Questa nostra stagione

di Dani85
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Negli occhi ***
Capitolo 2: *** Da salvare o condannare ***
Capitolo 3: *** Al di là del cielo ***
Capitolo 4: *** Per andare avanti ***
Capitolo 5: *** Voglia di tenerezza ***
Capitolo 6: *** Noi adesso ***
Capitolo 7: *** Chiamalo destino ***



Capitolo 1
*** Negli occhi ***


Titolo: Negli occhi
Autore: Dani85 [Dani85° sul forum EFP]
Fandom: Distretto di Polizia
Personaggi: Anna Gori, Luca Benvenuto
Paring: Nessuno
Genere: Introspettivo
Rating: Verde
Tabella: Blu
Prompt: Occhi
Note: Storia scritta per il "The Itten Challenge" indetto da Edelvais Verdefoglia sul Forum di EFP.
La Shot si pone temporalmente all'inizio di Distretto di Polizia 5, quando Anna fa la sua comparsa al distretto.
Il titolo della raccolta è una citazione di "Questa nostra stagione" di Eros Ramazzotti. Il titolo e i versi iniziali di questa prima storia, invece, sono presi da "Balla solo la tua musica" sempre di Eros.
L'intera raccolta è dedicata a Sara, la mia ispiratrice e paziente sopportatrice in questa avventura ♥♥♥

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Questa nostra stagione

Negli occhi

Negli occhi

Prova a chiederti se è vero
che il cielo oggi è nero
o se hai solo chiuso gli occhi tu
[Balla solo la tua musica – E. Ramazzotti]


L'ultimo squillo del telefono salì oltre lo scroscio d'acqua e svanì con esso ovattato in una nuvola di tiepido vapore. Anna aspettò immobile che il silenzio tornasse e poi scivolò nell'accappatoio troppo grande per lei, mentre districava una mano dalle pieghe larghissime di una manica per sciogliersi i capelli. L'elastico finì da qualche parte sulle coperte: forse tra il suo distintivo e il giornale degli annunci economici su cui spiccava l'inserzione cerchiata di rosso di un appartamento in affitto, forse tra il piumino e le lenzuola, forse tra le buste di carta del suo pranzo. Il letto la accompagnò cigolando mentre ci si buttava su a peso morto e il fruscio delle lenzuola e della carta fece da sottofondo. Buttò un'occhiata di sbieco all'orologio che ticchettava appeso ad una parete e sospirò sconfortata: non le restavano che un paio di ore prima del nuovo inizio. E non sarebbe andata bene nemmeno quella volta. Se lo sentiva. Lo sapeva. Chiuse gli occhi, un braccio di traverso sul viso e tutta la stanchezza di un'ennesima notte in bianco addosso. Forse avrebbe potuto sonnecchiare un po' adesso, magari solo una manciata di minuti, con l'accappatoio umido che le si raffreddava addosso e l'andirivieni delle macchine giù in strada. Giusto il tempo per togliersi di dosso il torpore dell'insonnia e l'angoscia degli incubi, di quegli occhi blu che tornavano a tormentarla ogni volta che lei ricominciava. Ogni volta che ci provava, almeno, prima che ogni volta tutto andasse a rotoli.
E tornarono anche lì, in quel momento, nella penombra della stanza di un residence, come flash di zaffiri taglienti dietro le palpebre chiuse. Luccicavano di malizia e le sembrava ancora di sentire la sua voce, quella del suo patrigno, - “È colpa tua, è tutta colpa tua... Sei una buona a nulla... Una povera pazza... Una bugiarda... Hai rovinato tutto” - e le lacrime di sua madre in un angolo e poi il ronzio di qualcosa che avrebbe dovuto – avrebbe voluto – ricordare ma che non ricordava. Proprio non ci riusciva. E intanto quegli occhi diventavano più grandi, il loro blu più intenso, più freddo, più pericoloso. Anna sapeva cosa sarebbe arrivato dopo, sapeva che sarebbe tornato il ricordo delle carezze, la lascivia dei baci e lo schifo di altro che non aveva nemmeno la forza di chiamare per nome.
Il cellulare squillò di nuovo e Anna riemerse dal dormiveglia, il cuore accelerato dalla paura. Odiava quegli incubi con tutta sé stessa: si alimentavano della sua ansia, della sua angoscia e dei suoi fallimenti. Odiava sua madre: lei aveva permesso che tutto quello accadesse, che quell'uomo la avvicinasse, lei non le aveva creduto, lei continuava a riempirla di telefonate che restavano senza risposta.
In un gesto di stizza, Anna scattò a sedere sul letto e, mentre un terzo squillo si spegneva seccamente, lanciò il giornale degli annunci economici contro il muro e lo osservò cadere a terra. L'angoscia si stava trasformando in rabbia e la rabbia l'avrebbe portata a rovinare tutto. Come accadeva sempre. Come sempre le ricordavano quegli occhi blu.

*


No, non sarebbe andata bene neppure quella volta. Anna se lo sentiva. Lo sapeva. Come sarebbe potuta andare bene se nessuno le dava retta, se quelli che sarebbero stati i suoi colleghi la ignoravano e se la rimpallavano come fosse una pallina da ping pong? Erano tutti troppo impegnati per lei, troppo presi da chissà quale loro problema, troppo di fretta, troppo distratti. Persino il Commissario, una donna forse poco più grande di lei, l'aveva liquidata passandola in consegna a qualcun altro.
Dio, che pessimo inizio! Anna sospirò, il portone del commissariato che si chiudeva dietro l'ennesimo poliziotto distratto e distante. Non c'era dubbio, sarebbe andata male anche lì, a Roma, in quel buco di commissariato che era il X Tuscolano, e lei avrebbe avuto un altro appunto sulla sua scheda e un altro posto in cui non aveva resistito da aggiungere alla lista. Almeno, però, stavolta non sarebbe stata colpa sua: non aveva detto o fatto niente, non era nemmeno riuscita a presentarsi!
Ancora ferma nell'atrio, quegli odiosissimi occhi blu le erano balenati in testa, arrivati a sottolineare quello che si stava rivelando l'inizio più disastroso della sua vita. Forse avevano ragione e lei era davvero una buona a nulla che non sapeva neanche farsi ascoltare. Il suo orgoglio protestò, da qualche parte dentro di lei, e la spinse a rialzare la testa e lo sguardo, appena in tempo per accorgersi del ragazzo che stava uscendo da uno degli uffici. Era giovane, anche lui non doveva avere che qualche anno più di lei, era uscito dall'ufficio con le mani sepolte nelle tasche dei jeans e lo sguardo puntato a terra di chi è perso nei suoi pensieri.
O la va o la spacca! pensò Anna. Lui doveva fermarsi per forza e ascoltarla, altrimenti non avrebbe saputo a chi altri rivolgersi là dentro.
«Scusa...» esclamò mentre gli si avvicinava e lui le rivolse un'occhiata perplessa. «Ciao! Sono Anna Gori, la nuova agente assegnata a questo commissariato...» snocciolò tutto d'un fiato, prima che lui la potesse fermare o riuscisse ad andarsene. Ma lui non pareva avere nessuna intenzione di piantarla lì, da sola, e dopo aver fatto mente locale, si batté appena la fronte con la mano e sorrise.
«Oh scusa... Sì, ti stavamo aspettando... Ciao! Luca, piacere!» si presentò, la mano tesa a stringere quella di Anna e il sorriso che si allargava sincero.
Sorrise anche lei, sollevata per aver trovato finalmente una persona disponibile. Luca le fece strada verso l'ufficio da cui era uscito e le indicò la scrivania contro la parete centrale, quella che avrebbero condiviso. Anna ispezionò l'ufficio con un'attenta occhiata: le due scrivanie, lo schedario accanto alla porta, l'ampia finestra che si apriva sull'atrio e la porta sul lato apposto.
«Quella dà sul corridoio, all'incrocio tra l'ufficio del Commissario e la sala interrogatori!» le spiegò Luca e gliela indicò, appoggiato ad una delle scrivanie. Aveva un tono di voce calmo e pacato e sembrava che sorridere fosse una costante per lui. Almeno quanto era raro per lei.
«Ti faccio vedere il resto!» disse interrompendo il silenzio, mentre si affaccendava a scortarla di nuovo in corridoio. Anna ebbe l'impressione che nemmeno a lui piacesse troppo parlare. C'era una timidezza di fondo nei gesti di quel ragazzo, nelle mani tese ad indicarle gli uffici vuoti, l'archivio, gli spogliati in fondo a sinistra e il distributore automatico.
«Mmm sei capitata in un momento un po' incasinato ma, di solito, c'è sempre un sacco di gente qui! Avrai modo di conoscerli tutti e sono sicuro che ti piaceranno!»
Anna avrebbe voluto dirgli che dubitava che la gente che l'aveva ignorata potesse piacerle ma non lo fece. Il sorriso pieno e gli occhi amichevoli di Luca, mentre le offriva un caffè, le stavano chiedendo di dare una possibilità anche agli altri. Gliela avrebbe concessa, decise, intanto che portava il bicchierino di carta alle labbra. Ma sarebbe andata male comunque, lo sapeva.

*


Anna sospirò di stanchezza mentre rientrava al residence e al buio trovava il letto. Agitò una mano finché non urtò la lampada sul comodino e un istante dopo un cono di luce arancione illuminò parzialmente la stanza. Tutto era come lei lo aveva lasciato qualche ora prima: il letto sfatto, le cartacce malamente buttate nel cestino, il giornale degli annunci abbandonato a terra. Tutto disordinato e desolato, così paurosamente simile a lei. Sospirò di nuovo e raccolse le gambe puntando i piedi sul bordo del letto. Era il momento di un primo bilancio. Il X Tuscolano non le dispiaceva in sé per sé, era piccolo ma aveva fama di essere un avamposto attivissimo, in prima linea addirittura contro la mafia. Era sui colleghi che non avrebbe saputo cosa dire. Quelli che aveva incrociato non avevano affatto brillato per disponibilità ed era quasi certa che non le sarebbero piaciuti – non le era mai piaciuto nessuno, in realtà – ma, tutto sommato, se si fossero rivelati bravi e competenti non sarebbe stato un gran danno. In fondo, le sarebbe andato più che bene mantenere le distanze con loro: niente rapporti troppo stretti, meno rischi di scontri, più possibilità di mantenere il posto per più di qualche settimana solamente. Era abbastanza stanca di girare come una trottola, tra richiami e trasferimenti.
Illusa, non durerà!
La solita voce strisciante echeggiò maligna nella sua testa e lei sbuffò scocciata. Era stanca anche di essere torturata da quei ricordi, da quel passato, da quell'uomo. Frustrata chiuse gli occhi e allo sguardo blu dei suoi incubi se ne sovrappose un altro, decisamente nuovo, decisamente migliore, decisamente inaspettato. La perfetta memoria fotografica di Anna ricostruì nei minimi dettagli un paio di occhi color nocciola. La sfumatura cangiante, il taglio vagamente allungato, l'espressione dolce, la nota di tristezza che se ne stava lì, sul fondo, nonostante sorridesse sempre. Forse anche quel ragazzo, quel Luca, aveva passato qualche brutto momento.
Al diavolo!
Anna sbuffò scocciata, non erano problemi suoi e di certo non lo sarebbero stati mai. Anche quel Luca sarebbe stato solo una persona di passaggio nella sua vita, niente di più. Eppure quegli occhi caldi e scuri che le si erano subito appiccicati addosso, sembravano dirle il contrario, sembravano una mano tesa in tutta la terra bruciata che lei stessa e la vita le avevano creato intorno. Poteva provare ad afferrare quella mano immaginaria, quella volta. Anche se alla fine sarebbe andata male comunque, lo sapeva. A lei andava sempre male. O forse no? Gli occhi nocciola di Luca brillarono nella sua memoria un'ultima volta spegnendo il riflesso lontano di quelli blu del suo patrigno. Forse qualche possibilità che le cose andassero bene c'era. E Anna in fondo lo sperava anche se non lo avrebbe ammesso mai, neppure a sé stessa.

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Capitolo 2
*** Da salvare o condannare ***


Titolo: Da salvare o condannare
Autore: Dani85 [Dani85° sul forum EFP]
Fandom: Distretto di Polizia
Personaggi: Anna Gori, Luca Benvenuto
Paring: Nessuno
Genere: Introspettivo
Rating: Verde
Tabella: Blu
Prompt: Ghiaccio
Note: Storia scritta per il "The Itten Challenge" indetto da Edelvais Verdefoglia sul Forum di EFP.
Seconda shot della raccolta che si pone temporalmente circa a metà di Distretto di Polizia 5, a cavallo della litigata di Anna con Mauro Belli durante le indagini sull'ecomafia. Titolo e versi iniziali da "Sotto lo stesso cielo" di Eros Ramazzotti.
Per Sara ♥♥

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Questa nostra stagione

Da salvare o condannare

(…) e accettare una sconfitta
come un punto di partenza
e vederla come una rinascita
[Sotto lo stesso cielo – E. Ramazzotti]


Si era spenta la luce, semplicemente quello. Anna non avrebbe saputo spiegare in modo diverso quello che era accaduto solo poche ore prima. La discussione con Mauro, la sua rabbia, le parole che erano volate, il suo gesto, gli sguardi spaesati: era stato tutto come un gigantesco black out. Qualcuno aveva spento la luce nella sua testa e lei aveva perso il controllo. E aveva rovinato tutto. D'altronde, sapeva che sarebbe finita così ed era stata una stupida a pensare che quella volta potesse andare diversamente. Si era illusa che al X Tuscolano fossero diversi e invece, al primo problema, al primo errore, le avevano scaricato addosso le colpe di tutti.
Anna sospirò, strofinandosi gli occhi con il dorso delle mani. Stava piangendo da quando aveva messo piede in casa e non c'era verso di fermarsi. E più passava mentalmente al setaccio i fatti di quella giornata e più le lacrime si intensificavano. Ok, aveva sbagliato: avrebbe dovuto farsi qualche scrupolo in più nell'eseguire gli ordini della Corsi, magari richiamarla, o almeno farle un paio di domande di conferma ma come poteva immaginare che tutto quello fosse un inganno? Ci sarebbe voluta una mente paranoica e maniacale per mettere in dubbio la telefonata del Commissario e l'identità di quei due che si erano spacciati per Carabinieri.
Ma a chi voleva darla a bere? Sarebbe stato sufficiente insospettirsi per quel qualcosa di artificioso che aveva captato nella voce della Corsi. Sarebbe bastato solo quello, solo un piccolo dubbio, un piccolo misero dubbio per prendere tempo e lasciare che Parmesan aprisse il CD. E invece – come le aveva ricordato Mauro – per tre, fottutissimi minuti, il CD si era volatilizzato e con esso i nomi che cercavano da mesi. Ok, aveva le sue responsabilità in tutto quel casino ma non era l'unica. Mauro, che tanto duramente l'aveva attaccata, era responsabile quanto lei. Dov'era mentre lei sbagliava tutto?
«Ipocrita!» sibilò tra i denti mentre il bicchiere si infrangeva contro il muro. Il vetro in frantumi fu una frustata di lucidità: l'aveva fatto di nuovo. Aveva di nuovo sfogato la sua rabbia rompendo qualcosa. Il bicchiere giaceva sul pavimento in una pozza disordinata di schegge e aveva lasciato sul muro una macchia d'acqua allungata che ora colava come se la parete stesse lacrimando. Il rumore era stato breve e sottile, niente a che vedere con quello sordo e rimbombante del portapenne che si era infranto contro la porta di vetro dell'ufficio, mancando di poco la testa di Mauro. Il vetro smerigliato era andato in pezzi in una pioggia di schegge sfaccettate come lastre di ghiaccio. E intorno, all'improvviso, tutto si era fatto di ghiaccio, tutto si era raggelato, sospeso per un interminabile momento in una gelida immobilità. La debole speranza di aver trovato finalmente il suo posto spezzata dalle sue stesse mani. Sarebbe finita così, con l'ennesimo richiamo disciplinare sulla sua scheda e con il rimpianto di essere stata così stupida da credere a Luca. Così stupida da credere che davvero lui – loro - potessero essere una famiglia per lei. Ma Anna una famiglia che le puntava il dito contro per uno sbaglio non la voleva, lei non voleva nessuno.
La penna scivolò con decisione sul foglio e, appena un po' tremante – di rabbia, di frustrazione, di delusione –, Anna firmò la sua lettera di dimissioni.
Non c'era niente altro da fare. Sarebbe finita così.

*


La porta si chiuse sbattendo appena ma Anna avrebbe voluto schiantarla, avrebbe voluto che si disintegrasse, che esplodesse in un vortice di vetri e la investisse, dolorosa come grandini di ghiaccio. Avrebbe dato sfogo alla sua rabbia, le sarebbe stato utile e avrebbe legittimato meglio di qualsiasi altra cosa il richiamo che, da lì a qualche ora, sarebbe comparso sulla sua scheda. Perché tanto lei, quella lettera di dimissioni, sarebbe tornata a consegnarla la mattina dopo, alla faccia del ripensamento auspicato dalla Corsi e delle sue belle parole. Tanto non sarebbe stata una gran perdita: lei non piaceva a nessuno lì e nessuno lì piaceva a lei. Una vocina nella sua testa le sussurrava il contrario però, le ricordava i passi – piccoli ma concreti – fatti con gli altri, i sorrisi strappatile da Giuseppe e Vittoria e, soprattutto, la fiducia e la confidenza che Luca si era guadagnato con pazienza e dedizione. Anna sospirò: tutto sarebbe finito nello spazio di una notte, quella che la separava dal ritorno al distretto, e quella fiducia concessa non sarebbe stata altro che il suo ennesimo errore.
A passo di marcia, i lunghi capelli a incorniciarle il volto teso, Anna stava letteralmente fuggendo dal X. Solo la coda dell'occhio a percepire di sfuggita la porta dell'ufficio rotta, un leggero foglio di plastica a coprire il foro, e quanta più indifferenza possibile verso gli sguardi che sentiva seguirla lungo i corridoi.
«Anna, aspetta...», la voce di Mauro la richiamò, bassa e timorosa.
Anna si fermò, stupendo persino sé stessa: era davvero così masochista da essere disponibile a sentirsi attaccare di nuovo?
«Senti...» iniziò lui gesticolando piano, «Stavo a pensa' a quello che mi hai detto stamattina, sul fatto che ieri t'ho lasciato da solo a fare le cazzate... Be', oggi che non c'eri te, le cazzate le ho fatte io, pensa! Ma tante, mica una sola.. le stanno ancora a conta'! Te volevo di' che, insomma, se tu rimani, io sarei contento... sarebbero contenti tutti quanti qua!»
Anna aveva seguito in silenzio il breve discorso dell'uomo, quasi incredula che quello che aveva davanti potesse realmente essere lo stesso Mauro Belli che il giorno primo le aveva urlato contro di tutto. Le aveva stretto appena un braccio quando aveva smesso di parlare e poi, a testa bassa, era rientrato in ufficio senza aspettare una sua risposta.
Ma del resto cosa avrebbe dovuto rispondere? Quelle scuse di Mauro l'avevano colta totalmente alla sprovvista, eppure avevano avuto il potere di rivoluzionare tutto quello che le girava per la testa. Allora non era vero che a nessuno importava di lei, anzi. Ed era bello sentirselo dire, bello poter dare ragione a quella parte di lei che voleva fidarsi. La lettera di dimissioni, tutto ad un tratto, le parve inutile: non voleva andarsene più. La busta, ridotta in due perfette metà, finì nel cestino della spazzatura.

*


Luca aveva seguito soddisfatto il gesto di Mauro e sorridendo era sfilato fuori dall'ufficio. Aveva affrettato un po' il passo per raggiungere Anna e, in strada, l'aveva bloccata sfiorandole una spalla.
«Ehi!» la salutò, un sorriso timido ad incurvargli le labbra.
«Luca!» rispose lei mentre girava su sé stessa e si stringeva nel suo giubbotto leggero.
«Insomma... sì, mi è sembrato di capire che prima tu e Mauro abbiate chiarito...» buttò lì lui, le mani che sprofondavano nelle tasche. Anna sgranò un po' gli occhi: nella sua furia prima, e nel suo stupore poi, nemmeno aveva fatto caso al fatto che lui fosse in ufficio.
«Oh be', in realtà ha parlato solo lui ma è stato molto carino e, in qualche modo, mi ha chiesto scusa... quindi sì, direi che abbiamo chiarito...» spiegò lei.
«Allora niente più dimissioni?» domandò Luca, lo sguardo fin troppo serio.
Anna si limitò a scuotere un paio di volte la testa.
«Sono contento! Davvero! L'avevo detto a Mauro che aveva sbagliato e sapevo che avrebbe capito...»
«Cioè? Vuoi dire che gli hai parlato tu?»
La domanda di Anna non fu che un pigolio, un mormorio sorpreso per le parole usate dal ragazzo. Che qualcuno avesse in qualche modo interceduto per lei proprio non se lo aspettava, quasi meno di quanto non si aspettasse le scuse di Belli.
«No, non è che gli ho parlato... è che Mauro è un po' impulsivo e questo caso lo tocca da vicino... e lui ha sbagliato ad attaccarti così... ma sai, nella rabbia si dicono un sacco di scemenze... e gliel'ho fatto notare, ecco...» borbottò Luca, il discorso inframmezzato da molte pause, mentre si passava imbarazzato una mano tra i capelli.
«Grazie!» si lasciò sfuggire lei, d'istinto.
«No no, non c'è nulla per cui tu debba ringraziarmi!». Luca prese a scuotere la testa, quasi a disagio. «L'ho fatto perché Mauro aveva sbagliato e perché tu sei la miglior partner che io abbia mai avuto e non mi andava di perderti!» aggiunse con un'alzata di spalle a sottolineare il concetto.
Anna si ritrovò a sorridere senza esserne pienamente consapevole, lei che controllava anche il più piccolo dei sorrisi che concedeva. Luca aveva uno strano effetto su di lei ed era riuscito dove chiunque altro aveva fallito. Aveva scalfito la pesante corazza di ghiaccio dietro cui si era rintanata e vi si era insinuato, con la sua pazienza, con la sua testardaggine, con i suoi sorrisi leggeri, con i suoi occhi dannatamente sinceri. Le aveva ripetuto allo sfinimento che per lei ci sarebbe stato, che l'avrebbe ascoltata, che l'avrebbe capita. Belle parole, aveva pensato Anna. Frasi fatte, di circostanza. E invece nel giro di due giorni quelle parole si erano trasformate in dimostrazioni concrete. Luca aveva accolto con comprensione il suo segreto, ne aveva asciugato le lacrime con dolcezza – senza la presunzione di capire, senza la pena negli occhi – e, per finire, l'aveva difesa, nonostante lo scatto di rabbia, nonostante tutto. Lei si era condannata e lui l'aveva assolta.
E, per la prima volta nella sua vita, Anna mise in dubbio tutto ciò di cui si era convinta. Non tutto il mondo la odiava, forse c'era qualcuno di cui poteva davvero fidarsi, qualcuno a cui poteva permettere di farsi vedere per quella che era in realtà, con tutte le sue ferite e i suoi dolori.
«Grazie Luca! E non solo perché hai parlato con Mauro...»
Anna parlò lentamente, gli occhi che cercavano quelli di Luca e, nello spazio dello sguardo che si concessero, lei seppe che lui aveva capito cosa intendeva davvero. Gli stampò un impacciato bacio su una guancia con il cuore che per uno strano motivo le batteva forte in petto. Non avrebbe ammesso a nessuno, nemmeno a sé stessa, che in quel preciso momento era cambiato tutto, prima ancora che alle parole di Mauro, prima che alla seconda possibilità datele dalla Corsi. Era stata la fiducia di Luca a compiere il miracolo. E da lì sarebbe ricominciata al X.
Lui le accarezzò lievemente un braccio e poi prese a camminare all'indietro per rientrare al distretto. La salutò dal portone con un occhiolino che sapeva di nuova complicità e qualcosa dentro Anna iniziò a sperare. Forse, quella volta, le cose sarebbero andate bene. Quel posto, quel lavoro, Luca... Anna non lo avrebbe ammesso mai, mai da quel momento avrebbe fatto in modo che le cose andassero bene.

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Capitolo 3
*** Al di là del cielo ***


Titolo: Al di là del cielo
Autore: Dani85 [Dani85° sul forum EFP]
Fandom: Distretto di Polizia
Personaggi: Anna Gori, Luca Benvenuto
Paring: Nessuno
Genere: Generale, Introspettivo
Rating: Verde
Tabella: Blu
Prompt: Cielo stellato
Note: Storia scritta per il "The Itten Challenge" indetto da Edelvais Verdefoglia sul Forum di EFP.
Questa terza shot si pone più o meno verso la fine di Distretto 5, in un momento non proprio ben precisato ma a ridosso del matrimonio di Ugo.
A partire dalla prossima storia saremo temporalmente in DdP6, con una Anna forse un pochino più "risolta" di quanto non lo sia stata finora.
Il titolo e i versi iniziali di questa shot sono presi da "Sotto lo stesso cielo" di Eros Ramazzotti.
A Sara, finalmente libera da esami (almeno per un po' XD) ♥♥
Buona lettura a tutti :*

 

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Questa nostra stagione

Al di là del cielo

Al di là del cielo

(…) stelle uguali ma uniche
mille sogni, ma uno solo ci accomuna:
il bisogno di essere amati
[Sotto lo stesso cielo – E. Ramazzotti]


Il caratteristico aroma di caffè riempiva prepotentemente l'ufficio ma Anna neanche ci faceva caso, ormai si era abituata al fatto che fosse così ogni volta che aveva il turno di notte insieme a Luca. E in fondo nemmeno le dispiaceva visto che quell'odore la aiutava a rimanere lucida e sveglia. Ed era quello che ci voleva soprattutto in nottate come quella che se scorrevano via con sonnacchiosa tranquillità.
E il X Tuscolano sembrava davvero sonnecchiare nel silenzio e nell'immobilità del suo atrio illuminato a giorno, con solo un paio di agenti ad alternarsi a guardia del centralino e Anna e Luca a tenersi impegnati nell'ufficio ispettori: lei leggiucchiava qualcosa seduta ad una delle scrivanie, una lunga ciocca di capelli arrotolata tra le dita; lui ricontrollava una bassa pila di fascicoli destinati all'archiviazione, un mezzo cerchio di bicchierini di caffè ormai vuoti a circondarlo. La bolla di quiete fu rotta dall'acuto quanto monotono suono di una sirena che si zittì poi, proprio lì, davanti al distretto. Sia Anna che Luca alzarono la testa da sopra le rispettive carte e si scambiarono un'occhiata consapevole: sapevano entrambi che una volante che arrivava a sirene spiegate portava qualche grana da sbrigare. L'unica cosa che potevano fare era sperare che non fosse niente di particolarmente grave, magari qualcosa che non li costringesse a chiamare il commissario. Il portone si aprì e si richiuse su sé stesso con uno scatto sordo e, quando Luca si sporse oltre la sua scrivania, inquadrò un paio di colleghi intenti a scortare qualcuno.
«Agenti, abbiamo fermato due ragazzi durante una rissa!» esordì uno dei poliziotti mentre si affacciava in ufficio, un braccio teso oltre la cornice della porta a trattenere uno degli irrequieti ragazzi.
«Va bene...» sospirò Luca alzandosi dalla scrivania e facendo cenno ad Anna di seguirlo. I due colleghi in divisa si erano frapposti tra i due ragazzi che menavano calci alla cieca, per nulla intenzionati a fermare la rissa.
«Allora!? La smettete!?» tuonò Luca uscendo nell'atrio e i due ragazzi si agitarono strattonando goffamente la presa dei poliziotti.
«Cosa hanno combinato?» chiese Anna, ancora per metà nascosta dietro Luca.
«Rissa davanti ad una discoteca, sono ubriachi e non si sono risparmiati!» spiegò un poliziotto spingendo il più basso dei ragazzi davanti a Luca e Anna. Era conciato piuttosto male con il viso ridotto ad una stramba maschera di sangue che colava da ferite irregolari.
«Tagli da vetro...» borbottò Luca scuotendo piano la testa. Non ci voleva molto ad immaginare che a un certo punto della rissa i due se le fossero date di santa ragione usando probabilmente delle bottiglie rotte. Per fortuna la confusione della sbronza aveva reso imprecisi i colpi e i ragazzi non si erano procurati che una serie di graffi più o meno sanguinanti.
«Dai Anna, portiamoli di là!» esclamò Luca, muovendosi verso i ragazzi e afferrandone uno per un braccio. Si era aspettato che lei lo imitasse ma, quando si voltò per rientrare in ufficio, la trovò ferma e pallida a fissare a occhi spalancati i grotteschi ghirigori che il sangue disegnava sul viso dell'altro ragazzo.
Merda! pensò Luca mentre notava che lei impallidiva sempre di più, qualcosa di incomprensibile a inquinarle gli occhi.
«Anna!? Esci un attimo, dai: vai a prendere una boccata d'aria!» le consigliò spostandosi di un paio di passi per intercettare il suo sguardo. Lei ci impiegò qualche secondo ad afferrare quelle parole, poi mise a fuoco il viso di Luca e la paura del sangue tornò ad essere qualcosa di invisibile, una sottile e nebulosa ombra da qualche parte nella sua testa.
«Sto bene!» pigolò cercando di riacquistare la sua consueta espressione da dura ma Luca la bloccò subito, una mano a stringerle gentilmente una spalla.
«Vai a prendere una boccata d'aria, su!» le ripeté, calmo ma deciso, e lei lasciò andare le spalle, sconfitta, e strascicando i piedi si avviò verso l'uscita. E mentre Anna veniva inghiottita dal buio oltre il portone, Luca spinse vagamente infastidito i due rissosi dentro l'ufficio.

*


Le giornate di marzo ormai andavano via via riscaldandosi con il primo sole di primavera ma le notti restavano fredde e scomode. Anna sospirò piano stringendosi nel suo giubbotto di pelle, il bavero alzato a coprire il collo. Luca aveva avuto ragione a mandarla fuori: letteralmente bloccata dalla paura non gli sarebbe stata di nessun aiuto e in più l'aria cruda della notte l'aveva aiutata a riprendersi. Si era schiarita la mente e si era resa conto con umiliante chiarezza della figuraccia fatta. Dubitava che gli altri poliziotti avessero davvero capito cosa l'aveva bloccata ma, di sicuro, Luca aveva capito ogni cosa. Anna si sentì quasi in colpa: quando le era capitato la prima volta aveva assicurato a Luca che ci stava lavorando e in cambio aveva ottenuto che lui mantenesse il segreto. Ma erano passati mesi e il problema non era stato risolto.
«Va meglio?» la domanda sussurrata di Luca la sorprese alle spalle e sfilacciò i suoi pensieri in un groviglio confuso.
«Sì!» sospirò lei contro la pelle del giubbotto mentre lui annuiva rassicurato e le si sedeva accanto sul cofano di una volante. «I due ragazzi?» chiese subito, impedendo così che fosse lui a iniziare un qualunque discorso.
«Oh, tutto a posto: ho lasciato i colleghi a prendere le loro generalità! Hanno alzato un po' troppo il gomito, tutto qui!» li liquidò Luca intanto che si stiracchiava come un enorme gatto e alzava la testa a fissare il cielo. Senza nemmeno sapere perché, Anna lo imitò e si ritrovò a fissare una macchia di blu scurissimo puntellato di stelle opalescenti che si sforzavano di brillare almeno un po' di più delle luci dei lampioni.
«Pensavo che avessi fatto qualche passo avanti sulla questione della paura del sangue!» riprese Luca, lo sguardo ancora puntato al cielo e Anna si chiese se in realtà non lo facesse per evitarle il disagio di sentirsi sotto la lente d'ingrandimento dei suoi occhi.
«Lo pensavo anche io ma evidentemente non è così...»
«Già...» commentò solamente lui, la voce venata di dispiacere.
«Dai, chiedimelo! Chiedimi se questa cazzo di fobia ha a che fare col mio passato!» sbottò Anna, ingiustamente aggressiva, la rabbia che rischiava di tracimare come ogni volta che qualcosa del suo passato riaffiorava in superficie.
«Lascia stare, non serve!» mormorò lui, la testa – ostinatamente – ancora per aria.
«Ah già, giusto! Perché si capisce, no!? Tu capisci sempre tutto!» sputò fuori lei, velenosa in un modo assurdo, offesa come se davvero Luca avesse mai preteso di capire o di sapere, di comprendere o di giudicare.
«Niente di tutto questo! Volevo solo dire che non sei obbligata a dirmi nulla se non vuoi, ed è evidente che tu non vuoi!» chiarì lui, riportando finalmente lo sguardo su di lei.
Anna incassò quell'occhiata con un vago senso di panico, perché era vero che Luca capiva sempre tutto e lei ne era spaventata quasi quanto lo sarebbe stata se l'avesse tartassata di domande. Ma no, lui non chiedeva mai nulla, lui intuiva, lui indovinava – i pensieri, i malesseri, le volontà.
«Scusami, è che non sono abituata al fatto che qualcuno sappia cosa mi è successo!» si difese Anna, il viso che affondava un po' di più tra i capelli e il bavero del giubbotto.
«Capisco che tu non voglia parlarne – davvero! – ma forse è proprio questo il punto! Forse dovresti, forse parlarne con qualcuno ti aiuterebbe ad esorcizzare... il trauma!» tentò Luca, soffocando all'ultimo quella parola – “abusi” – che bruciava come alcol sulle labbra.
«Lo sto facendo, infatti: ne ho parlato con te!» sorrise Anna inclinando la testa a guardarlo attraverso le onde dei suoi capelli.
«Be' sì, io intendevo qualcuno di preparato ma va bene, credo che sia un buon inizio!» concesse lui ridacchiando.
Anna rise a sua volta, divertita dal tono che il ragazzo aveva usato, quel tipico tono imbarazzato che aveva imparato ad associare a lui ogni volta che in qualche modo sfioravano quel discorso. Perché lei andava in crisi, immancabilmente, ma lui si sentiva in difficoltà, altrettanto immancabilmente. Ogni volta. Non era un bell'argomento, un qualcosa di cui si potesse parlare con piacere – e lei che mai ne aveva parlato con nessuno ne era crudelmente consapevole – e quindi il disagio di Luca ci stava, era normale.
In realtà, se Anna avesse potuto – o fosse stata in grado – di leggere oltre quell'apparente disagio avrebbe visto che si trattava di una cosa diversa, molto diversa.
«Davvero, dovresti parlare con uno specialista! Io non credo di essere capace di aiutarti come si deve...» esclamò serio.
Ecco la verità, realizzò Anna: il disagio c'era perché lui riteneva di non essere all'altezza. Ma chi mai era stato all'altezza nella sua vita? Nessuno, nessuno era mai stato così paziente, così disponibile, così importante da meritarsi le sue confidenze. Nessuno prima di Luca. Avrebbe voluto dirglielo, e per un istante le parole le ballarono sulla punta della lingua, ma a cosa sarebbe servito? Osare così tanto per cosa? Lui molto probabilmente avrebbe lasciato il X nel giro di pochi giorni, sarebbe passato alla scientifica e sarebbe sparito dalla sua vita. Non avrebbe rischiato. Chiusa in un ostinato mutismo, si limitò a scuotere la testa negativamente: a Luca la libertà di interpretare il gesto come meglio credeva.
«Non c'è niente di male nel chiedere aiuto, Anna! Ognuno di noi ha i suoi problemi e i suoi fantasmi da combattere, ostacoli che non si possono superare da soli ma insieme sì. Un po' come le stelle: è bello quando se ne vede una, ma è meraviglioso quando se ne vede un cielo intero!» spiegò Luca, una mano ad indicare lo stretto lembo di cielo che li sovrastava. «Qualcosa tipo “l'unione fa la forza”, roba del genere!» ridacchiò poi, quella stessa mano che si tuffava a tormentare i capelli un po' troppo lunghi dietro la nuca. Anna si sorprese a riflettere su quello strano discorso con un sorriso un po' storto sulle labbra: Luca aveva la straordinaria capacità di farle vedere il mondo come fosse qualcosa di buono, quasi che tutti potessero essere come lui.
«Oh, me raccomando: tieniti pe' te il mio discorso sconclusionato di prima, quello sulle stelle e tutto il resto! Se lo sapesse, Mauro me prenderebbe in giro pe' sempre, mi chiederebbe se ho bevuto o che me so' fumato!» rise alla fine Luca, rompendo di nuovo il silenzio mentre assestava una lieve gomitata ad Anna. Un piccolo occhiolino complice e lui scivolò giù dal cofano su cui erano rimasti appollaiati per tutto quel tempo. Il portone stridette un po' mentre si richiudeva dietro Luca, la notte punteggiata di auto lontane come unica compagnia di Anna. Con le mani sprofondate nelle tasche, rialzò gli occhi al cielo. Le stelle erano ancora lì, una sfocata trapunta di puntini bianchi: belle prese una per una, meravigliose tutte insieme. In fondo il discorso di Luca aveva un senso ed era vero che ognuno di loro aveva bisogno degli altri – per affrontare un dolore, per superare un trauma, per condividere una gioia, per provare un affetto. Forse un po' alla volta anche lei avrebbe finito per chiedere aiuto: aveva così tanta voglia di liberarsi delle sue paure! Sì, prima o poi ci sarebbe riuscita. Per ora, aveva cominciato con Luca e le bastava!
Rabbrividendo un po', Anna inspirò a pieni polmoni ed egoisticamente sperò che Luca, alla fine, decidesse di restare al X Tuscolano: aveva bisogno di lui più di quanto tutta sé stessa le avrebbe mai permesso di ammettere.

 

*

Qualche giorno dopo...

La chiesa era inondata dal sole e spiccava imperiosa sullo sfondo, con il lungo tappeto rosso a colorarne il sagrato. Anna immaginò Ugo a consumare di ansioso nervosismo l'attesa di Adele mentre gli invitati arrivavano alla spicciolata. Luca sembrava la stesse aspettando, seduto in bilico su una colonnina spartitraffico, una giacca bianca a illuminarne la figura.
«Ciao!» lo salutò avvicinandosi e intanto cercava di tenere a bada i lunghi – e per l'occasione, liscissimi – capelli.
«Ciao!» le fece eco lui sorridendo.
«Allora, agente Benvenuto! Sei pronto a lasciare tutti per la tua carriera?»
La domanda della ragazza arrivò a bruciapelo, a sottintendere la marea di discorsi già fatti in precedenza sull'argomento.
Luca sarebbe andato o restato? Scientifica o X Tuscolano?
«Anna, la sai una cosa? Io non lo so più!» esclamò lui, la voce che tradiva in realtà una decisione ben chiara. Perché quando lui spalancò le braccia per stringerla a sé, lei fu sicura che sarebbe rimasto. Lì, al X Tuscolano, ad occupare l'armadietto accanto al suo, a paragonarla ad una stella che ha bisogno di aiuto, ad esserle amico. Anna lo intrappolò in uno stretto abbraccio, mentre sorrideva contro il suo collo. Ecco l'altra stella con cui superare i traumi del suo passato. Forse ora poteva ammetterlo quanto tenesse a lui. Almeno a sé stessa.

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Capitolo 4
*** Per andare avanti ***


Titolo: Per andare avanti
Autore: Dani85 [Dani85° sul forum EFP]
Fandom: Distretto di Polizia
Personaggi: Anna Gori, Luca Benvenuto, un po' tutti
Paring: Nessuno
Genere: Generale, Introspettivo
Rating: Verde
Tabella: Blu
Prompt: A scelta - Fiori
Note: Storia scritta per il "The Itten Challenge" indetto da Edelvais Verdefoglia sul Forum di EFP.
Quarta shot e si pone più o meno a metà di Distretto 6, subito dopo la morte del padre di Luca.
Non c'è molto da dire se non che la storia non è venuta per nulla come l'avevo immaginata, ma va bene XD
Il titolo e i versi iniziali di questa shot sono presi da "Polaroid" di Eros Ramazzotti.
A Sara, come sempre ♥♥
Buona lettura a tutti :*

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Questa nostra stagione

Per andare avanti

Per andare avanti

A volte la malinconia
Ci serve per andare avanti
Ci ricorda che siamo importanti
[Polaroid – E. Ramazzotti]


Irene entrò di corsa in ufficio e le suole di gomma strisciarono sul pavimento lasciando due strette scie nere.
«Sono in ritardo, sono in ritardo, sono in ritardo...» cantilenò affannata mentre si sgonfiava senza fiato sulla prima sedia che le era capitata a tiro, la borsa rovesciata senza riguardi sulla scrivania a cui lavorava Anna.
«Mmm, 28 minuti di ritardo: complimenti Irene! È il tuo nuovo record!» ridacchiò Luca dall'altra scrivania, le mani incrociate su un mucchietto di fogli.
«È stata una mattinata devastante, non puoi capire: sono già stanca!» sbuffò gesticolandogli contro, per poi riafferrare la sua borsa. Se la tirò addosso trascinandosi dietro il portapenne, il calendarietto e un'impeccabile colonnina di post-it colorati. Anna sussultò intanto che si lanciava ad arginare il disastro causato dalla collega.
«Ire!» la richiamò, tra il divertito e l'esasperato.
«Ops!» rise lei e tuffò una mano a rovistare nella borsa, sprofondando quasi fino al gomito. Qualche istante dopo ne tirò fuori, vittoriosa, un elastico nero con cui raccolse in fretta e furia i capelli in un corto codino. Scoccò un'occhiata indagatrice prima ai due colleghi e poi alla sua scrivania così da valutare quanti danni aveva già fatto il suo ennesimo ritardo al suo lavoro. Per una volta però sembravano davvero inesistenti visto che, a parte il discreto numero di fogli davanti a Luca, l'ufficio sembrava decisamente tranquillo: nessuna fila di post-it appuntati sul suo computer, nessuna minacciosa pila di fascicoli ad aspettarla, nessun richiamo in vista dunque.
Irene sospirò scivolando un po' di più sulla sedia, intimamente sollevata.
«Oh, sei arrivata finalmente! Un altro po' e venivo a cercarti con una volante!»
Alessandro fece capolino dalla porta, il tono vagamente spazientito.
«Ale! Ciao!» saltò su lei scattando in piedi come una molla.
«Sì, ciao! Roberto vuole che controlliamo una delle attività di Carrano!» la informò, intanto che le indicava l'orologio e il tempo già perso.
«Bene, andiamo!» esclamò aggirandolo sulla porta, l'inquietante tintinnare della sua borsa come sottofondo. Alessandro guardò Luca, perplesso dalla foga della Valli, e lo vide stringersi nella spalle mentre Anna inclinava la testa affinché i capelli nascondessero il sorriso un po' troppo divertito.
«Allora Ale, ti muovi? Siamo in ritardo!» urlò Irene dal portone e Berti boccheggiò in una perfetta imitazione di un pesce. Lei stava rimproverando lui? Per l'attesa di un minuto? Lui che la stava aspettando ormai da mezz'ora?
«Alessa', hai tutta la nostra comprensione!» lo consolò Luca e Anna si affrettò ad annuire con convinzione. Berti scosse la testa rassegnato e si avviò a seguire la collega più casinista che avesse mai avuto.
«Certo che Ire ha una faccia tosta!» scoppiò a ridere Anna e Luca ridacchiò piano tornando alle sue carte. La ragazza lo guardò: non aveva voluto che lo aiutasse a rivedere quei fascicoli e sospettava che lo facesse per tenersi impegnato il più a lungo possibile. Più lavoro e meno penso, era questa la filosofia che Luca aveva adottato in quei giorni con il risultato di passare il tempo chino su qualsiasi tipo di carta che gli passasse per le mani. Anna aveva provato a distrarlo, persino punzecchiandolo sull'esame da ispettore che aveva mandato a monte ma aveva ottenuto poco e niente. Aveva avuto un attimo di cedimento in ospedale, subito a ridosso della morte del padre, ma poi si era rimesso in piedi e si sforzava di far finta che tutto andasse sufficientemente bene. Ovviamente non andava bene nulla, Anna lo sapeva; glielo leggeva addosso il rimpianto per quel rapporto appena recuperato e subito perso, per tutto il tempo sprecato, per quella guerra da cui alla fine non si era salvato nessuno. Né lui, né suo padre. Anna si accigliò mentre picchiettava con una penna sulla scrivania: voleva davvero aiutare Luca ma non sapeva come. Non era brava in quelle cose, lì decisamente l'esperto era lui. Sbuffò rabbuiandosi: quanta strada avrebbe dovuto ancora fare per riuscire ad aiutare qualcuno tanto quanto Luca aveva aiutato lei? Si sentiva un po' inutile, concluse.
«Che hai?» le chiese lui, curioso. Lei prese a ragionare freneticamente cercando di imbastire una risposta ma poi notò lo sguardo aggrottato e interrogativo del ragazzo e si distrasse seguendolo. Fece mezzo giro sulla sedia e assunse la stessa identica espressione. Attraverso le listarelle della persiana si vedeva una donna, una signora forse un po' in là con gli anni ma dalla figura elegante e impettita, che stringeva tra le braccia un gigantesco mazzo di fiori.
La osservarono finché non sparì nell'ufficio denunce, con il lontano e leggerissimo fruscio di qualcosa che si abbatte su un tavolo.

*


Irene e Alessandro erano rientrati al Distretto nel primo pomeriggio con sottobraccio uno scatolone ciascuno che avevano depositato davanti ad Anna e Luca.
«Noi li abbiamo recuperati e voi li spulciate!» aveva sbuffato la Valli prima di svanire, rapida come non mai, dietro a Berti in direzione dell'ufficio di Roberto.
Anna aveva sbarrato gli occhi alla vista della sua scatola, dove le carte e i fascicoli giacevano in un disordinato garbuglio. Si era poi allungata a sbirciare Luca e lo aveva visto tirare fuori un paio di sottili raccoglitori e un mazzetto di buste rettangolari perfettamente ordinate per grandezza. Figurarsi se a lei non capitava la scatola messa insieme da Irene.
Smozzicando borbottii di disappunto si era comunque messa a setacciare le sue carte, alla disperata ricerca di qualcosa che potessero usare contro Carrano.
Due ore di ricerca dopo erano ancora ad un punto morto.
«Qua dentro non c'è assolutamente niente!» sbottò Luca sbattendo malamente le mani sulla scrivania. Un'altra giornata persa! Ed era così frustrante non riuscire a combinare nulla mentre il responsabile della morte di Mauro continuava a girare indisturbato a piede libero.
Sconfortata, Anna scivolò a braccia aperte sulla scrivania, una guancia schiacciata su un fascicolo aperto.
«Ma cos'è? Siamo diventati un fioraio?»
L'esclamazione stupita di Luca risuonò in un tono così buffo che Anna scoppiò istintivamente a ridere, ancora prima che si girasse e vedesse alle sue spalle la stessa signora di quella mattina, con lo stesso gigantesco mazzo di fiori tra le braccia.
«Oh, dove vai? Aspetta!»
Anna rideva ancora quando si lanciò al piccolo trotto dietro a Luca che, a grandi passi, aveva imboccato l'atrio. Si fermarono entrambi dopo pochi metri, in piedi all'entrata dell'ufficio denunce. La misteriosa signora se ne stava seduta a braccia incrociate e con un piede pestava nervosamente a terra; dall'altra parte della scrivania c'era Ingargiola, così schiacciato contro la sedia da essere ad un passo dal ribaltarsi.
Luca e Anna, abbarbicati allo stipite della porta, passarono i dieci minuti più divertenti che ricordassero da giorni. La signora aveva strepitato oltraggiata contro i fiori che aveva portato, la prova del delitto per cui chiedeva giustizia, il segno di un'offesa che andava sanata. Giuseppe era stato uno spettacolo con le sue sopracciglia ininterrottamente aggrottate e la battuta sarcastica smorzata ogni volta da Vittoria, dai suoi pizzicotti sul braccio, dai calcetti che gli rifilava al riparo della scrivania.
Anna la pensava assolutamente come Giuseppe e capiva alla perfezione come faticasse a rimanere serio in quella stramba situazione.
Insomma, la signora voleva denunciare uno spasimante perché le aveva regalato dei fiori e, onestamente, lei una cosa del genere non l'aveva mai vista.
«Ma i fiori, di solito, non fanno piacere?» chiese infatti a Luca, un sussurro solleticante contro l'orecchio del ragazzo, le spalle che si toccavano.
«Eh, di solito sì! Ma la signora qua contesta il significato!» bisbigliò lui di rimando, attento che il loro scambio di battute passasse inosservato.
«Ma perché, quelli che significano?» si incuriosì
Anna, lo sguardo puntato sull'amico. Luca si strinse nelle spalle a mimare un Boh, intanto che se la tirava addosso per un braccio e la allontanava così dalla traiettoria della signora che, a passo di marcia, li aveva superati in uno svolazzo del lungo cappotto.
«Adesso ce lo spiega Giuseppe che significano!» sorrise Luca, l'eco tiepida della sua voce che si infrangeva contro una tempia di Anna.
«Significa ch'a signora è pazza!» esclamò Ingargiola mentre con un dito si picchiettava la testa a dar forza alle sue parole cadenzate di napoletano. I due ragazzi risero e solo allora Anna si accorse di essere appoggiata a Luca, le mani aperte sul suo petto che sussultava piano, al ritmo di quella leggera risatina. Si scostò velocemente e avvertì Luca mollarle le braccia con la presa che sfumava in una mezza carezza.
Ecco, paragonato al modo delicato in cui si il ragazzo si era appena staccato da lei, il suo era risultato decisamente troppo brusco. Alzò gli occhi a guardarlo per cercare di capire come avesse interpretato il gesto ma lui si era già girato verso Ingargiola, il solito sorriso accennato sulle labbra: non sembrava nemmeno aver fatto caso al suo precipitoso distacco. In compenso, chi sembrava averci fatto caso era Vittoria. La Guerra aveva seguito ciascuno istante di quella piccola scena e ora aveva incrociato lo sguardo della collega con un'espressione strana. Anna ne fu leggermente inquietata ma evitò accuratamente di farsi troppe domande su cosa significasse.
In fin dei conti, la malagrazia con cui si era liberata da quella sorta di abbraccio era giustificata per lei: faticava ancora a dare così tanta confidenza ad uomo. Nonostante l'uomo in questione fosse Luca. Tutto qua. E Anna non aveva nessuna intenzione di indagare su quali strane idee si fosse invece fatta Vittoria e sul perché adesso la stesse guardando così dolcemente. Deviò la sua attenzione e tornò a concentrarsi su Luca. Giuseppe gli aveva piazzato in mano un libricino e gli stava spiegando che la signora voleva - anzi, pretendeva! - che loro arrestassero questo suo corteggiatore. La sua colpa? Averle regalato dei fiori con un orrendo significato, un oltraggio, un'offesa. Ingargiola si era profuso in una terrificante imitazione della signora che gli era valso un sonoro scappellotto da Vittoria e Anna aveva scosso la testa e si era avvicinata a Luca, sbirciando da sopra la sua spalla il libricino che stava sfogliando. Si trattava di un manuale al linguaggio dei fiori e Luca era intento a leggere la descrizione delle campanule.
«Cioè, fammi capire, la signora ha denunciato il tipo perché sostiene che con 'sti fiori le ha dato della vanesia?» riassunse lui accennando con la testa al cestino pieno di piccoli mazzetti di campanule blu che campeggiava sulla scrivania. Giuseppe annuì con teatrali cenni del capo mentre Anna inclinava la testa a studiare il cestino e la sua aria stropicciata.
«Quante scemenze!» sentenziò e Luca la spinse gentilmente col gomito.
«Ma dai, sta scritto qua, guarda! Significato della campanula: vanità! C'ha ragione la signora!» ridacchiò allungandole il manuale.
«Ma per favore, Lu'! Sono tutte un mucchio di sciocchezze!» insistette incocciando con una mano contro il libro mentre Giuseppe concordava con lei.
«Come sei cinica!» le borbottò addosso Luca; lei rispose con un'alzata di spalle.
«Secondo me, l'unica cosa che non va in questi fiori è che sono blu. Insomma, io non regalerei mai dei fiori blu... Il blu è un colore così freddo...» disse, pungolando con un dito una piccola campanella dall'aspetto patito.
«Ok, diremo anche questo allo spasimante!» si intromise Vittoria, agguantando Ingargiola per un braccio. «Andiamo a fargli capire che deve cambiare fiori!» aggiunse mentre l'uomo le sbuffava dietro, scocciato.
«E così, il blu non è un colore adatto alle dichiarazioni d'amore eh? Magari meglio un bel rosso, che dici? Mmm mi sai che non sei così cinica come ti sforzi di apparire!»
Luca la stava evidentemente provocando, come faceva spesso quando voleva che lei abbattesse una delle tante, troppe, barriere che si era costruita attorno.
«Ti piacerebbe!» si ritrovò a ribattere, un'inedita inclinazione maliziosa nella voce.
Anna non era abituata a scherzare in quel modo eppure l'ampio sorriso con cui Luca accolse quella battuta era il chiaro segno che con lui poteva permetterselo: non avrebbe frainteso nulla.
«Comunque il blu è un gran bel colore!» chiosò alla fine lui gesticolando col libricino ancora in mano, un dito a tenere il segno tra le pagine. Aveva l'aria di chi ha appena deciso di combinare qualcosa, il sorriso arrivato finalmente ad illuminargli gli occhi. Anna aveva imparato a sospettare di quello sguardo perché aveva capito che Luca lo riservava solo a lei, quasi fosse un guanto di sfida a tutte le sue resistenze.
Per quella volta decise che lo avrebbe lasciato fare senza opporsi, qualunque cosa avesse in mente. Del resto, pensò, ne valeva la pena per quella scintilla di allegria tornata a balenargli negli occhi dopo giorni di dolore.

*


Dannazione, Irene stava avendo una pessima influenza su di lei. Anna poteva contarle sulle dita di una mano le volte in cui era arrivata in ritardo in quel suo primo anno al X e, guarda caso, erano tutte successive all'arrivo di Irene: la stava contagiando!
Rallentando il passo, aveva varcato il portone del distretto e si era quasi scontrata con Alessandro e Luca.
«Un controllo!» le aveva sillabato Luca a bassa voce, una carezza di sfuggita su una spalla, e poi era uscito con Ale che se ne stava letteralmente incollato al cellulare.
Anna li osservò andare via per poi fiondarsi in ufficio. Come volevasi dimostrare, Irene non c'era: era in ritardo anche quella mattina.
Nel vuoto della stanza la macchia di colore sulla sua scrivania spiccava intensa e sfacciata. A bocca aperta, Anna raccolse un delicato mazzettino di fiori blu tenuti insieme da un nastrino della loro stessa identica tonalità. Sotto di essi c'era un foglietto a righe piegato in due.

Iris: trasmette assoluta fiducia, affetto, amicizia; è promessa di speranza; incoraggia nell'affrontare la vita e le difficoltà.
È il fiore perfetto per te, per noi. Ti rappresenta, ci rappresenta!
Luca

Anna lasciò che ognuna di quelle parole le scivolasse addosso, rivelandole il loro vero significato. Luca l'aveva ringraziata, per qualcosa che lei nemmeno riteneva di aver fatto. E invece, in qualche strano modo, era riuscito ad aiutarlo davvero.
Anna guardò di nuovo gli iris. Rise. Luca era riuscito a dimostrarle che il blu non era affatto un colore freddo, aveva vinto anche quella sfida e lei era contenta di aver perso. Sì, le piacevano i fiori, credeva nel loro significato e non era cinica come appariva.
In fondo, non era un gran problema ammetterlo realizzò Anna mentre accarezzava piano i piccoli petali degli iris.
«Fiducia, affetto, amicizia... incoraggia nell'affrontare la vita...» mormorò sorridendo e scoprì che le piaceva essere importante per Luca; intensa come sentiva diventare la loro amicizia, delicata come quell'iris, stoica come un fiore nato tra le rocce.

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Capitolo 5
*** Voglia di tenerezza ***


Titolo: Voglia di tenerezza
Autore: Dani85 [Dani85° sul forum EFP]
Fandom: Distretto di Polizia
Personaggi: Anna Gori, Luca Benvenuto
Paring: Nessuno
Genere: Fluff, Generale, Introspettivo
Rating: Verde
Tabella: Blu
Prompt: Mirtillo
Note: Storia scritta per il "The Itten Challenge" indetto da Edelvais Verdefoglia sul Forum di EFP.
Quinta shot che si pone più o meno dopo la metà di Distretto 6, nella puntata della perquisizione a casa Carrano.
Chiedo scusa per l'enorme ritardo con cui posto ma questa shot non voleva proprio farsi scrivere e, infatti, non ne sono particolarmente soddisfatta.
Il titolo e i versi iniziali di questa shot sono presi da "Sotto lo stesso cielo" di Eros Ramazzotti.
A Sara, come sempre ♥♥
Buona lettura a tutti :*

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Questa nostra stagione

Voglia di tenerezza

Voglia di tenerezza

la vera svolta forse sarebbe iniziare
a non vergognarsi di avere
voglia di tenerezza
[Sotto lo stesso cielo – E. Ramazzotti]


La vetrina della pasticceria era allegra e chiassosa: enormi boulle di vetro occupavano l'intero ripiano centrale della scaffalatura e risaltavano con le loro caramelle coloratissime. Perfette rotelle di liquirizia, rotondi confetti dai gusti più disparati, vivaci orsetti gommosi e morbide gelatine incrostate di zucchero facevano bella mostra di sé, in un sorta di gara a chi attirava più attenzioni. Luca lasciò scorrere lo sguardo da quel variopinto assortimento alle eleganti scatole di cioccolatini che occupavano il resto dei ripiani e sospirò, vagamente sconsolato. Era già stato in quattro pasticcerie e non aveva concluso niente e cominciava a convincersi che la sua fosse stata una pessima idea. Una pessima, pessima idea. L'insegna appesa al muro tremolò accendendosi e sembrò ammiccargli nel riverbero bianco del neon, quasi lo stesse invitando ad entrare.
Luca scosse la testa dandosi mentalmente dello stupido: era davvero messo male se si metteva ad attribuire strani segnali agli oggetti inanimati. La stanchezza e la frustrazione per i giri a vuoto gli parevano comunque una buona giustificazione a quel comportamento mentre spingeva la porta ed entrava nella pasticceria. Il trillo acuto di una campanella accompagnò la porta e richiamò dal retro una ragazza, i lunghi capelli infagottati in una cuffietta bianca e un altrettanto candido grembiule a vestirla.
«Buongiorno, posso aiutarla?» esordì e con un misurato cenno della mano indicò il bancone davanti a lei.
Luca ispirò a fondo il deciso odore di dolci, quello quasi polveroso dello zucchero a velo che sembrava avviluppare qualunque cosa e quello esotico ed aromatico della vaniglia. Il bancone era uno stupefacente assortimento di pasticcini e di torte, irriverenti nelle loro glasse lucide e golose di creme e panna. Il paradiso dei golosi, pensò Luca, esattamente come le altre quattro pasticcerie in cui era già stato. Luoghi fantastici in cui si poteva trovare tutto, fino a finire nauseati dai troppi dolci. Tutto tranne una banale, insulsa e anonima torta ai mirtilli. Che cavolo c'era di così difficile in una torta del genere? Gli sarebbe andata bene qualunque cosa, anche una semplicissima crostata, purché ci fossero quegli stramaledetti mirtilli.
«Vorrei una torta ai mirtilli» azzardò Luca, «anzi, una qualunque cosa ai mirtilli!» precisò con tono implorante e la ragazza ridacchiò d'istinto.
«Certo, vado a vedere di là che torte abbiamo!»
La giovane scomparve in quello che doveva essere il laboratorio, intanto che Luca si appoggiava a braccia incrociate sul bancone ad aspettare. Lo spazio di un respiro dopo, la ragazza era già di ritorno, entrambe le mani occupate.
«Oddio, ce l'avete davvero!» esclamò Luca, lo stupore chiaramente percepibile nella sua voce.
«Be', sì...»
«Fantastico! Da altre parti sembrava stessi chiedendo chissà che!» rise mentre si faceva piccolo piccolo stringendosi nelle spalle.
«Oh, capisco!» rise lei di rimando e fece scivolare i vassoi sul bancone di vetro. «Be', qui ha l'imbarazzo della scelta! Allora, quale vuole?» gli chiese allegra, lo sguardo che passava critico da una crostata alla marmellata ad una torta più elaborata.
«È per un compleanno: penso che sia più adatta questa!» fece Luca, la testa inclinata a studiare la torta.
«Ottima scelta!» gli diede ragione la ragazza e spinse un po' di più verso di lui la torta che aveva scelto e, mentre cercava l'occorrente per confezionargliela, prese a descrivergliela parlandogli di pan di spagna, crema pasticcera e mirtilli. Luca la lasciò parlare senza interromperla, decisamente più sollevato di quando, dieci minuti prima, era entrato in quel posto. La sua idea tornava ad essere valida, dolce, azzeccata. Sorrise rincuorato.

*


La macchina era scivolata lenta tra le ombre della notte, scesa già da un pezzo su una Roma che adesso brillava di luci. Luca aveva guidato piano, quasi a guadagnare tempo, come se improvvisamente non fosse stato proprio così sicuro di quello che stava per fare.
I dubbi si erano moltiplicati irritanti durante le due rampe di scale che lo separavano dall'appartamento di Anna. L'esperienza gli suggeriva che era un po' ipocrita farsi prendere dai dubbi quando ormai aveva preso l'abitudine a metterla davanti al fatto compiuto, ad imporle scelte, atteggiamenti, decisioni. E ad essere onesti, Luca non si era mai particolarmente pentito per questo, convinto come era che fosse l'unico modo per smuovere Anna. Mentre svoltava sull'ultimo pianerottolo però, dovette ammettere che quell'indecisione in cui incespicava non aveva niente a che fare con gli scrupoli del buttarla in pasto ai leoni delle sue paure. Era qualcosa di più sottile, un'agitazione del cuore che gli saliva in gola come un affanno senza risposta.
Gli ultimi due scalini sparirono in un unico lungo passo mentre dubbi molto più concreti si formavano come paranoie impazzite nella sua mente. E se Anna non fosse stata sola? E se sua madre dal distretto l'avesse seguita a casa? E se a vederlo lì si fosse fatta chissà quali strane idee?
Luca fu ferocemente tentato di prendere a testate il muro e punirsi così, violentemente come meritava, per quella incredibile girandola di domande ed ipotesi. Suonò distrattamente alla porta, che si aprì con un lieve scatto della serratura, e Anna fece capolino con un sorriso sorpreso. Veloci come lo avevano assalito nel brevissimo tratto dalla macchina alla casa, i dubbi si dissolsero in una nuvoletta grigia e polverosa, come se solo quel sorriso avesse ridato tutto un senso a quella improvvisata.
«Luca!» lo salutò lei, la voce colorata di vago stupore.
«Ciao! Per te!» esclamò lui alzando la scatola che aveva in mano e dandole un paio di scrollatine.
Anna la studiò per un breve istante, poi la afferrò a piene mani e fece un passo indietro perché Luca potesse entrare in casa.
«Che cos'è?» chiese curiosa mentre con una spalla accompagnava la porta a chiudersi.
«Be', aprilo e lo saprai!» rispose lui con sguardo divertito.
Che poi, era abbastanza evidente cosa potesse contenere una scatola come quella, eppure quella pantomima di frasi di circostanza sembrava essere indispensabile. Serviva a mettersi a proprio agio, accresceva l'aspettativa e preparava ad una sorpresa che sarebbe stata genuina e sincera.
Anna prese a mordicchiarsi l'interno di una guancia, come faceva sempre – inconsapevolmente – quando qualcosa catturava tutta la sua attenzione. La scatola era chiusa dal semplice incrocio dei lembi che la formavano e aprirla non sarebbe stato che questione di un secondo, ma lei dovette lo stesso resistere alla tentazione di disfarla facendola in mille pezzi: per fare prima, per godersi di più il regalo.
Faceva sempre così quando era piccola – molto piccola – e la cosa più bella dei regali era l'attesa consumata a strappare la carta. Perché poi il regalo avrebbe potuto deludere e quell'istante di palpitante curiosità sarebbe potuto restare l'unica cosa buona, il momento migliore di tutta la faccenda: tanto valeva goderselo! Anna lo sapeva questo, anche se ad un certo punto aveva smesso di godersi i regali, le carte strappate, le innocue bugie di un Mi piace! davanti al più brutto dei giocattoli che avesse mai ricevuto. Ad un certo punto aveva semplicemente smesso di essere felice e non c'erano più stati regali da scartare con ansiosa gioia, tutto si era perso quando il mostro era uscito dalle favole ed era diventato realtà. Per lei e solo per lei.
E silenziosi come erano spariti, i regali di cui esser felici erano tornati. Delicati come la sciarpa a fiori di sua madre, inaspettati e divertenti come la torta di Luca.
La scatola occupava ormai buona parte del tavolo, aperta come la corolla sbocciata di un grande fiore, e la nuvola di panna e mirtilli si mostrava in tutta la sua golosa tentazione.
«Oddio Lu', una torta ai...»
«...ai mirtilli, sì!» completò lui per lei, «Ti ascolto quando parli, sai!?»
Anna spalancò gli occhi, le mani ferme sulle ali di carta della scatola.
«Me ne sono accorta!» ammise lentamente, lo sguardo sorridente a seguire la mano con cui Luca si stava tormentato i capelli sulla nuca, mentre guardava qualsiasi cosa nella cucina meno che lei.
«Sei il primo che si ricorda le mie preferenze in fatto di dolci!» ridacchiò voltandosi a trafficare in un cassetto. Afferrò due forchette che tintinnarono metallicamente tra loro e in un lampo si ritrovò a realizzare che forse Luca era l'unico a cui avesse mai rivelato quale era il suo dolce preferito. E questo, era innegabile, aveva un significato ancora più grande del fatto che lui se ne fosse ricordato.
Il cassetto si richiuse un po' troppo bruscamente, scivolando sulle sue guide di metallo e Anna sussultò appena. Era estraniante rendersi conto di quante piccole ma enormi cose fossero cambiate nel breve spazio di tempo da cui era al Xˆ . Fino ad un anno prima non le sarebbe passato neanche per la testa di parlare di sé con qualcuno – chiunque esso fosse –, e invece ora quel qualcuno – Luca – conosceva la sua torta preferita, le sue opinioni sui fiori, la musica che ascoltava e poteva addirittura permettersi di presentarsi all'improvviso a casa sua, chiedendole – imponendole – di festeggiare il suo compleanno con lui.
Un altro mondo, in pratica.
Ed Anna ne era felice.
Tutto un altro mondo, in pratica.
«Dai, siediti!» gli sorrise girandosi, le forchette agitate in aria.
Luca spostò il peso da un piede all'altro, esitando per un momento. Poi girò una sedia e vi ci si sedette al contrario, le braccia incrociate sulla spalliera.
Anna scivolò sulla sedia al suo fianco, i gomiti puntati sul bordo del tavolo, e affondò la forchetta nella torta portandone alla bocca un pezzo completamente pieno di panna. Sembrava una bambina – davvero! – con quello sguardo che sapeva di infanzia perduta e il sorriso che si allargava mentre la forchetta affondava di nuovo nel dolce.
«È buonissima! Grazie!» esclamò all'improvviso, allungandosi ad abbracciare Luca, le braccia strette attorno al suo collo e una guancia premuta contro la sua. Si staccò quasi subito, rapida come una folata di vento, con il sorriso di Luca che si allargava da un orecchio all'altro.
«Be', buon compleanno!» mormorò lui scoccandole un'occhiatina complice e affondò a sua volta la forchetta nella torta. E Anna ridacchiò, una lunga ciocca di capelli ricacciata sgraziatamente indietro.
La cucina piombò in un piacevole silenzio, confortevole e rassicurante. Non avevano bisogno di riempirlo di parole o di gesti o di qualunque altra cosa che giustificasse il loro essere lì insieme. Bastava starsene lì, con le forchette che consumavano pigramente la torta e le gambe che si sfioravano leggere sotto il tavolo.
Poi Luca inclinò la testa, prima da una parte e poi dall'altra, e con un cenno della testa indicò il quadro che occupava due terzi della parete di fronte a loro.
«Bello!» commentò, «Cosa dovrebbe rappresentare?»
Anna alternò lo sguardo dal quadro al ragazzo, e poi ancora dal ragazzo al quadro. E scoppiò a ridere.
«È della padrona di casa e ha una storia interessantissima!» fece lei, seria seria, mentre lui scivolava comodo sulla sedia.
«Sentiamo!»
E il silenzio si riempì di chiacchiere, di risate, di pizzicotti leggeri su una mano, di pacche divertite su una spalla, di abbracci quando si salutarono e di sorrisi così grandi e veri che popolarono tutto il sonno di quella notte.

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Capitolo 6
*** Noi adesso ***


Titolo: Noi adesso
Autore: Dani85 [Dani85° sul forum EFP]
Fandom: Distretto di Polizia
Personaggi: Anna Gori, Luca Benvenuto
Paring: Nessuno
Genere: Commedia, Generale, Introspettivo
Rating: Verde
Tabella: Blu
Prompt: Onde del mare
Note: Storia scritta per il "The Itten Challenge" indetto da Edelvais Verdefoglia sul Forum di EFP.
Sesta shot che si pone più o meno dopo la fine di Distretto 6; mia personale interpretazione di come Luca e Anna siano arrivati a prendere casa insieme..
Il titolo e i versi iniziali di questa shot sono presi da "Noi" di Eros Ramazzotti.
A Sara, come sempre ♥♥
Buona lettura a tutti :*

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Questa nostra stagione

Noi adesso

Noi adesso

Noi adesso,
due emozioni che si danno pace
e il permesso di conoscersi profondamente
[Noi – Eros Ramazzotti]


Il sole del tardo pomeriggio picchiava di sbieco la lingua di spiaggia libera che sbocciava a fatica tra due stabilimenti balneari ancora chiusi; poche decine di metri di sabbia si abbandonavano all'andirivieni del mare, costante ed ipnotico come l'oscillazione di un pendolo. Una stretta passeggiata mal lastricata degradava dalla strada alla spiaggia in una curiosa curva ad esse e Anna la percorse seguendo con le dita il corrimano scrostato, la pittura verde bottiglia mangiata dalla salsedine e dall'incuria, fino a quando non sentì i piedi affondare finalmente nella sabbia. Al suo fianco, Luca si era già tolto le scarpe e a piedi nudi aveva preso a camminare all'indietro, gli occhi fissi su di lei e un sorriso appena un po' stanco sulle labbra.
«Dai!» la invitò, puntando un dito contro le sue scarpe, mentre il vento gli scompigliava i capelli e gli appiccicava il giubbotto addosso frustandogli le spalle e la schiena. C'era un qualcosa di familiare nella figura di Luca che si stagliava contro la spiaggia e il mare e il sole che ne disegnava l'ombra allungata, ma era qualcosa di inafferrabile.
«Allora? Ti muovi?» la richiamò di nuovo lui, guardandola stavolta da sopra una spalla e ad Anna tornarono in mente un uomo dalla voce dolce e una bambina che si incantava a guardare il mare. Immagini di una vita fa.
Anna scosse piano la testa, confondendo il gesto nell'intenzione di mandare indietro i capelli e legarli, la sé bambina dissolta in uno sbuffo di nebbia.
Luca aveva già raggiunto la battigia dove Alessandro e Irene parlavano fitto fitto, le teste che praticamente si toccavano. Due giri di elastico attorno ai lunghi capelli dopo, Anna si mosse a imitare l'amico, i piedi finalmente scalzi che affondavano nella sabbia tiepida.
«Ciao!» esordì avvicinandosi al gruppetto.
«Ohi Anna, ciao!» le fece eco Irene, mentre Alessandro si faceva cadere all'indietro sul telo colorato, gli occhiali da sole pigiati sul naso e un paio di bermuda assurdamente arancioni.
«Finalmente siete arrivati!» li stuzzicò, le braccia incrociate a mo' di cuscino sotto la testa.
«Scusa tanto se noi abbiamo dovuto lavorare, eh!» lo rimbeccò a tono Luca, uno sguardo in tralice a fissarlo controluce.
«Dettagli!» lo liquidò Berti con un pigro cenno della mano.
«Mica tanto!» ridacchiò Stefano, la chitarra sotto braccio e un sorriso impertinente.
«Ma dov'eri tu che nemmeno ti avevamo visto?»
La domanda di Anna suonò buffamente stupita e il ragazzino si strinse nelle spalle. «Cercavo un angolo con una buona acustica!» rispose, ignorando Ale che si era tirato su puntellandosi sui gomiti.
«No scusa Ste', che volevi di' con quel “mica tanto”, prima?» gli chiese abbassando gli occhiali quanto bastava per scoccargli un'occhiataccia da sotto in su.
«Nulla! Solo che loro hanno lavorato oggi mentre tu non hai fatto niente... non è un dettaglio!» ragionò serafico affondando a gambe incrociate sulla sabbia.
«Era il mio giorno libero, oggi!» si difese lui, sospettoso.
«Questo sì che è un dettaglio!» fece Stefano, gli occhi brillanti di infantile impertinenza.
«Ma che insolente...» borbottò Alessandro e, un attimo dopo, lo stava già inseguendo lungo la battigia, le onde che si infrangevano ritmicamente contro i loro piedi.
«Non so chi sia il vero bambino tra i due...» sospirò Irene, corte ciocche rosso scuro che le danzavano attorno al viso come fantasmi di fiamme.
«Eh, è una bella lotta!» rise Luca, sedendosi sul telo che era stato dell'amico.
«Dite che dovrei intervenire?» fece Irene, le braccia incrociate sulle ginocchia piegate, un po' a loro un po' a se stessa. Luca si schermò gli occhi con una mano per poter guardare Alessandro e Stefano che si rincorrevano in circolo, mulinelli di sabbia e acqua attorno alle caviglie e la chitarra del ragazzino come improvvisato sparring partner.
«Se vai a dare una mano a Stefano per buttare Ale in mare, accomodati pure!» rispose Luca una mano tesa che era un invito e il sorriso un po' diabolico di un bambino dispettoso.
«Ma che cattivo che sei!» si ribellò lei mentre lo spintonava, una pioggia di manate e piccoli pugni contro una spalla che fu punizione improvvisata, divertente e divertita. Luca la accolse ridendo mentre si lasciava cadere interamente disteso, i piedi che sporgevano oltre il bordo del telo.
«Direi che Stefano ha davvero bisogno di un aiutino!» si intromise Anna, attirando immediatamente l'attenzione di Irene.
Qualche metro lontano da loro, Stefano e Alessandro si erano spinti una manciata di passi dentro l'acqua. La chitarra del ragazzo giaceva sulla sabbia, miracolosamente al riparo dalle onde, mentre loro due schiamazzavano in un'imitazione di lotta, con Stefano che sgusciava sempre con un'anguilla dalla presa di Alessandro. Poi l'uomo era scivolato – o forse aveva inciampato, o semplicemente si era pestato i piedi da solo – ed era caracollato a terra, l'acqua che lo bagnava tutto e il ragazzino che gli sfuggiva, libero per tutto tranne che per quella caviglia afferrata al volo.
«Berti, molla mio nipote!» urlò Irene, il tono leggero che si mischiava allo sciabordio del mare.
«Mai!» gridò in risposta Alessandro mentre, ancora spanciato nell'acqua, scuoteva il ragazzino per il piede cercarne di minarne l'equilibrio. Ma quello, stoico, resisteva in piedi su un'unica gamba in una sorta di stranissimo balletto fatto di saltelli e manate all'aria. E rideva. Stefano rideva di gusto, sguaiato e rumoroso, controcanto dissonante al placido rollio delle onde.
«Ok, quell'uomo ha bisogno di una lezione!» decretò Irene quando Alessandro riuscì ad afferrare anche l'altro piede del nipote e a trascinarlo a mollo con lui, batuffoli di spuma bianca a infrangerglisi addosso.
«E io che avevo detto?» le urlò dietro Luca, la testa appena sollevata dalle braccia incrociate a mo' di cuscino.
«Tanto lo sai che non ti darà mai ragione!» lo prese in giro Anna, mentre rimpiazzava l'amica e gli si sedeva accanto, la grande borsa di tela tra le gambe. Luca la osservò, lo sguardo filtrato da un paio di occhiali da sole, trafficare dentro la borsa: le mani che spostavano cose, aprivano cerniere, ispezionavano tasche nascoste che, lui, nemmeno immaginava potessero avere lo spazio lo spazio materiale per esistere in quel dedalo di scompartimenti che era la borsa di Anna. Che era qualunque borsa di Anna. O che era qualunque borsa di qualunque donna. Poco più in là, poteva notare la borsa di Irene e, onestamente, ne era vagamente inquietato: non aveva l'aria ordinata di quella di Anna e si annunciava con un costante sferragliamento di sottofondo che non ispirava per niente la benché minima voglia di guardarci dentro.
Le personali considerazioni di Luca sulle borse delle donne si interruppero quando il ragazzo notò, con la coda dell'occhio, il pesante libro che Anna aveva appena tirato fuori. Lo teneva in mano, saldamente afferrato dalla costa, mentre le pagine si aprivano in un frusciante ventaglio e intanto – lei, la gonfia coda di capelli svolazzanti intorno alla testa – cercava qualcos'altro, finito chissà dove, perduto in chissà quale piega della borsa.
Adesso tira fuori carta e penna e sono finito! pensò Luca, il miraggio di un tranquillo tardo pomeriggio al mare che sfioriva in un ammasso di codici, norme e commi da imparare.
«Ti prego, non anche oggi!» implorò scattando a sedere e rubando il libro dalle mani di Anna.
Lei si girò a guardarlo sorpresa, i capelli che frustavano l'aria.
«No, ma che hai capito? Non ho mica intenzione di studiare!» si difese con ardore – e intanto si era riappropriata con la forza del volume e se lo stringeva al petto, una luce un po' folle negli occhi scuri e profondi.
Luca si fece scivolare gli occhiali più in basso sul naso, così che lei potesse vedere lo sguardo dubbioso che aveva messo su, il sopracciglio inarcato e un mezzo sorriso sarcastico.
«Davvero! Non ho nessuna intenzione di metterci a studiare adesso!» insistette lei.
Da qualche parte intorno a loro, Alessandro fu spinto di nuovo a viva forza dentro l'acqua. Luca nemmeno si girò a cercarlo, troppo preso a pensare che aveva i suoi motivi – dei buoni e validi motivi – per non credere ad Anna: da quando era iniziata quella storia dello studiare insieme per il suo esame da ispettore – ed era iniziata da pochissimo, eppure sembrava un tempo enorme, intenso come se fosse fatto di mesi interi e non solo di una manciata di giorni consumati tra libri, note e postille –, non era mai capitato che lei prendesse in mano un libro senza pretendere che lui lo imparasse a memoria.
«Sto dicendo la verità!» si imbronciò Anna, un'espressione che voleva essere oltraggiata ma che risultò solamente buffa, gli occhi spalancati a più non posso.
«Ok, ti credo!» le concesse infine lui dando un colpetto agli occhiali che tornarono al loro posto, lo sguardo di nuovo completamente nascosto.
«Certo che devi credermi!» protestò, «Cercavo questo, non il libro!»
Un giornale malamente arrotolato spuntò dalla borsa ed Anna lo usò per assestare un paio di colpi a Luca, su una spalla prima e su un ginocchio dopo.
Lui rise mentre si dibatteva – un po' come Stefano prima: bello, felice, sereno come il cielo di quel giorno.
L'arma improvvisata si srotolò in un mucchietto di carta stropicciata, un paio di cerchietti rossi che risaltavano come boe in mare aperto.
«Trovato niente?» chiese Luca, l'eco della risata che scivolava sul fondo delle parole.
Anna scosse la testa e sbuffò, un'occhiata malevola al povero giornale martoriato, come se lui fosse il responsabile di tutte le sue disgrazie.
«In realtà, un paio di case che potrebbero andare bene le ho trovate!» spiegò, un dito che ripassava velocemente il perimetro dei due cerchietti colorati.
«Ma?» si incuriosì lui, un tono di sotterraneo divertimento nella voce. D'altronde anche quella era una scena che si era ripetuta spesso in quegli ultimi giorni, frequente quasi quanto le continue sessioni di studio in cui si ritrovava coinvolto; una sera sì e l'altra pure.
Succedeva più o meno così: a casa di lei – ma più spesso a casa di lui – seduti al tavolo della cucina o buttati a peso morto sul divano, studiavano per quel benedetto esame da ispettore e poi, con una media di ogni cinque pagine circa, lei – Anna – depennava una casa dalle possibile scelte. Ed era divertente vedere quel giornale riempirsi di righe e scarabocchi – come l'opera incompresa di un moderno astrattista – mentre lei motivava la bocciatura, a volte con mirabile sfoggio di fantasia.
«Eh, ma... una è troppa lontana dal X,» stava dicendo ora e il motivo sembrava valido, «e una è troppo troppo – troppo – grande per me da sola!»
«E che problema c'è? Prendiamola insieme!» esclamò Luca, le parole che erano scappate da sole dalla punta della lingua, che non erano passate al vaglio della ragione, che erano state puro istinto. Anna si era bloccata di colpo, ancora con le mani a mezz'aria nel suo gesticolare, sorpresa.
«Davvero?» pigolò incredula, mentre si mordicchiava nervosamente un labbro.
«Certo, perché no? In fondo, non sarebbe molto diverso da adesso: siamo praticamente sempre insieme!» osservò lui stringendosi nelle spalle. E lei sentì il cuore sfarfallarle in petto elettrizzata. Prendere una casa nuova – la seconda da quando era tornata a Roma – avrebbe sancito il suo nuovo inizio e farlo con Luca avrebbe aggiunto significato a significato; perché era stato lui a tenderle la mano che l'aveva tirata fuori dalle guerre di una vita intera – da un'infanzia consumata da mostri e fantasmi – e perché vivere insieme sembrava la conseguenza naturale, l'ovvio sviluppo di un'amicizia che si stava rafforzando come in preda ad un'incontrollabile accelerazione.
«Però, non so, magari non è proprio una buona idea...» borbottò Luca, allarmato dal silenzio della ragazza, con la testa piena – tutto ad un tratto – di mille dubbi, incertezze e timori. Forse non avrebbe dovuto permettersi, forse aveva osato troppo, forse avrebbe solo dovuto pensare prima di parlare.
«No no, cioè è una grande idea! Sarebbe bellissimo vivere insieme!» confessò lei, felice, occhi scintillanti come il mare sotto il sole.
«Bene! Allora, la dobbiamo andare a vedere 'sta casa!» chiosò Luca, mentre le sottraeva il giornale dalle mani e si ributtava steso sul telo, a leggere quell'annuncio cerchiato di rosso.
Intorno a loro, la presenza degli amici era diventata un vociare piacevole e soffuso: Stefano nuotava nell'acqua bassa, sotto lo sguardo di Alessandro e Irene che si spintonavano e si prendevano in giro ridendo e chiacchierando, ombre nere e lunghissime che divoravano strisce di sabbia. Sullo sfondo, il mare era una tavola di cobalto che Anna osservava incantata; accanto a lei, Luca leggeva ad alta voce l'annuncio immobiliare. E lei non avrebbe saputo dire quando aveva smesso di essere incantata dal mare e quando aveva iniziato ad esserlo da lui. Perché era come il mare, Luca; un fondale misterioso da scoprire, l'acqua che allagava la spiaggia con pazienza, la mareggiata che travolgeva con impeto, l'onda che cullava con dolcezza. E lei, lei sorrise di se stessa, barchetta sopravvissuta alla tempesta, approdata finalmente ad acque più calme.
Ed eccola lì, la Anna bambina, tornata dalle memorie di una vita fa, che giocava a paragonare tutto e tutti al mare. Divertita da un giochino sciocco, il vento sulla pelle e il sale nell'aria, Anna era felice. Le cose andavano finalmente bene.
«Be', già che ci siamo, mi chiedevo... e se ripassassimo un paio di quelle norme?» chiese riprendendo il libro tra le mani. Luca abbassò un po' – solo un po' – il giornale, poi la afferrò per un braccio e se la tirò addosso.
Sorprendente come un'onda improvvisa.
«Non se ne parla proprio!» rise.
Argentino come il fragore di un'onda che si infrange.
Perché era come il mare, Luca.

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Capitolo 7
*** Chiamalo destino ***


Titolo: Chiamalo destino
Autore: Dani85 [Dani85° sul forum EFP]
Fandom: Distretto di Polizia
Personaggi: Anna Gori, Luca Benvenuto, un po' tutti
Paring: Nessuno
Genere: Fluff, Generale, Introspettivo
Rating: Verde
Tabella: Rossa
Prompt: Primo bacio
Note: Storia scritta per il "The Itten Challenge" indetto da Edelvais Verdefoglia sul Forum di EFP.
Prima shot della seconda tabella della Challenge: si pone più o meno a cavallo tra la fine di Distretto 6 e l'inizio di Distretto 7. Momento, quindi, temporalmente a random XD
Dunque, nessuna indicazione particolare: siamo già nella casa che Luca e Anna condividono, alle prese con uno spaccato di vita insieme agli amici. Le insinuazioni sul loro rapporto sono state ammesse dalla stessa Anna durante il secondo episodio di DdP7 ("Il branco", Anna e Luca sono in macchina) e quindi sono canon u.u L'episodio citato nell'ultima parte della shot fa invece riferimento al bacio in archivio che i due si sono scambiati sul finire di DdP6.
Il titolo e i versi iniziali di questa shot sono presi da "Noi" di Eros Ramazzotti.
A Sara, come sempre ♥♥
Buona lettura a tutti :*

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Questa nostra stagione

Chiamalo destino

Chiamalo destino

I sogni se ci credi,
non sono che realtà in anticipo
[Noi – Eros Ramazzotti]

Al di là della porta chiusa della propria stanza, Anna poteva sentire la casa prendere vita. Il vociare dei suoi amici le arrivava ovattato e confuso – come il mormorio di una preghiera in chiesa, come la ressa di un popolo in piazza – e la musica le vibrava sotto i piedi nudi, come la scossa di un solletico. La stanza era ingombra di cose, con il letto che era praticamente sparito sotto una montagna di vestiti e un mucchio di scarpe disseminate sul pavimento manco fossero le briciole di Pollicino, eppure Anna vi si muoveva con leggerezza, perfettamente a suo agio in quel caos scombinato. Lo specchio lungo e stretto appoggiato contro una parete le restituì l'immagine di una ragazza in intimo e coi capelli sciolti, l'immagine di una ragazza in ritardo.
In mostruoso ritardo! si corresse mentalmente lei e maledì Luca per tutto il tempo che lui – lui – aveva impiegato per fare quella stramaledettissima doccia. Cioè, tra tutti i difetti possibili, Luca doveva avre proprio quello di impiegarci secoli a prepararsi?
Anna sbuffò mentre raccoglieva i capelli in una coda e li annodava in un improvvisato chignon, una decina di piccole forcine a fermarlo; un attimo dopo era già scivolata in un vestitino a palloncino azzurro cipria e in un paio di ballerine dello stesso colore. Si lanciò un ultimo sguardo attraverso lo specchio, breve quanto bastava per non pentirsi di quel vestito scelto al posto dei jeans, e poi uscì dalla camera. Restò qualche momento appoggiata con le spalle contro la porta chiusa, mentre i rumori della festa risalivano verso di lei fluttuando per il corridoio, poi prese un respiro profondo e si mosse. Non la faceva impazzire per niente l'idea di fare un ingresso in scena plateale: attirare l'attenzione era l'ultima cosa di cui aveva voglia ed entrò in sala in punta di piedi. Luca le dava le spalle e, in piedi accanto allo stereo e con una birra in mano, stava assistendo con Antonio a quella che aveva tutta l'aria di essere un'accesa discussione musicale tra Ugo e Ingargiola che si palleggiavano animati i loro cd tra le mani. Anna sorrise scuotendo la testa e intanto buttò un'occhiata d'insieme al resto degli ospiti. Alessandro se ne stava steso di sbieco su uno dei divani, occupandolo quasi per intero, batteva un piede a terra a ritmo della musica e sgranocchiava noccioline; Vittoria e Irene sedevano sull'altro divano, invece, intente a scambiarsi confidenze; infine, Stefano osservava l'angolo della robusta libreria in legno in cui Luca aveva appoggiato la sua risicata collezione di fumetti.
«Anna!» la chiamò Luca mentre allungava un braccio verso di lei affinché ne afferrasse la mano. «Ecco la padrona di casa!» ridacchiò e lei gli schiaffeggiò piano la mano testa che aveva appena sfiorato.
«Ti sei fatta attendere, eh?» la provocò Alessandro, buttando in bocca l'ennesima manciata di noccioline.
«Non è colpa mia! È che questo qui,» sbuffò spingendo Luca «è stato tre ore in bagno e mi ha fatto fare tardi!»
«Non ascoltatela!» fece lui e gli altri scoppiarono a ridere, mentre Irene tirava l'amica a sedere accanto a sé  e Alessandro se la svignava al tavolo del buffet per divorare, magari, un'altra ciotola di noccioline, o qualcosa di più sostanzioso.
«La casa è bellissima!»  esclamò Irene, anticipando di un soffio Vittoria e la sua identica frase. Le due voci si erano poi sovrapposte e Anna ascoltava i commenti e i complimenti alla nuova casa con l'aria di chi di quella nuova casa è orgoglioso. Trovava con gli occhi ogni cosa le amiche commentassero – dalla stoffa bianca con cui avevano ricoperto i divani alle impronte delle mani sue e di Luca ancora fresche di vernice lì, in un angolo della parete vicino al balcone – e sorrideva fiera. Per la prima volta da un'infinità di tempo ciascuna cosa, ogni singola cosa, della casa in cui si era andata ad infilare le apparteneva. Lei aveva scelto i copridivani bianchi, lei aveva scelto il giallo e il verde per sporcare il muro con le loro mani, lei aveva scelto come mettere i mobili e in quale stanza dormire e i turni da fare con le cene e i piatti da lavare e la spesa da fare. Luca le si sedette accanto, appollaiato sul bracciolo del divano, e le toccò delicatamente una spalla come per riportarla al fiume di parole di Irene e Vittoria, buffamente esaltate. Apparivano quasi frivole mentre discutevano di arredamento e di mobili e di quanto fosse bello il tavolo di vetro che avevano scelto e ad Anna piacevano infinitamente. Era bello sentirsi leggere, lasciare il lavoro al Distretto e vivere. Semplicemente vivere, con le chiacchiere delle amiche nelle orecchie e il calore di Luca a cui si era appoggiata, una spalla e la testa contro un suo braccio, mentre Antonio osservava tutto e apparentemente niente rivolgendole un sorriso da Sfinge, di chi sa e non dice.
«Sì be', bella casa ma mica tanto ordinata!»
La bolla in cui Anna si era inconsapevolmente estraniata si ruppe e la voce di Alessandro le arrivò alle orecchie sinceramente divertita. Un po' troppo divertita.
«Non è disordine!» protestò Luca.
«Ah no?» lo sfidò Berti.
«No, sono semplicemente libri che dobbiamo ancora sistemare!» spiegò lui, il tono che divenne un po' scocciato verso la fine della frase quando vide l'amico accucciarsi sui calcagni e tirare fuori uno dei due scatoloni - gli unici due scatoloni che ancora vagabondavano per casa - da sotto il tavolo.
«Che ficcanaso che sei Alessa'!» commentò Ingargiola e intanto Irene sprofondava un po' di più sul divano con una faccia sconsolata che era uno spettacolo.
«Una noiosa Enciclopedia, romanzi, gialli - uh, questo l'ho letto anche io: bello! - ancora romanzi...»
Alessandro si era messo a rovistare nello scatolone con assoluta nonchalance; senza curarsi di essere invadente, spostava e rispostava i libri, come se cercasse qualcosa ma nemmeno lui sapesse cosa. Luca si era rassegnato subito a lasciarlo fare e nemmeno aveva provato a protestare e, ora, lo osservava appena un po' divertito mentre consumava a piccoli sorsi la birra che ancora aveva in mano. Anna, invece, sembrava stesse ancora decidendo se arrabbiarsi o ridere dell'amico.
«Libri di cucina? No, ma seriamente raga'? Libri di cucina!» esclamò ad un tratto Alessandro, mentre sventolava verso di loro un paio di volumi dalle copertine colorate e rideva. Sì, soprattutto rideva. E, onestamente, Anna non aveva idea di cosa, in dei libri di cucina, divertisse tanto quell'uomo.
«Sono miei quei libri, posali Ale!» saltò su lei, infastidita, il vestitino che le si gonfiava attorno ai fianchi come una nuvola di primavera.
Alessandro scoppiò in una fragorosa risata, ancora acquattato accanto allo scatolone, i libri ricacciati dentro non troppo delicatamente per sottrarsi alla foga oltraggiata di Anna.
«Così li rovini!» protestò, già lanciata all'assalto, ma Luca scivolò dal bracciolo al divano e l'afferrò al volo per un polso.
Anna si ritrovò seduta sulle ginocchia del ragazzo, una mano a tenerle ferme le sue in uno strano mezzo abbraccio. Antonio annegò l'occhiatina complice di Vittoria in un una lunga sorsata di coca cola.
«Non hai visto come li ha ributtati dentro la scatola? Sono libri, si rovinano!» si lamentò di nuovo Anna, assolutamente a proprio agio in quella strana posizione, le braccia ancora bloccate, le spalle contro il petto di Luca e il viso ad un palmo dal suo. Non sembrava essersi minimamente accorta dell'occhiatina in tralice di Irene, né dello sguardo intenerito di Vittoria, né tanto meno di quello inquisitorio di Antonio e di quello dubbioso di Alessandro. Se ne stava tranquillamente seduta in braccio all'amico, a divincolarsi come una bambina dalla sua presa e a ridere, incurante di quella nuova sé che stava regalando agli amici.
«Sì sì, hai ragione! Dai Ale, allontanati da lì, lentamente e con le mani in alto!» scherzò Luca, mentre Anna riusciva a liberarsi e gli si scatenava contro come una piccola furia.
«Non sei divertente!» borbottò, un attimo primo che entrambe le braccia di Luca se la bloccassero contro in quello che era, a tutti gli effetti, un abbraccio.
«Dai Ale, davvero: lascia stare quei libri che, visto come cucina, le serviranno un sacco!» fece lui e Anna boccheggiò presa alla sprovvista.
«Che bel pesciolino!» ridacchiò Irene dal suo fianco, mentre lei liberava a forza le mani e si girava a schiaffeggiarlo piano, su una spalla, sulle braccia, sul petto.
«Guarda che io cucino benissimo!»
Ad ogni parola corrispondeva uno schiaffetto, al tono piccato di Anna si contrapponeva la risata di cuore di Luca. Erano belli. Belli da vedere, belli da sentire, belli da spiare. Belli.
Li trovava belli Vittoria, mentre cercava di capire se tutto quello fosse davvero solo amicizia, se fosse davvero possibile che quella nuova Anna che viveva potesse essere sbocciata da una semplice amicizia.
Li trovava belli Antonio, mentre cercava di capire per quanto quel rapporto speciale sarebbe stato vissuto come semplice amicizia.
Pensava e sorrideva, Vittoria. Pensava e taceva, Antonio.
Il campanello trillò, acuto ed insistente, sopra la musica e tutto il trambusto. Luca fece cadere Anna seduta al posto suo sul divano e andò ad aprire, una linguaccia sfacciata a tutte le sue reiterate proteste.
«Siete ingiusti! Voi nemmeno avete mai mangiato nulla cucinato da me!» accusò Anna, un dito puntato contro Ingargiola, Ugo e Alessandro.
«Questo è vero ma, ad occhio, mi fiderei di Luca!» insistette Giuseppe.
Il cuscino che gli arrivò in faccia fu un pregevole sfoggio di mira da parte di Vittoria.
«Sta' un po' zitto tu!» rise la Guerra e intanto Luca aveva già spalancato la porta.
Una donna minuta con incredibili occhi azzurri e una treccia di capelli bianchissimi sorrideva al ragazzo, le braccia strette attorno ad un gigantesco piatto.
«Ho portato qualcosina per la festa: così, per buono augurio!» esclamò la signora mentre tendeva il piatto a Luca.
«Grazie! Non doveva disturbarsi!» borbottò lui, uno sguardo di sottecchi ad Anna che stava cercando, con scarsissimi risultati, di mimetizzarsi col divano e rendersi invisibile.
Il piatto coi dolcetti regalo finì immediatamente requisito da Alessandro e, se le occhiate avessero potuto uccidere, quella che gli rifilò Luca lo avrebbe stecchito all'istante.
«Un vostro amico?» domandò la donna, contemplando divertita la scena.
«Sì, è anche un collega! E di solito non è così maleducato!» borbottò Luca a denti stretti, «Ma si accomodi, prego, le prendo qualcosa da bere!» aggiunse poi con un gran sorriso.
«Si sieda al mio posto, signora! Io vado a fare due chiacchiere col maleducato!»
Irene di alzò cedendo il suo posto sul divano e avanzò a passo di marcio verso Alessandro. Stefano pregustava già la scena dell'ennesima predica.
«Ciao bella, come stai?»
La signora salutò Anna con due baci sulle guance.
«Oh bene, e lei? Ragazzi, lei è la signora Enrica, la nostra dirimpettaia, mentre vi conoscete un po', io vado a prenderle qualcosa al buffet!» fece Anna tutto d'un fiato, prima di alzarsi di corsa dal divano.
Accanto al tavolo Irene aveva perso qualsiasi cosa voglia di rimproverare Alessandro per il suo comportamento quando, questi, gli aveva infilato in bocca a tradimento uno dei biscotti che aveva portato la signora.
«Sono buonissimi!» bofonchiò a bocca aperta verso Anna, quando se la trovò accanto.
«Mi fa piacere!» si limitò a dire lei, il tono funereo.
«Coraggio, Anna! Ora prendi questo, vai lì e affronti il tuo destino!» le disse Luca intanto che le passava un bicchiere di aranciata e un piattino di stuzzichini.
«Perché, tu non vieni con me?» chiese lei di rimando, una sottile sfumatura di panico nella voce.
«No, io vado a compiere un'altra missione! E poi, tu puoi farcela benissimo da sola!» sorrise lui, un piattino pieno di pizzette e patatine in una mano e un bicchierone di coca cola nell'altra.
Anna sbuffò arricciando le labbra in un'espressione un po' contrariata.
«Ma di che state parlando?» si intromise Alessandro, che di quello strambo scambio di battute non aveva capito assolutamente niente.
«Della signora Enrica!» spiegò Anna indicando con la testa la vecchina seduta accanto a Vittoria. «Abita nell'appartamento di fronte. È tanto carina e gentile eh, ma si è fatta un sacco di idee strane su me e Luca e sul fatto che viviamo insieme e roba così!» raccontò.
«Che tipo di idee strane?» volle sapere Irene.
«Idee strane, Ire'! Credo si sia convinta che io e Luca siamo fidanzati e non c'è verso di farle cambiare idea!» borbottò, mentre piantava lì gli amici e con un gran sorriso – pescato dove non si sa – tornava ai divani.
«Vieni Ale, andiamo a sentire un po' di 'ste strane idee!» rise Irene e, afferrati un paio di biscotti e una manica di Alessandro trotterellò dietro l'amica.

*


Enrica era impegnata in una fitta conversazione con Vittoria quando Anna le tornò vicino con gli stuzzichini e la bibita. Irene le era corsa dietro e si era buttata sul divano accanto ad Antonio, con Ale a rimorchio che aveva cozzato piuttosto dolorosamente con uno stinco contro il bordo del tavolinetto di vetro e ora imprecava tra i denti.
«Tipo curioso, il giovanotto!» commentò la vecchina, il piattino in bilico sulle ginocchia.
«Dica pure idiota, signora!» rincarò Irene roteando gli occhi. Antonio, al suo fianco, soffocò una risatina. Enrica annuì d'accordo, bevve due piccoli sorsi di aranciata e poi batté una mano su quella di Vittoria.
«Di cosa stavamo parlando noi, cara? Ah sì, di quanto siano carini Anna e Luca. Non trova anche lei che siano una splendida coppia!»
Anna provò l'irrefrenabile desiderio di diventare tutt'uno col divano; anche prendere le sembianze di quel povero cuscino che stava torturando non le sarebbe dispiaciuto. Invece, tutto quello che aveva ottenuto era stato arrossire e assumere una deliziosa sfumatura di rosa acceso. Vittoria coprì con l'altro mano quella della signora, con uno sguardo che Anna definì subito inquietante. Prima che l'amica potesse dire qualunque cosa, si affrettò ad anticiparla.
«Enrica, le abbiamo già detto che io e Luca non stiamo insieme!» esclamò con una vocina che risuonò acuta e stridula persino alle sue stesse orecchie.
«Sì sì, bella, lo so!» fece la donna e le batté una mano ossuta sulla spalla. «Sono timidi!» bisbigliò poi, rivolta agli altri. Anna cominciò a pensare che fuggire da lì non fosse una così pessima idea.
«Non siamo timidi: semplicemente io e Luca non siamo fidanzati!» provò un'ultima volta, le parole scandite ben bene una per una.
«E allora perché vivete insieme?» contestò la vecchina di slancio.
«Già, perché vivete insieme?»
Anna si voltò di scatto a fulminare Alessandro.
«Ale!» disse solamente in un bisbiglio sibilante.
«Sì? Dai, ripetimi un po' perché tu e Luca vivete insieme?» insistette Berti, le braccia incrociate al petto e uno sguardo inquisitorio.
Anna, adesso, si sentiva a disagio. Sapeva dove l'amico voleva andare a parare e non ne poteva più. Lei e Luca avevano passato giorni a spiegare ai colleghi – a spiegare ad Alessandro – perché avevano deciso di prendere casa insieme, e avevano passato giorni a spiegare ad Alessandro – solo ad Alessandro – il mucchio di cose che aveva frainteso.
Io e Anna ci vogliamo bene, ma solo come amici. No Ale, ti assicuro che Anna non mi piace nel senso che dici tu. Ale? Io ho altri gusti: le donne non mi piacciono.
Anna ricordava ancora il serrato botta e risposta con cui Luca, alla fine, aveva deciso di smontare i vaneggiamenti dell'amico. Ricordava ancora il suo parlare tranquillo e lo sguardo rassegnato di chi ha già dovuto spiegare se stesso a troppe persone. Ale aveva messo la parola fine a tutto quel discorso con un'alzata di spalle e un «Ah ok, allora solo amicizia tra voi!»
La questione si era conclusa lì, così, qualche battuta a stemperare l'imbarazzo.
Certo, poi ci si era messa quella simpatica di casa a immaginare per lei e Luca, confetti, fiori d'arancio, ciucciotti e pannolini. E Alessandro non aveva bisogno che di quello: qualcuno che vedesse le stesse sue cose – per inciso, cose che non esistevano – per tornare alla carica e fraintendere e insinuare. La cosa davvero inquietante poi, era l'incredibile silenzio che la domanda di Alessandro aveva portato con sé. Irene palleggiava lo sguardo tra i due ragazzi, curiosa e interessata, Vittoria scambiava occhiate complici con la signora Enrica, Antonio la osservava attento, e Ugo, Giuseppe e Stefano si godevano la scena assaltando quello che restava del buffet, all'improvviso la musica in sottofondo sembrò fare un rumore allucinante e Anna lo sentiva rimbombarle nelle orecchie col frastuono cupo di un grantamburo. Avrebbe dovuto rispondere, lo sapeva, e quel discorso lo avevano già affrontato così tante volte che ormai lo aveva mandato a memoria; tutti quegli occhi puntati addosso però le avevano legato la lingua e, istintivamente, si guardò attorno cercando Luca. Non lo trovò: la porta era ancora aperta e lui fuori chissà dove a fare chissà cosa.
«Vivono insieme perché hanno deciso così, Alessandro. Non devono mica spiegarlo a noi!»
Anna si voltò di scatto verso Antonio. Parmesan aveva risposto al posto suo, con una frase tanto semplice quanto incontestabile.
«Be', ora credo proprio che andrò a prendere uno dei biscotti che ha portato la signora Enrica!» parlò ancora, un sorriso cordiale scoccato alla donna mentre si alzava dal divano. Anna sentì la cappa di attenzioni dissolversi come una bolla di sapone e, tirando un sospiro di sollievo, raccattò i bicchieri vuoti dal tavolino e li usò come scusa per allontanarsi. Non le sfuggì il sorrisino strano di Vittoria intanto che si allontanava, ma lo ignorò volutamente.
«Grazie! Mi hai tolto da un bell'impiccio!» sorrise ad Antonio, quando l'ebbe raggiunto al tavolo.
«Niente di che!» minimizzò lui facendo spallucce. «Penso davvero che non siano affari nostri cosa c'è tra te e Luca, sono questioni vostre. A me basta sapere che Luca è felice, ne ha passate così tante...» si lasciò sfuggire poi, lo sguardo che vagava senza meta precisa, «E con te lo è!»
Anna fu spiazzata da quelle parole e dagli occhi gentili di Antonio che parevano sempre sapere qualcosa che tu nemmeno saresti riuscito ad immaginare. Qualunque cosa avesse voluto rispondergli, le parole rimase in bilico, a ballarle sulla punta della lingua, intrappolate in quel qualcosa di caldo che le era scoppiato in petto. Era orgoglio? Anna faticava ad identificarlo, raramente era stata orgogliosa di qualcosa, quasi mai di se stessa. E ora erano bastate quelle poche semplici parole, il fatto che Antonio la ritenesse un motivo della felicità di Luca, a farla sentire fiera di sé. Lei che non era mai stata utile a nessuno.
Con un bicchiere tra le mani e la testa piena di pensieri nuovi, Anna si avvicinò alla porta e si affacciò sul pianerottolo. Luca era lì, seduto sui gradini della scala che portava al piano di sopra, a chiacchierare con un ragazzino che divorava patatine. Anna sorrise a quella scena: quel ragazzino aveva gironzolato continuamente attorno a casa loro durante i giorni del trasloco e spesso li aveva osservati da quelle stesse scale, pronto a sgattaiolare via al prima tentativo di approccio. Finalmente però, sembrava aver ceduto – se non a Luca, almeno all'enorme piatto di pizzette e patatine con cui lui lo aveva blandito.
Erano belli, pensò Anna, seduti lì sugli scalini a cercare un punto d'incontro.
Era bello Luca, pensò Anna, col suo sorriso dolce e gli occhi pazienti, mentre pungolava il ragazzino e gli pizzicava piano un braccio e gli rubava le patatine.
La musica vibrava pigramente alle sue spalle mentre lei si scopriva incapace di spostarsi da lì, incollata allo stipite della porta ad osservare Luca. Le assurde convinzioni della vicina, i dubbi di Alessandro e le maliziose occhiatine di Vittoria le vorticavano in testa, affollandosi attorno alla figura del ragazzo, che sembrava riempire l'intero spazio di quel pianerottolo con la sua sola presenza, arroccato su se stesso, le braccia conserte sulle ginocchia e la testa di lato ad improvvisare un discreto piccolo terzo grado a quel ragazzino. Le voci rimbombavano sul granito delle scale, sottili e profonde insieme, quella del bambino e quella di Luca. Lui bisbigliava, parlava lentamente, come se tutta quella discussione fosse un gran segreto e sorrideva, sorrideva in continuazione.
Non trova anche lei che siano una splendida coppia?
La voce di Enrica e l'occhiata inquietante di Vittoria spazzarono via tutti gli altri pensieri dalla sua mente; come un'onda d'alta marea, cancellarono tutto e rimasero là, ad occupare tutto lo spazio che potevano. Anna sospirò piano, l'attenzione ancora rivolta ad ogni singolo movimento di Luca. Ed erano una cosa istintiva quegli occhi che non riusciva a togliergli di dosso, mentre si chiedeva cosa davvero del loro rapporto potesse essere così fraintendibile. Era la loro complicità? O la loro intesa? Il modo in cui si guardavano o si sfioravano, quasi senza rendersene conto? O era solo il fatto di aver preso quella casa insieme? Anna non capiva, davvero. Niente di tutto quello per lei era equivoco e ringraziò il fato che nessuno dei loro amici – né tanto meno la vicina – avessero la ben che minima idea dell'unica cosa davvero fraintendibile successa tra lei e Luca. Non voleva nemmeno immaginare il tormento che gli avrebbero dato se fossero stati a conoscenza di quel bacio.
Il bacio.
Anna chiuse gli occhi, un istante solo, e l'archivio le apparve davanti, con una marea di carte sulla scrivania e Luca a metterle in mano i fascicoli di ogni singolo caso a cui lei avesse partecipato, ogni pagina con la sua firma, ogni indagine risolta, ogni successo da poliziotta. Era stata quella la sua svolta vera, il momento da cui era finalmente ripartita, ripartita davvero. Niente più a cui dare un volto, un nome, un perché: tutto finalmente chiaro, affilato come il coltello con cui si era difesa da bambina, come quella lama con cui aveva allontanato il mostro.
“Senti, quando eri piccola ti sei sentita abbandonata, e la tua mente ha cercato di proteggerti. Adesso che hai in mano gli strumenti.. Dai! Usali!”
La voce di Luca riaffiorò tra i ricordi, bassa e calda, decisa e incredibilmente dolce, mentre la incitava a non mollare, a credere in sé stessa e nelle sue capacità, a non buttare tutto all'aria proprio quando tutti i suoi fantasmi potevano essere sconfitti.
“E poi tu non sei sola!”
Anna poteva quasi sentire la carezza di Luca sul viso, delicata e lieve come quel giorno, mentre dietro le palpebre chiuse si materializzavano i suoi occhi dolci e il suo sorriso incoraggiante, arrivato a spazzare via tutto ciò che restava dei suoi incubi.
Le labbra di Luca incendiarono inaspettatamente il ricordo, leggere sulla sua fronte e morbide sulla sua bocca, in quel loro primo bacio che era stato anche l'unico e l'ultimo. Anna aprì gli occhi di colpo, una mano artigliata allo stipite della porta e il respiro impercettibilmente accelerato. Si sentiva il viso accaldato e quando si passò una mano sulle guance non si stupì affatto di trovarle calde: era di sicuro arrossita. L'ombra del ricordo sembrò svanire scivolandole addosso. L'archivio sprofondò in qualche angolino della sua mente e lei tornò lì, il pianerottolo di granito tutto intorno, Luca e il ragazzino ancora sugli scalini e un ronzio ovattato nelle orecchie.
«Accidenti!» imprecò Anna sottovoce. Si sentiva una stupida adolescente alle prese con il suo primo bacio e il ragazzo più bello della scuola. Una stupida che aveva appena fatto un paragone idiota. Perché lei non era un'adolescente e Luca non era il ragazzo a cui mezza scuola faceva il filo. E allora per quale assurda ragione il cuore continuava a batterle forte in petto? E perché sentiva ancora il profumo di Luca avvolgerla, come se le avesse appena preso il viso tra le mani? E perché sentiva ancora il suo sapore di caffè e menta sulle labbra? Erano passate settimane – settimane – da quell'episodio, da quel bacio. Perché diavolo continuava a tornarle in mente?
Anna sbuffò, insofferente. Doveva smetterla di pensarci, e cercarvi una spiegazione non aveva senso. Perché un senso non c'era; nessun senso a parte l'unico che lei non aveva alcuna intenzione di considerare. La risata di Luca si mischiò alla musica che usciva leggera dalla casa e calamitò gli occhi di Anna. Lo sguardò si posò sulle sue labbra sorridenti, mentre lei sfiorava le proprie con due dita e sentiva ancora il sapore di quel bacio.
La voce di Alessandro che urlava qualcosa da qualche parte dietro di lei, interruppe il filo dei suoi pensieri e quando si voltò per sbirciare dentro casa incrociò lo sguardo incuriosito di Luca. Lei si voltò appena e lo vide fare lo slalom tra i divani per sfuggire ad un'Irene armata di cuscino.
«È solo Ale!» mimò con il labiale e Luca scosse sconsolato la testa. Lei lo osservò, quel primo e unico bacio che ancora le viveva sulle labbra che diventava un pericolo. Doveva smettere  di ricordarlo e di rivivirlo, perché sennò incolpare gli altri di fantasticare su qualcosa che non esisteva non sarebbe stato altro che ipocrita. Luca era un amico, le voleva bene ma non l'amava e mai avrebbe potuto amarla, quel bacio era stato un incidente di percorso in un momento di grande emotività, tutto qui, nessun grande sentimento dietro, nessuna passione, niente di niente. Un bacio tra amici, null'altro. Anna se lo ripeté – come se lo era ripetuto il giorno dopo in archivio – mentre sorrideva a Luca e qualunque cosa che non fosse amicizia tornava ad essere semplicemente un'insinuazione della signora Enrica.
«Ehi, Anna!» la chiamò lui tendendole una mano, Ti presento il mio nuovo amico!  le sorrise, una mano a circondare le spalle esili del ragazzino.
«Ciao, io sono Anna!» si presentò chinandosi alla sua altezza.
«Nick!» borbottò solamente lui intanto che si lasciava stringere la mano.
E Luca cominciò a raccontarle di quel bambino e del suo piccolo mondo, tutto compreso nello spazio di quella rampa di scale. E Anna si incantò ad ascoltarlo, il suo migliore amico e il suo tono allegro; si incantò a guardarlo, gli occhi tranquilli e il sorriso enorme; si incantò a ricordarlo, solo un po', solo un altro po', lui e l'archivio e quel primo bacio che sarebbe stato anche l'unico e l'ultimo.

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