A letter for you

di Rosie Bongiovi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Where everything started ***
Capitolo 3: *** Dear Clarice ***
Capitolo 4: *** Plans plans plans ***
Capitolo 5: *** Maybe because... ***
Capitolo 6: *** First of all ***
Capitolo 7: *** Tattoo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Ci insegnano a scrivere una lettera da quando siamo alle scuole elementari.

Ci dicono “Qui va la data, lì l'emittente, là il destinatario”. I maestri più puntigliosi insistono su altre cose, come il contenuto. “Lì i saluti, poi il testo e ciò che volete raccontare, alla fine un semplice 'Arrivederci' o 'A risentirci'!”.

Ci raccontano che le lettere sono una delle tante cose romantiche che due innamorati si scambiano. Nella mia classe, per esempio, spesso e volentieri qualcuno si ritrovava un foglietto in cartella con un paio di righe di poesia copiate pari pari da un romanzo rubato dal comodino della mamma.

Altre volte arrivano lettere che non vorremmo ricevere. Le bollette, per esempio. Ah, quelle sono le lettere peggiori. Eppure, nonostante tutto, la casella postale, quella accanto al cancelletto di legno, ne è sempre piena zeppa.

Dicono che una lettera è meglio di qualsiasi altro discorso, perché di persona è difficile esprimere i propri sentimenti. Scrivendo, invece, le cose sono completamente diverse.

Per me, invece, scrivere una lettera è sempre stato un modo come un altro per sfogarmi. Mettere i miei pensieri sulla carta mi libera da ogni preoccupazione, da ogni dubbio. Quando inumidisco l'amaro retro di un francobollo con la punta della lingua, allora so che sto per condividere quelle preoccupazioni e quei dubbi con qualcuno. Qualcuno che mi risponde nel giro di qualche giorno.

Ogni foglio sporcato dall'inchiostro nero viene gelosamente conservato nei cassetti della mia scrivania e non me ne libererei per nessuna ragione al mondo.

Mi piace pensare che qualcuno abbia speso del tempo per rispondermi o per raccontarmi le sue avventure. Buttare quei fogli significherebbe cancellare dalla mia memoria episodi che i miei cari hanno voluto condividere con me. Sarebbe scortese, no? Perciò restano lì, silenziosi, ma sempre pronti a narrarmi storie e a rammentarmele.

Ho imparato da mia nonna l'amore per questo genere di cose. Sin da quando ero piccola, mi prendeva con sé e mi portava nel suo studio.

Ultimo cassetto a destra, dal quale sporgeva una vecchia chiave di ferro. Lo apriva ed esso rivelava un'immensa quantità di buste, nelle quali veniva narrato l'amore proibito tra lei e mio nonno. Le loro famiglie non vedevano di buon occhio il fatto che si frequentassero, per ragioni sconosciute non solo ai due innamorati, ma ai familiari stessi. Questo, però, non li aveva mai ostacolati realmente; il loro sentimento era sopravvissuto ed era cresciuto proprio grazie a quei fogli ingialliti dal tempo.

Sai, Clarice”. Mi sistemava l'abitino lilla e mi aggiustava le trecce nere, dalle quali qualche ciuffo indisciplinato tentava sempre di fuggire. Poi mi guardava negli occhi, negli stessi occhi profondi e verdi che avevo ereditato proprio da lei. “L'amore ha sempre bisogno di conferme. Un 'ti amo' inaspettato, l'esprimere la voglia di incontrarsi e di passare tempo insieme, un semplice 'mi manchi'. Non dimenticarlo, bambina mia. Queste lettere sono state l'unico mezzo per tener vivo questo sentimento così grande tra me e il nonno. E tu, quando incontrerai qualcuno a cui terrai più di te stessa, non trascurarlo mai. Se non puoi vederlo, allora scrivigli. Scrivi Clarice. Scrivi”.

Ed è esattamente quel che sto facendo ora.

 

Questa lettera è per te, Richie.

 

 

Ti amo”.

 

 

 

Nota dell'autrice:

Non è passato molto tempo da quando ho concluso French Kiss e probabilmente mi odierete sino alla fine dei vostri giorni perché non vi ho dato nemmeno un po' di tempo per respirare. Me ne rendo perfettamente conto e vi chiedo perdono, ma per me è davvero troppo difficile non scrivere sui Bon Jovi. E' bello fantasticare su di loro e avere la convinzione che facciano parte della mia vita e, questo, è l'unico modo (okay, ora chiamate un manicomio!).

Questo prologo è un po' strano e criptico, as always. C'è una lettera, una lettera di una certa Clarice, indirizzata a Richie.. 

Capirete meglio tra qualche capitolo, per il momento vi lascio cullare dai vostri dubbi (nella speranza che non mi uccidiate!).

Ci tengo ad avvisarvi che aggiornerò ogni domenica, in modo tale da lasciarvi il tempo per leggere e, magari, lasciare un piccolo commento. So che tra lavoro e scuola siamo tutti piuttosto impegnati, quindi vi do un po' di tregua xD

 

Non aggiungo altro.. Ci leggiamo tra una settimana!

 

Rosie

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Capitolo 2
*** Where everything started ***


 

 

C'era una musica deliziosa, nell'aria, quella mattina. Il ragazzo moro faceva fatica a riconoscerla, ma sapeva di averla già sentita da qualche parte, in un'altra occasione. La seguì, ma non per sapere da dove venisse: essa, infatti, proveniva da una tavola calda che, dal punto di vista dell'arredamento, ricordava molto una stanza contenuta in una graziosa casa delle bambole, nella quale Richie avrebbe dovuto recarsi in ogni caso, per incontrare il suo migliore amico, Jon.

“E' piuttosto urgente” gli aveva comunicato, intorno alle sette e mezza del mattino. Con la bocca impastata dal sonno, gli aveva chiesto il motivo. “Al Presley vedrai. Alle 8, mi raccomando”. E aveva riattaccato, lasciandolo in balia della sua curiosità. Con stanchezza si era alzato dal caldo e soffice materasso, infilandosi la camicia blu notte, i jeans e aggiustandosi la stoffa alle caviglie, per poi mettersi un paio di semplici stivaletti neri che, a detta del bassista della band di cui faceva parte come chitarrista, erano all'ultimo grido. Ancora non sapeva per quale motivo si fosse fidato, dato che avevano suscitato una risata sguaiata dei suoi genitori, ma almeno erano comodi.

Ora era lì, dopo aver varcato la soglia del locale. Vide immediatamente Jon, il ragazzo dai capelli biondi costantemente ribelli, sia per scelta personale, sia perché erano così al naturale. I suoi occhi azzurri stavano fissando il caffè sul bancone, nel quale il ragazzo stava girando distrattamente un cucchiaino d'argento.

“Bongiovi, buongiorno” lo salutò Richie, sedendosi accanto a lui e aspettando una sua reazione.

“Sambora, buongiorno a te”. Rispose con un tono di voce stanco. Non lo si poteva biasimare: da quanto tempo era sveglio a causa di quel fatto urgente?

“Non hai nulla da dirmi? Se la risposta fosse negativa, potrei innervosirmi un po', visto e considerato che è domenica e mi hai costretto a venir qui”. Il biondo sospirò, appoggiò il cucchiaino sul piattino sul quale c'era la tazza e rivolse lo sguardo verso l'amico.

“Non ho chiuso occhio, stanotte”.

“L'avevo intuito. Insomma, guardati”. Alluse alle occhiaie che raggiungevano gli zigomi e al fatto che facesse palesemente fatica a tenere gli occhi aperti. “Che hai combinato?”. Ci mise qualche secondo per dargli una risposta.

“Ho.. Pensato”. Per Richie, quella risposta fu esilarante, tanto che scoppiò a ridere come se Jon fosse appena ruzzolato a terra.

“Accidenti!” esclamò, battendo le mani e richiamando involontariamente l'attenzione di tutti i presenti. “Per una volta che pensi, finisci per non dormire. Questa sì che è sfortuna!”. Qualsiasi cosa fosse accaduta al biondo, il moro era appena riuscito a strappargli una risata e ciò lo fece sentire soddisfatto di se stesso: era una buona spalla su cui piangere e, questa, ne era una conferma.

“E dai, è una cosa seria” replicò l'interlocutore, passandosi una mano tra i capelli e sbuffando.

“E dimmela!”.

“Credo che sia arrivato il momento di.. Di cambiare qualcosa, nella mia vita”. Sembrò tentennare e, Richie ci avrebbe giurato, Jon stava sudando freddo.

“Non dirmi che passerai dal fare il cantante al gestire un ristorante” ipotizzò il chitarrista, con un velo di serietà.

“No, no. Certo che no. Il gruppo non lo abbandono”. Gruppo formato da, ormai, 5 anni buoni.

“E allora di che si tratta? Mi stai mettendo più curiosità di quanto pensassi”. All'ennesima richiesta, nonostante si stesse divertendo a mantenere quell'atmosfera di suspense e mistero, il cantante decise di risolvere i dubbi dell'interlocutore castano. Dopo aver bevuto un lungo sorso di caffè, fece scivolare una mano nella tasca destra della giacca, estraendovi una scatoletta nera, sulla quale c'era una piccola scritta dorata ripetuta su tutti i lati.

“Ecco.. Io..”.

“Jon, va bene che sei il mio migliore amico e che abbiamo legato molto, ma io non so se sono pronto a fare un passo simile..”.

“Richie!”. Il moro ricevette, giustamente, un pugno sulla spalla, nemmeno tanto scherzoso. “E' per Dorothea!” chiarì l'altro, aprendo il piccolo contenitore e rivelando un anello d'oro giallo. Saltava subito all'occhio la pietra, di un azzurro particolarmente intenso. “Ormai stiamo insieme da.. Da non so quanto tempo e io..”.
“Non devi giustificarti con me, amico” lo avvertì Richie, sorridendo e abbracciandolo. “Congratulazioni! Quando pensi di dirglielo?”.

“Sei davvero felice per me?” domandò, arcuando un sopracciglio e sciogliendo la stretta. Sembrava sinceramente stupito.

“Ma certo che lo sono” ribadì, annuendo con convinzione.

“Tu, Richard Stephen Sambora? La stessa persona che ha giurato solennemente di non volersi mai rinchiudere.. Com'è che l'avevi definito, il matrimonio? Nella gabbia per eccellenza?”.

“Bingo” confermò, quasi contento che l'amico si fosse ricordato le sue parole. “Ma solo perché non mi sposerò io, non significa che non debba condividere le tue decisioni. Se per te è importante, allora non posso far altro che sostenerti in questo percorso”. Le rosee labbra del biondo si incresparono in un sorriso pacifico. D'altronde dava molto peso ai pareri del suo braccio destro: una smorfia da parte di Richie probabilmente lo avrebbe spinto a ripensare al matrimonio e a tutto quel che avrebbe comportato. “Allora, a quando le nozze?”.

“Pensavo.. Che so, verso la fine di aprile”.

“Solo due mesi? Jon, ti ricordo che è di una donna che stiamo parlando.. Le donne devono avvisare l'amica del cuore, poi le damigelle, poi i parenti, poi le ex compagne di classe che non hanno mai sopportato, ma che vogliono rendere partecipi tanto per dimostrare loro che sono migliori, che hanno fatto carriera eccetera eccetera eccetera..”. Ecco, se c'era una materia in cui Richie era ferrato, era proprio quella inerente le donne. Se per il filosofo Talete l'archè, il principio di tutte le cose, era l'acqua e per Anassimene l'aria, per Richie l'archè era proprio l'universo femminile.

“Sarà una cerimonia intima, con pochi invitati ed un ricevimento modesto”. Il chitarrista ridacchiò.

“Voglio proprio vedere cosa ne pensa la sposa”.

“Non voglio che la stampa ci dia guai. Anche lei proporrà una cosa simile, ne sono più che sicuro”.

“Come pensi di chiederglielo?”. Jon esitò, come un alunno impreparato ad una domanda del professore. “Oh, non dirmi che non ci hai ancora pensato. Hai passato tutta la notte sveglio a fare cosa?”.

“Andremo al suo ristorante preferito e..”.

“Dov'è stato il vostro primo appuntamento?”. La risposta arrivò immediata, contrariamente alla precedente.

“Pista da pattinaggio, quella vicino al liceo”. Richie allargò le braccia e sorrise, come a dire 'Problema risolto, ecco dove la dovrai portare'. “Ma dai, non posso.. Non posso chiederglielo così, davanti a tutti”.

“Prima di tutto, non è che devi spogliarti in mezzo alla folla, devi semplicemente fare una proposta di matrimonio. E, in secondo luogo, potreste entrare di nascosto quando la pista è chiusa”. Il biondo scosse la testa.

“Ci arresterebbero, Richie. No, non mi va di.. Di fare queste cose”.

“Fidati di me, una volta tanto! Bongiovi, si presuppone che questo debba essere il tuo primo ed ultimo matrimonio. Vogliamo fare le cose per bene, sì o no?”.

“Sì” si arrese Jon, sospirando profondamente.

“E allora prendi delle rose, prepara un cestino da picnic e dei pattini. Andate alla pista, falle la proposta e vivete felici e contenti. Non è una visione magnifica?”. Per un soggetto esterno, le cose potevano sembrare assurde: com'era possibile che il leader di una famosissima rock band degli anni ottanta fosse così insicuro quando si parlava di Dorothea, fidanzata storica e persona più importante che possedesse? Un paradosso, no? Ma per Richie questo non costituiva nessuna novità o colpo di scena. Jon Bon Jovi era il personaggio che si esibiva di fronte a 80.000 fans, mentre invece John Francis Bongiovi junior era il timido ragazzino del New Jersey con una folta chioma che i suoi professori avevano sempre odiato dal profondo del loro cuore.

“Prepara i soldi per la cauzione”. Finì il suo caffè e lasciò una banconota sul bancone.

“Andrà tutto bene. Fidati di Richard Stephen Sambora!” gli urlò quando il biondo, ormai, era uscito dal locale.

 

 

“Richie io.. Io sto andando in panico”.

“Andrà tutto bene, Jon. Fidati di Richard Stephen Sambora!”.

“L'ultima volta che lo hai detto è stato due mesi fa. Ti ricordi com'è finita? Hanno arrestato me e Dorothea e siamo finiti in prigione per una notte. Tu e le tue stupide idee” replicò, aggiustandosi il papillon e guardandosi allo specchio: i capelli erano in uno stato pietoso e non aveva ancora deciso se, per la cerimonia, avrebbe dovuto sistemarli meglio in una coda o lasciarli così, in balia di eventuali fenomeni atmosferici. Doveva decretare le loro sorti entro un'ora.

“Però Dorothea ti ha detto di sì e le hai fatto un bellissimo effetto con quella proposta. E ora stai fermo, che quel papillon è osceno e ci serve una cravatta”.

“Qualcuno ha bisogno di aiuto?”. Varcò la soglia David, uno dei più cari amici dello sposo e anche tastierista di questa fantomatica band della quale tutti e tre facevano parte, con una cravatta per mano.

“Passami quella blu, che fa pendant con gli occhi”.

“Stai scherzando, vero?” domandò Jon, arcuando ambedue le sopracciglia.

“Io non scherzo mai! E ora togliti quell'affare schifoso dal collo, che sembri un cameriere”.

“Come sta procedendo qui?”. Ed ora, dopo che Tico, il batterista dalla voce cavernosa ed i capelli neri, e Alec, bassista/consigliere di stivaletti, avevano varcato la soglia, il gruppo era ufficialmente al completo.

“Procede che Jon sta sudando e siamo al terzo giro di deodorante, il papillon finirà giù dalla finestra, i capelli stanno per prendere vita e io mi sento sempre più motivato a non sposarmi nemmeno se me lo chiedesse una fotomodella in persona”.

“Isteria portami via” confermò Alec, annuendo divertito. Jon, a giudicare dalla sua smorfia, non gradì particolarmente il commento. Ma che potevano farci quei quattro scapestrati che si ritrovava come compagni di avventure? Mai e poi mai avrebbero potuto lasciarsi sfuggire l'opportunità di stuzzicarlo in una situazione così delicata.

“Ecco fatto. Cravatta sistemata. Che dite, possiamo consegnarlo alla signorina Hurley, quasi signora Bongiovi?”. I tre lo scrutarono, passandosi una mano sul mento, con fare pensieroso, tanto per mettere il cantante in soggezione. La cosa funzionò.

“Oh, avanti! Sono pronto o no? I capelli? Cosa devo fare ai capelli? La camicia non sta bene, vero? Dio.. La crema idratante per le mani! Mia madre me l'aveva lasciata lì e forse, forse”.

“Jon”. Richie lo fermò, mettendogli le mani sulle spalle e tentando disperatamente di non scoppiare a ridergli in faccia – compito particolarmente arduo, dato che non lo aveva mai visto così terrorizzato -. “Stai bene, questo smoking era il più costoso del negozio e lo ha approvato addirittura tua nonna. Quindi direi che puoi stare tranquillo. Ora devi soltanto raggiungere Dorothea alla Graceland chapel et voilà! Vuoi prendere Dorothea come tua legittima sposa, amandola, onorandola eccetera? Sì? Okay, perfetto! Bacio, riso, brindisi e viaggio di nozze!”. Detta così, la cerimonia sembrava la cosa più semplice e sbrigativa di tutto l'universo. Jon annuì, meno agitato di prima, ma sicuramente più confuso.

“Andrà tutto bene. La tua amata non scapperà con il testimone o in groppa ad un cavallo” lo rassicurò Dave, facendogli l'occhiolino.

“Noi, per sicurezza, abbiamo sbarrato tutte le uscite” aggiunse Tico, riuscendo a smorzare la rimanente ansia che soggiornava tra i pensieri di Jon. In realtà, tutti sapevano che quelle nozze si sarebbero concluse nel migliore dei modi, a parte lo sposo.

“A costo di sembrare ripetitivo.. Bongiovi, andrà tutto bene. Fidati di Richar” ma il biondo non gli fece concludere la frase.

“Non ti azzardare!” esclamò, con espressione arcigna. “Porti sfortuna!”. Richie ghignò e i cinque lasciarono la stanza.

 

: - Meno male che il ricevimento doveva essere modesto – pensò il ragazzo moro, guardandosi attorno: il ristorante era stato interamente prenotato per l'occasione ed una grande sala dalle pareti rosse e dorate era occupata da familiari e amici degli sposi, ai quali era stato chiesto espressamente di non avvisare nessuno del luogo nel quale si sarebbe svolto il matrimonio.

David era seduto dietro ad un pianoforte a coda e stava improvvisando una canzone, mentre la sua attenzione era catturata dall'enorme torta nuziale a qualche metro da lui. Tico parlava con Alec, mentre teneva un calice di vino rosso nella mano sinistra. Richie aveva un braccio appoggiato lungo lo schienale della sedia, ricoperta da un'inguardabile, a parer suo, stoffa a motivi floreali. Si stava annoiando, e sorseggiare del delizioso spumante gli sembrava il modo più interessante e costruttivo per trascorrere il tempo. Chissà per quanto tempo ancora avrebbe dovuto guardare Jon ballare, abbracciato a Dorothea, vestita da un incantevole abito bianco.. Un momento, a che stava pensando? Che il vestito della nuova signora Bongiovi fosse incantevole? Doveva uscire e subito, prima di trasformarsi in uno stilista o qualcosa del genere. Badò a non farsi beccare dal suo migliore amico e sgusciò fuori, dalla porta di servizio: sarebbe tornato, sì, ma quell'atmosfera così sdolcinata cominciava a diventare nauseante.

Realizzò di trovarsi in un giardino ben curato. Pensò che, se avesse preso un righello, si sarebbe reso conto che ogni filo d'erba era identico a tutti gli altri. Non sapeva se la cosa fosse inquietante o semplicemente terrificante. Raggiunse un dondolo di legno e, solo dopo essersi seduto, notò di non essere solo: su una poltroncina di un verde leggermente più scuro del tavolino di fianco al quale essa si trovava, c'era una ragazza dai lunghi capelli fluenti neri. Stava scrivendo. Dato che la sua quiete era stata interrotta dall'arrivo del giovane, ella alzò gli occhi verdi dal taccuino sul quale stava appuntandosi chissà cosa, concentrata.

“Anche tu sei scappato dal ricevimento?” gli chiese, sorridendo. La sua carnagione era molto chiara e Richie credette di stare parlando con la personificazione della luna.

“Che cosa significa anche tu? Credevo che le ragazze andassero pazze per queste cose”. Scrollò le spalle e chiuse il piccolo diario dalle pagine ingiallite.

“Ho assistito a così tante cerimonie che ormai sono stufa di vedere sempre le stesse cose” rispose, semplicemente. Non si era ancora scomposta, pareva una statua. Per Richie questa era una novità: possibile che non sapesse che stava parlando con il Re dello Swing? Tutte le ragazze iniziavano a dare in escandescenze, di fronte a lui.. Ma se lei era lì, tra gli invitati di Jon o di Dorothea, voleva dire che era abituata a quel genere di incontri.

“Fammi indovinare: eri un'inguaribile romantica, ma ora per queste cose provi ribrezzo?”.

“No”. Scosse la testa. “Non provo ribrezzo. Aspetto che possa esserci io al posto delle ragazze che se ne stanno lì, sull'altare, in attesa di poter dire sì, lo voglio”.

: - Ci risiamo: sempre la solita solfa -.

“Io non credo nel matrimonio” commentò Richie, giocando con la cravatta che portava al collo. Probabilmente era tutta in disordine, ma non aveva voglia di sistemarla. Luna ridacchiò.

“Non è mica una religione” lo corresse, e continuò. “Un giorno troverai la per”.

“La persona giusta. Sì, lo conosco questo modo di dire. Trovo che sia sciocco..”.

“Io no. E, ti dirò, c'è un metodo per scoprire chi è quella persona”. Aveva abbassato la voce, Luna, come se stesse per rivelargli un segreto che solo pochi eletti avevano avuto l'onore di conoscere. “Scopri dove abita e tieni sulla scrivania un foglio con il suo indirizzo. Se entro una settimana senti il bisogno di scriverle una lettera, allora è lei quella giusta”. Prese la pochette nera che aveva appoggiato sul tavolo e si alzò, sistemandosi l'abito celeste che aveva indosso. Anche Richie lasciò il dondolo, come un gesto involontario.

“Voglio fare una prova” disse, tutto d'un fiato, come se avesse paura che la ragazza potesse scomparire nel nulla, senza dargli il tempo di fermarla.

“Non devi chiedere a me il permesso” gli rispose, sorridendo pacificamente. Richie fece di no con la testa.

“Intendo: voglio fare una prova, con te. Vediamo se hai ragione.. Mi piacciono le scommesse”. Luna aprì la borsetta, rimuovendo un gancetto argentato. Cercò tra i vari foglietti e, infine, gliene porse uno.

“Ecco qui il mio indirizzo. Voglio essere aggiornata.. Vediamo se sarò in grado di liberarti da quella bella dose di cinismo che possiedi” concluse, con tono sarcastico. Richie lesse le parole sul biglietto.

“Grazie, Clarice”. La giovane gli rispose con un sorriso di sfida e si allontanò.

 

Nota dell'autrice:

Eccoci qui al primo capitolo. La ragazza della lettera è ovviamente quella che Richie vede come la personificazione della Luna, ovvero Clarice. Dato che il Sambora di questa storia sarà molto più cocciuto e ostinato delle precedenti (e in alcuni tratti molto freddo e 'cinico', come lo ha descritto la nostra protagonista, ma non voglio dare anticipazioni!), non lasciatevi incantare dal lato romantico che mostrerà prossimamente.. Creare suspense is the way.

 

Non mi resta che ringraziare le persone che hanno recensito il prologo:

_ValeTrilli

_Angel BJ

_Airborne

_ _lullaby (ti rivogliamo in questa sezioneeeeee)

 

che hanno inserito la storia tra le seguite:

_Airborne

_Angel BJ

_DadaOttantotto

_Fra_Rose

_I want a yellow submarine

_ValeTrilli (arrivano le recensioni, giuro!)

 

e tra le preferite:

_Angel BJ

_barbara83

_I want a yellow submarine

 

Ci leggiamo domenica prossima!

 

Rosie

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Capitolo 3
*** Dear Clarice ***


 

Mentre Jon era lontano con Dorothea, a spassarsela per le spiagge di chissà quale isola (Richie si era sforzato di ricordarsi le varie tappe di quella lunga luna di miele, ma invano), per il chitarrista era il secondo giorno all'insegna della nullafacenza totale e assoluta. La chitarra voleva essere strimpellata, esattamente come i piatti nel lavandino pretendevano di essere messi in lavastoviglie il prima possibile. Eppure, nonostante la consapevolezza di avere degli "impegni", gli riusciva difficile distrarsi dall'osservare quel foglietto che giaceva sulla sua scrivania, silenzioso. 

 

Clarice Rose Anderson.

W 18th St

Ocean City, New Jersey

 

Le parole che aveva pronunziato rimbombavano ancora nella mente di Richie. "Se entro una settimana senti il bisogno di scriverle una lettera, allora è lei quella giusta". Ma se lui nemmeno ci credeva in questa fantomatica anima gemella, per quale motivo continuava a pensarci? Gli sovvenne un dubbio: pensava a questo, o al fatto che sentisse la necessità di scrivere a Clarice? 

E' insopportabile non riuscire a capire qualcosa, figuriamoci non capire noi stessi. 

Finì di torturare l'unghia dell'anulare della mano sinistra, poi, indeciso, si diresse verso la sedia. 

: - Non ti mangerà, è solo un foglio - si disse, sfilandone uno da una grossa risma. Lo appoggiò di fronte a sé e, titubante, lo fissò, come se stesse aspettando che prendesse vita. Era pronto. Pronto, sì, ma per fare cosa? Si alzò, fece un giro su se stesso e sbuffò. Aria, ecco di cosa aveva bisogno. Spalancò la finestra e nelle sue narici si fece spazio un gradevole profumo di erba appena tagliata. Voleva scrivere a Clarice senza farsi condizionare dalle sue parole, tanto per dimostrarle che non avrebbe mai avuto ragione. Era pur sempre un Sambora, no? Testardo e ostinato fino alla fine. Piuttosto le avrebbe spedito quella lettera dopo una settimana più un giorno. 

Si tirò su le maniche fino ai gomiti. Cercò una biro, ma tutte quelle che aveva attorno non ne volevano sapere di funzionare. Scelse una matita, sperando che, per una professionista delle lettere come Clarice, questo non costituisse un sacrilegio o qualcosa di simile.

: - Bene.. Cominciamo -.

 

Ciao, Clarice. Sono Richie. Non so se ti ricordi di me, ci siamo visti al matrimonio di Jon e Dorothea.

 

Storse il naso. Che inizio penoso. Clarice avrebbe continuato a leggere, o avrebbe stracciato il foglio, indignata? Richie doveva fare attenzione ai termini, agli aggettivi, alla punteggiatura e.. Accidenti, era un musicista! Era perfettamente in grado di scrivere meglio di un bambino di prima elementare!

 

Ecco, non ti parlerò di quella strana questione della persona giusta, perché nessuno mai mi farà cambiare idea. Però questo non significa che non possiamo conoscerci. Di primo impatto mi sei sembrata una persona interessante e allo stesso tempo.. Misteriosa. Magari è stato il tuo modo di parlare, il fatto che tu non ti sia scomposta minimamente, il tuo sguardo.

 

Stava divagando? Non poteva mica partire in quarta con la descrizione di Clarice: lei viveva con se stessa, sapeva perfettamente com'era fatta e come si atteggiava.

Strappò il foglio in tanti piccoli quadratini che lasciò sulla scrivania, in balia del vento che stava già facendo volare le candide tende ai lati della finestra. Se i suoi amici lo avessero visto, probabilmente avrebbero chiamato uno psichiatra. Non si poteva mica impazzire per la stesura di qualche riga insignificante. 

: - Non è insignificante - si disse infine. - Per Clarice non lo è, anzi, per lei è importantissimo -.

Altro foglio. Il suo destino, prima che il suo proprietario conoscesse l'amante delle lettere, sarebbe stato quello di ospitare uno spartito o il testo di una canzone. Adesso no, avrebbe rischiato di finire nel cassonetto della raccolta differenziata, insieme a chissà quanti altri pezzi di carta, tutti scribacchiati da Richie. 

 

"Cara Clarice, sono Richie, il ragazzo che hai incontrato al matrimonio di Jon e Dorothea.

 

Okay, come inizio poteva funzionare: semplice, lineare, diretto. D'altronde aveva sempre avuto il dono della sintesi (anche troppo, secondo la sua professoressa di letteratura). Non era completamente sicuro di quel "cara", ma ormai aveva cominciato.

 

Conosco perfettamente la tua teoria della persona giusta, della necessità di scriverle una lettera e tutto il resto, ma.. Vorrei semplicemente conoscerti. Quindi non pensare male se ritroverai questo foglio dopo così poco tempo, non ho secondi fini, nonostante quello che si dice sul mio conto (e se ti stai chiedendo "Cosa?", non fare domande, è meglio così). 

Non so bene cosa si debba scrivere in questi casi, ma credo che una presentazione possa andare più che bene. 

Richard Stephen Sambora, chiamato Richie dal 99% degli esseri umani presenti su questo pianeta. Mi diletto nel suonare la chitarra e ci riesco discretamente...

Credo.

Magari i miei compagni di band hanno del formaggio nelle orecchie e quindi sono convinti che io sia bravissimo. Non saprei. So semplicemente che i miei ex vicini di casa più volte mi hanno minacciato di chiamare la polizia (ed una volta l'hanno pure fatto, ma sono scappato in tempo dal garage) e che la musica è la mia vita (frase scontata, ma vera). Ritengo che sia il metodo migliore per liberarsi da tutti i pensieri, da tutte le preoccupazioni, da ogni presentimento. Se diventassi psicologo, credo che consiglierei una buona dose di Beatles, Deep Purple e Hendrix a tutti i miei pazienti. Ehi, mica male! Dovrei farci un pensierino per quando saremo vecchi e senza le forze necessarie per girare il mondo e strillare sul palco.

Che altro posso dire? Sono cocciuto, a volte faccio battute scadenti e.. E un momento. Hai presente il nuovo romanzo di Thomas Harris, "Il Silenzio Degli Innocenti"? Hannibal Lecter propone alla protagonista (che, guarda caso, si chiama proprio come te) un quid pro quo: io ti ho detto qualcosa di me.. Ora tocca a te. 

 

Richie".

 

Osservò il foglio e lo rilesse più volte, aggiungendo qualche virgola, qualche punto sospensivo, alcuni puntini sulle i che ne erano rimaste sprovviste. Successivamente, cercando tra i cassetti della scrivania, recuperò una busta. Ricopiò ciò che vi era scritto sul biglietto da visita di Clarice e, sull'altra facciata, mise il suo indirizzo. Sapeva di avere un francobollo, da qualche parte. Ne aveva comprati tantissimi viaggiando per il mondo e li teneva tutti in un contenitore di metallo circolare, nel quale, fino a qualche anno prima, c'erano dei deliziosi biscotti di pasta frolla, ricoperti da cioccolato fondente. 

"Signorina Anderson, sta per ricevere la sua ennesima lettera".

 

 

A Clarice era sempre piaciuto lavorare con i bambini. Li riteneva dei buoni ascoltatori, perché abituati a sentirsi raccontare le fiabe. La comprendevano, perché, essendo lei insegnante in una classe di bambini di 9 anni, sapeva che era da molto che avevano a che fare con svariati tipi di tristezza: quella per capricci, quella per un graffio sul ginocchio, quella per una litigata con il fratello maggiore. In un certo senso li riteneva degli esperti in materia. Tante piccole antenne che captavano immediatamente cosa c'era di sbagliato. 

"Signorina Anderson, posso chiederle una cosa?". A parlare era stata la piccola Madeleine: aveva dei lunghi capelli biondi e ricci, e un sorriso che rivelava la sua vera natura pestifera. Clarice sapeva che non doveva farsi abbindolare da quegli occhioni grigi e quelle lentiggini. Lo aveva capito quando la bimba aveva rovesciato una boccia di vetro con dei pesci rossi, nella biblioteca. 

"Dimmi tutto". Le parole di Clarice furono seguite dal suono della campanella. Per farsi sentire, a causa delle grida e delle chiacchiere post-campanella, la piccola si avvicinò alla cattedra.

"E' per il compito" aggiunse. Lei non era il tipo di insegnante che voleva riempirli di cose da fare. Per questo aveva deciso di dar loro una busta, una volta al mese, nella quale avrebbero dovuto inserire una lettera, una volta destinata ad un amico lontano, una volta ad un parente, una volta al proprio peluche preferito. 

"Sì?".

"Lei scrive lettere?". Ora che ci pensava, era da un po' che non ne scriveva una. L'ultima l'aveva spedita a Dorothea per congratularsi delle nozze e per chiederle dove sarebbe andata per la luna di miele. Erano compagne di banco al liceo, ma da quando si era fidanzata con Jon e Clarice aveva trovato lavoro dall'altra parte del New Jersey, a Ocean City, erano state costrette ad allontanarsi. 

"Mi piace molto scriverle, sì. Me lo ha insegnato mia nonna, sai?". Madeleine sorrise, rivelando un buco al posto di uno dei due canini. 

"Anche alla mia piaceva. A me ricorda tanto Romeo e Giulietta! Secondo lei si scrivevano lettere per dirsi che si amavano? Voglio dire, magari se le scrivevano prima che l'aiutante del prete combinasse tutto quel pasticcio. Se avesse corso, forse sarebbe riuscito ad avvisare Romeo in tempo!". Clarice ridacchiò. 

"Ne sono certa, Madeleine". Altro sorrisetto sdentato. 

"Beh, io devo andare a casa.. Nonna mi aspetta con pane e marmellata! Arrivederci signorina Anderson. Ci vediamo domani!". La piccola uscì saltellando. Nel corridoio raggiunse la sua compagna di banco, che prese a braccetto, per poi uscire dall'edificio scolastico.

Anche per Clarice fortunatamente era arrivato il momento di andare a casa. Sulla sua camicia bianca indossò una giacca primaverile color kaki, prese la sua borsa e, con la mano destra, tolse quel poco di gesso che era finito sulla sua gonna nera a tubino. Raggiunse il parcheggio riservato al personale e salì sulla sua amata Ford Gran Torino rossa. L'aveva scelta di quel colore perché aveva sempre amato la serie televisiva "Starsky & Hutch" e, di conseguenza, anche l'auto dei due poliziotti.

Nell'arco di dieci minuti sarebbe arrivata nella sua villetta, la stessa che l'aveva stregata quando, un venerdì mattina, l'aveva visitata con un agente immobiliare. D'altronde non aveva molti motivi per rimanere a Perth Amboy: i suoi genitori non c'erano più, non aveva migliori amici e, infine, sua cugina abitava a Los Angeles. Sotto questo punto di vista era decisamente libera di fare ciò che desiderava. 

Con le mani sul volante e gli occhi sulla strada, Clarice pensava che forse non avere nessuno non aveva tutti questi lati positivi. Sentiva la necessità di trovare qualcuno a cui aggrapparsi, con cui confidarsi nel momento del bisogno, qualcuno con cui parlare del più e del meno. Una sottospecie di angelo custode, però in carne ed ossa.

"Ah, ma chi vuoi che sia disposto a sentire le lamentele di una zitella che rimarrà tale fino alle fine dei suoi giorni?". Oh, certo, naturalmente aveva anche iniziato a dialogare da sola. Parcheggiò l'auto nel garage e, come era solita fare, dopo aver salutato la vicina di casa che a quell'ora usciva per innaffiare l'orto, raggiunse la casella delle lettere. Ce ne erano quattro, quel giorno. Varcata la soglia della porta e lasciata cadere a terra la borsa (non era un'amante dell'ordine), sprofondò sul divano bianco. Si tolse le scarpe, delle semplici ballerine, mentre scrutava le buste. Banca, salone dell'arredamento, Richard Sambora, ancora pubblic. Un momento.

"Richard Sambora?". Sapeva perfettamente chi fosse; il suo stupore nasceva dal fatto che mai e poi mai si sarebbe aspettata di ricevere una lettera proprio da lui. La aprì con cautela, tentando di comprendere il suo carattere dal suo modo di scrivere. Assaporò ogni riga, come se da esse dipendesse la sua vita. Poi, dopo aver girato il foglio e essersi resa conto che non c'era nient'altro, realizzò di aver avuto un sorriso ebete per tutta la durata della lettura. Si ricompose e tossì, guardandosi attorno imbarazzata, per paura che qualcuno l'avesse vista così.. Vulnerabile. 

Bollette e pubblicità avrebbero aspettato: doveva rispondergli. Salì le scale e raggiunse la sua camera. Prese dei fogli e tornò in soggiorno, lì dove aveva lasciato la lettera di Richie. 

 

"Mio caro Richie,

 

non credevo di poter ricevere una tua lettera. Non preoccuparti, non mi aspettavo nulla che concernesse la sfera sentimentale. Sarei una sciocca se mi illudessi di poter divenire qualcosa di più per il Re dello Swing. 

 

Si interruppe. Per la prima volta nella sua vita, Clarice Rose Anderson era in difficoltà per la stesura del testo di una lettera. Cosa avrebbe detto sua nonna se l'avesse vista? Forse avrebbe fatto qualche battutina, oppure l'avrebbe guardata e le avrebbe rivolto un sorriso sghembo da "Sappiamo entrambe per quale motivo sei in difficoltà".

 

La mia era una semplice leggenda tramandatami da mia nonna. 

 

Comunque sia, partirò con la mia breve descrizione.

Anche io sono un'amante della musica. Suono il pianoforte da quando ho circa 6 anni, ma la mia professione non ha proprio nulla a che fare con questo tipo di ambiente. Sono un'insegnante in una classe di bambini di 9/10 anni. Prima di rispondermi con un "Dio, come fai a sopportarli?", ti dico immediatamente che, anche se stenterai a crederci, sono più tranquilli di quanto si possa pensare. 

 

"Magari la parte del 'E mi piacerebbe tantissimo poter avere due figli, un giorno' possiamo saltarla, prima che si faccia strane idee..".

 

Nel caso in cui tu voglia davvero aprire uno studio psichiatrico, fammi un fischio: le tue cure mi sembrano eccellenti. 

Anche io sono cocciuta, tremendamente cocciuta. Chissà, magari un giorno ci ritroveremo a scannarci pur di avere ragione su qualcosa. Potrebbe rivelarsi divertente.

 

Ora tocca a te. Quid pro quo, Sambora. Quid pro quo".

 

Nota dell'autrice:

Ritardo tremendo, lo so perfettamente (anche se, in fondo, senza la sottoscritta tra i piedi avrete passato due settimane bellissime, ammettetelo u.u). Come ho già scritto ad alcuni, purtroppo la colite (e anche l'ispiraizone ha fatto la sua sporca parte) non mi ha permesso nemmeno di guardarlo il computer, dato che sono rimasta spiaggiata sul letto per cinque giorni.. Vi chiedo perdono e spero di essermi fatta perdonare con questo capitolo.

 

Ringrazio le persone che hanno inserito questa storia tra le seguite:

_Airborne

_Angel BJ

_DadaOttantotto

_Fra_Rose

_I want a yellow submarine

_ValeTrilli

 

e tra le preferite:

_Angel BJ

_barbara83

_I want a yellow submarine

_LA_Gibson_

 

Ci leggiamo domenica!

 

Rosie

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Capitolo 4
*** Plans plans plans ***


Stamattina sono andata nel negozio di dischi per cercare quello degli ZZ Top che mi avevi consigliato, ma.. Sei sicuro che esista?Riga Grande Mamma? Non l'ho trovato da nessuna parte.. Non è un titolo troppo strano per un album?

 

Baci,

 

Una Clarice un po' confusa”.

 

 

S'intitola 'Rio Grande Mud'! Ecco perché non lo trovavi. Ma come ti è saltato in testa 'Ria Grande Mamma'?

 

Un Richie indignato”.

 

 

Sei tu che scrivi male e non si capisce niente! Inoltre dovresti comprarti una biro. La matita sbava con l'umidità”.

 

 

La mia casella delle lettere non è umida. E poi scrivo benissimo. Lo dice anche mia nonna”.

 

 

E' di parte: è tua nonna”.

 

 

Assolutamente no. E' la persona più oggettiva che esista! Niente a che vedere con te che mi odi.

Non vuoi nemmeno incontrarmi di persona!”.

 

 

Ma se non me lo hai mai chiesto di incontrarci di persona! Ah, tre mesi di lettere e ancora devo capirti davvero”.

 

 

E perché dovrei essere io a proporti di uscire con me?”.

 

 

Perché sei il ragazzo e di solito sono gli uomini che fanno il primo passo”.

 

 

Oh, queste brutte convinzioni legate all'antichità. I tempi sono cambiati, ora anche le donne possono prendere l'iniziativa!”.

 

 

Mi spiace, ma io sono una all'antica, Sambora. Infatti stiamo dialogando con lettere e non con un telefono. Questo dovrebbe dirti molto sulle mie abitudini”.

 

 

Touché.

Allora, Clarice: ti andrebbe di uscire con me?”.

 

 

Benissimo. Facciamo mercoledì 5 fuori da casa mia?”.

 

 

Facciamo per le 19,30?”.

 

 

Direi che è perfetto. A settimana prossima”.

 

 

A domani”.

 

 

Clarice era più nervosa del solito. Nonostante abitualmente riuscisse perfettamente a mascherare il suo disagio, in occasioni simili diventava l'insicurezza fatta a persona. Inoltre non le capitava da tempo di uscire con un ragazzo e Richie.. Richie era speciale. Non che lei fosse pronta a giurargli amore eterno o che avesse la convinzione che lui fosse l'uomo della sua vita. Era speciale perché era quell'angelo custode in carne ed ossa (o meglio, in matita e fogli) che aveva sempre desiderato. Lui era testardo, lo aveva ribadito più volte: Clarice non si aspettava nulla, perché il musicista in questione avrebbe fatto di tutto pur di evitare che la teoria dell'anima gemella si realizzasse tra di loro.

Si guardò allo specchio e, per un secondo, le piacque l'immagine che vi era riflessa. Il pallore grazie al quale Richie le aveva affibbiato il soprannome di Luna le conferiva un'aria importante. Il messaggio che passava la sua bellezza algida era lo stesso di una dea intoccabile. Ancora non sapeva se fosse positivo o meno, ma non le importava più di tanto.

I capelli neri erano sciolti e vi era qualche ricciolo qua e là. Sulle palpebre Clarice aveva applicato una linea di eyeliner nero, giusto per far risultare gli occhi più grandi. Per quanto riguardava l'abbigliamento.. Le pareva di essere troppo seriosa con quell'abito blu notte, ma era comodo e leggero e, essendo estate, era perfetto. Davanti alla scarpiera, si sforzò di ricordare quanto potesse essere alto Richie. Raggiungeva sicuramente il metro e ottanta, se non di più.

: - Non sarebbe carino sembrare un gigante, ma nemmeno passare per uno dei nani di Biancaneve -.

“Dio, non ho più l'età per queste cose”. Si arrese, infine, smettendo di cercare sandali che le avrebbero fatto venire vesciche o infradito che avrebbero stonato con l'eleganza del vestito. E c'era anche il profumo, accidenti! Lo stesso che sua madre metteva sempre sui polsi e dietro ai lobi delle orecchie sarebbe stato perfetto e..

Lasciò che questo piccolo momento di sconforto passasse e ripensò a Richie, alle sue lettere, ai suoi orrori ortografici, alla sua ortografia a volte comprensibile, a volte peggio di un testo in arabo. 
“No, non sono vecchia. Insomma, non lo si può essere a 30 anni.. Giusto?”. Forse era meglio lasciarla in sospeso quella domanda. Era arrivato il momento di incontrare quel suo strano angelo custode, basta ciance e quisquilie e crisi di mezza (anzi, per precisione un terzo) d'età. Il campanello suonò e Clarice dovette fare alla velocità della luce, mentre il suo cuore batteva celere come le ali di un colibrì: fece una conta di due secondi per scegliere tra un paio di sandali dello stesso colore del vestito ed un paio di infradito con un tacchetto da tre centimetri. Optò per il primo. Si precipitò nel bagno, rischiando di inciampare nella moquette. Spalancò l'armadietto appeso di fianco allo specchio e afferrò una minuscola boccetta di profumo, rosa. Mise qualche goccia sui polsi e lo lasciò (o meglio dire lanciò, rischiando di rompere il piccolo contenitore di vetro) sul bordo della vasca, dopo essersi guardata allo specchio per qualche millesimo di secondo. Aveva il fiatone e non era di certo il modo migliore per presentarsi. Di fronte alla porta, chiuse gli occhi e tirò un lungo respiro, mettendo da parte il giramento di testa e quella fastidiosa sensazione di nausea.

: - Okay, ci siamo -.

“Buonasera Riga Grande Mamma”.

“Finiscila mr. faccio le i uguali alle u e le n a volte sembrano delle x”. Entrambi, dopo un istante di silenzio, scoppiarono a ridere. Richie si schiarì la voce.

“Ti trovo molto bene, Luna”.

“Ancora quel soprannome?”. Clarice sorrise, nonostante avesse usato un tono relativamente serio. Per qualche arcano motivo, sentirsi chiamare così la imbarazzava e le sue guance si tingevano di un rosso tenue ogni volta che leggeva Luna sulle loro lettere.

“Guardati e dimmi se non ho ragione a chiamarti così!”.

“Dovrei iniziare a mettermi fard, fondotinta ed altre cose che non ho mai usato perché sono una grandissima ignorante in questo campo?”.

“Già, così passiamo da Luna a Marte?”. La ragazza chiuse la porta a chiave e si affiancò al chitarrista, che non le diede il tempo di rispondere. “Hai in mente qualcosa per la serata?”.

“Avrei prenotato in una pizzeria qui vic”.

“Il proprietario è un tipo suscettibile?”.

“No, perc”.

“Perfetto, mia cara. Se non è facilmente irritabile, allora non si offenderà se non ci presenteremo”. Se c'era una cosa che Clarice non sopportava, era proprio essere interrotta, per non parlare di quelle persone che distruggevano i piani che aveva preparato con tanta cura (ed una buona dose di preoccupazione).

Alle 19,30 Richie avrebbe dovuto presentarsi fuori casa sua.

Alle 19,45 sarebbero arrivati alla pizzeria.

Alle 19,47 Mark, il cameriere, avrebbe preso le ordinazioni.

Fino alle 19,58 avrebbero parlato del più o del meno.

Alle 20,30 avrebbero finito di mangiare.

Alle 20,40 avrebbero camminato per il parco giochi accanto alla scuola nella quale Clarice insegnava.

Alle 20,55 Clarice avrebbe detto di essere stanca e si sarebbero seduti su una panchina scolorita, un tempo di un verde acceso.

Alle 21,30 Clarice sarebbe rientrata in casa sua e, dopo aver chiuso la porta alle sue spalle, avrebbe sorriso ingenuamente, avrebbe buttato la borsa sul divano, le scarpe di fronte al mobiletto sul quale c'era il telefono e avrebbe salito le scale, per poi abbracciare il cuscino e ripensare alla serata, indubbiamente perfetta.

Ma adesso ogni sua certezza era svanita nel nulla e questo la metteva a disagio.

“Se non ti fidi del cibo che fanno, beh, ti posso assicurare che non sono mai andata al pronto soccorso per qualche ingrediente scaduto”. Tentare di fargli cambiare idea, Clarice lo sapeva bene, era inutile. Stava parlando con Richie Sambora, accidenti.

“Non è per quello”. Il ragazzo sorrise. “Preferisco fare le cose a modo mio”.

“Allora abbiamo un'altra cosa in comune. Richie, ti prego, ho dei seri problemi nel fidarmi degli altri”.

“Ma io non sono gli altri, Luna. Io sono Richie” replicò, con un tono che avrebbe dovuto essere rassicurante, se non fosse stato per il contenuto della frase. “Se non ti piacerà il nostro appuntamento, sarai autorizzata a rovesciarmi addosso del caffè bollente. Dici che è un accordo decente?”.

: - Mi fido o non mi fido? Questo è il dilemma -.

“E va bene. Ma la quantità e la temperatura del caffè le dovrò scegliere io”. Il ragazzo sogghignò. Sembrava così sicuro del fatto che non avrebbe deluso Clarice. D'altronde la sua fama da don Giovanni non era nata dal nulla. Era sempre stato dell'idea che gli appuntamenti fossero semplicissimi da organizzare, esattamente come è semplice fare un'addizione e, come la matematica, essi avevano delle regole ben precise, applicabili a qualsiasi situazione.

“Le donne sono tutte uguali. Qualche smanceria, un po' di fiori, un picnic, delle battute scadenti, del buon vino rosso, un sorriso da cucciolo smarrito et voilà”, diceva sempre, elencando gli elementi che non dovevano mancare mai. Ma.. Se Clarice fosse una sottospecie di eccezione? Una di quelle formule chimiche che non hanno niente a che vedere con le altre? Un numero periodico che va trattato in maniera differente dagli altri decimali?

“Non sarai mica uno di quei ragazzi che organizza un picnic sulla spiaggia, porta dei fiori, una bottiglia di Chianti e spera di aver conquistato la preda?”.

Dicevamo delle eccezioni?

: - Perfetto.. Ora come glielo dico che sì, la serata era proprio organizzata come ha detto lei? Mi ha spiato, questa è l'unica spiegazione plausibile. O è un alieno. Oh mio Dio. Sono uscito con un alieno! Cosa potrebbero pensare i miei genitori? Potrebbe rapirmi e portarmi sulla sua navicella spaziale. Non tornerei più a casa. Jon dovrebbe cercare un altro chitarrista e, andiamo, dove lo trova uno bravo come me? Pff, da nessuna parte, ovviamente -.

“Richie? Mi senti?”.

: - Ci vuole un piano e devo trovarne uno al più presto. Ne va della mia dignità. Niente panico. Ma io voglio conquistarla sì o no? Lei pensa di no, perché io le ho detto di no, ma forse dovrei sorprenderla e farla innamorare, facendole pensare che non è così. E quindi, dove bisognerebbe andare in situazioni simili? Dallo psichiatra, Richie. Oh! Un momento! Da quando sento la vocina di Jon? -.

“Terra chiama Richie!”.

: - Ma certo! Sono un genio. Vocina di Jon, applaudimi -.

“Stavo pensando, perdonami. Dato che non mi capita spesso, ne stavo approfittando. Comunque sia, so perfettamente dove portarti, ma non ha neanche lontanamente a che fare con il tuo banalissimo programma. Con chi sei uscita? Davvero esistono ancora damerini del genere?”.

Clarice sorrise, poco convinta.

“Effettivamente è da un bel po' che non esco con un essere vivente, ma in compenso ho letto un mucchio di libri sulla solitudine e su come trovare l'uomo dei propri sogni”.

“E ha mai funzionato?”.

“Tu sei qui ed io sono qui. Secondo te?”. Domanda retorica, alla quale Richie sorrise divertito. “E tu, signor Sambora.. Con quante ragazze sarai uscito?”.

“Allora.. La relazione più duratura, l'ho avuta molti, molti anni fa. Dio, mi ha fatto malissimo doverla concludere, ma sai com'è.. Certe cose non possiamo controllarle”. Mentre parlavano, i due si stavano avvicinando alla Ford Escort rossa di Richie, parcheggiata fuori da un panificio dal quale usciva ancora un delizioso profumo di focacce. Il chitarrista aprì la portiera del passeggero, invitando Clarice a sedersi.

“Prego, continua la storia”.

“E' particolarmente struggente. Sei sicura di volerla ascoltare?”. Mise le mani sul volante dopo aver fatto ruggire il motore ed essersi allacciato la cintura di sicurezza.

“Quando mi vedrai aprire la portiera e lanciarmi giù, vorrà dire che dovrai smettere di parlare” gli rispose, ridacchiando e incrociando le braccia al petto. Era solita fare così quando ascoltava qualcuno. Le dava l'aria di una persona interessata, a suo parere.

“Ci siamo conosciuti in un parco. Entrambi sapevamo che sarebbe stato rischioso fidanzarci, ma ci provammo comunque. Avevamo la stessa età ed eravamo giovani, inesperti. Lei mi regalò un budino ed io la ringraziai con un uovo di piccione. Avevamo sette anni e, quando lei scoprì che quell'uovo non si sarebbe schiuso, mi lasciò. Ci penso ancora adesso a come saremmo stati felici se avessi trovato qualcosa di meglio da offrirle. Aveva un debole per i succhi di frutta all'albicocca, potevo approfittarne, e invece no, ho voluto fare di testa mia!”. Clarice non riuscì a trattenersi. Nonostante il suo buon senso le stesse consigliando di gettarsi davvero dall'auto in corsa, scoppiò a ridere. Era da tantissimo che non rideva in presenza di qualcuno. A scuola si limitava a fare qualche sorriso stanco ai bambini e con i suoi colleghi era una guerra continua. Loro erano troppo stressati per la famiglia, per i continui impegni, per le cene con i suoceri, per il mutuo, per chissà quante altre ragioni che, col tempo, Clarice aveva iniziato ad ignorare, forse, anzi, sicuramente per autodifesa. E a casa si drogava di film di Hitchcock, il che poteva fare tutto fuorché metterle allegria.

“Una storia simile non me la sarei mai aspettata”.

“Ehi, guarda che io ci soffro ancora! Ricordo le sue parole come se le avesse pronunciate ieri. 'Tra noi è finita, Ichad Ftephen Fambora'. Sai.. Aveva un difetto nella pronuncia della 'S'. E della 'R'. Poi mi ha buttato l'uovo sul pullover nuovo e se ne è andata sbattendo i piedi. Saltai la merenda, quel pomeriggio”.

In quella finta macchina sportiva rossa, con i finestrini abbassati ed un ragazzo moro alla sua sinistra, Clarice sorrise e sentì le guance calde, con molta probabilità rosse come quelle di una bambina imbarazzata. Forse, in quel momento, se Richie l'avesse osservata con un po' più di attenzione, non avrebbe avuto motivo di chiamarla Luna, perché non aveva niente a che fare con quel pianeta freddo che non è in grado di brillare di luce propria, ma riflette quella del Sole. In quel momento era Clarice Rose Anderson e non si era mai sentita così libera prima di quella sera.


Nota dell'autrice:

Alcuni di voi sanno per quali ragioni non sono riuscita a pubblicare un mesetto fa. Prima fra tutte, la mia salute piuttosto precaria. Sono passata dalla colite ad una serie infinita di influenze. Poi c'è stato un lutto in famiglia e, per concludere in bellezza, l'ispirazione non ne voleva proprio sapere di farmi compagnia.

Spero soltanto che qualcuno di voi sia ancora interessato a questa storia. Vi ringrazio per non averla rimossa dalle seguite piuttosto che dalle preferite. Gli aggiornamenti d'ora in poi saranno sicuramente più regolari, o quanto meno me lo auguro. 


Beh, grazie a tutti coloro che hanno letto questo capitolo, non lunghissimo, ma che contiene il tanto aspettato incontro tra il nostro Richie e la nostra Clarice. In settimana arriverà il prossimo, quindi.. Buona lettura e a presto.


Rosie

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Capitolo 5
*** Maybe because... ***


Richie, dopo aver pensato alla maniera ideale per non deludere le prospettive di Clarice, aveva deciso di andare nel locale in cui si era esibito per la prima volta in tutta la sua vita. Era a venti minuti da casa sua, in una vietta illuminata dalla gialla luce di quattro lampioni neri. Non era un locale grandissimo, ma era uno di quei posti in cui, varcata la soglia, tutti diventano amici di tutti. Il mercoledì e il sabato erano i giorni dedicati al karaoke e questo Richie lo sapeva perfettamente.

“Siamo arrivati” annunciò il giovane. Di certo aprire la portiera di Clarice sarebbe stato un gesto schifosamente romantico e.. Oh, al diavolo questi pensieri. Scese velocemente dall'automobile e aprì la portiera della passeggera, rivolgendole un sorriso mentre le porgeva la mano per aiutarla a lasciare il veicolo.

“Come siamo premurosi” osservò ella, premurandosi di far trasparire del sarcasmo.

“Tutto merito del mio manuale del perfetto cavaliere. Capitolo cinque, paragrafo tre. In quella pagina parlava di cavalli e carrozze, ma credo che la regola valga anche per una Ford”. Clarice accennò una risata per poi guardarsi attorno, osservando ciò che la circondava. Tutti i negozi della via erano chiusi o in procinto di fare lo stesso, eccezion fatta per un locale illuminato da una scritta viola.

“E' lì che stiamo andando?” domandò, ricevendo una risposta affermativa.

“Ti piacerà” e, così dicendo, Richie si addentrò nel pub, dopo aver preso la ragazza per mano. Li accolse un intenso, ma per questo non spiacevole, odore di birra e di legno. I due notarono immediatamente un uomo di trent'anni circa sul palco, con il microfono in mano, a cantare una canzone country. Si muoveva come se fosse il padrone del posto e si atteggiava da vero professionista. L'attenzione di Clarice venne catturata dal picchiettare del dito di Richie sulla sua spalla destra: le stava indicando un tavolino libero a qualche metro dal palco, sul quale c'era un posacenere bianco. “Dici che va bene se andiamo lì?” chiese, quasi urlando a causa della musica altissima.

“Mi sembra perfetto!” rispose la ragazza, con altrettanti decibel. La canzone finì nell'arco di qualche secondo, con un assolo di chitarra acustica, e la musica venne sostituita dal vociare confuso dei presenti. L'uomo dai lunghi capelli biondi e da una barba di quattro giorni circa saltò giù dal palco, sedendosi al bancone e ordinando un boccale di birra.

“Dovremmo ordinare qualcosa anche noi” suggerì Richie, accanto al quale, come se lo avesse sentito, passò una cameriera dai capelli rossi con qualche ciocca tinta di un viola acceso, abbinamento fin troppo eccentrico. “Oh, scusami, potresti portarci due menù cowboy?”.

“Subito” rispose distrattamente, segnando l'ordine su un taccuino dalle pagine rovinate e allontanandosi ruminando un enorme chewing-gum rosa, molto probabilmente alla fragola.

“Cosa sarebbe il menù cowboy?”. Clarice sembrava curiosa e stupita al contempo. Si immaginava già un enorme piatto di fagioli con del fieno e la scena di lei che impersonava un cavallo non era particolarmente allettante.

“In realtà non ha niente a che fare con quello che mangiavano nel 1900 nel far west” la avvertì. “Lo chiamano 'menù cowboy' solo perché contiene gli alimenti preferiti dal proprietario che, guarda caso, è anche fissato con le storie di cowboys e indiani”.

“Ora mi è tutto più chiaro”. Ben presto la voce rilassata di Clarice venne coperta da quella di una giovane ragazza di colore che si stava esibendo in “Greatest love of all”, un celebre brano di Whitney Houston. “E' molto brava.. Che ne pensi, Rich? Richie?” voltandosi, realizzò che il chitarrista era sparito nel nulla. Allarmata si guardò attorno e lo vide scrivere qualcosa su un foglio appoggiato sul bancone. Lo squadrò confusa e dovette smettere di lanciargli occhiate perplesse perché la cena, i loro menù cowboy composti da un grosso trancio di pizza fumante e delle patatine, erano appena stati appoggiati sul tavolo da quella cameriera eccentrica, che non si scompose più di tanto dopo aver rovesciato quasi tutta la coca-cola che avrebbe dovuto consegnare ad un altro povero cliente. “Stavi facendo qualche autografo?” chiese la giovane dai capelli corvini al ritorno di Richie, che, prima di risponderle, divorò quattro patatine ricoperte di senape.

“No” replicò, con la bocca piena. Bevve un sorso di coca-cola, schioccò la lingua sul palato e aggiunse “Ci ho iscritti per il karaoke. Siamo tra due canzoni, quindi ti conviene finire quello che hai nel piatto”. A Clarice andò quasi di traverso il boccone di margherita con formaggio extra.

“Cosa cosa cosa? Stai scherzando, vero? Richard Steph”.

“Ehi, l'hai detto tu che non volevi un appuntamento sulla spiaggia, a guardare le stelle e mangiare sandwiches comprati al supermercato! Quindi ora non fare i capricci”. Nonostante il sarcasmo con cui erano state pronunziate quelle parole, a Clarice non andava proprio giù questa sorpresa improvvisa. Sapeva suonare il piano, sì, ma non le era mai piaciuto particolarmente il suono della sua voce nemmeno quando parlava.. Figuriamoci a cantare! Avrebbe potuto scappare, ma quante probabilità aveva di riuscire a seminare Richie? Nah, non ne valeva la pena. Avrebbe dovuto subire e immedesimarsi in una cornacchia che si spaccia per cantante.

“Almeno sai dirmi che pezzo canteremo? Magari non lo conosco neanche!”.

“Confido nel tuo buon gusto, Luna, sono certo che la sai a menadito. E' una canzone di Clapton, comunque” e giù un'altra sorsata di coca-cola, seguita da un morso di pizza.

“E il titolo sarebbe?” insistette lei.

“Lo scopriremo solo vivendo!”. Il ragazzo le rifilò un sorrisetto sghembo e continuò a cenare, isolandosi dalle lamentele della sua interlocutrice, che si stava pentendo di non avergli detto subito 'No, andiamo alla pizzeria dove ho prenotato e non fare storie!'. Tutto sommato, però, si stava divertendo. Era da.. Diamine, era da anni che non usciva la sera. Era un bene, sì, ma solo per il suo portafoglio. Eppure c'era qualcosa di diverso rispetto a tutte le uscite con i suoi amici. Per esempio, non sentiva la necessità di fare la perfettina e tagliare la pizza con forchetta e coltello e..

: - A che diamine sto pensando? Esco con un ragazzo e penso al modo in cui sto mangiando la pizza? Dio, posso essere più stupida di così? Risposta? No! Dlin dlin dlin, esatto! Signorina, ha vinto un viaggio ai Caraibi, congratulazioni! -.

“Ehi, tocca a noi”. Vide Richie pulirsi le labbra con un tovagliolo di carta, che stropicciò e lasciò cadere sul tavolino. Clarice fece altrettanto e respirò profondamente. Il chitarrista la trascinò sul palco prendendola per mano, forse temendo che volesse fuggire in bagno o, peggio ancora, fuori dal locale.

“Richie, mi viene da vomitare, non ci riesco” bisbigliò lei, all'orecchio del giovane. Tutti gli occhi erano puntati su loro due e la prima fila sorrideva entusiasta, riconoscendo l'attacco della canzone.

“Sforzati, non ti lanceranno gli hamburger addosso se stoni” sussurrò lui di rimando, poi prese il microfono e iniziò a cantare. “It's late in the evening, she's wandering what clothes to wear. She puts on her make up and brushes her long blonde hair. And then she asks me”. Richie fece segno a Clarice di cantare la frase successiva.

: - Coraggio, al massimo perforo qualche timpano -.

Do I look alright?”. Non stonò affatto, anzi. Il chitarrista alla sua destra le prese la mano per darle forza. Poi sorrise.

And I say yes, you look wonderful tonight”. Piccolo spazio riservato ad una Stratocaster nera, sulla quale venne spostato un riflettore. Poi fu il turno di Clarice.

We go to a party and everyone turns to see”.

This beautiful lady” nel cantare queste tre parole, Richie si avvicinò lentamente alla ragazza, girandole attorno e poggiandole un leggerissimo bacio sulla guancia. Non le era lecito svenire, ma lo avrebbe fatto volentieri in quell'istante. “That's walking around with me. And then she asks me”. Cenno con il mento.

Do you feel alright?”.

And I say yes” e poi, con un filo di voce, aggiunse“I feel wonderful tonight”. La batteria accompagnò la chitarra, facendosi sentire prepotentemente. “Insieme” le suggerì Richie, in labiale. E le loro voci si mischiarono, incastrandosi perfettamente, come se fossero nate per unirsi in quel capolavoro blues.

I feel wonderful because I see the love light in your eyes and the wonder of it all is that you just don't realize” minuscolo istante di silenzio “How much I love you”. I riflettori tornarono sui componenti del gruppo, lasciando qualche secondo di buio a Clarice e Richie, che sorridevano.

“Che ne dici.. Ho fatto bene a portarti qui?” le domandò, sporgendosi verso di lei. La giovane donna sentì il respiro di quel gigante di un metro e ottanta sul suo collo e, ci avrebbe giurato, le guance stavano per prendere fuoco. Non voleva essere succube di un rockettaro senza speranze e con troppi capelli, accidenti, non voleva davvero...

“Benissimo, oserei dire” ...Eppure le sembrava odiosamente impossibile evitarlo.

L'assolo finì e i due, cantando una frase per ciascuno, conclusero il pezzo.

 

It's time to go home now
And I've got an aching head
So I give her the car keys
She helps me to bed
And then I tell her
As I turn out the light
I say my darling, you were wonderful tonight
Oh my darling, you were wonderful tonight

 

Gli applausi non tardarono ad arrivare e li accompagnarono finché i due non ebbero lasciato il palco.

“Perché la canzone sia uguale a quello che stiamo facendo, ora dovrei dire che è arrivato il momento di andare a casa e dovresti guidare”. Sorrise maliziosamente.

“Hai ragione” asserì Clarice, divertita.

“Ma almeno sai guidare?”. Senza rispondere nulla, la ragazza estrasse le chiavi dell'auto dalla tasca destra dei jeans di Richie, per poi dirigersi verso l'uscita, ridacchiando. Lui, lasciata una banconota sul bancone, la raggiunse scuotendo la testa. Fuori, entrambi furono investiti da un'aria completamente differente rispetto a quella che si respirava nel pub. Erano vicini alla costa e il profumo di acqua salata si stava insinuando nelle loro narici.

“Che ne dici di andare sulla spiaggia? Senza picnic, ovviamente”. Gli angoli della bocca di Clarice si inarcarono in un sorriso sincero. Esattamente come la storia degli appuntamenti o delle uscite, era da un millennio e poco più che non passeggiava sulla sabbia.

“D'accordo, ma come ci ha ordinato di fare Clapton, guido io”. Richie alzò le mani, come in segno di resa. Salirono sulla Ford, abbassando i finestrini e lasciando che quella fragranza di acqua marina si impossessasse dell'intero veicolo. Decisero di lasciare la radio spenta e di non parlare, dopo tutta la confusione e la musica che ancora rimbombavano nella loro testa. L'unico suono che impediva al silenzio di diventare sovrano era l'oscillare del rosario attaccato allo specchietto retrovisore. Entro pochi minuti, andando a 70 km/h, giunsero in un parcheggio a trenta metri dalla spiaggia.

“Andavo spesso qui con i miei amici, quando eravamo al liceo” spiegò, restituendo le chiavi al proprietario e attraversando la strada, seguita da Richie. “Essendo una spiaggia libera, ogni volta che venivamo qui, ciascuno di noi doveva portare vuoi l'ombrellone, vuoi la frutta, vuoi l'occorrente per giocare a badminton, vuoi la tavola da surf, sulla quale la sottoscritta cadeva regolarmente, umiliandosi di fronte a decine di ragazzoni dal fisico pompato”. Scoppiò a ridere, ricordando tutte le sciocchezze fatte quando era una liceale.

“Veniva con voi anche Dorothea?” chiese lui, tanto per fare conversazione.

“Sì e Jon pure. Il fatto era che continuavano ad isolarsi, preferivano stare da soli. Non li biasimavo, era bello vedere la mia compagna di banco così presa da un ragazzo, ma si sentiva comunque la sua mancanza nel gruppo”. Arrivati all'entrata della spiaggia, si tolsero Clarice i sandali, Richie delle converse blu, che andavano d'accordo con i jeans e un po' meno con la camicia.

“Se solo fossi rimasta in contatto con i coniugi Bongiovi avrei potuto fare il cascamorto molto tempo prima” osservò, ridacchiando.

“Cascamorto? Ma se hai detto che tu alla storia delle lettere non ci credi!”. Clarice lo spintonò, facendolo erroneamente inciampare. “Scusami, non volevo!” esclamò ridendo, rendendo le sue scuse veramente poco convincenti. Gli porse una mano per aiutarlo, ma Richie le rivolse un'occhiataccia torva.

“Corri, Luna, perché sto per vendicarmi!”. La ragazza lasciò i sandali a qualche centimetro dal chitarrista, che nel frattempo si era rialzato, e corse il più velocemente possibile verso la riva, dove la sabbia bagnata le avrebbe permesso di muoversi più facilmente senza rischiare di inciampare. Il piano, però, si rivelò del tutto inutile: Richie la raggiunse e la prese dai fianchi, bloccandola. “Anderson, gli uomini corrono più velocemente sulla sabbia rispetto alle donne, non lo sapevi?”. Tentare di liberarsi le parve superfluo e smise di muoversi a destra e a manca, nella speranza che quei muscoli si stancassero di tenerla al petto di quel moretto insopportabile.

“Beh, ora lo so, lasciami andare!”.

“Scordatelo! Ti è costato tanto questo vestito?”.

“Richie, non ci pensare minimamente!” strillò, ma era troppo tardi: il chitarrista, stringendole le braccia attorno all'addome, l'aveva appena gettata in acqua. Un classico. La maniera migliore per far imbufalire una donna che si è truccata, pettinata e incipriata per ore e ore. Clarice riemerse e riservò al 'vendicatore' uno sguardo degno di Norman Bates nel finale di Psycho. “Gli uomini corrono più velocemente sulla sabbia rispetto alle donne? Beh, sappi che le donne sarebbero in grado di sputare fuoco dopo una cosa simile”. A passi lunghi e ben distesi uscì dall'acqua, schizzando Richie che, indietreggiando per evitare di essere bagnato, si era ritrovato a terra, di nuovo, stavolta in una buca di trenta centimetri per quaranta, probabilmente scavata da un bambino qualche ora prima.

“Oh oh”.

Oh oh cosa, Sambora?”.

“Temo.. Temo di essermi incastrato. Non riesco a tirarmi fuori da solo, devi darmi una mano a uscire” mormorò, imbarazzato. Clarice scoppiò a ridere fragorosamente. E pensare che lei sperava semplicemente di prendergli le scarpe e buttarle in acqua! Questo finale a sorpresa era molto più divertente. Si mise ad un paio di metri da lui, strizzò il vestito pieno d'acqua e stiracchiò le braccia.

“Che cosa stai facendo?”.

“Aspetto che una famiglia di granchi carnivori venga a divorarti” rispose con naturalezza, pulendosi dalla sabbia che era rimasta sull'orlo dell'abito.

“Non sei divertente!” strillò Richie, austero. Peccato che la posizione in cui stava, con le gambe all'aria e un gomito nascosto nella buca, fosse troppo comica per prenderlo sul serio.

“Dimmi per quale motivo dovrei aiutarti”.

“Perché sono il chitarrista dei Bon Jovi?” tentò lui, mostrando un sorriso innocente e sbattendo le palpebre. Clarice schioccò la lingua contro il palato, scuotendo la testa.

“Ritenta”.

“Perché ti ho offerto la cena?”.

“Nah”.

Assunse un'espressione pensierosa. “Perché stasera mi sono reso conto che forse, forse tua nonna aveva ragione come non mai? Forse perché ho imbucato la lettera dopo una settimana da quando ci siamo conosciuti, solo per avere l'illusione di avere ragione?”. La ragazza smise di togliere i minuscoli granellini di sabbia dal vestito e osservò Richie, dopo averlo sentito pronunciare quelle parole.

“Dopo quanto tempo avresti voluto scrivermi?”.

“Il giorno seguente ero già nervoso e sentivo la necessità di prendere un maledetto foglio di carta. Ho ignorato la tentazione, ma non ci sono riuscito. Continuavo a rimandare, a dire che avrei dovuto acquistare un francobollo e che non ne valeva la pena. Così ho aspettato sette giorni, in modo da non crearti.. crearmi illusioni”. Clarice sorrise. Si sentiva soddisfatta, come se avesse vinto una battaglia lunghissima. In realtà, quel senso di appagamento avrebbe dovuto sentirlo sua nonna, ovunque fosse, perché anche il più cocciuto dei chitarristi era stato costretto a cedere a questa strana ma veritiera teoria.

Si avvicinò e gli porse le mani.

“Vieni fuori da lì, coraggio”. 

 

Nota dell'autrice:

... Is there anybody out there? 

Con ben un mese - circa - di ritardo, sono tornata.  La scuola e la salute quest'anno mi stanno facendo dannare più del previsto e non so davvero come scusarmi. Spero soltanto che questo capitolo vi sia piaciuto e che, con un finale dolce come questo, sia riuscita in qualche modo a farmi perdonare per questa terribile e snervante attesa. 

Ringrazio tutti quelli che hanno la storia tra le seguite e tra le preferite e che non mi hanno scritto mail minatorie! 

 

A, me lo auguro sinceramente, presto,

 

Rosie

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Capitolo 6
*** First of all ***


Dedico questo capitolo a tutte le persone che continuano a seguire questa storia, nonostante i miei ritardi esagerati. 

Spero di riuscire ad ottenere il vostro perdono con quello che state per leggere.

 

Erano passate tre lunghe settimane dalla prima uscita tra Clarice e Richie. Si erano visti altre volte, ma non al karaoke e nemmeno sulla spiaggia a mangiare un sandwich al tonno. 
Richie aveva stupidamente temuto il peggio a causa di quella sua confessione. Pensava che Clarice fosse quel tipo di ragazza che, dopo aver saputo una cosa simile, avrebbe iniziato ad organizzare il matrimonio, fare collage con le loro foto e progettare la culla per il loro primo figlio. Non accadde nulla di tutto ciò e, per questo, Richie dovette decisamente ricredersi. Quella giovane donna continuava a stupirlo; era imprevedibile, era diversa da qualsiasi altra ragazza con cui Richie fosse mai stato. Certo, sembrava una frase da libro, una di quelle affermazioni scontate che fanno venire il latte alle ginocchia e il diabete o le carie per tutti coloro che affermano di non credere nell'amore, ma era sincero quando lo confessava a se stesso, mentre la abbracciava o la teneva per mano. Eh sì, avete letto bene: abbracci e non baci. Clarice, e questo era un altro particolare che la distingueva dalla massa, era dell'idea che se avevano aspettato per ben tre mesi a vedersi, potevano sicuramente dedicarsi alla loro amicizia prima di addentrarsi in una relazione a tutti gli effetti. E poi c'era tutto il tempo possibile e immaginabile: Richie non aveva impegni perché i coniugi Bongiovi volevano trascorrere più tempo possibile insieme e Clarice, essendo un'insegnante, sarebbe tornata a lavoro a settembre. Quest'ultima si era appena svegliata e, suo malgrado, lasciò il letto. Erano le 10 di mattina e non aveva nessuna intenzione di rimanere stesa a contemplare il soffitto, nonostante non avesse alcun programma per quella giornata.. Nessun programma, a meno che Richie non avesse escogitato qualcosa per passare il tempo. Si stiracchiò e sbadigliò davanti allo specchio, storcendo il naso e domandandosi come facessero i suoi capelli a spettinarsi così tanto durante il sonno. Non riuscì a trovare una risposta nemmeno quella mattina; qualcuno, alla porta, aveva appena suonato il campanello. La giovane donna prese il pettine che utilizzò per rendersi presentabile mentre scendeva le scale. Col nastro intorno alla vita chiuse la leggera e comodissima vestaglia che aveva indosso, coprendosi come se avesse su una maglia con uno scollo a V. Infine aprì la porta, ritrovandosi di fronte a Richie che con la mano destra reggeva un vassoio con su dei pasticcini di ogni tipo e nella sinistra aveva un sacchetto di plastica, giallo.

"Appena comprati dal pasticcere vicino alla tua scuola. Posso entrare?". Le rivolse un sorriso infantile e sincero, cosciente del fatto che così Clarice avrebbe accettato di fare qualsiasi cosa. 

"Certo, accomodati". Il chitarrista varcò la soglia. Era già stato in quella casa e per questo, senza aver bisogno di alcuna indicazione, si diresse in soggiorno. Sapeva che la proprietaria della casa amava fare colazione seduta sul divano con della musica in sottofondo. "Che cos'hai in quel sacchetto?" gli chiese, aiutandolo a sistemare il vassoio sul tavolino di vetro sotto al quale vi era un tappeto rosso rettangolare. In attesa di una risposta di Richie, Clarice corse in cucina e tornò dopo qualche secondo con due piattini bianchi. 

"La tua dose quotidiana di buona musica" le rispose il moro, estraendo il vinile di "Deep Purple in Rock". 

"Perfetto! Mettilo sul giradischi, io torno coi cappuccini tra un minuto". Scomparve nuovamente in cucina e, essendo la stanza adiacente al soggiorno, sentiva perfettamente la prima traccia, Speed King, diffondersi nell'aria, raggiungendo i suoi timpani. Richie si appoggiò contro lo stipite della porta, osservando Clarice mentre preparava il caffè.

"Sarà una giornata intensa" affermò, creando curiosità nell'animo della sua interlocutrice, che non tardò a chiedere delucidazioni. "Jon e Dotty torneranno dalla luna di miele, così io, David, Tico ed Alec avevamo pensato di organizzare una piccola festa di bentornato".

"E' una bellissima idea" commentò la donna, girandosi verso Richie e sorridendogli. Lo osservò di sfuggita, prima di aprire il frigo e prendere il latte, il tempo necessario per apprezzare la sua maglietta nera con sopra l'immagine di John Lennon. 

"Così avrai modo di conoscere i due quinti dei Bon Jovi che ti mancano". Al matrimonio Clarice li aveva visti sia in chiesa, sia al ricevimento, ma non aveva avuto modo di parlare con Alec e Tico. David, invece, frequentava la sua stessa scuola di musica e si erano conosciuti lì prima di andare al liceo. Se lo ricordava come il timido pianista riccioluto che sognava di diventare famoso ed era sicura che non fosse cambiato nulla, ad eccezion fatta per quel desiderio che era finalmente diventato realtà. "Sono certo che andrete d'amore e d'accordo" aggiunse Rich, annuendo con convinzione. "Certo, tu sei abituata a me ed io, modestamente, sono il componente migliore, ma..".

"Non vantarti troppo, Sambora, o dirò a tutti che hai avuto gli incubi dopo aver visto Psycho assieme a me" lo interruppe, agitando minacciosamente un cucchiaino davanti al suo naso. 

"Oh, avanti, non era un incubo!".

"Sognare di andare in un hotel e venire accoltellati da uccelli impagliati non è avere un incubo, certo che no" confermò la ragazza, scuotendo la testa fingendosi concorde. 

"Non provocarmi, Anderson, altrimenti..".

"Altrimenti cosa? Hai intenzione di cadere in un'altra buca nella sabbia?" azzardò ella, con un sorriso strafottente sulle labbra. Richie le tolse il cucchiaino di mano, lasciandolo cadere nel lavandino, poi la sollevò, caricandosela sulle spalle, e tornò in soggiorno. "Esibizionista! Guarda che non serve trasportarmi per casa mia per farmi sapere che hai dei bicipiti".

"Non mi interessa" replicò lui, facendola cadere sul divano. "Questa me la paghi, punto". E la vendetta più temuta di Clarice venne messa in atto: il solletico. Mentre rideva in maniera convulsa e tentava disperatamente di spingere via il chitarrista, il profumo del caffè pronto si fece sentire prepotentemente. Avrebbe dovuto togliere la moka dal fuoco. Richie fu costretto a sospendere la tortura, ma solo temporaneamente. La giovane donna, lasciando il divano e minacciando il moro di mettere del cianuro nel cappuccino, ringraziò il caffè per averla salvata dal singhiozzo. 

Sì, sarebbe stata una lunga giornata.. E se anche Alec e Tico avevano lo stesso gene della follia esattamente come Jon, Richie e David, poteva ritenersi spacciata.


"E' tutto pronto, mi pare" commentò Alec, sistemando i popcorn sul tavolo, accanto a dei salatini che, ormai, David e Tico avevano quasi finito. E meno male che dovevano aspettare Jon e Dorothea. 

"Mancano solo Clarice, Richie e i due sposini" aggiunse il batterista, sprofondando sul divano di casa Bryan. 

"A questo proposito.. Vogliamo parlare di quanto sia cambiato il Sambo?" chiese il bassista, assumendo un'espressione divertita e maliziosa al contempo. "Sembra essersi rimbambito tutto d'un colpo". 

"Capiterà anche a te, Such. Se, e ripeto, se troverai una donna che ti sopporti" il proprietario di casa ricevette un pugno scherzoso sulla spalla e, ridacchiando, aggiunse "Comunque non è che di solito Richie sia meno disperato eh. Anche se l'altro giorno, quando l'ho incontrato nel negozio di dischi, non ha smesso di sorridere neanche per un istante. Probabilmente se gli avessi detto che ho avuto un incidente d'auto e mi sono rotto un braccio, avrebbe continuato a ridere e darmi amichevoli pacche sulla schiena". 

"A questo punto sono davvero curioso di incontrare questa Clarice" commentò Alec, pensieroso, per poi bere un sorso di Coca-Cola. 

"Se non è cambiata dall'ultima volta che l'ho vista" rispose Dave, stiracchiandosi, "allora conoscerete una ragazza con un bel caratterino, ha una personalità forte. Per farla breve, è il netto contrario di tutte le ragazzine frequentate da Richie in precedenza". Si interruppero a causa del campanello di casa.

"Parli di Sambora..". Il tastierista si alzò di scatto, correndo all'entrata. Tico ed Alec fecero altrettanto, ma con meno fretta. 

"Buonasera!" esordì Richie, usando qualche decibel di troppo. L'attenzione dei presenti fu però catturata inevitabilmente dalla presenza di Clarice, che sorrideva tentando di mascherare l'imbarazzo. Quando incontrò gli occhi di David, si sentì più sollevata dall'aver riconosciuto un viso familiare che non vedeva da così tanto tempo.

"Anderson, non sei cambiata di una virgola!".

"Nemmeno tu, Rashbaum" gli si avvicinò per abbracciarlo ed il chitarrista disintegrò il compagno di band con lo sguardo, costringendolo ad allentare la presa solo dopo qualche secondo. 

"I ricci sono aumentati, ma per il resto no, non è cambiato assolutamente nulla" accennò una risata e fece segno di accomodarsi agli ospiti. "Clarice, questi sono Alec e Tico, rispettivamente bassista e batterista del nostro meraviglioso, affascinante e fantastico gruppo". I due diretti interessati sorrisero sinceramente, porgendo la mano alla nuova arrivata, che si affrettò a stringere. I cinque varcarono la porta del soggiorno, occupando Richie e Clarice un divanetto di tessuto blu a due posti, David la seggiola più vicina alla cucina e Tico ed Alec due poltrone accanto alla tv. 

"Devo chiederti un favore, Clarice" disse Alec, osservandola con fare pensieroso. 

"Se posso aiutarti, più che volentieri".

"Come diavolo fai a sopportare quell'uomo che ti ritrovi di fianco?". 

Il chitarrista prese parola prima che la ragazza potesse rispondere: "Such, ci vedi? E allora vedi di andare a..".

"Campanello! Sono arrivati Jon e Dorothea!". E gli insulti, con conseguente rissa, vennero rimandati. David corse nuovamente di fronte all'entrata, mentre gli altri lasciarono i loro posti per fare lo stesso, Alec con una trombetta alla bocca. Spalancata la porta, i due coniugi vennero accolti da applausi e urla prevalentemente di David e Richie. Tico non tardò a lanciare addosso alla coppia del riso, avanzato dal giorno del matrimonio. Il portico di casa Rashbaum non fu contento della cosa, ma dovette arrendersi. 

La prime due ore passarono tranquillamente, tra lattine di coca-cola, bottiglie di birra, salatini di ogni genere, cartoni della pizza ed altri cibi poco sani, davanti ai quali qualsiasi dietologo sarebbe fuggito. Richie finalmente ebbe l'occasione per rovesciare il contenuto di una lattina sulla testa di Alec, per vendicarsi della simpatica frase rivolta a Clarice poco prima, e Jon e Dorothea furono felici di raccontare ogni singolo particolare della loro luna di miele, da quando Jon aveva litigato con una ragazza spagnola pensando che fosse un'americana che si era rifiutata di dirgli come arrivare all'hotel, a quando Dorothea lo aveva ritrovato appisolato sulla terrazza, in pieno giorno, con un'ustione di secondo grado. 

"Ecco perché sei così abbronzato" constatò il chitarrista, ridacchiando. 

"Non costringermi a chiedere a Clarice qualche curiosità imbarazzante su di te" replicò il biondo, con aria scherzosa, mentre teneva la moglie accanto a te, cingendole la vita con il braccio.  

"Che ne dite di giocare a qualcosa?" propose David, d'un tratto, seduto - o meglio disteso - su uno dei due divani. 

"Qualcosa tipo?" chiese Alec, in piedi di fronte alla finestra semiaperta, dove stava fumando una sigaretta. 

"Ci dividiamo in due squadre e su una lavagnetta bisognerà far indovinare alla propria squadra un disegno" rispose, rimettendosi in piedi, sperando di riuscire a coinvolgere gli amici, che annuirono concordi, soprattutto per non dare dispiaceri al proprietario di casa. Il tastierista, quindi, corse in un'altra stanza con la stessa velocità con cui era saltato su dal divano. Se non avesse fatto il musicista, avrebbe potuto intraprendere una carriera nel mondo dello sport.

"Ti stai divertendo?" sussurrò Richie all'orecchio di Clarice, che gli sorrise dandogli una risposta affermativa e ricevendo un tenero bacio sulla guancia. Jon sorrise nel vederli, pensando al fatto che avrebbe dovuto tempestare di domande il chitarrista il prima possibile. Oh, sì che avrebbe dovuto farlo.

"Eccomi qui" annunciò David, trascinando con sé una lavagna circondata da una cornice di legno chiaro. 

"Da quanto tempo ti occupi di svaligiare scuole?" domandò Tico, curioso, mentre si grattava la nuca. 

"L'importante è che non rubi nella mia" osservò Clarice, ridendo. 

"Simpatici! Ora dividetevi in squadre. Anzi, le faccio io, così non potete brontolare: Jon, Dorothea e Tico; Richie, Clarice e Alec. Io faccio l'arbitro". 

"Non è valido!" sbottò Alec, alzandosi di scatto dalla poltrona. "Jon e Dorothea hanno Tico, lui è bravissimo a disegnare!". 

"Finiscila, Such, o la tua squadra perde dieci punti" lo zittì il tastierista, con un gesto allusivo della mano.

"Ma se non ne abbiamo ancora neanche mezzo!".

"Dettagli". 

"Chi comincia?" domandò Dorothea, sapendo che, se non fosse intervenuta, quei due sarebbero andati avanti a discutere per il resto della serata. 

"I capitani della squadre sono Jon e Richie. Devono sfidarsi a braccio di ferro e il vincitore avrà il gesso per iniziare" spiegò David, pacatamente. I due ragazzi nominati si sedettero al tavolo. 

"Sappiamo entrambi che vincerà il sollevatore di chitarre per eccellenza, biondino" mormorò Richie, con aria di sfida, mentre si tirava su la manica della camicia fino al gomito.

"Vedremo, Sambora. Vedremo". 

"Al mio 3 iniziate. 1, 2, 3, massacratevi!" strillò David. 

"Scommetto venti bigliettoni sul moro" disse Alec a Tico. 

"Coraggio amore, fai vedere di che pasta sei fatto!" esclamò Dorothea, ma, ahimè, inutilmente. 

"Avanti, Bongiovi, ripeti insieme a me: Richard Stephen Sambora è l'uomo più forte che io abbia mai conosciuto ed io sono una femminuccia che non sa piegare un braccio". 

"Poco fiero di te, mi dicono dalla regia" osservò Jon, ridendo e alzando le mani in segno di resa, per ammettere la sconfitta. 

"A questo punto la squadra di Richie, Clarice ed Alec acquista due punti bonus e ha il gesso!". Richie sghignazzò soddisfatto e si avvicinò alla lavagna, iniziando a tirare una riga orizzontale.

"Una chitarra! Un basso! Un tavolo! Un letto! Un giaguaro!" iniziò a urlare Alec, al che il chitarrista dovette interrompersi e girarsi verso di lui.

"Perché hai detto 'giaguaro'?". 

"Non lo so" fece spallucce e riprese "potrebbe anche essere un pollo, per quel che ne sappiamo. Andavo a tentativi". Come se non avesse sentito nemmeno mezza parola, Richie tornò a disegnare, facendo un quadrato ed iniziando a tracciare i contorni di un viso.

"La copertina di Deep Purple in Rock?" azzardò Clarice, mordendosi il labbro.

"Signore e signori, questa donna mi legge nella mente" lasciò il gesso nelle mani di David e si precipitò di fronte alla ragazza, inginocchiandosi e ridendo "Clarice Anderson, vuoi sposarmi?". 

"In assoluto la proposta peggiore che abbia mai visto in vita mia" commentò Jon, scuotendo la testa, con un sorriso divertito dipinto sulle labbra. 

"Guastafeste che non sei altro, Bongiovi" replicò Richie, offeso, per poi alzarsi da terra e sedersi di fianco a Clarice, che non riusciva a smettere di ridacchiare, soddisfatta di se stessa. Quando fu il turno di Jon, a Dorothea e Tico ci vollero tre minuti buoni per capire che il suo disegno non era altro che un posacenere. 

"Ringrazia il cielo che almeno hai dote canore, altrimenti staresti facendo il cameriere in un bar" scherzò David, punzecchiandogli il braccio. 

"Gente, ma che ore sono?" domandò poi il bassista, sbadigliando e stiracchiandosi le braccia in aria. 

"Mancano dieci minuti alla mezzanotte" rispose Tico, guardando l'orologio da polso. 

"E io sono a pezzi" mormorò Alec, sbadigliando nuovamente, seguito da David e poi da Jon. 

"Stiamo invecchiando.. Una volta non eravamo così.. Così" osservò Richie, ridacchiando.

"Beh, ora che i Bongiovi sono tornati dalla luna di miele ci toccherà ricominciare a scrivere canzoni" aggiunse Tico, i cui occhi, si notava lontano un miglio, erano assonnati tanto quanto quelli degli altri presenti. 

"Domani vi farò sentire quello che ho preparato.. Ora lasciamo casa libera a Lemma e andiamocene tutti a dormire.." propose il cantante, prendendo la mano di Dorothea e lasciando quel comodissimo e sofficissimo divano. "Grazie ancora per la festa" aggiunse poi, ormai di fronte alla porta, verso la quale si stavano avviando gli altri quattro.

"E' stato un piacere riempire casa mia - e il mio stomaco - di schifezze!" rispose David, mostrando il suo solito sorriso smagliante. "Ed è stato un piacere rivedere te, Clarice" aggiunse. 

"Anche per me è stato un piacere rivedere te, Jon e Dorothea" rispose la ragazza, inarcando gli angoli della bocca nel tentativo di sorridere senza mostrare la sua evidente stanchezza. 

E completata la parte di congedi, baci e abbracci, Clarice si ritrovò a camminare accanto a Richie. 

"Dovresti andare a casa tua, io so raggiungere la mia senza problemi.." mormorò, sapendo che non sarebbe servito a molto chiedergli di andarsene a dormire. 

"Non ci penso nemmeno". Appunto. 

"Sapevo che avresti risposto così" ridacchiò e chiuse gli occhi per qualche secondo. 

"A che cosa stai pensando?". 

"A tutto e a niente. A tutto perché è stata una bella giornata movimentata. A niente perché questo è l'effetto rilassante della birra sulla sottoscritta".

"Capisco, capisco.. Allora godiamoci un po' di silenzio" le suggerì, sussurrando, e intrecciando le dita della mano con quelle di Clarice. 

"Aggiudicato" mormorò anch'ella sottovoce, lasciando che fosse il suono dei loro passi a riempire il silenzio. 

Mille parole le rimbalzavano nella mente, ma nessuna di loro faceva male. La pace era sovrana, in quell'esatto momento della sua vita, e il merito era anche e soprattutto di quel gigante buono che le camminava al fianco. Avrebbe potuto ringraziarlo, ma la banalità non le era mai piaciuta. Era pur sempre una ragazza che preferiva le lettere alle telefonate, e questo bisogna tenerlo presente. 

I loro respiri controllati accompagnavano il suono che producevano le suole sul marciapiede, finché, dopo una manciata di minuti, si ritrovarono di fronte alla porta della casa di Clarice. 

"Posso tornare per la colazione, magari portandoti un nuovo vinile?" le propose. La voce calda, in netta contrapposizione con il vento fresco che sfiorava la loro pelle. 

"Certo che sì, non devi nemmeno chiedermelo" fu la risposta, immediata. Richie sorrise, rivelando due piccole fossette sulle guance. 

"Non hai risposto alla mia domanda, quando eravamo là con i ragazzi" le fece osservare. La giovane donna inarcò un sopracciglio.

"A cosa ti riferisci?".

"Quando mi sono inginocchiato e ti ho chiesto di sposarmi" le disse, con un velo di sarcasmo nella voce. Clarice sorrise abbassando lo sguardo. 

"Non posso rispondere di sì".

"Come mai?".

"Prima di tutto.. non ci siamo baciati nemmeno una volta" rispose, con un fil di voce. Aveva forse osato troppo? Non ne aveva la più pallida idea, era da troppo tempo che non provava dei sentimenti per qualcuno. 

Il chitarrista annuì, ritrovandosi d'accordo con quell'affermazione.

"Hai completamente ragione. Forse.. Forse dovremmo rimediare almeno questa parte". In quel momento Clarice non poteva scrivere lettere disegnandovi sopra l'immagine di due labbra. Non poteva nascondersi dietro ad una busta firmata con tanta cura. Non poteva bagnare il retro di un francobollo e lasciar cadere le sue speranza in una cassetta rossa, che da lì a poco sarebbe stata svuotata da un postino ritardatario. Era arrivato il momento di agire, di agire davvero, abbandonando lo scudo dietro il quale riusciva a difendersi senza alcun problema, in silenzio, immersa nell'inchiostro nero o blu. Si avvicinò a Richie, facendo un piccolo passo in avanti. Sentì le mani del chitarrista stringersi attorno ai suoi fianchi, con decisione. Poi, alzando lo sguardo e sorridendo nel vedere quelle due fossette, lo baciò.

 

 

Nota dell'autrice: 
Eccoci qui con questo nuovo capitolo. Finale sdolcinato, ma alla fine se lo meritavano Clarice e Richie e ve lo meritavate anche voi!

Inutile ririririririririririspiegarvi quanto la scuola mi uccida l'ispirazione, ma sono viva e vi dico sin da ora che non ho la minima intenzione di abbandonare questa storia.

 

Grazie per aver letto, un bacione a tutti quanti e.. Stay tuned.

 

Rosie

 

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Capitolo 7
*** Tattoo ***


“Devi svegliarti”.

“Non è vero, stai mentendo spudoratamente”.

“Sono le undici di mattina..”.

“No, sono le 6,00, vedi che c'è buio?”.

“E' perché le tapparelle sono abbassate e hai gli occhi chiusi. Devi accompagnarmi in un posto”.

“Puoi andare da solo quando saranno le 11,00”.

“Ma sono le 11, Clarice!”. La ragazza si passò una mano sulla faccia, poi aprì un occhio solo, per guardare verso la finestra. Accidenti, Richie aveva ragione, le tapparelle erano abbassate. In ogni caso, aveva sonno, indipendentemente dall'orario. Si sentiva parecchio provata in quell'ultimo periodo, ma forse era a causa dei continui impegni che aveva la band. Il giorno prima, per esempio, erano andati in giro con Jon, David e Tico per incontrare un discografico o chiunque fosse. Clarice era troppo impegnata a fingere di ascoltare e ridere alle sue battute, mentre nascondeva le sue occhiaie con gli occhiali da sole di Richie, che a quanto pare aveva iniziato una vera e propria collezione. Diceva “Credo fermamente in una semplice regola: un uomo non può mai avere troppi occhiali da sole o troppe chitarre”. Ottima filosofia di vita, non c'è che dire. In ogni caso, se non era per colpa della band, era per colpa del lavoro: i genitori degli alunni continuavano a lamentarsi se le gite erano troppo poche, se i bambini tornavano a casa stanchi o se la scuola non forniva loro una merenda gratis. Ma cosa poteva farci lei? Era pur sempre una semplice insegnante che il pomeriggio o il week-end interpretava il ruolo di fidanzata di una rockstar in giro per l'America. Tuttavia Richie non le faceva pesare affatto questa situazione: non le negava mai attenzioni e più di una volta l'aveva aiutata a correggere i temi dei piccoli studenti, tutto questo prendendo aerei su aerei e spendendo patrimoni alle cabine telefoniche. Sarebbe stato comodo per entrambi se Clarice avesse deciso di seguire il chitarrista per il mondo, ma il lavoro non le permetteva assolutamente di fare una scelta simile. Ne avrebbe pagato le conseguenze e non era così ricca da potersi permettere di rimanere disoccupata. E così, di tanto in tanto, Richie tornava ad Ocean City dalla sua dolce Luna.

Era sabato 12 ottobre del 1989 e la band aveva a disposizione un paio di settimane per rilassarsi, prima di tornare a strimpellare in Australia, Nuova Zelanda, Portogallo, Spagna, Francia, Germania, Finlandia.. Dovevano resistere fino a febbraio.

“Coraggio.. Ti prometto che poi ti porto a mangiare la pizza con un'extra dose di formaggio”. Oh, lui sì che sapeva ricattarla per bene. Così Clarice decise di aprire anche l'altro occhio e, arcuando il sopracciglio, scrutò il viso del chitarrista che era seduto alla sua destra. La giovane donna poté notare che si era già preparato, poiché aveva indosso una camicia bordeaux e dei jeans neri a vita alta. A quanto pare non aveva molte scelte: alzarsi da quel letto era obbligatorio. Benché si fosse già arresa, l'uomo decise di giocare una carta che avrebbe sempre funzionato. “Amore, non vorrai mica rimanere lì a dormire e sprecare così del tempo prezioso che potremmo passare insieme.. E se il 30 ottobre, quando ripartirò, dovessi morire cadendo giù dall'aereo?”.

“E va bene!” mugugnò, alzandosi dal materasso. Sentì la risatina di Richie, che la prese per mano e la tirò sulle sue ginocchia dandole un piccolo bacio a stampo sulle labbra.

“Amo questo tuo caratteraccio non appena apri gli occhi” sussurrò, sorridendole. Inerme di fronte a quel sorriso, la ragazza si limitò a cingere con le braccia il collo del chitarrista e a dargli un altro bacio.

“Forse è perché sei abituato con Jon..” osservò, ironicamente. Richie ridacchiò annuendo.
“Ipotesi plausibile.. Ti aspetto in soggiorno, okay?”. Prima di alzarsi per andare a prepararsi definitivamente, Clarice gli rubò un altro bacio e sorrise.

“Ci metto poco, giuro. Devo vestirmi elegante o sportiva o..?”.

“Come ti vestiresti se dovessi accompagnare il tuo ragazzo a fare un tatuaggio?”. Domanda a trabocchetto.

“Quale tatuaggio?”.

“Ricordi quello che c'era scritto sul tovagliolo del locale in cui abbiamo fatto il karaoke? 'Who Dares Wins', in blu, e tu ci avevi disegnato attorno una chitarra”. Aveva una memoria di ferro per certe cose, accidenti. Clarice ogni volta si stupiva per la straordinaria abilità che possedeva Richie nel notare anche i più piccoli particolari. 
“Me lo ricordo, sì” asserì lei, sorridendo. Il chitarrista estrasse dalla tasca destra un foglio sul quale c'era disegnata una bellissima chitarra alata, nera, e la scritta 'Who Dares Wins' sul fondo di essa, su una specie di pergamena posta in orizzontale.

“L'originale è a casa, non volevo che il tatuatore lo rovinasse, ma.. Diciamo che è pressoché identica”.

“Ma è bellissima..” osservò Clarice. Non sarebbe stata in grado di sopportare un dolore così atroce come quello provocato da un ago ricoperto di inchiostro, ma già da tempo il Re dello Swing aveva in mente questa idea.
“Lo so, l'ha disegnata la mia fidanzata!”. Le rivolse un sorrisetto divertito e ripiegò il foglio. “Si muova signorina Anderson, dovremmo anche fare colazione.. Anche se ormai è quasi ora di pranzo”.

“Non è colpa mia se sono stanchissima ultimamente..” mormorò.

“Ti converrebbe prenderti una settimana di vacanza dal lavoro, che ne dici?” le propose, con tono premuroso come era solito usare in sua presenza.

“Ci penserò.. Potrebbe trattarsi semplicemente di anemia, ma vedremo” accennò un sorriso e gli diede un leggerissimo bacio sulla guancia.

“Non farmi preoccupare, stellina, mi raccomando” le disse dolcemente, accarezzandole il viso. Clarice annuì e lo guardò uscire dalla stanza. Successivamente, si spostò di fronte all'armadio. Prese una camicetta di cotone, bianca, e la indossò, allacciando i bottoni con fare distratto mentre lo sguardo era alla ricerca di un paio di pantaloni o una gonna o.. Tatuaggio, aveva detto? Forse optare per un paio di jeans sarebbe stata la scelta migliore. Per coprire le occhiaie ricorse a del fondotinta. Solo un leggerissimo velo di ombretto rosa e un filo di rossetto regalatole da Dorothea. Almeno non sembrava più la brutta copia di uno zombie. Prima di scendere, però, alzò la cornetta del telefono che era sul comodino. Compose il numero del suo medico curante, al quale lasciò un messaggio in segreteria, con la cortese richiesta di prescriverle delle analisi che avrebbe fatto il lunedì. Da bambina soffriva di carenza di ferritina, era fortemente probabile che il problema si fosse ripresentato. Sentendosi più tranquilla, scese le scale e raggiunse il piano terra. Dopo che ella ebbe varcato la porta del soggiorno, Richie si alzò di scatto dal divano.

“Pronta, Luna?”.

“Prontissima. Andiamo”.

 

“Fa un male allucinante! Brucia! E pizzica! E ahh, la vuole smettere di bucarmi la pelle?! Mi ha preso per un muro, forse??”. Clarice, per quanto si sforzasse, non riusciva a rimanere seria. E come biasimarla, povera ragazza?

“Me lo ha chiesto lei di farle il tatuaggio!” replicò il tatuatore, un omone di due metri, ricoperto di tatuaggi dalla testa ai piedi.

“Appunto, un tatuaggio, non un'incisione sottocutanea!”.

“Sottocutanea? Davvero conosci il significato di questa parola, Richie?” domandò la ragazza, ridendo. Era sicura di non aver mai riso così tanto in tutta la sua vita.

“Non lo so, quando sono sotto pressione divento improvvisamente intelligente... Ahia! E la smetta lei!”. Ah, se solo ci fosse stata la possibilità di fare un simpatico filmino da mostrare al resto del gruppo. Non lo avrebbero più preso sul serio, probabilmente, ma ne sarebbe decisamente valsa la pena.

“Ho quasi finito, vuole smettere di lamentarsi? Prima sono venuti qui due ragazzini di sedici anni e sono rimasti zitti e fermi per tutta la durata del tatuaggio!”.

“Senta, innanzitutto questa è l'America ed è un paese libero! E poi il mondo è bello perché è vario. Sa che noia se fossero tutti uguali?”.

“Sarebbe un disastro se fossero tutti come lei!” replicò l'energumeno, scuotendo la testa e rimettendosi al lavoro. Clarice ridacchiò e Richie la incenerì con lo sguardo.

“E tu perché ridi? Amore! Dovresti difenderm aaaaahia!”.

“Ma certo tesoro, io ti difendo e ti supporto.. Solo che è fantastico vederti così”. Solitamente Clarice non era particolarmente sadica. Anzi, non lo era proprio per niente. Le avevano insegnato che bearsi delle disgrazie altrui è scorretto. 'Un giorno potrebbe toccare a te'. Già, ma mai e poi mai si sarebbe fatta fare un tatuaggio. Quindi, in un certo senso, seguendo questo ragionamento, ridere vedendo che un ragazzone come Richie stava piangendo come se non ci fosse un domani era lecito.

Più che lecito.

“Ecco fatto, ho finito” disse il tatuatore, restituendo a Richie il foglio con il disegno. Clarice osservò il braccio. Accidenti, doveva ammettere che era venuto veramente bene.

“Ehi.. Questa storia non deve uscire da questo negozio”.

“Quale storia?”.

“Il fatto che io abbia pianto come un bambino”. Clarice ed il proprietario del negozio si scambiarono uno sguardo d'intesa ed al contempo di compassione.

“Pianto? Bambino? Non sappiamo di cosa parli” gli rispose la ragazza, provocando un sorrisetto soddisfatto sul viso del chitarrista.

“Perfetto. Luna, hai vinto una pizza con un'enorme dose di formaggio. Lei invece.. Quanto le devo?”.

 

Nota dell'autrice:

...Ehilà? C'è nessuno? Dio, quanto sono imperdonabile. Sono sparita per praticamente 4 mesi da EFP. Ispirazione completamente finita. Scuola, problemi di cuore (e quando dico problemi di cuore intendo sentimentalmente. Sono sana come un pesce!... Un pesce destinato a diventare del delizioso sushi, magari) e.. Beh, credo di essere tornata, stavolta definitivamente. Il capitolo è breve, molto molto breve rispetto ai precedenti, ma era una sorta di "Ehi, eccomi qui, non sono morta!". Ringrazio di cuore coloro che hanno recensito, risponderò non appena avrò pubblicato il capitolo. Ringrazio anche i vecchi lettori, che decidano o meno di continuare questa FF. 

 

Un bacione ed un abbraccio fortissimo,

 

Rosie. 

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