Pipes&Flower di Mimiwitch (/viewuser.php?uid=243019)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sleeping in your hand ***
Capitolo 2: *** Mr.Want ***
Capitolo 3: *** Tell me ***
Capitolo 4: *** A feast for me ***
Capitolo 5: *** Shadow zone ***
Capitolo 6: *** Labyrint ***
Capitolo 7: *** Inside a flower ***
Capitolo 8: *** The Marriage ***
Capitolo 9: *** Cure me ***
Capitolo 10: *** New Kiss ***
Capitolo 11: *** So delicate, so pure ***
Capitolo 12: *** Sleeping in your hand ***
Capitolo 1 *** Sleeping in your hand ***
Le
ombre si mescolavano l'un l'altra nel buio della camera; una leggera
brezza di Agosto faceva danzare le tende, creando nuove ombre grazie
alla luce dei lampioni che proveniva dalla finestra.
Katie
si svegliò, dolcemente, come se una voce l'avesse chiamata,
e
d'improvviso sentì che il sonno era scomparso. La sua mano
era
stretta in una mano più grande; un'altra, calda e sicura, le
cingeva
il fianco e lei sorrise, avvolta nel suo abbraccio. George,
tornato tardi dal lavoro, l'aveva stretta a sé mentre lei
dormiva;
stava dormendo
profondamente,
sdraiato di fianco, russando lievemente per la stanchezza.
Si
sporse e gli carezzò la guancia ruvida, facendolo mugolare
nel
sonno. Trattenendo una risatina Katie si girò, facendo
scivolare la
mano di lui dal fianco sulla pancia; le due mani intrecciate le
posò
sul cuore. Rimase immobile a guardare il soffitto della camera
trapunto di stelle di plastica Babbane, che rilucevano flebili grazie
alla magia: un suo capriccio, a cui George non aveva saputo opporsi.
Rimirò
la più grande scintillare, ricordando con affetto il momento
in cui
le avevano comprate.
Cinque
anni prima, ma come se fosse stato il giorno prima.
George
aveva perso un orecchio e lei lo aveva saputo una settimana dopo,
mentre tutti sembravano sapere come, dove, perché fosse
successo. A
lei non importava cosa gli altri sapessero, ricordava solo che non
appena aveva ricevuto la notizia, aveva lasciato che le provette di
pozioni le scivolassero dalle mani, frantumandosi al suolo, preda di
una paura bruciante, ed era corsa via.
Via
dal San Mungo, si era Materializzata a Diagon Alley davanti ai
“Tiri
Vispi Weasley”, il camice verde di apprendista Guaritrice
ancora
addosso, e aveva spalancato la porta con forza. Nel negozio
all'improvviso era sceso il gelo, le risatine dei clienti si erano
affievolite mentre tutti la fissavano, furente e scarmigliata,
incorniciata dalla porta. Aveva raggiunto il bancone, dietro il quale
un perplesso George Weasley la fissava attonito, un mezzo sorriso
perplesso sulla faccia.
“Cosa
diamine credi di fare?” gli aveva urlato contro nell'insolito
silenzio del negozio.
“Sto
vendendo Torroni Sanguinolenti” aveva risposto il ragazzo un
po'
spaventato, mostrando le scatole all'amica.
“Non
fare il furbo! Sto parlando del tuo orecchio! Hai forse cercato di
farti ammazzare?” aveva gridato lei puntando un dito verso la
sua
testa, furente. Perché George non aveva capito, non sapeva
quanto
lei fosse spaventata. E quanto male le facesse guardare quella
ferita, quanto l'avesse terrorizzata l'idea che potesse morire.
George
era trasalito e, lasciate le scatole sul bancone, aveva tirato via
Katie, trascinandola nel suo ufficio, dove aveva chiuso bene le tende
per non essere spiati.
“Cosa-Diavolo-Ti-Prende?”
aveva domandato una volta sicuro, scandendo le parole una a una, per
essere certo che lei cogliesse la sua rabbia. “Non sai che
non si
parla del mio orecchio? Se facessero domande o pettegolezzi, saremmo
nei guai!”
Katie
aveva sostenuto lo sguardo infuocato di George, decisa a non
desistere.
“Beh,
è tardi per quello! Come pensi che l'abbia saputo? Le teorie
della
tua ferita sono sulla bocca di tutti! Perché non mi hai
detto nulla?
Perché ho dovuto sapere una cosa del genere da degli
estranei?” lo
aveva investito risentita, ergendosi in tutta la sua altezza,
arrivando a malapena al suo mento.
“Per
non farti preoccupare. E perché non è una cosa
così grave come
pensi. I pettegolezzi spariranno presto, dato che non sono
morto”
aveva risposto lui, facendo spallucce, come se lei stesse reagendo in
maniera esagerata.
Katie
aveva continuato a fissare il lato della sua testa, notando la pelle
annerita e bruciata, provando dolore per quella ferita che sapeva non
potesse essere da niente come lui cercava di farle credere. Era
probabilmente opera di una magia proibita, di qualcosa di oscuro.
Perché George era entrato in contatto con quel tipo di
magia? In che
cosa era invischiato? Nel
clima di terrore in cui vivevano al tempo, ogni scenario le era parso
orribile.
“Come
hai perso quell'orecchio?” aveva incalzato ancora, sempre
più
arrabbiata.
“Non
posso dirtelo. Non è affar tuo.”
Dopo
averle risposto così freddamente, George le aveva girato le
spalle
di scatto, diretto verso la porta. La mano sulla maniglia si era
bloccata nel sentire un singhiozzo. Girandosi
l'aveva trovata in lacrime.
Katie
Bell, la cacciatrice formidabile, maschiaccio violento, il cinismo
fatto persona, donna di ghiaccio spezza cuori, che non aveva versato
una lacrima nemmeno quando Ron le aveva rotto il naso con la Pluffa,
che aveva affrontato una maledizione mortale, stava piangendo nel suo
ufficio senza ritegno. Era rimasto immobile a fissarla, senza sapere
che fare, molto più spaventato di quando lo aveva perso
davvero
quell'orecchio.
Quando
la ragazza aveva alzato gli occhi castani pieni di lacrime su di lui,
tuttavia, il suo sguardo era fiero.
“Sì
che è affar mio. Perché mi fa impazzire l'idea
che tu possa morire,
idiota. Perché ti amo. Non l'hai ancora capito, stupido
George
Weasley!” aveva urlato con tutta l'anima. Persino nel negozio
dovevano averla sentita.
Il
ragazzo si era pietrificato con il viso inespressivo, forse fulminato
dalla notizia. Erano sempre stati amici, solo amici. Era stata la sua
spalla, la sua migliore amica, quella con cui confidarsi e chiedere
consigli sulle ragazze. Katie
l'aveva guardato andare al ballo con Vivian, una ragazza del suo
anno; flirtare senza speranza con Alicia; cercare di attirare le
attenzioni di Janelle di Corvonero, e di chissà quante altre
ragazze
mentre era ormai fuori da Hogwarts, e mai, mai, aveva osato dirgli
cosa provasse realmente.
E
in quell'istante gliel'aveva gridato addosso, furiosa per la poca
fiducia che riponeva in lei, per il poco affetto che aveva per lei;
arrabbiata con sé stessa perché era ancora
innamorata di lui, dopo
tutto quel tempo; spaventata all'idea di perderlo.
George
si era riscosso, fissando le lacrime cadere sul parquet dell'ufficio.
“Tu
sei...tu mi...da quando?” aveva mormorato stupito.
“Da
sempre, idiota! Dal mio primo anno a Hogwarts, quando non eri che un
moccioso stupido che faceva scherzi stupidi agli altri, eppure
incredibilmente adorabile. Eri un idiota! Sei un idiota! Idiota,
idiota, stupidissimo Idiota” aveva ripetuto Katie, cercando
di
sfogare la frustrazione. Non voleva piangere davanti a lui e
più si
vergognava per averlo fatto, meno riusciva a fermare le lacrime;
ormai la diga dei sentimenti si era aperta e non poteva mettere un
freno.
George
le si era fatto vicino e l'aveva abbracciata, spiazzandola.
Perché
mai si era immaginata quel tipo di reazione, quando aveva
fantasticato di confessargli i suoi sentimenti.
“Sai
perché ti chiedevo consigli sulle ragazze?” le
aveva chiesto
tranquillamente mentre lei assaporava il calore di quell'abbraccio;
aveva scosso la testa, attonita.
“Per
farti ingelosire, sciocca! Perché mi piacevi, oh, se mi
piacevi, ma
eri un maschiaccio intrattabile, una scimmietta acida. Avevo gettato
la spugna, avevo perso ogni speranza di poterti far interessare a me,
o a qualsiasi essere umano. ”
Katie
aveva fatto una faccia semi offesa, poi erano scoppiati a ridere alla
definizione calzante, stretti l'uno all'altra, e non si erano
lasciati più.
Quella
stessa sera, a passeggio nella Londra Babbana, Katie aveva regalato a
George quelle stelle di plastica, chiedendogli di metterle sul
soffitto della sua stanza, per far sì che pensasse sempre a
lei. E
lui aveva riso, colpito dal gesto molto femminile.
Avevano
appeso una stella insieme per ogni momento speciale: la prima volta
che si erano baciati; il loro primo viaggio; il primo incontro con i
genitori; la prima volta che avevano fatto l'amore: una a una, le
stelle avevano invaso il soffitto della stanza, ricoprendolo d'amore.
E
la stella grande era la sua preferita, tra tutte: la stella della
prima volta in cui George le aveva detto 'ti amo'. Gliel'aveva
sussurrato all'orecchio, una sera, sotto un vero cielo stellato,
prendendola alla sprovvista, emozionandola fino alle lacrime,
facendola ubriacare di felicità.
Un
grugnito di George la riscosse dai ricordi e si girò a
guardarlo,
temendo che si fosse svegliato; dormiva beatamente, ma forse stava
sognando qualche nuovo progetto a cui stava lavorando, che non gli
dava tregua. Rimase a fissarlo nella penombra, assorta, cercando di
intravvedere la sua espressione nel sonno, quasi certa che
sorridesse, anche se stanco. Ogni
giorno George si impegnava duramente, mettendo tutta l'anima perfino
nelle più piccole cose, dando il 200%, anche per Fred.
Quando
il suo gemello era morto, quattro anni prima, George era quasi morto
con lui. Quel giorno, al termine della battaglia, Katie aveva
guardato l'amico giacere senza vita e l'uomo che amava desiderare di
raggiungerlo, distrutto in maniera profonda ed eterna. Quel giorno le
stelle sul soffitto avevano smesso di brillare e per molto tempo
erano rimaste spente. C'erano
voluti anni, amore e pazienza per recuperare George, che si era
sentito smarrito, dilaniato, vuoto; Katie era rimasta al suo fianco
ogni secondo, sopportando le sue crisi nervose, gli stati depressivi,
la sua apatia, senza mai vacillare. Gli aveva dimostrato il suo amore
e il suo appoggio, giorno per giorno, facendogli ricordare che c'era
ancora chi gli voleva bene e aveva bisogno di lui, finché
non era
ritornato a vivere, a sorridere, ad amare, a inventare i prodotti che
lui e Fred avevano pensato per divertire la gente.
Sospirando
a quel ricordo doloroso, allungò la mano verso il comodino,
in cerca
della brocca dell'acqua, forse nel pensiero inconscio di far scendere
il dolore giù insieme al liquido, ma la sua mano si chiuse
su un
foglio, che si accartocciò. Il suo cuore mancò un
battito e
allontanò in fretta la mano, come se scottasse; si era
perfino
dimenticata che fosse lì. Adesso capiva il suo sonno
inquieto e
leggero.
Tornò
a guardare il soffitto, col pensiero di quella lettera nella mente.
La lettera che l'Ospedale Magico di Ginevra, comunemente conosciuto
con il suo acronimo OMG, le aveva inviato quella mattina, in cui le
veniva offerto un prestigioso posto di lavoro come Guaritrice
responsabile al reparto 'lesioni della memoria da incantesimi,
maledizioni, malattie magiche e pozioni', grazie alla sua tesi che
rivelava come unire la magia ad alcuni ritrovati Babbani sortisse
delle graduali guarigioni in casi dichiarati senza speranza.
Tesi
con cui avrebbe finito la sua specializzazione in Malattie Magiche
della Mente al San Mungo, di lì a due mesi, coronamento di
un
faticoso percorso, fatto di duro lavoro, di prove e sperimentazione,
di nottate insonni a studiare e fare ricerche.
Il
lavoro era allettante, di prestigio, eppure ricevere quell'offerta
non le aveva dato alcuna gioia; l'idea di trasferirsi a Ginevra non
l'allettava, non le piaceva. Avrebbe dovuto separarsi da tutti i suoi
amici, da Leanne, dal Guaritore Fawley che per lei era come un padre,
da Londra, che amava da impazzire; avrebbe dovuto conoscere colleghi
nuovi, abitudini nuove, ambientarsi a ritmi lavorativi massacranti e
un po' ne era spaventata.
E
avrebbe dovuto allontanarsi da George, vederlo solo una volta al
mese, forse anche ogni due, dato che probabilmente avrebbe lavorato
moltissimo, ad orari assurdi. Non aveva paura che lui si stancasse di
aspettarla o che la tradisse mentre era lontana o che la lasciasse
per via della lontananza; aveva paura a vivere senza di lui, senza
parlargli ogni giorno, senza vederlo, abbracciarlo, baciarlo.
Perché
Katie sapeva già, senza alcun bisogno di provare per essere
certa,
che non poteva vivere senza George. Il
solo pensarlo le metteva l'ansia, dandole i brividi.
Tuttavia
non aveva ancora risposto, sapendo che sarebbe sembrata ingrata agli
occhi della comunità medica magica; stava prendendo tempo,
cercando
le parole più giuste e garbate per rifiutare.
Perché avrebbe
rifiutato, ne era certa. Nessun lavoro valeva la pena di stare
lontano da George.
“Perché
non dormi?” chiese la voce di lui nel buio, impastata dal
sonno,
facendola trasalire.
“Stavo
pensando” rispose Katie avvicinandosi, assaporandone il
profumo,
mentre il cuore accelerava i battiti, emozionato.
“A
cosa?” biascicò George, gli occhi aperti che
riflettevano il
bagliore delle stelline.
“A
noi. Non siamo straordinari?” replicò sorridendo,
mentre lui
starnutiva per colpa dei suoi capelli sul viso.
“Mhm,
tu sei passabile, io sono fantastico! Adesso ho sonno, ma domani
mattina ti darò la caccia, vedrai”
mugugnò facendola ridere.
George
tornò a stringere le mani attorno al suo corpo, amorevoli.
Era
lì che doveva stare, era li che voleva stare, stretta tra le
braccia
di George, a dormire mano nella mano.
Note:
Salve!
Sono
tornata con una Gatie, il mio otp. Per chi avesse letto l'altra
storia che ho scritto su questo pairing: non ha nulla a che fare con
quella. E' più come se fosse un altro universo rispetto a
quello, un
altro modo in cui i due si sono innamorati.
Questa
storia è stata scritta per un contest, purtroppo
è stata l'unica
storia a partecipare, perciò è stato
disdetto. Il
compito era di scegliere un album e di scrivere dei capitoli per ogni
canzone, usando il titolo della stessa. Io ho scelto
“Pipes&Flower”
di Elisa.
Spero
che vi piaccia!
^_____^
Mimì
Nick
su efp: Mimiwitch
Nick
su ffz: Mimiwitch
Titolo:
Pipes&Flowers (Titolo dell'album da cui sono tratti i titoli)
Rating:
Giallo
Genere:
Sentimentale, drammatico
Personaggi
e pairing: George Weasley, Katie Bell.
Avvertimenti:
nessuno
Credits:
Pipes&Flower, Elisa 1997, etichetta Sugar
Note
dell'autore: “Sleeping in your hand” è
doppia nel cd. Ne ho
approfittato per aprire e chiudere la storia con la stessa canzone.
Introduzione:
George e Katie sono fidanzati da molti anni e stanno compiendo quei
passi necessari ad essere sempre più uniti. Ma una lettera e
una
richiesta si mettono sulla loro strada, cambiando i loro progetti.
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Capitolo 2 *** Mr.Want ***
Katie
adorava far colazione da George, perché era romantico e
divertente
allo stesso tempo.
Il
ragazzo le preparava dei deliziosi pancake, che lei adorava; se si
svegliava in tempo li preparavano assieme, il che significava
battaglia di pastella per la cucina, con fughe rocambolesche per il
salotto e futili tentativi di nascondersi.
Una
volta scoperta veniva trascinata di peso nella doccia, mentre faceva
finta di protestare, a lavarsi assieme scambiandosi effusioni; solo
allora riuscivano a fare colazione, nella cucina disastrata, coi
pancake freddi, coi capelli ancora bagnati, decidendo a morra cinese
chi dovesse pulire, tra le risate.
Quella
mattina entrò nella cucina profumata, scoprendo una pila di
pancake,
calda e fragrante, e la ciotola della pastella vuota. George stava
rovesciando l'ultimo sulla cima della torre e si girò a
guardarla,
infagottata in una sua maglia, le maniche arrotolate cinque volte
perché le mani riuscissero a spuntare.
“Niente
battaglia, oggi?” chiese ironica, avvicinandosi per dargli un
bacio. George
si scansò e le macchiò la punta del naso con un
po' di pastella
recuperata col dito, facendole una smorfia.
“Ti
sei alzata troppo tardi, pigrona” rispose con un finto
cipiglio
arrabbiato.
“Scusami,
ho dormito male stanotte” si lasciò sfuggire,
mentre si allungava
per stiracchiarsi, prima di appollaiarsi sulla sua sedia.
“L'ho
notato” disse George, mentre portava il piatto a tavola e si
sedeva
al suo posto. “Problemi al San Mungo?”
“Cos...no!
Forse sono solo un po' stanca, con la discussione della tesi a breve
e il riscontro inaspettato che sta avendo nella medicina magica...mi
sento sotto pressione” farfugliò Katie, scacciando
il pensiero
della lettera nel fondo della sua mente e il senso di colpa in fondo
allo stomaco.
Prese
a divorare la colazione, cercando di sembrare normale,
perché George
non scoprisse che lei gli stava nascondendo qualcosa.
Non
gli aveva parlato della lettera e della proposta di lavoro e non
aveva intenzione di farlo; sapeva che lui avrebbe insistito con ogni
mezzo perché accettasse l'offerta, pensando che forse lei
non
volesse andare a causa sua.
Non
avrebbe sopportato che lui potesse sentirsi responsabile per la
sua rinuncia, che si sentisse un freno alla sua carriera; era lei a
non voler andare, a non volerlo lasciare.
“Il
mio piccolo genietto. Chi avrebbe mai immaginato che la mia
scimmietta acida fosse intelligente?” la pungolò,
sorridendo.
Katie
gli rispose con una pernacchia, a disagio. George era fiero di lei e
la cosa la imbarazzava, anche se le faceva enormemente piacere.
“Che
programmi hai per oggi?” chiese lui addentando il terzo
pancake,
versandoci su una dose generosa di sciroppo al cioccolato.
“Riunioni,
ronde tra i pazienti, controllo di cartelle, le solite cose. Ho un
appuntamento alle nove col Primago1, per parlare
della mia
tesi” elencò dando un'occhiata distratta
all'orologio di cucina.
“E' tardissimo! Devo anche passare nel mio appartamento a
cambiarmi!” sbottò, saltando in piedi e correndo
in camera, per
mettersi la tunica del giorno prima.
George
le andò dietro, reggendo il piatto in una mano, la forchetta
con un
pezzo di pancake nell'altra.
“A
proposito del mio appartamento e del tuo andare e venire a piacere,
come se ci abitassi, senza avvisare, senza portare il
pigiama”
iniziò George seguendola in camera da letto, dove lei si era
bloccata ad ascoltarlo con la maglia già tolta in una mano,
seminuda, “non credi che sia ora di piantarla?”
Katie
rimase scioccata a fissarlo, incredula. George la stava cacciando? Un
nodo di ansia le strinse lo stomaco.
“Non
credi che sia ora di abitare assieme?” continuò
lui, con un lampo
divertito negli occhi.
Lei
lo fissò attonita, poi realizzando la frase si
aprì in un
meraviglioso sorriso, iniziò a gridare euforica e corse
verso di
lui, gettandosi tra le sue braccia. I
pancake volarono ovunque, spiattellandosi sulle pareti con un rumore
viscido e appiccicoso.
“Sì!
Sì!
Sìsìsìsìsì!
Certo che voglio vivere con te! Pensavo che non
me l'avresti mai chiesto!” urlò emozionata sul suo
collo,
riempiendolo di baci.
George
rise della sua reazione, mentre le baciava la nuca.
“Allora
ti aspetto stasera, coi tuoi scatoloni, per la prima cena di
convivenza! E adesso fila, prima che cambi idea e ti salti
addosso”
esclamò staccandosi e lasciandola a prepararsi, mentre lei
ancora
strillava e rideva.
“
Aspetta che lo dica a
Leanne!” la sentì dire mentre
usciva dalla stanza.
Quando
Katie tornò in cucina, sorridente e felice come non mai,
trovò
George intento a staccare una lettera dalla zampa di un maestoso
barbagianni, impettito e fiero.
“Ron
dovrebbe smetterla di mandarti gli ordini per gli scherzi coi gufi
del Ministero. Se Kingsley lo scopre passerà dei guai, anche
se è
sulle figurine delle cioccorane” scherzò poggiando
la borsa sulla
sedia, per prendere un bicchiere di succo di zucca.
George
aveva iniziato a leggere la lettera, congedando il volatile; la sua
espressione, dapprima allegra, si era fatta accigliata, pensierosa.
“Non
è di Ron. E' dell'ufficio notarile magico. Mi chiedono di
presentarmi da loro domani, alle nove” rivelò
sorpreso tendendole
il foglio, così che anche lei potesse leggere.
Katie
scorse la lettera, cercando un indizio sul perché della
convocazione, ma il notaio, un mago di nome Aloysius Plunkett, non lo
specificava da nessuna parte, mettendo solo enfasi sull'orario
dell'appuntamento.
“Ti
va di accompagnarmi?” chiese George, titubante.
“Non so per cosa
mi chiamino, ma non credo che tu non possa venire.”
Katie
annuì poi, dopo avergli stampato un grosso bacio, corse via.
La
giornata era piena di appuntamenti e commissioni; il Primago Fawley
le fece un discorso di un'ora sul perché dovesse accettare
l'offerta
in Svizzera, di cui lei non ascoltò nulla, dato che aveva
già
deciso; la signora Bloxam, che si era trasfigurata le gambe in pinne,
stava iniziando a perdere le squame, ma iniziò
improvvisamente a
cantare, ammaliando tutti gli uomini presenti nel piano, causando non
pochi problemi.
Alle
tre uscì dall'ospedale, diretta al suo appartamento,
correndo come
una matta per strada, urtando le persone e scusandosi ad alta voce.
L'idea di materializzarsi non le era nemmeno venuta in mente, presa
dall'euforia.
Aiutandosi
un po' con la magia e un po' coi vecchi metodi babbani,
iniziò a
imballare i vestiti, la moltitudine di libri, di oggetti.
Trovò,
nella sua frenesia, il suo vecchio diario segreto e non
riuscì a
smettere di ridere per una buona mezz'ora, leggendo i suoi pensieri
da adolescente. Aveva ragione George: si comportava proprio da
scimmietta acida, anche nel modo di pensare. Alle
cinque aveva finito di imballare ogni cosa che le appartenesse,
felice, sfinita ed euforica.
Leanne,
con la quale co-abitava sin da quando avevano
terminato gli studi, le aveva dato una grossa mano, chiacchierando
nel frattempo con lei e sognando sulla vita di convivenza, facendo
battutine.
Prima
di lasciare l'appartamento si abbracciarono forte, cercando di
trattenere le lacrime, dandosi delle sciocche, promettendosi di
cenare assieme una sera a settimana, fidanzati o meno.
Apparve
tra le fiamme smeraldine del camino dell'appartamento di George
trascinandosi dietro il baule, che conteneva tutti i suoi scatoloni,
per magia: dopo averlo poggiato nella camera, col batticuore, ancora
incredula, si sedette sul lettone.
La
grande stella scintillava, pulsante, in pieno giorno, seguendo
l'emozione nel suo cuore. E scoppiò a ridere euforica,
ubriaca di
felicità.
Iniziò
a disfare le valigie, a sistemare i suoi vestiti nell'armadio, dove
George le aveva ricavato posto, sistemò i libri nella
libreria in
salotto, gli ingredienti nella stanza delle pozioni; le ore passarono
velocemente, immersa nel suo lavoro.
Quando
tornò a casa, George la trovò in camera da letto,
a sistemare i
calzini nel cassetto del suo comodino.
“Stai
colonizzando l'appartamento?” chiese divertito, osservando
tutte le
cose di lei sparse per la casa.
“Sì!
Ti colonizzerò e ti costringerò ad
amarmi!” rispose Katie,
lanciandogli un paio di calzini arrotolati in faccia. George
le diede la caccia, mentre lei correva e rideva per tutto
l'appartamento. Fecero
l'amore, cucinarono assieme, cenarono a lume di candela, si sedettero
sul divano a scambiarsi baci e chiacchiere, naturalmente, come se
l'avessero sempre fatto.
Katie
si raggomitolò tra le braccia di George, quella notte, con
un
sospiro soddisfatto.
“Nel
nostro letto, nella nostra stanza, nel nostro appartamento”
pensò
teneramente.
La
parola “nostro”suonava dolcissima nella sua mente.
La
mattina seguente, un sabato mattina, dopo un'abbondante colazione, si
prepararono entrambi per andare dal notaio, chiedendosi chi avesse
convocato George e per quale motivo.
Si
materializzarono assieme fuori dal Ministero ed entrarono, usando la
cabina rossa per i visitatori.
Dopo
aver detto i loro nomi e il motivo della visita, e aver messo le
spillette di identificazione, la cabina li condusse lentamente
nell'atrio del Ministero; superarono la fontana magica, raffigurante
Harry, Ron e Hermione attorniati da un esponente di ogni razza magica
che avesse partecipato alla guerra (elfi, Centauri, Giganti, perfino
gli ippogrifi), e si recarono ai cancelli in fondo, dopo aver fatto
controllare la bacchetta dal guardiano.
Arrivati
al quinto livello, annunciato dalla fredda voce femminile
disincarnata, scesero e girarono a destra, seguiti da un paio di
aeroplanini di carta; davanti ad una porta in quercia, George si
bloccò e bussò. Una
vocetta stridula li invitò ad entrare.
Nello
studio oltre al notaio, un uomo molto vecchio e canuto che mal si
appaiava alla vocetta, trovarono Angelina. La ragazza li
osservò
entrare, sorpresa, poi si alzò per abbracciarli. Ci fu un
intenso
chiacchierio, domande sovrapposte, risatine sommesse.
Katie
osservò l'amica, trovandola un po' sciupata, consumata; la
vedeva
spesso, su riviste di Quidditch o in giro per negozi, però
non
riusciva proprio ad abituarsi alle ciocche grigie di capelli,
comparse prematuramente ai lati della testa, in seguito allo shock.
Angelina
era stata male, come George, forse persino peggio; entrambi
soffrivano della perdita della stessa persona, dallo stesso giorno;
ma mentre George aveva avuto l'amore di Katie a guarirlo pian piano,
Angelina aveva dovuto cercare di uscire dal baratro da sola.
Non
che Katie, la famiglia e gli amici non le fossero stati vicini,
tutt'altro, non era mai rimasta da sola, attorniata dall'affetto. Ma
per quel genere di ferita, l'affetto poteva guarire fino ad un certo
punto, non poteva ricostruire la voragine creata.
“Signor
Plunkett, sono George Weasley” si presentò il
giovane tendendo una
mano, “e lei è Katie Bell, la mia
ragazza.”
Il
vecchio sorrise in modo misterioso stringendo le loro mani,
poi li invitò a sedere.
“Chissà
per quale motivo siamo qui” le sussurrò il
fidanzato all'orecchio.
Katie
non aveva dubbi, se George e Angelina si trovavano lì, il
motivo
della convocazione poteva essere solo uno: Fred. Un
brivido le percorse inaspettatamente la schiena.
Il
notaio tossì, richiamando l'attenzione.
“Buon
giorno a tutti. Vi ho chiamato per farvi presenziare alla lettura di
questa lettera, pervenuta al nostro ufficio due giorni or sono,
consegnata da un gufo molto vecchio. Piuttosto insolito,
davvero.”
Poggiò
una busta sulla scrivania, di pergamena gialla, sigillata con della
ceralacca viola, il cui simbolo non riuscirono proprio a
riconoscerlo. Prese
un grosso respiro, a fatica, data l'età avanzata.
“Il
biglietto allegato chiedeva la vostra presenza ad un orario
prefissato, orario in cui il sigillo della lettera si
scioglierà per
magia, permettendovi di aprirla.”
La
spiegazione diede a tutti loro il batticuore; sembravano aver capito
tutti chi potesse essere il mandante e trepidavano per sapere cosa ci
fosse scritto.
I
quattro diedero un'occhiata all'orologio in legno antichizzato,
poggiato sulla scrivania in legno scuro dello studio; non appena la
lancetta raggiunse il dodici, segnando le nove in punto, la lettera
si ricoprì di fumo viola e per un attimo Katie temette che
scoppiasse, come scherzo postumo di Fred.
Il
fumo si diradò, mostrando la busta aperta, senza
più traccia di
ceralacca. George
prese la lettera dalla mano tesa del notaio e iniziò a
leggerla, nel
silenzio generale. Dapprima
parve emozionato, poi lo videro accigliarsi, infine arrivare in fondo
alla lettera con uno sguardo allarmato, la bocca tesa.
Girò
il foglio, cercando delle scritte sul retro, lo fissò in
controluce,
lo toccò perfino con la bacchetta, mormorando deboli
incantesimi;
infine, pallido, lo passò ad Angelina.
La
giovane ripeté la stessa scena di prima, strattonando la
lettera,
rileggendola più volte incredula, mentre George si era
portato le
mani alla testa, in un gesto disperato.
Katie
stava provando ansia e non era abituata; le reazione del suo ragazzo
e di Angelina, unite al silenzio angosciante e allo sguardo da folle
del notaio, le stavano facendo venire l'angoscia, temendo che nella
lettera ci fosse qualcosa di terribile, come una maledizione.
Angelina
le passò tremolante la lettera, che lei si accinse a leggere:
“Diagon
Alley, Londra, Dicembre 1997
Testamento
postumo, da eseguire prima del compimento dei 25 anni di Angelina
Johnson.
In
pieno possesso delle mie facoltà fisiche, mentali e magiche,
io, Fred
Fabian Weasley, stipulo questo contratto magico, col pieno assenso
degli interessati.
In
caso di mia morte prematura, voglio che mio fratello, George Gideon
Weasley, sposi Angelina Roxanne Johnson, al mio posto.”
I
suoi occhi vagavano confusi dalle firme dei due fratelli e di
Angelina in calce, al sigillo magico vincolante, alla data in cui
rispettare il contratto, a quel 'voglio', scritto quasi con
arroganza, nella grafia spigolosa di Fred.
Voglio:
come se gli fosse dovuto.
Voglio:
come se la sua richiesta non fosse egoista.
Voglio:
come se una cosa del genere fosse possibile.
Voglio:
una piccola parola che poteva spazzar via le sicurezze.
Girò
lo sguardo nello studio, cercando quello di George, cercando
speranza, la conferma che una cosa del genere non potesse essere
valida.
Negli
occhi azzurri di lui vi lesse angoscia, che alimentò le sue
paure,
dicendole che non solo era possibile, ma obbligatorio.
Il
“Signor Voglio” aveva ordinato
dall'aldilà e a loro non spettava
altro che ubbidire.
Note:
1:
Primago è la fusione di Primario (di medicina) e Mago,
coniato da
me. Il Primago Fawley è una vecchia conoscenza per chi ha
letto
“Come due fiocchi di neve”. Mi piaceva l'idea di
riusare il suo
personaggio, che adoro!
Benritrovate
a Audrey5, The Girl With Green Eyes e PallaDiNeve. ^____^
Il
compleanno di Angelina è a Ottobre, nella settimana prima
del 31, non so il giorno di preciso. Non so se Fred e George come
secondi nomi abbiano Fabian e Gideon e soprattutto chi abbia quale, se
così fosse. Ma mi piaceva metterglieli!
A
presto
Mimì
|
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Capitolo 3 *** Tell me ***
Varcarono
la porta dell'appartamento in silenzio, con la stessa espressione di
tensione che avevano mantenuto fin dalla lettura del testamento a
sorpresa di Fred.
Avevano
chiesto al signor Plunkett se fosse tutto uno scherzo,
perché come
avrebbe potuto essere una cosa seria? Come
era possibile che una richiesta del genere potesse essere non solo
possibile, ma anche accettabile nel ventunesimo secolo?
Il
vecchio notaio aveva sorriso, in una maniera ambigua e fastidiosa, e
aveva spiegato loro che il contratto era valido, dato che era stato
stipulato dalla magia.
Allora,
con la disperazione nel cuore, avevano chiesto se fosse possibile
invalidarlo, ma l'uomo aveva scosso il capo, col suo sguardo folle, e
aveva spiegato che quel genere di documento era impossibile da
annullare, con la magia o con metodi normali; per dimostrarlo aveva
dato fuoco alla pergamena, che era ritornata intonsa e perfettamente
leggibile in un secondo, dopo che le fiamme si erano spente da sole,
per magia.
Per
nulla convinto, George si era alzato in piedi e aveva detto che non
avrebbe sposato Angelina, nemmeno se a chiederlo era Fred, o almeno
la sua volontà postuma. A
quelle parole un bagliore accecante aveva avvolto la lettera e subito
dopo, sulla superficie improvvisamente bianca, si erano formate delle
nuove parole, nella grafia arzigogolata di Fred.
“In
questo caso perderai la cosa più importante” aveva
scritto la
lettera, seguendo le istruzioni magiche di chi l'aveva creata.
George
era diventato pallido, chiedendo spiegazioni alla pergamena, anche se
sapeva quanto fosse stupido.
“Se
non la sposi entro la data sul contratto, la persona che ami
morirà. Se al momento non sei impegnato, e non sei
innamorato, sarai
tu a morire. In ogni caso, anche Angelina morirebbe” aveva
risposto
crudelmente quella.
E
alla fine cedettero, guardandosi l'un l'altro, confusi. Non avevano
più parlato, non sapevano che dirsi. Solo mille domande
inespresse
riempivano le loro menti ed entrambi sapevano che nessuno dei due
aveva le risposte.
Perché
Fred aveva fatto una cosa del genere? Prima di morire già
sapeva che
lei e George stavano assieme, quel che lei avesse passato per poter
infine stare con lui.
E
in un secondo, con una lettera, spazzava via tutto; per cosa poi?
Angelina
non voleva sposare George. Era inorridita e sbiancata quando aveva
sentito la richiesta di Fred. Aveva detto al notaio che lei
considerava il contratto non valido, dato che non desiderava affatto
un matrimonio in quella maniera.
Ma
la lettera aveva risposto ancora, facendole montare una gran rabbia
nel cuore, desiderando di poterla strappare con le sue mani.
“Non
si può, Angie. Questa richiesta è per il tuo
bene, fidati” aveva
risposto insolitamente dolce, con la grafia conosciuta.
Non
si può, è per il tuo bene...che diamine ne sapeva
un pezzo di carta
di che cosa fosse più giusto? Come poteva sapere quanto
dolore
stesse arrecando? Un pezzo di carta se ne fregava delle
emozioni, se ne fregava del dolore altrui.
Questa
a Fred non l'avrebbe mai perdonata. Non
era uno scherzo, era vita vera; c'era la loro felicità in
gioco.
George
poggiò la bacchetta sul tavolino, un suono lieve, ma che nel
silenzio risuonò con forza, facendoli trasalire. Si
cercarono con lo sguardo.
“La
persona che ami morirà.”
Quella
frase era rimasta impressa nelle loro menti e Katie sapeva che George
aveva paura che potesse morire a causa sua.
“Perché
hai firmato quel contratto?” chiese, senza potersi fermare.
Desiderava saperlo. Perché George, pochi giorni dopo averle
detto di
amarla, aveva firmato un contratto che lo legava ad un'altra donna?
“Io
non l'ho fatto!” esclamò lui, irritato, come se
trovasse
offensivo che lei potesse
pensare diversamente.
“Ma
la tua firma...c'è la tua firma su quel foglio. Per questo
motivo è
vincolante! A causa delle firme tua e di Angelina. Quando? Quando
avete deciso di fare una cosa così stupida?”
urlò, incapace di
tenersi dentro quella rabbia.
Perché si sentiva tradita, esclusa,
ferita. Non voleva pensare a quello che sarebbe successo di
lì a
qualche mese, non voleva pensare di dover perdere George, per colpa
di una bravata, di uno stupido accordo, pensato in chissà
quale
momento di pazzia.
Lui
si avvicinò, intuendo la sua agitazione, la lotta interiore
che la
scombussolava; le prese il viso tra le mani, costringendola a
guardarlo negli occhi.
“Ti
giuro, non ho mai firmato quell'accordo. Non avrei mai acconsentito a
niente del genere” sussurrò ad un passo dal suo
volto. Katie
lesse nei suoi occhi la verità e si sentì
svuotata dalla rabbia.
“Questo
vuol dire, ed è terribile anche solo pensarlo,”
continuò lui
abbracciandola, “che tutta questa storia è stata
architettata da
Fred, a nostra insaputa. Ed io non riesco a credere che possa averlo
fatto.”
Sentì
il cuore di George accelerare, di rabbia, al pensiero che il suo
gemello, la persona che aveva amato più di tutte, potesse
aver
ideato un piano così malvagio e subdolo.
Rimase
avvinghiata a lui, desiderando che il suo calore riuscisse a
cancellare il gelo che si stava impossessando di lei.
“Andrà
tutto bene!” disse George, per rassicurarla.
“Continueremo
a cercare scappatoie su scappatoie, cavilli, la più piccola
clausola
che possa darci l'opportunità di annullarlo. Ci deve essere
qualcosa
e non mi darò pace finché non lo
troverò” sbottò lui accorato.
Lei
sorrise appena, colpita dalla risolutezza nella voce, stretta ancora
nel suo abbraccio.
Dal
giorno seguente, tutti i loro sforzi furono tesi a cercare.
Cercare
un punto debole del contratto, cercare di stare assieme, cercare di
non soccombere alla paura.
Dopo
il turno in ospedale, Katie correva alla biblioteca magica comunale,
a sfogliare centinaia di libri, nella sezione 'Fatture e
Contratti'; in quella 'Matrimoni Magici: come
formularli, come
evitarli'; perfino in quella: 'Daresti la tua anima
per
sciogliere un contratto?', piena delle cose più
raccapriccianti.
Sera
dopo sera rientrava a casa sempre più stanca e sfiduciata.
Lei
e George non parlavano del contratto, ma continuavano entrambi a
cercare di annullarlo. Nessuno dei due voleva rovinare i loro primi
momenti di convivenza assieme parlando di qualcosa di così
terribile, entrambi volevano solo risate, gioia e amore tra quelle
mura.
La
notizia del contratto si diffuse piuttosto in fretta, considerato che
nessuno di loro avesse detto nulla, troppo impegnati a cercare una
scappatoia. Venne loro in mente che forse il notaio non fosse poi un
così rinomato professionista, se andava in giro a spargere
pettegolezzi su casi privati.
Nel
mondo magico fece grande scalpore, nel clima fin troppo rilassato del
dopo guerra; la gente, non più impensierita e spaventata al
pensiero
di morire per mano di Voldemort, si dedicava a frivoli passatempi,
come le chiacchiere.
Decine
di curiosi li assalivano ogni giorno, Rita Skeeter in primis, per
avere notizie di prima mano, impressioni e pensieri sulla vicenda;
assaltavano il San Mungo, si assiepavano fuori dal negozio di
scherzi, li seguivano mentre erano in giro.
La
cosa all'inizio li aveva spiazzati e infastiditi, perché
proprio non
gli andava giù di essere sulla bocca di tutti, tanto
più che
nessuno aveva cercato di dar loro una mano. Poi
avevano escogitato percorsi alternativi, camuffamenti e Incantesimi
di Disillusione per passare inosservati; in breve avevano smesso di
essere pedinati, anche se fu una vittoria breve.
Angelina,
infatti, non sembrava riuscire a gestire le cose bene come loro, e
venne presa di mira molto presto; soccombeva alle domande,
tentennava, scoppiava in pianti isterici, alimentando la stampa
scandalistica.
Nel
giro di un mese non c'era mago o strega interessato di gossip, in
tutta la Gran Bretagna, che non sapesse ogni dettaglio della storia.
C'erano
interviste a conoscenti, o presunti tali, che dicevano la loro sulla
vicenda, chi schierato dalla parte di Katie, vista come la vittima, a
cui veniva strappato via il fidanzato, chi invece si schierava con
Angelina, sostenendo che la povera ragazza non centrava nulla e non
doveva morire a causa di loro due.
Al
lavoro incontrava sempre più spesso facce che la guardavano
con
pietà, con compassione, e i più la trattavano
come se fosse una
persona malata che stesse per dipartire.
Fu
un mese lunghissimo, vissuto nell'ansia e nell'agitazione.
La
tesi si avvicinava, la data del matrimonio si avvicinava.
E
per quanto avessero cercato, sembrava che non ci fosse nulla, in
nessun libro, che potesse aiutarli.
Settembre,
caldo e afoso, stava volgendo al termine.
Katie
rincasò presto, quel pomeriggio di fine mese, trovando
l'appartamento vuoto. Si
mise alla scrivania dello studio di George, per correggere alcuni
passi del discorso per la tesi, grattando via le frasi che non la
convincevano con la piuma, sporcando la scrivania di gocce di
inchiostro nella fretta di scrivere le parole che le saltavano alla
mente.
Quando
fu necessario accendere una candela per poter continuare a scrivere,
finalmente capì quanto si fosse fatto tardi. Si
alzò stiracchiando
le membra, decisa a continuare in seguito. Dopo aver fatto la doccia,
per rinfrescarsi e scacciare via la tensione, iniziò a
cucinare, per
fare una sorpresa a George.
In
realtà cucinare alla babbana, usando mani e utensili invece
della
magia, la rilassava; e solo il cielo sapeva quanto avesse bisogno di
rilassarsi.
La
tesi, il contratto matrimoniale del suo ragazzo, la proposta in
sospeso all'OMG, a cui non aveva ancora risposto, assorbita com'era
da ben altri problemi, gravavano sulle sue spalle.
Un'ora
più tardi ammirò la cena, pronta e invitante, poi
gettò
un'occhiata all'orologio della cucina, cercando di scacciare via
l'ansia al pensiero che George fosse in ritardo.
Decise
di aspettarlo sul divano, a leggere un buon libro giallo, del miglior
investigatore mai ideato; Sherlock Holmes trascinò la sua
mente
lontano per un po', impegnandola a scoprire il mistero dietro il cane
demoniaco dei Baskerville.
Cadde
in un sonno inquieto, in cui girava in completo di tweed con una pipa
in bocca, a indagare con un tizio distinto e bonario, usando gli
incantesimi per smascherare i colpevoli.
Si
svegliò ore dopo, infastidita da un bagliore improvviso nel
buio
totale della casa: il patronus di George la osservava seduta sul
tappetto, in attesa.
“Sono
con Angelina, sta poco bene. Rincaserò tardi, ma non
preoccuparti”
disse il piccolo Fennec, con la voce del ragazzo.
Katie
lo osservò svanire in una nube argentea, facendola piombare
nell'oscurità.
Eppure
non c'era più buio lì che nel suo cuore, in quel
momento.
Scosse
la testa, cercando di scacciare ogni pensiero stupido e malvagio che
le fosse salito in mente e di soffocare quella rabbia che sentiva nel
petto. Ma
non riuscì a non provare una cieca gelosia e a sentirsi
sporca per
questo.
George
era con Angelina? Dove si erano incontrati? Quando? Perché?
“Perché?
Perché devi farmi questo? Dimmi, Fred Weasley, ti stai
divertendo a
osservarmi soffrire? Dimmelo!” urlò al nulla,
arrabbiata con tutto
e con tutti.
Note:
Salve
a tutti!
Ho
messo l'avvertimento ooc, per sicurezza. Io trovo che le reazioni dei
personaggi siano giustificate, data la situazione, ma preferisco
comunque segnalarlo.
Spero
che la storia vi stia piacendo, l'ho scritta senza molte pretese.
A
presto
Mimì
|
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Capitolo 4 *** A feast for me ***
Dopo
quella notte alcune cose cambiarono: George spiegò che
Angelina era
diventata debole e fragile dopo la morte di Fred e che quello stress
la debilitava moltissimo, creandole stati di panico e di ansia.
Era
stata lei a chiamarlo la sera prima, per farsi aiutare a tenere a
bada alcuni giornalisti. Mossa
che non aveva fatto altro che aumentare le chiacchiere, con tanto di
foto in copertina sulla Gazzetta del Profeta del suo ragazzo e della
sua amica abbracciati, che cercavano di sfuggire alle macchine
fotografiche. Con scarsi risultati, ovviamente.
Data
la sua debolezza emotiva, George si era offerto di stare un po' con
lei ogni giorno dopo il lavoro, per parlare un po' e rassicurarla;
Katie aveva provato a proporsi al posto suo, come ragazza e come
amica sarebbe stata più indicata, ma George le aveva
consigliato di
concentrarsi sulla tesi, ormai molto vicina.
Il
piccolo buco nero nel suo cuore, creato dall'insicurezza, si
allargò
pian piano, ma in maniera costante: aveva una maledettissima paura di
perderlo, di sentirlo sempre più distante finché
un giorno non lo
avrebbe avuto più accanto a sé.
La
notte rincasava tardi e si avvinghiava a lei, forse per trasmetterle
sicurezza, per farle capire che l'amava; ma non sapeva che tutto,
perfino i suoi capelli, avesse il profumo di Angelina.
Una
sera, coi nervi a fior di pelle, lo aggredì.
“Vuoi
davvero stare con me? Stai davvero cercando di sciogliere quel
maledettissimo contratto?” gridò nel salotto,
lasciando George
basito, dato che non aveva fatto nulla che potesse alterarla.
“
Certo
che voglio stare con te!
Lo sai che non sopporto questa situazione, almeno quanto te”
rispose pacato, cercando di calmarla.
Katie
ormai non dormiva più, assillata dall'angoscia; mancava una
settimana alla discussione della tesi, due settimane al matrimonio.
La
notte rimaneva sveglia, a fissare il soffitto, a contare le loro
stelline, divorata dalla paura.
“Non
mi sembra sai? Non fai altro che passare il tuo tempo con
Angelina!”
lo accusò, ben conscia di star solo sfogando la tensione
repressa
contro di lui, ma incapace di fermarsi.
George
sospirò, pensando al modo giusto di rispondere, se mai ce ne
fosse
stato uno.
“E'
perché è debole. Non ha la tua forza, la tua
determinazione, sai
che cosa è diventata dopo la guerra” si
scusò, provando a farle
capire quanto rispettasse il suo carattere forte.
Katie
continuò a fissarlo, impettita in mezzo al salotto, con
un'espressione di dolore.
“Lo
so, George. Ma questo non mi impedisce di star male e di essere
gelosa e di sentirmi uno schifo per esserlo. La mia mente si affolla
di immagini e inizio a disperarmi, pensando che tu possa innamorarti
di lei e sposarla e non amarmi più”
singhiozzò al limite della
sopportazione, confessando gli oscuri pensieri che l'avevano tenuta
sveglia.
George
l'abbracciò, cercando di fermare il tremito che le
percorreva il corpo, scosso dal pianto; solo con lui Katie si
permetteva di essere
una donna insicura, di mostrare la sua fragilità.
“Non
accadrà mai. Mai, ti dico. Non c'è nessuna donna
che io possa
amare, all'infuori di te” mormorò dolcemente,
lasciando che si
sfogasse.
Nei
giorni che seguirono, intuendo il nervosismo a fior di pelle, George
prese a rincasare un po' prima; non molto, solo mezz'ora prima, per
poter almeno coricarsi con lei e stringerla silenziosamente tra le
braccia, per darle sostegno e conforto.
E
arrivò, il temutissimo giorno della discussione.
Quella
mattina era sveglia già ben prima che la suoneria trillasse,
alle
sette in punto. Protese
la mano e la spense, girandosi verso George, scoprendo il letto vuoto
e freddo.
Senza
pensarci troppo si diresse in cucina, non per mangiare, non ne
avrebbe avuto la forza con quel nervosismo nello stomaco; seguiva
solo il rumore infernale che proveniva dalla stanza in questione.
Scoprì
il ragazzo ai fornelli, a preparare la colazione più
sontuosa e
mastodontica che avesse mai visto in vita sua: c'erano due torte,
frittelle, pancake, porridge, uova e bacon, e altro ancora nascosto
dalle mille vivande. Il
tavolo della cucina scricchiolò debolmente, forse
minacciando di
schiantarsi sotto tutto quel peso.
Katie
rimase immobile nel vano della porta, troppo scioccata per accorgersi
del grembiulino di George, con su scritto: “Bacio meglio di
come
cucino.”
Lui
si accorse della sua presenza e le sorrise allegro.
“Buon
giorno, scimmia. Ti ho preparato la colazione”
annunciò
trionfante, come se a lei potesse essere sfuggito.
“Per
me e quale esercito?” riuscì infine a chiedere
lei, ripresasi
dalla sorpresa.
“E'
una giornata importante. Ti serve energia!”
incalzò, trascinandola
a tavola e mettendole perfino un tovagliolo sulle gambe.
La
sola vista di tutte quelle vivande la nauseava, in preda com'era
all'ansia, ma non riuscì proprio a rifiutare, davanti agli
occhi
entusiasti di George e al pensiero di quanto si fosse impegnato per
lei. Ignorando
il suo stomaco si sforzò a mangiare, lanciando di tanto in
tanto
un'esclamazione entusiasta su qualcosa che stava masticando, per
farlo contento.
George
la osservava sorridente, ma stranamente assorto.
“Ti
senti pronta?” le chiese al di sopra della torre di frittelle.
“Abbastanza.
Voglio dire, non potrei saperla meglio di così, conosco
perfino le
virgole. Ho ripetuto la tesi nella mia mente centinaia di volte, lo
sto facendo anche adesso mentre ti parlo”
raccontò, respirando a
fondo per trasmettersi sicurezza.
“E
sarai bellissima, truccatissima, pettinatissima?”
domandò George
ironico.
Katie
non era una donna che amasse trucco e parrucco, era più
acqua e
sapone, senza fronzoli, poco femminile. Tuttavia
per la discussione della tesi, e la successiva festa che avrebbe
seguito il conseguimento della laurea, sarebbe stata conciata come
una bomboniera da Leanne, che non voleva saperne di lasciarla andare
con la solita tunica e i capelli sciolti.
“Leanne
mi ha comprato perfino il vestito! E voleva che mettessi una
tiara!”
mugolò scandalizzata, chiedendosi cosa fosse passato nella
testa
dell'amica.
George
sorrise enigmatico.
“Allora
manca solo una cosa: un bel gioiello!” esclamò,
tirando fuori qualcosa dalla tasca del grembiule, una scatolina blu,
lunga e
sottile.
Katie
la guardò incredula, mentre George gliela porgeva, con
un'espressione tesa, e allo stesso tempo strana. La
aprì, emozionata, completamente spiazzata, e
scoprì una bellissima
collana con un ciondolo a stella, in oro bianco, semplice e elegante
insieme.
La
rigirò tra le mani, percependone la freddezza, subito
sostituita dal
calore del suo tocco.
George
la guardava, in silenzio, attendendo la sua reazione.
“Non
dovevi, è bellissima. E' perfino troppo!” disse,
quando
riuscì a farlo senza far uscire solo strilli emozionati.
“Sì
che dovevo. E' il mio personalissimo regalo per te”
mormorò
avvicinandosi a lei, prendendole la collana dalle mani.
“Lascia che
ti aiuti” disse portandosi alle sue spalle.
Lei
sollevò i capelli mentre George le faceva passare il
ciondolo
splendente davanti al viso, poi trattenne un gridolino quando
toccò
la sua pelle, gelido, e sentì le dita del ragazzo armeggiare
con la chiusura.
“Katie,
mi vuoi sposare?” domandò dalle sue spalle, mentre
la collana,
finalmente chiusa, le cingeva il collo.
Pensò
di aver capito male, di aver sentito male. Si
voltò verso di lui, i capelli ancora tra le mani, congelata
in
quella posa.
Si
guardarono in silenzio, il ticchettio dell'orologio in sottofondo. I
suoi occhi chiedevano a quelli di George di ripetere.
“Hai
sentito bene. Ti ho chiesto di sposarmi!” ripeté
con un sorriso,
capendo che volesse solo esserne certa, di non averlo sognato.
Katie
si alzò dalla sedia in fretta, gettandosi tra le sue braccia.
“Sì!”
Non
riusciva a dire altro, non ne aveva la forza, preda della gioia
più
grande mai provata.
Riempì
il collo di George di risate di felicità, poi si
sentì sollevare di
peso: la portò in braccio fino in camera da letto poi,
gettandosi su
di lei, la baciò con passione, mentre lei rideva e piangeva
insieme,
ricambiando con trasporto.
Rimasero
abbracciati a lungo, stretti e appagati, nudi e ansanti. George
le accarezzava distrattamente un braccio, facendole venire la pelle
d'oca, strappandole mugolii di benessere.
“Pensi
che sia possibile?” sussurrò Katie con gli occhi
chiusi, cercando
di portare un po' di ordine nei suoi pensieri.
“Che
cosa?” chiese lui, preso alla sprovvista, senza capire di
cosa
stesse parlando.
“Pensi
che davvero potremo sposarci?” incalzò lei, dando
sfogo alla sua
paura. Rimasero
in silenzio, sapendo entrambi di non conoscere la risposta.
Mancavano
sette giorni al matrimonio e ancora non erano riusciti a scoprire
nulla che potesse aiutarli, che sciogliesse il contratto.
“Certo.
Non dubitarne. Non sposerò Angelina” rispose
sicuro, corrucciando
la fronte.
Katie
adorava sentire quelle parole, le davano fiducia. George le dava
fiducia. Nonostante
si fosse fatta una nomea di donna fredda e risoluta, Katie era in
realtà dolce e fragile e solo George riusciva a infonderle
fiducia
nel profondo, a sostenerla, a darle forza.
Un'idea
improvvisa balenò nella sua mente. Si tirò sui
gomiti per guardarlo
in viso.
“Se
ci sposassimo? Prima dello scadere del contratto! Allora non sarebbe
nullo, dato che sei già sposato?” chiese
emozionata, mangiandosi
le parole per la fretta di dirgli la sua pensata.
George
le sorrise tristemente e la strinse a sé.
“Ci
ho pensato anche io, quando ho deciso di chiederti di sposarmi. E
sono andato dal notaio per chiedergli se fosse possibile, ma quella
dannatissima pergamena mi ha detto di non fare il furbo. Mi ha
minacciato di farti morire se lo facessimo, perché nemmeno
quello
può invalidare il contratto” sussurrò
con voce triste.
“Per
me starebbe bene. Per lo meno morirei come tua moglie” ammise
fiocamente, ricevendo un'occhiataccia.
“Non
ci pensare nemmeno. Riusciremo a spezzarlo, vedrai. E poi ci
sposeremo o non mi chiamo più George Weasley!”
Lo
strinse forte, conscia che fosse già molto tardi e di
doversi quindi
separare da lui.
“Devo
andare” soffiò a malincuore sul suo collo.
“ Lo
so.”
Nel
tirarsi su il piccolo ciondolo batté sulla pelle.
“Come
mai hai scelto una collana per la proposta?” chiese
afferrandola
con amore.
George
abbracciò il cuscino, fissandola furbo.
“
Gli
anelli son superati. E poi
quella collana ha una stella, come la nostra”
confessò alzando un
braccio ad indicare il grande astro, sul soffitto. Sorridendo,
trattenendo l'emozione per quelle parole, si gettò a dargli
un
ultimo bacio.
“Ti
amo” sussurrò sulle sue labbra. Lui sorrise,
compiaciuto.
“Fila
a prepararti, scimmia.”
La
discussione della tesi, nella sala conferenze del San Mungo, fu
emozionante. In piedi sul palco, con una moltitudine di luminari,
Guaritori famosi, la commissione medica, parenti e amici, sembrava
più un comizio che una discussione.
Con
le mani sudate e il cuore lievemente impazzito, spiegò ai
presenti
cosa l'avesse portata a studiare Guarigione, come avesse fin
dall'inizio sperimentato antidoti alternativi, scoprendo
così
l'ingrediente che aveva trasformato un semplice e debole rimedio per
la mente, in una pozione che curava la perdita di memoria in seguito
a fatture magiche. Inconsciamente,
mentre parlava al folto pubblico, portava la mano alla collana, in
cerca di forza.
Alla
fine della spiegazione il pubblico aveva applaudito e il Primago le
aveva consegnato l'attestato e la spilletta a forma di osso e
bacchetta incrociati, simbolo del conseguimento di laurea.
Con
gli occhi un po' umidi si voltò verso George, che le
sorrideva
incoraggiante al fianco di Angelina, emozionato quanto lei.
Il
Primago, con semplici colpi di bacchetta fece sparire il palco e le
sedie, sostituendoli con tavoli ricolmi di ogni genere di vivanda,
fontane di succo di zucca o burrobirra, festoni, palloncini dorati,
decorazioni floreali e un'orchestra dal vivo.
Katie
venne sommersa da complimenti, strette di mano, domande, richieste di
foto.
Scivolava
nella sala, cercando di non incespicare sui tacchi, a fare domande ai
suoi ospiti, a salutare gli amici. Salutò
Leanne, Alicia, Hermione, Harry, la famiglia Weasley al completo,
tutti venuti a sostenerla e complimentarsi con lei.
“Signora
Weasley, grazie per essere venuta!” esclamò felice
quanto la donna
si avvicinò a darle un caloroso abbraccio.
“Katie,”
mormorò Molly con gli occhi umidi, passandole una mano sulla
guancia, “siamo così felici! Hai lavorato tanto e
ti meriti tutto
il successo del mondo. George è un uomo fortunato ad averti
accanto,
lo dicevo ieri ad Arthur. Vero caro?”
Arthur,
intento a mangiare dei delicati vol-au-vent, alzò lo sguardo
distratto su di loro al sentire il suo nome.
“Cos...oh
sì. Davvero fortunato. Una donna incantevole”
farfugliò cercando
di salvarsi.
Katie,
a metà tra l'imbarazzo e una risatina repressa, si
girò a guardare
tra la folla.
La
gente parlava, mangiava, rideva e ballava.
“A
proposito di George, lo ha visto? Non lo vedo dalla fine della
discussione” disse a Molly, riportando l'attenzione su di
lei. La
donna scosse la testa, con un'espressione tesa.
“
No,
mia cara, non so dove sia.”
Girò
tutta la sala, cercò nelle stanze adiacenti e
guardò distrattamente
verso il giardino, dalle finestre; non riuscì a trovare
George, da
nessuna parte.
Sentì
alcune persone domandarsi dove fosse il suo fantomatico fidanzato, di
cui avevano letto sulla pagina dei gossip, quello costretto a sposare
un'altra.
Le
domande fioccavano di qua e di là, sulla bocca di alcune
maligne
pettegole.
Si
mise a parlare con alcuni Guaritori, sulle teorie mediche attuali,
dato che volevano sapere quale fosse la sua opinione sull'uso di
alcune tecniche babbane nella medicina magica. Non
seppe quanto rimase a parlare con quelle persone, a sostenere che ci
fosse molto da apprendere dalla metodologia babbana in alcuni ambiti
medici; ma per tutto il tempo un piccolo tarlo fastidioso le rodeva
la mente, impedendole di godersi appieno la sua festa.
Infine,
quando ormai erano quasi tutti andati via, salutando, ringraziando,
facendole ancora i complimenti, George apparve; era teso e nervoso.
“Angelina
si è sentita male, mentre era in giardino. E' molto debole,
la
accompagno a casa. Ci vediamo più tardi”
sciorinò tutto d'un
fiato, scomparendo subito dopo, senza aggiungere altro.
Leanne
le si fece vicino, l'ultima persona ad essere rimasta con lei,
percependo dalla sua posa la sua agitazione.
“E'
stata una bella festa!” chiosò allegra, cercando
di distrarla.
Katie
digrignò i denti, per non mettersi ad urlare.
Perché voleva urlare,
per liberarsi il cuore.
“Già,
una bella festa” ripeté, sapendo di suonare atona.
L'ultimo
regalo di George non le era piaciuto però, affatto.
L'aveva
lasciata da sola, per tutta la sera, per stare con Angelina, per poi
andare via con lei. Si aggrappò al ciondolo, con
disperazione,
scacciando il senso di opressione al petto, ripetendosi che erano solo
le sue paure, che non sarebbe successo nulla.
Eppure
non riusciva a darsi forza, l'angoscia nel cuore era più
forte.
Era
lì, nel suo vestito migliore, nella sua giornata speciale,
ma tutto
era inutile se l'uomo che amava era distante miglia da lei, dal suo
cuore.
“Una
festa per me. La peggiore” mormorò tra
sé e sé, vuota.
Note:
Salve
a tutti!
Eccomi col quarto capitolo, davvero, davvero in ritardo; chiedo scusa!
Purtroppo sono in un periodo megapieno e non riesco a stare dietro a
tutto quello che vorrei fare.
Dunque: stiamo entrando sempre più nella parteoscura della
storia, qualcosa si sta incrinando nel rapporto tra i nostri
protagonisti e chissà come si evolveranno ancora le cose.
Grazie a chi segue la mia storia, di cuore.
a presto
Mimì
|
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Capitolo 5 *** Shadow zone ***
George
non tornò a dormire per la notte e non si vide per tutta la
mattina
seguente; l'unico gufo che le fece visita portava una lettera
dell'OMG, in cui le veniva chiesta una pronta risposta alla loro
offerta. Aveva accartocciato
la lettera e gettata nel cestino, con furia.
Non
era riuscita a chiudere occhio e le profonde occhiaie lo
dimostravano: era rimasta distesa con gli occhi aperti, le orecchie
tese a cercare di catturare ogni rumore, attendendo il ritorno di
George, invano. I battiti del suo cuore si erano fatti sempre
più
accelerati, l'angoscia più pesante.
Era
una domenica mattina, perciò decise di dedicarsi alle
pulizie, pur
di non pensare.
Non
si fermò un secondo, nemmeno per mangiare, traendo gioia dai
muscoli
doloranti, dalla stanchezza che lo sforzo fisico le procurava; niente
era meglio dei vecchi metodi babbani imparati da suo padre per
tenersi impegnata. Sfregava
le mattonelle cercando di sfregare via l'ansia dal suo corpo,
eliminava le macchie come avrebbe voluto togliere quelle di gelosia
dal suo cuore, cancellava ogni traccia di polvere così come
avrebbe
voluto farlo con i brutti pensieri che le affollavano la mente.
Fino
alla sera, non fece altro che dedicarsi alla sua occupazione.
George
tornò tardissimo, sul finire del giorno. Katie
era raggomitolata sul divano, al buio. Non aveva avuto nemmeno la
voglia di accendere la luce: era rimasta ad aspettare nelle ombre
della sera, crogiolandosi in cupi pensieri.
Il ragazzo la trovò lì e dopo aver mormorato un
saluto distratto la
oltrepassò, andando verso la camera. Katie sentì
la rabbia repressa
montarle dentro e lo seguì come una furia, sbattendo la
porta della
camera.
Lui
alzò indifferente lo sguardo, poi tornò a cercare
qualcosa dentro
l'armadio.
Lo
fissò a lungo, aspettando che parlasse, che si scusasse, che
spiegasse cosa lo avesse trattenuto per un giorno intero fuori casa,
senza nemmeno un avviso così che non si preoccupasse.
Ma
non arrivò nessuna spiegazione; lui continuava a cercare
qualcosa di
qua e di là per la stanza, ignorandola completamente.
“Allora?”
sbottò alla fine, con voce irata.
“
Allora cosa?” chiese
George, innocentemente, sempre
senza degnarla di uno sguardo.
“Dove
diamine eri finito? Sei sparito per un giorno, senza dare tue
notizie. Temevo che ti fosse accaduto qualcosa”
urlò, la rabbia
crescente.
La
stava prendendo in giro? Non
si rendeva conto della sua agitazione, della sua preoccupazione? Si
comportava come se non gli importasse nulla.
“Ero
da Angelina, lo sapevi” rispose tranquillamente, tirando su
le
spalle. Come a dirle di non farne una tragedia.
“Sei
rimasto da Angelina per tutto questo tempo?” chiese, sentendo
un'ansia bruciante salirle dal petto, mentre il respiro si faceva
corto e le mani iniziavano a tremare.
George
non rispose, solo smise di cercare, immobilizzandosi.
Il
cuore batteva così forte da darle le vertigini, si
aggrappò con
forza allo stipite della porta, continuando ad aspettare;
perché
George ci stava pensando su? Cosa era successo? Non poteva essere
successo quello che più temeva.
“Tu...mi
hai tradito? Mi hai tradito con Angelina?” gridò
incredula, la
voce accorata.
George
si girò lentamente verso di lei, fissando lo sguardo nel suo.
“No”
rispose con la sincerità negli occhi.
Un
decimo di secondo in cui riprese a respirare.
“Non
lo considero tradimento. Perché non ti amo
più” continuò con
voce calma, rigirandosi per frugare nei cassetti.
Katie
congelò; la sensazione di un gelo bruciante che l'avvolse
completamente, mentre il battito impazzito del suo cuore le riempiva
le orecchie e la sensazione di vertigine si acuiva. Qualcosa le
pungeva gli angoli degli occhi, minacciando le lacrime.
“Ripetilo!
Ripetilo se hai il coraggio!” urlò, la voce
soffocata dal pianto
trattenuto a fatica.
Lui
si fermò di nuovo e ancora una volta si girò a
fronteggiarla.
“Non
ti amo più” ripeté, con sguardo sereno.
Come
se quelle parole non fossero le peggiori mai dette, come se non
sapesse che ognuna era una coltellata in pieno cuore.
“Stai
scherzando? Dimmi che è solo lo scherzo più
brutto che tu abbia mai
fatto!” esclamò avvicinandosi a lui. George era
più alto di lei
di almeno quindici centimetri, ma non si fece intimidire e sostenne
il suo sguardo, fiera.
“Mi
dispiace, Katie, non è uno scherzo. Sono innamorato di
Angelina”
replicò lui, un lieve accenno di pena nella voce.
Lei
si passò le mani sugli occhi, respirando con forza, mentre
sentiva
le lacrime calde riempirle i palmi e poi scivolare giù. Non
era
vero, non poteva essere vero.
“Ho
passato l'ultimo mese in sua compagnia e ti giuro che all'inizio era
solo un'amica, nulla di più. Ma poi, giorno dopo giorno,
mentre
parlavamo, mi ha colpito sempre di più, la sua delicatezza e
tuttavia il modo in cui continua ad andare avanti. Mi sono accorto di
provare qualcosa, ma l'ho soffocato. Mi sono detto che era solo tutta
la storia del contratto matrimoniale, che era tutta suggestione. Ma
da ieri sera mi è tutto chiaro. Sono innamorato di
Angelina”
raccontò, acuendo il dolore nel suo cuore.
Era
troppo tardi per sperare che George dicesse “è
tutto uno scherzo”
e l'abbracciasse?
Sentì
davvero le braccia di lui circondarla e stringerla con forza.
“
Non è colpa tua. E'
solo successo” disse, forse
cercando di spiegare.
Katie
lo spinse via, mentre le lacrime offuscavano tutto.
“E'
successo? E dove sono tutte le promesse che mi hai fatto, tutte
quelle parole sul fatto che non avresti amato nessun'altra?”
lo
accusò, il volto deformato dalla rabbia.
“Dove
è finito il tuo amore per me?”
La
pena nella sguardo di lui si fece più intensa.
“Io...credo
che il mio amore per te non fosse sincero. All'inizio forse lo
era”
iniziò a dire mentre lei inorridiva, “ ma dopo la
guerra io non
avevo più amore, nemmeno per me stesso. Sono rimasto con te,
credo,
per gratitudine, perché mi sei stata accanto. O per paura di
stare
da solo. Ma adesso so che non era amore.”
“Ma
la proposta di matrimonio? Perché diamine mi hai chiesto di
sposarti
se sentivi qualcosa per Angelina? Perché mi hai illuso, se
sapevi
che mi avresti tolto tutto?” singultò incredula,
ferita. Sapeva
di suonare patetica, a singhiozzare in mezzo alla stanza, con un tono
di supplica nella voce.
“Non
lo so. Ho creduto davvero che fosse una cosa da nulla. Cercavo di
renderti felice, perché eri tesa, nervosa e
preoccupata.”
Nel
silenzio che seguì solo il pianto irrefrenabile di Katie era
ben
udibile.
“Scusami,
davvero. Non volevo farti soffrire.” George
si spostò silenziosamente nella stanza, riempiendo un grande
borsone
di vestiti e altri oggetti personali, poi raggiunse la porta.
“Vado
a stare da Angelina. Puoi rimanere qui per ora, ma ti prego di andare
via entro la fine della settimana” mormorò
voltandosi verso di
lei.
“Non
preoccuparti! Me ne vado!” urlò sconvolta, aprendo
l'armadio e
cercando le sue cose. “Non ti imporrò la mia
presenza.”
“Non
c'è bisogno, prendila con calma. Solo devo insistere che sia
prima
di sabato” rispose George, cercando di suonare gentile. Senza
sapere che era come gettare benzina sul fuoco.
“Perché
ti preme tanto? Cosa succede questo sa...” le parole le
morirono in
gola, capendo d'un tratto.
“Sposerò
Angelina, questo sabato” spiegò lui, con fare
pratico.
Katie
scoppiò a ridere, una risata isterica che non riusciva a
fermare,
che mascherava il dolore più atroce che avesse mai provato.
“Tu...tu
stai scherzando?”
“Mai
stato così serio. Se non la sposassi morirebbe e non posso
permettermi di perderla adesso” asserì George.
Lei
si asciugò le lacrime, con stizza.
“Non
ti augurerò cose malvagie solo perché ti sei
comportato da stronzo
con me. Vai, segui la strada! Fa solo che non si incroci più
con la
mia” disse guardandolo negli occhi, lo sguardo fiero, la
testa
alta.
Lei
era Katie, donna di ghiaccio, fiera e orgogliosa ex-Grifondoro.
George
uscì, chiudendo la porta dietro di sé, spegnendo
le candele con lo
spostamento d'aria, facendola piombare nelle ombre della camera.
Le
stelle sul soffitto pulsavano in maniera discontinua, creando giochi
di luci e ombre, esternando il caos del suo cuore.
Pian
piano si affievolirono, lasciandola completamente al buio, mentre
preda della disperazione, sicura di non poter più essere
udita da
George, si abbandonò al suolo, scoppiando in grandi
singhiozzi.
La
grande stella cadde con un tonfo sordo davanti a lei, senza luce,
fredda e buia; la raccolse tremante e la strinse al petto.
Pianse,
a lungo e disperatamente, stretta al simbolo di quello che credeva
amore, in quello che era stato il posto più bello della sua
vita ed
ora non era altro che la sua zona d'ombra, il suo personale ingresso
per l'inferno.
Note:
Tatataaaaan. Musica da dramma, miei cari.
Perché eccoci arrvati ad uno dei momenti clou di questo
polpettone che vi sto rifilando!
Sì, George non ci sta facendo una bella figura, lo so. E
pensare che lo adoro!
Grazie pe seguire la mia storia gente, non sapete come lo apprezzi!
A presto!
^__^
Mimì
|
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Capitolo 6 *** Labyrint ***
Un
lieve tocco alla porta.
Nessun
rumore, nessun sospiro, nessun singhiozzo. Il cuscino li inghiottiva
tutti e proprio per quel motivo lo stringeva forte, aggrappandocisi
come se fosse una scialuppa in mezzo al mare: era sostegno, rifugio e
baratro nero che accoglieva il suo dolore.
Il bussare alla porta
si fece più intenso, più invadente.
Sprofondò più a fondo
nell'oscurità che si era creata, per non essere scoperta,
non essere
costretta ad affrontare, non essere trascinata nella luce.
I colpi
si spensero, i passi si allontanarono, la porta dell'appartamento si
aprì e richiuse.
Katie sospirò.
Leanne si era finalmente
arresa, capendo che volesse essere lasciata in pace.
L'amica
l'aveva trovata in stato di apatia davanti alla sua porta, due giorni
prima.
Quella orribile notte Katie era corsa da lei, raccogliendo
poche cose; ma non aveva trovato il coraggio di svegliarla, di
raccontarle cosa fosse successo, ed era crollata a piangere sul suo
zerbino, per tutta la notte. Al mattino Leanne aveva fissato i suoi
occhi asciutti, ma rossi e gonfi, le occhiaie, il volto pallido e
teso e non aveva fatto domande; l'aveva accolta nel suo appartamento,
con affetto.
Katie si era rinchiusa nella sua vecchia camera, si
era abbandonata sul letto e non aveva più avuto la forza di
affrontare nulla.
Si
sentiva persa.
Come quando si era smarrita dentro il labirinto
degli specchi, al circo di paese, da bambina.
Aveva
vagato in cerchio, perdendo il senso dell'orientamento: il sentiero
non aveva mai fine o la mandava a sbattere in vicoli ciechi, mentre
la sua immagine ripetuta centinaia di volte le faceva girare la
testa, la nauseava. La sensazione di panico, di non riuscire a
trovare un'uscita, di rimanere per sempre intrappolata lì
dentro, di
non avere alternative, le aveva invaso il cuore e la mente,
spezzandole il respiro.
Aveva cominciato a correre più forte,
senza rendersi conto che era l'agitazione a guidarla e non il
raziocinio, sbattendo in false uscite, intrappolandosi sempre di
più;
infine, sconfitta, si era accasciata al suolo, piangendo, lasciandosi
soffocare dall'angoscia.
Era stata sua madre allora a salvarla,
richiamata dal suo pianto; adesso non c'era nessuno a cercarla nel
labirinto di dolore in cui era entrata.
Si
girò pigramente, lo sguardo fisso sulla finestra piena di
luce. Era
mattina, di quale giorno?
Non era importante. La rotazione della
terra attorno al sole non era affare suo.
Non dormiva ormai da
settantadue ore, non mangiava da altrettanto tempo: riusciva solo a
stare lì, buttata apaticamente sul letto, a fissare le
pareti
bianche o il giorno diventare notte e viceversa, ripetendosi che era
tutto un sogno e che presto si sarebbe svegliata. Quando la
realtà
riusciva a fare breccia nella sua mente scoppiava a piangere,
incontrollabile, mentre il suo corpo tremava tutto, in preda
all'orrore, col petto in fiamme.
Aveva passato così i suoi ultimi
due giorni, passando dall'apatia al pianto angosciato, per poi
accasciarsi senza forze e ritornare nell'apatia, in un circolo senza
fine.
Rimase
in quella posizione per molte ore, con i capelli incollati al viso
dalle lacrime, gli occhi che pulsavano nelle orbite, lo stomaco
contratto e i nervi tesi.
L'intensa luce bianca che proveniva
dalla finestra divenne prima un giallo brillante, poi mutò
lentamente in arancione tenue fino a sfumare in un rosso cupo; quello
venne soppiantato infine dal nero della notte. Si mise in posizione
fetale, ignorando il brontolio dello stomaco.
Il suo corpo
richiedeva cibo, ma il pensiero di mangiare la nauseava. Tutto la
nauseava, anche pensare. Avrebbe dato qualsiasi cosa per dormire, per
placare anche per poco il suo dolore.
Sentì
la porta dell'appartamento aprirsi, poi richiudersi con un colpo
secco. Un colpo alla porta, poi due, poi tre. Il suo nome ripetuto
più volte. Non rispose.
Non poteva, non ce la faceva.
Non
voleva raccontare, perché faceva male, perché era
meglio negare,
perché se le parole fossero uscite dalla sua bocca tutto
sarebbe
stato reale, vero, difficile da affrontare.
Leanne
le urlò di lasciarla entrare, ma ancora rimase muta. Con un
grosso
sospiro l'amica si arrese. Come aveva fatto ogni giorno,
perché
nemmeno lei sapeva che fare.
Chiuse un secondo le palpebre,
stanca, lacerata, distrutta; due lacrime solitarie caddero sul
cuscino mentre, senza nemmeno accorgersene, precipitava finalmente
nell'oblio che solo il sonno poteva darle.
Allungò
il suo corpo, lievemente, nel momento di paradiso che precede il
risveglio, quello in cui i sogni invadono la realtà,
rendendo tutto
più bello, colorato, magico. Aveva ancora gli occhi chiusi,
ma si
accorse di star tornando alla piena coscienza; aveva fatto un sogno
bellissimo, come la sensazione di volare, senza scopa né
animali,
libera nel cielo, padrona del proprio percorso, avvolta dal vento.
E
poi, improvviso, un acuto dolore scacciò via quel debole
benessere,
senza motivo. Quasi nello stesso istante il ricordo di ciò
era
successo le tornò alla mente, riportandola nel mondo reale,
al suo
dolore.
Desiderò
ripiombare in quel dolce nulla, dimenticare il suo nome, il
perché
fosse lì, perché stesse soffrendo, ma non ci
riuscì. In un raptus
di follia si tirò su dal letto, decisa ad andare a prendere
il
distillato della morte vivente, nel baule dei medicinali magici.
L'avrebbe bevuto, sarebbe sprofondata nel sonno eterno e avrebbe
sognato, per sempre.
Al primo passo il suo corpo debole e sciupato
si accasciò senza forza sul letto, mentre tutto vorticava.
Si stese
e respirò a fondo, scacciando il capogiro.
Leanne
bussò, chiamando il suo nome.
“Katie, ti
prego, parlami. Fammi entrare, lasciati aiutare”
mormorò
preoccupata. Aiutarla? Come avrebbe potuto? Non c'era cura, non c'era
soluzione.
L'amica continuò a battere il pugno sulla porta, con
forza crescente. Quando i colpi cessarono, Katie sorrise lievemente,
sguazzando nel suo dolore, da cui non voleva essere salvata.
Si
era arresa, ancora.
Con una violenta scossa la porta saltò via
dai cardini, sbattendo rumorosamente sul pavimento, sollevando delle
delicate spirali di polvere.
Katie
la osservò, sotto shock, mentre Leanne si faceva avanti
nella
stanza, la bacchetta ben salda nella mano, lo sguardo puntato su di
lei.
Non riuscì nemmeno a nascondersi nelle coperte, dalla
sorpresa; fissò i meravigliosi occhi verdi dell'amica, che
la
fissavano preoccupati e arrabbiati.
Leanne si sedette sul letto,
ignorando il fatto che Katie non facesse la doccia da giorni, che le
sue occhiaie violacee fossero marcatissime, che apparisse pallida e
sul punto di svenire, che i suoi occhi fossero baratri di dolore;
tese le braccia verso di lei e la strinse a sé,
semplicemente.
Il
calore dell'amica, il suo abbraccio dolce, il suo tocco tenue, la
fecero crollare e Katie scoppiò a piangere, sulla sua spalla.
Le
raccontò cosa era successo, del tradimento, della
separazione, senza
tralasciare una virgola dei loro discorsi o un'espressione di George,
mentre Leanne le carezzava la schiena, in silenzio.
Pianse,
pianse fino a star male, stretta nel suo abbraccio, inondandole i
capelli corvini di lacrime.
“Non so che
fare. Senza di lui, cosa posso fare?” chiese disperata, forse
a sé
stessa.
“Cosa sono, senza George? Cosa
faccio? Come vivo?” continuò a singhiozzare,
cedendo sempre più
al dolore.
Leanne
sciolse l'abbraccio e la fissò negli occhi.
“Ci
sono io con te. Ti mostrerò come si vive, di
nuovo” disse
prendendole la mano e sorridendo.
“Tu sei
una donna forte e hai solo bisogno di ricordarlo, Katie. Hai
costruito la tua vita, da sola, lottando contro tutto e tutti. E non
l'hai fatto in funzione di George, l'hai fatto per te”
esclamò
l'amica convinta, gli occhi che brillavano.
“Ritroviamo
te stessa e facciamo rimpiangere a George Weasley il giorno in cui ha
pensato che il tuo amore fosse da buttare. Usciamo da questa
oscurità” continuò, alzandosi.
Katie
si lasciò sollevare dal letto e poi la seguì,
docile, diretta in
cucina. Fissò la schiena fiduciosa dell'amica, le mani
strette, e
sorrise.
Qualcuno era di nuovo venuto a salvarla, le aveva teso la
mano e la guidava al sicuro, fuori dal labirinto, fuori dal caos.
Note:
Buona
sera!
Dunque, non
ho molto da aggiungere a questo cupissimo capitolo! Povera Katie!
ç__ç Essere lasciati è qualcosa che
distrugge, credetemi; per
quanto forte una persona possa essere, la fase di disperazione credo
che l'abbiano tutti.
Ma per fortuna, Katie ha Leanne, una vera
amica, pronta ad aiutarla.
Vedervi
così appassionati
alle vicende di questi ragazzi mi rende felice, sapete?
Grazie!
Mimì
|
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Capitolo 7 *** Inside a flower ***
Quando
si svegliò, il venerdì mattina, qualcosa dentro
Katie era
cambiato.
Soffriva ancora tanto che avrebbe voluto strapparsi via
il cuore, ma la consapevolezza di non potersi lasciare andare aveva
trovato posto dentro di lei, spronandola a lottare.
Leanne
l'aveva salvata, letteralmente. L'aveva strappata dalla fortezza in
cui si era chiusa, l'aveva ascoltata, abbracciata. E le aveva
mostrato che il dolore non era una cosa negativa, doveva solo farlo
suo, conquistarlo ed andare avanti, un piede davanti
all'altro.
Perciò, anche se con un sospiro sofferto, si tirò
su
e si recò in cucina, a fare colazione.
“Buon
giorno” trillò Leanne, felice di vederla. E che si
fosse alzata
senza il suo aiuto.
“Giorno”
rispose
ancora mezza assonnata, stropicciandosi gli occhi.
L'amica servì
in tavola la colazione, allungandole un piatto colmo di uova
strapazzate e bacon, ancora sfrigolanti e fragranti. Iniziarono a
mangiare, la radiolina vicino al lavello che trasmetteva un programma
di pulizia e manutenzione dei calderoni.
“Te
la senti di tornare al lavoro?” chiese docilmente,
interrompendo i
dieci modi casalinghi per rattoppare un calderone bucato.
Katie
alzò lo sguardo dal piatto per fissarlo nel suo, assorta.
Leanne
l'aveva coperta, presentandosi al suo posto di lavoro per dire al
Primago che aveva avuto un'emergenza familiare e che per alcuni
giorni si sarebbe quindi assentata, con somme scuse.
“Io....non
credo...” iniziò a dire prima che un grosso gufo
planasse dentro
la finestra aperta della cucina, piazzandosi di fronte a lei.
Il
volatile dagli occhi gialli, la fissò solenne, tendendole la
lettera
stretta nel suo becco. Sapeva chi fosse il mittente, dall'inchiostro
rosso porpora, e inaspettatamente la prese con un sorriso, mentre
un'idea improvvisa le balenava alla mente. Scorse la lettera
velocemente, poi sollevò lo sguardo su Leanne.
“Sì,
credo che andrò al San Mungo” disse, mentre
l'amica incominciava a
sorriderle, “per dire al Primago che mi dimetto.”
Il sorriso
morì sulle labbra di Leanne, che adesso la guardava come se
fosse
improvvisamente impazzita.
“Ma non puoi!
Licenziarti non è la maniera giusta per andare
avanti!” la sgridò
la giovane, cercando di portarla a ragionare.
“No,
certo che non lo è. Ma accettare il posto di lavoro a
Ginevra mi
sembra un buon modo. Non fraintendermi, non sto scappando. Voglio
solo ricominciare, da zero.”
Leanne la osservò pensierosa per
qualche secondo.
“Va bene. Ma se
dovessi
cambiare idea, se dovessi sentirti sola, se senti di non potercela
fare, ricordati che qui ci sono sempre io, che ti accoglierò
per
qualsiasi motivo, senza mai giudicarti” esclamò
serena.
Katie
lo sapeva, sapeva che Leanne era la migliore persona mai esistita e
che lei aveva la fortuna di averla come amica.
Con
un nuovo obiettivo nel cuore si preparò, decisa a dare una
svolta
alla sua vita. Non stava affatto scappando dal dolore,
perché quello
l'avrebbe portato con sé, ovunque fosse andata, ne era ben
conscia.
Il Primago si congratulò per la sua decisione,
invitandola perfino a mangiare a pranzo fuori per festeggiare. Era
stato un buon mentore, un ottimo insegnante, un buon amico.
Non
riusciva a guardare il volto dell'uomo di mezza età senza
pensare a
tutto ciò che avevano passato assieme durante gli anni del
suo
tirocinio: le diagnosi sbagliate, le emergenze, le sperimentazioni,
la resistenza segreta contro Voldemort durante la guerra.
Era
stato un padre bonario per lei, un valido superiore.
“Sicura
di essere tranquilla?” le chiese l'uomo sull'assolata
terrazza del
ristorante in cui pranzavano. E proprio a causa del loro legame,
anche lui riusciva a leggerle dentro.
“No,
ma lo sarò” replicò dolcemente, colpita
dalla premura dell'amico.
Lui sospirò sapendo bene che lei non si stesse riferendo al
lavoro,
ma alla sfera privata.
Dopo
pranzo Katie tornò all'appartamento, trovando Leanne intenta
a
leggere sul divano.
“Uscita prima dal
lavoro?” domandò poggiando la borsa vicino
all'amica, che
abbandonò il libro per prestarle attenzione.
“No,
il venerdì abbiamo sempre la giornata corta”
rispose
semplicemente, legandosi i capelli in una coda alta, nel tentativo di
sfuggire all'insolito caldo.
“Ah, avrei
dovuto fare l'Incantavvocatessa1
anche io. Settimana corta, nessuna emergenza, che sogno” la
punzecchiò mentre si sedeva al suo fianco, con un grosso
sospiro.
“Che
c'è?” chiese Leanne,
notando l'espressione preoccupata.
“Devo
partire. Ho bisogno delle mie cose” rispose Katie guardando
dritta
di fronte a sé. Tutto ciò che possedeva, esclusi
quei pochi
indumenti che aveva preso per scappare da Leanne, si trovava
nell'appartamento del traditore.
L'amica capì subito il suo
problema. Come avrebbe potuto chiedere a George le sue cose? Non
aveva intenzione di rivederlo, di parlargli, nemmeno di chiederglielo
via gufo.
Doveva considerarla morta. Per sempre.
“Andrò
domani, durante il matrimonio. Mentre l'appartamento è
vuoto”
esclamò, decisa. Sapeva l'orario preciso, grazie alla
Gazzetta del
Profeta poggiata al fianco di Leanne: il titolo in prima pagina era
la notizia del matrimonio di George e Angelina, corredato dei
dettagli sul dove, sul quando e con la domanda finale su di lei, su
come l'avesse presa. Distolse lo sguardo dal giornale con un doloroso
tuffo al cuore.
Ci aveva pensato tutto il giorno, da quando aveva
deciso di andare, e l'unico modo possibile per ottenere i suoi averi
indietro senza doverli chiedere a George, né essere in alcun
modo
costretta a parlare con lui, rimaneva quello.
Ma non fu facile.
Il
pomeriggio seguente, la sua mano tremava sulla maniglia della porta
di ingresso dell'appartamento di George. Per quanto si fosse ripetuta
che tutto sarebbe andato bene, che poteva farcela, si sentiva tremare
da capo a piedi, mentre ancora la mano rimaneva pietrificata e il
cuore batteva alla sua massima forza.
Perché un conto era far
finta di stare bene quando stava con Leanne, un conto era convincere
sé stessa che effettivamente quel dolore non fosse reale.
Non
stava bene, affatto.
Malediceva George, Angelina, Fred, sé
stessa, per aver perso la cosa più bella che avesse mai
avuto. Con
un grosso sospiro abbassò la maniglia e aprì
piano la porta,
entrando nel salotto.
Sciocco George, che non aveva cambiato la
parola d'ordine per entrare nell'appartamento.
Respirò l'odore
familiare, di polvere da sparo e pino: l'odore di George.
Camminò
lentamente, cercando di convincere il suo cuore a smettere di battere
così in fretta, preda di un senso di nausea che la scuoteva
nel
profondo.
Ma a metà strada sentì di non farcela,
bloccandosi.
Non voleva entrare in quella stanza, la loro stanza,
il loro rifugio stellato e scoprire che George e Angelina erano stati
lì dentro assieme. Il solo pensarlo le fece venire un conato
di
vomito, mentre il cuore bruciava, di rabbia e gelosia.
Mentre si
faceva mentalmente forza, spronando le sue gambe a muoversi, la porta
della camera di Fred si aprì piano, con un debole cigolio.
Nessun
rumore proveniva dall'interno perciò si avvicinò,
tesa, con la
bacchetta levata, chiedendosi come potesse essersi aperta.
Sbirciò
dentro e fu sorpresa di trovare il letto sfatto; quando vide degli
indumenti femminili capì infine che la persona che vi aveva
dormito
era Angelina.
'Perché non aveva dormito con George?' si chiese
mentre si tirava indietro. Un bagliore perlaceo attirò il
suo
sguardo, frenando la camminata.
Un piccolo pensatoio a forma di
fiore brillava sul comò, invitandola ad avvicinarsi.
Katie non
era mai stata una ragazza curiosa e rispettava la privacy altrui,
eppure non riuscì ad impedire ai suoi piedi di muoversi
verso
l'oggetto, come in stato di trance. Si fermò e
osservò la
superficie luminosa vorticare, come bruma liquida, come argento fuso.
La
sua mano si allungò, contro la sua volontà, e non
appena toccò la
fredda superficie venne inghiottita nel pensatoio, a cadere nella
foschia, con un urlo che nessuno poteva sentire.
E se fosse stata
tutta una trappola?
Cadde
sul letto della camera di Fred, accanto a quest'ultimo.
La
sorpresa di trovarselo lì vicino, vivo in un ricordo senza
tempo, la
emozionò fino alle lacrime, facendole dimenticare che fosse
arrabbiata con lui. Stava contemplando una lettera,
pensieroso.
Angelina entrò, in pigiama. Katie guardò fuori
dalla
finestra e scoprì che era notte fonda; non se n'era accorta,
sconvolta alla vista di Fred.
L'amico ripiegò la lettera e la
mise via, poi si coricò al fianco di Angelina, infilatasi
nel letto;
si abbracciarono con intimità e Katie desiderò
non essere mai
entrata nel pensatoio.
“Cosa
stavi leggendo?” chiese Angelina, accoccolandosi sul petto di
lui.
“Quello? Oh, nulla.
Cose di lavoro”
rispose Fred un po' teso, buttando un'occhiata distratta al comodino
dove aveva messo la lettera.
Prese a carezzarle i capelli, a
giocare con le sue treccine.
“Stavo
pensando: che cosa faresti, se mi succedesse qualcosa?”
chiese
piano Fred, misurando le parole.
“Non mi
piacciono discorsi di questo genere, Fred!” lo
sgridò lei,
arrabbiandosi.
Katie era appollaiata sul comò, chiedendosi che
mai ci facesse lì e come potesse uscirne. Tuttavia
l'argomento le
interessava, sembrava essere capitata nel ricordo in cui Fred doveva
aver avuto l'idea di quello stupido contratto. Probabilmente Angelina
aveva visionato i suoi ricordi alla ricerca di qualche indizio, in
modo da sciogliere il contratto.
“Siamo
in guerra, Angie. Non ci sono discorsi più sensati di
questo”
rispose lui, serio in volto.
Katie non aveva mai visto Fred serio,
mai, nemmeno una volta.
“Non ci voglio
pensare, ecco! Non ti succederà nulla!”
esclamò l'amica,
accalorandosi.
“Se mi succedesse
qualcosa,
vorrei che tu ti rifacessi una vita. Che ti innamorassi ancora, che
ti sposassi” mormorò Fred, mentre lei gli tirava
il cuscino in
faccia per non farlo parlare.
Erano una coppia fantastica, pensò
Katie con una certa pesantezza nel cuore.
“Smettila!
Vuoi che ti rimpiazzi quindi? Tu mi rimpiazzeresti se
morissi?”
chiese la ragazza, arrabbiata e rossa in volto.
Fred
sorrise enigmatico, facendola arrabbiare di più.
Cominciarono a
baciarsi passionali e Katie si tappò gli occhi,
scandalizzata.
Due
forti risate arrivarono ovattate dal salotto, insieme a dei tonfi
sordi.
“Finitela di far
chiasso!” urlò
Angelina. I rumori oltre la porta si spensero.
Ripresero a
baciarsi, con suo enorme dispiacere; la porta della camera si
aprì
con forza facendoli trasalire.
“Ci avete
chiamato?” chiese George entrando nella stanza.
“Ci
avete detto che volete la nostra compagnia?” gli fece eco
Katie,
apparsa dietro a lui.
Katie
si emozionò, guardando la sé stessa di anni prima
gettarsi nel
letto insieme a George, a saltare, rimbalzare, tirare cuscini a Fred
e Angelina, che dopo il primo attimo di disappunto si unirono a loro.
Ricordava bene quella notte, le risate, gli scherzi fino a notte
tarda.
Loro quattro si erano divertiti un mondo assieme.
La
scena sfumò, mentre lei piangeva, preda di un forte
turbamento.
Si
trovò seduta in una stanza, che riconobbe come il salotto di
Angelina. La ragazza stava preparando del tè, mentre Fred
sedeva sul
divano. D'improvviso il giovane si tirò su e si
avvicinò a lei,
porgendole una pergamena.
“Angelina,
firmeresti questa?” le disse, con un tono di voce fermo.
L'amica
prese la pergamena e la scorse incredula, poi la rimise in mano a
Fred, scocciata.
“No!”
sbottò secca,
lanciandogli un'occhiataccia.
Eppure Katie sapeva che l'aveva
firmata. Aveva visto con i suoi occhi la firma di Angelina in fondo
al contratto.
Si avvicinò a Fred e lesse oltre alla sua spalla.
Arrivò alla fine della pergamena perplessa: quello non era
il
contratto di matrimonio.
Era
una richiesta di Fred, nel caso in cui fosse morto, di andare avanti,
di dimenticarlo e rifarsi una vita. Nel caso in cui fosse morto nella
guerra, chiedeva ad Angelina di rifarsi una vita entro i
suoi venticinque anni. Se non ci fosse riuscita, un
incantesimo
di Obliviazione presente nel contratto le avrebbe cancellato il
ricordo di Fred, per non farla più soffrire.
Non era il
contratto, non era affatto quello che c'era scritto. Eppure la
pergamena era la stessa, così come la data, le macchie di
inchiostro.
Fred
strinse forte la mano.
“Non mi
succederà
nulla, te lo prometto. Questo contratto serve solo a farmi stare
tranquillo, a non rimanere sveglio a pensare a cosa faresti senza
me”
sussurrò grave. Perché Fred conosceva bene
Angelina e sapeva che il
suo carattere forte nascondeva un cuore preoccupato per lui.
L'amica
scosse la testa, poi prese una piuma da un cassetto e firmò,
in
silenzio.
“Non voglio
più sentire questa
storia” lo minacciò restituendogliela.
“E sii attento.”
La
scena scomparve e Katie piombò in una girandola di immagini,
che le
corsero incontro: frammenti di battaglia; il corpo senza vita di
Fred, disteso in sala Grande; Angelina stretta ad una tunica del
ragazzo, che piangeva nell'oscurità della sua camera, da
sola.
Piccoli spezzoni di vita senza Fred, sola, vuota,
deprimente. Poi le immagini cambiarono e Katie le osservò,
sempre
più inorridita, mentre il suo cuore palpitava, sconvolto.
Si
portò le mani alla bocca, per soffocare un grido, che
avrebbe
risuonato nel vuoto.
Le
immagini si bloccarono: osservò attonita un oggetto rotolare
sul
pavimento, finendo vicino ai suoi piedi, poi si sentì tirare
via,
attraverso la bruma argentea. Atterrò sul tappetto della
camera di
Fred e si guardò attorno, troppo sconcertata.
Scoppiò in una
risata amara, mentre lacrime di rabbia e sollievo le scendevano sulle
guance. Era stata tradita. Si era fidata, ed era stata tradita.
Accarezzò
affettuosamente il piccolo pensatoio. Aveva scoperto la
verità ed
era sempre stata nascosta dentro un fiore.
Raccolse l'oggetto
visto nel pensatoio, vicino ai piedi del letto.
Strinse la presa
sulla bacchetta e si smaterializzò, con una missione nel
cuore;
stava correndo da George, ad affrontare la verità. E a
chiedere
vendetta.
1:
Incantavvocatessa, altra parola che ho inventato!
Incanto+avvocatessa.
Note:
Ciao!
Rieccomi
con l'aggiornamento! Siamo arrivati ad un punto di svolta nella
storia!
Grazie
ancora per seguirla e dirmi la vostra, in bene e in male, mi fa un
piacere immenso!
Un
abbraccio virtuale,
Mimì
|
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Capitolo 8 *** The Marriage ***
La
sua Materializzazione la portò in campagna, fuori dal
cancello della
Tana. Il
giardino era addobbato con fiori e festoni dorati, mentre un
centinaio di persone in abito elegante sedeva su sedie d'argento,
sotto dei gazebo viola. Non poteva vedere l'altare fiorito in cui i
due sposini ascoltavano il mago che li univa in matrimonio, ma sapeva
che erano lì.
Spalancò
il cancelletto e corse dentro, con tutte le sue forze. Solo duecento
metri la separavano da George, ma le sembrarono milioni di
chilometri; più si avvicinava, più le figure si
delineavano: il
tappetto rosso che percorreva la navata, lui e Angelina, mano
nella mano, di fronte allo spaventatissimo mago sacerdote, che la
guardava arrivare.
Il
piccolo mago si pietrificò nel bel mezzo del discorso,
finché tutti
non si girarono a guardare cosa lo sconvolgesse tanto, scoprendo una
trafelata Katie fermarsi ansante a pochi metri da loro, la bacchetta
tesa.
“Fermate
questa farsa!” ordinò puntandola sugli sposi.
Alcuni
ospiti trattennero il respiro, altri strillarono, mentre Harry e Ron
si tiravano su, bacchette alla mano.
“Sedetevi,
per favore! Non ho intenzione di fare del male a nessuno. Credimi
Harry” esclamò accorata, girandosi a guardare gli
occhi
dell'amico, perché vi leggesse la sua sincerità.
Lui
la fissò a lungo, sondando le sue intenzioni, poi si sedette
trascinando Ron giù con sé.
Katie
sapeva di avere gli occhi di tutti addosso, che stava interpretando
la parte della donna gelosa che interrompeva il matrimonio dell'ex,
incurante che amasse un'altra. Ah,
se solo avessero saputo quanto fossero lontani del vero.
Angelina
la fissava con disappunto e pena, insieme.
“Katie,
cara, capisco come tutto questo ti sconvolga, ma devi fartene una
ragione. Io e George ci amiamo, non puoi farci nulla” le
disse con
voce dolce, come se stesse parlando con un bambino capriccioso.
“Chiudi
quella dannatissima bocca” soffiò Katie, cercando
inutilmente di
controllare la rabbia, mentre la bacchetta scivolava verso Angelina.
La
donna, stretta nel suo abito da sposa, la osservò sconvolta,
portandosi una mano sul cuore.
“Non
fare così. Mi dispiace, davvero, ma è
successo” pigolò, tenendo
d'occhio la bacchetta.
“Ho
detto: chiudi la bocca. Dato che la usi solo per dire bugie, fammi il
piacere di tacere!” ordinò Katie, iniziando a
spazientirsi.
George
si avvicinò ad Angelina, stringendola con amore, per
proteggerla
dalla bacchetta. Katie
trasse un profondo respiro, l'angoscia sempre più pressante.
“Vogliamo
raccontare a tutte queste squisite persone presenti che stanno
buttando via il loro tempo, a presenziare a questa enorme bugia? Su
Angelina, visto che hai tanta voglia di parlare, racconta a tutti la
verità” esclamò sicura, la mano ben
ferma. La
giovane si girò a guardare i suoi ospiti, scuotendo la
testa,
facendo dei segni per far capire che l'altra era di sicuro impazzita.
Oh
sì, lo vedeva negli occhi degli ospiti, persino in quelli
della
signora Weasley, il dubbio che fosse uscita di senno; e vedeva anche
le mani di Harry, Ron, Charlie e Bill strette sulle bacchette, anche
se ancora seduti, valutando il da farsi.
“Non
vuoi parlare? Allora lasciate che io vi racconti la storia di una
donna, forte, sicura di sé, amata da un uomo straordinario.
Una
storia bellissima, finché l'uomo non muore tragicamente,
lasciandola
sola. Nonostante lei lo amasse profondamente, non poteva far nulla
contro la morte e dovette passare tempi bui e tristi, a piangere
l'amato, senza darsi pace. Fin qui mi avete seguito?”
raccontò nel
silenzio del giardino.
Nessuno
osava muovere un muscolo, fare un fiato.
“Anni
dopo, la donna si ricorda di una cosa, di un contratto che l'uomo le
aveva fatto firmare, in cui prometteva di mettercela tutta per andare
avanti in caso della morte di lui, di rifarsi una vita entro i 25
anni, pena la cancellazione dei loro ricordi assieme dalla mente. Ti
ricorda nulla, Angelina?” domandò, mentre la
ragazza sbiancava tra
le braccia di George, gli occhi pietrificati su di lei.
Sostenne
il suo sguardo, fiero. L'aveva in pugno.
George
sembrò intuire la paura di Angelina, perché
d'improvviso si staccò
da lei e si avvicinò a Katie; non osò colpirlo,
così vicino,
osservando il viso tanto amato. L'uomo
alzò un pugno, repentino, e lo calò forte sul suo
viso, mandandola
a schiantarsi
al suolo, vicino alle sedie, mentre puntini gialli le invadevano la
mente e il cervello sbatteva nel cranio. Sentì centinaia di
urla, ma
lei, troppo sconvolta, non aveva emesso un fiato.
Un
dolore pulsante le invase la testa, mentre con un occhio aperto
vedeva George avvicinarsi minaccioso.
Prima
che potesse reagire un incantesimo scudo si frappose tra lei e il suo
aggressore, bloccandone la furia; la mano di Charlie la
aiutò ad
alzarsi.
“Cosa...lasciami
andare!” urlò il fratello, divincolandosi.
Charlie
fece apparire delle corde che lo avvolsero, mandandolo al tappetto,
mentre ancora provava a liberarsi in preda alla furia.
“Sono
curioso di sapere cosa ha da dire! E dopo questa aggressione
immotivata lo voglio ancora di più”
esclamò Charlie, sciogliendo
l'Incantesimo Scudo.
“Qualcuno ha da obiettare?” chiese
guardandosi attorno. Gli ospiti scossero la testa; Molly osservava
tenendosi le mani al petto, ansiosa; i genitori di Angelina al suo
fianco, erano sconvolti e non sapevano che fare.
Katie
lo ringraziò con un sorriso, mantenendosi al suo braccio. Si
avvicinò ad Angelina che indietreggiò,
spaventata, anche se lei non
aveva la bacchetta tesa.
“La
donna, non volendo dimenticare l'uomo, pensa ad uno stratagemma e
l'unica idea che le viene alla mente è sposare il gemello
dell'uomo
che amava. Vogliamo dare dei nomi ai protagonisti? La donna si chiama
Angelina, l'uomo si chiamava Fred, il suo gemello George. Ma come
fare a sposare il gemello? Aveva una fidanzata, da molti anni. E
così
Angelina, preda della pazzia, evidentemente, cambia il vecchio
contratto, grazie ad un vecchio libro di incantesimi illegali, e lo
fa pervenire ad uno studio notarile, facendo credere sia un contratto
di matrimonio richiesto da Fred. Mentre quel pover'uomo, al quale
viene data tutta la colpa, non ha mai pensato niente di così
orribile in tutta la sua vita!” continuò a
raccontare Katie.
“Sei
pazza! Pazza! Sei impazzita dalla gelosia, è
così! George mi ama”
gridò Angelina, guardandosi attorno in cerca di aiuto.
“Mi
sono bevuta davvero la storia di George. Di come si fosse innamorato
di te, ma l'avesse soffocato. Dovevo sapere che era una bugia. George
mi chiese di sposarlo, il giorno stesso in cui cambiò! E
sono certa
che te l'abbia detto! E' stato quello a spaventarti? A convincerti ad
agire? A costringerti a somministrargli l'Amortentia mentre lui si
prendeva gentilmente cura di te?” urlò Katie
arrabbiata, il corpo
scosso dai tremiti, sfiorando distrattamente la collana per
richiedere forza.
Frugò
nella tasca, togliendo l'ampolla che aveva contenuto la pozione che
Angelina, giorno dopo giorno, aveva somministrato a George, come le
aveva visto fare nel pensatoio. La
boccetta brillò nel sole del pomeriggio, stretta nella mano
di
Katie, mentre gli ospiti mormoravano, sussurravano, facendo
supposizioni, domande.
Angelina
la fissò dapprima incredula, poi con una risata folle
estrasse la
bacchetta dal corpetto e la puntò su di lei, nello sconcerto
generale.
“Dimmi
perché? Credevo fossimo amiche, perché mi hai
fatto, ci hai fatto,
una cosa simile?” chiese sgomenta, guardando con la coda
dell'occhio George a terra, stretto nelle corde, che si dibatteva per
raggiungere Angelina, ancora sotto l'effetto della pozione.
“Non
era giusto! Non era giusto!” esplose in un urlo la donna.
“Non
era giusto che tu potessi avere George al tuo fianco, mentre io avevo
perso Fred! Non era giusto che nonostante fossero identici, la morte
avesse preso il mio, ma avesse lasciato il tuo! Non era giusto che tu
continuassi ad avere quei meravigliosi occhi azzurri a guardarti
innamorati, mentre i miei erano chiusi per sempre, sotto terra.
Perché tu potevi avere George, mentre a me era stato
strappato via
Fred? Perché?” gridò follemente
Angelina, scoppiando a piangere.
Katie
abbassò la bacchetta, il cuore gonfio di tristezza
nell'osservare
l'amica, ma quella ne approfittò per lanciarle un
incantesimo. Charlie
lo parò, dissolvendolo, e puntò la bacchetta su
Angelina.
“No,
Charlie, grazie. E' una questione tra me e lei” disse
cortese,
scostandosi dall'uomo. Le
due giovani si studiarono, l'una di fronte all'altra, le bacchette
puntate al petto.
“Sì,
va bene! Vediamocela tra noi!” sussurrò Angelina,
ridacchiando
piano.
Rimasero
a fissarsi per un po', studiando il respiro, tenendo d'occhio anche
il minimo movimento involontario dell'altra, in attesa.
Katie
sapeva che il gesto di Angelina era quello di una preda disperata,
che messa alle strette si avventa sul cacciatore, ben conscia di
quanto sia inutile; non c'era modo che riuscisse a scappare, anche se
l'avesse battuta: ogni Weasley aveva la mano stretta sulla bacchetta,
deciso a intervenire nel caso le cose fossero andate male.
Angelina
scattò, gli stessi pensieri nella mente; ormai non aveva
nulla da
perdere.
Katie
attaccò un decimo di secondo dopo, cercando al contempo di
scartare
il fiotto di luce rossa che le arrivava addosso. Quello la
mancò, di
un soffio, spostando solo l'aria; barcollò appena. Quando
ritrovò
l'equilibrio, Angelina era a terra; la sua bacchetta, volata via, era
stata presa al volo da Charlie.
La
osservò tirarsi su, furiosa, ancora senza pace. Si
avvicinò a lei, riponendo la bacchetta in tasca e, tra lo
sgomento
generale, l'abbracciò.
Angelina
urlò, si dibatté, la graffiò e le
riempì la schiena di pugni, ma
nulla convinse Katie a lasciare la presa.
“Va
tutto bene” mormorò invece, stringendola
più forte.
L'amica
si accasciò infine tra le sue braccia, piangendo; anche
Katie si
lasciò andare ad un pianto liberatorio, per scacciar via la
tensione
accumulata. Rimasero
abbracciate, piangenti, mentre Angelina continuava a singhiozzare
scuse.
Quando
si fu calmata Harry la prese con sé, per portarla
all'ufficio Auror,
per farle alcune
domande. I suoi genitori accorsero per sostenerla, scusandosi con
tutti loro.
Katie
guardò i quattro allontanarsi dal matrimonio, ormai
annullato, con
viso triste.
George
si dibatteva, urlando e scalciando, dicendo di voler andare con
Angelina. Nemmeno il brusio creato dagli ospiti riusciva a coprire le
sue urla. Si inginocchiò vicino a lui, guardandolo con amore.
“Presto
sarà tutto finito” gli mormorò
emozionata, ignorando gli insulti
che le rivolgeva.
Aiutò
i Weasley a congedare gli ospiti, chiedendo di non rivelare
ciò
avevano visto e sentito, per salvaguardare Angelina; poi rimase
seduta vicino a George, a guardare il signor Weasley far sparire i
gazebo e le sedie con l'aiuto dei suoi figli.
“Stai
bene?” le chiese Ginny, sedendosi al suo fianco.
“Adesso
sì, grazie! Non sai come sono sollevata, che
serenità ho nel
cuore!” le confessò, gioendo del benessere che
provava.
Ginny
sorrise.
“Eravamo
molto preoccupati. George ci ha dato la notizia del matrimonio solo
ieri e ne siamo rimasti scioccati. Ci ha raccontato una storia in cui
tu l'avevi tradito e lui avesse deciso di sposare Angelina, del quale
si era innamorato. Sapevo che non avremmo dovuto credergli!”
Angelina
aveva architettato tutto fin nei minimi dettagli, pur di non
dimenticare Fred.
“Non
era in sé. E non me la sento di giudicarla. Non posso
immaginare
quale dolore si provi nel vedere l'uomo che ami morire. Io ho creduto
di aver perso George e solo quel dolore mi ha quasi portata alla
pazzia. Non la invidio, per niente” sussurrò,
guardandolo,
sollevata nel sapere che l'avrebbe presto riavuto indietro.
Rimasero
tutti lì fuori, mentre la notte era ormai scesa, seduti su
divanetti, attorniati da magiche candele fluttuanti.
“Quando
tornerà normale?” chiese Bill, osservando il
fratello che si
comportava da posseduto.
“Nel
pensatoio ho visto Angelina dargli l'Amortentia ogni notte a
mezzanotte meno cinque. Ormai mancano solo dieci minuti”
rispose
Katie guardando l'orologio.
E
quegli ultimi pochi minuti sembravano essere i più lunghi.
Stava
pensando a cosa dire a George, alla sua faccia una volta esaurito
l'effetto della pozione, all'emozione di poterlo stringere e baciare.
“Vorrei
diventare un vermicolo, per quanto mi faccio schifo”
sussurrò
George nel silenzio generale, il viso chino a guardarsi i piedi.
Si
voltarono tutti verso di lui, increduli.
“Sì,
sono tornato normale. Per quanto io possa esserlo. Sono cascato nella
sua trappola come un idiota. Come un troll. Come una caccabomba.
Volete slegarmi o volete che mi riempia ancora di insulti?”
Tra
risate, domande, tutti lo accerchiarono, sciogliendolo dalle corde.
“Katie...mi
dispiace. Io...” incominciò a dire, interrotto
dall'abbraccio di
lei. Si era immaginata mille discorsi, ma niente usciva dalla sua
bocca, se non il nome di George.
“Non
è colpa tua. Ho visto tutto, ho sentito tutto. Anche se ti
ho odiato
quando non sapevo nulla, sappilo!” mormorò Katie,
cercando di non
piangere di felicità.
Si
strinsero forte e si baciarono, senza imbarazzo anche se attorniati
dalla famiglia; dal salotto arrivarono i rintocchi della mezzanotte,
che si portarono via quel giorno terribile.
George
si staccò da lei, con riluttanza, per guardarla negli occhi.
Katie
lo fissò stranita e anche imbarazzata.
“Chi
sei?” domandò sconvolta, guardandosi poi attorno,
spaventata.
Note:
Eccoci
alla svolta! Ed ecco spiegato tutto il mistero attorno al contratto
magico: il nostro Fred in realtà non aveva colpe. Poverino,
accusato
ingiustamente.
E
quando sembra tutto risolto, un nuovo problema sorge: l'ultima
domanda di Katie non è proprio normale, no?
Vedremo!
Vi
mando un abbraccio! Grazie come sempre!
Mimì
|
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Capitolo 9 *** Cure me ***
L'effetto
dell'Amortentia era finito e George era ritornato in sé. E
lui e
Katie si erano finalmente ritrovati, si erano baciati.
Ma quando
le loro labbra si erano allontanate e si erano guardati negli occhi,
George lesse paura e sorpresa in quelli di lei. Poi gli fece la
domanda più assurda del mondo.
“Chi
sei?”
Rimase
interdetto, le mani ancora sulle spalle di lei, mentre Katie spostava
lo sguardo intorno confusa, rossa in volto.
“Katie,
non mi sembra il momento di scherzare” esclamò,
cercando di
scacciare la tensione.
Lei si ritrasse spaventata.
“Come
sai il mio nome? Chi sei?” strillò, mettendo una
notevole distanza
tra loro.
“Sono
George! Il tuo George!” disse cercando di farsi capire.
Lei lo
guardò scandalizzata.
“Io
non ho nessun George! E non ti conosco!” rispose arrabbiata e
imbarazzata per le insinuazioni.
Lui
si passò una mano sul volto, frustato.
Non era un farsa o uno
scherzo: il terrore negli occhi di Katie era reale.
Nessuno di
loro riusciva a dire nulla, le menti confuse. Fu Hermione a
intervenire.
“Katie,
ti ricordi chi sono?” chiese la giovane, avvicinandosi piano.
La
ragazza puntò gli occhi su di lei, sollevata.
“Hermione
Granger” rispose sicura, sorridendole.
“E
lui?” incalzò puntando il dito.
“Ron
Weasley” rispose ancora Katie. Riconobbe tutte le persone,
perfino
Bill e Charlie, che aveva conosciuto in seguito al fidanzamento con
George.
Ricordava tutti meno lui.
“E
di me non ti ricordi?” chiese infastidito, con un tono di
voce più
alto del dovuto.
Lei lo squadrò, un po' seccata dalle domande
insistenti.
“No,
non
ti ho mai visto. Devi essere un Weasley, a giudicare dai capelli.
Cugino di Ron?” azzardò tenendosi sempre ben
distante.
George
voleva urlare. Si stava imponendo di rimanere calmo, ma non era
semplice. Che diamine stava succedendo? Uno scherzo? Una
maledizione?
Come sempre Hermione si fece avanti per aiutare.
Convinse tutti a trasferirsi nel salotto della Tana, mentre nel
frattempo Ginny contattava Leanne, chiedendo la sua presenza.
Katie
sedette sul divano, vicino a Charlie, cosa che infastidì
George, che
vedeva affiatamento tra i due.
“Che
cosa è successo?” chiese, a nessuno in
particolare. Voleva solo
esternare quella domanda, che gli premeva dentro buttandolo ancora di
più in confusione.
“Potrebbe
essere una conseguenza del colpo?” rispose Ron, riferendosi
al
pugno che il fratello aveva tirato a Katie sotto effetto
dell'Amortentia.
George si sentì in colpa, più di quanto
già
non fosse; perché ricordava tutto, ogni cosa fatta mentre la
pozione
guidava le sue azioni, e si sentiva un verme.
“Non
è possibile. Ha ricevuto il colpo parecchie ore fa,
perché avrebbe
dovuto perdere la memoria ora? Senza nessun altro tipo di shock che
giustifichi il fatto?” replicò Hermione, come
sempre pratica e
convincente.
La
ragazza si sedette vicino a Katie e le fece delle domande. Le chiese
se ricordasse chi fosse, i nomi dei suoi genitori, dove era cresciuta
e altre cose riguardo la sua vita.
Katie rispose sicura a tutto,
ma Hermione aveva comunque un'espressione corrucciata quando si
alzò
dal divano.
Chiamò
George e lo precedette in cucina.
“Sai
che cosa sta succedendo?” le domandò lui con
urgenza, una volta
che furono soli.
“Ancora
non so dirtelo con certezza. Ma ho scoperto una cosa: Katie non si
ricorda di te, solo di te” confessò un po' a
disagio. Sapeva
quanto questa frase avrebbe fatto male all'uomo di fronte a
sé.
“Tutte
le cose
che avete fatto insieme, i posti che avete visitato, le cose dette o
gli oggetti comprati, sono tutti sostituiti nei suoi ricordi con
altro. Non c'è traccia di te nella sua memoria”
continuò
debolmente la cognata.
Katie
l'aveva rimosso dalla memoria. Per sempre?
“Perché?
Cosa può averlo causato?”
“Potrebbe
essere solo una cosa momentanea. Negli ultimi mesi Katie ha
sopportato molto stress e molta pressione e c'è stata la
vostra
rottura, la scoperta del tradimento di Angelina, poi il confronto e
il sollievo: probabilmente è sfociato tutto in un piccolo
shock, per
proteggersi.”
“Possiamo
farle tornare la memoria?” chiese speranzoso.
“Non
lo so. Se non sappiamo cosa ha scatenato la perdita di memoria
è un
po' difficile, ma si può provare. Per stasera lasciamola
tranquilla;
affrontiamo tutto domani” esclamò Hermione,
cercando di mettere
fiducia nella sua voce.
George cercava di pensare in maniera
positiva, ma lo sguardo perso di Katie continuava a saltargli davanti
agli occhi, sconfortandolo.
Tornarono
in salotto e si accorsero immediatamente di Leanne, che abbracciava
Katie, rannicchiata tra le sue braccia. La giovane gli
lanciò uno
sguardo infuocato, evidentemente cercando di trasmettere tutta la
rabbia repressa per quello che aveva fatto. Quando si alzò
per
andare verso di lui, fu comunque insolitamente calma.
“I
genitori di Katie vivono in America e non possono venire in breve
tempo. La porto con me” disse fissandolo con quei penetranti
occhi
verdi.
George aveva sempre temuto lo sguardo di Leanne, che
sembrava leggergli dentro. Lo metteva a disagio, come se fosse stato
nudo di fronte a lei.
Annuì leggermente, per farle capire che
approvava. Le due giovani andarono via, senza voltarsi indietro.
Il
salotto divenne improvvisamente freddo e George, trovando una scusa,
andò via. Tornò a casa, evitando le chiacchiere
della sua famiglia,
che cercava di tirarlo su, di confortarlo, di non farlo cadere nella
disperazione.
L'appartamento
era vuoto, dolorosamente vuoto. Ripensò agli ultimi giorni
in cui
Angelina si era trasferita a dormire, fortunatamente nella camera di
Fred.
Almeno quel danno non l'aveva fatto.
Gli mancava Katie,
da morire. Non era lo stesso senza di lei, sembrava tutto sbagliato.
Entrò
nella camera da letto e guardò il soffitto: mancava la
grande
stella.
Ricordò ogni cosa della notte in cui aveva lasciato
Katie: le parole dette con indifferenza come gli aveva chiesto
Angelina; le sue espressioni, l'impassibilità che aveva
dimostrato
davanti alle sue lacrime, anche se qualcosa nel profondo piangeva
assieme a lei. Quei ricordi lo facevano sentire ancora peggio; aveva
agito sotto l'effetto della pozione d'amore, ma era stato comunque
lui ad arrecare quel dolore a Katie.
E
adesso aveva perso la memoria e non riusciva a non pensare che anche
quello fosse per colpa sua. Anche se non sapeva come.
Si
lanciò sul letto, ancora vestito, e si girò a
fissare le stelle;
non brillavano, avevano smesso quella orribile notte.
Pregò con
tutte le forze che almeno una, anche la più piccola,
mandasse un
minimo bagliore; ma alle quattro del mattino, quando il sonno lo
vinse, non c'era stato il minimo cambiamento.
Il
mattino seguente si svegliò alle sette, con un forte cerchio
alla
testa e un sapore di terra in bocca. Si preparò in fretta e
senza
nemmeno far colazione uscì dall'appartamento, lasciando un
messaggio
per Verity sulla porta del negozio, lasciandole la gestione per il
giorno.
Si materializzò davanti alla porta e diede dei grossi
colpi, impaziente.
Leanne
aprì, con la faccia mezza assonnata, un po' infastidita.
Ma
allora anche lei era umana, pensò guardando il viso gonfio
di sonno.
Aveva sempre creduto fosse ultraterrena.
Leanne lo fissò, come a
chiedergli che diamine ci facesse lì alle sette e mezzo del
mattino,
di domenica.
George
entrò senza nemmeno chiedere il permesso e si sedette sul
divano,
lasciando Leanne attonita sulla porta.
“Ma
prego, fai come se fossi a casa tua, davvero”
mormorò
ironica.
“Dov'è
Katie?” chiese ignorando il commento sarcastico di lei.
La donna
non rispose subito, ma George la vide girare inconsciamente lo
sguardo sulla camera da letto dell'amica. Guardò anche lui,
per
riflesso o perché desiderava vederla apparire, in quello
stesso
istante.
“Sta
dormendo?” domandò continuando a fissare la porta.
Se avesse
posseduto la vista laser l'avrebbe bruciata, tanta era
concentrato.
“Sì”
mormorò Leanne, sempre con quel tono duro. George si
voltò,
cercando il suo sguardo.
“So
che non ho scuse, ma non ero in me. Non sono stato davvero io a
lasciarla, a farle del male, perché sai che non l'avrei mai
fatto”
esclamò serio, sostenendo quegli occhi glaciali.
E senza
preavviso vide
l'espressione di lei ammorbidirsi e si sentì a disagio,
sapendo che
fosse come assistere ad un miracolo.
“Lo
so, ma mi è più facile colpevolizzarti. Tu non
sai come è stata
male, da quale abisso l'abbia recuperata, e adesso vederla spaurita
mi fa stare anche peggio. E' una donna magnifica, perché
deve
sopportare tutto questo?” urlò arrabbiata.
“Perché
dobbiamo
sopportare tutto questo! Ci sono anche io in mezzo! E' la mia ragazza
che non ricorda chi sono, che non ha nessun ricordo di me!”
rispose
George alzando la voce.
Era anche lui una vittima di tutta quella
storia, anche lui stava soffrendo.
Una porta
si aprì con un lieve
cigolio e Katie apparve, in pigiama estivo, scalza, coi capelli
arruffati, il viso assonnato contratto in una smorfia
perplessa.
George la guardò e gli parve di non aver mai visto
nulla di più bello. Avrebbe voluto correre da lei,
abbracciarla con
tutte le forze, baciarla fino a stare male e fare l'amore con lei per
giorni interi. Invece si costrinse a rimanere fermo, a stringere le
mani a pugno, lottando contro sé stesso.
Katie li
guardò, gli occhi
ancora semichiusi che lottavano contro la luce del sole; si accorse
di George e corse in camera per ritornare poco dopo con una vestaglia
che le nascondeva le braccia e le gambe nude.
“Buon
giorno” mormorò fiocamente, armeggiando
nell'armadietto sopra la
cucina, dal quale riemerse con della farina.
George e Leanne la
osservarono andare di qua e di là nell'angolo cucina,
mettere uova,
farina, latte e burro in una terrina e sbattere con vigore.
“Volete
dei pancake? Cugino di Ron?” chiese girandosi verso di loro,
il
viso infarinato.
George
sentì una stilettata al
cuore al sentire il modo in cui lei l'aveva chiamato, ma fece finta
di nulla e le sorrise gentilmente; poi si alzò dal divano,
avvicinandosi a lei, resistendo all'impulso di baciarla con la scusa
di toglierle la farina dal naso.
“Solo
se posso aiutare” rispose prendendo la terrina dalle sue
mani. “E
mi chiamo George” aggiunse fissandola negli occhi.
Lei sorrise,
imbarazzata.
“D'accordo,
George, ma sappi che nessuno le fa buone come me! Il segreto
è nella
cottura!” replicò Katie, sentendosi complice,
anche se non sapeva
come.
Non si
accorsero che Leanne era
andata via, lasciandoli soli. Cucinarono i pancake fianco a fianco,
parlando e scherzando, e li mangiarono assieme.
Forse, non tutto
era perduto. Forse da qualche parte c'era ancora il suo ricordo nella
mente di lei. O forse, anche se tutto quello non fosse stato
possibile, avrebbe almeno potuto riconquistarla, farla innamorare
ancora una volta.
Sarebbe stata quella la sua missione da quel
momento in avanti.
Curare
Katie o riconquistarla,
ancora.
Note:
Ciao!
Rieccomi
con l'aggiornamento!
Dunque, Katie non si ricorda più di George,
sarà una cosa da nulla o c'è una buona
spiegazione dietro? ;)
Vi
mando un abbraccione
Mimì
|
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Capitolo 10 *** New Kiss ***
Dopo quella
mattina, George si era recato ogni giorno all'appartamento di Leanne,
a far visita a Katie. Aveva chiacchierato con lei, l'aveva fatta
ridere, era riuscito a conquistare la sua fiducia.
E quando le
aveva mostrato le loro foto, lei non si era ritratta. Le aveva
guardate, ne aveva studiato ogni dettaglio, stupita, mentre George
attendeva in silenzio al suo fianco. Il suo guardo scorreva sulla
coppia, che in ogni foto salutava, si rincorreva, si abbracciava e,
con suo enorme imbarazzo, si baciava. Dopo averle visionate tutte si
girò verso di lui, col viso in fiamme.
“Queste
foto...” iniziò incerta, evitando di guardarlo in
viso.
“Sono
di noi due” continuò lui, cercando di attirare la
sua
attenzione.
Rimasero in silenzio, domande e risposte taciute,
George per non mettere fretta, Katie per imbarazzo.
“Noi
due stavamo assieme” disse George nel silenzio, conquistando
lo
sguardo di lei.
“Come? Quando?
Io...io non
ricordo nulla” sussurrò Katie, mettendogli le foto
tra le mani,
come se negasse una simile possibilità.
“Tu
hai perso la memoria, su me, su noi.”
Lei
continuò a fissarlo, in silenzio, assorta. George prese le
foto e
mostrandogliele una a una gli raccontò la loro storia, di
come si
fossero conosciuti, della loro amicizia, della dichiarazione di lei,
della loro vita assieme. Katie ascoltò con
avidità, forse sentendo
dentro di lei che quelle parole erano vere.
“Non
ti chiedo di credermi dall'oggi al domani, né di
ricominciare da
dove si è interrotto. Solo ti chiedo di darmi la
possibilità di
farti ricordare, di poter recuperare ciò che
c'era” mormorò
George, col cuore in gola, temendo la risposta.
Lei continuò a
fissare le foto, guardando la gioia che i due innamorati emanavano,
sempre sentendo quell'imbarazzo invaderla, ma valutando l'idea che,
in fondo, quella felicità potesse essere davvero sua, loro.
“Va
bene, fammi ricordare chi sei, George.”
E
George, con il sollievo e l'euforia nel cuore, si impegnò con
tutte
le sue forze. Portò Katie in ogni luogo che avevano
visitato, le
raccontò aneddoti su loro due, sui suoi sogni da ragazzina,
di
quanto l'avesse ammirata come cacciatrice ai tempi della scuola; le
dimostrò di conoscerla profondamente e lei si
aprì a tutte quelle
esperienze, entusiasta. Sembrava percepire la sincerità del
ragazzo,
dal suo sguardo e dai suoi gesti, e le piaceva la sua compagnia.
George
la vedeva toccare sempre il ciondolo a stella che le aveva regalato,
sovrappensiero; lo faceva quando era giù, quando era triste
o
nervosa, eppure per lei non era altro che una normalissima
collana.
Non aveva recuperato un singolo ricordo, ma lui sentiva
che il loro rapporto si stava riformando, forse più nuovo e
più
bello.
E una sera, seduti sul divano dell'appartamento delle
ragazze, lei disse quello che più voleva sentire.
“Mi
piaci, George.”
Lo sussurrò, facendosi vicina.
George
osservò estasiato il suo viso farsi vicino, i profondi occhi
scuri
brillare di divertimento e desiderio, respirò il suo
profumo. Il suo
cuore batteva così forte nel suo pomo d'Adamo, che
probabilmente
sarebbe schizzato fuori da un momento all'altro.
E
si baciarono. Il primo bacio della loro nuova vita, un nuovo bacio.
Assaporò quel momento, il sapore di lei sulle labbra, la
felicità
di stare di nuovo assieme.
D'un tratto Katie batté le palpebre,
confusa. Si scostò e lo guardò smarrita, spaurita.
“Chi
sei?” domandò con quegli occhi terrorizzati,
ancora una volta.
No,
non era possibile, non stava succedendo di nuovo. Era solo uno
scherzo, un terribile, dolorosissimo scherzo.
La sua
reazione dovette essere brusca, perché Katie si
alzò spaventata e
corse verso la sua camera, dove teneva la bacchetta, sbattendosi la
porta dietro con forza.
Bussò, chiamandola, supplicandola, ma
l'unica risposta di lei fu una minaccia. Si accasciò infine
contro
la porta, cedendo alla rassegnazione e all'angoscia.
Leanne
lo trovò rannicchiato sullo zerbino di casa, quando
tornò
all'appartamento. Le braccia attorno alle gambe, la testa china, era
il ritratto della pena.
Perplessa, si inchinò al suo fianco,
portando la testa alla sua altezza.
“Cosa è
successo?” chiese con voce insolitamente dolce. Non le andava
di
torturarlo ulteriormente, era già abbastanza distrutto per
conto
suo.
George non sollevò la testa quando rispose e Leanne
pensò
che forse avesse pianto e non volesse essere visto da
lei.
“Katie...lei...si
è scordata ancora di
me” mormorò piano, la voce incerta.
Leanne si fece raccontare
ogni cosa, poi sospirò con forza, mettendo comprensiva una
mano
sulla sua testa.
“Sai che significa?
La
perdita di memoria non è causata dallo stress. Ma da una
maledizione” rivelò seria, decidendo il da farsi.
Il
giorno seguente, Leanne portò Katie al S. Mungo per fare dei
controlli mentre George, dopo una notte insonne, si recò
presto a
casa dei genitori di Angelina, a cui la ragazza era stata
affidata.
Respirò a fondo, due o tre volte, poi bussò alla
porta
della deliziosa casa di campagna immersa nel verde.
Ci aveva
pensato su tutta la notte e l'unica persona che credeva potesse aver
fatto una cosa simile, poteva essere solo lei. Non le era bastato
aver tentato di rovinare la loro vita una volta, ci aveva riprovato
ancora, senza la minima esitazione.
La
signora Johnson aprì la porta, un po' sorpresa;
probabilmente lui
era l'ultima persona che si aspettava di trovare.
“Buon
giorno. Sono venuto per vedere Angelina, è una cosa
importante”
esclamò George senza esitazione.
La donna lo fissò a lungo, ma
non trovò astio nei suoi confronti; era solo, sinceramente,
preoccupata per sua figlia.
“La prego. E' di
vitale importanza che io parli con lei” la
supplicò, cercando di
vincere la sua reticenza.
La signora lo fece entrare e lo scortò
in silenzio alla stanza di Angelina.
“Non
so cosa cerchi, ma purtroppo devo disilluderti. Non troverai niente
qua dentro” mormorò cupa la donna, aprendo la
porta. Angelina
sedeva al centro della stanza, lo sguardo perso fuori dalla finestra.
George entrò, con passo incerto, sentendo qualcosa di strano
nell'aria.
“Ciao
Angelina” esclamò per
attirare la sua attenzione.
La giovane si voltò al sentire una
nuova voce e piantò gli occhi scuri su di lui. Lo
osservò,
pensierosa, in silenzio.
“Chi sei?”
chiese
poco dopo, guardandolo confusa.
Quella domanda stava minando la
sua salute mentale.
Le
speranze di George svanirono all'istante, inghiottite dalla
sconcertante verità. Si voltò verso la madre
della ragazza,
cercando risposte.
“E' così
dal giorno dopo
il vostro matrimonio fallito, un mese fa. I primi giorni non
ricordava nemmeno il suo nome o i nostri” raccontò
la signora
Johnson, sorridendo alla figlia per farle capire di non spaventarsi.
Un sorriso teso e intriso di dolore o almeno così lo
percepì
George.
“Ha perso la memoria
di qualsiasi
cosa, è come una bambina” confessò la
donna, trattenendo la
voce.
George aveva ascoltato inorridito; aveva capito finalmente,
Angelina aveva pasticciato con la magia di un contratto magico,
condannandosi forse per sempre all'oblio e trascinando Katie
giù con
sé, involontariamente.
Guardò
gli occhi sperduti della sua vecchia amica, un tempo fieri e sicuri,
e si avvicinò lentamente, accucciandosi infine accanto a lei.
“Ciao
Angelina, sono George. Possiamo essere amici?” disse
tendendole una
mano, sorridendo, anche se avrebbe voluto urlare.
Che senso
avrebbe avuto ora prendersela con lei? Si era già punita, da
sola,
per tutto ciò che aveva fatto.
La giovane fece scivolare lo
sguardo da George alla sua mano un paio di volte, poi la strinse con
un gran sorriso felice.
George
lasciò la casa mezz'ora dopo, con la mente più
chiara. Si precipitò
al suo appartamento e dopo aver preso il contratto magico, si
materializzò al Ministero.
Raccontò tutto a Harry e Ron e chiese
loro di analizzare la lettera per cercare quali incantesimi avesse
fatto Angelina per cambiarla, per trovare così possibili
contro
incantesimi. Suo cognato e suo fratello, Auror eccellenti, fissarono
la pergamena, poi lo guardarono con un misto di perplessità
e
compassione.
“Sai che potrebbe
essere
impossibile? O che potrebbe volerci molto tempo?”
domandò Harry,
cercando invano di suonare professionale. La sua voce suonava carica
di pietà all'orecchio di George.
“Sì, ma
devo provarci. Ho tutto da perdere a rinunciare” rispose,
prima di
andare via.
Gli
fu difficile concentrarsi sul lavoro quel pomeriggio, voleva solo
correre fuori dal negozio e andare da Katie, per sapere come stesse.
Un gufo marrone entrò nel suo ufficio, atterrando sul
progetto per
le caramelle esplosive. Il volatile tese la zampina, fissandolo con
un gelido sguardo negli occhi ambrati. Doveva essere il gufo di
Leanne, stesso atteggiamento glaciale della sua padrona.
La
lettera era proprio della ragazza.
Dopo averla letta in fretta
lasciò l'ufficio, urlò a Verity che stava uscendo
sopra il
frastuono del negozio e si smaterializzò.
Bussò con prepotenza,
impaziente.
“Vuoi
buttarmi giù la porta?” urlò Leanne con
stizza, aprendo.
“Dov'è?
Cosa vi hanno detto?” domandò urgentemente,
ignorando le sue
battute.
“Sta riposando. Le
hanno fatto
molte analisi, molti controlli, e si è stancata. Tra l'altro
continuava a chiedermi per quale motivo la stessimo analizzando, dato
che si sentiva bene” rispose facendolo entrare.
“E
cosa hanno trovato? Una cura, un incantesimo?”
Leanne
gli offrì una Burrobirra, poi si sedette nella poltrona di
fronte
alla sua.
“Si sono accorti di
una
maledizione, ma hanno detto che era confusa, come se fosse
pasticciata” rivelò la ragazza, sorseggiando la
bibita.
George
le raccontò della visita ad Angelina, delle condizioni della
ragazza
e delle sue conclusioni.
“Il Guaritore ha
detto che la scoperta di Katie sulle pozioni della memoria potrebbe
riportare tutto alla normalità, ma solo lei conosce le dosi
esatte e
il modo di preparazione e pare che anche quella parte della memoria
sia stata intaccata” sussurrò Leanne, capendo la
gravità della
situazione.
“Ho i suoi appunti
nel mio
appartamento, li sfoglierò, li studierò, li
memorizzerò! E
riuscirò a preparare la pozione per la memoria”
esclamò George,
infervorandosi.
“E io ti
darò una mano”
disse Leanne, accondiscendente.
George la guardò
sospettoso.
“Vuoi dire che siamo
amici?”
la prese in giro, sapendo quanto Leanne fosse restia a dimostrare
affetto, se non verso Katie.
“Diciamo che ti
tollero” rispose la ragazza con una finta smorfia.
Avrebbero
lavorato con fervore, avrebbero cercato una soluzione, per il bene di
Katie.
La ragazza apparve in salotto, mezza assonnata,
accorgendosi della presenza di un ospite.
“Ciao,
sono Katie” si presentò strofinandosi gli occhi.
“Molto
piacere, sono George” rispose lui stringendo la piccola mano
che
gli tese.
E
ti farò ricordare chi sono, quanto mi ami, quanto stiamo
bene
assieme.
Note:
Benritrovati.
Eccoci
al decimo capitolo!
La
matassa di mistero si è finalmente sbrogliata. Bisogna solo
vedere
se Katie smetterà di scordare George.
Mancano
due capitoli alla fine! Perciò siamo quasi arrivati.
Grazie
come sempre per seguire la mia storia. Grazie a PallaDiNeve, Neve,
che mi lascia sempre un suo parere.
A
presto
Mimì
|
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Capitolo 11 *** So delicate, so pure ***
George
si dedicò alle ricerche quello stesso giorno.
Si
fiondò all'appartamento e frugò con foga negli
appunti di Katie,
gettando via le pagine piene di scarabocchi e concentrandosi
maggiormente sulle cartelline ricolme di fogli scritti nella fitta
grafia di lei, raccolti in anni di studi. Le
sfogliò una a una, cercando di capire le formule scritte, ma
non
riusciva a decifrare la scrittura.
Le
raccolse in fretta e furia e si smaterializzò per andare da
Leanne.
Passarono
due giornate intere tra fogli, memo, appunti, formule e tutto quello
che ottennero fu un grosso mal di testa; sembrava che nessuno, a
parte Katie, potesse capire ciò che vi era scritto.
Perciò
la giovane prese parte alla ricerca, sebbene in un primo momento
George avesse deciso che non fosse necessario. Perché non
voleva
passare ancora del tempo con lei, perché gli faceva male.
Gli
faceva male guardarla così delicata, così pura,
averla accanto
senza poterla toccare.
Non
era la sua Katie e questo lo distruggeva.
I
giorni di studio si trasformarono in settimane, poi in mesi.
George
stava cedendo, lentamente. Nei
mesi passati assieme Katie aveva perso la memoria altre quattro
volte.
Ogni
volta che la ragazza sembrava mostrare un qualche interessamento per
lui, perdeva immediatamente ogni ricordo, ritornando ad essere come
una pagina bianca, dove il suo nome non era scritto. E
George si sentiva sempre peggio, perché ogni volta sperava
segretamente che lei recuperasse tutto, che quella volta non avrebbe
dimenticato. Ma quando quello sguardo vacuo lo colpiva si sentiva
morire e sprofondava nel dolore, nell'angoscia, per poi risollevarsi
alla speranza ancora, per poter essere ributtato nel tormento,
ancora.
Leanne
diede il colpo di grazia al suo umore, una sera di Gennaio.
“Ti
devo parlare” disse seria, una volta tornata
all'appartamento.
George si bloccò col braccio a mezz'aria, la fiala stretta
nella
mano, il calderone che ribolliva; stava provando a preparare la
pozione della memoria insieme a Katie, sua assistente.
Al
momento il loro rapporto era di pura amicizia e George si stava
sforzando perché rimanesse tale, nonostante lei gli avesse
fatto
capire che era ogni giorno più importante. Nonostante
finisse
immancabilmente per innamorarsi ancora e ancora di lui, anche se
George non le aveva più detto niente sul loro passato
assieme.
Non
avrebbe sopportato di essere cancellato ancora una volta dal suo
cuore.
Seguì
Leanne nello studio, temendo per il tono serio di quella che era
diventata una buona amica. La
giovane si sedette, invitandolo a fare lo stesso. Si sentiva ansioso,
le premesse non erano buone e conoscendo Leanne non era uno scherzo.
“Ho
ricevuto una lettera dal S. Mungo e sono andata a incontrare il
Guaritore di Katie. Quello che controlla le sue condizioni”
esordì
la donna, con lo sguardo serio.
George
respirò brusco, annuendo per invitarla a continuare.
“Sembra
che la memoria di Katie stia progressivamente diminuendo”
esclamò
tutto d'un fiato, forse pensando facesse meno male se detto di colpo.
“Perché?”
chiese George con la voce soffocata, temendo la risposta.
Leanne
si stava torturando le mani, cosa insolita per il suo carattere
forte.
“A
causa tua. Ogni volta che si interessa a te perde la memoria e
cancella inevitabilmente una parte di sé. Non se ne rende
nemmeno
conto, ma è sempre meno Katie. Se continui di questo passo,
nel giro
di qualche mese non rimarrà più nulla di
lei.”
Rimasero
entrambi in silenzio, le parole erano troppo pesanti in quel momento.
George
voleva urlare, spaccare tutto quello che aveva davanti e piangere.
Voleva abbandonarsi al dolore così tanto che tutto il suo
corpo
doleva, persino le ossa.
Invece,
come era ormai sua consuetudine, fece un paio di respiri profondi,
trattenendo tutto dentro.
“Siamo
a buon punto con la pozione. Voglio provare ancora questa
opzione”
rispose, sapendo di suonare supplichevole.
Leanne
si massaggiò il collo, con fare stanco.
“Cosa
farai se nemmeno questo funzionasse?” chiese la donna,
evitando il
suo sguardo.
“Rinuncerò
a Katie” mormorò quietamente nel silenzio della
stanza.
Leanne
alzò lo sguardo per fissare gli occhi di George, carichi di
dolore.
“Non
lo faccio perché sono stanco o disilluso, perché
continuerei a
scontrarmi con questo dolore giorno dopo giorno se la riportasse da
me; ma se il prezzo da pagare è la perdita di Katie in
maniera
definitiva, la propria cancellazione dalla sua stessa memoria,
diventando così un guscio vuoto, allora rinuncerò
a lei.”
Leanne
sapeva quanto la prospettiva lo terrorizzasse e quanto nel profondo
stesse sperando che questa idea fosse la vera svolta.
“D'accordo,
proviamo allora quest'ultima possibilità” disse
accondiscendente.
“Due
giorni e la pozione sarà pronta. E allora sapremo!”
Tutto
fu più difficile.
Terrorizzato
all'idea di perderla forse per sempre, George si comportava
freddamente con Katie.
“Perché
mi tratti in questa maniera?” chiese la ragazza, due mattine
dopo,
seccata all'ennesima risposta monosillabica di lui.
George
poggiò lo sguardo sul viso corrucciato di lei, provando una
gran
fitta al cuore.
“Non
so di cosa parli, sono solo concentrato sulla pozione”
rispose
distogliendo subito lo sguardo.
Katie
si fece più vicina, minacciosa.
“Guardami
negli occhi! Ho fatto qualcosa che ti ha offeso?”
incalzò la
giovane, decisa a non farsi mettere i piedi in testa.
George
si scansò allarmato, ma si accorse troppo tardi di averla
offesa con
quel gesto.
Si
bloccò, ferita.
“Sul
serio, cosa succede?”
“Nulla,
davvero. Solo...devo riuscire a completare questa pozione, sono
davvero concentrato, completamente assorbito”
confessò George,
farfugliando.
“Perché?”
domandò Katie nel silenzio.
“Perché
non fai altro che studiare questi fogli e sperimentare questa pozione
in maniera ossessiva? Mangiando poco, dormendo poco, riducendoti uno
straccio? Non capisco” disse, mostrando di averlo tenuto
d'occhio.
“Perché
c'è qualcosa che ho perso e mi è molto
caro.”
Finirono
la preparazione della pozione in silenzio, Katie perplessa, George
pensieroso.
Due
ore dopo, spenta la fiamma sotto il calderone, rimasero ad osservare
la pozione arancione smettere lentamente di sobbollire, un leggero
fumo al profumo di mandarino che riempiva la stanza.
Era
il momento tanto atteso, la sua ultima possibilità.
La
loro ultima possibilità.
“Adesso
non ci resta che provarla” disse George, proponendosi anche
lui per
non destare sospetti.
Riempì
due bicchieri fumanti, ne porse uno a Katie e poi strinse con forza
il suo, preparandosi a berlo. Il cuore batteva con forza, la gola era
secca. Chiuse
gli occhi e tracannò la pozione in un sorso solo. La bevanda
scese
giù leggera, rilassando la gola tesa. Avrebbe
aperto gli occhi e lei sarebbe stata lì a guardarlo, a
sorridergli;
gli avrebbe detto che adesso ricordava tutto e che lo amava.
Allora
perché non proveniva nessun suono dalla stanza? Nessun
sospiro
sollevato? O un'esclamazione sorpresa per essere ritornata alla
normalità?
Aprì
gli occhi, per scoprire Katie a fissare perplessa il bicchiere vuoto
tra le sue mani, forse in attesa.
“Katie?”
si rese conto che la sua voce era poco più di un sussurro.
La
ragazza alzò lo sguardo su di lui.
“Come
ti senti? Qualcosa di diverso?” domandò un po'
teso, incapace di
resistere un minuto di più senza sapere.
“Io...no.
Sto bene, come prima” rispose lei scuotendo lievemente la
testa.
George
lasciò andare il bicchiere, lasciando che si frantumasse per
terra,
e separò la distanza tra loro con pochi passi, con urgenza.
“Vuoi
dire che non sai chi sono? Che non ricordi nulla di me?”
urlò
stringendo forte i pugni per non scuoterla con forza.
“Sei
George. L'amico di Leanne” rispose Katie un po' timorosa,
scostandosi all'indietro, sorpresa dalla reazione di lui.
George
cacciò un ruggito di rabbia e scappò nello studio
delle ragazze, in
cui aveva praticamente vissuto negli ultimi mesi, in cui aveva
coltivato le sue speranze, in cui aveva sognato che lei sarebbe
ritornata, e si chiuse la porta dietro, con un gran fragore. Si
fiondò sulla scrivania e gettò tutte le pergamene
per terra,
rovesciò i soprammobili, prese a pugni gli armadi,
accompagnando
ogni gesto con un ringhio di dolore.
Aveva
perso Katie, l'aveva persa per sempre.
Si
accasciò sconfitto al suolo, chiudendo la mano sul foglio
vicino al
suo piede, con rabbia.
La
porta dello studio si aprì, cigolando lievemente, poi si
richiuse.
“George?”
chiese la voce titubante di Katie. “Tutto bene?”
Il
suo nome sulle sue labbra gli fece più male del dovuto,
forse perché
sapeva che non avrebbe mai più avuto quell'inflessione
amorosa che
lei era solita dargli. Il
pensiero gli fece salire il sangue al cervello. Si alzò con
foga,
piantando gli occhi in quelli di lei, lasciando che la sua
frustrazione uscisse fuori, come lava incandescente.
“No,
non c'è niente che vada bene!” urlò in
preda all'ira.
“Dobbiamo
solo provare di nuovo, la prossima volta ci
riuscirà” mormorò
calma, riferendosi alla pozione, cercando di arginare la rabbia di
lui.
“E'
finita. Non c'è una prossima volta! La prossima volta tu
continueresti
a guardarmi con quegli occhi vuoti, continueresti a dimenticare il mio
nome, quanto ci siamo amati, quanto sia bello svegliarsi assieme al
mattino. Continueresti a perdere ogni più piccolo ricordo,
volta dopo
volta, finché non cancellerai te stessa insieme al nostro
amore!”
gridò con voce roca.
Non
si era nemmeno accorto di piangere. L'ultima volta che il cuore gli
era sembrato riarso e gli occhi così brucianti da sentire il
bisogno
di piangere era stato alla morte di Fred, quando aveva perso la sua
metà. Allora credeva che non avrebbe mai più
provato niente di così
sconvolgente. E
invece era lì, a guardare la donna che amava, che non
avrebbe mai
più ricordato nulla di loro due assieme e si sentiva
dilaniato.
“Ed
è tutta colpa di questo dannatissimo foglio, di Angelina,
mia e di
Fred” urlò sventolando la pergamena raccolta da
terra sotto il suo
viso esterrefatto, che si rivelò essere il contratto
pasticciato da
Angelina.
Harry
gliel'aveva rimandata dieci giorni prima, dicendogli che non era
riuscito a scoprire il modo di invertirne gli effetti.
“Perché
se Fred non fosse morto niente di tutto questo sarebbe successo! Se
non ci avesse abbandonato! E' tutta colpa sua!”
gridò stracciando
la pergamena come un dannato, riducendola in pezzi sempre
più
piccoli, accanendosi con foga.
I
piccoli brandelli fioccarono sul pavimento, come neve, sotto lo
sguardo di Katie, che torturava la collana con le dita.
“Mi
ha abbandonato, se n'è andato a tradimento, lasciandomi
solo. E tu
stai facendo lo stesso.”
Con
un passo si avvicinò e la cinse per le spalle, con forza,
ignorando
il suo sguardo smarrito. La
baciò, con passione e disperazione, per assaporare un'ultima
volta
il suo sapore, per serbare quell'ultimo ricordo, anche se lei non
avrebbe ricordato.
Quando
si allontanò, Katie aveva un'espressione vitrea, distante.
Si
era portata le mani alla testa, come in preda ad un forte turbamento.
“Mi
hai cancellato, ancora” le sussurrò all'orecchio,
prima di aprire
la porta e attraversarla come una furia, deciso a non voltarsi
indietro.
Fu
una piccola mano che si chiuse sul suo polso a fermarlo. Piccola, ma
con una presa ferrea.
“Da
cosa stai scappando, George?” chiese la voce di Katie alle
sue
spalle.
Lui
si voltò, incredulo.
“Ripetilo”
disse con un filo di voce.
“Ti
ho chiesto da cosa stai scappando” ripeté lei
guardandolo
stranita.
“No,
non quello. Il mio nome, ripeti il mio nome!”
“George,
sei George” mormorò Katie, con uno sguardo
preoccupato.
Col
polso intrappolato nella mano di lei, si avvicinò e poso la
mano
libera sulla sua spalla, stringendo forse con troppa forza.
“Dimmi
chi sono!” ordinò, non osando credere alle proprie
orecchie, cercando di frenare quell'euforia che gli stava nascendo
nel petto, ma senza successo.
“Sei
George Weasley, amico di Leanne, inventore e proprietario di un
negozio di scherzi e...mi hai appena baciato”
sussurrò Katie,
imbarazzandosi.
Un
mezzo sorriso gli balenò in viso.
“Quando
ti ho baciato, tu..hai sentito qualcosa per me?”
incalzò ancora.
Katie
annuì, col viso in fiamme.
George
si liberò dalla sua mano e l'abbracciò con forza,
incredulo, ma
felice, mentre lei ricambiava l'abbraccio.
Non
aveva recuperato la memoria su loro due, ma non aveva nemmeno perso
quella guadagnata nell'ultimo tempo.
Affondò
la testa nei suoi capelli, inalando il suo profumo, piangendo dalla
gioia.
Era
un nuovo inizio.
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Capitolo 12 *** Sleeping in your hand ***
Note:
Ho postato gli ultimi due capitoli assieme. Perciò leggete
prima
l'11!
Lo
sguardo vagava di qua e di là, catturato dallo scintillio
delle
stelle; a volte riluceva più quella piccola sulla destra,
l'attimo
dopo era la grande al centro a splendere più forte. Tutte,
una ad
una, a turno, avevano un momento di maggiore brillantezza.
Katie,
sdraiata a pancia in su sul letto, non riusciva a staccare gli occhi,
estasiata, lasciando che la mente ricordasse ogni più
piccolo
dettaglio dei momenti che ogni stella rappresentava: gli odori, i
suoni, le sensazioni di ogni ricordo le invadevano il cuore e
l'anima e lei era felice.
Felice
di essere di nuovo sé stessa. Sorrise;
un piccolo sorriso, timido e gioioso.
La
stella media lì nell'angolo era stata messa quando lei e
George
erano andati per la prima volta in vacanza assieme, in campeggio: si
erano ripromessi di non usare la magia, per rendere le cose
più
emozionanti, ed erano finiti a lottare contro zanzare, animali
selvatici attirati dal loro cibo e con la tenda divelta da un forte
vento. Avevano urlato, lottato contro la natura e alla fine riso,
perché erano innamorati e tutto era splendido.
Scintillò la stella
del primo litigio, subito dopo quella del primo appuntamento.
Ed
ecco quella del nuovo inizio brillare, più luminosa di tutte
le
altre. La Grande stella, che adesso aveva un ulteriore significato.
Sospirò,
fissandola con intensità bruciante.
Erano
passati tre mesi da quando lei e George erano ritornati assieme, da
quando aveva smesso di dimenticarlo. E ogni giorno in quel lasso di
tempo, lui non aveva fatto altro che impegnarsi per farla guarire. Non
sapevano con certezza cosa avesse scatenato la guarigione: il Primago
Fawley diceva che scientificamente e magicamente non c'era
spiegazione e adduceva come possibilità che la combinazione
della
pozione, dello strappo della pergamena e del bacio potessero aver
creato una sorta di miracolo.
Allungò
la mano verso il comodino, afferrando la quotidiana fiala di pozione
della memoria; la stappò e bevve d'un sorso il liquido al
sapore di
mandarino, poi si lasciò ricadere sui cuscini. La
cura sarebbe durata ancora poco e sarebbe stata completamente intera,
di nuovo tutta Katie. Poi avrebbe potuto tornare persino al lavoro,
al San Mungo. L'Ospedale di Ginevra era stato convinto mesi prima a
desistere dall'offrirle un posto, dal Primago, in seguito alla
perdita della memoria.
Non
era stato semplice recuperare tutti i ricordi con George e
ciò che
aveva cancellato di sé, ma lui non aveva desistito un
secondo dal
suo impegno; all'inizio non c'erano nemmeno speranze che ciò
che
avevano vissuto le tornasse alla mente, ma poi, una sera, aveva fatto
una battuta sul suo orecchio, ricordando di come fosse piombata da
lui spaventata al sapere che era stato ferito. E George l'aveva
guardata sconvolto e le aveva chiesto venti volte almeno di ripetere.
Alla
fine, senza forzare i tempi, pian piano, ogni cosa era tornata al
proprio posto.
Le
aveva fatto male ricordare del tradimento di Angelina e di quello
presunto di George, ma era stato peggio non ricordare affatto di lui:
in quel periodo, nel profondo, si era sentita come se le mancasse
qualcosa, come se fosse stata un sacco pieno di sabbia e da un
buchino minuscolo quella si stesse riversando all'esterno,
lasciandola sempre più vuota.
Era
andata a trovare Angelina, due mesi prima.
La
ragazza non aveva davvero più nessun ricordo su nessuno,
nemmeno di
sé; Katie aveva portato il suo Guaritore che aveva
prescritto la
pozione della memoria anche a lei, sperando di aiutarla. Ed era
riuscita a riacquistare parte della memoria, iniziando di nuovo a
vivere, a uscire, a sorridere veramente. Per la parte riguardante
Fred, però, non avrebbero potuto fare nulla,
perché era stata
cancellata dal contratto originale, prima che lei lo pasticciasse con
la magia, e per quello non c'era più soluzione.
Katie
l'aveva osservata, a volte, mentre fissava George, durante le loro
uscite, con sguardo intenso e perso; si era preoccupata che l'amica
potesse sviluppare una sorta di ossessione per lui, che magari il
ricordo e l'amore per Fred non fossero davvero scomparsi e si
potessero riversare sul gemello. Ma fortunatamente Angelina le
confessò che non era affatto interessata a lui in quel senso.
“E'
solo che, quando sorride, mi ricorda qualcun altro” le aveva
confessato in imbarazzo quando le aveva chiesto se fosse invaghita di
lui, un pomeriggio davanti ad un tè.
“Chi?”
aveva domandato Katie cercando di non far tremare la tazzina nella
mano.
Angelina
aveva scosso i capelli dolcemente e alzato le spalle.
“Non
lo so, forse qualcuno che ho sognato.”
Da
qualche parte, nascosto in un sogno, Fred viveva ancora in Angelina.
Il
tonfo di una porta sbattuta la riportò alla
realtà e in fretta e
furia si coricò sul fianco, facendo finta di dormire. Rumori
di passi e un piccolo batticuore col sorriso.
La
porta della camera si aprì e senza resistere socchiuse un
poco la
palpebra, per vedere: George entrò al buio e
poggiò la bacchetta
sul comodino, lasciandosi guidare solo dalla luce delle stelle.
“Puoi
anche aprirlo tutto, l'occhio, so che sei sveglia”
esclamò l'uomo
balzando all'improvviso sul letto, a pochi centimetri da lei,
facendola rimbalzare per il contraccolpo.
Katie
lanciò un gridolino sorpreso e poi scoppiò a
ridere.
“Riuscirò
mai a sorprenderti?” chiese, fintamente arrabbiata.
“Oh,
sì. Mi sorprende sempre che tu creda di farmela!”
rispose George
alzandosi dal letto e iniziando a cambiarsi per la notte.
Katie
fissò la sua schiena per tutto il tempo, prima nella veste
da mago,
poi nuda e bianca, che le faceva venire voglia di baciare le spalle
larghe, e infine dentro il pigiama.
Si
coricò al suo fianco, con un lieve fruscio di lenzuola e
piumone.
“Com'è
andata oggi?” le chiese dopo che le ebbe stampato un bacio.
Katie
passò la lingua sulle labbra, gustando il sapore di George,
di succo
di zucca e caramelle alle more.
“Bene,
Fawley ha insistito perché andassi a pranzo con lui e mi ha
detto
che tra una settimana potrò smettere con la cura”
rivelò lei con
gioia.
“Le
escogita tutte pur di passare del tempo con te, eh? Digli che lo
tengo d'occhio! Ho inventato gli aeroplanini di carta a scoppio e non
ho paura di usarli!”
Lei
ridacchiò ancora, soddisfatta.
“Oggi
ho ricordato del nostro primo litigio da fidanzati, lo
ricordi?”
mormorò contro il cuscino, mentre lui si avvicinava per
abbracciarla.
“Come
potrei scordarlo? Mi hai trasfigurato il mantello in cane e quello ha
cercato di mordermi, mentre era ancora attaccato al mio
collo!”
sbottò incredulo, vagamente offeso per l'accaduto.
“Sì,
beh, non avresti dovuto dire che Vivian, la tua ex
fidanzata,
fosse più bella di me!”
“Non
l'ho mai detto! Ho detto che era un po' più femminile e
aggraziata e
che forse avresti potuto esserlo anche tu!”
Katie
sbuffò dalla rabbia, pestandogli la mano che le cingeva il
fianco.
“Vuoi
ricominciare a litigare?” chiese ad un soffio dal suo viso.
George
scoppiò a ridere e la strinse forte, mente lei gli dava
pizzicotti
sui fianchi per farsi liberare.
“Ti
dispiace aver recuperato anche quel genere di ricordi?”
domandò la
voce di lui, bloccando l'ultimo pizzico a mezz'aria, per la sorpresa.
“No,
sono contenta. Per ogni ricordo, anche quello più brutto.
Sono io,
adesso; sono quello che sono grazie a tutto quello che ho passato e
ti amo per ogni parte del nostro rapporto, fatto di esperienze belle
e meno belle” disse seria, stringendogli un'altra porzione di
pelle
tra le dita, per vendetta.
George
le punzecchiò un fianco, facendola desistere dal continuare
a
pizzicarlo, poi le rubò un bacio, lento, sentito, profondo.
“E
ti ricordi cosa ti ho chiesto quella mattina di ottobre, tra pancake
e torte?”
Katie
sorrise contro la sua guancia.
“No,
non lo ricordo” finse con voce vaga.
“Ah,
peccato. Beh, se non lo ricordi, pazienza” soffiò
George alzando
le spalle rassegnato.
Katie
mosse le gambe nelle lenzuola, dandogli un calcetto offeso. Lui
le prese una mano e con l'altra le cinse il fianco, attirandola a
sé.
“Non
c'è fretta. Abbiamo tutto il tempo di questo mondo, adesso.
Ci
sposeremo, faremo dei bellissimi bambini e ti guarderò
invecchiare.
Io invece rimarrò sempre bellissimo e giovanissimo, ma tu
non puoi
farci nulla, mi spiace.”
Lei ridacchiò, poi si accoccolò
contro il suo petto, felice.
Era
tutto perfettamente giusto.
Era
di nuovo Katie, era ancora e sempre innamorata di George ed era di
nuovo lì dove voleva stare, stretta a lui, a dormire mano
nella
mano.
Note:
Eccoci
alla fne. Grazie per aver seguito questa piccola storia senza
pretesa. Grazie a chi l'ha preferita e a chi l'ha commentata.
Continuerò
a scrivere di questi due, è più forte di me!
Un
grossissimo abbraccio.
A
presto
Mimì
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