This Fairytale is radioactive now.

di littlemoonstar
(/viewuser.php?uid=31225)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Once upon a time. ***
Capitolo 2: *** What are you doing out here, Mary Ann? ***
Capitolo 3: *** Magic mirror on the wall,who is the fairest one of all? ***
Capitolo 4: *** A very merry unbirthday to you. ***
Capitolo 5: *** Itty-bitty living space. ***
Capitolo 6: *** Treasure. ***
Capitolo 7: *** Rose. ***
Capitolo 8: *** Who could ever learn to love a beast? ***
Capitolo 9: *** Red hair under the sea. ***
Capitolo 10: *** The Original. ***
Capitolo 11: *** You remind me when I was strong. ***
Capitolo 12: *** All around you are spirits,child. ***
Capitolo 13: *** Spinning wheel. ***
Capitolo 14: *** Awakening. ***
Capitolo 15: *** Fire and Ice. ***
Capitolo 16: *** The better to eat you with, my dear. ***
Capitolo 17: *** This violet scent. ***
Capitolo 18: *** Neverland. ***
Capitolo 19: *** Hello, Darling. ***
Capitolo 20: *** Where everything begins. ***
Capitolo 21: *** And they lived... ***
Capitolo 22: *** ...Happily ever after? ***



Capitolo 1
*** Once upon a time. ***


thisfairitaleisradioactivenow Questa è una storia originale. E' vietato ogni tentativo di copia. Spero vi piaccia.



THIS FAIRYTALE IS RADIOACTIVE NOW.
-




-

1. Once upon a time.


Il cielo era coperto da un fitto strato di nebbia grigia. La fredda coltre si estendeva fino al confine, sparendo oltre la linea dell'orizzonte. L'aria era fredda, e fra poco sarebbe arrivata la neve. Nei giorni precedenti aveva nevicato talmente tanto da coprire per intero i grandi alberi della foresta. Oramai niente si distingueva più.

Camminavo a passo rapido, e il rumore delle suole su quel miscuglio di ghiaccio e nevischio provocava un crepitio quasi rilassante. Non c'era altro suono, in quel momento. Tutto taceva. Anche il mio cuore, che per un attimo aveva smesso di tenere quel ritmo accelerato che oramai avevo imparato a riconoscere. Una tachicardia fisiologica iniziata dal momento in cui tutto era finito.
L'aria calda che oltrepassava coraggiosamente le mie labbra si bloccava a metà strada, sfumando in una nuvoletta di vapore bianco.
Non so quanti gradi facessero, ma strinsi a me il mantello e coprii i capelli con il cappuccio, pregando che gli stivali di pelle riuscissero a reggere il freddo e che i piedi non mi si staccassero da un momento all'altro.
Oramai mancava poco alla meta. La prima di una lunga serie, ma sempre un punto di arrivo.
I grandi occhialoni da aviatore mi stringevano la fronte, quel tanto che bastava per rimanere in bilico sulla testa. Mai avrei pensato di indossare una roba simile, ma in situazioni di emergenza si poteva arrivare a tutto: e quando sarebbe arrivata la tempesta di neve, ne avrei avuto bisogno. Non andavo fiera di me stessa per averli rubati, ma in quel momento erano un bene primario per una viaggiatrice. In quel mondo non c'erano stagioni, né il sole splendeva alto nel cielo portando gioia e serenità a tutti. Erano tutte stronzate.
Ora tutto era cambiato.
« Ehi, ragazzina. Quanto tempo è passato... ».
Mi voltai, vedendo dietro di me solo la distesa di neve bianca. Il silenzio invase di nuovo l'aria intorno. Tenni stretta la lancia nella mano destra, e la lama affilata brillò sotto la luce del cielo plumbeo.
Sapevo difendermi, oramai: non ero più la timida ragazzina con il vestitino a fiori e il cestino di primizie, che vagava ingenuamente tra i boschi. Un fiocco di neve mi sfiorò il viso e cadde sugli aderenti pantaloni in pelle, finendo dentro gli stivali. Guardai in alto, ma dal cielo non arrivava nulla. Mi accorsi che si trattava di un grumo di nevischio residuo, caduto accidentalmente dall'albero sopra di me.
« Dannazione. » imprecai, stringendo i denti. E a quel punto mi scappò una risatina. « Devi smetterla di farmi queste improvvisate. ».
Nella mia testa già si confondevano le decine di alternative per fuggire da quella situazione spiacevole, nel caso in cui si fosse rivelata pericolosa: avevo un coltello all'altezza della coscia, tenuto stretto da una fascia elastica. La lancia era affilata. Nella sacca che portavo a tracolla c'erano altre utilità, ma ci avrei messo del tempo per tirarle fuori. Ma adesso sapevo di non dovermi preoccupare, nonostante lo spavento iniziale.
« Lo sai che sono fatto così. » proseguì la voce, che ora si distingueva chiaramente dietro di me. Mi voltai.
« L'apocalisse non ti ha cambiato di una virgola, Peter. » mormorai, e lui si fermò finalmente a terra.
« Scusa. Per la neve, intendo. » disse, posando i piedi sulla coltre bianca. Sapevo che era stato lui.
Lo guardai a fondo, cercando in lui un minimo segno di stanchezza. Ma la sua espressione era la stessa di quando giocava con le sirene, o si beffava dei pirati. Un eterno bambino, ma con gli occhi profondi e consapevoli di un adulto.
Forse il cambiamento maggiore era stato quello: nonostante tutto, anche lui era cresciuto un po'.
« Begli occhiali. » continuai, notando gli occhialoni da aviatore simili ai miei, proprio sopra al cappello verde smeraldo.
« Regalo dei bimbi sperduti. Non chiedermi dove li hanno trovati. » mormorò, guardando l'orizzonte.
« Che ci fai nel mio bosco, Peter? Ci deve essere un motivo, suppongo. » tagliai corto io, sapendo che non poteva essere lì per caso. Da quanto sapevo uno dei bimbi sperduti era gravemente ammalato per via delle radiazioni, e la sua attenzione era concentrata interamente verso di lui.
« Il tuo bosco? » ripeté lui, portando le braccia sui fianchi. « da quando in qua si fanno queste divisioni? ».
« Ci sono sempre state. »
« Non ora. ».
Non riuscii a rispondere, perciò lo lasciai nel silenzio: aveva maledettamente ragione. In tutta quella confusione, e con tutti quei cambiamenti, cosa importava fare distinzioni?
Il mondo delle Favole era un vero disastro.
« In che stato è l'Isola ? » chiesi, cambiando argomento. Speravo si trovasse in condizioni migliori rispetto al mio bosco, in cui imperava quel fastidioso Inverno nucleare da cui non riuscivo ad uscire. Peter poteva volare, e informarmi di ciò che succedeva all'esterno. Lo vidi fare una smorfia.
« Uno schifo. Le sirene non si vedono da giorni, e questo inizia a preoccuparmi. E gli indiani si stanno decimando. » rispose lui, massaggiandosi le tempie. « Sto andando alla ricerca di una cura per Pennino, non voglio che ne muoia un altro. ». Si alzò in volo, e le sue orme rimasero impresse nella neve candida.
Sussultai appena. Guardai in alto, verso di lui, che mi lanciò uno sguardo ruvido, scalfito nella roccia. Era davvero cresciuto.
« L'hai più trovata, la tua ombra? » mormorai, sapendo di toccare un tasto dolente. Lui sorrise, amareggiato.
« Lo sai benissimo, Red. » aggiunse poi, guardando l'orizzonte. « l'ombra se n'è andata con lei. ».
Ogni volta finivamo a parlare di quello. Lo stesso discorso sempre e ancora e ancora.
« Non puoi saperlo. Non puoi sapere se è morta davvero. » ribattei, stringendo la lancia con forza.
« Chi, la mia ombra? »
« No. Sto parlando di Wendy, Peter. E lo sai benissimo. » dissi con decisione, guardandolo dritto negli occhi.
Il dolore si fece vivido nei suoi occhi. « Ognuno di noi ha perso qualcosa, Red. E io sono sicuro di averla persa per sempre. ».
Volò più in alto, fino a raggiungere la cima degli alberi. « Fai attenzione, e rimani viva! » gridò, sparendo nel cielo grigio.
Osservai le sue impronte impresse sulla neve: Peter aveva perso l'amore, la gioia. In poche parole, la sua umanità. Per questo la sua ombra era sparita, finita chissà dove. Ma mi rifiutavo di credere che Wendy fosse morta. Mi rifiutavo e forse questa negazione era sbagliata.
Ma in fondo aveva ragione, ognuno di noi aveva perso qualcosa in quella battaglia che era solo all'inizio.
Guardai il braccio libero, piegando le dita della mano. Sentivo i meccanismi elettronici sotto la pelle, le valvole e i congegni attivarsi per far muovere il polso e i polpastrelli.
Avevo un braccio meccanico perché il mio era stato strappato via da un lupo, pochi minuti dopo il mio risveglio. E ancora non riuscivo ad abituarmici del tutto.
« Cominciavo a preoccuparmi. » sibilò una voce alle mie spalle, sinuosa e calda. Mi voltai.
« Scusa il ritardo. » mormorai, sorridendo al mio interlocutore. Lui avanzò verso di me a passo lento, provocando quel crepitio che calmò i battiti sordi del mio cuore.
Ma in fondo di ritardi, lui, se ne intendeva.
Le lunghe gambe bianche si uniformavano alla tinta chiara del paesaggio, contrastando con il panciotto color petrolio e il grande orologio d'oro che spuntava dalla tasca.
« E' un piacere rivederti, Red. » rispose lui, sistemandosi i tondi occhialetti dalle lenti colorate sul naso rosa.
« Il piacere è tutto mio, Bianconiglio. ».







Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** What are you doing out here, Mary Ann? ***


thisfairitaleisradioactivenow



THIS FAIRYTALE IS RADIOACTIVE NOW.
-




-

2. What are you doing out here, Mary Ann?



« E' stato difficile arrivare fino a qui? ».
Osservai le lunghe orecchie del Bianconiglio sullo sfondo plumbeo del cielo, scrollando le spalle.
« Non molto. » mormorai, sentendomi così piccola nei suoi confronti. Sarà stato alto quasi due metri, con quelle lunghe gambe slanciate e magrissime. Continuava a vagare di luogo in luogo, rimanendo lontano dal Paese delle Meraviglie e tornando solo quando era strettamente necessario.
Era un covo di matti, quello.
« Hai scoperto qualcosa di nuovo? » gli chiesi, cambiando discorso. Lo vidi sistemarsi nuovamente gli occhiali sul muso. Era una specie di vizio che aveva, ma non mi dava fastidio.
Rimanevamo fermi tra due grandi abeti innevati, cercando di non muoverci troppo per evitare di svegliare gli altri abitanti del bosco. Che scocciatura.
« Non molto. O almeno, nulla di positivo. » precisò, con un sospiro.
Alzai gli occhi al cielo: e quando mai c'erano notizie positive, in quel posto?
« Altri guai nel mondo dei matt – ehm, nel Paese delle Meraviglie? » mi corressi, guardando altrove.
« Oh, fin troppi. » rispose nuovamente lui, sospirando ancora. « ma non è per questo che sono qui, o mi sbaglio? ».
Sorrisi. Fortunatamente eravamo lì per altro, e forse presto una buona notizia ci sarebbe stata. Il Bianconiglio tirò nuovamente fuori il suo grande orologio, guardando distrattamente l'ora. Lo rimise al suo posto e tirò fuori un bigliettino dalla tasca interna del panciotto.
« Ecco qui. » mormorò, con un mezzo sorriso. Presi il biglietto e lessi attentamente le indicazioni. Sgranai appena gli occhi, poi aggrottai la fronte in un attimo di confusione.
« Ma...questo è...? » iniziai, senza sapere come continuare: lui mi guardava con consapevolezza, e un barlume di speranza apparve per un istante nei suoi occhi, dietro le lenti rosa acceso.
Il Bianconiglio vedeva e sapeva tutto. Ogni abitante del mondo delle Favole si rivolgeva a lui per informazioni, contatti, collegamenti. E in questo nuovo clima le richieste erano sempre più segrete e cospiratorie. Per questo gli avevo chiesto di incontrarci: era stato difficile contattarlo, ma finalmente ero riuscita ad ottenere ciò di cui avevo bisogno.
L'indirizzo era scritto con inchiostro nero su un biglietto malconcio, ma nonostante tutto riuscivo comunque a leggere le coordinate. Mi aspettava una bella camminata.
« Non so dove ti porterà quell'indirizzo, ma di sicuro troverai qualcosa. E' tutto quello che sono riuscito a trovare. » concluse il Bianconiglio, guardando il cielo sempre più scuro.
« E' già tanto. Non mi aspettavo di avere un riferimento così preciso. » mormorai, con un cenno d'assenso. Era palese che non gli avrei chiesto come era riuscito ad ottenere quelle informazioni, non me l'avrebbe mai rivelato.
Ma a me non importava. Adesso avevo un nuovo obiettivo.
« Grazie. » aggiunsi, senza sbilanciarmi troppo.
« Te lo devo. » rispose lui, scuotendo la testa. « Se non fosse stato per te, a quest'ora sarei morto. ».
Effettivamente aveva ragione. Era successo qualche tempo prima, ma ancora il ricordo era vivido e ben definito nella mia mente. L'avevo trovato nel mio bosco – si, mi piaceva ancora considerarlo mio – sotto l'attacco feroce di una creatura. Averlo salvato adesso mi ripagava, fortunatamente.
Probabilmente alcuni non avrebbero fatto lo stesso. Il mondo delle Favole era cambiato davvero.
Mi voltai senza dire nulla, infilai il foglietto in una delle tasche dei pantaloni e comincia a camminare, lanciandogli un cenno con la mano.
« La ritroverai, Red! » mi assicurò lui da lontano, cercando di confortarmi. Un sorriso amaro apparve sulle mie labbra: stranamente, non gli credevo neanche un po'.
« Sai che non ho bisogno di essere compatita, B. » mugugnai, ascoltando lo scoppiettio della neve sotto i miei piedi. Lui lo sapeva benissimo, ma ultimamente gli piaceva sperare. Mi fermai.
« Non ti compatisco. Dico solo ciò che mi piacerebbe vedere, Mary Ann. » aggiunse poi, suscitando la mia curiosità.
Mi voltai, lanciandogli un sorrisetto. Quell'abitudine di prendermi in giro non gli era ancora passata: la storia dell'equivoco con Alice, di averla chiamata Mary Ann quando era andato a cercarlo a casa sua. E quel dannato incidente con i biscotti che facevano crescere.
Ogni volta che diceva quel nome avevo l'impressione che fosse tornato l'essere pazzo che era un tempo.
Ma adesso era cambiato tutto: le radiazioni l'avevano trasformato in un essere che non era più animale, ma neanche umano. E in quel luogo di distruzione la follia era sparita.
Oramai ce l'avevamo attorno, ci si attaccava alla pelle. Non c'era più bisogno di averla nella testa.
Quando mi guardai indietro, dopo qualche minuto, era già sparito.




I primi fiocchi di neve iniziarono a cadere dopo qualche ora: il cielo ora era di un color grigio perla, luminoso e abbagliante. Dovevo muovermi a trovare un rifugio, o la tempesta mi avrebbe assalita e non ne sarei uscita facilmente.
Il bosco era tutto uguale. Lo conoscevo come le mie tasche oramai, ma mi capitava spesso di trovarvi persone disperse – vive o morte – che non avevano idea di come orientarsi in quella fitta e intricata rete di abeti innevati e tronchi morti a terra.
Mi guardai attorno, e in quel momento pensai a Peter. Chissà se era riuscito a trovare un riparo.
Scrollai la testa, scacciando quel pensiero che non aveva il diritto di stazionare nella mia mente: avevo promesso a me stessa di non preoccuparmi degli altri più del necessario. Non potevo, almeno non in quel momento. Una preoccupazione in più poteva distrarmi, e questo voleva dire morire subito.
In quel momento qualcosa – un rumore soffocato, quasi troppo delicato per quel posto – interruppe l'armonioso silenzio, mettendomi in allerta.
Il Bianconiglio era l'unico che avrei dovuto incontrare, perciò chiunque fosse giunto dopo poteva essere pericoloso.
Fu in quel momento che sentii un ringhio. Profondo, che scosse la terra e anche me.
Il ringhiare famelico che oramai avevo imparato a riconoscere.
Gli alberi nascondevano ancora alla vista gli artefici di quei suoni orridi, ma già riuscivo a distinguerne le ombre. Così cominciai a contare, piano, nella testa, senza muovermi.
Uno, due, tre...
Quattro.
« Venite fuori, bastardi. » mormorai, ignorando i fiocchi di neve sempre più spessi che mi si posavano sul mantello. La tempesta era arrivata.
Non era una cosa nuova, almeno. Altre brutte notizie mi avrebbero lasciato l'amaro in bocca.
Le ombre si fecero più ampie, e otto paia di occhi rossi si accesero improvvisamente sullo sfondo bianco.
« Cappuccetto Rosso vieni, vieni qua, se ti vede il lupo ti mangerà... » cominciai a cantare, per attirarli a me.
Erano terribilmente attirati da quelle stronzate.
E poi, eccoli.
Quattro giganteschi lupi grigi mi circondarono: avevano delle striature bianche sul dorso, e grandi occhi rossi simili a lampadine. Quel dannato Inverno nucleare gli aveva fatto bene.
Uno di loro si alzò sulle zampe posteriori – si, riuscivano a stare in piedi, per mia sfortuna – e mostrò la lunga fila di denti bianchi e affilati. Più che lupi, adesso erano grossi come cavalli. In piedi dovevano superare di certo i due metri di altezza.
Alcuni di loro erano già stati feriti, forse anche da me.
« Vedo il lupo nero che ti sta a guardare, Cappuccetto Rosso comincia a scappare... » continuai, incurante dei loro sguardi famelici che puntavano dritti verso di me. Ordinaria amministrazione.
Uno.
Due.
Tre.
Via.
Il lupo più grande tornò su quattro zampe e balzò verso di me, mentre gli altri mi circondavano lasciandomi sempre meno spazio per muovermi. Saltai agilmente in avanti, aggrappandomi al ramo più basso del grande abete di fronte a me. Era una battaglia veloce, incentrata sulla rapidità dei movimenti e sull'agilità.
Non potevo perdere un altro braccio, non come la prima volta. Il solo pensiero mi faceva rivoltare le budella.
Tenni stretta la lancia, afferrando con la mano libera il grande coltello agganciato alla gamba. Il grande lupo schivò i primi due colpi e si allontano di qualche passo, pronto ad un secondo attacco.
Mi voltai, localizzando il lupo alle mie spalle, e con un movimento rapido lanciai il coltello dritto in mezzo a i suoi grandi occhi color sangue, facendolo cadere a terra dopo qualche minuto.
Quello era il momento peggiore: gli altri tre guardarono il compagno morto e mi ringhiarono contro.
« Ops. » mormorai, senza distogliere lo sguardo. « mi sa che vi ho fatto arrabbiare, cucciolotti. ».
Uno di loro reagì, saltandomi addosso. Mi graffiò il petto, ma fortunatamente il corpetto metallico mi protesse. Oramai era pieno di segni delle precedenti battaglie, il che voleva dire che funzionava davvero.
Rotolai su un lato e, con la lancia stretta tra le dita, trafissi la carte del bestione, proprio all'altezza del cuore.
Tornai sulla carcassa del primo e recuperai il coltello, mi voltai e un altro lupo era già pronto all'attacco.
Più veloce.
Più furioso.
Più tutto.
Indossai gli occhialoni da aviatore per proteggermi dalla neve che oramai cadeva rapida e battente, scalfendo il loro pelo lungo e irrigidito.
« Che bocca grande che hai. » mormorai, lanciandogli un sorrisetto. Lui mi ringhiò contro, mostrando ancora di più i denti affilati e sporchi. Gli occhi brillarono di una luce più intensa.
Accelerai il passo, correndo verso di lui sempre più velocemente. Lui fece lo stesso. Brandendo la lancia insanguinata cercai di saltare il più possibile in avanti per cadergli addosso: sapevo che acquisendo la stabilità sulle zampe posteriori, i lupi ci avevano rimesso in equilibrio.
Finii sulla sua schiena, destabilizzandolo. Il lupo più grande minacciò di venirmi incontro, e affrontarne due insieme sarebbe stato più difficile. Dovevo muovermi.
Rotolammo per terra e mi ritrovai sopra di lui. Gli piantai la lancia in mezzo al petto, e quando la tirai fuori mi portai dietro il cuore rosso e pulsante, che adesso era molto più simile a quello di un umano, solo dieci volte più grande.
Non erano più animali, ma troppo bestie per essere uomini. O forse no.
« Che cuore grande che hai. » sibilai, lanciandolo sulla neve.
In quel momento il grande lupo mi arrivò addosso, con una forza tale da spostarmi di qualche metro.
Provai a colpirlo di nuovo, ma era decisamente più forte degli altri. Raramente incontravo delle bestie con un pizzico di intelligenza. Forse l'Inverno nucleare gliel'aveva regalata insieme a quell'orrida trasformazione in bestie fantascientifiche.
Sbuffai. Non avevo voglia di usare le maniere forti, ma dovevo muovermi o sarei morta sotto la tempesta.
Mi voltai e corsi verso la piccola montagna di neve alle mie spalle.
Guardai il braccio meccanico libero, così simile ad un esile braccio umano: la pelle era perfettamente riprodotta in ogni suo elemento, così come le unghie e le dita. Nulla poteva far sospettare cosa si celasse dietro quello strato apparente di carne.
« Tu che ti credi tanto feroce, scappa... » continuai a canticchiare, e quella filastrocca rimbombò nell'aria gelida del bosco. Strinsi la mano a pugno, osservando la pelle diradarsi per lasciare spazio alle parti metalliche.
C'erano fili e luci colorate e un sacco di altra roba: dall'interno cominciò ad uscire una serie di piccoli cilindri di metallo, che si unirono insieme per formare un unico cannone lungo due volte il mio avambraccio.
Era pesante, ma oramai avevo imparato a gestirlo. Non avrei voluto usarlo vista la scarsità di proiettili che avevo con me, ma in quel momento era necessario.
Lo puntai dritto verso di lui, che mi lanciò uno sguardo feroce e intimidito.
« ...che il cacciatore spara e... » proseguii, lanciando due colpi uno dopo l'altro. I piccoli cilindri attorno al mio braccio cominciarono a muoversi, e la struttura roteò facendo un giro completo.
I grandi proiettili lo colpirono in testa, spegnendo gli occhi sanguigni come dopo un black out.
Lo vidi accasciarsi a terra e morire, coperto dalla neve.
« ...poi ti cuoce. » conclusi, osservando il fumo nero che saliva dalla carcassa oramai priva di vita e dal mio braccio. Chiusi gli occhi e sentii i cilindri muoversi di nuovo.
Quando li riaprii, il braccio era di nuovo roseo e normale. Non era molto piacevole fare quel cambio.
Ormai dovevo essere vicina al confine. Forse.
Ma non vedevo più niente.
« E' tardi. » sibilai, imprecando sottovoce. Quell'attacco a sorpresa mi aveva fatta finire in mezzo alla tempesta, senza un riparo. Non succedeva mai, di solito riuscivo a prevederlo.
Dannati lupi.
La tempesta mi avvolse, circondandomi nella sua morsa gelida. Niente poteva salvarmi.
Sentivo le forze mancare a poco a poco. Lo scontro era stato faticoso, e tirare fuori l'artiglieria pesante mi aveva consumata definitivamente.
Tutto quello che vidi prima di chiudere gli occhi fu un'altra ombra, poco distante da me.
E con le ultime forze pregai che non si trattasse di un lupo.

 











Nb. Il titolo del capitolo è tratto da una frase detta realmente nel libro di "Alice nel Paese delle Meraviglie" dal Bianconiglio, nel momento in cui Alice lo raggiunge a casa e lui la scambia per una fantomatica Mary Ann ( o Marianna, nella versione italiana). Penso che lo scambio di persona sia uno dei segni cardine della follia nel Paese delle Meraviglie, riconducibile anche al Bianconiglio, e per questo ho voluto usarla nella mia storia sottoforma di scherzo: lui oramai non è più sovrastato dalla follia, ma ricorda bene cosa voglia dire e per questo gioca con Red, la quale è consapevole della lucidità del Bianconiglio.
Piccola spiegazione, per il resto spero che il capitolo vi sia piaciuto. Grazie per aver letto questa storia, spero continuerete a farlo!


L.



Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Magic mirror on the wall,who is the fairest one of all? ***


thisfairitaleisradioactivenow



THIS FAIRYTALE IS RADIOACTIVE NOW.
-




-

3. Magic mirror on the wall,who is the fairest one of all?




La prima cosa che riuscii a sentire al mio risveglio fu un intenso odore di spezie. E cipolla. Troppa cipolla.

Tuttavia, la sorpresa nel sentirmi ancora in vita era troppa per pensare agli odori acri che mi circondavano.
C'era una temperatura piacevole, e non faceva affatto freddo. Non come lo ricordavo in mezzo a tutta quella neve.
Provai ad aprire gli occhi, ma vedevo ancora tutto appannato. Oltretutto mi costava una gran fatica, segno che dovevo aver riposato poco. Provai a sgranchirmi le gambe, e sorprendentemente ci riuscii.
Deglutii a fatica. Avevo la bocca secca e una terribile sensazione di sete.
In più, quell'odore che prima disprezzavo cominciava a piacermi.
« Che... » mugugnai, e tutto quello che sentii dopo furono dei passi rapidi in mia direzione.
« Ben svegliata. » squittì una voce accanto a me, e ci misi un po' per ruotare la testa e mettere a fuoco la situazione. A quel punto mi resi conto di essere sdraiata su un letto di legno e paglia, il che spiegava tutta quella comodità imprevista.
La stanza era comoda e accogliente, non molto grande ma quel tanto che bastava per viverci, interamente intagliata nel legno. Intravidi il camino con il fuoco acceso, sopra cui era posizionata una pentola da cui proveniva quell'odorino invitante.
« Dove sono? » mormorai, ma avevo la bocca impastata. Passai la lingua sulle labbra screpolate, e provai a mettermi seduta. L'ombra accanto a me provò ad aiutarmi, visto che era palese quanto fossi irrigidita nei movimenti.
« Dannato Inverno nucleare, le mie ossa ti malediranno per sempre. » borbottai sottovoce, imprecando come solo io sapevo fare. Accanto a me partì una risatina cristallina e limpida, che mi tranquillizzò.
E finalmente riuscii a metterla a fuoco.
Non mi ci volle molto per riconoscerla: i capelli neri scendevano in ampie onde sulle spalle nude, appena raccolti con un fazzoletto color lampone, incorniciando il viso simmetrico e due grandi e intensi occhi color smeraldo. Mi sorrise, mostrando la fila di denti bianchi in risalto sulla pelle olivastra.
Tossii, e lei mi passò una ciotola da cui proveniva quel meraviglioso profumo, muovendo le braccia su cui ondeggiavano una serie di bracciali colorati, che arrivavano quasi fino al gomito. Quel tintinnio riuscì quasi a calmarmi.
« Mangia qualcosa, sei molto debilitata. » mi suggerì lei, e l'istinto mi disse che potevo fidarmi. La zuppa era calda e buonissima. Talmente buona che ripulii la ciotola in pochi istanti.
« Te ne porto ancora. Può farti solo che bene, fidati. » aggiunse, con voce energica. Prese la ciotola e si avvicinò al camino. Indossava un'ampia gonna color ametista, strappata ai margini e decorata con perle e altre decorazioni dai colori sgargianti. Le calze color lampone la coprivano fin sopra al ginocchio, e le caviglie erano decorate con catenine brillanti e ciondoli d'oro. Indossava un paio di orecchini dorati, due cerchi spessi che dovevano pesare una tonnellata.
« Noi...ci conosciamo? » mormorai, sapendo già la risposta. Nel mondo delle Favole ci conoscevamo tutti, ma alcuni di noi meglio di altri.
« Non proprio. » rispose lei, voltandosi. Mi portò un'altra razione di zuppa, e mangiai di gusto anche quella.
« Cos'è successo? » le chiesi, ancora ignara di dove fossi. Qualcuno mi aveva salvata, e di certo questo mi bruciava un po'. Ma in quel mondo così cambiato un po' d'aiuto non guastava mai.
« Al sicuro. » disse semplicemente lei, allontanandosi dal letto. « Eri in mezzo alla tempesta, devi essere svenuta. Hai dormito per parecchie ore. ». Prese un gilet sbracciato color smeraldo e lo indossò sopra il corpetto bianco. Solo in quel momento mi resi conto che alla cintura, legato con una fascia, c'era un coltello dal manico d'ottone.
A quanto pare ognuno, anche il più insospettabile, doveva difendersi. Anche nel posto apparentemente più accogliente di quell'Inferno.
« Grazie. » mormorai, riconoscente. Non potevo non farlo, visto che mi aveva salvato la vita.
« Non ringraziare me. » rispose lei, con un sorriso affettuoso. « Non sono io che ti ho salvata. ».
Rimasi in silenzio, rimuginando sulle sue parole, e solo a quel punto cominciai a guardarmi attorno: attraverso la finestra si scorgeva solo un manto bianco senza fine, ma nessun accenno di tempesta.
Forse mi trovavo ancora nel bosco, benché mi sembrasse leggermente diverso da quello a cui ero abituata a vedere.
« Oh, dimenticavo. » esordì poi lei, avvicinandosi nuovamente. Le calze erano tagliate in fondo, e lei camminava a piedi nudi senza provare il minimo fastidio. « Io sono
 Esmeralda
. ».
Sorrisi. « Piacere. Red. ».
« E' un piacere conoscerti, finalmente. Non ci siamo mai incontrate, vero? ».
« Mai. ». Ed era vero, i nostri mondi erano lontani. Ma allora che ci faceva lì?
In quel momento udii nuovamente un rumore di passi, come se qualcuno oltre la porta stesse salendo le scale. Esmeralda si voltò e sorrise. « Arriva. » disse, strizzandomi l'occhio.
La porta si aprì e tutto quello che vidi furono due pesanti stivaloni neri e un'ampia gonna gialla da bambola vittoriana.
« Sei sveglia! Era ora. » squittì la voce acuta e vispa della ragazza, stretta in quel corpetto blu e rosso che mi fece trasalire.
Strabuzzai gli occhi. « Biancaneve? ».




Non era cambiata di una virgola. Fatta eccezione per l'abitino molto più succinto.
Di certo i bambini non si sarebbero addormentati immaginando una sventola simile.
« E' da tanto che non ci si vede. Vero, Red? » rispose lei, muovendo le labbra rosse e perfette.
I capelli nero corvino le fasciavano il viso in un caschetto spettinato, tenuto fermo da un fiocco rosso nel cui centro era fissato un piccolo teschio. Non osavo immaginare da quale animale l'avesse tirato fuori.
Povere bestie.
« Sono nel tuo bosco? » sussurrai, guardando oltre la finestra. Effettivamente era diverso dal mio.
Ero a casa sua. O meglio, nella casetta nel bosco.
« Eri arrivata al confine, a quanto sembra. Ero in giro per la solita ronda e ti ho vista in mezzo alla tempesta. Fortuna che sono arrivata in tempo. » mi spiegò lei, avvicinandosi. « come ti senti? ».
« Meglio, grazie. » dissi, annuendo. Riuscii finalmente ad alzarmi in piedi. « E tu? Come stai? ».
Nonostante i nostri regni fossero vicini, non ci eravamo più viste dall'Apocalisse. Era difficile comunicare.
« Me la cavo. » rispose, lanciando un'occhiata ad Esmeralda. Sotto la gonna color canarino intravidi una serie di fasce che tenevano stretti coltelli e armerie. Altro che reggicalze.
Esmeralda si alzò e attraversò la stanza. « Io comincio a scendere. Ci vediamo giù. ». Mi sorrise e si richiuse la porta alle spalle.
Scendere?
Biancaneve prese una sedia di legno e si accomodò accanto al mio letto, così anche io tornai a sedere. Fortunatamente non avevo perso nulla nella tempesta: la lancia e la sacca erano poggiate al muro,ad un angolo. E il mio corpetto metallico era sul bancone di fronte a noi.
« L'Inverno nucleare è una rogna. » mugugnai, ripulendo gli occhialoni da aviatore dal sangue e dal ghiaccio.
« Non posso che darti ragione. » aggiunse lei, guardando oltre la finestra. Anche il suo bosco era stato colpito dall'Inverno, così come il mio. Non sapevo quali bestie feroci si aggirassero nei dintorni, ma se erano uguali ai miei lupi, allora doveva essere un gran casino anche lì.
« Perché Esmeralda è qui? ». Non sapevo nulla di lei e del suo mondo. Praticamente eravamo agli antipodi.
« Una brutta storia, purtroppo. Il suo mondo è stato completamente distrutto. La Corte dei Miracoli è diventata cenere. Non ha più nessuno, e ha vagato fino a qui di regno in regno. ».
Capivo cosa voleva dire. Il mio mondo non era stato distrutto, ma avevo perso tutto ciò che avevo e dovevo combattere di giorno in giorno contro la morte.
« E tu? » le chiesi, indicando con un gesto le pareti di legno e il tetto. « Perché non sei al castello? ».
Sul suo volto apparve un'espressione contrariata. La smorfia increspò la meravigliosa pelle diafana.
« Il castello non esiste più, è andato distrutto. »
« E... » iniziai, ma lei aveva già capito. Di norma non avrei chiesto così tanto, ma Biancaneve ed io ci conoscevamo da tanto. Nonostante tutto, mi fidavo di lei e lei di me.
Ed ero contenta di rivederla, dopo tanto tempo.
« Il principe? Oh, lui mi ha lasciata nel castello. A parlare d'amore sono tutti bravi, Red. E' quando dobbiamo dimostrarlo che si vede la vera essenza delle persone. » concluse poi, alzandosi per togliere la pentola dal fuoco.
O fare qualsiasi altra cosa che potesse distrarla. Rimasi incredula di fronte alle sue parole.
L'aveva abbandonata, rischiando di lasciarla morire in quel castello.
« Perlomeno ha avuto ciò che si merita. Gli animali del bosco si sono vendicati di lui. » mormorò, con un ghigno soddisfatto. « Lui è Grimilde possono marcire all'Inferno, per quanto mi riguarda. ».
Sbattei le palpebre, incredula. La donna che avevo di fronte aveva dato un bel calcio in culo alla bambolina dalle guance rosee.
« Coraggio, andiamo di sotto. C'è una cosa che devi vedere. » sibilò lei, con fare cospiratorio.
Fantastico.




Quando raggiungemmo il piano di sotto quasi mi venne un colpo. Di certo non mi aspettavo una cosa simile.
L'atmosfera era calda e illuminata solo da qualche luce fioca, aranciata. C'erano piccoli tavoli rotondi in ogni angolo, e al lato un lungo bancone di legno dove due nani stavano servendo enormi pinte di birra.
In fondo alla stanza era posizionato un piccolo palchetto, circondato da tessuti colorati che mi ricordarono improvvisamente l'abito di Esmeralda.
« Tu...? » iniziai, guardando Biancaneve. Lei osservava la sua creazione con immensa soddisfazione.
« Io. » confermò, guidandomi attraverso i tavoli fino al bancone. I due nani la salutarono con calore.
Li guardai, poi mi voltai dando le spalle al bancone: c'era un sacco di gente, proveniente da tutti i mondi vicini, e qualcuno anche da molto lontano.
« E' un punto di ritrovo. O anche di sosta. Insomma, chiamalo come ti pare. » mi spiegò Biancaneve, salutando un altro nano in fondo alla sala. « questo mondo ancora non è finito. ».
Di certo, la speranza non era sparita del tutto. In quel momento provai un moto di grande ammirazione per lei, e pensai a quando avevo incontrato il Bianconiglio: perché io non ero in grado di pensare al futuro con un minimo di positività?
Biancaneve mi passò un bicchiere con all'interno un liquido di un rosso intenso. Quando lo assaggiai, notai l'intenso sapore di alcool e mela.
« Il miglior sidro di mele della zona. Fidati. » sussurrò Biancaneve al mio orecchio. « Oh, e non preoccuparti. Non sono avvelenate. ».
Mi scappò una risata, la prima dopo lungo tempo. Iniziai a guardarmi attorno nella stanza.
« Due, tre...cinque...sette. » mormorai, sotto il suo sguardo intenso. « ci sono tutti. ».
Lei mi sorrise e annuì. « Per fortuna. ». Perdere i suoi amati nani sarebbe stato il lutto più difficile da superare. Ma per fortuna ancora non doveva preoccuparsene. Erano tutti lì, e l'aiutavano.
Questo era importante.
Una musica trascinante cominciò a diffondersi nella sala, coperta dagli apprezzamenti degli spettatori. Intravidi un'ombra dietro i teli colorati, e quando apparve non rimasi stupita. Esmeralda cominciò a ballare sul palco con una straordinaria grazia e sensualità, muovendo i fianchi a ritmo di musica.
Gli spettatori lasciavano il loro contributo per lo spettacolo al centro di ogni tavolo, nel cestino della candela.
Mi scappò un altro sorriso. « Ci avrei scommesso. ».
Biancaneve si voltò verso il bancone e uno dei nani le passò un bicchierino ricolmo di un denso liquido verde. L'odore forte e pungente mi invase le narici, facendomi tossire. Lei lo bevve in un sorso.
« Non dirmi che ti sei data all'assenzio, adesso. Non bastavano tutte quelle mele avvelenate? » commentai, cercando di farmi sentire sopra la musica che cresceva di volume. Dio, adoravo prenderla in giro.
« Non farmi arrabbiare, ragazzina. » rispose lei in tono, lasciando il bicchiere sul bancone. Esmeralda continuava a ballare, così la salutai da lontano sperando che mi vedesse e mi diressi verso le scale insieme a Biancaneve, che mi accompagnò al piano di sopra. Presi le mie cose e mi avvicinai all'uscita.
« Sicura di voler andare così presto? Puoi stare quanto vuoi. » mormorò lei, con un sorriso affettuoso.
« Grazie, ma devo andare. ».
Lei annuì, perché sapeva. « Tieni. » mi disse poi, passandomi un sacchetto di pelle nera. Al suo interno c'era una maschera color petrolio, con due sbocchi laterali.
Una dannata maschera anti – gas.
« Oh, dio. Non dirmelo. » mi lamentai, alzando gli occhi al cielo. Lei annuì, esasperata.
« Probabilmente sono gli effluvi radioattivi dal terreno. Fortuna che la zona in cui ti ho trovata era di confine, e non ce n'è traccia. Ma più avanti sicuramente te ne accorgerai, ti conviene indossarla subito. » mi consigliò lei, ed io mi sentii quasi in colpa nell'accettare quel regalo.
« Grazie. Per tutto, Bennie. » sussurrai, stringendo la fredda plastica attorno agli sbocchi d'aria.
Lei si aprì in un sorriso affettuoso. « Te lo ricordi ancora. » mormorò, con una punta di emozione. « nessuno mi chiama più così, sai? ».
Le sorrisi, e indossai la maschera. Tenni gli occhiali da aviatore ben saldi sulla testa, e coprii i capelli con il cappuccio. Sapevo che ci saremmo incontrate di nuovo, presto.
O almeno lo speravo.
La guardai un'ultima volta, poi mi voltai e cominciai ad incamminarmi. Senza girarmi. Senza pensare.













Nb. Probabilmente le rivedrete ancora. Lo dico perché adoro Esmeralda, e nonostante Biancaneve mi sia sempre sembrata un pò moscetta, questa versione mi ispira di più, quindi penso che saranno due personaggi che rivedremo nel corso della storia. Oh, e odio il principe di Biancaneve. Probabilmente lo avete capito! Spero che la storia vi piaccia!


L.



Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** A very merry unbirthday to you. ***


thisfairitaleisradioactivenow



THIS FAIRYTALE IS RADIOACTIVE NOW.
-




-

4. A very marry unbirthday to you.





I fumi radioattivi mi sarebbero costati la vita, se non avessi avuto la maschera di Biancaneve. La indossai per tutto il tempo, senza mai toglierla. Sentivo gli effluvi provenienti dal terreno avvolgermi. La pelle prudeva, e nonostante la maschera avevo costantemente uno strano sapore in bocca.
Che schifo di posto.
Chissà se la casa dei nani era l'unica ad essere rimasta in piedi. Da quello che mi aveva detto Biancaneve, il castello era andato a farsi benedire, così come quell'idiota di un principe. In fondo non mi era mai piaciuto.
Insomma, a baciare siamo bravi tutti. E il dopo, che divide chi ha le palle da chi non ce le ha.
E in quel momento, Biancaneve probabilmente era più uomo di quanto mai sarebbe stato il principe.
Sapevo che quel bosco era grande, forse anche più grande del mio. Ma almeno non c'erano lupi famelici, e le creature del bosco erano asservite a Biancaneve. Perciò non correvo alcun pericolo.
Ora l'obiettivo principale era uscire da quel dannato bosco e recuperare qualche munizione. Era difficile riuscire a trovarle, l'ultima volta le avevo rimediate grazie ad un giro di contrabbando che avevo scoperto per caso, e ne avevo prese un bel po'. Adesso dovevo mettere in moto il cervello e cercare di trovarne altre prima di finire ammazzata.
Biancaneve aveva messo nella sacca una bottiglietta di sidro di mele. Di certo mi avrebbe scaldata.
Oramai camminavo da un bel po', ma percepivo ancora l'intensità dei fumi tossici attorno a me.
E nonostante tutto, non potevo fare a meno di pensare a Peter. Chissà se aveva trovato riparo durante la tempesta. Chissà se era vivo.
No, non dovevo pensarci.
Non dovevo, maledizione.
Scalciai a terra, colpendo una pigna rinsecchita. La vidi rotolare pochi metri più avanti, e poi sparire. Mi bloccai. Di certo non era la prima stramberia a cui avevo assistito, ma non per questo dovevo fregarmene.
Avanzai cautamente, un passo dopo l'altro. Ogni centimetro era indispensabile e prezioso.
Frugai nella sacca in cerca di qualcosa da poter lanciare davanti a me, ma tutto quello che mi passava tra le mani era più che indispensabile. Scavai nella neve fino a che non trovai una pietra grossa come il palmo della mia mano, piatta e ruvida. Dosai bene la forza e la lanciai di fronte a me. La pietra cadde con un tonfo, e poi sparì.
Scossi la testa, irritata. Quei giochetti mi davano fastidio, e non poco. Così decidi di rischiare. Avanzai sempre più rapidamente, contando i passi che mi separavano dall'oblio.
Ma non avevo paura. La paura se n'era andata da un pezzo oramai.
Più o meno da quando mi ero svegliata in una pozza di sangue, con il braccio mozzato e i brandelli di carne che penzolavano dal gomito. Una scena a dir poco raccapricciante. Ero stata svezzata brutalmente, ma forse era meglio così. La sopravvivenza era difficile, ed essere forti era tutto ciò che ci rimaneva.
C'era qualcosa che bloccava la strada. Un muro invisibile chissà quanto ampio di cui riuscivo a percepire solo qualche dettaglio confuso. E questo mi irritava ancora di più.
Così tirai un pugno alla parete che bloccava il mio cammino. Un pugno energico, forte, senza alcun timore.
La superficie era liscia solo in apparenza: poco al di sotto si poteva percepire qualcosa di ruvido, frastagliato e informe.
Non avevo idea di cosa si trattasse. Uno sfrigolio all'altezza dei miei occhi attirò la mia concentrazione, e un cumulo di neve cadde a terra senza fare il minimo rumore. Al suo posto c'era solo un buco dai contorni irregolari, al cui interno riposavano lunghe foglie verdi, brillanti e vitali.
« Oh, maledizione. » imprecai sottovoce, alzando gli occhi al cielo. Era una siepe. Non sapevo quanto fosse grande, né se fosse tanto fitta da non poterci passare attraverso. Scostai un altro poco di quella neve rinsecchita e pian piano scoprii altre foglie, verdi allo stesso modo e tutte vicine tra di loro.
Era incredibile come si fossero mantenute al di sotto di quella cupola di nevischio, che le intrappolava nei suoi fumi velenosi lasciandole tuttavia intatte. Non sapevo come fosse possibile.
Ma di una cosa ero certa: c'era un solo mondo, a parer mio, in cui era così difficile entrare.
Sbuffai, irritata, e il mio pensiero corse subito al Bianconiglio. Se ci fosse stato lui sarebbe stato tutto molto più semplice. Mi guardai attorno, alla ricerca di qualcosa che potesse aiutarmi.
Perché c'era sempre, sempre un modo per entrare nel Paese delle Meraviglie. Anche in quel terribile caos.
Raramente mi addentravo in quei luoghi, ma adesso dovevo farlo e anche alla svelta. Non sapevo se l'aria lì fosse già respirabile, così tenni su la maschera antigas per sicurezza. Mi inginocchiai e frugai nella neve, cercando tra le foglie verdi che spuntavano sporadicamente tra gli ammassi di ghiaccio e acqua.
Terra, erba, terra ed erba. Nient'altro. Scavai più a fondo, avvicinandomi poi alla siepe. I guanti di pelle mi proteggevano dalla bassa temperatura, ma nonostante tutto percepivo chiaramente il vento gelido del bosco.
Scavai ancora, fino a quando non vidi qualcosa di diverso da tutta quella neve: qualcosa di più colorato, vivido e brillante.
Un fungo.
Un vero fungo, con il cappello color miele e il gambo tozzo e spesso. Accanto ve ne erano altri due, più piccoli ed esili. Staccai il fungo più grande da terra e lo analizzai da vicino.
Il dubbio mi attanagliava: in quel miasma di polveri tossiche e fumi radioattivi, di certo mangiare un fungo cresciuto per terra era la cosa più sbagliata da fare. Ma non avevo scelta, se non quella di cambiare strada e allungare il mio percorso costeggiando quella siepe infinita. Il mio senso dell'orientamento era scarso su quella zona, e non sapevo dove sarei andata a finire cambiando strada. E poi ero inspiegabilmente attratta da quel rischio così vicino. Volevo sfiorare la morte, e semmai mi fossi svegliata, sarebbe stata una vittoria in più. Staccai il cappello del fungo dal gambo e ne mangiai un pezzetto, masticando e ingoiando ad occhi chiusi.
Nel Paese delle Meraviglie c'era una regola: mangiare o bere qualsiasi cosa poteva essere molto pericoloso.
Ma in quel momento del pericolo mi importava poco. Speravo davvero che quel pezzetto di fungo insapore mi aiutasse. Che so, a diventare più piccola.
O a crescere a dismisura. No, forse quello sarebbe stato troppo.
Indossai di nuovo la maschera antigas e attesi. Uno, due, tre minuti. Non accadeva nulla. Forse quello schifo di Inverno nucleare ne aveva annullato gli effetti, o forse quello era solo uno stupido fungo ed io lo avevo mangiato inutilmente. Cominciavo a pensare che la seconda ipotesi fosse più realistica.
Meglio che essere maciullata dalle scorie tossiche, senza dubbio. Ma quel fungo sembrava così innocuo che non lo ritenevo possibile.
Pochi istanti dopo mi accasciai a terra, perdendo i sensi.




Aprii gli occhi di scatto, prendendo un grande respiro come dopo una lunga apnea sott'acqua. La mente era completamente vuota, priva di ogni ricordo. Poi, come un uragano, ritornò tutto.
Il fungo.
Una mossa geniale, Red. Complimenti.
Mi alzai in piedi, e come al solito verificai di avere tutto al mio posto. La sacca, la lancia, i coltelli.
Frugai nella borsa e afferrai con tenacia la bottiglia di sidro di Biancaneve. Ne bevvi un sorso, poi un altro.
Mi guardai attorno, e mi accorsi subito di una cosa: la neve era sparita.
E questo voleva dire che ero dall'altra parte.
Mi ci volle poco a confermare la mia ipotesi: attorno a me c'erano solo erba incolta, sterpaglie e fiori dalle dimensioni sproporzionate, probabilmente resi tali dalle radiazioni che oramai incombevano su tutti noi.
Provai a togliere la maschera antigas, rendendomi conto che l'aria era più che respirabile. Ma l'atmosfera non era certo delle migliori.
Il cielo era di un grigio topo, come se da un momento all'altro dovesse scoppiare una tempesta. Il sentiero che mi divideva da quella specie di prato in versione gigante era lasciato a se stesso, così come tutto il resto.
Tirai su gli occhiali e li fermai saldamente sulla testa, scrollandomi la neve di dosso.
Il Bianconiglio mi aveva detto che il Paese delle Meraviglie non se la passava bene, ma non credevo a tal punto. E adesso iniziavo a capire perché cercava sempre di rimanere lontano il più possibile dal suo regno.
Improvvisamente mi ricordai del fungo che avevo mangiato, e cominciai a pensare di essere diventata più piccola: in fondo, tutto lasciava intendere che fossi io, quella troppo minuta nel contesto.
Mi guardai attorno, e dopo aver recuperato le mie cose iniziai a costeggiare i giganteschi fili d'erba, seguendo il sentiero terroso. Sembrava un luogo misero, abbandonato sotto lo sferzante attacco del tempo.
Metteva nostalgia. Chiunque nel mondo delle Favole ricordava quel posto per l'allegria e la spensieratezza che si potevano percepire in ogni angolo, nonostante la follia.
Ma non c'era nulla, davanti ai miei occhi, che ricordasse tutto ciò.
Continuavo a cercare qualche punto di riferimento, qualcosa che mi suggerisse la mia vera altezza. Ma intorno a me vedevo solo tanto caos, e quella confusione stava lentamente facendosi strada nella mia testa.
Un fruscio flebile mi distrasse da quei pensieri sconnessi. Mi voltai velocemente, cercando di vedere oltre quella barriera verde marcio. Il silenzio aveva coperto ogni rumore.
Ogni rumore eccetto uno.
Un tintinnio, leggero e delicato. Come di due oggetti che lentamente vengono a contatto. Somigliava ad un suono che avevo già sentito prima, che ricordavo o ero in grado di riconoscere.
Il tintinnio di una tazza da tè.
Feci un passo in direzione dei grandi fili d'erba, tenendo la lancia stretta a me. Dovevo fidarmi solo del mio istinto. Smisi di muovermi, respirando lentamente e modulando ogni minimo movimento. Sapevo che sarebbe scattato qualcosa, non appena qualcuno avesse rotto il silenzio. Era questione di secondi.
Due piccoli e luminosi occhi gialli apparvero nell'oscurità. « Non muoverti. » mormorò la vocina incrinata tra i fili d'erba.
E in un attimo mi ritrovai accerchiata. In trappola, senza neanche accorgermene, tenuta stretta da due grossi energumeni di cui non riuscivo a scorgere il volto.
« Lasciatemi! » gridai, dimenandomi. Ma erano forti, e non ci misi molto a capire che non era sempre stato così. Le radiazioni nel paese delle Meraviglie avevano agito peggio degli steroidi.
« Fossi in te non farei così tanto chiasso. Non vorrai mica farti trovare, vero? » la misteriosa figura al di là delle fronde scavalcò la matassa d'erba ed apparve, riconoscibile più di chiunque altro.
Prima di quel casino amavo trascorrere qualche giornata nel paese delle Meraviglie, nonostante lo considerassi un covo di matti. Ma adesso avevo come l'impressione che entrarci non era poi stata un'idea tanto brillante.
Di fronte a me, il leprotto bisestile mi fissò con quegli occhi indagatori, muovendo le lunghe orecchie che cadevano delicatamente sulle spalle. Anche lui era diventato decisamente più alto, e aveva la gobba. Il pelo era ispido e mancava in alcuni punti, così come il suo panciotto macchiato e rovinato dal tempo.
Sembrava essere appena uscito da una rissa.
« Non ce la passiamo bene, vedo. » mugugnai, cercando di scrollarmi nuovamente di dosso i due gorilloni, che non erano altro che due degli animali del bosco. « andiamo, ragazzi. Non dovete fare...una maratonda, o qualcun'altra di quelle idiozie che prima amavate tanto? ».
Uno dei due mi ringhiò contro. Probabilmente non capivano il mio umorismo. Il leprotto prese la mia lancia e guardò i due bestioni. « portiamola via. ».
« Via? » ripetei, agitandomi di nuovo. « andiamo, non mi riconosci? Le radiazioni ti hanno spappolato il cervello, per caso?! ».
Lui si avvicinò a me con una strana bottiglietta di vetro. Appeso al tappo di sughero c'era un bigliettino con su scritto Bevimi. Maledizione.
« Da brava, buttala giù. » mugugnò lui, aprendomi la bocca con forza. Il liquido era color lavanda, e sapeva di stantio e ruggine. Un vero schifo.
« Brutti bastar – » cominciai, ma non sentii il resto. In pochi istanti caddi di nuovo nel buio.





Quando mi svegliai, l'irritante rumore di tazzine e ceramica fu la prima cosa che udii. Imprecai. Ero in quel maledetto posto da cinque minuti e già avevo mangiato e bevuto, le due azioni assolutamente controindicate.
Ed ora ero lì, narcotizzata, su quel lungo tavolo pieno di tazze.
« Tavolo? » ripetei, mettendomi a sedere di scatto. La testa mi girò per qualche istante, così cercai sostegno sul duro legno del tavolo di mogano scuro.
C'era odore...di tè. Sorrisi. Conoscevo quel posto. Mi guardai attorno, ma gli alberi coprivano tutto ciò che c'era al di là di quel luogo. I fumi delle teiere annebbiavano parzialmente la vista, ma nonostante tutto riuscii perfettamente a vedere dall'altro capo del tavolo.
« Sai che non dovresti bere nulla in questo posto. » sussurrò una voce suadente e bassa. « eccetto il mio tè. ».
« Non mi fido neanche di quello, se permetti. » risposi, e dall'altra parte udii una risata stridula.
« Mi scuso per il trattamento, Red, ma non eravamo certi che fossi ancora...te stessa. ».
Qualche passo verso di me, e finalmente riuscii a vederlo: il tempo e l'Apocalisse non erano riusciti a scalfire la sua figura distinta, ne i suoi abiti dai colori sgargianti; i capelli erano sempre di quel color perla, lunghi appena sopra le spalle e leggermente disordinati. Il Cappellaio fece un leggero inchino, togliendosi per un attimo lo sproporzionato cappello verde in segno di riverenza.
« Dì alle tue bestiole di trattare meglio gli ospiti. » sibilai, con un sorrisetto. Lui mi rispose di rimando.
« Bevi, sarai un po' scossa. » mi rispose poi, porgendomi una tazza color canarino. Afferrò una teiera fumante a forma di otto, e verso il tè nella mia tazza.
Inspirai quell'odore familiare, il vago sentore di limone e la punta di zucchero. Era sempre lo stesso.
« Alcune cose non cambiano mai, vedo. » commentai, sorseggiandolo lentamente. « Ma credo sia maleducazione bere il tè sopra il tavolo, non credi? ». Il Cappellaio scoppiò in una sonora risata: nei suoi grandi occhi color nocciola c'era un barlume di luce che raramente riuscivo a vedere in lui.
« Vedo che la follia è sparita anche dai tuoi occhi. » proseguii, sedendomi su una delle grandi poltrone che fiancheggiavano la tavolata. Accanto ad essa c'erano la mia lancia e la mia sacca, accuratamente riposte vicino a me. Il Cappellaio guardò il cielo malinconico. « La follia non ci serve più. ».
In quel momento un fruscio dall'altra parte della radura attirò la nostra attenzione, e il leprotto – se così poteva ancora chiamarsi, vista la stazza – uscì dal fitto del bosco con una tazza sulla testa.
« Oh, mancavi solo tu. » esclamò il Cappellaio, facendogli segno di avvicinarsi. Lui si grattò la testa con una delle zampe, visibilmente in imbarazzo. Sapevo che era maledettamente difficile per lui chiedere scusa. Non era un'abitudine che aveva, visto che prima era matto da legare.
« Non ci pensare. » dissi, scrollando le spalle. « è tutto okay. ». Lui mi rispose con un grugnito e si appollaiò su una delle poltrone più distanti da noi.
« Hai incontrato il Bianconiglio? » mi chiese il Cappellaio, rompendo il silenzio. Annuii.
« Mi è stato utile. » dissi, bevendo un altro sorso di tè. « Devo riuscire ad attraversare il vostro mondo e arrivare dall'altra parte. ». Lo vidi sospirare.
Il Cappellaio era sempre stato un tipo malinconico sotto la sua follia: insomma, la storia del tempo che si era fermato all'ora del tè l'aveva profondamente scosso, nonostante nessuno se ne accorgesse visto che era matto.
« Purtroppo non è così semplice, mia cara. » disse dopo un lungo silenzio. « il nostro mondo è molto cambiato dall'ultima volta. Anche se la follia ci ha abbandonati, ci sono molte persone qui che l'hanno raccolta e fatta propria. ».
« Nel senso che sono più matti di prima? » mugugnai, con una smorfia. Lo trovavo difficile. Il Cappellaio mi lanciò un sorrisetto affettuoso.
« Adoro il tuo senso dell'umorismo. Per fortuna non ti ha abbandonata. » sibilò, lasciandosi andare sulla poltrona. « La Regina Rossa ha dato vita ad una delle dittature più terribili che questo regno abbia mai conosciuto. Le carte ispezionano la zona e non danno scampo a nessuno. Fortunatamente questo posto è tenuto nascosto dall'incantesimo del tempo, e nessuno può entrarvi se non invitato o portato qui da uno di noi. Per questo il leprotto ti ha portata qui con la forza: di questi tempi chiunque potrebbe essere una spia della regina. O peggio, fare tanto baccano da far scoprire il nostro nascondiglio. ».
Rimasi ad ascoltare le sue parole con molta attenzione, comprendendo perché il Bianconiglio amava stare lontano da quel posto: era molto difficile uscirne, così come viverci.
Sospirai. « Io non capisco. La Regina Rossa è già stata sconfitta, perché Alice non fa nulla per fermarla? E' l'unica che può riuscirci! ».
A quel nome, il Cappellaio sussultò. Pronunciarlo aveva fatto scattare in lui qualcosa, probabilmente di orribile. Rimasi in silenzio, osservando il tremolio appena percepibile delle sue mani.
« Cappellaio..? » mormorai, confusa. « Va tutto bene? ».
Lui sospirò di nuovo. « E' ora che tu veda una cosa, Red. ». Detto questo si alzò, ed io lo seguii: ci addentrammo all'interno del bosco, in una minima porzione di quel regno a cui la regina non poteva accedere. Oltrepassammo la spiaggia degli animali, adesso deserta. Ci scambiammo un rapido sguardo, e il Cappellaio percepì subito i miei pensieri. Effettivamente, non sentire più gli animali cantare quegli stupidi motivetti faceva un certo effetto.
Ci inoltrammo lungo il sentiero, fino a che non ci trovammo di fronte ad una casetta davvero deliziosa, tutta bianca e con le imposte blu. Il vialetto si interrompeva di fronte ad un piccolo cancello, che portava ad un giardino mal curato: da esso si diramava un secondo sentiero, che portava fino ad un orticello dove ora crescevano solo erbacce; il tetto era rovinato, e mancava qualche tegola; il patio era deserto e lasciato a sé stesso. Le imposte erano chiuse, dal camino non usciva fumo. Era una casa abbandonata.
« E' la casa del Bianconiglio? » azzardai, e lui annuì.
« Vieni. » mi disse, aprendo il cancelletto. Mi guidò fino alla porta: il pavimento del patio scricchiolava terribilmente, e c'erano ragnatele ovunque. Cosa poteva esserci dentro una casa abbandonata?
Il Cappellaio aprì la porta con una piccola chiave d'oro, estratta magicamente dal suo taschino. La porta scricchiolò, immergendosi nella stanza in penombra. La luce fioca attraversava le imposte chiuse in spiragli orizzontali, con una cadenza regolare.
Mi guardai attorno, cercando di ignorare la polvere e il buio. Il Cappellaio avanzò di un passo, guardandosi attorno. Solo dopo qualche istante si mise a fissare un angolo, dall'altra parte della stanza, completamente illuminato dalla luce della finestra chiusa. La polvere attraversava quel fascio di luce offuscandola.
E lì, all'angolo, finalmente la vidi. Quasi mi si mozzò il respiro.
I lunghi capelli biondi, l'abitino azzurro oramai rovinato dal tempo, la pelle diafana così delicata.
« Sono io, Alice. Sono il Cappellaio. » mormorò lui, avvicinandosi sotto il mio sguardo sconvolto.
Alice alzò lo sguardo, mostrando le grandi occhiaie e gli occhi celesti così vuoti, privi di luce e di qualsiasi barlume di vita. Erano frammenti di uno specchio rovinato dal tempo, opaco e senza alcuna vitalità.
Emise un mugolio così flebile che lo sentii a fatica. Guardò lui, poi lo sguardo si posò su di me. Spalancò gli occhi, intimorita.
« E' Red. Te la ricordi, Alice? E' un'amica. » mormorò il Cappellaio per rassicurarla. Lei mi fissò per qualche istante e poi tornò nella posizione iniziale, con le gambe rannicchiate al petto e la testa tra le ginocchia. Dondolava appena, e forse non se ne rendeva conto.
E a quel punto non riuscii più a resistere. Mi voltai e uscii da quella stanza. Da quella casa. Da quell'orrore.
Alice era mia amica. Forse una delle mie amiche più sincere, quando ancora si potevano stringere legami affettivi con qualcuno. Prima di tutta quella morte, di quella distruzione.
E adesso non c'era più niente. Era lì, in quella casa, senza più un'anima.
Cercai di cacciare via le lacrime, che sgorgavano silenziose macchiandomi in viso di una debolezza vile, ma necessaria. Ero arrabbiata, furiosa per quello che avevo visto. Sentii la porta dietro le mie spalle chiudersi, e percepii il Cappellaio dietro di me.
« Mi dispiace, Red. Non ero sicuro di mostrartela, ma ho pensato che se non l'avessi fatto poi sarebbe stato peggio. » mormorò, mortificato. Nella sua voce c'era un dolore che forse neanche io riuscivo a comprendere.
« Perché? Maledizione, perché! » gridai, stringendo i pugni fino a farmi male. Non sapevo se fosse una domanda o un'imprecazione. Mi lasciai cadere per terra, in ginocchio.
« Lei era l'unica che avesse un briciolo di testa in questo mondo. Ci aveva dato la forza di continuare, aveva sconfitto la Regina Rossa e ci aveva liberati. Ma non è stato sufficiente. » spiegò lui, avvicinandosi a me lentamente. « Dopo l'Apocalisse, tutto è cambiato. L'aria è diventata irrespirabile, le radiazioni hanno modificato il nostro aspetto e ucciso. La distruzione si è manifestata come mai aveva fatto prima. Non era più la follia a spaventarci. Erano l'orrore, la morte. La crudeltà. La Regina è diventata più forte. E Alice non ha retto. ».
Mi voltai, con l'orrore negli occhi. « Vuoi dire che... ».
Lui annuì. « E' impazzita. Da un giorno all'altro è diventata silenziosa, debole. Ogni cosa riusciva a spaventarla. La trovavamo negli angoli più bui del bosco, rannicchiata nel tentativo di non farsi trovare. Diceva che voleva sparire, andare via. E poi, quella luce, quel barlume così vivo che sempre era presente nei suoi occhi è...sparito. Per sempre. La Regina la vuole, e la vuole per vederla morta. Per questo l'abbiamo rinchiusa nella casa del Bianconiglio. In questo modo la Regina non può trovarla. ».
Tirai su con il naso, annuendo appena. « Per questo il Bianconiglio se ne va sempre in giro. » mormorai, e lui annuì. Non era solo per restare lontano da quel mondo. Lo faceva per Alice, per aiutarla.
« Non era quello che ti aspettavi, vero? » proseguì lui, e in quel momento un surreale silenzio ci avvolse.
Per la prima volta non era sufficiente distruggere la Regina. C'era qualcosa di molto più potente che andava eliminato. E fino a quel momento, Alice sarebbe rimasta in quel mondo tutto suo, a combattere con quell'assenza.
« Devo andarmene da qui. Devo riuscire ad uscire. » dissi, fermamente convinta che quel viaggio, da quel momento, non era più solo per me stessa, per il mio obiettivo. Era anche per loro.
Per tutti loro. E per Alice.
Mi voltai, dando una rapida occhiata alla casa. Sapevo che Alice era lì dentro, intrappolata in una prigione da cui era impossibile uscire.
Il Cappellaio si frappose tra me e i miei pensieri. « Ti aiuterò io. Perché so che puoi farcela, Red. Che il tuo viaggio ci aiuterà. Aiuterà tutti noi. ».
« Come lo sai? » mormorai, aggrottando appena la fronte.
Lui mi sorrise. « I matti credono sempre all'impossibile, mia cara. ».














Nb. Il titolo si riferisce alla celebre questione del "Non- compleanno", che mi è sempre piaciuta e che ho deciso di sfruttare. Il Paese delle Meraviglie mi ha sempre affascinato! Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto, nonostante le poche visualizzazioni della mia storia sto continuando a scrivere a ritmo serrato, spinta dalla creatività! Quindi spero vi piaccia!

L.



Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Itty-bitty living space. ***


thisfairitaleisradioactivenow



THIS FAIRYTALE IS RADIOACTIVE NOW.
-




-

5. Itty-bitty living space.





Il bosco era buio e non si vedeva ad un palmo dal naso: il Cappellaio ed io camminavamo vicini, lentamente.
Senza fare nessun rumore. C'era un silenzio inquietante che aleggiava tra gli alberi,come se nessun suono fosse permesso.
« Ti farò arrivare fino ad un bivio, e da lì proseguirai da sola. » sibilò il Cappellaio, attento a non farsi sentire da nessuno. Annuii appena, guardandomi attorno. Non che ci fosse qualcuno in quel momento, e questo rendeva tutto ancora più inquietante: il bosco era tetro e tinto di luci fredde e scure, di certo non come lo ricordavo. Il vento sussurrava le sue note macabre tra gli alberi, smuovendo appena le fronde tinte di un verde spento, oramai non più vitale come una volta.
Faceva freddo. O forse ero solo io ad avere i brividi.
Strinsi a me la lancia, come per proteggermi dai fantasmi del bosco che vedevo in ogni angolo.
« Lo so. » mormorò il Cappellaio nel silenzio, probabilmente leggendo la mia espressione. « è triste. ».
Abbassai lo sguardo: a quelle parole era inevitabile pensare ad Alice.
« Ci siamo. » disse il Cappellaio con voce ferma: eravamo arrivati in un piccolo spiazzo d'erba, al centro di cui troneggiava un'imponente quercia secolare che, nonostante i toni spaventosi del bosco, sembrava ancora piena di forza e vigore.
« Dov'è l'uscita? » chiesi, pronta a proseguire.
« Aspetta. Dobbiamo attendere il suo arrivo. » ribatté il Cappellaio, guardando verso l'alto.
« L'arrivo di chi? » mugugnai, confusa. Credevo che avrei proseguito da sola, e adesso spuntava quella novità. Per un attimo pensai che il Cappellaio mi avesse teso una trappola, e che da un momento all'altro sarebbe spuntata la Regina con le sue maledette carte, ma scacciai subito quel pensiero dalla mia mente.
In cuor mio, sapevo che di qualcuno potevo fidarmi. E il Cappellaio era quel qualcuno.
Lo vidi sorridere, guardando ipnotizzato tra le fronde dell'albero. Seguii il suo sguardo, e notai in tutto quel verde una coda di un intenso color violetto, tanto scuro da sembrare nero.
« Buonasera, Stregatto. » esclamò il Cappellaio, per la prima volta ad alta voce. Dall'albero spuntarono due piccole orecchie striate di rosa scuro, che nell'oscurità sembravano quasi brillare.
« Cappellaio. » sibilò lo Stregatto con voce suadente. Sembrava provenire dalle profondità della terra. « Vedo che siete riusciti ad arrivare senza intoppi. Red. » concluse, con un lieve cenno del capo.
Conoscevo poco lo Stregatto, di norma non era un tipo molto socievole. E poi, parlare con lui era come fare discorsi a vuoto con un muro, e alla fine non si riusciva a trovare né capo né coda alla discussione.
« Lo Stregatto ti porterà fino al confine. Non preoccuparti, andrà tutto bene. » concluse, posando una mano guantata sulla mia spalla. Un sorriso amaro attraversò le mie labbra. Cominciavano ad essere un po' ripetitivi con quella positività gratuita, ma d'altra parte era l'unica cosa che ci era rimasta.
« Ecco... » iniziai, in imbarazzo. Non ero solita intraprendere quei discorsi. « Bé, grazie. E...prenditi cura di Alice. Cercherò di fare del mio meglio per aiutarla. ».
Non volevo fare promesse, perciò non lo feci. Era troppo pericoloso in quel mondo.
Il Cappellaio annuì e si voltò, tornando indietro lungo la strada. Lo vidi scomparire tra gli alberi, fino a che non mi lasciò sola nell'ombra.
« Andiamo. » disse risoluto lo Stregatto, saltando giù dall'albero. « La Regina non ci metterà molto a trovarci se rimaniamo qui. ».
Lo guardai, strabuzzando gli occhi. Si accorse che avevo esitato per qualche istante, ma avevo le mie buone ragioni: aveva il pelo molto più lungo e stopposo, e i colori erano intensi e fosforescenti. In più, era molto più grosso di quando l'avevo visto l'ultima volta.
« Oh, sei cresciuto, caro mio. » commentai, senza riuscire a trattenermi. In quelle occasioni non avevo quel maledettissimo filtro chiamato discrezione.
« Già. Radiazioni. E ti fanno anche la permanente. » ribatté lui, lisciandosi il pelo fluorescente. Lo vidi svanire appena, diventando poco meno reale.
« Scusa, è che con questi dannati colori sono parecchio visibile. » mi spiegò, alzando gli occhi al cielo.
Io non dissi nulla. Semplicemente mi limitai a seguirlo in silenzio, in attesa.
Un passo, poi l'altro. Sembrava che i minuti passassero così lentamente da sembrare ore, e il bosco era tutto uguale. Non si vedeva uno spiraglio di luce, né un cambiamento che portasse a pensare a un qualche tipo di uscita.
« Red. » sussurrò improvvisamente lo Stregatto, senza fermarsi. Lo seguii a passo rapido, facendogli intuire che lo stavo ascoltando con un cenno.
« Ho delle informazioni dal Bianconiglio. ».
Il mio cuore mancò un battito: in quella confessione apparentemente minima c'erano tante di quelle informazioni che il mio cervello per un attimo andò in pappa.
« E' stato qui? » chiesi, senza scompormi. Dovevo mantenere la calma, così come stava facendo lui.
« Mh mh. Purtroppo le guardie della Regina ci stavano pedinando, ed è dovuto scappare. Mi ha detto che, semmai ti avessi incontrata, avrei dovuto dirti delle cose. ».
Rimasi in silenzio. « Sta bene? » chiesi solamente, sperando con tutto il cuore che la Regina non l'avesse catturato.
« Si, è uscito dal regno appena in tempo. Mi ha detto di riferirti queste esatte parole. » prese un respiro, si fermò un momento, poi proseguì. « c'è chi sa del tuo tesoro,ma devi dirigerti oltre le dune di sabbia. ».
« Un messaggio criptico. » commentai, arricciando le labbra.
« Qui non possiamo essere troppo espliciti. » mi spiegò lui, fermandosi di colpo. « la Regina opera il controllo della mente. Può sapere anche i dettagli di ogni conversazione contenuta nella mente di ognuno degli abitanti di questo posto. ».
Lo Stregatto continuava a rimanere immobile, muovendo esclusivamente gli occhi in ogni direzione. Fu in quel momento che anche io mi accorsi di uno strano fruscio, lontano e intermittente, proveniente dal fondo del bosco.
Poi distinsi chiaramente i passi.
Poi le voci.
« Ci hanno trovati. » disse semplicemente lo Stregatto. « Vai. Sempre dritto, non puoi sbagliare. Vai! ».
Annuii appena, e in quel gesto c'era tutta la mia gratitudine. Cominciai a correre rapidamente, schivando le radici degli alberi e le sterpaglie. Caddi un paio di volte, ma mi rialzai nonostante la fatica e le ferite.
Facevano male, ma in quel momento dovevo pensare solo a correre.
Non so per quanto tempo corsi senza voltarmi. Una luce improvvisa alle mie spalle mi costrinse a girarmi, e in quel momento una specie di incendio divampò sotto i miei occhi, lontano quel tanto che ci avevo messo per arrivare fin lì.
Pregai che non fosse accaduto nulla allo Stregatto, poi mi voltai e continuai a correre.
Corri, corri, corri.
Era il mio unico obiettivo in quel momento. Sempre dritto, senza sbagliare.
Nella folle corsa cercai di eliminare gli arbusti che mi intralciavano con la lancia, provando a non rallentare il passo. Sentivo le voci farsi sempre più vicine nonostante lo Stregatto si fosse immolato come diversivo.
Pregai di nuovo che fosse sano e salvo, e continuando a correre mi scontrai con una parete trasparente, invisibile ad una prima occhiata.
Ma io non ci feci caso. Vista la velocità a cui andavo mi accorsi solo dopo di esservi entrata attraverso.
L'avevo oltrepassata, come una barriera invisibile che riusciva a bloccare solo chi non aveva tanta fiducia in se stesso da attraversarla. Per un attimo fu come passare attraverso una sostanza vischiosa, creata apposta per rallentare il passo a chi ci entrava.
Proseguii a fatica, un passo dopo l'altro. Passarono secondi, poi minuti. E finalmente emersi.
Caddi a terra con un tonfo, udendo il rumore lontano di tutto ciò che avevo nella sacca cadere a terra.
Tossii, cercando di eliminare quel fastidioso odore di terra dal naso. Poi guardai alle mie spalle e vidi nuovamente la siepe, verde e imponente di fronte a me.
« Sono fuori... » mormorai, afona. « Sono fuori. ».
Mi sentivo incredibilmente spossata, eppure l'adrenalina continuava a scorrermi vorticosamente nelle vene mantenendomi reattiva. Mi alzai in piedi, barcollando appena.
Non avevo idea di dove fossi, ma l'aria sembrava respirabile e non c'era traccia di neve. Di certo non ero nel bosco di Biancaneve, e questo era un bene. Se mi fossi ritrovata al punto di partenza avrei dato di matto.
Ripensai alle parole del Bianconiglio. Dovevo dirigermi oltre le dune di sabbia, ma lì vedevo solo una grande distesa d'erba apparentemente fresca e rigogliosa.
Cominciai ad avviarmi, temendo che le guardie della Regina potessero spingersi fuori dal regno: nonostante lei non ne avesse mai avuto l'intenzione, non aveva certo timore nel mandare i propri galoppini a farsi ammazzare all'esterno.
E cominciai a pensare ad Alice.
Nonostante cercassi con tutte le forze di non farmi coinvolgere in quelle stupide vicende sentimentali, e di lasciare spazio alla bambina emotiva che ero un tempo. Ma lei era tua amica.
Stupidi, stupidi sentimenti. Non facevano bene proprio a nessuno.




La lunga distesa d'erba si era fatta sempre più rada, fino a scomparire quasi del tutto per lasciare spazio ad un infinito orizzonte di roccia rossa. Visto che gli ultimi eventi avevano completamente sconvolto la mia bussola, avevo deciso di andare sempre dritto ed evitare di cacciarmi nei guai per vie traverse.
Non conoscevo quella zona, né ricordavo di esserci mai stata, perciò per me era come fare i primi passi.
Grazie al Cappellaio avevo soddisfatto la mia sete e mi ero rifornita di qualcosa da mangiare, così da poter rimanere tranquilla almeno per un altro giorno. Sapevo di dover raggiungere un deserto, e quello ne aveva tutto l'aspetto, ma poi?
Continuai a camminare per ore, senza mai fermarmi. Avevo lo strano timore che, se fosse calata la notte, quello non sarebbe stato decisamente il posto migliore per nascondersi.
« Oltre le dune di sabbia... » ripetei di nuovo, pensando alla voce calma e speranzosa del Bianconiglio. Le mie parole echeggiarono nel vento, rimbombando tra le pareti di roccia irregolare, che tendevano via via ad abbassarsi lungo il cammino.
Abbassarsi?
Intorno a me, qualcosa stava cambiando. Il paesaggio si faceva via via più ampio, le grandi rocce rosse lasciavano spazio a elementi sempre più piccoli, mentre il resto si trasformava in sabbia. Quel graduale cambiamento mi strappò un sorriso.
« Maledetto Stregatto, sa sempre tutto. » mugugnai, ripensando alle vaghe indicazioni che mi aveva dato quel micio troppo cresciuto. Vai sempre dritta, aveva detto. E forse non si riferiva solo al suo mondo, perché adesso c'era della sabbia sotto i miei piedi ed ero fermamente convinta che lui lo sapesse fin dall'inizio.
Chi invece avrei dovuto maledire era il Bianconiglio, che come al solito parlava ad indovinelli.
Il silenzio attorno a me improvvisamente fu interrotto da una serie di suoni sordi e non molto lontani.
E questa volta li riconoscevo bene. Erano spari, probabilmente di armi pesanti.
E mi ci stavo avvicinando sempre di più.
La sabbia sotto di me aumentava man mano che andavo avanti, e in poco tempo attorno ebbi solo un'infinita distesa di deserto rosso. Camminavo da ore oramai. Il sole era alto nel cielo, ma cominciava impercettibilmente a calare.
« Lasciami andare! » gridò qualcuno in lontananza, sovrastato da quel rumore assordante. C'era un bambino che piangeva, e il rumore di tanti passi che sembravano circondarmi.
Accelerai, stando ben attenta a dove mettevo i piedi: non c'erano posti dove nascondersi, e da quel che sentivo poco lontano da lì non erano tutte rose e fiori.
« Lasciami! » udii nuovamente, più vicino. La voce era femminile, delicata ma al contempo intensa.
« Stà zitta! » rispose bruscamente un vocione cupo, che rimbombò nel deserto vuoto.
Respirai a fondo. Le dune di sabbia rossa aumentavano sempre di più, e in pochi istanti non riuscii a vedere oltre di esse. Continuai a camminare, mentre il percorso in salita si faceva sempre più ripido.
« Se non fai silenzio sarò costretto a punirti, mi hai capito ragazzina?! » vociò qualcun altro.
Rimasi nascosta, osservando la situazione con la duna come riparo sicuro: c'erano due grossi tizi con un turbante sporco e logoro in testa e la barba incolta. Uno di essi stringeva tra le mani una sciabola arcuata di enormi dimensioni, mentre l'altro impugnava una sorta di mitra con caricatore, puntato dritto verso due ragazzini.
Strabuzzai gli occhi, inorridita. Stavano veramente minacciando due bambini con quelle armi?
Che diavolo avevano intenzione di fare?
« Allora, vediamo se con le cattive ti convinco io. » proseguì l'omone nerboruto, strattonando la bambina per il braccio. Lei si lamentò, e il fratello – sicuramente più grande di lei – provò a separare il grosso braccio di lui da quello, esile, della sorella. L'altro gorilla lo spintonò, lanciandolo sulla sabbia.
« Non ti impicciare, moccioso. » mugugnò, sghignazzando. « Allora, ragazzina, dimmi: dove sono nascosti gli altri? ».
Altri?
« Guarda che se non me lo dici, » proseguì l'altro, stringendo il mitra lucente sotto la luce del sole. « non vorrò sapere più nulla da te. Ti sparerò dritto in quella bella fronte e poi lo chiederò a tuo fratello. Li troveremo, quei bastardi dei vostri genitori. Perché non mi rendi le cose più facili? ».
La bambina piangeva, e tremava come una foglia. Sentii un moto di rabbia attraversarmi il corpo. La sciabola lucente brillò sotto il sole ancora rovente.
Adesso basta.
Superai la collina a passo lento e mi fermai, pronta a utilizzare gli ultimi proiettili che mi rimanevano contro quei due brutti ceffi. I cilindri metallici attorno al mio braccio tiravano da morire, ma non mi importava in quel momento. Le connessioni si attivarono, brillando come stelle di giorno. I due ceffi si voltarono in mia direzione, sollevando lo sguardo con sorpresa.
Puntai il braccio, oramai completamente avvolto nel metallo, verso di loro. I grossi cilindri girarono vorticosamente in entrambe le direzioni, e il primo grosso proiettile colpì il tizio con il mitra, che stramazzò a terra senza neanche il tempo di rendersene conto.
L'altro mi guardava con sdegno. « Chi diavolo... » sibilò, infuriato, stringendo la sciabola con mano ferma.
Un ghigno vendicativo apparve sulle mie labbra. Mi ricordava un po' il maledetto lupo che da piccola mi aveva quasi ammazzata. Era un po' la stessa storia.
Solo che a quel tempo non avevo un fottuto cannone al posto del braccio.
Saltai lungo la duna, scendendo a piena velocità. Il grosso omone mi venne incontro, brandendo la spada con una ferocia tale da somigliare davvero ad uno dei lupi del mio bosco.
Schivai il primo colpo, poi il secondo. Mi voltai verso i bambini. « Via! » gridai. Li vidi annuire e correre nella direzione opposta. Di fronte a me, quella specie di gorilla probabilmente mi voleva morta.
Schivai un altro attacco, osservando i suoi movimenti. Era piuttosto lento, nonostante la forza e la stazza.
Pronto a scagliarmi la sciabola appuntita addosso, non feci in tempo a respingere l'attacco che un rumore forte, acuto e fastidioso ci sorprese entrambi.
Il suono stridulo di un proiettile che colpisce la lama di un coltello, disarmando il proprietario.
« Che..? » balbettò l'omaccione di fronte a me, guardandosi le mani libere con l'espressione inebetita. La sciabola era a qualche metro di distanza da noi, conficcata nella sabbia. Bloccai ogni suo tentativo di ribattere puntandogli la lancia al collo.
« Fossi in te non mi muoverei più di tanto. » sibilai, premendo appena la lama contro la sua scorza dura. Lo vidi deglutire lentamente, poi fare un impercettibile passo indietro. Sopra le dune, due figure oscurate parzialmente dalla luce del sole apparvero a poca distanza da noi.
« Ti conviene andare dai tuoi amichetti. » cominciò una voce femminile ed energica. « e informarli che non ci faremo sottomettere così facilmente. Hai capito? ».
L'energumeno davanti a me si trasformò improvvisamente in un cucciolo spaesato e impaurito. Lo vidi annuire freneticamente, e in pochi istanti scappò a gambe levate senza neppure riprendere la spada.
Mi voltai di scatto verso le due figure, che avanzavano lungo la duna in mia direzione. La prima che riuscii a scorgere fu la ragazza, colei che aveva parlato: la pelle olivastra fu il primo elemento che mi colpì di lei.
Indossava un abito a due pezzi celeste, e uno scialle dello stesso colore le copriva la testa. Quando mi si avvicinò si scoprì il capo, mostrando i lunghi capelli corvini legati in una coda ripresa in più punti. Intravidi il manico d'oro di una spada dietro le spalle, legato alla schiena da una cinta che le fasciava il petto.
Mi sorrise. Era strano in quel contesto, ma nonostante la frenesia degli ultimi minuti ne fui sollevata.
« Grazie per averli salvati. » disse nuovamente lei, fissandomi con i grandi occhi nocciola. Erano così profondi che mi sentii quasi catturata da quello sguardo. Improvvisamente i miei pensieri tornarono ai due bambini che avevo fatto fuggire. Risposi al sorriso con un cenno della testa.
« Era giusto farlo. » dissi, ferma. I ringraziamenti mi mettevano a disagio. « Ho fatto il mio dovere. ».
« Di questi tempi è difficile trovare qualcuno che lo faccia come si deve. » aggiunse lei, sistemando la pesante cinghia scura sulla spalla. Solo in quel momento mi accorsi che, oltre alla spada, si trascinava dietro un mitra dalle dimensioni spaventose. Probabilmente era stata lei a disarmare quell'uomo.
« Io sono Jasmine. ». Allungò la mano verso di me.
« Red. » risposi io, sussultando appena. Non ci eravamo mai incontrate, prima d'ora. La principessa di Agrabah ora aveva l'aspetto di una bellissima guerriera rivoluzionaria. Quando pronunciai il mio nome, vidi lo stupore sul suo volto.
« Red? » ripeté lei, sorridendo nuovamente. « E' un piacere conoscerti, finalmente. Quando si vive in due regni così lontani, non capita spesso di incontrarsi. ».
Ma ora era diverso.
« Ehi, Al! » gridò poi voltandosi verso la seconda figura, che avanzava lentamente lungo la duna: pian piano riuscii a scorgere un ragazzo alto, dai capelli corvini e ribelli. Anche lui portava con se un pesante mitra da combattimento.
« Aladdin? » azzardai, riconoscendolo. Non lo avevo mai visto davvero, ma non poteva che essere lui.
« E' un piacere conoscerti, Red. » disse rapidamente lui, stringendomi la mano nelle sue, grandi e ruvide.
A quanto pare non ero così sconosciuta agli occhi degli abitanti degli altri regni. In quel momento pensai alle parole del Bianconiglio, e quasi mi venne un colpo. Se dovevo cercare oltre le dune di sabbia, il posto non poteva che essere quello.
La mia mano tornò lentamente normale: i cilindri metallici rientrarono dolorosamente l'uno nell'altro, lasciando spazio alla pelle artificiale sotto cui scorrevano fili e lucine e altra roba elettronica in eccesso.
Jasmine e Aladdin osservarono in silenzio quella trasformazione, accorgendosi della smorfia di dolore che traspariva, nonostante tentassi di nasconderlo, attraverso le mie labbra.
« Deve fare un male cane. » mugugnò Aladdin con un ghigno. Jasmine lo guardò male.
« Oh, non preoccuparti. » mi affrettai a dire io, cercando di non metterlo nei guai. « Ha detto la verità. ».
« Cosa ti porta qui ad Agrabah? » mi chiese lei, sistemandosi nuovamente lo scialle sulla testa. A quel punto mi guardai attorno: all'orizzonte si scorgeva il palazzo del Sultano, e le grandi cupole d'oro sembravano splendide nonostante il sottofondo delle armi da fuoco. La magia di quel luogo sembrava essere scomparsa.
« Sono in viaggio. » dissi semplicemente, ma nonostante il mio linguaggio ermetico entrambi sembrarono capire. Forse perché anche loro erano ribelli, come me.
« Allora vieni. Sarai stanca dopo il cammino nel deserto. » concluse lei, facendomi strada.






Agrabah era diventata una città di rivolte, lotta e speranza. Si, perché nonostante le bombe e i combattimenti per strada e in pieno giorno, c'era ancora una scintilla che animava quei vicoli.
Jasmine e Aladdin ne erano la prova. Da quello che mi raccontavano, il regno era stato messo sotto assedio dopo l'assassinio del sultano. Jafar era morto da un pezzo, ma i suoi sostenitori continuavano ad aizzare faide contro i ribelli sostenitori del vecchio governo.
« Noi siamo i legittimi successori al trono. » mi spiegò Jasmine, con un'occhiata rapida verso Aladdin. Eravamo all'interno di una casa nel cuore della città, uno dei tanti rifugi dei ribelli. « Ma al momento non possiamo rivendicare nulla di ciò che ci spetta. Se fossimo in grado di salire al trono potremmo riportare Agrabah a com'era un tempo. Ma c'è un caos tale che nessuno può smuovere nulla. E tutto ciò che possiamo fare è combattere i ribelli che sostengono il potere di Jafar. ».
Annuii, bevendo un sorso di quell'infuso rigenerante che Jasmine mi aveva offerto con tanta premura. La osservai mentre ripuliva la lama della sua spada con cura. Aladdin non le toglieva gli occhi di dosso: come se perderla per un istante potesse significare perderla per sempre.
Era un amore nascosto dalla lotta, dalla ribellione, ma onnipresente. In quel momento pensai alla ragione del mio viaggio, alla voglia di scoprire cosa avesse ridotto il mondo delle Fiabe in quello stato pietoso.
A Peter.
Peter?
Arrossii a quel pensiero. Ma che diavolo di stupidaggine aveva partorito il mio cervello? Peter?
Come potevo pensare a lui in quel momento così delicato?
Dio mio, stai diventato una vera idiota.
Scrollai la testa, cercando di rimuovere quel pensiero. Non avevo idea di dove fosse, se stesse bene o che altro, e non dovevo certo pensare a lui in un momento come quello. Nonostante fosse mio amico.
Nonostante tutto.
« Ma nonostante tutto questo casino, siamo ancora fiduciosi. » proseguì Jasmine, con un sorriso malinconico. « Fiduciosi? » ripetei io, ammaliata dalle sue parole.
« Lo so che sembra strano, Red, ma siamo tanti. I ribelli che sostengono mio padre credono davvero in quello che fanno. E ci riusciremo. Riusciremo a riportare Agrabah alla sua vecchia gloria. » concluse lei, con un meraviglioso fervore nella voce.
« Le rivolte si stanno facendo più aspre. » aggiunse Aladdin. « Non sarà facile. Ma non molleremo. ».
In quel momento quella strana sensazione che avevo percepito nelle strade della città si riversò interamente nei loro occhi: ovunque andassi c'erano persone che credevano realmente nella loro missione, come io credevo nel mio viaggio.
I ribelli non erano solo lì, ma dappertutto. Lottavamo per qualcosa, ed eravamo accomunati tutti dalla stessa speranza. Una speranza che non si sarebbe affievolita mai. Una luce perpetua, per sempre.
« Mio padre sarebbe stato fiero di noi. E anche di te, Red. » sussurrò Jasmine, con gli occhi lucidi. Riuscivo a capire come poteva sentirsi. Superare la perdita di qualcuno non era facile. Aladdin le fu subito accanto.
« Perché non ti riposi un po' prima di ripartire? Sarai stanca, ed è inutile partire di notte. » mi consigliò lei, e inspiegabilmente la sua proposta mi sembrò quasi un sogno. Ero convinta che dormire non fosse fondamentale, ma in quel momento mi resi conto di averne un gran bisogno.
« Vi ringrazio tanto. Ma avrei bisogno di chiedervi un favore, prima. » dissi, guardandomi il braccio meccanico. « Avrei bisogno di rifornimenti. ».
Jasmine sorrise in modo complice. « Tranquilla, ci pensiamo noi. ».

 













Nb. Scrivere questa storia per me è molto importante, sto inserendo personaggi che hanno fatto parte della mia infanza e spero che modificandoli in questo modo possa rendergli giustizia! Spero che la storia vi piaccia, vi invito a farmi sapere cosa ne pensate, se ne avete voglia, lasciando una piccola recensione!
Un abbraccio,

L.



Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Treasure. ***


thisfairitaleisradioactivenow



THIS FAIRYTALE IS RADIOACTIVE NOW.
-




-

6. Treasure.





Quando aprii gli occhi ci misi un po' a rendermi conto di dove fossi. Poi ricordai il deserto.
Jasmine. Aladdin.
E quel grande letto pieno di cuscini su cui avevo dormito per un bel po'. Solo in quel momento mi resi conto di quanto fossi stanca, e di come quel viaggio stesse cambiando ogni cosa di me. Avevo l'impressione che quella sensazione sarebbe rimasta in me per sempre.
Mi stiracchiai, infilando nuovamente il corpetto metallico e le scarpe. Faceva un gran caldo ad Agrabah.
Di certo i miei vestiti da vecchio bosco innevato non erano proprio il massimo. Mi diressi verso la porta, più riposata ed energica.
« Lascia, faccio io... » mormorò una voce dall'altra parte della tenda, oltre la porta. Aladdin.
« Tranquillo, ho quasi finito. » sussurrò Jasmine. Scostai appena la tenda e li vidi, l'uno vicino all'altro.
Jasmine stava lavando le ciotole in cui avevamo bevuto qualche ora prima. Dalle finestre filtrava un debole spiraglio di luce.
Ma quanto avevo dormito?
La vidi riporre l'ultima ciotola sulla pila accanto al lavabo. Quel luogo era uno dei tanti rifugi che avevano in città e fuori: lì ci vivevano, ospitavano i ribelli e organizzavano le varie missioni ogni giorno.
Mantenerlo in modo decoroso era il minimo. Osservai i modi dolci e delicati di Aladdin mentre le cingeva i fianchi con le braccia, stringendola a sé. Arrossii impercettibilmente, dandomi della stupida da sola.
Ma il sorriso che apparve sulle loro labbra, quasi nello stesso momento, mi sembrò incredibile.
Si avvicinarono l'uno all'altra, sfiorandosi appena. Con le labbra a contatto, mi resi conto di essere un'intrusa in quella scena privata.
E mi ritrovai a pensare nuovamente a Peter.





Avevo dormito tutta la notte senza neanche rendermene conto. Jasmine mi aveva detto che il riposo era fondamentale se avessi voluto proseguire nel mio viaggio, perciò era contenta che fossi rimasta con loro fino alla mattina.
Camminavamo nei vicoli della città con le armi a portata di mano, nonostante la situazione sembrasse più tranquilla del giorno precedente: il mercato cittadino pullulava di gente, e in quel breve lasso di tempo mi sembrò di essere tornata alla normalità. Eppure, nonostante quell'apparente tranquillità, riuscivo ancora a sentire lo scricchiolio delle crepe che minacciavano di far crollare l'intero sistema.
Era l'occhio del ciclone, la calma prima – o forse, nel mezzo – della tempesta. Ma andava bene così.
Un attimo di respiro era necessario. Il riposo serviva a tutti.
« Dove stiamo andando? » chiesi, rivolta verso Aladdin.
« Ti portiamo a fare rifornimenti. » disse lui, strizzandomi l'occhio. « Da Jim. ».
« Jim? » ripetei, titubante. Non era proprio un nome tipico di quel posto. Probabilmente Jasmine comprese i miei dubbi, e ridacchiò. Mi piaceva vederla ridere, in quello sfacelo un sorriso era la cosa migliore che avevamo.
In quel momento un rumore di passi veloci e leggeri sopra le nostre teste ci distrasse. Guardai in alto, scorgendo una macchia scura sul cornicione della finestra sotto cui stavamo passando. Vidi Aladdin sorridere.
In quel momento, una scimmietta saltò sulla sua spalla, attirando la mia attenzione. Una scimmia?
« Abu! » esclamò Aladdin, con un buffetto sulla testa pelosa del primate. « dove ti eri cacciato? ».
Lanciai un'occhiata fugace a Jasmine, che osservava il suo uomo con devozione.
Un amore così non lo ricordavo.





Raggiungemmo una piccola bottega in un vicolo cieco. Le scalette strette e ripide portavano ad un locale buio, con solo due piccole finestrelle agli angoli per illuminazione.
Faceva caldo, e il vapore che fuoriusciva dai grossi macchinari disposti in fila lungo la stanza non aiutava.
Doveva essere la bottega di un fabbro, o qualcosa di simile. Un grosso omone dalla folta barba scura stava colpendo una lama affilata e rovente con un martello dall'aria davvero pesante.
« Ehi, ragazzi! » mugugnò lui, con un cenno della testa. Loro risposero al saluto.
« Lui sarebbe Jim? » sussurrai all'orecchio di Jasmine, ma lei fece segno di no con la testa. Si voltò verso una seconda porta sulla parete opposta della stanza, che si aprì nell'esatto momento in cui i nostri occhi vi si posarono.
Un ragazzo apparve sulla soglia con un panno sporco tra le mani piene di grasso: indossava una casacca color cachi e un paio di pantaloni scuri; ai piedi aveva degli anfibi. La pelle era chiara, i capelli castani stretti in un codino.
Quello non era certo di Agrabah. Ma allora che ci faceva lì?
« Jim, ti stavamo cercando. » esordì Aladdin, dirigendosi verso di lui.
Jim. Oh.
« Al, vecchio sbruffone. » rispose lui scherzosamente, abbracciandolo con un gesto affettuoso. Aveva una stretta forte, energica. Le braccia erano toniche e muscolose. Arrossii, e quando me ne resi conto cercai di nasconderlo.
Che diavolo mi prendeva adesso?
« Che vi serve oggi, ragazzi? » aggiunse poi, salutando Jasmine e guardando in mia direzione con l'espressione di un bambino incuriosito. Aveva l'aria di essere così spensierato da mettermi allegria.
« Oh, non siamo qui per noi, Jim. » rispose Jasmine, scostandosi appena. « Ti presento Red. Le servono dei ...rifornimenti molto particolari. Sicuramente saprai aiutarla. ».
Jim mi guardò con quella stessa espressione, spalancando i grandi occhi azzurri e brillanti. Sembrava volermi guardare dentro, fin nel profondo. Quell'intensità mi metteva quasi a disagio.
« Red. » dissi rapidamente, mettendo fuori il mio scudo virtuale contro quegli occhi indagatori. Lui mi strinse la mano, accennando un debole sorriso.
« Jim Hawkins, molto piacere. » rispose con un mezzo sorriso e il panno in equilibrio sulla spalla. « Vieni con me. ».
Lasciai Jasmine e Aladdin a chiacchierare con il gigante e il suo martello, mentre mi dirigevo con Jim nell'altra stanza, anch'essa prima di finestre e molto nascosta. Avevo capito fin da subito che quel commercio di armi non era assolutamente illegale, e lo si capiva anche dalla quantità di mitra, proiettili e altra roba accatastata in quello stanzino.
Ma alla fine la legalità era sopravvalutata in quel momento. Tanto meglio per me.
« Allora, fammi vedere l'arma. » esordì poi, nel silenzio della stanza. Era arrivato il momento.
« Okay. Ma ti conviene fare qualche passo indietro. » mormorai, pronta alla sua reazione. Lo vidi aggrottare la fronte, ma alla fine fece come richiesto. Chiusi gli occhi, percependo lo scorrere degli impulsi elettrici sotto la carne, e l'intenso vibrare del metallo che cominciava a muoversi.
Il cannone metallico cominciò rapidamente a formarsi attorno e dentro il mio braccio, provocandomi quelle fitte lancinanti che ogni volta mi facevano talmente male da far sembrare quei pochi secondi un'eternità.
Jim guardò in silenzio, gli occhi grandi fissi su di me. Mi sentivo scoperta, e fragile nonostante le mie difese.
Si avvicinò lentamente a me, un passo dopo l'altro, rispettando il mio silenzio: sembrava sorpreso e affascinato da quella trasformazione. Ero sorpresa anche io. Insomma, non era scappato a gambe levate.
Era già qualcosa.
Ispezionò ogni singolo centimetro di quell'aggeggio, osservando i cavi e gli ingranaggi che si muovevano lentamente, incastrandosi alla perfezione nelle sottili fessure dei cilindri metallici.
« Ti fa male? » mormorò, sollevando improvvisamente lo sguardo. Sussultai.
Di certo non era la domanda che mi aspettavo. Ero pronta a fornirgli informazioni sui materiali, il funzionamento e la tipologia di proiettili che avevo in precedenza. Ma non quello.
« Ecco...non adesso. » risposi, schiarendomi la voce. « ma quando si monta e si smonta, bé...è parecchio fastidioso. ».
Lo vidi annuire. Sfiorò con le dita i cavi perfettamente inseriti tra i cilindri, mantenendo un silenzio religioso.
« L'hai fatto tu? »
« Oh, no. E' una lunga storia. »
« Ho tempo. ».
Trattenni il respiro. Tempo? E chi ne aveva più in quel mondo?
E poi, quella storia non mi piaceva. Odiavo raccontarla, soprattutto perché neanche io la conoscevo bene.
« So solo che mi sono svegliata in mezzo alla neve e senza un braccio. Perdevo tanto sangue, ma sono riuscita a bloccare l'emorragia con uno straccio. Poi sono svenuta e quando mi sono svegliata avevo questo al posto del braccio. La pelle che si forma quando lo ripongo è sintetica. Non so chi sia stato, ma chiunque l'abbia fatto mi ha salvato la vita. Senza motivo. ».
« Un motivo ce l'aveva. » ribatté lui, ed io aggrottai la fronte. « Ti ha salvato la vita. Non è già una risposta sufficiente? ».
Mi lasciai sfuggire un sorrisetto. Touchè.
« Ho quello che fa per te. ». Lo vidi frugare tra le scatole poste su un grande ripiano di fronte a noi. Continuava ad aprire contenitori di plastica rigida, girando attorno al grande tavolo come un forsennato.
Alla fine sollevò un pesante scatolone scuro e lo portò di fronte a me: al suo interno c'erano dei grossi proiettili simili a quelli che avevo in precedenza, ma dall'aria molto più minacciosa.
« Argento e metallo. La scorza è bella resistente, non se ne trovano in giro. » commentò poi, tirandone su uno.
« Fantastico. » mormorai, ammaliata. I lupi del mio bosco avrebbero girato alla larga, con quei cosi che minacciavano di spaccargli la testa.
Guardai di nuovo Jim, orgoglioso nell'aver trovato quello che stavo cercando: indossava un orecchino d'oro, un piccolo cerchietto luminoso. Mi ricordava un pirata.
« Jim...come mai sei qui? Voglio dire...ad Agrabah. ». Era chiaro che non fosse di quel mondo. Pensai subito ad Esmeralda: che fosse anche lui un fuggitivo?
« Anche questa è una storia lunga. » mormorò lui, sospirando. « Ma, in sintesi, è solo la storia di un ragazzo senza casa. Il mio mondo oramai è ridotto in cenere. Montressor, il luogo da cui provengo, è stato raso al suolo dopo l'Apocalisse. Il potere nelle mani sbagliate, il desiderio di una forza illimitata, armi di distruzione di massa...una marea di stronzate che hanno portato solo a sofferenza. ».
Nei suoi occhi c'era qualcosa che rivedevo nei miei: la perdita. La perdita di qualcuno che, come con Jasmine, si rifletteva nello sguardo.
« Mi dispiace. Non volevo... »
« Non preoccuparti, Red. » ribatté lui, sorridendo. « Sto cercando di superarlo. Ognuno di noi ha perso qualcosa, ma nonostante tutto siamo ancora qui. Credo sia questo l'importante. ».
Solo in quel momento mi resi conto della collanina che portava al collo. Il ciondolo era un piccolo portafoto dorato, di forma ovale. Al suo interno, una donna bellissima e molto somigliante a lui sorrideva.
Il sorriso di Jim.




Jasmine e Aladdin mi accompagnarono al confine, dall'altra parte della città. Jim mi aveva lasciato rifornimenti sufficienti per un pezzo, assicurandomi che lì avrei sempre trovato quello che cercavo.
Salutarlo mi aveva lasciato con una strana sensazione all'altezza dello stomaco, un sentore che non riuscivo a definire correttamente.
« Fai attenzione, mi raccomando. » ripeté nuovamente Jasmine, fissandomi con gli intensi occhi nocciola.
Aladdin, accanto a lei, rimase in silenzio. Ma il suo sguardo non aveva bisogno di parole.
Erano così vicini, così uniti, che per un attimo pensai solo a loro due. Affiorò di nuovo quel sentimento di protezione che ogni volta cercavo di reprimere.
« Anche voi. Non cacciatevi nei guai. » mormorai, con una punta d'affetto nella voce.
Mi voltai sotto la luce del sole, senza dire altro. Non sapevo davvero che altro dire per non aggravare quell'addio già abbastanza apprensivo. Rischiavo di preoccuparmi per troppe persone in quel modo, ma cominciava a diventare inevitabile.
Diventava sempre più difficile reprimere i sentimenti che affioravano nel mio cuore ogni volta che incontravo nuove persone, e ogni volta che queste mi aiutavano.
La città scomparve lentamente dietro le mie spalle, con le sue dune di sabbia e quel barlume di speranza che per un attimo aveva colpito anche me. Secondo le parole del Bianconiglio, dovevo essere sulla strada giusta.
Dovevo solo continuare a camminare, e quel viaggio avrebbe avuto un senso.
Buttai un occhio sul mio braccio. Provai a muovere le dita, poi l'intera mano. Non ricordavo nulla di quello che mi era accaduto dopo aver perso i sensi nel bosco, e forse quel viaggio mi avrebbe aiutata a scoprirlo.
La sabbia cominciò a diradarsi lentamente a qualche ora di distanza da Agrabah: era un regno davvero enorme, e senza le indicazioni di Aladdin probabilmente sarei rimasta a vagare lì per sempre.
Forse un po' di aiuto ti serve, in fondo.
« Ah...stà zitta. » mugugnai, rispondendo a quel pensiero nato spontaneamente nel mio cervello stanco. Ma in realtà stavo solo parlando da sola come una pazza.





La conformazione del territorio cominciò a cambiare lentamente, man mano che il sole si faceva più alto nel cielo. Mi sembrò di essere tornata all'inizio, quando dal Paese delle Meraviglie mi ero diretta ad Agrabah.
La sabbia aveva lasciato spazio a cumuli di roccia rossa e terra, che si alzava a piccoli getti grazie al vento leggero. L'aria si era fatta più fresca, e anche il sole sembrava picchiare di meno sulla mia testa accaldata.
Probabilmente mi stavo avvicinando ad un confine, nonostante non avessi idea di dove fossi. Quelle terre inesplorate mi facevano sentire così impreparata ogni volta da farmi infuriare man mano che proseguivo.
Il cielo era azzurro e terso, così pulito che quasi non lo ricordavo: di certo il caldo bestiale che adesso opprimeva Agrabah era sufficiente. Io, al contrario, nel mio bosco mi ero beccata l'Inverno nucleare e un cielo costantemente plumbeo, di una tristezza desolante.
Fantastico.
« Oltre le dune di sabbia... » continuando a ripetere a me stessa come un mantra, quasi sperando che il Bianconiglio apparisse accanto a me per spiegarmi quel cavolo di messaggio che mi aveva lasciato.
Quello che apparve, al contrario, non me lo aspettavo di certo.
C'erano delle grosse pietre sul mio cammino: larghe e piatte, dalla forma rotondeggiante. Davvero enormi, avrei potuto stendermi su una di esse e sarebbe avanzato spazio.
Prima una sola, poi due. E poi non vidi altro per metri e metri.
Un posto così non l'avevo davvero mai visto. Salii su una delle pietre e ne testai la stabilità.
Erano piuttosto pesanti, e avrebbero retto un peso nettamente superiore al mio: quel lastricato sarebbe stata la mia unica strada per molte ore, se avessi deciso di percorrerla.
E siccome non vedevo altro attorno a me se non la prospettiva di tornare indietro, decisi di proseguire.
Saltavo da una pietra all'altra, cercando di scorgere cosa ci fosse sotto. Per un breve tratto sotto di esse vidi ancora terra rossa e pietruzze, ma lentamente mi accorsi che anche la terra cominciava a sparire sotto ai miei piedi, lasciando spazio solo a quei grandi sassi fluttuanti.
Fluttuanti?
Stavo camminando nel vuoto. O meglio, su delle grosse rocce sospese nel vuoto. Ma era lo stesso.
Mi fermai un istante a pensare, ma bloccarmi lì avrebbe voluto dire tornare indietro. E questo non potevo permettermelo in nessun caso, perciò avrei dovuto rischiare.
Continuai a camminare lentamente, mantenendo un passo costante e stando attenta alla reazione delle pietre al mio passaggio. Sembravano salde nonostante fossero circondate solo da aria.
Il silenzio mi circondava. Il cielo si fece via via più sbiadito, fino a che sopra la mia testa non ci fu che una coltre bianca. Sembrava dovesse arrivare una nevicata da un momento all'altro, ma la temperatura era ancora piacevole e fresca.
Tum, tum, tum. I miei passi oramai erano diventati familiari. In quel luogo così lontano dalla civiltà e diverso da quello che avevo appena lasciato, il silenzio mi era diventato amico.
Per questo udii subito il fruscio a pochi passi da me, quando una leggera nebbia aveva iniziato ad oscurare l'orizzonte. Quel rumore non l'avevo fatto io. E in quel luogo deserto non poteva essere un caso.
C'era qualcuno.
Tenni stretta la lancia tra le dita, pronta a difendermi. Ero sospesa in aria su un mucchio di sassi e con la nebbia alle costole, di certo questo non giocava a mio favore.
Ma non mi sarei arresa, non adesso.
« Avanti, fatti sotto... » sibilai, e quel fruscio si ripeté. La sagoma che intravidi era sicuramente umana.
La mia ombra si rifletteva sulle pietre grigie, aiutata dai pallidi raggi di sole che filtravano oltre le nuvole color latte. Osservai di nuovo la figura di fronte a me, poi di nuovo la mia ombra a terra.
Solo la mia ombra a terra.
Per un istante trattenni il respiro e rilassai i muscoli. Difendermi non sembrava più così importante.
Non ero in pericolo. La figura di fronte a me avanzò di qualche passo, mostrandosi oltre la nebbia leggera.
« Peter... » mormorai, in un sibilo. Mi mancava il fiato. Dal momento in cui lo avevo perso di vista nel mio bosco, avevo pensato alle più orribili tragedie. Vederlo lì, con gli occhialoni da aviatore sulla testa e i capelli ribelli mossi dalla brezza leggera, mi mozzò il respiro.
« Red. » rispose lui con un sussurro, incredulo quanto me. Sul suo volto i segni della stanchezza erano parecchi visibili, ma la luce che da sempre vedevo nei suoi occhi non era scomparsa.
Chiusi gli occhi, poi li riaprii. E lui era ancora lì.
Solo più vicino.
« Red. » ripeté, come se dire il mio nome mi rendesse più reale. Ormai vicinissimo a me, allargò le braccia e mi cinse le spalle, stringendomi in un abbraccio forte, energico.
Senza pensarci.
Chiusi di nuovo gli occhi. Sentivo le lacrime risalire e spingere con forza sulle palpebre in attesa di uscire.
Le ricacciai in dietro. Avevo giurato, santo dio, giurato che non avrei pianto per quel genere di cose.
Sentii le mani forti di Peter ricadere sulle mie spalle. Mi trascinò nuovamente contro di lui, contro il suo respiro sulla mia pelle. Rimanemmo in silenzio per minuti interi, stretti in quell'abbraccio che rendeva insignificante tutto il resto.
Non riuscivo a capire il motivo per cui non ero in grado di staccarmi da lui. Io non ero così. Non volevo essere fragile, vittima dei sentimenti come quelle sciocche ragazzine che tanto odiavo. Ma in quel momento non ero in grado di fare il primo passo.
« Ho pensato al peggio. » ammise lui in un sussurro, muovendo lentamente le labbra accanto al mio orecchio, facendomi tremare.
« Mi hai sottovalutata. » commentai io, senza trattenere un sorriso sarcastico.
« Dopo la tempesta di neve sono tornato a cercarti, ma non c'eri più. Te n'eri già andata via dal tuo bosco e non sono riuscito a trovarti. La tempesta ha continuato a imperversare per giorni. » mi spiegò lui, distanziandosi appena da me. Era più pallido del solito, e due occhiaie leggere marcavano gli occhi scuri rendendoli ancora più intensi. Era molto stanco.
« Sei rimasto bloccato nel mio bosco? » gli chiesi, ripensando alla terribile tempesta di neve e al miracoloso salvataggio di Biancaneve.
Lui annuì. « Volare era impossibile. Ho trovato un rifugio e sono ripartito quando la tempesta si è placata. Ma quando non ti ho più trovata, ho cominciato a cercarti. ».
Ascoltai attentamente le sue parole, ma tutto quello a cui riuscivo a pensare era quanto fossi sollevata di vederlo lì di fronte a me, sano e salvo.
« Io... » iniziai, senza sapere come concludere la frase.
Ero preoccupata.
Ho pensato spesso a te.
Pensavo di non rivederti più.
« ...sono contenta di vederti. ». Dire ciò che pensavo realmente non era giusto. Non lo volevo davvero.
In quel momento, avrebbe provocato solo più sofferenza. Peter mi sorrise, sfiorandomi il volto con le dita.
Quel contatto mi fece rabbrividire.
« Pennino? » dissi semplicemente, ripensando al motivo del suo viaggio. Stava cercando la cura per uno dei suoi bimbi sperduti, e oramai era passato parecchio tempo dall'ultima volta che ci eravamo visti. La sua espressione cambiò, e la luce nei suoi occhi fu oscurata da un incredibile senso di preoccupazione.
« Per ora ho trovato solo un palliativo. Lo mantiene in vita ma non lo cura. » mi spiegò Peter, senza riuscire più a sostenere il mio sguardo. « Sto continuando a cercare, ma sembra del tutto inutile. ».
« Non devi arrenderti. » ribattei io, stupita di quell'improvviso moto di positività. Lo vidi rispondere con un sorriso muto e malinconico.
« Adesso sei tu, quella poco realista. » mugugnò, quasi divertito. « una volta era il contrario. ».
« Non sono sempre stata così cinica, sai. ». Ed era vero. Una volta ero quasi troppo ingenua e spensierata per vivere in quel mondo. Ripensandoci, forse quel cambio di atteggiamento mi aveva fatto bene.
« Lo so. ». Peter mi prese la mano, stringendola nelle sue. « Ma non ho detto che questo sia un male. ».
Rimasi in silenzio, meditando su quelle parole. Forse non era un male, ma di certo non avevo ciò che avevo prima. L'Apocalisse mi aveva strappato qualcosa che volevo fortemente indietro.
« Devi andare. » mormorai, e non era una domanda, né una richiesta. Solo un dato di fatto. Dovevamo separarci, ed era giusto che fosse così.
« Non ti lascio di certo qui. » rispose lui, spalancando i grandi occhi scuri. « Vieni. ».
Non feci in tempo a ribattere. Peter mi afferrò per le gambe e mi prese in braccio, stringendomi con forza.
Il mio viso era vicinissimo al suo. « Che fai? » balbettai, impreparata.
« Ti porto via da qui. » disse semplicemente lui, e in un attimo ci alzammo in volo. Di certo volare mi avrebbe fatto arrivare alla fine del percorso molto più rapidamente. Non avevo ancora capito dove fossi.
« Sai in che Regno ci troviamo? » gli chiesi, poggiando il capo sul suo petto. Lo vidi scuotere la testa.
« Probabilmente una zona di transizione, ma non ne sono sicuro. ».
Rimasi in silenzio per il resto del viaggio. Durò qualche minuto, se non poco più. Ma per me, il tempo in quel momento si fermò. Sentivo il battito del cuore di Peter, il silenzio oltre le nuvole, i nostri respiri.
E per un attimo non pensai più ad altro.



 













Nb. Per chi non lo sapesse, Jim Hawkins è il protagonista de "L'isola del tesoro", celebre storia di Robert L. Stevenson. Personalmente, quando ero piccola adoravo questo romanzo, per questo ho deciso di inserirlo. La descrizione di Jim e il suo atteggiamento sono tuttavia ispirati al classico Disney "Il Pianeta del tesoro", ispirato al romanzo di Stevenson ma riletto in chiave fantascientifica. Per chi non lo avesse visto, consiglio di fare un tuffo nel passato e vederselo perché, nonostante sia abbastanza recente in casa Disney ( anno 2002) è caratterizzato ancora da quell'aura magica che riveste i grandi classici. Consiglio davvero a tutti di vederlo, anche perché ho intenzione di renderlo più partecipe all'interno della storia, dato che è un personaggio che mi piace moltissimo...ma non vi dico altro! =)
E poi abbiamo Peter: vi avevo detto che l'avremmo rivisto, personalmente è un personaggio che mi piace tantissimo anche in questa chiave più realistica...perciò spero non me ne vogliate per questo ultimo momento un pò più sdolcinato, ma non ho potuto farne a meno!
Spero mi farete sapere cosa ne pensate, e che continuerete a seguire la mia storia!
Un abbraccio,

L.



Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Rose. ***


thisfairitaleisradioactivenow



THIS FAIRYTALE IS RADIOACTIVE NOW.
-




-

7. Rose.





Il viaggio insieme a Peter mi risparmiò la traversata di quel luogo inesplorato. Quando mi lasciò a terra, di fronte a noi le grosse pietre erano sparite, lasciando spazio ad una grande distesa d'erba.
Quella landa deserta sembrava non avere fine. Il cielo era tornato plumbeo e pesante. Somigliava al mio bosco, ma non c'era neve – almeno per il momento.
Peter esitava a riprendere il volo, ed io lo guardavo in attesa. Nessuno dei due voleva allontanarsi, ma prima o poi andava fatto. Avevamo entrambi una missione da portare a termine, e non potevamo aspettare ancora.
« Tornerò a cercarti. » disse lui ad un certo punto, sollevando appena i piedi da terra. Mi limitai ad annuire.
« Vedi di non morire. » sibilai con voce flebile, non potendo fare altro. Le lacrime represse continuavano a stare al loro posto, ma la mia anima era sempre più tormentata.
« E tu non cacciarti nei guai, ragazzina. ». Sollevandosi in aria, non distolse mai lo sguardo da me. Continuammo a guardarci fino a quando non lo vidi sparire di nuovo in cielo, diretto verso chissà quale luogo. Avevo avuto paura per lui, e non riuscivo ad ammetterlo. Ma ora che lo avevo visto sano e salvo, sapevo di poter continuare senza che quei pensieri mi ronzassero nella testa come una mosca fastidiosa.
Mi addentrai nella landa desolata, chiedendomi perché in quel posto non ci fosse un accidenti di individuo.
Tra le sterpaglie cominciò a farsi più vivido un sentiero di terra e sassi, lasciato a se stesso ma sempre visibile. Avevo come l'impressione che quel luogo una volta fosse un villaggio.
Le poche macerie ai lati della strada non potevano che confermare la mia idea. Continuai a camminare, addentrandomi tra gli arbusti che si facevano via via più alti e difficili da scansare. La temperatura calava passo dopo passo, e in pochi istanti rividi la brina sulle foglie e neve accumulata ai bordi della strada.
Aveva tutta l'aria di essere un luogo abbandonato, il cui clima era molto simile a quello del mio bosco. Sicuramente il freddo Inverno aveva colpito anche quella zona. Ma non riuscivo a capire ancora dove fossi.
La soluzione a quell'enigma mi apparve di fronte agli occhi, su un cartello di legno conficcato nel terreno. L'edera lo copriva quasi per intero, e un lato era scheggiato e rovinato dal tempo. Su di esso c'era un'incisione ancora chiaramente leggibile nonostante l'usura. Scrostai le foglie d'edera dagli angoli.


ADAM'S CASTLE


« Adam? » ripetei, strabuzzando gli occhi. Quel nome mi era familiare. Si, certo che lo era. Mi guardai attorno, poi oltre il cartello di legno. Un bosco di altissimi abeti si apriva di fronte a me, ed erano così fitti che non vi riuscivo a vedere attraverso.
Dio, probabilmente avrei dovuto addentrarmi in quel postaccio senza sapere cosa avrei trovato dopo.
Ma tornare indietro era fuori discussione. Perciò cominciai a camminare, cercando di ignorare gli sporadici fiocchi di neve che si posavano lentamente sulla mia mantella.




Quei dannati alberi non mi facevano vedere a un palmo dal naso. Camminavo sulla neve soffice da ore oramai, e avevo la netta impressione di essermi persa. Quel bosco era molto diverso dal mio, tanto buio e fitto che era impossibile orientarsi. Il crepitio delle scarpe sulla neve mi dava, tuttavia, un'inspiegabile sicurezza, come se fossi a casa.
Un lupo ululò in lontananza. Probabilmente anche questo mi faceva sentire a casa. Ma oltre a quel suono così familiare ce n'erano altri. Delle voci, voci arrabbiate.
Voci umane.
Erano molto lontane, ma riuscivo a distinguerle chiaramente. Tuttavia, vista la lontananza, al momento preferivo non preoccuparmene e dare più importanza ai vicini ululati che, con il passare dei secondi, aumentarono di numero.
Continuai a camminare a passo svelto, stringendo la lancia tra le dita senza distogliere lo sguardo dagli alberi che mi passavano accanto. Una sagoma scura si mosse rapidamente accanto a me, seguita da un'altra, più grande, a pochi passi di distanza.
Ero abituata a quel genere di movimenti, e non mi ci volle molto a capire che un branco di lupi mi stava alle costole. Tuttavia, nonostante l'imminente pericolo di morte, finalmente mi confrontavo con qualcosa a cui ero abituata. E, a giudicare dalle ombre, non si trattava di grossi bestioni simili a quelli del mio bosco.
Uno di essi apparve finalmente di fronte a me, ringhiandomi addosso con gli occhi tinti di sangue.
Erano lupi di boscaglia. Senza mutazioni genetiche, né radiazioni. Probabilmente solo molto affamati.
« Oh, ma guarda un po'. » mormorai, e un sorriso sadico apparve sulle mie labbra. « Cuccioli. ».
In tutta risposta ricevetti un ringhio famelico. Iniziai a contarli. Uno, due, tre...
Dopo il decimo persi il conto. Erano decisamente troppi.
Di sicuro ci sarebbe stato da divertirsi.
I primi tre si accanirono contro di me insieme, con il capobranco al centro. Schivai i loro attacchi cercando di non farmi azzannare, e li respinsi con la lancia. Mi piegai, scostando la mantella per avere libero accesso ai pugnali aderenti alla mia gamba. Ne lanciai uno al lupo di destra, colpendolo di striscio.
Erano veloci, ed io dovevo esserlo di più. Avevo una maledetta promessa sulle spalle, quella di non cacciarmi nei guai.
Maledetto Peter.
Continuai a respingere i loro attacchi senza fermarmi, ma quando mi accorsi che erano decisamente troppi per me, decisi di passare alle maniere forti.
« Volete che vi faccia arrosto, mh? » sibilai, mentre la neve continuava a cadere sempre più rapidamente sulle nostre teste. Strinsi la mano a pugno, percependo quella oramai inconfondibile sensazione di calore sulla punta delle dita, poi attraverso l'intera mano e l'avambraccio. Il rumore degli ingranaggi bastò per un momento a distrarmi dal dolore. Ogni volta faceva sempre più male, e questo non era un bene.
Il cannone metallico apparve in pochi secondi. Brillando sotto la luce chiara del cielo grigio. Rifletteva il candore della neve, e probabilmente quei vecchi cagnacci se ne accorsero. Li vidi indietreggiare quando gli puntai l'arma contro.
« Non siete più così cattivi, eh? » mormorai, cercando di infastidirli. Andiamo, fatevi sotto.
Il capobranco fece un passo avanti, poi voltò di scatto la testa. Lo vidi irrigidirsi, e poco dopo fecero lo stesso anche tutti gli altri. Alcuni scapparono via, mentre un esiguo gruppo rimase a poca distanza da me, con la testa fissa verso il fitto del bosco.
Quella dannata neve oramai oscurava completamente la visuale, ma distinsi chiaramente una figura scura dalle dimensioni esagerate, forse anche più grande dei lupi del mio bosco. I pochi lupi rimasti scapparono via lanciando dei flebili guaiti di resa.
Io non riposi la mia arma. A quanto ne sapevo, quell'essere nell'ombra poteva essere addirittura più pericoloso di loro. Attesi, in silenzio. Ero un cacciatore silenzioso, in fondo, e fare rumore non sarebbe servito a nulla. Tenni stretta la lancia, preparando il colpo con il cannone.
Tre, due, uno...
Una grossa zampa si posò su una foglia immersa nella neve, facendola scricchiolare appena.
Ora.
Mi scagliai velocemente verso la sagoma nera, che cominciava ad uscire dall'ombra. Non mi importava quanto fosse grossa o quanto potevano avere paura gli altri. Intravidi il pelo marrone scuro, lungo e inaspettatamente curato. Poi la camminata a quattro zampe, la stazza possente.
E in un attimo mi fermai, guardando in alto. Il bestione era decisamente più grosso dei lupi del mio bosco, e mi ringhiava contro con le grosse fauci, da cui spuntavano due enormi denti appuntiti.
I grandi occhi azzurri mi fissarono intensamente. Erano del colore del cielo, quando ancora era terso e limpido. Un'immensa distesa azzurra tra me e quell'essere animalesco che ora non mi faceva più paura.
Mi si mozzò il respiro. I miei occhi erano fissi su di lui, spalancati e increduli.
« Adam... » sibilai, senza quasi rendermene conto. Era proprio lui. La Bestia che volevo combattere.
Il principe Adam si bloccò, trascinato da qualcosa che intravidi solo focalizzando lo sguardo attorno alla sua testa. C'erano delle funi, funi che lo tenevano legato.
Ammaestrato.
Sollevai ancora di più lo sguardo, e a quel punto la bestia si voltò, girandosi trasversalmente. La vidi in tutta la sua grandezza, ed era davvero bella grossa. Di certo i lupi del mio bosco se la sarebbero fatta sotto.
A tenere le redini di quel bestione era una figura esile ma energica, che mi osservava dall'alto.
Il mio cuore mancò un battito quando la riconobbi, e anche da parte sua sentii chiaramente un sussulto.
« Red? » mormorò con la sua voce delicata, incredula quanto me per quell'incontro. Scese agilmente dalla bestia, con i fluenti capelli color cioccolato che ondeggiavano liberi in mezzo alla neve.
Due grandi occhi castani mi squadrarono, illuminandosi. « Red, sei tu. » ripeté, sollevata.
« Belle. » sussurrai, sorprendentemente sollevata per quell'incontro. Era lei. Ed era viva.
Conoscevo Belle da molto tempo, nonostante i nostri regni fossero lontani. Difatti non ero mai arrivata fin lì, né avevo visto il suo regno prima dell'Apocalisse. Ma lei aveva la fama di essere una appassionata viaggiatrice, perciò veniva spesso a trovarmi. Probabilmente aveva girato l'intero Regno delle Fiabe.
E ora era lì, splendida nonostante la distruzione. Un'altra fiamma che brillava di luce propria, in mezzo al buio che tutto quel caos aveva portato con sé.
Belle si avvicinò di un altro passo, poi mi abbracciò. Era sempre così dolce, nonostante tutto.
« Oh, non posso crederci... » sussurrò, con la voce spezzata dall'emozione. Mi era mancata la sua voce.
« Cosa... » balbettai, incredula di fronte a quella scena. Adam ci fissava immobile, muto nella sua bestialità.
Belle si voltò appena, quasi non ricordasse che il suo unico amore fosse tornato in forma animale. Poi tornò con lo sguardo su di me, concedendomi un altro dei suoi dolci sorrisi.
« E'...una lunga storia. » disse con un filo di voce, in gran parte coperta dal rumoroso scrosciare della neve attorno a noi. Indossava ancora l'abito dorato che aveva messo la prima volta con Adam. Quell'abito meraviglioso che ora aveva accorciato per adattarsi a quei tempi difficili. Indossava un cappotto blu, con degli intarsi dorati. Solo ad una seconda occhiata mi accorsi che un tempo quel capo era di Adam.
Ma ora, probabilmente non gli serviva più a nulla.
Belle tirò su il cappuccio che aveva accuratamente cucito sul cappotto del suo innamorato, proteggendo il viso ancora perfetto. « Vieni, andiamo al castello. ».
Adam emise un ringhio sommesso.
E in quel momento mi resi conto che non era più in grado di parlare.





Il castello di Adam cominciava a mostrare i primi segni di decadenza: la struttura esterna era ancora intatta, ma all'interno le stanze cominciavano a scurirsi di quelle ombre macabre che tingevano i luoghi abbandonati.
« Certe volte mi sembra di essere tornata a quando sono arrivata qui per la prima volta. » ammise Belle, versando il tè nelle tazze di porcellana bianca. « cerco di tenere il castello in uno stato dignitoso, ma per una persona sola è difficile. ».
Eravamo in una grande sala con gli araldi alle pareti: la legna nel camino ardeva riscaldando piacevolmente l'intera stanza. Le poltrone dall'imbottitura color cremisi erano grandi e comode, e attraverso le grandi vetrate si riusciva ad intravedere il bosco innevato in cui imperversava ancora la tempesta.
« Grazie a Dio ti ho trovata, con quella tempesta di neve là fuori non avresti resistito molto. » commentò, osservando oltre i vetri della finestra con la preoccupazione sul volto. Posò la manina esile sulla mia, stringendola appena.
« Ne sono sicura. Anche nel mio bosco la situazione è simile, e non è facile. » risposi, bevendo un sorso di quel buonissimo tè.
« Ho cercato di mettermi in contatto con te, e con Biancaneve, ma...purtroppo è stato impossibile. » aggiunse poi, dando una rapida occhiata alla Bestia che dormiva all'angolo della stanza.
« Cosa è successo al regno, Belle? ». Dovevo saperlo. Dovevo sapere la storia di quel luogo. La vidi incupirsi ancora di più, e affondare le labbra di nuovo nel tè bollente.
« L'Inverno è calato sul bosco e non è più andato via. Il villaggio è stato distrutto. » mormorò, e una lacrima solitaria le solcò la guancia cadendo sulla cintola del vestito, un cinturone di cuoio in cui teneva il necessario per la caccia nel bosco. « Raso al suolo. E come hai visto i lupi là fuori sono affamati. E...Adam... ».
Si bloccò, schiarendosi la voce incrinata dall'emozione. Chiuse gli occhi per qualche secondo e poi li riaprì, cercando di trovare la forza in quel poco che le rimaneva. Quel poco che rimaneva a tutti noi.
« Da quando è tornato...in questo stato? » le chiesi, provando ad aiutarla.
« Dall'Apocalisse. » mi rispose lei, voltandosi nuovamente verso di lui. « la mutazione è stata quasi immediata. Per qualche giorno è stato in grado di parlare, poi neanche più quello. Ora è allo stato animale. Credo mi riconosca, in quale modo. Capisce che sono ancora io, la stessa persona. Ma l'istinto è quello che è...quello di una bestia. ».
Annuii, senza sapere cosa dire. « E' accaduto anche...agli altri? » chiesi nuovamente, constatando che nel castello lei e Adam erano gli unici abitanti. La vidi annuire.
« Sono tornati gli oggetti che erano al momento della maledizione. Ma anche a loro è stata tolta la vita. » proseguì con un filo di voce. Un momento di silenzio, e poi riprese con un sorriso appena accennato sul volto. « ma almeno Adam è vivo...questa è l'unica cosa che conta. Lo riporterò a com'era un tempo, ne sono sicura. ».
Sorrisi. Un sorriso impercettibile che quelle parole mi strapparono senza accorgermene. Belle amava talmente tanto Adam che non si sarebbe lasciata sconfiggere da quel destino infausto. Così le raccontai del mio viaggio, di Biancaneve e di Alice, e di come volevo trovare una risposta a tutte le domande che ci stavamo ponendo.
« Non deve essere stato facile per te, in quel bosco. » commentò lei, sfiorandomi il braccio che poco prima aveva visto in una forma decisamente meno umana.
« Si fa quel che si può. » mi limitai a dire, senza alcuna autocommiserazione. Non ne avevo bisogno. In quel momento ripensai al mio viaggio, e al percorso che avevo affrontato per arrivare fino a lì.
« C'è qualcosa che vuoi chiedermi? » azzardò lei, con uno dei suo sorrisetti che sapevano tutto. Era incredibilmente brava a leggere le espressioni altrui.
« Ecco,sono passata...attraverso uno strano posto, per arrivare fino a qui. Un ponte di pietre fluttuanti. Per caso è un territorio di transizione? ». Il suo volto si fece più scuro. Probabilmente mi sbagliavo.
« Lo è, adesso. E' una terra desolata, di passaggio. » mi spiegò Belle, con lo sguardo oltre la finestra. « Ma prima dell'Apocalisse, quello era un Regno. Il regno della principessa Mulan. Non so come abbia fatto a trasformarsi in quel modo, ma dopo la distruzione la conformazione del territorio è cambiata completamente. E adesso è solo un ammasso di pietre fluttuanti immerso nella nebbia. ».
Le parole oltrepassarono le sue labbra e rimasero lì, sospese in aria. Meditai su ciò che mi aveva detto Belle, e in quel momento avere ancora il mio bosco, nonostante profondamente desolato e modificato, non mi sembrava più una realtà tanto orribile. Mi stavo rendendo conto che c'era a chi era andata decisamente peggio.
Pensai ad Esmeralda, a Jim, e a coloro che non avevano più un luogo dove andare. Che erano costretti a contare solo sulla generosità degli altri, sempre più difficile da trovare.
« E' un vero schifo. » borbottai, e quel commento mi uscì di getto. Belle non poté che annuire.
In quel momento mi vennero in mente le parole del Bianconiglio. Oltre le dune ci ero arrivata, e ora?
« Belle, hai incontrato qualcuno degli altri regni oltre me, di recente? » le chiesi, sperando in una risposta affermativa. Lei arricciò il naso, in quell'espressione buffa che faceva sempre quando era pensierosa.
La ricordavo bene.
« Qualche tempo fa, ma non di recente. Perché? ». Sbuffai, confusa. Il Bianconiglio sapeva esattamente quello che faceva, ed ero certa che aveva già progettato tutto nel momento in cui mi aveva fornito quell'indizio criptico. Se ero arrivata fin lì doveva esserci un motivo.
« Ah, io...non saprei. » mugugnai, senza altre risorse da utilizzare. Mi abbandonai sullo schienale della sedia. « Devo decifrare uno stupido indizio, e non so da che parte iniziare. Ma credo di essere sulla strada giusta...solo, non so come continuare. ».
I suoi occhi guizzarono da una parte all'altra della stanza, illuminandosi. Un sorrisetto scalfì le sue labbra rosee. « Non so di cosa si tratti...ma forse posso aiutarti. ».
Si alzò velocemente in piedi, sistemandosi la gonna dorata sotto le ginocchia. Mi prese per mano e mi trascinò fuori dalla sala, lungo le ampie scale che portavano al piano di sopra. Quel castello era immenso, e dopo la prima rampa avevo già perso l'orientamento. Probabilmente stavamo salendo su una delle torri.
« Dove stiamo andando? » chiesi, guardandomi attorno. Gli arazzi alle pareti mettevano inquietudine.
« Ti porto nell'ala Ovest. » rispose lei senza voltarsi. Oh, l'ala proibita.
Man mano che salivamo su per le scale, l'atmosfera si faceva sempre più buia e macabra. Le ombre tingevano le pareti e si nascondevano negli angoli, come presenze dispettose. Un grande portone in legno scuro ci divideva da un enorme stanzone in cui era stata lasciata un sacco di roba alla rinfusa, perlopiù vecchi mobili muffiti e altra robaccia piena di polvere.
« Scusa per il disordine. » mormorò lei, e a me venne da ridere. Di certo non doveva preoccuparsi di una cosa del genere, al momento. Ma Belle era fatta così. Delicata come un giglio bianco.
Attraversammo l'ampia stanza tra i pezzi d'antiquariato e le ragnatele, fino a che non raggiungemmo l'altro lato della sala, illuminato grazie alle ampie vetrate che davano sul piccolo balcone della torre.
E lì, su un tavolino di cristallo bianco, la vidi.
Una bellissima rosa all'interno di una teca di cristallo: era leggermente sospesa da terra, e brillava di luce propria. I petali erano di un rosa intenso, ma con venature di un intenso blu scuro, quasi corvino.
Era incredibilmente bella, nonostante quelle variegature scure facessero pensare ad una maledizione, o a qualcosa di simile.
« E'...e' proprio lei? » sussurrai, come se alzare troppo la voce potesse distruggere quel fiore così delicato.
Belle annuì. « Credevo di essermene liberata, e invece eccola lì. ».
« Come...com'è possibile? ».
« Non lo so neanche io, in realtà. Ma dopo l'Apocalisse è semplicemente riapparsa, con quelle orribili venature scure. » mi spiegò lei, sospirando. « i primi giorni è stato un incubo. Con Adam in quello stato, avevo paura che i petali ricominciassero a cadere. Avevo paura di perderlo di nuovo, di dover rompere la maledizione in qualche modo. E invece...nulla. ».
« Nulla? » ripetei, sorpresa.
« Proprio così. I petali non sono mai caduti. La rosa è rimasta come la vedi ora. Ma ha sicuramente a che fare con la trasformazione di Adam, perciò la proteggo fino a quando non ci capirò qualcosa. Sai, anche io avevo pensato di mettermi in viaggio qualche tempo fa, ma con la rosa radicata nel castello non posso abbandonare il mio regno. Se le succedesse qualcosa, non so cosa potrebbe accadere. ».
Ascoltai attentamente le sue parole, poi guardai di nuovo la rosa e capii cosa intendesse Belle dicendo che era radicata al castello: il gambo scuro si allungava fin sotto la teca di cristallo, giù oltre le gambe del tavolo, e da lì una serie di fusti secondari partivano in ogni direzione, coprendo l'intera stanza. Osservai il percorso di uno di loro, e mi accorsi che raggiungeva la parete alle mie spalle fino al soffitto. C'erano un sacco di spine.
« Oh. » mi limitai a dire, dandomi della stupida per la mia occhiata superficiale.
« Ma non è per questo che ti ho portata qui. » continuò Belle, scavalcando i rami della rosa fino ad un altro tavolo. Quando si voltò, tra le mani aveva uno specchio di cristallo, luminoso e splendente.
« Quello è lo specchio di Adam? ». Conoscevo quello specchio, Belle me ne aveva parlato: le era stato molto utile in passato, mostrandole ciò che realmente desiderava vedere, e forse mi sarebbe servito.
« Devo avvertirti, però. Non funziona più come una volta: decide lui cosa mostrarti, perciò fai bene la tua scelta. ». Annuii. Dovevo pensare, e pensare in fretta. Lo presi tra le mani, ammaliata dalla luce verdognola che emanava.
« Specchio, mostrami il Bianconiglio. » dissi con voce forte e chiara. Lo specchio brillò per qualche istante, poi si spense. Mi voltai verso Belle, che mi invitò a riprovare.
« Specchio, mostrami... » mi bloccai. Cosa? Cosa volevo vedere davvero? Lo sapevo. « ...la mia famiglia. ».
Lo specchio si illuminò di nuovo, poi si spense. Una fitta al cuore mi gelò, ma decisi di passarci sopra. Lo sguardo di Belle faceva intendere che non le avevo raccontato tutta la storia, e lo sapevo anche io. Non l'avevo raccontata a nessuno prima, e non amavo farlo. Sperai che soprassedesse.
Cosa poteva volere il Bianconiglio per me? Cosa poteva fare per aiutarmi?
Sussultai. « Specchio, mostrami l'indizio. ». Lo specchio brillò nuovamente, e finalmente apparve qualcosa.
Una spiaggia di sabbia bianca, poi l'oceano. Il mare era calmo e la luce del sole brillava nel cielo luminoso.
Belle emise un gemito. « Ci siamo. ».
« Conosci questo posto? » le chiesi, completamente ignara di dove si trovasse. C'erano un sacco di sbocchi verso il mare nel Regno delle Fiabe, quel posto poteva essere ovunque. Lei mi sorrise.
« Lo conosco perché è adiacente al mio Regno. » disse, con gli occhi che le brillavano. « Si trova al confine con il mio Regno, al di là del bosco. ».
Un sorriso spontaneo apparve sulle mie labbra senza che potessi evitarlo. Il Bianconiglio era un genio.
« Adesso dobbiamo solo farti uscire da qui. ».
« Oh, posso farcela con i lupi, non preoccuparti. ». I suoi occhi mi fecero intuire che i lupi non erano l'unico problema all'interno del suo regno. E mi vennero in mente le voci che avevo sentito in lontananza prima di incontrarla.
« Non sono i lupi il problema, Red. » rispose lei, confermando la mia ipotesi.
Maledetto intuito.




 













Nb. Eeee si. Sono una cattivona. Ma non voletemene, anche io adoro Belle e Adam e in generale la storia de "La Bella e la Bestia", perciò anche per me è stato piuttosto straziante scrivere questo capitolo, soprattutto dopo aver deciso di togliere la voce al nostro principe. Mi farò perdonare, lo prometto!
A voi, ora: cosa ne pensate? Ringrazio in maniera particolare chi sta leggendo questa storia...su, fatevi sentire! Voglio sapere cosa ne pensate, se avete dei suggerimenti sono qui!
Un abbraccio,

L.



Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Who could ever learn to love a beast? ***


thisfairitaleisradioactivenow



THIS FAIRYTALE IS RADIOACTIVE NOW.
-




-

8. Who could ever learn to love a beast?





La tempesta di neve si stava placando nel regno di Belle e Adam: dalla torre del castello gli abeti che occupavano fitti e ravvicinati il bosco sembravano tante piccole statuine di cristallo imperlate di bianca e candida neve. Il cielo grigio, tuttavia, minacciava ancora tempesta.
Eravamo usciti sulla torre dell'ala Ovest, la più alta del castello: Belle osservava l'orizzonte, pensierosa, mentre io mi preparavo – mentalmente e fisicamente – ad uscire di nuovo nel bosco.
« Quando il villaggio è stato distrutto, gli abitanti si sono riversati nel bosco, ma non erano più gli stessi. Come accaduto con Adam, l'istinto animale si è impossessato di loro. Adesso brancolano tra gli alberi come lupi allo stato brado. ». Belle si fermò a riprendere fiato, poi tirò nuovamente su il cappuccio della mantella.
Non riuscivo a crederci.
« Sono tanti? » chiesi, cercando di percepire anche il minimo rumore dal bosco.
« Una ventina. » rispose lei, indossando i pesanti guanti che usava all'esterno. « decimati, rispetto alla popolazione originaria del villaggio. Credo ce ne siano altri, ma hanno troppa paura per uscire. Solo i più aggressivi girano per il bosco. Ho dovuto ucciderne tre finora, minacciavano il castello. ».
« Sono mai arrivati fino a qui? »
« Prima. Adesso non lo fanno più. Adam li ha spaventati, perciò hanno paura di avvicinarsi. Ma se tu esci nel bosco, probabilmente ti attaccheranno. ». La vidi mentre puntava i piedi a terra, e dalla punta delle scarpe fuoriuscirono due artigli metallici, somiglianti alla lama di una lancia.
Fece lo stesso con la struttura di cuoio attorno agli avambracci, e anche da li spuntarono una serie di lame dall'aria parecchio pericolosa.
« Quindi dovrò distrarli. Tu devi arrivare dalla parte opposta del bosco. Attraversarlo in tutta la sua lunghezza. ». Sfruttando gli speroni su mani e piedi, Belle iniziò ad arrampicarsi sulla parete della torretta, sul cui tetto non si poteva salire dall'interno. Era un'attrezzatura piuttosto ingegnosa.
La fissavo con ammirazione mentre scrutava il bosco con attenzione, una cacciatrice in abito d'oro. Scese nuovamente alla mia altezza e con un saltello fu di nuovo sulla torre in cui ero rimasta io.
Sorrise, imbarazzata. « Adattamento. Adam riesce a farlo con gli artigli, perciò mi sono dovuta inventare qualcosa. ».
Scendemmo al piano di sotto e Belle portò Adam e me all'entrata posteriore: uscimmo nel grande giardino e arrivammo al grande cancello di ferro battuto, che si aprì con uno scricchiolio. Belle salì in groppa ad Adam, legandolo con le redini che avevo visto in precedenza.
« Vieni. » mi disse, tendendomi la mano. « Se sono lontani, riuscirò a portarti direttamente al confine. ».
Con un balzo agile salii su Adam, e in quel momento mi sembrò quasi di sentirlo parlare. Ma mi accorsi, dopo qualche istante, che si trattava solo di un'illusione. Non sentire la sua voce faceva uno strano effetto.
E ritrovarlo lì, di nuovo bestia, di nuovo animale, mi riportava ad un passato che non avrei voluto ricordare.
Ripensai ai lupi del mio bosco. A quando mi ero svegliata con il braccio reciso e sanguinante. A quando avevo pensato alla fine. E al mio secondo risveglio, viva e non più del tutto umana. Ma viva.
Iniziammo a correre tra gli alberi. Adam era agile, e schivava i tronchi fitti e ravvicinati tra loro molto facilmente nonostante la stazza. Belle tirò appena le redini e lui si fermò, girando a sinistra, poi di nuovo a destra e sempre dritto.
In quel momento sentii rumore di passi. Passi veloci, forsennati, diversi da quelli di Adam.
« Belle! » gridai, sperando che mi sentisse. La velocità e il rumore di Adam attraverso la foresta non erano d'aiuto, ma la vidi annuire e voltare appena la testa.
« Si stanno avvicinando, tieni gli occhi aperti! » gridò lei, e Adam aumentò la sua velocità.
Le voci si facevano sempre più vicine, la confusione aumentava. E improvvisamente mi accorsi di due ombre che ci seguivano, percorrendo accanto a noi la stessa strada. Erano coperte dagli alberi, ed erano tanto veloci che non riuscivo a vederli in modo definito.
« Dannazione... » mugugnò Belle, e dal cinturone che aveva in vita estrasse un pugnale dalla lama affilata, legato da un filo elastico alla cintura. Lo lanciò contro uno di loro, e tutto ciò che sentii fu uno schiocco e un mugolio tra gli alberi. Il pugnale tornò indietro grazie all'elastico, per metà coperto di sangue.
Uno di loro tentò di avvicinarsi, e lo respinsi con la mia lancia. In quel momento li vidi: erano umani, con i vestiti stracciati e la faccia sporca.
Sembravano vagabondi, ma sui loro volti c'era qualcosa di diverso: follia, istinto, rabbia.
Erano esseri animaleschi, veloci e aggressivi.
« Che diavolo è successo a questo mondo... » sussurrai tra me e me, ma anche Belle mi sentì.
Continuammo a cavalcare a gran velocità, fino a che le voci non si fecero un po' più lontane. Belle si fermò improvvisamente, tirando le redini di Adam – il quale emise un ruggito flebile.
« La direzione è questa. Vai sempre avanti, non fermarti. Io me la caverò. » mi disse lei rapidamente. Scesi da Adam e lo guardai negli occhi. Mimai un grazie con le labbra, sperando che lui, nonostante quello che era, riuscisse a capirmi. A comprendere quanto fossi grata a tutti loro.
« Perché lo fate? ». Mi uscì spontaneo, quasi d'istinto. Belle mi guardò. « Ognuno di voi cerca di aiutarmi mettendo a rischio la sua vita, e io...io mi sento... ».
« Smettila. » mi interruppe lei, guardandomi dall'alto della bestia. « Tu non hai idea di ciò che il tuo viaggio significhi per me. Per tutti noi. Stai mettendo a rischio la tua vita e ne sei consapevole. Siamo noi, ad esserti grati. Tu puoi farcela, Red. Ce la farai e non potrai fare nulla, per impedirmi di aiutarti. ».
Rimasi ad ascoltarla in silenzio, senza sapere cosa dire. Nessuno aveva mai fatto tanto per me. Tutta quella distruzione mi aveva trasformato in una cinica bastarda, ne ero consapevole. Reprimevo tutte le emozioni, impedendomi anche solo di pensare. Ma quello andava oltre tutto ciò che avevo sempre pensato di quel mondo in quello stato pietoso.
Perché c'era ancora speranza.
Annuii in silenzio e mi voltai. Cominciai a correre, ma la voce di Belle mi bloccò nuovamente.
« Red! » gridò, mentre Adam si sollevava sulle zampe posteriori. « Li ritroverai. L'ho capito, sai? La tua famiglia. E' questo, il tuo scopo. Trovarli tutti. Ce la farai, io ci credo! ».
Non mi lasciò il tempo di ribattere. La bestia si sollevò ancora come un cavallo imbizzarrito, ed entrambi partirono nel fitto del bosco per combattere gli esseri che cercavano di ostacolare il mio cammino.
Mi voltai ed iniziai a correre.
Probabilmente, eccetto il Bianconiglio, nessuno sapeva. Non era solo per trovare la causa di quel caos, che mi ero messa in viaggio. E il dialogo con lo specchio di Belle l'aveva messo in luce. Lei l'aveva capito.
Cercavo la mia famiglia, e questo voleva dire lei.
Mia nonna. Lei era ancora viva, ne ero certa. E sapevo che l'avrei trovata, alla fine del mio viaggio, perché era tutto quello che mi rimaneva al mondo. Dopo di lei ero sola.
Il crepitio dei miei passi sulla neve era silenzioso e costante. Cercavo di mantenere un ritmo veloce per arrivare il prima possibile al confine.
Un bagliore luminoso, improvvisamente, mi distrasse. Mi voltai di scatto per osservare meglio l'intensa luce che proveniva dal fitto del bosco.
Belle.
Rivolsi l'ennesima preghiera al cielo, sperando che quella specie di esplosione non l'avesse ferita, o non avesse procurato danni ad Adam. Sperai con tutto il cuore che stessero entrambi bene.
Un ringhio sommesso alle mie spalle mi mise in allerta. Mi ero fermata, e questo non era un bene.
Voltai appena il capo, indirizzando lo sguardo oltre la neve, oltre me stessa. Uno di loro era proprio lì.
E mi stava fissando con gli occhi di chi ha appena trovato la cena.
Mi voltai lentamente, cercando di non aizzarlo: dopotutto erano uomini ridotti allo stato animale, perciò dovevo comportarmi in modo da non scatenare la loro ira con gesti troppo rapidi o inaspettati. Aveva, in fondo, tutto l'aspetto di un umano: i vestiti, benché stracciati, pendevano a brandelli sul corpo sporco di fango e terra, e la postura ricordava ancora quella di un essere umano nonostante la schiena ingobbita e le braccia a penzoloni.
Quello che mi si era presentato davanti doveva essere un ragazzo piuttosto giovane: i capelli ramati, ispidi e incolti, scendevano a grandi ciuffi sul volto pallido ed emaciato, circondando gli occhi vacui e le profonde occhiaie da fame e freddo. Dietro di lui ne apparve un'altra, una donna dai riccioli rossi con le lentiggini e la pelle chiarissima.
Non potevo ucciderli. Erano ancora lì, me lo sentivo. Sotto quella scorza animale c'era ancora un cuore umano. Ripensai alle parole di Belle: anche lei doveva aver fatto un grande sacrificio uccidendo coloro che minacciavano il castello.
Così decisi di aspettare. Aspettare che facessero loro il primo passo. Contai una, poi due volte, sempre più lentamente. I secondi passavano, e dopo poco ne apparve un altro alle mie spalle. Stavano aumentando.
Non potevo rimanere lì. Dovevo andare via.
Corsi in direzione del ragazzo emaciato e dalla donna dai capelli rossi. Ostacolavano il mio cammino, perciò non dovevo farmi scrupoli. Tenni stretta la lancia attorno alle dita, cercando di spaventarli.
Al contrario, loro mi vennero incontro con lo sguardo inferocito e avido del mio sangue.
Sfruttai la velocità per schivare i loro colpi una, poi due volte. Nel frattempo ne vidi altri, probabilmente un gruppo separato da quello che Adam e Belle stavano combattendo al centro del bosco.
La rossa tornò all'attacco, di tutti era lei la più aggressiva. Mi ringhiò contro, lanciandomisi addosso. Cercai di schivarla, nonostante la sua velocità mi sorprese. Indietreggiai, e ricominciai a contare.
Uno, due, tre.
Uno, due, tre.
Il silenzio religioso del bosco durò per circa dieci secondi. Poi, con un movimento repentino, mi voltai di scatto e cominciai a correre verso il confine. Non volevo ucciderli, e rimanere lì probabilmente sarebbe andato a mio sfavore visto che aumentavano progressivamente di numero.
Sentivo le loro grida e i loro passi alle mie spalle, e non erano molto lontani.
Alzai involontariamente gli occhi al cielo: anche in una situazione drammatica come quella riuscivo a trovare il lato comico delle cose, visto che essere inseguita da un'orda di umanoidi in mezzo ad un freddo e umido bosco non era proprio nei miei piani della giornata.
Dallo scalpiccio alle mie spalle mi resi conto che erano decisamente vicini, e decisamente aumentati in numero.
Ma non era l'unico rumore nel bosco silenzioso. No, c'era qualcos altro. Un cigolio metallico, accompagnato da un bizzarro scoppiettio. Avevo le allucinazioni, per caso?
Cercai di concentrarmi nonostante la fatica per la corsa. Si, era decisamente un motore.
Voltai appena la testa, ma concentrarmi su quel rumore anomalo mi rallentava decisamente.
« Ma che diavolo... » mugugnai, constatando che qualcosa si stava avvicinando, e gli umanoidi non c'entravano nulla. Un'ombra sfiorò gli alberi, poi si frappose tra me e il bosco, alla mia stessa velocità.
Quasi mi venne un colpo quando focalizzai l'attenzione su quella sottospecie di tavola da surf di rame e metallo, con gli ingranaggi in vista e una vela color cremisi spiegata nella direzione del vento gelido.
I due motori turbinavano nella parte posteriore della tavola, che si staccava a pochi metri da terra.
Strabuzzai gli occhi, continuando a correre. Non poteva essere vero.
Il ragazzo alla guida mi lanciò un'occhiata intensa, lasciandosi sfuggire un sorriso malizioso.
« J-Jim?! » gridai, e la mia voce superò il rumore dei motori. Jim Hawkins era a pochi passi da me su un bolide in corsa con le rotelle degli ingranaggi che ruotavano a velocità disumana. Molto steampunk.
Ma era Jim Hawkins. Che diavolo ci faceva lì?
« Sali! » mi gridò, abbassandosi di poco. Lanciò un'occhiata fugace alle bestie che mi stavano alle costole, poi schivò abilmente un tronco bruciato e si rimise in linea retta.
« Che diavolo ci fai qui?! » gridai ancora, seguendo con le dita i bordi della sacca che tenevo in spalla. Appese al lungo manico di cuoio c'erano una serie di piccole sferette ancorate a dei ganci in ottone. Ne sfilai una, poi mi voltai e la lanciai all'indietro, proprio al centro della folla inferocita. La sfera emise un suono acuto e breve, poi esplose mandando tutti nel panico.
« Red! » gridò nuovamente Jim, avvicinandosi in volo. « Sali, maledizione! ». Mi tese la mano.
Nella mia testa circolarono una serie di pensieri nell'arco di pochi secondi.
Non voglio il tuo aiuto.
Questi tizi sono veloci, mi raggiungeranno.
Jim Hawkins è qui.
Sali.
Mi voltai si scatto, e con un salto bilanciato tesi la mano e afferrai la sua, poggiando i piedi sulla tavola motorizzata. Barcollai per qualche secondo, ma trovai sostegno nelle braccia di Jim. Mi strinsi attorno alla sua schiena e mi voltai ancora, osservando la folla alle nostre spalle.
« Tieniti forte! » gridò lui, e in pochi istanti partimmo a tutta velocità verso il confine.






Attraversare il confine fu come una doccia fredda. Mi ricordò la fuga dalle guardie della Regina rossa nel Paese delle Meraviglie. Attraversammo l'ultima parte del bosco innevato e poi a tutta velocità verso l'esterno.
Quando superammo l'ultima fila di abeti, ero sicura della nostra salvezza: gli umanoidi erano legati a quel regno, e il loro essere animalesco non gli permetteva di prendere decisioni in merito. Non potevano muoversi da lì. Ce l'avevamo fatta.
Fuori dal bosco la neve era sparita: quel dannato cambiamento climatico dovuto alle tempeste radioattive aveva fatto proprio un bel casino. Il passaggio ci creò non pochi problemi: attraversare la barriera tra le due zone destabilizzò i motori della tavola di Jim, che vacillò per qualche metro.
Le turbine si spensero per qualche istante, poi si riaccesero troppo tardi: la tavola si impuntò a terra e noi ruzzolammo giù.
Sentivo odore di terra bagnata. La polvere mi entrò nel naso, mentre rotolavo a qualche metro di distanza dalla tavola. Lasciai subito andare la lancia per evitare di avere la lama troppo vicino, e vidi il corpo di Jim distanziarsi dal mio.
Quando aprii gli occhi, a terra, ci misi un paio di secondi a capire cosa era accaduto. Mi rialzai lentamente, cercando di ignorare il dolore alla gamba. Dovevo essere finita su una pietra, o qualcosa del genere.
Mi guardai attorno: la tavola era ancora conficcata nella terra, le turbine si erano spente e la vela era ancora aperta. Jim era a poca distanza. Cercai di muovermi il più rapidamente possibile verso di lui, recuperando sulla strada la lancia che avevo abbandonato durante il volo.
Jim era disteso sulla schiena, con le braccia aperte e il volto coperto di terra. Quando cercai di svegliarlo una prima volta non rispose, tossicchiando appena ad occhi chiusi. Tirai un sospiro di sollievo, constatando che almeno non era morto durante la caduta. Di quei tempi, era un grosso passo avanti.
« Jim, mi senti? ». Lo vidi aprire lentamente gli occhi, battere le palpebre rapidamente un paio di volte e poi fissarsi su di me. Rimasi in silenzio, tirando un altro sospiro di sollievo.
« Stai bene? » mi disse con voce roca, tossendo ancora. Lo guardai storto: lui era in quello stato pietoso ed ero io a dovermi preoccupare della mia salute?
« Si...tutto okay. Ma forse dovresti controllare il tuo carretto. » gli risposi, cercando di tirarlo su con entrambe le braccia. Si mise a sedere, massaggiandosi la testa.
« Ehi, non chiamarlo così. Ah, la testa. Abbiamo fatto un bell'atterraggio, eh? » concluse, tirando fuori il solito sorrisetto che oramai riuscivo a riconoscere. Come poteva sorridere anche in una situazione come quella, era un mistero che non avrei mai capito.
A poco a poco riuscì ad alzarsi, e anche io feci lo stesso. Ci avvicinammo alla tavola impuntata a terra, e Jim la studiò da lontano. Poi, con forza, la liberò dal suolo e la mise nuovamente in posizione orizzontale.
« Vediamo un po'. ». Accese di nuovo i motori, che scoppiettarono per qualche secondo. Chiuse la vela, la riaprì e valutò le condizioni di ogni centimetro. Si alzò in volo e fece qualche piroetta, ma avevo l'impressione che quell'ultima parte servisse solo per darsi un po' di arie.
« Nessun danno. » asserì entusiasta, scendendo nuovamente a terra. Spense i motori e legò la tavola alla schiena con un cinturone di pelle. Poi lanciò un'occhiata alla mia gamba. « Ehi, ma tu sei ferita. Fatti dare un'occhiata. ».
« Oh, non è niente. Sono abituata e – » non feci in tempo a finire che mi ritrovai seduta sul terriccio umido con Jim che valutava la mia gamba da lontano. La sua espressione rendeva tutto ancora più comico.
« Va bene, va bene. Ora controllo. Basta che la smetti. » mormorai, scostando la mantella rossa dalle gambe. Al di sotto, le calze in pelle nera e lattice erano ancora intatte. Raggiunsi il bordo nella metà superiore della coscia e sganciai il reggicalze, tirandone giù una. Erano molto pesanti, e fornivano la protezione ideale per fronteggiare il freddo del mio bosco. Effettivamente si vedeva una piccola escoriazione sul ginocchio, ma nulla di grave.
Jim era diventato stranamente silenzioso. Frugai nella mia sacca, fino a che non trovai una fascia bianca e il sidro di mele che mi aveva dato Biancaneve. Dall'ultimo assaggio ricordavo che il tasso alcolico era parecchio alto, ed era comunque la cosa che si avvicinava più ad un disinfettante in quel momento. Ne lasciai scorrere un po' sulla ferita, poi fasciai delicatamente il ginocchio e tirai di nuovo su la calza.
« Sei contento, adesso? » mugugnai, ma lui si limitò a rispondere con un cenno silenzioso. Mi alzai in piedi, stiracchiandomi. Il mio corpo era ancora intorpidito dalla caduta. Quello che vidi attorno a me aveva tutta l'aria di un territorio di transizione: il bosco alle nostre spalle sembrava lontanissimo e inaccessibile, mentre davanti a noi si imponeva una lunga distesa di terra chiara. Mi voltai.
« Ti ringrazio di avermi portata fino a qui. » iniziai, sapendo che era arrivato di nuovo il momento di separarsi. « Adesso posso proseguire da sola, e tu puoi tornare alle tue...cose. ».
Jim mi guardò divertito. Non ero capace a fare quel genere di discorsi, lo sapevo benissimo. A dire il vero potevo sembrare piuttosto ridicola, e forse Jim stava pensando proprio a quello.
« Scherzi? Non ti lascerò in questa landa deserta. Vengo con te. » rispose lui, sistemando nuovamente la tavola sulle spalle.
« Oh! Grazie, ma...ma no, grazie. » mormorai, nonostante lui si fosse già avviato. Lo seguii a passo rapido, sperando che mi desse un po' di considerazione. « Ehi? Mi hai sentito? Ce la faccio da sola! ».
In quel momento mi ritornarono in mente le sue parole, e pensai inevitabilmente a Peter.
Non ti lascio di certo qui.
Tutti lì a volermi aiutare, come se non potessi cavarmela da sola. Come se non potessi farcela.
« Sappi che ce la faccio benissimo da sola. Non ho bisogno che tu mi faccia da spalla. » mugugnai, raggiungendolo.
« Oh, ma questo lo so benissimo. » rispose lui, attirando la mia attenzione. « Ma non voglio lasciarti sola. ».
Quelle parole sparirono nel silenzio. Non ribattei. Semplicemente, lasciai che il muto suono del vento le portasse via. Forse perché volevo dimenticarle. O forse perché mi avevano colpita.
Jim mi guardò di nuovo, e sentii quella stessa sensazione che avevo percepito al nostro primo incontro.
Camminammo in silenzio per un bel po', attraversando la landa deserta. C'era una brezza piacevole, nonostante il sole che cadeva a picco sulle nostre teste. Le cose cambiarono solo quando, improvvisamente, sentii uno strano odore diffondersi attorno a noi. Era piacevole, davvero piacevole.
« Lo senti? » sussurrai, e Jim si voltò. « C'è odore di...sale. ».
« Sale? »
« Si. Non so come spiegarlo... ». Jim annusò l'aria, e sulle sue labbra apparve un sorriso. Poi iniziò a correre.
« Ehi! » gridai, cercando di raggiungerlo. In pochi istanti alle mie orecchie giunse un rumore scrosciante, impetuoso, ma allo stesso tempo delicato.
Quando raggiunsi Jim, all'orizzonte una striscia blu si frapponeva fra la terra e il cielo.
Il blu intenso del mare.


 













Nb. Eccomi qui, e scusate se non ho aggiornato prima ma ultimamente ho parecchio da fare! Comunque, come vedete Jim si ripresenta nel corso della storia e i nostri eroi vengono condotti fino all'oceano. Mi è piaciuto scrivere questo capitolo, ho immaginato la fuga di Red in mezzo alla neve e il salvataggio da parte di Jim in ogni dettaglio. Ultimamente sto scrivendo con il sottofondo musicale dei Mumford and Sons, qualcuno di voi li conosce? Fanno della musica bellissima, dategli un ascolto, e magari potranno accompagnarvi nella lettura di questo capitolo.
Per il resto spero che la storia vi stia piacendo, e fatemi sapere cosa ne pensate! Ringrazio tanto coloro che hanno lasciato un commento, o anche solo un pensiero.
Significa tanto per me.
Un abbraccio,

L.



Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Red hair under the sea. ***


thisfairitaleisradioactivenow



THIS FAIRYTALE IS RADIOACTIVE NOW.
-




-

9. Red hair under the sea.





La terra divenne pian piano sabbia. La lunga striscia bianca era calda e soffice, e portava progressivamente ad una lunga distesa d'acqua, che a piccole onde si infrangeva contro il bagnasciuga.
Era un luogo bellissimo. Sembrava che l'Apocalisse non avesse minimamente scalfito quella terra. Forse non era così, forse c'erano cose che non sapevo e che non avevano nulla di buono.
Ma per un momento volli pensare che quel luogo avesse preservato tutta la sua bellezza e vinto il caos.
Jim tirò su le braccia, respirando a fondo. Doveva piacere anche a lui. Lo osservai mentre si metteva a sedere sulla sabbia, per poi togliersi i pesanti scarponi e arrotolare il bordo dei pantaloni fino al polpaccio.
« Ma che stai facendo? » chiesi, confusa. Lui si voltò e mi sorrise.
Che?
« Vado a sentire l'acqua. Vieni con me, dai! » mi rispose lui, dirigendosi a passo sostenuto verso la battigia.
Strabuzzai gli occhi: come faceva a darmi una risposta del genere in un momento come quello?
Era matto, per caso?
« Non siamo qui per perdere tempo! » mi lamentai, conficcando la lancia a terra e appendendo la sacca alla tavola che aveva conficcato nella sabbia. « Dobbiamo muoverci! ».
« Smettila di lamentarti e vieni qui! » mi rispose lui, irritandomi ancora. Presi un gran respiro. Dovevo mantenere la calma e ucciderlo più tardi, al momento opportuno. Sapevo che mi avrebbe tormentata fino alla fine dei miei giorni, perciò decisi di assecondarlo. Sfilai i pesanti stivaloni dai piedi e tirai su le pesanti calze in pelle, tastando la sabbia a piedi nudi per raggiungerlo.
Era un sensazione davvero piacevole: vivendo sempre nel mio bosco, avevo raramente l'opportunità di vedere il mare e camminare sulla sabbia. Dovevo ammettere che durante quel viaggio un'esperienza del genere era più che gradita. Raggiunsi la sabbia umida e poi l'acqua, rinfrescante e limpida.
« E' bellissima... » mi lasciai sfuggire, osservando i sassolini che brillavano attraverso l'acqua come perle.
Jim mi si avvicinò e mi schizzò con un piede. Le gocce d'acqua mi arrivarono sulle braccia e sul viso. Lo guardai, e lui scoppiò a ridere. Tornò indietro nel tentativo di difendersi, ma il mio contrattacco arrivò comunque. Mi lasciai scappare una risata mentre mi rincorreva per vendicarsi, poi mi fermai e guardai l'orizzonte, pensierosa.
« Non devi essere dispiaciuta. ». Jim mi si avvicinò con le mani sui fianchi. « Puoi essere felice anche tu, nonostante tutto. Non devi fartene una colpa. ».
Lo guardai, quasi ferita. Come aveva fatto a capirlo?
« Succedeva anche a me, fino a poco tempo fa. » proseguì lui, senza voltarsi verso di me. « Ogni volta che facevo qualcosa che mi rendeva anche minimamente felice, pensavo a mia madre. Alla sua scomparsa. E dicevo a me stesso che non dovevo, non potevo essere felice. Non ne avevo il diritto. ».
Abbassai lo sguardo. Aveva ragione, mi sentivo esattamente così. Forse lui mi capiva, perché come me era stato privato di qualcosa di talmente importante che tutto il resto sembrava solo una grossa stupidaggine.
« Ma alla fine ho capito che ragionando così non avrei vissuto affatto. ». Jim andò a sedersi a poca distanza dall'acqua, lì dove la sabbia andava progressivamente asciugandosi. Lo raggiunsi e mi sedei accanto a lui, distendendo le gambe. I piedi raggiungevano l'acqua, che con la risacca li rinfrescava a intervalli regolari.
« Perché eri nel bosco di Belle? » gli chiesi, osservando la grande distesa blu di fronte a noi.
« Cercavo mia madre. Ad Agrabah è arrivato un ragazzo di Montressor, anche lui in cerca di una nuova casa. Mi ha detto di aver visto una donna simile a mia madre tra gli umanoidi nel bosco di Adam e Belle, così sono partito subito per cercare conferma. » fece una pausa, poi scosse la testa. « Ma non era lei, ho battuto tutto il bosco per trovarla, e alla fine ho scovato una donna vicino al castello molto somigliante a lei. Ma non era mia madre. Poi ho trovato te. Fine della storia. ».
« Capisco. » mormorai, annuendo appena. « E ora tornerai ad Agrabah? ».
« Certo. » rispose lui, con un sorriso. « Lì hanno bisogno di me. Ma questo non mi impedisce di accompagnarti fin dove posso, o sbaglio? ».
Trattenni il fiato. Era una persona davvero strana, non potevo negarlo, e molto diversa da me.
Ma in quel momento non potevo evitare di ammettere che essere da sola su quella spiaggia sarebbe stato molto peggio.
« Perciò sembra proprio che dovrai bearti della mia presenza ancora per un po'. » scherzò lui, cercando di punzecchiarmi. Alzai gli occhi al cielo.
« Divertente. » borbottai, mentre mi infilavo di nuovo gli stivali. « Oh. L'hai visto anche tu? ».
Di fronte a noi, l'acqua si era increspata. Forse me l'ero immaginato, perché Jim scosse la testa in segno di negazione. Focalizzai l'attenzione su quel punto, ma non vidi più nulla.
« Aspetta, ora lo vedo anche io. » sussurrò lui, indicandomi la direzione con un dito. L'acqua si era increspata allo stesso modo, ma più vicina al bagnasciuga. Mi alzai in piedi per vedere meglio. Feci un passo avanti e l'acqua tornò ad incresparsi, questa volta più a fondo e più a lungo. Una macchia rosa cominciò ad espandersi poco sotto la superficie, fino a che affiorò mostrando un rosso brillante e vivido.
Jim mi guardò con la coda dell'occhio: nessuno di noi aveva idea di cosa diavolo fosse, ma era incredibilmente bello. La macchia rossa si espanse lentamente, fino a che sotto di essa non spuntò qualcosa.
Un volto.
Un volto umano.
« Quella è... » iniziai, ma Jim interruppe i miei pensieri a voce alta. Avanzò di un passo, finendo con i piedi nell'acqua. La macchia rossa si avvicinò appena, e il visetto si fece più vivido alla luce del sole.
« Ariel. » mormorò Jim a mezza voce, e la sirena di fronte ai nostri occhi balzò in superficie con un guizzo, lasciando ondeggiare la coda tra le onde.




Non avevo più incontrato Ariel dopo l'Apocalisse: i nostri Regni erano lontani, e già prima era raro che ci incontrassimo. Jim, al contrario, sembrava conoscerla bene. Si avvicinò a lei con un balzo, rimanendo con le caviglie immerse nell'acqua fredda.
Ci eravamo accorti entrambi che qualcosa era cambiato in lei: gli occhi erano due perle opalescenti, con rare sfumature azzurre. Non si riconosceva più l'intensa oscurità della pupilla, né il celeste vibrante dell'iride.
Mi ricordava alcuni pesci delle acque profonde, con gli occhi velati e irriconoscibili. Al posto delle orecchie le erano spuntate delle pinne turchesi che si diramavano in sottili peduncoli tra i ciuffi di capelli.
Aveva assunto un aspetto diverso, come se il mare l'avesse catturata nella sua morsa, offrendole un aspetto molto più vicino all'acqua che alla terra. Gli occhi vuoti ne erano la prova.
Ripensai ad Adam, e a tutti coloro che erano stati privati, in modi diversi, di una parte della loro umanità: forse ad Ariel era toccata la stessa sorte.
Rimasi ad osservarla mentre si avvicinava alla riva, utilizzando le braccia come sostegno. Jim affondò le gambe il più possibile per raggiungerla.
« Che ti è successo? » le chiese, e lei mimò qualcosa con la bocca. Poi, con un gesto della mano, si sfiorò la gola e seguì la linea del collo fino alle labbra, lasciando fluttuare le dita in aria. Ripeté quel gesto per due volte, con l'espressione vuota e triste. Jim sembrò non capire.
Io ripensai ad Adam. « Non può parlare. » mormorai, impietrita. Lei annuì, le labbra inarcate in un broncio.
Jim si voltò verso di me, gli occhi spalancati dalla sorpresa, poi tornò su Ariel. Lei gli sorrise.
In quel momento avevo la netta sensazione di essere di troppo, benché fosse una situazione normalissima e non ne avessi motivo. Eppure mi sembrava di sentire qualcosa che non andava, che non avevo mai provato in passato. Volevo andarmene da quel posto, nonostante non stesse accadendo praticamente nulla di male.
Che diavolo mi prendeva?
« Ariel. » dissi, cercando di interrompere il flusso immotivato di pensieri assurdi che mi oscurava la mente.
Lei si voltò verso di me, e indico con l'indice verso l'alto, come a voler dire che c'era qualcos altro, oltre l'assenza di parole, che era cambiato in lei.
Rimanemmo entrambi in attesa. Lei chiuse gli occhi, poi li riaprì e schiuse appena le labbra rosee. E lì, nel silenzio della spiaggia, una melodia armoniosa cominciò a diffondersi sotto i nostri sguardi sbalorditi.
Non poteva parlare, questo era vero. Ma poteva ancora cantare.
« Incredibile... » commentò Jim, ascoltando quella melodia che era solo suono, senza parole. Probabilmente neanche lei sapeva spiegarsi il perché di quello strano fenomeno, ma finché aveva la sua voce era ancora tutto possibile.
Feci un altro passo avanti nell'acqua, affiancando Jim. Ariel era sempre bellissima nonostante le mutazioni che avevano modificato il suo corpo, e adesso che ero più vicina me ne rendevo conto.
« Ariel, il Bianconiglio è passato di qui recentemente? » le chiesi dopo un attimo di pausa, ma lei scosse la testa in segno di negazione. Pensai ai suoi indizi, che erano arrivati fino al castello di Belle e Adam. Forse dovevo cambiare direzione una volta arrivata lì?
« Se mi ha fatto arrivare fino a qui... » sussurrai, pensando ad alta voce come al solito. « Forse... ».
In quel momento, Ariel puntò di nuovo il dito come aveva fatto in precedenza. Si tuffò all'indietro e nuotò per qualche secondo, emergendo dall'acqua a qualche metro di distanza. A quel punto ci fece segno di raggiungerla.
« Forse ha ragione. » commentò Jim, girandosi verso di me. « Se l'indizio era quello, dobbiamo attraversare le acque di Ariel fino a toccare terra. ».
« Eh? ». L'idea poteva anche avere un senso, ma stavamo sempre parlando di un oceano. « il Bianconiglio non può essere davvero così sadico da farmi attraversare il... » mi interruppi, e Jim mi guardò con sguardo eloquente. Okay, forse era tanto folle da pensare che sarei stata in grado di attraversare l'oceano da sola.
« E io che ci sto a fare, allora? » mi chiese Jim, guardando in direzione della spiaggia. La sua tavola era ancora conficcata nella sabbia, e aspettava solo di essere messa in moto.
Feci segno ad Ariel di aspettarci mentre tornavamo a riva. Jim mise la tavola in posizione orizzontale, riscaldò i motori e spiegò la vela. La brezza che tirava sulla spiaggia ci avrebbe permesso di andare molto più veloci, e di fare in fretta.
« Non sei obbligato, lo sai. »
« Smettila e sali. ».
Legai la lancia alla schiena, ancorandola saldamente. Mi posizionai dietro a Jim, piantando i piedi sulla tavola in modo da avere il giusto equilibrio.
« Reggiti. » mi disse lui, ed io afferrai i lembi della sua maglia, all'altezza dei fianchi. « Reggiti bene. ».
Sbuffai. Odiavo quel tono, soprattutto se proveniva da lui. « Va bene, mamma. » e strinsi più forte.
Lo vidi alzare gli occhi al cielo. I motori rombarono più forte, e lui tirò appena le maniglie attorno alla vela. La tavola partì con uno scatto, ed io quasi persi l'equilibrio rischiando di cadere dalla tavola.
Come contraccolpo lo abbracciai, cingendogli i fianchi con le braccia. Lo vidi sogghignare.
Idiota.
L'aveva fatto apposta.






L'acqua sotto di noi era di un blu intenso. Non avevo idea di quanto fosse profonda, ma era un bel po' che viaggiavamo e la riva oramai era lontana. Seguivamo Ariel con la tavola e, per quanto noi fossimo motorizzati, lei manteneva una velocità sorprendente: muoveva la coda su e giù come un pesce, aiutandosi con le braccia e saltando in superficie con la grazia e l'abilità di un delfino.
Era incantevole nonostante la mutazione e tutti i cambiamenti.
« Tutto bene? » mi chiese nuovamente Jim, ed io annuii. « Reggiti, dobbiamo salire un po' per superare gli scogli. ».
La tavola salì appena, e con un movimento deciso Jim spostò la vela in modo da virare leggermente e deviare verso destra, in modo da passare oltre gli scogli senza pericolo. Aveva il completo controllo del mezzo.
« Devo ammetterlo, te la cavi bene. » commentai, e lui reagì con un sorriso luminoso. L'aria era fresca e rilassante, e piccoli getti d'acqua raggiungevano le nostre gambe ogni volta che la tavola sfiorava la superficie uniforme del mare.
C'era un'atmosfera strana, e per un attimo provai un sentimento strano, qualcosa che fino ad allora non ero riuscita a percepire.
Serenità.
In mezzo a quella distesa di acqua e cielo, soli senza alcun suono se non quello delle onde, mi sentii improvvisamente pervasa da una strana tranquillità. I luoghi che avevo visitato riuscivano a tenermi in tensione, con il fiato sospeso, e ogni giorno mi chiedevo se avrei superato o meno la giornata.
Ma in quel momento, in quel luogo di passaggio, potevo essere libera di cancellare ogni pensiero dalla mente.
Jim scese ancora con la tavola, a pochi centimetri dall'acqua. Mi piegai appena sulle gambe, cercando di mantenermi in equilibrio, e tendendo il braccio sfiorai le onde con le dita. L'acqua era così fresca che al contatto provai un leggero brivido che risalì lungo tutta la schiena. Sentii Jim ridere.
Ariel saltò fuori dall'acqua con un balzo, poi si immerse e rimase sott'acqua per qualche minuto. Osservai la sua figura longilinea muoversi sinuosamente sotto la superficie. Non avevo idea di come stessero gli abitanti del suo mondo sommerso, o se addirittura ci fosse ancora. L'idea di non avere una voce mi spaventava terribilmente.
« Ci siamo. » annunciò Jim, ed io guardai dritto di fronte a me: lungo la linea dell'orizzonte, non molto distante da noi, una striscia di terra cominciava a farsi visibile ai nostri occhi.





Ariel ci osservava attentamente mentre scendevamo dalla tavola sulla terraferma: Jim spense le turbine e chiuse la vela, agganciandola dietro la schiena, mentre io mi avvicinai alla riva e mi piegai sulle ginocchia per avvicinarmi il più possibile alla sirenetta dai capelli rossi che, con gli occhi opalescenti, sembrava guardare tutto eppure niente.

Lei sollevò lo sguardo, poi mi indicò la direzione con la mano: proprio alle nostre spalle si apriva una lunga distesa di sabbia che, a poco a poco, si trasformava in una striscia di boscaglia dai colori spenti. In lontananza il cielo era grigio e pesante, e l'esperienza nel mio bosco mi suggeriva che di certo non avremmo trovato il tempo a nostro favore.
Non che fosse una stranezza: dopotutto, già prima dell'Apocalisse i cambiamenti climatici erano piuttosto repentini e variabili al passaggio da un regno all'altro, e ancora di più dopo quel terribile sconvolgimento che aveva incasinato le cose.
« Ci sarà da combattere di nuovo con la neve. » mugugnai tra me e me, fissando l'orizzonte. Mi accorsi di come il cielo fosse ancora chiaro nonostante fossi partita da Agrabah parecchio tempo prima.
Davvero bizzarro, ma oramai non mi stupivo più di nulla.
Mi voltai di nuovo, e osservai il sorriso luminoso di Ariel mentre parlava con Jim: aveva una spensieratezza da bambina sul volto e, nonostante gli occhi madreperlati apparentemente inespressivi, il suo sguardo diceva molto più di quanto quella sorta di maledizione volesse nascondere.
La vidi schiudere appena le labbra, e di nuovo una melodia dolce e delicata cominciò a diffondersi attorno a noi. Quella voce non aveva subito alcun cambiamento nonostante la distruzione che aveva attorno.
Jim si inginocchiò sulla riva, mormorando qualcosa che non riuscii ad intuire. Probabilmente la stava ringraziando per averci fatto da guida, ma non ne ero certa. Sapevo solo che quel senso di pesantezza, quell'astio immotivato che avevo già sentito in precedenza si faceva nuovamente spazio nel mio corpo senza che potessi fermarlo.
Alle nostre spalle, la landa spoglia ci stava aspettando. Non avevo idea di cosa si trovasse oltre quella fila di sterpaglie, ma avevo il presentimento che non fosse nulla di buono.






Quando i primi fiocchi di neve caddero delicatamente sulla mia mantella, quasi mi maledii di avere un sesto senso maledettamente puntuale.
Quella fitta boscaglia priva di senso presto si sarebbe coperta di una fitta distesa bianca, e probabilmente anche la temperatura sarebbe scesa a picco. Sollevai lo sguardo verso Jim, a pochi passi da me. Camminava mantenendo il passo, stretto negli stivaloni pesanti che falciavano l'erba incolta come macchine.
Indossava una maglia in tessuto leggero, e un giaccone dall'aria piuttosto pesante. Almeno era ciò che speravo.
« Jim... » iniziai per l'ennesima volta, ma lui reagì come al solito. Si voltò di scatto e mi fulminò con lo sguardo.
« Non se ne parla. » rispose, senza lasciarmi il tempo di finire la frase. « Non ti lascio qui nel bosco. ».
Alzai gli occhi al cielo, sbuffando per la sua testardaggine. Che diavolo, non sarei riuscita a convincerlo neanche se fossi stata maledettamente persuasiva. Quel ragazzo aveva la testa di legno.
« Sai, ti ringrazio davvero molto per avermi scortata fino a qui. Probabilmente sarei ancora molto indietro se non fosse per te. » cominciai con la mia solita parlantina, cercando di essere convincente.
« Accetto volentieri i tuoi ringraziamenti. Acceleriamo il passo, sta cominciando a nevicare. » ribatté, interrompendomi nuovamente per lasciarmi con la bocca mezza aperta.
Non capivo perché non volesse lasciarmi proseguire da sola. Non che la sua compagnia non fosse gradita, anzi: avere un compagno di viaggio poteva salvarti la vita, e lui l'aveva già ampiamente dimostrato.
Ma in questo modo mi faceva sentire di peso, come se fosse lui a condurre me. E questo mi stava meno bene.
« Non devi sentirti responsabile del mio viaggio. » mormorò lui nel silenzio del bosco. « Sono io che ho deciso di accompagnarti, perciò smettila di pensare a quello che, sicuramente, starai pensando. ».
« Come diavolo..? » iniziai, e lui si voltò verso di me strizzandomi l'occhio.
La neve iniziò a cadere sempre più fitta, fino a che la terra non si colorò di quel bianco candido macchiato solo dalle nostre orme solitarie. Tirai su il cappuccio della mantella e coprii il più possibile i capelli, che erano diventati umidicci e freddi. Il sole stava calando rapidamente, e poco a poco la notte circondò le nostre figure, lasciando solo una tiepida ombra sulla neve che svanì del tutto quando l'ultimo bagliore di luce scomparve dietro l'orizzonte. La luna si vedeva appena dietro le nuvole e gli alberi, sempre più alti e imponenti, avevano oramai ricoperto l'intera volta celeste.
« Faremo meglio a cercare un posto nascosto e ad accendere un fuoco. » propose Jim, sfruttando gli ultimi istanti del crepuscolo. Camminammo a lungo, raccogliendo più legna possibile lungo il percorso in modo da farla asciugare in tempo per accendere il fuoco. Tra gli alberi scovammo un abbozzo di grotta abbastanza nascosto, e decidemmo di accamparci lì per la notte. Era abbastanza riparata, e la chioma degli alberi aveva impedito alla neve di attecchire al terreno.
Jim sistemò la legna nella grotta e iniziò pazientemente ad accendere il fuoco. Uscii fuori e mi addentrai nella boscaglia dietro la grotta, allontanandomi dalla fonte luminosa: i rumori e i suoni erano quelli di un comune bosco, ma c'era qualcosa di diverso che non riuscivo a comprendere a fondo.
Mi guardai attorno, poi udii un rumore diverso di fronte a me: il cespuglio si mosse appena, con un fruscio labile. Sfilai lentamente il coltello dalla giarrettiera, e con un movimento rapido lo lanciai in mezzo al cespuglio, che rispose con un tonfo.
Andai a controllare: era una lepre abbastanza grossa, di certo ci avrebbe sfamato entrambi e non saremmo morti di fame in quel bosco freddo. Tornai indietro e Jim mi guardò con gli occhi grandi di fronde al fuoco che ardeva in mezzo alla grotta.
« Spero ti piaccia il coniglio. » dissi, e lui scoppiò a ridere. Chissà perché quello che dicevo lo faceva sempre ridere. Montai uno spiedo rudimentale e tolsi il pelo al coniglio, poi lo misi sul fuoco. Il profumo era davvero invitante. Tirai fuori la bottiglia di sidro di Biancaneve, mentre Jim vi affiancò la borraccia d'acqua fresca che avevamo ancora con noi.
Mangiammo avidamente e in silenzio: il coniglio era morbido e gustoso, e in un attimo lo finimmo. Dividemmo l'acqua, lasciandone un po' per il giorno seguente, poi iniziammo a bere il sidro per scaldarci.
La temperatura cominciò gradualmente a scendere, ma avevamo legna a sufficienza per tutta la notte.
E quella strana sensazione, quel brivido inspiegabile che avevo percepito nel bosco, continuava a persistere dentro di me senza che potessi fare nulla per eliminarla.
« Tutto bene? » Jim spostò un ciocco di legna rovente con un bastone, facendolo scoppiettare. Bevvi un altro sorso di sidro ed annuii, ma probabilmente lui non la bevve. Come faceva a capire sempre quello che stavo pensando?
« E' che...non so, ho avuto un presentimento. » ammisi, buttando le braccia indietro. Il terreno era asciutto e fresco. Nonostante le basse temperature esterne, attorno al fuoco c'era un tepore davvero piacevole.
« Ed è una cosa brutta? » mormorò lui, bevendo il sidro dopo di me. Feci una smorfia. In effetti, non sapevo come rispondere a quella domanda. Non sapevo se fosse un presagio negativo, ma ero certa che si trattasse di qualcosa di importante, che non dovevamo sottovalutare.
« Forse mi sto immaginando tutto, e devo solo dormire un po'. » mugugnai, sdraiandomi a terra. Il soffitto della grotta era pieno di crepe, e da alcune di esse fuoriusciva qualche foglia verde.
« Forse. » continuò lui, stiracchiandosi. Si sdraiò dall'altra parte del fuoco, nella mia stessa posizione.
« Sei strano, Hawkins. » borbottai, osservando la sua faccia da sbruffone. Rideva ancora di me. « Continui a seguirmi nonostante tutto. Davvero strano. ».
« Non ho niente da perdere. » sussurrò lui, nel silenzio della grotta, dopo qualche istante di silenzio. « E questo viaggio potrebbe essermi utile. Anche io sono alla ricerca, come te. E non voglio certo stare fermo quando potrei fare qualcosa di utile. ». Sussultai. Non ho niente da perdere.
Quella era una confessione strana. Eppure mi ci ritrovavo, nonostante non avrei mai ammesso ad alta voce di non avere più niente.
« Siamo più simili di quanto pensi. » mormorai alla fine, lasciandomi andare a quel tipo di discorsi. Li odiavo davvero, mi facevano sentire estremamente esposta. Ma al momento sentivo di poterne parlare con Jim, dato che oramai viaggiavamo insieme da un po'. Come un compagno di viaggio, o forse...
Un amico?
La mia stupida coscienza e le sue supposizioni. La zittii, cancellando quei pensieri che tanto odiavo.
« Perché siamo due folli in viaggio? » azzardò lui, scoppiando in una risata innocente. Nonostante tutto, quella spensieratezza mi era utile. Mi lasciai sfuggire un sorriso.
« Perché non abbiamo niente da perdere. » sibilai, e la voce si spense su quelle parole.
Jim rimase in silenzio per qualche istante. « Bé, non è del tutto vero. ».
Indirizzai lo sguardo verso di lui, voltando appena il capo. Lo vidi attraverso le fiamme, e anche lui mi stava guardando. I suoi occhi mi ricordarono il nostro primo incontro, e sentii di nuovo quella strana sensazione.
« Che vuoi dire? » gli chiesi, udendo solo lo scoppiettare del fuoco.
« Che per ora siamo compagni di viaggio. » disse lui a bassa voce. « E se ti accadesse qualcosa, non me lo perdonerei. Quindi qualcosa da perdere ce l'ho, a quanto pare. ».



 













Nb. Eeeee momenti teneri a rotta di collo! Lo so, scusate, sarà la vicinanza con il Natale ma in questo periodo mi sento molto più smielata...si vede? Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, ci tenevo a inserire Ariel tra i miei personaggi, perché mi piace davvero tanto...ho solo voluto renderla un pò meno umana, e spero che anche questo cambiamento vi sia piaciuto. Quindi, dato che il prossimo capitolo verrà pubblicato con molta probabilità a Gennaio, auguro a tutti voi di passare delle buone feste e un meraviglioso Natale! Spero mi facciate sapere, come al solito, cosa ne pensate di questo capitolo! Ci rivediamo a Gennaio, e tanti auguri ancora a tutti!
Un abbraccio,

L.



Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** The Original. ***


thisfairitaleisradioactivenow



THIS FAIRYTALE IS RADIOACTIVE NOW.
-




-

10. The Original.





Aprii gli occhi a fatica, ma subito mi resi conto di una meravigliosa sensazione che cominciò lentamente a pervadere il mio corpo: avevo dormito, mi sentivo riposata ed energica. Era da tanto che non mi svegliavo così riposata.
Il fuoco si era spento da poco, probabilmente Jim lo aveva rabboccato durante la notte: la legna fumava ancora, tiepida e scura. Voltai lo sguardo verso l'esterno della caverna, e con sollievo notai che non stava nevicando. La coltre bianca riposava in silenzio sul terreno, circondando i grandi alberi e il sottobosco.
Mi misi a sedere, stiracchiandomi. La testa mi girava un po', e ne capii il motivo osservando la bottiglia vuota di sidro. Biancaneve ci metteva decisamente troppo alcool, questo era assodato. Allacciai di nuovo la mantella sulle spalle e sistemai il cappuccio, poi mi voltai verso Jim. Dormiva ancora, accucciato come un bambino con i capelli scompigliati sul volto.
Aveva l'innocenza di un bambino, e in quel momento di silenzio assoluto mi venne voglia di avvicinarmi, come se nessuno potesse vedermi o sentirmi. In quel bosco muto mi sentivo l'unico essere vivente a poter respirare, l'unico a potersi muovere liberamente.
Avanzai a carponi vicino a lui: respirava lentamente, e ogni volta che i capelli gli finivano sul viso si muoveva per ricacciarli indietro. Era davvero uno spasso da osservare.
In quel momento aprì gli occhi lentamente, sbattendo le palpebre pesanti. Aveva lo sguardo assonnato e ancora non propriamente vigile, ma quando mi mise a fuoco sorrise. In quel momento mi resi conto di essere davvero tanto, troppo vicina a lui, così mi ritrassi indietro imbarazzata.
Che figura.
« Buongiorno. » biascicò lui con la voce ancora impastata, tirandosi su. Si stiracchiò e bevve un sorso d'acqua dalla borraccia.
« B-Buongiorno. » riuscii a dire io in risposta, presa in contropiede. Momento sbagliato, decisamente.
Non aveva una bella cera, nonostante celasse la stanchezza con quel solito sorriso sornione che mirava a tranquillizzarmi senza alcun risultato. Mi domandai se avesse dormito almeno un po'.
« Andiamo? » mormorò lui, interrompendo il flusso dei miei pensieri. Mise in spalla la tavola e in pochi secondi lo vidi fuori dalla grotta. Probabilmente non ero l'unica ad essere lunatica, lì dentro.
Mi limitai ad affiancarlo in silenzio, stringendo a me la lancia come a volermi proteggere dalla sua aura di negatività che stava facendo sciogliere anche la neve del bosco. Dio, come odiavo non essere l'unica ad avercela con il mondo intero. E dire che mi ero svegliata persino di umore decente quella mattina.
Così, per evitare di concentrarmi sulla sua instabilità emotiva, inizia a guardarmi attorno: il bosco era silenzioso e spento, coperto da quel manto bianco che mi ricordava tanto casa mia. Eppure, nonostante le somiglianze, c'era qualcosa di diverso, una divergenza sottile difficile da ritrovare anche con il mio occhio attento. Non c'era vita, lì dentro. Sembrava che il tempo si fosse fermato e non fosse più ripartito.
La stessa spiacevole sensazione della sera precedente tornò a farsi viva attraverso il mio corpo, e un brivido lungo e profondo mi scosse.
« Hai freddo? » mi chiese Jim, continuando a guardare l'orizzonte. Gli alberi dovevano essere lì da decenni a giudicare dalla stazza, ed erano talmente tanti che non si riusciva a vedere ad un palmo di naso.
« No, è solo...una sensazione. » risposi, sull'attenti. Avevo la netta impressione di non dover abbassare la guardia neanche per un istante.
« Finiscila, così non fai che agitarti e basta. » borbottò lui, alzando gli occhi al cielo. E quello che diavolo era?
Disprezzo, forse?
Il signorino era irritato, per caso?
« Ehi. » mi fermai, piantando per bene i piedi nella neve. « Non ho proprio tempo per le tue lagne di prima mattina, d'accordo? Se hai la luna storta fattela passare, ne ho già a sufficienza delle tue manie da adolescente frustrato. ».
Jim si voltò verso di me, a metà tra la sorpresa e il profondo disprezzo. Alla fine era pur sempre un uomo, e ferirlo nell'orgoglio equivaleva a mozzargli una gamba.
« Come hai detto? » mugugnò, riducendo gli occhi a due piccole fessure incattivite.
« Non ti ho chiesto io di venire con me e, scusami tanto, ancora non ho capito perché lo fai. Ma nonostante questo dovresti almeno avere il buonsenso di non odiare il mondo di prima mattina. » sbottai senza mai riprendere fiato. Dannazione, io non perdevo mai il controllo. Un altro punto in meno per lui.
Mi girai e continuai a camminare a passo spedito, lasciandolo lì. Lo sentii correre dietro di me aumentando il passo, ma non avevo nessuna intenzione di voltarmi.
« Ehi, Red! Dai, aspetta... » mi gridò lui dietro. « Scusa! Okay, non dovevo prendermela con te... ».
Le sue scuse mi sfioravano appena. Quel comportamento mi aveva fatto saltare i nervi, e adesso dovevo sbollire la rabbia e farmela passare.
« Red! » gridò lui per l'ennesima volta, e a quel punto mi voltai di scatto cogliendolo di sorpresa.
« Che vuoi? » mugugnai, nera per la rabbia.
« Senti... » sbuffò, passandosi una mano tra i capelli. Così vicino era decisamente più alto di me, ma questo non mi avrebbe impedito di dargli un pugno se avesse detto qualche altra stronzata.
« Non ho bisogno delle tue scuse, Jim. Non voglio le scuse di nessuno. Possiamo continuare, ora? ».
« Ho avuto uno schifo di nottata. Non ho dormito e...non dormo quasi mai. Ogni notte faccio degli incubi che mi tengono sveglio. Scusa se ti ho risposto male, non era mia intenzione. » parlava come se fossi l'unica in quel momento a capirlo veramente. Le sue parole avevano qualcosa di estremamente spontaneo e sincero.
Rimasi in silenzio, meditando su ciò che mi aveva appena rivelato. Non sapevo di quali incubi parlasse, ma in qualche modo lo capivo. Dopo tutta quella distruzione, le notti erano tormentate anche per me.
In quel momento un fruscio ruppe il silenzio estatico del bosco. Per la prima volta da quando ero lì sentivo un suono chiaro e deciso, fuori dal tempo fermo e statico che aleggiava su quel luogo.
Era un movimento leggero, che si fece via via più pesante. Un tonfo profondo fece vibrare il terreno.
« Che diavolo... » mormorò Jim, ma le sue parole furono interrotte da un urlo.
Il mio.






Quando ero più piccola avevo una bambola di pezza con i capelli rossi e le lentiggini. Mi piaceva acconciarle i capelli di lana in due codini sparati ai lati del viso, e cambiarle i vestiti quando il tempo cambiava.
Ogni volta che andavo a casa di mia nonna la portavo con me, e lei mi chiedeva di che umore fossi quel giorno. Solo dopo riuscii a capire il perché di quella domanda: vestivo la mia bambola non solo a seconda del tempo, ma sulla base del mio umore.
Un giorno le misi un vestitino nero e le coprii tutti i capelli con una fascia che avevo trovato in cucina, nera anch'essa. Quando arrivai a casa sua mi fece trovare la mia torta preferita sulla tavola e del tè caldo. Fuori nevicava, così mi avvolse nella coperta più calda che aveva e mi lasciò far merenda sul suo grande letto.
Prima di tornare a casa cambiai la mia bambola, le sciolsi i capelli e le feci indossare un vestitino giallo a fantasia.
Se in quel momento avessi avuto la mia bambola, probabilmente l'avrei lasciata nuda, senza vestiti.
Perché in quel momento nessuna sensazione, nessuna emozione pervadeva il mio corpo.
Non c'era niente.
Ero bloccata in quel bosco nel mio tempo personale, fermo dal momento in cui quella grossa mano mi aveva afferrata e sollevata a metri dal suolo. Ero al cospetto di una creatura enorme, mostruosa.
E nonostante fossi abituata a fronteggiare le creature più ostili e minacciose di quel mondo, in quel momento non riuscivo a muovere un muscolo.
Perché quella era la creatura.
Ciò che di più spaventoso avevo sempre temuto, e che in quel momento era proprio di fronte a me. Mi stringeva nella sua grossa zampa coperta di pelo scuro, da cui fuoriuscivano zanne acuminate.
« Allora, non mi chiedi che bocca grande che ho? » sibilò con voce roca e profonda l'essere di fronte a me.
Quello era un lupo enorme, e parlava. La sua voce raggiungeva gli angoli più nascosti della mia anima e li metteva a nudo con facilità estrema.
Percepivo un odore selvatico proveniente dal pelo scuro e folto che lo ricopriva. Aveva qualcosa di umano, e non solo nella voce. Riusciva a stare sulle sole zampe posteriori, mentre quelle anteriori erano impegnate a rendermi inerme. Ero minuscola rispetto a lui, e quel confronto mi fece capire che la sua stazza era decisamente maggiore rispetto a quelli che avevo affrontato nel mio bosco.
Ma lui era diverso: i suoi occhi color sangue mi fissavano intensamente, i denti bianchi e affilati bramavano la mia carne con consapevolezza. Sapeva chi era, ed io sapevo chi fosse lui.
Era il mio lupo.
Quello che credevo di aver sconfitto una volta per tutte molti anni fa, quando aveva tentato di uccidere me e mia nonna in quell'orribile giorno in cui ero stata ingannata. Il ricordo mi faceva accapponare la pelle.
Era lì, il lupo Originale, e voleva uccidermi.
« E' strano incontrarsi di nuovo, non trovi? » sussurrò lui con quella voce stranamente attraente e profonda.  « Non credevo di ammetterlo, ma sei diventata una bellissima ragazza, mia cara. Bella e succulenta. ».
Non riuscivo a muovere un muscolo, i miei sensi erano oscurati. Continuavo a fissarlo con gli occhi spalancati, tremando come una foglia. Sentivo le forze abbandonarmi lentamente mentre la presa su di me si faceva più forte. Voleva uccidermi così, senza che potessi fare nulla per fermarlo?
Ribellati, maledizione!
E come? Quello era il mio incubo peggiore, l'ombra che mi teneva sveglia la notte, il motivo per cui avevo decimato i lupi nel mio bosco, la rovina della mia infanzia.
L'Originale che credevo di aver sconfitto per sempre.
Sentivo delle voci lontane che continuavano a chiamarmi, a ripetere il mio nome. Ma forse me le stavo solo immaginando.
In quel momento l'Originale iniziò a stringere la presa e, Dio, faceva male da morire. Gridai, sempre più forte. Sentivo le sue zampe possenti distruggere a poco a poco il mio corpo, fino a farmi morire di stenti.
La prospettiva di quel tetro futuro incombeva su di me senza che riuscissi a fare nulla per impedirlo.
Era davvero finita così?
La mia vita, la mia ricerca. Tutto finito in un attimo?
I suoi occhi iniettati di sangue mi squadrarono di nuovo, e di nuovo rividi quel momento. Il momento in cui mi aveva guardato prima di essere ucciso dal cacciatore. Quegli occhi pieni di odio che giuravano vendetta.
« Allora, Cappuccetto Rosso, non hai niente da dirmi? ».
Non chiamarmi così.
In quel momento la mia mente vuota mise a fuoco qualche immagine alla rinfusa, probabilmente basandosi sul fatto che prima di morire si ricordano le cose più stupide. Non è vero che la vita ti passa davanti, se non vuoi abbandonarla. Ed io non volevo farlo, ma nonostante tutto non riuscivo a muovermi.
Lui strinse ancora di più la presa, e mi lasciai sfuggire un gemito di dolore. Faceva male, davvero.
Avevo le braccia bloccate, e le zampe erano talmente grandi da ricoprire per intero anche le gambe.
Poco dopo lo vidi mentre muoveva una zampa verso l'alto, come a volersi proteggere da qualcosa. Qualcuno gli aveva tirato un coltello, che si era andato ad infilare proprio su una delle zampe anteriori. Rispetto alla sua stazza, quel piccolo arnese risultava quasi ridicolo.
Lo sfilò con stizza, gettandolo come si getta una scheggia finita per errore sulla cute. Avvicinò entrambe le zampe al mio corpo, e con quella libera mi sfilò la mantella e la gettò a terra. Vidi il drappo rosso cadere lentamente verso il basso a peso morto, e mi immaginai mentre facevo la stessa fine.
« Non puoi essere... » sibilai, ricordando il cacciatore, e il lupo immerso in una pozza di sangue.
« Oh, invece lo è eccome, mia cara. » rispose lui, con un ghigno sadico. Voleva uccidermi lentamente.
Strinse ancora di più la presa, poi si bloccò guardando in basso.
Pochi istanti dopo, un'esplosione sotto di me lo fece vacillare. Immersa in tutto quel fumo non riuscii a vedere altro. Sentivo solo un gran chiasso, e puzza di bruciato.
Ma la sua presa era ancora forte, e cominciavo a sentirmi debole. Le forze mi abbandonarono lentamente, lasciandomi solo con la consapevolezza che da un momento all'altro avrei perso i sensi.
Poi, in un solo istante, la presa forte dell'Originale si fece più flebile, fino a che non sentii più nulla.
Mi sembrò di cadere nel vuoto, e un attimo dopo l'oscurità mi avvolse.





Sentivo il mio respiro. Calmo, lento e presente. Ero viva.
Cercai di aprire gli occhi, ma le palpebre erano pesanti e instabili, e continuavano a tremare come foglie.
Presi un respiro profondo, e un dolore lungo ma sopportabile attraversò la mia cassa toracica e si diffuse, scomparendo dopo poco.
Era tutto così ovattato che per un attimo mi sembrò di sognare. Ero indolenzita, ma non provavo alcun tipo di dolore. Come dopo una lunga corsa, o un allenamento intenso.
Riuscii ad aprire gli occhi, e mi resi conto di essere all'interno di una stanza: l'alto soffitto era formato da una serie di pesanti travi di legno, da cui spuntavano numerosi ciuffi di paglia secca. La camera era illuminata appena da una serie di candele, e l'unica finestra era chiusa e coperta con delle spesse tende di stoffa color giallo sporco. Il pavimento era scuro e formato da lunghe assi verticali, e l'odore mi ricordava quello di casa mia. Mi guardai attorno, disorientata: accanto al letto su cui ero distesa c'erano la mia lancia e la sacca con tutte le mie cose, posate su una sedia vicino al comodino.
Non avevo idea di dove fossi. Sembrava una sorta di baita di montagna, e dall'aspetto curato e ben tenuto sicuramente ci viveva qualcuno. Ma chi?
Improvvisamente una serie di ricordi confusi si riversarono nella mia mente senza alcun preavviso, destabilizzandomi: la neve, il silenzio, e il lupo Originale.
Un brivido attraversò la mia schiena per intero, facendomi vacillare. Tenni la testa tra le mani, chiusi gli occhi e inspirai a fondo, cercando di ritrovare il fiato perso per tenere testa a quelle memorie dolorose.
Non avevo idea di cosa fosse accaduto dopo che avevo perso i sensi, ma ero certa che la presa dell'Originale su di me doveva essersi affievolita fino a scomparire del tutto. Ciò che ricordavo era quella strana sensazione di abbandono, come fossi caduta improvvisamente nel vuoto.
Che fosse stato davvero così?
C'erano un sacco di domande che mi frullavano nella testa, e a nessuna sapevo dare una risposta certa. Ero terribilmente confusa, e da sola in quella stanza non riuscivo a mettere ordine.
In quel momento udii un rumore di passi. La pesante tenda che faceva da porta a quella stanza si scostò appena, e da dietro di essa apparve una figura che avanzò verso di me lentamente, scuotendo l'ampia gonna color canarino.
La guardai con gli occhi spalancati. « Bennie? ».
Biancaneve mi sorrise, sollevata. Tirò un sospiro di sollievo, poi corse verso di me e mi abbracciò.
« Ti sei svegliata, finalmente. Eravamo tutti preoccupati. » sussurrò lei al mio orecchio, e la sentii reprimere un singhiozzo. Quando ritornò a guardarmi aveva gli occhi lucidi.
« Che ci fai qui? Dove...dove sono? » mugugnai, confusa e disorientata. Ma ero così contenta di vederla.
« Non preoccuparti. Sei al sicuro, e stai bene. » disse semplicemente lei con il solito tono materno. Mi piaceva anche per quello: sapeva essere rassicurante dicendo il minimo indispensabile.
« Perché ogni volta che perdo i sensi ci sei tu a soccorrermi? » le chiesi, e lei scoppiò a ridere.
« Ah, non ne ho la minima idea. ». Fortunatamente il suo senso dell'umorismo non se n'era andato. « Cerca di riprenderti e poi vieni di là, ti stiamo aspettando tutti. ».
Tutti?
Continuava a ripeterlo, ed io non capivo assolutamente di che diavolo parlasse. Chi altro c'era in casa?
« Non mi spiegherai niente ora, vero? » azzardai, conoscendo già la risposta.
« Pensa solo a stare in piedi, intanto vado a prepararti qualcosa da mangiare. » rispose lei, concisa, e in un attimo fui di nuovo sola nella stanza.
Qualcuno mi aveva tolto le scarpe, e anche il corpetto metallico era poggiato sulla sedia accanto al letto.
Non avevo la mantella, e il ricordo dell'Originale che la gettava a terra mi destabilizzò di nuovo.
Altri passi, più energici, interruppero nuovamente la mia silenziosa convalescenza. Probabilmente Biancaneve si stava domandando dove diavolo fossi e se non fossi svenuta alzandomi dal letto.
« Bennie, sto bene, sto arriv – » iniziai, ancora seduta sul letto, ma quando la tenda si scostò le mie parole si spensero lentamente sulle mie labbra, affievolendosi del tutto.
Sentii il mio cuore accelerare, sorpreso e colto alla sprovvista.
« Jim? » sussurrai con voce flebile.
Jim chiuse la tenda alle sue spalle, senza mai distogliere lo sguardo da me: la maglia leggera era squarciata all'altezza della spalla; aveva tirato su le maniche, probabilmente per disinfettare i graffi che gli solcavano le braccia. Notai anche una fascia bianca attorno al braccio sinistro, e subito iniziai a preoccuparmi.
Non disse nulla. Nel silenzio della stanza, sotto la luce della candela, Jim attraversò a passo rapido lo spazio vuoto che ci divideva e in un attimo ci ritrovammo l'uno di fronte all'altra.
Non ebbi il tempo di rendermi conto di quello che accadde dopo. In un attimo Jim mi prese il viso tra le mani e lo avvicinò al suo, baciandomi con foga e talmente velocemente che non feci in tempo a pensare.
Il contatto con le sue labbra fece esplodere un calore dentro di me così forte che per un momento non riuscii a pensare ad altro.
Il suo bacio, così energico e voluto, mi attraversò interamente. Non avevo mai provato nulla di simile, e per questo non mi tirai indietro. Nella mia testa una voce mi diceva che dovevo smetterla, che non potevo farlo.
Che non facevo quel genere di cose.
Ma io non l'ascoltavo, e continuavo a seguire il mio istinto: sentivo le sue mani sul mio viso, le labbra ancora a contatto con le mie, i capelli che mi sfioravano la fronte e il naso. Il mio cuore stava impazzendo.
Il tempo si fermò, e quando Jim si distanziò da me non avevo idea di quanto tempo fosse passato.
Lo vidi ritrarsi, con le mani ancora sul mio viso e lo sguardo intenso su di me. Il mio respiro affannato ed io attendevamo in silenzio, increduli e tremanti.
Jim lasciò andare la presa sul mio viso e fece un passo indietro. « Mi...mi dispiace. Ecco... » iniziò a balbettare, lasciandomi ancora più intontita. Cosa avrei dovuto dirgli, adesso?
Non sapevo se essere felice oppure darmi dell'idiota fino alla fine dei miei giorni. Dopo tutto quel caos mi importava solo di capire cosa stesse accadendo.
« Stai bene? » balbettai, ancora affannata. Per un volta ero io a chiederglielo. Lui batté le palpebre un paio di volte, cercando di mettere a fuoco la situazione.
« Si, io...non ho nulla di rotto. E tu? » biascicò un istante dopo, sperando di essere convincente. Mi guardai, poi cercai di muovere le mani e le gambe.
« Sto...bene. » risposi, incredula. Ricordavo chiaramente il dolore che l'Originale mi aveva provocato, e di certo il mio fisico non avrebbe mai potuto sopportare una stretta del genere. Allora com'era possibile?
« Bene, vuol dire che il siero ha funzionato. ».
« Siero? » ripetei io a pappagallo, cercando di capirci qualcosa. Ottimo, mi avevano anche drogata.
« Ti spiegheremo tutto. Vieni. » mi tese la mano, e con il suo aiuto mi alzai in piedi. Per un attimo la testa mi girò e credetti di non farcela, ma con l'aiuto di Jim riuscii a tenermi in piedi. La sua presa forte attorno ai miei fianchi fece di nuovo accelerare i battiti del mio cuore. Dannazione.
Quando scostai la tenda notai un'altra stanza simile a quella in cui mi ero svegliata, ma leggermente più grande: c'erano due ampi divani di fronte al camino acceso e un lungo tavolo di legno scuro con due panche ai lati. L'aria era pervasa da un buonissimo sentore di spezie, e solo a quel punto mi resi conto che sul camino ribolliva della zuppa in un pentolone. Le finestre davano sul bosco ancora coperto dalla neve bianca.
Mi guardai attorno, ed incrociai subito lo sguardo di Biancaneve, che mi rimandò un'occhiata rasserenata.
Insieme a lei c'era un'altra ragazza che mi guardava: aveva due grandi e intensi occhi scuri dal taglio a mandorla che mi facevano sentire estremamente piccola. Emanava un'energia che mi dava tanta forza.
Prima vicine, le vidi scostarsi per lasciare spazio ad una terza figura, e quando misi a fuoco il suo volto non riuscii a trattenere un gemito di sorpresa.
« Peter... » sussurrai, incredula nell'averlo davanti a me. Non sapevo cosa ci facesse lì, ma in quel momento non potevo che esserne felice. Mi venne incontro, proprio come quel giorno, e mi abbracciò con trasporto.
Chiusi gli occhi e restituii l'abbraccio.
« Stai bene. » sussurrò lui al mio orecchio, ed io annuii serena. Non sapevo se si trattasse di una domanda o di una semplice constatazione, ma in quel momento non ci feci caso. Ero solo contenta di averlo lì con me.
Sciolsi l'abbraccio e lo guardai, concedendogli un sorriso affettuoso: aveva ancora la scia di quelle occhiaie portate dalla stanchezza, ma stava decisamente meglio della volta precedente.
Con la coda dell'occhio guardai Jim, e in quel momento mi sembrò quasi irritato dal mio abbraccio con Peter.
Quello sguardo non fece che ricordarmi in maniera ancora più vivida il bacio che ci eravamo scambiati, e al pensiero arrossii. Non sapevo come avrei dovuto comportarmi in futuro, ma al momento decisi di pensare ad altro. Ad esempio, a come ero finita lì.
« Potete spiegarmi cosa è successo? » mormorai, quasi come una supplica. Biancaneve mi si avvicinò e mi invitò sul divano. Quell'atteggiamento di estrema protezione cominciava a infastidirmi, ma sapevo che se avessi fatto la brava probabilmente avrei avuto le informazioni che tanto aspettavo.
Biancaneve mi passò una ciotola con della zuppa fumante, che accettai volentieri. Il sapore della carne e delle spezie mi riempì lo stomaco già al primo boccone, e subito mi sentii meglio.
« Ricordi qualcosa di ciò che è successo? » mi chiese poi lei, sedendosi accanto a me.
Annuii, rabbrividendo. Eccome se lo ricordavo. Non avrei potuto scordarlo neanche volendo.
« Siamo arrivati giusto in tempo. Fortunatamente Jim è riuscito ad attirare l'attenzione su di sé quando il lupo ti ha affettata. Siamo arrivati giusto in tempo. » ripeté nuovamente lei, come se quelle parole dovessero entrarmi nella testa a suon di ripetizioni. Ricordavo il coltello, e la facilità con cui il lupo l'aveva estratto dalla carne. Ma probabilmente quel gesto lo aveva distratto. Jim mi aveva salvata.
« Perché eravate qui? Bennie, e la tua locanda? » le chiesi io, finendo la zuppa. Lei mi riempì nuovamente la ciotola.
« Oh, Esmeralda e i nani sanno cosa fare. La stanno gestendo nel migliore dei modi, mentre sono via. » mi rispose lei, scostandomi i capelli dal viso. « Peter è venuto alla mia locanda qualche giorno fa, alla ricerca di una cura per Pennino. Sai, di lì passa molta gente, perciò le probabilità di trovare qualcosa sono molto alte. E' stato proprio quel giorno – quando lui è arrivato – che il Bianconiglio ha raggiunto la locanda. ».
« Il Bianconiglio? » esclamai a voce alta, con sorpresa. Biancaneve annuì.
« Era di passaggio, doveva tornare nel Paese delle Meraviglie. A quanto pare hanno dei problemi con la Regina Rossa. Era molto agitato. ».
« Non è da lui. » commentai immediatamente pensando alla sua pacatezza, in attesa di sapere altro.
« Non aveva una bella cera. E' stato lui a dirmi di cercarti, sapeva che eri in viaggio e deve aver scoperto qualcosa riguardo l'Originale. Mi ha chiesto di partire subito per cercarti, e che sulla base delle sue supposizioni ti avrei trovata oltre l'oceano. È rimasto alla locanda per qualche giorno, in modo da riprendersi del tutto. Esmeralda mi ha fatto arrivare un messaggio al momento della sua partenza, per informarmi della sua completa guarigione. ». Biancaneve si fermò, ritornando a respirare tranquillamente. Il silenzio invase di nuovo quel luogo accogliente, e per un momento le mille domande che avevo in testa cominciarono ad assumere una struttura più ordinata. Mi voltai verso Peter, in attesa di una sua dichiarazione.
« Non guardarmi così. » mugugnò lui, alzando gli occhi al cielo. Sapeva benissimo quello che pensavo: in un momento così delicato per i suoi bimbi sperduti e per l'Isola che non c'è, non aveva certo il tempo per stare dietro alle mie questioni.
« Peter è venuto alla locanda per l'antidoto da dare a Pennino. » si affrettò a spiegare Biancaneve, probabilmente intuendo l'aura negativa che stava calando sulla conversazione.
« L'antidoto? » ripetei io, tranquillizzandomi. La vidi annuire, e anche Peter si rilassò.
« La locanda di Biancaneve è un luogo di passaggio per molti, ho pensato che lì avrei avuto più possibilità di trovare informazioni su una possibile cura. » mi spiegò lui, con le braccia incrociate sul petto. « Ma quando ho sentito che potevi essere in pericolo, sono partito con lei. ».
« Volando siamo arrivati più in fretta e abbiamo attraversato l'oceano di Ariel in meno del previsto. Appena in tempo per trovarti. » sussurrò Biancaneve con una punta di emozione nella voce.
Annuii in silenzio, cominciando finalmente a capire perché fossero tutti lì attorno a me. Quello che non riuscivo a comprendere, tuttavia, erano i messaggi criptici del Bianconiglio. Non sapevo se fosse stato l'Originale a ridurlo in quelle condizioni, ma ne avevo abbastanza di quel mistero e di seguire i suoi maledetti indizi. Adesso che il Paese delle Meraviglie lo teneva impegnato, dovevo essere io a seguire la mia strada senza che lui lasciasse le briciole sul mio sentiero per aiutarmi.
« Il Bianconiglio vi ha detto altro? » chiesi loro, ma stavolta non ebbi nessuna risposta.
« Ci ha detto solo di fare in fretta, e che il pericolo era alle porte. ». Biancaneve si alzò e si avvicinò al caminetto. Osservava le fiamme con lo sguardo perso. « Non so cosa stia accadendo, ma qualcosa sta cambiando. Siamo tutti in pericolo. ».
Quello strano presentimento che avevo percepito prima di incontrare l'Originale non se n'era ancora andato del tutto, e le parole di Biancaneve lo riportarono alla luce. Sapevo che il nostro mondo era in pericolo, e ora che gli eventi stavano prendendo quella piega ne ero assolutamente certa.
« Il lupo Originale è ancora vivo. » constatai, annuendo tra me e me. « E probabilmente mi vuole morta. Non so perché, né il motivo per cui sia diventato così. Ma... ».
« Se me lo permettete, a questo punto interverrei io. ».
Mi voltai: la voce alle mie spalle era della ragazza con gli occhi a mandorla, che per tutto il tempo era rimasta in disparte. In tutta quella frenesia ci eravamo dimenticati della sua presenza, o forse era lei che non voleva intromettersi in quella discussione, preferendo ascoltare.
La guardai mentre si avvicinava a noi a passo controllato, lasciando oscillare i lunghi e setosi capelli corvini sulle spalle. Nella stanza si diffuse il debole cigolio della sua armatura in metallo scuro, decorata con preziosi intarsi dorati e color vinaccia. Dai drappi bordeaux che le impreziosivano i fianchi spuntavano due lunghe katane, inserite in un fodero rigido e molto antico. Aveva un'aria fiera e possente, da vero guerriero.
Tra i capelli spuntava un meraviglioso fiore di pesco.
« Noi non ci siamo ancora presentate, mi pare. » disse con voce energica, tendendo la mano verso di me.
« Il mio nome è Mulan. ».



 













Nb. Buon anno a tutti! Avete passato bene le feste? Mi scuso per questo periodo di assenza, ma sono parecchio impegnata con gli studi e con il lavoro...comunque ecco qui il nuovo capitolo, spero vi sia piaciuto. Cominciamo ad entrare un pò più nel vivo della storia, e soprattutto...BACIO! BACIO! Scrivere quella parte del capitolo mi ha fatto venire i brividi, lo ammetto. Si prospetta un triangolo interessante, prometto che non vi farò attendere molto per il prossimo aggiornamento! Fatemi sapere cosa ne pensate!

ps. Quanti "mi piace" per la fantastica Mulan? Non so voi, ma io da piccolina l'adoravo!

L.



Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** You remind me when I was strong. ***


thisfairitaleisradioactivenow



THIS FAIRYTALE IS RADIOACTIVE NOW.
-




-

11. You remind me when I was strong. 





Mulan aveva la forza di un guerriero e l'eleganza di una regina. Era l'immagine dell'energia e della grazia, fuse perfettamente insieme. Non ci eravamo mai incontrate prima, e vederla ora mi sembrava surreale.
« Tu...vivi qui? » le chiesi, e con la coda dell'occhio osservai la neve candida fuori dalla finestra. Di certo non la conoscevo, ma sapevo bene che il suo regno non si avvicinava minimamente a quello che avevamo attorno in quel momento. Ricordai ciò che mi aveva detto Belle, e il lungo sentiero di pietre fluttuanti che un tempo era stato il regno di Mulan. Riportai alla mente la desolazione, il silenzio e il freddo che mi circondavano.
Lei mi sorrise e scosse la testa. « Si, al momento. Anche io, come te, sono in viaggio. Il mio regno è stato raso al suolo, e per non rimanere lì sono fuggita. ».
In quel momento mi resi conto di quante persone viaggiassero come nomadi, senza una terra in cui ritornare.
Avevo come l'impressione che il mio, nonostante le disgrazie, fosse un destino piuttosto fortunato, se comparato agli altri. Per questo non dovevo piangermi addosso.
« Questa casa è uno dei miei rifugi. Non avendo più un mio regno, ho dovuto arrangiarmi come potevo. » proseguì lei, incrociando le braccia al petto.
« E Mulan non ama essere ospitata a lungo dai regni vicini... » la stuzzicò Biancaneve, con il suo solito sorrisetto impertinente. Lei alzò gli occhi al cielo, e i capelli di seta ondeggiarono appena attorno al viso perfetto.
« Tradizione cinese. Dopo poco mi sento di troppo. » si giustificò lei, facendo spallucce. « E poi, non posso stare ferma in un unico luogo per tanto tempo: voglio rendermi utile, in qualche modo. Per questo mi sposto spesso. ».
Mi guardai attorno: quella baita era comoda e accogliente, e l'idea che Mulan avesse vissuto nello stesso bosco dell'Originale mi fece rabbrividire. Questo mi fece pensare a ciò che era accaduto, e alla strana sensazione che avevo provato quando avevo incontrato il lupo. Ora mi sentivo stanca e spossata, ma quel malessere che avevo percepito in precedenza sembrava essere sparito. E lui? Lui dov'era, adesso?
« Sono confusa. » ammisi, scuotendo la testa. « Mulan, tu hai mai incontrato il lupo Originale in questo bosco, prima d'ora? ».
Lei scosse nuovamente la testa. « No, non mi è mai capitato. Questo è un luogo tranquillo. Nonostante le sporadiche tempeste di neve, non c'è mai stato alcun elemento di disturbo. Sono qui da parecchie settimane, ma non l'ho mai incontrato. Però... ». Rimasi ad osservarla mentre distoglieva lo sguardo da noi. Fece pochi passi in direzione della finestra, e scostando la tenda osservò la neve attraverso il vetro leggermente appannato. Le sue parole rimasero sospese in aria, con noi in attesa.
« ...devo ammettere che gli animali del bosco sono entrati in agitazione da qualche giorno. Come se sapessero, se ci fosse qualcosa ad alterare l'equilibrio del loro mondo. » confessò alla fine Mulan, ed io sussultai. Forse quella strana sensazione che avevo percepito era fondata, dopotutto. Lei rimase a fissarmi con i grandi occhi scuri, e mi sentii di nuovo nuda di fronte al suo sguardo indagatore. Annuì rivolta verso di me, come se avesse captato i miei pensieri.
« L'hai sentito anche tu, vero? » mormorò poi con un sorrisetto consapevole, e gli altri si voltarono a guardarmi. « Quando sei entrata qui, hai percepito qualcosa? ».
Annuii.
« E' quel presentimento di cui mi parlavi nella grotta? » disse improvvisamente Jim, guardandomi. Anuii di nuovo. In quel momento sentire la sua voce nel silenzio mi diede sicurezza. Peter si avvicinò al divano e mi affiancò, sedendomi vicino. Averlo lì era una sicurezza, in mezzo a tutta la confusione che regnava nella mia testa. Mise una mano sulla mia spalla, e quel contatto mi rasserenò.
« Andrà tutto bene, Red. Cercheremo di capirci qualcosa. » sussurrò lui a bassa voce, ed io gli sorrisi.
« Il succo della storia è che abbiamo incontrato Mulan e lei, conoscendo bene il bosco, ci ha aiutati a trovarti e in seguito ci ha condotti qui. » concluse Biancaneve, sistemando i tizzoni ardenti nel camino.
« Cosa è successo quando ho perso i sensi? » chiesi ancora, desiderosa di conoscere il più possibile.
Mulan si appoggiò al bracciolo del divano. « Il lupo è...sparito. Il nostro attacco deve averlo preso di sorpresa, e quando si è accorto che non eri più sola e che noi eravamo armati si è...letteralmente volatilizzato. Abbiamo solo visto la neve sollevarsi dal suolo, ci ha oscurato la vista. E poi lui non c'era più. Ancora adesso non ho capito come diavolo abbia fatto. Comunque, Peter ti ha afferrata in volo e poi siamo arrivati qui. ».
Mi voltai verso Peter e mimai un grazie con le labbra. Ora ricordavo quella sensazione di leggerezza nel momento in cui mi aveva afferrata, impedendomi di schiantarmi al suolo. Jim si allontanò da noi, diretto verso la finestra, mentre Mulan prendeva il suo posto accanto al camino.
« Ma sono certa di una cosa. » aggiunse poi Mulan, piegandosi sulle ginocchia di fronte a me. « Tu lo senti. Il presentimento che hai avuto ne bosco non è stato casuale. Voi siete collegati, probabilmente perché appartenenti allo stesso Regno. Avete qualcosa che vi accomuna, e tu riesci a sentire la sua presenza. ».
« Si, me ne sono accorta. Ma questo vuol dire che lui riesce a sentire me, e che potrebbe trovarmi da un momento all'altro. ». Quel pensiero mi faceva rabbrividire. E non solo per me, ma anche e soprattutto per le persone con cui stavo condividendo quella casa. Non osavo immaginare cosa avrei fatto se il lupo avesse fatto loro del male. Di certo non me lo sarei mai perdonato. Mi alzai finalmente dal divano, rinvigorita dal cibo e dal riposo, pronta per prendere la mia decisione.
« Devo trovarlo. Devo capire perché è ancora vivo e cosa cerca da me. » esclamai, nel silenzio delle mura accoglienti del rifugio. Tutti loro rimasero ad osservarmi, consapevoli che non avrei cambiato idea. Ma nessuno era intenzionato a lasciarmi andare da sola, lo vedevo nei loro occhi.
E avrei dovuto far cambiare loro idea, per evitare che si facessero male.
« Verremo con te. » esordì Biancaneve, come sospettavo dal momento in cui avevo parlato.
In quel momento un rumore alla porta fece calare il silenzio all'interno della casa: era un fruscio indistinto, come se qualcuno si fosse aggrappato al legno della porta con entrambe le mani, e con tutte le forze cercasse di scalfirlo nel profondo con le unghie. Mulan posizionò le mani sulle katane ai lati del corpo, Biancaneve si piegò in avanti, pronta all'attacco. Poteva essere chiunque. Eppure, dopo qualche istante, Biancaneve stessa si calmò, riducendo gli occhi a due sottili fessure, poi emise un gemito appena percepibile.
« Fermi. » mormorò avvicinandosi alla porta. Girò il pomello d'ottone e aprì. Da fuori si sentì un battito d'ali, e pochi istanti dopo nella stanza entrò un bellissimo falco, che andò a posarsi sulla spalla della ragazza.
Era davvero un essere perfetto, con il becco arcuato giallo oro e il piumaggio soffice. L'occhio destro era chiuso, solcato da una vecchia cicatrice, e le zampe erano saldamente ancorate alle spalle di Biancaneve, come se quello fosse il suo posto.
Sbattei le palpebre, sorpresa, poi alzai gli occhi al cielo. « Oh, tu e i tuoi dannati animali del bosco. ».
Lei scoppiò a ridere, e tutti gli altri si rilassarono. Mulan andò a chiudere la porta mentre Biancaneve sfilava dalla zampa del falco una piccola pergamena in carta bianca. Quel messaggio era partito dal suo bosco, e aveva fatto un lungo viaggio fino a trovarci. Mi resi conto che gli abitanti dei vari regni erano in qualche modo collegati tra loro – altrimenti il falco non ci avrebbe mai trovati così facilmente, se non fosse stato per la presenza di Biancaneve – e questo mi fece riflettere. Capii che il legame tra me e il lupo Originale era molto più forte di quanto potessi pensare, e che dovevo muovermi in fretta.
Biancaneve lesse attentamente la pergamena, poi guardò Peter con gli occhi che brillavano di una luce intensa.
« E' Esmeralda. » disse lei, sorridendo. « Forse hanno trovato la cura per Pennino. ».




La camera in cui mi ero svegliata era ancora calda e illuminata dalla luce fioca delle candele, che rendevano l'ambiente accogliente. Mi sentivo a casa. Indossai il corpetto metallico e allacciai le pesanti fibbie dietro la schiena, sentendomi immediatamente più protetta. Afferrai la sacca e la rimisi al suo posto sulla mia spalla.
Dopo il messaggio di Esmeralda, tutti quanti cercavano un modo per organizzarsi. Peter doveva tornare insieme a Biancaneve, e approfondire la questione della cura per Pennino. Da parte mia, ero ancora convinta di dover andare da sola, nonostante nessuno ancora avesse affrontato l'argomento.
In quel momento sentii l'ormai consueto fruscio della tenda che mi divideva dall'altra stanza, e i passi pesanti di grandi stivali. Abbassai lo sguardo, intuendo già chi fosse entrato.
« Pronta? » chiese Jim alle mie spalle, ed io non ebbi il coraggio di rispondere. Mi limitai ad annuire nel silenzio della stanza, sicura che lui osservasse attentamente ogni mio movimento.
« Jim... » iniziai dopo un momento di silenzio che mi sembrò infinito. Dovevamo affrontarlo.
« Lo so. » disse lui interrompendo ogni mio tentativo di dialogo. Mi voltai, nella sorpresa che doveva essere palpabile nel mio sguardo. La separazione ci attendeva, ma non credevo sarebbe stato così difficile.
E non ne conoscevo il motivo. O forse lo conoscevo, ma non volevo ammetterlo. Sapevo solo che in quel momento il mio cuore aveva smesso di battere, anche lui in attesa. Nella stanza si sentivano solo i nostri respiri, e l'eco lontano delle voci dall'altra parte.
La fiammella delle candele vibrò, mossa da chissà quale folata di vento che nessuno di noi percepì. Jim mi guardava senza distogliere lo sguardo, mentre io non riuscivo a fare altrimenti. Come era già accaduto in precedenza, non riuscivo a sostenere il peso dei suoi occhi, così grandi e intensi da schiacciarmi.
« Sai, Mulan mi ha detto che c'è una comunità di sopravvissuti stanziata in un regno di transizione ad Est...ce ne sono alcuni di Montressor. Potrebbe esserci anche mia madre. » proseguì lui, e quando sollevai lo sguardo mi resi conto che era vicinissimo a me. In quel momento volevo fotografare ogni minimo centimetro del suo volto, per ricordarlo quando se ne sarebbe andato.
« E' meraviglioso, Jim. » mormorai, realmente felice per lui. Meno per la sua partenza. « Sono sicuro che la troverai. E quando l'avrai fatto torna ad Agrabah. Jasmine e Aladdin hanno bisogno di te. ».
Jim annuì appena. « Oh, a proposito... » disse all'improvviso, animato da una strana allegria. Da dietro la schiena tirò fuori una matassa rosso acceso, e solo dopo qualche secondo realizzai che si trattava della mia mantella. Credevo di averla persa, o che comunque fosse in condizioni pessime dopo lo scontro con il lupo.
Eppure eccola lì, intatta. Il laccio che la teneva legata al collo era stato rammendato alla perfezione.
« Biancaneve l'ha aggiustata. Non potevi lasciare questo bosco senza la tua mantella. » commentò lui, strappandomi un sorriso. Mi circondò le spalle con le braccia, posando delicatamente la mantella su di esse e legando il laccio rosso attorno al collo con un fiocco. Sentii cadere il cappuccio sulla schiena, ma le mani di Jim non si mossero da lì. Rimasero piantate sulle mie spalle, sentivo il loro calore e non volevo assolutamente che si allontanasse da me. Eppure, nonostante tutto, la vocina nella mia testa mi intimava di allontanarmi, di lasciar perdere. Perché in quel momento non potevo lasciarmi distrarre.
Percepivo quella spiacevole sensazione addosso, gli occhi bruciavano terribilmente e mi era sempre più difficile reprimere le lacrime. Tentai di guardarlo di nuovo, e di nuovo lo sguardo deviò la sua direzione e tornò a terra. Mi maledivo ogni volta, ma non riuscivo a fare di meglio.
Il calore delle sue mani mi avvolgeva, concentrato sulle spalle e lentamente diffuso in tutto il corpo. Sentivo la sua presa energica, seppur delicata, risalire verso l'alto, fino al collo. Mi scostò una ciocca di capelli dal viso, costringendomi a guardarlo di nuovo negli occhi. Ero paralizzata da quei gesti così semplici, eseguiti con naturalezza, senza alcuna costrizione. In quel momento il bosco, il viaggio, l'altra stanza erano in un universo parallelo distante chilometri da noi.
Le sue mani raggiunsero il mio viso e si fermarono. Riuscivo a sentire il suo respiro, così vicino alla mia pelle. Sentii la sua fronte posarsi delicatamente sulla mia, a contatto. Chiusi gli occhi, concentrandomi solo su ciò che avrei voluto ricordare nei giorni seguenti. E mi resi conto di volere Jim più di quanto non credessi.
Ma in quel momento non c'era tempo per quel genere di cose. Il mio cuore non poteva aprirsi a tanta gioia e perdere il sentiero su cui mi ero immessa fin dall'inizio. Il mio obiettivo era chiaro, e nulla poteva distoglierlo.
Perciò raccolsi la forza necessaria e mi concentrai su quel singolo istante, fotografando il suo profumo, il calore della sua pelle e il rumore del suo respiro controllato. Poi aprii gli occhi, incontrando i suoi.
« Tornerò a cercarti. » sussurrò Jim a bassa voce, una confessione che era solo per me. Avrei voluto dirgli di non fare promesse, di non sperare in un futuro che per noi non aveva certezze. Ma in quel momento ricordai solo le sue parole e il tono della sua voce. E annuii, in silenzio, fermando quel singolo istante nella mente e nel cuore.






Fuori la temperatura era calata di qualche grado, e il cielo era ancora grigio e carico di neve. Tuttavia, il bosco era ancora silenzioso e nessun fiocco aveva solcato il terreno coperto dal manto bianco e immacolato.
I miei passi emisero uno crepitio i giorni in cui ero ancora a casa mia, nel bosco dove forse sarei tornata.
Fuori, Peter osservava il cielo.
Gli altri erano ancora dentro la baita, intenti nei preparativi per la partenza. C'era una strana atmosfera, una malinconia silenziosa che attraversava il cuore di tutti nonostante nessuno avesse intenzione di ammetterlo.
Non ve n'era il tempo.
Peter si voltò e mi concesse uno dei suoi sorrisi senza tempo: gli occhialoni da aviatore attorno alla testa si mossero appena, cadendogli sulla fronte e strappandomi un sorriso. Li riposizionò e si avvicinò a me.
« Sei pronta? »
« Si. E tu? »
« Oh, mi sto preparando psicologicamente a trasportare in volo Biancaneve fino a casa. » rispose dopo una pausa, alzando volontariamente la voce. Biancaneve urlò qualcosa dall'interno della baita, probabilmente imprecando come solo lei sapeva fare. Peter ridacchiò e si grattò il capo. Vedevo ancora in lui il ragazzino che era un tempo.
« Non cacciarti nei guai. » mormorai io, che in quella confusione non avevo smesso di preoccuparmi per la sua incolumità. Avevo bisogno di sapere che sarebbe andato tutto bene, e che non l'avrei perso.
E per la prima volta, nella mia mente si manifestò una strana confusione. Una serie di sentimenti in contrasto tra loro si intromisero nella mia testa, senza lasciarmi il tempo necessario per riflettere.
I sentimenti che provavo per Peter non avevano una spiegazione razionale. Semplicemente esistevano, e me ne rendevo conto adesso che provavo lo stesso per altre persone. Volevo salvarli tutti, e temevo per la loro vita.
Quei sentimenti che cercavo di nascondere, e che avevo sempre voluto cancellare, adesso erano lì.
Impossibili da ignorare. Mi stavo intenerendo, e questo non poteva accadere. Non doveva, maledizione.
Le braccia di Peter mi circondarono nuovamente, stringendomi in un abbraccio che mi fece dimenticare il freddo. Avevo l'impressione di essere nata tra le sue braccia, di averne bisogno. Eppure dovevo lasciarlo andare.
La confusione che avevo in testa non poteva essere spiegata a parole. Se me l'avessero chiesto, probabilmente non ci sarei riuscita. E non riuscivo neanche a spiegare come un essere razionale e realista come me fosse improvvisamente in balia di quelle stupide emozioni.
Mi sentivo una vera deficiente.
« Sai che non ti farei mai preoccupare. ». Peter mi diede un buffetto sulla testa, poi avvicinò le labbra sottili al mio viso. Molto. Forse troppo. Stampò un bacio delicato sulla mia guancia, sfiorando appena l'angolo delle labbra. Rabbrividii, e cercai di sciogliere la tensione scostandomi appena da lui.
« Vedi di non farti ammazzare, Pan. Ho già troppe cose a cui pensare. » mugugnai, facendolo ridere. I miei diversivi cinici lo facevano sempre sbellicare. Chissà perché.
Biancaneve uscì dalla baita, e noi due ci allontanammo appena. Subito dopo, Jim uscì con la tavola fra le mani, e una volta fuori l'accese scaldando i motori. Mulan si chiuse la porta alle spalle, girando una pesante chiave di ottone nella serratura, il cui suono rimbombò nel bosco deserto.
« Ci siamo. » esordì Biancaneve con voce energica. Si avvicinò a me e mi diede un abbraccio soffocante, stringendomi più tempo del dovuto. Mi resi conto che ci saremmo dovute separare un'altra volta, e di nuovo mi fu difficile dirle addio. Quando ci separammo notai i suoi occhi brillare, lucidi e solcati dall'ombra delle lacrime che si apprestavano a scendere. Peter la prese in braccio, sollevandola con una facilità estrema.
Quando prese il volo, istintivamente chiusi gli occhi. Li riaprii, ed erano già un puntino nel cielo grigio. Peter volava in fretta, e speravo che sarebbero arrivati a destinazione altrettanto in fretta.
Mulan si avvicinò a me, posandomi una mano sulla spalla. « Quando sarai da sola, concentrati a fondo. Solo tu puoi capire dove si trova l'Originale e come raggiungerlo. Una volta trovato, troveremo il modo di raggiungerti per aiutarti. Te lo prometto, Red. ».
« Non promettere. » mormorai in automatico. Nonostante la fiducia che riponevo in lei, ero ferma nelle mie convinzioni. Testarda, forse.
Mulan sorrise. « Non è detto che ci riesca. Ma farò il possibile.».
Si voltò, muovendosi rapidamente verso Jim. I motori della tavola erano caldi ed emanavano una scia che scaldava lentamente la neve al di sotto, facendola sciogliere poco a poco. La fiamma che virava dal rosso al blu era quasi ipnotica. Jim si voltò verso di me, e per una volta sostenni il suo sguardo e sperai che capisse ciò che i miei occhi tentavano di dirgli.
Ti prego, non avvicinarti. Non rendere tutto più difficile.
Se avesse fatto anche solo un passo verso di me, probabilmente non l'avrei lasciato andare. E non volevo sapere il motivo per cui mi comportavo in quel modo. Jim rimase a fissarmi per qualche istante, come a voler imprimere la mia immagine nella sua mente. Poi salì sulla tavola e attese che Mulan si posizionasse dietro di lui, guardando un punto indefinito di fronte a se.
Trassi un sospiro di sollievo, e con la stessa serenità li osservai mentre si alzavano in volo.






Il bosco era ancora più silenzioso, ora che ero da sola. Avrei dovuto abituarmi nuovamente al viaggio senza accompagnatore. Dentro di me si agitavano una serie di pensieri, ma non riuscivo a leggerne nemmeno uno.
Come se fossero oscurati, mi davano solo un terribile senso di spossatezza senza alcuna conferma.
Quello strano presentimento che avevo percepito prima di incontrare l'Originale sembrava essere scomparso del tutto. In più, senza un obiettivo, non avevo idea di che strada prendere. Mulan mi aveva dato le indicazioni per uscire dal bosco, ma dopo dovevo essere solo io a decidere.
Quel manto di neve candida mi fece pensare al Bianconiglio: saperlo in cattive condizioni mi metteva ancora di più in agitazione, perché lui era l'unica mia guida in quel mondo sconclusionato.
Ora ero davvero sola con le mie forze, senza più alcun aiuto dall'esterno.
Dal punto di vista fisico, al contrario, non potevo lamentarmi: il riposo mi aveva ricaricata, e prima di partire avevamo tutti fatto scorta di cibo per il viaggio. La priorità, adesso, era trovare dell'acqua che non fosse neve raccolta per terra e fatta sciogliere. E il bosco non deluse le mie aspettative per molto: dopo qualche ora di cammino iniziai ad udire uno sciabordio lontano, il rumore dell'acqua che scorre veloce.
Un fiume a pochi passi da me.
La temperatura era calata ancora di più, cristallizzando tutto ciò che avevo intorno. Il suono scostante dell'acqua si avvicinava sempre di più, e nel silenzio iniziai ad intravedere i margini del fiume. Non era molto grande, e probabilmente avrei potuto attraversarlo in guado se non fosse stato per la corrente.
L'acqua scendeva veloce a valle, e sicuramente mi sarei messa nei guai se lo avessi attraversato in quel modo. Mi avvicinai al minuscolo molo di legno che si inoltrava gradualmente nell'acqua: doveva essere parecchio vecchio, e la corrente aveva eroso gran parte delle assi che lo componevano. Due piccole barchette erano legate ai pali del molo tramite delle grosse funi consunte, che si muovevano rapidamente a causa del flusso potente dell'acqua. Una di esse aveva un enorme falla sul fondo, e per metà era immersa nel fiume. L'altra, al contrario, sembrava ancora piuttosto stabile nonostante le precarie condizioni del luogo. Avrei potuto utilizzarla per raggiungere l'altro lato del fiume e proseguire il mio cammino. Mi avvicinai alla sponda e tirai fuori la borraccia che avevo nella sacca, in modo da riempirla di quell'acqua fresca e pura.
Ma nel momento in cui le mie dita sfiorarono la superficie, un brivido mi attraversò la schiena. Non era dovuto al freddo, ma a quella stessa sensazione che avevo percepito nel bosco.
La sensazione di essere sulla strada giusta. Di essere vicina al lupo cattivo.
Ritrassi automaticamente le mani, come dopo aver sfiorato il fuoco. Provai nuovamente ad immergere i polpastrelli nell'acqua, e di nuovo quella spiacevole sensazione si ripropose, inondandomi. Guardai di fronte a me, poi tornai a fissare il ruscello seguendone il percorso. Non si vedeva una fine, e la corrente era fortissima. Ma dovevo seguire quella sensazione che mi invitava a percorrere il letto del fiume fino a valle.
Il bosco più in là non era molto invitante, gli alberi erano sempre più vicini e la boscaglia sempre più fitta. Avrei sicuramente trovato la strada sbarrata prima o poi, di questo ero certa. Perciò rimaneva solo un modo.
Salii sul molo instabile, cercando di mantenere l'equilibrio. L'acqua si scontrava contro la palizzata e smuoveva le assi di legno, lasciandomi oscillare sopra le acque gelate. Sembrava dovesse frantumarsi sotto ai miei piedi da un momento all'altro. Lasciai cadere la lancia nella barca, e osservandola dall'alto verificai che non ci fossero falle o altri problemi. Mi calai lentamente al suo interno, cercando di non ribaltarmi come un'idiota. Ci mancava solo questo.
In quel momento mi accorsi che nel relitto accanto a me era rimasto un remo di legno dall'aria piuttosto resistente, così mi allungai verso i resti dell'altra imbarcazione e lo afferrai, portandolo con me.
Scostai la mantella, afferrando il pugnale stretto alla coscia tramite il reggicalze. Presi un respiro profondo.
Poi, senza pensare ad altro, tagliai la corda con un colpo secco.
E la barca partì a velocità inaudita lungo il fiume, trascinata dalla corrente.
Il letto del fiume divenne via via più profondo, e una serie di rapide minacciarono l'integrità della barca. Afferrai il remo e cercai di riprendere stabilità, schivando le pietre che spuntavano dal fondo del fiume e cercando di superare le rapide senza ferirmi.
Prendevo sempre maggiore velocità, nonostante cercassi di mettere un freno ai miei movimenti. Sopra la mia testa, sempre più fitte, le chiome innevate degli alberi divenivano sempre più spoglie, fino a trasformarsi un un susseguirsi di alberi morti e rinsecchiti che dall'alto mi osservavano minacciosi.
In quel momento mi accorsi che si facevano sempre più vicini, fino ad oscurare il cielo con le loro ramificazioni: si piegavano verso il fiume, sporgendo in avanti verso di me e costringendomi a piegarmi per evitarli.
Cominciai a vedere la fine, ma non si avvicinava assolutamente a quello che mi ero immaginata: invece di una grande distesa d'acqua in cui, in teoria, avrebbe dovuto immettersi il torrente, davanti a me gli alberi formavano una specie di barriera, piegandosi a novanta gradi sopra la mia testa.
Tutto ciò che vedevo era una specie di galleria buia, circondata da quei rami morti. Nessuna via d'uscita.
Niente di niente.
Poteva essere una galleria, o all'interno poteva esserci una barriera contro cui mi sarei schiantata senza neanche accorgermene. Non potevo saperlo.
La corrente mi spingeva a velocità massima verso quel punto, senza darmi la possibilità di fare altrimenti.
Non potevo gettarmi in acqua o sulla sponda. Il tempo passava, e accadde tutto in un lampo.
Mi piegai su me stessa, raggomitolandomi per evitare le fronde rinsecchite sulla mia testa.
Chiusi gli occhi, e il buio mi accolse.

 













Nb. Scusate il ritardo, ma la sessione di esami non mi lascia molto tempo purtroppo. Spero che questo capitolo sia di vostro gradimento, la piega che sta prendendo tra Jim e Red mi intriga sempre di più. Inoltre sto cercando di caratterizzare al meglio il personaggio di Mulan, che personalmente adoro. Fatemi sapere la vostra opinione!
Un abbraccio fortissimo,

L.



Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** All around you are spirits,child. ***


thisfairitaleisradioactivenow



THIS FAIRYTALE IS RADIOACTIVE NOW.
-




-

12. All around you are spirits, child. 





Lo sciabordio lento e rilassante dell'acqua sotto di me riuscì a farmi aprire gli occhi. Era ancora buio, ma almeno adesso una luce in fondo a quella galleria la vedevo.
Una luce in fondo al tunnel? Io mi preoccuperei.
Mentre il mio cervello formulava ipotesi trascendentali sulla mia probabile morte, mi resi conto che il flusso d'acqua si era placato, e adesso viaggiavo lentamente verso la luce.
Sopra di me, il buio della galleria mi sovrastava: gli alberi avevano formato quella specie di cunicolo grazie ai loro rami saldamente intrecciati, che non lasciavano filtrare alcuno spiraglio di luce.
Per questo motivo, quando raggiunsi la fine della galleria, tornare alla luce mi costrinse a chiudere gli occhi. Li tenni strizzati per qualche istante, beandomi della calda luce del sole che mi avvolse piacevolmente.
Il cambio di temperatura era stato repentino, quasi immediato, e questo mi portò ad un'unica conclusione.
Ero uscita dal regno di transizione.
Aprii gli occhi, osservando il grande lago che si apriva di fronte ai miei occhi, circondando da sponde verdeggianti e ricche di vegetazione. Gli alberi erano alti, secolari, e le chiome oscillavano grazie alla tiepida brezza del vento. Faceva caldo, e il cielo era terso e limpido.
Oh, diamine. Ero in paradiso, per caso?
Mi guardai attorno, poi concentrai la mia attenzione sul braccio destro: mi ero graffiata, e stavo sanguinando.
Quello mi diede la conferma di non essere morta.
Immersi il braccio nell'acqua e pulii la ferita, poi la lasciai asciugare al sole. Afferrai il remo e raggiunsi lentamente la sponda più vicina del fiume, trascinando l'imbarcazione malridotta fino a riva.
Non conoscevo quel luogo, eppure c'era qualcosa che me lo rendeva stranamente familiare. La sensazione spiacevole che avevo percepito sul fiume era sparita, e per un momento pensai di aver sbagliato direzione.
Eppure sapevo di essere sulla strada giusta. Non ne conoscevo il motivo, ma lo sapevo.
Quel luogo sembrava non essere stato scalfito minimamente dai drammi dell'Apocalisse: la vegetazione era fitta e rigogliosa, gli animali si muovevano nel bosco senza curarsi di me.
Posai la mano su uno degli alberi ai margini di quel bosco verdeggiante, e sentii subito l'intenso odore di resina sulla corteccia. Un fruscio attirò la mia attenzione, così guardai distrattamente verso l'alto.
Un'ombra su uno dei grandi rami si mosse. Era ampia, e si muoveva rapidamente.
Indietreggiai di scatto, stringendo la lama tra le dita. Piegai le gambe, pronta ad attaccare.
Che diavolo era quell'affare?
Un altro tonfo e l'ombra scese a terra, uscendo finalmente alla luce del sole.
« Che cavolo... » sbottai tra me e me, mordendomi la lingua. Ero stufa di quelle entrate a sorpresa, ne avevo davvero abbastanza. La bellissima donna di fronte a me avanzò ancora, e la pelle olivastra brillò alla luce di quel caldo sole di cui avevo sentito tanto la mancanza.
Solo in quel momento mi resi effettivamente conto della sua bellezza: simile ad una dea, i capelli corvini le fasciavano il corpo fino ai fianchi nudi, oscillando sotto le morbide onde del vento. Mi fissava con gli occhi scuri e profondi, dal taglio esotico. Non ero mai rimasta tanto affascinata da qualcuno come lo ero in quel momento.
A piedi nudi sull'erba, la ragazza avanzava verso di me senza alcuna paura. Non le importava della lama appuntita della mia lancia, o di ciò che avrei potuto lanciarle contro: la sua sicurezza la rendeva fiera come un leone, padrona di se stessa e di quel bosco che la circondava.
Le labbra carnose e perfette si mossero appena, incrinandosi in un sorriso accennato che mi tranquillizzò. La sua semplicità mi incuriosiva. Aveva un aspetto selvaggio, ma allo stesso tempo molto controllato.
« Non volevo spaventarti. » disse poi con voce calma, e i tratti del viso si addolcirono poco a poco. Nonostante non avessi idea di chi fosse, quell'improvviso cambio di atteggiamento nei miei confronti mi fece intendere che probabilmente lei conosceva me.
Continuavo a fissarla, incapace di distogliere lo sguardo dalla sua bellezza fiera: indossava un abito spezzato, che le lasciava la pancia scoperta. La gonna era stracciata ai margini. Non osavo immaginare quale animale avesse scuoiato per farsi quel vestito. Lo stesso arco, che teneva saldamente ancorato alla schiena, doveva averlo realizzato da sola. Quei piccoli dettagli mi diedero sempre più l'idea di una figura solitaria, eppure padrona del suo mondo.
« Questo è il tuo Regno? » le chiesi, diretta, osservandola mentre strabuzzava gli occhi. Quella parola non doveva piacerle molto, o forse la trovava strana. Scostò una ciocca di capelli corvini dal viso, e solo in quel momento mi accorsi del marchio rosso che le circondava il braccio, poco sotto la spalla.
Mi era familiare, nonostante lo vedessi per la prima volta. Mi fece pensare al sangue, alla lotta.
Quel pensiero crudo strideva in mezzo alla natura rigogliosa di quel paradiso, ma non riuscivo a pensare ad altro. Lei mi fissava, forse incuriosita dai miei pensieri, e la sua espressione mutò appena da trasformare la dolcezza in malinconia. Era amareggiata da qualche pensiero che probabilmente era stato riportato alla luce dalla mia domanda.
« Si, questo è il mio mondo. » mormorò lei, fissando l'orizzonte: il grande lago era circondato da una riva verdeggiante, in lontananza si sentiva lo scrosciare di una cascata. Una piacevole brezza spirava da Nord.
« Non volevo irrompere così all'improvviso. Mi dispiace. » mi affrettai a dire, rompendo il silenzio. « Io sono Red. Cappuccetto Rosso. ». Ripetere quel nome non mi faceva affatto piacere, ma dovevo pur presentarmi in qualche modo. Eppure dirlo ad alta voce mi fece quasi rabbrividire. Quel nome non mi apparteneva più, era un ricordo del passato. Un passato felice, spensierato, e al momento assente.
Lei si accigliò, poi spalancò i grandi occhi scuri in un moto di improvvisa sorpresa. « Red? » ripeté, stupita.
Annuii. Le sue reazioni erano così spontanee e sincere da farmi provare un improvviso senso di tenerezza nei suoi confronti. Era impossibile aspettarsi un tradimento da quella donna, a giudicare dai suoi occhi.
« Noi non ci siamo mai incontrate, ma so dove si trova il tuo regno. » mi spiegò lei. « hai fatto tutta questa strada fino a qui da sola? ».
« E'...una lunga storia. » mormorai, accennando un sorriso. Lei tornò a quell'espressione dolce che avevo visto all'inizio, e mi salutò con un piccolo cenno del capo.
« Sono felice di incontrarti. » aggiunse poi, con voce ferma. « Il mio nome è Pocahontas. ».







Il bosco di Pocahontas sembrava non aver subito alcun cambiamento: anche all'interno manteneva la stessa integrità del resto della sua terra, e questo lo rendeva una specie di paradiso. Non avevo mai visto nulla di simile.
Ci avvicinammo ad una capanna di grandi dimensioni costruita in legno. Era in perfette condizioni, e all'interno c'era tutto il necessario per vivere. C'erano altre capanne più piccole intorno a quella che doveva essere la casa del capo villaggio e di sua figlia, ma in giro non si vedeva nessuno.
In quel momento mi resi conto che non avevamo incontrato nessuno da quando ero arrivata lì.
Pocahontas entrò scostando la pesante tenda ricamata e uscì qualche secondo dopo con una grande ciotola di legno tra le mani: al suo interno, delle grandi pannocchie dai chicchi dorati erano disposte in modo casuale, una sopra l'altra. Me ne offrì una, ed io accettai volentieri.
C'era una strana quiete in quel bosco, eppure nonostante tutto non riuscivo a rimanere tranquilla. Era come se fossimo nell'occhio del ciclone, in tensione e trepidante attesa di qualcosa di estremamente sconvolgente.
E dallo sguardo intenso e concentrato di Pocahontas, probabilmente doveva essere esattamente così.
« Dove sono gli abitanti del villaggio? » chiesi, rompendo il silenzio. Ma era proprio quella quiete a contenere le risposte, ed io ne ero assolutamente consapevole. Ma non volevo ammetterlo fino in fondo.
Pocahontas guardò l'orizzonte, assottigliando lo sguardo. « Ora ti racconterò una storia. La storia di un mondo pacifico sconvolto da qualcosa al di là di ogni immaginazione. Qualcosa di terribile, oscuro e malvagio. Che ti consuma. Ti avvolge. Assapora ogni parte di te e poi ti abbandona, morente, senza lasciarti scampo. Questa maledizione, che noi chiamiamo Apocalisse, ha sconvolto i nostri Regni e distrutto i nostri cuori già fragili. Ad ognuno di noi è stato portato via qualcosa, e ad ognuno è stata concessa una maledizione da portare con sé, come un fardello da trascinare. ».
La osservai attentamente mentre parlava senza distogliere lo sguardo dall'orizzonte, gli occhi scuri appena sgranati verso l'infinito. Era come se non fosse lei a parlare, come se una forza inconscia e molto potente avesse preso il suo posto, guidandola nelle parole e nei movimenti. Come un oracolo, parlava con trasporto scegliendo accuratamente ogni parola.
Iniziavo a confondermi: che lei sapesse più di quanto io – e tutti noi – avevamo scoperto fino a quel momento?
« Ognuno di noi ha perso qualcosa. » ripeté, e i suoi occhi tornarono a posarsi su di me, vitrei e accecati da quelle parole.
Ognuno di noi ha perso qualcosa.
Quella frase mi rimbombò nella testa, un frastuono fastidioso che non mi lasciava andare. Era come se quelle parole avessero risvegliato in me qualcosa di nascosto, che fino a quel momento era rimasto assopito.
In quell'istante mi resi conto di come le sue parole fossero particolarmente azzeccate, e di come effettivamente chiunque avessi incontrato nel mio viaggio fosse stato privato di qualcosa.
Una parte di sé, della sua vecchia vita.
Pensai ad Alice, che aveva perso il senno.
Agli abitanti del Paese delle Meraviglie, che avevano perso la follia ed ora erano costretti a vivere nell'angoscia, senza Alice a guidarli.
Ad Adam, che era stato privato della sua umanità.
A Peter, che aveva perso l'amore.
A Biancaneve, il cui amore era stato stroncato dalla triste realtà.
A Mulan ed Esmeralda, che erano senza radici.
Ad Ariel, che era stata privata della voce.
E anche a Jim, che aveva perso sua madre e la sua patria.
E infine pensai a me stessa, e il cuore accelerò: la mia famiglia, una parte del mio corpo, la fiducia nel mondo.
Avevo perso tante cose, e in quel momento tutto cominciò ad avere più senso. Ciascuno di noi aveva con sé un fardello da portare, in un modo o nell'altro.
Eravamo tutti maledettamente collegati da quel filo sottile.
« E tu? » sussurrai, e una folata di vento gelido mi scompigliò i capelli, lasciando cadere il cappuccio della mantella sulla schiena. Il cielo era diventato improvvisamente di un grigio funereo, e si era tinto di colori che mai avrei voluto vedere.
Colori che ricordavano la morte, l'abbandono. Pocahontas mi guardò di nuovo, poi seguì la scia del vento che mosse i suoi capelli corvini, facendoli ondeggiare in modo selvaggio.
« Io ho perso il mio popolo. Ma soprattutto, la mia libertà. » aggiunse poi, lasciando galleggiare la mano in aria. Le dita sfiorarono il vuoto di fronte a sé, e in quel momento mi sembrò di percepire con i miei occhi l'elettricità dell'aria. Era palpabile, era proprio lì.
Libertà?
« La mia maledizione è essere legata a questo Regno, senza possibilità di uscire. Non posso oltrepassare il confine, né rivelare agli altri ciò che so. » ammise, e in quel momento un brivido mi percorse la schiena.
Lei sapeva. Sapeva qualcosa che noi ignoravamo: forse grazie a quella spiritualità che era sempre stata parte del suo popolo, e che ora parlava attraverso il suo corpo, Pocahontas aveva scoperto qualcosa di molto importante. Ma la sua maledizione le impediva di cercare chi avrebbe potuto far tesoro di quelle scoperte.
Ma ora io ero lì,per puro caso. E non sapevo se questo fosse un problema o meno.
« Tu sei arrivata fino a qui. Adesso sei in pericolo. » mormorò lei, con una punta di terrore negli occhi.
Dovevo muovermi. Scoprire tutto ciò che potevo.
Ripensai alle sue parole, a quello che aveva detto con voce ferma e decisa.
« Chi c'è dietro tutto questo? Perché questa maledizione sui nostri regni? » sussurrai, cercando di trovare le risposte in quello che mi sembrava un ragionamento forse troppo difficile.
« La stessa persona che mi ha impedito di uscire da qui, tenendomi prigioniera. Non so chi sia, né che forma abbia. Ma se riesce a tenermi rinchiusa qui, probabilmente non è molto lontano. ».
Riflettei sulle sue parole. Se Pocahontas era una minaccia per lui, probabilmente avrebbe potuto ucciderla.
O forse non voleva.
Probabilmente le sue visioni erano utili per scoprire i segreti profondi del Mondo delle Fiabe. Ma se riusciva a controllarla così a fondo, allora...
« E' vicino. » mormorai, con un sussurro. Doveva essere lì, da qualche parte. Dovevo uscire da quel regno, e continuare ad andare avanti. Ero certa che una volta uscita dal bosco sarei stata presa di mira, o seguita.
Quello che sapevo era che qualcuno mi teneva d'occhio.





Pocahontas si muoveva calibrando ogni passo. Era selvaggia, indomabile, ma nonostante tutto avevo l'impressione che misurasse ogni mossa nel giusto modo. Era leggera, veloce come una gazzella. E nei suoi gesti c'era qualcosa che la rendeva impalpabile, eterea.

Ci muovevamo rapidamente e in silenzio attraverso il bosco, scivolando vicinissime agli alberi secolari dai lunghi tronchi che tendevano verso il cielo. Eravamo ombre di passaggio, così leste da non essere viste.
Gli animali si affacciavano dalle tane e ci osservavano senza disturbarci, come se la visione della mia compagna fosse per loro un'immagine abituale. E probabilmente lo era, vista la sua perfetta simbiosi con la natura.
Nonostante la corsa a passo sostenuto, mi resi conto di non sentire più la stanchezza, tanta era la concentrazione. Volevo arrivare alla fine di quella storia, trovare una soluzione alle mie domande.
E forse in quel momento c'eravamo vicine, più di quanto pensassimo.
Pocahontas rallentò, lasciando scivolare i piedi nudi sull'erba fresca con movimenti fluidi e armoniosi, fino a fermarsi del tutto. Il suo viso era rilassato e il suo sguardo intenso. Quando mi parlò, nella sua voce non c'era fatica, solo una grande forza.
« C'è una strana energia in questo posto. » mormorò poi, ispirata dal vento che scuoteva leggero la sua chioma. « Me ne sono accorta non appena sono arrivata qui dopo il grande caos. ».
Lei lo chiamava così. La parola apocalisse era troppo catastrofica. Quando me l'aveva detto le avevo risposto che se fosse uscita da lì avrebbe capito che quella parola aveva un giusto utilizzo: gli altri regni avevano subito un destino peggiore del suo, apparentemente. Ma lei mi aveva risposto che in quella parola c'era tutta la negatività che noi riponevamo, come se non avessimo più speranze.
Come se quel mondo per noi fosse già finito, e non avesse una possibilità di ripresa.
« Il caos è in continuo movimento, e muta costantemente. E prima che tu possa accorgertene, ecco che si forma un nuovo ordine. Per questo mi piace. » aveva confermato lei, con la solita voce suadente. « C'è una speranza anche nella confusione. ».
Non sapevo se credere a quell'anima piena di speranza nel nostro futuro. Eppure ognuno di noi cercava di fare del suo meglio per riuscire a sopravvivere ogni giorno a quella distruzione.
Forse un minimo di speranza dovevamo averla.
Mi guardai attorno, pensando alle sue parole. Eravamo arrivati su una riva silenziosa, dove la luce illuminava solo a sprazzi il terreno a causa della fitta coltre di fogliame degli alberi. Il laghetto tranquillo si apriva all'orizzonte, e poco distante dalla riva si intravedeva una specie di isolotto.
Ancorata alla terra, a pochi passi da noi, una canoa di legno ci stava aspettando.
« Vieni. » mi disse lei, salendo agilmente sull'imbarcazione e afferrando il remo. La seguii, cercando di mantenere l'equilibrio. Ci sedemmo entrambe, e Pocahontas iniziò a remare. L'acqua era limpida e calmissima. Lo specchio trasparente rifletteva le nostre immagini appena distorte, fino a quando non arrivammo all'isolotto che avevo visto in precedenza. Mi resi conto che non era affatto un'isola, ma attraversando il lago avevamo guadagnato tempo evitando di costeggiarlo e arrivare dall'altra parte.
Gli alberi si diramavano lasciando intravedere la riva opposta, sormontata da un maestoso e bellissimo salice, i cui rami si gettavano a pelo sull'acqua.
Era uno spettacolo meraviglioso. Mai in vita mia avevo visto un luogo tanto bello. I colori viravano dal blu al viola, e anche la luce intensa del sole sembrava calare tra le fronde verdeggianti.
I miei occhi guizzavano da una parte all'altra della riva, ammirando tale bellezza. Ci avvicinammo al salice, e vi passammo attraverso scostando i rami per lasciare spazio alla canoa e farla scivolare sull'acqua senza provocare danni. All'interno, il tronco secolare del salice si ergeva di fronte a noi nella sua maestosità.
Le fronde rendevano l'atmosfera tranquilla e la luce soffusa. Era come essere dentro un sogno.
Ci fermammo una volta raggiunto una delle enormi radici che si piegavano entrando in acqua. Accostammo la canoa e scendemmo, arrampicandoci sulle radici fino ad arrivare ad uno dei tronchi disposti di fronte a quello principale.
« E ora? » mormorai. Pocahontas si voltò e mi sorrise.
« Nonna Salice. » sussurrò, senza distogliere lo sguardo da me. Stava chiamando...l'albero?
Improvvisamente notai che le rughe della corteccia formavano chiaramente un volto. Quello di una donna anziana, con il naso pronunciato e gli occhi profondi. Insomma, era pur sempre un albero.
E poi faccia di corteccia mi sorrise. Deglutii a fatica. Forse le pannocchie che mi aveva dato erano allucinogene, o c'era qualcosa nell'aria.
« Faccia di corteccia si muove? » sbottai, strabuzzando gli occhi. Probabilmente era ora di abituarmi a quel genere di stranezze, visto che avevo a che fare con gente sempre più bizzarra. Eppure un albero così non l'avevo ancora mai visto. Poi mi resi conto che l'avevo chiamata faccia di corteccia e ritornai sui miei passi.
Bella figura.
Pocahontas ridacchiò, probabilmente comprendendo il mio stupore. E a quel punto riuscii a collegare ciò che lontanamente sapevo sulla principessa dei boschi con ciò che avevo davanti agli occhi.
Quello era il suo spirito guida, che si manifestava a lei e a lei soltanto. E portarmi in quel luogo quasi sacro era per me un onore e una grande sorpresa.
L'accenno di un sorriso apparve sulle mie labbra pallide, rischiarandomi il viso. Eppure c'era qualcosa di strano in quel viso, qualcosa che non riuscivo a definire. Pensai al mio viaggio, e a chi avevo incontrato.
Ad Ariel, a cui era stata tolta la voce. Alla Bestia e agli ibridi del bosco, che avevano perso la loro umanità.
« Non può parlare? » azzardai, con un'occhiata in sua direzione. Pocahontas annuì, comprensiva e ispirata dalla mia intuizione. Probabilmente era la prima volta, da quando tutto quel caos aveva tolto a Nonna Salice la possibilità di comunicare con lei, che qualcuno riusciva a capire come si sentiva.
« Ma può ancora guidarti. » aggiunse con la sua voce comprensiva. Si voltò nuovamente verso l'albero e a quel punto riuscii a vedere ciò che lei voleva mostrarmi.
Al di là del grande albero, oltre le sue fronde fitte e rigogliose, c'era un sentiero. Un sentiero fatto d'acqua e poi d'erba verde, la cui fine ancora non si vedeva.
« Io non posso uscire da qui. » mormorò lei, e nonostante tutto non c'era tristezza nelle sue parole. Come se sapesse di non poter fare nulla per quella situazione.
O come se sperasse in me.
« Ma io si. » continuai, finendo ciò che lei stessa avrebbe voluto dire. La vidi sorridere. E Nonna Salice, nella sua comprensione muta, fece lo stesso. A quel punto le sue radici si mossero, e una di esse si infilò sotto di me cogliendomi di sorpresa. Sobbalzai, emettendo un gemito di stupore.
Mi aveva colta impreparata.
La radice mi sollevò da terra, e in un attimo mi trovai vicinissima al suo volto: era incredibile come le scalanature del suo volto somigliassero alle rughe dell'età, che la rendevano ancora più imponente e saggia.
Le fronde della chioma si mossero attorno a me, circondandomi in un vortice che mi estraniava da tutto il resto. Due di esse si distaccarono dal turbinio di foglie che mi avvolgeva, portando con loro un oggetto in legno che aveva un che di familiare, nonostante non l'avessi mai visto.
Osservai i colori oltre il vetro, la freccia muoversi rapidamente in senso orario, girando a trecentosessanta grandi tanto rapidamente da farmi girare la testa.
Era una bussola.
« La forza che anima il tuo cuore è più potente di qualsiasi maledizione. » sussurrò Pocahontas, ma la sua voce somigliava ad un grido alle mie orecchie, proprio come quando mi aveva incantata con il suo oracolo.
« E la bussola ti guiderà dove il tuo cuore vuole portarti. ».






La sagoma di Pocahontas si fece via via più sfocata, mentre mi allontanavo sopra la canoa lasciandomi il suo bosco alle spalle. Non sapevo cosa avrei incontrato nel mio cammino.
Sarei riuscita ad uscire da quel posto?
Tenni stretta la bussola tra le mani. Il suo dono mi suggeriva che ce l'avrei fatta. Non sapevo quale fosse la sua storia, ma quell'oggetto doveva avere un grande valore per lei, un valore che neppure immaginavo.
Quando glielo avevo chiesto, mi aveva semplicemente risposto che apparteneva ad una persona speciale.
E nei suoi occhi avevo visto una luce così intensa che non avevo osato chiedere altro.
Quando arrivai alla riva opposta del lago, un grande bosco buio si apriva di fronte a me, decisamente meno ospitale di quello che mi aveva accolta fino a poco tempo fa. Nonna Salice e il suo piccolo posto tranquillo sembravano già troppo lontani, quasi come appartenessero ad un sogno.
Camminai fino a quando la luce scomparve del tutto, facendomi perdere l'orientamento. Sentivo la freccia della bussola muoversi all'impazzata, e nonostante non vedessi nulla non riuscivo proprio a fermarmi.
Lasciavo dietro di me impronte fresche, su un terreno che odorava di terra bagnata ed erba appena tagliata. In quel momento una strana sensazione mi pervase, lasciandomi dimenticare tutto il resto.
Nonostante il buio, o la solitudine.
Io ero lì.
E sarei arrivata alla fine di quel viaggio, viva o meno, con una risposta a tutte le mie domande. Avrei trovato una luce chiara, vivida e calda alla fine di quel tunnel che rischiava di imprigionarmi.
E fu in quel momento che lo sentii. Un rumore.
Appena accennato, portato da una brezza fresca e debole.
Il rumore di un bosco vivo. Di fronde mosse dal vento, di uccellini e animali del sottobosco.
Di vita che scorre.
E dopo il rumore arrivò la luce. Trattenni il respiro, avvicinandomi lentamente ad essa, e con passo deciso mi ci immersi. La sensazione che provai fu simile a quella che avevo percepito appena, nella folle corsa fuori dal bosco di Belle e Adam, attraversando i confini del loro regno insieme a Jim.
Questa volta, camminando con calma, riuscii a viverla più intensamente: era come attraversare uno spesso muro d'acqua sospeso di fronte a me. L'immersione, l'apnea, il silenzio.
Era una sensazione meravigliosa.
Dopo qualche altro passo uscii alla luce, oltre la barriera che mi divideva da quel regno, senza subire alcun danno. Ora capivo cosa intendeva Pocahontas quando mi parlava di essere intrappolata lì dentro.
A prima vista la parete sembrava una vera e propria barriera, e probabilmente la possibilità che avevo io di attraversarla non era concessa a lei.
Di fronte a me si apriva di nuovo un bosco, molto simile a quello che avevo appena lasciato. Eppure, non appena feci il primo passo, riuscii di nuovo a sentirla chiaramente dopo tanto tempo.
Quella sensazione spiacevole che avevo percepito quando stavo per essere attaccata. La sensazione che qualcosa di brutto sarebbe accaduto di lì a poco, che dovevo tenermi pronta.
E accadde davvero, ma questa volta il pericolo non era affatto attorno a me.
Era nella mia testa.
Ciao, Red.”
Una voce, bassa e profonda, che conoscevo bene.
Che scatenava in me le più profonde paure, bloccandomi.
La voce del lupo.



 













Nb. Ecco un nuovo personaggio, che sicuramente dovevo inserire visto che rappresenta uno dei cardini della mia infanzia. Ho sempre visto Pocahontas come l'emblema della libertà, perciò non potevo darle uno spazio più che consistente nel corso della storia. Questo capitolo è molto "spirituale", per così dire, Red comincia a capirci qualcosa anche se non sembra essere ancora tutto molto chiaro. Il titolo del capitolo è tratto dal classico Disney, e precisamente è una frase che Grandmother Willow ( aka Nonna Salice) dice a Pocahontas quando quest'ultima le rivela il sogno ricorrente che ogni notte la tormenta. Spero continuerete a seguire questa storia, che ogni giorno sta acquisendo sempre più importanza per me.
Un abbraccio,
L.



Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Spinning wheel. ***


thisfairitaleisradioactivenow



THIS FAIRYTALE IS RADIOACTIVE NOW.
-




-

13. Spinning wheel. 





Era una tortura senza precedenti. Non potevo attaccarlo, o allontanarmi. La voce era nella mia testa, roca ma distinta nelle sue spaventose sfumature, e rischiava di farmi impazzire.
Ascoltami bene, mia cara bambina.” continuò lui, ronzandomi nelle orecchie. Mi girava la testa. Portai le mani alle tempie e strinsi forte i denti, sbarrando gli occhi. Volevo mandarla via, ma non sapevo come.
Era insopportabile.
Le vibrazioni della sua voce continuarono ancora, destabilizzandomi.
Voglio che tu faccia una cosa per me, e sono sicura che la farai, perché ho qualcosa a cui davvero tieni. Perciò ascoltami bene e nessuno si farà male.”.
Qualcosa a cui tengo?
Mi bloccai, e nella mia mente passarono una serie di immagini. Si stava riferendo a mia nonna, su questo non c'erano dubbi. Eppure mi sorpresi a non pensare subito a lei, e questo mi stupì. Non pensai neppure a mia madre.
Pensai a Jim.
E mi diedi della stupida quando me ne resi conto. Non dovevo, era sbagliato. Mi sentivo un verme.
La voce continuava a disturbarmi. Mi accasciai a terra, tenendomi la testa tra le mani. Diveniva sempre più imponente, eliminando qualsiasi suono esterno. Un gemito di dolore mi sfuggì dalle profondità della gola.
Aveva cominciato a fare male davvero.
Se non vuoi che faccia del male alla tua cara nonnina, torna indietro nel tuo bosco e non le torcerò un capello. Arrenditi, vattene. E vedrai che la riavrai indietro in meno di un attimo.”.
Sobbalzai, scossa da quella richiesta. Allora era così, voleva che mi arrendessi. Il mio viaggio in cerca di risposte cominciava a infastidirlo. Questo voleva dire che c'era lui, dietro tutto questo?
Dietro la distruzione, le morti, il caos?
Non potevo crederci, e non riuscivo a credere neanche a lui.
« Sei...un bugiardo. » mugugnai a denti stretti, tenendo le mani salde sulle tempie. Mi mancava il fiato.
Se non mi credi, allora ascolta.”.
Le sue parole furono seguite da un grido acuto, e successivamente da una voce stanca, ma che riconobbi subito mentre gridava il mio nome. Era lei.
« Lasciala stare! » gridai, e la mia voce echeggiò nell'aria. Allora era vero, l'aveva presa. Mia nonna era viva, ma non per molto.
Torna a casa, Red. E la riavrai indietro. Fai questo e si sistemerà tutto. Altrimenti...sarai di nuovo sola. E questa volta per sempre.”.
La comunicazione si interruppe bruscamente, ed io reagii con un urlo. Un rivolo di sangue fresco si raggrumò nell'orecchio sinistro, scendendo poi sul collo. Respiravo a fatica, contenendo l'affanno.
Mi aveva resa debole di nuovo, e adesso non avevo la minima idea di cosa fare. Rimanevo lì, bloccata nella mia indecisione.
Era evidente che l'idea di abbandonare quel viaggio mi disgustava. Voleva dire arrendersi. Ma avevo sentito di nuovo la sua voce, e l'idea che la mia famiglia fosse in pericolo mi portava a rivalutare l'idea. In fondo era per ritrovare lei che avevo iniziato quel viaggio.
Eppure, nonostante questo, tutte le persone che avevo incontrato mi avevano spinta a continuare non solo per me stessa, ma anche per trovare una spiegazione a questa storia. Per allontanarci da quel dolore, e dai cambiamenti che avevano devastato quel mondo in maniera quasi irreparabile. Quel viaggio non era solo per me, lo sapevo bene.
E adesso mi trovavo ad un bivio, senza alcuna idea su cosa scegliere.
In quel momento un rumore di passi mi mise in allerta. Che il lupo fosse già venuto a prendermi. Mi alzai barcollando appena, raccolsi la lancia da terra e mi preparai ad attaccare. Nonostante la stanchezza.
Nonostante la paura.
Le orecchie mi fischiarono, e la testa cominciò nuovamente a dolermi per lo sforzo. Strinsi i denti e mi tenni su, mentre una figura esile si avvicinava lentamente verso di me. Dapprima non la riconobbi, vista anche la confusione che avevo in testa.
Poi focalizzai l'attenzione sulle morbide onde color miele che le circondavano il viso pallido, i bellissimi occhi chiari circondati da velate occhiaie, l'abito rosa stracciato lungo l'ampia gonna in uno spacco vertiginoso. Era diversa, cambiata, ma pur sempre lei.
Sollevai il capo e presi un lungo respiro, cercando di articolare le parole in modo comprensibile.
Lei si piegò sulle ginocchia, tendendo le labbra rosee in un sorriso.
« Bentornata nel mio Regno, Red. » sussurrò dolcemente, e per un momento mi rilassai.
« Aurora. » sibilai, ancora a corto di fiato. Era lei, ne ero certa. Osservai i suoi grandi occhi farsi improvvisamente più sottili, chiudersi in due fessure cariche di concentrazione.
« Non preoccuparti, andrà tutto bene. » disse, e sollevò appena lo sguardo oltre la mia testa.
Quello che accadde dopo non riuscii a spiegarlo neppure io. Sentii solo una fitta lancinante alla testa, e solo dopo pochi istanti arrivò la botta. Un colpo secco, tra capo e collo, che mi stordì facendomi cadere sull'erba ancora bagnata dalla rugiada.
Il buio mi avvolse, e con esso svanì anche il dolore.






Quando riaprii gli occhi, ancora stordita, non riuscivo a contenere la rabbia. Dopo un primo momento di apparente gioia per non essere morta, sopraggiunse l'odio verso me stessa. Per essermi fidata di quella che un tempo era mia amica, e che ora mia aveva immobilizzato gambe e braccia con delle corde su una parete.
« Aurora! » gridai, dimenandomi. « Liberami, maledetta! ».
La vidi entrare dalla porta a passo lento. La casa in cui ci trovavamo doveva essere quella in cui aveva vissuto da piccola, nel periodo in cui si era allontanata dal castello per non essere trovata da Malefica.
Il legno emanava un buon odore, e dalla finestra si intravedeva il bosco e il margine superiore del tetto di paglia. Dovevamo essere al piano terra. Avevo visto parecchie volte quella casa, e Aurora mi ci aveva portata quando venivo a trovarla. Passavamo intere giornate nel bosco, lontane dal castello e dalle buone maniere che come principessa doveva mantenere. Facevamo il bagno nel lago, mangiavamo sotto gli alberi, giocavamo con gli animali e parlavamo senza preoccuparci del mondo intorno.
Adesso che la vedevo lì davanti a me, le braccia conserte e lo sguardo fisso su di me, nessuno di quei ricordi mi sembrava più tanto piacevole.
« Stai calma. » iniziò lei, parlando come se tutto quello fosse assolutamente normale. « Mi dispiace, ma ho dovuto farlo. ».
« Falla finita. » mugugnai, senza crederle. « Immagino avrai fatto questo anche agli animaletti del tuo bosco, perciò mi sento parte di una comunità. ». La fissai, senza distogliere lo sguardo. Non mi intimidiva, ma non potevo fare a meno di ricordare quando eravamo allegre e spensierate.
Adesso invece ero legata come un tacchino ad una parete, perciò le cose erano cambiate parecchio.
Il nostro silenzio fu interrotto da un rumore di passi, e un ragazzo bellissimo si affiancò a lei.
« Oh, ma certo. » sbottai, alzando gli occhi al cielo. Vedendolo ricordai la botta che avevo preso nel bosco, e adesso cominciavo ad avere una vaga idea di chi poteva esserne l'artefice.
« Ciao, Red. » esordì Filippo con la stessa espressione concentrata della sua compagna. Nonostante l'odio che stavo provando nei loro confronti, vederli insieme non poteva che darmi un inevitabile senso di sollievo.
Pensare ad Aurora senza il suo principe era inconcepibile. Erano per me il simbolo del vero amore, e separati probabilmente non ce l'avrebbero mai fatta. Ora, anche se in modo diverso, li osservavo insieme senza dire una parola.
« Allora? » continuò Filippo, voltandosi appena in direzione di Aurora. « Che idea ti sei fatta? ».
Lei sospirò, scuotendo il capo. « Non saprei. Non mi sembra, ma non possiamo esserne sicuri. ».
Aggrottai la fronte, irritata per quei discorsi criptici. « Toc, toc. Ci sarei anche io qui! Non so cosa stiate pensando, ma vorrei esserne informata. ».
In quel momento sospettai che Aurora e Filippo potessero essere coinvolti con il mio lupo. In fondo erano arrivati subito dopo che le sue parole avevano abbandonato il mio cervello. Chi poteva dirlo?
Sfruttai il loro fare meditabondo e il silenzio che ne seguì per cercare di calmarmi, ma fu tutto inutile. Così rimasi in silenzio anche io: perché se avessi parlato, oh, sarebbero stati guai seri per tutti.
Passarono cinque, dieci minuti, e il loro fitto parlottare si interruppe. « Ehi, ti hanno tagliato la lingua? ».
Le parole di Aurora mi colpirono come una doccia fredda. Sollevai lentamente il capo, distogliendo lo sguardo dalle assi di legno del pavimento. La vidi sussultare, probabilmente dovevo avere un'espressione non proprio dolcissima.
« Sto pensando a come ti farò fuori una volta che mi sarò liberata da queste funi. » mormorai, monocorde. Le mie parole erano un sussurro inquietante. « Non è difficile, sai? Credo che riuscirò a liberarmi da qui in sette punto cinque secondi, quindi sarai morta prima di accorgertene. La dormita più lunga della tua vita. ».
Filippo fece un passo avanti, il volto macchiato da un ghigno irritato e furioso che raramente avevo visto su di lui. Compariva solo quando qualcuno osava toccare la sua adorata compagna.
« Vedi di stare buona, razza di – » iniziò, ma la mano delicata di Aurora interruppe gli sproloqui verso di me.
« Filippo, ti prego. » sibilò lei, la voce quasi inesistente. Aveva gli occhi lucidi. Che quella tortura le pesasse?
Cominciavo a non capire. Avevo mille ipotesi nella testa, ma nessuna sembrava quella giusta. Così decisi di seguire quella che mi indicava il mio istinto, consapevole del fatto che seguendolo mi sarei quasi sicuramente cacciata nei guai. Succedeva sempre così, a non ragionare.
« Aurora. » mormorai, togliendomi quella fredda espressione dal volto. « Vuoi spiegarmi che succede? ».
Lei tornò con lo sguardo su di me, quasi sorpresa da quel cambio di atteggiamento. Incredibile come poche parole fossero riuscite ad allontanarci in qualche misero istante, rendendoci perfette sconosciute l'una agli occhi dell'altra.
Il silenzio ci avvolse, escludendo qualsiasi altra cosa. Persino Filippo, che era rimasto fermo a fissare il nostro scambio di sguardi, assecondò quel momento tra noi senza intromettersi.
La vidi mentre inspirava a fondo attraverso il nasino piccolo e perfetto: la pelle opalescente brillò alla luce che filtrava debole attraverso la finestra. Scosse la testa, e mi sembrò di scorgere l'ombra di un sorriso attraverso le labbra socchiuse. Filippo la guardò, confuso.
« Possiamo slegarla. Non ci farà del male. » asserì, e questa volta sorrise davvero. A quel punto fui io, a rimanere stupita.
« Farvi...del male? » ripetei, confusa. Adesso non capivo davvero. Come potevo far loro del male?







Massaggiai più volte i polsi arrossati. Quelle dannate funi mi avevano distrutto le braccia. Rimasi a fissarli in piedi, a pochi metri dalla parete su cui mi avevano legata come un trofeo. La confusione oramai regnava sovrana nella mia testa, e non potevo far nulla per schiarirmi le idee se non attendere che loro parlassero.
Fu Aurora ad iniziare. « Mi dispiace, Red, ma non potevamo rischiare così tanto. ».
La sua voce non era cambiata, e ora aveva ritrovato la dolcezza di un tempo. La ricordavo esattamente così, quando il nostro mondo non era ancora distrutto e le cose erano diverse.
« Rischiare cosa? Come avrei potuto farvi del male? » ribattei, spalancando le braccia. Mi sembrava così assurdo anche solo parlarne. Erano loro, nonostante tutto non era cambiato nulla.
Allora cosa?
Cosa li spingeva a comportarsi in quel modo nei miei confronti?
Aurora soffocò una risata amara. « Dicono tutti così. Che sono sempre gli stessi, che non si sognerebbero mai di far del male. Che non è cambiato nulla. Ma poi allenti quelle corde, li liberi, e subito te ne penti. Ti tradiscono, e tu ti senti una stupida per avergli creduto. ». Le sue parole attraversarono le mie orecchie come una doccia gelata ed improvvisa, facendomi capire che non ero la prima né l'unica che si era addentrata nel loro bosco.
« E' già successo? » azzardai, ma conoscevo già la risposta. La conoscevamo tutti. Aurora chinò il capo.
« Il mondo delle Fiabe è cambiato, Red. » questa volta fu Filippo a parlare. « Bisogna guardarsi dai nemici, ma anche dagli amici. Noi ci siamo passati, ed ora abbiamo imparato a difenderci. Per questo non ci siamo fidati di te: ti abbiamo vista nel bosco così, all'improvviso, in un luogo molto lontano dal tuo regno e in preda ad una crisi. Pensavamo fossi comandata da una forza oscura, che non fossi più te stessa. ».
Il mondo stava marcendo. Ci stavano facendo cose orribile, e quella tortura era incredibilmente divertente per qualcuno che se ne stava comodo a guardare, come di fronte ad un grande schermo.
Le nostre sofferenze e il nostro dolore erano solo un passatempo.
« Come l'hai capito? » mormorai, rivolgendomi direttamente ad Aurora. « Come hai capito che ero io? ».
Lei sorrise, ed i suoi occhi mi trafissero. Erano talmente limpidi, talmente sinceri, che nessuno avrebbe potuto pensare a lei in modo negativo. Io stessa mi sorprendevo di averla vista come nemica, anche se solo per un breve periodo.
« L'ho visto. » rispose lei, con la voce incrinata dall'emozione. « Nei tuoi occhi. E nella tua voce. Eri tu. Non potevi che essere tu, Red. ».
Quelle parole piantarono un altro paletto nel mio cuore già tramortito più e più volte: troppe persone mi stavano dimostrando un affetto che mai avrei immaginato. Scoprivo legami forti giorno dopo giorno, ed ogni volta me ne sorprendevo. Avevo come l'impressione di essere intrappolata da quelle emozioni che rischiavano di distruggermi, per poi lasciarmi in un lago di debolezze da cui non sarei più riuscita ad uscire.
Aurora ed io eravamo amiche. Lo eravamo un tempo, e sentivo quel legame persino in quel momento.
Rimasi a guardarla, in silenzio. Non avevo bisogno di sapere altro.
In quel momento lo scalpiccio di zoccoli interruppe i nostri discorsi privi di parole. Aguzzai l'udito in direzione della porta, ma sembrava provenire da più lontano.
Il rumore di una corsa rapida, di zoccoli decisamente non umani. Un...cavallo?
Riportai lo sguardo su Filippo e Aurora, ma probabilmente doveva trattarsi di qualcuno che conoscevano: erano tranquilli, certamente si aspettavano quella visita.
« Tranquilla. » sussurrò Aurora, rispondendo alle mie silenziose domande. « E' un nostro alleato. ».
Rimasi a fissare la porta per minuti interi, tanto che alla fine mi sembrò quasi di non sentire più alcun suono. Poi, improvvisamente, la porta si aprì. Riconobbi subito i fluenti capelli neri e il passo deciso.
Il mio cuore mancò un battito, ma subito si riprese. Rasserenato.
E felice.
« Mulan! ».





« Questo tè è ottimo. » commentò Mulan, sorseggiando il tè dalla tazza di porcellana che Aurora aveva accuratamente conservato. Emanava un odore davvero delizioso, in effetti. Ma in quel momento ero troppo agitata per assaggiarlo. Osservavo Mulan e cercavo in lei uno sguardo, qualcosa che potesse suggerirmi come diavolo fosse arrivata lì.
« E' un infuso di aghi di pino e miele. Sono una maestra, in questo. » rispose Aurora, e fui sorpresa di vederla scherzare di nuovo, per la prima volta. Proprio come un tempo.
« Scusatemi tanto. » sbottai alla fine, alzandomi in piedi. « Perché io sono stata legata come un tacchino, mentre lei sorseggia tè al pino come se niente fosse? ».
Aurora ridacchiò, seguita dalla risata più composta di Mulan. « Ho fatto visita ad Aurora parecchio tempo fa, quando vagabondavo in cerca di un posto dove stare. È stata la prima a darmi ospitalità. ».
« Ancora non conoscevamo le insidie che questo mondo poteva nascondere. » aggiunse Aurora, alzando gli occhi al cielo. « Fui un po' troppo ingenua, a pensarci bene. Se Mulan fosse venuta con lo scopo di rubarmi il Regno, probabilmente a quest'ora sarei morta. ».
« Ma non è successo. » concluse lei, sorseggiando altro tè. Si voltarono verso di me, in attesa di una mia risposta. Feci spallucce e tornai a sedermi.
« Okay, mi sta bene. » mugugnai, strappando ad Aurora un altro sorriso. In quel momento rientrò Filippo, che aveva portato il cavallo di Mulan nella stalla insieme al suo destriero, Sansone. Avere un cavallo, soprattutto in un regno così grande, poteva essere di grande aiuto.
« Mi dispiace essere piombata così all'improvviso. » si scusò Mulan, schiarendosi la voce. Doveva aver fatto un lungo viaggio. A cavallo di certo non aveva seguito il mio stesso percorso via fiume tagliando per il bosco di Pocahontas, perciò il suo doveva essere stato un viaggio lunghissimo via terra.
« Com'è la situazione lì fuori? Come stanno gli altri? » mi affrettai a chiedere, mordendomi la lingua.
Gli altri?
Da quando in qua questa era la mia prima preoccupazione?
Mulan posò la tazza sul tavolo. Sapeva a cosa mi stavo riferendo: Peter.
Lui e nessun altro.
Quando ci eravamo separati, Peter era tornato indietro verso la locanda di Biancaneve per cercare l'antidoto che avrebbe potuto salvare la vita a Pennino. Da quel momento non avevo saputo altro.
« E' stato difficile comunicare. Ho ricevuto un messaggio da parte di Biancaneve ed Esmeralda qualche giorno fa. » iniziò lei, cercando di essere il più dettagliata possibile. « hanno trovato l'antidoto, e l'hanno consegnato a Peter. Quando mi ha scritto, lui era appena partito. Non so se abbia funzionato, ma lo spero tanto. Sembrava davvero la volta giusta, questa. ».
Annuii, tra me e me. Sperai davvero con tutto il cuore di ricevere altre notizie, presto. Molto presto.
« Per quanto mi riguarda, » continuò lei, alzandosi in piedi. « Ho accompagnato Jim ad Est, ma di sua madre non c'era traccia. ».
Un brivido freddo mi percorse interamente la schiena. Non sentivo quel nome da molto, e attraverso le mie orecchie rimbombò dandomi quasi fastidio. Quelle sensazioni che provavo non erano giuste, dovevo smetterla.
Eppure sentire il suo nome riusciva a risvegliarmi. Oh, Jim. Non potevo immaginarlo mentre si scontrava con l'ennesima sconfitta, per non aver trovato sua madre. Io mi sentivo allo stesso modo.
Per questo non volevo rivederlo nella mia mente.
« A quel punto ci siamo separati. Io mi sono diretta a Nord, e lui è tornato ad Agrabah. Ho viaggiato a lungo prima di arrivare qui. Speravo di trovarti. » concluse lei, stringendomi le mani. Era la prima volta che dimostrava un tale affetto nei miei confronti.
Il suo calore mi faceva sentire diversa. Come se qualcuno, dopo tanto tempo, tornasse a preoccuparsi di nuovo per me. Era una sensazione strana, che mi rendeva felice ma allo stesso tempo riusciva a mettermi a disagio.
Emozioni, troppe. Non riuscivo a reggerle tutte. Me lo sentivo, sarei crollata e presto.
Mulan era davvero molto stanca per il lungo viaggio, così Aurora le concesse una delle stanze della casa per riposarsi. Offrì la stessa proposta anche a me, ma rifiutai. Dormire era l'ultima cosa di cui avevo bisogno.
Così uscii fuori e andai a sedermi oltre la porta di ingresso, dove un muretto di pietra grigia delimitava il confine tra l'interno e il verde prato all'esterno.
Rimasi immobile a fissare il bosco di fronte a me: aveva un'aria tranquilla, e non era cambiato molto da quello che ricordavo. L'unica differenza, e forse era questo ciò che più tormentava Aurora, era il silenzio.
Non si sentivano più gli animali, e tutti quei suoni che animavano il bosco e che ad Aurora piacevano tanto. La natura era scomparsa e l'aveva lasciata sola, in quella casa nel bosco, in compagnia del solo silenzio.
Ripensai alle maledizioni che ognuno di noi aveva con sé, le stesse che ci avevano tolto qualcosa, una parte della nostra vita. Sentivo di essere vicina alla soluzione di quel mistero così fitto, ma in quel momento il limbo silenzioso che mi circondava non dava adito ad altri pensieri.
C'ero solo io, e nessun altro.
« Ehi. » mormorò una voce alle mie spalle, e in pochi istanti Aurora tornò a sedersi accanto a me, rompendo quel silenzio opprimente. « Tutto bene? ».
Annuii, poco convinta. Ovviamente lei non la bevve. « Mi dispiace per prima. ».
Scossi la testa. « Lo capisco. Nessuno può fidarsi più di nessuno, in questo schifo di mondo. ».
Esitai, mordendomi il labbro. Era quello, il problema: il viaggio che stavo compiendo aveva fatto nascere in me la fiducia nelle persone, e questo aveva permesso di creare quei legami che tanto disprezzavo.
« Non è poi del tutto vero. » commentò lei, arricciando il nasino. « E' questo, il problema, vero? ».
La guardai, e mi sfuggì un sorrisetto divertito. Riusciva sempre a capire come la pensavo, maledizione.
« E' che...durante il mio viaggio, ho ascoltato così tante storie, e incontrato tante persone...persone che credevo non avrei più rivisto. E ora, io... » mi fermai, mordendomi nuovamente la lingua. Stupida, stupida Red.
« Ti preoccupi per loro. » concluse Aurora al mio posto. « E' normale, Red. Sei umana. E non puoi evitare di stringere legami. Tutti noi lo facciamo, soprattutto in questo momento così delicato. Ne abbiamo bisogno. E tu, Red, sei la prova che il tuo viaggio sta riunendo davvero i nostri cuori. ».
« Io..? » mormorai, scettica. « Non volevo soccombere alle emozioni. Volevo restarne fuori. ».
« Ma è impossibile. » ribadì lei, prendendomi la mano, le sue dita erano sottili e delicate. « E' impossibile, Red. E non c'è niente di male. Davvero. ».
Esitai, riflettendo sulle sue parole. Pensai a Belle, a Biancaneve, ad Alice. Ad Aladdin e a Jasmine.
Ma prima di tutto pensai ad un nome, e quel nome rimase nella mia mente.
Restituii la stretta e chiusi gli occhi. Sentivo il calore di Aurora sulla mia pelle, ed era una bella sensazione.
Il pensiero di salvarli, di salvare tutti loro e riportare quel mondo alle origini...mi dava forza.
« Non sarà così per sempre. » sibilai, con un nuovo vigore nella voce. « Torneremo a stare bene. Tutti. Questo caos finirà. Lo farò finire. ».
Gli occhi di Aurora mi sorridevano. « Eccoti qui. » disse, come se mi vedesse per la prima volta.
Restituii quel sorriso, piena di coraggio. Perché da sola non sarei riuscita a trovare la forza, ma con loro – e il pensiero di salvarli tutti – sarebbe stato tutto più semplice.
Quel meraviglioso silenzio fu interrotto da un rumore diverso, questa volta. Non erano gli zoccoli di un cavallo, ne i passi di una persona.
Era un rumore metallico, uno scalpiccio artificiale. Ci alzammo entrambe in piedi, questa volta in guardia.
La figura scura di fronte a noi rallentò, mostrandosi sotto la luce del crepuscolo.
E in quel momento smisi quasi di respirare. Sentii il fiato congelarsi nei polmoni e rimanere lì, immobile.
« Jim... » sussurrai, senza rendermene conto. Senza crederci.




 













Nb. Eccoci qui. Non potevo lasciare fuori la Bella Addormentata, che è senza dubbio la mia favola preferita. Quando ero piccola me la facevo raccontare ogni sera. Spero che la caratterizzazione dei personaggi vi sia piaciuta, ho inserito anche il principe Filippo perché non potevo, NON POTEVO separarli! Il titolo del capitolo è "Spinning Wheel", che significa "Arcolaio", un piccolo tributo al nuovo personaggio della storia.
Cercherò di pubblicare il prossimo capitolo il prima possibile, vi avverto che sarà...piccante. Vi ho incuriosite? Lasciate a casa i bambini! :-P
Un abbraccio,

L.



Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Awakening. ***


thisfairitaleisradioactivenow



THIS FAIRYTALE IS RADIOACTIVE NOW.
-




-

14. Awakening. 






Era vivo. Ed era di fronte a me. La giacca di pelle era graffiata in qualche punto, gli stivali sporchi di terra e i capelli scompigliati sul viso. Ma l'avrei riconosciuto a chilometri di distanza.

Jim Hawkins. Pazzo, imprevedibile Jim, a cui avevo detto inconsciamente addio quando ci eravamo separati, ora era di fronte a me e non riusciva a distogliere lo sguardo.
E fu in quel momento che lasciai scorrere le emozioni, proprio come aveva detto Aurora. Le lasciai fluire all'esterno, senza bloccarmi. Avanzai di un passo, poi di un altro, ma l'emozione mi impediva di correre.
Così avanzai a tentoni fino a lui che, immobile, mi osservava con un'intensità quasi impossibile da reggere.
Avanzai ancora, in quel pochi metri che mi sembrarono chilometri. Respiravo a fatica, cercando di non perdere neanche un dettaglio della sua figura alla luce di quel sole aranciato, che lentamente si preparava a lasciare il posto alla notte. Non mi importava di niente attorno. Volevo solo raggiungerlo.
Eravamo ad un passo di distanza. Immobili. Io non riuscivo a piangere. Sapevo che non l'avrei fatto.
E poi accadde.
Jim aprì appena le braccia, ed io mi ci tuffai. Senza pensare, affondai il volto sul suo petto, e sentii le braccia di lui sorreggermi e poi circondarmi. La sua stretta era così salda che, anche se fossi caduta, ero sicura che mi avrebbe sostenuta.
Non sapevo perché si trovasse lì, o perché – forse – mi avesse raggiunta.
Ma in quel momento non mi importava.






La notte si preparava ad essere fredda. Filippo andò a rifornire la stalla, la chiuse per bene e diede da mangiare ai cavalli. Aurora preparò zuppa in abbondanza in modo da rifocillarci.

C'erano stanze a sufficienza per tutti, e dopo aver cenato ognuno di noi si coricò nella propria: Filippo e Aurora al piano di sopra, in quella più grande, Mulan nella stanza più piccola. Jim si offrì di dormire sul divano, mentre a me fu data la piccola depandance dietro la casa, collegata ad essa tramite una piccola porticina di legno intagliata a mano.
Aurora si congedò dopo avermi mostrato la stanza: il letto matrimoniale poggiava su un grande tappeto blu ed ecrù, affiancato da due pesanti comodini in legno. Diedi una rapida occhiata allo specchio e all'armadio, poi alla finestra e alle tende bianche. Andai a sedermi sul letto, alla luce della candela appena accesa, senza sapere cosa fare.
Dormire era fuori luogo, non ci sarei riuscita comunque. Così iniziai a contare le assi di legno che componevano il pavimento, ma lasciai perdere dopo la decima. Mi tolsi la mantella e gli stivali, poi il corpetto metallico e tutto l'armamentario. Aurora mi aveva lasciato una camicia da notte in tessuto leggero color panna, visto che le coperte sul letto erano così pesanti da far sudare al solo pensiero.
Finii di spogliarmi e la indossai: era morbida e delicata. Era tempo che non indossavo un indumento del genere. Mi spazzolai i capelli e sprimacciai il cuscino di piume morbide. Mi infilai sotto le coperte e provai a stendermi, ma i pensieri presero subito il sopravvento. Spostai il cuscino e mi misi a sedere, sbuffando.
Sentii un rumore di passi avvicinarsi alla porta. Il cuore mi batteva talmente forte che avevo paura si sentisse anche da fuori. La porta cigolò appena, e Jim apparve alla luce fioca della candela: aveva indosso solo i pantaloni e la camicia leggera.
« Non hai freddo? » mugugnai, pentendomi subito dopo della domanda. Ma che razza di idiota ero?
Lui sorrise dolcemente, scuotendo la testa. « Ero abituato alla neve. ».
Non avevamo parlato da quando l'avevo visto arrivare. Dal nostro abbraccio. Non c'era stato bisogno di dire nulla, eppure adesso sentivo un grande desiderio: quello di raccontargli tutto.
Quello che avevo passato e che avevo visto. E chiedere di lui, del suo viaggio, del perché fosse tornato.
Ma ero come bloccata, intirizzita da un freddo che sentivo solo dentro. Trattenevo il respiro, come in una lunga apnea. E alla fine espirai, ponendogli un'unica domanda.
« Perché sei qui? » glielo chiesi come una liberazione, lasciando fluire quelle poche parole di getto, senza filtri. Avevo bisogno di saperlo. Rimasi ad osservarlo mentre chinava la testa, gli occhi fissi sulle lunghe assi di legno invecchiato che ci dividevano. Sollevò lentamente lo sguardo, scuotendo la testa.
« Non lo so. ».
Mi ero preparata ad un lungo discorso, o a delle scuse anche banali. Ma quella risposta di certo mi lasciava interdetta. Avevo bisogno di sapere, conoscere almeno mezza verità. Ultimamente ero all'oscuro di molte, forse troppe cose. Avevo bisogno di sicurezze, di qualcosa di certo.
Il cuore mi stava scoppiando nel petto, e faceva decisamente più caldo adesso. Osservai il fisico allenato di Jim, lo cercai sotto gli abiti più leggeri. I muscoli delle braccia trasparivano attraverso la camicia in tessuto.
Avanzò di un passo, poi un altro, e alla fine si fermo. Mi fissava senza mai abbassare lo sguardo, con tanta intensità che alla fine fui costretta a distogliere lo sguardo. Mi ricordò il nostro primo incontro ad Agrabah.
E quel bacio nella baita, che tentavo invano di dimenticare. Perché, poi?
In effetti dovevo fare uno sforzo non indifferente per ricordare quel momento, ma non perché lo avessi rimosso. Anzi, il solo pensarci mi mozzava il fiato. Ma cercavo di contenerlo, come facevo sempre con ogni tipo di sensazione. Rischiavo di perdere il controllo di me stessa, e non poter più recuperare la mia integrità.
Ma piccoli stralci di memoria riuscivano ancora a sfuggire da quella gabbia d'acciaio che vi avevo costruito intorno. Lo ricordavo come un bacio passionale, inaspettato e talmente rapido da farmi perdere il controllo.
Jim mi guardava allo stesso modo in quel momento, ma nei suoi occhi non c'era la paura che avevo intravisto quella volta, quando pensavamo di morire entrambi per mano del lupo.
Adesso eravamo lì, da soli ma insieme, in un piccolo angolo di mondo momentaneamente in pace.
Sentii uno strano calore divampare in tutto il corpo e raggiungere le guance. Dio, stavo arrossendo. Mi sarei data della stupida più e più volte se non fossi stata impegnata a pensare alla sottilissima camicia che Aurora mi aveva dato per la notte.
Sottilissima e trasparente. Decisamente troppo.
Sollevai con un gesto automatico il lenzuolo per coprirmi, e Jim si lasciò sfuggire un sorriso attraverso l'espressione seria e concentrata. Vederlo sorridere mi rasserenava. Era come una conferma, un segno che stava bene.
« Smettila. » mi ammonì, con voce ferma e tremendamente sensuale. Deglutii a fatica.
Sensuale?
Avevo davvero pensato a lui in quel modo?
La mia mente improvvisamente si illuminò, rischiarandosi del tutto. Era diventata una tavola bianca, e tutto si faceva via via più chiaro. La sua voce, il suo corpo, i suoi occhi. C'era sempre una parte di me che li ricordava, anche nel periodo in cui ci eravamo allontanati. La distanza tra noi non aveva neppure scalfito quei ricordi, ricolmi di gioia e, adesso, di desiderio.
Si, perché quel bacio non era stato un caso: nonostante non me lo aspettassi, non mi ero ritratta. Non lo avevo respinto perché era ciò che volevo. E anche ora, mentre Jim si avvicinava a me, non volevo lasciarlo andare via da quella stanza.
Piegai appena le gambe e lasciai cadere il lenzuolo, finendo ginocchioni sul letto, le braccia abbandonate lungo i fianchi. Non mi importava. Quella notte eravamo soli, lui ed io.
Tutto il resto avrebbe smesso di esistere, anche se per poco tempo.
Sentivo gli occhi inumidirsi pian piano, ma sapevo che non avrei dato spazio alle lacrime di marchiare il mio volto. Non lo avrei permesso in un momento come quello.
Jim rimase in piedi affianco al letto, a pochi centimetri da me. Sentivo il suo respiro accelerato. Posai una mano sul suo petto e percepii i battiti rapidi del suo cuore.
« Perché sei qui? » ripetei, consapevole di aver già avuto la mia risposta. Ma adesso le cose erano cambiate.
Eravamo più vicini, quasi a contatto, e sapevo che la sua risposta sarebbe stata diversa.
Lasciò scivolare le mani grandi e forti sui miei capelli, fino a circondarmi in viso. Mi sollevai appena sulle gambe e lasciai che si avvicinasse a me. Quando percepii il calore delle sue labbra, mi sembrò quasi di essere tornata a casa. Come se fossimo stati lontani per troppo tempo, in un luogo oltre lo spazio.
Era una sensazione familiare, ma allo stesso tempo diversa: perché questa volta volevo quel bacio, lo aspettavo con impazienza, lo bramavo con il cuore. E mi resi conto che ogni centimetro del mio corpo desiderava Jim come mai prima.
Non sapevo che nome dare a quella sensazione, né al sentimento che provavo nei suoi confronti. Ma per una volta decisi di non pensare razionalmente, e fare fede al solo istinto che diceva ancora.
Sentivo le sue dita sulla mia pelle, intrecciate tra i miei capelli. Poi sulle spalle, e sul corpo. Di nuovo sui capelli, sempre più vicine. Mi mancò il respiro, così rallentai. Le mie labbra presero le distanze di appena qualche centimetro. E lui, oh, lui era così maledettamente vicino.
Aprì gli occhi, quei grandi specchi cristallini ricolmi di desiderio.
« Per te. » sussurrò, e il suo fiato caldo riempì i miei polmoni, rispondendo a quella domanda lasciata a mezz'aria. Dio, come lo volevo.
Non volevo davvero altro in quel momento.
« Bugiardo. » sibilai, e lo vidi sorridere ancora. Affondò entrambe le mani tra i miei capelli, e di nuovo mi baciò. Le nostre labbra si cercavano disperatamente, pochi istanti di lontananza ed eccole ancora lì a cercarsi ancora e ancora.
Lo trascinai lentamente verso di me, portandolo sul letto. Sentivo le sue gambe sfregare contro le lenzuola.
Cosa stavo facendo?
E perché mi sembrava tutto così maledettamente sbagliato?
Forse stavamo sbagliando. Ma non avevo intenzione di fermarmi.
Continuai a baciarlo sulle labbra, sulle palpebre e sul viso. Scesi sul collo, poi mi fermai. Il cuore batteva sempre più forte, ed io mi resi conto che non sapevo davvero cosa fare. Guardai Jim con l'espressione smarrita, e lui mi sorrise. Quel sorriso mi diede tutta la forza di cui avevo bisogno.
Mi lasciai cadere sul letto, tra le sue braccia, e lo osservai mentre si sfilava la camicia e i pantaloni lentamente, senza alcuna fretta. I muscoli erano ben delineati sul petto e sulle braccia, il fisico allenato e ben proporzionato. Mi tirai su e lo baciai ancora, come attratta da un'invisibile calamita che mi impediva di rimanere lontana da lui per più di qualche minuto.
Mi sfiorò le spalle con le mani forti, scendendo lungo le braccia, e a quel punto sollevò il delicato tessuto della camicia da notte candida, lasciandolo scivolare verso l'alto. Quando mi resi conto di essere completamente nuda di fronte a lui, il rossore sulle mie guance si fece più evidente, così tanto che era inutile provare a nasconderlo. Jim mi sfiorò una guancia e si lasciò sfuggire un sorrisetto divertito, probabilmente a causa del mio imbarazzo. Eppure, nonostante la mia evidente fragilità in quel momento, non avevo paura.
E non ero nemmeno infastidita, perché per la prima volta sapevo di potermi fidare: quelle guance rosse, la fragilità che gli stavo mostrando facevano parte di un segreto che era solo nostro.
Nessun altro, all'infuori di quella stanza, l'avrebbe mai saputo.
Le labbra di Jim mi scivolarono sul collo, poi più giù fino all'incavo dei seni. Un lungo brivido mi attraversò la schiena. Mi bloccai, respirando piano, e lasciando che i suoi baci colmassero con il loro calore il vuoto che quei brividi avevano provocato.
Anche lui si fermò, oramai sopra di me. Sentivo la sua presenza ovunque sul mio corpo, oramai accaldato e pronto. Non ero mai stata così pronta come in quel momento.
I suoi capelli mi sfiorarono il viso, facendomi il solletico. Le lenzuola mi coprivano appena le gambe, lasciando il resto scoperto.
« Dio, come sei bella. ».
Lasciai che quelle parole rimanessero sospese nell'aria, come per farle durare più a lungo. Davvero?
Davvero l'aveva detto? Lui?
Ovviamente non risposi. Non c'era nulla da aggiungere ad una frase come quella. Lui si avvicinò di nuovo e ci baciammo ancora, e quei baci riempirono l'aria e si diffusero lungo le pareti.
Sentii le sue mani percorrere il mio corpo nella sua interezza, spalle, braccia, fianchi e gambe. Ed una volta arrivate lì fermarsi, e stringere appena la presa. Cercai di ricordarmi sempre di respirare, anche se in quel momento era facile dimenticarlo. Il calore che mi pervadeva si concentrò sulle gambe appena piegate, e sostenute dalla sua presa forte. Le mie ginocchia si scontravano appena con il suo corpo, senza alcuna forzatura. Chiusi gli occhi, inspirando profondamente, e quando li riaprii vidi solo il legno grezzo del soffitto. Il volto di Jim era affianco al mio, le sue labbra posate sul mio orecchio.
« Tutto bene? » mormorò, e quel sospiro accese un nuovo fuoco dentro di me. Annuii. Jim sollevò il capo, lo sguardo intenso su di me. Probabilmente voleva assicurarsi che avessi detto il vero.
E quando incrociai il suo sguardo capii che non avevo mentito. Non avevo paura, e stavo bene.
Andava tutto bene.
Ed io lo volevo. In quel momento, con tutta me stessa. Per tutta la notte.
E per la prima volta gli sorrisi. Un sorriso flebile, leggermente contratto dall'emozione.
Ma un sorriso. E lui rispose, sollevato dalla mia reazione, baciandomi ancora.
Chiusi gli occhi, assaporando quel momento e i piccoli gesti che lui mi concedeva. Il suo corpo a contatto con il mio, le mani forti che afferravano le mie gambe, il suo respiro veloce sul collo.
Le mie mani lo cercavano, sfioravano ogni parte di lui. Delicatamente, con dolcezza. Poi, quando il calore che mi pervadeva iniziò a concentrarsi tra le mie gambe, le mie unghie solcarono la sua schiena con forza.
Per aggrapparsi a lui, sorreggersi quando iniziò ad esplorare realmente il mio corpo. Era una strana sensazione, un dolore che era anche piacere. L'esplosione dentro di me non accennava ad arrestarsi, era un'energia continua che si rinnovava.
Un flebile gemito mi sfuggì quando lo sentii più forte dentro di me. Goccioline di sudore gli imperlavano il viso assieme ai capelli scompigliati, che gli davano un'aria sensuale e al tempo stesso selvaggia.
Lo sentivo vicinissimo a me, e in un istante diventammo una cosa sola, raggiungendo il culmine del piacere.
Recuperai il respiro perduto in silenzio, immobile sotto al suo corpo caldo. Jim abbandonò la testa nell'incavo del mio collo, respirando insieme a me. A poco a poco ci calmammo, ma nonostante tutto non avevo intenzione di separarmi da lui.
« Red... » sospirò lui sul mio collo, facendomi rabbrividire. Non riuscii a capire se mi stesse chiamando, o se stesse semplicemente dicendo il mio nome, come a voler dire qualcosa in merito a ciò che era appena accaduto.
Lasciò il mio nome sospeso nell'aria statica della stanza. Chiusi gli occhi e mi rilassai, riscaldandomi con il calore del suo corpo, e senza accorgermene caddi in un sonno profondo e sereno.








La luce del mattino trapelava appena attraverso le tende color panna, riscaldando la stanza con una luce tiepida e confortevole. Quando aprii gli occhi mi sentii leggermente stordita, e con il corpo quasi indolenzito.

Mi stiracchiai sotto le coperte, rendendomi conto che quella sensazione non aveva nulla di spiacevole. Era l'accenno di una stanchezza piacevole, che riportò alla memoria un ricordo ancora migliore.
Arrossii al solo pensiero, scoprendomi imbarazzata di fronte al mio corpo nudo sotto le pesanti coperte.
Poi mi voltai, e lo vidi: Jim dormiva ancora sotto le coperte, a petto nudo. Aveva addosso i pantaloni e dormiva su un fianco, verso di me. Proprio come nella grotta. Il viso era rilassato, i capelli a ciocche disordinate scendevano sugli occhi e sul naso. Aveva un'aria estremamente serena.
Mi avvicinai appena e rimasi ad osservarlo per qualche istante. Vederlo dormire così beatamente rilassava anche me. Così mi avvicinai un po' a lui e mi accoccolai nuovamente sotto le coperte,. Doveva essere molto presto, qualche altro minuto di sonno non mi avrebbe fatto male. Chiusi gli occhi e rimasi a contemplare il silenzio in quel letto che aveva visto così tanto quella notte.
In quel momento un fruscio debole accanto a me riuscì ad incuriosirmi, costringendomi ad aprire gli occhi.
Jim si era svegliato, ed i suoi occhi assonnati mi squadravano intensamente.
« Buongiorno. » azzardai, senza avvicinarmi. Lui esitò per qualche istante, poi mi sorrise. Allungò una mano verso il mio viso e mi sfiorò la guancia, in silenzio. Chiusi gli occhi e assaporai il suo tocco.
« Come ti senti? » mormorò, stiracchiandosi proprio come avevo fatto io. Sollevai gli occhi al cielo, meditabonda. Quelle domande mi mettevano sempre a disagio, costringendomi a pensare alla nostra notte.
« Molto bene. » sussurrai, sincera, a voce bassa. Jim sorrise ancora.
« Dobbiamo alzarci. » mugugnò lui, ma più che una constatazione sembrava una domanda. Ridacchiai.
« A quanto pare. » risposi, stirando le braccia. Mi misi a sedere, coprendomi con il lenzuolo. Alla luce del giorno anche le mie inibizioni erano tornate al loro vecchio splendore. Mi schiarii la voce.
« Ho saputo di tua madre da Mulan. Mi dispiace. » mormorai, rompendo nuovamente il silenzio. Non riuscivo a guardarlo, ma sapevo che anche il suo sguardo era perso da qualche parte nella stanza. Dopo qualche istante mi voltai verso di lui, che contemplava il soffitto con le mani intrecciate dietro la testa.
« Credevo fosse la volta buona. » rispose lui, senza distogliere lo sguardo. « Ma a quanto pare non era destino. Sono tornato ad Agrabah subito dopo. Jasmine e Aladdin erano ansiosi di sapere di te. ».
Il loro ricordo fu come un dolce boccone sul palato: sentii improvvisamente l'aroma di spezie e il vociare confuso del mercato di Agrabah, e la luce soffusa nel rifugio dei ribelli. Poi pensai che era lì che Jim ed io ci eravamo incontrati per la prima volta, e la mia mente si perse a ricordare ogni minimo particolare.
Jasmine ed Aladdin mi mancavano. Erano le persone per cui temevo di più, vista la situazione burrascosa nel loro regno. Ogni giorno c'erano battaglie e scontri fra ribelli che minacciavano le loro vite.
« Stanno combattendo valorosamente, e al momento non possono muoversi dal loro regno. La situazione è molto delicata. » proseguì lui, ed io annuii comprensiva. « Me ne sono andato sfruttando uno dei pochi momenti di pace. ».
Le sue spiegazioni concise non mi bastavano. Mi voltai verso di lui, arricciando il naso. Lui sorrise, probabilmente aveva capito dalla mia espressione di non avermi accontentata.
« Non basta? »
« E' che... » inspirai a fondo, abbandonandomi sul cuscino di morbide piume. « Sto cercando di capire...cosa è successo stanotte. ».
Ecco. L'avevo detto. Una bella doccia fredda così, all'improvviso.
Ma non potevo tenermelo dentro.
Non era una domanda banale, questo lo sapevamo entrambi. Ma non mi era mai capitata una cosa simile, e sinceramente al momento la mia mente era un fitto nodo di confusione. Perciò me lo meritavo.
Ah, fanculo.
« Okay, cancella tutto. Lascia perdere... » iniziai, mettendomi nuovamente seduta. Cercai la mi camicia da notte, ma non la trovai attorno a me. E dire che fino a poco fa Jim la stringeva tra le mani. Ma dove diavolo era?
« Red – »
« No, davvero. Lascia stare, ho solo bisogno di – »
« Red. » ripeté lui, e in pochi istanti mi ritrovai di nuovo stesa sul letto, circondata dal suo braccio che cercava di impedirmi qualsiasi mossa. Era chiaro che sarei riuscita a divincolarmi in tre secondi netti, ma lo lasciai fare. A quanto pare stava cercando di dirmi qualcosa, e la mia parlantina irritante glielo stava impedendo.
Quel contatto mi riportò alla mente i ricordi della notte che avevamo passato insieme: quei baci strappati l'uno all'altra, il desiderio che ci aveva consumati, il piacere che ci divorava...
Avvampai, cercando al contempo di rimuovere quei ricordi per darmi una calmata. Impossibile.
Jim era nuovamente sopra di me, il che mi impediva di muovermi. Il suo corpo riusciva a scaldarmi, e in pochi istanti mi calmai. In silenzio, aspettai che fosse lui a parlare.
« Sei felice? » mi chiese, sfruttando il silenzio.
« Eh? ».
« Sei felice, ora? In questo momento? Rispondi. » mi esortò lui, scostandomi una ciocca di capelli finita per sbaglio sul mio viso. Continuò a passare le dita tra i miei capelli con movimenti costanti, come se sapesse esattamente cosa fare. Come se lo facesse da una vita.
Chiusi gli occhi, e svuotai la mente. « Si. » sussurrai, con estrema sincerità. Lo ero davvero. Non pensavo al mio viaggio, al lupo, alla battaglia a cui stavamo per andare incontro.
In quel momento, tra quelle lenzuola, non avevo bisogno di altro. E sapevo che nessuno di noi avrebbe dato una risposta alla mia domanda: quello che era accaduto quella notte era semplicemente accaduto, senza una spiegazione né una risposta. Era successo, e con la nostra piena consapevolezza. Usciti da lì avremmo avuto altre priorità, ma quel momento ci aveva resi felici entrambi. Non era il momento di parlare delle implicazioni legate a ciò che era accaduto. Non ve ne era il tempo.
Mi era difficile pensarla in quel modo: non dare una spiegazione razionale, per me, era come lasciare una questione irrisolta, a metà. Ma per quel che mi riguardava, in quel momento non volevo essere razionale.
Accennai un sorriso, e lui fece lo stesso. Si avvicinò a me, sfiorandomi una guancia con le dita, e mi baciò delicatamente sulle labbra.
Rimanemmo in silenzio per qualche istante. Poi, lentamente, Jim si alzò e si rivestì. Io feci lo stesso, indossando anche il corpetto metallico e i pesanti stivali. Inspirai a fondo, ed indossai anche la mantella rossa, lasciando cadere il cappuccio sulla schiena. Ravvivai i capelli con le mani e sistemai il letto.
Varcammo la soglia della stanza insieme, e lentamente raggiungemmo la stanza principale. Si sentiva lontanamente un rumore di stoviglie, segno che qualcuno era già in piedi.
Jim, nel corridoio buio, mi tenne la mano per tutto il tempo.
Poi, non appena uscimmo alla luce della stanza, ci allontanammo appena, e le nostre mani si separarono.





 













Nb. Questo è uno dei miei capitoli preferiti, anche se ci ho lavorato molto a lungo dato che non ero mai contenta: correggevo, modificavo, e avevo paura di non esserne mai soddisfatta. Eppure eccoci qui, personalmente sono consapevole di quanto sia difficile descrivere una scena "piccante" come questa senza scadere nel banale o peggio nel volgare, perciò spero di aver fatto un buon lavoro, e che vi sia piaciuto.  Il titolo non fa riferimento a nessuna fiaba questa volta, bensì a una canzone che mi piace tantissimo, ovvero "Awakening" di Mae. Vi consiglio di ascoltarla, non ve ne pentirete! :-)
Un abbraccio,

L.



Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Fire and Ice. ***


thisfairitaleisradioactivenow



THIS FAIRYTALE IS RADIOACTIVE NOW.
-




-

15. Fire and Ice. 







Incontrai subito lo sguardo di Aurora: stava sistemando delle tazze sul tavolo di legno, insieme ad una teiera fumante. Sul tavolo c'erano dei biscotti dall'aria molto invitante, una pagnotta scura ai cereali e della marmellata. Aurora mi sorrise.
« Buongiorno. » dissi io, senza sapere dove guardare. Mulan, seduta su una delle sedie attorno al tavolo, si voltò e mi concesse un sorriso.
« Buongiorno, ragazzi. » esordì Aurora, versando l'acqua fumante in due tazze. « La colazione è pronta. ».
Andai a sedermi su una delle sedie libere, mentre Aurora tagliava due fette di pane e me le metteva accanto.
« Mangia. » mi disse poi, imperativa. Era sempre stata molto materna nei miei confronti, forse perché più grande di me. Presi una fetta di pane e vi spalmai sopra un po' di marmellata. Doveva essere di more.
Addentai il pane, masticai a lungo e mandai giù. Era una delle pietanze più buone che avessi assaggiato negli ultimi tempi.
« E' buonissimo. » commentai, addentando nuovamente il pane. Aurora sorrise, gongolante.
« E' fatto in casa, ovvio che è buono. » rispose, strizzandomi l'occhio. Mandai giù un po' di tè agli aghi di pino, annuendo per nulla sorpresa. Anche prima dell'Apocalisse, Aurora preparava praticamente tutto in casa: pane, dolci, marmellate e tutto ciò di cui avevano bisogno per vivere. Certo, forse adesso era più difficile trovare gli ingredienti, ma a quanto pare se la stavano cavando bene.
Jim terminò di bere il suo tè e addentò una fetta di pane con il burro. « Dov'è Filippo? » chiese poi, guardandosi intorno.
« E' sul retro, a tagliare la legna per il camino. » rispose Aurora, indicandogli la porta.
« Vado a dargli una mano. ». Jim lasciò la tazza sul tavolo e si tirò su le maniche, dirigendosi verso la porta sul retro. La chiuse alle sue spalle e sentii i suoi passi in lontananza.
Finii le due fette di pane e continuai a sorseggiare il mio tè, sperando che nessuno si chiedesse perché eravamo arrivati lì insieme quella mattina. Così, per non correre rischi, decisi di parlare per prima.
« Che altre notizie ci sono, Mulan? » le chiesi, sperando che lei fosse riuscita a mettersi in contatto con qualcuno. Ultimamente era sempre più difficile comunicare, e ce ne rendevamo conto tutti.
Lei sospiro. « Non molte. Il Bianconiglio è tornato nel Paese delle Meraviglie. Biancaneve voleva seguirlo, ma lui l'ha convinta a rimanere alla locanda. E' un punto di incontro molto importante, lei ed Esmeralda stanno facendo un ottimo lavoro. Del resto non so altro, purtroppo. ».
Lanciai un'occhiata ad Aurora, che ascoltava la conversazione con viva preoccupazione. Così iniziai a raccontare del mio viaggio, del mio incontro con Pocahontas e di ciò che mi aveva detto riguardo l'Originale. Raccontai che non avrebbe potuto aiutarci, intrappolata com'era nel suo mondo, ma che mi aveva aiutata a capirci di più riguardo questa storia. Esitai sul resto, e soprattutto sulla voce del lupo che avevo sentito nella mia testa prima di incontrare Aurora. Avevo paura che avrei messo in pericolo tutti loro, raccontandolo.
« Una cosa però è chiara. » conclusi, ferma nelle mie convinzioni. « E' me che cerca. Il Lupo mi sta cercando e non smetterà di farlo finché non farò ciò che dice. ».
« C'è una cosa che non capisco. » mi interruppe Mulan, pensierosa. « Perché non viene a prenderti? Insomma, l'abbiamo visto tutti. Potrebbe scontrarsi con te in ogni momento, come ha fatto nel bosco. Se è vero che ti vuole, non capisco perché si tiene nascosto. ».
Era una questione interessante. Visto l'effetto che aveva su di me, oltre che la sua stazza, avrebbe potuto fronteggiarmi in qualsiasi momento. E a quel punto pensai alle parole che avevo sentito nella mia testa, cercando di far scattare la scintilla.
Se non vuoi che faccia del male alla tua cara nonnina, torna indietro nel tuo bosco e non le torcerò un capello. Arrenditi, vattene. E vedrai che la riavrai indietro in meno di un attimo.”.
Quelle parole erano impresse in modo indelebile nella mia mente. Le avrei ricordate ovunque. Non sapevo se il lupo tenesse davvero mia nonna prigioniera, ma non potevo rischiare che le facesse del male. Eppure...
« Torna...indietro? » ripetei, pensierosa. Le altre mi guardarono, e subito mi morsi la lingua. Avevo parlato di nuovo ad alta voce, maledizione.
« Red? » mi esortò Mulan, senza distogliere lo sguardo da me. Sospirai. E così, oramai alle strette, decisi di raccontare ciò che avevo sentito prima dell'incontro con Aurora e Filippo, sotto i loro occhi stupiti.
« Ma è incredibile...incredibile! » continuava a dire Mulan. Era la prima volta che la vedevo così poco composta. « Questa è la prova che siete davvero legati. Voi comunicate. E forse anche tu puoi entrare nella sua testa, se lo volessi. ».
« Vuole che torni indietro. Che mi arrenda. » mormorai, scuotendo la testa.
« Forse ha paura. » ipotizzò Aurora, sedendosi accanto a noi. « Insomma, so che è poco probabile...ma è l'unica spiegazione che riesco a dargli. ».
« E noi non ci arrenderemo. » ribatté Mulan, decisa. La fulminai con lo sguardo.
« Non posso rischiare di perdere mia nonna. Se davvero la tiene prigioniera, potrebbe ucciderla. » risposi di getto, alzandomi in piedi. Ero in preda alla confusione.
« Cosa? » sibilò Mulan, alzandosi in piedi. Gli occhi erano due fessure iniettate improvvisamente di uno strano astio, che non avevo mai visto nei miei confronti.
« Vuoi che la lasci morire? » ribattei, irritata.
« E vuoi mandare al diavolo tutto quello che abbiamo costruito fino ad ora per un tuo dubbio? Sul serio? » sputò Mulan, furiosa.
« Io non...non posso rischiare di – »
« E' il nostro mondo, Red! Vorresti abbandonare tutto, arrenderti, per questo? A cosa è servito, allora?! ». Mulan stava gridando. Nei suoi occhi vedevo la rabbia e l'odio per tutta la distruzione e il caos. E tra tutto questo c'ero anche io, che non riuscivo a capire la sua reazione. O meglio, la comprendevo fino ad un certo punto. Non avevo ancora deciso cosa fare, e lei stava reagendo quando ancora non avevo preso una decisione.
« Io non ho deciso, ancora. » ribattei, cercando di mantenere la calma.
« Tu? » ripeté lei, alzando le braccia al cielo. « E' di te che si tratta allora? Non hai capito ancora che stiamo combattendo tutti per un unico scopo?! Non sei da sola, maledetta egoista! ».
Colpì con forza il tavolo con entrambe le mani, scaricando la rabbia sul legno invecchiato, e lasciandoci nel silenzio più totale. Si tirò su dopo qualche istante ,e con foga lasciò la stanza. Uscì dalla porta principale, dirigendosi verso la stalla.
Rimasi immobile per qualche minuto, sconvolta dalle sue parole. Egoista.
Quella parola feriva più di mille lame.
« Red... » iniziò Aurora, ma mi alzai prima che finisse di parlare.
« Scusa. » dissi semplicemente, lasciando la stanza. Presi le mie cose,attraversai la grande porta d'entrata, già lasciata aperta da Mulan, e mi diressi nel fitto del bosco. Volevo allontanarmi da quella casa per un po'.
Seguii il percorso del ruscello per qualche metro, fino a che non trovai un albero frondoso sotto cui ripararmi dal pallido sole della mattina. Mi sciacquai il viso. L'acqua era fresca e limpida, decisamente rivitalizzante.
Mi schiarì le idee. Forse avevamo sbagliato entrambe, ma su una cosa Mulan aveva ragione: avevo nuovamente pensato a me stessa, quando c'erano tantissime persone che stavano collaborando nell'ombra per aiutarmi in quel viaggio che sembrava fosse stato fatto per me.
Ma non ero un'egoista: era chiaro che volessi il bene del Regno, ma forse Mulan ed io eravamo diverse sotto questo punto di vista. Lei avrebbe dato la vita per la patria, mentre io vacillavo solo al pensiero di perdere mia nonna sotto le grinfie del lupo.
Lasciai sbollire la rabbia, e una volta ripresa l'usuale calma mi alzai in piedi e mi preparai a tornare verso casa. Rimasi in attesa di un suono, anche minimo, da parte del bosco.
Niente.
La mancanza degli animali doveva pesare molto ad Aurora. Forse non le avevo concesso il tempo necessario per sfogarsi, o forse lei non voleva farlo. Sapevo solo che quella situazione andava risolta.
E in quel momento un suono riuscii a sentirlo. Un rumore di passi.
Mi voltai. Mulan mi osservava in silenzio, a pochi metri di distanza. La sua espressione tradiva il dispiacere per quella lite ingiusta.
« Mi dispiace. » dissi per prima. Ero sempre restia a scusarmi a causa del mio stupido orgoglio, ma quella volta volevo essere la prima. Ci tenevo, perché quel litigio era davvero privo di senso.
« Anche a me. » rispose lei, avvicinandosi. « Non volevo dirti quelle cose. Non penso affatto che tu sia un'egoista. ». Mi prese le mani, e le strinse delicatamente tra le sue.
« Lo so. E io...cercherò di capirci qualcosa. E non vi abbandonerò. Lo prometto. ».
Ci abbracciammo in silenzio, solo per un istante. Poi, come se nulla fosse accaduto, ritornammo sui nostri passi verso la casa di Aurora, entrambe di nuovo composte e poco inclini a quel genere di sentimentalismo.
Per questo Mulan mi piaceva tanto. Era così simile a me che trovavo persino sensato il litigio appena risolto: due caratteri così simili dovevano scontrarsi, in un modo o nell'altro.
« Così, tu e Jim..? » iniziò lei, e in quel momento capii che tanto composta non era neppure lei, quando si trattava di quei discorsi da donne. Le lanciai un'occhiata, e la vidi sorridere appena.
« Non intendo rispondere. » mi affrettai a ridere, e lei ridacchiò. Raggiunsi la porta di casa e lì vi trovai Jim, Filippo e Aurora, ad attenderci.
La loro espressione, tuttavia, tradiva un certo nervosismo.
« Che è successo? » mormorai, confusa. Incrociai lo sguardo di Jim, teso e concentrato su di me.
Aurora si spostò dal tavolo di legno, avvicinandosi a Filippo. La sua figura lasciò spazio ad un puntino luminoso proprio vicino alla teiera di coccio che Aurora utilizzava per il suo tè agli aghi di pino.
Mi avvicinai, incredula. Il puntino luminoso si fece più intenso quando mi avvicinai, per poi affievolirsi nuovamente.
« Campanellino... » sibilai, ma mi mancava il fiato. Campanellino sollevò la testolina, muovendo i capelli arruffati, e rispose con un battito d'ali. La polvere di fata cadde appena, dissolvendosi prima di toccare terra.
La sua luce era flebile, di certo non come la ricordavo.
« Cosa ci fai qui, che succede? » chiesi improvvisamente, rendendomi poi conto di non essere in grado di comunicare con lei. Non conoscevo il linguaggio delle fate, perciò non riuscii a capire le sue parole attraverso il battito d'ali e gli scampanellii che produceva.
Mi voltai verso Aurora, confusa. « Dice che è contenta di vederti. » mi spiegò lei, ed io sorrisi. Aurora conosceva bene quella lingua. Ricordo che le sue tre fate madrine erano state delle ottime insegnanti. Successivamente aveva tentato di insegnare qualcosa anche a me, senza successo. Conoscevo solo qualche parola sporadica, e di certo non sarei stata molto d'aiuto.
« Cosa ci fa qui? » sussurrai, incerta. Aveva fatto un lungo viaggio dall'Isola che non c'è, e questo era davvero preoccupante. « Cosa le sta succedendo? ».
Ricordai l'effetto che le radiazione e l'Apocalisse stavano avendo su Peter. Lui stesso mi aveva detto che gli effetti dei gas tossici stavano influendo sulla capacità di volare. Presto non ne sarebbe stato più capace. In quel momento mi venne in mente quando Campanellino rischiò la vita perché tutti smisero di credere nelle fate. Le stava accadendo la stessa cosa. Stava morendo, lentamente.
« I suoi poteri stanno svanendo lentamente. Presto non sarà più in grado di volare. E poi... » Aurora trattenne un gemito al solo pensiero. Non sapevo che fine avessero fatto le sue fate madrine, ma in quel momento sospettai il peggio.
« Perché è qui? » chiese nuovamente Mulan. Jim distolse lo sguardo, e a quel punto iniziai a preoccuparmi.
« E' arrivata da pochi minuti. Mi ha spiegato qualcosa, ma non...ecco... » iniziò Aurora, balbettando.
« Aurora. » la ripresi, convinta. La conoscevo troppo bene. Erano brutte notizie. « Ti prego. ».
Si fermò. Chiuse gli occhi. Prese un lungo respiro, nel silenzio più totale.
« Il lupo ha rapito Peter. ».






Il fuoco stava divampando.
Era rabbia, odio cieco. Desiderio di vendetta.
Perché Peter? Perché lui?
Il lupo mi stava mandando un segnale di guerra, qualcosa che mi impediva di ragionare lucidamente.
Gridai, poi lo feci una seconda volta. Uscii dalla casa di Aurora sbattendo la porta, a passi rapidi avanzai sul prato di morbida erba verde, al limitare del bosco. Alzai gli occhi al cielo, ora grigio e coperto di nuvole.
Minacciava pioggia, da un momento all'altro.
« AVANTI! » gridai con tutto il fiato, a pieni polmoni. « Fatti avanti, cane! Sono qui! Perché mi fai questo?! Maledetto! ».
Ero stanca. Stavo raggiungendo il limite, e i miei nervi non avrebbero sopportato a lungo quello stress psichico. Il lupo stava giocando d'astuzia, e cominciavo a capire il suo gioco: privandomi delle persone a me care, mi avrebbe convinta a ritirarmi per sempre.
Minacciandomi con l'amore che serbavo nel cuore, e portandomi via le persone a cui tenevo di più.
Peter si era indebolito molto a causa delle radiazioni: il ragazzo forte e agile che conoscevo si era consumato alla ricerca di una cura per Pennino, ed ora stava soffrendo sotto le grinfie di quella sporca bestia.
La testimonianza di Campanellino mi rassicurava di una cosa: il lupo diceva la verità, non stava bluffando.
E se aveva rapito Peter, probabilmente aveva con se anche mia nonna.
Peter.
Dio santo, dovevo andare da lui. Dovevo salvarlo subito. Al diavolo il piano, al diavolo le strategie.
Peter era in trappola, in pericolo...dovevo riportarlo da me.
Il mio Peter.
« Sono qui! Parlami! Combatti, vigliacco! » urlai ancora al cielo. Non sapevo con chi altro prendermela. E il cielo stesso mi rispose con una goccia di fredda pioggia. Ad essa ne seguì un'altra, poi un'altra ancora.
E in pochi istanti fui solo una ragazza fradicia sotto la pioggia, in preda alla rabbia.
« Red... ».
Mi voltai. Aurora mi fissava con gli occhi tristi. Anche lei teneva molto a Peter, e sapeva quanto stavo soffrendo. Oltre le sue spalle vedevo il tiepido bagliore di Campanellino attraverso la pioggia e la finestra.
Era debole. Quasi inesistente.
« Io devo andare da lui. Devo trovarlo. » mormorai, senza voler sentire altro. Aurora rimase a fissarmi, in silenzio. Sapeva benissimo che non avrebbe potuto ribattere. C'era la vita di Peter in ballo.
La pioggia batteva senza sosta, quasi a farci male. Ma nessuna delle due si mosse.
« Devo riportarlo a casa. » aggiunsi, scuotendo la testa. « Il lupo vuole me, e nessun altro. È quello che vuole. La mia resa. ».
Un'altra figura raggiunse Aurora, affiancandola. Mulan mi guardò a lungo senza parlare. Solo la pioggia gridava attraverso quelle gocce pesanti, che si schiantavano rapidamente al suolo.
Un tuono squarciò il cielo con il suo rumore, facendoci sussultare.
Forse non sono stato chiaro.”
La sua voce arrivò insieme al frastuono del cielo, profonda e suadente come la ricordavo. Portai le mani alla testa, colta da quel dolore che ogni volta mi sopraffaceva.
Un altro tuono, e caddi in ginocchio con un gemito strozzato. Tenni la testa tra le mani sotto la pioggia.
I tuoi amici ti saranno vicini, ma per quanto? Il tuo amico Peter non vivrà a lungo se non fai come ti dico.”.
« A...Affrontami, m-maledetto. » riuscii a sibilare, sperando che mi sentisse. Sperando che qualcuno, chiunque, riuscisse a sentire le mie parole.
Torna indietro, Red. Arrenditi. E' molto semplice.”
Perché continuava a ripeterlo? Non capivo. Non capivo, maledizione.
Torna indietro.
Torna nel tuo bosco.
Torna indietro.
Un fulmine squarciò il cielo, illuminandolo completamente. E a quel punto capii.
Dovevo tornare indietro, perché...
Perché lui era lì.
Mi aspettava nel solo luogo in cui poteva trovarsi. Casa sua. Dove tutto era iniziato.
Dove meditava la sua vendetta.
Ora capivo. Le tessere del puzzle tornavano lentamente al loro posto, lasciando coincidere i pezzi.
Si era rifugiato in quel luogo perché era lì che si sentiva potente, che aveva piena facoltà dei suoi poteri: probabilmente lo aveva capito quando ci aveva affrontati in un regno diverso dal suo.
Era più debole, all'esterno. Per questo voleva affrontarmi dove si sentiva al pieno delle sue forze.
Si era spostato al punto di partenza. E a me rimaneva una sola cosa da fare.
E' molto semplice, aveva detto.
« Voglio...voglio tornare a casa. » sibilai, cercando di dimenticare il dolore. « Voglio tornare a casa! ».
Un altro fulmine frantumò il cielo, questa volta in mia direzione. Mi sentii pervadere da un calore incredibile, che riuscì a scuotere ogni fibra nel mio corpo. Mi sollevai da terra, e quando aprii gli occhi fluttuavo nell'aria in una strana nube di gas.
« No, Red! » gridò Mulan, cercando di raggiungermi. In quel momento vidi Campanellino volare rapidamente fuori, seguita da Filippo e, più veloce di tutti gli altri, da Jim.
Lo vidi correre rapidamente, senza staccare gli occhi da me. Non sapevo cosa sarebbe accaduto, ma avevo la netta impressione che non avrei più rivisto nessuno di loro. Così fissai nella mente lo sguardo di Jim, lo stesso di quando mi guardava in quella camera da letto, contemplando il mio corpo ardente di desiderio.
Volevo ricordarlo perché mi avrebbe dato tanta forza, qualsiasi cosa sarebbe accaduta.
Il buio mi avvolse, e quando chiusi gli occhi rividi il volto di Jim nella mia mente.
E nonostante tutto, il mio animo fu pervaso da un senso di pace, anche in quell'oscurità.





Neve.
C'era tanta neve attorno a me. Aveva attecchito bene al suolo, era fresca e familiare. La riconoscevo.
Aprii gli occhi e mi tirai su. Non avevo bisogno di osservare altro. Gli alberi, il sottobosco, la coltre bianca e il cielo. Non c'erano dubbi: ero nel mio bosco.
Il lupo mi aveva fatto tornare a casa, da lui. Per affrontarlo.
La mia sacca era ancora legata a me, così come i coltelli che tenevo saldamente alle giarrettiere. La lancia era pronta, ben affilata e illuminata dal riverbero della neve bianca sulla lama liscia.
Tirai su il cappuccio, nascondendo i capelli, pronta a proteggermi da un eventuale attacco. Rimasi in attesa.
Un rumore di passi mi costrinse a voltarmi. C'era qualcuno alle mie spalle, e i passi sulla neve erano decisamente umani.
Umani?
« Finalmente ci incontriamo, Cappuccetto Rosso. » la sua voce inconfondibile mi fece rabbrividire. Di fronte a me, la sagoma di un uomo si stagliava elegante a pochi metri di distanza.
Mi concentrai su di lui, sorpresa: nonostante il freddo, indossava un'elegante camicia bianca e un paio di pantaloni tenuti su da un cinturone di costosa pelle, dalla fibbia splendente; gli stivali erano scuri e ad altezza ginocchio, impreziositi da rubini che sostituivano le fibbie grezze sul polpaccio. Un lungo cappotto scuro dal taglio raffinato gli dava un'aria elegante, da principe. Un principe oscuro, decisamente.
Quando lo osservai in viso, per un attimo pensai di aver preso un abbaglio. Forse stavo sognando.
Ma nonostante il passare degli anni, non potevo non ricordarmi di lui. La barba curata, i capelli scuri a spazzola, gli occhi grigio antracite. Era lui, senza dubbio.
Hunter.
Il Cacciatore.















Nb. Scusatemi per l'enorme ritardo, di solito cerco di pubblicare un capitolo al mese ma questa volta sono stata sommersa dagli impegni e non ne ho avuto la possibilità. Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, si comincia lentamente a capire qualcosa credo eh eh... fatemi sapere cosa ne pensate, cercherò di aggiornare più frequentemente!
Un abbraccio,

L.



Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** The better to eat you with, my dear. ***


thisfairitaleisradioactivenow



THIS FAIRYTALE IS RADIOACTIVE NOW.
-




-

16. The better to eat you with, my dear. 







Cosa ci faceva lì? E perché la sua voce e quella del lupo erano così simili, adesso?
Erano passati molti anni, ma ricordavo perfettamente il Cacciatore: mi aveva salvato la vita, e aveva salvato quella di mia nonna uccidendo il lupo prima che ci sbranasse. Gli ero debitrice, ed ero diventata Red ispirandomi a lui e alla sua forza.
E ora era lì, identico a tanti anni fa ma dall'aria decisamente più curata: sembrava davvero un principe senza la tenuta da boscaiolo e la barba incolta. Aveva un'aria affascinante e pericolosa al tempo stesso.
Poi capii. Non era il cacciatore quello che avevo davanti.
O meglio, lo era, ma solo in quel momento.
Erano la stessa persona. Due facce della stessa medaglia. Cacciatore e Lupo: forma umana e bestia.
Ripensai ad Adam, e alla sua trasformazione. Il Lupo riusciva a farlo a suo piacimento.
« Oh, vedo che hai capito perfettamente, bambina mia. » commentò lui, facendomi sussultare. Riusciva a leggere nella mia mente meglio di quanto pensassi.
« Cosa vuoi da me? » sibilai, carica d'odio. Volevo ucciderlo, e volevo sapere dove si trovasse Peter.
« Oh, mio piccolo tesoro, è semplice. » rispose lui, sorridendo. « Voglio che tu sparisca da questa terra per sempre, così da lasciarmi libero di governare il Mondo delle Fiabe a modo mio. Semplice, no? ».
Bingo. Finalmente i suoi progetti erano chiari. Governare sull'intero Mondo, senza una stupida ragazzina ad intralciare i suoi piani. Perché in qualche modo dovevo essere in grado di farlo, anche se non sapevo come.
« Come hai fatto ad impossessarti di lui? » gli chiesi ancora, cercando di capire. Lui sorrise. Un sorriso meschino, disonesto. Di chi ricordava qualcosa di orribile e ne gioiva.
Bastardo.
« L'animo umano è facilmente corruttibile, mia cara. » mi spiegò lui, sospirando in modo teatrale. « Ero quasi morto quando proposi al Cacciatore di risparmiarmi. Se lo avesse fatto, avrei donato a lui il mio corpo e la mia anima. E lui accettò. Ovviamente i suoi propositi erano lodevoli, il suo era un animo nobile. Diventare un essere perfetto, dotato di forza e intelligenza, sia bestia che uomo: te lo immagini? Aveva in mente un sacco di buoni propositi. » pronunciò quelle due parole con disgusto. Rimasi ad ascoltarlo, incredula.
« Ma quando ci unimmo, misi in atto il mio piano. » continuò lui, sfoderando nuovamente quel ghigno. « mi impossessai sempre di più di quel corpo, prendendo le decisioni per entrambi. Mi imposi con la mia forza, fino a farlo scomparire pian piano. Alla fine il suo Io è scomparso definitivamente, lasciandomi con un corpo perfetto. Perfetto per la mia vendetta. Mi ci sono voluti un po' di anni, mi sono nascosto nelle terre più desolate e nei regni più lontani per evitare di essere scoperto. Ma alla fine ce l'ho fatta. Il Cacciatore soccombe ed io mi prendo tutto il merito. È così che funziona. ».
Ero senza parole. L'animo nobile del cacciatore aveva lasciato il posto a quell'essere orribile, quella bestia disgustosa che ora era anche uomo, un essere perfetto e spietato.
« Purtroppo ci sono stati dei piccoli intoppi durante il percorso. » mugugnò lui, alzando gli occhi al cielo. « a cominciare da quel braccio. ». Indicò il mio braccio, e subito lo guardai.
« Cosa? » sibilai, sull'attenti.
« Ovviamente sarebbe stato un piacere vederti morire dissanguata. Lentamente, e inesorabilmente. Ma l'anima del Cacciatore ha preso il sopravvento – inaspettatamente – e ti ha salvato la vita. Quel lavoro di ingegneria è opera sua. ».
Il mio respiro si mozzò quando udii quelle parole. Così era quella la verità. Era stato il Cacciatore a salvarmi, bloccando l'emorragia e sostituendo il mio braccio con quell'arma meccanica. Troppe informazioni.
Troppe rivelazioni.
Avevo bisogno di una pausa, maledizione.
« Dov'è mia nonna? E Peter? » le mie parole echeggiarono nell'aria intrisa di neve, raggiungendo le sue orecchie in un moto d'odio e impazienza. Ero lì, di fronte a lui. Ora doveva ridarmi la mia famiglia.
Dovevo riaverli indietro.
« Ehi, con calma. » biascicò lui, divertito. « abbiamo appena cominciato. ».
Piazzai bene i piedi per terra, per evitare di scivolare sulla neve, e strinsi a me la lancia con forza. Se voleva combattere, ero pronta. Non c'era nulla che mi impedisse di ucciderlo all'istante, ma dovevo stare attenta: se si fosse trasformato in una bestia, sarei stata in tremendo svantaggio.
Di positivo c'era che, con il Cacciatore davanti, non avevo paura. La sua figura mi avrebbe sempre ricordato qualcosa di buono, un eroe che mi aveva salvato la vita e a cui mi ispiravo. Così ero più forte.
Più forte.
E a quel punto mi chiesi perché non stesse cercando di mettermi in difficoltà: se avesse mutato forma probabilmente sarebbe stato in vantaggio. Ma allora perché si ostinava a rimanere lì di fronte a me,un semplice e fragile umano?
Abbiamo appena cominciato.
Cominciato cosa?
Hunter spalancò le braccia, il palmo di entrambe le mani aperto in mia direzione, le dita attorcigliate ai margini del cappotto scuro, che brandiva come un mantello. Percepii di nuovo quello strano presentimento, quell'aura negativa che sapeva di oscuro, di malvagio.
Di maledizione.
E a quel punto Hunter cominciò a correre – no, non a correre, a fluttuare – sulla neve in mia direzione, più veloce di quanto mi aspettassi. Il suo mantello spazzava via la neve, le braccia aumentavano sempre più la loro apertura, facendolo somigliare ad un grande e spietato volatile.
Mi raggiunse, coprendomi con il mantello oscuro senza che potessi fare nulla per fermarlo. Ero come immobilizzata, ma questa volta la paura non c'entrava nulla. Era un vero e proprio incantesimo.
Incantesimo?
Quella era una magia. Il Cacciatore non solo era l'essere perfetto, ma per qualche strano motivo aveva acquisito dei poteri di cui ignoravo l'esistenza.
Quando il suo mantello mi avvolse, in pochi istanti fui circondata da oscurità. Gridai, senza realmente sapere cosa mi stesse accadendo. Ero vigile, non era un sogno, ma quel buio mi accecava.
Dov'era il cielo? E la neve, che fine aveva fatto?
Lentamente un freddo spinoso iniziò ad impossessarsi del mio corpo, come se la temperatura fosse improvvisamente calata. Sentivo delle voci rimbombare nella mia mente e farmi male, fino a che una in particolare non si impose sulle altre.
« Vedrai la sofferenza in volto, Cappuccetto Rosso. » sibilò il lupo nella mia testa. Gridai ancora.
Era un incubo.





Gli occhi misero lentamente a fuoco qualcosa. Non riuscivo a capire se stavo recuperando i sensi o solo la vista. Non riuscivo a rendermi conto del mio stato di coscienza, non sapevo se avevo perso i sensi o se invece ero sempre stata vigile. Avevo gridato più e più volte, ma la mia voce aveva echeggiato nel vuoto ed era tornata nella mia testa, infestandola con parole orribili. Il lupo era sempre lì, da qualche parte.
Misi a fuoco uno spiraglio di luce, proveniente dall'alto. Alzando lo sguardo, non riuscivo a vedere nulla se non oscurità. Sotto di me, un freddo pavimento di pietra mi stava ospitando. Sentivo il rumore lontano di acqua, goccioline che lentamente scendevano sulla pietra modificandone la struttura. Doveva essere la condensa della roccia che scivolava lungo le pareti, o l'umidità di quello strano luogo che metteva i brividi.
Mi guardai attorno. Avevo recuperato la vista, ma nonostante tutto non avevo la minima idea di dove mi trovassi. C'erano delle sbarre d'acciaio in pessime condizioni, il che mi portava a sospettare di essere in una rozza prigione sotterranea. Oltre la grata non vedevo nulla se non un grande buio.
L'unica luce proveniva dal misterioso spiraglio sul soffitto, che illuminava una zona circolare al centro del piccolo rettangolo in cui ero stata gettata. Mi alzai in piedi, disorientata. Maledizione.
« Red... ».
Il mio cuore balzò fuori dal petto, ma non per la paura. Riconoscevo quella voce, l'avrei riconosciuta ovunque. Mi voltai osservando il timido cerchio di luce pallida al centro della cella: oltre i suoi confini, una sagoma giaceva a terra nel buio.
« Peter! » gridai raggiungendolo di corsa. Mi inginocchiai a terra, prendendolo fra le braccia. Era gelato.
« Peter, dio mio... » sussurrai, angosciata. Avevo un terribile groppo alla gola. Il suo volto era pallido ed emaciato, l'espressione assente. Aprì gli occhi e mi squadrò, cercando di mimare un debole sorriso che mirava a rassicurarmi. Ovviamente non ci riuscì. Lo abbracciai, tenendolo stretto. Avevo ancora la mia sacca, mentre la lancia giaceva abbandonata all'angolo della cella.
« Non sono riuscito a fermarlo, ho... » iniziò a dire lui, senza che potessi fermarlo. « Ha attaccato l'Isola che non c'è, e non sono riuscito a fermarlo. Mi dispiace, Red, avrei voluto avvisarti. Mi dispiace... ».
« Non parlare, così peggiori le cose. Coraggio. » risposi io, cercando di trovare una soluzione. A cosa, questo non lo sapevo. C'erano troppi problemi da affrontare.
Scrollai la testa, cercando di far chiarezza nella mia mente. Dovevo affrontare un problema alla volta. Frugai nella sacca e trovai l'ultima bottiglia di sidro che Biancaneve mi aveva regalato. Non ne era avanzato molto, ma sarebbe bastato per scaldarlo un po'. Lasciai che lo bevesse a piccoli sorsi. Gli occhi erano circondati da pesanti occhiaie scure, e sulla guancia apparivano i resti di un livido violaceo, che fino a poco tempo prima doveva essere grande il doppio. Il labbro inferiore era spaccato proprio a metà, e una serie di graffi erano distribuiti sulle braccia e sul resto del corpo. Era in condizioni pessime, decisamente.
« Ah... » sibilò, dopo aver bevuto il sidro. « Grazie. ». Lo abbracciai di nuovo, cercando di riscaldarlo il più possibile. Mi sfilai la mantella e lo coprii come meglio potevo, continuando a tenerlo tra le braccia. Scostai qualche ciocca arruffata dal viso distrutto. Vedevo la condensa dei miei respiri oltre le labbra. Dio, se faceva freddo.
« Red! ».
Mi voltai di scatto, stringendo a me Peter istintivamente. Volevo proteggerlo a tutti i costi. Ma quella voce che mi chiamava, così vicina e conosciuta, mi calmò improvvisamente. Capii che non si trattava di un pericolo, ma al contempo non riuscivo a crederci. Forse me l'ero immaginata. Rimasi in silenzio, in attesa.
« Red! » ripeté la voce, e questa volta mi resi conto che era tutto vero. « Sono qui! ».
Lasciai Peter disteso a terra, con la mia mantella a coprirlo, e mi alzai in piedi. Raggiunsi il perfetto cerchio di luce al centro della cella, esponendomi del tutto. Cautamente, avanzai ancora, fino a raggiungere le sbarre. Mi ci appoggiai, stringendole con le mani. Erano fredde e odoravano di ruggine e sangue. Respiravo a fatica, sopraffatta da quegli strani eventi. Non poteva essere. Non poteva davvero essere vero.
« Jim... » sibilai, senza più la forza di sorprendermi. Ero devastata, distrutta, e non riuscivo a capire perché lui fosse lì, a pochi metri di distanza, nella cella di fronte alla mia. Si appoggiò alle sbarre e improvvisamente si rasserenò. Un sospiro di sollievo gli sfuggì dalle labbra.
« Stai bene, per fortuna. » mormorò, stanco. Tossì un paio di volte, ma riuscii a vedere solo i contorni sfocati dei suoi movimenti a causa della scarsa illuminazione. Ma i suoi occhi, quelli li vedevo bene. Non poteva essere che lui.
« Com'è possibile? » chiesi, forse a lui o forse a nessuno, con l'accenno della sconfitta nella voce. « Perché sei qui? ».
« Mi ha catturato. Dopo che hai espresso il desiderio di tornare a casa, la tempesta ci ha portati via entrambi. Mi sono svegliato qui, e tu non c'eri. » mi spiegò lui, ed io lo ascoltai attentamente. Era ovvio. Quel bastardo di un cane ci conosceva entrambi, sapeva che Jim aveva cercato di proteggermi quando ci aveva attaccati nel bosco la prima volta. E ora l'aveva portato lì per farmi soffrire di più. Lui e Peter erano le persone a cui tenevo di più, e ora erano imprigionate insieme a me in quell'incubo.
« Credo che mia nonna sia morta. » sibilai, con la voce incrinata dall'emozione. « Perché dovrebbe averla tenuta in vita? Mi ha ingannato, non è qui. ».
« Red...non devi arrenderti. Tu sei più forte. » sussurrò Jim oltre le sbarre. Fece per allungare la mano in mia direzione, ma eravamo troppo distanti. Eppure, in quel momento avrei voluto raggiungerlo davvero. Stringere quella mano, sentire il suo tocco sulla mia pelle. Mi avrebbe dato tanta forza.
Ora invece mi sentivo debole, e sola.
Peter tossì, e subito tornai da lui. Mi inginocchiai, lasciando che posasse la sua testa sulle mie gambe.
« Ehi, sono qui. » mormorai, cullandolo. « Va tutto bene, ci sono io. Ci sono io. ».
Non sapevo dove mi trovavo. Dovevamo marcire tutti e tre lì, in quelle celle sotterranee? Era questa, la vendetta dell'Originale?
Peter si mise a sedere, così lasciai che poggiasse la schiena alla parete della cella. La mia mantella non bastava a tenerlo al caldo. Così la indossai nuovamente e mi sfilai la pesante giacca per darla a lui. La pelliccia di lupo di certo l'avrebbe tenuto più al caldo. Gli sfiorai il viso con la mano, sperando che la fioca luce del sole aumentasse la temperatura. Alla luce del sole i suoi occhi avevano lo stesso guizzo di energia, seppur molto ridotto, che ricordavo. Un tempo quell'energia era tanto travolgente da sconvolgermi. Frugai ancora nella sacca, e tirai fuori delle gallette di riso. Gliene offrii una ma lui voltò appena la testa.
« Non fare il bambino. » mugugnai, avvicinandole di nuovo. « Devi mangiare qualcosa. ».
« L'ha uccisa lui. » disse improvvisamente Peter, e mi accorsi che aveva gli occhi lucidi. Una lacrima silenziosa scese sulla guancia martoriata, cadendo sui vestiti malconci.
« Chi? Chi ha ucciso? »
« Wendy. L'ha uccisa lui, Red. » ripeté lui, voltandosi verso di me. Mi irrigidii, sconvolta. Portai una mano alla bocca, cercando di contenere lo stupore.
« Mi ha detto di averla portata via. L'ha portata via e l'ha uccisa. » mormorò ancora Peter, affondando il viso nelle mani. Io non riuscivo a crederci.
« Peter... »
« Credevo di avere una speranza. Continuavo a cercarla nonostante tutto. E invece... » sibilò ancora, e le parole gli morirono sulle labbra. Lo abbracciai, stringendolo per tutto il tempo necessario. Non importava dove ci trovassimo, o in che condizioni fossimo. In quel momento eravamo insieme, ed io dovevo sostenerlo a qualunque costo. Jim ci osservava, in silenzio. Con la coda dell'occhio vedevo la sua figura, e desiderai di averlo qui vicino a me nonostante tutto.
Peter tossì di nuovo, sputando sangue. Lo aiutai a ripulirsi con un fazzoletto, cercando di tranquillizzarlo.
« Sto morendo, vero? » riuscì a dire lui nel mezzo dell'ascesso di tosse, ridendo. Si, ridendo. Forse rideva perché quella situazione era assurda, e non poteva finire così.
« Smettila. Hai capito? Smettila di dire così, Peter. » ribattei, alterata. « Non è finita, chiaro? ».
Lui manteneva quel sorriso sulle labbra. Un sorriso rassegnato, e amareggiato per quell'apparente conclusione. Ma io mi rifiutavo di crederci. Non l'avrei lasciato morire così facilmente. Gli lasciai bere dell'acqua per sciacquarsi la bocca, e finalmente mangiò una delle gallette.
« Grazie. » gli dissi, sapendo che l'aveva fatto esclusivamente per farmi contenta. Lui mi sorrise, sfiorandomi di nuovo il viso con la mano. Le sue dita erano più calde, ed era un buon segno. Quel tocco mi fece comunque rabbrividire, riportando in me un po' di forza.
« Ce la faremo, Peter. » lo rassicurai io, cercando di essere convincente. La luce adesso ci illuminava entrambi. Era calda e confortevole, e solo ora mi rendevo conto che poteva trattarsi realmente del sole, e non di qualche altra diavoleria magica.
« Ricordi cosa ti ho detto qualche tempo fa? » mormorò lui, la voce tinta di un debole vigore.
« Cosa? »
« Di non cacciarti nei guai. ». Sorrisi, constatando che aveva ripreso un po' del suo vecchio umore.
« Ops. » sussurrai, stando al gioco. Dovevo fare in modo di tenerlo vigile, viste le sue condizioni precarie.
« Fai sempre a modo tuo. » commentò lui, avvicinandosi. Negli occhi c'era tanta di quella tristezza che per un attimo colpì anche me. La sofferenza che stavamo condividendo per quel momento, per i nostri compagni caduti. Per Wendy, e la mia famiglia. Era tutto così palpabile da sembrare reale.
« Ne usciremo. Ne usciremo, maledizione. » dissi a denti stretti. Lui mi prese il viso tra le mani, fissandomi con quegli occhi pieni di cose, di ricordi, e di dolore. Si avvicinò e posò le labbra sulle mie, baciandomi con tutto quel dolore dentro, e la rabbia. Era furioso con la vita, con sé stesso e con l'Originale. Stava combattendo una battaglia così intima che nessuno avrebbe potuto aiutarlo.
Quel bacio fu come un assaggio di un vecchio ricordo. Era come se conoscessi già le sue labbra, il suo volto e il suo respiro. Mi baciava con trasporto, tradendo una grande emozione. Avvicinò ancora di più il mio viso al suo, tenendomi la testa con entrambe le mani, intrecciando le dita sottili ai miei capelli scompigliati.
Percepii il dolore che stava provando, e mi resi conto che non ce l'avrebbe mai fatta a sostenerlo da solo. Che da troppo tempo la sua anima era tormentata dall'angoscia per Wendy, per Pennino e gli altri bimbi sperduti, per la sua terra. Sorreggerla, per una persona sola, era davvero troppo. E con quel bacio mi sembrava quasi di aiutarlo, come se in quel momento stessi contenendo quel dolore insieme a lui. Non riuscivo a capire le sensazioni che stavo provando, ma non mi retrassi. Peter aveva bisogno di quel bacio, di quel contatto.
E io?
Io ne avevo bisogno?
Si separò da me dopo un po', rimanendo a distanza ravvicinata. Sentivo il suo respiro sul mio viso, leggermente accelerato. Le sue mani scivolarono sulle mie spalle, e li si fermarono. Sentivo la sua stretta, piena di di quel dolore che aveva tentato di abbandonare.
Lo abbracciai, e lui mi tenne stretta per tutto il tempo. Jim era a pochi metri da noi, ed ero sicura che avesse visto tutto. Mi sentivo strana, in colpa. Perché quel bacio mi aveva ricordato quella notte che avevamo passato insieme, e ora i miei sentimenti erano talmente confusi che per un attimo la mia battaglia con il Cacciatore passò in secondo piano.
C'era una lotta anche dentro di me. Una battaglia terribile tra testa e cuore. O forse dentro il cuore stesso, diviso perfettamente in due.







« Nonna! Nonna, ci sei? » gridai, bussando un'altra volta. Il cestino era terribilmente pesante, la mamma come al solito aveva esagerato con le dosi. Sentivo l'intenso profumo di formaggio e di pane fatto in casa, il rumore del latte nella bottiglia e l'aroma di ciliegie della crostata sfornata la mattina stessa. Avevo il sospetto che ci fossero anche le uova delle nostre galline, e mi pentii subito di aver fatto oscillare il cestino così tanto nel bosco.
« Nonna? » gridai ancora, bussando più forte. Solo a quel punto mi resi conto che la porta era socchiusa. La aprii, entrando nel salottino buio. Il fuoco nel camino era ancora acceso, e scoppiettava allegramente riscaldando la stanza. Sul tavolo c'era un vaso colmo di fiori di campo colorati.
« Nonna? » la mi voce si era fatta più leggera, quasi un sussurro. Lasciai il cestino sul tavolo e mi avvicinai alla camera da letto. La porta era socchiusa, le finestre sbarrate e la candela spenta.
Qualcuno si agitava nel letto. « Nonna, ti senti bene? » mormorai, avvicinandomi. La mamma si sarebbe preoccupata, se le avessi detto di aver trovato la nonna malata nel letto. Mi avvicinai ancora, concentrandomi sul suo respiro. Era pesante, e affannato.
La figura scura di fronte a me ringhiò.
E delle grandi fauci si aprirono davanti ai miei occhi.
Gridai, spalancando gli occhi e respirando a fatica. Rivedere la cella putrida in cui ero stata gettata fu quasi un sollievo.
« Finalmente ti sei svegliata. » si affrettò a dire Peter, accanto a me, con un sospiro di sollievo. « Hai cominciato a gridare nel sonno, non sapevo come fare per svegliarti. ».
« Oh... » mormorai, cercando di riprendere fiato. Avevo sognato. Quegli incubi che mi tenevano sveglia la notte, e che non riuscivo a superare. Madida di sudore, cercai di capire come avevo fatto ad addormentarmi così facilmente in quello schifo di posto.
« Avevi bisogno di riposo, eri a pezzi. ». Peter mi sistemò la giacca di pelliccia sulle spalle. La indossai, infilandomi nuovamente la mantellina e il cappuccio per evitare di prendere freddo. Peter stava decisamente meglio: forse il cibo e l'acqua gli avevano dato quell'energia che era venuta a mancare. Ma i lividi e il dolore nei suoi occhi erano sempre presenti.
Mi alzai, e in fretta raggiunsi le sbarre. « Jim? » lo chiamai, sperando che rispondesse in fretta. Quel luogo ci stava consumando, e cominciavo a pensare che la disposizione dei posti fosse uno dei giochetti del lupo per metterci l'uno contro l'altro.
« Red, sono qui. » rispose lui, ancorandosi alle sbarre.
« Oh, grazie a dio. Tutto bene? » gli chiesi, e lui tossì. Cercai di vederlo alla luce del sole, ma riuscivo a distinguere solo a grandi linee il suo volto. Ero contenta che fosse lì.
« Si. E tu? » rispose lui, calmo.
« Bene. Dobbiamo uscire da qui, non possiamo marcire fino alla fine dei nostri giorni. ».
Silenzio.
« Tranquilla, a questo ci penso io. ». Sobbalzai. La voce del lupo arrivò dall'alto e mi entrò nella testa, come se non avesse aspettato altro.
« Lasciaci uscire, bastardo di un cane! » gridai, furiosa. Finalmente era uscito allo scoperto.
« Come desidera, principessa. » sibilò ancora lui, apparentemente divertito dalla mia scenata. Lo spiraglio di luce sulle nostre teste si fece improvvisamente più vivido, talmente forte da accecarci.
Chiusi gli occhi, con la voce di Peter che mi chiamava come ultimo avviso.
Luce.
Luce.
Ancora luce.
Accecante.
Calda e bellissima.
E poi, di nuovo bianco. Candore ovunque.
Neve.
Mi guardai attorno, mettendo a fuoco il bosco attorno a me.
Questa volta non c'era solo la neve a fare da sfondo, ma una struttura in legno abbandonata a sé stessa.
Chiusi gli occhi, poi li riaprii.
Era la casa della nonna.














Nb. Visto che l'ultima volta ci ho messo un bel pò ad aggiornare, questa volta ho deciso di farvi una sorpresa e pubblicare il nuovo capitolo in anticipo. Spero lo apprezziate, soprattutto voglio sapere cosa ne pensate, se avete consigli o suggerimenti, domande o dubbi amletici che vi assillano. In questo capitolo mi sono voluta concentrare sugli aspetti più intimi di Red, cercando di mettere in luce la lotta interiore che non è solo fisica, ma per la maggior parte emotiva. Con l'occasione vi auguro tanti giorni di sole ( non so voi, ma qui da me sembra Novembre tra pioggia e temporali)!

L.



Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** This violet scent. ***


thisfairitaleisradioactivenow



THIS FAIRYTALE IS RADIOACTIVE NOW.
-




-

17.  This violet scent.







« Ti ricorda qualcosa? » mormorò il Cacciatore, che improvvisamente apparve dietro di me. Mi voltai, lasciandomi la casa alle spalle. Provavo un incredibile disgusto per ciò che stava facendo.
Quella violenza psicologica mi avrebbe consumata lentamente. La giusta vendetta, che bramava da secoli.
« Vuoi che ti risponda? » mugugnai, recuperando la lancia da terra. Chissà come mai, me la ritrovavo sempre accanto. Come se mi seguisse.
« Cosa vuoi fare, Cappuccetto Rosso? » commentò lui, ridacchiando. « Non sai che una signorina non dovrebbe brandire un oggetto affilato in quel modo? ».
« Stronzate. » sputai, stringendo il freddo manico della lancia. Lui ghignò di nuovo, gli occhi iniettati di sangue. Sollevò appena il braccio e schioccò le dita. Una fiammella violacea apparve sui polpastrelli, e si diffuse gradualmente attorno a noi. Rimasi a fissarla, focalizzando l'attenzione su quel colore familiare.
« Così, è a causa tua... » mormorai tra me e me, ma lui riuscì a sentirmi. « Tutto questo. L'Apocalisse. Sei stato tu. ».
Il Cacciatore scoppiò in una fragorosa risata. « Davvero non l'avevi capito? Oh, stellina, le tue indagini non sono state poi così fruttuose. ».
Ricordavo quella luce viola, che aveva coperto il cielo prima della grande esplosione. Prima che la terra iniziasse a tremare. Era stato lui.
« Voglio saperlo, Hunter. » sibilai, concentrata. « Voglio sapere come hai fatto. ». Sapevo che non mi avrebbe negato una risposta. Era così egocentrico e narcisista che avrebbe pagato oro per fare quel monologo.
Lo vidi ghignare. Gli occhi erano rossi come il sangue, i denti affilati come lame.
« Vedi, mia cara, il potere su questa terra è distribuito equamente proprio per non creare situazioni come queste. O meglio, lo era prima che lo concentrassi su di me. Rompere un equilibrio così delicato non è poi così difficile, ma risulta complicato in un regno pacifico e collaborativo come questo. » iniziò lui, sputando quelle belle parole con disgusto. L'idea di pace lo irritava terribilmente, e ne capivo perfettamente il motivo.
« Quando ho assimilato l'anima del Cacciatore, » proseguì lui, con lo sguardo abbagliato dall'estasi. « credevo di aver raggiunto la perfezione. E in effetti era così, ma a quel punto non volevo limitarmi alla vendetta nei tuoi confronti. Oh, no. Volevo tutto. Tutto questo mondo così pacifico sarebbe entrato in mano mia, e lo avrei plasmato a mio piacimento. Per questo avevo bisogno della magia. Una magia potente, così potente da spazzare via tutto in pochi secondi. Non è magnifico? » aprì le braccia, come per farmi rimirare la sua opera di distruzione. Era così felice di quel caos, dell'opera prima che le sue mani avevano creato.
« Mi fai vomitare. » sibilai, e lui sghignazzò. « Come hai fatto a ricevere un potere così grande? ».
Sapevo che su quella terra c'erano molti esseri magici. Fate, streghe e maghi potevano essere a sua disposizione. Eppure avevo come l'impressione che non si trattasse di questo. C'era qualcosa di più grande.
« Avevo bisogno di una grande magia, qualcosa di talmente forte da surclassare tutto e tutti. La fonte primaria di energia magica, che ha dato vita a questo mondo. » concluse lui, lasciando quelle parole sospese nel silenzio. Riflettei per qualche istante, soppesando ciò che aveva detto. Un gemito mi sfuggì dalle labbra.
Non poteva averlo fatto veramente.
« Tu hai...attinto dalla fonte originale? » sibilai, tremante. Tutto il mio coraggio non sarebbe bastato, per fronteggiare quella discussione. La fonte originale, il cuore di quella terra, da cui proveniva l'energia magica che dava vita alle fate, alla magia, all'incanto.
« Oh, ma non ho attinto da essa. Io l'ho assorbita. » rispose lui, stringendo i pugni. « Completamente. ».
Vacillai.
La fonte originale era il cuore del nostro mondo. Per questo il lupo era riuscito a creare tutto quel caos, e per questo l'energia di Campanellino si stava lentamente esaurendo, e Peter non poteva più volare.
Aveva lentamente portato via l'energia che nutriva quel mondo, così come i suoi abitanti. Ma come?
Come era possibile che un essere tanto ignobile fosse riuscito a raggiungerla?
« La mia forza era al di sopra di qualsiasi cosa. Unendomi con il Cacciatore ho dato vita a qualcosa di oscuro, che non è mai avvenuto in queste terre. Qualcosa di proibito. Ho fatto vacillare l'intera struttura » continuò lui, ormai in preda ad un monologo in cui era diventato il protagonista principale.
Non avevo idea di come avesse fatto, ma sapevo che l'energia di cui era entrato in possesso non aveva eguali.
Pensai a tutte le tappe del mio viaggio, a ciò che avevo visto e sentito. Sobbalzai, quando un ricordo in particolare fece accendere una nuova luce nella mia testa.
« Pocahontas... » sussurrai, iniziando a collegare le tessere tra di loro. « Lei ti aveva scoperto. Aveva capito che l'equilibrio di questo mondo era stato alterato. Per questo l'hai intrappolata nel suo regno. ».
Lo vidi digrignare i denti, come se il ricordo di Pocahontas avesse riportato in lui ricordi spiacevoli. Probabilmente era stata una delle minacce più temibili per lui, dato il suo grande potere spirituale.
Ma allora perché non l'aveva eliminata?
« Ah, Pocahontas... » mormorò lui, alzando gli occhi al cielo. « Imprigionarla nel suo regno non ha impedito ad una ragazzina impertinente come te di entrarvi. A quanto pare la prossima volta cercherò di proteggerla meglio. ».
Assottigliai lo sguardo, focalizzando l'attenzione sulle sue parole. Erano criptiche, ma allo stesso tempo stavano cercando di lanciarmi un messaggio.
« Volevi usarla. » sussurrai, cercando di capire se stessi dicendo la cosa giusta. « il suo potere spirituale ti avrebbe fatto comodo. ».
« Oh, ma non solo il suo. » ribatté lui, stringendosi nella giacca. « Sai, avevo in mente un sacco di progetti. Ma prima di realizzarne anche soltanto uno, dovevo portare a termine ciò per cui fremevo da anni. Ucciderti. E finalmente avere la mia vendetta. ».
Mi guardai attorno: il mio bosco non era mutato dal giorno in cui l'avevo lasciato, la neve aveva continuato a battere incessantemente sul terreno, attecchendo e gelando gli ultimi sprazzi di vita. Faceva un freddo terribile, e il cielo minacciava ancora tempesta. Si stava alzando un vento ghiacciato, che sferzava il viso come una lama affilata.
Il Cacciatore si lasciò sfuggire un sorrisetto divertito. « Non hai idea, del dolore che si può patire a questo mondo. Ma sono sicuro che lo capirai presto, mia cara. ».
Schioccò le dita, e quelle fiammelle ametista che avevo visto in precedenza apparvero di nuovo sulla punta dei suoi polpastrelli. Emanavano un'energia oscura, terribilmente negativa. Uno strano presentimento fece scendere un brivido lungo la mia schiena. Avevo come l'impressione che il suo spettacolo fosse appena iniziato.
« Ragazze. » sibilò lui, richiamando due figure alle sue spalle: fluttuavano a pochi metri da terra, avvolte da quell'aura violacea che avevo visto sulle sue mani fino a pochi istanti prima. Le fasciava come un manto di seta, morbido e delicato. Ma l'energia che sprigionava era forte, e scura.
Quando quella stessa aura si dissolse, le figure dietro di lui scesero lentamente a terra, fluttuando a qualche centimetro dal suolo. Lo superarono, e solo a quel punto aprirono gli occhi, sollevando la testa in uno scatto improvviso. Quando le vidi, il mio cuore mancò un battito.
« Cosa... » iniziai, ma le mie parole morirono sulle labbra rovinate dal freddo. Non sapevo come continuare, tanto era lo stupore. Il Cacciatore scoppiò in una risata fragorosa, beffarda, e incrociò le braccia al petto.
« Scommetto che le riconosci. D'altra parte, attingere alla fonte originale per un essere ignobile come me sarebbe stato impossibile. Per questo ho dovuto usare delle esche, animi puri in grado di oltrepassare la barriera. E chi, più puri di loro? ».
Le due donne di fronte a me avevano lo sguardo spento, opalescente: mi ricordavano gli occhi perlacei di Ariel. Eppure, c'era qualcosa in più che riusciva a mettermi i brividi. Non solo non c'era umanità in loro.
Non c'era niente.
Non un barlume di luce, o di speranza. La gioia, l'emozione che era in loro era sparita. Gli era stato tolto tutto, e adesso stazionavano di fronte a me come due fantocci vuoti, con solo quell'aura di morte e distruzione a tenerle in vita.
Riconobbi i lunghi capelli biondi, legati in una treccia che toccava terra; e, dall'altra parte, lo sfarzoso abito bianco ricoperto di infiniti punti luce, e le scarpe di cristallo ancorare ai piedi.
« Come hai potuto fare questo? » sibilai, distrutta. Ma quella domanda era priva di senso, per un essere ignobile come lui.
E ora Cenerentola e Raperonzolo mi osservavano da quelle gabbie prive di vita, pronte ad assecondare qualsiasi comando del lupo. Ed io, per difendermi, avrei potuto fare solo una cosa.
Ucciderle entrambe.






« Ragazze. » sibilò nuovamente il Cacciatore, fissandomi con quel ghigno sadico. « Attaccate. ».
Non potevo ucciderle. Non potevo eliminare due delle più belle principesse del Regno delle Fiabe solo per la cattiveria dell'Originale. Loro non avevano fatto nulla di sbagliato. Semplicemente, erano state catturate.
E dovevano morire per quel motivo?
No, mi rifiutavo di pensarci.
Ma quando Cenerentola si scagliò brutalmente verso di me brandendo una lancia di cristallo, capii che nulla di ciò che ricordavo di loro era rimasto in quei corpi. Non mi riconoscevano.
Schivai il suo colpo, spostandomi di lato e fermando la sua lancia di cristallo con la mia. Qualsiasi mio movimento era finalizzato alla difesa, e non all'attacco. Non ci riuscivo, era più forte di me.
« Allora, Cappuccetto? Dov'è la forte ragazza che ha ucciso tutti quei lupi? » gridò il Cacciatore, riportando alla mente le mie battaglie quotidiane in quel bosco. Al momento avrei preferito fronteggiare un branco di bestie che loro due.
Raperonzolo apparve alle mie spalle, e con una catena arrugginita mi circondò il collo. Mi dimenai, sentendo la sua presa forte e il respiro venire meno. Come potevo continuare a combattere, se non volevo far loro del male?
Sfilai una gomitata a Raperonzolo, che barcollò alle mie spalle facendo cadere la catena. Tossii, evitando di pensarci. Mi voltai, e Cenerentola era di nuovo pronta con quel maledetto arnese di cristallo che, chissà per quale assurdo motivo, non riuscivo a distruggere. Poi, quando cercò di colpirmi, mi accorsi delle spire viola che circondavano la sua arma.
Ah, giusto. La magia.
Che sciocca.
« Fermale! » gridai in direzione del Cacciatore, mentre continuavo a difendermi dai loro ripetuti attacchi. Sembravano non stancarsi mai, i loro attacchi avevano la stessa forza ogni volta. Mi distrassi osservando i suoi occhi farsi più scuri, tinti di una vena sinistra.
Cenerentola mi afferrò per un braccio, Raperonzolo agguantò l'altro con una stretta mortale e rimasi lì, nelle loro grinfie, imbracata in quella trappola da cui tentavo di dimenarmi invano. Insomma, sapevo benissimo che un tempo avrei potuto batterle ad occhi chiusi, ma la loro forza attingeva direttamente da quella del lupo, e quindi dalla fonte originale. Tentai di dimenarmi ancora, ma senza risultato.
Il Cacciatore avanzò a passo lento davanti ai miei occhi, calpestando la neve di quel bosco che ora sembrava accerchiato da un'atmosfera così cupa e triste da farmi male. Rimase a distanza, a pochi passi da me.
« Avanti. » sibilai, disgustata dalla sua presenza. « E' quello che vuoi, no? Fallo. Uccidimi. ». Sputai quell'ultima parola facendola soppesare nell'aria, dandole il tempo di rimanere sospesa.
Per fargli capire che poteva farla finita lì, ma sarei caduta con dignità davanti ai suoi piedi, guardandolo negli occhi fino alla fine e a testa alta.
Lo vidi ridacchiare. « Perché? » mormorò, ostentando un'innocenza che di certo non gli si addiceva. Schioccò le dita con un movimento rapido, ed io rimasi in attesa.
In quel momento, proprio alle sue spalle, un cubo trasparente apparve lentamente di fronte ai miei occhi: uno spazio chiuso adagiato delicatamente sulla neve, che sembrava non risentire assolutamente della sua presenza, come se non ci fosse. Come se quelle pareti non pesassero che un grammo.
Come se non fosse uno spazio reale.
Campo di forza.
Furono le prime parole che apparvero nella mia testa, chiare e definite. Il Cacciatore schioccò di nuovo le dita, e un bagliore intenso si diffuse al centro del cubo. Al di là di esso vedevo quelle che una volta erano state le quattro mura più importanti della mia vita, che conservavano il mio cuore e la mia famiglia.
E in quel senso di abbandono riuscii finalmente a vederlo.
Un'altra parte di me che si materializzava a pochi metri di distanza all'interno di una luce accogliente, per divenire sempre più reale. E quando mi resi conto che era proprio lì, e non era la mia immaginazione a farmi brutti scherzi, con uno scatto mi scrollai di dosso le tirapiedi del lupo e cominciai a correre.
« Jim! » echeggiò la mia voce nell'aria, un grido di disperazione che si ripeté più e più volte in quel grande spazio silenzioso e deserto. La neve scandiva i secondi, e cominciava a cadere lenta e a grandi fiocchi.
Sentii di nuovo la stretta ferrea della mia prigione umana, saldamente ancorata a terra, che mi costringeva a fermarmi. Mi dimenai ancora, gridando e imprecando contro la scura figura che si dirigeva a passo tranquillo verso Jim.
Così mi fermai, recuperando il respiro che avevo perso nel tentativo di raggiungerlo. Mi fermai e lo guardai.
Perché in quel momento guardarlo negli occhi, incrociare anche solo per un attimo il suo sguardo, mi sembrava la cosa più giusta da fare. Non avevo idea di quanto tempo ci rimaneva da vivere, e volevo avere quegli occhi puntati addosso il più possibile.
« Jim... » sibilai, e finalmente lui alzò la testa. I grandi occhi luminosi non erano andati via, fortunatamente. Per un attimo avevo quasi temuto che il Cacciatore l'avesse trasformato in uno dei suo scagnozzi personali.
« Allora, Jim...immagino tu sia contento di vederla. Da sola, voglio dire. » iniziò il Cacciatore, girando attorno al cubo trasparente con movenze sinuose.
Di che diavolo stava parlando?
« Deve essere stato proprio un brutto colpo, non è vero? » continuò lui, avvicinandosi sempre di più. Attraversò la parete trasparente e gli andò vicino, circondandolo con quegli strani effluvi color ametista. Sembravano tenerlo stretto nelle loro grinfie come una morsa subdola, proprio come quelle parole di cui iniziavo lentamente a capire il significato. Il Cacciatore si avvicinò ancora di più e posò le labbra sul suo orecchio.
« Lei e Peter Pan. Peter Pan! Insomma, chi l'avrebbe mai detto? E tu, lì...proprio lì davanti a loro. » gli sussurrò all'orecchio, ma io riuscivo a sentirlo benissimo. Voleva che lo sentissi. « non deve essere stato un bello spettacolo, mh? ».
Oh, no.
Il bacio.
Stava cercando di allontanarlo da me piantando il seme della gelosia. Quel piccolo e infido serpente, che si sarebbe insinuato nel suo cuore e nella sua mente. Voleva metterci contro, allontanarci.
Farmi soffrire come un cane per poi uccidermi definitivamente.
Jim abbassò la testa, e in quel momento vidi in lui l'amarezza che quelle parole avevano insinuato nel suo cuore. Alzò di nuovo lo sguardo, e i suoi occhi mi inquadrarono in modo diverso, trafiggendomi.
Aveva toccato un tasto dolente.
Cenerentola e Raperonzolo sparirono gradualmente, dissolvendosi in una nube di polvere scura, ma sapevamo tutti che non avevo più bisogno di essere tenuta a forza. Ero immobile, a pochi metri da loro, e fissavo la scena incredula, con il cuore a pezzi.
Si. Quelle parole stavano mandando il mio povero cuore in frantumi, con mia grande sorpresa.
E perché, poi?
Jim ed io non avevamo condiviso solo quella notte nel regno di Aurora: avevamo viaggiato insieme per giorni, senza perdere mai la speranza. E ora un invisibile muro di pietra stava lentamente ponendo fine a quel legame.
No, non potevo permetterglielo.
« Che senso ha vivere, mi chiedo? Hai perso tua madre, e ora lei... » continuava il Cacciatore imperterrito, ignorando il dolore sul volto di Jim. « Fa male, vero? Allora finiamola qui. Non vorrai soffrire ancora, mi chiedo! ».
Le fiamme viola continuavano ad avvolgerlo sempre più forte, in una morsa...mortale. Non era qualcosa di fisico, ma di spirituale: erano le ombre oscure del suo passato e della sua anima, la sofferenza che aveva celato nel suo cuore e in quella grotta che si stava lentamente impossessando di lui.
Non era il suo corpo, ma la sua anima a morire lentamente.
Cominciai a correre. Battei quei pochi metri in qualche secondo, prendendo alla sprovvista persino il Cacciatore. Eppure, quando arrivai di fronte al cubo, non riuscii ad attraversare la parte. A quanto pare non c'era posto per me, lì dentro. Così cominciai a battere e battere fino allo stremo.
Facevo confusione, cercando di farmi sentire e di distrarlo dalle infide parole del Cacciatore.
« Jim, no! Non ascoltarlo! Non ascoltarlo, maledizione! » gridai, battendo i pugni fino a farmi male. Cercavo il suo sguardo, ma dietro quelle fiamme oscure era impossibile vedere.
« Dimenticala, Jim. Dimentica chi ti ha fatto soffrire. ».
« Jim! Jim! » gridai ancora, e ancora. « Mi dispiace! ».
Mi accasciai sulla neve, cadendo sulle ginocchia. Respiravo a fatica, come dopo una lunga salita. Fissai la neve candida sotto il palmo delle mie mani. Non sentivo più il freddo. Non sentivo più nulla, adesso.
« Oh, povera piccola... » la voce del lupo arrivò di nuovo alle mie orecchie, più distinta. « Immagino quanto tu possa soffrire in questo momento. Qui, da sola. Già...dove sono i tuoi amici? ».
Digrignai i denti, incredula di fronte a quelle parole. Ero devastata dal dolore, ma ero certa che lui non potesse minimamente immaginarlo. Chi non ha un cuore non può rendersene conto.
Le fiamme di polvere oscura si diffusero lentamente attorno al suo corpo rinchiuso nel cubo, avvinghiandosi alla sua testa per inculcargli quelle orribili parole nel cervello. Vedevo già le propaggini di quelle idee attecchire e cancellare ogni ricordo, ogni memoria di quello che era stato.
L'Originale non voleva solo uccidermi, ma voleva farlo dopo una lunga agonia. Dopo avermi fatto patire le sofferenze più indicibili. A quel punto mi avrebbe finita, una volta per tutte, e la sua vendetta sarebbe stata completa.
Sollevai appena la testa, e i fiocchi di neve cominciarono a scendere lentamente sul mio volto, posandosi sui capelli che erano ricaduti davanti al viso in modo disordinato. Gli occhi di Jim erano chiusi, la testa china.
« Jim, ti prego... » sussurrai, e in quel momento avrei tanto voluto piangere. Lasciarmi andare finalmente a quella liberazione che per anni avevo represso per mostrarmi forte agli altri. Ma ora era il momento meno adatto per rivelarmi debole, soprattutto di fronte a lui. In fondo eravamo soli: Jim era rinchiuso nella sua gabbia personale e le principesse agli ordini del lupo erano lentamente scomparse in una nebbia violacea, che le aveva riportate nel nascondiglio dove il lupo le custodiva gelosamente.
Pensai che forse non erano le uniche ad essere state catturate da lui. E l'idea di affrontare un avversario con una forza così grande improvvisamente mi destabilizzò: nel silenzio di quel luogo pensai a cosa volesse dire attingere dalla fonte originale, il cuore di tutta l'energia magica del mondo delle Fiabe. Un'energia unica, che non era né bene né male – ancora. E da lì si distribuiva nei vari Regni, suddivisa in parti più piccole.
Lui l'aveva tutta, e continuava ad assorbirla togliendola agli altri. E così Peter smetteva di volare, Campanellino moriva lentamente, e nessuno poteva fare nulla per impedirlo.
In quel momento, però, mi venne in mente quando avevo incontrato l'Originale per la prima volta nel bosco: nonostante avessi perso i sensi, Biancaneve e gli altri avevano chiaramente visto che si era dato alla fuga al loro arrivo. Perché?
Perché non era rimasto, vista la sua enorme potenza? Poteva ucciderli tutti, e portarmi via.
Eppure...
« Mi ha lasciato andare. » sussurrai, scoprendo quella verità che prima avevo sempre ignorato. Se non mi aveva portata con sé, un motivo doveva esserci. Ed era lo stesso motivo per cui non mi aveva mai cercata, né ostacolata direttamente, ma aveva fatto in modo di farmi arrivare da lui fino a lì.
Quell'attacco in gruppo l'aveva colto di sorpresa, e questo aveva fatto vacillare qualcosa dentro di lui, rompendo l'equilibrio che lo teneva saldamente legato alla sua crudeltà. Qualcosa di potente, assopito dentro di lui, ma che riusciva ancora ad uscire fuori quando ne aveva la possibilità.
Trattenni il respiro, arrivando finalmente alla fine.
L'anima del cacciatore c'era ancora, e stava ancora combattendo. Aveva dato a me la possibilità di vincere.
Nonostante la presenza del lupo, mi aveva sempre aiutata.
Sollevai appena lo sguardo, fissandolo negli occhi.
« Tu ci sei ancora... » sussurrai, e lo vidi assottigliare lo sguardo. Probabilmente era irritato dalla mia tenacia, voleva vedermi crollare e invece ero ancora lì, pronta a sfidarlo. Voltai le spalle a Jim, e sotto i suoi occhi indagatori feci qualche passo indietro.
A quel punto, nel silenzio di quel luogo surreale, lasciai che il mio braccio prendesse vita, e che le parti metalliche sostituissero la pelle in quei pochi secondi. Il rumore degli ingranaggi rimbombò nell'aria mentre i cavi elettrici spuntavano dalle radici nervose. Dio, quanto faceva male.
Eppure in quel momento non pensavo al dolore. Non pensavo a niente.
Il cannone cominciò a ruotare attorno al mio braccio, mettendosi in moto. Mi voltai, e il cacciatore era ancora lì che mi fissava. Il mio sguardo virò su Jim, rinchiuso in quel cubo con la mente offuscata dalla magia nera.
In quell'attimo rimase tutto fermo, tutto spento. Nulla si muoveva, neppure di un millimetro. Il cigolio delle chincaglierie meccaniche che davano vita al mio braccio artificiale erano solo un brusio impercettibile in confronto.
Chiusi gli occhi, poi li riaprii. Volevo vederlo, questa volta. Il proiettile scattare rumorosamente, e dirigersi a grande velocità verso il bersaglio. Il fragore, l'esplosione. Il fumo. La polvere, mista a schizzi di neve macchiata di fuliggine. Poi, di nuovo il silenzio.
Volevo assistere di persona a quel momento.
Così sparai.



In quel momento il fumo provocato dalla grande esplosione mi oscurò la vista. Non vedevo più Jim, e questo era ciò che mi spaventava di più. Attorno a me si era alzato un polverone più grande del previsto.
Mi fischiavano le orecchie, ma se provavo a pensarci non ricordavo assolutamente il fragore dell'esplosione.
In quel momento, con quel fischio acuto nelle orecchie e un nuovo silenzio che preparava a ristabilire l'equilibrio, le parole di Pocahontas mi ritornarono alla mente come se lei fosse lì, in quel momento, a parlarmi.
La forza che anima il tuo cuore è più potente di qualsiasi maledizione.















Nb. Buongiorno piccioncini miei! Come sono andate le vacanze? Le mie, ahimè, mi sono sembrate troppo brevi... ma credo sia sempre così per tutti! Comunque, eccomi qui ad aggiornare con un nuovo capitolo. Spero stiate continuando a leggere questa storia, e che mi facciate sapere cosa ne pensate.
Vi abbraccio forte!

L.



Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Neverland. ***


thisfairitaleisradioactivenow



THIS FAIRYTALE IS RADIOACTIVE NOW.
-




-

18.  Neverland.







C'era qualcosa di sbagliato. Gli eventi si susseguivano senza una logica, senza un criterio. Non c'era nessun filo a legare quei momenti. Era tutto sbagliato.
Quando il fumo si diradò, dopo che il proiettile era schizzato fuori dal mio braccio artificiale, non c'era più neve. L'atmosfera era cambiata, e in pochi istanti mi resi conto di non essere più nel mio bosco.
Se vuoi giocare, allora giochiamo."
Quelle parole mi rimbombarono nella testa una sola volta, ma non feci fatica a riconoscere la voce del lupo: era chiara e distinta nella mia mente, come se fosse sempre stata lì.
Mi guardai attorno, cercando di capire in che diavolo di posto mi trovassi, e come fossi riuscita a raggiungerlo: a quell'ultima domanda trovai presto risposta, considerando che avevo fronteggiato un essere che mi aveva riportata a casa dal bosco di Aurora in meno di un secondo. Ma ora rimaneva ancora una questione da risolvere: dove mi aveva mandata, dato che non ero più a casa?
Le fronde attorno a me erano selvagge e incolte, come in una giungla dove l'uomo non aveva mai avuto accesso. Era un luogo impervio, che tuttavia avevo già visto. Nonostante tutto, non potevo rimanere ferma senza far nulla: dovevo muovermi, e cercare di orientarmi.
Sfilai il coltello dal suo fodero legato alla coscia e iniziai a farmi strada tra le fitte fronde della foresta, ignorando il caldo atroce e gli insetti che continuavano a fare tuffi acrobatici attorno ai miei occhi. Camminai a lungo, ignorando la fatica.
O almeno ci provavo. Avevo appena superato quasi indenne uno scontro con l'Originale, e questo era più che sufficiente. Ma sapevo bene che lui mi stava osservando, l'avevo capito nell'attimo esatto in cui il fumo si era diradato. Stava giocando con me, ero la sua bambolina personale da torturare.
Continuavo a ripensare alle parole di Pocahontas mentre la foresta si apriva di fronte a me. La forza che animava il mio cuore poteva davvero sconfiggere il lupo, nonostante lui avesse un'energia così potente tra le mani?
Mi sembrava talmente irreale che a poco a poco avevo smesso di crederci. Forse era quello il problema.
Probabilmente girai in tondo per un po', oppure era la foresta ad essere tutta uguale. Sentivo un brusio in sottofondo che di certo era sufficientemente inquietante per i miei gusti. C'erano animali selvaggi nei paraggi, e probabilmente non avevano buone intenzioni.
Mi guardai di nuovo attorno: di fronte a me, ora, si stagliava una parete di roccia, terra e muschio che di certo non avrei mai potuto scalare. Alla mia sinistra l'oscurità crescente mi suggerì che, prendendo quella strada, mi sarei inoltrata ancora di più nel fitto della giungla. Così optai per la destra, cercando di trovare un valido motivo per scegliere, dato che ogni strada sembrava tanto pericolosa da uccidermi.
Eppure, camminando ancora per un tempo indefinito, riuscii ad uscire da quella natura selvaggia. Lentamente gli alberi si diradarono, le fronde erano sempre meno fitte e la luce iniziò ad invadere gli spazi vuoti. Era una luce fredda, priva di qualsiasi vigore. Spenta, come tutto dopo l'Apocalisse.
Davanti a me c'era solo uno sperone di roccia, nuda e fredda, che si apriva su uno strapiombo di cui non si vedeva il fondo. Avanzai a passo lento per raggiungere la lingua rocciosa sospesa in aria.
Quasi mi si mozzò il respiro quando mi accorsi del profilo conosciuto, seppur cambiato, del panorama che si stagliava all'orizzonte: la laguna, un tempo bellissima, era lasciata a se stessa, in un abbandono segnato dal tempo; le onde si scontravano con le rocce a picco sul mare, invaso da coccodrilli dall'aspetto feroce che segnavano il loro territorio lasciando rimbombare il loro ringhio sommesso.
Il cielo era plumbeo, e una pioggia pesante rendeva l'aria irrespirabile. Di tanto in tanto qualche fulmine illuminava il cielo, scontrandosi con le montagne all'orizzonte.
Era un posto orribile. E ciò che mi spaventava di più, era che lo ricordavo come pieno di meraviglia.
Ma ora, quello era l'Inferno.
Ero sull'Isola che non c'è.





Perché mi stava facendo questo? Voleva vedermi impazzire?
O forse quella sofferenza gratuita lo divertiva a tal punto da continuare con quell'assurda tortura?
Di certo l'Originale stava superando le sue capacità. Mi guardai attorno, disorientata. Peter aveva ragione quando parlava del suo regno. La situazione era più che critica.
Non riuscivo a vedere molto, ma dall'aspetto della laguna le sirene dovevano essere completamente sparite. E il villaggio degli Indiani sembrava abbandonato, in lontananza le loro abitazioni avevano l'aspetto di vecchie dimore lasciate a marcire. C'era aria di morte e distruzione, ovunque.
E avevo come l'impressione che la situazione, in tempi recenti, fosse peggiorata.
Cercai di pensare lucidamente, ma il temporale e la vista di quello spettacolo me lo rendevano molto difficile. Se il lupo aveva ancora Peter, probabilmente non potevo contare sul suo aiuto. Mi trovavo in un luogo in cui il caos stava dominando, un luogo pericoloso. E cominciai a capire perché ero stata trascinata lì.
C'erano troppe cose di cui preoccuparmi, troppe persone a cui pensare. Chiusi gli occhi, cercando di focalizzare il mio obiettivo.
Ma per la prima volta non vedevo nulla, davanti a me. Il vuoto più totale. Cosa mi stava accadendo?
« Se vuoi farmi impazzire... » sibilai, sicura che mi stesse ascoltando. Iniziai a camminare a passo svelto, il cappuccio della mantella ben saldo sulla testa. Avevo riposto il cannone ignorando il dolore provocato dagli ingranaggi che ritornavano ordinatamente sotto la pelle artificiale. Avevo ancora la mia lancia, che tenevo stretta saldamente in mano. Discesi lungo la scogliera seguendo il viale tortuoso che portava sul mare. Almeno un aspetto positivo, in tutta quella faccenda, riuscivo a trovarlo: avevo passato talmente tanto tempo sull'Isola da conoscerla abbastanza bene. Non mi sarei persa, ma ero certa che il Lupo questo lo sapesse bene.
Allora perché mi aveva spedita lì?
Camminai ancora fino a ridiscendere lungo la scogliera: il percorso si faceva sempre più impervio, tanto che fui costretta – per un breve tratto – a legare la lancia alla schiena e a proseguire in arrampicata, scendendo lungo la parete di roccia.
Decisi di prendere la strada per la laguna delle sirene: il covo dei pirati era decisamente da evitare, così come il villaggio indiano abbandonato e depredato. Sapevo benissimo che in questo modo mi sarei allontanata dal rifugio di Peter e dei Bimbi Sperduti, ma sapevo benissimo che se fossi andata lì avrei messo in pericolo anche loro.
Provai a pensare al motivo per cui il Lupo mi aveva spedita qui: di certo era ancora vivo, e i miei colpi non lo avevano ucciso come avevo previsto; Jim era ancora con lui, e questo era un problema. Probabilmente anche Peter si trovava ancora in trappola, nonostante non lo avessi più visto.
Le parole di Pocahontas mi rimbombavano nella testa in continuazione, senza lasciarmi il tempo di formulare un pensiero totalmente mio. Mi sentivo disorientata, e questo non era affatto un buon segno.
A bassa quota gli alberi e le fronde riuscivano a proteggermi dalla pioggia, che ora arrivava solo in parte e mi permetteva di vedere meglio la strada. Da quando ero arrivata non avevo visto nemmeno una fata, o una creatura del bosco. C'era una desolazione spaventosa.
Proseguii lungo il sentiero, cercando di dare un ordine ai pensieri. Non avevo la minima idea da quanto tempo stessi camminando, ma a poco a poco cominciai a vedere il sentiero aprirsi sempre di più, e gli alberi diradarsi. La laguna si aprì di fronte ai miei occhi, spaventosa e abbandonata. Il mare era molto mosso e le onde si scontravano sugli scogli producendo dei rumori fastidiosi e inquietanti, dei sibili che echeggiavano nel vuoto dell'ampio spazio rimbombando ad oltranza. L'area della laguna era leggermente più tranquilla, l'insenatura in qualche modo creava una protezione naturale contro le forti raffiche di vento.
Non avevo idea del perché mi fossi diretta subito lì: Peter mi aveva detto già da tempo che le sirene oramai erano quasi scomparse, e lui stesso non ne vedeva quasi più. Ma in qualche modo l'istinto mi aveva suggerito di prendere quella strada, e allo stesso modo io avevo deciso di dargli retta.
Raggiunsi la scogliera, scegliendo uno dei punti più riparati, e mi inginocchiai sulla sabbia umida. Il mio riflesso nell'acqua era smosso dalle onde e dal vento, e non riuscivo a distinguere bene i contorni del viso.
Avvicinai una mano all'acqua e con il dito ne sfiorai la superficie. Cerchi concentrici irregolari si aprirono attorno al polpastrello, allargandosi fino a sparire in onde disordinate.
Un ringhio alle mie spalle mi distolse da quei pensieri, mi voltai di scatto, pronta ad attaccare, ma ero ancora sola. Non c'era nessuno dietro di me, e per un attimo pensai di aver preso un abbaglio.
Ma poi un altro ringhio mi attirò verso sinistra, simile al primo. Questa volta non l'avevo immaginato.
Tentai di scorgere qualcosa ai margini del bosco, ma sembrava tutto tranquillo. Camminai lungo gli scogli, senza dare le spalle al bosco. Saltai da un masso all'altro, cercando di raggiungerne uno più in alto. Gli scogli non erano il luogo migliore per rintanarsi in quel caso, ma era l'unica opzione che avevo.
Le onde si infrangevano contro la roccia, la schiuma bianca mi sferzava le caviglie. Sfilai lentamente la lancia da dietro la schiena, stringendola tra le dita. Qualsiasi cosa mi si fosse parata davanti, di certo non aveva buone intenzioni.
Mi spostai in avanti, cercando di recuperare terreno: non potevo rimanere sul ciglio della scogliera, rischiando quasi sicuramente di farmi ammazzare.
Un altro ringhio, questa volta a destra. Ma quanti sono?
« Vieni fuori, bastardo. » sibilai, pronta. Si, ero pronta ad affrontarlo. Non avevo idea di cosa fosse, ma avevo come l'impressione che l'avrei scoperto presto.
Alla luce del cielo grigio la figura che si stagliò davanti ai miei occhi era inizialmente priva di forma. La sua ombra diventava via via più grande, mostrando la pelliccia nera e brillante, le zampe grandi che scavavano il terreno con gli artigli logori, gli occhi scuri che puntavano verso di me.
Trattenni il respiro per un momento, cercando di capire. Capire perché un lupo delle dimensioni di un cavallo si trovasse nella laguna delle sirene, e volesse uccidermi.
Da quel che ricordavo, sull'Isola non c'erano lupi. Se qualcuno di loro si nascondeva nella boscaglia, era comunque di piccole dimensioni e relativamente innocuo. Peter mi aveva raccontato di non aver paura degli animali dell'Isola. Neppure degli orsi, che aveva imparato a conoscere e con cui riusciva persino a convivere.
Ma quello, quello non apparteneva decisamente a quel luogo. Le radiazioni, il caos, l'Apocalisse.
Quell'essere era il risultato di quell'orribile destino che ci era stato riservato?
Un brivido mi percorse la schiena. Somigliava terribilmente ai lupi del mio bosco. Somigliava a lui.
In un primo momento quel pensiero mi raggelò il sangue nelle vene. Potevo davvero combattere contro di lui?
Tenni stretta la lancia, cercando di ignorare la paura che si stava impossessando nuovamente di me. Non potevo, non di nuovo. Non dovevo cedere alla debolezza.
Il lupo avanzò ancora, ringhiando. Come poteva essere lì, di fronte a me? Ancora non ci credevo.
Rimasi immobile, oramai lontana dal ciglio della scogliera, ma non per questo fuori pericolo.
Un fulmine rischiarò il cielo, e il rimbombare di un tuono in lontananza fece scattare il lupo.
Era il momento. Il momento in cui avrebbe tentato di azzannarmi. Cercai di schivarlo, ma la sua zampa mi colpì di striscio sul braccio, graffiandomi. Sentii un lieve bruciore, e in pochi secondi tre graffi paralleli apparvero sull'avambraccio.
Eppure c'era qualcosa che non tornava. Era un dolore diverso, un dolore che non avevo mai provato. La percezione stessa era differente. C'era qualcosa di sbagliato.
Il lupo si voltò di scatto e tornò ad attaccare. Mi difesi con la lancia e indietreggiai, contando i passi che mi dividevano dal ciglio della scogliera. Ero salita decisamente troppo in alto, e se fossi caduta di certo sarei morta.
Gli occhi del lupo trovarono di nuovo i miei, facendomi rabbrividire. Non potevo crederci. L'Originale mi aveva spedito sull'Isola ed io andavo a trovare un dannato lupo. Mi sentivo alla fine.
Per la prima volta iniziai a convivere con l'idea di non farcela. Ma subito dopo, un altro pensiero mi balenò in mente.
Pensai al dolore. Al dolore che avevo provato quando il lupo mi aveva colpita. Quella sensazione nuova, diversa. Pensai al fatto che non c'erano bestie del genere sull'Isola, che Peter non me ne aveva mai parlato.
Che quel lupo rifletteva esattamente le mie paure.
Ma che non poteva essere lì.
Trattenni il respiro, spalancando gli occhi. Un altro tuono rimbombò nell'aria. Chiusi gli occhi, poi li riaprii.
Il lupo era ancora immobile di fronte a me.
Inspirai a fondo. « Non è reale. » sibilai a bassa voce.
Non avevo idea di cosa stessi facendo. Ma stava andando esattamente così.
Mi voltai di scatto, dando le spalle al lupo, e cominciai a correre.
Raggiunsi il bordo della scogliera e saltai, lanciandomi nel vuoto.
Durò solo pochi secondi. Giù, nell'acqua.
Quando mi immersi completamente, finendo a fondo nelle acque profonde della laguna in tempesta, tornò di nuovo il silenzio. Sott'acqua, senza l'Isola e i suoi animali selvaggi.
Aprii gli occhi, e l'oscurità mi avvolgeva.
Il mare attorno, mentre trattenevo il respiro.
« Tutto questo non è reale. » ripetei, e mi resi conto di sentire la mia voce, anche li sotto. Sollevai la mano, sfiorando l'acqua che mi circondava.
E un istante dopo notai come una spaccatura in fondo a quell'oscurità, una crepa da cui filtrava una luce bianca e purissima, che in pochi secondi mi accecò.




Aprii gli occhi di scatto, ed ero di nuovo nel mio bosco. Non mi ero mossa da lì, e tutto era rimasto esattamente come prima. Non ero morta, e questo provava che le mie supposizioni erano vere.
Non ero mai stata sull'Isola che non c'è: ero rimasta ferma lì, nel mio bosco, mentre il Lupo proiettava quelle immagini nella mia testa, mettendomi di fronte le mie più grandi paure.
Nulla di ciò che avevo affrontato era reale, e avevo rischiato di morire annegata pur di provarlo.
Il cacciatore, ancora nella sua forma umana, mi osservava a braccia conserte, l'espressione seria e concentrata. Jim non c'era più. Per un attimo vacillai, temendo di averlo perso ancora.
« Non ho mai incontrato una persona simile a te, Cappuccetto Rosso. » mormorò dopo qualche secondo di silenzio, guardandosi svogliatamente le unghie della mano. « Fin da piccola hai mostrato una particolare attitudine per il pericolo. ». Sulle sue labbra apparve un ghigno divertito, mentre cercava di rigirare il dito nella piaga riportando alla mente i vecchi ricordi. Sapeva bene che odiavo ricordare quell'esperienza, quando avevo quasi rischiato di perdere la mia famiglia per colpa del Lupo. Ma osservandolo in forma umana, mi era impossibile non pensare a quell'uomo coraggioso e onesto che ci aveva salvate, e che per tutta la vita aveva rappresentato per me un modello. Ora era lì, di fronte a me, e non era più lo stesso. Plasmato dal male e corrotto da un'energia troppo potente per una sola persona, ora non era altro che l'involucro di un male più grande. In quel momento iniziai a provare compassione per quell'essere così potente, ma che aveva necessariamente bisogno di un corpo umano per essere perfetto.
E questo lo rendeva necessariamente imperfetto.
Imperfetto.
Irreale.
Mi guardai attorno, cercando di scandire il tempo contando i secondi: il cielo era vitreo, le nuvole minacciavano continuamente tempesta; gli alberi erano coperti di quella coltre bianca che non svaniva mai, alti e imponenti nella loro maestosità secolare. C'era un grande silenzio.
« Cosa ti succede, ragazzina? » mi spronò lui, rompendo il silenzio. Vedermi pensare lo metteva in agitazione, probabilmente. Aveva bisogno della mia paura.
Osservai quell'alone color ametista apparire nuovamente attorno a lui, le stesse lingue suadenti che avevano circondato Jim.
« Dov'è lui? » sibilai, esasperata. Non potevo permettergli di giocare in quel modo, come se fossimo tutti burattini al suo cospetto. Mi rispose nuovamente con un ghigno, poi le lingue di ametista puntarono dritte verso di me.
Erano talmente veloci che mi resi conto appena in tempo della loro direzione, e tutto ciò che riuscii a fare fu gettarmi di lato, nella neve, affondando il corpo in quel candore gelato. Udii la forte esplosione, poi il fumo.
Mi voltai, e a quel punto qualcosa – un bagliore appena accennato – attirò la mia attenzione: oltre il fumo e il polverone creato da quell'eccesso di energia c'era qualcos'altro, qualcosa che inizialmente non riuscii a definire.
Somigliava alla rifrazione di uno specchio, come se l'energia si fosse improvvisamente scontrata con qualcosa di invisibile. Cercai di focalizzare l'attenzione su quel punto, ma il Lupo mi distrasse ancora scagliando un altro colpo. Rotolai di lato, cercando di seguirne la direzione.
La sfera di energia andò a schiantarsi contro un albero, e schegge di luce si fermarono proprio a metà strada, creando tanti piccoli punti di luce che durarono solo un istante, scomparendo poi nell'aria.
Mi voltai di nuovo verso il Cacciatore: sapevo che c'era qualcosa, ma finsi di non dargli troppa importanza. Ogni movimento, ogni sguardo in quel momento era fondamentale.
« Ti ho fatto una domanda, cane. » sputai avvelenata. Volevo farlo arrabbiare. Doveva attaccarmi.
Sfilai il coltello che tenevo all'altezza della coscia, e con un gesto rapido lo lanciai verso di lui. L'ennesima sfera di luce opaca deviò la direzione della lama, che andò a trafiggere un tronco cavo a pochi metri da noi, e l'esplosione mi colpì alle spalle.
A quel punto lo vidi chiaramente: c'era una barriera invisibile che ci divideva da qualcosa, contro cui quell'energia si scontrava. Come se fossimo chiusi dentro qualcosa. Mi venne in mente il cubo dentro cui era stato intrappolato Jim. Il principio sembrava essere lo stesso.
Sussultai. Possibile che...?
In quel momento mi tornarono in mente le parole di Pocahontas.
La forza che anima il tuo cuore è più potente di qualsiasi maledizione.
La mia forza. La mia forza non era fisica.
Dove sono i tuoi amici, Red?
Ripensai ai loro volti. Mulan, Aurora, Biancaneve...
Tutti coloro che avevo incontrato mi avevano aiutata, avevano rischiato la vita per me, per farmi andare avanti. E ora dov'erano?
Perché non erano lì con me, a combattere?
Lo guardai di nuovo, e lo vidi vacillare. Solo per un istante, dai suoi occhi, si sollevò un leggero tremolio. Forse invisibile, ma me ne accorsi. Stavo pensando troppo per i suoi gusti.
« I miei amici... » sussurrai, cercando di riflettere.
La sicurezza tornò ad impossessarsi dei suoi occhi vermigli, e il sorriso sadico che non aveva mai abbandonato le sue labbra si fece più feroce, intenso.
« Oh, i tuoi amici. » sbuffò poi, soffocando una risata. « Io non vedo nessuno. ».
« Già. » sibilai, ma ciò che poteva sembrava una risposta d'arresa, in realtà era una riflessione più profonda.
Non erano lì, quello era vero. Ma il Lupo non mi conosceva così bene quanto voleva farmi credere: secondo lui non ero altro che un'illusa, che si era lanciata in un'impresa più grande di lei. Che aveva creduto di poter vincere da sola. Ma in realtà non mi aveva osservata nel modo giusto: non aveva visto ciò che avevo visto io nel mio viaggio, le persone che in realtà avevo incontrato, conosciuto o ritrovato, e che avevano permesso di sciogliere il ghiaccio che si era formato attorno al mio cuore a causa della solitudine che avevo provato nel mio bosco dopo l'Apocalisse.
Non si era reso conto che la persona di un tempo, la fredda e spietata Red, aveva aperto una piccola fessura nel suo cuore verso gli altri. E dire che avrebbe dovuto rendersene conto, vista la mia reazione nei confronti di Jim e di Peter. Ma forse non aveva afferrato bene il concetto. Aveva gioito a tal punto della mia sofferenza da non rendersi conto che quel sentimento era più forte di quanto potesse pensare.
Era quella, la forza che animava il mio cuore e che poteva distruggerlo: la consapevolezza che quel viaggio mi aveva avvicinata a molte persone, e che insieme avremmo potuto farcela.
« Io non sono sola. » sussurrai nel silenzio, mentre la neve ricominciava a cadere, di nuovo, sempre più forte sopra le nostre teste.
« Io non – » iniziò lui, ma questa volta fui io ad interromperlo.
« Non voglio ascoltarti. » risposi prontamente, spezzando la sua presa su di me. « Le persone che mi hanno aiutata e sostenuta in questo viaggio...loro non mi abbandonerebbero mai. Ne sono certa. E sono anche certa che sei tu, a farmi credere il contrario. ».
« Oh, questa poi... » mormorò lui, scuotendo la testa. « Credi davvero che abbia bisogno di ridicoli sotterfugi come questo per convincerti? Non ti basta questo? » gridò, e la sua voce rimbombò negli antri vuoti del bosco. Lo vidi spalancare le braccia per indicare il vuoto attorno a noi.
« E' vero, non sono qui. » gli confermai, sperando di toglierli quel ridicolo sorriso dalla faccia. « ma so che è colpa tua, se non ci sono. Come so che questo non è il mio bosco. ».
Tutto questo non è reale.
Come avevo fatto a non accorgermene prima?
I suoni, la neve, il cielo...tutto era così simile al mio bosco da riuscire anche ad ingannare la proprietaria.
Non era reale, e me ne ero resa conto dal momento in cui ero uscita dall'Isola che non c'è: una realtà perfetta, apparentemente la stessa, ma con qualcosa di diverso. Una sensazione così sottile da essere quasi impercettibile.
Le rifrazioni della luce che avevo visto alle mie spalle erano l'unica prova: una barriera ci divideva dal mondo reale, da tutto ciò che era esterno a noi.
Chiusi gli occhi e sentii nuovamente gli ingranaggi al di sotto della pelle scalpitare, e in un attimo il cannone di metallo freddo prese il posto dell'avambraccio, mentre i cavi elettrici fuoriuscivano dalla muscolatura allacciandosi tra loro.
Il Cacciatore mi guardava con odio, per la prima volta colto di sorpresa dalla mia rivelazione. Cercò di colpirmi con un'altra delle sue sfere di energia, ma riuscii a schivarla cogliendolo di sorpresa e gettandomi lateralmente, sulla neve, mentre il cannone ultimava le ultime modifiche.
Mi tirai su, poggiando il ginocchio a terra. Voltai le spalle al Cacciatore e, senza prendere la mira, lanciai uno dei proiettili verso il bosco innevato.
Lo vidi percorrere qualche metro a grande velocità, poi schiantarsi contro il nulla ed esplodere in una nuvola di metallo e fiamme.
Ed eccola lì, di nuovo, la parete invisibile illuminata da una luce chiara, abbagliante: una superficie perfetta che lentamente si spaccò in più punti, come uno specchio rotto, frantumandosi in mille schegge luminose.
Alle mie spalle udii il lamento del Cacciatore, un grido di odio rivolto a me, colpevole di aver ridotto in frantumi la sua realtà virtuale.
La parete continuò a frantumarsi mostrando la sua vera forma: una cupola molto estesa, che scomparve proprio sopra le nostre teste.
Quell'improvviso cambio di realtà mi sconvolse, nonostante fossi pronta a tutto: il Cacciatore osservò le schegge di luce proiettarsi su di noi e scomparire nell'aria fredda. Non riuscivo a definire precisamente la sua espressione, o cosa stesse pensando realmente in quel momento.
Sapevo solo che non era nulla di buono.
Ma per la prima volta in assoluto, mi resi conto di non avere paura di lui. Quel senso di oppressione, quell'effetto devastante che la sua voce e la sua figura avevano su di me ora era affievolito, come in un ricordo molto lontano.
Per la prima volta non lo temevo.
Guardandomi attorno, riconobbi il profilo del bosco, le chiome verdi e rigogliose degli alberi e l'erba umida sotto i nostri piedi: ero ancora nel bosco di Aurora.
La realtà in cui avevo combattuto fino a quel momento non era altro che una finzione.
« Red! » gridò qualcuno alle mie spalle, e voltandomi riconobbi Mulan in lontananza: ci trovavamo in uno spiazzo molto ampio, forse a qualche centinaio di metri di distanza dalla casa di Aurora. Le chiome degli alberi attorno a noi si muovevano freneticamente, a causa del vento impetuoso che, probabilmente, non era del tutto frutto della natura. Il Cacciatore si fece scuro in volto, e il vento iniziò ad aumentare rapidamente, concentrandosi soprattutto attorno a noi.
« E così... » iniziò, circondandosi di quella luce color ametista, che lo avvolse nelle sue grinfie come una trappola mortale. « Ti piace prenderti gioco dei miei artefici, mh? ».
La figura del Cacciatore andò lentamente a modificarsi, il corpo divenne un misto di carne e polvere viola, magia e realtà si unirono fondendosi in un miscuglio indefinito: la massa oscura di fronte a me iniziò ad aumentare, fino a raggiungere un'altezza spropositata. Un ringhio sommesso partì dal centro della nube, e un brivido mi attraversò la schiena.
Sapevo benissimo cosa stava accadendo.
Le grandi zampe del lupo toccarono terra, marchiando il terreno e rivoltando intere zolle di terra; il pelo scuro e ancora coperto da quella foschia violacea cominciò rapidamente a ricoprire il corpo della bestia, mentre una fila di denti affilati apparve sul muso lungo e rabbioso.
Forma umana e forma animale.
Ed ora era lì, quella bestia che sempre avevo temuto. Di fronte ai miei occhi, così feroce da paralizzarmi. Riusciva a risvegliare le paure più recondite, i ricordi più dolorosi e macabri della mia infanzia. Era la mia debolezza, il centro di tutta la mia paura.
Era il Lupo cattivo, ed era pronto a mangiarmi di nuovo.















Nb. Beh, se volete linciarmi fatelo pure. Lo so, un terribile, gigantesco ritardo! Mi scuso con voi, che continuate a seguire questa storia. In questo periodo però ho un grande, immenso impegno ( chiamato LAUREA) che mi impedisce di dedicarmi a tutto quello che non è studiare studiare e studiare! Comunque sfrutto questi minuti di disponibilità per pubblicare questo capitolo, che spero vi piaccia! Cercherò di aggiornare con più frequenza, ve lo prometto!
Un bacio,

L.



Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Hello, Darling. ***


thisfairitaleisradioactivenow



THIS FAIRYTALE IS RADIOACTIVE NOW.
-




-

19. Hello, Darling.







« Oh, Cappuccetto Rosso,è solo per guardarti meglio... » mormorò il Lupo, con la voce roca e profonda. Una voce che ricordavo benissimo. Il braccio iniziò a pulsarmi, come se quell'arnese meccanico fosse strettamente collegato alla paura che provavo per il lupo.
Piantai saldamente i piedi a terra, cercando di respirare a fondo: era difficile rimanere concentrati quando quella bestia enorme puntava dritta in mia direzione.
Eravamo l'uno di fronte all'altra, e per la prima volta mi stavo rendendo conto che avrei dovuto affrontare la mia paura più grande: la bestia di fronte a me era feroce quanto quella che animava la mia anima. Una paura folle, incontrollata, paralizzante.
La sua figura mi sovrastava: non avevo idea di quanto fosse alto, soprattutto ora che si era su due zampe, ma avrebbe potuto schiacciarmi come un moscerino. Ero piccola, insignificante. Una nullità.
E' la paura, che ti fa pensare a questo. Non sei insignificante.
Ma a me sembrava un dato di fatto. Eppure le parole di Pocahontas riecheggiavano nella mia mente come una regola ferrea da dover seguire. Forse dovevo dare ascolto alla forza che animava il mio cuore, e che mi aveva guidata fin lì.
Forse dovevo smetterla di sentirmi piccola e sola. Soprattutto sola.
Non ero sola.
Mi voltai di scatto, incrociando lo sguardo di Mulan. « Ai fianchi! » gridai, e la vidi annuire. Scattò sulla destra, e alle sue spalle apparve un'altra figura che riconobbi benissimo.
« Bennie? » sibilai, incredula. Biancaneve mi stava fissando e, come avesse intuito i miei piani, scattò dal lato opposto a quello di Mulan, muovendosi sulla sinistra. Mi voltai nuovamente,e il Lupo ringhiò.
Cercai di non farmi intimorire da quel grido ancestrale, che scatenava in me le paure più profonde, e mi concentrai su altro: sui miei amici, che erano lì con me. Che erano pronti ad aiutarmi.
Io non ho paura di te.
E avanzai. Un passo, poi un altro. In sua direzione, senza mai esitare o fermarmi.
Perché per tutto quel tempo mi ero mostrata debole ed era questo che mi aveva fatta soccombere di fronte a lui. Ma ora potevamo dimostrargli – tutti noi – che la paura non era reale.
Tutto questo non è reale.
L'essere di fronte a me non faceva parte di quel mondo: era frutto di un patto malvagio, illogico e privo di ogni morale. Era qualcosa di sbagliato, che andava distrutto.
« Io... » mormorai, a pochi passi da lui. Lo vidi ringhiare, e guardandolo negli occhi riconobbi il guizzo luminoso che avevo visto nello sguardo del Cacciatore la prima volta, quando mi aveva salvato la vita.
« Io non ho paura di te. » mormorai a voce bassa. Forse non ero stata troppo convincente. Lo vidi avvicinarsi a grande velocità, e per poco non mi colpì con una delle sue enormi zampe. Mi buttai di lato, e sentii in bocca il sapore del sangue.
Cercai di ignorarlo, e a fatica mi alzai nuovamente in piedi. Ansimai, mentre gli occhi del lupo mi fissavano con bramosia.
E in quel momento accadde l'impossibile: delle forti catene d'acciaio, miste a delle corde dall'aspetto resistente, iniziarono a circondare il corpo del lupo con estrema rapidità. La testa, le zampe, il corpo.
In pochi secondi una trappola di catene e corde e lacci spessi lo immobilizzò. Voltandomi appena riuscii a intravedere chi stava tenendo le redini: Mulan, Biancaneve, Aurora e Filippo.
Erano tutti lì, ad aiutarmi.
Quasi mi mancava il respiro. Il Lupo cercava inutilmente di dimenarsi, ma era tenuto ben saldo dalla loro imbracatura. Avanzai a passo lento in sua direzione, senza mai abbassare lo sguardo.
Vedevo nei suoi occhi il Cacciatore, quando ancora era una persona buona e onesta.
E non avevo più paura.
« Io... » iniziai, oramai a pochi passi da lui. « Non ho più paura di te! ».
Il cannone di freddo metallo sostituiva ancora il mio braccio: e con quello sparai l'ultimo colpo.
Si, l'ultimo.
Perché sapevo che non era la forza delle mie armi, o la potenza dei proiettili, che avrebbe avuto la meglio su di lui.
Io avevo già vinto.
Non avevo più paura.




La nube di fumo scura scomparve solo dopo alcuni minuti. Tossii a lungo cercando di non inspirare la fuliggine che mi circondava. Quando lentamente la polvere iniziò a dissolversi, i contorni del bosco tornarono a farsi nitidi e chiari. Sembrava essere tutto ancora come prima, e del Lupo non c'era traccia.
Al contrario, il corpo del Cacciatore in forma umana giaceva a terra esanime, e una sfera color ametista aleggiava a pochi centimetri dal suo petto.
Mi avvicinai con cautela, studiandola: il colore ricordava quello dell'energia che il Lupo aveva usato fino a quel momento, benché al centro fosse di un viola più intenso; fluttuava sul corpo del Cacciatore, vibrando appena al passaggio del vento.
Il Cacciatore respirava ancora, seppur a fatica. « Oh... » mormorava, sibilando. « Oh, grazie al cielo. ».
« Hunter..? » lo chiamai, inginocchiandomi al suo capezzale.
« Mi hai liberato. » mormorò lui con un filo di voce, forse l'ultima che gli rimaneva. « Sono libero. ».
Sollevai appena la mano, attratta da quel vorticare di energia oscura, ma subito la ritrassi: e se fossi finita come lui, prigioniera di una forza troppo potente da controllare?
« Fallo. » mi incitò lui, e la sua voce mi sembrò stranamente tranquilla. « L'oscurità non può corromperti, ragazza mia. Non più. ».
L'ombra di un sorriso apparve sulle sue labbra screpolate. E mi resi conto che aveva ragione. Sollevai la sfera di energia, lasciandola fluttuare sulle mie mani. Era calda e pesante, troppo pesante per una persona sola.
E adesso?
Provai a tenerla sospesa verso l'alto, quel tanto che bastava per permetterle di tornare da dove era venuta: lì, dalla fonte originale che conteneva tutto e riusciva a sostenere quel peso. Ma l'energia non mi abbandonava, rimaneva a fluttuare a qualche millimetro dalla mia pelle, calda e opprimente.
« Che succede? » mormorai, pervasa da una strana inquietudine. Che non riuscisse più a tornare indietro?
Il Cacciatore emise uno strano gemito, e con fatica cercò di tirarsi su, facendo leva sui gomiti. Un accesso di tosse lo costrinse ad abbandonarsi di nuovo a terra, e per istinto lo afferrai per le spalle, sostenendolo.
La sfera di energia rimase a fluttuare sopra le nostre teste, quasi immobile. Sentivo la presenza degli altri attorno a me, ma in quel momento vedevo solo gli occhi del Cacciatore.
« Il vincolo. » mormorò poi con un sussurro. « Devi eliminare il vincolo per permetterle di tornare al suo luogo d'origine. ».
« Vincolo? Di che stai parlando? ».
« Tutta quell'energia è troppo grande per una persona sola, non trovi? » mi domandò poi, con il respiro pesante, ed io annuii. L'avevo pensato nel momento stesso in cui l'avevo tenuta tra le mani.
« Pensavo che con il vostro accordo aveste creato l'essere perfetto. Non era questo lo scopo del Lupo? ».
« Oh, certamente. » la sua voce calò appena, per poi riprendersi. Era molto pallido. « Ma anche in quel modo non avremmo mai potuto assorbire una tale energia tutta insieme. E lui la voleva completamente. Per questo aveva bisogno di una valvola di sfogo, qualcosa che avrebbe potuto fare da tramite con la fonte originale, e permettere il fluire continuo di energia. In questo modo, non avendola mai tutta per intero, avrebbe comunque potuto usufruirne senza autodistruggersi. ».
Ascoltavo le sue parole con attenzione: il vincolo di cui parlava gli aveva permesso di accaparrarsi tutto senza subire alcun danno; era un piano diabolico, ma non avevo alcun dubbio che avrebbe potuto portarlo a termine.
« Aveva bisogno di qualcosa che non avrebbe risentito dell'assenza di energia... » proseguì lui, ed io iniziai a pensare. E mi resi conto che si stava riferendo a qualcosa di umano.
Una persona.
« E dove si trova? » chiesi, sostenendogli la testa.
« Nell'unico luogo dove non saresti mai tornata prima del termine del tuo viaggio. » mi rispose, con un sorrisetto amaro. Probabilmente anche lui continuava a stupirsi dei piani diabolici del Lupo.
Trattenni il respiro. « Casa della nonna. ».
« Quella vera, però. » mi corresse, con un' espressione serena in volto.
« Devo tornare a casa. » ammisi, e sentii dei gemiti di sorpresa alle mie spalle. Doveva essere Aurora.
Il Cacciatore sollevò appena la mano a mezz'aria, e la sfera si avvicinò a noi lentamente. Sentivo il calore e l'oscurità sempre più presenti.
« Farai in un attimo. » mormorò di nuovo lui, e all'inizio non capii. Avrei dovuto affrontare di nuovo quel viaggio, e ci avrei messo un'eternità. Sapevo che stava mentendo, fino a quando non lo vidi posare la mano sulla mia, ancora delicatamente adagiata sul suo petto. La sfera di energia divenne sempre più luminosa, fino a quando non vidi più nulla.
« Che succede?! » gridai, ma non riuscivo a udire la mia voce. Era come se quel fascio di luce avesse coperto tutto il resto. Mi sentii incredibilmente debole, sballottata da una parte all'altra di quel grande sfondo bianco senza sapere cosa stesse accadendo.
Il Cacciatore aveva usato l'energia della fonte originale per farmi tornare a casa?
La luce cominciò a dissolversi, ma il bianco candore attorno a me non scomparve del tutto. Anzi, non scomparve affatto.
Ci misi qualche secondo a rendermi conto che non si trattava più del corridoio di luce a cui mi ero abituata nei minuti precedenti.
Era neve.
Neve bianca e soffice, forse appena caduta, che ricopriva abbondantemente il bosco.
Il mio bosco.
Ero a casa.





Solo nel mio vero bosco riuscii a rendermi conto di quale fosse la differenza con la realtà artificiale che il lupo aveva creato per ingannarmi. C'erano altri suoni, altri odori.
Era tutto diverso.
Ed ero a casa. Nonostante l'Apocalisse, il caos e i maledetti lupi che giravano tra gli alberi senza più qualcuno che gli desse la caccia, mi sentivo di nuovo a casa mia.
Di fronte a me, la casa della nonna troneggiava con le sue pareti di massiccio legno scuro. Ormai era abbandonata da tempo: quando vivevo nel bosco non ci entravo quasi mai, forse qualche rara volta per impedirle di cadere in rovina.
Come se da un momento all'altro mi aspettassi di nuovo di vederla sulla soglia, la mia cara nonna, sorridermi come un tempo.
Red?
Sobbalzai, guardandomi attorno. La neve rivestiva tutto donando un irreale silenzio a quel bosco sempre così movimentato. Avevo sentito distintamente una voce, chiara e forte nella mia mente. Una voce di donna, che riecheggiava ancora nelle orecchie. Era una sensazione simile a quella che avevo provato quando il Lupo si era volutamente introdotto nella mia mente, ma le reazioni erano completamente diverse: non avevo paura, perché conoscevo bene quella voce e sapevo che non mi avrebbe fatto nulla di male.
Red!
« Bennie? » sibilai, voltandomi di nuovo. Ero sola. Ma la sentivo, forte e chiara nella mente, la voce di Biancaneve che mi chiamava.
Red! Oh, mi senti! Mi senti!
« Bennie, dove...dove sei? » continuai, senza capire. Me lo stavo immaginando? La voce era nella mia testa?
Red, ti stiamo parlando attraverso il Cacciatore, mi spiegò un'altra voce, quella di Mulan, sempre nella mia testa. Cominciai a capire perché riuscivo a sentirle, perché le sensazioni che provavo erano simili a quando lui si metteva in contatto con me.
« Sta facendo da tramite? » chiesi al nulla, sapendo che comunque riuscivano a sentirmi. Eravamo collegate.
Si. L'energia della fonte è ancora qui, e lui riesce ancora a controllarla. Ti ha mandato nel tuo bosco grazie ad essa. Ma ora devi andare da sola, noi non possiamo vedere ma solo sentirti.
Annuii. « D'accordo. ». Avevano ragione. Quel viaggio l'avevo compiuto da sola, ma loro mi avevano aiutata ad affrontare un passo dopo l'altro senza mai arrendermi. Ma ora, quell'ultimo passo stava aspettando solo me.
Dovevo farcela con le mie forze.
Avrei voluto chiedere loro qualcosa. Si, una cosa in particolare. Jim e Peter.
Di loro non c'era ancora traccia, nonostante la trappola del Lupo fosse sparita da un pezzo. Dov'erano, allora?
Distruggi il vincolo.
La voce di Biancaneve mi arrivò forte e chiara. Forse aveva intuito i miei pensieri. O forse, essendo così intimamente collegata alla mia mente, era riuscita a leggere chiaramente i miei pensieri.
Forse dovevo distruggere il vincolo per avere le mie risposte.
« Adesso devo proseguire da sola. » mormorai, e in pochi istanti non le sentii più. Avevano interrotto il collegamento.
Mi ritrovai a pochi centimetri dalla soglia di casa, e mentre aprivo la porta non potei fare a meno di immaginare quella bambina con la mantella rossa che, anni prima, entrava lì dentro per trovare la pace.
Una famiglia piena d'amore con cui passare ogni istante.
Inspirai a fondo, e la porta si aprì gracchiando. Nella mia mente riecheggiavano le voci che, un tempo, animavano quella casa: le mie grida mentre correvo da una stanza all'altra chiamando la nonna, le sue parole dolci quando avevo paura o faticavo ad addormentarmi, il profumo di biscotti appena sfornati.
Non c'era più nulla.
Solo un bagliore, luminoso quanto oscuro, proveniente dall'ampio salotto coperto di polvere.
Quel bagliore mi ricordò improvvisamente la sfera di energia color ametista che aleggiava sul corpo del Cacciatore. Era la stessa sensazione che mi provocava la sua vicinanza.
E ora era lì, a pochi passi da me, a circondare con le sue grinfie un corpo sospeso a mezz'aria e immobile.
Di certo il Lupo aveva scelto in modo saggio il luogo in cui riporre il vincolo: sapeva che, una volta intrapreso quel viaggio, non sarei tornata facilmente indietro. E, se anche lo avessi fatto, mi avrebbe uccisa senza pensarci due volte.
Ma ora osservavo il corpo esile di fronte a me, e lo stupore mi impediva anche solo di pensare a quanto fosse stato astuto il Lupo nell'orchestrare quel piano.
Osservavo quel corpo, e la sua vista mi impediva di respirare.
Aveva bisogno di qualcosa che non avrebbe risentito dell'assenza di energia...
Pensai a Peter, che lentamente aveva perso la capacità di volare. A Campanellino, che si spegneva lentamente.
A Belle e Adam, intrappolati dal vincolo della rosa nel loro castello.
Tutti noi avevamo percepito quell'assenza, che ci stava lentamente privando dell'energia vitale.
Tutti, ma non lei.
Lei, che forse aveva raggiunto il nostro mondo come un normale essere umano.
E che ora si trovava lì, incatenata.


Wendy.
















Nb. Bene miei cari, come potete vedere ancora non è finita! Wendy. Cosa posso dire? Aspettate di leggere il prossimo capitolo! Ve lo aspettavate che non fosse scomparsa per sempre? Il titolo letteralmente viene tradotto con "Ciao, Tesoro", ma Darling è anche il cognome della nostra dolce Wendy. Eh si dai, questa volta mi ci sono impegnata a trovare un titolo originale, datemene atto! Fatemi sapere cosa pensate di questo capitolo, quello che vi aspettate, o cosa vorreste vedere...insomma, ho voglia di sentirvi!
Un abbraccio,

L.



Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Where everything begins. ***


thisfairitaleisradioactivenow



THIS FAIRYTALE IS RADIOACTIVE NOW.
-




-

20. Where everything begins.







Osservavo il suo volto spento, l'abito azzurro consumato e impolverato, i capelli color grano abbandonati sulle spalle: le lingue di energia la bramavano, tenendola imprigionata in quella gabbia senza uscita.
Wendy non aveva nessuna luce attorno, perché quell'energia che la teneva eccezionalmente in vita come vincolo non riusciva a rischiarare la stanza.
Forse perché non c'è luce nell'oscurità, neanche in un luogo come quello.
Ripensai alle parole di Peter, al dolore e alla disperazione che lo avevano accompagnato dopo l'Apocalisse, mentre tentava con le sue sole forse di proteggere l'Isola e i suoi bimbi sperduti senza la sua Wendy.
Che tutto quel dolore fosse stato invano non potevo dirlo: lei era lì, ma non sapevo ancora quale sarebbe stato il suo destino.
Di certo era viva, perché un corpo senza vita non sarebbe riuscito a sostenere tutta l'energia magica in transizione. Ma cosa potevo fare io adesso, se non distruggerla?
Lasciarla in vita avrebbe significato mantenere quel potere ancora attivo, e non saremmo mai giunti alla fine. Le parole del Cacciatore mi ritornarono alla mente, rimbombando nel vuoto di quella stanza silenziosa.
Distruggi il vincolo.
Distruggi il vincolo.
« Perché... » sibilai, senza più forse. La mia mente era piena di domande a cui non sapevo dare una risposta. E quello mi impediva di prendere una decisione, anche se non avevo molto tempo per starmene lì a riflettere.
Ma come potevo?
Conoscevo Wendy. E soprattutto volevo bene a Peter, e ucciderla sarebbe stato come uccidere lui.
Allora a cosa è servito?
Annuii tra me e me: quella domanda aveva un senso. Avevo viaggiato per trovare una risposta, un senso a ciò che ci era accaduto. Quel caos, quella distruzione, avevano assunto un nome e una forma.
Ora stava solo a me, e non potevo permettere alle mie emozioni di intralciarmi.
Eppure in quel momento tutto quello che avevo attorno scomparve: o meglio, ciò che prima c'era sembrò abbandonarmi. La magia, l'incanto di quel mondo per un attimo si dissolse. E rimasi solo io, una ragazza umana con un braccio meccanico e nulla di magico se non la mia sola forza di volontà, che mi aveva spinta ad arrivare fino a lì nel tentativo di salvare il mio luogo d'origine e quel mondo, così grande e pieno di meraviglia, che ora sembrava un posto come tanti altri.
Mi sentivo tremendamente comune, una persona come le altre in un luogo abbandonato a se stesso, costretta a scegliere tra la patria e il cuore. E se non avesse funzionato?
Se rompendo quel legame avessi fatto peggio?
Questo non potevo saperlo. Fino a quel momento ero sempre stata convinta di poter trovare tutte le risposte alla fine del mio viaggio, ma solo in quel momento mi rendevo conto di avere ancora troppe domande, e che non ero sicura di un bel niente.
« Sai cosa penso? » sibilai, rivolta a quel corpo inerme. « Che sia una vera assurdità. Che non posso essere qui dopo aver affrontato...il mio più grande nemico! Dovrebbe essere tutto finito, e invece...quello era solo l'inizio. ».
Chiusi gli occhi.
La vera sfida non aveva messo alla prova la mia forza fisica, la mia resistenza o la capacità di difendermi. Era una questione di scelte, scelte che potevano portare ad un destino o ad un altro, e spettava a me.
La battaglia non era solo lì fuori, ma dentro.
C'è una speranza anche nella confusione.
Spalancai gli occhi, trattenendo il respiro. Le parole di Pocahontas sembravano sospese in aria, tanto erano reali. Eppure l'avevo incontrata tempo fa, nella sua grande foresta silenziosa.
Eppure quelle parole erano l'unica cosa di cui avevo bisogno in tutto quel caos, che si imponeva nella mia testa senza lasciarmi il tempo di riordinare i pensieri.
Guardai nuovamente Wendy, e in quel momento ricordai di quando avevo visto Peter per l'ultima volta, in quelle luride segrete che l'Originale aveva creato per noi: stanco, privo di quasi tutta la sua magia, e distrutto per la consapevolezza che non avrebbe rivisto mai più la sua Wendy. Ripensai a quel bacio, a quella sofferenza, e per un momento provai un po' di gelosia per quel ragazzo che conoscevo da sempre, e che aveva e avrebbe sempre avuto un posto nel mio cuore.
Respirai a fondo, leggermente agitata. In quel momento mi sembrò quasi di non avere più tempo.
Sapevo qual'era la cosa giusta da fare.
Mi voltai indietro, allontanandomi lentamente dalla sagoma fluttuante di quella dolce ragazza senza vita. La porta era sempre più vicina, e il formicolio alla mano sempre più intenso. Quasi mi sfuggì un gemito quando cominciò a diffondersi a tutto l'avambraccio, fino ad arrivare al gomito.
Raggiunsi la porta e la aprii, sfiorando il pomello invecchiato con delicatezza. Vederlo ora, con la consapevolezza di quella casa vuota e silenziosa, era un colpo al cuore.
Inspirai a fondo, mi voltai e sollevai il braccio, le cui parti meccaniche erano già quasi tutte formate.
Sparai.
E questa volta tenni gli occhi aperti.




Il contraccolpo fu durissimo.
Come se una scarica di vento si fosse improvvisamente diretta verso di me tutta insieme, senza lasciarmi il minimo tempo per reagire. Mi scaraventò oltre la porta, che fortunatamente avevo aperto prima di sparare il colpo, lasciandomi scivolare per metri sulla neve gelida del mio bosco.
Per un attimo mi mancò il respiro e non sentii più nulla, solo un fischio prolungato sembrava avessi messo piede su una mina nascosta nel terreno, o che fossi nel pieno di una guerra di trincea.
Del pulviscolo scuro, mischiato a schizzi di neve fredda, mi passò davanti agli occhi, senza che potessi muovere un muscolo per evitarlo.
Ero lì, bloccata su quel manto di neve, con i sensi paralizzati.
Così iniziai a contare i secondi: lo facevo sempre quando mi ritrovavo a terra dopo un brutto colpo e non riuscivo ad alzarmi, mi aiutava a rilassarmi e a tenere il conto del tempo che passava.
Superato un determinato lasso di tempo, probabilmente non riuscivo ad alzarmi per qualche tipo di paralisi.
O perché stavo morendo.
Fortunatamente non mi era mai successo di incorrere in questa quanto mai rara possibilità, benché adesso cominciassi a nutrire seri dubbi in proposito.
Poi, lentamente, ricominciai a sentire qualcosa. Era la neve fredda che mi dava fastidio alla schiena e alle gambe, e l'odore di bruciato e un fastidioso prurito agli occhi per via del pulviscolo. E poi qualche suono indistinto, perfettamente riconoscibile nel silenzio impeccabile di quel luogo. Neve che si scioglieva, qualcosa che cadeva a terra, legno che si sgretolava.
Ricominciai a muovere le dita delle mani e le gambe, e la testa smise di girare freneticamente. Deglutii, e senza mettermi fretta tentai di sollevare la testa, poi la schiena, e mettermi seduta.
Mi guardai attorno: la vista inizialmente era sfocata, ma pian piano ricominciai a distinguere i contorni, infine i dettagli.
C'era troppa confusione, e non riuscivo a capire se quel fumo derivasse dal colpo del mio cannone o fosse il risultato dell'impatto del proiettile contro Wendy. Un improvviso senso di nausea si impossessò di me, nel momento in cui mi resi conto di aver sparato contro la ragazzina dai riccioli biondi, che faceva così fatica a volare con la polvere di fata, preferendo rimanere con i piedi per terra.
A raccontare storie ai bimbi sperduti, e dare loro tutto l'amore di cui avevano bisogno.
Pensai a Peter. Non lo avevo più visto da quando eravamo stati rinchiusi in quella cella virtuale, che di vero aveva soltanto l'aria gelida e l'odore acre di ruggine e morte. Non sapevo se fosse vivo o meno.
Non sapevo niente. Ma avevo appena distrutto colei che stava cercando da quando quel mondo era caduto in rovina. E per un attimo sperai davvero di non dover affrontare quello che sarebbe venuto dopo.
La testa ricominciò a girarmi, questa volta molto più velocemente che in precedenza. La casa della nonna era ancora lì, abbandonata al suo destino e con il fumo che traspirava da quelle pareti lasciate a loro stesse.
La porta era divelta, e giaceva a terra come un vecchio ramo secco. C'erano dei vetri per terra, e alcuni di loro riflettevano la luce chiara del cielo grigio splendendo come piccoli e luminosi diamanti in mezzo alla neve.
La neve, mia unica compagna di vita in quell'inferno. Perenne, intatta, splendida.
Sentivo le forze abbandonarmi lentamente. Avevo la netta sensazione di non poter reggere ancora in quella posizione. Tenere dritta la schiena richiedeva tanta forza, e al momento non ne avevo neanche per riporre l'arma meccanica nel braccio.
Era impossibile guardare quel metallo freddo, così pesante sul suo giaciglio ghiacciato, tanto gravoso da trascinarmi con lui.
Così guardai la neve.
Bianca, luminosa e fresca.
La neve che...si stava sciogliendo.
Forse avevo le allucinazioni.
Fissai di fronte a me, cercando di mettere a fuoco le formazioni ghiacciate che scendevano minacciose dal tetto, quelle stalattiti di ghiaccio che da piccola rimiravo durante l'Inverno. Ricordavo come mia madre si infuriasse a morte, quando mi trovava lì sotto con lo sguardo rivolto all'insù. Mi trascinava via dicendomi che, se uno di quei ghiaccioli appuntiti fosse caduto, avrebbe potuto cavarmi un occhio.
Ma io non potevo fare a meno di rimanerne affascinata, e quando iniziava a fare più caldo tiravo fuori la lingua lasciando che l'acqua fresca gocciolasse dalle formazioni in via di scioglimento, tentando di prenderle.
Adesso quelle formazioni gelate, che mai erano andate via durante l'Inverno nucleare, si stavano sciogliendo. Ogni tanto una goccia cadeva giù, fino ad unirsi al manto di neve. Era un cambiamento impercettibile, le gocce cadevano di rado e un osservatore distratto non ci avrebbe fatto minimamente caso.
Ma quello era il mio bosco. Lo conoscevo come conoscevo me stessa.
E quelle sporadiche gocce volevano dire una sola cosa: avevo portato a termine la mia missione.
Non sapevo come, ne cosa stesse accadendo. Non avevo idea di cosa ci fosse in quel momento dentro la piccola casa di legno a pochi passi da me, o in qualsiasi altro posto.
In quel momento c'ero solo io: una ragazza stanca e ferita, in mezzo a tanta, tantissima neve.
Abbandonai la schiena di nuovo sul manto gelido, e chiusi gli occhi. C'era un che di liberatorio in quel gesto.
In quel momento c'ero solo io.
Ma questo, questo mi bastava.





Nonna, secondo te la neve arriverà in anticipo questa volta?
La neve mi piaceva. Quando faceva freddo, ed era difficile uscire di casa, la nonna trovava sempre il modo di rendere divertenti quei pomeriggi noiosi. Accendeva il fuoco, e riscaldava la casa. Mi cucinava i biscotti, e la torta di mele che sapevano fare tutti, ma nessuno come lei. Ci metteva la cannella, e la noce moscata. Mi aveva fatto promettere di non rivelare a nessuno la sua ricetta segreta, ed io mantenni la mia parola.
Ma perché lo dici a me, allora?
Perché tu sei la mia anima, gioia mia. Nulla è segreto, con la mia anima, mi rispondeva lei, con la tranquillità di chi possedeva una saggezza tanto grande, da poter essere comparata solo con la sua dolcezza.
Ecco perché amavo i pomeriggi d'Inverno.
Perché potevo essere l'anima di qualcuno, senza il minimo sforzo.
La neve era solo un pretesto.




Frittelle.
Ecco perché non potevo essere un eroe, dopotutto.
Perché nei momenti meno opportuni andavo a pensare alle cose più stupide.
Come in quel momento.
La mia mente poteva vagare tra mille scenari, pensare a tutt'altro e invece...frittelle.
In particolare, le frittelle di mele.
Era una ricetta semplice, che mia nonna adorava sfornare spesso durante l'anno: la casa si riempiva di quell'aroma caldo, un misto tra mele e spezie che associavo automaticamente all'aria di casa.
Quando ne avevo voglia, ci mettevamo in cucina e accendevamo il forno a legna infilando dei grossi ciocchi per la cottura. Mia nonna preparava le mele, tagliandole con il coltello, mentre io mi limitavo ad aiutarla nelle operazioni più semplici, o che almeno non rischiavano di uccidermi data la mia goffaggine.
Così preparavo la pastella unendo le uova, il latte e la farina. A quel punto di solito era lei ad occuparsi della cottura nell'olio bollente, dato che per una bambina poteva essere pericoloso.
A quel punto disponeva le frittelle su un piatto, e cospargendole di zucchero le lasciava freddare appena sul davanzale in modo che potessimo mangiare più in fretta.
Una volta le chiesi come mai accendessimo tutte le volte il forno, occupandoci minuziosamente della disposizione della legna e di manovrare il fuoco con il passare delle ore, compito che di solito era mio. Mi accorsi con il tempo che, una volta imparata la tecnica e assicuratasi che non fossi più un pericolo pubblico vicino ai tizzoni ardenti, la nonna mi lasciava da sola davanti al fuoco, ed io mi impegnavo seriamente per non farlo spegnere.
« Ma perché, se poi non lo usiamo? » le chiesi infine, senza riuscire a comprenderne la logica.
Lei mi guardò, sorrise e volse uno sguardo lontano oltre la finestra, verso la neve, gli alberi e l'orizzonte.
« Perché quando sarai grande dovrai essere in grado di accendere un fuoco, soprattutto in Inverno. Imparerai a fare le frittelle, mia cara, questo te lo prometto. Ma quando sarai grande e avrai una casa tutta tua, sarà più importante riscaldarla che preparare qualcosa da mangiare. ».
Io la ascoltai per tutto il tempo, senza mai perdere la concentrazione. Essendo ancora piccola, non capii subito il significato di quelle parole. Pensai ad una casa calda e con un bel forno ardente, ma senza l'odore di cannella e mele non sarebbe stato ugualmente bello. Con il tempo mi resi conto che aveva ragione.
Se dopo l'Apocalisse non fossi stata in grado di accendere un fuoco, o di distinguere le bacche velenose da quelle commestibili, probabilmente sarei morta. I suoi consigli mi avevano salvato la vita.
Lei c'era sempre stata per me, ma ancora di più era stata qualcosa che non potevo dimenticare.
La mia guida.
E adesso, in tutto quel trambusto in cui probabilmente ero morta o forse mi trovavo in qualche strano limbo a diretto contatto con i pensieri, c'era un motivo reale per cui pensavo a quelle dannate frittelle.
Pensavo a lei, e al fatto che il lupo l'aveva uccisa, e che l'avevo vendicata.
Pensavo che mi mancava, nonostante avessi ottenuto la mia vendetta.
E pensavo che mi sarebbe mancata sempre, qualsiasi cosa avessi fatto.



La luce sulla pelle mi riscaldava, e i raggi del sole mi davano quasi fastidio, impedendomi di aprire gli occhi.
Riuscivo quasi a vederli, tra le ciglia scure.
E questo probabilmente era un dato sufficiente a giustificare che non ero ancora passata a miglior vita.
Ma non si sa mai.
Aprii gli occhi gradualmente.
Mi trovavo ancora nel mio bosco, e tutto sembrava uguale. Eppure c'era qualcosa.
Qualcosa che solo la padrona di quel bosco avrebbe potuto notare.
Mi sollevai, sedendomi sul manto freddo. Attorno a me, era proprio vero, la neve si stava sciogliendo.
Goccia a goccia, con movimenti impercettibili.
Poi sollevai lo sguardo, spalancando improvvisamente gli occhi.
Raggi di sole.
Nel mio bosco c'era il sole.
Trattenni il respiro.
« Red... ».
Abbassai di nuovo la testa, con uno scatto, e dopo una piccola pausa sussultai.
Frittelle.
















Nb. Eccoci di nuovo qui, dopo le abbuffate natalizie e le feste per l'inizio di un nuovo anno. Spero abbiate passato nel migliore dei modi queste festività, e auguro a tutti voi un buon 2015 anche se con un pò di ritardo. Spero di aggiornare il prima possibile in modo da non lasciarvi con il fiato sospeso troppo a lungo, anche perché come avete visto oramai siamo agli sgoccioli! Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, il seguente è già in revisione perciò non dovrei metterci molto ad aggiornare! 
Un abbraccio,

L.



Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** And they lived... ***


thisfairitaleisradioactivenow



THIS FAIRYTALE IS RADIOACTIVE NOW.
-




-

21. And they lived...







Trenta giorni.
Erano passati esattamente trenta giorni dal memorabile giorno in cui Red Riding Hood aveva sconfitto il Lupo. A volte mi veniva da pensare che forse era stato il Lupo a farmi compiere il mio viaggio. Come se fossi stata attratta da lui. Come se ad ogni padrone di ogni Regno corrispondesse un malvagio. Sarei partita lo stesso se al posto del Lupo fosse stata, che so, la Regina di Cuori ad attingere dalla fonte?
Oppure il desiderio di partire sarebbe nato in Alice, ed io mi sarei ritrovata depressa in mezzo ai lupi e alla neve?
Certe volte ci pensavo e mi veniva da ridere. Altre volte invece quel pensiero assumeva una nuova logica.
Guardai il cielo: era di un azzurro terso, incredibile. Il sole riscaldava gli alberi, che si tingevano di fiori colorati. Il profumo in quel momento era incredibile. Nonostante la catastrofe, nonostante l'Apocalisse, la natura stava risorgendo, come a volersi ribellare da tutto quel marciume, da quella distruzione che l'aveva colta all'improvviso, togliendole la dignità. Come gli esseri umani, anche la natura stava ricostruendo, lentamente, e mettendo radici ancora più profonde.
In quei trenta giorni erano successe molte cose: dopo la sconfitta del Lupo e la distruzione del vincolo, il nostro obiettivo era stato quello di ridare vita ai Regni, cercando di ricominciare da capo. Nel mio bosco la neve si era sciolta definitivamente ed era tornata la Primavera: i lupi, senza le radiazioni e l'energia del vincolo a nutrirli, erano tornati in numero e dimensioni più che accettabili. Gli animali della foresta ricominciavano a popolare la boscaglia, ed io facevo l'unica cosa che in quel momento poteva farmi stare bene.
Ricostruire la casa della nonna. Stavo meticolosamente rimettendo in ordine tutto ciò che il tempo e il caos avevano distrutto, cercando di dare vita a quella casa in modo da ricordare sempre l'incredibile donna che mi aveva cresciuta. Oramai mancava poco alla fine, e sapevo che continuando con quel ritmo avrei di sicuro finito nel giro di qualche altra settimana. Gli abitanti del mio villaggio, appena fuori dal bosco, stavano ricostruendo ogni cosa. Nessuno di loro ricordava cosa fosse stato di loro nei mesi precedenti, e come mai improvvisamente si erano risvegliati di nuovo nel villaggio. Io ero più che sicura di non averli mai visti durante l'Apocalisse: ero sempre stata sola nel mio Regno, e nemmeno io sapevo spiegare il motivo di quel ritorno. Sapevo, tuttavia, che il Lupo non li aveva uccisi.
Se fossero tornati dal Regno dei morti, probabilmente sarebbe tornata anche mia nonna.
Invece non era stato così.
Con gli altri Regni eravamo costantemente in contatto, e accorrevamo in aiuto qualsiasi cosa stesse accadendo. Quella mattina avevo appreso da un falco viaggiatore che Biancaneve, grazie all'aiuto dei nani e degli abitanti del villaggio, stava ultimando la costruzione del castello con il sostegno dei nani e della magia dei Regni vicini. Come gli abitanti del mio villaggio, anche Pocahontas mi aveva inviato buone notizie: non era più sola, e non c'era nessun vincolo che la tenesse relegata nel suo mondo. Aurora e Filippo cercavano di aiutare come meglio potevano: il loro mondo non era stato quasi intaccato dall'Apocalisse, e con il ritorno della loro gente cercavano di portare aiuto il più possibile. Da quello che sapevo lavoravano freneticamente per aiutare Mulan a non essere più una nomade. Non avevo avuto alcuna notizia da Ariel, ma sapevo che se la cavava bene ed ero quasi convinta che fosse tornata alla normalità: Belle mi aveva riferito con gioia che Adam era tornato alla sua forma umana, e la rosa nel loro castello era di nuovo stata ridotta alle ceneri, come doveva essere. Le mutazioni – la maggior parte, almeno – stavano lentamente sparendo, e questo mi faceva pensare che forse erano le radiazioni portate dall'Apocalisse e dal Lupo ad alimentarle: i mutanti dall'istinto animale erano tornati alla loro forma umana, e gli umani avevano smesso di uccidersi fra loro. Jasmine e Aladdin stavano tentando di ricostruire la loro Agrabah dopo aver soppresso le rivolte, per riportare il regno al loro vecchio splendore. Certo, non era tutto come prima: il vecchio sultano era stato realmente ucciso, e ora toccava alla principessa e al nuovo principe prendere le redini del Regno. C'erano ancora molti luoghi distrutti, che andavano ricostruiti. E molte persone che non erano più tornate.
Sollevai lo sguardo verso quella casa che stavo riportando alla vita con meticolosa precisione, e un sorriso amareggiato mi sfuggì dalle labbra. Sarei ripartita dall'inizio, ma una parte del mio cuore sarebbe sempre rimasto lì, tra quelle mura, a contemplare il passato.
Oggi, trenta giorni dopo quel lungo giorno, ci eravamo ripromessi di incontrarci di nuovo lì, proprio dove tutto era cominciato, per chissà quale motivo.
Forse per fare il punto della situazione.
O forse semplicemente perché, dopo tutto quello che avevamo passato, incontrarci di nuovo ci sembrava ciò che di più rassicurante quel mondo ci offriva.



Camminare sull'erba fresca e verde era ancora strano per me: non avevo più l'aria ingenua da bambinetta, e questo non sarebbe cambiato. Se c'era una cosa che l'Apocalisse aveva portato dentro di noi, di certo quella cosa era il cambiamento. Tutti noi stavamo ricostruendo, ma di certo non avremmo mai cancellato ciò che era accaduto. Il cambiamento era in noi, e forse questo era un bene. Pensai a tutto quello che avevo fatto, e improvvisamente mi venne in mente la reazione di mia nonna, se fosse stata ancora lì con me, nel vedermi vestita di pelle e pelliccia, con i coltelli legati alle cosce e un braccio meccanico a comando. Osservai la mia mano, senza riuscire a distinguere la pelle sintetica da quella umana, riscaldata dal sangue e dal calore del sole. A volte, senza un motivo preciso, riattivavo il congegno del cannone, osservando quell'arma lucente apparire al posto dell'avambraccio: in quel periodo non ne avevo più avuto bisogno, per fortuna, ma rivederlo mi riportava alla mente tanti ricordi. E nonostante tutto avrebbe fatto parte di me per sempre. Ripensai a Belle, che con i suoi speroni e l'abito stracciato risaliva la torre del suo castello, o ad Aurora che mi aveva legata al muro dopo avermi dato una botta in testa. Forse l'Apocalisse aveva cambiato tutti noi: ci aveva resi guerrieri, più forti, più indipendenti.

Degni di vivere in quel mondo.
Raggiunsi il villaggio a passo spedito, notando con piacere che i lavori stavano procedendo bene: con l'aiuto della magia dispensata dalle varie fate e maghi dei mondi vicini, stavamo procedendo molto in fretta.
« Red, buongiorno. » mi salutò la fornaia, mentre passavo lungo il viale. La salutai con un cenno del capo, mentre il resto degli abitanti si fermava per aggiornarmi sui lavori e su ogni opera che stavano portando a termine. Ascoltavo con interesse tutti i loro aggiornamenti, sentendomi lievemente in imbarazzo per quel nuovo ruolo che avevo assunto. Eppure, dopo quello che avevo fatto, ero finita sulla bocca di tutti, una persona schiva e riservata come me, che improvvisamente diventava un'eroina a tutti gli effetti.
Bè, te la sei cercata, vecchia mia.
Raggiunsi il grande belvedere del villaggio, una grande terrazza lastricata da grandi pietre color sabbia. Vi si accedeva attraverso una breve scalinata, e tutto intorno sorgeva una balaustra in pietra, le cui colonne creavano dei meravigliosi giochi di luce sul pavimento. La attraversai per intero, e mi appoggiai alla balaustra sfiorando la pietra con i polpastrelli: tirai giù il cappuccio della mantella e lo lasciai cadere sulle spalle, mentre la lieve brezza mi scompigliava appena i capelli. La vista era meravigliosa: si intravedeva parte del bosco, poi la valle e infine, molto in lontananza, il mare.
E i ricordi presero il sopravvento, facendosi largo nella mia mente come sempre.
Ripensai a quel giorno, quando avevo sparato al vincolo. A Wendy. E a tutto ciò che sarebbe venuto dopo.
Un brusio in sottofondo mi distrasse da quel flusso di pensieri. Mi voltai, osservando l'orizzonte, e il tappeto volante che si avvicinava poco a poco al villaggio. Sorrisi, e con un cenno indicai ad Aladdin dove fermarsi. Jasmine scese ancor prima di toccare terra, e correndo mi raggiunse per abbracciarmi. Dopo un istante di esitazione, mi lasciai stritolare dalla sua morsa energica. Neanche una persona restia alle smancerie come me avrebbe potuto resistere a quelle dimostrazioni di puro affetto.
« Stanno arrivando tutti, li abbiamo visti dall'alto. » commentò Aladdin, stringendomi la spalla. Annuii.
« Ci sei mancata, piccola esploratrice. » aggiunse Jasmine, ricevendo subito un'occhiataccia.
« Sai che – » iniziai, ma venni improvvisamente interrotta da una folata di vento anomala, che riportò il cappuccio sulla mia testa insieme a tutti i capelli, in una massa scompigliata. Guardammo in alto, e subito dopo Peter Pan approdò su quelle acque tranquille, seguito da Campanellino e Wendy, cosparsa di polverina magica.
« Siamo in ritardo? » commentò lui, lanciandomi un sorriso divertito, ed io stetti semplicemente in silenzio a guardarlo, tradendo quel mix di emozioni che in quel momento si stavano impossessando del mio corpo.
« Mh, Aladdin, Jasmine? » mormorò Wendy, voltandosi verso di loro. « Vogliamo incamminarci? ».
Loro annuirono immediatamente, come a volersi allontanare da quel silenzio che era fatto solo per noi due. E Wendy l'aveva compreso immediatamente. Li vidi allontanarsi in silenzio, chissà verso quale parte del villaggio, mentre il vento continuava ad essere l'unico ad ululare in tutto quel silenzio.
In un primo momento nessuno dei due voleva fare la prima mossa. Poi, con cautela, lo vidi avvicinarsi a passo lento e fermarsi solo a pochi centimetri da me.
« Ciao, ragazzina. » mormorò con voce roca, aprendosi in quel sorriso da ragazzaccio che non era mai andato via, neanche ora che, finalmente, era diventato un uomo. Gli sorrisi, il viso contrito per la commozione, e in un attimo mi ritrovai tra le sue braccia. Mi aveva abbracciata senza neppure pensarci, stringendomi nella sua presa sicura. Sentivo il suo profumo, così familiare. E in un momento tutto ritornò alla mente. Quando avevo distrutto il vincolo, mi ero resa conto di aver anche ucciso Wendy. La dolce Wendy, che Peter aveva cercato così a lungo. L'avevo uccisa, e non me l'avrebbe mai perdonato. Eppure, quel pensiero era tutto ciò che avevo: perché pensare al suo odio, almeno mi avrebbe permesso di immaginarlo ancora in vita. In quel momento l'avevo lasciato nella prigione creata dal Lupo per distruggerci, e non sapevo che fosse ancora vivo. Quando avevo sollevato lo sguardo a quella vocina flebile che mi aveva chiamata, lì in quella distesa di neve fredda, c'era una sola persona davanti a me. Wendy, che inspiegabilmente era viva nonostante il vincolo fosse stato distrutto.
« Mi sei mancata. » aggiunse, cercando di sopperire al mio silenzio. Ripensai a quando ero tornata indietro, portando Wendy con me. Erano tutti lì, vicini al corpo del Cacciatore oramai in pace. E quando il suo corpo scomparve in una luce abbagliante, Peter ricomparve da quella prigione che lo aveva tenuto lontano da me.
Peter e...
Scrollai la testa. Peter. Peter era tornato. Era debole, seppur avesse risentito dell'improvviso fluire dell'energia dalla fonte originale, che non era più in possesso del Lupo. Quell'energia, che lentamente tornava a scorrergli nelle vene, gli diede la forza per alzarsi. Per guardare me. E nei suoi occhi vidi tutto ciò di cui avevo bisogno per stare bene.
« Io... » mormorai, senza sapere cosa dire. L'emozione era troppo forte, e ogni volta rischiavo di rovinare tutto. Sapevo solo che senza di lui mi sarei persa. E inevitabilmente ripensai a quel bacio che mi aveva dato. In quel momento aveva avuto bisogno di me, ma io mi ero resa conto che l'amore che provavo per lui era un'altra cosa. Qualcosa di inspiegabile. Un legame più profondo dell'amore.
« Wendy sta meglio. » conclusi, mentre vedevo che si allontanava con gli altri. Lui si voltò a guardarla, sorrise e tornò su di me.
« Si, si è completamente ripresa. Ma non voglio parlare di lei. » aggiunse poi, stringendomi le mani.
Il ritorno di Wendy per Peter aveva rappresentato l'avverarsi di un sogno. Per un tempo interminabile l'aveva cercata. Lei, l'amore della vita, scomparsa sotto i suoi occhi. Era convinto che fosse morta, lo eravamo tutti. E quando la vide, oh, la luce negli occhi che aveva prima che tutto quel caos scoppiasse riapparve misticamente. Come una magia. Una magia potente.
Forse la più potente di tutte.
Presi un lungo respiro, poi feci un passo in avanti e poggiai la fronte sul suo petto. Sentivo il battito del suo cuore, forte e vigoroso come un tempo. Lo sentii mentre poggiava la testa sulla mia, e con le braccia mi cingeva ancora.
« Te l'ho riportata. » sibilai, fiera di me. Fiera di noi.
« Me l'hai riportata. » ripeté lui, e la voce gli si incrinò. Sollevai lo sguardo, osservando i suoi occhi lucidi e pieni di emozione. « E sei tornata. Viva. ».
« Questa volta non mi sono cacciata nei guai. » ribattei, cercando di sdrammatizzare. Lui scosse la testa.
« No, invece l'hai fatto. Hai lottato da sola contro i tuoi demoni, nel tuo Inferno. Hai fatto scelte importanti, dolorose, e alla fine sei tornata. E se ti fosse accaduto qualcosa io...Red, io amo Wendy. Lei è...è Wendy. Ma tu...tu sei parte di me. Della mia anima. Se te ne vai, me ne vado io. Quindi non provare ad andartene. ».
Il silenzio calò di nuovo su di noi. Era un silenzio buono, docile e calmo. E noi ci entravamo perfettamente.
Eravamo stati distanti per quei trenta giorni: lui ad occuparsi di Wendy, dei suoi bimbi sperduti, della sua Isola; io a pensare al mio mondo, al mio villaggio, alla mia casa. Ma i nostri cuori non si erano separati mai. Ed era come se non fosse passato neanche un giorno.
« Non me ne vado. » mormorai, scuotendo la testa e riuscendo a guardarlo negli occhi senza emozionarmi di nuovo come una ragazzina. « Non me ne vado più Peter, promesso. ».
E lo abbracciai. Lo abbracciai con forza, facendogli sentire tutto l'affetto che provavo per lui. E in quel momento mi resi conto di non avergli mai chiesto una cosa importante nel corso di quei trenta giorni. Non ci eravamo visti, certo, ma ci scrivevamo spesso. Ma quella cosa, quella non gliel'avevo mai chiesta.
« L'hai poi ritrovata, la tua ombra? » chiesi, continuando a tenergli le mani. Lui sorrise.
Si dice che l'ombra sia il simbolo dell'essere umano. E Peter, che non voleva crescere ed essere umano fino in fondo, se la lasciava sempre scappare. Ma all'inizio di quel caos, quando anche Wendy se n'era andata, l'aveva persa per sempre. Se n'era andata con lei lasciandolo davvero solo, vuoto, e non umano. E ora?
Ora dov'era?
« Non lo so. Continuo a pensare che sia da qualche parte, e che non sia andata via definitivamente. Certe volte mi sembra di sentirla, soprattutto da quando tutto è tornato alla realtà. Ma forse non si farà mai trovare. Forse sono cresciuto, no? ».
Sorrisi. « Forse, Pan. Forse. » mugugnai, prendendolo un po' in giro, e lui mi diede un buffetto sulla guancia, com'era solito fare per infastidirmi. In quel momento mi tornarono alla mente altri pensieri. Più bui.
Più oscuri.
Mi voltai verso l'orizzonte, cercando di guardare oltre il mare. Sentii le mani grandi di Peter cingermi le spalle in una presa forte.
« Questa volta verrà. » mormorò a bassa voce, ma ricevette subito un mio segno di dissenso. Scossi energicamente la testa, come a non voler sentire quello che aveva da dirmi.
« No. Non è vero. Lui non verrà più. »
« Red, dagli del tempo. »
« Stronzate. » sibilai, e la voce mi si incrinò. Non ti azzardare a versare una lacrima per lui, capito?
« Red... » sussurrò di nuovo Peter, stringendomi in un abbraccio. « Io sono qui. Sarò la tua ombra. ».
Soffocai una risata amara, mentre lui mi lanciava un altro dei suoi mezzi sorrisi da teppista.
« Ce l'ho già la mia ombra, Pan. Cercati un'ombra tua. » gli risposi, a tono, di nuovo leggera.
Lui mi guardò di nuovo in silenzio. « La mia ombra. » ripetei, e di nuovo lo abbracciai.




Il sole cominciava a tramontare all'orizzonte. Lassù, su quel grande belvedere, il panorama era da mozzare il fiato. Si era alzato di nuovo un vento leggero, piacevole. Tutti quanti avevano ripreso la strada per i loro Regni, con la promessa di ripetere quell'incontro per fare il punto della situazione.
Salutai con la mano alzata Biancaneve, che stava prendendo la via del bosco insieme ad Esmeralda per tornare alla sua locanda a festeggiare con i suoi Nani il completamento del castello dove avrebbe vissuto come regina, senza un principe vigliacco al suo fianco. L'adoravo per questo.
« Red. » mi chiamò una vocina flebile. Mi voltai, serena. Wendy mi aspettava con l'espressione grata, e allo stesso tempo serena di chi ha ritrovato la felicità dopo un lungo periodo di sonno. Campanellino ci svolazzava intorno, spargendo polvere magica ovunque. Peter, a pochi passi da noi, ci osservava.
Andai ad abbracciarla. I delicati boccoli color nocciola mi oscurarono la visuale, ma lei restituì l'abbraccio senza pensarci.
« Fate attenzione. E salutatemi i ragazzi. » le dissi, stringendole le mani. Lei annuì, e dopo un istante si alzò in volo assieme a Campanellino. Peter si avvicinò e mi salutò con un abbraccio.
« Passo a trovarti fra qualche giorno, ragazzina. Non cacciarti nei guai. » mi ripeté lui, come sempre era solito fare. Gli sorrisi, lasciandolo andare. E istintivamente misi una mano sul cuore, dove lui aveva un posto assicurato ogni secondo, ogni minuto, ogni giorno.
Li vidi volare oltre l'orizzonte, oltre le nuvole fino alle stelle. Osservai quello scenario surreale, quasi incantato, mentre la brezza lieve sollevava appena la mia mantella. Un'altra folata di vento smosse il bustino di pelle, e un cigolio attirò la mia attenzione. Cercai di capire se provenisse dalla sacca che tenevo su una spalla, o se me lo fossi immaginato. Cercai di smuovere il bustino, ma le tasche erano talmente tante che non avrei potuto indovinare. Ripetei il gesto, e mi accorsi di un altro cigolio nel taschino sul fianco destro. Lo aprii, tirando fuori l'oggettino che proprio in quel momento cigolava senza sosta.
La bussola di Pocahontas.
Era sempre stata lì, eppure non avevo mai avuto modo di usarla. Ripensai alle sue parole.
La bussola ti guiderà dove il tuo cuore vuole portarti.
Ma ora la freccia si muoveva all'impazzata, roteando e cigolando. Sembrava stesse sul punto di rompersi.
Girava, girava, girava, fino a che...
Improvvisamente si fermò. La punta, rossa e sgargiante, indicava a Sud. Stava indicando...me?
Cosa voleva dirmi?
In quel momento sembrava stesse indicando il mio cuore, e forse era proprio lì che dovevo essere. Lì, in quel preciso istante, era il posto adatto. Ed io mi sentivo esattamente nel posto giusto.
Eppure c'era qualcosa che non quadrava. La freccia continuava a compiere piccolissimi movimenti a scatto, come se stare ferma a puntare qualcosa la infastidisse. O come se il luogo da puntare fosse oltre il mio corpo, oltre me stessa. Un rumore alle mie spalle mi distrasse da quei pensieri, e improvvisamente collegai tutto quanto.
La bussola puntava alle mie spalle, proprio dietro di me.
Dietro di me, dove ora c'era Jim.

















Nb. Siamo alle battute finali, ma come potete vedere i colpi di scena non mancano. Ci tenevo a dare un pò di spazio a Peter e Red, scrivere questo passaggio mi ha stretto il cuore! Oramai manca poco alla fine, cosa ne pensate? Fatemi sapere, aspetto i vostri commenti!
Un bacio,

L.



Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** ...Happily ever after? ***


thisfairitaleisradioactivenow



THIS FAIRYTALE IS RADIOACTIVE NOW.
-




-

22. ...Happily ever after?







Perché era lì? Perché adesso?
Lo osservai mentre scendeva dalla sua vela meccanica in fretta, senza neanche darle il tempo di spegnersi. Una volta incrociato il mio sguardo sembrò rallentare, come dopo aver visto un fantasma. Indossava sempre i soliti anfibi, e la stessa giacca in pelle pesante. I ciuffi ribelli di capelli color mogano si muovevano a ritmo di quella brezza leggera, ma lui sembrava di pietra. Ed io, come lui, non mi ero ancora resa conto di quello che stava accadendo attorno a me. Abbassai lo sguardo, tornando ad osservare la bussola. Puntava lui.
Puntava Jim.
Lui non verrà più.
Improvvisamente i ricordi presero di nuovo possesso della mia mente. Era tornato anche lui dalla prigione infernale, insieme a Peter. Ma qualcosa era cambiato in maniera irreversibile, a causa di ciò che il Lupo gli aveva fatto. Inizialmente pensai che la colpa fosse delle parole dell'Originale, che aveva inserito in lui il seme della gelosia, del tradimento, nel momento in cui avevo baciato Peter. Era plausibile, viste le condizioni in cui ci trovavamo. Ma poi avevo capito che non poteva essere abbastanza: Jim credeva in ciò che c'era stato fra di noi, me l'aveva detto lui stesso. Ed era più forte di tutte quelle parole, di quelle menzogne. Un ragazzo abbandonato, solo senza più famiglia né patria, ovviamente doveva esserlo per forza. E non poteva davvero credere che l'avessi tradito con tanta facilità.
O forse si?
In quel momento mi ero resa conto che c'era stato di più. Che in quello spazio solitario in cui era stato rinchiuso, dove cercavo di raggiungerlo senza risultati, il Lupo aveva fatto altro. Quelle spirali di fumo viola, quelle lingue di energia negativa che si avviluppavano attorno a lui, avevano riportato alla mente i ricordi più spiacevoli del suo passato. L'Originale in fondo aveva fatto questo anche con me: mi aveva spinta a ricordare quando, da bambina, aveva cercato di uccidermi. Quei ricordi maledetti mi avevano paralizzata, impedendomi di combattere. E in quel momento aveva fatto lo stesso con Jim. Chissà cosa gli aveva fatto, insinuandosi nel suo cervello. Sicuramente il primo ricordo era stato quello di sua madre. E se avesse ucciso anche lei, insieme alla nonna? Se avesse riservato lo stesso trattamento a tutti gli abitanti del suo villaggio?
Terrore. Distruzione. E infine la resa.
Una volta distrutto il vincolo, Jim era tornato a casa. Nel suo paese d'origine, come tutti noi. E nessuno l'aveva più rivisto, neppure gli abitanti dei Regni vicini.
In quel momento un'altra folata di vento sollevò la mia mantella, e ritornammo a fissarci. Era strano, davvero. Mi ero dimenticata che effetto mi facesse il suo sguardo. Sembrava di essere ritornati all'inizio del mio viaggio, quando non riuscivo a spiegare i sentimenti contrastanti che provavo per lui.
Ma adesso non potevo lasciarmeli sfuggire. Non più. Non potevo permettermi di soffrire di nuovo per lui, come per nessun altro. Quel viaggio mi aveva insegnato a fidarmi delle persone, ma anche a non lasciarmi trascinare eccessivamente dalle emozioni che avrebbero potuto distruggermi. Era quello che avevano fatto.
Quando lui se n'era andato, io...
« Cosa ci fai qui? » sibilai, rendendomi conto di aver parlato ad un tono di voce troppo basso per poter essere sentito. Eppure, in quel silenzio surreale, la mia voce gli arrivò. Manteneva gli occhi fissi nei miei, come per paura di perdere il contatto, di perdere qualsiasi possibilità di parlare con me.
« Lasciami spiegare. » iniziò lui, ma io lo interruppi subito, scuotendo vigorosamente la testa e interrompendo quell'assurdo contatto che mi stava mandando ai matti.
« No. No. Non puoi venire qui e...Non puoi. »
« Ho saputo che oggi c'è stato l'incontro. »
« Già, ed è finito. Sono andati via tutti. » risposi con stizza, facendogli segno di guardarsi attorno. L'atmosfera si era tinta di un arancio intenso, e gli abitanti del villaggio stavano tutti facendo ritorno alle proprie case. Quello strano silenzio era interrotto solo dalle nostre voci concitate, e dal rumore del vento.
Ritorna nella tua corazza. Non hai bisogno di questo.
« Sono felice che tu stia bene. » dissi, riprendendo il controllo della voce. « Se c'è qualcosa che posso fare per te, non esitare a chiedere. Ma devo tornare a casa. ».
Avanzai di un passo, poi più veloce, cercando di superarlo e andarmene il prima possibile. Rimanere lì non aveva senso. Ma quando cercai di superarlo, sentii un'improvvisa stretta attorno al braccio. Mi bloccai, e d'istinto cercai di retrarlo per proteggermi. Jim mantenne stretta la presa, ed io mi fermai.
« Mi dispiace. » sibilò, tenendo il capo chino.
« Non ho bisogno delle tue scuse, davvero. Non devi scusarti, va tutto bene. La guerra è finita, stiamo ricominciando. » proseguii io, riuscendo a guardarlo negli occhi per la prima volta senza rimanere impietrita. Le iridi luminose erano velate da una leggera contrizione, e forse ne capivo il motivo. Ma non era sufficiente.
Lo sentii allentare la presa, e di nuovo ripresi il passo. Il silenzio stava diventando opprimente, soffocante.
« Ariel mi ha detto che sei andata a cercarla. Che hai chiesto di me. » esclamò lui ad alta voce, rompendo quella distanza. Mi fermai. E ancora ricordi, ricordi e stupidi ricordi mi invasero. Era vero, avevo raggiunto l'oceano sapendo che il mare di Ariel confinava con Montressor. Lei e Jim si conoscevano, doveva per forza sapere qualcosa. Se era vivo. Se stava bene. Ma Ariel aveva risposta solo ad una parte delle mie domande: a quanto mi era parso di capire, Jim aveva sfruttato tutto quel tempo per ricostruire il villaggio con gli abitanti ritornati nel suo mondo. Molti non erano tornati. Le macerie ricoprivano la terra. C'era molto lavoro da fare, e Ariel non era riuscito a convincerlo a riprendere i contatti con il resto del mondo. Ma a quanto pare, presa dall'esasperazione, gli aveva parlato della mia visita. Nonostante le avessi fatto promettere di non dirgli che ero andata fin da lei per cercare informazioni su Jim, da una parte la capivo: Ariel era una persona impulsiva, e Jim sapeva essere davvero esasperante quando si chiudeva a riccio con il resto del mondo.
« Si. » risposi, voltandomi. « Ma a quanto pare nessuno sapeva di te. E' stato un sollievo sapere che eri ancora vivo, comunque. ». La freccia nella bussola continuava a girare vorticosamente, scricchiolando nella mia tasca. Cominciavo ad odiarla.
« Red, non sarei mai voluto sparire in questo modo. ». Non pronunciare il mio nome. « Ma il Lupo...lui mi ha fatto vedere cose che non pensavo di ricordare ancora. Tutta quella morte, la distruzione...mi ha fatto rivivere la perdita di tutti, compresa mia madre, fino allo sfinimento. Per questo sono tornato a Montressor. Per ricominciare da capo. ».
« E ci sei riuscito? » sussurrai, riducendo gli occhi a due fessure esili. Lui rimase in silenzio. « Tutti stiamo cercando di ricominciare, Jim. In un modo o nell'altro, ce la faremo. Ma cancellare ogni ricordo del passato, scappare via in questo modo...non è la soluzione. E secondo me lo sai anche tu. ».
Avevamo tutti perso qualcosa. E adesso dovevamo imparare a ricominciare. Ma se c'era una cosa che avevo imparato da quel viaggio, è che il passato non poteva essere buttato al vento. Per questo avevo deciso di rimettere in sesto la casa nel bosco. Ritornai sui miei passi.
« Ti prego, non andare via. Sono venuto qui per... »
« Per cosa?! » sbottai, voltandomi di nuovo. Era incredibile come riuscisse a portarmi all'esasperazione in così poco tempo. Era una dote che in effetti gli riconoscevo.
« Per te. ».
Rimasi in silenzio, ed inevitabilmente ripensai a quella notte, quell'unica notte in cui eravamo stati insieme davvero, in segreto, fermando il tempo. Soffocai una risata amara, ripensando a quelle stesse parole.
« Bugiardo. » mormorai, cercando di soffocare il terribile groppo alla gola che stava rischiando di uccidermi. Non volevo mostrarmi debole, non di fronte a lui. Non volevo ricordare il dolore che mi aveva attraversata quando se n'era andato. O forse non volevo ammetterlo.
Mi voltai di nuovo, cercando di nascondere il volto. E dopo pochi istanti sentii le sue braccia circondarmi il corpo, in una stretta soffocante. Riconobbi ogni singolo secondo di quell'abbraccio, e ogni centimetro di pelle, seppur nascosta dagli abiti, mi era terribilmente familiare. Il suo profumo era insopportabilmente lo stesso. Sentivo il suo respiro tranquillo, nonostante l'elettricità nell'aria. Abbandonai le braccia lungo i fianchi, senza il coraggio di voltarmi.
« Permettimi di restare. » mormorò lui con un filo di voce. E a quel punto non riuscii più a contenermi.
E scoppiai in un pianto liberatorio. Non riuscivo a ricordare l'ultima volta che avevo pianto. Ma mi ero ripromessa di non farlo più, da quando era scoppiato l'Apocalisse. Facevo in modo di impedirlo ogni volta: e così non lo avevo fatto quando mi ero svegliata con il braccio mozzato, o ogni volta che il cannone metallico compariva al posto dell'avambraccio; non l'avevo fatto quando mi ero ritrovata sola, nel bosco, o quando mi ero resa conto che mia nonna non sarebbe tornata; non l'avevo fatto nella prigione, e non l'avevo fatto quando Jim se n'era andato.
Quindi, forse, doveva accadere. Dovevo liberarmi finalmente di tutti i miei demoni, rimasti nascosti nelle lacrime che non avevo mai voluto versare per sembrare debole. Strano che proprio in quel momento avessi deciso di lasciarle andare così, in un soffio di vento. Sentii Jim aumentare la stretta ancora di più, come per impedire al mio corpo di sgretolarsi in mille pezzi.
« Resta. »
« Resterò. ».


* * *


Il villaggio quella mattina era in fermento: i preparativi per la grande festa del giorno dopo stavano procedendo bene, e dovevamo tutti prepararci all'arrivo di molte persone.
Era passato un anno esatto dal giorno in cui l'Originale era stato sconfitto, e per celebrare quel giorno ogni Regno era in festa. Il nostro villaggio si preparava ad accogliere coloro che avevano collaborato a quella vittoria, e insieme avremmo ricordato il giorno in cui il nostro mondo era tornato a splendere, finalmente, di luce propria.
Attraversai il viale principale in modo da raggiungere la piazza, ma fui interrotta improvvisamente da una squillante voce che mi chiamava da lontano.
« Signorina Red! Signorina Red! » gridava in lontananza un bambino dai brillanti capelli color miele. Lo raggiunsi a passo spedito, piegandomi sulle ginocchia in modo da essere alla sua altezza.
« Solo Red. » ribadii, probabilmente per l'ennesima volta. « Che succede? ».
« Un coniglio. » riuscì a dire lui con il fiatone. « Un coniglio la sta cercando. E' al belvedere. ».
Strabuzzai gli occhi, e istintivamente sorrisi. Lo ringraziai e mi diressi a passo spedito verso la grande terrazza.
« Tu hai seri problemi di orario, sai? » gridai, cercando di farmi sentire. Il Bianconiglio si voltò, appoggiato alla balaustra, e mi sorrise in modo complice. Adoravo stuzzicarlo, soprattutto quando mi faceva quelle improvvisate.
« Lo so, volevo farti una sorpresa. E' tutto pronto per domani? » mi chiese lui, tenendo stretto il suo orologio d'oro. La sua altezza mi incuteva sempre timore. Nessuno di noi era riuscito a spiegare come mai fosse rimasto l'essere che era, invece di trasformarsi di nuovo nel coniglio paffuto e peloso di un tempo. Probabilmente questa era la forma che più si adattava a lui. Un essere elevato, saggio e forte.
« Siamo pronti, palla di pelo. » risposi, ridendomela sotto i baffi. L'avrei preso in giro a vita.
« Sai, ora che sono così alto potrei anche fartela pagare. » ribatté lui a tono. Ero contenta che avesse recuperato parte della sua follia. Mi avvicinai alla balaustra, poggiando i gomiti sulla fredda superficie di pietra. Lasciai cadere il cappuccio della mantella, in modo da sentire quella leggera brezza sul viso.
« Come va nella Landa dei Matti? » gli chiesi, questa volta con sincero interesse.
« Bé, tanto matti non lo siamo più. Credo che questa sia una fortuna, in parte. Anche se il Cappellaio ha ricominciato a ballare sui tavoli. ».
« Ottimo. »
« Ma c'è sempre Alice. Lei ci sarà sempre a riportarci sulla retta via. » concluse poi osservando l'orizzonte.
« Come si sente? » gli chiesi, in leggera apprensione. Alice era quella che più aveva risentito dell'Apocalisse: aveva perso il senno, si era chiusa in se stessa rischiando di impazzire. E questo non poteva essere cancellato nemmeno con la distruzione dell'Originale.
« Meglio. » mi rispose lui, sereno. « Ha ricominciato ad uscire e a parlare. Fa ancora degli incubi tremendi che la tengono sveglia la notte, ma starà bene. Tornerà quella di un tempo. Domani vedrai con i tuoi occhi. ».
E non vedevo l'ora.
« E Jim? Lui come sta? »
Abbassai lo sguardo, tentando di deviare il discorso. Mi ero resa conto del rossore diffuso su tutto il mio viso. Stavo avvampando come un'adolescente in tempesta ormonale.
« Red. » mi richiamò lui, come un padre esasperato. « Red. Oramai è passato un anno, devi cercare di superare il fatto che tu e Jim siete...ecco, più che amici. E che la gente te lo chieda. ».
« M-Ma io non ho intenzione di... ecco, stiamo bene. » mi limitai a dire, cercando di riprendere un tono. « è a Montressor ora, a controllare che tutto vada bene. Tornerà fra poco, credo. ».
Mi imbarazzava ancora parlare di quel genere di cose con chiunque. Fino ad un anno fa il mio interesse principale era uccidere lupi, poi ricostruire la casa della nonna, e adesso...
Jim viveva insieme a me nel bosco.
« Com'è potuto succedere? A volte mi chiedo se sono la stessa persona di un tempo. E se questo sia un bene. Insomma, mi sono ammorbidita, non puoi negarlo. Con Peter, e con Jim...insomma, perché lui? ».
Il Bianconiglio scoppiò in una risata, poi si sistemò gli occhiali sul naso e tossì. « Sei esilarante. ».
« Smettila di prendermi in giro. Ti sto parlando dei miei sentimenti, come una femminuccia. È questo che vuoi in fondo, no? Fare lo psicologo. Allora psicanalizzami. ».
Il Bianconiglio tornò serio, e si voltò appena verso di me. « Non c'è nulla di sbagliato nelle tue domande. Hai semplicemente imparato ad esprimere i tuoi sentimenti, mentre prima non li consideravi nemmeno. Sai, quando mi chiedi di Jim, io penso sempre a quello che mi hai raccontato quando ti ho chiesto del tuo viaggio. Ricordi quando il Lupo Originale vi ha attaccati per la prima volta, nel bosco innevato? ».
« Mh-mh. » mormorai, annuendo. Sentir pronunciare quel nome non mi dava più quelle strane sensazioni, quei presentimenti che mi facevano rabbrividire. Era un sollievo.
« Peter ti ha presa al volo quando sei svenuta nella morsa del Lupo, ma Jim ti ha restituito la mantella. La tua mantella. » ripeté, sfiorando il cappuccio che avevo lasciato cadere sulle spalle. Che diceva tutto. Il mio passato, presente e futuro. « Tu non hai bisogno di essere salvata, Red. Non ne hai mai avuto bisogno. Fondamentalmente non sei una damigella in difficoltà. Ma qualcuno che ti ricordi quanto vali, chi sei e cosa hai fatto per questa terra. Questo sì, questo puoi permettertelo. ».
Rimasi in silenzio, riflettendo sulle sue parole. « Questo è un esempio stupido. » commentai, tentando di sdrammatizzare, e lo vidi sorridere. E inevitabilmente sorrisi anche io. Perché aveva ragione, aveva sempre avuto ragione. Potevo permettermi quei sentimenti, potevo permettermi di esprimerli.
E potevo permettermi di amare Jim.
Improvvisamente il Bianconiglio mosse le orecchie in uno scatto, poi si tirò su dalla balaustra sulle zampe scattanti. « Bé, è ora di andare. Torno nel Paese delle Meraviglie, raccolgo gli sbandati e ci vediamo qui domattina. ».
Risi. « Mi raccomando, non dimenticare nessuno. ».
« Oh, ci mancherebbe. » rispose lui strizzandomi l'occhio. « E sarò puntuale, puntuale come un orologio. ».
Lo vidi sparire in meno di un secondo, saltando sulle lunghe zampe candide. Era terribilmente veloce.
E in quel momento Jim atterrò con la sua “tavola da surf voltante”, come amavo chiamarla per prenderlo un po' in giro. Alzai gli occhi al cielo. Ovviamente il Bianconiglio aveva scelto di andarsene proprio nel momento più opportuno, per lasciarci da soli a goderci il tramonto sulla valle.
A volte sapeva essere schifosamente romantico.
« Ehi, non era il Bianconiglio quello? » mi chiese lui scendendo dalla tavola. Si passò una mano tra i capelli e mi raggiunse alla balaustra.
« Già. A quanto pare gli piacciono le sorprese. » commentai io, incrociando le braccia al petto. Jim si avvicinò a me e sfiorò le mie labbra con un bacio, con una naturalezza quasi devastante. Per lui era così facile. Tirai su il cappuccio, riparandomi dal vento che si stava alzando sulla valle.
« Com'è andata a Montressor? »
« Alla grande. Sono tutti pronti. » rispose prontamente lui, stiracchiandosi. Viaggiare su quel coso non era poi tanto comodo, soprattutto per le lunghe distanze. « E tu, sei pronta? ».
Feci per rispondere, ma lasciai le parole a mezz'aria. Quella domanda racchiudeva tanti quesiti.
E se...e se...
E se.
Avevamo affrontato l'Inferno, e in qualche modo ne eravamo usciti. « Si, sono pronta. ».
Dopo aver controllato i preparativi decidemmo di tornare nella casa nel bosco. C'era una cosa che dovevo fare, prima di dare il via alle danze e ai festeggiamenti. Prima di vivere quelle ore nella più assoluta spensieratezza. Camminammo tra gli alberi, e i profumi del bosco mi inebriarono distraendomi solo per un momento. C'erano di nuovo odori, rumori, animali che vagavano quieti nel sottobosco. C'era di nuovo vita.
La casetta adesso era tornata ad assumere un aspetto glorioso, forse anche migliore di quello che aveva in precedenza: le assi di legno e il tetto erano nuovi di zecca, il vialetto delimitato da gradi vasche di fiori e erbe aromatiche, e dal camino spuntava lo sbuffo del fumo del fuoco, che avevo lasciato acceso e adeguatamente protetto. Superai la casa, avanzando di qualche metro e immergendomi nel fitto del bosco: lì, in una minuscola radura poco distante da casa, c'era una lapide. Era circondata da fiori profumati e freschissimi, e gli uccellini vi si posavano sopra con naturalezza. Non c'era il cupo grigiore del cimitero, o l'inquietante pesantezza delle tombe. Era una parte del bosco, parte della natura che conviveva con essa.
Lì, dove avevo deciso di rendere omaggio alla nonna, in modo da lasciarla nel luogo che lei stessa amava di più. Solo crescendo mi ero resa conto di quanto lei fosse divenuta importante per questo bosco: gli animali si avvicinavano a lei senza alcuna paura, anzi con un rispetto surreale, e dall'incidente dell'Originale e del Cacciatore di molti anni prima neanche i lupi si avvicinavano più a lei. Quel bosco doveva custodirla per sempre.
Mi inginocchiai di fronte alla lapide. Jim era a pochi passi da me, riconoscevo la sua presenza anche senza vederlo. Sfiorai i fiori di campo dai colori pastello che erano cresciuti attorno alla pietra, inspirando a lungo il loro profumo.
« Sei ancora qui. » mormorai, sperando che in qualche luogo, da qualche parte, lei potesse sentirmi. « E ci siamo ancora tutti. ».
Per il resto del tempo rimasi in silenzio. Mi alzai solo più tardi, e sempre in silenzio ritornai sui miei passi. Mi avvicinai a Jim e gli presi la mano, incamminandomi con lui.
Quando arrivammo a casa il fuoco era ancora acceso, l'ambiente caldo e rassicurante. Mi diressi verso la camera da letto e appesi la mantella alla parete, stiracchiandomi. La giornata era ancora lunga.
Sentii le braccia di Jim cingermi il corpo, e il suo volto affondare nell'incavo della mia spalla.
« Abbiamo un sacco di cose da fare... » sibilai, attenta a non interrompere la quiete e l'equilibrio della stanza. Sentivo un profumo particolare, acre ma invitante. Muschio. O chissà cosa. Il suo viso sul collo mi faceva il solletico, e lo trovavo stranamente elettrizzante.
« No, non è vero. Tu sei una psicopatica perfezionista, e hai già organizzato tutto. Non c'è nient'altro da fare, a meno che tu non voglia andartene senza motivo. Ma sappi che in quel caso me la prenderò, e molto. » rispose lui, continuando a viaggiare dalla mia mandibola alla spalla. Sorrisi, scuotendo appena la testa.
« Oh, è proprio strano. » commentai. « Tu non ti offendi mai. Non sei una persona permalosa. Anzi, direi che la tua qualità migliore è proprio – » e non finii, perché Jim si era reso conto che lo stavo prendendo in giro. Mi buttò sul letto impedendomi di muovermi.
« Non fare la spiritosa. » mugugnò, mordendomi l'orecchio.
« E tu non farmi tirare fuori il fucile. » sibilai, muovendo il braccio e le dita della mano. Improvvisamente rabbrividii, ripensando al dolore lancinante che provavo ogni volta che il mio braccio lasciava il posto a quel congegno meccanico. Subito dopo la fine della battaglia con l'Originale, il mio primo desiderio era stato quello di toglierlo. Avevo pensato di chiedere aiuto a qualcuno che potesse ridarmi il braccio utilizzando la magia che era tornata a fluire regolarmente dalla Fonte. Ma non era mai così semplice, neanche quando si metteva in mezzo una magia così pura come quella che fluiva dalla Fonte. Chiedere di riportare il mio braccio era difficile, c'erano tanti vincoli che la magia non poteva superare. Ma se ad Ariel erano state date delle gambe, allora anche io potevo riaverlo, no?
Eppure, improvvisamente cambiai idea. Decisi di tenerlo. Non perché avessi intenzione di usarlo – ognuno di noi sperava in una pace che durasse il più a lungo possibile – ma perché avevo accettato la mia condizione. Ero sopravvissuta ad una catastrofe, e quel braccio meccanico mi aveva ridato la vita. Mi aveva strappata alla morte e permesso di sconfiggere l'Originale con le mie forze. Eliminandolo avrei eliminato una parte di me.
Così da quel momento provai semplicemente ad accettare le conseguenze della distruzione. Della vita.
Periodicamente lo facevo uscire dal suo bozzolo, curandolo come una parte preziosa di me. Con l'aiuto di Jim e la collaborazione degli altri Regni ero riuscita a diminuire l'attrito dei congegni meccanici e ora faceva meno male. La speranza era quella di eliminare completamente il dolore, e sorprendentemente ci stavamo riuscendo a poco a poco. Ma a volte ripensavo a quella sensazione, la pelle strappata e l'odore di ferro che improvvisamente mi riportava a quella realtà cruda. E rabbrividivo, ogni dannata volta.
Jim si allontanò appena, probabilmente riconoscendo la mia reazione. Mi massaggiò le spalle e le braccia con le mani, vigorosamente, come a voler togliere quella sensazione spiacevole dalla mia pelle.
Rimase a guardarmi, poi mi baciò il braccio, il polso, la mano, fino alle dita. Quella sensazione così piacevole mi fece dimenticare il dolore. Probabilmente era per questo motivo che in quel momento mi sentivo così bene.
« Non abbiamo nulla da fare... » mormorai, in accordo con lui. Lo vidi sorridere, trionfante. Le sue labbra si appropriarono di nuovo del mio collo, avide della mia pelle. Chiusi gli occhi e mi abbandonai a quelle sensazioni piacevoli, lasciando tutto il resto fuori.




Doveva essere l'alba. Sentivo gli uccellini cantare appena fuori dalla finestra, e il crepitio del fuoco nella stanza che si stava spegnendo. Mi rigirai nel letto, trovandomi a pochi centimetri da Jim: dormiva sereno, con i capelli che gli ricadevano sul viso in modo del tutto casuale. Il suo braccio non aveva nessuna intenzione di spostarsi dal mio corpo, così rimasi ancora qualche minuto sotto le coperte, accoccolata vicino a lui. Poi, delicatamente, scivolai fuori dal letto. Ravvivai appena il fuoco e mi lavai di corsa, maledendo l'acqua gelata di prima mattina. Mi vestii, indossando gli stivali pesanti e la mantella, e in quel momento sentii uno strano odore.
Era un profumo particolare, abbastanza forte e speziato, familiare. Ma in quel momento non riuscivo proprio a collegarlo a nulla. Sapevo che in qualche modo lo avevo già sentito prima, ma non riuscii a riconoscerlo.
Improvvisamente un suono lontano attirò la mia attenzione: al villaggio erano in corso gli allestimenti e i preparativi per la grande festa, e presto molti sarebbero accorsi. Dovevo sbrigarmi.
Vidi Jim stiracchiarsi lentamente, sbadigliando. Aprì appena gli occhi, sbattendo le lunghe ciglia scure.
« Che ore sono? » mi chiese, ed io mi avvicinai finendo in ginocchio sul letto.
« L'ora di alzarsi. » risposi, stampandogli un bacio sulle labbra.
« Siamo di buon umore stamattina, vedo. » mormorò lui, cercando di trascinarmi di nuovo a letto.
« Non ti azzardare, Hawkins. » risposi allontanandomi e tornando in piedi al bordo del letto.
Lui scoppiò a ridere e si alzò in piedi. Sistemai la mantella sulla testa e tornai in cucina. Controllai di non aver dimenticato nulla, e quando Jim uscì dalla camera con dei vestiti addosso ci preparammo per uscire.
Chiusi la porta alle mie spalle, e insieme percorremmo il vialetto fino al bivio che ci avrebbe portato al villaggio. Eppure in quel momento qualcosa attirò nuovamente la mia attenzione.
« Jim, vorrei salutarla. » mormorai, stringendogli la mano. « Oggi...oggi è importante. ».
Lui mi guardò per un istante, poi annuì. Mi tenne la mano stretta mentre deviavamo appena dalla strada, facendo il giro attorno alla casa per fare visita alla tomba della nonna.
Sentivo che quella mattina avrei dovuto salutarla, perché quella giornata serviva anche a ricordare chi non c'era più. E il mio ricordo di lei era vivido, così vivido da lasciarmi senza fiato ogni volta.
Attraversammo il sottobosco, raggiungendo la piccola radura. E li, in mezzo agli alberi e agli animali e di fronte a quella lapide di pietra, lo sentii di nuovo.
Quel profumo, questa volta più forte.
E mi fu impossibile non riconoscerlo.
« Lo senti? » sussurrai, arricciando il naso. Jim mi guardò, confuso.
« Cosa? »
« Questo...questo profumo. ».
Era cannella. Erano spezie, e...biscotti.
Si, era il profumo che sentivo quando andavo a trovare la nonna, ancor prima di varcare la soglia di casa.
Il profumo dei biscotti che mi faceva sempre trovare sulla tavola, quando tornavo da lei, caldi e fragranti.
Quel profumo inconfondibile.
E fu in quel momento che la vidi. Li, piccola e quasi invisibile, che giaceva sulla lapide coperta di fiori.
Mi avvicinai, trattenendo il respiro. Non può essere.
Probabilmente ero pallida come uno straccio, perché stavo tremando e non riuscivo più a sentire le gambe.
Mi inginocchiai davanti alla tomba, lasciando cadere le gambe sul manto erboso.
Li, poggiata sulla superficie liscia della lapide, c'era una piccola figura di stoffa.
Mi piaceva acconciarle i capelli di lana in due codini sparati ai lati del viso, e cambiarle i vestiti quando il tempo cambiava. La vestivo non solo a seconda del tempo, ma sulla base del mio umore.
Il corpicino riempito di morbido cotone era rivestito da un abito giallo, i capelli acconciati in due treccine rosse.
Era la mia bambola.

















Nb. Non pensavo che sarei riuscita a concludere questa storia, e a tutti gli effetti, tecnicamente, non l'ho fatto. Devo dire che detesto i finali aperti quando leggo un libro, comincio sempre a urlare e sbraitare chiedendo al cielo o al muro come cavolo finisce la storia ( si, lo faccio davvero). A meno che la suddetta storia non abbia un seguito. Ed ecco perché ho voluto lasciarvi con un finale che potrebbe concludersi così, oppure continuare. A me piacerebbe dare a questa storia un seguito, ho già qualche idea che spero di portare avanti. E a voi, farebbe piacere leggere un seguito?
Fatemi sapere cosa ne pensate di questa idea, e soprattutto cosa pensate di questa storia ora che è conclusa. Aspetto le vostre risposte e intanto vi mando un bacio grande, ringraziandovi per avermi seguita fino a qui.

A presto,

L.



Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1989964