Percy Jackson e l'arma della morte

di xAlisx
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Incontro una ragazza che esce dalla terra ***
Capitolo 2: *** Sono in arrivo nuovi guai ***
Capitolo 3: *** Organizzo un incontro tra fartelli ***
Capitolo 4: *** Mi batto in una lotta all'ultimo sangue ***
Capitolo 5: *** Degli scheletri ci danno il benvenuto ***
Capitolo 6: *** Riceviamo una telefonata nel lavandino del bagno ***
Capitolo 7: *** Ci sfidano in una gara di canto ***
Capitolo 8: *** Una vecchietta e il suo cane vogliono mangiarci ***
Capitolo 9: *** Matrimonio in vista ***
Capitolo 10: *** Un dottore ci offre dei dolci ***
Capitolo 11: *** Faccio una promessa pericolosa ***



Capitolo 1
*** Incontro una ragazza che esce dalla terra ***


Percy Jackson
e l'arma della morte

 
CAPITOLO 1
Incontro una ragazza che esce dalla terra
 
Il venticello estivo portava con sé profumo di mare e salsedine. La vicinanza con Long Island iniziava a farsi sentire, o più semplicemente riuscire a percepire il rumore dell'acqua era un dono dato solo ai figli di Poseidone. In fondo, essere figlio del dio del mare non era male, se non si considerava il fatto che non sarei mai dovuto esistere e che la maggior parte degli dei mi odiava perché la loro disfatta dipendeva proprio da me.
L'inverno era passato tranquillamente, cosa inusuale per un semidio. Di solito venivamo trovati dai mostri – cose come furie, manticore, dracene - e a quel punto ci toccava intraprendere una lunga lotta che finiva sempre con un morto ed un ferito. Per fortuna, io non ero mai stato il morto.
Comunque, avevo deciso di assaporare quella calma, dal momento che, molto presto, si sarebbe scatenata una guerra apocalittica. Crono, re dei Titani e padre dei Tre Pezzi Grossi, era tornato per rovesciare il regno degli dei e riprendersi il potete che nella notte dei tempi gli fu tolto. Ovviamente dalla sua parte aveva ogni genere di mostro e anche qualche semidio caduto sotto il suo controllo – Luke, ad esempio, il mio peggior nemico che aveva provato ad uccidermi parecchie volte e che ora era il corpo contenente l'anima di Crono.
La situazione non era certo delle migliori ed ogni dio o mezzosangue si stava preparando per dare il suo contributo nella Grande Battaglia.
«Allora, siamo arrivati?» esordì Rachel Elizabeth Dare, seduta al mio fianco nei sedili posteriori della macchina di mia madre.
Avevo passato con lei la maggior parte dell'inverno e a scuola mi aveva dato un sostanziale aiuto per riuscire a capire le scritte alla lavagna – capitava spesso che le lettere mi si mettessero a ballare davanti e si tramutassero in parole in greco antico, colpa della mia mente impostata su quella lingua.
Con lei mi sentivo a mio agio, soprattutto perché non dovevo mentire su nulla. Sapeva che ero un mezzosangue e l'anno prima aveva anche aiutato me e i miei amici ad orientarci nel labirinto di Dedalo. Era una dei pochi mortali che riuscisse a vedere oltre la foschia – la nebbiolina che distorceva la realtà agli occhi degli umani e mostrava loro terribili mostri come teneri agnellini, ad esempio. Oltre lei, conoscevo solo mia madre in grado di vedere le cose com'erano in realtà. Una volta aveva perfino visto un minotauro.
«Non manca molto.» le risposi, scorgendo in lontananza la collina.
Rachel era emozionatissima all'idea di vedere l'ingresso del Campo Mezzosangue. Ai mortali non era permesso attraversare i confini del Campo, ma lei sembrava felice anche solo perché avrebbe visto un pino con sopra un Vello d'Oro e un drago a fargli da guardia. E pensare che dentro al labirinto aveva visto anche di peggio.
«Sono davvero felice che tu mi abbia chiesto di accompagnarti.» disse all'improvviso, rivolgendomi uno sguardo sorridente.
Quel giorno portava i capelli rossi legati in una coda alta e sulla testa spiccavano un paio di occhiali da sole. Indossava una maglietta bianca a maniche corte, dei pantaloni blu chiari e delle scarpe da ginnastica. Anche solo guardarla mi metteva allegria. Chissà come ci riusciva?
«Anche io sono contento che tu sia venuta.» le risposi, sorridendo.
«Percy, mi raccomando, cerca di mangiare.» intervenne mia madre dopo un po', interrompendo il silenzioso imbarazzo che si era creato tra me e Rachel.
Stare con lei mi piaceva, sì, ma ero pur sempre un ragazzino timido che non se la cavava per niente bene con le ragazza.
«Sta tranquilla, mamma.» risposi cercando di essere davvero convincente.
Sapevo che mia madre aveva tante preoccupazioni e che tutto era dovuto al mio essere parte integrante della Grande Battaglia. Sin dal mio primo anno al Campo Mezzosangue avevo dato a mia madre parecchi motivi per stare in ansia e in effetti non potevo che sentirmi abbastanza in colpa. L'unica cosa che mi consolava era che adesso lei non era da sola a casa. Prima, il suo uomo era un essere inutile e stupido, chiamato Gabe il puzzone, ora, stava con Paul Stockfis, uomo tutto d'un pezzo, colto e gentile. Paul non sapeva la verità su di me, ma stava vicino a mia madre senza chiederle il motivo delle sue preoccupazioni. Era un uomo a posto, tutto sommato.
Arrivammo alla collina del Campo qualche minuto più tardi. Scaricai il mio zaino e mi avviai verso l'ingresso, con Rachel e mia madre al seguito. Il pino troneggiava sulla collina con il Vello d'Oro che splendeva su suoi rami. Il drago era accucciato sotto la folta chioma verde e sembrava pacificamente addormentato.
«E' un drago enorme!» trillò Rachel elettrizzata.
«Già.» esclamai, sorridendole.
Mi venne da pensare al drago che avevo incontrato al Monte della Disperazione. Dieci volte più grande del drago a guardia del Vello, con più teste – avevo perso il conto di quante fossero – e molto meno pacifico. Se Rachel avesse visto quello, di drago, sarebbe rimasta pietrificata dalla paura – oltre che dalla puzza del suo alito pestilenziale.
«Tesoro, io devo andare. La cerimonia di Paul inizia fra un'ora, non vorrei arrivare tardi.» mi avvisò mia madre. «Mi raccomando, chiamami ogni tanto e cerca di non metterti troppo nei guai.» aggiunse poi, abbracciandomi.
«Farò del mio meglio per non farti preoccupare.» la rassicurai, ricambiando l'abbraccio.
Salutò Rachel con un luminoso sorriso e poi si avviò nel sentiero verso la macchina. Doveva andare ad una conferenza che Paul doveva tenere a Seattle. Era la prima volta che si presentavano in pubblico come fidanzati.
Rachel sarebbe tornata a casa in autobus.
«Vieni, magari riesci a vedere cosa c'è dentro al Campo.» la incoraggiai, andando davanti al grande arco antico che rappresentava l'ingresso.
Rahcel si sporse leggermente, ma in quel momento si scatenò un terremoto che fece cadere entrambi a gambe all'aria.
La terra vibrò prepotentemente e un'enorme crepa si aprì a pochi passi dall'entrata del Campo. D'istinto estrassi Vortice – la mia spada-penna di bronzo celeste – dalla tasca e mi posizionai davanti a Rachel per proteggerla.
Avevo già visto un terremoto del genere che aveva aperto delle crepe nel terreno e riguardava sempre qualcosa di non buono. Una volta erano spuntati degli scheletri assassini e non era stato bello battermi con loro.
Inaspettatamente, però, da quella crepa s'innalzò una ragazza con indosso una veste nera. Si librò in aria per un po' e poi, di punto in bianco, il terremoto cessò e la ragazza si accasciò a terra, apparentemente senza vita.
«Oddio, è morta?» mi chiese Rachel allarmata.
«Non lo so, vediamo.» dissi, cercando di restare calmo.
Mi avvicinai al corpo della ragazza e m'inginocchiai per accertarmi del suo stato. Nemmeno feci in tempo a posarle le dita nel collo che lei aprì gli occhi e si sedette, dandomi uno spintone per allontanarmi.
«Chi sei tu?» mi chiese con sguardo indagatore.
Si alzò da terra e si pulì la veste dalle foglie che le si erano attaccate addosso. Aveva dei lunghi capelli corvini legati in una treccia, la pelle era bianca quasi come la neve e gli occhi, di un colore che non riuscivo a definire, avevano una luce temibile e da brividi.
«Io...io sono Percy Jackson. Tu chi sei, piuttosto?» domandai, leggermente intimorito dal suo sguardo.
«Io sono Thesis.» rispose lei con noncuranza.
«E io sono Rachel Elizabeth Dare.» s'intromise Rachel, che aveva assistito alla scena in silenzio.
«Il Campo Mezzosangue si trova oltre quest'arco, vero?» chiese Thesis, senza nemmeno degnare Rachel di uno sguardo.
«Sì.» risposi tenendo Vortice ben salda nella mano destra.
Essere sempre in guardia era la prima lezione che mi avevano insegnato agli allenamenti.
Thesis fece un leggero cenno con la testa e poi superò l'arco.
«Aspetta...» le urlai.
Lei si voltò a guardarmi e rimasi spiazzato: solo in quel momento mi accorsi che gli occhi non avevano un colore definito, infatti, dentro c'erano ombre scure e nubi che si muovevano continuamente. La vista di quegli occhi mi fece rabbrividire. Conoscevo solo un'altra persona che aveva occhi così terribili: il divino Ade, dio dei morti.





SPAZIO ALIS: Buonasera (o dovrei dire notte?) a tutti!
E' tanto tempo che non posto una storia su EFP e comunque non ho mai postato una long. E quindi eccomi qui, a dare inizio alla mia prima long sul fandon di uno dei miei libri preferiti **
Sono tanto tanto contenta di essere finalmente riuscita a produrre qualcosa: ho questa long nel pc da tantissimo tempo, ma non avevo mai l'ispirazione per portarla avanti e darle forma. In questo periodo mi sono messa d'impegno e ho creato qualcosa. Ho già scritto 5 capitoli e ho tante idee per andare avanti. Cercherò di essere puntuale nel postare un capitolo alla settimana e soprattutto cercherò di rendere questa storia simile ai libri dello zio Rick. Ovviamente non scrivo come lui, ma cercherò di riadattare il mio stile al suo, mettendo in questa long tutto quello che piace allo zio Rick XD
Nient'altro! Semidei, spero vivamente che vi piaccia la mia modestissima opera. Fatemi sapere che ne pensate nei commenti, mi farebbero davvero piacere :D
A presto,
Alis

PS: Ho aggiunto or ora l'immagine che ho deciso sarà la "copertina" della mia storia. Ci sono, ovviamente, Percy e Annabeth. La presta-volto di Thesis non so chi sia, ma la trovo stupenda, mentre il presta-volto di Nico si chiama Alex Evans e mi sembrava adattissimo per la parte del figlio di Ade.
Ah, comunque, sono volti indicativi, voi immaginateli pure come vi pare XD

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Capitolo 2
*** Sono in arrivo nuovi guai ***


CAPITOLO 2
Sono in arrivo nuovi guai
 
Quando Thesis entrò al Campo Mezzosangue decisi di seguirla. Salutai Rachel, promettendole di chiamarla appena possibile. Lei mi sorrise, mi disse di non preoccuparmi e mi salutò con un bacio sulla guancia.
L'ingresso al Campo Mezzosangue non fu per niente ignorato: Thesis, con la sua veste nera e il suo portamento autoritario, scatenò il chiacchiericcio di semidei, satiri e ninfe. Per una volta, io passai completamente inosservato.
«Vuoi smetterla di seguirmi?» sbottò Thesis all'improvviso.
«In verità stiamo andando dalla stessa parte.» risposi, evitando di guardarla negli occhi.
Il suo sguardo mi metteva in soggezione. Probabilmente c'entrava il fatto che, quando stavo svolgendo la mia prima missione, avevo avuto una brutta discussione con Ade, mio zio, e lui mi aveva più volte minacciato di morte.
«Sto cercando il divino Dioniso e il centauro Chirone, sai dove posso trovarli?» mi chiese con un sospiro.
«Seguimi.»
Mi avviai per il sentiero che portava alla Casa Grande con Thesis che mi seguiva, non del tutto convinta. Sembrava sempre all'erta, come se qualcuno potesse attaccarla da un momento all'altro.
Quando arrivammo davanti alla porta d'ingresso della Casa Grande, vidi Annabeth seduta sotto il portico insieme a Chirone. Non appena mi videro, mi sorrisero entrambi.
«Testa d'Alghe!» esordì Annabeth gettandomi le braccia al collo.
Restai per un attimo spiazzato dalla sua reazione così calorosa, ma poi mi resi conto che vederla dopo tanto tempo faceva piacere anche a me. Non ci eravamo sentiti per tutto l'inverno. Dopo quello che era successo l'estate prima, Annabeth si era un po' chiusa in sé stessa: scoprire che avevo sempre avuto ragione sul conto di Luke e sul suo tradimento, era stato un brutto colpo per lei. Ma ora ero felice che tutto fosse tornato come prima.
«Annabeth era in pensiero perché ancora non eri arrivato.» m'informò Chirone, guadagnandosi un'occhiataccia dalla diretta interessata.
Il centauro era comodamente sistemato nella sua finta sedia a rotelle, vestito con un abito elegante come se fosse appena tornato da una cerimonia importante.
«E' bello essere di nuovo qui!» affermai, sentendomi all'improvviso molto più sereno.
Essere al Campo Mezzosangue in un momento come quello mi faceva sentire molto più tranquillo perché lì avrei potuto fare molto di più di quando ero a casa. L'inverno a Manhattan era stato difficile da sopportare perché se fosse accaduto qualcosa al Campo io non sarei potuto intervenire in tempo.
Ad interrompere il benvenuto e i saluti ci pensò Thesis che mi diede una gomitata dritta nelle costole, giusto per ricordarmi della sua presenza.
«Oh, giusto. Chirone, lei è Thesis e vorrebbe parlare con lei e con il signor D.» lo informai, ricevendo occhiate curiose sia da lui che dalla mia amica.
«Annabeth, andresti gentilmente a chiamare il divino Dioniso?» le chiese Chirone senza staccare lo sguardo da Thesis.
Annabeth obbedì all'istante, allontanandosi senza voltare le spalle alla nuova ospite.
«Perché non ci accomodiamo dentro?» propose Chirone con la sua solita gentilezza.
Feci per entrare nella Casa Grande, ma la ragazza dagli occhi terribili mi si parò davanti. «Non voglio che lui ci sia!» mi ammonì, rivolgendosi a Chirone.
Avevo la vaga impressione di non starle molto simpatico.
Chirone mi guardò e mi fece gesto di aspettare. Proprio in quel momento Annabeth fu di ritorno insieme a Dioniso.
«Cosa c'è di così importante da mandarmi a chiamare così urgentemente?» domandò il dio del vino con fare scocciato. «Peter Johnson, sempre tu!» aggiunse poi, rivolgendomi uno sguardo inorridito.
«Ehy, stavolta io non c'entro niente!» protestai scuotendo la testa.
Il vecchio Dionisio ed io non eravamo mai andati molto d'accordo. Lui odiava tutti gli eroi perchè sua moglie Arianna era stata ingannata dall'eroe Teseo, ma sembrava che per me nutrisse un odio più forte. E la cosa era senza dubbio ricambiata.
Comunque, non mi preoccupava più di tanto: vari altri dei mi odiavano a morte; uno in più uno in meno non faceva differenza.
«La signorina Thesis è venuta apposta qui al Campo per poter parlare con noi.» lo informò Chirone.
Dioniso annuì e Chirone entrò nella Casa Grande. Thesis e il dio del vino lo seguirono, così Annabeth ed io restammo soli.
«Chi è quella lì?» mi chiese la mia amica, curiosa e diffidente allo stesso tempo.
«Non lo so. Quando sono arrivato davanti al grande arco, lei è spuntata fuori dalla terra come...» lasciai la frase in sospeso.
Probabilmente Annabeth aveva già capito chi intendevo dire. Nico Di Angelo era un figlio di Ade che riusciva a chiamare a raccolta spiriti e scheletri dalla terra, proprio come la stessa Thesis era venuta fuori poco prima.
«Pensi che ci porterà guai?» domandò Annabeth sospirando.
«Ovviamente.» risposi facendo spallucce. «Qui come va?» aggiunsi guardandomi intorno.
«Sono cambiate tante cose. Io sono tornata circa due mesi fa, ma sono una delle poche che ha deciso di farlo. Tanti genitori hanno paura per i figli, così hanno pensato di tenerli a casa. Ovviamente, saranno in pericolo lo stesso.» affermò con ovvietà. «Chi è rimasto qui si sta allenando e armando per fare la sua parte nella Grande Battaglia. Anche le ninfe e i satiri si stanno dando da fare.» mi raccontò mentre camminavamo per il Campo.
Ciò che Annabeth mi stava dicendo potevo verificarlo anche con i miei occhi: tutti lì intorno erano indaffarati in qualcosa. C'era ci tirava con l'arco, chi si allenava con le spade. Nessuno era fermo senza far nulla. Era bello vedere che tutti si stavano impegnando per sopravvivere e per tenere intatto il Campo Mezzosangue, che ci aveva accolto e fatto crescere.
«E Grover? Dov'è?» chiesi, cercandolo con lo sguardo.
Grover era il mio migliore amico e quando ancora non sapevo di essere un semidio, lui era anche il mio protettore; addetto a portarmi al Campo sano e salvo. Era davvero un buon amico e mi aveva aiutato molto spesso a non fare una brutta fine. Tra noi c'era un legame empatico: la sua mente e la mia erano collegate e quando era stato in pericolo mi era capitato di sognarlo. Due anni prima l'avevo salvato anche grazie a quel collegamento.
Aveva solo un significativo particolare: al posto delle gambe aveva due zampe di capra. Era un satiro anziano con tanto di corna tra i riccioli neri.
Annabeth mi fece gesto di seguirla. «Grover è cambiato parecchio.» m'informò con un sorriso strano in viso, mentre ci dirigevamo all'arena.
Dentro c'erano tutti i satiri giovani armati di arco e frecce. A capeggiargli, con fare autoritario, c'era Grover che spiegava loro come tenere l'arco.
«Percy, sei arrivato!» urlò appena mi vide. «Ragazzi, facciamo una pausa.» aggiunse rivolto ai suoi allievi.
Loro posarono gli archi e si allontanarono verso i gradoni dell'arena.
«Ehilà, Grover.» lo salutai, felice di rivederlo.
Era diventato più alto di qualche centimetro e le sue corna erano molto più evidenti dell'ultima volta che l'avevo visto.
«Coma va, amico? Inverno tranquillo?» mi chiese dandomi un pacca sulla spalla.
«Tutto bene. Nessuno ha cercato di uccidermi, per fortuna.» risposi sorridendo. «E tu? Vedo che sei diventato professore.» continuai, ricambiando la pacca affettuosa.
Aveva un aspetto e un'espressione saggia. Da quando aveva incontrato il dio Pan nel Labirinto sembrava davvero più sicuro di sé. Ero davvero contento di vederlo così in forma.
«I satiri avevano bisogno di una guida e Chirone mi ha chiesto se volevo essere io. Come potevo rifiutare?» disse facendo spallucce.
Restai con Grover ed Annabeth per un po'. Mi raccontarono che Dioniso era stato via per qualche tempo, tentando di nuovo di convincere gli dei minori a passare dalla nostra parte. Al contrario dell'anno passato, quella volta si assicurò l'aiuto di Selene, dea della Luna, che sarebbe intervenuta in nostro soccorso non appena sarebbe stato necessario.
Raccontai a Grover di Thesis e della sua impressionante somiglianza con Ade e Nico.
«Pensi che possa essere sua figlia?» chiese Grover impaurito.
L'ultima volta che eravamo stati all'inferno, Annabeth, Grover ed io, il mio amico capra non aveva avuto una bella esperienza. Era quasi finito dentro al Tartaro e da quella volta anche solo nominare il dio dei morti gli drizzava la pelliccia nelle zampe.
«Se così fosse cambierebbero tante cose. La profezia, ad esempio.» fece Annabeth, pensierosa.
Come dimenticare la profezia? Si diceva che un figlio di uno dei Tre Pezzi Grossi, non appena avesse compiuto i suoi sedici anni avrebbe segnato la vittoria o la disfatta degli dei. Fino a quel momento ero stato l'unico al centro di quella profezia – a parte un breve periodo, dove Talia, figlia di Zeus, aveva condiviso con me la scena di protagonista. Ma poi era diventata una Cacciatrice di Artemide e il suo peso era tornato tutto sulle mie spalle. E poi c'era Nico Di Angelo, ma lui era ancora troppo piccolo – e i miei sedici anni si avvicinavano sempre più velocemente.
«Non ci resta che aspettare e vedere cosa dirà Chirone.» risposi, facendo spallucce.
Decidemmo, così, di tornare alla Casa Grande. Salutammo Grover, che dovette tornare alla sua lezione, e ci allontanammo.
«Come va con tuo padre?» chiesi ad Annabeth, cercando di spezzare il silenzio che si era creato.
«Bene. E' preoccupato per la Grande Battaglia, ma sa che so badare a me stessa.» rispose lei convinta. «E Tyson, come sta?» aggiunse sospirando.
Tyson era il mio fratellastro ciclope e Annabeth non era mai andata d'accordo con i ciclopi. All'inizio Annabeth odiava Tyson, ma con l'andare del tempo, per fortuna, era riuscita a mettere da parte le sue “paure” e aveva imparato ad apprezzarlo.
«E' da mesi che non lo sento. E' nelle fucine di Efesto. Immagino sia felice.»
Tyson adorava costruire armi – ed era anche bravissimo. Quando il dio Efesto gli aveva chiesto di unirsi alla sua squadra di operai, lui aveva fatto i salti di gioia.
Aspettammo davanti all'ingresso della Casa Grande per varie ore, fin quando Chirone e Dioniso non uscirono. Chirone sembrava preoccupato, Dioniso, invece, era apparentemente tranquilli e noncurante come sempre.
«Chirone, chi è la ragazza? Dov'è?» domandai, impaziente.
«Penso che tu sappia già chi è Thesis.» mi rispose con un sospiro. «Sta consultando l'Oracolo.» aggiunse annuendo.
«Le è stata affidata un'impresa?» domandò Annabeth, sorpresa.
«Era necessario.» sentenziò Chirone, con fare meditabondo.
Scambiai uno sguardo con Annabeth e lei sembrò capirmi al volo: entrambi volevamo fare parte di quell'impresa.




SPAZIO ALIS: Salve a tutti, semidei.
Eccomi tornata con il secondo capitolo della mia storia. Sono stata puntuale, ma non abituatevici perché purtroppo ho solo pochi capitoli pronti e non so quanto l'ispirazione collaborerà per andare avanti. Siamo fiduciosi!
Comunque, ecco che Thesis è arrivata al Campo e subito le è stata affidata un'impresa: come mai? Cosa nasconde la figlia di Ade?
Uhm, cosa ne pensate? Fatemi sapere le vostre opinioni con una recensione, ne sarei tanto felice. Intanto, ringrazio with regulus che ha recensito il primo capitolo. E' stata l'uncia recensione, ma spero di riceverne tante altre :3
Beh, alla prossima, miei semidivini amici <3
Alis

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Capitolo 3
*** Organizzo un incontro tra fartelli ***


CAPITOLO 3
Organizzo un incontro tra fratelli
 
Per tutta la sera mi riadattai all'ambiente del Campo, allenandomi con la spada e lanciando con l'arco. Annabeth mi mise sotto con gli esercizi, sostenendo che ero stato troppo tempo senza fare nulla e stavo diventando lento. Quando finimmo di allenarci, a sera inoltrata, ero stremato.
Andai a fare una doccia veloce e poi mi recai a cena, seduto da solo nel mio tavolo di Poseidone. Ero uno dei pochi seduto da solo: la tavolata di Ermes pullulava di ragazzi, anche coloro che ancora non sapevano l'identità del loro genitore divino. Quando ero arrivato al Campo per la prima volta, anche io ero stato ospitato dal tavolo del dio dei viandanti, poi mio padre mi aveva fatto apparire un tridente sopra la testa ed ero finito in un tavolo da solo. Vidi Thesis, seduta al tavolo di Ermes. Probabilmente avrebbe alloggiato nella casa undici, dal momento che al Campo non era presente una casa per i figli di Ade.
Si era cambiata d'abiti: indossava una maglietta arancione del Campo e un paio di jeans neri.
La curiosità di sapere cosa le aveva detto l'Oracolo si accese come una lampadina. Non mi ritenevo un ragazzo particolarmente curioso, ma quando si trattava delle imprese avevo la brama di sapere. Da quando avevo avuto la mia, d'impresa, mettermi nei guai era diventata la mia specialità, anche quando io non c'entravo proprio nulla – come questa volta.
«Voglio sapere cosa le ha detto l'Oracolo!» esordì Annabeth sedendosi nel mio tavolo, dando voce ai miei pensieri.
«Accomodati pure, Annabeth.» dissi ironico, sorridendo. «Piacerebbe saperlo anche a me, comunque.» aggiunsi sospirando.
Restammo in silenzio per alcuni minuti, fissando Thesis con occhi accessi di curiosità.
«Va' da lei e chiediglielo!» m'incitò Annabeth all'improvviso.
«Cosa? No, non la conosco nemmeno. Non ci penso proprio!» protestai convinto.
Notai che la maggior parte dei ragazzi stava guardando Annabeth con un misto di contrarietà e stupore nel viso. Spostarsi dal proprio tavolo era considerato “sbagliato”, ma, a quanto pareva, la mia amica non aveva alcuna intenzione di tornare al suo posto.
«Avanti, Testa d'Alghe, hai sconfitto centinaia di mostri, non puoi aver paura di quella ragazza un po' macabra.» mi rimproverò lei, sbuffando.
«Non ho paura di lei, è solo che penso di non starle tanto simpatico. Vai tu a chiederglielo.» controbattei, indicando Thesis con fare cortese.
Non glielo avrei mai detto, ma lo sguardo di Thesis mi faceva rabbrividire e mi metteva ansia. Starle il più lontano possibile era un'idea che non mi faceva del tutto schifo.
«Fifone!» mi schernì Annabeth prima di alzarsi.
Mi alzai e la seguii fino al tavolo di Thesis. Ebbene, la buona volontà di non avere nulla a che fare con la figlia di Ade era svanita in meno di un secondo. Decisi di dare tutta la colpa ad Annabeth, ma sapevo fin troppo bene che la mia curiosità mi stava giocando brutti scherzi.
Tutti i ragazzi del tavolo di Ermes ci guardarono male, ma Annabeth sembrò non curarsene e prestò attenzione solo a Thesis, che in quel tavolo appariva evidentemente fuori posto.
Lei non ci degnò nemmeno di uno sguardo finchè Annabeth non fece finta di tossire.
«Ciao Thesis, io sono Annabeth, figlia di Atena. So che ti è stata affidata un'impresa: se ne avrai bisogno, il mio amico Percy ed io saremo ben felici di aiutarti.» esordì la mia amica cercando di essere convincente.
«Sapevo che sareste venuti.» commentò Thesis con una risata di scherno. «D'altronde, i vostri genitori divini pensano di essere i migliori. Mi sorprende che non ci sia anche un figlio di Zeus.» aggiunse con un sorriso freddo.
Mi fece venire i brividi lungo la schiena e per un attimo la mia mente prese in considerazione l'opzione di scappare, ma decisi di restare piantato lì dov'ero, giusto per fare ancora di più la parte del cretino.
«Cosa intendi dire?» domandò Annabeth, indispettita.
Ero convinto che avesse capito perfettamente cosa volesse dire Thesis, come avevo capito io, ma Annabeth non lasciava nulla al caso: voleva sempre avere le cose il più chiare possibile. Era una ragazza di rigore e di logica, tipico di una figlia di Atena.
«Hai capito benissimo cosa voglio dire. Zeus, Poseidone e Atena sono tre palloni gonfiati che pensano di sapere tutto loro. Hanno sempre temuto Ade perchè è molto più forte di loro.» esclamò Thesis, ostentando tranquillità.
«Senti, Ragazza-Zombie, tuo padre è...» cominciò Annabeth, inalberandosi.
Stimava molto sua madre e odiava che qualcuno parlasse male di lei. Era una delle cose che la faceva imbestialire di più.
«Non osare parlare di mio padre.» scandì Thesis, battendo i pugni nel tavolo ed alzandosi.
La terra cominciò a tremare, ma durò solo pochi secondi, tanto che mi chiesi se fosse davvero accaduto.
Mi concentrai sulle due ragazze, indeciso se intromettermi o meno. Si scrutavano, entrambe con le fiamme negli occhi – quelle di Thesis non erano fiamme simboliche – e pensai che da un momento all'altro potessero azzannarsi come animali selvaggi.
Per fortuna, ad interrompere quella situazione, arrivò Chirone.
«Percy, Annabeth.» ci salutò con un gesto della testa. «Thesis, penso che dovresti andare a dormire. Domani dovrai scegliere chi ti accompagnerà nell'impresa e dovrai allenarti come si deve prima di partire. Spero che la casa di Ermes sia di tuo gradimento.» continuò il centauro, indicando la casa undici alla nuova ospite.
Thesis annuì e fece per allontanarsi. «Non finisce qui, Cervellona.» affermò rivolta ad Annabeth.
Poi si allontanò verso la sua nuova abitazione e vi sparì dentro.
«Chirone, cosa dice la profezia?» chiesi, riacquistando l'uso della parola.
«V'informerò domani mattina, adesso è il caso che andiate anche voi a dormire.» ci consigliò il centauro.
Solo in quel momento mi accorsi di essere terribilmente stanco e decisi di seguire il consiglio. Anche tutti gli altri avevano finito di mangiare e si stavano dirigendo alle loro capanne.
Salutai Annabeth – che aveva tutta l'aria di volermi incenerire per non essere intervenuto nella sua discussione con Thesis – e andai alla mia capanna, fatta di conchiglie e corallo. Era esattamente come l'avevo lasciata l'estate prima: il mio letto era nell'angolo, sistemato e pulito. La fontana in fondo alla stanza brillava grazie alla luce della luna che entrava dalla finestra. Il corno del minotauro che avevo sconfitto al primo anno era appeso al muro, a simboleggiare la mia fortuna di non essere morto in quello scontro.
Mi abbandonai nel letto così com'ero e mi addormentai nel giro di pochi secondi.
 
Mi svegliai di soprassalto e mi guardai intorno. Era ancora notte fonda e il silenzio regnava sovrano. Restai per un attimo a guardare in giro, chiedendomi il perchè di quel risveglio improvviso. La risposta sembrò arrivare come se fosse stato programmato: dei forti colpi arrivarono da fuori la porta. D'istinto, presi Vortice dalla tasca, la feci scattare e mi diressi verso essa.
Dentro al Campo, solitamente, i mostri non potevano entrare grazie ai confini dettati dal Vello d'Oro, ma se qualcuno dava loro il permesso avevano il via libera. Lo sapevo per esperienza perchè al mio primo anno ero stato attaccato da un segugio infernale commissionato da Luke. Quindi, stare sempre in guardia era una delle prime regole in un periodo così.
Aprii la porta con cautela e prima di rischiare di tagliare la testa al mio ospite con un fendente, mi bloccai. Nico Di Angelo mi guardò con un misto di sorpresa e paura nel viso.
«Nico.» esclamai meravigliato riponendo Vortice nella tasca.
«Immagino di averti spaventato.» disse ridendo, mentre gli facevo spazio per entrare nella capanna.
«In effetti, non mi aspettavo la tua visita.» esclamai, sedendomi nel mio letto.
Nico sembrava stremato. Aveva il viso stravolto e gli occhi stanchi. Era diventato molto più grande di quanto mi ricordassi: era diventato altro quasi quanto me, i capelli erano lunghi e spettinati e la sua espressione sembrava vissuta. Aveva perso ogni briciolo di giovinezza e pareva molto più vecchio dei suoi tredici anni.
«Scusa se sono piombato qui così, ma ho saputo. E' vero che è arrivata una figlia di Ade?» domandò, con occhi accesi da curiosità e impazienza.
Anche Nico era un figlio di Ade. Fino a qualche anno prima Nico aveva avuto una sorella, Bianca, ma lei aveva perso la vita in una missione e lui era rimasto solo, spaesato e triste. Si era dovuto fare le ossa in un mondo diverso da quello che aveva sempre conosciuto, in situazioni non sempre facili. Se l'era cavata bene, dovevo ammettere, forse anche meglio di quanto avessi fatto io quando avevo scoperto di essere un semidio.
Riuscivo a sentire l'aria elettrica per via della curiosità che aveva Nico in corpo: voleva sapere di più sulla sua sorellastra.
«E' arrivata questa mattina. Ha voluto parlare con Chirone e Dioniso: le è stata affidata una missione e ha consultato l'Oracolo. Non so altro.» spiegai, facendo spallucce.
Nico spalancò gli occhi per via dello stupore. Sembrava che fosse scioccato dalle notizie che gli avevo appena dato.
«Devo fare parte di questa missione!» affermò con fare deciso. «Dobbiamo scoprire cosa dice la profezia che le ha comunicato l'Oracolo e partire con lei.» aggiunse, iniziando a camminare per la stanza.
Non capivo perché dall'“io”, Nico fosse passato al “noi”, ma non feci domande e lasciai che Nico pensasse ad un modo per partire in missione con Thesis. Era inutile che cercassi di dissimulare: era chiaro come il sole che anche io volevo far parte della missione.
«Dobbiamo parlare con lei!» fece infine Nico, come se fosse ovvio.
«Cosa?» biascicai poco convinto.
«Non possiamo fare altro. Dobbiamo sapere che succede e convincerla a portarci con lei in missione!» aggiunse Nico, determinato più che mai.
Sospirai e mi alzai dal letto. «Va bene, andiamo.»
Nico sorrise vittorioso e si avviò all'esterno.
La notte era fredda e umida, tanto che mi venne la pelle d'oca. O forse non era per quel motivo. Insomma, stavo andando a cercarmi guai, di nuovo. Avevo come il presentimento che non avrei mai avuto un anno tranquillo al Campo.
Nico procedeva spedito verso la casa di Ermes, ma non ci fu bisogno che entrasse perché Thesis era in piedi poco lontano, vestita di nuovo con la sua veste nera che tanto la faceva sembrare spettrale. Ci avvicinammo e lei non sembrò sorpresa di vederci.
«Ciao, Thesis. Ehm, volevo solo...» cercai di trovare le parole, ma lei sembrava non ascoltarmi.
Aveva lo sguardo perso nell'orizzonte e la sua attenzione sembrava concentrata su voci e parole lontane.
«Guarda chi si unisce alla festa.» soffiò velenosa Thesis, spostando lo sguardo oltre la mia spalla.
Mi voltai e vidi Annabeth avvicinarsi verso di noi di gran carriera. Sembrava arrabbiata, anzi, furiosa. Guardai Nico e anche lui capì che si stava per scatenare una lite apocalittica.
«Okay, prima che iniziate a darvi battaglia, potremmo parlare come persone civili?» domandai, frapponendomi tra le due che si guardavano in cagnesco. «Thesis, lui è Nico.» aggiunsi, giusto per cercare di far spostare la sua attenzione da un'altra parte.
Lei si voltò verso il fratellastro e prese ad analizzarlo da capo a piedi. Anche Nico iniziò a guardarla con fare indagatore.
«Così, tu sei il figlio di Ade...» fece Thesis, guardando Nico negli occhi.
«E tu sei la figlia di Ade...» ribatté lui, ricambiando il suo sguardo.
Restarono in silenzio per svariati minuti. Sembrava che stessero parlando con gli occhi, un'energia elettrica sembrava avvolgerli ed isolarli dal resto del mondo. Erano solo loro due, che si studiavano e cercavano di capire se potevano fidarsi l'uno dell'altra.
Per un attimo mi sentii a disagio. Feci un passo indietro e mi affiancai ad Annabeth che sembrava in imbarazzo tanto quanto me.
«Vorremmo sapere cosa è successo. Perché sei qui?» domandò finalmente Nico.
Thesis guardò prima lui e poi spostò lo sguardo verso me ed Annabeth. Cercai di ispirarle fiducia con un mezzo sorriso e diedi una gomitata ad Annabeth per fa sì che sembrasse almeno un pochino gentile. Lei sbuffò e fece un sorriso tirato. Thesis la ignorò, guardò prima me e poi Nico e alla fine sospirò.
«Persefone è stata rapita dai seguaci di Crono.» disse finalmente.

 

 

 

 

 

 

SPAZIO ALIS: Nonostante il capitolo precedente non abbia ricevuto recensioni e il primo capitolo abbia ricevuto una sola recensione, ho deciso comunque di postare il terzo capitolo. Magari, con l'andare della storia, riceverò più approvazione :)
Cooomunque, ecco la comparsa di uno dei miei personaggi preferiti della saga: signori e signore, ecco a voi Nico Di Angelo <3
Lo amo tanto e non potevo certo farlo mancare in questa grande avventura!
Spero che il capitolo - e il faccia a faccia tra i due figli di Ade - vi piaccia.
Alla prossima,
Alis

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Capitolo 4
*** Mi batto in una lotta all'ultimo sangue ***


CAPITOLO 4
Mi batto in una lotta all'ultimo sangue
 
Ci eravamo spostati verso l'interno del bosco per far sì che nessuno ci sentisse. La situazione, per come Thesis la descrisse, non sembrava affatto piacevole.
«E' successo due giorni fa. Persefone doveva andare da sua madre Demetra, ma la dea ha contattato Ade preoccupata per il suo mancato arrivo. Subito dopo i tirapiedi di Crono ci hanno fatto sapere che l'avevano rapita loro e che per liberarla vogliono qualcosa di molto potente che è in mano ad Ade.» raccontò Thesis.
Eravamo seduti per terra in una piccola radura. Il venticello della notte ci solleticava la pelle e man mano che Thesis raccontava mi sentivo sempre meno a mio agio in quel buio notturno. Anche Nico ed Annabeth iniziavano a lanciarsi sguardi attorno come se un mostro potesse comparire da un momento all'altro.
«Ade non ha nulla di potente. Non può avere nulla per non minare il potere dei suoi fratelli. E comunque Crono si sta procurando un'arma letale. Cosa potrebbe volere da Ade?» intervenne Annabeth, guadagnandosi un'occhiataccia dalla figlia del dio dei morti.
Era inevitabile: prima o poi quelle due se le sarebbero date di santa ragione!
«Ade possiede un'arma molto potente che ha costruito millenni fa.» ammise Thesis. «L'ha costruita per pareggiare i conti con le armi dei suoi fratelli. Poseidone possiede il tridente e Zeus la folgore, in caso di guerra Ade si sarebbe trovato sprovvisto di qualcosa di abbastanza potente da mettere in ginocchio i suoi fratelli, così ha costruito una falce. In quell'arma ha messo gran parte del suo potere ed è adibita a fare solo una cosa: uccidere un solo dio. Ad Ade sarebbe bastato uccidere Zeus per garantirsi il comando nell'Olimpo. Ma non l'ha mai usata e non ha intenzione di farlo.» spiegò, mettendo in chiaro così tutta la situazione.
«Se Crono riuscisse ad ottenerla, potrebbe rafforzare la sua arma e farla diventare ancora più letale.» intuì Nico, che fino a quel momento era rimasto in silenzio ad osservare la sua sorellastra.
«Quindi bisogna impedire che Crono s'impossessi della falce, ma bisogna anche liberare Persefone.» chiarii io, e pensai che trovare la soluzione a quel problema non sarebbe stato per niente facile. «Che cosa ti ha detto l'Oracolo?» domandai poi.
Magari con la profezia dell'Oracolo ci sarebbe stato qualche chiarimento utile al fine di salvare entrambe le cose in ballo. Ma dubitavo che l'Oracolo fosse stato chiaro: non lo era mai.
«“La dea prigioniera salveranno
tre semidei e la dea partiranno.
Un sacrificio si compierà
se il male indebolir si vorrà.”»
recitò Thesis, come se avesse studiato e ristudiato quelle parole per ore per capirne il vero significato.
Il brutto vizio dell'Oracolo era che faceva profezie contorte, poco chiare e sempre con qualche brutto avvenimento nascosto tra le righe. Se poteva sembrare semplice capire, c'era sicuramente qualcosa sotto.
«Un attimo, c'è qualcosa che non quadra.» fece Annabeth.
Mi voltai verso di lei e la vidi che muoveva le labbra, ripetendosi tra sé e sé le parole della profezia. Decisi di fare lo stesso e cercare di capire cosa non andava.
La dea prigioniera salveranno” come inizio prometteva bene, ma non era il caso di cantare vittoria troppo presto. “tre semidei e la dea partiranno”. Ecco cosa intendeva Annabeth: tre semidei e la dea, a chi si stava riferendo?
«Non c'è nulla che non va. Non sono una semidea.» intervenne Thesis come se ci stesse leggendo nel pensiero – e non ero del tutto certo che non riuscisse a farlo davvero. «Sono Thesis, la principessa del Tartaro, figlia di Ade, dio dei morti e Persefone, sua sposa e dea degli Inferi.» spiegò senza battere ciglio.
Non sembrava fiera del suo ruolo o innalzata dalla sua superiorità confronto ai normali semidei, solo pareva rassegnata e stanca, come se quelle parole appena pronunciate le fossero costate tanto nella sua vita.
«Non è possibile. Ade e Persefone non possono avere figli, va contro la loro natura. Loro portano la morte!» constatò Annabeth, sicura delle sue parole.
«Quando Ade rapì Persefone, lei non volle accettare di stare negli Inferi da sola. Pregò Ade di darle un figlio che le facesse compagnia e, date le sue grandi doti di persuasione, Ade accettò, con l'unica eccezione che il figlio che fosse nato non vedesse mai la luce del sole, nemmeno quando lei sarebbe andata da sua madre, in primavera e estate. Persefone accettò, per puro egoismo, così nacqui io. Non sono nata negli Inferi, comunque, ma sulla Terra, poi gli Inferi sono diventati la mia casa.» spiegò Thesis, cercando di non fulminare Annabeth che l'aveva nuovamente contraddetta.
«Quindi è la prima volta che vieni sulla Terra?» chiesi sorpreso.
Gli Inferi non erano certo un posto da sogno. Non potevo nemmeno immagina di vivere in quelle lande oscure e solitarie. Per un attimo, provai tantissima pena per Thesis e per la vita che era costretta a vivere.
«Sì.» rispose la dea.
«Chirone e Dioniso sanno chi sei?» chiese Annabeth, cercando di chiarire al meglio la situazione, come suo solito.
«Certo, ma è raro che mi vedano in questa forma, per questo non mi hanno riconosciuta subito.» spiegò Thesis.
«Perché ti è stata affidata un'impresa, allora? Sei una dea, puoi fare ciò che vuoi!» domandò ancora Annabeth, ostinata a non lasciare nulla al caso.
Thesis prese un respiro profondo, forse per non urlare ad Annabeth di starsi zitta – la mia amica poteva diventare un po' logorroica quando ci si metteva – e continuò a spiegare ogni cosa con estrema calma. «Sono una dea minore, non ho molto potere. Sono forte quasi quanto voi semidei, giusto qualche trucchetto in più. Proprio per questo non posso partire da sola per salvare Persefone. Chirone e Dioniso mi hanno permesso di avere un'impresa e di consultare l'Oracolo per poter portare con me qualche semidio.»
Nico, Annabeth ed io annuimmo.
«Perché nostro padre non può salvare Persefone da solo?» chiese poi Nico con fare meditabondo.
Effettivamente era una bella domanda: Ade, il grande dio dei morti, avrebbe potuto benissimo sconfiggere qualche mostro, allora perché mandava sua figlia, una quasi normale semidea, ad affrontare svariati pericoli?
«Mi sono offerta io stessa per salvare Persefone, per poter lasciare gli Inferi per un po'.» Thesis fece una pausa e mi sembrò terribilmente afflitta e triste. «Ade non sa che sono qui e sono sicura che non sarà d'accordo per questa mia decisione!» aggiunse, parlando più a sé stessa che a noi.
Immaginai Ade e la sua furia per la disobbedienza della figlia. Non osai pensare cosa avrebbe potuto fare a chiunque avesse partecipato alla missione con lei.
«Quindi, ci porterai con te?» domandò Nico, speranzoso.
Nonostante all'inizio Nico si fosse tenuto lontano delle imprese e dal Campo Mezzosangue in generale, ora sembrava impaziente di rendersi utile. Che fosse per salvare Persefone o per inorgoglire suo padre – che non aveva certo un atteggiamento paterno con lui – non lo sapevo.
«Ho bisogno dei migliori per quest'impresa. Domani mattina mi allenerò con chiunque voglia partire e deciderò chi verrà.» chiarì Thesis, alzandosi da terra e pulendosi la veste.
«Sfidami ora e decidi subito!» la intimò Nico, facendo comparire dal nulla la sua spada di metallo nero.
Automaticamente feci un passo indietro e anche Annabeth mi imitò. Thesis, invece, non si mosse e si limitò ad osservare il fratellastro con sguardo accusatorio.
«Sai che non sei in grado di battermi. Sono più grande, più forte e conosco i nostri poteri meglio di te. Non mi batterò con te, non voglio farti del male.» disse solo la dea, assumendo un tono quasi materno.
Invece di provare piacere per quell'atteggiamento gentile, Nico sembrò arrabbiarsi e menò un fendente dritto nel torace di Thesis. La dea si tramutò in una nebbia grigia e ricomparve dietro a Nico, che si voltò solo per ritrovarsi steso a terra nel giro di pochi secondi. Fu talmente rapido, che né io né Annabeth – e nemmeno Nico, ne ero sicuro – riuscimmo a capire cosa fosse successo.
Mi avvicinai al mio amico e lo aiutai a rialzarsi. Non sembrava ferito, almeno non esteriormente. Il suo ego, invece, era stato intaccato da una crepa sottile. Era umiliato e arrabbiato, glielo si poteva leggere in faccia.
«Come ho detto, non sei abbastanza forte per battermi. Ma sei scaltro e sufficientemente veloce per abbattere qualche mostro. Non ti assicuro che potrai venire con me, ma presentati domani a mezzogiorno e vedrò di darti una risposta.» acconsentì Thesis infine.
Poi si allontanò, talmente veloce che nemmeno ce ne rendemmo conto.
«Questa situazione è assurda.» affermò Annabeth, sbuffando.
Gli eventi erano andati talmente tanto veloce, che tutti eravamo rimasti inevitabilmente storditi e confusi. Anche io temevo di essermi perso qualcosa d'importante, ma allo stesso tempo ero sicuro di aver capito tutto quello che Thesis ci aveva spiegato. Era una situazione talmente ingarbugliata, che perdersi era normale.
«Ci conviene andare a dormire se domani vogliamo avere anche solo la minima possibilità di battere Thesis e partire in missione.» consigliò Annabeth, ma ero sicuro che anche lei dubitasse del nostro successo.
Dopo quello che la dea aveva fatto a Nico – con quella rapidità impressionante – era quasi impossibile per noi riuscire a batterla.
«Nico, puoi dormire nella mia capanna, se ti va di rimanere.» comunicai al mio amico.
Sembrava perso nei suoi pensieri e non mi prestò attenzione. Quello scontro con la sorellastra l'aveva davvero turbato e anche le sue parole l'avevano scosso, anche se non capivo perché.
«Lei è una dea, Nico, non prendertela per quello che è successo. Sono certo che anche noi non faremo una bella figura domani.» cercai di incoraggiarlo, dandogli una pacca sulla spalla.
Lui sospirò e fece un sorriso tirato. «Grazie.» disse.
Salutammo Annabeth e ci dirigemmo verso la capanna di Poseidone. Sistemai qualche coperta per terra, per far stendere Nico e io mi misi nel mio letto. Nonostante fossi stremato, ci misi un po' di tempo a prendere sonno.
 
Era mezzogiorno in punto quando Chirone riunì tutti gli abitanti del Campo nell'arena. Thesis era al centro del grande spiazzo, in attesa e per niente intimorita dalla sfida che stava per affrontare. Nonostante conoscessi le sue potenzialità, mi ero svegliato abbastanza ottimista e contavo in un mio successo.
Ma, com'era prevedibile, tutta la mia speranza andò a scemare man mano che Thesis affrontava i ragazzi della casa di Ares e li batteva tutti senza il minimo sforzo. Era come se fosse nata solo per quello, per battere gli avversari e dar loro una bella lezione. Non era ferita né minimamente affaticata. Era lì, in piedi, in attesa di un altro avversario.
Annabeth, seduta accanto a me, non riusciva a stare ferma tanta era l'adrenalina e la voglia di battersi. Nico, invece, guardava come la sorellastra si muoveva, la studiava e cercava di capirne i punti deboli. Cosa impossibile, visto che sembrava non averne nemmeno uno.
«Annabeth Chase.» chiamò Chirone, mentre un figlio della casa di Apollo veniva portato via dai suoi fratelli.
Annabeth si alzò e avanzò verso Thesis senza esitazione. Era vestita con l'armatura greca e aveva lo scudo in una mano e il suo coltello nell'altra. Per un attimo, temetti di doverla portare via in barella dato che Thesis sembrava fremere dalla voglia di batterla.
La figlia di Atena si posizionò di fronte alla dea e le due si scrutarono per qualche secondo. Poi, all'improvviso, Annabeth partì all'attacco. Si lanciò verso Thesis con tutta la spinta possibile, ma prima di colpirla con lo scudo, cambiò direzione e si portò alle sue spalle. Caricò il braccio munito dal coltello e puntò dritto alla schiena, ma prima che l'arma trapassasse la carne, Thesis si trasformò in nebbia e si dissolse. Annabeth si trovò spiazzata, con un solo piede appoggiato al terreno che la sorreggeva in precario equilibrio. A quel punto, Thesis ricomparve dietro di lei, in carne ed ossa e le afferrò il piede facendola così cadere. Annabeth accusò il colpo, tanto che rimase qualche minuto ferma nella stessa posizione. Solo dopo che si riprese dallo stupore, riacquistò contegno e portamento e si rimise in piedi pronta a ricominciare. Thesis non sembrò per niente sorpresa della determinazione della figlia di Atena e sorrise nel vederla rialzarsi. Erano pronte a darsi battaglia di nuovo.
A fare la prima mossa fu di nuovo Annabeth. Si liberò il braccio dallo scudo e inaspettatamente lo lanciò contro la sua avversaria. Mentre Thesis era impegnata a non farsi colpire, Annabeth fece una capriola e si rialzò proprio davanti alla dea, il pugnale puntato contro il suo fianco.
«Ti ho battuta.» ghignò Annabeth, ansimando per la fatica, ma mantenendo la sua autorevolezza.
Thesis guardò prima lei poi il pugnale che le pungolava il fianco. «Mi dispiace, ma non è finita. Qualunque movimento tu faccia, il mio spillo ti trapasserà.» e così dicendo spostò lo sguardo verso il fianco di Annabeth.
Solo in quel momento mi accorsi di qualcosa che si frapponeva tra Thesis ed Annabeth: uno spillo trasparente, visibile solo grazie ai riflessi di luce e lungo quanto una spada minacciava pericolosamente il fianco destro di Annabeth.
«È uno spillo avvelenato, quindi starei molto attenta a non farmi graffiare!» suggerì Thesis, senza muoversi di mezzo millimetro.
Annabeth guardò prima Thesis poi lo spillo e si arrese. Nel suo sguardo vidi tutta l'umiliazione e la rassegnazione per non essere riuscita nel suo intento. Tornò a sedersi con lo sguardo basso.
Più Thesis sconfiggeva volontari, meno sembrava stanca e mi venne quasi la voglia di lasciare l'arena e rinchiudermi nella mia capanna per non rischiare che qualcuno mi chiedesse di sfidarla. Sembrava imbattibile e forse lo era veramente.
Quando Chirone chiamò il mio nome, fu solo la gomitata di Nico a farmi trovare il coraggio di alzarmi. Preparai Vortice e mi sistemai lo scudo che mi aveva regalato Tyson nel braccio sinistro. Quando arrivai davanti a Thesis presi un respiro profondo e mi misi in posa di combattimento.
Trascorse qualche minuto senza che nessuno dei due facesse nulla, poi mi decisi a fare la mia mossa, tanto le mie possibilità di vittoria erano al minimo in qualunque caso.
Non sapevo se lo spillo-spada di Thesis fosse ancora lì dov'era quando l'aveva attaccata Annabeth, ma decisi di tentare lo stesso di romperlo. Mi gettai in avanti, feci una capriola e mi fermai proprio a pochi centimetri da dove avevo visto l'estremità dell'arma. Colpii l'aria con la spada e tanti piccoli pezzetti di vetro caddero davanti alle mie ginocchia. Guardai Thesis, in un attimo di soddisfazione per quel colpo andato a segno, e notai che anche lei era sorpresa da quella mossa.
Prima che potessi fare qualcos'altro, la dea si librò in aria leggermente, costringendo ad indietreggiare, e iniziò ad emanare una nebbiolina azzurra dalle mani. Nel giro di qualche secondo, quell'energia mi si abbatté contro, graffiandomi il corpo come se fossero i piccoli pezzi di vetro che avevo spezzato poco prima. Parai ciò che potei con lo scudo e poi l'energia s'interruppe improvvisamente. Thesis mi guardò e capii che eravamo uno pari.
La pausa non durò nemmeno il tempo di riprendere fiato. I graffi che mi avevano fatto i pezzi di vetro bruciavano, ma non ebbi il tempo di soffermarmi sul dolore: Thesis alzò una mano e la puntò contro di me. Prima che potessi capire cosa stesse succedendo, un'onda di ombre scure e forti mi si avventarono contro, frastornandomi. Non ci volle molto tempo prima che quelle cose iniziarono a farmi effetto: l'aria sembrò uscirmi dai polmoni tanto che rantolai in cerca di una via di fuga. La pressione e la forza delle ombre mi schiacciò al suolo e ogni parte del mio corpo iniziò a perdere sensibilità. Se le ombre avessero continuato a circondarmi, sarei morto in poco tempo, senza alcuna via di scampo.
A quel punto, schiacciato e perso, decisi di fare l'unica cosa che ero sicuro di saper fare bene: invocai l'acqua. Un boato fece tremare tutta l'arena e un'onda di acqua gelida investì me e le ombre, facendole dissolvere con un fumo nero. Presi tutta l'energia possibile dall'acqua, riacquistando piano piano l'uso di tutto il corpo. Thesis, di fronte a me, era allibita.
Non aspettai oltre, quando ebbi di nuovo tutto sotto controllo, concentrai tutte le mie forze sull'acqua e la indirizzai verso la dea. Un secondo prima che l'acqua la sfiorò, lei chiamò a sé una bolla d'energia che la circondò, impedendo all'acqua di entrare.
Non so se hai mai giocato al tiro alla fune, ma dopo quella mossa di Thesis iniziò uno scontro di forze che sarebbe potuto durare in eterno. Io cercai sempre di più di spingere l'acqua dentro la bolla, ma ad ogni mio aumento d'energia, anche Thesis rafforzava la sua protezione. Continuammo così per minuti che sembrarono secoli, poi, con l'ultimo barlume di energia che mi era rimasto, feci scattare l'acqua ad una potenza impressionante. La bolla si ruppe giusto il tanto per far sì che Thesis fu investita dall'energia dell'acqua gelida.
L'ultima cosa che vidi fu Thesis cadere a terra in ginocchio. Poi caddi a terra anch'io, privo di sensi.

 

 

 

 

SPAZIO ALIS: Buonasera a tutti :)
Eccomi con il nuovo capitolo della mia storia. Purtroppo vedo che non sta ricevendo molte recensioni e la cosa mi dispiace tanto, perché mi piace davvero moltissimo scriverla e mi piacerebbe che piacesse tanto anche a chi la legge (ho ripetuto il verbo "piacere" cento volte XD). SEMIDEIIII, dove siete?? Su, recensite a questa povera autrice ç_ç
A parte ciò, questo capitolo è ilmio preferito fin'ora perché le cose iniziano a chiarirsi e soprattutto gli scontri tra Annabeth e Thesis e Percy e Thesis li ho amati un sacco - non per vantarmi, eh!
Voi che ne pensate? Sono descritti bene? La storia, ora che inizia a delinearsi, ha logica; ha senso? Vista piacendo?
Su, non siate timidi e dite la vostra :D
Attendo le vostre opinioni e già vi avviso che probabilmente cambierò il ritmo di pubblcazione, dato che ora ho solo due capitoli e mezzo pronti e non so quando risuciròa continuare *si nasconde*
Okay, ho scritto abbastanza. Lascio a voi la tastiera *-*
Alla prossima,
Alis 

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Capitolo 5
*** Degli scheletri ci danno il benvenuto ***


CAPITOLO 5
Degli scheletri ci danno il benvenuto
 
Quando mi svegliai ci misi parecchio tempo a ricordare dove fossi e cosa mi fosse successo. Poi tutti i ricordi mi colpirono la mente come un pugno e mi svegliai completamente, dolorante, ma vivo. Annabeth e Grover s'illuminarono in viso appena videro che avevo ripreso i sensi e fui felice di vederli lì al mio capezzale.
«Ehi, amico. Ci hai fatto prendere un colpo!» esordì Grover, aiutandomi a sedermi.
Avevo tutto il corpo indolenzito e mi pulsava la testa come se volesse esplodere, ma mi sarei ripreso, il che era un miracolo visto tutta l'energia che avevo usato contro Thesis.
Thesis. Mi guardai intorno nell'infermeria del Campo, ma della dea non c'era traccia.
«Thesis si è svegliata qualche minuto fa. È andata a parlare con Chirone e Dioniso.» mi spiegò Annabeth – riusciva a capirmi troppo bene -, passandomi un bicchiere d'acqua.
Ne bevvi qualche sorso e mi sentì subito meglio. Qualche altro litro d'acqua e sarei tornato come nuovo.
«Nico?» chiesi, non vedendo nemmeno lui da nessuna parte.
«È andato ad aspettare che Thesis finisca di parlare con Chirone e il Signor D. Vuole sfidare di nuovo sua sorella.» rispose Grover in tono grave.
Non sarebbe andata a finire per niente bene. Nico aveva poteri potenti ed aveva imparato a gestirli molto bene, ma non era in grado di battere la dea degli Inferi, perché lei quegli stessi poteri li conosceva e li usava molto prima di lui.
Mi alzai dal letto e sospirai. «Dobbiamo fermarlo o si farà molto male.» dissi, per poi dirigermi verso la Casa Grande.
Annabeth e Grover mi vennero dietro e quando arrivammo all'edificio trovammo Nico che faceva avanti e indietro davanti alla porta d'ingresso.
«Nico, devi lasciar perdere.» lo intimai subito, prima che potesse dire qualsiasi cosa.
«Percy, io devo batterla.» disse lui, e la desolazione prese il possesso del suo viso.
Voleva davvero riuscire a partecipare a quell'impresa ed ero sicuro che avrebbe fatto qualunque cosa per riuscirci. Il che non era un bene perché se si sforzava troppo rischiava di lasciarci le penne esattamente come avevo fatto io.
Prima che potessi rispondere, la porta si aprì e Thesis e Chirone uscirono. La dea sembrava in forma, come se non fosse successo nulla. Come ricordo del nostro scontro erano rimasti solo i suoi lunghi capelli bagnati.
«Thesis, io voglio sfidarti di nuovo!» scattò Nico, impugnando la sua spada nera.
Thesis guardò il fratellastro con dolcezza e scosse il capo. «Non ce n'è bisogno.»
Nico storse il naso, non contento della risposta e si mise in posizione d'attacco. «Devo partecipare all'impresa. Devo batterti.» disse determinato.
«Tu verrai nell'impresa con me. Sei determinato e sai dominare i tuoi poteri come pochi. Avrò bisogno di te lì dove dovremo andare.» comunicò la dea.
Nico restò stupito per un po', poi un enorme sorriso gli si disegnò in volto e si rilassò.
Thesis si voltò verso di me e per un attimo pensai che volesse lanciarmi di nuovo contro quelle ombre assassine. Invece, sorrise, con un sorriso che non le avevo mai visto e per la prima volta da quando l'avevo conosciuta mi sembrò amichevole e dolce.
«Sarei felice se veniste anche voi, Percy e Annabeth. Siete riusciti a darmi del filo da torcere e le vostre potenzialità non si basano solo sulla forza fisica. Voi avete ingegno e astuzia e la vostra mente è molto più aperta di quella di tanti altri eroi.» ci comunicò la dea, e per qualche secondo restai incantato a guardarla.
Dovevo sembrare un allocco, altro che astuto e ingegnoso. Quando mi voltai verso Annabeth, vidi che anche lei aveva la mia stessa espressione stupita.
Scrollammo le spalle, per levarci di dosso quell'atteggiamento da idioti e sorridemmo a Thesis.
«Grazie per l'opportunità!» disse Annabeth, perdendo ogni antipatia nei suoi confronti.
«Da dove cominciamo?» domandò Nico impaziente.
«Prima di tutto, dobbiamo trovare la falce. È c'è un unico modo per trovarla: dobbiamo chiedere ad Ade dov'è il suo nascondiglio.» decretò Thesis.
Presi un sospiro profondo, cercando di placare i brividi che mi salivano lungo la spina dorsale.
 
Tornare negli Inferi non era di certo la mia massima aspirazione e quando incrociai lo sguardo di Annabeth capii che anche lei non era felice della nostra destinazione.
Eravamo fuori dal campo, armati di zaini contenenti le cose necessarie per la missione. Eravamo uno affianco all'altro, i due figli di Ade che chiudevano la fila. Thesis ci aveva convinti – e ancora non riuscivo a capire come ci fosse riuscita – a raggiungere gli Inferi tramite il viaggio nell'ombra, lo stesso metodo che lei e Nico usavano per spostarsi rapidamente. L'idea mi spaventava non poco, ma non avevamo sufficiente tempo per raggiungere Los Angeles, dove si trovava l'ingresso dell'Inferno, così Annabeth ed io ci eravamo fatti coraggio ed ora eravamo pronti per quel viaggio ultraterreno.
«Okay, Nico, la meta è il palazzo di papà.» comunicò Thesis.
Il piano era che Nico e Thesis avrebbero unito le loro forze e i loro poteri per poter trasportare sia me che Annabeth, che saremmo stati troppo di peso per essere trasportati da uno solo di loro
Ci prendemmo per mano e partimmo. La sensazione che provai durante il viaggio fu come quella della roba sporca che gira nella lavatrice in centrifuga: il mio stomaco fece centomila capriole, la testa mi esplose e mi venne un mal di testa tremendo e il corpo sembrò perdere vita, come se si stesse addormentando.
Quando atterrammo, dovetti sedermi in terra per riprendere il completo uso di me stesso. Anche Annabeth cadde in ginocchio accanto a me, stordita.
«Come diavolo fate a fare questa cosa?» domandò, e la sua voce mi arrivò ovattata alle orecchie.
«È questione di pratica e concentrazione.» spiegò Thesis.
Nico, al suo fianco, barcollò leggermente e si resse alla sorella. «Non è facile, ma dopo un po' ci prendi la mano.» aggiunse, per poi prendere un respiro profondo e tornare stabile sulle sue gambe.
Respirai profondamente, cercando di riprendermi e Annabeth mi copiò. Nico e Thesis ci diedero qualche minuto per tornare in forma.
«Qualcosa non va!» fece Thesis improvvisamente, guardandosi intorno.
«Oh, no!» disse Nico, allarmato.
Solo in quel momento mi accorsi delle strazianti urla che provenivano da tutt'intorno ed ebbi un brutto, bruttissimo presentimento. «Non ditemi che siamo nei Campi della Pena.» biascicai, pregando tutti gli dei – anche quelli che mi odiavano – nella speranza che le mie paure non diventassero realtà.
Quando ero stato negli Inferi, tempo addietro, avevo scorto solo da lontano i Campi della Pena e come visione non era stata certo bella. Tutte le pene che avevo visto mi avevano fatto venire gli incubi per parecchio tempo.
«Okay, se non vuoi non te lo dico, ma è meglio che ti metti in guardia!» mi spronò Nico, impugnando la sua spada dello Stige.
Anche Thesis si preparò all'azione: prese uno dei suoi spilli, lo fece muovere tra le dita e come per magia al suo posto comparve una lunga spada. Aveva l'elsa nera lucida e la lama era trasparente. Brillava come il vetro, sembrava fragile, ma come il vetro stesso era altrettanto letale. Grazie ai riflessi di luce scorsi il suo nome inciso lungo la lama affilata: Psychì. Anima in greco.
Ci scambiammo uno sguardo con Annabeth e ci mettemmo subito in piedi. Intorno a noi si stavano radunando scheletri, anime e furie, pronti ad attaccare. Anche io ed Annabeth ci preparammo all'azione e attendemmo le mosse di Thesis e Nico.
Solitamente, i figli di Ade avevano potere sugli spiriti degli Inferi e magari Nico e Thesis riuscivano a controllarli senza dover combattere.
«State indietro, stupidi mucchietti d'ossa.» fece Thesis puntando la sua spada contro ad un gruppo di scheletri che si avvicinava sempre di più.
Non ero del tutto convinto che insultare dei nemici quando loro erano in superiorità numerica fosse una buona tattica, ma Thesis non temeva quei mostri, forse perché li aveva già comandati tante altre volte nella sua vita.
Comunque, quei “mucchietti d'ossa” non si mossero di mezzo millimetro, anzi, continuarono ad avanzare verso di noi con fare tutt'altro che amichevole.
«Qualcosa non va!» decretò Nico, dopo che nemmeno la sua spada fece effetto sugli spiriti.
Restammo tutti in posizione d'attacco, cercando di trovare una scappatoia da quella situazione.
«La figlia di Ade è tornata!» gracchiò uno scheletro, con una voce che sembrò uno sbatacchiare di legnetti.
Era diverso dagli altri scheletri: aveva il teschio ammaccato, come se avesse dato tante forti testate contro a un muro. Le ossa erano giallognole con striature grige ed ebbi la sensazione che fosse perché era un teschio molto, ma molto vecchio. I suoi bulbi oculari davano i brividi: si coloravano di varie striature dal nero al blu a seconda di dove dirigeva lo sguardo – sì, insomma, il cranio...
«Allora sai chi sono. Richiama subito i tuoi scagnozzi o ti getterò personalmente giù dal Tartaro.» gridò Thesis minacciosa.
Il capo degli scheletri rise, con un suono arrugginito e rauco che mi fece trasalire. «Tuo padre sarà contento di vederti.» affermò con gli occhi tinti di blu scuro.
Proprio in quel momento tutti gli scheletri si fecero avanti, armati di arti stranamente affilati. Anche le furie con i loro artigli e le anime con ombre cattive al seguito attaccarono ferocemente.
Prima che uno scheletro mi si schiantasse addosso, menai un fendente nel suo costato e lo oltrepassai da parte a parte senza fargli nulla. Lui scivolò fuori dalla mia spada e mi agguantò per il collo con le sue mano ossute. La spada mi cadde dalle mani e faticai a fare qualunque cosa. Un secondo prima che lo scheletro mi togliesse tutta l'aria dai polmoni, Thesis venne in mio soccorso. Attaccò lo scheletro con la sua spada, tagliandolo a metà di netto. Le ossa rotte caddero a terra producendo un suono vuoto.
Ringraziai Thesis e ripartii all'attacco. Una furia planò verso di me e mi afferrò per le spalle, piantandomi gli artigli dritti nella carne. Lanciai un urlo di dolore e mi si annebbiò la vista, ma feci un movimento veloce e conficcai Vortice nello stomaco della furia che mi lasciò cadere. Atterrai accanto ad Annabeth che era in netto svantaggio contro un'anima che la stava avvolgendo con le sue ombre. Mi rimisi in piedi, con la testa che girava e l'odore del sangue che mi appestava le narici, e corsi contro l'anima. Feci la prima cosa che mi venne in mente e gli diedi un colpo nel cranio con tutta la forza che riuscii a raccogliere. Non le fece nulla, ovviamente, ma l'anima si deconcentrò e liberò Annabeth dalle ombre. Prima che potessi fare qualcosa, l'anima sembrò infuriarsi e mi attaccò con tutta la sua forza con centinaia e centinaia di ombre che mi sovrastarono. Non vedevo nulla intorno a me se non buio e vapore. Le ombre iniziarono a stritolarmi. I rumori all'esterno della mia bolla di ombre non erano per niente promettenti, ma non riuscii a reagire e caddi in una specie di trance, divorato dal dolore.




SPAZIO ALIS: Eccomi ancora qui. Ebbene sì, nonostante l'unica recensione dello scorso capitolo (grazie Crumb **), non mi do per vinta e continuo a postare.
Eccoci partiti nella missione. E già dall'inizio le cose non si mettono bene per Percy & Co. Cosa ve ne pare di come ho descritto il combattimento contro i teschi?
Vi è piaciuto il capitolo? (A chi mi rivolgo non lo so, dato che qui sembra non esserci nessuno XD)
Okay, non aggiungo altro.
Solo, recensite, io non mordo ;)
Un abbraccio,
Alis

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Capitolo 6
*** Riceviamo una telefonata nel lavandino del bagno ***


CAPITOLO 6
Riceviamo una telefonata
nel lavandino del bagno
 
Risvegliarsi dopo un combattimento era sempre molto difficile: ti sentivi stordito e confuso e faticavi a controllare il tuo corpo. Quando riaprii gli occhi e tentai di alzarmi, fui sopraffatto da un dolore atroce alle spalle e tornai steso per terra.
«Devi stare fermo, l'ambrosia deve ancora fare effetto.» mormorò Annabeth dolcemente.
Aveva un brutto graffio nella fronte, i capelli erano appiccicati al sangue raggrumato.
«Non siamo messi bene, ma siamo vivi!» borbottai sentendo la testa pesante e gli occhi chiudersi da soli.
Mi diedi una scrollata, per mantenermi sveglio e tentai di mettere a fuoco l'ambiente circostante. Eravamo in una gabbia fatta di ossa – e non volevo sapere se erano ossa umane o meno – e una furia ci trasportava come topi in gabbia. Quando la creatura si accorse che mi ero svegliato, mi salutò con un ringhio stridulo.
«Ciao anche a te!» borbottai.
Thesis era poco distante, china su Nico che sembrava privo di sensi.
«Come sta?» chiesi, preoccupato.
«Ha usato tantissima energia per cercare di proteggerci da quegli spiriti. Avrà bisogno di un po' di riposo e di ambrosia e si riprenderà.» rispose Thesis, apparentemente tranquilla.
Quando però mi guardò negli occhi, vidi una profonda preoccupazione e angoscia. Per lei Nico sembrava già importante e il suo affetto era evidente nei gesti che dedicava al fratellastro per curarlo e farlo stare meglio. Non avrebbe mai potuto sostituire Bianca per Nico, ma ero sicuro che sarebbero andati d'accordo e si sarebbero fatti bene a vicenda.
«Questa simpaticona ci sta portando da Ade?» domandai retoricamente lanciando un'occhiataccia alla furia.
Annabeth annuì, facendo spallucce. «Non vedo l'ora di rivederlo!» affermò con tono ironico.
Nel giro di qualche minuto fummo alle porte del grande palazzo di Ade; il suo Olimpo di marmo nero. La furia planò all'interno e ci lasciò in custodia a due cani infernali enormi e bavosi che ci trascinarono davanti al trono del dio dei morti. Lui era seduto comodamente a grandezza naturale – quindi dieci volte più alto di me –, in attesa. Il suo portamento da dittatore, il trono di ossa e l'aura spaventosa erano esattamente come me li ricordavo. Anzi, forse peggio.
«Fategli uscire!» ordinò con voce piatta.
Uno dei segugi agganciò il chiavistello della gabbia e l'aprì. Thesis uscì per prima, sorreggendo Nico che nel frattempo si era svegliato e sembrava conscio della situazione. Annabeth ed io li seguimmo, sempre all'erta.
«Figlioli, sono quasi commosso che siate tornati a casa.» esordì, fingendo di asciugarsi una lacrima dalla guancia. «E, mio caro nipote, come stai? È da tanto che non ci vediamo.» aggiunse, salutandomi con un gesto della mano.
«Ehm, potrebbe andare meglio. Casa tua non è tanto accogliente.» ribattei, facendo scaturire un ghigno divertito nel volto di mio zio e guadagnandomi un'occhiataccia da Annabeth.
Già, forse non avrei dovuto essere così irrispettoso e arrogante, ma era più forte di me.
«Figlia di Atena.» salutò Ade spostando il suo sguardo verso Annabeth e mimando un inchino con la mano e il capo.
Annabeth s'irrigidì, abbozzò un movimento con la testa e tornò all'erta.
«Ora, potete dirmi cosa ci fate nel mio regno?» chiese Ade, aumentando la voce di qualche ottava in tono animato.
Non era affatto contento di vederci, intuii.
Thesis si fece avanti, per niente intimorita dall'ira di suo padre. «Papà, sono stata io-»
«Alt. Figliola, ricordi quando ti ho chiesto se saresti stata in grado di salvare tua madre? Cosa mi hai risposto?» domandò Ade, cercando di mantenere un certo controllo.
«Che sarei stata in grado di farlo, ma-» tentò di dire Thesis.
«Allora perché sei andata in quel Campo dove nemmeno rispettano tuo padre?» gridò Ade, evidentemente infastidito. «Perché hai chiesto aiuto a quell'inutile centauro e a quell'ubriacone di un dio e ti sei portata dietro questi buoni a nulla?» aggiunse, fuori di sé dalla rabbia.
I suoi occhi di anime inquiete si agitarono, cambiando colore da sfumature chiare a sfumature più scure. Era furioso, ma cercai di non farmi intimorire. Non mi piaceva essere chiamato buono a nulla, soprattutto perché qualche anno prima anche Ade aveva avuto bisogno di me per risolvere un problema.
«Non era tanto buono a nulla quando ti ho riportato indietro il tuo elmo, zio.» ribattei, in tono offeso e arrabbiato.
«Era la fortuna del principiante!» affermò convinto, senza degnarmi di uno sguardo.
«Papà, Thesis ha fatto la cosa giusta. Insieme riusciremo a portare a termine la missione.» sostenne Nico, con una tale convinzione che quasi gli credetti anche io.
«Oh, non metto in dubbio che avrete successo. Troverete Persefone e la falce e porterete entrambi da me, altrimenti vi condannerò a vagare per i Campi della Pena per l'eternità!» fece Ade, ghignando come al solito.
Per quanto la minaccia mi facesse rabbrividire, c'era qualcosa nella frase di mio zio che mi fece riflettere.
«Tu non sai dov'è la tua falce. Hai detto che dobbiamo trovare Persefone e la falce. Tu non puoi dirci dove si trova la tua arma perché nemmeno tu lo sai!» dissi all'improvviso, puntando un dito accusatorio contro il diretto interessato.
Ade chinò il capo, accusando il colpo della mia accusa. «Solo Persefone sa dove si trova la falce. L'ha nascosta per far sì che non cadesse in mani sbagliate e me l'avrebbe data solo se ne avessi avuto bisogno.» spiegò, guardando un punto lontano, come se stesse ricordando un momento preciso del passato.
«Quindi siamo punto e a capo?» chiese Annabeth, frustata.
«Le cose non cambiano: se non salverete Persefone e la falce da Crono, i Campi della Pena vi aspettano.» ringhiò Ade, infastidito.
Scossi il capo. Non mi aspettavo certo un aiuto da parte di Ade, ma la missione si preannunciava ancora più difficile di quanto già non fosse.
Thesis si avvicinò a me. «Andiamocene.» disse, prendendomi la mano.
«Non ve ne potete andare senza le perle.» intervenne Ade, come se fosse una cosa ovvia.
«Nico ed io entriamo e usciamo dagli Inferi come e quando vogliamo. Percy e Annabeth viaggeranno con noi. Adesso, papà, noi ce ne andiamo. Porteremo a termine la missione, con o senza il tuo aiuto.» ribatté Thesis, e il suo tono aveva dentro tanta delusione e tanto odio che Ade non osò dire nulla.
Annabeth, Nico, Thesis ed io ci schierammo, ci prendemmo le mani e viaggiammo. Non sapevo dove saremo finiti, bastava che andassimo il più lontano possibile dagli Inferi.
 
Ci ritrovammo in una stazione. Il viaggio fu meno terribile del precedente, ma non appena arrivammo Annabeth ed io dovemmo comunque sederci in delle seggiole per riprenderci un attimo.
Thesis prese a guardarsi intorno, spaesata. Non aveva mai visto nulla all'infuori dell'Inferno, doveva trovare quel posto – e ogni posto in generale – davvero bizzarro.
«Dove siamo?» domandò Annabeth, cercando qualche indicazione in giro.
«Stazione ferroviaria di Denver.» lesse Nico da un cartello.
«Perfetto. Siamo senza indizi, non sappiamo dove andare e siamo bloccati in una città a caso!» si lamentò Annabeth, prendendo un respiro per stare calma.
Non potevo darle torto. Eravamo senza meta e a Denver potevamo sopravvivere sì e no due giorni, poi avremmo finito i soldi e saremmo finiti a vagare in lungo e in largo senza sapere cosa fare. E poi ci aspettavano i Campi della Pena. Un quadro molto allettante.
«Perché ci avete portato qui?» chiesi, spostando lo sguardo tra i due fratelli.
Nico scosse il capo. «Io stavo tornando al Campo, ma Thesis ha tirato verso un'altra direzione. È più forte di me, ha avuto la meglio lei. Ed eccoci qui.» spiegò, facendo spallucce.
«Non so perché, ma questo posto, questa città, mi dice qualcosa. Accadrà qualcosa qui, in questa Denver. Dobbiamo solo aspettare.» assicurò la dea, guardandoci in cerca di approvazione.
Era incredibile come in soli due giorni avessi cambiato idea su Thesis: all'inizio avevo paura di lei, del suo portamento autoritario e della sua forza. Ora invece mi faceva quasi pena: la sua infanzia doveva essere stata terribile – tra genitori non del tutto dolci e gentili e luoghi dove vivere davvero penosi – e il suo atteggiamento non era più ostile come quando ci eravamo conosciuti. Alla fine, ero convinto che saremo andati d'accordo.
«Va bene. Aspettiamo.» sostenne Nico.
Era l'unica cosa che potevamo fare, aspettare. Così mettemmo insieme tutti i soldi che avevamo – e non erano tanti – e decidemmo di alloggiare nel motel più vicino.
Per fortuna ne trovammo uno a qualche chilometro dalla stazione. Il sole stava calando e non era l'ideale viaggiare di notte. Prendemmo una camera quadrupla, per non separarci, e ci sistemammo alla bene e meglio.
La stanza era molto povera – d'altronde il motel era il più economico; l'unico che potevamo permetterci: le pareti avevano una carta da parati con disegni floreali neri. Il soffitto era giallognolo e scrostato. I letti avevano tutti le lenzuola azzurre, ma erano talmente consumate che il colore stava diventando quasi bianco. L'unico lato positivo di quel posto, era il bagno in camera che era dotato di doccia, lavandino e gabinetto funzionanti, per fortuna.
Decidemmo di darci una rinfrescata e dormire un po' intanto che il fenomeno che Thesis aveva preannunciato si verificasse.
«Quindi credi che qui a Denver succederà qualcosa?» domandò Nico alla sorella, stendendosi nel suo letto.
Lo imitai, mentre Thesis si sedette eretta, come se avesse paura di posare la testa sul cuscino. Annabeth, intanto, canticchiava sotto la doccia.
«Non so, è come se qualcuno voglia che ci troviamo qui. Forse sto solo dicendo stupidaggini, e non succederà nulla, ma comunque non abbiamo nient'altro a cui aggrapparci, quindi...» rispose la dea.
Restammo in silenzio per un po', tanto che quasi mi addormentai, stremato dagli avvenimenti. Solo che all'improvviso Annabeth cacciò un urlo dal bagno e Nico, Thesis ed io balzammo in piedi, spaventati.
Mi precipitai alla porta e nemmeno feci in tempo a bussare che Annabeth aprì, un asciugamano addosso e i capelli gocciolanti. «C'è qualcosa nel lavandino.» boccheggiò, troppo sorpresa per spiegare.
Guardai Thesis e Nico e poi entrai nel bagno, affacciandomi nel lavandino. Quello che vidi fu molto strano: Persefone era legata a delle catene di ferro. Sembrava che fosse in una grotta e guardava dritto verso di me.
Prima che potessi reagire – insomma, non capita tutti i giorni di ritrovarsi una dea nel lavandino -, Thesis si fece avanti e si chinò per guardare anche lei. «Mamma.» fece, incredula.
«Figliola, sapevo che avresti seguito il tuo istinto. Sei arrivata esattamente dove volevo.» ribatté la dea, e solo a quel punto mi accorsi che quello era un messaggio-Iride.
I messaggi-Iride erano molto usati tra gli dei: bastava gettare una dracma in una fonte d'acqua, dire con chi volevi parlare e puff, ecco che ti ritrovati il destinatario della chiamata davanti. Meglio di un cellulare!
«Mamma, cosa ti stanno facendo?» domandò Thesis, preoccupata.
«Sto bene, stai tranquilla. Ma non abbiamo tempo, devo dirti come arrivare alla falce di tuo padre prima dei mostri di Crono. Ci sono delle prove da superare. Ho chiesto a degli amici di custodire la falce, per far sì che nessuno potesse impossessarsene senza superare determinate prove. Troverai la prima prova proprio lì a Denver.» spiegò la dea, a bassa voce per paura di essere sentita. «Ora devo andare. Se riuscirò, mi farò sentire di nuovo.» concluse, tra interferenze date dal collegamento.
«Aspetta, mamma. Dove ti trovi?» provò a chiedere Thesis, ma la chiamata finì senza che ricevesse risposta.
La dea restò qualche minuto a guardare il lavandino, poi si asciugò il viso – probabilmente le era scesa qualche lacrima, e non potevo biasimarla – e si voltò verso di noi. «Dobbiamo trovare l'indizio. Dobbiamo salvare mia madre a tutti i costi.» disse, con tanta determinazione che anche io fui investito da nuova forza.














SPAZIO ALIS: Chiedo scusa per il ritardo - sempre che qualcuno stesse aspettando il nuovo capitolo ;)
Ed eccoci al sesto capitolo, l'ultimo capitolo che ho pronto e il settimo non ha intenzione di scriversi, quindi, abbiate pazienza se tardo!
In questo capitolo incontriamo Ade: bene, sappiate che io amo Ade e spero con tutta me stessa che sia abbastanza IC! <3
Il titolo del capitolo si riferisce, ovviamente, alla chiamata-Iride che ricevono in albergo. Perché il titolo si riferisce alla parte finale del capitolo? Perché anche lo zio Rick fa queste cose, infatti anche nei libri il titolo si capisce quasi sempre a fine capitolo.
Spero che il capitolo sembri rialistico. Mi spiego meglio: vorrei sapere se fino ad ora sono riuscita a rispecchiare un po' le avventure che racconta Rick Riordan nei libri, rendendo le cose lineari e credibili. Fatemi sapere, così se qualcosa non va cerco di migliorare ;)
E niente, fatemi sapere anche se vi sta piacendo la storia con una recensioncina, su, non mordo!
Alla prossima - che non so quando sarà,
Alis

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Capitolo 7
*** Ci sfidano in una gara di canto ***


CAPITOLO 7
Ci sfidano in una gara di canto
 
Dopo il messaggio-Iride, la tensione divenne palpabile nella stanza.
Comunque, anche se sapevamo dove cercare, non sapevamo cosa ci sarebbe capitato davanti, così decidemmo di riposarci. In fin dei conti, io avevo ancora le spalle perforate dagli artigli della furia, Annabeth aveva subito un brutto colpo in testa e accusava dolori da tutto il giorno e Nico era ancora molto debole. L'unica che sembrava come nuova era Thesis, ma se ci fossimo trovato davanti qualcosa di davvero agguerrito, non avremmo avuto le forze per contrastarlo. Così ci coricammo, cercando di prendere sonno.
Thesis insistette per fare la guardia, ma sospettavo che ci fosse qualcos'altro sotto perché sembrava temere il letto come se fosse il mostro più terribile che avesse mai visto. Comunque, decisi di non fare domande e mi abbandonai in un sonno profondo.
 
Riuscii a dormire abbastanza bene, tanto che quando mi svegliai ero sufficientemente riposato per affrontare ogni genere di cosa. Le ferite alle spalle, grazie all'ambrosia, avevano smesso di bruciare e si erano ridotte a due chiazze rosse. Altre cicatrici che mi sarei portato dietro dalle mie mille avventure.
Anche ad Annabeth aveva giovato l'ambrosia: la sua ferita sulla fronte si era rimarginata e sembrava molto più in forma rispetto al giorno prima. Mi fece un gesto con la mano, a mo di buongiorno, e poi entrò in bagno con fare circospetto. Trovare Persefone nel lavandino l'aveva davvero turbata, intuii.
Thesis era ritta nel letto esattamente come l'avevo vista prima di addormentarmi la notte prima. Aveva lo sguardo perso lontano, come se stesse vedendo cose che stavano avvenendo a mille mila chilometri di distanza. Nico russava ancora e borbottava qualcosa nel sonno. Immaginai che dovesse sentirsi ancora parecchio stanco per le forze che aveva utilizzato contro gli scheletri.
«Buongiorno.» salutai.
Thesis si voltò verso di me, mi fece un sorriso tirato e poi tornò a guardare lontano.
In quel momento, Nico si svegliò di soprassalto. Si guardò intorno, per capire dove fosse, e si rilassò.
 
Passammo la mattinata a prepararci e a fare l'inventario di tutto quello che avevamo a nostra disposizione per il viaggio. Oltre alle nostre armi, potevamo contare su qualche confezione di carne essiccata e caramelle, una decina di dollari, corde e ganci – che Annabeth aveva insistito per portare – e qualche cambio d'abito. Non eravamo messi così male.
Decidemmo di usare un po' di soldi per pranzo, dato che era dal giorno prima che non mangiavamo nulla, così andammo nel self-service del motel. Non mi resi conto di avere così tanta fame fino a che non arrivò la mia ordinazione. Avevamo ordinato tutti una bistecca e delle patatine e l'aspetto che avevano era delizioso. Trangugiammo tutto in pochi minuti, con Thesis che ci guardava divertita: non aveva mai visto nessuno tuffarsi sul cibo come stavamo facendo io, Annabeth e Nico.
Quando anche Thesis ebbe finito il suo pranzo – stupendosi di quanto il cibo sulla Terra fosse buono – ci dirigemmo alla cassa per pagare.
Accanto al banco dove si trovava la cassa c'era una bacheca per gli annunci ricoperta di volantini di vario genere.
Nico si avvicinò a leggerne qualcuno, fino a che non ne trovò uno che sembrò interessarlo particolarmente. «Ehi, ragazzi, guardate qua.» fece, mostrandoci il foglio.
A caratteri di un rosso acceso c'era scritto “Gara di canto - Il rifugio delle Muse”. Qualcosa mi stuzzicò la memoria: le Muse.
Ci scambiammo uno sguardo tutti e quattro.
«Pensate che possano essere quelle Muse?» domandai, dando voce ai pensieri di tutti.
Annabeth prese il foglio dalla mano di Nico e iniziò ad osservarlo con attenzione. Oltre all'intestazione scritta in rosso, nel foglio c'era scritto un indirizzo e c'era il disegno di quello che doveva essere il locale chiamato “Il rifugio delle Muse”. Sembrava un locale raffinato, per gente chic. La gara di canto, pensai, sarebbe stata su canzoni liriche.
«E' senza dubbio un posto gestito dalle Muse, guardate questo simbolo.» Annabeth indicò l'ingresso del locale: sfocato e appena visibile per via della bassa qualità del volantino c'era un simbolo greco che non avevo mai visto. «E' il simbolo delle Muse.» chiarì la mia amica.
«Credete che possa essere la prova che diceva Persefone?» chiese Nico, guardando soprattutto la sorella.
Thesis non disse nulla. Prese il foglio dalle mani di Annabeth e uscì dal self-service a passo di marcia. Nico le andò dietro subito; Annabeth e io pagammo il pranzo e li seguimmo a ruota. Era l'unico indizio che avevamo ed ero sicuro che ci avrebbe portato in un mare di guai.
 
Il locale visto da fuori era parecchio suggestivo: assomigliava ad un tempio greco, con colonne di marmo bianco all'ingresso che reggevano un tetto spiovente di un nero lucido. La porta era di legno scuro e le maniglie di ottone. Non sembrava affatto un locale dove si sarebbe potuta svolgere una gara di canto.
Entrammo con la guardia ben alta e le mani pronte ad afferrare le armi.
Dei divanetti bianchi erano disposti per tutta la spaziosa stanza con tavolini di vetro davanti. Un bancone era sulla sinistra e un palchetto era in fondo alla sala. Le luci erano soffuse per creare atmosfera e una musica di sottofondo riempiva l'ambiente. Qua e la, appesi ai muri, c'erano raffigurazioni di scene greche: il quadro più grande, posto nel muro sopra al palchetto, rappresentava nove donne vestite con abiti greci, tanto belle da mozzare il respiro quanto temibili.
«Quelle sono le Muse. E ho l'impressione che le incontreremo presto.» mormorò Nico, guardandosi intorno sempre all'erta.
Il posto era già colmo di gente. Erano rimasti pochi divanetti liberi e davanti al bancone la gente era ammassata come sardine in una scatola.
Una donna dai biondi capelli raccolti e vestita come una segretaria ci accolse con un sorriso. «Benvenuti a “Il rifugio delle Muse”. Se volete partecipare alla gara di canto dovete iscrivervi lì...» disse, indicando il bancone. «...altrimenti, potete godervi lo spettacolo-»
«Vogliamo vedere Calliope.» la interruppe Thesis con fare autoritario.
Sentendo quel nome mi ricordai che Calliope era considerata la Musa più importante. Doveva essere lei a gestire il locale e Thesis sembrava sapere che qualunque risposta l'avremmo avuta solo da lei in persona.
«Chi la cerca?» domandò la segretaria, diventando seria di colpo.
Il suo sguardo era tagliente, come se fosse infastidita e arrabbiata al tempo stesso. Sorridente era sicuramente più bella.
«La figlia di Persefone.» rispose Thesis senza accennare ad un tentennamento.
La lotta di sguardi tra le due sembrò durare un secolo, tanto che Annabeth, Nico ed io ci ritrovammo a guardarci, a disagio.
«Seguitemi.» fece infine la segretaria.
Ci guidò verso una porta che si trovava in fondo al locale. Entrammo e iniziammo a salire una rampa di scale. Alla fine della salita, la segretaria aprì un'altra porta che ci portò dentro ad uno studio. Delle cassettiere erano poste alla sinistra e alla destra delle stanza, una scrivania era al centro, posta davanti ad una finestra che dava sulla campagna circostante.
Seduta su una sedia dietro alla scrivania c'era una donna stupenda: aveva i capelli color caramello, gli occhi azzurri come l'acqua più limpida del mare. Lunghe ciglia, labbra rosse e guance rosee. Si alzò e ci accolse con uno sguardo curioso. Indossava un vestito da sera rosso lucido con delle balze che le scendevano dalla vita alle gambe che le stava divinamente.
Mi accorsi di starla fissando solo quando Annabeth mi diedi una gomitata dritto nelle costole. Nico, accanto ad Annabeth sembrò svegliarsi da un lungo sonno solo quando lei gli scosse la mano davanti agli occhi.
«Posso esservi utile in qualcosa?» ci chiese Calliope con voce melliflua.
Se non ci fosse stata la minaccia di Annabeth accanto a me che avrebbe potuto prendermi a schiaffi, mi sarei messo a fissare di nuovo la Musa con la bava alla bocca.
«Sono semidei.» sputò velenosa la segretaria.
«Suvvia, Urania, sii gentile con loro.» fece Calliope in tono di rimprovero verso la sorella. «Cosa vi porta qui?» aggiunse, rivolgendosi a noi.
«Quale prova bisogna superare per avere l'indizio per trovare la falce di Ade?» chiese diretta Thesis, con le braccia incrociate al petto e l'aria infastidita.
Non vedeva l'ora di andarsene da lì e anche Annabeth sembrava voler fuggire.
«Oh, mia cara, non posso certo dare l'opportunità di superare la prova a chiunque. Posso sapere chi sei?» domandò la Musa, sempre con il suo sorriso in viso.
«Sono Thesis, la figlia di Ade e Persefone.» rispose la dea, senza esitazione.
«Come posso sapere che stai dicendo la verità?» ribatté Calliope, guardando Thesis con fare indagatore.
Thesis non disse nulla. Chiuse gli occhi e all'improvviso ombre e anime e spiriti iniziarono a vorticare intorno a lei come se nascessero direttamente dal suo corpo. Emanava un calore quasi mortale per qualunque corpo umano, ma lei sembrava non soffrire nulla. Aveva un'aura intorno che la rendeva temibile, quasi inarrivabile per chiunque.
Calliope sembrò colpita e intimorita al contempo. Si era alzata dalla sedia per poter vedere meglio Thesis e cambiava il peso della gamba ad intervalli regolari.
«Bene.» disse, non appena Thesis tornò a guardarla con fare di sfida. «Parteciperete alla gara di canto. Dovrete vincere se volete l'indizio per arrivare alla falce, e sarà il pubblico a giudicare. Se perderete, sarete trasformati in gazze.» spiegò, come se stesse parlando a bambini dell'asilo. Non ci stava prendendo sul serio, o era convinta che avremo perso. Insomma, ci dava già per spacciati quindi non si scomponeva più di tanto. «Oh, e la vostra avversaria sarò io!» aggiunse, con un sorriso glaciale.
Rabbrividii d'istinto a vedere quel viso così bello adornato da un sorriso tanto terribile.
Nella stanza calò la tensione: sentivo il pericolo respirarmi nel collo e anche i miei amici erano rigidi e tesi come corde di violino.
«Potete andare.» ci congedò Calliope, tornando a sedersi senza degnarci più di uno sguardo.
Urania, che era rimasta nella stanza in silenzio, ci fece segno di seguirla, e il suo sorriso era tanto largo e soddisfatto che quasi mi venne l'istinto di scappare dalla finestra.
Scambiai uno sguardo con Annabeth e capii che la situazione si metteva male.
Urania ci riaccompagnò nel locale. «Aspettate qui.» ci disse, per poi allontanarsi verso una ragazza che era seduta poco lontano.
Le due scambiarono qualche parola e poi Urania tornò da noi accompagnata dalla ragazza. «Lei è Clio, mia sorella. Vi preparerà per la prova.» spiegò Urania, per poi andarsene con espressione trionfante.
Clio era una ragazza piccola e magra tanto da sembrare una bambina. Aveva un largo sorriso radioso, capelli biondi e occhi verdi come l'erba fresca. Era tanto carina e dolce che decisi che era la mia preferita tra le Muse che avevo conosciuto fino a quel momento.
«Io sono Clio, la Musa della storia. Sono colei che rende celebri, quindi farò di voi dei famosi cantanti.» trillò la Musa estasiata. «Avrete pony brillanti e armature dorate.» aggiunse, con voce sognante.
Poi perse lo sguardo lontano e saltellò via come se non ci avesse nemmeno visto.
Sembrava saltellare su una nuvola rosa fatta di zucchero a velo: capii, con mio grande rammarico, che non ci stava tanto con la testa. Ed ecco spiegato il sorriso di Urania prima che se ne andasse.
Lasciammo Clio ai suoi pony scintillanti e ci sedemmo nei divanetti del locale.
«Non abbiamo via di scampo. Finiremo come le Piche.» commentò Annabeth, con tanta rassegnazione che mi sentii soffocare.
«Le Piche?» chiesi, con il fiato corto.
«Il mito racconta che le Piche, le nove figlie del re della Tessaglia Pierio, sfidarono le Muse ad una gara di canto convinte di poterle battere. Bastò solo Calliope per far sfigurare le poverine. La punizione per il loro affronto fu l'essere trasformate in gazze. Faremo la stessa fine!» concluse, arresa.
«Non è detta l'ultima parola. Sarà il pubblico a scegliere chi vince e possiamo escogitare qualcosa per riuscire a battere Calliope.» disse in tono incoraggiante Nico.
Thesis rimase in silenzio, immersa nei suoi pensieri. Non parlammo per un po', tutti impegnati a cercare un modo per tirarci fuori da quella situazione, poi Thesis scattò come una molla, facendoci spaventare. «Ho trovato.» fece in tono vittorioso. «Nico ed io possiamo distorcere lo spazio e il tempo se ci concentriamo abbastanza. Nel momento in cui Calliope canta dobbiamo solo far sì che il pubblico senta e veda qualcos'altro, qualcosa che proviene dagli Inferi stessi. È difficile e faticoso, ma sono sicura che possiamo riuscirci.» spiegò con tanta fiducia nella voce che pensai che ce l'avremmo potuta fare.
Anche Nico sembrò fiducioso, e per quanto scettica sembrasse, anche Annabeth non ebbe nulla da dire in contrario.
«E chi di noi dovrebbe sfidare Calliope?» chiesi.
«Lo faremo insieme. Qualunque cosa canteremo o faremo, il pubblico la giudicherà sempre meglio di quello che vedrà quando canterà Calliope.» esclamò Thesis convinta, facendo spallucce.
La bella Calliope si presentò proprio in quel momento sul palco. Gli occhi di tutti – uomini e donne – erano puntati su di lei, incantati dalla sua bellezza.
La Musa picchiettò sul microfono per verificare se fosse acceso e poi prese a parlare con la sua voce melliflua che avrebbe incantato chiunque. «Buonasera a tutti, signori e signore. Oggi vi proporremo una gara di canto un po' particolare. Infatti, sarete proprio voi del pubblico a giudicare e a scegliere il vincitore.» fece una pausa, più scenica che utile e poi tornò a rivolgersi agli spettatori. «Vi presento gli sfidanti: Thesis, figlia di Ade e Persefone e i suoi amici.» fece, invitandoci a salire sul palco.
Ci scambiammo uno sguardo e raggiungemmo la Musa, che sorrideva sempre con cordiale malignità. Faceva venire i brividi.
Le altre Muse erano al lato destro del palco. Le riconobbi perché erano bellissime e luminose. Sembrava che stessero assistendo alla nostra esecuzione e nel viso aveva un'espressione compiaciuta. A parte Clio, che sembrava in un altro pianeta e sorrideva con occhi vacui.
«Bene, possiamo dare il via alla gara. Divertitevi e siate pronti a dire la vostra.» Calliope strizzò l'occhio al pubblico con fare complice e poi ci diede i microfoni. «Buona fortuna.» disse, ma dal suo tono si capiva che ci stava augurando una buona fine.
Afferrammo tutti e quattro i microfoni, incerti. Ci scambiammo qualche sguardo per qualche minuto, fino a che Annabeth non partì con una canzone che aveva tutta l'aria di essere una ninna nanna. La sua voce era incerta, ma dopo le prime parole s'immerse nella canzone e si rilassò. Nico, Thesis ed io le andammo dietro, facendo coretti inventando parole là dove ci perdevamo. Sembravamo come un'orchestra mal organizzata: non eravamo così pessimi, ma non avremmo mai potuto eguagliare Calliope nemmeno se ci fossimo preparati una canzone molto tempo prima.
Finimmo di cantare e il pubblico sembrò apprezzare – non saprei dire se avesse davvero apprezzato la canzone o il fatto che avessimo finalmente smesso.
Annabeth sembrò improvvisamente imbarazzata per la sua performance, ma mi sentii in dovere di rassicurarla. «Sei stata bravissima!» le disse. E non mentivo, la sua voce era davvero stupenda.
Calliope ci raggiunse sul palco con espressione gioiosa, come se avesse già vinto. E probabilmente sarebbe stato così, se non avessimo avuto un asso nella manica.
«Bene, facciamo i complimenti ai nostri ospiti.» fece la Musa, ma al contrario delle sue parole, sembrava volersi staccare le orecchie pur di non sentire mai più le nostre voci.
Scendemmo dal palco e ci affiancammo alle altre Muse che ci guardarono come se fossimo vermi da schiacciare.
«Di cosa avete bisogno per farci vincere?» domandai a bassa voce a Thesis e Nico.
«Concentrazione. E dovete distrarre le Muse in modo che non si accorgano di nulla!» ci raccomandò la dea, per poi voltarsi dal fratello. «Sei prono?» domandò.
Nico annui, non del tutto convinto. Da quando aveva conosciuto Thesis si stava impegnando e stava usando le sue capacità al massimo: per lui era tutto nuovo, soprattutto riavere una sorella.
«Bene, adesso tocca a me. Spero di riuscire a fare meglio dei miei avversari.» disse Calliope e poi rise divertita, come se avesse detto un'assurdità.
La Musa si concentrò, prese qualche respiro e poi, non appena partì la base iniziò a cantare. Se non avessi avuto un compito – ovvero distrarre le altre Muse e permettere a Nico e Thesis di concentrarsi - mi sarei seduto per terra e avrei ascoltato Calliope, rapito. Invece Annabeth mi diede un leggere colpo sul braccio e ci posizionammo con fare protettivo vicini a Nico e Thesis. I due fratelli si presero le mani e cominciarono ad intonare una litania.
Le altre otto Muse furono attratte dalle parole dei fratelli e si voltarono a guardarli. I loro occhi s'illuminarono di rosso e partirono subito all'attacco. Intanto il pubblico iniziò a sgranare gli occhi e a tapparsi le orecchie: il trucco di Nico e Thesis stava funzionando.
Con Annabeth cominciammo ad affrontare le Muse: una aveva lunghi capelli neri legati in una particolare acconciatura e occhi che lanciavano scintille rosso fuoco. Sul viso aveva una maschera nera e bianca e se la mia conoscenza mitologica non m'ingannava doveva chiamarsi Melpomene. Se possibile, era anche più terribile di Urania. Era armata di spada e bastone – l'unica con delle vere armi, le altri avevano in mente di batterci con strumenti musicali o a mani nude – e sembrava pronta a sbattermi entrambi gli oggetti nella testa. La schivai per un pelo e lei ringhiò rabbiosa.
«Come osi sfidarmi? Questo è il bastone di Ercole, nessuno sopravvive ai suoi colpi!» m'informò la Musa, come se volesse incoraggiarmi a gettarmi di mia volontà contro al bastone.
«Meno male che l'ho evitato, allora!» dissi, andandole contro con la spada sguainata.
Lei evitò qualche colpo, ringhiando, ma quando la presi alle spalle non poté fare a meno di restare trapassata da Vortice. Si agitò un po' e poi scomparve come tutti i mostri.
Le altre Muse mi guardarono, stupite e furiose, pronte a farmi fuori per aver ucciso la loro sorella.
Thesis e Nico continuavano la loro cantilena. Annabeth si fece avanti prima che tutte le Muse mi si scagliassero contro e ne uccise due con il suo coltello. Quelle gridarono e sparirono.
All'improvviso, Calliope interruppe la sua canzone. Il pubblico la guardò terrorizzato e poi corse fuori dal locale.
«Abbiamo vinto!» urlò subito Thesis, prima che la Musa maggiore uccidesse sia me che Annabeth.
«Avete barato e avete ucciso tre delle mie sorelle.» urlò Calliope furiosa.
«Tu non hai dato alcuna regola per la gara: nessuno ci ha detto che non avremmo potuto impedire che tu vincessi. La vittoria va a noi dato che il pubblico ci ha applaudito. Allora, devo aspettare ancora molto prima di sapere l'indovinello di mia madre?» concluse Thesis, impugnando Psichì nella sua cintura con fare minaccioso.
Calliope soppesò ogni dettaglio, in cerca di un punto debole, ma bastò che Annabeth, Nico ed io impugnassimo le nostre armi e la Muse si rese conto di non avere più scampo.
«Vi dirò l'indovinello, ma vi giuro, sulle mie sorelle cadute, che non è finita qui!» ci minacciò guardandoci con occhi inviperiti. «L'indovinello dice:“L'oggetto che cerchi, non sarà della forma che ti aspetti.”» recitò infine.
«Se stai mentendo, torneremo e non saremo così gentili come ora.» fece Nico, per poi lanciare un occhiolino alle sei Muse rimaste e voltarli le spalle.
Loro ringhiarono all'unisono e, dopo esserci scambiati uno sguardo tra noi, Annabeth, Thesis ed io seguimmo Nico fuori dal locale.
Avere il primo indizio era stato relativamente facile – se non si contava il rischio di essere trasformati in gazze e la lotta con le Muse -, ma ero sicuro che ottenere i due indizi restanti sarebbe stato molto più rischioso.








SPAZIO ALIS: Buonasera (o meglio, buonanotte!).
Lo so, sono in un tremendo ritardo, ma vedo che comunque le recensioni non arrivano, quindi mi chiedo per chi io stia postando... XD
A parte ciò, siccome ci tengo davvero a questa storia, non mi va di farla marcire nel mio pc, e quindi anche se nessuno la calcola io la posto lo stesso ;)
Ed ecco, quindi, il settimo capitolo.
Niente, non aggiungo altro. Spero che qualcuno mi dica cosa ne pensa!
Ah, dico solo che il mito delle Muse e delle Piche l'ho preso dalla Divina Commedia, precisamente dal Purgatorio.
E basta.
Alla prossima,
Alis

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Capitolo 8
*** Una vecchietta e il suo cane vogliono mangiarci ***


CAPITOLO 8
Una vecchietta e il suo cane vogliono mangiarci
 
Usciti dal locale delle Muse, decidemmo di allontanarci il più possibile da Denver per evitare un'immediata vendetta da parte di Calliope.
Eravamo stanchi, sporchi e ammaccati, ma non avevamo molto tempo per trovare la falce e salvare Persefone quindi fermarci a riposare non era un'ipotesi contemplata.
L'istinto di Thesis ci direzionò verso Kansas City, così salimmo sul primo treno e viaggiammo verso la nostra nuova meta.
Ci sistemammo in una cuccetta da soli e la prima parte del viaggio la passammo a cercare di capire cosa volesse dire l'indovinello lasciatoci da Calliope.
«“L'oggetto che cerchi, non sarà della forma che ti aspetti.”» recitò Nico, come se fosse una cantilena.
«Beh, sembra fin troppo chiaro.» esclamai, facendo spallucce. «Non dobbiamo cercare una falce anche se è proprio quello che stiamo cercando.» spiegai, rendendomi conto di quanto fosse illogica quella situazione.
«Certo, sarà davvero semplice trovare qualcosa che non stiamo cercando affatto.» sbuffò Annabeth, e non potei che darle ragione.
Avevo ben imparato quanto difficile fosse interpretare le profezie e tutto ciò che riguardasse gli dei. Non avevano nulla di semplice, tutto doveva essere detto per enigmi e tu ti dovevi scervellare per capire. Era uno degli aspetti divini più fastidiosi!
Thesis sembrava pensierosa: probabilmente quell'indovinello non aveva nessun senso logico nemmeno per lei e capivo che potesse sentirsi poco fiduciosa sulla riuscita della missione e preoccupata per sua madre. La capivo, perché anche io ero stato preoccupato di non riuscire a salvare mia madre dagli Inferi.
«Non abbattiamoci. Questo è solo il primo indovinello, appena avremo gli altri due, le cose andranno meglio.» cercò d'incoraggiarci Nico, e prese la mano di sua sorella con fare affettuoso.
Nonostante fosse il più piccolo e avesse passato tante cose nella sua vita, sembrava in grado di dare coraggio a tutti noi. Voleva davvero avere successo nella missione e ce l'avrebbe messa tutta. Ammiravo Nico, soprattutto per essere riuscito a cavarsela da solo dopo aver perso sua sorella.
«Perché tua madre è amica delle Muse?» domandò Annabeth, cambiando argomento, forse per alleggerire la tensione.
«A volte è meglio avere qualcuno come amico che come nemico. Le Muse non sono potentissime, ma sanno essere molto capricciose e stancanti. Mia madre avrà preferito mantenerle buone piuttosto che doverle sopportare.» spiegò Thesis, facendo spallucce.
«Speriamo che gli altri suoi amici siano un po' meno aggressivi.» feci, per niente impaziente di dover rischiare di morire.
Il viaggio sarebbe stato abbastanza lungo, per cui decidemmo di cercare di riposarci e rifocillarci nel vagone ristorante del treno. Non ero sicuro che la foschia coprisse i tagli e lo sporco che avevamo tutti e quattro addosso, ma decidemmo lo stesso di rischiare perché avevamo davvero molta fame.
Il vagone ristorante era quasi vuoto, fatta eccezione per un'anziana signora seduta da sola ad un tavolo, un uomo e una donna che parlavano e si sorridevano e una donna con una bambina che stava divorando un cheeseburger.
Impaziente di imitarla, ci sedemmo ad un tavolo e aspettammo che la cameriera venisse a prendere le nostre ordinazioni.
Una ragazza bionda con indosso una divisa elegante si avvicinò al nostro tavolo armata di blocchetto. «Cosa vi posso portare?» domandò con fare cordiale, guardandoci un po' male.
Non la biasimavo: avevamo un aspetto orribile!
Comunque, prese le nostre ordinazioni – quattro cheeseburger, patatine, succo di mela e quattro frullati – e si allontanò verso la cucina.
Mi guardai intorno e notai che la vecchia signora ci fissava. Immaginai che fosse per i vari tagli, ma era uno sguardo più minaccioso che curioso.
«Conoscete quella signora?» provai a chiedere agli altri.
Thesis, Nico e Annabeth la guardarono, ma nessuno la riconobbe. D'altro canto, lei sembrava conoscere noi. Si alzò dal suo posto e solo in quel momento mi resi conto che con lei c'era un cagnolino tutto nero che la seguiva fedele. La nonnina e il cagnolino si avvicinarono al nostro tavolo.
Okay, se voi provate ad immaginare una vecchia nonnina tutta rughe e acciacchi e un piccolo cagnolino che non farebbe male ad una mosca non ci trovate nulla di inquietante, ovviamente. Nemmeno noi ci trovammo nulla di pauroso in lei, finché non prese a diventare più alta e con lei il cane. I vestiti le si strapparono di dosso e rivelarono un corpo completamente ricoperto di peluria. Il viso le si allungò e prese le sembianze di un muso. Gli occhi divennero rossi come il sangue e le unghie si allungarono fino a diventare terribili artigli. Il cane era altrettanto brutto e altrettanto spaventoso: dalla schiena le uscirono due ali, troppo spesse per volare, ma abbastanza acuminate e pesanti da fare parecchio male. Divenne alto fino al soffitto del treno e anche i suoi occhi divennero rossi.
«Dammi la falce...» ringhiò la donna con voce gracchiante.
Prima che lei potesse tranciarci in due con i suoi artigli, tutte e quattro rotolammo sotto al tavolo e scampammo l'attacco.
«Chi diavolo è questa?» chiese Nico.
Annabeth, Thesis ed io scuotemmo la testa.
«Chiunque sia, non è amichevole!» affermò Thesis, richiamando a sé la sua spada.
La imitammo e ci armammo con le nostre armi, pronti ad attaccare.
Ci dividemmo: Nico ed io rotolammo verso destra, mentre Thesis ed Annabeth andarono a sinistra. Quando ci alzammo in piedi, pronti ad attaccare, i nostri due nemici erano pronti alla carica. Il cane puntò il suo muso verso le ragazze e ringhiò. La nonnina si voltò verso di noi e sogghignò, mostrando una fila di denti grigi e storti.
«Mi darete quella falce.» fece con sicurezza la donna-scimmia. «Vi ucciderò uno alla volta fino a che uno di voi non mi dirà dove trovare quell'arma.» aggiunse, convinta che il suo piano avrebbe funzionato.
«Non sappiamo dove si trova l'arma.» gridò Annabeth, menando un fendente alla zampa del segugio che stava provando ad afferrarla.
«Chi diavolo sei?» urlò Thesis puntandole contro la sua spada con fare minaccioso.
Il mostro si voltò verso di lei e rise di gusto. «Chiunque io sia non t'importa.» rispose con voce gracchiante. «Vi farò fuori e prenderò la falce!» aggiunse, gettandosi contro me e Nico.
Anche il cane si gettò contro Annabeth e Thesis e ci ritrovammo in una lotta uno contro due in due parti diverse del vagone. La donna-scimmia ci attaccò ripetutamente, cercando di non lasciarci riposo. Menò qualche colpo con gli artigli e tentò anche di morderci. Quasi mi azzannò una spalla, ma Nico fu veloce tanto da riuscire ad infilzarle la spada in un occhio. La donna ringhiò e urlò per il dolore, dimenandosi, ma non smise di tentare di azzannarci e colpirci. Anche Annabeth e Thesis non avevano un attimo di respiro: il cane le teneva sotto tiro con gli artigli, le ali e la coda. Sembrava perfettamente addestrato alla coordinazione dei movimenti, e quando una delle due provava a colpirlo, lui contrattaccava senza però perdere di vista l'altra. Thesis tentò di attaccarlo alle spalle, ma un'ala la colpì violentemente scaraventandola a terra. Annabeth cercò di approfittare della situazione e riuscì ad infilzare il suo coltello nella zampa del mostro, senza però fargli tanto male.
Anche la donna-scimmia si riprese e tornò all'attacco. Diede una zampata talmente improvvisa che mi ritrovai a gambe all'aria prima di riuscire anche solo a pensare. Nico mi coprì mentre mi rialzavo, ma anche lui non riusciva più a reggere la battaglia. Quei due mostri ci stavano facendo stancare. Forse il loro scopo era quello di farci tirare fuori la falce. Ma non potevamo tirare fuori qualcosa che non avevamo, maledizione!
Presi fiato e poi dovetti evitare un'altra manata della nonna. Riuscii a scivolarle alle spalle e prima che lei potesse vedermi, con tutta la forza possibile, le infilzai la spada dritta nella schiena, più in fondo che potei.
Lei si voltò verso di me, con una rotazione del collo da far paura. All'inizio rimase immune al colpo e mi guardò con uno sguardo omicida. Poi iniziò a fumare e sgretolarsi fino a che di lei non rimase solo un mucchio di cenere. Il cane guardò prima il mucchio di polvere poi noi e senza che potessimo attaccarlo, squarciò la parete destra del treno e si tuffò fuori lasciando solo un gran crepaccio.
Annabeth, Nico, Thesis ed io ci guardammo e poi ci accasciammo a terra, sfiniti. La cameriera entrò proprio in quel momento e fece un salto dallo spavento per il gran caos che c'era in quello che era stato il vagone ristorante. Non so cosa vedesse lei, ma doveva essere qualcosa di molto preoccupante data la sua espressione.
«È tutto a posto. Non è successo nulla.» tentò di tranquillizzarla Annabeth, senza però ottenere risultati.
La ragazza la guardò terrorizzata e poi corse via, verso la cabina del ferroviere.
«Okay, credo che dovremmo scendere da questo treno prima che si fermi e che la polizia ci arresti.» proposi.
Gli altri annuirono e ci dirigemmo alla nostra cabina per prendere le nostre cose. Riappropriatici di tutto, tornammo nella cabina ristorante e ci posizionammo davanti allo squarcio lasciato dal mostro.
Il vento ci arrivava dritto in faccia e quasi ci toglieva il respiro. Il paesaggio intorno era deserto: davanti avevamo una distesa gialla e più in fondo un grande bosco.
«Siete pronti?» chiese Thesis.
Ci scambiammo degli sguardi, ci prendemmo tutti e quattro per mano e, prima che qualcuno di noi potesse cambiare idea, prendemmo la rincorsa e ci lanciammo fuori, dritti nel campo giallo.
L'atterraggio fu abbastanza doloroso: l'impatto con il terreno mi fece vibrare tutta la spina dorsale fino ad arrivarmi alla testa. In più, i graffi e le ferite che mi aveva lasciato quella vecchia iniziavano a bruciare. Anche gli altri non erano messi bene: Thesis aveva una brutta ferita al braccio destro e grondava sangue ininterrottamente, Annabeth sembrava essere caduta male e si teneva la caviglia con un'espressione molto sofferente, Nico invece era quello messo meglio, ma dagli occhi si vedeva quanto fosse sfinito e debole. Per di più, non eravamo nemmeno riusciti a mangiare i cheesburger ed eravamo affamati.
«Non siamo al sicuro qui in vista, è meglio se ci nascondiamo in quel bosco.» dissi, alzandomi e aiutando Annabeth.
Lei si sorresse a me, mentre Nico aiutò la sorella a placare il sangue dalla sua ferita.
«Non è un bene che si sia sparsa in giro la voce che stiamo cercando la falce di mio padre. Tutti i mostri che ancora non hanno scelto da che parte stare, ci staranno addosso per rubarla.» fece Thesis, demoralizzata.
Quella giornata non era stata per niente positiva quindi potevo capire il suo sconforto. Stavamo svolgendo un'impressa pericolosissima e in più dovevamo anche stare attenti ai mostri che agognavano la falce. Era impossibile essere positivi in una situazione del genere.
Attraversammo i campi gialli e arrivammo al bosco. Ormai stava calando la notte, così decidemmo di accamparci in una radura apparentemente silenziosa e calma. Ci sistemammo a cerchio con i sacchi a pelo e accendemmo un lieve fuocherello. Annabeth tirò fuori l'ambrosia dalla borsa e ne distribuì un po' a ciascuno per rimetterci in forma. Io invece tirai fuori qualche barretta energetica che avevo preso nel treno e ne diedi una a testa. Mangiammo in silenzio e altrettanto in silenzio ci sistemammo le ferite. Annabeth ebbe bisogno di una stecca alla caviglia, mentre Thesis fu costretta a legarsi un panno intorno al braccio per far rimarginare la ferita. Nico ed io ci sistemammo i tagli, ma eravamo più in forma rispetto alle ragazze perché la nonnina non aveva grosse ali che ti colpivano ripetutamente. Alla fine decidemmo di dormire a turno. Thesis si offrì per fare la prima guardia, così mi accasciai per terra, nel freddo sacco a pelo e mi addormentai all'istante.
 
Quando mi svegliai per il mio turno di guardia, Thesis aveva lo sguardo fisso davanti a sé e sembrava entrata in una profonda trance. Non si accorse di me nemmeno quando le scossi la mano davanti agli occhi, così dovetti chiamarla per farla riprendere. Per tutta risposta, mi afferrò il polso e mi puntò un coltello alla cola.
«Ehi, ehi, sono io.» dissi, cercando di liberarmi.
Lei mi guardò più profondamente, come se mi stesse mettendo a fuoco e mollò la presa. «Scusa.» disse solo.
Mi sedetti accanto a lei. «Puoi andare a dormire, se vuoi.» feci, anche se ero convinto che dormire non le piacesse molto.
Anche quando mi ero svegliato il giorno prima, in albergo, sembrava che lei non avesse chiuso occhio.
«Non dormo da molto tempo, ormai. Non ne ho bisogno, ma soprattutto non voglio.» sussurrò lei, senza che io la forzassi a dire nulla.
Non chiesi niente, lasciai che fosse lei a parlare liberamente, se se la sentiva.
Passarono pochi minuti e poi continuò. «Gli Inferi non sono un bel posto, ovviamente. Io abito nell'Elisio, ma ho visitato anche i Campi della Pena e ho visto cose tremende in quei luoghi. Cose talmente tremende che posso ancora vederle se chiudo gli occhi. Cose che mi fanno mancare il respiro. Come dea del Tartaro tutte quelle cose non dovrebbero farmi così male, ma è terribile ciò che accade lì. Non dormo per questo, per non rivivere nemmeno uno di quei momenti.» concluse con una nota di tristezza nella voce.
Mi sentii molto in pena per lei, ma non lo diedi a vedere perché sapevo che non era quello che lei voleva. Invece, senza dire nulla, posai la mano sulla sua e restammo entrambi in silenzio ad ascoltare i rumori della notte.









SPAZIO ALIS: *squillano le trombe e suonano i tamburi* SONO TORNATA!!!
Eccomi di nuovo qui, dopo ventordici secoli, con un nuovo capitolo di questa long.
Perché ci ho messo tanto? Il tempo, in primo luogo. Poi perchého cambiato la storia in corso di stesura, e ciò ha portato a qualche difficoltà. Che poi, come noterete, questo capitolo è anche più corto di tutti gli altri. Perdonatemi, è un capitolo di transizione e che, alla fine, non racconta nemmeno nulla D:
Vorrei fare qualche precisazione generale: non so se esista un treno da Denver a Kansas City, ma voi fate finta che esista XD
La vecchietta e il suo cane non sono mostri mitologici, ma li ho inventati di sana pianta.
E poi, mi sono dimenticata cosa volevo scrivere, quindi vi lascio così.
Spero che il capitolo - seppur corto e "inutile" - vi piaccia.
Non so quando tornerò a scrivere e postare...siate fiduciosi, comunque XD
Alla prossima,
Alis

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Capitolo 9
*** Matrimonio in vista ***


CAPITOLO 9
Matrimonio in vista
 
Il mattino seguente ci svegliammo al sorgere del sole. Sembravamo tutti un po' più in forma, merito del riposo e soprattutto dell'ambrosia.
Ci sedemmo in cerchio per studiare la situazione: eravamo in mezzo al nulla senza alcun mezzo di trasporto e dovevamo raggiungere Kansas City il prima possibile.
Thesis suggerì un altro eccitante viaggio nell'ombra, ma sia io che Annabeth declinammo l'offerta. Anche l'idea di fare l'autostop fu scartata per il rischio di incontrare mostri che si fingevano gentili e poi provavano ad azzannarci.
«Come ho fatto a non pensarci subito?» scattai io, alzandomi in preda all'euforia.
I miei quattro compagni di viaggio mi guardarono senza capire.
«Blackjack.» esclamai, guardando Annabeth.
Blackjack era il mio pegaso nero. L'avevo salvato da Luke Castellan tre anni prima e da quel momento lui accorreva ogni volta che lo chiamavo.
«Chi è Blackjack?» chiese Thesis.
Invece di risponderle feci un lungo fischio. «Ora vedrai.» le dissi.
Nel giro di qualche minuto, una figura nera prese ad avvicinarsi nel cielo finché Blackjack non atterrò davanti a me. Se i pegasi avessero potuto sorridere, Blackjack avrebbe avuto un sorriso a 32 denti – o meglio, 40 denti.
«Ehi, capo, come va?» domandò il pegaso nella mia testa.
Riuscivo a capire i cavalli perché era stato Poseidone, mio padre, a crearli. Per quanto riguardava Blackjack, lui era un gran chiacchierone.
«Wow, è stupendo.» fece Thesis avvicinandosi al pegaso e accarezzandolo.
«Mi piace questa ragazza.» disse l'animale, e per mostrate il suo apprezzamento nitrì contento.
«Lei è Thesis.» presentai.
«Oh, la dea del Tartaro.» Blackjack piegò le zampe anteriori e abbassò la testa in un inchino.
Thesis sorrise e ricambiò il saluto.
«Blackjack abbiamo bisogno di un passaggio. Dobbiamo raggiungere Kansas City il prima possibile.» spiegai, mentre Thesis continuava ad accarezzare il pegaso. Ne sembrava stregata.
«Niente di più facile. Saltate su!» c'invitò Blackjack, allegramente.
«Blackjack dice che ci porta lui.» comunicai ai miei amici.
Annabeth mi guardò allarmata. «Tutti e quattro?» domandò.
Mi voltai verso Blackjack e lui fece un movimento con la testa come per confermare. «Se tu vuoi, capo!» aggiunse.
Solitamente ero l'unico a cavalcare Blackjack, ma il pegaso sembrava propenso a portarci tutti e quattro senza problemi. E vista la fretta che avevamo, un passaggio veloce era ciò di cui avevamo bisogno.
«Andiamo. Dobbiamo sbrigarci.» decisi infine.
Salii per primo e aiutai gli altri a salire dietro di me. Annabeth non sembrava molto convinta di quella cavalcata di gruppo, ma si issò nella groppa di Blackjack e mi avvolse le braccia intorno alla vita per stare più stabile. Dietro di lei, Thesis si sistemò, impaziente di partire. Nico chiuse la fila, sistemandosi in modo da non disturbare l'apertura alare del pegaso.
«Pronto, Blackjack?» chiesi, prima di partire.
«Tutto perfetto, capo. Reggetevi forte!» esortò lui, e prima che potessi avvisare gli altri, Blackjack s'impennò e partì a razzo verso il cielo.
Per poco Nico non si ritrovò scaraventato a terra, per fortuna Thesis lo afferrò in tempo.
Blackjack prese quota e con grande sollievo di noi passeggeri volò più lentamente.
Volammo sereni per quasi mezz'ora, con Thesis affascinata dalla vista delle città sotto di noi. Per lei era come essere in un mondo nuovo dopo tutti gli anni che aveva passato negli Inferi. Tutto ciò che aveva intorno le creava stupore e meraviglia come negli occhi di un bambino appena nato. Era affascinante e triste al tempo stesso: pensare che qualcuno non avesse mai potuto avere una vita tranquilla lontano dalle cose brutte degli Inferi era quasi come se una persona non avesse mai respirato davvero. Pensai che era proprio così che doveva sentirti Thesis: capace di respirare aria nuova e pulita. Mi sentii felice per lei ed era paradossale essere felice quando si stava affrontando una missione che poteva portare alla morte.
Blackjack sembrava non curarsi del nostro peso, anzi sembrava estremamente divertito da quel viaggio. Annabeth e Nico, invece, erano leggermente spaventati.
Atterrammo in un vicolo vuoto di Kansas City verso mezzogiorno.
«Grazie, Blackjack.» dissi al mio pegaso accarezzandogli il muso.
«Faccia un fischio quando serve, capo.» mi sollecitò lui, sempre allegro.
Prima di volare via, si prese altre carezza da Thesis.
«Alla prossima, Blackjack.» lo salutò la dea.
A quel punto il pegaso si allontanò cavalcando e poi prese il volo.
 
Camminammo senza meta per Kansas City per minuti che parvero ore. Thesis non riusciva a capire perché il suo istinto ci avesse portati lì dal momento che non aveva idea di dove dovessimo andare né tanto meno chi dovessimo cercare.
Stavo per sedermi in una sedia di un bar, quando Annabeth scattò improvvisamente. «Guardate.» fece, indicandoci qualcosa.
Tutti e tre ci voltammo a guardare e ci ritrovammo davanti un neonato paffuto che osservava la vetrina di un negozio di fiori. Sarebbe potuto essere tutto normale se non fosse stato che il bambino aveva delle ali sulla schiena e indossava solo un pannolino. Si librava sopra ad un mazzo di rose rosa con espressione contrariata.
«Seguiamolo.» decise Thesis, avviandosi furtivamente verso il bambino.
Annabeth, Nico ed io la seguimmo, un po' accigliati.
Ci nascondemmo in un angolo, mentre il bambino continuava ad osservare i fiori con fare metodico. Sembrava che stesse cercando qualcosa, ma non sapesse esattamente cosa. Volò sopra vari tipi di fiori, come se fosse un'ape intenta a scegliere il fiore più succulento, poi estrasse un blocchetto degli appunti e scrisse qualcosa. Sotto di lui, un bel mazzo di gelsomini scomparve magicamente. Dopo di che, prese ad allontanarsi con fare soddisfatto per le vie della città.
Volò indisturbato per un po', mentre noi gli stavamo alle calcagna, sempre ben nascosti, ma mai rischiando di perderlo di vista. Thesis sembrava tenere parecchio a seguirlo fino alla sua meta. Probabilmente gli umani pensavano che quel neonato col pannolone fosse un piccione perché nessuno badava a lui – non avrei mai voluto che gli altri mi vedessero come un piccione.
Arrivò davanti a un grande villa fatta di mattoni rossi sgargianti e grandi finestre. Un enorme portone nero si aprì per far entrare il neonato. Ci scambiammo degli sguardi e ci tuffammo all'interno proprio prima che il portone si chiudesse. L'interno della villa era sfarzoso ed elegante, illuminato dal sole del pomeriggio che si riversava nel salone grazie alle grandi finestre decorate da pesanti tende rosse. Per tutta la stanza c'erano fiori, palloncini, cibo di ogni tipo, strumenti musicali e altre cose sparse qua e là. Una grande scalinata si apriva in fondo, decorata con un tappeto rosso e dei nastri nel corrimano, dividendosi poi per arrivare a due porte, una a sinistra e l'altra a destra. Sembrava che fosse appena finita una festa super chic.
«Abbiamo ospiti!» trillò una vocina alla nostra destra,
Una neonata ci svolazzò davanti con un gran sorriso. «Benvenuti! In cosa posso aiutarvi?» chiese cordialmente.
«Sono la dea Thesis. Mi manda Persefone per conoscere l'indizio per arrivare alla falce di Ade.» spiegò subito la dea, con fare calmo.
Alla bambina sembrò mancare l'aria e divenne bordeaux in viso, presa da un attacco d'ansia. Ad aiutarla arrivò un ragazzo vestito di tutto punto, con un abito elegante color pesca, la cravatta rossa e delle scarpe marroni. Mi scappò quasi da ridere per quell'abbigliamento eccentrico e notai che anche Nico era sul punto di scoppiare.
«Eros?» fece Thesis sorpresa.
«Il dio dell'amore?» chiese Annabeth, squadrando il ragazzo-confetto dalla testa ai piedi.
Thesis annuì, anche lei analizzando il dio.
«Persefone mi aveva detto che non sarebbe venuto nessuno. Io non ho tempo per queste cose!» si lamentò Eros, facendo apparire un'agenda dal nulla e prendendo a consultarla. «Posso ricevervi tra due settimane.» sentenziò alla fine, guardandoci per la prima volta.
Dovette trovarci molto brutti, perché fece un'espressione di ribrezzo, quasi come se volesse vomitare da un momento all'altro.
«Cos'è che fai di preciso qui?» domandò Thesis, distraendosi momentaneamente dalla missione.
«Organizzo matrimoni da favola!» rispose lui, come se stesse facendo una pubblicità.
«Noi abbiamo bisogno dell'indizio di Persefone.» ripeté Nico. «E ci serve subito.» aggiunse.
Eros scosse il capo. «Non ho tempo per questo. Ho un matrimonio da organizzare.» spiegò, allargando le braccia con fare teatrale.
«Ma tu devi aiutarci!» lo rimbeccò Annabeth.
«A meno che voi non vogliate sposarvi, non ho tempo!» tagliò corto, voltandosi e allontanandosi.
«Dobbiamo sposarci!» fece Thesis, quando Eros si fu allontanato abbastanza da non sentire.
«Cosa?» scattammo io, Annabeth e Nico all'unisono.
«Oh, sarà solo un matrimonio finto. Appena ci avrà dato l'indizio ce ne andremo e questo “matrimonio”...» fece, con tanto di virgolette con le dita. «...sarà finito!» spiegò, scacciando via la cosa con un gesto della mano.
Ci scambiammo degli sguardi tra il confuso e l'imbarazzato. Era la cosa più strana che mi chiedevano di fare, e cose strane ne avevo fatte parecchie da quando avevo scoperto di essere un semidio!
«Ci sono tre coppie possibili: io e Percy, Percy e Annabeth e Annabeth e Nico. Dobbiamo solo decidere chi lo farà. Possiamo anche tirare a sorte, se volete.» partì in quarta Thesis, impaziente di avere l'indizio di sua madre.
La capivo: il tempo diminuiva sempre di più e noi dovevamo ancora trovare il terzo indizio e recuperare Persefone e la falce. Ma quello che ci stava chiedendo era davvero imbarazzante e nessuno sembrava impaziente di farlo.
«Okay, lo facciamo io e Percy.» si offrì all'improvviso Annabeth.
Mi voltai verso di lei, ma lei non mi degnò di uno sguardo. Notai solo che le sue orecchie erano diventare rosse, come quando era in imbarazzo.
Nico mi diede una pacca sulla spalla e trattenne una risata. Anche io dovevo essere diventato rosso come un pomodoro.
«Eros, i miei amici vogliono sposarsi. Loro si sposano, tu ci dai l'indizio!» scattò subito Thesis, senza lasciare che io potessi dire qualcosa.
Eros si voltò, squadrò me e Annabeth dalla testa ai piedi e batté le mani con fare contento. «Ah, i matrimoni, adoro i matrimoni!» canticchiò.
Una manciata di bambini paffuti e muniti di ali si radunò intorno ad Eros e lui cominciò a dettare ordini. “Preparate questo.”, “Sistemate tutto.”, continuava a dire. Poi si voltò di nuovo verso Annabeth e me come se ci stesse vedendo per la prima volta. Ci venne vicino, ci girò intorno studiandoci e alla fine diede delle direttive agli angioletti. Due di loro ci svolazzarono incontro, ci presero per mano e ci guidarono uno da una parte e uno dall'altra. Mi voltai verso Thesis e Nico e loro mi sorrisero con fare incoraggiante. Iniziavo ad odiare quello stupido piano!
I preparativi per il matrimonio – il suono della parola mi faceva venire il voltastomaco, molto più della parola “mostro” o “morte” - durarono ore che sembrarono infinite. Gli angioletti mi fecero vestire con abito di due taglie più grande, mi pettinarono i capelli e mi diedero un foglietto con alcune cose da imparare per la cerimonia. Se fossi sopravvissuto a tutto quello, l'avrei fatta pagare a Thesis, molto cara.
Quando scesi, il grande salone era addobbato con ghirlande, fiori e palloncini. Dietro un piccolo altare si trovata Eros con un sorriso che gli andava da orecchio a orecchio. Thesis e Nico erano seduti in delle sedie in prima fila: avevano ancora i loro vestiti sporchi e sgualciti che facevano a pugni con l'ambiente decorato e la situazione.
Gli angioletti mi fecero sistemare davanti all'altare, mentre Eros mi fece segno di sorridere. Mi sentivo un idiota!
Cinque minuti, e una musica risuonò nella stanza. Mi voltai e vidi Annabeth avvicinarsi, incoraggiata dagli angioletti. Aveva un bellissimo abito bianco, con una bella gonna lunga. I capelli erano raccolti in una complicata acconciatura. Era bellissima, semplicemente bellissima. Lo stomaco fece qualche capriola e dovetti prendere un respiro profondo per calmarmi.
Quando Annabeth arrivò vicino a me, Eros spronò anche lei a sorridere e poi diede inizio alla cerimonia. «Cari ospiti, siamo qui riuniti per unire in matrimonio...» si bloccò, accorgendosi solo al momento di non sapere i nostri nomi. «Pazienza, loro due.» fece alla fine, con fare sbrigativo.
Ci guardava come se fossimo bambole con cui amava giocare. Anche quel suo sguardo mi fece venire il voltastomaco.
«Tu, ragazzo, vuoi prendere lei come tua sposa?» mi chiese.
Guardai Thesis che mi fece un gesto incoraggiante con la testa. «Sì, lo voglio...?» dissi scettico.
«E tu, ragazza, vuoi prendere lui come tuo sposo?» chiese.
«Sì.» rispose solo Annabeth.
«Oh, bene bene. Che bello. Allora, io vi dichiaro marito e moglie.» fece Eros, entusiasta.
Prima che io e Annabeth potessimo fare qualcosa, Eros si avvicinò e strinse intorno ai nostri polsi delle specie di manette.
«Che stai facendo?» scattammo io e Annabeth.
Anche Thesis e Nico si alzarono e si avvicinarono a noi.
«Oh, adesso voi siete miei!» spiegò Eros, come se fosse ovvio. «Ho centinaia e centinaia di coppie che si sono sposate da me nella mia collezione personale. Adesso anche voi fate parte della mia collezione.» aggiunse, in tono euforico, quasi da pazzo.
«Non puoi farlo.» fece Nico, impugnando la sua spada.
Thesis lo imitò. «Liberali, Eros.» minacciò la dea.
«Ti darò il tuo indizio, se è quello che vuoi. Ma loro sono miei.» concluse il dio, senza ammette repliche.
Senza aspettare oltre, Nico lo attaccò, ma una trentina di angioletti lo attaccò di rimando, mettendolo in difficoltà.
Thesis provò ad aiutarlo, ma anche lei fu sommersa da una miriade di seguaci di Eros.
Annabeth ed io ci scambiammo uno sguardo, guardammo le manette e annuimmo. Dovevamo lavorare in squadra per attaccare Eros. Prendemmo la rincorsa, abbassammo le braccia e colpimmo Eros alle caviglie con le manette. Il dio cadde a piedi all'aria e si agitò convulsamente come una tartaruga che non riesce ad alzarsi.
Annabeth le piantò un piede nel petto. «Ordina ai tuoi angioletti di non attaccare.»
Il dio la guardò impaurito. «Fermatevi.» ordinò, solo dopo che Annabeth premette di più il piede nel suo petto.
«Ora libera le persone che hai intrappolate. Subito.» fece ancora Annabeth.
Eros estrasse un telecomando dalla tasca e premette un pulsante. Sentimmo dei lucchetti aprirsi e poi centinaia di coppie indebolite e disorientate uscirono da una delle stanze della grande villa. Nico e Thesis si avvicinarono per aiutarli.
«E per finire, dacci l'indizio.» concluse Annabeth.
Eros tentennò, con espressione arrabbiata. «E va bene. Ma lasciami andare. Mi stai sporcando tutto l'abito.» cedette alla fine il dio.
Annabeth cercò l'approvazione mia e degli altri prima di alzare il piede dal petto di Eros. Lui si alzò, si sistemò il vestito e ci guardò con le braccia incrociate. «“L'oggetto che cerchi è tra il bene e il male”.» sputò il dio infastidito.
Annabeth gli fece segno con le dita di avvicinarsi. Il dio tentennò, ma poi capì e le lanciò le chiavi delle manette restando a debita distanza. Io e Annabeth di liberammo. Lei afferrò il suo coltello e lo puntò contro il dio. «Se sentiremo che tieni prigioniere altre persone, torneremo a trovarti.» lo minacciò, per poi allontanarsi.
Io, Thesis e Nico la seguimmo. Solo quando fummo abbastanza lontani dalla villa, ci preoccupammo degli abiti miei e di Annabeth, ma soprattutto del nuovo indizio.









SPAZIO ALIS: Sono tornata. Avevo davvero voglia di postare un nuovo capitolo, quindi mi sono messa d'impegno e ho finito quello che avevo iniziato mesi fa.
Il risultato, ammetto, non è il massimo, ma a grandi linee la storia sta prendendo il piede che volevo.
Piccole precisazioni:
- i cavalli (in questo caso i pegasi) hanno 40 denti XD
- "matrimoni, adoro i matrimoni" è una battuta di Jack Sparrow <3
L'indizio è stato difficile da studiare, perché mi sono venuti dei dubbi. Comunque, dovrebbe andare bene così e spero di non creare incongruenze andando avanti :S
Non so quando arriverà il prossimo capitolo: sto per finire gli esami, quindi dipenderà tutto dall'ispirazione XD
Alla prossima,
Alis

 

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Capitolo 10
*** Un dottore ci offre dei dolci ***


CAPITOLO 10
Un dottore ci offre dei dolci
 
Nonostante avessimo già due indizi per trovare la falce, nessuno di noi aveva idea di cosa significassero o dove potessero portare. Ne parlammo mentre mettevamo sotto i denti qualcosa in un piccolo ristorante.
Io e Annabeth eravamo tornati ad abiti normali dopo aver acquistato qualcosa in un mercatino.
Sembrava stranamente un momento di pace e relax che tutti e quattro assaporammo fino alla fine. Decidemmo di fare una passeggiata per la città in attesa che Thesis riuscisse a capire dove dovevamo andare.
Il sole era alto nel cielo e la città era tutta da scoprire. Camminammo in un parco vicino. C'erano bambini che giocavano negli scivoli e nelle altalene, genitori che inseguivano i figli e giocavano con loro, anziani seduti nelle panchine che davano da mangiare ai piccioni. Erano tutti tranquilli e felici. Mi trasmisero una sensazione di benessere che non provavo da tanto. La mia vita era un enorme caos, con mostri, bisbetici dei, battaglie sempre alle porte, tutto finiva sempre sottosopra. Invidiavo quei bambini che giocavano in pace, senza il fiato sul collo di qualche mostro impaziente di divorarli.
Annabeth dovette notare la mia espressione assorta in quel mondo tanto lontano dal mio e mi sorrise. «Quando tutta la guerra contro Crono sarà finita, potremmo farci una passeggiata per New York. Posso anche spingerti sull'altalena, se ci tieni.» scherzò.
«Speravo lo dicessi.» dissi, ridendo con lei.
«Okay, abbiamo due indizi e ancora qualche giorno per salvare Persefone. Cosa ne dite se ci prendessimo una pausa per riposare?» chiese Nico.
Aveva delle occhiaie scure sotto gli occhi e si vedeva che non giovava di un momento di tranquillità e pace da tempo.
Thesis, però, sembrava contraria all'idea. «Perderemmo solo tempo.» fece, incrociando le braccia al petto.
«Avanti, Thesis, non sai nemmeno tu dove dobbiamo andare e cosa dobbiamo cercare. Non appena troverai la prossima meta, partiremo.» insisté il fratello, posandole una mano sulla spalla.
Thesis sospirò, ancora contraria, ma troppo stanca per controbattere. Annuì appena e Nico le sorrise grato.
Tra loro si era già creata una piacevole complicità. Thesis non era Bianca, ma Nico aveva bisogno di una figura che gli desse un po' di stabilità e la dea sembrava voler ricoprire quel ruolo.
«Che vi va di fare?» chiese quindi Nico, in attesa.
Annabeth fece spallucce. «Se a voi non dispiace, io andrei nella biblioteca della città. Ho letto che è una delle biblioteche più fornite e grandi d'America.» rispose, con gli occhi luccicanti di aspettativa.
Nico scosse la testa. «Io passo volentieri.» ribatté. «E tu vieni con me. Ti faccio vedere il mondo, sorellina.» aggiunse, prendendo Thesis a braccetto.
«Ci rivediamo qui tra un'ora.» precisò la dea, guardando prima Annabeth e poi Nico con fare categorico.
«Tu vieni con me, Testa d'Alghe?» mi chiese Annabeth, sorridendo.
Soppesai la proposta, poco convinto di trovare qualcosa d'interessante in un biblioteca, ma alla fine cedetti e acconsentii. Annabeth fu talmente felice del mio consenso, che mi diede un bacio sulla guancia e mi trascinò subito verso la biblioteca.
 
Non ero adatto alle biblioteche, proprio per niente. Annabeth camminava tra gli scaffali con gli occhi a forma di cuore e prendeva un libro ogni dieci passi. Io semplicemente guardavo i titoli e per la maggior parte ebbi solo difficoltà a leggere. Un dislessico con il cervello impostato sul greco antico non dovrebbe passare il suo tempo libero in una biblioteca. Mi chiesi come faceva Annabeth a sentirsi così a proprio agio. A momenti, mi sarei messo a grattarmi per l'allergia a quel posto.
Quando finalmente Annabeth decise di sedersi, ero così carico di libri che quasi non riuscivo a camminare. Ce n'erano di ogni tipo: di avventura, d'amore, di fantasia, di storia. E Annabeth sembrava intenzionata a leggerli tutti.
«Annabeth, abbiamo solo un'ora di tempo – anche meno.» le feci notare non appena ci fummo sistemati in un tavolo.
Lei mi guardò con espressione fiduciosa. «Li sfoglierò solo. Voglio solo trovare una cosa che credo potrebbe aiutarci.» precisò, indicando i libri con fare protettivo.
Sbuffai piano e mi accasciai con la testa nel tavolo. Annabeth sorrise leggermente e aprì il primo tomo: un librone intitolato “La storia dei greci” che non prometteva nulla di buono.
Pensai a come Nico e Thesis stessero passando la giornata e mi pentii di non essere andato con loro. Di sicuro si stavano divertendo più di me.
Il tempo passò così lentamente che sbadigliai circa duecento volte. Avevo preso un libro e l'avevo sfogliato con noncuranza per tutto il tempo, sfogliando le pagine avanti e indietro e indietro e avanti.
Annabeth era così silenziosa e concentrata che m'incantai un bel po' di volte a fissarla, nel suo sguardo fiero e preso dalla lettura. Lei non badò a me nemmeno una volta e fu meglio così perché sarebbe stato imbarazzante essere beccato mentre la fissavo.
«Ecco, Percy, guarda.» fece all'improvviso, facendomi spaventare.
Mi piantò un libro sotto al naso e m'indicò qualche riga.
“Esistono oggetti che possono cambiare forma a seconda della volontà del loro possessore o della praticità. Gli dei hanno studiato queste metamorfosi per celare armi o oggetti magici che nessuno ha mai più ritrovato.” recitava il libro.
Guardai Annabeth. «Pensi che Persefone abbia trasformato la falce di Ade prima di nasconderla.» constatai, e non era una domanda, perché capii che era un ragionamento logico.
«Questo spiegherebbe perché il primo indizio dice “L'oggetto che cerchi, non sarà della forma che ti aspetti.”» fece lei con ovvietà, arrivando proprio a ciò che stavo pensando anche io. «Penso che sia come la tua spada.» aggiunse, riferendosi alla metamorfosi che poteva fare Vortice: da penna a spada e viceversa.
«Non c'è nulla che dica a cosa si riferisce la frase “tra il bene e il male”?» chiesi speranzoso, ripensando al secondo indovinello.
Annabeth scosse la testa. «Ci sono così tante possibilità. Tra il cielo e la terra, ovvero il bene divino e il male umano. Tra la bugia e la verità. Tra l'odio e l'amore. Non c'è un luogo specifico che sia bene o uno che sia male.» mi spiegò, facendo spallucce.
«Scopriremo anche quello.» la incoraggiai, sorridendo.
In quel momento la porta della biblioteca si aprì e Thesis entrò, sorreggendo Nico. Con Annabeth ci scambiammo uno sguardo e poi ci alzammo per raggiungerlo.
«Cosa è successo?» chiesi, aiutandola a sostenere il fratello.
«Leggete» disse Thesis, porgendo ad Annabeth un biglietto.
Lei lo aprì e lesse a voce alta. «“Non venite a cercarmi. Troverete solo la vostra morte.”» recitò, con lo sguardo preoccupato.
«Chi può essere?» domandai.
«È Bellerofonte.» rispose Thesis convinta.
«L'eroe di Corinto e Lincia che ha avuto la presunzione di salire nell'Olimpo con Pegaso.» spiegò Annabeth. «Credevo fosse morto quando Zeus l'ha fatto cadere sulla Terra dal dorso di Pegaso.» aggiunse, confusa.
«A quanto pare è vivo e sembra che abbia lui l'ultimo indizio.» ribatté Thesis, indignata. «Ha usato un tafano, proprio come fece Zeus per fa imbizzarrire Pegaso. Ha bisogno di Macaone.» aggiunse, guardando il fratello con preoccupazione..
«Macaone? Il medico istruito da Chirone?» chiese Annabeth.
Thesis annuì.
«Okay, e dove lo troviamo questo Maccherone?» chiesi, passando lo sguardo da Annabeth a Thesis.
Annabeth mi guardò con fare esasperato. «Macaone.» precisò, con il suo cipiglio da Sapientona.
«Non so dove stia ora.» rispose Thesis, scuotendo appena la testa.
«Possiamo usare un messaggio-iride per chiamarlo.» suggerì Annabeth.
Annuii. «Andiamo alla fontana della piazza.» proposi.
Annabeth e Thesis concordarono e uscimmo dalla biblioteca. In piazza non c'erano troppe persone. La foschia avrebbe mascherato la nostra chiamata, ma meno gente vedeva, meglio era.
Estrassi una dracma dalla tasca e guardai la dea. «Maccherone.» dissi, convinto.
Annabeth mi prese la moneta dalla mano. «Macaone.» mi rimproverò.
Lanciò la moneta nella fontana e subito l'arcobaleno di Iride si aprì come un ventaglio.
Un faccione si presentò davanti a noi. Aveva dei baffi folti e delle guance rosse come se fosse ubriaco. Appena si accorse che c'era una chiamata, sgranò gli occhi con sorpresa. «Salve.» ci salutò cordialmente.
«Macaone, abbiamo bisogno del suo aiuto.» fece subito Thesis.
«Dea Thesis.» esordì, con gli occhi pieni di sorpresa. «Cosa posso fare per voi?» chiese poi, sorridendo.
«Mio fratello è stato punto da un tafano per colpa di Bellerofonte. Abbiamo bisogno che lo aiuti.» spiegai.
Macaone annuì, come se avesse già la soluzione. «Dove vi trovate?» domandò.
«A Kansas City.» risposi.
«Vi mando subito a prendere.» ribatté il dottore.
 
Il mezzo di trasporto di Macaone era un carro ultra veloce guidato da due proiezioni di Macaone stesso. Altre due proiezioni gironzolavano intorno al paziente controllando i suoi segni vitali. Io, Annabeth e Thesis eravamo seduti alla bene e meglio, in pensiero per il nostro amico.
Viaggiammo per ore, forse, ma in quel mezzo sembrava di volare ad una velocità supersonica. Arrivammo in due minuti davanti ad un palazzo bianco che aveva proprio l'aria di essere un ospedale divino.
Le proiezioni di Macaone trasportarono Nico dentro ad una stanza e c'invitarono a restare nella sala d'attesa.
Ci sedemmo in delle seggioline gialle e attendemmo.
Quando Macaone – il vero Macaone – uscì dalla stanza, aveva un gran sorriso. «Il vostro amico sta bene.» disse, compiaciuto.
Tirammo tutti un sospiro di sollievo.
«Possiamo farle visita?» chiese Thesis.
«Certo.» rispose il dottore, entusiasta. «Vi farò portare qualcosa da mangiare.» aggiunse, allontanandosi.
Entrammo nella stanza e trovammo Nico con gli occhi fissi nel soffitto.
«Nico, sta bene?» domandò Annabeth.
Lui si voltò a guardarci e sorrise appena. «Sì, sto molto meglio.» rispose.
In quel momento, Thesis respirò profondamente. «Dobbiamo andare a Pittsburgh. Lì troveremo Bellerofonte.» c'informò.
«Partiremo quando Nico si sarà ripreso del tutto.» proposi, notando che sembrava ancora provato dal tafano.
Thesis annuì e si sedette in una sedia accanto al letto del fratello. «Chiedete a Macaone se potrebbe farci dare un passaggio dalla sua ambulanza.» ci consigliò. «Io resto con Nico.» aggiunse, sorridendo al fratello.
Annabeth e io uscimmo dalla stanza e andammo a cercare il dottore.
«Dottor Macaone?» lo chiamò Annabeth.
«Sì, sono qui, venite.» ci rispose lui, da una stanza poco lontano.
Entrammo e lo trovammo con la faccia ricoperta di farina e un sorriso a trentadue denti. «Non sono proprio bravo a fare le torte.» spiegò, indicando il disastro che aveva fatto.
Annabeth e io gli sorridemmo, divertiti.
«Dottore, abbiamo bisogno che ci faccia accompagnare dalla sua ambulanza a Pittsburgh.» le spiegai.
«Certo, certo. Quando volete.» rispose lui, gentilmente.
 
Due ore dopo, eravamo seduti nell'ambulanza, carichi di dolci un po' bruciacchiati che Macaone aveva voluto darci per forza. Era stato davvero gentile con noi, tanto che gli promettemmo di tornare a trovarlo.
Partimmo verso Pittsburgh, pronti per affrontare Bellerofonte.






SPAZIO ALIS: *spunta timidamente da dietro il sipario* *si schiarisce la voce* Sono tornata.
Ebbene, non mi sono mai dimenticata di questa ff, anzi, ci penso spesso, ma non trovavo mai il modo di andare avanti. Ed ecco, quindi, che stavolta è uscito un capitolo più corto del solito e praticamente di passaggio. È giusto un capitolo per smorzare l'azione o per non andare subito verso il terzo e ultimo indizio per trovare la falce. Insomma, un capitolo inutile - e anche scritto maluccio .-.

Per sapere di più su Macaone - o Maccherone come dice Percy XD - potete andare qui http://it.wikipedia.org/wiki/Macaone_(mitologia)
Bellerofonte, invece, qui: http://www.sullacrestadellonda.it/mitologia/bellerofonte.htm
Vabbé, spero di riuscire ad andare avanti più in fretta adesso. La storia è tutta - o quasi - nella mia testa. Il difficile è metterla per iscritto D:
Spero che questo capitoletto inutilino vi piaccia lo stesso.
Alla prossima,

Alis

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Capitolo 11
*** Faccio una promessa pericolosa ***


CAPITOLO 11
Faccio una promessa pericolosa
 
Pittsburgh era una città abbastanza caotica, ma Thesis ci condusse in un posto tranquillo per discutere sul nostro piano per affrontare Bellerofonte. Ovviamente, venne fuori che non avevamo affatto un piano e che stavamo andando dal nemico alla cieca. Classico per tutti i semidei – forse un po' meno per i figli di Atena.
«Bellerefonte sembra propenso a tutto meno che a darci l'indizio.» constatò Annabeth con ovvietà.
Le piaceva davvero un sacco palesare l'ovvio con il suo modo da Sapientona. Thesis le lanciò un'occhiataccia, con un misto di fastidio e rabbia.
«Non avrà altra scelta. Questo non è un gioco e Bellerofonte capirà che noi non stiamo giocando.» chiarì la dea, determinata.
«Okay, okay, è inutile scaldarci. Bellerofonte potrebbe essere ovunque, da dove vogliamo iniziare?» domandai, allargando le braccia per indicare tutta la città.
Era sicuramente un posto molto grande per pretendere di trovare facilmente una persona. Come al solito, le imprese erano tutto fuorché facili.
«Dividiamoci.» propose Nico.
Lo guardammo tutti e tre abbastanza contrariati.
«È l'unico modo per sperare di trovare Bellerofonte più in fretta.» si giustificò, grattandosi la nuca in imbarazzo.
«Odio ammetterlo, ma nonostante questo piano faccia schifo, Nico ha ragione. Bellerofonte potrebbe essere ovunque e noi abbiamo solo due giorni per trovare la falce e salvare mia madre. Dobbiamo dividerci.» accordò alla fine Thesis, sospirando rassegnata. «Nico, tu va' con Percy. Io andrò con Annabeth.» aggiunse poi.
Annabeth boccheggiò. Aprì la bocca un paio di volte, prima di riuscire a parlare. «Perché non possiamo andare io e Percy insieme?» chiese finalmente, indicandomi.
«Perché io e Nico possiamo comunicare telepaticamente, quindi dobbiamo per forza fare così.» spiegò Thesis, incrociando le braccia al petto.
Pensai che Annabeth volesse dire qualcos'altro, ma stette zitta e scosse appena la testa.
Guardai Nico e feci un mezzo sorriso. «Andiamo, allora.» dissi, per poi voltarmi verso Annabeth e Thesis.
«Ci rincontriamo qui fra due ore. Se trovate qualcosa, contattami subito.» ci raccomandò la dea, stringendo una mano intorno al braccio del fratello con fare protettivo.
Nico annuì, Annabeth mi regalò uno sguardo rassegnato e a quel punto le ragazze si allontanarono.
 
Girammo per il centro di Pittsbirgh per ore e ore. La gente ci guardava incuriosita dal nostro vagare, ma nessuno ci chiese nulla.
«Stiamo girando senza meta da ore...» constatai io, giusto per dire qualcosa.
Nico m'ignorò, si guardò intorno e partì a razzo verso una viuzza deserta. Dovetti fare uno scatto degno di un corridore per raggiungerlo e vidi che si era fermato davanti ad una gotta. Era alta quasi due metri e tutt'intorno si potevano scorgere, rovinate e vecchie, incisioni in greco antico e immagini degli dei.
«Immagino sia qui.» disse Nico, indicando l'interno della caverna.
Annuii, ma non ero per niente tentato ad entrare lì dentro. Si scorgeva qualche gradino pericolante, poi il resto del tunnel era buio e silenzioso.
Nico si armò della sua spada, così anche io impugnai Vortice e poi presi una torcia dallo zaino. Ci scambiammo un'occhiata e poi cominciammo a scendere verso il buio.
Le scale erano molto più rovinate di quanto apparissero. Dovevamo scendere a tentoni, reggendoci al muro per non rischiare di ruzzolare. Incontrammo ragnatele e topi e tanta tanta polvere. L'aria sapeva di muffa e ringraziai di non soffrire di claustrofobia.
Mi tornò in mente il periodo che avevo passato dentro al Labirinto di Dedalo. I suoi stretti cunicoli non erano tanto diversi da quello in cui eravamo ora, quindi poteva darsi che quella fosse una parte dimenticata dell'enorme costruzione di Dedalo. Se era davvero così, avremmo potuto perderci e vagare dispersi per anni.
Bloccai Nico per la spalla e presi un coltellino dallo zaino.
«Segniamo la strada per tornare indietro.» spiegai.
Poi mi avvicinai alla parete e tracciai una grossa X. Nico approvò e continuammo a camminare.
Procedemmo per metri, tra scalini disastrati, ragni e topi e X tracciate nelle pareti. Quel lungo tunnel sembrava non portare da nessuna parte.
Ci fermammo quando arrivammo davanti ad un bivio.
«Oh, perfetto.» si lamentò Nico.
Le due parti del tunnel sembravano identiche: sporche, anguste e buie.
«Thesis avrebbe di sicuro capito dove andare.» constatai, sbuffando.
Ma Thesis non c'era e io e Nico dovevamo cavarcela da soli. L'idea di separarci non era nemmeno da prendere in considerazione, così stava tutto nel metterci d'accordo per proseguire.
«Lanciamo una monetina?» proposi, sentendomi incredibilmente stupido.
Nico scosse la testa, divertito. «Credo che sia l'unica opportunità che ci resta.» acconsentì, e dovette anche lui sentirsi stupido, perché si grattò la nuca imbarazzato.
Un rumore, però, attirò la mia attenzione. Era un rumore che conoscevo bene. «Lo senti questo rumore?» chiesi a Nico.
Lui aguzzò l'udito e storse il naso. «È acqua?» domandò.
Annuii, convinto e mi diressi verso la parte destra del bivio.
Il rumore dell'acqua divenne via via più forte e il profumo salmastro mi entrò nelle narici dandomi vigore. Arrivammo in uno spiazzo circolare illuminato da delle torce appese al muro. Sul fondo c'era una bella cascata fresca. Feci per avvicinarmi, ma qualcosa mi punse al collo e mi ritrovai per terra senza fiato.
«Avreste dovuto seguire il mio consiglio.» disse qualcuno, arrivando nella caverna.
Notai che anche Nico era steso a terra.
L'uomo che aveva parlato s'inchinò vicino a noi. Aveva i capelli bianchi e lunghi, gli occhi incavati e uno sguardo pieno d'odio.
«Stupidi e presuntuosi mezzosangue. I vostri genitori capiranno il loro errore per non avermi permesso l'accesso all'Olimpo. Voi morirete.» ringhiò con cattiverai.
Quella fu l'ultima cosa che sentii, prima di perdere i sensi.
 
Mi svegliai con un forte mal di testa. Ci misi un po' a mettere a fuoco l'ambiente circostante: ero ancora nella caverna con la cascata e le torce, ma mi trovavo in una prigione incavata sulla parete e chiusa con spesse assi di legno.
Nico era in una gabbia accanto alla mia e riuscivo a vederlo appena. Anche lui iniziava a risvegliarsi.
«Nico, stai bene?» chiesi, sottovoce.
Il ragazzo si affacciò tra le assi come meglio poté e annuì. «Sto bene.»
«Bene, bene, siete svegli.» esordì la voce di Bellerofonte.
L'uomo si posizionò davanti alle nostre celle con un sorriso vittorioso nel volto.
«Dovresti essere morto.» dissi senza nemmeno pensarci.
«Ottimo esordio, ragazzino. Ma non sono uno sprovveduto. Quando Zeus mi ha fatto cadere da Pegaso, qualcuno mi ha aiutato e protetto. Ho delle conoscenze che mi hanno permesso di arrivare dove sono ora: con due semidei tra le mani.» spiegò, indicandoci con fare teatrale.
«Non otterrai nulla uccidendoci.» ringhiò Nico, e alle sue parole la caverna tremò appena.
«Oh, forse non otterrò nulla uccidendo te. Tuo padre è un esiliato esattamente come me. Tuttavia, sei potente, ragazzino, e non vorrei che mi mettessi i bastoni tra le ruote.» ribatté Bellerofonte con ovvietà. «In quanto a te...» aggiunse, prestandomi tutta la sua attenzione.
I suoi occhi erano fiammeggianti di cattiveria, sembravano anime inquiete che non avrebbero mai trovato pace. Un brivido mi percorse la schiena, ma cercai di mostrarmi incurante della situazione.
«Tu sei figlio di Poseidone. Un buon bottino, dire. Anche se sarebbe stato bello avere qui un figlio di Zeus. È sua la colpa della mia caduta.» strepitò l'uomo, per poi tornare a darsi un contegno.
Capii che qualcosa in lui non andava: non erano solo i suoi occhi, ma il suo atteggiamento era di chi non aveva più la ragione. Sembrava un folle impaziente di compiere una missione suicida. Qualunque cosa fosse successa, lui avrebbe fatto tutto quello che era in suo potere pur di dare una lezione a chi l'aveva ridotto in quel modo. Per un attimo provai pena per lui, perché nessuno meritava d'impazzire e diventare un eremita senza affetto, ma quell'attimo passò nell'esatto istante in cui Bellerofonte tirò fuori un coltello dalla tasca interna della sua lercia giacca.
«Mi occuperò prima di te, ragazzino.» disse, rivolto a Nico.
Fece qualche passo verso la sua cella.
Dovevo fare qualcosa prima che fosse troppo tardi. Sentii il panico salire, mentre Bellerofonte spostava le assi che chiudevano la prigione di Nico.
Il rumore scrosciante dell'acqua m'investì come un'onda pura e d'un tratto seppi cosa fare. Mi concentrai sulla fontana, sull'acqua fresca e rigenerante. La debolezza sembrò alleviarsi e l'acqua prese a rispondere ai miei comandi.
«Nico, riparati.» urlai e nello stesso istante indirizzai una grossa quantità d'acqua verso la cella, con tuta la forza possibile.
Bellerofonte fu colpito in pieno petto e lo vidi annaspare mentre cercava di non bere. Nico si era tappato naso e bocca con la giacca e stava nuotando per avvicinarsi alla mia cella.
Feci indietreggiare l'acqua, finché non tornò placida nella fontana. Bellerofonte tossicchiò, fradicio e tremante. Nico mi aiutò a spostare le assi e ad uscire dalla cella.
«Stupidi mezzosangue. Riceverete un castigo con i fiocchi per questo affronto.» gridò Bellerofonte, alzandosi e lisciandosi l'abito.
Alzò le mani e centinaia di vespe uscirono dalle rocce. Ronzarono intorno a Bellerofonte come se fossero dei cuccioli di cane che fanno le feste al padrone. Era raccapricciante la cosa, soprattutto se l'uomo aveva intenzione di scagliarci quegli esseri contro. Non saremmo mai riusciti a evitarli tutti.
«Ti porteremo nell'Olimpo con noi.» dissi d'istinto.
Nico mi fulminò con lo sguardo. «Sei pazzo?» sussurrò.
«Gli dei non ne sarebbero contenti.» mi fece notare Bellerofonte, con una mal celata curiosità.
Ero riuscito ad avere la sua totale attenzione e le vespe – che Annabeth avrebbe precisato si chiamassero tafani – iniziarono a tornare tra le crepe delle rocce.
«Non vado famoso per fare quello che mi dicono gli dei.» precisai, e nessuno avrebbe mai potuto dire il contrario. «Se tu ci darai l'indizio di Persefone, io ti porterò nell'Olimpo come desideri.» conclusi, facendo qualche passo verso di lui e porgendogli la mano.
Lui studiò la mia espressione, guardò Nico – che ero convinto non fosse d'accordo – e poi sorrise, stavolta con un sorriso sinceramente contento. «Affare fatto.» acconsentì, stringendomi la mano.
Annuii, consapevole che la promessa appena fatta avrebbe scatenato le ire degli dei – come se già non avessi problemi con loro.
«“L'oggetto che cerchi è vicino al tuo cuore”.» fece Bellerofonte con noncuranza.
Nico e io lo guardammo senza capire.
«L'indizio. Persefone mi ha detto di dirlo ad una ragazza. Questo è l'indizio che volevate.» spiegò l'uomo, come se fossimo due stupidi. «Ora portatemi nell'Olimpo, altrimenti sarò costretto a richiamare i miei animale.» ci minacciò, sfregiandosi le mani tra loro.
Nico mi prese per la manica della felpa e mi allontanò dall'uomo. «Vuoi davvero portarlo con noi?» chiese, scuotendo la testa contrariato.
«Non abbiamo altra scelta.» risposi, sospirando.
In quel momento, la terra cominciò a tremare.
Bellerofonte gridò indignato. «Mi avete preso in giro.» fece, furioso.
Scossi la testa, ma non feci in tempo a rispondergli. Il soffitto della caverna iniziò a cedere. Grandi massi presero ad atterrarci intorno. Nico mi strattonò per il braccio e iniziò a correre verso l'uscita. Prima di cominciare a scappare, guardai verso Bellerofonte e vidi i suoi occhi fiammeggianti di cattiveria attraversati da un lampo di tristezza.
Poi corsi tra i cunicoli del labirinto. Nico era davanti a me, con la torcia in mano. Arrivammo ai gradini, li salimmo appena in tempo. Non appena la luce del sole ci colpì, la ripida scalinata cedette e quel luogo divenne solo un cumulo di pietre.
 
«State bene?» chiese una voce vicino a noi.
Annuii, e Annabeth mi strinse in un abbraccio che mi fece sentire decisamente meglio.
«Abbiamo l'indizio.» fece subito Nico.
Il volto di Thesis s'illuminò di gioia. «Grazie per averlo recuperato.» disse, sorridendo a me e al fratello.
«Avete scatenato voi il terremoto?» chiesi, ancora con il fiatone.
Le due ragazze scossero la testa.
«Cosa è successo?» chiese Annabeth preoccupata.
Feci spallucce. «Ho fatto una promessa che non potrò mantenere.» dissi.
Afferrai la mia borsa e mi sistemai. «Bellerofonte ci ha detto che l'indizio è...» esordii. «“L'oggetto che cerchi è vicino al tuo cuore”. Ha anche detto che tua madre l'ha dedicato a te in particolare. Probabilmente sapeva che un giorno saresti stata tu a cercate la falce di Ade. Sai cosa significa?» chiesi.
Thesis annuì con fare solenne. «So dove si trova la falce.» disse con decisione.







SPAZIO ALIS: Ogni tanto ricompaio con questa mia long tanto sofferta e sudata. Sono molto affezionata a questa long, a come descrivo Percy e Nico, alla mia Thesis, ma davvero, è difficile scriverla. Perché le idee ci sono, ma come strutturarle è davvero difficilissimo. Anche questo capitolo è stato figurato in un modo, ma è uscito così e non mi paice moltissimo.
Ora Thesis sa cosa cercare, quindi siamo quasi giunti alla fine.
Sperando di riuscire a scrivere tutto il resto, ringrazio chi ancora ha la pazienza di aspettare e leggere e soprattutto chi ancora lascia una recensione. Grazie ^-^
Alis

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