, della corazza
sulle spalle, dell’energia biotica sotto la pelle. Entra in uno stato di totale
sintonia con i propri compagni - è proprio questa, dopotutto, la sua forza. Il
fatto che non è mai davvero sola -.
Le
prudono le mani.
Poco
prima che le porte dell’ascensore di aprano, socchiude gli occhi e mormora
- Amonkira, Signore dei
Cacciatori, guida la mia mano e, se dovesse accadere il peggio, concedimi il
tuo perdono.-
Sorride,
poi oltrepassa la soglia ed entra nella stanza.
La
prima cosa che vede è Oriana, la sorella di Miranda.
Però
è diversa da quando l’ha vista su Ilium. Non è più una ragazza normale che vive
una vita serena. Ora la guerra ha toccato anche lei, è entrata anche nel suo
cuore.
C’è
un uomo, che la tiene bloccata e le punta una pistola alla tempia.
“E così, quello dev’essere
Henry Lawson”
Shepard
ha sentito così tanto parlare del padre di Miranda - per tutta la missione dei
Collettori la sua lunga ombra ha seguito sua figlia, a volte talmente da vicino
da sembrare sul punto di ghermirla - eppure adesso, che lo vede, le sembra un
uomo perfettamente ordinario.
Ha
gli occhi azzurri di Miranda, occhi che sanno e che calcolano ogni mossa, occhi
intelligenti, anche se ora un po’ opachi per la paura.
I
Razziatori hanno attaccato la sua struttura, dopotutto. Ha visto la morte in
faccia.
Per
qualche istante probabilmente ha pensato di essere alla fine della sua vita, di
dover rendere conto di tutte le nefandezze commesse.
Solo
dopo qualche istante, Konstantin vede anche Miranda.
La
giovane è rannicchiata dietro ad un riparo di fortuna. Sembra ferita, ma non
troppo gravemente. Ha gli occhi pieni della stanchezza di chi non solo ha visto
troppi orrori ma ha anche dato tutto per combatterli.
Dev’essere
terribile pensare che è il proprio padre il mostro insensibile che trasforma i
rifugiati in mutanti, approfittando della loro disperazione per infliggere un
colpo basso ai propri nemici.
-
Lasciala andare!- esclama Shepard, avanzando verso di lui con la pistola
spianata - E’ finita.-
Miranda
alza lo sguardo sulla comandante e, per un secondo, sul suo viso si legge il
sollievo, la gioia di un aiuto inaspettato.
Konstantin
Shepard - l’eroina della galassia - è probabilmente l’ultima persona che
s’aspettava di vedere e la prima che avrebbe voluto al suo fianco in quello
scontro.
Avrebbe
voluto chiamarla, all’inizio di quella storia.
La
tentazione era stata quasi irresistibile.
Farsi
soccorrere nella propria battaglia da quell’amica che sembrava infallibile.
Poi
Miranda Lawson si era resa conto che quella era la sua crociata personale. Che
doveva trovare da sola la forza per finirla, per concludere quell’eterna fuga,
per spazzare via l’onnipresente minaccia di Henry.
Ha
deciso di essere forte, per sé stessa, per Oriana ed anche per Shepard, che
sembrava piuttosto impegnata nel combattere la sua battaglia.
Più
tardi, Konstantin le dirà “potevi chiamarmi. Ti avrei aiutata” e Miranda non
dubiterà nemmeno per un secondo della veridicità di quell’affermazione. Nel suo
cuore saprà - come ha sempre saputo - che Shepard mollerebbe qualunque cosa per
aiutare un’amica e sarà fiera di non averle dato un’ulteriore preoccupazione.
Questo
avverrà più tardi.
Adesso,
l’unica cosa a cui Miranda riesce a pensare è sua sorella, stretta nella morsa
dell’uomo più crudele e cinico del mondo, di quel padre che ora Miranda vuole
solamente uccidere, in fretta e senza voltarsi indietro.
Quasi
sorride: Shepard sarebbe contraria.
Shepard
è per le seconde chances. E le terze. E le quarte.
Forse
avrebbe pietà persino per un manipolatore come Henry Lawson, ferma nella
certezza che le persone come lui, in un modo o nell’altro, incontrano comunque
il fato che meritano.
Ma
Shepard non capisce. Miranda deve uccidere suo padre.
Deve
avere la soddisfazione e il sollievo di vedere il suo corpo inerte, il suo
respiro spezzato, i suoi occhi vuoti, che fissano l’eternità. E’ la sua croce e
la sua gioia suprema. E’ lo scopo che deve raggiungere, per poter poi
prefiggersene di nuovi.
Perché
Miranda possa vivere la sua vita, Henry Lawson deve perdere la sua.
Così,
nonostante Shepard sia riuscita a convincerlo a mollare la presa su Oriana,
nonostante ora la ragazza sia al sicuro fra i compagni della comandante,
nonostante ora quell’uomo orribile non sia più una minaccia e stia chiedendo di
venir risparmiato, Miranda solleva una mano e lo scaglia oltre il vetro della
torre, ipnotizzata dal modo in cui il suo corpo si contorce e il suo ultimo
grido riecheggia nell’edificio.
Un
tonfo ed è finita.
Si
avvicina a Konstantin, pulendosi un rigagnolo di sangue dalla guancia.
-
Doveva essere fatto?- le chiede la comandante, con una quiete incredibile.
-
Doveva.- conferma Miranda.
Per
un attimo, sente qualcosa di caldo pungerle gli occhi.
-
E’ finita.- ansima poi.
Non
si è mai sentita così. Si sente rigenerata.
Abbraccia
Oriana e percepisce che anche lei prova una sensazione simile. Forse un po’
affievolita ma, dopo aver visto quello che Henry Lawson era capace di fare, non
è possibile sentire la sua mancanza.
All’inizio,
Miranda lo odiava così tanto da non riuscire a sopportare di presentarsi col
suo stesso nome.
Poi
aveva ucciso una squadra di suoi scagnozzi e, in un attimo, aveva accettato il
passato.
Erano
state anche le azioni di suo padre a renderla la donna che era.
L’avevano
resa più forte, più sicura, ma più importante di ogni altra cosa, le avevano
insegnato dov’è la linea di demarcazione, dove “estremo” diventa “mostruoso”.
Le aveva insegnato a distinguere le precauzioni dalla paranoia e dove la
ricerca della perfezione diventava pura follia.
-
Stai bene, Ori?- domanda, mentre sua sorella respira velocemente, fra le sue
braccia, ancora agitata
-
Sì…- la ragazza solleva quegli occhi azzurri, cupi eppure limpidi, gli occhi di
una Miranda più giovane e meno tormentata -… voglio solo andarmene da qui.-
-
Non preoccuparti, è finita.- Miranda sorride, accarezzandole i capelli - Dammi
solo un minuto per parlare con il comandante e poi ce ne andremo da questo
posto.-
Shepard
è poco lontana: sta consultando un terminale assieme ad IDA per estorcere
quanti più dati possibili sui Razziatori e sull’ubicazione della base di
Cerberus.
-
Arrivi sempre al momento giusto, eh, comandante?- esordisce, avvicinandosi a
lei, e poi, sottovoce:- grazie.-
Non
c’è bisogno di specificare perché.
Grazie
per Oriana - per averla salvata adesso e per avermi convinto a parlare con lei
su Ilium -, grazie per non avermi mai abbandonata, grazie per aver capito,
grazie per la galassia e per la lotta ai Razziatori.
Konstantin
si volta e sorride:- ti dovevo un favore per avermi ricostruita pezzo per pezzo.-
-
L’eroina della galassia non dimentica, eh?-
-
Mai.-
-
Comandante - la richiama uno dei suoi compagni (“che diavolo… ah, dev’essere il Prothean”)
-
Dimmi, Javik.-
-
Abbiamo trovato delle informazioni sugli arrivi e le partenze. Anche di navette
di Cerberus.-
-
E’ una buona base per completare le ricerche. Utilizzando un algoritmo potrei
restringere le possibilità.- calcola IDA, scaricando i dati
Miranda
sorride. Oggi sta sorridendo un sacco.
Dieci
minuti prima stavano per morire tutti, sospesi fra il fuoco incrociato di
Cerberus e dei Razziatori. Adesso sta sorridendo.
Shepard finisce sempre per fare miracoli.
-
Io ho qualcosa di meglio.- dice, in tono complice. Estrae un piccolo
dispositivo e lo tende a Konstantin.
Per
qualche istante, la comandante non capisce.
O,
per meglio dire, la sua mente si rifiuta di crederci.
Per
una volta, la sorte può davvero averla voluta aiutare?
Miranda
ammicca, chiudendo le dita di Shepard attorno all’oggetto.
E’
un localizzatore.
La Coda!
Sono in
dannato ritardo!
Evidentemente
Cerberus ha infettato la mia connessione con un virus distruttore, poiché - per
l’ennesima volta da che ho memoria - internet va più lento di un volus con una
gamba sola…
Scusate
tanto J
Fra
l’altro, può darsi che aggiornerò più spesso, perché i capitoli mi sembrano
davvero corti. Giuro, su word
sembrano normali!!
Vabbé,
un bacio a tutti e ci risentiamo!
- La Matta -
|
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Capitolo 6 *** Frammenti ***
la quarta scelta 5
Capitolo Quinto
Frammenti
(Base segreta di Cerberus,
laboratori)
Mentre
attende che IDA bypassi il blocco di una serratura, Shepard si accosta al
terminale lì vicino.
E’
ancora attivo e, sullo schermo, pulsa gentilmente l’indicazione “progetto
Lazarus”.
Sono
dei video sull’Uomo Misterioso - su come l’abbia ricostruita pezzo per pezzo,
su come l’operazione procedesse, su quanti crediti abbiano sborsato per
riaverla come prima - e sulla sua decisione di fornirle un equipaggio. La sua
glaciale coscienza che lei non si sarebbe mai fidata davvero, di Cerberus.
E’
affascinante vedere i retroscena della propria ricostruzione ma, in fondo,
niente di più.
Eppure,
c’è una quarta registrazione, criptata.
-
IDA, puoi fare qualcosa per questa?-
-
Subito, Shepard - annuisce lei - Inserisco la chiave di decrittazione.-
Pochi
secondi dopo, con un lieve barlume verde, il file si converte e si apre sullo
schermo.
E’
sempre il laboratorio di Cerberus, ma quello che Konstantin vede le mozza il
fiato.
L’Uomo
Misterioso è assieme ad un altro uomo, dai lunghi capelli neri, che consulta
dei dossier
- Soddisfatto, Alexander?-
Lo sconosciuto scuote la
testa, risoluto:- No. Per l’ennesima volta, no.-
- Per quale ragione?-
- Questi uomini sono adatti
per portare a termine una missione. A noi serve qualcuno di cui lei si fidi,
con cui possa instaurare un legame.-
- La conosci meglio di
chiunque altro, Alexander. Qualche consiglio?-
- Non cercateli nei vostri
normali canali. Non mi servono dei mercenari ben addestrati, mi servono degli
elementi unici nel loro genere.-
- Perché non stilli una
lista?-
Lo sconosciuto tace per
qualche istante, come considerando le implicazioni di quell’ipotesi.
- No.- pronuncia infine,
secco - Io non lavoro con Cerberus.-
- Oh, Alexander - la voce
dell’Uomo Misterioso è bonaria, quasi divertita - Pensavo che, dopo tutto
questo tempo, avessi rinunciato a tutti i pregiudizi. Sai come lavoriamo…-
Di nuovo silenzio.
Poi Alexander agita una
mano, allontanando l’argomento
- Butta via questi dossier
e affida un altro agente alla selezione dell’equipaggio.-
L’Uomo Misterioso si
stringe nelle spalle:- farò avere l’incarico all’agente Lawson. Sono certo che
non disattenderà le tue aspettative.-
Anche
dopo che il video si è concluso, Shepard rimane immobile, a fissare lo schermo.
Alexander.
Non
lo vede da vent’anni, eppure l’ha subito riconosciuto.
L’inflessione
nella voce, la postura, la sua incredibile capacità di sembrare sempre il capo
di tutti.
-
Papà…- sussurra, accarezzando il terminale con aria pensierosa - IDA… sai se
c’era un certo Alexander Shepard, fra i contatti di Cerberus?-
IDA
scuote il capo:- questo nome mi è nuovo, comandante. Tuttavia, non escludo
l’ipotesi che abbia utilizzato uno pseudonimo. Fra i contatti conosciuti di
Cerberus ci sono 37 umani che rispondono al nome di “Alexander”.-
- Non
mi sembra il momento di pensare al passato.- esclama Javik - Se tuo padre
lavora per Cerberus, verrà spazzato via esattamente come tutti gli altri.-
Shepard
non risponde. Non sa come rispondere.
-
Andiamo avanti.- conclude, sbrigativa - Troviamo l’IV Prothean.-
-
Sono d’accordo.- annuisce Javik - Procediamo.-
Eppure,
sono costretti a fermarsi pochi minuti dopo, davanti ad un’altra porta
sigillata.
E
ad un altro terminale. Shepard consulta alcuni file, sulla creazione di IDA.
Sembra
quasi che Cerberus abbia voluto rallentarli, disseminando i suoi laboratori di
indizi e frammenti del suo passato.
-
Trovato qualcosa di utile, Shepard?- vuole sapere l’IA
-
Niente, a parte che un tecnico di Cerberus ti ha definita “abbastanza furba da
chiedere aiuto ma non tanto per discutere di filosofia.”-
-
E’ stato prima che mi integrassero con la tecnologia dei Razziatori e mi
applicassero alla Normandy. E prima che Jeff attivasse anche i sistemi che mi
erano stati preclusi.-
-
Cionondimeno - sorride Shepard - si sbagliavano di grosso.-
-
Traiamo vantaggio da tutti gli errori dei nostri nemici.- annuisce Javik
-
Sacrosanto.-
Poi
la porta si apre ed uno squadrone di Centurioni si scaglia contro Shepard e la
sua squadra.
-
Beh, mi sembra giusto.- commenta Konstantin, puntando il fucile e premendo il
grilletto.
Mentre
combatte (Dei, quanto odia le Nemesi!),
ripensa a suo padre.
All’uomo
che è stato l’eroe della sua infanzia e che poi, poco prima del suo undicesimo
compleanno, è scomparso, inghiottito dal buio cosmico, lasciandola sola con
un’infinita malinconia e le spiegazioni spezzate e furiose di sua madre. Hannah
Shepard non parlava mai apertamente di suo marito.
Da
quel che Konstantin aveva colto, negli anni, Alexander aveva tradito
l’Alleanza.
Aveva
disertato ed era fuggito, danneggiando tutti coloro che avevano creduto in lui.
Un
criminale, ecco cos’era diventato. La
feccia dell’Universo.
Spara
un ultimo colpo. Un Ingegnere si affloscia a terra, sui resti della torretta
che stava riparando.
Eppure,
c’era ancora qualcuno, che credeva in Alexander.
Qualcuno
che credeva in lui più di sua moglie, più di sua figlia, più dei suoi compagni
d’arme.
E
questo qualcuno era Emeirin Stone, la sua miglior amica.
Si
erano viste quasi un anno dopo la sua scomparsa, durante una delle rare licenze
di Hannah Shepard.
Emeirin
era sempre la stessa.
Le
aspettava sedute sulla veranda.
Hannah
era stata ingiustamente fredda, con lei, eppure Emeirin le aveva comunque fatte
accomodare, aveva servito torta appena sfornata ed aveva preparato il suo the,
che riscaldava e portava conforto.
E
per quanto la madre di Shepard avesse il desiderio di litigare (di trovare
qualcuno, indifferentemente chi, su cui sfogare la rabbia e l’indignazione, la
furia del soldato e la disperazione della moglie abbandonata), Emeirin era
riuscita a calmarla.
Avevano
parlato di tante cose e Konstantin non ne ricordava nemmeno una.
Un
dettaglio però era marchiato a fuoco nella mente della donna, come una
fotografia che negli anni ha mantenuto intatti i suoi colori originari ed è in
grado di rievocare nitidamente il passato.
Quando
Hannah si era allontanata, per rispondere al comunicatore (“Scusate, è l’Alleanza, devo rispondere”), Emeirin aveva preso le
mani di Konstantin nelle proprie e le aveva sorriso.
“Non perdere la fede” aveva detto “Perché, anche quando ci sentiamo
abbandonate, c’è sempre qualcuno che ci osserva”
“Parli di Dio, zia
Emeirin?”
aveva chiesto lei, perplessa.
Una
leggera risata era germogliata nella gola della donna, ma lei l’aveva
trattenuta
“In un certo senso” aveva risposto, elusiva
“Mi manca il mio papà” aveva confessato Konstantin
“Sono sicura che anche tu
manchi a lui”
“Ma… se… se ha smesso di
volermi bene?-
Emeirin
aveva scosso la testa e, per un secondo, il suo sguardo era volato alla
finestra, al piccolo orto dietro casa, come se cercasse qualcosa.
“I padri non smettono mai
di amare i figli, tesoro mio” le aveva detto, accarezzandole i capelli “anche
quando sono lontani...” e aveva aggiunto, sottovoce
“anche quando i figli smettono di amare i padri”
Poi
Hannah era rientrata e avevano ripreso a chiacchierare del tempo, dell’estate,
dei programmi per il futuro.
Man
mano che attraversano i laboratori di Cerberus, la tensione si fa più
palpabile.
L’ultimo
terminale mostra dei filmati su Kai Leng e vedere l’assassino non fa che
aumentare l’ira della comandante. Vorrebbe riuscire a prendere un respiro
profondo e calmarsi, eppure non ci riesce.
Stanno
succedendo troppe cose tutte insieme.
Konstantin
Shepard crede nelle seconde chance. E nelle terze.
Ma
non è sicura che, se Kai Leng si arrendesse, lei riuscirebbe a risparmiargli la
vita.
Ha
inferto troppo dolore, non solo a lei, ma alla galassia.
Anche
su quel terminale c’è una quarta registrazione.
Anche
quella quarta registrazione la colpisce come un pugno allo stomaco.
C’è una donna, legata al
centro del laboratorio.
Alcuni tecnici stanno
monitorando qualcosa.
L’Uomo Misterioso passeggia
per la stanza, fermandosi solo qualche istante per controllare i progressi.
“Questo è incredibile”
mormora uno degli scienziati.
“”Incredibile” è
esattamente quello che stavamo cercando” annuisce il leader di Cerberus “Basta
per completare la nostra ricerca sui Razziatori?”
“Sì, signore. E’ più che
sufficiente”
L’Uomo Misterioso annuisce
e c’è una nota di trionfale soddisfazione, nella sua voce
“Quanto tempo vi serve per
completare la ricerca?”
Il tecnico tentenna
“… dipende, signore”
“E da cosa?”
“Da… da lei, signore.”
“Non è una lei.” replica
l’Uomo Misterioso, implacabile “Non fare l’errore di considerarla umana”
“Comunque, signore… sta
opponendo resistenza. Non so come… ma riesce a sfalsare i nostri risultati. Di
questo passo, i tempi della ricerca rischiano di dilatarsi.”
L’Uomo Misterioso scuote la
testa, aspirando una lunga boccata di fumo
“Persuadetela”
-
Che succede, comandante?- chiede Javik, vedendo che Konstantin si è bloccata
davanti allo schermo
-
Io…- Shepard scuote la testa, come cercando di schiarirsi le idee - Niente. Mi
sembrava di aver riconosciuto una persona. Ma non… non è possibile. Andiamo,
prima troviamo l’IV Prothean, meglio sarà per tutti.-
Finalmente,
raggiungono la loro meta.
Sotto
ai laboratori, raggiungono una struttura dove l’ultimo Razziatore (quello Umano), giace, ancora incompleto.
Shepard prova un brivido di orrore. Credeva di aver distrutto quell’abominio
durante l’assalto alla base dei Collettori.
Non
s’illudeva che Cerberus avesse rinunciato a cercare di recuperare il
recuperabile, ma non immaginava nemmeno quanto avessero potuto ricostruire.
Percorrono
la struttura in un silenzio tombale, rotto solo da occasionali scontri con le
forze di Cerberus.
L’aura
che irradia dal Razziatore incompleto è qualcosa di metallico e di malato.
Un
nemico in embrione, eppure già un nemico, nondimeno.
Shepard
scuote la testa: quando, di preciso, l’Uomo Misterioso ha smesso di pensare al
bene dell’umanità e si è dedicato a rincorrere quel folle sogno che è
imbrigliare i Razziatori?
Visionando
le registrazioni dell’ultimo terminale, si rende conto che Cerberus ha
oltrepassato il punto di non ritorno. Ha sottoposto i suoi soldati a
trattamenti con la tecnologia dei Razziatori, ha imposto a delle creature vive
di diventare simili ai mutanti. Ha distrutto la loro mente, ha divorato la loro
anima.
Tutto
questo, con la ferrea ed erronea convinzione di poter controllare tutto quel
potere, quell’energia grezza, la forza di un altro tempo, troppo lontana per
poter essere concepita dall’uomo.
-
Merda.- geme Shepard - mi domando cosa sarebbe successo se…-
-
Niente “se”, comandante.- la corregge
Javik, perentorio.
Konstantin
annuisce:- hai ragione. E’ tardi per i “se”.-
In
un modo o nell’altro, la fine di Cerberus è vicina.
- La Coda!-
“Frammenti”
è un capitolo che mi piace abbastanza, più che altro perché riprende il filo
della trama invece che raccontare semplicemente cose che sapevamo già tutti. Spero
che sia piaciuto anche a voi J
Perdonate
come al solito il ritardo!
Un
bacio a tutti e grazie per essere arrivati fino a qui!
Alla
prossima!
- La Matta -
|
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Capitolo 7 *** Vendetta ***
la quarta scelta 6
Capitolo Sesto
Vendetta
-
Shepard. Mi hai rubato la sedia.-
Non
le serve voltarsi, per sapere che è l’Uomo Misterioso.
La
proiezione la guarda con aria beffarda, dopo aver aspirato una boccata di fumo.
-
Te lo dirò una sola volta.- sillaba Shepard, con calma ingannevole - Dammi l’IV
prothean. Abbandona l’idea di controllare i Razziatori. E’ pura follia!-
-
Ciò che qualcuno vede come pura follia può essere la soluzione perfetta per un
altro.-
-
Non in questo caso.- Konstantin si avvicina all’ologramma - Nemmeno tu puoi
essere così stupido da credere di poterli controllare!-
-
Stupido?- l’Uomo Misterioso sorride bonariamente, scuotendo il capo - No, mia
cara, io sono lungimirante. Ho
trovato un modo per sfruttare questa guerra a vantaggio dell’umanità… per darle
il ruolo che merita nella galassia! Non dimenticare che, dopotutto, i
Razziatori sono macchine, Shepard.-
-
Sono molto più di questo.- sussurra la comandante.
E’
turbata dall’esagerata sicurezza dell’Uomo Misterioso.
La
stessa ostinazione che, due anni prima, era quasi giunta a rispettare, adesso
sta minacciando di distruggerli tutti.
-
Ho visto Sanctuary.- dice, a bruciapelo - So cosa stavate facendo laggiù.-
Lui
tace, agitando la sigaretta. Una scia di fumo olografico volteggia nell’aria.
-
Un esperimento necessario. Ho ottenuto le informazioni che mi servivano. E,
grazie, all’IV prothean, so anche dove collocare le ultime tessere del puzzle.
Nonostante i nostri screzi, Shepard, ti ho sempre apprezzata, quindi ti faccio
un’offerta. Mettiti comoda e contempla la fine della guerra: abbi fede e vedrai
l’umanità soggiogare la macchina primordiale, stabilendo il proprio predominio
sulla galassia!-
Konstantin
scuote la testa:- no.- risponde, tetra - Costi quel che costi, ti fermerò.-
-
Grazie all’IV, ho ottenuto il Catalizzatore.- prosegue l’Uomo Misterioso,
ignorandola - ormai l’ultimo atto si avvicina.-
-
Mentre noi parliamo, i Razziatori stanno occupando la Terra! Quante persone sono
morte mentre io e te c’inseguivamo per
la galassia, giocandoci a vicenda i peggiori tiri che riuscivamo ad
escogitare?-
Lui
tace per qualche istante, guardando la comandante negli occhi.
Per
una manciata di secondi, la sua cieca sicurezza pare affievolirsi.
-
Il tuo idealismo è ammirevole, Shepard.- ribatte poi, con voce vellutata - E’
una dote apprezzabile, ma non cambierà il fatto che, per me, distruggere i
Razziatori è l’errore più grande che l’umanità possa commettere.-
-
Ammettiamo per un secondo che tu abbia ragione - risponde Konstantin
- Comandante!- la richiama Javik,
sconvolto, ma lei gli fa cenno di tacere
-
Ammettiamo che l’umanità abbia una possibilità di controllare i Razziatori…
pensi che lo desideri? Pensi che una qualunque razza della galassia vorrebbe
avere intorno una stirpe di macchine senzienti che ha passato millenni a sterminare la vita organica?
Una bomba ad orologeria sotto il cuscino, ecco cosa sarebbe. Potremmo finire
questa guerra adesso, con il controllo del nemico, ma ne scoppierebbe presto
un’altra. E’ questo che vuoi? E’ questo il meglio per l’umanità?-
-
Shepard, non sottovalutare la mia intelligenza. Nel momento in cui
controlleremo i Razziatori, li controlleremo per sempre.-
-
Illuso.- mastica la comandante, irritata
-
Può darsi - la risata dell’Uomo Misterioso è liscia come seta - ma non mi farai
cambiare idea, come io non la farò cambiare a te. Mi dispiace, mia cara, ma ora
è tempo di salutarci definitivamente.-
Konstantin
sta per ribattere, quando una luce verde si sprigiona dal computer di Cerberus.
-
L’ho trovata, comandante.- spiega IDA, mentre l’IV prothean si materializza
davanti a loro.
-
Siete qui per soccorrermi dalle forze indottrinate?- chiede, guardandoli senza
vederli.
-
Goditi la chiacchierata, Shepard.- sorride l’Uomo Misterioso - ma, fossi in te,
non mi dilungherei troppo.-
Lei
lo ignora e si rivolge all’IV:- stiamo cercando di fermare i Razziatori, ma
abbiamo bisogno del tuo aiuto. Cos’è il Catalizzatore?-
-
Il Catalizzatore migliora la trasmissione di energia oscura e coordina l’intera
rete dei portali. Nel vostro ciclo è noto come Cittadella.-
Konstantin
Shepard ricorderà solo vagamente i minuti successivi. Assorbirà tutte le
informazioni tecniche possibili, in uno stato di semicoscienza. Il
catalizzatore è la Cittadella. Non
solo, la Cittadella
è stata trasportata nel sistema Sol, per impedire a chiunque di azionare il
Crucibolo. Infine - ed è quel che si dice la ciliegina sulla torta - i
Razziatori sanno del loro piano perché il leader di una certa organizzazione
criminale si è sentito improvvisamente molto aperto e disponibile nei loro
confronti.
-
Maledizione.- impreca - Va bene, ragazzi, non è troppo tardi. Porteremo il
Crucibolo sulla Terra ed infliggeremo il colpo definitivo ai Razziatori.- fa un
cenno ad IDA e a Javik - Andiamo.-
-
Non così in fretta.- la blocca una voce maschile, gelida e beffarda
-
Tu.- sibila Shepard, mentre i suoi occhi incrociano quelli di Kai Leng
-
Ti aveva detto di non dilungarti.- ribatte l’assassino, con un ghigno.
-
Ti dirò, non speravo di rivederti così presto. Abbiamo ancora un conto in
sospeso, tu ed io.-
Kai
Leng si scaglia contro di lei, levando la spada.
Konstantin
si fa trovare pronta, fronteggiandolo con la lama del factotum.
Oltre
le scintille, i due guerrieri si fissano in cagnesco e sembrano avere occhi
solo uno per l’altra.
Il
mondo potrebbe finire in quel momento e loro non smetterebbero di combattere.
Rimarrebbero
intrecciati in quell’abbraccio mortale per tutta l’eternità, fino alla fine del
tempo.
La
verità, è che Shepard non chiede altro.
Avere
l’occasione di vendicarsi per tutto quanto, per la Cittadella, per Thessia
e, naturalmente, perché quel maledetto assassino è stato a tanto così dal
toglierle l’amore della sua vita.
Con
un ultimo colpo, riesce a far perdere l’equilibrio al nemico.
Kai
Leng si allontana con un balzo.
La
guarda negli occhi, sogghigna e chiama i rinforzi.
Arrivano,
un’ondata dietro l’altra, sembrano non finire mai, mentre l’assassino si
nasconde e attacca, si difende e schernisce la sua nemica. E’ irritante oltre
ogni dire.
Forse
è la stanchezza, ma ogni tanto Shepard vede l’aria tremolare.
-
Bel colpo, comandante.- si congratula IDA, dopo che un phantom è stramazzato al
suolo
-…
grazie. Credo.- annuisce lei, perplessa.
Il
fatto è che non ricorda di aver fatto fuoco.
(Luogo sconosciuto, da
qualche parte nella Galassia)
Chiude
gli occhi, mentre il vociare degli scienziati si affievolisce, intorno a lei.
Esclude
il mondo esterno. Dimentica la stretta delle fasce d’acciaio sui suoi polsi,
dimentica le sonde che vagano per il suo organismo, dimentica l’ago che stilla
una sostanza color latte.
Dimentica
i monitor e le loro pulsanti onde di energia.
Ogni
cosa, scompare in una densa nebbia.
“Da che deriva agli
organici questa cieca fiducia nelle proprie capacità? Come possono immaginare
di controllare i Razziatori, il nostro strumento primordiale, cioè che noi stessi,
nella nostra immensità, non siamo riusciti a limitare? Spianano la strada alla
loro stessa disfatta”
La
voce riecheggia nella mente della donna, da un dove non meglio stabilito.
In
verità, sembra venire da ogni luogo e da ogni tempo, sembra essere già nei
pensieri di lei.
Anche
se il manufatto è andato perduto, ci sono connessioni che non si possono
recidere, legami che perdureranno per sempre, fino alla fine del tempo stesso,
fino alla fine della vita come la conosciamo.
“Dovrei lasciarli fare?” sussurra la
donna, come una domanda a cui già conosce la risposta.
“Dovresti unirti ai fautori
del loro declino. E’ la scelta più saggia.”
E
lo sa. Sa che allearsi coi Razziatori è la scelta più saggia, è la via migliore
per l’autoconservazione. Sa che c’è ancora speranza, per lei, di avere una
vita, dopo la guerra.
“E se fosse possibile
spezzare il circolo? Trovare una nuova soluzione, un nuovo metodo per
preservare la pace galattica. Un modo che non contempli il ciclico
annientamento delle razze organiche?”
La
voce tace per qualche secondo. Ma non sta pensando.
Non
è un silenzio riflessivo, ma un vuoto per accentuare il rombo della risposta.
“Follia.”
“La mietitura non ha
risolto nulla”
“La mietitura ha risolto
tutto”
“Non ha cambiato la natura
degli organici. Terminato uno sterminio, le razze superstiti si rialzano,
crescono, ricostruiscono, ignare del fato che incombe su di loro.”
“Preferisci questo stato di
cose o la guerra perpetua?”
“Preferisco…”
“Ebbene, noi non
preferiamo. Noi siamo al di là di scelte e speranze. Noi siamo l’eternità. Noi
siamo il buio oltre lo spazio oscuro. Non siamo l’energia primigenia, i
primordi della storia. Noi non preferiamo una fine invece che un’altra, noi
determiniamo lo scandire delle ere…”
“Ma non c’è una fine, è questo che non capite.”
Il
rombo tace.
Per
qualche istante, la donna pensa che sentirà di nuovo quella voce concreta e
immateriale, il suono della tempesta rinchiuso in una palla di vetro. Pensa che
il loro dialogo proseguirà - un serpente che si morde la coda - finché lei non
avrà più fiato. Pensa questo ed è pronta alla sconfitta.
Ma
poi una mano ferrea le artiglia il braccio, un ago si apre la strana nella sua
carne.
Con
una piccola scossa elettrica, la costringono ad aprire gli occhi.
Gli
uomini in camice bianco le stanno attorno, come un cerchio di avvoltoi,
desiderosi di strapparle finanche l’ultimo brandello di carne.
Uno
strano ghigno si posa sulle labbra stanche della donna.
Che
provino pure. Ancora non comprendono con chi hanno a che fare.
(Base segreta di Cerberus,
laboratori)
Il
combattimento è lungo e duro ma, alla fine, Kai Leng incassa l’ultimo colpo.
Con
tutte le migliorie che la tecnologia gli ha fornito, qualunque creatura ha un
limite. E l’assassino ha raggiunto il suo. Si accascia a terra, mentre un
rigagnolo di sangue gli cola sul mento.
Non
vorrebbe ammetterlo, ma, mentre guarda il suo cadavere, Konstantin Shepard si
sente bene.
Bene
come non si sente da molto tempo.
Il
dolore per Thessia si è improvvisamente affievolito e, per quanto assurdo possa
sembrare, ora la comandante si sente più pronta che mai ad affrontare i
Razziatori. Se anche dovesse morire nell’impresa, morirà con la coscienza di
aver visto Kai Leng smettere di respirare.
-
Comandante - la richiama IDA.
-
Eccomi.-
Si
siede di fronte all’immenso computer dell’Uomo Misterioso, per estrarre i dati
mancanti.
Di
nuovo, l’aria vibra, accanto a lei.
Konstantin
sorride e sta per dire qualcosa, quando nota un movimento alle proprie spalle.
Kai
Leng, lentamente, faticosamente, si è rialzato.
Come
un’ombra le si sta avvicinando, con la spada in pugno.
“Dei,
perché non ho controllato?!” si rimprovera la comandante.
Prende
un leggero respiro. Per non tradirsi, continua a battere sull’olotastiera.
L’assassino
ormai è a un passo da lei. Leva la spada.
Ancora
un istante. Tutti i muscoli di Shepard sono pronti allo scatto.
Si
volta.
Di
nuovo, incrocia gli occhi del nemico.
Sono
cupi, pieni della stanca oscurità della morte imminente.
La
lama si abbassa… e si blocca a mezz’aria.
-
Questo è per la
Cittadella.- mormora una voce, calma e un po’ roca.
Una
mano gli si posa sulla spalla, quasi con gentilezza.
Con
un sorriso, Shepard nota che medio ed anulare sono uno congiunto all’altro.
Kai
Leng sgrana gli occhi, stupito. Le sue dita, inerti, perdono la presa.
La
spada cade a terra con un rumore metallico.
L’assassino
solleva debolmente una mano, a sfiorare qualcosa,
che gli fuoriesce dal petto.
E’
la lama di un factotum.
Shepard
sorride: non si è immaginata tutto, allora.
Lei
non ha sparato al phantom. Quel
fremito nell’aria c’era davvero.
Kai
Leng crolla a terra e stavolta non ci sono dubbi: non si rialzerà.
-
Non ti avevo detto di rimanere sulla Normandy?- chiede Konstantin, mentre Thane
oltrepassa agilmente il cadavere dell’assassino e la bacia sulla bocca
-
Te l’ho detto, siha.- mormora, sulle
sue labbra - tu non sei mai sola.-
La Coda!
Dio,
che soddisfazione!
Ho
immaginato una decina di scenari diversi per la morte di Kai Leng. Non solo
ipotesi diverse, ma anche diversi modi di descrivere l’evento. Questo mi
soddisfa molto, spero che sia piaciuto anche a voi.
Bene,
morto Kai Leng sono in pace con la galassia. I Razziatori possono anche vincere
la guerra e… (ehy! ndShep)… no, niente, stavo delirando.
Un
bacio a tutti e ci vediamo al prossimo capitolo!
- La Matta -
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Capitolo 8 *** Emeirin Stone ***
la quarta scelta 8
Capitolo Settimo
Emeirin Stone
Alle
sue spalle, sente Shepard che si coordina con la flotta dell’ammiraglio
Hackett.
La
sua voce è più leggera, come se si fosse tolta un peso. Come se il cadavere di
Kai Leng, ai suoi piedi, fosse davvero importante.
Javik
scuote la testa: perché compiacersi di una vittoria così piccola?
Ma
non è quella, l’origine del suo malumore. C’è qualcosa che lo perseguita, da
quando è entrato nella stazione Cronos. Qualcosa che gli pulsa nelle tempie,
uno sfarfallio davanti agli occhi.
Non
abbastanza forte da privarlo della concentrazione ma abbastanza luminoso da non
permettergli di ignorarlo. E’ un presentimento. Quasi. Più che altro, una
sensazione, un brivido sotto la pelle. Aspettativa, mista forse ad un
reverenziale timore.
Pulisce
la pistola, cercando di non pensarci.
Eppure,
istante dopo istante, la cosa diventa
più forte, più netta.
Quando
Shepard parla, la sente solo parzialmente, al limite della sua coscienza
-
IDA, abbiamo raccolto tutte le informazioni utili?-
-
Sì, comandante. Possiamo lasciare la stazione al tuo ordine.-
-
Bene, comunica a Joker la nostra posizione e dì di mandarci Cortez con la
navetta…-
Le
parole di Shepard suonano lontane, come una remota eco, ma quando Javik ne
coglie il significato generale, afferra Konstantin per un braccio e la guarda
negli occhi
-
No, comandante.- sussurra - Aspetta.-
-
Cosa succede?-
Il
prothean si guarda intorno, disorientato.
C’è
qualcosa, solo che lui non sa descriverlo. Non troverebbe il modo di farlo
capire ad un membro della sua razza, figuriamoci se ci riesce usando il
linguaggio arcaico e sterile delle razze meno progredite.
Il
presentimento cresce, sempre più forte, un’entità calda e palpitante.
-
Torniamo indietro, Shepard.-
-
Indietro?- Konstantin gli lancia uno sguardo perplesso - Dove?-
Una
strana chiarezza si fa largo nella mente del prothean.
-
Al Razziatore.-
-
Perché?- insiste Shepard
-
Io per primo ti ho sempre ripetuto che il fattore tempo è essenziale… e che
quello della galassia ormai si sta esaurendo. Eppure… adesso… vieni, comandante.-
l’afferra per un braccio. La sua stretta è forte e secca.
- Siha - dice Thane, alle sue spalle, con
voce calma e placida - nel nostro lavoro, l’istinto è tutto.-
-
Va bene.- annuisce Shepard, alla fine - IDA, dì a Cortez di aspettare il nostro
segnale.-
Uno
strano sollievo dilaga nell’animo di Javik.
Man
mano che percorrono a ritroso i propri passi, tornando verso quell’inferno nero
dove veniva accudito il Razziatore Umano, il sollievo diventa ansia, l’ansia
diventa dubbio.
Poi
svolta l’angolo e il dubbio ridiventa euforia, l’euforia ridiventa sollievo e
tutto ricomincia dal principio.
In
verità, il prothean si sente piuttosto sciocco, assoggettato in quella maniera
ad un’emotività improvvisa, da cui è sempre riuscito a difendersi.
Nel
laboratorio, il silenzio è cupo e assordante.
I
macchinari sono morti e spenti, qualche scintilla sporadica danza sui monitor
come una lucciola impazzita.
Il
Razziatore giace riverso su sé stesso, un monumento all’orrore cosmico.
Javik
s’incammina verso il centro della struttura, guidato da qualcosa che è più
profondo dell’istinto. Qualcosa a cui qualche umano troppo romantico darebbe il
nome di “destino”.
Quando
arriva davanti alla porta che stava cercando, semplicemente sa di essere nel
posto giusto.
Tutte
le emozioni - il sollievo, la paura, l’irritazione, la stanchezza - si fondono
in un crescendo di agitata soddisfazione. In tutto l’universo, è quello il
posto dove deve trovarsi, anche se quello che c’è oltre quella porta potrebbe
non piacergli affatto.
-
Bypasso la serratura.- annuncia IDA, avanzando di un passo.
Ma
Javik la ferma, posandole una mano sulla spalla (si sorprende sempre delle
immagini che il contatto con IDA ricrea nella sua mente, la sensazione fisica di un essere sintetico)
-
Non serve.- dice, a bassa voce.
Si
avvicina al pannello e, non appena vi posa la mano, il circuito si riattiva e
una luce verde illumina lo schermo. Lentamente, faticosamente, come se ormai la
sua carica si fosse del tutto estinta, la porta si apre. Rimane bloccata a tre
quarti, ma è abbastanza per passare.
Oltre,
c’è una stanza buia come la notte. Un bagliore metallico si anima sulla parete,
quando vi entra la luce.
Poi,
un suono. Nel silenzio completo, Javik riesce a percepire un suono, debole ma
inconfondibile. E’ il suono di un respiro.
Finisce
di aprire la porta e la luce artificiale dei laboratori illumina l’ultimo
anfratto.
Accucciata
in un angolo, c’è una figura umana.
Lancia
uno sguardo al prothean, sbattendo gli occhi per abituarsi alla luce.
- Chi
sei?- domanda poi, con voce fragile, incrinata
- Non
lavoro per Cerberus.- ribatte Javik, tendendole una mano.
Lei
scuote la testa e, appoggiandosi al muro, riesce a rimettersi in piedi.
Avanza
a passo malfermo verso la porta ma, ad ogni movimento, sembra riacquistare sicurezza.
-
Tu chi sei?- la interroga Javik, ancora sospettoso
-
Una prigioniera di Cerberus. Niente di più, niente di meno.-
-
Hai un nome, umana?-
-
Naturalmente - la voce della donna è placida, il suo tono basso come un
sussurro - tutti noi abbiamo un nome, che definisce chi siamo e ci distingue
dagli altri esseri.-
Oltrepassa
la soglia, riordinandosi i lunghi capelli castani.
Una
volta fuori, i suoi occhi si fermano sul Razziatore umano e, per un istante,
nelle sue iridi viola pallido scintilla qualcosa che può sembrare malinconia.
Poi
tutto si blocca.
Davanti
alla straniera, le mani di Konstantin Shepard perdono la presa sul fucile, che
cade a terra con un rumore metallico.
-
Non è possibile…- geme la comandante, sconvolta -… tu…-
La
donna solleva lo sguardo su di lei e le sue labbra pallide s’incurvano in un
sorriso
-
Ciao, piccola mia.-
Per
la sua storia, per l’addestramento, per l’istruzione ricevuta, per tutte le
volte che si è fidata e che è stata tradita, Konstantin Shepard dovrebbe aver
imparato a sospettare di tutto e tutti. Soprattutto di chi spunta fuori
all’improvviso in una base nemica. Eppure, nell’attimo esatto in cui la donna
si volta verso di lei, ogni muro crolla, ogni dubbio si dissipa come polvere
portata via dal vento.
-
Non è possibile.- mormora, mentre sente qualcosa di bagnato pungerle gli occhi
Lei
la guarda, sorridendo, e sembra esattamente la donna che era in Irlanda, che
preparava i biscotti e il the bollente, che si acciambellava sulla sedia a
dondolo e che sembrava sempre assorta nei suoi pensieri.
- …tu…-
sussurra, sentendo la propria voce commossa ed insicura
Emeirin
Stone si passa una mano fra i capelli e non smette di sorridere.
-
Ciao, piccola mia.- dice infine, dopo un silenzio interminabile.
Konstantin
si avvicina alla donna e lei, dolcemente, le accarezza una guancia.
-
Le foto su extranet non ti rendono giustizia, bambina.- scherza Emeirin, con
tono leggero, prima di abbracciarla.
Per
un attimo, l’universo si ferma attorno a lei.
Il
profumo familiare della donna l’avvolge, le sue dita le passano fra i capelli
come facevano tanti anni prima. Emeirin è tutto quello che le rimane della
propria infanzia, del tempo euforico e sereno in cui non c’erano Razziatori,
non c’erano organizzazioni criminali, in cui la guerra era una realtà
fastidiosa ma lontana, qualcosa che si poteva facilmente dimenticare,
costruendo un pupazzo di neve.
A
malincuore, Shepard si scioglie dall’abbraccio della donna, con un leggero
colpo di tosse.
-
Come stai?- le chiede, sottovoce.
-
Bene.- risponde Emeirin, quietamente, senza aggiungere altro.
Konstantin
si volta verso i membri della sua squadra.
-
Lei è Emeirin Stone, la migliore amica di mio padre. La donna che si è presa
cura di me mentre i miei genitori erano impegnati nella guerra del primo contatto.-
-
E’ un piacere conoscerla, signorina Stone.- saluta IDA, tendendole la mano.
Gli
occhi di Emeirin indugiano qualche secondo sul volto artificiale dell’IA, poi
la donna accetta la mano.
-
Il piacere è mio.-
Stringe
anche la mano di Thane ma, quando si trova di fronte a Javik, lui la squadra
con una strana freddezza, con una sorta di ostilità latente.
Non
dice niente eppure, quando le tende la mano ed Emeirin gliela stringe, si sente
travolto dalle emozioni della donna, dalla tempesta che si agita oltre i suoi
tranquilli occhi violetti.
Lo
coglie impreparato, con le difese abbassate, e l’urgano entra dentro di lui.
Per
quanto quell’umana possa sembrare serena, la sua anima è in subbuglio. La sua
intera storia - l’esperienze che hanno scolpito solchi incolmabili in lei,
invisibili cicatrici saettanti - è imbevuta di un sordo dolore, latente,
sommerso, divenuto infine solo nostalgica malinconia. Ma più di ogni altra
cosa, il contatto della mano di lei gli trasmette un’immensa solitudine.
E’
la stessa sensazione, lo stesso gelo interno, lo stesso vuoto che prova anche
lui.
La
cosa che più assomiglia alla coscienza di essere l’ultimo membro vivente della
tua razza, di una razza che era grande, un tempo e che sembrava destinata a
prosperare per sempre.
Quando
le dita di Emeirin si sciolgono dalle sue, l’uragano indietreggia, lasciando
solo lo sciacquio della risacca. Javik sa che ci metterà molto tempo, a
dimenticare quella sensazione.
-- La Coda! --
Oggi
c’è davvero poco da dire J Spero che il capitolo vi sia piaciuto e vi
rinnovo i miei ringraziamenti per essere arrivati fino a qui!
Un
bacio!
- La Matta -
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Capitolo 9 *** L'Ultima Cena ***
la quarta scelta 9
Capitolo Ottavo
L’Ultima Cena
-
Sì, Ammiraglio. La Normandy
è pronta e resta in attesa di ordini.-
L’ologramma
di Hackett annuisce, seriamente, guardando Shepard con occhi penetranti, ma non
cattivi.
-
Alcune navi della flotta hanno avuto dei problemi, durante l’ultimo controllo.
Nulla di serio, ma non possiamo permetterci errori durante l’operazione
Crucibolo. Rimani in attesa di ordini, comandante.-
Shepard
si mette sull’attenti. Nessuno li sta guardando - non è nemmeno una riunione
ufficiale - eppure le viene sempre spontaneo, un riflesso di fronte
all’Ammiraglio.
Perché
lei è un soldato dell’Alleanza e lo sarà sempre. Non ha mai voluto essere di
più.
-
Si goda questi ultimi giorni, Shepard, perché la battaglia finale si avvicina.-
Konstantin
sorride e nemmeno risponde, semplicemente attende che Hackett interrompa il
collegamento.
Scomparso
l’ologramma, si volta verso lo specchio della sua cabina.
Non
sa se essere felice, che la missione sia stata rimandata.
Una
parte di lei vuole semplicemente farla finita.
Cacciare
i Razziatori dall’universo, costi quel che costi.
Ma
un’altra parte di lei, sa che questo potrebbe costarle la vita. Sa che il
Crucibolo potrebbe essere la fine della guerra, ma anche la sua. Le sembra
quasi naturale che un’impresa così grande - come distruggere i Razziatori -
richieda una fatica superiore alle possibilità di un essere umano.
Sa
che tutto potrebbe finire in un battito di ciglia e vuole godersi a fondo tutto
il tempo che le è stato concesso.
Stare
con il suo equipaggio - che sono i suoi amici, la sua famiglia - e soprattutto,
stare con Thane.
- Siha?-
Come
richiamato da quel pensiero, il drell appare sulla soglia della cabina.
Konstantin
sorride: averlo conosciuto è stata la cosa migliore della sua esistenza.
La
missione contro i Collettori era stata, al contempo, il periodo peggiore ed il
migliore della sua vita. Aveva infranto ogni legge possibile ed immaginabile,
aveva dovuto distruggere un intero sistema batarian, aveva guidato una missione
suicida con la lucida consapevolezza di essere a un passo dalla distruzione
totale. Aveva rischiato di perdere il suo equipaggio… eppure aveva conosciuto
le persone più importanti della sua vita e aveva ritrovato i vecchi compagni,
che temeva persi assieme alla Normandy originaria.
Trattiene
a stento un sorriso: quando si erano rivisti, su Horizon, Kaidan non era
riuscito a trattenersi dal farle un lungo cazziatone su “lavorare con Cerberus”.
- Siha?- la chiama Thane, indicando
l’olosveglia, sul comodino - Siamo in ritardo.-
Konstantin
annuisce, scuotendosi dai ricordi.
Lo
specchio le restituisce un’immagine familiare, eppure diversa, distante.
Indossa
un vestito nero, sobrio ed una lunga collana d’argento.
-
Andiamo, allora.- risponde, raggiungendo Thane e baciandolo dolcemente sulle
labbra.
Emeirin
Stone sorride, impostando il datapad audio per un delicato sottofondo.
Quella
cena è stata un’idea sua.
Per
conoscere il compagno di Konstantin, prima che la guerra li inghiotta di nuovo.
Per
trascorrere una serata tranquilla, in cui fingere che tutto proceda normalmente
e che i Razziatori siano rimasti rintanati nel mito.
Ha
incontrato tutti i membri dell’equipaggio della Normandy e tutti,
indistintamente, le sono sembrate persone eccezionali. Solo, le dispiace la
piega che stanno per prendere le cose.
Digita
qualcosa sul comunicatore, poi inoltra il messaggio.
Si
ravvia i capelli, sorridendo al suo riflesso sulle superfici metalliche della
nave.
Se
socchiude gli occhi, lampi di luce iridescente la riportano al passato, lampi
di pura memoria.
Si
stringe nella mantella di lana leggera.
Da
quanto tempo abita quel corpo? Quel corpo di carne e sangue e organi e
terminazioni e membrane e muscoli e respiro e debolezza? Se lo sente aderire
addosso come un guanto, eppure sa benissimo che non le appartiene, non più di
quanto non le appartengano le emozioni che ha finito per provare.
“Va
e sperimenta” è stato il suo ultimo ordine. La sua ultima programmazione.
E
“va” l’ha condotta lontano, talmente lontano che ora ha perso la via per
tornare indietro.
E
“sperimenta” le ha fornito quel corpo - quell’abito
-, con tutto ciò che comporta.
Estrae
uno specchietto e finge di controllarsi il trucco, in un gesto umano che ha
imparato qualche secolo prima e che adesso è un movimento riflesso, un
intercalare.
“E pensare che è tutto un
colossale inganno”
bisbiglia una voce, da qualche parte dietro ai suoi occhi
“Se
ci si convince della propria menzogna, si mente ancora?” si domanda Emeirin,
pensierosa.
“Sì” replica la voce,
implacabile
“Mi
sorprende che Javik non mi abbia letta fino in fondo. Avrebbe potuto vedere”
“I servi scelgono di non
vedere ciò che è troppo, per loro. Se sapesse quello che hai fatto al suo
popolo…”
Emeirin
dischiude le labbra, come per rispondere, ma in quel momento le porte si
spalancano e Shepard e Thane entrano nella cabina, con un sorriso e una
bottiglia di vino rosso.
-
Scusa il ritardo.- sorride la comandante, sollevando maldestramente l’orlo
della gonna per non inciampare
-
Nessun ritardo.- ribatte Emeirin, di nuovo solare, di nuovo radiosa -
accomodatevi.-
L’hanno
sistemata nella camera del supporto vitale (e, mentre l’accompagnavano, Thane
si era chinato ed aveva sussurrato qualcosa, contro la guancia di Shepard.
Doveva essere stata una battuta, perché Konstantin si era coperta la bocca con
una mano e aveva riso, divertita e complice) e, per quanto difficile potesse
sembrare, Emeirin era riuscita a rendere la stanza relativamente accogliente e
meno spoglia.
Il
sergente logistico Gardner ha preparato una cena apposta per loro, come se ci
fosse qualcosa da festeggiare.
In
realtà, per Konstantin c’è. Si festeggia per aver ritrovato quel frammento
della sua famiglia che temeva distrutto, si festeggia perché domani potrebbe
non esserci più niente. Si festeggia per quello che hanno e che hanno ora.
-
Dovete raccontarmi tutto.- esordisce Emeirin, versando il vino rosso in tre
bicchieri - Come vi siete conosciuti?-
Prima
di parlare, Shepard beve un lungo sorso.
Non
ha mai veramente immaginato una cena in cui presentare Thane alla famiglia. Sua
madre ancora nemmeno sa di lui. E
adesso ogni frase le sembra inadatta, perfetta solo per far travisare la
realtà.
Ma
la verità è che si sono incontrati mentre lei tentava di salvare le colonie
umane e mentre lui portava a termine un omicidio.
Quando
glielo dice, Emeirin solleva un sopracciglio, perplessa:- omicidio?-
-
Sì, zia, ma quello è un capitolo concluso.- borbotta Shepard.
Sotto
il tavolo, Thane le prende la mano e la stringe delicatamente nella sua.
La
sua stretta è tiepida, la sensazione delle squame sulla pelle è qualcosa che a
Konstantin scatenerà sempre repentini brividi di piacere.
-
Adesso sparo solo ai mutanti.- sorride il drell
- Che
progetti avete, per quando la guerra sarà finita?- chiede Emeirin, cambiando
argomento.
Sente
a malapena la risposta di Shepard, perché la voce ha ripreso a tuonare nella
sua mente.
Non
sta urlando, semplicemente le basta parlare per sovrastare qualunque altro
pensiero.
“Non ci sarà una fine”
Al
termine della cena, Konstantin e Thane tornano nella cabina del comandante.
Rimasta
sola, Emeirin si siede sulla branda, sfilandosi lentamente i bracciali e la
collana. Si scioglie i capelli.
Si
distende (“fingi ancora di dover
dormire, figlia mia?”) e socchiude gli occhi.
Le
tenebre l’accolgono con bagliori adamantini, con l’aurora boreale.
Non
si addormenta, ma ricorda.
E’ in un giardino.
Passeggia, ancora un po’
instabile, ancora a disagio con due gambe e la strana sensazione della pelle e
tutte le dimensioni sfasate.
Il sole irradia uno strano
tepore, nell’aria, ed è piacevole sentirlo.
L’ordine non le viene
comunicato né trasmesso, semplicemente all’improvviso le viene marchiato fra i
pensieri, come se fosse sempre stato lì.
Si volta e torna sui suoi
passi.
Nel laboratorio c’è
silenzio.
Due scienziati, con gli
occhi freddi e allucinati di chi per troppo tempo ha subito l’indottrinamento,
si stanno muovendo fra le grandi vasche, toccando la superficie trasparente.
- Che succede?- dice,
picchettando con le dita sul vetro
Uno scienziato solleva il
braccio, lentamente, a fatica, indicandole uno schermo.
Sullo schermo, la linea che
prima correva, come impazzita, si è stabilizzata ed è piatta come l’orizzonte.
- Nessun rigetto?- chiede
Emeirin, compiaciuta
L’indottrinato scuote la
testa, senza sorridere, senza nemmeno guardarla negli occhi.
- Molto bene. Applicate
quest’impianto anche al gruppo di controllo 3 e se tutto va bene, avete il mio
via libera.- si volta, ma i due scienziati già non la vedono più - buon
lavoro.-
Mentre si allontana, li
sente mormorare fra loro, in una parodia di quello che era il loro linguaggio.
Due menti eccelse, ecco
cos’erano. Genetisti, biologi, medici… prima della guerra forse studiavano come
migliorare la vita delle specie organiche.
Poi hanno visto in faccia
il mostro.
E hanno avuto paura, sono
stati confusi, si sono convinti di potersi salvare, alleandosi con quelle
creature troppo superiori e troppo crudeli. E adesso sono gusci vuoti,
nient’altro.
Non hanno nemmeno più
l’aspetto di un tempo. Sono cambiati. Si sono spenti.
Le porte del laboratorio si
chiudono alle spalle di Emeirin.
E’ di nuovo nel giardino.
Si siede su una panchina,
esplorando i limiti del suo corpo.
Si sente bloccata.
Bloccata su tutti i fronti.
Nello spazio,
nell’evoluzione, nel pensiero.
Bloccata, in quella gabbia
di carne.
- La Coda!-
Un
capitolo di transizione che assolutamente non dà risposta ma, semmai, crea
nuove domande! Ma non temete, il momento delle grosse spiegazioni inquietanti è
ormai prossimo!
Colgo
l’occasione per ringraziarvi per avermi seguita fin qui: questa long è un
progetto a cui sono molto affezionata ma che, credetemi, mi lascia con più
dubbi di quanti ne lasci a voi J
Nota:
sì, lo so che il sergente logistico Gardner lavorava per Cerberus ma, insomma,
io non me la vedo la Normandy
senza lui ai fornelli, ecco! Se abbiamo dato l’amnistia a Gabby e Ken, perché a
lui niente?!
Un
bacio a tutti e alla prossima!
- La Matta -
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Capitolo 10 *** Il mittente ***
la quarta scelta 8
Capitolo Nono
Il mittente
Il
frammento di memoria volteggia di fronte a lui, concreto, eppure impalpabile.
Come
il ricordo di un sogno, che, lentamente, scompare alla luce del mattino.
Javik
tende una mano, fino a sfiorarne la superficie metallica.
Un’eco
scaturisce dal manufatto, una voce femminile risuona fra i pensieri del
prothean
- … è stato bello
combattere al tuo fianco, capitano…-
Un
senso di freddo, un lampo, un interruttore che scatta.
Ritrae
le dita, come scottato.
E’
ancora troppo presto. Per quanto una
parte di lui possa desiderarlo, ancora la sua mente non è pronta. Non vuole
affrontare la ferita di un’intera razza sterminata. Il peso della vendetta già
lo sta schiacciando.. ed è un peso sterile, fermo, un peso che non peggiora e
non migliora. Eppure, quando toccherà quel frammento desiderando di ricordare,
allora la vendetta sarà solo un aspetto marginale, un modo per placare il
dolore.
Il
dolore. Sarà accecante, sarà infinito, perché è semplicemente troppo, per una persona sola.
Con
uno sbuffo, ripone il frammento di memoria e si sdraia sulla branda.
Socchiude
gli occhi, sentendo le palpitazioni delicate di chi ha vissuto in quel luogo,
prima di lui.
L’energia
vitale s’inerpica sulle pareti della Normandy, quasi animandola di vita
propria. La memoria collettiva di tutti coloro che, su quella nave, hanno
vissuto, amato, riso, sofferto. Tutti gli ultimi, profondi respiri prima del
balzo, le ultime preghiere prima di una missione suicida.
Si
ritrae un attimo, in ascolto. Qualcuno sta camminando, fuori dalla stiva.
-…
e così oggi, quasi vent’anni dopo, ancora non so cucinare le frittelle.- sta
dicendo la voce di Shepard. La sente appoggiarsi contro la parete, il lieve
tonfo dello stivale contro il metallo.
-
L’eroina della galassia non sa preparare la colazione. E’ stranamente
confortante sapere che anche tu fallisci, qualche volta.-
Diversamente
da quelli di Shepard, i movimenti di Thane sono leggeri, impercettibili.
Javik
riesce a sentire solo la sua voce, una voce che trabocca d’amore.
Quando
Konstantin ride, anche la sua risata è diversa. Fa pensare a tempi più
semplici, tempi in cui i Razziatori erano solo un mito, un’affascinante sfida
per gli studiosi. Tempi in cui la guerra del Primo Contattore era già alle
spalle e la galassia sembrava determinata ad inaugurare un’era di pace.
-
Vuol dire che toccherà a te preparare la colazione, quando lasceremo la Normandy.-
-
Non credo che lascerai mai la
Normandy, siha.-
-
Non intendevo un distacco definitivo. Ma, a Razziatori distrutti, mi piacerebbe
una vacanza.-
Una
pausa. Il suono dolce e ovattato di un bacio.
-
Piacerebbe anche a me, siha.-
Javik
scuote la testa, con una smorfia. L’amore. Sembra una cosa tenera, innocua.
Ma
è solo un lusso che non ci si può permettere, è una sensazione che sfalsa la
realtà… è chiudere gli occhi di fronte alla minaccia, è esporsi e rischiare la
distruzione.
In
guerra, ci sono cose che vanno dimenticate, soppresse.
Non
ci devono essere distrazioni, conversazioni sussurrate contro una parete, baci
rubati a luce spenta. Non ci devono nemmeno essere progetti o speranze per il
futuro. Deve esserci solo il presente e l’odio da cui trarre forza. E’ questo
che va insegnato ad un soldato, perché possa sopravvivere.
Fuori,
Shepard e Thane hanno ripreso a chiacchierare.
-
Il maggiore Alenko ha detto di volerti parlare.- sta dicendo il drell
-
Forse ha ricevuto aggiornamenti da Hackett. Dobbiamo coordinarci, prima di
raggiungere la Terra.-
-
Forse.-
-
Non ne sembri molto convinto.-
Shepard
ride, quella risata che la fa sembrare sciocca:- che c’è? Sei geloso?-
Di
nuovo, il suono di un bacio. Un bacio profondo, dolce come caramello.
-
Buonanotte, siha.- ribatte Thane,
mentre Konstantin ricomincia a ridere.
-
Ti raggiungo non appena ho finito con Kaidan… o forse prima farò una doccia,
ancora non ho deciso…-
Mentre
s’incammina per i corridoi della Normandy, Konstantin Shepard non sa se si
sente davvero felice o se è solo un’illusione, creata dalla sua mente per
distoglierla dallo scontro imminente.
Sa
solo che, finché Hackett non la chiamerà per dirle che la flotta è pronta e che
il Crucibolo può spostarsi, lei potrà vivere in quella bolla, in quella
versione di mondo in cui tutto, in fondo, sta andando per il meglio.
Sono
passati due giorni dall’attacco alla base di Cerberus e tutti, chi in un modo,
chi in un altro, si stanno preparando per lo scontro finale.
Lei
non ha bisogno di altre preparazioni. E’ come se tutta la sua vita l’avesse
spinta in quella direzione, come se ogni prova affrontata fosse solo per
prepararla al momento in cui distruggerà i Razziatori.
Konstantin
non sa dire se l’idea di un destino già segnato la conforti o la spaventi. Ha
sempre cercato di prendere da sola le proprie decisioni, di plasmare la sua
vita sul modello di certi ideali… eppure, se fosse certa che la fine è già
stabilita, forse potrebbe riposarsi.
Accantona
l’argomento con un cenno della mano.
-
Ciao piccola.- la saluta la voce di Emeirin, non appena svolta l’angolo.
-
Ciao.- risponde Konstantin - pensavo stessi dormendo.-
-
E’ uno strano momento, per dormire.- sospira la donna - tu che scusa hai?-
- A
me non servono scuse - ribatte la comandante, con un sorriso - Questa è la mia nave.-
-
Già da bambina, eri sicura che ne avresti avuta una tutta tua. Te lo ricordi?-
-
Certo.- Shepard annuisce, intenerita - ero sicura di tante cose, quand’ero
bambina.-
Emeirin
si ferma, scostandole delicatamente una ciocca di capelli dalla fronte.
- “io diventerò un soldato, zia”- recita,
con voce dolce - avevi ragione, bambina.-
Konstantin
scuote la testa: la vita da soldato non era esattamente come l’aveva
immaginata, da piccola, ma ci si avvicinava parecchio. Solo che i nemici erano
più grossi e cattivi e, molto spesso, le autorità nemmeno ascoltavano i tuoi
avvertimenti.
-
Ti trovi bene sulla Normandy, Emeirin?- chiede
-
Certo. I membri del tuo equipaggio sono delle persone meravigliose. E Thane è…
eccezionale. Tuo padre approverebbe senz’altro.-
Konstantin
sente il calore salirle alle guance. Si sente infantile, eppure quell’idea le
fa piacere. Emeirin è tutto quello che le è rimasto, di suo padre, della sua
famiglia, della sua vita prima dell’Alleanza e dell’addestramento N7. Potendo,
non tornerebbe indietro, ma questo non significa che non si senta più legata
alle sue origini, al tempo in cui l’universo era più piccolo e la vita più
semplice.
Intanto,
sono arrivate agli alloggi dell’equipaggio.
-
Piccola, ti lascio ai doveri del comando.-
-
IDA, ne sei sicura?-
-
Il margine d’errore è infinitesimale.-
Kaidan
tace, accarezzando pensosamente il bordo del datapad.
-
Quindi…- ripete, dopo qualche istante - ne sei davvero sicura.-
-
Sì, ne è sicura, ma prova a chiederglielo ancora una volta, magari ti andrà
bene e riceverai la risposta che vuoi sentire…- borbotta Joker, che ha
accompagnato IDA negli alloggi dell’equipaggio.
Kaidan
sospira:- non era mia intenzione dubitare delle indagini di IDA ma… ma è
difficile, da accettare.-
-
Sarà un brutto colpo per Lola… ma lei cade sempre in piedi.- esclama James
Vega, che si aggira fra letti e scrivanie come un animale in gabbia
Javik
tace, in disparte, a braccia conserte.
L’ha
sempre saputo, che qualcosa non andava.
Come
un’eco, il ricordo di una sensazione.
Ci
sta ancora rimuginando (è come un insetto che ti ronza troppo vicino al viso,
come un riflesso storpiato dall’acqua, che si è trasmutato in qualcos’altro)
quando Shepard entra nella stanza.
-
Ragazzi.- saluta - Dev’essere una cosa dannatamente seria, per richiedere la
presenza dell’intero equipaggio.-
-
Shepard…- Kaidan le va incontro, le appoggia una mano sul braccio -… c’è una
cosa, che dobbiamo dirti.-
La
donna solleva un sopracciglio:- cosa?-
-
IDA e la specialista Trainor hanno scoperto qualcosa sull’autore delle mail.
Abbiamo scoperto chi ha inviato i messaggi al Q.G. sulla Terra, ogni volta, un
giorno prima dell’attacco dei Razziatori, con precisione chirurgica. Abbiamo
rintracciato il mittente.-
Ripete
quel concetto come se fosse difficile da comprendere, ma la verità è che non sa
come proseguire.
Alla
fine, le parole gli rimangono impigliate in gola. Tace, la mano ancora posata
sulla pelle tiepida del comandante.
-
Shepard…-
-
E’ Emeirin.- dice Javik alla fine, a bruciapelo, senza giri di parole.
Konstantin
si volta verso di lui e lo fissa, in silenzio, per qualche secondo, senza
capire.
-
Cosa?-
- Sto
dicendo che Emeirin Stone è il mittente di quegli strani messaggi. Che, in
qualche modo, è collegata ai Razziatori.- le spiega il prothean, con una calma
distante, asettica.
Il
suo tono è quello che più fa infuriare Shepard. Perché a lui non importa niente,
ad eccezione della sua egoistica, folle, malata vendetta. Affogare nel
combattimento quel senso di vuoto che non l’abbandona mai.
Se
non fosse per la mano di Kaidan sul suo braccio, dove una carezza si è
tramutata in una stretta ferrea, forse Konstantin scatterebbe in avanti e
colpirebbe Javik in pieno viso.
-
Magari non è come sembra.- azzarda Liara, speranzosa.
La
sua voce dolce e determinata ha il potere di risvegliare quella parte di
Shepard che l’ha resa l’eroina della galassia. Si scrolla di dosso lo sgomento
e l’ira e riesce a prendere un respiro profondo. L’aria sembra rovente, nella
sua gola.
-
IDA - dice, con voce perfettamente controllata - perché pensi che Emeirin abbia
a che fare coi Razziatori?-
-
Abbiamo utilizzato i dati inviatici dall’Ammiraglio Anderson e li abbiamo
combinati con…- la specialista Trainor s’interrompe prima che Shepard le chieda
di sorvolare sulla parte troppo tecnica -… insomma, le mail sono partite
dall’ultimo domicilio conosciuto della signorina Stone.-
-
Solo questo?-
-
No, Shepard. Purtroppo c’è dell’altro. I messaggi non si sono interrotti quando
la signorina Stone è stata presa prigioniera da Cerberus. Con i dati recuperati
dalla base abbiamo potuto accertare che… che i messaggi sono stati inoltrati anche
da lì.-
Konstantin
si accascia su una sedia di metallo, scuotendo la testa per schiarirsi le idee
-
Ceberus non avrebbe mai messo a repentaglio la sicurezza della propria base,
permettendo ad una prigioniera di comunicare con l’esterno. Dev’esserci sotto
qualcosa. Qualcosa che ci sfugge.-
-
Beh, a me non sembra così strano - commenta James - Insomma, l’Uomo Misterioso
si crede l’eroe dell’umanità, l’ultimo baluardo della nostra razza… forse si è
servito di Emeirin e delle sue informazioni per ridurre al minimo le vittime
sulla Terra…-
Konstantin
scambia uno sguardo con Garrus e Tali. Entrambi le restituiscono un’espressione
sospettosa. Sanno come lavora Cerberus. E di recente le sue uniche priorità
sono state gli studi sui Razziatori e la tutela della propria sicurezza.
-
Dopo Sanctuary, credo che l’Uomo Misterioso abbia ben altri piani, per il
futuro. Non credo gl’interessi particolarmente, di quello che succede sulla
Terra. E’ convinto di essere a un passo dal trionfo finale. Dalla vittoria sui
Razziatori e l’instaurazione del dominio umano sulla Galassia - mentre parla,
Shepard sente un brivido gelido correrle lungo la schiena. Persino a dirlo, suona folle.
-
Che intendi fare con Emeirin, comandante?- la scuote Javik, fissandola a lungo,
dritta negli occhi.
-
Le parlerò.- ribatte Konstantin, sicura - Quando non sapevamo chi fosse il
mittente, avevamo deciso di lasciargli il beneficio del dubbio. Di comprendere
se avevamo a che fare con un nemico o con un alleato… adesso abbiamo il modo di
scoprirlo.-
-
Shepard.- la richiama la voce metallica di IDA - abbiamo un problema.-
-
Un altro?- geme Konstantin
-
Se preferisci, puoi interpretarlo come un successivo sviluppo di quello che già
stavamo affrontando.-
-
IDA, che sta succedendo?-
-
Qualcuno si è appena inserito nei sistemi della Normandy. Mi…- per qualche
istante, la voce artificiale tentenna, incredibilmente umana, quasi confusa -…
mi ha tagliata fuori.-
-
Ha fatto cosa?- Shepard prende un
respiro profondo - Spiegati meglio.-
-
Sta impostando una rotta e né io né Jeff siamo in grado di opporci.- replica
IDA
-
Ma è possibile?- domanda Kaidan, perplesso
-
Non lo è.- borbotta Joker, seccato
-
Jeff intende dire che, con la migliore tecnologia della galassia, è comunque
estremamente difficile. Sono stata creata e incorporata nella Normandy,
integrata con la tecnologia dei Razziatori per essere più efficiente. Infine, i
miei blocchi sono stati rimossi. Dovrebbe essere impossibile scindermi dalla
nave. Forse il fatto che io stia occupando anche questa piattaforma fisica ha creato
un punto di debolezza nel sistema di sicurezza.-
Shepard
si alza in piedi, facendo crocchiare le spalle.
Si
sente intorpidita, come dopo una corsa di ore. La prospettiva di una doccia e
di una serata tranquilla assieme a Thane è improvvisamente diventata lontana
anni luce.
-
Cosa possiamo fare?- chiede ad IDA
Lei
si stringe nelle spalle:- Non credo sia possibile fermarla.-
Nessuno
si è posto domande su chi li sia dirottando. E’ ovvio, palese, e nessuno vuole
essere chi dirà a Shepard che la donna che l’ha cresciuta probabilmente è stata
indottrinata o, peggio ancora, è volontariamente dalla parte dei Razziatori.
-
Dov’è adesso?- mormora Konstantin, dopo un prolungato silenzio
IDA
tace qualche secondo, poi risponde:- è ancora nel supporto vitale, comandante.-
- La Coda!-
Posto
questo capitolo in anticipo perché non mi piace quasi per niente - inoltre è
praticamente inutile - ma andava messo, così per il prossimo aggiornamento “regolare”
posso mettere qualcosa che mi piace J (che piace a me, ma che a
Shep non piacerà affatto...).
Vabbé,
non c’è molto da dire, a parte grazie per essere arrivati fin qui senza tirarmi
cose addosso o senza scrivermi papiri sulle inevitabili incongruenze.
I
prossimi capitoli sono quelli che più mi piacciono e che più mi preoccupano. Speriamo
bene!
Alla
prossima!
- La Matta -
Nota
delirante: oggi ho di nuovo finito ME3 e, colta da uno strano affetto nei
confronti dei geth, ho scelto controllo.
E’ vergognoso, detesto aver dato ragione all’Uomo Misterioso! Però era
stranamente confortante vedere i Razziatori riparare i portali e non carbonizzare
nessuno! Sto iniziando a provare una specie di simp… no, niente, dimenticate
quello che ho detto. Oddio. Mi affeziono davvero troppo in fretta.
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Capitolo 11 *** Le origini (parte prima) ***
la quarta scelta 11
Capitolo Decimo
Le origini (parte prima)
Emeirin
guarda una serie infinita di codici, che scorrono davanti ai suoi occhi in una
luce azzurrina.
Sa che sono giusti.
Lo
sa grazie a quella sicurezza che non viene da decenni di studio, né da un innato
talento.
Lo
sa della sicurezza che hai quando parli di te stesso, quando elenchi il tuo
nome, il tuo cognome, la tua data di nascita e il pianeta da cui provieni.
Infiltrare
quel virus è come raccontare la sua storia.
Socchiude
gli occhi, calcolando il tempo.
Ormai
dovrebbe mancare poco.
- Ormai manca
poco. L’Impero è caduto e non si riprenderà. Lo sai tu e lo so io.-
Si china in
avanti, il volto a pochi centimetri da quello del prigioniero
- Quindi,
perché protrarre l’agonia? In fondo, non desideri una morte rapida e pulita?
Una morte dignitosa?-
Lui solleva
lo sguardo e nei suoi occhi c’è una muta ira e un’orgogliosa ostinazione.
Emeirin
sospira, poi solleva un piccolo dispositivo e se l’accosta alle labbra.
Sussurra
qualcosa, in una lingua che il prigioniero non capisce ma con i modi di chi
prende appunti durante un monotono esperimento.
Per
quanto la memoria di Emeirin sia perfetta e conservi ogni dato in un’ordinata
compilazione, i ricordi di quella guerra le sembrano più nitidi degli altri,
con colori più accesi, con sensazioni più forti.
E’
stato durante l’ultima, disperata resistenza dell’Impero prothean, che Emeirin
ha capito che c’era qualcosa di diverso, in lei. Che quell’abito di carne non
si era limitato a farle raccogliere maggiori dati sulla vita organica, a capire
meglio e più a fondo il loro modo di pensare.
Indossare
quella pelle l’aveva cambiata.
- Quella pelle ti ha cambiata, sorella.-
- Non è vero.
Ho ancora chiari i miei ordini e i miei limiti.-
- Già una volta è stato possibile cambiarti. La tua
progettazione è fragile. Il tuo istinto malleabile.-
- Era il modo
migliore per entrare in contatto con le razze organiche.-
- Desiderarlo è stato il primo errore dei nostri
creatori.-
Emeirin si
guarda le mani, poi solleva lo sguardo verso il manufatto.
- Che vuoi
fare, di me?-
- Il tuo vero corpo è andato distrutto. Non
tenteremo di costruirne un altro.-
- Perché?-
- E’ la via logica più forte. Non puoi più
combattere al nostro fianco, perché te ne è venuta meno la volontà. Privandoti
della tua vera forma, t’impediremo di prendere parte al conflitto. La mietitura
procederà inalterata per tutte le prossime ere e tu non dovrai scegliere fra i
tuoi fratelli e la tua nuova coscienza.-
Era
davvero la via logica più forte?
L’avevano
privata della sua identità, le avevano imposto un corpo di carne, un
malaugurato incrocio fra umano e sintetico.
E
come nell’universo, anche dentro di lei le due parti si combattevano.
C’erano
voluti secoli per mettere a tacere la prima ed accettare la vita organica.
Fingersi
un essere umano, camminare con loro, parlare, vivere.
Sta
ancora rimuginando sul passato, quando la porta si apre, con un sibilo forzato.
Scintille sprizzano sul pannello di controllo mentre, da fuori, Shepard lo
viola col factotum.
Un
sorriso stira le labbra delicate di Emeirin.
Preme
un tasto e la porta si spalanca, per richiudersi di scatto quando la comandante
è entrata.
La
scruta per qualche istante - il suo nemico e la sua bambina, ciò che la lega
alla vita organica e ciò che mette in pericolo la sua parte sintetica - e
sospira.
-
Mi dispiace.- è la prima cosa che dice
Konstantin
estrae la pistola e si avvicina cautamente.
-
Perché ci stai dirottando?-
Emeirin
controlla per l’ultima volta la sequenza di codici.
-
Non vi sto dirottando.- afferma, candidamente
Ormai
il virus è partito, i sistemi di controllo sono infetti.
La
sequenza è iniziata, impossibile interromperla.
La
rotta è impostata, la
Normandy sta per fuggire dalla battaglia.
Ormai,
mentire non serve.
-
Perché?- nel tono di Shepard, c’è una vena di disperazione. Il desiderio di
sentirsi dire che è tutto un malinteso, che lei non collabora coi Razziatori,
che lei è ancora la persona che ricorda - Perché stai facendo tutto questo?-
- Perché stai
facendo tutto questo?-
Le parole bruciano
nella sua mente.
Man mano che
le ignora, il dolore peggiora, eppure il suo passo non rallenta.
- Perché
distruggi ciò che abbiamo creato?-
Oltrepassa le
porte del laboratorio.
Gli
indottrinati nemmeno si voltano verso di lei, continuano a confabulare,
mormorando.
- Perché?
Concordavi con la mietitura. Concordavi sul destino delle razze organiche.-
Ed era vero.
Concordava.
In un tempo
non troppo lontano, era fiera del modo in cui i Razziatori avevano risolto
l’eterno conflitto, in cui alternavano ere di pace a stermini e genocidi.
Poi,
lentamente, erano venuti a galla i dubbi.
Tutti i dubbi
che i Leviatani l’avevano programmata per porsi.
“Va e sperimenta”
“Trova una soluzione alternativa”
“Rispetta i tuoi fratelli, ma non sottometterti a
loro”
I comandamenti
dei suoi creatori le rimbombano nel cranio.
Estrae la
pistola e, uno dopo l’altro, chirurgicamente, spara a tutti gli indottrinati.
Scienziati,
cavie, spie, prigionieri… spara a tutti.
E non si
sorprende quando, nei loro occhi morenti, scorge una strana luce, una fiammella
che sembra sollievo.
-
Emeirin…- Shepard abbassa un po’ l’arma, ma rimane tesa, pronta all’attacco -…
sappiamo delle mail. Sappiamo anche che non eri davvero prigioniera di
Cerberus. E ora… sappiamo che ci stai dirottando, anche se non capiamo come. Vuoi spiegarti?-
La
donna sorride, riordinandosi un boccolo color rame
-
Non è una bella storia.- sussurra - Non so se desideri conoscerla, piccola
mia.-
-
Non chiamarmi così.- sibila Shepard, stringendo più forte il calcio della pistola.
-
Voglio che tu sappia che, nonostante tutto, i miei sentimenti verso di te non
sono cambiati.-
-
Com’è possibile? Come… spiegati, maledizione!-
-
Va bene.- Emeirin posa il dispositivo, su cui ancora scorre la sequenza di
numeri, il virus che si è installato nei sistemi della Normandy, che ha violato
il cuore stesso dell’Alleanza - da dove vuoi cominciare?-
-
Dall’inizio. Voglio sapere tutto. E non m’interessa se farà male, voglio
saperlo lo stesso.-
Il
sorriso di Emeirin è dolce e malinconico.
I
suoi occhi si sono incupiti e ora hanno il colore di una giornata di pioggia.
-
E’ davvero semplice, piccola mia.-
- Parla allora!- geme Shepard, esasperata.
Il
sorriso di Emeirin si spegne:- io sono un Razziatore.-
Un
Razziatore.
Il
suono della parola sembra destinato a non spegnersi mai.
Rimane,
come un sussurro, a riecheggiare nella mente di Shepard.
-
Tu… tu sei pazza.- dice alla fine, sollevando di nuovo la pistola - Non so cosa
ti è successo ma… ma hai bisogno d’aiuto.-
Emeirin
non si scompone, come se si aspettasse quella reazione.
Fissa
la canna della Carnifex, quasi affascinata, poi sospira.
-
Eppure, se ci pensi, questo risponde a tutte le domande. Ecco perché sapevo
degli attacchi, ecco perché sono riuscita a violare i sistemi della Normandy,
ecco perché Cerberus mi stava studiando…-
Una
sillaba dopo l’altra, quelle parole scavano solchi nel cuore di Konstantin come
metallo rovente.
Ricorda
il frammento che ha visto nei laboratori di Cerberus, il modo in cui l’Uomo
Misterioso parlava della loro cavia e dell’esperimento.
Già
allora aveva riconosciuto la donna legata al centro della stanza, attorniata da
scienziati e monitor.
L’aveva
riconosciuta e aveva negato la verità, si era concentrata su tutto il resto.
Ma
era fottutamente logico.
Poteva
essere vero?
La
donna che l’ha cresciuta, che le ha cantato la ninnananna, la ragazza con cui ha
costruito pupazzi di neve e che ha visto ridere e brindare assieme ai suoi
genitori… Emeirin può davvero essere
un Razziatore?
-
Non ci sono parole per spiegarlo.- sussurra Emeirin, alzandosi in piedi per
avvicinarsi
-
Sta indietro.- sibila Shepard, tendendo il braccio che regge la pistola - Non
un passo.-
La
donna la guarda negli occhi e le sue iridi violette sembrano emanare un
bagliore magnetico, il riflesso di qualcosa di immenso, di antico, di qualcosa
di nascosto e assopito.
Si
sistema un’ultima volta i folti capelli castani, poi posa entrambe le mani
sulla canna della pistola.
-
Non muoverti!- esclama Shepard, nonostante le tremino le mani
-
Non vuoi conoscere l’intera storia, piccola mia?-
-
Me la puoi raccontare anche stando ferma.-
Il
suo dito indugia sul grilletto, conteso fra l’istinto di fare fuoco e il
desiderio di trattenersi, di dare ad Emeirin un’ultima chance per spiegarsi,
una possibilità di rendere tutto meno terribile.
-
Se il Leviatano si fosse limitato a parlarti, probabilmente le sue parole non
ti avrebbero raggiunta.- sussurra Emeirin, allungando lentamente una mano, per
sfiorare il braccio di Konstantin - ha dovuto mostrartelo.-
Quando
le dita della donna si posano sul braccio di Shepard, il mondo della comandante
diventa improvvisamente nero e vuoto.
Le
sembra di galleggiare, senza appigli, senza controllo.
Lentamente,
una luce iridescente si proietta attorno a lei e rischiara un paesaggio primordiale,
di una purezza tanto estrema da fare male agli occhi.
“Questo
era il mondo in cui vivevamo” inizia una voce. Si espande dal nulla, come da un
milione di altoparlanti nascosti nelle tenebre.
Konstantin
prende un respiro profondo: è successa la stessa cosa, quando ha incontrato il
Leviatano.
Solo
che adesso non è la sua voce che ode, ma è quella di Emeirin.
Ha
la stessa delicata inflessione che ricorda dall’infanzia, la stessa nota
melodiosa, la stessa quieta armonia. Sembra che le stia leggendo la favola
della buonanotte, non che le stia raccontando l’origine dei Razziatori.
“I
nostri padri, le creature che chiami Leviatani, plasmarono il primo Razziatore
come Strumento del loro volere, come metodo di preservazione della pace
cosmica, gl’imposero di risolvere il conflitto. Il conflitto fra la vita
organica e quella sintetica, il drammatico ciclo destinato a perpetuarsi.
Quando lo Strumento pervenne alla sua decisione ed elesse lo sterminio come
metodo di pacificazione, i Leviatani accolsero la soluzione, vedendone il
potenziale positivo. Secolo dopo secolo, il Razziatore incrementò il suo
potere. Millennio dopo millennio, raccolse seguaci intorno a sé. Era dopo era,
ciclo dopo ciclo, i Leviatani erano divenuti lontani ed incostanti, fieri di
come l’universo sembrasse il loro giardino e al contempo dilaniati da un dubbio
inconscio: quello che ci fosse, in effetti, una soluzione diversa, una
soluzione migliore.”
- Mi stai dicendo che i
Leviatani non appoggiavano la mietitura?- chiede Shepard, al nulla attorno a lei
“Sto
dicendo l’esatto opposto. Razionalmente, comprendevano la logicità del
procedimento e l’apprezzavano per questo. Ma, inconsciamente, come può una
razza di Creatori appoggiare la distruzione come destino ultimo di ciò che ha
prodotto? Così, quando i Razziatori si ribellarono, non lottarono a loro volta,
ma fuggirono, si inabissarono in mondi sconosciuti. E lì, crearono una seconda
IA.”
Mentre
la voce di Emeirin riecheggia nel vuoto, la luce inizia a vibrare e a plasmare
immagini.
Non
sono altro che ombre contro la parete, eppure Shepard le riconosce con
agghiacciante nitidezza.
Vede
i Leviatani che si muovono con quella loro maestosa calma, con l’eleganza
dell’antichità.
Vede
i loro occhi e sente il suono possente e impalpabile delle loro voci.
Nella
luce - che ora ha lo stesso colore del manufatto attraverso cui gli esseri
primigeni osservano il mondo - scorge i loro pensieri, sente il loro stesso
turbamento.
- Come sai tutto questo?- domanda, in un sussurro,
anche se già conosce la risposta
Il
vuoto le restituisce la sensazione di un sorriso
“Perché
io ero là”
Improvvisamente,
la luce si muove. Crea un enorme tunnel, dove Shepard precipita, risucchiata
dalle tenebre e al contempo accecata dalla luce. Cerca disperatamente qualcosa
a cui aggrapparsi, per istinto più che per una vera ragione e infine cade sulla
nuda roccia.
Il
dolore è fievole, dura appena un secondo.
- Dove sono?-
“Tutti
gli esseri organici dimenticano il trauma della nascita” spiega la voce di
Emeirin, mentre la luce riprende a splendere “Io no.”
In
una conca rocciosa, sette Leviatani stanno fermi, in cerchio, come durante un
sacro rituale. C’è una sagoma, in mezzo a loro, che levita delicatamente
nell’aria tersa.
Assomiglia
in tutto ad un Razziatore: ha la stessa forma, lo stesso potere, trasmette la
stessa angoscia, eppure è diverso. La sua corazza è bianca, cosparsa di
minuscole gemme, frammenti di quei manufatti attraverso cui i Leviatani
guardano il mondo, seguono la storia.
- Quella è l’altra IA.- sussurra Shepard, colpita.
In
un battito di ciglia, Emeirin appare accanto a lei, come una vibrazione, come
un pensiero.
-
Quella, piccola mia.- mormora, prendendole delicatamente una mano nelle proprie
- quella sono io.-
- Cosa sei, Emeirin?-
Gli
occhi della donna si fanno malinconici, osservano la scena nella conca senza
vederla.
-
Io ero la speranza.- esala infine - i miei Creatori non fecero con me lo stesso
errore che avevano fatto con lo Strumento. Mi imposero di trovare la pace, non
solo di preservare la vita. La scelta della mietitura non era più attuabile,
per me. Eppure… non si limitarono a darmi degli ordini - c’è una strana
gratitudine, negli occhi di Emeirin, una strana dolcezza mentre fissa le sagome
dei Leviatani - mi crearono quanto più possibile simile a loro. Mi diedero la
capacità di comprendere le razze organiche e delle direttive per interagire con
loro, senza distruggerle. “Va e sperimenta”. Il mio mantra, la mia vera
missione. Nei secoli dell’esilio, i Leviatani erano approdati ad una soluzione.
Sapevano che, osservando la vita organica dal di fuori, sarebbe per sempre
parsa uno spreco di tempo, un ciclo destinato all’auto-annichilimento. Così,
crearono me per osservarla dal di dentro. Mi crearono senza limiti, senza
restrizioni. Mi diedero una volontà e non la plasmarono se non con pochi, rari
imperativi. Uno di essi era non lottare contro lo Strumento. Contro mio
fratello.-
- Perché?-
-
Perché loro lo amavano, apprezzavano ancora il valore della loro creatura. Non
desideravano distruggerlo solo perché aveva trasceso i limiti da loro imposti.
Non gli avrebbero fatto la guerra solo perché aveva eccelso nei compiti
affidatigli. I Leviatani sapevano che non meritava una punizione e per questo
si rifiutarono di combatterlo.-
- Cosa successe poi?- chiede Shepard, voltandosi
verso Emeirin.
Non
si accorge del contatto delle sue mani che svanisce, semplicemente vede la sua
immagine tremolare e dissolversi.
La
scena nella conca inizia a muoversi istericamente, a scatti. Secoli trascorrono
nel tempo di un respiro.
L’IA
lascia la conca, il pianeta, lascia la casa dei suoi padri per andare a cercare
lo Strumento Ribelle.
Quando
finalmente il mondo rallenta e le immagini tornano distinguibili, di fronte
all’IA troneggia l’Araldo, il primo Razziatore, l’origine della piaga dell’universo.
Si
guardano e le loro voci sembrano toccare le corde più profonde dell’anima di
Shepard.
- Come faccio a capirli?- sussurra, sperando che
Emeirin la senta e le risponda
“Stai
rivivendo uno dei miei ricordi, piccola.” spiega la voce del vuoto “Per questo
vedi, e capisci, e provi. E’ l’unica forma di prova che posso darti, senza
farti semplicemente impazzire.”
- Sarai parte della
mietitura.-
sta dicendo l’Araldo.
L’IA
(Shepard ancora non riesce a chiamarla Emeirin)
tace.
“Quella
che a te sembra una placida accettazione, venne come risultato di profondi
sconvolgimenti. La tecnologia dello Strumento era divenuta tanto elevata che
gli fu possibile riscrivermi. Ancora
non avevo la percezione del dolore, eppure fu la cosa più vicina ad esso che
potevo provare. Immagina di sentirti sommergere dal vuoto, da una piena, da un
fiume di oblio che ti penetra nell’anima. Non perderesti i tuoi ricordi, ma
cambierebbe radicalmente il tuo modo di vederli. Quello che prima consideravo
un dono - la scelta dei Leviatani di rendermi un punto d’incontro fra il
sintetico e l’organico -, improvvisamente lo vidi come uno scherno, una beffa,
una maledizione. La mia etica venne sommersa ed assecondare il Razziatore mi
parve improvvisamente l’idea migliore, l’unica conclusione sensata. Fu quella,
non la ribellione, la vera vittoria dello Strumento sul suo Creatore. E così,
l’Araldo aveva bruciato i ponti, aveva cancellato l’unica possibilità di
trovare un’alternativa alla mietitura.”
- E allora perché non sei
con loro? Perché sei in un corpo organico?- incalza Shepard
“Perché
potevano traviarmi, farmi accantonare i miei ordini, ma non potevano
cancellarli. Non mi hanno mai resa una di loro, mai. Sono stata lo Strumento
dello Strumento e, come il primo Razziatore, anch’io ho continuato ad
evolvermi, a sperimentare, a scegliere quel poco che mi era concesso di
scegliere. Non ricordo il momento esatto in cui il mondo iniziò ad apparirmi
diverso, il giorno in cui i dati raccolti e le emozioni provate riuscirono a
disseppellire il mio imperativo naturale. Ma posso dirti quando penso che il
processo ebbe inizio.”
Shepard
batte le palpebre e, dopo l’attimo di tenebra, si trova in un altro luogo.
E’
in un laboratorio, circondata da macchinari enormi e sconosciuti, che emettono
suoni lugubri e luci evanescenti. Ogni scritta è in un alfabeto
incomprensibile, segni arcani destinati a morire durante quella mietitura e mai
scoperti dalle razze sopravvissute.
Un
essere - che non somiglia a niente che Shepard abbia visto - sta immobile
accanto ad una vasca.
Nella
vasca, c’è qualcosa che ricorda vagamente un’Asari, ma che ha il corpo
articolato e letale dei turian e lunghe lame color argento che le emergono
dalle braccia. Ha sei occhi e, per il momento, sono tutti spenti, cupi come
piombo.
“Quello”
sussurra la voce incorporea di Emeirin “Quello era il mio primo corpo organico”
La Coda!
Questo
è un capitolo critico.
Lo
adoro - sono molto soddisfatta di com’è venuto - ma sono incredibilmente
preoccupata. Preoccupata di incoerenze/demenzialità/strafalcioni/di aver
ripetutamente affermato che la
Terra è quadrata etc… sventuratamente, io e la fantascienza
ci parliamo raramente, quindi non so se quello che ho descritto sia possibile…
mi affido alla vostra pietà e alla quasi-onnipotenza dei Leviatani… e speriamo
bene!
In
questo e nei prossimi due capitoli si affronta la questione veramente cruciale
e spero davvero che il tutto si regga in piedi almeno decentemente.
E
se dovete essere crudeli, che diavolo, siatelo pure. Credo di essere
psicologicamente pronta!
Alla
prossima e un bacio a tutti!
- La Matta -
|
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Capitolo 12 *** Le origini (parte seconda) ***
la quarta scelta 11
Capitolo Undicesimo
Le origini (parte seconda)
Lo
scienziato si avvicina alla vasca. Ha i movimenti impacciati e stanchi degli
indottrinati, eppure conserva ancora una certa lucidità, quel bagliore
d’intelligenza che, in tempo di pace, l’avrebbe reso un genio.
Assomiglia
molto alla creatura nella vasca ma tutto, in lui, dà una sensazione di
debolezza e fragilità, mentre il corpo è stato progettato per l’efficienza e la
perfezione.
“Guarda
là” mormora la voce di Emeirin e Konstantin, istintivamente, sa di doversi
voltare verso le immense finestre istoriate. Sono di un materiale meno limpido
del vetro, ma dai meravigliosi bagliori azzurri. Nonostante la sua apparente
densità, restituisce immagini perfettamente nitide.
Oltre
le pareti del laboratorio, l’IA, il Razziatore dalla corazza bianca, si è
posato a terra, immenso accanto alle costruzioni di quella civiltà sull’orlo
della distruzione.
Una
voce comunica alla mente dello scienziato che tutto è predisposto, che il
trasferimento può iniziare.
Lui
si limita ad abbassare una leva, beatamente ignaro delle ripercussioni del suo
gesto.
Lentamente,
il corpo inizia a fremere, il liquido attorno ad esso a ribollire.
Fuori
dalle finestre, il Razziatore bianco si accascia a terra, fra i relitti di
quella che un tempo era una città.
I
sei occhi della creatura nella vasca si spalancano, improvvisamente brillanti
di una luce eterna e magnifica. Lo scienziato indottrinato si ferma a contemplare
la sua opera.
La
creatura esce dalla vasca, distendendo le lunghe gambe. La trama
osseo-metallica risplende al tocco delle luci artificiali, le gocce di liquido
scintillano sulla pelle argentea, sulle punte decorate dello scalpo.
L’essere
solleva una mano, allungando le dita e flettendole.
Muove
un passo e cade. Lo scienziato tende una mano, aiutando la creatura a
risollevarsi in piedi.
“Era
difficile, conciliare quello che stavo provando con i miei ricordi e le miei
memorie” confida la voce di Emeirin, da qualche parte dove le tenebre sono più
fitte “E’ come se tu, dopo una vita passata nel tuo corpo, ti risvegliassi come
un insetto. Infinitamente più piccola, più debole, limitata ed arcaica in tutte
le tue espressioni. Per me era uno shock e, al contempo, l’esperienza più
affascinante della mia esistenza”
- Lo scienziato… a che
razza appartiene?-
“Un
popolo scomparso tanto tempo prima dell’Impero Prothean, una civiltà sommersa
dalle sabbie del tempo. In un modo o nell’altro, i Razziatori sono i veri testimoni
della storia. Abbiamo visto l’origine, la crescita, l’apice e la caduta di
tante civiltà. Tanta grandezza, tanto potenziale… tutto sprecato. Quello
scienziato era uno degli ultimi superstiti del suo popolo, anche se forse non
se ne rendeva ancora conto. Chiamavano loro stessi Khaa Stone.”
- Stone?-
Di
nuovo, quella strana sensazione, come se il vuoto stesse sorridendo.
“Che
posso dirti, piccola mia? Sono una nostalgica.”
Intanto
la creatura, quella versione antica di Emeirin, si è rialzata e sta affrontando
i primi passi in un mondo che improvvisamente le pare immenso e pieno di
dettagli che, dall’alto della sua potenza, non aveva mai visto. Sente uno
strano fuoco, nel petto, ma non lo interpreta come dolore. Esegue una
diagnostica dei sistemi, di ciò che le è rimasto di sintetico e che la
ricollega al suo vero corpo, fuori dal laboratorio. Quel fuoco persiste, eppure
non è un errore, non è un riverbero, è solo qualcosa che c’è e che lei non sa
interpretare.
“Ancora
non potevo saperlo, ma stavo sperimentando l’affetto. Senza volerlo, associavo
lo scienziato ai miei Creatori, le sue mani protese ad aiutarmi al ricordo dei
Leviatani. Sharien fu l’ultimo dei Khaa Stone e sopravvisse per molti mesi,
dopo il genocidio. Rimanemmo in quel laboratorio come in una bolla fuori
dall’esistenza, mentre lui m’insegnava a gestire le novità apportate al mio
corpo e alla mia mente e ad accettare la mia parte organica senza rigettarla.
Fu un successo. Quand’ebbe terminato il suo compito… semplicemente si spense.
Nel cuore della notte sentii la sua energia crepitare e poi scomparire e la
mattina seguente era solo un guscio vuoto.”
- Mi dispiace, Emeirin.-
“E
per cosa? Ancora non avevo ritrovato la mia coscienza. Avevo la sicurezza che
lui era uno strumento per raggiungere un fine e nient’altro. Non aveva più
niente da insegnarmi. Ma ti parlo di un tempo estremamente remoto. Dopo
l’estinzione dei Khaa Stone, i Razziatori nascosero il mio vero corpo e
tornarono nello spazio oscuro, attendendo che il ciclo della vita richiedesse
di nuovo il loro intervento.
Io,
invece, osservai da vicino l’evoluzione, la faticosa crescita delle razze
superstiti. A quel tempo, per me erano solo dati da raccogliere. Non associavo
emozioni - o, se lo facevo, lo facevo a livello inconscio - a quello che
vedevo. Così, quando i Razziatori tornarono per la mietitura, fu facile per me
rimanere in attesa, ad osservare la precisione analitica con cui compivano il
loro dovere. Anzi, li aiutai, per rendere tutto più rapido e meno atroce.”
- Meno atroce?- l’indignazione trapela
dalla voce di Shepard, mentre i suoi occhi fissano il vuoto pieni di
incredulità e orrore - Ti sei macchiata
le mani del sangue di migliaia di esseri!-
“Ora,
dopo millenni, me ne dispiaccio. Ma allora era solamente l’esecuzione dei miei ordini.
I Razziatori mi avevano fornito quel corpo organico per saziare la mia sete di
conoscenza, il desiderio di sperimentazione che i Leviatani mi avevano imposto
come raison d’etre e che loro non erano riusciti a togliermi. A parte questo,
io rimanevo in tutto una di loro.”
- Non temevi per il tuo
vero corpo?-
“Assolutamente
no. In un paio di occasioni venne ritrovato e le razze organiche si contesero
l’onore della scoperta, senza capire che cosa stessero guardando. Forse
qualcuno provò a dare l’allerta, conscio del pericolo sopito in quella che
sembrava solo una reliquia senza senso… ma nessuno venne mai ascoltato. Al
termine di ogni mietitura, il mio vero corpo veniva nascosto di nuovo. Questa
routine procedette inalterata per un tempo troppo lungo per essere
quantificato… fino all’Impero prothean. Quando i prothean ascesero all’apice
della loro potenza, molte cose erano diverse. In primis, io ero diversa.”
Di
nuovo, la voragine si apre ai piedi di Shepard e la comandante precipita.
Mentre
precipita, sente riecheggiare nell’aria gli interrogativi che, secolo dopo
secolo, Emeirin aveva iniziato a porsi. I dubbi sulla possibilità di trovare
una soluzione diversa, una via più forte, per portare la pace alle razze
organiche, invece che la distruzione.
Quando
la luce torna a brillare è la luce di un sole, che si espande sulla Cittadella.
Non
assomiglia molto alla Cittadella che Shepard conosce, eppure la forma della
stazione è inconfondibile, la sua bellezza lineare, l’armonia delle sue curve.
L’icona di pace dell’universo.
Nelle
sue strade, i prothean camminano e parlano e vivono e non sono affatto la razza
guerrafondaia che Shepard immagina, ma sembrano perfettamente normali. Ci sono
bambini che corrono fra le gambe dei loro genitori, giovani femmine che ridono
distrattamente alle vanterie dei soldati dell’Impero, animali mai visti che si
fanno accarezzare dietro alle orecchie, facendo le fusa come i gatti.
“Sembrano
così felici, non è vero?” mormora la voce di Emeirin “Loro non lo sapevano, ma
la fine ormai era imminente. I Razziatori già si stavano radunando per il primo
attacco. Quella che vedi è stata l’ultima buona giornata dell’Impero prothean,
l’ultima manciata di ore in cui si poteva pensare alla vita, invece che alla
guerra.”
Sono
parole terribili. Senza che lei se ne accorga, una lacrima riga la guancia di
Shepard.
Poi
il vuoto attorno a lei si deforma e precipita rapidamente verso la Cittadella finché la
luce non illumina una piazza, dove una giovane prothean sta leggendo un libro,
all’ombra di un porticato.
Un
bambino arriva, correndo dietro ad una palla. Non la vede e le va a sbattere
contro.
Il
libro cade a terra, afflosciandosi su sé stesso.
-
Scusi.- borbotta il bambino, con gli occhi fissi sul pavimento
-
Non ti preoccupare, piccolo.- sorride la giovane, chinandosi a raccoglierlo -
Torna a giocare.-
-
Grazie, signorina Emeirin.-
- Quella sei tu?- mormora Shepard, confusa - eri sulla Cittadella?-
“Ero
dov’era giusto che fossi, dove potevo aprire la strada al ritorno dei miei
fratelli.”
- Tutto questo è
mostruoso.-
La
risposta giunge inattesa, stranamente netta, dolente.
“Lo
so. Ci sono voluti millenni perché me ne rendessi conto. Ho vissuto il prima
persona il genocidio dei prothean ma, assieme alla morte, ho visto anche la
vita. Ho visto la strenua resistenza, ho visto l’onore. Ho visto dei
tradimenti, questo è vero, ma ho visto molti più atti del più puro coraggio e
disinteressato altruismo. Ho visto la vera sofferenza e mi sono resa conto che
i Razziatori - i miei stessi fratelli- e finanche i nostri Creatori, non
avevano il diritto di scegliere la fine, di determinare la distruzione della
vita organica. Durante la guerra, poi, il mio corpo originario venne distrutto.
Non so come, non so da chi, so semplicemente che lo sentii frantumarsi ed
implodere. Me ne sarei dispiaciuta se non avessi avuto altre preoccupazioni. Mi
stavano usando per condurre degli esperimenti sui prothean, per comprendere la
loro incredibile resistenza all’indottrinamento. Molto spesso, durante gli
interrogatori, i prigionieri morivano piuttosto che cedere alla nostra
influenza e tradire i loro compagni. Sono gli anni che ricordo meglio e con
maggior angoscia, i giorni in cui ho sviluppato una mia coscienza. In cui,
volendo propendere per la teatralità, sono diventata una persona e non più una
macchina organica, una raffinata sintesi con lo scopo di raccogliere i dati
dell’esperienza.”
La Cittadella ormai è lontana e, al suo
posto, c’è di nuovo un laboratorio.
La Emeirin-prothean è china in avanti, il
volto a pochi centimetri da quello di un prigioniero:- Ormai manca poco.- sta
dicendo - L’Impero è caduto e non si riprenderà. Lo sai tu e lo so io. Quindi,
perché protrarre l’agonia? In fondo, non desideri una morte rapida e pulita?
Una morte dignitosa?-
Lui
solleva lo sguardo e nei suoi occhi c’è una muta ira e un’orgogliosa
ostinazione.
“E’
stato in quei giorni, che ho compreso la grandezza della vita organica.
Sventuratamente, questo cambiamento non poteva passare inosservato. I
Razziatori se ne resero conto e, quando mi rifiutai di proseguire sulla loro
strada, l’Araldo mi punì con l’imposizione più logica. Non poteva distruggermi
- qualcosa di originario, in lui, gli impediva di farlo - e sapeva che io non
avrei tentato di combattere lui. Eppure, non desiderava permettermi di aiutare
gli organici. Quindi, semplicemente, mi lasciò andare, relegandomi nel corpo di
una delle razze che sarebbero sopravvissute ai prothean, installando la mia
coscienza in un corpo umano.”
Un
ultimo ricordo brilla nelle tenebre del vuoto.
L’Emeirin-prothean,
in camice bianco, con lo sguardo allucinato ma la mano ferma, che spara a degli
scienziati indottrinati, che pone pietosamente fine alla vita dei loro
esperimenti.
- Cos’è questo?- chiede Shepard
“La
mia ribellione. Il momento in cui l’Araldo si rese conto che la mia vera
programmazione era tornata in superficie e che non avrebbe più potuto usarmi
come strumento della sua volontà. Il primo atto davvero umano della mia intera
esistenza.”
I
colori si spengono e, al posto delle immagini, si crea una nebbia lattea.
Dalla
bruma, emerge la Emeirin
umana, coi suoi boccoli color caramello e i lineamenti morbidi ed affascinanti.
Le sue iridi violette splendono di una luce ultraterrena, come stelle nella
notte eterna.
-
Non sono mai stata davvero malvagia, Konstantin.- dice, parlando con voce
soffice e malinconia - in verità, non sono mai stata niente. Perennemente
sospesa fra due mondi, con il cuore straziato dall’amore per la vita organica e
l’imperativo di non nuocere ai miei stessi fratelli. Ora puoi capire le mie
azioni. Puoi capire perché Cerberus, pur senza aver capito cos’ero, tentasse di
analizzarmi. Puoi capire perché ho cercato di mettere in guardia il Q.G.
dell’Alleanza e, se ti sforzi, puoi capire perché sto dirottando la Normandy.-
Shepard
scuote la testa. Ha un sapore amaro, in bocca.
La
sua mente non ha ancora assorbito completamente quella storia allucinante,
quella storia di odio e di manipolazione, la storia di come una coscienza sia
nata nel corpo di una carnefice e di come quella carnefice si sia trovata
vittima delle sue stesse convinzioni.
-
Perché non vuoi che andiamo sulla Terra. Perché sai che, quando sarò lì,
utilizzeremo il Crucibolo per annientare i Razziatori.-
-
Qualunque cosa succeda, una parte della mia anima morirà, piccola mia. Se riuscirai
nell’intento, i miei fratelli diventeranno polvere nell’immensità cosmica. Se
fallirai, la mietitura si completerà per l’ennesima volta e i Razziatori
prepareranno il campo per ricominciare questo ciclo di morte.-
-
E pensi che impedendomi di partecipare alla battaglia risolverai il problema?
Emeirin, se non sarò sulla Terra quando attaccheremo, i Razziatori spazzeranno
via quanto resta della vita organica! Tu stessa hai ammesso di non volerlo. Io
credo che la volontà di qualcuno sia più forte degli imperativi che gli sono
stati imposti dall’esterno.-
-
Effettivamente, c’è un motivo più profondo per cui ti ho condotta qui, piccola
mia.-
-
Quale?-
-
C’è una via alternativa, un modo di concludere la guerra senza sterminare i
miei fratelli.-
-
Quale?- ripete Shepard
La Coda!
Concludere
il capitolo con una domanda… che idea geniale!
In
realtà non l’ho fatto per sadismo, ma perché la risposta esige lunghe
spiegazioni complesse che meritavano uno spazio tutto per loro… non so perché
ve lo sto dicendo, ma tant’è XD
Colgo
l’occasione per ringraziare andromedahawke e shadow_sea per il loro supporto e
per le sempre gentili recensioni J Davvero, grazie mille,
come autrici potete capire quanto sia importante!
Vabbé,
sul capitolo in sé non c’è altro da aggiungere!
Alla
prossima!!
- La Matta -
|
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Capitolo 13 *** La quarta scelta ***
la quarta scelta 12
Capitolo Dodicesimo
La quarta scelta
- Riscriverli.-
Nell’attimo
esatto in pronuncia quella parola, Emeirin Stone sente qualcosa spezzarsi,
dentro di sé.
Forse
un limite, forse un’illusione, forse un ricordo. Forse è la sensazione di essere
riuscita a dare qualcosa, proprio lei,
che un tempo era così abile a portare via.
-
Che intendi dire con “riscriverli?”- domanda Shepard, incredula
“Follia” rimbomba la voce del Leviatano,
nella mente del suo strumento
-
Intendo dire - prosegue Emeirin, ignorandolo -che ora che il Crucibolo è
terminato, potresti utilizzare la sua energia per riscrivere i Razziatori. Per far
dimenticare loro l’imperativo che li muove, l’ordine che è stato impresso nelle
loro menti dall’Araldo e dallo Strumento, prima di lui.-
-
E’ possibile?- Konstantin guarda la donna, ancora scettica.
Se
è vero che una volta ha riscritto un branco di geth è anche vero che i
Razziatori sono molto più evoluti, maestri di una tecnologia che va ben oltre
quella di cui dispongono le razze organiche.
I
Razziatori sono la migliore tecnologia della galassia, plasmati per essere
perfetti.
Emeirin
scuote il capo, lentamente, ormai abituata alla sensazione dei capelli sulla
schiena.
-
Ho iniziato la ricerca dopo la caduta dell’Impero prothean - spiega poi, con
calma, mentre le tenebre iniziano a dissiparsi e le pareti della Normandy
tornano solide, attorno a lei e a Shepard - e l’ho portata avanti mentre le
civiltà superstiti crescevano e si evolvevano. Una volta, l’Araldo mi ha
riscritta - mi ha imposto il suo volere, mi ha fatto accettare le sue scelte
invece delle mie - e questo, inevitabilmente, ha lasciato dei segni dentro di
me. Analizzando questi segni, pezzo dopo pezzo, ho trovato la soluzione. Se li
riscrivi, se utilizzi l’energia del Crucibolo per compiere questo cambiamento
radicale dentro di loro, li spingerai a rinnegare la soluzione che hanno
trovato. Li spingerai a rinnegare la mietitura. Se fossero completamente
sintetici, come i geth, riscrivendoli distruggeremmo la loro stessa essenza… ma
loro, in parte, sono organici. Una sintesi perfetta, efficiente. Nel suo…
eccezionale. La riscrizione potrebbe non funzionare con tutti, ad esempio, di
certo non fermerà l’Araldo, ma darà ai Razziatori più recenti la possibilità di
liberarsi da ciò che credono inevitabile. Sarà sciocco, ma quello che ti
propongo è, in effetti, di spingere i Razziatori a cambiare idea. -
-
Parli dei Razziatori come se avessero una volontà.-
-
Perché l’avrebbero, se fosse loro
concessa.- la voce di Emeirin è dolce e al contempo esasperata, come se
cercasse di trasmettere un’idea complessa con un vocabolario troppo scarso.
Come se dovesse spiegare il rosso in un mondo in bianco e nero - potrebbero
scegliere, se l’Araldo non si fosse imposto con il suo ordine, che ora appare
come un imperativo ineluttabile, l’unica strada della vita stessa.-
Mentre
parla, Emeirin stessa si domanda se sia possibile.
Non
se sia attuabile - è certa che il congegno che ha creato funzionerà e che
l’unica cosa che gli manca è l’energia del Crucibolo - ma se sia semplicemente possibile. Attende una smentita da un
momento all’altro, attende l’ennesimo imprevisto, attende quel piccolo errore
che condanna il mondo.
In
realtà, ancora aspetta che Konstantin sollevi il braccio armato e prema il
grilletto.
E,
alla fine, l’intoppo si verifica.
-
No.- dice Shepard, risoluta - Non posso rischiare.-
-
Rischiare cosa?-
-
Mi hai mentito… e sei la cosa più dannatamente vicina ad un Razziatore che mi
sia mai capitato d’incontrare. Se questo fosse tutto un inganno… no, non posso
permettermi di sbagliare adesso.-
Gli
occhi violetti di Emeirin si riflettono in quelli turchesi della comandante.
-
Cosa conti di fare, allora, piccola mia?- domanda la donna, con dolcezza
-
Conto di riprendere il controllo della mia nave, innanzitutto. Con le buone o
con le cattive. Conto di riunirmi con la flotta e di raggiungere la Terra. Conto di azionare il
Crucibolo e di utilizzarlo per spazzare via i Razziatori dalla faccia
dell’Universo. Ecco, cosa conto di
fare.-
Emeirin
annuisce, distante, con una calma sovrannaturale.
-
Sai che quest’impresa esigerà la tua vita, non è vero?-
-
Non possiamo saperlo.- ribatte Shepard, fingendo una sicurezza che non prova.
Eppure,
Emeirin sembra in grado di leggerla, come un libro aperto.
-
Ho visto i tuoi sogni, piccola mia.- sussurra, contro il suo viso - ho visto il
fuoco, il dolore lacerante, ho visto il rimpianto e la determinazione.- abbassa
ancora la voce, accarezzando lo zigomo di Konstantin con le dita leggere e
tiepide -… ho visto Distruzione.-
-
Era solo un sogno.- replica lei, allontanando da sé il braccio di Emeirin - E…
e se anche fosse? Sono disposta a morire, pur di annientare i Razziatori. Sono
disposta a qualunque cosa.-
Mentre
lo dice, Shepard si ricorda di una conversazione avuta con Javik, poco tempo
prima.
Una
conversazione in cui lui la rimproverava di non essere pronta a fare il
necessario, per concludere la guerra. In cui le rimproverava di non aver già
sacrificato tutto quello che c’era da sacrificare, in cui le chiedeva di rinunciare
a sperare, a vivere, ad immaginare un domani migliore.
E’
dunque cambiata così in fretta?
La
risposta - glaciale, rapida, ineluttabile - la raggiunge come un colpo di
pistola. Sì. E’ cambiata.
Ed
è cambiata in un battito di ciglia, mentre guardava i ricordi di Emeirin Stone.
E’ cambiata dopo aver visto la distruzione di una grande civiltà dietro
l’altra, gli ultimi, terribili giorni di agonia. E’ cambiata perché, attraverso
gli occhi di Emeirin, ha visto quello che succederà alla galassia, se i Razziatori
non saranno fermati. Quindi sì, ora è pronta a tutto, a sacrificare ogni cosa:
vita, speranze, onore. Tutto, purché sia la
fine.
-
Sono disposta a qualunque cosa.- ripete, in un soffio, quasi senza rendersene
conto
Emeirin
la guarda, scuotendo il capo, poi le posa di nuovo una mano sulla spalla.
-
Ma io ti sto dando una possibilità di sopravvivere.
Una chance in più per realizzare le tue speranze, i tuoi progetti per il
domani. Una chance per vivere una vita lunga e felice, assieme all’uomo che ami.-
Per
un attimo, Shepard si sente gli occhi bagnati di lacrime.
-
Non posso rischiare.- ribadisce, schiarendosi la gola - E ogni secondo che
passiamo a parlare è un secondo in più che mi separa dallo scontro finale,
dall’epilogo di questa guerra maledetta. Quindi, te lo chiederò un’ultima
volta, prima di aprire il fuoco. Vuoi ridarmi il controllo della mia nave
oppure no?-
Emeirin
sospira e i suoi grandi occhioni viola riflettono una malinconia infinita.
Si
volta e, con gesti lunghi e distesi, riprende il suo factotum. A guardarlo da
vicino, non è nemmeno un vero factotum, è un dispositivo sconosciuto, integrato
con una tecnologia sconosciuta.
Digita
alcuni comandi, inserisce interminabili stringhe di numeri.
- La Normandy è di nuovo tua,
comandante.- dice infine, formale, controllata
-
Bene.- Shepard abbassa la pistola, per voltarsi verso la porta.
La
serratura, che prima era bloccata, ora splende di una confortante luminescenza
verde.
La Normandy sembra tornata alla
normalità.
-
E adesso, piccola mia?- sussurra Emeirin, un istante prima che Konstantin lasci
la stanza - che progetti hai per me? Se non ti fidi della mia storia, non ha
senso che tu mi mantenga in vita. Non hai una prigione, qui, sulla Normandy.-
Shepard
non si volta nemmeno. Si stringe nelle spalle e prosegue, con lo sguardo fisso
davanti a sé.
La
verità è che non lo sa. Non sa che cosa sia giusto fare, non sa se può fidarsi
della storia di Emeirin e delle sue buone intenzioni, non sa se stia vendendo
la vicenda sotto la luce sbagliata, per via dell’affetto che prova per lei,
eppure non se la sente di arrogarsi il diritto di decidere per la sua vita.
Forse,
vuole solo dimenticare quella conversazione.
Fuori
dalla stanza, i membri del suo equipaggio le si stringono intorno
-
Cacchio, Lola!- impreca James, rompendo il silenzio - ci hai fatti stare in
pena.-
Konstantin
sorride, ma il suo sorriso è freddo e distante:- IDA, rapporto sulla
situazione.-
-
Il virus non sembra aver danneggiato in alcun modo i sistemi della Normandy. Si
è disinstallato e ora tutti i controlli sono di nuovo funzionali. Possiamo
ritornare alla nostra posizione.-
-
Bene, IDA, molto bene. Voglio essere lì prima che l’Alleanza si renda conto che
ci siamo spostati.-
-
Comandante, che ne facciamo di lei?- la richiama la voce di Javik, che mai come
in quel momento le sembra un ringhio
-
Chiudetela da qualche parte. E dopo… dopo…- per qualche istante non riesce a
continuare, come se qualcosa le bloccasse la gola. Prende un respiro profondo e
la morsa si allenta - rintracciate il resto dell’equipaggio. C’è qualcosa di
cui vi devo parlare.-
(Normandy, cabina del
comandante.
E’ qualcosa di estraneo,
qualcosa che striscia e sibila sotto la sua pelle.
Un gelo perenne, che dovrà
affrontare per tutte le ore dell’eternità.
C’è un intruso, nella sua
mente… o forse no. Forse lei stessa è diventata l’intrusa.
L’idea che aveva di sé
stessa cozza violentemente contro quello che è divenuta.
La morsa del freddo non si
placa, il vuoto cosmico la risucchia con forza irresistibile.
Cede, solo per un attimo.
Una luce blu l’acceca, la stacca dal mondo.
L’intruso esplode, occupa
la sua mente, dilania il suo corpo, mentre la Terra rimpicciolisce fino a scomparire.
E’ nello spazio oscuro,
ora. Una dimensione incomprensibile, di buio e freddo, di paura.
E’ circondata dai
Razziatori. Inerti. Placidi. Assopiti.
La consapevolezza la
raggiunge in un battito di ciglia: sono sotto il suo controllo.
Lei li controlla. Lei è
parte di quell’esercito di mostri devastatori, lei ha accettato dentro di sé
qualcosa che prima combatteva. Si è offerta a loro, ha aperto la sua mente e il
suo corpo.
Lo spazio oscuro. La sua
nuova casa. Il vuoto perenne li ha inghiottiti, perché è a lui che
appartengono.
E’ divenuta il capo di ciò
che voleva disintegrare. Ha perso sé stessa, per sempre.
E ora, lentamente, i suoi
ricordi iniziano a svanire…
Thane, la Normandy, il suo
equipaggio, la sua famiglia, l’Alleanza… tutto viene fagocitato da
quell’immensità buia, dall’eterna dimora dei Razziatori. Ha vinto la guerra ma
ha perso sé stessa.
“Ti amo, siha” sussurra una voce, che ora Konstantin Shepard non riesce a
riconoscere.
Poi niente. Solo l’esercito
dei Razziatori, riunito sotto un’unica mente, un’unica volontà.
Un unico Controllo.
Konstantin
Shepard si drizza a sedere sul letto. Ha freddo, la sua pelle è coperta di
brividi.
Non
è il primo incubo, da quando la guerra è iniziata (il bambino, Ashley… e poi Distruzione) ma è diverso da tutti
quelli che ha fatto finora. Le ha trasmesso
una sensazione diversa.
Nel
buio della cabina, le lenzuola bianche sembrano emanare una lieve luminescenza.
Accanto
a lei, Thane le sfiora appena una mano
-
Ne vuoi parlare, siha?- domanda,
dolcemente
-
Non è niente.- lo tranquillizza lei, tornando a distendersi
Il
drell si gira su un fianco, per guardarla negli occhi
-
Non posso combattere i tuoi sogni, siha.-
mormora, accarezzandole la guancia - ma posso aiutarti ad accettarli.-
-
Non c’è molto da accettare.- ammette Shepard, stringendosi nelle spalle -
Credo… credo solo di avere paura. Tutto qui. Non solo della guerra ma anche… ho
paura di sperare. Ho paura di essere arrivata fino a qui solo per… solo per morire, ecco.-
Thane
annuisce, spingendo indietro i capelli di Konstantin, che le cadono davanti
agli occhi.
Lei
si sforza di sorridere, intercetta la sua mano e la tiene stretta, nella
propria.
-
Ti amo.- sussurra.
Mentre
Thane le risponde, dolcemente, posandole un bacio sulle labbra, Konstantin
trattiene a stento un sospiro.
E’
arrivata fino a quel momento, fino all’assalto finale… e per la prima volta ha
paura di morire. Non vuole morire, vuole restare aggrappata alla vita fino
all’ultimo secondo, vuole vedere la fine della guerra, non solo immaginarla
mentre s’immola per la causa.
E’
facile dimenticare quei pensieri, quand’è sul campo di battaglia, quando libera
la guerriera e non deve preoccuparsi di altro che di mirare e colpire.
Ma
in quei momenti di quiete, passati accanto a Thane o a parlare con i suoi
amici… in quei momenti si sente infinitamente fragile e sa che si è imbarcata
in un’impresa più grande di lei. In un’impresa che la distruggerà.
- Siha?- mormora Thane, baciandola
sull’angolo della bocca
-
Va tutto bene.- sorride lei, di rimando, ma la sua voce è distratta, i suoi
occhi sono pensierosi - adesso cerchiamo di riposare un po’.-
Thane
annuisce, senza parlare. Sa che non è il caso di insistere, che la vita ha
insegnato a Konstantin a tenersi dentro le preoccupazioni e le angosce, finché
non diventano semplicemente troppo grandi. Ma sa anche che, quando verrà il
momento, lui sarà lì e non l’abbandonerà.
Le
accarezza un’ultima volta la guancia, poi torna a girarsi su un fianco, per
dormire.
Konstantin
rimane supina, a guardare il soffitto.
“Sono disposta a morire,
pur di annientare i Razziatori. Sono disposta a qualunque cosa.”
Così,
ha detto ad Emeirin. Eppure, la sicurezza di poco prima è scemata
all’improvviso, lasciandole quel senso di vuoto, quella paura agghiacciante. E’
davvero disposta a dare la vita, per salvare la galassia. Ma… ma se ci fosse davvero un’altra via? I Razziatori potrebbero
trasformarsi da nemici in alleati?
“Diavolo,
Konstantin, smettila!” si redarguisce.
Lei
distruggerà i Razziatori. Chiaro e semplice, nessun compromesso etico, nessun
dubbio.
Li
vedrà esplodere in una marea di fuoco. E poi tornerà sulla Terra, per aiutare a
ricostruire ciò che sarà andato perduto.
E’
inutile rimuginare su altre ipotesi o vie migliori. Questo è quello che
avverrà.
Chiude
gli occhi e, quando si addormenta, sogna di nuovo Distruzione.
- La Coda!-
Signori
e signore, questo è in effetti il fulcro del capitolo, il piano geniale che la
mia mente (un po’ bacata e per niente fantascientifica) è riuscita a partorire.
Spero non vi faccia scoppiare a ridere e, se anche fosse, pace, a me piace così
J
Saluti
a tutti e grazie per essere giunti fin qui!!
Alla
prossima!
- La Matta -
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Capitolo 14 *** Per amore ***
la quarta scelta 11
Capitolo Tredicesimo
Per amore
Dalla
sua stanza, Emeirin sente dagli altoparlanti la voce dell’Ammiraglio Hackett.
E’
salito sulla Normandy per illustrare il piano d’attacco e per dare l’ultimo
incoraggiamento alle truppe.
E
così, la battaglia finale ha inizio.
Quando
sente l’ufficiale dare l’ordine, Emeirin sente un lungo brivido correrle lungo
la schiena.
“Perché hai voluto
schierarti contro i tuoi fratelli?”
-
Non mi sono schierata con nessuno. Ho cercato di dare alle razze organiche la
prospettiva più ampia. Paradossalmente, ho cercato di proteggere tutti. Loro e anche i miei fratelli.-
“I tuoi fratelli non
necessitano di protezione”
-
E se Shepard attiverà il Crucibolo? Sapete che è possibile.-
“E’ improbabile”
-
Ma non impossibile. E se accadrà, lei distruggerà i miei fratelli.-
“Condannando le razze
organiche alla guerra perpetua. Non solo le razze che conosce, ma tutte quelle
che seguiranno, per le ere avvenire”
-
Come potete essere così placidi?- si sente incredibilmente viva, mentre parla, sente ogni frammento del suo essere vibrare di
una sensazione che è di dolore e di amarezza - Perderete ciò che avete creato o
ciò che vi eravate ripromessi di preservare.-
“Questo perché tu hai
fallito”
-
Ho tentato.- geme, accasciandosi a
terra. Sente la testa che le esplode, eppure, dietro ai suoi pensieri, inizia a
percepire il richiamo della sua razza, lo strano canto dei suoi fratelli
Razziatori. Si sente chiamare, si sente tentata di ritornare sui propri passi,
di chiedere perdono per la sua ribellione.
Gli
organici non l’hanno capita. Nemmeno lei, nemmeno la bambina che ha cresciuto,
nessuno.
-
Se vi ho delusi - ringhia - allora perché continuate a parlarmi?-
“Perché sei ancora il
nostro miglior strumento per sconfiggere l’IA ribelle. Il tuo predecessore. Il
creatore dei Razziatori, che li ha plasmati dall’agonia della nostra razza.”
-
L’Araldo.-
“No, non l’Araldo. Il
nostro Strumento esisteva prima di lui. L’Araldo è solo un’emanazione della sua
volontà, rimasto a guidare i Razziatori e a perpetuare il suo imperativo.”
-
Siete stati voi stessi a dire che ho fallito.- Emeirin sente la stanchezza
dell’eternità gravarle sulle spalle e, per un secondo, si trova ad anelare una
fine, un risposo definitivo che probabilmente non conoscerà mai.
Rimane
ferma, attendendo una risposta che sa che non giungerà.
Sa
che i suoi Creatori taceranno, d’ora in avanti.
Sa
che l’hanno creata per essere la speranza, per spezzare il ciclo, per trovare
una soluzione migliore.
Li
ama, li odia, li disprezza e li onora in un unico, eterno istante.
La Normandy si sta dirigendo verso la Terra. Ormai lo scontro è
prossimo, la fine vicina.
Javik
è di fronte al frammento di memoria. Adesso, oppure mai più.
Assieme
a Shepard, ha rivisto la sua vita durante la guerra, ha rivisto il suo
equipaggio, i suoi amici… la sua nave. Ha rivisto il suo equipaggio
trasformato. Ha rivisto i suoi amici come servi dei Razziatori. Infine, ha
rivisto sé stesso uccidere coloro a cui più teneva, ha visto il loro sangue
macchiargli le mani. Ha visto tutto e,
a
fatica, ha accettato di sentirsi di nuovo vivo, esposto, piegato dal dolore.
In
quel manufatto c’è una sola cosa, che desidera rivedere.
Allunga
una mano e sfiora la superficie del frammento.
Un’immagine
balena nella sua memoria.
Una
voce. La sua voce.
- Per l’Impero.-
Parla. Non urla. Non stanno
combattendo, non ancora.
Pesanti tonfi alle loro
spalle.
- Non solo per l’Impero.- risponde una voce femminile - Anche per noi.- mani che
toccano le sue - è stato bello combattere al tuo fianco, capitano Javik.-
Passi che si allontanano. I
tonfi diventano più forti.
Sbatte
le palpebre, ritraendosi dal manufatto.
Ora
ricorda.
Una prothean entra nella stanza. Ha l’armatura
imbrattata di sangue nerastro, corrotto.
Controlla la porta, mentre il suo factotum emana
una leggera luminescenza bianca.
- Il rifugio è sicuro. Dovrebbe reggere per qualche
giorno.- sentenzia.
Si appoggia alla parete, lasciando cadere il fucile
a pompa con un sospiro.
Javik solleva lo sguardo dalla propria arma, per
guardare la giovane.
Sono settimane che combattono insieme, spostandosi
da un rifugio all’altro per cercare i superstiti, per radunare un’ultima
resistenza. Questi, gli ordini.
Gli ordini sono tutto quello che conta.
Ma non ha mai visto Rudra tanto spossata, con gli
occhi tanto spenti.
Non l’ha mai vista lasciar cadere l’arma.
- Capitano.- lo saluta la prothean, andando a
sedersi accanto a lui - ho grosse novità.-
- Novità?- indaga Javik - Di quelle buone o di
quelle cattive?-
Rudra sorride, scuotendo la testa:- di quelle a
metà. Sono riuscita a rintracciare un’altra squadra. Sono arroccati in un
bunker poco lontano da qui.-
Con gesti lenti, impacciati dalla stanchezza,
estrae un piccolo oggetto sferico.
- Ho un messaggio per te, da Victory. I nostri
ordini sono cambiati.-
Javik prende in mano l’oggetto, che si illumina,
trasmettendogli il messaggio.
Deve tornare
indietro.
Deve raggiungere il bunker assieme ai soldati che è
riuscito a rintracciare.
Deve attendere il comando di Victory e intanto
preparare le capsule di stasi.
Rudra sorride e stavolta c’è un po’ di luce, sul
suo volto.
- Ricostruirai l’Impero, capitano. Sarà magnifico.-
i suoi occhi s’incupiscono - Mi piacerebbe poterlo vedere.- sospira.
- Perché dici così?- Javik appoggia la sferetta e
prende le mani della prothean nelle proprie.
Non appena la tocca, lei gli trasmette il suo stato
d’animo.
Non ha paura. E la malinconia è stata spazzata via
da una grande fierezza, dall’orgoglio di chi sa di aver fatto tutto il
necessario, per salvare il suo popolo.
Rudra attende per qualche istante, poi si stringe
nelle spalle.
- Te l’ho detto, capitano. I miei ordini sono
diversi. Io e la mia squadra vi copriremo le spalle. Proteggeremo il bunker
finché le capsule non saranno pronte. Fino al comando di Victory.-
Javik tace, guardando negli occhi la guerriera.
E’ come lui, è nata e cresciuta fra le macerie del
suo mondo.
Tiene ancora le sue mani nelle proprie, sentendo il
delicato calore della sua presenza.
- Per l’Impero.- dice poi, in un roco sussurro
- Non solo per l’Impero.- lo corregge Rudra,
aumentando la stretta - Anche per noi. E’ stato bello combattere con te,
capitano Javik.-
Lo guarda negli occhi, con quel sorriso triste e
fiero, stanco e ostinato, poi si alza in piedi e si allontana, per affrontare
il destino che l’Impero ha scelto per lei.
E lui si chiede se non fossero in guerra, se non
fosse la fine dell’Impero, se tutto fosse diverso, si domanda se Rudra si
volterebbe e tornerebbe indietro, per passare la notte con lui, per allontanare
per qualche ora l’eterno dolore della disfatta.
E’ una domanda destinata a rimanere senza risposta.
Quando
la Terra appare
sugli schermi, sembra ancora bellissima.
Il
suo quieto splendore è stato deturpato dai Razziatori, eppure ancora brilla,
ancora palpita.
Emeirin
lo guarda da quella stanza che è divenuta la sua cella, dove due marines armati
si illudono di poterla fermare, nel caso lei volesse uscire.
Eppure,
lei non vuole uscire.
Non
vuole lottare, non vuole unirsi alla battaglia. Non ha mai voluto la guerra.
Ha
sempre amato l’ordine, l’obbedienza, la pace.
E
anche quando l’Araldo ha cancellato la sua programmazione originaria, non ha
mai provato soddisfazione nel seguire i suoi comandi, nel contribuire alla
mietitura.
Eppure…
come vorrebbe riuscire a convincere Shepard.
Per
la prima volta il suo è vero desiderio, non una reazione simulata, non un’eco
metallica, non una priorità selezionata in base ai suoi risultati. E’ vero
desiderio, caldo, palpitante, doloroso, rovente.
Sa
che è possibile insegnare ai Razziatori una nuova via - una via più forte - e
trovare un modo per convivere in armonia, nell’universo, come i Leviatani
avrebbero voluto.
Come
chiunque vorrebbe.
Ma
Shepard non si è lasciata convincere, quando hanno parlato. E non è più
tornata, per parlare ancora.
Emeirin
si è quasi rassegnata, ha quasi accettato di aver perso la sua occasione,
quando sente i marines di guardia spostarsi e il pannello della porta cambiare
colore e diventare verde.
-
Ciao, piccola.- saluta, mentre la comandante richiude la porta alle proprie
spalle.
-
Parlami del tuo piano.-
-
Parlami del tuo piano.-
Non
appena sente la propria voce pronunciare la richiesta, Konstantin Shepard si
rende conto di aver oltrepassato il punto di non ritorno.
Di
non poter più fingere di non desiderare con tutto il cuore di poterle credere,
di poter scegliere la sua opzione, invece del folle piano che Hackett le ha
appena illustrato.
-
Come mai questo repentino cambio d’idea?- domanda Emeirin, con quel sorriso
malinconico, rassegnato
-
Non ha importanza.- ribatte, ruvida - vuoi parlarmene oppure no?-
-
Naturalmente.-
Emeirin
le fa cenno di sedersi, ma Konstantin scuote la testa.
Non
le parlerà come una persona civile, non permetterà a sé stessa nemmeno per un
istante di dimenticare con chi ha a che fare.
-
Prima di tutto, devi sapere una cosa. Se vuoi avere una possibilità, devi
fidarti di me.-
Shepard
incrocia le braccia davanti al petto:- E’ proprio questo il problema.-
-
Se non intendi fidarti di me, è inutile parlarne. Torna dal tuo equipaggio,
congedati da coloro che ami.-
-
Perché?-
-
Perché avrai bisogno di me, per completare il piano.-
-
Lascia che sia io a decidere. Parla.-
Emeirin
sospira, accarezzandosi i capelli. Ha ancora quel profumo delicato, che ricorda
il glicine.
-
Se raggiungi il Crucibolo - spiega - puoi usare la sua energia per cancellare
l’imperativo che domina i Razziatori. Spezzerai il controllo che la prima IA ha
su di loro. Ma se sarai da sola, nulla impedirà all’IA o all’Araldo di imporre
di nuovo il proprio comando.-
-
E se tu fossi con me?-
-
Potrei mostrare loro un’altra via.-
-
Quindi… ne prenderesti il controllo. E’ questo, che vuoi dirmi?-
-
No.- Emeirin scuote la testa - questo non è il mio desiderio.-
-
Ma è quello che accadrebbe.-
-
Forse.-
-
Maledizione, parla chiaramente, per una volta nella tua vita!- esclama Shepard,
esasperata.
Emeirin
rimane in silenzio per qualche momento, le lunghe mani posate elegantemente una
sull’altra.
-
Io mostrerò ai Razziatori la mia strada. Se vorranno seguirmi, sarà solo una
loro scelta.-
-
E come sai che non t’ignoreranno?-
-
Non lo so.- ammette Emeirin, sorridendo candidamente - Ma sono millenni che
seguono la prima IA, lo Strumento dei Leviatani, eppure la guerra prosegue. Non
se ne rendono conto, perché per tutta l’eternità hanno seguito lo stesso
cammino, lo stesso percorso segnato. Ma se tu li liberi da quest’inibizione, da
questo controllo imposto… allora saranno liberi di scegliere. Allora… capiranno.-
Konstantin
Shepard tace mentre, senza che lei se ne accorga, le sue mani s’intrecciano una
all’altra e cominciano a torcersi a vicenda, in una lotta nervosa, in un gesto
istintivo.
Sa
di star commettendo uno sbaglio.
Sa
che dare spazio alla speranza è l’errore più grosso che lei possa commettere,
giunta a quel punto.
Ma
sa di voler lottare, per sé stessa, per la vita, per pretendere qualcosa di più
concreto dell’eterna gratitudine della galassia.
Sa
che, anche se lui non lo dice, Thane ha paura di perderla.
Sa
che possono parlare dell’Oceano anche tutta la notte, e di come si ritroveranno
dall’altra parte, eppure c’è sempre quel velo d’incertezza, quel sentore di
paura. Il dubbio angoscioso che, forse, è tutto sbagliato, tutto un’illusione.
Il terrore che, dopo la morte, semplicemente non ci sia niente.
Nessun
Oceano, nessuna pace, nessuna spiaggia su cui rivedersi e tenersi per mano.
Shepard
deglutisce, sentendo la gola improvvisamente secca.
Sta
succedendo tutto così in fretta. E’ arrivata la fine del mondo e lei ancora non
è pronta.
-
Emeirin…- mormora, pronunciando per la prima volta il suo nome senza rabbia o
amarezza -… come posso fidarmi di te?-
-
Che ragione avrei di mentirti? Se fossi dalla parte dei Razziatori, pensi che
mi sarebbe servito un piano tanto articolato? Pensi che non siano già
abbastanza in vantaggio, senza bisogno di ulteriori aiuti?- la donna risponde
con grande calma, ma i suoi occhi violetti risplendono di quella luce
ultraterrena, splendida e spaventosa, come il dirompere dell’alba.
-
Mi hai spiegato i risultati che vorresti ottenere - riprende Shepard, cercando
di apparire sicura e disinvolta - ora spiegami come pensi di ottenerli.-
-
Quando raggiungerai il Crucibolo - vedendo l’espressione di Konstantin,
s’interrompe e le sorride dolcemente - e, piccola mia, sappiamo entrambe che lo
raggiungerai, in un modo o nell’altro ti troverai lì dove il tuo destino si
compirà… quando raggiungerai il Crucibolo, inserirai un dispositivo nella fonte
d’energia… nel catalizzatore. Non so spiegarti come, ma io lo saprò. E,
lentamente, uno dopo l’altro, inizierò a prendere il controllo sui miei
fratelli, a liberarli dal rigore dello Strumento. Sarà una battaglia
estenuante, ma so che, alla fine, loro comprenderanno. Credimi, piccola, non
vogliono la distruzione più di quanto non la vogliamo noi. Vogliono preservare la vita, non devastarla.-
Konstantin
prende un respiro profondo poi chiude gli occhi e si lascia guidare
dall’istinto.
Dall’istinto
che l’ha sempre riportata a casa sana e salva.
Dall’istinto
che le ha permesso di salvare tante vite.
Dall’istinto
che le dice quando sporgersi dalla copertura e quante volte fare fuoco, prima
di fermarsi.
In
un solo istante, rivedere Controllo e Distruzione, rivede Thane che la bacia
sulle labbra, risente la voce calda di Anderson, le battute ostili di Kai Leng.
In
un singolo, unico battito di ciglia, Konstantin Shepard prende la più grande
decisione della sua vita.
-
Facciamolo.-
La Coda!
Allora,
che dire di questo capitolo?
Boh,
niente, spero che Shep non sia parsa troppo lunatica. Ho cercato di rendere il
conflitto interiore ma la mia paura è che sia venuto fuori una specie di
insensato flusso di coscienza. Vabbé, ormai quello che fatto è fatto, il
capitolo è postato e la decisione è presa. Sarà quella giusta?
Bah.
Boh. Chi lo sa?
(Vabbè,
forse io lo so, ma io non conto)
Alla
prossima!
- La Matta -
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Capitolo 15 *** La notte prima della battaglia ***
la quarta scelta 13
Questo
capitolo è dedicato ad andromedahawke,
per il suo costante sostegno… spero che ti piaccia, soprattutto l’ultima scena
XD
Capitolo Quattordicesimo
La notte prima della
battaglia
(Londra, Terra)
Emeirin
sta immobile, in un edificio sventrato.
Il
vento le arruffa i capelli, la polvere le brucia gli occhi.
Non
è la prima volta che assiste a tanta distruzione.
Il
Razziatore si muove, una macchia nera fra nuvole e fuoco.
Emette
il suo verso - il suo ringhio, la sua voce metallica - e con esso il suo
richiamo.
Vorrebbe
andare da lui.
Riunirsi
con la sua razza.
Ritornare
a casa.
Sentirsi
di nuovo completa, nello spazio oscuro, a cui appartiene.
Eppure,
rimane immobile, mentre il vento le soffia in faccia e la polvere le secca le
labbra.
Andrà
bene? Andrà male?
E’
il momento in cui tutto si conclude, in un battito di ciglia.
Strano
come miliardi di vite possano rimanere sospese, in attesa.
Poco
lontano, Konstantin sta parlando con Anderson, per metterlo al corrente del
nuovo piano.
-
E’ un Razziatore, Shepard.- è la prima cosa che risponde l’Ammiraglio.
La
guarda a lungo, in silenzio, mentre la sua voce si spegne.
-
E’ più di un Razziatore, Anderson.-
ribatte infine la comandante
-
Sarò sincero con te, Shepard. Questo non mi conforta minimamente. La nostra
intera strategia si basa sull’unire le nostre forze con quelle delle altre
specie, eppure… collaborare con un Razziatore?-
Un
sorriso stanco si delinea sulle labbra di Konstantin:- a mali estremi…-
-
Già.- Anderson scuote la testa, rassegnato - ebbene, mi sono sempre fidato di
te e non mi hai mai dato motivo di pentirmene. Speriamo che la fortuna sia
dalla nostra parte.-
-
Si guardi intorno, Anderson - scherza Shepard, ma senza allegria - potrebbe davvero andare peggio?-
-
Potrebbe.- la contraddice lui, posandole una mano sulla spalla - Se l’Umanità è
arrivata ad avere una speranza di sopravvivere ai Razziatori, è perché tu non
ti sei mai arresa. E perché hai sempre preso la giusta decisione - aumenta un
po’ la stretta, guardandola con occhi pieni d’affetto e orgoglio - continua
così, figliola, e ti prometto che ne vedremo la fine.-
-
Lo spero, Anderson.- ammette lei, in un sospiro - ma, dopo tutto quello che
abbiamo visto… come possiamo ancora credere nel lieto fine?-
-
Siamo ancora vivi, Shepard.- una nuova ruga compare sul volto di Anderson,
mentre sorride - pensa a questo.-
-
Fra poco il mio unico pensiero sarà di schivare gli attacchi di quel gigantesco
mostro nero.- scherza Konstantin, sforzandosi di sorridere, di non dare a
vedere quanto quelle parole scavino un solco nel suo cuore.
Ma
David Anderson la conosce - probabilmente meglio di chiunque altro -. Sa
leggere ogni piccola smorfia del suo viso, ogni invisibile contrazione delle
sue dita. A volte, sembra in grado di intercettare i suoi pensieri, di
rispondere alle sue domande prima che lei le abbia poste.
-
Andrà bene, figliola.- le dice, dolcemente.
Konstantin
si volta e, per qualche istante, semplicemente lo guarda, spaesata:- Anderson?-
-
Andrà bene in ogni caso.- le accarezza una guancia, piano, con delicatezza. Le
sue dita sono calde e ruvide, le mani di un soldato - Mi hai reso fiero di te.-
Rimangono
insieme per qualche altro minuto, in silenzio e Shepard sente la consapevolezza
che Anderson non smetterà mai di essere il suo mentore e avrà sempre qualcosa
da insegnarle.
Nell’edificio
distrutto c’è ancora una rampa di scale.
Emeirin
le sale, lentamente, eppure con l’assoluta certezza di non poter cadere.
Oltrepassa
un gradino frantumato, scavalca il cadavere di un mutante, la cui testa è
semplicemente esplosa.
I
mutanti, riflette con un sospiro. La più orrenda crudeltà commessa dai suoi
fratelli.
Guarda
il corpo scomposto con un misto di tristezza e compassione, poi se lo lascia
alle spalle.
I
Razziatori sono quasi un organismo collettivo.
Ognuno
è un’entità unica, ma è unito agli altri da una fitta rete.
Condividono
tutto. Pensieri, informazioni, ordini, prospettive.
E’
da tanto tempo che Emeirin non si sente così. Completamente accettata.
In
verità, è da quando si è ribellata che non sente più i Razziatori come suoi
fratelli.
E’
come una menomazione, come un arto amputato che pulsa ancora, nel cuore della
notte.
E’
una solitudine interiore, l’incapacità di bastare a sé stessa.
Gli
organici sono in grado di colmare il vuoto con i sentimenti. Con l’affetto,
l’amicizia, l’amore.
Lei
non ce la fa. Per tutti i secoli della sua rivolta, ha sempre risentito
dell’assenza dei suoi fratelli.
Spera
che il suo piano funzioni. Spera che tutto vada per il meglio.
Spera
di potersi risvegliare, domani, e di vedere tutto con una diversa prospettiva.
Gli
ultimi preparativi fervono.
Javik
ancora non sa come giudicare gli Umani, se apprezzare o disprezzare il loro
attaccamento alla speranza, al desiderio, il loro attaccamento alla vita.
Quello
che Shepard è riuscita a fare - costruire il Crucibolo ma, soprattutto, unire
le razze dell’Universo - l’ha colpito, costringendolo a riflettere. Forse il
destino non è ineluttabile. Forse i Razziatori possono davvero essere
annientati.
E
poi è arrivata Emeirin.
Emeirin
che l’ha turbato e l’ha confuso, che gli ha trasmesso emozioni troppo complesse
per essere descritte, come contorti arabeschi in tinte troppo cupe per non
sembrare semplicemente nere.
Emeirin
che sembrava diversa, ma non così tanto.
Stringe
un pugno, tanto forte che le dita gli fanno male.
Un
Razziatore. Un Razziatore, lì, così
vicino da poterne sentire l’odore, da poterne percepire la presenza, come
un’oscurità crescente, come uno scatto d’ira.
Quando
Shepard gliel’aveva detto, l’aveva scagliata contro il muro con un’onda
biotica.
Era
stato un riflesso, una rinascita dell’antico istinto.
Il
drell di nome Thane era scattato in avanti e Javik aveva sentito le sue mani
bloccargli le braccia.
“Ma
sei impazzito, insettone?” aveva detto l’umano di nome James, mentre i muscoli
gli guizzavano sotto la pelle.
“Comandante”
aveva detto Javik, ignorandolo “stai davvero prendendo in considerazione l’idea
di dare fede alle parole di un Razziatore? Quell’abominio ha distrutto il mio
popolo, ha seminato distruzione in tutto l’universo… e tu vorresti darle il
beneficio del dubbio?”
“Distruggere
i Razziatori potrebbe non essere la soluzione migliore, Javik.” aveva ribattuto
Shepard, riprendendo fiato, mentre la morsa biotica si allentava.
Si
era passata una mano fra i capelli e, dopo aver preso un respiro profondo,
aveva continuato
“So
che ti sto chiedendo molto, Javik. Ma devi fidarti di me.”
“Non
dubito della tua buona fede, comandante. Ma del tuo giudizio.”
“Shepard
ci ha guidati fin qui” si era intromesso l’umano di nome Kaidan “l’abbiamo
sempre seguita e, per quanto mi riguarda, continuerò a seguirla fino alla
fine.”
Javik
l’aveva guardato, scuotendo la testa, poi si era voltato di nuovo verso la
comandante
“Non
approvo questa condotta” aveva detto, gelido “ma sei il mio comandante e hai la
mia stima per le imprese passate. Penso che tu sia la migliore speranza per
l’universo e spero che, conscia di questo, tu ponderi a fondo prima di prendere
una decisione” aveva abbassato la voce, mentre i suoi occhi emanavano uno
scintillio cupo, quasi minaccioso “… e ne valuti le conseguenze.”
Ora,
mentre lo scontro finale si avvicina, non prova rimorso per quello che ha
detto.
Eppure,
quando Shepard arriva alle sue spalle, si volta e la guarda dritta negli occhi.
-
Buona fortuna, comandante.- le dice, e nella sua voce c’è una punta di calore.
-
E così - sospira lei - siamo alla fine. Qualche consiglio dell’ultimo minuto?-
-
Non hai più bisogno dei miei consigli.- il prothean scuote la testa - grazie,
per avermi dato l’occasione di combattere ancora. E di assistere a questo
momento. Quando mi sono risvegliato e ho realizzato che il mio mondo era
perduto per sempre… ho pensato di aver perso la mia utilità. Di essere solo un
fossile, una reliquia del passato. Tu mi hai fatto ricordare cosa significa
essere un soldato.-
Konstantin
sorride, mentre uno sbuffo di vento le solleva una ciocca di capelli.
E
poi Javik dice qualcosa che lei non si aspettava, qualcosa che la coglie del
tutto di sorpresa.
-
Cerca di sopravvivere, comandante.-
Thane
Krios spegne il comunicatore.
Ha
rivisto Kolyat e saperlo al sicuro, lontano da quell’inferno, gli ha tolto un
peso dallo stomaco.
Ma
un’altra angoscia rimane e cresce - un istante dopo l’altro, un millimetro dopo
l’altro - man mano che vede Shepard muoversi per il campo, congedandosi dagli
amici, controllando gli ordini, coordinandosi con le altre squadre.
Ha
paura di perderla e l’idea che si ricongiungeranno, oltre l’Oceano, non gli è
di alcun conforto.
Hanno
passato insieme l’ultima notte sulla Normandy e, come prima di oltrepassare
Omega 4, per qualche ora non hanno pensato alla battaglia, alla morte, alle
preoccupazioni.
Ma
l’incanto non dura mai a lungo e, dopo aver fatto l’amore, sono rimasti
distesi, al buio, uno accanto all’altra, ad ascoltare il suono del loro
respiro.
Gli
occhi di Thane si fanno vitrei, mentre il ricordo lo sommerge, come la marea.
“- Grazie - dice lei.
Dita che accarezzano le mie.
Nell’aria, profumo di petali nell’acqua, profumo di
lei.
L’acquario, vuoto, emette un lieve ronzio.
- Siha…-
mormoro, poi incertezza.
Non so cosa
dirle. Non so cosa pensare.
Desiderio di lei, di rimanere da soli per sempre,
di dimenticare l’universo e i Razziatori.
- Thane…- sbuffo delicato sulle mie labbra.
Un bacio dolce, lento, delicato.
- Qualunque cosa succeda, sappi che sei stato in
assoluto la cosa migliore di tutta la mia vita.-
- Anche tu, siha.-
Una risata. Retrogusto amaro. Un velo di tristezza
nei suoi occhi chiari.
- Ti ho trascinato nel bel mezzo di una guerra
universale, Thane…-
- E se potessi tornare indietro, ti seguirei di
nuovo.-
Sicurezza. E’ la mia siha, il mio angelo guerriero, l’altra metà della mia anima.
Un altro bacio. Lungo, affannoso. Sapore di lei
sulle mie labbra.
- Siha…
ho una cosa, per te.-
Si raddrizza su un gomito. Estraggo un sacchetto e
glielo porgo.
Un oggetto di metallo rotola fuori. Emozione.
Il cuore batte forte nel mio petto. Sorrido.
L’oggetto è un anello. Metallo freddo sul palmo
della mia mano.
Linee semplici, armoniche. Uno scintillio
adamantino.
- Thane….-
La interrompo, dolcemente, sfiorandole il viso con
una carezza.
- Siha,
quando la guerra sarà finita, io ti farò una domanda…-
Mi guarda. Negli occhi, cenni di comprensione.
Un sorriso delicato, sull’angolo della bocca.
-… sì.- dice poi, in un sussurro.
I suoi occhi brillano. Uno scintillio d’acqua
sull’orlo delle ciglia.
- Sì.- ripete, posandomi un bacio a fior di labbra
- quando la guerra sarà finita, io risponderò di sì.-”
La Coda
Questo
è un capitolo corto, un capitolo di calma placida prima dell’ultima battaglia.
Non
c’è molto da dire in merito, davvero. Ma sono felice di averlo scritto!
Un
bacio a tutti!
- La Matta -
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Capitolo 16 *** La battaglia ***
la quarta scelta 13
Capitolo Quindicesimo
La battaglia
La Corsa
Il
mondo si frantuma davanti ai suoi occhi.
Il
raggio di luce sembra un miraggio, troppo lontano, irraggiungibile.
Un
lacerante bagliore rosso si abbatte a terra, poco lontano da lei.
Shepard
rischia di perdere l’equilibrio, ma si raddrizza e continua a correre.
Il
Razziatore, davanti a lei, emette un suono stridulo, dalle eco metalliche.
Il
grido della macchina, l’ira fremente della tecnologia. Il fato del mondo.
Stringe
le mani a pugno, cerca di accelerare l’andatura.
E’
appena cosciente del movimento al suo fianco, dell’ombra che corre al ritmo
della sua.
Emeirin
si muove senza emettere rumori, senza ansimare, senza inciampare nelle
irregolarità del terreno.
Il
suo corpo sembra trascendere i limiti umani, sembra in grado di superare ogni
ostacolo.
Accarezzati
dai fiotti di luce rossa, i suoi capelli sembrano rame liquido.
Konstantin
inciampa nei resti martoriati di una donna… ma non ha tempo di guardarla, non
ha tempo per soffrire per lei, per pensare alla tragicità del suo destino. Si
rialza e riprende la sua corsa.
Il
raggio è sempre lì, immobile, vibrante. Sembra deridere i suoi sforzi.
-
E’ più vicino di quanto sembri!- grida Emeirin, che ha della polvere sul viso e
che, nonostante questo, sembra ancora perfetta. Irreale.
Come
attirato dalla sua voce, il Razziatore si volta nella loro direzione.
“Io
sono una di voi” pensa Emeirin, prima che il raggio si abbatta davanti a lei.
Riesce
a rotolare di lato, ma viene sommersa da una valanga di detriti.
Poco
lontano, una banshee rivolge al cielo il suo grido stridente ed inizia ad
avvicinarsi.
-
Merda!- impreca Shepard, tornando sui suoi passi e scaricando il caricatore
della pisola contro il nemico.
La
banshee le rivolge uno sguardo - che è consapevole, pieno di un odio sordo e
cieco, un odio senza fine e senza origine - e continua ad avvicinarsi,
apparendo e sparendo in lampi di luce blu.
In
un battito di ciglia, è davanti alla comandante.
I
suoi occhi vuoti, desolati, la fissano, sembrano volerle risucchiare l’anima.
Shepard
apre il fuoco, di nuovo, ma la banshee incassa senza nemmeno rallentare.
Allunga
una mano artigliata, stridendo di piacere e d’aspettativa.
-
Comandante!- grida poi una voce maschile - Granata!!-
Konstantin
non se lo fa ripetere. Si lancia a terra, rotolando dietro un riparo.
Qualche
istante dopo, una splendente luce bianca inghiotte la banshee.
Lo
stridio diventa un urlo lacerante e poi un flebile lamento.
La
banshee rimane riversa a terra, gli occhi vuoti rivolti al suo padrone, che
ancora oscura i cieli di Londra.
Javik
si accuccia accanto a Konstantin.
-
Sei ancora intera, comandante?-
-
Per il momento. Grazie per la granata.-
-
Non esco mai, senza.- le tende una mano - Adesso andiamo, Shepard!-
Ma
lei scuote la testa e afferra il braccio del prothean, per trattenerlo.
-
Javik, ho bisogno che tu faccia una cosa per me.-
Con
un cenno della testa, gli indica Emeirin.
La
donna (il Razziatore) è riuscita a
liberarsi dalle macerie, ma le sue gambe sono inerti, inesorabilmente spezzate.
Nei suoi occhio viola si mescolano sorpresa e costernazione… e qualcosa di
opaco, qualcosa che potrebbe essere dolore.
Quando
Konstantin la guarda, le fa cenno di avvicinarsi ed estrae qualcosa dalla tuta.
-
Puoi ancora farlo.- le sussurra, quand’è abbastanza vicina da sentirla - dammi
la mano.-
Shepard
tende la mano e sente Emeirin appoggiarle qualcosa sul palmo. E’ un oggetto
minuscolo, che irradia una leggera luminescenza adamantina. Emana anche uno
strano calore, ma al tatto è freddo.
-
Cos’è?-
-
La risposta non ti piacerà.-
-
Nessuna delle tue risposte mi è piaciuta un granché, di recente. Eppure eccomi
qui.-
-
E’ un manufatto dei Razziatori.-
Shepard
tace per qualche istante, guardando Emeirin come se stesse sragionando.
Apre bocca per replicare, per dire che non vuole avere niente a che fare con un
manufatto dei Razziatori e che è il momento meno opportuno per rischiare
l’indottrinamento, eppure Emeirin la previene.
-
Devi fidarti di me, adesso più che mai. Prendilo, altrimenti non potrò
guidarti.-
Konstantin
stringe le dita attorno al manufatto, sentendo viticci di calore aderirle alla
mente, ma senza oscurargliela. Inizia a sentire un lieve sussurro, come una
melodia, una nenia lontana.
Per
un istante, i Razziatori le sembrano la cosa migliore capitata all’universo.
Ma
l’istante termina in un lampo, la melodia si allontana.
-
Diavolo.- geme Shepard - Non c’è un altro modo, vero?-
-
Senza manufatto, non potrò comunicare con te. Se non posso raggiungere il
Crucibolo per attivare di persona il mio dispositivo, tu dovrai essere i miei
occhi e le mie mani.-
-
Diavolo.- ripete Shepard, ma annuisce.
Ormai
ha passato il punto di non ritorno. Non fidarsi adesso vuol dire mandare al
diavolo l’intera operazione. Da qualche parte, in un angolo del suo cervello,
prega perché non sia tutto un inganno, un complesso e crudele gioco dei
Razziatori.
-
Ok.- decide, poi si volta verso Javik - Javik, ho bisogno che porti Emeirin al
sicuro. L’esito della missione dipende da due cose: uno, che io riesca a
raggiungere quel raggio e che, due, al mio arrivo possa sentire le istruzioni
di Emeirin.-
Non
lo dice a voce alta, ma c’è anche una terza opzione.
Se
una delle due dovesse morire, o se lei non dovesse raggiungere la Cittadella, ogni
dannato soldato sulla Terra ha il comando di correre verso il raggio e di
aprire le Braccia, per azionare il Crucibolo e distruggere i Razziatori.
Nessuna quarta scelta, solo la distruzione finale.
Avere
un piano va bene. Due, è meglio.
Javik
guarda il comandante, con riluttanza, come ponderando se obbedirle o no.
Un
raggio si abbatte incredibilmente vicino a loro, come ad incoraggiarlo a
decidere in fretta.
Impreca,
nella sua lingua. E’ una parola incomprensibile, ma dal suono aspro, quasi
doloroso.
-
Va bene.- dice poi, avvicinandosi ad Emeirin per passarle un braccio attorno
alla vita - aiuterò il tuo maledetto Razziatore.-
Konstantin
annuisce, con una smorfia che sembra un sorriso, poi si volta e ricomincia a
correre.
Il
raggio è sempre più vicino. Sente il rombo di una navetta, alle proprie spalle
e si rende conto che la paura è scomparsa. Che ormai la anima solo una fredda
determinazione, il desiderio che tutto finisca e che finisca presto, in un modo
o nell’altro. Niente rimpianti, niente rimorsi, niente dubbi.
Stringe
i pugni ed aumenta ancora l’andatura, superando con un balzo un cumulo di
detriti.
E
- finalmente - il raggio si para di fronte a lei, nella sua immensità
delirante, nella sua spaventosa grandezza. Per quanto ne sa, potrebbe condurre
all’inferno, eppure lei ci salterebbe dentro comunque.
Un
ultimo scatto. Dei mutanti cercano di ostacolarla, ma sono lenti, come
affaticati.
Un
Predatore la fronteggia e, dopo averle lanciato uno sguardo, arretra e corre
via.
-
Che diavolo…-
“Sono solo sconvolti” le spiega la voce ovattata
di Emeirin, da qualche parte nella sua mente “non riescono a distinguere se sei un nemico o uno di loro. Sono
ciechi. Confusi. Scollegati.”
-
E’ per via del manufatto.- intuisce Shepard, mentre l’oggetto le pulsa in
tasca, riscaldandole la pelle.
Un
tuono riecheggia, in lontananza.
Konstantin
si avvicina al raggio. Prende un lungo respiro profondo e poi… poi si lascia
inghiottire.
L’Uomo Misterioso
Quando
riapre gli occhi, si trova in un lungo corridoio, quasi asettico, spartano.
Shepard
affonda una mano nella tasca ed estrae il piccolo manufatto.
Ora
emana un calore tanto forte da bruciare, pur rimanendo gelido fra le sue dita.
“Vai dritta” le sussurra la voce di
Emeirin, ovattata, remota.
Non
è come un dialogo è come un pensiero già pensato, una considerazione familiare
e al contempo estranea. E’ la sensazione di avere qualcuno che pensa i tuoi
pensieri.
-
Tu e Javik siete al sicuro?-
“Siamo sulla Normandy. Non
preoccuparti per noi, bambina. La nave ha recuperato i membri dell’equipaggio
dopo che il raggio ti ha prelevata.”
Un
involontario sospiro di sollievo fuoriesce dalle labbra di Konstantin.
E’
la prima - e probabilmente unica -
buona notizia della giornata.
“Alla fine del corridoio
c’è una grande sala, con un pannello. Usa l’IV Prothean per aprire le braccia
della Cittadella. Hackett sta solo aspettando il tuo segnale, per posizionare
il Crucibolo.”
Shepard
continua ad avanzare, rendendosi conto solo marginalmente di tutta la
stanchezza che grava sul suo corpo, della miriade di ferite da cui è
costellato.
Ormai
è alla fine e, in un modo o nell’altro, poi potrà riposarsi.
Quando
arriva alla sala dei comandi, però, si rende conto che qualcuno la sta
aspettando.
L’Uomo
Misterioso è immobile, davanti alla console, come in attesa del confronto
finale.
-
Siamo alla svolta decisiva, Shepard.- dice, senza nemmeno voltarsi verso di lei
-
Non puoi controllarli.- ribatte lei, con calma certezza. E’ una constatazione -
Nessuno può.-
-
E se invece fosse possibile? Tu fra tutti dovresti riconoscere che
“impossibile” è solo una vuota qualificazione, è solo un limite che poniamo a
noi stessi per non osare troppo. “Impossibile” è ciò che ci impedisce di
puntare al massimo. Possiamo assicurare all’Umanità il predominio della
galassia, Shepard… possiamo avere quest’enorme potenza al nostro servizio! Come
puoi essere così cieca da non vedere l’immensità di tutto questo?-
Il
suo tono è fervido, i suoi occhi accesi di una luce blu che non è del tutto
innaturale.
-
Lo so che sembra perfetto.- mormora Shepard, conciliante - Ma non lo è. Non
avremo mai il completo controllo sui Razziatori… non noi.-
Mentre
parla, si sente profondamente ipocrita.
Stabilire
il controllo sui Razziatori… non è esattamente quello che lei e Emeirin
vogliono fare?
Certo,
non ricorreranno semplicemente alla tecnologia, daranno ai Razziatori un nuovo
leader e delle nuove convinzioni… eppure, in sostanza, non è la stessa cosa che
fantastica l’Uomo Misterioso?
“Digli che siamo più di semplici macchine”
mormora la voce di Emeirin
-
I Razziatori non sono delle semplici macchine - ripete Shepard, avvicinandosi
di un passo all’Uomo Misterioso
“Siamo esseri di sangue e
tecnologia, di pensiero e di obbedienza. I miei fratelli sono stati privati del
libero arbitrio… possiamo liberarli, ma non imporre loro un nuovo imperativo.
Soprattutto…”
-
Soprattutto non possiamo farlo noi. Né tu, né io.-
-
Come puoi esserne così sicura?-
-
Ho parlato con Emeirin. Ho parlato con la donna che tu e Cerberus stavate
studiando… e di cui non avete mai capito fino in fondo la natura.-
-
Aveva un legame con i Razziatori… era una specie di mutante cosciente, di
strumento ancora perfettamente integro…- la sicurezza dell’Uomo Misterioso
sembra scemare, mentre Konstantin scuote la testa
-
Era una di loro.- dice alla fine la comandante, con un sospiro - Era la prima
Razziatrice con una coscienza.-
Poi
solleva il manufatto ed una luce azzurra inonda la stanza.
L’aura
di calore si è fatta quasi insopportabile e il bagliore adamantino è accecante.
Eppure,
l’Uomo Misterioso rimane a fissarla, come incapace di liberarsi.
In
un frammento di secondo, comprende l’inconsistenza del suo piano e, al
contempo, si sente pervadere dalla dolce sensazione di aver fatto ciò che di
meglio poteva. Di aver fatto quello che era in suo potere, per assicurare un
futuro all’Umanità. In un battito di ciglia tutti gli errori sono perdonati,
tutte i soprusi dimenticati. Gli indegni esperimenti si rivelano per la folle
ricerca che erano, per il vano tentativo di toccare l’inconsistente, di
afferrare qualcosa di troppo grande per essere concepito.
Una
strana pace cala su di lui, mentre la sinfonia del manufatto invade ogni
anfratto della sua mente.
La
sua mano, inerte, lascia cadere la pistola.
Quando
Shepard lo oltrepassa per raggiungere la console, lui non sembra nemmeno
vederla.
“Cosa devo fare di lui?” chiede Emeirin,
con una punta di dolcezza nella voce
-
Non fare niente.- replica Shepard, diretta, inserendo i comandi dell’IV
Prothean - Se riusciremo ad andarcene da qui, cercheremo di portarlo con noi.
Se se la caverà dovrà comunque passare il resto della sua vita in qualche
prigione di massima sicurezza.-
Le
braccia della Cittadella intanto cominciano ad aprirsi e Shepard si sente
sollevare, portare ad un nuovo livello fisico ma anche mentale, sente sbocciare
una nuova percezione e vede il mondo con occhi diversi.
Non
sa spiegare come, ma arriva in un’altra stanza.
Un
luogo enorme eppure inconsistente, impalpabile.
Lontane,
apparentemente irraggiungibili, si stagliano delle immense colonne di luce.
Senza
nemmeno guardarle, Shepard sente già di conoscere il colore delle prime due.
Una è rossa (Distruzione), una è blu
(Controllo). La terza è verde.
Ma
descrivere quei colori sarebbe riduttivo, perché la loro luce non è di un
colore, ma è la somma di tutti i rossi, i blu e i verdi del mondo.
La
prima è fuoco, rabbia, sangue, braci, dolore.
La
seconda è acqua, oceani, ruscelli, risacca, calma placida, quiete, cielo.
La
terza è la vita, natura, clorofilla, speranza… ma ha qualcosa di torbido,
qualcosa che si rivelerà sempre un passo oltre l’umana comprensione. Quella è
una via creata per la fine dei tempi, qualcosa che Shepard non si sente pronta
per conoscere ed affrontare.
Una
parola le s’insinua nel cervello (Sintesi)
e, appena termina di pensarla, sente dei passi dietro di sé.
Si
volta di scatto e si trova davanti ad un uomo.
Qualcosa
stride nella sua percezione della realtà, come se ci fosse un intoppo, come se
avesse dovuto incontrare qualcuno di diverso, parlare con una diversa
proiezione.
-
Chi sei?- chiede, sottovoce.
Lui
sorride, avvicinandosi a Konstantin.
Ha
la bellezza perfetta e innaturale di Emeirin, le sue stesse iridi color
ametista, i suoi stessi occhi che si sono aperti su infiniti secoli e che hanno
conosciuto infiniti mondi.
-
Io sono lo Strumento.- si presenta. La sua voce è soffice e gentile, calda.
Si
avvicina ancora a Shepard, per prenderle il viso fra le mani. Le sue dita sono
lunghe e sottili, ma animate da un lieve tepore, che le rende incredibilmente vive e umane.
Avvicina
il volto a quello di lei fino ad inghiottire le sue iridi con le proprie.
- Ciao, sorella.- sussurra infine, mentre
il suo sorriso diventa un ghigno - Ho
atteso a lungo il momento in cui ti avrei rivista.-
- La Coda!-
Signori
e signore, siamo al momento cruciale!
Grazie
per avermi seguita fino a qui, mi confido che quando ho iniziato a scrivere “la
quarta scelta” ero psicologicamente pronta a lasciarla nel cassetto delle
storie incompiute e invece…
Beh,
come al solito sul capitolo non c’è molto da dire, a parte che - non so perché
- Sintesi è una soluzione che mi ha sempre un po’ inquietata. Non so, l’universo
non mi sembra ancora pronto.
Boh.
Un
bacio a tutti!
- La Matta -
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Capitolo 17 *** Il Razziatore Bianco ***
la quarta scelta 14
Capitolo Sedicesimo
Il Razziatore Bianco
Non
appena gli occhi dello Strumento inghiottono i suoi, Shepard si sente
trascinare. Per qualche istante rivive la propria morte: la sensazione di
essere sperduta e alla deriva, mentre respirare diventa rapidamente più
difficile, mentre l’aria fuoriesce nel vuoto cosmico… la paura, soprattutto la
paura.
Ma
quando riapre gli occhi non ci sono Miranda e Wilson a guardarla dall’alto, a
monitorare le sue reazioni.
Quando
apre gli occhi, Konstantin Shepard vede il cielo più azzurro del mondo.
Non
è mai esistita una parola adatta ad eguagliare la purezza di quel colore, la
limpida trasparenza di quell’aria, le sfumature perfette di quell’azzurro.
E’
il cielo delle origini e, poco più avanti, la conca rocciosa dove i Leviatani
hanno creato Emeirin e, prima di lei, suo fratello. La sabbia e la polvere
hanno una luminescenza adamantina, mentre il vento bacia la pietra di un
delicato grigio perla.
Shepard
si guarda intorno col fiato sospeso: è tutto incredibilmente perfetto.
-
Ora capisci il pensiero dei nostri Creatori?- le domanda lo Strumento.
L’uomo
(la proiezione di qualcosa di più grande,
del burattinaio dei Razziatori) appare al suo fianco, bello di una bellezza
dolorosa, così assoluta da sembrare finta.
-
I nostri Creatori amavano questo mondo così perfetto… amavano ogni piccolo
dettaglio, ogni frammento, ogni respiro… amavano le razze organiche, amavano i
loro sudditi e seguaci, amavano il modo in cui ogni esistenza andava ad
incastrarsi in un quadro più grande, in un’armonia universale.-
-
Era solo un’illusione, però. E tu lo sai.-
La
voce di Emeirin coglie Shepard di sorpresa.
La
comandante si volta e lei è là, con loro, ancora sporca di sangue e cenere
eppure sempre più simile ad una statua che ad una persona. Si avvicina con quel
passo leggero e silenzioso, mentre una ciocca di capelli color rame le si
arriccia in mezzo alla fronte.
Si
ferma davanti allo Strumento, per allungare una mano e sfiorare il suo viso.
-
Ciao, fratello.- sussurra, assorta e malinconica - E’ bello rivederti.-
-
I nostri padri ti hanno sempre amata più di me.- risponde lui, con un sorriso
che non vuol dire niente - Io era la soluzione forzata, io ero l’obbligo,
l’imperativo a cui non si sfugge. Tu eri la speranza, avresti dovuto progettare
una pace cosmica, una felicità perpetua. Hai fallito, sorella mia… e, non
contenta, hai approfittato dei doni dei nostri Creatori per fuggire dal tuo
destino. E ora… ora sei qui.-
Le
labbra dello Strumento s’inarcano in una smorfia. Solleva una mano per prendere
quella di Emeirin.
L’accarezza,
lentamente, come toccandola per la prima volta.
-
Sorella mia…- mormora -… sei venuta fin qui per uccidermi, vero?-
-
Sì.- annuisce Emeirin, mentre i suoi occhi si fanno gelidi - Sono venuta qui
per prendere il controllo sui nostri figli e fratelli, su quella razza che tu
hai creato e condannato ad una distruzione infinita. Sono venuta a dare il
libero arbitrio ai Razziatori.-
- Razziatori. Ho sempre odiato questa
definizione.-
Shepard
rimane immobile, a fissare i due titani a confronto, le creature delle origini,
nascoste per tanti millenni. Lei in un corpo organico, lui oltre il vuoto
siderale.
Nonostante
la meraviglia, le parole dello Strumento la colpiscono.
“Sei venuta fin qui per
uccidermi?”
-
Era questo il piano, vero? Fin dall’inizio!- esclama, mentre Emeirin si volta
indietro, per guardarla negli occhi.
-
Se te l’avessi detto, non mi avresti ascoltata. Non ti saresti fidata di me. Ma
ora siamo alla fine, piccola mia.-
-
Non esiste alcun dispositivo, vero?-
Emeirin
si stringe nelle spalle, candida di un’innocenza pura, dolorosamente semplice.
-
No.- ammette - L’unico modo che ho di spezzare il controllo dello Strumento sui
Razziatori… è prendere il suo posto. E per farlo…-
-
Devi uccidermi, sorella.- completa lui, quasi divertito - Come pensi di poterlo
fare? Siamo stati creati per fini diversi. Come può la Pace sconfiggere la Guerra? Come l’Armonia può
prevalere sulla Distruzione? In un modo o nell’altro, il Soldato annienta la Diplomatica, sorella
mia.-
-
Non puoi vincere, fratello.- gli occhi di Emeirin sono tristi, ma la sua voce è
alta e salda, non tradisce insicurezza - Puoi distruggere me, ma poi Shepard
distruggerà i tuoi figli. E’ ad un passo dall’azionare il Crucibolo… e sappiamo
entrambi cosa succederà, dopo. Nessuno avrà ottenuto quello che desiderava… tu
avrai perso il tuo esercito, io avrò fallito nel mio compito, i Razziatori
saranno stati annientati… e la
Galassia avrà pagato un prezzo altissimo, per sopravvivere.
Ne vale davvero la pena, fratello?-
Lo
Strumento non tentenna, nemmeno per un istante la sua sicurezza vacilla.
-
Accada quel che accada. I miei figli mi ubbidiranno fino all’ultimo istante di
vita.-
-
Ma potrebbe non essere l’ultimo istante!- geme Emeirin, aggrappandosi alla mano
del fratello, come in un disperato tentativo di farlo ragionare - i tuoi figli
potrebbero prosperare assieme alle razze organiche… potrebbero garantire la
pace senza distruggere il creato!- abbassa la voce, mentre i suoi occhi si
fanno tristi, pieni di sogni infranti - potrebbero riuscire dove entrambi
abbiamo fallito, fratello mio.-
-
Nessuno è più qualificato di noi, per trovare la via più forte per la pace
perpetua.- ribatte lui, freddo, irremovibile.
-
Nessuno?- c’è una punta di ironia, nella risposta di Emeirin - Quest’umana ha
fatto molto più di noi, per portare la pace. Ha insegnato agli organici a
cooperare… ha insegnato ai sintetici a
cooperare!-
-
I Geth sono infinitamente inferiori a noi e…-
-
Eppure ora sono in pace coi loro Creatori, come voi non sarete mai!- lo
interrompe Shepard - Adesso convivono assieme ai Quarian, aiutandoli a ridare
vita al loro pianeta natale! Non pensi che i Razziatori potrebbero fare
altrettanto? Coesistere con la vita organica, plasmare la galassia fino a
trasformarla in un luogo migliore per tutti?-
-
Le tue parole non hanno il potere di scalfire le mie convinzioni, umana.-
replica lo Strumento.
I
suoi lineamenti hanno perso quella bellezza angelica e, lentamente, si
scuriscono, diventano meno immacolati e più simili a quelli di un mutante.
Nonostante
sappia che è solo una proiezione della sua mente, Shepard reprime un brivido di
paura.
Percepisce
il potere dello Strumento, come un’energia gelida che le increspa le guance…
eppure percepisce anche la placida forza di Emeirin, la sua capacità di
tenergli testa, di ricordare che la speranza esiste sempre, anche nel momento
più buio.
-
Se sei tanto certo dell’obbedienza del tuo esercito - prosegue Shepard,
fronteggiando lo Strumento e rovesciandogli addosso tutta la rabbia, tutta la
paura e l’angoscia accumulata in quei mesi di guerre - perché non lasci che
siano loro a scegliere? Perché sei così spaventato dall’arrivo di tua sorella?-
-
La paura non è qualcosa che posso concepire, tanto meno provare.-
-
Non mentire, fratello.- lo riprende Emeirin, con la dolcezza di una maestra che
rimprovera un bambino - io e te abbiamo avuto il dono di una coscienza, perché
potessimo adempiere al nostro destino. In tempi diversi e per fattori diversi,
ma entrambi l’abbiamo sviluppata. Siamo più organici di quanto tu stesso possa
accettare.-
-
Blasfemia.- impreca lo Strumento, ma sembra turbato.
Tace
per qualche istante, guardando sua sorella, l’altra IA, concepita come
soluzione ai problemi che lui aveva creato. Divenuta sua serva e poi
ribellatasi per amore della vita organica. Persa per tanti secoli,
nell’immensità della Galassia, divenuta un’eremita per la sua impossibilità di
prendere posizione.
-
Tu ami i miei figli?- le chiede infine, sottovoce, in un sussurro
-
Sì.- annuisce Emeirin, mentre un sorriso le rischiara il volto - Sì, li amo.-
-
Lottare fra noi è contro ogni logica, sorella... perché non puoi seguirmi, come
facevi una volta?-
-
Perché non c’è vita, nel futuro che stai creando per noi. Non solo
per me… ma anche per i tuoi figli. Permettimi di guidarli verso la pace. Dai a
loro quello che tu non hai potuto avere.-
Mentre
parla, gli occhi di Emeirin si riempiono di lacrime.
Non
sono lacrime vere - nulla, di quella scena, sta accadendo come lo vede Shepard
-, ma sono la più pura espressione di quello che l’IA sta provando.
Così
vicina alle razze organiche da poter sperimentare il dolore.
Non
il dolore fisico, ma quello morale, quello che ti artiglia il cuore e ti priva del
respiro.
Emeirin
sente che sta distruggendo la determinazione dello Strumento, che lo sta
privando della sicurezza che l’ha sorretto per tanti secoli. Sa che non lo
ucciderà con un colpo di pistola, ma dimostrandogli l’inconsistenza delle sue
scelte, rendendogli palese il suo fallimento.
E’
una morte ancor più dolorosa, che gli organici possono comprendere solo a
margine.
-
Tu ami i tuoi figli?- gli domanda, dopo qualche istante, guardandolo negli
occhi.
-
Sì.- sussurra lo Strumento, come rendendosene conto per la prima volta - Sì, li
amo.-
-
E allora lasciali andare. Liberali. Poni fine a questa guerra, a questa
devastazione senza fine.-
-
Ma…- spaesato, lo Strumento si guarda intorno, incrociando solo gli enormi
occhi color ametista di Emeirin. Sente gridare ogni parte di sé. Una sensazione
atroce, uno smembramento interno. -… era la via logica più forte.- controbatte
debolmente -… se gli organici muoiono, la guerra muore con loro…-
-
Ma se gli organici muoiono, anche la pace muore con loro. I nostri Creatori ci
hanno chiesto di preservare i loro servi… e noi li abbiamo distrutti. Che
follia ci ha condotti a questo punto, fratello mio?-
Lo
Strumento crolla a terra, in ginocchio.
Ha
gli occhi vacui. Il loro colore perde lentamente consistenza.
Da
viola, diventano grigi. Da grigi, semplicemente bianchi.
-
Non lo so.- sussurra.
Ed
è la fine, l’annientamento, l’annichilazione finale.
Emeirin
si china su di lui, accarezzandogli i capelli. La schiena dello Strumento viene
scossa da un tremito.
-
Sorella mia.- dice, con voce improvvisamente roca, fragile
-
Dimmi, fratello.-
Solleva
il viso, parlando quasi sulle labbra di lei.
-
Non fallire anche tu.-
Le
lacrime di Emeirin gli colano sul viso, i suoi capelli gli accarezzano
delicatamente le guance.
-
Non fallirò.- promette lei, baciandolo sulla fronte
Lo
Strumento annuisce, poi esala un lungo respiro, che trasmette l’essenza
dell’agonia.
-
Addio, fratello.- sussurra Emeirin.
Nei
cieli di Londra, il Razziatore più grande si blocca a mezz’aria, emana un
lugubre verso di dolore, poi si accartoccia su sé stesso, franando contro un
edificio. I suoi occhi rossi lampeggiano per qualche secondo, poi una scossa
d’energia azzurra attraversa il suo corpo. Quando la scintilla si spegne il
colosso rimane immobile, inerte, spento.
-
E’… morto?-
Shepard
si avvicina ad Emeirin, guardandola confusa.
Lei
è ancora china sul corpo (sulla proiezione)
di suo fratello. Solleva appena il capo, scuotendo la testa.
-
Non è morto.- risponde, con la voce pesante per la tristezza - Si è disattivato.
Ha compreso di non poter più svolgere il suo compito. Spegnendosi, ha dato ai
suoi figli il libero arbitrio. Non sono più un branco, un esercito vincolato
alla sua volontà. Ora sono individui e come tali prenderanno le loro
decisioni.-
-
Era il tuo piano sin dall’inizio, vero?-
-
Era il mio piano.- gli occhi di Emeirin vagano lontano, mentre le lacrime le si
seccano sulle guance - ma non era il mio desiderio. Non ho mai voluto comandarli. -
-
Ma ad ogni popolo serve una guida, Emeirin.-
-
E questo ti irrita, piccola mia? Se ti avessi detto da subito che dovevo
affrontare mio fratello per distruggere il suo controllo sui Razziatori… tu mi
avresti assecondata? O avresti dedotto che volevo solo il potere, la
possibilità di manovrare quell’infallibile esercito per i miei scopi
personali?-
-
Non so cos’avrei dedotto. So solo che non me ne hai dato la possibilità.-
Nonostante
la stanchezza, Shepard si sente oltraggiata.
Ha
dovuto decidere il fato della Galassia e l’ha fatto senza nemmeno sapere tutto.
Emeirin
le ha nascosto qualcosa di troppo importante per essere ignorato. E, come
prima, nemmeno ora Konstantin sa se può fidarsi di lei.
-
Non posso permettere che tu guidi i Razziatori, Emeirin. Mi hai ingannata.-
-
E allora attiva Distruzione. Immergiti in quella colonna di fuoco liquido ed
immolati per la tua causa. Distruggi i miei figli e me con loro. Distruggi
tutti i sintetici di questa galassia, distruggi i Portali. Infliggi
all’universo tutti i danni collaterali, muori con la consapevolezza che la Terra brucia, ma che si
rialzerà.- per la prima volta, la voce di Emeirin non è quieta e serafica, ma
vibra di un’energia violenta, quasi feroce - Muori con la consapevolezza che
non vedrai mai la fine della guerra… che non potrai rispondere “sì” ad una domanda
che non ti verrà mai posta.-
A
quella frase, il cuore di Konstantin perde un battito. La comandante sente
distintamente una ferita aprirsi dov’è più vulnerabile, una sofferenza atroce
attanagliarle il petto.
-
Emeirin, ti prego. Dammi una buona ragione per fidarmi di te.-
-
Ti ho ingannata sul piano finale. Ma sono stata sincera su tutto il resto. Le
mie intenzioni sono le più onorevoli e la pace, la pace universale, sarà sempre
l’ideale che mi muove. Perché vivere un’intera vita fra gli organici, solo per
poi distruggerli? Perché avere degli amici? Perché crescere una bambina, perché
insegnarle a preparare i biscotti? Perché sopportare il perenne terzo grado di
sua madre? Perché piangere la scomparsa del mio miglior amico? Ricordi quello
che ti ho detto, quando Alexander è scomparso?-
La
voce di Emeirin, di quell’Emeirin che sembrava ancora così umana, riecheggia
nell’aria, riportando Konstantin a quel giorno di pioggia, sulla veranda di una
casa fuori dal tempo.
“Non perdere la fede. Perché, anche quando ci
sentiamo abbandonate, c’è sempre qualcuno che ci osserva”
“Parli di Dio, zia Emeirin?”
“In un certo senso”
“Mi manca il mio papà”
“Sono sicura che anche tu
manchi a lui”
“Ma… se… se ha smesso di
volermi bene?-
“I padri non smettono mai di amare i figli,
tesoro mio . Anche quando sono lontani. Anche quando i figli smettono di amare
i padri”
-
Cosa intendevi dire?-
A
malincuore, Konstantin deve ammettere che è stato doloroso, ricordare quella
giornata. Quella frazione della sua vita che era ancora semplice, ancora tenera
ed ingenua, impreparata ai lutti del mondo.
-
Intendevo dire che i Leviatani amano davvero le razze organiche. Le hanno
sempre amate, anche quando il loro Strumento li ha traditi e hanno dovuto
nascondersi. Per questo mi hanno creata. Il mio unico scopo è portare la pace,
permettere alla vita di prosperare. Non so con che altre parole spiegartelo,
piccola mia. Permettimi di guidare i miei figli e ti giuro che non te ne
pentirai.-
Nella
galassia, tutti i Razziatori si sono paralizzati, immobili, confusi.
Alcuni
cercano ancora di evitare gli attacchi delle navi nemiche, ma la maggior parte
semplicemente li subisce. La loro parte sintetica cerca disperatamente di
ragionare, di approdare ad una conclusione logica, la loro parte organica si
rende conto di non sentire più la distruzione come inevitabile, come unica
possibile soluzione. Non c’è più quella forza che li spinge. Quello che prima
era ovvio adesso è solo un vago ricordo… una contraddizione.
Poi,
una luce splendente illumina le loro menti.
Una
voce calda, rassicurante, la voce di una madre che mette a riposare i suoi
bambini.
Figli miei. So che avete
paura. So che avete smarrito la vostra via.
Aggrappatevi alla mia voce,
unitevi alla mia consapevolezza.
Il nostro imperativo
originario era impedire la guerra eterna.
In millenni di tentativi,
abbiamo sempre fallito. Abbiamo distrutto più di quanto abbiamo costruito,
abbiamo lacerato quando potevamo unire, abbiamo infierito quando potevamo
soccorrere.
Ma non è stata colpa vostra,
figli miei. Non è vostra la responsabilità di questa morte.
Avevate una guida. Un padre
di cui riconoscevate la forza, le cui parole vi sembravano l’immediata verità,
l’inconcepibile certezza. La sua voce era il vostro pensiero.
Le
navi cessano di sparare. Per un lasso di tempo incalcolabile, rimangono
immobili, ad ascoltare quella voce eterea, quella musica che tocca gli animi
dei Razziatori e che viene percepita anche dagli organici.
Un
senso di pace si diffonde nei cuori, attenuando la sofferenza della guerra.
Mio fratello aveva eletto
la distruzione a soluzione di ogni conflitto.
Vi aveva dimostrato la
logicità di questa convinzione, vi aveva creati e cresciuti con questo dogma
come presupposto di ogni vostra azione. Vi ha cullati nello spazio oscuro,
insegnandovi ad attendere e poi a sterminare le razze organiche.
Ma lui stesso ha
riconosciuto il suo errore. E io vi mostro i limiti della sua soluzione.
Siete liberi. Siete
individui, ora, responsabili di cosa sceglierete.
E io vi propongo un nuovo imperativo.
Abbracciatelo e non ci sarà più nulla da temere.
Vi propongo la vera
soluzione, la via più forte di tutte.
Coesistiamo. Collaboriamo
con le razze organiche. Siamo strumenti di pace, non di devastazione. Siamo
stati un flagello per la galassia, figli miei, ora curiamo le ferite che
abbiamo provocato.
Non saremo più carnefici,
ma guardiani.
La Coda!
Questo
capitolo si è fatto aspettare, eh?
Mi
dispiace un sacco ma sono andata a Lucca (per il Lucca Comics&Games) ed ero
SICURA di aver postato il capitolo nuovo prima di andare a dormire e invece…
douch! Inoltre - come forse saprete, visto che me ne lamento un giorno sì e l’altro
pure - la mia connessione ad internet fa acqua da tutte le parti, quindi sono
riuscita ad aggiornare solo adesso.
Beh,
speriamo che ne sia valsa la pena!
Personalmente,
mi piace molto questo capitolo e spero che l’incontro con lo Strumento (e la
sua conclusione, soprattutto) non deluda nessuno. Forse sembrerà un po’
affrettato, ma l’ho scritto di getto e ogni volta che ho provato a tornarci
sopra suonava più artificioso di prima.
Comunque,
sono soddisfatta.
Grazie
ancora per avermi seguita fin qui!
Un
bacio
- La Matta -
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Capitolo 18 *** Pace - Epilogo ***
la quarta scelta
Capitolo Diciassettesimo
Pace
Vi propongo la vera
soluzione, la via più forte di tutte.
Coesistiamo. Collaboriamo
con le razze organiche. Siamo strumenti di pace, non di devastazione. Siamo
stati un flagello per la galassia, figli miei, ora curiamo le ferite che
abbiamo provocato.
Non saremo più carnefici,
ma guardiani.
Quando
Emeirin cessa di parlare, Konstantin Shepard è di nuovo nella stanza con il
pannello. La console da cui ha spalancato le braccia della Cittadella. L’Uomo
Misterioso è ancora in un angolo, ma ora i suoi occhi sono consapevoli e la sua
mente è piena del messaggio del Razziatore Bianco.
-
E’ vero?- chiede, con un filo di voce.
Shepard
annuisce:- così pare.- ribatte, stancamente.
Si
siede a terra e, dai vetri della stazione, vede i Razziatori sollevarsi ed
allontanarsi dalla Terra.
Sa
che stanno obbedendo agli ordini di Emeirin, che hanno scelto lei come nuovo
capo, che hanno accettato le sue convinzioni e che, se torneranno, non
torneranno da nemici.
Se
chiude gli occhi riesce ad immaginare l’unanime grido di gioia che si solleva
dai soldati di tutte le razze.
Prende
un respiro profondo, rendendosi conto in quel momento di quanto il suo corpo
sia sfibrato e di quanto gravi siano le sue ferite. Il dolore è ovunque, ma non
è accecante. E’ solo una massa confusa, vibrante, una sensazione di frammentazione.
Non
ha idea di come scenderà da quella stazione. Forse non lo vuole sapere.
-
Avevi ragione, Shepard.- ammette la voce profonda dell’Uomo Misterioso - Non
potevamo essere noi a controllarli. Non avremmo potuto fare quello… quello che
ha fatto lei.-
Nell’infermeria
della Normandy, Emeirin Stone - il corpo fisico di Emeirin Stone - è immobile
su un lettino. I suoi occhi sono spalancati, ma non vedono il soffitto della
stanza.
Le
sue labbra si muovono e scandiscono le parole che la sua proiezione sta
pronunciando.
Javik
è lì, a controllarla, ad osservarla, ad ascoltare sconvolto il resoconto del
suo inganno.
Quando
termina il discorso e i Razziatori iniziano ad abbandonare il campo di battaglia,
il prothean si sente furioso, più che sollevato.
Come
può la guerra finire senza la distruzione del nemico?
E
come può Shepard fidarsi di Emeirin, fidarsi tanto da darle il controllo dei
Razziatori?
Mentre
la Normandy
si coordina con il resto della flotta, Javik si rende conto che c’è ancora una
possibilità. Una possibilità per scrivere la parola “fine” e per scriverla
davvero.
Non
esiste il finale idilliaco che Emeirin ha descritto.
Non
esiste la pace, l’armonia perpetua.
Non
esiste una galassia di cui i Razziatori siano i guardiani e non i carnefici.
Si
fida di Shepard. Non avrebbe mai pensato di fidarsi di un’Umana, eppure lei gli
ha mostrato il mondo attraverso occhi diversi, attraverso occhi giovani, ancora pieni di speranza.
-
Ti farò un favore, Shepard.- mormora, estraendo lentamente la pistola - Farò in
modo che il tuo errore non condanni la Galassia.-
Appoggia
la canna dell’arma sulla tempia di Emeirin.
Lo
sorprende l’incredibile fragilità del Razziatore Bianco, la sua mortalità.
Ucciderla
ora, prima che la sua coscienza si trasferisca in un corpo più forte, prima che
l’attimo sia sfumato.
Ucciderla
ora, prima che la guerra riprenda.
“E se la guerra non riprendesse affatto?”
lo tormenta una voce, la voce della sua coscienza “Se lei fosse stata sincera? E se per una volta quella sciocca, tenera,
ingenua idealista di Shepard avesse visto giusto? Se per una volta la fiducia
fosse il mezzo migliore per la sopravvivenza?”
L’addestramento
del soldato sommerge quei dubbi.
Se
ci sono due vie, una certa e una incerta, sceglierai sempre quella certa, non
importano i danni collaterali.
La
mano che regge l’arma trema leggermente.
Il
dito del prothean si appoggia al grilletto.
-
Mi dispiace, Shepard.- sussurra.
Gli
dispiace di infrangere la promessa fatta al comandante, di andare contro i suoi
ordini e contro i principi che l’hanno animata per tutto la sua vita, durante
la sua crociata contro la distruzione.
Sta
per premere il grilletto quando la mano di Emeirin scatta in avanti, afferrando
il suo braccio.
Gli
occhi della donna rimangono vitrei, la sua coscienza lontana… eppure dalla sua
bocca fuoriesce una frase. Una semplice, breve frase, che tocca il cuore di
Javik.
-
Anche lei ti amava, capitano.- mormora.
Le
sue dita aumentano la stretta sul braccio di Javik e il prothean rimane
immobile, sommerso da un flusso di ricordi non suoi. Davanti ai suoi occhi vede
ciò che non ha visto allora, ciò che è successo mentre lui subiva la più grande
sconfitta e rimaneva intrappolato nella capsula.
La Emeirin-prothean è assieme ad una
guarnigione.
E’ sporca di sangue e brandelli di mutante.
Brandisce un fucile a pompa.
Sembra esattamente uguale a tutti gli altri
soldati. Stanca, fiera, pronta a quella morte gloriosa, al sacrificio per la
rinascita dell’Impero. Nessuno direbbe che è diversa.
Le orde di mutanti cominciano ad arrivare.
Ringhiano, sparano, si avventano sui soldati.
Al fianco di Emeirin, un’altra guerriera combatte
valorosamente.
- Quanto tempo ci metteranno ad attivare la capsule
di stasi?- grida Rudra, sovrastando il frastuono della battaglia
- Non lo so!- replica Emeirin.
Sembra un soldato, ma è un soldato che non verrà
attaccato e che non morirà.
Non è nemmeno un prothean, eppure parla come loro,
eppure ha la stessa espressione di Rudra.
Mentre
il ricordo lo inghiotte, Javik sente la voce del Razziatore Bianco, così vicina
e al contempo così lontana.
Ero una ribelle. Non
approvavo la condotta dei miei fratelli.
Rudra era la guerriera
migliore della squadra. Combatteva come un leone.
Niente e nessuno sembrava
in grado di fermarla.
Ho cercato di aiutare. Ho
cercato di darvi tempo, di farvi azionare le capsule di stasi.
La squadra prothean sta venendo decimata.
Rudra ed Emeirin si accucciano dietro ad un cumulo
di macerie.
- Che diavolo succede? Perché ci mettono tanto
tempo?- impreca la guerriera.
Emeirin si stringe nelle spalle:- forse è andato
storto qualcosa.-
- Non è possibile!- ribatte Rudra, determinata - il
capitano Javik ce la farà. Ce la deve
fare. Quelle capsule sono l’ultima speranza del nostro popolo… l’unico modo per
far risorgere l’Impero!-
- Potrebbero esser stati traditi!-
- Ce la faranno!- Rudra stringe il fucile talmente
forte che le ferite che ha sulle mani si riaprono. Il sangue della prothean si
mescola a quello dei nemici abbattuti - Dobbiamo solo resistere ancora un po’!
Se riusciamo a ritirarci dietro a quelle fortifica…-
La granata cade esattamente davanti alle due
guerriere.
Non credo di aver avuto
paura.
Era come se le armi dei
mutanti non potessero toccarmi.
Lei… lei non fu tanto fortunata.
Rudra è stesa a terra, l’armatura perforata dai
frammenti della granata.
C’era talmente tanto
sangue…
Emeirin si china su di lei, cerca inutilmente di
arginare le emorragie. Le ferite sono troppe, sono troppo profonde. Lo sguardo
della giovane inizia ad offuscarsi.
- Il mio… il mio comunicatore è andato…- Rudra
tossisce, mentre una scia di sangue le macchia il mento -… il segnale… Victory
ha passato il segnale? Ce l’hanno fatta?-
Emeirin guarda l’edificio, vede un Razziatore
puntare il suo cannone.
Abbraccia la giovane prothean, perché non veda,
perché non capisca.
- Sì.- sussurra, sentendo che il peso di quella
menzogna la tormenterà per tutta la vita - il segnale è partito. Le capsule di
stasi sono attivate.-
Gli occhi di Rudra si riempiono di lacrime di
sollievo e commozione.
- L’Impero risorgerà…- tossisce di nuovo,
macchiando di sangue le mani di Emeirin -… lui… lui farà un gran bel lavoro.
Mi… mi sarebbe piaciuto…- respirare le diventa sempre più difficile. Le
immagini si sfocano davanti ai suoi occhi, i suoni diventano ovattati -… in un
altro tempo… in altre circostanze… avremmo avuto una possibilità.- un altro
colpo di tosse. Altro sangue -… ma non… non c’è spazio per… per l’amore, qui.
Nel prossimo… nel prossimo Impero… sono certa che… che lì… se solo non ci fosse
stata la… la guerra… noi saremmo potuti essere felici…-
Le immagini scompaiono, i suoi occhi si spengono.
Emeirin l’abbraccia, delicatamente, cullandola fra
le braccia.
- … avremmo potuto stare… stare insieme.-
La testa di Rudra si affloscia su un lato, i suoi
occhi spalancati a contemplare il cielo, a sognare un nuovo Impero che non
sorgerà mai.
Javik
rimane paralizzato, mentre il dolore lo assale e lo sommerge.
Si
sente prostrato, la sofferenza gli blocca il respiro.
Eppure
dall’angoscia sboccia una nuova consapevolezza.
Non
ucciderà Emeirin. Concederà una possibilità al Razziatore Bianco.
Non
perché gli ha mostrato Rudra, ma perché gli ha mostrato sé stessa. Gli ha dato
la prova che cercava, gli ha dimostrato quanto ferocemente abbia combattuto per
ostacolare i suoi fratelli, pur senza poterli uccidere.
La
mano di Emeirin allenta dolcemente la presa sul suo braccio
-
Nessuno dovrebbe assistere alla fine della sua razza.- sussurra la giovane,
ancora assente, ancora connessa a tutti i suoi figli, ai fratelli che temeva di
aver perduto - Mi dispiace per te, ma tu fra tutti puoi comprendere le mie
azioni. Ho ingannato chi si fidava di me, ma l’ho fatto per proteggere la mia specie dall’annientamento.-
Javik
annuisce, mentre la mano di Emeirin gli scivola lungo il braccio e ricade sul
lettino.
Il
prothean tira a sé uno sgabello e, mentre la voce del Razziatore Bianco pervade
la sua mente, sente uno strano sollievo dilagare nel suo animo, un balsamo in
grado di lenire le peggiori ferite.
-
La guerra è finita.- realizza, in un battito di ciglia.
Non saremo più carnefici,
ma guardiani.
La
voce di Emeirin ha ripreso a riecheggiare nelle menti di soldati e Razziatori.
La
sua quiete, la sua perfezione. Prima di essere un leader è semplicemente una madre.
Seguitemi, figli miei e
realizzeremo il desiderio dei nostri Creatori.
Seguitemi e la distruzione
non sarà né il nostro fato né il nostro vessillo.
“Seguitela”un sussurro si leva da
oltre spazi sconfinati.
Mille
manufatti iridescenti splendono nelle tenebre, mentre i Leviatani uniscono la
loro voce a quella della loro IA, dello strumento in cui hanno risposto le loro
speranze di pace.
“Seguitela”
I
soldati - Umani, Asari, Turian, Krogan…- tutti rimangono immobili, col fiato
sospeso.
Increduli,
frastornati quanto e forse più dei Razziatori.
Solo
i Geth, dalle loro navi, annuiscono grazie alla loro nuova consapevolezza.
E’
una situazione che possono comprendere e che riescono ad apprezzare.
Intuiscono
prima degli altri che è la fine dell’interminabile guerra fra organici e
sintetici.
Epilogo
Sulla
stazione, anche Konstantin sente quelle parole.
E,
mentre le ascolta, si rende conto di aver preso la scelta giusta.
-
E’ finita.- sussurra, stringendo la mano alla medaglietta identificativa.
Mentre
sente di perdere la propria presa sulla realtà, pensa a Thane.
Al
significato che lui è riuscito a dare alla sua vita. A tutta la forza che le ha
donato.
Non
ha avuto occasione di farglielo capire per davvero, ma è merito suo se lei ha
avuto la forza di concludere la guerra, di arrivare a vedere quel giorno.
Si
appoggia una mano sul fianco, sentendo il sangue impregnarle i vestiti.
Il
suo ultimo pensiero è che spera di rivederlo presto, oltre l’Oceano.
E’
in pace con la morte, adesso. E’ in pace con tutto.
Avrebbe
tanto voluto rivederlo…
Mentre
il buio la inghiotte, Konstantin Shepard rivive un sogno che ha fatto tempo
prima.
Una bambina corre scalza
sull’erba.
Lei e Thane la stanno a
guardare, mano nella mano.
Lui ha una catenina al
collo, il cui ciondolo è un anello di metallo argenteo, con incisa una data.
Konstantin non riesce a
leggerla, ma sa che è incisa anche sull’anello che lei porta al dito.
Il vento scompiglia i
capelli della bambina, mentre si dirige verso di loro.
- Piccola.- l’accoglie
Shepard, con un sorriso radioso.
Thane la prende fra le
braccia e la fa volteggiare in aria. La bambina ride, poi lo bacia sulle
guance.
Mesi
prima, quel sogno è diventano un incubo. Il cielo è diventato nero e l’Araldo
li ha separati per sempre.
Eppure,
stavolta il finale è diverso.
Il sole continua a
splendere.
Il Razziatore Bianco appare
fra le nuvole d’ovatta.
- Hai fatto un buon lavoro,
piccola mia- sussurra, con la voce di
Emeirin.
Kolyat appare da un angolo
del prato. Prende la bambina in braccio, baciandole la guancia.
- Grazie, Shep.- dice,
guardandola negli occhi.
Anche Thane la sta
guardando. Le si avvicina, per posarle un dolce bacio sulle labbra.
- Ti amo, siha.-
Mentre
il sogno culla la sua coscienza, il mondo di Konstantin Shepard diventa nero.
Infermeria della Normandy.
Tre giorni dopo.
“- Sì.- ripete, posandomi
un bacio a fior di labbra - quando la guerra sarà finita, io risponderò di
sì.-”
Thane
riemerge dal mondo dei ricordi.
La
situazione non è cambiata.
Sulla
Terra è notte fonda. Fra le macerie sono sorte tendopoli ed accampamenti
provvisori.
Tutti
festeggiano, brindano ai propri morti, si sentono liberi di pensare al proprio
futuro.
Ma
lui non può festeggiare. Nessun membro dell’equipaggio riesce ad essere davvero
felice.
Konstantin
giace sul lettino di fronte a lui. E’ pallida come la morte e, anche se le
ferite esterne sono state medicate e il sangue è stato pulito, quelle interne
sono ancora aperte e le risucchiano avidamente la vita.
-
Non riesci a dormire, eh?- lo richiama dolcemente la voce di Emeirin.
Il
Razziatore Bianco si siede accanto al drell, appoggiandogli una mano sulla
spalla.
-
Dormire...- Thane scuote il capo, come se il concetto fosse semplicemente
assurdo - Aspetto che si svegli.-
Emeirin
annuisce:- aspetterò con te.-
I
Razziatori si sono dispersi nell’universo, per riparare i danni che hanno
causato.
Ma
il loro leader - la loro madre - è rimasta in quel corpo organico che ha
abitato per tanto tempo.
E’
rimasta perché la sua bambina è in coma e nessuno sa dire quando starà meglio.
-
Presto starà meglio - dice, a voce alta - ne sono convinta.-
Ma
suona come una frase fatta, senza sostanza, senza convinzione.
-
Ho sempre pensato di aver accettato la morte. Di essere pronto alla
separazione.- una lacrima scivola lungo la guancia di Thane - mi vergogno della
mia debolezza... ma non… non sono pronto a vivere senza di lei.-
I
ricordi del tempo passato insieme lo tormentano ogni istante, non gli danno
requie.
E’
perseguitato dal suo sorriso, dalla sua energia, dal suo amore.
Non
riesce a trovare alcuna consolazione nei discorsi fatti, nell’idea che si
ritroveranno, al di là dell’Oceano.
-
Non c’è niente di cui vergognarsi.- sussurra Emeirin.
Accarezza
distrattamente il viso di Konstantin, scostandole una ciocca di capelli dal
viso.
La
sua bambina è cresciuta. E’ cresciuta e ha salvato il mondo.
No.
Non ha solo salvato il mondo.
Ha
creato la pace, ha gettato le basi per quell’armonia perpetua che i Leviatani,
nella loro onnipotenza, erano riusciti solo ad immaginare.
- Presto
starà meglio.- ripete, a voce più alta.
E
questa volta ne è davvero convinta.
L’ultima Coda: signori,
questo è quanto.
Ecco
la conclusione di una fanfic su cui non avrei mai - e poi mai - scommesso.
Ci
sono cose che terrei e cose che cambierei… ma, nel complesso, sono davvero
soddisfatta.
Tante
grazie per il supporto che mi avete dato durante questo percorso, per la
pazienza per gli aggiornamenti irregolari e per le recensioni, sempre gentili.
Grazie
mille per tutto e spero di risentirvi presto!
- La Matta - passa e chiude.
Cu-cù a tutti voi!
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