Kingdom Hearts: Back To School

di ChiiCat92
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Una giornata cominciata male non può che finire peggio ***
Capitolo 3: *** Il Superiore ***
Capitolo 4: *** Doctrina est difficile, etiam superesse ***
Capitolo 5: *** Keep Going On ***
Capitolo 6: *** Ti tengo nel cuore dove il tuo sorriso è amore ***
Capitolo 7: *** Il bolide fellone ***
Capitolo 8: *** Un amico ogni venticinque milioni di nemici ***
Capitolo 9: *** Parole di Uomo ***
Capitolo 10: *** Una Difficile Verità ***
Capitolo 11: *** Aspettare è ancora un'occupazione. E' non aspettare niente che è terribile. ***
Capitolo 12: *** Un nemico fantasioso, un amico fantastico ***
Capitolo 13: *** Quel che non ti aspettavi ***
Capitolo 14: *** Verso il Tramonto ***
Capitolo 15: *** La ragione dietro l'illogico ***
Capitolo 16: *** Cambio di prospettiva ***
Capitolo 17: *** Il più bugiardo ***
Capitolo 18: *** Adesso sei mio ***
Capitolo 19: *** Quel che è successo qui, rimarrà qui ***
Capitolo 20: *** Il corpo del reato ***
Capitolo 21: *** Il Vicepreside ***
Capitolo 22: *** Una questione biologica ***
Capitolo 23: *** L'uomo virtuoso è incline agli accordi, quello vizioso vuole stabilire la colpa ***
Capitolo 24: *** Dietro la maschera di ghiaccio che usano gli uomini c'è un cuore di fuoco. / Il cuore vive finché ha qualcosa da amare, così come il fuoco finché ha qualcosa da bruciare. ***
Capitolo 25: *** L'uomo non riesce a risolvere nessun problema. Nel migliore dei casi, inaspettatamente si trova davanti problemi risolti ***
Capitolo 26: *** Un amore nascosto è come il sole dietro le nuvole, come un fiore sotto la neve, come una lacrima nel mare, ma è più forte degli altri perché è nascosto dentro il cuore dove nessuno potrà mai rubarlo. ***
Capitolo 27: *** Non esiste separazione definitiva fino a quando c'è il ricordo ***
Capitolo 28: *** Quattordici è un numero difettivo ***
Capitolo 29: *** Il bacio è un modo di cominciare ad offrire qualcosa del proprio corpo, e di prendere qualcosa ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo

 

Quella mattina, la sveglia avrebbe dovuto suonare alle sei e mezza.

Si era accertato di averla puntata più volte all'orario giusto, prima di addormentarsi.

Il programma era abbastanza semplice: svegliarsi, sistemarsi i capelli, fare colazione, prendere il treno delle sette e mezza e presentarsi in orario alle otto e cinque davanti alla porta del Superiore, come gli era stato detto di fare quando si era iscritto.

Per l'ansia, aveva scritto una lista, non voleva dimenticarsi qualcosa.

La cartella l'aveva preparata la sera. Tanto, comunque, non doveva portare libri, non ancora almeno. Aveva solo preso due quaderni, uno a righe ed uno a quadri, il portapenne e il diario. Vi avrebbe integrato il pranzo a sacco, non appena sua madre glielo avesse dato, la mattina.

L'orario delle lezioni gli sarebbe stato consegnato in segreteria, dopo essere stato nell'ufficio del Superiore, da cui avrebbe ricevuto (a quanto pareva) il benvenuto ufficiale.

A lui non rimaneva altro che riuscire a trovare la sua classe, e provare a integrarsi, per quanto possibile.

A sedici anni, cambiare scuola non era proprio il massimo.

Non era uno che aveva problemi a farsi degli amici, anzi. Però, l'essere dovuto andare via, così, da un giorno all'altro, non gli aveva dato tempo di realizzare quello che stava succedendo.

Aveva davvero lasciato i suoi compagni, la sua vita, tutto quello a cui teneva, per andare a studiare in quel prestigioso istituto?

Aveva sempre pensato con una leggera indolenza a quegli studenti tutti fasciati nelle loro divise, che avevano delle vite perfettamente progettate, dalla scuola materna all'Università.

Che cosa costava a suo padre ritardare il trasferimento di due anni, giusto per dargli modo di terminare le medie superiori e cominciare a studiare per l'Università?

Quando l'aveva proposto, erano volate parole pesanti in casa, e lui era finito in castigo per una settimana.

Che ne poteva sapere lui di come funzionava il mondo del lavoro?

Non si poteva rifiutare un'occasione simile, né rimandare. Bisognava partire, e basta.

Erano stati giorni difficili, e di mutismo ostinato, così atipico al suo solito comportamento gioviale e allegro che i suoi genitori avevano temuto il peggio.

Poi era venuto il momento di mettere tutto negli scatoloni, di salutare, e di partire.

Lui non era mai stato così silenzioso.

Durante il viaggio, si era costretto a tenere la bocca chiusa, anche se dentro di sé l'eccitazione cresceva man mano che si lasciava i chilometri alle spalle.

Non aveva mai visitato nessun luogo, al di fuori di Destiny Island; la sua vita si era svolta placidamente sulle rive delle sue spiagge.

A volte si era chiesto come dovesse essere vivere in città, con le macchine, i negozi, la gente.

Ma poi il calore del sole splendente sul cielo terso cancellava quei pensieri, e lo costringeva a tornare a sonnecchiare, portandolo in quel limbo di dormiveglia dove si è abbastanza vigili per sentire cose accade tutto intorno, ma con il corpo addormentato impossibilitato a muoversi.

Il viaggio per Traverse Town, ad un certo punto, non gli era sembrato neanche più così brutto.

Per raggiungere la scuola, comunque, avrebbe dovuto fare mezz'ora di treno.

Sua madre, grande organizzatrice, aveva già pensato a dargli una cartina della città, così che potesse orientarsi in fretta.

Lei non sarebbe andata ad accompagnarlo alla stazione, così come suo padre, neanche il primo giorno.

Per questo, si era premurato di preparare tutto in tempo, e di puntare la sveglia alle sei e mezza, non un minuto più tardi.

Una sveglia che avrebbe dovuto suonare alle sei e mezza.

- Sora! Sora! Santo cielo, che ci fai ancora a letto! Sono le sette e un quarto! -

Tre, due, uno.

Prima di aprire gli occhi, il cuore aveva già preso la corsa.

Scattò seduto, reggendosi il petto e temendo che da un momento all'altro avrebbe visto il cuore correre sul pavimento della sua stanza.

Gli occhi blu ceruleo misero a fuoco il volto preoccupato di sua madre qualche doloroso istante dopo.

- Sette e un quarto?! - balbettò, con la voce del sonno, mischiata ad una punta di panico - Non è possibile, avevo la sveglia... -

Con una mano afferrò il cellulare. Quel vecchio baracchino che usava solo per le emergenze, e per la sveglia.

Aspettò con pazienza che lo schermo si illuminasse, prima di farsi venire un colpo.

L'orologio era un'ora indietro, batteva ancora le sei e un quarto. Per questo la sveglia non aveva suonato.

Dovette assumere l'espressione più stupida del mondo, con la bocca spalancata e gli occhi sgranati, perché sua madre gli lanciò un'occhiataccia, poco comprensiva.

- Se mi avessi dato ascolto e avessi comprato una vera sveglia, questo non sarebbe successo! -

Mentre Sora mandava a quel paese il cellulare, ignorando sua madre, si alzò di gran corsa, diventando un piccolo bolide castano che rimbalzava da una parte all'altra della stanza.

- Potevi svegliarmi prima... - disse, mentre si toglieva la maglia del pigiama e il freddo lo prendeva alle ossa, facendolo rabbrividire - ...adesso non ho più tempo... - si cacciò addosso la camicia bianca a maniche lunghe e il cravattino rosso con sopra impresso, in dorato, il simbolo della scuola: un cuore rovesciato la cui punta terminava in una croce - ...per farmi i capelli! -

Sua madre alzò gli occhi al cielo, esasperata.

- È quella la tua unica preoccupazione? Muoviti che perdi il treno! -

- Sììììììììììì! -

Biascicò, mentre saltellava per entrare nei pantaloni neri.

Infilò le scarpe e la giacca al volo e corse in bagno a specchiarsi.

I capelli castani, ribelli, erano spettinati al punto giusto. Gli diede una mano con il gel, per farli resistere tutto il giorno, poi si lavò i denti e provò a sorridersi allo specchio.

Non riusciva bene, con quelle occhiaie e quegli occhioni blu resi enormi dall'ansia.

Primo giorno, cominciamo bene.”

Disse tra sé e sé.

Sua madre urlò qualcosa, che lui non riuscì a capire.

Forse parlava del fatto che se perdeva il treno sarebbe dovuto andare a scuola a piedi, perché nessuno l'avrebbe accompagnato, e la corsa delle sette e mezza era l'ultima fino alle undici.

Afferrata la cartella, corse fuori dalla sua stanza, giù per le scale.

In cucina afferrò due fette di pane tostato fredde e il contenitore del pranzo che suo padre gli stava porgendo.

- A iù taddi aaaaaaado!!! -

Urlò Sora, con la bocca piena di pane, e uscì di casa, correndo come avesse il diavolo alle calcagna.

Il padre scosse la testa, e tornò a leggere il giornale.

- Credi che se la caverà? -

Disse la madre, con un tono di voce pericolosamente vicino alle lacrime.

- Chi? Tornado Sora? Certo che sì! È un ragazzino in gamba. -

Lei sospirò, portandosi una mano sul cuore.

- Lo spero proprio. -

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Capitolo 2
*** Una giornata cominciata male non può che finire peggio ***


1

Una giornata cominciata male non può che finire peggio

 

Sora ingoiò la sua colazione mentre ancora stava correndo.

Non volendo perdere tempo fermandosi, visto che non l'aveva fatto neanche per sputare quel pezzo di toast che gli stava finendo nella trachea, tirò fuori la cartina della città dalla tasca esterna della cartella, in corsa.

Il percorso che doveva seguire era segnato con un pennarello rosso.

Da qualche parte, nella sua mente, ricordò che sua madre gli aveva spiegato che c'erano pochi metri da casa loro alla stazione, e che si poteva fare tutto il tragitto in dieci minuti, camminando a passo lento.

Correndo, dovevano per forza dimezzarsi i tempi. O almeno, era quello in cui sperava, perché l'orologio non ne voleva sapere di fermarsi, e il suo treno sarebbe partito in orario.

Traverse Town era una cittadina caotica; la prima impressione che dava era quella di una città di mezzo, di passaggio tra un luogo e un altro, dove non bisognava fermarsi, se non per ripartire subito dopo.

Sora aveva avuto quell'impressione sin dal primo momento.

Forse perché la sua vita era stata appena stravolta da un trasloco, e tutte le sue certezze erano venute a crollare, e perché temeva che suo padre cambiasse idea da un momento all'altro e sarebbero dovuti ripartire.

Abitava nel Primo Distretto da una settimana, ma quella sensazione non aveva voluto saperne di andar via.

Forse era dovuta al via vai di pendolari e studenti che, indaffarati, non perdevano tempo neanche per respirare e correvano, correvano; sparivano nella metropolitana, s'infilavano nelle auto, salivano e scendevano dai bus.

Nessuno stava mai fermo, quasi avesse paura di essere assalito dalle ombre.

La stazione dei treni era nel Secondo Distretto, non molto lontano dal Primo.

Sora provò ad evitare un carretto di verdura fresca, sbucato fuori dal nulla.

Il venditore gli mandò dietro tanti insulti che lui dovette voltarsi a gridare un “mi scusi!”, senza però fermarsi ad aiutarlo a raccogliere i cespi di lattuga che il suo passaggio aveva fatto cadere.

L'orologio, quello da polso, quello che non poteva essere sbagliato, annunciava con boria che erano le sette e venticinque.

Non potrò arrivarci mai!” si disse Sora, e provò una straziante, orribile sensazione di gelo sul fondo dello stomaco.

Non presentarsi il primo giorno di scuola, in un istituto privato della levatura di Kingdom Hearts, sarebbe stato come dare un pugno in faccia al proprio futuro, e sbatterlo fuori a calci nel sedere.

Kingdom Hearts, da cinquant'anni almeno, forgiava le giovani mente del paese, tenendole per mano dalla scuola dell'infanzia fino all'Università. Era una di quelle scuole in cui si passava automaticamente di classe, senza bisogno di fare alcun esame. Poteva dare l'impressione di un posto in cui bastava entrare per avere l'assicurazione di un biglietto di sola andata per l'Università, ma non era così.

Sora aveva visto parecchi servizi televisivi in cui raccontavano le vicende degli studenti di Kingdom Hearts, sfiniti e stressati per il carico di lavoro lasciatogli dagli insegnanti.

Alcuni finivano all'ospedale con crisi isteriche, o attacchi di panico scatenati da ansia da prestazione.

Il nuovo preside, con l'assunzione di dodici nuovi insegnanti, aveva aperto nuove vie di istruzione, e la scuola vantava ora più che mai valanghe e valanghe di domande di iscrizione.

Come Sora ci fosse finito in quell'istituto d'élite, era un mistero depositato nelle mani di suo padre, e delle persone che lo avevano assunto. A quanto pareva, nel nuovo lavoro era compresa anche l'iscrizione a Kingdom Hearts, ragione in più per convincere i suoi genitori ad abbandonare su due piedi la loro vecchia vita e trasferirsi a Traverse Town.

No, non era neanche da prendere in considerazione la possibilità di perdere quel treno.

Quando ormai Sora sentiva che il cuore stava per scoppiargli per la stanchezza, quando le sue gambe lo supplicarono di smettere di correre e i suoi polmoni erano infiammati tanto da non riuscire più a farlo respirare, proprio lì, a duecento metri, vide la stazione.

Forse era la sua immaginazione, forse era la sua disperazione, ma sentì un coro d'angeli intonare un canto, e un fascio di luce bianca avvolgere la struttura.

Forse non era ancora troppo tardi.

Quel che fece per quegli ultimi duecento metri fu più o meno quello che aveva fatto uscendo da casa: correre, a più non posso, finché il suo corpo gliel'avrebbe permesso.

C'era una massa confusa di studenti in divisa pigiati contro l'entrata, che ciondolavano e chiacchieravano, come se non fosse dannatamente tardi.

Sora, che era alto un metro e poco più, dovette farsi strada a gomitate, urlando “Permesso! Permesso!”.

Il cartellone delle partenze pulsava di attività quasi quanto la stazione stessa.

Le lettere e i numeri corrispondenti ai treni, e gli orari di partenza continuavano a scambiarsi, a ruotare.

Sora si fermò solo per cercare il numero del suo treno, e il binario dal quale sarebbe partito.

Anche se non riuscì a tenere a bada le sue gambe, troppo pregne di adrenalina per potersi fermare ora.

Continuava a saltellare sul posto, pronto a scattare.

Dominio Incantato, Atlantica, Isole del Destino...” lesse avidamente tutte le destinazioni, finché i suoi occhi non si fermarono su quella che gli interessava “...Kingdom Hearts!”

L'istituto era così importante che le ferrovie del paese gli avevano dedicato una tratta. Ventiquattro treni, che garantivano, per sei giorni alla settimana, agli studenti di arrivare in orario all'inizio lezioni, e di tornare a casa alla loro conclusione.

Il treno maledetto partiva dal binario numero 7. Anzi, segnava che era già in partenza.

Sora scattò, in direzione del binario.

Fece lo slalom tra l'edicola e il bar (il suo naso e il suo stomaco si fermarono ad assaporare il profumo dei croissant caldi, ma non poté permettere al resto del suo corpo di fare lo stesso), sorpassando un gruppo di pendolari.

Saltò oltre una montagna di valige lasciate abbandonate da una donna che stava litigando con un poliziotto, già stanco di prima mattina.

Alzò lo sguardo solo per accertarsi di stare andando nella direzione giusta, e quando vide il numero 7, luminoso e grande, stampato sulla colonna, svoltò, derapando come una macchina in corsa.

Il capotreno aveva già il fischietto tra le labbra, pronto a dare il via al macchinista per far partire il treno.

- Aspeeeeeeeeeettiiiiiiiiiiiii!!! -

Si ritrovò a urlare Sora.

L'uomo dovette provare pietà per il ragazzo, perché ritardò quei dieci secondi necessari perché lui saltasse sul treno.

Sora gli rivolse uno sguardo pieno di gratitudine, mentre quello fischiava, le porte si chiudevano e il treno cominciava lentamente a muoversi.

Ridotto ad un agglomerato di stanchezza, Sora si disse che non era neanche cominciata la giornata, e che faceva meglio a trovarsi un posto a sedere se non voleva passare la successiva mezz'ora in piedi.

Percorse il primo vagone senza trovare un solo sedile libero.

Quelli che sarebbero stati i suoi futuri compagni di scuola lo squadravano dall'alto verso il basso, con sdegno.

Solo quando intravide il suo riflesso in uno dei finestrini si rese conto dello stato in cui era ridotto: la camicia si era tutta stropicciata, ed era fuori dai pantaloni; il cravattino aveva il nodo storto e pendeva senza grazia al suo collo; la giacca sbottonata; i capelli spettinati in ogni direzione, che avevano perso la piega volutamente in disordine che gli aveva dato; gli occhi stravolti e grandi.

Si rifugiò in bagno per darsi una sistemata, tra gli sguardi altezzosi dei compagni.

La divisa che gli era stata data non era proprio della sua misura.

Per quanto provasse a far entrare la camicia nei pantaloni, quella trovava sempre il modo di venir fuori non appena si muoveva.

La giacca gli stava lunga sulle braccia, costringendolo a fare un rivolto alle maniche; ma per come lo vestiva sulle spalle, non poteva farci nulla.

Questo perché, per essere un sedicenne, era piuttosto minuto e piccolo.

Gli veniva spesso chiesto quand'è che sarebbe cresciuto.

Provò a sistemare il nodo del cravattino allo specchio e si abbottonò la giacca.

Almeno, non sembrava più uno scappato di casa.

Tornò alla ricerca di un posto a sedere, trovandolo nel terzo vagone, che era quasi deserto.

Si lasciò cadere sul sedile, con la cartella sulle gambe, e sbuffò.

La città si era allontanata, se ne poteva scorgere solo il profilo, e tutto intorno al treno correva la periferia. Un'alternarsi di abitazioni, zone di terra brulla, boschetti e strade più o meno trafficate.

Sora provò a tenere gli occhi aperti.

Desiderava imprimersi quel paesaggio nella mente.

La campagna, l'autostrada, anche il treno stesso era per lui qualcosa di nuovo, mai visto prima.

Ma la stanchezza ebbe la meglio, e presto si appropriò dei suoi occhi blu ceruleo, costringendolo a chiuderli e sprofondare in un sonno leggero, cullato dal rumore del treno che viaggiava sui binari.

 

Quando riaprì gli occhi fu più perché il treno aveva smesso di cullarlo, che perché si fosse reso conto di aver dormito per tutto il viaggio e di rischiare di essere riportato indietro a Traverse Town.

E fu anche merito della gentile voce metallica femminile che avvertiva gli studenti che il treno era in stazione, che era il capolinea, e che augurava una buona giornata.

Sora si stiracchiò, gettando le braccia in avanti.

Almeno si era fatto una bella dormita.

Anche se era stanco e sudato per la corsa che aveva dovuto fare da casa alla stazione, quel pisolino l'aveva reso un po' più ottimista.

Sembrava le cose si stessero aggiustando in corso d'opera.

Aveva dormito con la faccia schiacciata contro il vetro del finestrino, ottenendo un torcicollo e una passeggera insensibilità alla guancia, oltre che un segno rosso sulla pelle.

Si massaggiò lo zigomo, facendo le smorfie e aspettando che quella sensazione passasse.

Con uno sbadiglio, si alzò, pronto ad affrontare quella giornata.

Anche se “pronto” gli sembrava una parola davvero, davvero, davvero enorme.

Ma voleva dimostrare ai suoi genitori che avrebbe potuto farcela, e che non era più un bambino.

Forse fu questo a spingerlo giù dal treno, e ad unirsi alla scia di studenti in divisa che si avviavano verso la scuola.

Per avere addirittura una fermata-stazione propria, quell'istituto doveva essere veramente prestigioso.

C'erano quattro binari, e questo indicava che i treni partivano e arrivavano spesso, anche simultaneamente.

C'era addirittura un piccolo chiosco che vendeva giornali, bibite e qualche snack.

Sora seguì i cartelli che indicavano l'uscita, camminando con il naso all'insù.

Gli studenti erano stranamente rumorosi.

Chissà per quale motivo, ma lui si era immaginato una massa di zombie, tutti con la fissa dello studio, competitivi e poco simpatici.

Un'altro pensiero derivato dallo strappo netto che i suoi genitori gli avevano causato con il trasferimento?

Forse, visto che cominciava a ricredersi.

Le uniformi delle ragazze erano una versione femminile di quella dei ragazzi, con una gonna alla marinara veramente corta al posto dei pantaloni, e un fiocco rosso invece del cravattino.

Per forza di cose, Sora si ritrovò a guardare le gambe nude delle ragazze, coperte solo fin sotto il ginocchio da un calzettone bianco.

Scosse la testa e arrossì visibilmente.

Era meglio tornare a guardare i cartelli.

Già quando si ritrovò nell'atrio della stazione, capì quanto grande e monumentale fosse quella scuola.

Dalle finestre s'intravedeva un'enorme struttura dal tetto piatto, con un plesso centrale rettangolare, e diverse ali quadrate ai due lati.

Un viale alberato conduceva al portone principale della scuola.

Sembrava quasi un percorso obbligato; voleva dire chiaramente che da lì non c'era ritorno.

Sora deglutì a vuoto, intimorito.

Strinse al petto la cartella, mentre da solo percorreva il viale.

Gli studenti erano tutti accoppiati tra loro. Chi con gli amici del cuore formava un gruppetto, chi un trio, chi un duo.

Non sembrava esserci nessuno da solo. A parte lui, ovviamente.

Gli occhi blu ceruleo guardarono dappertutto.

Chiunque di loro poteva essere un suo compagno.

Forse quel ragazzo moro?

Forse la ragazza bruna?

L'avrebbero accettato?

Perché aveva così tanta paura del rifiuto?

Non era da lui.

A casa, tutti lo consideravano un ragazzo “dall'amicizia facile”. Legava con tutti, si trovava bene con tutti, aveva sempre una parola gentile per chiunque.

Selphie, Tidus, Wakka, tutti gli amici che aveva lasciato alle sue spalle...era stato così facile con loro.

Adesso aveva l'impressione di aver perso quella scintilla che tanto lo caratterizzava, quella per cui suo padre gli aveva dato il soprannome di “Tornado Sora”.

C'era un grande orologio rotondo sulla facciata della scuola, proprio sopra una vetrata da cui si poteva intravedere un ufficio.

Nel quadrante era stato dipinto il simbolo della scuola, lo stesso che gli studenti portavano sui cravattini (le ragazze sul nastro rosso).

L'orologio segnava le otto in punto.

Nonostante il pessimo risveglio, alla fine era davvero riuscito ad arrivare a scuola.

Quello che doveva fare era spingere via tutto quel pessimismo, e affrontare tutto con un sorriso.

Per confortarsi, si disse che quasi sicuramente alla fine di quella giornata si sarebbe fatto almeno un amico.

Anzi, lo prese quasi come impegno improrogabile.

Prima della fine della giornata, avrò un amico.”

Il pensiero ebbe il potere di sciogliere la tensione che sentiva addosso, e di fargli percorrere gli ultimi metri che lo separavano dall'ingresso con animo più tranquillo.

Una lunga scalinata lo accompagnò alla porta, sul cui stipite era stato scritto in bei caratteri “Kingdom Hearts”, con il solito simbolo a corredare il tutto.

Preso un profondo respiro, Sora entrò.

 

Il via vai di studenti si dissipò in pochi minuti. Tutti avevano fretta di farsi trovare ai loro posti, prima della campanella.

Così, Sora si ritrovò da solo a percorrere i corridoi, rastrellati di armadietti laccati di blu scuro.

I pavimenti di marmo erano tirati a lucido, tanto che ci si poteva specchiare.

C'erano un'infinità di corridoi, e nessuna indicazione su dove andare.

Sora si chiese come mai sua madre non avesse preparato per lui una cartina anche della scuola.

E lui si chiese perché non fosse andato a prendersela da solo su internet. Era quasi certo che l'avrebbe trovata, cercandola.

La persona che entro quella sera sarebbe stata sua amica, doveva fargli fare un bel giro dell'istituto. Quella sarebbe stata la prima cosa che avrebbe chiesto.

Alle otto e cinque invece di essere davanti alla porta del Superiore, vagava nei corridoi senza meta.

Non aveva incontrato neanche la sua classe, che doveva essere la II° K.

Abbattuto, e piuttosto nervoso, provò a battere i corridoi del secondo piano, ma incontrò solo qualche classe elementare.

Che la stanza del Superiore fosse in un'altra ala della scuola?

Cominciava a girargli la testa.

Non c'era neanche qualcuno in giro a cui domandare.

Forse avrebbe dovuto chiedere prima che tutti sparissero dentro le loro classi.

Ma no, lui voleva fare il grande esploratore e trovare l'ufficio da solo.

L'unica cosa sensata da fare che gli venne in mente, fu quella di bussare in una classe e chiedere aiuto all'insegnante che vi avrebbe trovato.

Certo, gli sarebbe rimasta addosso l'etichetta dello stupido per sempre, e si sarebbe imbarazzato da morire, ma che alternativa aveva?

Stava quasi per farlo, quando sentì delle voci ridacchianti provenire dal fondo del corridoio.

C'era ancora qualcuno in giro, dopotutto!

Seguì quello schiamazzare, così fuori luogo nel bel mezzo del silenzio ovattato dei corridoi, e si ritrovò davanti alla porta del bagno degli uomini.

Ho trovato anche il bagno.” si disse, con una certa fierezza.

Spinse la porta ed entrò, con le parole “scusate sapete dov'è l'ufficio del Superiore?” già pronte a uscirgli dalle labbra.

Appoggiati ai lavandini, tutti intenti a fumare e ridere, c'erano tre ragazzi in divisa.

Le parole che Sora si era preparato a dire, gli morirono sulle labbra quando tre paia d'occhi si puntarono su di lui.

L'unica cosa che gli uscì fu uno strozzato “scusate”, patetico quanto doveva essere la sua espressione in quel momento.

Uno dei tre lo squadrò con più attenzione degli altri.

Era un moretto, non troppo alto, con un fisico sottile ma muscoloso; gli occhi erano due perle giallo limone, che facevano male per la loro intensità.

Il moro distolse lo sguardo solo per fissarlo in quello dei compagni, che ricambiarono con altrettanta intensità, come se si fossero appena scambiati un messaggio in codice.

Sora fu attraversato da un pensiero: non doveva essere lì, in quel momento, con quei ragazzi, che quello era il peggior posto in cui trovarsi.

- Ciao piccoletto. - esordì il moro - Non ti ho mai visto in giro, sei nuovo? -

Non dirlo, non dirlo!” lo implorò la sua coscienza. Prontamente ignorata.

- Ehm...sì...sì...sono nuovo. -

Il moro lanciò un altro sguardo ai compagni, che si esibirono in una sommessa risatina.

- Ehi Riku, chi è stato l'ultimo di noi a dare la giusta accoglienza ad una matricola? -

Il ragazzo che rispondeva al nome di Riku si trovava dietro il moro, seduto sul bordo del lavandino.

Aveva lunghi capelli argentei, e occhi intensi color acquamarina.

- Credo sia stato Roxas. -

Il terzo ragazzo, un biondino dagli accesi occhi blu, che era rimasto un po' in disparte dietro i due, si ritrovò ad annuire.

- Ok, vuoi giocartela a testa o croce per vedere chi deve farlo tra me e te? -

Continuò il moro, rivolto a Riku.

Lui si strinse nelle spalle.

- No, non ne ho voglia, divertiti. -

Il moro gli rivolse un sorriso, per poi tornare a Sora.

Si avvicinò a lui, pericolosamente.

Gli passò un braccio intorno alle spalle, con fare amichevole.

- Io sono Vanitas, benvenuto nella nostra scuola, piccoletto. -

Ingenuamente, Sora si sentì sollevato da quell'atteggiamento così caloroso.

Allora aveva sbagliato a pensare male di quei tre.

Certo, il modo lascivo con cui indossavano le loro divise, la nube di fumo delle sigarette che avvolgeva il bagno, e il fatto che fossero fuori dalle aule dopo la campanella, avevano lasciato intendere a Sora che fossero dei poco di buono.

Evidentemente, si era sbagliato.

D'altronde, l'apparenza inganna, non glielo diceva sempre sua madre?

- Grazie. - balbettò, un po' imbarazzato - Io sono Sora. -

- Un bel nome! - fece il moro - Bene Sora, hai appena ottenuto un buono per una cerimonia di benvenuto offerta dalla Vanitas Incorporated. - Riku e il biondo ridacchiarono, scuotendo la testa - In realtà, dovrei essere io a ringraziarti, sai? Mi stavo annoiando, e sono mesi che non vediamo una matricola. Sembra quasi che il destino ti abbia voluto portare da me. - Vanitas poggiò le mani sulle spalle di Sora, e si abbassò un poco, in modo che i loro occhi fossero allo stesso livello - Nessuno ti ha accolto nel giusto modo, vero? -

Sora pensò confusamente che spettava al Superiore “accoglierlo nel giusto modo”. Almeno, era convinto che funzionasse così. Doveva essere lui a stringergli la mano e dirgli “benvenuto a Kingdom Hearts”, per poi lasciarlo andare in segreteria dove avrebbe ricevuto l'orario delle lezioni e l'elenco dei libri da comprare. Si sarebbe dovuto presentare in classe subito dopo, portando con sé un foglietto da far firmare al professore, in cui si attestava che era un nuovo studente.

Era tutto scritto scritto nell'opuscolo informativo che aveva ricevuto insieme alla divisa scolastica e alla tenuta da ginnastica.

In quel momento, per qualche assurdo motivo, ricordò il titolo dell'opuscolo: un benvenuto di tutto cuore a Kingdom Hearts.

- No...io...a questo proposito dovrei andare nell'ufficio del Superiore, mi ci puoi accompagnare? -

Sciorinò in fretta e furia Sora.

Il cuore pulsava così forte che temeva che il moro lo potesse sentire.

- Certo, potrei. - Sora colse la strana sfumatura che assunse la voce di Vanitas, e non gli piacque per niente - Però, vedi, è che non voglio. -

- Ma...io... -

Provò a ribattere Sora.

Vanitas gli poggiò un indice sulle labbra, per zittirlo.

- Ho in mente qualcosa di speciale per te, piccoletto. E poi ti accompagnerò dove vuoi. Ammesso che tu abbia ancora voglia di stare in mia compagnia, dopo. -

- Avanti Vanitas, non lo spaventare. -

Buttò lì il ragazzo biondo.

Sora pensò che fosse la sua salvezza, ma capì che era ironico dal modo in cui cominciò a ridere subito dopo aver detto quelle parole.

- Hai ragione Roxas, prima cominciamo, prima finiamo, no? - ribatté Vanitas, senza voltarsi a guardare l'amico - Dimmi Sora, sei bravo a trattenere il fiato? -

- Trattenere il fiato...? Sì, sono bravo, vivevo su un'isola e... -

- Un'isola! È così affascinante! - trillò Vanitas, dando delle pacche sulle spalle di Sora, che cominciava a sentirsi davvero confuso. Che cosa c'entrava adesso se fosse bravo o meno a trattenere il fiato? La presa del moro si fece ferrea sulle sue spalle, tanto che Sora sentì un gemito di dolore nascergli tra le labbra. - Adesso vediamo se sei davvero bravo come dici. -

Soffiò Vanitas, così delicato e gentile che sembrava parlasse con un amante.

Le risate dei due compagni dietro di loro si alzarono come un coro in festa.

Vanitas bloccò le braccia di Sora prima che lui potesse anche solo pensare di ribellarsi.

Il ragazzo provò a scalciare per liberarsi, ma il moro era troppo forte.

Con un calcio, Vanitas aprì la porta di uno dei gabinetti, e Sora capì che cosa avesse intenzione di fare.

Non riuscì neanche a urlare, mentre Vanitas gli pigiava a forza la testa nel water.

Quell'acqua sporca che sapeva di varichina ed escrementi gli entrò con violenza nel naso e nella bocca, che Sora provò invano a chiudere.

Nelle orecchie il rombo del sangue e dello sciacquone gli impedivano di sentire anche i suoi stessi pensieri.

Vanitas lo tenne sotto finché la cassetta non fu vuota.

Un tempo abbastanza lungo per lasciare Sora stordito dalla mancanza di ossigeno, ma non per farlo morire annegato.

Lo tirò fuori, tirandolo per il colletto della giacca, e lo scaraventò sul pavimento del bagno.

Sora si ritrovò scosso da conati di vomito e da tremiti convulsi, mentre i tre ragazzi ridevano di gusto.

Vanitas si fletté sulle ginocchia e afferrò Sora per i capelli, tirandolo verso di sé.

- Benvenuto a Kingdom Hearts, piccoletto. -

Gli poggiò un bacio sulla fronte, per poi lasciarlo di botto.

- Possiamo andare? C'è quella gran gnocca di Aqua che fa lezione adesso, ho voglia di vederla. -

Chiese Roxas, con fare sognante.

Riku rise di gusto, e diede una pacca sulla spalla al biondo.

- Ti sei preso una sbandata per lei? -

- Bhè, per essere gnocca è gnocca. - commentò Vanitas - Va bene, andiamo! -

Uscirono dal bagno, chiacchierando come se niente fosse successo.

Sora rimase lì dov'era, sdraiato a terra. La guancia poggiata sul pavimento era diventata fredda.

I capelli tutti bagnati gli ricadevano sul volto pallido.

Rannicchiato su se stesso non riusciva a formulare neanche un pensiero sensato.

Da qualche parte nella sua mente continuava a ripetersi “perché?”, ma era un'eco sbiadita, come lo erano le sue lacrime, che andavano a mischiarsi con l'acqua sporca che impregnava i suoi capelli.

Sarebbe potuto rimanere lì per tutto il giorno, forse anche per tutta la notte, perché nessuno si azzardava ad avvicinarsi a quel bagno, nessuno studente almeno.

Tutti sapevano che era il quartier generale di Vanitas e dei suoi due scagnozzi Roxas e Riku. Personaggi da cui era meglio stare alla larga, se si voleva avere un'esistenza tranquilla a scuola.

Ma Sora, questo non poteva saperlo.

Come non poteva sapere che qualcuno aveva visto uscire i tre dal bagno, con un'aria più soddisfatta del solito.

Quel qualcuno si era impensierito. Aveva capito subito dall'espressione di Vanitas che c'era qualcosa che non andava.

Così, aspettando che il trio girasse l'angolo, era corso ad infilarsi in bagno.

Al solo sentire il cigolio della porta, Sora provò un lungo brivido, che gli tagliò in due la schiena.

- Porca miseria, lo sapevo! - sbottò una voce. Lui non riuscì neanche a voltarsi, paralizzato com'era dalla paura. Una mano si poggiò sulla sua spalle, e lui ebbe un sussulto. - È tutto ok tranquillo, non voglio farti niente. - Sora voltò gli occhi cerulei sulla fonte dalla quale proveniva la voce, e il primo istinto che gli venne naturale fu quello di allontanarsi da lui.

Era un ragazzino minuto, in divisa scolastica, con occhi di un colore blu acceso e una zazzera scombinata di capelli biondo grano.

Sora provò a divincolarsi, mentre il panico gli prendeva il petto.

Cos'è, Roxas aveva ancora voglia di giocare con lui ed era tornato per finire il lavoro di Vanitas?

- Ehi, ehi, va tutto bene. -

Disse Roxas, con un sorriso gentile sulle labbra.

Sora lo spinse via e si allontanò da lui quanto più glielo permisero le gambe instabili, ancora tremanti.

- Sta' indietro! Lasciami in pace! -

Gridò lui, cercando di essere minaccioso. Ma bagnato come un pulcino e con i capelli afflosciati sul volto non rendeva molto l'idea.

Roxas sospirò, triste.

- Questo è il brutto di avere un fratello gemello. Quando lui combina qualcosa, vengo additato io al suo posto. - negli occhi di Sora passò un barlume di consapevolezza - Sì, hai capito bene. Il biondino che era insieme a Vanitas e Riku è il mio stupido fratello. Io sono Ventus, e tu sei un'altra vittima di Vanitas, eh? -


The Corner


Ciao a tutti!
ecco, dato che oggi è giovedì ho deciso di postare il primo capitolo :3
non so ancora che direzione prenderà la storia,
però mi sto divertendo un mondo a scriverla,
quindi non vi resta che leggerla e scoprirlo con me e con Sora ahahahah!
l'appuntamento per il prossimo capitolo sarà giovedì 25 luglio :3
alla prossima, dattebayo!

Chii

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Capitolo 3
*** Il Superiore ***


2

Il Superiore

 

- Sora, giusto? - ripeté Ventus. Sora annuì. - Tieni, asciugati con questa. -

Gli porse una tovaglia bianca.

Dopo essersi presentato, Ventus aveva offerto a Sora di seguirlo in palestra; nel suo armadietto aveva degli asciugamani che poteva dargli per tamponarsi i capelli bagnati.

Sora, in un primo momento, era stato scettico, e indeciso se accettare o meno l'invito del biondo.

Aveva smesso di fidarsi nello stesso momento in cui lui gli aveva detto di essere il gemello di Roxas.

Gli sembrava tanto una di quelle scuse usate dai personaggi dei film per non prendersi la responsabilità delle proprie azioni.

Però, qualcosa nel fondo degli occhi blu brillanti di Ventus gli diceva che era sincero, e che non aveva intenzione di prenderlo in giro.

Quindi aveva accettato, e l'aveva seguito negli spogliatoi della palestra.

Sora prese la tovaglia e strofinò a fondo i capelli castani.

La varichina gli aveva schiarito leggermente le punte, e quell'odore pungente non voleva saperne di andarsene.

Gli ci sarebbero voluti almeno tre lavaggi per sentirsi pulito.

- Grazie. -

Sussurrò Sora. La sua voce sapeva di lacrime.

Ventus gli rivolse un sorriso dispiaciuto.

- Meno male che ero andato a vedere che fine avesse fatto mio fratello, altrimenti non ti avrei trovato. - Sora mise un broncio, e nascose il volto nell'asciugano, per evitare di far vedere a Ventus quanto fosse imbarazzato - Sai, non è veramente cattivo. È Vanitas che regge baracca. -

- Ma io non gli avevo fatto niente. -

Sbottò Sora, la voce attutita dalla stoffa della tovaglia.

- Non devi aver fatto per forza qualcosa. Si divertono a dispensare cattiveria solo perché li fa sentire importanti. -

- Neanche li conoscevo! -

Le labbra rosee di Vanitas si stirarono in un sorriso compassionevole.

- Sei una matricola, tutti ti faranno dispetti qui a scuola. È una specie di rito di passaggio. Anche se Vanitas ha un modo tutto suo di lasciare il segno... -

- E i professori non fanno niente?! -

- No, anzi, è molto probabile che ti carichino di compiti extra o ti mandino a fare commissioni per loro in giro per tutta la scuola. - il broncio di Sora divenne una vera e propria espressione stizzita. Possibile che a Kingdom Hearts venissero lasciati impuniti comportamenti simili? - So cosa stai pensando. Come mai lasciano che succeda? Bhè, a parte il fatto che è tradizione della scuola maltrattare le matricole, nessuno di solito eccede negli abusi. Gli unici a farlo... -

- Sono quei tre, vero? -

Concluse Sora al posto di Ventus.

- Già. -

I due rimasero in silenzio, mentre Sora finiva di asciugarsi i capelli alla bell'e meglio.

Per colpa dell'elettricità statica e della furia con cui l'aveva fatto, erano più spettinati di prima. I castani ciuffi ribelli erano sparati in tutte le direzioni.

In altre occasioni, sarebbe stato contento del risultato, ma se pensava a come ci era arrivato gli veniva voglia di radersi a zero.

- Grazie ancora. -

Fece il bruno, porgendo l'asciugamano a Ventus.

La camicia di Sora, e buona parte della giacca, era zuppa. Ma non aveva un ricambio, e doveva arrangiarsi.

- Forse posso darti qualcosa io. - disse Ventus, pensoso. Si infilò con la testa dentro la borsa della palestra e ne uscì una camicia stropicciata, ma pulita. - La tengo sempre per le emergenze. Bhè, questa è un'emergenza. - e la porse a Sora che fu titubante nell'accettarla - Dai, me la riporti un altro giorno, non è mica un problema. Dovremmo avere la stessa taglia, ti starà bene, meglio di quella che hai addosso adesso, comunque. -

Gli fece un occhiolino, complice, e Sora si sentì arrossire.

Afferrò la camicia e si cambiò, dando le spalle a Ventus.

La camicia bagnata l'appallottolò a forza nella cartella. Per fortuna c'era abbastanza spazio.

- Io adesso devo tornare in classe, pensi di cavartela da solo? - Sora annuì di slancio...e poi scosse la testa, desolato. Ventus ridacchiò. - Devi andare dal Superiore, no? Posso dirti la strada, ma devi arrivarci da solo. È dall'altra parte della scuola! Se fosse possibile, ti accompagnerei, ma non posso rimanere ancora fuori dall'aula. -

Sembrava veramente dispiaciuto, e quest'unico slancio d'umanità nei suoi confronti rese Sora contento come non lo era stato in tutta la sua vita.

- Va bene lo stesso, sei stato già troppo gentile con me... -

- Ah, figurati. -

Gli fece un bel sorriso.

- A te non piace maltrattare le matricole? -

Ventus sembrò pensarci per un istante. Poi allungò una mano verso il braccio di Sora e gli diede un pizzicotto.

Sora saltò in aria urlando “ahia!”, mentre Ventus scoppiò a ridere.

- Ecco, questo è il massimo che otterrai da me. - fece il biondo, sorridendo. Sora prima fece finta di massaggiarsi il braccio dolorante, poi si unì alla risata spontanea di Ventus. Forse aveva trovato il suo primo amico. - Dai, andiamo che è già tardi. -

Lo prese a braccetto e, dopo aver chiuso con uno scatto l'armadietto, lo condusse fuori.

 

Si lasciarono ad un bivio.

Ventus doveva tornare alla sua classe, mentre Sora avrebbe dovuto proseguire dritto e poi salire due rampe di scale per arrivare all'ufficio del Superiore.

Si salutarono, dandosi appuntamento per mangiare insieme a pranzo. Anche se Ventus era in un'altra sezione, questo non avrebbe potuto impedirgli di vedersi.

Sora gli fu eternamente grato, ma tenne per sé il suo eccessivo entusiasmo.

I corridoi erano deserti, e stavolta non sarebbe andato dietro a nessuna voce: non voleva causarsi altri problemi.

La gentilezza di Ventus e l'assoluta nonchalance di Roxas mentre Vanitas lo torturava, fecero capire a Sora che i due fratelli dovevano essere completamente diversi, come il giorno e la notte. Eppure, condividevano lo stesso identico aspetto.

Ora capiva perché Ventus aveva detto in quel modo.

Quando lui combina qualcosa, vengo additato io.”

Quante volte doveva essergli capitato di venire scambiato per il fratello ed essere trattato di conseguenza?

Parecchie, a giudicare dallo sguardo che aveva quando lui l'aveva allontano da sé.

A questo punto, Sora fu contento di non avere fratelli, per quanto la cosa in passato gli avesse stuzzicato le idee.

In gola e nel naso aveva ancora il terribile odore di quell'acqua.

Non voleva neanche immaginare da quanto tempo non veniva pulito quel water; e quanti e quale schifezze gli erano finite in gola insieme all'acqua.

Al solo pensiero, rabbrividiva.

Di certo, da quel momento in poi avrebbe girato alla larga da Vanitas e i suoi due compari.

Sora svoltò a destra, come gli aveva detto di fare Ventus, e si ritrovò davanti a due immense scalinate.

L'ufficio del Superiore era indubbiamente dietro la porta laccata di rosso che si trovava in cima, e su cui era stato impresso il simbolo delle scuola.

L'orologio da polso annunciò Sora che erano le nove, e che lui era davvero, davvero in ritardo.

Salì di corsa le scale, e desiderò che l'incontro con il Superiore fosse già finito.

Davanti alla porta rossa, alzò un pugno per bussare, ma prima che potesse farlo, una voce profonda lo invitò ad entrare.

Sconvolto, rimase qualche istante a fissare il legno laccato.

L'aveva sentita davvero quella voce o se l'era immaginata?

- Allora, vuoi entrare? È un'ora che ti aspetto. -

Un brivido percorse la schiena minuta di Sora.

Quella voce era reale, eccome, e proveniva da dentro quella stanza.

Deglutì a vuoto e abbassò la maniglia.

L'ufficio del Superiore era una stanza circolare, con un'enorme scrivania di legno sistemata proprio di fronte alla vetrata che dava sull'entrata della scuola. Scaffali carichi di libri circondavano le pareti; i loro dorsi colorati davano un tocco di vita a quell'ambiente così serio.

Seduto sulla sedia dietro la scrivania, gli occhi di Sora incontrarono quelli dorati del Superiore.

Era un uomo sulla trentina, con lunghi capelli grigio argentei che gli scivolavano sulle enormi spalle.

Muscoloso di corporatura, statuario, la carnagione abbronzata, poggiava il mento sulle mani incrociate appoggiate sulla scrivania.

- Siedi. -

Non sembrò un invito, ma un ordine.

Sora corse a sedersi su una delle piccole sedie poste di fronte alla scrivania.

Erano così minuscole rispetto all'enorme sedia del Superiore che Sora pensò che fossero state fatte apposta per far sentire una nullità chiunque sedeva al cospetto di quell'uomo.

Sarebbe potuta bastare anche solo la presenza del Superiore, senza bisogno di escamotage d'arredamento.

- C'è una valida giustificazione per il tuo ritardo? -

Quegli occhi dorati parvero ardere, come una brace accesa.

Sora si sentì fulminare dal suo sguardo e provò con tutto se stesso a guardare altrove, per sfuggire all'incantesimo delle pepite d'oro del Superiore.

Così, i suoi occhi cerulei scivolarono sulla targhetta dorata posta sulla scrivania, su cui era inciso il nome dell'uomo che aveva davanti: Xemnas.

- Sì, signore. -

Disse Sora, con una vocetta strozzata.

Il Superiore sembrò accigliarsi per la sorpresa, ma la sua espressione tornò subito severa.

- E quale sarebbe, di grazia? -

Cos'è che Sora avrebbe dovuto dirgli?

Uno studente più grande ha pensato bene di infilarmi la testa nella tazza del cesso”?

E anche se fosse riuscito a dirglielo, lui gli avrebbe creduto?

- Degli studenti mi hanno aggredito nei bagni, signore. -

Disse Sora. Non aveva intenzione di risparmiare Riku e Roxas solo perché non gli avevano fatto fisicamente nulla. Di certo non avevano provato a fermare il loro compare, e questo era già sufficiente per ritenerli colpevoli.

Xemnas rimase un attimo in silenzio, valutando con lo sguardo quel ragazzino.

Sora non osò alzare gli occhi neanche un istante; rimase concentrato sulla targhetta, sperando di non essere risucchiato dallo sguardo dorato dell'uomo.

- Di questo sono molto spiacente. - esordì il Superiore. Allora Sora ebbe il coraggio di guardarlo. Dalla sua voce non si sarebbe detto. - Vuoi denunciare questi studenti? -

Sì, ci mancherebbe solo che Vanitas mi inseguisse per tutta la scuola cercando vendetta per averlo denunciato al Superiore.” pensò Sora, mentre una boccata di bile gli risaliva dallo stomaco.

- No, signore. Adesso sto bene. -

Il Superiore annuì, greve.

- Se dovesse ripresentarsi un problema del genere, non esitare a venire da me. Ma sappi che è tradizione tra i miei studenti fare dei piccoli dispetti ai nuovi arrivati, quindi cerca di essere comprensivo. -

- Comprensivo, sì signore. -

Ripeté Sora, con lo stomaco attorcigliato.

Vanitas avrebbe potuto farlo morire annegato nella tazza del gabinetto, ma doveva essere comprensivo.

Era solo un piccolo dispetto.

Si ritrovò a stringere i pugni per la rabbia.

- Detto ciò, ti do il benvenuto nella nostra scuola. Spero che dimostrerai di essere all'altezza delle parole che mi sono state dette di te. - gli lanciò un'occhiataccia, e Sora capì che era una frecciatina riferita al fatto che fosse stato raccomandato per essere ammesso all'istituto - Pretendo che i miei studenti diano il massimo; dai voti che prenderai dipende il tuo futuro. Sai già qual è l'indirizzo di studi che prenderai all'Università... - prese un foglio che aveva di fronte a sé sulla scrivania e vi lesse sopra il suo nome - ...Sora? -

- No, non ho ancora deciso. -

- Molto male. - disse il Superiore scuotendo la testa, Sora si sentì schiacciare come una formica sotto una scarpa - È necessario che tu ti faccia un'idea, e che cominci a studiare al più presto per i test di ammissione. Ma sono sicuro che lo farai, vero? -

- Certo... - gli rispose lui, con una certa acidità. Xemnas dovette accorgersene, quindi Sora aggiustò il tiro - ...signore. -

- Bene. - il Superiore gli porse la mano, che lui non esitò a stringere. Era gelida, come doveva esserlo il suo cuore. - Ti auguro una buona giornata, Sora. La segreteria è la porta in fondo al corridoio a destra. -

Non appena gli lasciò la mano, Xemnas tornò ai fogli che aveva sulla scrivania.

Sembrava che non avesse altro da dirgli, né che avesse l'intenzione di farlo, per cui Sora si alzò e s'incamminò verso la porta.

- Arrivederci. -

Salutò, cortesemente.

Il Superiore non alzò neanche lo sguardo.

- Spero per te di no. -

Disse solo, e Sora si augurò di non dover mai più incontrare quell'uomo spaventoso.

Chiusasi la porta alle spalle, riuscì a tirare un sospiro di sollievo.

La giacca della divisa era ancora bagnata, e cominciava a gelarglisi sulle spalle, così come il sudore freddo che gli ricopriva la schiena.

Non si era neanche accorto dell'ondata di panico che l'aveva travolto stando in presenza di quell'uomo.

Con un brivido percorse il corridoio, in direzione della segreteria.

- È inaudito!!! - fu l'urlo che inchiodò Sora al suo posto all'improvviso - Perché mai mi sono state date solo due ore settimanali nella seconda classe?! Come posso insegnare qualcosa agli studenti con così poco tempo?! -

La voce proveniva dalla segreteria.

Sora si avvicinò quatto quatto. Non c'era bisogno di poggiare l'orecchio contro la porta, perché le persone che stavano parlando erano chiaramente udibili anche da fuori, a causa del volume delle loro voci.

- Mi dispiace, non sono stato io a decidere la distribuzione delle ore. -

Rispose una seconda voce, che doveva essere quella del segretario.

- Allora fammi parlare con il Superiore!!! Subito!!! -

Sbraitò la prima voce, più furiosa che mai.

- Non è possibile, il Superiore aspetta di ricevere un nuovo studente, ed è impegnato. -

- Che cosa?! E non può perdere un minuto del suo tempo per dedicarlo a me?! -

- Evidentemente no. -

La prima voce si esibì in un urlo di frustrazione.

La persona a cui apparteneva spalancò di colpo la porta, sorprendendo Sora a origliare.

- E tu chi diavolo saresti?! - lo apostrofò l'uomo - Bhè non m'interessa, non ho tempo da perdere con te, spostati marmocchio! -

Lo scostò malamente, facendogli quasi perdere l'equilibrio.

Sora seguì con lo sguardo l'uomo imbestialito che si diresse verso la porta del Superiore, per poi tempestarla di pugni.

- Xemnas, questa non me la dovevi fare! Mi hai sentito? Non me la dovevi fare! -

Non ricevendo alcuna risposta, l'uomo pestò i piedi e se ne andò, continuando a strillare per la rabbia.

Sora era rimasto a fissarlo per tutto il tempo.

Prima ancora della sua furia, quello che aveva notato erano le sue strane fattezze.

Quell'uomo aveva una chioma di lunghi capelli rosa confetto, che gli scendevano sulle spalle in dolci volute e gli nascondevano in parte gli occhi blu elettrico. Indossava un paio di pantaloni molto stretti, che mettevano in risalto il suo fisico asciutto e muscoloso, e una camicia bianca decisamente troppo piccola per lui, lasciata aperta sul petto.

- Tu devi essere lo studente nuovo, vieni entra. -

Lo apostrofò il segretario, distogliendolo dai suoi pensieri.

L'Immagine di quello strano uomo sfumò dalla sua mente non appena sbatté le palpebre.

Chissà cosa insegnava, e se se lo sarebbe ritrovato in classe...

- S-sì! -

Si affrettò a rispondere lui, scuotendo appena la testa, ed entrò in segreteria.

L'uomo che lo accolse lo guardò riducendo gli occhi ad una fessura, come se non riuscisse a metterlo bene a fuoco.

Il suo volto era pieno di cicatrici, duro, dalla mascella quadrata.

I neri capelli erano raccolti sulla nuca in una corta, alta coda, con un ciuffo che cadeva lungo la parte destra del suo viso. Portava pure un piccolo pizzetto triangolare ed un paio di baffi sempre neri.

- Il tuo nome? -

- Sora...! -

L'uomo annuì tra sé e sé.

Tirò fuori dal cassetto una busta gialla, che subito gli porse.

- Qui c'è l'orario delle lezioni, l'elenco dei libri che devi comprare, e una lista con i nomi dei tuoi professori. Se hai bisogno di qualche numero di telefono, devi venire qui a fare richiesta scritta, che poi verrà presa in considerazione dal Superiore. Ovviamente, il numero di telefono di un professore va richiesto solo in casi di emergenza. Ci teniamo alla serietà. - Sora immaginò qualcuno che chiedeva uno di quei numeri solo per fare uno scherzo telefonico...e gli venne naturale anche immaginare quella persona buttata fuori all'istante dall'istituto. Sarebbe stato così dannatamente semplice risalire alla persona che aveva telefonato che non si poteva neanche pensare di farlo. Il ragazzo annuì, come se avesse capito tutto, e quel tutto non lo spaventasse a morte. - La tua classe si trova al secondo piano, mostra questo... - gli porse un foglietto rettangolare - ...all'insegnante. Buona giornata. -

Sora non riuscì a rispondere, fece dietro front e uscì, ma non prima di aver letto sulla giacca dell'uomo il suo nome, stampigliato su di una targhetta: Eraqus.

Mentre scendeva le scale, Sora provò il forte desiderio di essere a casa, sotto le coperte, cercando di dimenticare tutto quello che era successo in quelle poche ore.

Sia il Superiore che il Segretario gli avevano augurato una buona giornata, salutandolo. Ora come ora aveva l'impressione che l'avessero fatto solo per educazione, e che non lo intendessero davvero.

Anzi, sembrava intrinseco che non sarebbe stata affatto una buona giornata, e che loro lo sapessero alla perfezione.

Sarebbe stato meglio se avesse preso il treno. Non gli sembrava più una fortuna essere riuscito a salire all'ultimo secondo.

S'immaginò seduto alla stazione, arrabbiato per aver perso il treno, indeciso se aspettare la corsa delle undici, o se tornare a casa.

Indubbiamente, quel Sora lì era molto più felice di quanto lo era lui in quel momento.

Il pensiero del pranzo con Ventus lo tirò leggermente su di morale, e gli diede la forza di ricominciare a camminare.

 


Ther Corner

giovedì! è giovedì!
ciaoooo a tutti e ben trovati!
questa settimana è stata lunga e difficile per me...
perché volevo pubblicare al più presto ahahahahah!
ma ora ci siamo! :3
il prossimo appuntamento è per l'1 Agosto!
ma ci credete che è già Agosto?
io no! per niente!
bye bye :3

Chii

 

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Capitolo 4
*** Doctrina est difficile, etiam superesse ***


3

Doctrina Est Difficile, Etiam Superesse

 

Per trovare la classe, Sora ci impiegò una mezz'ora buona.

L'istituto era davvero enorme, e i corridoi tutti uguali.

Si aveva quasi l'impressione che fosse la scuola stessa a voler far perdere l'orientamento, come fosse un essere vivente.

Le prime due ore di lezione nella tabella che il segretario gli aveva dato erano segnate come “lingue antiche”.

Sora non aveva mai neanche sentito parlare di una materia del genere, ma il nome dell'insegnante che teneva quelle lezioni gli fu subito noto: Professoressa Aqua.

Ricordò Roxas e Vanitas che ne parlavano, e si chiese per caso non avesse la sfortuna di essere nella loro stessa classe.

Un brivido gli prese la schiena al solo pensarci.

Forse era ancora in tempo per tornare a casa, e ritirarsi da quella scuola.

Poteva sempre provare con una scuola pubblica, no?

Che male ci sarebbe stato?

Molli tutto il primo giorno? Sei messo davvero male!” gli disse la sua coscienza, e lui dovette dargli ragione.

Non poteva farlo, che figura ci avrebbe fatto?

Quella dello stupido, ecco.

Ed era stanco delle persone che gli davano dello stupido con la testa tra le nuvole, troppo ingenuo per poter affrontare i problemi della vita di ogni giorno.

Avesse anche dovuto soffrire le pene dell'inferno, non si sarebbe tirato indietro.

In qualche modo se la sarebbe cavata.

Come, rimaneva un mistero.

Percorso l'ennesimo corridoio del secondo piano, stava quasi per mettersi a urlare.

Ma dov'era finita la sua classe?

Provò ancora a fare il giro, sentendosi un imbecille totale quando trovò la porta con l'etichetta II° K proprio sotto il suo naso.

Era stato così intento ad autocommiserarsi, da un lato, e farsi forza, dall'altro, che aveva finito col non accorgersi di dove stava andando.

Provò a sbirciare dalla serratura, per vedere cosa stesse succedendo in classe.

La professoressa stava scrivendo qualcosa alla lavagna; se ne poteva scorgere solo la schiena, e il braccio teso verso l'alto.

La sua voce squillante e autoritaria recitava parole in una lingua sconosciuta a Sora, che cominciò a pensare che sarebbe stato difficile strappare la sufficienza in quella materia.

Poggiò la schiena contro il muro, e si lasciò scivolare a terra.

Non era proprio il caso di interromperla. E in fondo non ne aveva neanche voglia.

Tanto non mancava che una mezz'oretta al termine della lezione...

Sbuffò, i suoi buoni propositi andavano sempre a farsi benedire nel giro di una frazione di secondo.

Si alzò e, preso il coraggio a due mani, bussò.

La voce della professoressa si azzittì, per poi esordire con un “avanti!” che fece pentire immediatamente Sora di aver bussato.

- Buongiorno professoressa sono...ehm...Sora, lo studente nuovo... -

La donna che si trovò davanti, dovette ammettere il ragazzo, era davvero “gnocca” come l'avevano definita Roxas e Vanitas.

Dalle forme generose e il fisico modellato, gli occhi grigio azzurri e i capelli corti blu che le incorniciavano un viso dai delicati lineamenti, la professoressa Aqua era davvero mozzafiato.

La gonna nera che indossava era abbastanza corta da lasciare poco spazio all'immaginazione, così come la camicetta premuta sul suo petto.

Una spettacolo molto più appetibile di quello dell'uomo con la capigliatura rosata che poco prima urlava contro il Superiore.

- Uno studente nuovo, eh? E come mai così in ritardo? -

- Problemi tecnici... -

Provò a sorridere Sora. Ma la donna lo fulminò con lo sguardo.

- Yuffie, per cortesia, lascia il tuo banco a Sora, vorrei che stesse in prima fila. -

- Sì professoressa! -

La ragazza che era stata interpellata non chiese nessun'altra spiegazione. Raccolse in fretta e furia le sue cose per lasciare il primo banco di fronte alla cattedra libero per Sora.

- Puoi sedere. - il ragazzo annuì, e corse a raggiungere il proprio banco. La professoressa tornò a scrivere strani segni sulla lavagna. Ora che l'aveva davanti, Sora provò una forte sensazione di nausea: non riusciva a capire una sola lettera. - Stavamo parlando dell'alfabeto cario prima tu entrassi. - riprese la donna, continuando a scrivere - Mi sapresti dire a quale altro alfabeto sarebbe associabile e che valori fonetici hanno l'uno e l'altro? -

Qualcuno, alle spalle di Sora, trattenne il fiato.

Il silenzio era rotto solo dal continuo ticchettare del gesso sulla lavagna.

Sora si morse la lingua a sangue.

I suoi occhi corsero da un lato all'altro della classe, cercando un paio di labbra che gli suggerissero la risposta, finché non si piantarono in quelli grigio blu della professoressa, che lo squadravano dalla testa ai piedi.

- Non preoccuparti di dire la cosa sbagliata, tentare equivale a un punto, tacere equivale a zero. - gli rivolse un sorriso che doveva essere incoraggiante - Per la risposta esatta sono due punti. - visto che Sora sostenne il suo sguardo con uno smarrito, Aqua corse in suo aiuto - Facciamo una gara a punti. Chi accumula più punti durante la settimana verrà esonerato nel fare i compiti a casa per la prossima. È un gran bel vantaggio, non trovi? Per un po' di tempo lasciamo i voti più alti nella tabella, anche dopo averla azzerata; ancora non ho cancellato la vecchia, quindi non devi scandalizzarti dei punteggi. - il ragazzo continuò a tacere. L'espressione indolente di Aqua fece capire a Sora di essersi appena trovato un altro nemico, più potente e più spaventoso di Vanitas, ma non tanto quanto il Superiore. - Magari se cambio domanda è meglio? Sai dirmi almeno in quale zone geografiche sono state ritrovate le iscrizioni carie? -

Sora si arrischiò a scuotere la testa, desolato.

Aqua sospirò, e fece una strana smorfia.

- Questo è un pessimo inizio. -

Poi gli diede le spalle, e tornò a scrivere alla lavagna qualsiasi cosa stesse scrivendo.

Tutti gli occhi della classe era puntati sulla schiena di Sora, il cui unico desiderio era sprofondare nel pavimento per non fare più ritorno.

- C'è qualcuno che vuole rispondere al posto del nuovo alunno? -

Chiese ad alta voce Aqua, interrompendo lo scrivere quell'attimo necessario per sondare la classe con il suo sguardo attento.

Una mano si levò alla sinistra di Sora, che sentì come se qualcuno gli avesse dato un pugno allo stomaco.

La professoressa fece un cenno con la testa, invitando l'alunno a parlare.

- L'alfabeto cario veniva usato per scrivere la lingua caria. Questo sistema di scrittura consisteva di circa 45 segni e si pensa quasi certamente che sia un alfabeto. Le iscrizioni carie sono state ritrovate sia nella Caria propriamente detta, Turchia sud-occidentale, sia nel delta del Nilo, dove i mercenari cari combattevano per il faraone egiziano. Molti segni dell'alfabeto cario assomigliano ai caratteri greci, ma recentemente si è scoperto che di solito il loro valore fonetico è molto differente.-

Sciorinò Roxas, come fosse un libro stampato, stando ben attento a tenere gli occhi blu fissi in quelli di Sora, rimasto a bocca aperta.

L'espressione del bruno dovette essere veramente stupita, perché buona parte della classe si esibì in una risata, prontamente interrotta da un gesto della professoressa.

- Molto bene Roxas, molto bene. Non mi deludi mai. Tre punti, due per aver risposto correttamente, e uno extra per il tuo impegno. -

Aqua si diresse verso una piccola tabella, disegnata su di un cartellone, su cui erano stati scritti tutti i nomi degli alunni della classe.

Alla destra dei nomi vi era scritto il totale dei punti guadagnati da quello studente.

Associato a Roxas, c'era un 50, scritto così grande da fare male agli occhi.

Il numero più basso era 40, e questo portò Sora a pensare che la professoressa amasse fare domande a tappeto, più volte al giorno, tutti i giorni. E lo portò anche a pensare che la sua esistenza era appena arrivata al capolinea.

Aqua non cancellò il vecchio punteggio, vi scrisse accanto quello nuovo: un 3 rotondeggiante.

Roxas ghignò al suo indirizzo, soddisfatto come un predatore che ha appena catturato una preda succulenta, per smettere subito e acquisire una faccia d'angelo non appena Aqua si fu voltata.

- Ho aggiunto anche il tuo nome alla tabella, Sora. - fece lei, con un pizzico di disappunto - Spero che non farai scendere a picco la media della mia classe. -

Ancora risate da parte degli studenti.

Lo 0 accanto al suo nome, rese Sora rosso come un pomodoro maturo.

 

La restante mezz'ora lasciò Sora confuso, disorientato, con un forte mal di testa, e una voglia atomica di mettersi a urlare.

Per quanto avesse provato a prendere appunti, non riusciva a capire niente di quello che aveva scritto, e di quello che la professoressa Aqua aveva detto.

Non riusciva a credere che quella fosse la prima lezione dell'anno.

Nella sua vecchia scuola, non aveva mai sentito parlare di niente di quello che Aqua aveva detto.

A parte il domandarsi a che cosa gli sarebbe mai servito conoscere l'alfabeto di una lingua morta e stramorta, non riusciva neanche a credere che i suoi compagni fossero così tanto più avanti di lui.

Al suono della campanella, Aqua s'interruppe con un sospiro.

- C'è sempre così poco tempo, e così tante cose da dirvi! - chiuse di scatto il libro che teneva tra le mani - Scrivete i compiti per domani. - ci fu un fruscio agitato di fogli e penne - Ricerca approfondita sull'alfabeto cario, composizione e comparazione di tutti i suoi simboli con la lingua greca. -

E dove le vado a trovare queste cose?” pensò Sora, disperato, finendo di scrivere.

La professoressa si avvicinò a lui, e gli porse un foglietto di carta.

- Ti ho scritto qui alcuni testi che devi prendere il biblioteca. Non devi necessariamente studiarli tutti, ma io te lo consiglio: sei davvero molto indietro, e non ammetto mediocrità nella mia materia. Domani sarai il primo a essere interrogato, vedi di esserne all'altezza. -

E così dicendo, lasciò il foglietto tra le sue mani tremanti.

Prese le sue cose, salutò cordialmente gli studenti, che risposero quasi in coro, e uscì dalla classe.

Sora stava per scoppiare a piangere.

I suoi occhi cerulei erano fissi sull'elenco interminabile che aveva stilato per lui Aqua.

C'erano almeno una ventina di libri, tutti con titoli assurdi, e dal contenuto non intuibile.

Avrebbe voluto sbattere la testa sul banco, e vedere se con una commozione cerebrale avrebbe capito di più la materia di Aqua.

- Sei nella merda fino al collo, eh? -

Lui alzò lo sguardo.

Roxas era seduto sul banco accanto al suo, con i gomiti sulle cosce e il viso tra le mani.

I suoi occhi blu acceso brillavano di una strana luce, che partiva dal ghigno sadico che aveva dipinto sulle labbra rosee.

Sora con un flash vide l'immagine di Ventus sovrapporsi a quella di Roxas, e capì una volta per tutte che erano due persone così diverse da fare male.

Aggrottò le sopracciglia stringendo nel pugno il foglietto di carta che gli aveva dato Aqua.

- Non sono affari tuoi. -

Sputò tra i denti.

- Non dirmi che sei arrabbiato con me per quello che è successo in bagno! -

Fece Roxas, per tutta risposta, con un'espressione così forzatamente innocente che Sora gli avrebbe dato uno schiaffo.

- Certo non mi sei venuto in aiuto. Potevo annegare. -

- Sarebbe stata una gran brutta storia. - il biondo scosse la testa - Sulla tua lapide avrebbero scritto “morto com'è vissuto, con la testa nel cesso”. -

Un rossore diffuso s'impossessò del volto di Sora, scatenando una risata sguaiata in Roxas.

- Lascialo in pace. -

Il biondo smise subito di ridere, fissando lo sguardo sulla nuova arrivata.

Sora fece lo stesso, e il suo cuore perse un battito.

La ragazza che era intervenuta aveva un viso delicato e gentile, con occhi blu-viola, grandi, dalla forma arrotondata, con ciglia folte e nerissime, un naso piccolo e labbra rosa; i capelli erano lisci, rossicci, le arrivavano sotto le spalle. Era minuta, con un seno proporzionato, la vita accentuata e gambe snelle.

La ragazza si portò le mani sui fianchi, e mise su un'espressione che voleva essere minacciosa, ma che Sora trovò incredibilmente irresistibile.

- Tsè! -

Fece solo Roxas, rivolgendole una smorfia.

Però, incredibilmente, si allontanò da Sora, lasciando quest'ultimo a bocca aperta.

- Sora, eh? Io sono Kairi. - la ragazza si portò un ciuffo di capelli dietro l'orecchio, per dissimulare l'imbarazzo - Lascia perdere quello che dice Roxas, fa tanto lo sbruffone solo perché è il cocco di Aqua! -

- Ehm...ahm...ok. -

Riuscì a dire Sora. Aveva la lingua impastata, e il cervello che andava per i fatti suoi, sussurrandogli all'orecchio di dare un'occhiata a ciò che cominciava dove la gonna della divisa di Kairi finiva.

- Non capisco niente di questa materia neanch'io, vedi? - indicò la tabella con i punteggi. Il numero più basso corrispondeva al suo nome. - Quindi non preoccuparti! E poi, Aqua è una brava insegnante, devi solo ingranare la marcia, e vedrai che andrà tutto bene. -

- Ti ringrazio...Kairi. -

Balbettò lui, con un mezzo sorriso stiracchiato sulle labbra.

- Per così poco! -

Fu la sua trillante risposta.

- Kairiiiiiii studiamo insieme per domani? -

La ragazza che era seduta dove ora si trovava Sora, e che rispondeva al nome di Yuffie, gettò le braccia al collo di Kairi, prendendola da dietro.

- Certo, a patto che possa studiare con noi anche Sora. - lui, sentendosi nominato, s'indicò con un dito, come se avesse capito male. Kairi gli indirizzò un sorriso che gli fece sfarfallare lo stomaco deliziosamente. - Sì, tu. Se ci prepariamo insieme è meglio, no? -

- Uffa, ti vuoi portare dietro la matricola? -

Sbottò Yuffie, mettendo un broncio.

Accanto alla delicata femminilità di Kairi, Yuffie sembrava un maschiaccio, con quei capelli neri cortissimi tutti spettinati, la quasi assenza di seno e quell'aria da monella che le arrivava fino agli occhi violetti.

- E dai, Aqua lo massacra se non gli diamo una mano! Pensa se non l'avessero fatto con me... -

- Con te l'hanno fatto perché hai un bel visino, cherì. - le disse lei, afferrandole il volto con l'indice e il pollice, e strizzandolo fino a farle assumere una strana espressione - Ma va bene! - si rivolse a Sora, indicandosi con il pollice della mano sinistra - Io sono Yuffie, piacere di conoscerti. Grazie per aver preso il mio posto, odio stare al primo banco! -

Ah, ecco perché non si è lamentata dello spostamento...” pensò Sora, storcendo appena il naso.

Kairi stava per dirgli qualcosa, quando una voce perentoria ordinò a tutti di riprendere posto.

Con grande sorpresa di Sora, l'insegnante dell'ora successiva era l'uomo dai capelli rosa, quello che aveva sentito e visto sbraitare in segreteria.

L'uomo si sbatté la porta alla spalle, con tanta furia che più di uno studente ebbe un sussulto.

Sempre con la stessa “delicatezza” gettò la propria borsa da lavoro sulla cattedra.

Nell'elenco di Sora la terza ora era segnata come “scienze naturali”. Un po' generico, come lingue antiche del resto.

E ora che ci faceva caso, scorrendo gli occhi sul foglio, c'era solo un'altra ora di quella materia, durante la settimana.

Quindi era proprio di questo che l'uomo era andato a lamentarsi col Superiore.

La classe era silenziosa come lo sarebbe stato un cimitero, mentre il professore camminava nervoso avanti e indietro, senza dire una parola.

Gli occhi blu elettrico sembravano mandare lampi di rabbia.

- Per il momento dovremo arrangiarci. - cominciò l'uomo, fermandosi di botto - Il Superiore ha creduto bene di non darmi ore a sufficienza per insegnarvi qualcosa di concreto. Abbiamo solo due ore, questa di oggi, e quella di sabato. Visto che c'è così poco tempo, prenderò in considerazione l'idea di farvi delle interrogazioni lampo, di una domanda a testa. È molto probabile che da quelle deriverà il vostro voto finale. Quindi vedete di studiare. Seriamente. Non tollererò impreparazione o giustificazioni. L'anno scorso abbiamo potuto fare dei laboratori... - un mormorio basso si alzò alle spalle di Sora. Forse i compagni stavano ricordando qualcosa di piacevole che aveva a che fare con i laboratori di cui parlava il professore - ...quest'anno, santo cielo, sarà tanto se potremo arrivare a concludere il programma. Quindi ogni attività al di fuori di questa classe è stata sospesa. Anzi, è molto probabile che richiederò un corso pomeridiano integrativo, a cui ognuno di voi è obbligato a partecipare. - una mano alzata attirò l'attenzione dell'insegnante - Sì? -

Tutti si voltarono verso il ragazzo che l'aveva alzata; non sembrava molto contento di averlo fatto.

- Professore...mi chiedevo come faremo con le attività dei club se il pomeriggio... -

- Non ci andrete, ovviamente. - fu l'aggraziata risposta dell'uomo - Non ci sarà giustificazione valida per la vostra assenza, fosse anche firmata dal Superiore in persona. Ve-de-te di es-ser-ci. - sillabò, affinché il concetto fosse chiaro - Ora, dov'è il nuovo alunno? - Sora si sentì morire mentre alzava la mano. Gli occhi elettrici dell'uomo si fissarono su di lui, che si sentì quasi friggere per la loro intensità. La consapevolezza che l'avesse riconosciuto come il ragazzino che l'aveva sentito sbraitare in segreteria arrivò qualche istante dopo, quando con tutta la sua calma, e con il tono più gentile che gli riuscì di tirare fuori, gli disse: - Io sono il Professor Marluxia, caro. Va' alla lavagna e disegna per me una molecola di saccarosio. - Sora sgranò gli occhi. Ammesso e non concesso che sapesse cosa fosse il saccarosio, di certo non sapeva come disegnarne una molecola. Il professore attese qualche istante, con le braccia incrociate al petto e uno sguardo che da solo aveva la forza di uccidere. In contrasto con quegli occhi, il suo volto sbarbato, giovanile e fresco aveva assunto un'espressione di quiete leggiadra, che lo faceva somigliare alla statua di un angelo vendicatore. - Va' alla lavagna. - ribadì, canticchiando.

Sora dovette per forza di cose lasciare il suo banco e arrischiarsi ad andare alla lavagna.

- Sei fottuto. -

Gli disse Roxas sottovoce, con lo stesso tono cantato di Marluxia.

Sora sentì di stare andando al patibolo, e di non avere scampo.

Sulla lavagna c'erano ancora le lettere e i simboli scritti da Aqua.

- Cancella. -

Ordinò Marluxia, con un tono che non ammetteva deroghe, e che poteva essere usato in un'opera lirica per un'aria.

Sora afferrò la spugnetta con la sinistra, e il gesso con la destra.

Dopo aver liberato la lavagna, si ritrovò a fissarla come se dal nulla potesse uscire qualcosa che l'avrebbe potuto aiutare a capire che cosa doveva fare.

- Una molecola di saccarosio, grazie. -

Ribadì il professore.

Sora fu grato di dare le spalle alla classe.

Di sicuro, lo stavano guardando come fosse uno scemo, e lui non aveva intenzione di incrociare nessuno di quegli sguardi.

Alla vecchia scuola aveva studiato chimica, e qualcosa di biologia. Non tanto approfonditamente, ma abbastanza per sapere che cosa fosse una molecola e cosa fosse il saccarosio.

Quella era una domanda di biochimica, e non poté credere che fosse materia di studio.

Possibile che per “scienze naturali” si intendevano tutte le scienze?

Non era un argomento un po' vasto?

La polvere di gesso cominciò a fargli diventare la mano bianca, com'era diventato il suo viso pallido, fintamente concentrato nella ricerca di una risposta.

- Intendo che non lo sai. - disse la voce flautata del professore. Gli andò vicino, strappandogli il gesso di mano, e cominciò a disegnare la molecola (o perlomeno, quella che Sora intuì essere la molecola). Disegnò un esagono e un pentagono, più piccolo, uniti tra loro da due linee diagonali che partivano la prima dal lato esterno destro dell'esagono, e la seconda dal lato esterno sinistro del pentagono. Alla base delle due linee scrisse una “O”. Poi cominciò a scrivere formule bizzarre su ogni lato delle figure e quando ebbe finito lo mostrò a Sora. - Questa è la struttura molecolare del saccarosio. Sai dirmi almeno la formula bruta? - lo sguardo vacuo del ragazzino non fece cambiare di una virgola l'espressione del professore - Le sue proprietà chimico-fisiche? La massa molecolare? - ad ogni domanda, Sora rispondeva fissandolo, sempre più terrorizzato - Ragazzo, almeno sai dirmi cos'è il saccarosio? - la parola “zucchero” scivolò sulla lingua di Sora, che però aveva le labbra sigillate, e non la lasciarono uscire. Il silenzio demenziale di Sora fu preso a ridere da buona parte della classe, che Marluxia dovette azzittire con un gesto di stizzoso della mano - Va' al tuo posto, per favore. - lui non se lo fece ripetere. Tornò a sedersi con la testa bassa, anche se questo non gli impedì di vedere la faccia divertita di Roxas. - Senti bambino, io vorrei poterti dare una seconda possibilità, ma se chiedessi ad uno qualunque dei miei alunni le cose che ho chiesto a te... - si strinse nelle spalle, come a dire che la risposta era ovvia - ...capisci, no? Abbiamo anche così poco tempo... - scosse la testa, sembrato davvero desolato. Afferrò il suo registro personale, e scorse tutti i nomi finché non arrivò a quello estraneo. - Sora. 2. - scrisse il numero a penna - Oggi facciamo un salto nella Botanica, prendete appunti, non so quando questo miracolo potrà ripetersi. -

E cominciò a spiegare, senza dare il tempo a Sora di inghiottire l'amaro che aveva in bocca.


The Corner

Ciaaaaaaaaaaaao a tutti!
Ma...quanto è sfigato questo povero ragazzo?
Mi sono resa conto di aver davvero esagerato con lui ahahahahah
questo è sadismo!
sarà che sono complessata per i terribili anni di liceo che ho dovuto affrontare? XD
Coooomunque come state, che fate, che pensate, che dite?!
come procede la vostra estate? :3
io mi sono accorta ADESSO di avere solo 31 giorni per preparare 4 materie all'Università ahahahahah
quindi dovrò mettermi schifosamente sotto .-.
quest'estate sta volando via!
avvisi per la prossima settimana... *spulcia l'agenda*
nessuno!
ci vediamo, puntuale come sempre, giovedì 8 Agosto :3
a meno che non mi cadano le mani e non riesca più a scrivere ahahahahah
bye bye!

Chii

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Capitolo 5
*** Keep Going On ***


Piccola prefazione:
All'interno del capitolo troverete alcune parole accompagnate da un asterisco; sono parole di cui, durante la storia, non si spiega il signifcato, per cui basta scorrere alla fine della pagina e troverete una piccola leggenda con la traduzione e la spiegazione.


4

Keep Going On

 

Anche Marluxia, alla fine della lezione, diede un foglio con un lungo elenco di libri extra da studiare a Sora.

Dopo la terza ora, vi era la ricreazione, ma gli studenti cominciarono a schiamazzare solo quando il professore ebbe lasciato l'aula, non un minuto prima.

Sora si accasciò sul banco.

Ora più che mai desiderava essere morto.

Morto, e possibilmente seppellito lontano da quella scuola.

Non si era mai sentito così umiliato nella sua vita, e sapeva che ancora il peggio doveva arrivare.

L'ora successiva sarebbe stata di matematica o fisica (a discrezione dell'insegnante), poi ci sarebbero state due lunghissime ore di letteratura.

Di quale letteratura, non era specificato, ma a quel punto Sora non si sarebbe sorpreso nell'apprendere che avrebbe dovuto conoscere ogni scrittore di ogni letteratura del mondo.

Già sognava la montagna di libri su cui si sarebbe dovuto perdere a studiare quel pomeriggio.

- Non ti abbattere. - voltò la testa in direzione della voce di Kairi, dolce e melodiosa - Sai come chiamiamo il professor Marluxia? Il “Leggiadro Sicario”, perché ci ammazza tutti con i suoi voti, ma lo fa sempre in modo elegante. -

Questo riuscì a strappare un sorriso a Sora, anche se non si sentiva per niente sollevato.

- E come chiamate il professore di matematica? -

- Mmm non so se vuoi saperlo. -

- No, ti prego, dimmelo. Ormai sono preparato al peggio. -

Visto il tono sconfitto che aveva assunto, Kairi gli poggiò una mano sulla schiena, carezzandola un poco per cercare di dargli conforto.

La sua piccola mano fresca gli fece venire i brividi. Desiderò che lei prolungasse il contatto, che rimanesse così per sempre, ma lei si allontanò subito, quasi avesse intercettato i suoi pensieri.

- È meglio che tu non lo sappia. -

Disse solo, con una risatina.

- È davvero così terribile? -

Lei alzò gli occhi al cielo, come se cercasse la risposta sul soffitto.

- No, non tanto se non sei una donna. È peggio la sua tirocinante, in ogni caso. -

- Ah, pure la tirocinante? -

Per Sora voleva dire essere tartassato due volte per la stessa materia. Per Kairi invece fu solo fonte di divertimento, visto che cominciò a ridere.

Aveva una risata cristallina, e spontanea, che contagiò anche lui; e il nero baratro di disperazione in cui era caduto venne illuminato da uno sprazzo di luce.

- Sì, pure! Però il prof è meno duro nei voti...diciamo che lascia fare alle carte. -

- Alle carte? -

La domanda di Sora rimase senza risposta, perché Yuffie afferrò Kairi per un braccio, dicendo che mancava poco alla fine della ricreazione e che aveva bisogno di andarsi a prendere una bibita al distributore.

La ragazza non ebbe neanche il tempo di invitarlo ad andare con loro, visto che Yuffie la tirò via interrompendo malamente la loro conversazione.

Sora capì di non essere molto simpatico a Yuffie.

La sua classe era abbastanza omogenea, nell'ignorarlo e nel guardarlo dall'alto in basso.

L'unica che gli aveva rivolto più di una parola, più di una parola che fosse gentile, era stata Kairi.

Erano in venti, divisi perfettamente tra dieci maschi e dieci femmine.

Lui si chiese se non fosse una scelta voluta dal Superiore nel momento in cui aveva formato le classi: sembrava troppo per essere un caso.

Roxas era l'unico del magnifico trio ad essere in classe con lui. Cosa che ebbe il potere di sollevarlo un po' di morale: non avrebbe sopportato l'idea di ritrovarsi seduto accanto a Vanitas.

Tutto sommato, Roxas poteva anche andargli bene, soprattutto perché gli ricordava il volto tranquillo e gentile di Ventus.

Se soprassedeva all'atteggiamento volutamente aggressivo nei suoi confronti, alle continue frecciatine che gli lanciava con lo sguardo, e che da quando aveva avuto la sfortuna di essere seduto nel banco accanto al suo lui non aveva fatto altro che tempestarlo di palline di carta quando i professori erano girati, andava tutto bene.

Non imparò nessun nuovo nome, né provò ad attaccare bottone.

Tutti quanti sembravano troppo impegnati a stare tra loro.

Solo Roxas si divertiva a ronzargli intorno.

Forse perché senza Vanitas e Riku, era solo quanto lo era lui.

La classe si era svuotata (tutti in giro per i corridoi a cercare vecchi amici dopo un'estate passata lontani, o ad andare alla caffetteria del scuola per uno snack veloce e una bibita), e Sora era rimasto da solo. Con Roxas.

- Ma non hai niente di meglio da fare, tu? -

Lo apostrofò.

Stava veramente provando ad ignorarlo. Ma era così fastidioso che era difficile.

Sembrava uno di quegli insetti che non riesci mai a vedere, e che continuano a ronzarti vicino alle orecchie mentre provi ad addormentarti.

- In realtà, no. Per oggi sei tu il mio “meglio da fare”. -

- Divertente. -

Commentò Sora, sfilandosi dai capelli l'ennesima pallina di carta.

Roxas rise come un bambino.

Almeno non cercava di affogarlo nel water del bagno degli uomini. Era già un punto in più a suo favore, rispetto a Vanitas.

- Sora? -

I due alzarono la testa di scatto.

Il bruno fu abbastanza contento di quella apparizione improvvisa da saltare in piedi e correre alla porta.

- Ventus! -

L'avrebbe abbracciato di slancio, se non si fosse ricordato alla fine che in fondo era un estraneo, e che non era molto educato saltare al collo di un estraneo.

- Ciao fratellino. -

Fece Roxas, con fare stizzoso.

Adesso che li aveva entrambi davanti, Sora notò anche la differenza di tonalità delle loro voci.

Prima non avrebbe potuto farci caso.

- Ciao a te, coso. Bhè, sono venuto a farti una visitina, Sora. -

Sorrise Ventus. La voglia di abbracciarlo raggiunse livelli massimi dentro Sora.

- Vieni a fare visita a lui e non a me che sono tuo fratello? Che mondo crudele è quello in cui viviamo! -

Roxas fece finta di piangere, in modo melodrammatico. Si tenne il petto come se il dolore gli facesse male al cuore, e si esibì in una ridicola espressione.

- Risparmiati le scenate. -

Sbottò Ventus, per tutta risposta.

Roxas gli rivolse una smorfia.

- Me ne vado, così lascio voi piccioncini da soli. -

- Nessuno ti ferma. -

E per sottolinearlo, Ventus si tolse dalla porta e lo invitò ad uscire con un gesto delle braccia.

Il fratello non lo guardò neanche in faccia, uscendo.

- Non andate molto d'accordo voi due, eh? -

Chiese Sora, che non si era perso lo sguardo malinconico di Ventus.

Il biondo sospirò.

- Un tempo, sì. Poi è cambiato, e l'ho perso. -

Sora avrebbe voluto chiedergli di più, ma non era il caso: parlarne lo rattristava, a tal punto da rendere anche lui triste.

E per qualche strana ragione, Sora non voleva vederlo così.

La sua tristezza lo contagiava come una malattia, e gli faceva sentire il bisogno crescente di renderlo di nuovo felice.

- Oggi ho preso il mio primo 2. Conosci il professor Marluxia? È un uomo, vero? -

Il tentativo di Sora fece sorridere Ventus.

- Un 2? Ma non è neanche finito il primo giorno! - scosse la testa - Sei un caso perso. - stavolta rise, e Sora si sentì sollevare da terra - Sì, lo conosco. È un uomo, ma girano voci sul fatto che prima fosse una donna. - anche il bruno si unì alla risata - Comunque, se hai problemi a studiare, posso darti i miei quaderni di appunti. Qualcosa di utile la troverai di certo. -

- Oggi mi hai salvato la vita due volte. -

- Ecchesaràmmai! -

Fece Ventus, ridacchiando.

La campanella che segnava la fine della ricreazione suonò, con tutta la forza che poteva.

Sora sbuffò.

Il peso delle rimanenti tre ore di lezione gli cadde addosso di colpo.

- Tieni, mangia qualcosa prima che arrivi il professore. Non ti renderà un genio, ma almeno eviterà che il tuo cervello abbia un black-out. - Ventus gli porse qualcosa, avvolto da della carta bianca. Sora lo prese con delicatezza, quasi rischiasse di rompere la cosa avvolta nella carta. Dentro c'era un taiyaki*, che emanava ancora un leggero calore. - L'ho preso al cioccolato...non so se ti piace la marmellata di azuki*. Ma il cioccolato...piace a tutti, no? -

- Oh, grazie. - il musetto del pesce lo fissò amichevolmente, invitandolo a mangiarlo. In effetti, ora che si fermava a pensarci, non aveva fatto merenda (visto che non aveva proprio portato niente), e lo stomaco cominciava a lamentarsi. - Ma...l'hai comprato per me? -

- Ne ho comprato uno anche per me, che ti credi. - rispose Ventus con un sorrisetto - Solo che il mio l'ho già divorato. - e quasi a volerlo provare, si leccò i baffi - Bhè, ci si vede sempre per pranzo? -

- Ah, io ho il bento*! Mi sono dimenticato di dirtelo! Posso venire comunque alla mensa, no? -

- Peccato che tu ti sia portato il pranzo da casa! Il nostro cuoco cucina bene...comunque sì, non c'è problema, ti fanno entrare anche con il bento, a meno che non ci sia una bomba ad orologeria dentro. - risero insieme - Però, senti a me, domani non portarlo. Assaggia quello che cucinano qui, e poi decidi. -

- Accetto il consiglio. -

Ventus annuì e sorrise. Poi si portò una mano di taglio alla fronte, esibendosi in un saluto militare.

- Ci vediamo più tardi! Vengo io, così non ti perdi per la scuola. -

- Sì! - Sora lo guardò allontanarsi nel corridoio. Il taiyaki ancora in mano, e una sensazione di calore nel petto. - E grazie! -

- Di niente! -
Urlò Ventus, ormai lontano, voltandosi un attimo.

Sora tornò al suo posto con un sorriso ebete stampato in faccia.

Dando un morso al taiyaki provò un'interessante felicità. Anche se amava quelli ripieni con la marmellata di azuki, decise che da quel momento in poi i suoi preferiti sarebbero stati quelli alla crema di cioccolato.

I compagni tornarono in classe alla spicciolata, quando lui aveva finito di mangiare da un pezzo.

Roxas riguadagnò il suo posto accanto a Sora, ma lui, con lo stomaco pieno del regalo di Ventus, non era predisposto mentalmente a dargli corda, e l'arrivo dell'insegnante interruppe ogni tentativo del biondo di farlo arrabbiare.

L'uomo entrò dalla porta, giocando con un mazzo di carte.

Sora lo trovò subito strano, e lo guardò con lo sguardo corrucciato.

- Tu! - lo additò. Senza volerlo saltò in aria. - Sei tu lo studente nuovo, ci scommetto 50 munny. -

Una risata genuina si alzò tra i banchi, e Sora si guardò intorno, indeciso se unirsi o meno.

- Se rispondo di sì dovrò essere io a darle 50 munny? -

La sua domanda fece sganasciare il professore.

Era un uomo alto, non molto robusto; portava capelli cortissimi, biondo ossigenato, così come i baffi, il pizzetto piccolo, e la barba rasa. Dai lineamenti duri, molto mascolini, aveva occhi azzurrissimi, sovrastati da folte sopracciglia, bionde come tutto il resto.

Portava diversi orecchini, Sora ne intravide uno il cui pendente era il simbolo della scuola.

- No, per stavolta non mi devi niente. Perché sei simpatico. - quasi quasi, Sora cominciò ad amarlo - Benvenuto, io sono Luxord. Peschi una carta? - dal silenzio assoluto che avvolse di colpo la classe, Sora avrebbe dovuto capire che la sua richiesta non era buon segno. Però, visto che l'uomo gli tendeva il mazzo di carte, aperto a ventaglio tra le sue mani, non poté fare altro che scegliere una carta, e sperare che andasse bene. Pescò il due di picche, che fece vedere al professore. - Ah, non molto buono per te, giovanotto. - mischiò e rimischiò il mazzo - Ti do un'altra chance, perché mi sento buono. Se peschi una carta vestita, oggi non ti interrogherò, e chiamerò qualcun altro. Altrimenti, porgerò a te la domanda. -

Adesso Sora capì perché Kairi aveva detto “diciamo che lascia fare alle carte”.

Deglutì a vuoto, e provò a fare un calcolo delle probabilità.

C'erano cinquantadue carte nel mazzo, dodici delle quali erano le carte vestite, il Jack, la Regina e il Re, di cuori, quadri, fiori, e picche.

Provò a tenere il conto sulle dita, con l'espressione più concentrata che poté.

- Se te lo stai chiedendo, hai il 23% di probabilità di trovare una carta vestita. È meno della metà, ma ehi, è già qualcosa! - incalzò il professore, con un sorrisetto poco confortante - Su, pesca e basta, togliti il pensiero. - Sora alzò un attimo lo sguardo sul suo volto, poi tornò a concentrarsi sul mazzo di carte. E se fosse stato truccato? Pensato apposta per far cadere nel suo tranello gli studenti? Non poteva escluderlo. Quasi gli stesse leggendo nel pensiero, Luxord cominciò a voltare le carte in modo che Sora potesse vederle. Se le rigirò tra le mani, facendole saltare tra le dita. Sembrava conoscerne ogni anfratto, ogni angolo. - Questo è il mio mazzo, sai come lo chiamo? “Gioco Leale”, perché io non sono un baro, e non tollero i bari. Se non mi credi, puoi controllare, ma per farlo dovresti prima vincere una partita contro di me. Magari un altro giorno potremo fare una scommessa. Adesso, pesca. -

Mentre parlava, Sora era rimasto attento alle carte.

Non voleva distrarsi, sfuggendo così i dettagli che potevano essere importanti.

Ma sembrava che il professore avesse detto la verità: le carte non erano segnate, c'erano tutti e quattro i semi, erano quaranta, dall'asso fino al dieci, con le dodici carte vestite.

Luxord le dispose nuovamente a ventaglio, con il dorso verso l'alto, e invitò con un gesto Sora.

Lui sentì il cuore aumentare leggermente i battiti, mentre un sudore da concentrazione cominciò ad imperlargli la fronte.

Passò da una carta all'altra, sfiorandole con la punta delle dita.

Il professore non aveva fretta, lo mostrava il suo atteggiamento estremamente rilassato.

Anzi, era molto divertito all'idea di quel gioco.

- Questa. -

Sora toccò la carta, e la sfilò leggermente dalle altre.

- Ok, prendila e guardala. -

Tutta la classe tendeva il collo per cercare di vedere qualcosa in più.

Sora deglutì a vuoto, e voltò la carta.

Un “no!” collettivo si alzò come un coro.

Luxord dovette azzittire i ragazzi sovrastando le loro lamentele.

Sora aveva estratto il Re di cuori.

- Basta, state buoni! - sbottò l'uomo, un po' arrabbiato per aver perso l'occasione di torchiare la matricola - Ha estratto una carta vestita, e come ho detto, lo esonererò dall'essere interrogato. Io mantengo sempre la parola. - Sora restituì la carta che gli aveva evitato un'altra terribile umiliazione, e Luxord mischiò ancora il mazzo. Si volse verso Roxas. - È più o meno di dieci? -

Roxas fu preso alla sprovvista, tanto era concentrato di quello che stava succedendo.

Balbettò un “più”.

Luxord sollevò la prima carta del mazzo.

Era un cinque.

Roxas impallidì di colpo, mentre il professore sorrideva.

- Alla lavagna, Roxas. -

Per Sora fu un'enorme soddisfazione vedere il biondino che si alzava sbuffando e finiva alla lavagna.

Ci vollero altri dieci minuti perché Luxord gli porgesse la domanda. Prima, era necessario scegliere la materia: matematica o fisica?

Roxas dovette spaccare il mazzo a metà, un numero compreso dall'asso al sette era matematica, dall'otto al Re fisica. Trovò il Jack di fiori.

Poi il professor Luxord gli propose diverse domande, ma furono sempre le carte a decidere.

Alla fine, Roxas dovette esporre la teoria della relatività, generale, galileiana e secondo Einstein.

Sora ringraziò la sua buona stella, che finalmente si era ricordata che esisteva, e gli era venuta in aiuto.

 

La tirocinante non si fece vedere, Luxord si lamentò della sua assenza diverse volte mentre spiegava.

Per quanto riguardava Sora, dopo un'ora di calcoli dei radicali il suo cervello si era sconnesso.

Tanto più che aveva guadagnato sessanta preziosissimi minuti per se stesso, visto che Luxord non gli aveva più posto alcuna domanda: era sul serio uno che manteneva la parola.

Suonata la campanella, e uscito Luxord, Roxas pensò bene di dare un pugno sul braccio di Sora.

- Mi hai fatto interrogare, stronzo. -

Sbottò, arrabbiatissimo.

- Ahia, ma di che ti lamenti, hai preso 8! -

- Non volevo essere interrogato, nano malefico che non sei altro. -

- Siamo alti uguali. -

Roxas pestò i piedi, intenzionato probabilmente a picchiarlo, però qualcuno lo tirò per il colletto della camicia, evitando a Sora un doloroso pestaggio.

- Calma i bollenti spiriti, Roxas. -

Lo apostrofò la persona che l'aveva afferrato.

Era un giovane alto con i capelli castani che arrivavano fino alla base del collo ed erano in stile piuttosto disordinato, con punte verticali ed una frangetta che incorniciava il volto.
Aveva gli occhi azzurri e la pelle leggermente abbronzata.

Prestante, nella tenuta da insegnante che evidentemente dovevano indossare tutti (camicia bianca, pantalone nero per gli uomini, variante con la gonna per le donne), aveva uno sguardo fiero, che intimidiva più della sua stazza.

Il giovane affondò una mano tra i capelli biondi di Roxas.

- Ha ragione lui, siete alti uguali. E tu sei il solito puffo di sempre. -

Roxas ringhiò come un gatto arrabbiato, e si divincolò dalla stretta del giovane.

- Non mi toccare i capelli! -

Il giovane rise di gusto, e diede un colpetto in fronte a Roxas.

- Non cambi mai. - il suo sguardo azzurro abbandonò il biondo, per poggiarsi su Sora - Immagino che tu sia quello nuovo. Oggi ti avranno chiesto mille volte come ti chiami, eh? Ti dispiace dirlo un'ultima volta? Sono l'ultimo insegnante che vedrai fino a domani, potresti farmi questo regalo? -

Ecco di nuovo le lacrime che riempivano gli occhi di Sora. Esistevano quindi persone gentili in quella scuola, e anche insegnanti gentili!

Luxord aveva raggiunto il primo posto nella sua classifica, ma ora lui rischiava di sorpassarlo alla grande.

- Il nome è Sora. -

E gli regalò un sorriso, per fargli capire che tanta gentilezza era rara, visto il trattamento che aveva subito per tutta la giornata.

- Il mio è Terra. - Roxas, rimasto alle spalle del professore, gli faceva il verso e si esibiva in smorfie infantili. Tra i due doveva esserci un qualche rapporto, perché altrimenti il biondo non si sarebbe neanche sognato di comportarsi in quel modo in presenza di un insegnante. - Puffo, ti consiglio di smetterla di fare lo scemo. - si voltò di scatto, prendendo Roxas alla sprovvista, e avvolgendolo in un abbraccio piuttosto informale. La classe doveva essere abituata a quel comportamento, perché nessuno disse niente: erano tutti intenti a chiacchierare tra loro, ignorandoli completamente. Terra passò il braccio destro sotto il collo di Roxas, mentre faceva leva con il sinistro. Il ragazzino scalciava a vuoto, urlando. Poi, quando fu a portata, diede un morso al braccio di Terra, che mollò la presa.

- Non stai giocando con mio fratello, smettila. -

Sbottò Roxas, tutto rosso in volto.

- Oh, ok, Signor Non-so-più-divertirmi! - il tono della sua voce cambiò - Tutti zitti, cominciamo la lezione. - e come per magia sulla classe scese il silenzio - So che avete avuto una lunga giornata, e che siete stanchi, ma non ho intenzione di farvi degli sconti. - Sora rimase sconvolto dal cambio radicale del suo comportamento. Il suo volto, il suo corpo, tutto era diventato teso e serio. Dov'era il giovane gentile e divertente che si era presentato a lui e che aveva giocato con Roxas? Sembrava essere sparito. - Alla fine dell'anno, vi avevo assegnato un compito da svolgere: la composizione di alcuni versi in endecasillabi sciolti. Chiaramente, non mi aspetto da voi la Divina Commedia, ma vorrei avere quei versi la prossima volta che ci vediamo, ossia mercoledì. Sia chiaro: se li avete raffazzonati all'ultimo momento, io me ne accorgerò. - abbassò gli occhi su Sora, che rabbrividì al solo contatto con quello sguardo gelido come il ghiaccio - Visto che sei nuovo, e non potevi sapere di questo compito, per mercoledì mi porterai una ricerca di trenta pagine sull'endecasillabo, modi, luoghi e tempi, quali sono le principali opere letterarie con esso composte, e chi sono gli autori ad usarlo maggiormente. - tornò a guardare la classe, liberando Sora dall'incantesimo che l'aveva incatenato a lui - Adesso, carta e penna miei cari. Parliamo del periodo Asuka della letteratura Giapponese. -


*taiyaki: ( たい焼き, letteralmente "orata al forno") è una torta giapponese a forma di pesce. Il suo ripieno più comune è l'anko, una pasta fatta di fagioli azuki zuccherati, ma altri ripieni possono essere crema, cioccolato, o formaggio.

*azuki: fagiolo. Nelle cucine orientali i fagioli azuki vengono spesso macinati e bolliti con lo zucchero, in modo da formare una purea dolce, che a sua volta è la base di numerosissime ricette.

*bento: (お弁当 obentō?) è una sorta di vassoio contenitore con coperchio di varie forme e materiali contenente un pasto, in singola porzione, impacchettato in casa o comprato fuori, comune nella cucina giapponese.



The Corner

Benchè io voglia prendermi una pausa
(cosa che ho fatto con la pubblicazione delle altre storie)
ho deciso che "Kingdom Hearts: back to school" sarà l'unica che continuerò a pubblicare,
finché il riposo non mi reclamerà a gran voce;
per cui, il prossimo appuntamento rimane per il 15 Agosto (anche se è Ferragosto, sì) u.u
perché il giovedì...mi piace!
alla prossima, e grazie a tutti

Chii

 

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Capitolo 6
*** Ti tengo nel cuore dove il tuo sorriso è amore ***


Attenzione:
Alcune parole all'interno del capitolo sono state contrassegnate da un asterisco, questo perché sono parole di cui non si spiega il significato nel corso del capitolo; troverete una spiegazione a piè pagina!


5

Ti tengo nel cuore dove il tuo sorriso è amore

La fine delle lezioni non fu accolta con molto entusiasmo dagli studenti.

Il carico di compiti che gli era stato affidato era disgustosamente enorme, e molti cominciavano ad organizzarsi per rimanere a studiare insieme a scuola. Compresa Kairi, che ribadì l'invito a Sora per quel pomeriggio.

Gli disse però che non poteva prima delle cinque, perché cominciavano le attività dei club di pallavolo, di cui lei faceva parte, e non poteva mancare (a dispetto di quello che aveva detto il professor Marluxia).

Poi gli propose anche di pranzare con loro (cosa che aumentò a livelli inverosimili il disappunto di Yuffie).

Sora declinò l'invito, visto che aveva già appuntamento con Ventus.

Allora decisero di vedersi alle cinque in biblioteca, e si salutarono.

Lui rimase qualche minuto ancora a sistemare le sue cose.

Era contento che fosse tutto finito, per il momento, anche se era consapevole della mole di studio che lo aspettava.

A quanto era riuscito a capire, lì dentro si insegnava tutto di tutto. Gli studenti erano tenuti ad avere conoscenza praticamente di ogni cosa.

Si spaziava da una materia ad un'altra, approfondendo i punti cardine, ma toccando più o meno ogni ambito.

Per qualcuno che frequentava quella scuola dalle elementari e che conosceva i professori, affrontare quei metodi di insegnamento non era un problema, anzi: la maggior parte di quello che veniva insegnato non era altro che un'integrazione a ciò che era già stato detto negli anni precedenti.

Per chi, come il povero Sora, entrava in quel mondo all'improvviso, era solo fonte di grande confusione.

Nessuno gli aveva mai insegnato ad immagazzinare così tante informazioni tutte in una volta.

Le scuole che aveva frequentato fino a quel momento erano modeste, e davano un'istruzione base.

Non era il caso di Kingdom Hearts, e gli insegnanti non sembravano intenzionati a trattarlo diversamente visto il suo spiazzamento.

Sora si rese conto di non aver ancora conosciuto il professore di storia e filosofia, quello di lingue straniere e quello di educazione fisica.

Si chiese se almeno nell'ultima materia sarebbe riuscito ad essere promosso. Poi considerò che niente a Kingdom Hearts poteva essere facile, nemmeno l'educazione fisica, e lo scoraggiamento fu l'unica sensazione che riuscì a provare.

Sbuffò, e infilò a forza i quaderni nella cartella.

Il polso gli faceva male per il troppo scrivere, ma l'orgoglio bruciava di più, per il trattamento che gli avevano riservato.

Il danno, oltre alla beffa, era che non sapeva se il comportamento degli insegnanti era derivato dal suo essere una matricola, o se erano davvero così.

Da un lato, desiderava che fosse valida la prima ipotesi: almeno, a un certo punto, avrebbero smesso.

Dall'altro, sapeva che era vera la seconda.

- Toc toc? - alzò gli occhi, che incontrarono il viso sorridente di Ventus. Subito, anche le sue labbra si tesero in un sorriso, che non dovette essere molto convincente. - Che faccia che hai. È andata così male? -

- Andrà peggio domani. - sospirò Sora, affiancandolo - La professoressa di lingue antiche mi ha promesso un'interrogazione. Come faccio a prepararmi in tempo? Non so neanche da dove cominciare a studiare. -

Ventus ci pensò, seriamente.

- Aqua, vero? Potrei parlarci. -

- Tu potresti parlare con Aqua? E per dirle cosa? -

Lui si strinse nelle spalle.

- Magari dirle di darti qualche altro giorno per prepararti... -

- No, aspetta. - Sora portò le mani avanti per interromperlo - Perché dovresti parlare di me con un'insegnante? -

- Perché quell'insegnante è una mia cara amica. - la faccia scettica di Sora fu un'ineguagliabile fonte di divertimento per Ventus - Secondo te perché non sono in questa sezione? Non volevo di certo essere privilegiato. Cosa invece di cui Roxas ha approfittato. -

- Ma...io credevo che Terra... -

- Ah, l'hai conosciuto? È una storia lunga, ma anche lui è un caro amico. -

- E come vi siete conosciuti? -

Ancora una volta, il biondo si strinse nelle spalle.

- Un master sulle lingue anatoliche, durato un paio di giorni. Sarà successo quattro anni fa, credo. Eravamo i più giovani, abbiamo fatto amicizia. Loro erano ancora specializzandi, non insegnavano, e non sapevano che sarebbero finiti a Kingdom Hearts. Pensa te, freschi di specializzazione, assunti in una scuola di questo prestigio! Questo perché hanno delle ottime credenziali, e il Superiore lo sa. -

Sventolò una mano come a dire che non era poi una cosa così importante.

- E che cosa ci facevi ad un master sulle lingue anatoliche? -

Sora era sempre più inebetito.

- Niente, imparavo qualcosa. -

Dal tono della sua voce, non sembrava rendersi conto di quello che aveva appena detto.

- Ma...scusami, non hai sedici anni? -

- Sì. -

- E quattro anni fa ne avevi dodici. -

- Certo. -

- E sei andato ad un master sulle lingue anatoliche con quelli che più tardi sarebbero diventati due professori della scuola che frequentavi? -

- Ah-ah. -

Sora tacque un attimo. Aveva in faccia un'espressione assurda, che lasciò Ventus di sasso.

- Ma quanto sei secchione? - fu l'ultima domanda del bruno. Ventus scoppiò a ridere. L'aveva detto con tale convinzione, che quasi quasi sembrava una cosa seria. - No, non ridere, non sto scherzando. - ma Ventus, invece, continuò, tanto che cominciarono a uscirgli le lacrime. Sora incrociò le braccia al petto, contrariato, e mise su un broncio. - Non è divertente. -

- Scusa...scusa... - provò Ventus, tra una risata e l'altra - ...è la tua faccia che... - tossì, cercando di darsi un contegno - ...niente, mi fa troppo ridere! - suo malgrado, Sora dovette unirsi alla risata genuina di Ventus, finché non si trovarono entrambi a tenersi lo stomaco, dolorante - Comunque - riprese il biondo quando fu riuscito a calmare le risate - non pensare male di Roxas. Lui studia davvero, non è raccomandato. Sì, Aqua e Terra sono affezionati a lui, ma sono professionali, non lo trattano diversamente. È solo che io mi sarei sentito a disagio ad averli come insegnanti, visto che sono miei amici, e ho scelto un'altra sezione. -

- L'avevo notato. - rispose Sora - Intendo, che Roxas non è raccomandato. Mi dispiace ammetterlo, ma sembra che sappia un sacco di cose. Più di quelle che so io di certo. Quindi praticamente lui ha avuto modo di conoscere Aqua e Terra tramite te? -

- Già. Eravamo un bel quartetto. -

Il volto di Ventus si oscurò all'improvviso.

Doveva essere un altro ricordo doloroso, perché Sora poté sentire quel dolore come se fosse suo.

Che cosa era successo dopo?

Le cose tra lui e suo fratello dovevano essere degenerate successivamente a quell'evento.

Ma perché?

Come?

Non poteva chiederglielo, non voleva vederlo triste.

Di slancio, lo prese a braccetto.

- Ho una fame da lupi, se continuiamo a stare a parlare mi mangio te con tutta la divisa. -

Ventus ridacchiò.

- Ho capito, va bene! Di qua! -

Lo trascinò dalla parte opposta rispetto a dove era venuto, e s'incamminarono verso la mensa.

 

C'era più confusione del previsto, e Sora si ritrovò ben presto spiazzato.

La mensa apriva alle 13:15, erano le 13:25 e già tutti i tavoli erano occupati.

Per lo più, erano gli studenti delle medie inferiori e superiori ad occupare quei posti; i più piccoli probabilmente erano già tornati a casa.

Ma c'erano anche ragazzi che sembravano molto più grandi, anche per un ragazzo all'ultimo anno di medie superiori.

- Ci sono anche gli universitari. - disse Ventus, intercettando i pensieri di Sora. C'erano un sacco di telepati, in quella scuola, o era lui ad essere un libro aperto per chi lo guardava in volto? - La scuola punta a preparare gli studenti all'Università, sin dalla prima infanzia. I più piccoli, entrano a 3 anni. Poi ci sono sei anni di elementari, tre di medie inferiori, e tre di medie superiori. Finito questo percorso di studi, si tentano gli esami di ammissione per le Università più prestigiose del paese. Ma dato che nessuno, neanche chi è stato studente qui, può sperare di superare quell'esame senza un'adeguata dose di studio, la scuola offre anche dei corsi di preparazione, che durano tutto l'anno, e che vorrebbero rendere in grado chiunque di arrivare a passare l'esame. Ci sono anche dei corsi integrativi per singole materie per gli studenti che sono già all'interno dell'Università e vogliono solo un po' di aiuto nello studio. -

- Wow. - si ritrovò a commentare Sora - Ma quanti insegnanti ci sono in questa scuola? -

- Ah, il corpo docenti è stimato intorno ai 500 membri, tra tirocinanti, supplenti ed effettivi. Il tutto coordinato dal Superiore. Il vecchio preside gli ha lasciato il posto, quando ha visto che era decisamente più in gamba di lui. -

Il bruno ebbe un brivido al solo pensiero del volto tetro del Superiore.

- E ora il vecchio preside che fa? -

- Insegna. Non voleva allontanarsi dalla scuola, visto che è stato lui a fondarla, e dato che è ancora in grado di dare molto agli studenti, è tornato a fare quello che faceva prima di diventare preside. -

- Figo. -

- Sì! Però, è il peggior insegnante di sempre, intendo, come cattiveria. Probabilmente, la sua serietà e il suo senso del dovere sono comparabili solo a quelli del Superiore. - un altro brivido percorse la schiena di Sora, che sperò di non trovarsi mai il vecchio preside come insegnante - Ma comunque, prendiamo da mangiare! -

Ventus si comportava come se non si accorgesse del panico che stava prendendo Sora.

Non avrebbe dovuto parlare con così tanta leggerezza di argomenti così orribili, vista la giornata che aveva appena finito di sopportare.

Lui gli porse un vassoio, con un sorriso, e tutti i pensieri molesti si dissiparono nello stesso momento in cui ricambiò.

- Adesso ti presento al cuoco, anzi, allo chef. -

Ventus ridacchiò.

C'erano file e file di teglie contenenti i cibi più disparati, provenienti da ogni cultura.

Più che una mensa, sembrava un enorme ristorante self-service, con tanto di cameriere che sistemavano i tavoli.

Probabilmente sarebbe stato uno di quei luoghi fintamente commerciali, che in realtà erano raffinati, posti di classe.

Sora osservò le pietanze, al di là del parastarnuti, con lo stomaco che gorgogliava.

Però, nella cartella aveva il bento* che gli aveva preparato sua madre con tanto amore, e gli sarebbe dispiaciuto portarlo indietro intonso.

- Oh, guarda, eccolo lì! -

Fece Ventus ad un tratto.

Gli indicò un uomo di spalle, dietro al bancone.

Per la velocità e l'agilità con cui maneggiava i coltelli, sarebbe potuto passare per un sicario.

Stava sminuzzando della verdura, in modo così preciso che ogni fettina aveva le stesse dimensioni.

Sora lo vide pelare tre, quattro, dieci patate, tagliarle a fettine e gettarle nella friggitrice nel giro di un minuto, e nel contempo controllare i pentoloni nei quali bollivano la tempura* e i noodles* per il ramen*.

L'uomo, ancora di spalle, era grande e largo come un armadio a doppia anta, con braccia spesse, muscolose, una schiena dritta e fiera.

Legati in una coda alta e stretta, una cascata di rasta neri gli arrivava fin sotto le spalle.

- Pronto! -

Urlò, con una voce gutturale da vecchio mostro.

Un inserviente, piccolo la metà di lui, corse a scolare l'acqua dalla pentola che l'uomo gli aveva indicato, mentre finiva di friggere le patate e le toglieva dall'olio bollente.

Accertatosi, evidentemente, che erano pronte, le portò al bancone, per farle piovere a cascata nella loro vaschetta.

Fu in quel momento che il suo sguardo si posò su Ventus e Sora, rimasti a fissarlo per tutto il tempo.

L'uomo aveva un viso quadrato, grandi basettoni neri che gli arrivavano a metà degli zigomi, sopracciglia foltissime, anch'esse nere, e sconvolgenti occhi color ametista, profondi come pozzi.

- Ciao Xaldin! -

Lo salutò Ventus, con un sorriso.

L'uomo ricambiò.

Anche se aveva mani grandi, con dita pelose, che dovevano nascondere una forza sovrumana, anche se il suo corpo era un fascio di muscoli robusti, anche se il suo aspetto era più simile a quello di una bestia trasmutata che di un uomo, il suo sorriso era pregno di dolcezza, tanto che Sora rimase spiazzato per la sorpresa.

- Ciao funghetto! Da quanto tempo non ci vediamo! Un'eternità! -

Ventus ridacchiò.

- È passata solo un'estate, Xaldin. -

- Ah, un'estate... - l'omone sembrò pensarci, quasi non fosse convinto - ...solo un'estate, sì! E che hai fatto? Sei andato al mare? -

- Sì, un paio di volte, non mi piace tanto il mare. E tu, che hai fatto? -

Il ghigno divertito sul volto di Xaldin lo illuminò tutto.

- Ho avuto un piccolo flirt...con un'affascinante brunetta...si chiamava Belle. -

- No, dai? E com'è finita? -

- Aveva un fidanzato. Io non lo sapevo. Lo chiamavano “la Bestia”, il perché l'ho scoperto dopo. - scosse la testa con un sorriso - Mi ha gonfiato di brutto. Trauma cranico, e due settimane di ricovero in ospedale! -

Mentre Ventus sgranava gli occhi e sollevava le sopracciglia tanto che quelle andarono a sparire tra i capelli biondi, Xaldin cominciò a ridere di gusto. Anche la sua risata era grossa tanto quanto lui.

Sembrava di sentir ridere una nuvola temporalesca.

- Xaldin ma è orribile! E adesso come stai?! -

- Ah funghetto, non ti preoccupare, sto benissimo! - si batté il petto con un pugno - Sono una roccia io! - un'altra risata grossa e profonda, e poi i suoi occhi ametista si puntarono su Sora, che sembrò aver finalmente visto - E questo scovolino? Da dove l'hai tirato fuori? -

Sora si sentì andare a fuoco per l'imbarazzo.

Non seppe se fu per il soprannome che Xaldin gli aveva appena affibbiato, o se per il fatto che Ventus gli aveva passato un braccio intorno alle spalle, stringendolo a sé.

- Lui è Sora, è nuovo. -

- Uno studente nuovo! Hai avuto la giusta accoglienza? -

Un brivido percorse il brunetto, pensando a Vanitas, e all'identica domanda che gli aveva posto.

- Sì signore. -

Rispose all'istante.

- No ti prego, io sono Xaldin, non “signore”. Signore mi fa sentire orribilmente vecchio, e io vecchio non sono! Dammi pure del tu, scovolino. -

Gli rivolse un altro di quei sorrisi dolci, che cozzavano così tanto sul suo volto aspro.

- Xaldin, gli dai qualcosa di buono? Si è portato il bento da casa! -

Riprese Ventus.

Xaldin si accigliò.

- Ti sei portato...ti sei portato il bento! Ah! - afferrò un paio di piatti fondi e cominciò a riempirli con quello che c'era nei recipienti, abbondantemente - Ora ti faccio vedere. - man mano che erano pieni, li porgeva a Ventus, che si affrettava a metterli sui vassoi - Non appena avrai assaggiato le mie delizie, non vorrai più mangiare il cibo che cucina la tua mamma! -

Riempì i due vassoi di piatti.

Sora guardò il tutto con gli occhi sgranati.

- Ma...io non ho la tessera della mensa...né i munny per pagare tutto quanto! -

- Che tessera! Che munny! Il primo pasto lo offre Xaldin! - gli rifilò una ciotola fumante - Mangia e fatti grande, scovolino! - poi si volse verso Ventus - E a te cosa do? -

- Solo un paio di bacchette in più, grazie. -

L'uomo gli rifilò un'occhiataccia.

- Ehi guarda che quello che c'è su quei vassoi, è tutto suo e lo mangia lui. Tu devi pagare. -

- Daaaaaaaai, non lo finirà mai da solo! -

Gli occhi ametista si ridussero a due fessure brillanti.

- E va bene. - concluse infime l'uomo - Solo per stavolta. Ma non ti offrirò più il pranzo. A nessuno dei due! E ora filate, che mi avete fatto perdere tempo! -

Gli rivolse contro un coltello dalla lama sottile, tirato fuori da chissà dove.

- Buona giornata Xaldin! -

Lo salutò Ventus, spingendo tra le braccia di Sora uno dei due vassoi carichi di cibo.

- Sì, sì. -

Sbottò l'omone, rigirandosi tra le mani un secondo coltello (anche quello spuntato fuori dal nulla).

- Arrivede...- Sora si corresse - Ciao! -

Xaldin gli rivolse un bel sorriso, e un occhiolino.

 

Rimasto un po' indietro, rispetto a Ventus, Sora allungò il passo, cercando di non far cadere niente di quello che aveva sul vassoio.

Ventus si muoveva tra i tavoli, facendo lo slalom. Era piccolo, e veloce, una saetta biondo grano.

Sora con gli occhi cercava di abbracciare tutta la sala.

Intravide qualche suo compagno di classe, ma erano tutti sparpagliati in giro.

Vide anche Roxas.

Lo seguì con lo sguardo finché non si sedette al tavolo con Riku e Vanitas.

Qualcosa dovette spingere il moro ad alzare gli occhi, perché Sora si ritrovò a specchiarvisi dentro.

Lui gli rivolse un sorriso pericoloso, e gli fece “ciao” con la mano.

Preso da un brivido, Sora accelerò, per raggiungere Ventus, e puntò gli occhi a terra.

L'amico si era seduto in un tavolo già occupato, ma che aveva ancora due posti liberi per loro.

Sora si sedette al volo, dando le spalle a Vanitas, di cui ancora sentiva lo sguardo sulla schiena.

- Ha smesso di guardarti, tranquillo. -

Fece Ventus, con tranquillità, dopo qualche istante.

- L'hai visto? -

- Sì. Penso che si aspettasse che te ne fossi tornato a casa, dopo quello che ti ha fatto. -

- E quindi? -

Ventus si strinse nelle spalle.

- Niente, stagli lontano, prima o poi si stancherà di darti noia. -

Sora si volse appena, con la coda dell'occhio vide Vanitas fare lo sgambetto ad una ragazzina, che cadde per terra addosso al suo vassoio, sporcandosi tutta.

Il gesto fece ridere di gusto lui e i suoi due compari.

Solo in quel momento Sora si accorse che intorno al loro tavolo c'era il vuoto. Nessuno si era seduto nei dintorni, lasciando due o tre tavoli completamente vuoti.

Facevano così paura?

La risposta doveva essere sicuramente sì, visto che la ragazzina, con tutta la divisa imbrattata di sugo e le lacrime che scendevano a fiumi dagli occhi, non aveva detto una sola parola, ed era scappata via, il più lontano possibile.

Ventus gli porse le bacchette.

- Hai intenzione di fissarlo tutto il tempo, o mangi? -

- Eh? Ah, sì, scusa! - prese le bacchette e le separò - Buon pranzo allora! -

E afferrò un gamberetto impanato e fritto.

Non appena gli arrivò in bocca, si sciolse deliziosamente. La pastella era granulosa, ma compatta, e il gusto del pesce era esaltato da spezie che non riuscì a riconoscere.

Gli si dovettero allargare gli occhi dallo stupore, perché Ventus ridacchiò sommessamente.

Ci vollero tre secondi netti perché Sora inghiottisse il gamberetto, e cominciasse a ingozzarsi di tutto quello che aveva davanti.

Onigiri*, chawan mushi*, donburi*: erano tutti piatti che sua madre cucinava spesso, a casa, e di cui lui andava ghiotto. Ma c'era qualcosa di più, qualcosa che li rendeva il cibo più delizioso che avesse mai mangiato in tutta la sua vita.

Senza rendersene conto, aveva spazzolato il primo vassoio.

Fu il suo stomaco a farglielo notare, contraendosi dolorosamente.

Aveva ancora tra le bacchette un takoyaki*, quando si accorse di non avere più spazio.

- Troppo pieno. -

Dovette poggiarlo sul piatto, sospirando, tra le risate di Ventus.

- E allora, come cucina il nostro chef? - Sora gli rivolse solo un pollice verso l'alto, mentre si poggiava le mani sulla pancia che stava per esplodere - Immagino che non porterai mai più il bento da casa. -

- Già! Ma ho bisogno della tessera, se non voglio spendere tutti i miei munny, no? -

- Sì, puoi andare in segreteria a fare richiesta anche adesso, te la daranno entro domani. -

Sora si azzardò a mangiare quell'ultimo takoyaki, ma dovette slacciare la cintura della divisa.

Si ritenne soddisfatto.

Con lo stomaco pieno, era più facile sentirsi ottimisti. Non felici, dopo una giornata del genere, ma ottimisti sì, ed era già un bel passo avanti.

Si guardò intorno. Solo adesso si accorse di essere solo con Ventus, mentre gli altri studenti facevano gruppetto nell'altra metà del tavolo.

Si chiese come mai non si fossero uniti alla sua classe, o a qualche suo amico.

- Ventus? -

Si arrischiò a chiedere.

- Mmm? -

Rispose lui, mentre spiluccava un onigiri.

- Hai rinunciato a stare con i tuoi amici per pranzare con me? -

Ventus si esibì in una risatina, amara come il fiele.

- Hai presente che mi hai chiesto quanto sono secchione? -

Gli occhi blu acceso del biondo erano nascosti dall'ombra proiettata dalla frangetta spettinata. Sembrava tenesse apposta il volto leggermente abbassato, perché quell'ombra potesse nasconderglieli.

- Sì...ma stavo scherzando! -

- Lo so. - un fugace sorriso amichevole - Però, la risposta è che sono davvero molto secchione. -

Sora capì dove voleva andare a parare, senza bisogno che lui lo dicesse esplicitamente.

Ventus non aveva amici.

Non pranzava con i compagni di classe.

Non aspettava di unirsi a nessuno.

Non aveva rinunciato a niente offrendogli la sua compagnia.

Era solo.

- Vuoi pranzare con me anche domani? E tutti i giorni dopo domani? -

Disse Sora all'improvviso, spinto da un non ben determinato sentimento, serio e deciso come non mai.

Ventus alzò finalmente il volto, incrociando lo sguardo con il suo.

Per un attimo, un velo leggero di lacrime oscurò il brillare del blu delle sue iridi.

- Perché? -

Sora gli rivolse un sorriso a trentadue denti.

- Perché siamo amici! -

Il cuore di Ventus rispose a quel sorriso battendo più forte, un po' di più, solo un po' di più.

- Sì...siamo amici. -


Note


Il *bentō (お弁当 obentō?) è una sorta di vassoio contenitore con coperchio di varie forme e materiali contenente un pasto, in singola porzione, impacchettato in casa o comprato fuori, comune nella cucina giapponese.

Il *tempura (てんぷら o 天麩羅 tenpura?) è un piatto della cucina giapponese a base di verdure e pesce, impastellati separatamente e fritti.

*Noodles è il nome con cui si indicano dei formati di pasta della cucina cinese, di quella araba o di altre tradizioni culinarie. Sono simili agli spaghetti italiani ma, a differenza di questi, sono una pasta fresca di produzione artigianale e non secca di produzione industriale.

Il *ramen (ラーメン,拉麺 rāmen?) IPA: ˈrä-mən è un tipico piatto giapponese (ma di origini cinesi) a base di tagliatelle di tipo cinese di frumento servite in brodo di carne e/o pesce, spesso insaporito con salsa di soia o miso e con guarnizioni in cima come maiale affettato ( チャーシュー?, chāshū), alghe marine secche (海苔 nori?), kamaboko, cipolla verde e a volte mais.

L'*Onigiri (御握り; おにぎり?) anche conosciuto come Omusubi (御結び; おむすび?) è uno spuntino tipicamente giapponese, composto da una polpetta di riso bianco, con un cuore di salmone (sake),di tonno (tsuna)o altro e vari condimenti possibili come l'umeboshi, il sesamo, ecc. Di solito l'onigiri ha una forma triangolare, con una striscia di alga nori su un lato per poter essere afferrato comodamente.

Il *chawanmushi è un piatto della cucina giapponese che utilizza nella sua preparazione i semi dell'albero Ginkgo biloba. È un budino a base di latte ed uova mangiato in Giappone come antipasto usando comunemente il cucchiaio e servito tipicamente in una ciotola per il tè. Gli ingredienti principali sono svariati e alla base di uova si possono aggiungere funghi, gamberetti bolliti, kamaboko (un tipo di surimi). Viene aromatizzato con salsa di soia, dashi (brodo di pesce) e mirin (sakè dolce da cucina).

Il *Donburi (丼ぶり?) (in kanji: 丼ぶり; in hiragana: どんぶり), a volte abbreviato come Don letteralmente "scodella", è un piatto tipico della cucina giapponese, costituito da pesce, carne, verdure o altri ingredienti lasciati bollire insieme e serviti sul riso. Si tratta di un piatto veloce da preparare e molto sostanzioso. Dispone di molte varianti.

I *Takoyaki (たこ焼き o 蛸焼? letteralmente: polpo fritto o grigliato) sono polpette fritte giapponesi di forma sferica tipiche della cucina di Osaka. Si cucinano dopo aver preparato una pastella fatta con una speciale farina di grano al cui interno viene posto un pezzo di polpo. Altri ingredienti da aggiungere prima della cottura sono i ritagli di tempura (tenkasu), zenzero marinato e cipolla verde. Quando sono pronti, vengono guarniti con salsa Otafuku per takoyaki o equivalente, alga aonori tritata, maionese e katsuobushi (fiocchi di tonnetto striato essiccato e affumicato). Oltre alla ricetta tipica, vi sono altre varianti, specialmente per quanto riguarda la guarnitura finale.


The Corner

Ciao a tutti cari lettori e cari recensori!
buon Ferragosto yeeeeeeeeeee *suona trombette*!
mentre voi state festeggiando a mare, o in giro per il mondo,
io sono qui a pubblicare tristemente *sigh sigh*
pazienza! mi farò consolare da Sora,
tanto con la giornataccia che sta passando ne ha bisogno ahahahahah
comunque, dato che sono buona e cara, e che oggi è festa,
c'è una sorpresa per voi: oggi ben due capitoli verranno pubblicati!
quindi, se siete arrivati così a leggere fino qui, correte al prossimo capitolo!
anche perché, solo lì troverete le informazioni sulle pubblicazioni della prossima settimana ahahahahah

Chii

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Capitolo 7
*** Il bolide fellone ***


Attenzione:
In questo capitolo sono presenti parole contrassegnate con un asterisco, perché sono parole di cui non viene spiegato il significato nel corso della storia; a piè pagine troverete le spiegazioni!


6

Il Bolide Fellone

 

- Mi dispiace non poter rimanere a farti compagnia... -

- Tranquillo! Troverò qualcosa da fare! -

Ventus guardò Sora di sottecchi.

Così sorridente, così sereno, così brillante, come un diamante puro e lucido.

Il suo calore provò a riscaldare il suo petto, e in qualche strano modo vi riuscì.

- Se non avessi il torneo di scacchi, rimarrei con te a studiare... -

Incalzò il biondo, con l'espressione contrita.

- Uffa, ancora? Va bene così! Mi farò un giro...e poi è probabile che io abbia bisogno di un po' di tempo extra per trovare la biblioteca. -

Camminavano lungo il viale alberato che portava alla stazione.

Il sole era alto nel cielo, e brillava come fosse una giornata d'estate.

Sora rimpianse il suono del mare, il fresco dell'acqua, l'andirivieni delle onde, e la sensazione della sabbia tra le dita.

A quell'ora, i suoi amici sull'isola stavano sicuramente correndo sulla spiaggia, liberi dopo una giornata di scuola, godendosi gli ultimi sprazzi di calura estiva.

Wakka di certo si era messo a giocare con il suo inseparabile pallone, asfissiando gli altri perché facessero qualche palleggio con lui.

Avrebbero pranzato con un gelato, e poi sarebbero tornati a casa per studiare per il giorno dopo, senza troppo entusiasmo: con il caldo, non era facile concentrarsi.

Forse la sera si sarebbero visti per guardare le stelle, lamentandosi del fatto che le vacanze estive erano finite troppo in fretta.

Ma poi, con il rumore del mare sempre nelle orecchie e la sua presenza agli angoli degli occhi, potevano finire davvero?

Avrebbero parlato di lui, mentre aguzzavano la vista per intercettare qualche lasciva stella cadente?

O si erano già dimenticati della sua presenza, cancellata dalle onde come una scritta sulla sabbia?

- Sora? - il suo vagabondare smarrito fu interrotto dallo sguardo preoccupato di Ventus. Sora si grattò la testa, ridacchiando imbarazzato. - Dove te n'eri andato? Sembravi in viaggio per un altro mondo! -

- In un certo senso... - biascicò lui, con le guance leggermente arrossate - ...pensavo alla mia isola, e ai miei amici. A quello che staranno facendo adesso...senza di me. -

Mise il broncio.

A Ventus quell'espressione triste spezzò il cuore.

- Eravate...molto uniti? -

Sora sospirò.

- Sì...passavamo insieme praticamente tutte le nostre giornate, d'estate e d'inverno...ci conosciamo da quando eravamo bambini... - per un attimo, un fugace attimo, Ventus fu geloso di quegli amici di cui non conosceva i nomi e i volti. Fu geloso di loro che avevano visto Sora crescere, e che avevano potuto condividere la vita con lui, sin da quando era cominciata. Fu geloso perché non c'era nei suoi ricordi, e non l'avrebbe mai visto e sentito parlare così di lui, con quella nostalgia, con quel tono di voce, con quegli occhi che guardavano lontano. - Però, sono contento di essermi trasferito. Altrimenti non avrei conosciuto te. - Sora gli rivolse il più dolce dei sorrisi, e la gelosia di Ventus si trasformò in vergogna, che pesante come un macigno gli scivolò sul cuore - Di' un po', dov'è che fai questo torneo di scacchi? -

Continuò il bruno, visto che Ventus si era ammutolito di colpo e aveva assunto una strana espressione.

- Uh...al Monte Olimpo. Organizzano sempre dei tornei. -

- Wow, ma allora è una cosa seria! Non sono quei tornei super selettivi dove si vincono munny e cose del genere? -

Il biondo gli lanciò un'occhiata di sottecchi.

Sembrava davvero sbalordito, genuinamente sorpreso.

Il suo entusiasmo lo fece sorridere.

- Sì, quelli. Una cosa da secchioni per un secchione no? -

Sora incrociò le braccia dietro le testa.

- Mmm io non penso che tu sia un secchione. Sei intelligente! Io non potrei fare neanche la metà delle cose che fai tu... -

- Naa...potresti invece! - la risposta di Sora fu uno sbuffo divertito. Di certo, non si immaginava a giocare a scacchi in un torneo internazionale. - Facciamo così, t'insegno a giocare un giorno di questi, ok? -

- Va bene, ma non farmi vincere. -

Ventus rise.

- No, non lo farò! -

Arrivarono alla stazione.

C'era poco via vai. Ormai, tutti quelli che potevano tornare a casa l'avevano fatto.

A scuola rimanevano solo i membri dei club, e chi voleva approfittare della biblioteca per studiare.

Un ultimo treno era in partenza per Traverse Town. Ventus doveva prendere una coincidenza in città, per andare al Monte Olimpo.

Si avvicinarono al binario, camminando fianco a fianco in silenzio.

A Sora piaceva anche la sua silenziosa compagnia. Non c'era bisogno che riempisse i vuoti con parole inutili. Non si sentiva per niente a disagio.

Arrivati al treno, Ventus indugiò sul primo gradino per salire sulla carrozza. Si volse indietro appena un attimo.

- La prossima volta, ti aiuto a studiare, davvero. -

Sora gli diede una piccola spinta.

- Vai su! Smettila di dirlo e vinci il torneo piuttosto! -

- E fino alle cinque che farai? -

- Riorganizzerò le idee, farò un giro, scoprirò le potenzialità nascoste della scuola... -

Elencò Sora, contando sulle dita.

- Ti annoierai a morte... -

Aggiunse Ventus, con lo stesso tono.

- Quanto si vince a questo torneo? -

- Non cambiare argomento! -

- Eddai! -

Il biondo alzò gli occhi al cielo, con un sorriso.

- Mille munny. -

Sora quasi si affogò con la saliva.

- Mille?! Mitico! E che cosa ci comprerai?! -

- Lo dici come se fosse scontato che vincerò. -

- Infatti, lo è. - asserì Sora, annuendo serio - Allora, che ci compri? -

- Mmm... - Ventus ci pensò su un attimo - ...penso che li metterò da parte per l'Università... - lo sguardo sgranato di Sora lo fece sorridere - Ho detto una cosa da secchione, vero? -

- Giusto un po'. - i due si guardarono in faccia e scoppiarono a ridere. Il capotreno mandò un fischio, annunciando ai passeggeri e al macchinista che il treno era in partenza. - Ciao Vi-chan*, in bocca al lupo! -

Ventus sentì un piacevole pizzicore sul fondo dello stomaco.

- Nessuno mi aveva mai chiamato Vi-chan! -

La porta della locomotiva si chiuse in faccia al biondo quando ancora non aveva finito di parlare.

- Io posso? -

Il rumore dello sferragliare del treno coprì la voce di Sora.

- Cosa?! -

Urlò Ventus da dentro il vagone, la voce attutita dal vetro.

- Io posso?! -

Il treno cominciò a muoversi sui binari, prendendo lentamente velocità.

- Non ti sento! -

- IOOOOO POOOOOOOOSSOOOO?! -

Sbraitò Sora, con le mani a coppa davanti alla bocca.

Ventus rise di cuore.

- Sìììììììì!!! -

Il bruno sventolò le mani finché il treno non fu più in vista.

Gli venne da ridere quando si rese conto di aver appena offerto al capotreno quella che sarebbe potuta essere la scena di un film.

Però non se ne vergognava, anzi.

Pensò a Ventus e al suo sorriso con piacevolezza.

Mentre usciva dalla stazione, non riusciva a non tenere le labbra tese verso l'alto.

Tutti i pensieri nostalgici che l'avevano preso non avevano più importanza, anzi, sembravano essere finiti nel dimenticatoio.

I giorni passati sulle Isole del Destino erano un lontano ricordo, che forse appartenevano a qualcun altro.

Tornò sul viale, fischiettando allegro.

C'era ancora tempo, e non aveva molta voglia di infilarsi in biblioteca e cominciare a studiare per conto suo.

Il suo lato indolente e pigro cominciava a prendere il sopravvento su quello spaventato e umiliato che aveva regnato indiscusso per tutta la giornata.

Voleva dare un'occhiata in giro.

Sapeva che la scuola aveva una cittadella sportiva con due piscine, una coperta e una scoperta, un campo per la corsa campestre e uno da calcetto. C'era anche una grande palestra, con gratinate in grado di contenere buona parte degli studenti durante le manifestazioni sportive nel caso il tempo non fosse buono abbastanza per stare fuori. Da qualche parte doveva esserci anche il campo da pallavolo all'aperto.

Visto che era una bella giornata, era probabile che il club di pallavolo di Kairi stesse giocando all'esterno.

Non voleva sembrare uno stalker, e finire per spiarla. Quindi allontanò con tutte le sue forze il desiderio pulsante di vederla.

"Chissà dov'è il campo di calcetto...” finì col chiedersi, giusto per allontanare il pensiero da Kairi.

Vagò per un po', all'ombra della scuola, che sembrava volerlo sovrastare.

Il suo sguardo finì sulla finestra dell'ufficio del Superiore, e gli venne un brivido.

 

Fece il giro del plesso, e scoprì che la famosa cittadella sportiva dava bello sfoggio di sé sul retro.

C'era un enorme spiazzo, che doveva fungere da parco gioco per la ricreazione dei bambini della scuola materna, con scivoli, giostre, animali a molla, e strutture per arrampicarsi.

Subito oltre, delimitato da una serie di gratinate di legno, c'era il campo da calcetto, fervente di attività.

Due squadre da cinque elementi si stavano affrontando in quella che sembrava una partita di allenamento.

I capitani delle sue squadre avevano fasce colorate al braccio destro per distinguersi meglio dagli altri giocatori.

Si erano divisi le maglie, rosse e blu, mentre i capitani tenevano sul braccio una fascia nera e una bianca.

Sora si sedette sul primo scalino della gratinata, con la faccia tra le mani, guardandoli giocare.

Erano piuttosto esagitati, per essere in allenamento. Giocavano come se fosse una cosa seria.

Il capitano con la fascia nera (che era a capo dei blu) urlava ordini a destra e a manca ai suoi quattro compagni senza riscuotere molto successo: facevano quello che gli pareva, passandosi la palla andando contro i suoi suggerimenti. D'altronde c'era anche da aspettarselo, visto che quello che diceva il 99% delle volte era una contraddizione con quello che aveva detto un attimo prima.

Era un ragazzo magro e alto, con capelli biondo scuro rasati ai lati della testa e pettinati a spazzola, verso l'alto, al centro, con tre ciuffetti spettinati che gli scendevano sulla fronte. Sopracciglia sottili erano disegnate sopra occhi color verde lime, grandi e monelli, come quelli di un bambino.

Non c'era modo di convincere i ragazzi a cooperare e coordinarsi con quello che diceva, e lui sembrò accorgersene solo quando subirono l'ennesimo goal da parte dell'altra squadra.

Il ragazzo si arrabbiò moltissimo. Pestò i piedi per terra e strillò che non era possibile giocare in quel modo, e che dava forfait.

- Smettila di fare il rotto in culo, se non riesci a fare il capitano non è colpa loro! -

Lo apostrofò uno dei giocatori dell'altra squadra.

- Rotto in culo a chi? Vieni a dirmelo in faccia, frocio del cazzo! -

Strillò in risposta il biondo, avvicinandosi con un'espressione pericolosa al ragazzo che aveva parlato.

Si sentì un fischio, e un omone dinoccolato si infilò tra i due, afferrandoli per la collottola.

- La vogliamo smettere? - fece l'uomo. Nella tuta da ginnastica nera che indossava sembrava trasandato, ma il suo corpo allenato diceva tutt'altro; parlava di lunghe giornate passate in palestra, e ore di sudore e stanchezza. Il volto era duro, sfregiata sul lato sinistro da una cicatrice, che attraversava tutto lo zigomo fino alla base del naso. Sull'occhio destro teneva una benda nera, mentre l'altro era una perla ambrata di pericolosa brillantezza. I capelli neri come la notte erano legati in una coda, che raccoglieva anche i ciuffi bianchi che partivano dall'attaccatura della fronte. - Vi state comportando tutti e due come dei rotti in culo, smettetela o non vi aiuto più negli allenamenti. - i due ragazzi si zittirono immediatamente. L'occhio buono dell'uomo sondò li sondò entrambi, come se si aspettasse che dicessero la parola che sarebbe diventata la goccia che fa traboccare il vaso. - Demyx - si volse verso il biondino - il tuo problema è che non sai cosa devi dire ai tuoi compagni di squadra, fai tutto come se potessero leggerti nel pensiero, e poi cambi strategia troppo velocemente! Scegli una linea di gioco e seguila, cazzo! -

- Va bene. -

Sbottò il biondo, Demyx, nero in volto come lo sarebbe un bambino a cui sono state tolte le caramelle.

- Forza, giocate. -

L'uomo infilò il fischietto tra le labbra sottili. Aspettò che i due capitani si mettessero l'uno di fronte all'altro, palla al centro, prima di fischiare; e la partita ricominciò.

Sora rimase a guardare l'omaccione guercio.

Doveva essere l'allenatore della squadra, o qualcosa del genere.

Metteva paura con quell'unico occhio dall'iride brillante. Sembrava un cecchino pronto a sparare.

Fissava tutto con sguardo famelico, senza farsi sfuggire niente.

I ragazzi apparentemente si autogestivano, ma bastava far cadere lo sguardo sull'uomo per accorgersi che era lui a dirigerli, senza bisogno di dire una sola parola.

Sora si chiese come mai non si fosse accorto prima della sua presenza. Forse era perché rimaneva in disparte dall'altra parte del campo, seduto in panchina, a monitorare la situazione.

Era affascinante e terrificante al tempo stesso.

Dal modo in cui parlava, si capiva che aveva un rapporto informale con i ragazzi; doveva seguirli da molto tempo, e conoscerli abbastanza bene da permettersi un linguaggio sboccato.

Ma non era da escludersi, viste anche le sue apparenze, che fosse semplicemente un aspetto del suo carattere.

- Attento! -

Sora non sentì l'urlo, impegnato com'era a fissare il guercio.

Però, sentì benissimo l'impatto del cuoio sulla sua faccia e il dolore che partì dal naso e si espanse come una fiammata fino agli occhi che immediatamente lacrimarono.

Il colpo lo fece rinculare indietro, mentre il pallone da calcio di cuoio rimbalzò lontano, e lui cadde riverso sulla schiena.

La vista gli si oscurò, i suoni si fecero ovattati.

- Oh cristo, l'hai preso in pieno! -

Disse una voce incorporea.

- L'ho avvertito, non è colpa mia! -

- Toglietevi di mezzo! -

Quella era la voce dell'uomo guercio, di sicuro. Anche se Sora non avrebbe potuto dirlo.

Batté le palpebre diverse volte, cercando di mettere a fuoco le figure slavate che aveva di fronte.

Il viso del guercio fu la prima cosa che gli riuscì di vedere quando finalmente i suoi occhi tornarono a funzionare.

Al suo fianco sinistro, un ragazzo dalla scombinata capigliatura rossa lo fissava, preoccupato. Aveva due occhioni color smeraldo, contornati sopra e sotto da un filo di eye-liner vinaccia. Aveva due triangolini rovesciati, dello stesso colore dell'eye-liner, tatuati sulle guance, e la più preoccupata delle espressioni dipinta sul volto sottile dalla carnagione pallida, sbarbato, dal naso lungo e le labbra carnose.

- Ehi, ci sei? -

Lo chiamò il guercio.

Sora sbatté ancora le ciglia, e fissò le due iridi cerulee su di lui.

- Sì...ci sono. -

Rispose.

Qualcuno lo aiutò a mettersi seduto (non capì se fosse stato il rosso o il guercio), e si ritrovò al centro di un cerchio di ragazzi che lo fissavano.

- Bene, tirati su, ce la fai? - continuò l'omaccione. Senza aspettarsi una risposta lo tirò su per un braccio, e lo mise in piedi a forza. Qualcosa di liquido cominciò a scendergli giù dal naso. Sora osservò le goccioline rosse che cadevano sulla camicia di Ventus. Per un attimo pensò che lui si sarebbe arrabbiato, e che sarebbe stato difficile far venir via quelle macchie. Poi la testa cominciò a girargli, e le gambe gli cedettero. - Oh, oh, oh. - due braccia grosse lo ressero, per evitargli una dolorosa caduta - No, non ce la fai. Axel, Demyx, portartelo in infermeria. -

- Noooo perché io! -

Piagnucolò il biondo Demyx.

- Perché ho deciso così, forza. -

Urlò il guercio, e Demyx rabbrividì per il pericoloso tono di voce che aveva usato.

Il rosso dalla strana pettinatura lo afferrò per un braccio, mentre il biondo si portò all'altro fianco.

Se lo caricarono praticamente sulle spalle, visto che non riusciva a reggersi in piedi.

- Ma che cacchio hai combinato, l'hai tramortito. -

Fece Demyx sottovoce.

- Non era un calcio così forte! -

Ribatté lui, come a volersi giustificare.

- No, certo. Era una cannonata. Dritta in faccia al ragazzino. -

- Sora... -

Biascicò l'interessato, che anche se semi-incosciente riusciva ancora a capire che stavano parlando di lui.

- Sora. - ribadì il rosso - Mi dispiace di averti colpito...non miravo di certo a te. -

- No, tu non miri mai, hai la stessa precisione nei lanci di un topo cieco. Però è capo cannoniere, ci crederesti? -

Borbottò Demyx, tutto imbronciato come un bambino.

- Penso di farcela, adesso. -

Fece Sora ad un tratto, più o meno quando si accorse che lo stavano portando come un sacco di patate; non voleva essere di peso a nessuno, neanche dopo aver ricevuto una pallonata in piena faccia.

I due ragazzi lo lasciarono nello stesso istante.

- Tieni, prima di morire dissanguato. -

Il rosso gli porse un fazzoletto, e Sora se lo portò subito al naso.

Ormai la camicia era irrimediabilmente macchiata di sangue.

Ora che era più lucido, Sora si chiese come avrebbe fatto a giustificare il tutto a sua madre. Forse, se avesse chiuso la giacca della divisa...non se ne sarebbe accorta. Ma poi chi gliel'avrebbe lavata? Doveva restituirla a Ventus!

Si chiese anche come mai si stesse facendo tanti problemi, visto che il più grosso era che poteva avere il naso rotto, se considerava il dolore atroce che sentiva.

- Mi dispiace, mi dispiace davvero. - fece il rosso, e sembrava dispiaciuto sul serio - Ti fa male? -

- Un po'. -

La voce di Sora era attutita dal fazzoletto, e leggermente nasale.

- Fa' un po' vedere. - chiese il biondo. Sora allontanò il fazzoletto. Il naso cominciava a tumefarsi, e si era gonfiato. Tutto il viso, in generale, era arrossato, e incrostato di sangue. - Ahi, non ha un bell'aspetto. -

Il rosso gli diede una spallata, e riempì il campo visivo di Sora, per accertarsene di persona.

In effetti, non aveva davvero un bell'aspetto. Come non lo avevano gli occhioni blu del ragazzino, resi giganteschi dal dolore, e lucidi dalle lacrime.

- Merda! -

Sbottò il rosso. Si passò una mano sul volto, disperato.

- Ora gli passa. - fece il biondo, con un gesto pigro della mano - A proposito, io sono Demyx, e lui è Axel, ma puoi chiamarlo “quello-che-mi-ha-fracassato-il-naso”. -

Per qualche ragione, Sora provò a fare un sorrisetto, anche se una fitta di dolore lo trasformò in una smorfia.

- Demyx ti ammazzo! - lo apostrofò Axel, che minacciò l'amico con un pugno alzato. Lui si portò indietro, proteggendosi il volto con entrambe le braccia. Il rosso alzò gli occhi al cielo, disperato. Poi cambiò tono, e atteggiamento, e si rivolse a Sora con gentilezza. - Adesso andiamo in infermeria, va bene? Ti rimetteranno a nuovo. - Lui si limitò ad annuire.


Note

*Vi-Chan:
il chan utilizzato come vezzeggiativo, propriamente verso i bambini con i quali nel linguaggio occidentale corrisponderebbe all'appellativo "piccolo/a" o ad un diminutivo (es. Carletta, Luigino). Può però (ed è diffusissimo in tal senso) essere utilizzato anche fra persone adolescenti o adulte e in questi casi indica forte amicizia e confidenza, come per esempio fra amiche di scuola, ma può indicare anche affettuosità e un certo grado di intimità, come fra coppie o fra parenti più grandi verso parenti più piccoli (es. la madre al figlio). Generalmente si utilizza più spesso e con connotazioni meno strette fra ragazze, mentre se usato da un ragazzo per rivolgersi ad una ragazza non parente è più probabile che indichi che vi sia un rapporto particolare fra i due (es. fidanzati o amici d'infanzia), altrimenti i ragazzi chiamano le ragazze (per esempio le compagne di scuola) con il cognome seguito dal -san, ed anch'esse chiameranno i maschi per cognome (spesso con il -kun), mentre è comune chiamarsi per nome fra persone dello stesso sesso. Fra amici maschi è più raro e ha prevalentemente sfumature scherzose o ironiche o deriva da una lunga amicizia. Rivolto ad un uomo può però anche risultare offensivo. Utilizzare -chan con persone adulte che si conosce appena può essere visto come scortesia. Viene utilizzato anche per gli animali domestici. Il -chan può essere usato anche dopo un'abbreviazione del nome.
In questo caso, Sora utilizza il -chan abbreviando il nome di Ventus, come faremmo chiamando "Elisabetta" "Eli", o "Alberto" "Al" e via dicendo.

Un grazie speciale a:
_Mango_, _NekoRoxyChan_ e Hiryu Highwind per le recensioni, e a tutti coloro che hanno inserito questa storia tra le seguite/preferite/ricordate!

The Corner

Ciao di nuovo!
siete arrivati fino a qui?
braaaaaavi!
povero Sora, gliene andasse una giusta! una!
sembra che la sfiga si sia aggrappata al piccoletto, e che non abbia intenzione di lasciarlo andare!
almeno, ogni tanto, trova qualcuno di buono che lo aiuta!
coooooomunque, avvertimenti per la prossima settimana:
la pubblicazione avverrà regolarmente giovedì prossimo, 22 Agosto!
un bacio a tutti :)

Chii

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Capitolo 8
*** Un amico ogni venticinque milioni di nemici ***



Attenzione agli asterischi!
La spiegazione, la trovate giù ;)


7

Un amico ogni venticinque milioni di nemici

 

Sora aveva le vertigini, più per la quantità di sangue che vedeva sulla camicia di Ventus, che per altro.

Axel lo reggeva per un braccio, e lui provava davvero a muovere qualche passo incerto, ma non si sentiva più le gambe, ed era contento che il rosso fosse al suo fianco.

Quello che sentiva, era il suo sguardo smeraldino puntato addosso, quasi come se avesse voluto sistemargli il naso con una sola occhiata.

Ma Sora aveva l'impressione che sarebbe servito molto più di una semplice occhiata preoccupata.

Con un filo d'ansia pensava a come avrebbe reagito sua madre, venendo a sapere tutto quello che era successo in quell'unica, misera, giornata scolastica; però, la parte ansiosa era stata messa a tacere da quella che piangeva e si disperava per il dolore, e al momento era la parte dominante.

Per colpa delle lacrime, che da sole decidevano di riempirgli gli occhi cerulei, ci vedeva tutto sfocato, e non era certo di dove lo stessero portando Axel e Demyx.

- Ci siamo quasi. -

Disse la voce del rosso, vicino al suo orecchio.

Lui riuscì solo ad annuire, mentre il biondo si portava avanti e apriva per loro una porta, gridando come fosse inseguito dal Demonio in persona.

- Ma che modi sono! -

Fu la risposta al modo poco cordiale di Demyx di irrompere in infermeria.

- Scusi, è un'emergenza! -

Fu la risposta del biondino.

Se Sora avesse potuto vedere bene, avrebbe visto Demyx con gli occhi sgranati da cucciolo spaventato, che si gettava quasi ai piedi dell'uomo in camice bianco che aveva davanti.

Ma, non poté vederlo.

L'unica cosa che gli riuscì di vedere, fu il volto anziano dell'uomo che gli si piantava davanti agli occhi.

- Ma che cosa gli avete fatto? -

Digrignò l'uomo in faccia a Sora.

Emanava un profumo freddo. Come poteva un profumo essere freddo, non lo sapeva, però era quella la sensazione che gli lasciava: un brivido gelido lungo tutto il corpo, che raggiungeva le narici per scendere nella gola, come un sorso d'acqua ghiacciata.

- È stato un incidente! - questo era di nuovo Axel, che cercava ancora di giustificarsi - L'ha colpito una pallonata. -

- Una tua pallonata. -

Ci tenne a precisare Demyx.

Sora fu certo che la temperatura di Axel si fosse alzata all'improvviso, perché sentì il suo corpo più caldo che mai, e per un attimo ebbe paura che prendesse fuoco.

- Sta' zitto! -

E fu una saetta abbastanza infuocata da zittire il biondo, almeno per un po'.

- Non m'importa di chi sia stata la pallonata! - le parole dure dell'uomo, come stiletti di ghiaccio, raggelarono i due all'istante. Aveva l'erre moscia, e un tono di voce stridulo. - Mettilo sul lettino, muoviti. -

Axel non se lo fece ripetere.

Aiutò Sora a stendersi sul letto, e lui sospirò: in posizione orizzontale, la testa smetteva di girargli, e cominciava a vederci un po' più chiaro.

Il medico gli si avvicinò.

Nascosto da una cascata di capelli biondo spento, il suo viso asciutto e vecchio era ravvivato solo dagli occhi, che erano di un verde gelido e spesso da non sembrare umano.

Dopo essersi infilato un paio di guanti bianchi, l'uomo cominciò a tastare il volto di Sora, che riuscì ad esibirsi in un paio di smorfie di dolore.

- Per vostra fortuna non è rotto. - sbottò l'uomo, privo di tatto. Si sentì chiaramente il sospiro di sollievo dei due ragazzi, mentre Sora, strizzando gli occhi, metteva a fuoco l'infermeria. Era un ambiente completamente bianco, asettico, con pochi essenziali oggetti: un paio di lettini separati tra loro da tende di stoffa leggera, una scrivania, un paio di scaffali colmi di libri, e diverse teche con roba medica non meglio identificabile. - È solo fortemente contuso. - si alzò, per andare a prendere quelli che solo dopo Sora identificò come acqua ossigenata e cotone idrofilo, che prontamente gli passò sul viso per pulirlo dal sangue - Ragazzino, ti applico una piccola fasciatura, così non dovrebbe gonfiarsi troppo. Anche se non è niente di che, è comunque un trauma, cerca di non fare eccessivi sforzi o avrai ancora epistassi. In una decina di giorni dovresti stare meglio. Hai capito? -

Con una vocina piccola piccola, Sora rispose “sì”. Allora, l'uomo cominciò ad applicargli la fasciatura, senza aggiungere altro.

Gli pose una garza semi-rigida sul naso, e premette forte per farle prendere la forma (due lacrimoni scivolarono giù dagli occhi di Sora, ma non si fece sfuggire un lamento); vi applicò sopra un cerotto rettangolare per fissarlo al viso e concluse con uno sbuffo indignato.

Con la vista migliorata dalla posizione supina, Sora poté mangiarsi con gli occhi “quello-che-mi-ha-fracassato-il-naso”, come l'aveva definito il biondo.

Aveva uno sguardo così dispiaciuto, che non se la sentì di andargli contro.

Lui gli si avvicinò, tutto stretto in se stesso, le sopracciglia corrucciate in un'espressione ansiosa. I segni che aveva tatuati sul volto sembravano due piccole lacrime, e questo non faceva che far nascere in Sora un certo senso di colpa: come poteva prendersela con uno che aveva quella faccia?

- Ti senti meglio? -

Per qualche motivo, quello sguardo smeraldino lo fece avvampare.

- Sì, ehm... -

Rispose, senza trovare il nome del rosso. Eppure, era certo di ricordarlo solo qualche istante prima.

- Axel. - fece lui, puntandosi il pollice sul petto - A-x-e-l, got it memorized? -

- “Got it memorized?” - gli fece il verso Demyx, gettandosi su di lui da dietro - Sei talmente noioso. Oggi te l'ho sentito dire almeno dieci volte. -

- Scollati Demli-boo. -

- Oh ma...chi ti ha detto...come conosci Demli-boo?! -

- È stata la tua mammina a dirmelo, l'altra notte. -

Sora ebbe l'impressione che quei due si sarebbero saltati addosso a vicenda, e si sarebbero presi a pugni finché l'uno o l'altro non fosse morto. Eppure, allo stesso modo, capì che sarebbe rimasto tutto nell'ambito di un affetto amichevole, espresso a suon di pugni, ma sempre di affetto si trattava.

Anche se continuavano a punzecchiarsi, dovevano essere ottimi amici.

- Basta, tutti e due! - sbottò l'uomo in camice. Da lui, invece, non spirava nessuna buona sensazione, non come da Axel e Demyx almeno. - Ringraziate il cielo che non vado dritto dal Superiore a raccontare della vostra bravata! -

- È stato un incidente... -

Piagnucolò Axel a bassa voce.

- Non m'importa, potevate fargli davvero male, e se gli aveste rotto il naso, o deviato il setto? Siete dei combinaguai! Fosse la prima volta! È sempre un incidente, vero, A-x-e-l? - il rosso rabbrividì tutto, e sembrò farsi minuscolo, benché potesse sovrastare per stazza l'uomo in camice - Mi arriva un ragazzo contuso ogni due giorni! -

- Non è vero...! -
- No, eh? Guarda che lo so che sei tu, ti vedo giocare, anche se non hai il coraggio di venire qui a portare di persona le tue vittime, vero? -

Axel annaspò alla ricerca di una risposta, senza però trovarla.

- Vexen, Vexen, Vexen. - fu automatico per tutti voltarsi verso la voce, tranne che per Sora, che steso sul lettino non riuscì a vedere a chi appartenesse - Non prendertela con il capitano della mia squadra. -

- La tua squadra! Ah! - sbottò l'uomo in camice - Conosco come le mie tasche la tua squadra! Liahm, terzino laterale, tibia sinistra lussata; Anthya, difensore centrale, terza e quarta costola destra incrinate; Tom, centrocampista di fascia, capitello radiale sinistro fuori sede! -

Sembrava pronto a continuare la sua lista di infortuni all'infinito, ma fu interrotto dall'ultimo venuto.

Sora si tirò su a sedere, lentamente, e poté vederlo: era l'allenatore, il guercio.

- È normale nel calcio farsi male qualche volta. E poi sono ragazzi, giocano con entusiasmo. -

- Un entusiasmo che li manderà all'obitorio! -

- Oh Vexen, non fare lo iettatore. - il guercio si toccò platealmente le parti intime - Porti una sfiga che più che il medico avresti dovuto fare il beccamorto. -

- Il necroforo è un mestiere di tutto rispetto, e provoca meno danni collaterali delle tue partite di calcio. - sembrava che l'avesse presa sul personale - E in più, la tua concezione di “porta sfortuna” è del tutto errata, dato che il necroforo si occupa solo di dare una degna sepoltura ai morti, e non ha niente a che fare con la sfortuna. -

Il guercio fece uno sbuffo e alzò gli occhi al cielo.

- Santo Dio, mi hai annoiato a morte. Seppelliscimi, visto che è questo il tuo mestiere. -

Demyx e Axel stavano visibilmente trattenendosi dal ridere, e la cosa dava man forte al guercio, che aveva messo su un'espressione strafottente di vittoria.

- Adesso vi butto fuori, a tutti e quattro! -

- Anche a quel cosino lì? - il guercio indicò Sora, che sgranò gli occhi - Ma lui è una povera vittima. -

- Una vostra vittima, quindi ha a che fare con voi, fuori, fuori, fuori! -

E fu così che li buttò veramente fuori, compreso il cosino, cioè, Sora.

Il guercio se la rise di gusto, anche se il medico gli aveva appena sbattuto in faccia la porta dell'infermeria.

- Che tipo. - fece l'omone, estremamente divertito. Poi affondò una mano tra i capelli di Sora, e glieli spettinò amabilmente. - Come stai cosino, ti sei ripreso? -

- Un po'...sì... -

Si ritrovò a balbettare il ragazzino.

- Axel dovrei punirti per quello che hai fatto. - il rosso mise su un broncio record, che intenerì il cuore di Sora - Però, visto che le tue cannonate stendono anche i giocatori delle squadre avversarie, per questa volta passi. - diede un pugnetto amichevole sul braccio del ragazzo.

- Non volevo colpirlo, lo giuro. -

- Sì, sì, ti crediamo... -

- Oh ma non vuoi starti zitto Demli-boo! -

- Non chiamarmi Demli-boo! -

Ecco che di nuovo il biondo e il rosso si saltarono al collo l'un l'altro.

Il guercio alzò gli occhi al cielo. Li afferrò per la collottola, e li separò.

- Risparmiate tutta questa energia per la partita di domani, eh? -

I due si rivolsero reciprocamente una linguaccia, e il guercio ridacchiò contento, lasciandoli andare.

Axel incrociò le braccia al petto, scocciato, mentre Demyx continuava ad esibirsi nelle smorfie più fantasiose.

A Sora venne naturale sorridere della scena.

Si chiese se per caso non fosse colpa della pallonata in piena faccia che aveva preso che magari gli aveva causato un qualche danno celebrale, ma quei tre gli stavano davvero simpatici.

In qualche strano modo, erano stati tra i pochi a non trattarlo come un rifiuto umano, e che si erano preoccupati di lui.

Di certo, conoscerli rientrava nella lista delle poche cose buone che erano successe durante la giornata.

Dopo Ventus, e Kairi, ovviamente.

Sora li seguì per i corridoi, visto che non aveva idea di come tornare fuori, mentre i tre battibeccavano allegramente tra di loro.

Axel, ogni tanto, si voltava ad aspettarlo, e gli rivolgeva un sorriso, come a volerlo rendere partecipe.

Era gentile il modo che aveva di guardarlo, preoccupato e amichevole al tempo stesso.

Tornarono al campetto, dove gli altri ragazzi stavano continuando a giocare.

Il guercio soffiò con quanto fiato aveva dentro il fischietto che portava al collo. Cominciò a sbraitare ordini a destra e a manca per riorganizzare i ruoli dei giocatori ora che i due ragazzi erano tornati.

Axel poggiò una mano sulla spalla di Sora.

- Se hai voglia, puoi giocare con noi. Sei un po' piccolo, però un ruolo potremmo trovartelo. -

Sora si sentì arrossire.

- No...io non so giocare...e poi...il naso... -

Provò, titubante.

Il rosso sorrise amabilmente.

- Bhè questo è l'ultimo anno, e anche di Demli-boo, quindi qualcuno dovrà prendere il nostro posto. Se ti presenti alle selezioni per la squadra, potrei mettere una buona parola per te. -

- Grazie...ci penserò. -

- Almeno, vieni a vederci giocare domani! -

S'intromise Demyx, abbracciandolo da dietro.

L'affetto spontaneo ed eccessivo del biondo fece venire i brividi a Sora, che però Demyx sembrò ignorare del tutto.

- Verrò sicuramente. -

- Demli-boo, Axelgor*, stiamo aspettando voi principessine! -

Strillò il guercio, con le mani a coppa davanti alla bocca.

Axel sospirò, e alzò gli occhi al cielo.

- Quand'è che impara che quel Pokémon si chiama “Accelgor*" e non “Axelgor”? - disse, come se fosse una questione di rilevante importanza - Bhè, comunque. - scosse la testa e rivolse un sorriso a Sora - Ci si vede, eh? Domani, alle 19, qui al campetto, got it... -

- Memoriiiiiized? -

Terminò Demyx per lui, ridendo sguaiato.

- Ti picchio a sangue Demli-boo! -

Il biondo scappò via, esibendosi in urletti isterici.

Axel si volse solo un attimo per salutare Sora portandosi due dita di taglio alla fronte, e contornando il tutto con un occhiolino.

Tornarono a giocare, con la stessa violenza di prima.

I tiri di Axel sembravano palle di cannone infuocate, che non sempre (quasi mai) giungevano all'obbiettivo. I suoi compagni di squadra dovevano essere abituati a scansarli, perché arrivò a colpire qualcuno di loro solo di striscio.

Sora scosse la testa, sorridendo. Era meglio togliersi di lì, prima di finire in mezzo ad un altro “incidente”. Ne aveva avuti abbastanza per quella giornata.

Deciso a trovare la biblioteca, e restarci fino all'orario di tornare a casa, raccolse le sue cose e s'incamminò.

 

Ci impiegò due ore buone per trovare la biblioteca, e questo dopo aver chiesto informazioni agli studenti che trovava in giro.

A quanto pareva, la biblioteca era un plesso a parte, un edificio tanto grande che Sora si chiese quanti soldi dovesse essere costato.

Quando ci si ritrovò davanti, si chiese se non fosse grande quanto la scuola stessa.

Era un grosso edificio rettangolare, con una facciata piena di vetrate che davano sull'interno. Si potevano intravedere gli scaffali piedi di libri, e i lunghi tavoli sistemati nei vari corridoi, per permettere gli studenti di studiare.

Il solito, ormai noioso, simbolo della scuola svettava sulla facciata.

Dovevano essere molto affezionati a quello stemma, per metterlo dappertutto.

Prima di entrare in biblioteca, Sora abbottonò per bene la giacca della divisa.

Con tutti i bottoni chiusi, non sembrava appena uscito da un film splatter horror pieno di sangue.

Non si era neanche guardato allo specchio. Non aveva idea di come apparisse.

Perché l'idea gli mettesse tanta agitazione, fu chiaro non appena se lo chiese.

D'altronde, stava per passare tutto il pomeriggio con Kairi...

Gli venne un fremito di piacere che lo fece sorridere.

Ci doveva sicuramente essere un bagno in biblioteca, dove potersi dare una sistemata alla meno peggio.

Con il cuore un po' più leggero, aprì la porta ed entrò.

L'ambiente era immerso nella semi-oscurità, e la prima cosa che gli arrivò addosso fu un fortissimo odore di chiuso, carta stampata e detersivo al limone, che gli fece venire voglia di starnutire. Anche con il naso ridotto in quello stato, lo sentiva benissimo.

All'ingresso, qualcuno si schiarì la gola, attirando la sua attenzione.

Sora spostò gli occhi sul bancone posizionato alla sua destra.

Era munito di computer, vari blocchi di fogli, penne, e di un guardiano dagli occhi di ghiaccio che lo fissava corrucciato.

Era un uomo veramente enorme, come un armadio a due ante, e altrettanto alto.

Dalla scombinata e corta massa di capelli arancione scuro, e il viso quadrato come fosse stato scolpito nel marmo, l'uomo gli lanciò uno sguardo che non ammetteva repliche.

Sora deglutì a vuoto e si avvicinò al bancone.

- Buongiorno io... -

Cominciò Sora, con un tono di voce innalzato di un paio di ottave, e nasale per colpa della fasciatura.

L'uomo si schiarì ancora la gola. Con la punta della penna che teneva tra le mani picchiettò su di un cartello fissato al muro con puntine da disegno accanto al bancone.

In biblioteca si prega di mantenere un tono di voce adeguato, è un luogo di studio e silenzio. Rispettatelo!”

Il ragazzino capì che lo stava sgridando indirettamente, e arrossì tutto.

- Ehm...scusi. - sussurrò, abbassando il più possibile il volume della sua voce - ...sono venuto per studiare con dei miei compagni... -

L'uomo annuì, quasi compiaciuto che lui fosse venuto per studiare e non per perdere tempo.

Con la penna picchiettò su di un altro cartello.

È vietato portare borse all'interno della biblioteca. Zaini e simili devono rimanere all'ingresso negli appositi armadietti.”

E subito dopo gli indicò la fila di armadietti che aveva alle sue spalle.

- Oh, sì, certo. -

Si affrettò a sussurrare Sora.

Tenne solo il portapenne e i quaderni, il resto lo infilò in un armadietto. Lo chiuse e mise la chiave in tasca, insieme al foglietto con l'elenco dei libri di Aqua e Marluxia.

- Scusi ancora, sa dove posso trovare questi libri? -

Tirò fuori l'elenco, e lo mostrò all'uomo.

Lui lo guardò qualcosa come tre secondi, dopo di che indicò la biblioteca.

Sora alzò gli occhi al cielo. Sì, che avrebbe dovuto cercare tra i libri della biblioteca l'aveva intuito.

Sbuffò, cercando di non sembrare troppo indispettito.

- Grazie mille. Adesso vado, eh? -

Il silenzioso omone si schiarì ancora la voce, e Sora dovette tornare a dargli la sua attenzione.

Gli porse un registro, su cui picchiettò ancora con quella sua penna, che cominciava a dare sui nervi a Sora.

Doveva scrivere il suo nome, la classe di appartenenza, l'orario d'ingresso e il numero d'armadietto.

Ma che razza di posto è questo? La biblioteca della CIA?” pensò Sora, sempre più scocciato.

Compilò tutti i campi richiesti, non senza sbuffi, e restituì il registro all'uomo che, con un gesto plateale della mano, lo invitò pure ad addentrarsi in biblioteca.

Un tipo di poche parole.” borbottò irritato nella sua mente Sora “Simpatico.”

La biblioteca era ordinata ai limiti dell'inverosimile. Pulita e tirata a lucido, non c'era un solo scaffale che mostrasse anche un misero granello di polvere solitaria.

Considerando che tipo sembrava essere il bibliotecario (che era sicuramente il titolo dell'omone all'ingresso) Sora non dubitava che fosse lui stesso a fare le pulizie.

Per una qualche strana ragione, se lo immaginò mentre di notte puliva gli scaffali con piumino e detergenti lucido per legno, circondando da decine di topi da biblioteca che lo aiutavano a mettere apposto.

L'idea lo fece ridere, e dovette trattenersi, perché era quasi sicuro che l'uomo sarebbe spuntato dal nulla in qualsiasi momento per urlargli silenziosamente il suo “shhhhhhhhhh!” più aggressivo.

Dato che non ci teneva particolarmente ad essere sgridato dal bibliotecario, Sora inghiottì le risate, e continuò la sua marcia.

C'era uno spiazzo, tra i vari scaffali, in cui troneggiava un meraviglioso tavolo rotondo, lucido da potercisi specchiare.

Sul tavolo c'erano diversi computer, tutti a schermo piatto, e tutti collegati ad internet.

Un cartello, annunciava orgoglioso che quella era la zona internet, che gli studenti dovevano richiedere la password personale in segreteria se volevano usufruire del servizio, che il catalogo online dei libri presenti in biblioteca era disponibile ventiquattro ore su ventiquattro, e che per maggiori informazioni bisognava chiedere al Sig. Lexaeus (che Sora identificò come il bibliotecario/guardiano all'ingresso).

Il ragazzo si chiese se, a richiesta diretta di informazioni, quell'armadio vivente avrebbe risposto, o se avrebbe tirato fuori un altro cartello per rispondere alla domanda.

Magari era muto, per questo non parlava. O magari era solo un fanatico del silenzio. Chissà.

Sora si strinse nelle spalle, non gli importava molto saperlo.

Cominciò ad aggirarsi tra gli scaffali.

Tanto valeva che cominciasse a cercare qualche libro.

Lesse il primo titolo della lista: “Estinzione linguistica: cause, modalità, tempi e luoghi del processo di diminuzione della competenza linguistica”.

Oddio!” pensò, mentre la testa gli girava.

Passò al titolo successivo, sperando che fosse meno complicato: “Elenco storico di lingue estinte: dalla Lingua Romanza D'Africa alla Lingua Zarfatica”.

Non lo era, anzi. Accanto al titolo, c'erano anche segnati un paio di numeri poco confortanti. Quel libro doveva essere diviso in diversi volumi, parecchi volumi.

Sora si chiese se Aqua pretendesse davvero da lui che imparasse tutte quelle informazioni nell'arco di un pomeriggio. Poi ricordò il suo tono di voce mentre gli annunciava che sarebbe stato il primo ad essere interrogato il giorno dopo, e gli venne una gran voglia di correre a vomitare.

Visto che entrambi i libri cominciavano con la “E”, cominciò a cercare gli scaffali in ordine alfabetico.

C'era sicuramente un modo più veloce per farlo, ma tanto aveva ancora del tempo da perdere.

Per fortuna, non dovette girare molto, visto che la “E” è la quinta lettera dell'alfabeto, e Sora riuscì a trovarla solo dopo un centinaio di scaffali.

Aveva camminato così tanto che gli facevano male i piedi.

Gli scaffali erano alti fino al soffitto, e strabordavano di libri.

C'erano diverse scale che permettevano di arrampicarsi sulle mensole più alte. C'erano anche una serie di lunghi tavoli dov'era possibile consultare i libri.

Sora stette attento a leggere i dorsi dei libri, per non saltare quello che gli serviva. Quando arrivò a “Elementi di Biochimica Molecolare”, capì che era arrivato.

Avvicinò la scala per salire, era probabile che il suo libro fosse molto più in alto, e cominciò la scalata.

C'erano una serie di spaventosi libroni dai titoli improponibili, che gli fecero venire un brivido.

Spulciò con le dita fin quando non trovò quello che cercava: il tomo I dell'Elenco storico di lingue estinte. Con suo sommo dispiacere, notò che ce n'erano altri 29, e che erano tutti più o meno grossi quanto un vocabolario.

Preso il primo, scese e lo depositò sul tavolo.

Scoraggiava solo vederlo appoggiato lì.

Doveva essere una vecchia edizione o qualcosa del genere, perché la copertina era di cuoio scuro, e le pagine erano tutte ingiallite. Però, era tenuto così bene da sembrare nuovo.

Non c'era da stupirsene: il bibliotecario doveva occuparsi anche dei libri, come fossero suoi figli.

Sora spostò la scala un po' più in là, per recuperare anche “Estinzione linguistica”.

Quando lo trovò, si sentì un po' meglio: almeno, erano solo due tomi, e non erano eccessivamente grandi. In ogni modo, per cominciare prese solo il primo.

Pensando con scoraggiamento che quello che stava per fare non l'avrebbe aiutato nell'interrogazione dell'indomani, si sedette al tavolo e cominciò a leggere.

 

Dovette essersi addormentato, perché quando qualcuno lo svegliò, scuotendolo per una spalla, stava abbondantemente sbavando sul libro, e buona parte dell'inchiostro gli era finito sulla faccia.

Gli ci vollero diversi secondi per rendersi conto di dove si trovasse, e cosa stesse succedendo, e soprattutto perché Kairi lo guardasse sopprimendo le risate.

Si rese conto delle condizioni pietose in cui versava, e saltò in piedi.

Per prima cosa, e per riflesso condizionato, si asciugò la bava con la manica della divisa; poi portò una mano ai capelli per cercare di sistemarli (ma tanto ormai erano andati) e si strofinò la faccia e gli occhi per svegliarsi definitivamente.

- Ti sei addormentato a metà capitolo! -

Gli sussurrò Kairi, con una faccia che era tutta da ridere.

Alle sue spalle, Yuffie non sembrava per niente contenta di essere lì.

Gli occhi di Sora caddero sul libro. Era arrivato al capitolo 3, e non era più riuscito ad andare avanti.

- È troppo noioso. -

Provò a scherzare lui, anche se in realtà per l'imbarazzo sarebbe potuto andare a fuoco.

- Immagino. -

Ridacchiò lei, sottovoce.

- Ma che cosa hai combinato al naso? -
Chiese Yuffie, indicandolo in modo poco educato.

Sora corse a nascondere la fasciatura con una mano, mentre con l'altra chiudeva la giacca della divisa per paura che si scorgessero le macchie di sangue.

- Stavo guardando gli allenamenti di calcetto, e mi è arrivata una pallonata in faccia. -

Si affrettò a spiegare, imbarazzatissimo.

- Oh, cavoli, è rotto? -

Kairi gli si avvicinò. Gli prese la mano con la quale stava nascondendo il naso, e gliela tolse dal viso.

I suoi occhioni blu-viola si persero nel guardare la fasciatura, mentre Sora si perse a guardare lei, il suo viso, le sue labbra.

Il profumo che spirava da lei era familiare come lo poteva essere il profumo del mare trasportato dal vento alle Isole del Destino.

- No...solo contuso, dieci giorni e tornerà come nuovo. -

Rispose, ma non volontariamente. Il suo cervello era entrato in modalità pilota automatico, e che le parole che gli uscivano di bocca le pronunciava per pura sopravvivenza, e per rimediare alla figura di scemo totale che aveva fatto facendosi trovare con la bava alla bocca e la faccia spiaccicata contro il libro.

- E il tizio che ti ha colpito? -

Lo sguardo preoccupato di Kairi non fece che alimentare il cuore di Sora, che cominciò a battere come non mai, mentre lei gli poggiava cautamente le dita sul dorso del naso.

- Non l'ha fatto apposta, è stato molto gentile e si è scusato un bel po' di volte. -

Sora si stupì di sentirsi parlare con un tono tanto deciso, duro e sicuro, al limite della sbruffonaggine.

- Sì, però ti ha fatto un gran male, ti accontenti delle sue scuse? -

- E che altro potrei fare? Andare dal Superiore? Uno, sarebbe inutile, due, non mi farebbe sentire meglio! - le rivolse un mezzo sorriso, spaccone come non mai. Kairi sorrise a sua volta e si separò da lui. Quella distanza improvvisa gli fece sprofondare il cuore in petto. - Come mi avete trovato? Questo posto è enorme! -

Continuò lui, cercando di non far capire che stava andando in iper-ventilazione, e che voleva assolutamente riavere Kairi vicino a sé.

- Non è stato difficile, Lexaeus ci ha indirizzati. -

- Lexaeus? Il bibliotecario-armadio? E come sa che sono qui? -

Yuffie indicò una telecamera montata in cima ad uno degli scaffali.

- Lui vede tutto, baby. Ed è pronto ad intervenire se uno dei suoi libri corre un qualche pericolo; penso che ti beccherai una sgridata per tutta la bava su quello. -

Il suo dito si puntò sulle pagine bagnate del libro su cui si era addormentato, e Sora si sentì di nuovo avvampare per l'imbarazzo.

- Quel tipo? Sgridarmi? Ma non sembra in grado neanche di parlare! -

- Parla, parla. - continuò Yuffie; il suo sguardo si era acceso di malizia - Non lo fa spesso, e non lo fa mai a sproposito. Quindi stai attento. -

Il ragazzo deglutì a vuoto. Ci mancava solo che il bibliotecario lo sgridasse come un bambino di due anni.

- Bhè, pazienza. - sbottò, tornando a sedersi - Iniziamo? -

- No, non ancora. - fece Kairi. Aveva già poggiato quaderni e libri sul tavolo. - Manca una persona, sta per arrivare. -

- Chi? Qualcuno della nostra classe? -

- No, è un anno più grande, è molto bravo in Lingue Antiche, ci aiuta sempre a ripassare, ed è così affascinante! -

Trillò Yuffie. Per qualche strana ragione, il suo sguardo cadde su Kairi e lei arrossì tutta, in una maniera così deliziosa che Sora la trovò irresistibile.

E poi, subito, provò gelosia per quel ragazzo un anno più grande di loro che era tanto affascinante da far arrossire Kairi al solo pensarlo.

- Smettila Yuffie! -

Fece lei, con un tono di voce troppo alto.

Infatti, da dietro l'angolo spuntò Lexaeus, che si schiarì la gola, come suo solito per attirare l'attenzione. Quando tutti e tre i ragazzi ebbero gli occhi su di lui, l'uomo si portò un dito alle labbra e intimò il silenzio.

Sora si chiese se per caso non li stesse spiando. Evidentemente, le telecamere non gli bastavano.

Lo trovò inquietante e rabbrividì, mentre Kairi si scusava con il bibliotecario con un gesto della mano e si sedeva accanto a Sora.

- Cominciamo senza di lui, tanto tra poco arriva. -

Asserì Kairi. Era ancora tutta rossa, cosa che fece arrabbiare Sora.

Ma chi era questo lui? E perché Kairi sembrava tanto presa?

- Ciao ragazzi, scusate il ritardo! -

Sora non alzò la testa dal libro, fingendo di stare studiando, quanto in realtà stava morendo dalla voglia di scoprire a chi apparteneva quella bella voce calda.

Nella sua testa, immaginò un ragazzo tutto muscoli e niente cervello, che era lì solo per farsi lo spaccone, e che non ne capiva niente di Lingue Antiche.

- Ricchan! -

Kairi si alzò, con tanto entusiasmo che quasi fece cadere la sedia. Solo allora, Sora si decise ad alzare gli occhi, per puntarli sul nuovo arrivato.

La sua coscienza prese un appunto mentale: da domani in poi, tenere il conto di tutte le volte che Sora ha desiderato morire.

I suoi occhi cerulei si puntarono in due gemme color acquamarina, incastonate in un viso magro, appena appena squadrato, segno di una virilità latente che aspettava un età più matura per venire allo scoperto. Una cascata di capelli argentei contornavano il tutto; erano spettinati meravigliosamente, dandogli un'aria ribelle, ma misteriosa grazie alla frangetta che gli arrivava quasi sugli occhi.

Adesso che Sora l'aveva davanti, poté notare quanto fosse impostato il suo fisico. Era molto più alto di lui, e molto più robusto, con spalle e braccia muscolose da atleta.

- Ricchan, lui è Sora, un nostro nuovo compagno di classe. Lo aiuteresti? Domani Aqua lo vuole interrogare. -

Kairi gli prese una mano, intrecciando le dita alle sue, con affetto.

Sul volto del ragazzo passò, solo per un'istante, una strana espressione, il cui unico cambiamento sul suo viso fu un velocissimo inarcamento delle sopracciglia.

- Va bene, senza problemi. - disse. Sora poté notare un ghigno nascosto sulle sue labbra. - Però, prima vorrei un bacetto dalla mia ragazza. -

Kairi diede in un risatina.

Mentre Sora guardava tutto con occhi sgranati, lei gettava le braccia al collo al ragazzo, stringendolo forte. Poggiò le labbra contro le sue, con passione. Il ragazzo l'abbracciò a sua volta, sollevandola con la sola forza delle braccia, e facendole fare un coreografico caschè.

Quando sia Yuffie che Sora poterono vedere le loro lingue nella gola l'uno dell'altro, Kairi scostò il ragazzo spingendolo con i palmi aperti sul petto, ridendo, e arrossendo come una bambina.

Il ragazzo però non la lasciò andare via, anzi, sembrò stringerla di più a sé, con fare protettivo.

- Benvenuto nella nostra scuola, Sora. - cominciò il ragazzo, con tanto di sorriso canzonatorio - Io sono Riku, però, questa testolina buffa della mia fidanzata da un paio di giorni ha preso a chiamarmi Ricchan. - con una mano spettinò i capelli di Kairi, che finse di esserne infastidita - Ovviamente, tu non puoi farlo. - anche se alle orecchie delle due ragazze dovette suonare come una battutina di spirito (tanto che ridacchiarono), Sora colse in quelle parole qualcosa di simile ad una minaccia.

Il cuore gli si spezzò in petto per due ragioni, compatibili, concatenate l'una all'altra: Kairi era fidanzata, e il suo fidanzato era Riku, uno degli sgherri di Vanitas.


Note:

*Accelgor *Axelgor: il gioco di parole di Xigbar si basa sul fatto che la pronuncia del nome del Pokémon Accelgor è proprio "Axelgor", e la differenza sta solo nell'ortografia con cui è scritta. Il Pokémon è quello nell'immagine!
File:617 Accelgor.png


The Corner

Ciao a tutti!
e ben tornati a questo appuntamento settimanale!
purtroppo...è l'ultimo prima di settembre!
perché la prossima settimana parto e non ci vedremo fino...*controlla calendario* fino al 18 settembre almeno, causa esami universitari ç_ç
per questo motivo, anche questa settimana vi lascio due capitoli! per rendere più felice l'attesa!
in ogni caso, visto che non so come si metteranno le cose, a partire dal primo giovedì di settembre controllate sempre, che magari un capitolo verrà pubblicato!
bye bye :)

Chii

 

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Capitolo 9
*** Parole di Uomo ***


 

8

Parole di Uomo

 

Le tre ore successive furono per Sora le peggiori di tutta la giornata.

Non riusciva a scambiare neanche una parola con Kairi, perché appena se ne presentava l'occasione, Riku prendeva possesso delle sue labbra, mozzando a metà qualsiasi conversazione, e trasformando per diversi minuti lo studio pomeridiano nella prima scena di un film porno.

Sora non trovava per niente carino il modo di Riku di infilarsi letteralmente tra lui e Kairi, sia perché sembrava che volesse gettarla sul tavolo in mezzo ai libri e spogliarla per farle le cose peggiori di questo mondo, sia perché era plateale che lo facesse apposta per non farli socializzare.

Quindi Sora si ritrovò a doversi subire Yuffie, a cui doveva piacere molto guardare pomiciare quei due, tanto che ogni volta che cominciavano stava lì a guardarli con gli occhi sgranati e la faccia di una che se n'è andata nel mondo dei sogni.

C'era da chiedersi se non fosse un po' ninfomane, o se non stesse immaginando se stessa al posto di Kairi.

In conclusione, quelle ore che erano già poche per poter fruttare, non fruttarono proprio.

Sora aveva la testa confusa più di prima, ed era quasi certo che l'indomani non sarebbe riuscito a ripetere nulla di quel poco che aveva imparato. Soprattutto visto che nella sua mente non avrebbero fatto altro che ripetersi le immagini di Riku che sbaciucchiava appassionatamente Kairi.

Scosse la testa, con un sospiro.

La cosa si era fatta ridicola.

Kairi la conosceva solo da un giorno, quindi perché avrebbe dovuto essere così geloso di lui, visto e considerato che lui era il doppio più grosso e che era uno dei bulli che gli aveva reso quel primo giorno orrendo ancora prima di cominciare?

Non lo sapeva, ma comunque sentiva un pungolo allo stomaco se per caso il suo occhio cadeva su quei due, tutti avvinghiati nei loro preliminari.

Sora non dava per scontato che se fossero stati soli avrebbero liberato il tavolo e avrebbero fatto quello che c'era da fare.

Certo, rispetto a lui, Riku sembrava un vero uomo, con quel suo fisico scolpito, l'altezza statuaria. Sicuramente, già si radeva, come un adulto.

E lui, invece?

Nell'arco della giornata aveva collezionato tre nomignoli, e tutti quanti ci tenevano a precisare quanto fosse piccolo.

Non poteva certo mettersi in competizione con quella massa di muscoli.

Erano come un bambino e un uomo messi a paragone.

Ma davvero era solo un anno più grande di lui?

Magari, andando in palestra, anche i suoi pettorali avrebbero assunto quella forma. L'attività fisica poteva anche aiutarlo a crescere un po'...

- E questo è tutto quello che c'è da dire del Gutnico Antico. -

Sora si riscosse.

Yuffie e Kairi pendevano dalle labbra di Riku, i cui occhi non facevano che brillare con malizia.

Quando la sua bocca non era impegnata a divorare quella di Kairi, tirava fuori delle cose spaventosamente intelligenti.

Altro che “tutto muscoli e niente cervello”: era un pozzo di informazioni e conoscenze quel tizio.

Da mettere i brividi. O da far venire le lacrime, Sora non ne era ancora sicuro.

- Mi sa che per oggi non possiamo fare altro. - sospirò Kairi, guardando l'orologio che aveva al polso - Sono quasi le otto e mezza, perdiamo l'ultimo treno per Traverse Town se non ci sbrighiamo. -

Come? Di già?” pensò Sora. Affannosamente guardò anche il suo orologio. Ma Kairi non aveva mentito.

Era già così tardi? E lui non aveva assolutamente concluso niente!

La testa cominciò a girargli.

Aveva preso un bel po' di appunti sull'alfabeto cario, ma non era riuscito a metter su quella che poteva definirsi una “ricerca approfondita” come voleva Aqua.

- Bhè, avete tutto quanto il necessario per scrivere una relazione, no? -

Fece Riku, come se si sentisse offeso in qualche modo.

Kairi lo rassicurò con un bacio, e lui non perse l'occasione per lanciare un'occhiata a Sora.

- Sì Ricchan, c'è tutto, sempre e solo grazie al tuo aiuto! Ma tu? I tuoi compiti? -

- Ah, non devo fare molto. - fece lui, stringendosi nelle spalle - Mi fermo un'altra mezz'oretta. -

- Ma perderai il treno! -

Yuffie sembrò molto accorata nel dirlo, come se fosse una questione di vita o di morte.

- Non è un problema, torno in motorino. -

A dimostrazione di quello che aveva appena detto, tirò fuori le chiavi e le fece dondolare in faccia alla ragazza, che si espresse in un “oooooooooh” di ammirazione.

Kairi mise su il broncio.

- Allora torno con te, non prendo il treno! -

Lui ridacchiò.

- No, non ho ancora comprato un altro casco, non voglio che corri dei rischi. La prossima volta, eh? -

Quell'improvviso impeto di dolcezza fece tremare il cuore di Sora.

Era sbagliato, sbagliato!

Quel ragazzo era la falsità fatta persona!

Come si permetteva di rivolgersi così a Kairi?

Era quasi tentato di raccontare quello che era successo quella mattina, quando il bibliotecario s'intromise.

- La biblioteca chiude tra un'ora. -

Sei parole che ebbero il potere di inchiodare sul posto i quattro ragazzi.

Il tono della sua voce era come il rombare profondo di un tuono, e brillanti come lampi erano i suoi occhi azzurri.

- Sì, stiamo per andare. -

Disse Riku, a nome di tutti.

Il bibliotecario sembrò soddisfatto della risposta, e sparì tra gli scaffali. Kairi sbuffò e cominciò a sistemare le sue cose, subito imitata da Yuffie.

- Andiamo a casa insieme, Sora? -

Cominciò Kairi, ingenuamente.

Quelle parole dovettero far scattare qualcosa in Riku, i cui occhi divennero gelidi come pezzi di ghiaccio. Sora, però, non fu abbastanza veloce nel cogliere il cambiamento.

- Sì, certo. -

Rispose, anche lui con tanta ingenuità; e cominciò a sistemare le sue cose. Sotto lo sguardo attento di Riku, che non si perse neanche una mossa.

Kairi e Yuffie erano già pronte ad andare, mentre lui perdeva tempo a recuperare tutte le sue penne.

- Cominciate ad andare, vi raggiunge subito. -

Fece Riku, strisciante, mettendosi ad aiutare il brunetto in difficoltà.

- Okkkei, ci vediamo all'uscita. -

Yuffie sembrava piuttosto seccata. Trascinò Kairi per un braccio, senza darle la possibilità di salutare Riku con un bacio.

- Ciao Ricchan, ci vediamo domani! -

- Sicuro, ciao! -

Le rispose, ma neanche la stava guardando.

Riku attese il momento in cui le ragazze svoltarono l'angolo e non furono più visibili, per avvicinarsi a Sora, afferrarlo per il bavero della giacca e sbatterlo violentemente contro uno scaffale.

Preso alla sprovvista, il ragazzino non poté fare altro che agitare a vuoto i piedi, mentre la forza delle braccia dell'altro lo tenevano ad un metro da terra.

Sora cominciava a non riuscire più a respirare, stretto com'era nella sua morsa.

- C-che... -

Provò, senza riuscire a dire un'altra parola.

Riku strinse di più, e lo sbatté ancora una volta contro lo scaffale. Un paio di libri traballarono sugli scaffali più alti e caddero a terra con un tonfo.

- Ti sembra che non mi sono accorto di come guardi Kairi? - Sora deglutì a vuoto - Ora, devi sapere che lei è mia, e non ammetto che le vengano rivolti certi sguardi. - lo scrollò. Il ragazzino strizzò gli occhi. - Tu sei ancora una matricola, e non lo potevi sapere. Quindi prendi tutto questo come un amichevole avvertimento, va bene? - il brunetto annuì con lo sguardo - Vedi di non entrare troppo in confidenza con lei, o rimpiangerai quello che ti ha fatto Vanitas stamattina, lo rimpiangerai con tutto il cuore, chiaro? -

Lo lasciò andare all'improvviso, e Sora si ritrovò a picchiare il sedere per terra, mentre Riku se ne tornava al tavolo e si metteva a studiare.

Sora si rialzò, tutto dolorante.

Riku non sembrava volergli dare più retta, infatti non si degnò di guardarlo neanche quando gli passò ad un soffio dal viso per prendere i suoi quaderni e il portacolori.

Il ragazzino se la diede a gambe.

Non poté giurarlo, ma mentre andava via sentì lo sguardo acquamarina di Riku piantarsi sulla sua schiena.

 

Kairi e Yuffie lo stavano aspettando all'uscita, chiacchierando tra loro.

Sora aveva un'espressione così tetra che avrebbe spaventato tutte le persone che lo conoscevano come il ragazzino solare e allegro che correva sulla spiaggia a tutte le ore, catturando granchi e facendo un sacco di confusione.

Quel ragazzino era stato brutalmente assassinato durante quel primo, orribile, lunghissimo giorno di scuola.

Di lui, ormai, era rimasta una lapide, e nessuno se l'era ancora andato a piangere.

Con pensieri più neri della sua faccia, Sora superò il bancone dov'era seduto il bibliotecario.

I suoi occhi freddi lo seguirono fino alla porta, e lui pregò perché non gli venisse a dire niente: era stanco, e non voleva sentire nessun altro parlare per quella giornata, ne aveva veramente abbastanza.

Per sua fortuna, il bibliotecario era di poche parole, e anche se l'aveva osservato attraverso i suoi monitor per tutto il pomeriggio, quando si era addormentato sul libro lui aveva perso interesse, e si era perso il rivolo di bava che era caduto sulle pagine. La ramanzina, ad insaputa di Sora, era stata evitata per un pelo.

Il tempo era passato così in fretta che Sora si stupì di vedere il cielo scuro, acceso di stelle, con uno spicchio di luna bianca appesa nel blu.

- Muoviamoci! Non voglio perdere il treno! -

Sbottò Yuffie, con poca delicatezza.

Sora le borbottò qualcosa in risposta, e si unì alle due.

Lasciò che loro gli camminassero davanti. Non voleva unirsi alla loro conversazione.

Ora come ora in realtà non voleva neanche guardare Kairi in faccia. Se solo ripensava a Riku e a quello che gli aveva detto...

Un brivido gli percorse la schiena.

Non vedeva l'ora di tornare a casa. Anche se “casa” voleva dire “buttare giù la relazione per la ricerca di Aqua prima che sorga il sole”, e non era molto confortante. Adesso aveva una gran voglia di essere abbracciato da sua madre, possibilmente senza che lei facesse domande: sarebbe stato stupendo.

Arrivati alla stazione dovettero farsi gli ultimi metri correndo; il treno era già al binario, pronto a partire.

Il capotreno attese che loro fossero saliti prima di dare il benestare per la partenza.

I vagoni erano abitati da studenti stanchi, sfatti per la giornata, preoccupati e tesi. E quello era solo il primo giorno.

Sora si chiese se avesse anche lui quell'aspetto dimesso. Quando incontrò il suo riflesso sul finestrino, si poté rispondere, e la risposta era più che ovvia.

Per fortuna, i posti erano tutti occupati. Kairi riuscì a trovarne solo due vicini per sé e Yuffie, mentre lui dovette andarsene in fondo al vagone prima di potersi sedere.

Lo prese decisamente come un buon segno.

Imbronciato, guardava fuori.

Alle Isole del Destino a quell'ora ci si divertiva. Era il momento più bello della giornata quello in cui ci si poteva radunare tutti sulla spiaggia, aspettando che le mamme si arrabbiassero abbastanza da costringerli a tornare a casa.

Sora sospirò. Aveva voglia di sbattere la testa contro il finestrino, ripetutamente. C'era da chiedersi se si sarebbe rotto prima il vetro o la sua testa.

Voglio dormire, voglio arrivare a casa e dormire.” il suo stomaco gorgogliò, esageratamente “Prima mangio, e poi vado a dormire.”

E la ricerca di Aqua?”

La sua coscienza lo pungolò adorabilmente.

Sbuffò.

Tanto comunque domani mi prenderò un'insufficienza.”

 

Il resto del viaggio fu accompagnato da pensieri che non superavano quel livello di felicità, e quando il treno si fermò alla stazione, Sora fu il primo a scattare in piedi per scendere.

Non fu neanche così cordiale da andare a salutare Kairi e Yuffie. Per una qualche strana ragione non aveva assolutamente voglia di parlare con loro (con una delle due in particolare, ma quella era un'altra storia).

Sgattaiolò tra la folla, sperando di non incontrare nessuno, di non vedere nessuno, di non essere fermato da nessuno.

Semplicemente, con lo sguardo dritto davanti a sé, cominciò a camminare.

Traverse Town era tutto un brillare di luci. Nessuno sembrava intenzionato a voler tornare a casa, erano tutti troppo impegnati a correre qua e là come dei pazzi.

Sora dovette fare lo slalom esattamente come era successo quella mattina.

Facevano tutti finta di non vederlo, o forse non lo vedevano davvero, piccolo com'era.

Un'ansia crescente si insinuò nel suo petto, ingiustificata e strisciante.

Aveva come l'impressione che non sarebbe riuscito ad arrivare a casa, che qualcosa o qualcuno l'avrebbe fermato a metà strada.

Aumentò il passo, e finì col correre come un disperato, fino alla porta di casa.

Nessuno l'aveva fermato, nessuno l'aveva neanche guardato.

Solo quando frugò nella cartella e tirò fuori le chiavi per aprire si sentì veramente al sicuro.

- Sono a casa! -

Urlò, all'oscurità, al niente.

L'ingresso era buio, desolatamente buio.

Si tolse le scarpe, gettandole dove capitava prima, e accese la luce.

C'era un biglietto ripiegato sul tavolo.

Sora sapeva già che cosa significava.

Andò a prenderlo e lo lesse. Era scritto con la bella calligrafia di sua madre.

Ciao amore, spero che il tuo primo giorno sia stato buono. Io e papà abbiamo deciso di rimanere fuori a cena, visto che sarai sicuramente rientrato tardi. Ci deve essere qualcosa di pronto in frigo. Sennò, puoi ordinare una pizza, o tutto quello che vuoi! Non ci aspettare alzato.”

Sora imprecò ad alta voce. Tanto, non c'erano i suoi, e dopo quello che aveva dovuto sopportare, ci stava anche.

Quindi imprecò, usando tutte le parolacce che conosceva, finché non si sentì un cretino ad urlare così, in piedi in mezzo alla stanza.

Accartocciò il foglietto e se ne salì in camera, pestando i piedi.

 

Spogliandosi, non poté non guardare il pessimo stato della camicia di Ventus. Il sangue ormai si era asciugato, ed era diventato rosso scuro. Non era sicuro che sarebbe riuscito a lavarlo via, e non voleva neanche dare troppe spiegazioni a sua madre; così decise che avrebbe regalato una nuova camicia al suo amico, e che quella che aveva indosso avrebbe fatto un viaggio di sola andata per la discarica.

Abbandonò tutti i vestiti sul pavimento, lasciando che il freddo gli facesse venire la pelle d'oca su tutto il corpo, e andò in bagno per una bella doccia calda.

Lasciò scorrere l'acqua, e nel mentre si guardò allo specchio.

La fasciatura che gli aveva fatto il medico della scuola era davvero enorme, e gli copriva mezza faccia. Se la tolse con cautela, e per la prima volta dopo tutta una giornata poté vedere lo stato del suo naso. Normalmente piccolo e sottile, dalla punta leggermente a patatina, adesso si era raddoppiato in grandezza. Alla radice, era di un malsano rosso-violaceo, da cui sarebbe venuto fuori un bel livido. Tutto il dorso era arrossato, quasi schiacciato verso l'interno.

Provò a toccarlo leggermente. Gli faceva ancora male, ma niente rispetto a quando aveva ricevuto quel colpo di cannone.

Posò la fasciatura dove non si potesse bagnare, così da poterla rimettere dopo la doccia. Era intenzionato a tenerla tutta la notte. L'indomani mattina per scendere a colazione non l'avrebbe indossata; sperava che acconciando la frangetta un po' più sul viso i suoi non si sarebbero accorti del gonfiore.

I capelli erano tutti spettinati, senza nessun garbo, oltre al fatto che sembravano orrendamente sporchi (forse era solo sua impressione); il suo viso era più pallido e piccolo del solito, con quegli occhioni cerulei spalancati nel nulla.

Si passò con rabbia le mani sulla faccia.

Perché sembri un bambino! Perché!”

Si guardò il petto, dalla pelle chiara appena appena accapponata per il freddo; si poteva intravedere lo sterno, e buona parte delle costole.

Se fosse stato più robusto, se fosse stato più alto, se fosse stato più uomo, non si sarebbe fatto mettere i piedi in testa da nessuno.

Gli venne spontaneo esalare un sospiro frustrato.

La sua pubertà tardiva non era mai stata un problema alle Isole. A sedici anni, si era ancora troppo piccoli per pensare di essere grandi.

Adesso, però, constatare che il suo corpo era quello di un tredicenne, lo metteva in imbarazzo.

Evitò di fare due cose, mentre si infilava sotto il getto d'acqua calda: evitò di guardarsi l'inguine e constatare quanto il suo arnese fosse piccolo e glabro, ed evitò di chiedersi quanto quello di Riku dovesse essere grande, e villoso.

Si insaponò con foga, cercando di lavare via tutta la stanchezza, la rabbia e l'insoddisfazione che provava. Invano.

 

L'unica cosa che gli rimaneva da fare, dopo aver ordinato due pizze, un cheesburger con patatine fritte, una vaschetta di pollo fritto e aver trovato una confezione di gelato al caramello in fondo al congelatore, sarebbe stata quella di mettersi a studiare.

Ma non ne aveva voglia.

Anzi, aveva una mezza idea di non presentarsi a scuola l'indomani.

Mentre infilava in bocca una patatina dopo l'altra, quell'idea non faceva che rafforzarsi.

Il cibo gli dava conforto, e tanto non riusciva ad ingrassare neanche se si metteva d'impegno, poteva approfittarne, no?

Gettato sul divano a fare zapping, non c'era niente di più che avesse potuto desiderare.

Trovò un episodio di “Fringe”, uno di quelli che conosceva a memoria, e decise di guardarlo, visto che l'altra alternativa era quella di passare su Boing e guardare i cartoni animati, e l'ultima cosa che voleva era guardare i cartoni animati (per quanto a quell'ora dessero “Wakfu”, e a lui piacesse abbastanza).

Mentre stava lì a macinare patatine e pensieri amari, suonarono alla porta.

Abbassò il volume della tv quel tanto che bastava per vedere se il fenomeno si sarebbe ripetuto, credendo di essersi sbagliato.

Ormai tutto quello che aveva ordinato era arrivato, e non c'era nessun altro che aspettava, e i suoi avevano le chiavi.

Il campanello suonò ancora. No, non aveva sentito male.

Si tirò su, spazzolandosi via di dosso le briciole di pizza (da qualche parte nella sua mente si disse che avrebbe dovuto far sparire tutte le prove del suo piccolo spuntino, prima che sua madre tornasse a casa e desse di matto per quel disordine).

- Arrivo. -

Biascicò, svogliato.

Non si era neanche rivestito. Aveva indosso solo i boxer neri.

Non aveva neanche pensato al fatto che stava per andare ad aprire la porta ad un perfetto sconosciuto in mutande.

Il suddetto sconosciuto si attaccò al campanello come un pazzo.

- Essì! Sono qui, un attimo! -

Urlò, sempre più annoiato da quel visitatore notturno indesiderato.

Andò ad aprire la porta, ed era già pronto a prendere a parole l'intruso.

- Che faccia, non deve essere andata bene neanche l'altra metà della giornata. E al naso che hai combinato? - la faccia di Sora dovette parlare da sola, mentre gli occhi blu acceso del visitatore scivolavano sulle sue gambe nude - Perché sei in mutande? -

Chiese Ventus, con un sorriso tutt'altro che imbarazzato.


Fumetto




Visto che sono stata ispirata, un paio di giorni fa ho realizzato questa piccola vignettina che riassume quello che è successo al nostro Sora sfigatello nel primo capitolo ahahahahah
se gradite l'idea, posso crearne altre, e inserirle di seguito ai prossimi capitoli!
in ogni caso...ci vediamo presto!
stay tuned, non so quando ricomparirò...ma sarà un giovedì di settembre di certo!
Chii



 

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Capitolo 10
*** Una Difficile Verità ***


9

Una difficile verità

 

- Ma che...che ci fai qui?! Come ci sei arrivato?! - non sembravano cose intelligenti da dire, visto il contesto. Così, Sora arrossì tutto, e sbatté la porta in faccia a Ventus, prima che potesse dire qualcosa. - Stai lì! Vado a vestirmi! -

- Ma almeno fammi entrare! Non mi lasciare qua fuori! -

Sora detestò il tono supplichevole con cui lo disse.

Aprì al volo la porta di ingresso e poi se ne scappò via, come avesse le ali ai piedi, urlando qualcosa come “accomodati!”.

Ventus non se lo fece ripetere.

Sora non aveva avuto tempo di vedere che il biondo non si era presentato a mani vuote, dato che aveva con sé due sacchetti presi da Burger King. Ma quando Ventus si avvicinò al salotto e vide che il divano era stato imbandito come una tavola da buffet, capì che il suo intervento era stato inutile.

Scostò i cartoni vuoti della pizza, e si sedette come poté sul divano, lasciando per terra lo zaino che aveva sulle spalle.

Sopra, Sora stava bisticciando con l'armadio. Lo si poteva sentire imprecare sottovoce.

Ventus ridacchiò di gusto. Da un lato, era contento di averlo preso alla sprovvista, dall'altro, non riusciva a capire perché non si sentisse per niente imbarazzato dall'immagine che si era trovato davanti, anzi.

- Eccomi! -

Sora si precipitò giù per le scale, correndo così veloce che Ventus non si sarebbe sorpreso di vederlo inciampare e rotolare per terra.

In jeans e maglietta sembrava anche più piccolo di quanto già non fosse.

- Ti avevo portato qualcosa da mangiare, ma vedo che ci hai pensato da solo. -

Il brunetto arrossì ancora, in maniera amabile, e Ventus non poté non ridere di quell'espressione.

- Non che io non sia felice di vederti, ma come facevi a sapere dove abito? -

Esordì Sora, gettandosi a peso morto accanto a lui.

- È saltato fuori che sono in grado di craccare il server della scuola, e tirare fuori tutte le informazioni che mi servono, come ad esempio l'indirizzo di un certo studente. -

Fece Ventus, con tutta l'ingenuità di cui era in grado.

- Mi metti i brividi. -

E dal tono della sua voce, Ventus non lo mise in dubbio.

- Ehi, oltre ad essere un secchione, sono anche un bravo ragazzo, non userei mai le mie capacità per combinare guai. -

Ventus si poggiò una mano sul cuore, assumendo la faccia più angelica che poté.

- Sì, vorrei crederci. - fece Sora, con uno sbuffo - E se non fossi stato a casa? -

- Considerando che avevi intenzione di stare tutto il pomeriggio a scuola, sapevo che saresti tornato dopo le otto; anch'io sono tornato dopo le otto! E dato che non mi andava di tornare a casa tanto presto, ho pensato di venire da te. - il suo sguardo si rabbuiò di colpo - Non ti avrò disturbato, vero? -

- No, no. - si affrettò a rispondere Sora - Anzi, mi stavo annoiando da morire. Sono anche solo, i miei sono usciti per cena. -

Gli occhi blu di Ventus tornarono cristallini, come se le sue parole avessero scacciato via le nubi di preoccupazione che li avevano avvolti.

- Meno male. - ridacchiò il biondino - Ma come mai in mutande? Non dirmi che stavi facendo delle brutte cose, qui, tutto solo, sul divano di casa... -

- Cos...NO! -

Urlò Sora, diventando immediatamente rosso come un peperone.

Ventus rise di gusto, scuotendo la testa.

- Non è il caso di agitarsi tanto, se fosse vero non avresti di che vergognarti, è una cosa normalissima! E poi aiuta a scaricare la tensione... -

- O ma sei serio?! Smettila! Non stavo facendo niente di niente! - l'unica reazione di Ventus alla reazione di Sora, fu solo una grassa risata, che non fece che peggiorare il rossore del bruno - Sono a casa mia, sto solo, e sto in panciolle, che male c'è! -

- Nessuno, nessuno, assolutamente nessuno. -

- Veeeeeeeeeeeeentus! -

Afferrato uno dei cuscini, Sora fu veloce e sbatterlo sul viso di Ventus, che invece non riuscì a reagire in tempo, e si beccò in pieno la cuscinata.

Quello che successe nei cinque minuti seguenti, fu anche abbastanza scontato, visto che Ventus afferrò un secondo cuscino e cominciò a dare battaglia a Sora.

Quando il bruno si ritrovò ad urlare, dando una virile mostra di sé, di non voler essere colpito sul viso, Ventus capì che era il caso di smettere, per quanto quel gioco lo stesse divertendo.

Sora rimase in posizione difensiva finché l'amico non ebbe posato il cuscino, e poi tirò un sospirò di sollievo.

Il biondo lo osservò con occhio critico, e visibilmente preoccupato.

- Non ti avranno mica aggredito. -

Disse, riferito alla fasciatura che aveva sul naso.

- Un pallone in faccia conta come un'aggressione? -

Per come lo disse, Ventus ebbe voglia di ridere, ma dato che sembrava davvero abbattuto, lasciò stare. Gli rivolse solo un sorriso gentile.

- No, non credo conti. -

- E allora hai già la risposta alla tua domanda. -

Sora mise il broncio.

- Ti fa male? -

- Mi farà più male quando i miei lo verranno a sapere. -

Uno sbuffo.

- Non è stata colpa tua! -
- Per loro, lo sarà, visto che dicono sempre che ho la testa tra le nuvole. Stai sicuro che mi diranno qualcosa tipo “oh se fossi stato più attento, avresti potuto schivarlo”, certo, come se io avessi dei riflessi felini. -

Ventus trovò adorabile il suo abbattimento, e il tono dimesso della sua voce.

Gli diede una pacca sulla spalla, amichevolmente.

- Dai su, in qualche modo te la cavi. -

Sora alzò gli occhi cerulei su di lui.

- Ti ho rovinato la camicia. L'ho imbrattata tutta di sangue. Te ne compro un'altra, giuro. -

- Ma figurati! È solo una camicia. -

Il sorriso che gli rivolse, fece venire un brivido lungo la schiena di Sora.

Sentendosi stranamente imbarazzato, si volse altrove, cercando un argomento valido di conversazione, uno qualsiasi.

- Com'è andato il torneo? -

Balbettò alla fine, dopo un'annaspante ricerca.

Ventus si mordicchiò le labbra, e volse lo sguardo lontano.

- Ho vinto. -

Sora si accigliò.

- E perché lo dici così? -

Vedere che il biondo cambiava ancora espressione fece venire una fitta al suo cuore. Pensò di aver detto qualcosa di sconveniente, ed era quasi pronto a rimangiarsi tutto, quando Ventus sbuffò.

- Ti ho mentito. -

- Non hai vinto? -

Gli occhi blu di Ventus si piantarono su Sora. Il suo sorrisino triste lo fecero venire meno.

- Non sono venuto da te perché non volevo tornare a casa presto. - si morse la labbra, come se si stesse pentendo di stare parlando - È che a casa non volevo tornarci proprio. Sono tipo...mezzo scappato. -

- Mezzo...mezzo scappato? -

- Mi dispiace. - Sora poté giurare di aver visto una lacrima luccicare negli occhi blu di Ventus - Mi dispiace, ma non sapevo veramente dove andare. Tu sei...sei il primo amico che riesco a farmi dopo tanto tempo e...me ne vado, cerco un altro posto. -

E si alzò, intenzionato davvero ad andarsene.

Sora lo afferrò per un braccio, costringendolo a sedersi di nuovo.

- No, ora tu non vai da nessuna parte finché non mi spieghi che cosa è successo. - non poteva essere più serio di così - Che c'entra il torneo in tutto questo? -

Ventus si risedette. Rimase per un attimo in silenzio, poi cominciò a massaggiarsi il braccio destro, quasi a volersi dare conforto.

- Mio...padre... - cominciò - ...non è proprio un tipo a cui piacciono gli scacchi. - parlava senza avere il coraggio di guardare Sora negli occhi. Le sue iridi blu erano fisse in un punto lontano, oltre la spalla del ragazzo. - Quando sono tornato a casa...non era...non era di buon umore... - qualcosa disse a Sora che quel “non era di un buon umore” non era per niente confortante. Un brivido di paura gli percorse la schiena. - Lui...si è arrabbiato...si è arrabbiato molto... -

Il continuo massaggiare di Ventus nascondeva qualcosa di più.

Sora gli fermò la mano, delicatamente, e sollevò la manica della maglia che indossava. Lui non si oppose, anche se aveva la pelle d'ora. Il braccio era tumefatto, si potevano distinguere perfettamente segni di corde sui polsi, cicatrici di bruciature in via di guarigione che sembravano essere state causate da sigarette, una serie di lividi appena formatisi.

Sora sgranò gli occhi, sconvolto. Il cuore mandò un battito doloroso che lo fece tremare.

- Ti ha picchiato. -

Non era né una domanda, né un'affermazione.

Ventus rabbrividì tutto, e sembrò farsi piccolo, veramente piccolo.

Non riuscì più a trattenere le lacrime, che scivolarono giù dai suoi occhi, incontrollate.

Sora fu preso dal forte istinto di abbracciarlo.

Lo avvolse tra le braccia, e lui non oppose alcuna resistenza. Sembrava completamente svuotato da tutto. Tutta la sua gentilezza, tutta la sua energia, tutto quanto di buono lui aveva visto, non c'era più; al suo posto era rimasto un nulla doloroso, che aveva il sapore delle lacrime.

Ventus non si lasciò sfuggire neanche un singhiozzo, permise solo alla lacrime di percorrergli il volto e segnarglielo, goccia dopo goccia.

Poggiò la testa sulla spalla di Sora e per la prima volta dopo anni si sentì finalmente al sicuro.

Non sapeva perché si sentisse in quel modo, né perché lui gli desse così tanta sicurezza, né, soprattutto, perché fosse stato così facile aprirsi con lui.

Non aveva mai raccontato a nessuno di quello che succedeva a casa, né lasciava trapelare niente nei suoi comportamenti.

Aveva sempre cercato di continuare a vivere meglio che poteva, facendo finta di non dover affrontare niente di tutto quello.

Perché con Sora sarebbe dovuto essere diverso?

Eppure, gli aveva raccontato tutto senza un'esitazione. Era stato così facile confidarsi con lui! Poche parole, e aveva capito tutto. Non l'aveva giudicato, non aveva cambiato atteggiamento, aveva accolto il suo dolore come avrebbe fatto con il proprio, ed era tanto forte da confortarlo.

Anche se non avrebbe voluto, Ventus si staccò da lui, e lo allontanò con gentilezza.

Si asciugò gli occhi, con forza, cercando di cancellare quelle stupide lacrime, così amare e corrosive da fare male, dal suo viso.

- Scusami, ti sono piombato in casa all'improvviso come uno stalker. Non ci conosciamo neanche da un giorno, e ti costringo ad assistere a questo spettacolo penoso. Chissà che strana idea di starai facendo di me. -

Sora non disse nulla per un po', tanto da costringerlo ad alzare gli occhi per cercare i suoi. Incrociò uno sguardo strano, che era un misto di mille emozioni diverse, tutte contrastanti tra loro. Come poteva un solo cuore provarne così tante tutte insieme? Eppure, il suo sembrava sopportarlo, senza esserne sopraffatto.

Ma quello che più colpì Ventus, fu che non c'era pietà, in quello sguardo, né commiserazione.

- Sbaglio o ti avevo detto che siamo amici? - non sembrava una domanda a cui bisogna dare una risposta, ma lo sguardo di Sora costrinse Ventus a rispondere con un timido “sì” - Tu sei mio amico, non importa da quanto tempo ci conosciamo. E gli amici ci sono sempre nel momento del bisogno! -

Ecco che gli occhi di Ventus si riempirono di nuovo di lacrime, ma stavolta non fu doloroso sentirle scendere lungo il viso.

- Grazie... -

Fu l'unica parola che riuscì a balbettare, mentre si affrettava di nuovo ad asciugarsi gli occhi.

- Dunque, se vuoi, puoi dormire nel mio letto, io mi sistemo qui sul divano. Oppure, posso usare il mio vecchio sacco a pelo, così possiamo dormire nella stessa stanza. -

- Questo vuol dire... -

Sora annuì, con un sorriso.

- Puoi stare qui quanto vuoi. - da come si corrucciarono le sopracciglia di Ventus, Sora seppe che stava ancora per piangere, quindi si affrettò ad aggiungere: - Però, se dovrò dare assistenza anche a tuo fratello, non sarò molto contento. -

Quelle parole non sembrarono sollevarlo, non più di tanto, visto che sorrise solo per un istante.

- No lui...sta benissimo dov'è. -

Qualcosa disse a Sora che Roxas doveva essere il cocco di papà. Un moto di rabbia lo prese alla gola e rischiò di soffocarlo, però si trattenne dal dare di matto.

- E allora lasciamolo pure lì. Io non voglio quel coso che mi gira in casa. -

Sbottò Sora, fingendo una leggerezza che non aveva.

Ventus colse il suo dolce tentativo di sollevargli il morale, e ne fu così contento che il suo cuore si riempì di qualcosa che non aveva mai provato prima.

- Pensa come è difficile per me! Lui ha la mia faccia, e anche il mio corpo. Si acconcia anche i capelli come miei! -

Fece il biondo, con un pizzico di dispetto nella voce.

Sora fu soddisfatto di sentirlo scherzare, e provò a dargli corda, anche se dentro di sé continuava a pensare ai lividi, ai segni e alle cicatrici che Ventus nascondeva sotto la manica. Ne nascondeva di simili da qualche altra parte? Quanto c'era di non detto nelle sue parole? Quanta era la violenza che cercava di nascondere nei suoi sorrisi e nella sua giovialità? Ma, soprattutto, che cosa poteva fare lui di concreto per Ventus?

- Ho visto. - disse, fintamente serio - E la cosa è davvero inquietante. Dovresti chiedergli di pagarti i diritti di copyright a quel copione. -
- Ci ho pensato, visto che lui è nato dieci minuti dopo di me! Sono io il primo unico e originale, ecco. -

In qualche strano modo, riuscirono a ridere, anche se entrambi i loro cuori erano appesantiti dalla triste consapevolezza della verità che stavano tenendosi nascosta.

 

Visto che Sora voleva che i suoi genitori non se la prendessero più di tanto per la presenza di Ventus, e visto che Ventus non voleva che lo buttassero fuori nel bel mezzo della notte, si presero tutti e due l'onere di pulire il salotto.

Buona parte della roba finì nei loro stomaci; quello che non riuscirono a mangiare, e che era salvabile, fu conservato nel frigorifero; mentre le cartacce, gli scatoloni della pizza e tutto il resto della spazzatura, finì doveva doveva finire.

Il risultato, era un bel salotto pulito, con giusto qualche cuscino stropicciato, ma niente di che.

Sora non volle indagare su niente di personale, e Ventus non sembrava neanche propenso ad altri racconti; per cui si mantennero entrambi sul vago e il superficiale, chiacchierando del più e del meno.

Nonostante sapessero che c'era qualcosa che uno voleva nascondere all'altro, e che l'altro voleva sapere qualcosa dall'uno, si tennero lontani dal parlarne, anzi, non vi si avvicinarono proprio.

Ventus fu contento della genuinità e della sicurezza spontanea di Sora. Fu contento che non l'avesse costretto a chiamare a casa, anche perché non aveva davvero intenzione di tornarci.

Certo, sapeva che quella non poteva che essere una sistemazione temporanea, e che aveva un margine di azione che non poteva allungarsi a più di una settimana (ammesso che i genitori di Sora fossero così gentili, e in parte così stupidi, nel non sospettare niente e farlo rimanere con loro). Però, non aveva intenzione di pensarci in quel momento. Voleva solo godersi quello che veniva, al resto ci avrebbe pensato poi. Non gli importava sapere che quel “poi” era dietro l'angolo .

Dal canto suo, Sora cercava di scacciare con tutte le sue forze l'immagine di qualsiasi tipo di violenza che quel padre orribile avesse operato su Ventus.

Come si poteva fare del male ad una persona tanto meravigliosa?

Da quel poco che gli era stato detto, la sua rabbia nei suoi confronti sembrava ingiustificata. E d'altronde cosa poteva mai spingerlo contro di lui?

Se Sora si metteva a pensarci, gli veniva automatico fare il paragone con Vanitas: anche se lui non gli aveva fatto niente, era stato in grado di fargli quel “piccolo dispetto”.

Poteva essere una cosa del genere anche con il padre di Ventus?

Era violento solo per il gusto di esserlo?

Quello che aveva detto Ventus, poteva essere indicativo, ma Sora non aveva il tempo per pensarci, altrimenti si sarebbe chiuso in un mutismo ostinato che avrebbe insospettito l'amico, ed era l'ultima cosa che voleva.

Non è proprio un tipo a cui piacciono gli scacchi.”, quella frase non faceva che ronzargli nel cervello.

Il problema era forse l'intelligenza di Ventus? Poteva un padre non accettare un figlio “secchione”?

A qualsiasi soluzione arrivasse, Sora si premurava di scartarla a priori. Non voleva fare speculazioni, e non voleva che Ventus si sentisse messo sotto analisi.

Finirono col mettersi a giocare alla Wii, e fare tornei di tennis finché i genitori di Sora non rincasarono, verso le due di notte.

- Cos'è tutto questo baccano? -

Esordì l'uomo, entrando nel salotto con le mani sui fianchi.

Sora e Ventus rimasero con i telecomandi sollevati in aria per un lungo istante, bloccati come in una fotografia nell'istante in cui stavano per colpire la pallina virtuale.

Sora fu svelto a mollare il tutto e a dare le dovute spiegazioni.

Mentre metteva su la scusa che Ventus era venuto a casa sua per studiare insieme per l'indomani, cercava con lo sguardo di intenerire sua madre, su cui era molto più facile fare leva per quel genere di cose.

Incredibilmente, presi com'erano dalla novità, non si accorsero neanche del naso fasciato e tumefatto del figlio.

I genitori furono entrambi molto contenti che Sora fosse riuscito a farsi un amico così in fretta, e che andassero così d'accordo (visto che la madre era molto incerta sul fatto che la giornata sarebbe stata positiva per il suo piccolo, ingenuo, e un po' scemotto figlioletto), così accettarono di buon grado la sua presenza, e non si fecero problemi all'idea di ospitarlo per quella notte.

Sora, insinuando che Ventus non poteva tornare a casa perché il caso voleva che i suoi genitori fossero fuori per lavoro, riuscì a guadagnare un “forse” sulla richiesta di farlo rimanere per il resto della settimana. Il ragazzo già sapeva che era una vittoria.

- Sì, ma adesso a letto, tutti e due! -

Sbottò l'uomo, non senza un pizzico di autorità.

- Come vi siete organizzati per dormire? -

Chiese la madre, contenta come una pasqua.

- Sacco a pelo. - cominciò subito Sora - Lui prende il mio letto però. -

- No, aspetta, eravamo d'accordo che io avrei dormito nel sacco a pelo! -

Si oppose Ventus.

- Bugiardo, non l'abbiamo mai detto! -

I due adulti si scambiarono uno sguardo divertito. Erano troppo stanchi per arrabbiarsi dell'improvvisa comparsa di Ventus, e sempre troppo stanchi erano per poter pensare ad una scusa valida per cacciarlo di casa.

Anche se sapevano che Sora era un ragazzino che facilmente apriva il suo cuore, e che facilmente riceveva della batoste da parte di chi sapeva usarlo (anche se lui non sempre lo capiva, e continuava ad andare per la sua ingenua strada), avevano intuito che Ventus doveva essere un bravo ragazzo, e viste le apparenze pulite, educate e gentili con cui si presentava, non potevano dubitarne, almeno per il momento.

- Ragazzi, qualsiasi cosa decidiate, adesso andate a nanna, tutti e due! - disse la madre, con un sorrisetto sulle labbra - Domani mattina non vi sveglierete altrimenti, forza! -

- Va bene mamma! Vieni Vi-chan! -

Sora afferrò Ventus per un braccio, e lo trascinò su per le scale, lui e il suo grosso zaino.

I due genitori, rimasti nel salotto, si scambiarono uno sguardo.

- Pensi che ci dovremmo fidare? -

Cominciò il padre.

- Penso di sì. - lei sospirò - Non credo che abbia avuto una bella giornata. -

- Cosa te lo fa capire? -

La donna guardò il marito come se fosse così ovvio che solo qualcuno di particolarmente tonto poteva non accorgersene.

Ma visto che lui era la fotocopia adulta di Sora, capì che era normale che non se ne fosse accorto.

Decise che non voleva farlo preoccupare, visto il tono strano con cui aveva posto quella domanda, e si limitò a sospirare e scuotere la testa.

- Diciamo che sono sua madre, e che lo conosco bene: questo me lo fa capire. -

Prima che l'uomo avesse potuto aggiungere qualcosa, Tornado Sora, tornato nel pieno delle sue facoltà distruttive nonostante l'orario, la giornata orribile, e la verità difficile che aveva dovuto apprendere, scese con la sua solita furia le scale e si lanciò prima tra le braccia del padre, e poi in quelle della madre.

- Non vi avevo salutato! Grazie, e buonanotte! -

Ventus fu più discreto e maturo nel salutarli, dopo aver sceso le scale normalmente, ma non per questo meno gentile.

Madre e padre, nell'intimo dei loro cuori, si chiesero se loro figlio sarebbe mai cresciuto, e se il tempo lo avrebbe reso maturo come gli anni che doveva avere.

E sperarono anche che quel mondo orribile non uccidesse la spontanea, bellissima, infantile brillantezza della sua anima.

 

The Corner

Salve a tutti e a tutti ben trovati!
sono tornata! evviva!
quanto siete contenti da uno a un milione?! XD
io più di un milione!
il povero Ventus non vive proprio una situazione felice, eh?
oltre a questo, voglio lasciarvi con un altro interrogativo.
vi propongo un'immagine "disturbante"...eccola qui! ---------> http://30.media.tumblr.com/tumblr_lgovy568Fz1qah32do1_500.jpg
ultimamente mi sono interrogata molto sul personaggio di Vanitas.
voi cosa ne pensate? cosa combinerà nei prossimi capitoli? questo potrebbe essere un finale possibile?
un grazie di cuore ad Anima1992, ad Akima, a _NekoRoxyChan_, a _Mango_ e Hiryu Highwind per le recensioni,
e a tutti i lettori che perdono tempo con questa storiellina,
forse non sarà il massimo...ma per me è importante, e che voi ci siate mi riempie il cuore!
a giovedì 12 Settembre con il prossimo capitolo,
bye bye
Chii
ci vediamo giovedì 12 Settembre per il prossimo aggiornamento

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Capitolo 11
*** Aspettare è ancora un'occupazione. E' non aspettare niente che è terribile. ***


10

Aspettare è ancora un’occupazione.
È non aspettar niente che è terribile.

 

Sora si chiuse la porta della stanza alle spalle.

Ventus era accovacciato sul letto. Aveva gli occhi grandi di un cucciolo spaventato.

Gli rivolse un sorriso, e sembrò rilassarsi.

- Penso che sia andata. Per un po' non dovremmo avere problemi. -

- Grazie...ma davvero...dormi tu nel letto, a me va bene il sacco a pelo. -

Ribatté Ventus. C'era un certo senso di colpa nella sua voce.

- Giochiamocela. - Sora si buttò a peso morto sul letto accanto a lui. Offrì il pugno chiuso a Ventus. - Carta, sasso o forbici. Chi vince, si tiene il letto. -

Ventus guardò il pugno chiuso, e poi Sora, con uno sguardo scettico.

- Va bene. -

Disse infine, e porse anche lui la mano chiusa.

- Saaaaassoooo, caaaaartaaa, forbiiiiiiici! -

Recitarono insieme.

Sora buttò carta, Ventus forbici.

Il biondo si esibì in uno sbuffo scontento, mentre Sora rideva.

- Ecco, hai vinto lealmente, quindi adesso mettiti il pigiama, tappati quella boccaccia e dormi. -

Asserì Sora, annuendo tra sé e sé.

Preso il pigiama, e dopo essersi cambiato, si infilò nel sacco a pelo steso sul pavimento, mentre Ventus era ancora in bagno.

Giusto per evitare altre intromissioni verbali da parte sua, Sora chiuse gli occhi con ostinatezza, e finse di dormire.

In realtà, il cuore gli batteva tanto forte e il respiro era tanto affannato che non sarebbe stato così facile prendere sonno.

Ventus, uscito da bagno, provò a chiamarlo un paio di volte, senza però ottenere risposta.

Allora si sdraiò sul letto, con il viso poggiato sulla sponda, in modo che potesse costantemente vedere la figura di Sora sdraiata accanto a lui.

A dispetto del cuore di Sora, il suo era calmo, e il respiro regolare. Non si era mai sentito tanto tranquillo.

C'era qualcosa in quel ragazzino che lo faceva sentire veramente bene, bene come non stava da molto, molto tempo.

Era per questo che lo inseguiva? Per un egoistico bisogno di benessere? Stava solo approfittando di lui, della sua gentilezza, del suo essere stranamente speciale?

Sora aprì un occhio, brillante come solo una gemma avrebbe potuto esserlo. Ventus sentì il cuore mandare un colpo.

- Sei ancora sveglio? Ti avevo detto di dormire! -

Sbottò il bruno, fintamente arrabbiato.

Ventus arrossì tutto, e si ritirò, più imbarazzato dall'essere stato scoperto mentre lo fissava che per altro.

- Va bene, buonanotte... -

Borbottò, e si accucciò sul fianco opposto, in posizione fetale, per dare le spalle a Sora, che stava amabilmente sorridendo.

 

Vista la stanchezza, e la pesante giornata che aveva avuto, Sora si addormentò quasi subito, senza avere neanche il tempo di stupirsene, a dispetto di quello che aveva pensato poco prima.

Dormì così profondamente, che quasi si arrabbiò quando la mattina dopo sua madre lo andò a svegliare, scuotendolo per una spalla.

Lui bofonchiò qualcosa come “cinque minuti!”, ma sua madre continuava a scuoterlo. E non c'era niente di più fastidioso di qualcuno che cerca di svegliarti scuotendoti.

Per cui, aprì gli occhi, pronto a dirne quattro a sua madre, ma si ritrovò davanti il volto di Ventus.

Per un attimo, visto che i suoi collegamenti neurali stavano ancora dormendo, non riuscì a capire che cose ci facesse lì, e che cosa volesse da lui. Poi uno dei suoi neuroni, uno un po' più sveglio degli altri, si accese e gli fece tornare in mente tutto.

Sbarrati gli occhi, Sora si tirò su a sedere.

- Ma...è già mattina? -

Borbottò, con uno sbadiglio.

- Purtroppo. -

Fu la triste risposta di Ventus.

Il pigiama che indossava era decisamente troppo grande per lui, sembrava che fosse stato comprato perché vi potesse crescere dentro. Lo faceva sembrare un bambino. E con i capelli biondi tutti spettinati e quegli occhi blu sgranati ed enormi, la sensazione era acuita.

Sora si passò una mano sul viso, stropicciandosi gli occhi e sbadigliando ancora.

- Non possiamo rimanere a casa oggi? -

Si lamentò. Il calduccio del sacco a pelo lo invitava ad accucciarsi di nuovo e tornarsene a dormire.

- Non credo, tua madre ci ha già chiamati tre volte. Se sale di nuovo, è molto probabile che ci butti un secchio d'acqua gelata addosso. -

Un brivido percorse la schiena di Sora. Conoscendo sua madre, era sicuro che lo facesse. Non ci sarebbe andata sul sottile solo perché Ventus era un ospite, anzi.

- Tirami su. -

E gli porse una mano. Ventus l'afferrò e tirò con tutte le sue forze, ma Sora fece altrettanto, con il solo risultato che il biondo, non aspettandosi quel tiro alla fune, perse l'equilibrio e gli cadde addosso.

Sora scoppiò a ridere, mentre Ventus arrossiva e cercava affannosamente di rialzarsi. Ma il bruno aveva appena trovato il suo punto debole: i fianchi.

Con le mani di chi faceva il solletico da ben prima di cominciare a camminare e parlare, Sora percorse i fianchi di Ventus, strappandogli una serie di “no!” accorati, inframmezzati da risate a denti stretti.

Il biondo si trovò in balia di Sora, che sapeva perfettamente dove andare a toccarlo. Passò dai fianchi alle ascelle, e poi al collo.

Ventus supplicò per una tregua, ma non ottenne alcun risultato, se non quello di far continuare il supplizio del solletico.

Ormai completamente asservito a Sora, Ventus non poté fare altro che aspettare che finisse, o che qualcuno lo venisse a salvare.

- Basta...basta...muoio! -

Provò a dire il biondo, con le lacrime agli occhi e le risate che ormai gli facevano tremare l'addome per lo sforzo.

- Chiedimelo per favore! -

Fece Sora, perfido, infilando un dito nel fianco scoperto di Ventus.

- Aaaaaaaaaah per favoreeeeeeee! -

- Ragazzi! La colazione! -

Fu l'urlo incorporeo della mamma di Sora, dal piano di sotto.

Entrambi rimasero immobili. Ventus era supino sul pavimento, con Sora a cavalcioni sul suo stomaco, e le mani appoggiate sui suoi fianchi.

Il bruno sbuffò dal naso, e si alzò.

- Ho deciso di risparmiarti, così che tu possa assaggiare la cucina di mia madre. -

Disse, con lo stesso tono che userebbe un giudice che ha deciso di giudicare non colpevole un imputato. E poi porse la mano a Ventus per aiutarlo ad alzarsi, causando un ironico rovesciamento dei ruoli: fino a poco prima, era lui a porgergli la mano.

Ventus l'afferrò e si tirò su.

- Non pensare di avermi sconfitto! Hai vinto questa battaglia, ma non la guerra. -

Disse tra i denti Ventus, con uno sguardo corrucciato che non stava per niente bene sul suo viso delicato.

Sora rise di gusto. Gli diede una pacca sulla spalla, come a volerlo confortare, e poi se ne andò fischiettando, inseguito da un indispettito Ventus.

Scesero le scale battibeccando su quanto appena successo, e vennero accolti dal profumo di uova fritte, formaggio e prosciutto.

- Ho fatto le omelette! -

Trillò la madre, con un sorrisone.

Ventus constatò che era lo stesso, spiazzante sorriso di Sora.

Però, nonostante fisicamente entrambi somigliassero a lui, nessuno dei due adulti aveva occhi così spaventosamente cerulei. Il padre era quello che più si avvicinava a Sora nell'aspetto: aveva gli stessi spessi e lucidi capelli castani, e occhi blu intenso.

Per quanto Ventus provasse ad immaginare Sora adulto, non veniva fuori la faccia di suo padre. Forse perché Sora aveva quel non-so-che che non avrebbe perso crescendo, mentre suo padre ne era sprovvisto.

- Accomodati pure. -

Disse con un sorriso la madre, e Ventus annuì con foga, sedendosi accanto a Sora che nel frattempo si era già seduto, e aveva già riempito il piatto con un paio di omelette.

Ventus scelse l'omelette più piccola, e mangiò piano, sentendosi un intruso indesiderato.

Era una sua impressione, perché i genitori di Sora lo trattavano come fosse un membro della famiglia.

Forse aveva perso troppo tempo della sua vita ad essere inappropriato, per riuscire a capire quando poteva sentirsi a suo agio.

- Tua madre cucine le omelette? -

Chiese la donna, con un sorriso grande e gentile.

Ventus gliene rivolse uno piccolo e timido.

- No signora, purtroppo mia madre è venuta a mancare qualche anno fa. -

Tutti e tre incassarono il colpo socchiudendo appena gli occhi.

- Oh, mi dispiace tesoro. -

Lui scosse la testa.

- Non fa niente, è tutto apposto. E comunque non era molto brava con le omelette, ci preparava sempre i pancake per colazione. -

Sperò di riuscire a sdrammatizzare con un sorriso, ma ormai doveva averli turbati. Soprattuto Sora, i cui occhi gettavano ombre scure tutto intorno. Era silenzioso, e affamato di informazioni.

- Hai fratelli o sorelle? -

Buttò lì il padre, cercando di spostare rapidamente l'argomento della discussione.

- Ho un fratello gemello. -

- E lui ha dove stare mentre tuo padre è via? -

- Sì, starà anche lui da un amico. -

Sia Sora che Ventus sapevano che era una bugia bella e buona, ma il modo veloce e spontaneo con cui lo disse la fece sembrare verosimile.

Sora fremeva. Il suo appetito era sparito del tutto; non aveva decisamente più voglia di mangiare omelette, non finché i suoi genitori avevano intenzione di torchiare Ventus con quell'interrogatorio. Aveva paura che l'avrebbero costretto a riflettere su domande difficili, le cui risposte potevano fargli del male. E non voleva vederlo incupirsi.

- Non avete amici in comune? -

Provò ancora la madre, volendo insinuare un'altra domanda: perché tra le tante persone che già conoscevi, hai scelto di venire proprio in casa di un ragazzo appena conosciuto?

Ventus scosse la testa.

- Diciamo che lui...è più socievole di me. - guardò di sottecchi Sora - Era un po' che non riuscivo a legare con nessuno. -

Visto che la donna non aggiunse altro, dovette essere soddisfatta della risposta, o quanto meno, Ventus le aveva dato di che pensare per il momento.

Finita la colazione, Sora trascinò Ventus per un braccio costringendolo a tornare nella sua camera, con la scusa (ma neanche tanto) che dovevano prepararsi per la scuola.

Non appena furono soli, Sora sospirò pesantemente.

- Mi dispiace, i miei sono sempre così...fuori luogo. -

- Ti sbagli, sono molto gentili invece. - si affrettò a dire Ventus, con un mezzo sorriso - È normale poi che facciano qualche domanda, d'altronde sono un estraneo... -

- No che non sei un estraneo! - Sora gli prese le mani, e lo guardò negli occhi con l'intensità di un sole - Sei Vi-chan, il mio amico. - Ventus vacillò per un attimo, e cercò di sfuggire a quello sguardo ceruleo, ma Sora gli strinse di più le mani - Se non ti piace che ti chiamo Vi-chan, posso trovare un altro soprannome. -

Come se fosse quello il nocciolo della questione!

Ma il modo serio in cui lo disse, fece pensare a Ventus che lo era, lo era proprio. Era talmente convinto, che non sembrava esserci niente di più serio al mondo.

Gli rivolse un sorriso sbalordito. La sua freschezza era travolgente, come un bicchiere d'acqua gelida in una giornata torrida d'estate.

- Mi piace, è inusuale, ma mi piace. -

Gli occhi di Sora brillarono. Annuì con foga a se stesso, e poi lasciò andare le mani di Ventus, che sentì improvvisamente un gran freddo.

- Ti cedo il bagno, fa' in fretta! -

E gli diede una spintarella sulla schiena per convincerlo ad andare.

 

Finalmente pronti, dopo aver declinato l'offerta dei bento da parte della mamma, Sora e Ventus s'incamminarono verso la stazione.

Parlavano del più e del meno, toccando sempre argomenti molto superficiali.

A Sora veniva spontaneo interrompere di netto la trasformazione in parole di certi pensieri, che vertevano tutti su quello che aveva spinto Ventus a scappare via di casa.

Era stato attento nell'osservarlo, e aveva visto lividi e segni di vecchie violenze un po' dappertutto sul suo corpo.

Probabilmente era il desiderio di lasciarsi tutto alle spalle che lo aiutava a reggersi ancora in piedi, e che lo faceva andare avanti.

Sora non osava neanche immaginare come gli erano stati fatti quei segni, quelle cicatrici, e odiò con tutte le sue forze il padre violento che risparmiava il volto del figlio e altre zone del corpo più visibili per non far scoprire le sue nefandezze.

Quello che Ventus voleva nascondere, era coperto normalmente dagli abiti che indossava, così da non destare alcun sospetto.

Una persona può colpirne un'altra per molte ragioni, tutte scatenate dal sentimento della rabbia e spinte da gesti impulsivi.

Ma non c'era niente di rabbioso o impulsivo nei lividi che Ventus si portava dietro; erano tutti così meticolosamente articolati sul suo corpo che dovevano essere frutto di macchinazioni complesse, ben studiate in ogni minimo dettaglio.

In quel modo, non era più uno scatto d'ira che per quanto estremo potrebbe essere giustificato, diventava violenza per violenza, dolore per dolore, nient altro che quello.

Esattamente come un omicidio, il padre di Ventus doveva aver premeditato attentamente ogni colpo, per studiarne le ripercussioni.

Sora non riusciva neanche più a pensare a lui come “padre”.

Approfittando del fatto che Ventus aveva affondato il naso in un libro per ripassare per l'interrogazione della prima ora, Sora aveva potuto lasciarsi andare a quei pensieri, nei pochi minuti che precedevano l'arrivo del treno.

Ma non appena l'amico ebbe chiuso il libro con uno sbuffo, lui si cancellò dalla faccia ogni espressione, ad esclusione di quella gioviale e sorridente.

- Inutile che ripassi, scommetto che sei preparatissimo. -

Gli disse, cercando di tirarlo su.

- Oddio, non ne sono proprio certo. In matematica non sono molto ferrato. -

- Hai il professor Luxord? -

Lo sguardo di Ventus fu una risposta sufficiente.

- Non si sa mai come andranno a finire le sue interrogazioni. -

Sembrava davvero demotivato.

- Quindi qualche professore in comune l'abbiamo, anche se siamo in sezioni diverse. -

Lui annuì.

- Credo che abbiamo anche quello di scienze in comune. -

- Marluxia, uomo-donna? -

La risata di Ventus sollevò il morale di Sora, che si unì a lui per gioire di ogni sua sfaccettatura.

- E chi hai come professori di lingue antiche e letteratura? -

Chiese ancora il bruno, non tanto perché ci tenesse a saperlo, ma solo per fare un po' di conversazione.

- Due omoni giganteschi e terrificanti. Uno è il fratello del Superiore, si chiama Ansem, e fa lingue antiche, l'altro è un tipo un po' eccentrico, che nasconde sempre il viso; pensa che non sappiamo neanche se il nome con cui si presenta è quello vero o no. Intanto, noi lo chiamano DiZ. -

- Non sembrano confortanti. -

- Infatti, non lo sono per niente. -

- E io che pensavo che la mia fosse la sezione peggiore della scuola. -

Si lamentò Sora, facendo una strana espressione imbronciata che fece sorridere Ventus.

- Se per “peggiore” intendi una sezione dove si sgobba e ci sono interrogazioni fin dal primo giorno, ti sfido a trovare una classe “migliore”. A Kingdom Hearts sono tutte così! -

- Che noia. -

Sbottò il bruno, con sommo divertimento di Ventus.

Il treno arrivò fischiando in stazione, e la massa scomposta di studenti che stavano aspettando si alzò con flemma per raggiungere i vagoni.

Anche se quella era l'ultima corsa prima delle undici, nessuno aveva tutta questa gran voglia di salire per andare a scuola. Sui volti della maggior parte di coloro che indossavano la divisa di Kingdom Hearts si poteva leggere un'ansia che era direttamente proporzionale all'avvicinarsi della prima ora di lezione.

Allora, Sora pensò che le storie che giravano sugli studenti di quella scuola era fondate. Doveva essere vero che Kingdom Hearts aveva il più elevato tasso di crisi isteriche ed esaurimenti nervosi del paese.

Il ragazzo si chiese se sarebbe toccato anche a lui, prima o poi. Poi lo sguardo gli cadde su Ventus, che camminava al suo fianco, e si disse che no, non gli sarebbe successo, non sapeva perché, ma ne aveva la certezza.

Salirono sul primo vagone a portata di mano. I posti erano, ovviamente, tutti occupati, e non c'era speranza che se ne liberassero fino alla stazione d'arrivo.

Ventus e Sora si rassegnarono all'idea di rimanere in piedi per tutto il viaggio, ma non era neanche tutto questo gran problema.

Sora si sentiva un po' meno fuori posto rispetto al giorno prima. Ora che aveva indossato i panni dello studente di Kingdom Hearts per un'intera giornata si sentiva in qualche modo parte di quell'agglomerato di studenti isterici e snob. E non lo riteneva neanche un male, visto che voleva perdere al più presto l'aura da matricola che doveva circondarlo come un sudario.

Riuscirono a trovare uno spazietto in piedi vicino alle porte. Con l'intento di mantenere l'equilibrio, già precario, si aggrapparono a tutto quello che trovarono. Ventus si appese all'unico spazio lasciato libero sul corrimano, mentre Sora si aggrappò alle sue spalle.

Il treno partì con uno scossone, che fece stringere di più la presa di Sora. Ventus si sentì andare a fuoco per l'imbarazzo, ma non protestò, visto che doveva stare in quella posizione per una buona mezz'ora, e non voleva creare una fonte di imbarazzo per Sora.

- Te l'ho detto che ieri Riku mi ha minacciato di morte? -

Cominciò il bruno. Poggiò la testa sulla spalla di Ventus, con il solo risultato di farlo arrossire di più.

Per fortuna, non poteva vederlo bene in viso, altrimenti si sarebbe vergognato come un ladro.

- Ti ha minacciato di morte? E come mai? -

Buttò lì, sperando che la sua voce non tremasse come stava facendo il suo cuore.

- A quanto sembra, una mia compagna di classe è la sua fidanzata. Ti ricordi che ti avevo detto che rimanevo a studiare con qualcuno, no? -

- Sì. -

- Ecco, quel qualcuno era questa ragazza e una sua amica. Poco dopo il nostro incontro in biblioteca è arrivato Riku. Si è comportato abbastanza normalmente, se escludiamo il fatto che ha pomiciato con lei per tre quarti del tempo. - Sora storse il naso, indispettito. Cos'era, invidia? - Ma appena le ragazze se ne sono andate, lui ha cominciato a dare di matto. Mi ha detto che se mi vedrà ancora socializzare con la sua ragazza, avrò di che pentirmene. -

Ventus rimase in silenzio per un attimo, valutando le parole di Sora.

Gli diede fastidio il modo in cui il bruno aveva parlato di lei, di quella ragazza; gli muoveva qualcosa in petto sapere che lui pensava a qualcun altro, come quando pensava agli amici lasciati a casa, ma un po' di più. Si convinse che fosse, di nuovo, solo un'innocente invidia.

- Allora dovrai starle veramente alla larga, se non vuoi che Riku ti gonfi di botte. -

Concluse, sperando che non si sentisse il velo di acidità che copriva la sua voce.

Ma Sora era troppo bonaccione e troppo ingenuo per accorgersene, e lo prese solo come un affabile consiglio.

- Come! È nella mia classe, ed è l'unica con cui ho scambiato due parole nell'arco della giornata. Anche se la ignorassi, sarebbe lei a venire da me! Avrà la sindrome della buona samaritana, che ne so! E per di più, con tuo fratello che mi spia, sono sicuro che Riku verrà a sapere tutto di quello che succede. -

Finito di parlare, venne percorso da un brivido di paura.

Ventus ridacchiò.

- Non ti preoccupare, Roxas non funziona come spia. Non si farebbe mai trattare da sottoposto, da Vanitas forse sì, ma nei confronti di Riku ha un po' d'astio. Diciamo che sono amici-nemici. Di certo, preferirebbe darti fastidio di persona, che permettere a lui di farlo. -

- Se è un modo per confortarmi, sappi che non ci stai riuscendo per niente. -

Fece Sora, funereo. Sollevò la testa dalla spalla di Ventus, con suo sommo disappunto.

- Si che è un modo per confortarti, e dovrebbe anche funzionare, visto che mio fratello è troppo scemo e infantile per fare qualcosa di più che tirare palline di carta e fare le smorfie. Il massimo che ti puoi aspettare da lui è uno sgambetto. Se non ci sono Riku e Vanitas ad aizzarlo, non si spinge oltre. -

Sora mise il broncio.

- Va bene, mi hai confortato, contento? -

Ventus rise del tono arrabbiato con cui lo disse, e della sua espressione buffa.

Il mondo fuori dal treno correva così veloce da essere sfocato.

Nel vagone il caldo di corpi ammassati e l'aria resa pesante dalle troppe persone riunite a respirarla faceva girare la testa.

Sora e Ventus, che erano entrambi piuttosto bassi, dovettero alzarsi sulle punte dei piedi per raccogliere un po' di ossigeno ancora respirabile. La muraglia di schiene e la foresta di teste degli studenti più grandi, e più alti, non gli rendeva le cose facili.

Sembrava che il viaggio non dovesse finire mai.

Per la prima volta, Sora provò il forte desiderio di essere già arrivato a scuola. Almeno, avrebbe potuto respirare dell'aria buona.

Per di più aveva un gran sonno, e non faceva che reprimere sbadigli.

La notte passata nel sacco a pelo sarebbe stata confortante e divertente, se non fosse stato per i pensieri che continuavano ad agitare il suo sonno.

Anche se era caduto addormentato come un sasso, non era stato un sonno riposante.

Poggiò nuovamente la testa sulla spalla di Ventus, cercando un posticino comodo dove potersi appisolare.

- Sora? - chiamò l'amico. Da quella posizione poteva scorgere solo il naso, fasciato alla bell'e meglio, e la massa spettinata di capelli castani, che gli coprivano gli occhi. Sora rispose con un mugugno, qualcosa di simile ad un “mmm?”. - Grazie per quello che stai facendo. -

- Intendi ospitarti a casa mia? Che sarà mai, puoi stare quanto vuoi. -
Rispose lui, con un mezzo sorriso.

Ventus scosse la testa.

- No...intendevo...grazie perché...nonostante quello che hai visto e quello che ti ho detto non stai pretendendo nessuna spiegazione... -

Sora si accoccolò di più contro Ventus.

Gli cinse piano i fianchi in un abbraccio confortante, che fece schizzare a mille il battito cardiaco di Ventus.

- Se e quando vorrai dirmi qualcosa, sono sicuro che la dirai. Quindi io sto qui e ti aspetto. -

Ventus sentì le lacrime salirgli agli occhi, e ringraziò la folla che lo costringeva a dare le spalle a Sora, perché non sarebbe riuscito a reggere il suo sguardo.




Ther Corner

Ciao a tutti e ben trovati!
non vedevo l'ora di aggiornare la storia,
devo ammettere di avere quasi voglia di aggiungere una pubblicazione anche al sabato...
voi che dite?
grazie per continuare a seguirmi e lasciarmi recensioni,
mi sto divertendo scrivendo questa storia e sono contenta di far divertire anche voi :)
a giovedì 19 settembre (a meno che qualcuno non mi preghi di postare sabato ahahahah)!
Chii

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Capitolo 12
*** Un nemico fantasioso, un amico fantastico ***


11

Un nemico fantasioso

Un amico fantastico

 

Ventus e Sora aspettarono che la folla si disperdesse, prima di avviarsi verso la scuola.

Nessuno dei due sembrava molto intenzionato ad entrare, anche perché chiacchierare con Ventus era così piacevole che Sora non voleva più smettere.

Aveva come l'impressione che più lo lasciasse parlare più si tranquillizzasse e diventasse sereno. I suoi occhi si schiarivano piano piano, diventando sempre più cristallini, come pezzi di vetro ben pulito.

Ed era una soddisfazione per Sora vederlo cambiare, cambiare in meglio. I suoi sorrisi diventavano più caldi, più spontanei. Non c'era nessun oscuro pensiero a rattristarlo.

Era contento di vederlo così, e di sapere che in parte, una piccola parte, era merito suo. Si sentiva importante.

Prima o poi, Ventus avrebbe deciso di aprire completamente il suo cuore a lui, e allora avrebbe potuto dividere il suo dolore, e forse aiutarlo a guarirsi.

Per il momento, doveva fare tutto quello che poteva per tenerlo lontano dalla sofferenza, finché non sarebbe stato in grado lui stesso di fare qualcosa per annullarla.

Sapeva di essere troppo giovane per poter far fronte a qualcosa di così grande, ma non gli importava, perché il suo caldo ottimismo gli faceva credere che avrebbe risolto tutto quello che andava risolto. Si vedeva a distanza di qualche mese trionfante con a fianco Ventus e quell'uomo orribile dietro le sbarre. Tutto quello che c'era in mezzo, non lo vedeva, ma gli bastava che ci fosse il punto d'arrivo all'orizzonte per sentirsi felice.

- ...e poi potremmo andare ad Halloween Town. -

Sora scosse la testa, aveva perso l'ultima parte del discorso di Ventus, per favoleggiare sul suo futuro.

- A fare cosa? -

Gli disse, cercando di non far capire all'amico che non lo stava più ascoltando, e chissà da quanto.

Ventus alzò gli occhi al cielo e sghignazzò.

- Te n'eri andato di nuovo su un altro mondo, eh? - lo pungolò lui, puntandogli l'indice su una guancia - Sei un tipo che viaggia un sacco! -

- Non prendermi in giro, uffa! -

Di nuovo, Sora mise il broncio. Ventus non resistette e poggiò entrambe le mani sul suo viso, strizzandoglielo, e facendogli assumere un'espressione così buffa che non poté non riderne anche lui.

- Stavo dicendo che il 31 Ottobre ad Halloween Town organizzano sempre la più bella festa in maschera di sempre, potremmo andarci, che dici? -

Sora fece finta di massaggiarsi le guance, dopo che Ventus gliele aveva strapazzate un po'.

- Mmm non lo so, ho sentito di quelle feste, non le organizzano tutti gli anni? -

- Sì! A quanto ho sentito i residenti passano 364 giorni l'anno aspettando il 31 Ottobre. Sono feste spaventosissime, piene di fantasmi. -

Ventus agitò le mani come fossero tentacoli e fece “uuuuh” ululando come un lupo mannaro.

Sora rise della sua espressione, e scosse la testa.

- Sembra una buona idea, ma avresti intenzione di andarci in maschera? -

- Certo! È una festa in maschera e ci vai senza maschera? - sembrò sconvolto - Che idea malsana! -

Sora gli diede un pugnetto affettuoso sulla spalla.

- A me piacerebbe andare anche al Prankster's Paradise. -

- Io ci sono stato, una volta. - per un millisecondo, gli occhi di Ventus sparirono di nuovo nell'oscurità - Sarebbe figo andarci insieme però! -

Sora gli rivolse un sorrisone.

- I miei non sono dei gran viaggiatori, e neanche gli amici che avevo alle Isole del Destino. Non sono mai andato da nessun'altra parte. -

- Bhè, con i treni che partono da Traverse Town, stai sicuro che puoi andare dove vuoi, quando vuoi, e ad un prezzo ragionevole se sei uno studente! -

- Se sopravvivo alla scuola, giuro che vengo con te in qualsiasi posto tu voglia andare. -

Ventus gli porse un mignolo.

- Promettimelo... -

Sora inarcò un sopracciglio, ma si affrettò ad avvolgere il suo mignolo a quello dell'amico.

- Te lo prometto. -

Ventus tirò un sospiro di sollievo, come se quelle sole tre parole avessero avuto il potere di farlo sentire meglio.

Che volesse una sicurezza per il futuro? Che volesse essere certo che Sora non l'avrebbe abbandonato nel giro di qualche giorno? Il progettare assurdi viaggi insieme in giro per il paese lo facevano sentire al sicuro? Che volesse avere l'illusione di allontanarsi il più possibile da quello che lo aspettava a casa?

Un milione di domande simili affollarono la mente di Sora nei tre secondi in cui i loro mignoli rimasero intrecciati.

Poi Ventus troncò il contatto e lo superò di qualche passo, incitandolo a muoversi, prima che fosse troppo tardi.

Sora scosse la testa, confuso, e gli andò dietro, zigzagando tra gli studenti.

La campanella suonò nel momento in cui i due salirono il primo gradino della scalinata che portava all'ingresso. Come un sol uomo, la massa scomposta di studenti si concentrarono sull'entrata. Un fiume in piena di corpi che si affannavano nel raggiungere le porte.

Sora si sentiva già calpestato, ma Ventus gli venne in soccorso afferrandolo per una mano e trascinandolo contro la balaustra.

Osservarono da quell'angolo il via vai affannato dei ragazzi e delle ragazze, finché non si ritrovarono ad essere gli unici rimasti sulle scale.

Solo allora, Sora ci accorse di avere ancora la mano intrecciata a quella di Ventus.

Lui arrossì di brutto, ma Sora non riuscì a capire perché: che male c'era?

Ventus lo lasciò, imbarazzatissimo, scusandosi e nascondendo il volto lontano, dove sperava che Sora non l'avrebbe trovato.

Il bruno non perse neanche tempo a rispondergli. Gli venne spontaneo ridere, cosa che fece arrossire di più Ventus.

Gli ultimi ritardatari, come loro due, si stavano affrettando a tornare in classe.

I lunghi corridoi dai pavimenti di marmo brillavano, lucidi di pulizia. Non c'era un granello di polvere neanche a cercarlo con la lente di ingrandimento.

Sora non aveva tutta questa fretta, soprattutto perché alla prima ora ci sarebbe stata Aqua, e non aveva voglia di vederla tanto presto. E neanche Ventus sembrava ben disposto ad entrare in classe, con l'interrogazione di Luxord che lo aspettava (ammesso che pescasse la carta sbagliata).

E poi, arrivati in fondo al corridoio, avrebbero dovuto separarsi, e non avevano intenzione di superare quella giornata lontani l'uno dall'altro. Sarebbe stato tutto più difficile da soli.

Però, non volevano neanche mancare al loro dovere, e non andare a seguire le lezioni, per quanto orribile sarebbe stato, non sarebbe giovato a farli sentire meglio.

C'era sempre la promessa che si erano fatti, e la prospettiva di pranzare insieme. C'era, in fondo, qualcosa con cui consolarsi.

- Quasi me lo dimenticavo! - esclamò Sora, dandosi una manata in fronte - Stasera c'è una partita di calcetto, mi hanno tipo mezzo invitato ad andarla a vedere, ci andiamo insieme, no? -

- Certo! -

- Dovrei passare anche in segreteria per la tessera della mensa... -

Continuò Sora pensoso.

- Ci andiamo in ricreazione. -

- Con questo hai risolto tutto i miei problemi. -

- In realtà, ci sono ancora un sacco di problemi che devi risolvere. - Sora e Ventus si bloccarono sul posto. Automaticamente, si volsero a cercare la fonte della voce, e non piacque a nessuno dei due quello che videro. - Per esempio, io qui ne vedo tre. - Vanitas si indicò - Uno. - poi passò l'indice su Riku, alla sua destra - Due. - e passò su Roxas, alla sua sinistra - Tre. - Sora sgranò gli occhi così tanto da sembrare un cartone animato. Da quanto tempo quei tre li stavano tallonando? A quali e a quante conversazioni avevano assistito? Vanitas rise di cuore, scuotendo la testa. - Mai mi sarei immaginato che voi due sareste finiti con il legare tra voi. Però, considerando che siete entrambi due insettini insignificanti, in un certo senso me lo sarei dovuto aspettare. -

A Sora vennero in mente mille frasi per rispondere, ma quasi tutte queste comprendevano almeno un insulto nei confronti di Roxas, e dato che non voleva mancare di rispetto al fratello del suo amico, per quanto stronzo, evitò di aprire bocca.

Poi i suoi occhi cerulei caddero sul viso di Roxas, e si ritrovò con la bocca spalancata. Il biondino aveva il labbro spaccato in due da un taglio profondo, e un occhio pesto che stava per diventare nero e che, gonfiando, gli impediva di tenere aperta la palpebra.

Ventus dovette averlo visto anche lui, perché sgranò gli occhi.

- Ma che ti è successo?! -

Fu la sua domanda accorata, posta facendo un pericoloso passo avanti verso il minaccioso trio.

Vanitas scollò gli occhi da Sora e Ventus quel poco che gli bastava per appoggiarli su Roxas, sul suo occhio, e sul suo labbro tumefatto.

Il moro sollevò le spalle.

- Il piccoletto non ha voluto sottostare agli ordini, e l'ho rimesso in riga. -

- Com...hai picchiato mio fratello?! -

Vanitas passò un braccio intorno alle spalle di Roxas, che non oppose alcuna resistenza. Gli scompigliò amabilmente i capelli. Ventus provò una forte voglia di saltargli al collo.

- Che vuoi farci, c'erano delle incomprensioni. -

- Ma lui...è tuo amico... -

Bisbigliò Sora, ancora sconvolto nella sua ingenuità.

Vanitas, per tutta risposta, sbuffò, come se non gliene importasse niente, e lasciò andare Roxas, che teneva sempre lo sguardo puntato a terra.

- Sei un bastardo, ti ammazzo! -

Sbraitò Ventus, e prima che Sora potesse fermarlo, si era già gettato sul moro, che era tanto più grosso e alto di lui.

Riku, senza che Vanitas glielo chiedesse, lo intercettò prima che potesse arrivargli abbastanza vicino da fargli qualcosa.

Lo afferrò per un braccio e glielo torse dietro la schiena fino a farlo gemere. Per evitare di finire con un braccio spezzato, Ventus assecondò il movimento, e si ritrovò in balia di Riku, che lo sbatté contro una fila di armadietti. Con una mano gli teneva il braccio piegato contro la schiena, con l'altra gli teneva ferma la testa.

Ventus provò a ribellarsi, ma Riku era troppo forte per lui, e tra l'altro stava ancora riprendendosi dalle violenze subite ed era molto debole.

- Grazie, Ricchan. - fece Vanitas con un tocco di ironia. Riku lo fulminò con lo sguardo, ma non rispose. - Ora, passiamo a noi. - continuò, gongolante, guardando Sora, i cui occhi cerulei non facevano che saltare da lui a Ventus. Come poteva aiutarlo? - Stai tranquillo che non voglio farti del male, voglio solo giocare con te. -

- Lo...lo...lo andrò a dire al Superiore! -

Come se avesse detto la barzelletta più divertente di sempre, Vanitas e Riku scoppiarono a ridere.

- Certo, puoi andare pure a dirglielo. Ma ti assicuro che il Superiore non vuole perdere la sua punta di diamante. - disse Vanitas, così fiero di se stesso e di quello che stava dicendo da brillare di luce propria, proprio come un diamante.

- Punta di diamante? Semmai il Superiore non vuol perdere la sua merda peggiore! -

Inveì Ventus, con il solo risultato di farsi strappare un urlo di dolore quando Riku gli torse di più il braccio.

- Sentilo il piccoletto come risponde. -

Ridacchiò il moro.

Sora si sentiva perso, e inutile. Sapeva che non avrebbe potuto competere in forza né con Riku né con Vanitas, e che non poteva salvare Ventus e se stesso senza riportare una serie spiacevole di ferite. Ma non poteva neanche darsela a gambe e lasciare solo l'amico. No, non se ne parlava proprio.

E se si fosse infilato nella prima aula disponibile avesse chiesto l'aiuto dell'insegnante che vi avrebbe trovato dentro?

Qualcosa gli disse che, in quel caso, avrebbe fatto la figura dell'idiota, perché l'insegnante avrebbe scelto di credere a Vanitas e non a lui.

- Lascialo stare, non ti ha fatto niente! -

Provò Sora, sentendo le lacrime agli occhi. Avrebbe tanto voluto avere un'arma, una qualsiasi, che lo facesse sentire meno stupido, meno inetto, e con cui avrebbe potuto proteggere Ventus.

- Infatti, non è lui che voglio. - Vanitas abbassò la voce - Sei tu, piccolo angelo. -

Sora sentì il fiato mozzarglisi in gola.

- Perché? -

- Perché sei il mio passatempo del momento, no? - per come lo disse, sembrò che dovesse essere qualcosa di scontato, e che Sora era davvero molto stupido se non se n'era accorto - Con Ventus ho già fatto, non mi diverte più. Sei tu il mio giocattolo nuovo. -

Sora seppe che doveva scappare. Lo intuì come poteva intuirlo un coniglio di fronte ad una volpe, una gazzella di fronte al leone. Anche se il buon senso lo voleva obbligare a rimanere dov'era per cercare di salvare il suo amico, l'istinto di sopravvivenza gli fece muovere il primo passo un nano secondo prima di Vanitas, acquistando un istante di vantaggio, ed evitando per un pelo che il moro lo afferrasse per sottometterlo a chissà quale tortura.

Come da molto lontano, Sora sentì la voce di Ventus che gli strillava “corri Sora, corri!” e lui, nell'assurdità del momento, immaginò tutto un altro contesto, e la frase di Ventus si trasfigurò in “corri Forrest, corri!”.

In ogni caso, le sue gambe la presero seriamente, e grazie all'ondata di adrenalina che gli riempì il corpo fu in grado di esibirsi in uno scatto da centometrista che qualunque atleta olimpico avrebbe invidiato.

Corse a perdifiato nei corridoi, senza guardarsi indietro e senza sapere dove stava andando.

Gli sarebbe bastato infilarsi in classe, e la tragedia sarebbe stata rimandata a data da destinarsi. Ma sapere che così avrebbe salvato solo se stesso e lasciato Ventus da solo lo faceva sentire così verme che passò sfrecciando davanti alla porta della sua aula senza neanche pensare di fermarsi.

Derapando in curva come una macchina da corsa, svoltò bruscamente a destra. Si voltò per un attimo, cercando una traccia del suo inseguitore, ma incontrò solo il vuoto.

Si arrischiò a fermarsi per prendere fiato. Si appiattì nel piccolo spazio tra una fila di armadietti e il muro, come un animale spaventato.

Sicuro che lì Vanitas non l'avrebbe trovato, si lasciò scappare un sospiro di sollievo.

Il cuore gli batteva così forte da fargli male. Si massaggiò il petto con una smorfia.

Il suo pensiero corse verso Ventus. Nella sua ingenuità sperò che Vanitas avesse detto il vero, e che non avesse intenzione di fargli del male. Ma considerando che non ci si poteva fidare di un tipo che il primo giorno di scuola ti infila la testa nel water e il secondo ti insegue per la scuola come un leone a caccia, Sora sentì un groppo che gli stringeva la gola.

Rimase qualche altro secondo ancora, nascosto in quel piccolo spazietto. Non sembrava esserci anima viva. Le uniche voci che si potevano sentire, attutite, erano quelle degli insegnanti che spiegavano.

Convinto che Vanitas avesse abbandonato la ricerca, uscì fuori dal suo nascondiglio.

Sarebbe voluto tornare indietro per Ventus, ma allora che senso avrebbe avuto la sua fuga?

Forse, andare in classe era la cosa migliore.

Deluso e abbattuto dal suo stesso comportamento, Sora s'incamminò a testa bassa.

Prima che potesse fare qualche passo, una mano si aggrappò al suo braccio, tanto forte da strappargli un'esclamazione di dolore.

- Corri veloce, ma non abbastanza. -

Esordì Vanitas, con un ghigno divertito sulle labbra.

Gli occhi di Sora si sgranarono all'inverosimile, diventando grandi come piatti da portata.

Non ebbe il tempo di dire neanche una parola, né di protestare.

 

 

Nel buio, Sora udì il rumore di passi affannati che si avvicinavano.

Non sapeva quanto tempo fosse passato, e ormai aveva perso la speranza.

Imbavagliato com'era, non riusciva ad emettere neanche un suono, né tantomeno riusciva a muoversi.

Quindi aspettò che quel rumore svanisse, insieme a quello che rimaneva delle sue speranze.

I passi si allontanarono, diventando più fievoli, e Sora tirò un sospiro che sapeva di lacrime.

Quanto tempo sarebbe rimasto chiuso lì prima che qualcuno lo trovasse e lo facesse uscire?

Si preparò psicologicamente ad aspettare, ad aspettare tanto.

Quando i passi tornarono indietro, verso di lui, quasi se ne stupì.

La persona che li stava producendo corse nella sua direzione, affannosamente, e si fermò proprio davanti a lui.

Il cuore lo avvertì di non sperarci troppo, e stavolta fu il cervello ad andare in tilt e riempirsi di vane illusioni.

Sora sentì che quella persona stava armeggiando per aprire a serratura. Forse stava forzando il lucchetto, chissà. In ogni caso, ci stava provando.

Mugugnò qualcosa che avrebbe voluto essere un “aiuto!”, e che però divenne solo un “mmmmmm!” sconnesso, e per un attimo non si sentì più alcun rumore.

Pensando di aver spaventato il suo possibile salvatore, Sora si agitò, provando a muoversi, ed emettendo quanti più versi poteva.

Qualche secondo dopo, l'armeggiare con la serratura divenne frenetico, finché, con un sonoro click, lo sportello non si aprì. Sora si sentì cadere nel vuoto. Fino a quel momento, era rimasto appoggiato contro di esso, e non potendo muoversi non poteva neanche impedire la caduta.

Ma la persona che l'aveva liberato fu veloce abbastanza da impedirgli di sbattere la faccia sul pavimento.

Lo afferrò al volo, e caddero insieme.

Sora alzò gli occhi, cercando quelli del suo salvatore.

- Scusami, ho fatto prima che ho potuto. -

Sembrava dispiaciuto, ma Sora era così felice di vederlo che gli si riempirono gli occhi di lacrime.

Ventus gli tolse il nastro adesivo dalla bocca, e la prima cosa che Sora fece, fu coprirlo di “grazie”, fino a sommergerlo.

- Come hai fatto a trovarmi? -

Chiese, dopo aver terminato la sua riserva di ringraziamenti.

Ventus gli mostrò un foglietto.

- Lo stronzo mi ha lasciato da fare una caccia al tesoro. Adesso ti libero, eh? -

Sora annuì.

Ventus, munito di pazienza e di forbicine, strappò via tutte le strisce di nastro adesivo che tenevano fermo il corpo di Sora.

- Ti ha impacchettato per bene. -

Sbottò Ventus, mentre rimuoveva l'ennesima striscia.

Vanitas doveva aver pensato tutto nei minimi dettagli, senza lasciare niente al caso, visto che non era normale che una persona si portasse dappresso due rotoli di nastro adesivo da imballaggio.

- Già. -

Fu la laconica risposta di Sora.

Dopo essere stato catturato da Vanitas, in corridoio, aveva anche provato a ribellarsi, ma lui aveva dalla sua una forza spaventosa, e una crudeltà fuori dal comune.

L'aveva trascinato (faticando non poco, perché Sora non aveva smesso di muoversi un attimo), nei seminterrati della scuola, dove si trovavano i vecchi armadietti smessi, rotti o semplicemente non utilizzati. Poi aveva cominciato ad avvolgerlo nel nastro adesivo. Un paio di volte Sora era riuscito a mordergli le mani, e allora Vanitas era ricorso ad un triplo strato di nastro sulla sua bocca. Dopo di che l'aveva ficcato a forza in un armadietto, aveva chiuso lo sportello, e se n'era andato, lasciandolo lì in balia dell'attesa, e della paura.

- Quanto sono stato chiuso qua dentro? -

Ventus strappò via l'ultima striscia, prima di rispondere.

- Tre ore buone. -

- Pensavo peggio. -

Fu la risposta, un po' sollevata.

Ventus lo guardò dritto negli occhi.

- Avrei dovuto capire prima dov'eri. Vanitas mi aveva dato tutti gli indizi, e io non sono riuscito ad interpretarli. -

Dato che Ventus era in procinto di scoppiare a piangere, Sora cercò di sdrammatizzare.

- Se ti ha mandato a fare una caccia al tesoro, io sono il tesoro? -

Le labbra del biondo si sollevarono appena in un sorrisetto, e Sora se ne sentì compiaciuto.

- Una specie. -

Fece Ventus, tirando su con il naso e asciugandosi gli occhi umidi.

- E ha organizzato tutto questo casino solo per me? -

- Tu gli rendi le cose facili. - Sora si indicò, come per dire che non aveva fatto proprio niente - Sì, perché hai quella faccia...e sei così buono...e poi sei una matricola...sei la vittima perfetta per Vanitas. -

Sora sbuffò dal naso, e fece una smorfia.

- Di certo, gli do un dieci per la fantasia. Ti renti conto che mi ha chiuso in un armadietto abbandonato dopo avermi avvolto nel nastro adesivo da imballaggio? E che per farmi trovare ha organizzato una sadica caccia al tesoro da far fare a te? - Ventus non si trattenne dallo scoppiargli a ridere in faccia. La sua espressione, il tono di voce con cui disse quelle parole, il modo in cui sembrava estremamente convinto di quello che diceva: era irresistibile. Sora lo ignorò. - Cioè, questa è una mente criminale, è come il Joker che ne so, pianificherà altra strana roba per farmi penare. -

- Hai sentito quello che ti ha detto, no? Sei il suo giocattolo nuovo, non ha intenzione di romperti, solo di giocare finché non si stuferà. -

Concluse Ventus, funereo.

Sora riuscì solo ad annuirgli, perché aveva ragione.

Sin dal giorno prima, i suoi intenti erano stati chiari. Se Sora si fosse fatto davvero male, o fosse stato in pericolo di vita, Vanitas non avrebbe avuto più niente con cui giocare e divertirsi, e dato che, a detta sua, era molto tempo che non trovava nessuno con cui passare il tempo e che si annoiava, era quasi certo che i suoi scherzetti non sarebbero finiti tanto presto.

- E quella storia del diamante? Che sbruffone. -

Sbottò Sora.

- In realtà...è davvero una punta di diamante. -

Sospirò Ventus.

- Cosa?! -

Il biondo scosse la testa, desolato.

- È uno dei migliori studenti dell'istituto, se non il migliore in assoluto. Si qualifica sempre al primo posto agli esami di metà semestre, e ha vinto diverse competizioni portando alto lo stendardo della scuola. Il Superiore lo venera come fosse suo figlio. -

- Quindi è inattaccabile. -

- Sì. -

Un velo spesso di scoraggiamento calò su Sora, che se ne sentì schiacciare.

Non solo doveva sopportare le vessazioni di quell'essere spregevole, ma non poteva neanche andarlo a dire al Superiore, per un semplice motivo: sarebbe sempre stato dalla parte di Vanitas.

- Immagino che dovrò sopportare in silenzio finché non si stanca, eh? - Ventus annuì - E scommetto che ha la fama di essere uno che non si stanca facilmente. - di nuovo, Ventus fu costretto ad annuire. Sora si sentì sprofondare un po' di più. - Mi dispiace di aver trascinato dentro anche te, allora. Che se la prende con me potrebbe anche starmi bene, ma con te no. -

Il biondo stavolta scosse la testa.

- Non mi ha fatto niente e non me ne farà. Vuole solo arrivare a te, usandomi come specchietto per le allodole. -

- Lo conosci molto bene. -

- Ho questa sfortuna, sì. -

Rimasero in silenzio, seduti sul pavimento freddo, a fissare punti lontani, distanti tra loro tanto da essere irraggiungibili.

- Pensi che...sia stato davvero lui a fare del male a Roxas? -

Provò Sora, con la voce piccola.

Ventus non rispose subito. Si prese tutto il tempo per pensare. Le emozioni contrastanti che gli passavano negli occhi glieli facevano brillare in uno strano modo.

- No. - concluse, dopo una lunga riflessione - Anche se sarei più contento se fosse stato Vanitas a farlo, sono sicuro che sia colpa di nostro padre. -

Sora trattenne il fiato e si morse le labbra. A quello, non aveva pensato. Aveva dato per scontato che Roxas fosse “il cocco di papà”, e neanche per un secondo aveva creduto che potesse essergli stato fatto qualcosa di male.

Era stato troppo avventato nel giudicarlo, e solo perché provava astio nei suoi confronti.

Si sentì in colpa, e Ventus dovette intuire qualcosa, perché gli poggiò una mano su un ginocchio e gli sorrise.

- Vanitas è stronzo, e fa di tutto per aumentare la fama di cattiveria che lo circonda, ma sono sicuro che in un qualche strano modo vuole bene a Roxas. Si occuperà di lui. -

Era il suo modo per dirgli che Roxas avrebbe trovato un posto dove stare perché era scappato come aveva fatto lui?

Sora, pensando di aver capito, annuì debolmente.

- Non so neanche che lezione ho adesso. - sospirò il bruno - Se mi presento in classe mi sgrideranno alla grande, vero? -

- Sì, ma non puoi neanche non andare, visto che il segretario Eraqus chiamerà subito a casa tua se alla fine della giornata risulterai assente. -

Un brivido fece tremare Sora.

- I miei mi ucciderebbero. - valutò l'opzione di vedere suo padre veramente incavolato - Meglio andare. -

Ventus gli annuì.

Percorsero insieme i corridoi semi-bui del seminterrato.

L'amico spiegò a Sora che erano vicini agli spogliatoi della palestra.

Sora si chiedeva che cosa sarebbe successo se non ci fosse stato Ventus a cercarlo. Probabilmente, sarebbe rimasto chiuso in quell'armadietto per tutto il giorno, finché il segretario non avrebbe chiamato a casa; dopo di che i suoi genitori avrebbero appreso che non era andato a lezione, e la prima cosa che avrebbero fatto sarebbe stato andare a cercare Ventus per chiedere spiegazioni. Se lui non gliene avesse sapute dare, i suoi avrebbero dato di matto e sarebbero andati dal Superiore. Allora sarebbero cominciate le ricerche in tutta la scuola. Improbabile rimaneva comunque che qualcuno lo trovasse, stipato com'era in quell'armadietto come un libro vecchio. Forse, Vanitas avrebbe fatto la sceneggiata, dopo giorni di ricerca, di essere stato lui a trovarlo e salvarlo. Visto quanto era cattivo, e stronzo, la cosa non sembrava impossibile.

Sora alzò lo sguardo su Ventus, e fu contento di come le cose erano andate a finire. Non aveva più neanche voglia di seguire le macchinazioni cervellotiche della sua fantasia.

 

Ventus non se la sentì di lasciarlo finché non fu davanti alla porta della sua classe.

Sora gliene fu grato, ma dubitava che la sua presenza avrebbe potuto essere utile nel caso Vanitas avesse deciso di tenergli un'altra imboscata.

Adesso, moriva dalla paura di entrare in classe.

Era la quarta ora di lezione, e doveva essere la seconda di filosofia. Il problema era l'ultima ora di lingue antiche, in cui si sarebbe sorbito la tremenda sfuriata di Aqua.

Per lo meno, aveva ancora un po' di tempo per provare a ideare una scusa che reggesse.

- Pranziamo insieme, vero? -

Fu la speranza a cui si aggrappò Sora, prima di entrare in classe.

- Certo, ci vediamo qui alla fine delle lezioni, come ieri. -

- Avrai problemi con i tuoi prof per essere mancato così tanto? -

- Sì, ma pazienza. L'importante è che tu stai bene. -

- Mi dispiace... -

Ventus gli diede un pugnetto sulla spalla.

- Non dirlo, lo rifarei centomila volte. -

Sora sospirò. Pensò che era troppo bello per essere vero. Anche se aveva un nemico fantasioso, aveva anche un amico fantastico. Se sopportare Vanitas era lo scotto da pagare per poter avere Ventus al suo fianco, lo faceva volentieri.

- A più tardi allora. -

Gli disse, con un gran sorriso.

- A più tardi. -

Rispose il biondo, con un occhiolino.

Sora tirò un sospiro, e bussò.


The Corner

A gran richiesta (?) ho deciso di regalarvi una pubblicazione extra :3
visto che neanche io riuscirei a resistere fino al prossimo giovedì XD
sono troppo curiosa di sapere che cosa ne pensate!
quindi...insomma...ecco qui il capitolo nuovo!
grazie a Lorenzotop, Dreamer_98, Anima1992, akima per le recensioni
e a tutti quelli che mi seguono/leggono/pensano,
la storia va avanti solo per voi!
prossimo appuntamento...giovedì! come sempre (che noia XD)
a presto!
Chii

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Capitolo 13
*** Quel che non ti aspettavi ***


Achtung! (Attenzione! XD): all'interno del capitolo ci sono alcune parole "asteriscate" la cui spiegazione si trova alla fine dello stesso

12

Quel che non ti aspettavi

 

Non appena varcò la soglia, Sora sentì tutti gli sguardi della classe su di sé.

Per un attimo fu tentato di tornare indietro, e di fregarsene se il segretario avrebbe chiamato a casa; ma poi incappò, quasi per sbaglio, nello sguardo arrabbiato del professore.

Le sue iridi erano di un giallo miele, densissimo, su cui svettava nettamente una pupilla nera come l'inchiostro, e piccola come uno spillo. Erano occhi predatori, i suoi, occhi che potevano catturarti e non lasciarti andare mai più.

Lo sguardo di Sora allargò sul suo volto. Era sfregiato da una cicatrice a forma di “X” che partiva dalla fronte e scendeva sul naso, quasi fino agli zigomi. Era un volto allungato, dal mento pronunciato; aveva labbra sottili e rosa pallido. Ad incorniciarlo, una cascata di capelli color zaffiro, acconciati indietro sulla testa con un po' di gel, quasi a voler mettere in mostra la cicatrice.

Il professore aveva un corpo flessuoso, con spalle e petto larghi.

Indossava un gilet nero, in coordinato con pantaloni con la piega, e una camicia bianco candida a maniche lunghe. La cravatta, anch'essa nera, mostrava ricamato simbolo della scuola in grigio-argento sul davanti.

L'uomo teneva un libro aperto tra le mani, e il gesso nell'altra.

Sora riuscì ad adocchiare la lavagna, e vi vide una serie di appunti di filosofia (che però non riuscì a decifrare).

- E tu chi sei? -

La sua voce era un rombare profondo.

- Ahm...sono...sono Sora... -

Il ragazzo si pentì subito di quello che aveva detto, anche perché le labbra gli si erano sigillate e non riuscì ad aggiungere altro.

Il professore lo guardò con un'espressione neutrale, come se lo stesse studiando. Le sue iridi color del miele lo percorsero da capo a piedi, con attenzione, per non farsi sfuggire nessun particolare.

Visto che l'insegnante non diceva nulla, Sora si arrischiò ad avviarsi al suo posto al primo banco, accanto a Roxas.

- Non ti ho dato il permesso di sederti. - Sora sentì una scossa elettrica paralizzarlo al suo posto. Qualcuno dei suoi compagni ridacchiò di gusto. Il professore si abbassò per prendere qualcosa nella sua borsa. - Braccia tese, palmi in alto. - il ragazzo si affrettò ad eseguire l'ordine, visto che non sapeva cos'altro fare. Tese le braccia in avanti, con i palmi delle mani rivolte verso l'alto. Il professore depositò, prima sulla destra e poi sulla sinistra, dei libri, dei grossi libri. Sora li guardò con un'espressione scettica; i suoi occhi cerulei passarono dai libri al professore. Lui picchiettò dolcemente con un indice sul libro che Sora teneva sulla destra. - “Critica della Ragion Pura”. - poi fece lo stesso con quello a sinistra - “Così parlo Zarathustra”. - Sora dovette fare una faccia da “e quindi?” - Per tutto il resto dell'ora rimarrai in piedi a reggere questi libri. -

- Ma... - Sora già sentiva le braccia tremanti. Che cavolo era, una punizione corporale per il ritardo? Erano tornati per caso al tempo dei ceci sotto le ginocchia? - Non posso, sono troppo pesanti! E il dolore... -

- “Egli conosce, egli conosce, o fratello: perciò viene chiamato conoscente.” - lo interruppe il professore, senza dargli possibilità di finire la frase - “E che cosa conosce? Conosce 'Questo è il dolore'; conosce 'Questa è l’origine del dolore'; conosce 'Questo è l’annientamento del dolore'; 'Questa è la via che mena all’annientamento del dolore'. Egli conosce, egli conosce o fratello: perciò viene chiamato conoscente.” -

- Che?! -

Fu la domanda sconcertata del ragazzo, a cui l'insegnante rispose solo con una terribile occhiataccia.

Sora si morse la lingua, sperando di non aver peggiorato la situazione.

L'uomo non gli diede più retta. Tornò alla cattedra, dove aveva lasciato il libro che aveva tra le mani quando lui aveva bussato, e riprese a spiegare dal punto in cui si era interrotto.

Non può aver detto sul serio.” pensò Sora, mentre reggeva i due libri sui palmi delle mani, e le braccia cominciavano a cedere “Tra poco mi dirà di sedermi, sicuro!”

Ma non lo fece.

 

L'ora sembrò interminabile e Sora, che era rimasto relegato in piedi in un angolo a reggere quei grossi libroni, non si sentiva più le braccia.

Una delle volte in cui aveva rischia di mollare, il professore (che aveva scoperto chiamarsi Saïx) era andato da lui e l'aveva picchiato in testa con un opuscoletto arrotolato, come si farebbe con il giornale per sgridare un cane, che Saïx disse essere “L'Apologia di Socrate”.

A quanto Sora capì, al professor Saïx piaceva l'espressione “chi sa, più soffre” tratta dal Qolet (uno scritto in ebraico, con diversi aramaicismi, la cui redazione era avvenuta in Giudea nel IV o III secolo a.C. ad opera di un autore ignoto che scriveva per bocca del Re Salomone, perché in quel periodo si era soliti attribuire opere a personaggi storici considerati sapienti), infatti usava sempre libri di filosofia per colpire gli studenti. Ed era solito, dopo aver colpito il malcapitato di turno, esibirsi in una citazione d'autore, con tanto di spiegazioni sul contenuto dell'opera da cui era tratta (altrimenti, dove mai Sora avrebbe potuto imparare cosa fosse il Qolet se non dopo essere stato picchiato da una copia dello stesso sulla testa?).

Il risultato di quell'ora di lezione fu, però, confortante: Sora non aveva mai imparato così tanto di filosofia, e aveva anche fatto un po' di ginnastica per le braccia, un toccasana per i suoi bicipiti. Certo, adesso non si sentiva neanche più in grado di sollevare una piuma, ma erano incidenti del mestiere.

Quando finalmente la campanella suonò, Sora ringraziò il cielo e tutti i santi del Paradiso. Stava per mollare i due libri quando venne colpito, per l'ennesima volta, da un librone, dritto in testa.

- “La volontà è lo strumento che ci permette di agire, obbedendo sia agli imperativi ipotetici in vista di un obiettivo, sia a quelli categorici, dettati unicamente dalla legge morale. Solo nel caso degli imperativi categorici la volontà è pura, perché in tal caso non comanda alcunché di particolare: essa è formale, cioè prescrive solo come la volontà debba atteggiarsi, non quali singoli atti deve compiere.” - recitò il professore, mentre gli occhi di Sora si riempivano di lacrime, e sulla fronte affiorava un altro bernoccolo - “Critica della Ragion Pura”, Roxas. Ne stai tenendo una copia in mano da un'ora, e non hai ancora imparato niente? -

- Il nome è Sora, professore. -

Gli riuscì solo di dire il ragazzo, mentre alzava gli occhi al cielo. Non era neanche la prima volta che lo sbagliava.

- Nome diverso, stesso destino. -

Brontolò Saïx, e cominciò, con tutta la sua calma, a sistemare le sue cose nella borsa da lavoro che aveva portato con sé.

Se ne andò senza salutare gli alunni, e liberò Sora dal peso dei due libri solo qualche istante prima di varcare la soglia.

Non appena fu libero, Sora fece ricadere le braccia lungo il corpo. Gli facevano un male atroce, e neanche il sollievo di tenerle distese lo consolava.

Provò a muovere un dito, ma sentì una scossa elettrica percorrergli tutto il braccio.

I compagni di classe lo ignorarono bellamente, e lui se ne andò mesto mesto al suo posto, scaricandovi lo zaino che gli era rimasto in spalla per tutto quel tempo.

- Non hai ancora imparato niente? -

Fece Roxas, riprendendo il tono ostile e profondo del professore.

- Sta' zitto. -

Lo rimbeccò Sora. Sbuffò, e si abbandonò sulla sedia come fosse il più comodo dei troni.

Come se le cose non potessero andare peggio, Kairi si avvicinò a lui, con un'espressione preoccupata che era da prendere a schiaffi...o a baci.

- Stai bene? -

Fu la prima domanda accorata.

Sora sentì il cuore sciogliersi, e lo stomaco stringersi in una morsa dolorosa.

- Sì, tutto ok. -

Borbottò, cercando di sfuggire ai suoi occhi così belli, grandi e intensi.

- È da ieri sera che ti penso, ci siamo persi alla stazione e non ci siamo neanche potuti salutare! E quando non ti ho visto arrivare stamattina... - scosse la testa, i capelli seguirono il movimento nascondendole per un attimo il viso - ...mi sono preoccupata, pensavo che ti fosse successo qualcosa! -

- Qualcosa in effetti mi è successo. -

Fu la vaga risposta di Sora.

Subito, sentì gli occhi di Roxas piantarglisi addosso. Anche se il suo viso era gonfio a causa del pugno che gli aveva reso l'occhio gonfio e nero, il suo sguardo non era meno intenso.

Lanciava un avvertimento, e una velata minaccia. Era come se gli stesse dicendo che se mai avesse detto qualcosa su quello che era successo quella mattina, ne avrebbe pagato le conseguenze.

- Cosa? -

Domandò Kairi, sempre più preoccupata.

Sora sbuffò pesantemente. Gli occhi cerulei caddero per un attimo su Roxas. Gli venne da stringere i denti e sigillare le labbra, perché altrimenti avrebbe spifferato tutto, e non voleva peggiorare la sua situazione, né passare per imbecille agli occhi di Kairi.

- Niente, un amico è venuto a dormire a casa mia ieri sera, abbiamo fatto molto tardi e non siamo riusciti a svegliarci. Quindi abbiamo perso il treno delle sette e mezza e siamo dovuti venire con la corsa delle undici. -

Disse tutto così in fretta e senza passione, che anche volendo fingere che ci fosse un briciolo di verità in quelle parole, non ci si poteva credere comunque.

Infatti Kairi, che non era stupida ma che non voleva essere indiscreta, se ne accorse subito, ma non fece una piega.

Si portò i capelli dietro l'orecchio, in un gesto che ormai Sora capì esserle peculiare, e gli sorrise.

- Ah, ho capito. Un contrattempo insomma. Meno male, pensavo che ti fosse capitato qualcosa di brutto. - Sora si sforzò di sorriderle di rimando, ma aveva tanta rabbia in petto che gli uscì solo una smorfia - E il naso come va? Ti fa ancora male? -

- Va meglio, grazie. È già meno gonfio di ieri, e il dolore va scemando. -

Kairi annuì tra sé e sé.

Calò un silenzio imbarazzante tra loro, in cui Sora pregò che se ne andasse e lo lasciasse in pace quanto prima.

Se non fosse stato per Aqua che entrò in classe e richiamò all'ordine gli studenti, probabilmente Kairi sarebbe rimasta immobile a fissare Sora cercando un argomento di conversazione.

Invece, fu costretta ad andare al suo posto, senza aggiungere niente.

Sora si preparò psicologicamente a ricevere un'altra batosta. Ma ormai niente poteva più colpirlo, se non pallonate, libri e Vanitas.

Come da pronostico, la prima cosa che fece Aqua non appena vide che Sora era in classe, fu quella di arrabbiarsi con lui per l'assenza delle prime due ore.

Fece un lunghissimo discorso di almeno un quarto d'ora sul fatto che se voleva scansarsi l'interrogazione aveva fatto i conti senza l'oste, e che qualsiasi giustificazione avrebbe tirato fuori non sarebbe stata sufficiente.

Quando poi finì con la frase “allora, hai qualcosa da dire?”, Sora si esibì con un impertinente “no”, che fece andare su tutte le furie la professoressa.

Il risultato, fu che gli mise una nota di demerito sul registro, e un bel 2 tondo come voto per l'interrogazione mancata.

Forse, Aqua pensava che così facendo l'avrebbe colpito al cuore, invece la massima reazione di Sora fu quella di incrociare le braccia al petto e sostenere il suo sguardo grigio-azzurro.

Avevano ingaggiato una battaglia a chi abbassava prima gli occhi, e visto che Sora non intendeva arrendersi, Aqua fu costretta a interrompere il silenzio teso che era sceso in classe e a cominciare la lezione.

Sora non prestò alcuna attenzione, anzi, passò l'ora a riempire il quaderno di disegnini e scarabocchi.

Aqua per una ragione estranea a Sora non volle infierire ulteriormente su di lui, e lo lasciò tranquillo.

 

Alla fine della lezione, Aqua diede i compiti a casa e augurò una buona giornata a tutti qualche secondo prima che suonasse la campanella.

Sora, sollevato che la giornata fosse finita, fece per alzarsi. Ma la professoressa lo bloccò al suo posto, asserendo che voleva parlare con lui in privato.

Aspettandosi un'altra ramanzina, Sora si lasciò ricadere sulla sedia, sbuffando, mentre accanto a lui Roxas rideva di gusto.

Preso da un impeto di rabbia, il brunetto pestò il piede di Roxas con una violenza tale da farlo sobbalzare.

Il biondo fu subito pronto ad aggredirlo, dopo aver gettato un urlo di dolore, ma Aqua li riprese e costrinse i due a smettere prima che potesse venir fuori un litigio serio.

Roxas si esibì in un “tsk!” arrabbiato, e se ne andò, zaino in spalla, senza dimenticarsi di spintonare Sora con un gomito mentre andava.

La classe si svuotò rapidamente, e quando non rimasero altri che Aqua e Sora, lei andò a chiudere la porta, evitando preventivamente l'intrusione di persone esterne.

La donna si portò davanti al banco di Sora, che ancora aveva le braccia incrociate e un'espressione corrucciata sul volto.

Aqua portò le mani ai fianchi.

- Che cosa succede. -

Disse, e non era una domanda, era solo una pretesa: pretendeva una risposta.

- Niente. -

Fece lui, portando altrove lo sguardo.

- Non sono stupida, ragazzino. - per tutta risposta, Sora alzò gli occhi al cielo - Non sono stupida, e ho parlato con Ventus. - stavolta, la donna si attirò l'attenzione del ragazzo, che subito puntò le iridi cerulee su di lei.

- E che cosa le ha detto? -

- Mi ha detto tutto quello che è successo. - “E allora perché mi ha sgridato in quel modo.” fu il pensiero accorato di Sora, che aveva voglia di saltarle addosso e strozzarla. Non poteva avere quella faccia impietosita dopo quello che aveva fatto. - Lo so cosa stai pensando, ma io ho una reputazione da mantenere. Se avessi fatto per te dei favoritismi, avrei perso credibilità con gli altri studenti. - la voce della donna si era fatta morbida e dolce, come a voler dire a Sora che di lei ci si poteva fidare. Ma lui rimaneva restio, visto il precedente trattamento. - Con questo, non voglio dire che ti toglierò il 2. Posso chiudere un occhio sulla nota di demerito, ma il fatto che tu non abbia studiato rimane imperdonabile. - “E te pareva.” fu il secondo pensiero del bruno - Se eventi come quello di ieri mattina e oggi dovessero ripetersi, non avere paura ad andare a dirlo al Superiore. Ti accompagnerò io, se lo riterrai necessario, e testimonierò a tuo favore. Detto questo, sappi che non ti giustificherò una seconda volta. Sono disposta ad aiutarti, ma mettimi nelle condizioni di farlo. - gli affondò una mano tra i capelli, a tradimento, e glieli scompigliò, volendo essere confortante - Studia. -

E se ne andò, senza dargli nessuna possibilità di ribattere.

Non appena aprì la porta, si trovò davanti un Ventus tutto rosso. Aveva sicuramente origliato tutta la conversazione.

Aqua fece finta di niente. Diede un piccolo scappellotto sul collo del biondo e lo superò senza aggiungere una parola.

Sora guardò l'amico, ancora scioccato.

- Ma cos'è appena successo? -

Ventus si grattò la nuca, ridacchiando nervosamente.

- Ecco...io...mi sono permesso di...di parlare con Aqua. Non...è un problema, vero? -

Sora scosse la testa.

- No ma...insomma...non è che proprio me l'aspettavo. -

- Con tutto quello che era successo, mi ero dimenticato che mi avevi detto che oggi ti avrebbe interrogato, però...mentre andavo in classe l'ho incontrata in corridoio, e non ho potuto fare a meno di raccontarle tutto. - Ventus abbassò la testa, quasi a voler nascondere i suoi occhi - È stato più forte di me...pensavo che potesse esserti d'aiuto... -

Sora si sentì sciogliere il cuore.

Si avvicinò all'amico e lo stritolò in un abbraccio velocissimo.

- Sì che mi è stato d'aiuto, ma non raccomandarmi! Riuscirò a gestire tutto, Vanitas e la scuola, non ti preoccupare. -

- Vorrei essere ottimista come te... - commentò funereo Ventus. Sora seppe subito a cosa l'amico stesse pensando, e quindi lo strizzò in un altro abbraccio, mozzandogli il fiato. - Aaaaaah soffoco così! - sputò tra i denti Ventus, che veramente stava per soffocare.

- Se ti stringo forte, possiamo diventare un unico essere, così il mio ottimismo sarà il tuo! -

Il cuore di Ventus mandò un doloroso battito di avvertimento. Attenzione, attenzione, se ti affezioni troppo soffrirai!

- Se mi stringi così forte morirò e basta! -

Si lamentò il biondo; però, nel dirlo, sorrideva.

Sora finse di sbuffare. Lo lasciò, solo per prendergli il braccio e fingere di morderlo.

- Allora, succhierò via tutto il tuo pessimismo, come un vampiro succhia il sangue. -

Ventus fece una smorfia di dolore, visto che l'amico, senza saperlo, stava facendo pressione sui numerosi lividi che nascondeva sotto la camicia. Però non disse nulla, e finse nonchalance.

- Non funzionerebbe neanche così! -

- Uffa! - Sora lo lasciò andare - Sei difficile da accontentare! -

Ventus ridacchiò.

- In realtà, no. -

- Mi confondi! - Sora pestò i piedi come i bambini - E visto che non mi dai retta, vado a mangiare da solo, ecco. -

Non fece neanche due passi che Ventus gli disse:

- Sei senza tessera della mensa. -

Sora brontolò qualcosa di incomprensibile, mentre Ventus rideva di gusto.

 

La mensa era affollata come il giorno prima, ma Sora non ci fece neanche caso.

In quel momento, esisteva solo Ventus, e non voleva dare retta a nessun altro.

Xaldin stava cucinando, con la stessa velocità e violenza che doveva essergli caratteristica.

- Ehi Feroce Lanciere, che c'è di buono per pranzo oggi? -

Gli chiese Ventus, avvicinandosi al bancone.

L'omone non gli rispose, almeno, non con le parole. Quello che fece fu prendere un lungo coltello, e lanciarlo con la precisione di un cecchino alle sue spalle. La lama andò a conficcarsi con forza nel bancone, di fronte alla teglia, appena sfornata, della pizza.

Sora ebbe un brivido. Non osava immaginare come sarebbe stato scontrarsi con quel bestione, armato o no. Si chiese come fosse possibile che qualcuno l'avesse messo k.o., e si chiese anche quanto grosso dovesse essere quel qualcuno.

- Oh, la pizza! -

Fece Ventus, quasi sbavando, e distogliendo Sora dai suoi pensieri.

- Vi-chan mi tocca pagare. -

Si lamentò il bruno, tirando Ventus per una manica.

L'amico gli rivolse un sorrisetto poco confortante.

- Ci penso io. - gli sussurrò, per poi rivolgersi verso Xaldin, che aveva finito di impastare un altro panetto di pasta per la pizza. - Xaaaaaaaldin! Mi daresti due bei tranci di pizza? I più grossi che trovi? -

Gli occhi ametista dell'uomo si infilzarono su Ventus come il coltello che aveva lanciato si era infilzato nel bancone.

- Mi stai dicendo che un funghetto come te vuole due porzioni? Riesci a malapena a finirne una! Non sarà che vuoi favorire il tuo amico scovolino? -

Ventus lo guardò con gli occhioni sgranati, e il musetto un po' all'infuori. Xaldin rimase solo due secondi a fissarlo, prima di alzare gli occhi al cielo e mormorare un “maledizione!”. Scaraventò tra le loro braccia due vassoi con porzioni abbondanti di pizza, e li mandò poco gentilmente a sedere, prima che gli venisse voglia di farli a fettine e usarli per la zuppa del giorno dopo.

Sora e Ventus scapparono via ridacchiando.

Si sedettero dove trovarono due posti liberi, senza badare troppo a chi occupava tutti gli altri. Tanto, comunque, nessuno faceva caso a loro.

- Quanti pasti hai scroccato facendo in quel modo? -

Fece Sora.

Ventus tirò fuori la sua faccia angelica.

- Quel modo? Quale modo? -

- Questo modo! -

Il bruno lo additò ridendo, e Ventus non poté fare altrimenti che unirsi alla sua risata.

- Ah, ah, ah, divertente! - i due trattennero il fiato. La persona che aveva parlato si sedette a forza tra di loro. Portò un braccio intorno alle spalle di Sora, e l'altro intorno a quelle di Ventus. - Fate proprio una bella coppia di checche voi due. -

- Che diavolo vuoi adesso? -

Disse Sora tra i denti.

Vanitas si fece una grassa risata. Abbandonò Ventus per abbracciare il bruno. Gli affondò una mano nei capelli e si avvicinò in maniera pericolosa a lui, tanto che Sora sentì il suo fiato accapponargli la pelle del collo.

- Sei così carino con questa faccia, mi costringi ad inventare sempre nuovi modi per farti arrabbiare solo per vedere quest'espressione. -

Gli strizzò il volto con due dita.

Sora si tirò indietro, liberandosi dalla sua stretta e allontanandogli le mani.

- Perché non te ne torni dai tuoi amici e non ci lasci in pace? Non ti sei già divertito abbastanza oggi? -

Sbottò Ventus.

Vanitas si voltò verso di lui, e gli fece un sorrisetto.

- Io invece pensavo che oggi avremmo potuto mangiare tutti insieme! -

Alzò gli occhi appena. Sora e Ventus seguirono il suo sguardo. Roxas e Riku si sedettero al tavolo con loro, gongolando soddisfatti.

Gli studenti che avevano occupato quei posti fino a poco prima se l'erano data a gambe per evitare ulteriori problemi.

- Allora, Sora, com'è stata la tua mattinata? -

Il tono insinuante di Vanitas fece venire i brividi al ragazzino, soprattutto perché averlo così vicino, tanto da avere le cosce praticamente attaccate, gli metteva una certa soggezione.

- A che gioco stai giocando? -

Sbottò Sora.

- Non è carino rispondere ad una domanda con un'altra domanda! -

Vanitas strizzò la guancia di Sora in un pizzicotto che voleva essere amichevole.

- Voi tre non la finite mai di dare fastidio? -

I ragazzi alzarono lo sguardo sull'ombra che finì per oscurare il tavolo a cui erano seduti.

- Xaldin! -

Urlò Ventus, tutto contento.

L'omone si avvicinò a loro. Aveva ancora indosso il grembiule con cui cucinava, e anche se sarebbe potuto sembrare ridicolo, con il coltellaccio che aveva in mano non era per niente confortante. Però, Vanitas non sembrò essere intimorito.

- Non stiamo dando fastidio, Xaldin-chan*. - l'uomo dilatò appena le narici al sentire il nomignolo con cui l'aveva apostrofato il ragazzo - Passiamo solo del tempo con il nostro nuovo amichetto, e con il fratellino di Roxas. -

- Sì, certo. Non sono nato ieri ragazzino. - Xaldin sembrava leggermente alterato - Lasciali mangiare in pace. -

- Altrimenti? -

Lo provocò il moro.

L'uomo si rigirò il coltello tra le mani, minacciosamente. Vanitas fece una faccia annoiata, e per niente spaventata.

Sora cominciò a pensare che non avesse paura di niente, perché lui al suo posto si sarebbe spaventato parecchio, visto che Xaldin era grosso come una montagna, e non aveva bisogno di un coltello per fargli capire che non era il caso di continuare a scherzare.

- Vanitas. -

Disse soltanto Xaldin.

Il ragazzo sbuffò, e storse il naso.

- Ragazzi, perché non andiamo a finire di pranzare fuori? Sembra che alla guardia del corpo di questi kodomo* non vada giù la nostra presenza. -

Roxas e Riku si alzarono, ridacchiando.

Vanitas non lasciò l'occasione per spettinare i capelli di Sora e Ventus con affettata gentilezza prima di andarsene.

Solo quando furono lontani, Xaldin si arrischiò a sbuffare.

- Se quei brutti tipi vi danno fastidio, gli do io una bella lezione. -

- Grazie Xaldin. - sorrise Ventus - Ma ce la caviamo, non preoccuparti. -

- Ehi funghetto, io ci tengo alla vostra incolumità. -

- Ci teniamo anche noi, te lo garantisco. -

S'intromise Sora, con un mezzo sorriso.

Xaldin scosse la testa, sorridendo.

- Prima di andarvene, passate da me, che vi offro il dessert. -

E così dicendo, se ne andò, fischiettando, e facendo roteare il coltello tra le mani.

 

Il budino al cioccolato gentilmente offerto da Xaldin, era vellutato e dolcissimo, e mandò Sora in brodo di giuggiole, abbastanza per affrontare il resto del pomeriggio.

Ventus si propose come insegnante, per inculcare qualcosa di Lingue Antiche nella testa di Sora.

Non era un'impresa da poco, e per quanto Ventus fosse preparato, Sora non era davvero predisposto ad imparare. Era un pessimo alunno, si distraeva in continuazione, si confondeva, non sapeva prendere appunti, quasi Ventus capì perché gli avessero appioppato più insufficienze in un giorno che a lui in dieci anni di scuola.

Per di più, Ventus aveva scelto il posto sbagliato per fare “lezione”.

La scuola era circondata da un piccolo boschetto, piantato molto tempo prima che vi fosse costruita; i giardinieri erano stati bravi a far crescere un bellissimo prato all'inglese sotto gli sparuti alberi, che dava l'impressione di essere in campeggio. Era il posto perfetto per le coppiette per pomiciare, per gli studenti per fare una pennichella, o semplicemente per studiare fuori sede, quando stare in biblioteca diventava davvero penoso.

Forse, Ventus avrebbe raccolto più frutti dall'albero dell'attenzione di Sora se si fossero messi in biblioteca, e non all'aperto, dove c'erano mille ragioni per distrarsi.

Sora sbuffò, e si gettò a peso morto sul prato, usando lo zaino come cuscino.

- Basta, non ce la faccio più. -

Si lamentò, come se avesse fatto chissà cosa.

Ventus chiuse il libro di malagrazia. Aveva in volto un'espressione poco raccomandabile, e Sora quasi ne ebbe paura.

- Sei uno scansafatiche! Non abbiamo fatto nulla non puoi essere stanco! -

- Però sono stanco. - continuò Sora, girandosi a pancia in giù - E questa è la materia più noiosa di sempre. -

- Ti bocceranno se non studi, e se i tuoi risultati non soddisfano i requisiti, potresti anche essere buttato fuori. -

Sembrava che Ventus l'avesse presa sul personale.

Sora lo guardò con una strana espressione interrogativa.

- Ma perché ti preoccupi tanto? In qualche modo me la caverò. -

- Sì? E come? Standotene qui in panciolle a non fare niente? -

Il brunetto prese il libro che Ventus ancora teneva tra le mani. Pensando che forse il messaggio era arrivato, il biondo tirò quasi un sospiro di sollievo.

Sora si volse nuovamente sulla schiena. Aprì il libro ad una pagina a caso, e poi se lo appoggiò sul volto, incrociò le braccia al petto.

- Buonanotte. -

Ventus impiegò giusto tre secondi per dirgli:

- Sei davvero un caso perso! -

Però, rise, come anche Sora.

 

Rimasero a non fare assolutamente nulla sul prato per tutto il resto del pomeriggio, finché le ombre non scesero nel boschetto rendendolo un po' meno riposante e molto più inquietante.

Anche se il sole non era ancora tramontato, e c'era abbastanza luce, non si riusciva comunque a stare nel boschetto. O almeno, Sora e Ventus non riuscivano più a starci.

E poi, erano quasi le sette, e questo voleva dire che la partita di calcetto stava per cominciare.

Anche se Sora non aveva tutta questa voglia di andare a vedere giocare la persona che con una pallonata gli aveva quasi rotto il naso, non riuscì a dire di no alla curiosità, e di conseguenza non lo fece neanche Ventus.

Nessuno dei due aveva idea di quali fossero le regole del calcetto; non andavano oltre il fatto che bisognava fare più goal possibili agli avversari, e sperare che quelli non facessero altrettanto.

A Sora non importava molto non capirci niente, gli importava solo vedere Axel-got-it-memorized e Demli-boo.

Nonostante il modo burrascoso in cui si erano conosciuti, non poteva negare di avere voglia di passare altro tempo con loro.

Quindi raggiunsero il campetto di buon passo, lasciandosi alle spalle il fatto che avevano provato paura nello stare nel boschetto buio.

 

Gli spalti tutto intorno al campo cominciavano ad animarsi.

Sora individuò, quasi con sicurezza, la madre di Axel, visto che aveva gli stessi occhi smeraldini e gli stessi capelli rosso fuoco.

Gli venne da sorridere. La donna sembrava un'ultras scalmanata, pronta a fare il tifo fino a perdere la voce.

Quasi non vedeva l'ora di vederla all'opera mentre incitava il figlio. Chissà se Axel sapeva della sua presenza, e cosa ne pensava.

- Direi di metterci in alto. -

Fece Ventus, indicando l'ultima fila degli spalti.

- Ci sono poche probabilità di essere colpito in pieno da una pallonata? - scherzò Sora. Però, l'amico era mortalmente serio. - Ok, ok, ci sediamo dove vuoi tu. - lo spinse con entrambi i palmi aperti sulla schiena. Sora diede un'occhiata in giro, agli sparuti gruppi di studenti che stavano cominciando ad arrivare. Chissà se Axel e Demyx c'erano già. - Tu comincia a prendere posto - cominciò - io vorrei andare a salutare due amici. -

- Il capo cannoniere e il suo complice? -

Ridacchiò il biondo.

- Proprio loro. - Sora lo obbligò a sedersi, e gli lanciò tra le braccia il suo zaino - Torno subito. -

- Ve beneeeee. -

Ma Sora non lo stava già più ascoltando.

Il ragazzino scese dagli spalti quasi correndo.

Non voleva lasciar cominciare la partita senza augurare un in bocca al lupo ai ragazzi. Anche solo per far vedere che aveva mantenuto la parola data e che ci era andato davvero alla partita. Aveva come l'impressione che alla fine non avrebbero avuto molto tempo da dedicargli, e non voleva perdere l'occasione.

La pallonata che l'aveva steso gli aveva impedito di notare la struttura in cemento a tetto spiovente, rettangolare, che doveva ospitare gli spogliatoi dei giocatori. Era stata costruita a pochi passi dal campetto.

Poteva anche non esserci nessuno, e Sora si chiese se per caso non avrebbe fatto un buco nell'acqua.

Per non sbagliare, andò comunque verso gli spogliatoi. Male che andasse, l'avrebbero cacciato fuori, oppure avrebbe trovato qualche membro della squadra disposto a riferire il suo augurio ad Axel e Demyx, se loro non fossero stati ancora lì.

Tutto contento, fece il giro del campetto, camminando a passo sicuro.

Quando arrivò agli spogliatoi, entrò chiedendo timidamente il permesso.

Si ritrovò all'ingresso di un lungo corridoio, sul quale si affacciavano diverse porte. Sembrava non esserci ancora nessuno. Tutte le luci erano spente, e le porte chiuse.

Stava quasi per tornasene indietro, un po' deluso, quando sentì una voce, e un forte tonfo.

Sobbalzò per lo spavento.

- Ti prego Axel calmati... -

Disse una voce.

Axel...” pensò tra sé e sé Sora. Allora, era lì.

Si avvicinò quatto quatto alla porta chiusa dalla quale proveniva la voce.

- Calmarmi, calmarmi! Come cazzo credi che possa calmarmi? Io lo ammazzo quel bastardo, hai capito? LO AMMAZZO?! -

Questa era sicuramente la voce di Axel, parecchio alterata e focosa.

Sora notò che la porta era socchiusa, e che si poteva intravedere l'interno.

Dallo scorcio, lui riuscì a vedere lo spogliatoio vero e proprio, con gli armadietti per lasciare le borse, diverse panche su cui potersi sedere, specchi e phon attaccati alle pareti, e un paio di cabine chiuse per cambiarsi.

Il ragazzo riuscì a capire da cosa fosse stato prodotto il tonfo che aveva sentito poco prima: Axel doveva aver dato un pugno allo sportello dell'armadietto, perché era ammaccato proprio dove l'aveva colpito, e lui si teneva la mano destra, arrossata e tremante.

Gli occhi di Sora scivolarono sulla persona con la quale stava parlando, e si stupì nel trovare Roxas.

- Per favore, per favore Axel, abbassa la voce, potrebbero sentirci... -

Provò il ragazzino guardandosi intorno spaventato, come se si aspettasse da un momento all'altro che qualcuno entrasse e li sorprendesse insieme.

Sora si sentì orribilmente in colpa a stare lì, appena fuori dalla porta, ad origliare la loro conversazione. Ma non riusciva a farne a meno. Sentiva i piedi incollati a terra come se una calamita lo attirasse al pavimento, senza lasciargli libertà di movimento.

- Non ci sente nessuno, è ancora presto. -

Sbottò Axel. Il suo viso era una maschera di rabbia. I suoi occhi brillavano di una furia ardente.

Roxas gli strinse la mano destra tra le sue così piccole, con un affetto che da lui Sora non si sarebbe mai aspettato.

- Ti fa male? -

- Non quanto male deve fare a te quell'occhio nero. - le parole del rosso arrivarono dritte dove dovevano arrivare. Roxas lo lasciò andare, quasi con stizza, e nello stesso tempo nascose il viso tra i ciuffi biondi della frangetta, in un gesto che ricordava molto Ventus. Axel gli prese il mento con delicatezza, e glielo sollevò con un pollice. - Vieni a vivere da me. Definitivamente. Devi lasciare quella casa, non puoi permettere a quella merda umana di averla vinta su di te. Se continui così impazzirai. -

- Non posso... -

- Perché non puoi?! -

Anche Sora, insieme a Roxas, sussultò per lo spavento.

Il biondo cercò una risposta per qualche secondo, per poi alzare gli occhi su Axel.

- Se lo denunciassi, i servizi sociali ci manderebbero chissà dove, verrei separato da Ventus...e da te. -

Stavolta, fu Axel a rabbrividire.

- Ho quasi diciotto anni, potrei...potrei chiedere io l'affidamento, se sono maggiorenne va bene, no? -

Tentò il rosso, aggrappandosi a chissà quali speranze. Roxas sorrise tristemente.

- Nessun giudice te lo lascerebbe fare. E a tua madre poi che cosa diresti? E Ventus? Non potresti prendere entrambi. -

- Non m'importa! - all'improvviso Axel afferrò Roxas per le spalle - Non m'importa, io voglio che tu sia al sicuro! Non posso sopportare di saperti in balia di quell'essere, non posso sopportare di sapere che ti picchia e non fare niente! - si piegò leggermente, e poggiò la fronte contro quella di Roxas, che sgranò gli occhi blu - Non posso, capisci? Accetterei anche di non averti più con me, se questo vorrebbe dire che a sera non torni più in quella casa, che non c'è più nessuno che ti tocca e ti faccia del male. -

Roxas mandò un unico, lungo singhiozzo di dolore, prima di affondare il volto nel petto di Axel, che lo strinse forte tra le braccia.

Poi, molto naturalmente, Roxas alzò il mento per offrire le labbra ad Axel, che non esitò a poggiarvi sopra le sue.


Note

*Xaldin-chan: in questo caso Vanitas non usa il termine "chan" con un significato positivo, anzi, ci tiene a sottolineare la totale mancanza di rispetto nei confronti di Xaldin; è come se gli stesse dando della femminuccia.

*kodomo: è una parola giapponese che letteralmente traduce "bambini"; in questo caso ha l'accezione di "mocciosi"


The Corner

Ciao a tutti carissimi lettori!
Su richiesta personale di Anima1992 ho deciso di postare il capitolo stanotte piuttosto che domani mattina :3
Quindi...bhè...eccolo qui!
contenti, scontenti?
spero che l'immagine che ho postato si veda...perché insomma celebra l'apparizione del nostro Saix (con due puntini sulla i, lo so ahahaha).
Anche se il suo è stato veloce passaggio...la sua perfidia tornerà a fare capolino molto presto!
Poi vi offro un'immagine di Axel e Roxas...
eeeeeh, la coppia più scontata di sempre! ma che ci posso fare...a me questi due piacciono!
E Axel...com'è premuroso! chissà se riuscirà a contenere questa rabbia focosa...
Per la vostra gioia (spero) ci sarà un nuovo capitolo questo sabato!
quindi...stay tuned!
ringrazio akima, _NekoRoxyChan_, Anima1992 (di nuovo ahahaha), Lorenzotop e Dreamer_98 per le recensioni!
ci vediamo preeeeeeeeesto!
Chii

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Capitolo 14
*** Verso il Tramonto ***


13

Verso il tramonto

 

Sora inghiottì un'esclamazione. Si pigiò con forza le mani sulla bocca, per paura che qualcosa sarebbe potuto sfuggire dalle sue labbra.

Axel teneva stretto Roxas, con una mano dietro la sua testa e l'altra intorno ai suoi fianchi. Roxas teneva gli occhi chiusi, mentre le sue piccole labbra rosa sparivano tra quelle più grandi di Axel.

Sora indietreggiò, cercando di non farsi sentire. Poi cominciò a correre.

Scioccato da quello che aveva visto, non si accorse neanche di essere arrivato addosso ad un ragazzo, che stava entrando negli spogliatoi.

Sora rotolò a terra, avvinghiato al corpo del ragazzo.

Cielo e terra si confusero per un attimo, finché Sora non si ritrovò a scuotere la testa dolorante.

- Ahia che male! -

Sora si rese conto di essere sdraiato su Demyx.

- Oddio, scusami Dem! -

Sbottò il ragazzino, e si alzò come una furia, senza dimenticarsi di porgere una mano al biondo per aiutarlo a tirarsi su a sua volta.

- Corri come un matto ragazzino! - lo apostrofò lui, scuotendo la testa - Un placcaggio degno di un quarterback. - si aprì in un sorriso gentile - Oh ma aspetta! Sei venuto! - lo abbracciò di slancio - Che bello, sono contento! -

Sora si sentì improvvisamente mancare il fiato. Forse fu per colpa di quello che aveva appena visto, forse perché in quel momento non voleva essere toccato.

Si liberò della stretta di Demyx con un po' troppa scortesia, ma il ragazzo non sembrò rendersene conto.

- S-sì, sono venuto...scusa se ti sono arrivato addosso. -

- No tranquillo! Non mi hai visto! - Demyx dovette accorgersi di quanto Sora fosse pallido - Ma...è successo qualcosa? Sei più bianco di un fantasma. -

- No...sì...cioè...tutto ok. Buona fortuna per la partita. -

Balbettò Sora, in fretta e furia.

- Oh grazie. - sorrise Demyx. Doveva aver preso parecchie pallonate anche lui, perché era veramente un tonto per non accorgersi che c'era più di qualcosa che non andava in Sora, e che bastava guardarlo in faccia anche con poca attenzione per rendersene conto. - Ma guarda! Ciao Roxas! -

Sora sentì il cuore sprofondargli in petto.

Demyx si sbracciò per attirare l'attenzione di Roxas, che stava uscendo dagli spogliatoi.

Sora si voltò un poco. Anche se Roxas non si fermò a salutare, né a dire una parola, lui poté vedere chiaramente i suoi occhi rossi di lacrime e il viso contorto dal dolore.

Subito dietro di lui, uscì Axel, che lo chiamava a gran voce.

Quando vide che c'erano Demyx e Sora, le voce gli morì in gola, e la sua espressione contrita e preoccupata si trasformò in una maschera di neutralità, contornata da un sorrisino strafottente.

- Sora! Ciao! -

Chiunque avrebbe visto che i suoi occhi smeraldini stavano seguendo Roxas, e che il suo corpo era tutto teso verso di lui. Moriva dalla voglia di andargli dietro, ma riusciva a nasconderlo abbastanza bene, per chi come Demyx doveva essere all'oscuro di tutto, e anche tonto.

- C-ciao. -

Fu la risposta balbettante del ragazzino.

Axel dovette intuire che qualcosa non andava, perché inarcò appena un sopracciglio, senza però perdere il suo sorriso.

- Che bello che sei venuto! Vinceremo la partita anche per te, ok? -

Detto questo, infilò una mano tra i capelli di Sora, scompigliandoglieli amorevolmente.

- Ma non sei ancora pronto? Tra poco dobbiamo cominciare! -

Fece Demyx, con un broncetto.

Axel si guardò, aveva ancora infosso la divisa della scuola. Doveva essersi completamente dimenticato di doversi cambiare per giocare.

Aggrottò le sopracciglia in uno strano modo, mentre stirava con i palmi aperti la giacca della divisa, e poi fece un sorriso tirato.

- Sì, vero, mi sa che sono in ritardo. -

- E allora muoviamoci. - il biondo lo prese per un braccio e lo trascinò a forza verso gli spogliatoi. Axel fece un po' di resistenza. Era ancora visibilmente intenzionato ad andare dietro Roxas, ma non poteva lasciarlo intendere, quindi si lasciò portare via. - Ciao Sora! Grazie! - continuò Demyx, senza voltarsi indietro mentre entrava negli spogliatoi, e senza capire assolutamente nulla.

Sora si ritrovò a dover tornare verso gli spalti da solo, anche se “solo” era un eufemismo. Con tutti i pensieri che gli affollavano la mente, c'era da stupirsi se non si metteva ad urlare un “basta!” in mezzo alla strada, lì dove si trovava.

Roxas era gay?

Non si sarebbe stato niente di male, in quel caso.

Axel era il suo compagno?

Neanche per quello c'era niente di male.

Quel bacio era un caso?

Non sembrava, per come si erano parlati.

Ventus lo sapeva?

Di sicuro, non conosceva Axel, altrimenti, quando lui gliene aveva parlato, avrebbe fatto l'associazione. Dubitava che, conoscendolo, non avrebbe saputo che lui giocava nella squadra di calcetto, e che era il capocannoniere.

Quindi era un no?

Però Demyx aveva chiamato Roxas per nome, quindi in qualche modo doveva conoscerlo. Lo conosceva per via del rapporto che aveva con Axel? Dunque c'era qualcuno che sapeva di loro due?

Ventus non sapeva che il compagno di Roxas era Axel, o non sapeva semplicemente che Roxas aveva un compagno?

E se era un no, come avrebbe reagito alla notizia?

Doveva dirglielo, doveva tenerselo per sé, che doveva fare?

Si afferrò la testa e se la strizzò, come se avesse potuto far uscire fuori tutti i pensieri molesti.

Concluse che, qualunque fossero le risposte alle sue domande, non erano per niente fatti suoi. Conosceva Ventus solo da un giorno, e si era già infilato troppo nella sua vita.

Quindi non gli avrebbe detto niente, sicuro, non avrebbe aperto bocca.

Con un sospiro, e con ritrovata sicurezza, tornò agli spalti, che nel frattempo si erano animati di studenti e genitori.

Sora percorse con gli occhi le file di persone, cercando il volto di Ventus. Non era più dove l'aveva lasciato, e questo lo gettò nel panico.

Lui dovette vederlo per primo, perché lo si sentì chiamare a gran voce il suo nome.

Sora rincorse quella voce, finché non trovò il suo volto.

Si era spostato di un paio di spalti, mettendosi verso il centro.

Gli fece cenno di essersene accorto, e corse ad arrampicarsi su per le scale per raggiungerlo.

- Come mai hai cambiato posto? -

Fu la domanda con la quale si sedette accanto a lui.

- Pensavo che da qui avremmo visto meglio. -

Si giustificò Ventus, stringendosi nelle spalle.

In effetti, da lì la visuale sul campetto era migliore, ma Sora non se ne sentì confortato.

- Senti...tu non conosci nessuno della squadra, vero? -

Gli chiese, guardando altrove, e sperando che non si accorgesse di niente.

Ventus scosse la testa.

- Non mi interessa molto lo sport. Io sono nel club di scacchi, quindi sto quasi sempre al chiuso, lontano dalle pallonate. - diede una risatina, volendo insinuare a quello che era successo a Sora, ma lui non riuscì ad unirsi alla sua ilarità - So che la scuola ha una serie di squadra, quella di nuoto, quella di calcetto, pallavolo, sia femminili che maschili, ma per rispondere direttamente alla tua domanda: no, non conosco nessuno della squadra, perché? -

Stavolta fu Sora a stringersi nelle spalle, un po' frettolosamente.

- No, niente, tanto per chiedere. -

Quindi, Ventus non conosceva Axel, ed era logico pensare che non sapesse niente del rapporto che doveva esserci tra lui e suo fratello.

A meno che non conoscesse Axel ma non sapesse che era un giocatore della squadra, visto che non era interessato allo sport.

In quel caso, non appena il rosso fosse sceso in campo, avrebbe detto qualcosa?

Forse no, forse non gli avrebbe detto che suo fratello e quel ragazzo stavano insieme, anche sapendolo.

- Sora? - si riscosse, strizzando gli occhi - Te ne sei andato di nuovo in un altro mondo, è un'abitudine o cosa? - e rise di gusto.

Sora si sentì andare a fuoco per l'imbarazzo.

- No stavo solo...stavo solo pensando... -

- No, quando pensi sei pensieroso, quando parti, sei completamente assente, mi hai fatto fare una discussione di tre minuti da solo! -

- Eh? Discussione? Che discussione? -

- Ecco appunto. -

Rise ancora il biondo, scuotendo la testa. Però la sua risata ebbe vita breve, visto che i suoi occhi caddero sulla persona che Sora sperava di non rivedere per un po'. Roxas. Stava salendo su per gli spalti, con la faccia più scura che potesse metter su.

Per un qualche strano collegamento tra loro, Ventus e Roxas incrociarono gli sguardi, e si ritrovarono a specchiarsi l'uno negli occhi dell'altro.

Roxas arrossì appena sulle guance, mentre si avvicinava a loro.

- Posso sedermi qui? -

Indicò il posto vuoto accanto a Ventus.

Sora pensò con tutto il suo cuore che lui gli dicesse “no!”, ma ovviamente non poteva, per diverse ragioni.

- Sì. -

Gli rispose infatti, e Roxas si gettò a peso morto accanto a lui.

Sia Sora che Ventus lo guardarono per un po', senza essere guardati da lui.

Sora si aspettava che da un momento all'altro gli dicesse qualcosa, qualcosa di estremamente imbarazzante, qualcosa che non sarebbe toccato a lui ascoltare.

- Dove hai dormito ieri notte? -

Chiese invece, tenendo lo sguardo così lontano che Sora pensò che stesse osservando la stazione dei treni a Traverse Town.

Il tono di voce con cui parlò, era preoccupato fino ai limiti del possibile. Sembrava che avesse immaginato i più assurdi scenari, da una notte all'addiaccio, a quella in un albergo a cinque stelle. Ma non era molto speranzoso, quindi doveva aver pensato alla prima ipotesi.

- Mi ha ospitato Sora. - rispose Ventus - E tu dove hai dormito? - gli pose la domanda con la sua stessa preoccupazione.

- A casa di un amico. -

Fu la vaga risposta. Sora sapeva perfettamente di quale amico stava parlando, e gli venne un brivido.

Allora, erano scappati entrambi di casa.

- E quello? -

Ventus indicò con il mento l'occhio nero che Roxas mostrava con fin troppa disinvoltura.

- Questo? Ho sbattuto contro un palo correndo. -

Lo sguardo scettico di Ventus avrebbe fatto rimangiare qualunque affermazione, anche quella più vera.

Roxas fece scorrere gli occhi su Sora, come a dire che forse non era il caso di parlarne in sua presenza. Anche perché, Sora non si era accorto di essere sporto all'inverosimile verso i due, teso come una corda di violino, ai limiti dell'indiscrezione.

- Lui lo sa. -

Roxas fece una faccia da “ah, sì?” che intendeva che ci sarebbe stata una seconda discussione su quello, in separata sede. Dopo di che sbuffò, arrabbiato.

- Ti stava venendo dietro. Ti avrebbe preso se non l'avessi fermato. L'ho fatto cadere a terra e lui mi ha tirato un pugno. Dopo di che è corso fuori, ma eri già andato troppo lontano, e ho approfittato della sua assenza per scappare via. -

Sora immaginò tutto nella sua mente. Immaginò Ventus che veniva percosso da un uomo senza volto, senza cuore e senza anima; immaginò la sua inutile ribellione durante le botte; immaginò il suo piccolo corpo divincolarsi dalla stretta violenta e scappare verso la porta, dopo aver afferrato un zaino che forse era già pronto per la fuga da tempo; immaginò quello stesso uomo, infuriato come un animale, corrergli dietro, forse intenzionato a picchiarlo fino ad ucciderlo; immaginò Roxas che lo intercettava e lo faceva cadere a terra; immaginò la punizione dell'uomo che era scaturita da quel protettivo gesto fraterno; immaginò Roxas a terra con l'occhio che cominciava a gonfiarsi, ma con la forza di raccogliere le sue cose e approfittare della temporanea calma per scappare a sua volta. E dopo aver immaginato tutto questo, gli venne un groppo alla gola, e le lacrime risalirono verso gli occhi, minacciando di rigargli il volto.

- Grazie. - disse solo Ventus, guardando di sfuggita il fratello - Pensi che denuncerà la nostra fuga? -

Roxas scosse forte la testa.

- Se lo facesse, dovrebbe avere a che fare con la polizia, e non credo che voglia. -

- E allora cosa facciamo? -

Un boato improvviso accolse la squadra di calcetto della scuola che stava entrando in campo. Gli occhi blu di Roxas vennero calamitati da quelli smeraldini di Axel.

- Per adesso, guardiamo la partita. -

 

Sora non riuscì a rilassarsi un attimo. Un po' perché la presenza di Roxas e Ventus insieme gli metteva soggezione, un po' per colpa delle urla dei ragazzi, della scuola e non, che gli stordivano le orecchie, un po' per la madre di Axel che incitava con troppo entusiasmo il figlio, un po' per tutti i pensieri che aveva in testa.

Guardava Axel giocare, ma rivedeva solo quello che era successo negli spogliatoi.

Forse aveva ragione Ventus, e doveva smettere di farsi tutti quei viaggi mentali.

La squadra della scuola, grazie alle mega pallonate spacca nasi di Axel, vinse per nove a tre. Un risultato dovuto più alla quantità di infortuni nella squadra avversaria che ad altro.

Cosa che sicuramente non sarebbe piaciuta al medico della scuola.

Axel, comunque, doveva essere molto fortunato, perché nessuno dei suoi bolidi gli costò anche un solo cartellino giallo, anzi. Erano tutti così involontari e ingenui che l'arbitro non si sentiva di chiamare un fallo, anche se la squadra avversaria gliene avrebbe appioppati volentieri almeno una decina.

Alla fine della partita, la metà della gente presente sugli spalti si gettò sulla squadra, lasciando poche speranze di avvicinarsi a loro.

Ventus sembrava intenzionato ad andarsene. Sora lo vedeva insofferente, e non capiva perché.

Stava quasi per proporgli di andarsene, prima di perdere l'ultimo treno per Traverse Town, quando una voce sovrastò la sua.

- Roxas! Roxas! - Axel si fece strada tra la gente a suon di gomitate, pur di raggiungere Roxas. Quando si trovò davanti lui e la sua fotocopia genetica, gli sfuggì un sorrisetto. - Pensavo che te ne fossi andato. -

Gli disse, ignorando del tutto sia Sora che Ventus.

Roxas incrociò le braccia al petto, con stizza.

- Non sono rimasto per te. -

Ventus aveva una faccia smarrita. Desideroso di una spiegazione, avrebbe chiesto quello che gli serviva, se la madre di Axel non si fosse messa in mezzo.

La donna, vista accanto al figlio, sembrava una sua versione femminile e poco più vecchia, facevano quasi impressione insieme.

- Che bravo il mio ragazzo! - gli scoccò un bacio sulla guancia che avrebbe fatto arrossire chiunque e poi fece cadere i suoi occhi di smeraldo sui tre ragazzini - E questi? Sono tutti amici tuoi? -

- Sì mamma. - fece lui, ridendo - Lui è Roxas, dorme da noi per ora, ti ricordi? Ventus, suo fratello, e Sora. -

- Che brutta botta che hai preso al naso Sora. -

Disse la donna con una smorfia.

- Opera del suo ragazzo, signora. -

Ridacchiò il bruno, un po' forzatamente.

Axel conosceva Ventus, ma Ventus non conosceva Axel, perché?

La donna tirò uno scappellotto sul collo del figlio.

- Sei sempre il solito, devi stare più attento! -

- Mammaaaaaaaa non l'ho fatto apposta! Perché nessuno lo capisce? Memorizzatelo: NON L'HO FAT-TO AP-PO-STA! -

Lei scoppiò a ridere, e anche Roxas, ma Sora e Ventus non ci riuscirono proprio.

- Mi dispiace che ti abbia fatto male, è troppo focoso quando gioca, mette tutto se stesso nel ruolo di attaccante! - nelle parole della madre c'era dell'orgoglio e della preoccupazione insieme - Piacere di conoscerti, in ogni caso. -

- Il piacere è mio. -

Concluse Sora, confuso, annuendo appena.

- Devo parlare un attimo con l'allenatore. - continuò la donna, con un serio cipiglio - Torno subito, scusatemi. -

Aspettarono che lei si fosse allontanata prima di capire quanto disagio ci fosse tra loro.

Ventus non faceva che far correre lo sguardo tra Axel e Roxas.

- Roxas ti andrebbe di andare a prendere un gelato al sale marino post-partita? -

Buttò lì Axel, con gli occhi che gli brillavano. Non sembrava per niente interessato alle sfumature di maleducazione che poteva assumere la sua domanda.

- Non vai a festeggiare con la tua squadra? -

- Sinceramente, me ne frega poco della squadra. Vorrei starmene un po' in pace. -

- È questo l'amico da cui sei andato a dormire ieri notte? -

La domanda di Ventus fu inaspettata, tanto che Roxas e Axel lo guardarono come se fosse stato un alieno venuto lì a chiedere informazioni per tornare su Marte.

- Pensavo che gli avessi parlato di me. -

Fece Axel, con un certo disappunto.

- Non ne ho avuto il tempo. - Roxas lo disse tra i denti - Sì Ventus, è lui. -

Il rosso sorrise, e porse la mano a Ventus.

- Axel, A-x-e-l, got it memorized? -

Lui gliela afferrò, non senza fare una faccia contrariata.

Roxas li guardò entrambi con orrore, forse credeva che qualcosa sarebbe uscita dalla bocca di Axel, che invece si limitò a sorridere.

- Allora, vieni a prendere il gelato al sale marino con me? -

Chiese ancora il rosso, più intensamente di prima.

- Sì, va bene, ci vengo. -

Rispose alla fine Roxas, più per togliersi dall'impiccio che perché ne avesse davvero voglia.

- Perfetto! Andiamo al solito posto, no? - fece un sorriso ampissimo, dietro cui Sora intravide tutto il dolore e tutta la rabbia che aveva sfogato negli spogliatoi, quando credeva di non essere visto da nessuno - Mi dispiace per voi, ma non ho posto nella mia macchinina! È solo una due posti, e per giunta neanche molto potente. Alla prossima, va bene? Grazie per essere venuto Sora, mi ha fatto piacere, e mi ha fatto altrettanto piacere conoscerti Ventus, adesso andiamo, eh? -

E così dicendo prese Roxas per un braccio e lo trascinò con sé, prima che potessero dire qualcosa.

Ventus rimase immobile a fissare il punto dove il fratello era appena sparito, con uno sguardo concentrato che non faceva presagire niente di buono.

Stavolta era lui ad essere partito per un altro mondo.

- Andiamogli dietro. -

Disse all'improvviso.

Sora sgranò gli occhi.

- Cosa?! -

Riuscì solo a dirgli.

- Sì, andiamogli dietro. So dove stanno andando. Twilight Town, potrei metterci le mani sul fuoco, solo lì fanno il gelato al sale marino. Se prendiamo il treno adesso per Traverse Town, dovrebbe esserci una coincidenza per andare lì a distanza di due minuti. Se ci sbrighiamo faremo in tempo. -

La domanda spontanea che venne in mente a Sora fu “ma perché dovremmo?”, poi capì che l'amico doveva aver intuito qualcosa, perché altrimenti non si spiegava quell'accanimento. Forse non gli era andato giù che gli avesse tenuto all'oscuro dell'”amicizia” di Axel, e del fatto che non gli avesse raccontato nulla di lui.

Ora più che mai Sora ebbe la certezza che Ventus non sapeva proprio niente della probabile relazione dei due. Ed era quasi sicuro che, seguendoli, li avrebbero beccati a fare qualcosa di non convenzionale, che avrebbe sconvolto ancora di più Ventus.

Quindi, la reazione di Sora fu quella di provare a smontare l'entusiasmo del biondo.

- Ma no, che ci andiamo a fare? Vuoi metterti a giocare alla spia con tuo fratello? - Ventus non sembrava convinto, né persuaso - E per di più ho un compito da fare per Terra, e non ho ancora iniziato. - aggiunse, sperando di toccare la parte studiosa dell'amico.

- Lo farai dopo, ti aiuto io. Adesso dobbiamo solo andargli dietro. -

- E come facciamo a trovarli? Twilight Town non è così piccola, e non credo che ci sarà una sola gelateria che fa quel gelato... -

- Ti sbagli, la città è piccola, ed quasi tutta zona a traffico limitato. Lasceranno la macchina al parcheggio vicino alla stazione del treno, e continueranno a piedi. Da lì, è praticamente una linea retta verso il centro, e ci sono poche gelaterie che fanno il gelato al sale marino. Sono sicuro che possiamo trovarli. -

E lo disse con tanta sicurezza che Sora non riuscì a trovare nient'altro con cui convincerlo, e fu costretto a dirgli di sì.

 

Quando arrivarono a venti minuti Twilight Town, Sora si sentì come un bambino piccolo portato in gita nel paese delle meraviglie.

Quella città, come tutte le altre, faceva parte delle mete che lui non aveva mai visitato, e l'idea di esserci per la prima volta gli metteva addosso una strana eccitazione.

Anche se sapeva quello che lo aspettava a Twilight Town, non poteva fare a meno di pensare che era contento del fatto di starci andando con Ventus.

I suoi genitori non erano proprio uno stereotipo di viaggiatori, un po' perché lavoravano troppo, un po' perché pur lavorando troppo non avevano molti soldi messi da parte per potersi permettere di lasciare le Isole del Destino e andarsene in giro per il paese.

Il fatto che il nuovo lavoro di suo padre, e il suo nuovo status di studente di Kingdom Hearts gli permettessero di andare dove voleva in treno, rendeva Sora molto contento, anche troppo contento.

Il treno si infilò in una galleria, piuttosto lunga, e Sora rimase deluso perché stava guardando il mondo che gli sfilava davanti agli occhi a velocità estrema.

Ventus non aveva parlato molto, anzi, quasi per niente, ma Sora, preso com'era dalla voglia di fare il turista, non se n'era neanche accorto.

Il ragazzino sbuffò, e poggiò la schiena contro il sedile.

- È la prima volta che vai a Twilight Town? -

Chiese Ventus, che aveva decisamente colto la sua delusione.

- Sì. -

Fece lui, con un broncio. Il biondo gli sorrise. Era il primo sorriso dopo tanto tempo.

- Allora appiccica la faccia al finestrino, quello che vedrai all'uscita dalla galleria ti piacerà un sacco. -

Sora non se lo fece ripetere, e appiccicò davvero la faccia al vetro.

Il treno sferragliò in curva, seguendo i binari. Il buio della galleria continuò, e per un attimo Sora fu convinto che l'avesse preso in giro, ma una calda luce arancione irruppe in quell'oscurità, e lui si ritrovò con la bocca spalancata.

Il treno rallentò un poco, un ding precedette la voce automatica di una signorina che annunciava che la fermata di Twilight Town era a soli cinque minuti.

Sora osservò con tanto d'occhi lo scenario del tramonto che aveva davanti.

Il sole era un tuorlo d'uovo appoggiato sull'orizzonte; gettava i suoi colori più caldi tutto intorno. Dall'arancione intenso, ad un chiaro color pesca, tutto quello che veniva toccato da quella luce sembrava cambiare.

- Ma...ma...non era già scuro quando siamo partiti? -

Chiese Sora, confuso.

Ricordava di aver preso il treno da Traverse Town che il sole era già oltre l'orizzonte, il tramonto era passato da un pezzo.

Ventus fece un mezzo sorriso furbetto.

- Sì, ma qui il sole non tramonta mai. -

- Non tramonta mai? Ma è impossibile! -

- No, non lo è. Ci hanno fatto uno studio scientifico sopra. Mi sembra di aver visto un documentario su National Geographic al riguardo. - Ventus cercò di recuperare il ricordo, senza successo. Quindi scosse la testa. - Comunque, pare che Twilight Town sia una specie di enorme specchio, e che rifletta all'infinito la luce del sole al tramonto, in realtà, quello che vedi è solo un fenomeno ottico, il sole è tramontato da un bel po', ma l'atmosfera, la posizione geografica, e altri fattori influiscono sulla luce, e la rimandano indietro come se fosse ancora là. È un fenomeno che succede normalmente anche in altre parti del mondo, non mi ricordo come si chiami, però succede che noi riusciamo a vedere il sole anche diversi minuti dopo che è tramontato, come riusciamo a farlo diversi minuti prima che sorga, sempre per rifrazione. Qui la cosa è portata all'estremo. Visto che il tutto è causato da un delicato equilibrio di atmosfera, la circolazione di automezzi è stata proibita, una minima influenza dell'inquinamento potrebbe far perdere a Twilight Town il suo magico e perenne tramonto. È la città più ecologica del paese, completamente libera da ogni forma di inquinamento. -

Anche se le orecchie e il cervello di Sora avevano ascoltato tutto quello che Ventus aveva detto, i suoi occhi erano rimasti incollati sul vetro, a guardare lo spettacolo che avevano di fronte, senza mai stancarsi.

- Ma è fantastico! - esclamò il bruno, con la stessa eccitazione di un bambino - Non ne sapevo niente! Cioè, sapevo che tutti parlavano del tramonto di Twilight Town, ma non pensavo che si riferissero a questo! -

- Bhè, chi non lo vede difficilmente ci crede. - fece Ventus - E io avevo la tua stessa faccia quando l'ho visto per la prima volta. -

Il treno entrò in stazione, accompagnato da un leggero stridore di freni. Un altro ding precedette la solita voce femminile che annunciò che il treno era fermo a Twilight Town, e che la sosta sarebbe durata un paio di minuti.

Ventus scattò in piedi, fece finta di essere tranquillo e rilassato stiracchiandosi come uno che aveva fatto un comodo ma stancante viaggio in treno.

Sora lo imitò.

Presi i loro zaini si fiondarono giù dal vagone.

La stazione era grande la metà di quella di Kingdom Hearts, e non era neanche paragonabile a quella di Traverse Town.

C'erano solo due binari, ma molta gente ad affollarli, per di più turisti con macchine fotografiche e facce stupite.

Per gli abitanti di Twilight Town non doveva essere più una sorpresa andare a dormire e svegliarsi con la perenne presenza del tramonto.

- Lo sai che chi viene a stare qui, per i primi tempi soffre di jet lag? -

Fece Ventus. Senza volerlo aveva assunto un tono di voce da guida turistica, o da professore, a seconda di come lo si voleva intendere.

- Vero? -

Rispose Sora, come uno scolaretto.

- Sì, perché la presenza di questa luce continua, anche se soffusa, confonde il cervello che avrebbe bisogno di riposare al buio. Soprattutto c'è il problema che non si capisce bene che ore siano, e questo getta ancora più in confusione. Ma poi ci si abitua e passa. Gli abitanti infatti non ci fanno neanche più caso. -

- Che figata. -

Fu l'unica cosa che il bruno riuscì a dire, tutto elettrizzato all'idea.

Ventus scosse la testa, ridacchiando.

- Non ti sei dimenticato perché siamo venuti, vero? -

- Perché siamo venuti? -

Fece Sora, ingenuamente. Ventus aggrottò le sopracciglia.

- Dimmi che scherzi. -

Il bruno rimase qualche secondo per raccogliere le idee. Tutte quelle informazioni nuove l'avevano un po' confuso. Visto che non era molto sveglio, o meglio, visto che non aveva proprio una mente matura, poteva gestire un pensiero alla volta, e al momento l'idea di quel tramonto infinito aveva spazzato via tutto il resto.

Poi gli si accese la lampadina e fece un “aaaaaaaaah!”, che Ventus avrebbe tradotto con “eureka!”, visto che doveva essergli arrivata l'illuminazione divina.

Subito dopo quel flash, però, Sora sprofondò nel buio.

Non voleva che Ventus fosse costretto a scoprire della storia tra Roxas e Axel in quel modo, spiandoli come fossero dei poliziotti in borghese.

Forse riusciva a deviare gli intenti dell'amico con il suo entusiasmo da turista; ma dubitava che Ventus si sarebbe fatto prendere in giro. Era troppo deciso.

L'unica cosa in cui poteva sperare era che non riuscissero a trovarli. Anche se la città poteva essere piccola, questo non doveva necessariamente significare che dovevano beccarli al primo colpo. Magari avrebbero girato a vuoto per tutta la serata e poi avrebbero rinunciato e sarebbero tornati a casa.

Sora poteva fare pressione sui suoi genitori, e sul fatto che si sarebbero potuti preoccupare.

Questo lo tirò un po' su di morale, e lo fece tornare a sorridere.

- Allora dove andiamo per primo? -

- Intanto, al parcheggio. -

Sora storse il naso.

- Ma non sai che macchina hanno. -

- No, ma Axel ha detto di avere una “macchinina”, e dato che non credo che abbia ancora diciotto anni, è probabile che non abbia una “vera macchina”, ma una 50cc, che si guida con la patente del motorino, dobbiamo cercare una di quelle. -

Gli occhi di Sora si sgranarono.

- E hai capito tutte queste cose solo sentendolo parlare per due minuti? -

- L'avresti capito anche tu, se fossi stato più attento. - Ventus dovette capire quanto Sora fosse sconvolto dalle sue intuizioni, visto che arrossì - Non mi guardare così. - sbottò, sempre più imbarazzato.

- Potresti far invidia a Sherlock Holmes. -

- E tu sei perfetto per fare Watson. - Sora non riuscì a capire se fosse una cosa buona o no, visto che da quanto ricordava Watson era quello tonto, mentre Holmes deduceva e gli faceva fare delle gran brutte figure. Ventus scosse ancora la testa. Lo prese per un braccio e lo costrinse a camminare. - Andiamo va! -

E non aggiunse altro.

Uscirono dalla stazione e la luce del tramonto perenne li baciò con delicatezza. A dispetto di quella luce così calda e spessa, l'aria era fresca e pungente. Sora guardò l'orologio, secondo il quale dovevano essere le nove di sera. Bhè non si sarebbe detto guardando il cielo. Quanto meno, l'aria fredda era sintomo di una notte in arrivo.

Sora fu costretto a seguire Ventus, che correva come un matto.

Si infilarono nel parcheggio, cercando di non dare nell'occhio. Ma visto che c'erano valanghe di turisti nessuno si accorse di due piccoli ragazzini che si intrufolavano qua e là.

Il parcheggio, tra l'altro, non era neanche molto grande. Aveva tre piani, di cui uno interrato, e per fortuna (o sfortuna, dal punto di vista di Sora) trovarono un'unica macchina che corrispondeva alla descrizione sommaria di Ventus. Ma visto che non potevano esserne così sicuri, Sora provò a dissuadere l'amico, dicendogli che quella macchina poteva essere di chiunque, e non necessariamente di Axel.

Bastò una sola occhiata per capire chi fosse il proprietario. La carrozzeria era rosso fuoco, su cui erano state dipinte delle fiamme vermiglie che avvolgevano tutta la parte posteriore, in più, appiccicato sul vetro posteriore, c'era un adesivo che non ammetteva deroghe: “fire on board, got it memorized?”. Era lampante che fosse stato fatto in casa, e che fosse opera di Axel.

Ventus guardò dentro mettendo le mani a coppa sul vetro, e poi passò sul davanti. Dopo aver appoggiato una mano sul cofano, sospirò.

- Il motore è ancora caldo. Direi che sono arrivati qui...dai venti ai trenta minuti fa. -

- Elementare Watson. -

Fece Sora per tutta risposta, con gli occhioni sgranati.

Ventus arrossì di brutto.

- Non prendermi in giro. Forza andiamo. -

- Oh ma dai! È una cosa da stalker! -

- Non è una cosa da stalker. -

- E allora perché lo stiamo facendo?! -

- È mio fratello, ok? - il tono di voce di Ventus fece rabbrividire Sora - Io devo farlo. Non te lo so dire perché, devo farlo e basta. Se vuoi aiutarmi in questa cosa, te ne sarò grato, altrimenti torna pure a casa. -

- Non ti lascerei mai solo. -

Sussurrò Sora, con la testa bassa per l'imbarazzo.

Ventus fece un sorrisetto.

- Vuol dire che andremo fino in fondo insieme? -

La coscienza di Sora urlò che questo era il momento adatto per tirare il freno a mano e fare retrofront. Non ci sarebbe stata un'altra occasione, né simile né migliore di quella per farlo.

Forse avrebbe salvato la faccia a Ventus non essendo presente al momento in cui avrebbe scoperto che suo fratello aveva un rapporto omosessuale con quell'Axel. Ma magari avrebbe voluto un amico con cui confidarsi nel momento in cui sarebbe successo.

Il cervello sovraccarico gli mandava segnali contrastanti, deviati più volte dal cuore e dalla coscienza che volevano avere l'ultima parola.

- Sì, fino in fondo. -

Disse alla fine. Ventus gli rivolse un sorriso. Lo abbracciò di slancio, velocemente, sussurrandogli un “grazie” nelle orecchie.

- Sbrighiamoci allora, non abbiamo molto tempo. - fece Ventus, dopo aver sciolto l'abbraccio - I tuoi si arrabbieranno se torniamo troppo tardi. E poi c'è quel compito da fare per Terra, no? -

Sora riuscì solo ad annuire.

 

Per una buona mezz'ora vagarono senza meta per le strade della città.

Anche se le strade erano prive di traffico automobilistico, questo non le rendeva libere da quello turistico.

Nonostante l'ora, e il periodo dell'anno non proprio adatto ad una vacanza, c'erano così tanti turisti che era difficile riuscire a camminare senza dover fare lo slalom tra una massa di corpi ed un'altra.

La città era costruita quasi a scaloni su di una piccola collina, e culminava con la stazione dei treni ed una altissima torre dell'orologio con tanto di campane.

Non era di certo una città in cui si viveva tranquilli, visto la folla che andava e veniva costantemente. Con la scusa di quel bizzarro tramonto nessuno percepiva lo scorrere del tempo.

Sora immaginò che dovesse essere insopportabile avere gente stramazzante a tutte le ore del giorno e della notte che faceva traffico per le strade.

Infatti, anche se lui non se ne poteva rendere conto, gli abitanti di Twilight Town non erano soliti farsi vedere in giro, e avevano stanze da letto per la maggior parte insonorizzate.

Il prodotto che andava forte era sicuramente il gelato al sale marino.

Non solo era l'alimento più venduto, ma era anche il simbolo di un intero merchandising. Portachiavi, mascotte di peluche, capi d'abbigliamento: qualsiasi oggetto su cui poteva essere stampata l'immagine di un gelato al sale marino era acquistabile in uno dei migliaia negozietti disseminati qua e là per le strade.

Che poi, Sora non aveva mai neanche sentito parlare di quel gelato.

Lo vide per la prima volta proprio in quell'occasione, tra le mani dei turisti.

Aveva le forme e le dimensioni di un normalissimo ghiacciolo, l'unica cosa che lo rendeva speciale era il suo colore azzurro cielo, e a quanto pareva il gusto.

Molti striscioni appesi fuori dalle gelaterie che lo producevano affermavano: “Ghiaccino, il gelato al sale marino! Un po' dolce, un po' salato!”.

Per quanto si sforzasse, il ragazzo non riusciva a immaginare un gusto un po' dolce e un po' salato.

Dovette ammettere che gli venne presto voglia di assaggiarlo, ma si tenne bene dal dirlo a Ventus, visto che lui non sembrava interessato a niente altro che fosse il trovare suo fratello.

Quando la torre dell'orologio batté le dieci, Ventus seppe che era troppo tardi, e che dovevano assolutamente tornare a casa prima che i genitori di Sora dessero di matto.

- Basta, andiamocene. -

Fece il biondo, con un gran broncio, fermandosi proprio nel bel mezzo della strada.

Sora, che stava guardando con gli occhi del cuore un deliziosissimo peluche a forma di gelato al sale marino con degli occhioni in stile manga, non si accorse nemmeno che Ventus aveva parlato.

L'amico dovette ribadire il concetto, perché gli arrivasse.

E quando capì che era finita, e che non era successo niente di tutto quello che aveva temuto, si sentì sollevato di tre metri da terra.

- Ok...e Roxas? -

Ventus si strinse nelle spalle.

- 'Fanculo Roxas. -

Fu la risposta, e Sora quasi si sorprese.

Tornarono indietro verso la stazione, Ventus sprofondato nel baratro dei suoi pensieri e Sora che cercava di tirarlo fuori.

- Senti, già che siamo qui, ti va di prendere il gelato? -

Buttò lì il biondo. Non aveva trovato suo fratello, ma quanto meno poteva ottenere un dolce (e salato) conforto.

A Sora brillarono gli occhi.

- Sì! Prendiamolo! -

Ventus ridacchiò.

- Il tuo entusiasmo è contagioso. -

- Uuuuuh sono malato di una terribile malattiaaa. -

Fece Sora, gettandosi a peso morto tra le braccia di Ventus.

- Finiscila, scemo! -

Ma rideva.

- L'unica cura conosciuta è il gelato al sale mariiiiino uuuuuh un po' dolce un po' salaaaato uuuuuh. -

- Sì, sì, ora ti porto a prenderlo, così guarirai. -

- Evvivaaaa uuuuuh. -

Sora lo strinse in un fugace abbraccio, gli diede un pizzicotto sulla guancia per poi scappare in avanti.

Ventus scosse la testa ridendo, e cominciò ad inseguirlo.

Corsero fino alla gelateria più vicina, litigando su chi avrebbe dovuto pagare i gelati. E si ritrovarono in fondo ad una fila chilometrica di turisti.

- Ci vorrà un seeeeeeeeecolo! -

Si lamentò Sora, con lo stesso tono di un bambino piccolo.

Ventus si alzò sulle punte, per vedere dove finisse la fila.

- No dai, sembra che scorra velocemente e... -

Si azzittì all'improvviso.

- Che c'è? -

Disse Sora preoccupato. Gli occhi blu di Ventus erano fissi in un punto davanti a lui. Il bruno si sollevò a sua volta sulle punte, per dare una sbirciata, e capì perché l'amico si fosse zittito di colpo.

Proprio all'inizio della fila, davanti al bancone che stavano ritirando i loro due gelati, c'erano Roxas Axel.

Una luce si accese negli occhi di Ventus, una luce infuocata e calda che un po' spaventò Sora.

Aveva la faccia di un poliziotto che dopo tanto tempo è riuscito a scovare un pericoloso malvivente in fuga dalla legge da decenni.

I due, inconsapevoli di essere spiati, si portarono alla cassa per pagare i gelati. Ci fu un piccolo battibecco su chi dovesse offrire il gelato a chi, che fu vinto da Axel, e poi uscirono dalla gelateria.

Ventus afferrò Sora per un braccio e lo costrinse a seguirli.

Il bruno rinunciò ad assaggiare il gelato al sale marino.

 

The Corner

Ciaaaaaaaaaaao a tutti!
questa pubblicazione del sabato mi gasa tantissimo XD
e dato che voleva essere una sorpresa per Anima1992...
ecco qua il capitolo nuovo!
ora...vi porgo una domanda:
vi piacerebbe un'altra pubblicazione per lunedì?
faaaatemi sapere!
ringrazio i soliti ignoti:
Anima1992, akima, _NekoRoxyChan_, Lorenzotop e Dreamer_98,
grazie davvero ragazzi, mi fate sentire...speciale!
alla prossima,
Chii

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Capitolo 15
*** La ragione dietro l'illogico ***


14

La ragione dietro l'illogico

 

Non dovettero seguirli a lungo, perché era evidente che volessero trovare un posto tranquillo dove mangiare il gelato (che rischiava ogni minuto di più di sciogliersi).

Axel si muoveva come fosse il padrone della città, ed era difficile stargli dietro.

Si infilava nelle stradine e nei vicoli più impensabili, trascinandosi dietro Roxas.

Ventus sapeva di non poterli tallonare troppo da vicino, altrimenti li avrebbero scoperti, ma non poteva neanche arrischiarsi a stargli troppo lontano, non voleva di certo perderli.

Alla fine, il rosso portò Roxas alla base della torre dell'orologio, quella che sovrastava la stazione dei treni.

Roxas diede una leccata al suo gelato per evitare che gli gocciolasse sulle mani, prima di esordire con:

- Allora? -

- Saliamo a mangiare lassù. -

Esclamò Axel, con una vocetta tutta eccitata, indicando la cima della torre dell'orologio.

Sora dovette reprimere una risata nel vedere sia Ventus che Roxas fare la stessa faccia scettica.

Dalla posizione in cui si trovavano, lui e Ventus avevano una visuale perfetta, e sicuramente Axel e Roxas non potevano vederli.

- E come ci saliamo? Non c'è un guardiano o cose del genere? -

Si oppose Roxas.

- Oh ma dai, lascia fare a me, ok? -

Di nuovo, Sora vide i gemelli fare la stessa identica faccia.

Axel diede in una risata, e scombinò i capelli biondi di Roxas con affetto, senza aggiungere una parola.

Il ragazzino dovette scuotere la testa per riprendersi, e poi dovette correre per andare dietro al rosso che lo aveva preceduto.

Ventus diede l'ok a Sora e insieme uscirono fuori dal loro nascondiglio per seguire i due.

Sora si sentiva tanto uno stupido, e aveva il cuore che gli batteva a mille. Ogni secondo di più gli veniva il terrore che Axel si sarebbe girato e li avrebbe scoperti.

Chissà come si sarebbe arrabbiato...

- Ti muovi? Così li perdiamo! -

Disse Ventus tra i denti.

- S-sì! -

Sora accelerò il passo, un po' scombussolato.

Si fermarono solo quando Axel e Roxas furono davanti all'entrata della torre.

Il rosso cominciò a discutere amabilmente con il custode, che non sembrava intenzionato a lasciarli passare. Ma quando lui uscì un paio di munny, gli occhi del custode si accesero di interesse. Dopo aver preso i soldi, gli fece un occhiolino e se ne andò fischiettando, lasciando l'entrata libera.

Axel diede in una risatina soddisfatta.

- Ma valeva davvero la pena pagarlo per farci salire? -

- Sì, da lassù la visuale è bellissima. -

- Sembri uno che ci viene spesso. -

- Infatti! - fece Axel tutto orgoglioso - Il precedente custode era un mio amico, e mi faceva sempre salire quando volevo. Adesso c'è questo tirchione schifoso che mi fa pagare. Però, ormai io ho capito a quanto si vende. -

E fece un sorrisetto a Roxas, che arrossì.

Da dietro l'angolo, Ventus, che poteva sentire e vedere tutto, alzò gli occhi al cielo e scosse la testa.

- Mah! Se lo dici tu. -

Sbottò Roxas, per nulla convinto.

- Dai su, borbottone. Dammi retta per una volta! -

- Io ti do sempre retta, altrimenti non mi sarei ficcato in questa storia. -

Axel rise di gusto. Lo abbracciò di slanciò e gli stampò un bacio sulla fronte, che lo fece arrossire di più, se mai fosse possibile.

- Facciamo a gara a chi arriva prima in cima? -

E senza dare il tempo a Roxas di realizzare quello che aveva detto, scappò verso l'entrata della torre, sparendo alla vista.

- Aspetta! Axel! Non ero pronto! -

Gli gridò dietro il biondo, prima di cominciare a correre a sua volta.

Sora era rimasta per tutto il tempo con il fiato sospeso. Solo adesso riuscì a rivolgere gli occhi verso Ventus.

Aveva uno sguardo serio, appannato da chissà quali e quanti pensieri.

Bastò solo un'occhiata perché Sora capisse che doveva muoversi.

Si fiondarono sull'entrata della torre e sui mille gradini che dovevano salire.

In alto, dispersi nella tromba delle scale, si sentivano gli schiamazzi divertiti di Axel e Roxas.

Ventus fece cenno a Sora di fare piano. Tra quelle mura il rimbombo era enorme, e bastava anche solo farsi scappare un suono perché quei due si accorgessero che c'era qualcuno dietro di loro.

Salirono le scale un po' per volta, aspettando che Axel e Roxas fossero fuori tiro.

Quei gradini infiniti si arrotolavano a chiocciola su per la torre, se non fosse stato per il corrimano sarebbe stato difficile salirli: erano stretti e ripidi, ma soprattutto non finivano mai.

- Ho vinto io! -

Si sentì dall'alto, la voce di Axel tutta soddisfatta.

- Hai barato, stupido! -

Fu la risposta rimbombante di Roxas.

La risata del rosso si disperse nella tromba delle scale, e così anche le lamentele di Roxas, mentre uscivano sul ballatoio della torre.

Sora cominciava a rimpiangere la voglia di gelato che l'aveva preso poco prima. Se non avesse acconsentito ad andare a prenderlo, magari a quell'ora sarebbero stati sul treno di ritorno per Traverse Town, e non lì.

Ventus lo fulminò con gli occhi, quasi avesse intercettato i suoi pensieri. Non ci fu bisogno che gli dicesse di muoversi. Sora sospirò e gli andò dietro senza fiatare.

Salì gli ultimi gradini quasi con scoraggiamento. Le gambe gli facevano male, il cuore gli faceva male, non c'era una singola parte del suo corpo che non gli facesse male; ed era sudato da far schifo. Un po' per colpa della tensione, un po' per colpa della fatica.

Arrivati finalmente in cima, Sora e Ventus uscirono sul ballatoio della torre.

Per accedere ai meccanismi dell'orologio, c'era un'altra porta, rigorosamente chiusa.

Tutto intorno al perimetro della torre un basso muretto separava chi vi saliva da una caduta di almeno ottanta metri.

Axel e Roxas erano comodamente seduti con le gambe a penzoloni proprio su quel muretto. Ignoravano completamente il pericolo tangibile di cadere di sotto, anzi, sembravano non farci proprio caso.

Da lassù, lo spettacolo del tramonto mozzava il fiato.

Si aveva una visuale perfetta di tutta la città, dorata e croccante alla luce arancione del sole.

Qualche rondinella, probabilmente confusa da quella luce, volava ancora nel cielo, inseguendo una compagna più avanti.

Le persone non erano grandi più di qualche centimetro, e il vento e l'altezza aumentavano in maniera esponenziale la sensazione di vertigine.

Le probabilità di essere scoperti erano altissime, visto lo spazio ridotto, ma Ventus non sembrava interessato alla parte in cui suo fratello o Axel l'avrebbero beccati.

I due mangiavano il gelato in silenzio, dando piccoli morsi e assaporandone il gusto.

Roxas faceva dondolare i piedi a ritmo di chissà quale pensiero, fissando il tramonto.

- Che cosa pensi di fare adesso? -

Chiese all'improvviso Axel, facendo sobbalzare il biondo.

Lui non lo guardò neanche rispondendo.

- Andare avanti con la mia vita, suppongo. -

- E andare avanti con la tua vita comprende essere ancora succube di tuo padre? -

Un brivido percorse la schiena di Roxas.

- Non sono affari tuoi. -

- Se vieni alla mia porta con un occhio nero chiedendo un letto per la notte dopo essere scappato di casa, direi che cominciano ad essere affari miei. -

- Mi hai portato quassù solo per parlare di queste cose? -

Sbottò Roxas. Stringeva tanto il bastoncino del gelato che la mano gli tremava.

Axel sorrise.

- Non ti arrabbiare. Cercavi sempre una scusa per non affrontare il discorso. “c'è troppa gente”, “qualcuno può sentirci”, “quando saremo soli ne parleremo”. Sai che a un certo punto diventa snervante? -

- Mi hai teso un agguato. -

- Ehi, ti ho comprato il gelato! -

Roxas fece una faccia arrabbiata che parlava da sola. Era un qualcosa di sottile quello che gli impediva di alzarsi, andarsene e forse mandare Axel a quel paese in via definitiva.

Invece, quello che fece fu infilare in bocca un gran pezzo di gelato, e masticare con rabbia.

Axel non perse il suo sorriso gentile, che nascondeva però una sofferenza senza pari.

- Lo sai quello che provo per te. -

Disse il rosso.

Sora sentì un urlo nascergli in gola mentre gli occhi gli scivolavano su Ventus. Ancora nessuna reazione.

Roxas non rispose, intento com'era nel mangiare il suo gelato. Sora e Ventus non potevano vederlo bene in volto, e quindi i suoi occhi ripieni di lacrime gli sfuggirono.

- Senti, facciamo così, tu stai zitto e io parlo, ok? - continuò Axel, serio come non mai. Ancora, Roxas non rispose, ma il rosso dovette prenderlo come un taciturno sì. - Da quanto tempo ci conosciamo? Tre anni? -

- Quattro... -

Sussurrò Roxas, senza guardarlo.

- Quattro. - ripeté Axel - Non mi puoi dire che questi anni non hanno significato niente per te. Sarebbe una bugia, e lo sai. - nessuna risposta - Mi sono tenuto lontano come tu mi hai chiesto, non ho agito come tu mi hai detto, ho sfogato la mia rabbia e la mia frustrazione lontano da occhi indiscreti, perché tu hai voluto così. Ti ho visto soffrire quando è morta tua madre, e ti ho visto soffrire per colpa di tuo padre. Però, neanche tuo fratello sa di me. - il leggero rammarico nella sua voce colpì Sora al cuore. Ancora una volta si voltò per cogliere la reazione di Ventus, ma il suo volto era una maschera imperscrutabile. Nella mente di Sora si fece spazio una domanda: che fosse Axel la ragione dell'allontanamento dei due gemelli? - Mi sono fatto andare bene tutto, perché sapevo che almeno sarei potuto rimanerti accanto. - rivolse gli occhi di smeraldo verso Roxas, ardevano con l'intensità di un fuoco - Adesso sono stanco di essere tagliato fuori. -

- E che vorresti fare? Coming out? Diventeremmo lo zimbello della scuola. -

Fece Roxas, tremando tutto.

- Sinceramente, non me ne frega un cazzo. Qualsiasi cosa sarebbe meglio che rimanere in questo nulla senza speranza. - il biondo non rispose. Ventus, finalmente, fu attraversato da un barlume di consapevolezza. Tutti i tasselli stavano andando lentamente al loro posto. Riusciva quasi a vedere il quadro generale. - Se il tuo problema è che non provi quello che provo io, allora è tutta un'altra storia. -

- No, non è questo! -

Si premurò di dire Roxas, tutto affannato.

- E allora cos'è? -

Il tono di voce di Axel si era fatto più duro.

Roxas si prese la testa tra le mani.

- Non lo so. - sussurrò lui - È tutto troppo difficile...la scuola, mio padre, Ventus...tu. -

- Io? Io non sono difficile. -

- Sì che sei difficile. -

Axel sospirò.

- È difficile accettare quello che provi per me? -

Roxas alzò il volto, deciso.

- Io ti amo. - non solo il rosso rimase congelato da quelle tre piccole parole. Anche Ventus, e in buona parte Sora, rimasero fulminati sul posto. - Questo non è difficile. Ma devo gestire una cosa alla volta, capisci? Devi aspettare. -

Axel lo guardò con occhi che la dicevano lunga. Aveva aspettato, aveva aspettato anche troppo. Prima aveva aspettato che risolvesse i suoi problemi scolastici, poi aveva aspettato che si riprendesse dal terribile lutto che l'aveva colpito, poi aveva aspettato che trovasse un equilibrio con il suo padre violento. Ora cosa doveva aspettare?

- Va bene. - sospirò alla fine - Ma aspetterò solo per altri due anni. Solo due. Quando sarai maggiorenne e potrai rispondere della tua vita di fronte alla legge, la prima cosa che vorrò da te sarà una risposta. - fece un mezzo sorriso - E se non l'avrò ottenuta, mi toglierò il piacere di uccidere con le mie mani tuo padre. Se nel futuro non c'è spazio per me e te insieme, preferisco passare il resto della mia vita in carcere, e togliere dal mondo quel bastardo. -

Lo disse con tale leggerezza che sembrò che scherzasse.

Prima che Roxas potesse ribattere, lui gli prese il volto tra le mani e affondò le labbra nelle sue, reprimendo qualsiasi rimostranza.

I gelati al sale marino finirono con lo sciogliersi tra le loro mani e cadere per terra, mentre le loro labbra si perdevano le une nelle altre.

Per Ventus fu più che sufficiente. Senza preavviso, corse via, e Sora gli dovette andare dietro.

Scesero gli scalini a due a due, a tre a tre, con foga sempre crescente.

Vi-chan! Rallenta!” fu l'accorato pensiero di Sora, che non si azzardava a dare fiato alla bocca per paura che le mura della torre facessero risuonare la sua voce fino alla cima, e la facesse arrivare fino ad Axel e Roxas.

Ventus però non si fermò. Aveva perso quella strana, intuitiva capacità di leggere nella mente di Sora, di percepire i suoi pensieri, perché aveva chiuso la sua mente ad ogni stimolo esterno.

Non c'era niente altro, nei suoi pensieri, che quelle immagini e quelle parole che aveva visto e sentito sulla cima della torre.

Sconvolto e con il cuore che rischiava di perdere un battito ad ogni passo, non riusciva più a mettere insieme qualcosa di logico, un pensiero che non fosse sconclusionato e arrabbiato.

Perché suo fratello non gli aveva detto niente, perché aveva preferito allontanarsi da lui piuttosto che metterlo a parte della sua vita, perché l'aveva lasciato solo a pensare di essere il problema, perché lo faceva vivere dandosi la colpa del gelo che era scivolato lentamente tra loro?

Lacrime di rabbia e di incomprensione gli rigavano il volto, e gli impedivano di vedere dove stesse andando, dove poggiavano i suoi piedi.

Preso dalla foga, non si accorse di stare inciampando, né si accorse della caduta rovinosa che lo fece rotolare per diversi metri e lo mandò a gambe all'aria.

Si ritrovò disteso sulla schiena, scosso da singhiozzi senza senso, con lamenti che gli scivolavano fuori dalle labbra schiuse.

Nella sua visuale appannata entrò il volto preoccupato di Sora.

- Vi-chan... -

Gli sussurrò.

Ventus lo mise a fuoco. Scacciò in malo modo la mano che gli stava tendendo. Quando si accorse dell'espressione addolorata dell'amico, inghiottì il magone e accettò di prendere la sua mano.

Sora lo aiutò a tirarsi in piedi, e solo in quel momento Ventus si accorse di sentirsi tutto acciaccato e dolorante; doveva essere stata una brutta caduta.

Il bruno lo guardò, non insistentemente, ma con occhi che chiedevano una parola, una qualsiasi.

- Perdiamo il treno. -

Fu l'unica cosa che gli uscì dalle labbra.

Sora si limitò ad annuirgli, senza però abbandonare quello sguardo crucciato.

In silenzio si diressero verso la stazione. Il treno per Traverse Town era già sui binari, ed era il penultimo (l'ultimo sarebbe partito per l'una di notte).

Non una sola parola scappò dalle labbra di Sora, né per chiedere, né per ottenere, né per qualsiasi altro scopo.

In silenzio presero posto nel vagone, in silenzio aspettarono che il treno partisse, in silenzio osservarono Twilight Town che si allontanava, il silenzio videro il tramonto trasformarsi in una notte buia, senza luna e senza stelle.

Sora osservò Ventus piangere. La sua faccia si contraeva in smorfie ora arrabbiate, ora deluse, ora tristi, senza trovare pace, che fosse anche apparente.

Non gli aveva rivolto uno sguardo neanche per un attimo, ma rispettò la sua scelta.

Si sarebbe arrabbiato se gli avesse detto di aver visto Roxas e Axel insieme prima della partita?

In qualunque modo l'avrebbe presa, non poteva tenerglielo nascosto.

- Ventus... - lo chiamò. Lui non alzò gli occhi, ma rabbrividì al solo sentirsi chiamare con il suo nome completo e non con il nomignolo che Sora gli aveva affibbiato. - Io...non volevo tenertelo nascosto...ma...prima della partita...quando sono andato nello spogliatoio... -

- Fammi indovinare, hai visto Roxas con Axel. -

Furono le funeree parole di Ventus.

Sora si sentì colpire allo stomaco.

- Bhè...ecco...sì... -

Concluse, spiazzato e allo stesso tempo imbarazzato.

Ventus fece un sorrisetto.

- È per questo che volevi cercare di convincermi che non era una buona idea seguirli, vero? Non volevi che scoprissi... -

Gli mancarono le parole, ma per Sora fu comunque sufficiente.

- Mi dispiace...avrei dovuto dirtelo...non avevo nessun diritto di... -

- Non toccava a te dirmi niente. - lo interruppe a metà frase - Doveva essere Roxas a dirmelo. Tu a modo tuo volevi solo risparmiarmela, e non l'hai fatto per male. -

- Sì ma...mi dispiace lo stesso... -

Borbottò Sora, con lo sguardo basso, puntato sulle sue mani tutte torte l'una nell'altra.

Ventus non riuscì a non sorridergli.

Si alzò per andarsi a sedere vicino a lui. Sciolse i nodi che stava facendo alle sue stesse dita e vi infilò le sue.

Sora sentì uno spillo piantarsi nello stomaco. Era una sensazione piacevole, ma inaspettata. Per istinto strinse la mano di Ventus, con tutte le sue forze.

- Tu non c'entri niente, ok? Anzi...adesso sei qui a darmi conforto. Se l'avessi scoperto da solo probabilmente sarebbe stato peggio. -
Sora annuì, con un mezzo broncio. Ventus scosse la testa. Era così carino quel musino arricciato che quasi gli faceva dimenticare quello che era appena successo. Quasi. Una morsa gli stritolò lo stomaco, e gli venne spontaneo mollare la presa sulla mano di Sora e tornare a sedersi nel posto di fronte a lui.

Sora si sentì abbandonato, e fu tentato di recuperare quella stretta che aveva significato così tanto per lui. Ma Ventus aveva una faccia scura che non faceva presagire niente di buono, e si tirò indietro, stringendo a pugno la mano che stava lentamente perdendo il calore di Ventus.

- Che poi - cominciò il biondo - non è mica un problema che a lui piaccia un ragazzo. - arrischiò ad alzare gli occhi su Sora che ricambiò lo sguardo con uno blu ceruleo che gli fece andare in tilt il cuore. Fu rapido a volgere lo sguardo altrove, per sfuggire al suo. - Non è questo a farmi male...no...non lo è... -

La sua voce si ridusse ad un sussurro, mentre altre lacrime incontrollabili gli riempivano gli occhi.

- Non sei obbligati a dirmi niente se non te la senti. -

Disse Sora, sostenendo un tono di voce che voleva essere maturo e forte, quando in realtà si capiva benissimo che stava morendo di una curiosità infantile.

- Io, Terra, Aqua e Roxas stavamo sempre insieme. - cominciò Ventus, senza premesse - Ci divertivamo con poco, ci bastava stare tra di noi ed eravamo felici. - strinse i pugni - A quei tempi andava tutto bene. Io e Roxas frequentavamo le medie inferiori a Kingdom Hearts, nella stessa classe. Era difficile, ma ci aiutavamo a vicenda. Lui era sempre accanto a me, ed io ero sempre accanto a lui. Nostra madre era ancora viva e nostro padre... - gli tremò la voce per un istante. Dovette prendere un respiro per riprendere a parlare - ...non era ancora caduto nel baratro dell'alcool e della violenza. - di nuovo come per confortarsi, Ventus cominciò a carezzarsi il braccio pieno di lividi - Era...tutto perfetto. Ho ricordi assurdamente felici di quel periodo. Non sembrava andare niente male. - alzò appena gli occhi per incontrare quelli di Sora, sgranati e fissi su di lui - Così bello da non crederci. Ma le cose belle durano poco. - sospirò - Nostra madre cominciò a stare male, da un giorno all'altro, alla fine di quell'anno. E insieme a lei ha cominciato a stare male anche tutta la nostra famiglia. Quattro anni fa, a nostra madre fu diagnosticato un cancro terminale. Nostro padre cominciò ad impazzire lentamente, e Roxas cominciò ad allontanarsi da me, ogni giorno di più. - fece un sorriso amaro - Pensavo che fosse perché non ero in grado di consolare il suo dolore, perché non ero buono neanche per lenire le sofferenze del mio fratello gemello. E invece...lui aveva trovato qualcun altro con cui confidarsi. - rimase per un attimo in silenzio, a fissare un punto fuori dal finestrino - Perché? - quella domanda fu come un coltello di ghiaccio che andò a infilarsi nello stomaco di Sora, così dolorosamente da farlo sussultare - Perché ha scelto lui? Che cosa l'ha portato a tenermi tutto nascosto? Pensava che l'avrei giudicato? Pensa ancora che potrei farlo? -

- Aveva dodici anni...ed era attratto da un ragazzo...e la vostra famiglia stava cadendo a pezzi...forse si sentiva inadeguato a provare certi sentimenti in un momento del genere. -

Ventus rivolse la sua faccia più stupita a Sora, che arrossì fino alla punta delle orecchie.

Allora dentro quel corpicino immaturo si nascondeva una sfumatura di adulta saggezza, solo che veniva fuori quando meno ce lo si aspettava. A Ventus venne di nuovo da sorridere. Era assurdo il modo in cui la presenza di Sora lo tranquillizzasse. Era un balsamo fresco per la febbre scottante che lo avvolgeva.

- Forse. - accettò Ventus - Fatto sta che da quel momento in poi io e Roxas non siamo più stati uniti come un tempo. Quando è morta nostra madre...il dolore invece di unirci ci ha divisi ancora di più. Per il primo periodo più che “vivere” il nostro era un “sopravvivere”. Nostro padre è caduto in depressione e si è attaccato alla bottiglia per trovare conforto, e quando non è bastato più ha cominciato a riversare la sua frustrazione su di noi... - l'accarezzarsi divenne frenetico, quasi doloroso. Sora si sedette accanto a lui, e gli prese la mano per impedirgli di continuare. Ventus non se ne accorse neanche. - ...sai, col tempo lui è diventato preciso, ha imparato dove poterci colpire e quanto forte, abbastanza da farci male, ma non da costringerlo a portarci all'ospedale. Così potevamo ancora andare a scuola. Quando siamo entrati nelle medie superiori, io ho cambiato classe per non interferire con il lavoro di Terra e Aqua, che nel frattempo erano diventati insegnanti, e Roxas ha cominciato a girare con quei poco di buono di Vanitas e Riku. - più per istinto che per bisogno, Ventus si accucciò tra le braccia di Sora, trovando il giusto spazio per la testa nell'incavo della sua spalla - Mi sono sentito così...solo...così...piccolo...e stavo male pensando che mio fratello patisse la mia stessa sofferenza senza che io potessi fare niente. E invece lui...per tutto questo tempo...non è mai stato solo. -

Socchiuse gli occhi, e le ultime lacrime abbandonarono le sue ciglia per scivolargli sulle guance.

- Per quel che conta, adesso neanche tu sei solo. -

Sussurrò Sora.

Ventus trovò la sua mano, e vi intrecciò subito le dita.



The Corner

E andiamo bella gente, ce l'abbiamo fatta!
Akuroku a tutto spiano!
ma anche sul frone Ventus-Sora le cose si muovono...
forza bambini, siete troppo lenti! XD
bhè, dunque
i giochi ormai sono stati fatti,
Ventus sa come stanno le cose,
affronterà il fratello oppure rimarrà a rimuginare ancora per un po'?
e se nel frattempo...succedesse qualcosa di terribile a Sora?
eeeeeh, non vi resta che aspettare giovedì,
e il prossimo capitolo!
oddio, ringrazio i miei cinque recensori del cuore,
vi devo nominare ancora o sapete che siete voi?
grazie mille per darmi la forza di continuare a scrivere!
sto scrivendo per voi, giuro.
alla prossima,
Chii

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Capitolo 16
*** Cambio di prospettiva ***


ACHTUNG! ATTENZIONE! Nel seguente capitolo sono presenti parole seguite da un asterisco, il significato è spiegato alla fine dello stesso. E giusto affinché lo sappiate, nel capitolo è presente un linguaggio scurrile...perdonateli, sono ragazzi!


15

Cambio di prospettiva

 

Come sempre a svegliarlo non fu la sveglia, ma le urla dei suoi genitori.

Quella mattina sembrava una lite particolarmente brutta, perché assieme alle urla sentì volar giù anche qualche piatto.

Costringendosi a tenere gli occhi chiusi, nella speranza che fosse tutto un brutto sogno, tenne il conto delle porcellane che si frantumavano sul pavimento.

Sua madre era brava a giocare a quel gioco. L'aveva fatto mille volte, e mille altre volte l'avrebbe fatto ancora.

Ad ogni stoviglia che si rompeva, lei tirava fuori un ricordo doloroso. Sembrava non dovessero finire mai.

Ce l'aveva con le amanti di suo padre, in quel momento.

Crash. Un piatto. Lulu.

Crash. Una teiera. Aerith.

Crash. Crash. Crash. Delle tazze. Tifa.

Si volse su un fianco, premendo il cuscino sopra le orecchie.

Ne aveva abbastanza di sentire quel fracasso.

Ne aveva abbastanza di sentire qualsiasi cosa.

Il rumore della sua vita lo infastidiva.

Senza preavviso, le urla cessarono, tanto da fargli credere di averle sentite in qualche brandello di sogno, e non nella realtà.

Passarono diversi minuti prima che qualcuno andasse a bussare alla sua porta.

Un gran senso di nausea gli prese lo stomaco con tanta violenza che le viscere ribollirono quando sentì la porta cigolare sui cardini e aprirsi. Dallo spiraglio di luce che tagliava l'oscurità della sua stanza, filtrò la voce melensa di sua madre.

- Vanitas, amore, è ora di svegliarsi. La colazione è pronta. -

- Due minuti. -

Rispose lui immediatamente, senza voltarsi.

Sua madre indugiò sulla soglia.

- Due minuti. -

Ripeté lei, e chiuse la porta.

Vanitas soppresse un'imprecazione. Morse il cuscino per impedire alle urla di rabbia di sfuggire al suo controllo.

La federa si strappò nel punto in cui la stava mordendo, un leggero gusto di sangue gli invase la bocca dove la gengiva si era spaccata.

Inghiottì quel saporaccio di metallo e si tirò su a sedere.

La stanza buia era invasa da oggetti che non lo rappresentavano. Le mensole sopra la scrivania erano piene di trofei di fiere di scienze. Sui muri erano appese targhe e fotografie che lo ritraevano a olimpiadi di matematica e quiz di letteratura. Libri scolastici erano impilati in ordine alfabetico nella grande libreria accanto al letto.

Non c'era che ordine e pulizia.

Tutto quello che mancava dentro se stesso.

Messosi in piedi, prima ancora di infilare le pantofole, si premurò di apparecchiare il letto, eliminando fino alla più piccola piega. Se solo fosse stato altrettanto facile appianare le grinze della sua vita.

Vanitas andò alla finestra e spalancò le imposte.

Il cielo era stupidamente terso e il sole si preparava a rendere calda e brillante una giornata che sarebbe dovuta essere cancellare dal calendario. Come quella prima e quella prima ancora, e tutte le altre prima di quelle.

Odiò tutta quella luce. Era così fuori luogo.

Raccolse la divisa scolastica ben piegata sulla scrivania e andò in bagno a cambiarsi.

Quando incontrò la sua immagine allo specchio, odiò anche quella.

Cercò di non guardarsi mentre si lavava, cercò di sfuggire lo sguardo di quegli occhi giallo limone. Anche loro, come tutti gli altri, volevano giudicarlo.

S'infilò a forza la divisa, contento che il Superiore avesse scelto il nero: rendeva meno difficile il fatto di essere costretto ad indossare lo stesso abito tutti i giorni.

Uscito dal bagno, sistemò la cartella, senza dimenticarsi di infilarvi dentro il pacchetto di sigarette.

Dio, ne avrebbe fumate volentieri un paio in quel momento.

Scosse la testa. “Più tardi.” si disse.

Con un sospiro si preparò ad affrontare la soap-opera che lo aspettava in cucina.

Uscì dalla sua stanza, stringendo i denti.

Del furioso litigio che l'aveva svegliato non era rimasta più alcuna traccia. Come sempre.

In cucina sua madre stava preparando la colazione, canticchiando. Suo padre leggeva il giornale, ogni tanto si portava alle labbra la tazza di caffè. Come sempre.

Tutto era come sempre.

Vanitas strinse i pugni tanto che le nocche gli diventarono bianche.

Si sedette facendo strisciare la sedia.

Non augurò il buongiorno. D'altronde non era un buon giorno.

Sua madre si avvicinò a lui, ancheggiando nel suo completo impeccabile con il grembiule bianco che la faceva sembrare una perfetta massaia.

Chiunque la guardasse, avrebbe visto la donna perfetta, la madre perfetta, la moglie perfetta. Con i capelli neri sempre acconciati e in piega, il trucco in ordine anche alle prime luci dell'alba, la manicure fresca, e il sorriso bianco spiazzante.

Per Vanitas, che non aveva fatto altro che guardarla, e guardarla veramente, per tutta la sua vita, appariva come un cartonato cinematografico, tirato fuori da una pubblicità della Mulino Bianco, una di quelle in cui tutti sorridono, ma nessuno è felice.

La donna gli diede un bacio sulla fronte, e gli accarezzò dolcemente i capelli.

- Hai fame? Stamattina ho preparato i croissant che ti piacciono tanto. -

Vanitas non rispose.

Vanitas finse un sorriso.

Sua madre gliene indirizzò uno ancor più finto, e gli poggiò sul piatto un croissant al cioccolato, buono quanto una banconota falsa.

Ma lui lo mangiò comunque, sentendo in bocca il gusto del cartone, mentre sua madre gli sorrideva contenta.

- Come ti senti? Sei emozionato? -

Per un attimo, Vanitas rischiò di perdere la sua maschera di falsità e di far vedere a sua madre la sua vera faccia disgustata e frustrata. Ma fu rapido a nascondersi.

- Mamma, è il terzo giorno di scuola. Mica il primo. -

Odiò la sua voce, così affettata e ironica, come se davvero gli importasse qualcosa di quello che stava dicendo.

- Oh è vero! Ma per me è sempre come se fosse il primo. - seguì una fastidiosissima risata senza allegria - Ti sei già rivisto con i tuoi amici, vero? -

- Sì, ci siamo rivisti. -

- E hai fatto qualche nuova amicizia. -

- Una. -

Sua madre si sorprese nel vedere un brillio divertito sul fondo degli occhi altrimenti spenti dei figlio.

- E chi è? Una ragazza? -

Vanitas fece un mezzo sorriso. Nascose subito tutte le possibili risposte a quella domanda, tirandone fuori una più semplice.

- No. -

- Un altro ragazzo? - si lamentò sua madre - Quand'è che ci porti una fidanzata, eh? -

- Quando sarà il tempo lo farà, non stressarlo. -

Fu l'intervento completamente privo di affetto paterno o di una qualsivoglia emozione, da parte di suo padre, il cui viso era ancora nascosto dietro il giornale.

- Hai ragione. - ridacchiò lei - E questo ragazzo? Che ha di speciale? -

- È uno nuovo, una matricola. -

- Ah il mio bambino! Sempre così affettuoso e premuroso! Scommetto che l'hai fatto sentire subito a suo agio, vero? -

Il ghigno che nacque sul volto di Vanitas fu tutto tranne che confortante.

- Certo. -

- Bravo, bravo. -

Rispose la donna, un po' confusa.

Vanitas finì la colazione in silenzio, mentre sua madre continuava a cianciare di inutilità e suo padre continuava a tenersi nascosto dietro il giornale.

Era così divertente vederli fingere che fosse tutto apposto, fingere che loro fossero una famiglia, che tra di loro vi fosse affetto. Erano dei così bravi attori, tutti.

Erano bravi i suoi genitori a odiarsi e urlare l'uno contro l'altro quando credevano che il figlio non li poteva ascoltare. Erano bravi a nascondere le prove del loro odio, convinti che lui non fosse così sveglio da accorgersene. Erano bravi a fingere una normalità che non avevano mai avuto, e a portarla in scena come un'opera teatrale.

E lui era bravo a sostenere il ruolo che gli avevano assegnato, quello del figlio modello, studioso e diligente.

Finché tutti mentivano, nessuno soffriva, e ognuno poteva continuare a coltivare l'oscurità dentro la propria anima.

Vanitas li aveva visti i loro vizi, li aveva visti i loro peccati, tutti quanti.

Forse era per questo che i suoi genitori gli permettevano di fare quello che voleva.

Purché, certamente, salisse sul palco e recitasse la sua parte quando fosse necessario che lo facesse.

- Vado, è tardi. -

Si accomiatò, alzandosi e prendendo la cartella.

- Buona giornata tesoro. -

- Buona giornata. -

Ignorò il saluto dei suoi genitori e corse verso la porta.

Prima di uscire, vide un unico frammento di porcellana sul pavimento. Erano bravi, ma non abbastanza.

- Ti vogliamo bene! -

Urlò sua madre, ma solo quando lui fu abbastanza lontano per non vederla negli occhi mentre lo diceva. Altrimenti si sarebbe accorto della terribile bugia che stava dicendo.

Si sbatté la porta alle spalle, con rabbia.

Non appena fu abbastanza lontano dalla porta di casa, Vanitas infilò le mani nello zaino e tirò fuori il pacchetto di sigarette.

Se ne accese una con fatica, visto che le mani gli tremavano. Solo dopo aver tirato una profonda boccata, cominciò a sentirsi meglio.

Odiava dover sostenere quella recita ogni mattina.

Sarebbe stato meglio se si fosse addormentato e non svegliato mai più. Ne sarebbe stato felice. Tutto, piuttosto che vivere in quel niente senza consistenza.

Anche se...da tre giorni a quella parte le cose cominciavano ad andare...meglio. Non bene, non sarebbe mai stato tanto ottimista da dire che le cose andavano bene, ma meglio...meglio poteva dirlo.

E tutto questo merito di quella piccola matricola. Tutto merito di quel Sora.

Gli aveva reso il ritorno a scuola più divertente di quanto avesse mai potuto immaginare.

Soffiando il fumo col naso, si ritrovò a sorridere e ad accelerare il passo. Cominciava a desiderare di arrivare a scuola il più presto possibile.

A che gioco poteva giocare quel giorno con quel ragazzino?

Si strinse nelle spalle quando capì che neanche strizzandosi il cervello sarebbe venuta fuori una qualche idea.

Qualche cosa mi verrà.” concluse. Tirò l'ultima boccata dalla sigaretta. Il fumo gli arrivò dritto ai polmoni, e alla testa rendendogliela leggera. Gettò via la cicca prima di essere arrivato alla stazione.

Un'ondata di buon umore gli riempì la gola, e dalle labbra scaturì il fischiettare sommesso di una melodia.

La stazione di Radiant Garden non era mai molto affollata, e anche quando le banchine erano piene di pendolari in attesa, c'era sempre una calma placida e gioiosa. Sembravano tutti così felici, tutti avvolti in una qualche strana luce bianca che li rendeva assenti.

Come la vita di Vanitas, anche quella città era finta.

I suoi genitori non avrebbero potuto scegliere un posto migliore dove vivere: solo Radiant Garden poteva ospitare la loro falsità senza subirne le conseguenze.

Andò a sedersi sulla panchina di fronte al binario da dove sarebbe partito il treno per Kingdom Hearts. Era leggermente in anticipo, a dispetto di quello che aveva detto ai suoi (ma d'altronde, era mentendo che sopravviveva).

- Ehi. -

Lui voltò appena la testa, senza stupirsi di vedere l'amico che gli si avvicinava.

- Ehi. -

Gli porse il pugno chiuso, e Riku vi poggiò sopra il suo, a mo' di saluto.

Si sedette accanto a lui, gettando quasi la cartella ai suoi piedi.

- Sono già stanco e ancora manco abbiamo cominciato, che cazzo. -
Fece Riku, con una smorfia.

Vanitas sbuffò dal naso, trattenendo una risata.

Estrasse il pacchetto di sigarette che aveva infilato nella tasca dei pantaloni, e ne porse una all'amico. Riku accettò di buon grado.

- A quanto sei stamattina? -

Continuò lui, i capelli argentei tirati indietro mentre Vanitas gli accendeva la sigaretta e ne prendeva una per sé.

- Solo la seconda, che ti credi che mi fumo tutto il pacchetto in una volta? Non posso comprarne un altro fino a stasera, deve durare. -

Scherzò Vanitas, accarezzando la scatolina di cartone come fosse la cosa più preziosa che avesse al mondo. Non era poi così lontano dalla realtà.

Riku inarcò un sopracciglio, e si interruppe a metà mentre stava aspirando.

- Allora perché me le offri? -

- Sono una persona dal cuore d'oro, che posso farci. -

Fu la risposta di Vanitas, che si strinse nelle spalle.

Riku diede in una risatina. Allontanò il senso di colpa e prese a tirare qualche boccata.

Per un po' rimasero in silenzio, facendo una silenziosa gara a chi creava gli anelli di fumo più definiti.

Quando la sigaretta finì, Vanitas fu tentato di accendersene un'altra. Ma nel pacchetto ne aveva solo altre sei e quella sarebbe stata una lunga giornata. Lasciò perdere, e gettò la cicca consumata fino al filtro per terra.

Avrebbe voluto spaparanzarsi e mettersi comodo, ma finché era a Radiant Garden lui doveva sostenere il ruolo nella commedia che aveva messo su con la sua famiglia. Non poteva dare un'aria lasciva e poco curata. Già il fatto che si facesse vedere mentre fumava era un punto a suo sfavore. Ma quello era l'unico piacere che poteva permettersi, e non aveva intenzione di rinunciarci.

- Se sei stanco adesso che è il terzo giorno, mi chiedo come sarai al terzo mese. -

Sbottò il moro, riprendendo la discussione di Riku.

Lui fece una smorfia che parlava da sola, gli occhi acquamarina ridotti a due fessure.

- Uno schifo, come pensi che starò. Come tutti i dannatissimi anni. Non vedo l'ora che finisca. -

- Non è poi così male. -

Provò Vanitas con un sorriso, mentre il pensiero di Sora si insinuava nella sua mente.

- Certo, per te. -

Il cuore di Vanitas ebbe un sussulto. Strinse i pugni.

- Tu non diverti? -

- No. Tu hai una matricola da mummificare con lo scotch, io no. -

Vanitas si rilassò. Sul suo volto si aprì un sorriso pericoloso, che contagiò anche gli occhi giallo limone.

- Ti avevo chiesto se avevi voglia di farlo al mio posto, sei stato tu a cedermelo. -

Riku sbuffò col naso.

- Non pensavo che avresti voluto l'esclusiva. -

- Quel moccioso è mio. - il suo tono di voce si era fatto stranamente aggressivo - Vedi di non sciuparmelo. -

- Se continua a ronzare intorno a Kairi, non posso promettertelo. -

La smorfia di Vanitas parlò chiaro.

- Kairi, Kairi. Sempre questa Kairi. Non ho ancora capito se te l'ha data o no. -

Riku buttò in fuori le labbra in uno strano broncio.

- No, non me l'ha data. E non sembra neanche intenzionata a farlo. -

- E allora perché continui tu a ronzarle intorno. - Vanitas gli prese una ciocca di capelli argentati tra le dita - Sono sicuro che le ragazze adorano i ragazzi con i capelli bianchi, potresti trovare di molto meglio. -

Lui si tirò indietro, in modo che Vanitas perdesse la presa sulla ciocca di capelli.

- Sono argento non bianchi. -

Non poté nascondere di essere leggermente arrossito.

- Embé? Che differenza fa? Sembri comunque un vecchio. -

Lo rimbeccò Vanitas, punzecchiandolo con un dito.

- Non posso farci niente se sono nato così. E poi senti chi parla occhi gialli. -

Quando Vanitas ghignava, c'era poco da stare tranquilli. Metteva soggezione anche a Riku, che lo conosceva ormai da anni.

- Ti fa così tanto male non scopare che il miglior insulto che ti esce è “senti chi parla occhi gialli”? -

Riku diede un pugno sulla spalla di Vanitas, più per togliergli dalle labbra quel ghigno spaventoso che per altro.

- Tu ormai non sai manco più com'è fatta una figa. -

Vanitas si esibì in un “pft” e una scrollata di spalle.

- Quanto tempo è che ti lavori quella colombina? Un anno? E ancora non le hai toccato nemmeno le poppe. -

- No, quello l'ho fatto. -

Toccò a Riku ghignare.

- Vabbè, parliamo di un anno. Ma te la vuoi scopare o no questa? -

- Certo che voglio. -

- E prenditela con la forza, cazzo. - sbottò il moro, con gli occhi spalancati, come fosse una cosa così ovvia che chiunque ci sarebbe potuto arrivare - Mettila all'angolo e spogliala. Io se fossi in te lo farei... -

Gli arrivò un altro pugno sul braccio.

- Non parlare così della mia ragazza. -

- Scusa, scusa. -

Ridacchiò lui in risposta.

- Perché non pensi a trovartene una tua, così la smetti di fantasticare sulla mia. Ormai ti si sarà consumato l'uccello con tutte quelle seghe. -

Vanitas fece roteare gli occhi verso il cielo.

- Porco cazzo, sembri la mia fottutissima madre. -

Riku intuì che era appena successo qualcosa a casa, visto che l'espressione dell'amico non era delle migliori, e che il suo tono di voce era più astioso del normale.

- Solito? -

Fu quello che chiese, e Vanitas non fece altro che rispondere:

- Solito. -

L'argenteo non aggiunse altro. Sarebbe stato imbarazzante per entrambi. E d'altronde a Vanitas bastava avere accanto qualcuno che non fingesse in sua presenza per sentirsi sereno.

Riku era una delle poche persone che non aveva mai partecipato a quella recita che era la sua vita.

Apprezzava più i suoi silenzi, che le sue parole. Nel silenzio nascondeva sempre la verità.

Il treno per Kingdom Hearts è in arrivo sul binario 10, attenzione, allontanarsi dalla linea gialla!” disse una voce maschile dall'alto.

In fondo al binario si cominciava a vedere il muso del treno in avvicinamento.

Vanitas raccolse la cartella da terra e si alzò.

Si stiracchiò tutto come un gatto e sbadigliò.

- Oggi che intenzioni hai con la matricola? -

Lo rintuzzò Riku, cercando di premere su qualcosa che gli desse allegria. E infatti gli suscitò un sorriso.

Il treno si fermò al binario, le porte scivolarono su un fianco lasciando intravedere l'interno.

La carrozza era vuota e poterono sedersi dove volevano.

Vanitas si appropriò di due posti, sdraiandocisi tutto. Già sul treno si sentiva più libero.

- Confido nella mia fervida immaginazione. -

Fece il moro, rispondendo in ritardo alla domanda dell'amico.

- Quindi non ne hai ancora idea. -

- Già. -

Fu la secca risposta di Vanitas, che subito dopo chiuse gli occhi. Riku capì che non voleva essere disturbato, e lo lasciò in pace.

 

Quando il treno fermò a Traverse Town, salì su una folla di studenti. Ma si tennero ben alla larga dai quattro posti occupati da Riku e Vanitas.

Con gli occhi acquamarina, Riku sorvegliava l'ingresso, in attesa di una testa bionda, e uno sguardo allegro.

Quello che vide fu sì una testa bionda, ma dello sguardo allegro neanche l'ombra.

Così si incupì anche lui.

Perché Roxas si ostinava a tenere tutto nascosto?

- Ciao! -

Esordì il biondo, fingendo allegria.

Vanitas mosse solo una mano, scocciato di quella nota distorta di falsità che sentì nella voce dell'amico.

Riku spostò le cartelle per liberare il posto a Roxas.

Il ragazzino si sedette con uno sbuffo.

- Perché la tuta? -

Gli occhi blu di Roxas incontrarono quelli gialli di Vanitas, appena socchiusi.

- Ho ginnastica all'ultima ora, mi seccava cambiarmi. -

- Ginnastica? -

Vanitas saltò su come se fosse stato morso da un insetto.

- Riku, ha preso una botta in testa stamattina? -

Chiese il biondo, visto che Vanitas aveva una faccia strana.

- No. - Vanitas si sporse e andò ad affondare una mano tra i capelli di Roxas, che socchiuse gli occhi, indispettito da quel tocco - Mi hai appena dato una bell'illuminazione, biondo. -

- La tua fervida immaginazione si è attivata? -

Fece Riku, con un sopracciglio alzato.

- Hai indovinato. -

Riku rabbrividì, subito seguito anche da Roxas: sì, Vanitas era davvero spaventoso quando ghignava in quel modo.

 

Per il resto del viaggio, Vanitas fu completamente assente. Aveva la testa altrove, e anche se Roxas e Riku avessero provato a cavargli fuori qualche parola, probabilmente avrebbero ricevuto solo dei mugugni irritati, e un finale “andate a fare in culo” che avrebbe rovinato la giornata a tutti e tre.

Quando Vanitas si assentava era controproducente cercare di riportare la sua attenzione nel mondo reale. Strapparlo alle sue fantasie poteva anche essere pericoloso, e né Riku né Roxas avevano voglia di stare a sentirlo sbraitare per chissà quanto.

E poi era per Riku il momento giusto per parlare un po' con Roxas.

Non riusciva bene a digerire quell'occhio nero, né l'assurda spiegazione che aveva tirato fuori per la sua presenza.

Ormai gli era chiaro che subisse delle violenze, ma il motivo per il quale volesse tenerlo nascosto lo ignorava.

Un po' Riku la prendeva come una questione di principio.

Roxas aveva fatto evolvere il duo composto da lui e Vanitas in trio da relativamente poco tempo.

Eppure, il moro aveva sviluppato per lui un affetto veloce. Non era un tipo in grado di affezionarsi a qualcuno e in un breve lasso di tempo, ma con Roxas era stato diverso.

Forse perché si era spinto troppo in là con i suoi scherzi e aveva seriamente rischiato di mandarlo all'altro mondo. Che fosse senso di colpa o meno, Vanitas aveva preso Roxas sotto la sua ala, anche se non era bravo a manifestare affetto, o un sentimento positivo di qualsiasi altro genere.

Strano era che Roxas avesse deciso di dimenticarsi il male che gli era stato fatto, e di unirsi a loro per farlo agli altri.

Da quando c'era lui, in ogni caso, il livello di cattiveria di Vanitas aveva abbandonato lo status di “mortalità probabile”. Non ci andava più giù pesante come un tempo. Era chiaro agli occhi di Riku, che lo seguivano da quando era ancora un bambinetto della scuola materna.

La scintilla pareva essersi riaccesa con la nuova matricola...peccato che al primo giorno aveva rifiutato la proposta di Vanitas, forse adesso ci sarebbe stato da divertirsi anche per lui.

Riku sbuffò, a furia di macinare pensieri si era assentato anche lui, e aveva finito con il lasciare Roxas da solo in silenzio.

Gli occhi del biondo erano lucidi, sull'orlo delle lacrime, dispersi in chissà quale ricordo, ma dannatamente presenti.

Avrebbe dovuto dirgli qualcosa per farlo stare meglio, ma non era bravo con le parole.

Vanitas, gentilmente, gli diede una pedata.

Riku ne fu anche più sorpreso di Roxas, che era stato colpito.

- Che cazzo fai, piangi? Smettila, frocio. - furono le sue parole gentili. Gli occhi gialli si fissarono in quelli blu di Roxas che ebbero un fremito e si svuotarono dalle lacrime rimaste sulle ciglia. Il ragazzino fu rapido ad asciugarsi con il dorso della mano, ma non abbastanza per non essere visto. - Se invece di piangere avessi i coglioni di dirci che cosa ti succede, chiaramente, forse potremmo anche fare qualcosa, non trovi? - lo apostrofò ancora Vanitas. A Riku sfuggì un mezzo sorriso. Ecco il lato protettivo dell'amico, quello che aveva cominciato a venire fuori da quando Roxas era con loro. - Lo sappiamo tutti, cazzo. Ti stai nascondendo dietro un dito. -

Roxas arrossì fino alla punta delle orecchie. Per Vanitas fu uno spettacolo delizioso che avrebbe potuto dare il via ad una serie di battutacce. Ma per qualche strana ragione non aveva voglia di infierire su di lui.

- R-riguardo a cosa sapete tutto? -

Balbettò il biondo. Teneva così bassa la testa che non gli si vedeva neanche il naso, nascosto com'era dalla cascata di capelli dorati.

Riku cercò lo sguardo di Vanitas. Cos'è che lui sapeva e che aveva tenuto per sé?

- Io odio le persone bugiarde. - fece il moro. Roxas rabbrividì tutto. Si sentiva tutto quell'odio di cui parlava, concentrato in quelle parole. - E capisco quando mi mentono. E tu non hai fatto altro che mentire da quando ci conosciamo. - dall'atteggiamento rilassato del suo corpo, non si sarebbe detto che stava per essere divorato da una rabbia bruciante - Erano menzogne che facevano male solo a te, e quindi ho deciso di ignorarle. Ma adesso fanno male anche a me, e non ti permetto di farmi del male, frocetto del cazzo. - se possibile, Roxas arrossì di più. Annaspò alla ricerca di una risposta, senza però trovarla. Vanitas si esibì in un sorriso. - Ti si legge tutto in faccia. Oltre ad essere un bugiardo sei un pessimo bugiardo. -

Gli occhi blu di Roxas si tirarono un po' su per incontrare lo sguardo annoiato di Vanitas.

- Tu...cioè...non lo vai a dire a nessuno...vero? -

- Che ti piace la salsiccia e non la patata? E chi sono io per giudicare i gusti degli altri! -

Riku guardò entrambi, sconcertato. Oltre ad essere una discussione senza capo né coda, non riusciva proprio a capire dove Vanitas stesse andando a parare. Non stava riferendosi alle violenze che Roxas teneva nascoste? C'era dell'altro che lui non aveva saputo vedere?

Roxas si guardò intorno, come se si aspettasse che da un momento all'altro qualcuno gli dicesse qualcosa.

- Smettila. -

Disse, con un tono di voce di voce così basso che quasi non lo si sentiva.

Vanitas capì che lo stava pungendo nel vivo e fece una smorfia, più perché l'amico si ostinava a mentire che perché fosse sorpreso di averci azzeccato.

- Siamo tuoi amici Roxy, è anche nostro diritto sapere certe cose. -

- Non questo. -

Sbottò Roxas.

- Potrei sapere di che cazzo state parlando? -

Sia Vanitas che Roxas si voltarono verso Riku, che sembrava parecchio arrabbiato per essere stato tagliato fuori.

Il moro sospirò.

- Parliamo del fatto che Roxas è frocio. - disse, a cuore leggero. Riku spostò lo sguardo stordito su Roxas, senza ben capire se fosse uno scherzo o meno. - Su, dillo Roxy. Ormai lo sanno anche le pietre. -

Roxas fece volare gli occhi da Riku a Vanitas, il primo sembrava così confuso da avere la nausea, il secondo era solo fortemente annoiato.

- Ecco...io... - cominciò il biondo, tutto tremante. Doveva prendere una decisione, adesso. D'altronde Axel gli aveva dato un ultimatum, e non sopportava più di doversi nascondere. Era troppo vederlo soffrire a causa sua. - ...in effetti...io...ecco...sto con un ragazzo... -

Gli occhi acquamarina di Riku si sgranarono all'infinito.

- Sei gay? - Roxas si morse le labbra; Riku lo prese come un sì. - Oddio. -

- Sta' zitto Rikkiun*, che conclude più lui che tu con quella senza tette della tua fidanzata. -

A Riku partì un fusibile.

- Ti avevo detto di non parlare così di Kairi! -

E si lanciò su Vanitas.

Roxas li osservò litigare, imbambolato dall'assurdità della scena.

Cos'era appena successo? Aveva appena detto a Riku e Vanitas di lui e Axel?

E loro due? Invece di farne una questione di stato, arrabbiarsi e magari prenderlo in giro allo sfinimento, stavano litigando tra di loro per tutt'altro?

Insieme alle lacrime, gli venne da sorridere, quando Vanitas, che teneva perfettamente testa a Riku per forza fisica, gli rivolse un occhiolino.

Era quella l'amicizia?


Note:

*Rikkiun: Vanitas gioca con la pronuncia del nome di Riku, che nella versione inglese (l'unica che io abbia sentito lol) è pronunciato (urlato) da Sora in modo che venga fuori un "Rikiù!" che per assonanza sonora somiglia al poco carino "ricchione". Dunque: Riku - Rikiù - Ricchione - Ricchion - Rikkiun, per onorare i processi mentali di Vanitas XD


The Corner

Ciao a tutti e ben trovati!
Spero che vi aggradi questa nuova visuale del mondo,
magari riuscirete a provare un po' di pena e simpatia per il nostro Vanitas?
d'altronde, bisogna sentire entrambe le campane...
bhè, fatemi sapere che ve ne sembra!
appuntamento per...per...quand'è che volete il prossimo capitolo? vi dico in anteprima che da venerdì a domenica non sarò a casa, e quindi mi mancherà il pc per poter pubblicare il capitolo...per cui sabato non posso proprio assicurarvi la pubblicazione!
fatemi sapere!
altrimenti pubblicherò giovedì 3 ottobre (lol)
alla prossima!
Chii
 


 

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Capitolo 17
*** Il più bugiardo ***


Achtung! Attenzione! In questo capitolo comincia a itnravedersi qualcosa di più...e...diciamo che, giusto per andare sul sicuro, direi che oscilliamo verso l'arancione (lo dico per avvertirvi XD)

16

Il più bugiardo

 

Riku dovette dichiararsi sconfitto, visto che Vanitas era più forte di lui, forse più piccolo di statura, ma più forte sicuramente.

Roxas e la sua grande rivelazione caddero in secondo piano, o meglio, Vanitas fece in modo che cadesse in secondo piano, e per questo lui non poteva che essergliene grato. Anche se non sapeva spiegarsi per quale motivo l'aveva fatto.

Come tutte le mattine, l'irriverente trio arrivò a scuola tra la disperazione generale degli studenti.

Anche se sembrava che Vanitas non avesse molta voglia di creare scompiglio. La sua testa era tutta rivolta verso la sua matricola, che ancora non si era vista in giro.

La prospettiva di aspettare tutto il giorno prima di potergli mettere le mani addosso non lo allettava per niente. Avrebbe preferito fargli qualche piccolo dispetto prima di andare a lezione, così sarebbe stato tutto più piacevole.

Rimasero sull'ingresso finché non suonò la campanella, ma di lui non si vide traccia.

Vanitas cominciò a prendersela come fosse una questione personale. Era un affronto che il suo giocattolo non fosse lì per farlo divertire. Come si era permesso?

Sbuffò pesantemente.

- Andiamocene a lezione, va. -

Fece, tutto arrabbiato.

I due amici lo guardarono stralunati.

- Da quando sei così diligente? -

Chiese Riku con tono di scherno.

Gli arrivò un pugno sul braccio, che gli costò un “ahia!” arrabbiato.

- Roxas, mi raccomando fai quello che ti ho detto. -

L'interessato alzò gli occhi al cielo. Era la centesima volta che glielo ripeteva. Sul treno, dopo aver smesso di picchiare Riku, non aveva fatto altro che ripetere il piano malvagio che aveva escogitato per rompere le scatole a Sora.

- Seeeee! -

Fu la risposta scocciata di Roxas, che ne aveva abbastanza delle paranoie di Vanitas.

Il moro infilò una mano tra i capelli biondi di Roxas, e lo tirò a sé per sottometterlo al suo volere. Il ragazzino trattenne un urlo di dolore e si lasciò trascinare ad un soffio dal viso di Vanitas.

- Vedi di non deludermi, eh. Altrimenti potrei scontarmela con te. - Roxas deglutì a vuoto, terrorizzato dal suo sguardo giallo ardente. Vanitas lo lasciò andare e gli diede una spintarella in avanti con una mano, ben aggrappata al suo culo. - Abbi una gaia giornata Roxy. -

Lui non poté non arrossire tutto, e scappò dentro, pur di non dover sopportare ancora.

Riku lo osservò sparire nei corridoi, con la testa leggermente inclinata.

- Ma allora è vera quella storia? -

Vanitas si strinse nelle spalle.

- Sì. -

- E con chi...quando... -

- Credo sia il rosso. -

Lo interruppe subito il moro. Riku fece un'espressione corrucciata.

- Quello della piscina? -

Il flash del ricordo del loro primo incontro riempì la mente e gli occhi di Vanitas. La piscina deserta, Roxas matricola, il rosso...

Scosse la testa prima di rispondere.

- Proprio quello. -

- E tu come fai ad esserne sicuro? -

Vanitas si stiracchiò, raccolse la sua borsa ed entrò a scuola. Riku, preso alla sprovvista, lo raggiunse correndo.

Camminarono per un po' in silenzio, diretti alla loro classe, con Riku che non faceva che lanciare sguardi incuriositi all'amico.

Vanitas si fermò davanti alla porta della classe, e solo allora rispose.

- Ieri sera ci aveva detto che tornava a casa prima perché era stanco, ti ricordi, no? - l'argenteo annuì, confuso più che mai - L'abbiamo accompagnato alla stazione e tutto quanto. Ma non è mai salito sul treno. Dopo che te ne sei andato anche tu, ho fatto ancora un giro. C'era una partita della squadra di calcetto della scuola e sono rimasto un po' a guardare. Stavo per andarmene quando sugli spalti ho visto Roxas. -

- E tu sei sicuro che fosse lui, vero? -

Vanitas lo guardò come fosse impazzito.

- Non so se hai notato che il nostro gemello ha un occhio nero grande quanto tutta la sua faccia. - Riku si fece piccolo per colpa dello sguardo frustrato del moro. Insinuare che avesse scambiato Roxas per Ventus! Non era così stupido. Anche se non poteva più dirlo (ormai ne andava del suo onore), seduto accanto a Roxas c'era anche la sua copia genetica, e a quel punto sarebbe stato difficile confonderli. - Comunque, visto che quel piccolo bastardo mi aveva mentito, ho deciso di rimanere fino alla fine della partita per dirgliele quattro. - fece un ghigno - E magari per appenderlo per le mutande all'asta della bandiera. - il pensiero sembrò rallegrarlo molto, mentre Riku alzava gli occhi al cielo - Ma non sono riuscito neanche ad avvicinarmi, perché il rosso l'ha praticamente rapito. Roxy se n'è andato via in macchina con lui. -

Riku rimase qualche secondo in silenzio, cercando di dare un peso a quelle nuove informazioni.

Quando arrivò alla conclusione che vedere Roxas andare via in macchina con un ragazzo non era un'ammissione di colpa, disse:

- Bhè ma questo non vuol dire niente... -

Il massimo che il moro si concesse fu un'altra stretta di spalle.

- Ma non vuol dire che non vuol dire niente. -

Disse con un sorriso, e abbassò la maniglia della classe per entrare.

Furono accolti dallo sguardo interrogativo del professore di matematica.

- Non è un po' tardi per presentarsi a lezione? -

Li apostrofò, con un sopracciglio inarcato.

Vanitas fece un sorrisetto e andò a prendere posto, senza rispondere, mentre Riku, decisamente più servile, chiese scusa per il ritardo con un breve inchino.

Il moro si lasciò cadere al suo posto, mentre l'occhio sinistro, quello buono, del professore lo seguiva da lontano.

- Vanitas, tu non hai niente da dire? -

- No, assolutamente niente. -

Fu la risposta sbruffona del ragazzo.

Il professore strinse i pugni per la rabbia.

- Vieni alla lavagna. -

- Ma come? Mi sono appena seduto! - si lamentò, il suo tono di voce sollevò qualche bassa risata nei suoi compagni di classe. Il professore gli rivolse una così terribile occhiataccia che se non fosse stato per il fatto che aveva un occhio solo, sarebbe già stato fulminato sul posto. - Va bene, va bene, vengo. -

E si alzò, strascicando i piedi.

L'uomo, un armadio di muscoli dalle spalle larghe il doppio di Vanitas, gli mise in mano un gessetto.

- Scrivi: trovare il perimetro di un triangolo isoscele di base AB=48cm e con il coseno dell'angolo al vertice uguale a -7/25. Determinare i lati di un triangolo rettangolo sapendo che il perimetro è 180 cm e la tangente di uno degli angoli acuti è 12/5. In un triangolo ABC, A(angolo)=30° e B(angolo)=45°. Essendo AC=20cm e CB=102cm, calcola AB. -

- Che noia. -

Fece Vanitas, suscitando altre risate nella classe, dato che il suo tono lasciava intuire che era davvero una noia per lui, e che avrebbe preferito di gran lunga qualcosa di più difficile.

Cominciò a scrivere, con una bella calligrafia grande e ordinata, tutto quello che gli era stato richiesto.

Nel giro di cinque minuti, aveva risolto il problema.

Il professore lo allontanò dalla lavagna per dare un'occhiata da vicino, come se non si fidasse dei calcoli matematici perfetti fino al più piccolo decimale che aveva fatto Vanitas.

- Vatti a sedere. -

Gli disse l'uomo, dopo avergli strappato il gessetto dalle mani.

- Quanto nervosismo stamattina, Auron-san, hai dormito male? -

- Non tirare la corda Vanitas. -

Sbottò il professore in risposta. Strinse così tanto il gessetto da sbriciolarlo tra le mani.

Vanitas tornò al suo posto ridendo.

Auron si passò una mano tra i corti capelli neri, appena striati di grigio.

Non aveva nessun'arma contro quel ragazzino. Sembrava avere la soluzione di tutti i problemi, e non in senso figurato. Per quanto provasse a crearne di nuovi, e di difficili, lui riusciva sempre a risolverli nel giro di qualche minuto, e senza mai sbagliare un calcolo.

Aveva un calcolatore al posto del cervello, e doveva essere uno dei motivi per cui era così infelice.

Un ragazzo tanto intelligente quanto dispettoso.

Con la benedizione del Superiore che lo avvolgeva, era davvero un intoccabile. E comunque, oltre alla sua irriverenza, lui non aveva mai trovato nessun buon motivo per punirlo.

Era sempre puntuale nei compiti, prendeva ottimi voti, aveva la media più alta della scuola, non si presentava mai impreparato. Certo ogni tanto ritardava a lezione, o non si presentava, ma dato che la cosa non influiva minimamente sulla sua carriera scolastica, non era neanche rilevante.

Vanitas aveva tutte le carte in regola per un futuro brillante, ma sembrava che non ne fosse interessato.

Bastava guardarlo durante le lezioni. Se ne stava lì con l'aria assente a scarabocchiare su un quaderno o sul banco. Chissà come, però, anche richiamandolo all'attenzione non lo si poteva cogliere sul fatto. Qualcuno doveva suggerirgli le risposte direttamente all'orecchio, perché altrimenti non si spiegava come mai fosse sempre in grado di rispondere, pur non avendo seguito neanche per un istante.

Il suo era un dono, probabilmente immeritato.

- Aprite il libro di trigonometria a pagina 194, svolgete il problema 11, quello sui triangoli rettangoli. Avete dieci minuti a partire da adesso. -

Ci fu tutto un affannarsi in classe di ragazzi che sfogliavano il libro e aprivano i quaderni. Tutti, tranne Vanitas, che lo fece con lentezza quasi forzata, senza voglia, senza paura, senza entusiasmo, senza niente che fosse vicino ad una qualsiasi emozione umana.

Il moro arrivò alla pagina richiesta e lesse la traccia del problema. Gli venne da sbuffare quando vide quanto era semplice. Riku, seduto nel banco accanto a lui, si era già messo all'opera, con la faccia di uno veramente stanco.

Sbuffando, Vanitas prese carta e penna e cominciò a scrivere.

 

Andare fino in fondo a quelle cinque ore di lezione non sarebbe stato facile, e Vanitas quando suonò la campanella che segnava la fine della ricreazione avrebbe voluto morire. Se non fosse stato per la prospettiva del divertimento che lo aspettava alla fine delle lezioni, forse si sarebbe infilato una penna nel cuore per uccidersi.

Si accorse di stare facendo dondolare tra le dita una Bic blu. Si costrinse a infilarla nuovamente nel portapenne: non si sapeva mai, certi pensieri erano abbastanza forti da trasformarsi in azioni reali.

- Cos'è questo baccano? Non avete sentito la campanella?! Seduti, tutti seduti! Cominciamo subito il compito! -

Vanitas alzò gli occhi solo per incontrare lo sguardo arrabbiato della professoressa. Anche quel giorno, come tutti i giorni prima di quello, teneva la camicetta quasi del tutto sbottonata, in modo che il suo enorme seno fosse in bella mostra. Anche se, considerando quanto era grande, sarebbe stato in bella mostra comunque.

C'era tanto da guardare che non guardare sarebbe stato un peccato. Infatti gli occhi gialli di Vanitas non erano in grado di scollarsi dall'insenatura tra quelle enormi, gigantesche pop...

- Vanitas!!! - fu l'urlo che lo riportò alla realtà. Quasi non si era accorto che la professoressa gli era ad un palmo dal naso. Aveva sempre addosso un profumo meraviglioso, qualcosa che sapeva di fiori dolcissimi, e che gli faceva venire la voglia di toccarla tutta. - Tieni la testa sul tuo foglio, se non vuoi che ti butti fuori! -

Con quelle tettone, mi è davvero difficile.” ma si morse la lingua per evitare di dirlo, anche perché non voleva una nota di demerito sulla sua bianca fedina penale-scolastica.

La donna gli sbatté davanti il foglio con le tracce del compito che avrebbe dovuto svolgere. Si era completamente dimenticato che c'era un compito in classe.

Diede una veloce sbirciata alle tracce. Non era niente di che, doveva solo scrivere un saggio di 1000 parole sulla cultura postmoderna.

Sospirò, non era neanche la cosa più terribile che aveva affrontato negli ultimi anni.

Certo che programmare un compito il terzo giorno di scuola...

Guardò di sottecchi la professoressa, Lulu, che era stata una delle amanti di suo padre. Con quel corpo formoso e procace, Vanitas riusciva anche a capire perché avesse deciso di tradire sua madre con lei: era decisamente più affascinante, e stimolava deliziosamente la zona pelvica.

Sicuramente, la donna non aveva idea che lui sapeva del rapporto che aveva avuto con suo padre, oppure era semplicemente un'altra persona molto brava a mentire.

Incrociò gli occhi castani della donna, che gli fece cenno con un dito di guardare solo quello che aveva sul banco.

Vanitas sbuffò scocciatissimo, e tornò a fissare il suo foglio bianco. Non aveva voglia di sprecare 1000 parole per quello stupido saggio, ma meno che mai aveva voglia di beccarsi un brutto voto.

Dovette riprendere la Bic blu. Mentre toglieva il tappo, pensò a come sarebbe stato se se la fosse davvero conficcata nel cuore. Ammesso che lui ce l'avesse un cuore, certo.

Stava per cominciare a scrivere quando qualcuno bussò alla porta della classe. Vanitas avrebbe potuto riconoscere quel modo di bussare su mille. Erano tre colpetti forti e secchi, i primi due brevi, il terzo più lungo, che dava l'effetto di un to-to-toc. La persona che aveva bussato non esitò ad abbassare la maniglia e ad entrare prima ancora che la professoressa gli desse il permesso di farlo.

Non appena fece il suo ingresso, tutti gli studenti schizzarono in piedi, compreso Vanitas.

- Comodi ragazzi. -

Disse l'uomo, facendo un gesto con la mano per invitarli a sedere nuovamente.

- Cosa la porta qui, Superiore? -

Chiese la professoressa, servile. Si alzò e gli andò vicino, sbattendogli il seno enorme praticamente in faccia.

Il Superiore era un uomo piuttosto statuario, ma Lulu non era da meno: lo eguagliava in altezza, ma il suo corpo era tanto più sottile e formoso quanto quello di lui era squadrato e muscoloso.

- Devo prendere in prestito uno dei tuoi studenti, Lulu. -

Disse il Superiore. La sua voce profonda risuonò nel petto di Vanitas come avrebbe fatto dentro la cassa di uno strumento musicale. Anche se i suoi occhi dorati si specchiavano in quelli castani della donna, Vanitas poteva cogliere un desiderio pressante di volgerli verso di lui. Lo percepiva sulla pelle leggermente accapponata.

- Oh, per una volta ero convinta che sarebbe venuto per me... - insinuò la donna, con un sospiro. Il suo atteggiamento così volutamente sfrontato fece inarcare le sopracciglia al Superiore, così impercettibilmente che solo una persona che conosceva alla perfezione quel volto poteva accorgersene. - Bhè, chiunque sia lo studente in questione, adesso stiamo facendo un compito in classe, e non posso proprio permettergli di uscire. -

- Lulu, è il terzo giorno di scuola e tu già li obblighi a fare un compito in classe? -

La donna sembrò prenderla come una questione personale.

- Ho chiesto loro un argomento che avevo lasciato da studiare durante le vacanze. Voglio solo assicurarmi che l'abbiano studiato. -

Il Superiore le poggiò una mano sulla spalla e le rivolse un sorriso gentile.

- E fai benissimo. - disse - Però io ho veramente bisogno di quello studente. -

Lulu sembrò essersi addolcita. Si capiva dalla posizione rilassata del suo corpo, e dalla luce che brillava sul fondo dei suoi occhi. Evidentemente desiderava approfondire il contatto fisico con il Superiore.

- E chi è questo studente di cui ha così tanto bisogno? -

- Vanitas. -

Alla fine i suoi occhi dorati si fissarono su Vanitas, che si sentì immediatamente attraversare da una scossa elettrica ad alta tensione.

- Hai cominciato il tuo compito Vanitas? - chiese la professoressa. Il ragazzo guardò il foglio così desolatamente bianco da fare male, e si ritrovò a scuotere la testa. Lei fece un'espressione a metà strada tra il contrariato e il vittorioso: anche lei, come quasi tutti gli insegnanti che avevano a che fare con quel ragazzo, non desiderava altro che il momento in cui avrebbe potuto vendicarsi su di lui e sulla media dei suoi voti. - Vede? Non ha cominciato neanche, se non tornerà in tempo per finire e consegnare, sarò costretta a dargli un brutto voto. E non vorrà intervenire con la sua autorità per impedirmelo, vero Superiore? -

Sottolineò la parola con tanta enfasi che sembrò quasi un insulto. Xemnas non fece una piega, i suoi occhi dorati divennero freddi come il ghiaccio.

- Non preoccuparti, non lo tratterrò a lungo. -

Anche se la sua voce era rilassata e affabile.

- Bene allora. Vanitas puoi andare pure. Ma sappi che non giudicherò il tuo lavoro in maniera diversa dagli altri. -

Suonava molto come una minaccia, al pari del braccio teso del Superiore che lo invitava a seguirlo.

Vanitas, stretto tra l'incudine e il martello, non poté che alzarsi e raggiungere l'uomo, che lo precedette uscendo.

 

Per un po' camminò alle sue spalle. Non gli aveva rivolto una parola da quando avevano lasciato la classe.

Vanitas fissò la lunga chioma di capelli grigio argento che ondeggiavano lentamente, seguendo il ritmo dei suoi passi.

Aveva un che di ipnotizzante il modo in cui si muovevano i suoi fianchi, in cui alternava la gamba destra a quella sinistra esibendosi in un passo quasi marziale. Era un ritmo ben definito che risuonava nei corridoi vuoti. Tonk, tonk, tonk, tonk...

- Vanitas? -

Lo chiamò, e lui si sentì di nuovo percorrere da una strana scossa elettrica che lo svegliò dalla trance.

Si accorse di essere rimasto parecchio indietro e si costrinse ad allungare il passo per affiancare l'uomo, richiamato dal modo in cui aveva scandito il suo nome, come un cane che risponde al padrone.

- Perché mi hai fatto uscire dall'aula, vecchio? -

Sbottò Vanitas facendo una smorfia e volendo sembrare naturale, quando invece il cuore gli batteva furioso in petto. Che fosse la risposta del suo corpo al suo interrogarsi sul fatto di avere o meno un cuore?

Il Superiore si esibì in una risata sommessa, ma non aggiunse altro.

Svoltarono l'angolo e Vanitas credette che lo stesse portando nel suo ufficio.

Prima di accorgersene, il ragazzo si trovò a camminargli davanti. Stavolta era Xemnas ad essere rimasto indietro.

- Cos'è? Ti fa male la sciatica? Non riesci a starmi dietro? -

L'apostrofò il ragazzo, voltandosi. Finalmente si era accorto di esserselo lasciato alle spalle. Non gli piacque l'espressione che l'uomo aveva sul volto; gli fece venire i brividi.

Il Superiore rise sommessamente.

Forse distava da lui una decina di passi. Fu così veloce a colmare la distanza tra loro che Vanitas lo percepì solo con un lieve spostamento d'aria.

La mano del Superiore andò ad accarezzare il volto di Vanitas. Gli scostò con gentilezza una ciocca di capelli neri e gliela portò dietro l'orecchio. Poi, inaspettatamente, gli afferrò il viso con violenza, portandolo ad un soffio dal proprio.

- Non sei venuto a salutarmi, ed io ti aspettavo. -

Vanitas sgranò gli occhi per la sorpresa. Provò a tirarsi indietro, ma si accorse di avere le spalle al muro. Quando era successo?

- Non ho avuto il tempo. -

Fu la forzata risposta del ragazzo.

Il Superiore fece una smorfia, perché Vanitas a mentire era bravo, ma non bravo abbastanza quando mentiva a lui.

- Tu devi trovare del tempo per me. -

Gli occhi di Vanitas scivolarono sul corridoio deserto, sulle porte chiuse delle classi da cui arrivavano soffuse le voci degli insegnanti.

- Xemnas se ci scoprissero andresti in galera. -

- Pazienza. - fu la sua risposta prima di poggiare il naso sul suo collo ed aspirarne il dolce profumo. La pelle del ragazzo si accapponò appena, solleticata dal tocco leggero delle labbra dell'uomo. Quel piccolo cambiamento fisico lo fece sorridere. - Sei turbato da qualcosa, Vanitas? -

Disse, a cuore leggero.

- Mi turba che il mio preside mi stia molestando nel bel mezzo del corridoio. -

Fu la risposta un po' affannata del ragazzo.

Xemnas fece un sorriso, uno di quelli che starebbe stato bene sul muso di un predatore a caccia.

- Fin ora non ti ha mai turbato. -

Vanitas spinse l'uomo con entrambe le mani, per allontanarlo da sé. Lui si lasciò spingere via; era più divertente quando opponeva resistenza.

- Fin ora non sei mai stato così arrapato, vecchio. -

Vanitas mise qualche passo tra lui e l'uomo, anche se apparve chiaro ad entrambi che non sarebbe servito a niente, e che quella era una pura formalità: nessuna distanza, piccola o grande, avrebbe potuto separare Xemnas da lui, non adesso.

- Smettila con questa storia del vecchio. - il Superiore si passò una mano tra i capelli grigio argento - Non arrivo neanche a trenta. - poi puntò gli occhi su di lui - Ed è colpa tua, se mi ritrovo così. Saresti dovuto venire a salutarmi. -

- Accidenti come sei rancoroso. -

Scosse la testa, come a dire che non lo capiva.

- È passata un'intera estate, che cosa ti aspettavi? Credevo che saresti venuto a portare i tuoi saluti al Superiore. -

- Superiore di 'sto cazzo, vecchio. Non ho firmato nessun contratto con te. -

Di nuovo, Xemnas gli andò vicino all'improvviso. Lo fermò contro il muro senza che lui potesse farci niente, e gli bloccò i polsi con entrambe le mani, portandoglieli sopra la testa. Il cuore di Vanitas perse un battito, lasciandolo all'improvviso senza fiato.

- Sai che posso renderti la vita molto difficile. -

- E sai anche che potrei andare a denunciarti per pedofilia? -

Lo sguardo dorato di Xemnas non ebbe un fremito, anzi, semmai le sue parole lo indurirono di più, facendolo diventare spesso come la coltre ghiacciata di un iceberg.

- Sei un moccioso insolente se pensi di potermi ricattare con così poco. -

- Così poco? Forse non hai ben capito che cosa ho det... -

Non lo lasciò finire di parlare. Le sua labbra s'impossessarono di quelle di Vanitas, con foga e rabbia, quasi volessero strappargliele via. La sua lingua giocò qualche istante con l'altra, che restia rimaneva indietro.

Vanitas provò a ribellarsi, cercando di sfuggirgli, ma ben presto smise di opporre resistenza. Si perse in quel bacio arrabbiato e rischioso, diventando quasi un pupazzo tra le braccia di Xemnas.

Forse avrebbe potuto fare pressione sull'entità del peccato di cui si stavano macchiando, ma semplicemente non voleva.

Avrebbe dovuto fermare quell'uomo che ormai da due anni era entrato con violenza nella sua vita. Avrebbe dovuto fargli ribrezzo il modo in cui lo corteggiava, e poi lo toccava, di nascosto agli occhi del mondo.

Invece, instillava in lui un sentimento ben più forte e incontrollabile.

Il loro era un rapporto che si consumava nell'oscurità, e che se avesse incontrato la luce sarebbe stato distrutto.

Forse Vanitas era solo un giocattolo per Xemnas, un giocattolo con cui si stancava presto di giocare, ma di cui ogni tanto si ricordava.

La mano dell'uomo scivolò sotto la sua maglietta. Prima gli accarezzò il petto, lentamente, poi si fermò sul capezzolo, che strinse con forza facendolo sussultare.

- Non farmi mai più una cosa del genere, hai capito? -

Gli sussurrò all'orecchio.

- Sì. -

Ansimò Vanitas.

La presa si allentò. Xemnas gli rubò un ultimo bacio, per poi tranciare di netto ogni contatto e spingerlo via di malagrazia.

- La settimana prossima cominciano i tornei scolastici di fisica. Spero in una tua vittoria. -

- Sì. -

Fu ancora la risposta atona di Vanitas.

- E cerca di fare un buon compito. -

- Sì. -

Xemnas diede in una risata, sommessa. Il suo rispondere a monosillabi, e l'espressione scioccata sul suo volto erano per lui fonte di gran divertimento: adorava prenderlo alla sprovvista.

- Buona giornata. -

E se ne andò, di buon passo, dandogli le spalle.

Vanitas aspettò che voltasse l'angolo e che non fosse più in vista. Quando rimase solo, si lasciò scivolare a terra.

L'inguine gli faceva male da impazzire. Infilò le braccia tra le gambe cercando di fermare l'erezione, o quanto meno di limitare i danni. Però il pensiero andava in continuazione in luoghi in cui avrebbe fatto meglio a non andare mai.

Si morse la lingua a sangue, e il dolore un po' fece scemare l'eccitazione.

Era cominciato tutto per sbaglio, senza sapere neanche bene come. Vanitas era il migliore studente della scuola e più volte si era trovato a passare del tempo da solo con il Superiore. Capitava per esempio quando partecipava a dei tornei a livello internazionale che lo portavano lontano da casa.

Xemnas era sempre stato presente, per il prestigio che lui portava alla sua scuola ovviamente.

Lo accompagnava come supervisore, come facente veci di tutore.

All'inizio lui ne era così intimorito da non riuscire neanche a rivolergli la parola, d'altronde rimaneva pur sempre il Superiore; e neanche lui era particolarmente propenso al dialogo, e all'instaurare un qualche genere di rapporto che andasse oltre l'indifferenza di un insegnante verso uno qualunque dei suoi studenti.

Ma più tempo passavano insieme, più era chiaro che non avrebbero potuto continuare a mentirsi.

Era successo qualcosa tra loro, qualcosa che non avrebbero saputo spiegare.

Forse era la forte crudeltà con cui quell'uomo rifiutava le menzogne, forse era l'affetto paterno e il sincero interessamento alla sua vita che aveva cominciato a dimostrarli, forse il suo immenso e inascoltato urlo di disperazione che aveva trovato un possibile orecchio che finalmente lo percepisse.

Lentamente aveva sentito dentro di sé il ribollire di un sentimento proibito.

Un sentimento ricambiato.

Odiava Xemnas che si prendeva quello che voleva da lui ogni qual volta che il suo cuore di ghiaccio lo desiderava, odiava come imponesse la sua superiorità per farlo sentire tanto inferiore. E odiava anche essere così affascinato dall'oscurità che emanava da quell'uomo, così densa e confortante da nascondere il mondo troppo illuminato che lo circondava.

Nessuno era a conoscenza di quella assurda relazione tra loro, che andava e veniva improvvisa come una pioggia estiva.

Lui teneva nascosto anche a se stesso il pensiero che se un giorno l'avesse detto a qualcuno sarebbe tutto finito.

Vanitas si alzò da terra, con la testa piena di immagini e ricordi dolorosi. Se ne tornò in classe che il cuore non aveva ancora calmato la sua corsa.

Era circondato da bugiardi, ma il più bugiardo era lui.


The Corner

Ce l'abbiamo fatta!
Wiiiiiiiii!
Ecco il nuovo capitolo u.u
Mi dispiace avervi fatto aspettare tanto,
ma avevo una piccola crisi e ho dovuto tirare fino al giovedì,
ma d'altronde la pubblicazione del lunedì non era certa...
maaaaa comunque...che rivelazione, Vanitas e Xemnas...
e chi se lo aspettava?
Io no di certo!
E chissà che cosa succederà nel prossimo capitolo...
Bhè, staremo a vedere!
Per la vostra gioia, pubblicherò sabato 5 Ottobre u.u
Alla prossima!
Chii
p.s. grazie a tutti voi che mi recensite con affetto :3
e anche ai lettori silenziosi!

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Capitolo 18
*** Adesso sei mio ***


17

Adesso sei mio

 

Vanitas rientrò in classe venti minuti dopo esserne uscito.

Agli occhi di chi lo guardava come se non esistesse non sarebbe apparsa strana la sua espressione confusa e corrucciata, né il suo sguardo spaurito, guardingo, come se fosse alla ricerca di qualcosa.

La professoressa non ci tenne neanche a registrare il suo rientro, visto che non disse una sola parola quando lui tornò ad occupare il suo posto.

Il foglio con il compito era ancora lì, e quello su cui doveva scrivere era sempre bianco.

La frustrazione di dover accendere la mente e concentrarla sull'obbiettivo di non prendere un brutto voto prese Vanitas alla gola, tanto che quasi gli sfuggì un urlo.

Riku lo osservò di sottecchi, le sopracciglia corrucciate unico sintomo della sua preoccupazione.

Probabilmente, aveva visto quello che gli altri avevano semplicemente ignorato per scarso interesse.

- Che voleva? -

Sussurrò l'argenteo con un tono di voce così basso che nessuno a parte Vanitas avrebbe potuto sentirlo.

I suoi occhi gialli rimasero puntati sul foglio mentre rispondeva.

- Voleva invitarmi formalmente a partecipare ai tornei scolastici di fisica. Vorrebbe che li vincessi. -

- Vuole un altro trofeo con il tuo nome sopra da aggiungere allo scaffale della sua scuola? -

L'acido ribrezzo di cui era impregnata la sua voce non aveva niente a che fare con l'invidia che un qualunque altro studente avrebbe provato nei suoi confronti. Riku non ce l'aveva con lui per i suoi successi scolastici, anche se a volte non si capacitava come facesse ad ottenere certi voti senza neanche aver studiato. No, il fastidio del ragazzo nasceva dal continuo sfruttamento che il Superiore eseguiva a carico della mente geniale ma incontrollabile di Vanitas. Odiava che i loro due nomi fossero associati per risonanza, e che il suo finisse con l'essere schiacciato da quello della scuola.

Aveva troppi meriti, e pochi riconoscimenti.

- Una cosa del genere. -

Fu la vaga risposta di Vanitas. Aveva ancora la testa troppo piena di quello che era appena successo in corridoio per poter formulare un pensiero sensato che non suonasse come una menzogna.

Anche se una piccola voce nella sua testa non faceva che urlargli: “bugiardo, sei un bugiardo!”.

Ai danni di Riku, poi. Lui che non se lo meritava proprio.

L'amico, più convinto che persuaso, tornò a pensare al suo compito, mentre il cuore di Vanitas diventava un po' più nero, oscuro e solo.

 

Quando suonò la campanella che segnava la fine delle lezioni, Vanitas aveva già consegnato il suo compito da un pezzo.

Aveva passato il tempo rimasto fissando il vuoto, o almeno dando l'impressione di osservare il vuoto. In realtà aveva guardato il decolté di Lulu per tutto il tempo.

Forse aveva ragione Riku quando diceva che ormai non sapeva più com'era fatta una donna dalla vita in giù.

Non sapeva più neanche se gli piacesse la prospettiva di tornare a saperlo.

In ogni caso, adesso che era finita non ci voleva neanche più pensare. Poteva fingere con se stesso che ci avrebbe pensato poi, dove per “poi” intendeva “mai”.

Gettò le sue cose nella cartella di malagrazia.

Riku gli poggiò una mano sulla spalla e lo fece sobbalzare, tanto era preso dai suoi pensieri.

- Ehi, tranquillo, sono io! -

Fece l'amico, sorridendo. Sorriso che morì subito sulle sua labbra quando vide la faccia di Vanitas.

Lui fu così veloce a nascondere quell'espressione, che Riku quasi credette di non averla vista davvero.

- Andiamo? Non vorrei che Roxas facesse saltare il piano. -

Il tono di voce rilassato e strafottente del moro tolsero ogni dubbio a Riku: sì, quell'espressione l'aveva sicuramente immaginata.

- Non credo che farà saltare niente, gli hai fatto una testa così a furia di ripetergli quello che doveva fare. -

Scherzò l'argenteo, dando il gomito a Vanitas, che però non colse il tentativo di sdrammatizzare, oppure non voglie coglierlo, e lo lasciò senza risposta.

Il suo comportamento lo confondeva, però sapeva anche che non poteva costringerlo a dirgli qualcosa che non voleva dirgli, né a dargli spiegazioni che non voleva dargli. Quindi archiviò il tutto in qualche armadietto metaforico nel suo cervello, in modo da poterlo tirare fuori quando sarebbe stato il momento. Per adesso, si limitò a cucirsi la bocca e a seguire Vanitas per i corridoi.

Il modo in cui camminava lasciava trapelare una certa ansia, sottile e strisciante. O forse, era solo il forte desiderio di scaricare le sue tensioni su qualcun altro che lo spingeva ad aumentare il passo, a renderlo frenetico e veloce.

Che cosa si aspettava, non lo sapeva neanche lui. Però la prospettiva lo allettava, e lo faceva sentire più leggero.

Il bullismo era il primo e l'ultimo dei suoi problemi.

Non riusciva neanche più a ricordare quand'era stata la prima volta che se l'era presa con qualcuno, a scuola, solo per il piacere di farlo, solo per la soddisfazione di istillare sofferenza a qualcun altro.

La stessa sofferenza che lui aveva sopportato tutti i giorni della sua vita.

Non si interrogava sul perché gli desse tanto conforto vedere gli altri soffrire come soffriva lui, forse neanche se ne rendeva conto.

Si diresse verso la palestra, senza neanche badare alla presenza di Riku, che pure lo seguiva fedele come un'ombra.

Lui cominciava a chiedersi se non fosse meglio fermarlo. Non era confortante il modo in cui gli brillavano gli occhi.

Arrivati in palestra incontrarono un gruppetto di studenti che uscivano dagli spogliatoi.

Riku si irrigidì quando vide Kairi.

Scambiò uno sguardo con Vanitas, come a dirgli che non aveva idea di come doveva comportarsi.

Il moro mosse il capo nella sua direzione. I suoi occhi gialli gli dissero quello che voleva sentirsi dire.

Non avevano considerato che nella classe del moccioso avrebbero trovato anche lei. Ma era un contrattempo che Vanitas credeva di poter gestire.

- R-Ricchan! - urlò la ragazza, all'improvviso, quando i suoi occhi blu-viola si erano appoggiati su Riku. Lui provò a dire qualcosa, che fu subito interrotto dall'entusiasmo di lei, che gli si gettò tra le braccia di slancio. - Che ci fai qui? Non ti aspettavo! -

Gli scoccò un sonoro bacio sulle labbra, che fece scuotere la testa a Vanitas.

Riku non mentiva, non mentiva mai con quella ragazza. Semplicemente mostrava un altro lato di sé, quello che lui riteneva essere il migliore, senza però sapere che Vanitas ne conosceva molti altri, la cui conoscenza era a lei preclusa.

Non lo riteneva essere un bugiardo, perché non si comportava da bugiardo, e perché non intendeva fare del male a nessuno.

Era vero che se la sarebbe voluta scopare, anche lì, in quel momento, davanti a tutti, ma era anche vero che avrebbe rispettato i suoi tempi. Se lei gli avrebbe chiesto di aspettare per sempre, lui forse avrebbe acconsentito. Almeno finché un altro bel corpicino non si sarebbe messo di fronte a lui, allora forse avrebbe cambiato idea.

Chissà se aveva mai pensato all'alternativa maschile, chissà che cosa pensava di Roxas e del rosso, chissà cosa avrebbe pensato di lui...e del Superiore.

- Infatti, sono venuto a farti una sorpresa. -

Fu la vaga scusa di Riku. Anche se Vanitas non fosse stato un segnalatore vivente di bugie, si sarebbe accorto di quell'enorme cavolata che stava dicendo il suo amico, arrossendo per giunta.

Kairi alzò gli occhi al cielo.

- Ti sembro stupida? Tu sei venuto per il tuo amichetto Roxas, ammettilo! -

Riku scambiò un'altra fugace occhiata con Vanitas, sperando che la ragazza non se ne accorgesse.

- Sono venuto per il mio amichetto, e per la mia ragazza. È il bello di avervi nella stessa classe. -

Lei mise un broncio per un attimo, poi sospirò.

- Non posso stare arrabbiata con te, scemo. -

Si appese al suo collo e gli diede un altro bacio. Stavolta toccò a Vanitas alzare gli occhi cielo.

- Io comincio ad andare, vi dispiace? -

Disse il moro, rivolto ai due piccioncini, indicando gli spogliatoi maschili.

- Oh no, vai pure. - fece Kairi, che si stava accorgendo adesso della sua presenza - Questo principe dai capelli d'argento avrà un po' da fare nei prossimi minuti. - lo stuzzicò rigirandosi una ciocca dei suoi capelli tra le dita.

Imbarazzato, ma piacevolmente stupito, Riku diede in una risatina. Poggiò una mano sul sedere di Kairi, mentre la cingeva con un braccio.

Per Vanitas fu anche abbastanza, non voleva mica assistere alla scena. Aveva ben altre cose a cui pensare.

Mentre Kairi lo baciava, Riku cercò di ricordarsi che cosa voleva dire a Vanitas. Prima che gli ormoni impazzissero per colpa della ragazza, c'era una qualcosa di importante che avrebbe dovuto dirgli.

Ma adesso, con lei che lo stringeva e gli trasmetteva il calore del suo corpo, non riusciva davvero a ricordarselo.

Quando vide l'amico sparire dentro la porta dello spogliatoio maschile, gli venne come un flash: avrebbe dovuto raccomandare a Vanitas di non cominciare con quel ragazzino un gioco che sarebbe finito male, esattamente come per Roxas.

Però, per colpa di Kairi, e per colpa del fatto che aveva un bisogno fisico da soddisfare, si dimenticò di ricordarsi di dirglielo, e fu troppo tardi per porvi rimedio.

 

*

 

Quando il professore di educazione fisica infilò il fischietto tra i denti, decretando la fine della lezione, Sora quasi si lasciò cadere sul pavimento per la stanchezza.

Non avrebbe mai detto di poter trovare qualcosa di più difficile di Lingue Antiche, e un professore più sadico di Saïx, ma evidentemente si sbagliava.

Dopo un'ora, una terribile ora, passata a cercare di schivare i colpi di cannone travestiti da pallonate di dodgeball lanciati dal professor Xigbar, Sora riuscì a capire per quale motivo Axel fosse una mina vagante sul campo di calcetto: d'altronde, da un allenatore così non poteva imparare diversamente.

Il guercio, l'amabile uomo che allenava la squadra di calcetto della scuola, era anche il professore di ginnastica della sua classe, oltre ad essere un cecchino dalla mira infallibile. Come facesse con un solo occhio, era un mistero, ma qualunque fosse il suo segreto, lo rendeva un micidiale serial killer.

A Sora venivano i brividi lungo tutto il corpo al solo pensare a quell'uomo con un paio di pistole in mano.

Per fortuna, i suoi proiettili erano solo i palloni, ammesso che “solo” fosse un termine confortante da associare a Xigbar.

Dopo due lunghe ore di matematica con Luxord (in cui la fortuna aveva smesso di sorridergli e gli aveva regalato una serie di scelte sbagliate, arrivando ad un 4 scritto a penna sul registro accanto al suo nome) e due di letteratura con Terra (più sopportabili, ma comunque terribili, visto che tra una cosa e l'altra il compito che doveva fare per lui era risultato essere più breve di quanto avrebbe dovuto, e aveva scatenato nel giovane professore un attacco d'ira e un relativo accanimento su di sé), l'ultima ora di educazione fisica aveva fatto pensare a Sora: “finalmente un po' di relax”.

Invece, no. Non funzionava così.

Appena arrivati in palestra, il professore li aveva subito mandati a fare dieci giri di corsa, perdendo il primo quarto d'ora di lezione per il riscaldamento e la preparazione dei muscoli.

Come se non fosse bastato, Sora con il naso tumefatto dalla precedente pallonata, non riusciva a respirare correttamente, e correre non aiutava a farlo sentire bene.

Xigbar tra l'altro aveva fatto il finto tonto per tutto il tempo, come se neanche l'avesse riconosciuto, e trattandolo come un pezzo di carne da macello come un altro senza farsi troppi problemi.

Alla fine della lezione, Sora aveva avuto la conferma che l'uomo non l'aveva davvero riconosciuto: aveva la vista un po' compromessa, visto che gli mancava un occhio. Però quando c'era da colpire un bersaglio in movimento con la precisione di un cecchino...per quello non c'erano problemi.

Dopo il riscaldamento, era cominciata la lezione vera e propria, che era consistita in una partita di dodgeball tra due squadre formate dai membri della squadra.

Ovviamente, Sora era finito nella squadra avversaria a quella di Roxas, che aveva fatto di tutto per rifilargli i colpi peggiori.

Era stato eliminato dal gioco così tante volte (per imbranataggine più che altro), che alla fine i suoi compagni di squadra, tra i quali Yuffie, si erano stancati di aiutarlo, e avevano lasciato che diventasse il bersaglio degli altri.

Evidentemente, a tutti piaceva camuffare il maltrattamento di una matricola con un buon lancio di dodgeball.

Xigbar non aveva provato a venirgli in soccorso neanche una volta. Ma d'altronde non l'aveva riconosciuto.

Gli venne da sbuffare.

Non solo era completamente ricoperto da due o tre strati di sudore, ma anche da due o tre strati di lividi causati dalle pallonate che gli erano arrivate addosso.

Non si fece problemi ad essere il primo a correre negli spogliatoi quando fu giunta l'ora.

Correndo verso il suo armadietto, non desiderava altro che spogliarsi, andarsene a casa, e rimanerci fino alla fine dei suoi giorni.

Aprì lo sportello con furia, insultando nella sua mente tutti i suoi stupidi compagni di classe, che nel frattempo stavano sciamando alla spicciolata verso gli spogliatoi.

Di norma, i ragazzi evitavano di colpire le ragazze, e se dovevano farlo lo facevano con molta tranquillità, in modo da non strappargli più di un “no!” dispiaciuto per l'eliminazione temporanea dalla squadra, piuttosto che un urlo di dolore.

Quindi, non avendo quasi nessuno su cui sfogarsi, era come se Sora si fosse dipinto un bersaglio sulla schiena, grande quanto tutto il suo corpo.

Vedendoli entrare negli spogliatoi, tutti affiatati e divertiti per la partita, a Sora salì la bile, che gli inondò la bocca rendendo la saliva amara.

Avrebbe voluto ricoprirli di insulti, da capo a piedi.

Perché aveva avuto il coraggio di andare a scuola, quella mattina? Sarebbe dovuto rimanere a casa, e tenere con lui anche Ventus.

Ventus. Gli venne da sospirare al pensiero.

Dopo quello che si erano detti la sera prima non avevano più riaperto l'argomento, anzi a dirla tutto non avevano quasi più parlato.

Ventus aveva preferito chiudersi in un mutismo pensieroso, che lasciava poco spazio alle domande.

Anche quando erano tornati a casa, piuttosto tardi, non aveva aperto bocca.

Sora aveva ricominciato a sentire la sua voce quando si erano messi a lavorare sul compito per Terra. Ma poi la stanchezza aveva avuto la meglio ed erano andati a dormire.

Da lì in poi altro silenzio fino a scuola, dove si erano lasciati con un laconico “ci vediamo in mensa”.

Ora come ora, Sora non era più tanto certo di voler pranzare con lui. Visto che la sua presenza non gli era d'aiuto, magari avrebbe preferito rimanere solo a riflettere. Così sarebbero stati male entrambi.

In ogni caso lui non aveva neanche niente da fare a scuola quel pomeriggio (ammesso che “niente da fare” fosse la vagonata di compiti che doveva svolgere), quindi avrebbero finito col chiudersi in biblioteca. E questo voleva dire altro silenzio.

Sora non si sentiva in grado di affrontare la visione di Ventus “senza parole”, come se gli avessero tolto l'audio.

Però era anche vero che non era pronto ad affrontare quella conversazione. Perché era chiaro che se avessero parlato sarebbe stato per discutere su quanto avevano visto a Twilight Town, sulla torre dell'orologio.

Sora scosse la testa, arrabbiato che così tanti pensieri non gli dessero tregua.

- Sei una pippa a dodgeball. - dare corda a Roxas era l'ultima cosa che voleva. Non si voltò neanche a guardarlo mentre si cambiava, anche se sentì il suo sguardo puntato addosso per tutto il tempo. - Giocano meglio le ragazze.- incalzò il ragazzino. Sora strinse le labbra, così forte che neanche un atomo di ossigeno avrebbe potuto entrarvi. Si asciugò il sudore di dosso con una tovaglia, passandola anche sui capelli umidicci. Tornato a casa si sarebbe fatto una lunga, meravigliosa doccia. Ma farla negli spogliatoi della palestra insieme a tutti i suoi compagni di classe, non era proprio il caso. - Sembravi una piccola checca isterica sul campo. -

Ridacchiò Roxas.

Per Sora fu la goccia che fa trabocca il vaso.

Chiuse l'armadietto con tale violenza da far sobbalzare il biondo, e si volse verso di lui regalandogli uno sguardo arrabbiato.

- E tu ne sai qualcosa di checche, vero?! -

Gli disse.

Vide Roxas rabbrividire dalla testa ai piedi e farsi così piccolo nelle spalle da fare male al cuore.

Sora si pentì quasi subito di quello che aveva detto, quasi però.

Roxas recuperò il suo sguardo canzonatorio nel giro di un istante.

- Ne so abbastanza, mi è bastato guardare te. -

Sora l'avrebbe preso a cazzotti se non fosse stato per il fatto che lui ne aveva già presi abbastanza da suo padre. Sarebbe stata una cosa terribile da dire, ma in quel momento desiderò ardentemente dirgliela, sbandierandola davanti a tutti i loro compagni.

- Non ho tempo da perdere con te. -

Disse invece. Dentro di lui una vocina si dispiacque che avesse deciso di comportarsi da bravo ragazzo. D'altronde nessuno si stava comportando altrettanto bene con lui.

Roxas gli indirizzò uno sguardo pieno di stupore.

- Cos'è, ti sei svegliato finalmente? Da come hai incassato i colpi, credevo che tu fossi quelli passivo. -

Un ghigno nacque spontaneo nella mente di Sora, ma non arrivò mai a stiragli le labbra, perché lui impedì allo stimolo fisico di manifestarsi.

- E tu invece? Quale dei due sei? -

Gli disse solo, con un tono di voce tanto insinuante che Roxas se ne sentì infilzare come fosse uno stiletto di ghiaccio.

Sora lesse sul suo volto una confusione che non aveva prezzo a pagare. L'aveva preso in contropiede, e per una volta aveva lui il coltello dalla parte del manico.

Ti prego, Sora” disse una voce troppo familiare nella sua mente “lo so che è insopportabile, lo so che ti rende la vita difficile, ma non usare questa cosa contro di lui. Me lo prometti?”

Si sentì mancare il terreno sotto i piedi mentre il petto si contraeva in una stretta dolorosa.

L'aveva promesso a Ventus. L'aveva promesso a Ventus la notte prima, quando nel silenzio più totale lui aveva creduto che si fosse addormentato. Invece, ad un tratto, aveva detto quelle parole, imbevute di lacrime che il buio non gli aveva permesso di vedere.

E lui gliel'aveva promesso.

Si morse le labbra, sentendosi una persona orribile. Stava tradendo il suo amico così.

- Sei un gran bello sfrontato a trattare così un senpai*. -

Sbottò Roxas. Fremeva da capo a piedi, si stava trattenendo, e Sora non riusciva a capire perché.

- Tu? Il mio senpai? Non solo siamo nella stessa classe, ma abbiamo anche la stessa età. E anche se fosse, non ci penserei nemmeno a portarti rispetto. -

Quelle parole cariche di astio stonavano terribilmente sulle labbra di Sora.

Mentre parlavano, ignoravano quello che stava succedendo intorno a loro.

Gli altri compagni di classe, che non avevano la minima intenzione di stare lì ad assistere, presero le loro cose e se ne andarono, lasciando lo spogliatoio deserto.

Prima di rendersene conto erano rimasti soli.

Sora fece finta di niente. Raccolse la borsa e se la caricò in spalla.

- Ora scusami, ma devo proprio andare a pranzo. Ventus mi aspetta. -

Disse, marcando bene la voce sul nome del fratello e sperando che scatenasse in lui una qualche emozione.

Quello che vide sul fondo degli occhi blu di Roxas fu solo il gelo dell'indifferenza, e questo stupì ancor di più Sora.

Che cosa gli passava per la testa? Perché aveva abbandonato in un modo così terribile il suo fratello gemello? Perché lo trattava come se neanche facesse parte della sua esistenza? Tanto e tanto importante era la storia che aveva con Axel da rinunciare a qualsiasi legame avesse con lui?

Avrebbe voluto urlargli in faccia quelle domande, ma non poteva. Sapeva che non avrebbe risposto, e che mostrando di conoscere tutto avrebbe messo a rischio anche il suo rapporto con Ventus.

A dispetto di Roxas, Sora ci teneva a lui, e non aveva intenzione di perderlo.

Con lo zaino in spalla, Sora si incamminò verso la porta dello spogliatoio.

Roxas vi si mise davanti.

- Non credo di poterti permettere di uscire. -

Disse solo.

Sora inarcò un sopracciglio.

- Non credi cosa? Ma ti sei sentito parlare? Se vuoi giocare al boss della mafia fallo con i tuoi amichetti. Ti ho già detto che non ho tempo da perdere con te. -

- Sì, ma io ne ho un mucchio. -

Sia Roxas che Sora si volsero in direzione della voce.

Sora sentì il cuore sprofondargli sotto i piedi. Gli era sembrata troppo bella quella giornata, doveva per forza succedere qualcosa che lo riportasse alla realtà.

Vanitas diede in una risata.

- Dalla tua faccia capisco che sei molto felice di vedermi. -

Scherzò il moro, avvicinandosi.

Sora per istinto si tirò indietro, come se fosse bastata la distanza fisica per tenerlo al sicuro da quel ragazzo.

- Me ne sono accorto. - cominciò il bruno - Intendo, mi sono accorto che hai un sacco di tempo da perdere. Perché non sprechi le tue energie in qualcosa di produttivo invece di fare il bullo con me. -

Vanitas inarcò entrambe le sopracciglia.

- Piccoletto, sei proprio un caso perso. - rispose alla fine, scuotendo la testa - Dopo una dura giornata di scuola pretendi che rinunci al mio svago? Se ti fossi fatto vedere stamattina, magari avremmo già fatto. A proposito, dov'eri finito? -

Sora non rispose, a farlo per lui ci pensò Roxas.

- Era già in classe quando sono arrivato io. -

Vanitas fu soddisfatto della risposta.

Sora lo vide trattenersi dall'accarezzare la testa di Roxas come fosse quella di un cagnolino obbediente. Gli venne il voltastomaco.

- Quindi sei venuto molto presto stamattina. Che impegni avevi? - il bruno, ovviamente, si era cucito le labbra. Non aveva nessuna intenzione di dire niente. Anche se Vanitas cercò lo sguardo di Roxas, come a chiedergli se ne sapeva qualcosa, quello che trovò fu un “non ne so niente” scritto sulla faccia del biondo a caratteri cubitali. - Bhè, qualsiasi cosa tu abbia fatto, è stato molto scortese da parte tua non venire a salutarmi. -

Non appena finì di dire quelle parole, Vanitas si rese conto di quanto gli suonassero familiari. Non le aveva sentite dire da qualcuno poco tempo prima, magari quella mattina?

Cercò di tenere lontano il pensiero, il più lontano possibile.

- Non ti verrei a salutare neanche se fossi in punto di morte. -

Fu l'aspra risposta di Sora.

Vanitas diede in una risata.

- Guarda come cresce l'oscurità dentro questo bambino. Il tuo cuore puro comincia a corrompersi, eh? -

- Ma che cosa stai dicendo. -

Riuscì solo a dire Sora, tra i denti. Quel cuore di cui Vanitas parlava stava per esplodergli in petto.

Ora che i suoi occhi cerulei potevano guardarsi bene intorno, vedeva in quale trappola era stato spinto.

I suoi compagni di classe ormai se n'erano andati tutti (e anche se qualcuno fosse rimasto dubitava del fatto che l'avrebbe aiutato).

Roxas l'aveva intrattenuto con quelle discussioni provocatorie al solo scopo di farlo rimanere isolato, in modo che Vanitas potesse fargli quello che voleva una volta arrivato.

Ingegnoso ma semplice, e lui ci era cascato con tutte le scarpe. Se non si fosse fatto prendere dalla rabbia, forse avrebbe potuto approfittare della presenza dei compagni per uscire da quella situazione.

Ormai era troppo tardi.

- Roxas, che ne dici di farti un giretto? Io e Sora abbiamo un mucchio di cose di cui parlare. -

Disse Vanitas, tutto contento.

Sora sgranò gli occhi. Che intenzioni aveva?

Roxas non perse tempo neanche a rispondere; semplicemente uscì dagli spogliatoio, senza fare una piega.

Il bruno si convinse immediatamente che sarebbe rimasto di fuori per fare la guardia, per impedire a chiunque di entrare e interrompere il sadico gioco di Vanitas.

Rimasti soli, i due si fissarono.

Non c'erano vie di fuga oltre la porta d'ingresso.

- Che cosa vuoi? -

Tanto valeva andare subito al sodo.

Vanitas mosse qualche passo verso di lui, minaccioso.

Sora si ritrovò ben presto a premere la schiena contro gli armadietti.

- Ho pensato a te tutto il giorno, sai? - gli disse, con un filo di voce, in modo che fosse il più sibilante possibile - Mi sono chiesto molte volte come potevo divertirmi con te, oggi. -

- Non troveresti divertente il lasciami in pace? -

La voce di Sora aveva il tono di una supplica, e Vanitas dovette coglierla, perché sul suo viso si aprì un ghigno di malizia che lo spaventò.

Si avvicinò ancora, e Sora tentò un breve slancio di fuga. Vanitas fu così veloce ad intercettarlo che fu come se non avesse fatto assolutamente niente.

Lo afferrò per un braccio con tanta forza da fargli venire le lacrime agli occhi.

Con poca delicatezza, lo spinse contro gli armadietti. Il freddo del metallo sulla sua schiena lo fece rabbrividire.

Vanitas sentì in tutto il corpo una piacevole sensazione di déjà vu che lo avvolse come una coperta calda.

Sora fissò gli occhi gialli e freddi del ragazzo. Aveva il cervello completamente fuori fase. Non riusciva a tirare fuori un pensiero sensato neanche con la forza.

Ad un tratto, Vanitas gli afferrò il volto con una mano, bloccandogli la mascella tra indice e pollice.

- Non sei molto sveglio, vero bambino? -

- Non sono un bambino. -

Fu l'unica cosa che riuscì a dire lui. Però, il tremore che gli percorreva il corpo diceva tutt'altro.

Dentro di sé gli allarmi della sua mente gli intimavano di scappare, di trovare una via di fuga subito, prima che fosse troppo tardi.

Scosse la testa, per liberare il volto dalla presa di Vanitas, e fece l'unica cosa che gli sembrò opportuno fare: gli diede una gomitata allo stomaco.

Il moro, preso del tutto alla sprovvista, vide davanti agli occhi esplodergli scintille di dolore, mentre si accasciava a terra.

Approfittando del suo mancamento, Sora cercò di guadagnare la porta.

Già l'uscita gli sembrava più vicina.

Era quasi convinto di avercela fatta, anzi, era proprio sicuro di avercela fatta.

Quando la mano gelida di Vanitas gli afferrò la caviglia, lui ebbe solo il tempo di sgranare gli occhi, e poi cadde in avanti sul pavimento.

Non riuscì ad attutire la caduta con le mani: picchiò il mento e un'ondata di dolore nero gli investì i sensi, insieme ad una boccata di sangue che gli riempì il palato.

- Adesso sei mio. -

Riuscì a sentire, prima che la vista gli si oscurasse completamente.




The Corner

Cari amici ben trovati!
Visto che sono un po' rincretinita per aver giocato all'incirca dieci ore di seguito a KH tra oggi e ieri notte,
mi sono rimasti pochi neuroni accesi per il mio angoletto,
quindi dico solo: chissà che cosa farà il nostro Punta-di-diamante-Vanitas!
a voi le ipotesi, io torno a finire Atlantica \(=w=)
visto che martedì 8 Ottobre è il mio compleanno...magari posto un capitolo, che ne dite?
bye bye babies!
Chii

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Capitolo 19
*** Quel che è successo qui, rimarrà qui ***


Attenzione! Il capitolo potrebbe avere un piccolo salto di raiting, avvicinandosi poco poco al rosso, per la vostra incolumità è necessario che io vi avverta!

18

Quel che è successo qui, rimarrà qui

 

La vista gli tornò chiara solo un paio di minuti dopo, e quello che vide lo riempì di terrore.

Vanitas stava a cavalcioni su di lui, con una faccia annoiata che parlava da sola.

- Oh, finalmente ti sei ripreso. - sbuffò il moro - Non mi piace se non reagisci. -

Sora impiegò tre secondi per cominciare ad agitarsi come un ossesso, nel tentativo disperato di liberarsi.

Ma con tutto il peso di Vanitas su di lui, non poteva andare da nessuna parte. Per come si agitava sembrava la coda mozzata di una lucertola.

In bocca aveva ancora il gusto del sangue. Doveva essersi morso l'interno della guancia cadendo.

Il mento gli faceva male là dove aveva colpito il pavimento e si sentiva ancora un po' intontito.

- Spero che perdonerai i miei modi bruschi. Ma vedi, stavi scappando via. -

Il tono di Vanitas era melenso. Da una parte sembrava dispiaciuto per quello che aveva fatto, dall'altra era fortemente soddisfatto di averlo fatto cadere in trappola.

- Mi dici cosa vuoi? -

Riuscì a dire Sora, con le lacrime agli occhi.

Chissà se Ventus lo stava venendo a cercare, chissà se avrebbe capito che c'era qualcosa che non andava, chissà se avrebbe incontrato fuori dagli spogliatoi Roxas, e forse Riku, e loro avrebbero fatto del male anche a lui.

Non riusciva a non pensare all'eventualità che fosse fatto qualcosa all'amico per colpa sua. Era più forte dell'istinto di salvaguardare se stesso.

Vanitas lo guardò con una strana espressione. Era indecifrabile quanto la luce che gli brillava negli occhi.

- Non lo so. - disse solo il moro - Non so che cosa voglio da te. - si avvicinò di più a lui, tanto che i loro volti quasi si sfioravano - Però lo voglio, subito. -

- Non ho niente da darti. -

Fu l'unica cosa con un senso che Sora riuscì a tirare fuori.

Alle orecchie di Vanitas dovette suonare come una divertentissima barzelletta, perché rise di cuore, scuotendo la testa.

- Qualcosa troveremo. -

La mano di Vanitas si arrampicò sul suo petto, fino ad arrivare al viso. Osservò con piacere la sua pelle che si accapponava. Con la punta dell'indice seguì la curva delle labbra rosa scuro di Sora, così ben delineate da sembrare un disegno.

Prima di rendersi conto di essere arrivato troppo vicino, Sora aveva già dato un morso al suo dito, imprimendo tanto i denti nella pelle da farla sanguinare.

Vanitas ritirò la mano senza un gemito, portandola al petto.

- Che bambino cattivo che sei. -

- Non sono un bambino. -

Ribadì ancora Sora.

Gli arrivò uno schiaffo in pieno volto, inaspettato e doloroso. Gli occhi gli si riempirono di lacrime.

- Non ti ho dato il permesso di parlare. - lui si morse a sangue le labbra, mentre Vanitas tornava a constatare i danni che gli aveva procurato al dito. A parte i segni sanguinanti dei suoi denti, non sembrava esserci altro. I suoi occhi gialli scivolarono in quelli cerulei di Sora, carichi di rabbia a stento contenuta. - Rendi il gioco più interessante se mi guardi così. -

- Che razza di gioco sarebbe questo? -

- Quello in cui io mi diverto, e tu stai a guardare. -

- Non pensare che sarò il tuo giocattolo! -

Il ragazzino si agitò a vuoto, menando calci e pugni.

Vanitas gli afferrò i polsi e gli portò le braccia sopra le testa, bloccandogliele.

Di nuovo, provò una fortissima sensazione di déjà vu, e gli piacque enormemente.

- Forse non hai capito...tu sei già il mio giocattolo. -

La forza che imprimeva sui suoi polsi era tale da fargli scricchiolare le ossa.

Sora trattenne i gemiti di dolore, ma non poté impedire alle lacrime di bagnargli gli occhi.

Vanitas usò una sola mano per trattenerlo, mentre con l'altra andava a raccogliere una lacrima che stava per sfuggire da un angolo del suo occhio.

La osservò sulla punta del dito, che poi infilò in bocca.

- Mmm. - disse solo, assaporando quel gusto agrodolce - Le tue lacrime hanno proprio un buon sapore. - un sorriso strano si aprì sul suo volto - Che ne dici di piangere per me, eh? -

- Mai! Lasciami andare! -

Sora provò ancora a liberarsi. Ogni tentativo, però, era futile. Della forza di Vanitas aveva già avuto numerose prove, e lui era decisamente troppo mingherlino per poter anche solo pensare di poter affrontare una lotta pari.

Era come cercare di smuovere una montagna.

- Non ti ho dato possibilità di scegliere. - disse il moro, leggero - Potrei anche tirartele via con la forza, ma poi non avremmo un bel ricordo. E noi vogliamo costruire solo bei ricordi, non trovi? -

- Non voglio avere nessun ricordo con te! -

L'astio nella voce di Sora non faceva che pungolare il desiderio di Vanitas.

In quella posizione spiacevole e piacevole al tempo stesso, poteva fare di lui quello che voleva. Quello che desiderava era a portata di mano, doveva solo allungare il braccio.

Ma c'era ancora qualcosa che lo bloccava. Forse era il non sapere a cosa corrispondeva realmente quel desiderio.

Il piccolo corpo di Sora che si agitava inutilmente sotto di lui era fonte di gran divertimento, così come il suo volto e i suoi occhi contratti in una smorfia di paura.

All'inizio, il suo intento era solo quello di spaventarlo un po', provocarlo e vedere come avrebbe risposto. Forse fargli qualche infantile dispetto come rubargli i vestiti e lasciarlo in mutande.

Però, adesso c'era qualcos'altro che voleva da lui, qualcosa che non sapeva se poteva prendersi.

Ma era troppo forte l'istinto di farlo.

Accarezzò il volto del ragazzino con un dito, per poi afferrarglielo violentemente, in un gesto che così tante volte era stato fatto a lui che ormai aveva perso il conto.

Si avvicinò alle sue labbra, soffiandovi sopra, e vedendo la reazione sconvolta di lui nei suoi occhi.

Con la lingua cominciò a tastare lentamente gli anfratti appena accaldati di quelle labbra, umidi di paura e carichi di urla.

Contro tutto ciò che stava gridandogli l'istinto, Sora lasciò che due lacrime gli cadessero dagli occhi, incontrollate e schiaccianti.

Vanitas represse l'urlo spaurito che stava per uscirgli dalle labbra con un bacio. Poggiò le proprie sulle sue con la violenza di chi vuole e ottiene, senza chiedere.

Sora provò a divincolarsi, ma la presa di Vanitas sul suo volto non glielo permetteva.

Quando sentì la lingua del moro infilarsi tra le labbra, lui serrò i denti, cercando di non farla andare oltre, proteggendo quanto gli era rimasto.

Vanitas soffocò una risata. Era proprio quello il gioco che voleva fare.

Forzò lentamente le sue difese, assaggiando con la punta della lingua la superficie di ogni dente, imprimendosi il gusto di ingenuità che aveva sulle labbra.

Sora sentì il disgusto crescere dentro di sé. Avrebbe voluto urlare, ma se l'avesse fatto avrebbe lasciato a lui campo libero, e non poteva permetterselo.

Vanitas capì che era ormai sua preda, e si arrischiò a lasciargli il volto. Con la mano libera percorse il suo petto, slacciando i primi bottoni della camicia.

Passò le dita sulle pelle accaldata, leggermente coperta da una patina di sudore. Si soffermò nel punto in cui, in mezzo al petto, il cuore si dimenava scalciando come un cavallo.

Ascoltò quella corsa spaventata sotto il palmo della mano e ne fu quasi compiaciuto.

Dato che Sora continuava a tenere i denti stretti, lui abbandonò le labbra per scoccargli piccoli baci sul collo. Ad ogni bacio, il bruno rabbrividiva, e una nuova ondata di adrenalina faceva accelerare di più il battito cardiaco.

Le labbra di Vanitas trovarono la clavicola di Sora e ne percorsero il profilo con fame sempre crescente. Poi saltarono all'orecchio, per mordicchiarne il lobo.

Sora si lasciò sfuggire un sospiro, e fu il momento adatto per Vanitas. Tornò veloce alla sua bocca, dove poté infilare finalmente la lingua.

Sora non provò neanche ad opporre resistenza. Il suo corpo si inarcò per un attimo, poi si sgonfiò come un palloncino bucato.

Vanitas poté lasciare la presa sui suoi polsi, per portare le mani al suo viso, in modo che potesse condurlo verso il proprio.

Fu totale il modo in cui Sora si arrese alle mani calde e grandi di Vanitas.

Non chiuse neanche gli occhi, e quello permise al moro di specchiarsi in quei due pozzi cerulei.

Mentre giocava con la lingua del bruno, con una mano percorse il profilo del petto, e scese sull'ombelico dove indugiò qualche secondo prima di arrivare alla cerniera del pantalone.

Sora fu percorso da un brivido che lo scosse.

- N-no! -

Balbettò quasi senza forze tra un affamato bacio e un altro.

Vanitas sorrise, senza però aggiungere niente.

Con sicurezza slacciò il bottone e poi si occupò di abbassare la cerniera.

Il panico che si leggeva negli occhi cerulei di Sora era paragonabile solo al piacere crescente e strisciante che lo stava prendendo.

Si odiava, ma non poteva negarlo.

Il tocco preciso di Vanitas gli scatenava ondate di piacere che si raccoglievano nel basso ventre.

Quando la sua mano scivolò sul rigonfiamento nei suoi boxer, Sora trattenne il fiato.

Vanitas lo confortò con baci leggeri, come a dirgli che non c'era niente di cui spaventarsi, ma nello stesso tempo violava la sua intimità superando la vana difesa dell'abbigliamento intimo.

- No, no, no, ti prego, no. -

Riuscì a dire Sora. Ormai aveva perso il conto di quante lacrime gli erano scivolate giù dagli occhi.

- Su, su, da bravo. Ti piacerà. -

Il moro solleticò la base glabra del pene e gli venne da ridere. Era ancora così giovane da non avere che qualche sporadico pelo pubico.

Si chiese se sarebbe riuscito a farlo arrivare all'erezione, o se era troppo giovane anche per quello.

Gli abbassò completamente i pantaloni e i boxer, lasciandolo vergognosamente nudo.

- Non sei messo tanto male. -

Scherzò il moro, dando un'occhiata alle sue parti basse.

Sora tremava tutto. Ormai non aveva più la forza di muovere un solo muscolo. Vanitas aveva ragione: era suo, completamente suo.

Lui ebbe il tempo di spogliarsi a sua volta. I suoi occhi correvano su e giù per il corpo di Sora, persi in un mondo che conoscevano solo loro.

Sentì crescere dentro di sé l'eccitazione dell'essere, per una volta, colui che sottomette, e non il sottomesso.

Non farmi mai più una cosa del genere, hai capito?”

Gli disse una voce fin troppo familiare nelle orecchie.

- Non farmi mai più una cosa del genere, hai capito? -

Ripeté.

Sora lo guardò tra le lacrime, senza capire a cosa si stesse riferendo. Ma i suoi occhi gialli non potevano vedere, non veramente.

La lingua di Vanitas cercò di nuovo la sua. Gli mangiò le labbra, gustandone ogni anfratto. Poi si avvicinò al suo orecchio. Gli morse il lobo, ancora e ancora, finché la pelle non divenne rossa e i gemiti di dolore di Sora poco sopportabili.

- Voltati. -

Il ragazzino non si mosse, non sentiva neanche più il suo corpo. Da qualche parte le sue gambe nude toccavano il freddo del pavimento, ma quello che gli arrivava era solo una sensazione di soffuso terrore.

Vanitas non aspettò che ubbidisse: lo fece voltare a forza.

Quando fu prono, lui gli schiacciò la testa sul pavimento, e Sora sentì finalmente qualcosa sulla pelle: il gelo delle mattonelle che gli pungeva ogni parte del corpo.

Con l'erezione crescente, Vanitas si abbassò per scoccare un bacio sul gluteo bianco e piccolo di Sora.

- Vedrò di non farti troppo male. -

Gli sussurrò.

Sora sentì solo una stilettata di dolore quando il membro di Vanitas lo penetrò.

Strinse i pugni e i denti, impedendosi di urlare, mentre le lacrime gli scendevano copiose giù per le guance.

 

Qualche minuto dopo, l'eccitazione scemò. Vanitas aveva raggiunto il suo scopo.

Il Superiore aveva ritenuto opportuno sedurlo e abbandonarlo, lasciandolo con un'erezione in corso, senza chiedersi se avrebbe voluto qualcosa di più da lui.

Non glielo chiedeva mai. Si prendeva solo quello che voleva.

E non era detto che lui non potesse fare altrettanto.

Si rialzò, asciugando via dalle gambe lo sperma e infilandosi di nuovo i vestiti.

Sora ancora tremava. Accucciato in posizione fetale sul pavimento.

Vanitas ridacchiò scuotendo la testa. Lo punzecchiò con la punta delle scarpe, ma non reagì.

Dato che non sembrava neanche cosciente, lui lo rivestì a forza, cercando di nascondere a se stesso che il sangue che aveva tra le mani non lo spaventasse.

Forse era stato un po' troppo violento.

Rialzò il ragazzino, e lo aiutò a mettersi in posizione seduta. I suoi occhi cerulei erano sgranati nel nulla, sembravano quelli di un bizzarro pupazzo di peluche: di vetro, grandi e vuoti.

Vanitas gli alzò la testa con un dito, in modo che potesse leggere nel suo sguardo.

- Quel che è successo qui, rimarrà qui. - Sora non disse niente, né diede segno di aver recepito il messaggio - Hai capito? Rispondi. -

- Sì. -

Bisbigliò lui, con la voce piccola come una capocchia di spillo.

- Bravo bambino. - gli scompigliò amorevolmente i capelli, poi gli diede un bacio delicato sulla fronte, tra i capelli zuppi di sudore - Sei proprio un bel giocattolo. Tornerò presto a giocare con te, va bene? -

- Sì. -

Rispose ancora Sora. Sembrava fosse l'unica cosa che sapesse dire.

- Buona giornata. -

Si accomiatò Vanitas.

Sistemò la cravatta della sua divisa, si infilò la giacca e se ne andò, senza aggiungere altro.

Sora si lasciò scivolare nuovamente sul pavimento. E cominciò a singhiozzare.


Extra: Ven's Diary

08/08/2008

 

 

 

 

 

 

CIAO!

Io sono Ventus! E tu sarai il mio diario SEGRETISSIMO! Quello che non leggerà nemmeno Roxas!

Roxas è mio fratello gemello, abbiamo tutti e due i capelli biondi e gli occhi azzurri. La mamma dice sempre che i nostri occhi sembrano dei pezzi di cielo incastonati (forse vuol dire “appiccicati”) nel nostro viso! Ma è così strano.. Si possono staccare dei pezzi di azzurro dal cielo?

Se è così, vuol dire che i vestiti azzurri li fanno prendendo il colore dal cielo?

Oh! La mamma mi ha appena detto di scrivere che oggi è il mio compleanno! Già! TANTI AUGURI A NOI! Sì, “noi” perché io e Roxas abbiamo festeggiato il compleanno insieme con tutti i nostri amici! Lo sai che tu, diario, sei stato regalato dalla mamma a me?

La mia mamma è stupenda e molto buona! Ha i capelli biondi come i nostri, però ha gli occhi verdi, magari ha preso il colore dal giardino di casa nostra! Le piace tanto curare le sue piantine e a me e Roxas piace aiutarla!

Io e Roxas facciamo sempre tutto insieme: studiamo insieme, andiamo al parco insieme, giochiamo insieme, aiutiamo la mamma insieme, saltiamo in braccio a papà insieme ogni volta che torna dal lavoro!

Papà è più vecchio di mamma, ma ha anche lui i pezzi di cielo appiccicati al viso, come noi! Mi piacciono tanto i suoi pezzi di cielo, sono più scuri dei nostri.. Magari si era dimenticato di prendere il colore prima e se n’è ricordato solo quando il sole era tramontato e stava arrivando la luna!

Sai perché quando il sole tramonta, tutto è rosso e arancione? Perché il colore arancione è quello che arriva più lontano! Roxas non fa che ripetermelo, dice che gliel’ha detto un suo amico. Solo che non me l’ha mai presentato. Ci voglio fare amicizia, un giorno!

Si è fatto tardi, devo andare a dormire.

CIAOOOO!

 

The Corner

Tanti auguri a me, tanti auguri a me, tanti auguri a Chii, tanti auguri a me! *lancia coriandoli in aria*
Come avete visto, oggi c'è un piccolo extra alla fine del capitolo.
Si tratta del diario segreto di Ventus (immagino che ormai si era capito),
scritto gentilmente da Hope_Estheim che ha deciso di farmi questo piccolo tributo/regalo.
Da questo capitolo in poi (salvo mie dimenticante e coerentemente con lei che deve scriverlo)
aggiungerò sempre una pagina del diario di Ven. Spero gradiate ;)
Passando a quello che è successo in questo ultimo capitolo...accidenti Vanitas, l'hai fatta grossa!
E ora?
E ora sono cavoli amari!
Grazie sempre a tutti coloro che mi recensiscono con affetto; ormai vi reputo degli amici!
Grazie anche a chi si diverte anche solo leggendo questa storia :3
Spero di smetterla con quella droga che si chiama "Kingdom Hearts", perché sto giocando notte e giorno, e mettermi a scrivere i capitoli nuovi ahahahah
prossima pubblicazione prevista per sabato 12 Ottobre, visto che ho pubblicato questo extra oggi,
spiacente di dovervi fare aspettare (e di aver pubblicato un capitolo più breve del solito ><)!
Alla prossima,
Chii

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Capitolo 20
*** Il corpo del reato ***


19

Il corpo del reato

 

Ventus si stiracchiò. Portò le braccia in alto sulla testa fino a sgranchire i tendini addormentati delle braccia. Uno sbadiglio gli sfuggì dalle labbra.

Lanciò un occhio verso l'orologio dal quadrante rotondo appeso alla parete opposta.

Mancava un quarto alle tre.

Inarcò un sopracciglio, confuso.

Possibile che fosse già così tardi?

In mensa non era rimasto quasi nessuno. I pochi studenti che ancora tardavano stavano parlottando animatamente tra di loro.

Xaldin fischiettava tutto contento, spazzando il pavimento della mensa con la scopa come se fosse la cosa più divertente di questo mondo.

Ventus guardò i due vassoi intonsi che aveva davanti a sé, poggiati sul tavolo.

Sora non era venuto a pranzo.

Il suo volto si oscurò.

Che fosse arrabbiato con lui al punto da piantarlo in asso?

Non credeva che Sora fosse il tipo da fare una cosa del genere.

Però, non l'aveva trattato un granché bene la sera prima...e neanche quella mattina. Dopo che lui aveva fatto tutto il possibile per farlo sentire meglio...

Una stretta gli prese il cuore. Si maledisse per essere stato così stupido.

Alla fine era successo quello che temeva: Sora, come tutti quelli che si erano avvicinati a lui, si era stancato, e aveva deciso di abbandonarlo.

Non era neanche una novità. C'era una parte di lui che già urlava “lo sapevo, lo sapevo!”.

Però per qualche ragione gli vennero le lacrime agli occhi.

Era un colpo duro da sopportare.

Si chiese se fosse il caso di tornare a casa sua. Si chiese come l'avrebbe presa. Si chiese se avrebbero litigato e lui gli avrebbe detto qualcosa come “non rivolgermi mai più la parola, sei morto per me”. Non sarebbe stata la prima volta. Però sarebbe stata la prima volta che mandava a puttane un rapporto dopo soli tre giorni.

Il suo record andava migliorando.

E tutto per colpa del suo essere così dannatamente introverso, e della sua decisione di macerare in silenzio i pensieri, le sensazioni e le conclusioni su quanto aveva visto a Twilight Town.

Gira e rigira il pensiero gli andava sempre lì. “La lingua batte dove il dente duole”, come diceva sempre sua madre...

Tirò un sospiro che sapeva di lacrime.

Preso com'era stato dall'aspettare l'arrivo del suo amico non aveva neanche mangiato. Adesso il purè di patate che aveva nel piatto gli sembrava una roba schifosa, idem per il pollo arrosto e i fagiolini al pomodoro che gli riposavano accanto.

Non aveva senso consumare quel pasto da solo. Non ne aveva neanche più voglia. E se non l'aveva fatto fino a quel momento di certo non si sarebbe messo adesso.

Con uno sbuffo raccolse il primo vassoio, intenzionato a buttare tutto il suo contenuto nella spazzatura.

- Non hai mangiato niente? -

Quasi si lasciò sfuggire tutto di mano.

Xaldin lo stava guardando con una faccia che diceva tutto. Quegli occhi color ametista erano ben piantati nei suoi. Teneva le mani appoggiate sulla cima del bastone della scopa, e il mento su di esse.

Ventus guardò i piatti intonsi e si sentì arrossire.

- No. Non avevo fame. -
Mentì, sapendo di non essere per niente verosimile.

Xaldin sbuffò.

- Il tuo amichetto non è venuto a pranzo con te oggi. - visto che non era una domanda, ma una dolorosa affermazione, Ventus non rispose neanche. Si limitò a mordicchiarsi l'interno della guancia, pensando e ripensando a Sora che lo abbandonava in quel modo spudorato. - Gli sarà successo un imprevisto. -

Suonava come un vago tentativo di consolarlo, e quindi Ventus non poté non rivolgergli un sorriso tirato.

- Sì, sicuro. -

Gli rispose.

L'uomo ebbe in pena quel ragazzino. Bastava dargli un'occhiata per capire che aveva solo voglia di scoppiare a piangere, e che si stava trattenendo a stento.

- Non arrivare a conclusioni affrettate. -

- Non arrivo a nessuna conclusione affrettata. -

- Ah no? - Xaldin si sporse per pizzicargli il naso, paternamente - Hai gli occhi pieni di lacrime, lo sai? -

Ventus si tirò indietro, cercando di sfuggire prima alla sua presa, e poi al suo sguardo.

Gli volse le spalle per andare a svuotare il contenuto del vassoio nella pattumiera.

L'uomo lo guardò senza dire una parola.

Poi tornò indietro per prendere anche il secondo vassoio.

- Peccato, il pollo era ottimo oggi. -

Commentò soltanto il cuoco, mentre anche il contenuto dell'altro vassoio finiva nella spazzatura.

Ventus non rispose. Non aveva voglia di pensare ad una risposta. A dire il vero non aveva voglia di pensare a nulla.

- Buona giornata Xaldin. -

Fece Ventus, cupo, schiaffandosi sulle spalle lo zaino e cominciando a dirigersi verso l'uscita.

- Xaldin-chaaaaaaaaan! Ho fame! - sia l'uomo che il ragazzino (come anche tutti quelli che erano presenti) sobbalzarono al solo sentire quell'urlo, che nell'ambiente vuoto della mensa rimbalzò mille volte - Xaldin-chan! Xaldin-chan! - era una voce riconoscibilissima. Il suo proprietario entrò spalancando le porte in maniera piuttosto plateale - Ah, eccoti! -

Vanitas andò incontro a Xaldin con un po' troppa vivacità.

E, cosa peggiore, era solo.

Vanitas non era mai solo.

Ventus cominciò a sentire un campanello d'allarme suonargli nelle orecchie.

Aveva visto Riku e la sua ragazza accomodarsi insieme in un angolo della mensa, qualche tempo prima, e pomiciare amabilmente senza pudore.

Lì per lì, non aveva avuto di che preoccuparsi, dato che non era raro che Riku tranciasse la simbiosi che aveva con Vanitas per instaurarne un'altra con la sua ragazza.

Di Roxas non aveva visto traccia, il che poteva significare due cose: 1, era andato a pranzare da qualche parte con Axel (e la cosa al solo pensiero gli faceva venire i brividi); 2, era con Vanitas in giro per la scuola a fare i dispetti a qualcuno.

L'arrivo inaspettato del moro, la sua entrata in scena in puro stile ho-appena-combinato-qualcosa, fecero venire una stretta al cuore di Ventus che per poco non cadde dritto disteso sul pavimento, tanto forte era la nausea che cominciava a prendergli lo stomaco e tanto terribile era la sensazione di allarme che gli stringeva l'anima.

Vanitas corse da Xaldin, gettandosi tra le sue braccia neanche fossero amici di vecchissima data.

- Ho fame! -

Gli disse, tirandogli un rasta nero.

Xaldin lo scostò con poca gentilezza. Si vedeva che stava morendo dalla voglia di tirargli un pugno nello stomaco. Ma teneva troppo al suo lavoro per essere licenziato in tronco per colpa di un moccioso qualsiasi.

- Mi dispiace, sei arrivato tardi: la cucina è chiusa. -

- Dai su! - si lamentò il moro, sbattendo piano le palpebre - Fa' un'eccezione per me, sto davvero morendo di fame! -

- Non si fanno eccezioni, la cucina è chiusa. -

Ribadì nuovamente l'uomo, serio come non mai.

Vanitas sbuffò con fare infantile, e si lasciò sfuggire una smorfia.

- Io pensavo che ci tenessi a nutrire gli studenti della scuola. -

- Se vengono in orario, sì. -

Il moro sbuffò ancora.

- E va bene. - i suoi occhi gialli caddero su Ventus, che si sentì rabbrividire - Magari posso mangiare te, che dici? -

L'improvviso gelo che prese le viscere di Ventus gli fece venire voglia di urlare.

C'era qualcosa di malsano in quello sguardo, qualcosa che andava vicino alla soddisfazione dopo un atto di terribile crudeltà.

Lo scapaccione che Xaldin rivolse a Vanitas sorprese sia il diretto interessato sia Ventus.

- Non accetto cannibali nella mia mensa. - lo reguardì l'uomo, mentre Vanitas si massaggiava il collo con una faccia a dir poco scioccata - Ti prendo qualcosa, vatti a sedere. -

Il suo suonò come un ordine, tanto che il moro scattò sull'attenti come a fare un saluto militare, portandosi una mano di taglio sulla fronte e mormorando un “signorsì!”.

Mentre Xaldin si allontanava, irritato come poche cose al mondo , Ventus osservò Vanitas che si accomodava al tavolo.

Il biondo sapeva ancora prima di parlare che quello che avrebbe scoperto da Vanitas non gli sarebbe piaciuto, ma gli andò comunque vicino.

- Dov'è Sora? -

Gli chiese a bruciapelo, senza dargli neanche la possibilità di stupirsi.

Gli occhi gialli di Vanitas percorsero il suo viso con brama crescente.

- Sora? Non conosco nessun Sora. -

Ventus sbatté la mano sul tavolo, facendo sobbalzare il moro.

- Non ho voglia di giocare con te! Dov'è Sora?! -

Vanitas fece un ghigno.

- Quanta intraprendenza. - abbassò la voce - Se ti frantumassi ad una ad una tutte le ditina di quella tua manina, continueresti a rivolgerti a me in questo modo? -

Ventus deglutì a vuoto, ma non lasciò che la minaccia lo scoraggiasse.

- Prima di arrivare a farlo perderesti un paio di denti. Dimmi che cosa hai fatto a Sora. Dimmi dov'è. -

Vanitas valutò l'idea di dirglielo, valutò l'idea di dirgli tutto. Sarebbe stato spassoso vederlo arrabbiarsi tanto da volerlo picchiare, e lo sarebbe stato altrettanto sottometterlo al suo volere e fargli capire quanto piccolo e insignificante era.

Ma c'era Xaldin. Non gli avrebbe permesso neanche di torcergli un capello. Non si sarebbe potuto divertire come voleva.

- L'ultima volta che l'ho visto era il palestra. -

Disse il moro, con fare sognante.

Ventus sentì il vuoto prendergli lo stomaco, mentre il cuore accelerava i battiti.

- Che cosa gli hai fatto? -

- Io? Assolutamente niente. -

Ma la sua voce forzatamente innocente disse al biondo tutto il contrario.

Prima che potesse aggiungere altro, Ventus cominciò a correre.

Imboccò la porta della mensa con tale velocità che quasi rischiò di scivolare.

Mentre sfrecciava via, Xaldin poggiò sul tavolo davanti al moro un vassoio colmo di cibo.

L'uomo guardò il punto in cui era sparito il biondo con un sopracciglio inarcato.

- Perché è andato via così di fretta? -

Vanitas al solo sentire quella domanda, detta con quel tono, fu quasi soffocato da un eccesso di risa che gli occludeva la gola. Era così divertente, era tutto così divertente.

- Pare che avesse la diarrea, poverino. -

Gli rispose, con un sorriso sornione che lasciava intendere molto più di quanto lui volesse.

Xaldin valutò bene quella risposta, non perché ci credesse, ma perché temeva che fosse successo qualcosa di grave, e che quel ragazzo irrecuperabile ne fosse la causa.

- La diarrea eh... - sussurrò Xaldin, con un'aria poco rassicurante. Vanitas gli annuì, e infilò una forchettata di carne in bocca, senza aggiungere altro. L'uomo strinse i pugni tanto che le vene della mano affiorarono sulla pelle. Non riuscì a resistere. Afferrò il moro dal bavero della giacca e lo sollevò, in modo che i loro occhi potessero specchiarsi gli uni negli altri. Vanitas quasi si soffocò con il boccone di cibo. - Senti un po' moccioso. - gli disse tra i denti Xaldin - Se vengo a sapere che hai fatto qualcosa di male a Ventus o al suo amico matricola, niente mi impedirà di venire prendere a calci il tuo culo finché non smetti di respirare, hai capito? Dovesse anche costarmi il lavoro. - avvicinò il suo viso al proprio, così che il suo respiro gli sfiorasse la pelle - E vedi che non sto scherzando. -

Poi lo lasciò, all'improvviso.

Vanitas rischiò di cadere a terra, ma fu dignitoso nel sostenere lo sguardo del cuoco, i cui muscoli si erano gonfiati per via dell'adrenalina.

Xaldin si allontanò, senza aggiungere altro, e tornò a fare quello che stava facendo prima, ossia spazzare il pavimento. Non fischiettava più.

- Fa' pure, bestione. - sussurrò Vanitas, tra sé e sé - Tanto non ho nessuna ragione per continuare vivere. -

 

Ventus derapò in curva per infilarsi nel corridoio che portava alle scale che davano alla palestra.

Nella fretta di uscire aveva lasciato tutte le sue cose in mensa. Poco male, Xaldin di certo le avrebbe trovate e conservate, e lui sarebbe potuto andare a prendersele il giorno dopo. Non avrebbe di certo sofferto la mancanza del diario e dei quaderni.

La scuola era ormai deserta. Gli studenti erano ritirati nelle aule dei club, oppure ai campi sportivi; qualcuno sicuramente in biblioteca.

Ma i corridoi erano vuoti.

La corsa affrettata di Ventus risuonava tra le pareti come se si trovasse in una grotta.

Non riusciva più a distinguere il tamburellare ritmico dei suoi piedi sul pavimento da quello del cuore nel suo petto.

Non riusciva neanche più a vedere dove sta andando. Qualunque fosse la sua destinazione, ci andava ad istinto. I suoi occhi erano colmi di panico e lacrime gli offuscavano la vista.

Quando andò a sbattere contro un petto robusto e finì a terra in mezzo ad un mucchio di carte, non riuscì neanche ad imprecare.

Il dolore al fondoschiena gli arrivò in ritardo e poté gemere solo quando constatò che non si era fatto niente di grave.

- Ahia, ma che botta. -

Farfugliò l'oggetto-camminante-non-identificato contro cui era andato a sbattere.

I suoi occhi misero a fuoco la persona impattata.

Ma fu prima squadrato da uno sguardo azzurro intenso.

- Roxas? Ma che diavolo combini! - forse fu dalla faccia di Ventus che Terra si accorse di aver appena scambiato i due gemelli - Ehm, Ventus! - si riprese.

Il biondo alzò gli occhi al cielo e si rialzò, spolverando la divisa con le mani. Poi ne porse una a Terra per aiutarlo a rialzarsi.

- Scusami, sono di fretta. Non ti ho visto. -

Si giustificò. Mentre parlava, il suo sguardo blu era già proiettato in avanti. Anche se era lì fisicamente, con la testa era altrove.

- Me ne sono accorto. - commentò scettico Terra, recuperando le carte che gli erano cadute dalle braccia - Ehi, ma è successo qualcosa? -

Era così palese il terrore nei suoi occhi? Era così palese il suo cuore che batteva tanto forte da potersi vedere attraverso la camicia? Era lui così palese?

- No...sì...cioè...non lo so. - fu il commento di Ventus. Dovette mordersi le labbra quando sentì le lacrime salirgli agli occhi. - Devo andare adesso, scusa. -

Fece per riprendere a correre, ma Terra lo afferrò per un braccio.

- Aspetta, è un secolo che non facciamo due chiacchiere. -

Ventus fissò gli occhi in quelli azzurri di Terra e soffrì enormemente nell'appurare quanta tristezza ci fosse in quello sguardo.

Da quanto tempo aveva abbandonato quell'amicizia? Da quanto tempo aveva lasciato che le cose tra loro si diluissero fino a dissolversi? Aveva davvero fatto così tanto male a Terra?

- Magari un altro giorno...devo andare sul serio. -

- E dai, il Destino ha voluto che ci scontrassimo. Magari vuole anche che parliamo un po'. - abbassò la voce di un tono - E che mi racconti che cosa sta succedendo a casa. - poi gli sorrise - Quale occasione migliore di questa? -

- No Terra, veramente, non capisci. - Ventus si divincolò, e il giovane lo lasciò andare - Ho una cosa importante da fare. Un altro giorno, ok? -

Lo sguardo di Terra si rabbuiò, inghiottito da un'oscurità dalla quale non c'era ritorno.

- È sempre “un altro giorno” Ventus. Un altro giorno, un altro giorno, ed è passata tutta l'estate. - il biondo si sentì colpito nel vivo - Non ci hai cercato neanche una volta. Aqua era molto in pensiero, sai? -

Ventus fu tentato di dire “neanche voi mi avete cercato”, ma sapeva che era una coltellata che non poteva inferire all'amico.

- Mi dispiace...veramente...ma avremo modo di parlare te lo giuro, solo...adesso no. Per favore Terra, adesso no. -

Terra aveva un modo tutto suo di capire quando un “no” era un “no” necessario e non una semplice scusa. E soprattutto, aveva un modo tutto suo di capire Ventus.

- C'entra quel ragazzino, la matricola? - disse. Cercò nella sua mente il nome, e poi lo trovò, come un'illuminazione. - Sora? -

Visto che Ventus impallidì, Terra capì di aver azzeccato.

- Chi ti ha detto di Sora? -

- Un uccellino dai capelli azzurri da cui tu sei andato per raccomandarlo. - “Ah, certo, Aqua.” sospirò Ventus. Doveva aver fatto la spia a Terra subito dopo aver parlato con lui. Doveva prendere in conto il fatto che era una donna troppo sentimentale quando si trattava di certe cose. - Allora? C'entra lui? - incalzò il bruno, con gli occhi grandi di aspettativa.

- È proprio per accertarmene che sono così di fretta. -

Terra corrucciò le sopracciglia.

- Mi dici che cosa è successo quindi? - Ventus si mordicchiò le labbra - Senti, lo so che Vanitas vi da noia, dimmelo e basta. -

- Sora doveva venire con me a pranzo ma non si è presentato Vanitas è spuntato in mensa con una faccia poco confortante ha detto che l'ultima volta che ha visto Sora era in palestra io ho paura che gli abbia fatto qualcosa dopo la lezione di ginnastica è stavo correndo in palestra prima di venirti addosso. -

Solo quando finì di sciorinare tutta quella pappardella, senza neanche aver preso un respiro, una pausa o una virgola (cosa che per Terra fu estremamente fastidioso dal punto di vista di un insegnante di letteratura), Ventus sigillò le labbra, capendo di aver detto troppo.

- Ok, vengo con te. -

- Tu...cosa?! -

- Vengo con te. - ribadì Terra, serio più che mai - Non mi interessa se Vanitas è il cocco del Superiore. Ne ho abbastanza di lui e delle sue cazzate. -

Ventus si sentì stranamente sollevato all'idea di non essere solo in quel momento, di non dover affrontare tutto quello senza poterlo condividere con nessuno.

Forse aveva sbagliato a voltare le spalle a Terra e Aqua, quando loro non avevano mai smesso di proteggerlo dall'alto.

Quindi si incamminarono insieme verso la palestra.

- Non scambiarmi più con Roxas. -

Disse solo il biondo, mentre camminava con lo sguardo dritto davanti a sé.

Il tono con cui l'aveva detto aveva un che di tenero, e fece sorridere Terra.

- Non lo farò, promesso. -

 

Ventus scese le scale che portavano alla palestra con un groppo in gola che gli impediva di respirare.

Aveva paura di trovare Sora, ma aveva ancora più paura di non trovarlo.

Cosa avrebbe fatto se Vanitas voleva farlo giocare di nuovo a qualche perversa caccia al tesoro come il giorno prima? E se non fosse stato in grado di risolvere gli indizi?

Lanciò uno sguardo a Terra. Con il suo aiuto, era improbabile non riuscirci.

Però aveva paura lo stesso, una paura fulminante che gli faceva tremare il cuore.

La palestra era semi-buia. Terra aprì un'anta della porta. L'odore di sudore, chiuso, gomma di scarpe e palloni prese entrambi alla gola.

Non c'era nessuno, a parte gli attrezzi da ginnastica.

Terra guardò Ventus con uno sguardo esplicito.

- Deve essere qui. -

Rispose solo il biondo, avendo capito in anticipo quello che lui voleva dirgli.

Però gli occhi di Ventus incontravano solo un desolato vuoto.

- Magari se n'è andato a casa? Oggi l'ho strapazzato un po' in classe... - Ventus lo guardò malissimo - Ha fatto un pessimo compito. -

Cercò di giustificarsi Terra, come se gli fosse dovuto un comportamento più duro nei confronti di Sora.

- L'ho aiutato io a farlo, era perfetto. -

- Era troppo corto. -

- È una matricola! -

- È irrilevante! -

I due si scambiarono degli sguardi di fuoco. Ventus odiò l'amico di sempre per come doveva aver trattato il suo nuovo amico. E si chiese se sarebbe mai dovuto arrivare a scegliere tra uno di loro.

- Perché stiamo discutendo? -

Chiese alla fine, sospirando.

Terra si strinse nelle spalle, perdendo completamente l'aria da insegnante severo che di solito lo circondava quando parlava con qualcuno all'interno della scuola.

- Che ne dici se proviamo negli spogliatoi? -

Chiese il ragazzo, indicandone le porte.

Ventus gli rispose solo annuendo.

Si diressero di gran carriera verso gli spogliatoi.

Il biondo si sentiva oppresso, gli mancava l'aria, come se qualcuno gli si fosse seduto sul petto.

Respirava affannosamente e sudava freddo. Forse stava avendo un attacco di panico e stava andando in iperventilazione.

Non sai ancora cos'è successo. Magari non è successo proprio niente.” si disse per calmarsi “Perché ti fasci la testa prima?”

La sua coscienza poteva anche avere ragione, ma lui continuava a non crederle.

Entrarono nello spogliatoio maschile.

Anche lì sembrava tutto deserto.

Ventus cominciò a credere che forse era arrivato a conclusioni affrettate, forse davvero Vanitas non aveva fatto niente, forse Sora se n'era solo andato a casa perché era arrabbiato con lui.

Terra gli poggiò una mano sulla spalla. Era gelido.

- Hai sentito? -

Gli chiese.

- Cosa? -

Ventus provò a cercare lo sguardo azzurro di Terra, senza però trovarlo.

- Ascolta. -

Disse solo.

Tendendo le orecchie, Ventus sentì degli strani lamenti, piccoli e convulsi, come di qualcuno che ha smesso da tempo di piangere, ma non riesce comunque a calmarsi. Quel genere di lamenti che vengono fuori senza poterci fare niente.

- Hai sentito adesso? -

Chiese di nuovo Terra.

Un brivido percorse la schiena di Ventus.

- Sora? - chiamò a gran voce il biondo. Non ci fu alcuna risposta, ma i lamenti non cessarono, anzi si fecero più sottili e sommessi, come se avessero voluto fermarsi senza riuscirci. - Sora? -

Provò ancora.

- Viene di là, dietro gli armadietti. -

Terra precedette Ventus prima che lui potesse fare o dire qualcosa.

I due superarono la prima fila di armadietti. Ventus vide che ce n'era uno aperto. Immediatamente i suoi occhi scivolarono sul pavimento, dove incontrarono la cartella di Sora. Era la sua, era sicuro la sua, perché era leggermente aperta e lui intravide all'interno il fascio di fogli con il compito per Terra che avevano fatto insieme.

- Oh Dio. -

Ventus si riscosse al suono di quelle parole. Scollò lentamente gli occhi dalla cartella per seguire i movimenti di Terra.

E allora lo vide: Sora, raggomitolato, piccolo, minuscolo contro il suo stesso corpo. I capelli sfatti che gli coprivano il viso incrostato di sale e di lacrime che continuavano a solcargli la pelle. I pugni così stretti da graffiare i palmi con le unghie.

Terra si inginocchiò accanto al ragazzino. Gli poggiò una mano sulla spalla, chiamando piano il suo nome.

La reazione di Sora fu inaspettata: urlò, urlò con tutto il fiato che aveva nei polmoni, e tirò un calcio dritto il faccia al giovane professore.

Terra, preso alla sprovvista, cadde all'indietro, portandosi una mano sul volto.

Sora scalciava come un matto, urlando e urlando fino a perdere la voce. Ma anche in quel momento, il suo volto continuava ad urlare, con la bocca spalancata e gli occhi sgranati e fissi nel vuoto.

- Merda! -

Imprecò Terra. Si guardò il palmo della mano: era ricoperta di sangue.

Un taglio bello profondo gli solcava il naso dove il calcio di Sora l'aveva colpito. Aveva evitato l'occhio destro per un pelo.

- Sora, calmati, sono io, sono Ventus! -

Provò il biondo, disperato.

Le sue parole sembrarono sortire un qualche effetto perché Sora smise di agitarsi e urlare. Tornò ad avvolgersi su se stesso, reggendosi le gambe al petto.

Ventus poté avvicinarsi a lui, con cautela.

- Attento. -

Lo intimò Terra. Lo guardò con la coda dell'occhio. Stava perdendo davvero un sacco di sangue.

Cominciava a girargli la testa.

- Sora, ehi. - fece Ventus. Gli occhi cerulei di Sora si alzarono appena verso di lui. - Stai bene? Che cosa è successo? - il bruno scosse piano la testa e ricominciò a piangere - No, su, è tutto a posto. Ci sono io, ok? Sono qui. -

Sora gli afferrò una mano, con forza, stringendolo tanto da fargli male. Ma lui non lo diede a vedere.

Provò ad aiutarlo a tirarsi su a sedere, ma Sora espresse il suo dissenso scuotendo la testa.

- Ven, guarda. -

Lo richiamò Terra.

Ventus seguì il suo sguardo e il suo cuore perse un colpo: i pantaloni di Sora erano zuppi di sangue.

Che cosa ti ha fatto?” riuscì solo a pensare Ventus.


Ven's Diary

 

07/08/2009

 

 

 

 

Caro diario, è da un anno che non ti scrivo. Da un anno meno un giorno.

Ho paura, caro diario! Domani è il nostro compleanno, mio e di Roxas, ma la mamma stanotte si è sentita male e probabilmente domani non festeggiamo.

E’ da un bel po’ di settimane che la mamma sembra così triste.. Ha il viso bianco e i suoi occhi verdi come il nostro giardino sembrano… sembrano… spenti. Forse il sole non è riuscito ad illuminare quel giardino, quest’estate.

Papà è molto nervoso, ora siamo in ospedale ed è tardi. Tra poco sarà mezzanotte e io ho paura di non poter fare gli auguri a Roxas sorridendo. Perché non riesco a sorridere.

Roxas sta fissando papà e sta cercando di chiedergli cos’ha la mamma. Mi ha promesso che se papà gli dice qualcosa, lui lo dice subito a me. Mi fido di Roxas, anche se l’altro giorno ha detto che se non gli davo le figurine rare dei Pokémon avrebbe detto alla mamma che ho tirato un calcio ad una pietra e ho rotto la finestra del vicino, quel vecchiaccio del dottor Vexen!

Ti saluto, si sta avvicinando un dottore e voglio sapere che ha la mia mamma. Sono sicuro che potrò correre ad abbracciarla e con lei festeggeremo il nostro 12° compleanno!

 

 

 

 

 

 

La mamma ha deciso di diventare parte dell’azzurro del cielo.


The Corner

Ciao a tutti!
Come va?
Io sto morendo di sonno e vorrei tornare a dormire! XD
Bene, parliamo di cose serie XD
In questo capitolo torna il nostro Ventus, è un po' che non lo si vede, eh?
E Sora ha ricevuto l'aiuto di cui aveva bisogno!
Riuscirà a riprendersi dallo shock?
Sinceramente...non lo so neanche io ahahahah
Ci si vede giovedì 17 Ottobre!
Grazie a tutti per le recensioni :3
Chii

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Capitolo 21
*** Il Vicepreside ***


20

Il Vicepreside

 

- È sangue? Terra, quello è sangue?! -

Sbraitò Ventus. Il cuore non avrebbe retto a tutte quelle emozioni.

- Purtroppo, credo di sì. -

Fu la sua funerea risposta.

- E che vuol dire? Perché è lì? -

Lo sapevano tutti e due, ma Ventus non voleva accettare quel pensiero.

- Dobbiamo portarlo in infermeria. - Terra si passò una mano tra i capelli castani. Il naso sanguinava ancora. - Questo è proprio un bel casino. -

Il giovane insegnante si portò nuovamente, e con cautela, vicino al ragazzino. Non appena provò a toccarlo, Sora impazzì di nuovo e rischiò di colpirlo ancora una volta.

Ventus strinse la sua mano.

- No Sora, è Terra, ti aiuta. -

Provò, cercando di calmarlo. Ci volle qualche secondo prima che Sora realizzasse e si facesse toccare.

- Sembra che ascolti solo te. - concluse Terra - Digli che ora lo prendo in braccio per portarlo in infermeria. -

- Penso che ti abbia sentito... -

Sussurrò Ventus.

Terra scosse la testa.

- Può anche avermi sentito, ma non mi ha ascoltato. In questo momento gli arriva solo la tua voce. Diglielo. - fece una pausa - Vorrei risparmiarmi un altro calcio in faccia. - aggiunse sorridendo.

Ventus annuì. Scostò i capelli dal volto di Sora in modo che potessero vedersi negli occhi.

- Sora...Sora...lasciati prendere da Terra, io non ce la faccio a portarti sulle spalle. Ti portiamo in infermeria, così ti faranno stare meglio. -

Lì per lì non ci fu alcuna reazione, e Ventus credette che Terra si fosse sbagliato di grosso.

Poi il bruno annuì appena, così lentamente che quasi non se ne accorse. Ma Terra sì. Gli bastò, e si premurò di prendere il ragazzino di peso e caricarselo sulle spalle.

Lui teneva ancora la mano stretta in quella di Ventus.

- Non lo lasciare. -

Gli intimò Terra, mentre sistemava il corpicino del suo studente in modo che non potesse cadere.

Ventus scosse forte la testa e aumentò la presa sulla mano di Sora.

- Non ne ho intenzione. -

Il giovane gli fece un cenno affermativo.

 

Percorsero quasi correndo i corridoi della scuola.

Ventus cercava di mantenere il passo di Terra che, dall'alto del suo metro e settantacinque, aveva dalla sua un paio di gambe molto più lunghe di quelle del ragazzino.

Ma nonostante tutto, non smise un attimo di tenere la mano stretta a quella di Sora.

Ogni tanto alzava gli occhi per cercare quelli di Sora, e l'unica cosa che trovava erano due specchi cerulei colmi di lacrime, senza espressione e senza sentimenti. Sembrava completamente assente.

Per quanto Ventus si sforzasse di immaginare che cosa poteva essergli successo, ogni qual volta il pensiero si avvicinava a quella che poteva essere la soluzione del problema un groppo gli stringeva la gola e lo faceva soffocare.

Vanitas, sangue, Sora. Erano tre elementi che dovevano essere presi singolarmente.

Il suo cuore si rifiutava di trovare un minimo comune divisore tra loro.

Anche perché sarebbe dovuto giungere ad una conclusione che l'avrebbe fatto impazzire di dolore.

Possibile che Vanitas avesse davvero fatto quello che non voleva pensare?

Aveva davvero avuto questo coraggio?

Immancabilmente, il pensiero andò a Roxas e a Riku. Quanto sapevano loro di quella storia? Cosa sapevano?

E se sapevano, perché non l'avevano fermato?

Anche per quello, la sua mente si rifiutò di approfondire il pensiero. Avrebbe voluto dire che suo fratello si era macchiato di un'altra terribile colpa, e non voleva immaginarlo complice di quello scempio.

Terra aveva spinto il pensiero molto più in là di Ventus, pensando non solo a quello che era stato fatto, ma a quello che avrebbero dovuto fare per porvi rimedio.

Anche se non poteva additare nessuno come colpevole, quella era certo una violenza che andava punita.

Avrebbero dovuto allertare il Superiore, i genitori del ragazzo e...la polizia. Non avrebbero potuto permettere di lasciare un violentatore a piede libero per la scuola.

Doveva necessariamente essere qualcuno interno alla struttura, perché era difficile che degli estranei potessero metterci piede. E questo stringeva drasticamente la cerchia dei sospettati.

Di certo ne sarebbe nuociuto all'immagine della scuola...

- Aprimi la porta. -

Disse leggero a Ventus. Lui annuì forte e aprì la porta dell'infermeria, stando ben attento a non lasciare mai la mano di Sora.

- Vexen? È qui? -

Chiamò Terra a gran voce, mentre muoveva qualche passo incerto nella stanza.

- Sono qui. Arrivo subito, un attimo. - ci fu tutto un trafficare di provette e vetro che tintinnava, un frusciare isterico di fogli, e poi l'uomo in camice li raggiunse - Sì? - i suoi occhi verdi e gelidi misero a fuoco Terra, e il corpo semi incosciente del ragazzino sulle sue spalle - Professor Terra, che è successo? -

- È quello che ci chiediamo anche noi. - fu la risposta affannata del giovane - Abbiamo trovato il ragazzo svenuto negli spogliatoi maschili della palestra. Sembra che sia ferito... - Terra sospirò pesantemente - ...e sotto shock. -

Ventus si affrettò ad avvicinare le labbra all'orecchio di Sora per rassicurarlo sulla presenza di Vexen, prima che reagisse in modo incontrollato come poco prima con Terra.

L'uomo lo scostò malamente e si avvicinò al ragazzino. Per fortuna, Ventus riuscì a tenere le loro mani intrecciate, altrimenti Sora avrebbe dato di matto un'altra volta.

- Lo stenda sul lettino. -

Gli disse, con un certo tono autoritario.

Terra non se lo fece ripetere.

Con Ventus al seguito, attaccato a Sora come fosse la continuazione naturale del suo braccio, il giovane insegnante adagiò il ragazzino su di un lettino con massima delicatezza, e poi si allontanò.

Vexen lanciò un'occhiata critica alle mani di Ventus e Sora intrecciate tra loro.

- Dovresti lasciarlo. -

Disse al biondo, che gli rivolse un'occhiata blu, liquida di lacrime.

- Io...io preferirei rimanere così se non è un problema. -

- È un problema. -

Ribatté l'uomo, gelido e freddo come una stilettata di ghiaccio.

Ventus si sentì rabbrividire e socchiuse gli occhi, come se la sua voce ghiacciata gli si fosse conficcata nel petto.

- Non può fare un'eccezione, Vexen? Sembra che lui sia l'unico in grado di tranquillizzare il ragazzo. -

Provò Terra.

Gli occhi verde spesso di Vexen passarono dall'uno all'altro. Strinse le labbra sottili in una smorfia poco confortante, che poteva dire tutto e niente.

- No. - visto che l'espressione del biondo era la più strappalacrime che si potesse immaginare, il medico alzò gli occhi al cielo e sospirò - Terminata la visita, dopo che mi sarò accertato delle sue condizioni, potrà fare quello che vuole, adesso ho bisogno di lavorare senza avere nessuno in mezzo ai piedi. - poi squadrò il viso di Terra, con una certa noia - Appena finito darò anche un'occhiata a quel taglio. -

- Dai Ven, lascialo. -

Furono le uniche parole di Terra.

Ventus corrucciò le sopracciglia, quasi incredulo. Stava davvero sentendo quelle parole, o era tutto frutto della sua immaginazione?

Non poteva esistere, in nessun mondo, Terra che diceva davvero quelle cose.

Visto che il bruno continuava a guardarlo intensamente, Ventus capì che non stava affatto scherzando.

Rivolse l'attenzione tutta a Sora, ai suoi occhi cerulei dispersi nella nebbia.

- Sora, posso lasciarti un secondo? Solo un secondo? Il medico ti visita più velocemente se non ci sono io a fargli da impiccio. -

Gli disse, con tutta la dolcezza di cui era capace.

Il brunetto non ebbe nessuna reazione, e Ventus sentì la pena stringergli il cuore. Poi lui spostò gli occhi cerulei nei suoi, e lentamente lasciò la presa sulla sua mano.

Il suo sguardo voleva dire qualcosa come: “solo un secondo, eh?”.

Ventus provò a confortarlo con un sorriso. Ma Vexen li separò sgarbatamente e il biondo fu spinto indietro, tra le braccia di Terra, mentre lui chiudeva le tendine intorno al lettino per imporre una separazione più che fisica.

Ventus rivolse gli occhi verso l'amico, che strinse le mani sulle sue spalle, come a volerlo confortare, e nello stesso tempo come a volersi trattenere dal fare o dire qualcosa di poco piacevole.

 

Sora non emetteva un suono. Mentre prima aveva dato fiato ai polmoni, adesso tra le mani del medico sembrava non essere neanche più cosciente.

Ventus cominciava ad essere seriamente preoccupato.

Vexen non aveva detto una parola che fosse una, né per dargli una buona notizia, né per dargliene una cattiva.

Forse non era interessato a quello che potevano provare Ventus e Terra nell'attesa.

Quell'uomo era gelido più del ghiaccio.

Ventus fece dondolare avanti e indietro le gambe, seduto sulla sedia. Aveva smesso di mordersi le labbra quando il gusto del sangue gli aveva inondato la bocca e il dolore aveva cominciato a farsi insopportabile.

Terra, seduto accanto a lui con le braccia incrociate e l'espressione truce, non faceva che guardare la sagoma di Vexen che si intravedeva dietro la tendina.

Il biondo non sapeva cosa pensare, quindi per non sbagliare non pensava a niente.

Si era chiuso in un mutismo perplesso, mentre i suoi occhi si perdevano in qualche punto vuoto davanti a lui.

- Pensi che sia stato Vanitas? -

Gli chiese Terra all'improvviso. Nella sua voce c'era una nota di rabbia profonda, oscura come un abisso.

Ventus non riuscì a togliere di dosso gli occhi da quel punto lontano e vuoto che stava fissando.

Rispose senza guardarlo, continuando a far dondolare avanti e indietro le gambe.

- Non lo so. -

Lo sapeva, ma non poteva dirlo. Dato che non riusciva ad accettare quello che era successo, non poteva neanche prendere in considerazione l'idea che ci fosse un colpevole. Se non c'era il colpevole, non c'era il crimine.

Terra strinse i pugni.

- Sei proprio sicuro? -

Però Ventus non rispose.

Come poteva esserne sicuro?

Lui non era sicuro neanche di volerci pensare. Perché Terra continuava a dargli il tormento costringendolo a trovare una spiegazione logica a quello che era successo?

Voleva allontanare il più possibile da sé il momento in cui avrebbe scoperto come erano andate le cose.

Il suo unico desiderio si limitava al voler stare accanto a Sora.

Vexen scostò la tendina di malagrazia. Sia Ventus che Terra saltarono in aria.

Il medico si premurò di richiuderla alle sue spalle mentre si avvicinava a loro. Si tolse i guanti e li gettò nel cestino più vicino.

Sul viso scarno era impressa un'indecifrabile espressione.

- Vuol venire nel mio ufficio, professore? Come le ho detto, darò un'occhiata al taglio che ha sul viso. -

Disse, con la sua voce sottile e fredda tanto quanto il suo sguardo.

Ventus lanciò uno sguardo all'amico, credendo che avrebbe difeso il suo ruolo e che avrebbe imposto a Vexen di includerlo in quello che si sarebbero detti. Era plateale che l'uomo volesse parlare in privato con Terra usando una banale e quanto mai stupida scusa.

Terra, però, non fece altro che tirarsi in piedi senza rispondere, e senza dire una sola parola in difesa di Ventus.

- Non avvicinarti al paziente. -

Gli disse Vexen, intercettando subito il suo pensiero. Il biondo si sentì congelare sul posto, e l'istinto di alzarsi per raggiungere Sora non appena i due avessero girato le spalle morì sul nascere.

Vexen precedette Terra nella stanza adiacente, dove si trovava il suo studio privato.

Si chiusero la porta alle spalle e lasciarono Ventus solo. Solo, con la voglia incontrollabile di alzarsi per andare da Sora, e avvolgere nuovamente la propria mano alla sua.

 

Vexen non fece accomodare Terra mentre prendeva dalla vetrinetta addossata al muro un nuovo paio di guanti, disinfettante e cotone idrofilo.

Il giovane insegnante rimase al suo posto anche quando il medico, dopo essersi infilato i guanti, imbevette di disinfettante un pezzetto di cotone. L'odore di alcol lo prese alla gola, facendogliela pizzicare.

- Si sieda. -

Fu il suo ordine perentorio, e solo in quel momento Terra prese posto su una delle due sedie che si trovavano al di là della scrivania.

Era uno studio tetro e freddo, quello. I mobili erano tutti laccati di bianco. La massima espressione di colore era data dalle boccette di disinfettanti e sciroppi che si trovavano nella vetrinetta.

La scrivania era bianca, la poltrona su cui Vexen doveva essere solito sedersi era bianca, anche le poltrone per gli “ospiti” erano altrettanto bianchi.

Sembrava di entrare nell'ambiente asettico di un ospedale.

Con il vago sentore di vecchio e di chiuso, dato dalla mancanza di una finestra che poteva far cambiare l'aria, quel posto non era rassicurante. Con la porta chiusa e la luce fredda (bianca, come tutto il resto) che illuminava l'ambiente, si aggiungeva la sensazione di trovarsi in una stanza sotterranea. La stanza sotterranea di un qualche ospedale.

Terra storse il naso quando il disinfettante gli bruciò la pelle, ma non ebbe nessun'altra reazione visibile.

- È solo un taglio poco profondo, non c'è niente di cui preoccuparsi. Come se l'è causato? -

Disse Vexen. Non sembrava contento della diagnosi, magari avrebbe preferito dover ricucire per intero un pezzo del naso di Terra. Non dovevano capitargli molti casi interessanti, chiuso nell'infermeria di una scuola. Per questo stentava a trattenere la gioia di aver avuto finalmente un ferito degno di questo nome.

- Quando mi sono avvicinato al ragazzo, lui ha reagito male. Non me lo aspettavo e non sono riuscito ad evitare il colpo. Oh, e c'era un mucchio di sangue. -

Fece Terra. Odiava il modo in cui gli occhi dell'uomo esprimevano il desiderio di tornare di là a giocare con il corpo di Sora, già violato da altri.

- Sì. - sbottò Vexen - È una zona dal facile sanguinamento. - fu la sua unica spiegazione. Voleva quasi dire che Terra era stupido per non essersene accorto. Anche se aveva poca voglia di occuparsi di lui, fu con mani delicate che Vexen pulì il taglio da tutto il sangue. D'altronde era pur sempre un medico, e il suo codice deontologico lo obbligava a prendersi cura indistintamente di chiunque chiedesse il suo aiuto, anche se fosse stato un semplice ipocondriaco. - Non occorre neanche applicare una fasciatura. Basterebbe un cerotto, ma ormai il sangue è coagulato da solo. Si porterà appresso il segno per qualche settimana, professore. Veda di non togliere la crosta o di usare prodotti per il viso troppo aggressivi. - abbassò il tono della voce - E le conviene anche trovare una spiegazione valida a chiunque la chiederà. -

Terra sentì il sangue ghiacciargli nelle vene.

Deglutì a vuoto, senza far capire al medico che l'aveva fatto rabbrividire.

Che cosa intendeva con quelle parole?

- Vexen la prego, adesso vorrei sapere che cosa è successo al ragazzo. Qual'è la sua diagnosi? -

Non si accorse di stare stringendo i pugni tanto forte da farsi scricchiolare le dita.

Vexen andò a sedersi alla sua poltrona. Dopo essersi accomodato, sollevò il telefono (bianco, perché era il colore della sua evidente ossessione) e compose un numero che Terra riconobbe subito. Anche a lui era toccato qualche volta farlo.

- Pronto? Signor Vicepreside? Sono Vexen, scusi se la disturbo. Ho bisogno che lei venga in infermeria. C'è qui il professor Terra con un caso molto grave da sottoporle. E vorrei sapere da lei qual'è la giusta condotta di comportamento in questi casi, prima di avvertire il Superiore. - l'uomo tacque qualche istante, ascoltando la risposta del Vicepreside. Terra sudava freddo. Vexen ripose la cornetta. - Sta per raggiungerci. -

Aggiunse, senza troppo entusiasmo.

- Allora, conviene con me che ci troviamo di fronte ad un grave evento. -

Tentò il giovane. Non sarebbe riuscito a controllare il tremito delle sue mani ancora per molto.

- Il ragazzo è un suo studente? -

Terra non capì perché ci girava attorno così spudoratamente, ma non aveva voglia di essere scortese e rischiare di essere allontano dal caso. Per il bene di Ventus, e soprattutto per quello di Sora, doveva sopportare e stare al suo gioco.

- Sì, è nella mia classe. -

- Capisco. - disse Vexen, ma aveva tutta l'aria di non esserne interessato - E come si è trovato in questa situazione spiacevole? -

Lo stomaco del giovane si contorse. Stava forse insinuando che poteva essere stato lui a fare del male a Sora? Quell'interrogatorio serviva ad escluderlo dalla rosa dei sospettati?

Cercò furiosamente una risposta che gli facesse capire come stavano le cose, senza degenerare nel ridicolo.

Era assurdo che intendesse accusarlo.

- Mi trovavo nei corridoi e ho incontrato per caso Ventus, il ragazzo biondo che era con me. Era molto di fretta e mi ha confessato di essere in pensiero per Sora, dato che non aveva avuto modo di incontrarlo dopo la fine delle lezioni. Ho deciso di seguirlo e aiutarlo nella ricerca. Siamo scesi in palestra, che era l'ultimo posto in cui lui era stato, e l'abbiamo trovato in stato di shock sul pavimento degli spogliatoi. Poi, ovviamente, siamo venuti subito qui. -

Vexen incrociò le mani davanti a sé sulla scrivania. Aveva tutta l'aria di chi non credeva ad una sola parola.

- Curioso come un insegnante si sia lasciato trasportare in un'assurdo gioco di guardia e ladri con uno studente. Come ha detto che si chiama? Ventus? E noto che deve esserci un qualche rapporto tra di voi, visto i toni amichevoli con cui gli si è rivolto. -

Ancora, lo stomaco di Terra si contrasse.

Il consiglio dei docenti non vedeva di buon occhio le relazioni interpersonali tra professori e alunni. Era favorito un freddo distacco accademico, piuttosto che un interessamento caloroso.

I professori erano tenuti ad essere ligi sul lavoro, a premiare gli studenti brillanti e a punire gli scansafatiche. Niente di più, niente di meno.

- Ho avuto modo di frequentarlo prima di essere assunto per insegnare in questa scuola. - rispose, sputando tra i denti ogni singola parola - Da allora siamo rimasti in buoni rapporti, ma sempre al di fuori dell'ambito scolastico, non è tra i miei alunni. -

- Capisco. - ripeté Vexen. Sembrava uno psicologo che segnasse attentamente tutto quello che poteva sfuggirgli dalle labbra. - E lei e quel ragazzo siete assolutamente certi di non c'entrare nulla con l'aggressione subita dalla matricola. -

- Sora. - puntualizzò Terra, perché non era una “matricola”, era una persona con un nome e un'identità che andava salvaguardata. Vexen dovette capire il suo intento e fece una smorfia contrariata. - E sì, ne sono assolutamente certo. Noi l'abbiamo solo trovato. Il colpevole è il bastardo che l'ha lasciato riverso sul pavimento degli spogliatoi. -

- Professore, moderi i termini e si calmi. -

Lo riprese l'uomo. Terra prese un profondo respiro. Non si era reso conto di essersi alzato e di aver poggiato i palmi aperti delle mani sul piano della scrivania, e di essersi spinto contro il volto di Vexen come a volerlo sbranare.

- Mi scusi. -

Disse. Tornò a sedersi e incrociò le braccia al petto. Non poteva permettersi un altro scatto d'ira.

- Capisco che deve essere in agitazione per l'accaduto. - riprese il medico - Ma non è il caso di lasciarsi andare. Ogni cosa troverà la sua risoluzione. -

- Certamente. - concluse Terra, e provò a rilassarsi contro lo schienale della sedia. Forse, tutto sommato, Vexen non credeva che lui potesse essere il colpevole di quello che era successo a Sora, no? Le sue erano domande legittime, domande che la polizia o chi di dovere avrebbe porto a chiunque per cercare di risolvere il caso. - Potrei sapere che cosa è successo al mio studente? La prego, vorrei proprio. -

Tentò, con la voce intrisa di tutta la preoccupazione di cui era capace.

- Il ragazzo ha subito violenza. -

Disse Vexen, freddo e secco come ghiaccio.

Di nuovo, Terra si ritrovò a deglutire a vuoto.

- Violenza...di quel genere? -

Gli occhi verdi di Vexen si puntarono al cielo.

- Professore, in quanto docente di letteratura credevo che per lei le parole non fossero un problema. -

Una stilettata di ghiaccio colpì in pieno petto Terra che, nonostante il gelo, si sentì avvampare.

- Mi scusi. - disse ancora, era già la seconda volta che si scusava - È solo che...avrei preferito aver frainteso piuttosto che accettare l'accaduto. -

- La negazione non è una via di fuga. -

Terra socchiuse un attimo gli occhi. Cercando di mettere in ordine le idee.

Quell'uomo aveva un cuore? Sembrava che agisse per puro interesse scientifico, come una macchina lanciata in corsa che non può fermarsi, neanche dopo essersi schiantata.

- È grave? -

Vexen non rispose subito.

- No. - Terra si sentì sollevare di qualche metro - Le lesioni che ha riportato non sono gravi, guariranno molto presto. Quello da cui non guarirà tanto presto è lo shock psicologico che ha subito. Reagisce violentemente agli stimoli. Per visitarlo ho dovuto sedarlo. - dallo sguardo attonito di Terra, Vexen ricavò solo uno sbuffo - Ho visto che ha cominciato ad agitarsi ancora prima che mi avvicinassi a lui, quindi sono corso ai ripari prima che potesse aggredirmi, come ha fatto con lei professore. - dal tono della sua voce sembrava che pensasse di parlare con una persona molto stupida, di nuovo - Gli ho somministrato solo una piccola quantità di sedativo, non si preoccupi. - Terra serrò la mascella - A quanto sembra è riuscito a fidarsi di voi, vorrei spiegato com'è possibile. -

- Gliel'ho detto. Sembra che ascolti solo Ventus. -

- Capisco. - Terra aveva voglia di strappargli dalla lingua quella parola. Continuava ad usarla come la si usa in uno studio psichiatrico, e la cosa lo mandava in bestia. - Che genere di rapporto c'è tra il paziente e lui? -

- Sora, tra Sora e Ventus. - puntualizzò ancora una volta Terra. Odiava la facilità con cui Vexen spersonalizzava quei due ragazzi. - Dovrebbe chiederlo a lui, non ho avuto modo di constatarlo. Credo che ci sia una forte amicizia. -

Vexen stava per aggiungere qualcosa, quando si udì un bussare secco. Come solo chi è consapevole del suo rango può fare, la persona che aveva bussato non aspettò che le si desse il permesso di entrare. Si limitò a spalancare la porta ed entrare nella stanza.

- Buon pomeriggio Vicepreside. -

Lo salutò Vexen, alzandosi. Terra lo imitò, meritandosi un'occhiata giallo miele che lo fulminò sul posto.

- Buon pomeriggio a voi. - gli occhi azzurri di Terra intercettarono quelli blu di Ventus un attimo prima che il Vicepreside si chiudesse la porta alle spalle - Allora, di cosa stiamo discutendo? Non ho molto tempo da dedicarvi, ho del lavoro da svolgere per il Superiore. -

Tra le braccia teneva una cartelletta, Terra intravide una lunga lista da cui l'uomo aveva nervosamente spuntato delle voci. Sembrava un elenco di oggetti e luoghi da supervisionare.

Da quanto ne sapeva lui, Saïx era il galoppino del Superiore, nel senso stretto del termine. Mentre il Preside se ne stava nel suo ufficio ad occuparsi di chissà quali pensieri, Saïx, come Vicepreside, era mandato in giro per la scuola a svolgere i compiti che il Superiore non svolgeva da sé.

Quando Saïx non era impegnato con le lezioni di filosofia, di cui era un fervente credente e conoscitore, lo si poteva vedere andare su e giù per i corridoi, con il suo passo marziale, a fare le veci del Preside.

Il rapporto tra Xemnas e Saïx era saldamente legato al lavoro che l'uno dava da svolgere all'altro.

Saïx ne era così devoto da poterlo quasi definire fanatico.

Il Superiore non avrebbe potuto desiderare un braccio destro più fedele ed efficiente di lui.

- La prego, si sieda, purtroppo non sarà una cosa breve. -

Lo invitò Vexen, strisciante e lecchino come era solito fare nei confronti di chi aveva il piacere di occupare alte cariche all'interno della scuola.

Saïx lasciò cadere nuovamente lo sguardo color del miele su Terra, come a volerlo incolpare per il tempo che stava per perdere.

Scostò i capelli zaffiro dal viso e si sedette nella sedia lasciata vuota.

- Spero che almeno ne valga il disturbo. - disse, con la sua voce profonda. Lasciò la cartelletta a faccia in giù sulla scrivania, in modo che nessuno dei presenti potesse leggere cosa vi era scritto sopra. - Prego, mi dica pure. -

Vexen annuì tra sé e sé. Terra si chiese come avrebbe affrontato il discorso; conoscendolo, l'avrebbe fatto nel modo più distaccato e gelido possibile.

- C'è stata un'aggressione a danno di un nostro nuovo studente, negli spogliatoi maschili della palestra. -

Cominciò il medico.

Saïx inarcò un sopracciglio, assumendo un'espressione di tale divertimento che Terra avrebbe voluto prenderlo per il colletto della camicia e scuoterlo per fargliela sparire dal viso.

- Intende una matricola? Il Superiore deve averlo sicuramente avvertito che a volte i nostri studenti fanno dei piccoli ed innocenti scherzi ai nuovi arrivati. -

- Qui non si tratta di un piccolo ed innocente scherzo. - disse Terra, fissando gli occhi azzurri in quelli miele del Vicepreside - Qui si tratta di un ragazzo che è stato brutalmente aggredito e lasciato in stato di shock. -

- Vexen. - cominciò Saïx. Si rivolgeva al medico, ma teneva lo sguardo fisso in quello del giovane insegnante. - È grave tanto quanto sta asserendo il nostro professore? -

Il biondo dottore non poteva negare, anche se questo avrebbe voluto dire tradire le aspettative del Vicepreside.

- Sì signore, è molto grave. -

Lo sguardo di Saïx si indurì mentre lo rivolgeva, finalmente, verso Vexen.

- Che cosa è successo di preciso, allora? -

Sospirò Saïx, come se fosse convinto che di qualsiasi cosa si trattasse non era poi tanto grave come quei due insinuavano.

- Non conosco le dinamiche, ma conosco il risultato: il ragazzo è stato violentato. -


The Corner

Ciao a tutti e ben trovati!
Qui le cose si fanno sempre più complicate!
Quanti di voi avevano già intuito che Saïx era il Vicepreside?
Bhè, alla fine era una cosa quasi scontata! XD
Grazie ai miei Elité Five (uno in più della Lega Pokémon!) per le recensioni, è sempre divertente e stimolante leggere le vostre impressioni!
Spero di non annoiarvi mai!
Prossimo appuntamento (abbiate pietà di me, il conservatorio e l'università sono ricominciati alla grande) giovedì 24 Ottobre!
Chii

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Capitolo 22
*** Una questione biologica ***


21

Una questione biologica

 

Il tempo di reazione di Saïx fu più insulso e più deludente di quanto Terra si sarebbe aspettato.

Nella sua immaginazione il Vicepreside avrebbe dovuto sgranare gli occhi, spalancare la bocca, assumere tutte quelle espressioni facciali tipici dello sgomento; poi avrebbe dovuto chiedere come fosse possibile, se per caso Vexen non avesse preso un granchio, se fosse veramente certo di quello che stesse dicendo perché era una cosa davvero grave, molto più di quanto potesse pensare.

Invece no.

Il massimo di espressività raggiunta dal Saïx fu una faccia piatta che non esprimeva assolutamente nulla.

Qualunque cosa stesse provando, ammesso che provasse qualcosa, era ben nascosta dentro il grande petto, sotto strati e strati di autocontrollo.

Per Terra sarebbe andata bene quella spiegazione, ossia che era tanto sconvolto dalla rivelazione che la sua unica reazione era stata quella di non reagire affatto.

Passarono una manciata di minuti, che il Vicepreside passò elaborando chissà quali pensieri che passavano come flash nei suoi occhi giallo miele, poi esordì, tanto all'improvviso che Terra sobbalzò lievemente, con:

- Quanti sono a conoscenza dell'accaduto? -

Il giovane professore non capì subito che quella domanda era molto pericolosa, e che nascondeva diversi trabocchetti. Pensò solo che fosse lecito che fosse posta, e non si preoccupò quando Vexen rispose.

- Io, il professor Terra e il ragazzino seduto nell'altra stanza. -

- Nessun altro? -

Si accertò l'uomo, come fosse una questione di principio.

- Nessuno. -

Annuì Vexen, sempre troppo servile per i gusti di Terra.

- Benissimo. - Saïx si alzò. Recuperò la cartelletta che aveva lasciato sul tavolo e se la mise sottobraccio - Per il momento, è necessario che la notizia non trapeli assolutamente. Riferirò personalmente al Superiore ciò che è accaduto. Ma in quanto suo facente veci sono obbligato a chiedervi di evitare un fuggi fuggi di informazioni. -

Gli occhi azzurri di Terra si sgranarono.

- Come prego? -

Chiese. Forse una qualche strana interferenza magnetica gli aveva impedito di sentire quello che realmente il Vicepreside aveva detto. Perché non poteva essere che voleva tenere nascosto un atto violento di quella portata all'interno della scuola.

Saïx lo guardò come fosse impossibile che non avesse capito.

Torse leggermente il busto nella direzione di Terra, in un atteggiamento che di per sé sembrava minaccioso.

- C'è qualcosa che ho detto che non le è sembrato chiaro, professore? -

Sottolineò la parola “professore” come fosse un dispregiativo più che un titolo.

- In realtà, Vicepreside - Terra lo ricambiò con la stessa moneta - tutto quello che ha detto non mi è sembrato chiaro. -
Gli occhi di Saïx si assottigliarono leggermente, chiudendosi come due fessure di un giallo brillante.

- Allora mi dica che cosa devo ripetere affinché lei possa capire. -

Lo disse con tale astio e superiorità che Terra si sentì improvvisamente tornato bambino, quando suo padre lo apostrofava con lo stesso tono. Ma da allora era passato molto tempo, Terra non era più un bambino, ed era difficile che qualcuno riuscisse a trattarlo come tale.

Si diede un contegno, sostenendo gli occhi gialli di Saïx indirizzandogli un'occhiata di un intenso azzurro.

- Perché mai la notizia non dovrebbe trapelare? Bisogna avvertire i genitori del ragazzo, chiamare la polizia, aprire un'inchiesta. Il colpevole deve essere assicurato alla giustizia. -

Saïx sostenne quello sguardo trovando ammirevole il tentativo del giovane di tenergli testa.

- Ci occuperemo noi di questi dettagli burocratici, senza bisogno di sollevare un polverone mediatico. -

- Polverone mediatico? - Terra strinse i pugni - Si rende conto che di là c'è un ragazzo che è stato violentato? Non capisce la gravità della cosa? -

- Lo capisco benissimo, professore, ma lei capisce che cosa succederebbe se ci permettessimo un gesto così impulsivo? - no, Terra non capiva, e il sangue cominciava ad andargli alla testa, pericolosamente - Utilizzeremo i nostri mezzi per trovare il colpevole, senza coinvolgere le forze dell'ordine. -

- E con i genitori del ragazzo come la mette? E se non riusciste a risolvere nulla da soli? E poi quali sarebbero i “nostri mezzi”? -

Saïx sorrise appena. Sollevò solo un angolo delle labbra verso l'alto, e il ghigno che ne uscì fu poco confortante.

- Lei è qui da poco professore, non sa bene come funzionano le cose, ma il mio consiglio è di tenersi al suo posto, e vedrà che le cose si sistemeranno, altrimenti potrebbe mettersi molto male per lei. In ogni caso, telefonerò io ai genitori. - volse la testa verso il medico, che si sentì rabbrividire per la durezza del suo sguardo - Vexen, puoi tenere qui in osservazione il paziente per questa notte? -

- C-certo, senza problemi. -

Si ritrovò a balbettare Vexen, completamente in balia dell'oscuro carisma del Vicepreside.

- E riguardo l'altro ragazzo? -

- Nessun problema neanche per lui. -

- Bene, allora. -

Si avviò verso la porta, dando le spalle a Terra, rimasto a bocca aperta.

- Non ha risposto a nessuna delle mie domande. -

Saïx gli parlò senza degnarsi di guardarlo, come fosse un qualcosa di fastidioso a cui era inutile rivolgere la propria attenzione.

- Professore, se leggerà bene tra le righe si accorgerà che le ho dato tutte le risposte, e anche qualcosa di più. -

- La devo prendere come una minaccia? -

Ringhiò Terra. I tendini delle braccia, tesi come corde di violino, minacciavano di spezzarsi da un momento all'altro, tanta era la forza che stava applicando per trattenersi dal saltare al collo del Vicepreside e aggredirlo.

- Stia al suo posto professore e lasci fare a noi. Lo dico solo per il suo bene. -

Saïx mosse un altro passo in avanti, convinto e forte del fatto di aver avuto l'ultima parola.

- Che cosa mi impedirebbe di andare alla polizia adesso, dopo che lei ha lasciato questa stanza? -

Le parole di Terra lo fermarono sulla soglia. Il Vicepreside strinse appena i pugni.

- Le assicuro che non arriverebbe a farlo. -

Il gelo con cui disse quelle parole ricoprirono il cuore di Terra di oscurità e brividi.

C'era qualcosa di non detto che smosse la parte codarda del suo essere. Si manifestò come una capriola dello stomaco, dolorosa e vergognosa.

Saïx uscì dalla stanza.

Ventus scattò in piedi come una molla quando vide il Vicepreside.

L'uomo gli passò accanto e lo guardò con sufficienza. Trovava estremamente noioso dover avere a che fare con quel ragazzino.

- Informerò i tuoi genitori che rimarrai qui a scuola questa notte. - cercò di rendere il suo tono di voce più gentile, facendo pressioni sulle sue futili emozioni - Immagino che tu voglia stare con il tuo amico. -

A Saïx costò molto del suo famoso autocontrollo dire quella parola, “amico”. Ma per fortuna il ragazzino neanche se ne accorse, stupito com'era da quello che gli stava dicendo.

- Sì! - disse Ventus, con troppo entusiasmo, pensando a cosa lo aspettava dentro le mura di casa e a cosa sarebbe andato incontro se suo padre avesse scoperto dove si trovava - Ma non c'è bisogno di avvisarli, sono fuori città, ero già organizzato per non tornare a casa. -

Messa su in pochi secondi suonava come una buona scusa, e dato che Saïx non aveva neanche intenzione di sapere se fosse o meno la verità perché non voleva perdere tempo per accertarsene, ci credette.

- Perfetto. -

Commentò il Vicepreside. Con la testa era già molto lontano, anche se il suo corpo rimaneva in quella stanza.

Stava per andarsene quando la domanda gli arrivò sottile come la lama di un coltello.

- La polizia troverà chi gli ha fatto questo? -

Saïx attinse ancora dalla sua scorta di autocontrollo. Ne stava usando troppa per i suoi gusti.

- Faremo tutto il possibile per farlo stare meglio. Occupati delle tue cose, ragazzo. -

Lo bollò con freddezza e uscì dall'infermeria, lasciando Ventus estremamente confuso.

Subito dietro di lui, dall'ufficio del medico, uscì Terra.

Ventus riconobbe la sua espressione, e riconobbe il sentimento latente sotto le braci delle sue iridi azzurre.

Era successo qualcosa. Qualcosa che gli sarebbe stato difficile accettare, perché non l'accettava neanche lui.

Prima che l'amico si gettasse fuori dall'infermeria, Ventus lo prese per un braccio, bloccando la sua corsa.

Terra dovette lottare contro se stesso per non scaraventare Ventus da una parte, preso com'era dalla foga e dalla rabbia. Ma le piccole mani del ragazzino, strette intorno al suo braccio, fredde come la paura, lo riportarono alla consapevolezza, e gli impedirono di fare un gesto inconsulto.

- Che cosa è successo? -

Sussurrò Ventus, sapendo perfettamente che dietro la porta aperta dello studio Vexen li stava osservando.

Terra seguì con gli occhi, finché poté, e poi con le orecchie i passi di Saïx che si allontanavano da lui, e dalla possibilità di avere delle spiegazioni e delle soddisfazioni.

Strinse i pugni con rabbia. Tutto aveva una priorità, e adesso gli occhi blu sgranati di Ventus erano l'unica priorità che voleva avere. Al resto poteva pensare dopo.

- Sei riuscito a sentire qualcosa? -

- No. -

Fu la risposta desolante alla sua domanda. Terra sbuffò dal naso. Ventus era un così diligente ragazzo che avrebbe origliato solo se gli avessero chiesto espressamente di farlo. A quel punto, era probabile che non si era neanche avvicinato a Sora per come gli aveva ordinato Vexen.

Però, il fatto che lui fosse così ubbidiente poteva essere un punto a suo favore, in questo caso.

Terra si morse la lingua. Non voleva che quel ragazzino finisse con l'impantanarsi in quel sistema corrotto, né voleva che compisse qualche gesto inconsulto.

Cercò di sorridergli e gli poggiò una mano sulla spalla.

- Ti faccio un riassunto allora. Il Vicepreside ha detto che si sarebbe occupato della questione con il Superiore, e che per ora dobbiamo rimanere buoni in attesa di nuovi sviluppi. -

Qualcosa di strano brillò sul fondo degli occhi di Ventus. Non gli credeva, o meglio gli credeva in parte. E d'altronde lui aveva detto solo una mezza verità.

- Quindi chiameranno la polizia e cercheranno il colpevole? -

- L'unico che possa dirci chi è il colpevole è Sora, questo vuol dire che se non ci prendiamo cura di lui non potremo mai scoprire chi è stato. -

Ventus corrucciò le sopracciglia. Gli stava forse chiedendo di rimanere al fianco di Sora senza fare domande badando solo al suo recupero senza pensare a tutto quello che era successo?

- Ma la polizia può farlo, e può farlo solo adesso, subito. Sora avrà addosso... - deglutì a vuoto con la gola improvvisamente secca - ...avrà ancora addosso tracce del colpevole. -

L'intelligenza e la ragione non ti porteranno da nessuna parte.” pensò Terra, con l'amaro in bocca, perché sapeva che le parole di Ventus avevano fondamento ed erano la cosa più giusta che avesse sentito proferire quel giorno su quell'argomento.

Stia al suo posto professore e lasci fare a noi. Lo dico solo per il suo bene.” gli risuonò nelle orecchie come il rintoccò di una campana situata proprio nel mezzo del suo cervello.

Non voleva che il Vicepreside arrivasse a fare lo stesso discorso con Ventus.

- Non preoccuparti Ven, se mi è stato detto così vuol dire che sanno come intervenire. Tu adesso pensa soltanto a Sora, va bene? -

Terra riuscì anche a rivolgergli un sorriso.

- C'è qualcosa che mi nascondi? -

La schietta domanda, posta con quel tono di voce leggero che lasciava intendere che la risposta la conosceva già, spiazzò il giovane professore a sufficienza perché trapelasse qualcosa dai suoi occhi. Per Ventus fu tutto quello di cui aveva bisogno per capire che mentiva.

- No, è solo che... -

- Ragazzino. - sia Terra che Ventus si volsero verso la porta dell'ufficio del medico. Vexen stava sulla soglia con l'espressione più seria sulla faccia del pianeta. - Il Superiore ha appena chiamato. Ti ha convocato per un colloquio domani mattina. Per oggi ha deciso di lasciarti rimanere con il paziente. Mentre lei, professore, deve salire subito nel suo ufficio. -

Terra inghiottì a stento il rospo, rischiando quasi di strozzarsi.

Che cosa voleva dirgli il Superiore che Saïx non gli aveva già detto?

Cominciava a sudare freddo, ma mantenne un atteggiamento rilassato.

- Va bene, vado subito. -

Ventus aveva ancora la mano stretta attorno al suo braccio. Lo tratteneva con una forza gentile.

- Non te ne andare. -

Lo supplicò, con le lacrime nascoste in quel tono di voce lamentoso.

Terra guardò di sottecchi Vexen, colse la sua espressione fredda come il ghiaccio. Aprì lentamente la mano di Ventus e poi accompagnò il braccio per farlo tornare disteso lungo il fianco.

- Ne riparliamo, ok? Domani non ho lezione. -

Quando Terra parlava in quel modo pacato, lento, scandendo bene le parole, Ventus sapeva che cosa voleva dire.

C'erano orecchie indiscrete in ascolto di un discorso che avrebbero dovuto fare da soli.

Il ragazzino annuì, anche se vedere Terra allontanarsi fu quasi un dolore fisico.

Lui gli rivolse un sorriso che doveva essere confortante, salutò Vexen con un lieve cenno del capo, e lasciò l'infermeria.

- Per questa notte puoi dormire nel lettino accanto a quello del paziente. Dovrei avere dei pigiami e delle coperte da qualche parte. -

Gli disse Vexen, per niente premuroso. Era più un obbligo essere accogliente con lui che altro.

Non aveva veramente voglia di farlo sentire a suo agio, e il gelo nella sua voce lo sottolineava benissimo.

Se avesse dormito all'addiaccio o lì per lui sarebbe stato lo stesso.

- Mentre li cerco puoi andare da lui. -

Concesse, come fosse una cosa forzata che non aveva voglia di fare.

Ma gli occhi di Ventus si sgranarono di gratitudine.

- Davvero? Posso? -

Vexen fece una smorfia irritata. Tanto entusiasmo era fuori luogo.

- Sì. Ma è probabile che dorma e che non si sveglierà. -

Non aggiunse altro prima di abbandonare Ventus per dedicarsi alla ricerca delle vettovaglie necessarie per quella notte.

Al ragazzino interessò poco quel suo atteggiamento, l'unica cosa che gli interessava adesso era poter stare al capezzale di Sora.

Cercando di controllare le sue gambe, che mandavano impulsi al cervello pregandolo di farle correre, si avvicinò alla tendina e la scostò un poco.

Sora era appallottolato sul lettino, esattamente nella stessa posizione in cui l'avevano trovato lui e Terra.

Lo stomaco gli si strinse mentre il cuore accelerava i battiti.

Sembrava dormisse, ma non era un sonno sereno.

Avvicinò la sedia al bordo del letto e si sedette, in osservazione del corpo addormentato dell'amico.

Era ancora piccolo, tremante e sofferente. Anche con gli occhi chiusi le lacrime non facevano che scendergli sulle guance.

- Ehi? Sora? Sono io, Vi-chan. Posso prenderti la mano? - Sora non rispose. Ventus ignorava che fosse stato sedato, e credeva semplicemente che il suo sonno fosse un modo per estraniarsi da tutto, ma che in fondo, come prima, la sua voce gli arrivasse. Credendo che fosse un tacito segno di consenso, Ventus gli prese una mano e intrecciò le dita tra le sue. - Vedrai che ti sentirai meglio tra poco. Dovevamo andare insieme in tanti posti, ti ricordi? Appena vorrai andremo a mangiare il gelato al sale marino. Sono stato troppo egoista e non ti ho permesso neanche di assaggiarlo solo per inseguire Axel e Roxas. Sai cosa? Non mi importa di loro, possono fare quello che vogliono! -

Si rese conto di stare parlando a vanvera. Si morse le labbra e buttò gli occhi a terra, lontano dal volto sofferente di Sora.

Gli aveva detto che era stato egoista, ma anche in quel momento lo era, raccontandogli cose a vuoto e senza senso che lo riguardavano invece che pensare a lui.

Si sentì un verme e quasi gli vennero le lacrime agli occhi.

- Ven...tus... -

Il ragazzo sentì un brivido freddo percorrergli la schiena. La voce di Sora era un sussurro, così sottile e debole da lasciargli credere che stesse lottando contro qualcosa pur di parlare, qualcosa che andava oltre un impedimento mentale.

- Sono qui. -
Rispose lui, con il cuore già lanciato a mille.

Sora lottò per aprire gli occhi, senza riuscirci. Il sedativo l'aveva mandato ko. Si sentiva immerso in un sogno pastoso e confuso, i cui bordi sfumavano nella realtà. Non avrebbe saputo dire cosa aveva sognato e cosa invece era reale.

Per quanto ne sapeva, Vanitas era un sogno, Ventus era reale.

Anzi, non voleva neanche lasciare che il pensiero si fermasse su quel sogno, su quell'incubo, perché comunque la mettesse, il suo cervello gli diceva che era tutto fasullo, e che doveva concentrarsi su quel momento, sulla mano di Ventus che stringeva la sua, sull'affetto che sentiva di provare per lui e che l'altro provava a sua volta.

Era tutto quello che voleva sentire o provare.

- Non vado da nessuna parte, ok? - Ventus gli scostò i capelli dal viso, portandoglieli dietro un orecchio - Dormi tranquillo. -

Sora smise di opporre resistenza, e sprofondò nel sonno.

- Ecco qua, il pigiama e le coperte. -

Ventus sobbalzò a sentire la voce del medico alle sue spalle. Si era completamente dimenticato della sua presenza.

Vexen guardò scettico le mani dei due ragazzi intrecciate tra di loro, ma non disse nulla. Si limitò a gettare i vestiti e le coperte sul grembo di Ventus.

- Gli ho dato una medicina per aiutarlo a riposare. È inutile che stai lì al suo capezzale, non può sentirti. -

Ventus incassò il colpo senza avere un fremito.

- Va bene lo stesso, voglio stare accanto a lui anche se, come dice lei, non può sentirmi. - gli occhi verdi di Vexen si riempirono di curiosità scientifica - E poi, poco fa ha detto il mio nome. Sono sicuro che la mia voce gli arriva. -

- No. Può aver parlato nel sonno, ma non ne era consapevole. È una questione biologica. -

- Per lei potrà anche essere una questione biologica, ma i nostri cuori sono connessi. -

- I vostri cuori? - lo scetticismo nella voce di Vexen era palpabile - Quello che tu definisci “cuore” nella realtà è solo un organo cavo presente nella maggior parte degli organismi animali. Negli esseri umani è posto al centro della cavità toracica, più precisamente nel mediastino medio, dietro lo sterno e le cartilagini costali, che lo proteggono come uno scudo, davanti alla colonna vertebrale, da cui è separato dall'esofago e dall'aorta, appoggiato sul diaframma, che lo separa dai visceri sottostanti. Costituito pressoché esclusivamente da tessuto muscolare striato, è protetto da una sacca che prende il nome di pericardio. Questa sacca è una doppia membrana di natura connettivale. - disse quelle parole con la leziosità di un'enciclopedia - Non può essere “connesso” a niente altro che non siano i tessuti che costituiscono il tuo organismo. Le sensazioni che tu attribuisci al cuore, sono frutto di un processo chimico del cervello. - il medico sorrise leggermente, contento dell'espressione piccata del ragazzino - Come ho detto, è solo una questione biologica. -

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Ven's Diary
 

16/11/2009

 

 

 

 

Caro diario, la mamma mi ha mentito.

Tanto tempo fa mi aveva promesso che non se ne sarebbe mai andata e ora non c’è più.. E ha portato via la parte buona di papà e se l’è tenuta tutta per sé. Però mi mancano i suoi pancakes, papà non sa cucinare, brucia tutto e barcolla da un fornello all’altro. Non sa lavare e non sa stirare. Non sa stendere e non ci da più il bacio della buonanotte. Tiene sempre una bottiglia in mano e ci fa male. Si è messo a fumare e la casa è sempre piena di fumo. Alla mamma non piace il fumo, non so perché non gli dica di smetterla né perché se n’è andata. Forse proprio per questo.. per le sigarette che odia tanto. Papà ce le spegne addosso. All’improvviso ci chiama, soprattutto mentre ridiamo, ci alza la maglietta e ce le spegne addosso. E poi dice che non dobbiamo più ridere, perché è colpa nostra se la mamma ora è una parte dell’azzurro.

Ha tirato i capelli a Roxas, ieri, perché non vuole vedere i capelli biondi di lei. Io l’ho spinto via e lui mi ha colpito e mi ha fatto male.

Ho di nuovo paura. Perché papà fa così? Non posso dirlo ai professori, se no papà fa male a Roxas! …Roxas mi sembra così triste, non vuole più giocare con me e non vuole più pranzare a scuola in mia compagnia.

Ho paura. Aiutami.

I miei amici non mi vogliono più vedere, dicono che sono diventato antipatico.

Non è vero! Ho solo paura e voglio che mi aiutino contro papà.

Che posso fare?

Voglio andare via di casa, voglio raggiungere la mamma. Qualcuno ha detto che la mia mamma ora è sulla luna, ma io non ci credo. Lei è l’azzurro! E io devo raggiungerla.

Voglio imparare a volare, così le posso prendere la mano e riportarla giù.

Non è giusto che ci abbia abbandonati così!

La rivoglio indietro…

Oh no, papà arriva!

Devo proprio andare, ma prometto che tornerò a scrivere! Quando recupererò la mamma dall’azzurro!

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The Corner

Ciao a tutti!
ce l'ho fatta ad aggiornare la storia!
spero che il capitolo vi piaccia :3
dato che forse partirò per il week-end di halloween, non so quando verrà pubblicato il capitolo, se mercoledì 30 o giovedì 31 ottobre!
ma c'è una remota possibilità che pubblichi sabato 26...
bhè, uno di questi giorni, non vi resta che controllare! XD
Chii
p.s. grazie ai miei magici cinque, e un grazie speciale questa settimana ad Anima1992 che mi sta facendo sentire come se scrivessi qualcosa di sensato XD e grazie al mio pulcino (lei lo sa u.u) che mi sta insegnando tante cose :3

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Capitolo 23
*** L'uomo virtuoso è incline agli accordi, quello vizioso vuole stabilire la colpa ***


22

L'uomo virtuoso è incline agli accordi,
quello vizioso vuole stabilire la colpa.

Sora camminava per una strada buia e deserta. Le mani in tasca, la testa incassata tra le spalle per sfuggire al forte vento.

Aveva perso l'orientamento e non sapeva più come tornare a casa, ma non voleva fermarsi in quel posto oscuro.

C'erano delle cose nere, delle ombre dagli occhi gialli e l'andatura barcollante che lo aspettavano tra un ritaglio di buio e un altro.

Sora non voleva fermarsi e permettere a quelle ombre di saltargli addosso. Per questo continuava a camminare.

Ma ormai gli facevano male i piedi, e il freddo gli era entrato nelle ossa come un coltello affilato.

Non avrebbe potuto sostenere quel ritmo per sempre.

Per quanto si impegnasse, non riusciva a ricordare come fare per tornare a casa. Quando pensava di aver imboccato la giusta strada, subito si accorgeva di essere finito in un vicolo cieco, e doveva tornare indietro sui suoi passi.

Non sembrava esserci via di uscita.

- Sei tutto solo? - Sora riconobbe quella voce. Non si volse, anzi, accelerò il passo. - Voglio solo essere gentile con te. - era sempre più vicino. Sora sentì il proprio cuore aumentare i battiti, mentre brividi di terrore gli prendevano il corpo. - Lascia che ti aiuti a tornare a casa. -

Qualcuno lo afferrò per il polso e lo strattonò indietro. Preso alla sprovvista, Sora non riuscì a impedire a quel qualcuno di sbatterlo contro il muro di un palazzo. Prima che potesse accorgersene, il fiato caldo di Vanitas gli stava solleticando il collo. - So... - pronunciò la prima sillaba del suo nome arrotolando bene le labbra umide - ...ra. - lasciò che la erre vibrasse leggermente sul suo palato. - La tua luce è deliziosa. - lui non riusciva neanche a pensare di ribellarsi. Era immobilizzato dalla paura. Vanitas lo baciò sull'orecchio. - Che ne dici se ne assaggio un altro po'? Sono stanco di vivere al buio. -

Prima che Sora riuscisse a formulare un pensiero, Vanitas poggiò le labbra sulle sue, divorandole con avidità, cercando sempre di più, di più, quasi a volergliele strappare via, e...

 

Sora si svegliò spalancando gli occhi e soffocando un urlo. O meglio, si svegliò perché l'urlo che aveva in gola rischiava di soffocarlo, e il suo istinto di sopravvivenza l'aveva costretto a tornare cosciente.

La prima cosa di cui tornò consapevole fu quella di trovarsi in un letto che non era il suo, con indosso vestiti che non riconosceva.

La seconda cosa fu il dolore, un dolore strano, che gli prendeva tutta la parte inferiore del corpo a cui lui non sapeva bene dare un nome.

Era solo dolore, e bastava per definizione.

La terza e ultima cosa, fu la mano di Ventus stretta alla sua, intrecciata così stretta da sentire i nervi leggermente intorpiditi.

L'amico dormiva seduto, tenendo la testa poggiata sulla sponda del letto, e una mano intrecciata alla sua.

Per qualche ragione vedere la cascata di capelli biondo grano che gli ricopriva la testa e gli nascondeva buona parte del viso calmò la corsa del suo cuore impazzito.

Quel biondo era tutto l'opposto del color inchiostro dei capelli di Vanitas.

I particolari del sogno non volevano lasciarlo. Ricordava soprattutto il buio, l'oscurità, tutto quel pastoso nulla scuro che lo avvolgeva e lo opprimeva. E Vanitas, Vanitas che entrava nel suo campo visivo e veniva a prendersi di nuovo qualcosa da lui.

Soppresse un singhiozzo e strizzò gli occhi. Due lacrime gli sarebbero cadute dagli occhi se ne avesse avute ancora da piangere.

Addosso aveva un pigiama leggero dalla consistenza di carta, di quelli che danno all'ingrosso quando si viene ricoverati in ospedale.

Ora che guardava tutto intorno, riconobbe il lettino dell'infermeria, e il suo naso confermò quando prese un profondo respiro: era proprio l'aria asettica a disinfettata dell'infermeria.

Tornò a guardare Ventus. Anche lui indossava quel pigiama da ospedale. Sulle spalle aveva una coperta che minacciava di scivolargli via da un momento all'altro.

Sora era restio a muoversi. Aveva paura di perdere il contatto con la mano di Ventus.

Lui doveva avergli letto nel pensiero, perché strinse di più la presa. Sollevò appena la testa e lo mise a fuoco con gli occhi blu ancora mezzi addormentati.

- Sora...ti sei svegliato? -

Raddrizzò la schiena. Sulla guancia aveva tutto il segno delle lenzuola. Si stropicciò gli occhi con l'altra mano e si esibì in uno sbadiglio a bocca spalancata.

Sora trovò rassicurante tutto in lui, tutti quei piccoli gesti, le piccole espressioni del suo viso, tutto, proprio tutto.

Ventus lo guardò attentamente, cercando in lui tracce della persona sconvolta, chiusa e terrorizzata che aveva trovato stesa sul pavimento dello spogliatoio.

Provò a cercare qualcosa da dire, senza però riuscirci. Qualsiasi cosa gli venisse in mente sembrava fuori luogo e stupido. Non voleva rischiare di farlo stare male di nuovo.

Quindi si limitò a sorridergli, aspettando che rispondesse ad una domanda che non era una domanda ma una constatazione amichevole dei fatti.

- Cosa...dove... -

Provò Sora, con una voce piccola, sottile, come se avesse passato ore ed ore a gridare.

Ventus provò una fitta al cuore pensando che forse era proprio quello che era successo prima che lui riuscisse a trovarlo.

- Siamo in infermeria, il Vicepreside ci ha dato il permesso di rimanere qui per la notte. - lo sguardo allarmato di Sora disse tutto quello che c'era da dire. Ventus gli sorrise. - Tranquillo, ci ha pensato lui ad avvertire i tuoi genitori. -

Il sollievo passò come una flash nelle iridi cerulee di Sora.

Ventus, credendo di essere eccessivo nel dimostrare il suo affetto, cercò di sciogliere le loro dita intrecciate, ma Sora serrò la presa e gli rivolse un'occhiata terrorizzata.

Non mi lasciare.” dicevano quegli occhi, perché la voce non poteva e non riusciva a dirlo.

- Non ti lascio. - gli rispose Ventus, anche se lui non aveva detto niente. E strinse forte la presa.

Sora sembrò rilassarsi, come avesse trovato una colonna a cui aggrapparsi. - Chissà che ore sono... -

Il biondo si appigliò al vago per non dover affrontare lo sguardo confuso di Sora. Odiava dover essere così codardo e non avere il coraggio di guardarlo negli occhi.

Affrontalo, chiediglielo, chiedigli chi è stato a fargli del male!” gli diceva la sua mente, ma le labbra erano sigillate. Era il cuore che gli impediva di parlare.

- Perché... - iniziò Sora, senza sapere neanche lui che cosa voleva dire - ...perché siamo qui? -

Ventus sentì un vuoto prendergli lo stomaco, come se qualcosa glielo stesse risucchiando dall'interno.

- Non...ti ricordi? -

Sora corrucciò le sopracciglia e strizzò gli occhi. Sembrava che cercasse di mettere a fuoco qualcosa di molto lontano, disperso nel tempo.

Nella sua mente c'erano ancora le sensazioni del sogno, vivide, dai colori brillanti.

Poi c'era un vuoto, una sorta di buco nero proprio nel bel mezzo della sua memoria. Un attimo prima era sul campo da dodge ball che cercava di schivare le pallonate dei compagni di classe, un attimo dopo si ritrovava disteso, e dolorante, sul lettino dell'infermeria.

Che cosa si era perso?

Ventus si morse il labbro inferiore impedendo a se stesso di dire qualcosa che non avrebbe dovuto.

Possibile che Sora non ricordasse? Possibile che la sua mente lo stesse proteggendo da se stesso?

Come doveva comportarsi adesso?

- Che devo...c'è qualcosa che devo ricordarmi? -

Nel dirlo, anche se inconsciamente, la sua voce aveva assunto una sfumatura di terrore. Sembrava un allarme silenzioso che il suo corpo gli stava mandando.

- No...niente, era tanto per dire. -

Ventus cercò di sorridergli, ma si sentiva così falso e sporco da farsi schifo.

Sora però persisteva con quell'espressione corrucciata.

- E come...ci sono arrivato qui? -

Ventus si preparò mentalmente per mentirgli, ma il rumore della tenda che veniva tirata fece sobbalzare entrambi all'improvviso.

- E allora, visto che qui non si dorme per niente direi che è venuto il momento di rendere proficua questa mattina. - la voce stridula e gracchiante di Vexen infastidì le orecchie ancora addormentate di Ventus e lasciò Sora basito. L'uomo si avvicinò al letto, costringendo i due ragazzi a separare le loro mani intrecciate. Si abbassò al livello degli occhi di Sora, esaminandolo con un'occhiata critica, come fosse una specie di bestia strana. - Vorrei, e dico vorrei, non averti più come mio paziente. Segui il mio dito. - gli piazzò davanti un indice che cominciò a muovere a destra e a sinistra. Sora lo seguì con gli occhi come gli era stato chiesto. - Bene, i riflessi sono a posto. - sembrò prendere appunti mentali. Poi rivolse l'attenzione a Ventus. - Sono le otto, dovresti prepararti per il tuo colloquio. -

Ventus fu certo che l'occhiata di Vexen gli stesse dicendo molto più di quanto poteva immaginare.

- Sì, subito. -

Ora più che mai il ragazzino era certo che Vexen avesse sentito tutta la discussione con Sora, e che era pronto tanto quanto lui a non dire niente su quanto era successo.

C'era solo da chiedersi quale fosse il motivo che lo spingeva a farlo.

Se da una parte c'era Ventus che desiderava solo proteggere Sora sfruttando quella sua strana perdita di memoria, dall'altra c'era Vexen, con i suoi intenti pilotati dall'alto.

Tu adesso pensa soltanto a Sora, va bene?” la voce di Terra gli risuonò nella mente. Aveva un tono di rimprovero.

- Dove vai? -

Fu la domanda accorata di Sora, che già soffriva l'allontanamento da Ventus.

- A parlare con il Superiore, ma torno presto. -

- E perché devi andare? -

Ventus, non puoi dirgli la verità, non puoi.” fu l'accorato appello del suo cuore.

- Ma niente, avevo fatto richiesta per una borsa di studio, magari vuole dirmi che me l'hanno accordata. - gli rivolse un sorriso - Ci vediamo dopo, eh? -

Sora annuì appena.

La sua mente era confusa, appannata come un vetro ricoperto di condensa. Poteva credere a qualsiasi cosa gli si dicesse in quel momento: non avrebbe distinto la verità dalla menzogna.

Ventus raccolse i suoi vestiti e lasciò a malincuore il piccolo spazio formato dai due lettini e dalla tenda che ne proteggeva la privacy.

- Puoi riposare ancora, quando ti sveglierai potremo parlare. -

Disse Vexen, freddo e insensibile come sempre, rivolto a Sora che si limitò ad annuire e a poggiare di nuovo la testa sul cuscino.

Il medico seguì Ventus. Con un gesto della mano lo invitò ad entrare nel suo studio.

Ventus deglutì a vuoto.

Una volta chiusa la porta e rimasti soli, Vexen andò subito al dunque, senza troppi giri di parole.

- È probabile che soffra di amnesia post-traumatica. - quasi con paura, Ventus constatò che era come aveva pensato: Vexen aveva origliato la sua conversazione con Sora - Questo non può che essere un bene per lui e per noi. Lo comunicherò subito al Superiore. -

Ventus avrebbe voluto sollevare qualche dubbio sull'idea che un'amnesia potesse essere qualcosa di buono per Sora. Ma sicuramente era un bene per quel “loro”, e gli fu difficile trovare una collocazione spaziale e temporale per quel “loro”. Chi erano “loro”, che volevano “loro”, perché era un bene che Sora non ricordasse quello che era successo nello spogliatoio?

Il biondo si limitò ad annuire, come un automa.

- Adesso preparati e sali nell'ufficio del Superiore. -

Detto questo, Vexen dovette essere sicuro di aver terminato la discussione con Ventus, perché non gli diede più alcun conto. Si andò a sedere alla sua scrivania e cominciò a tirare fuori delle carte, su cui concentrò tutta la sua attenzione.

Ventus sospirò, ed uscì.

 

Mentre saliva le scale per raggiungere l'ufficio del Superiore, Ventus cercava di mettere in ordine le idee confuse che si agitavano nella sua mente.

Pensava a Terra, di cui non aveva ancora avuto notizie.

E pensava anche e soprattutto a Sora, alla sua amnesia, e a tutti le possibili conseguenze.

Però, per quanto si sforzasse, non riusciva a trovare un lato negativo per la faccenda.

Sora sarebbe potuto tornare alla sua vita, mentre chi di competenza si sarebbe occupato di trovare il colpevole.

Non era perfetto così?

Arrivato davanti alla porta laccata di rosso dell'ufficio, Ventus alzò un pugno per bussare, ma come sempre l'uomo lo invitò ad entrare ancora prima che riuscisse a colpire con le nocche il legno della porta.

Il ragazzino prese un profondo respiro, sistemò alla bell'e meglio il cravattino della divisa, ed entrò nell'ufficio.

L'odore di caffè lo prese subito alla gola.

Il Superiore ne stava sorseggiando una tazza, in piedi davanti alla finestra che dava sull'entrata della scuola.

Il suo atteggiamento fintamente rilassato fece mal pensare Ventus.

- Prego, siediti. -

Fu più un ordine che un invito. Ma Ventus non se lo fece ripetere. Corse a sedersi su una delle poltrone di fronte alla grande scrivania.

- Immagino di non poterti offrire del caffè. -

Sollevò appena la tazza in direzione del ragazzo.

- No...grazie...non lo bevo. -

- Lo intuivo. - il Superiore gli rivolse un sorriso che tendeva più verso un ghigno. Finì di bere l'ultimo sorso di caffè, per poi andarsi a sedere sulla grande poltrona dall'altro lato della scrivania. Come suo solito poggiò i gomiti sulla scrivania, intrecciò le mani e vi poggiò sopra il mento. I suoi occhi dorati sondarono da capo a piedi Ventus, che si sentì rabbrividire. - Ho saputo dello spiacevole evento a cui hai dovuto assistere. - disse, rompendo il ghiaccio con un colpo secco.

Ventus sentì il cuore mandargli una fitta.

- Sì. -

Rispose solo, visto che il Superiore non gli aveva posto una domanda precisa.

Quegli occhi dorati sfrigolarono di rabbia, ma il suo corpo la trattenne egregiamente.

- Vexen mi ha informato che il ragazzo ha un'amnesia. -

- Sembra di sì, ma non ne capisco molto di queste cose. -

Xemnas gli rivolse un sorriso gentile e famelico al tempo stesso.

- Adesso si ritrova nell'impossibilità di dirci chi è il colpevole, ma ho saputo che siete diventati molto amici in pochissimo tempo. -

- Non gli ho fatto niente. -

Si affrettò a dire Ventus, pentendosi subito dopo averlo fatto.

La difesa ingiustificata era la prima manifestazione della colpa.

Xemnas sorrise ancora.

- Non lo metto in dubbio. - acconsentì - Mi chiedevo solo se tu saresti disposto a fare un accordo con me, vista la tua vicinanza con il ragazzo. -

- Un accordo? Che genere di accordo? -

Il cuore di Ventus fece una capriola in petto.

Il Superiore prese un respiro e socchiuse gli occhi per un attimo, come se stesse raccogliendo le parole per dirle nel modo più semplice possibile.

- Capirai sicuramente che al tuo amico adesso occorra riprendere la sua vita da dove l'ha interrotta. - Ventus annuì appena - Che quest'amnesia sia capitata al momento giusto, è quasi un miracolo. Così ci consentirà di cercare il colpevole senza dover passare per fasi dolorose come la terapia psicologica, di cui, a dire il vero, ero pronto a fare uso facendo intervenire il nostro psicologo. -

- È quello che pensavo anch'io! - si ritrovò ad urlare Ventus - Cioè, del fatto che era una cosa buona per la ricerca del colpevole... -

- Vedi? Siamo già sulla buona strada per firmare il nostro accordo. - furono le parole affettate di Xemnas. In qualche modo, Ventus si trovò in sintonia con il suo pensiero - Visto che il ragazzo non è in grado di comunicarci il nome del colpevole, starà a te che sei il suo amico più vicino indagare senza farti scoprire. Devi agire per conto mio, e cercare di scoprire il più possibile sull'accaduto. Ma capirai che perché il piano funzioni, devi mantenere la massima segretezza con chiunque. -

- Sì, certo. -

In effetti, era un ragionamento che filava, filava alla perfezione.

Il suo cuore agitato lo portò a spingersi sulla punta della sedia, in tensione. Ormai pendeva dalle labbra del Superiore.

- Anche il professor Terra verrà invitato a sottoscrivere quest'accordo, e vedrai che con la tua e la sua sorveglianza...si arriverà ad una soluzione. -

- Capisco. -

Capiva davvero, e trovava, nella sua ingenuità, che fosse un'idea meravigliosa.

Si fidava completamente di Xemnas, dell'uomo carismatico e potente che aveva di fronte, che con una sola parola poteva sottomettere chiunque al suo volere.

Era a capo di un impero, ed era un perfetto imperatore.

- Dovremo inventare una scusa per colmare il vuoto di memoria del ragazzo. La mia proposta è quella di dire che all'ultima ora di ieri, quella di ginnastica, è semplicemente caduto battendo la testa durante la partita di dodge ball. Potrebbe crederci? -

Ventus sorrise al solo pensare alla mente dal semplice modo di ragionare di Sora, e capì che se c'era qualcuno che poteva credere ad una cosa del genere, era proprio lui.

- Sì, signore, potrebbe. -

- Allora sarà quello che gli dirai. - Xemnas abbassò le mani intrecciate davanti a sé - Tu sei suo amico, crederà ad ogni parola. -

- E nel frattempo dovrò cercare di capire chi può essere stato a fargli del male, giusto? -

- Esatto! - esclamò il Superiore come fosse entusiasmato dalla velocità con cui Ventus aveva afferrato il concetto - Mentre noi ci occuperemo del resto. Puoi farlo? -

- Posso farlo, signore, posso! -

- Allora, abbiamo un accordo? -

- Sì. -

Xemnas annuì tra sé e sé, fissando lo sguardo dorato in un punto lontano, e vedendo qualcosa che Ventus non poteva vedere.

La trama era più fitta di quanto potesse credere.

- Bene, allora aspetto tue notizie. Mi raccomando cerca di non lasciarti scappare niente con nessuno. Ma sei un ragazzo sveglio, so che ne sei capace senza che io ti faccia alcuna raccomandazione. - sospirò, e si accomodò meglio sulla sua poltrona - Puoi andare, e abbi una buona giornata. -

- Grazie, signore, la auguro anche a lei. -

Con un inchino frettoloso, Ventus si alzò ed uscì dall'ufficio, con il cuore più leggero e con la sensazione che le cose si sarebbero presto sistemate, che tutto sarebbe tornato alla normalità.

Lui aveva un compito importante, lui aveva tra le mani la possibilità di aiutare Sora come nessun altro. Poteva davvero fare la differenza.

Questo lo faceva sentire felice come non mai mentre scendeva le scale.

Pochi istanti dopo che lui era uscito dall'ufficio, un'altra persona prese il suo posto.

- Mi dispiace, Sir. -

Esordì il Vicepreside, chinando il capo. I capelli color zaffiro gli ricoprirono il viso dimesso e contorto in un'espressione affranta.

- Non potevi saperlo, Saïx. -

Disse Xemnas, cupo.

Saïx chiuse bene la porta dell'ufficio e si premurò di affiancare il Superiore che gli porse amichevolmente una tazza di caffè preparata in precedenza appositamente per lui.

- Che cosa facciamo adesso? Non riusciremo a prendere in giro Terra come abbiamo fatto con il ragazzino. -

L'espressione di preoccupazione nella voce di Saïx non era tangibile se non dal Superiore, che conosceva come le sue tasche ogni sua sfumatura.

- Non temere, Saïx. Gli incidenti possono accadere. -

- Mi sta dicendo che... -

Xemnas sorrise minaccioso.

- Ti sto dicendo che proteggere questa scuola non è un compito sempre facile. - il Superiore giocò con le carte che aveva sulla scrivania. C'era un piccolo blocco di fogli tenuti insieme da una graffetta, insieme ad una foto formato tessera di un giovane uomo bruno dagli occhi azzurri. Terra. - Se il nostro professore è deciso a farci la guerra... - afferrò come un pugnale il tagliacarte d'avorio che riposava in un lato - ...noi non saremo da meno. - ne infilzò con forza la punta sulla foto, proprio tra gli occhi azzurri del giovane che vi era ritratto - In quanto a te. - rivolse la sua attenzione a Saïx che si sentì rabbrividire. La paura era un sentimento che si permetteva di provare solo in presenza di quell'uomo. - Tu hai fatto tutto il necessario per arginare i danni, ed è lodevole il modo in cui hai affrontato quella situazione spiacevole e difficile. -

- Ma così facendo ho aizzato Terra. -

- Ci ho pensato io a spegnere i suoi bollenti spiriti ieri sera dopo il nostro colloquio. - lo disse con un tono carico di soddisfazione - Ma come ho detto prima, se dovesse continuare nelle sue intenzioni bellicose, sarò pronto a prendere dei provvedimenti. Per il resto, mio carissimo Saïx, il mio consiglio è quello di tornare alle tue mansioni. -

- Si, Sir. -

Saïx poggiò la tazza di caffè ancora piena sulla scrivania del Superiore.

Fece un profondo inchino, sentendosi in qualche modo colpevole di aver complicato una situazione già complicata di per sé.

Poi si ritirò, uscendo dall'ufficio, e lasciando Xemnas solo.

L'uomo si alzò, recuperando la sua posizione accanto alla finestra.

Gli allievi erano sciamati tutti all'interno della scuola, della sua scuola, ormai da un paio di minuti.

Il suono della campanella non raggiungeva il suo ufficio, ma l'orologio sulla scrivania era perfettamente sincronizzato con quello della scuola.

Poggiò un palmo sul vetro freddo della finestra.

Chi sei tu che ti permetti di mettere in pericolo la mia scuola?” pensò, con leggerezza.

Mentre ancora stava cercando una risposta, avvistò una testa mora appartenente ad un certo ragazzo, giù nel cortile. Il suddetto ragazzo, mani in tasca, zaino sulle spalle, e amici a fianco, quasi sentendo la sua attenzione richiamata da una forza superiore, alzò lo sguardo in alto, verso la finestra del suo ufficio.

Xemnas sorrise a Vanitas, che in cambio gli rivolse una smorfia di terrore.
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The Corner

Ciao a tutti!
Adesso abbiamo superato "la collina", e la storia torna in pianura dopo un po' di noia XD
Questo è l'ultimo capitolo della serie "burocrazia mafiosa" ad opera di Saix e Xemnas,
dal prossimo in poi si torna sui nostri studenti!
Prossimo appuntamento, giovedì 7 Novembre!
Chii

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Capitolo 24
*** Dietro la maschera di ghiaccio che usano gli uomini c'è un cuore di fuoco. / Il cuore vive finché ha qualcosa da amare, così come il fuoco finché ha qualcosa da bruciare. ***


23

Dietro la maschera di ghiaccio che usano gli uomini c'è un cuore di fuoco.

 

Il cuore vive finché ha qualcosa da amare, così come il fuoco finché ha qualcosa da bruciare.

 

Sora si rigirò nel letto, affondando la testa nel cuscino.

Anche se Vexen gli aveva detto che poteva continuare a dormire, lui davvero non ne conosceva il motivo.

Stanco non era. Un po' dolorante sì, ma non credeva che fosse una scusa sufficiente per fargli passare il resto della mattinata a letto.

Per di più temeva che la segreteria avrebbe chiamato a casa se non si presentava a lezione.

Un altro motivo per tenere gli occhi spalancati nel nulla e tenere il sonno lontano.

L'infermeria era il posto più silenzioso di sempre. Che dipendesse dal fatto che si trovava in una zona lontana dal resto del plesso scolastico o meno, era comunque inquietante il modo in cui il mondo rimanesse a debita distanza da quel posto.

Che fosse l'aura gelida di Vexen a far scappare via i rumori?

Scosse la testa, stava decisamente divagando.

Le pareti potevano essere state semplicemente insonorizzate per rendere quel luogo tranquillo. D'altronde chi stava male non aveva bisogno di silenzio e tranquillità? E in infermeria non ci si andava quando si stava male?

Le due cose erano compatibili, e Sora fu convinto di aver trovato la sua risposta.

Si volse su un fianco e una fitta di dolore gli paralizzò per un attimo le gambe.

Fece una smorfia e socchiuse gli occhi finché il dolore non fu passato.

Per quanto provasse a darsi una spiegazione, il vuoto nella sua memoria non faceva altro che gettarlo nella più totale confusione.

Che cosa era successo dalla partita di dodge ball del giorno prima a quella mattina?

Era un lasso di tempo lunghissimo, che poteva essere pieno di avvenimenti...che lui non ricordava completamente.

Se si sforzava di recuperare qualche ricordo l'emicrania cominciava a minacciare di afferrargli il cervello e stringerglielo in una morsa gelida.

Il pulsare intermittente che aveva dietro gli occhi era la ragione per cui Sora aveva smesso di pensarci, dopo averci provato una o due volte.

Non aveva voglia di stare male.

Si volse ancora, mettendosi supino. Stavolta non sentì alcun dolore e un po' se ne compiacque.

Il silenzio dell'infermeria lo schiacciava, come una pesante cappa.

Avrebbe avuto voglia di gridare per spezzare quel nulla opprimente.

Poteva quasi sentire il suono dell'ossigeno che filtrava lentamente nella stanza, che attraversava le sue vie aeree e arrivava ai polmoni inondandoli di nuova aria.

Strizzò gli occhi, si tirò su a sedere e si compiacque per un attimo del fruscio che fecero le coperte.

Sbadigliò distrattamente, più per abitudine che perché avesse sonno.

Le sue scarpe erano per terra, ai piedi del lettino.

Saltò giù. Per un attimo il mondo gli ruotò intorno e rischiò di perdere l'equilibrio. Ma si riprese.

Forse si era alzato troppo in fretta.

Andò a recuperare le scarpe, rabbrividendo al contatto con il pavimento gelido e pulitissimo, e se le infilò.

La zaino con i libri era lì, su una sedia. Ma della sua divisa non c'era traccia.

Chissà dov'era finita.

Con il dubbio ancora ben impresso nella mente, Sora scostò la tendina che divideva il suo letto dal resto dell'infermeria.

Si guardò un po' intorno, indeciso su cosa fare.

Non poteva cambiarsi e togliersi di dosso quello stupido pigiama da ospedale se non gli avessero dato indietro la sua divisa. E aveva come l'impressione che la tuta era rimasta nell'armadietto in palestra, dato che non l'aveva vista nei dintorni.

La porta dell'ufficio di Vexen era aperta, ma di lui non c'era traccia.

Svogliatamente e solo perché aveva ben poco da fare, Sora andò a darci un'occhiata.

Quell'ufficio rifletteva quasi come uno specchio l'indole gelida e perfezionista del medico.

Non c'era un solo granello di polvere fuori posto, anzi, non c'era proprio nessun granello di polvere.

I libri nella vetrina erano ordinati in ordine alfabetico. Tutti i dorsi sembravano essere stati lucidati di fresco, anche se era chiaro che fossero usati giornalmente e con una certa frequenza.

Sora scorse con lo sguardo tutti i titoli. I suoi occhi cerulei si bloccarono sul buco tra un volume e un altro.

Mancava un libro.

- Oh!-

Sora sobbalzò sentendo quell'esclamazione, e si tirò indietro, quasi scottato.

- No...io...niente...stavo solo... - balbettò per giustificarsi, tenendo la testa basta per l'imbarazzo. Visto che non ricevette nessuna risposta, lui si azzardò ad alzare gli occhi, e si ritrovò davanti qualcuno che non si aspettava. - Ah...non sei Vexen. -

Disse solo, decisamente sollevato.

Davanti a lui c'era un ragazzino magrolino, non molto alto, dal cipiglio interrogativo, o almeno sembrava interrogativo. Era visibile solo l'occhio sinistro, il destro era nascosto sotto una lunga frangia di capelli grigio acciaio con sfumature blu.

Aveva un viso gentile, dai lineamenti delicati, che nonostante tutto gli davano un'aria matura. Sicuramente doveva essere di uno o due anni più grande di lui.

- No, credo di non esserlo. -

Disse, con un tono di voce sussurrante, quasi si trovasse in chiesa, o in biblioteca a giudicare dalla serie di libri che teneva tra le braccia.

A Sora fece subito simpatia.

Forse per i modi timidi di quel ragazzino, forse per la brillantezza del suo occhio color ardesia che invitava a scoprire il suo gemello nascosto, forse per il tono pacato della sua voce.

- Io sono Sora. E tu sei...? -

- Zexion. - sussurrò lui, stringendo di più i libri al petto - Non dovresti stare qui, se Vexen ti trovasse potrebbe arrabbiarsi. - si affrettò ad aggiungere, guardandosi intorno come per giustificare il suo nervosismo.

- La porta era aperta, e non ho toccato niente. Non penso che mi sgriderebbe. -

Ridacchiò Sora, aprendosi in un sorriso allegro.

- Meglio che tu non stia qui comunque... -

Fece Zexion, risoluto.

Superò Sora e andrò ad aprire la vetrina della libreria con una chiave che teneva al collo.

Il bruno sollevò un sopracciglio, stupito.

Perché aveva quella chiave?

Tirò fuori dalla pila di libri che teneva in braccio il volume che riempiva il vuoto su cui Sora aveva fatto cadere gli occhi qualche istante prima.

Zexion doveva essere autorizzato a prendere in prestito i libri presenti in quell'ufficio direttamente da Vexen: nessun altro avrebbe potuto dargli la chiave della vetrina.

Il ragazzo chiuse tutto a chiave, dopo aver sistemato i libri e averne presi un altro paio dalle fine più basse (grossi volumi dall'aria antica e le pagine sottili per il troppo utilizzo, di cui Sora non riuscì a scorgere il titolo).

- Stai male? -

Gli chiese all'improvviso, mentre s'infilava la chiave della vetrina dentro la camicia.

Sora fu preso alla sprovvista e inarcò le sopracciglia, senza capire.

Zexion fece scivolare su di lui l'unico occhio visibile, con un po' di preoccupazione, come se avesse voluto capire che cos'aveva soltanto guardandolo.

Sora fu costretto a guardarsi, come se avesse qualcosa di orrendo attaccato addosso.

- Stai male? -

Ribadì Zexion, adesso sicuro che il ragazzino lo capisse.

- Ahm...credo di sì...devo aver avuto un qualche incidente ieri a ginnastica...mi sono svegliato stamattina e l'ultima cosa che ricordo e la partita di dodge ball. -

Sorrise Sora, grattandosi la guancia con un'espressione confusa. Neanche lui sapeva bene che cosa dovesse raccontare.

- Hai dormito qui? -

Sora s'imbarazzò un poco a quella domanda, visto che il pigiama che aveva addosso era di una stoffa sottile, similcarta, che lasciava poco spazio all'immaginazione.

Si strinse le braccia intorno al petto, come a volersi coprire dallo sguardo indagatore dell'occhio ardesia di Zexion.

- Ehm...sì, sì, ho dormito qui. Ero...svenuto credo. Stavo cercando la mia divisa per potermi cambiare, ma non la trovo da nessuna parte. -

Zexion accennò un sorriso, velocissimo come un flash. Sora ebbe appena appena il tempo di registrarlo.

Era un bel sorriso, di sincero divertimento.

Ma poi la sua espressione tornò neutra, come se anche le sue espressioni fossero timide.

- Forse posso procurartene una. È molto probabile che Vexen abbia distrutto la tua. -

- C-come? Distrutto? E perché?! -

Fu la reazione scioccata del ragazzino, che suscitò un altro sorriso lampo in Zexion.

- Sai, Vexen è un po'...ossessionato dalla pulizia. Brucia tutto quello che non può disinfettare completamente. Soprattutto i vestiti dei suoi pazienti. Visto che quasi tutti indossano le divise, quando arrivano qui, lui ne ha una scorta personale. -

- Che cosa strana... -

Borbottò Sora, corrucciando le sopracciglia.

Zexion si strinse nelle spalle, come a dire che quello strano era Vexen. Poi gli fece cenno con la mano di seguirlo.

C'era, in un angolo dell'infermeria, un grosso armadio metallico, chiuso con un lucchetto a combinazione.

Il ragazzo vi si avvicinò e a colpo sicuro inserì il numero della combinazione. Sora non se ne stupì neanche: ormai aveva appurato che Zexion doveva frequentare abitualmente quel posto, e Vexen, altrimenti non avrebbe potuto conoscere in quel modo usi e costumi dello strano e gelido medico.

Il bruno osservò da dietro i movimenti del ragazzo, e quando gli porse una divisa che puzzava orribilmente di disinfettante l'accettò di buon grado: era della sua misura, meglio stirata e più pulita di quella che gli avevano fatto avere dalla segreteria.

- Grazie. -

Gli sorrise Sora, stringendo la stoffa pulita della giacca nera.

- Niente di che. Cambiati in fretta. Lì c'è il bagno. - gli indicò una porta bianca - Non andartene prima che Vexen sia tornato e ti abbia dato il permesso. -

- Sì. -

Annuì forte il ragazzino.

Zexion gli rivolse l'ennesimo sorriso lampo.

- Zexion? Non ti aspettavo fino all'ora di...e perché ti sei alzato dal letto, tu? -

I due ragazzi si volsero quasi all'unisono.

Stavolta era Vexen, con il suo sguardo arcigno, i suoi occhi verde ghiaccio, i suoi lunghi capelli biondo smorto, e l'espressione lievemente alterata.

Sora si sentì percorrere da una scarica elettrica di un milione di volt quando il medico fissò la divisa pulita che aveva tra le braccia.

Fu sicuro che si sarebbe arrabbiato a morte e che avrebbe messo su una sfuriata da far cadere i muri che avevano intorno.

Invece successe qualcosa che non si sarebbe aspettato.

Lo sguardo di Vexen si sciolse, quasi fosse venuto a contatto con una forte e improvvisa fonte di calore, mentre passava da Sora a Zexion.

Sora aggrottò le sopracciglia, confuso.

Perché quel cambiamento?

- Ti avevo detto che dovevi risposare, e ti ritrovo in piedi e pronto ad andartene. - sbottò Vexen, rivolto a Sora, non più così freddo; neanche caldo, ma almeno aveva abbandonato i -10° di temperatura ed era arrivato allo 0 - Prima di lasciarti uscire, devo visitarti un'ultima volta. - indicò la divisa - Poi potrai cambiarti e andare dove ti pare. Ti avrei dato io di che vestire, ma Zexion mi ha preceduto. -

- Mi dispiace. -

Commentò con voce sottile il ragazzo, ma in realtà non sembrava particolarmente dispiaciuto.

Vexen fece un gesto con la mano che avrebbe dovuto zittirlo con stizza, ma sembrava più un pigro ammonimento, qualcosa aromatizzato con dell'affetto paterno.

Poi puntò l'indice sulla tenda dietro la quale c'era il lettino dove aveva dormito, senza aggiungere una sola parola.

Sora scattò sull'attenti da bravo soldatino e filò verso la tenda, capendo che quel gesto fosse stato indirizzato a lui.

Si voltò all'ultimo prima di superarla.

- Ciao Zexion, piacere di averti conosciuto. -

E gli sorrise tutto felice.

Zexion sentì una strana sensazione nel fondo dello stomaco mentre il ragazzino si infilava dietro la tenda.

Solo allora Vexen lasciò che il muro di ghiaccio spesso che lo circondava si sciogliesse del tutto e rivolse un'occhiata gentile a Zexion.

- Come mai sei qui? -

Gli domandò con sana e calda preoccupazione.

- Sono venuto a posare i libri che avevo finito e prenderne degli altri. -

Disse piano il ragazzino, mostrando al medico i libri che teneva in braccio.

Vexen annuì, con un messo sorriso.

- Hai trovato interessante il manuale di anatomia comparata? -

- Sì, molto. - fu il sussurro contento di Zexion - Mi è piaciuto tanto anche il trattato pratico di medicina occulta... -

- Con quello devi stare attento. - lo rimproverò leggermente, facendolo rabbrividire - Quelle sono tutte sciocchezze senza fondamento scientifico. -

- Lo so. - annuì Zexion, con risolutezza - Ma ho trovato istruttivo conoscere l'alternativa illogica alla scienza. -

- Bravo ragazzo. - velocemente, Vexen infilò una mano tra i capelli color acciaio di Zexion, e li spettinò con gentilezza - Però dovresti concentrarti di più sugli studi. -

- Lo sto facendo. -

Si lamentò lui, infilando nella sua espressione neutra un broncio velocissimo.

- Intendo che dovresti studiare per la scuola, e non per tuo piacere personale. -

- È sempre studio. -

Asserì Zexion, arrossendo un pochino, e nascondendosi di più dietro la lunga frangetta.

- Dovresti essere a lezione adesso, non qui. -

- C'è supplenza. -

- Vorrei crederci. -

- È la verità! -

Vexen accennò una risatina. Quando si accorse di stare ridendo, tossicchiò imbarazzato e tornò al suo freddo e solito contegno.

- Vai, prima che mi venga voglia di toglierti la chiave della libreria. -

Zexion sgranò gli occhi e scosse la testa.

- Vado! - disse. Strinse di più i libri al petto e girò i tacchi per andarsene. Non si dimenticò, sulla porta, di voltarsi per salutare l'uomo, con un sorriso pieno che gli rimase sulle labbra anche dopo che se n'era andato.

Vexen sospirò pesantemente. Quel ragazzino rischiava di cambiarlo ogni giorno di più. Lo rendeva troppo sentimentale, gli toglieva il distacco medico su cui aveva lavorato per tutta la vita.

Non doveva concedergli tutte quelle confidenze, o la sua maschera di ghiaccio si sarebbe incrinata. Ma ormai...

Il medico trasformò la sua espressione. Da rilassata tornò gelida mentre camminava verso la tenda.

Sora dondolava i piedi, seduto sul lettino.

Non aveva sentito nulla dello scambio di parole tra Vexen e Zexion, dato che avevano sussurrato tutto in modo concitato e soffuso, com'erano soliti fare tra di loro.

- Come ti senti? -

Esordì il medico, chiudendo dietro di sé la tendina.

Aveva perso quel poco di calore che aveva acceso i suoi occhi verdi, recuperando in fretta quel gelo che lo contraddistingueva.

- Uhm... - fece Sora, senza smettere di far dondolare i piedi - ...bene, credo. -

Vexen tirò fuori dalla tasca del camice che indossava un paio di guanti di lattice, probabilmente sterili.

Li indossò e si avvicinò a Sora. Lui fu preso da una sensazione bruciante di panico, e per un momento fu tentato di mettersi ad urlare. Il suo cervello superò il cortocircuito innescato dalla paura, e gli fece riprendere controllo di se stesso, anche se era rigido come un blocco di pietra mentre il medico gli tastava la gola, alla ricerca di chissà cosa.

- Hai vertigini, nausea, giramenti di testa? - estrasse una piccola torcia dal taschino cucito sul petto e l'accese - Segui la luce. - Sora fu abbacinato da quella lucetta, ma la seguì a destra e a sinistra, in alto e in basso, ovunque Vexen la spostasse.

- No...mi sento bene. -

Ripose, in differita.

Il medico spense la luce e la rimise al suo posto.

- Dolori generici? -

Sora si morse le labbra, ricordando il dolore a tutta la parte inferiore del corpo. Per Vexen fu una risposta sufficiente.

- No, nessun dolore. - mentì il ragazzino, scuotendo la testa - Che cosa mi è successo? -

- Sei caduto e hai battuto la testa. -

Commentò asettico il medico, il sangue che cominciava a gelarglisi nelle vene.

Sora portò automaticamente una mano sulla testa, come a volersene accertare.

- Ma non ho mal di testa. -

- Già. -

Lui corrugò le sopracciglia.

- E come posso aver battuto la testa se non ho dolore? -

Vexen non rispose.

Si tolse i guanti e li gettò nel cestino più vicino, ignorando del tutto l'espressione confusa del ragazzino.

Sora si concentrò con tutto se stesso per cercare nella sua memoria qualcosa che confermasse le parole di Vexen, ma trovò solo l'emicrania che gli esplose dietro gli occhi all'improvviso, annebbiandogli la vista per un momento.

Al medico non passò inosservato quel malore, che durò il tempo di strizzare gli occhi, diventati di colpo appannati come un cielo coperto di nuvole.

- Non riesco a ricordare niente. -

Disse Sora, lamentoso.

- La botta è stata molto forte. -

Fu l'unica spiegazione di Vexen, che nella sua mente stava analizzando e catalogando ogni gesto e ogni movimento del ragazzino, cercando di scoprire cosa e quanto di quell'esperienza traumatica fosse rimasto nella sua testa.

- Mi tornerà la memoria? -

Il medico rimase impassibile.

- È molto probabile. -

Sora si mordicchiò l'interno della guancia, sempre più confuso.

C'era qualcosa di sbagliato in quella storia, però lui l'accettava comunque. Gli andava bene come spiegazione, era meglio che cercarne un'altra.

Anche se c'era una piccolissima parte di lui che si opponeva a quella verità fallata. Era una parte molto piccola, ed era trascurabile.

- Posso vestirmi? -

- Sì. -

Il ragazzino annuì al medico e si alzò, prendendo con sé la divisa pulita.

- I miei genitori sanno che cosa mi è successo? -

- Se n'è occupato il Vicepreside. -

Rispose Vexen, senza aggiungere altri dettagli. Per quel che ne sapeva Sora era come se non gli avesse detto proprio niente.

Anche se aveva la testa piena di domande, non sollevò nessun'altra obiezione.

Andò in bagno e si chiuse la porta alle spalle.

 

*

 

Con un leccalecca alla Coca-Cola in bocca che andava sciogliendosi e uno fragola e panna ancora incartato, Axel scivolò fuori dalla classe senza farsi notare.

Anche se, per definizione, Axel non poteva passare inosservato.

Una bella fortuna che la prima ora fosse di supplenza, visto che non aveva avuto il tempo di stare in pace con Roxas quella mattina per colpa di Vanitas e Riku.

Succhiò un po' il leccalecca, sulla lingua il sapore scoppiettante dell Coca-Cola gli mandò un scarica di piacere.

Axel stava pensando a cosa inventarsi per far uscire Roxas dalla sua classe. Non sarebbe stato facile convincere la professoressa Aqua, che se non sbagliava doveva avere la prima ora di lezione quel giorno.

Si strinse nelle spalle: qualcosa gli sarebbe venuto in mente.

Svoltò a destra e in lontananza vide la porta della classe, ben chiusa. Di certo avevano già cominciato.

Lanciò un'occhiata all'orologio da polso. Erano appena le otto e mezza. Che palle certi insegnanti.

Si avvicinò alla porta e vi poggiò l'orecchio sopra. Sì, era la voce di Aqua, e sì, stava spiegando. Dalla foga che ci stava mettendo doveva essere molto presa.

Axel sfilò il cellulare dalla tasca dei pantaloni.

Spostando il leccalecca da una guancia all'altra scrisse un semplice messaggio: “svignatela, sono qua fuori”.

Pigiò su “Roxy” e lo inviò.

All'incirca trenta secondi dopo poté sentire la voce di Roxas che chiedeva alla professoressa di poter andare in bagno.

Lei si risentì un po', visto che lui non poteva voler andare in bagno dopo neanche mezz'ora di lezione.

- Mi scappa! -

Ribatté lui, con tono lamentoso, facendo ridacchiare Axel.

- Vai! -

Fu lo sbuffante permesso di Aqua.

Axel sentì la sedia strisciare sul pavimento e Roxas che quasi volava verso la porta. Probabilmente agli occhi di chi lo guardava stava correndo in bagno, mentre Axel sapeva benissimo che correva da lui.

Il pensiero lo fece sorridere.

Si scostò dalla porta mentre Roxas l'apriva con foga e se la richiudeva alle spalle.

I loro sguardi si incrociarono, e furono solo sorrisi.

Axel gli indirizzò un occhiolino e gli porse il leccalecca.

- Fragola e panna, il tuo preferito. -

- Grazie. - rispose lui tutto imbarazzato, e cominciò a scartarlo con le mani che gli tremavano. Quando lo infilò in bocca il suo sapore dolce gli fece venire un brivido. - Che ci fai qui? -

- Pensi di poter mancare fino alla fine dell'ora? -

Chiese Axel, ignorando le sue parole.

- Ahm...credo di sì. - anche se aveva un po' paura della possibile reazione di Aqua. Tutto sommato avrebbe potuto corromperla puntando sulla loro amicizia. - Sì, sì posso. - affermò saldamente, annuendo tra sé e sé.

- Saliamo su in terrazza? -

- Ok. -

Concordò Roxas con un sorriso.

Camminarono fianco a fianco, scambiandosi di tanto in tanto un'occhiata.

Anche se non c'era nessuno in giro, avevano comunque paura di toccarsi, di stare troppo vicini. O meglio, Roxas l'aveva. Axel sarebbe stato disposto a prenderlo per mano anche in quel momento, e a dire il vero ne aveva una certa voglia. Ma sapeva che l'avrebbe solo messo in imbarazzo, ed evitò per il suo bene.

Salirono la rampa che portava alla terrazza, accertandosi di non essere visti da nessuno dei bidelli.

Axel aprì la porta respirando a fondo l'aria della mattina.

C'era un bel sole e il clima adatto per rimanersene in panciolle tutto il giorno, altro che scuola.

Il rosso andò a sedersi ai piedi del muretto, incrociando le braccia dietro le testa e sospirando di piacere.

Roxas si sistemò con le gambe incrociate accanto a lui.

Rimasero in silenzio per un po'.

Axel finì il suo leccalecca e si dispiacque di non averne un altro, Roxas rinunciò a quanto era rimasto del suo per darlo a lui, che non ci pensò neanche per un attimo a rifiutarlo.

Il rosso gli diede una succhiata, giusto per togliersi il gusto della Coca-Cola dalla lingua e poi lo restituì a Roxas, che ridacchiò leggermente.

- Stamattina avrei voluto stare un po' con te. -

Sbuffò Axel all'improvviso.

Roxas ruppe il leccalecca con i denti, facendolo crocchiare.

- Non ti è bastato stanotte? -

Insinuò il biondo, con un'occhiata piuttosto esplicita.

- Mi secca che appena spuntano i tuoi amici mi tratti come se non mi conoscessi. - brontolò Axel, mettendo il broncio - E poi perché giri ancora con loro dopo quello che ti hanno fatto? -

- E dai Ax. - lo spintonò leggermente - Smettila con questa storia. -

- Mmm... - mugugnò lui - ...non voglio che diventi loro complice. -

- Non ti preoccupare. -

Fece lui in risposta.

Finì di mangiare il leccalecca in silenzio, poi si poggiò sulla sua spalla, assaporando il suo profumo e il calore del suo corpo.

Anche se non avevano niente da dirsi, il silenzio tra di loro non era imbarazzante, anzi, era una patina dolce che li avvolgeva con tenerezza, quasi a volerli preservare.

- Sai che stamattina la matricola non è venuta in classe? -

Fu Roxas a rompere quell'idillio silenzioso, con uno strano tono di voce.

- Intendi Sora? -

- Sì, lui. -

Gli occhi color smeraldo ridotti a due fessure.

- Non è che Vanitas gli ha fatto uno scherzo dei suoi? -

Roxas si strinse nelle spalle, scuotendo la testa come a dire che non lo sapeva.

- L'ultima volta che l'abbiamo visto è stato ieri dopo ginnastica. L'ho lasciato in palestra. Sono venuto a pranzo con te, ti ricordo. E siamo tornati a casa insieme. -

- E se gli ha fatto qualcosa di brutto? -

- Nah. - Roxas mosse una mano e scosse di nuovo la testa - Non lo farebbe. -

- Roxas. -

Lo riprese Axel.

Il biondo alzò gli occhi blu al cielo.

- Ha smesso di fare quelle cose, Ax. Non metterebbe in pericolo la vita di nessuno. -

- Sì, ma a te stava per ammazzarti. -

- No. - negò con forza - Non ha fatto niente a Sora. -

Ma non ne era veramente sicuro.

Il giorno prima, dopo aver eseguito gli ordini di Vanitas, stanco di aspettare che finisse di giocare con la matricola, Roxas se n'era semplicemente andato.

Visto che anche Riku l'aveva piantato appartandosi con la sua ragazza (che per la cronaca non gliela aveva data neanche quella volta, ed era stata la prima cosa che gli aveva raccontato quella mattina), la soluzione spontanea era stata quella di vedersi con Axel e pranzare con lui, che era esattamente quello che aveva fatto.

Poi non ci aveva pensato più, e non aveva fatto caso alla scomparsa improvvisa di Vanitas.

Dimentico della situazione in cui l'aveva lasciato, si era solo goduto i momenti con Axel, e poi erano tornati insieme a casa.

- Quel ragazzino è un amore. Non capisco perché lo dobbiate trattare male. -

Borbottò Axel. Intrecciò le dita con quelle di Roxas, giocando con l'anello nero infilato nel suo indice.

- Non lo trattiamo male. Gli facciamo solo qualche innocente scherzetto, così, per passarci il tempo. -

Si giustificò Roxas, punto nel vivo.

- Sarà. - sospirò Axel - In ogni caso non dovresti assecondare i desideri di Vanitas come fosse il tuo capo. -

- Gli ho detto di noi. -

Sputò all'improvviso Roxas, con il cuore che gli batteva così forte che neanche riuscì a sentire la sua voce.

Axel sgranò gli occhi smeraldini.

- Come? -

- Gli ho detto di noi. -

Ribadì con più calma Roxas. Teneva la testa bassa, quasi per sfuggire allo sguardo di Axel.

- A Riku e Vanitas? -

- Sì... -

Il rosso alzò il volto di Roxas con un dito, costringendolo a guardarlo. Non c'era scampo da quegli occhi color smeraldo.

- Quando? -

- I-ieri...mentre venivamo a scuola... -

- E che ti hanno detto? -

- Niente. Non abbiamo più sollevato l'argomento. -

- Allora perché continui ad evitarmi quando stai con loro? -

- Cioè...non gli ho detto proprio di noi. - bisbigliò Roxas. Le guance cominciarono a diventargli rosso pomodoro. - Gli ho detto che...che stavo con un ragazzo...ecco... -

Axel si spazientì. Sbuffò dal naso e volse altrove lo sguardo.

Il biondo, temendo di averlo fatto arrabbiare, gli strinse di più la mano.

- Quindi ti vergogni ancora troppo per dire che stai con me? -

- Ax... -

- Sì, sì, scusa. - un sospiro. Axel contò fino a dieci, allontanò la rabbia e la delusione, l'amaro che aveva in bocca. - Aspetto. Come sempre. -

Si chiuse in un silenzio ostinato, che avrebbe potuto dire tutto e niente, e che pungolò dolorosamente il cuore di Roxas.

Lui gli si mise cavalcioni. Lo afferrò con entrambe le mani per la camicia e lo trascinò a sé, coinvolgendolo in un lungo bacio.

Axel provò a non farselo piacere, provò con tutto se stesso a odiare quell'atto impostogli quando non ne aveva voglia. Ma non ci riuscì.

Passò una mano intorno alla vita di Roxas, e una la infilò tra i capelli setosi e brillanti di sole.

Lo allontanò solo quando il suo sapore dolce gli si fu impresso sulle labbra.

Il biondo gli poggiò una mano sulla guancia.

- Sei caldissimo! -

- Sarà che tu butti benzina sul fuoco. -

Rispose lui con un sogghigno.

Roxas affondò le mani tra i capelli rossi di Axel. Li agitò un po', e brillarono di mille riflessi alla luce del giorno, quasi fossero una fiamma viva.

Lui non resistette più. Con forza lo costrinse ad un bacio, infilandogli la lingua tra le labbra.

Il biondo sgranò gli occhi blu per un istante, poi accolse la foga del ragazzo con un sorriso.

Stretto tra le sue braccia, avrebbe potuto giurare di stare andando a fuoco.

 

Rimasero abbracciati per una quantità indefinibile di tempo. Avvolti nella loro bolla di calore sarebbe potuta passare un'eternità senza accorgersene.

Ma il suono della campanella li risvegliò brutalmente.

Axel fu il primo a riscuotersi. Con uno sbuffo irritato allontanò da sé Roxas, che coccolato dal suo corpo stava quasi per assopirsi.

- Ho compito in classe. -

- Non andarci... -

Fu la risposta sussurrata di Roxas, che infilò subito una mano sotto la sua maglietta per accarezzare la pelle calda.

Axel fu attraversato da un brivido di piacere, ma ebbe la forza di allontanare la mano del biondo.

- No, non posso, è importante...cazzo. - Roxas mugolò qualcosa in risposta. Teneva bene gli occhi chiusi: d'altronde non aveva bisogno della vista per toccare i punti più sensibili di Axel. Continuò ad accarezzargli il petto, scendendo in ghirigori rotondi fino all'ombelico. Una scossa elettrica salì su per la schiena di Axel. Strinse forte le dita di Roxas, arrestando la sua discesa verso la zip dei pantaloni, dove qualcosa stava cominciando a muoversi. - Roxy, ti prego, non adesso. -

Il biondo spalancò gli occhi, deluso, e si tirò indietro facendo il broncio.

- Non mi respingi mai. -

- Fa più male a me che a te. -

Roxas mugolò qualcosa tipo “non credo proprio” e si tirò in piedi, spolverandosi di dosso lo sporco della terrazza, ma anche il calore di Axel.

- Non tenermi il broncio, piccoletto. - lo apostrofò il rosso, tirandolo indietro dal colletto della camicia e costringendolo a cadere tra le sue braccia - Sai che non lo farei se non fosse una causa di forza maggiore. - forzò le sue difese e si infilò con la lingua tra le sue labbra per un velocissimo bacio, poi lo spinse via - E tu devi andare a lezione anche. -

Il biondino piagnucolò, scuotendo la testa: non poteva essere arrabbiato con lui, non poteva davvero.

Recuperato il contegno i due si incamminarono giù per le scale.

 

*

 

Ventus scivolò nel corridoio con il cuore che gli martellava in petto.

Era diviso tra un'emozione positiva e una negativa.

La discussione con il Superiore gli aveva confuso la mente, ma anche rinforzato lo spirito.

Mentre si incamminava verso l'infermeria si ricordò di non avere con sé lo zaino. Non l'aveva lasciato da Xaldin quando era scappato via.

Chissà se il cuoco l'aveva tenuto da parte o se l'aveva dato all'ufficio oggetti smarriti...anche se non l'aveva smarrito e lui sapeva benissimo a chi apparteneva.

Si chiese anche se per caso il Superiore l'avrebbe giustificato per la sua assenza della prima ora.

Con l'espressione di chi si sta facendo delle domande esistenziali, deviò sulla strada per l'infermeria e si diresse in mensa.

- Ehi! Ciao! -

Disse una voce lontana, disincarnata.

Ventus alzò gli occhi e quasi gli venne un colpo.

Perché Axel non era a lezione e stava gironzolando da solo per la scuola?

Sentì un calore prendergli il collo ed espandersi su per il volto.

Camminò con la testa bassa, sperando che non lo fermasse (vaga speranza, visto che l'aveva già salutato).

Visto che niente poteva andare come desiderava, Axel gli andò incontro con un sorriso.

- Ciao Ven, sei in ritardo? -

Ventus trovò caustica ogni singola parola, e quasi gli venne voglia di rispondergli male. Poi si ricordò che doveva fingere, per il bene di suo fratello quanto meno.

- Sì, una cosa del genere. -

Rispose lui abbozzando un sorriso di cortesia, piuttosto scarso.

Axel evitò di prenderlo in considerazione, visto che gli era sembrato più una smorfia disperata che altro.

- Ti accompagno in classe? Andiamo nella stessa direzione. -

Certo, adesso sei tutto allegro e fai il finto tonto, perché non sai che io so tutto.” pensò acidamente il ragazzino. Provò il desiderio folle di prenderlo a pugni.

- No grazie, sto andando in mensa, ieri ho dimenticato il mio zaino lì e devo andare a prendermelo. -

- Di certo il vecchio Xaldin te l'ha messo da parte. - annuì Axel, come se fosse giunto alla sua stessa conclusione - Bhè, allora sarà per la prossima volta. -

- Sicuro. -

Ma era sicuro il contrario, e il rosso lo capì senza bisogno che lo dicesse, e neanche che lo pensasse: si leggeva benissimo sul suo volto.

Chiedendosi ingenuamente che cosa aveva fatto di male per meritarsi quel trattamento, Axel lo salutò con una mano e un sorriso leggero, e se ne andò.

Solo quando svoltò l'angolo Ventus poté tirare un sospiro di sollievo: non avrebbe sopportato la sua presenza un minuto di più.

Per andare in mensa sarebbe dovuto passare di fronte al bagno di Riku e Vanitas.

Non ci stava pensando mentre camminava, ma quando arrivò in vista di una nuvola di fumo simile a nebbia, intuì che i due dovevano essere dentro a fumare. Erano sempre lì dentro a fumare.

Ventus rimase fermo nel bel mezzo del corridoio, spostando il peso del corpo da un piede all'altro.

Provaci.” gli disse una voce nella sua testa, venuta da chissà dove, e che aveva il tono leggero della voce di Sora.

Lui si mordicchiò le labbra e si fece avanti.

La porta del bagno era socchiusa e si sentiva lo sghignazzare sommesso di Riku: forse non erano solo sigarette quelle che stavano fumando.

Infilò uno sguardo nell'apertura per accertarsi che Roxas non fosse lì con loro.

I suoi occhi blu percorsero l'ambiente con ansia crescente e si appoggiarono su Vanitas, bellamente sdraiato sul pavimento con una sigaretta arrotolata tra le dita, e su Riku, arrampicato sul davanzale della finestra, rilassato anche più dell'amico.

Di Roxas nessuna traccia.

Ventus si tirò indietro, respirando forte.

Se si fosse spacciato per Roxas in un qualsiasi altro momento, quei due l'avrebbero di certo riconosciuto. Ma sembravano fatti e strafatti, e non si sarebbero accorti che non era Ventus: bastava guardare l'assenza dell'occhio nero per capirlo.

Lo faccio, non lo faccio, lo faccio, non lo faccio.” si sentiva come se stesse staccando via i petali da una margherita.

Lo faccio.”

Scombinò i capelli in modo che gli cadessero sul viso più del solito, nella speranza che né Riku né Vanitas si soffermassero troppo su suoi occhi.

Sbottonò la giacca della divisa e allentò il cravattino. Tanto per gradire, sfilò dai pantaloni la camicia, stropicciandola con le mani: sì, somigliava molto più a Roxas così.

Il Superiore voleva che indagasse? E lui avrebbe indagato, cominciando dalle personalità più infime della scuola.

Con una spallata aprì la porta del bagno.

- Ehi. -

Esordì, senza titubanze.

Vanitas gli rivolse un'occhiata stralunata, da qualche parte nella sua mente dovette capire che era impossibile che Roxas si trovasse lì, visto che l'aveva lasciato in classe solo un'ora prima, ma i fumi dell'erba che stava fumando gli impedì di concludere il ragionamento, che si perse irrimediabilmente.

- Ehi. -

Lo salutò si rimando.

Nel suo intimo, Ventus sorrise.

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The Corner

Ciao a tutti!
Ben trovati con questo nuovo capitolo,
mi dispiace se la storia procede a rilento, ma è un brutto, orrendo periodo e non sono molto ispirata.
Vorrei potervi far leggere qualcosa di decente, per questo ci metto molto a scrivere!
Spero di pubblicare il prossimo capitolo giovedì 14! p.s. festeggiamo le oltre 1000 visualizzazioni del primo capirolo! Non posso ancora crederci! è un numero enorme...non pensavo che la storia avrebbe potuto mai neanche avere tutti questi "visitatori"!
Chii

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Capitolo 25
*** L'uomo non riesce a risolvere nessun problema. Nel migliore dei casi, inaspettatamente si trova davanti problemi risolti ***


24

L'uomo non riesce a risolvere nessun problema. Nel migliore dei casi,

inaspettatamente si trova davanti problemi risolti

 

Ventus sentì gli occhi giallo limone di Vanitas addosso, ardenti come tizzoni, intensi come un'accusa.

Ecco qui, mi ha scoperto, ha capito tutto.” la porta del bagno si chiuse dietro le sue spalle.

Gli venne un brivido quando vide se stesso, con atteggiamento rilassato, percorrere i pochi passi che lo dividevano da Riku e Vanitas e andarsi a gettare sul pavimento accanto al moro, come fosse la cosa più normale del mondo, come se l'avesse fatto dieci, cento, mille volte.

Ma quegli occhi, quegli occhi gialli da gatto, da predatore, da assassino, continuavano a fissarlo.

Benché fossero appannati dai fumi dello spinello (perché era chiaro persino a Ventus che non ne aveva mai tenuto uno in mano che quello che Vanitas teneva tra le dita era proprio uno spinello) gli occhi del moro sembravano più consapevoli che mai.

Tutta un'altra storia per Riku che, accasciato sulla mensola della finestra, ridacchiava convulsamente per qualcosa che conosceva solo lui. Forse un pensiero strafatto che gli aveva attraversato il cervello.

- Ma che cazzo di roba è questa? Dove l'hai presa, Van? -

Chiese l'albino, ignorando del tutto la presenza di Ventus. Si poteva dare quasi per scontato che capisse appena dove si trovasse.

- Un amico, mi aveva detto che era buona. -

Rispose Vanitas, scollando per un attimo quello sguardo fulminante dal biondo. Fece un tiro profondo, trattenne il fiato per un attimo e poi lo rilasciò sotto forma di piccoli anelli fumosi, tutti rotondi, tutti perfetti. Con un sorriso soddisfatto, passò lo spinello a Riku, che si affrettò a dare una bella aspirata, quasi temesse che il compagno lo potesse finire al giro successivo.

Quando lo finì, soffiando il fumo dal naso, lo passò a Ventus.

Il biondo sgranò gli occhi così tanto che chiunque, fatto o no, avrebbe capito chi era veramente: non era proprio espressione da Roxas, quella.

- Rikkiun, che fai? Vuoi drogare il bambino? -

Vanitas sembrò estremamente divertito mentre strappava la canna dalle mani di Riku, che non la prese molto bene.

Il moro se la infilò tra le labbra, facendola dondolare da un lato all'altro, mentre continuava a bruciare.

Il fumo che riempiva il bagno rendeva l'aria irrespirabile.

Ventus, che aveva avvertito subito il cambiamento venendo da fuori, era passato dalla modalità “respirazione involontaria” a “apnea forzata”.

La nube di fumo che andava allargandosi nel bagno emanava un tanfo insopportabile che bruciava fortemente gli occhi e il naso del biondo.

Quell'odore così forte, piccante e difficile da definire si infilava dappertutto: tra i capelli, nella stoffa dei vestiti, nel naso e giù nei polmoni.

Ventus desiderò poter tossire e aprire la finestra, ma non poteva fare nessuna delle due cose visto che: 1, Roxas di certo sopportava il fumo della canna (ammesso e non concesso che non partecipasse anche lui); 2, Riku era stravaccato proprio davanti all'unica finestra del bagno, e doveva come minimo spingerlo via di peso.

Vanitas rilassò le spalle mentre aspirava un'altra boccata di fumo.

- Che ci fai qui, biondo? Ti avevamo lasciato in classe. -

- Mi annoiavo. -

Fu la pronta risposta di Ventus, un po' troppo pronta, un po' troppo preconfezionata.

Vanitas socchiuse gli occhi a fessura ma non disse niente, non subito almeno.

Ventus inghiottì a vuoto, cercando di dissimulare con la saliva secca che aveva in bocca il bruciore della gola.

Aveva necessità di tossire, mentre gli occhi blu gli si riempivano di lacrimoni.

- Wow, hai battuto il tuo record, un'ora di lezione e già ti annoi. -

Gongolò Riku. Non si capiva bene se ci era o ci faceva. Probabilmente entrambe, in quel momento.

Non sembrava neanche interessato alla discussione, rispondeva perché una parte inconscia del cervello registrava la conversazione e riusciva a convertire i pochi pensieri sensati sopravvissuti in parole.

Tant'è che Vanitas non gli diede peso e si limitò ad alzare un sopracciglio.

- Per te niente più spinello. Da quando stai con tavola-da-surf-Kairi ti sei rammollito e non lo reggi più. -

Riku mugugnò qualcosa di incomprensibile. Forse avrebbe voluto aggredire Vanitas verbalmente per quell'insulto pronunciato con nonchalance.

- Dammi quel coso, fammi fare un altro tiro. -

Scandì invece l'albino, andando contro quello che aveva appena detto Vanitas.

Il moro giocò a tenergli lontana la canna per un paio di secondi, visto che Riku era così scoordinato che non riuscì neanche a far finta di prenderla, poi glielo porse, giusto per accontentarlo.

- Sfogarti con l'erba non ti farà prendere la verginità di Kairi. -

- Non credo neanche che sia più vergine. -

Sussurrò l'albino, soffiando una boccata di fumo.

- Ah no? E chi se l'è fatta? -

- Cazzo ne so. - Riku gli porse nuovamente lo spinello, con fare infastidito. Tutta l'erba di quel mondo non poteva nascondere la sua espressione indispettita. - Mi sono rotto la minchia di starle dietro senza avere nessuna spiegazione. -

- Sarà lesbica? -

Lo scappellotto che Riku riservò a Vanitas avrebbe potuto staccargli la testa se fosse stato meno sballato e più consapevole di quello che stava facendo.

- Smettila. Di. Parlare. Così. Della. Mia. Ragazza. Non. Te. Lo. Dico. Più. -

- La vacca come sei suscettibile. -

Sbottò Vanitas, reggendosi la testa.

Ventus si torse le mani, stordito dal troppo fumo e dai loro comportamenti.

Era sempre così che andava tra loro tre? Vanitas e Riku che discutevano tra loro e Roxas che se ne stava in un angolo ad assistere?

Gli occhi gialli del moro, storditi dal fumo e dalla botta che avevano appena ricevuto, tornarono su Ventus di colpo.

- E tu? Non abbiamo più parlato del tuo ragazzo. -

Il biondo sentì una morsa stringergli lo stomaco con tanta forza che quasi se lo sentì strappare via. Il ghigno di Vanitas gli disse che era proprio così che si aspettava che Roxas avrebbe reagito.

- Io...non... -

- Eddai, dicci qualcosa di più su di lui. -

Lo pungolò ancora il moro. Per Ventus fu come se gli avesse spento una sigaretta direttamente sul cuore.

- Non mi va. -

Concluse con un filo di voce, anche se il tono voleva essere risoluto.

- Prima o poi te lo tirerà fuori. - mormorò Riku, strascicando le parole. Poi cominciò a ridere delle sue stesse parole. - Il nome intendo, non altro! -

- Magari tiro fuori il tuo “altro”, che dici? -

Insinuò Vanitas con voce divertita.

Riku non smise di ridere, mentre un brivido scuoteva Ventus da capo a piedi.

Il biondo ebbe l'impressione di non avere via d'uscita. Quella sensazione che gli prendeva il petto non era solo colpa del fumo pesante che riempiva il bagno.

Ho preso un granchio, per una volta Vanitas non ha fatto niente.” si disse, per consolarsi, per convincersi, per trovare la forza di alzarsi e uscire fuori dal bagno.

Tutto pur di andarsene di lì.

Si sarebbe portato addosso per tutto il giorno il puzzo mefitico dello spinello, ma almeno sarebbe stato lontano da loro.

Fece per alzarsi, ma Vanitas lo inchiodò al suo posto con un'occhiata.

- Come va l'occhio? -

Ventus si tirò indietro per nascondersi. I capelli gli coprivano buona parte del volto, ma chiunque l'avesse osservato avrebbe capito che non era chi diceva (o voleva) fingere di essere.

- Meglio. -

Disse solo, e nascose lo sguardo lontano, abbassando il viso e voltandosi altrove.

- Che schivo che sei oggi. - brontolò Vanitas. Ventus la prese come una prova di colpevolezza. Il moro diede l'ultima tirata allo spinello e lo spense schiacciandone la punta sul pavimento. - Rikkiun, sei troppo fatto per tornare in classe? -

- No, sto apposto. -

Ma dalla sua faccia non si sarebbe detto.

- Bene. -

Il moro si alzò. Gettò le braccia in alto, stiracchiandosi tutto. Non sembrava per niente soffrire l'erba, non tanto almeno per compromettere le sue capacità psicofisiche, cosa che invece stava succedendo a Riku, che si tirò in piedi malamente, quasi cadendo dalla mensola della finestra.

Ventus ingoiò un conato di vomito, venuto su forse per la troppa ansia, o per il troppo fumo.

Prese il coraggio a due mani mentre si alzava anche lui, affiancando i due ragazzi.

- Che...che facciamo oggi con la matricola? -

- Col piccoletto bruno? - chiese di rimando Vanitas. Nei suoi occhi passò una scintilla di malizia e desiderio, velocemente nascosta da un'ondata di consapevolezza. - Se si presenta a scuola, ci inventeremo qualcosa. -

- Se si... -

Vanitas non gli permise di formulare la frase. Gli affondò una mano tra i capelli e glieli scompigliò con un po' troppo affetto. Un affetto forzato, meccanico.

- Ci vediamo dopo, biondo. -

E dicendo così uscì dal bagno, seguito a ruota da Riku che sembrava il suo allegro cagnolino (allegro perché non la smetteva più ridere).

Ventus rimase in piedi sulla soglia.

Con l'aria nuova che entrava da fuori i pensieri sembravano tornare un po' più chiari, mentre il batticuore scemava, insieme con il rumore dei passi di Vanitas e Riku che si allontanavano.

Si poggiò contro la parete, respirando a fondo l'aria buona. I suoi vestiti puzzavano già di fumo.

S'incamminò a ritroso verso l'infermeria, dimenticandosi del motivo per cui aveva fatto tutta quella strada in più.

La voglia incalzante di assicurarsi che Sora stesse bene gli torceva stomaco e budella.

Si tenne la pancia mentre camminava, temendo di vomitare da un momento all'altro.

La testa gli girava e benché il cuore avesse smesso di pulsargli furiosamente in petto si sentiva stanco e affannato come se avesse appena finito di correre la maratona.

Dovette fermarsi a metà del corridoio per fermare il mondo che non voleva saperne tornare fermo.

Non ho concluso niente.” si disse con rammarico e rabbia “Sei entrato lì, e non hai concluso niente.” si forse forte le labbra per impedirsi di urlare.

Si costrinse a continuare a camminare, tenendosi la pancia come se da un momento all'altro si aspettasse di ritrovarsi lo stomaco tra le mani.

E tu? Non abbiamo più parlato del tuo ragazzo.”

La voce gongolante di Vanitas gli riempì le orecchie all'improvviso.

Loro sapevano di Axel, ed io no.” si disse mentre camminava, uggiolando come un animale ferito “Mio fratello ha detto a Vanitas di Axel e a me no.” svoltò l'angolo, con le lacrime di dolore che gli riempivano già gli occhi “Perché loro lo sapevano e io no?”

Il rancore e l'odio cieco che provava verso suo fratello quasi gli occludevano la gola.

Perché io no!”

 

*

 

Sora dondolò i piedi nel vuoto. Giocò con i pollici, facendoli ruotare. Picchiettò i palmi delle mani a ritmo di chissà quale canzoncina. Piegò la testa da un lato e dall'altro. Fece schioccare le labbra producendo un fastidiosissimo suono.

- Insomma la vuoi finire?! - il ragazzino saltò in aria e quasi cadde dalla sedia per lo spavento - Sei rumoroso e fastidioso, sto lavorando per Dio! - Vexen lo additò come fosse il peggiore degli insetti e Sora si fece piccolo piccolo sulla sedia - Perché non te ne vai in classe? Ti ho dato il permesso, puoi andare! -

Il bruno gettò in fuori il labbro inferiore esibendosi in un'espressione così strappalacrime che anche il cuore di Vexen si sarebbe potuto sciogliere, se solo il ghiaccio che lo avvolgeva non fosse stato troppo spesso.

- Mi scusi...aspetto il mio amico e me ne vado, giuro. -

Borbottò il ragazzino, con gli occhi già lucidi.

Il medico alzò lo sguardo al cielo, per poi tornare a concentrarsi sulle sue carte.

Sora cercò di imporre al suo corpo di non muoversi, e di non esprimersi con rumori fastidiosi, ma fu più forte di lui, e ben presto ricominciò a far schioccare le labbra e battere i palmi delle mani.

Vexen si schiaffò una mano in faccia.

Se non fosse stato obbligato da ciò che gli aveva detto il Superiore avrebbe cacciato a calci nel sedere quel ragazzino rompiscatole.

Non voleva neanche lasciarlo da solo nell'altra stanza: benché fosse sopportabile a malapena preferiva averlo davanti agli occhi finché poteva.

Ma averlo nel suo studio metteva a dura prova la sua pazienza.

Stava quasi per apostrofarlo, con poca delicatezza, quando una testa bionda spuntò sulla soglia dell'ufficio.

- Buongiorno...di nuovo. -

Si presentò il ragazzino.

Sora saltò in piedi, scattando come una molla.

Tutto contento andò verso Ventus, con l'intenzione di abbracciarlo. Però qualcosa lo bloccò prima di riuscire ad aprire le braccia per compiere l'atto.

Confuso e spaventato dalla reazione fredda dal suo corpo, lasciò ricadere le braccia lungo il corpo.

Ventus non si era accorto di niente.

- Possiamo andare? -

- Lui poteva andare venti minuti fa, ma non l'ha fatto perché ti aspettava. Quindi adesso che sei arrivato, sì, potete andare. -

Commentò Vexen, sterile come un flacone di disinfettante appena aperto.

Ventus ignorò del tutto il suo modo freddo di esprimersi, e si volse verso Sora.

Il bruno capì per istinto che c'era qualcosa che lo turbava nel profondo, ma qualunque cosa fosse lui non riuscì a interpretarla.

- Ce ne andiamo? -

Chiese il bruno, con sorriso.

- Certo. -

Salutarono Vexen nel modo più educato che conoscevano e uscirono dall'infermeria.

Sora sperò vivamente di non metterci più piede.

 

Ventus lo scortò fino a che non fu davanti alla porta della sua classe, neanche fosse la sua guardia del corpo.

Benché avessero parlato del più e del meno, Sora aveva sentito chiaramente qualcosa di pesante occludere la gola di Ventus, qualcosa che gli impediva di dire quello che pensava veramente.

Il bruno esitò davanti alla porta della classe. Spostò il peso del corpo da un piede all'altro, mangiucchiandosi al contempo l'interno della guancia.

- Bhè? Non entri? -

Lo spronò Ventus con un sorriso posticcio che tutto era tranne che un sorriso.

- Non ne ho tanta voglia...non possiamo andarcene in giro per il resto della giornata? - lo guardo minaccioso e blu del biondo gli disse che non c'era nulla da mettere in discussione. Quindi decise di giocarsi la sua ultima carta. - Non mi sento ancora bene. -

Ventus non gliene fece una colpa, d'altronde la sua memoria fallata gli impediva di ricollegare quelle cinque parole a qualcosa di doloroso. Ma per lui fu come una coltellata dritta in mezzo al petto. Quasi si piegò in due per il dolore.

Con gli occhi cerulei di Sora piantati addosso e quelle cinque parole che ancora aleggiavano tutto intorno, Ventus si sentì il più verme tra i vermi.

La librata in testa arrivò a Sora in maniera inaspettata, proveniente dalle sue spalle.

Ventus non ebbe neanche il tempo di avvertirlo: tanto era stato veloce!

- “Il dolore è la strada ineludibile che bisogna percorrere per giungere alla conoscenza.” sai chi ha detto queste parole? -

Sora si resse la testa con entrambe le mani, mentre lacrimucce di dolore cominciavano a formarglisi agli angoli degli occhi.

- No signore, non lo so. -

Rispose.

Il Vicepreside si impettì, come fosse un oltraggio non saperlo.

- Eschilo. E adesso in classe. -

Con un movimento fluido Saïx aprì la porta della classe, e fece cenno a Sora con il libro che teneva nell'altro mano di entrare.

Il bruno fece una faccia infelice, tra le più infelici.

Salutò Ventus con un'occhiata triste e s'infilò in classe.

Saïx rimase qualche istante ancora sulla soglia, sondandolo da capo a piedi con lo sguardo giallo miele.

- Perché sei ancora lì? -

Lo riprese.

Il biondo scattò sull'attenti.

Non gli rivolse una sola parola mentre gli voltava le spalle e correva verso la sua classe.

Saïx lo osservò sparire dietro l'angolo, con una punta di compiacimento nel cuore.

 

*

 

Il suono della campanella che segnava la fine delle lezioni non era mai sembrato a Sora così delizioso: neanche fosse un'arpa suonata da un angelo del Paradiso.

Dopo essersi sorbito due lunghissime ore di storia con Saïx (visto che non bastava fare filosofia con lui, era anche giusto che fosse il loro insegnante di storia), aveva dovuto sopportare due ore di inglese, che erano state anche più dolorose di quelle di Saïx.

Non credeva che un vecchio barbuto avesse mai potuto essere così crudele...e solo perché aveva scambiato la parola “beach” con “bicht”! Che cerimonioso.

L'inglese rimaneva una lingua stupida: non era certo colpa sua se era facilmente fraintendibile.

Sora infilò a forza le sue cose nello zaino, ancora ingombro dei libri del giorno prima.

Per fortuna Vexen era stato così accorto da farglielo trovare in infermeria, evitandogli di dover salire fino in palestra.

Odiò con tutto se stesso l'astuccio che non voleva saperne di infilarsi al suo posto, e odiò anche il leggero ma pulsante mal di testa che stava cominciando a rmartellargli il cervello.

Che fossero i postumi della botta che aveva preso durante la partita?

Già, la partita.

Guardò tutto intorno i compagni che stavano mosciamente preparandosi per andare, e si chiese se qualcuno di loro avrebbe potuto raccontargli che cosa gli era successo, visto che non ricordava assolutamente nulla.

Si avvicinò a Kairi (anche se il buon senso gli disse di non farlo. Il buon senso aveva preso le fattezze di Riku...strano?), tutta intenta a dettare degli appunti a Yuffie che stava meticolosamente scrivendo su di un quadernino strappato.

- Ehi Kairi. - esordì, con poca eleganza. Yuffie gli rivolse un'occhiata fulminante mentre la rossa smetteva di leggere e spostava gli occhi su di lui. Per un attimo Sora si sentì invadere da una calda sensazione di piacere. Scosse la testa e lasciò perdere, prima di rischiare di farsi colare la bava dalla bocca e rimanere a fissarla come un ebete. - Ieri...ieri che è successo a ginnastica? -

La ragazza aggrottò le sopracciglia in un'espressione interrogativa.

- Che è successo a ginnastica? -

Ripeté, come se si aspettasse che fosse lui a dirglielo.

Sora umettò le labbra, piegando di lato la testa come un cane che non ha ben capito l'ordine del padrone.

- Sì...insomma...quando sono caduto...battuto la testa...l'incidente? -

Kairi aggrottò ancora di più le sopracciglia e si rivolse a Yuffie cercando chissà cosa nel suo sguardo.

- Che hai battuto la testa è certo, altrimenti non si spiegherebbe perché sei così strano, ma non è successo a ginnastica ieri. -

Contestò Yuffie, con una punta di divertimento nella voce.

Sora si grattò la guancia, distrattamente.

- Ah, no? -

- No. -

Risposero in coro le due ragazze, confondendogli maggiormente le idee.

- Ahm...ok...allora...vabbè, grazie lo stesso. -

Sora si ritirò. Se fosse stato un cane avrebbe tenuto la coda tra le gambe.

Tornò al banco, chiuse rapidamente la zip dello zaino e, dopo esserselo caricato in spalla, uscì dall'aula.

Ventus lo stava aspettando proprio fuori dalla porta.

Non appena lo vide tirò un sospiro di sollievo. Il bruno non ricambiò il suo saluto entusiasta, e subito se ne chiese il motivo.

- Brutta giornata? -

Sora scosse la testa e prese a camminare in silenzio.

Ventus si allarmò, e subito il cuore partì in quarta nel petto, battendo tanto forte da annullare i rumori del mondo intorno a lui per un lungo attimo.

Il bruno camminò inseguendo i suoi pensieri per un po', strascicando i piedi e lasciando che fosse il suo istinto a muoverlo.

Senza accorgersene si diresse alla stazione.

L'ultimo treno per Traverse Town era in partenza. Il successivo sarebbe stato nel pomeriggio.

Per qualche ragione Sora non aveva nessuna voglia di rimanere a scuola un attimo di più.

Ebbe l'impressione di esserci stato anche troppo negli ultimi due giorni.

Voleva rivedere sua madre, voleva arrabbiarsi con suo padre: perché diavolo aveva scelto di accettare quel lavoro così lontano da casa costringendolo ad andare in quella scuola orribile?

- Sora? Che è successo? -

La voce di Ventus, così preoccupata e piccola da stringere il cuore, costrinsero Sora fermarsi un attimo, l'attimo necessario perché il biondo si accorgesse che aveva negli occhi solo confusione, e una punta di disperazione.

- Vexen dice che ho battuto la testa durante l'ora di ginnastica. - e si toccò la testa per accertarsi che fosse ancora lì - E che è per questo che non mi ricordo niente. - lasciò ricadere la mano - Ma io non ho dolore. - non lì almeno - E Kairi e Yuffie mi hanno detto che non è successo niente a ginnastica. - alzò lo sguardo su Ventus che si sentì attraversare da una scossa elettrica - Che cosa mi è successo veramente? -

Ventus provò a mentire, o meglio, la sua mente provò a mentire. Il suo cervello vagliò attentamente tutte le informazioni che poteva o non poteva dare per cercare di metter su una storia che fosse quanto meno verosimile.

Però la sua lingua si rifiutò di collaborare, così finì col rimanere con la bocca semiaperta e lo sguardo perso nel vuoto.

- Ven... - lo chiamò Sora - ...c'è qualcosa che mi nascondi? -

- No. - stavolta la risposta arrivò prontamente, tanto che anche il biondo se ne stupì - Se Vexen ti ha detto così, vuol dire che è così. Magari le tue compagne non erano presenti in quel momento, ci hai pensato? -

Era stato così facile mentirgli adesso, così naturale che un sorriso gli nacque spontaneo sulle labbra.

Sora sembrò tranquillizzarsi. Tirò un sospiro di sollievo, rilassò le spalle.

- Sì, hai ragione...non ci avevo pensato! - riacquistò anche lui il sorriso, unendo il suo sincero a quello falso di Ventus. Lanciò uno sguardo al treno in partenza. - Che dici se torniamo a casa? Ho voglia di dormire nel mio letto. -

Ventus annuì, sempre con quel sorriso appiccicaticcio sul volto.

I due corsero verso il treno e ci saltarono sopra giusto un attimo prima che partisse.

 

Quando il treno si fermò in stazione, Sora sentì l'aria di casa riempirgli i polmoni. Quella sensazione familiare e confortante lo resero più tranquillo.

Sapere che la scuola, e chi la frequentava, erano ormai lontani lo faceva sentire decisamente meglio.

Con passo saltellante si diresse verso casa, seguito a ruota da Ventus.

Il biondo non riuscì a non sentirsi in colpa, neanche per un attimo.

Odiò se stesso per aver dovuto mentire all'amico, e odiò anche la situazione che gli imponeva il silenzio.

Non credeva più che l'ignoranza avrebbe reso Sora più felice.

Certo, forse avrebbe sofferto scoprendo la verità, ma ben presto sarebbe successo e allora non avrebbe perdonato nessuno per avergliela tenuta nascosta. A partire da Ventus.

Però adesso era così allegro, così tranquillo che al biondo non passava neanche per l'anticamera del cervello di dirgli la verità: avrebbe rotto quella magica bolla di felicità che lo avvolgeva, ed era ancora troppo presto.

Si chiese se sarebbe mai arrivato a vederlo pronto per accettare quello che era successo, ma il pensiero fu così fugace che se ne dimenticò poco dopo.

Sora corse verso la porta di casa e si attaccò al campanello urlando “Mamma! Papà!” a tutto spiano e a tutta voce.

Dopo il cinquantesimo tentativo, fu chiaro persino a Ventus che i suoi genitori non dovevano essere a casa.

Delusissimo, Sora recuperò le chiavi dal fondo del suo zaino e aprì la porta.

La casa era orribilmente buia.

Il bruno sentì montare le lacrime mentre la sua parte infantile faceva capolino.

Ieri non sono tornato a casa e adesso non si fanno neanche trovare?” pensò, già pronto a lagnarsi come un bambino.

Constatando che non c'era nemmeno un bigliettino in tutta casa (e Sora si accertò personalmente del fatto) il bruno arrivò alla conclusione che ai suoi genitori non importava molto se fosse vivo o morto, o se tornasse o meno a casa dopo scuola.

Imbronciandosi si lasciò cadere sul divano. Tirò su col naso per trattenere le lacrime mentre accendeva la tv.

Ventus si andò a sedere subito accanto a lui.

Gli poggiò una mano sulla spalla, cercando di confortarlo.

- Dai, magari stanno per arrivare. Non sono neanche le due! Dovranno pur tornare per pranzare, no? -

- No. - tirò un'altra volta su col naso - Pranzano sempre a lavoro, torneranno stasera di certo. -

- Uhm... - Ventus allontanò lo sguardo da quello pieno di lacrime di Sora - ...che dici se...prepariamo qualcosa per mangiare noi? In fondo non possiamo digiunare, no? -

- Ti piacciono le omelette? -

- Certo. -

Un debole sorriso si aprì sulle labbra rosse di Sora che, senza dire una parola, si alzò e quasi scappò in cucina.

Nel giro di un istante riempirono tutta la casa con il profumo dell'olio fritto e delle omelette che cucinavano.

Ne prepararono un bel po', al formaggio e al prosciutto, e poi andarono a mangiarle nel salotto, seduti ai piedi dei divano.

Finirono col guardare delle demenziali puntate di “Adventure Time” su Boing, ridendo come degli scemi con la bocca ancora piena.

Soddisfatto del pasto, Sora allontanò i piatti sporchi e si accasciò contro la spalla di Ventus, trovando che fosse comoda e accogliente.

Per un attimo desiderò che l'abbracciasse, poi si sentì fuori luogo e si ritirò di scatto, sussurrando un “scusa” con voce flebile.

Ventus arrossì appena sul collo.

- No, puoi. -

Gli disse goffamente.

Sora gongolò felice e tornò a poggiarsi sulla spalla di Ventus.

Per un po' rimasero così, il biondo che fingeva di sentirsi a suo agio mentre il cuore gli mandava dolorosi battiti contro il petto e Sora che cominciava ad assopirsi lentamente.

Il calore ritrovato della sua casa, l'affetto che vedeva spirare da Ventus come una leggera brezza mattutina, lo stomaco pieno e la sensazione che niente, niente al mondo avrebbe mai potuto nuocergli in quel momento, in quel luogo assopiva dolcemente i suoi sensi, andando a sgretolare la muraglia difensiva che aveva con fatica tenuto in piedi per tutto il giorno. A chi l'avesse guardato adesso, sarebbe apparso per quello che era, senza filtri e senza censure.

Ventus andò lentamente ad avvolgere la mano nella sua.

Sora si irrigidì per un attimo, e il biondo pensò di aver esagerato. Ma quando lui tornò a rilassarsi, aumentò la presa, quasi per accertarsi di essere sicuro di che lui fosse lì davvero e che non fosse frutto della sua immaginazione.

Sora si accoccolò di più contro la sua spalla, e ben presto Ventus si ritrovò ad avvolgerlo in un abbraccio che voleva essere confortante.

C'era nel bruno la sensazione incalzante di stare facendo qualcosa di male, di stare per scatenare un dolore senza nome che l'avrebbe lasciato boccheggiante e inerme.

Ma c'era anche la sensazione opposta, ossia quella che non ci fosse niente di più giusto in quel momento a parte il tocco caldo e gentile di Ventus, che lentamente gli sfiorava il viso, solleticandoglielo.

Sora alzò lo sguardo e si ritrovò a specchiarsi negli occhi blu di Ventus.

Si dissero qualcosa con quello sguardo, forse si scambiarono un tacito accordo: la promessa che nessuno di loro mai avrebbe parlato di quello che stava per succedere.

Il bruno strizzò gli occhi, tremando appena. Campanelli d'allarme suonarono nella sua mente mentre le labbra di Ventus sfioravano le sue.

Il contatto lo ustionò come un ferro ardente.

Piacere e dolore si sovrapposero d'un tratto, appannandogli i pensieri.

Vanitas.” pensò, prima che il suo cervello si spegnesse e l'istinto gli facesse spingere via con forza Ventus.

Urla, urla di disperazione scaturirono dalle sue labbra.
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The Corner

Ben trovati!
Purtroppo gli impegni universitari mi impediranno di continuare a pubblicare stabilmente,
non posso garantire un capitolo a settimana, ma ci metterò tutto il mio impegno!
a voi non resta che dare un'occhiata ogni tanto...
Spero di poter continuare a scrivere!
Chii

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Capitolo 26
*** Un amore nascosto è come il sole dietro le nuvole, come un fiore sotto la neve, come una lacrima nel mare, ma è più forte degli altri perché è nascosto dentro il cuore dove nessuno potrà mai rubarlo. ***


25

Un amore nascosto è come il sole dietro le nuvole, come un fiore sotto la neve, come una lacrima nel mare, ma è più forte degli altri perché è nascosto dentro il cuore dove nessuno potrà mai rubarlo.

Vanitas infilò le mani in tasca.

L'effetto dello spinello l'aveva abbandonato ore prima e non c'era più niente di divertente in quello che lo circondava.

Persino Riku che era del tutto fatto ormai era tornato in sé: di certo non aveva più alcun motivo per ridere.

La campanella non era ancora suonata, ma lui si trovava già in piedi con lo zaino in spalla, e Riku al seguito.

Uscirono dalla classe nello stesso istante in cui il drin della campanella riempiva i corridoi, rimbalzando da una parete all'altra.

Ci fu un rumore di sedie che strisciavano sul pavimento e voci di insegnanti che urlavano “ancora un minuto!”.

Vanitas camminò con le mani in tasca e l'espressione truce, fissando davanti a sé.

- Ehi! - lo chiamò Riku. Non si fermò. Il ragazzo aumentò il passo fino a poggiargli una mano sulla spalla, costringendolo a dargli retta. - Che succede? -

Il moro se lo scrollò di dosso e gli indirizzò un'occhiataccia da far venire i brividi, che però si addolcì nel momento in cui incrociò gli occhi acquamarina dell'amico, adesso tornati limpidi. Non era colpa sua se non si era accorto di nulla.

Lui sospirò e si passò una mano tra i capelli cercando di scacciare via la stizza.

- Andiamo da Roxas prima che se ne vada dal suo fidanzatino gay. -

Riku aggrottò le sopracciglia, senza capire.

- Perché? Ci raggiungerà lui, come sempre. -

- No, ho bisogno di parlargli adesso. -

L'albino provò a ribattere, ma Vanitas non gliene diede il tempo: scattò in avanti come se avesse un diavolo per capello.

Riku aveva ricordi vaghi delle prime quattro ore di quella giornata, per cui il comportamento di Vanitas gli risultò strano...non più del solito, ma strano.

Aumentò il passo per riuscire a stargli dietro, chiedendosi cosa c'era di tanto urgente da dire a Roxas.

 

Quando Vanitas e Riku arrivarono di fronte alla classe di Roxas, dal lato opposto del corridoio videro il rosso che veniva nella loro direzione.

I due si scambiarono solo un'occhiata divertita, soprattutto vedendo l'espressione corrucciata che lui fece superando la porta della classe come se non fosse palesemente diretto lì.

Aspettarono che il rosso li avesse superati prima di riderne.

- Ha capito che era meglio girare a largo? -

Ridacchiò Riku.

- Ovvio, avrà ricevuto ordini da Roxas. -

- E quindi sarà lui il suo ragazzo? -

- Credo proprio di sì. -

Si guardarono eloquentemente e risero di gusto.

Intanto la classe si stava svuotando.

Roxas uscì per ultimo, con un'espressione stanca e seccata.

Non appena vide i due amici, invece del suo ragazzo (che stava sicuramente aspettando), sgranò gli occhi per la sorpresa.

- Ciao ragazzi. -

Li salutò.

Normalmente non andavano a “prenderlo” in classe, si limitavano ad aspettarlo per pranzo, oppure si vedevano nel pomeriggio: non erano molto fiscali riguardo il tempo che passavano insieme. Ed era probabilmente il motivo per cui né Riku né Vanitas avevano scoperto del suo rapporto con Axel.

Si divertivano ad oziare o a fare i loro pessimi scherzi prima (o durante) le lezioni e normalmente Roxas se ne andava in classe ad un certo punto, per il semplice fatto che non godeva della protezione del Superiore e che non poteva assentarsi troppo a lungo. Anche se qualche volta faceva un'eccezione per Axel.

Quindi lo stupore del biondino era più che giustificabile.

- Ciao. - fu il saluto arido di Vanitas - Il moccioso è venuto a scuola? -

- Ti riferisci a Sora? - Roxas piegò di lato la testa, aspettando che Vanitas annuisse - Sì, è venuto. Un po' in ritardo però. È già andato via con Ventus. - la faccia del moro era imperscrutabile - Che c'è? -

Chiese solo il biondo, inarcando un sopracciglio.

Vanitas sondò con lo sguardo quello di Roxas, che si sentì piccolo e insignificante.

- Se non avevi voglia di fare lezione stamattina, perché non sei rimasto direttamente con noi invece di entrare in classe e poi uscire per raggiungerci? -

Anche se non se ne rendeva conto (o non voleva rendersene conto?), Vanitas aveva il battito cardiaco accelerato, tanto che gli faceva male il petto.

Roxas non dovette pensarci a lungo, visto che non aveva davvero idea di cosa stesse dicendo l'amico. E lo stesso valeva per Riku, ma non se ne stupiva più di tanto visto che non ricordava quasi niente di quello che era successo.

- A meno che tu non abbia parlato con il mio gemello cattivo, ti assicuro che sto uscendo dalla classe adesso da quando ci siamo salutati stamattina. - gli occhi di Vanitas divennero perfidi, la pupilla si fece piccola come uno spillo e il giallo limone delle iridi brillò dolorosamente, tanto che Roxas sentì tutto il corpo dolere. - Che è successo? -

- Ho parlato con il tuo gemello cattivo. -

Fu la risposta amara ma consapevole di Vanitas.

- Ventus? -

Roxas lo sussurrò, come fosse troppo assurdo per essere vero.

Il moro si avvicinò a lui e gli scostò i capelli dalla fronte per scoprirgli il viso, poco gentilmente, quasi tirandogli la testa all'indietro per esporlo alla luce.

L'occhio nero c'era ancora, cominciava a sbiadire e non era più brutto come quando era fresco, ma c'era.

Lasciò andare il ragazzino, che si tirò indietro, confuso.

Cos'è che Ventus stava cercando? Perché si era spacciato per Roxas?

- Van? Vuoi spiegare che diamine è successo? -

Proruppe Riku, con un'espressione corrucciata sul volto.

Il moro non rispose, immerso com'era nei suoi pensieri non si era neanche reso conto di quello che gli era stato chiesto.

La sua mente lavorò, celere, viaggiando su onde di pensiero difficili da domare.

Ventus.

Cosa sapeva, cosa voleva, che intenzioni aveva?

Immediatamente collegò il biondino a quello che era successo in mensa. Il modo aggressivo in cui l'aveva accusato e poi era scappato via, il tono della sua voce, le lacrime agli angoli dei suoi occhi.

Qualcuno aveva di certo trovato Sora, nelle condizioni in cui lui l'aveva lasciato.

Se quel qualcuno era stato Ventus, allora era plausibile ipotizzare che stesse cercando il colpevole, e che il primo sospettato era di certo lui.

Gli venne spontaneo fare un sorriso furbo...poi fu scosso per la spalla da Riku.

- Ehilà? Sei ancora con noi, Terra chiama Vanitas! -

Il moro scostò con un gesto stizzoso la mano di Riku.

- Ventus ci spia. -

La cosa bella fu vedere la stessa faccia sbalordita sul viso di Roxas e su quello di Riku.

Belli, proprio belli, da fargli un'istantanea!

- E perché mai? -

Vanitas si strinse nelle spalle, come se non lo sapesse, mentre le viscere nell'addome gli si attorcigliavano dolorosamente.

- Dovremmo stabilire una parola d'ordine per evitare di parlare con Ventus di cose che non vogliamo che lui venga a sapere. -

Guardò Roxas con odio, come se fosse tutta colpa sua se il suo gemello li costringesse a fare una cosa così stupida. Il biondino si strinse nelle spalle, diventando piccolo piccolo, come se si vergognasse.

- Sì, che ne dici di... - cominciò Riku, avvicinandosi all'orecchio di Vanitas, e il moro tutto coinvolto si sporse ad ascoltare. - MA CHE CAZZO STAI DICENDO! -

- ARGH! - l'urlo lo fece saltare in aria e rizzare tutti i peli dietro la nuca - Ma quanto sei idiota! -

Ringhiò contro l'albino...e poi gli saltò al collo sbattendolo a terra con l'intenzione di colpirlo con un pugno.

- Smettetela! -

Roxas afferrò il braccio di Vanitas, cercando di spingerlo via da Riku e per evitargli al contempo di colpirlo.

Vanitas ringhiò come un animale e poi si alzò, facendo una smorfia.

- Andatevene un po' a fanculo. -

Sbottò. Si aggiustò la giacca spiegazzata e poi gli diede le spalle, infilando le mani in tasca con tutta l'intenzione di non dargli più retta.

- E dai Van, sei troppo suscettibile, cazzo! - gli urlò dietro Riku. In risposta, Vanitas gli mostrò il dito medio, ma non si fermò. L'albino diede il gomito a Roxas. - Andiamo a pranzo insieme? -

- Ehm... -

Un lieve rossore prese le guance di Roxas e Riku non dovette fare nessuna domanda per capire che cosa volesse significare.

- Va bene, allora ci vediamo dopo. -

Brontolò.

Poteva sempre andare a vedere che vento tirava nei pressi di Kairi...magari stavolta sarebbe stata quella buona.

 

*

 

Vanitas calciò con rabbia un sassolino lungo il viale d'ingresso della scuola.

Non c'era quasi più nessuno e lui non aveva neanche voglia di torturare le matricole...il che era grave per lui.

E poi...quello con cui aveva voglia di giocare era Sora, e se lui non c'era...non aveva alcun senso.

Scosse la testa. La storia di Ventus l'aveva turbato alquanto. Stava davvero rischiando grosso, e non poteva permettersi nessun altro passo falso o...

- Ciao Vanitas. -

Quella voce gli fece venire i brividi, ma non si voltò.

Tenne la testa bassa e le mani in tasca, inseguendo il sassolino che aveva calciato poco prima.

L'uomo l'affiancò, prendendo il ritmo del suo passo come se niente fosse.

Gli occhi color limone di Vanitas percorsero il cortile. Nessuno. Non c'era nessuno.

- Posso fare qualcosa per te, vecchio? -

Lo apostrofò, senza problemi, lo sguardo sempre fisso sul sassolino che rotolava sempre più lontano, sempre più velocemente.

- In realtà, sì. -

Il Superiore gli poggiò una mano sulla spalla, con fare amichevole...anche se i suoi intenti non lo erano di certo.

Vanitas dovette arrestarsi. Il suo cuore saltò un battito quando incrociò gli occhi penetranti dell'uomo, ma mantenne un'espressione annoiata, fingendo che non fosse per niente turbato da quello sguardo.

- Non ti ho dato il permesso di toccarmi, vecchio. -

Gli piaceva usare la parola “vecchio” con lui, gli piaceva il modo in cui Xemnas incassasse il colpo senza batter ciglio. Solo una piccola ruga compariva tra le sue sopracciglia e faceva intuire che la rabbia stava montando in lui.

Si divincolò dalla sua presa e si allontanò di un passo solo. Voleva scappare da lui, ma era anche costretto a rimanergli vicino, come fosse attratto da un magnete.

- Hai per caso familiarità con il concetto di “stupro”? -

Gli chiede il Superiore, senza peli sulla lingua, godendosi il silenzio gelido in cui si chiuse il ragazzino.

Gli ci vollero diversi secondi prima di riprendersi da quel colpo e aprirsi in un sorriso beffardo.

- Intendi qualcosa tipo quella roba che fai con me? Allora sì, vecchio, ne ho familiarità. -

Xemnas strinse solo i pugni, ma non perse la sua espressione seria.

- Una matricola è stata stuprata nei bagni, e qualcosa mi fa sospettare di te. -

- Per quanto mi riguarda potresti anche essere stato tu. -

Ribatté Vanitas, asciutto e diretto, senza paura, anche se dentro di sé il cuore aveva ripreso a battere in modo incontrollabile.

Xemnas scosse la testa, i capelli argentei seguirono il movimento con grazia e leggerezza. Vanitas ne rimase per un attimo incantato, come una preda di fronte ad un leggiadro cacciatore.

- Se io dovessi scoprire che sei stato tu, sappi che le conseguenze saranno disastrose. - all'improvviso lo afferrò per il colletto della giacca e lo trascinò verso di sé - Cerca di essere innocente prima di costringermi a chiamare la polizia, perché allora nessun buon voto e nessuna mia raccomandazione potranno difenderti. -

- Non puoi perdermi. -

Sibilò Vanitas, stordito da tanta vicinanza, ma non per questo meno intenzionato a tenergli testa.

- Questo lo credi tu. - lo spinse via e lui perse l'equilibrio e cadde all'indietro, picchiando il fondoschiena a terra - Io ti ho creato e io posso distruggerti. Non pensare di essere indistruttibile, Vanitas. - stavolta toccò a lui rivolgergli un sorriso beffardo - Adesso, perché non mi fai un piacere e fai in modo che io trovi il vero colpevole? - il ragazzo capì nell'immediato che cosa intendesse: aiutami a trovare un capro espiatorio in modo che possa mettere la parola fine a tutta questa storia - Sembra che il professor Terra sia coinvolto in questa storia. Potresti andare a controllare per me? -

Vanitas sentì una morsa prendergli l'anima.

Sbatté piano le palpebre. Su di lui troneggiava il Superiore. Non aveva neanche il coraggio di rialzarsi da terra.

Si sentiva piccolo e inutile, sottomesso in tutto e per tutto a lui e all'aura di potenza che aleggiava intorno a lui.

- Mi sta chiedendo di incastrarlo o di chiudergli la bocca? -

Il Superiore gli scompigliò i capelli, amabilmente, come se fosse un delizioso argomento di conversazione.

- Vedi ciò che puoi fare, Vanitas, e vedrai che i benefici della mia protezione si protrarranno ancora a lungo. - frugò nella giacca e tirò fuori una lettera chiusa da un sigillo di ceralacca rossa su cui era impresso lo stemma della scuola - Volevi entrare a medicina l'anno prossimo se non sbaglio...non è vero? -

Il ragazzo si morse le labbra mentre vedeva la lettera di raccomandazione che dondolava davanti ai suoi occhi.

Gli venne da sussurrare un piccolo, timido, “sì”. Completamente sottomesso a quell'uomo, come ipnotizzato, non poté fare altro.

Xemnas sorrise tra sé e sé e ripose la lettera nella tasca interna della giacca.

- Allora scommetto che farai quanto ti ho chiesto. - lo superò, rivolgendogli solo un'occhiata rigida e ghiacciata - Un'ultima cosa: ti consiglio di tenerti lontano da quella matricola e dal suo amichetto. Buona giornata. -

Vanitas rimase ancora per parecchio, immobile sul terreno. Vi rimase finché non si esaurì l'eco dei passi del Superiore.

 

*

 

Dove altro avrebbe potuto andare a nascondersi Kairi se non in biblioteca?

Era sempre in quella fottutissima biblioteca, e Riku cominciava a pensare che amasse molto più la compagnia dei libri della sua...visto che i suoi rifiuti erano tutti a beneficio dello studio.

Riku devo studiare. Riku c'è il compito in classe. Riku ho una verifica. Riku gli esami di fine semestre.

Una. Vera. Lagna.

Stavolta, per, l'albino non aveva voglia di essere mandato in bianco. Anche perché ne aveva abbastanza.

Se lei avesse detto ancora “no”, lui le avrebbe dato il ben servito.

Si incamminò baldanzoso verso la biblioteca, corrucciato e arrabbiato, sia per quello che era successo con Vanitas, sia per ciò che avrebbe dovuto affrontare non appena avesse superato quella porta.

L'aprì con nonchalance, come se non avesse i battiti cardiaci a mille.

Il bibliotecario stava in piedi di fronte ad uno scaffale, e stava sfogliando un grosso librone.

Non appena sentì che la porta cigolava sui suoi cardini, si voltò subito verso di lui e gli indirizzò un'occhiata gelida che da sola voleva dire “stai facendo troppa confusione”.

Riku gli fece un cenno della mano, come per salutarlo, e poi si infilò in uno dei corridoi verso il tavolo di studio dove di solito Kairi si metteva con i suoi noiosi libri.

Non appena fu lontano dalla vista di Lexaeus, gli rivolse un gestaccio e una smorfia.

Si inoltrò nella biblioteca a passo svelto. Superò il primo corridoio, il secondo, il terzo, poi sentì uno sfogliare accorato, come di qualcuno che si dispera sui libri e lui seppe di aver appena trovato Kairi.

Sbuffò come un treno al pensiero di dover sentire per l'ennesima volta “No Riku, devo studiare!”, e preparò subito una risposta da darle, una che avesse lo stesso tono e che fosse valida.

Vide la sua testa rossa china su un grosso libro e la sua espressione truce. Il modo in cui picchiettava la penna sul tavolo dava l'impressione di stare per andare fuori di matto.

Per qualche ragione gli fece più paura di Vanitas.

- Ciao. -

Bisbigliò, e le si sedette a fianco.

Kairi alzò lo sguardo dal libro per puntarlo un nanosecondo su di lui...e tornare a fissarlo sulle pagine come se neanche l'avesse visto.

- Ciao. -

Gli poggiò una mano sulla sua per un attimo ma la tolse subito per andare a sottolineare qualcosa di evidentemente importante che doveva aver letto sul suo librone di...chimica biologica, sì.

- Va tutto bene? -

Il tono di Riku era preoccupato e insoddisfatto.

- Sì, devo solo studiare. -

Ecco, una delle frasi che volevano dire “non va per niente bene e non c'è niente per te adesso”.

Gli venne voglia di insultarla, ma si trattenne.

Fece solo un sospiro e avvicinò la sedia alla sua, per toccarle la coscia con la propria.

- Perché non lasci questo libro per un attimo e mi dai un bacio? È stata una giornata stressante anche per me, sai? -

Lei fece una smorfia e spinse la sedia dal lato opposto per allontanare le loro gambe.

Brutto segno.

- Puzzi di erba, Riku. Sei stato tutta la mattina a fumare. Lasciami in pace e fammi studiare. -

- Era solo uno spinello, e sono tornato subito in classe. - non intenzionato a mollare la presa, si avvicinò di nuovo a lei, stavolta accarezzandole la coscia con una mano - Dammi un po' di zucchero...ti aiuto io con la chimica, lo sai che sono bravo. -

- Riku, no. -

Lo spinse via con forza, mettendoci tutta la sua frustrazione.

- No, no, no. - fece lui, arrabbiandosi. Il tono della voce era abbastanza alto da scatenare un'ondata di “shhhhhh!” da parte del bibliotecario. Infatti da lontano cominciarono a sentirsi dei passi nella loro direzione. - Perché “no”? Me lo spieghi? Non hai mai un “sì” per me! -

- Non è il momento. -

- E quando sarebbe il momento? Non è mai momento per te. -

Lei lo fulminò con un'occhiata che poteva dire tutto e niente.

- Smettila, perché non te ne vai?! Sono già abbastanza presa dalle mie cose senza bisogno che ti ci metta in mezzo anche tu e... -

Riku la prese per le spalle e la trascinò a sé, baciandola a forza.

Le infilò subito la lingua tra le labbra e provò a toccarle il seno.

Non gli importava se lei non aveva voglia, non aveva tempo o qualsiasi altra cosa, lui la voleva adesso, la voleva adesso e basta!

Perché diamine lei non lo capiva?

Ormai erano anni che si frequentavano, e non avevano fatto nessun passo avanti. Il massimo dell'hard era una serata passata a pomiciare su una panchina del parco.

Davvero deprimente.

Quasi quasi sentiva più spinta erotica verso Vanitas che verso...

Kairi gli diede uno schiaffone che gli fece perdere non solo il filo dei suoi pensieri, ma anche tutta la dignità che gli era rimasta.

Batté forte le palpebre e scosse la testa.

- Ahi! Mi hai fatto male! -

Piagnucolò.

La ragazza chiuse i libri con una smorfia arrabbiata e cominciò a sistemarli nel suo zaino.

- Sei uno stupido. Ecco perché non ho mai un “sì” per te. Ecco. - chiuse la zip con un po' troppa foga, quasi la ruppe - Me ne vado, e non provare a seguirmi, hai capito? -

- Dai, Kairi! - la prese per un polso, con delicatezza stavolta - Non puoi tenermi il broncio...non litighiamo. Io ti amo. -

“Io ti amo”, la bugia più grossa che lui avrebbe mai potuto dire.

“Io ti amo”, forse avrebbe avuto un senso se l'avesse amata davvero. Non che lui non pensasse di non amarla ma...forse non era proprio quello che lei intendeva come “amore”.

Kairi si sciolse un po' tra le sue braccia, e si schiacciò contro il suo petto, appoggiando la testa all'altezza del suo cuore, come fosse in cerca di una conferma.

- Riku, per favore, te lo chiedo per favore...ho bisogno di studiare e concentrarmi, quando avrò la testa meno nell'aria faremo tutto quello che vuoi, okay? -

C'era qualcosa di malvagio nel modo in cui Kairi lo guardava quando voleva convincerlo a fare qualcosa...o meglio a non fare qualcosa.

In quello era bravissima.

Qualsiasi cosa lui avesse voglia di dirle, di fare o di farle, svanì dalla sua mente e lui si ritrovò solo ad annuire meccanicamente come fosse una macchina.

Lei si sporse per dargli un bacetto sulle labbra, una cosa del tutto priva di malizia e di doppi sensi...solo un piccolo bacio, quasi amichevole.

- Grazie, sei fantastico. E ti amo anch'io. Adesso però devo andare, ho gli allenamenti del club. Ci vediamo domani, eh? -

- Certo. -

Sei uno zerbino, Rikkiun” questo avrebbe detto Vanitas se fosse stato lì in quel momento.

Ma non c'era, quindi perché continuava a pensare a lui?

Kairi se ne andò in tutta fretta, come avesse il diavolo alle calcagna.

C'era mancato davvero poco!

Per quanto tempo ancora sarebbe riuscita a tenere nascosta tutta la verità a Riku?

Non molto, perché era dannatamente impaziente.

Ma non poteva perdere la sua copertura, e lui era un ragazzo perfetto...

La ragazza aumentò il passo, pensando a cosa potesse fare per far calmare i bollenti spiriti a Riku. Magari poteva fargli qualche lavoretto manuale...anche se la sola idea la disgustava a tal punto che le salì in gola un conato di vomito.

Scosse la testa e si guardò bene tutto intorno prima di svoltare verso il campo da pallavolo.

Sapeva che lei la stava aspettando.

Sorrise all'idea e quasi corse lungo gli ultimi duecento metri.

Il campo era ancora deserto, e così anche gli spogliatoi. Ma d'altronde ci voleva ancora un'ora e mezza prima dell'inizio degli allenamenti.

Ops. Forse aveva mentito a Riku...forse.

Quando la porta degli spogliatoi femminili cigolò alle sue spalle, Kairi si sentì finalmente libera.

Lasciò lo zaino su una panca e...

- Sei un po' in ritardo. -

Qualcuno l'abbracciò da dietro e lei sentì un brivido percorrerle tutta la schiena.

- Scusai, Riku mi ha beccata in biblioteca e ci ho dovuto litigare un po' prima di riuscire a venire da te... -

- Sono gelosa, passi un sacco di tempo con lui. -

Kairi si volse, abbracciando di slancio e sollevando un po' la ragazza minuta che aveva di fronte. Bionda, pallida, con occhioni blu oltremare, dolcissimi lineamenti e capelli biondo platino.

Kairi le diede un bacio sulle labbra color rosa pesca e sorrise del piacere che sentì invaderla all'improvviso.

- Io amo solo te, Naminè. -



The Corner

Ciao a tutti!
Sono finalmente tornata!
Buon anno e ben trovati :3
Piccola novità per questa storia: l'aggiornamento sarà giovedì 30 Gennaio e avrà cadenza bisettimanale!
Mi siete mancatiiiiii! E' bello rimettersi a lavoro :3

Chii

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Capitolo 27
*** Non esiste separazione definitiva fino a quando c'è il ricordo ***


26

Non esiste separazione definitiva fino a quando c'è il ricordo.

 

- Sora, Sora ti prego calmati! -

Ventus aveva le lacrime agli occhi mentre l'amico si contorceva e urlava come un ossesso, steso sul pavimento.

Il biondo provò ad avvicinarlo per dargli conforto, ma l'unica cosa che guadagna è un calcio in faccia...e poté capire che cosa aveva provato Terra.

Cadde all'indietro e sbatté la schiena sul pavimento. Almeno non gli aveva spaccato il naso.

Si tirò indietro con una smorfia dolorante, cercando di uscire dalla traiettoria dei colpi di Sora.

Sembrava indemoniato, e singhiozzava disperatamente.

Ci vollero diversi minuti prima che il bruno si calmasse.

Ventus non aveva più il coraggio di avvicinarsi, sia perché si sentiva orrendamente in colpa, sia perché voleva evitare di essere colpito di nuovo.

Sora respirò a fondo, ingoiando tutta l'aria che poteva, e poi si accasciò inerme sule pavimento.

Gli occhi straripavano di lacrime senza che lui potesse farci niente, e non aveva neanche la forza di opporsi a quella cascata dolorosa.

Nella sua mente diverse immagini si inseguivano.

Ventus, il suo bacio, e poi qualcosa di doloroso, qualcosa di orribile, che non riusciva a mettere a fuoco e che gli dava un'emicrania al solo pensiero.

Quando fu calmo, il biondi si arrischiò ad avvicinarsi a lui, gattonando.

- Sora...è tutto apposto? -

Sul volto aveva un'espressione così preoccupata, così carica di emozione.

Gli occhi di Sora scivolarono sulle sue labbra.

Da una parte desiderò di poterlo baciare ancora, dall'altra si odiò per quel pensiero e un altro singhiozzo lo scosse, tanto forte da farlo tremare tutto.

Ventus cercò di non avvicinarsi troppo, spaventato all'idea che Sora potesse reagire di nuovo male.

Il ragazzino si tirò in piedi, senza dire una parola.

Si asciugò gli occhi con il dorso della mano, sotto lo sguardo attento di Ventus, e si diresse verso la porta.

Ventus sentì un dolore prendergli lo stomaco. Si alzò anche lui, confuso.

- Vattene. -

Disse solo Sora. Per quanto ci avesse provato, le lacrime continuavano comunque a ricoprirgli il volto.

- Non ho...non ho dove andare. -

Sussurrò Ventus, adesso cominciava a sentire le lacrime pungergli gli occhi anche lui.

L'angoscia che stringeva il suo petto gli mozzava quasi il fiato.

Si sentiva morire, risucchiato dalle iridi cerulee di Sora.

- Non mi interessa. - scosse la testa il bruno, i capelli seguirono il movimento - Non mi interessa, vattene. - lo guardò con tristezza immane. C'era qualcosa di incomprensibile nel suo sguardo, qualcosa che neanche lui stesso avrebbe saputo spiegare. - Per favore. -

Quella sembrava una supplica, un'accorata e intensa supplica.

Ventus inghiottì un gemito, trattenne un singhiozzo. Prese il suo zaino da terra e si avvicinò alla porta.

Anche se dentro di sé soffriva e si disperava per quel gesto, non disse una sola parola mentre usciva di casa.

Né si voltò indietro quando sentì il rumore della porta che gli sbatteva alle spalle.

Sora si accasciò sul pavimento e cominciò a singhiozzare sommessamente, il volto schiacciato contro le ginocchia.

Non sapeva neanche per cosa stava piangendo.

Per quello che gli era successo?

Per il bacio tra lui e Ventus?

Non lo capiva.

Era troppo giovane per riuscire a capire che cosa stesse provando, tutte quelle sensazioni non gli erano familiari e non facevano altro che gettarlo in confusione.

Strisciò piangendo fino alla sua stanza e si accasciò a letto, tutto rannicchiato in se stesso.

 

Non seppe quanto tempo rimase in quella posizione, gli sembrò un'eternità.

Tutto il corpo era intorpidito e gli occhi erano gonfi e asciutti per quante lacrime aveva versato. In compenso il cuscino era zuppo e il volto incrostato di sale.

I suoi genitori rincasarono in quel momento, tutti sorridenti e felici.

Certamente non gli importava che il loro unico figlio avesse avuto un incidente di non ben nota natura che l'aveva tenuto lontano da casa per una notte intera, no.

La frustrazione di Sora si riversò completamente su sua madre e suo padre, che odiò come non aveva mai odiato in vita sua.

Con un gemito si voltò per dare le spalle alla porta.

Non voleva che loro, entrando nella sua stanza, vedessero in che condizioni era ridotto.

Sua madre accese la luce in corridoio, come era suo solito fare se non voleva disturbarlo, ed entrò nella sua stanza.

Si sedette su una sponda del letto e gli poggiò una mano sulla spalla.

- Ciao tesoro. Come va? -

Andava meglio quando non c'eri” pensò con astio, ma quel pensiero non arrivò alle labbra, si espresse solo con una scrollata di spalle e un basso mugolio.

La donna non si prese neanche la briga di indagare, né di dire qualcosa che potesse farlo sentire meglio...non fece niente di quello che ci si aspetti che una madre faccia.

Non gli diede neanche un bacio.

Si alzò e basta, dopo aver annuito. Doveva aver constatato che Sora stava bene e che non era il caso di preoccuparsi oltre.

Che idiota.

Sì, per la prima volta Sora pensò che era proprio idiota.

Una stupida che non lo capiva e che non l'avrebbe mai capito.

Pianse ancora mentre la donna lasciava la stanza.

Suo padre non provò neanche ad entrare.

Il ragazzino sentì da lontano che si scambiavano qualche confidenza del tipo “sta bene?” “sì sta bene”.

E nient'altro.

Come potevano essere così menefreghisti?

Sora si sentì tradito.

Se non poteva fidarsi della sua famiglia per chi altro avrebbe potuto provare fiducia?

Aspettò un po', giusto per consentire ai suoi di cambiarsi e di infilarsi nella loro stanza per il consueto riposino pomeridiano, dopo di che si alzò, tremando sulle gambe instabili.

Non voleva rimanere in quella casa un minuto di più.

Non aveva nessuno motivo per stare lì, d'altronde.

I suoi genitori l'avevano trascinato via dalla sua casa, dai suoi amici e dai suoi affetti senza neanche chiedergli che cosa ne pensasse.

“Sora a te va bene se ti portiamo in città, dove verrai trattato malissimo sin dal primo giorno e dove incontrerai solo persone orribili?”.

No di certo!

No!

Se solo glielo avessero detto...

Sì, che cosa avrebbe potuto fare? Puntare i piedi e rimanere da solo alle Isole del Destino?

Come se glielo avessero mai permesso!

Era un vicolo cieco sin dall'inizio, e lui non se n'era neanche accorto.

Infilò con rabbia tutto quello che poté dentro lo zaino di scuola, dopo aver gettato i libri e i quaderni in un angolo.

Si mise addosso una giacca pesante e poi si gettò sulle spalle lo zaino.

Quando uscì fuori di casa, in punta di piedi, piangeva ancora.

Traverse Town era immersa in un silenzio guardingo, Sora si sentiva osservato da tutto quella tranquillità, come se ad ogni finestra ci fossero occhi nascosti che seguivano ogni suo movimento.

Un brivido gli percorse la schiena e si pentì di non aver preso anche una giacca. Ma ormai era andata e non aveva di certo intenzione di tornare indietro.

Il punto era che non aveva neanche idea di dove andare.

Forse, in modo inconscio, il suo continuare a camminare voleva essere un modo per raggiungere Ventus.

Davvero non gli interessava niente di lui?

Davvero gli aveva chiuso la porta alle spalle lasciandolo solo in strada?

Lui non poteva tornare a casa.

Lui proprio non aveva una casa in cui tornare.

Il senso di colpa fece capolino per un istante nella sua mente, aumentando il flusso di lacrime sul suo volto.

Doveva essere arrabbiato col biondo...o cos'altro?

C'era così tanta confusione dentro di sé che non riusciva neanche a vedere l'inizio di quell'ammasso di sentimenti che era diventato il suo cuore.

Tirò su col naso, desiderando qualcosa di caldo.

Una tazza di cioccolata fumante.

Una coperta.

Un abbraccio.

Ventus.

Sbatté forte le palpebre cercando di liberare la vista di tutte quelle stupide lacrime.

Entrò in un bar, la campanella sulla porta emise un grazioso suono di benvenuto...che in quel momento gli sembrò una condanna, dato che tutti i clienti del locale si volsero a guardarlo.

Si sentì come se fosse uscito da un terribile film dell'orrore, e per un attimo si guardò, aspettandosi di trovare al posto delle sue mani degli artigli coperti di sangue.

Ma no, erano le sue solite mani, e lui era il solito Sora, solo che adesso era spaventato e in lacrime.

Una cameriera gli venne incontro, sorridendo.

- Ciao. Posso esserti di aiuto? -

Il ragazzino annuì, cercando di darsi un certo tono.

Che cosa avrebbe pensato la cameriera vedendolo ridotto in quello stato?

Uno zaino strapieno sulle spalle, il viso coperto di lacrime...qualsiasi cosa in lui urlava: scappato di casa.

Voleva evitare al massimo ogni intromissione della polizia, o di aduli generici, per cui si forzò di sorridere alla ragazza, che sembrava giovane e gentile (e non dava l'idea di essere una ficcanaso).

- Sì, grazie. Vorrei mangiare qualcosa. La fate la cioccolata calda, vero? -

La ragazza si stupì, e Sora sapeva bene il perché: anche se aveva sorriso, i suoi occhi continuavano ad essere pieni di lacrime, lucidi, e probabilmente gonfi.

- Certo, vieni ti trovo un tavolo. -

Per fortuna non aveva sbagliato sulla ragazza: non era una ficcanaso, e lo lasciò in pace dopo averlo portato al tavolo. Nessuna domanda, nessuna strana occhiata, solo un sorriso sincero e la promessa di fare presto con il suo ordine.

Sora sospirò. Non aveva molti soldi con sé, sia perché non era mai stato un gran risparmiatore, sia perché i suoi non gli consentivano di tenere i soldi che gli regalavano i parenti per il suo compleanno e per le feste varie a causa di quello che loro chiamavano “sindrome della mano bucata”: se aveva soldi, correva a spenderli.

Quindi la sua fuga era destinata a non durare molto.

Anzi, era probabile che quella stessa sera sarebbe tornato a casa, infreddolito e impaurito con il solo bisogno di scoppiare in lacrime tra le braccia di sua madre.

Una cosa molto infantile, una cosa molto da Sora...

Scosse la testa, come per darsi coraggio.

Stavolta sarebbe stato diverso. Non avrebbe permesso a nessuno di dargli del bambino piagnone che non ha il coraggio di stare neanche un giorno lontano da casa.

No, avrebbe puntato i piedi, e se ne sarebbero accorti di quanto era forte e deciso.

La cameriera gli portò la cioccolata, insieme con una serie di biscotti al cioccolato che gli fecero subito gorgogliare lo stomaco.

Poteva anche aver finito di mangiare da poco, ma per i biscotti al cioccolato avrebbe sempre avuto dello spazio.

Ringraziò amabilmente, fingendosi molto più entusiasta di quanto non fosse, e la ragazza se ne andò, dicendogli di andare a pagare alla cassa quando fosse uscito.

Per prima cosa, Sora rese ancor più dolce la cioccolata svuotandoci dentro due bustine di zucchero, poi cominciò a sorseggiarla come fosse qualcosa di prezioso, da non sprecare in inutili atti di ingordigia.

Anche se era difficile contenere la sua gola.

I clienti del bar erano tornati alle loro mansioni.

C'era chi prendeva il caffè e chiacchierava con un amico, c'erano gli studenti che consumavano un veloce spuntino prima di tornare alle loro lezioni, e c'era anche un volto noto...che subito saltò all'occhio di Sora.

Anche nascosto dietro la frangetta di capelli grigio acciaio, con gli occhi bassi su un notebook, l'espressione concentrata e la sua piccola stazza tutta compressa in se stessa, Zexion era ben riconoscibile a Sora, che aveva sempre avuto una naturale propensione all'amicizia per le persone che lo trattavano bene.

Il tavolo a cui era seduto Zexion era proprio di fronte al suo, quindi non molto distante, visto che il bar era piccolo e poteva contenere a stento trenta persone.

Si sarebbe sicuramente accorto di Sora, se non fosse stato tutto affaccendato a scrivere sul suo notebook.

Se Sora si fosse concentrato su di lui avrebbe sentito il tic tic provocato dalle sue dita frenetiche sulla tastiera.

Il ragazzino si chiese se fosse il caso di disturbarlo...ma vista l'intensità che ci stava mettendo nella scrittura capì subito che non era il caso.

Sora era molesto, a volte, ma ciò non significava che non fosse in grado di capire quando era giusto esserlo e quando no.

Sospirò, continuando a sorseggiare la sua cioccolata finché non arrivò a finirla e non gli rimase che leccarsi i baffi.

Per qualche strana ragione non poteva staccare gli occhi da Zexion.

Era curioso, e concentrarsi su di lui gli dava modo di dimenticare i suoi pensieri e le sue preoccupazione.

Era come uno scudo per la sua tristezza, e le lacrime finalmente avevano smesso di scendere.

Si chiese che cosa mai quel ragazzo potesse scrivere con tanto ardore, da quanto tempo fosse lì a farlo, se si concedeva una pausa ogni tanto o se rimaneva lì al bar a scrivere per ore ed ore, magari fino al momento di chiudere, e la cameriera gentile di poco prima gli offriva un caffè e lo invitava a tornare il giorno dopo.

Poi si chiese anche perché non fosse rimasto a scuola, magari in biblioteca, a scrivere, piuttosto che gettarsi in un bar affollato da un via vai incessante di persone che avrebbero potuto distrarlo.

Insomma, si fece ogni domanda possibile immaginabile, che lo impegnò per una buona mezz'ora e tenne lontano i pensieri dolorosi.

Inaspettatamente, ad un tratto, Zexion alzò gli occhi dal notebook e li fissò in quelli di Sora.

La frangetta copriva, al solito, l'occhio destro, per cui lo sguardo perse una parte della sua intensità...ma fu comunque in grado di far saltare il ragazzino sulla sedia.

Che si fosse accorto di essere osservato? O avrebbe comunque alzato lo sguardo?

Zexion abbandonò quell'espressione truce per rivolgere a Sora un sorrisetto timido.

Gli fece un cenno di saluto con la mano a cui il bruno prontamente rispose.

Sora riuscì a staccare gli occhi cerulei da quelli ardesia di Zexion e li piazzò sulla tazza ormai vuota di cioccolata e sul piattino con i biscotti al cioccolato.

Finse di essere tutto impegnato a mangiarne uno mentre Zexion si alzava dal suo tavolo, portandosi dietro tutte le sue cose, e si avvicinò a lui.

- Ciao. - esordì, la voce sottile e timida, simile ad un sussurro. Per un attimo Sora si chiese se avesse parlato davvero o se fosse stata la sua immaginazione a creare quella voce. - Posso sedermi con te? -

Non sembrava una frase che Zexion usasse molto durante il corso delle sue giornate. Forse le parole prese singolarmente sì, ma messe insieme per formare quella domanda...no, probabilmente no. Sembrava così arrugginita e poco convinta che anche stavolta Sora si chiese se non fosse merito della propria immaginazione.

E d'altronde neanche Zexion stesso sapeva per quale motivo aveva affrontato se stesso e si era alzato per raggiungere quel ragazzino.

Lui che infrangeva volontariamente il proprio isolamento sociale per andare a fare conversazione con qualcuno che conosceva appena interrompendo il suo lavoro?

Doveva essere impazzito.

Eppure si ritrovò inspiegabilmente in ansia quando il brunetto tardò a rispondere.

- Ehm...certo. -

Spostò di un po' la sedia per permettere ad uno Zexion sollevato e contento di accomodarsi liberamente.

- Sora...giusto? -

Anche se l'espressione del ragazzo era neutra, l'occhio ardesia brillava...di contentezza? Di sorpresa? In ogni caso doveva essere qualcosa di positivo, perché Sora se ne sentì rassicurato

- Sora, sì. - annuì lui, aprendosi in un sorriso - E tu sei Zexion. - lui dovette sentirsi enormemente imbarazzato del fatto che qualcuno ricordasse il suo nome dopo un solo incontro, imbarazzato e...anche lusingato: non gli succedeva spesso. Solitamente la gente tendeva a considerarlo parte della tappezzeria, un oggetto di scena che si distingueva appena dallo sfondo. - Come mai qui? -

Provò a chiedere Sora, visto che era genuinamente curioso di sapere che cosa stesse facendo.

Un'altra cosa che stupì parecchio Zexion, tanto che arrossì appena e nascose il volto dietro la frangetta per un attimo.

- Scrivevo. -

Gli mostra il notebook che tiene tra le mani, come fosse una reliquia.

- Sei uno scrittore? -

Gli occhi di Sora si illuminarono di curiosità infantile...e quella morbosità molesta di cui era capace venne tutta fuori all'improvviso.

Non poteva proprio farne a meno.

Zexion arrossì e scosse forte la testa.

- È...s-solo un hobby... -

Bisbigliò, tanto piano che Sora dovette sporgersi per sentire cosa aveva detto.

- È un bell'hobby. - gli sorrise in risposta - Io non sono proprio in grado di scrivere niente... - fece una faccia strana che fece sorridere Zexion - ...e cosa scrivi? Una storia d'avventura? Una storia d'amore? -

- N-no...niente del genere... - fu la mormorante risposta - ...è un genere...che non credo sia molto comune... -

- Bhè dimmelo lo stesso! -

Lo incitò Sora, che quasi avrebbe voluto scuoterlo per un braccio per convincerlo a rispondere.

- È...una storia...uhm...postapocalittica, con un po' di fantascienza... -

- Wow, sembra figo. - Zexion si sentì morire. Nessuno aveva mai definito figo niente di quello che faceva, per non parlare di quello che scriveva! - E poi lo pubblicherai? Magari ci faranno un film! -

- Oh...no...non...vale la pena... -

Fu la timida risposta.

- Come non vale la pena! Devi provarci! - il bruno gli rivolse un sorriso ampio, innocente e luminoso, tanto che Zexion si sentì aprire il cuore - Scommetto che sei bravissimo. -

- U-uh...sono normale. - cercò qualcosa a cui appendersi per evitare di continuare quella conversazione imbarazzante. Non avrebbe potuto sopportare un'altra dose di sincero apprezzamento: non ci era abituato. - Tu che fai qui? -

Sora sentì il sorriso morire dentro di sé, anche se non abbandonò mai le sue labbra.

Si strinse nelle spalle, con un'espressione con sfaccettature su cui si sarebbe potuto indagare.

- Faccio merenda. I miei non sono a casa, e avevo ancora fame. Mi sono offerto una cioccolata calda. -

- Sei solo? -

- Sì, non so quando torneranno. -

È una delle bugie più grosse che abbia mai detto nella sua vita, e sicuramente se Zexion l'avesse conosciuto un po' di più se ne sarebbe accorto.

Invece ci cascò con tutte le scarpe.

- Io adesso...mi vedo con dei compagni per...studiare insieme...se vuoi puoi venire con me... -

Da un lato c'era Sora, che non credeva di poter davvero avere tanta fortuna di trovare un posto dove nascondersi mentre era in fuga, dall'altro c'era Zexion che non credeva possibile di aver invitato un quasi sconosciuto ad andare a casa sua.

Ma c'era qualcosa in quel ragazzino che rendeva impossibile non fidarsi: emanava proprio fiducia da tutti i pori.

- Oh...davvero? Posso venire? Sul serio? - Zexion annuì in risposta e Sora sorrise con tutti i denti che aveva a disposizione, e se ne avesse avuti altri avrebbe usato anche quelli - Allora okay, volentieri. Grazie per l'invito. -

- Figurati. -

I due si alzarono per andare a pagare ciascuno quello che avevano preso e poi uscirono dal bar, accompagnati dalla campanella.

Stavolta a Sora suonò come qualcosa di allegro, e non come la condanna di quando era entrato.

 

*

 

- Stupido. - si ripeteva - Stupido, stupido, stupido. -

E intanto singhiozzi asciutti gli scuotevano il petto.

Avrebbe voluto sciogliersi in lacrime, ma non ci riusciva, ed era anche uno dei motivi per cui si dava dello stupido.

Ventus camminò finché le gambe glielo consentirono, dopo di che poggiò le spalle stanche contro un muro.

Si odiava, profondamente. Si odiava per molte ragioni.

Aveva rovinato ufficialmente l'amicizia con Sora. Era di certo il motivo per cui si odiava maggiormente.

Forse aveva ragione suo padre quando lo picchiava e lo torturava, dicendogli che non aveva diritto di vivere, che sarebbe stato meglio se fosse morto lui e non sua moglie.

Aveva ragione, di certo.

Portò le mani al volto, nascondendolo, come a voler sfuggire dagli sguardi indagatori della gente.

Un ragazzino sconvolto in mezzo alla folla non passava di certo inosservato.

Si sentiva sporco e colpevole, e triste, infinitamente triste.

Non avrebbe dovuto fare quello che aveva fatto, mai, per nessuna ragione, anche con il cuore in fiamme, non avrebbe dovuto fare del male a Sora in quel modo, soprattutto dopo quello che aveva passato...e anche considerando quello che gli stava nascondendo.

Era stato perfettamente legittimo che l'avesse cacciato via, non meritava di rimanere con lui.

Non c'era nessun posto al mondo per lui, in quel momento.

Che cosa poteva fare se non continuare a camminare?

Ed è proprio quello che fece, anche se era stanco.

Pensò a come si era ridotta la sua famiglia, pensò al rifiuto che sentiva di essere, pensò a come aveva distrutto la sua unica amicizia.

Ma quasi se lo aspettava: lui non era in grado di tenersi stretto nessuno.

Non potendo tornare a casa era destinato a non fermarsi mai.

Forse avrebbe dovuto cercare di contattare Roxas, forse no.

In ogni caso non si sentiva in grado di sopportare niente, ora come ora.

Vuoto e abbandonato a se stesso non faceva che rimpiangere e recriminare e riempirsi di ogni genere di sento di colpa.

Infilò le mani in tasca, rabbrividendo per una folata di vento che l'aveva colpito in pieno.

Come sarebbe sopravvissuto alla notte?

Certo, nessuno avrebbe pianto la sua scomparsa, quindi a conti fatti avrebbe anche potuto non sopravvivere affatto.

La cosa in qualche modo lo confortò, e gli diede la voglia di continuare a camminare.

Non amava molto Traverse Town, se avesse potuto scegliere un posto dove andare sarebbe sicuramente andato a Radiant Garden...sì, lì sarebbe stato perfetto.

Si crogiolò per un attimo in quel pensiero, al ricordo di quanto era bella quella cittadina così luminosa e pura, e quasi deviò il suo tragitto verso la stazione, intenzionato a prendere il primo treno che l'avesse portato là...

Ma c'era una voce nel fondo di quel baratro che lo stava chiamando.

Cercò di ignorarla sulle prime, anche se era una voce particolarmente insistente...e snervante.

La conosceva, e desiderava davvero che la smettesse di gridare il suo nome in quel modo severo.

Poi fu strattonato per un braccio e i suoi occhi blu furono costretti a girarsi in direzione di un paio di iridi grigio azzurre che lo fissavano con rabbia.

- Ventus! -

Chiamò ancora, anche se ce l'aveva in pugno ad un palmo dal naso e quel tono sarebbe solo giovato a mettergli fuori uso i timpani.

- Che cosa vuoi! -

Sbottò lui per tutta risposta.

Aqua alzò gli occhi al cielo e strinse di più la presa sul suo braccio.

- Dove stai andando? Perché non sei a casa? -

Gli chiese la donna, senza mai abbandonare quel tono da professoressa qual era.

- Da nessuna parte, e non sono affari tuoi. -

- Da quando non sono affari miei? - s'imbronciò lei - Io sono tua amica, lo sai. -

- Ma perché non potete solo lasciarmi in pace tu e Terra? - il tono di voce di Ventus era quasi supplicante - Perché non potete lasciarmi in pace tutti quanti, ne ho abbastanza, ne ho davvero abbastanza...! -

Forse fu la presenza di Aqua, forse fu perché non ne poteva più di trattenersi, fatto sta che scoppiò il lacrime e l'unica cosa che poté fare fu aggrapparsi disperatamente alla donna che non ci pensò due volte a sostenerlo.

- Che cosa è successo, Ven? - provò a chiedergli, accarezzandogli gentilmente i capelli.

Il ragazzino scosse la testa, non intenzionato a dirle una parola. Non poteva, altrimenti avrebbe dovuto raccontarle tutto e proprio non ne aveva la forza. - Vuoi venire con me? Vieni a casa con me? -

Stavolta lui annuì e Aqua si sentì infinitamente meglio: finché era nei limiti del suo campo visivo poteva avere l'impressione di potergli essere d'aiuto.

Aveva sofferto troppo la sua mancanza, la sua assenza, come se fossero stati relegati in due mondi lontani, come se quell'estate li avesse separati molto più che fisicamente.

Aqua si definiva una donna adulta da quando aveva sedici anni, ma con Ventus le tornavano in mente tutte le paure infantili e tutti i turbamenti emotivi che aveva pensato di aver superato.

Era forse il senso di protezione che lui le ispirava a ridurla in quello stato, ma tutta la sua stabilità emotiva spariva all'improvviso.

Con lui e con Roxas.

Dentro di sé li sentiva come figli suoi, e come madre non poteva non preoccuparsi per loro.

Aqua lo prese per mano, impedendogli così la fuga: dalla sua stretta non avrebbe mai potuto liberarsi.

E dal canto suo Ventus, che non teneva veramente più a niente, non aveva neanche sfiorato l'idea di scappare via: a quel punto, un posto valeva l'altro; la strada o l'appartamento di Aqua, che differenza c'era?

Era comunque un fuggitivo.


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The Corner

Ciao a tutti! 
Sono appena tornata e già sono sul punto di sparire...sigh.
Febbraio sarà un mese orribile per me e credo di non poter garantire una data per la pubblicazione. Per vedere gli aggiornamenti controllate sulla mia pagina personale qui su EFP!  
Detto ciò...non c'è niente di certo...ma d'altronde è la vita(?) 
Spero di sentirci presto, alla prossima!

Chii

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Capitolo 28
*** Quattordici è un numero difettivo ***


27

Quattordici è un numero difettivo

 

Zexion non era un gran chiacchierone, ma questo Sora l'aveva intuito. Per cui, mentre camminavano, fu il bruno a riempire il silenzio con le sue ciarle senza fine.

La cosa bella era che Zexion non si sentiva per niente scocciato dai suoi racconti, anzi, voleva sentirlo parlare ancora e ancora.

Questo perché Sora, nonostante fosse in buona parte uno scocciatore incallito, sapeva intrattenere piacevoli conversazioni se si sorvolava sul fatto che datagli corda si rischiava di sentirlo chiacchierare fino a cadere a terra stremati.

Parlava delle Isole del Destino, un argomento che a Zexion risultava affascinante: non aveva mai visto il mare, e sentirne parlare lo faceva sentire quasi come se fosse sulla spiaggia.

Sora, dal canto suo, non faceva neanche finta di nascondere la nostalgia che provava raccontandogli delle sue avventure, dei suoi amici, dell'estate, dei gelati, del mare, della pesca e di tutte quelle piccole cose che ormai non poteva più vivere.

Gli mancavano le sue Isole, come gli mancavano la compagnia degli amici di sempre.

Si sentiva solo in quella città, con quella scuola e quelle persone che non conosceva e che non gli avevano dato molta speranza per il futuro.

- Secondo me dovresti...ecco...prenderla con più leggerezza. La nostra scuola è tra le più difficili del paese, devi essere contento di essere stato ammesso, ma devi anche essere più rilassato. -

Disse Zexion, guardando avanti per il troppo imbarazzo di specchiarsi negli occhi cerulei di Sora.

Il ragazzino fece una smorfia e brontolò.

- La fai facile tu! Sarai preparatissimo su qualsiasi cosa, non sei arrivato il primo giorno senza capire neanche il nome della materia da studiare, figurarsi la materia in sé! -

Zexion ridacchiò, coprendosi la bocca con la mano quasi subito, come se fossero anni che non rideva in quel modo.

Arrossendo disse:

- Posso darti ripetizioni, se vuoi. Non sono brillantissimo, ma di certo posso darti una mano. -

- Davvero?! -

Avesse potuto, Sora sarebbe saltato addosso a Zexion per stritolarlo in un abbraccio soffocante.

- Davvero...! - anche se l'entusiasmo del ragazzo era meno contenuto, non voleva dire che non fosse contento - Sono stato anch'io una matricola, cioè, siamo stati tutti delle matricole, solo che alcuni fanno finta di non ricordarselo e... -

E niente, Sora gli saltò al collo davvero e lo abbracciò forte. Zexion si lasciò stringere, diventando rosso come un peperone, poi il ragazzino si staccò e trotterellò in avanti, come un bambino.

Zexion si grattò la nuca, tutto imbarazzato, ma un sorriso cordiale gli nacque sulle labbra.

- Di qua, vieni! -

Ora tutto aveva stranamente più senso.

 

Zexion abitava con sua madre in un appartamento nel Terzo Distretto. Un posticino tranquillo e poco frequentato come fosse la periferia della città, ma ordinato e pulito come il centro.

Incredibile a dirsi: Sora parlava ancora. Non ne aveva mai abbastanza, e Zexion lo ascoltava attentamente senza perdersi neanche una parola.

Dentro di sé pensava a quanto gli sarebbe piaciuto essere come lui, così spigliato, aperto, chiacchierone, cordiale. Lui si sentiva così goffo e timido. L'unica persona con cui riusciva a parlare senza farsi venire un attacco di panico era Vexen. Forse perché lui gli ricordava suo padre, o forse proprio perché non aveva più un padre aveva sostituito con il medico quella figura che gli mancava.

In ogni caso...invidiava Sora. Sembrava la felicità in persona.

Quando arrivarono a casa Zexion aprì la porta e fece un cenno al ragazzino di entrare per primo.

Lui trillò un “grazie!” allegrissimo ed entrò.

- Ancora...devono arrivare gli altri. - mormorò Zexion, poggiando le chiavi in un gancio all'ingresso e sistemando la giacca sull'attaccapanni - Accomodati dove meglio desideri... -

Ma tanto Sora aveva già fatto come fosse a casa sua ancora prima che lui glielo dicesse: si era piazzato sul divano e continuava a saltellare su e già sul cuscino.

- Com'è morbido! -

- È di piume d'oche. -

- Morbido. -

Rise Sora, come un bambino.

Di nuovo, Zexion sentì nascere sulle labbra un sorriso. Era già la seconda volta, una specie di record per lui!

- Ti posso portare qualcosa? -

- Hai del tè freddo? - Zexion annuì - Allora un bicchiere di quello non mi dispiacerebbe! -

Mosso dalla voglia di soddisfare quella piccola creaturina bruna, Zexion corse in cucina e riempì un bicchiere di tè fino all'orlo, per poi portarglielo. Sora gli rivolse uno dei suoi sorrisi smaglianti. - Hai una bella casa! Vivi con i tuoi genitori? -

- Con mia madre. -

Commentò solo Zexion, che poi andò a sedersi accanto a lui.

Sora provò l'istinto irrefrenabile di chiedergli che cosa ne fosse di suo padre, ma vista l'espressione triste di Zexion decise che forse...era meglio lasciar stare.

Per un attimo rimase in silenzio (più o meno l'attimo che gli ci volle per finire di bere il tè) dopo di che sospirò.

- Zexy-chan non sono stato molto sincero con te. - borbottò Sora - Sono...tipo mezzo scappato di casa. -

Il ragazzo aggrottò le sopracciglia.

- Mezzo scappato di casa? -

Sora annuì e il suo sguardo si fece così cupo che Zexion si spaventò. Che ne era della meravigliosa luce che illuminava quegli occhi così belli?

- È successa una cosa strana. Mi sono spaventato e...non lo so, sono confuso. -

Fece una faccia buffissima, probabilmente perché non capiva quello che sentiva e di conseguenza il suo corpo non sapeva come reagire.

- Che intendi per cosa stra--... - ma in quel momento si sentì uno scampanellio allegro e continuo. Zexion tirò un sospiro. - Se ti va ne parliamo dopo. -

E non aggiunse altro, andò solo ad aprire la porta.

- Gelaaaati ho portato i gelaaaati! -

Fu l'urlo belluino che quasi fece tremare le parete della calme, tranquille e silenziose della casetta di Zexion.

- Gelati, gelati, gelati! -

Esultò qualcun altro subito dopo il primo.

- Smettetela di fare casino! -

Questo invece era Zexion...che urlava veramente di rado e per questo le sue urla erano, per le persone normali, ad un tono di voce normale.

Sora si sporse dal divano per vedere chi fosse e rimase stupito.

- Axel! Demdem! -

Scattò verso di loro e finì con l'inciampare su un tappeto e finire a terra lungo disteso...cosa che scatenò le risate del rosso e del biondo.

Axel andò a raccoglierlo da terra scuotendo la testa.

- Certo che tu sei incredibile! Ma come fai a farti sempre male? -

- Uhm...ehm...non lo so. -

Balbettò lui con un sorrisino sulle labbra.

- Ha bisogno di una dose extra di gelato! -

Rise Demyx e praticamente infilò a forza tra le labbra di Sora un ghiacciolo di un bel colore azzurro. Un gelato al sale marino!

Il brunetto lo addentò con piacere e fece un'espressione quasi sognante.

- Allora è questo il sapore che ha! -

Però immediatamente gli venne su una boccata di amarezza: quel gelato gli ricordava Ventus. E Ventus gli ricordava quello che era successo.

- Ragazzi, non dovevamo studiare? -

Provò Zexion, senza molto successo dato che i due si litigavano i gelati come i cani randagi si litigherebbero un pezzo di carne.

Con tutta quella confusione, nessuno si accorse del turbamento di Sora.

 

Alla fine Zexion riuscì a convincere Axel e Demyx a mettersi a studiare. Certo, ci riuscì solo dopo che la scorta di gelati si esaurì, ma sempre meglio di niente.

Sora scoprì così che, anche se i tre erano in tre sezioni diverse, erano grandi amici dai tempi delle elementari e che non avevano mai perso l'abitudine di studiare insieme una volta a settimana. I programmi erano più o meno gli stessi ed essendo tutti allo stesso anno potevano scambiarsi informazioni a vicenda senza problemi.

Per il bruno quello di cui parlavano era più incomprensibile dell'arabo, però era comunque bello vedere il loro affiatamento. Tra l'ingegno di Zexion, la spigliatezza di Axel e...beh, Demyx, studiare con loro sembrava davvero divertente e Sora desiderò più volte poter partecipare.

Il massimo che poté fare, però, fu stare in silenzio e prendere appunti su quello che riusciva a capire.

Alla fine aveva un blocchetto di fogli tra le mani pieno di informazioni sconnesse e disegnini...e la testa così pesante e dolorante che non riusciva neanche più a mettere a fuoco le facce dei suoi tre amici.

Presto finì con l'appoggiarsi sul tavolo e...addormentarsi.

 

Diverse ore dopo fu risvegliato da Zexion e dal suo timido quanto meraviglioso sorriso.

Si stropicciò gli occhi e si tirò su sbadigliando.

- Che ore sono? -

- È tardi, Axel e Demyx sono andati via da un pezzo. Vuoi chiamare i tuoi e farti venire a prendere? -

- N-no! - all'improvviso, Sora si appese al braccio di Zexion. Per un attimo il ragazzo provò l'impulso di scrollarselo di dosso, spaventato da quel contatto fisico indesiderato, poi visto che il brunetto aveva negli occhi il terrore decise di lasciarlo fare. - Ti prego...posso rimanere a dormire qui da te? -

Sembrava una supplica...e Zexion non era mai stato bravo a sottrarsi alle suppliche, soprattutto se venivano da occhi tanto belli e tanto disperati.

- Okay... - rispose con un filo di voce - Ma...dobbiamo avvertire i tuoi...se sanno che sei scappato potrebbero preoccuparsi...e chiamare la polizia... -

Lui fece un versetto strozzato e si appese di più al suo braccio.

- No...non posso chiamarli...mi verrebbero a prendere...non voglio tornare a casa... -

- Facciamo che...li chiamo io...okay? -

Anche se l'idea di parlare con degli sconosciuti al telefono gli faceva quasi venire un infarto. Stava uscendo dalla sua zona di controllo per quel piccoletto...e non sapeva neanche perché.

Sora annuì fortissimo e gli sciorinò in fretta e furia il numero di casa.

Zexion non poté fare altro che chiamare e sorbirsi le urla della madre del bruno a cui non seppe rispondere non tanto perché gli mancavano le parole ma quanto perché il suo tono di voce era troppo sottile per sovrastarle.

Però, riuscì a strapparle il permesso di lasciare il ragazzino a casa da lui, il che rese Zexion particolarmente fiero di se stesso. Rosso e col batticuore...ma anche fiero.

Mentre riagganciava il telefono si ritrovò a fissare Sora.

Quel ragazzino aveva il potere di cambiare la gente.

 

*

 

Camminava per le strade buie della città, la busta della spesa troppo pesante le ha intorpidito le braccia a tal punto che ormai non le sente più.

Avrebbe dovuto fermarsi ma non ne aveva voglia, stava cominciando a farsi tardi e rimanere in strada ancora a lungo la faceva sentire in pericolo.

Forse avrebbe dovuto fare più attenzione alla strada invece di perdersi nei suoi pensieri e finire col non sapere più dove andare.

Tirò su con il naso, sconsolata.

Ma come aveva fatto a perdersi?

- Scusi mi sa dire... -

Provò a fermare una signora che stava passando di lì, ma neanche le diede retta, anzi, la spintonò da una parte, tanta era la fretta che aveva di andare dove doveva andare che non l'aveva proprio vista!

I negozi avevano chiuso e lei era rimasta praticamente sola sulla strada.

Cavolo, come odiava Traverse Town!

Ci si era appena trasferita e già non la poteva sopportare!

I suoi genitori le avevano detto che sarebbe andato tutto bene, che si sarebbe ambientata, ma lei si sentiva più fuori posto che mai.

E poi...la spaventava enormemente il primo giorno di scuola.

Kingdom Hearts non era proprio una di quelle scuole in cui una persona con un po' di raziocinio avrebbe desiderato entrare.

Però lei aveva comunque mandato il suo curriculum, comunque aveva fatto il test di ingresso, comunque aveva ricevuto una borsa di studio dal Preside per i brillanti risultati.

Insomma...era stata un bel po' masochista.

Ma questo era successo un bel po' di tempo prima, gli esami erano stati il semestre passato quando ormai l'anno era cominciato e il Preside non aveva potuta inserirla, per questo le avevano detto di tornare con il nuovo semestre. Ed era proprio quello che aveva fatto.

Finché la data era lontana, lei non ci aveva fatto troppo caso. Sì, era consapevole di quello che avrebbe dovuto fare e quello che avrebbe dovuto affrontare: il trasferimento, il vivere da sola, il sapersi organizzare...cose che normalmente non le riuscivano molto bene.

Però, ecco, non ci aveva pensato finché sul calendario non era apparsa, quasi improvvisa, la data che lei aveva cerchiato di rosso.

Poi c'erano stati i bagagli, la partenza, la sistemazione in quel posto tanto nuovo e tanto difficile da capire, e quelle dannate strade che si somigliavano tutte.

Si era rifiutata di uscire senza un accompagnamento, ma non conosceva nessuno, non ancora almeno, e alla fine la necessità di riempire il frigo l'avevano finalmente tirata fuori dal suo piccolo appartamento.

E che cosa ci aveva guadagnato? Che si era persa! Esattamente come aveva calcolato che sarebbe successo!

Sbuffando con le lacrime agli occhi, aumentò il passo. Forse quell'incrocio era quello giusto, se così fosse stato avrebbe svoltato a destra e dopo due isolati sarebbe arrivata a casa!

Quelle buste enormi piene di roba da mangiare pesavano troppo per lei, avrebbe voluto lasciarle lì e basta, al diavolo il frigorifero vuoto.

Ovviamente aveva sbagliato. Di nuovo. Non era l'incrocio di casa sua!

- Ma dove diavolo sono?! -

Piagnucolò, lasciando le buste per terra e disperandosi enormemente. Già immaginava di passare la notte all'addiaccio, di essere aggredita o chissà cos'altro.

- Sei nel Primo Distretto. -

Quando sentì la voce saltò in aria per la paura.

Si volse come se si aspettasse che dietro di lei ci fosse un qualche mostro tirato fuori da un film horror. Ma invece si ritrovò davanti un ragazzino biondo, con grandi occhi blu intenso, un sorriso amichevole sulle labbra e...un gran brutto occhio nero che però sembrava essere sulla via della guarigione.

- Oh...davvero? - disse lei con un mezzo sorriso - Credevo...di essere nel Terzo. -

Il ragazzo scosse piano la testa e le indicò un grande portone poco distante da loro.

- Se passi di lì arrivi nel Secondo, poi c'è un arco che ti porta al Terzo. -

Lei gli sorrise, grata.

- Meraviglioso, grazie mille. -

Provò a sollevare le borse della spesa ma...erano davvero troppo pesanti e lei se le era portate in giro per troppo tempo, non ce la faceva più.

Il ragazzo si gettò subito per prenderle al suo posto e per quanto lei tentasse di dirgli che non c'era bisogno, lui rimase fermo nella sua decisione.

- Ti accompagno io al Terzo Distretto, così non ti perdi. -

- No...davvero...non ce n'è bisogno! -

Lei aveva le guance talmente tanto rosse che il biondo non poté non riderne.

- Non preoccuparti, anche io devo andare da quella parte, così almeno non fai la strada da sola. -

Avrebbe voluto dirgli “grazie”, ma era troppo imbarazzata per farlo.

Per un po' camminarono in silenzio, lei che continuava a sbirciare il ragazzo, lui che trascinava le buste della spesa senza battere ciglio.

Era carino, davvero molto carino, i lineamenti delicati, la dolcezza dello sguardo, quelle belle labbra...il rossore non poté che aumentare, soprattutto quando lui si volse a guardarla e la sorprese a fissarlo.

- Ah, io sono Roxas, e tu come ti chiami? -

Lei dovette fare una serie di tentativi prima di trovare la forza di parlare.

Ogni volta che apriva bocca la voce le moriva in gola per l'imbarazzo!

- Xion. -

Riuscì a dire alla fine, con gran soddisfazione...anche se l'aveva detto con un filo timido di voce.

- Xion. - ripeté Roxas, quasi per imprimersi nella mente quel nome - Sei nuova? Non ti ho mai vista in giro. -

- Mi sono trasferita da poco. -

Sciorinò Xion tutto d'un fiato.

Come lei aveva guardato lui, anche lui l'aveva squadrata per benino. Era una ragazzina davvero carina, tutta in formato mignon. Non era molto alta e non aveva un seno particolarmente grande. Capelli mori tagliati corti le incorniciavano il volto e gli occhi erano blu reale, una sfumatura delicata ma allo stesso tempo decisa.

Non aveva potuto impedirsi di arrossire esattamente come non aveva potuto lei, solo che lui era abituato a nascondere i suoi sentimenti e la cosa non era trapelata.

- Oh, wow. - sorrise lui - Allora capisco perché ti sei persa. Traverse Town è un postaccio per chi non sa come muoversi. -

Lei rise appena, una risatina nervosa più che altro, ma Roxas la trovò comunque carina.

Provò l'immediato impulso di parlare di lei ad Axel, così, senza alcuna ragione.

Quella giornata era stata lunga e stressante e aver trovare quella ragazzina gli aveva fatto passare il malumore, soprattutto visto che, per motivi di studio, non aveva potuto passare il pomeriggio con lui.

- Che scuola frequenti? -

Chiese lei a bruciapelo.

- Kingdom Hearts. -

Rispose lui, altrettanto a bruciapelo.

- Davvero?! -

Saltò la ragazza, con tanta enfasi che Roxas quasi si fece cadere di mano le buste.

- S-sì, davvero. -

Confermò, balbettando imbarazzato.

Perché quella ragazza gli suscitava tanti e tali sentimenti?

E perché lo faceva balbettare in quel modo?

- Anch'io vado lì. Cioè, non ancora. - Xion aggrottò le sopracciglia - Domani sarà il mio primo giorno. Magari possiamo fare la strada insie---... -

- No. - Roxas all'improvviso sentì il cuore fermarsi. Una matricola. Questo voleva dire che Vanitas avrebbe infierito anche su di lei come su Sora. - Devi...stare lontana da lui...! -

Mollò le buste lì dov'era e si allontanò di qualche passo.

- M-ma...che stai dicendo...? Non capisco... -

- Stagli lontana! Devi stargli lontana! -

- Da chi...? Non conosco ancora nessuno! -

Roxas non sapeva che cosa inventarsi. Che cosa avrebbe dovuto dirle? Stai lontana dai miei migliori amici? Faccio parte del trio di persone che mettono a soqquadro la scuola sette giorni su sette?

Si morse a sangue il labbro inferiore e poi corse via...tanto in fretta che Xion non riuscì a fare altro che chiamare il suo nome accoratamente.

- Roxas! -

Ma lui era già lontano.

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The Corner

Ciao a tutti!
Sì, è passato davvero un sacco di tempo 
e questo capitolo non è granché...
scusatemi
però avevo una gran voglia di scriverlo e pubblicarlo
mi riprenderò strada facendo (spero).
Non posso darvi una data di pubblicazione ma vi garantisco che non passerà più così tanto tempo!

Chii

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Capitolo 29
*** Il bacio è un modo di cominciare ad offrire qualcosa del proprio corpo, e di prendere qualcosa ***


Breve riassunto 

Sora, appena trasferito a Traverse Town, dopo aver subito diversi sgarbi dai bulletti della scuola, Roxas Riku e Vanitas, subisce uno stupro proprio dal moro, il cocco del Preside del prestigioso liceo Kingdom Hearts. 
Ventus e Terra trovano Sora in stato di shock sul pavimento dello spogliatoio della palestra e portano immediatamente dal medico della scuola.
Non appena il Preside Xemnas viene a conoscenza dell'accaduto, minaccia Terra mettendo in mezzo il suo affetto per Ventus.
Tornato a casa l'indomani, Ventus scopre che Sora non ricorda nulla dell'accaduto, così gli racconta di aver battuto la testa a causa di una caduta durante ginnastica; i due tornano a casa insieme e finiscono con il baciarsi. 
Sora è ancora traumatizzato dalla violenza subita, pur non ricordandola, e reagisce violentemente cacciando di casa Ventus che, non potendo tornare a casa (il padre picchia ripetutamente lui e il suo fratello gemello Roxas) si ritrova a camminare a vuoto per le strade della città.
Fortunatamente viene trovato da Aqua, sua grande amica, che lo porta a casa con sé.
Sora nel frattempo scappa di casa, ancora sconvolto, e trova Zexion, che si offre di ospitarlo per qualche tempo.

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28

Il bacio è un modo di cominciare ad offrire qualcosa del proprio corpo, e di prendere qualcosa.

 

Terra non era sereno, per questo si era preso un giorno di permesso da scuola e l'aveva passato a sfogare la sua frustrazione con il free climbing.

Essere in un posto isolato, solo al mondo con la sua attrezzatura in un potenziale pericolo suicida gli scioglieva sempre i nervi.

Quando si è sul punto di precipitare si smette di pensare e si comincia ad agire. Ed era proprio quello che Terra desiderava.

Alla fine della giornata era riuscito a dimenticarsi il perché fosse lì, in cima a quella montagna, con i muscoli che urlavano pietà, il corpo madido di sudore e una discesa da affrontare.

Solo che il momento di standby del cervello era durato veramente poco, giusto il tempo di sentire nell'ululato del vento le urla strazianti di Sora.

A quel punto Terra aveva capito che doveva tornare indietro e che aveva bisogno di sistemare quella situazione al meglio delle sue possibilità.

Contrariamente a quello che aveva promesso a Ventus, non si era presentato a lezione e lo aveva lasciato senza alcuna spiegazione.

Ma come poteva dirgli quello che il Superiore gli aveva ordinato di fare?

Ancora non riusciva a farsene una ragione.

Una giornata intera passata a sfidare se stesso e la natura non l'aveva aiutato a placarsi come aveva pensato, non su quell'argomento almeno.

Il Superiore gli aveva fatto capire chiaro e tondo che doveva lavarsi le mani di quella faccenda e lasciare che ad occuparsene fossero loro. Senza avvertire la polizia. Senza dare un sostegno psicologico al ragazzo. Senza fare niente di niente.

Come avrebbero mai potuto trovare il colpevole?

In più gli era anche stato consigliato di non dire nulla a Ventus, o le velate minacce che erano state rivolte a lui potevano anche allargarsi al ragazzino. Cosa che Terra voleva assolutamente evitare.

Per questo, subito dopo il colloquio con il Preside, aveva deciso di lasciare la città e prendersi un giorno solo per lui. Per rimettere a posto le idee, per capire che cosa doveva fare, forse per togliersi di dosso per un attimo il peso di tutta quella storia.

Un buco nell'acqua, visto che il conforto era durato veramente poco.

Adesso Terra sapeva di dover tornare a casa, e non soltanto perché il cielo si era fatto scuro e le stelle cominciavano a prendere il posto del sole.

Sospirando, capì che aveva poco tempo per scendere prima che il buio gli impedisse di affrontare la discesa o, peggio, lo bloccasse sul fianco della montagna.

 

Riuscì a tornare alla macchina soltanto due ore dopo, quando ormai era a pezzi per la stanchezza e il corpo non gli rispondeva più.

Infilato il giaccone, perché cominciava a tirare un vento freddo poco piacevole, si chiuse in macchina e si preparò psicologicamente ad affrontare l'ora e mezza di strada che lo separava da casa.

Onde evitare di addormentarsi al volante si mise a cantare, anche se riconosceva di essere irrimediabilmente stonato, e non smise finché non fu in vista della città.

Più si avvicinava più sapeva che i problemi che aveva lasciato gli sarebbero saltati addosso con forza la mattina dopo.

Non aveva né il coraggio né la preparazione mentale per poterli affrontare.

Sei un adulto, Terra. Sei un uomo, sei un insegnante. Fa' quel che è giusto.” la voce della sua coscienza aveva anche ragione, ma c'erano delle volte in cui voleva che avesse torto...come in quel momento.

Quando arrivò sotto casa pensò che sarebbe stato bello rimanere bloccato tutta la notte sulla roccia, almeno non avrebbe dovuto affrontare tutti quei guai.

Ma come ci si era ficcato?

E lui che voleva soltanto parlare con Ventus...

Già...Ventus.

Sospirò. E dire che aveva fatto di tutto pur di non incontrarlo.

La vita a volte è strana, un giorno insegui un amico, quello successivo cerchi di scappargli.

La portinaia gli fece un sorriso vedendolo entrare. Quella donna gli ricordava un po' sua madre, nel modo gentile in cui lo accoglieva tutte le volte che tornava a casa. Lo faceva sentire in qualche modo...meno solo.

La salutò con un gesto della mano, perché di voce non ne aveva davvero più per la stanchezza, e si diresse verso l'ascensore. Ne aveva abbastanza di salite in verticale tanto che avrebbe potuto odiare le scale per tutto il resto della sua vita. Aveva una comodità, perché non usarla?

Arrivato al quinto piano scese e buttò praticamente giù la porta del suo appartamento con una spallata.

Sbadigliando lasciò cadere le borse con l'attrezzatura in un canto e la prima cosa che vide fu il lampeggiare rosso della segreteria telefonica.

Già, il telefono! Si schiaffò una mano in fronte. Si era dimenticato di avvertire chiunque della sua fuga in solitaria, e aveva volutamente lasciato il cellulare a casa.

Chissà chi l'aveva cercato.

Per un attimo sentì una punta di panico prendergli lo stomaco.

E se fosse successo qualcosa di grave mentre lui era a fare l'acrobata su una parete rocciosa?

In quel momento il lampeggiare della segreteria gli sembrò una condanna a morte.

Corse a schiacciare il pulsante e la voce automatica gli annunciò che c'erano cinque messaggi non ascoltati per lui.

Quella famosa punta di panico divenne un pugnale nelle viscere.

Primo messaggio.

- Terra, sono Aqua. Per favore richiamami! -

Terra deglutì a vuoto. Secondo messaggio.

- Terra, sono sempre io. Potresti richiamarmi appena senti il messaggio? Grazie. -

Terzo messaggio.

- Lo so, ti ho già lasciato due messaggi ma...non rispondi al cellulare e comincio a preoccuparmi. Dove sei finito? A lavoro non ti hanno visto. Richiamami ti prego. -

Quarto messaggio.

- Ma che cosa ti è successo? Diamine! Sono sempre Aqua, se non avessi capito. Giuro che se mi stai ignorando di proposito non te la perdonerò mai. -

Ultimo messaggio.

- Sono passata da te, mi hanno detto che non ti hanno visto tutto il giorno. Spero che tu abbia una buona scusa. RICHIAMAMI se sei ancora vivo, sennò ti vengo a prendere all'Inferno. Ciao. -

Da una parte Terra sorrise...dall'altra rabbrividì per la paura.

Aqua quando era arrabbiata era una bomba atomica, ed era meglio non essere nel suo raggio distruttivo.

Compose subito il numero e aspettò che rispondesse.

Ad ogni “tuuuu” lui aggiungeva “non rispondere!”...perché in fondo era spaventato, il che era abbastanza ridicolo per l'omone grande e grosso che era. Insomma, Aqua era tanto più piccola e debole di lui!

Il potere misterioso delle donne...

- Terra! -

Fu l'urlo quasi isterico della donna, invece di “pronto!”.

- Sì...ciao Aqua. -

Ci furono all'incirca tre secondi di silenzio...dopo di che Aqua gli fece una ramanzina da vera e propria maestrina, di quelle che probabilmente faceva sempre ai suoi studenti quando non studiavano abbastanza.

Non lo lasciò parlare, ovviamente, né gli lasciò spiegare, il che era ancora più ovvio. Dovette solo stare in silenzio a sorbirsi la sua strigliata finché non fu calma abbastanza da dargli la parola.

- Scusa. -

- È il minimo. - brontolò lei - Ora puoi dirmi che fine hai fatto. -

Gentile concessione.

- Sono andato a fare free climbing, ho preso un giorno di permesso e mi sono dimenticato di avvertirti...volevo solo staccare la spina per un po'. -

Lei rimase in silenzio un attimo, e lui se la immaginò ad aggrottare le sopracciglia in quella maniera adorabile e ad attorcigliarsi una ciocca di capelli in un dito.

- Era molto che non lo facevi. Che è successo? -

Terra sospirò, piacevolmente. Lei riusciva sempre a capirlo nel profondo, senza che dovesse darle troppi dettagli.

In ogni caso, lui non poteva raccontarle...proprio tutto.

Fortuna che loro avevano una sorta di codice per certe cose.

- È stata una brutta giornata, i ragazzi sono stati insopportabili. -

Forse fu il tono più che le parole a far capire ad Aqua che c'era qualcosa che non andava, o comunque qualcosa che non poteva dirle. Quindi lei sbuffò, irritata dal segreto di cui non poteva sapere nulla.

- Hai fatto bene, in ogni caso...c'è Ventus qui a casa mia. -

- Ven? -

Quasi si strozzò nel dire quell'unica sillaba.

- L'ho incontrato che vagava tutto solo, è scoppiato a piangere, sembrava disperato. L'ho portato da me e... - Aqua sospirò - ...non so se devo chiamare i suoi o meno. Io credo che la prospettiva lo terrorizzi. -

- Dammi il tempo di una doccia e arrivo da te, okay? -

- Okay. -

Terra poté benissimo immaginarla mentre annuiva come una bambina, finalmente serena. Era probabilmente quello che voleva sentirsi dire sin dalla prima volta che aveva provato a chiamarlo.

- Vaniglia e cioccolato? -

- Come sempre. -

Terra sorrise, Aqua sorrise. Riagganciarono entrambi nello stesso momento senza aggiungere altro.

Anche se lui si sentiva esausto, distrutto, in mille pezzi, non poteva lasciare Aqua in quelle condizioni...Aqua, e Ventus.

Non era solo per lei che doveva trovare la forza.

Si tuffò sotto la doccia fingendo di non vedere e sentire le numerose escoriazioni che aveva su tutto il corpo. Da una giornata di scalate non si poteva tornare senza neanche un graffio.

Il bagnoschiuma bruciava da morire ma lui non ci fece caso.

Veloce come era entrato uscì, e si andò subito a vestire.

Praticamente infilò le scarpe saltellando sulla soglia.

Doveva ancora esserci il suo supermercato preferito aperto a quell'ora.

Poteva arrivare a piedi sia lì sia a casa di Aqua, per questo non prese la macchina e si diresse direttamente al negozio.

Vaniglia e cioccolato, gli unici due gusti di gelato che Aqua si desse il permesso di mangiare quando era turbata emotivamente.

A Terra piaceva poter condividere con lei quel piccolo “peccato” di gola. Gli piaceva poterla rendere felice, anche se era una cosa da niente.

Non aveva mai ben pensato al genere di rapporto che c'era tra di loro. Erano buoni amici, su questo non aveva dubbio, lavoravano bene come colleghi, si trovavano a loro agio anche fuori dal contesto di lavoro, spesso avevano bisogno l'uno dell'altra per superare brutti momenti. Ma in linea generale poteva dire che no, tra loro non c'era niente.

A volte pensava che non sarebbe stato male tornare a casa e trovarla lì ad accoglierlo, ma forse semplicemente non era destino.

Arrivò al supermercato e andò direttamente a prendere il gelato, pagò e uscì quasi fischiettando, forse più per tenersi sveglio che per altro.

Si chiese come avrebbe potuto affrontare la cosa in quelle condizioni, e cosa ne avrebbe pensato Aqua se avesse passato la notte a casa sua. Poteva anche accucciarsi in un angolo del divano, non avrebbe chiesto niente di più.

Sbadigliò, mancavano solo un paio di svolte e poi sarebbe arrivato.

Non appena si trovò davanti alla porta dell'appartamento di Aqua non dovette neanche suonare al campanello: che la donna avesse una specie di sesto senso, lui ne era convinto, ma fino a questo punto...inquietante!

- Finalmente! -

Commentò lei, solo per afferrarlo per la maglia e tirarlo dentro.

- Ci ho messo solo due minuti! -

Ridacchiò scuotendo la testa per tutta risposta.

Aqua fece una smorfietta adorabile, una di quelle che a Terra piacevano anche troppo e gli faceva stringere lo stomaco in una morsa.

- Due minuti di troppo. -

Si arrabbiò lei, ed era così bella con quegli occhi grigio azzurri che brillavano.

Forse Terra divenne tutto rosso, perché lei lo guardò in modo scettico.

Lui scosse ancora la testa, cercando di dissimulare l'imbarazzo.

Non aveva appena finito di pensare che tra loro non c'era niente?

E allora perché diamine faceva quei pensieri adesso?

- Dov'è Ven? -

Finse di essere impegnato a posare in cucina il gelato, giusto per non doverla guardare negli occhi.

No, basta guardare i suoi occhi, basta.

- Di là, sta guardando la tv. Non si è mosso da quando l'ho portato a casa. Non sono riuscita a consolarlo in nessun modo... -

La donna, afflitta, si portò un ciuffo di capelli blu dietro l'orecchio, lo sguardo basso di una madre che le ha provate davvero tutte.

- Accidenti. Deve essere successo qualcosa di brutto. - sussurrò Terra sospirando - Provo a parlarci io, okay? -

Lei in risposta annuì e basta, cercando di non fargli capire quanto fosse sconsolata e preoccupata; inutile, dato che lui capiva tutto delle sue espressioni.

Terra andò nella stanza da letto di Aqua. Apprezzò il profumo di rose che aleggiava soffuso in tutto l'ambiente ma...non era proprio il momento di perdersi in quelle cose.

Lo vide subito: un piccolo gattino biondo appallottolato sotto le coperte.

Sorrise per la tenerezza e insieme scosse la testa.

Vide chiaramente gli occhi blu di Ventus che si spostavano dalla tv accesa a lui e poi di nuovo alla tv.

- Vai via. -

Sibilò il piccoletto, volendo essere pericoloso come una serpe a cui è stata pestata la coda, ma sembrando ancora più adorabile agli occhi di Terra.

Invece di accontentarlo, lui si sedette sulla sponda del letto, e vi rimase, anche quando Ventus si fece più in là per non farsi toccare neanche per sbaglio.

- Va tutto bene Ven? -

- Non ti interessa. -

- Certo che mi interessa. -

Il bruno si sdraiò accanto a lui, abbastanza vicino da sentirlo respirare, eppure ancora lontano per rispettare i suoi spazi.

La reazione di Ventus fu quella di stringersi di più in se stesso, come se fosse spaventato o chissà cosa.

- Ho fatto un gran casino, Terra. -

Mormorò dopo un po' il biondo, talmente tanto tempo dopo che Terra quasi si sorprese di sentirlo parlare così all'improvviso.

Il giovane si morse il labbro inferiore per un attimo, come se fosse indeciso su cosa dire.

Scelse il silenzio, perché non voleva che Ventus si sentisse peggio se non si fosse sentito sicuro nel confidarsi.

Passarono altri minuti di silenzio, silenzio che fecero rigirare a fuoco lento il povero Terra.

Perché diamine ci metteva tanto a parlare?!

- Ti...ti ricordi...Sora, no? -

Come se potessi dimenticarlo.” pensò tra sé e sé il bruno con un leggero sospiro.

- Sì, certo che mi ricordo. -

- L'ho baciato. -

Terra sentì lo stomaco contorcersi dolorosamente, ma la sua espressione non cambiò, tanto che a chi lo guardava poteva sembrare semplicemente in ascolto, e nulla di più.

- L'hai baciato? -

Chiese, come una conferma, con un tono di voce soffuso per non spaventare Ventus.

- S-sì. -

Il biondo si accucciò su se stesso e divenne davvero solo una piccola pallina tremante.

Piangeva? Perché a Terra quelli sembravano singhiozzi.

Si avvicinò ancora a lui per poggiargli una mano sulla spalla e all'improvviso il piccoletto scattò su e lo abbracciò con forza, gettandogli le braccia al collo.

Dopo di che le lacrime la fecero da padrone e Terra si ritrovò a doverlo stringere forte tra le braccia.

- Hey, hey! - mormorò il bruno, accarezzandogli i capelli con dolcezza - Va tutto bene, non piangere su. -

- Non va niente bene! - riuscì a dire Ventus tra un singhiozzo e un altro - L'ho baciato, mi piace tanto da baciarlo! Sono gay? Terra, sono gay? - si appese quasi disperatamente alla sua maglia, tutto tremante come un bambino impaurito - L'hanno stuprato e io l'ho baciato, perché l'ho fatto? Adesso mi odia, e non posso dirgli niente, niente di niente! -

Terra non poté dire una sola parola, perché Ventus continuò a piangere contro il suo petto.

L'unica cosa che poté fare lui fu rimanere lì ad accarezzargli la schiena con dolcezza e mormorandogli parole di conforto, per quanto potesse essere di conforto una parola qualsiasi in quel momento, ovviamente.

Il dolore al cuore che sentiva non era paragonabile a niente in quel momento, e c'era davvero poco che poteva fare, poco che poteva dire.

Come sempre aveva le mani legate, e vedeva soffrire una delle persone che più amava al mondo.

Rimasero abbracciati in quel modo per molto tempo, finché Ventus, stremato dal pianto, non crollò in un sonno stanco, che permise a Terra di alzarsi.

Lo coprì con cura con una coperta e tornò da Aqua.

Preoccupata, la giovane donna si avvicinò subito a lui non appena lo vide uscire dalla stanza da letto.

- Allora? Ti ha detto cosa è successo? -

Lui annuì piano, passandosi una mano sul volto stanco.

- Hai del vino? -

- Sì...ma cosa c'entra? -
- Ne vorrei un bicchiere. -

Aqua non ribatté, semplicemente annuì.

Mentre Terra si buttava sul divano a peso morto, lei andava a stappare una bottiglia di vino.

Riempì due bicchieri e poi tornò da lui, mettendogliene in mano uno.

Lui sospirò e cominciò a sorseggiarlo piano, agitando il bicchiere di tanto in tanto.

- Quel nuovo allievo, Sora. -

Cominciò lui.

- La matricola nella mia classe. -

Lo interruppe, forse bruscamente, Aqua. Lui annuì e le rivolse un'occhiata, fugace, prima di tornare con gli occhi dentro il suo bicchiere di vino.

- Ha subito un'aggressione violenta negli spogliatoi della palestra. -

Aqua quasi sobbalzò alla notizia. Non era trapelato niente, né aveva sentito parlare di quella storia, dagli studenti o dagli insegnanti: silenzio totale.

- Che genere di aggressione? Uno scherzo degli studenti più grandi? -

- No, parliamo di qualcosa di più grave...è stato stuprato. -

- Oh mio Dio. -

Lei si portò una mano davanti alle bocca, sconvolta dalla cosa, i begli occhi grigio azzurri spalancati per lo stupore e l'orrore.

Terra annuì soltanto, e prese a sorseggiare dal suo bicchiere con più foga, come se quello avesse potuto porre rimedio in qualche modo.

Di certo non risolveva la situazione, ma aiutava ad alleviare la pressione.

- L'abbiamo trovato io e Ventus. Siamo andati a parlarne con il Preside ma...mi ha platealmente minacciato di morte se mai dovessi andare a raccontarlo alla polizia, ha detto che devono vedersela tra loro ma...non penso sia giusto. -

- No, certo che non lo è! Dobbiamo dirlo alle autorità! Devono trovare la persona che... -

- Non pensare che non ci abbia già riflettuto! - ribatté lui, costringendola a tacere, cosa che di solito non si permetteva mai di fare - Ma ha messo in mezzo anche Ven! E non solo! Mi ha fatto capire che sono uno dei sospettati e che se mai dovessero venirne a sapere qualcosa le autorità, testimonieranno contro di me. Verrò accusato di stupro e sarà la mia parola contro la loro! -

- Ci saranno... - cominciò Aqua, sottovoce, come se temesse la sua reazione - ...delle prove biologiche che dimostrino che non sei colpevole. Del DNA, non so cosa... -

- No, il ragazzo è stato da Vexen subito dopo l'aggressione, se c'erano delle prove, lui le avrà fatte sparire. Come farà sparire me. -

- Non arriverebbe a tanto! -

- Aqua. - lo sguardo di Terra si fece serio - Ha già interrato uno stupro, e ci sono mille modi per far sparire una persona. Oggi sono stato via tutto il giorno di mia spontanea volontà, e tu non sei riuscita a trovarmi, pensa che cosa succederebbe se invece sparissi per mano sua. -

Lei si morse il labbro inferiore.

Sapeva che aveva ragione, ma sapeva anche era un sopruso ed era assurdo che andasse così.

- Che hai intenzione di fare? -

Aqua alzò lo sguardo per cercare quello azzurro di Terra.

Lui sospirò. Agitò per un attimo il bicchiere con il vino e scosse la testa.

- Indagare per conto mio, cos'altro? Troverò il colpevole, e gliela farò pagare. -

La giovane annuì. Si fece più vicina a lui, tanto vicina da appoggiare la testa sulla sua spalla.

- Per forza Ventus era sconvolto... -

- Non è solo per questo che era sconvolto. -

Aggiunse Terra, storcendo il naso.

- E allora? -

- Una cosa alla volta, per stasera basta così, eh? Ho portato anche il gelato...ce ne mangiamo un po'? -

Aqua fece una smorfia arrabbiata, l'ennesima, che lui trovò terribilmente carina.

Forse era il vino a parlare, non avrebbe dovuto trovarla carina in una situazione così drammatica, no?

Eppure...non poté farne a meno.

- Vuoi davvero il gelato? -

Gli chiese, scettica.

- Non sarebbe male. -

Rise lui, per tutta risposta.

Allora Aqua si alzò scuotendo la testa.

- Sei assurdo. - andò in cucina e lui la seguì, quatto quatto, tanto che quando si ritrovò tra le sue braccia non seppe neanche com'era successo - Terra! -

Sbottò, rossa in volto come una bambina.

- Sì? -

Il sorriso sulle labbra di lui era così bello...da mozzare il fiato.

La giovane si ritrovò a diventare ancora più rossa, cosa che fece sorridere ancor di più Terra.

- Che stai facendo? -

- Non lo so. -

Ed effettivamente...non lo sapeva. Sapeva solo che voleva farlo.

- Il vino ti ha dato alla testa? Ne hai bevuto solo un bicchiere! -

- Non è il vino. -

- E allora cos-... -

Ma non la lasciò finire di parlare: le sue labbra si poggiarono su quelle di lei in un timido bacio.

 

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