Dal Cielo E Dalla Terra Nacque L'Alba

di Tomi Dark angel
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Dove Tutto Ebbe Inizio ***
Capitolo 2: *** La Caduta Del Paradiso ***
Capitolo 3: *** La Realtà Nei Sogni ***
Capitolo 4: *** Aspettare In Eterno ***
Capitolo 5: *** Ritorno Alla Vita ***
Capitolo 6: *** Un Sussurro Dall'Inferno, Un Grido Dal Paradiso ***
Capitolo 7: *** Quando Sboccia Un Fiore ***
Capitolo 8: *** Il Percorso Svelato ***
Capitolo 9: *** I Conigli Adorano I Dolci ***
Capitolo 10: *** Fa Che Io Lo Riveda ***
Capitolo 11: *** Il Miracolo Di Un Fiore ***
Capitolo 12: *** La Caduta Dell'Inferno ***
Capitolo 13: *** Avere Una Famiglia ***
Capitolo 14: *** Due Anni Prima ***
Capitolo 15: *** Lacrime D'Acqua ***
Capitolo 16: *** La Scelta Di Dimenticare ***
Capitolo 17: *** Quando Un Angelo Ricorda ***
Capitolo 18: *** Al Di Là Dello Specchio ***
Capitolo 19: *** Ritrovarsi ***
Capitolo 20: *** L'Universo Nei Tuoi Occhi ***
Capitolo 21: *** Faccia A Faccia ***
Capitolo 22: *** Occhi Di Bestia ***
Capitolo 23: *** Una Preghiera A Un Dio Minore ***
Capitolo 24: *** Patto Alla Luce Del Sole ***
Capitolo 25: *** La Stella Del Mattino ***
Capitolo 26: *** Due Fazioni Sulla Scacchiera ***
Capitolo 27: *** Fiducia Nella Speranza ***
Capitolo 28: *** Se L'Umanità Cade In Ginocchio ***
Capitolo 29: *** La Supplica Dei Caduti ***
Capitolo 30: *** Dal Cielo E Dalla Terra Nacque L'Alba ***



Capitolo 1
*** Dove Tutto Ebbe Inizio ***


La pioggia cadeva pesantemente sul corpo di ragazzo che avanzava circospetto tra le lapidi del cimitero. Un paio di occhi verde smeraldo scrutarono l’oscurità circostante osservando quasi apprensivi l’immobilità delle lapidi prima di rivolgersi al giovane dai lunghi capelli castani che lo seguiva come un’ombra silenziosa, impugnando una pistola.
I due ragazzi si scambiarono un’occhiata significativa, poi raggiunsero una delle tombe più vicine alla recinzione ferrea del camposanto e quello più anziano lasciò cadere ai suoi piedi un paio di vanghe. Uno dei due ne impugnò una e cominciò a scavare energicamente senza far caso alla terra che gli insozzava gli abiti e la pelle sudata nonostante il gelo dell’inverno. In effetti, Samuel Winchester non era certo di sentirsi tanto bene, ma non l’avrebbe mai detto a suo fratello Dean o sarebbe scoppiata l’ennesima lite riguardo il mancato senso di responsabilità del più giovane tra i due fratelli.
-Sammy, datti una mossa.- sbottò nervosamente Dean, vagliando l’oscurità con lo sguardo. Strinse forte il fucile quando notò un leggero movimento scuotere l’oscurità che li attorniava.
Brutto segno. Pessimo. Infido.
-Dannazione!!!-
Dean sparò tre colpi in rapida successione non appena il fantasma di una giovane ragazza apparve a pochi passi da lui facendo ondeggiare minacciosamente un braccio mutilato e le lacere vesti appese al corpo. Evitò le pallottole a sale semplicemente sparendo e ricomparendo a pochi passi di distanza, poi si portò esattamente davanti al giovane cacciatore.
Dean tentò di opporre una flebile resistenza, ma lei gli strinse il collo con le dita scheletriche, forzando la presa al punto che il cacciatore annaspò e quasi lasciò cadere il fucile.
-Dean!- urlò Sam, riemergendo faticosamente dalla fossa e menando un colpo con la pala di ferro diretto al viso del fantasma. Questo non la ferì, ma bastò a farle mollare la presa sul collo e quindi sulla vita di Dean, che cadde al suolo tossendo ma non si azzardò a lasciar andare il fucile. Sparò ancora e ancora, ma la ragazza ricompariva sempre in posti diversi, evitando abilmente i colpi.
-Sam! Cazzo, dai fuoco a questo figlio di puttana!- imprecò Dean, indietreggiando man mano che il fantasma si avvicinava. Lanciò il suo accendino argentato al fratello, che lo afferrò al volo e cercò di innescare la fiamma, ma non fu facile: gli girava la testa, sentiva le forze venirgli meno e come se questo non bastasse c’era molto vento ed era una vera e propria impresa alimentare una fiamma.
Sam tossì violentemente, scosso dai sintomi dovuti a quello che si stava rivelando inesorabilmente un attacco di febbre. Barcollò.
-SAM!!!- gridò Dean, incespicando in un sasso sporgente e cadendo carponi sull’erba. Il fucile gli sfuggì di mano e in un attimo il ragazzo si trovò sovrastato dalla figura sinistra del fantasma, pronto ad artigliargli nuovamente la gola.
All’improvviso un ringhio feroce proruppe dal nulla, riempiendo il cuore dei due ragazzi di sollievo. Il tonfo di passi pesanti mescolati a un basso ansito animale. Quattro possenti zampe graffiavano il suolo ad ogni larga falcata e il vento accarezzava rudemente un morbido manto lucido come le piume di un corvo.
Un grosso cane nero sbucò dal nulla, come vomitato dalle tenebre. Aveva le zanne snudate e le orecchie basse in segno di minaccia, e visto in quel modo poteva sembrare soltanto uno degli incubi più neri mai partoriti da mente divina, ma i due Winchester non ebbero paura.
Dean si appiattì al suolo mentre l’imponente mole del cane spiccava un balzo e attraversava la figura evanescente del fantasma, costringendola a svanire nel nulla. Quantomeno, questa mossa era servita a sviare l’attenzione dello spettro.
Il cane affiancò Dean e gli tirò un veloce colpo di muso al braccio per incitarlo a rialzarsi. Lui non se lo fece ripetere due volte e, appoggiata una mano sul dorso del gigantesco animale si diede lo slancio per tirarsi in piedi. Scrollò il capo stordito e recuperò il fucile.
Il fantasma riapparve e Dean sparò ancora. Dove il cacciatore sbagliava mira, il cane riparava al suo errore balzando attraverso lo spettro e atterrando, subito pronto a un nuovo intervento. Entrambi lottavano con fare coordinato, sciolto e micidiale, come se si conoscessero da sempre e non chiedessero di meglio che affidare la propria vita all’altro. Se il cane è davvero il migliore amico dell’uomo, allora quello splendido animale nero era la prova vivente della veridicità di questo detto.
Solo allora Sam riuscì a innescare la fiamma e lasciò cadere l’accendino nella fossa, incendiando i miseri resti di uno spirito intriso di rabbia vendicativa. Lo spettro spalancò gli occhi, annaspò e infine fu avvolto da un mare di fiamme infernali rosse e oro. Quest’ultimo colore si riflesse negli occhi del più giovane dei Winchester, che non poté impedirsi di sfiorare il piccolo campanellino da gatto che portava appeso al collo. La sua mente proiettò l’immagine di un mare di piume dorate molto più brillanti di quel banale quanto insignificante oro fiammante. No, quel colore non era quello giusto, Sam lo sentiva, eppure la sua mente sembrava sfumare l’immagine, imbruttirla perché troppo affaticata al ricordo di qualcosa tanto bello da essere incomparabile.
Lo stava dimenticando. Stava dimenticando il suo viso, la morbidezza del suo tocco, perfino la sua voce. Erano quasi due anni che non lo vedeva, e adesso la sua mente cancellava pezzo dopo pezzo ogni traccia di colui che era stato un pezzo dell’anima di Sam.
Fu colto da un giramento di testa e sentì le ginocchia cedere di schianto sotto il peso improvvisamente esorbitante del suo corpo. Barcollò, serrando forte le palpebre con un gemito, ma prima che si accasciasse un braccio forte gli circondò i fianchi, stringendoli.
-Sammy, tutto bene?- disse Dean, sforzandosi di mantenerlo in piedi. Sam non rispose, troppo impegnato a combattere la guerra civile che si stava svolgendo nella sua testa. Si limitò a scuotere il capo, capitolando davanti all’evidenza di non poter nascondere al fratello di essere prossimo a un collasso fisico e nervoso. Dean non disse niente e si limitò a trascinarlo fuori dal cimitero, accompagnato dal grosso cane nero che di tanto in tanto sfiorava col muso la mano di Sam per infondergli coraggio.
Il gruppetto raggiunse l’auto parcheggiata poco distante dal cancello del camposanto, una Chevy Impala del 67’ tirata a lucido e il cane aprì la portiera del passeggero aiutandosi con una zampa. Dean spinse Sam nell’abitacolo, fece il giro dell’auto e, mentre Sindragon balzava sui sedili anteriori, montò in macchina e partì sgommando verso il motel.
§§§§
Dean appoggiò un panno umido sulla fronte bollente di Sam. Lo sentì tremare violentemente e mormorare qualcosa di incomprensibile nell’incoscienza, ma dopo qualche istante di delirio tornò immobile.
Dean non aveva bisogno di sforzarsi per sapere a cosa era dovuto lo stress di Sam o il fatto che non si stesse più preoccupando per la sua incolumità. La sua giustificazione era di non voler impensierire suo fratello, ma Dean conosceva la verità.
Sam si stava lasciando andare.
Erano mesi che mangiava il minimo indispensabile, dormiva poco e spesso non prestava attenzione a ciò che gli succedeva intorno. Capitava spesso che precipitasse in uno stato vegetativo in cui gli occhi si socchiudevano per perdersi nella lontananza dei ricordi. Cosa vedeva Sam? Dean lo sapeva.
Labbra carnose strette al delizioso bastoncino di un lecca lecca.
Mani grandi e delicate che sfioravano ogni centimetro della sua pelle bollente.
Un sorriso scanzonato, accompagnato da un paio d’occhi ridenti, luminosi come stelle.
Erano quasi due anni che Gabriel non si faceva vedere… in effetti, in quel lasso di tempo Sam e Dean non avevano scorto nemmeno l’ombra di uno schifido angelo. Sembravano tutti scomparsi, risucchiati nel Paradiso e trattenuti lì per un infinità di tempo che pareva destinato a non finire mai. Mai come in quel momento, Dean avrebbe pagato oro per vedere finanche Samael, colui che detestava a morte per aver amato e tradito l’angelo… arcangelo Castiel.
Dean chiuse gli occhi, rilassando i muscoli e la tensione al solo pensiero di due profondi occhi blu zaffiro posti su un viso di uomo fatto e finito. Aveva promesso di aspettarlo, perciò era lì: cacciava con la speranza di essere salvato da sei gigantesche ali argentate, lottava per poter un giorno rivedere quel volto tanto amato, tanto fragile eppure anche incredibilmente potente.
Dean lottava, ma era stanco. Si sentiva sfinito, senza più la speranza di poter andare avanti. Si aggrappava giorno per giorno a un’illusione, ma a lui andava bene così: ormai, nel suo petto, nessuna donna avrebbe potuto sostituire la dolce figura dell’angelo più bello che il Paradiso avesse mai accolto.
Per questo Dean aspettava, per questo adesso chinava il capo e si strofinava gli occhi con aria esausta.
Aspettava. Pregava. Aveva osato chiamarlo ma nessuno aveva risposto nonostante la promessa di non essere mai abbandonato dalla fedeltà delle schiere angeliche. Lo avevano lasciato solo, e adesso che lo stesso Bobby era a caccia chissà dove e lui, Dean, posava gli occhi su un Sam febbricitante e privo di sensi, il mondo sembrò lentamente franargli addosso.
Dean Winchester non era uno che si arrendeva, ma mai come in quel momento sentì il bisogno di crollare. Cercò di abbandonarsi alla rabbia e alla depressione, ma non ci riuscì, troppo impegnato a preoccuparsi per il fratello.
Non era ancora il momento, e forse non lo sarebbe mai stato. Rassegnandosi con un sospiro sfiancato, Dean si inginocchiò ai piedi del letto per accarezzare l’enorme testa si Sindragon, accoccolato per terra col muso nascosto tra le zampe. Faceva sempre così quando sentiva che tirava brutta aria e gli occhi blu che esibiva ricordavano dolorosamente due iridi che Dean stentava a dimenticare.
All’improvviso si udì un tonfo, il rumore di qualcosa di fragile che andava in pezzi e infine, nell’immobilità che seguì, Dean si voltò a guardare in faccia il nuovo arrivato. Tutto ciò che fu in grado di pensare a quella vista fu un semplice e sicuro: porca puttana.
§§§§
Sam ansimò, scosso da violenti fremiti. Tossì un paio di volte, arpionò la pietra sottostante e…
Pietra?
Improvvisamente, Sam spalancò gli occhi, accorgendosi che i dolori dovuti alla febbre erano spariti nel nulla. Si sentiva bene, pieno di energie e la testa non gli faceva male. Eppure, gli bastò uno sguardo all’ambiente circostante per capire che qualcosa non andava.
Si trovava in cima a quella che sembrava una grossa collina arida, ricoperta di erba bruciata. Oltre l’ammasso marroncino che la ricopriva non si vedeva nulla, non un monte all’orizzonte, non un fiume o una città. No, lì il mondo sembrava ridursi alla collina e a un tetro cielo ricoperto di nuvole nerastre cariche di pioggia.
Un lungo lastricato di marmo bianco finemente lavorato, esattamente dove poggiava il corpo accasciato di Sam, conduceva al centro esatto della cima della collina, dove due grosse colonne spezzate poggiavano su un piedistallo rialzato preceduto da una piccola scalinata. Ai fusti ricoperti di crepe e sangue, erano arpionate delle catene, una per colonna e queste stesse catene cingevano i polsi di una figura di spalle, costretta a tenere le braccia allargate come un crocifisso, con indosso solo dei logori pantaloni di seta che un tempo doveva essere stata bianca.
Sam avrebbe riconosciuto ovunque i due larghi squarci cicatrizzati che attraversavano diagonalmente la schiena dello sconosciuto, così come non avrebbe mai potuto confondere la folta chioma bionda che cadeva scompigliata sul viso chino del prigioniero coperto di ferite e sangue.
Sam spiccò una corsa, percorrendo con urgenza il lastricato prima di accorgersi che c’era già qualcun altro lì, un uomo dalla lunga barba bianca, i cui occhi ciechi parevano tuttavia indugiare sul viso del ferito. Indossava una lunga veste candida con un cordone legato alla cintola. Sam si fermò, costretto improvvisamente da una forza invisibile che gli inchiodava i piedi a terra e gli incollava la lingua al palato. Cercò di urlare, di chiamare il prigioniero, ma non riuscì ad emettere un minimo lamento.
Il vecchio sollevò una pezza logora impregnata d’acqua e la passò sul viso del ferito. Quando ritrasse lo straccio, grondava sangue.
-Perché lasci che ti facciano questo, figlio mio?- chiese il vecchio con voce gutturale, ma non ricevette risposta. Allora continuò: -Perché non parli? Puoi far sì che finisca tutto, quindi perché non ti arrendi?-
Ancora nessuna risposta. Il prigioniero rantolò debolmente ma non si arrischiò ad aprir bocca. Le sue spalle larghe e possenti furono scosse da violenti fremiti che fecero tintinnare le catene e allora il vecchio sospirò, passandosi la mano libera sul viso rugoso di vecchiaia.
-Parla, figlio mio. Ti prego, sono mesi che ti fai tormentare e ti ostini a non voler aprir bocca. Per amor mio, parla.- mormorò stancamente con un tremito della voce. Strizzò la pezza, facendo schiantare al suolo diverse gocce di sangue ed acqua e tornò ad accarezzare con essa il viso del prigioniero, che non reagì. Il vecchio fu costretto a sollevargli appena il capo per pulirlo, ma appena lasciò la presa, questo ricadde in avanti.
All’improvviso, gli occhi ciechi del vecchio si posarono vacui sul viso di Sam, che si specchiò impaurito in quelle iridi spente. Lo sconosciuto mosse le labbra senza tuttavia proferir parola e la forza invisibile che tratteneva Sam parve svanire, sciogliendogli la lingua. Il vecchio si appoggiò un dito sulle labbra per fargli segno di fare silenzio, poi annuì e solo allora Sam seppe di essere ben accetto.
In poche lunghe falcate raggiunse le colonne e le aggirò, ma all’istante desiderò non averlo mai fatto: appena si voltò per guardare in faccia il prigioniero, questi svanì insieme alle colonne.
-GABRIEL!!!- urlò Sam al vuoto mentre il paesaggio intorno a lui sfumava, si perdeva in un mare fumoso di spirali grigie che a poco a poco perdevano ogni parvenza di consistenza e sparivano nel nulla, lasciandolo solo a gridare un nome senza sapere che chi rispondeva di quel nominativo aveva finalmente alzato il capo e sollevato appena le palpebre dopo mesi di immobilità totale.
§§§§
Dean rimase immobile, gli occhi sbarrati fissi sulla stanza inondata di piume.
Finalmente.
Grandi, lucenti, gigantesche penne avvolte di tenue luce angelica. Ogni piuma si sovrapponeva alla sua gemella con cura, come se una mano esperta le avesse modellate per coronare una perfetta armonia tra loro. Ali. Ali angeliche belle e terribili, morbide e taglienti. Chiunque avrebbe potuto guardarle e capire che l’opera più bella di Dio erano proprio quelle penne enormi, affusolate nella loro delicata bellezza che superava qualsiasi opera terrena.
Solo che c’era qualcosa di stonato in quelle piume. Per quanto Dean non potesse fare a meno di ammirarle e rimproverarsi per aver quasi dimenticato tanta magnificenza, quelle non erano le ali che cercava.
Bronzo. Quelle erano piume di bronzo. E non del tipico colore spento che caratterizzava il materiale una volta lavorato e abbandonato ai suoi stessi fini. No, quello era il colore del bronzo fuso, lucente, ancora attraversato di riflessi cangianti, come un arcobaleno senza confini al cui interno si agitava uno spettro di luce sempre in movimento che risaltava ogni sfaccettatura della più piccola piuma.
Piume color bronzo. No, erano sbagliate, non erano quelle che Dean cercava.
L’uomo al centro di quel mare di piume tanto ingombrante da addossarsi al pavimento e alle pareti levò il capo, ansimando esausto. Aveva il volto attraversato da un lungo squarcio obliquo e lo sguardo di chi ha visto troppo e se ne sente sovrastato, ma dopo aver incontrato gli occhi verdi del cacciatore, l’espressione dell’angelo si distese in un debole sorriso soddisfatto. Gli occhi eterocromi, uno verde e l’altro dorato, erano quasi nascosti dagli scompigliati capelli scuri.
Era a torso nudo e indossava soltanto dei pantaloni di seta bianchi, macchiati di sangue e una fascia color bronzo stretta in vita. La bellezza di quell’uomo era sconvolgente.
-Samael.- disse lui rigidamente, chiudendo le mani a pugno lungo i fianchi per impedirsi di prenderlo a cazzotti. Se c’era un angelo che non era mai stato troppo ansioso di rivedere, era proprio Samael.
Dean aveva la memoria lunga, perciò non aveva né dimenticato né tantomeno perdonato. Samael aveva consegnato Castiel ai nemici, aveva permesso che lo torturassero e che lo pugnalassero a morte. Se l’arcangelo dagli occhi blu l’aveva perdonato, per Dean era tutta un’altra storia e a quest’odio si aggiungeva la rabbia che il cacciatore aveva covato nei confronti degli angeli. Nessuno di loro aveva risposto alle sue chiamate, nessuno di loro si era azzardato a dare un segno di vita o ad aiutarli quando ce n’era stato bisogno.
Li avevano abbandonati a loro stessi dopo un mare di promesse che agli occhi di Dean adesso sembravano tutte stronzate.
-Che cosa vuoi?- sibilò aggressivo mentre l’angelo si alzava barcollando. Si appoggiò al muro, scosso dagli ansiti e per qualche istante rimase immobile, le ali tremanti per il dolore e la fatica che doveva averle colte. Sindragon rimase immobile ai piedi del letto, indeciso sul da farsi.
-Pri… prima che mi prendi a pugni ci tengo a dire che non è come pensi.- disse lui, raddrizzandosi. Dean andò in escandescenza.
-Ah, no, arrogante cazzone piumato?- ruggì, alzando la voce. –Cosa dovrei pensare, allora? Sentiamo! Vi ho chiamati, ho richiesto più volte l’aiuto che avevate promesso ricoprendomi di un mare di cazzate e adesso, dopo quasi due anni di silenzio sbuchi tu a riempirmi la stanza di fottutissime piume! Cos’è, Castiel ti invia a mandarmi i suoi saluti?! Che si fotta! Fottetevi tutti, per me ormai non esistete più!-
Al nome di Castiel, il viso di Samael si contrasse in una smorfia dolorosa. Si passò una mano sul volto, ripulendosi del sangue che colava dalla ferita e sospirò.
-Come immaginavo… Balthazar mi aveva detto che sei un tipo che ha il cervello solo per riempire la scatola cranica.-
-Non osare parlarmi così o giuro su Dio che ti friggo nell’olio santo fino a liquefarti!-
Samael sorrise debolmente alla minaccia, poi puntò gli occhi al soffitto con aria esasperata. –Perché io?! Perché sempre a me vanno questi compiti?!-
Dean estrasse la pistola, puntandola verso il petto dell’angelo. –Sparisci, Samael. E riferisci ai tuoi amici pennuti che non me ne faccio un cazzo della vostra visita annuale.-
Samael scosse il capo e avanzò di un passo. Automaticamente, Dean caricò il colpo per evidenziare la minaccia e allora l’angelo lo guardò con una punta di dolore negli occhi chiari.
-Non… c’è più nessuno con cui parlare.- sussurrò, serrando forte le palpebre in un’espressione che a Dean ricordò la sofferenza provata durante la battaglia per il Sacro Graal.
Quelle parole lo lasciarono interdetto e gli fecero allentare la presa sul grilletto della pistola. Sentì il cuore gonfiarsi di apprensione e le labbra muoversi per conto proprio, rispondendo a quell’ondata di sentimenti.
-Cosa è successo?- chiese. Poi, vedendo che l’angelo restava in silenzio, aggiunse: -Samael… dove sono gli altri?-
Samael ripiegò cautamente le ali, facendo una smorfia alla fitta di dolore che questo movimento gli causò. Avanzò con difficoltà nella stanza del motel troppo piccola per contenere le sue possenti appendici piumate e, una volta raggiunto il letto dove riposava Sam, gli premette una mano sulla fronte.
L’espressione del giovane Winchester si contrasse per qualche istante, poi il colorito esageratamente arrossato delle guance sbiadì e il viso si distese. La febbre doveva essere scomparsa e con essa, i malanni che costringevano Sam a letto e alla debolezza.
Dean si sarebbe aspettato che Samael scansasse la mano, ma sorprendentemente, l’angelo tese l’altra verso la sua fronte, senza tuttavia toccarlo. Attese che Dean si avvicinasse di sua spontanea volontà, ma quando non lo fece, Samael sospirò esasperato.
-Voglio solo mostrarti cosa è successo. Vuoi delle risposte? Te le voglio fornire, ma devi fidarti di me almeno stavolta.-
-Piuttosto mi taglio una mano.-
-Tagliati pure qualcos’altro, ma non ho tempo per questi giochetti da femminuccia mestruata.-
Con uno scatto del braccio, Samael premette due dita sulla fronte di Dean e in pochi istanti la stanza sfumò, dissolvendosi in un mare di fumo colorato.
-Benvenuti in Paradiso, Sam e Dean Winchester.-
 
Angolo dell’autrice:
Per vostra sfortuna eccomi di ritorno con il sequel de: “ Dal Sole e Dalla Luna Nacquero Le Ali ”!!!
Gabriel: lo sapevo! Non potevi stare senza di me!
No Gabe, mi hai causato un crollo di nervi nell’ultima settimana! Insomma, cesso intasato per tutti i fazzoletti che ci hai buttato dentro dopo esserti soffiato il naso, la mia stanza inutilizzabile perché ti ci chiudevi dentro a frignare e ho dovuto ingaggiare Ace Ventura l’acchiappanimali per recuperare Sindragon!
Gabe: cosa?! Non è colpa mia se è scappato!
Sì, invece! L’hai abbracciato fin quasi a soffocarlo, è normale che abbia chiesto le dimissioni! E credimi, usare un chihuahua come controfigura non è una buona idea, a cominciare dal fatto che quel maledetto topastro continua a rosicchiare le chiappe di Dean! Qui le fan mi denunciano!
Gabriel: be’? Dean che scappa con un cane appeso al culo è una scena esilarante, va bene?!
Sì, ma non posso scriverci una storia quanto un’enciclopedia di imprecazioni e bestemmie che quel povero ragazzo ha tirato giù, quindi SPARISCI e torna a lavorare!
Ehm, dicevo? Giusto! Dunque, ritengo opportuno dedicare questa piccola storia ai recensori della fiction precedente, in particolare a:
Sherlocked,
Blacasi  
Xena89
(Sì, dovevo farlo! mi picchierete poi per l'orrore che vi ho dedicato XD)
Comincio già col ringraziarvi anche solo per la piccola lettura, per avermi incitato a scrivere un continuo e per… be’, per essere presenti con i vostri commenti che aiutano sempre un buon continuo della storia. Spero di scrivere le parole giuste, spero di riuscire nel mio piccolo a regalarvi un momento di relax e pura immaginazione. Spero di sorprendervi, di emozionarvi e chissà, anche di regalarvi quella piccola parte di me dedita da sempre alla fantasia.
Detto questo, che abbia inizio un nuovo viaggio. Anche stavolta ci toccherà combattere al fianco dei nostri eroi, ma, ehi, non sarà poi così male, no? ;D
Spero di ricevere presto i vostri commenti così come spero di aver cominciato col piede giusto, voi che ne dite? A prestissimo!

Tomi Dark Angel
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 2
*** La Caduta Del Paradiso ***


Dean ricordava bene di essere già stato in Paradiso proprio pochi anni addietro, quando due maledetti cacciatori avevano sparato a lui e a suo fratello. Allora si era trovato su una strada insieme alla sua Impala e alla riproduzione in scala di un piccolo Sam. Aveva attraversato posti più o meno ordinari, case e bar il cui aspetto appariva più che normale, ma non aveva mai avuto veramente la sensazione di trovarsi nell’aldilà.
Adesso però, era diverso. Il Paradiso, quello vero come lo rappresentavano più persone nel loro immaginario… era esattamente quello lì.
Una coltre di nubi candide forate da tre grandi fasci di purissima luce affollava l’orizzonte, dipingendo l’aria tutta intorno di un morbido manto ovattato fino a sfiorare un’immensa costruzione di colonne di cristallo che reggevano un ingresso ad archi di vetro accompagnato ai due lati da sottili ruscelletti, rivoli d’acqua cristallina che si diramava sul pavimento di marmo che lentamente sforava in una superficie di diamante finemente decorata da rappresentazioni angeliche.
Alla fine dell’ingresso ad archi vi erano degli sgabelli dorati, due per parte, sui quali sedevano loro… gli angeli. Meravigliose creature contornate di luce i cui corpi si avvolgevano in candide vesti drappeggiate molto simili a quelle rappresentate nei più bei dipinti michelangioleschi. Avevano l’aspetto di due donne e due uomini dai visi alteri, i capelli lunghi e l’espressione severa e imperscrutabile, ma alle spalle dei loro tramiti Dean distingueva delle presenze fatte di pura luce sdoppiarsi dai corpi, sgretolandosi in morbidi filamenti di Grazia che gli danzava intorno. Le ali lucenti, lucide e bellissime erano così grosse da superare in altezza gli archi e così belle da sovrastare con la loro maestosità ogni altra immagine di quel luogo divino.
Gli angeli pizzicavano con delicatezza le corde di arpe d’oro, producendo una melodia talmente pacifica e serena che i cuori dei due cacciatori si riempirono di tranquillità. Conoscevano quella musica, l’avevano ascoltata mentre tre diversi angeli di loro conoscenza la cantavano, rivolgendo il capo e le ali al cielo. Era un ricordo struggente, così bello da essere devastante, eppure anche così dolce da farli rabbrividire.
Quel luogo, in tutta la sua bellezza e la sua serafica pace li faceva sentire piccoli e insignificanti. Non erano abituati a tanta magnificenza, non credevano possibile il poter calpestare coi loro piedi terreni la dimora degli angeli. Gli sembrava un gesto sbagliato, fuori dagli schemi. Quello era il luogo dove qualsiasi anima avrebbe voluto dimorare per l’eternità respirando attraverso la musica che si spandeva nell’aria, vivendo di quella bellezza che riempiva gli occhi e il cuore di una serenità mai provata in terra.
Dean cercò di parlare, ma all’istante richiuse la bocca. Si sentiva in errore ad espandere nell’aria la sua voce terrena.
Al suo fianco, Sam si guardava intorno basito, ancora troppo stordito per capire dove si trovasse. Non riusciva a togliersi dalla testa il sogno che aveva vissuto fino a pochi istanti prima: il prigioniero incatenato, torturato e il vecchio che stancamente lo accudiva pregandolo di arrendersi, di non permettere ai carnefici di accanirsi su di lui. Erano state immagini talmente vivide da far male, ma più di tutto, Sam non poteva dimenticare l’aspetto, seppur celato, del prigioniero.
Conosceva bene quella schiena, l’aveva vista in più occasioni quando il suo proprietario si abbigliava in pantaloni di seta e nient’altro. L’aveva vista inarcarsi al suo tocco mentre migliaia di gocce d’acqua scivolavano lungo la colonna vertebrale, l’aveva vista fremere dall’emozione o dal dolore. Non poteva sbagliarsi.
Sam guardò Samael, stupendosi di trovarlo al suo fianco. L’angelo sfoggiava una lunga ferita obliqua sul volto e alle sue spalle si muoveva, imitando i suoi gesti, un’entità luminosa che si allungava in migliaia di filamenti di luce intenti ad accarezzare il corpo del loro proprietario. Le ali sembravano più grandi, più possenti che mai ed emanavano una luce tenue come di stella.
-Dove… siamo?- mormorò Sam stordito.
-In Paradiso, ragazzo.- rispose Samael, avanzando leggero sulla pedana liscia. I suoi piedi nudi calpestarono i sottili ruscelletti di rugiada. –Siete nella mia testa, perciò qui non vi possono vedere. Siamo un ricordo, niente di più. In ogni caso, toglietevi le scarpe, poiché dove poggiate i piedi è terra Santa.-*
Senza una parola, Dean e Sam ubbidirono.
-Dean, che sta succedendo?- chiese il minore dei Winchester, ma Dean non rispose.
Allora Samael si voltò e imboccò il corridoio d’archi, accompagnato dal morbido suono delle arpe e dal basso mormorio cristallino che i due cacciatori udirono diffondersi nell’aria.
Dean e Sam camminarono per la prima volta a testa bassa, messi in soggezione dalla bellezza che li attorniava. Non guardarono in faccia gli angeli suonatori, ma sorrisero rilassati all’udire le loro voci morbide come carezze di un amante.
Raggiunsero un enorme cancello d’oro e d’argento spalancato su un luogo nuovo. Se Sam e Dean avevano pensato che quel banale corridoio potesse essere il posto più bello che avessero mai visto, dovettero ricredersi.
Erano appena entrati nell’Eden** non c’erano dubbi.
Un luogo pacifico nel quale natura ed edificazioni angeliche si intrecciavano in un perfetto equilibrio di armonia e bellezza. Per terra si stendeva una distesa d’erba lucida di rugiada, anch’essa sfiorata dolcemente dai ruscelletti che passavano tra filo e filo con noncuranza.
Gli alberi erano di cristallo e affondavano le radici in un terreno brulicante di vita, rigoglioso oltre ogni dire. I fiori ricoprivano il terreno, le piante passavano dall’essere fatte di semplice erba a veri e propri vegetali di cristallo, diamante e vetro. Ogni pianta forniva il suo frutto rigoglioso, ognuna di loro affondava radici in ruscelli che confluivano a un unico laghetto le cui acque cristalline a poco a poco si trasformavano in cristallo vero e proprio. Su questo stesso laghetto si stendeva una cupola di vetro composta da intrecci fantasiosi di fili vitrei dalla colorazione leggermente azzurrina. La cupola poggiava su quattro archi che circondavano l’acqua del laghetto.
In giro c’erano i Behemah Aqedà***. Dean e Sam li ricordavano bene e non era difficile per loro riconoscere le dimensioni esagerate di questi bellissimi animali o i loro occhi intelligenti.
Prede e predatori convivevano pacificamente poiché non una goccia di sangue avrebbe mai dovuto insozzare quel luogo santo.
Samael si avvicinò al laghetto e si appoggiò a uno degli archi che lo circondavano.
-E ora aspettiamo.- disse.
Dean sbatté le palpebre, stordito.
-Aspettiamo cosa?-
-Non cosa, ma chi. E quando. Anzi, per il quando direi esattamente… adesso.-
Una melodia arcana si espanse per tutto l’Eden, sovrastando finanche il morbido suono delle quattro arpe. Ancora una volta, la perfezione fu superata e mentre la melodia cristallina si spandeva nell’aria, dei piedi nudi toccarono l’erba, facendo sbocciare tulipani argentati ad ogni passo.
Una figura alta e slanciata camminava a testa alta, le mani intrecciate dietro la schiena dritta. Chiunque avrebbe capito che quello non era un angelo come gli altri, lo si notava dall’intenso bagliore emanato dal suo corpo e dalle ali: non più due, ma sei.
Enormi, massicce ma al contempo delicate, esse erano ricoperte di lucenti piume d’argento liquido. Ogni penna pareva finemente lavorata dalla mano esperta di Dio, ogni bagliore delicato da esse emanato richiamava alla memoria la criniera argentata che ogni notte brillava intorno alla luna. Quelle ali, così grandi e così belle da inginocchiare ogni più fervida fantasia umana, circondavano nel loro splendore un corpo ancora più splendido.
Scompigliati capelli scuri, pelle pallida e occhi di un blu tanto intenso da sembrare irreale. Quel colore emanava una fioca luce angelica, cancellando ogni parvenza di umanità per sostituirla alla perfezione divina che solo una creatura celeste poteva sfoggiare.
La creatura indossava un drappeggio candido che lo copriva dalla vita in giù come una splendida veste scolpita ad arte su quel corpo slanciato, dal fisico atletico ma non esageratamente massiccio. Ogni arto delicatamente scolpito, ogni scorcio di pelle splendeva di una luce divina che surclassava quella degli angeli ordinari e intorno a lui aleggiava un’aura di potere a stento trattenuta.
Il cuore di Dean si gonfiò all’istante di mille emozioni. Gli occhi si riempirono di quella visione mentre la mente si rimproverava per aver quasi dimenticato quel viso altero traboccante di bellezza.
Castiel. Il suo Cass, il suo angelo. Ricordando a se stesso di trovarsi in un semplice ricordo, Dean si trattenne dall’allungare una mano per chiamarlo.
Altri passi, una nuova presenza che raggiungeva Castiel. Samael lo affiancò, guardandolo di sottecchi mentre Castiel al contrario fissava pensieroso le acque tranquille del laghetto.
-Ancora qui, fratello?- domandò quasi timidamente, ma non ricevette risposta. Per questo continuò: -Pensi ancora a lui? Pensi ancora a quel Dean?-
All’udire il suo nome, Dean sussultò e strinse i pugni.
-Perché fai domande di cui ti è ben chiara la risposta, fratello mio? Tu dimenticheresti come si vola? Dimenticheresti come respirare o far battere il tuo cuore?- rispose Castiel con la sua voce placida e profonda come gli abissi della terra. Il suo tono era intriso di una tenerezza tale che Dean sentì le gambe tremargli e la rabbia svanire.
Non l’aveva mai dimenticato. Non l’aveva mai abbandonato come Dean aveva creduto in passato.
-Castiel, forse dovresti lasciarlo andare. Qui il tempo passa diversamente, sono quasi diciotto anni che non lo vedi e non ti sei ancora arreso? Non è giusto per te stesso vivere la tua vita con qualcuno che possa meritarlo? Lui… è umano.-
-E io sono un arcangelo. Ho molto da imparare da loro e in tutta la mia potenza non sarò mai abbastanza meritevole dell’attenzione di un semplice uomo giusto. Io li osservo, Samael, li osservo spesso e non capisco cosa li spinge ad affrontare a testa alta un dolore che altrimenti ci spezzerebbe le ali. Loro combattono col cuore, noi con le armi. Chi pensi sia meritevole?-
Samael tentennò ma non rispose. Al contrario, Castiel gli rivolse un’occhiata serena e sorrise con una dolcezza che sciolse definitivamente il cuore di Dean. Se solo Castiel avesse saputo che lui era lì, se solo si fosse accorto che lui, Dean, stava ascoltando le sue parole…
All’improvviso una violenta folata di vento lì investì, scompigliando i capelli di Castiel e del Samael appartenente al ricordo. Entrambi si voltarono verso i cancelli dell’Eden con una lentezza quasi calcolata, le ali frementi di qualcosa che assomigliava a preoccupazione.
-Cosa… che succede?- chiese Samael, ma Castiel gli strinse un braccio.
-Vattene.- sussurrò a bassa voce mentre i Behemah Aqedà drizzavano le orecchie e si guardavano intorno con fare allarmato.
Una nuova folata di vento spazzò via la melodia delle arpe e agitò con violenza le soffici piume di Castiel e Samael, facendole ondeggiare come tante odalische luminescenti.
-Samael, allontanati!-
Stavolta la sferzata di vento fu talmente violenta che i giganteschi cancelli dell’Eden sbatterono contro le grate alle quali si reggevano, spandendo nell’aria due identici tonfi cristallini. Gli angeli all’entrata scattarono in piedi e spalancarono cautamente le ali, pronti a spiccare il volo e a battersi per difendere l’Eden e le loro stesse vite.
Lentamente, sotto gli occhi attoniti dei presenti, l’erba cominciò ad annerirsi. Piano, come se una mano invisibile la stesse tingendo di nero filo dopo filo, in modo inesorabile. Le nubi su di loro si oscurarono, trasformandosi in nubi temporalesche cariche di pioggia e lampi.
Sam e Dean si guardarono intorno allarmati, ma un istante dopo la loro attenzione fu attirata da Castiel, che con un gesto improvviso si voltò, afferrò Samael per il collo e lo scagliò nel laghetto. Il corpo dell’angelo infranse la placida superficie dell’acqua e mentre Castiel tendeva una mano davanti a sé, questa si congelò velocemente, bloccando Samael nel laghetto.
Un istante dopo un’ondata d’aria bollente investì l’Eden, facendo gridare addolorati i quattro angeli suonatori. Le arpe presero fuoco, le colonne si riempirono di crepe e due di esse esplosero in un mare di schegge trasparenti, facendo inclinare pericolosamente gli archi che avevano sorretto fino a quel momento. Il pavimento si riempì di detriti che graffiarono la sua superficie nello stesso istante in cui i quattro angeli crollavano al suolo, tossendo sangue e afflosciando le ali bruciacchiate.
Castiel antepose una mano davanti a sé in un gesto quasi infastidito e la corrente d’aria bollente si diramò ai due lati del cancello dell’Eden. I Behemah Aqedà si dispersero, spandendo nell’aria i loro versi impauriti.
Contemporaneamente, diversi angeli comparvero al fianco di Castiel, riempiendo l’Eden di un mare d’ali luminose come stelle e altrettanto meravigliose.
-Castiel!- urlò una voce, e Balthazar subito comparve al fianco del’arcangelo. Indossava anche lui una candida veste legata in vita e le ali che dal blu sfumavano all’azzurro sembravano talmente grosse e imponenti da invadere buona parte dell’Eden stesso. I suoi occhi azzurri scrutarono spiritati l’arcangelo.
-Balthazar, scappa.- ordinò Castiel, guardandolo.
Nello stesso istante la barriera invisibile di Castiel si incrinò pericolosamente. L’arcangelo gemette e cadde in ginocchio.
-ANDATE VIA!!! È UN ORDINE!!!- gridò sofferente, e rispondendo al suo ordine tutti gli angeli scomparvero, recuperando i rispettivi Behemah Aqedà. Senza di loro, senza la lucentezza di migliaia di ali spalancate a difesa del giardino, l’Eden apparve vuoto.
I cancelli tremarono, le ali di Castiel splendettero con più vigore. L’arcangelo piantò i piedi nudi nell’erba, gonfiò i muscoli delle braccia e si rialzò faticosamente, lo sguardo deciso di chi è disposto a sacrificare ogni cosa pur di difendere la sua gente. Il vento gli scompigliò i capelli, le ali si spalancarono lentamente in tre magnifici archi luminescenti che sovrastarono gli alberi, le piante e il nero dell’erba sottostante, irradiando una potente luce argentata tutto intorno.
Castiel si guardò intorno e quando l’ultimo angelo fu scomparso, fuggito chissà dove alla ricerca della salvezza, sorrise. La luce intorno a lui diminuì e l’arcangelo stiracchiò le dita della mano sinistra mentre sul suo palmo compariva una spada lucente, talmente brillante che Dean e Sam non ne distinsero i particolari, a parte la lama fatta come di cristallo purissimo.
Castiel avanzò lentamente, i capelli scompigliati dal vento, gli occhi pervasi di luce. Le ali sbatterono, respingendo ancora il vento bollente che cercava di penetrare nell’Eden e spazzando via alberi, piante e perfino i poveri resti dei cancelli. Levò la spada con calma serafica, poi la abbassò in un taglio deciso nell’aria che culminò fin dentro l’erba bruciacchiata.
Un gigantesco cratere si allargò nel terreno, spaccando l’intero Eden in due parti identiche. La luce scaturì dallo squarcio irradiandosi fino al cielo, dove penetrò le nuvole nerastre con l’irruenza di un terremoto.
Il vento si interruppe, l’aria si riempì di polvere scura che nascose l’entrata dell’Eden alla vista. Per qualche istante cadde un silenzio carico di tensione e in quel breve lasso di tempo le ali di Castiel brillarono per respingere l’oscurità che poco a poco stava soffocando la lucentezza del Paradiso.
Qualcosa di dorato brillò nel buio, irradiando una fioca luce morente. Sam e Dean conoscevano quel bagliore, nonostante la sua inquietante debolezza.
Il polverone si diradò appena, lasciando intravedere una creatura bellissima prostrata tristemente ai piedi di qualcuno che gli conficcava le dita in un’ala, facendola tremare e sanguinare. Le ali dorate e bellissime, sei per l’esattezza, si stendevano sulla terra bruciata dell’Eden, ricoprendo di piume sporche si sangue ma ugualmente bellissime l’orribile visione di terra annerita. Quelle penne brillanti più dell’oro, anche nel dolore delle ferite che le insidiavano, riempirono il cuore e gli occhi di Sam di un dolore struggente che rischiò di spezzarlo in due.
La creatura dondolò il capo, emettendo un lungo e ininterrotto lamento sofferente che nella sua monotonia appariva come il suono più bello e triste che Sam avesse mai udito. I capelli biondi ricadevano sul viso, nascondendolo alla vista, ma quando l’arcangelo levò di poco il capo, la cortina dorata si diradò appena per lasciare intravedere un occhio verde dorato carico di bruciante decisione.
L’arcangelo affondò le dita nell’erba, digrignò i denti, tremando nello sforzo di piantare i piedi nel terreno e rialzarsi.
La cortina di nebbia continuò a diradarsi. Dell’aggressore ormai, si distingueva appena la sagoma ammantata di nero.  
Castiel non lo degnò di uno sguardo ma invece puntò gli occhi blu cobalto in quelli luminosi di suo fratello ferito. Lo vide puntare i piedi, mordersi a sangue le labbra nello sforzo di trattenere i gemiti del dolore. Ad entrambi bastò uno sguardo, un segnale silenzioso al quale i due arcangeli risposero con la sintonia di un corpo solo.
Ali dorate e ali argentate si spiegarono in tutto il loro bruciante splendore, così belle da far male. Le piume si irrigidirono, affilandosi mentre un unico riflesso brillante le attraversava come se fossero lame di coltelli. Le ali sbatterono con tanta forza che l’intero Paradiso fu scosso alle fondamenta da un piccolo terremoto.
Le costruzioni di vetro e cristallo si sbriciolarono in un mare di polvere luminosa, i cancelli dell’Eden furono spazzati via, l’ingresso andò in pezzi. Tutto il Paradiso si rivoltò come un guanto al semplice tocco della potenza combinata di due dei più potenti arcangeli in circolazione.
Una folata di vento freddo congelò ogni superficie che accarezzava, un’onda di luce si irradiò sui ghiaccioli, mandandoli in pezzi insieme a ciò che contenevano. Il Paradiso stava andando in pezzi e passo dopo passo si sgretolava sempre di più… sempre di più…
All’improvviso la luce emanata dall’arcangelo dalle ali dorate irradiò ogni angolo dell’Eden, costringendo Sam e Dean a coprirsi gli occhi per minuti interi.
Quando la luce si fu diradata, entrambi levarono le palpebre sul silenzio pacifico della loro stanza di motel. Erano tornati alla realtà.
§§§§
Sam boccheggiò, incapace di proferir parola. Sentì le gambe cedergli, ma fortunatamente in suo soccorso giunse Sindragon, che lo affiancò e gli permise di appoggiarsi alla sua groppa. Per quanto si sforzasse, non riusciva a togliersi dalla testa quella visione.
Gabriel spezzato, accasciato ai piedi di un aggressore senza volto. Gabriel che guardava Castiel con una sorta di supplica che richiedeva solo un po’ d’appoggio, un aiuto che suo fratello non gli aveva rifiutato. Gabriel ferito, sanguinante, ma tuttavia restio ad arrendersi.
Sam non lo ricordava così bello. Aveva quasi dimenticato la morbida luminosità della sua pelle, la vitalità emanata dai suoi occhi anche nei momenti più difficili come quello che avevano appena vissuto.
Quasi automaticamente, Sam si aggrappò al campanellino da gatto che portava appeso al collo, lo sguardo lontano perso nei ricordi che racchiudevano un Gabriel sorridente, felice che lo stringeva in un abbraccio carico di promesse.
“ Tornerò. ”aveva detto, e Sam ci aveva creduto, aveva aspettato, anche nei momenti più disperati. Non aveva mai dimenticato quelle parole, ma adesso che i suoi occhi si erano riempiti di quelle immagini terribili, il suo cuore parve andare in frantumi.
Dov’era Gabriel? Era vivo, stava bene?
-Cass…- mormorò Dean, rompendo il silenzio. –Che cazzo è successo? Che fine ha fatto Castiel?!-
Samael scosse il capo e si lasciò cadere sul letto. –Non lo so. Sinceramente, quando sono riuscito ad emergere dall’acqua il Paradiso era…- la voce gli morì in gola e Samael si passò una mano sul volto per trattenere una smorfia addolorata. –Ho passato mesi a cercare di contattare i miei fratelli, ma non c’è stato verso. Sembrano tutti spariti e adesso che il Paradiso è a pezzi, si sono dispersi e sono tutti troppo spaventati per reagire.-
Sindragon si impennò e appoggiò una zampa sulla spalla di Samael in un vano tentativo di conforto. L’angelo lo ringraziò con un debole cenno del capo, ma adesso che aveva ritratto le ali e diminuito l’intensità luminosa della sua pelle, Samael sembrava soltanto un giovane uomo spezzato e prossimo alle lacrime.
Sam capiva come doveva sentirsi: Samael doveva aver perso la casa e i suoi fratelli in un colpo solo e adesso si sentiva spossato, senza una meta o un modo per rimettere le cose a posto.
Colto da un moto di pietà, Sam si inginocchiò davanti a lui e gli toccò un ginocchio con gentilezza, facendogli levare uno sguardo stupito. Sam sorrise dolcemente.
-Li troveremo, Samael, fosse l’ultima cosa che facciamo. Abbiamo affrontato l’Apocalisse e ne siamo usciti vincitori; sapremo cavarcela anche adesso. Mi fido di Gabriel e degli altri… so che stanno bene e che torneranno da noi. Ce l’hanno promesso.-
Dean sorrise quasi inconsciamente davanti all’innocenza di Sam. Era incredibile come suo fratello avesse mantenuto quella fiducia dopo tutto quello che avevano passato. Sam dopotutto era fatto così: era composto di dolcezza e di speranza, e nonostante Dean fosse più grande, sentiva di avere molto da imparare da lui.
-Ha ragione.- decise infine, annuendo. Samael guardò anche lui con occhi sbarrati e per tutta risposta Dean recuperò da terra la pistola che gli era caduta e la infilò nella tasca interna del giubbotto. –Li troveremo. Fosse anche solo per prenderli a calci in culo per essere spariti, ma li troveremo.-
Samael gli indirizzò uno sguardo carico di gratitudine e infine annuì. Sindragon abbaiò felice e lo urtò dolcemente al ginocchio col muso in un silenzioso incitamento ad alzarsi. Per tutta risposta, Samael si raddrizzò e assunse un cipiglio deciso.
-Avete ragione, non serve a nulla piangersi addosso.- disse infine, senza tuttavia riuscire a dissipare una punta di stanchezza.
Sam andò a sedersi sul suo letto e intrecciò le dita con fare pensieroso senza staccare gli occhi dall’angelo. Sentiva una strana angoscia crescergli nel petto, ma non si permise di piangersi addosso: Gabriel aveva bisogno di lui e lui, Sam, l’avrebbe trovato, ovunque egli fosse. In precedenza il suo arcangelo non l’aveva abbandonato, ma adesso toccava a lui: era ora di riprendersi Gabriel, a costo di demolire quel poco che restava del Paradiso.
-Sai dirci qualche altra cosa di quello che è successo? Non hai la più pallida idea di cosa sia accaduto dopo?- chiese, ma Samael scosse il capo.
-No, temo di no. Quando sono emerso il Paradiso era… totalmente carbonizzato. Il nostro Eden, le nostre case, le nuvole… era stato cancellato tutto. Non capisco perché Gabriel e Castiel abbiano fatto una cosa del genere, né tantomeno capisco chi ci abbia attaccati.-
Dean stiracchiò la schiena. –Lo capiremo.- disse, poi fece per dirigersi verso il bagno ma la voce di Samael lo richiamò di nuovo.
-Ali.- disse, attirando l’attenzione dei due fratelli. –Quella… cosa… aveva le ali.-
-Ali? Come… quelle degli angeli?-
Samael scosse debolmente il capo e rabbrividì.
-No… quelle non erano ali come le nostre. Colavano… uno strano liquido nero ed erano pregne di oscurità. Qualunque cosa abbia fatto questo, non mi sarà possibile classificarne la razza tanto facilmente.-
Sam e Dean si scambiarono un’occhiata mentre Sindragon si lasciava andare ad un guaito affranto. Si accucciò e nascose il muso tra le zampe, chiudendo gli occhi in un’espressione preoccupata. Mugolò, in pena per la sorte del suo angelo dagli occhi blu. Sam gli accarezzò il capo con dolcezza, tentando invano di confortarlo mentre Dean si dirigeva in bagno.
Il più grande dei Winchester si chiuse la porta alle spalle, per lasciarsi poi scivolare lungo la lastra di legno con un sospiro stremato. Si passò una mano sul viso, chiudendo gli occhi e ricostruendo nella sua mente le immagini viste nei ricordi di Samael.
Ricordò Castiel, la sua magnificenza troppo grande per essere ricostruita da mente umana, il suo incedere solenne, le ali d’argento puro che lo seguivano come un’ombra lucente. Rivide i suoi occhi, riascoltò le sue parole…
“Tu dimenticheresti come si vola? Dimenticheresti come respirare o far battere il tuo cuore?”
Quasi inconsciamente, Dean sorrise. Sapere che Castiel non l’aveva mai dimenticato, sapere che aveva sempre avuto fiducia in lui, gli riempiva il cuore di orgoglio. Mai come in quel momento Dean sentì che avrebbe fatto di tutto per rivedere quel viso, accarezzarlo e sussurrargli una flebile richiesta di perdono per essersi arrabbiato inutilmente con lui.
Il cacciatore si spogliò in fretta e si infilò sotto la doccia. Appoggiò una mano sulla parete vicina, il capo chino e l’acqua che lentamente gli sfiorava il corpo in una carezza gentile. Strinse forte le palpebre e i pugni lasciando che i ricordi fluissero da lui, lasciandogli un po’ di tregua.
Dean era così impegnato a serrare le palpebre che non si accorse del flebile riflesso di ali luminose che attraversava lo specchio appeso al muro e poi spariva.
§§§§
La ragazza sfregò le mani tra loro e ci soffiò sopra, cercando di riscaldarsi. Sentiva il gelo trafiggerle le ossa e insidiarsi all’interno di ogni singola giuntura, per non parlare del viaggio: quello sì che l’aveva stremata e, come diceva Dean, dopo un’esperienza del genere non sarebbe andata in bagno per almeno una settimana.
La ragazza si passò una mano tra i capelli dorati e appoggiò stancamente la fronte al volante dell’auto, sospirando. Erano circa sei giorni che viaggiava, sei giorni spesi alla disperata ricerca dei fratelli Winchester e di Samael e ancora nessuna traccia di loro. Aveva speso tutto il suo talento di cacciatrice, aveva seguito casi su casi nella speranza di incontrarli ma fino a quel momento non ne aveva cavato un ragno dal buco: era come se fossero spariti.
La ragazza afferrò il cellulare, sul quale aveva regolato la data e l’ora una volta arrivata in città e osservò con apprensione il display luminoso:
24 ottobre. Era il 24 ottobre, dannazione!
-Cazzo… dove accidenti sono finiti quei due? Ma ci sarà un motivo per cui sono finita qui, no?! E vaffanculo!-
La ragazza si trattenne dallo scagliare un gancio destro contro il cruscotto, anche perché se lo avesse ammaccato e poi fosse riuscita a trovare i due Winchester, per lei sarebbe stato meglio espatriare.
La ragazza guardò apprensiva il borsone appoggiato sul sedile del passeggero. Lo aprì e ne estrasse una spada angelica fuori dall’ordinario: la lama era nera come la pece, ricoperta di incisioni arcane color argento e sull’elsa finemente lavorata era incastonato un unico rubino luminoso al cui interno si agitava qualcosa di lucente.
Con un sospiro, la ragazza richiuse il borsone.
Coraggio…
Le restava ancora pochissimo tempo. Doveva trovare i Winchester, parlargli, convincerli della veridicità della sua assurda storia. Si sentiva soltanto un pedone posto quasi casualmente in uno schieramento grigio, né bianco, né nero mentre intorno a lei infuriava la battaglia tra due potenti squadre avversarie. Lei era un alfiere, niente di più. Un pezzo sacrificabile e che avrebbe volentieri fatto a pezzi se fosse servito al suo scopo.
Doveva fermare la partita, qualunque essa fosse. Doveva deviare la traiettoria dei pezzi neri e salvare re e regina dello schieramento bianco. Era l’unico modo, l’unico che conoscesse.
Con un ruggito del motore, l’auto, una Chevy Impala del 67’ ripartì sgommando mentre la cacciatrice, una giovane ventiseienne di nome Mary puntava gli occhi azzurri sulla strada, risoluta a cambiare le carte in tavola di quella partita persa in partenza dallo schieramento bianco.
 
*“ Toglietevi le scarpe, poiché dove poggiate i piedi è terra Santa. ”: questa frase, detta da Samael, è in realtà una citazione delle Scritture. Quando Mosè parlò con Dio, allora manifestatosi attraverso una pianta arsa dalle fiamme ma mai consumata da quest’ultima, il Signore gli disse queste stesse identiche parole, convincendolo a sfilarsi i sandali.
**Eden: nella Genesi, l’Eden, detto anche Paradiso Terrestre, è il luogo in cui vissero Adamo ed Eva prima della cacciata da quest’ultimo. Esso era dimora di creature benefiche, tra le quali gli angeli stessi.
***Behemah Aqedà: tratti dalla storia precedente “Dal Sole e Dalla Luna Nacquero Le Ali”. Behemah Aqedà, tradotto dall’ebraico, significa letteralmente “ alleanza animale ”. Essi sono dunque degli animali prescelti da Dio stesso per affiancare gli angeli, ai quali viene affidato almeno un Behemah, che stringe con l’angelo predestinato un’affinità superiore, come se l’animale fosse una diretta espansione della sua Grazia. I Behemah sono più grandi, più intelligenti, forti e veloci rispetto agli animali terreni e sono utilissimi in battaglia. In questo caso, Sindragon, il cane sempre al seguito di Sam e Dean, è il Behemah Aqedà di Castiel.

 Angolo dell’autrice:
Eccoci dunque al secondo capitolo. In realtà ne ho già pronti altri tre, ma è meglio aspettare un po’ ad aggiornare, anche perché spesso questi angolini richiedono tempo e…
Gabriel: non è vero, sta mentendo!
Detto qualcosa, Gabe?????
Gab: cosa, io? No, chi ha parlato?
No, mi sembrava di averti sentito fiatare… ti devo ricordare perché sono costretta a scrivere col portatile appoggiato sulle gambe seduta su un WC? No, perché non sono stata certo io ad aver portato dei cazzo di Behemah Aqedà termiti in casa!
Gabe: mi facevano gli occhi dolci, non potevo abbandonarle!
Le avrei abbandonate io, mi hanno fatto a pezzi il letto! Pensavo che con le talpe avessimo toccato il fondo, ma qui siamo a un passo dal ricostruire la mandria impazzita di Jumanji!
Gabe: cosa?! In Jumanji c’è una mandria impazzita? Accidenti, devo riguardarlo! (Monta tv e lettore dvd in bagno usando una termite gigante che corre in una ruota come alimentatore)
Santo cielo… dunque, dicevamo? Ah, sì. Allora, come potete vedere potrei essere stata benissimo io a far sparire quei maledetti arcangeli considerando come mi stanno distruggendo la casa e l’autocontrollo… purtroppo però, per esigenze di copione questo grato compito è spettato a qualcun altro. Allora, vi è piaciuto come ho illustrato una parte del Paradiso e gli angioletti, Castiel compreso? Altrimenti come li immaginereste voi? ^___^ be’, che dire? L’entrata in scena della… ehm, piccola… Mary ha le sue motivazioni, ma per ora non vi anticipo niente. Diciamo che ero un po’ troppo affezionata ai personaggi per abbandonarli completamente quindi sì, anche Mary avrà la sua parte.
Detto ciò, spero di ricevere i vostri commenti, un piccolo attimo speso a lasciare una recensione aiuterebbe il proseguimento della storia e anche la mia autostima che sinceramente da diversi anni ho sotto le scarpe.
 Ora, spazio ai ringraziamenti dei miei angioletti recensori!

itanaruforever: ed ecco a te un nuovo capitolo con tanto di sinceri ringraziamenti per il commento che hai lasciato! Sono felice che la storia precedente ti sia piaciuta, perciò spero di non deluderti con questo seguito! Grazie ancora e spero di leggere ancora il tuo parere! A prestissimo!
kimi o aishiteru: e già, Sam e Dean si sentono persi senza i loro angioletti, ma dovranno lottare parecchio per riaverli indietro. Finalmente, almeno in parte, si è chiarito cosa è successo ai nostri angeli, anche se c’è ancora un velo di mistero (Un velo? UN VELO??? Non si capisce niente, si sa solo che come al solito sei dedita al mattatoio angelico! Ma dico io, vai a fare la macellaia! Nd Gabriel). Be’ sono quasi certa che saprò sorprendervi riguardo la vera identità del colpevole ma non anticipo niente. Ora, ti ringrazio di cuore e ti abbraccio virtualmente per il tuo bellissimo commento. Grazie all’appoggio di tutti voi mi convinco ogni volta ad aggiornare e… grazie… grazie davvero.
Shiva_: oddio, ti piace davvero come scrivo? Io mi vedo terribile, infatti i miei scritti non li rileggo mai altrimenti cancello tutto… comunque la tua recensione mi ha emozionato davvero, mi hai fatto dei complimenti bellissimi e sono più che felice che questi scritti ti piacciano! Farò di tutto per non deluderti ma intanto mi limito a ringraziarti e abbracciarti virtualmente per le bellissime parole che mi hai rivolto! Graziegraziegrazie!!
xena89: sarai un’ombra fantastica, allora! Eheh, i tuoi angeli sono in pessime mani, puoi aspettarti di tutto, perciò cominciate a tremare, umani! Muahahahahah!!! E poi la dedica te la meritavi, sei sempre stata gentile in tutte le tue bellissime recensioni e mi hai sempre fatto sorridere. Perciò grazie a te per tutto e per la pazienza che dimostri ogni volta che leggi e recensisci. Grazie ^^
Tomi Dark Angel
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 3
*** La Realtà Nei Sogni ***


-Ricordami perché siamo qui.- sibilò Dean, accelerando sensibilmente davanti al cartello che indicava il loro ingresso nella cittadina di Iowa.
-Perché due persone sono state trovate senza cuore.- rispose Sam pazientemente.
-E ricordami perché abbiamo mister tutto piume steso sui sedili posteriori della mia bambina…-
Sam lanciò un’occhiata a Samael, stravaccato comodamente sui sedili posteriori dell’Impala intento a risolvere tranquillamente l’ennesimo cruciverba.
Ormai i due fratelli avevano capito che se non tenuto a bada da qualche gioco strizzacervelli, l’angelo era capace di dare i numeri e rompere le scatole fino all’esaurimento nervoso di uno dei Winchester. Sam si era già trovato a dover disarmare Dean quando nel motel aveva cercato di sparare all’angelo dopo che questi aveva cominciato a insultare in modo petulante tutti i loro metodi da cacciatori. Per non parlare di quando erano entrati in macchina, poi: Sam non aveva bisogno di chiedersi perché mai Sindragon gli fosse saltato in braccio e si rifiutasse caparbiamente di tornare dietro, considerando che se l’avesse fatto sarebbe finito tra l’incudine e il martello, ossia tra Dean e Samael che più di una volta avevano tentato di suonarsele di santa ragione.
-Mmm… esce senza avvertire…- lesse Samael ad alta voce. Inarcò un sopracciglio. –Chi esce senza avvertire?-
-Tu da quest’auto se non chiudi quella cazzo di bocca! Ma voi angeli non eravate soliti usare il vostro Angel Express per spostarvi da un posto all’altro?!- si esasperò Dean, che evidentemente quel mattino si era alzato con la luna di traverso.
-Non da quando l’angelo qui presente si annoierebbe ad aspettarvi per ore davanti a un motel di basso livello. Questa carretta è troppo len…-
Dean inchiodò con tanta foga che Sindragon finì di peso contro il cruscotto e cadde, restando incastrato tra le ginocchia di Sam e il suddetto cruscotto. Si agitò nello spazio ristretto, guaendo mentre Sam lottava col braccio di Dean che cercava di puntare la pistola verso la fronte di Samael.
-Lo ammazzo!!! Giuro che lo ammazzo, nessuno insulta la mia Baby!-
-Dean, calmati!-
-Mai!!! Finché non gli avrò chiuso le palle nella portiera non mi sentirò soddisfatto!!!-
Il viaggio procedette nel caos totale. Di tanto in tanto Samael faceva qualche considerazione scomoda e Dean andava in bestia. In particolare l’angelo criticava l’Impala, consapevole che quello fosse il modo più veloce per far partire un embolo a Dean. La naturale conseguenza fu che il cacciatore decise di guidare con la pistola in mano, a costo di fare un incidente per l’evidente difficoltà che provava nel cambiare marcia con un’arma in mano.
Da parte sua, Sam non sapeva se ridere o disperarsi: Sindragon si era ormai aggrappato a lui con gli artigli per combattere i continui sbandamenti dell’auto ogni volta che Dean e Samael litigavano, senza tuttavia riuscire ad evitarsi qualche testata contro il finestrino. Il cane sembrava ormai in procinto di vomitare e Sam non si era mai sentito più solidale con quella povera bestia.
Raggiunsero il motel all’alba, tutti e quattro totalmente stremati. Quando uscirono dall’auto Sindragon vomitò sul marciapiede tutto quello che aveva mangiato negli ultimi mesi e Sam dovette aggrapparsi alla portiera e concentrarsi su qualcos’altro per non seguirlo subito dopo. Dean aveva l’aria che avrebbe avuto un serial killer in procinto di fare a pezzi la sua vittima e la suddetta vittima, ossia Samael, ostentava un’aria rilassata che faceva a pugni con quella esaurita del cacciatore.
I due scesero dalla macchina discutendo animatamente e insultandosi a vicenda. Quello fu davvero il colmo per Sam.
Il “ piccolo ” Winchester afferrò la testa di Samael e la sbatté violentemente contro il muro vicino, ammaccandolo e strappò la pistola di mano a Dean. Il suo volto era una maschera di gelida furia che zittì all’istante i due litiganti.
-Se vi sento parlare un’altra volta giuro su quanto ho di più caro che vi lego insieme e vi chiudo in una gabbia da combattimenti per cani, così vi scannate senza rompere i coglioni al prossimo! Se continuate così, a furia di ascoltarvi Sindragon diventerà un pitbull e io un demone! Dio non voglia che sia così, perché vorrei diventarlo semplicemente per farvi a pezzi con le mie mani e darvi fuoco, perciò chiudete quella cazzo di bocca! Se sento volare una mosca, Dean, ti rigo la carrozzeria dell’Impala e tu, Samael, passerai il resto della vita in un cerchio di fuoco santo!-
Sam li oltrepassò, intascando la pistola. Dean e Samael si guardarono e deglutirono mentre anche Sindragon se ne andava sdegnato per sedersi davanti alle porte del motel come faceva sempre quando i due Winchester contrattavano grosse somme extra con i proprietari dei motel per lasciar entrare il cane.
Sam raggiunse il bancone, dove una graziosa ragazza col caschetto cercò di sorridere senza risultato: era evidente che il nervosismo di Sam traspariva dalla sua faccia e che la cosa la inquietasse parecchio, perciò il ragazzo cercò di calmarsi.
-Salve.- salutò, ritrovando il suo solito sorriso intriso di dolcezza. –Vorremmo prenotare… tre singole, se non le dispiace.-
-Ma certo…-
-È un problema la presenza del cane? Non disturba ed è un animale molto pulito.-
La ragazza lanciò un’occhiata a Sindragon che ricambiò lo sguardo attraverso il vetro della porta d’accesso. Guaì e si accucciò, come a voler confermare che non avrebbe infastidito nessuno.
-Be’, solitamente… solitamente non facciamo entrare animali, ma penso che stavolta si possa fare un’eccezione.- confermò lei, sorridendo. I suoi occhi verdi incrociarono quelli di Sam e gli lanciarono uno sguardo di apprezzamento che lui ignorò. –Stanze numero 11, 12 e 13, primo piano. Paga con la Visa?-
§§§§
Per i mesi a venire, Sam, Dean, Samael e Sindragon cacciarono insieme. Non che l’angelo si rivelasse particolarmente utile alle cacce, visto che passava gran parte del suo tempo alla ricerca dei fratelli dispersi, ma su questo neanche Dean riusciva a dargli torto. Lo capiva, anche se non lo avrebbe mai ammesso, e poi anche lui stava facendo il possibile per rintracciare Castiel.
Le provarono tutte: torturarono demoni, scavarono in migliaia di biblioteche alla ricerca di probabili risposte o indizi, ma degli angeli non vi era più traccia. Sembravano tutti scomparsi nel nulla.
-Dovresti riposare, Sammy. Hai un aspetto terribile.- ammise Dean, guardando il fratello stiracchiarsi sulla sedia posta vicino alla scrivania della stanza di motel nel quale si erano recati. Il cacciatore esibiva un bel paio di occhiaie violacee, frutto di almeno tre notti insonni trascorse a scavare tra libri e siti internet e la faccia stravolta di chi ha bisogno di un caffè ogni ora per riuscire a stare in piedi.
-Grazie mille, Dean. Tu sì che sai come tenere alto il morale…-
-Se ti serviva qualcuno che ti confortasse, Rose, sarebbe stato meglio per te recarti dal tuo Jack. Peccato che io non lo sia, ma sai, ci tengo a dire la verità.-
Sam avrebbe voluto rispondere che il suo Jack era chissà dove, probabilmente incatenato a delle colonne spezzate in mezzo al nulla in compagnia di un vecchietto che lo pregava di arrendersi. Quel pensiero gli rivoltò lo stomaco, contorcendoglielo al punto che Sam scattò in piedi con una mano premuta sulla bocca e si fiondò in bagno a vomitare nel vano tentativo di esorcizzare lo stress.
-Devo confortarti anche ora?- disse Dean, cacciando la testa nel bagno. Per tutta risposta, tra un conato e l’altro, Sam gli mostrò il dito medio. Dean sorrise appena, troppo preoccupato per lasciarsi andare ad una vera e propria risata.
In quegli ultimi giorni Sam sembrava essersi consumato: non mangiava molto, non usciva dalla sua stanza di motel e passava le notti a fare ricerche. Non che Dean si sentisse in grado di fargli la predica, considerando che anche lui non dormiva molto e mangiava poco e niente, ma il suo stato attuale non era minimamente paragonabile a quello degradato del fratello che a stento si reggeva in piedi.
-Ehi, scimmiette.- salutò Samael, magicamente comparso alle loro spalle in compagnia di Sindragon. Il cane salutò Dean urtandogli la mano col muso, poi corse da Sam che intanto si era accasciato lungo il muro con una mano premuta sulla bocca e gli leccò una guancia. Il cacciatore sorrise debolmente.
-Quando avrete finito di incartapecorirvi nelle vostre menti che sanno pensare sempre e soltanto al peggio, credo che dobbiate venire con me.- disse Samael, avvicinandosi a Sam e toccandogli una spalla. All’istante il cacciatore trasse un lungo respiro rilassato mentre le fatiche degli ultimi tre giorni venivano cancellate dal suo corpo. Si alzò in piedi.
-Cosa hai scoperto?-
-Che puzzi di vomito. Datti una lavata, mi rifiuto di usare i miei poteri per ripulirti la bocca. Fallo e poi parliamo.-
Quando Sam uscì dal bagno con addosso solo un asciugamano legata in vita e le labbra appena sporche di dentifricio, Samael gli lanciò un’occhiata che avrebbe messo in imbarazzo una pornostar.
-Sai, comincio a capire perché Gabriel ti abbia adottato come suo personale cucciolo. Complimenti a mamma e papà.-
Dean sbuffò. –Fai meno il coglione e parla. Che hai scoperto?-
Samael respirò profondamente, con lentezza, quasi a volerli esasperare. Chiuse gli occhi, si passò una mano nei capelli prima di tornare a squadrare i due fratelli.
-Le Colonne di Ercole.- disse soltanto.
All’udire quel nome, Sam rabbrividì. Colonne. Samael aveva nominato delle colonne, esattamente come quelle che aveva sognato.
-Cosa… cosa sono?- domandò lentamente, pur insicuro di voler sapere la risposta. Samael accavallò le gambe.
-Considerando che Gabriel e Castiel sono stati portati via, non uccisi, altrimenti avrei trovato i loro corpi in Paradiso, ho cominciato a fare una cernita di tutti i posti che avrebbero potuto imprigionare a dovere un arcangelo. Come ben saprete, non sono molti, considerando che l’arcangelo è forse una delle più potenti creature che abbiano mai popolato l’universo. Aggiungiamoci il fatto che Castiel è anche più potente di Gabriel, e il campo si restringe ancora.
-Ho visitato tutti i luoghi designati, ho scavato nelle nozioni più antiche del Paradiso, ma finora non sono riuscito a trovarli. A questo punto, resta un solo luogo capace di intrappolare a dovere un arcangelo: le Colonne di Ercole. Sicuramente ne avrete sentito parlare.-
Sam annuì. –Si diceva che queste due colonne designassero la fine del mondo e della sapienza. Sono presenti nella mitologia anche in una delle dodici fatiche di Ercole e… se non sbaglio, la gente le colloca o nello stretto di Gibilterra o in quello di Messina.-
-Nerd.- sbottò Dean, ricevendone un’occhiata irritata da parte del fratello. –Che c’è?! È vero!-
Samael ignorò l’ultima parte del discorso e annuì. –Hai ragione, si trovano nello stretto di Messina… soltanto, non esattamente in superficie.-
-Cosa? Sono… sott’acqua?-
-No.- Samael scosse lentamente il capo. –Sono vicino al nucleo terrestre.-
Cadde un silenzio attonito, rotto solo dai bassi mugolii di Sindragon. Sam si pettinò i capelli all’indietro, respirando lentamente per calmarsi. Le Colonne si trovavano al centro della Terra. Dovevano scendere… molto in basso per trovare Gabriel e Castiel, ammesso che fossero lì.
-Sei certo che siano lì?- chiese Dean, esprimendo ad alta voce i dubbi del fratello. Samael lo guardò con una punta di stizza.
-No, scimmia che non sei altro, ma dove potrebbero essere altrimenti? Sindragon non avverte la presenza di Castiel da nessuna parte, ed è il suo Behemah! Se non ci riesce lui vuol dire che il nostro arcangelo è sigillato per benino e in un posto che possa neutralizzare i suoi contatti con l’esterno! Le Colonne sono l’unico posto che possa…-
-C’è anche un vecchio lì sotto?-
Samael e Dean si voltarono a guardare Sam, stupiti. Il cacciatore aveva il capo chino e gli occhi fissi sulle sue stesse dita intrecciate tra loro, le labbra strette di chi si pente di ciò che ha detto.
Samael si alzò lentamente in piedi e con lui Sindragon, che improvvisamente aveva drizzato le orecchie. –Come lo sai?- chiese l’angelo con voce incerta. Sam tentennò.
-Io… l’ho sognato, credo, ma ho… sì, ho pensato che fosse… solo un sogno e nient’altro…-
-Sammy, hai sognato Gabriel e Castiel?!- esclamò Dean, scattando in piedi a sua volta. –E cosa cazzo aspettavi a dircelo? Dannazione, le altre volte che hai sognato hai sempre avuto ragione e me l’hai sempre detto, perciò perché…-
-Castiel non c’era. Era… solo Gabriel, ma spero di sbagliarmi. Lui non… stava bene.- biascicò Sam con voce rotta, ripensando alle condizioni pietose di quel corpo i cui polsi incatenati lo costringevano in una posizione di martirio. Ricordò il silenzio di Gabriel, il capo abbandonato sul petto e il respiro lento di chi sopravvive solo perché deve.
Il viso di Dean si contrasse per qualche istante in una smorfia addolorata prima che il cacciatore riprendesse possesso delle sue facoltà fisiche. Cass non era lì, alle Colonne di Ercole. O almeno, Sam non l’aveva visto. C’era una vaga possibilità che l’angelo fosse tenuto prigioniero nelle vicinanze, magari a poca distanza da dove si trovava Gabriel?
-Cosa hai visto?!- si alterò Samael e Sam lo guardò con l’aria di un cane bastonato.
-Solo… solo un vecchio che gli puliva la faccia dal sangue e gli chiedeva di arrendersi. Qualcuno l’aveva… torturato, ma Gabriel non rispondeva. Aveva i polsi incatenati a due colonne laterali.-
Il corpo di Samael tremò visibilmente, ma Sam non seppe dire se per l’emozione o per la sofferenza dell’immaginare Gabriel torturato. I suoi occhi eterocromi splendettero di un barlume di speranza mentre con calma calcolata, quasi come se avesse paura di spaventare Sam, Samael si inginocchiava davanti a lui. Gli prese il viso tra le mani e lo costrinse a sollevarlo.
I loro occhi si incontrarono in un miscuglio di colori cangianti ed emozioni mutevoli. Samael lo fissò con gratitudine, lo sguardo quasi ridente che per qualche istante rinfrancò il cuore di Sam.
-Eri tu… per tutto questo tempo ho cercato una traccia che mi conducesse a Castiel, troppo preoccupato per lui, per quello che poteva essergli accaduto… ma non ho pensato alla cosa più ovvia da fare per trovare almeno uno degli arcangeli: cercare Gabriel, e per tutto questo tempo… il suo legame col mondo eri tu… - mormorò con voce rotta, gli occhi improvvisamente lucidi di pianto. Fissò Sam con emozione, poi il suo viso si distese in un morbido sorriso. –Riusciresti a tornare lì? Riusciresti ad addormentarti pensando intensamente a Gabriel e a dove vorresti andare? Abbiamo bisogno di capire se è veramente lui e se si trova davvero lì. Devi parlarci, Sam.-
Sam si agitò. Sentiva il peso del fato degli angeli gravare su di lui, schiacciarlo. Una volta si era fatto carico della fine dell’Apocalisse, ma questa volta era diverso. Questa volta… era una faccenda personale. Se lui sbagliava, sarebbe stato Gabriel a pagarne le conseguenze, e forse Castiel con lui.
-Non so se…-
-Sammy.-
Sam guardò Dean, il quale ricambiò l’occhiata con la sua solita calma serafica, ignorando Samael. –Se non te la senti non devi farlo. Dipende da te, è una tua scelta. Se sarà necessario troveremo un altro modo per riprenderci quei coglioni piumati, non devi sentirti obbligato a fare qualcosa che non vuoi.-
Dean sorrise leggermente, facendo risaltare l’aspetto trasandato che si portava dietro da quasi un mese. Ogni giorno Dean lo viveva nel terrore di aver perso la persona a lui più preziosa insieme a Sam e Bobby. Ogni giorno Dean lottava, andava avanti e si ripeteva come un mantra che c’era ancora una speranza, che Castiel era vivo e lo stava aspettando. Era in quei momenti di puro terrore che Dean chiudeva gli occhi e si rifaceva al ricordo di Samael dove una creatura splendida levava gli occhi blu zaffiro da un laghetto per posarli sul fratello. Era in quei momenti che Dean ascoltava la sua voce deliziosa, aggrappandosi alla forza dei ricordi.
Lo avrebbe riportato indietro, costi quel che costi. Voleva crederci, doveva crederci.
Sam lesse tutto questo nello sguardo del fratello e infine capì di trovarsi nella stessa situazione di Dean. Entrambi volevano le stesse cose e qualunque fosse il rischio, lo avrebbero affrontato perché Gabriel e Castiel avevano scatenato una guerra per proteggerli, perché quei due arcangeli c’erano sempre stati. Adesso era il loro turno. Erano uomini, e con le forze degli uomini avrebbero combattuto.
-Andrò.- decise infine Sam. Guardò Samael con occhi intrisi di bruciante decisione e gli afferrò un polso. –Fammi addormentare.-
-Sei sicuro?- chiese Dean, guadagnandosi un’occhiata infastidita dall’angelo. Sam annuì, sorridendo.
-Se dovesse accadere qualcosa, sono certo che mi riporterai indietro.-
Dean ricambiò il sorriso e infine annuì. –Sempre.-
Samael inspirò a fondo e appoggiò due dita sulla fronte di Sam, facendolo rabbrividire. –Concentrati, ragazzo.- ordinò con voce ferma.
Sam chiuse gli occhi, concentrando ogni neurone del suo cervello su Gabriel, sul suo viso, sulla sua voce, sulle sue bellissime ali. Voleva rivederlo a tutti i costi, aveva bisogno di lui…
Il corpo di Sam si accasciò con fare quasi aggraziato contro quello di Samael. La sua fronte si appoggiò alla spalla dell’angelo, gli occhi si chiusero e in pochi istanti, Sam sprofondò nell’oblio dei sogni…
§§§§
Quando Sam spalancò gli occhi sul nero vuoto che lo attorniava, si sentì sprofondare. Non aveva pensato abbastanza intensamente a Gabriel? Non aveva desiderato abbastanza di rivederlo? No, non era possibile.
Lentamente, Sam si alzò in piedi, barcollando per lo stordimento. Si guardò intorno più volte, ma il buio era oppressivo come un telo nero calato improvvisamente davanti ai suoi occhi con lo scopo di mandarlo nel panico. Indietreggiò.
-G… Gabriel!- urlò allora, aggrappandosi alla forza di quel nome per non farsi prendere dal panico. –Gabriel!!!-
All’improvviso qualcosa nell’oscurità guaì, facendo trasalire Sam.
-Gabriel?-
Altro guaito, altra bassa risposta. Non era Gabriel, ma c’era un animale ferito nei dintorni.
Cautamente, Sam mosse un passo e nell’istante in cui il suo piede toccò un pavimento fino ad allora invisibile, l’oscurità si diradò lentamente, sollevandosi verso l’alto come una cappa di nebbia volta a coprire il soffitto, ammesso che il soffitto ci fosse davvero. All’istante, Sam riconobbe la pedana sottostante, il pavimento di pietra visibile solo come un grosso cerchio marmoreo dal diametro gigantesco sospeso nel vuoto. E lì, accasciata su quella stessa pietra gelida, c’era una volpe.
Sam la raggiunse quasi correndo e si inginocchiò al suo fianco. La creatura, grande poco meno di un metro e mezzo al garrese, aveva il pelo lungo, color dell’oro, con una spruzzata di nero tra gli occhi e sul muso e la pancia, il collo e la punta della coda bianchi. Arrecava ferite in più punti e tremava di freddo e di paura. Appena levò gli occhi su di lui, Sam sentì il sangue gelarsi.
Gli occhi della volpe erano di un inconfondibile verde dorato. Sam riconobbe quello sguardo perché lo paragonò alla somiglianza dello sguardo di Sindragon con quello di Castiel. Anche loro avevano lo stesso colore di occhi e quasi la stessa espressività. In più, la straordinaria bellezza e le dimensioni della volpe confermavano l’ipotesi di Sam: quella volpe era il Behemah Aqedà di Gabriel.
-Tranquilla… tranquilla, non ti faccio niente.- mormorò Sam, accarezzando il morbido pelo insanguinato dell’animale, che per tutta risposta guaì ancora. Tremò nello sforzo di provare ad alzarsi, ma Sam la spinse nuovamente giù. –Sta ferma… ti porteremo via da qui, te lo prometto…-
Allora la volpe voltò il capo verso un punto della pedana e all’istante un leggero barlume di luce illuminò una piattaforma che conduceva a un rialzo di pietra dove due colonne spezzate incatenavano un prigioniero ferito, forse svenuto, con la pelle e i capelli coperti di sangue.
-No…-
Sam spiccò una corsa verso Gabriel, attraversando la piattaforma e poi la pedana in pochi istanti che però gli parvero un’eternità. Aggirò le colonne e si portò finalmente davanti al prigioniero. Gli prese il viso con mani tremanti e finalmente lo sollevò.
Avrebbe voluto non averlo mai fatto.
Il bellissimo volto di Gabriel era ricoperto di ferite e sangue, ma ciò che fece rabbrividire Sam furono i due tagli obliqui, uno per parte, che attraversavano le palpebre chiuse dell’angelo. I capelli gli cadevano sudici ai lati del viso e il torace muscoloso presentava ferite di ogni genere, ma anche in quello stato, Gabriel era bellissimo.
-Gabriel…- mormorò Sam con voce tremante mentre un’unica lacrima gli rigava il volto. Quella piccola goccia scivolò lungo il mento e infine si staccò dalla sua pelle per schiantarsi al suono con un rumore cristallino che fece finalmente reagire Gabriel.
L’arcangelo levò lentamente il capo, gli occhi chiusi che tuttavia non gli impedirono di avvertire la presenza di Sam, del suo Sam. Dopo poco più di un anno di sofferenza, torture e grida, finalmente gli parve di tornare libero, anche se per pochi istanti. Si sentì rinascere al suono di quella voce adesso così reale, così… viva.
Gabriel mosse appena le mani, scuotendo le catene. Lottò contro il desiderio di abbracciarlo forte, di sfiorargli il corpo con le ali, ammesso che le ali ce le avesse ancora, ma quelle maledette catene glielo impedivano. Gabriel provò l’impulso di piangere, di disperarsi per la situazione di impotenza nella quale era costretto, ma si rifiutò di mostrarsi debole agli occhi del suo Sam.
Voleva toccarlo, ma era immobilizzato.
Voleva vederlo, ma gli occhi forse gli erano stati strappati via.
Si sentiva totalmente inutile, eppure non riuscì a non sentirsi felice al suono armonioso del campanellino appeso al collo di Sam. Era un rumore così bello, così puro e immacolato che Gabriel sentì la sua Grazia ravvivarsi come un fuoco che ardeva.
-Gabriel…- mormorò ancora Sam, pulendogli il viso con un lembo della manica della camicia da boscaiolo che indossava. Gabriel sentì il suo profumo invaderlo e inspirò a fondo, beandosi di quella benedizione.
C’era ancora speranza, là fuori. C’era il suo Sam che lo cercava.
Fu allora che Sam gli circondò il collo con le braccia e gli appoggiò il viso insanguinato contro il petto. Chiuse gli occhi, chinando la testa a sua volta verso la chioma un tempo bionda che adesso presentava soltanto sangue e sudiciume. Era un incastro di corpi nati per accostarsi, unirsi, completarsi.
Quel contatto faceva respirare Gabriel.
Quel contatto faceva rinascere Sam.
-Mi dispiace…- singhiozzò il cacciatore, lasciandosi finalmente andare alle paure e al dolore di quelle ultime settimane.
Credeva di averlo perso per sempre.
Credeva di non potergli più dire quanto lo amasse.
Credeva di essere stato dimenticato.
-Mi dispiace, Gabriel… non volevo… non volevo che ti accadesse tutto questo. Dovevo esserci, dovevo proteggerti, accorgermi che qualcosa non andava, ma…-
Gabriel scosse la testa e, levato finalmente il capo, sorrise debolmente. Non parlava, ma non poteva permettere che Sam si prendesse la colpa di quello che era successo e che ancora stava succedendo. A lui andava bene così, a lui bastava aver avvertito la sua presenza ancora una volta. Sentirlo vicino fu come tornare a respirare, e Gabriel non poteva sentirsi meglio di così.
Allora Sam gli prese il volto tra le mani con delicatezza, come se avesse paura di romperlo e, levatolo leggermente, si chinò a baciarne le labbra insanguinate, screpolate, ferite. In tutto il loro dolore, la loro morbidezza non era cambiata.
Per Sam e Gabriel fu come abbeverarsi dopo un lungo periodo di aridità. Sentire le loro lingue che si lambivano, le morbide carezze di labbra contro labbra, il sapore quasi dimenticato del compagno. Era il paradiso dentro l’inferno, ma a entrambi non importava: in quel momento erano completi, perfetti come due pezzi di puzzle che si incastravano tra loro. Si sentivano vivi, e il flebile suono del campanellino che accompagnava ogni movimento di Sam ne era la conferma.
Il cacciatore accarezzò il collo di Gabriel, sporcandosi le mani di sangue, ma non gli importò. L’unica cosa che contava per lui era sentirlo, toccare la sua pelle e richiamarla al calore di una rinascita. Era tutto così familiare, a cominciare dal profumo di dolci dell’arcangelo a finire dal sapore altrettanto zuccherato che gli impregnava la bocca.
-Ancora qui, ragazzo?-
Sam si separò bruscamente da Gabriel e si voltò, anteponendosi al suo arcangelo. Fu allora che vide il vecchio avanzare, trascinandosi dietro lo strascico della candida veste che indossava.
-Non si avvicini…- sibilò Sam, facendosi più vicino al corpo immobilizzato dell’arcangelo. Le catene alle sue spalle tintinnarono.
-Altrimenti?- sorrise il vecchio con dolcezza, continuando ad avanzare. –Suvvia ragazzo, sono vecchio ma ho abbastanza forze per metterti al tappeto. Tuttavia non è questo che voglio.-
Il vecchio porse a Sam una pezzuola inumidita, sorridendo amabilmente. Sam la guardò per qualche istante prima di capire cosa volesse il vecchio da lui e la prese con cautela, voltandosi per accostarla al viso di Gabriel. L’arcangelo aveva chinato il capo e respirava appena: era svenuto.
-Cosa gli avete fatto? Come si può far del male… a un angelo?- mormorò Sam, pieno di rancore. Si voltò nuovamente verso il vecchio, il viso stravolto dalla rabbia. –Non lo meritava! Gabriel è quanto di più buono esista al mondo e voi l’avete torturato!-
-Io non ho fatto nulla, ragazzo.- mormorò allora il vecchio con un sospiro. –Io sto solo cercando di aiutarlo, ma Gabriel non cederà mai.-
Il vecchio avanzò trascinando i piedi e accarezzò il volto esangue di Gabriel con la tenerezza di un padre. –Sono vecchio, Samuel Winchester, vecchio e stanco. In tanti anni di vita ho visto veramente tanto, ma niente poteva prepararmi a questo. Un arcangelo spezzato, torturato, che tuttavia in tutta la sua arroganza non si smentisce mai. Non ha voluto confessare dove fossero i suoi fratelli, pur sapendo che a breve il suo aguzzino gli toglierà la vita.
-L’ho sentito urlare e l’ho visto contorcersi, ma non ha mai mollato o chiesto pietà. Più volte ha detto il tuo nome, e in quei momenti… Santo Cielo, non avrei mai creduto possibile che si potesse sorridere in quel modo al suono di una semplice parola. Lo torturavano, ma lui ti chiamava e sorrideva perché sapeva che eri vivo, che esistevi veramente. Ragazzo mio, credo di aver visto abbastanza.-
Un rombo tonante scosse le tenebre, allarmando Sam e facendogli levare lo sguardo verso la cappa nera che cominciava ad agitarsi intorno a loro.
-Oh, se ne è accorto? Ci ha messo tempo però…- disse allora il vecchio, sorridendo. Sembrava quasi che stesse parlando del tempo.
Sam indietreggiò fino a portarsi a pochi millimetri dal corpo di Gabriel. Gli strinse una mano inanimata, pronto a combattere per difenderlo. All’improvviso però, il vecchio schioccò le dita e con uno schianto poderoso, le catene che imprigionavano Gabriel si spezzarono.
L’arcangelo cadde tra le braccia di Sam con un gemito, ascoltando lo scricchiolio delle ossa che accompagnavano ogni suo movimento.
-Ma cosa…- chiese Sam, ma il vecchio gli aveva già voltato le spalle e tendeva una mano verso l’oscurità che avanzava.
-Andate.- disse soltanto mentre una sfera di luce si compattava davanti al suo palmo, ingrandendosi a poco a poco. Quella lucentezza lottò contro le tenebre, allargandosi a formare uno scudo che impediva all’oscurità di avanzare ancora.
Sam barcollò sotto il peso di Gabriel e lo prese in braccio, ringraziando la bassa statura dell’arcangelo. Cominciò a correre lungo la pedana, ignorando i contorni di quest’ultima che poco a poco si sgretolavano.
Non ti fermare, continua a correre!
Sam accelerò il passo, saltando quasi fortunatamente un piccolo pezzo mancante della pedana. Procedette a slalom tra i pezzi di pietra che cadevano uno dopo l’altro, sgretolandosi e poi precipitando nel vuoto.
La volpe distesa al centro della pedana si alzò in piedi con un guaito sofferente e zoppicò verso di lui. Il pavimento continuò a cedere… si sgretolava sempre di più, consumandosi in un mare di cenere…
Sam saltò l’ennesimo pezzo mancante e per poco non perse l’equilibrio, cadendo nel vuoto. Si fece forza e, appellandosi alle ultime forze rimaste, si lanciò verso la volpe proprio mentre il pavimento sotto di loro cedeva di schianto.
Sam toccò la zampa dell’animale e urlò disperato mentre una forza estranea li trascinava nel vuoto giù… sempre più giù…
All’improvviso la luce, un bagliore dorato talmente possente da ferire le tenebre circostanti come animali bastonati. Un calore morbido misto al profumo di dolci e di fiori selvatici si espansero nell’aria, sostituendosi all’umidità e al puzzo di sangue e pelle bruciata.
Qualcosa di enorme si allargò sopra le loro teste come una cupola dalla bellezza accecante. Sam avrebbe riconosciuto ovunque quel bagliore dorato, cangiante e bellissimo.
Sei ali gigantesche si stiracchiarono all’aria, distendendosi nella tetra oscurità che per qualche istante le attorniò prima che un bagliore più forte dei precedenti rischiarasse a giorno l’ambiente circostante. Le piume dorate, bellissime, gloriose come solo quelle di un angelo potevano essere ondeggiarono morbide al vento, riflettendo tutto intorno un mare di riflessi cangianti, luminosi, vivi.
Ogni penna, ogni più piccolo anfratto di quelle ali talmente belle da far male si esaltò glorioso, avvolto nella sua morbida luce dorata mentre le ali sbattevano un’unica volta, scuotendo la terra dalle fondamenta e levando in aria il corpo martoriato che adesso stringeva Sam e la piccola volpe con una presa salda.
Gabriel aveva ancora gli occhi chiusi e sanguinanti, ma ciò non cancellò la pericolosa freddezza della sua espressione. Sembrava una statua bellissima, fiera e giudiziosa con i capelli biondi che si agitavano intorno al viso e il corpo teso nello sforzo di non crollare.
Con un altro battito d’ali, Gabriel mandò in pezzi il sogno di Sam, che si sgretolò in migliaia di frammenti come la pedana che era venuta a mancare sotto i loro piedi.

 
Angolo dell’autrice:
Va bene, non picchiatemi, ma sapete bene che sono una grande fan dei massacratori di angeli XD poverini, poi mi lamento che chiedano un aumento…
Gabriel: guarda che ti ho sentito! Adesso quell’aumento lo voglio!
Zitto tu, che ti fai pagare in dolci!
Gabriel: appunto! E adesso spiegami perché i MIEI DOLCI sono spariti tutti!
Perché hai riprodotto uno zoo di Behemah in casa mia! Non dovevi guardare Jumanji, chi ti ha messo in testa di riprodurre una mandria qui dentro?! E togli quello struzzo dal mio armadio, ha picchiato contro le ante per tutta la notte!
Gab: no, quello era il pinguino nel cesso…
Ecco perché la mia vasca da bagno era inagibile! Io pensavo che Sam si stesse facendo la doccia!
Gab: da due giorni?
Ma hai visto i suoi capelli? È a un passo dal fare il testimonial della Pantene, hai idea di quanta manutenzione gli serva per tenerli così?!
Gab: ehm… non penso che lo farà, non dopo essersi svegliato con un nido di poiane in testa…
Povero ragazzo… se ti lascia, fa bene! E se le fan ti picchiano, fanno bene anche loro! Anzi, le aiuto!!!
Coff coff, dicevamo? Be’, che dire? Questo capitolo è stato particolarmente faticoso, ma non posso lamentarmi, già è tanto che siate arrivati fin qui a leggere XD spazio ai ringraziamenti dei miei angioletti recensori più belli!

Blacasi: ma che dici, ti sono grata io per le recensioni che lasci! Comunque diciamo che il seguito ho iniziato a scriverlo subito dopo aver pubblicato l’ultimo capitolo della storia precedente e devo dire che non è stato difficile trovare l’idea per un continuo ^^ sono felice che la stiate apprezzando, ho sempre terrore di scrivere qualche cavolata mastodontica… se Dean non vede Cass per diciotto anni gli parte un embolo e inizia ad ammazzare chiunque gli capiti a tiro… altro che alcool e sesso, si trasformerà nel nuovo Freddie Krueger. Oddio, gli angeli rock in paradiso non sarebbero stati male ma per esigenze di copione ho dovuto mettere i rompicogl***i con le arpe. Quando si parlerà del paradiso di Dean allora ci infilerò gli ACDC che cantano XD eheh, se ricordi leggermente la storia precedente, capirai di quale Mary stiamo parlando. Certo, la ricordano tutti un po’ diversa da una ventiduenne fatta e finita, ma a breve si spiegherà tutto! Grazie ancora e a presto!
Shiva_: accidenti se Dean e Cass sono fatti per stare insieme! Il problema è che tra l’angelo e il cacciatore a tratti non so chi è più stupido… sì, la Mary nominata è proprio la “bambina” salvata da Sam e Gabe. Be’, non è più tanto una bambina, ma ci sarà parecchio da chiarire nel prossimo capitolo. Comunque ti ringrazio, i complimenti che mi hai fatto sono bellissimi! Non so come ringraziarti, per la recensione e per la pazienza che mi dedichi leggendo questa storia. Grazie e a prestissimo!
xena89: non sei mai in ritardo, già è tanto che hai la pazienza di leggere e commentare! ^^ e io ti ripeto un migliaio di volte altrettanti ringraziamenti per i complimenti che scrivi. Mi fanno sempre sorridere ed emozionare, non mi aspettavo tanta attenzione rivolta a questa storia… grazie! Grazie mille! Eheh, Mary ha parecchie notizie da portare ai Winchester, ma chissà di che genere saranno. Ti dico solo che si chiarirà tutto nel prossimo capitolo, perciò a prestissimo e grazie ancora!
kimi o aishiteru: i nostri eroi hanno più paura di te di vedere cosa gli farò passare XD li terrorizzo, dopo la storia scorsa si presentano sempre in armatura e cominciano subito a scavare le trincee, chissà perché… sì, Samael è più simpatico e più rompiscatole, ma questo solo perché non c’è Cass nei dintorni. Con lui davanti Samael deve fare l’angelo composto e impassibile per cercare di far colpo. Chi glielo dice che non ha speranze finché Dean è in giro? Tranquilla, lo pesteremo tutti il figlio di buona donna che ha combinato questo casino, io stessa non vedo l’ora di farlo uscire allo scoperto per lanciarlo in pasto a voi lettori. Detto questo, grazie mille per il commento e a prestissimo!
Sherlocked: per qualsiasi eventuale vendetta, temo che Dean sia fuori uso. Alla fine Sam ha chiuso davvero lui e Samael in una gabbia da combattimento per cani e… be’, lasciamo stare, ti dico solo che al momento di loro ci è rimasta solo qualche ciocca di capelli e un paio di denti… credo che il resto l’abbia sbranato Sindragon, io avevo detto a Sam di non dargli da bere tutto quel caffè, ci credo che poi il cane ha iniziato a correre le mille miglia e a impazzire! (Aspetta, Sam gli ha dato del caffè? non deve aver avuto una buona reazione con la tequila che gli ho fatto bere qualche minuto prima… nd Gabriel) Coooomunque, ovviamente, tutto quel casino per descrivere il Paradiso e ci ho messo cinque minuti a smantellarlo. Adesso oltre che ammazzarli, io li sfratto pure gli angeli. Eh, purtroppo i Behemah sanguisughe li abbiamo già… come si fa a chiamare una di quelle cose Priscilla?! Cioè, Priscilla la sanguisuga! Vabbé, lasciamo stare. Comunque non so come ringraziarti per i tuoi… ehm, incitamenti minacce. Sì, cercherò di non farmi abbattere, anche se la vedo un po’ difficile, ma ci proverò. ^^ grazie ancora, ormai aspetto i tuoi bellissimi commenti più delle vacanze estive! Un bacio e a presto!
Tomi Dark Angel
 
 
 
 
 

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Capitolo 4
*** Aspettare In Eterno ***


Sam schiuse debolmente le palpebre, disturbato da un debole raggio di sole che era caduto a colpirgli proprio gli occhi. Mugolò infastidito, rotolando su un fianco prima che la sua mente decidesse di riavvolgere il nastro dei ricordi tutti in una volta.
Le Colonne di Ercole.
Il vecchio.
La pedana che andava in pezzi sotto i suoi piedi.
La volpe.
Gabriel. Il suo Gabriel, il suo arcangelo.
In un flash, la mente di Sam ricostruì i ricordi di quelle splendide appendici piumate spiegate in tutta la loro meravigliosa ampiezza, attorniate di riflessi cangianti d’oro puro e luce purissima. Ricordò il morbido fruscio possente delle ali che sbattevano, la presa di Gabriel intorno alla vita… poi, il vuoto.
Sam scattò a sedere con un’esclamazione allarmata. Si guardò intorno e finalmente lo vide, disteso sul letto di Dean con le coperte tirate a coprirlo dalla vita in giù, il busto e gli occhi fasciati.
Sam si avvicinò al letto di Gabriel con passo felpato, con cautela, come se avesse paura di vederlo sparire da un momento all’altro e si sedette sul bordo, riempiendosi gli occhi di quella visione. L’arcangelo aveva il volto rilassato, pulito anche se mortalmente pallido e i capelli morbidi color del caramello, proprio come Sam li ricordava. Le labbra erano schiuse, gli occhi bendati con accuratezza e i tagli e gli ematomi più gravi scomparsi come se non fossero mai esistiti.
Sam fece scorrere lo sguardo sul petto leggermente scolpito dell’arcangelo, sulle spalle larghe, sulle braccia, dove i polsi erano avvolti da strette bende leggermente macchiate di sangue.
Come in trance, Sam allungò una mano e affondò le dita nei morbidi capelli di Gabriel, riscoprendoli soffici come zucchero filato e privi di nodi, come se qualcuno li avesse pettinati a lungo e con accuratezza. Poterlo toccare, riscoprire poco alla volta quel calore che gli era stato sottratto per due lunghi anni era… bellissimo. La pelle di Gabriel era così morbida, il suo viso e il suo corpo così belli e il suo profumo… Dio, il suo profumo era rimasto inalterato e sapeva ancora di dolci, in particolare di zucchero filato e biscotti. Finalmente, Sam si sentiva a casa.
Quasi senza accorgersene, Sam si chinò e abbandonò il capo sul petto di Gabriel, sospirando. Gli strinse una mano, accarezzandone il dorso col pollice mentre un debole sospiro soddisfatto abbandonava le sue labbra, stiracchiandole in un morbido sorriso. I capelli gli caddero sugli occhi, il corpo si rilassò, incastrandosi alla perfezione con quello di Gabriel. Il campanellino scivolò in avanti tintinnando mentre il cacciatore chiudeva gli occhi e si lasciava sfuggire una lacrima felice, leggera e pura di sollievo e amore sincero.
§§§§
Il primo attacco si preannunciò con leggeri tremori e gemiti sommessi, ma forse fu uno dei peggiori.
Sam si svegliò di soprassalto quando sentì la mano fargli male e abbassando il capo, si accorse che Gabriel stava stringendo la presa poco a poco fin quasi a spezzargli le ossa. Gemette. Il viso dell’arcangelo si deformò in una smorfia di dolore, il corpo si inarcò mentre la pelle sbiadiva, perdendo il poco colore rimasto. Dall’altra stanza, si udì il forte guaito della volpe, il Behemah Aqedà di Gabriel.
La porta si spalancò di scatto, lasciando entrare Dean e Samael.
-Sammy!- esclamò Dean quando vide il fratello piegato in due per il dolore alla mano. Le sue ossa scricchiolavano poco a poco che la presa di Gabriel si faceva più serrata, ma Sam si rifiutò di lasciarlo.
Samael li raggiunse e, premuto il palmo di una mano sulla fronte di Gabriel, cominciò a mormorare una lenta litania che rilassò per qualche istante il corpo del fratello. In quell’istante, Dean strattonò via la mano di Sam e lo spinse giù dal letto prima che Gabriel ricominciasse a contorcersi, scosso dalle convulsioni. Gettò la testa all’indietro, gonfiando le vene del collo e digrignando i denti. Samael gli afferrò gli avambracci, cercando di bloccarlo ma invano: anche se più basso, Gabriel era molto più forte di lui.
-Gabriel, calmati! È un sogno, stai bene, sei al sicuro!-
Allora Sam capì: Gabriel stava sognando le torture subite e l’incoscienza lo rendeva instabile, bloccandolo nel sogno illudendolo di trovarsi nella realtà. In quel momento, nella sua stessa mente, Gabriel stava rivivendo il dolore, la sofferenza e tutte le volte in cui aveva chiamato Sam a gran voce per farsi forza.
Forse fu per istinto che Sam reagì, o forse perché non poté sopportare oltre la visione di Gabriel scosso dai singulti. Semplicemente, spiccò una corsa, divincolandosi dalla stretta di Dean e, spinto Samael di lato, strinse Gabriel in un abbraccio delicato, senza pretese.
Tlin.
Il campanellino da gatto suonò e il tempo parve fermarsi allora, insieme all’oggetto inanimato e lucente. Gabriel smise di contorcersi, Sam appoggiò il capo sulla sua spalla e sotto gli occhi stupiti di Dean e Samael, l’arcangelo sollevò lentamente le braccia tremanti e appoggiò le mani sui fianchi del giovane Winchester. Le sue dita sfiorarono la stoffa della camicia a quadri, muovendosi lentamente, quasi a volersi accertare che quello fosse realmente Sam e che andasse tutto bene.
-Gabriel… sono io.- mormorò allora il ragazzo contro il suo collo. Gabriel tremò ancora, mormorando qualcosa in enochiano a bassa voce e poi tornò ad accasciarsi tra le coperte. Le mani scivolarono via, una rimase sospesa nel vuoto, abbandonata oltre i bordi del letto come un oggetto inanimato e con un ultimo sospiro, Gabriel chiuse la bocca e non si mosse più.
-Gabriel?- chiamò allora Sam, raddrizzandosi per guardarlo in faccia. Il volto dell’arcangelo era esangue, provato e i capelli gli cadevano disordinatamente sugli occhi bendati. Il petto si alzava e si abbassava troppo velocemente. –Gabriel?-
Allora Dean guardò Samuel, il quale si era portato una mano davanti alle labbra e aveva chiuso gli occhi in un’espressione sopraffatta. –Che gli succede? Non avevi usato… il tuo chakra angelico o che so io su di lui?! Doveva stare bene, perché invece è mezzo bendato e ha appena finito di contorcersi come una fottutissima anguilla?-
Sam si alzò a sedere senza smettere di guardare in faccia il suo arcangelo. Gli accarezzò il viso, preoccupato.
-Io… ha passato troppo tempo là sotto, ragazzo. Un anno di torture non lascia indenne nemmeno un arcangelo, dovresti capirlo da te. Oltretutto credo che Gabriel fosse già potenzialmente provato quando è stato portato alle Colonne di Ercole. Ha fatto a pezzi metà del Paradiso, perciò immagina quanta forza deve aver esercitato…-
-Già, ma quelle ferite?! Perché cazzo ci sono ancora?-
Samael esitò. –Sono troppo gravi e non so cosa hanno usato per causargliele. Dannazione, non so neanche come abbia fatto a comparire qui attraverso un sogno! In quanto all’attacco che ha appena avuto, abituatici: sarà così per le settimane a venire se và tutto bene, altrimenti si parla di mesi interi. Al momento Gabriel è prigioniero della sua testa e finché non capisce cosa è reale e cosa è un sogno… non si sveglierà.-
Sam strinse forte la mano di Gabriel, ignorando il dolore che gli trapassava ogni singola falange. Nella voce di Samael era ben chiara la nota di impotenza e nei suoi occhi si leggeva preoccupazione e quasi paura di perdere un fratello a lungo cercato e finalmente ritrovato. Sam si sentiva nella stessa situazione, soltanto che lui rischiava di perdere l’uomo che amava, un pezzo di se stesso e questo gli faceva paura. Una vita senza Gabriel, senza sapere che c’era anche se non era lì con lui… era insopportabile.
-Ce la farà.- disse allora Dean, attirando l’attenzione degli altri due. Il cacciatore sorrideva sornione, gli occhi verdi brillanti di fiducia. –Quel cazzone pennuto è uno tosto e sa quello che fa. Mi duole dirlo, ma purtroppo lo avremo tra i coglioni ancora per molto, pensavo lo sapessi, Sammy.-
Allora Sam sentì un nuovo sorriso farsi spazio nel mare di preoccupazione che gli stringeva il petto in una morsa.
Sì, Gabriel ce l’avrebbe fatta, sarebbe tornato da lui. Doveva aver fiducia come aveva fatto fino a quel momento, doveva credere nell’uomo che amava e restargli vicino nella sua lotta per riaprire gli occhi. Non lo avrebbe abbandonato, costi quel che costi. Avrebbero lottato insieme, fino alla fine, proprio come avevano sempre fatto. Dopotutto, oltre ad amarlo, Sam aveva fiducia in lui e questo non sarebbe mai cambiato.
Annuì. –Hai ragione.- disse e Dean sollevò un pollice e gli fece l’occhiolino, sempre sorridendo. Afferrò Samael per una spalla e lo scosse.
-Muoviti, coglione che non sei altro. Abbiamo ancora del lavoro da fare e ti consiglio di improvvisarti veterinario, Dottor Dolittle, o Red la volpe non guarirà mai.-
§§§§
Dean bevve un nuovo sorso di birra e appoggiò una mano contro il ripiano del tavolino alle sue spalle. Erano stati costretti a prendere una stanza d’albergo per potersi occupare di Gabriel in santa pace. Fortuna che a teletrasportare lì l’arcangelo ci aveva pensato Samael o sarebbe stato un problema spiegare alla reception cosa ci facevano con un uomo più morto che vivo al seguito.
Dean guardò la finestra che dava sulle strade poco affollate di Iowa e gli ultimi bagliori del tramonto si riflessero nei suoi occhi verdi in uno specchio di luci cangianti. Pensava a Castiel, alle sue speranze svanite nel nulla quando aveva visto comparire soltanto Gabriel e una stupida volpe anziché il suo angelo dagli occhi blu. Era stata una delusione, ma non poteva negare di essere felice per Sammy: quantomeno, adesso che Gabriel era lì con lui, suo fratello si sentiva più rilassato, anche se ugualmente preoccupato per la sorte dell’uomo che amava.
Dove sei, Cass?
La mano di Dean tremò appena, ma il cacciatore la ignorò per mettere da parte le sue debolezze e non lasciarsi abbattere. Si era ripromesso di trovare Castiel, fosse stato anche solo per rifilargli un pugno per essere sparito per tutto quel tempo, ma l’avrebbe fatto.
Samael entrò nella cucina in quel momento e appoggiò le mani al davanzale della finestra. La luce gli colpì il viso, illuminandolo di una preoccupazione che si leggeva in ogni suo tratto somatico. Un’ombra color del bronzo scintillò alle sue spalle, ma quando Dean sbatté le palpebre, era sparita.
Per qualche istante calò un silenzio rotto solo dai ticchettii dell’orologio da polso di Dean e dal brusio della gente in strada e delle auto che passavano svelte, ignare di aver appena sfilato sotto gli occhi vigili di un angelo del Signore. Pochi sospettavano la verità, e a quei pochi non era quasi mai data la grazia di trasformare quei sospetti in convinzioni vere e proprie. Quante volte Castiel aveva parlato con persone ignare e poi era sparito, lasciandosi alle spalle perplessità, stupore e spesso anche qualche incazzatura bella grossa? Al solo pensiero del trench che svolazzava, sparendo dietro l’angolo, il cuore di Dean si gonfiò di dolore.
-Grazie.-
Dean guardò Samael, stupito. L’angelo continuava a dargli le spalle ma aveva chinato il capo e stringeva forte il davanzale.
-Credo… sì, credo di doverti dei ringraziamenti. So che non l’hai fatto per me, ma ciò non toglie che mi hai aiutato quando potevi voltarmi le spalle e lasciarmi… indietro. Senza volerlo siete stati la mia forza, mi avete rialzato dal fango nel quale ero caduto e non avete mai mancato di starmi vicino quando sentivo il mondo cadermi addosso. Grazie a voi ho ritrovato mio fratello e insieme a lui un pizzico di quella serenità che credevo di aver perduto.-
Samael sospirò e allora un nuovo bagliore bronzeo si riflesse alle sue spalle, illuminandogli la schiena. Le ali erano lì, immateriali e impalpabili, ma c’erano.
-Credevo di aver perso ogni cosa. Ho vagato a lungo sulla Terra, trascinandomi dietro i poveri resti di quelle che un tempo erano state ali e quando mi sono sentito a un passo dal frantumarmi, voi siete comparsi a rimettere insieme i pezzi. Sai… forse Castiel e Gabriel non avevano torto su di voi: siete veramente le creature straordinarie che descrivono… che descrivevano. All’inizio vi vedevo come giocattoli rotti e quasi difettosi, ma adesso che ho imparato a vedervi davvero capisco di essere sempre stato cieco. Avete dei valori che noi angeli non possediamo… voi vivete e concepite la vera importanza della vita perché non siete eterni e di questo siete consapevoli. L’ultima battaglia che combattemmo qui in terra per il Sacro Graal… non l’hanno vinta gli angeli. Sono stati gli uomini.-
Samael si voltò appena e sorrise a un esterrefatto Dean. Gli occhi dell’angelo brillarono di ammirazione mista a riconoscenza. Samael si allontanò dal davanzale e appoggiò una mano sulla spalla di Dean. –Lo troveremo.- sussurrò, oltrepassandolo con leggerezza.
-Conta molto per te, non è vero?- lo fermò Dean, stringendo forte la bottiglia di birra. Samael si arrestò sulla soglia e appoggiò una mano sullo stipite della porta, chinando il capo.
-Più di quanto immagini.- mormorò. –Noi angeli abbiamo la memoria lunga, perciò non dimenticherò quello che provo per Castiel. Lui… è quanto di più bello abbia mai potuto vedere, ascoltare… toccare. Quando mi era permesso farlo tuttavia, non gli ho dato l’importanza che meritava e non mi perdonerò mai per questa mia mancanza. Mai.-
-Lo ami?-
Cadde un silenzio carico di aspettativa, un silenzio durante il quale Dean si voltò a guardare Samael, ancora fermò sulla soglia della stanza. Gli dava le spalle e tremava leggermente, il capo chino e quasi mortificato.
-Sì.- mormorò, sparendo dalla stanza con un frullare d’ali leggere.
Allora Dean abbassò la birra e guardò fuori. Il suo viso si contrasse, snudando i denti in un ringhio furioso. –FIGLIO DI PUTTANA!!!-
Dean scagliò la bottiglia contro il muro, mandandola in pezzi e ferendosi le mani col vetro esploso di schianto. Afferrò le chiavi dell’Impala e aprì la porta d’ingresso. Tanto Gabriel sembrava abbastanza esausto da restare k.o. ancora per diverso tempo.
-Sammy, io esco.- urlò alla porta chiusa della stanza dove riposava l’arcangelo. Non ricevette risposta, ma non si azzardò ad entrare, ben consapevole che Sam aveva bisogno di quiete e di silenzio. Voleva restare da solo con Gabriel e per questo Dean non poteva biasimarlo.
Uscì dalla stanza d’albergo, chiudendosi con delicatezza la porta alle spalle, scese le scale, attraversò la reception e raggiunse l’Impala. Entrò nell’abitacolo dell’auto e partì sgommando senza guardarsi indietro, i pensieri rivolti a Castiel, alla sorte che doveva essergli toccata. Rabbrividì e accelerò, cercando di ignorare il brusio dei suoi pensieri.
Castiel stava bene. Castiel lo stava aspettando.
Già, ma se Gabriel era stato torturato, cosa potevano aver fatto a Castiel che era un arcangelo anche più potente e pericoloso?
-Dove sei, maledetto coglione piumato…-
Dean socchiuse gli occhi, scoprendoli improvvisamente lucidi di lacrime. Non voleva piangere, non voleva essere debole per l’ennesima volta. Dannazione, quando si parlava di Castiel ogni sua difesa cedeva di schianto, lasciando scoperta la parte più vulnerabile del suo essere. Aveva paura di perderlo, paura di non rivederlo più. Se gli fosse accaduto veramente qualcosa di brutto…
Dean fu costretto ad accostare, accecato dall’ansia. Sentì il petto stringersi in una morsa dolorosa, il cuore accelerare i battiti in una corsa convulsa. Chiuse gli occhi e appoggiò la fronte contro il volante, inspirando dal naso ed espirando dalla bocca. Si sentiva in procinto di avere un attacco di panico.
-Calmati, calmati, calmati…- mormorava lentamente, allarmato dal forte dolore alla testa. Non riusciva a non pensare a Castiel, alla sua assenza, ai suoi occhi che in quel momento potevano essere aperti, vacui… morti. –Cass, maledizione…-
Dean chiuse gli occhi, lasciando libero sfogo a quella piccola e insignificante lacrima che gli scivolò lungo il viso e cadde nel vuoto, urtando il suo ginocchio.
Plic.
Qualcosa frusciò alle sue spalle, un dolce peso quasi inesistente gli gravò gentile sulle spalle. All’istante, il dolore al petto svanì e i polmoni di Dean si liberarono, facendogli sbarrare gli occhi e tremare le mani. Si raddrizzò lentamente, spaventato di sentir sparire il dolce quanto familiare peso di… ali, sulle spalle. Voltò lentamente il capo verso il sediolino del passeggero, ma era inesorabilmente vuoto. Come lui.
Il peso sulle spalle sparì, nello specchietto retrovisore passò un riflesso argentato che Dean colse con la coda dell’occhio prima di vederlo sparire, risucchiato nel nulla che adesso ricominciava ad allargarsi nel suo petto.
Con un debole verso frustrato, Dean si accasciò nuovamente contro il volante, cieco alla figura evanescente che dal ciglio della strada guardava l’auto con occhi blu colmi di lacrime impotenti.
§§§§
Per i giorni a seguire Gabriel rimase in uno stato pietoso: non apriva gli occhi e il corpo era scosso continuamente dagli spasmi e dalle convulsioni. A volte mormorava nel sonno o addirittura gridava e quando non lo faceva ansimava, in preda a quelli che sembravano quasi attacchi d’asma. Samael faceva sempre il possibile per aiutarlo: faceva uso dei suoi poteri, ma servivano a ben poco su un arcangelo i cui poteri superiori facevano involontariamente da scudo e che sembrava ormai a un passo dalla morte.
Sam non si allontanava mai da lui neanche per mangiare, tanto che Dean era costretto a portargli il cibo che suo fratello puntualmente rifiutava. Non staccava gli occhi dal viso di Gabriel, non smetteva di accarezzarlo dolcemente né di parlargli con affetto, amore… devozione. Il legame che legava i due era quasi doloroso agli occhi di Dean. Non solo stava deteriorando lentamente il corpo di Sam, ma gli ricordava Castiel e l’impronta che il suo arcangelo gli aveva impresso sul braccio, marchiandolo e poi… abbandonandolo, lasciandolo indietro con solo un cane e una promessa di ritorno mai mantenuta.
Intanto, l’aria che si respirava non poteva essere più pesante, quasi velenosa. Più volte Sam aveva cercato un contatto mentale con Gabriel, ma ogni suo tentativo era fallito miseramente. Si sentiva inutile, debole e ancora una volta non poteva fare nulla per lui se non guardarlo consumarsi davanti ai suoi occhi. Davanti agli occhi di Dean e Samael, Sam si mostrava sempre gentile e leggermente sorridente, quasi come se andasse tutto bene. Non era così, Dean lo sapeva, ma fingeva di non capire, di non vedere il dolore che Sam tentava di nascondere con ogni sforzo.
Veder soffrire Gabriel per lui era come spezzarsi, andare in frantumi e perdere un pezzo ogni giorno. Ormai non era sicuro di riuscire a resistere ancora, forse perché aveva perso troppi frammenti o forse semplicemente perché si sentiva a un passo dalla rottura. Presto o tardi lo avrebbe seguito, avrebbe seguito Gabriel nel limbo nel quale si trovava… e non c’era pensiero più confortante di questo. Per lui ormai, si trattava solo di aspettare.
Raggiunto il trentesimo giorno di convalescenza dell’arcangelo, Sam si accasciò sul petto di Gabriel, ansimando. Si sentiva debole e stanco. Da quanto non dormiva? Giorni forse, dato che era quasi arrivato ad avere le allucinazioni, ma non riusciva a chiudere occhio sapendo che il suo arcangelo forse stava… morendo. Ogni giorno Sam guardava Samael scuotere il capo e si sentiva impazzire: perché nessuno faceva niente? Dov’erano gli angeli mentre Gabriel moriva?
Una lacrima scivolò trasversalmente lungo il suo viso, attraversando il naso e finendo sulla guancia opposta, fino all’orecchio, dove morì. Sam chiuse gli occhi, stringendo forte il tessuto pulito delle bende che fasciavano il torace di Gabriel.
-Ti prego… svegliati.- singhiozzò Sam. –Sono al limite, Gabriel… sto per spezzarmi anche io. Non lasciare che succeda, ti supplico.-
Sam pianse. Pianse con il volto premuto sul petto di Gabriel, i pugni stretti nella rabbia dell’impotenza, la paura insediata in ogni muscolo, in ogni sentimento. Non voleva perderlo.
-Dove vanno gli angeli quando muoiono, Gabe?- mormorò allora, scosso dai singulti. –C’è un posto per voi lassù? C’è un posto per me, che ho sangue di demone nelle vene?-
Altro singhiozzo, altra scintilla di dolore che si manifestava in brillanti lacrime trasparenti. Sam tremò di stanchezza, di sofferenza. Non ce la faceva più.
Chiuse gli occhi esausto, mormorando le ultime parole a mezza voce: -Ti prego…-
Un colpo alla porta, una spallata così potente da scardinarla dai cardini e spedirla al tappeto. Sam cercò di trasalire, ma non aveva abbastanza energie per alzarsi.
Qualcuno lo afferrò per il collo, torcendoglielo all’indietro quel tanto che bastava a fargli incontrare due occhi azzurro cielo su un volto candido come la perla. La ragazza gli versò in bocca il contenuto di una boccetta di vetro un istante prima che qualcosa la scagliasse all’indietro, contro la parete, inchiodandola al muro.
Sam tossì violentemente mentre Dean, Samael e Sindragon si catapultavano nella stanza. L’angelo aveva il volto stravolto da una gelida furia e indossava soltanto un paio di jeans e il cacciatore aveva impugnato una pistola, che puntava fermamente a indirizzo della ragazza mentre camminava cautamente verso Sam.
-Vai ragazzo, a lei ci penso io.- disse Samael mentre Dean cadeva in ginocchio accanto al letto di Sam e gli prendeva il viso tra le mani. Il ragazzo tossiva ancora ma aveva ripreso straordinariamente colorito e… peso?
Dean si sentì a un passo dall’impazzire, anche perché straordinariamente, qualunque cosa gli avesse propinato quella ragazza non sembrava averlo ferito, anzi: Sammy stava meglio, aveva perso la magrezza che l’aveva reso l’ombra di se stesso per settimane intere e gli occhi sembravano più luminosi, più vivi.
-Ma che…-
-Mi fate scendere?- chiese allora la ragazza, ancora sospesa a mezz’aria e schiacciata contro la parete. Sorrideva nervosamente e la boccetta gli era caduta di mano, frantumandosi ai suoi piedi in un mare di schegge di vetro.
Samael strinse pericolosamente gli occhi e allora la ragazza cominciò a tossire, scossa da piccoli spasmi. –Dimmi perché dovrei.-
Dean guardò prima suo fratello, poi la ragazza che annaspava a mezz’aria a un passo dal soffocare. –Aspetta!- esclamò, attirando l’attenzione di Samael, che smise di torturare la ragazza. Lei tossì, rilassando un poco i muscoli.
Dean si avvicinò alla parete e squadrò con freddezza la giovane, che gli sorrise debolmente di rimando, ansimando. Un ciuffo di capelli dorati le cadde disordinatamente davanti agli occhi. Aveva un’aria così indifesa, così fragile…
Dean trasalì mentre il suo cervello riavvolgeva il nastro dei ricordi, fermandolo sull’immagine di una bambina di appena otto anni stretta tra le braccia di Sam. In quel ricordo, lei lo guardava con speranza, dolcezza e la classica curiosità tipica dei bambini. Aveva grandi occhi azzurro cielo e capelli dorati. Somigliava molto a Mary Winchester, la madre di Sam e Dean… e quella che aveva davanti il giovane cacciatore in quel momento, era la fotocopia (seppur giovane) della donna che lo aveva partorito e allevato per anni prima di morire su un soffitto, tra le fiamme di un incendio.
Il cuore di Dean sobbalzò. Non poteva essere. No, era uno scherzo o un tiro mancino di qualche mutaforma o di qualche demone…
-Chi sei tu?- ringhiò, sulla difensiva e proprio in quel momento suo fratello si raddrizzò, tossendo. Vide la ragazza, incontrò i suoi occhi e per un attimo si chiese se non fosse stato salvato dall’anima di sua madre tornata dall’aldilà apposta per lui. Sentì il respiro accelerare e il petto gonfiarsi di emozione.
-Ragazzi, sono io! Sono Mary!- esclamò lei col poco fiato che aveva in gola. Scalciò contro il muro, spazientita. –Cazzo! Samael, fammi scendere!-
L’angelo sbatté le palpebre, interdetto. Si accostò alla ragazza, guardandola con aria stranita e quasi stordita. Levò una mano e quella scivolò contro il muro fino a toccare delicatamente con i piedi per terra. Solo allora Samael le sfiorò il viso, la fronte, le gote, ma lei rimase immobile, impassibile e, al contrario, quasi sorrideva di quei tocchi fugaci.
-Non posso crederci… sei un Ba’al Teshuvà. Aspetta, non può essere, da che epoca vieni?- mormorò, stordito. Si passò nervosamente una mano tra i capelli, gli occhi assottigliati dal nervosismo.
-Dal 2021.- rispose lei. –Mi ha mandata Castiel.-
A quelle parole la forza invisibile che la inchiodava al muro venne meno e Mary cadde in ginocchio, tossendo per smorzare l’ansia e il dolore che le stringeva i polmoni ancora provati. Quando alzò gli occhi, tutti la fissavano con un’espressione interdetta, confusa e quasi spaventata. Negli occhi di Dean in particolare si leggeva un filo di speranza tenuto a bada dal gelo del dubbio e della paura che quella ragazza stesse mentendo. Eppure, guardandola in viso, gli parve impossibile che mentisse davvero. Il suo sguardo era sincero, accorato… gli ricordava la Mary bambina, quella che non parlava ma che tuttavia con un semplice gesto era capace di esprimere un mondo di emozioni.
-Ti ha… mandata Castiel?- mormorò allora Sam, ancora ansante. Continuava a tastarsi il corpo, come in cerca di un deficit che gli avrebbe svelato la fregatura della roba somministratagli da quella ragazza.
-Sì.- rispose seccamente lei, alzandosi. In quel momento Sindragon scodinzolò e le balzò addosso, leccandole allegramente la faccia. Lei rise e quasi perse l’equilibrio. –Sindragon, non in pubblico!- scherzò, stringendolo in un abbraccio energico. Il cane guaì felice.
La riconosceva.
Conosceva quella ragazza perché l’aveva vista da bambina.
La conosceva perché aveva addosso l’odore del suo angelo… l’odore di Castiel.
Samael percepì i pensieri del cane, i suoi atteggiamenti e finalmente capitolò, barcollando all’indietro fin quasi a urtare la parete opposta. –Sei… sei davvero un Ba’al Teshuvà… - mormorò e lei annuì.
-Un che?- chiese allora Sam, dando voce ai pensieri del fratello, che ancora non riusciva a staccare gli occhi sbarrati da Mary.
-Ba’al Teshuvà. È ebraico e significa “ signore del ritorno ”. Sono persone inviate indietro nel tempo da qualcuno, che si tratti di un angelo o di un Dio, per compiere una missione importante, dagli esiti superiori. Per quanto ne so, gli unici Teshuvà mai esistiti sono stati Mosè ai tempi della liberazione d’Egitto… sì, a parlargli non fu Dio ma il suo sé futuro… e un uomo particolarmente intelligente del quale non farò nome ma che ispirò Einstein per la maggior parte delle sue rivelazioni. Forse anche Leonardo da Vinci venne a contatto con un Teshuvà, ma di questo non ne sono sicuro.-
Samael fissò intensamente Mary, che sostenne il suo sguardo con fermezza, senza mai vacillare. Spinse delicatamente da parte Sindragon mentre l’angelo si avvicinava, portandosi a un soffio da lei.
-È così importante la tua missione? È stato davvero Castiel a mandarti? Per quanto potente, un arcangelo deve agire secondo ordine diretto di Dio per avere il permesso di creare un Teshuvà.- disse, diffidente ma stavolta la ragazza scosse il capo.
-Non so per ordine di chi agiva. Gli ho chiesto io di mandarmi indietro… dovevo impedire che accadesse, dovevo salvarvi come voi avete salvato me in passato.-
-Salvarci?-
Dean aveva riacquistato la parola e adesso anche lui si era avvicinato alla ragazza, ostentando uno sguardo gelido. –Salvarci da cosa?-
-Chiedilo a tuo fratello, Dean. Se non fossi arrivata, Sam sarebbe morto. Conosco le date, gli eventi e le cause della disfatta di ognuno di voi e sono qui per impedirlo.-
Dean si irrigidì. –Di che cazzo stai parlando?- ringhiò, guardando prima lei e poi Sam, visibilmente in imbarazzo. –Sammy, dimmi che non ha detto la verità o giuro che finisco io il lavoro e ti butto di sotto.-
-Dean…-
-DEAN, UN CAZZO!!!- Dean afferrò Sam per il bavero della camicia e lo strattonò in piedi. Nonostante il minore fosse più alto, la rabbia di Dean lo ingigantiva al punto da farlo sembrare enorme, sovrastante. –Cosa cazzo ti è saltato in mente? Ho sopportato i tuoi capricci semplicemente perché sapevo che non ti avrebbe fatto bene litigare e così mi ripaghi? Lasciandoti morire perché quel cazzo di arcangelo non si riprende? Cosa sarebbe successo se Gabriel avesse aperto gli occhi e ti avesse trovato morto, ci hai pensato? No! Tu non pensi mai quando devi, Sam, è questo il tuo cazzo di problema!-
Dean spinse Sam contro il muro, ma suo fratello non replicò. Abbassò gli occhi in un’espressione abbattuta, lo sguardo che a tratti dardeggiava su Gabriel, ancora fermo e ansante sul letto. Dean lo scosse.
-Non si vive in funzione degli altri, Sam! Non si vive per correre dietro a una persona! Prima o poi tu o Gabriel morirete e allora cosa succederà? Siamo cacciatori e lui è un cazzo di angelo; viviamo tutti al limite del pericolo ogni giorno e anche nel grembo di nostra madre, noi non eravamo al sicuro neanche lì!-
Le mani di Dean tremarono, i suoi occhi si riempirono di dolore. Sam lesse nel suo sguardo che stava pensando a Castiel. Dean mentiva, e lo faceva per farsi coraggio, per convincersi che sarebbe andato avanti anche senza il suo angelo, ovunque egli fosse.
Non sarebbe stato così, lo sapevano tutti. Ma ci fu chi lo espresse ad alta voce.
-Ti sbagli.- disse Mary, guadagnandosi l’occhiata irata di Dean. Lei sorrise dolcemente e si avvicinò. Appoggiò una mano sul polso del cacciatore, fissandolo con gli occhi così simili a quelli di sua madre che lui lentamente e quasi senza accorgersene lasciò andare Sam. Allora Mary gli prese entrambe le mani. –Tu morirai, Dean. Accadrà tra dodici anni, quando qualcuno userà i suoi poteri per ingannarti e farti credere di avere davanti il cadavere di Castiel. Ti suiciderai cercando di uccidere questo qualcuno e morirai lì, tra le braccia di un’illusione che svanirà giusto in tempo per farti accorgere dell’inganno. Anni dopo, Castiel riuscirà a fuggire dalla sua prigione e ti cercherà, ma troverà solo la tua tomba, posta accanto a quella di tuo fratello. Sarà lì, davanti alla lapide, che Castiel si spegnerà a sua volta dopo una lunga agonia, sfibrato dalla tua mancanza, consumato e con le ali troppo pesanti per volare.-
Una lacrima scivolò lungo la guancia di Dean.
-Io arrivai per assistere agli ultimi attimi di Castiel. Fu proprio al cimitero che gli chiesi di mandarmi indietro nel tempo per rimettere le cose a posto. Castiel ce l’ha fatta perché ha sacrificato tutto il suo essere, o perlomeno, ciò che ne restava per spedirmi qui.- la voce di Mary si fece roca e lei abbassò a sua volta gli occhi lucidi di pianto. –Gli ho promesso che ti avrei salvato, Dean; ho promesso di salvarvi tutti. E per cominciare voglio che entriate nella mia testa per assistere agli ultimi attimi di Castiel, voglio che ascoltiate e capiate.-
Si rivolse a Samael. –Puoi farlo? Portarci tutti nei miei ricordi, intendo.-
L’angelo annuì lentamente. –Se tu me lo permetterai.- rispose lentamente e allora lei si accostò a Samael e, prese le mani di Dean e Sam, gli fece cenno di procedere.
§§§§
Un ansito. Passi di corsa. Occhi azzurri colmi di lacrime.
Mary correva, pregava, sperava. Ci aveva messo mesi a rintracciarlo, ma infine ci era riuscita e adesso andava da lui, ansiosa di riabbracciarlo, di rivedere quegli occhi blu che da bambina aveva amato e che ancora adesso le facevano palpitare il cuore nel petto.
Castiel. L’arcangelo che le aveva salvato la vita, che si era sacrificato per lei, per riportarla a casa e farle riabbracciare la sua famiglia. Mary ricordava quelle ali, così brillanti, dai cangianti riflessi d’argento insiti in ogni più piccola piuma. Le aveva toccate una volta, senza sapere cosa significasse davvero per un angelo essere sfiorato in quel modo proprio lungo le penne morbide come panna montata e zucchero filato. Allora non lo sapeva, ma adesso che era una cacciatrice e una ragazza fatta e finita, sapeva e avrebbe voluto rifarlo. Sì, le sarebbe piaciuto, ma sapeva che Castiel non avrebbe gradito. Le sue ali erano ancora al servizio di Dean? Probabilmente sì, considerato che era lì che l’angelo aveva passato la sua esistenza da quando era tornato.
Seduto accanto ad una tomba.
Seduto accanto a un vecchio amico.
Seduto accanto al suo unico e vero amore.
Mary oltrepassò correndo i cancelli del cimitero, ansimando copiosamente. I suoi piedi volavano sul terreno, tra le tombe, dove il silenzio affliggeva ogni singolo morto, avvolgendolo in una cappa di oblio.
All’improvviso però, Mary si fermò con uno scivolone, gli occhi sbarrati e colmi di orrore.
Accasciato contro la lapide silenziosa di Dean Winchester, c’era un uomo. Il corpo spezzato, abbandonato stancamente sul marmo gelido alle sue spalle, il viso esangue, gli occhi vuoti di emozioni. Ogni barlume di luce sembrava essere scomparso dal suo essere, lasciandolo inanimato e freddo come una marionetta a cui erano stati tagliati i fili. Un solo rivolo di sangue colava da un angolo della bocca, rendendolo reale, vivo. Sangue, niente di più.
Nessuna emozione.
Nessun barlume di vita.
Niente di niente. Vuoto. Quell’uomo era vuoto, perduto e abbandonato come un cane fedele che non smetterà mai di attendere il suo padrone. Sedeva lì, sul terreno, ma nessuno a parte Mary riusciva a vederlo.
-C… Castiel?- mormorò debolmente lei, avvicinandosi. Cadde in ginocchio accanto all’uomo, che non diede segno di averla vista. Il suo sguardo restava vuoto, perso, fisso su un mondo dove Dean Winchester viveva ancora ed era lì con lui a sostenerlo come aveva promesso in passato.
Mary tese una mano tremante e la passò tra i capelli scuri dell’uomo, trattenendo le lacrime. –Castiel… cosa ti è successo?- singhiozzò allora, abbracciandolo di slancio. Lui non reagì, ma si lasciò stringere come una bambola di pezza senza più utilità per il mondo, per se stesso… per lui, l’uomo sepolto sotto i loro piedi.
Mary singhiozzò, premendo il viso contro il collo di Castiel. Strinse il bavero del vecchio trench logoro, lo supplicò di reagire, ma lui non si mosse e anzi, rimase a fissare il nulla con aria spenta, gli occhi quasi neri e ormai privi di quel blu che li aveva sempre contraddistinti. Occhi neri come la Grazia bruciata che riflettevano. Allora Mary capì.
Quello era un angelo senza ali.
Quello era un uomo senza vita.
Quella era una creatura svuotata, abbandonata a se stessa.
Eppure per anni, Castiel aveva atteso e ancora attendeva il ritorno di Dean Winchester. Attendeva senza arrendersi. Attendeva senza rendersi conto che del suo vero essere ormai, era rimasto soltanto un corpo consumato e abbandonato contro una lapide. Tuttavia, attendeva, e l’avrebbe fatto anche una volta morto perché era giusto così, perché senza le sue ali, lui non era niente. E senza Dean, lui non ce le aveva, le ali.
Mary si allontanò da lui per guardarlo in viso e vide allora i segni ormai impressi a fondo sul suo viso. La morte avrebbe presto steso su di lui la sua pietà per strapparlo a quella sofferenza e forse, chissà, magari avrebbe rivisto Dean.
-Cass…- disse lei e allora Castiel reagì. Trasalì e la guardò esausto, stordito e moribondo. Sorrise debolmente, seppur senza calore.
-Sei… cresciuta.- mormorò con voce roca e irriconoscibile. Cercò di muovere una mano, ma non ci riuscì perciò la guardò leggermente sorpreso, come se si stupisse di vedere quell’arto ancora lì, al suo posto. Gli occhi neri di carbone parvero schiarirsi appena, ma poi tornarono oscuri di una cappa pesante, mortifera.
Quello non era Castiel. Quello era soltanto un misero lascito di un angelo che era già volato via.
Mary gli strinse la mano e se la portò alle labbra, baciandone il dorso con dolcezza e devozione. La pelle di Castiel era ruvida, inaridita come una pianta avvizzita dopo una grande siccità.
-Mi dispiace…- mormorò lui, guardando confusamente il cielo. Le nuvole scorrevano troppo veloci, portate via da un vento che anni addietro lui aveva solcato con le sue ali, leggero di speranze e amore per due immensi occhi verdi ormai vuoti di ogni barlume di vita. Il tempo passava troppo in fretta, ma per lui sembrava essersi fermato insieme al cuore di Dean.
Mary lo guardò, sorridendo tristemente tra le lacrime. –Di cosa ti… ti dispiaci?- chiese con voce tremula.
-Di averlo lasciato andare.- mormorò lui flebilmente. I suoi occhi non si staccavano dall’immensa volta celeste. –Mi dispiace di non aver mantenuto la mia promessa…  di non averlo salvato. L’ho lasciato solo e lui non me lo perdonerà mai.-
Mary vide Castiel accasciarsi di lato, scivolare lungo la tomba, ma lei lo sostenne e tentò di raddrizzarlo.
Che senso aveva morire così? Che senso aveva consumarsi nella disperazione? Quello che aveva davanti era il misero fantasma del più potente degli arcangeli. Un uomo solo era bastato per ridurlo così, per strappargli le ali dopo che queste avevano sbattuto, si erano sforzate e spezzate più volte nello sforzo di raggiungere un misero cadavere. Adesso quelle stesse ali erano inutili, come arti morti che penzolavano da un debole corpo martoriato.
Non era giusto soffrire ancora, non per Castiel. Lui, con la sua innocente dolcezza; lui, sempre volto al perdono e all’amore. Lui meritava la pace lì, tra le braccia della stessa terra che stringeva il suo unico e vero amore, colui che gli aveva strappato inconsapevolmente le ali e la vita.
Non doveva andare così, non per loro. Dean e Castiel, Sam e Gabriel… erano quanto di più puro e semplice fosse mai esistito al mondo.
Avevano lottato con le unghie e con i denti per raggiungere un amore senza pretese, genuino come un fiore appena nato che petalo dopo petalo si stiracchia alla vita. Non si erano mai arresi, eppure eccoli lì, sepolti sotto strati di terra, dimenticati dal mondo e dalle memorie di chi non poteva più ricordare i loro volti e le loro storie.
Che ne era di quegli eroi? Che ne era di coloro che avevano sofferto per il benessere comune senza mai meritarsi un po’ di serenità o un piccolo paradiso personale? Dov’era la giustizia di Dio?
-Mandami indietro.- decise infine lei e Castiel la guardò con tanta disperazione che Mary sentì il suo cuore stringersi in una stretta dolorosa.
-Non dovrei averne la forza…- mormorò lui in risposta, e allora un flebile tremito gli attraversò il corpo spezzato. –Ma posso provarci. Prima però…-
Castiel infilò una mano tremante di dolore sotto il trench logoro e ne estrasse una boccetta minuscola, alta appena cinque centimetri, fatta di un cristallo lavorato che pareva risplendere di vita propria. Era un oggetto così bello che Mary si lasciò sfuggire un sospiro.
Castiel spalancò la bocca e appoggiò due dita sulla lingua, respirando esausto, privo di forze e vitalità. Quando allontanò la mano dal viso, le dita erano sporche di saliva, e allora Castiel le strofinò debolmente contro la bocca della boccetta, facendo scivolare nel cristallo, in quel momento fragile come lui, il liquido denso, che stranamente aveva una sfumatura lucente e argentata.
La saliva di un angelo.
La mano di Castiel cedette, il braccio mancò di forze e la presa sulla boccetta venne meno, ma prima che questa toccasse terra, Mary la afferrò e se la strinse al petto come se fosse qualcosa di immensamente prezioso, come la vita fragile di un uccellino appena nato.
-Dalla… a Gabriel… fa ciò che non sono riuscito a fare io…- mormorò Castiel pieno di rimorso. I suoi occhi vuoti si riflessero di una luce flebile, arcana, che per qualche istante parve ridargli vita: stava ricordando il viso del fratello, il suo sorriso scherzoso, le sue ali dorate che tante volte lo avevano confortato e protetto.
Gabriel. Suo fratello, il suo amico.
-Vie… vieni.- disse allora Castiel, cercando di risollevare la mano.
Mary gli afferrò un polso, facendo appello ai suoi ricordi di bambina e di cacciatrice. Sapeva come operavano gli angeli, perciò appoggiò la mano di Castiel contro la fronte senza mai staccare gli occhi dai suoi, così vuoti, così spenti, come una candela sulla quale aveva soffiato il vento, estinguendone la fiamma.
Non esisteva al mondo visione più triste di quella. Un angelo dalle ali spezzate, un uomo consumato dai suoi stessi sentimenti.
-Ti prego, se… se riesci a trovarlo… fermalo. Di… digli che lo amo…-  mormorò l’angelo, ma prima che riuscisse ad aggiungere altro la sua voce si spezzò in un singhiozzo disperato. Lacrime adamantine bagnarono i suoi occhi, scivolarono lungo il viso, gli accarezzarono la pelle in un tocco impietosito.
Castiel aveva paura. Castiel si sentiva stremato. Castiel capiva improvvisamente che dopo la morte, gli angeli si dissolvevano e basta, come se non fossero mai esistiti. Nessuna dimora per la loro anima, nessun posto per chi un’anima vera e propria non la possedeva affatto. Non avrebbe mai rivisto Dean, eppure non aveva mancato di attenderlo, di inseguire la speranza di incontrare un’ultima volta quel viso semplicemente per chiedergli perdono, per supplicarlo di non dimenticarlo.
Castiel chiuse gli occhi e voltò il capo di lato, mordendosi le labbra in un gesto umano. Lo stesso fece Mary, singhiozzando a sua volta davanti alla morte dell’angelo che aveva sognato per anni di rincontrare e che adesso sarebbe svanito nel nulla, sfuggente come aria tra le dita.
Fu allora che tutti videro: Castiel ebbe un flebile sussulto e si accasciò di lato un istante prima che una luce purissima avvolgesse Mary, trascinandola lontano, in un’altra epoca dove ancora c’era speranza e dove gli angeli ancora vivevano…
Castiel crollò, abbandonato ai piedi della tomba, l’espressione finalmente distesa mentre lentamente e con inesorabilità, l’impronta bruciata di sei ali gigantesche si imprimeva sul terreno, sulle lapidi, fin sopra le cripte. Al centro di quell’immenso disegno di carbone, c’era un uomo.
Nessuno avrebbe ricordato il suo volto, eppure lui era esistito.
Nessuno avrebbe ricordato il suo nome, eppure lui l’aveva avuto.
Nessuno avrebbe capito perché sul suo viso aleggiava ancora l’ombra delle lacrime che lentamente si congelavano su un viso ormai gelido di morte... umanità… e abbandono.
 


Angolo dell’autrice:
Ehm… fermi, posate quelle mannaie, parliamone… ricordate che quel Castiel appartiene al futuro, tecnicamente lontano ad avverarsi. Per ora, almeno. Ohohohohoh!
Gabriel: Luke… che la forza sia con te…
Ma che cazz… Gabriel!!! Che accidenti ci fai con una spada laser e il vestito di Darth Vader addosso? Sembri una caffettiera! E ora dimmi da dove hai preso tutto questo casino, io non degli affari del genere!
Gab: e questo perché non hai ancora visto il mio Enterprise parcheggiato qui fuori!
GABRIEL!!!
Gab: che c’è? Mi hai detto di trovare un posto per tutti i Behemah!
Ma non in una navicella spaziale! Hai bloccato la strada, dannazione!
Gab: che ve ne fate di una strada? Ce ne sono a migliaia! Ah, credo di avere investito Crowley… ammesso che quel coso informe sotto l’astronave sia lui.
Ma non era Balthazar? Mi sembrava un po’ magrolino quando l’ho visto prima… urlava qualcosa riguardo l’intingerti le ali nell’acido muriatico, ma non ne sono sicura.
Gab: ………………………..
……………………………………..
Gab: mi preparo per l’espatrio … l’Alaska deve essere un bel posto. E ci sono i pinguini! PINGUIIIIIIIIINIIIIIIIII
Ehm… ok, torniamo a noi. Dunque, ecco a voi cosa è riservato per il futuro dei nostri amici. Gran bel guaio, no? Ammetto di aver avuto gli occhi lucidi quando ho scritto i ricordi di Mary. Castiel è colui che più degli altri soffrirà, pur non meritandolo. Sappiamo però che sarà forte e insieme a lui lo stesso Dean saprà sostenerlo. Adesso non ci resta che aspettare la reazione del nostro bel cacciatore e tifare per i nostri amici. Su i cori da stadio, gente!
Ah, un’altra cosa! Dedico questo capitolo a lagoacre.
E ora spazio ai ringraziamenti!

lagoacre: cosa? Ala spezzata? Quale ala spezzata, non ti azzardare ad abbatterti!!! Come direbbe Bobby: “Che palle, ma non vi ho insegnato niente?” coraggio, quando hai dei problemi ricordati che queste storie, in particolare le mie, sono indirizzate ad aiutarti, a ricordarti che anche tu puoi essere come i nostri eroi semplicemente combattendo. E quando non ce la fai? Be’, Castiel chiede sempre aiuto a Dean pur essendo un potentissimo angelo, il che ci dimostra che anche gli imbattibili ogni tanto hanno bisogno di sostegno. Sii un po’ Castiel e un po’ Dean quando necessario, ma abbi sempre la forza di combattere. Detto ciò, ti ho dedicato il capitolo perché… be’… la tua recensione mi ha fatto piangere. Sarò sincera, ho sempre scritto per infondere agli altri il coraggio di cui necessitano. Sai, io stessa a volte traggo forza dai miei personaggi e il fatto che tu abbia fatto lo stesso ha dimostrato che forse ce l’ho fatta, forse questo insignificante scritto ha significato qualcosa per qualcuno. Per questo ti ringrazio e ti ringrazio di cuore per il tuo meraviglioso commento, mi ha commossa davvero tanto. Per te e per chi come te tifa per questi personaggi farò il possibile e andrò avanti, sperando di continuare a farvi sognare. Grazie e spero di leggere ancora un tuo commento. Su col morale e ricorda che il coraggio di andare avanti alberga solo e soltanto in te stessa. Abbi la forza di tirarlo fuori come hanno sempre fatto Dean e gli altri! Un bacione!
xena89: Gabriel non ha mai smesso di pensare a Sam e non smetterà mai. Anche se non sembra, il nostro arcangelo ha un cuore grande come una casa, ma non lo ammetterebbe mai e questo Sam lo sa. Menomale che il ragazzo è intelligente, altrimenti qualcun altro al posto suo avrebbe spennato Gabriel da tempo. XD io per prima credo che più di una volta l’avrei preso a calci nel didietro! Eheh, per farli  ricongiungere tutti ci vorrà ancora un po’, ma adesso che Mary ha portato un po’ di luce sulla faccenda Dean avrà parecchia fretta di riprendersi Cass! Che dire, adesso si scatenerà l’inferno, e povera me che narrerò tutto XD grazie per il commento e a prestissimo!
Sherlocked: il tuo Sabriel radar ha ancora molto da sopportare, ricorda che Gabe non è ancora sveglio! (e con ciò?! Non posso palpare Sam anche nell’incoscienza?! Nd Gabriel)(no Gabe, e la padellata in faccia che Sam ti ha rifilato dovrebbe esserti bastata come risposta.)(Non mi ha colpito, ho usato Balthazar come scudo. Nd Gabe) Ehm… riguardo il riunire Castiel e Dean… l’angelo lo rivolete tutto intero? No, perché altrimenti avrei un problema… (bisbiglia) Gabriel, credo che quello sia il piede, non l’orecchio (non è colpa mia, qui sembra tutto uguale! Ehi, e se gli attaccassi l’apparato genitale alla fronte? Diventerebbe un unicorno! Nd Gabriel)… Fortuna che Sindragon abbia una pazienza degna di questo nome, altrimenti avrebbe sbranato tutti e tre e tanti saluti alla storia. Le controfigure di scorta al momento sono due papere di gomma con le parrucche alla Sam e Dean e delle poiane particolarmente incazzate. Eheh, riguardo al nome della palla di pelo se ne parla nel prossimo capitolo, per il momento stiamo avendo a che fare col WWF… credo non siano tanto d’accordo allo zoo che un certo CRETINO mi ha portato in casa! (Che c’è?! Quelle aragoste e la piovra gigante mi facevano gli occhi dolci, non potevo abbandonarli! Nd Gabriel)(E allora vai a fare Ace Ventura l’Acchiappa animali e non rompere i cogl***i qui!!!) ehi, perché mi ringrazi per averti dedicato la storia?! Lo meriti, nella storia precedente hai commentato sempre e mi hai sempre incitato ad andare avanti e ora stai facendo lo stesso, non ti smentisci! ^^ detto ciò, torno a ringraziarti e ti saluto! Adioooooos!!!
kimi o aishiteru: no, il suddetto figlio di buona donna in questione ha ben altri collegamenti con i nostri amici e ben pochi con le Colonne d’Ercole, ma non posso dirti troppo altrimenti vi risparmio la sofferenza del dover leggere i miei casini mentali, e non sono così buona, nono U____ù. Dài, quantomeno in questo capitolo ho salvato Sam, è un casino correre dietro a tutti quelli che cercano di ammazzarsi o farsi ammazzare durante la storia. Purtroppo qualcuno me lo perdo per strada XD comunque parola mia, Gabriel starà meglio e Mary farà la sua parte! Detto questo, ti saluto e ti ringrazio ancora per il commento! Hasta la vista!!!
Shiva_: io direi poveri Dean e Samael se avessero ricominciato a litigare! Sam e Sindragon li avrebbero fatti a pezzi o peggio XD altro che Crowley e cerberi!!! Be’, tecnicamente adesso Sam e Gabriel sono ricongiunti, solo… ehm… non come vorremmo. È un dettaglio che Gabriel sia un po’ rottamato… insomma, di arcangeli se ne trovano tanti in Paradiso, nonostante abbia fatto a pezzi anche quello. Oddio, ora che ci penso sto massacrando un intero telefilm in pochi capitoli, prima o poi mi arriverà qualche denuncia o qualche maledizione voodoo. Tornando a noi, come sempre sei gentilissima e i tuoi commenti sono bellissimi, perciò ti ringrazio e ti abbraccio virtualmente, angioletto recensore, dedicando anche a te ogni mio sforzo, per quanto povero e insignificante ^^ a prestissimo e grazie!
Tomi Dark Angel
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 5
*** Ritorno Alla Vita ***


Quando riaprirono gli occhi, Mary si sentì male. Ebbe un capogiro e Samael la afferrò appena un attimo prima che cadesse. La ragazza gli arpionò il braccio, gli occhi serrati, il volto stravolto al ricordo ancora bruciante di un Castiel distrutto. Si premette una mano sulla bocca per non urlare.
Ricordare era stato doloroso.
Ricordare l’aveva stravolta, uccisa più e più volte.
Eppure, per niente al mondo avrebbe voluto dimenticare quegli occhi, gli occhi dell’angelo che si era schierato in sua difesa quando era una bambina sola e spaventata. Forse era per questo che Mary faceva di tutto per non deluderlo, o forse era per qualcos’altro.
-Dean…- mormorò Sam quando vide il fratello voltargli le spalle e aggrapparsi al davanzale della finestra in modo convulso. Chinò il capo, serrando forte gli occhi.
Avrebbe voluto morire più e più volte piuttosto che rivivere quel ricordo infernale. La morte sarebbe stata migliore della visione delle lacrime di un Castiel morente, distrutto da un mondo che gli aveva sottratto ogni cosa.
Stupido, piccolo angelo…
Dean si morse le labbra a sangue, soffocato dal dolore. Rivide gli occhi spenti del suo angelo mentre si accasciava contro la sua lapide, aggrappato a quell’inutile pezzo di pietra come un cane fedele sempre pronto al ritorno del padrone che tuttavia non sarebbe mai tornato. Aveva sofferto, pianto e si era consumato nella solitudine, senza nessuno che lo vedesse. Era stato invisibile, ombra tra le ombre anche durante la morte, ma non si era lamentato, non aveva odiato il destino che gli aveva portato via quanto avesse mai avuto di più importante in vita.
Castiel aveva sofferto, ma aveva perdonato.
Castiel aveva pianto, ma aveva trovato la forza di darsi una speranza anche quando questa sembrava essersi estinta per sempre.
Castiel si era consumato e poi spento, privato del volo, della vita e dell’amore. Eppure, nel buio dei suoi occhi, aveva scintillato ancora una volta la fiaccola seppur morente dell’amore incondizionato e puro che lo aveva sempre reso diverso dai suoi fratelli.
Una lacrima toccò il davanzale ma Dean la ignorò. I suoi occhi di giada si rivolsero al sole ancora alto nel cielo, scoccandogli un’occhiata pregna di bruciante decisione mista a disperazione.
No. Stavolta non l’avrebbe lasciato andare.
-Non ci sto.- disse, voltandosi verso i presenti col viso stravolto da una gelida furia. Vedere Castiel ridotto in quel modo lo aveva riempito di rabbia. Era umano, era debole e senza poteri sovrannaturali, ma aveva abbastanza forze da rivoltare il mondo intero come un guanto se fosse stato necessario. Questo perché Castiel non lo meritava, e non lo meritavano neanche Sam e Gabriel. Se c’era ancora un po’ di speranza in quel mondo, lui l’avrebbe trovata.
Per Sam.
Per Gabriel e Castiel.
Per se stesso.
Dean incrociò lo sguardo improvvisamente risoluto di suo fratello. Nonostante lo sconvolgimento che gli aveva causato il ricordo di Mary, Sam si raddrizzò e annuì con decisione. Come era sempre stato e sarebbe stato sempre, Sam lo affiancò, spalleggiandolo.
Erano insieme, e insieme avrebbero risolto la questione.
Mary li guardò con occhi colmi di lacrime. Per un attimo tremò, fragile come cristallo e debole come un bambino indifeso, ma poi anche lei, seppur con difficoltà, riuscì a raddrizzarsi. Respirò profondamente e annuì.
Il futuro era già cambiato dal momento in cui aveva salvato Sam qualche minuto prima e adesso si prospettava dinanzi a loro una strada incerta, oscura, ma non solitaria. Salvando Sam, aveva impedito che Dean si staccasse dal gruppo e che poco dopo lo stesso Gabriel si lasciasse morire, abbandonando un Samael distrutto che si sarebbe poi dato al vagabondaggio, lontano dagli angeli e lontano dagli uomini. Era cambiato tutto, erano ancora tutti lì.
C’era una speranza.
Samael avanzò di qualche passo, portandosi a poca distanza da Dean. I due si squadrarono impassibili, cercando di decifrare le emozioni interiori dell’altro con scarsi risultati. Poi, a sorpresa, Samael strinse una spalla di Dean, il viso trasfigurato in una maschera di ammirazione che l’angelo non aveva mai provato per nessun essere umano.
Dean ci credeva, credeva davvero nel suo obbiettivo. Dopo ciò che aveva visto nei ricordi di Mary e vissuto attraverso la sua vita di cacciatore, aveva ancora la forza di sperare. Ancora una volta, gli uomini si dimostravano straordinari, creature capaci di compensare la mancanza di poteri sovrannaturali con ciò che alle altre creature mancava: il coraggio e la speranza.
-E sia.- decise allora Samael, poi si rivolse a Mary. –Hai ancora quella boccetta di saliva?-
Mary annuì e, infilata una mano nella tasca dei jeans ne estrasse la boccetta, che porse a Samael con mano tremante. L’angelo la afferrò e la squadrò portandola davanti agli occhi, il capo appena inclinato e le palpebre appena abbassate in un’espressione concentrata.
-Che ci facciamo con la saliva di Cass?- chiese allora Dean.
-In questa saliva c’è un po’ di sangue. Castiel deve essersi morso la lingua e come ben sapete il sangue ha un potere immenso, soprattutto se è quello di un arcangelo.- spiegò Samael in risposta. Agitò appena la boccetta, facendo brillare il liquido al suo interno. –Questa la usiamo per ottenere qualche chiarimento dall’unica persona che può aiutarci davvero.-
Samael sorrise sereno e guardò Gabriel, steso sul letto con il corpo scosso dai tremiti. Ansimava appena.
Sam sussultò e il suo cuore si riempì di speranza. –Puoi… guarirlo?- mormorò con voce roca.
Per tutta risposta, Samael raggiunse il letto dell’arcangelo, stappò la boccetta e la rovesciò, facendo colare quell’unica, grossa goccia di saliva sull’indice. Spalancò delicatamente la bocca di Gabriel e appoggiò il polpastrello sulla sua lingua. Sfilò il dito e arretrò di un passo per lasciare spazio a Sam, che si catapultò sul letto.
Non accadde nulla. Niente di niente, non un movimento o una qualsiasi reazione. Gabriel rimase immobile e inanimato come una bambola di pezza.
-Gabriel…- mormorò Sam, accarezzandogli il viso, e allora Dean, Mary e Samael distolsero il viso, chiudendo gli occhi sconfitti. Gabriel non si sarebbe svegliato, il suo destino non era mutato nonostante tutti i loro sforzi.
Ma Sam non si arrese. Continuò ad accarezzarlo e a coccolarlo come una madre che una volta partorito il figlio morto lo svezza comunque, pulendolo come se fosse vivo. Sam si comportò così. Gli passò le dita tra i capelli, gli baciò la mascella, gli strinse una mano, accarezzandogli il polso col pollice. Ad ogni gesto chiudeva gli occhi, pregava, supplicava ma non si arrendeva mai.
Lo chiamò più volte, ma Gabriel non rispose.
Lo sfiorò, ma Gabriel non reagì.
Sam continuò e continuò ancora sotto gli occhi abbattuti dei presenti, che ormai avevano concepito e accettato l’idea che non ci sarebbe stato più nulla da fare. Per Sam no, per lui c’era ancora speranza e lo dimostrò continuando a baciare e accarezzare Gabriel, richiamandolo a una vita che ormai sembrava averlo abbandonato.
Hai promesso che saresti tornato…
-Gabriel.-
Una lacrima, una nuova carezza. Sam chiuse gli occhi, ricordando la dolcezza del tocco di Gabriel sulla pelle ma quel pensiero anziché abbatterlo lo incitò a continuare, ad andare avanti passo dopo passo, pregando per quella vita tanto piccola quanto importante.
Hai promesso che non mi avresti abbandonato…
-Gabriel.-
Sam baciò le bende che fasciavano le palpebre chiuse di Gabriel, sfiorandogli l’ansa della gola con mani leggere, lievi come il volo di una farfalla. Pregò Dio. Pregò per la libertà di Gabriel, pregò perché i suoi occhi si aprissero di nuovo su un mondo che potevano ancora guardare.
Il mondo aveva bisogno degli angeli e gli angeli avevano bisogno degli uomini che abitavano il mondo. Si curavano a vicenda, si aiutavano e si insegnavano reciprocamente tanti insegnamenti importanti. Così come Gabriel aveva insegnato loro che era giusto credere in qualcosa fino in fondo, così Sam aveva dimostrato che dove l’amore e la pazienza lavoravano, si sarebbe potuto oltrepassare qualsiasi ostacolo. Adesso era il momento giusto per dimostrarlo ancora, perciò il cacciatore non si fermava e con la pazienza di una madre premurosa sfiorava la pelle dell’angelo, richiamandolo alla vita.
Avevi promesso…
-AVEVI PROMESSO!!! GABRIEL!!!-
Tling.
Il campanellino urtò il mento di Gabriel nello stesso istante in cui Sam gli baciava la fronte. Il suono acuto e cristallino si espanse nell’aria, rimbalzando contro i muri e nelle teste dei presenti con un’eco innaturale.
Tling.
Sam passò le braccia intorno al corpo di Gabriel e lo strinse a sé, affondando il viso nell’incavo del suo collo. Una lacrima adamantina bagnò la clavicola dell’arcangelo inerme, torturato, spezzato come una piuma separata dalla sua ala e portata via dal vento, lontano, dove nessuno avrebbe potuto più recuperarla. Non stavolta. Stavolta Sam ci avrebbe provato, avrebbe inseguito in eterno quella piuma perché ci credeva, credeva possibile riportarla indietro, pulirla, prendersene cura e riportarla ad essere lucida e luminosa come in passato.
-Svegliati. Ti prego…- singhiozzò allora, aggrappandosi forte alle garze che cingevano il busto di Gabriel.
TLING!!!
Un fruscio, un respiro profondo di vita inalata, grata dell’aria che stava tornando a respirare.
Un braccio che cingeva con forza i fianchi di Sam, aggrappandosi a lui, al suo corpo come un’ancora di salvezza.
Un fruscio morbido, conosciuto che gonfiò il cuore di Sam di speranza. Un possente riflesso dorato invase la stanza, irradiandosi fino alle finestre come un raggio di sole brillante, luminoso, purissimo. Un mare di piume invase la stanza, costringendo tutti i presenti a parte Sam ad arretrare fin quasi a uscire dalla stanza per lasciare spazio alle ali che lentamente si stringevano intorno al corpo di Sam in un bozzolo protettivo, magnifico, morbido come la più morbida delle sete.
Sam sollevò il capo e fissò lo sguardo sul viso di Gabriel che lentamente riacquistava colore e vitalità. Lo vide muovere il capo e far ondeggiare lentamente i capelli biondo miele, poi il suo cuore si fermò quando Gabriel sollevò la testa… e parlò.
-Sam…-
A quel punto Sam sentì le lacrime confluire liberamente dagli occhi come un fiume in piena. Singhiozzò, aggrappandosi alle spalle del suo arcangelo e tornando a premere il viso contro il suo collo come per nascondersi in un rifugio sicuro. La paura si sciolse, rilassandogli il corpo e dando libero sfogo al terrore che aveva provato in quei giorni, vissuti come un incubo.
Aveva rischiato di perderlo e aveva rischiato di perdersi, ma non era accaduto, e tutto grazie alle cure e alla pazienza di un piccolo e insignificante umano innamorato. Ogni suo sforzo era stato premiato, ogni dimostrazione d’affetto aveva condotto Gabriel sulla strada del ritorno.
Gabriel gli accarezzò i capelli, irradiando una flebile luce da ogni poro della pelle e Sam risollevò il capo, gli baciò le bende laddove sapeva esserci le palpebre e finalmente, portate entrambe le mani dietro il capo dell’arcangelo, sciolse il nodo delle garze, lasciandole cadere sulle lenzuola con un dolce fruscio.
Cautamente, sotto gli occhi di tutti, le palpebre di Gabriel tremolarono e si sollevarono con lentezza e fatica. Finalmente, Sam rivide quegli occhi, più brillanti e belli di come li ricordava. Ogni sfaccettatura verde dorata, ogni sottile riflesso della pupilla luminosa richiamava alla memoria del cacciatore i più bei momenti della sua vita vissuti insieme all’arcangelo che lo stringeva a sé, scavandogli nell’anima attraverso gli occhi lucenti di una miriade di emozioni travolgenti.
Gabriel lo guardò come se lo vedesse per la prima volta e sorrise con tanta tenerezza che Sam si sentì sciogliere. Nessun essere umano avrebbe potuto esprimere tanto amore semplicemente guardando e sorridendo un'altra persona.
Gabriel gli accarezzò ancora i capelli, gli sfiorò il collo con dita gentili e risalì, tracciando ogni linea del suo volto senza mai distogliere lo sguardo dal suo. Sembrava che il semplice fissarlo lo rinvigorisse, aiutandolo a riprendere forze ed energie. Non poteva essere così, eppure per qualche istante Sam fu certo del contrario.
-Sam…- mormorò ancora Gabriel, sorridendo con felicità contagiosa al punto che Sam lo strinse più forte e scoppiò in una risata argentina e rilassata, tanto illogica quanto pura. Andava tutto bene, erano felici!
Un verso animale simile a un leggero abbaiare li raggiunse scavalcando le ali e in un istante la volpe Behemah di Gabriel balzò sul letto, frapponendosi tra lui e Sam e cominciò a leccare la faccia al suo arcangelo, che la abbracciò e affondò il volto nel suo pelo.
-Ciao, tesoro.- salutò Gabriel con voce tremante di commozione mentre la volpe gli leccava la faccia, facendolo ridere come un bambino. Gabriel le grattò la collottola.
Quella visione fece risvegliare Dean, Mary e Samael, fino a quel momento rimasti immobili a guardare a bocca aperta Gabriel che si risvegliava. Il cacciatore scrollò il capo e trattenne un sorriso.
-Maledetta testa di cazzo piumata… tu guarda che cosa abbiamo dovuto passare e adesso il figlio di puttana si rotola sulle coperte con una cazzo di volpe in braccio. Sammy, fossi in te mi allarmerei.-
Al contrario, Sam rise più forte e abbracciò sia Gabriel che la volpe mentre Mary scoppiava in un pianto commosso e si appoggiava contro Dean, che le passò un braccio intorno alle spalle, grato a quella piccola ragazzina che aveva avuto la forza e il coraggio di salvare il loro arcangelo e restituire la felicità a Sammy.
Gabriel scansò delicatamente la volpe dopo averle rifilato un colpetto gentile sulla spalla e mentre lei andava a sedersi di fianco a Sindragon, l’arcangelo afferrò i fianchi di Sam, gli sfiorò il campanellino con una mano e unì le loro labbra.
In quell’istante ad entrambi parve di tornare alla vita, di rinascere dalle ceneri del disastro scansato per poco. Erano stati lontani, ma si erano ricordati a vicenda, si erano sostenuti e ancora una volta avevano zoppicato insieme fino al traguardo. Feriti, sì; stanchi, sicuro; ma vivi e felici.
La lingua di Gabriel chiese delicatamente accesso alla bocca di Sam, che si schiuse come se non avesse mai aspettato altro. Le labbra del cacciatore erano morbide come panna, dolci come le leccornie che Gabriel amava divorare ma il suo sapore assaporato attraverso il gentile contatto di lingua contro lingua gli schiuse le porte di un paradiso personale in cui erano solo lui e il suo Sam.
Quel bacio li abbeverava dopo una lunga siccità; quel bacio costruiva ad entrambi un paio d’ali nuove che li avrebbe innalzati leggeri all’ottavo cielo.
Le mani di Gabriel superarono l’ingombro della maglietta di Sam e gli accarezzarono la spina dorsale, facendolo rabbrividire e sorridere sulle sue labbra mentre il cacciatore gli affondava le dita nei capelli e stringeva le ginocchia intorno ai suoi fianchi, bacino contro bacino, in una posizione desiderosa, di perfetto incastro di corpi innamorati.
-Ehm ehm…- tossì Dean, richiamando l’attenzione e la razionalità dei due, che si separarono e lo fissarono. Sam aveva tutta l’aria di chi non avrebbe chiesto nulla di meglio che bruciarlo nell’acido muriatico, ma Gabriel sorrideva.
Sam si scansò, dandogli la possibilità di alzarsi a sedere. Gabriel si guardò intorno stordito ma felice un attimo prima che Samael si avvicinasse con cautela, quasi avesse paura di spaventarlo.
I due si fissarono in silenzio, occhi negli occhi in un miscuglio di emozioni e colori cangianti, luminosi di sollievo. Alla fine Samael tese una mano e Gabriel la afferrò in una stretta delicata, confidenziale, che valeva più di mille parole. Le loro dita si intrecciarono, i loro sguardi si addolcirono mentre la luminosità della loro pelle incrementava, trasformandoli in due fioche stelle dalla pallida bellezza. Le ali di Gabriel abbracciarono Samael, spingendolo verso il suo corpo e in breve i due fratelli si strinsero con forza, aggrappandosi l’uno all’altro.
Erano insieme, erano sopravvissuti alla catastrofe. Il Paradiso era caduto, ma loro erano ancora in piedi.
Samael sfregò il naso contro il collo di Gabriel, che ridacchiò.
-Piano con le affettuosità, dolcetto alla crema; sono già impegnato.-
-Accidenti, e io che volevo provarci!-
-Lontano dal mio culo, coso!-
Scoppiarono tutti a ridere, ritrovando un’atmosfera rilassata che in molti credevano di aver perduto.
Alla fine però, la risata di Gabriel si affievolì e, guardandoli uno ad uno, domandò: -Che mi sono perso?-
§§§§
-… e questo è tutto.- concluse Samael, fissando intensamente suo fratello, seduto sul letto con un braccio stretto intorno alla vita di Sam, appoggiato pigramente contro di lui. Dean era appoggiato contro lo stipite della porta con Sindragon accucciato ai suoi piedi, accanto alla volpe. Il cacciatore fissava Gabriel con crescente tensione, in attesa che l’arcangelo gli rivelasse dove fosse Castiel. Il tempo era troppo poco ed era ora di muoversi.
Dopo un po’, Gabriel distolse gli occhi da Samael. –Capisco.- mormorò, senza aggiungere altro.
A quel punto Dean scattò: -Capisci? CAPISCI?! Magari hai anche intenzione di dirci dove cazzo è finito Castiel, testa di cazzo piumata?-
Gabriel non lo guardò. -Non lo so.- disse con voce incerta, intrisa di falsità. Sam si discostò da lui.
-Perché non vuoi parlarne, Gabriel?- chiese, accarezzandogli il viso per costringerlo a guardarlo. Gabriel non reagì.
-Perché non lo so.- ripeté, guardando a terra con insistenza.
Dean oltrepassò Sindragon e la volpe, scansò Mary e afferrò Gabriel per il collo, costringendolo ad alzarsi in piedi. Con l’altra mano impugnò la pistola, che puntò contro Sam per prevenire il suo intervento.
-Fatti da parte Sammy, questa questione non ti riguarda.- ringhiò infuriato. –E adesso faresti meglio a parlare, figlio di puttana.-
-Non lo so.-
-Lo sai, perciò dimmi la verità!!!-
Gabriel sbatté le palpebre, lo guardò stordito, quasi senza riconoscerlo. Poi, a sorpresa, una delle sue ali saettò sfiorando il braccio di Dean, quello che impugnava la pistola, e scavandovi un profondo taglio obliquo nella carne. Il cacciatore urlò sorpreso e lasciò cadere l’arma mentre l’ala scattava ancora e lo spingeva a terra.
Un luccichio dorato, uno scintillare di piume d’acciaio. Le penne si infissero a fondo nel pavimento, esattamente ai due lati del collo di Dean mentre gli occhi di Gabriel si assottigliavano rabbiosi, privi della loro solita vitalità.
Allora Sam distinse qualcosa di nuovo in lui, una sorta di tensione nervosa, come quella di un animale in gabbia o continuamente braccato. Gabriel era pronto a scattare e sembrava non riconoscerli, accecato dalla paura e dalla confusione. Era cambiato qualcosa, qualcosa l’aveva trasformato. Non era più lui.
-Gabriel…- mormorò Sam, cercando di avvicinarsi ma Gabriel lo fissò con occhi ora sbarrati di paura e tensione. Sembrava davvero un animale in trappola. –Gabriel, sono io.-
All’improvviso però, Samael si scagliò contro Gabriel. Lo afferrò per il collo, tirò un calcio ben assestato all’ala, costringendola a ritirarsi prima che potesse decapitare Dean e si lanciò verso la finestra, trascinandosi l’arcangelo dietro.
Mary urlò e si riparò la testa, pronta a vedere il muro cedere per lasciar passare le ali immense di Gabriel, ma un istante prima che toccassero la parete, gli angeli sparirono.
§§§§
Gabriel e Samael rotolarono nella polvere, vicino al bordo di uno dei crepacci del Grand Canyon. Si stringevano in una morsa letale, reciproca e distruttiva.
Gabriel avvinghiava le mani agli avambracci di Samael mentre questi gli stringeva il collo, spingendogli la testa contro il terreno per tenerlo fermo. Alle loro spalle, le ali sbattevano nervosamente nel tentativo di infilzarsi con le piume acuminate e sollevando una vera e propria tempesta di sabbia.
Samael sbatté la testa di Gabriel al suolo, ma l’arcangelo tentò una debole ribellione. Era chiaro che qualcosa lo tratteneva, altrimenti a quell’ora Samael sarebbe stato fatto a pezzi. Eppure Gabriel non combatteva veramente e al contrario, si lasciava picchiare opponendo una flebile resistenza istintiva.
-Perché non lotti?!- urlò Samael, sbattendogli ancora la testa al suolo. –Perché non parli?! Perché non riveli dov’è Castiel?-
Samael lo colpì, gli graffiò le ali e il corpo, ma Gabriel non reagiva più. La furia che sembrava averlo quasi spinto ad uccidere Dean, era sparita.
Alla fine, Samael si fermò e rotolò di lato, sfinito e coperto soltanto di qualche livido. Al contrario, Gabriel era ferito di brutto, tanto che il polso ricadeva a una strana angolatura e il viso era pieno di tagli e lividi. Si girò su un fianco per sputare un grumo di sangue e saliva, le ali tremanti abbandonate nel terreno sporco del suo stesso sangue. Aveva gli occhi chiusi.
-Non chiedermelo.- mormorò, sfinito. –Non lo so, io…-
Gabriel mugolò di dolore e si rannicchiò. Si premette la mano sana su una tempia, la sua vera voce che vibrava nell’aria, creando un principio di crepe nel terreno sottostante. Samael si alzò a fatica e barcollò fino a lui, rendendosi conto di aver esagerato, agendo ingiustamente al punto da pestare un fratello a lungo cercato e infine ritrovato.
-Gabriel…-
-ESCI DALLA MIA TESTA!!!-urlò Gabriel, e allora le sue ali sbatterono forte, scagliando Samael lontano e facendolo rotolare nella polvere. Il cielo si oscurò di nubi temporalesche mentre il corpo di Gabriel si ricopriva di luce pulsante di energia sempre più carica. A breve sarebbe esploso, e Samael si trovava nella sua traiettoria.
-Dannazione!- urlò, sbattendo forte le ali per levarsi in volo. I suoi piedi si staccarono dal terreno mentre il corpo veniva sbalzato in aria, trascinato via dallo sbattere affannato delle gigantesche appendici alate. Il vento gli scompigliò i capelli, i muscoli alari bruciarono per lo sforzo di levarsi in cielo con la velocità di una saetta. Non voleva teletrasportarsi lontano e perdere di vista Gabriel, ma non poteva neanche lasciare che suo fratello lo annientasse in un involontario scoppio di energia.
Samael salì di quota. La luce intorno a Gabriel aumentò insieme all’aumentare delle grida angeliche dell’arcangelo che aprirono tanti piccoli crepacci nel terreno del possente Grand Canyon. Alcuni spuntoni di roccia cedettero, i bordi dei crepacci si spaccarono e caddero nel vuoto per sbriciolarsi a mezz’aria, ancor prima di toccare il suolo. La devastazione si allargò a macchia d’olio insieme al pulsare della luce intorno a Gabriel e al vibrare trattenuto delle ali dorate, cariche di magnificenza e pericolosa energia a stento trattenuta.
L’aria vibrò, e quello fu l’unico preavviso dell’esplosione imminente. Una potente bolla di luce purissima si dilatò partendo dal corpo contratto di Gabriel, distendendosi per chilometri e chilometri in un mare di energia inarrestabile che disintegrava ogni cosa nel raggio di miglia. Il cielo divenne totalmente nero, come un manto di velluto soffocante mentre il Grand Canyon e tutto ciò che lo attorniava si sbriciolava, trasformandosi in cenere e polvere nerastra che veniva poi portata via dal vento.
Samael fu travolto dall’energia di Gabriel e sentì la sua Grazia soffocare, schiacciata dalla potenza scatenata di un arcangelo fuori di sé. Sbatté disperatamente le ali, ma questo non lo aiutò a riprendere quota. Al contrario, una forza invisibile lo precipitò al suolo come una cometa, schiantandolo al suolo e affossando il suo corpo per metri e metri. Samael sentì le ossa spezzarsi, la carne lacerarsi contro gli spuntoni di roccia e chiuse gli occhi, spandendo nell’aria un grido con la sua voce d’angelo. Socchiuse gli occhi, sfinito dal dolore e dalla stanchezza quando all’improvviso una mano delicata gli toccò una tempia, sfiorandola dolcemente.
Samael levò appena lo sguardo esausto e intravide una sagoma inginocchiata al suo fianco, il capo rivolto verso Gabriel e una mano levata davanti al corpo quasi a voler fermare la forza inarrestabile dell’arcangelo. Sembrava assurdo, ma il nuovo arrivato sembrava brillare con più forza di Gabriel.
Quando Samael svenne, la sua mente restò concentrata su quel flebile tocco all’altezza delle tempia. Un tocco dolce, sicuro, di salvezza. Samael si aggrappò alla vicinanza del nuovo arrivato mentre il dolore abbandonava il suo corpo insieme agli ultimi residui di coscienza.
§§§§
Gabriel rotolò su un fianco, tremante di dolore e della consapevolezza di aver distrutto una delle sette meraviglie del mondo insieme a migliaia di vite animali e umane. Non si era controllato, non era riuscito a scacciare quell’essere dalla sua testa. Era stato debole, e adesso ne pagava le conseguenze.
Gabriel si rannicchiò, piegando le ali accanto al corpo. Si abbracciò le ginocchia e scoppiò in un pianto dirotto di bambino indifeso nonostante la devastazione che si era creato intorno con appena metà della sua forza. Pianse, pianse come non aveva mai pianto in vita sua.
Pensò a Sam, al suo sorriso quando lo aveva visto aprire gli occhi. Non sapeva cosa stava guardando, non sapeva di aver avuto tra le braccia un arcangelo infetto dal più terribile dei virus. Per pochi istanti si erano ritrovati, ma adesso Gabriel rischiava di perderlo di nuovo. Non voleva.
-Mi dispiace, fratello.- disse una voce, ma Gabriel si rifiutò di guardare in faccia il proprietario. L’aveva già visto, lo conosceva bene, ma non voleva mostrarsi debole anche ai suoi occhi. Si asciugò le lacrime e si alzò in piedi, barcollando per le ferite e la stanchezza. Così tremante, sembrava un fiore bellissimo e delicato in balìa della più aggressiva delle tigri. Non aveva neanche più le spine per proteggersi, perché qualcuno gliele aveva tagliate.
Lo sconosciuto lo raggiunse, si accostò a lui ma non lo toccò, ben sapendo che la sua compassione avrebbe semplicemente fatto infuriare l’arcangelo. Si limitò perciò a guardarlo con pietà mentre Gabriel fissava lo sguardo da un’altra parte e alla fine sospirò.
-Non meriti questo, Gabriel.-
-L’ho scelto io. Mi sono fatto catturare e questa ne è la giusta conseguenza.-
-Ti sbagli. Questa è la conseguenza che ti impartisci.-
Gabriel non ebbe il coraggio di replicare mentre sul suo viso adesso inespressivo scivolavano nuove lacrime. Levò gli occhi al cielo e a un suo cenno le nuvole si diradarono, scoprendo un paesaggio pregno di cenere, morte e distruzione. Non era rimasto niente, lo stesso Grand Canyon era crollato totalmente, diventando irriconoscibile sotto ogni aspetto.
-No, così non và.- disse allora lo sconosciuto e, posata una mano sulla fronte di Gabriel, affondò le dita nelle sue tempie. Un fitto reticolo azzurrino si diradò da quel contatto trasferendosi sulla fronte dell’arcangelo, lungo le tempie, fin dentro il cervello. Il reticolo azzurrino affondò radici nella carne, facendo gridare Gabriel con la sua vera voce. Quel suono vibrante, adamantino spaccò le poche pietre rimaste in piedi e spazzò via alcuni quintali di polvere, innalzando una piccola tempesta di sabbia.
Faceva male, bruciava.
Il cervello stava per scoppiargli.
Proprio quando Gabriel sentì di essere in procinto di esplodere, lo sconosciuto scansò la mano e l’arcangelo si accasciò al suolo, svenuto. Le sei ali si afflosciarono, gli occhi si chiusero in un’espressione finalmente rilassata per l’improvvisa mancanza di dolore.
Lo sconosciuto sorrise soddisfatto anche se un po’ ansimante e ammiccò al corpo immobile dei due angeli. Intrecciò le dita dietro la schiena e si voltò. Levò entrambe le mani, rivolgendo i palmi al cielo e mentre intonava una lenta litania ogni pietra, ogni fiore, ogni singolo granello di polvere e di vita tornò al suo posto, perfettamente ricostruito.
Quando ebbe finito ed abbassato le mani, lo sconosciuto appoggiò le mani alle ginocchia, tossendo sfinito, ma alla fine rivolse lo sguardo al cielo.
-Il gioco continua, amico mio. A chi tocca, adesso?-
 
Angolo dell’autrice:
Buongiorno a voi lettori che siete arrivati coraggiosamente fino a questo punto e… ma andiamo, devo davvero dire questa vagonata di str****te? (Sfoglia copione) e perché qui c’è scritto che alla fine devo firmarmi Gollum? GABRIEL!!!!
Gabriel: che c’è? Non sono stato io, sono ancora impegnato a dare da mangiare ai coccodrilli!
Tomi non sarà felice di sapere che hai trasformato la sua stanza in una palude…
Gabriel: questo quando uscirà di prigione per possesso illecito di animali in via di estinzione.
In quel caso sono più che certo che darà lei da mangiare ai coccodrilli. Gabriel, spero tu sappia nuotare o che riesca a trasformarti in Indiana Johnes, anche perché appena scopre che stiamo pubblicando capitoli a sua insaputa finiremo tutti nel microonde.
Gab: sei stato tu ad accettare l’incarico, Balthazar!
Be’? Ho sempre voluto fare lo scrittore! In alternativa mi sarebbe piaciuto fare la tartaruga ninja, ma mi sto ancora allenando alle arti marziali…
Gab: Balthazar…
Lo so, devo impegnarmi di più! E forse non dovevo appendere Splinter a un lampione legandogli la coda…
Gab: Balthazar…
Senti, non posso farci niente, ok? L’ispettore Gadget non mi ha accettato come aiutante nelle sue indagini e…
Tomi: COSA STATE FACENDO?!?!?!?!?!?!?!?!?
Balthazar/Gabriel (sudando freddo): noi… ehm…
E che cazzo è quest’umidità?
Bal/Gabriel: NO, NON APRIRE QUELLA POR…
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHH
Bal/Gab: ……………………………………………………………………….
Bal: è caduta nella palude dei coccodrilli…
Gab: già.
Bal: fortuna che aveva già scritto i ringraziamenti ai recensori l’altro ieri…
Gab: già.
Bal: espatrio?
Gab: espatrio.

kimi o aishiteru: come faccio? Be’, siete voi con i vostri commenti a farmi venire voglia di scrivere, ditemi voi come faccio XD oddio, mi dispiace farvi aspettare, faccio sempre il possibile per pubblicare in fretta ma tra la scuola, gli esami e tutto il resto è un casino scrivere. Me tapina! XD comunque adesso riguardo il futuro di Cass è tutto da vedere, anche perché il suo attuale fato potrebbe essere peggiore di quello raccontato, chissà. Sono o non sono la massacratrice di angeli più bastarda del web? XD ok, forse ho esagerato perciò torno come sempre a ringraziarti e ad aspettare di sapere cosa ne pensi di questa nuova cavolata di scritto! A prestissimo e grazie, angioletto recensore!
Shiva_: un’altra recensione bellissima! Pensa che se voi piangete quando leggete i miei capitoli, io sorrido felicissima leggendo i vostri bellissimi commenti! Eh, purtroppo Sam e Gabriel sembrano non avere mai pace, poverini. È la maledizione dei Winchester, secondo me XD e in questo caso la maledizione sia loro che vostra sono io! Poveri voi che mi sopportate! Comunque promesso, farò il possibile per dare la pace ai nostri eroi, dopotutto almeno un po’ lo meritano… dopo quello che gli sto facendo passare! Ecco a te il nuovo capitolo e aspetto con ansia di sapere cosa ne pensi! Un bacione virtuale e un ringraziamento grande come una casa!
Sherlocked: cosa? Noooooooo, il tuo Sabriel radar non si fonderà mai più (incrocia le dita dietro la schiena e fischietta) (Cosa? Lo voglio anch’io un radar, cos’è questo razzismo? Gli angeli non hanno diritto ai radar? Nd Gabriel)( non avresti neanche diritto di vivere, maledetto pennuto! Ho un nido di passeri tra i capelli e un lama mi ha sputato nell’occhio stamattina! Oh, e vogliamo parlare dello stambecco che mi ha caricato ieri? Mi ha incornato lo stinco! LO STINCO, GABRIEL!!!)( eri entrata nel suo territorio! Nd Gabriel)( Si è infilato nel mio sgabuzzino e ha mangiato tutte le scope! Adesso mi dici pure che è colpa mia?!)(Dico semplicemente che si potrebbe risolvere la faccenda in maniera civi… ehi, posa quell’olio santo… parliamone… SCHERZAVO!!! Nd Gabriel-che-frigge). Ok, dov’ero rimasta? Ah, sì! Come al solito torno a ringraziarti e a dire che le tue recensioni sono bellissime e spassosissime, spero di sapere presto cosa ne pensi! Un bacio e a presto!
Gollum (GABRIEEEEEL!!!)
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 6
*** Un Sussurro Dall'Inferno, Un Grido Dal Paradiso ***


Gabriel gemette, scuotendo il capo nella semi incoscienza. Si sentiva stordito e i suoi cinque sensi tardavano a ritrovare la giusta funzionalità. Si agitò allarmato, cercando di capire dove fosse e come ci fosse arrivato: il suo buio era popolato di grida, strumenti di tortura e inutili suppliche di pietà. Qualcuno rideva da qualche parte mentre lui urlava di dolore, contorcendosi nell’agonia delle torture infertegli.
Gabriel si irrigidì e mugolò nel sonno, tremando visibilmente. Strinse forte le dita, ma allora incontrò la resistenza di una stretta calda e sicura sulla sua mano. Lentamente, Gabriel realizzò di avere la schiena leggermente rialzata e qualcosa di pesante appoggiato in grembo. Aprì lentamente gli occhi e riconobbe la stanza di Bobby Singer, con il suo disordine e l’inconfondibile ammasso di libri sparsi ovunque. L’oscurità della notte avvolgeva qualsiasi cosa, riempiendo l’ambiente di ombre scure e raggi di luna argentati.
Gabriel cercò di muoversi appena, ma qualcosa lo bloccava, premendo sul ventre. Quando abbassò lo sguardo, vide un braccio cingergli la vita e una mano stringere la sua poco al di sopra di quello stesso braccio. Un corpo alle sue spalle se lo stringeva al petto come se fosse qualcosa di immensamente prezioso e fragile e il capo chino e assopito di Sam Winchester li spingeva guancia contro guancia. In pratica, la schiena di Gabriel aderiva al petto di Sam in un delicato incastro che mescolava i loro profumi e i respiri calmi e rilassati.
L’arcangelo pensò di essere morto, di star sognando. Mosse lentamente l’altro braccio per stringere con la mano libera le loro dita intrecciate, fissandole come se non credesse ai suoi occhi. Quella pace, quel silenzio… erano così belli da sembrare irreali.
Sam era lì e lo stringeva, lui stava bene e non sentiva alcun peso gravargli sulla Grazia come era stato fino a quel momento e sembrava mentalmente stabile. Non se la sentiva di rilassarsi del tutto, ma era mai possibile che il peggio fosse realmente passato?
Gabriel accarezzò il palmo di Sam, poi gli lasciò lentamente andare le mani e si voltò con cautela, trovandosi faccia a faccia con il volto addormentato del cacciatore. Sam aveva un’espressione serena, il volto disteso e privo delle solite rughe di preoccupazione. I capelli gli cadevano sugli occhi chiusi, le labbra si schiudevano per lasciar passare un leggero soffio di vita momentaneamente tranquilla.
Era così bello da sembrare una statua antica e incorruttibile. Aveva un’aria così innocente e indifesa che Gabriel si sentì male al ricordo di come lo aveva trattato prima.
Era scomparso, si era fatto catturare e torturare solo per farsi scoprire in quelle condizioni da Sam e poi quando era rinvenuto, l’aveva quasi attaccato e per poco non decapitava suo fratello. Gabriel si sentì indegno di quel ragazzo così sensibile, sempre dedito al perdono.
Con un sospiro, appoggiò la fronte contro la spalla di Sam e lo sentì sussultare mentre si svegliava, ma a Gabriel non interessò. Si limitò a stringerlo più forte, aggrappandosi a quell’ancora di salvezza per eliminare gli incubi delle torture subite. Forse sarebbe bastato, forse… forse…
-Gabriel…- mormorò Sam, abbracciandolo a sua volta con fare protettivo. Emise un sospiro finalmente rilassato, grato a quel destino che gli aveva restituito il suo arcangelo. Quando aveva ricevuto la chiamata di Bobby che urlava di essersi trovato due angeli svenuti nel salotto, Sam quasi aveva creduto a uno scherzo. Era assurdo, tuttavia ci aveva sperato e adesso eccoli lì, abbracciati in un letto caldo. Insieme, al sicuro.
Il corpo di Gabriel tremò, intriso di una debolezza che Sam non aveva mai associato a lui ma che in fondo si sentiva di capire e di concedergli. Dio solo sapeva quante ne aveva passate alle Colonne d’Ercole.
-Mi dispiace.- mormorò allora Gabriel con voce roca. Sam sentì qualcosa di bagnato sfiorargli la clavicola e sbarrò gli occhi al pensiero che l’arcangelo stesse piangendo di un pianto umano e altrettanto fragile. –Mi dispiace…-
Sam allora gli sfregò la schiena, affondò il volto nei suoi capelli profumati di vento e dolci. –Non è successo niente.- disse e allora Gabriel riaprì gli occhi e levò il capo per guardarlo distrutto, spezzato in due.
Sam sorrise e gli sfiorò il volto, poi si chinò a leccare dolcemente la scia di lacrime con l’accuratezza che lo aveva sempre contraddistinto.
-Hai sbagliato qualcosa, questo è innegabile, ma nessuno meglio di me può capirti. Tuttavia, un errore non classifica un essere vivente, che sia umano o no e questo lo sappiamo tutti. C’è anche tanto di buono in te, Gabriel, perciò non dimenticare chi sei veramente. Recupera i tuoi dolci, affronta i tuoi incubi e combattiamo insieme per andare avanti. Me l’hai detto tu, ricordi? Non siamo soli, e se lo siamo, lo saremo insieme.-
Gabriel si lasciò scappare un piccolo sorriso tra le lacrime, come un raggio di sole spuntato tra le nubi temporalesche. Sentire Sam così vicino che gli parlava con quel tono dolce, innamorato, come una silenziosa promessa di non abbandonarlo mai era… il paradiso, quello vero al quale aveva sempre aspirato.
Sam sorrise a sua volta e finalmente si chinò a baciarlo, avvolgendogli i fianchi con le braccia muscolose. I loro corpi si scontrarono come le loro lingue, strusciandosi l’uno contro l’altro, sfregando bisognosi, ansiosi di scoprirsi. Gabriel fece scorrere la lingua lungo il collo di Sam in un tocco lento, lascivo e bagnato che lo fece gemere di piacere e rovesciare il capo all’indietro. Si aggrappò alle spalle dell’arcangelo, infilando una gamba tra le sue per sfregarla dolcemente contro l’inguine. Gabriel mugolò e gli morse il collo fin quasi a farlo sanguinare, ma Sam non sentì dolore. Al contrario, inarcò la schiena e si spinse contro Gabriel, bisognoso di attenzioni.
Le ali sbucarono all’improvviso, come un’onda dorata che si riversava intorno a loro, abbracciandoli in una coperta tiepida e profumata, un bozzolo morbido ma indistruttibile. Sam strinse una mano sulle piume e allora Gabriel reagì con un nuovo mugolio, soltanto che stavolta utilizzò la sua voce vibrante di energia. La lampada sulle loro teste esplose, facendoli sussultare.
Le ali si scostarono e Gabriel guardò il soffitto, sorridendo sornione. –Ops…-
Sam gli diede un leggero scappellotto dietro la testa, sorridendo. –Ops non è una giustificazione, dopo lo dici tu a Bobby perché la sua lampada è andata al creatore!-
-Va bene, se ci tieni tanto non avrò problemi a dirgli che il mio gattino mi ha eccitato.-
Gabriel afferrò il campanellino di Sam tra i denti e lo fece tintinnare scuotendo leggermente il capo come un cane da presa. I capelli biondi gli piovvero davanti agli occhi, i muscoli nudi del busto si tesero, dandogli un’aria selvaggia e sexy. Sam sentì un fiotto di calore riversarsi nel corpo e rabbrividì, desideroso di andare oltre, di scoprire ogni parte di quella creatura meravigliosa, nascosta sotto un insignificante strato di pelle e carne umane.
Gli passò una mano tra i capelli e appoggiò la fronte contro la sua con dolcezza. –Ti amo.- mormorò, sorridendo. Una delle ali di Gabriel si infilò sotto i loro corpi e li avvolse morbida, setosa mentre il suo proprietario baciava il naso del suo amante con tanta gentilezza che per un attimo parve un adulto che coccolava suo figlio.
-Chiudi gli occhi e stringimi.- ordinò e Sam non si fece remore ad ubbidire con cieca fiducia. Intrecciò le gambe alle sue, affondò il capo contro il suo collo e inspirò a fondo, chiudendo gli occhi mentre le altre quattro ali non impegnate a stringerli sbattevano una volta e una volta sola nell’aria pulita, fresca.
Le appendici piumate che li avevano coperti si scansarono, esponendo i loro corpi al vento leggero. Gabriel aveva avvolto i loro corpi nella coperta, portandosela dietro durante il teletrasporto.
-Apri gli occhi, dolcezza.-
Sam schiuse debolmente le palpebre e allora vide: erano in volo, ma non in alto come pensava. Sbattendo, le punte delle ali dorate di Gabriel urtavano l’acqua sottostante, levando in cielo un ventaglio di gocce adamantine ogni volta che le appendici piumate si rialzavano. Erano a poca distanza dall’acqua, più precisamente… dalle cascate del Niagara.
Sam aveva sempre voluto vederle e adesso che ce le aveva davanti non credeva ai suoi occhi. Le prime luci del giorno bagnavano un panorama degno della sua nomina di meraviglia del mondo.
Il muro d’acqua che cadeva dalle rocce disposte quasi allineate tra loro si schiantava in basso, cadendo per metri e metri d’altezza in uno spumare tumultuoso di schiuma talmente densa da levarsi in alto come un velo di candida foschia. In basso, l’ondeggiare sciabordante dell’acqua si stendeva per chilometri, a vista d’occhio, dove infine culminava abbracciato da un confine di terra verde di erba e fiori. A culminare il tutto, un arcobaleno stendeva i suoi colori evanescenti partendo dall’orizzonte per tuffarsi infine nell’acqua come un pesce cangiante, colorato e bellissimo.
Era uno spettacolo meraviglioso, un vero costrutto della natura e di Dio stesso. Una bellezza talmente imponente non poteva che toglierti il fiato e lasciarti lì a guardare le acque tumultuose e implacabili che cadevano in basso in un’eterna quanto frenetica corsa sempre uguale ma mai monotona. Il ruggire dell’acqua spandeva nell’aria il suo suono, che nonostante tutto non era affatto fastidioso ma rasentava una melodia armonica e incomprensibile: il canto della natura.
Sam guardò l’acqua sottostante e vide il riflesso come di diamante delle piume dorate di sei ali gigantesche che sbattevano per tenerli a mezz’aria. Le schegge colorate danzavano sulla superficie, bagnandola di nuova bellezza mentre le goccioline d’acqua levate in aria da quelle stesse piume piovevano sul viso di Sam in una carezza gelida ma stupenda.
-Sono… è…- mormorò lui senza parole guardando i riflessi cristallini sull’acqua. Spostò lo sguardo su Gabriel e quando incontrò il suo sguardo, sentì il cuore fermarsi: l’arcangelo lo fissava con occhi innamorati, traboccanti di dolcezza, come se stesse fissando un tesoro immensamente bello e prezioso. La sua pelle riluceva appena, le labbra erano leggermente incurvate in un sorriso felice e i capelli si agitavano al vento in una morbida danza di ciocche dorate. La luce del sole si riflesse nei suoi occhi, evidenziando le screziature verdi nell’oro delle pupille.
Le ali sbatterono più lentamente, facendoli scendere di quota finché Sam non sentì le punte dei piedi affondare nell’acqua. Per quanto freddo, quel contatto lo fece sorridere.
-Come facevi a saperlo?- chiese, riferendosi al suo desiderio di voler vedere le cascate. Non poteva essere stato un caso, ne era convinto.
Gabriel gli pettinò i capelli all’indietro con una mano mentre l’altra ancora gli stringeva il fianco per impedirgli di cadere. –Conosco i miei cuccioli, tesoro.- rispose e Sam sbuffò.
-Non mentirmi, lo sapevi. Come hai fatto?- ripeté.
Gabriel arrossì appena e distolse lo sguardo, sbattendo lentamente le ali in modo che un nuovo arco di gocce si stendesse sulle loro teste per poi abbattersi su di esse.
-Nulla è casuale, dolcezza. C’è un motivo per cui hai attirato la mia attenzione sin dal primo istante, sai? Non ho semplicemente guardato il tuo bel visino, perché sappi che di bei visini ne ho visti a migliaia durante la mia esistenza e non hanno mai esercitato su di me l’effetto che ha esercitato il tuo.-
Gabriel guardò lontano, verso il sole ormai sorto e alto nel cielo. I suoi occhi riflettevano una nuova lucentezza, il brillio luminoso della sincerità. Alla fine tornò a guardarlo e sorrise dolcemente.
-È stata la tua anima, Samuel. All’inizio vi ho distinto migliaia di zone d’ombra e lati oscuri spaventosi, come angoli bui nei quali si poteva nascondere qualsiasi tipo di mostro. Faceva paura, era un’anima sporca di peccato. Eppure… nonostante questo, nonostante tu stesso avessi sempre saputo di avere una parte oscura in te… non ti sei mai arreso. Hai lottato per lavare la tua anima, hai continuato ad andare avanti e ti sei impegnato per cambiare, per andare avanti nonostante gli errori commessi. Hai sempre saputo accettarti e pulire quelle macchie che sentivi gravare sulla tua anima. Eri spietato con te stesso, ma perdonavi gli altri, impegnandoti per cambiare senza mai mutare davvero. Hai guardato il mondo con occhi puliti nonostante la sporcizia che dalla nascita ti ricopriva. È questo che ti ha sempre reso diverso, è questo che ha attirato il mio sguardo.-
Sam tremò per l’emozione. Quelle parole l’avevano colpito nel profondo, leggendogli l’anima ed esprimendo la sua intera vita con la semplicità di un bambino che racconta la sua giornata al genitore. Gabriel aveva parlato con affetto e accuratezza, limpido in ogni particolare espresso. Lui aveva conosciuto il vero Sam, quello che albergava al suo interno, e l’aveva accettato senza remore, scegliendo di amare il suo nero e il suo bianco in egual modo.   
Aprì la bocca per parlare, ma all’improvviso Gabriel sbatté le ali con forza e Sam sentì lo stomaco scendere fin sotto le piante dei piedi tanto fu potente lo strattone che li trascinò in aria, in balia delle correnti. Si aggrappò forte al suo arcangelo quando questi piegò due delle tre ali di sinistra per virare in quella direzione, inclinandosi con movimenti armoniosi e inarcando il corpo per accompagnare il movimento.
Il vento li trascinò in basso, ma Gabriel non accelerava mai e continuava a stringere forte il suo umano. Alla fine spalancò le ali in tutta la loro immensa bellezza e poggiò i piedi su una superficie morbida, eppure solida. Anche Sam sentì di aver toccato terra, perciò allentò la stretta intorno al corpo di Gabriel e socchiuse gli occhi.
-Guarda giù.-
E per la seconda volta, Sam ubbidì e non si pentì di averlo fatto. Erano in piedi su una superficie morbida, quasi inconsistente che si rivelò essere… l’arcobaleno.
Sì, Sam e Gabriel poggiavano i piedi sull’arco luminoso e colorato dell’arcobaleno. Per un attimo quella rivelazione sconvolse il cacciatore a tal punto che questi rischiò di incespicare nella coperta che lo avvolgeva e di cadere nel vuoto alle sue spalle. Guardò in basso, verso le acque tumultuose che si agitavano sotto di loro rasentando una leggera sfumatura dorata per riflesso alle ali di Gabriel adesso ripiegate pigramente alle sue spalle, massicce e bellissime sotto la luce del sole.
L’arcangelo si sedette sul bordo dell’arcobaleno, le gambe penzoloni nel vuoto; aprì una mano e subito si materializzarono due lecca lecca colorati e grandi quanto le loro teste. Gabriel ne porse uno a Sam mentre questi lo imitava con cautela, sedendosi a sua volta col leggero timore di cadere nel vuoto. Accettò il dolce e guardò il profilo morbido di Gabriel i cui occhi, ora anziani più che mai, scrutavano pensierosi all’orizzonte. Il vento gli scompigliava i capelli e il sole faceva risplendere la sua intera figura.
-Gabriel?-
-Mh?-
Sam esitò,  chiedendosi se fosse il caso di esporre una domanda tanto stupida. Alla fine però, si decise: -Sei felice?-
Gabriel addentò una parte del suo lecca lecca mentre un suo braccio circondava i fianchi di Sam, tirandoselo vicino. Allontanò il dolciume dal viso e piegò appena il capo, sfiorandogli le labbra in un tocco delicato che ormai Sam aveva imparato ad associare solo a lui. Nessuna donna o uomo avrebbero mai potuto baciare con tanta gentilezza. No, quello era il tocco di un angelo.
-Sì, sono felice.- mormorò Gabriel sulle sue labbra mentre lo scrosciare delle cascate alle loro spalle copriva ogni altra risposta. Dopotutto però, non c’era bisogno di parlare perché tutte le risposte erano lì, nello sfiorarsi fugace di due paia di labbra che si accarezzavano senza pretese o malizia. Loro erano così: puri, sinceri nel loro amore incontaminato nonostante i passati tumultuosi.
Alla fine Sam appoggiò la fronte sulla spalla di Gabriel e l’arcangelo chiuse gli occhi, respirando a fondo l’aria fresca del mattino.
Si sentiva felice? Sì.
Andava tutto bene? No, per niente.
Castiel, fratello mio…
§§§§
Dean si passò una mano sul viso, sospirando esausto. Strinse forte la birra ancora mezza piena, evitando le occhiate focose che gli indirizzava la barista di tanto in tanto. Era tutta la sera che andava avanti così, ma lui non rispondeva mai ai suoi sguardi, le rivolgeva a stento la parola. Semplicemente, restava in silenzio a bere, il capo chino e gli occhi piantati su un punto nell’aria.
Sentiva un grande vuoto al petto.
Vedere Sam insieme a Gabriel era stato un colpo al cuore, la dimostrazione di cosa si era perso in quegli anni e la sensazione di essere solo, adesso che anche suo fratello aveva focalizzato la sua attenzione da qualche altra parte. Non si era nemmeno accorto che era uscito e adesso Dean si sentiva abbandonato, schiacciato dal terrore per la sorte di Castiel.
-Le porto un’altra… ehi, dove va? Ha lasciato cinquanta dollari sul bancone, devo darle il resto!- urlò all’improvviso la barista, distogliendo l’attenzione di Dean dai suoi pensieri. Il cacciatore si voltò appena in tempo per vedere il bordo svolazzante di un trench sparire oltre la soglia.
Non è possibile..
Dean gettò una banconota da cinque dollari sul bancone e si alzò, rovesciando la sedia. Corse verso l’uscita, urtando di tanto in tanto qualche cliente e rischiando di abbattere una cameriera che impugnava un vassoio carico di bottiglie di birra. Uscì, seguito dalle imprecazioni della povera ragazza, ma quando fu fuori e si guardò intorno non vide nessuno a parte un piccolo gruppetto di ubriaconi ammassati in un angolo.
-Cass?- chiamò con voce incerta e allora voltandosi per l’ennesima volta, vide un uomo di spalle che si allontanava. Era comparso all’improvviso in fondo alla strada e camminava con le mani in tasca, il capo chino e il lungo trench logoro a coprirgli le gambe. Quel capo d’abbigliamento era inconfondibile.
-Cass!-
Dean spiccò una corsa lungo il marciapiede, volando sull’asfalto come un cane ansioso di metter zanne sul bastoncino lanciato dal padrone. Era lui, se lo sentiva. Era il suo Castiel, e il solo vederlo lo rendeva completo, gonfiandogli il cuore di emozioni e cancellando infine il senso di vuoto e solitudine.
Castiel era lì, a pochi passi da lui e con la sua camminata lenta sembrava invitarlo a raggiungerlo. Oh, Dean l’avrebbe fatto, e una volta messegli le mani addosso gli avrebbe dato un pugno per essersi fatto aspettare tanto e poi lo avrebbe abbracciato forte, affondando la rabbia, la paura e la solitudine in quel profumo di vento e aghi di pino che Dean amava.
-Cass! Castiel!- chiamò, ma l’uomo in trench continuò a camminare, svoltando in un vicoletto cieco.
Dean lo perse di vista un solo istante, ma tanto bastò a rendere quel vicoletto vuoto. Nessuna traccia di Cass, nessun segno del suo passaggio. Dean avanzò di qualche passo, guardandosi intorno frenetico e nuovamente, inesorabilmente vuoto. Solo, era rimasto solo.
-Cass!!!- urlò Dean, frustrato.
Si era immaginato tutto, Castiel non sarebbe tornato. Forse avverare l’ipotetico futuro che gli aveva mostrato Mary non sarebbe stato poi così male, forse era giusto così. Sam aveva trovato il suo posto accanto a Gabriel, finalmente era al sicuro e tanto gli bastava per capire che forse era ora di lasciarlo andare. Erano fratelli e lo sarebbero sempre stati, ma Dean non poteva permettere che Sam perdesse la sua occasione di vivere davvero come meritava. Adesso che Gabriel era al suo fianco, ben poco avrebbe potuto scalfirlo e Dean non se la sentiva di mettersi in mezzo o di fare il terzo incomodo.
Se ne sarebbe andato, avrebbe cercato Castiel da solo. Per Sammy era ora di vivere. Per lui, Dean, era ora di imboccare la sua strada, e lo avrebbe fatto da solo.
Strinse i pugni, si raddrizzò. Levò gli occhi al cielo, ignorando il calore dell’unica lacrima che gli solcava una guancia.
-Ci sei, Dio? Io sono Dean Winchester.- mormorò allora mentre la luce delle stelle si specchiava nei suoi occhi verdi. –Non so se esisti, non so se… se ci sei, ma ho bisogno della tua attenzione. Non sono uno che prega e solitamente ti procuro parecchie gatte da pelare, perciò forse non avresti torto a fulminarmi qui e adesso in risposta a ciò che ti sto per chiedere ma… ti prego, proteggilo. Se ci sei davvero, se ci tieni a tuo figlio un decimo di quanto ci tenga io, non lasciare che gli facciano del male. Ovunque egli sia, non lasciare che lo spezzino.-
Dean si passò una mano sul viso per spazzare via l’impronta della lacrima sul suo viso. Si sentiva prostrato alla gravità degli ultimi eventi, alla mancanza di Castiel e alla solitudine che ormai lo allontanava sempre di più da suo fratello. Erano diversi ormai, e a lui stava bene così. Ormai, era ora di andare.
Dean respirò a fondo e si voltò verso l’uscita del vicoletto.
-Vai da qualche parte?- disse una voce alle sue spalle.
Appena la riconobbe, Dean reagì d’istinto sfoderando la pistola e puntandola alla tempia del re dell’inferno. Crowley, il successore diretto di Lucifero e signore dei demoni degli incroci. L’uomo stava in piedi davanti al cacciatore, le mani in tasca e lo sguardo strafottente che lo contraddistingueva da sempre. Il suo volto ricordava molto quello di un mastino la cui calma serafica poteva solo presagire un tremendo pericolo. Indossava un completo nero di palese gusto classico con tanto di cravatta e mocassini neri ai piedi.
-Crowley, cosa accidenti vuoi?- ringhiò Dean senza abbassare l’arma. Era tentato di sparare, ben sapendo che sarebbe risultato inutile, ma quantomeno si sarebbe sfogato almeno un po’. Strinse forte il calcio della pistola, ma Crowley non diede segni di allarme e anzi cominciò a squadrarsi le unghie della mano destra con la massima noncuranza.
-Nah, volevo vedere come stavi.-
-Non dirmi stronzate! Cosa cazzo vuoi?-
-Ma come siamo irascibili.-
-Occhio a come parli, figlio di puttana che non sei altro, non è giornata.-
Crowley lo guardò inarcando un sopracciglio, sarcastico. –Ma voi scimmie senza peli non vi stancate mai di minacciare a vuoto? Spara pure se la cosa ti fa sentire meglio, ma dubito che andrai lontano, a meno che tu non abbia un arcangelo al posto della pallottola in quella pistola.-
Dean si trattenne a stento dal digrignare i denti: odiava ammetterlo, ma Crowley aveva ragione. Una banalissima pallottola non avrebbe minimamente scalfito il re dell’inferno.
Vedendo Dean abbassare appena la pistola, Crowley batté le mani un paio di volte in un pigro applauso. –Brava la mia scimmietta ammaestrata.- disse.
-Fottiti.- fu la degna risposta, ma Crowley non raccolse. Intrecciò le dita dietro la schiena e divaricò appena le gambe con ostentata strafottenza.
-Credo di aver fatto un viaggio a vuoto allora. È evidente che trovare Castiel non ti interessa.-
Dean sbarrò gli occhi e strinse forte la pistola, cercando di impedirsi di tremare. Non doveva fidarsi di un demone, ma forse la disperazione lo stava conducendo alla follia perché sentì nella voce di Crowley una flessione strana, non sua. Stava dicendo la verità, o forse, stava fingendo veramente bene.
Non fidarti. È un demone, potrebbe mentire.
Già, non fidarti. Eppure, forse quella era l’unica pista che aveva per trovare Castiel. Se davvero Crowley sapeva qualcosa, allora l’avrebbe costretto a parlare, a costo di torturarlo per mesi interi. Forse c’era ancora una speranza, una flebile possibilità di ritrovare quella parte della sua stessa anima che gli era stata sottratta insieme a Castiel.
Rimase in silenzio, senza però smettere di fissare Crowley con insistenza. Il signore dell’inferno sorrise, conscio di aver attirato la sua attenzione.
-Sì, so dove si trova occhi blu, e sono certo che la risposta non ti piacerà.-
-Parla, e vedrò se crederti.-
-Lui…-
-BASTA COSÌ.-
Una luce abbagliante comparve dal nulla, rischiarando la notte con tanta forza che per un attimo Dean pensò che fosse giunto il mattino. Indietreggiò, coprendosi gli occhi con un braccio mentre il nuovo arrivato, la cui voce era sconosciuta e profonda, avanzava con passo leggero lungo il vicoletto. La sua figura era avvolta dalla luce come se un manto bianco e luminescente lo avvolgesse in un dolce quanto glorioso abbraccio.
Crowley indietreggiò verso il termine del vicolo cieco, ferito dalla potenza a stento trattenuta del nuovo arrivato.
-No, è impossibile!- urlò frustrato, incespicando nei suoi stessi passi. I palmi che rivolgeva verso la luce nel vano tentativo di schermarsi gli occhi dalla potenza di una creatura di Dio cominciarono velocemente a consumarsi, come bruciati da fiamme invisibili. L’alone luminoso si ridimensionò appena, ma Dean ebbe l’impressione che per qualche minuto esso avesse illuminato a giorno l’intera città e oltre.
Uno stridio acuto si propagò nell’aria mentre un grosso volatile dai bordi sfuocati piombava dal cielo, sbattendo le ali poderose. Sfiorò il viso di Dean con le punte delle piume morbide, passandogli accanto in un riflesso di colori cangianti che riflettevano la luce del manto. L’uccello planò verso Crowley, ma un attimo prima di toccarlo risalì in morbide spirali e si ritrasse verso l’uomo avvolto di luce. L’animale fu inghiottito dal manto luminoso mentre si posava probabilmente sulla spalla del padrone che continuava ad avanzare.
Crowley gridò più forte.
-Torna da dove sei venuto, bestia. Torna al tuo regno ove sarà eterno pianto e stridore di denti.* Non ti accosterai al giusto, né tenterai la sua anima poiché essa è pregna di quanto Dio ha voluto. Vattene.- decretò gelidamente l’uomo, continuando ad avanzare. Ad ogni suo passo, la pelle di Crowley si deteriorava sempre più, come se un combustibile interno lo stesse bruciando. Dean non aveva mai visto il signore degli Inferi reagire così alla presenza di un angelo.
Chi diavolo è?
Dean gemette quando gli occhi cominciarono a sanguinare. Cadde in ginocchio, stringendo forte le palpebre brucianti.
Stava perdendo la vista, lo sentiva. A breve i bulbi oculari si sarebbero liquefatti e lui sarebbe rimasto svenuto in quel vicolo dimenticato da Dio. Perché, poi? Per guardare l’avanzata di una creatura mai vista prima, un angelo forse, o forse qualcosa di più. Nonostante ne fosse valsa la pena, era ormai troppo tardi.
Dean urlò di dolore, si accasciò per terra. Pensò che gli sarebbe piaciuto vedere ancora una volta o quantomeno incontrare gli occhi blu del suo angelo… solo questo, desiderava solo rivederlo per qualche istante, poi si sarebbe concesso di restare accecato… al buio…
Dean svenne emettendo un basso sospiro di frustrazione e solitudine. Non pregò più Dio, non ne aveva la forza, ma in quel momento le sue precedenti suppliche furono ascoltate e una mano evanescente come di fantasma calava a coprirgli gli occhi. Una figura quasi trasparente e senza ombra alcuna si inginocchiò al suo fianco, proteggendolo dalla luce della creatura che con un unico, imperioso gesto scacciava Crowley nei più oscuri meandri della sua stessa dannazione.
Il signore dell’inferno sparì con un grido agghiacciante, la luce si affievolì e la creatura, le cui sorprendenti fattezze umane lasciavano trasparire appena la sua vera potenza guardò l’ombra evanescente che giaceva accanto al corpo svenuto di Dean.
-Non dovresti essere qui.- disse con un sorriso gentile, ma la figura non rispose e si alzò. Il suo corpo tremava di freddo e il lungo trench era rigido per il ghiaccio, le dita blu come in procinto di assiderarsi. Levò una mano lentamente, con cautela in un timido saluto e sfumò, ricacciando nell’oscurità il vicoletto.
 

*Torna al tuo regno ove sarà eterno pianto e stridore di denti.*: questa frase fu usata dallo stesso Cristo in una delle Sacre Scritture mentre descriveva l’inferno dei peccatori.
Le Cascate del Niagara: http://www.umbertosantucci.it/wordpress/wp-content/uploads/2011/05/Cascata.jpg

 
Angolo dell’autrice:
Va bene, premettendo che sto incasinando la matassa anziché sbrogliarla come avrei voluto, io…
Gabriel: mmmmmmffffff………………………………………………
Lo so Gabe, hai ragione.
Gabe: mmmmmmmmmmmmffffffffffffffffffffffff!!!!!!!!!!!!!
Lo so! Accidenti, non ho mai avuto tanto piacere di ascoltarti e questo non c’entra niente col fatto che sei legato e imbavagliato al lampadario della mia stanza sospeso sopra la vasca dei coccodrilli. E no, non sono arrabbiata con te per avermi RASATO A ZERO mentre dormivo! Oh, e parliamo dello zoo casalingo, Ace Ventura? Noooo, non sono arrabbiata neanche per questo. No, tutto quello che vuoi ma non posso credere che tu abbia fatto entrare dei cd di Justin Bieber in casa mia!!! Mia, capisci?! E l’hai pure messo vicino alla mia collezione dei Queen!!! Freddie Mercury starà ballando un tango nella tomba a furia di rivoltarsi!
Dean: ah, ecco perché il suo spirito è tornato…
Esatto, è… COSA?!
Dean: visto Sammy? Te l’avevo detto che era Freddie Mercury! Sono un fottutissimo genio, quei baffetti li riconoscerei ovunque!
Sam: no, sei un coglione… oddio, che ci fa Gabriel sospeso sopra la vasca dei coccodrilli? E cos’è questa puzza?!
Hai calpestato la coda della moffetta, tesoro. Questo è il profumo della rivoluzione.
Dean: ……………………………….
Sam: ……………………………………………
…………………………………………………………
Dean: torno a dare la caccia a Freddie Mercury prima che si trasformi in Freddie Krueger. E tu Sam, vedi di farti un bagno con l’acido muriatico o nella mia Baby non ci metti piede! Piuttosto ti rimpiazzo con un bacarospo!
Ehm… torniamo a noi… sì, lo so che vi sto facendo sudare sette camicie per rincorrere Castiel e so che a breve dovrò rimborsare qualcuno di voi per danni morali, ma prendetevela con Dean che è un ritardato e non riesce a trovare il suo angelo! Colpa sua, è tutto vostro! (lo getta in pasto alla folla)
Ora, spazio ai ringraziamenti dei miei bellissimi angioletti recensori che come al solito permettono il continuo e lo svolgersi di questo piccolo racconto!

Fallen angel 4 Love: oddio, questa storia riempirà molti manicomi, io sono la prima che esce pazza mentre scrive XD ti basti pensare alle imprecazioni che ho mandato ai personaggi per tutte le ca****e che gli ho fatto fare io. Cioè, prima scrivo e poi mi arrabbio con me stessa per quello che ho scritto, mica è normale questo. Perciò tranquilla, al manicomio ci andremo insieme, contenta? Ohohohoh grazie ancora per i tuoi bellissimi commenti e per la pazienza che mi dedichi leggendo questa storia, significa davvero molto per me ^^ a presto!
Sherlocked: no, in Hunger Games c’era un angelo, non lo ricordi? Si chiamava Gabriel, era quello che finiva spennato e sbranato dai coccodrilli (ehi, dove sta scritta questa cosa? Nd Gabriel che sfoglia il libro)(come ti sei liberato tu? Torna accuccia!)(Ma non sono mica io quello legato O____o nd Gabriel)(eh?)(in effetti mi chiedevo perché mai hai appeso Balthazar al lampadario… che ti ha fatto?nd Gabriel)( cos… accidenti! Lo sapevo, dovevo mettere gli occhiali! In effetti aveva qualcosa di strano… vabbé, lasciamolo lì.)(perfettamente d’accordo con te, per una volta. Birretta? Nd Gabriel)(birretta.)(Mmmmmmffff!!! Nd Balthazar ai due che se ne vanno sottobraccio). No, in realtà il Grand Canyon è ancora in ristrutturazione, al momento abbiamo coperto il tutto con un telo dipinto per cercare di mimetizzare il danno, tanto non se ne accorgerà nessuno. Così come Dean non si è ancora accorto che gli ho ammaccato l’Impala facendo retromarcia e investendo Sam, che tra parentesi è stato recuperato dall’inferno da Gabriel e adesso gli devo anche dei soldi… dannato arcangelo, io mi dimetto come scrittrice e come ospite di tutti questi maledetti pennuti! (cosa? Non puoi farlo! Nd Gabriel)( zitto tu, che adesso ho anche la casa piena di piume! Sei in muta!!!)( be’? che ci posso fare, non hai detto niente a Sindragon quando ha cambiato il pelo! Nd Gabriel)(Sindragon non mi ha ridotto la casa a uno zoo! Adesso per colpa tua sono più simile a Tarzan che a un normale essere umano e parlo scimmiese! SCIMMIESE, CAPISCI???). Coff coff, dicevo? Comunque, non riprometterti mai di smetterla di scrivere questi spassosissimi commenti o ti mando a casa qualche Behemah lama, e sai cosa significa questo? Apri un ombrello per ripararti dagli sputi oppure continua a recensire così che mi diverto un mondo a leggerti! Altro che scrittrice, qui la vera star sei tu, mi fai morire dal ridere ed emozionare ad ogni complimento che fai, perciò aspetto di sapere come al solito che ne pensi! Grazie e a presto!
xena89: oddio, se mandassi veramente questi scritti ai produttori di supernatural mi denuncerebbero per danni morali e poi si caverebbero gli occhi con dei cacciavite XD mi picchierebbero! Eheh, Dean avrà il suo momento di rivalsa, tranquilla, soltanto che dovrà sudarselo come al solito. Sammy è più piccolo e quindi và trattato meglio, ma Dean non avrà sconti muahahahahahahah!!!! Sì, la scena di Sam che culla Gabriel l’ho immaginata molto tenera, soprattutto perché Sam ha sempre avuto speranza nel futuro e l’avrà sempre. Dopotutto, è lui che molto spesso risolleva il morale di Dean, no? Non è del tutto vero che il maggiore si prende sempre cura del più piccolo, ogni tanto Sammy merita una rivincita. E rivincita sia, allora! Ohohohoho! Detto ciò, ti saluto e ti abbraccio virtualmente perché come al solito le tue bellissime recensioni mi aiutano a scrivere e ad avere un pizzico di fiducia in più in me stessa. Grazie e a presto.
kimi o aishiteru: finiscila di scrivere recensioni così belle! Spiegalo tu a mia madre perché sorrido come un’idiota ogni volta che leggo i tuoi complimenti!!! (se ne va offesa, poi ritorna e abbraccia il pc) grazieeeeeeee!!! Non posso pensare davvero che questa storia piaccia tanto. Anzi, pensare che questi personaggi siano apprezzati e in qualche modo voluti bene anche se sono nelle mie mani anziché in quelle dei produttori di supernatural è… be’, non ho parole per descriverlo. Perciò ti ringrazio, ti ringrazio perché insieme alle povere ragazze che ostentano una pazienza infinita leggendo questi casini di storie avete sempre un piccolo momento da dedicarmi lasciandomi un bellissimo commento. Grazie ancora e spero che questo capitolo ti sia piaciuto! A prestissimo, hasta la vista!
la settima luna: no, che dici? Non si è mai pessimi se si sa dedicare un piccolo momento a leggere le storie che piacciono. Anche se non si recensiscono, a me interessa che abbiano emozionato come spero e che abbiano ricordato ai lettori che, come si suol dire, la felicità si può trovare anche negli attimi più tenebrosi se solo uno si ricorda che non si è mai da soli. Il mio obbiettivo è questo: convincervi a lasciare le vostre case per volare via con Gabriel e gli altri alla volta di una nuova avventura. In ogni caso, ti ringrazio per il tempo che mi hai dedicato e tranquilla, non sei l’unica sadica nei confronti di questi poveri personaggi. Il peggio deve ancora arrivare XD ohohohohoho!!! Detto ciò, ti ringrazio per il meraviglioso commento e spero di leggere presto una nuova recensione da parte tua. Farò di tutto per meritarmela, promesso! Detto ciò, a prestissimo e grazie ancora!
Shiva_: chiamalo scemo Samael! Chi non amerebbe i puppy eyes di Castiel?! Ma ormai anche i demoni sono impotenti davanti al puppy-attack del nostro angioletto, soltanto che Dean se l’è accaparrato e adesso sarà guerra fredda, che il cielo ci salvi. Altro che Apocalisse, un angelo respinto fa più paura anche di una donna mestruata (non esageriamo… nd Castiel). Tranquilla comunque, dal prossimo capitolo si comincerà ad avere qualche chiarimento e allora potrete picchiarmi davvero XD grazie mille per il commento bellissimo e a presto!
Tomi Dark Angel
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 7
*** Quando Sboccia Un Fiore ***


-Dean! Dean!-
Dean aprì lentamente gli occhi. Vedeva sfuocato, come se avesse gli occhi appannati di lacrime e gli tremavano le mani. Forse aveva la febbre.
Ma che…
Lentamente, gli occhi di Dean misero a fuoco il volto preoccupato di suo fratello. Sam era chino su di lui e lo guardava fisso come se si aspettasse di vederlo esplodere in un mare di pezzettini da un momento all’altro. Non male come idea, considerato che Dean si sentiva veramente a pezzi. Si portò una mano alla testa, gemendo.
-Ah… che è successo?-
-Ti abbiamo raccolto da terra come un barbone idiota. Cos’è, hai esagerato con l’alcool?- rispose Bobby, comparendo sulla soglia. Lo fissava da sotto la visiera del classico cappello che non abbandonava mai, la camicia da boscaiolo stropicciata.
Dean scrollò il capo. –Che cazzo stai dicendo, Bobby? Io non…-
D’improvviso, i ricordi lo assalirono e si rivide in un vicolo, stupidamente fragile e tremante al cospetto di un’entità dalle fattezze sconosciute e dai poteri assoluti, immensi, forse anche più di quelli di Castiel. Quella… cosa, aveva fronteggiato e sconfitto Crowley.
-Crowley!- urlò Dean all’improvviso, sbarrando gli occhi. Fu percorso da un brivido di freddo che lo costrinse a ripiegarsi su se stesso e ad aggrapparsi forte alle coperte. Batté i denti.
-Dean? Dean, che succede?- si allarmò Sam, posandogli una mano sulla spalla, ma Dean non avvertiva la sua presenza, il suo calore. Faceva freddo e un gelo innaturale gli stringeva il corpo e le ossa in una morsa micidiale, quasi bruciante. Si sfregò le braccia con forza, ma si sentiva al limite della paralisi, come se avesse il corpo bloccato nel ghiaccio. –Dean!-
-F… fall… falla fin… ita… Sammy. Chiu… chiudi quella cazzo di… bocca.- balbettò Dean, bruciando con quell’unica frase gli ultimi residui di calore che aveva in corpo.
In quel momento Bobby, che nel frattempo si era allontanato per prendere un’aspirina, rientrò trafelato, seguito da Sindragon e da Samael.
-Che succede?- chiese l’angelo allarmato, guardando Dean raggomitolarsi su se stesso, scosso da violenti brividi di freddo. Si avvicinò al letto del cacciatore e gli pose una mano sulla fronte calda, ma non bollente. No, decisamente non aveva la febbre.
-Ragazzo, resta sveglio!- esclamò allora Bobby quando vide che Dean socchiudeva gli occhi, le labbra blu e il volto esangue. Nonostante avesse tutto l’aspetto di una prossima vittima dell’ipotermia, la temperatura del suo corpo restava stabile.
-Cos’è, una maledizione?- esclamò Sam, guardando Samael disperato mentre suo fratello continuava a tremare così violentemente che pareva scosso dalle convulsioni. Sam gli sfregò le braccia nel vano tentativo di riscaldarlo, ma Dean sembrava inconsolabile e anzi, più il tempo passava, più forte batteva i denti.
-Samael, fa qualcosa!- gridò allora, fissando l’angelo che a sua volta si guardava intorno sconcertato. Non avvertiva la presenza di alcuna maledizione, eppure quella era l’unica spiegazione che riusciva a fornirsi. Cos’altro avrebbe potuto essere, altrimenti?
-Non capisco, io…-
Sindragon abbaiò, balzò sul letto e scansò Samael con una spallata. Cominciò a tirare violente musate al bicipite di Dean, come se volesse dire qualcosa di importante, qualcosa di fondamentale. Ringhiò di frustrazione.
-Sindragon, che diavolo…- mormorò Samael, ma in quel momento il corpo di Dean si irrigidì, i muscoli tesi allo spasimo e i denti stretti fin quasi a frantumarsi. I suoi occhi si sbarrarono per qualche istante, fissando il vuoto o un sogno irraggiungibile, il miraggio di un angelo ormai lontano; poi il corpo si rilassò, le palpebre calarono e un ultimo, lento sospiro scivolò tra le labbra mentre Dean cadeva preda di un sonno assassino dal quale non si sarebbe svegliato.
-Dean! DEEEEAN!!!- urlò Sam, scuotendo il fratello con veemenza. Dean non poteva essersene andato, non era vero…
Di punto in bianco qualcosa lo spintonò di lato con violenza e Gabriel posò frettolosamente un ginocchio sul letto mentre si chinava in avanti. La mano destra fu percorsa da un riflesso rosso e oro, come di fiamme mentre l’arcangelo affondava la mano nel ventre di Dean, contorcendo il polso per risalire fin quasi al cuore.
Dean urlò e cercò di contorcersi, ma Samael lo tenne fermo mentre Sindragon gli inchiodava un braccio al materasso. Sam sbarrò gli occhi lucidi di pianto davanti alla vista del suo arcangelo che torturava Dean, ma qualcosa gli impediva di intervenire, di intromettersi come avrebbe dovuto…
Gabriel cominciò a recitare una lenta litania in enochiano e subito Samael si unì alla sua voce. Stavano pregando per un morto o invocavano una via di salvezza per il vivo? Difficile a dirsi, considerando che adesso Dean non si muoveva più e anzi fissava il soffitto con occhi sbarrati e vuoti.
-Forza, ragazzo…- mormorò Bobby, stringendo l’avambraccio di Sam dopo essersi avvicinato al letto. Fissava il viso di Dean con apprensione, attendendo una risposta qualsiasi, una speranza per il futuro di uno dei suoi figli acquisiti. Dean non lo meritava, non lui.
Alla fine Gabriel inspirò a fondo e ritrasse la mano con cautela. Guardò il viso di Dean riprendere colore, le palpebre sbattere lentamente, gli occhi muoversi da una parte all’altra della stanza come in cerca di una via di fuga. Sembrava traumatizzato, ma stava bene… era vivo.
Sam si slanciò sul letto e strinse a sé suo fratello, infischiandosene delle proteste che Dean balbettava con voce sfinita. Gli cinse le spalle con le braccia muscolose, sentendolo quasi piccolo e fragile nella stretta convulsa che non si sentiva di allentare. Aveva rischiato di perderlo un’altra volta, ma alla fine se l’erano cavata come al solito. Ce l’avevano fatta.
Sam chiuse gli occhi e nascose il volto contro il collo di Dean. Si sentiva al sicuro e la preoccupazione stava scemando, tutto grazie a Gabriel.
-Come lo sapevi?- domandò allora Bobby con fare sospettoso ma Gabriel non lo guardò. Al contrario, Samael non smetteva di fissarlo.
-Era la sua anima. La sua anima stava congelando.- spiegò, più a se stesso che non ai presenti. Sam e Dean fissarono Gabriel con occhi sbarrati, uno più stupito dell’altro, ma l’occhiata più intensa era quella di Samael.
-Gabriel, mi viene in mente solo un’alternativa secondo la quale potrebbe accadere una cosa del genere.- disse mentre Gabriel lo aggirava per allontanarsi, ma un istante dopo Samael scattò, veloce come un cobra e altrettanto micidiale. Afferrò Gabriel per il collo e lo inchiodò al muro, sollevandolo da terra.
La volpe uggiolò e cercò di intervenire in difesa del suo padrone, ma Sindragon le saltò addosso. I due rotolarono per terra in un turbine di pelo, zanne e artigli. La volpe si agitò, strillò come un essere umano, ma Sindragon la bloccò per terra, premendole una zampa contro il collo.
Gabriel rimase inerme sotto la stretta di Samael evitando di guardarlo negli occhi, il corpo abbandonato e i piedi penzoloni a pochi centimetri dal pavimento.
-Ehi!-
Sam avanzò attraverso la stanza ma una forza invisibile inchiodò lui, Dean e Bobby al muro. Lo schianto tolse loro il fiato e li fece gemere di dolore e sorpresa. Dean tremò, ancora debole per il dispendio di forze.
-Rispondimi, Gabriel!- urlò Samael fuori di sé, stringendo forte il collo di Gabriel, che annaspò. –Dimmi dov’è Castiel! Dimmi dov’è l’angelo che amo!-
All’improvviso Gabriel sbarrò gli occhi e il suo sguardo fu percorso da una gelida furia, calma e implacabile. Sam ricordava quello sguardo, perciò seppe cosa stava per accadere ancor prima che Samael venisse scagliato via e si schiantasse contro il muro, quasi sfondandolo.
-Gabriel!- urlò Mary, entrando nella stanza. Guardò Gabriel spaventata, ma impugnò saldamente il coltello di Ruby che aveva ricevuto in eredità dal Dean futuro insieme all’Impala e a tutte le armi in essa contenute. Avanzò lentamente verso l’arcangelo, adesso in piedi vicino al muro, il capo chino e gli occhi chiusi. Respirava profondamente, come se cercasse invano di calmarsi. Mary non lo conosceva bene, perciò poteva appellarsi semplicemente ai suoi ricordi di bambina e così fece: avanzò con cautela, lasciando cadere il coltello per non allarmare Gabriel e, sollevata lentamente una mano, appoggiò il palmo sulla sua guancia, incontrando i suoi occhi verde dorato. Sorrise all’occhiata smarrita che Gabriel le rivolse, perciò si allungò sulle punte dei piedi e gli baciò la fronte con dolcezza.
-Va tutto bene. Calmati, Gabriel… calmati.- mormorò, accarezzandogli i capelli biondi, e allora Gabriel sospirò e chinò il capo, appoggiando la fronte contro la spalla della ragazza. Lei lo strinse protettiva, chiudendo gli occhi.
Lo capiva. Sapeva bene lo stress al quale era sottoposto Gabriel e si fidava di lui al punto di non volergli chiedere dove fosse finito Castiel. Se Gabriel restava in silenzio, c’era un motivo ben preciso e lei non avrebbe insistito. Assurdo che Samael non lo capisse.
Dopo qualche minuto di silenzio e di calma apparente, Gabriel afferrò Mary per gli avambracci e la allontanò lentamente da sé. La guardò negli occhi con gratitudine, poi fischiò.
La piccola volpe si divincolò dalla stretta di Sindragon e prima che il cane potesse riagguantarla spiccò un balzo che le fece oltrepassare Mary e atterrare su Gabriel.
-Vai.- mormorò Mary.
L’arcangelo la strinse tra le braccia, indietreggiò e con un balzo si lasciò cadere dalla finestra alle sue spalle. Prima ancora che qualcuno potesse parlare, volpe ed arcangelo erano scomparsi.
-Gabriel?- chiamò Sam, affacciandosi. Si guardò intorno, ma tutto ciò che vide fu la rimessa di Bobby, silenziosa e tranquilla come la ricordava. Nessun bagliore dorato, nessuna traccia di Gabriel o della piccola volpe.
-NO!!!-
Samael scagliò un pugno contro la parete, sfondandone un pezzo. L’aria vibrò di potenza trattenuta mentre l’angelo inarcava la schiena dolorosamente nel tentativo di trattenere la fuoriuscita delle ali. –Ce lo siamo fatti scappare! Maledizione, schifoso figlio di…-
SCIAFF!!!
Il volto di Samael schizzò di lato, gli occhi si sbarrarono mentre il segno scarlatto di cinque dita emergeva sulla sua pelle dopo lo schiaffo di Mary. La ragazza lo afferrò per il bavero della maglietta e lo strattonò, costringendolo a guardarla in faccia. –Ora stammi a sentire, pennuto dei miei stivali. Non mi sorprenderebbe se il tizio che ha fatto a pezzi il paradiso e adesso ce l’ha con te ti conoscesse, e anche bene, brutta testa di cazzo! Usa il cervello, porca puttana! Gabriel ti ha mai dato motivo di non fidarti di lui? Ha mai tradito o fatto qualcosa di sbagliato che non meritassi? Rispondimi di sì e giuro su Dio che ti chiudo le palle in una tagliola per orsi e ti faccio gridare l’alfabeto al contrario.-
Sotto lo sguardo stupefatto di tutti, Mary spintonò Samael contro il muro e portò il viso a pochi centimetri dal suo. –E adesso vedi di comportarti bene, perché non accetterò i tuoi cazzo di capricci, sono stata chiara? Tu dammi un solo pretesto e ti faccio vedere i tuoi denti senza guardarti allo specchio, perciò lascia in pace Gabriel e pensa a fare il tuo dovere: proteggi questi ragazzi e chiudi quella cazzo di bocca!-
Mary lo lasciò andare e indietreggiò di un passo, ansimando pesantemente. Strinse i denti per convincersi a non picchiare Samael e uscì dalla stanza dopo avergli rifilato una violenta spallata.
Cadde il silenzio, rotto solo da un basso sibilo che fece abbassare lo sguardo a tutti: Sindragon si era accucciato a terra e nascondeva il muso tra le zampe, il corpo scosso dai singulti dovuti al disperato tentativo di trattenere le risate.
-Mettetevi d’accordo su chi di voi due dovrà decidere di scaricare il suo ragazzo. Se uno di voi idioti non sposa quella lì, giuro che vi sbatto fuori. Possibile che una ragazza abbia più palle di un uomo?- commentò Bobby.
§§§§
Dean si alzò in piedi e camminò con passo malfermo verso il bagno. Aveva dormito per un giorno intero e adesso che era notte, sentiva gli altri riposare, soprattutto Bobby che russava come un trombone dal divano del salotto. Dean quasi non si era accorto di aver usurpato il suo letto ma sapeva bene che tentare di protestare o di dormire sul divano al posto di Bobby avrebbe soltanto generato un mare di discussioni e un nulla di fatto.
Dean aprì la porta e se la richiuse alle spalle, facendo scattare la serratura. Aveva bisogno di una doccia calda. Non capiva perché, ma sentiva ancora una leggera morsa di gelo scuotergli il corpo in un tremito appena percettibile. Niente di insopportabile certo, ma una doccia calda non poteva certo fargli male.
Si sfilò lentamente la maglietta, facendo attenzione a come si muoveva. Aveva paura che quel freddo tornasse a massacrarlo e che questa volta avrebbe finito il lavoro, uccidendolo.
Gettò la maglietta su una sedia lì accanto, poi appoggiò le mani al lavandino e inspirò a fondo mentre alzava lentamente lo sguardo sullo specchio. Ciò che vide fu l’ultima cosa che si sarebbe mai aspettato di vedere.
Il suo riflesso era lì e fissava un punto poco al disopra della spalla del suo doppione. Dietro di lui, immobile e serafico come una statua e altrettanto bello… c’era Castiel.
Lo fissava con i suoi familiari zaffiri blu cobalto, il volto rilassato, la posizione statica e i capelli scombinati, come se avesse volato fin lì anziché teletrasportarsi. Sembrava non essere mai andato via: era tutto così familiare in lui, perfino quella scena ricordava a Dean un passato che fino a pochi minuti prima sembrava essere scomparso. Eppure adesso Cass era lì, stretto nel suo trench logoro adesso abbottonato sul davanti, il capo appena inclinato come quello di un gattino curioso. Era lui, era il suo Cass…
Lentamente, Dean si voltò, spaventato che quella visione fosse solo frutto della sua fantasia. E se Castiel fosse scomparso?
Dean si preoccupò inutilmente: quando posò gli occhi su di lui, Castiel era ancora lì e ricambiava lo sguardo con un accenno di sorriso. Era più bello di quanto Dean ricordasse.
-Ciao, Dean.- salutò con la sua voce calda, che sapeva di casa e di familiarità. Dean sentì un brivido scendergli lungo la spina dorsale. Tutto ciò a cui riusciva a pensare era Castiel, la sua presenza lì, i suoi occhi fissi su di lui. Era tornato.
-Cass…- mormorò, avanzando di un passo con fare dubbioso. Temeva ancora di vederlo scomparire nel nulla, dissolvendosi come una visione e niente di più. Era tutto talmente irreale, talmente perfetto…
Dean sollevò una mano lentamente, con cautela fino ad appoggiarla sulla guancia ruvida dell’arcangelo. Castiel socchiuse gli occhi e inclinò il capo verso il suo palmo, appoggiandovi la testa.
-Sono tornato.- mormorò, e allora Dean si sciolse in un debole sorriso. Era lui, era davvero lui. Il suo Cass, il suo angelo. Poteva sentirne il profumo, la morbidezza della pelle, la voce morbida proprio come la ricordava.
All’improvviso, come rispondendo a un comando silenzioso, Dean e Castiel si avventarono l’uno sull’altro, stringendosi in un abbraccio bisognoso che fece scontrare la schiena del cacciatore contro il muro. Le loro labbra si trovarono, si succhiarono, si morsero a vicenda con istinto animalesco e quasi primordiale mentre le lingue si intrecciavano, danzando di un ballo frenetico e aggressivo. Le mani di Dean vagarono sul trench di Castiel, slacciandone i bottoni con tanta rudezza da arrivare quasi a strapparli.
L’angelo gemette, si separò da lui e gli leccò il collo, scendendo con lentezza verso la spalla, dove morse con tanta forza che Dean sanguinò. Fece male, ma il cacciatore non poteva stare meglio di così: era con Castiel, eccitato e…
-Pelle?- disse allora Dean, separandosi da Cass per abbassare lo sguardo. Ora che aveva slacciato il trench, notò che Castiel indossava una maglia di tela trasparente che aderiva perfettamente al corpo sodo e ben tornito, seppur affusolato e armonico come solo quello di un angelo poteva essere e sotto di essa, dei pantaloni stretti di pelle nera come la notte che andavano a tuffarsi dentro un paio di anfibi. Al collo, Castiel portava un collare chiodato.
Quello era un abbigliamento così poco da Castiel ma così eccitante che Dean sentì la salivazione azzerarsi. Se esisteva da qualche parte un Dio della libido e del sesso, ce l’aveva davanti, ed era la creatura più sexy che avesse mai visto.
-Ti piace?- mormorò Castiel, leccandogli lascivamente il lobo di un orecchio e facendogli rovesciare la testa all’indietro. Dean chiuse gli occhi, arpionandosi al corpo dell’amante mentre questi gli slacciava i jeans con fare bisognoso, animalesco.
Era così aggressivo, così… così poco Castiel.
Un grido straziante esplose nell’aria, crescendo gradualmente in tutta la sua veemente tragicità. I vetri si frantumarono, le pareti si coprirono di crepe. Dean si raggomitolò, coprendosi le orecchie con le mani e serrando gli occhi con forza. Strinse i denti quando sentì i timpani riempirsi di sangue bollente che subito cominciò a colargli lungo la mascella.
Castiel indietreggiò, guardandosi intorno inespressivo. Si sfilò il trench, lasciandolo cadere a terra e leccandosi le labbra con fare ferino, aggressivo. Dean lo vide, sbarrò gli occhi.
Non era lui.
Non era Cass.
L’urlo angelico crebbe, vibrando nell’aria con fare cristallino e sempre più straziato. Dean aveva già udito quel suono e l’avrebbe riconosciuto tra mille, ne era sicuro:  Castiel, quello vero, stava gridando.
Dean guardò l’angelo fasullo fissarlo con occhi che lentamente si riempivano di malvagità. Sorrise, scoprendo i canini appuntiti e quasi animaleschi prima di allungarsi verso di lui, le dita piegate come artigli e gli occhi colmi di bramosia.
Dean afferrò un coccio di vetro da terra, probabilmente uno dei poveri resti dello specchio infranto e lo piantò nel palmo di Castiel, il quale si ritrasse leggermente infastidito e questo diede a Dean il tempo di sgusciare lontano dal suo raggio di azione. Corse fuori dal bagno senza perdere tempo a chiudersi la porta alle spalle, la schiena curva e le mani ancora premute con forza sulle orecchie mentre il grido angelico perpetrava a demolire pezzo a pezzo l’intonaco, gli oggetti e qualsiasi cosa venisse a contatto con quelle onde sonore.
In quel momento Sindragon comparve sulla soglia e attraversò la stanza in un unico possente balzo che lo fece scontrare contro Castiel. Le zanne poderose si chiusero sull’avambraccio dell’angelo, che gridò ferito senza tuttavia manifestare la sua voce da angelo. Doveva essere un fottutissimo mutaforma o un demone impossessatosi di Jimmy Novak, dannazione!
Dean corse verso il letto e facendosi forza staccò entrambe le mani dalle orecchie per aprire la sua borsa, abbandonata sul materasso. Il grido angelico gli penetrò a fondo i timpani, annullando in pochi istanti il suo udito. Dean sentì le orecchie bruciare, il cervello contorcersi per le onde sonore assorbite ma non si fermò: mentre Castiel si liberava di Sindragon scrollandoselo di dosso e mandandolo a schiantarsi contro il muro come una bambola di pezza, Dean estrasse una bottiglia colma di denso liquido ambrato e la scagliò attraverso la stanza. Il lancio fu veloce e preciso, e di ciò Dean dovette ringraziare i suoi riflessi e la sua mira da tiratore. La bottiglia si schiantò contro la fronte di Castiel e andò in pezzi, spandendogli su tutta la faccia l’olio santo.
Castiel gridò, coprendosi il viso con entrambe le mani. Arretrò contro il muro… e snudò le ali.
Grandi, immense e nere come il carbone. Sembrava che qualcuno le avesse immerse in una vasca di catrame, perché ogni singola, gigantesca piuma colava sul pavimento una sostanza nera e densa in tutto e per tutto simile al petrolio.
Dean rimase pietrificato a guardare quelle immense appendici piumate riempire la stanza, urtando le pareti e macchiandole di catrame. Sembravano due immense ombre nere vomitate dai più neri incubi mai partoriti da mente umana: avevano perso la loro aggraziata bellezza e adesso erano rudi, sporche e arruffate.
Cosa cazzo sta succedendo?
Il grido si interruppe d’improvviso, facendo calare nella casa un silenzio tombale, rimbombante e quasi doloroso. Dean ondeggiò il capo a destra e a sinistra cercando di calmare la nausea e ogni genere di dolore che il suo corpo aveva scelto di generare in quel momento.
-Tu, brutto…- ringhiò Castiel, tendendo nuovamente una mano verso di lui, ma un’altra bottiglia si schiantò contro la sua schiena, facendolo gridare di dolore. Scrollò il capo inferocito, le ali tremanti e gocciolanti catrame mentre Sam, Bobby e Mary si catapultavano nella stanza. Samael rimase sulla soglia, gli occhi sbarrati fissi sulla visione infernale di quel Castiel così diverso, così oscuro rispetto a quello che ricordava. Quelle ali erano terrificanti e grondavano malignità da ogni piuma. Erano troppo anche per lui, un angelo potentissimo che aveva combattuto contro demoni, mostri e quant’altro.
-SAMAEL!!!-gridò Mary, inginocchiandosi accanto a Dean, che lo guardò stordito.
All’udire quel richiamo, Samael si riprese e, dopo aver scrollato il capo, estrasse una spada angelica, ruotò su se stesso e affondò. Castiel schivò appena in tempo e fece saettare una delle ali, le cui piume affilate come rasoi tagliarono l’aria e si incastrarono con le penne di Samael, che aveva reagito prontamente snudando le ali bronzee. Quando sentì la pece colargli lungo le piume, Samael rabbrividì, ma si fece violenza per costringersi a rafforzare la presa dell’incastro con quelle di Castiel, che strinse la lama della spada angelica, ferendosi la mano. Il sangue che gocciolò sul pavimento attirò l’attenzione di tutti: era di un rosso talmente intenso da sembrare nero.
No, Castiel non era un demone, ma non era nemmeno un angelo.
-Troppo tardi, fratellino.- sibilò Castiel, strattonando la spada e disarmando Samael. Quattro delle sei ali dell’arcangelo saettarono verso Samael, che sbarrò gli occhi, pronto a sentirsi squarciato in due da un mare di piume affilate.
Era finita.
-NO!!!-
Qualcosa si frappose tra Samael e Castiel dopo averne districato le ali, un muro di piume dorate e indistruttibili intercettò le penne del nemico mentre una spada fatta come di cristallo tagliava l’aria in un arco luminoso. La lama calò e si abbatté con precisione micidiale su una delle ali di Castiel, incidendo un profondo taglio lungo il muscolo.
Castiel gridò e balzò all’indietro, ma prima che potesse sbattere le restanti cinque ali per il dolore, Gabriel si lanciò su di lui e lo spinse fuori dalla finestra, trascinandolo nell’oscurità della notte.
-Gabriel!-
I due angeli caddero nel vuoto, avvinghiati in un abbraccio mortale, le ali incastrate tra loro e le piume che stridevano come coltelli che sfregavano contro altre lame. Un istante prima di schiantarsi al suolo, Gabriel si separò da Castiel con una spinta, affondò la spada poco sopra la clavicola dell’avversario e la usò per fare perno su di essa. Piazzò un piede sulla spalla di Castiel e gli afferrò la testa con entrambe le mani mentre le sue ali piantavano le piume affilate in quelle ancora doloranti dell’altro angelo.
-Torna da dove sei venuto.- ringhiò Gabriel, lasciandosi cadere alle spalle di Castiel con un balzo elegante. Le sue mani, ancora strette al capo dell’altro, costrinsero il capo a torcersi all’indietro in una manovra impossibile da compiere se non spezzando l’osso cervicale. Difatti, si udì uno schiocco sordo e raccapricciante mentre Gabriel lasciava andare il capo di Castiel e ruotava su se stesso, trascinandoselo dietro a causa delle ali ben piantate in quelle dell’altro angelo. Quel movimento portò il povero corpo abbandonato di Castiel ad essere scagliato via con violenza, attraversando in volo metri e metri fino a rovinare al suolo, nella polvere, dove giacque immobile e silenzioso.
Gabriel atterrò pesantemente al suolo e si raddrizzò, gli occhi stretti in uno sguardo furibondo che Sam non gli aveva mai visto in volto. Si avvicinò ai miserabili resti di Castiel, fissandolo con odio crescente, rabbioso. Sembrava in procinto di esplodere di una furia violenta, improvvisa e devastante.
Fu allora che Sam, varcata la soglia di casa Singer per uscire in cortile, ebbe paura. Ancora una volta si trovava faccia a faccia con un Gabriel diverso, così simile a un demone e così poco vicino all’angelo che era… a quello che Sam ricordava. Le torture avevano infuso in lui il seme del male, dell’odio e dell’oscurità e mentre Sam lo guardava germogliare, Gabriel divelse la spada dal corpo dell’angelo e voltò le spalle a Castiel, passandosi le mani sul volto esausto. Sembrava spossato, quasi spaventato da se stesso: aveva percepito che c’era qualcosa di diverso in lui, qualcosa di oscuro…
-GABRIEL, ATTENTO!!!-
Un sibilo, un minaccioso riflesso d’argento. Gabriel si voltò di scatto e uno schizzo di sangue scarlatto gli colpì il viso come un’impronta peccatrice che non sarebbe mai più scomparsa.
-NOOO!!!-
Sam afferrò la spada angelica di Castiel con entrambe le mani e la trattenne nel suo corpo, il capo chino e i capelli davanti agli occhi. Un rivolo di sangue gli scendeva dalla bocca piegata in un leggero sorriso: ce l’aveva fatta, aveva protetto Gabriel.
Forse era cambiato. Forse non mangiava più tanti dolciumi come Sammy ricordava. Eppure era sempre lui, e a Sam bastava così. Era il suo Gabriel, il suo arcangelo dal sorriso smagliante e dalla dolcezza infinita che lo aveva sempre protetto ad ogni costo. Adesso, era toccato a lui restituirgli il favore, e non perché riteneva giusto fare così: no, Sam l’aveva fatto perché l’amava, e questa motivazione valeva più di qualsiasi altra cosa.
Dean e Bobby spararono una raffica di colpi a indirizzo di Castiel, Mary gli conficcò un coltello nella spalla laddove la ferita infertagli da Gabriel era ancora aperta. Con un grido, un abbaio e un verso indistinto, Samael, Sindragon e la volpe di Gabriel si avventarono su di lui con tanta forza da farlo rotolare nell’erba come una bambola di pezza, ma prima ancora che potessero finirlo, Castiel era svanito.
Gabriel reagì d’istinto, quasi risvegliandosi dalla trance da incubo in cui era caduto. Tese le braccia e afferrò il corpo di Sam prima che cadesse al suolo, stringendoselo al petto con fare protettivo, traumatizzato. Il ragazzo si aggrappò alla giacca dell’arcangelo, boccheggiando mentre la spada angelica ancora sbucava dal suo stomaco fradicio di sangue. I suoi occhi cristallini erano socchiusi, vacui per il dolore e l’incoscienza tra i quali ondeggiava il loro padrone.
-S… Sam?- mormorò Gabriel, posandogli una mano sulla guancia per voltargli appena il viso pallido. Sam rimase inerme, gli occhi socchiusi e lontani, vacui: gli occhi della morte. –Sam… alzati, Sammy… dobbiamo andarcene, dobbiamo… dobbiamo entrare in casa…-
Gabriel sorrise flebilmente mentre i suoi occhi si riempivano di lacrime: era la prima volta che Sam non gli rispondeva, che non lo guardava veramente con l’amore che gli aveva sempre rivolto. Fino a quel momento Gabriel si era sempre beato del pensiero che da qualche parte in quel mondo c’era e ci sarebbe sempre stato qualcuno che lo avrebbe guardato con quegli occhi, ma adesso… adesso non c’era più nessuno a guardarlo, perché non restava più niente di lui senza Sam.
Lentamente, come rispondendo a un ordine silenzioso, il collare da gattino cedette. Non si sganciò, non cadde per sbaglio o perché era stato allacciato male. No, Sam non l’aveva mai tolto da quando Gabriel gliel’aveva messo due anni prima. Aveva sempre sfoggiato quasi con orgoglio quel buffo campanellino spesso occhieggiato e additato da tutti, ma lui non se n’era mai curato: gli piaceva, e sapeva che quell’oggettino rappresentava un legame col suo angelo, il segno tangibile che Gabriel ci sarebbe stato fino alla fine. Non era più così: adesso il collare si spezzava in due e cadeva tintinnando ai piedi di Gabriel, dritto nella pozza di sangue, dove giacque immobile e inanimato.
-Sammy!- urlò Dean, cadendo in ginocchio accanto al fratello. Gli prese il viso tra le mani per costringerlo a guardarlo, ma gli occhi di Sam erano sempre più lontani, sempre meno fissi sulla vita. Dean ebbe paura.
-Dannazione, Gabriel! Fa qualcosa, usa i tuoi cazzo di poteri, qualunque cosa, ma aiutalo! Mi hai sentito, figlio di puttana?!-
Ma Gabriel non ascoltava più. I suoi occhi adesso erano fissi in quelli di Sam, che con un ultimo sforzo adesso lo guardava e sorrideva tra il sangue e il dolore.
-Te… te l’avevo de… detto che mi sa… sarei occupato di te…- mormorò Sammy, prendendogli la mano e stringendola in una stretta gentile, salda per l’ultima volta.
Una volta qualcuno disse che nella morte non c’era nulla di triste, non più di quanto ce ne fosse nello sbocciare di un fiore. Gabriel vide questa verità negli occhi di Sam mentre sorrideva, mentre annuiva soddisfatto e sicuro di poter scivolare via serenamente. Dopotutto, chi ha coraggio e fede non morirà mai in miseria, e Sam aveva entrambe le cose: fede nel suo angelo, coraggio di andare avanti e di attendere appena un po’ più in là.
Chiunque avrebbe dovuto arrendersi e lasciarlo andare, ma non Gabriel.
Non era giusto, non lo avrebbe accettato.
Era un arcangelo, aveva dei poteri e qualunque fosse il costo di quell’infrazione, avrebbe riportato indietro Sam.
Nessun angelo, per quanto potente fosse, avrebbe potuto salvare un qualsiasi essere vivente ferito da una spada angelica, ma lui non si sarebbe fatto remore a infrangere i suoi stessi limiti. Sam sarebbe sopravvissuto.
Il sole cominciò la sua lenta ascesa al cielo, riflettendo negli occhi di Gabriel uno spettro di schegge affilate come rasoi. Le ali si spiegarono lentamente, la pelle fu attraversata da un riflesso luminoso mentre i vestiti sparivano, lasciando il passo a un torso nudo e dei semplici pantaloni di seta bianchi con una fascia dorata legata in vita. Il sole nascente bagnò il corpo dell’angelo, le sue ali possenti, le piume brillanti come il più bello dei sogni e mentre Gabriel levava una mano, Sam chiuse gli occhi, abbandonando il capo all’indietro: il suo cuore stava rallentando i battiti.
Tum, tum, tum…
Sì, Sam aveva promesso di proteggerlo e l’aveva fatto, ma Gabriel non avrebbe lasciato che il suo umano perisse così. Forse era sbagliato, forse era anomalo, ma non aveva senso continuare una vita senza la forza di volare e la volontà stessa di vivere.
Tum… tum… tum…  
La mano di Gabriel affondò nel centro esatto del suo stesso torace, veloce, precisa, come un taglio cesareo praticato da un esperto. Samael urlò, cercò di afferrargli il polso per fermarlo, ma Gabriel, con un’espressione di profonda sofferenza in viso, spinse la mano ancora più a fondo. Cercava qualcosa, qualcosa di tremendamente importante.
Tum……..tum……..
La luce si intensificò intorno al corpo dell’arcangelo, l’aria vibrò di un potere antico, arcano, antico come l’intero universo. La terra tremò scossa dalle fondamenta quando Gabriel estrasse la mano dal petto, stringendo tra le dita quella che sembrava una vera e propria stella: lucente, di un bianco purissimo e abbagliante, i filamenti di luce che scivolavano intorno ad essa come morbidi quanto eterei capelli smossi dal vento.
Il sole brillò più intensamente mentre un vento profumato di fiori si levava, risvegliato dalla discesa in terra della potenza stessa del Paradiso. Quel nucleo luminoso aveva generato vita e causato morte, era stato giudice e accusatore… quel nucleo, era la nascita stessa di un implacabile arcangelo.
Tum…
Gabriel guardò Samael, i loro occhi si scambiarono uno sguardo d’intesa mista a dolore e paura. Alla fine, l’arcangelo sorrise…
-NO!!!-
La mano di Gabriel affondò nel petto di Sam, facendovi passare attraverso il nucleo luminoso. Il cacciatore sussultò e sbarrò gli occhi mentre Gabriel si ripiegava su se stesso, percorso da uno spasmo sofferente. Le ali ebbero un sussulto e si accasciarono insieme al suo padrone, perdendo luminosità e potenza. Il loro padrone si accasciò sul corpo di Sam.
Entrambi immobili.
Entrambi fragili come vetro.
Entrambi uniti e sorridenti in un abbraccio che ricordava mille ere trascorse a narrare di un amore semplice e incontaminato come il morbido sbocciare di un fiore.
 
Angolo dell’autrice:
Cooooolpo di scena! Cass è cattivo, cominciate a preparare i manifesti da bandito con la scritta “WANTED”! Un bellissimo Winchester in regalo a chi lo acciuffa, vivo o morto! Va bene, ammetto che il finale di questo capitolo è stato una sorpresa anche per me. Non avevo intenzione di combinare questo casino, ma i miei personaggi si sono dati all’anarchia…
Balthazar: è per questo che sei seduta sul lampadario? Perché Gabriel si è dato all’anarchia?
No, quello l’ha fatto il muflone incazzato nero che Gabe ha tosato stamattina. Lo sta ancora cercando per incornargli il culo, ma il coraggioso angioletto è fuggito in Tibet e adesso ho una bestia incazzata in casa!
Bal: suvvia, non è così grave…
Mi ha incornato le chiappe DUE VOLTE!!! due, Balthazar! Il mio fondoschiena è a pezzi, in cucina sta crescendo un affare che sembra più simile a una gigantesca pianta carnivora e non posso nemmeno chiamare i Winchester per smontare il combattimento tra polli che Crowley ha allestito nella stanza dei miei! Ah, e vedi di dare una sistemata al rodeo di Wendigo in corridoio! Li sento correre tutta la notte e non dormo più!
Bal: in effetti hai la faccia di una nonnina… quanti anni hai, scusa?
Io sono giovane, va bene? Giovane e nel fiore degli anni! Guarda, mi faccio il caffè! sono giovane! GIOOOOOOVANEEEE!!!
Bal: fai il caffè? Ma che c’entra?
Zitto! Sono giovane, il caffè rende giovani, e anche le giraffe chiuse nel cesso rendono giovani! E tu scendi dal fornello, maledetto cormorano! Muahahahahahahah
Bal: ehm… io… andrei ad avvisare Castiel di… insomma, devo anche prestare soccorso al fagiano investito e… ci vediamo!

kimi o aishiteru: uh, che bello, non sarò sola al manicomio! Gaaaabrieeeeel, prepara un altro letto, abbiamo ospiti! No, non quello imbottito di termiti! Sì, quello con le pulci Behemah andrà benissimo, sono certa che andranno d’accordissimo! Eheh, io vado al manicomio ogni volta che pubblico, ho il terrore di aver scritto qualche cavolata… più del solito, intendo XD ammetto di non essere sicura di come si svolgerà la storia, come ho già scritto i miei personaggi a volte agiscono di testa propria. In questo capitolo Sam doveva morire davvero e tornare solo e soltanto come fantasma, ma quel cretino di Gabriel ha combinato il solito casino… per qualsiasi reclamo, rivolgersi a lui, grazie. Be’, che dire? Grazie per la bellissima recensione, che come sempre ha aiutato il proseguimento della storia! A presto!
 
Blacasi: stavolta sono stata più lenta ad aggiornare perché ammetto che questo capitolo mi ha fatto sudare parecchio, mi dispiace. Ehi, mi raccomando: va bene studiare, ma se non ti rilassi ogni tanto non riuscirai neanche a concentrarti! Anche io sono piena di studio, ma come te mi rilasso con i miei angioletti e i miei cacciatori preferiti, perciò sono felice di non essere l’unica ad amarli come compagni nei momenti di quiete ^^ eheh, come leggi c’era un motivo per il quale Gabe è saltato fuori per primo, e scommetto che la cosa non ti è piaciuta, e devono ancora saltare fuori molte cose XD eh, a dire il vero Samantha è un po’ fessacchiotta e Dean ha più che ragione a pensare che abbia bisogno di una sveglia bella grossa. Insomma, hai un Gabriel al tuo diretto servizio, SFRUTTALO, maledizione!!! Cretino di un capellone! (Tomi, lo stai facendo di nuovo? Mi stai di nuovo insultando mentre sei davanti al pc? Nd Sam)( cosa? No, io… ce l’avevo con… e che cavolo, che ci fai ancora qui? Vai da Gabriel e datti da fare, razza di monaca di clausura!) dunque, ora che ti ho restituito un Dean vedente puoi continuare a rivolgermi la parola, ohohohohohoh!!! E per questo spero di leggerti prestissimo, come sempre! Grazie di tutto e a prestissimo!
Sherlocked: nel capitolo precedente hai esultato troppo, e adesso per vendicarmi ho sfasciato tutti i personaggi XD non so dopo questo casino chi sarà più traumatizzato. Vuoi ancora abbracciarmi? XD no, perché se vuoi sei ben accetta, questo sempre se non hai problemi a visitare una giungla e… era Sandokan quello? (No, era Sam. Nd Gabriel)( che ci fa Sam con una sciabola? Sta ammazzando tutte le mie piantine! No, le liane no!!!)( non sono liane quelle, perciò piantala di importunare i miei cobra! Li ho appena munti. Nd Gabriel)( Gabe, non si mungono i cobra…)(……. Nd Gabriel)(…..)(In effetti non sono neanche certo che i cobra abbiano le gambe e due teste… BALTHAZAR, STAI FACENDO DI NUOVO ESPERIMENTI SUI MIEI BEHEMAH?!?!?! Nd Gabriel) ehi, come minimo ascolto i Queen, le vecchie pietre miliari della musica non si dimenticano. Coooomunque, sono più che felice di potermi sempre aspettare una tua recensione, come al solito non smetto di ripetere che sono fantastiche e spassosissime XD detto ciò, ti saluto e vado a salvare le mie… no, la pianta carnivora! Cattiva pianta, sputa subito Sam! Sputalo!!
Tomi Dark Angel
 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 8
*** Il Percorso Svelato ***


-Sono morto…?-
Un respiro, un senso di vuoto alla bocca dello stomaco.
-Chi sono?-
Qualcuno da qualche parte ansimava, gridava di dolore, piangeva. Vuoto, tutto era vuoto. Nero, profondo, pregnante come pece appiccicosa.
Sam rovesciò il capo all’indietro, incapace di aprire gli occhi. Sentiva un gran peso all’altezza del petto mentre quella stessa pesantezza lo spingeva in basso, sempre più giù, verso l’abisso…
-Sam?-
E finalmente Sam riuscì a sollevare faticosamente le palpebre, ferito da un caldo sole primaverile. Adesso poggiava la schiena su un morbido letto di piantine mentre tutto intorno a lui si srotolava un orto curato e circondato da un muretto in mattoni. In lontananza si distingueva l’imponente sagoma di un possente muro dai bordi dentellati, volto a difendere le case maldisposte tra stradine sabbiose e aride che formavano una città antica, d’altri tempi e anche assai tranquilla.
Sam la riconobbe perché l’aveva già vista in molte illustrazioni, durante i suoi studi al college e nel bel mezzo di una ricerca utile a una qualsiasi caccia: l’antica, imponente Gerusalemme era davanti ai suoi occhi, quasi volta a minacciarlo per impedirgli di varcare le mura protette da soldati armati fino ai denti. Si erano svolte leggende, miti e verità in quel luogo ricordato dal mondo intero, ma adesso che Sam la vedeva, per quanto maestosa, Gerusalemme non gli appariva niente più che una città.
-Come ti senti?- chiese una voce. Sam trasalì e si voltò di scatto, pronto a difendersi, ma non fu necessario: una ragazza alta e slanciata, con la pelle abbronzata e lunghi capelli neri lo fissava con due ridenti occhi verde smeraldo, anche più verdi di quelli di Dean. Indossava una lunga veste di tela e una sciarpa color porpora intorno al collo.
Sam l’aveva già vista, ci aveva parlato. Sì, era accaduto due anni addietro, durante uno scontro all’ultimo sangue tra arcangeli. Lei era apparsa allora, quando la situazione era sembrata tanto disperata quanto irreparabile e con fare silenzioso aveva indicato a Sam la giusta via che poi gli aveva permesso di salvare Gabriel da morte certa. Quella ragazza era stata la compagna di Gabriel, il suo primo e vero amore, andato perduto a causa dei demoni. Sam ricordava quella ragazza: ricordava che era morta.
-Sono…-
-Non sei morto, Sam. Stai bene, ma se non ti alzi da lì ti verrà un gran mal di schiena.-
Kendra chinò il busto e gli tese la mano, sorridendo. Era una donna bellissima, con un viso allegro e i movimenti aggraziati come quelli di una fata. Sam afferrò la sua mano con fare titubante, una mano stretta al fianco poco sopra la cintura dove sapeva esserci la pistola: se fosse stato necessario difendersi, l’avrebbe fatto.
Kendra notò il suo gesto e inclinò appena il capo, senza smettere di sorridere con sconfinata dolcezza. –Non sarà necessaria alcuna arma, Sam. Sei al sicuro, qui… questo è il regno di Gabriel, non quello reale.-
A Sam si bloccò il respiro. –Il regno di… di Gabriel?- chiese, e Kendra annuì, lasciandogli la mano.
-Certo. Sei nella sua testa, quindi qui niente potrà farti del male. Al momento sei un ospite.-
-Quindi tu…-
-Sì. Io sono un ricordo.-
Kendra intrecciò le mani in grembo con l’aria di chi sta parlando del tempo. Fissava Sam con affetto, un sentimento che lo mise in imbarazzo considerando che anche se lei era morta secoli addietro, il cacciatore era comunque il compagno di Gabriel.
-Aspetta un momento, che ci faccio qui?- domandò, ricordando cos’era accaduto prima che perdesse i sensi. Castiel l’aveva trapassato da parte a parte e per poco non gli intaccava anche la spina dorsale, tanto era andata a fondo la lama. Non era normale che se la fosse cavata così e che adesso fosse finito chissà come nei ricordi di Gabriel.
-Sei finito qui quanto Gabriel ti ha salvato.-
-Salvato? Come ha fatto? Ero praticamente morto, eppure non ricordo di essere stato in paradiso o all’inferno…-
-Infatti. Tu non…-
Kendra si interruppe e levò gli occhi al cielo con sguardo corrucciato. Un basso tremito scosse la terra come un piccolo terremoto mentre in lontananza la città di Gerusalemme sfumava, sbiadendo come un quadro sul quale qualcuno gettava una secchiata d’acido. Ogni colore, ogni più piccolo particolare, orto compreso, fu inghiottito da una nebbia sempre più fitta, candida come neve.
-Dammi la mano.- ordinò Kendra, e Sam ubbidì mentre l’erba sotto di loro svaniva, lasciandoli in uno sconfinato spazio bianco senza sopra né sotto. Sam vacillò confuso.
-Dove siamo?-
-In uno dei ricordi di Gabriel. Non so di quale si tratti.-
-Io continuo a non capire cosa ci faccio qui.-
Kendra lo guardò con dolcezza e, lasciatagli la mano, gli accarezzò il viso in un tocco gentile e pieno di affetto. –Non capisci cosa ha fatto Gabriel? Non avverti nessun cambiamento dentro di te?-
Sam sbatté le palpebre, confuso. –C… come?- disse, ma Kendra non rispose e si allontanò di un passo da lui.
Il rumore di un respiro incerto, vacillante, attirò l’attenzione di Sam, che si voltò. A pochi passi da lui c’era un albero, i cui fiori di un bianco immacolato sbocciavano uno dopo l’altro in un processo di crescita accelerato. Lì, sotto le fronde massicce color dello smeraldo e distese come braccia aperte verso il cielo latteo, c’era un uomo addormentato tra le radici intrecciate intorno al suo corpo come una gabbia protettiva ed elegante.
-Gabriel…-
Sam spiccò una corsa e raggiunse l’albero, incurante del tremito che gli scuoteva le mani.
Gabriel era quanto di più bello avesse mai visto in vita sua. Aveva gli occhi chiusi e un’espressione pacifica, il viso leggermente piegato di lato e una mano in grembo mentre l’altra era tenuta leggermente sollevata dalle radici che la imprigionavano insieme al resto del corpo. I capelli erano scompigliati, puliti e lisci come piume di un aquila mentre la pelle pallida dall’aspetto morbido e setoso ricopriva il corpo di un delicato bagliore. Indossava soltanto i soliti pantaloni di seta bianca come la neve, per nulla intaccata dallo sporco della terra.
Le radici, fiorite anch’esse, si intrecciavano in sottili quanto morbidi arabeschi intorno al corpo ingabbiato, come a volerlo proteggere dalla sporcizia del mondo esterno per preservarlo bellissimo e incontaminato come appariva in quel momento.
Sam si inginocchiò accanto al corpo addormentato di Gabriel, osservandolo incantato. Avrebbe voluto allungare una mano verso quella pelle di madreperla, sfiorarla in una carezza gentile, ma aveva paura di insozzarla col suo essere mezzo demone e mezzo umano.
-Bella vista, no?- disse Kendra, affiancandolo. Fissava Gabriel con occhi intrisi di tristezza e velata malinconia, ma non nascondeva l’ammirazione che provava per lui. Sam la fissò in attesa, aspettando che parlasse ancora, che gli desse qualche indizio sul da farsi.
Fu così.
-Non serve stare qui. Devi cercare l’altra parte e portarla indietro.-
-Che vuoi dire?-
-Ciò che ho detto.-
Kendra si sedette su una radice sporgente e appoggiò la schiena al tronco massiccio. Socchiuse gli occhi esausta, lasciandosi sfuggire un sospiro di stanchezza. –Segui la strada, Sam… seguila…-
Sam scattò in piedi. –Ehi, che ti prende?- si allarmò, ma Kendra aveva già chiuso gli occhi e lentamente il suo corpo si stava ricoprendo di pietra grigia, gelida e immobile. Sam vide i suoi capelli irrigidirsi in morbide volute, il viso distendersi nella calma del sonno e in breve tutto ciò che restava di Kendra fu una statua bellissima e immobile.
Sam si passò una mano tra i capelli, chiedendosi cosa accidenti stesse succedendo. Doveva restare calmo, altrimenti non sarebbe mai uscito da lì.
Kendra ha detto di seguire la strada… quale strada?
In risposta alla sua domanda, una lunga strada sterrata apparve alle spalle dell’albero. Era appena visibile per la nebbia che aleggiava sopra di essa come un manto leggero, ma Sam non esitò a lanciarsi verso di essa. Doveva fare qualcosa, e restare lì non avrebbe certo aiutato Gabriel. Se c’era una chiave per liberarlo dall’abbraccio delle radici, l’avrebbe trovata.
Sam corse lungo la strada col cuore in gola. Il silenzio che regnava era rotto soltanto dai suoi ansiti e dai tonfi pesanti dei passi che compiva in rapida sequenza sulla via, che percorreva alla cieca, sperando che portasse da qualche parte e non al punto di partenza o peggio. E se si fosse trovato in un ricordo di Gabriel che riguardasse in qualche modo l’inferno? E se avesse scoperto che quella strada portasse in realtà nella tana di qualche bestia più che pericolosa?
Sam accelerò il passo, ma il percorso sembrava sempre lo stesso, come se il cacciatore stesse percorrendo lo stesso tratto da ore. Alla fine, proprio quando Sam stava per arrendersi, una fiaccola si illuminò in lontananza, danzando quieta e oscillante come un pendolo d’orologio. Man mano che Sam si avvicinava, le fiaccole aumentavano: divennero due, tre, nove, dodici, venti, fino a trasformarsi in uno sconfinato mare di fiammelle disposte disordinatamente… in un cimitero.
Sam si fermò davanti ai cancelli spalancati del camposanto, osservando stupito il mare di lapidi senza nome piantate nell’erba. Al fianco di ogni candido pezzo di marmo aleggiava una fiaccola candida come neve, oscillante e silenziosa, come una presenza che tiene compagnia al morto sotterrato.
Di tanto in tanto, tra le lapidi, si stiracchiava il tronco rachitico di un albero spoglio, dai rami contorti e privi di fiori, ben diversi dall’albero che abbracciava Gabriel. Quelle piante erano fragili come vetro, spezzate, spesso piegate da un lato.
Intorno a sé, Sam vedeva anche un migliaio di statue meravigliose dall’aspetto realistico e modellate in ogni più piccolo dettaglio. Gli angeli raffigurati si coprivano il volto piangente con le mani, lanciavano al cielo un silenzioso quanto straziato grido di dolore, cadevano in ginocchio coi visi contorti dalla sofferenza. Solo una cosa quelle statue avevano in comune: le ali spezzate alla base, come se qualcuno le avesse strappate via e gettate da qualche parte senza riguardi.
Sam avanzò a testa bassa nel cimitero, osservandone le lapidi silenziose, le fiaccole lucenti come stelle, le statue agghiaccianti. Sembrava un incubo, un luogo di non ritorno volto a imprigionare per sempre le anime dei morti. Ogni parvenza di pace era scomparsa, ogni simbolo di tranquillità si era trasformato in qualcosa di straziante e minaccioso. Quello sembrava il cimitero dei dannati, se non un lager per anime perdute e sofferenti.
All’improvviso, Sam vide una figura accovacciata accanto a una delle tombe. Appoggiava il busto contro la fiancata della lapide, il capo gettato in avanti e il volto nascosto dai capelli sudici.
-Ehi, si sente bene?- si allarmò Sam, raggiungendo lo sconosciuto. La fioca luce della fiaccola che lo affiancava gli riempiva il volto e il corpo di ombre spettrali e quasi demoniache. Lo sconosciuto ansimava e Sam ne osservò il petto nudo alzarsi e abbassarsi mentre il resto del corpo, coperto semplicemente da un pantalone nero e lacero, tremava pietosamente.
Sam si inginocchiò. –Si sente bene? Ha bisogno di aiuto?- chiese ancora, rabbrividendo.
Allora lo sconosciuto alzò gli occhi e Sam lo riconobbe: era Gabriel. Magro ed emaciato, il volto lacero di ferite, i capelli sporchi volti a cadergli davanti agli occhi dallo sguardo vuoto, spento. Da essi perdeva sangue, che colava lungo le guance scavate fino a cadere sul petto.
Sam avrebbe voluto urlare, indietreggiare o quantomeno svegliarsi. Non avrebbe mai voluto seguire quella strada, non avrebbe dovuto entrare in quel cimitero. Era un incubo, il peggiore che avesse mai fatto in vita sua.
-G… Gabriel?- mormorò con voce roca, tremando violentemente. Gabriel sbatté le palpebre, come se non riuscisse a vederlo e allora Sam, colto dal dolore, dallo strazio di quella visione, gli passò una mano sotto gli occhi per pulirli dal sangue. Pianse anche lui, soltanto che le lacrime che ne uscirono erano d’acqua pulita, salata, ma limpida e non rosso scuro.
-Cosa ti è successo?- singhiozzò Sam, trattenendosi dall’impulso di abbracciarlo.
-Hai… visto le mie… le mie ali?- gracchiò Gabriel, dando segno di non riconoscerlo. Fissò un punto lontano, oltre la sua spalla. –Devo averle perse… hai visto le mie ali?-
Sam si premette una mano sulla bocca per soffocare i singhiozzi. Non poteva essere Gabriel, quello non era il suo angelo. Gettando al vento ogni prudenza, Sam gli gettò le braccia al collo e se lo strinse al petto, senza tuttavia riceverne alcuna risposta. Gabriel rimase inerme tra le sue braccia, continuando a fissare il vuoto.
Sam affondò il viso nell’incavo del suo collo, respirandone il vago sentore di terra e sangue che soffocava il profumo di fiori e dolci. Sembrava non essere rimasto più nulla in lui, nulla che Sam potesse riconoscere.
Sam singhiozzò, affondò le mani nei suoi capelli, disperato. Non voleva più guardare, non voleva più vedere quegli occhi vuoti e quel volto scarno. Dov’era il suo Gabriel?
Devo essere io la sua forza… se non ce la farà da solo, lo porterò fuori di qui.
  -Andrà tutto bene…- mormorò infine Sam, separandosi da lui, ma Gabriel non diede segno di aver compreso. –Ti porterò fuori di qui.-
-Qui dove? Hai visto le mie ali? Devo averle perse…- ribatté Gabriel con fare vacuo. Sam si fece forza per costringersi a parlare di nuovo.
-Le tro… le troveremo. Non ti lascio qui, va bene? Forse sono… sono fuori dal cimitero, ma le troveremo.-
-Hai tu le mie ali? Devo averle perse…-
Sam scosse il capo, singhiozzando ancora. Si guardò intorno: le statue, le fiaccole, le lapidi. Capì di trovarsi in un cimitero di angeli.
Dio Santo…
Quelle statue… erano stati angeli veri. Dovevano aver subito lo stesso processo di pietrificazione di Kendra e adesso giacevano lì, con le ali spezzate e i volti straziati dal dolore. In quel luogo riposavano gli angeli perduti, coloro che si erano spenti e che morendo avevano perso le loro ali e lacerato la loro Grazia.
Lacerato la loro Grazia… era successo questo a Gabriel? Aveva spaccato la sua Grazia? Come? E perché?
-Per te, immagino.- disse una voce femminile, e allora Sam levò lo sguardo. Accucciata sul piedistallo che innalzava una delle statue ad almeno diciotto centimetri dall’erba, c’era la volpe Behemah di Gabriel, con le zampe incrociate e la grossa, folta coda penzoloni.
-Tu…- mormorò Sam, senza allontanarsi da Gabriel. -…hai parlato? Aspetta, sei una femmina?-
La volpe si stiracchiò con grazia, distendendo le zampe eleganti e il corpo slanciato. –Dopo tutto quello che hai passato l’unica domanda che riesci a farmi è chiedermi se sono femmina o no?- lo prese in giro, guardandolo con i brillanti occhi verde dorato. Scese con un balzo dal piedistallo e raggiunse Sam, muovendosi con eleganza e scioltezza e infine si sedette a pochi passi da lui, gli occhi fissi sulla pietosa figura di Gabriel. –Non dovresti portarlo via.-
Sam si arrabbiò. –Di cosa stai parlando? Non lascerò Gabriel qui!-
-Questo non è Gabriel, ma solo una parte di lui… è la parte che ha separato da se stesso. Questo pezzo appartiene a te.- spiegò la volpe, inclinando il capo e socchiudendo gli occhi furbi.
Sam trasalì.
–Che… che vuoi dire?-
-Voglio dire quello che ho detto. Questo Gabriel è ferito perché il suo padrone l’ha allontanato da se stesso per salvarti. Come pensi che abbia fatto il mio compagno a impedirti di morire, altrimenti? Andiamo, ragazzo, credevo fossi più furbo di così.-
-Ma… non è possibile, Gabriel non farebbe una cosa così stupida! Lacerare la sua Grazia è… insomma, la Grazia per un angelo è importante, è praticamente il centro della sua essenza! Lui non la farebbe a pezzi!-
-Ne sei sicuro?-
Sam si zittì. No, non ne era sicuro. Aveva visto Gabriel compiere le azioni più pazze per lui e Sam stesso non poteva dire di non essere stato avventato facendosi infilzare per salvare la vita al suo arcangelo. Entrambi compivano gesti impulsivi quando l’altro era in pericolo, ma nessuno di questi li aveva mai portati a tanto: la Grazia era tutto per un angelo, non era possibile che Gabriel l’avesse strappata come un inutile foglio di carta.
Eppure gli occhi della volpe parlavano chiaro ed erano sinceri, così come lo era stata Kendra: “Non capisci cosa ha fatto Gabriel? Non avverti nessun cambiamento dentro di te?”, aveva detto, e adesso Sam capiva.
-Gabriel… lui l’ha fatto davvero? Mi ha donato un pezzo di se stesso?-
-Ha fatto questo e molto di più. Se può farti sentire meglio, prova a pensare che Gabriel l’abbia fatto per se stesso: senza di te avrebbe perso la possibilità di volare.-
-Nessuno lo costringeva a farlo, e questo non mi fa sentire meglio per niente!-
-Come siete lamentosi voi esseri umani.-
La volpe si stiracchiò di nuovo e si alzò, tornando a fissare Sam con insistenza. –Allora, che hai intenzione di fare?-
-Che vuoi dire?-
-Hai detto che volevi portarlo via, no? Sappi che questo è il pezzo mancante di Gabriel e se non glielo riporti non si sveglierà.-
Sam annuì e si protese verso Gabriel, il quale non reagì e anzi continuò a fissare il vuoto. Il cacciatore si inginocchiò e gli accarezzò i capelli con tenerezza, gettandoglieli all’indietro in modo che scoprissero il volto. Sorrise debolmente, pensando a quanto avesse fatto il suo arcangelo per lui: si era ribellato ai suoi stessi limiti, valicandoli e strappandosi il cuore a metà per donargliene un pezzo. Gabriel l’aveva salvato, aveva impedito per l’ennesima volta che la sua vita tramontasse e adesso toccava a Sam finire il lavoro. Dovevano svegliarsi entrambi, altrimenti il sopravvissuto sarebbe morto comunque senza il compagno al suo fianco. Erano fatti così, dopotutto. Due pezzi da incastrare tra di loro, due facce di una stessa medaglia.
Sì. Sam ce l’avrebbe fatta, avrebbe salvato Gabriel come aveva promesso a se stesso e a lui. Nessun Dio poteva portargli lontano il suo arcangelo, perché ovunque egli fosse, Sam avrebbe sempre inseguito il fioco bagliore delle sue ali. Gabriel era il suo sole, e dopotutto tutti quanti sapevano che anche se invisibile, il sole c’è sempre: basta soltanto attendere che sorga.
-Non ti lascerò mai solo…- mormorò Sam, chinandosi a baciargli la fronte. Chiuse gli occhi, infondendo in quel contatto ogni parte di se stesso, ogni briciola del suo seppur povero essere. Si sentiva così piccolo, così insignificante rispetto alla grandezza di quell’arcangelo che aveva avuto il coraggio di donargli tutto, ostentando un’umanità fuori dal comune e una devozione sconfinata e purissima, come l’innocenza di un bambino.
Sam si allontanò appena da Gabriel per guardarlo negli occhi. Una scintilla di vita baluginò per qualche istante nell’iride oscurata dell’arcangelo prima di tornare a spegnersi. Era ferito, spezzato e distrutto, ma di certo non sarebbe mai stato solo: Sam non l’avrebbe mai permesso. Lui ci sarebbe stato e avrebbe curato con pazienza ogni sua ferita, ogni sua debolezza, leccandogli le ferite fino alla fine dei suoi giorni.
-Sono qui.-
Sam afferrò Gabriel e se lo caricò in spalla, allacciandosi le sue mani davanti alla gola. Sentì la sua testa cadere abbandonata sulla sua spalla e il corpo afflosciarsi lungo la sua schiena come un oggetto inanimato. La volpe si alzò.
-Seguimi.- disse, voltandosi e cominciando a camminare. Sam ubbidì e i tre uscirono dal cimitero.
Gabriel pesava, ma per Sam era un peso dolce e per niente fastidioso. Saperlo lì con lui e finalmente fuori da quel cimitero dannato era un sollievo, perciò Sam non si fece remore a camminare con energia, accarezzando le mani di Gabriel ad ogni passo e baciandogli una guancia di tanto in tanto. Lo trattava come una statua di vetro pronta a frantumarsi, ma nonostante quella fragilità, per Sam restava comunque il suo tesoro più bello e più prezioso. Era sempre Gabriel, il suo angelo, il suo amore, e adesso che aveva lacerato il suo essere per salvarlo, Sam lo amava ancora di più.
-Come ti chiami?- chiese alla volpe, che si voltò appena per fissarlo di sbieco con un brillante occhio colmo di intelligenza.
-Sindragosa.-
-Somiglia al nome di Sindragon.-
-Infatti. Gabriel mi ha chiamato così in nome del Behemah del suo fratello più caro. Anche se non sembra, Gabriel vuole veramente bene a Castiel. Il mio compagno l’ha accudito quando era ancora poco più che una piccola scintilla di Grazia in via di sviluppo e in seguito l’ha visto crescere, svilupparsi e spiegare le ali. Castiel si è sempre dimostrato più umano degli altri, e per questo Gabriel lo invidiava. Poi, quando in seguito ha cominciato a seguire la stessa strada di suo fratello minore, Gabriel ha trovato se stesso e il suo vero essere: provare sentimenti l’ha sempre fatto sentire vivo, e questa scoperta la deve a un’inconsapevole Castiel.-
Sam sorrise intenerito al pensiero dell’affetto che Gabriel provava per Castiel. Nonostante i litigi, le discussioni e le divergenze di pensiero, Gabriel non aveva mai mancato di coprire le spalle di suo fratello, seguendolo come un’ombra silenziosa, ma abbastanza solida da porsi come scudo.
-Sindragosa?-
-Mh?-
Sam esitò, guardando la grossa volpe alta più di un metro avanzare ancora senza voltarsi indietro. Aveva le orecchie drizzate.
-Lui… ti ha mai parlato di me?-
-No.-
Sam si fermò, le mani ancora strette a quelle di Gabriel e il capo chino. All’improvviso, il contatto col suo corpo scottava come fuoco.
-Lui me l’ha fatto sentire.-
Sam alzò il viso, guardando Sindragosa che ancora gli dava le spalle. Si era fermata e le spalle erano percorse da un fremito appena visibile.
-Quando ci incontrammo, seppi all’istante che quello sarebbe stato il mio compagno, il mio angelo custode e da custodire. Gabriel mi prese con sé e poco a poco stringemmo un contatto mentale. Sai, in noi Behemah c’è una scintilla di Grazia che risponde alla vicinanza di una Grazia gemella, che nel mio caso era quella di Gabriel. Fu allora che ti conobbi attraverso i pensieri del mio compagno. Eri quanto di più prezioso avesse, quanto di più bello custodisse. Eri il suo pensiero felice, sei il suo pensiero felice molto più di quanto non potrei mai essere io. Non ti nascondo di aver provato un po’ di invidia all’inizio.-
Sam sorrise e una nuova lacrima gli scappò dalle ciglia nelle quale si era impigliata. La sentì scorrere sulla guancia, cadere… e frantumarsi sul dorso della mano di Gabriel.
-Non potete passare di qui.- disse una voce profonda all’improvviso.
Sindragosa trasalì, drizzò il pelo e snudò i denti mentre dalla nebbia emergeva una figura alta e slanciata, con scompigliati capelli scuri e occhi di un blu intenso e bellissimo. Sam riconobbe Castiel, ma appena notò l’assenza del trench, sostituito da provocanti abiti di pelle nera, capì che quello era l’angelo che l’aveva trafitto. Era Cass, ma allo stesso tempo non era lui.
-Vi impedisco il passaggio.- ripeté ancora una volta lui, ma in quel momento Gabriel cominciò ad agitarsi così forte che Sam fu costretto a metterlo a terra, dove l’arcangelo si rannicchiò, nascondendosi il viso tra le mani tremanti. Ricominciò a piangere, e calde lacrime di sangue gli bagnarono il viso.
-Oh, ricordo ancora, Gabriel?- disse allora Castiel con un sorriso. –Ricordi ancora quanto ci siamo divertiti quando ti ho torturato?-
Sam si voltò di scatto, guardandolo con odio. Adesso ogni cosa combaciava: la ferocia di Gabriel verso quel Castiel, lo sguardo d’odio che gli aveva rivolto e adesso il terrore che provava al suo cospetto. Era assurdo che Castiel avesse torturato brutalmente suo fratello, il suo amato Gabriel, colui che l’aveva accudito.
-No.- disse Sam, piazzandosi davanti a Gabriel. –Non ti permetterò di fargli del male.-
Ma Castiel non rispose e anzi, incrociò le braccia, ostruendo il passaggio. Sindragosa indietreggiò.
-Non possiamo passare finché Gabriel non lo scaccia. È la sua testa, può farlo solo lui.- sibilò frustrata. Sam la guardò come se fosse impazzita.
-Scacciarlo? Sindragosa, Gabriel è terrorizzato e a stento riesce a capire chi è; come possiamo chiedergli di respingere Castiel?- esclamò, inginocchiandosi accanto al suo arcangelo tremante. Sindragosa sbuffò infastidita.
-Non abbiamo scelta. Castiel è l’intruso nella psiche di Gabriel e se non si toglie di torno, Gabriel non si sveglierà mai più. Noi possiamo passare, ma Gabriel resterà bloccato qui.-
Sam guardò Gabriel, i suoi occhi sbarrati e fissi nel vuoto dai quali gocciolavano lacrime rosso scuro, il corpo tremante, il volto stravolto dal terrore. Era un uccellino dalle ali spezzate e dalla fragilità di cristallo, ma anche se ingabbiato, Sam l’avrebbe aiutato a farsi furbo per aprire la gabbia con il becco. L’aveva promesso e l’avrebbe fatto: Gabriel non sarebbe mai stato solo.
Con gentilezza, Sam strinse a sé il corpo di Gabriel e appoggiò il mento sul suo capo, chiudendo gli occhi. –Gabriel… amore. Ascoltami, ti prego.- supplicò tra le lacrime, stringendo forte le spalle dell’angelo, che lentamente smise di tremare.
-Te l’ho detto, no? Non sei solo, Gabriel… io sono qui, lo affronteremo insieme. Adesso sono una parte di te in tutto e per tutto, ricordi? Possiamo combattere uniti, e se cadrai… se sarai debole… io ti rialzerò come hai fatto tante volte con me. Se ti si spezzeranno le ali, saprò aiutarti a tornare a volare. Non so se abbiamo la possibilità di riuscire, ma se c’è qualcuno che può farcela… sei tu. Affrontalo, Gabriel. Affrontalo e torna indietro, da me.-
Sam attese, pregò. Chiamò a sé ogni briciolo di energia, ogni più piccola goccia di speranza per richiamare Gabriel alla vita e alla dolcezza che l’aveva portato da lui. Forse era stato il destino, o forse la semplice e pura casualità, ma loro si erano trovati, e l’avrebbero sempre fatto nel tempo e nelle ere.
Qualcosa cambiò, una mano artigliò un braccio di Sam con forza rinata. Gabriel piantò i piedi, fece perno sul corpo possente del suo umano e lentamente, con gli occhi ancora chiusi ma con l’espressione rilassata e ferma di chi ha preso una decisione importante, Gabriel fu in piedi. Aveva ancora il viso sporco di sangue e il passo malfermo, ma poco a poco, la sua pelle riprese colore e mentre la lucentezza la ricopriva, ogni parvenza di sporcizia e debolezza fu spazzata via.
I capelli tornarono lisci e puliti, anche se ancora scompigliati dal vento che cominciò a generarsi intorno alla figura sempre più maestosa dell’arcangelo. I pantaloni furono ripuliti da ogni sozzume e in breve tornarono di un bianco immacolato mentre il viso perdeva la spigolosità della magrezza.
Le ali sbocciarono come fiori dorati e bellissimi, sempre più ampi, sempre più maestosi. Le piume si spiegarono, dorate come il più prezioso dei tesori, sovrapposte alle loro gemelle morbide e bellissime come appena fuoriuscite da un magnifico sogno.
Gabriel si erse in tutta la sua altezza che, per quanto modesta, lo fece sembrare un gigante per le ondate di potenza che quel corpo emanava. Avanzò di qualche passo, fissando con fredda decisione un Castiel sempre più spaventato che indietreggiava lentamente, schermandosi il viso dalla lucentezza abbagliante del sole stesso.
-Sparisci.- ordinò Gabriel, sbattendo le ali.
Un vento potentissimo e profumato si scatenò, spazzando via Castiel, che si dissipò insieme alla nebbia e alla strada. L’ambiente andò in pezzi, cancellato dalla potenza maestosa dell’arcangelo rinato che poco a poco ricostruì l’immagine dell’albero fiorito, avanzò di qualche passo e, dopo essersi voltato e aver guardato Sam con dolcezza, mormorò un “Grazie” e si lasciò cadere dentro il suo alter ego ancora dormiente.
§§§§
Dean fissò il braciere con occhi vuoti, spenti. Non aveva dormito quella notte e finché Sam non si fosse svegliato non sarebbe stato tranquillo. Come se non bastasse, il silenzio preoccupato di Samael e il fatto che avesse insistito per mettere Sam e Gabriel nello stesso letto in modo che quantomeno mantenessero un contatto fisico, lo preoccupava ancora di più. Aveva chiesto più volte all’angelo cosa avesse fatto Gabriel per salvare Sam, ma Samael si era sempre rifiutato di rispondere. Sembrava  preoccupato, teso come una corda di violino e si lasciava avvicinare soltanto da Sindragon, considerando che insieme al suo angelo, anche la volpe di Gabriel aveva perso i sensi e non si era ancora svegliata.
Era stato allora, nel silenzio di casa Singer e nel caos dei suoi pensieri su un Castiel malvagio che accoltellava suo fratello, che Dean aveva deciso: voleva la verità, voleva trovare una spiegazione che scagionasse il suo angelo. Castiel non poteva essere malvagio, non era lui quello che aveva trafitto Sammy… Cass non l’avrebbe mai fatto, non lui.
Dean accese un fiammifero, fissando il braciere un attimo prima di dar fuoco alla benzina che vi aveva versato all’interno. Le fiamme arsero, danzando come odalische nell’oscurità della rimessa buia di Bobby.
-C’era davvero bisogno di imprigionarmi?- disse Crowley, comparendo all’interno del pentacolo cerchiato che gli impediva di uscire. Aveva le mani in tasca e un sorriso sbieco sulla faccia in tutto e per tutto simile a quella di un bulldog. Dean lo fissò, stringendo gli occhi con odio crescente. Non lo degnò di una risposta e Crowley ne colse i sottointesi.
-Capisco. Voi cacciatori siete così… monotoni, a volte. Inventatevi qualcosa di originale una volta tanto, tipo, che so…-
-Piantala di dire stronzate, figlio di puttana, e dimmi dov’è Castiel.-
-Non l’hai già incontrato? Mi sembrava di capire che tuo fratello fosse finito come un pollo allo spiedo a causa sua.-
Dean inspirò a fondo per autoimporsi un ferreo autocontrollo. –Non era lui.- disse con forza, stringendo i pugni, poi estrasse il coltello di Ruby e ne puntò la punta verso il volto di Crowley. –E tu mi dirai dov’è quello vero, altrimenti non sarò clemente con te.-
Crowley si fissò le unghie con interesse, inarcando le sopracciglia.
–Davvero? Non c’è bisogno di minacciarmi, io sono un tipo collaborativo, sai?-
-Questa stronzata dilla a chi è così coglione da crederti.-
-Puoi fidarti di me oppure no, scimmietta ammaestrata dagli angeli. Sappi che in qualsiasi caso potrò mentirti, ma tu lo saprai solo a danno fatto, perciò non ti conviene insultarmi, considerato che il tuo angelo è nelle mie mani.-
Dean digrignò i denti, infuriato. –DOV’È?!- urlò, così forte che gli fecero male le corde vocali, e allora Crowley lo fissò con un sorriso meschino, sporco di goduria per lo scarso autocontrollo del cacciatore.
-Nel Cocito*.- rispose. –Il tuo angelo si trova nel Cocito, ed è nelle mie mani.-
 
*Cocito: Nell'immaginaria descrizione dell'Inferno resa da Dante Alighieri nella sua Divina Commedia, il Cocito è un immenso lago ghiacciato situato nel nono cerchio dell'Inferno. Qui, sempre secondo Dante, vengono puniti i traditori, sommersi dal ghiaccio e colpiti continuamente dalle gelide raffiche di vento prodotte dalle immense ali di Lucifero. Nella descrizione dantesca, il Cocito viene dipinto come un luogo terrificante, la cui aria risuona dei lamenti delle anime sofferenti continuamente torturate dal morso del gelo, con gli arti congelati ed i volti stravolti dal freddo.

Angolo dell’autrice:
E rieccomi a rompere le… le… chi sta ascoltando Gino Paoli?
Gabriel: cosa? Guarda che stavolta non è colpa mia!
Gabriel, in casa ci siamo solo io e te.
Gabriel: no, c’è anche tuo fratello, no?
Gabe, io non ho un fratello…
Gab: ………………………………………………….
………………………………………………………
Gabriel: io di là non ci vado. E poi i fantasmi non ascoltano Gino Paoli!
Perché, tu sai che musica ascoltano?
Gabriel: mai sentita la sigla di Ghost Busters? Quella è vera musica!
Gabriel, hai le idee un po’ confuse…
Gabriel: parli tu che scrivi ascoltando la sigla del cartone di Batman?!
Be’? Devo pur rilassarmi in qualche modo!
Gabriel: non hai…
Balthazar: ciao, ragazzi!
Tomi/Gabriel (fuggendo): AAAAAAAAAAAAAAAAH, IL FANTASMAAAAAAAAAAAA!!!!!!!!!!!
Balthazar: ma che ho fatto?

Sherlocked: maledizione, anche tu andrai al Napoli Comics?! Pronto, parlo con la direzione? No… no, cancellate il resto del copione, mi hanno intercettata… che significa che non conosce la mia faccia?! Non correrò il rischio, scordatevelo! no, eliminate la parte in cui Castiel schiatta definitivamente e Gabriel diventa un etero convinto… cosa? No, la parte di Dean che corre felice verso il tramonto tenendosi per mano con Samael lasciatela… deve pur servire a qualcosa quell’angelo, dannazione! (Guarda che ti ho sentito! Nd Samael)( Cosa? Ci senti davvero?! Allora perché hai detto di essere sordo quando volevo cantarti la discografia di Gigi D’Alessio?! Mi hai mentito! MI HAI MENTITOOOO!!!! Nd Gabriel) (Ragazzi, ho come la sensazione che qualcuno mi abbia scambiato gli abiti… perché adesso indosso dei pantaloncini rosa shocking e una maglietta targata Barbie? Nd Castiel)(Tutti lo fissano)(Che c’è? No, la coda di cavallo bionda è sintetica, me l’ha messa Crowley… nd Castiel). E fai bene a sbavare su un Castiel dark, te lo immagini vestito in quel modo? Gooood Morning My Love!!! (Lancia via Dean) Oddio, scrivere cose del genere non va bene? Dovresti provarci anche tu, maltrattare gli angeli è rilassante muahahahahahahah!!! Il bello è che Gabriel non si ribella nemmeno perché altrimenti non avrà mai le foto osé che ho scattato a Sam mentre si faceva la doccia! (Che hai fatto tu?! Nd Sam)( Fugge) ohohooh, come al solito grazie per i tuoi spassosissimi commenti, non deludi mai! Un bacione e a prestissimo!
kimi o aishiteru: no, purtroppo Dean dorme in macchina. I manicomi gli fanno paura e vede fantasmi dappertutto, l’altra volta ha cominciato a lanciare tazzine da caffè a Bobby perché l’ha incontrato mentre andava in bagno. Sì, purtroppo qui chiedono tutti un aumento dello stipendio e ho dovuto minacciarli per non dover spendere un capitale. Insomma, li faccio amoreggiare come pennuti nella stagione degli amori e si lamentano pure? (questo dopo che ci hai massacrati, condannati all’inferno, trapassati da parte a parte con delle lame, seppelliti sotto un cumulo di macerie, fatti prendere a cazzotti da un angelo uscito da chissà dove e poi… nd Dean che srotola un papiro) Ammetto di aver esultato io stessa quando Mary ha picchiato Samael. Sognavo di scrivere questa scena dall’inizio della storia e finalmente ora sono felice e realizzata! Ssssììììì!!! Di questo passo, Mary sarà capace di evirarlo, soprattutto se non lascia in pace Dean e Cass che già hanno i loro grossi problemi. E no, tu non devi mai smettere di scrivere! Se prima lo facevi e ora non lo fai più, torna a farlo! Qualunque sia il motivo che ti ha fatto smettere, mettilo da parte e torna a sognare e a far sognare chi legge! Si vede che ami la lettura e le storie e sono certa che tu sia anche un’ottima scrittrice, perciò su con il morale e riprendi in mano la penna. Ci conto! Un bacione e a presto e… come al solito, grazie per il bellissimo commento, pieno di sincerità che hai scritto.
xena89: eh, io la 8x17 l’ho vista l’altro giorno e… accidenti, stavo per piangere! Niente da dire, Supernatural non delude quasi mai! Eheh, finalmente eccoti il prossimo capitolo, anche se ancora una volta lascio il finale in sospeso. Sono un po’ sadica, ma non dirlo a nessuno, tanto non se ne accorgono (si guarda intorno). Ora sai che fine hanno fatto Sam e Gabe e per quanto riguarda Dean e Castiel… la partita è tutta da giocare, perciò ci vorrà un po’ per capirci davvero qualcosa. Tranquilla però, il nostro cacciatore non resterà con le mani in mano e se c’è di mezzo Cass, sarà capace di rivoltare l’inferno come un guanto pur di trovarlo! Grazie ancora per il commento e a prestissimo!
Shiva_: tranquilla, ci ha pensato Sam a rimettere le cose a posto, anche se con un piccolo aiuto. Eheh, Castiel ha molte carte in tavola ancora da scoprire, e non solo lui! In ogni caso, adesso è tutto nelle mani di Dean e delle sue decisioni. Si fiderà di Crowley o andrà per la sua strada, rischiando di lasciare Cass all’inferno, ammesso che Crowley abbia detto la verità? Ti lascio con questo piccolo dubbio e con le maledizioni che mi stai lanciando XD grazie, scrivi sempre recensioni bellissime! A presto!
la settima luna: ohohohohohoh, w l’angst!!! L’angst non ha limiti, l’angst regnaaaaaaa (Corre in tondo facendo ruotare una maglietta sopra la testa). Samael fa un po’ di pena anche a me, ma il ceffone di Mary se lo meritava. Diciamo che a tratti è totalmente inutile, considerando che si stava anche facendo accoppare da Castiel! Eheh, temo che le tue domande dovranno aspettare e con tutta la cattiveria che ho vi farò mangiare le mani nell’attesa XD ohohohohohoh e sono anche chiusa in un bunker, quindi la folla inferocita non mi raggiungerà maiiii!! Detto ciò, ti ringrazio per il bellissimo commento e ti abbraccio virtualmente! A presto!
Tomi Dark Angel
 

 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 9
*** I Conigli Adorano I Dolci ***


Dean rimase a bocca aperta, gli occhi fissi in quelli sporgenti del signore dell’inferno Crowley. Il demone aveva detto che Castiel si trovava all’inferno, nel Cocito.
Il Cocito. Il girone dell’inferno in cui venivano confinati eternamente i traditori, condannati ad essere sferzati dal gelo del vento e del ghiaccio in cui erano immersi. Era forse uno dei gironi peggiori, secondo la Divina Commedia di Dante Alighieri, poiché le anime venivano esposte alla ferocia diretta di Lucifero.
Dean non voleva pensarci, non poteva credere che per più di un anno il suo Cass fosse rimasto incastrato nel ghiaccio, stanco, ferito e infreddolito. L’aveva aspettato? L’aveva chiamato mentre il gelo lo aggrediva, spezzandogli le ali? Pensare a quegli occhi blu sempre vivi, sempre colmi di speranza in un luogo di morte e disperazione, era terribile.
-Terribile, vero?- lo riscosse Crowley dai suoi pensieri. Aveva intrecciato i palmi davanti al grembo e lo fissava con un sorriso sbieco e quasi divertito della sua espressione fissa, traumatizzata e quasi fragile. Più Dean pensava a Cass imprigionato all’inferno come una qualsiasi anima dannata, più si sentiva male. Castiel era quanto di più giusto fosse mai esistito nell’universo, e l’avevano trattato come un qualsiasi malfattore.
Che male aveva fatto?
Dean si riscosse con un fremito e, reagendo d’impulso, sparò un colpo a Crowley, trapassandogli il cranio. Il demone sussultò appena e incrociò gli occhi verso il buco che gli forava la fronte e colava sangue sulle palpebre. Ne raccolse qualche goccia col polpastrello e lo assaggiò in modo osceno, disgustoso.
-Spararmi non servirà a nulla.- disse una volta estratto il dito dalla bocca. Dean caricò ancora la pistola, fremente di rabbia e di dolore. Si sentiva come se qualcuno avesse appena sparato a lui, anziché al demone che aveva davanti.
-No, ma almeno avrò la soddisfazione di veder bucata quella maledetta testa di cazzo.- ringhiò in risposta, digrignando i denti. Avrebbe voluto sparare ancora, avrebbe voluto fare a pezzi Crowley, per quanto sapesse che era tutto inutile.
Cass, il suo Cass, era all’inferno. Quanto tempo aveva passato, là sotto? Lì il tempo scorreva diversamente, in maniera molto più lenta, come un vecchio che si trascinava sui suoi passi. Cass era imprigionato nel ghiaccio, indebolito e tremante di dolore… e lui, Dean, lo aveva abbandonato. Avrebbe dovuto pensarci prima, avrebbe dovuto salvarlo.
-Ascoltami bene, figlio di puttana. Tu adesso mi conduci là sotto e…-
-Niente in contrario, scimmietta.-
Quella risposta lasciò Dean interdetto. Possibile che Crowley accettasse a farlo scendere agli inferi senza protestare. Era una trappola, senza dubbio.
-Dov’è la fregatura?- sibilò nervoso, ma Crowley aveva inarcato le sopracciglia e lo guardava con la massima calma.
-Guarda che occhi blu non è finito all’inferno a causa mia. Se ce l’avessi messo io, gli avrei fatto visitare tutti i gironi e ce l’avrei trattenuto per almeno dieci anni ognuno, ma purtroppo qualcuno lo ha incastrato lì e nemmeno io riesco a tirarlo fuori.-
-Perché mai dovresti voler liberare un angelo?-
-Perché mi serve, è ovvio. Non so se te ne sei accorto, ma l’angioletto che hai incontrato non è propriamente ammaestrabile e l’unico che può metterlo al suo posto è proprio occhi blu. L’originale, almeno.-
-Mi stai dicendo che tu, il re dell’inferno, non sai tirare fuori un cazzo di angelo dal ghiaccio?-
-Pressappoco, sì.-
Dean rimase interdetto. Se Crowley stava dicendo la verità, allora la situazione era peggiore di quanto il cacciatore avesse immaginato. Un essere così potente da mettere spalle al muro il re dell’inferno era oltremodo fuori dalla sua portata e dal suo stesso immaginario. Soltanto Lucifero, in passato, era riuscito a tenere a bada Crowley, e pensare a un angelo ancora più potente del diavolo e per di più cattivo, non era confortante. 
-Insomma, chi cazzo è quel tipo? Un mutaforma?-
-Mio leggiadro imbecille, ti sembra che un mutaforma possa fare questo casino? Non sarei mai venuto qui se non fosse stato necessario.-
-No, tu sei venuto qui perché ti ho invocato.-
-E secondo te non avrei mai sospettato che ci fosse la fregatura? Trattandosi di voi Winchester, la fregatura c’è sempre e se non ne provo la necessità, non ho intenzione di perdere tempo con voi.-
-Non hai ancora risposto alla mia domanda.-
-E non ho intenzione di farlo.-
Dean caricò nuovamente la pistola, pronto a sparare un altro colpo per sfogarsi.
Detestava pensarlo, ma Crowley aveva ragione: fino a prova contraria, era lui ad avere il coltello dalla parte del manico. Se Castiel era veramente all’inferno, Dean l’avrebbe tirato fuori, ma se non era lì? Se Crowley avesse mentito per attirarlo in una trappola e farlo fuori una volta per tutte? La situazione era rischiosa e terribilmente irta di spine.
Dean era preoccupato per Castiel, certo, ma non era nemmeno così stupido da gettarsi a testa bassa in un tour infernale al fianco del signore dei piani bassi. Se si fosse fatto ammazzare, non avrebbe mai più rivisto Castiel, e questa era l’unica cosa che gli interessasse davvero. Sarebbe sopravvissuto per Sammy, per Bobby, ma soprattutto per Castiel. Voleva riabbracciarlo, sentire il suo profumo e finalmente capire che andava tutto bene.
-Ho bisogno di tempo.- disse infine, abbassando l’arma. Si sentiva distrutto, sopraffatto dalla situazione e dalla preoccupazione per il suo angelo. Lo rivoleva indietro, era troppo da chiedere?
-Tempo?- si spazientì Crowley. –Hai davvero intenzione di lasciarlo lì sotto?! Non che mi interessi del pennuto, ma…-
Dean sparò un altro colpo, stavolta colpendo l’inguine di Crowley, che strabuzzò gli occhi e si piegò in due, rosso di dolore. –Se fosse un danno permanente mi sarei già molto arrabbiato!- sibilò, pieno di rancore, ma Dean sorrise soddisfatto.
-Di qualunque razza tu sia, sappi che i gioielli di famiglia saranno sempre il punto debole di ogni maschio.- gongolò divertito mentre strofinava un piede sul bordo del pentacolo, rompendo la prigione del demone. Crowley sparì, lasciandosi alle spalle il silenzio del dolore che assaliva Dean Winchester al pensiero di essere totalmente, inesorabilmente solo.
§§§§
Sam si mosse nel dormiveglia, muovendo appena il corpo. Piegò lentamente le gambe, mugolò, spostò di poco un braccio. Sentì uno strano rumore, come di qualcuno che rideva a bassa voce, tentando disperatamente di soffocare l’impulso di fare rumore.
Sam aprì lentamente gli occhi e vide Gabriel, il suo Gabriel, accasciato sul letto accanto al suo. Si teneva la pancia e mordeva le nocche di una mano con l’espressione di chi sta per scoppiare in una risata stratosferica. Le ali alle sue spalle, così grandi che anche da piegate occupavano l’intera stanza, tremavano ed emanavano la solita, calda luce come di un piccolo, caldo sole mattutino. Quel volto così roseo, così vivo, riportò alla mente di Sam il Gabriel morto e smunto che aveva visto in sogno.
Adesso era tutto diverso: Gabriel rideva, sembrava libero e felice, ed era bellissimo. Prima, al contrario, era sembrato la semplice ombra di un’assenza, la parte debole e ferita del suo essere condannata a trascinarsi sulla strada per l’eternità. Sam non l’aveva permesso, era intervenuto ed era riuscito a riabbracciare il suo angelo. Adesso, rivederlo ridente e luminoso come un piccolo sole sceso in Terra, riscaldò il cuore di Sam al punto da farlo sorridere inebetito mentre si alzava a sedere.
Gabriel lo guardò con occhi luminosi, colmi di ilarità. Sorrideva ancora, come al colmo di una grande felicità.
Quell’angelo gli aveva donato una parte del suo essere.
Quell’angelo si era spaccato in due pur di riportarlo indietro.
Quell’angelo l’aveva protetto ancora una volta, combattendo e vincendo il muro che li separava.
-Cos’hai da ridere?- chiese Sam, sorridendo affettuoso. Gabriel non rispose e tuffò la faccia nel cuscino per soffocarvi inutilmente le risate. Sam cominciò ad allarmarsi.
-Insomma, si può sapere cosa avete da…-
Bobby si fermò sull’uscio della stanza, reggendo in una mano il libro che probabilmente stava leggendo prima di essere disturbato. Fu subito investito dalla visione alquanto eclatante di un Sam… leggermente diverso dal normale. Le labbra del vecchio cacciatore si incurvarono in un sorriso tremulo, come se anche lui si stesse trattenendo dal ridere apertamente.
-Devo supporre che Pasqua sia vicina? Il pennuto ha uno strano modo di segnare le date sul calendario. Bel lavoro, Mago di Oz.-
Stavolta Gabriel si raggomitolò su un fianco e scoppiò a ridere forte, tenendosi la pancia. Sam cominciava seriamente a preoccuparsi.
-Insomma, cosa avete da guardare?! Gabriel, cosa mi hai fatto?!- esclamò, al limite dell’isteria. Si guardò le mani, ma erano normali; scostò le coperte con un gesto stizzito ma le gambe erano ancora al loro posto. Che cavolo c’era da ridere, allora?
-Belle orecchie, Bugs Bunny.- si complimentò Mary, entrando nella stanza con uno smagliante sorriso.
Sam la guardò come se fosse impazzita, poi un atroce dubbio si insinuò in lui. Si passò una mano tra i capelli finché non incontrò la resistenza di qualcosa di grosso e peloso che gli spuntava dalla testa. Con un’esclamazione isterica, scese dal letto e corse in bagno, dove trovò lo specchio. Ciò che la superficie riflettente gli rimandò fu l’immagine di un Sam sconvolto, con i capelli scompigliati e… due grosse orecchie marroncine da lepre, lunghe circa un metro che gli spuntavano dalla sommità del capo.
L’urlo da soprano (sì, Sam urlò come una donna) che ne uscì fece tremare le pareti e ridere apertamente Mary e Gabriel, che ormai si rotolava sul letto come un involtino primavera in fase di cottura.
Sam corse nella stanza con l’aria da pazzo. Fu costretto ad abbassarsi per passare dalla porta senza urtarla con le orecchie, ma quando arrivò davanti al letto di Gabriel, aveva tutta l’aria di chi è in procinto di scatenare una rissa.
-GABRIEL!!! Falle sparire, adesso!- urlò, piegando inavvertitamente un orecchio e scatenando un nuovo scoppio di ilarità. –GABRIEEEEEL!!!-
-Ma che… porco cane!- esclamò Samael, sbarrando gli occhi alla vista di Sam. Per qualche istante rimase immobile, ma poi anche lui si piegò in due dalle risate.
Sindragon entrò nella stanza e, vedendo le grosse orecchie di Sam, probabilmente lo scambiò per un coniglio vero, considerando che cominciò a inseguirlo come un cane da caccia che insegue la preda. Ormai Gabriel non respirava più dalle risate, e lo stesso valeva per Mary, che intanto era caduta in ginocchio e si copriva il viso con le mani. Bobby cercava ancora coraggiosamente di combattere le risate, ma il pietoso risultato era quella che sembrava una terrificante paresi facciale.
-Gabriel! Fai qualcosa, queste… cose, sono imbarazzanti!-
-Ma… ma dai, cuc… cucciolo, sei bellissimo! Ahahahahah!!!-
-Finiscila, pennuto da strapazzo! Fammi tornare com’ero o ti spenno e mi travesto da pollo anziché da coniglio col ricavato delle tue penne!-
-Come siamo violenti!-
Samael si intromise. –E questo perché non ha ancora notato la coda…-
-Coda…?-
Sam si voltò lentamente e (Diotipregofachenonmisiacresciutaanchelacodaabatuffolodicotone) posò gli occhi su una bellissima coda bianca, folta e assolutamente imbarazzante che gli spuntava da un buco nei jeans.
La reazione, come c’era da aspettarsi, fu un altro urlo spacca timpani e la conseguente furia di Sam, che spinse fuori tutti eccetto Gabriel, combattendo con Sindragon che tentava ancora di azzannargli un orecchio o la coda. Chiuse la porta con uno scatto e si guardò intorno con gli occhi sbarrati di un coniglio braccato. Sì, decisamente la mutazione doveva averlo coinvolto molto più a fondo di quanto Gabriel avesse voluto.
-Bene, ora io e te facciamo i conti!- si alterò Sam, e avanzò a passo di marcia verso il letto sul quale giaceva riverso Gabriel, che lo guardò con occhi furbi da volpe in tutto e per tutto simili a quelli di Sindragosa e si concentrò.
Un gran bel paio di orecchie simili a quelle di Sam, ma ricoperte di pelo dorato sbucarono dalla sommità della sua testa. Una di esse si inclinò mentre il loro padrone piegava la testa di lato, guardando Sam con aria da cucciolo sperduto.
Sam rimase interdetto, cercando con tutte le sue forze di non cedere allo sguardo languido dell’altro. Certo, vedere un Gabriel a torso nudo, con i muscoli tesi e guizzanti sotto la pelle pallida, due grosse orecchie da lepre e uno sguardo languido posato su di lui, non lasciava Sam indifferente.
Stronzo di un angelo!
Alla fine, Sam capitolò con un sospiro e si sedette sul letto. –Meno male che non è quasi Natale, altrimenti potevi trasformarmi in un pacco regalo con tanto di fiocco rosso.-
-Non ho bisogno di un fiocco rosso per trasformarti nel mio regalo più bello.- rispose Gabriel, levandosi a sedere e facendo scivolare qualcosa oltre la gola di Sam, che trasalì. Il collarino da gatto, adesso tirato a lucido e ripulito dal sangue, combaciò perfettamente con l’ansa della sua gola, appoggiandovisi con dolcezza. Il tintinnio familiare che seguì quel movimento fece sospirare Sam. Quel suono era come un richiamo alla tranquillità finalmente ritrovata. Era bellissimo sentire il tocco gelido del campanellino sulla pelle, era… naturale, come se ogni cosa fosse tornata al suo posto. Gabriel, Sindragosa, lui stesso: erano quei momenti che gli ricordavano che sì, da qualche parte nel suo destino, la felicità esisteva ancora. Bastava solo saper imboccare la giusta strada per raggiungerla.
 Sam appoggiò la schiena contro il petto di Gabriel mentre questi gli cingeva i fianchi con dolcezza, appoggiando una guancia contro la sua spalla. Le orecchie morbide e pelose dell’arcangelo gli solleticarono la mascella, facendolo ridacchiare rilassato. Gabriel aprì un occhio luminoso e lo guardò, in attesa di una spiegazione.
-Niente, è che… le tue orecchie mi fanno il solletico.- ammise Sam, sorridendo. Allungò una mano per grattare una delle grosse orecchie da lepre, ricavandone un sospiro rilassato da parte di Gabriel, che chiuse nuovamente l’occhio rimasto aperto e si abbandonò completamente contro di lui. Strusciò il naso contro il collo di Sam, facendolo rabbrividire mentre le ali si chinavano in avanti, chiudendoli in un luminoso semicerchio di piume dorate, meravigliose, brillanti come il sole. Sam le accarezzò, perdendosi nei riflessi cangianti dei loro fiochi bagliori, nella morbidezza come di zucchero filato di ogni penna, nel profumo di zucchero e fiori di campo che emanavano.
Era quello il Paradiso. Nessuna nuvola, nessun raggio di sole divino, nessun coro d’angeli all’entrata dell’Eden: a Sam bastava il tintinnio di un campanellino e il dolce abbraccio di un arcangelo e delle sue morbide piume: gli stava bene così.
-Perché l’hai fatto?- domandò all’improvviso, continuando a fissare le piume. Il loro bagliore era leggermente ridotto rispetto al solito, ma solo l’occhio attento di Sam poteva notare la differenza. Chiunque altro, avrebbe detto che non c’era differenza.
Gabriel attese qualche istante prima di rispondere: -Perché era giusto così.-
Sam affondò una mano nei suoi capelli, facendola scivolare prima lungo l’orecchio che stava accarezzando.
-Non avresti dovuto. I morti devono restare morti, Gabriel, e tu saresti stato molto più utile di me per risolvere questo casino. Hai corso un rischio inutile.-
-Davvero lo pensi? Il mondo non se ne fa niente di un angelo che non sa volare, così come non saprebbe che farsene di un fuoco che non arde più. I pezzi di carbone sarebbero gettati via, sparsi al vento, e allora che rimarrebbe di quella fiamma? Non si può vivere una vita semplicemente respirando. Se non ci si sente vivi davvero… che senso ha andare avanti?- mormorò Gabriel, posando gli occhi sulle sue stesse ali. I riflessi dorati delle piume di specchiarono nelle iridi chiare dell’arcangelo, creando uno spettro di luci che diedero l’impressione che lì, all’interno di quegli stessi occhi, albergasse un vero e proprio mondo.
-Se non ti avessi salvato sarei semplicemente sopravvissuto, e un essere vivente non se ne fa niente della pura e banale sopravvivenza quando la propria ragione di vita è scomparsa. Te l’ho detto, io combatto per gli uomini, non per gli angeli. Morire per salvare una vita terrena sarebbe stato per me molto più importante che spegnermi per una ricerca inutile per la quale posso fare a meno. Gli altri sarebbero andati avanti senza di me, ma io… io mi sarei spezzato nel vuoto della tua assenza.-
Gabriel tremò e nascose il viso contro il collo di Sam, piegando entrambe le orecchie. –Ho avuto paura.- mormorò con voce vibrante. –Non farlo mai più.-
Allora Sam si voltò e lo strinse a sé con forza, chiudendo gli occhi e perdendosi nel profumo di dolci del suo bellissimo arcangelo. Il campanellino tintinnò, le mani di Gabriel si arpionarono alla sua maglietta, le loro gambe si intrecciarono in un incastro perfetto.
Sam si separò lentamente da lui per guardarlo negli occhi e Gabriel si perse in due abissi di gratitudine e amore così intensi che per un attimo si sentì stordito. Aveva donato una parte di lui a quell’umano che nella sua piccolezza, era riuscito a salvargli la vita e adesso lo stringeva a sé con devozione. Dopotutto, per Gabriel l’uomo era questo: una creatura straordinaria, capace di un amore sconfinato e sempre pronto a sovrastare l’odio.
Sam si chinò con un sorriso e appoggiò le labbra sulle sue, riscoprendone il calore come se stesse baciando Gabriel per la prima volta. Le loro lingue si accarezzarono, le mani si intrecciarono in un tocco delicato mentre le ali di Gabriel si piegavano, chiudendoli in un bozzolo che apparteneva soltanto a loro, come un mondo privato invalicabile per chiunque tranne che per Gabriel e Sam.
All’improvviso, Gabriel spalancò gli occhi e si separò da Sam con tutta l’aria di chi ha scoperto l’acqua calda. –Ho trovato!- urlò, scostando le ali e scendendo dal letto con un balzo.
-Ehi, dove vai?!- esclamò Sam, scendendo dal letto a sua volta e inseguendo Gabriel, ma prima ancora che questi raggiungesse la porta, si udì un frullio d’ali e l’arcangelo sparì. –Gabriel!-
-Di nuovo? Piantatela di urlare!- esclamò Samael, comparendo accanto a Sam, che lo guardò allarmato.
-Gabriel è scomparso!-
-E allora?-
-Come, e allora? È scomparso e mi chiedi cosa c’è di strano?-
-L’hanno portato via?-
-No, se ne è andato all’improvviso! Potrebbe essere successo qualcosa!-
-Nah, Gabriel fa sempre così. Se ha avuto qualche colpo di genio, che sicuramente si rivelerà un guaio di proporzioni bibliche, scompare e riappare quando avrà trovato ciò che cerca.-
 Samael si voltò per attraversare il salotto e raggiungere la porta d’ingresso. –A proposito: belle orecchie.-
Samael uscì, inseguito dalle imprecazioni di Sam, che cominciò a guardarsi intorno alla ricerca di qualcuno che potesse tranquillizzarlo meglio di quanto avesse fatto quel ghiacciolo di Samael.
-Tornerà, stai tranquillo.- disse allora Mary, comodamente stravaccata sul divano e intenta a leggere un libro. Sam si sedette sul bracciolo, guardando la copertina del libro stretto tra le dita della cacciatrice: era una Bibbia.
-Sei cristiana?- chiese Sam, incuriosito. Mary lo guardò al di sopra del tomo.
-Sì. Lo sono fin da bambina, da quando un angelo del Signore mi salvò la vita.-
-Castiel non agiva per conto di Dio.-
-Ma Dio l’ha creato. Cosa c’è di male nell’avere qualche speranza? La fede non è poi così male, finché la si pratica senza infastidire gli altri.-
Sam annuì lentamente. Gli sarebbe piaciuto avere fede in un Dio superiore, qualcuno che provvedesse a lui come suo padre non era mai riuscito a fare. Dio c’era? Ascoltava le sue preghiere? Le esaudiva?
-Come sei diventata una cacciatrice?- chiese ancora, sperando di non essere mandato a quel paese per averla infastidita una volta di troppo.
-Come, dici? Ricordando voi. Non so come faccio a ricordare tanti particolari di quando ero bambina, ma alcune cose è difficile dimenticarle. Vi sentivo parlare di mostri, fantasmi e tutto il resto e quando sono cresciuta ho iniziato a sognare quegli spezzoni di infanzia che credevo di aver dimenticato. Cominciai a documentarmi, ma non divenni una cacciatrice finché non incontrai il mio primo mostro. Era un lupo mannaro e aveva ammazzato una mia compagna di scuola. Come da copione, riuscii ad ammazzarlo per pura fortuna, grazie a Dio, ma da allora ho iniziato ad allenarmi fino a diventare quello che siete voi in questo tempo.-
Mary gli sorrise dolcemente e gli passò una mano tra i capelli col fare affettuoso di una sorella. –Poi ho incontrato Dean. A quel tempo cercava ancora Castiel, ma era… cambiato. La tua morte l’aveva provato, reso un uomo rude e solitario, ma col tempo riuscii a convincerlo a prendermi con sé e ad insegnarmi quello che sapeva, almeno finché sarebbe rimasto in città per dare la caccia al fantasma della casa accanto alla mia. Andò via all’improvviso, senza salutare o lasciare bigliettini. Semplicemente, trovai la stanza del motel totalmente vuota e quella fu l’ultima volta che lo vidi. Tuttavia, da lui venni a sapere della scomparsa di Castiel, perciò mi misi sulle sue tracce.-
Mary guardò il soffitto pensierosa. –Avrei voluto conoscervi meglio, o quantomeno ringraziarvi a dovere per avermi salvata da bambina.-
-Lo stai facendo egregiamente. Mi hai salvato la vita.- ammise Sam con un sorriso, afferrandole il polso con dolcezza. Sentiva un forte legame stringerlo a quella ragazza dall’aria così semplice, genuina. Somigliava a Mary Winchester, ma era anche totalmente diversa. Possedeva l’affetto materno che a Sam era sempre mancato, ma aveva un carattere molto più forte di sua madre, anche se la stessa Mary Winchester era stata reputata una donna d’acciaio.
-Mary?-
-Mh?-
-Che fine hanno fatto i tuoi genitori?-
Mary lo guardò con una punta di tristezza mentre le labbra si stiracchiavano in un sorriso forzato. –Papà ha abbandonato me e mia madre poco prima che nascessi e mamma… lei mi ha sempre reputata una poco di buono, stupida e fissata con le arti sataniche, considerando che scambiava i simboli respingi demoni che trovava sui miei libri come invocazioni a Satana.-
-Mi dispiace.-
Mary si stiracchiò. –È la vita. Adesso però, va tutto bene. Con voi io… mi sento a casa.- ammise infine, abbassando gli occhi e arrossendo teneramente, come una bambina colta con le mani nella marmellata. Quella visione ricordò a Sam di quando Mary era ancora una bambina piccola e indifesa, perciò la strinse a sé, baciandole i capelli.
-Ma tu sei a casa, Mary. Resterai sempre la nostra bambina.- disse Sam prima di riuscire a trattenersi. Quella frase poteva sembrare terribilmente equivoca, ma Mary ne fu così felice che lo strinse a sua volta, affondando il viso contro il suo petto. Sì, era davvero a casa.
All’improvviso di udì un tonfo proveniente dalla cucina, seguito dalle varie imprecazioni di Bobby e di Gabriel.
-Ma che… chi ha messo una bomba nel sacco della farina?- esclamò Gabriel mentre Sam e Mary scattavano in piedi. Contemporaneamente, Samael comparve sulla soglia e li seguì a ruota.
-Idiota! La farina non ti serve nemmeno, perché accidenti hai aperto il pacco?-
-Ah, ecco cosa non andava… in effetti, credo di aver sbagliato ricetta, qui sopra sta scritto che l’impasto serve per le torte, non per le uova di cioccolato.-
-Ma io ti…!-
Sam, Mary e Samael si affacciarono nella cucina e subito vennero investiti da una grossa nuvola di farina candida come la neve. I tre cominciarono a tossire, e Sam agitò le orecchie da coniglio per sgombrare un po’ di quella nebbia da cucina prima di soffocare. Starnutì mentre Mary per poco non investiva Bobby nel coraggioso tentativo di raggiungere la finestra.
-Ahi! Ehi, occhio a dove vai, ragazzina!-
-Scusa, Bobby, ma non è colpa mia se qualche deficiente ha fatto esplodere… aspetta, ma quanta farina c’è nell’aria?-
-Che ne so, era un sacco di almeno sei chili!-
Fortunatamente, Samael riuscì a schiarirsi le idee abbastanza per riuscire a schioccare le dita e far sparire gran parte della farina, che lasciò agli altri la libera visione di un Gabriel tutto bianco, con le tenere orecchie da lepre che si scuotevano infastidite per scrollare via la farina.
Mary si premette una mano sulla bocca per non ridere, ma Samael gettò al vento ogni educazione e scoppiò in una risata liberatoria che a breve contagiò anche la cacciatrice e in parte lo stesso Bobby. Solo Sam rimase incantato dalla tenerezza di quella visione: Gabriel che scuoteva la testa e si strofinava il naso sporco di farina mentre le orecchie da coniglio calavano lentamente un po’ per l’imbarazzo, un po’ per la confusione improvvisamente generatasi.
Sam attraversò la cucina e passò una mano tra i capelli di Gabriel, generando una nuvola di farina che investì anche lui. Starnutì, e questo diede a Gabriel il tempo di voltarsi, intingere un dito nel pentolino di cioccolato sciolto che bolliva sul fuoco e sporcare il naso di Sam.
-Ma che… Gabrieeel!!!- urlò Sam, ridendo. Si passò una mano sul viso, col solo risultato di spargere il cioccolato anche sulle labbra e sull’intero setto nasale. –Ah! Bastardo di un pennuto, io ti…-
-Che c’è? Sto facendo le uova di cioccolato!-
-Cosa?! Mi stai dicendo che sei sparito all’improvviso per comprare degli stampini per uova fatte in casa?!-
-Be’, comprati è una parola grossa… diciamo che li ho presi in prestito…-
-Gabriel! Li hai rubati!-
-La ragazza che li aveva comprati era impegnata in quel momento. Se il suo fidanzato sapesse di essere più cornuto di un cervo in primavera, forse non le avrebbe regalato quella costosissima fedina di fidanzamento…-
Sam si schiaffò una mano sul viso, sconfitto, mentre Mary rideva più forte, ormai anche lei coperta di farina e Bobby si guardava intorno, disperato.
-Vedi di ripulire questo casino, più tardi, o ti spiumo!-
-Agli ordini! E ora fuori, qui c’è gente che vuole lavorare!-
Gabriel spinse tutti fuori, eccetto Sam e chiuse la porta con un tonfo. Si voltò con un sorriso ferino sul volto. –A noi due, pasticcino!-
-Gabriel, che vuoi…-
Ma Gabriel gli era già saltato addosso, il corpo premuto contro il suo, e gli leccava il naso e le labbra dal cioccolato. Sam arrossì fino alla punta dei capelli, ma non protestò: non l’avrebbe mai ammesso, ma quel trattamento non gli dispiaceva affatto.
Sam chiuse gli occhi quando Gabriel gli incorniciò il viso con le mani e gli baciò le labbra con la dolcezza che l’aveva sempre contraddistinto. Le sue labbra sapevano di zucchero e farina, un curioso mix che Sam assaporò e mordicchiò con lentezza e pazienza, accarezzando morbidamente i bordi dei jeans di Gabriel mentre questi affondava tre dita nel pentolino retrostante e si separava da Sam per passargli il cioccolato sulle labbra. Sam gli afferrò il polso e leccò le dita con voluttuosità tale da far rabbrividire ed eccitare Gabriel.
I due tornarono a baciarsi, strusciandosi uno contro l’altro, quando dall’altra stanza provenne la voce tonante di Bobby: -Non fate porcherie nella MIA cucina! Se trovo anche la minima traccia di bianco che non sia farina sul mio tavolo, giuro che vi appendo per le palle alla maniglia della porta d’ingresso!!!-
§§§§
Samael inclinò il capo all’indietro, le braccia stiracchiate, le ali abbandonate intorno al corpo come un ampia, luminosissima barriera dai riflessi cangianti. Il sole gli bagnava la pelle in tante morbide carezze, ricoprendo la sua già bellissima figura di una bellezza ancora più eterea, quasi da sogno. La pelle chiara, gli occhi eterocromi, i capelli avvitati in morbidi boccoli scuri e il viso rilassato facevano di lui una creatura dall’aspetto diafano, intoccabile, come un raggio di luna piovuto dal cielo.
Incredibile come quell’aspetto avesse attirato le attenzioni e le voglie di migliaia di ragazze e anche di diversi uomini, ma non avesse minimamente scalfito colui che realmente gli interessava.
Castiel.
L’arcangelo, la meravigliosa creatura dagli occhi blu, magnifico e prezioso come una punta di diamante. Samael ricordava ancora i delicati riflessi delle sue possenti ali argentate, così grandi da poter difendere il mondo, così forti da poterlo sostenere, così delicate da poterlo abbracciare. Sei ali, sei meravigliose creazioni di Dio, il cui fulcro si stendeva nel loro padrone dall’aria austera, da re. Se Samael avesse potuto scegliere per chi combattere fino alla fine dei suoi giorni, sarebbe stato lui.
Castiel era sempre sembrato così forte, così giusto, finché non era giunta la sua unica e più grande debolezza: Dean Winchester. Il suo umano, il suo amore, il motivo della sua leggerezza. Quello sciocco ragazzo era stato una piaga per Samael, e se non fossero riusciti a cambiare in fretta il futuro…
Con una smorfia, Samael ricordò le memorie di Mary. Castiel, che la fissava afflitto, Castiel che supplicava… Castiel che moriva…
Stop. Rewind.
La mente di Samael riavvolse il ricordo, rivisitandolo pezzo dopo pezzo.
Qualcosa non quadrava. Qualcosa era andato storto. Ma cosa?
Castiel aveva parlato con Mary, l’aveva guardata come l’unica speranza che gli fosse rimasta. Aveva levato la mano, l’aveva appoggiata sulla fronte della ragazza, che aveva chiuso gli occhi…
Fermo immagine.
Era lì. L’errore era lì.
Samael sbarrò gli occhi, allucinato. Ritrasse le ali con uno scatto, si voltò verso la porta, buttandola letteralmente giù nella foga. Doveva avvertire gli altri, doveva costringerli a capire ciò che a tutti era sfuggito o dato per scontato. Nessuno se ne era reso conto, eppure l’ennesima domanda era stata lì, davanti ai loro occhi.
Castiel non aveva spedito Mary nel passato.
Castiel era già morto quando Mary aveva cominciato a scomparire.
Era così, Samael ne era sicuro. Ma se aveva visto giusto, se non era stato Castiel il responsabile del ritorno di Mary al passato… cos’era successo veramente?
 
Angolo dell’autrice:
Samael: Autrice? Autrice?!
Gabriel: non c’è, ha portato Sindragon a castrarsi.
Samael: ma Sindragon è qui!
Gabriel: ……………………………….
Samael: …………………………………….
Gabriel: SINDRAGOSA!!! Oddio, fa che non la castri! Deve ancora scoprire le gioie della vita!
Samael: è una femmina, come si castra una femmina?! Al massimo la sterilizzerebbe e poi anche Sindragosa è qui.
Gabriel: e allora chi ha portato a castrare?
Balthazar: ehi, qualcuno ha visto in giro un grosso cane nero simile a Sindragon?!
Gab: perché?
Bal: be’… insomma, non perdiamo la calma, ma uno dei miei esperimenti è andato male e… insomma, se quello che ho sentito è vero… Gabriel, Sam ti andrebbe bene anche senza palle, vero?  
Tutti: ………………………………………………………….
Samael: calmiamoci… non c’è bisogno di… NO, LA PORTA NO!!!! GABRIEL,FINISCILA DI LANCIARE OGGETTI A… IL TAVOLO!!! QUELLO MI SERVE, C’ERA LA MIA CENA SOPRAAAAAAAAAAAAAAAHHHHHHHHH!!!!!!!!!!!
Mary: ehi, che succede? Uh, chi ha lasciato incustodito il pc? Mai lasciare incustodito il proprio pc… Be’, a questo punto… I’M GAY!!! By Tomi Dark Angel. Muahahahahah (scappa soddisfatta)
Crowley: e voi idioti mi avete chiamato dall’inferno solo per trovare una rissa tra angeli e farmi leggere questo cazzo di fogliettino? Cosa sono, la vostra cameriera?!
Dean: ma chi ti ha invitato?!
Samael: è stata Tomi, credo… in realtà voleva vedere se era possibile invocare il fattorino delle pizze con un simbolo trovato in qualche libro antico, ma deve aver trovato un altro modo per chiamare Crowley… a proposito, tu leggi quell’affare così ci dedichiamo alle scommesse. Punto tutto su Gabriel.
Crowley: ci sto! Allora, qui c’è scritto… che cavolo, dobbiamo leggerlo insieme!
Mary: ehm… d’accordo, proviamoci…
Tutti: MERAVIGLIOSA PASQUA DA TUTTI NOI, ANGIOLETTI LETTORI E RECENSORI!!! DATEVI ALLA PAZZA GIOIA DURANTE LE VACANZE, NON DIMENTICATE DI DARE DA MANGIARE AL VOSTRO BEHEMAH ADDOMESTICATO E RICORDATE DI PETTINARE IL CERBERO INVISIBILE DEL VOSTRO DIAVOLETTO SULLA SPALLA!!! HASTA LA VISTA!!!
Lucifer: GOOD MORNING VIETNAM!!!!
Tutti: tu che c’entri?! Fila via!
Lucifer (se ne va sconsolato): volevo solo partecipare… voi siate maledetti!

kimi o aishiteru: no, a dire il vero qui Dean c’è, ma… insomma, lo preferisci con o senza invasione di pulci tra i capelli? No, perché ha Behemah pulciosi che gli saltano per tutta la testa e Castiel l’ha chiuso in bagno finché non si fosse disinfestato, e sono d’accordo con lui, anche se devo dire che un bel circo delle pulci farebbe guadagnare bene… mmm… NO, CASS, NON AMMAZZARE LE PULCI, AMMAESTRIAMOLE!!! Se sono nelle mie mani, gli angeli sono massacrati in partenza, possono solo migliorare da come li combino dall’inizio della storia XD eheh, Sindragosa è in realtà il nome di un personaggio di World of Warcraft, e diciamo che questo è il mio contributo a un gioco che mi piace ^^ dai, Crowley è un orsacchiotto, anche se non lo ammetterebbe mai! Se tiene la bocca chiusa lo si può anche spacciare per bestia ammaestrata! (Ti ho sentito! Nd Crowley) In questo momento su Tomi Tv, Castiel sta allestendo la nuova stagione di “MA COME TI VESTI?” e Gabriel quella di “MA COME TI SVESTI?”, anche se credo che quel programma sia solo un pretesto per usare Sam come modello e vederlo spogliarsi… mah, forse sono troppo sospettosa. Comunque, grazie mille per il commento e BUONA PASQUA, angioletto recensore!!!
Sherlocked: Pronto, direzione? No, la ragazza dice di non essere una pazza assassina, perciò rinnovate il copione e… CHE VUOL DIRE CHE L’AVETE CANCELLATO?! Eh? Io non ho scritto tutte quelle scene in cui Sam e Gabriel si accoppiano come conigli! Che significa che è stata mia l’idea di fargli crescere le orecchie da coniglio? Cioè, se gli facevo spuntare le corna andava a finire che cominciavano a incornarsi a vicenda? Non ha senso! Sì, la lettrice accerta di non essere pericolosa e… ma sì che la voglio incontrare, non… no, l’ultima volta sapevo che era Freddie Krueger a darmi appuntamento… be’?! ho sempre voluto incontrare Freddie, cosa c’è di male?! Non fu colpa sua se tornai a casa con un pezzo di mano mancante! Cioè, non esattamente… è stato un incidente! Oh, sparite! (attacca telefono) cioè, tu vestirai da Tardis?! La mia stima per te cresce ad ogni parola che dici! certo che ti voglio incontrare, mi hai tolto le parole di bocca! Ed esigo un abbraccio quando ti vedo, non voglio sapere niente! Insomma, mi hai aiutata a proseguire con la storia fino a questo punto e non hai mai mancato di lasciarmi commenti bellissimi! Allora, al comicon verrò almeno sabato e domenica e vestirò come un personaggio di “Pesca la tua carta Sakura”, non so se lo conosci. Comunque il personaggio si chiama Yue ed è… ehm… un angelo (che originalità! Nd Gabriel)( annullati! Sparisci dalla mia vista! E poi ho dovuto depennare tutti i polli behemah che mi hai portato per fare le ali!)( ecco perché all’improvviso erano tutti nudi da far schifo! Nd Gabriel)( be’? ne avevano bisogno, mi avevano invaso la casa di piume!)( e ora mi dirai che non sei stata tu a far ubriacare i coccodrilli versando dell’assenzio nella palude! Nd Gabriel)( io non bevo! E poi credo che avrebbero dovuto far sciogliere Bobby nell’acqua per farli ubriacare, visto che tutto l’assenzio l’ha bevuto lui…)( ……Gabe)(…….)(Sarà meglio controllare… nd Gabriel) No, non sono una serial killer e no, non ti sto scrivendo dal carcere dopo essere finita dentro per duplice omicidio di angeli rompico…conchiglie… sarà un onore!!! A prestissimo, BUONA PASQUA!!! Che bello!!!
Shiva_: io sono nata per far venire i dubbi alla gente! Tu sei l’ennesima povera vittima, muahahahahah!!! E con questo capitolo credo di aver peggiorato la situazione! In verità, spero che tu non faccia parte della folla inferocita accampata sotto casa mia, perché comincio a inquietarmi… hanno anche le torce, chi gliele ha fornite? GABRIEEEEL!!!! Cooomunque, sì, Gabriel avrebbe fatto veramente di tutto per il suo Sam, e la cosa è reciproca. Insomma, o li ammazzo tutti e due o li faccio sopravvivere entrambi, questi due cretini continuano a salvarsi a vicenda, maledizione!!! Ohoho, grazie per il magnifico commento, come sempre! Non manchi mai di scrivere le parole giuste per farmi sorridere, perciò un doppio grazie e un BUONA PASQUA immenso, provvisto di un abbraccio virtuale! A prestissimo!
xena89: w l’aggiornamento? Semmai, w i tuoi commenti! Ormai Sam si diverte a scommettere su cosa sognare ogni volta che si addormenta… ora che ci penso: SAM, MI DEVI ANCORA 50 EURO!!! E non scappare, capellone codardo!!! Eheh, prima o poi Dean uscirà pazzo e sarà lui ad ammazzare tutti, con tutto quello che sta passando! Chissà perché mi ha chiesto un aumento dello stipendio… in ogni caso, se fosse servito, Gabriel si sarebbe ammazzato pur di non separarsi da Sam. Non ho ancora trovato il modo per separare definitivamente questi due, maledizione! Eheh, grazie per il bellissimo commento, a prestissimo, e BUONA PASQUA!!
http://browse.deviantart.com/art/Castiel-at-Easter-205799980
 
Tomi Dark Angel
 
 
 
 
 

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Capitolo 10
*** Fa Che Io Lo Riveda ***


-Ne sei davvero sicuro, Samael?- domandò Sam per l’ennesima volta, senza distogliere lo sguardo dall’angelo appoggiato al divano sul quale sedevano Bobby, Mary e un Dean particolarmente silenzioso.
Sam aveva notato e classificato il suo stato umorale come l’ennesima causa della lontananza di Castiel. Dopotutto, se fosse stato nei suoi panni, non sarebbe messo molto meglio: il solo pensare di stare ancora lontano da Gabriel, di saperlo disperso chissà dove o forse morto, era lacerante. Ormai Sam poteva capirlo, ma sapeva che Dean, al contrario di lui, sapeva tenersi tutto dentro, restare apparentemente calmo mentre al suo interno si svolgeva una guerra civile, violentissima che prima o poi sarebbe esplosa.
-Se me lo chiedi un’altra volta, ti ficco un libro di Bobby su per il…-
-Ehi, lascia stare i miei libri!-
-Finitela!-
Dean scattò in piedi sotto lo sguardo stupefatto dei presenti, eccetto che di Sam. Si aspettava quell’esplosione da un momento all’altro, e Samael e Bobby ne erano stati la miccia.
-Non sopporto di sentirvi parlare e non me ne fotte un cazzo di chi ha mandato qui la ragazzina! Castiel è nel Cocito e noi stiamo qui a…-
-LUI CHE COSA?!-
Samael snudò le ali con tanta energia che gli altri si trovarono premuti contro le pareti, inchiodati da un muro indistruttibile di piume improvvisamente taglienti come coltelli. Sam fece il possibile per restare immobile, ma sentiva già diverse piume incidergli la carne e farla sanguinare. Il tonfo ovattato della prima goccia che toccava terra fu il segnale di partenza della reazione furiosa di Gabriel non appena si accorse che il suo umano era ferito.
Schioccò le dita e in un attimo le ali di Samael furono costrette a ripiegarsi muovendosi a scatti, con fare doloroso, come se qualcosa stesse cercando di spezzarne le ossa. L’angelo gemette e indietreggiò, ma un istante dopo Gabriel gli fu addosso e lo inchiodò al muro, afferrandogli il collo e sollevandolo a diversi centimetri da terra. Il suo volto era una pura maschera di gelida furia, di rabbia così violenta da sembrare in procinto di esplodere in un bagno di sangue.
La rabbia di un arcangelo era quanto di più terribile esistesse al mondo.
La rabbia di un arcangelo poteva distruggere pianeti, la rabbia di un arcangelo era quanto di più potente esistesse. Castiel li aveva descritti una volta, denominandoli come esseri feroci, come l’arma più potente del Paradiso e di Dio stesso. se Gabriel fosse esploso, sarebbe stata la catastrofe.
-Gabriel!- esclamò, tra un colpo di tosse e l’altro. Il campanellino da gatto che portava appeso al collo tintinnò, facendo trasalire Gabriel, come se questi si stesse risvegliando da un brutto incubo. Guardò Samael con minor rabbia, ma questa non sparì del tutto dai suoi occhi. Accostò il suo viso a quello scioccato dell’altro angelo, irradiando furia da ogni poro. L’aria intorno a lui vibrò.
-Ora stammi a sentire, ragazzino. Non mi interessa se sei mio fratello oppure no. Per quanto mi riguarda puoi essere al diretto servizio di Dio stesso, ma tu tocca un’altra volta Sam Winchester e ti strappo le ali con le mie mani e poi ti spingo giù dal picco più alto del Paradiso per vedere se riesci ancora a volare. Mi hai sentito bene?- ringhiò con calma letale. Samael cominciava a sudare freddo, perciò non attese più di un istante per annuire energicamente. Solo allora Gabriel lo lasciò andare e fece un passo indietro per lasciargli abbastanza spazio per riprendere fiato.
Samael cadde in ginocchio, tossendo affaticato, una mano premuta sulla gola e gli occhi serrati, come se stesse cercando di scacciare via le immagini di un brutto incubo. Alla fine sollevò gli occhi luminosi, dal taglio affilato, per fissare Dean quasi supplicante. –Ti prego, dimmi che scherzi.-
Dean distolse lo sguardo e infine chiuse gli occhi prima di dargli le spalle. Si passò stancamente una mano sul viso mentre Sam si alzava lentamente in piedi.
-Dean… come lo sai?-
-Me l’ha detto Crowley.-
-COSA?! Quando l’hai incontrato?!-
-L’ho evocato di mia iniziativa mentre tu e Gabriel eravate convalescenti.-
Sui presenti calò un silenzio attonito. Tutti fissavano Dean, chi con stordimento, chi con rabbia, ma nessuno si muoveva. Ognuno di loro stava lentamente registrando le parole del cacciatore, il senso che esse implicavano, la gravità dell’atto commesso da Dean nella follia del dolore di star perdendo il suo angelo, una parte di se stesso.
-Che cosa hai fatto?- esalò allora Sam, riavendosi lentamente dallo stato di trance in cui era caduto. Fissava Dean con aria delusa, un’espressione che al maggiore dei Winchester fece male, molto male.
Sam avrebbe potuto capire di tutto, avrebbe giustificato qualsiasi gesto stupido che avrebbe potuto commettere Dean per l’assenza di Castiel, ma questo era troppo. Evocare Crowley, attirare lì i demoni, rischiare le loro vite semplicemente per cercare una scappatoia, una via di sfogo che gli desse una speranza di ritrovare Castiel. Questo no.
Sam avanzò di qualche passo, portandosi dinanzi a suo fratello, che tuttavia non abbassò lo sguardo ma anzi, continuò a fissarlo senza vacillare, fiero come un leone e fermo delle sue convinzioni.
-Che cosa hai fatto, Dean?- sibilò ancora Sam, con rabbia crescente. –Ci hai messi tutti in pericolo, te ne rendi conto? Attirare l’attenzione del signore dell’Inferno, fargli capire che Castiel è scomparso…-
-Lo sapeva già. È stato lui a venire da me, qualche giorno fa. Voleva che… che liberassi Cass, perché qualunque figlio di puttana l’abbia messo laggiù è abbastanza forte da impedire a Crowley di tirarlo fuori. Dice che forse solo io posso farcela, ma non so se dice la verità. L’ho evocato perché volevo sapere, perché era l’unica pista da seguire.-
Lo sguardo di Dean si fece d’acciaio mentre il cacciatore stringeva i pugni con rabbia.
-Dimmi, Sammy: tu non avresti fatto lo stesso?- chiese, spostando gli occhi su Gabriel e poi tornando a Sam. –Tu non avresti corso il rischio per ritrovarlo?-
Sam aprì e chiuse la bocca, incapace di proferir parola. Sì, avrebbe fatto questo e anche di più se ci fosse stato Gabriel al posto di Castiel. Non avrebbe permesso a qualcuno di fargli ancora del male, di piegare forzatamente quelle splendide ali d’oro brillante, dall’aspetto ultraterreno. Sì, poteva capire Dean, anche se non era d’accordo con il suo operato. Alla fine, fu costretto a chiudere gli occhi e a dargli le spalle, respirando profondamente per calmarsi. Al contrario, fu Bobby ad esplodere.
-Ti ha dato di volta il cervello, ragazzo?! Cosa ti salta in mente, maledizione? Avresti potuto chiedercelo, parlarne e ci saremmo messi d’accordo per acciuffare quel figlio di puttana senza correre rischi, ma tu no, devi sempre fare tutto da solo e di testa tua, non potevi…-
Gabriel s’intromise, ignorando Bobby: -Cosa ti ha impedito la prima volta di parlare con Crowley, zuccherino? Cosa è successo?-
Dean lo guardò interdetto, ma lo sguardo di Gabriel restava impassibile, calmo come non mai. Sembrava conoscere già la risposta, ma per qualche motivo voleva che Dean la pronunciasse.
-È intervenuto qualcuno, un altro angelo. Ha spedito Crowley all’inferno a calci nel culo.-
-Ma davvero?-
Gabriel sorrise, inclinando appena il capo. Se avesse ancora avuto le orecchie da coniglio, sarebbe sembrato abbastanza ridicolo e quasi scherzoso, ma adesso che era in tutto e per tutto normale, per quanto potesse essere normale un arcangelo, Dean si sentì stranamente inquietato. Vedere Gabriel così tranquillo e per niente stupito dalla notizia che da qualche parte ci potesse essere un altro angelo capace di terrorizzare Crowley, lasciava spazio a ben poche spiegazioni: Gabriel sapeva qualcosa.
-Cosa sai che noi non sappiamo, pennuto?- domandò Dean con calma e fermezza, ma Gabriel scrollò le spalle.
-So quello che sapete voi.-
-Cazzate! Tu sapevi dell’angelo che si è intromesso mentre ero con Crowley la prima volta!-
Dean afferrò Gabriel per la giacca e lo scosse con violenza e frustrazione. Perché l’arcangelo restava in silenzio? Perché non li aiutava a recuperare suo fratello? Non voleva che Castiel tornasse?
Quasi percependo i suoi pensieri, Gabriel lo guardò con occhi dispiaciuti, abbattuti, da cane bastonato. –Non posso aiutarti, Dean.- rispose, abbassando lo sguardo, e allora Dean perse ogni controllo e, sollevato un pugno, lo abbatté sulla guancia di Gabriel con forza, rabbia e dolore. L’arcangelo schioccò le dita un attimo prima che Dean colpisse e quando il pugno lo urtò, fu la mascella di Gabriel a scricchiolare, mentre la mano di Dean restava illesa.
-Gabriel!- esclamò Sam, ma Gabriel sollevò una mano per fermarlo.
-Non posso aiutarti.- ripeté, fissando Dean con aria esausta. Le sue ali si afflosciarono lentamente, perdendo luminosità mentre il loro padrone abbassava lo sguardo. Gabriel non aveva mai avuto un’aria così stremata in passato, così come non era mai stato così male al cospetto di Dean Winchester. Vederlo in quello stato, vederlo deteriorarsi nel dolore e consumarsi lentamente, lo logorava. Era pur sempre suo amico, era pur sempre l’umano del suo fratello più caro.
Lui, Gabriel, era costretto a tacere e a tradire la fiducia dei suoi cari. Sam soffriva per Dean, Dean, Samael e Mary soffrivano la mancanza di Castiel… Castiel era all’Inferno, e Gabriel lo sapeva. L’aveva sempre saputo. La chiave di tutto era nelle sue mani e tra le sue labbra, ma lui la custodiva gelosamente e dava le spalle a chi amava. Faceva male, troppo male. Guardare Sam negli occhi sapendo di tradirlo gli stava lentamente lacerando la Grazia e presto l’avrebbe distrutto. Non poteva andare così, non poteva resistere ancora a lungo, ma non avrebbe messo in pericolo Sam e l’umano di suo fratello.
Come erano giunti a questo?
Gabriel voltò lo sguardo verso il sole che lentamente tramontava. I suoi raggi dorati bagnavano morbidamente i loro corpi, filtrando dalle finestre aperte. Ogni colpo di luce dipingeva un’ombra sul viso dei presenti, creando un contrasto di colore e incolore che rispecchiava i loro stati d’animo. Ognuno di loro aveva un segreto, un’ombra demoniaca che si dimenava nella forzata lucentezza dei loro cuori.
Tuttavia, chi era totalmente in ombra… era Gabriel. Il più luminoso, il più solare, colui le cui ali rischiaravano d’oro ogni angolo del luogo in cui splendevano. Lui… era il bugiardo, lui si nascondeva dietro falsi sorrisi.
Non andava tutto bene, era tutto sbagliato.
Il viso di Gabriel si contorse, le mani si strinsero a pugno. Guardò Sam, che gli rilanciò un’occhiata quasi spaventata al vedere il suo arcangelo guardarlo con dolore e con una velata ricerca di perdono negli occhi. Stava per accadere qualcosa, qualcosa di brutto.
Accadde tutto in pochi istanti, racchiudibili in un calmo battito di ciglia.
La mano di Gabriel stiracchiò le dita mentre una luce dorata la pervadeva, ricoprendola come di una colata di purissimo oro liquido. Il braccio scattò, l’arcangelo gridò. Gabriel affondò la mano nel petto di Dean, spingendola a fondo nella carne, così a fondo che la punta delle dita sbucò dall’altra parte.
Dean strabuzzò gli occhi per la sorpresa mentre un fiotto di sangue gli fuoriusciva dalle labbra, scivolando lento lungo la mascella e gocciolando sulla spalla di Gabriel. Sarebbe scoppiato il putiferio intorno a loro se solo l’arcangelo non avesse schioccato le dita, bloccando il tempo nell’istante in cui Sam si slanciava verso di loro con aria sconvolta.
-G… abriel…- mormorò Dean, fissando gli occhi verde giada in quelli cangianti dell’arcangelo, che sorrise tristemente.
La vita stava velocemente abbandonando il corpo di Dean, scivolando via come acqua che piove dal cielo. Sarebbe morto lì, senza un perché, senza poter guardare negli occhi blu di Castiel un’ultima volta e sussurrargli tante parole non dette. Forse lo meritava, forse era giusto così… ma una lacrima non riuscì a impedirsi di solcare la guancia del ragazzo quando, chiudendo gli occhi e chinando il capo al destino che si prospettava, capì di aver fallito.
Castiel non sarebbe tornato più.
Era finita, e forse per questo non era tanto male morire così. Senza Cass, dopotutto, il suo destino era segnato, e andarsene un po’ prima gli avrebbe solo alleviato la sofferenza di vivere una vita in cerca di qualcosa che non avrebbe mai trovato.
Dean espirò dolorosamente, ma quando sentì Gabriel sorreggerlo per impedirgli di cadere miseramente al suolo, si costrinse a schiudere faticosamente le palpebre per guardarlo in viso. Rimase pietrificato al vedere che l’arcangelo sorrideva tra le lacrime. Era un sorriso triste, spezzato: il sorriso di chi è consapevole di aver commesso l’irreparabile ma sa di essere sulla giusta strada. Con quel gesto aveva perso Sam, la sua fiducia e forse tutto ciò che avevano costruito insieme fino a quel momento, ma almeno per una volta in tutta la sua esistenza… sapeva di non aver sbagliato.
Gabriel accostò le labbra all’orecchio di Dean. –Riportamelo.- mormorò con voce sofferente. –Riportamelo prima che la mia Grazia si consumi… fammelo vedere un’ultima volta e potrò andarmene in pace.-
Dean strabuzzò gli occhi mentre ogni tassello scivolava lentamente al suo posto. Sputò un nuovo fiotto di sangue e ancora una volta si specchiò negli occhi addolorati di Gabriel. Aveva perso Sam, l’aveva perso per sempre, e tutto per ritrovare Castiel. Sarebbe caduto, le ali non l’avrebbero retto in assenza della sua metà di Grazia, ma a Gabriel andava bene così.
Sam meritava una vita normale e libera dai pericoli, perciò era ora che Gabriel si togliesse di mezzo. Per il bene di Sam, per il bene di tutti. Sarebbe andato via e avrebbe atteso nella sofferenza il ritorno di suo fratello. Era tutto nelle mani di quel piccolo umano dagli occhi verdi: la sua esistenza, la sua felicità prima di spirare, il suo ultimo desiderio.
-Vai nel Cocito. Vai laggiù e tiralo fuori dal ghiaccio prima che l’altro arrivi.- mormorò Gabriel, estraendo la mano con uno strattone violento.
Dean boccheggiò, gli occhi si sbarrarono per il dolore. Il corpo fu percorso da un ultimo spasmo, gli arti caddero abbandonati e la vita abbandonò in un unico soffio leggero il corpo di Dean Winchester. Un uomo, un cacciatore, un giusto. Ancora una volta, erano gli uomini a guidare gli angeli, e Gabriel pregò che i suoi fratelli avessero imparato la lezione abbastanza per ricomparire e aiutarli.
Adagiò delicatamente il corpo di Dean su letto, facendo attenzione a non scivolare nel sangue e lo avvolse dolcemente in una coperta, trattandolo come un vivo, come un tesoro prezioso da proteggere nell’eternità dei secoli a venire. Quegli occhi avrebbero visto di nuovo il mondo, Gabriel ne era certo, ma forse non avrebbero più guardato lui. Non era certo che Dean ce l’avrebbe fatta, forse Gabriel non avrebbe mai più rivisto Castiel.
Con un groppo in gola, l’arcangelo voltò le spalle al corpo di Dean e, chinatosi, sfiorò la spalla di Sindragosa, che si riprese a muoversi e lo guardò, sbattendo le palpebre con aria interrogativa.
-Ce ne andiamo, cherì. Qui non c’è più posto per noi.- spiegò debolmente Gabriel, prendendola in braccio con cura. Ormai, quella volpe era tutto ciò che gli restava, ma per lui non era abbastanza per continuare a vivere. Forse la sua storia sarebbe finita lì.
Senza guardare in volto Sam, Gabriel lo oltrepassò a testa bassa, voltando le spalle a tutto ciò per cui aveva vissuto, tutto ciò che lo aveva resto felice fino a quel momento. L’aveva amato, lo amava, e forse era questo a spingerlo lontano, dove Sam non avrebbe mai più incontrato gli occhi dell’assassino di suo fratello.
Un umano poteva sopravvivere senza il suo compagno, cambiare, andare avanti. Un angelo no. Gabriel si sarebbe consumato nella solitudine, questa era la sua scelta.
Era ora di andare.
 
Angolo dell’autrice:
Innanzitutto, chiedo scusa per il ritardo, ma le vacanze di Pasqua sono state un casino e la scuola mi sta facendo fuori e…
Gabriel: e hai passato la notte a cercare di addestrare i pinguini Behemah sperando di farli diventare come quelli del film Madagascar. Ma quanti anni hai, dieci?!
Parli tu che hai voluto usare gli armadilli per giocare a bowling? Ah, e precisiamo che i birilli erano fenicotteri! E poi perché ho passato al notte a litigare con uno scoiattolo che rimbalzava da una parte all’altra della casa?!
Gabe: non è colpa mia! Non gli ho dato niente!
Balthazar: forse non era per il puma il caffè… dannazione, Gabriel, non capisco la tua scrittura! Ed era proprio necessario farmi una lista di cose da fare?
Gab: chi ha perso una scommessa l’altro giorno?
Bal: hai barato, avevi già spiato Dean nella doccia per vedere se ha quel neo sulla chiappa sinist…
Castiel: voi che cosa?
Gab/Bal: (sudano freddo) ehm… noi… abbiamo… no, non è        come sembra! Il caffè è bollente, che vuoi far… WAAAAAAAAAAAAA!!

kimi o aishiteru: EHEH, chi non farebbe pazzie per assistere a Sam e Gabriel che copulano come conigli con tanto di orecchie pelose. XD ma adesso come è giusto che sia ho di nuovo sfatato l’atmosfera e a breve mi farete a pezzi, sto semplicemente sfidando la vostra resistenza. Oddio, se tua sorella scrive la letterina al coniglio pasquale, dopo questa storia puoi pensare che i conigli pasquali siano Sam e Gabriel, e voglio vedere se non la scrivi e non metti un mare di trappole in giro per casa in attesa che arrivino XD in quanto a Samael, ha ancora un gran bel ruolo da giocare, ma per questo dovremo attendere un po’. Per adesso ogni cosa è in mano di Dean, e ti confesso che io stessa non so se farlo riuscire o no nell’impresa. In pratica, l’esito della sfida è sconosciuto anche a me, sul momento si vedrà, e non sono certa che il risultato possa piacervi (è una minaccia?! Nd Gabriel). Be’, che dire? Come al solito, ti ringrazio per la recensione e aspetto con ansia un nuovo bellissimo commento! Graziegraziegrazie!
xena89: i problemi di Dean devono ancora arrivare, e credo che nel prossimo capitolo ne avremo solo un assaggio. Altro che Castiel, qui la vera vittima è lui! XD oddio, è anche vero che tutti questi personaggi se messi nelle mie mani sono vittime sacrificali, così come lo siete voi che leggete e siete costretti a sopportare le cavolate che scrivo XD avrete una medaglia al valore, promesso! Spero che anche questo capitolo sia stato di tuo gradimento, così come spero di sapere molto presto cosa ne pensi! Un bacione e grazie mille!
Shiva_: eh già, un capitolo dolcissimo, ma dopo questo penso di averti lasciato l’amaro in bocca XD ammetto che io stessa sono rimasta malissimo per la situazione in cui si è infilato Gabriel, ma quando c’è di mezzo la sicurezza del suo fratellino preferito, è inarrestabile! Sì, a breve si verrà a capo di tutti questi enigmi, promesso, ma questo solo se riuscite ad avere pazienza con tutte le cavolate che scrivo XD non mi uccidete, sono troppo giovane per morire! Prendete il bacarospo (lancia Gabriel in mezzo alla folla inferocita)! E mentre Gabriel viene linciato da un mare di gente, ti saluto e ti abbraccio virtualmente, ringraziandoti di cuore per tutti i commenti che lasci, sei sempre gentile e incoraggiante, non pensavo che potesse davvero piacere questa storia… grazie, davvero.
Sherlocked: ohohohoh, ti eri illusa sul capitolo dolce, vero? Fregata, e adesso piangiiiiii!!! (Ma sei la cattiveria fatta persona! Bestia! Nd Gabriel)(disse l’uomo vestito da… aspetta, che ci fai vestito da unicorno?!)( be’? dicevano che Cass col nuovo abbigliamento era figo, perché non mi fai mai cambiare abbigliamento? Eh?! Questo è razzismo, voglio fare shopping! Nd Gabriel)( ci abbiamo provato, e siamo usciti dai negozi con un completo di biancheria intima per Sam e un babydoll per Mary… mi spieghi che ci fai col secondo? No, perché sul completo di Sam non voglio commenti, ma per Mary…)( non pensare che non abbia gli occhi, la ragazza ha un bel cu… cumulo di guai sulle spalle e vorrei aiutarla, sai… nd Gabriel che suda freddo all’occhiataccia di Sam) Ma certo che ti voglio incontrare, stai scherzando?! Insomma, qualcuno che apprezza veramente le cose che scrivo? Mi fai quasi credere che questa storia piaccia davvero, nonostante le cavolate che ho scritto! Ehi, avevi previsto un morto e il morto alla fine c’è stato! Futuro da profeta? Mmm… Gabriel, elencami un po’ i nomi dei profeti che ricordi… ehi, io sono stata clemente, ho ammazzato solo Dean, tanto non serve a nessuno! (guarda che ti ho sentito! Nd Dean)( argh! Ma tu non dovevi essere in bagno a fare la doccia?!)( no, i pinguini hanno intasato cesso e vasca. Nd Dean)( GABRIEEEEEL!!!). Duuuunque, detto ciò, adesso ho un motivo in più per aspettare il comicon e come al solito ti ringrazio di cuore per i complimenti immeritati che mi scrivi. Grazie per l’attenzione che mi stai riservando e per la pazienza che manifesti nei miei confronti. Grazie… grazie di cuore.
Tomi Dark Angel
 

 
 
 
 
 
 
 
  
 
 
 
 

 
 
 
 
 

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Capitolo 11
*** Il Miracolo Di Un Fiore ***


Grida. Grida spaventose, laceranti, cariche di dolore e rabbia. Grida dannate.
Dean conosceva bene quegli urli perché egli stesso li aveva emessi in passato e ancora adesso li sognava la notte, li udiva di giorno, li immaginava spesso come un’eco fisso e sempre presente nella sua testa. Ci aveva messo mesi per costringere quei suoni terrificanti a diventare un semplice rumore di sottofondo sempre presente nella sua testa, ma adesso che Dean era lì, tutto il suo lavoro era andato in pezzi: li udiva, e non poteva fare a meno di rabbrividire… o forse non erano solo i rumori a farlo tremare?
*"Per mesi va ne la città dolente,
per me si va ne l'etterno dolore,
per me si va tra la perduta gente.
Lasciate ogne speranza, voi ch'intrate"
Dean si rannicchiò sulla gelida, affilata superficie sulla quale era adagiato, toccandosi le braccia nell’intento di stringersi i vestiti addosso, ma solo allora si accorse di essere nudo, abbandonato al vento che soffiava ininterrottamente e con tanta violenza da riempirgli il corpo di tagli profondi, sempre più profondi, fin quasi a raggiungere l’osso. Era come se una fiera gli artigliasse le carni, facendole a brandelli pezzo dopo pezzo, senza pietà. 
Dean gridò di dolore, contorcendosi sulla lastra di ghiaccio che l’aveva accolto. Si sentiva così esposto, così fragile davanti alla potenza delle raffiche di vento che continuamente gli artigliavano le carni. Era come una farfalla gettata in un ciclone: bellissima, ma immensamente fragile e sempre prossima a spezzarsi le ali.
I lamenti crebbero, aumentando il terrore di Dean. Solo allora capiva cosa avrebbe comportato il suo ritorno all’inferno: era costretto a rivivere il terrore delle torture subite, era costretto a ripercorrere la strada del suo incubo peggiore… ma perché? Perché era lì?
**Amor, ch'a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacersì forte,
che, come vedi, ancor non m'abbandona.
Dean sbatté faticosamente le palpebre congelate, sentendo la pelle scricchiolare ad ogni movimento. Cercava di schiarirsi le idee, di capire come fosse finito laggiù o quando fosse morto… perché lui era morto, giusto? Come? Perché?
Dean nascose il viso tra le ginocchia, cercando riparo e calore nel suo stesso corpo miseramente congelato. Si sentiva spezzato, distrutto, e aveva paura. Non voleva aprire gli occhi, non voleva guardare i dannati che si contorcevano nel loro stesso sangue congelato in piccoli ghiaccioli di un rosso terrificante. Era tutto così confuso, così… vacuo. Sentiva il cervello congelarsi poco a poco… e poco a poco, Dean dimenticava…
All’improvviso, un flash. Due grandi occhi blu comparvero nella sua mente, schiarendone i pensieri, scongelando il suo corpo di ogni terrore. Quegli occhi Dean li conosceva, li aveva già visti da qualche parte. 
-Dean…-
Dean sbarrò gli occhi, reagendo a quel richiamo inaspettato ma bellissimo. 
Castiel. Il suo Cass, il suo angelo. Era lui, era lì!
Dean avrebbe voluto alzarsi in piedi, ma le gambe erano congelate. Le guardò, e vide che era incassato nel ghiaccio fino a metà coscia. Non poteva muoversi, non poteva correre da Castiel. 
-No…- mormorò allora Dean, levando gli occhi alla disperata ricerca del suo angelo.
Ci sono momenti nella vita in cui ognuno di noi si pente di un’azione, pur sapendo di averla compiuta con le migliori intenzioni. In quel momento, Dean rientrava perfettamente in questa corrente di pensiero. 
Il Cocito era lì, e si stendeva imponente davanti ai suoi occhi. Ghiaccio. C’era ghiaccio ovunque, e se ne formava di nuovo ad ogni folata di vento gelido che ghermiva violento i corpi dei dannati che si agitavano impotenti nella morsa del ghiaccio, gridando, bestemmiando, implorando pietà verso un cielo che pietà non sapeva provare.
Ogni uomo era congelato, pieno di croste, ferite sanguinanti, arti strappati o staccatisi per il gelo. Alcuni erano costretti a mantenere le palpebre serrate perché il ghiaccio le aveva unite per sempre in una morsa indistruttibile, mentre altri cercavano ancora di liberarsi dai blocchi che li imprigionavano. 
Più in là, sparsi un po’ ovunque, correvano dei mastini enormi, alti almeno due metri, con grandi occhi rossi e mascelle grondanti di sangue e bava. Si avventavano sui dannati, ferendoli con gli artigli, dilaniandoli con le zanne poderose, staccandogli la testa per poi aspettare che questa si riattaccasse per staccarla nuovamente.
I mastini infernali.
Dean li aveva sempre immaginati come creature orribili, ma non avrebbe mai pensato che fossero così. Erano bestie da incubo, emanazioni dello stesso inferno che le attorniava. Le grida disperate dei dannati li aizzavano, perciò i mastini non smettevano mai di dilaniare, provando gusto nel sentire la carne lacerarsi sotto le zanne.
Dean avrebbe voluto coprirsi gli occhi e strapparsi le orecchie, ma era rimasto come ipnotizzato dall’orrore perpetuo che si svolgeva tutto intorno. Aveva sentito parlare del Cocito, ma non avrebbe mai pensato che fosse tanto orribile, anche per gli standard dell’inferno. Non c’era più niente di umano o terreno, né nelle anime torturate, né nel ghiaccio mefitico che le costringeva a restare immobili mentre i cani le facevano a pezzi.
Quello era l’inferno. Lì era rimasto Castiel per più di un anno. In quel posto, dilaniato dai cani e dalle grida dei dannati. Dean rabbrividì.
-Perché non urli, ragazzo?- disse una voce roca e profonda alle sue spalle. Dean conosceva quel timbro, l’aveva ascoltato tante volte pronunciare il suo nome e aveva sognato per intere notti di sentirsi chiamare ancora.
Dean girò faticosamente il capo, facendo scricchiolare le ossa e lo stato di ghiaccio che lo stava ricoprendo. 
L’arcangelo Castiel era lì, nudo, bloccato nel ghiaccio fino alla cintola e con le mani affondate nel terreno sottostante. Il suo viso, così come il suo corpo, erano totalmente devastati. Gli occhi erano costretti a restare serrati perché il ghiaccio aveva unito insieme le palpebre, il viso era sporco di sangue e gli mancava un pezzo di mascella che esponeva la carne viva del mento fin sopra alla guancia sinistra al gelo. Anche il corpo era in una situazione analoga, con diversi brani di carne strappati via e parecchie ossa spezzate. Alcune costole rotte sbucavano dalla carne del busto, lacerandola in un’ennesima ferita e le sei ali congelate, ridotte a immense semicupole che si stendevano per metri di altezza e non molto in larghezza perché ripiegate, erano… spaccate. Alcuni pezzi mancavano, tanto che l’ala sinistra più piccola era quasi del tutto strappata via. 
Era un incubo, un maledetto incubo. Quello non era Castiel, non era il suo bellissimo angelo con un palo nel culo… non era lui. Non erano di Cass quei capelli scompigliati e sporchi di sangue, non era di Cass quel viso devastato dal dolore e dalle ferite. 
-Perché non gridi, ragazzo? Sai che presto i cani verranno qui?- gracchiò l’angelo, ondeggiando il capo a destra e a sinistra. 
-I… io… Cass, sei tu?- mormorò Dean, pregando che l’angelo rispondesse di no. Tuttavia, era inutile sperarci: quanti arcangeli erano caduti nel Cocito?
-Cass? Chi è Cass?- rispose il dannato, smettendo di oscillare il capo e rivolgendo l’orribile volto verso Dean. 
-È… Cass, sono Dean…-
-Ricordi ancora il tuo nome? Qui nessuno ha un nome, è un lusso che nemmeno tu puoi permetterti. Siamo tutti uguali, tutti condannati alla dannazione eterna. I nomi ci differenziano, e a noi la differenza non serve. Farai meglio ad abituartici.-
Castiel espirò rumorosamente, chinando il capo stremato. Una pioggia di ghiaccio frantumato cadde al suolo, staccandosi dal suo corpo sotto gli occhi sbarrati di Dean. Più guardava Castiel, il suo Castiel, più non riusciva a credere che quello fosse davvero il suo angelo.
Ricordò quella volta in cui Cass li aveva costretti a fuggire dal bordello. Quanto aveva riso Dean, dopo? 
Ricordò quando Cass gli aveva salvato la vita, sacrificandosi per lui. Quanto forte l’aveva stretto Dean quando era ricomparso?
Quello era Castiel. Un vero angelo custode, con grandi ali sempre pronte a spalancarsi a favore di chi soffriva. Cass era amore emanato da due grandi occhi blu zaffiro. Castiel era umanità. 
Adesso però, davanti a quel corpo miseramente devastato, Dean non riusciva a sovrapporre la sua immagine a quella viva del Cass che ricordava. 
-Cass, sono io…- mormorò ancora, tendendo una mano verso di lui, ma Castiel gemette pietosamente. Le dita di Dean fendettero l’aria, troppo lontane per poter toccare il volto devastato dell’altro. Ancora una volta, il cacciatore era inutile e troppo distante per poter confortare il suo angelo dalle ali spezzate.
-Chi sei?- chiese allora Castiel, tra i gemiti.
-Sono Dean, Cass! Sono il tuo… il tuo  umano, e tu sei un arcangelo!-
-Sono ciò che resta di un arcangelo. Ormai ho le ali spezzate, ma deve essere bello poter volare.-
Castiel levò il viso al cielo, annusando come un animale l’aria putrida di sangue e carne lacerata. Sembrava una povera creatura alla ricerca di aria pulita, di una possibile via di fuga dalla gabbia infernale nella quale era finita. Chissà se in fondo al cuore, Cass ricordava, chissà se aveva invocato Dean durante le torture subite.
Castiel aveva urlato e sofferto, ma nessuno l’aveva udito, nemmeno lo stesso Dean. No, il cacciatore l’aveva lasciato lì a marcire, e forse adesso era troppo tardi…
-Cass…-
Dean spinse il corpo contro il ghiaccio che gli bloccava le gambe. Sentì le ossa scricchiolare e il ghiaccio penetrare nella carne, ma non smise di tendere il corpo verso Castiel, non smise di allungare disperato un braccio verso il suo angelo. La realtà era che lui aveva bisogno del suo angelo, dei suoi occhi, del suo tocco leggero come ali di farfalla. Castiel era un pezzo di lui, del suo essere, perciò Dean non si sarebbe allontanato. Voleva uscire da lì, ma l’avrebbero fatto insieme, o quantomeno, Cass avrebbe rivisto la luce.
Castiel era forse la creatura perfetta di Dio. Possedeva l’innocenza del più puro dei bambini e la giustizia di Dio stesso. Aveva saputo perdonare, rimpiazzando alla freddezza dell’angelo soldato l’umanità di una persona umile. Quelli come lui non meritavano l’inferno, ma il piano più alto del paradiso.
I latrati dei cani si avvicinarono, accompagnati dalle grida dei dannati feriti. Dean respirò a fondo per evitarsi di guardarsi alle spalle e vedere i mastini corrergli incontro con la bava alla bocca e le zanne snudate. Non gli avrebbe permesso di toccare ancora Castiel.
-Cass, ehi… mi ascolti?- disse a voce alta, per contrastare il grido di una nuova folata di vento, che generò migliaia di tagli e uno strato di ghiaccio in più sulla loro pelle. –So che forse non ricordi e che per te non sono nessuno, ma… ti prego, stammi a sentire. Non mi interessa se a tenerti in ostaggio è il re degli Inferi in persona, sappi che ti tirerò fuori di qui. Ne usciremo insieme, possiamo farcela… non sei solo, ricordi?-
Allora Dean tese al massimo il corpo verso Castiel e finalmente riuscì a sfiorargli il viso in una dolcissima carezza che parve sciogliere almeno in parte il ghiaccio e la paura che immobilizzavano l’angelo. Castiel sospirò e spinse la guancia contro il palmo di Dean in un gesto umano che per un attimo ridiede calore al cacciatore.
Sì, sarebbero fuggiti. Avevano cominciato insieme e sarebbero andati fino in fondo.
-Nessuno uscirà da qui fino al giorno del Giudizio. Rassegnati, chiunque tu sia stato in vita.- disse Castiel.
I cani balzarono, snudarono gli artigli. In pochi istanti gli furono addosso e Dean chiuse gli occhi, pregando un Dio in cui non credeva di proteggere quantomeno il suo piccolo, prezioso angelo di fragile cristallo.
§§§§
-NOOO!!!!-
Sam rovesciò il tavolo di Bobby con una mano sola, scaraventando per aria libri, scartoffie e qualsiasi cosa fosse rimasta appoggiata alla superficie di legno fino a quel momento. Alcune tazzine andarono in frantumi, sparpagliando pezzi di ceramica sul pavimento mentre le mani di Sam si coprivano di goccioline di sangue dovute alle schegge di legno penetrategli nella pelle.
Il cacciatore cadde in ginocchio, ai piedi del divano sul quale era adagiato il cadavere di suo fratello. Dean aveva gli occhi chiusi, le mani aperte e un fiotto di sangue che ancora gocciolava lungo il petto, fino al braccio abbandonato nel vuoto. Suo fratello, il suo amico… ucciso dall’angelo al quale Sam aveva donato ogni pezzo di se stesso, ogni briciola del suo essere.   
Traditore.
Andava tutto così bene, per un attimo Sam era stato felice. Perché adesso ogni cosa si sgretolava tra le sue dita? Perché all’improvviso si ritrovava solo, senza amore e senza famiglia?
Aveva creduto in Gabriel, l’aveva fatto fino alla fine, ma adesso… adesso non restavano che ceneri di quella fiducia. Aveva sperato in uno scherzo, aveva atteso che Gabriel tornasse a rassicurarlo, ma dell’arcangelo non c’era più traccia, e adesso Sam era solo… solo come un cane. Da bambino si era chiesto tante volte perché i cani abbandonati avessero quegli occhi tristi, feriti, ma adesso che era quasi un uomo, Sam capiva, e lo faceva perché aveva il loro stesso sguardo.
Dean era morto, Gabriel li aveva traditi ed era fuggito, lasciandosi alle spalle un cuore in frantumi e un’anima in pezzi. Sam ripensava al tocco dell’arcangelo sulla pelle, al suo sguardo pieno di amore, alle sue parole sempre fiduciose nell’uomo. Dov’era finito tutto questo? Perché era andato tutto in pezzi? Quale Dio l’aveva permesso?
Lo troverò… lo troverò, dovessi dare alle fiamme il mondo intero. Gabriel la pagherà cara.
Sam sentì l’odio assalirlo, plasmarlo come una creatura che mano a mano si fa sempre più mostruosa. Digrignò i denti e si alzò in piedi, i pugni stretti fin quasi a conficcarsi le unghie nei palmi e il corpo vibrante di rabbia. Era tutto finito, ormai. Aveva sbagliato a pensare che un angelo, una creatura ultraterrena, potesse essere veramente fedele all’uomo. Era stato stupido pensare che Gabriel lo amasse.
Adesso la caccia ricominciava, e Sam avrebbe ucciso gli angeli così come aveva sempre fatto coi demoni. Nessuna distinzione, nessuna pietà per chi aveva ammazzato Dean, strappandolo dalle braccia di suo fratello.
-Sam…- chiamò debolmente Samael, ma quando Sam alzò lo sguardo per riversare su di lui uno sguardo carico di rancore, l’angelo indietreggiò.
Le dita di Sam strinsero l’impugnatura della pistola, il braccio si tese in un unico, fluido gesto verso Samael. Il prossimo sarebbe stato Sindragon.
Gli angeli devono morire.
Lo sparo riecheggiò contro le mura della casa, cadendo pesantemente nel silenzio che seguì il frastuono, lo scoppio della tempesta. Anche il sangue attese qualche istante per scivolare giù dalla ferita in piccoli rivoli scarlatti, bagnando la maglia candida che copriva quel fragile corpo, sottile come un giunco. 
Una pioggia di capelli dorati, mossi e a tratti avvolti in morbidi boccoli cadde davanti al viso esangue di Mary, ancora parata davanti a Samael con le braccia spalancate e il capo eretto in una posa fiera, nonostante il dolore che le pervadeva il volto. La pallottola le aveva colpito la spalla, penetrando fino all’osso e restandovi incastrata, ma Mary non cadde in ginocchio né vacillò. Anzi, incrociò lo sguardo scioccato di Sam e sorrise debolmente, giustificando il suo gesto, perdonandolo.
-Andrà tutto bene…- mormorò allora, tremando visibilmente per il dolore mentre le braccia si abbassavano cautamente. 
Mary abbassò gli occhi nello stesso istante in cui Samael gridava infuriato, snudando le possenti ali color del bronzo che da ripiegate erano comunque abbastanza grandi da piantare le piume affilate nelle pareti e nel pavimento. Il suo volto era un’unica maschera di furore, tanto che guardandolo, Mary fu certa che se Samael avesse attaccato Sam, l’avrebbe fatto per uccidere.
Sam dovette fare lo stesso pensiero, perché strinse più forte il calcio della pistola, pronto a difendersi, ma Bobby si lanciò su di lui e lo schiacciò contro il muro, esercitando tutto il suo non trascurabile peso.
-ANDATE VIA!!! ANDATE, SUBITO!!!- urlò, mentre Sam si dimenava, cercando di liberarsi.
-Samael…- chiamò debolmente Mary mentre le gambe le cedevano, e allora l’angelo la afferrò per i fianchi nello stesso istante in cui Sindragon balzava al loro fianco e posava una zampa enorme sulla spalla di Samael. Un battito d’ali, una possente folata di vento, e il trio sparì, lasciandosi alle spalle la devastazione interna di Sam e il suo grido di desolata frustrazione mista al vuoto che Gabriel e Dean avevano lasciato nel suo petto.
§§§§
-Ma sei impazzita?!- urlò Samael, trascinandosi dietro il corpo immobile di Mary, che lentamente perdeva sangue e coscienza. La ragazza aveva gli occhi socchiusi e le labbra schiuse in un respiro pesante che correva per la sopravvivenza della sua padrona. La ferita faceva malissimo, ma Mary non gemeva, non emetteva alcun verso di sofferenza. Semplicemente, abbandonava la fronte sulla spalla di Samael, che continuava a tenerla per i fianchi, trascinandola per le scale di una casa deserta dall’aspetto antichissimo. 
Il corrimano era in legno placcato in argento, e saliva verso quello che sembrava un secondo piano messo bene in vista anche dal gigantesco salone circolare, dai bordi contornati da colonne antiche. Il piano superiore era una sfilata di porte, ma Samael aprì la seconda senza indugio, come se sapesse già dove andare.
Infatti, il trio sbucò in una stanza enorme, con un gigantesco letto a baldacchino circondato di tende di velluto rosa. In un angolo c’era una scrivania d’ebano e dalla parte opposta un armadio poco distante dal comodino antico affiancato al letto.
Sin dragon scostò le tende, afferrandole delicatamente tra le zanne e tirando mentre Samael adagiava Mary sul letto. La ragazza tossì.
-Dammi la mano, incosciente che non sei altro.- ringhiò Samael, e Mary sbuffò una risata esausta.
-Sei… arrabbiato con me?-
-Non parlare, o finisco il lavoro di quello stronzo del tuo amico. Ora stringi la mia mano, sarà un po’ doloroso. Devo estrarre il proiettile da questo guaio di ferita che sei stata capace di procurarti senza sforzo.-
Mary strinse ancor prima che la mano libera di Samael andasse a posarsi sulla sua spalla, premendo il palmo contro la ferita. L’angelo mormorò qualcosa in enochiano, chiudendo gli occhi come in preghiera mentre il proiettile all’interno della carne della ragazza si muoveva, ripercorrendo il suo percorso d’entrata che lo aveva portato fin quasi a incastrarsi dentro l’osso mentre Sindragon andava ad accucciarsi accanto a Mary, premendole una zampa enorme sulla spalla per tenerla ferma.
Mary gemette, ma si morse le labbra a sangue pur di non gridare. Inarcò la schiena, gettò il capo all’indietro, ma Samael non si scompose e continuò a recitare la sua nenia mentre il proiettile saliva sempre più su, fino a uscire del tutto. Il gelido metallo toccò il palmo dell’angelo, che allontanò lentamente la mano e infine strinse tra le dita il proiettile prima che questi cadesse a terra. La ferita si richiuse in pochi istanti e finalmente Mary si rilassò, abbandonandosi contro il materasso morbido. Socchiuse gli occhi.
-G… grazie.- mormorò, esausta, ma in risposta Samael le accarezzò i capelli.
-No, grazie a te.- rispose lui, chinandosi per la prima volta a baciarle la fronte con dolcezza. Il calore delle sue labbra sulla pelle fece arrossire Mary, che fissò stupita il giovane uomo mentre questi si allontanava da lei e infine si alzava in piedi.
-Cosa…-
-Riposa.-
Per qualche istante, Mary si specchiò negli occhi eterocromi di Samael, fissando il loro colore prima verde smeraldo e poi dorato. I capelli neri come la notte, mossi fin quasi ad essere ricci, coprivano in parte quel volto etereo e bellissimo che non stentò a lasciare la ragazza imbambolata a fissarlo per quasi un minuto intero.
Alla fine Samael si voltò e raggiunse la porta. 
-Aspetta. D… dove siamo?-
-In Transilvania. È una vecchia casa fuori la città, non è abitata quasi mai perché il proprietario che la ricevette in eredità pensa che sia infestata e non riesce nemmeno a venderla. E ora riposa.-
Samael non attese risposta e uscì dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle. Scese le scale antiche, si fermò al centro del salone deserto, chiudendo gli occhi. L’unico rumore che si udiva era il basso, inquietante ticchettare di un orologio antico placcato in oro che poggiava sulla cima del corrimano. Ce n’era più di uno, perché da qualche parte, un pendolo scandì i suoi rintocchi sinistri, annunciando il correre di un tempo che non aspettava nessuno, nemmeno gli angeli.
Samael affondò le dita tra i capelli, respirando lentamente nel disperato tentativo di calmarsi. Dean era morto, Gabriel li aveva traditi, Sam era impazzito e Castiel probabilmente era all’inferno.
Qualcosa non andava, non era normale che Gabriel agisse così. Insomma, suo fratello amava Sam più di qualsiasi altra cosa, al punto da donargli una parte di sé. Era chiaro che l’umano non conoscesse il vero significato del gesto dell’arcangelo, ma dopotutto, Samael non si stupiva della freddezza di quelle maledette creature. L’uomo non era mai stato la più bella creazione di Dio. Era una bestia difettosa, capace di uccidere e sterminare creature come Gabriel e Castiel… forse Lucifero non aveva tutti i torti a volerli eliminare una volta per tutte.
Era tutto diverso, era tutto sbagliato.
Gabriel non uccideva così, non era un traditore! E Castiel… non poteva essere davvero all’inferno, non lui. 
-Dannazione!- urlò all’improvviso, snudando le ali in un eccesso d’ira. Le appendici piumate si distesero, piantando le piume nelle pareti dell’enorme salone, facendo a pezzi l’intonaco. Sentiva la rabbia e la frustrazione crescere in lui, dilaniandolo dall’interno come bestie inferocite. 
Aveva paura di perdere Castiel.
Aveva paura di aver perso Gabriel.
Temeva di essere rimasto da solo. 
Samael si coprì il viso con le mani, cadendo in ginocchio. Voleva piangere, ma non voleva sentirsi debole ancora una volta. Tremò di dolore, le ali vibranti e il viso pallido, esangue. Non voleva restare lì, in quella casa, ma non poteva neanche allontanarsi e lasciare Mary e Sindragon da soli, perciò varcò la soglia.
La Transilvania era sempre piaciuta a Samael. Era sede di leggende, di cittadelle antiche, ma soprattutto di pace. I boschi che ricoprivano il territorio erano quanto di più selvaggio esistesse, perché abitati da bestie soprannaturali e non, e gli angeli cercavano sempre di evitare il contatto con i cacciatori primitivi, perciò evitavano la zona. Ciò aveva aiutato Samael a trovare quella casa e il lago che affiancava.
Lago Rosu, il lago Rosso; così lo chiamava la gente del posto.
Una distesa d’acqua dai bordi irregolari, costellata d’alberi che talvolta cadevano nel lago o vi affondavano le radici, facendole riemergere come creature marine e inquietanti. A tratti, l’acqua limpida, pulita e incontaminata, era bucata da rocce simili a spuntoni smussati, i cui riflessi li trasformavano in vere e proprie figure amorfe dall’aspetto quasi spettrale.
Era un luogo sinistro per la sua tranquillità e per le creature che a tratti comparivano sugli argini del lago per abbeverarsi, ma Samael lo adorava. Lì aveva trovato la pace durante il periodo di lontananza da Castiel, lì aveva pianto e si era rifugiato per leccarsi le ferite senza che nessuno lo infastidisse. 
Samael si tolse le scarpe e si sfilò la maglietta, esponendo all’aria gelida il fisico asciutto da lottatore e le spalle larghe. Snudò lentamente le ali mentre passo dopo passo avanzava verso l’acqua, immergendovisi fino alla vita. Sentì i jeans bagnarsi e aderire alle gambe, ma era una sensazione piacevole, che serviva a distrarlo dal casino nel quale si era cacciato.
Con le mani a coppa, prese un po’ d’acqua e si bagnò i capelli scuri, ascoltando con serenità ritrovata il dolce tocco dell’acqua sulla pelle e sulle ali che si distendevano per metri e metri di piume dai riflessi bronzei sulla superficie d’acqua fino ad affondarvi. 
-Che stai facendo?-
Samael si voltò di scatto e vide Mary seduta sulla riva del lago, le braccia strette intorno alle gambe piegate e il mento poggiato sulle ginocchia. Lo guardava con il viso inclinato e un dolce sorriso sulle labbra.
Samael sorrise appena.
-Secondo te, ragazzina?- rispose, guardandola. Mary sbuffò.
-Non sono una ragazzina!-
-Sì che lo sei.-
Samael sollevò l’ala sinistra, ancora completamente affondata nell’acqua e bagnò totalmente Mary, facendola imprecare sonoramente.
-Porca puttana!-
-Senti senti che linguaggio da milady adotta la nostra ragazzina…-
-Finiscilaaa!!!-
Mary si alzò in piedi e si gettò di peso su una delle ali di Samael, aggrappandosi al muscolo con entrambe le mani. Il ragazzo strabuzzò gli occhi e si trattenne dallo sbattere l’appendice piumata per non correre il rischio di ferire Mary. Il tocco e il calore del corpo della cacciatrice lo riempivano di pesanti brividi. Forse Mary non sapeva cosa significava toccare l’ala di un angelo.
-Freddo, ragazzino?- ghignò lei, ancora aggrappata all’ala di Samael. Quell’uscita lo fece sorridere e alleggerì la tensione, spingendolo a immergere nuovamente l’ala nell’acqua. Mary affondò con un gridolino e ne riemerse totalmente fradicia, sputando acqua dalla bocca come una fontanella. Adesso era lei a tremare.
-Freddo io?- la schernì Samael, dandole una spintarella giocosa, ma lei si strofinò le braccia energicamente. Una violenta raffica di vento scelse proprio quel momento per colpirli in pieno.
-Ma… maleddddetto…- sibilò Mary, battendo i denti. Cercava di sorridere, ma il suo viso era come congelato e allora Samael sospirò. Suo il danno, sua la responsabilità di porvi riparo.
-E va bene, vieni qui.- sbuffò burberamente, per nascondere l’imbarazzo quando la sua ala emerse nuovamente e circondò Mary, spingendola contro il corpo dell’angelo. In breve i due si trovarono avvolti in un morbido bozzolo piumato e luminoso. Nonostante l’acqua che ricopriva le piume, Mary le sentiva calde e morbide come la seta contro la pelle, e la loro eterea lucentezza la confortava. 
Aveva sempre ammirato le ali degli angeli da lontano, sperando di poterle toccare un giorno, come aveva fatto quando era bambina, ma non si era mai azzardata a tanto. Adesso che l’ala di Samael la abbracciava con la morbidezza di una nuvola e la bellezza della più maestosa delle creazioni divine, Mary sentì di essere sprofondata in un sogno.
Sollevò lentamente lo sguardo dal mare di piume che la stringeva per posarlo sull’angelo, che tuttavia non la guardava e anzi, fissava l’orizzonte.
Le ultime luci del tramonto dipingevano gli occhi verde e dorato di Samael di uno spettro di riflessi cangianti e faceva brillare i capelli neri e ancora bagnati come le piume di un corvo. La sua pelle leggermente abbronzata emanava un delicato bagliore come di cristallo colpito dalla luce. Quegli occhi, quel viso, quel corpo… erano il bellissimo involucro di un’entità ancora più bella, maestosa e gentile. Se Mary avesse mai dovuto dare un volto a un angelo, sarebbe stato quello.
§§§§
Gabriel respirava affannosamente, gli occhi socchiusi e una mano premuta sul petto. Fissava il cielo con occhi appannati, chiedendosi quale miracolo gli avesse concesso di raggiungere il picco del monte Sinai senza schiantarsi contro la fiancata della montagna. Aveva volato per pura inerzia, aggrappandosi alla consapevolezza di avere Sindragosa in braccio: la sua salvezza dipendeva dalla sua resistenza, tutto qui.
Gabriel si lasciò scivolare di lato, ormai privo di forze. Non aveva energie per sorridere, per credere ancora che sarebbe andato tutto bene. 
Sam gli stava dando la caccia, lo sentiva. Avvertiva il suo odio, la rabbia che nutriva nei confronti di quello che una volta era stato il suo compagno, e questo lo stava lentamente uccidendo. Gabriel non era più niente ormai, se non un cadavere che per qualche miracolo ancora respirava. Aveva perso l’uso delle ali, e pregava che a breve smettesse anche quello del respiro.
Sam lo odiava, e questo lo trascinava in basso.
Sam lo voleva morto, e questo lo uccideva.
Sam non lo amava più, e Gabriel aveva perso ogni senso di vivere, scivolando contro le pareti inafferrabili di quella che una volta era stata una speranza reale e tangibile.
Se c’era ancora il sole da qualche parte, Gabriel non lo sapeva. Forse era stato occultato dalle nubi; forse Dio, se mai ci fosse stato, aveva capito e piangeva le sofferenze dei suoi figli. Dov’era, adesso? Perché non faceva qualcosa, impedendo il massacro di coloro che l’avevano amato più e più volte senza riserve?
Gabriel era solo, senza luce e senza ali, eppure non riusciva a odiare Sam per avergli strappato la sua unica libertà. Amava ancora quegli occhi chiari, così umani e vivi da avergli fatto assaporare la felicità, quella vera, per anni. Grazie a lui, Gabriel era stato umano e felice di esserlo.
Sindragosa emise un basso lamento, appoggiandogli il capo in grembo e con le poche forze rimaste, Gabriel la accarezzò. Forse non era così solo, dopotutto.
-Andrà tutto bene… vero?- 
Gabriel levò gli occhi ormai vacui al cielo, pregando suo Padre di dargli la forza, pregando Sam di perdonare, pregando il mondo di avere pietà di un angelo dalle ali spezzate. Se da qualche parte nel pianeta esisteva ancora un pizzico di misericordia, Gabriel supplicò che questa intervenisse.
Stava morendo, eppure Gabriel non sentiva freddo. Gli bastava chiudere gli occhi e immaginare il morbido sapore delle labbra di Sam sulle sue e il calore tornava. A dispetto di ogni aspettativa, il suo carnefice si era trasformato nella sua salvezza. Immaginare che Sam ci fosse, pensare che lo amasse ancora, gli donava un po’ di tempo, anche se non molto.
Forse era ora di lasciare il passo a una nuova era. Forse il tempo degli angeli e di Dio stesso era finito.
§§§§
Bobby sedette esausto sullo sgabello accanto al letto dove riposava il corpo ormai senza vita di Dean. Si era rifiutato di seppellirlo. Non poteva crederci, aveva sotterrato chissà quanti amici e quanti parenti, ma non riusciva a nascondere il corpo di quel ragazzo sotto un metro di terra. 
La verità la conosceva, ma non l’avrebbe mai ammessa a se stesso.
Dean era suo figlio.
Al diavolo il fatto che non avessero lo stesso sangue, Bobby aveva imparato che questo era solo un inutile dettaglio. Dean e Sam erano quanto di più caro gli restasse al mondo e non avrebbe voltato loro le spalle, questo mai. Sam l’aveva spinto a terra con violenza ed era uscito di casa, e adesso vagava per il mondo a bordo dell’Impala, dando la caccia a quella che era stata la sua ragione di vita, ma Bobby non riusciva a odiarlo. Lo capiva, ma sapeva anche che se mai Sam avesse trovato e ucciso Gabriel, allora sarebbe morto anche lui.
Bobby strinse la mano gelida di Dean in un gesto paterno che normalmente non si sarebbe concesso se qualcuno fosse stato lì a guardarlo. Chinò il capo, permettendo alla visiera del cappellino di nascondergli gli occhi anziani di fatiche, cacce e visi scomparsi nel gelo della morte. Bobby non avrebbe lasciato andare anche Dean. No, Bobby credeva ancora in qualcosa, una speranza. 
Aveva fiducia in Gabriel.
Credeva nel buon senso di Sam.
Sperava nel ritorno di Dean e Castiel.
Supplicava che Samael e Mary, protetti da quel cagnaccio di Sindragon, stessero bene.
C’era ancora una speranza, un motivo per andare avanti. Col tempo e inconsapevolmente, quella banda di svitati era diventata la sua famiglia, Gabriel compreso, e Bobby non era solito dubitare dei suoi cari. Quando lui era stato debole, Gabriel c’era stato e l’aveva protetto. Oltretutto, chi aveva occhi come i suoi, così sinceri e semplici, non poteva essere un traditore.
-Torna presto, ragazzo. Torna e rimetti le cose a posto con quell’idiota di tuo fratello.- 
§§§§
Dean gemette, accasciandosi accanto al corpo immobile di Castiel. L’angelo aveva perso un altro pezzo di ala e i cani infernali gli avevano squarciato il torace, ma Castiel non si era lamentato, non aveva urlato, non aveva supplicato pietà. Era rimasto immobile e serafico come una statua mentre le fauci dei cani gli strappavano brani di carne, dilaniandogli la faccia e ogni parte di lui che riuscivano a raggiungere. 
Dean aveva gridato con tutte le sue forze, dibattendosi nel suo stesso sangue e nella sofferenza delle ferite che ad ogni zampata degli enormi animali diventavano sempre più profonde, fino a snudare le ossa. Intorno a lui, le grida dei dannati si facevano più intense, mescolandosi ai suoi lamenti in una cacofonia da incubo.
Alla fine, dopo quelle che erano parse ore, ma che in realtà erano stati soltanto pochi minuti, i cani avevano cambiato bersaglio e si erano avventati sul cranio di un ragazzo, unica parte di lui che spuntava dal ghiaccio. Le sue grida facevano tremare Dean come non aveva mai tremato in vita sua.
Castiel era gravemente ferito, lui era ormai prostrato alle sue stesse debolezze e il ghiaccio lo aveva quasi del tutto immobilizzato. Ancora un po’, e Dean non sarebbe più riuscito a muovere gli arti, ad aggrapparsi alla mano pallida del suo angelo, a sentirlo vicino anche solo per qualche istante. 
Era solo, debole, sopraffatto. L’inferno era troppo anche per lui che aveva combattuto l’Apocalisse e affrontato i guai più grossi per giungere fin lì, al fianco dell’uomo al quale aveva donato la sua anima e tutto ciò che aveva di se stesso. 
Aveva lottato, aveva sofferto, ma non bastava. Castiel era ancora lì, e forse li attendeva un’eternità di tormenti e fauci che li divoravano pezzo dopo pezzo fino a fargli scordare il loro stesso nome. Castiel non ricordava, ma Dean voleva conservare i ricordi per tutti e due, e l’avrebbe fatto ad ogni costo. Voleva ricordare il suo angelo così come l’aveva conosciuto, con scompigliati capelli scuri e un viso roseo di vita e non rosso di sangue.
Quante volte in passato avevano trascurato l’importanza dello stare insieme? Quante volte avevano dato per scontato il piccolo miracolo di potersi stringere, baciare, guardare? Adesso che erano lontani, costretti a guardarsi morire più e più volte per l’eternità, Dean capiva.
Adesso non aveva più braccia per stringere Castiel.
Adesso non aveva più sensibilità per poter assaporare il calore di quel corpo ormai gelido per il ghiaccio.
Adesso non aveva più niente che non fosse la paura, il dolore e la disperazione per aver fallito e abbandonato colui che aveva sempre sperato nel suo arrivo. Castiel era sempre stato devoto, sincero anche in ogni sua bugia, ma Dean l’aveva deluso, e questo lo uccideva più degli artigli dei cani contro le ossa.
Con un ansito sconfitto, Dean tese debolmente un braccio verso il piccolo miracolo spezzato che abbassava lo sguardo vuoto sul ghiaccio sporco del suo stesso sangue senza realmente vederlo.
Non aveva più la forza di pregare, Castiel. L’aveva già fatto a sufficienza, invocando un Padre che non aveva saputo proteggerlo e un uomo che non era arrivato in tempo per salvarlo. 
Era finita.
Una lacrima. Un’unica lacrima mista a sangue scivolò lungo la guancia di Castiel. I morti non piangono, ma lui sì. I morti non provano dolore, ma lui poteva farlo. 
Quando la lacrima cadde sul ghiaccio, da esso si levò una piccola voluta di fumo candido che si avvitò in piccole spirali, oscillò e lentamente si intrecciò a formare qualcosa di vivo, reale e bellissimo. Lì, sotto gli occhi stupefatti dei dannati e dell’inferno stesso, nasceva un piccolo, colorato fiore azzurrino le cui radici sottili affondavano nel sangue del suo creatore.
Era nato un fiore dove la morte uccideva.
Era cresciuto un fiore dove le anime non crescevano.
Era nato un fiore di colori dove l’unico colore che si generava era la sua pura e semplice assenza.
Insieme a quella piccola, innocente e fragile pianta, era rinata la speranza.
I cani annusarono l’aria, guardinghi, seguendo la scia di un profumo insolito, per loro nauseabondo perché troppo bello e puro per appartenere all’inferno. Tre mastini voltarono contemporaneamente le teste enormi verso Castiel, il quale incrociò gli occhi rossi dei cani prima di abbassarli sulla fragilità di quella piantina che aveva smosso in lui qualcosa, un sentimento che non poteva appartenere a un dannato.
Perché aveva pianto? Perché aveva versato quell’unica, anomala lacrima che sapeva di vita e che aveva generato la vita stessa?
I cani si slanciarono verso di lui, uggiolando furiosi. Tesero gli artigli, pronti a fare a pezzi quel piccolo brandello di speranza.
Castiel sollevò il viso, fissò gli occhi in quelli di un’altra macchia di colore che non aveva notato prima di allora. 
Smeraldo. Un verde puro, limpido, colmo di lacrime di paura e dolore. Il colore della speranza.
Dean.
I cani si avventarono, balzando feroci verso il fiore, ma all’ultimo momento Castiel si chinò e coprì la piantina col suo corpo fatto a pezzi. In breve fu seppellito da un mare di sangue, morsi, artigli, uggiolii rabbiosi e dolore, ma la sua decisione non vacillò. Strinse forte gli occhi mentre i cani lo dilaniavano, chiudendo l’unica mano sana sul fiore per evitare che si ammaccasse. Dopotutto, era così piccolo che lo si poteva coprire col semplice palmo di una mano. 
-CAAAAASS!!!-
Dean si dimenò nella morsa del ghiaccio, ferendosi i fianchi contro i bordi affilati, spaccandosi la pelle coperta di brina, ma non si arrese. Piantò le mani per terra e spinse, spinse finché i muscoli non bruciarono. Non avrebbe lasciato Cass da solo, l’aveva promesso.
Ti sarò vicino quando avrai bisogno di me. Non sei solo.
No, Castiel non era solo, e Dean gliel’avrebbe dimostrato, costi quel che costi. Gettò il capo all’indietro e urlò, non di dolore e rassegnazione, ma di rabbia. Più ascoltava i gemiti di Castiel e i latrati inferociti dei cani, più Dean si infuriava e spingeva contro il ghiaccio per provare a liberarsi. 
Non si sarebbe piegato al capriccio del fato che li aveva voluti lì, prostrati ai suoi piedi. Dean Winchester non si piegava davanti a nessuno, nemmeno a Dio stesso, ed era ora di dimostrarlo. Per se stesso, per Castiel, per Gabriel che attendeva il loro ritorno e stava rischiando la vita per averlo spedito lì sotto, dandogli una possibilità.
Accadde all’improvviso, ancor prima che Dean potesse rendersene conto. Un fascio di luce dorata partì da qualcuno alle spalle di Dean, investendo il ragazzo, Castiel e i cani affollati tutto intorno a lui. Un morbido calore invase l’aria mentre il ghiaccio andava in pezzi e si deteriorava in sottilissima polvere di diamante e i cani guaivano feriti. Indietreggiarono, tirandosi piccole zampate infastidite sui musi che poco a poco si coprivano di ustioni sempre più grosse, sempre più invadenti.
I cani infernali si impennarono, uggiolando feriti e, voltatisi, si diedero alla fuga mentre Dean, rifiutandosi di guardare la luce per paura di restare accecato, correva da Castiel e si gettava su di lui, stringendolo con forza. Affondò il viso nel suo collo insanguinato, inspirò il suo odore per farsi coraggio e quando sentì Cass sollevare timidamente le braccia e posare le dita dalle ossa spezzate sulla sua schiena, Dean si sentì rinascere.
I due uomini intrecciarono i corpi, coprendosi a vicenda e riparando il fiore da quell’improvvisa invasione. Nel buio si era improvvisamente accesa una luce, ma per dei dannati la luce non rappresentava che dolore e punizione, perché gli sarebbe stato nuovamente vietato di vederla ancora.
Dean tremò e Castiel lo strinse più forte, cercando di infondere coraggio a entrambi. 
Il suo Dean era lì, era tornato a riprenderlo. Non l’aveva lasciato solo.
Dei passi, poi il rumore di una veste che frusciava e all’improvviso una mano calò delicata a sfiorare il ghiaccio che ancora imprigionava Castiel, liberandolo. L’angelo strabuzzò gli occhi mentre il gelo intorno alle ali lentamente si scioglieva, trasformandosi in brina sottile, immobile perché il vento aveva smesso di soffiare.
Castiel, premendo una mano distrutta sul capo di Dean per costringerlo a non guardare per evitare qualsiasi attentato ai suoi occhi, levò finalmente lo sguardo, correndo il rischio per entrambi.
-Ciao, Castiel.- disse una voce morbida di donna mentre gli occhi blu dell’arcangelo strabuzzavano di nuovo e si facevano umidi di lacrime.
Davanti a loro, sorridenti nella loro serafica calma, c’erano un uomo e una donna. Entrambi bellissimi, entrambi avvolti di morbida luce dorata, come se uno scudo appena visibile li schermasse dall’inferno intero. L’uomo indossava dei jeans e una camicia da boscaiolo, mentre la donna portava una morbida camicia da notte candida come la neve ma morbida come la seta.
Mary e John Winchester avevano udito le preghiere del figlio, le sue urla e infine erano giunti in suo soccorso, schermando lui e l’angelo che lo aveva spinto nel Cocito, dagli  orrori di una punizione per entrambi immeritata.
 
“Il guerriero della luce crede. Poiché crede nei miracoli, i miracoli cominciano ad accadere.”
 
*"Per mesi va ne la città dolente,
per me si va ne l'etterno dolore (…): tratto dalla Divina Commedia, queste parole appartengono a una scritta che Dante Alighieri all’inizio del suo viaggio trova sulle porte dell’Inferno. Tali parole, invitano i dannati a lasciarsi alle spalle la speranza di abbandonare il loro eterno castigo.
 
**Amor, ch'a nullo amato amar perdona( …): una delle più famose frasi della Divina Commedia, e quindi della stessa letteratura italiana. Queste parole sono pronunciate da Francesca da Rimini, costretta in uno dei gironi per aver commesso adulterio. In questo caso, l’amore è inteso come un’entità che non perdona, capace quindi di uccidere gli stessi amanti come accaduto alla dannata Francesca e al suo amante Paolo.
 
Angolo dell’autrice:
Va bene, questo capitolo è più vicino all’horror che a qualsiasi altro genere, ma ehi, l’Inferno è l’Inferno, no? E poi l’idea di rendere finalmente visibili i mastini infernali l’ho sempre avuta, dovevo farlo! Comunque, no, non dirò che Samael e Mary hanno stupito anche me con quegli atteggiamenti da bravi fidanzatini, e sì, non mi aspettavo che andasse così con quei due! Dannazione! 
Balthazar: però sono carini!
Zitto, e torna nello sgabuzzino, gli altri non ti devono vedere! Al momento sei ancora assente! In ogni caso, mi piacerebbe sapere cosa ne pensate e fino a che punto volete ammazzarmi per come si sta svolgendo la storia XD
Ammetto che questo capitolo sia stato una faticata immane, ma sì, in questo guaio di fiction sono compresi anche John e Mary Winchester. Insomma, ho qualche anima in più da maltrattare!
Gabe: ecco perché John ieri si è presentato con un’armatura e Mary con l’abbigliamento da scherma. 
Io non… aspetta, Mary fa scherma?
Gabe: no, a dire il vero è stato Samael ad allenarla, dice che ne avrà bisogno. Io le avevo consigliato di indossare gli abiti di Darth Vader… almeno il copricapo è figo! In compenso, credo che gli altri siano usciti pazzi. Non è normale che Balthazar e Sam abbiano convinto Uriel e Zaccaria a ballare come le muse di Hercules!
Cos… no, aspetta! Vuoi dire che la bonazza truccata con due gambe da paura e il parruccone nero era… era Zaccaria?! 
Gabe: no, suppongo che tu abbia visto Uriel. E per la cronaca, era molto più femminile di te. Dean ha provato a portarselo a letto prima di scoprire di averci provato con Uriel e… be’, dove sia finito è un mistero, te lo dirò quando ricompare o quando Castiel dovrà scendere all’inferno per ripescarlo dopo che si è impiccato.
Ma non… io… AAAAAAAAAHHHHHHHH!!! (fugge, strappandosi i capelli)
Gabe: be’? Secondo me quell’abito rosso fuoco gli donava! Un po’ di tette in più e avrei potuto scambiarlo per Jessica Rabbit… no, aspetta! Saaaaam, ho trovato una nuova sciccheria da fargli provare!!!!!
 
xena89: io non sono mai abbastanza pronta per le vostre bellissime recensioni! Ogni volta che scrivete qualcosa di buono anziché gli insulti che mi aspetto, tiro un sospirone di sollievo! Eh, Gabriel è un cretino e ormai lo sanno tutti, ma se non può farla lui la parte del super fratellone, chi lo fa? Balthazar ci ha provato quando Cass era piccolo, ma lasciamo stare come è andata… cooomunque, spero che questo nuovo capitolo ti sia piaciuto, così come spero di rileggerti ancora! Grazie mille e a prestissimo!
 
kimi o aishiteru: secondo me, dopo aver letto questo capitolo hai preso appunti su come lanciarmi una maledizione wicca XD mmm, vediamo… code di tritone, ce le ho; lingue di rospo, ce le ho; piuma d’angelo, ce l’ho… eheh, prometto che a breve si saprà chi è stato a mandare Mary nel passato, e sono certa che la risposta sarà tra le più inaspettate, parola mia ^^ effettivamente, c’è un mare di fan qui sotto che vorrebbe linciare Gabriel, ma ci ho pensato io ad appenderlo a testa in giù al soffitto, così vediamo se gli và un po’ di sangue in zucca… questo grandissimo cretino non ha idea di quanta gente vorrebbe essere al posto suo, e lui molla Sam! Lo molla, dannazione! Tranquilla, lotterò per concludere la storia nel migliore dei modi, così forse mi salvo dai bombardamenti, anche perché mi è sembrato di vedere un pacco-bomba sotto la sedia del salotto, ma non ne sono sicura… e quella vasca di sanguisughe sicuramente non l’hai messa su nel mio letto… vero?!  Comunque, spero di non averti fatto aspettare troppo con l’aggiornamento, perché se la risposta è sì, ti autorizzo a insultarmi XD grazie per il commento e a prestissimo!
 
Shiva_: tranquilla, tra un po’ la situazione si tranquillizzerà. Che diamine, Dean e Cass sono di nuovo insieme, è tempo di rivolta!!! Signori, al mio segnale, SCATENATE L’INFEEEEERNO!!! Per l’incolumità di Gabriel invece, ci sarà di che lottare, anche perché al momento Sam non è propriamente stabile in quanto ad emotività, e non posso dargli torto, anche se lo riempirei di legnate comunq                           ue. Al momento, l’unico che si salva in quanto a cervello è il caro vecchio Bobby, e speriamo che trasmetta un po’ della sua sapienza al capellone impazzito che ha deciso di partire per una caccia all’angelo. Ora, inizia a pregare per Gabriel, perché è in mani perfide e al momento potrei fargli di tutto muahahahahahahahah!!! Grazie per il commento, a presto!
 
Sherlocked: tranquilla, esagera pure, tanto ora hai tutti i diritti di dire che stai facendo le valigie per dare la caccia a Sam, visto il casino che sta combinando (no, quello lo stai facendo tu! Perché accidenti l’ho trovato chiuso nel frigo! Nd Gabriel)( non farlo uscire, se lo merita!)( e chi lo fa uscire! Erano giorni che cercavo di fargli fare amicizia col barracuda congelato che avevo infilato in frigo! Nd Gabriel)( che ci fa un barracuda, lì dentro?)( Boh, credevo ce lo avessi messo tu! Nd Gabriel)( no, io ho infilato il rospo in forno per nasconderlo a mia madre, ma si è comunque accorta che c’era perché non ricordavo che prima di scendere avesse infornato le lasagne… credo di non averla mai vista così incazzata.)( ah, ecco perché i muri tremavano, ieri! E io che pensavo di aver esagerato nel portare un dromedario nel corridoio! Nd Gabriel) Eh, purtroppo ho un piccolo problema di autostima, ma tranquilla, non lo noterà nessuno! Purtroppo finora ho scritto almeno sette libri diversi e non ho mai avuto il coraggio di pubblicarli. Questo è l’unico posto dove riesco a pubblicare qualche scritto, anche se ho un po’ di timore anche qui… sai, non vorrei mai deludere i lettori, perciò è un gran bel casino quando devo convincermi a pubblicare un nuovo capitolo (allora non mi ero immaginato tutto! L’altra volta stavi davvero litigando con te stessa allo specchio! Nd Gabriel)( Be’? al giorno d’oggi una povera ragazza non può litigare con se stessa?)( Tomi, hai spaccato lo specchio! Nd Gabriel)( che c’entra! Mi guardava male!) Come al solito, devo ringraziarti per il bellissimo commento che almeno per un po’ serve a ricaricarmi di un po’ di tanto cercata autostima. Non ti ringrazierò mai abbastanza per la gentilezza che mi riservi, grazie ^^ (Inchino)
Tomi Dark Angel
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 12
*** La Caduta Dell'Inferno ***


-Etciù!!!-
-L’avevo detto che ti saresti buscata un raffreddore.-
-Stai zitto, pennuto da strapazzo, e usa i tuoi poteri per calmare i miei polmoni, o giuro che te li sputo in faccia!-
-Bonjour finesse…-
-Samaeeel!!!-
Mary agitò i piedi come una bambina, sbattendoli ripetutamente sul letto. Scrollò energicamente il capo, indispettita, ma Samael restava appoggiato allo stipite della porta a braccia conserte, deciso a non dargliela vinta. Aveva passato ore a cercare di convincerla a cambiarsi d’abito dopo il loro bagnetto al lago, ma Mary era stata irremovibile e aveva insistito per girare per casa bagnata fradicia, appellandosi alla sua, citando a memoria: “storica resistenza da cacciatrice”. Ovviamente, il risultato era stato un raffreddore coi fiocchi e la punizione infertale da Samael, il quale si ostinava a non volerla guarire.
-Potrei morire! Potrei morire, e tu mi avresti sulla coscienza!-
-Tranquilla, mi assicurerò che tu rimanga in vita ma che impari la lezione.-
-Chi sei, mio padre?-
-No, sono la tua coscienza, e ti dico che hai fatto una cazzata.-
Mary tornò a sbattere i piedi sul letto, strepitando inferocita finché un nuovo attacco di tosse non interruppe il monologo misto a una sfilza di minacce che comprendevano un paio di zombie affamati e un branco di cani ai quali dare in pasto le ali fritte di Samael.
L’angelo la guardò piegarsi in due, stringendo forte la coperta tra le dita e coprendosi la bocca con l’altra mano mentre la tosse le scuoteva le spalle. Era ridotta così da un paio d’ore, ma Samael si stava già esercitando violenza per non correre in suo aiuto all’istante. Mary sembrava fragile come un fiore nato nel deserto e in balia di una tempesta di sabbia. Se non protetto, per quanto bello e apparentemente ben piantato, quel fiore rischiava di essere portato via dal vento.
Samael incrociò le braccia al petto senza staccare gli occhi da Mary, che lentamente riuscì a soffocare gli eccessi di tosse e appoggiò la schiena alla testiera del letto, sospirando esausta. Alzò gli occhi al cielo, rifiutandosi di guardarlo come una bambina dispettosa e gonfiò le guance, arrabbiata.
Samael la trovava adorabile, ma non l’avrebbe mai ammesso ad alta voce.
Quando capì che Mary non avrebbe spiccicato parola, l’angelo si allontanò con una spinta dallo stipite della porta e si voltò per uscire, ma la voce della ragazza inaspettatamente lo fermò.
-Samael?-
-Mh?-
-Dean… è vivo, vero? Tornerà presto, vero?-
Samael respirò profondamente prima di parlare con voce esausta, antica. –Non lo so.- ribatté, sentendosi vecchio come mai in vita sua.
Quella situazione lo stava ammazzando, deteriorandolo pezzo dopo pezzo. Il pensare a un Gabriel che ammazzava uno dei suoi protetti, per di più il fratello di colui che amava, era terrificante. Gabriel era suo fratello e suo amico, perciò Samael non riusciva a voltargli le spalle, pensando che avesse davvero commesso un gesto tanto orrendo. No, Gabriel non avrebbe mai tradito la loro fiducia… non avrebbe mai tradito Sam.
Se c’era mai stato un volto da dare all’amore, Samael avrebbe scelto quei due. Si erano sempre cercati, attesi, parlati con gli occhi quando era servito. In presenza di Sam, Gabriel era sempre rinato, ritrovando uno spirito spensierato che non si addiceva ad anni ed anni di sofferenze e solitudine. L’esistenza di Sam, era stato quanto di più bello avesse potuto regalare il Padre al suo arcangelo dalle ali dorate.
Quanto a Dean, Samael era certo che ci fosse qualcosa sotto, che in un modo o nell’altro quel testardo di un cacciatore sarebbe tornato, e l’avrebbe fatto insieme a Castiel.
Si poteva solo aspettare, pregare, e guardare al sole sperando in un domani che desse loro la pace a lungo cercata.
Il problema era questo: aspettare. Samael si sentiva tremendamente inutile, insignificante e incapace. Mentre gli umani combattevano una guerra che riguardava gli angeli, lui restava in disparte come un vigliacco, un misero esemplare d’angelo ormai inutile. Chissà, forse lo stesso Dio si era stancato di lui.
-Vieni qui.- disse allora Mary, fissando l’angelo che ancora le dava le spalle. Aveva interpretato e capito il suo silenzio senza commentarlo.
Samael si voltò a guardarla con occhi sbarrati di paura e preoccupazione. Tremava leggermente, ormai prossimo a un collasso nervoso, perciò quando Mary aprì le braccia, lui si avvicinò cautamente, come un animale che annusa il territorio, e finalmente si adagiò sul letto. Appoggiò una guancia contro i seni di Mary, le cinse i fianchi con delicatezza, timoroso di mandarla in pezzi, e infine, quando le esili mani della ragazza affondarono morbidamente nei suoi capelli, Samael chiuse gli occhi e sorrise.
§§§§
Dean sbarrò gli occhi, ancora fissi in quelli profondi e ridenti di Mary Winchester. La donna aveva le dita intrecciate davanti al grembo e il capo inclinato di lato. Aveva un viso così bello, così amorevole, che stonava in mezzo alla macabra disperazione dei dannati tutti intorno.
Dean non la ricordava così. Forse era il fioco scintillio emanato dalla sua pelle rosea, o forse erano gli occhi carichi di un affetto che riempì il cuore del ragazzo di emozione, ma Mary era quanto di più bello avesse mai visto il cacciatore. Era una donna, era la sua salvatrice. Era sua madre.
-Figliolo.- chiamò allora John Winchester, avanzando fino ad affiancare sua moglie. Anche lui sorrideva affettuoso, il viso pervaso da un orgoglio che Dean aveva sempre sperato di guadagnarsi quando lui era ancora in vita. Aveva lottato, aveva eseguito i suoi ordini, tutto per quello sguardo che valeva più dell’oro per il suo piccolo cuore di ragazzo. Adesso che era tutto diverso, che lui, Dean, aveva commesso un errore dopo l’altro… John lo guardava in quel modo. Lo meritava? Era giusto che i suoi genitori fossero scesi fin laggiù per tornare a riprenderlo?
Gli angeli esistevano veramente, ormai Dean lo sapeva. Forse però, non tutti erano provvisti di ali e Grazia divina. Alcuni erano lì, al suo fianco, c’erano sempre stati e lui non se n’era mai reso davvero conto. Adesso che vedeva la sua famiglia lì davanti a lui, intenta a proteggerlo dal gelo, dalle grida e dalla paura, Dean capì di non essere mai stato solo.
Prima ancora di rendersene conto, Dean chinò il capo, chiuse gli occhi e singhiozzò. Non sapeva se sentirsi felice, spaventato o dispiaciuto per non aver mai capito, per aver sempre ignorato gli sforzi di John e Mary di non abbandonarlo mai. Erano lì, erano insieme. Forse morire non era poi così male.
Una mano calda di vita pulsante, dolcezza e amore materno, si posò sulla sua guancia, facendogli alzare gli occhi. Mary sorrideva a pochi centimetri dal suo volto, inginocchiata sul ghiaccio, con la vestaglia che quasi si mescolava col candore del terreno sottostante.
Dean si specchiò nei suoi occhi chiari, confondendosi in quel limpido colore che aveva amato sin da bambino. Occhi di donna, occhi di madre.
-Non ti abbiamo mai abbandonato, tesoro. Non piangere per chi è morto, poiché chi come noi non respira più, ha il solo compito di dormire. Preoccupati per i vivi, per chi teme il futuro e gli errori che potrebbe compiere, e guida chi ne ha bisogno, se puoi.- mormorò lei, accarezzandogli i capelli. Altre lacrime sgorgarono dagli occhi di Dean, che strinse forte la veste della madre in un gesto sofferente.
-Mi dispiace.- singhiozzò, crollando definitivamente.
Non si era mai concesso quella debolezza. Lo sfogo delle lacrime, il singhiozzare apertamente appoggiato al petto di qualcuno. Aveva sempre sofferto in silenzio e da solo, barricandosi dietro una barriera d’acciaio e falso coraggio. Era stato forte per Sam, per Bobby, Castiel, ma mai per se stesso. Adesso però, sua madre era lì, e poteva capirlo come faceva quando era piccolo e piangeva per essere stato sgridato da John o per aver fatto un guaio di cui temeva la punizione. Mary aveva sempre ascoltato.
-Mi dispiace… non dovevate finire qui, non…-
-Non hai colpe, tesoro. Quando la smetterai di pensare di poter salvare il mondo? La gente muore tutti i giorni, ma non sta a te salvarla, così come non sta a te interferire con le scelte altrui. Io e tuo padre eravamo consapevoli del destino che ci aspettava, perciò non incolparti per qualcosa che abbiamo deciso di nostra spontanea volontà. Siamo scomparsi, è vero, ma non siamo mai andati via. Vi abbiamo sempre osservati, protetti, e sappi che sono fiera di te, di quello che sei diventato. Hai sempre protetto tuo fratello e sei sempre stato giusto nella più sbagliata della scelte che hai compiuto in passato. Non ti sei arreso e qualunque cosa accadesse hai sempre saputo che strada prendere… non ci hai mai delusi.-
Mary si chinò a baciargli le guance in un gesto gentile, materno. Gli asciugò le lacrime con i pollici e infine lo costrinse a guardarla nuovamente in viso.
-Hai sconfitto l’inferno, tesoro. Chiunque entra qui, perde la speranza, ma tu… tu non hai mai smesso di pregare, di proteggere quanto avevi di più caro. Hai lottato come un uomo, non come un angelo o un demone, e nella tua umanità hai sconfitto la morte stessa.-
Mary sorrise e gli strinse una mano. –Me lo fai un sorriso prima che vi riportiamo indietro?-
Dean spostò gli occhi su John, chiedendogli timidamente conferma delle parole della madre, e quando l’uomo annuì, il cuore del giovane Winchester si riempì di felicità reale, rinnovata. Finalmente, Dean sorrise.
Mary levò lo sguardo su Castiel, ancora inginocchiato al fianco di Dean. Si teneva leggermente in disparte e tremava di dolore per le ali spezzate, strappate e sanguinanti. Aveva chinato il capo per distogliere lo sguardo e lasciare ai Winchester la loro intimità. Probabilmente, se avesse avuto forza nelle gambe, si sarebbe allontanato. Quella visione lo faceva apparire solo e indifeso. Castiel non aveva mai conosciuto suo padre, e gran parte dei suoi fratelli non era affidabile, al punto che magari molti gli portavano rispetto solo perché era un arcangelo.
Era solo.
Non aveva una famiglia, e forse non sapeva nemmeno cosa fosse.
Inaspettatamente, Mary si protese in avanti e lo strinse in un abbraccio delicato, fragile, ma colmo di affetto, come se Castiel fosse figlio suo. L’arcangelo spalancò gli occhi appena sentì il tocco gentile della donna sulla pelle nuda, intorno ai fianchi e infine sulla schiena. Gli accarezzò la base sanguinante delle ali, sfiorando con delicatezza le piume. Castiel credeva di aver dimenticato quanto potesse essere bella una carezza, eppure quel tocco era diverso. Non somigliava a quello di Dean, né a quello di Gabriel.
Era quello l’abbraccio di una madre?Avere una mamma significava anche questo?
-Hai protetto i miei figli e sei rimasto con loro nei momenti peggiori. Forse, senza di te non ce l’avrebbero fatta. Grazie, Castiel.- mormorò Mary, chinandosi a baciargli la fronte.
Castiel chiuse gli occhi ed espirò, ritrovando una piccola parte di quella serenità che credeva di aver perso per sempre. Forse non tutto era perduto, forse poteva tornare a sperare.
-È tempo di tornare a casa. E questa volta, lo farete insieme. La vostra perseveranza viene infine premiata.-
John si avvicinò a Dean, incrociò i suoi occhi e gli tese una mano. Annuì allo sguardo sperduto del figlio, rassicurandolo, e alla fine Dean si fece tirare in piedi, prendendo lo slancio per stringerlo in un abbraccio che sapeva di ringraziamenti, di perdono, di mille cose non dette.
-Andiamo, e facciamo presto prima che…-
-Andate da qualche parte?-
I quattro si voltarono. Lì, in piedi tra il ghiaccio e i dannati sofferenti che si coprivano il volto per non guardare, Crowley li fissava con un sorriso sbieco sul viso.
§§§§
Gabriel ansimò, voltando appena il capo di lato. Diverse ciocche di capelli gli piovvero sul viso smunto e ormai quasi irriconoscibile mentre le prime gocce di pioggia gli bagnavano il viso. Sindragosa, la piccola volpe accucciata al suo fianco, appoggiava il muso sul suo ventre e chiudeva gli occhi in un’espressione di profonda sofferenza mista ad abbandono.
Sì, ormai Sindragosa aveva capito. Gabriel l’avrebbe abbandonata, ormai era troppo tardi. Non restava che aspettare che l’arcangelo si spegnesse definitivamente, imprimendo su pietra il marchio infuocato delle sei ali ormai già consumate dalla morte prossima a venire.
Come si poteva morire così?
Gabriel ormai non si muoveva più, non parlava, a stento respirava. I suoi occhi fissavano il vuoto dal vuoto stesso che ormai li circondava. Non c’era più traccia di luminosità in quelle iridi che una volta avevano rappresentato la luce e l’amore dello stesso uomo che adesso le stava uccidendo.
Si dice che quando muore un angelo, il cielo pianga la sua perdita.
Lassù, da qualche parte, un seggio del Paradiso era rimasto vuoto, perduto, forse dimenticato. L’angelo che l’aveva occupato, governando con la giustizia di un uomo e il cuore di una creatura divina, si stava infine spegnendo. Non c’erano funerali abbastanza degni da celebrare, non c’erano sacerdoti che potessero consolare chi perdeva un amico, un fratello… un amante.
Gabriel se ne sarebbe andato così, nel silenzio, senza voltarsi indietro. Era fatto così, e così sarebbe morto.
Il suo tempo stava per scadere.
 §§§§
Sam premette il piede sull’acceleratore. Erano due giorni che guidava ininterrottamente, fermandosi solo di tanto in tanto per bere e mangiare qualcosa. Non trovava pace, non riusciva a darsi un contegno. Spronava l’Impala al massimo delle sue possibilità, al punto che alcune volte aveva sentito il motore grattare infastidito.
Gli bastava sbattere le palpebre, distrarsi un attimo e allora esplodevano le immagini di sangue che gli rivoltavano il cervello e l’autocontrollo come un guanto.
Gabriel che pugnalava Dean.
Dean abbandonato su un letto ad affogare nel suo stesso sangue.
Gabriel scomparso, fuggito, nascosto al suo stesso tradimento.
Gabriel, l’arcangelo che aveva amato. Sam non poteva pensare che le stesse mani che l’avevano stretto e accarezzato avessero anche strappato la vita alla sua famiglia, eppure era accaduto. Dean era morto davvero, lasciandosi alle spalle il caos di un fratello impazzito dal dolore e di un padre adottivo che avrebbe atteso il suo ritorno in eterno.
Sam si passò una mano sul volto, digrignando i denti aggressivo. Sfiorò il calcio della pistola appesa alla cintura, pronto a qualsiasi lotta. Avrebbe trovato Gabriel e gli avrebbe fatto sputare i suoi stessi polmoni, l’avrebbe legato e torturato. Avrebbe ascoltato le sue grida e visto il sangue fluire dalle ferite, uccidendolo come aveva ucciso suo fratello.
Una volta fatto ciò, Sam sarebbe morto a sua volta. Nessuna esecuzione, nessun pianto. Un semplice sparo all’altezza delle tempie, e tutto sarebbe finito. Finalmente avrebbe potuto dormire accanto al suo amore, al suo angelo… al suo traditore. Gabriel era stato il più bel dono e il più grande errore della sua vita. Così come avrebbe cancellato l’ultimo rimasuglio del suo sbaglio, così Sam avrebbe anche eliminato ciò che restava della sua misera vita.
All’improvviso, un bagliore.
Dalla nebbia emerse una figura ammantata di stracci. Stringeva un bastone nodoso in una delle mani, mentre l’altra si tendeva verso l’auto in un gesto imperioso.
Sam sbarrò gli occhi e girò il volante all’ultimo istante, facendo slittare l’Impala sull’asfalto nel disperato tentativo di evitare l’uomo comparso sulla carreggiata. Le ruote stridettero, i freni gemettero pietosamente per lo sforzo di arrestare un’auto lanciata a velocità folle contro un ostacolo impossibile da aggirare.
Sam voltò il capo verso l’uomo proprio mentre la fiancata dell’Impala scivolava stridendo verso di lui, pronto a schiantarlo mortalmente. Solo allora, Sam vide.
Occhi ciechi e lunga barba candida su un viso smunto da anziano provato dai troppi anni di vita. Sam conosceva quell’uomo, ricordava il suo volto, ma questo non l’avrebbe aiutato a salvarsi. La catastrofe ormai, era inevitabile.
Sam chiuse gli occhi, riparandosi il viso con le braccia un istante prima che la mano del vecchio venisse a contatto con l’Impala. Sam attese l’impatto, lo schianto dell’auto contro un corpo spezzato e lo sbalzo dell’incidente che lo avrebbe proiettato contro il finestrino o il parabrezza.
Attese, Sam. Attese qualcosa che non venne.
§§§
-Andate da qualche parte?-
Crowley infilò le mani nelle tasche del pantalone classico senza distogliere gli occhi dal quartetto di persone che lo fissava scioccato. Se Crowley non avesse permesso loro di uscire, non sarebbero andati da nessuna parte: erano nel suo campo, e lì era impossibile batterlo, anche per un arcangelo… forse.
Castiel guardò Mary indietreggiare spaventata e John contrarre la mascella nello sforzo di restare impassibile davanti al signore del luogo che deteneva eternamente le loro anime. Avevano conosciuto Crowley e temevano la sua ira come potrebbe temerla qualsiasi dannato sottoposto al suo giogo.
Dean strinse forte la spalla del padre, facendosi forza per restare in piedi.
-Avevi detto che ci avresti fatto uscire. Volevi che liberassi Castiel. Be’, adesso è libero, perciò levati di torno.-
-L’angioletto può passare, certo, ma tu sei morto, e lo stesso vale per i tuoi cari genitori. Siete miei, perciò non vi muoverete da qui.-
Mary tremò e lentamente la sua aura luminosa si affievolì, esponendoli alle raffiche di vento improvvisamente più violente, feroci al punto da incidere graffi profondissimi nella loro pelle. Mary si strinse le braccia al petto e cadde in ginocchio, prostrata dal dolore e dalla fatica.
Dean sarebbe rimasto lì, dannato come loro, e a nulla sarebbero valsi i tentativi per farlo uscire: il signore degli inferi aveva parlato.
-No… non puoi tenerlo qui! Noi restiamo, ma lascia andare anche Dean insieme a Castiel!- urlò John, contrastando faticosamente le raffiche di vento che rischiavano di gettarlo per terra. Crowley scosse il capo.
-Mi dispiace, amore, ma non posso. Però la tua disperazione mi eccita, devo ammetterlo… mi lascia tutto un brivido lungo la spina dorsale, se capisci cosa intendo.- rispose con un sorriso di scherno.
Dean avanzò di qualche passo. –Figlio di…-
Una forza invisibile premette sulle loro schiene, piegandoli, costringendoli in basso, sulle ginocchia. Dean urlò e si oppose con tutte le sue forze, ma a nulla valsero i suoi tentativi di resistere: alla fine cadde anche lui ai piedi di Crowley, debole alla sua forza. Sconfitto. Abbandonato.
-Crowley!-
Castiel si alzò, piantando i piedi nel ghiaccio per non cadere. Il peso morto delle ali alle sue spalle rischiava di trascinarlo nuovamente a terra, ma era anche un’ottima ancora per impedire al vento di scagliarlo via.
L’arcangelo si parò dinanzi a Mary, arrancando pietosamente, fissando l’unico occhio sano su Crowley. Sentiva una rabbia crescente dilatarsi al centro del petto, espandendosi in una mina pronta a esplodere.
Vedere i Winchester trattati alla stregua di semplici anime dannate al cospetto del più lurido dei demoni lo mandava in bestia. Erano uomini giusti, così come pregne di giustizia erano le loro anime e per questo non meritavano di inginocchiarsi davanti a nessuno.
Sarebbe stato Crowley a cadere, questa volta.
La ali di Castiel si mossero, tremarono. Le piume sporche di sangue parvero scrollarsi di dosso un torpore troppo a lungo subito. Un anno. La loro prigionia era durata un anno e anche di più, ma adesso che il loro padrone si svegliava, anche le ali avrebbero reagito a dovere.
Castiel aveva atteso, pregato, sofferto, ma non si era mai lasciato andare del tutto. Lui non era mai stata un’anima dannata, non completamente, e adesso lo avrebbe dimostrato. Combatteva per Dio, per gli uomini, per quanto c’era di più giusto al mondo, e Crowley, nella sua ingiustizia, l’avrebbe imparato a sue spese.
Fu un istante, un attimo di fatale decisione. Il Cocito era sempre stato famoso per l’incessante, gelido vento che vi spirava, massacrando corpi e anime senza possibilità di appello. Il gelo era sempre stato la peggiore tortura, la più temuta dai dannati. Adesso però, dopo millenni di tormentato soffiare, tormentare, congelare… il vento cessava.
All’inferno non aveva mai brillato neanche il più fioco bagliore, ma in quell’istante una scintilla come di stella nascente vibrò in tutti i gironi, intorno ai dannati, sui demoni feriti dalla luce. Al centro di quel bagliore sempre più pressante, c’era un angelo malandato, dalle ali spezzate, il volto sfigurato dalle ferite ma ricolmo di ferma decisione. La sua luce, così come la sua stessa presenza laggiù, stava sovvertendo l’ordine delle cose.
Crowley indietreggiò, guardandosi intorno scosso mentre il ghiaccio si scioglieva, si riempiva di crepe sempre più profonde che poco a poco liberavano i dannati. Le anime mossero le braccia, si guardarono le mani con occhi non più spaventati ma stupiti e quasi increduli.
Erano liberi.
I cerberi guairono, indietreggiando confusi dall’improvviso cambiamento. Il ghiaccio si stava sciogliendo, i dannati liberando e il signore dell’inferno non riusciva a reagire contro la forza sconvolgente di un arcangelo furioso. Crowley aveva osato una volta di troppo piegando i Winchester al suo volere, se ne rendeva conto solo adesso: una corda tirata troppo a lungo, infine si spezza.
-Crowley.-
La voce di Castiel riverberò per tutto l’inferno, così forte e così limpida da costringere demoni e dannati a piegarsi in due e coprirsi le orecchie. I gironi tremarono, scossi dalla potenza dell’arcangelo più potente del paradiso, sconvolgendo i demoni, allergici ai fasci di luce purissima che scaturivano da ogni crepa apertasi nella roccia, nelle tombe, nel ghiaccio. Alcune crepe si allargarono, spaccandosi al punto di trasformarsi in veri e propri crepacci che trascinarono i demoni nel punto più basso della miseria dove ancora adesso e in eterno dimoreranno.
Castiel parlò ancora: -Crowley, signore dell’inferno. A te mi rivolgo, poiché in tutta la tua arroganza hai saputo intercettare le ire del paradiso stesso: ti sei sentito in diritto di sottomettere dei giusti, di sentirti superiore semplicemente perché sovrano della più grande delle miserie. Adesso, ascoltami! Non oserai più toccare coloro che in vita seppero sacrificarsi per un amore superiore o per qualcosa di puro in cui credevano. Sii tu confinato in questo regno fino al Giorno del Giudizio, sii conscio delle ire del paradiso e cadi, creatura impura, dal trono che ti sei assicurato con l’inganno. Sia ristabilito l’ordine delle cose, sia il tuo fato rimesso alle volontà di chi davvero detiene l’inferno e, per ordine di Dio Padre Onnipotente e del Creato stesso, io ti sottraggo i poteri che ti hanno spinto alla fatale arroganza che adesso ti condanna!-
Castiel levò un braccio con fare imperioso e subito una luce accecante lo avvolse da capo a piedi.
Le ferite si rigenerarono, ricucendosi alla perfezione senza lasciare traccia, il sangue colò via, ripulendo del tutto la pelle candida, le ali si ricostruirono pezzo dopo pezzo, piuma dopo piuma, rigenerando i pezzi mancanti in un meraviglioso distendersi di penne lucenti come cristallo, argentate in ogni più piccola, perfetta sfaccettatura. Sei ali, sei perfette creazioni divine rilasciate in tutta la loro potenza nel cuore dell’inferno stesso.
In un istante, il corpo di Castiel fu ricoperto dall’armatura angelica. Fatta di quello che sembrava luminosissimo diamante, modellata alla perfezione sul corpo che ricopriva, decorata in arabeschi affilati. Intorno alla fronte comparve un diadema di cristallo al cui centro splendeva uno zaffiro lucente, in tinta con gli occhi dell’angelo dagli scompigliati capelli scuri.
Castiel stiracchiò le dita, e una spada comparve, appoggiata sul suo palmo. Massiccia, dalla lunga lama modellata, con l’elsa lavorata in diamante, argento e quelle che parevano fibre di zaffiro. La guardia partiva con un tronco di quercia nodosa i cui rami fiorivano non in foglie, ma in piume, dando vita ai due bracci della guardia crociata che si spiegavano in possenti ali lavorate. Alla base della lama si incastonava un’unica gemma dai riflessi arcobaleno.
I dannati rivolsero gli occhi improvvisamente colmi di speranza luminosa verso l’arcangelo possente e bellissimo che stava rivoltando l’inferno. La sua Grazia splendeva di speranza, di vita, gli stessi sentimenti che riempirono le anime corrotte, purificandole una dopo l’altra, perdonandole, assolvendole di ogni peccato ormai scontato con secoli e millenni di torture.
L’uomo sapeva perdonare, andare avanti, e adesso che anche gli angeli avevano imparato la stessa lezione, la si poteva mettere in pratica. Si poteva ancora sperare, anche nell’angolo più buio dell’inferno, dove grida e sofferenza la facevano da padrone. Una piccola scintilla, se alimentata, poteva scatenare un incendio ed espandersi, rischiarando con la luminosità del fuoco chi ancora sperava in un domani.
I cani indietreggiarono e solo allora i dannati si alzarono in piedi, scagliandosi in massa verso gli animali, che cominciarono a battere in ritirata con la coda tra le zampe. Più su, negli altri gironi, le anime si liberavano dalle catene delle torture, rivoltandosi contro i loro stessi aguzzini, rovesciando i demoni dai loro troni, gettandoli nell’abisso che meritavano.
-No!!! NOOO!!!- urlò Crowley, coprendosi il viso con le braccia mentre Castiel sbatteva un’unica volta le ali, generando un vento potentissimo che spazzò via l’odore di zolfo e sangue per rimpiazzarlo col profumo pulito di fiori e aghi di pino. Le strutture di diversi gironi crollarono, scosse dalle fondamenta da una potenza divina e inarrestabile.
La giustizia riverberò il suo grido nei corridoi della sofferenza, e solo allora, tutto fu luce.
Crowley fu spazzato via dalla folata di vento mista al potente fascio di luce che lo investì in pieno, deteriorandogli la pelle. In lontananza, si udì un rumore di lucchetto che si apriva e il cigolio di una porta che si schiudeva.
Castiel si inginocchiò al fianco di Mary, incontrando i suoi occhi colmi di lacrime ed emozione e sorridendo al suo sguardo di agnello innocente. Quella stessa innocenza aveva permesso una rinascita e il ristabilimento dell’ordine delle cose.
-In piedi, voi.-
John e Dean si alzarono. Il ragazzo guardò Castiel, beandosi di quella visione divina, bellissima e potente. La bellezza e la forza del paradiso si racchiudevano in un solo, luminosissimo angelo caduto proprio sul suo cammino.
Castiel era libero.
-Cass…- mormorò Dean, avvicinandosi quasi intimorito all’arcangelo, che gli prese il viso tra le mani e, levatosi sulle punte, gli baciò la fronte in un gesto di benedizione.
-È giunto il momento di tornare a casa, Dean. È giunto il momento di combattere.-
§§§§
Sam aveva sbattuto la testa contro il volante e perdeva sangue da una tempia. Dio, gli faceva male la testa, cos’era successo?
Sbatté le palpebre un paio di volte prima di poter mettere a fuoco il volante dell’Impala contro il quale ancora appoggiava la fronte e le piccole goccioline di sangue che lo sporcavano. Sam si raddrizzò, stordito, cercando di ricapitolare gli ultimi avvenimenti.
Lui che sfrecciava a circa centodieci all’ora sull’autostrada.
Un vecchio che compariva sulla carreggiata, esattamente sulla sua traiettoria.
L’Impala che slittava, Sam che chiudeva gli occhi.
Poi, più niente.
Sam guardò oltre il finestrino al suo fianco dopo essersi accertato di non avere altri danni e solo allora notò che l’Impala era poggiata su un ripiano roccioso e terribilmente familiare: il monte Sinai.
Sam uscì dall’auto, incredulo. Non capiva come ci fosse arrivato, né perché. Probabilmente, anzi, quasi sicuramente, era colpa del vecchio, ma per quale motivo mandarlo lì? Cosa aveva da fare Sam in quel posto? Considerando che il vecchio era come scomparso, adesso al cacciatore toccava trovare un modo per scendere dal monte senza distruggere l’auto e se stesso: impresa impossibile.
Un ansimo. Il rumore di qualcuno che stava male. Sam levò gli occhi e finalmente lo vide, protetto da una ringhiante, grossa volpe che il ragazzo riconobbe come Sindragosa. Gabriel appoggiava la schiena contro uno spuntone di roccia, il viso scarno troppo simile a quello del suo alter ego che Sam aveva incontrato nel cimitero di angeli pietrificati. Non c’era più luce, in quegli occhi, non una goccia di speranza. Lì dove un tempo aveva regnato la vita, adesso vi era solo morte.
Gabriel lo guardò, riconoscendolo a malapena. Le ali ebbero un debole sussulto, come l’ultimo inutile tentativo di rialzarsi, di difendersi dal ragazzo che lentamente impugnava la pistola. Sam aveva amato quegli occhi, eppure adesso non li riconosceva.
Quelli erano occhi traditori.
Quelli erano occhi che avevano visto morire Dean, suo fratello, il suo più grande affetto.
Quelli erano gli occhi di un assassino.
 
Angolo dell’autrice:
Va bene, cominciamo con qualche spiegazione seria. Innanzitutto, mi scuso per il ritardo, ma i preparativi per il cos play da portare al Napoli Comicon mi stanno massacrando. Ah, e mi scuso anche per l’illegibilità del capitolo precedente, ma ho provato a cambiare l’impaginatura del testo e non ci sono riuscita, maledetta me e maledetto il pc. Abbiate pietà, non picchiatemi! XD seeecondo punto: Ammetto che i personaggi di Mary e John mi hanno messo parecchio in difficoltà: non sapevo come gestirmi con i loro caratteri senza rischiare di trasformarli in OOC, ma spero di esserci riuscita. In quanto a Samael e a Mary, vorrei dargli più spazio nei prossimi capitoli, anche perché ammetto che non mi dispiacciono per niente. Nonostante il suo caratteraccio, mi sono affezionata molto a Samael e alla piccola Mary, considerando che almeno di lei si può dire che l’ho cresciuta. Insomma, ho scritto di lei prima di quando era piccola e poi adesso! Aaah, la mia piccolina è cresciuta e va a massacrare la gente (si commuove). Inoltre, ringrazio sentitamente HowlingFang che oltre a lasciare splendide recensione a un sacco di capitoli precedenti oltre che alla storia precedente, ha dato un bellissimo nome a questo pairing! SAMARY!!!
Oltretutto, annuncio che avremo un’altra coppia new entry per la quale molti mi faranno fuori, ma non posso non metterla! Chi sono i componenti di questa coppia? Saranno i più inaspettati, ve l’assicuro!
Cooomunque, cambiando argomento… Gabriel, che cazzo stai ascoltando?! Aspetta, perché laggiù c’è Balthazar che balla il gangnam style?
Gabriel: aspetta, sta cercando di insegnarlo a Crowley. Con gli occhiali scuri e i capelli gelatinati è identico a PSY!!! Cioè, sono gemelli, hanno la stessa faccia da bacarospo!
Ma la finisci di chiamarlo bacarospo?!
Gab: no, hai ragione. In realtà sembra più uno squavallo.
Che caspita è uno squavallo?
Gab: ehm… credo sia il risultato di uno degli esperimenti di Balthazar… in realtà è ancora latitante, è scappato stamattina mentre lo portavo a spasso. Chi avrebbe pensato che rosicchiasse il guinzaglio!
Ma allora il servizio al TG1 era vero! C’è veramente una bestia metà squalo e metà cavallo in giro!
Gab: be’? già ti lamenti e non hai ancora visto lo scriceto, lo scoiattolo criceto! Quello è adorabile, ma suppongo che Balthazar l’abbia incrociato anche con un calabrone, altrimenti non si spiega perché ha il pungiglione… Tomi? Tomi?! Non c’è bisogno di essere così drastici, posa quella katana!

kimi o aishiteru: mmm, in che modo hai inveito contro i personaggi? No, perché se gli hai mandato qualche maledizione allora si spiega perché Dean ha rischiato di affogarsi con una lampadina finitagli in gola chissà come… Sì, finalmente Dean e Cass si sono incontrati e adesso che il nostro angioletto ha perso le staffe contro quel cretino di Crowley, ci sarà di che preoccuparsi. Quasi quasi Crowley mi fa pena, ma non esageriamo! Adesso il problema è Sam, perciò incomincia a pregare che in qualche modo risparmi Gabriel o qualcuno lo salvi, perché l’arcangelo non è messo per niente bene. Uh, hai la febbre?! Mi dispiace, come stai adesso? Rimettiti in sesto, se ne hai bisogno ti invio un Castiel vestito da infermiera… oh, finiscila Cass, quel vestitino bianco ti sta d’incanto… comunque, come al solito ti ringrazio e come al solito spero di sapere cosa ne pensi di questo capitolo! A presto, e rimettiti!
xena89: quello che fa stupidaggini non è Gabriel, ma Sam. Qui il cretino è lui, ma prova a fermarlo un gigante come quello XD insomma, lo stesso Dean ha difficoltà a tenerlo a bada e alla fine anche Bobby ha deciso di rinunciare a inseguirlo se non vuole trovarsi appeso al ramo di un albero. Spero che questo seguito ti abbia soddisfatta, l’entrata in scena dei Winchester è stato un intervento dell’ultimo minuto, ma sono felice che ti sia piaciuto! Grazie e a prestissimo!
Shiva_: no, secondo me è il mio pc che ha dato problemi quando ho pubblicato, e continua a farlo… in realtà mi ha dato parecchi problemi la pubblicazione e non sono riuscita ad aggiustarlo, anche perché sono pessima in queste cose, un’incapace totale, e chiedo umilmente perdono per questo. In realtà ha stupito anche me l’apparizione di John e Mary, ma i genitori dei fratelli Winchester mi sono sempre piaciuti e ho sempre trovato che gli avessero sempre dato troppo poco spazio. Insomma, dei personaggi così io li avrei curati di più nella serie, ma pazienza. In ogni caso, farò di tutto per rimettere le cose a posto, se la mia purissima bastardaggine me lo concederà XD un bacio e grazie!!!
HowlingFang: innanzitutto, ti ringrazio di cuore per tutti i commenti che hai lasciato. Sono tutti bellissimi, inaspettati e mi hanno emozionata molto. Sono felice che i miei scritti possano piacere a qualcuno, anche perché quando li pubblico sono sempre sicura di aver scritto qualche cretinata mastodontica, ma quando leggo commenti come i tuoi quasi quasi mi ricredo ^^ in più ti ringrazio per aver dato un nuovo nome alla coppia Samael-Mary, anche perché non avrei mai immaginato che potessero piacere insieme, anche se ammetto di essere stata indecisa tra il piazzare Mary con Samael o con Balthazar, ma col secondo sarebbero state scintille e litigi perché i due personaggi erano troppo diversi. Ehi, per il genocidio angelico mettiti in fila, io sto ancora compiendo il mio XD Gabriel è un cretino e se Sam alza un solo dito su di lui muore definitivamente, perciò qualcuno fermi il gigante! Finalmente Cass, il vero Cass, è tornato, e Crowley è il primo ad essersene accorto, anche se a sue spese. Per il prossimo capitolo avremo parecchie gatte da pelare in riguardo, ma non anticipo niente! Grazie di cuore per le recensioni e per la pazienza che hai dedicato ai miei scritti. Spero che continuerai a seguirli e a farmi sapere cosa ne pensi, perché i tuoi commenti sono bellissimi. Grazie e a prestissimo!
Sherlocked: non è colpa del tuo pc, ma del mio. QUALCUNO ieri sera l’ha lanciato dalla finestra e ancora non ho capito come mai è tutto intero (cosa? Non è stata colpa mia, Balthazar mi ha taggato su un video di caccia alle poiane e mi sono spaventato! Nd Gabriel)( Gabe, tu non sei una poiana!)( ma faccio lo stesso verso! Somiglio anche a uno struzzo a dire il vero, mi hai visto l’altro ieri mentre infilavo la testa sottoterra per nascondermi da Dean che mi cercava per avergli riempito l’impala di piume di pollo? Nd Gabriel)( Tu dopo mi spieghi perché ultimamente ti senti così vicino alle poiane, altrimenti si va dallo psicologo.). In realtà John e Mary sono stati inaspettati anche per me, ma quantomeno ho scoperto che John è ottimo per gestire lo zoo che Gabriel mi ha portato in casa. Insomma, mr Winchester si lancia da una liana all’altra neanche fosse Tarzan! Sono fiera di lui!!! Sai, dopo la recensione che hai scritto, potrei anche dedicarti uno dei miei libri, se mia lo pubblicherò. Poche volte mi capita di commuovermi davanti a un commento, ma tu ci sei riuscita e… insomma, grazie. Sono le persone come te a tirarmi sempre su di morale anche quando mi sento insicura, e anche se non ti conosco si vede che sei una persona splendida. Grazie.
Tomi Dark Angel
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 13
*** Avere Una Famiglia ***


Sam avanzò senza staccare gli occhi da Gabriel, ancora abbandonato contro un misero spuntone di roccia. Sembrava così fragile, come vetro crepato e ormai pronto a frantumarsi in migliaia di inutili pezzi. Non era più un essere vivente, quello: nessun vivo aveva quegli occhi.
Sindragosa rizzò il pelo, snudando i denti e piantando le unghie nella roccia con la forza di un animale angelico quale era. Il segnale era chiaro: Sam non avrebbe dovuto avvicinarsi se voleva ancora la testa attaccata al collo. Doveva indietreggiare, doveva ritirarsi e abbandonare Gabriel al suo destino, ma il cacciatore non aveva vagato come un pazzo per lasciar andare l’assassino di suo fratello.
A Dean non era stato concesso di morire spontaneamente.
A Dean non era stata concessa pietà.
Perché Sam avrebbe dovuto agire in modo contrario? Che senso aveva risparmiare l’arcangelo che si era servito di lui per arrivare a Dean, uccidendolo, tradendoli, ferendo Sam nel profondo e gettandolo via come una bambola di pezza? Gabriel aveva sussurrato tante volte di amarlo e si era occupato di lui come se lo amasse veramente, ma adesso che Dean era morto e Gabriel si era rivelato per ciò che era in realtà… tutti quei “ti amo” non avevano più senso, e a Sam non restava che la rabbia per non crollare come una marionetta dai fili tagliati.
-Avevi promesso di occuparti di me, di proteggerci tutti quanti…- ringhiò, mentre davanti agli occhi rivedeva il viso stravolto di un Dean trafitto a tradimento, senza un perché, senza la minima possibilità di difendersi. Che umanità c’era in un atto del genere? Che senso aveva vivere quando si aveva perso tutto?
Era tempo di andarsene, per tutti e due. Magari sarebbero finiti all’inferno insieme, e solo allora Sam si sarebbe detto soddisfatto: avrebbe punito, e sarebbe stato punito nel più giusto dei modi. Andava bene così. Lui non poteva vivere senza Gabriel, e Gabriel non poteva continuare a vivere senza le sue ali. Tanto valeva tagliargliele, ormai… tanto valeva cancellare tutto, smettere di sognare, dimenticare un amore malato che non avrebbe mai dovuto accomunare due creature tanto diverse.
-Cosa ti aveva fatto? Perché hai ucciso mio fratello? Mi hai tradito, voltato le spalle… e adesso sono solo, con l’unico scopo di ucciderti a tenermi in vita! Guarda che cosa mi hai fatto!-
Gabriel lo fissò con occhi opachi di chi ormai era troppo lontano per capire, per sapere cosa stesse succedendo.
Sindragosa si slanciò verso Sam con un ruggito furioso, ma all’ultimo istante il cacciatore schivò gli artigli affilati della volpe e la colpì forte al fianco col calcio della pistola. Sindragosa crollò al suolo con un guaito che fece fremere anche il corpo di Gabriel, i cui occhi ebbero un piccolo scatto di reazione. Sam si avvicinò.
-Avevi promesso…-
Sam piantò un calcio ben assestato nel fianco di Gabriel, che rotolò sulla roccia senza un lamento, lasciandosi alle spalle una scia di piume ormai quasi del tutto ingrigite e sangue. Il cielo sopra le loro teste si coprì di nubi pesanti, cariche di pioggia. Da qualche parte, Sindragosa strillò di rabbia impotente mentre davanti ai suoi occhi, Gabriel veniva massacrato.
-Avevi promesso!-
Altro calcio, altra fitta di dolore impartita a chi non poteva più reagire. Gabriel sussultò appena e un rivolo di sangue scivolò tra le labbra schiuse, colando sulla roccia sottostante mentre Sam colpiva ancora e ancora, sfogando la rabbia e la disperazione di essere stato abbandonato, tradito, odiato dall’unico al quale aveva dato anima e corpo senza mai pensarci due volte: il loro trascorso li aveva portati allo scatafascio, e adesso di loro non restavano che relitti vecchi e malandati, fantasmi dei loro io passati.
Sam si strappò il collare da gatto che portava al collo e lo gettò ai suoi piedi con rabbia. –Lo vedi questo? Questo è sempre stato un simbolo per noi, il segno di un legame che ci accomunava, ma adesso sai cosa me ne faccio?!-
Sam calò il piede sul campanellino, che tintinnò straziato, cigolando sotto il peso del ragazzo che lo calpestava come Gabriel aveva calpestato la sua fiducia. L’arcangelo fissava con occhi sempre più vacui ciò che aveva fatto, ciò che aveva perduto.
Sam non sapeva che anche quella era una prova: lui sarebbe andato avanti, sarebbe sopravvissuto, e a Gabriel importava soltanto questo. Adesso che vedeva, adesso che capiva la grandezza dell’odio di Sam, Gabriel pregò che Dean tornasse e si prendesse cura di lui. L’aveva sempre fatto, anche quando si era sentito messo da parte, e adesso che l’arcangelo stava per andarsene, Sam non doveva restare solo. Il suo ultimo pensiero fu per lui, per quel ragazzo che davanti ai suoi occhi calpestava i suoi ultimi brandelli di cuore, facendoli a pezzi, distruggendoli impietoso.
-Avevi detto di amarmi… avevi detto… avevi…-
Sam singhiozzò, chiuse gli occhi. Non ce la faceva. Non riusciva a odiarlo, a sopportare di vedere Gabriel in quelle condizioni. Eppure l’aveva colpito, ferito, insultato, e adesso che vedeva una singola lacrima scivolare giù dal volto inespressivo dell’arcangelo, Sam soffriva. Non aveva senso andare avanti… non aveva senso continuare.
Io lo amo ancora…
Sam cadde in ginocchio, sul sangue e sulle piume. Si coprì il volto per la vergogna di aver massacrato una creatura di Dio, pregando di potersi nascondere, pregando di cadere all’inferno seduta stante per aver semplicemente osato odiare qualcuno come Gabriel che aveva sempre guarito il mondo, fasciandogli le ferite, aiutando il prossimo, sostenendo chi ne aveva bisogno.
All’improvviso, un sobbalzo. Il cuore di Sam sussultò e fremette di dolore, reagendo al segnale di pericolo che gli si accendeva nel petto.
-No…-
Un lampo di luce, un marchio di sei ali gigantesche impresso sull’intera parete di roccia in memoria del dolore e del lutto appena subito. Quando Sam Winchester alzò gli occhi dal sangue versato con mano spietata, Gabriel non respirava più e il suo sguardo vacuo ormai si perdeva sul vuoto della morte.
-No… no, non te ne puoi andare! Non puoi… non puoi lasciarmi qui…-
Sam si trascinò fino al corpo di Gabriel e si accoccolò al suo fianco, stringendoselo al petto. Sentiva il gelo delle sue membra, la rigidità del corpo, il sangue sulle mani. Era tutto un incubo, eppure era stato lui stesso, Sam, a renderlo reale. Aveva odiato, perso fiducia, dimenticando che anche quando lui aveva commesso errori, Gabriel non l’aveva mai abbandonato ed era sempre stato pronto a perdonare e a proteggerlo, lasciandosi alle spalle ogni ostilità.
È davvero così fantastico l’uomo, Gabriel?
Sam singhiozzò, affondando il capo nei capelli di Gabriel. Da qualche parte, poco lontano da loro, Sindragosa lanciò un grido lacerante di disperazione per aver perso il suo compagno, il suo angelo, il suo amico più prezioso. Il legame tra Gabriel e il suo Behemah, infine si spezzava.
-Ti prego… ti prego, non andare via… non…-
Una luce dirompente esplose dal nulla come una supernova, irradiando raggi di sole biancastro sull’intero monte, fino ai suoi piedi, dove una cascata di fasci luminosi piovve morbidamente sulle rocce, ricoprendole di erba, alberi e fiori.
L’aria si fece leggera e più pulita, improvvisamente priva della pesante umidità data dalla pioggia imminente e mentre Sam alzava gli occhi verso quella luce accecante ma meravigliosa come niente di terreno mai lo sarebbe stato, delle creature toccarono il terreno con piedi leggeri di spiriti. Solo il piccolo tonfo cristallino di un’armatura di diamante che toccava il terreno parve reale, tangibile, al punto che dove quei piedi sfioravano la roccia, questa si ricopriva di tulipani dai colori evanescenti, cangianti, come se ogni petalo fosse fatto di purissimo vetro.
Sam sbatté le palpebre, cercando di penetrare quella luce, ma non ci riuscì. Si trattava sicuramente di un angelo, ma una luce tanto splendente non gli era mai apparsa agli occhi, perciò il cacciatore non la riconobbe. Aveva paura, ma era altrettanto disperato, perciò si alzò lentamente in piedi e barcollando, cadde ai piedi degli stivali d’armatura, unica parte del nuovo arrivato che riusciva a distinguere. Protese le mani sporche di sangue innocente e posò le dita su quegli stessi stivali, chinando il capo, prostrandosi totalmente dell’angelo.
-Ti prego…- singhiozzò. –Ti prego, fa qualcosa. So di essere umano, so di essere sbagliato, ma lui non ha fatto niente di male. Se sei davvero un guerriero di Dio, se Dio esiste e può realmente qualcosa, allora stendi la tua mano su di noi e riporta in vita il suo angelo più gentile. Prendi la mia anima, prendi tutto ciò che ho, ma ridai la vita a Gabriel che la merita più di me, che ha saputo perdonare, mentre io non ne sono stato capace e anziché agire col cuore, ho agito con l’odio e le percosse. Prendimi, se lo ritieni giusto, e trascinami all’inferno dove è giusto che stia.-
Sam pianse, si piegò ai piedi dell’angelo dal volto celato, stringendogli ancora la punta dello stivale. Dopo un attimo di pacifico silenzio, la creatura divina parlò: -Andresti dunque all’inferno per lui, Samuel Winchester? Sconteresti per quella creatura una punizione eterna?-
-Sì.- rispose il cacciatore. Non ebbe neanche bisogno di pensarci. Il mondo non se ne faceva niente di lui, mentre Gabriel aveva ancora tanto da fare, da insegnare, da vivere.  
-Il tuo sacrificio non gioverebbe al benessere di mio fratello, Sam, ma che questo ti sia di lezione. Impara a dar fiducia a chi la merita e diffida di coloro che si approfittano di tale sentimento. Guarda gli occhi, Samuel. In essi si ispira e si ispirerà sempre il vero di ogni azione. Dimmi, ora: hai mai scorto oscurità negli occhi di Gabriel quando ti parlava? Ha mai ferito qualcuno a te caro?-
-No, signore… me ne rendo conto solo ora, sono stato cieco.-
L’angelo parve annuire dall’alto della sua maestosità e infine avanzò, superando Sam con passo lento e misurato, come un leone le cui zampe enormi si muovono con calma e grazia. Raggiunse Gabriel, lasciandosi alle spalle una scia di luce celestiale e, poggiata una mano avvolta da un guanto d’armatura sulla fronte scarna del fratello, mormorò una bassa preghiera in enochiano.
Il corpo di Gabriel sussultò e fu scosso da un violento tremito. Le sue labbra si schiusero e infine, dopo giorni di lenta agonia, i polmoni liberarono un soffio d’aria pulita, vitale, che non sapeva più di morte, bensì di rinascita. Le palpebre tremolarono un istante prima che Sam corresse da lui e gli gettasse le braccia al collo ancor prima di vedergli aprire gli occhi.
Gabriel mugolò di dolore, ma Sam non lo lasciò andare. Sentiva il suo cuore pulsare di nuovo, lo sentiva davvero!
-S… Sam?- gracchiò l’arcangelo, una volta riconosciuto il profumo dell’altro e la bassa risata musicale che gli sfiorava le orecchie. Sam stava bene e sembrava felice e tanto bastò a far sorridere Gabriel a sua volta. Sentiva nuovamente il peso delle ali, il respiro regolare, e le forze gli stavano ritornando. Cosa era successo?
-Stai… bene?- domandò Gabriel, accarezzando delicatamente i capelli dell’altro, che ancora nascondeva il viso nell’incavo della sua spalla. Gabriel inclinò appena il capo quando sentì qualcosa di bagnato sfiorargli la clavicola e quando capì che Sam stava piangendo per lui, sussultò. –Sam… cucciolo, che hai?-
-Mi dispiace…- singhiozzò Sam, stringendolo con quanta forza aveva in corpo. Non voleva separarsi da lui, non voleva sentirlo distante ancora una volta. Colpendo quanto aveva di più caro, aveva quasi ucciso se stesso e ancora adesso si sentiva logorato, spezzato in più parti. –Mi dispiace! Io ho… ti ho ferito, picchiato e strappato le ali e tu… tu te lo sei lasciato fare! Se solo avessi reagito, Gabriel, se solo avessi mosso un dito, avresti potuto spezzarmi il collo e andare avanti! Perché hai lasciato che ti facessi questo? Perché hai permesso che un abominio come me continuasse a respirare?-
-Guardami.-
Sam allontanò lentamente il viso dalla spalla di Gabriel per incrociare i suoi occhi, limpidi di serenità ritrovata. Stranamente, l’arcangelo sorrideva mentre gli carezzava la schiena con il tocco che avrebbe riservato a un fragile uccellino. La luce emanata dall’altro angelo, tingeva negli occhi di Gabriel un mondo luminescente, perfetto in ogni fantasiosa sfaccettatura di oro e smeraldo mescolati. Non vi era odio in quegli occhi, ma al contrario, Sam vi lesse soltanto un profondo amore. Singhiozzò di nuovo, e allora Gabriel ridacchiò, stringendolo più forte. Le ali, ritornate massicce e bellissime, avvolsero i due in un bozzolo di piume dorate e soffici come seta.
-Credo che qualcuno qui voglia parlare con te.- gli sussurrò Gabriel all’orecchio mentre, sempre stringendo Sam, si dava una spinta per alzarsi prima a sedere e poi in piedi, trascinandosi dietro il cacciatore. L’arcangelo scansò le ali, ripiegandole dietro la schiena in un muro ampio e meraviglioso e infine si separò a malincuore dal suo umano, costringendolo a voltarsi. Gli diede una piccola spinta che lo fece incespicare verso l’angelo luminoso.
-Ma cosa…-
Lentamente, sotto gli occhi attoniti di Sam e quelli ridenti di Gabriel, la luce sfumò, trasformandosi in un bagliore fioco e delicato come un petalo di orchidea. Lì, in piedi sulla roccia e davanti a Gabriel e Sam, c’era l’arcangelo Castiel, la cui armatura lucente, mista alla spada ancora stretta in pugno, lo trasformavano nel più bello e il più terribile degli angeli vendicatori. Poteva essere il braccio destro di Dio, la stella più lucente del mattino e l’astro nascente dell’alba, ma era pur sempre Castiel, tornato dagli inferi… con a seguito Dean, Mary e John Winchester.
-Non è… possibile.- mormorò Sam, cadendo in ginocchio con le braccia abbandonate lungo i fianchi e gli occhi fissi sui volti ridenti della sua famiglia.
Castiel fece un passo indietro mentre Gabriel lo raggiungeva per stringerlo in un abbraccio fraterno, le ali che si incastravano per salutarsi e riscoprirsi. Nello stesso istante, Dean spiccò una corsa e, una volta raggiunto suo fratello, lo abbracciò come non aveva mai fatto in vita sua, se non quando Sammy era bambino, e lo stesso Sam ricambiò la stretta, commosso. I due chiusero gli occhi per non piangere ancora, anche se Dean sembrava seriamente in procinto di piangere.
Aveva affrontato il gelo del Cocito, i mastini infernali, le grida terrificanti dei dannati, eppure era lì, a riscoprire il calore di un abbraccio amico e la bellezza del mondo reale, vivo. Aveva mantenuto se stesso, e adesso andava tutto bene.
I due si separarono lentamente, e allora Sam posò gli occhi sui genitori che si inginocchiavano al loro fianco, luminosi come spiriti benigni. Entrambi strinsero il figlio in una stretta piena di amore e fierezza per ciò che Sam era diventato nonostante gli errori, le difficoltà, il bene e il male affrontato. Era sempre il loro bambino, il ragazzo che Mary aveva dato alla vita e che John aveva cresciuto alla maniera di un cacciatore. Non si erano mai persi un attimo delle vite dei loro figli, e mai l’avrebbero fatto, fino alla fine; fino al giorno in cui Sam e Dean li avrebbero raggiunti e sarebbero stati con loro lì dove era giusto che infine dimorassero.
Erano una famiglia… qualunque difficoltà fosse nata, l’avrebbero affrontata a modo loro, scegliendosi a vicenda come avevano sempre fatto.
-Sei diventato bellissimo, tesoro.- sorrise Mary, accarezzando i capelli del figlio. Sam la guardò con occhi lucidi: non ricordava cosa significasse specchiarsi nelle iridi chiare della madre, né aveva memoria del suo tocco e della sua voce. Adesso aveva una mamma, un volto da ricordare dal vivo, e non attraverso una foto o un ricordo sfuocato.
-Mamma…-
Lei annuì, e strinse Sam al petto, chiudendo gli occhi. Quando infine i due si separarono, il ragazzo guardò John, ricordando in quanti modi l’avesse affaticato e litigato con lui. Prima che morisse avevano discusso, eppure non c’era rabbia negli occhi di John Winchester, che, al contrario, gli lasciò una pacca sulla spalla.
-Non avevi bisogno di una guida per diventare un grande, figliolo. Per quanto sia triste pensare che per tanti anni abbiamo perso tempo a litigare inutilmente, ora lo so: non hai mai dimenticato cosa è davvero importante.-
Sam annuì lentamente, incapace di parlare, e mentre Dean sorrideva sornione, i due Winchester si alzarono in piedi e guardarono Castiel, che intanto, li fissava di rimando. Al suo fianco, c’era Gabriel, luminoso come un sole mentre la luna in persona emanava i suoi raggi dal fratello dalle ali argentate. Erano un incastro perfetto per formare l’ottava e più bella meraviglia del mondo.
-Che ne sarà di noi?- chiese Mary, avvicinandosi a Castiel, che inclinò il capo e sorrise con la dolcezza di un padre che osserva i figli crescere.
-Di voi sarà ciò che sapete di meritare. Nessun giusto sarà mai più ammesso all’inferno, non finché sarò in vita, perciò sia la vostra anima destinata all’eterna beatitudine. Provvederò personalmente affinché vi sia destinato il più bello dei paradisi.-
Mary si coprì la bocca con una mano e annuì, felice. Si appoggiò al marito, che le cinse le spalle con un braccio mentre la luce intorno a Castiel si faceva più intensa. Un attimo prima che questa diventasse accecante, Mary e John si voltarono verso i figli e sorrisero, finalmente sereni e felici del domani che li aspettava.
-Vi vogliamo bene.- dissero insieme in un sussurro che riempì i cuori dei due fratelli di felicità.
La luce aumentò, divenne accecante, e mentre una cascata di Grazia divina pioveva tra le rocce come rugiada purissima, Mary e John Winchester sparirono.
§§§§
Castiel sedette compostamente davanti alla porta di casa Singer. Quando Bobby l’aveva rivisto non aveva esitato a stringerlo in un abbraccio, accogliendolo come un figlio, un pezzo perso e poi ritrovato. L’aveva fatto entrare in casa ed era quasi scoppiato a piangere quando aveva visto Sam e Dean camminare al fianco di Gabriel. Stavano tutti bene, erano vivi e il figlioccio che credeva di aver perduto per sempre quando il corpo era scomparso all’improvviso, adesso lo stringeva con forza, ringraziandolo della fiducia che aveva sempre avuto in lui.
Era stata una scena commovente e anche tremendamente intima, al punto che alla fine Castiel aveva voltato loro le spalle ed era uscito, lasciandoli alla loro privacy familiare. Anche se forse, Bobby lo considerava davvero alla stregua di un figlio, Castiel sapeva che non sarebbe mai entrato nella famiglia quanto Sam e Dean. Lui era diverso, e in quanto angelo, non sarebbe mai stato come loro… mai.
-Pensieroso, fratellino?- domandò Gabriel, raggiungendolo. Aveva le mani in tasca e guardava davanti a sé come se stesse studiando attentamente il tramontare del sole. Anche lui, come Castiel, aveva ritratto le ali e adesso sembrava un normalissimo essere umano.
-Un po’.- rispose Castiel.
-Credevo avessi avuto abbastanza tempo per pensare, mentre eri lì sotto.-
-Lo credevo anch’io, ma non avrei mai immaginato che avresti mandato Dean a riprendermi. Dovrei essere furioso con te, sai?-
-Probabile, ma sai bene che ho fatto quel che ho fatto semplicemente per impedire che se ne occupasse Crowley al mio posto, magari pretendendo in cambio l’anima del dolcetto alla crema.-
-Dean non l’avrebbe mai fatto.-
-Ne sei sicuro?-
Castiel incontrò gli occhi del fratello, che sorrideva lievemente e con aria gentile. No, Castiel non ne era affatto sicuro. Insomma, Dean era corso all’inferno per salvarlo, chi gli assicurava che pur di riuscirci non avrebbe venduto la sua anima a Crowley stesso?
-Dubbi? Tranquillo, ci siamo passati tutti.- disse Gabriel, agitando una mano con noncuranza.
-Non hai mai detto agli altri dove mi trovassi. Non pensavo che avresti resistito tanto tempo.-
-Infatti, alla fine ho ceduto. In qualche modo ti avrei tirato fuori, fratellino, ma era giusto che fosse il tuo umano ad occuparsene. A volte gli uomini sono bambini, e tocca a noi angeli crescerli e condurli sulla giusta via… com’è che ci chiamano, alcuni? Ah, sì! Angeli custodi. Sai, se questa cosa fosse vera, potrei affermare con certezza di essere l’angelo custode di Sam.-
Gabriel dondolò il corpo avanti e indietro, spostando il peso dal tallone alla punta dei piedi. Tornò a fissare con serenità il tramonto, senza abbandonare il sorriso. Aveva creduto di non poter più vedere alcun tramonto, alcun brandello di luminosità che potesse rischiarargli la vita, eppure ce l’aveva fatta.
Castiel sorrise timidamente. –Sai… credo che sia vero che in fondo, la storia ha il brutto vizio di essere molto ripetitiva. Anni fa fui io a discendere all’inferno per salvare Dean, e adesso le posizioni si sono invertite e lui è corso in mio aiuto…- mormorò, pensieroso, fissando anche lui il sole morente. Nei suoi occhi blu si creò uno spettro luminescente che danzò intorno alla pupilla ristretta per la troppa luce.
-Credo di sì, ma non penso che sia la storia il problema. Siete voi. Vi ritroverete sempre, in qualsiasi luogo e in qualsiasi epoca. Le tue ali sono al servizio di quel ragazzo, Castiel, così come le mie sono rivolte verso suo fratello. Forse era scritto dall’inizio che se avessimo dovuto trovare una fine… l’avremmo trovata per proteggere loro.-
-Perché parli così?-
-Perché quei ragazzi pensano di averci salvati e di aver cambiato il corso della storia impedendomi di morire e salvandoti dal Cocito. In parte è così, ma conosci quanto me l’esito che troveremo alla fine di questa battaglia. La guerra è guerra, e porta sempre vittime. Noi non saremo i primi e neanche gli ultimi, ma prima che giunga la fine, voglio essere sicuro che Sam abbia la forza per andare avanti e ti consiglio di fare lo stesso… il tempo che abbiamo è poco.-
Castiel si guardò le mani, triste per le parole dure del fratello. Una volta, quando era ancora giovane, aveva chiesto a Raphael se in tutta la sua esistenza Gabriel avesse mai mentito, e allora l’arcangelo gli aveva risposto: -Mai. Gabriel non è un tipo che va molto per il sottile, perciò se non sei sicuro di poter sopportare la risposta, evita di porre qualsiasi domanda a tuo fratello.-
Adesso, Castiel capiva. Per qualche istante aveva dimenticato e quasi superato l’idea di dover morire a breve, ma Gabriel l’aveva riportato con i piedi per terra. Dean l’aveva salvato dalla dannazione, ma non dalla morte, e quando fosse giunto il momento, Castiel avrebbe affrontato il suo destino al fianco dei suoi fratelli. Era colpa sua se era accaduto tutto questo, perciò stava a lui rimediare, e Gabriel, Samael e Balthazar l’avrebbero seguito.
Era stato Castiel a distruggere il Paradiso.
Era stato Castiel a voler finire nel Cocito.
Era Castiel che adesso doveva porre fine alla devastazione che si era lasciato alle spalle in quegli ultimi due anni.
-Resterai con me?- chiese allora l’angelo dagli occhi blu, guardando spaventato suo fratello. Gabriel sorrise e gli fece l’occhiolino mentre gli ultimi rimasugli di luce morivano all’orizzonte, strangolati nelle spire della notte che scendeva.
-Fino alla fine, fratellino.-
§§§§
Quando Samael aprì gli occhi, era ormai notte inoltrata e i raggi lunari dipingevano un’atmosfera nebulosa intrisa di irrealtà nella casa rinascimentale situata poco fuori la cittadella.
Samael mugugnò e stese un braccio al suo fianco per cercare il corpo morbido di Mary, ma non trovò che il materasso e la totale assenza di calore umano sotto le coperte. Questo fece scattare in piedi l’angelo, che corse allarmato fuori dalla stanza e aprì tutte le porte, rovistando in ogni camera alla disperata ricerca della cacciatrice. Sentì la paura attanagliargli le viscere e l’ansia crescere di attimo in attimo. Chiamò Mary un paio di volte, ma lei non rispose. Alla fine però, Samael si bloccò e volse lentamente il capo verso l’ultima porta in fondo al corridoio. Una debole sonata di pianoforte proveniva dalla stanza, giungendo ovattata alle orecchie dell’angelo.
Samael raggiunse cautamente la porta e la aprì, pronto a difendersi, ma non ce ne fu bisogno: Mary sedeva davanti a un pianoforte nero, lucido, con un candelabro antico poggiato sul ripiano dello strumento. La ragazza aveva gli occhi chiusi e il volto rilassato mentre le dita scivolavano leggere sui tasti bianchi e neri, accarezzandoli con tocchi veloci, fugaci e quasi sfuggenti, come lo sbattere continuo di un’ala di farfalla. La melodia che ne usciva, era venata di pace, tranquillità e magia. Pur priva di un cantante, la canzone parlava da sé, narrando una storia antica, arcana e bellissima, quasi senza tempo, che Samael apprezzò al punto da chiudere gli occhi e appoggiarsi al muro, finalmente rilassato.
Castiel. Quella melodia gli ricordava Castiel. Ogni nota profonda richiamava la tonalità marcata della sua voce, così come ogni spartito melodioso e aggraziato riconduceva alle movenze e all’aspetto dell’arcangelo più potente del paradiso. Era Castiel il pensiero felice di Samael, il suo piccolo angolo di pace in cui trovava sempre rifugio.
-Non sapevo che fossi qui.- disse una voce appena allarmata, che lo destò dai suoi pensieri. Samael guardò Mary, che si era legata i capelli in una crocchia morbida e indossava un lungo abito cremisi col corpetto e la lunga, morbida gonna di seta.
-Quello dove l’hai trovato?- domandò Samael, facendo arrossire la ragazza, che giunse le mani in grembo e abbassò gli occhi.
-Io… ho curiosato nel guardaroba della padrona di casa e… ho trovato questo, non volevo…-
-Ti sta benissimo.-
Mary alzò gli occhi di scatto e incontrò quelli dolci di Samael. L’uomo sorrise sornione, bellissimo con quell’aria scombinata e gli occhi ancora lucidi per lo stato di semitrance in cui era caduto, cercando di imitare il normale sonno umano. Alla fine, Samael si allontanò dal muro e raggiunse Mary, scivolando al suo fianco sullo sgabello con la sveltezza e la grazia di un felino. Lei lo fissò stupita quando Samael appoggiò le mani sui tasti lisci del pianoforte.
-Chi ti ha insegnato a suonare?-
-Quando ero piccola ero nel coro della chiesa e lì c’era un pianista molto anziano. Fu lui ad appassionarmi allo strumento e alla fine… alla fine ho semplicemente continuato ad allenarmi.-
-Sei brava.-
-Non è vero, ho sbagliato un sacco di volte.-
-Se l’hai fatto, hai saputo coprire bene i tuoi errori.-
Samael le strinse una mano, intrecciando le dita con le sue. Mary osservò affascinata quell’incastro perfetto bagnato dalla luce fioca della luna che quasi come una benedizione cadeva sulle loro mani. Dopo un po’, Samael condusse il palmo di Mary ad appoggiarsi contro i tasti dello strumento e infine sciolse la stretta.
-Suona di nuovo, ragazzina. Ti insegnerò come un angelo suona il pianoforte.-
-Modesto, eh?-
-Tu lo saresti se avessi potuto seguire attentamente i progressi e gli apprendimenti di Beethoven sin da quando era bambino?-
Mary spalancò la bocca, stupita, ma alla fine sorrise. A stento si accorse, più tardi, di aver passato l’intera notte davanti a un pianoforte senza avere il minimo sentore dell’ala calda e morbida che le copriva le spalle, proteggendole dal freddo, e irradiando una calda luce bronzea sulle pareti della stanza.
§§§§
Il bar a quell’ora notturna era quasi vuoto e privo di clienti. Solo qualche cameriera si aggirava tra i tavolini, ripulendo di tanto in tanto i ripiani lucidi, aggiustando le sedie, ritirando le mance lasciate dai clienti.
Era tutto tranquillo, esattamente un giorno come un altro. Tra meno di mezz’ora avrebbero chiuso.
La porta si aprì cigolando, accompagnata dallo scampanellio della campanella affissa in cima allo stipite della porta. Sherlie, la cameriera bionda dal viso dolce che stazionava al bancone, rivolse gli occhi azzurri verso l’entrata e trasalì quando vide un uomo alto, con addosso una felpa il cui cappuccio gli celava il volto quasi per intero. Era un rapinatore? Per sicurezza, Sherlie fece scivolare il dito sul bottone d’allarme, senza tuttavia premerlo.
L’uomo si diresse verso il bancone e sedette con un gesto fluido e quasi felino, tanto erano naturali i suoi movimenti.
-Un caffè, per favore.- disse con voce talmente melodiosa che Sherlie sospirò e tutte le cameriere si girarono a fissarlo, stupite e affascinate. Notando l’immobilità di Sherlie, l’uomo si sporse leggermente. –Si sente bene?-
La ragazza si riebbe con un sussulto. –Io… sì, certo!- esclamò, imbarazzata. Arrossì fino alla punta dei capelli e subito si adoperò per preparare il caffè ordinato mentre l’uomo appoggiava i gomiti al bancone e voltava il capo verso la porta a vetri.
-Brutto tempo, vero?-
-Non direi, signore.-
-Oh, ci credo. Sei sempre stata ottimista, Sherlie.-
Sherlie si irrigidì prima di voltarsi di scatto, finendo quasi per rovesciare la tazzina ancora vuota che aveva poggiato sul bancone. –Come sa il mio nome?- si allarmò, inquieta.
-È scritto sul cartellino.- rispose l’uomo, indicando il petto della ragazza, che arrossì e si grattò la nuca, imbarazzata.
-Oh… mi scusi.-
-Non c’è problema.-
-Ma come può dire che sono ottimista?-
-Non è la prima volta che vengo qui. Sorridi sempre, quando servi ai tavoli.-
-Davvero? Eppure non ricordo il suo tono di voce.-
-Questo perché non ci siamo mai parlati.-
 Sherlie annuì brevemente, cercando discretamente di scorgere il viso del cliente mentre gli serviva il caffè bollente. Quello afferrò la tazzina e bevve un sorso senza sollevare il capo, così la ragazza tornò a sciacquare le tazzine rimaste nel lavabo.
-Allora, come ti chiami?- chiese, ma non ricevette nessuna risposta. –Ehi?-
Sherlie sollevò gli occhi, osservando stupita lo sgabello vuoto e la banconota da dieci dollari abbandonata accanto al caffè bevuto a metà. Dello sconosciuto non vi era più traccia, tanto che se non fossero rimasti i rimasugli dell’ordinazione ancora poggiati sul bancone, la cameriera avrebbe pensato di essersi semplicemente immaginata tutto.
Sherlie si passò una mano tra i capelli, stranita. –Che strano tipo…- mormorò, afferrando la banconota e voltandosi senza notare l’uomo alto e magro che, invisibile a occhi umani, stazionava con la schiena appoggiata allo stipite della porta. Aveva visto abbastanza, e forse era ora di ricongiungersi a Castiel e agli altri. Dopotutto, lo stavano aspettando, e Balthazar non vedeva l’ora di raccontare il suo trascorso ai fratelli. Probabilmente, nessuno di loro gli avrebbe creduto una volta ascoltata la sua buffa quanto insolita storia dell’anno passato. In effetti, anche lui stentava a crederci… ma forse sarà meglio andare per ordine.
 
Angolo dell’autrice:

Prima di cominciare con i miei soliti squilibri mentali, vi propongo un piccolo test, e vorrei conoscere i vostri pareri leggendo le vostre risposte alla seguente domanda:
Dell’intera storia, il carattere di quale personaggio vi ha colpiti di più?


E finalmente rientra in campo Balthazar!!! Come forse avrete capito, il prossimo capitolo parlerà della sua storia e finalmente faremo un po’ di luce sull’intera vicenda. Innanzitutto, chiariremo l’identità di uno dei personaggi misteriosi, perciò spero di… di… che cacchio ci fa qui una scia di bava di lumaca? GABRIEEEEL!!!!
Gab: che c’è?!
Non… Dio Santo, dove hai trovato quell’accappatoio ricoperto di Darth Vader junior?
Gab: era in offerta su internet! E non hai visto niente, se premi il pulsante che ho sulla chiappa destra le mini spade-laser si illuminano! Ti rendi conto?! È meraviglioso!
E scommetto che anche quella cuffia decorata con le paperelle fluorescenti è stata ordinata via internet, vero?
Gab: no, quella me l’ha prestata tua nonna…
Ma mia nonna è morta!
Gab: ……………………………………………….
………………………………………………………………..
Gab: ecco perché quella vecchietta era così inquietante… in effetti, credo di aver notato che le mancasse un pezzo di cranio, ma non ne sono sicuro e… Tomi? Tomi?!

Shiva_: di Dean e gli altri parleremo prossimamente, ma nel prossimo capitolo si darà la priorità al nostro trascuratissimo Balthazar che per protesta si è chiuso in stanza dopo avermi riempito la camera di uova di struzzo marce. Insomma, gli dobbiamo un capitolo prima che mi faccia esplodere la casa, e poi tutte le risposte le ha lui e capirete perché! Ohohohohoh! Samael e Mary hanno ancora il loro piccolo ruolo da giocare, ma poco a poco costruiranno una gran bella coppietta, se il nostro angelo non fa il cretino. Be’, detto ciò, ti ringrazio per il bellissimo commento e spero di sapere anche in questo caso cosa ne pensi del capitolo! Un bacione!
kimi o aishiteru: anche l’appendicite adesso? Ora come ti senti? Castiel, prendi il siringone, abbiamo una moribonda! Eh? No, il siringone, quello con l’ago largo come il mio braccio, tanto non le servono entrambe le chiappe per sopravvivere! Eh, adesso che Cass è tornato bisogna vedere come reagirà il nostro Samael, e credo che non la prenderà bene. Insomma, Cass è rimasto all’inferno per più di un anno, come minimo Samael darà di matto quando lo verrà a sapere, e la stessa Mary reagirà in maniera tutta sua. Al cospetto di Gabriel, Sam non ha… ehm… esattamente reagito come speravamo. Insomma, ancora un po’ e lo faceva fuori lui il nostro arcangelo, e dopo chi la fermava la folla di fan girl a caccia. Quelle sì che sono cacciatrici, altro che Winchester. Detto ciò, ti ringrazio e ti saluto con un mega abbraccio virtuale! Hasta la vista!
HowlingFang: ma certo che mi sono ricordata di te! Le tue recensioni sono sempre appassionate e sono felice che la storia ti piaccia tanto! Come potrei dimenticarti! Eh, in realtà qui qualche cretino di cui non farò il nome (fissa Gabriel) sta organizzando una gara di lumache con staffetta. Cioè, una gara! Di lumache! Nel MIO corridoio! E ci credo che Gabriel in paradiso non ci torna, se combina questo casino anche ai piani alti, c’è da chiedersi se Dio non me l’abbia sbolognato qui come punizione suprema peggio delle dieci piaghe d’Egitto. Insomma, di tanto in tanto anche il Signore vorrà un po’ di tregua, e questo imbecille piumato non è capace di stare buono! In ogni caso, sono felice che il mio stile di scrittura ti piaccia, così come sono felicissima di essere riuscita a farti immaginare ciò che immaginavo io. Davvero, commenti del genere mi lasciano con gli occhi lucidi e un pizzico di autostima in più, perciò ti ringrazio col cuore e ti abbraccio virtualmente. Spero di aver scritto un altro capitolo degno della tua attenzione e di un altro dei tuoi bellissimi commenti! A prestissimo, e grazie ancora!
Sherlocked: in questo capitolo? Solo in questo capitolo i personaggi fanno di testa propria?! Qui è una baraonda! E io devo ancora capire perché ho il quadro della Monna Lisa nascosto nello sgabuzzino! (Quella non era la Monna Lisa… Gabriel ha fatto una foto a Sam e… insomma, la somiglianza è tremenda. Sospettiamo che Sam abbia qualche parentela nascosta nell’albero genealogico, perciò Gabriel è andato a chiedere ai piani alti. Quando scoprirà che i Winchester sono parenti lontani di Giacomo Leopardi gli verrà un ictus. Lui odia Giacomo Leopardi. Nd Balthazar)( Ma che cazz… aspetta, ecco perché prima si è messo a piangere!). Oddio, hai qualche idea riguardo alla coppia misteriosa che ho menzionato nel capitolo precedente? Dai, dimmi di chi pensi che si tratti, i vincitori avranno in regalo questo splendido arcangelo Gabriel imbalsamato per cause di forza maggiore quali l’abbattimento della parete del bagno e l’esplosione del mio cassetto di biancheria intima dove, tra parentesi, già da un giorno stazionava una pecora sfuggita al gregge di qualche pastore che non sa fare il suo lavoro! Ohohohohoh, il comicon si avvicina carissima, e io voglio assolutamente abbracciare la fantastica lettrice che mi da fiducia ogni volta che legge la mia storia, spendendo tempo e pazienza dietro le cavolate che scrivo. Grazie del commento spassosissimo, come al solito!
Tomi Dark Angel
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 14
*** Due Anni Prima ***


Due anni prima…
La palpebre di Balthazar tremolarono, infastidite dai primi raggi dell’alba. Un frastuono come di acqua che cadeva gli trafiggeva il cervello insieme alla sensazione di qualcosa di caldo che gli colava tra le piume. Sbatté le palpebre, e d’improvviso, ricordò: il Paradiso era stato attaccato, gli angeli dispersi o ammazzati come mosche da una forza animale che aveva fatto tremare le fondamenta dell’aldilà. Erano stati Castiel e Gabriel a intercettare quella forza, ma Balthazar non ricordava cosa fosse accaduto dopo. Aveva fatto qualcosa di importante prima di cadere dal Paradiso, rischiando di spezzarsi tutte le ossa del corpo se solo non fosse riuscito a sbattere faticosamente le ali all’ultimo momento.
Cosa doveva ricordare?
Balthazar aprì lentamente gli occhi, sbattendo debolmente le palpebre. Il frastuono che gli tartassava le orecchie non accennava a diminuire, perciò l’angelo prestò attenzione all’ambiente circostante per accertarsi di trovarsi al sicuro.
Non fu una buona idea, per niente.
Ciò che videro gli occhi di Balthazar una volta apertisi, fu un precipizio di rocce sulle quali si schiantavano tonnellate e tonnellate d’acqua vorticosa, purissima, ma violenta. Quello strapiombo era profondissimo, tanto da far quasi venire le vertigini a un angelo come lui. Balthazar cercò di indietreggiare, trascinandosi all’indietro sul bordo della conca d’acqua che rischiava di precipitarlo verso una fatale caduta, ma appena l’angelo mosse il corpo, sentì una forte scarica di dolore attraversargli il corpo da capo a piedi. Balthazar urlò, esplodendo nell’aria il suo grido angelico, che all’istante cominciò a spaccare alcune pietre lungo il precipizio. Il corpo gli faceva malissimo, ma Balthazar capì che non era quello il problema: le ali. Si era spezzato entrambe le ali.
Balthazar cercò di farsi forza per costringersi a muoversi, ad alzarsi in piedi, a cominciare la ricerca dei suoi fratelli perduti o forse addirittura morti, ma il dolore alle ali lo costringeva a restare prono sulla sporgenza rocciosa e bagnata. Doveva essersi schiantato contro la parete rocciosa prima di riuscire a riprendere quota, per essersi ridotto così. Non era un buon segno, le ferite alle ali potevano metterci mesi a rimarginarsi.
Balthazar tremò, colto improvvisamente dal freddo alle ossa per gli abiti fradici che indossava. Non era da un angelo sentire freddo o caldo, ma quella situazione di totale impotenza e vulnerabilità lo rendeva fragile sotto ogni aspetto, avvicinandolo stranamente all’essere umano. Chiuse gli occhi, respirando a fondo e cercando di farsi forza per impedirsi di crollare al ricordo dell’accaduto in paradiso. Come fosse arrivato lì vivo, era ancora un mistero. Forse avrebbe dovuto ringraziare Castiel per aver intercettato l’invasore…
All’improvviso, una mano calda si posò sul suo capo, facendolo sussultare e agitare. Balthazar mosse istintivamente le ali, ricavandone un’altra scarica di dolore che lo fece urlare più forte di prima.
-Calmo, non ti farò niente.- disse allora una voce melodiosa come la morbida melodia delle arpe suonate dagli angeli all’ingresso del paradiso. Era un suono così bello che Balthazar smise all’istante di urlare e sbarrò gli occhi, sorpreso che potesse esistere al mondo una voce tanto cristallina. Alzò appena lo sguardo, ma dalla posizione in cui si trovava vide soltanto una sagoma in controluce. Le fattezze del nuovo arrivato erano umane, ma nessun uomo avrebbe mai potuto avere una voce del genere, né un profumo così intenso e rilassante… chi era quello sconosciuto?
-Riposa, sei al sicuro.- mormorò l’estraneo con voce così dolce e melodiosa che Balthazar non tentò nemmeno di resistere al sonno e alla fiducia cieca che quella presenza gli ispirava. Sicuramente, se l’estraneo gli diceva che andava tutto bene, doveva essere vero.
§§§§
Profumo. Quell’odore Balthazar non l’aveva mai sentito, ma era il più bello che avesse mai annusato. Era uno strano miscuglio di fiori di lavanda e vaniglia leggermente spiccata. C’era pure qualcos’altro, ma per quanto si sforzasse, Balthazar non riuscì a identificarlo. Era buffo trovarsi in una situazione di totale dormiveglia e vulnerabilità che tuttavia non lo preoccupavano affatto. Stranamente, si rese conto l’angelo, il dolore alle ali era scomparso. Mosse appena il muscolo, riprendendo lentamente coscienza di se stesso, e si trovò ad affondare le dita nell’erba soffice di quello che sembrava un… prato? Sbagliato.
Balthazar aprì lentamente gli occhi e si accorse di avere la testa poggiata contro la radice sporgente di un’immensa quercia secolare. Tra le fronde imponenti che si stiracchiavano rilassate sopra la sua testa filtravano sottili raggi di sole dorato, che piovevano sul manto erboso come tanti filamenti brillanti intrisi di magia. Tutto intorno alla piccola radura soleggiata, si svolgeva un incastro di alberi, cespugli e piante fiorite che Balthazar classificò automaticamente e all’istante senza difficoltà: dopotutto, avere una mente anziana come la sua aveva i suoi vantaggi.
C’era pace, tranquillità, e un morbido silenzio sonnacchioso, come se ogni pianta e ogni animale della foresta fosse in procinto di svegliarsi da un lungo sonno incantato. Da quanto tempo il sole fosse sorto, Balthazar non avrebbe saputo dirlo, così come non poteva decretare quanto a lungo avesse riposato, chiuso nel dormiveglia nel quale si rifugiavano gli angeli una volta giunti allo stremo totale delle energie. Voltò appena il capo, spostando lo sguardo sulle morbide appendici piumate che dal bianco sfumavano all’azzurrino, fino a raggiungere un’intensa tonalità zaffiro. Ogni piuma pareva un gioiello prezioso, lucente come madreperla, rifinita di bellezza e accurata lavorazione divina. Non c’era traccia di sangue tra le penne, come se qualcuno le avesse ripulite con accuratezza, devozione e pazienza, pezzo dopo pezzo, senza curarsi della stanchezza. A guardarle meglio, anche le ossa sembravano tornate al loro posto.
Balthazar si alzò lentamente a sedere, stordito. Ripiegò timidamente un’ala, ma non avvertì alcuna stilettata di dolore.
-Stai meglio, vedo.- disse una voce melodiosa che ricordò all’angelo del suo incontro con lo sconosciuto.
Balthazar levò lentamente lo sguardo sul nuovo arrivato e ciò che vide lo pietrificò sul posto. L’uomo che aveva davanti era la più meravigliosa delle creature che l’angelo avesse mai visto. Era dieci volte più bello di Castiel e Gabriel messi insieme, tanto che il suo viso da solo avrebbe fatto volentieri impallidire la più raffinata delle opere naturali esistente al mondo. Nemmeno il Paradiso, in tutta la sua divina magnificenza, aveva mai visto una creatura del genere, di questo Balthazar ne era più che sicuro.
L’uomo che aveva davanti aveva morbidi capelli color del grano che dai lati del volto si avvitavano in ricci definiti, che tuttavia non rendevano gonfia la sua chioma, ma al contrario, la modellavano con fare aggraziato. Di tanto in tanto un ciuffo ribelle gli cadeva davanti a un occhio, sul viso scolpito ad arte da mano divina, che in tutta la sua millenaria abilità si era prodigata nel non commettere alcun errore su quel concentrato di grazia e magnificenza che sembrava racchiudersi negli zigomi alti, nelle labbra cesellate, nel naso dritto e negli occhi dal taglio appena allungato. Le iridi erano di un verde intenso che ricordava lo smeraldo, ma a tratti in quel colore dipinto in tutta la sua sconvolgente, bellissima tonalità, si scorgeva una traccia di giallo dorato che guizzava di tanto in tanto, rendendo giustizia a uno sguardo che non aveva niente da invidiare agli occhi di Dio stesso. Lo straniero indossava semplicemente dei jeans laceri e una camicia sgualcita.
Balthazar boccheggiò, incapace di parlare. Tutta l’aria sembrava essergli fuoriuscita dai polmoni, bloccandogli il respiro in gola e facendogli strabuzzare gli occhi. Quell’uomo sembrava l’incarnazione di Dio stesso anziché di un angelo o di un banale essere umano. Qualunque classificazione di razza sembrava troppo scontata al cospetto di uno come lui.
L’uomo sorrise e raggiunse Balthazar, inginocchiandosi al suo fianco. Inclinò il capo in un gesto che ricordava Castiel e socchiuse gli occhi, studiandolo. –Sì, stai decisamente meglio.-
-Tu chi… chi sei?-
-Nessuno di importante, ma se vuoi darmi un nome puoi chiamarmi Belial.-
Balthazar annuì lentamente. Belial. Era un nome strano, ma l’angelo non riusciva ad associarlo a nessuno dei suoi fratelli. Dannazione, se avesse visto una creatura così bella in Paradiso, ci avrebbe fatto caso e si sarebbe ricordato di lui. Possibile che fosse un angelo ancora superiore a Joshua, colui che di tutti loro era sempre stato il più vicino a Dio e quindi il più anonimo perché poco solito girovagare per il Paradiso? No, decisamente non era uno dei fratelli di Balthazar, e non sembrava nemmeno un demone.
-Belial… capisco, io sono Balthazar.-
-Lo so.-
-Come?-
-Tu non mi conosci, Balthazar, ma io conosco te.-
Belial spostò lo sguardo sulle sue ali e sorrise luminoso, lasciando il povero angelo a fissarlo stordito per almeno due minuti. –Sono guarite, vedo. Finalmente.- asserì Belial, soddisfatto.
-Sei stato tu a ripulirmi le piume?-
-Sì, perché?-
-Non… non eri costretto, deve essere stato un lavoraccio. Insomma, ricordo di aver avuto quantomeno metà ala sporca di sangue e adesso la vedo totalmente pulita.-
-Oh, non preoccuparti. Piuttosto, ce la fai ad alzarti?-
Balthazar scrollò le spalle per rispondere che non lo sapeva. Raddrizzò il busto con una certa fatica e piantò i piedi per terra nella speranza di riuscire a rimettersi in piedi, ma proprio quando sentiva di esserci quasi riuscito, le forze gli vennero a mancare e l’angelo crollò.
Belial lo afferrò al volo, cingendogli i fianchi con un braccio e posandogli l’altra mano sul petto. Automaticamente, Balthazar si aggrappò a lui, stremato. Gli girava la testa e non capiva come fosse riuscito a ridursi in quel modo: esisteva davvero qualcosa di talmente letale da rendere tanto fragile un angelo per un lungo periodo di tempo?
-Che… che mi succede?- mormorò stordito, dondolando il capo nel tentativo di riprendersi. La stretta di Belial si accentuò mentre lo costringeva a stendersi nuovamente.
-Non lo so. Ti ho trovato così e per guarirti mi ci è voluto più tempo del previsto.- rispose Belial, lasciandolo andare. Gli passò una mano fresca sulla fronte sudata, facendolo rabbrividire. –Stai calmo, guarirai. Devi solo darti tempo, perciò riposa.-
Balthazar lo guardò, specchiandosi nelle iridi di un verde acceso che, ora che lo notava, in alcuni punti sfumava anche nell’azzurro e nel grigio. Dannazione, sembrava che quegli occhi non avessero un colore proprio, ma anzi, fossero destinati a cambiare sempre, come piccole punte di diamante attraversate dalla luce che scatenavano tutto intorno un mare di schegge arcobaleno.
-Resterai con me?- domandò, prima di riuscire ad impedirselo. Voleva sentirsi dire che c’era ancora una speranza, che Dio non lo avesse abbandonato del tutto e avesse mandato sulla sua strada un vero e proprio pezzo di se stesso per guidarlo, vegliarlo e prendersi cura di lui.
Belial gli accarezzò i capelli con dolcezza infinita e sorrise. –Sempre.- rispose, e allora Balthazar seppe che poteva farcela, che con l’aiuto di quella meravigliosa creatura sarebbe riuscito a guarire e a ritrovare i suoi fratelli perduti.
Si assopì così, col sorriso sulle labbra e la certezza di non essere più solo.
§§§§
I giorni passarono con una velocità impressionante. Balthazar dormiva molto e pacificamente, cullato dalla costante presenza di Belial al suo fianco. Il giovane uomo non si allontanava mai da lui, ma anzi restava costantemente al suo fianco e spesso gli accarezzava dolcemente i capelli in un gesto talmente innocente che non imbarazzò mai l’angelo. Ogni tocco di Belial era leggero, dolce, quasi puerile in tutto il suo candore e a malincuore, Balthazar dovette ammettere a se stesso di amare quella presenza sconosciuta ma talmente gentile da ricordargli continuamente che c’era ancora una speranza per se stesso, per il paradiso, e per una guarigione completa. Bisognava essere pazienti, e a Belial la pazienza non mancava affatto. Si occupava di lui, spesso lo aiutava ad alzarsi in piedi e, se se la sentiva, gli faceva muovere i primi passi, come un genitore sempre attento alla lenta crescita del fragile figlio.
Balthazar lo guardava spesso di sottecchi. Belial parlava poco e quando l’angelo gli porgeva una domanda, la evitava accuratamente con un sorriso o una risposta evasiva. Più volte Balthazar si era preoccupato di essere caduto in mano a un nemico, ma Belial non gli aveva mai fatto del male.
-Cosa ci fai qui, Belial? Come mi hai trovato?- domandò un giorno Balthazar mentre Belial, seduto al suo fianco, era impegnato a canticchiare una pacata melodia a bocca chiusa, oscillando di tanto in tanto il busto. Sentendolo parlare, si interruppe e lo guardò con occhi che adesso sembravano di un buffo quanto ammaliante grigio verde. Sorrise.
-Ero di passaggio. Sai che questo posto è una delle sette meraviglie del mondo? Non c’è da stupirsi che i visitatori ogni tanto passino.-
-Sì, ma tu non sei un visitatore. Sai cosa sono e sei riuscito a rimarginare totalmente la mia ferita. Questa cosa non è umana.-
-Non ho mai detto di essere umano.-
-Ma non vuoi rispondere alle mie domande. Cosa dovrei pensare, che sei un demone o qualcosa di peggio?-
Belial non rispose, ma anzi, continuò a guardare il cielo con aria assorta, come se stesse ponderando la risposta. Alla fine tuttavia, rimase in totale silenzio e questo mandò in bestia Balthazar, che tirò un pugno al terreno, creando una profonda crepa sul manto erboso.
-Dannazione, Belial! Rispondimi!- esclamò frustrato, ma l’altro rimase in silenzio. Allora Balthazar, ancor prima di riuscire a trattenersi, sbatté l’ala più vicina al giovane uomo, sfiorandogli il viso con le piume. Non si era accorto di averle rese affilate, non si era accorto di essersi infuriato tanto. Non se n’era reso conto, eppure era accaduto. Un lungo taglio trasversale attraversava il volto di Belial, partendo dalla guancia sinistra, scorrendo sul naso e morendo sotto l’occhio destro. Il tempo parve fermarsi, e anche il sangue attese qualche istante prima di colare dalla ferita, sulla pelle appena rosata e priva d’imperfezioni.
Belial si toccò il viso e ritrasse la mano, fissandola stordito e a stento cosciente di essersi ferito in maniera così violenta e improvvisa. Era stato un attimo, un istante di eccesso di rabbia, e Balthazar aveva intaccato l’opera più bella di Dio.
L’aveva salvato, curato, aiutato. Eppure, l’angelo gli aveva fatto ugualmente del male.
-Io…- cercò di parlare, ma Belial sorrise dolcemente, scuotendo il capo.
-Non è successo niente. È colpa mia, ti ho provocato una  volta di troppo e sei esploso. È tutto ok.- disse, passandosi un braccio sulla guancia nel vano tentativo di eliminare le tracce di sangue che purtroppo continuava a scorrere giù dalla ferita. –Non fa male, davvero.-
Balthazar cercò nuovamente di parlare, ma un tuono lo fece sobbalzare, bloccandolo. Guardò in alto, sopra le loro teste, e una goccia di pioggia gli cadde sul naso. In pochi istanti, a questa ne seguirono altre e altre ancora, finché non si scatenò il temporale. Belial si scostò i capelli bagnati dal volto, scoppiando in una candida risata.
-Be’, quantomeno la pioggia mi aiuterà a darmi una lavata!- scherzò, guardando il cielo con occhi luminosi.
Balthazar rimase a fissare incantato quell’uomo dall’aria gentile, angelica, capace di perdonargli azioni brutali che normalmente egli stesso non avrebbe cancellato dalla mente. Ogni cosa in lui gridava innocenza puerile e una semplicità tale che il suo semplice sorriso bastava a risollevare il cuore dell’angelo che lo guardava. Belial sembrava amare la pioggia quanto il sole, apprezzando la giornata così come veniva. Sembrava sempre pronto al sorriso, come se non avesse mai sofferto in passato e in quel momento, Balthazar desiderò conoscerlo davvero, non per avere la certezza di essere al sicuro, ma per guardare un po’ più a fondo nella storia di quella straordinaria creatura.
Spinto da un moto di proiettività verso tanta innocenza, Balthazar inarcò un’ala sopra le loro teste e li coprì entrambi senza sforzo, riparandoli dalla pioggia. Le gocce colavano tra le piume, le accarezzavano e le rendevano lucide e, se possibile, più brillanti di prima. Era una visione incredibile.
Belial guardò in alto, stupito. Sbatté le palpebre, poi guardò Balthazar con stupore, non aspettandosi un gesto del genere. L’altro distolse lo sguardo per nascondere l’imbarazzo e guardò altrove con aria fintamente burbera.
-Non stare sotto la pioggia, ti prenderai un raffreddore.- fu l’unica cosa che riuscì a sbottare, quasi infastidito dallo sguardo insistente dell’altro, che sorrise e, a sorpresa, si andò ad accoccolare al suo fianco come un gattino sperduto, randagio, ma incredibilmente dolce e gentile. Appoggiò la fonte bagnata contro la spalla di Balthazar e chiuse gli occhi in un’espressione stanca, quasi umana.
Se solo l’angelo avesse saputo, non sarebbe stato così gentile. Era solo questione di tempo, ormai, e poi Belial sarebbe dovuto tornare nell’ombra. Era il suo destino non essere accettato e vagare solo in un limbo incolore, condannato a non essere nero né bianco. Lui era un grigio, un nulla che per gli angeli andava semplicemente annientato, eppure aveva salvato Balthazar, si era occupato di lui e ancora adesso non demordeva. L’avrebbe aiutato fino alla fine, poi… poi il suo cuore avrebbe smesso di battere per mano dell’angelo biondo.
§§§§
-Non posso crederci… ce l’ho fatta…-
Balthazar sorrise, felice. Dopo due mesi di convalescenza, riusciva finalmente a stare in piedi senza sforzo. Si era sforzato di essere forte, e nonostante i momenti duri non fossero mancati, Belial l’aveva aiutato a raggiungere il traguardo tanto agognato. Adesso che era di nuovo in piedi, adesso che ogni sua funzione risultava ristabilita, Balthazar si sentiva nuovamente se stesso e pronto a partire alla ricerca dei fratelli perduti.
Avrebbe ricostruito il paradiso, recuperato Castiel e Gabriel, ovunque essi fossero finiti. Adesso che aveva nuovamente le ali, Balthazar non vedeva più ostacoli sul suo cammino.
Sorridendo ampiamente, l’angelo si voltò per rivolgere lo sguardo a Belial, che tuttavia distolse il suo. Sembrava turbato da qualcosa, e per la prima volta dopo mesi, Balthazar vedeva il suo sorriso sparire e un’ombra scura scivolare densa sul suo bellissimo volto.
-Belial?- chiamò l’angelo, leggermente allarmato dal cambiamento dell’altro. Si avvicinò a lui e, come se fosse la cosa più naturale del mondo, gli posò una mano sulla guancia e lo costrinse a guardarlo negli occhi. Belial aveva uno sguardo esausto, triste, di abbandono.
-Che succede?- si preoccupò Balthazar ma, per la prima volta, Belial si allontanò da lui, indietreggiando come un gatto randagio improvvisamente stranito dal contatto fisico.
Non era mai capitato che facesse così. Per tutto quel tempo, Belial era sempre rimasto al suo fianco, accarezzandolo in viso o dormendo un giorno sì e uno no accoccolato al suo fianco, spesso con la testa sulle sue ginocchia. Tutti quei contatti fisici erano stati naturali, innocenti e senza doppi fini, tanto che Balthazar li aveva sempre dati per scontato. Adesso che però si sentiva privare del calore di Belial, della sua vicinanza, qualcosa scattò nell’angelo: la lontananza di Belial gli faceva male, quasi gli toglieva l’aria. Che diamine gli stesse succedendo, Balthazar non lo sapeva. Non aveva mai dipeso dal contatto fisico, anzi: lo aveva ripudiato ed evitato quando poteva, ma adesso qualcosa era diverso, qualcosa era cambiato senza che se ne accorgesse.
-Vai.- disse allora Belial, voltandogli le spalle con finta naturalezza. Balthazar avanzò di un passo verso di lui.
-Che stai dicendo?-
-Puoi volare, sei libero. Vai.-
Balthazar rimase immobile, fermo sul posto. Non voleva andarsene, lasciarlo lì. Belial era quanto di più puro e dolce esistesse al mondo, e volare via in quel modo per Balthazar significava voltargli le spalle. No, non l’avrebbe fatto.
-Vieni con…-
-Non dirlo!-
Belial si girò di scatto, i capelli scompigliati e gli occhi colmi d’ira repressa. Quell’improvviso cambio di umore lo rendeva quasi terrificante, considerato che Balthazar non l’aveva mai visto minimamente turbato o arrabbiato.
-Non dirlo, hai capito? Non verrò con te, tu devi cercare i tuoi fratelli e io intraprendere la mia strada! Seguiamo cammini diversi, ragazzo, non dimenticarlo! Le nostre vie si sono incrociate una volta, ma non sperare che continueremo a calcare lo stesso percorso insieme! Siamo diversi, e adesso che sei in forze, non devi fidarti di me!-
-Ma che cazzo stai dicendo? Tu…-
-VAI VIA!!! VATTENE!!!-
Belial urlò quelle parole con quanto fiato aveva in gola, serrando gli occhi per lo sforzo di gridare e di pronunciare frasi dolorose che sentiva graffiargli il cuore, dilaniarlo, farlo a pezzi. Non poteva lasciare che Balthazar si avvicinasse a lui, che rimanesse contaminato. Belial era un condannato, e tale sarebbe rimasto fino alla fine dei tempi e anche oltre.
Non avrebbe condannato Balthazar allo stesso ergastolo. Lui meritava di restare immacolato, innocente come la neve, come Belial l’aveva trovato. Belial non poteva amare, gli era stato ripetuto più volte, e ormai ne era del tutto convinto. Si era arreso all’evidenza, al punto che il palpito leggero che sentiva nel petto alla vista dell’angelo biondo fu da Belial giustificato come un leggero batticuore dovuto alla rabbia.
-Ti prego.- capitolò alla fine Belial, cercando di tenere fermo il tono di voce. –Se ho significato qualcosa per te, se vuoi ringraziarmi davvero per gli sforzi che ho fatto in questi mesi per restarti vicino… vai, e non voltarti indietro.-
Balthazar socchiuse gli occhi al dolore sordo che sentiva allargarsi a macchia d’olio in tutto il suo essere. Il suo cuore si frantumò, andò in tanti miseri pezzi di sentimenti provati e poi calpestati con rabbia immotivata, violenta, distruttiva. Forse aveva sbagliato dall’inizio: Belial era sempre stato un pericolo, e nel silenzio della sua caccia spietata era riuscito ad arrivare dove nessun demone era mai giunto. Al cuore di un angelo.
L’aveva stretto, osservato per qualche mese. Adesso però che quel cuore non aveva più alcuna utilità, Belial lo gettava via e gli voltava le spalle con freddo, immotivato rancore. Forse l’affetto era troppo caldo e accogliente per uno come lui che finalmente si rivelava in tutta la sua gelida freddezza.
Balthazar chiuse gli occhi, voltò il capo. Per la prima volta in vita sua, l’angelo si sentiva totalmente sconfitto e senza una via d’uscita. Non parlò perché le parole non servivano a niente, ma lasciò che il suo silenzio accusasse Belial, esprimendo tutto ciò che il cuore spaccato di Balthazar emanava. Rabbia, dolore, abbandono. Era finita davvero, stavolta.
Con un gesto lento e misurato, le ali bianche e azzurrine di Balthazar si spalancarono, accarezzando gli alberi, innalzandosi oltre le fronde possenti che lasciarono cadere alcune foglie sulle loro teste come commiato d’addio. Bastò un balzo e un battito di piume di zaffiro e acquamarina per innalzare il corpo finalmente ristabilito di Balthazar nel cielo, spingendolo libero verso le nuvole, verso un domani di ricerche di fratelli perduti.
Era libero, ma si sentiva incatenato a quel bosco, a quelle cascate.
Era leggero, ma il peso della solitudine lo trascinava verso il basso.
Era guarito, ma all’interno di quel corpo finalmente rinato, restavano solo devastazione e il gelido massacro di un cuore devastato.
Volò in alto, Balthazar. S’innalzò oltre le nuvole, e non vide alle sue spalle, sulla terra, che Belial si accasciava al suolo, stringendosi il capo tra le mani in un gesto di dolore e pietosa richiesta di pietà divina. Non sarebbe giunto, quel perdono, ma Belial non avrebbe mai smesso di pregare.
Balthazar volò, s’innalzò oltre i picchi delle montagne, oltre il ciglio delle cascate del Niagara. Si sarebbe diretto a nord per sgranchirsi un po’ le ali e schiarire i pensieri tumultuosi, poi avrebbe cercato Sam e Dean per capirci qualcosa… capirci qualcosa…
“Tienilo al sicuro, Balthazar. Lui è qui per cercare questo!”
Balthazar si fermò, spalancando le ali come due giganteschi pezzi di cielo staccati dalla volta celeste per appoggiare le spalle possenti dell’uomo biondo. Stava dimenticando qualcosa, qualcosa di importante. Come era finito lì, in cima alle cascate del Niagara? Lui non si era trattenuto in Paradiso, ma aveva tentato di scappare da subito… vero? No. Sbagliato. Mancava un pezzo, il pezzo che Balthazar aveva cercato per mesi nell’oblio della sua testa.
Il paradiso… cos’era successo davvero?
“Quando gli unici ricordi belli che stringi tra le mani sono squallide memorie bugiarde…”
Doveva ricordare, svegliarsi dall’intorpidimento dell’anima. Trovare il pezzo perduto del puzzle, e forse avrebbe capito, ricostruito il castello dei ricordi e finalmente trovato una meta. Il pezzo perduto era lì da qualche parte… doveva solo sforzarsi, affidarsi a se stesso e avere fede non in Dio, ma nei suoi fratelli, in ciò che era. Balthazar chiuse gli occhi… e cominciò a ricordare senza paura, senza barriere. Mise da parte il terrore di rivedere i suoi fratelli crollare insieme al paradiso: le paure vanno affrontate, qualunque sia il prezzo da pagare.
“…Quando i ricordi saranno un pugno di sabbia che scivola tra le dita…”
Castiel. Gabriel. I suoi fratelli. Ognuno di loro aveva lottato per il paradiso ed era perito in nome di una salvezza disperata. Non si erano mai arresi, avevano strisciato nel sangue e nel mare di piume spezzate, affrontando chi faceva a pezzi il paradiso, chi massacrava la loro casa e tutto ciò per cui avevano vissuto. Non avevano avuto paura… avevano combattuto. Adesso Balthazar li rivedeva, stoiche creature devote alla resistenza che lottavano con le unghie e con i denti prima che l’arcangelo Gabriel venisse catturato e che l’arcangelo Castiel ordinasse a tutti di sparire. Cos’era accaduto poi?
“…non resta che avvinghiarsi forte all’oblio e lasciarsi trasportare nell’oltre…”
Castiel. Mentre Balthazar lottava in paradiso, aveva sentito la sua voce. L’arcangelo gli chiedeva di salvare qualcosa, un oggetto molto prezioso. Il motivo della distruzione del paradiso e di tutte quelle morti all’apparenza insensate. Balthazar aveva ascoltato, aveva ubbidito… poi, l’esplosione generata da Castiel e Gabriel lo aveva sbalzato fuori dal paradiso, giù dalle nuvole, contro rocce e detriti. Durante lo schianto, Balthazar aveva stretto qualcosa di assai prezioso al petto, un oggetto intorno al quale verteva il destino degli angeli… era… era…
“… Laddove si estendono i territori di una sincera realtà, che saprà regalarti un immenso, luminoso sorriso di possente diamante! RICORDA!!!”
Balthazar sbarrò gli occhi, fissando il riflesso dei suoi stessi ricordi succedersi nello specchio delle pupille chiare. Adesso lo vedeva, vedeva l’oggetto causa di tutto stretto tra le sue mani prima della caduta. L’aveva protetto a costo della vita durante lo schianto, per questo si era ferito in quel modo: per difendere la stupida fragilità della più potente arma angelica del paradiso.
Un cubo sulle cui facce era inciso lo stesso, intricato simbolo di dodici cerchi intrecciati alle punte di due stelle a sei punte incastrate tra loro e racchiuse in due esagoni, uno più piccolo dell’altro.
Il Cubo di Metatron.
Balthazar sbarrò gli occhi, pensando a come il sacrificio di Castiel e Gabriel che si erano fatti catturare per dargli il tempo di darsela a gambe col prezioso carico fosse andato perduto. Aveva perso il cubo durante l’impatto…
-No, dannazione!-
Balthazar virò bruscamente, piegando un’ala con uno scatto rabbioso e tornò sui suoi passi, fiondandosi a picco verso le cascate, cercando disperato una speranza di ritrovare il cubo ancora intatto, ancora nelle mani degli angeli e non del loro invasore…
All’improvviso, un tonfo violento, il rumore di qualcosa che urtava pesantemente il terreno e rotolava nell’erba. Balthazar si voltò e vide qualcuno accasciato sulla riva, abbandonato, una mano penzoloni nelle acque tumultuose delle cascate. Balthazar non distinse bene la figura da quella distanza, ma decise che fosse saggio nascondersi tra le fronde dell’albero più vicino. Si accucciò su un ramo e ritrasse le ali, osservando ora con occhi sbarrati Belial che si alzava tremando, lasciando colare il sottile rivolo di sangue lungo il mento. Aveva i capelli scompigliati e il corpo pieno di graffi. Gli abiti erano a brandelli.
Qualcuno si muoveva tra gli alberi, avanzando verso l’uomo ferito. All’improvviso, dalla selva, emerse lui. Il distruttore del paradiso, l’assassino dei fratelli di Balthazar, la causa di tanto dolore e della dispersione dei guerrieri alati di Dio.
Castiel. Il volto e il corpo erano identici ai suoi, ma gli abiti di pelle succinta, la maglia a rete che lasciava scoperto il torace allenato, lo sguardo tenebroso e per niente tranquillo o da cucciolo sperduto e le ali malridotte, colanti chili e chili di catrame da ogni singola piuma spezzata o arruffata lo rendevano diverso, terrificante. Non era Castiel, ma quel volto aveva fatto a pezzi il mondo e i fratelli di Balthazar. Cosa fosse in realtà, restava per l’angelo un mistero. Sembrava una copia malriuscita di un angelo, una prova andata a male e poi replicata nella totale perfezione e bellezza nel reale Castiel, quello vero e gentile.
Il falso Castiel avanzò a passo di marcia verso Belial, fissando su di lui gli occhi blu zaffiro. Ondeggiava leggermente i fianchi in modo seducente, quasi osceno, e di tanto in tanto si leccava le labbra.
-Allora? Proprio non vuoi darmelo?- disse con voce bassa e suadente. Belial scosse il capo e in meno di mezzo secondo Castiel lo aveva afferrato per il collo e lanciato contro un albero con tanta forza che il tronco si piegò pericolosamente, scricchiolando ferito. –Sei proprio sicuro?-
Belial piantò i piedi per terra e raddrizzò il busto, portandosi in ginocchio. Sputò un grumo di sangue. –Perdi solo tempo con me, Leitsac*. Non ti aiuterò.- mormorò tranquillamente. La sua calma faceva a cazzotti col mare di ferite che lo ricopriva.
Leitsac sbuffò teatralmente.
–Oh, andiamo. Pensi che dopo averti fatto fuori non andrò a cercare il tuo amico? Se non lo farai tu, parlerà lui.-
-Balthazar non ha il Cubo. Gliel’ho sottratto quando l’ho soccorso, perciò ciò che cerchi è in mano mia.-
-E tutto questo lo fai per eroismo, codardia o vano tentativo di redenzione?-
Belial sorrise tristemente di un sorriso disteso, che sapeva di notti intere passate a spendere lacrime amare e suppliche al cielo. Quel volto, quell’espressione distrutta, appartenevano a un condannato e a tutto ciò che restava di lui. Guardandolo, Balthazar si chiese se fosse veramente possibile condannare uno come Belial, dolce in viso e nelle azioni. Nonostante quello che gli aveva fatto, Balthazar non riusciva ad odiarlo.
-Nessuno dei tre, amico mio. Io… non so perché lo faccio.- mormorò alla fine Belial, chinando il capo. –Quando ho visto Balthazar cadere privo di sensi, vulnerabile, debole, ma ancora stretto al Cubo… non lo so, ho sentito qualcosa cambiare. Cosa spingeva quel piccolo, insignificante angioletto ad aggrapparsi con tanta forza a un oggetto, a una speranza che era andata distrutta nell’istante in cui tu, Leitsac avevi fatto a pezzi il paradiso e tutto ciò che rappresentava? Cosa teneva in vita il suo respiro, la sua voglia di vivere? Forse è per questo che l’ho soccorso, sai? Perché Balthazar, al contrario di me, sa ancora credere in qualcosa. L’ho letto nei suoi occhi, nelle sue parole, nella pazienza che non ha mai perso durante la guarigione. Ha lottato strenuamente per andare avanti e sentirsi vivo, libero… ha lottato per se stesso e per chi attende il suo ritorno.-
-Sciocchezze! Quell’angelo se ne è andato, ti ha abbandonato qui, e tu ancora credi in lui?!-
-Non dovrei? L’ho mandato via, Leitsac, sono stato io. Io sono incatenato, mentre lui merita la libertà per cui lotta giorno dopo giorno. Io ho perso la speranza, ma Balthazar può andare avanti, credere e crescere nella speranza di un domani migliore. Lui e i suoi fratelli combattono per gli uomini, Leitsac, mentre noi lottiamo solo per noi stessi. Io e te siamo uguali, e insieme destinati alla dannazione, ma tu, al contrario di me, non accetti il tuo essere. A differenza di te, tuttavia, io spendo la mia dannazione per cercare di capire, di cambiare… e di difendere chi porta in sé il seme di una speranza più grande. Sì, Balthazar merita il mio sacrificio.-
Belial sorrise, inclinando dolcemente il capo in una posa gentile, di soddisfazione. Aveva scelto il suo destino, aveva scelto di morire… per Balthazar, per il suo protetto. L’aveva allontanato, ferito, calpestato, ma adesso si scarificava per lui senza reagire, come un agnellino condotto al macello. Non era giusto, non era equo. No, Balthazar non l’avrebbe permesso.
-Non ti azzardare.- ringhiò l’angelo, comparendo davanti a Belial. Balthazar spalancò lentamente le ali, coprendo metri e metri del bordo delle acque contenenti i rimasugli delle cascate. Con le goccioline scintillanti che piovevano tra le piume di zaffiro e acquamarina, ogni piuma sembrava più brillante, più maestosa, più cristallina. La sua pelle brillò di fioca luce adamantina, negli occhi si riflesse lo scintillio della Grazia che ribolliva di furia vendicativa.
Alle sue spalle, Belial sbarrò gli occhi.
–Balthazar, che stai facendo?! Non dovresti essere qui!-
-E tu non dovresti farti pestare da questo figlio di puttana. Tu guarda che mi tocca fare…-
Suo malgrado, Belial sentì il cuore sobbalzare. Possibile che Balthazar fosse tornato indietro per… lui? Possibile che ci fosse ancora una speranza, che l’angelo provasse qualcosa che Belial aveva creduto perduto per sempre?
Non ti illudere, è tornato solo per riavere il Cubo.
Leitsac sorrise, snudando i denti bianchi e perfetti. Non era un sorriso da Castiel, non gli somigliava affatto. Quel volto era intriso di sensuale ferocia, di rancore represso e pronto a esplodere.
-Molto bene. Non chiedo di meglio che massacrare quelli come te.- ringhiò, prima di lanciarsi su Balthazar.
Spesso, durante la loro vita, gli esseri umani si voltano e guardano il cielo, sicuri di aver sentito il ruggito feroce di un tuono in lontananza. Si chiedono se stia per piovere, se un temporale sia in avvicinamento, ma a volte, il temporale non arriva. È allora che gli umani pensano di essersi immaginati tutto, e ignorano di aver sentito lo schianto feroce di due angeli che si scontrano in lontananza, dall’altra parte del mondo.
Balthazar piegò le ali, lasciandosi spingere lontano da Belial, verso l’acqua, sopra la quale i due angeli avvinghiati combattevano. Balthazar afferrò un polso di Leitsac e lo torse con forza animale, sentendo lo schiocco dell’osso che si spezzava sotto le dita. L’altro tuttavia, parve non sentire il dolore e, con uno scatto delle ali melmose, piantò le piume nelle spalle di Balthazar, trapassandole da parte a parte. Dopo uno spasmo involontario del corpo dovuto al dolore, l’angelo torse le braccia per incastrare le piume tra l’osso della clavicola e l’omero, chiuse gli occhi e invocò aiuto, speranza… forza.
L’armatura lucente lo ricoprì da capo a piedi, luminosa nel suo diamante fortificato da leghe angeliche e dai ricami della stessa pietra di zaffiro che brillava sulla fronte di Balthazar, al centro del diadema che gli circondava la testa. Inesorabilmente, le piume affilate di Leitsac rimasero incastrate nell’armatura, e quell’istante di breve debolezza consentì a Balthazar di attaccare come voleva: le spade angeliche, una per mano, affondarono nelle sommità ossee delle ali del nemico, tagliando le ali fino a metà.
Balthazar si sarebbe aspettato che Leitsac urlasse, che svenisse dal dolore o finisse annientato dalla pazzia di aver praticamente perso due delle sei ali possedute, ma non fu così. Il falso Castiel levò il capo, guardò Balthazar in viso e sorrise con fare agghiacciante.
-Tutto qui?-
Balthazar ebbe appena il tempo di sbarrare gli occhi, di pregare un miracolo perché lo facesse svegliare da quell’incubo. Nessun miracolo riuscì a salvarlo da ciò che seguì.
Leitsac aprì la mano e una spada in tutto e per tutto identica a quella di Castiel, con la sola differenza di essere fatta in diamante nero, si concretizzò sul suo palmo. Fu un istante, un battito di ciglia appena accennato e la lama aprì uno squarcio nel petto di Balthazar, sbalzandolo all’indietro, verso l’acqua. Il sangue sgorgò in un ventaglio vermiglio, imbrattando il viso di Leitsac mentre l’angelo perdeva forze e crollava… crollava…
-BASTA, ADESSO!!!-
Qualcosa afferrò Balthazar, delle braccia solide e possenti avvolsero il suo corpo mentre l’angelo socchiudeva gli occhi, stordito dal dolore. Sentì una scarica di energia attraversarlo mentre il mondo intero sembrava di ricoprirsi di luce bianca, purissima, adamantina. Le cascate alle loro spalle furono ricoperte di quello stesso baluginio di Grazia e trasformarono l’acqua in liquido luminoso, candido come la neve e altrettanto distruttivo. Gli alberi, l’erba, i fiori e la fauna lungo l’intera foresta si piegò, inchinata a qualcosa di nuovo, un’entità bellissima e terribile, come un giudice di vita e morte in procinto di stabilire il suo verdetto finale.
Leitsac urlò, coprendosi gli occhi. Indietreggiò ferito, sbattendo le ali sanguinanti e gocciolanti catrame, che appena toccava l’acqua luminosa sottostante, evaporava in una malefica voluta nerastra, subito annientata dalla lucentezza come di stella emanata dal nuovo arrivato.
Nessun angelo o arcangelo poteva sovvertire così l’ordine naturale, nessun essere ultraterreno poteva scatenare una tale potenza capace di scacciare anche una creatura come Leitsac. Nessuno… tranne…
Balthazar sbarrò gli occhi, conscio della pelle che lentamente si ricuciva e delle ossa che tornavano al loro posto, aggiustandosi sotto l’armatura spaccata.
-Tu sia bandito, Leitsac! Non toccherai di nuovo questa creatura, e in nome di questa promessa, io ti ordino: lontano da queste terre!-
Leitsac gridò con voce stridula, graffiante, che in normali condizioni avrebbe spaccato tutto ciò che c’era intorno ma che al contrario adesso rimbalzava soltanto contro la gabbia di luce che sembrava restringersi pericolosamente verso di lui, minacciandolo. Alla fine, Leitsac capitolò e scomparve, sconfitto, respinto, piegato in due da una forza che non aveva calcolato esistesse ancora al mondo.
Balthazar levò lentamente gli occhi, li posò sul mare di folti ricci dorati che adesso sembravano impalliditi e quasi bianchi, sul viso privo di imperfezioni, scolpito ad arte, sugli occhi evanescenti, ricolmi di luce e Grazia divina. Quel volto, Balthazar lo conosceva bene, ma ciò che gli seccò la saliva in gola fu il manto di sei ali spalancato alle spalle di Belial.
Ali così grandi, Balthazar non le aveva mai viste.
Ali dalle morbide piume, trasparenti, ma dai riflessi di cristallo e arcobaleno, Balthazar le aveva notate solo una volta.
Ali meravigliose, le più belle del Paradiso, le più maestose, le più possenti ricolme della Grazia di Dio stesso.
Sì, Balthazar le aveva viste all’alba dei tempi, quando il mondo ancora non esisteva, ed erano appartenute a un angelo, l’angelo più bello del paradiso, l’angelo la cui sola presenza aveva rischiarato l’universo e le stesse schiere angeliche.
Ali dalla bellezza dimenticata, espulsa dall’Alto dei Cieli.
Ali appartenute alla Stella del Mattino.
Ali appartenute a Lucifero in persona.
 
*Leitsac: per chi non ci avesse fatto caso, Leitsac sarebbe Castiel scritto a rovescio. XD
 
Angolo dell’autrice:
Colpo di scena, gente! Da adesso cominciamo a sbrogliare la matassa, ok? Ammetto di essere particolarmente affezionata alla storia di Balthazar, ma anche qui il nostro angelo ha ancora parecchie spiegazioni da dare. Dal prossimo capitolo, torneremo ai nostri Gabriel, Castiel e company, anche perché nell’assenza di cose da fare questo mare di cretini si è dato agli esperimenti e spero di aver visto male quando è passata mia madre con due teste e otto occhi davanti alla finestra.
Gab: cosa? Era tua madre?! Balthazar, ti avevo detto di cambiare soggetto!
Bal: non potevo, e poi ti avviso che non abbiamo neanche più un laboratorio.
Gab: che?!
Bal: be’… Belial ha deciso di guardarsi tutti i film della disney e Dean sembrava particolarmente d’accordo e… insomma… stanno ancora piangendo la morte di Mufasa, neanche li avessi costretti a guardare Titanic 10 volte di fila legati a una sedia o costretti nella posizione di Jack e Rose… cioè, hanno riempito di lacrime la vasca dei coccodrilli, e non ho mai visto degli alligatori con l’ombrellino sulla testa! Neanche loro ne possono più, qui rischiamo una rivoluzione di Behemah… Gabriel? Gabriel?! Tomi, dove sei!
Sono ostaggio dei macachi, ma a Gabriel è andata peggio, adesso gli scarafaggi l’hanno legato e tramano per la vendetta e la conquista del mondo…
Bal: gli scar… no, gli scarafaggi no!!! E mollate il frigorifero, ci sono tutti i miei esperimenti dentro!

kimi o aishiteru: per organo in meno cosa intendi? O___o oddio, sei in mano ai trafficanti d’organi?! Crowley aveva un’aria strana prima, ma non pensavo che in quella busta ci fossero… CROWLEY, TORNA QUI!! Mmm, sai, riguardo Gabriel un po’ devo contraddirti. A parer mio è forse quello più reale della serie, ma anche il più eroico. Forse, umanamente parlando, chiunque se la sarebbe data a gambe dopo secoli di lotte in famiglia, e a nessuno piace vedere i propri fratelli che si uccidono a vicenda. Dopotutto, Gabriel ha fatto una scelta, ha scelto di non ammazzare i suoi fratelli, e non credo che alla fine la sua sia stata una cosa sbagliata. Essere angeli, fare parte di una fazione, significa non avere libertà, e Gabriel la libertà la desiderava come la desidererebbe chiunque in sua assenza. Alla fine, il suo ritorno, è stata la scelta che più ha contato. Non sempre importano gli errori, poiché ciò che interessa davvero è sapervi porre rimedio, impegnarsi per rimediare e, nel caso di Gabriel… dare ogni cosa per rimettere le cose a posto. È per questo che vedo Gabriel con questo carattere, anche se forse hai ragione, sforo totalmente dal personaggio a volte. Eheh, Mary è un personaggio alla quale sono molto affezionata, anche perché forse è quella che ha un po’ di sale in zucca a parte Bobby. È una piccola Bobby junior, e da grande sarà come lui! Avrà anche la barba e il cappellino! Oh, e magari vestirà come lui! *___* grazie del commento e di aver risposto alla domanda, spero di risentirti presto e… dimettiti, mi raccomando!! Qui tifiamo per te!!!
HowlingFang: oddio, non so se a questo punto dovrò temere la vendetta della tua amica, della tua classe o del tuo professore che ti sente urlare mentre spiega XD che dici, mi do alla fuga? Magari, chiudendomi in un bunker, sarò al sicuro! Comunque, ti prometto che nel prossimo capitolo di Destiel ne troverai parecchia, parola d’onore! Ehi, il mio non è talento, non ritengo di saper scrivere molto bene, ma mi fa piacere che qualcuno apprezzi e dia fiducia alle storie in fase di scrittura. I tuoi commenti sono sempre bellissimi e i complimenti che fai mi lasciano sempre senza parole, perciò sono felice che tu abbia commentato e che abbia risposto alla domanda ^^ grazie ancora, un abbraccione virtuale e un saluto! A prestissimo, spero che questo capitolo ti sia piaciuto!
Sherlocked: ehm… questo capitolo in che sezione rientra? In “Capitoli andati per il verso giusto” o in “Capitoli che appena metto le mani addosso all’autrice le tiro il collo come una gallina”? no, perché la cosa mi preoccupa seriamente XD (Non è vero! Ridevi come una psicopatica mentre scrivevi della mia quasi morte! Nd Gabriel)(ma questo perché si trattava di te. È uno dei miei sogni farti fuori e riavere la mia casa, tesoruccio.)(Allora è così, stai attentando alla mia vita! Ecco perché stanotte ti ho trovata vicino al mio letto con in mano un paio di forbici, volevi farmi fuori! Nd Gabriel)( no, volevo semplicemente rasarti i capelli a zero, Crowley mi ha promesso un giro sul set di Iron Man 3 se ci riuscivo.)(E tu ti vendi per un giro sul set di Iron Man 3?! Nd Gabriel)( be’? tu non lo faresti?!)( Io… no, in realtà Crowley aveva detto che mi comprava la fabbrica di cioccolato di Willy Wonka se ti facevo esplodere il WC… nd Gabriel)( ………….)(…………. Devo scappare, vero? Nd Gabriel)(ti do tre secondi prima che la caccia abbia inizio…). No infatti, non rilassarti troppo perché il peggio deve ancora venire, ohohohohohho!!!! In realtà, per decidere quale personaggio uccidere gioco col tiro a freccette e vedo quale foto infilzo, così ammazzo il predestinato. Comunque, ti ringrazio per aver risposto alla domanda e ammetto che Gabriel è anche il mio personaggio preferito e faccio il possibile per curarlo. Purtroppo non è facile perché devo tenere a bada un mare di personaggi e ho sempre paura di scrivere qualche cavolata a livelli stratosferici, considerando che dopo aver scritto un capitolo, non lo rileggo e correggo perché so a prescindere che cancellerei tutto se lo facessi. XD in ogni caso, speriamo di trovarci al comicon, se vedi delle ali piumate camminare per la folla, afferrale e tira!!! Devo ringraziarti di persona per i commenti che lasci, ho deciso!
Shiva_: ti ringrazio per aver risposto alla domanda e sono rimasta davvero sorpresa che ti siano piaciuti tutti i personaggi. Quando scrivo spero sempre di averli curati a dovere, ma non ne sono mai sicura. Questa risposta mi ha fatto sorridere, sono felicissima! Sì, John e Mary a mio parere sono sempre stati delle vittime innocenti e meritano la pace, dopo aver combattuto tanto a lungo il male ed essersi sacrificati per i figli amati. Insomma, in questa storia cerco di mettere un po’ di cose a posto, anche se so che quei masochisti dei registi lasceranno i genitori Winchester a marcire all’inferno, dannato Kripke! Be’, detto ciò ti ringrazio e ti abbraccio virtualmente per i commenti bellissimi che lasci sempre, leggendo con pazienza ogni capitolo e seguendo la storia. Grazie, angioletto recensore!
xena89: sono felice che ti sia piaciuto il capitolo e che Cass in versione Terminator abbia soddisfatto tutti. Accidenti, dovrebbe farlo più spesso, così scatenerebbe una ola di fan girl e non delle crisi isteriche sul perché si fa pestare continuamente o combina guai! Grazie di aver risposto alla domanda, e sono davvero felice del tuo parere! Accidenti, non pensavo che la pensassi così, e… be’, grazie. Come al solito i vostri più che inaspettati commenti mi aiutano a scrivere e siete sempre gentilissime in ogni vostra parola, perciò ti abbraccio virtualmente, ringraziandoti col cuore e augurandoti buona fortuna per gli esami!
Tomi Dark Angel
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 15
*** Lacrime D'Acqua ***


Castiel piegò appena le ali intorno al corpo per chiudersi in un pacifico bozzolo di piume argentate. Inclinò il busto, inginocchiato sul terreno davanti all’uscio di casa Singer. Sentiva i raggi argentati della luna piovergli sulle ali, accarezzarle, riempirle di flebile magia. Il silenzio della notte, unica e vera compagna dell’arcangelo, gli riempiva le orecchie dei frinii dei grilli e di una tranquillità che all’inferno aveva creduto di aver perso per sempre.
Aveva visto la morte, nel Cocito, quella vera. Aveva udito grida e visto gli uomini morire più e più volte, contorcendosi nella disperazione e nella supplica di pietà. Laggiù, in quell’inferno di sangue e ghiaccio, Castiel aveva sofferto della sofferenza dei dannati. Non poteva aiutarli, non poteva scongiurare la loro punizione eterna. Erano condannati, e lui, povero, piccolo angelo, riusciva soltanto a guardare impotente il proseguire di una pena capitale.
Incubi, incubi neri come la notte e fitti come l’oscurità di pesante velluto. Castiel aveva vissuto tanto in vita sua, ma poche volte aveva avuto davvero paura. Da quando era tornato, non era più così. Si era chiuso in se stesso, allontanandosi da tutti, anche da Dean. Ovunque si voltasse scorgeva ombre oscure, striscianti, pronte a trascinarlo nuovamente all’inferno. Di continuo, il suo cervello riproduceva suoni di grida e implorazioni disperate di uomini e donne fatti a pezzi. Ormai, Castiel si era fatto nemico della sua stessa mente, non controllava più se stesso e vedeva mostruosità anche dove non c’erano. L’unico posto sicuro era lì, in quel bozzolo di piume dal quale non usciva da quasi tre giorni.
Chiuse gli occhi e si passò una mano sul viso, esausto. Sospirò di stanchezza e paura, accorgendosi terrorizzato di quanto la sua mano tremasse e di quanto la sua pelle fosse mortalmente pallida. Un battito di ciglia, e quella stessa mano di trasformò in un ammasso di pelle dilaniata, sanguinante, ridotta all’osso dai brandelli di carne strappati.
Castiel trasalì e chiuse gli occhi. Si rannicchiò su se stesso, afferrandosi la testa tra le mani e dondolandola avanti e indietro nella speranza di scacciare quelle immagini, quelle grida e il terrificante puzzo di sangue e sudore…
-Cass…-
Castiel sbarrò gli occhi e si mosse, scattando come una molla. Scansò le ali in un millesimo di secondo e balzò come una pantera in caccia, atterrando il nuovo arrivato con una mano stretta alla gola e un pugnale angelico puntato verso il suo addome.
-Cass!-
Castiel sbatté le palpebre, scrollò il capo. Lentamente e con fatica, mise a fuoco la persona che aveva atterrato con tanta collera, riconoscendone i tratti marcati, i capelli corti biondo cenere e gli occhi. Quegli occhi di smeraldo che avevano riportato un colore di vita nel rosso e nel bianco dell’inferno ghiacciato. Conosceva quegli occhi, quello sguardo…
-Dean?- mormorò con voce roca, mollando la presa sul suo collo e lasciando cadere la spada angelica quasi con ripugnanza.
Aveva rischiato di ferirlo, l’aveva attaccato…
-Io… scu… scusami…- mormorò Castiel, coprendosi il viso con entrambe le mani. Non voleva più vedere gli occhi sbarrati del ragazzo, non se la sentiva di rischiare ancora di fargli del male. Ormai era cambiato tutto, ormai lui era l’anello debole del gruppo.
Con un gemito, Castiel si piegò in due, premendosi una mano sulla bocca. Sentì il battito del cuore accelerare, la sua Grazia pulsare affaticata, l’ansia aggredirlo con ferocia animale. Ansimò, scosso da una stretta d’ansia improvvisa, violentissima. Si sentiva male, perso, soffocato da un’oscurità che prima non l’aveva mai sfiorato. Le urla dei dannati aumentarono, mescolandosi al rumore di carne lacerata e dei latrati feroci dei cani demoniaci…
Castiel era perso… dimenticato in un buio dal quale non sarebbe mai più uscito. Mai più.
Poi, una mano. Qualcuno che lo afferrava, circondandogli i fianchi con mani gentili, umane, anziché con artigli e fauci rabbiose. Mani fresche, leggere, che con lente carezze lungo la schiena lo richiamavano gentilmente alla vita, alla realtà fatta ancora di speranza, di salvezza, di amore. Castiel aprì gli occhi su due iridi smeraldo poste su un viso di giovane uomo, lo stesso uomo che era sceso all’inferno per lui, per riaverlo indietro, e adesso lui era tornato solo per metà. L’altra parte di se stesso, Castiel l’aveva persa, e per quanto Dean si sforzasse, l’angelo sentiva di essere ormai prossimo ad appassire. Aveva visto troppo, vissuto troppo a lungo, e l’inferno era stato il colpo di grazia. Il paradiso non se ne faceva niente di un arcangelo a metà.
Fu in quel momento che Castiel crollò. Strinse forte a sé il corpo di Dean, unico appiglio a una realtà confusa, che si mescolava con l’incubo e, affondato il viso nella sua familiare giacca, Castiel pianse. Sfogò con ogni lacrima la frustrazione e l’impotenza di essere rimasto imprigionato nel ghiaccio mentre intorno a lui tutti morivano. Gli era capitato di pensare che era così che sarebbe finita, se mai fosse riuscito a tornare nel mondo dei vivi: con lui in catene mentre gli altri si contorcevano nel sangue e nella sofferenza, implorando un aiuto che non sarebbe giunto.
-Shhh… è finita, Cass… stai bene, è finita. Sono qui.- mormorò Dean, accarezzandogli il capo e baciandogli i capelli con gentilezza. Gli era capitato di consolare Sam quando erano piccoli, e quei gesti l’avevano sempre calmato, ma Castiel sembrava inconsolabile. Dean tremò al pensiero che forse il suo angelo aveva realmente perso se stesso, che stavolta l’inferno fosse stato troppo per lui. Era ancora il suo Cass, quello che stringeva tra le braccia?
I due uomini rimasero così per tutta la notte, finché Castiel non crollò in uno stato di incoscienza che per gli angeli rasentava il sonno umano. Aveva un volto così pallido, così terrorizzato che, una volta portato di sopra, Dean lo distese sul letto e si sdraiò al suo fianco, stringendolo tra le braccia nel vano tentativo di proteggerlo dal gelo che poco a poco, gli portava via il suo angelo. Durante il tragitto, Dean non si accorse delle poche piume cadute dalle ali di Cass. No, non Dean, ma qualcun altro sì.
Degli scarponcini raggiunsero pazientemente le piume, una mano pallida le raccolse una a una, facendole sparire con cura maniacale e degli occhi verde dorato si rivolsero alla porta ormai chiusa di casa Singer, fissandola con tristezza.
-Supera questo momento, fratellino. Puoi farcela.- mormorò Gabriel, cercando di farsi coraggio nel terrore di aver perso una volta per tutte il suo piccolo, fragile, fratellino dagli innocenti occhi blu.
§§§§
-Gabriel?- mormorò Sam, comparendo sulla soglia alle spalle dell’arcangelo biondo.
Era quasi l’alba e Gabriel gli dava le spalle, seduto a gambe incrociate dove prima era rimasto Castiel. Sui capelli biondi si scorgeva il bacio dei primi raggi solari; raggi appena nati, giovani, al contrario di colui che sfioravano. L’entità alata che pacifica stendeva le sei ali piumate intorno al corpo come una corolla di magnifico fiore splendente, ammiccante di riflessi cangianti, fissava il cielo con occhi ormai troppo antichi da risultare occhi umani.
Da quando erano tornati a casa di Bobby, Sam e Gabriel si erano parlati a stento. Non che l’arcangelo non volesse avvicinarsi al suo umano e stringerlo tra le braccia, ma Sam sembrava restio a stargli vicino, e Gabriel sapeva perché. Sam si sentiva in colpa per averlo ferito e condotto quasi alla morte, ma Gabriel non gliene faceva una colpa. Sarebbe sempre stato lì, seduto, ad aspettare il suo ritorno come un cane fedele attende il padroncino. Aveva perdonato Sam dall’inizio, ma Sam non ancora aveva accettato questa realtà.
-Entra dentro, pasticcino. Ti prenderai un malanno.- mormorò allora Gabriel, senza distogliere gli occhi dal cielo. Sam si avvicinò timidamente di qualche passo.
-Posso… posso sedermi con te?- chiese timidamente, quasi avesse paura di un rifiuto. Per tutta risposta, Gabriel scansò un’ala, ripiegandola strettamente per poterla portare alle spalle di Sam. Spalancò l’appendice piumata, la avvolse intorno al corpo del cacciatore, che si aggrappò alle piume per la sorpresa mentre l’ala lo sollevava senza sforzo, portandolo accanto all’arcangelo.
Dopo qualche istante di puro spavento, Sam affondò le dita nelle piume morbide del suo angelo, del suo compagno, del suo Gabriel. Chinò il capo, raggomitolandosi contro quel muro di penne morbide più della seta e vi affondò il viso, nascondendolo alla vista come un bambino colto in fallo dalla madre. Solo quando Gabriel sentì qualcosa di umido scivolare tra le piume, voltò il capo e guardò il corpo di Sam scosso dai singhiozzi.
Finalmente si sfogava. Finalmente si lasciava andare. Gabriel aveva atteso questo rilascio con pazienza infinita, e alla fine era stato premiato. Sapeva che prima o poi Sam sarebbe esploso, perciò aveva lasciato che i pensieri del cacciatore compissero il loro corso senza intralci, senza confusione, senza difficoltà, e adesso, finalmente, Sam si lasciava andare a uno sfogo vero e proprio. Stava rilasciando la paura di averlo quasi perso, il senso di abbandono e solitudine provato in quei giorni, la confusione, la rabbia, l’insano odio scoppiato nel suo petto. Adesso, tutto affogava in un manto di piume redentrici, che perdonavano e lavavano via ogni peccato con una morbida carezza.
-Oh, dolcezza…- mormorò Gabriel, ripiegando l’ala per accostare Sam al suo corpo. Lo cinse con dolcezza, passandogli un braccio intorno alla vita per farlo accoccolare tra le sue gambe, e avvolse entrambi con le ali possenti. Era quello il loro mondo: uno sconfinato mare di piume sovrapposte, dorate come il sole e lucenti di speranza e forza. Quel muro non si sarebbe mai abbattuto, quel muro aveva trovato il suo scopo nel momento in cui Gabriel aveva trovato Sam.
Gabriel baciò i capelli del suo umano, accarezzandogli delicatamente la schiena. Lo fece voltare. Cautamente, gli sbottonò la camicia, timoroso di spaventarlo e, fatto scivolare il tessuto sulle spalle larghe, Gabriel appoggiò una mano sul petto nudo di Sam, guardandolo negli occhi con amore rinnovato e mai perso.
È tutto qui, sembrava dire la mano di Gabriel posata sul cuore dell’umano. Il nostro legame c’è ancora, non l’ho mai dimenticato.
Sam chiuse gli occhi e chinò il capo, appoggiando la fronte su quella del compagno. La pelle di Gabriel era fredda, mentre quella di Gabriel calda come un tenue raggio di sole. Quel perfetto incastro di temperature diverse ma destinate a completarsi li rendeva uniti come pezzi di puzzle modellati per incastrarsi tra loro e tra loro soltanto. Erano sempre stati lì, ad attendersi a vicenda. Gabriel aveva vegliato la vita di Sam dal primo istante in cui l’aveva conosciuto e Sam aveva pensato giorno dopo giorno a quegli occhi che sapevano di umanità, di fiducia, di emozioni.
Non aveva importanza il trascorso dei giorni passati. Loro erano lì, stretti in un abbraccio fatto di tenerezza che non pretendeva nient’altro che amore. Per una volta, il cacciare demoni o il seguire la propria famiglia angelica in una guerra contro il male erano argomenti tenuti fuori da quello scudo d’ali che aveva racchiuso al suo interno nient’altro che loro due. Semplici creature, uguali nel loro affetto reciproco. Semplici amanti. Semplici compagni.
-Ovunque tu voglia andare…- mormorò Gabriel. –Ovunque pensi che sia il tuo posto… lì sarò anche io. Trovando te, le mie ali hanno trovato uno scopo che non fosse ammazzare i miei fratelli. Finalmente, ho capito che so proteggere chi amo. Non sono nato per uccidere, non sono nato per versare sangue, ma per preservarlo. Conoscendo te, avendoti al mio fianco, ho scoperto cosa significa davvero avere qualcosa da proteggere e una ragione per andare avanti. Qualunque cosa accada, sappi che non potrai mai cancellare questa realtà dal mio essere, perciò dimentica i giorni passati. Per me non sono mai esistiti, Sam.-
Cling.
Sam strabuzzò gli occhi quando sentì le mani di Gabriel accarezzargli la nuca e qualcosa di familiarmente gelido sfiorargli il collo in una carezza che il ragazzo aveva creduto di aver perso per sempre. Sollevò lentamente una mano tremante e lì, appoggiato morbidamente sulla pelle morbida e nuda, Sam toccò il campanellino che Gabriel gli aveva donato anni prima. Non voleva crederci, eppure lo sentiva di nuovo, legato al collarino rimesso a nuovo, ripulito dal fango e dalla terra con cura maniacale. Quello che Sam non sapeva però, era che Gabriel aveva riportato il campanellino al suo antico splendore senza utilizzare i suoi poteri. Si era affidato alla paziente cura manuale e all’affetto che impegnava in ogni gesto.
-Io… io non…- mormorò Sam, mordendosi il labbro inferiore per impedirsi di piangere. Purtroppo il tentativo fu inutile, poiché una lacrima sfuggì al suo controllo e gli scivolò lungo una guancia, ma prima che questa potesse colare giù dal mento, Gabriel la leccò.
-Gabriel!- si indispettì Sam, scrollando giocosamente il capo mentre Gabriel incastrava la punta della lingua tra i denti e sorrideva con aria da bambino, i capelli scombinati volti a cadergli sul volto. Visto in quel modo nessuno avrebbe potuto dire che si trattasse in realtà di una creatura celestiale nata ancor prima del mondo stesso.
-Vieni qua, psicopatico che non sei altro!- scherzò allora Sam, tirandoselo addosso in modo che si rovesciassero le posizioni. Gabriel perse l’equilibrio e all’ultimo momento si trovò a posare le mani ai due lati della testa di Sam, sdraiato sul terreno col corpo dell’arcangelo premuto addosso e sei immensi archi piumati volti a coprire il cielo.
Sam sorrise al volto sorpreso dell’angelo, che non si aspettava una mossa tanto ardita da parte del cacciatore. Con i riflessi cangianti che le piume bagnate dal sole riflettevano tutto intorno, Sam si sentì immergere in un mondo fantastico, quasi da sogno.
-Sei bellissimo.- si lasciò sfuggire, accarezzando il volto di Gabriel, che spinse la guancia contro il suo palmo e socchiuse gli occhi.
In un attimo, il paesaggio intorno a loro cambiò e in brevi istanti Sam sentì la schiena affondare in un mare di sabbia morbida, calda e sottilissima. Voltò il capo stupito, affondando la guancia nel terreno dorato dal sole nascente. Intorno a loro, si udiva solo il dolce mormorio del mare le cui onde si infrangevano avanti e indietro lungo la costa in un moto continuo, costante e mai stanco.
-Ma che…- mormorò Sam, prima che Gabriel si chinasse su di lui, flettendo le braccia muscolose e facendo aderire i loro toraci in uno sfregare sensuale. All’improvviso, Sam si trovò a detestare la maglietta dell’arcangelo. Voleva sfiorarlo, stuzzicare la sua pelle con i polpastrelli e sentire i muscoli guizzare sotto le dita… voleva ricordare cosa significasse toccare davvero un angelo.
Con un sorriso, Gabriel si chinò finalmente sul suo viso e lo baciò, intrufolando la lingua nella sua bocca in un intrecciarsi di sapori dolci, riscoperti, ma ancora freschi come appena assaporati. Adesso che ai loro respiri si mescolava il canto arcano della marea mentre le sei gigantesche ali dell’arcangelo si inarcavano sopra le loro teste a formare un’immensa cupola d’oro, a Sam sembrava davvero di vivere un sogno.
Quando Gabriel si allontanò da Sam per guardarlo negli occhi, questi gli passò le braccia dietro la schiena e a tradimento affondò le dita nella base di due delle sei ali dell’arcangelo, che gemette e inarcò la schiena. Sam sapeva quanto un angelo fosse sensibile, se toccato in quei punti.
-L’hai voluto… tu, dolcezza.- mormorò Gabriel, mordendosi le labbra per non gemere ancora. Si aggrappò a Sam con forza e un istante dopo il ragazzo era per aria, bloccato dalla morsa dell’arcangelo, che aveva sbattuto le ali una volta per levarli velocemente in volo.
-Gabriel, che stai…-
Ma Gabriel richiuse le ali all’ultimo istante, facendoli precipitare nell’acqua. Sam sentì il gelido liquido chiudersi intorno al corpo, bagnandogli i vestiti, mozzandogli il respiro in gola. Si aggrappò a Gabriel, colto dal panico, ma quando trovò il coraggio di schiudere le palpebre, incontrò il volto rilassato dell’arcangelo.
Con i capelli che gli fluttuavano intorno al viso e quell’espressione felice negli occhi, Gabriel sembrava, se possibile, ancora più bello.
Con un sorriso, Gabriel si chinò sul suo umano e premette le labbra sulle sue, schiudendogliele con gentilezza e immettendogli aria nei polmoni attraverso quel contatto dolce, vitale come non mai. Sam si aggrappò alle sue spalle, attingendo a quella fonte d’ossigeno, beandosi della lingua di Gabriel che di tanto in tanto stuzzicava la sua e poi si ritraeva dispettosa nella bocca dell’arcangelo.
Sam fece scorrere le dita lungo i fianchi di Gabriel, fino al bordo della maglia che sentiva fluttuare sulla pelle di colui che la indossava. Insinuò le mani sotto il tessuto, le fece salire verso l’alto fino a sfilare la maglia che docilmente si tolse di mezzo, finendo abbandonata al loro fianco come una presenza galleggiante in quel mare d’acqua che tingeva l’atmosfera ovattata di un silenzio irreale, pacifico, come se i problemi del mondo intero non fossero mai esistiti. C’erano solo loro due in quel mondo di sogno, solo loro e nient’altro.
Sam accarezzò gli addominali di Gabriel, risalendo su, fino ai pettorali, lungo il collo teso per concedere all’arcangelo di baciare il suo umano in un contatto che sapeva di ossigeno e dolci mescolati. Le dita del cacciatore scorsero sul viso di Gabriel, tracciandovi i contorni, stuzzicando la mascella un attimo prima che Sam si staccasse dal bacio e scendesse a leccare e mordere ogni centimetro di pelle del compagno, del suo arcangelo, di colui che per Sam era casa, protezione e amore. Gabriel appoggiò la fronte alla spalla dell’altro e fece scorrere le mani nei jeans di Sam, accarezzandogli il fondoschiena e utilizzando poi i suoi poteri per slacciare i pantaloni che seguirono insieme alle scarpe e al resto dei loro vestiti il triste destino della maglietta dimenticata là sotto e che lì sarebbe rimasta per sempre.
Samuel e Gabriel si amarono lì, nell’oceano, sott’acqua, dove i respiri dell’arcangelo ridonavano vita e vigore ad ogni gesto del compagno, totalmente affidato a lui, al suo corpo. Sam si donava a lui e quando entrambi furono stretti in un abbraccio di corpi freschi d’acqua, di piume luminose come stelle e baci intrisi di gemiti soffocati, entrambi seppero che qualunque cosa fosse accaduta in futuro, l’avrebbero affrontata. Insieme. Fino alla fine.
Era giusto continuare, andare avanti e restare uniti, ma donandogli il suo corpo e la sua prima volta con un uomo, Sam seppe di aver fatto la scelta giusta. La sua strada era quella dell’arcangelo, avrebbe dovuto capirlo dall’inizio. Era loro il destino di camminare fianco a fianco, mano nella mano, lungo il tragitto delle loro vite.
Gabriel avrebbe voluto sentire le stesse cose, mentre si spingeva nel corpo del suo umano, della sua unica speranza per un ultimo briciolo di felicità, ma non poteva. Sapeva che quello forse, era uno dei suoi ultimi atti: donarsi a Sam, scegliere di lasciargli quanto di più importante avesse. La sua esistenza, le sue ali, parte della sua Grazia. Adesso che Sam aveva anche il suo corpo, Gabriel sapeva che poteva andare avanti e morire soddisfatto quando sarebbe stato il momento. Aveva avuto ciò che voleva, era riuscito a sentirlo vicino davvero, come aveva voluto, ma Gabriel sapeva che il suo destino era un altro, e quando sarebbe stato il momento, avrebbe dovuto abbandonare Sam e proteggerlo fino all’ultimo respiro.
Ringraziando di essere stretto a Sam e di avere la testa abbandonata sulla sua spalla, Gabriel si lasciò sfuggire un’unica lacrima di cristallo che con silenziosa eleganza si confuse inosservata con l’acqua circostante. Quel mondo sovrannaturale, quel mare che li abbracciava, permetteva all’arcangelo di piangere inosservato, di essere debole senza che lo stesso Sam se ne accorgesse. Tuttavia, dopo ciò che era accaduto, dopo che Gabriel aveva sentito il corpo di Sam stretto al suo, l’arcangelo non avrebbe saputo dire se il peso di quella lacrima fosse di dolore o felicità.
Almeno per il momento, andava tutto bene, e questo contava. Soltanto allora, soltanto in quegli istanti di pura felicità, Gabriel si lasciò andare al benessere di fluttuare in un mare d’acqua e piume insieme al suo amato umano.
L’acqua. Che cosa meravigliosa è questo elemento! Essa è simbolo della vita, e la vita nasce dall’amore che, come l’acqua, abbraccia senza stringere.
§§§§
Quando Mary aprì gli occhi, si accorse di sentire freddo. Le coperte la coprivano bene, ma lei tremava per l’assenza di calore corporeo, quel calore che si era abituata ad assaporare ogni notte. Samael non la lasciava mai sola quando era in procinto di addormentarsi: si stendeva al suo fianco, le accarezzava i capelli e a volte mormorava una lenta litania in enochiano, una lingua così morbida e dolce che Mary chiudeva subito gli occhi, come cullata da una ninna nanna.
Ogni mattina da circa quattro giorni, Mary aveva preso l’abitudine di socchiudere gli occhi e di strofinare la guancia contro il petto di Samael, che l’abbracciava protettivo. Per lei era una specie di saluto, un ringraziamento per averla tenuta accanto, per essersi occupato di lei. Quel contatto la faceva sentire al sicuro, coperta, lontana dal mondo e dai problemi.
Non era molto abituata agli abbracci, ma con Samael era tutto diverso. Lui infondeva gentilezza e dolcezza in ogni gesto, senza imporvi doppi fini. Da quando aveva imparato a conoscerlo più a fondo, Mary si sentiva più comprensiva nei suoi confronti: in tutta la sua fragilità, Samael dimostrava una bontà d’animo che rasentava quella di un bambino. Non importava quali errori avesse commesso in passato, perché adesso si stava impegnando per rimettere le cose a posto, per redimersi e per ritrovare i fratelli perduti. Già, ritrovare i suoi fratelli…
Castiel.
Il pensiero fisso di Samael, il volto che rispecchiava i suoi pensieri ogni volta che Mary parlava e lui non la ascoltava. Spesso si soffermava a pensare al suo angelo, a colui che amava, e questo lo rendeva distratto, assente. Mary si irritava spesso per questo.
Quella mattina però, l’assenza di Samael era fisica e per la prima volta, Mary si svegliava da sola nel letto. Quel gelo dovuto all’assenza dell’angelo, non le piaceva affatto.
Mary si alzò, scostando le coperte con un gesto stizzito. Posò per terra i piedi nudi, rabbrividendo al contatto con la gelida superficie del pavimento. Camminò per i corridoi della casa silenziosa, ancora avvolta nell’assopimento sonnacchioso del mattino. Ogni stanza era tranquilla, deserta, abbandonata. Di Samael, nessuna traccia.
-Samael?- mormorò allora Mary, cominciando ad allarmarsi. Scese al piano inferiore di corsa, spalancò la porta e lì trovò Samael, fermo a pochi passi dall’uscio col capo rivolto verso il cielo. Le ali erano scomparse.
-Imbecille, mi hai fatto prendere un…-
-Sta cambiando qualcosa.-
Mary sbatté le palpebre, sorpresa. La voce di Samael era sembrata assente, vuota, eppure allo stesso tempo, aveva pronunciato parole sinistre e quasi piene di aspettativa. Ora che lo guardava meglio, Mary si accorse che le mani dell’angelo tremavano leggermente lungo i fianchi snelli.
-Di che stai parlando?- mormorò allora lei, avvicinandosi per guardarlo in faccia. Samael era pallido e aveva gli occhi leggermente sbarrati verso il cielo.
-Sta cambiando qualcosa… no, è cambiato qualcosa. L’inferno… oh, Padre mio…-
Samael abbassò gli occhi spiritati su Mary, che lo fissava preoccupata. La ragazza si sarebbe aspettata qualsiasi reazione dall’angelo, tranne quella che seguì. Samael si premette una mano sulla bocca e sorrise, gli occhi illuminati di nuovo splendore, il viso rinato e stravolto dalla speranza e dalla felicità.
-È vivo… l’hanno trovato!- esclamò Samael, afferrando Mary per i fianchi e sollevandola da terra in un abbraccio travolgente. –Castiel è vivo! Ha riportato ordine all’inferno, ha cambiato le carte in tavola! La storia sta mutando, c’è ancora speranza!- rise l’angelo, spandendo nell’aria la sua voce profonda e bellissima per la felicità che la pervadeva.
Mary si trovò a ridere a sua volta, senza sapere bene il perché. Non aveva mai sentito Samael ridere così, né l’aveva mai visto così felice. Sembrava un’altra persona, una creatura nuova, rinata e finalmente pronta a sperare in qualcosa di concreto. Era assurdo, ma se possibile, quel volto luminoso gli donava un briciolo di bellezza in più.
Con uno scatto improvviso, le ali si snudarono. Immense, possenti, baciate dal sole mattutino in modo da rilanciare sull’erba circostante un oceano di riflessi come di cristallo colpito dalla luce. Sembravano più luminose del solito, ma Mary non ebbe quasi il tempo di preoccuparsene perché, dopo averla presa in braccio, con un balzo, Samael l’aveva trascinata in cielo.
Mary gridò e si aggrappò al collo di Samael con tutte le sue forze, nascondendo il viso nell’incavo del suo collo. L’angelo le accarezzò la schiena mentre le ali sbattevano energicamente, sprigionando un vento profumato di menta e orchidee appena sbocciate.
-Apri gli occhi. Ti tengo, sei al sicuro… fidati di me.- mormorò lui, così vicino al suo viso da farla trasalire e sollevare il capo di scatto. I loro nasi si sfiorarono, Samael sbarrò gli occhi per la sorpresa mentre Mary arrossiva fino alla punta dei capelli scompigliati dal vento.
Alla fine, con un colpo di tosse, Samael riportò l’attenzione all’ambiente circostante. Istintivamente, Mary lo imitò e in un istante, si trovò a posare gli occhi… sul mondo. Sotto di loro, scorreva inesorabilmente e a gran velocità, l’intera Romania. Paesaggi verdeggianti, monti irti di alberi simili a tante piccole punte di smeraldo, fiumi che come serpi azzurrine si srotolavano con fare sinuoso, perdendosi in lontananza, verso mete sconosciute che all’apparenza parevano sfociare nello stesso azzurro del cielo.
Lontano, a sud, si distingueva una catena montuosa che poco a poco si avvicinava, colorandosi, modellandosi, cambiando fattezze in un abbraccio di monti imponenti, magnifici, come bestie poste lì dall’alba dei tempi come guardiani del paesaggio circostante.
Ogni colore era brillante, ogni sfumatura si tingeva del dorato lucente dei raggi solari. Sembrava un quadro, eppure era reale, magnifico, ed era tutto ai loro piedi. Incredibile come spesso ci si dimentichi che oltre il grigio delle città, della monotonia e della vita abitudinaria, esista ancora un mondo popolato di magnificenza colorata. Adesso che Mary vedeva, capì perché Castiel e gli altri si sacrificassero tanto per difendere un mondo tanto bello. Quei colori, quegli animali e tutto ciò che li attorniava meritava il sacrificio e la protezione delle ali imponenti degli angeli. Era giusto così.
-Samael?-
-Mh?-
-Grazie.-
-Per cosa?-
-Per avermi portata quassù. Per aver difeso fino a questo momento il mio mondo. Non ho mai capito appieno il vostro impegno per preservare la Terra, ma adesso so… so che è giusto. So che quanto di bello c’è al mondo è davanti ai nostri occhi tutti i giorni e noi ci passiamo davanti con indifferenza. Non apprezziamo, non capiamo il lavoro e gli anni che la natura ha impiegato per costruire ciò che c’è adesso, ma voi che l’avete visto e crescere, voi capite. Adesso, almeno un poco, capisco anch’io.-
Samael accentuò leggermente la stretta sui suoi fianchi, come in silenziosa risposta alle sue parole. Mary sapeva che fin dall’inizio Samael avrebbe potuto teletrasportarli tutti e due da Castiel, ma aveva aspettato e l’aveva trascinata in volo per farle ammirare ciò che meritava di essere visto. Adesso che Mary aveva capito, potevano andare.
Con un ultimo, definitivo battito d’ali, Samael li teletrasportò entrambi a casa Singer. Furono ignari del fatto che a poca distanza da loro ci fosse qualcun altro, un uomo alto e biondo che fluttuava a mezz’aria tenendo le braccia incrociate al petto. I suoi occhi azzurri fissavano il punto dove erano spariti Samael e Mary e un sorriso gli incurvò le labbra.
-Balthazar?- mormorò allora una voce alle sue spalle. Belial comparve a poca distanza da lui, sbattendo placidamente le immense ali di cristallo. Le piume leggermente trasparenti, evanescenti come il più bello dei sogni, riflettevano sul mondo una luce nuova, purissima.
Balthazar non si voltò, non diede segno di averlo visto, ma sapeva che era lì. L’aveva sempre saputo, perché Belial non lo lasciava mai solo, e nonostante spesso Balthazar si lamentasse per questo, in realtà gli faceva piacere.
-Credi che sia giunto il momento, Belial?- mormorò Balthazar, dando finalmente segni di vita. Sentiva una strana emozione pervadergli l’animo. Poter finalmente riabbracciare Castiel, Gabriel, Samael… rivederli, dir loro che era ancora vivo e che stava bene, che c’era una speranza…
Portando una mano al collo, Balthazar sfiorò la catenella d’argento alla quale era agganciato quello che sembrava un minuscolo cubo di vetro, fragile e lucente in tutta la sua preziosità. Aveva ubbidito agli ordini di Castiel difendendo il Cubo di Metatron e aveva fatto anche di più in quegli anni passati. Aveva trovato un aiuto, e adesso che, con la rivolta all’inferno, Castiel aveva cambiato le carte in tavola, c’era una speranza in più, un aiuto inaspettato che nemmeno Belial aveva previsto.
Era tempo di chiarire ogni cosa.
Era tempo di spiegare chi fosse realmente Leitsac e cosa volesse dagli angeli.
Era tempo di combattere, di reclamare il giusto ordine rimasto sovvertito troppo a lungo. Gli angeli meritavano di reclamare la loro patria, e per farlo avrebbero dovuto rinascere dalle ceneri, scrollarsi di dosso la paura e la fatica per il passato vissuto a temere l’unica creatura che era stata capace di spazzarli via.
Balthazar e Belial fissarono il sole senza difficoltà, impedendo che gli occhi si infastidissero per la troppa luce. Rimasero affiancati, uniti dall’angelo dalle ali di cristallo che intrecciava le dita con quelle di Balthazar e gli stringeva la mano per fare forza ad entrambi. Forse stavano marciando verso la rovina, forse quella sarebbe stata la loro ultima lotta, il loro ultimo atto in terra, ma non potevano tirarsi indietro.
Era l’ultima marcia, il momento culminante del loro essere. Toccava a loro dimostrare al mondo, a Dio, che erano liberi, vivi, e pronti a combattere per ciò in cui credevano. Non soldati nelle mani di Dio, non schiavi al cospetto degli uomini. Erano angeli, dotati di ali per volare verso un cielo sconfinato, e l’avrebbero fatto fino alla fine delle loro esistenze.
-Abbiamo qualche speranza?- mormorò Balthazar, senza distogliere gli occhi dal sole lucente. Belial sorrise leggermente.
-Non credo.- rispose dolcemente, e Balthazar annuì. Incrociò gli occhi cangianti dell’altro angelo, sentendo il cuore sobbalzare al cospetto della sua bellezza. Erano anni che viaggiava al suo fianco e ancora non ci era abituato.
Vederlo lì, baciato dalla luce del sole, luminoso come la Stella del Mattino che era e ancora più bello della luna sorta in cielo, riempì Balthazar del coraggio che gli mancava. Sapeva che Belial sarebbe rimasto fino alla fine, sapeva che non l’avrebbe abbandonato.
Era un amico, dopotutto… o quantomeno, Balthazar cercava di convincersi che non fosse nulla più di questo, per lui. Eppure sapeva che la sua fine l’avrebbe trovata grazie a Belial.
Sarebbe morto per salvarlo, per regalargli un domani. Dal primo istante in cui l’aveva visto, Balthazar aveva capito che per lui, la vita finiva senza un ritorno, ma per Belial sarebbero sorte nuove albe. Anche Castiel e Gabriel sapevano che la loro battaglia sarebbe andata così: dare la vita per proteggere i propri umani, annientare se stessi per consentir loro di osservare il mondo con occhi rinati, era il loro scopo. Forse però, la battaglia imminente avrebbe deciso molto più di questo.
C’era in gioco l’equilibrio tra inferno e paradiso.
C’era in gioco la sopravvivenza degli uomini.
-Be’… cosa aspettiamo, allora?-
 
Angolo dell’autrice:
Salve! Ammetto che questo capitolo mi ha fatto sudare freddo più volte, ma alla fine ce l’ho fatta! Dunque, dedico questo capitolo alla meravigliosa Sherlocked il cui bellissimo disegno adesso mi invade il portafogli e non si scollerà da lì fino alla fine dei tempi! Grazie ancora, è bellissimo!!! E… mutande? Fermi tutti, qualcuno mi spiega perché ci sono le mie mutande appese al ventilatore?
Balthazar: be’? è per un esperimento, che vuoi?!
Ma sono le mie mutande! Rimettile giù, adesso!
Balthazar: a dire il vero ci sono anche i calzini, ma molti sono periti quando ho fatto girare il ventilatore a massima velocità. Insomma, se trovi dei buchi nel muro a forma di calzino, sappi che potrebbe essere colpa mia… ma se trovi un buco a forma di Gabriel nella finestra, quello è colpa di Sam che l’ha trovato a filmarlo mentre faceva la doccia.
Ma che… maledetto Gabriel, si è fatto scoprire!
Balth: TOMI?!?!?!?! TU CHE C’ENTRI?!?!?!?!?
Io? No, niente! Non ordinerei mai a Gabriel di filmare Sam mentre fa il bagno… ehm… la doccia… o tutti e due. Insomma, io andrei a… fermare la guerra in Vietnam, ci vediamo!

 Shiva_: e già, Belial è Lucifero, ma avremo ancora un po’ da scoprire riguardo il nostro bell’angioletto. Ha anche lui i suoi scheletri nell’armadio, no? E sì, ammetto di aver amato anch’io Lucifero, anche perché sotto un certo aspetto mi faceva pena… cioè, sarò io la fessacchiotta che si fa fregare dagli atteggiamenti sempre tranquilli del nostro diavoletto, ma mi piaceva un sacco, molto più di Michael, che era un arrogante sbruffone! Comunque, sarò ripetitiva anche io, ma amo i tuoi commenti e il fatto che la storia ti piaccia davvero! Non finirò mai di ringraziarti, perciò graziegraziegrazie! A prestissimus!
kimi o aishiteru: suvvia, in realtà Lucifero è un tenerone (cosa?! Non è vero! Nd Lucy)( e non chiamarmi Lucy! Nd LucyLucy)( be’, fino a prova contraria sei tu che insiste a volersi guardare Bambi e scoppia in lacrime ogni volta che vede sua madre morire!). insomma, Belial è un cucciolone di prima categoria, ma è meglio non provocarlo o si rischia di finire come Leitsac… eh, in realtà sono d’accordo con te, Balthazar e Belial sono stranissimi insieme, e in realtà non sapevo se azzardare un’altra coppia, considerando che non è facile gestire quelle che avevo a disposizione già da prima, ma sinceramente ho voluto scrivere di Lucifero come lo vedo io e non so ancora se ho fatto un guaio oppure no. Comunque, tua sorella è un genio se ha capito che Leitsac è Castiel scritto al contrario, io stessa ho avuto parecchi problemi a imparare il nome a memoria, e ancora adesso ho difficoltà a scriverlo. E poi, una sorella di otto anni che conosce supernatural?! La voglio anch’io, dannazione! Il Cubo di Metatron chiarirà la sua funzione nel prossimo capitolo, promesso! Un bacione e a prestissimo!
HowlingFang: eh sì, sto pensando di fargli urlare di nuovo GOOD MORNING VIETNAM quando rivedrà Sam, ma sarebbe una mossa crudele e il nostro povero capellone rischierebbe di collassare per lo spavento XD insomma, quantomeno non capirà a prima vista chi ha davanti, così evitiamo una carneficina immediata, ma non si può mai dire il mio bastardissimo cervello cosa mi ordina di scrivere. Mmm… Belthar è magnifica! Sì, ecco a voi la nuova coppia, soprannominata dalla nostra ormai addetta ai nomi di coppia! Eh, ammetto che avrei voluto scrivere più Destiel in questo capitolo, ma poi mi è parso stupido inserire troppa normalità di coppia tra Cass e Dean, considerando che il ritorno dall’inferno non può non aver lasciato tracce. Il nostro angioletto deve ancora riprendersi, ma quando lo farà ne vedremo di tutti i colori. Detto ciò, ti ringrazio come sempre per il magnifico commento e ti abbraccio virtualmente! Un bacione e a presto!
Sherlocked: ok, e questo capitolo in che sezione rientra? (e non ti nascondere dietro di me! Nd Gabriel) anche a te piace Lucifero?! Aaaah, sei da adottare come sorella acquisita (cioè, fammi capire: qui piaccio a tutti ma nel telefilm finisco comunque come un pennuto ingabbiato?! Ma siamo seri?! Nd Lucy)( ancora?! Non chiamarmi Lucy! Nd LULU)(………. Nd LULUCY) sì, ammetto che la coppia Balthazar Lucifero sia un azzardo, ma dovevo provarci, anche perché il nostro diavoletto dovrà trovare pace, prima o poi! E che cavolo, lo trattano tutti male, povero cucciolotto! (ma la finisci di accarezzarmi i capelli?! E poi toglimi questo collare, non… CHI CA**O HA FATTO SCRIVERE LUCY SULLA MEDAGLIETTA?! Nd Lucy). Cercherò di essere buona con lui, ma non prometto niente! Comunque, al comicon avevi un abito bellissimo! Ma lo voglio anch’io!!! Qui e subito, dannazione!!! Lo vogliooooo!!! Chissà se Crowley ce l’ha nel suo guardaroba da star… mmm… ok, vado a rovistare e ti saluto, ringraziandoti ancora del disegno *v* non me l’aspettavo proprio, ti rendi conto che avevo degli arcobaleni al posto degli occhi dopo?! Colpa tua!
Tomi Dark Angel
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 16
*** La Scelta Di Dimenticare ***


Castiel strinse forte il tessuto della giacca di Dean, gli occhi sbarrati, le mani tremanti. Si era rannicchiato contro il suo fianco, ma non serviva a nulla l’abbraccio protettivo nel quale lo stringeva il cacciatore: gli incubi erano ancora lì, terrificanti, presenti, grondanti di sangue e voci supplicanti. Niente lo proteggeva dalle viscide mani dei dannati che nelle sue visioni gli accarezzavano languidamente il corpo, chiedendogli silenziosamente perché non era intervenuto, perché non li aveva salvati dalla sofferenza.
Castiel si strofinò le mani sugli avambracci, tentando di proteggersi dal gelo immaginario che gli pervadeva le ossa. Nascose il viso contro il petto di Dean e cercò di trovare un po’ di pace, ma quando capì che provarci era del tutto inutile, scese dal letto e uscì all’aria aperta.
Il silenzio notturno misto all’aria pulita lo fecero sentire un po’ meglio, ma Castiel non riuscì a impedirsi di accorgersi di quanto le sue ginocchia tremassero.
-Non riesci a riposare, figliolo?- disse allora una voce alle sue spalle. Castiel si voltò leggermente verso Bobby, in piedi sulla soglia con un grosso tomo stretto in una mano. Aveva incastrato l’indice tra le pagine come segnalibro.
-Non come vorrei.- ammise Castiel, mentre Bobby scendeva le scale e lo affiancava, occhieggiando la luna da sotto il consueto berretto munito di visiera. Al vecchio cacciatore non sfuggì l’aria esausta che impregnava ogni singolo tratto dell’angelo: sembrava invecchiato di secoli, eppure il suo viso restava liscio e privo di rughe. Stranamente, tra i due, quello dall’aspetto più antico, per una volta, era proprio Castiel.
-Guai a te se te la svigni di nuovo.-
-Come?-
Bobby si voltò lentamente verso Castiel, guardandolo con espressione pericolosamente tranquilla.
-Ho detto che se ricadi nel tuo maledetto mondo paradisiaco e abbandoni il bravo ragazzo che ha avuto le palle di scendere all’inferno per venirti a riprendere, ti chiuderò l’intero apparato genitale in una tagliola per orsi.- disse a bassa voce. Castiel sorrise lievemente, intenerito dall’atteggiamento di Bobby. Era un uomo burbero, ma dal cuore grande. Chiunque osasse toccare i fratelli Winchester, sarebbe di certo caduto nelle ire del vecchio cacciatore. Per Bobby, Sam e Dean erano molto più che figli: erano la sua famiglia, il suo appiglio a una vita migliore.
-Non farò del male a Dean. Mi ucciderei piuttosto.-
-Ucciderti rientra nella categoria di dolori che causeresti al ragazzo, perciò bada a come parli.-
Castiel ciondolò il capo, esausto. Le ginocchia gli vacillarono, il corpo oscillò pericolosamente. Bobby lo fissò, allarmato. –Che ti prende?-
Castiel scosse la testa e non rispose. Come avrebbe potuto? Era così stanco che stentava perfino a muovere la lingua. –Devo riposare.- ammise infine, rischiando di cadere in ginocchio. Bobby lo sostenne.
-Va bene, ma vedi di non crollarmi davanti agli occhi, idiota!- esclamò il cacciatore in risposta. Castiel scrollò il capo, cercando di riprendersi, di affinare la vista che si appannava di più ogni secondo che passava.
All’improvviso, un violento spostamento d’aria, un battito d’ali di bronzo che Castiel riconobbe con un sussulto al cuore.
Bobby lasciò cadere il libro ed estrasse la pistola dalla fondina appesa al fianco in un movimento fluido e veloce. In pochi istanti, si trovò a puntare l’arma contro Samael, che stringeva ancora tra le braccia una scombussolata Mary. Appena Bobby li riconobbe, abbassò la pistola.
Samael poggiò delicatamente Mary al suolo, senza staccare gli occhi da Castiel. Era proprio lui, era vivo. Ne ammirò il viso dalle fattezze morbide, i capelli scompigliati, gli occhi di un blu così intenso da riuscire a risaltare nell’oscurità della notte più dei raggi lunari. Indossava nuovamente il solito, vecchio trench ed ogni cosa di lui era familiare, bellissima, ritrovata.
Era suo fratello.
Era l’angelo che aveva amato e che amava.
L’aveva cercato a lungo, si era dannato per rivedere quegli occhi, e adesso che ce li aveva davanti, Samael capì che ne era valsa la pena. Fissare quelle iridi colme di giustizia e quasi di compassione per i dolori che in qualità di angelo Castiel era sempre stato costretto ad osservare, riempì Samael di un sollievo immenso misto alla gratitudine per Dio che gli aveva restituito quel piccolo grande angelo dall’innocenza di bambino.
Samael ricordava bene l’ultima volta che si erano visti. Era stato un istante, uno scambio di sguardi e due occhi blu che gli chiedevano perdono prima che il loro proprietario lo spedisse con un pugno nel laghetto alle loro spalle per salvarlo dalla distruzione del paradiso. Castiel l’aveva salvato, protetto, e adesso che Samael ce l’aveva davanti… non sapeva cosa dire.
“Grazie” era troppo poco.
“Bentornato” era troppo banale.
“Ti amo” sembrava la risposta giusta, ma Samael sapeva che Castiel non l’avrebbe accettata. Forse meritava di restare ignaro, di non capire fino a che punto la sua assenza avesse logorato il piccolo angelo dalle ali di bronzo; ali che al cospetto di Castiel si facevano deboli, innamorate, colme di emozioni.
Samael si sentì fragile davanti a quegli occhi. L’emozione gli fece tremare le gambe, perciò lui rimase immobile, con le braccia lungo i fianchi e gli occhi lucidi fissi in quelli di Castiel che lentamente si avvicinava.
Mary si fece lentamente da parte, anche lei ipnotizzata dalla presenza dell’arcangelo.
Castiel appoggiò delicatamente le mani sulle guance di Samael per chinargli leggermente il capo, poi si allungò per posare le labbra fresche e profumate sulla fronte del fratello. Era un gesto nobile, di saluto e di ringraziamento per gli sforzi che Samael aveva compiuto per lui, per ritrovarlo. Aveva sofferto, ma non si era mai arreso, e questo Castiel glielo leggeva negli occhi.
Si separarono lentamente, ma prima che l’arcangelo potesse tirarsi indietro, Samael lo strinse in un abbraccio serrato, impaurito, che sapeva di mille cose non dette, di un anno passato nel dolore e nella paura di aver perso un amico, un fratello… un amore mai dimenticato e sempre tenuto rinchiuso in un cassetto segreto in fondo al cuore.
Samael affondò il viso contro il petto di Castiel, inspirandone l’odore pregnante, bellissimo, che sapeva di casa. Samael socchiuse gli occhi, evitando di chiuderli totalmente per impedire alle lacrime di sfuggire al suo controllo. Castiel se ne accorse e, portato nuovamente il viso di Samael davanti al suo, gli baciò le palpebre, costringendolo a chiuderle. Le lacrime scivolarono leggere lungo le guance e il mento dell’angelo, che schiuse le labbra in un basso singhiozzo. Si sentiva così debole, così spossato… nemmeno lui si sarebbe mai aspettato di sentirsi così al cospetto di Castiel.
Capì allora di provare ammirazione per lui, per la sua figura che per Samael si avvicinava alla sua idea di Dio misericordioso, giusto e gentile. Le ali di Castiel ferivano per difendere, i suoi occhi scrutavano non per giudicare, ma per perdonare. Era quello il viso del Padre che Samael aveva sempre cercato, quello l’atteggiamento che avrebbe voluto. Quando c’era Castiel, ogni cosa sembrava scivolare al suo posto, nella più totale tranquillità. Per Samael, rivederlo significava poter afferrare a piene mani la speranza vera.
-Bentrovato, fratello mio.- mormorò Castiel con voce più roca del solito, e allora Samael lo osservò bene in viso, notando solo allora la pelle pallida e gli occhi colmi di tristezza e dolore a stento repressi. Qualcosa non andava, ma in quel momento idilliaco, Samael faticò a tornare con i piedi per terra.
-Castiel, che succede?- domandò, preoccupato, ma Castiel scosse il capo.
-Niente. Sto bene.- mormorò in risposta prima di rivolgersi a Mary, ancora ferma dov’era e con gli occhi inchiodati quasi timidamente al suolo. –Vieni qui, Mary. Non ti farò del male, lascia che ti guardi in viso come ha potuto fare il mio io passato prima che morisse.-
Mary sollevò gli occhi, stupita, e incrociò quelli benigni di Castiel, che le tendeva la mano.
In quel momento sulla soglia comparve Dean, scompigliato e del tutto sveglio. Si era allarmato nel non trovare Castiel al suo fianco, quando aveva riaperto gli occhi. Appena vide Samael e Mary stare accanto al suo arcangelo, però, la preoccupazione svanì del tutto, sostituita dalla sorpresa.
Mary esitò, guardando la mano tesa di Castiel, ma dopo qualche attimo di immobilità decise che poteva raggiungerlo, che poteva fidarsi. Afferrò la mano calda e morbida dell’arcangelo, che strinse la sua con dolcezza, accostandola a sé.
Mary non lo ricordava così bello, quel viso. L’ultima volta che l’aveva visto era smunto, debole, stravolto dal dolore e dall’abbandono, ma adesso che ce l’aveva davanti, vivo e regale come il più nobile dei volti, Mary si sentì sciogliere. Quegli occhi blu zaffiro, lucenti come pietre preziose, la scrutarono con gratitudine mentre un leggero sorriso faceva capolino sul volto che in quel momento, di umano aveva ben poco.
-Tra le cacciatrici, la più coraggiosa. Hai affrontato le sabbie del tempo per riportarmi indietro e non hai mai vacillato nelle tue scelte, saggia come il più saggio dei miei fratelli e ferma come un leone deciso ad inseguire la sua preda fino alla fine. Per questo, io ti ringrazio, Mary. Il tuo volto, così come il tuo nome, non saranno dimenticati e possa la tua anima ricadere in sponde sicure dove, al momento del giudizio, potrà riposare in pace.-
Castiel allungò un dolce bacio sulla fronte di Mary, che chiuse gli occhi, rilassando il corpo a quel contatto fresco, profumato. Sentì Castiel mormorare qualcosa in enochiano mentre le prendeva entrambe le mani con gentilezza, stringendole appena.
Quando alla fine si allontanò, Mary si sentì rinata, colma di energie. Tutto il male del mondo pareva non essere mai esistito. Quell’uomo dagli occhi gentili aveva cancellato tutto.
-Ehi, idioti. Avete intenzione di entrare in casa o restate qui a gelare?- intervenne Bobby, attirando la loro attenzione. Castiel fu l’unico a non muoversi, a non reagire. Al contrario, fissò il cielo con aria concentrata.
-Arriva qualcuno.- disse.
Automaticamente, Samael spinse Mary alle sue spalle, pronto a difenderla e Castiel tenne d’occhio Dean, che già impugnava la pistola e si guardava intorno guardingo.
-Placate gli ardenti spiriti, dolcezze. Cassy, sii più ospitale e vedi di non farti insegnare l’educazione.- intervenne una voce a poca distanza da loro. Gabriel e Sam li raggiunsero, tenendosi per mano. Una delle ali dell’arcangelo si piegava ad appoggiarsi sulle spalle larghe del cacciatore, coprendolo dalle sottili folate di vento con fare protettivo e colmo di dolcezza.
Appena Dean li vide, capì subito che qualcosa era cambiato. Gli occhi di Sam non erano mai stati così luminosi, nemmeno ai tempi in cui stava con Jessica ed aveva frequentato il college, apparentemente libero dalla sua vita di cacciatore. No, il baluginio brillante che illuminava di fioca luce le iridi chiare e dal colore quasi indefinito di Sam Winchester era qualcosa di nuovo, fresco e appena nato. Il ragazzo sembrava felice, rilassato, tanto che il suo volto sembrava mutato, più giovane. A dare una risposta a quel cambiamento, tutti si accorsero di come il ragazzo si appoggiasse fiducioso a Gabriel, guardandolo di tanto in tanto come se dall’arcangelo dipendesse ogni cosa, oltre che la sua stessa vita.
L’universo di Sam aveva cominciato a girare intorno a un nuovo epicentro, e di questo Dean fu felice e forse anche un po’ invidioso. A lui non era consentita quella felicità, nemmeno dopo tutti gli sforzi che aveva fatto. Era sceso all’inferno, aveva riportato indietro Castiel, e questo solo per vederlo peggiorare e vivere una vita a metà.
-Bentornato, cherì!- salutò allegramente Gabriel, sventolando una mano in direzione di Samael. Salutò anche Mary, poi si separò da Sam, anche se con una certa fatica e facendo il possibile per tenerlo d’occhio e si accostò a Castiel. Levò la testa al cielo, imitando l’altro arcangelo.
-Sono loro?- domandò Castiel con voce strascicata dalla stanchezza. Gabriel sorrise.
-Sì, direi di sì.- rispose candidamente.
Una scintilla si accese in cielo, illuminandosi come una stella. A questa prima stella ne seguì un’altra, più grande e dai colori leggermente variopinti. Una scia color zaffiro e acquamarina discese verso di loro, seguita dall’altra entità, che scendendo si lasciò alle spalle un drappo luminoso in tutto e per tutto identico all’aurora boreale, che squarciò il cielo, allargandosi a macchia d’olio, luminosa, spettacolare oltre ogni dire, e assolutamente inaspettata. L’arcobaleno di colori cangianti brillò tra le stelle, danzando intorno a una figura in particolare, ossia al suo stesso proprietario.
Il suo accompagnatore atterrò per primo, con leggerezza, flettendo appena le ginocchia e guardandoli sornione con i lucenti occhi azzurro cielo, le ali immense ancora spalancate, ampie, i cui riflessi bianchi, azzurri e blu si riflettevano sul terreno e sulle pareti di casa Singer. 
Il secondo nuovo arrivato, ossia il creatore dell’aurora boreale, atterrò al suo fianco con l’eleganza di un gatto, tenendo spalancate le immense ali ancora indistinguibili per la troppa luce che le avvolgeva. Dean aveva già visto quella lucentezza, ne era certo, ma ne ebbe la totale conferma quando udì il canto armonioso di un uccello, che parve emergere direttamente dalla stessa aurora boreale, estraendone i colori cangianti.
Grande come un’aquila, l’uccello volò sopra le loro teste, sbattendo le ali variopinte di sfumature quasi acquerellate, tanto era la delicatezza con la quale i colori si trasformavano. Aveva una coda lunghissima fatta interamente di piume così sottili da sembrare una cascata che alla base era bianca, ma cadendo sfumava nell’azzurrino, poi nel verde acqua, nel color smeraldo, nel dorato, fino a sfociare nel rosso rubino. Le ali, le cui penne cangianti e dai colori sempre in mutamento a seconda della luce che le colpiva, sbatterono con vigore per l’ennesima volta. Il capo, munito di becco argentato, si tingeva di una morbida sfumatura blu che sul collo schiariva nell’azzurro e nel bianco immacolato, tuffandosi in un nuovo mare di colori lungo il corpo dello splendido volatile, figlio dei colori, tavolozza di Dio stesso.
Quando si posò sulla spalla del suo proprietario, l’uccello fissò Castiel con occhi argentati, colmi d’intelligenza. Sbatté le palpebre un’unica volta in segno di saluto.
La luce diminuì, dissipandosi lentamente, ma l’aurora boreale rimase a danzare sulle loro teste, meravigliosa in tutte le sue sfumature colorate che parevano riflettersi ovunque, finanche sulle pareti di casa Singer.
Quando tutti poterono vedere il proprietario di quella meraviglia, rimasero a bocca aperta, eccetto Gabriel e Castiel. Il giovane uomo che stava in piedi al fianco di Balthazar era quanto di più bello avessero mai visto. Aveva un viso innocente, puro, meraviglioso in ogni suo zigomo alto, delicatamente scolpito. Addirittura, gli stessi capelli parevano una colata d’oro mescolata alla delicatezza del miele più dolce.
La cosa più sconvolgente di tutte però, erano le ali. Erano sei, talmente gigantesche da superare in ampiezza quelle di Castiel, ricoperte di morbide piume dall’aspetto cristallino, leggermente trasparente, come se fossero fatte di vetro soffiato o di cristallo sapientemente lavorato. Su di esse, si rifletteva lo spettro colorato dell’aurora boreale, dei colori di tutto il mondo sempre in movimento, sempre brillanti in ogni sfumatura. Era… uno spettacolo. Quelle ali rendevano insignificante anche l’aurora boreale, se non tutte e sette le meraviglie del mondo messe insieme. Quelle ali erano l’ottava e la più importante, la più pregiata.
-Ciao, dolcetto alla crema! Da quanto tempo!- esclamò Gabriel, avanzando con fare sciolto verso Balthazar e stringendolo in un abbraccio coinvolgente, da bambino. Sollevò le gambe e le allacciò intorno alla sua vita, appiccicandosi a lui come un koala. Balthazar per poco non perse l’equilibrio.
-Gabriel! Scendi subito!-
-Ma sto cooooosì bene…-
-Non mi interessa! Stai giù! Accuccia!-
 -Mi dispiace, il mio padroncino non mi ha educato bene. E poi… aspetta, ma da quando hai un culo così sodo?-
-Smettila di toccarmi il culo!-
Balthazar si dimenò e alla fine Gabriel fu costretto a scendere se non voleva trovarsi impalato su un mare di piume appuntite come lame. Soffiò sulla faccia di Balthazar, provocandolo e ricavandone un pugno sul braccio che, dato ad una persona normale, probabilmente gli avrebbe spezzato l’osso.
Sembrava tutto così normale, così bello e naturale, e sarebbe stato anche divertente se non fosse stato per la presenza dell’altro arcangelo al fianco di Balthazar.
Appena Gabriel gli rivolse l’attenzione, sorrise con una dolcezza disarmante. I suoi occhi dal colore indefinito, cangiante come il cristallo delle sue ali, brillarono lucidi alla semioscurità della notte. Sembrava in procinto di piangere.
-Fratello mio…- mormorò con voce melodiosa che si accompagnava perfettamente alla bellezza del viso. Gli tremavano le mani per l’emozione, o forse per la paura di un giudizio negativo da parte dei fratelli ritrovati. Potevano rifiutarlo, potevano non accoglierlo, avrebbero anche potuto attaccarlo e lui non si sarebbe difeso. In quel caso, non poteva dargli che ragione. Meritava tutto il loro odio, la loro rabbia, perciò non aveva senso difendersi. Quanti dei suoi fratelli aveva fatto a pezzi? Quanti danni aveva causato all’umanità, a Dio stesso?
Era stato sciocco e arrogante, e gli altri ne avevano pagato le conseguenze. Sentirsi distrutto, essere punito col peso delle sue colpe, non era abbastanza, e adesso che si specchiava negli occhi tranquilli dei suoi fratelli in tremante attesa di un giudizio, di un colpo da assorbire, capiva che era ben lontano dal redimersi. Doveva oltrepassare quella prova, quel tribunale vomitato direttamente dal passato. Si ricordavano bene di lui, si erano incontrati in precedenza, ma sempre in maniera fugace. Belial era sempre fuggito prima di poter affrontare il loro giudizio, ma adesso era con le spalle al muro, tremante e indifeso come un topolino al cospetto di una tigre immensa e maestosa.
Gabriel avanzò, si pose dinanzi a Belial, squadrandolo con occhi antichi, giudiziosi, che lo trapassavano. Incredibile a dirsi, ma quello che era stato l’arcangelo più potente e più bello del paradiso, la Stella del Mattino di Dio, adesso abbassava gli occhi, debole e fragile come vetro.
Attese la sua condanna quando Gabriel sollevò un braccio. 
Chiuse gli occhi, pronto a provare dolore fisico, che tuttavia non avrebbe mai sovrastato quello psicologico.
Strinse i pugni, chinò il capo, arrendevole, prostrato.
Chiese silenziosamente perdono, ammesso che il perdono esistesse per uno come lui. Alcune cose sono difficili da scavalcare: spesso non ci si riesce e allora le ferite si infettano e trasformano chiunque le porti in una bestia affamata di vendetta.
Belial attese di sentire le ferite causate da quella stessa bestia. Sapeva che avrebbe giustificato Gabriel, sapeva di non poter chiedere perdono così facilmente…
Levò gli occhi in un ultimo sguardo sul viso di Gabriel, il fratello che ricordava bene la caduta dell’angelo più bello del Paradiso. Quel giorno, Gabriel aveva perso metà dei suoi fratelli, li aveva visti perdere le ali e precipitare nella dannazione. Aveva udito le loro grida per giorni, angeli che erano nati e cresciuti con lui, che avevano combattuto al suo fianco, e che all’improvviso Gabriel si era trovato costretto ad ammazzare a sangue freddo. Quella era stata la prima volta che il suo cuore si era spezzato, quello era stato il principio del male.
La mano dell’arcangelo si strinse in un pugno rabbioso. Balthazar cercò di frapporsi, ma Castiel lo afferrò con una stretta d’acciaio e lo spinse a terra, inchiodandolo con le possenti ali d’argento, affilate come rasoi.
-Gabriel, guardati intorno.- disse allora Castiel, bloccando momentaneamente la rabbia del fratello.
Automaticamente, Gabriel si voltò e incontrò gli occhi di Sam. Li aveva cercati come un assetato disperatamente bisognoso d’acqua, e adesso che aveva davanti quello sguardo spaventato, interrogativo ma colmo di fiducia nei suoi confronti, la rabbia di Gabriel vacillò.
Sam.
Era stato Lucifero a condurli a quel punto. Se non fosse stato per lui, probabilmente non avrebbero mai smesso di considerarsi nemici. Erano giunti lì anche grazie al male, alle difficoltà che avevano dovuto affrontare fianco a fianco. Qualcosa era cambiato nell’uomo con l’arrivo del diavolo, del peccato, ma non tutto era un morbo orrendo come sembrava.
Con l’arrivo del male, l’uomo aveva imparato a perdonare i dolori subiti dal prossimo.
Con l’arrivo del male, le persone avevano capito che era giusto sostenersi a vicenda per andare avanti.
Il male, insieme al bene, aveva costruito il mondo, aveva dato vita a persone che nei loro errori erano riuscite ad andare avanti, a migliorarsi. Sam aveva sbagliato più volte, cadendo nel tranello del peccato, ma si era sempre rialzato, e questo aveva dato vita al giovane uomo che era. Il male aveva riavvicinato i fratelli Winchester, il male li aveva costretti a considerare la famiglia come qualcosa di importante, vitale e bellissimo.
Forse, non tutto il male veniva per nuocere.
C’era ancora il sole da qualche parte, e quando Gabriel capì che amare non significa trovare la perfezione, ma perdonare terribili difetti, seppe di aver finalmente fatto la sua scelta.
Il pugno calò, Balthazar lanciò un grido, e lo stesso fece Sam. Belial strinse forte le palpebre, preparandosi all’impatto, stringendo forte una zampa rassicurante dell’uccello appollaiato sulla sua spalla. Attese… attese il dolore… ma questo non venne.
La mano di Gabriel si distese, allungò le dita per posarle sulla guancia di Belial in un tocco fine e carezzevole.
Belial sbarrò gli occhi, allucinato, per incontrare il volto di Gabriel. Le labbra piegate in un morbido sorriso, gli occhi colmi di affetto e… perdono? Sembrava così, ma Belial non volle crederci. Non subito.
-Bentornato, fratellone.- mormorò alla fine Gabriel mentre Castiel, che intanto aveva liberato Balthazar, lo affiancava e gli prendeva il viso tra le mani, asciugando con i pollici le lacrime bollenti che cadevano lungo il viso di Belial. Le ali d’argento si piegarono in avanti per sfiorare quelle di cristallo della Stella del Mattino, di suo fratello. Castiel non aveva mai odiato Lucifero. L’aveva sempre perdonato come un fratello minore ma molto affezionato che volta il capo dall’altro lato per ignorare i continui sbagli del maggiore.
-Ti perdoniamo, fratello mio.-
Quelle parole. Un giudizio finale, inaspettato. Belial non si sarebbe mai aspettato di sentirle, di sentire il calore della gratitudine e del perdono lungo il corpo e le ali. Dopo ciò che aveva fatto, dopo tutti gli errori commessi, i suoi fratelli lo riammettevano in famiglia, accogliendolo con la dolcezza di un padre che abbraccia il figlio ritrovato. Era come se non fosse mai accaduto niente, come se il male non fosse mai esistito.
Gabriel e Castiel lo perdonavano, gli accarezzavano il viso e le ali. Belial aveva dimenticato cosa significasse far parte di una famiglia e avere fratelli che gli volessero bene.
Altre lacrime sgorgarono, tanto che alla fine, per non farsi vedere, Belial nascose il viso contro la spalla di Castiel. Era più alto di lui, eppure sembrava così piccolo e fragile, come un uccellino riparato sotto le ali di un’imponente aquila reale. Gabriel gli accarezzò la schiena, un altro gesto di affetto dimenticato.
Samael avanzò di qualche passo, guardò l’arcangelo che era stato il più potente e il più bello del paradiso. Infine, anch’egli chiedeva perdono, invocando una pietà non divina, ma fraterna. Non si era rivolto a Dio, non aveva supplicato il Cielo di risparmiarlo, ma anzi, aveva guardato alla sua famiglia, all’unico riparo che temeva, ma di cui gli importava l’accoglienza.
-Grazie… grazie…- mormorò ripetutamente, commosso. Castiel lo abbracciò per consolarlo, per ricordarsi che era tutto reale, che il fratello perduto era finalmente tornato indietro.
Gabriel sorrise intenerito. Castiel aveva sempre amato Lucifero. Ai tempi in cui la Stella del Mattino era ancora un angelo, Castiel l’aveva ammirato come un idolo, riconoscendo la sua magnificenza e ripetendosi ogni giorno che sarebbe diventato come lui, crescendo. Buffo pensare a un piccolo angioletto che cercava di imitare le gesta eleganti dell’angelo più bello del paradiso, ma era accaduto, e spesso Lucifero gli aveva dato corda, scherzando con lui e cercando di mostrarsi più goffo per dare a Castiel la speranza di essere vicino al suo obbiettivo.
Quando poi Lucifero era stato scacciato, Castiel si era ripiegato su se stesso dal dolore. Gabriel aveva creduto di perderlo, in quegli anni: il piccolo angelo era cresciuto con la rigidità e la freddezza irriconoscibile e distante del soldato e spesso Gabriel aveva pensato di trovarsi davanti a uno sconosciuto, almeno, fino all’arrivo di Dean.
Adesso che li guardava affiancarsi, consolarsi a vicenda, stringendosi da pari a pari in un abbraccio fraterno, Gabriel si disse che Castiel era cresciuto magnificamente. Era diventato bellissimo, secondo soltanto allo stesso Lucifero in quanto a bellezza, portamento e potenza. Forse però, non era poi secondo. Qualcosa in Castiel lo rendeva diverso, maturo quanto Dio stesso e sicuramente più degli altri angeli. Glielo si leggeva negli occhi, nel viso stanco, antico, nelle ali splendenti ma affaticate dai dolori subiti.
Era cresciuto, Castiel. Ma, dopo essere stato all’inferno, Gabriel non avrebbe saputo dire se la cosa fosse positiva.
-Non ci posso credere…- mormorò Samael, avvicinandosi. Fissò il viso rigato di lacrime e felicità di Belial, poi sbarrò gli occhi. Dopo un attimo di indecisione, Belial si decise ad abbracciarlo, e all’istante fu ricambiato da Samael, il quale tremava per lo sforzo di non piangere. Suo fratello era tornato.
Balthazar si affiancò a Gabriel, senza staccare gli occhi da Belial. Aveva avuto paura, ma per un attimo era stato pronto a decapitarsi contro le piume affilate di Castiel pur di frapporsi tra Gabriel e Belial. Lo sapeva, ma non lo ammise apertamente a se stesso.
Belial era un amico, soltanto un amico.
-Bentornato, dolcezza.- disse Gabriel, senza staccare gli occhi da Castiel, Samael e Belial.
Balthazar sorrise, riconoscente all’arcangelo per aver perdonato Belial, per aver avuto pietà, per aver capito. Nonostante i suoi atteggiamenti spesso puerili, Gabriel era forse il più saggio di tutti loro. Aveva un senso della giustizia innato.
-Grazie.-
-Non so di cosa stai parlando.-
Balthazar si voltò e vide Gabriel tornare indietro, verso Sam, che lo accolse con un abbraccio desideroso, come se la mancanza di contatto con Gabriel gli avesse sottratto il respiro. Balthazar guardò, capì e accettò la nuova realtà di suo fratello, ormai per sempre vincolato a quel piccolo, fragile umano.
Dean si avvicinò. –Vi dispiace darci spiegazioni, prima che perda la pazienza e vi spiumi uno alla volta?-
Belial guardò Dean, senza smettere di sorridere. La dolcezza del suo viso fece vacillare la durezza di quello del cacciatore.
-Tu sei Dean, allora. Dean Winchester.-
-Ci conosciamo?-
-Diciamo di sì, ma sono felice che, almeno al momento, non ti ricordi di me.-
Belial rivolse uno sguardo a Sam, che veniva tirato per mano da Gabriel. L’arcangelo glielo piazzò davanti e fece un passo indietro, in attesa.
Belial guardò quel ragazzo, capace di attrarre con la sua innocenza il cuore di un arcangelo. Nonostante la sua stazza imponente, aveva un viso sincero e gentile. Era un bravo ragazzo, puro come un bambino, nonostante gli errori commessi… gli errori che lui, Belial, lo aveva spinto a commettere.
Gabriel, alle sue spalle, annuì e allora Belial prese la mano di Sam tra le sue e lo guardò bene in viso.
-Mi riconosci, Samuel?- chiese cautamente, ma Sam corrucciò le sopracciglia, stranito.
-Dovrei?-
-Guardami bene. So di non avere affatto l’aspetto che conosci, ma guardami.-
Sam osservò l’uomo dall’aria innocente che aveva davanti. La sua bellezza disarmante lo rendeva insicuro, quasi imbarazzato, ma si costrinse a non distogliere gli occhi dal suo viso.
All’improvviso, un flash. Il volto di Belial che si sovrapponeva a un altro, più umano, ordinario… malvagio. Un uomo lo guardava, rideva, gli impediva di dormire e gli confondeva le idee, torturandolo psicologicamente al punto da fargli quasi invocare la morte. Un uomo resuscitava i Cavalieri dell’Apocalisse, portando l’inferno in terra, ammazzando milioni di vite.
Sam strappò la mano dalla stretta di Belial e indietreggiò contro il petto di Gabriel, che lo afferrò per gli avambracci.
-No…-
-Dolcezza, calmati.-
-NO!!!-
Sam si divincolò dalla stretta di Gabriel e si lanciò su Belial, pronto a colpirlo, a fargli del male, a vendicarsi per tutti i dolori che aveva causato. Il pugno sfrecciò, colpì una guancia, ma non era quella di Belial.
Balthazar vacillò appena, incolume al colpo subito mentre Sam si afferrava la mano dalle ossa spezzate e stringeva i denti per il dolore. Balthazar gli fece lo sgambetto e lo inchiodò a terra.
Dean e Bobby cercarono di intervenire, ma Samael e Castiel li fermarono.
-Provaci di nuovo e ti uccido, ragazzo. Prima di reagire e fare una cazzata, collega il cervello! Ricorda quello che hai appena visto, collega gli avvenimenti e cerca di capire, dannazione, o quantomeno, chiedi spiegazioni! So che è difficile, ma vedi di cavartela, perché non sono qui per farti da balia!-
Una mano si posò gentile sulla spalla di Balthazar, spingendolo dolcemente di lato, e Belial, una volta fatto volare via il suo Behemah alato, si inginocchiò accanto a Sam, che lo guardava con odio e rabbia mescolati. Belial allungò le mani, ignorando Sam che cercava di divincolarsi, di allontanarsi da lui o di colpirlo di nuovo e gli strinse le nocche ferite con tale gentilezza che Sam si fermò. Si specchiò nei suoi occhi sinceramente dispiaciuti, preoccupati, che sapevano di lacrime pronte a cadere.
-Mi dispiace… perdonami, se puoi. Capirò se non vorrai farlo, ma ti prego, non prendertela con chi mi sta intorno. Ti chiedo solo questa pietà.-
-Pietà?! Pietà? Hai avuto pietà mentre la gente moriva a causa tua?! Hai avuto pietà mentre Jo ed Hellen si facevano saltare in aria per aprirci la strada tra i mastini infernali? Parli di pietà, ma non la conosci, non sai nemmeno cosa significa!-
-Hai ragione.-
Belial sorrise tristemente, gli occhi bassi, vergognosi, timidi. Sam sbarrò i suoi, sorpreso da tanta pudicizia. Non era quello, il Diavolo. Non poteva essere lui la creatura che aveva massacrato milioni di persone per i suoi maledetti scopi, eppure, Sam sapeva che Lucifero era proprio quell’uomo dall’aspetto fragile, spezzato.
Le lacrime scivolarono sul viso di Belial, che chinò il capo, sconfitto.
-Hai ragione. Non ti dirò quanto so di aver sbagliato, perché so che sarebbe inutile e stupido farlo. Non ci sono parole per descrivere ciò che ho fatto, e io stesso non riesco a perdonarmi. Li vedo ancora, sai? Coloro che ho ucciso, che imploravano una pietà che non ho saputo provare. Come sono giunto a questo? Era così smisurato l’odio che provavo verso mio Padre, verso l’uomo? Più vi guardo, più me lo chiedo. Non so nemmeno cosa ci faccio qui, perché ho ancora il coraggio di sopravvivere e di chiedere perdono… il peso delle mie stesse colpe è troppo anche per me, ma forse vado avanti per questo… per pregare una speranza, un barlume di luce. Chissà se c’è ancora un posto per me, da qualche parte. Io… non voglio sparire. Non voglio lasciarmi alle spalle l’odio, voglio provare a cambiare, a migliorarmi. Se non potrai capire, ti darò ragione, ma ti prego, sfoga la tua rabbia su di me, e lascia in pace chi non ha fatto alcun male.-
Sbattendo le palpebre, Sam si scoprì ad avere gli occhi lucidi. La pesantezza e il dolore nella voce di Belial parlavano di anni passati alla ricerca del perdono, di una redenzione che non era mai giunta. Forse, quello stesso vagare in solitudine, abbandonato da Dio, dai suoi fratelli, era stata la peggiore delle torture. Quante morti aveva scontato, e quante ne doveva ancora scontare? Era giusto accreditare un ennesima colpa a quell’uomo già spezzato in due da un peso troppo grande da portare?
Quasi in risposta a questa domanda, Sam ricordò le parole di Gabriel:
“ Alcuni di loro cercano di cambiare. Di perdonare… e dovresti vedere come ci riescono bene! ”*
Sam rilassò il corpo e distolse lo sguardo da Belial per incontrare gli occhi allucinati di suo fratello. Anche Dean aveva capito e sembrava indeciso sul da farsi. Si aggrappava a Castiel, forse per la rabbia o per un precedente, disperato tentativo di spingerlo di lato, ma restava immobile. I due Winchester si scambiarono uno sguardo d’intesa, come facevano quando andavano a caccia. Gli occhi di Dean dicevano chiaramente: è una scelta tua. Decidi tu il da farsi, io ti seguirò.
E Sam decise, mentre Belial gli stringeva delicatamente la mano ferita e mormorava qualcosa a bassa voce per curare le ossa lese. Sam le sentì tornare al loro posto e un istante dopo vide Belial scansarsi, trarsi in piedi e guardarlo.
Forse, era giusto così. Forse, tutti hanno bisogno di una seconda possibilità. Ognuno dei presenti l’avevano avuta… ognuno di loro, eccetto Lucifero. Era ora di rimediare.
Sam tese la mano appena guarita verso Belial. Lo vide sbarrare gli occhi, guardare Balthazar in cerca di conferme, come un cucciolo alle prime armi con il mondo che cerca sicurezza dalla madre. Balthazar annuì, sorridendo, e Belial afferrò la mano di Sam, tirandolo in piedi.
-Hai ragione, non posso dimenticare. Sono umano, e forse la mia memoria non è delle migliori, ma alcune cose non si cancellano. È vero, non dimenticherò… ma ciò non toglie che le cose possano cambiare. Io ho rimediato ai miei errori, o almeno, ci ho provato, e forse è ora che anche tu provi seriamente a redimerti. Io ti perdono, ma non dimentico. Per ora, fattelo bastare.-
A pochi passi da loro, Castiel stringeva ancora Dean. L’arcangelo sentì l’umano rilassarsi contro il suo corpo, abbandonarsi contro di lui come faceva un tempo, quando ogni cosa era al suo posto e Castiel non era mai rimasto prigioniero dell’inferno. Amava Dean, e il pensiero di averlo protetto ancora una volta dalla dannazione era l’unica cosa che lo teneva ancorato alla ragione.
Fino a quel momento aveva funzionato. Adesso però, non bastava più.
-Dean…- mormorò, attirando su di sé lo sguardo del ragazzo. Occhi verde smeraldo, il colore di speranza che aveva tinto di vita la morte dell’inferno. Occhi che Castiel aveva amato, protetto. Occhi che non avrebbero mai dovuto riempirsi di lacrime e dolore come stava per accadere.
Castiel si chinò, prese il viso di Dean tra le mani in una stretta gelida che fece rabbrividire il ragazzo e lo baciò a fior di labbra, con dolcezza. Le sue labbra erano morbide, profumate e sapevano di buono, di casa… di Castiel. Ma c’era qualcosa di sbagliato, qualcosa che non avrebbe dovuto esserci.
Il gelo. La freddezza della sua pelle, come di cadavere.
-Ti amo.- mormorò Castiel sulle sue labbra, a bassa voce, con voce talmente dolce che a Dean parve che stesse cantando una ninna nanna.
All’improvviso, la Grazia di Castiel tremolò. Gli esseri umani non poterono vederla, ma gli angeli sì. Sentirono ciò che sentiva il fratello, udirono i ricordi travolgerlo e trascinarlo col pensiero all’anno trascorso nell’abbraccio dell’impotenza e dell’agonia.
Qualcosa di spezzò, andò in frantumi come uno specchio che si spacca in milioni di schegge.
Castiel cedette, si accasciò contro il corpo di Dean, unico appiglio alla realtà, unica forza e unico rifugio che l’angelo avesse mai considerato sicuro. Sentire il suo profumo, svenire tra le braccia di colui che amava, era tutto ciò che desiderava, quanto di bello gli restasse. In un mondo grigio fatto di incubi, Dean era il suo unico colore, l’unica cosa che lo rendesse umano, diverso da un dannato ormai condotto alla pazzia.
Ma forse, era troppo tardi.
Forse, gli ultimi rintocchi della ragione avevano dato il loro avviso a una sanità ormai perduta per sempre.
E mentre Dean reggeva tra le braccia il corpo inerme del suo angelo, un’ultima piuma argentata toccò il suolo, morbida nelle sue movenze leggere e triste nell’improvviso grigiore che passo dopo passo la contaminava.
 
*“ Alcuni di loro cercano di cambiare. Di perdonare… e dovresti vedere come ci riescono bene! ”: frase pronunciata da Gabriel nella puntata “Il Martello Degli Dei”.
 
Angolo dell’autrice:
Mmm, dunque, da dove cominciare? Allora, ammetto che forse questo capitolo è stato un po’ lento e noioso, ma ho voluto donare a Lucifero lo spazio che si merita. Forse per la maggior parte di noi non sarebbe stato degno di perdono, ma credo che ci sia un po’ da imparare dai nostri eroi. A volte perdonare è difficile, e specialmente Sam l’ha testato in prima persona, ma forse niente è impossibile, se si nutrono speranze e si ha la forza di credere che possiamo migliorare. Credo di capire particolarmente Lucifero: dopotutto, chi non si è mai sentito messo da parte, inferiore ai propri fratelli o ai propri amici? Chi non ha mai provato il desiderio di riscattarsi? Provarci è facile, ma tornare sui propri passi, capire i propri errori e chiedere scusa, è un altro paio di maniche. Dovremmo provarci, ogni tanto. Almeno, io la penso così. Proviamo a fare così: Gabriel, dai il buon esempio! Muoviti!

http://kandismon.deviantart.com/art/prrrresento-302552573
Ora, tornando al solito cazzeggio… Gabriel, continua a correre, si sta spegnendo il pc!
Gab: ma perché devo correre io in una ruota gigante per criceti?!
Perché sei stato tu a farmi saltare in aria il contatore! Hai acceso tutti gli elettrodomestici contemporaneamente, e poi devo ancora capire cosa di faceva Crowley nella lavatrice!
Gab: puzzava di zolfo! E si era accampato nel mio armadio perché dopo la rivolta scatenata all’inferno da Cassie, l’hanno cacciato a calci nel sedere. Ed era pure ora, direi! Insomma, sembra un bulldog, un re dell’inferno con questo aspetto non è credibile! Perlomeno Lucifero era figo! E pure gnocco, volendo dirla tutta!
Guarda che queste parole andranno dritte filate da Sam. Ho registrato tutto, sappilo.
Gab: cos… no! No, se gli fai avere quella cassetta, nella lavatrice ci finisco io!
Oserei dire che potrebbe anche appenderti i gioielli di famiglia a una gruccia. Ormai, dopo aver trovato Balthazar e Belial che giocavano a scacchi usando la tazza del cesso come piano d’appoggio, non mi stupisco più di niente.
Gab: aspetta di vedere l’invasione di banane in cucina. Erano in offerta e Mary ne ha comprate un’infinità… il problema è che interessano molto alle scimmie e…
Mio dio, cos’era quel rumore?! No, la credenza no! Siamo invasi dalle scimmie! È il pianeta delle scimmie, mio Dio! Prendete il bacarospo, non me! (lancia Gabriel alle scimmie e scappa)

HowlingFang: ecco, adesso la Destiel ha fatto una brutta fine. XD per qualsiasi reclamo, rivolgersi all’ufficio di Crowley, stanza 666. Tranquilla, Dean e Cass avranno il loro momento, ma ci vorrà molto impegno. Alla fine però, ne varrà la pena, per loro che si danno da fare e per noi che immaginiamo la scena. No, Gabriel, non faranno sadomaso, perciò posa quella frusta! E anche il completino sexy… no aspetta, quello non è male… che dici, Cass lo indosserebbe questo pantalone di pelle?! Mi sa che Belial sarà costretto a spiegare, ma ogni cosa a suo tempo. Al momento Castiel non è per niente in una bella situazione, se qualcuno non fa qualcosa, il nuovo pericolo sarà Dean e non Leitsac. Be’, che dire?! Come al solito non posso non ringraziarti per i meravigliosi commenti che lasci, perciò, grazie mille e a prestissimo!
xena89: oddio, che bellissimo commento. Già, chi non vorrebbe una storia come quella dei nostri amici? Insomma, sono cose da romanzi rosa. E pensare che i miei amici sono convinti che non sappia scrivere romanticherie nemmeno a pagamento! XD gli verrebbe una sincope! Tranquilla, capisco se la vita di tutti i giorni ti tiene sempre occupata. Ti basti sapere che per continuare questa storia sto scrivendo di notte, perché gli altri giorni devo studiare, considerando che quest’anno ho gli esami e… be’, non me la sento di abbandonare i miei personaggi, anche perché scrivere è l’unico relax che mi concedo, a costo di perderci il sonno. Perciò non preoccuparti, la storia è sempre qui, non se ne scappa ^^ quando te la senti di recensire fallo, altrimenti non importa, mi basta sapere che ti piace! Sei comunque uno dei miei angioletti recensori, questo non lo dimentico mica! Ohohohoh, un bacione!
Sherlocked: come, non ti aspettavi che ti dedicassi il capitolo?! Tu scherzi, queste cose devi sempre prevederle! Sempre! (l’hai presa per Sibilla Cooman? Non vede il futuro! Nd Luciruzzo)( no, questo no! Ma mi chiamo Lucifero! Lu-ci-fe-ro! Non è difficile! Nd Luke Skywalker)(ma… no, aspetta, chi mi ha cambiato il nome?! Nd Luluriccio)( cosa?! Colpa mia, copione sbagliato… ehi, quantomeno posso chiamarti Luke? LUKE, IO SONO TUO PADRE… nd Gabriel)( NOOOOOOO!!! Nd Luke) eh, Balthazar farà i salti mortali prima di capire che Belial non è un semplice amico, ma finora non ha funzionato cercare di costringerlo ad ammetterlo. Diciamocelo, quando ho sedato e spogliato Belial per farlo trovare nudo da Balthazar nel suo letto, non ha funzionato tanto bene. Forse perché QUALCUNO non ha portato Belial dove doveva portarlo! (eh? Ma… dovevo fermarmi al supermercato, c’era una svendita di dolci! Non è colpa mia se l’ho dimenticato nel reparto caramelle, quantomeno è tornato a casa coprendosi con delle buste di marshmallow… aaaah, se solo Sam facesse così… nd Gabriel). Mmm, che ne pensi della scena Gabriel-Belial? Spero di non aver deluso le tue aspettative, oddio! (ehi, torna qui! Tomi, esci dall’armadietto del bagno, subito! Nd Mary) ehm… ok, autrice scappata, ti ringrazio io al posto suo. E, ti ringrazio anche per il vestito. Devo dire che il blu mi dona! Nd Crowley.
Shiva_: eh, Samael ci metterà un po’ a dimenticare il nostro caro Cass. Diciamocelo, chi lo dimenticherebbe, con quell’aria da cucciolo e gli occhioni blu?! Non mentire, so che non lo faresti!!! XD direi di sì, Belial finora è uno dei miei assi nella manica, e sono certa che la sua storia… non sarà delle più prevedibili. Piuttosto, che ne pensi di lui, finora? Non sono certa di non aver scritto stupidate, anche perché non ricontrollo mai i capitoli e potrei avergli fatto dire e fare qualcosa di imbecille. XD mai lasciare i capitoli incorretti, maiiii!!! Eheh, Michael è stato un po’ una rottura, però in fondo hai ragione: anche lui, a modo suo, soffriva per la situazione. Comunque, ti ringrazio per il commento e spero che anche questo capitolo sia stato di tuo gradimento! Bye bye, a presto!
kimi o aishiteru: magari Samael avesse dimenticato Castiel! Penso che di questo passo, dovremo preoccuparci di Mary, se vogliamo preservare il benessere del nostro arcangelo. Tra poco lo troveremo spiumato e impacchettato per essere spedito nel posto più remoto e introvabile del pianeta. Il problema è che non è neanche colpa sua! Comunque, sono felice di aver espresso decentemente i sentimenti di Cass. Dopotutto, credo sia comprensibile la sua paura, il terrore di rivedere l’inferno e tutto il resto. Una cosa è scendere là sotto di propria volontà come accaduto nel telefilm, un’altra è esserci trascinati e intrappolati come anima dannata. Adesso però, l’equilibrio di Cass si è spezzato ed è sorto l’ennesimo problema. Tra poco qui daranno tutti le dimissioni, passano più tempo a risolvere guai che non ad amoreggiare, ma prometto che rimedierò, parola di giovane scout! Sì, Gabriel e Sam sono forse il fulcro dell’amore fatto persona. Hanno bisogno l’uno dell’altro e ammetto di aver trovato immensamente importante questa parte, anche perché, come hai detto tu, tutto ruotava intorno al fatto che Sam ha avuto bisogno di Gabe per sopravvivere. Detto ciò, non posso esprimerti che gratitudine per questo bellissimo commento. Mi ha lasciato con gli occhi lucidi, ti ringrazio… grazie.
Tomi Dark Angel
 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 17
*** Quando Un Angelo Ricorda ***


Silenzio. Una mano si aggrappava a quella inerme, mortalmente pallida del moribondo. Qualcuno chinava il capo, appoggiava la fronte a quel palmo congelato, tremante nel dolore degli incubi che lo imprigionavano, ingabbiandogli le ali, la mente, il corpo.
Già, le ali.
Ogni minuto che passava, Dean le vedeva scurirsi, diventare grigie come statue incolori, senza riflessi e vitalità. Si stavano spegnendo insieme al loro padrone, i cui battiti cardiaci diminuivano, si affievolivano, parevano scandire un tempo che non passava mai.
-Che stai facendo, Cass? Perché non ti svegli?- mormorò Dean con voce arrochita dal dolore. Levò il viso e gli occhi su quello di Castiel, immobile, le labbra tirate, le palpebre serrate di chi sta facendo il peggiore degli incubi e si dispera nel tentativo di svegliarsi. Già, Castiel ci stava provando, a riaprire gli occhi, ma qualcosa glielo impediva. La paura, la debolezza, la sensazione di essere rimasto solo. Da quando era tornato dall’inferno, era cambiato, Dean lo sapeva, ma non vi aveva quasi dato peso. Ricordava bene di quando era tornato dall’inferno, ricordava i terribili incubi e allucinazioni che l’avevano scosso giorno dopo giorno. Ci aveva messo mesi a riprendersi, ed era stato là sotto pochissimo tempo. Ma Cass? Lui era rimasto lì per più di un anno terreno, quindi quanto tempo era passato davvero agli inferi, tra gli artigli laceranti dei cani e le grida supplicanti dei dannati?
Castiel era un arcangelo, ma anche lui aveva i suoi limiti, ed era evidente che all’inferno, erano stati ampiamente valicati. Qualcosa si era spezzato in lui, ma Dean non ci aveva fatto caso, aveva ignorato la realtà e si era voltato dall’altra parte. Adesso che Castiel non si svegliava però, Dean si accorse di aver ignorato ciò che era realmente importante: il suo amore per Castiel, la cura e la dedizione che l’angelo aveva sempre dimostrato nei suoi confronti e che adesso Dean aveva ricambiato ignorando i suoi dolori.
Egoista.
Arrogante.
Una mano si poggiò sulla sua spalla, facendolo sussultare. Bobby si sedette al suo fianco, emettendo un sospiro esausto da uomo che aveva visto troppo della vita e se ne sentiva stremato. Guardava Castiel, e a Dean parve quasi che gli occhi, seminascosti dall’ombra della visiera, fossero lucidi.
-Se la caverà.-
Nessuna risposta.
-L’idiota ha detto che non ti avrebbe abbandonato. Vedrai, si sve…-
Dean scattò in piedi, stanco di ascoltare, di aspettare, di soffrire. Aveva fatto di tutto per ritrovare Castiel, solo per vederlo scivolargli tra le dita come sabbia sfuggente. Si era impegnato, aveva resistito, ma era stato tutto inutile. Alla fine, Crowley aveva vinto, il paradiso era distrutto e Cass… Cass…
-Esci da questa stanza.-
-Ragazzo…-
-FUORI!!!-
Dean estrasse la pistola e fece saltare la sicura. Caricò il colpo proprio mentre Bobby si alzava in piedi, tranquillo, sicuro che il suo figliastro non avrebbe fatto fuoco su di lui. Lo guardò in tralice, cercando inutilmente di trasmettergli la calma che aveva momentaneamente ritrovato solo con il ritorno di Castiel. Adesso, ogni cosa andava in pezzi, e lo stesso Dean decadeva in tanti piccoli frammenti, lentamente, come uno specchio colpito da un forte colpo di martello.
Bobby uscì dalla stanza, silenzioso, rifilando a Dean un’unica pacca d’incoraggiamento che voleva trasmettergli una sicurezza che in realtà lo stesso Bobby non sentiva. Più guardava Castiel, più gli sembrava che l’arcangelo fosse prossimo alla morte definitiva. Nessuna resurrezione, nessuna pietà divina. Solo il semplice e puro annullamento. Se Castiel moriva, tutti loro si sarebbero sgretolati, perché quell’arcangelo dai buffi occhi blu aveva avuto la forza di fermare Gabriel che aveva cercato di attaccare Belial, trasformando il pugno in carezza; era riuscito a salvare Samael durante la distruzione del paradiso; aveva riunito ognuno di loro lì, finanche Mary, che proveniva dal futuro.
I tasselli finora rimasti uniti, erano andati al loro posto solo grazie a Castiel. Che sarebbe successo se quella stessa ragione di unità fosse andata distrutta?
Bobby si passò una mano sul viso, esausto, mentre si chiudeva la porta alle spalle, lasciando Dean alla solitudine che cercava. Sentiva freddo, il ragazzo? Lo avvertiva, il gelo della morte che poco a poco scendeva per reclamare i miseri resti di quello che era stato un arcangelo, una speranza, un amore? Bobby si chiese cosa provava Morte ogni volta che reclamava un’anima. Chissà se ascoltava i poveri gemiti dei restanti in vita, chissà se udiva le loro preghiere, le speranze che l’anima perduta andasse in paradiso, quando in realtà Morte doveva deportarla all’inferno.
Chissà.
Bobby si recò in salotto, dove trovò Sam e Gabriel seduti sul divano. Il cacciatore aveva il capo reclinato sulla spalla dell’arcangelo, che lo stringeva a sé in un abbraccio protettivo. Sam dormiva, ormai esausto per la notte intera passata a vegliare, a pregare, che in qualche modo Castiel si salvasse. Era rimasto accanto a Dean per ore, ma alla fine, il maggiore dei Winchester aveva cacciato anche lui.
Gabriel non si mosse, non reagì quando Bobby entrò nella stanza. Rimase immobile, gli occhi vuoti fissi sul pavimento. Bobby non lo aveva mai visto così abbattuto, così esausto. Gabriel aveva visto tanto sangue e troppa morte in tutta la sua esistenza, ma mai avrebbe pensato di assistere al trapasso del suo fratello più amato.
Castiel se ne sta andando; dicevano gli occhi di Gabriel. Và via, ed io non capisco perché il Padre lo permetta. Che male ha fatto?
Samael, fino a quel momento rimasto seduto per terra, stretto dall’abbraccio fragile di Mary, singhiozzò. Sembrava debole, in quel momento, come vetro coperto di crepe che al prossimo colpo lo avrebbero ridotto in frantumi decisivi, irreparabili. Che ne sarebbe stato di lui, senza Castiel? I suoi occhi colmi di lacrime e debolezza, parlavano da soli, rispondendo con tragicità alla domanda che Bobby si poneva, angosciato. Per lui, perdere quello stupido angelo egoista, a volte antipatico e rompiscatole, era terrificante. Conosceva Samael da anni, l’aveva visto collaborare e litigare con i Winchester, e come tutti, aveva commesso degli errori, ma non era mai stato malvagio.
Non è giusto.
Samael nascose il viso contro il petto di Mary, che, anche lei con occhi colmi di lacrime, lo strinse. Cercava di farsi coraggio a sua volta, schiacciata dal silenzio mortifero che aleggiava, ma era impossibile. Ognuno di loro avvertiva la presenza di Castiel scivolare via, spezzata, annullata dalla follia che la consumava pezzo dopo pezzo. A breve, dell’angelo che tutti amavano, di cui tutti si fidavano e al quale inconsciamente ognuno di loro aveva guardato come pilastro di forza, non sarebbe restato più niente. Non un sorriso, non gli occhi blu dipinti dalla luce delle stelle, non il bagliore speranzoso delle ali argentate, che insieme a quelle dorate di Gabriel, parevano assicurare a chi le guardava l’avanzare di un nuovo, sereno giorno di sole e luna.
-Come sta il ragazzo?- chiese Balthazar a bassa voce, accostando il viso a quello di Bobby.
-Non bene, l’idiota mi ha cacciato minacciandomi con una pistola.- rispose seccamente il vecchio, senza guardare Balthazar. Temeva che l’angelo si sarebbe accorto dell’insana lucidità dei suoi occhi.
Balthazar distolse lo sguardo e si strofinò gli occhi con una mano. Era sempre stato il più freddo dei suoi fratelli, il più posato, il più tranquillo. Non si lasciava andare facilmente alle emozioni, ma ormai anche lui sembrava sul punto di esplodere.
All’improvviso però, un suono. Il verso prolungato e cristallino di un uccello in picchiata, lo scintillio di ali colorate, luminescenti come lucciole. Il Behemah Aqedà di Belial piantò gli artigli affilati nel pavimento di legno e sbatté le ali enormi un paio di volte prima di richiuderle contro il corpo. Stringeva qualcosa di luccicante in una zampa.
-Lunaria?- chiamò debolmente Balthazar, mentre, sotto gli occhi stupiti dei presenti l’uccello zampettava sul posto, cercando disperatamente di mantenere l’equilibrio dato da una sola zampa artigliata.
-Ma cosa…-
Belial comparve sulla soglia della cucina, l’aria tranquilla, gli occhi fissi su Lunaria che gli restituiva lo sguardo. Da quando Castiel aveva perso i sensi, Belial si era seduto in cucina, su uno sgabello, immobile come una statua e gli occhi vuoti di una bambola di pezza. Non aveva reagito ai richiami di Balthazar, non si era mai mosso. Non fino a quel momento.
Attraversò il salotto, scivolando leggero come un felino ad ogni passo, passò accanto a Balthazar senza sfiorarlo e infine si inginocchiò dinanzi a Lunaria, sorridendo gentile, dolce e bellissimo come niente che avessero mai visto i presenti in vita loro. Afferrò il piccolo oggetto stretto tra gli artigli di Lunaria e le accarezzò il capo variopinto, specchiandosi nei suoi occhi luminosi come stelle. Si fissarono per un momento, con intesa, prima che Belial si alzasse in piedi stringendo tra le dita affusolate un pugnale di ferro arrugginito, con il manico intagliato in semplicissimo legno d’ebano. Sull’elsa vi erano incisi alcuni caratteri in enochiano ricalcati in nero.
Samael sbarrò gli occhi lucidi di lacrime e Belial lo fissò, sorridendo.
-Lo riconosci, vero?-
Mary si mise in mezzo: -Fermi tutti, che cazzo è quel pugnale?- esclamò, allarmata. Belial si rigirò l’arma tra le dita.
-Lunaria è andata a cercarlo tra le macerie del paradiso, dove un tempo custodivamo tutti gli oggetti angelici più potenti. Questo qui è il pugnale che Abramo voleva usare per uccidere suo figlio, Isacco, sotto ordine di Dio. Un angelo fermò la sua mano e il pugnale scomparve prima che Abramo avesse modo di utilizzarlo davvero.-
Belial si voltò verso Balthazar, sorridendo. L’angelo ricordava bene quel momento: era stato lui a fermare la mano di Abramo, a sottrargli il pugnale, a impedire che un nuovo omicidio si compisse per falso ordine di un Padre che non l’aveva mai voluto. Fu Raphael a ordinarlo, ma Balthazar si intromise e fermò il piano dell’arcangelo, avvalendosi della falsa notizia che fosse stato Dio stesso a ordinare ad Abramo di uccidere Isacco. Per questo, Raphael non poté vendicarsi senza essere scoperto.
-Aspetta un attimo, che vorresti fare con quello?- chiese con aria pericolosamente calma. Il pugnale scintillò nella mano di Belial.
-Intendo dare a Castiel una possibilità di ritorno.- rispose, illuminando a giorno gli occhi di Samael. Gabriel strinse gli occhi, conscio di cosa intendesse dire Belial, ma restio a parlare.
-C’è sul serio una speranza?-
-Sì.-
Samael fremette, emozionato, ma Balthazar afferrò il polso di Belial con forza, gli occhi di ghiaccio fissi in quelli cangianti dell’altro. –No che non c’è. Non te lo permetto, Belial. Non ci provare, non ti farai del male.- ringhiò, ma Belial sorrise, inclinando il viso.
-Davvero non puoi capirmi, Balthazar? Davvero non mi lascerai speranze di redenzione?-
-Non ne hai più bisogno! Ci stai aiutando, non puoi redimerti più di così!-
-No, Balthazar, ti sbagli. Vi avrò aiutati quando anche l’ultima briciola dei miei sforzi per dare una mano avrà abbandonato il mio corpo. C’è una speranza per Castiel, e sono io. Per una volta, lasciami essere la luce, lascia che torni quello che ero per non più di qualche istante. È la mia volontà, cercare di non dimenticare chi ero e ricordare a me stesso che esisto anche per aiutare gli altri, che posso farlo… che posso essere perdonato per tutto il male compiuto. Lasciami quest’illusione, perché senza di essa, io non sono niente.-
Balthazar aprì la bocca per replicare, ma non ne uscì alcun suono. Alla fine, stanco di inseguire una speranza, stanco di ricercare una felicità negata, chiuse gli occhi e voltò il capo dall’altra parte.
-È una tua scelta.- capitolò alla fine, stringendo il dolore a due mani per non crollare, per non mostrare la debolezza che abbatteva a colpi di dolore il suo scudo di apparente freddezza. Doveva accettare la scelta di Belial e farsi indietro, almeno stavolta. Era giusto che scegliesse, che avesse la sua possibilità per trovare finalmente un barlume di pace e luce.
Sconfitto, Balthazar fece un passo indietro.
Ma Belial non lo abbandonò. Aveva promesso a se stesso di non rinunciare a quegli occhi azzurro ghiaccio colmi di calore e dignità. Quegli occhi erano stati i primi dopo tanto tempo a guardarlo con equità e rispetto, e questo non l’avrebbe dimenticato. Non l’avrebbe abbandonato alla morsa della sofferenza, a costo di soffrire con lui, al suo fianco. A costo di fermare il mondo per quell’angelo.
Fece un passo avanti, aprì le braccia e le avvolse intorno al corpo di Balthazar, stupendo lui e tutti i presenti che guardavano. Baciò gentilmente i capelli biondi di Balthazar, poco sopra l’orecchio e chiuse gli occhi, ringraziando Dio per quel piccolo miracolo, per avergli dato un’altra possibilità semplicemente permettendogli di incontrarlo. Pregò affinché restasse al sicuro, proseguendo sul sentiero che aveva scelto e che non aveva mai abbandonato, nemmeno quando era rimasto ferito e spaesato dopo la caduta dal paradiso.
Balthazar strinse la sua camicia con tanta forza che quasi ne lacerò il tessuto. Nascose il viso contro la sua spalla, nascondendo le lacrime, la debolezza e il dolore profondo che dimoravano in lui.
-Non farlo.- mormorò a bassa voce, aggrappandosi a lui con bisogno. Belial sorrise, accarezzandogli la nuca con dolcezza infinita. Annusò il suo profumo, ricollegandolo a quello emanato dalle piume azzurrine che aveva ammirato dal giorno in cui l’aveva incontrato. Il giorno in cui si erano incontrati, Belial gli aveva ripulito le ali, le ferite, e adesso sarebbe stato suo compito occuparsi di lui, proteggerlo per assicurarsi che nessuno sfiorasse più quella pelle di porcellana. L’anima di Balthazar era fragile, anche se attorniata da un muro di forza apparente. Belial lo sapeva perché ammirava la delicatezza di quella Grazia così bella, lucente nella sua innocenza. Non somigliava per niente alla sua, nera di peccato, e forse per questo Belial aveva scelto di proteggere Balthazar. Perché lui portasse ad altri la speranza che con un semplice sguardo luminoso aveva trasmesso al Diavolo in persona.
-Fidati di me. Posso farcela, devi solo crederci.- mormorò Belial in risposta, separandosi lentamente da Balthazar, che lo guardò con un finto sorriso che tuttavia non nascondeva la morte nei suoi occhi. Belial sorrise intenerito, gli accarezzò una guancia come un bambino che consola un padre addolorato. Infine, strusciò la guancia contro la sua in un gesto naturale, semplice nella sua innocenza, ma anche terribilmente importante per Balthazar che avvertiva ora più che mai la presenza di Belial, la sua fiducia nel domani, l’affetto che gli trasmetteva.
C’era mai stato qualcuno disposto ad amarlo tanto?
Balthazar chiuse gli occhi per impedirsi di piangere. Non voleva lasciarlo andare, se ne accorgeva soltanto adesso. Aveva bisogno di Belial, del suo sguardo, della sua risata sempre pronta a scaturire anche quando pioveva o la situazione era tragica. Se era lui il peccatore… allora cos’erano tutti loro? Nessuno dei presenti aveva mai avuto la forza che possedeva Belial, con la sua semplicità puerile.
Belial si allontanò, indietreggiando di un passo. Quando Balthazar riaprì gli occhi, incontrò il suo sorriso e lo vide sollevare una mano col pollice rivolto all’insù. La visione di quel viso colmo di sicurezza e serenità lo rincuorò e per un attimo, Balthazar trovò la forza di sorridere e annuire.
-Buona fortuna, Belial.-
-Mi chiamo Lucifero.-
Balthazar annuì nuovamente e sollevò una mano, stiracchiando le dita. Il suo palmo collimò con quello di Belial. Erano mani così diverse, eppure così simili. Le mani di Balthazar erano più grandi, mentre quelle di Belial erano più piccole e delicate. Eppure, quelle stesse mani, avevano ancora la forza di salvare, di curare, come avevano già fatto con l’angelo che Belial aveva dinanzi.
Visto? Non siamo poi così diversi; dicevano gli occhi di Balthazar e infine Belial capì. Annuì lentamente, grato alla dolcezza di quell’angelo all’apparenza freddo come il ghiaccio dipinto nel colore delle sue iridi.
Si voltò, raggiunse la porta chiusa della stanza di Castiel.
-Restate qui, per favore.- disse, voltandosi appena per sorridere un’ultima volta ai presenti. Notò Gabriel annuire lentamente, grato a suo fratello per quella piccola speranza regalata. Samael strinse forte la mano di Mary e si portò l’altro palmo al petto, pregando in silenzio affinché Castiel si salvasse. Belial aveva visto abbastanza.
Entrò nella stanza e si chiuse la porta alle spalle.
-Cosa hai intenzione di fare?- sibilò Dean, impugnando forte la pistola. Aveva gli occhi rossi di pianto ma non una lacrima gli bagnava il volto stravolto dall’ira.
Belial rimase totalmente rilassato.
-Non ti farò del male, Dean, e non ne farò nemmeno a mio fratello. Sono qui per salvarlo.-
Dean esitò, abbassando di poco la pistola stretta in pugno. Ancora non si fidava, ma una speranza, anche se fasulla o disperata, era l’unica via da seguire. Per Castiel, per se stesso.
Aveva ancora negli occhi quegli ultimi attimi, il tocco sottile di Castiel sulla pelle, la sua voce lenta, chiara, ma allo stesso tempo distante. L’aveva guardato in faccia, aveva letto nel suo sguardo una muta e inconsapevole richiesta di aiuto. Aveva avuto paura, Castiel, eppure non aveva permesso al terrore di impedirgli quegli ultimi attimi, quel “ti amo” sussurrato con forza, con speranza.
Doveva riportarlo indietro, a qualsiasi costo. L’avrebbe inseguito ovunque, l’avrebbe protetto, nonostante la sua debole umanità. Sarebbe stato il suo scudo quando qualcuno lo attaccava, il suo calore quando sentiva freddo e i suoi occhi quando gli era proibita la vista. Non sarebbe rimasto da solo.
Dean abbassò la pistola.
-Cosa dobbiamo fare?-
Belial lo affiancò e fissò Castiel. Le sue ali si stavano scurendo, come una candela un tempo luminosa e ormai del tutto privata della sua luce. Aveva profonde occhiaie sotto gli occhi serrati in un’espressione sofferente da spezzate il cuore, la pelle pallida, le ali tremanti come foglie. Non c’era al mondo visione più triste di un angelo che si spegneva tra le agonie, imprigionato nei suoi incubi, nella sua stessa debolezza. No, senza un aiuto, Castiel non si sarebbe svegliato.
-Posso darti poco meno di tre ore, Dean. Vedi di farti bastare questo tempo, perché sarà l’unica possibilità che avrai per riportare indietro Castiel.- mormorò Belial a bassa voce, tranquillo. Fissava Castiel con tenerezza, l’ombra di un sorriso affettuoso a piegargli le labbra morbide. Era quello il sorriso che un fratello maggiore rivolgeva al minore per rassicurarlo, per dirgli che sarebbe andato tutto bene. Dopotutto, Belial non era poi così male.
-Cosa troverò nella sua testa?-
-Non lo so, ma non sarà niente di bello. Affronterai le sue paure, e sappi che Castiel non ti riconoscerà, perciò è possibile che cerchi di attaccarti, riconoscendoti come un incubo. La mente umana è complessa, ma quella angelica è impossibile da decifrare anche per noi arcangeli.-
Belial appoggiò una mano sulla spalla di Dean, piantando gli occhi millenari nei suoi. Dean sentì le ginocchia tremargli, cosa che non gli era mai accaduta al cospetto di qualcuno. Eppure, quello era Lucifero, l’arcangelo più bello e forse il più forte del paradiso insieme a Michael, il prediletto di Dio, la Stella del Mattino e della Sera.
-Sappi che lì dentro potresti trovare di tutto, dai labirinti più intricati ai mostri più pericolosi, ma sai, credo che la prova più grande stavolta, riguardi te. Rischierai di perdere il senno, dove stai per andare. Perderai te stesso, ciò che ti ha spinto lì, i tuoi ricordi di Castiel, ma ricorda: stavolta sta a te essere la luce, illuminare il percorso affinché mio fratello ritrovi la strada. Ove la luce è più forte, più forti saranno le tenebre, ma non temere, poiché stavolta, l’ago della bilancia è nelle tue mani. Per questo ti raccomando di non temere la luce di una fioca speranza, anche se disperata, perché ricorda: possiamo perdonare un bambino quando ha paura del buio, ma la vera tragedia della vita è quando un uomo teme la luce.-
Dean annuì lentamente, gli occhi fissi in quelli profondi di Lucifero in persona. L’arcangelo sorrise e gli diede un buffetto gentile sulla guancia, come un padre che raccomanda al figlio buon viaggio prima di vederlo allontanarsi.
-Stenditi accanto a mio fratello.- ordinò, e Dean ubbidì, stranamente mansueto. Allora Belial levò un braccio, fissandolo interessato alla luce morbida della luna. Infine, fece saettare il pugnale, lo affondò nell’avambraccio e lo fece scorrere in basso, in un taglio così profondo da scalfire l’osso che partiva dal polso e scivolava lento fino al gomito. Fece lo stesso con l’altro braccio, restando impassibile, freddo al sangue bollente che colava a fiotti dalle ferite, generando raccapriccianti disegni scarlatti sulla pelle di seta. Poggiò una mano insanguinata sulla fronte di Dean e una su quella di Castiel. Incrociò gli occhi verdi di Dean e sorrise debolmente.
-Possa la luce guidarti, Dean Winchester. Possa il tuo sentiero restare illuminato quando ogni altra cosa si fa buia.-
§§§§
Faceva freddo. Dean sentiva le ossa ormai prossime a congelarsi.
Si guardò intorno, confuso dall’improvviso candore di ciò che gli stava attorno. All’inizio non riconobbe quel luogo all’apparenza calmo, ma quando cominciarono i lamenti e la foschia che vi aleggiava si sollevò, rivelando i dannati incastrati nel ghiaccio e coperti di sangue, Dean capì.
Era nel Cocito.
Si guardò intorno, vagliando i volti smunti dei dannati. Erano davvero uomini, quelli? Come si poteva avere quell’aspetto, come si poteva fare a pezzi un volto, un corpo, un’anima? Non restava davvero nulla di loro, se non i miserabili resti di ciò che erano stati, come ceneri restanti dopo un falò.
Dean avanzò tra i cadaveri, sobbalzò quando un cerbero gli passò accanto senza degnarlo di uno sguardo. Dean si portò una mano al fianco, cercando disperatamente la pistola, ma non la trovò: era disarmato, vulnerabile. Ed era all’inferno. Grandioso.
Dean continuò a camminare, scorticandosi la pelle per il ghiaccio che prima la ricopriva e poi si spaccava. Gli facevano male le ossa, i legamenti, gli occhi, ma non si fermò mai, neanche per un secondo.
Poi, un grido. Una voce cristallina, vibrante e tristissima riempì l’aria, spaccando il ghiaccio per la sua terribile forza. Dean si coprì le orecchie, pregando che non cominciassero a sanguinare e spiccò una corsa verso quel suono, riconoscendone il proprietario.
Cass.
Dean accelerò, ansioso. Castiel stava male, soffriva, e Dean non era con lui. Scavalcò con un balzo una roccia ghiacciata, oltrepassò il mare di dannati incastrati nel ghiaccio e ciechi alla sua presenza, finché non raggiunse Castiel. E rimase allibito.
Castiel era a terra, le mani piantate nel ghiaccio per tenere il busto sollevato dal terreno, le ali afflosciate intorno al corpo come una debole protezione ricoperta di ferite sanguinanti e piume spezzate. Davanti a lui, c’era Leitsac, vestito nei suoi provocanti abiti di pelle, così diversi dal morbido drappeggio bianco legato alla vita di Castiel. Visti uno di fronte all’altro e messi a confronto, erano assurdi: Castiel appariva fragile e bellissimo come una magnifica orchidea o una statua di vetro pronta a spaccarsi alla prima percossa ricevuta. Leitsac, al contrario, era aggressivo, provocante, maestoso. Se non avesse avuto alle spalle sei enormi ali gocciolanti putrido catrame nero, sarebbe apparso quasi perfetto, come l’arcangelo prostrato ai suoi piedi in tutta la sua purissima innocenza.
Erano identici, eppure, allo stesso tempo, apparivano diversi.
Stessi volti, ma espressioni differenti.
Stesso corpo, ma abbigliato in maniera opposta.
Stessi occhi, il cui sguardo rifletteva emozioni diverse dall’altro.
Castiel levò il viso, fissò Leitsac con compassione e… dispiacere. In quelle iridi blu, rischiarate dalla gentilezza e dalla carità, si specchiava la bontà di un arcangelo che ancor prima di essere una creatura divina, era un uomo.
Al contrario, Leitsac lo squadrava con calma furiosa che gli scuriva le iridi fin quasi ad annerirle di peccato.
-Mi dispiace, Leitsac…- mormorò Castiel con voce rotta, chinando il capo in un gesto di stanchezza e dolore. Per tutta risposta, Leitsac sbatté le ali, scatenando una corrente d’aria che costrinse Castiel a puntare i piedi nel terreno per non essere trascinato via.
-Ti dispiace?- sibilò Leitsac, vibrante di furia. –Ti dispiace?! Tu chiedi perdono per ciò che è imperdonabile, Castiel, perciò non osare pretendere un briciolo di pietà da parte mia. Per troppi anni sono rimasto incastrato qui, abbandonato da te, da quello che all’inizio pensavo fosse nostro Padre, ma che in realtà non è altri che un’entità fasulla, solo un nome da utilizzare per poter esercitare il potere sugli altri! Ho sofferto troppo a lungo qui dentro, prima di avere la forza per liberarmi, ma adesso basta! Giurai di fartela pagare dal momento in cui misi piede fuori dall’inferno, e manterrò la mia promessa! Piangerai sangue, fratello, te lo posso garantire. La disfatta del Paradiso è stato solo l’inizio. Io so cosa ti è caro, so cosa fare per colpirti… e per questo, ti auguro di morire prima che riesca a metter mano su quanto hai di più prezioso, perché allora, desidererai di essere morto prima di nascere.-
Castiel levò il capo, posando gli occhi lucidi, supplicanti su Leitsac. Dean non l’aveva mai visto con un’espressione così prostrata, implorante, distrutta. Quegli occhi chiedevano carità.
-Ti prego…-
Per tutta risposta, Leitsac fece scattare le ali. Le piume splendettero affilate, si conficcarono a fondo nelle ali di Castiel, inchiodandole tutte e sei per terra, sul ghiaccio bruciante di freddo. L’arcangelo gemette, ma non gridò, all’apparenza troppo stanco o troppo prostrato per poter reagire.
-Mi dispiace, fratellino. Non spreco pietà per chi non la merita… oh, aspetta. Forse, è colpa tua se sono nato senza pietà, che dici?! Forse è un tuo errore se sono venuto al mondo come un abominio, qualcosa di sbagliato che non meritava nemmeno una famiglia?!-
Le ali di Leitsac spinsero più a fondo, penetrando per intero la carne di Castiel, spaccando il ghiaccio sottostante. Un mare di rivoli scarlatti si riversò sul terreno, dipingendovi una terrificante mappa geografica, ma anche stavolta, Cass non emise alcun suono.
-Sono nato a causa tua, Castiel! Io non l’ho mai chiesto, ma tu, tu col tuo egoismo da quattro soldi, mi hai dato alla luce e a stento ti sei accorto di avermi creato! Sai per quale motivo sono qui, fratello mio? Perché tu dovevi fare l’eroe! Scendesti all’inferno per la prima volta, soltanto per recuperare Dean, e non ti accorgesti che durante la discesa e la lotta contro i demoni che tentavano di respingerti, avevi perso un pezzo di Grazia! Io sono nato qui, formato da quel frammento, e tutto a causa di uno schifoso umano! Sono cresciuto nel Cocito, tra i ghiacci, ancora troppo debole per poter uscire di qui, e tu non sei mai tornato a riprendermi! Mi hai lasciato indietro, perciò adesso, tocca a me abbandonarti qui!-
Leitsac balzò come un felino sul corpo di Castiel, atterrando accovacciato sul suo petto. L’impatto, troppo violento per essere normale, affossò il corpo dell’arcangelo martoriato nel ghiaccio e, quando Leitsac estrasse le piume taglienti dalle ali di Castiel solo per balzare via di nuovo, il terreno lo ricoprì per metà, bloccandolo in una condanna senza volto né tempo.
Una lacrima scese sul viso di Castiel, che intanto aveva chinato il capo, sconfitto. Quella lacrima, così pesante, luccicante nella sua candida innocenza, fu l’unica che Castiel versò. Tuttavia, egli non pianse per se stesso.
Pianse e supplicò Dio di proteggere Dean e gli altri.
Pianse per Gabriel, che era stato catapultato alle Colonne di Ercole.
Pianse per Balthazar, costretto a fuggire insieme agli altri angeli per una colpa che apparteneva solo e soltanto a suo fratello.
Pianse, Castiel, perché negli occhi di Leitsac si specchiava un odio e un abbandono che nessuno al mondo avrebbe mai dovuto provare; e mentre il ghiaccio poco a poco lo immobilizzava, i cani demoniaci lo individuarono e si scagliarono su di lui, inerme, innocente… eppure, condannato.
 
Angolo dell’autrice:
Allora, cominciamo a capirci qualcosa? Sì, alla fine, le spiegazioni iniziali ha cominciato a fornirle lo stesso Leitsac, ed era pure ora! In ogni caso, non… no, Gabriel, riporta indietro quel lama! Mi ha sputato nell’occhio già due volte!
Gab: è colpa tua se l’hai spaventato! Lui non voleva sputare!
Ma l’ha fatto! Il mio occhio destro non è stato più lo stesso dopo l’ultima volta!
Gab: be’? magari la saliva te l’ha ripulito!
No, mi ha accecato! Sembro Nick Fury del film Avengers con questa benda sull’occhio!
Gab: in realtà fa molto figo.
RIPORTA INDIETRO QUEL LAMA!!!
Gab: ma… ma… andiamo, Cuzco, questa qui è senza cuore! Mi rimpiangerai!
Rimpiango di averti in casa! Me l’hai trasformata in Jumanji, con tutte queste piante carnivore che ci hai messo dentro! Mi spieghi poi perché ho trovato una vasca di piranha sotto il letto? Mi sono svegliata perché ne avevo uno attaccato al piede!
Gab: cos… ah, ecco dov’erano finiti Gino e la sua famiglia…
FUORIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIII

kimi o aishiteru: maddai, continui a scusarti per il ritardo? Già è tanto che leggi la storia, considerando che farlo ti occupa tempo prezioso, soprattutto se hai un mare di impegni da rispettare! Ehi, guarda che l’esorcismo di Sam e Dean contro i demoni è in latino! Quando ti chiedi a cosa serve, pensa a loro, il latino ha salvato molte vite!!! XD Davvero il capitolo precedente non era noioso? Uff, meno male, per un attimo ho pensato di ricevere proteste da persone che si erano addormentate sulle tastiere… eheh, dopo quello che è successo, Sam e Gabriel non li separa più nessuno, e credo che l’abbiano capito tutti. A breve, sarà ora di farlo capire allo stesso Leitsac, perciò prepariamo gli striscioni per la fazione per cui tifiamo! Eh, se dopo questa storia Castiel non esce pazzo per davvero o non mi trovo il suo attore Misha Collins sotto casa con una mazza ferrata in mano, dovrò reputarmi fortunata. O sfortunata, nel secondo caso, a seconda del punto di vista. Insomma, Misha Collins sotto casa, anche se incazzato nero, chi non lo vorrebbe?! No, il telefono di Samael ha fatto una brutta fine. In realtà, devo ancora capire come sia arrivato a incastrarsi nel soffitto… sospetto uno scherzo di Gabriel, ma non ne sono sicura… (perché guardate me?! Non ho fatto niente! E, Samael, posa quel piede di porco, non mi farai niente con quel… OUCH!!! Mi hai fatto maleeee!!! Nd Gabriel). Dunque, detto ciò, ti ringrazio per la bellissima recensione, davvero ti sono grata per il fatto che trovi sempre un pochino di tempo da dedicarmi, non so come ringraziarti! Un abbraccio virtuale e ancora graziegraziegrazie!
xena89: ehm… domanda di riserva? Al momento non so se sarebbe una cosa buona per Cass riprendersi. (si guarda intorno circospetta) E, fidati, con Dean vestito da infermiere che gli gironzola intorno, sono certa che la guarigione sarà molto più che lenta, e non possiamo dargli torto. Se avessi un Winchester che mi fa da infermiere, anch’io mi romperei una gamba! Dove si trova questo bellissimo ospedale?! Ohohoho, grazie per i complimenti, sei sempre di una gentilezza enorme e di un altrettanto enorme pazienza che regali ad ogni recensione. Grazie, a prestissimo!
HowlingFang: e adesso la Destiel sta andando in pezzi. Hai un po’ di colla? No, perché adesso Dean, per arrivare a Castiel, ne avrà di strada da fare, ma dopotutto, è sceso all’inferno per salvarlo e non credo che gli crei un problema fare il diavolo a quattro nei suoi ricordi per riaverlo indietro. Gabriel, hai sentito cosa ha detto la ragazza? Vai a rilassare Sam, ultimamente è più stressato di una donna con le sue cose! (perché dovrei farlo? È così sexy quando si arrabbia! Nd Gabriel)( lo sarà di meno quando inizierà a mangiare i tuoi dolci!)( Cos… SAM!!! TORNA QUI, SUBITO!!! POSA QUEI DOLCI! Nd Gabriel) In realtà, quando si tratta di Dean, c’è da dire che Sam diventa molto più che un pezzo di pane, e suo fratello se ne approfitta pure. Insomma, se si fosse trovato Dean al posto di Belial, lo avrebbe perdonato subito. (questo è razzismo! Razzismo contro i pennuti! Nd Belial)Oh, suvvia, in questo capitolo un po’ di cojones li ha tirati fuori eccome, il nostro Belial. In realtà è mansueto solo con chi vuole, se ricordi quando ha preso a calci in culo Crowley e lo stesso Leitsac. Belial è un finto tenerone! Comunque, non puoi dar torto a Samael, quanti saprebbero resistere a un Cass piumato a sei ali? Eeeeeh?!?!?!?! E poi, Mary saprà riscattarsi, non è mica scema a farsi sfuggire un angioletto come Samael! E… sì, Cass è nella merda! E lo è anche Dean! Insomma, lo sono tutti, e parliamo di una vasca di cacca in cui i nostri amici nuotano a stile libero o a rana… coff coff, dicevo? Ah sì, come al solito bellissimo commento e un grazie grande come la casa per questo! Un bacio e a prestissimo!
Sherlocked: cosa?! Come hai avuto le foto di Belial?! CROWLEY!!! Le hai vendute al miglior offerente?! (no, in realtà gliele ho lasciate in cambio del vestito che le ho fregato… nd Crowley) Oh, suvvia, un Belial tenerone, con occhi lucidi e sbrilluccicosi che ti guarda tu lo rifiuteresti? Sam ha il cuore tenero, lo sai! Belthar non va bene come nome di coppia? (coppia?! Quale coppia!!! Nd Balthazar)(GOOD MORNING VIETNAM!!! Nd Lululucify)(sparisci, tu! Evapora, è colpa tua se mi stanno riempiendo di tue foto sexy! Nd Balthazar)(però le hai tenute! Guarda, ho fatto una foto mentre le nascondeva sotto il giubbotto! Nd Gabriel)( e io che pensavo che fossi semplicemente ingrassato!)(ma… ma… non è vero… GABRIEL, MOLLA QUELLA FOTO!!! E’ MIAAAAAA nd Balthazar). Eh, corri il rischio di innamorarti e vai a vedere quei disegni, che meritano davvero! Sono dolcissimi, e non aspettavo altro che condividere quel Gabriel che offriva la sua piuma a Sam, è troppo tenero! Ha quel faccino da… AAAAAAAH (ehi! Guarda che quello che stai sprimacciando come un cuscino è il mio ragazzo! Nd Sam)( non è vero! Aaaaah, quanto è tenero, ha le guanciotte morbide morbide!)( FINISCILA!!! Nd Gabriel). Mmm… notte passata a bere alcool, eh? Si può fare! Proviamo!!! (molla quella bottiglia! È la mia! Nd Bobby) comunque, grazie come al solito per i commenti che mi fanno sempre rotolare dalle risate, ogni tanto a causa tua mia madre mi prende per pazza! Criminale! A presto!
Shiva_: Belial è un personaggio molto caro anche a me. In parte mi ci rispecchio, anche se purtroppo, io ho un caratteraccio, al contrario di lui che è buono come il pane. In realtà, si sente un po’ fuori posto, ma sta ai nostri Winchester e co. metterlo a sua agio, no? Eh, non possiamo dar torto al nostro Samael che non può dimenticare Cass. Insomma, tu lo dimenticheresti, con quegli occhioni blu e le ali argentate gigantesche? Non vorrei trovarmi al posto di Samael, al momento. Ha un casino in testa che è peggio di quello dello stesso Lucifer… comunque, anche io sono un po’ preoccupata per Castiel, ha il cervello completamente stravolto, e avendo Leitsac ancora in giro, forse per lui è veramente meglio tirare le cuoia! (non ci provare! Nd tutti) a presto, e grazie!
Tomi Dark Angel
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 18
*** Al Di Là Dello Specchio ***


Un battito di palpebre. Era bastato quell’istante d’intervallo per cambiare il paesaggio intorno a lui.
Dean si guardò intorno, conscio dell’improvvisa assenza del ghiaccio sotto i piedi, del gelo sulla pelle, del dolore al petto alla vista di un Castiel sconfitto, prostrato dal ghiaccio e dal peso delle colpe che non meritava.
Era cominciato tutto lì, allora. Una semplice scissione della Grazia di quello che adesso era un arcangelo era bastata per mandare in pezzi il Paradiso stesso e chissà quante altre vite. Era stato un errore, niente di più. Una cosa involontaria che tuttavia aveva creato una vita intrisa d’odio e rabbia covati a lungo lì, nell’abbandono dell’inferno. Leitsac era nato nella dannazione e in essa cresciuto. Adesso però, quella stessa rabbia era fuoriuscita dalle fiamme dell’inferno per punire chi involontariamente gli aveva donato il respiro e, insieme ad esso, le amare sofferenze che non meritava.
Era davvero una parte di Castiel, allora. Era stato Cass a combinare quel casino, e il tutto a causa sua, di Dean.
Il cacciatore si guardò intorno, stordito. Doveva trovare Cass, chiedergli scusa, riportarlo a casa e stringerlo forte. Il suo angelo stava soffrendo, e Dean capiva solo adesso perché. Aveva versato lacrime, Castiel, perché aveva dovuto pagare un prezzo troppo alto per la salvezza del suo umano. Era Dean a meritare la punizione, eppure quello incastrato nel ghiaccio, impazzito e torturato era Castiel, un arcangelo gentile, giusto in ogni suo atto e candido come la neve. Non era giusto.
Il paesaggio intorno a Dean mutò e mutò ancora, modellandosi confusamente. All’improvviso, apparve l’erba sotto i suoi piedi, poi gli alberi, che diedero vita, pezzo dopo pezzo, ad una foresta vera e propria. In lontananza si udiva il mormorio di un ruscello, ma non vi era segno della presenza di qualsiasi animale, e ciò inquietava Dean.
-Dove…-
-Non dovresti essere qui.-
Dean si voltò di scatto. In piedi, a pochi passi da lui, con addosso soltanto dei laceri pantaloni di seta che un tempo erano stati candidi come la neve, Castiel lo fissava. Aveva il corpo ricoperto di sangue, un occhio attraversato da un gigantesco taglio che affondava fin dentro la palpebra, diversi pezzi di carne mancanti. Era una visione raccapricciante, terribile, eppure anche tremendamente dolorosa per Dean che era costretto ad osservare.
-Cass…- mormorò con voce roca, ma l’arcangelo non diede segno di averlo sentito. Continuava a fissarlo con l’unico occhio disponibile, ignorando il sangue che continuava a gocciolare, incollandogli i capelli alla fronte, inzuppandogli i vestiti, scurendoli di nere macchie di sofferenza. L’occhio che lo fissava appariva quasi cieco, vuoto di sentimenti, come se in qualche modo, Castiel non lo riconoscesse.
-Cass, sono io…-
-So chi sei. Sei tu che mi hai ridotto così.-
Dean avvertì una profonda stretta al cuore. Si sentì impazzire, soffocato dal dolore per le parole appena udite, per l’insofferenza nella voce svuotata di Castiel, per la sua apparente insensibilità a tutto ciò che lo circondava. Pareva una marionetta, un concentrato di sofferenze destinato a vagare in quel bosco senza meta, sperduto, dannato in eterno.
Castiel avanzò di qualche passo, barcollando: aveva una caviglia spezzata, ma non si faceva problemi ad appoggiare sul piede leso tutto il peso del corpo. Era insensibile al dolore? Sapeva in che condizioni verteva il suo corpo?
-Hai dato inizio a tutto. Cosa mi hai fatto?- gracchiò Cass con voce incolore, quasi stesse parlando di cose di bassa importanza.
Dean si affondò le mani nei capelli, indietreggiando di un passo quando vide Cass avanzare e tendere una mano verso di lui. Il suo errore fu guardarlo negli occhi proprio in quel momento, quando l’unica iride blu di Cass si riempì di dolore, di muta richiesta di aiuto. Castiel lo fissò implorante, spaventato come non mai, la mano tesa verso di lui in una disperata ricerca di compassione in quell’inferno che non aveva mai meritato. Dean tese un braccio, pronto ad afferrarlo, a farsi carico del dolore provato dall’arcangelo perché ne era lui la causa, la ragione indiscussa: Cass soffriva per aver salvato Dean in passato.
Poi, accadde. Un altro Dean comparve alle spalle di Castiel, stringendo tra le mani una spada angelica. Fissava Castiel con odio, un rancore che Dean non aveva mai provato per il suo angelo.
-CASS!!!-
Il clone di Dean affondò impietoso la spada nella schiena dell’arcangelo, bucandogli il petto, massacrando impietoso ossa e organi interni. Castiel sbarrò l’occhio sano, fissandolo sul vero Dean. Bastò uno sguardo per incolparlo, per chiedergli perché non fosse riuscito a fermare il suo clone. Ancora una volta, Dean non l’aveva salvato: aveva fallito di nuovo, e adesso lo vedeva morire.
Il clone estrasse la spada e Castiel crollò al suolo, l’occhio sbarrato sul vuoto, vitreo, colmo dell’unico sentimento provato prima della morte: la paura.
-Nooo!!!-
Dean corse verso Castiel proprio mentre il suo clone si voltava e fuggiva nel fitto della foresta, inghiottito dagli alberi e dalla fitta oscurità che essi generavano.
-No… Cass! Cass, svegliati!- gridò Dean, scuotendo disperato il corpo dell’arcangelo.
Fissava le sue iridi sbiadite, non più blu zaffiro, ma di un azzurrino opaco, come se qualcuno avesse gettato acido su una tela dipinta, sciogliendone i colori, distruggendo un capolavoro e tutto ciò che racchiudeva: una vita intera.
-Cass… andiamo, dobbiamo andare a casa… devo riportarti indietro, Cass… è colpa mia, tu non hai mai meritato tutto questo…-
Dean affondò il viso contro l’incavo della spalla inerme di Castiel. Ne inspirò l’odore, chiedendosi perché stesse accadendo tutto questo. Era giusto? Dov’era Dio, l’onnipotente la cui giustizia, secondo gli angeli suoi figli, superava ogni confine? Se permetteva che un innocente soffrisse così, meritava davvero riconoscenza?
Il corpo di Castiel si dissolse all’improvviso, sfumando come aria dapprima colorata, poi sempre più chiara fino a sparire del tutto, inghiottita dallo stesso niente che albergava nel cuore distrutto di Dean.
Doveva trovare Cass, quello vero, e impedire che il suo clone arrivasse per primo.
Ma certo. Doveva lottare contro se stesso: Castiel non avrebbe mai combattuto contro Dean, anche se malvagio. Quell’aspetto, rendeva il male invulnerabile e Cass indifeso perché non avrebbe alzato mano contro l’umano che amava più di ogni altra cosa. Se il clone fosse arrivato a Castiel prima del vero Dean, non ci sarebbe stato più niente da fare.
Dean si guardò intorno, frenetico. C’era una via, doveva esserci! Da qualche parte, si trovava la strada che avrebbe portato a Castiel. Non restava che trovarla, ma come?
Un fruscio attirò l’attenzione di Dean, facendogli sollevare le braccia in posizione di difesa. Da dietro un albero, sotto gli occhi stupiti del cacciatore, spuntò Sindragon.
-Ma che…-
Il cane incrociò gli occhi di Dean, fissandolo con divertimento, quasi schernendolo. Un lato delle labbra si sollevò in un sorrisino di superiorità un istante prima che Sindragon si voltasse per lanciarsi verso gli alberi alle sue spalle.
-Aspetta!- urlò Dean, inseguendolo. Ringraziò la sua agilità e il suo addestramento da cacciatore che lo aiutarono a tener dietro al grosso cane nero che di tanto in tanto svoltava, balzava di lato, scavalcava le radici sporgenti di un albero. Quel bosco sembrava sempre uguale, senza interruzioni, come se non avesse una fine.
Il cerchio di continuità si spezzò quando raggiunsero un fiumiciattolo profondo, ampio poco più di tre metri, le cui acque si agitavano mormorando contro i bordi del letto di pietrisco che accarezzavano.
“Potresti smarrire te stesso…”
Sindragon balzò, tuffandosi in acqua. Dean si arrestò con uno scivolone contro il bordo non appena notò che improvvisamente, l’acqua si era fatta nero pece, come se il cane si fosse sciolto. In effetti, di Sindragon non vi era traccia.
Dean si guardò intorno, sperduto. Doveva seguire il corso del fiume? Che significava?
-Dean, che ci fai qui?- chiese una voce, facendolo trasalire per l’ennesima volta. Alle sue spalle, c’era Sam. Ma non era il Sam adulto che conosceva, no: quello era un bambino dai capelli castano scuro e gli occhi innocenti, privi degli orrori ai quali aveva assistito il Sam adulto. Un momento, che ci faceva Sam bambino nella testa di Castiel?
-Sammy?-
Il bambino sorrise e si voltò. Spiccò un balzo verso l’acqua, ma un istante prima di toccarla, questa si consolidò in una superficie ghiacciata che si rafforzava ad ogni passo di Sam. Il bambino si voltò e gli fece segno di seguirlo.
“Non fidarti di ciò che troverai, Dean…”
Dean posò cautamente un piede sulla superficie ghiacciata. Sembrava abbastanza solida da sostenerlo senza andare in pezzi.
Un passo, poi un altro. Dean seguì Sam, tenendosi tuttavia a debita distanza per evitare spiacevoli sorprese. Fu tutto inutile.
Da sotto la superficie ghiacciata, si udì un basso vibrare. All’improvviso, il ghiaccio si spaccò in mille pezzi proprio sotto i piedi di Sam. Qualcosa uscì dall’acqua gelida per abbracciarlo in vita e trascinarlo giù, in basso, nel freddo abbraccio della morte e della condanna. Il bambino urlò il nome di Dean, che intanto era rimasto immobile a guardare il punto in cui era stato trascinato giù.
“Corri, Dean! Corri!”
Dean spiccò una corsa, scivolando sul ghiaccio. Sentì la superficie sottostante riempirsi di crepe sinistre, pronte a sottrargli il pavimento da sotto i piedi da un momento all’altro. Doveva accelerare, o non ce l’avrebbe fatta.
“Salta!”
Dean saltò un istante prima che il mostro uscisse dall’acqua, sfondando nuovamente il ghiaccio a pochi passi da lui. La versione distorta di Mary Winchester tese le mani artigliate verso di lui, agitando le braccia ricoperte di vesciche, il volto consumato dalle tremende ustioni che esponevano la carne viva. Dean si sottrasse alla sua morsa per pura fortuna, ma non notò la scarpata scoscesa che aveva davanti.
“Perderai te stesso… non abbandonare il sentiero, mai.”
Con un urlo, Dean perse l’equilibrio. L’impatto col suolo gli tolse tutta l’aria che aveva in corpo e mentre cominciava a rotolare lungo la discesa, cielo e terra parvero confondersi, alterarsi… scambiarsi. Con un tonfo e uno sbuffo, Dean si fermò, urtando la spalla contro qualcosa di duro. Sbatté le palpebre, confuso, ma non riuscì a schiarirsi subito la vista. La spalla, a causa dell’impatto, gli faceva malissimo.
All’improvviso però, Dean vide. Scale. C’era un mare di scale sparse ovunque, in tutte le direzioni, che conducevano a porte incassate nel soffitto, nel pavimento, nelle pareti improvvisamente comparse dal nulla, in quel breve istante in cui Dean si era sentito confuso e non aveva guardato l’ambiente circostante. Gli specchi, posti accanto alle porte, riflettevano più e più volte la sua immagine in maniera spettrale, sinistra, come se lì dentro ci fossero migliaia di Dean stremati, col viso sporco di terra, i vestiti scomposti e il sangue che gli colava da un lato della bocca.
A Dean era sembrato di vedere un quadro che rappresentasse un luogo simile. L’aveva intravisto una volta, sul pc di Sam, mentre suo fratello studiava un mare di cose inutili sull’arte che gli piaceva tanto. Adesso però, averlo accanto non avrebbe di certo fatto male, considerando che uscire di lì sarebbe stato un vero miracolo.
-Dannazione…- mormorò Dean, mentre si alzava lentamente. Si sentiva osservato, lì dentro, come se le porte e gli specchi avessero gli occhi. O forse erano i suoi stessi riflessi ad inquietarlo?
Udiva mormorii, ma non sapeva se ci fossero davvero o se li stesse semplicemente immaginando. Ogni liscia porta di legno, ogni lucente superficie di specchio, pareva attendere una sua mossa per scansarsi e rivelare mostri terribili capaci di divorarlo. Era un luogo da incubo, ma Dean non poteva permettersi di restare fermo troppo a lungo, o sarebbe impazzito.
Cominciò a correre. Salì la rampa di scale più vicina, tese una mano verso il pomello d’ottone di una porta, ma a un battito di ciglia, questa sparì e Dean si trovò a sbattere contro un muro. Tornò indietro, diretto verso una delle porte incassate nel pavimento, attento a non sbattere le palpebre o a distogliere lo sguardo, ma commise l’errore di passare sullo specchio che affiancava la porta. Una mano scheletrica vi emerse, agguantandogli la caviglia e strattonando. Dean abbassò lo sguardo, sorpreso, per incontrare gli occhi iniettati di sangue di Jo.
La ragazza aveva il volto coperto di sangue, le labbra sbarrate in un grido senza voce, e pareva essere rimasta appesa alla sua gamba mentre sotto di lei si spalancava un baratro di fiamme e grida di dannati. Jo, la piccola ragazza innocente morta senza motivo, senza possibilità di scelta o di salvezza, gli rilanciava uno sguardo accusatorio, intriso d’odio e ferocia animali, disumani.
-Sei stato tu!- gridò, dondolando verso il baratro sottostante. –Tu ci hai condannate a questo!-
Dean strattonò la gamba, con il solo risultato di tirar fuori un pezzo in più del braccio di Jo dallo specchio. Non sapeva perché, ma qualcosa gli diceva che quei riflessi non dovevano uscire di lì, o sarebbe stata la fine, il caos totale… e una possibilità in meno per Castiel.
-Sei stato tu!-
Dean urlò, coprendosi le orecchie. Era stato lui, era vero. Jo fu uccisa perché era tornata indietro a salvarlo da un Cerbero che l’aveva quasi agguantato. Non si era mai veramente perdonato per questo, per averla lasciata andare senza lottare, senza voltarsi indietro.
“Ritrova te stesso. Voltarsi indietro non serve a nulla.”
Dean si dimenò più forte, lanciando un urlo. Jo tentò di aggrapparsi con l’altra mano, ma, con uno strattone definitivo, Dean si liberò dalla presa e Jo cadde con un urlo lacerante verso il fiume di lava e fiamme che la attendeva avido, malvagio, bollente. Non abbandonò gli occhi di Dean neanche per un istante.
“Voltati, continua a correre.”
Dean aprì una porta e fece per saltarvi dentro, ma un riflesso luccicante lo distrasse. Qualcosa, una figura eterea senza volto né corpo, si muoveva in lontananza, verso una porta incassata nella parete.
“Non fidarti di nessuno, lì dentro. Nemmeno di te stesso.”
Dean si voltò e saltò oltre la soglia della porta che lui stesso aveva scelto. Atterrò sulla riva di un ruscelletto, sulla riva acciottolata e ancora umida d’acqua mormorante che placidamente scorreva tra le rocce. C’erano alberi intorno, e per un attimo, Dean pensò di essere tornato nuovamente nella foresta da incubo appena abbandonata.
Qualcosa tinse le acque di rosso. Poco a poco, come vino che si mescola al limpido fluido vitale, il ruscello cominciò a ricoprirsi di venature scarlatte sempre più fitte.
-Perché l’hai fatto, Cassy? Potevi restarci secco, lo sai?- disse una voce che Dean riconobbe.
Gabriel.
L’arcangelo biondo era inginocchiato accanto a Castiel, rimasto a torso nudo, con soltanto un’ala snudata distesa per intero, così ampia e grande da attraversare il fiumiciattolo, scorrere le piume sulle radici di un albero abbastanza lontano e quasi sparire nella vegetazione. Quel bellissimo mare di piume argentate tuttavia, era ricoperto di sangue, lo stesso che colava nelle acque del torrente, insozzandolo di rosso porpora.
Dean si avvicinò, incantato dal viso sudato di Castiel, dalla sua espressione affaticata. Aveva un lungo squarcio in petto, ma Dean non riusciva a distogliere lo sguardo dagli occhi, così vivi, limpidi, ricolmi di sfaccettature blu e azzurrine. Erano occhi vivi, diversi da quelli dell’ultimo Castiel morto tra le braccia di Dean.
-Non potevo lasciarlo lì, Gabriel.-
-Ti era stato ordinato di portarlo indietro, ma avresti dovuto chiedermi aiuto.-
-Sarebbe stato stupido farlo, lo sai. Per i nostri fratelli, tu sei sparito da circa due anni e solo io e Balthazar sappiamo che ti sei dato al ruolo di Trickster. Venirti a cercare, avrebbe rivelato la tua posizione. In effetti, non dovresti neanche essere qui.-
-No, ma non potevo lasciarti da solo.-
Castiel non replicò. Rimase in silenzio mentre Gabriel gli ripuliva il sangue dal petto con cautela, passando le dita abili e leggermente luminose sulla ferita. La cancellava poco a poco, con tocchi leggeri e gentili. Castiel sussultò appena e Gabriel lo guardò negli occhi.
-Fatto male?-
-No, va bene. Il tuo aiuto è più di quanto mi aspettassi.-
Gabriel annuì e continuò, concentrando gli occhi sulla ferita che cancellava pezzo dopo pezzo con mani abili. Abbassò leggermente le palpebre, stirando la bocca in un’espressione dubbiosa.
-Perché l’hai fatto?-
-Mh?-
Gabriel cancellò gli ultimi residui di ferita e lo guardò in faccia. –Perché hai rischiato tanto per quell’umano? Era un’anima dannata, un semplice compito da assolvere, ma non hai esitato a lanciarti tra le fiamme dell’inferno per riportarlo indietro. Perché?-
Dean corrucciò le sopracciglia. Aveva capito di cosa stavano parlando. Si trovava nei momenti seguenti al suo ritorno dall’inferno, quando Castiel l’aveva riportato in vita e lui si era trovato a sbucare da una tomba e un mare di terra umidiccia.
Castiel guardò in lontananza, specchiandosi nella luce armoniosa del crepuscolo. I suoi riflessi dorati piovvero nel blu intenso degli occhi dell’angelo, rischiarando quel colore dalle mille sfaccettature colorate. A sorpresa, sotto gli occhi sbarrati di Gabriel e di Dean stesso, l’angelo sorrise.
- Perché, mi chiedi? Non lo so. Ricordo solo… i suoi occhi. I suoi occhi erano vivi, Gabriel, non avevano perso un minimo di colore. Mi è bastato uno sguardo per capire che quel piccolo, insignificante umano, legato, torturato, fatto a pezzi, aveva mantenuto integra la sua speranza anche in un baratro dove la speranza è solo mera illusione. Chi di noi ci sarebbe riuscito? Chi avrebbe continuato a credere nel bagliore di un colore dopo aver visto nero così a lungo? Credo di averlo salvato per questo: perché quel ragazzo era giusto. Per una volta, una volta sola, sentivo che quello che stavo facendo non era sbagliato, ed è stato nel momento in cui l’ho afferrato che ho capito di aver avuto ragione. I suoi occhi mi hanno guardato senza scottarsi, Gabriel, senza restarne feriti per la troppa luce. Questo accade a chi la luce ha saputo conservarla nel cuore e nell’animo, cosa che io stesso non sarei riuscito a fare. Quel ragazzo meritava la salvezza.-
Dean sentì le labbra tremare. Tese una mano verso Castiel, fece un passo verso di lui, quando all’improvviso uno strattone al braccio lo sospinse all’indietro, trascinandolo oltre la soglia della porta, nuovamente nel dedalo di scale intricate che si incastravano tra loro. La porta si chiuse, e a nulla valsero gli strattoni di Dean per tentare di riaprirla.
Provò altre porte, evitando accuratamente gli specchi nei quali vedeva riflessi i volti contorti dall’odio di tutti coloro che aveva visto morire: Jo, Hellen, suo padre e tanti altri. Amici, cacciatori come lui, familiari. Erano tutti lì.
Dean varcò altre porte, trovandosi sempre in luoghi diversi, ma Castiel non si fece più vedere e tutte le volte, dopo qualche minuto, Dean si sentiva nuovamente strattonare e trascinare fuori. Alla fine, lanciò un urlo di frustrazione e tirò un pugno alla porta che aveva davanti.
“Non perdere te stesso…”
 Dean gridò ancora, fino a sentir la voce venir meno per il troppo sforzo. Alla fine, cadde in ginocchio, stremato e fece dondolare il capo. Non c’era via d’uscita, non c’erano speranze di uscire di lì. Era in trappola.
“Affronta le tue paure…”
Avrebbe mai trovato Castiel? Sarebbe mai riuscito a parlargli, a chiedergli scusa per aver causato tutte quelle cose orribili? Ma meritava davvero di trovarsi al cospetto dell’angelo che aveva sacrificato tanto per una causa che riteneva giusta? Era degno di guardarlo negli occhi senza doversi prostrare alla sua grandezza, sentendosi piccolo e insignificante? Non meritava più niente, ma quantomeno, se Castiel doveva andarsene, lui sarebbe morto lì, con lui.
“C’è sempre una via, anche quando ogni altra strada ci appare preclusa…”
Dean levò lentamente il capo. Aveva visto nuovamente quel riflesso luminoso. Non poteva esserselo immaginato, c’era veramente qualcun altro lì. Doveva seguirlo?
Strinse gli occhi, e alla fine lo vide: un uomo ammantato di un mantello così candido e luminoso da parere avvolto di purissima luce. Avanzava a capo chino, senza voltarsi indietro.
“La vera prigione dell’uomo, è la paura…”
L’uomo avanzò di qualche passo, ma proprio mentre Dean stava per raggiungerlo, questi sparì a pochi passi da uno specchio. Dean si fermò con uno scivolone e indietreggiò, spaventato dal riflesso sanguinolento di John Winchester che lo fissava con odio e rancore crescenti.
“Questa prova riguarderà te…”
Dean si guardò intorno, specchiandosi nelle iridi iniettate di sangue di tutte le sue colpe, di coloro che aveva visto morire e che non era riuscito a salvare. Persone abbandonate, che tuttavia avevano creduto in lui e si erano affidate alla morte per aprirgli una strada per la vita. Erano quelli i volti delle sue colpe più grandi, dei suoi più grandi incubi.
All’improvviso, nello specchio davanti a sé, John si dissolse e lasciò spazio a un Castiel distrutto, fatto a pezzi, col viso deturpato e coperto di sangue e segni di unghiate e morsi canini. Lo guardava in silenzio, parlando con l’unico occhio sano, perché, come nel suo clone precedente, l’altro era costretto a restare chiuso dal grosso taglio che lo attraversava.
Dean indietreggiò, senza riuscire a staccare gli occhi da quelli intrisi d’odio di Castiel. La sua espressione parlava chiaro, lo accusava, lo riempiva di perché.
Perché si era dovuto sacrificare per lui, un insignificante umano? Perché l’aveva tirato fuori dall’inferno? Perché poi, ci era finito lui stesso?
Dean si coprì il viso per nascondersi dalla vergogna e dalle prime lacrime che cominciavano a sgorgare.
“Ricorda tuttavia, che non sei solo…”
All’improvviso, il ricordo di due profondi occhi blu. Castiel non aveva mai davvero odiato, non ne era capace poiché, in tutta la sua rabbia, non era da lui raggiungere un odio così profondo. Aveva perdonato Lucifero, colui che già una volta l’aveva ucciso, e aveva riabbracciato Samael, che l’aveva tradito e spezzato le ali. Non aveva mai rifiutato il perdono a qualcuno, non aveva mai voltato le spalle a nessuno di loro. Dean si trovava laggiù per questo, per ricercare la luce in quegli occhi di zaffiro che aveva sempre amato, dal primo istante in cui li vide.
“La luce esiste per tutti… per ognuno di noi. Basta saperla cercare…”
Avevano percorso tanta strada. Dean aveva lottato per ritrovare Castiel, e Castiel aveva fatto a pezzi l’inferno per tirarli fuori. Entrambi si erano sempre affidati all’altro, specchiandosi nella sincerità reciproca dei loro occhi, del legame che li stringeva. Le ali di Castiel erano forti grazie a Dean, la cui vita verteva intorno a quella dell’unico che avesse mai amato con tutto il cuore, a parte suo fratello. Un mondo privo del respiro di Castiel, non meritava di essere vissuto. Il mondo non sarebbe niente se le persone che ci vivono non fossero qualcuno.
C’era ancora speranza. Castiel era lì, lo stava aspettando. Quel “ti amo” sussurrato ne era la prova, una spinta in più che aiutava Dean a proseguire, inseguendo quella parte di se stesso che avrebbe protetto fino alla fine, senza lasciarla andare.
“Spezza le catene, Dean. Spezzale, sii libero!”
Finalmente, Dean capiva. Quella prova riguardava soltanto lui. Le sue stesse paure, le sue colpe, i visi che aveva cercato di dimenticare… lasciarseli alle spalle non serviva a nulla. Doveva affronta.rli, anziché passarvi accanto come faceva ogni volta che attraversava la soglia di una porta. Una volta smarrita la strada, non gli restava che impedirsi di smarrire se stesso.
Sapeva chi era, e l’aveva capito grazie a Cass e alla sua innocenza di quando lo guardava col capo inclinato. L’aveva capito quando l’angelo l’aveva stretto a sé, sfiorandolo come qualcosa di immensamente prezioso. Un tesoro che non andava disperso, mai, e lo stesso valeva per lo stesso Dean, che aveva sentito sotto le dita il soffice manto pregiato delle piume. Era stato allora che aveva trovato se stesso, ed era il momento di dimostrarlo.
Dean avanzò di qualche passo, portandosi faccia a faccia col riflesso deturpato di Castiel.
-Sparisci.-
Il riflesso esitò. Indietreggiò di qualche passo, confuso, mentre tutti gli occupanti degli altri specchi si ripiegavano su loro stessi, feriti, storditi da un cambiamento che non avrebbe dovuto esserci. Dean si voltò, li guardò uno ad uno, e quelli si coprirono i volti con le mani, caddero in ginocchio, gemettero pietosi in tutta la loro miseria.
Dean tornò a rivolgersi a Castiel. Gli lanciò uno sguardo duro, implacabile. Lo sguardo di chi aveva deciso e capito di dover proseguire. Non si sarebbe fermato davanti a niente, e questo Castiel lo capì quando Dean affrontò sul serio la colpa che più temeva: quella di aver condannato all’eterna dannazione il suo angelo.
“SII LIBERO!!!”
Semplicemente, Dean saltò nello specchio.
§§§§
Dean sentì qualcosa di caldo sfiorargli il corpo. Un basso respiro gli raggiunse le orecchie, cullandole in una morbida ninna nanna. Era un suono così dolce, così morbido, che il cacciatore quasi non se la sentì di riaprire gli occhi.
Sfiorò con le mani qualcosa di liscio e morbido, stringendo tra le dita un oggetto soffice come la seta che profumava di aghi di pino e vento. Dean non avrebbe mai dimenticato quell’odore, l’avrebbe riconosciuto tra mille.
Sbarrò gli occhi, tirandosi lentamente a sedere. Subito si rese conto di trovarsi disteso su una delle ali di Castiel, il quale, disteso nell’erba color dello smeraldo, lo guardava con occhi smaglianti di luce, sereni, vivi, in parte celati dai capelli scompigliati che gli cadevano lungo la fronte. Indossava semplicemente un paio di pantaloni di seta bianchi e la solita fascia legata in vita e sorrideva leggermente, lo sguardo felice di un bambino da poco venuto alla vita, grato per la luce che l’aveva avvolto dopo il parto. Era così bello, così… naturale. Non c’era ombra di malvagità o dolore su quel viso, così come non poteva esistere al mondo qualcosa di tanto meraviglioso e innocente, puro più di un bambino nato nell’assenza del peccato originale. Le piume, distese intorno al corpo come un letto pregiato di puro argento disceso dai raggi stessi della luna, lo avvolgevano morbidamente, fungendo da sfondo luminescente, opera d’arte di Dio stesso.
Dean tremò, incapace di parlare. Sentiva la lingua bloccata e l’emozione rischiava di travolgerlo al cospetto di quegli occhi gentili, dallo sguardo carezzevole e colmo di una dedizione infinita. Aveva paura di spezzare l’incanto di quel momento, il tocco di Castiel e delle sue piume sulla pelle, il profumo di aghi di pino nell’aria. Dean tremava al pensiero che quella potesse essere soltanto l’ennesima trappola di una mente che lo credeva estraneo e cercava di schiacciarlo.
Alla fine, fu Castiel a spezzare il silenzio, costruito da quel gioco di sguardi bisognosi di riempirsi della vista dell’altro, mancato troppo a lungo. L’arcangelo si sollevò su un gomito, contraendo i muscoli addominali, per allungare un braccio verso il viso di Dean. Gli sfiorò la guancia con dita leggere come le stesse piume che si stendevano intorno a loro, fissandolo negli occhi con l’amore che Dean aveva cercato a lungo e che adesso trovava lì, dopo aver corso, inseguito, pianto e sofferto. Aveva affrontato le sue stesse paure, ma ne era valsa la pena, adesso lo sapeva. Cass era lì, vivo, e Dean non l’avrebbe più lasciato.
-Sei venuto.- mormorò infine l’arcangelo, affondando la mano nei capelli biondo cenere di Dean, che chiuse gli occhi e sospirò, abbandonandosi al benessere di quel tocco meraviglioso. Era così reale, così… bello. Quasi inconsciamente, Dean strofinò il capo contro il palmo di Castiel, che, per la prima volta, fu scosso da basse risate musicali. Dean lo guardò stupito mentre Cass si copriva la bocca con una mano, gli occhi ridenti, invasi da una serenità ritrovata lì, con quel piccolo miracolo di umano tra le braccia.
-Se… sembri un ga… gatto…- mormorò Castiel tra le risate che cercava disperatamente di trattenere. Vederlo lì, con i capelli scompigliati e il viso atteggiato in quella tenera risata innamorata che l’arcangelo cercava disperatamente di trattenere, fece saltare del tutto le remissività di Dean.
Il cacciatore afferrò il polso della mano che copriva la bocca di Cass e la spostò con dolcezza prima di avventarsi sulle sue labbra.
Finalmente. Fu come tornare a respirare e ricongiungersi a un pezzo di se stessi  attraverso quel contatto.
Le labbra di Castiel erano morbide, leggermente screpolate, e sapevano di menta fresca. Dean assaporò quel contatto con avidità, richiamando a sé tutti i momenti passati a chiedersi dove fosse Cass, se l’avrebbe mai rivisto, baciato, accarezzato. Lì, in quel momento, ogni paura si frantumava contro due paia di labbra congiunte in un tocco bisognoso.
Dean schiuse la bocca di Castiel con fare aggressivo, che non avrebbe ammesso resistenza e cominciò a giocare con la sua lingua, sfiorandogli il collo, il petto, e giù fino all’inguine, dove scatenò un basso mugolio da parte di Castiel. Automaticamente, l’arcangelo fece strusciare i loro bacini e lasciò che una delle mani scorresse sul fondoschiena sodo di Dean. Stavolta, fu il cacciatore a rabbrividire.
Fu solo una sensazione, un cicalino d’allarme ben installato nel cervello di Castiel. Avvertì la vicinanza di qualcosa di sinistro, una presenza innaturale, pericolosa che si avvicinava sempre di più. Castiel si separò faticosamente da Dean e ribaltò le posizioni, facendogli sbarrare gli occhi. Forse, il cacciatore lesse qualcosa negli occhi di Castiel, come un muto avvertimento di pericolo, e questo lo fece bloccare.
Un lampo d’argento, una spada angelica diretta alla schiena di Cass. L’avrebbe colpito se l’arcangelo non avesse spostato le ali in un movimento brusco che permise alle piume ora rigide e taglienti come pugnali di urtare la lama dell’arma, deviandone la traiettoria. Castiel sbatté le gigantesche appendici piumate, lucenti come frammenti di luna per levarsi in piedi a difesa di Dean, che solo in quel momento si accorse di trovarsi nuovamente nella foresta che aveva visto all’inizio… e no, non c’erano differenze, stavolta. Il clone di Dean era nuovamente lì, in piedi sull’erba soffice e guardava Castiel con un sorriso sghembo che sapeva quasi di malefico scherno.
L’ultima più grande difesa della follia insita nel cervello dell’arcangelo, finalmente sferrava il suo attacco disperato sulla preda. Aveva messo a soqquadro pensieri, emozioni, ricordi, ma sapeva di essere ben più debole al cospetto di un Castiel pronto a difendere a tutti i costi Dean, quello vero. Infine, la forza e la debolezza si trovavano entrambe lì, sullo stesso campo e con aspetto identico.
Dean era la più grande debolezza di Castiel.
Dean era la sua più grande forza.
Dean era la vita di Castiel.
Dean avrebbe potuto esserne la morte.
I due scattarono simultaneamente, come un sol uomo. Occhi blu zaffiro e occhi di smeraldo si incrociarono mentre le lame angeliche scintillavano sinistre alla luce del sole fittizio di quella mente messa sottosopra, senza più regole.
Dean clone e Castiel si scontrarono. Si udì un unico schianto, un solo rumore di carne lacerata. Infine, cadde il silenzio.
-CAAASS!!!- urlò Dean, balzando in piedi e tendendo una mano verso il suo arcangelo, che gli dava la schiena e restava immobile, il corpo vicino a quello del clone.
Castiel si voltò per qualche istante, incrociò il suo sguardo e annuì. Ancor prima che Dean potesse raggiungerlo, uno strattone all’altezza della vita lo catapultò lontano, fuori dalla mente di Castiel, dalla realtà pacifica di quel luogo, dallo scontro dall’esito incerto appena avvenuto. Quando Dean riaprì gli occhi, capì di essere tornato indietro.
 
Angolo dell’autrice:
Dedicata a Kimi o Aishiteiru. Su col morale, anche gli impegni un giorno ti lasceranno un po’ di tregua!
Ok, parliamone. No, posate quelle mazze ferrate, posso spiegarvi! Nemmeno una spiegazioncinainaina? Ehm… GUARDATE C’È MISHA COLLINS CHE CORRE NUDO DIETRO DI VOI!!! No, sono seria… aspetta, perché indossa un casco di banane?
Gabriel: non c’è tempo per spiegare, tu comincia a correre.
Cosa? Ma io non ho… cos’è questo rumore?
Gabriel: non è come sembra. Posso spiegarti…
Gabe… perché c’è un mare di fan incazzate che aspetta qui sotto? Ma… perché sugli striscioni c’è scritto che sono una criminale?
Gabe: tecnicamente non è stata colpa tua… cioè, non propriamente… insomma, il collare del Behemah pterodattilo che ha distrutto il set aveva il collare col tuo recapito sopra, ma questo non vuol dire…
Ah… Abbiamo uno pterodattilo?
Gabe: eh sì… si chiama Jennifer, ma credo che il nome non le sia piaciuto. Sai, sospetto che sia maschio. E poi, non è stata solo lei… lui… insomma, Jennifer! Ha contribuito anche Crowley! Insomma, organizzare un palio di Cerberi durante le riprese… e ho pure perso alle scommesse!

Gabe… comincia a correre, tu e quel... coso. E per coso, mi riferisco a Crowley! Fuoriii!!!
kimi o aishiteru: dannazione, ti rendi conto che ho pianto per una recensione? Per una recensione, accidenti! BALLS!!! Però sai una cosa? Sono felice! Ogni volta che leggo un commento tanto appagante, mi sento veramente bene e il peso che per voi si attenua leggendo ciò che scrivo, io lo sento alleggerirsi dopo aver letto recensioni del genere. Ti scusi per il ritardo? Scherzi? A me basta sapere che amiate tanto questi scritti, anche perché mi impegno ogni giorno sapendo che persone come te si sentono meglio leggendo, ed è per questo che lo faccio. La lettura, così come la fantasia, devono alleggerirci ogni giorno, aiutarci ad andare avanti anche nei momenti difficili. Se sono riuscita a ricavare almeno un pizzico di uno di questi fattori… allora sarò pienamente soddisfatta dei miei scritti. Ora, passando alla storia: si potrebbe dire che Leitsac sia effettivamente Castiel, o meglio, ciò che Castiel sarebbe diventato trovandosi al posto di quello che è praticamente il suo gemello. In effetti, Leitsac ha come unica colpa quella di essere nato all’inferno e di essere cresciuto nell’odio. Castiel capisce, ed è per questo che è ancora remissivo ad affrontarlo. Sotto un certo aspetto, Leitsac rispecchia la parte oscura di Castiel che, anche se raramente viene alla luce, c’è sempre, ed è fissa in lui. Cass ne ha paura, anche perché senza Dean, probabilmente, diventerebbe anche lui come Leitsac. Eheh, Balthazar e Belial sono degli amori, ma nel prossimo capitolo scommetto di riuscire a farti scappare un sorrisetto per quanto si dimostreranno ingenui. Sarà anche Lucifero, ma Belial a volte è ritardato sul serio (eh?! Non è vero! Nd Belial)( sì che lo è! Cioè, ieri Balthazar ti è passato alle spalle dopo essersi fatto la doccia con solo un asciugamano addosso e tu… hai continuato a guardare Amici di Maria de Filippi! Ma sei normale?!). Eh? Ah, ecco perché il telefono di Samael ha fatto questa brutta fine… in effetti, se lo meritava, considerato come mi ha ridotto la cucina dopo essersi quasi centrifugato una mano nel frullatore, e non chiedermi come ha fatto che non ne ho idea!
HowlingFang: eheh, spero che con questo capitolo la Destiel stia cominciando a riacquistare terreno! In effetti, mi è quasi partito un embolo a furia di scrivere e riscrivere la parte di Dean e Castiel che cercavano di darsi da fare. Poveri ingenui, e io li avrei lasciati copulare come due conigli in santa pace come se niente fosse? Ancora non conoscono la loro perfida autrice, ma fatti coraggio, siamo vicini al momento giusto! O almeno, cercherò di legare e chiudere nello sgabuzzino qualsiasi eventuale rompiscatole venuto al mondo col solo scopo di non soddisfare le lettrici avide di Destiel! Comunque… TU CHE COSA??? Dove accidenti hai incontrato gli attori?! Dimmi tutto! Spettegola ogni singolo particolare, che sono invidiosa da morire! Per protesta, smetterò di scrivere e appenderò la penna al chiodo! BALLS!!!! Comunque, grazie per il commento e a prestissimo!
Blacasi: i passi da gigante dovranno farli quei due cretini di Balthazar e Belial, prima che li chiuda insieme in una stanza e butti via la chiave! E comunque, vallo a dire a Balthazar che Belial è meno importante di Cass, così scateniamo una rivoluzione XD Scommetto che Gabriel trasformerà tutti i cannoni in cannoli da pasticceria! Comunque, visto? Cass è vivo… o meglio, lo era… al momento il resoconto della scazzottata con Dean clone è un po’ incerto, ma ho come la sensazione di avere la casa invasa di serial killer assoldati dalle lettrici incazzate… nah, sarà una mia impressione. Eheh, ammetto che quando i personaggi si sentono felici, mi sento appagata io in primo luogo, e molto più di loro! Finalmente un po’ di pace, è sempre faticoso scrivere parti tristi o sofferenti, anche perché io stessa poi mi sento in colpa verso i personaggi. Non sono normale XD grazie per il commento, e a presto!
Shiva_: Leitsac è finalmente uscito allo scoperto, ma sarà un casino quando Castiel dovrà affrontarlo. Tremo al pensiero di dover scrivere quella parte, anche perché mi rispecchio sotto molti aspetti con Leitsac. Dopotutto, non è mai stato suo volere nascere, e soprattutto, nascere all’inferno, sotto il torchio di Crowley! Balthazar e Belial dovranno sbattere la testa contro i loro stessi sentimenti prima di accorgersene. Sono uno più cretino dell’altro, ed è tutto dire! Ohohoh, ti saluto, e come al solito, ti ringrazio di cuore per il commento!
Sherlocked: al momento Balthazar teme per la vasca dei coccodrilli sulla quale è appeso a testa in giù. Tra poco si piazzeranno le scommesse, io punto sul coccodrillo numero cinque! (slegamiiii!!! Nd Balthazar)( ma assolutamente no! Ti è piaciuto farmi esplodere l’armadio? E adesso zitto e soffri!)( ma non l’ho fatto apposta… quella… ehm… bomba… si è infilata tra i tuoi vestiti! Nd Balthazar) Dean è il nuovo protagonista di Inception, non lo sapevi? Lo hanno assoldato come piccolo omino invasivo presente nelle teste altrui. Il problema è che è peggio di un terremoto, l’ultima volta abbiamo fatto un esperimento con Gabriel e… insomma… non è andata molto bene. Ti faccio sapere quando Gabe la smette di appendersi al lampadario, dondolando avanti e indietro finché non si stacca dal soffitto. È già il terzo che mi abbatte, questa settimana! GABRIEL!!! Mmm… sai che mi piace molto Beliazar? XD allora, la sfida è tra Beliazar e Belthar, proposta di un’altra lettrice! Al prossimo capitolo proporrò le votazioni al pubblico! Ohohoh, al prossimo capitolo, e come al solito, grazie!! Grazissimo!!!
Tomi Dark Angel
 
 
 
 
 
 
  
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 19
*** Ritrovarsi ***


Belial sentiva le forze venirgli meno. Non ce l’avrebbe fatta a lungo, ma doveva resistere, doveva dare a Dean più tempo e una possibilità in più per riportare indietro Castiel. Troppi innocenti avevano già sofferto per i suoi errori, ma stavolta sarebbe stato diverso, perché lui aveva deciso così.
Allentò dolcemente la presa sulle fronti gocciolanti di sangue di Dean e Castiel. Vacillò, rischiando di cadere in ginocchio, e allora, frustrato, scrollò il capo con rabbia e cercò di schiarirsi la vista mentre, sotto i suoi occhi impotenti, il sangue colava via insieme alle scintille di Grazia. Vedeva il rosso scuro del suo fluido vitale mescolarsi insieme alla scintillante essenza angelica, preziosa come schegge di diamante e bella come una stella sbriciolata in polvere luminosa. I rivoli scuri ma brillanti, scivolavano lungo le tempie di Dean e Castiel, attraverso i capelli e giù fino alle coperte che poco a poco si tingevano di rosso rubino. Belial non sapeva quanto sangue aveva perso, ma era davvero tantissimo.
Ebbe un mancamento e cadde ripiegato su se stesso, ma strinse forte le tempie di suo fratello e dell’umano, caparbio nel volerli trattenere in quel limbo prezioso per Castiel, ma anche altrettanto dannato. La sentiva, la Grazia di suo fratello: gli scivolava tra le dita come sabbia dorata, impossibile da trattenere e ormai prossima a disperdersi nel nulla.
Era davvero rimasto qualcosa della speranza di salvare Castiel? Belial ormai, non vedeva più niente se non un infinito oblio di tristezza e impotenza. Ancora una volta, stava fallendo. Davanti ai suoi occhi, Castiel si stava spegnendo. Non era servito a niente sacrificarsi, sperare in una luce che lo stesso Belial non avrebbe più rivisto. La dannazione ormai, era parte di lui e la meritava in ogni suo più orribile aspetto. Aveva creduto in un perdono, in un piccolo barlume di luce. Si era sempre chiesto se fosse rimasto un posticino per lui, lassù, nel candore del Paradiso e nel cuore dei suoi fratelli, ma ormai, la risposta la conosceva. Forse, era ora di accettarla.
Belial chinò il capo, sconfitto e si lasciò scappare un singhiozzo soffocato di disperazione, paura e abbandono. Alla fine, era rimasto da solo, e forse era giusto così. Aveva voltato le spalle ai suoi fratelli, ferendoli, facendo loro del male… uccidendoli, a volte. Si chiedeva con quale coraggio riuscisse a restare in vita, respirando indisturbato mentre il peso delle sue colpe lo schiacciava ad ogni ansito disperato di pura e banale sopravvivenza.
Le lacrime piovvero dal suo viso come gocce di pioggia adamantina, preziosissima e pulita. Quelle scintille di dolore non arrecavano alcuna impurità, eppure a piangerle, era stato il Diavolo in persona. Almeno, le lacrime erano limpide.
Non ce la faccio… non ce la faccio…
Belial vacillò, esausto. Singhiozzò più forte, troppo stanco per pregare o per chiedersi perché stesse accadendo tutto questo. Per la sua debolezza, avrebbero pagato degli innocenti. Ancora una volta.
Vacillò, indebolito. Strinse forte le palpebre quando sentì le gambe cedergli di schianto. Le mani allentarono la stretta sulle fronti di Dean e Castiel, il corpo scivolò verso il basso… ma qualcosa arrestò la sua caduta.
Un braccio gli cinse la vita, tirandolo su con uno strattone energico che per qualche istante gli tolse il fiato. Un petto possente premette contro la sua schiena mentre un altro corpo aderiva al suo, sostenendolo, impedendogli di crollare. Una mano sporca di sangue si posò su una delle sue, posata sulla fronte di Castiel. Belial inspirò sorpreso quel profumo noto di vaniglia e fiori di campo… conosceva quell’odore, e lo adorava con tutto se stesso.
-Pensavi davvero che ti avrei lasciato agire da solo? Imbecille che non sei altro, sei ancora un moccioso, dopotutto.- mormorò una voce al suo orecchio, facendolo rabbrividire.
Belial sentì il mento di Balthazar sfiorargli la spalla e quando voltò appena il capo, vide il viso dell’angelo che lo sosteneva, impedendogli di cadere, di arrendersi alla perdizione eterna. Balthazar lo stava sostenendo pazientemente, come un genitore tiene in piedi il figlio che poco a poco impara a muovere i primi passi. Belial si appoggiò ciecamente a quel sostegno, affidandosi al corpo di Balthazar con fiducia totale. Sospirò rilassato mentre il profumo dell’angelo lo abbracciava morbido come una carezza o una piuma d’ala angelica.
Era così bello, rifugiarsi in quell’abbraccio…
-Grazie.- mormorò a bassa voce, esausto ma felice come non si sentiva da secoli. Da quanto tempo non si sentiva così protetto? Da quanto tempo aveva smesso di sperare in una stretta dolce come quella?
-Per cosa?- rispose noncurante l’altro angelo, guardando fisso davanti a sé. Cercava di mantenere intatto l’ultimo brandello di compostezza che l’aveva sempre aiutato a ragionare freddamente, in modo strategico, senza pensare ad altro. Adesso però, c’era una luce nuova negli occhi azzurro oceano di Balthazar, come una scintilla che poco a poco divampava in un incendio. In quelle iridi così chiare, pulite, Belial poté leggervi un’anima semplice, gentile, che ancora si schermava timidamente dietro un muro di finta glacialità beffarda.
Balthazar aveva quasi dimenticato cosa significasse non essere un soldato, o forse, non l’aveva mai capito davvero. Sperimentare le umane emozioni per lui, era sempre stato davvero troppo, perciò si era tenuto lontano dallo stretto contatto con gli uomini, perfino con i Winchester.
Non aveva calcolato tuttavia, di poter riscontrare una debolezza sentimentale in uno dei suoi fratelli. Più precisamente, nel più bello, sensibile e dolce di tutti loro. Non ci aveva pensato, Balthazar, e ancora adesso non si domandava perché il cuore del suo tramite battesse tanto in fretta o perché i suoi occhi si rifiutassero di posarsi sul viso troppo vicino di Belial.
-Resta sveglio, ancora un po’ e ce la caveremo.- mormorò Balthazar con uno strano tono di voce che allarmò Belial.
No… possibile che…
Belial abbassò lentamente gli occhi sulla mano di Balthazar che stringeva la sua. Era sporca di sangue, e gocciolava molto più di quella dell’arcangelo. Quel sangue, non apparteneva alla Stella del Mattino.
-Balthazar, cosa hai fatto?- esclamò Belial, sbarrando gli occhi e voltando il capo verso Balthazar, che intanto si era fatto più pallido. Il suo taglio era molto più profondo di quello di Belial che, essendo diverse volte più forte di un angelo ordinario, poteva resistere più a lungo senza subirne conseguenze drastiche. Adesso però, Balthazar perdeva sangue a fiotti, anche se da un solo braccio poggiato fedelmente contro quello di Belial.
Si era ferito per dar loro una possibilità in più. Dal primo istante in cui aveva guardato negli occhi Belial, quel giovane uomo dalla straordinaria capacità di rischiarare intere giornate col più gentile dei sorrisi, Balthazar aveva capito che sarebbe andata a finire così. Non lo avrebbe lasciato andare, non lo avrebbe affidato al pericolo senza frapporsi e fungere da scudo. Belial aveva scelto di riportare indietro Castiel, Balthazar aveva deciso che avrebbe riportato indietro Belial. Era una reazione a catena, un circolo vizioso, ma per Balthazar non era una cosa così grave: a lui andava bene, era nato per proteggere i suoi superiori e, in quanto arcangelo, Belial lo era.
Dovere, stava semplicemente rispondendo al dovere di una vita. Era nato per questo, sarebbe morto per questo. Balthazar era un  soldato, niente di più.
Gli tremarono le ginocchia, ma rimase in piedi, sorreggendo Belial con tutta la forza che aveva.
-Balthazar, allontanati subito! Devi…-
-Sto bene, pensa a Castiel e al moccioso!-
Belial scosse energicamente il capo, facendo ondeggiare i morbidi, definiti ricci biondi.
-No che non stai bene! La tua resistenza è minore rispetto alla mia! Non sei un arcangelo!- gemette, addolorato. La stretta di Balthazar sulla sua vita si accentuò.
-Per questo sono sacrificabile. Un arcangelo vale più di una mera pedina angelica, Belial, e tu lo sai. Te l’hanno insegnato, all’inizio tu stesso professavi questa legge, perciò resta fedele e solleva la testa. Devi essere fiero di ciò che sei, anche in questi momenti… soprattutto in questi momenti.-
Belial scosse di nuovo il capo, stavolta con più energia. Non poteva credere che Balthazar avesse detto una cosa simile. Sacrificarsi in funzione di un superiore semplicemente perché questo era l’addestramento inculcato nella mente dei soldati angelici ancora giovani. Solo in quel momento, davanti a quelle parole, Belial ricordò il marciume del paradiso, addetto a crescere gli angeli come soldati volti all’unico scopo del combattimento, dell’annullamento delle emozioni. Balthazar era fuggito per lungo tempo dalla sua stessa gente, ma alla fine di tutto, la sua marzialità restava fredda, invariata. Ogni azione, l’avrebbe ricondotto a quei momenti di duro addestramento, quando le ali non servivano più per volare liberi nel cielo, ma per uccidere con l’affilata fattura delle piume taglienti.
Possibile che agli angeli fosse stata insegnata la morte molto più della vita?
 Belial digrignò i denti, infuriato. –Hai torto.- ringhiò, ma Balthazar rise con stanchezza sempre maggiore e chinò il capo per poggiare la fronte sulla spalla di Belial. Ad ogni istante che passava, ad ogni momento trascorso lì, a perdere sangue per la salvezza di una vita che esigeva ben due sacrifici, Belial sentiva l’essenza di Balthazar affievolirsi, diventare sempre più distante.
L’aveva salvato, curato, e adesso lo guardava morire.
L’aveva affiancato, tenendogli la mano per fargli e farsi coraggio, ma adesso, quella stessa stretta che un tempo sapeva di vita, stava trascinando Balthazar verso un luogo dove Belial non avrebbe saputo seguirlo. L’avrebbe lasciato indietro, come avevano fatto tutti quanti quando Belial era stato scaraventato giù dalle nuvole, lontano dal paradiso e dalla Grazia di Dio stesso.
Ora, gli si poneva una scelta. Rinunciare a quegli occhi vivi, che tuttavia avevano visto la morte e se ne sentivano schiacciati. Chissà com’era lo sguardo di Balthazar davanti alla vera essenza della vita, ammesso che l’avesse mai vista davvero. Belial avrebbe voluto vederlo in tante situazioni, avrebbe voluto vivere al suo fianco solo per vedere l’espressione dell’angelo davanti alla nascita di un fiore, davanti all’abbraccio di una madre al figlio appena nato. La vita è questa, dopotutto: sapere che alla fine di una notte di dolore, ci attende un’alba di rinascita e sorrisi.
Belial l’aveva imparato proprio grazie al suo esilio, ai momenti passati in terra ad osservare gli uomini e la loro straordinaria capacità di vivere, perdonare, andare avanti in ogni situazione. Era ora che anche Balthazar comprendesse questo concetto. Vivere non significava solo sanguinare da ferite che si credeva non si sarebbero più rimarginate. Era giusto che, da quel momento, Balthazar abbandonasse il suo addestramento da soldato per comprendere la pura e semplice verità: che le sue piume potevano essere morbide carezze e difendere vite, anziché ucciderle.
Mi dispiace, Castiel…
-Non ci sto! Mi rifiuto!!!-
Balthazar ebbe appena il tempo e la forza per realizzare il significato di quell’urlo, che Belial si sbilanciò all’indietro con una spinta violenta, ultimo residuo delle forze che gli restavano.
Balthazar perse l’equilibrio e cadde, ma Belial si scansò appena in tempo per evitare di finirgli addosso. Rotolò di lato e si portò in ginocchio, posando gli occhi su Balthazar, che aveva chiuso gli occhi in un’espressione di dolore e si era rannicchiato, stringendosi l’avambraccio squarciato.
Nello stesso istante, Dean inspirò bruscamente e sbarrò gli occhi, levandosi a sedere di scatto. Tossì, sconvolto da quell’improvviso cambio di realtà.
-BOBBY!!!- urlò Belial, attendendo appena qualche istante prima che Bobby, Sam, Gabriel, Mary, Samael e tre Behemah Aqedà si fiondassero nella stanza. Sam e il vecchio cacciatore raggiunsero subito Dean mentre Gabriel, Samael e Mary si inginocchiavano accanto ai corpi accasciati e ansimanti di Belial e Balthazar. Il secondo guardò Lucifero con aria accusatoria, sconvolto.
-Co… cosa hai fatto?!- urlò, in preda al dolore e alla confusione per i troppi sangue e Grazia persi. Belial chiuse gli occhi e voltò il capo dall’altra parte.
-Balthazar! Ehi, dolcezza, resta sveglio.- chiamò Gabriel, prendendo tra le mani il viso dell’angelo scosso dalle convulsioni. Al contrario, Balthazar socchiuse gli occhi e strinse la mano di Gabriel, ancora appoggiata sulla sua guancia, cercando di infondersi coraggio.
Improvvisamente, una luce. Un fascio candido illuminò a giorno la stanza, rischiarando le pareti e la notte oscurata dalla luna coperta dalle nuvole. Un rumore come di canto arcano si espanse nell’aria, salutando il piede nudo che si poggiava al suolo, scendendo dal letto. Un fruscio d’ali lentamente mosse ad accarezzare le pareti troppo strette, e il canto crebbe, diventando quasi assordante nella sua musicalità sconosciuta e bellissima.
Il centro di quel mare di bellezza ed eleganza si concentrava in un unico punto, intorno a un corpo che, passo dopo passo, avanzava maestoso, generando piccoli tulipani ad ogni passo che faceva. Le piante sbocciavano, sbucando dalle travi del pavimento e dalle crepe delle pareti, ricoprendo quella casa grigia di disordine e brutti ricordi di nuova vita fatta di morbidi petali e foglioline delicate. Le piante sfioravano i piedi pallidi dell’angelo che avanzava, accarezzando il pavimento con le vestigia stesse della luna ripiegate dietro le sue spalle in sei immensi ammassi di morbide piume di purissimo argento.
Poco a poco, la luce parve aprirsi per raccogliersi in un magnifico alone lunare intorno alla figura di Castiel, nei cui occhi gentili, ricolmi di pietà celeste, si riflettevano le profondità dell’oceano e la vertiginosa sconfinatezza dei cieli d’estate. Dalla fronte, colava ancora il sangue misto a Grazia angelica dei suoi fratelli. Indossava i suoi fedeli pantaloni di seta, con la fascia legata in vita che ondeggiava, morbida di drappeggi statuari, raffinati come la figura esile ma dai muscoli ben delineati che la portava legata in vita.
Castiel si inginocchiò accanto a Balthazar e gli scostò i capelli dalla fronte gelida per la mano della morte che poco a poco discendeva sull’angelo.
Occhi blu e occhi azzurri si incrociarono.
Occhi vivi di speranza rinata e occhi morenti di condanna conversarono silenziosamente, ponendosi domande, fornendosi delle risposte.
Castiel sorrise lievemente, di un sorriso così bello che i presenti sentirono il cuore sussultare nel petto. Per quanto fosse incredibile, per quanto potesse sembrare innaturale, in quel momento Castiel rasentava una magnificenza pari a quella di Lucifero stesso.
Quello che era stato il più umile degli angeli, infine si innalzava, avvolto dalla Grazia di Dio stesso, che per qualche motivo aveva lavorato le sue fattezze e i suoi atteggiamenti per far sì che essi potessero paragonarsi al più bello degli arcangeli. In tutta la sua delicata umiltà, Castiel appariva come la luna stessa. Se prima aveva rappresentato un semplice raggio argentato, adesso non si potevano avere remore a paragonarlo all’astro stesso che notte dopo notte brillava in cielo, rischiarandolo.
Castiel socchiuse gli occhi e premette una mano sulla fronte di Balthazar, che lo guardò ad occhi sbarrati mentre la ferita al braccio si ricuciva e la Grazia di Castiel abbracciava quella dell’altro angelo, risanandola poco a poco, senza fretta ma con cura. Alla fine, la luce scemò, il canto arcano diminuì, e quando Castiel tolse la mano dalla fronte di Balthazar, tutti capirono di aver visto un miracolo vero, di quelli che le persone invocano ogni giorno.
Castiel non era un normale arcangelo, anzi. Forse, la sua forza era anche superiore a quella di Lucifero stesso, ma non era questo che lo rendeva diverso dagli altri suoi fratelli: no, Castiel era diverso perché era capace di una pietà straordinaria. Era angelo, eppure a tratti appariva umano.
-Ciao, Balthazar.- salutò con la massima naturalezza mentre Balthazar si alzava lentamente a sedere sotto lo sguardo di tutti.
-Castiel…- mormorò, e l’arcangelo annuì, gli occhi luminosi come non mai.
Gabriel fu il primo a riprendersi dallo shock. Si slanciò in avanti e strinse Castiel in un abbraccio tremante, spaventato. L’abbraccio di chi sa di aver ritrovato qualcosa che credeva di aver perso per sempre. Il suo amato fratello, il suo piccolo, innocente angelo dagli occhi blu, era tornato indietro.
-Se lo fai di nuovo, giuro che ti ammazzo.- sibilò, spaventato, ma sorrideva contro il collo di Castiel, che lentamente ricambiò l’abbraccio, assaporando la realtà sincera di quel contatto. Aveva quasi dimenticato cosa significasse provare il calore di una stretta amica, fraterna. L’abbraccio di Gabriel, l’arcangelo che l’aveva sempre protetto e che avrebbe continuato a farlo in eterno, a qualsiasi costo. Il suo scudo e il suo piccolo riparo fin da quando era piccolo.
Castiel sorrise contro la spalla del fratello, che pareva non volerlo lasciare più andare. Alla fine però, Gabriel fu spinto da parte da Samael, e poco a poco, ognuno di loro strinse Castiel, ringraziando quel miracolo che l’aveva salvato e riportato indietro, restituendolo all’affetto di una famiglia che aveva lottato, pregato, sofferto, per riaverlo. Quegli occhi blu avevano avuto la capacità di radunarli tutti lì, costruendo facilmente una famiglia bizzarra, ma sincera in ogni suo aspetto.
All’improvviso, i demoni non esistevano più. I fantasmi parevano sfumati come il più terribile degli incubi finalmente rimpiazzato dalla bellezza di un bel sogno. I mostri avevano chinato il capo, sottraendosi alla luce di un bellissimo angelo che aveva riunito i presenti al cospetto della sua luce argentata.
§§§§
Castiel sedeva sul divano, accanto a Dean. Gli occhi di tutti erano puntati su di lui, che intanto non aveva lasciato la mano del suo umano nemmeno per qualche istante. Stringeva le dita di Dean, cercando sempre la sua presenza, un qualsiasi contatto con lui, come se avesse paura di perderlo di nuovo. Da quando Castiel aveva riaperto gli occhi, i due non si erano rivolti la parola, ma si erano semplicemente guardati, e quelle occhiate, tutti ne erano certi, valevano più di mille discorsi.
-Insomma, che accidenti sta succedendo, ragazzo?- esclamò alla fine Bobby, spezzando il silenzio. Castiel lo guardò per qualche istante prima di rispondere, poi chinò il capo.
-Cominciò tutto quando discesi all’inferno per recuperare l’anima di Dean, qualche anno fa. È chiaro che i demoni non furono contenti di vedermi, e fecero il possibile per respingermi. Uno di loro riuscì a ferirmi proprio mentre afferravo Dean e non mi accorsi che alcuni pezzi di Grazia si staccavano dal mio essere per precipitare in basso. Questo avvenne perché in quel momento sfruttai tutta la mia forza per tirarci fuori entrambi, perciò, quando rimasi ferito, fuoriuscì più Grazia di quanta ne potevo immaginare. Fu questo a dar vita a Leitsac.
-Nacque tra la dannazione e le torture dell’inferno, e troppo a lungo ha atteso che tornassi a prenderlo, a tirarlo fuori di lì. Non poteva pregare perché all’inferno è proibito farlo, né poteva invocarmi, perciò non gli rimase che la speranza. Sopravvisse alle torture di Crowley stesso, crescendo nell’odio e nella rabbia, ma senza mai trovare la forza per uscire di lì. Poi, qualcosa cambiò: senza che me ne accorgessi, si era stabilito una sorta di legame tra noi, lo stesso che connetterebbe Dio e uno dei suoi angeli, perciò, quando divenni arcangelo… accadde lo stesso a Leitsac.-
Castiel si passò una mano sul viso, esausto. Nella stanza, il silenzio era totale, e gli unici che parevano prestare poca attenzione alla storia dell’arcangelo, erano Gabriel e Belial.
-Fu questo a dargli la forza per uscire di lì. Poco a poco che io mi rafforzavo, anche lui diventava più forte, finché non riuscì a raggiungere il paradiso e, utilizzando il suo piccolo vantaggio di possedere i poteri demoniaci oltre a quelli angelici, fece a pezzi ogni cosa. Era lì per un motivo, e l’avrebbe ottenuto. Capii che l’unica arma che poteva dargli reale vendetta contro gli angeli che l’avevano abbandonato all’inferno, era un oggetto abbastanza potente da spodestarci: il Cubo di Metatron.
-Quando capii che ogni cosa era persa, io e Gabriel facemmo il possibile per trattenerlo, e io gli offrii la seconda cosa che desiderava più di tutto il resto. Me stesso: il suo creatore, colui che l’aveva abbandonato e che detestava a morte. Contemporaneamente, Balthazar raggiungeva il Cubo e fuggiva dal paradiso.
-Leitsac trascinò Gabriel alle Colonne di Ercole, unico luogo capace di imprigionare anche il più potente degli arcangeli, e me al Cocito. Dovevo patire le sue pene, capire perché stesse accadendo tutto questo, perché avevo visto morire i miei fratelli e crollare la mia casa. Infine, sapevo che la colpa di ogni cosa, era solo e soltanto mia.-
Dean strinse forte la mano di Castiel, ma questi non lo guardò, non gli rivolse la parola. I suoi occhi restavano fissi sul vuoto davanti a sé.
-Così rimasi nel Cocito, troppo stanco e troppo pentito per ciò che avevo fatto per provare a liberarmi. Io… io volli restare lì. Perché sapevo che Dean e Sam erano al sicuro con Balthazar e Samael, e perché sapevo che Belial avrebbe trovato uno di voi e vi avrebbe aiutati. Venni a conoscenza dell’esistenza di Leitsac poco dopo il mio rientro in paradiso, dopo la battaglia di due anni fa, ma allora era già troppo tardi: l’anima di quello che era un pezzo di me stesso, era ormai annerita dall’odio.-
Castiel respirò profondamente, senza accorgersi di aver stretto un po’ più forte la mano di Dean, per farsi coraggio.
-Tutto questo è successo a causa mia… e mi dispiace. Vi chiedo scusa, e che il Padre mi perdoni anche lui. Ho peccato verso tutti voi.- mormorò infine con voce roca, come se stesse per piangere. Si coprì il viso con la mano libera dopo aver chiuso gli occhi in un’espressione sopraffatta.
-Ma di che parli?-
Castiel riaprì gli occhi e li levò su Gabriel, che aveva un braccio intorno alla vita di Sam. Entrambi lo guardavano e… sorridevano, come se i pensieri dell’arcangelo fossero strettamente legati a quelli dell’umano. Avevano lo stesso viso, come i pezzi di un puzzle che, incastrati tra loro, rasentavano la perfezione vera, armonica.
Alla fine, Sam si allontanò di un passo da Gabriel e annuì, guardandolo negli occhi con la fiducia cieca di chi è innamorato e affiderebbe alle decisioni dell’altro la sua stessa vita. Gabriel gli strizzò l’occhio e avanzò, portandosi davanti a Castiel. Si inginocchiò per portare il viso alla sua altezza, senza smettere di sorridere, e gli afferrò la mano libera.
-Lasciatelo dire, fratellino: sarai anche uno degli angeli più fighi del paradiso, ovviamente dopo il sottoscritto, ma sei un vero coglione.- asserì, annuendo con convinzione. Alle sue spalle, Sam lo guardava con una dolcezza infinita.
-Credi davvero che sia colpa tua? Non hai scelto di generare Leitsac, così come non hai scelto di lasciarlo laggiù. Poteva capitare a chiunque, ma non per questo ci si deve incolpare di qualcosa che è accaduto per pura casualità. Guardalo, Castiel… guarda in faccia il motivo della nascita di Leitsac e dimmi se ne è valsa la pena. Dimmi se non lo rifaresti.-
Gabriel poggiò una mano sulla guancia di Castiel e lo costrinse a voltare il capo verso destra in modo che gli occhi blu zaffiro del fratello incontrassero quelli smeraldini di Dean. Il cacciatore lo guardò con muto stupore e un’espressione spiazzata che lo faceva apparire ancora un ragazzino innocente. In quel momento, Castiel ricordò di aver visto quegli occhi all’inferno, la prima volta che ci era stato. Aveva quasi rinunciato al compito di riportare indietro quell’apparentemente inutile anima umana, quando incontrò quella macchia di colore. Verde, il colore della speranza. Ed erano speranzosi davvero, quegli occhi, fieri in tutta la loro bellezza e mai prossimi a piegarsi nelle lacrime nonostante il dolore delle torture.
Castiel aveva sentito il cuore gonfiarsi di stupore davanti a tanto coraggio. In quell’istante, in quel piccolo secondo che aveva dipinto l’incrocio dei loro sguardi, Castiel si era detto: lo riporterò indietro ad ogni costo.
Sì, ne era valsa la pena. Per Dean, per ciò che rappresentava. Grazie a quell’umano, Castiel aveva ritrovato la sua stessa umanità, il suo senso di giustizia e di pietà verso chi chiedeva aiuto. Si era tramutato da soldato a comunissimo civile, e ciò bastava a definire una risposta reale e finalmente definitiva.
-Sì, lo rifarei.-
Gabriel sorrise e finalmente si alzò in piedi. Si voltò verso Balthazar, seduto su una sedia poco distante dal divano. Aveva l’aria esausta, ma sembrava particolarmente infuriato con Belial, al quale non aveva rivolto minimamente la parola dopo essersi ripreso.
Gabriel tese una mano. –Dammi il Cubo, fratello.- disse, sorridendo, e allora Balthazar si alzò in piedi e infilò una mano sotto la maglietta, estraendone una collanina alla quale era appeso un piccolo cubo fatto di quello che sembrava cristallo. Lo strinse tra le mani, e poco a poco, il Cubo di Metatron* si ingrandì, fino a diventare delle dimensioni di un piccolo pallone da calcio.
Le pareti parevano di cristallo, ma all’interno, brillava una fioca luce azzurrina, piccola come una stella. Su ogni fiancata, vi era inciso un simbolo intricato blu notte: un esagono faceva da contenitore a una grossa stella a sei punte. Ogni punta, così come l’interno di ogni braccio della stella, recava un cerchio perfetto, mentre, all’interno del simbolo, si intrecciava l’ennesimo simbolo, più piccolo, che tracciava una fitta rete di linee.
-Quindi è questo il Cubo di Metatron… la causa di tutto?- chiese Mary, guardando ipnotizzata il Cubo stretto tra le mani di Gabriel, che annuì. Samael pareva restio ad avvicinarsi.
-Perfetto, abbiamo un Cubo con cui giocare a qualche gioco da tavolo. Che cazzo ce ne facciamo, me lo dite?- intervenne Dean, corrucciando le sopracciglia. Balthazar chiuse gli occhi con un sospiro, invocando tutta la pazienza di cui disponeva.
-Te lo dico io a che serve, mia stupida scimmia. Quell’affare è l’arma più potente del paradiso, insieme agli arcangeli. Può esorcizzare qualsiasi cosa. E per qualsiasi cosa, intendo, qualsiasi.-
Gli umani presenti nella stanza lo guardarono, straniti.
-E allora?- intervenne Bobby, chiedendosi quando sarebbe arrivata la fregatura.
-E allora…- sibilò Balthazar, più aggressivo di quanto volesse apparire. -…quel Cubo non ha limiti. Può esorcizzare ed annientare chiunque… perfino un angelo.-
 
*Cubo di Metatron: Il Frutto della Vita (una componente del Fiore della Vita) presenta tredici cerchi. Se ogni centro dei vari cerchi è considerato un "nodo", ed ogni nodo è connesso ad ognuno degli altri con una linea unica, si crea un totale di settantotto linee. All'interno di questo cubo possono essere trovate molte altre forme, inclusa la versione bidimensionale (appiattita) di quattro dei solidi platonici.
Nei primi scritti cabalistici è scritto che Metatron diede forma al cubo a partire dalla sua stessa anima. Questo cubo può essere successivamente rintracciato nell'arte Cristiana, dove appare sul suo petto o mentre vola dietro di lui. Il cubo di Metatron è anche considerato un glifo santo, e c'è chi dice che può essere disegnato intorno ad un oggetto o persona in preda a presunte possessioni per ottenerne la guarigione. L'idea è anche presente inalchimia, dove il cubo di Metatron viene indicato come un cerchio di contenimento o di creazione. http://www.lolandesevolante.net/wp-content/uploads/2012/08/metatron-cube.jpg

 
Angolo dell’autrice:
Sì, il Cubo di Metatron esiste veramente, colpo di scena! Tutto questo casino per un fottutissimo Cubo! Ma giocateci a dadi!
Raphael: porta rispetto, stai parlando del sommo Metatron!
Metatron: tira! TIRAAA!!!
Rap: che cazz… °-°
Met: °-° non è come sembra…
State davvero giocando a dadi col Cubo di Metatron?
Castiel: sììì!!! E abbiamo esorcizzato Samandriel per sbaglio, tanto a che serve? Non se lo fila nessuno! E dovevi vedere, ha brillato come una palla da discoteca per mezz’ora, ed era tutto un bruuuuuuuuuuuuu!!!
Gabriel: accidenti, non credevo che tutti quegli alcolici sorbissero quell’effetto… Cassie, sei astemio?! Un arcangelo astemio?! E poi, io avevo detto di diluirgli l’assenzio, chi è il genio!
Crowley: °-° cosa? Non è vero, non sono stato io!
Ah, era assenzio… oddio… che succede se finisce nella vasca dei coccodrilli?
Tutti: °-° (corrono a vedere)

kimi o aishiteru: ripetitiva nelle recensioni? TU?! Non dirlo più, mi impressiono facilmente quando leggo simili cretinate! Ma se i tuoi commenti sono bellissimi! Quando ho letto il precedente… be’, lasciamo stare, non mi aspettavo parole del genere. Altro che ripetitività! E poi, te la meriti la dedica, per quanto poco possa essere. In realtà, non mi aspetto mai tanta energia dai commentatori, e io per prima sbarro gli occhi quando leggo della presenza di un nuovo commento… insomma, non ho molta fiducia in me stessa, ma certe recensioni quasi quasi me la fanno ritrovare, ed il merito è anche tuo. Allora, che ne pensi di questi Balthazar e Belial? Sono o no deficienti come pochi? Ma qualcuno li chiuda insieme nella Gabbia di Lucifero e Michele finché non si chiariscono! Sì, sei riuscita a cogliere molte delle allusioni che ho fatto nel capitolo scorso. Ai miei occhi, Dean è sempre apparso così: forte, ma debole delle sue paure più grandi. Lui teme i ricordi, e qui, almeno per una volta, ha dovuto affrontarli, quantomeno per ritrovare Castiel! Ehi, tranquilla! Gli impegni a volte servono a movimentare la vita, per quanto fastidiosi, ma prima o poi ti lasciano in pace. Pensa a Sam e Dean quanti impegni hanno! E degli angeli? Non ne parliamo! Io continuo a ripetermelo quando mi sento sovraccaricata e mi viene sempre una gran voglia di ridere! Come accidenti ragiono! E ora ti saluto! Ah, aggiungo una cosa: tua sorella è adorabile! XD
xena89: non sembri mai ripetitiva, quindi non preoccuparti! Ehi, io devo ancora vedere l’ultima puntata e mi sto mangiando le mani a furia di aspettare che questo maledetto pc scarichi! Be’, consideriamo che Castiel, come Dean, si è trovato a dover affrontare le sue debolezze, appellandosi ai punti di forza che rappresentavano le debolezze stesse. Dean è la sua forza, ma anche ciò che può ucciderlo, e questo Cass l’ha sempre saputo. Tuttavia, non si è mai sognato di lasciare Dean, e ha scelto di correre il rischio… e questo è il suo coraggio, quello vero. O almeno, io la vedo così. Oddio, mi ci vedi al posto di Metatron? In quel caso, non so cosa potrebbe succedere. Uno si troverebbe scritto quelle tavole parole come: “AMMACCABANANE” e qualche disegnino stupido vicino. XD no, lasciamo il lavoro al nostro angelo che è meglio! Detto ciò, ti ringrazio tantissimo e ti lascio! A prestissimo!
HowlingFang: cioè, tu li hai visti davvero?! No, non mi sto mangiando le mani per l’invidia. Al momento sono già arrivata a sbranarmi la spalla, le mani ormai non ci sono neanche più… io volevo venire quest’anno, ma purtroppo gli esami mi hanno bloccata, ma non importa, verrò la prossima volta! Ma dai, quanto è dolce Misha? È proprio a questa dolcezza che mi appello quando scrivo di Cass e Dean insieme… a proposito, come sta adesso il tuo destiel-nometro? Non c’è stata quasi Destiel in questo capitolo, ma mi rifarò, promesso! E che ne pensi di Belial e Balthazar? Sono o non sono più scemi di Crowley? (guarda che ti ho sentito! Nd Crowley) fate qualcosa, perché come scrittrice mi stanno facendo esaurire! E continuano pure con la storia dell’essere solo amici, ma vaglielo a spiegare! Bene, spero che questo capitolo abbia soddisfatto la tua curiosità, e spero che ti sia piaciuto come è piaciuto a me scriverlo e immaginarlo! Fammi sapere, a prestissimo!
Sherlocked: zittaaaaaaaaa!!! Devo ancora vedere l’ultima puntata! Cuccia, o ti esorcizzo! (come esorcizzi un’umana? Nd Gabriel)(fila via, tu! Adesso che ho il Cubo, posso esorcizzare anche te, perciò, CONTINUA A PULIRE, sguattera!)( ma non potrei fare una pa… nd Gabriel)( *fisssssssss*)( ehm… non sarà necessario, grazie… nd Gabriel) Eh, immagino come le verifiche di fine anno ti stiano massacrando, ma pensa che io ho gli esami, dovrei studiare e la notte scrivo questa valanga di stupidaggini! XD qualcosa in me non và, decisamente (io lo dico semp… nd Gabriel)(LAVORAAAAAA). Oddio, hai veramente capito che per la scena delle scale mi sono appellata al dipinto di Escher?! Ma sei da sposare! (non importunare la ragazza! già le hai fregato l’abito da TARDIS! Nd Gabriel)(no, quello l’ho fregato a Crowley… e ho come la sensazione che le abbia lasciato in cambio un album di fotografie sexy di Bobby, ma spero che non l’abbia aperto, o le si bloccherà la crescita…). Tu pensa che l’ho sognato l’altra notte, Dean che correva su e giù per un migliaio di scalinate. Dopo questa escursione, ne uscirà fuori con delle gambe da calciatore! Be’, detto ciò: da uno a dieci, quanta violenza ti ispirano quei due deficienti di Belial e Balthazar che continuano a chiamarsi amici a vicenda? Qualcuno gli scrive un cartellone, per piacere? E ora ti saluto! Ohohohoh a prestissimo! Hasta la vista!
Tomi Dark Angel
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 20
*** L'Universo Nei Tuoi Occhi ***


Castiel distese le ali sul terreno, emettendo un sospiro rilassato. Finalmente sentiva l’animo leggero, privo di paura e visioni terrificanti. Certo, non avrebbe mai dimenticato il Cocito e gli orrori ai quali aveva assistito, ma adesso era certo di riuscire a dimenticare, ad andare avanti senza guardarsi indietro. Era abbastanza forte per farcela, adesso lo sapeva, e forse, a breve sarebbe stato abbastanza coraggioso per poter affrontare Leitsac.
Già, Leitsac.
Il suo gemello, la sua creatura. Castiel non riusciva a capacitarsi di essersi lasciato indietro un pezzo importante di se stesso: l’aveva dimenticato lì, tra gli orrori dell’inferno, lasciando che Leitsac si avvelenasse pian piano, crescendo nell’odio così come non era riuscito a crescere nell’amore. Non sapeva cosa significasse ricevere un abbraccio amico, né una carezza. Semplicemente, per lui, chi era così fortunato da ricevere l’amore, meritava la morte.
Dopotutto, Castiel lo capiva. Quando aveva conosciuto Dean, nemmeno lui sapeva cosa significasse amare qualcuno. Gli angeli non nascevano per vivere, ma per conoscere la morte ed arrecarla ad altri, questo Castiel l’aveva imparato fin dall’inizio, e se non fosse stato per Dean, probabilmente non avrebbe mai cambiato idea.
Dei passi. Qualcuno si inginocchiò alle sue spalle, gli cinse i fianchi con le braccia, intrecciandogli le mani in grembo e appoggiò le labbra sul suo collo, facendolo fremere.
-Ciao, pennuto.- mormorò Dean con voce roca, premendo il petto contro la schiena di Castiel, che si appiattì contro di lui e rovesciò il capo all’indietro. Le labbra di Dean lo trovarono subito, trascinandolo in un bacio rovente, di lingue intrecciate e saliva mescolata. Dean non se n’era mai accorto, ma la saliva di Castiel era… innaturalmente dolce, come se fosse intrisa di zucchero.
Una delle mani del cacciatore risalì il petto dell’angelo, mentre l’altra scendeva fino al bordo dei suoi pantaloni classici, che lentamente si tendevano per un rigonfiamento inaspettato che fece sorridere Dean.
-Allora anche voi angioletti vi eccitate.- mormorò contro le sue labbra, facendo scorrere le dita sulla patta dei pantaloni di Castiel in un tocco lieve che lo fece gemere. A quel punto, l’angelo si discostò leggermente.
-Potrebbero vederci, Dean.-
-E allora?-
-E allora, non credo che tuo fratello e Bobby approverebbero vederti… ehm… fare certe cose in pubblico, per più davanti alla casa di Bobby.-
Dean sbuffò. –Non mi tratterrò perché loro sono due ragazzine pudiche. Piuttosto, li chiudo dentro.-
Castiel sorrise, facendo brillare gli occhi di nuova lucentezza. Prese la mano di Dean, ancora ferma sul suo inguine e la strinse. –Ti fidi di me?- chiese, guardandolo. Dean gli rilanciò l’occhiata, sfoggiando un mezzo sorriso che si estese ai meravigliosi occhi di smeraldo.
-Sì.- rispose seccamente, senza esitazioni, e allora Castiel sentì il cuore riempirsi di orgoglio per tutta la fiducia che quel piccolo umano infondeva in uno come lui. Gli coprì gli occhi con una mano, e Dean rimase tranquillo, nonostante la leggera tensione del corpo. Era ovvio che, come cacciatore, non si sentiva propriamente a suo agio nell’essere privato della vista.
Castiel concentrò le energie, sbatté le palpebre e mosse appena le ali. Gli bastò appena un gesto di volontà per trasportarli tutti e due lontano, dove nessun uomo vivo aveva mai messo piede. Scostò gli occhi dal viso di Dean.
-Guardati intorno.- mormorò, e Dean obbedì. Si sarebbe aspettato di tutto, ma non quello: erano in Paradiso.
Era tutto bellissimo, pacifico, proprio come nei dipinti più eleganti dell’arte antica. Il giardino, l’Eden, era esattamente come lo avevano ricostruito i ricordi di Samael. Fiorito di magnifica flora, bagnato dalla rugiada che scorreva gentile tra gli steli d’erba, costruito da ruscelli e laghetti che intervallavano il prato, insieme agli alberi antichi, dai tronchi bronzei come possenti sculture. C’era silenzio, rotto solo dal basso, arcano mormorio dell’acqua che lì pareva avere un tono cristallino, diverso da quello che si udiva sulla terra.
Dean avanzò lentamente, guardandosi intorno. Ricordava quel luogo popolato da angeli e Behemah Aqedà, ma adesso, non c’era più nessuno ad animarlo. Non più un suono d’arpa, non più un basso tonfo di piedi nudi sull’erba. Era tutto così bello e triste, che Dean sentì il cuore lacerarsi.
-Chi ha ricostruito questo posto?- mormorò con voce rotta. Castiel lo affiancò, e solo allora Dean si accorse che l’arcangelo indossava una candida veste di seta stretta in vita da un cordone argentato, che lasciava scoperto il torace ampio e ben scolpito, anche se lievemente. Su una spalla, portava drappeggiato un panno argentato che gli copriva tutto il braccio destro e sfiorava morbidamente la terra con una carezza leggera e amorevole. La sua pelle splendeva morbidamente, con un’evanescenza quasi irreale e le ali, ripiegate alle spalle, generavano sopra le loro teste uno spettro di schegge colorate, generate da ogni singola piuma colpita dalla pallida luce divina. Dean era senza fiato.
-L’ha ricostruito il Padre. Anche se non sembra, difficilmente si dimentica di noi.- mormorò Castiel in risposta. Guardandolo in faccia, Dean si accorse che negli occhi dell’arcangelo splendevano, chiari come il sole, dei piccoli concentrati di Grazia divina, luminosissima e bianchissima, che spandeva la sua luce alle pupille.
Prima che Dean potesse parlare, Castiel lo oltrepassò con passo lieve, che riprodusse l’amato suono di piedi nudi al suolo. Un po’ della vita fino a quel momento soffocata, stava poco a poco ritornando al Paradiso, richiamata dal più potente e più bello dei suoi arcangeli.
-Vieni con me, voglio farti vedere una cosa.- mormorò Castiel, come se avesse paura di spezzare la quiete quasi mortifera che aleggiava in quel luogo. C’erano troppe memorie, lì, troppe ferite non rimarginate. Quanto sangue angelico era piovuto su quell’erba, all’apparenza limpida di rugiada? Quante lacrime per i fratelli perduti l’avevano bagnata e fatta crescere?
Dean seguì Castiel, guardandosi intorno di tanto in tanto, quando il mormorio dell’acqua si faceva più vicino o più lontano. L’Eden si estendeva per miglia e miglia, pacifico e silenzioso come una splendida creatura dormiente volta solo a ricordare le ere trascorse. A Dean parve di vedere addirittura alberi dai tronchi color zaffiro e dalle foglie d’acquamarina o piante dagli steli trasparenti, come di vetro. L’acqua era così limpida e tranquilla che, se non fosse stato per lo specchio lucente che la fioca luce generava su di essa, sarebbe apparsa invisibile. Ogni cosa era stata generata con la massima cura e la più accurata bellezza. Perfino l’erba era di un color smeraldo ammaliante, e profumava di buono.
Castiel continuò a camminare, bagnandosi le piante dei piedi con la rugiada e lasciando impronte sull’erba soffice. Dove l’arcangelo sfiorava la terra, lì germogliavano piccoli fiori variopinti, dai petali ampi e bellissimi, che per qualche attimo sfioravano grati le caviglie del loro creatore, e Dean non poteva fare a meno di chiedersi come fosse possibile che una creatura eterea come quella fosse caduta proprio sulla sua strada. Nessuna donna avrebbe mai raggiunto la grazia di Castiel, o la sua bellezza, o l’infinita dolcezza del suo carattere.
Castiel lo condusse all’imboccatura di una caverna dai bordi ricoperti d’edera aggrovigliata. Dall’interno, proveniva solo oscurità, perciò Dean si fermò: era strano vedere tanto buio in Paradiso, dove la luce era la sola ed unica sovrana.
Castiel gli prese la mano, e allora Dean incrociò i suoi occhi brillanti di zaffiro. Quelle semplici iridi, lucenti di Grazia, sarebbero bastate ad illuminargli la via, ne era certo.
Castiel lo tirò dolcemente verso l’imboccatura della grotta, e i due entrarono. L’oscurità li avvolse subito, spingendo Dean a sfiorarsi nervosamente un fianco per portare la mano sul calcio della pistola.
-Ti guiderò io, Dean. Non aver paura.- disse Castiel, avanzando sul pavimento roccioso. Dean chiuse istintivamente gli occhi, inutilizzabili per l’assenza di luce. Si affidò ai sensi, seguendo il profumo di Castiel e la sicura stretta della sua mano. Se Cass non lo abbandonava, allora Dean si sarebbe sentito al sicuro.
All’improvviso, Castiel si fermò e allentò la stretta sulla mano di Dean. –Aspetta qui.- ordinò, e Dean cercò di non dare a vedere quanto lo allarmasse l’improvviso gelo della mancanza di contatto col suo angelo. Lo sentì camminare poco lontano da lui, con passi leggeri ma veloci, finché anche Cass non si fermò.
-Cass…?-
In risposta, giunse un vibrare argentino, come di bicchiere di cristallo colpito da una forchetta d’argento. Il suono armonioso, pulito, crebbe d’intensità fino a rimbalzare tra le pareti in un’eco continua, che accarezzava morbidamente le orecchie di Dean.
Un sottile bagliore nacque al centro della caverna, illuminando come una stella il bel volto di Castiel, che aveva appoggiato un ginocchio su un piedistallo lavorato a scolpire un’armoniosa statua di donna inginocchiata che sorreggeva con entrambe le mani una ninfea tra i cui petali nasceva un enorme cristallo variopinto, dai riflessi arcobaleno, alto due metri.
Dean guardò la pietra, al cui interno brillava un bagliore innaturale e si avvicinò lentamente. Si accorse che il pavimento era molto liscio, ma non ebbe il tempo di pensarci un secondo di più, perché Castiel sbatté una delle sue ali più piccole, dall’ampiezza di circa quattro metri, e colpì il cristallo con le piume.
Il vibrare accrebbe, la pietra fremette di energia prima che un fiorire di raggi cangianti, luminosi, partisse dal suo centro, irradiandosi come una criniera solare. I raggi colpirono altri cristalli, che spuntavano come migliaia di aghi dalle pareti a cupola di marmo bianchissimo. Una pioggia di luce arcobaleno cadde sul pavimento, riversandosi come una magica cascata, e solo allora, quando Dean si trovò a calpestare un vero e proprio spettro di colori sfumati, cangianti, sempre in movimento, capì di trovarsi su un pavimento di cristallo.
Dire che stava camminando su un arcobaleno era troppo poco: i colori dell’arcobaleno non erano così brillanti, né così vari e mutevoli. Lì, sotto i suoi umili piedi umani, si stendevano i colori di tutto il mondo.
Faticando ad alzare gli occhi da quella visione, Dean si costrinse a guardare Castiel, con l’unico risultato di trovare l’unica perfezione di quell’agglomerato di colori e aurora boreale proprio davanti al suo sguardo: le ali dell’arcangelo catturavano totalmente lo splendore dei colori e li riflettevano sulle pareti in migliaia di schegge variopinte, concludendo in bellezza la prima e più bella opera d’arte non della Natura, ma di Dio stesso, e anche di più. Sulla Terra non c’erano posti così belli, non c’era quel vibrare adamantino, né una magnificenza di colori ancora più grande dell’aurora boreale.
Dean cercò di parlare, ma non ci riuscì. Boccheggiò inutilmente, privato dell’aria, mentre Castiel scendeva dal piedistallo e lo aggirava, abbracciandolo da dietro e allacciandogli le mani in grembo. Si accorse che Dean tremava.
-Ti piace?- mormorò, baciandogli un piccolo punto dietro l’orecchio, e allora Dean sentì che a breve le ginocchia non l’avrebbero più retto.
-È… è…- cercò di dire, ma Castiel gli accarezzò un fianco fino a condurre la mano sulla spina dorsale. La fece risalire, portandola alla nuca e stringendo dolcemente in una carezza provocatoria. In aggiunta a questo, leccò la spalla di Dean con fare lento e fin troppo malizioso per trattarsi di un innocente arcangelo.
-Non è che… che Leitsac ha preso il tuo posto di… di nuovo, vero?- gracchiò Dean, cercando di recuperare il controllo. Per tutta risposta, Castiel gli morse il collo con tanta veemenza da far uscire due piccole stille di sangue dalla minuscola ferita appena generata dai denti. Dean mugolò e aggrappò una mano al collo di Castiel, inarcando la schiena contro di lui in una tacita richiesta di sentire ancora il suo tocco e il suo respiro sulla pelle.
Come a dispetto di questa richiesta però, Castiel si allontanò di scatto da lui, facendolo voltare di scatto. L’arcangelo era riapparso poco lontano da lui, il capo inclinato e un sorriso canzonatorio sulle labbra.
-Cass?-
Castiel non rispose. Dean si alzò in piedi e camminò verso di lui, ma quando l’ebbe quasi raggiunto, Cass sparì di nuovo e riapparve poco lontano. Stavolta, Dean corse, ma anche qui, Castiel non si fece prendere.
All’improvviso, Dean non lo vide riapparire. Si guardò intorno, allarmato, ma tutto ciò che vide su uno spettro di riflessi cangianti e luminosissimi attorniarlo.
-Cass…?- chiamò, ma nessuna risposta. –Cass!-
-Sei molto nervoso, Dean.- rispose una voce dall’alto, e quando Dean levò gli occhi, vide Castiel seduto accanto a un cristallo di colore azzurrino che rifletteva sulla sua pelle luminosa un chiarissimo riflesso come di mare. Negli occhi, brillava una luce divertita, come se Castiel si fosse improvvisamente liberato da ogni vincolo di freddezza e rigidità. Lì, a casa sua e senza nessuno dei suoi fratelli che lo guardasse, Castiel poteva sentirsi umano, almeno per un momento, e provare emozioni. Poteva sorridere, gesticolare, dondolare le gambe nel vuoto sottostante come aveva visto fare ai bambini terreni.
-Dannazione, Cass, scendi! Non puoi lasciare le cose a metà!-
-Davvero?-
Dean guardò Castiel con stizza, ma poi sorrise. Raggiunse la parete, si tolse la giacca per gettarla a terra e cominciò a scalare, diretto verso il suo angelo, che lo fissava sorpreso. Vedeva le mani di Dean coprirsi di graffi e tagli, i jeans strapparsi, ma il ragazzo non si fermava mai: continuava a scalare, gonfiando i muscoli delle braccia e ricoprendosi di sudore che faceva danzare ancora di più i riflessi sulla sua pelle. Castiel si costrinse a non arrossire.
All’improvviso, quando Dean era ormai a circa sei metri da terra, la sua mano scivolò su una roccia vicina. Il ragazzo sbarrò gli occhi quando sentì la presa dell’altro palmo venir meno e il corpo abbandonarsi al vuoto sottostante.
Spalancò la bocca per urlare, ma non ebbe il tempo di emetter suono che due braccia forti gli circondarono i fianchi mentre le sei immense ali di Castiel si allargavano leggermente per riportarli su senza graffiare le pareti con la loro esagerata ampiezza. In un attimo, Dean si trovò seduto a cavalcioni sulle gambe di Castiel, il volto vicino al suo mentre, al loro fianco, la lucentezza azzurrina del cristallo rifletteva negli occhi zaffiro dell’arcangelo la luce più bella del mondo.
Dean ne rimase incantato, così come rimase incantato dalle ali argentate che si piegavano verso di lui per abbracciarlo in una stretta tanto dolce quanto gentile.
Dean portò il viso a pochi millimetri da quello di Castiel e sorrise, appoggiando una mano sulla sua guancia. L’arcangelo ricambiò il sorriso.
-Non dovresti muoverti troppo. Siamo sul bordo dello spuntone di roccia, rischiamo di cadere di sotto.-
-Non importa. Tu non mi faresti cadere.-
Castiel sbatté le palpebre, stupito da una risposta tanto sicura di sé, tanto fiduciosa. Dean stava mettendo nelle sue mani la sua intera sicurezza e la sua stessa vita, considerando che cadere da un’altezza di quasi dieci metri l’avrebbe sicuramente ucciso, ma lui non si preoccupava. Semplicemente, la sua più grande convinzione era che il suo angelo non l’avrebbe lasciato andare, mai, e su questo, aveva ragione.
Castiel inclinò il capo in quel modo che Dean adorava. Appoggiò la guancia contro la sua mano, chiuse gli occhi e mosse il capo su e giù, come un gattino in cerca di affetto. Dean sentì il cuore riempirsi di tenerezza, e allora abbandonò ogni controllo. Strinse forte Castiel e premette le labbra sulle sue. Le schiuse quasi subito, di forza, per giocare con la sua lingua, accarezzarla, sfiorarla, sentirne il sapore fresco. Scorse le mani lungo la sua schiena nuda e bollente, sfiorando dapprima le costole, per poi risalire fino alla gigantesca attaccatura delle ali. Accarezzò le piume con fare provocatorio, e allora Castiel fu costretto a interrompere il bacio per gemere e inarcare la schiena, sensibilissimo al tocco del compagno. Dean sorrise, continuando ad accarezzare le ali soffici più della seta o delle nuvole.
Quasi istintivamente, Castiel morse nuovamente il collo di Dean, ma stavolta non strinse. Si limitò ad appoggiare delicatamente i denti sulla sua carne mentre la lingua lambiva la pelle, voluttuosa. Le mani dell’arcangelo si appoggiarono sui suoi fianchi per trascinarlo più vicino, inguine contro inguine, per far sfregare le loro eccitazioni da sotto i vestiti. Dean strabuzzò gli occhi e si morse a sangue il labbro inferiore per non gemere troppo forte.
La luce intorno alle ali di Castiel accrebbe poco a poco, senza che i due se ne accorgessero. La sua pelle fu attraversata da un riflesso di puro argento che non aveva niente a che fare col gioco luminoso dei cristalli circostanti, e quando le ali si piegarono per abbracciare entrambi, Dean si accorse che le piume parevano improvvisamente gemme modellate: sottili come l’aria, bellissime e terribili, ma anche lucenti come la luna piena in una magnifica notte d’estate. Non erano mai state così luminose.
-Sono… sono io?- mormorò, affondando una mano tra le piume. Castiel appoggiò la fronte contro la sua per inspirare il suo odore, la sua aria vitale. Sorrideva leggermente, con imbarazzo malcelato.
-Sei sempre tu. Non… sono abituato a certe cose. Forse dovremmo…-
-Non dire che dovremmo tornare indietro, o giuro che ti spiumo. Ho aspettato per troppo tempo questo momento, Cass.-
Castiel sbarrò gli occhi, sorpreso. –Che… che vuoi dire?- mormorò, impacciato, e Dean sorrise, intenerito.
-Sto dicendo che ti voglio, stupido pennuto che non sei altro. Sto dicendo che da anni non aspetto che questo momento, e infondo, tu lo sai.- rispose, scatenando una vera e propria ondata di panico in Castiel.
-Dean, non credo che…-
-Ehi.-
Dean afferrò una mano di Castiel, ancora poggiata sul suo fianco, e se la portò a una guancia. Intrecciò le dita alle sue, molto più calde e lo guardò con occhi sereni, alieni per uno come lui che da sempre, della serenità ne aveva soltanto sentito parlare. Adesso però, si sentiva bene, completo, felice. Forse era l’effetto del Paradiso o la vicinanza di Castiel, ma Dean non si era mai sentito meglio.
-È tutto ok. Anche per me è la prima volta, ma devi aver fiducia in me.- gli sussurrò all’orecchio prima di curvarsi per baciargli una clavicola, scendendo poi lungo il petto. La mano abbandonò la sua guancia e si spostò sull’inguine di Castiel, dove si appoggiò in un tocco esigente, che chiedeva di più. Per tutta risposta, Castiel li avvolse totalmente con le ali e si lasciò andare, abbandonando ogni inibizione, ogni paura. Se Dean gli chiedeva di aver fiducia, allora lui non avrebbe esitato.
Gli sfilò la maglietta, esponendo il torace dalle spalle larghe, i muscoli in evidenza, la pelle leggermente abbronzata. Castiel non si sarebbe mai aspettato che il fisico di Dean si fosse sviluppato tanto e tanto bene. Era bellissimo.
Si baciarono, si accarezzarono, stretti in un abbraccio che sapeva di sudore, saliva e sesso. Tuttavia no, loro non fecero sesso quella volta. Quando Dean entrò dentro di lui, spingendosi sempre più a fondo con spinte delicate e accompagnate da gemiti sempre più alti, Castiel seppe che stavano facendo l’amore. Rovesciò il capo all’indietro, urlò il nome di Dean nello stesso istante in cui sentiva il suo calore invaderlo.
All’istante però, Dean si accorse che c’era qualcosa di diverso in quel grido. Aveva uno strano suono cristallino, vibrante, molto più armonioso del sottile risuonare del cristallo al centro della caverna. Aprì gli occhi per posarli su Castiel.
Non era più lui.
Quella che stringeva tra le braccia era una creatura di pura luce, eterea, dai tratti vagamente umani e belli oltre ogni dire. Se in forma umana Castiel appariva bellissimo, in quella angelica era semplicemente indescrivibile. Rivestito di sottili filamenti di luce purissima che si intrecciavano intorno al suo corpo, sul collo, sul torace, le ali ampie più della stessa caverna composte di argento liquido e piume di diamante. Il volto appariva avvolto di luce, tanto che i tratti eleganti e finemente modellati si vedevano appena, ma Dean distinse subito gli occhi di un blu zaffiro, che racchiudevano la bellezza e la potenza dell’universo, al cui centro brillava una piccola stella di purissima Grazia celestiale.
Era questo l’aspetto di un arcangelo. Una creatura talmente perfetta da rasentare il divino, talmente potente e implacabile da poter sovvertire l’ordine stesso dell’universo. Se solo Castiel l’avesse voluto, le stelle si sarebbero inchinate ai suoi piedi e la luna sarebbe parsa fioca e orribile al suo cospetto.
Castiel si stava rivelando davanti ai suoi occhi e, per la seconda volta, Dean non avvertiva alcun bruciore.
La caverna fu invasa dalla luce, l’intero Paradiso tremò dalle fondamenta mentre poco a poco, qualcosa cambiava.
Quando la luce diminuì fin quasi ad estinguersi, Dean sentì freddo. Si era abituato al calore di Cass, e vederlo tornare umano, bellissimo come sempre, ma così diverso dalla creatura ultraterrena che per qualche istante aveva stretto tra le braccia, fu una doccia d’acqua ghiacciata.
-Cass…- gracchiò Dean con voce impastata per l’emozione.
Castiel risollevò lentamente le palpebre con aria stordita, come se ancora non fosse riuscito a focalizzare l’accaduto. Aveva i capelli scompigliati e gli occhi dallo sguardo leggermente confuso, come quello di un bambino appena svegliatosi. Le ali intorno a loro, tremavano.
-Cass? Ehi, tutto bene?- chiese Dean, appoggiandogli una mano sulla guancia, ma poco a poco, Castiel assunse un’aria spaventata, e Dean sapeva perché. Ancor prima che potesse parlare, lo strinse in un abbraccio. –Non hai fatto niente di male, Cass. Sto bene, sono intatto… ed è stato bellissimo. Grazie.-
Finalmente, Castiel si rilassò e strinse gli avambracci di Dean, nascondendo il volto contro la sua spalla. Aveva perso il controllo, aveva rischiato di distruggerlo totalmente. Doveva stare più attento.
Dean gli accarezzò nuovamente la schiena in un gesto consolatorio, poi lo allontanò delicatamente da sé e gli diede un piccolo bacio sul naso. Sorrise, guardando prima se stesso, poi Castiel.
-Dovremo ripulirci, sai? Non credo di poter tornare a casa in queste condizioni.- disse, e allora Castiel si rimise a posto i pantaloni, leggermente macchiati e lo strinse forte al corpo. Si lasciò cadere di sotto, con leggerezza, e bastò un piccolo battito d’ali per rallentare la caduta e farli atterrare senza un graffio.
Dean vacillò per l’improvvisa presenza di terra sotto i piedi. Lanciò un’ultima occhiata alla caverna prima di voltarsi e seguire Castiel all’esterno.
Ebbero appena il tempo di fare pochi passi, che Castiel si fermò e gli afferrò il braccio per costringerlo a fare lo stesso. Fissava un punto impreciso verso l’uscita luminosissima della grotta.
-Cass, che c’è?- chiese Dean, portando subito l’altra mano al fianco, dove teneva la pistola. Sentiva il corpo del compagno irrigidirsi poco a poco, gli occhi sempre più larghi di stupore.
-Non è… possibile…- mormorò Castiel, facendo qualche timido passo avanti.
§§§§
Mary si strofinò forte le braccia per respingere il freddo. Stava seduta sul divano, ma non voleva alzarsi perché al suo fianco, appoggiato con la testa sulle sue gambe, riposava Samael. Era crollato dopo aver saputo della ripresa di Castiel, e adesso era caduto in uno stato di semi incoscienza che per gli angeli equivaleva a dormire. Non si muoveva, gli occhi erano chiusi e il petto si alzava e abbassava appena per consentirgli un respiro breve e regolare, quasi inesistente. Aveva i capelli scompigliati, il viso rilassato come Mary non l’aveva mai visto. Era bellissimo.
Gli accarezzò la fronte con una mano gelida e sorrise intenerita. Non si sarebbe mossa per niente al mondo. Per una volta, Samael appariva totalmente rilassato, privo dell’ombra dolorosa che il suo amore per Castiel gli dipingeva negli occhi. A volte, Mary pensava che per lui sarebbe stato meglio non conoscere affatto l’arcangelo.
Mentre ancora formulava questo pensiero, Mary chinò il capo, emettendo un sospiro tremante per il freddo e chiuse gli occhi, esausta.
All’improvviso però, un fruscio raggiunse le sue orecchie e qualcosa di caldo e soffice come zucchero filato la avvolse in una stretta delicata come vetro. Mary aprì gli occhi per incontrare quelli azzurro e dorato di Samael. Sorrideva, ancora leggermente stordito, un’ala morbidamente appoggiata sulle spalle della fragile ragazza umana. Il mare di piume ricopriva tutto il divano, continuando a distendersi sul pavimento, danneggiando il telo della notte con un chiaro bagliore bronzeo. Mary ne rimase affascinata, così come rimase affascinata dal sorriso ammaliante dell’angelo.
-Grazie.- disse soltanto, sollevando il busto e mettendosi a sedere. Circondò le spalle ora riscaldate di Mary con un braccio e se la tirò più vicino, permettendole di appoggiargli il capo sul petto e chiudere gli occhi con un sospiro finalmente rilassato. Lì, stretta nell’abbraccio di carne e piume di Samael, Mary si sentiva al sicuro. Avvertì l’angelo baciarle i capelli e scostarglieli dal viso con delicatezza. Lei appoggiò la guancia contro la sua mano, riconoscente.
-I miei genitori non mi hanno mai trattata così.- confidò all’improvviso, a bassa voce. –Loro non… non mi volevano. Non mi hanno mai voluta. Forse, sarebbe stato meglio morire quel giorno, quando quel demone tentò di uccidermi da bambina e Sam mi salvò.-
-Ti sbagli.- rispose Samae, stringendola più forte. –Pensai la stessa cosa a suo tempo, quando Castiel mi respinse e mi abbandonò alle mie stesse miserie. L’avevo tradito, perciò meritavo di restare lontano dal paradiso, dalla mia stessa famiglia. Non avrei mai più cercato pietà, non sarei mai più stato un angelo del Signore. Allora, per me, era tutto grigio. Eppure, qualcosa mi condusse a sperare, ad aspettare. Sapevo che non poteva essere finita perché, quando discesi sulla terra, la prima cosa che imparai dai più umili esseri umani, fu la speranza.-
Samael le pose una mano sotto il mento e le alzò il viso per guardarla negli occhi. –Gli umani mi diedero la speranza, e tu hai contribuito a ricostruirmi pezzo dopo pezzo. Sono opera degli umani, Mary… sono opera tua. Tutto ciò che vedi in me di buono, di sano, l’hai costruito tu insieme ad altri tuoi simili. Non sono un’opera di Dio, a lui apparteneva quella parte di me che in tutta superbia tradì la persona più importante della sua vita. No, io sono opera dell’uomo. Sii fiera di questo, perché grazie a te, alla tua umanità, noi viviamo ancora e abbiamo cambiato il corso del futuro.-
Una piccola lacrima scese sul viso di Mary, accarezzando la guancia morbida della ragazza. Si sentiva così fragile, così inutile, eppure… eppure quell’angelo credeva in lei e nelle sue capacità, e non era il solo. Quando gli altri la guardavano, lo facevano con fiducia. Sam, Dean, Bobby e tutti gli altri. Non avevano mai dubitato di lei. La trattavano come una loro pari, e di questo Mary se n’era accorta appena.
Adesso però, davanti alle parole di Samael, se ne rendeva conto.
Samael si chinò su di lei per posare le labbra di seta sulla scia bagnata della lacrima, cancellandola dal suo viso. Mary rabbrividì e si aggrappò più forte al suo corpo. Si guardarono negli occhi, sorpresi della vicinanza dei loro visi…
Samael sussultò. Si distrasse, distolse il viso per guardarsi freneticamente intorno. All’improvviso, prima ancora che Mary riuscisse a proferir parola, l’angelo scomparve, lasciandola sola, al freddo… conscia del vuoto della sua assenza.
§§§§
Gabriel rise sollevato, stretto al corpo di Sam. Vederlo lì, nudo tra le sue braccia, con solo il campanellino a fungere da decoro a un corpo così bello, lo rendeva terribilmente felice. Era tutto così naturale, così bello. Stare con lui era stata la scelta migliore della sua eterna esistenza.
Lo avvolse stretto nella coperta che si erano portati dietro prima di alzarsi e accostarsi al bordo del lago. Si trovavano al limitare di uno dei tanti boschi della Nuova Zelanda. Gabriel amava quei luoghi, con i loro panorami di smeraldo, il cielo tinto di bianco e azzurrino, gli alberi imponenti dai tronchi massicci d’ebano. La luce dorata del sole si stendeva morbida sullo specchio d’acqua del lago, tingendo di frammenti di cristallo l’intera superficie. Era uno spettacolo meraviglioso, e anche Sam l’aveva amato.
Senza una parola, Gabriel si spogliò lentamente e si immerse. Non nuotò, non fece nulla per restare a galla. Semplicemente, lasciò che l’acqua lo abbracciasse totalmente mentre il corpo affondava fin quasi a toccare la superficie limacciosa del fondale. Intorno a lui, si muovevano i pesci, pacifici, variopinti, per niente infastiditi dalla sua anomala presenza. Alcuni di loro anzi, gli sfioravano gentilmente le ali con le pinne. Si sentiva così rilassato, così in pace con se stesso…
Poi, un cicalino d’allarme. Sam.
Con uno scatto delle ali, Gabriel riemerse appena in tempo per vedere Sam Winchester, in piedi sulla riva e con solo i jeans addosso, fronteggiato da un immenso lupo dal manto bianco e argento. Si squadravano in silenzio, giudicandosi a vicenda, e nessuno dei due distoglieva mai lo sguardo dall’altro. Gli occhi di Sam erano decisi, ma non minacciosi. Al contrario, lo guardava con un’infinita dolcezza, la stessa che aveva catturato l’attenzione di Gabriel la prima volta che si erano incontrati.
L’arcangelo rimase immobile, pronto a balzare fuori dall’acqua nel caso il lupo avesse mostrato segni di ostilità… ma non fu così.
All’improvviso, Sam allungò una mano e la lasciò sospesa a mezz’aria, a poca distanza dal muso rilassato del lupo. L’animale gli annusò timidamente il palmo, poi, straordinariamente, fece scivolare la testa sotto la mano di Sam.
Gabriel sbarrò gli occhi, sorpreso, e lentamente uscì dall’acqua, così silenzioso che Sam a stento se ne accorse, troppo impegnato ad accarezzare il lupo. Gabriel si infilò i jeans e con cautela si avvicinò al compagno, che appena lo vide, sorrise con dolce innocenza.
-Finito di fare il bagno?- chiese, come se accarezzare in quel modo un animale selvatico fosse la cosa più naturale del mondo. Gabriel ricambiò il sorriso.
-No, speravo che tu mi raggiungessi, e invece mi trovo rimpiazzato da un lupo.- rispose, avvicinandosi ancora. Il lupo lo guardò dapprima con fare indifferente, per poi calare le orecchie e infine il capo, in un segno di deferenza e rispetto a una creatura che aveva osservato la nascita della sua stessa stirpe.
Gabriel si inginocchiò dinanzi alla creatura e gli sollevò il capo, incrociando i suoi occhi. Si chinò per posargli un bacio tra gli occhi neri come il carbone, e il lupo accettò il gesto con un tremito emozionato.
-Sia benedetta la tua saggezza, amico mio. Ora vai, sii libero.- mormorò Gabriel, lasciandolo andare. Il lupo si voltò e trotterellò via sotto gli occhi di Sam e dell’arcangelo ancora inginocchiato. Il cacciatore si chinò alle sue spalle per avvolgergli il petto con le braccia e intrecciare le mani all’altezza del centro del torace. Appoggiò la fronte contro la sua spalla e Gabriel voltò il capo per posare un dolce bacio sulla sua guancia. Sam chiuse gli occhi, emettendo un sospiro rilassato.
-Voglio farti vedere una cosa.- mormorò Gabriel, alzandosi. Tese una mano verso Sam, sorridendo sornione. Il ragazzo aggrottò le sopracciglia, dubbioso, ma afferrò comunque la mano dell’arcangelo che, lo trasse in piedi, gli avvolse i fianchi con un braccio e gli coprì gli occhi. Sam rimase calmo, fiducioso mentre sentiva Gabriel mormorare qualcosa in enochiano.
Sam sentì gli occhi formicolare e le palpebre tremare. Avvertì lo strattone che lo separava da terra quando Gabriel li trascinò entrambi in cielo con un balzo, sbattendo freneticamente le ali gigantesche, possenti, dorate come il sole. Sam si accorse tuttavia, che i battiti erano troppi e troppo veloci, come se Gabriel li stesse portando su… sempre più su… troppo, per un umano che non  avrebbe retto la pressione dell’alta quota.
Sam sbarrò gli occhi, preparandosi a soffocare, ma non sentì niente. I suoi polmoni restavano liberi e rilassati puliti di ogni difficoltà respiratoria mentre il mondo sotto i loro piedi si faceva sempre più piccolo, sempre più lontano…
All’improvviso, Sam si trovò a fissare la Terra.
Erano saliti così in alto da uscire dall’atmosfera terrestre, e adesso, sotto di loro, il pianeta fluttuava nel nero della galassia in tutta tranquillità, meraviglioso con i suoi mari, i suoi monti e le pianure. Pareva che l’intera sfera terrestre fosse stata dipinta di colori brillanti, accurati, che tutti insieme componevano solidi continenti all’apparenza così piccoli, così insignificanti. Visti da quell’altezza, parevano semplici macchie di colore, niente di più, eppure, Sam sapeva che quel mondo custodiva la Vita.
Intorno a loro, l’intero universo si componeva di stelle e asteroidi che non si avvicinavano mai a causa della presenza della Terra. Erano astri immensi, più grandi di quanto Sam avesse mai potuto immaginare. Le stelle emettevano un pallido alone luminoso, come una veste morbida, di seta drappeggiata a regalare mille riflessi. Le ali di Gabriel, che sbattevano lentamente per tenerli sospesi a mezz’aria, rilanciavano riflessi di puro oro sugli astri, riflettendo fortemente la loro luce, rimandando una criniera solare tutto intorno al nero oscuro della galassia infinita.
Era quello l’universo. Il mondo era così piccolo, così… insignificante, che per un attimo, Sam si sentì meno di niente. Possibile che con una galassia così immensa, gli angeli avessero deciso di occuparsi proprio di loro, piccoli, fragili umani, così imperfetti e a volte detestabili?
Sam strinse forte Gabriel e allontanò leggermente il capo dalla sua spalla per guardarlo in viso. Gli occhi dell’arcangelo erano più luminosi del solito, e al loro interno, Sam vedeva brillare una piccola scintilla di Grazia purissima.
-Come fate, Gabriel?- disse, emozionato. –Come fate ad occuparvi di noi quando c’è un intero universo da visitare, da osservare per millenni senza mai annoiarsi? Cosa vi porta a mettere a repentaglio la propria vita sulla Terra, quando potete volare fin quassù, fino alla Luna?-
Gabriel sorrise e gli scostò i capelli dal viso, continuando a reggerlo con l’altro braccio. Si specchiò negli occhi innocenti del suo umano, riflettendosi come una creatura all’apparenza gentile, migliore di quanto non si sentisse in realtà. Vedersi attraverso gli occhi di Sam, significava vedere un angelo nuovo, che Gabriel non aveva mai visto in se stesso.
-Parli così perché non hai mai guardato davvero, tesoro. Parli così perché non sai che soltanto negli occhi del più piccolo di voi, c’è un universo, e nemmeno ve ne accorgete. La vera galassia inesplorata siete voi umani, con le vostre emozioni e le vostre scelte. Io l’universo l’ho visto nascere, ma credimi… la nascita dell’astro più bello non competerà mai col sorriso di una madre che dà alla luce suo figlio, così come non potrà competere con ciò che leggo nei tuoi occhi ogni volta che osservo il mondo attraverso di essi. Tu hai un universo negli occhi, e non te ne rendi ancora conto, Sam Winchester.-
Sam sentì il cuore gonfiarsi d’emozione. Gabriel aveva parlato con la sua solita semplicità, come se parlare in quel modo fosse la cosa più naturale del mondo. Agli occhi di quell’arcangelo, era chiara l’evidenza di ciò che aveva detto, mentre Sam non ci aveva mai nemmeno fatto caso. Gabriel vedeva davvero questo in lui?
Non ebbe mai il tempo di rispondere. All’improvviso, Gabriel guardò in alto con aria mutata, leggermente stravolta.
-Non è possibile…- mormorò un attimo prima di sparire e riapparire insieme al suo umano davanti alla porta di casa Singer. Sam avvertì i piedi toccare terra, poi un battito d’ali, e Gabriel non c’era più.
§§§§
Balthazar accarezzò i morbidi petali dell’orchidea che spuntava dal terreno, in mezzo alla rimessa di auto rottamate. Incredibile come un piccolo fiorellino tanto delicato riuscisse a crescere e a sopravvivere tra l’artificialità dell’uomo. Era una magnifica creazione, tanto minuscola quanto potente nella sua caparbietà di restare aggrappata alla vita.
-È la prima volta che ti vedo così rilassato.- disse una voce armoniosa alle sue spalle, facendolo sobbalzare. Balthazar si affrettò a recuperare il suo cipiglio scanzonato che lo aveva sempre contraddistinto e posò gli occhi su Belial, la cui bellezza statuaria lo lasciò per qualche attimo cristallizzato sul posto. Si era evidentemente appena fatto il bagno, considerati i ricci umidi e lucenti di rugiada di diamante e la pelle ancora leggermente lucente d’acqua non ancora asciugatasi.
Balthazar sentì un lungo brivido attraversargli la spina dorsale quando incrociò i suoi occhi dolci come la Grazia di Dio stesso. Stavolta, le iridi avevano assunto un colore argentato, con morbidi riflessi azzurro ghiaccio.
-Cosa vuoi?- ringhiò Balthazar, alzandosi e cercando di mantenere un’aria austera e infuriata, com’era giusto che fosse. Non aveva ancora perdonato Belial per aver quasi ammazzato Dean e Castiel, ma per quanto si sforzasse, sapeva di non poterlo odiare davvero, non dopo il tempo passato insieme. Conosceva Belial, il suo cuore grande come il mondo, così come conosceva la sua testardaggine nel perseguire eternamente i propri obbiettivi: si sarebbe dovuto aspettare che la sua intromissione non rientrasse nelle accettazioni della Stella del Mattino, ma non si sarebbe mai aspettato che, per salvarlo, Belial avrebbe staccato il contatto con le menti di Dean e Castiel.
Belial si avvicinò, posando i piedi nudi sul terreno affilato di vetri rotti e rottami arrugginiti di varie auto. Non si ferì nemmeno una volta.
Raggiunse Balthazar, lo affiancò e si inginocchiò davanti all’orchidea per sfiorarne delicatamente la corolla. Un sorriso spontaneo, dolcissimo, gli nacque sulle labbra, illuminandogli gli occhi di nuova luce e nuovi colori che Balthazar non sapeva definire. Vederlo così, con il viso accostato a un bellissimo fiore, Belial faceva impallidire in bellezza il fiore stesso.
Balthazar osservò la sua dolcezza, l’innocenza da bambino che si specchiava nei suoi occhi, e si sentì dolorosamente impossibilitato a distogliere lo sguardo da quella visione.
-È bellissimo.- mormorò Belial, ipnotizzato.
-Sì.- confermò Balthazar, ma quando si accorse che in realtà non si stava riferendo affatto al fiore, si costrinse a dargli le spalle per nascondere il rossore del viso.
Porca puttana!
-Balthazar… ascolta, io volevo…-
-Lascia perdere. Dammi solo il tempo per smaltire l’incazzatura e poi tutto tornerà come prima.-
Bugia.
Belial sospirò e si raddrizzò cautamente, passandosi una mano sul viso, esausto. Avvertiva la menzogna nelle parole di Balthazar, e questo faceva male. Lo sentiva sempre più lontano, sempre più distante da lui, come una fiaccola prossima ad estinguersi, scomparire per lasciarlo al buio. Con stupore, si rese conto di aver paura.
Era rimasto solo tanto a lungo, ma sapere che anche Balthazar gli avrebbe voltato le spalle, era peggio che morire.
-Ci vediamo, Belial.-
Balthazar si incamminò verso casa di Bobby, ma in qualche modo, Belial sapeva che non si stava recando veramente lì. Una volta allontanatosi abbastanza, Balthazar avrebbe spiegato le ali e sarebbe volato via… via da lui.
All’improvviso, un cambiamento, qualcosa che scattava come una molla. Balthazar si sentì afferrare per un polso e fu costretto a fermarsi per lo stupore. Si voltò, gli occhi sbarrati, ma non riuscì quasi a credere di avere davanti un Belial a capo chino, mortificato, che stringeva con entrambe le mani il suo polso. Aveva le palpebre serrate in un’espressione di intenso terrore che lo faceva apparire fragile come un bambino.
Belial non disse niente, rimase immobile, aggrappato al suo braccio, come se questo fosse la sua unica ancora di salvezza. Poi, a sorpresa, riaprì gli occhi colmi di lacrime e lo guardò supplicante, sconvolto del suo stesso gesto, ma non pentito di quest’ultimo. Cercò di sorridere con fare di scuse, e alla fine, con uno sforzo enorme, lo lasciò andare. La mano di Belial ricadde lungo il fianco, e lui indietreggiò di un passo, allontanandosi da lui, dalla sua luce più preziosa.
-Scu… scusami, non volevo. Hai ragione, sai? Devo solo darti del tempo… non è giusto che ti stia addosso in questo modo. Volevo dirti solo questo.-
Bugia.
Balthazar rimase immobile, non sapendo cosa dire, o cosa fare. Qualcosa si smosse in lui alla vista del dolore silenzioso di Belial, ma non riuscì a muoversi. Guardandolo negli occhi, quegli specchi così limpidi da rendere cristallino ogni sguardo sincero, Balthazar pensò che Belial fosse candido come la neve. Non era Lucifero e non era un angelo, macchiatosi di uccisioni oppure orribili ordini compiuti in qualità di soldato. No.
Belial era come un cristallo di neve.
Piccolo, trasparente, coperto di reticoli che tessevano la sua storia, rendendolo più pesante, ma reale, completo… perfetto.
Senza accorgersene, Balthazar tese una mano verso Belial. Cosa voleva fare? Dargli una pacca sulla spalla… accarezzarlo? Cosa stava facendo? Belial era un arcangelo, un suo superiore, e lui era un soldato, per quanto stravagante. Non esisteva un rapporto tanto confidenziale tra loro.
Qualcosa li interruppe. Entrambi levarono gli occhi al cielo, sorpresi.
Stava cambiando qualcosa.
Due battiti d’ali, due diversi scintillii di cristallo e acquamarina. Anche stavolta, gli angeli sparirono nel nulla.
 
Angolo dell’autrice:
Allora, innanzitutto dedico il capitolo alla carissima HowlingFang che finalmente si vede accontentata davanti alla… ehm… unione, di Dean e Castiel. Ora, se volete gentilmente mettervi in fila, ognuna di voi lancerà a turno una freccetta contro Belial e Balthazar. Dieci punti se li prendete nell’occhio, cento se centrate i gioielli di famiglia. Gabriel, sistema meglio quel bersaglio, per la miseria! E finiscila di palpare Balthazar, non è che perché l’ho legato e imbavagliato a quella ruota, non possa farti il culo a fette dopo!
Gabriel: no, stavolta mi stai fraintendendo! Quel cretino di Samael ha nascosto Gerard nei pantaloni di Balthazar!
Gerard?
Gab: il mio struzzo! Renditene conto, mi hanno fregato lo struzzo, e gli avevo anche messo l’antifurto!
Non sarà mica per quello che i pantaloni di Balthazar suonano la sigla dei Puffi da tutto il giorno, vero? E io che pensavo che avesse comprato delle fighissime mutande con suoneria!
Gab: no, quelle ce le ho io… e cantano la sigla di Lady Oscar!
E allora ho anche capito perché Sam và in giro con una cintura di castità… ci credo che non voglia più… dannazione, non farmi dire queste cose davanti alle lettrici! BALLS!!!

kimi o aishiteru: cosa?! Come hai fatto a romperti la mano?! (tutti guardano Samael)(Che c’è? Non ho fatto niente, giuro! Non sono così violento! Nd Samael)(Tutti guardano Crowley)(Eh? No, non sono stato nemmeno io, o me ne sarei vantato. Ero impegnato a guardare un bellissimo porno di Bobby. Nd Crowley)(Tutti si cavano gli occhi dalle orbite) Accidenti, mi dispiace! Spero che tu guarisca prestissimo, devi rimetterti subito, muoversi!!! Castiel, posa quella siringa gigante, non sta morendo! E tu, Gabriel, smettila di frignare come una ragazzina in fase mestruale, sei irritante!  Brava! Mi hai sconvolto gli angeli! XD comunque, ti dirò, leggendo la tua recensione ho riso come un’imbecille. Dillo apertamente che Belial è un co*****e, gli insulti se li merita tutti… anche se, dopo questo capitolo, quello da picchiare è Balthazar. Nel caso servisse, fornisci tua sorella di una mazza ferrata, a lei glielo concedo di riempirlo di mazzate. Ti dirò, sentirmi chiedere se Metatron sia uno dei transformer mi è capitato una marea di volte, ma fa sempre morire dal ridere! XD fosse per me, i nomi di alcuni angeli andrebbero decisamente cambiati, ma il copione angelico non è nelle mie mani, purtroppo. In ogni caso, sì, anche Cass fa a gara di imbecillità con Balthazar e Belial, ma quantomeno, in questo capitolo si è svegliato! Applauso, prego! E detto ciò, ti saluto e ti auguro una prontissima guarigione!!! Che la Forza sia con te!
HowlingFang: e visto che Belial è uno dei tuoi personaggi preferiti, glielo spieghi tu cosa significa la parola amico? Ah, e aggiungici che Balthazar non rientra in quella maledetta categoria. Sì, Cass è indistruttibile… alla prossima che muore e poi ritorna, gli faccio creare un pianeta con la plastilina da inserire nel sistema solare. Dai, stavolta posso dire di aver cominciato seriamente a sbrogliare tutte le altre relazioni, a parte quella di Balthazar e Belial che insistono a fare muro. Be’, prima o poi, uno ci sbatterà seriamente la testa fino a rompersela, così quantomeno almeno uno dei due cretini si arrende all’evidenza. In quel caso, si organizzerà una festa. Eheh, anche io adoro la sabriel, e sì, Sam e Gabriel sono la perfezione insieme. Non so perché, ma dalla prima puntata in cui è comparso il nostro trickster preferito, anche se non ha quasi avuto contatti con Sam, li ho visti insieme. Ok, ora sto divagando! Però spero di aver soddisfatto la tua voglia di Destiel, ma voglio il video di te che leggi questo capitolo in classe, lo esigo! Bwahahahahahah! E ora ti saluto! Hasta la vista!
Sherlocked: se vuoi, Balthazar e Belial sono nelle tue mani. Non so più in che modo pestarli per fargli capire come funziona la questione dell’amicizia… ah, ecco chi aveva preso il Dado (cosa? Ma non è questo qui? Nd Gabriel)( No, Gabe, quello è un dado di peluche con tanto di marchio della Disney su una facciata. Se ne sono accorti tutti, tranne l’imbecille qui presente…)( ahahahah, e chi sarebbe questo imbecille? Nd Gabriel)(fisssssssssssssssssssssss)(……………………… nd Gabriel)(fissssssssssssssssssssssssssss)( Se non l’hai notato, il cartello con su scritto imbecille, indica te.)( ma vaffa…. Nd Gabriel). Ok, esigo un applauso ai nostri Dean e Castiel che dopo un secolo si sono svegliati e si sono dati alla pazza gioia. Dopo un secolo. Forse anche due. No, scherzavo, sono imbecilli anche loro. (sono un essere celestiale. Guarda che ti sento. Nd Castiel)( curioso che tu abbia sentito me e non Leitsac che ruba la macchina di Dean e incide il tuo nome sulla carrozzeria per farti sembrare colpevole…)( cosa?! Son of a bitch! Nd Castiel)( eeeh, il nostro angioletto sta crescendo… impara anche nuovi termini!). Oddio, quella maledetta puntata ancora non sono riuscita a scaricarla! Renditene conto, ci sto provando da quasi un mese, e sto per riempire di testate il pc! Ma perché non fanno un maledetto cofanetto di tutte le stagioni! Perchéééé!!! (prende a pugni Samael, che sta passando da quelle parti). Detto questo, spero che il capitolo ti sia piaciuto, e spero di sapere cosa ne pensi! Un bacione!
Shiva_: Belial e Balthazar sono tanto dolci quanto stupidi, insieme. Ispirano violenza, maledizione! Io stessa non mi riterrò responsabile delle mie stesse azioni se a un certo punto vi troverete la storia finita con un meteorite sulle teste di quei due cretini. Sì, Dean e Cass non solo sono tornati, ma sono più uniti di prima. Ed era anche ora, anche se scrivere quella parte mi ha richiesto più tempo del capitolo intero. Spero di non aver scritto cretinate XD un bacione, e a prestissimo!
xena89: ci vorrà un po’ per far andare bene la coppia Belial e Balthazar, anche perché, finché non si svegliano e capiscono che non sono semplici amici, ci sarà parecchio lavoro da fare. Ma loro no, sono più testardi dei muli! Gli darei fuoco, soprattutto dopo questo capitolo! Eheh, adesso posso ritenermi perdonata davvero per il poco destiel del capitolo precedente? Qui ho messo un po’ di tutte le coppie, ma la destiel si è riscattata per la sua totale assenza dagli altri capitoli. O almeno, spero. Tu che dici? un bacione!
Tomi Dark Angel

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Capitolo 21
*** Faccia A Faccia ***


-Ciao, Castiel.- sorrise Leitsac, appoggiato morbidamente al tronco di un albero vicino, le ali ripiegate dietro le spalle che colavano catrame sui fiori sottostanti. Dean li vedeva appassire uno ad uno, ripiegarsi su loro stessi, perdere i petali e annerire, uccisi dall’oscurità che non riuscivano a sopportare. Leitsac li guardava e sorrideva, stretto nei suoi succinti pantaloni di pelle, sovrastati da una sottilissima maglia di tela aderente. Tra i denti, stringeva il largo collare chiodato che portava al collo, sorridendo con tanta malizia che Dean non riuscì a impedirsi di lasciare che un brivido bollente gli scorresse lungo la spina dorsale.
-Leitsac.- disse Castiel, stringendo il polso di Dean, che tuttavia fece scorrere l’altra mano alla vita, sul calcio della pistola. Leitsac sorrise e inclinò il capo, lasciando cadere il collare.
-Ci siamo dati alla pazza gioia, eh? Finalmente il mio gemellino ha scoperto i piaceri della carne… come è stato?-
-Sparisci, Leitsac. Questo luogo non ti appartiene.-
-No? E dimmi, allora: quale luogo mi appartiene? Dove ritieni essere il mio posto?-
Leitsac si separò dal tronco dell’albero con una spinta e si accostò ancheggiando a Castiel. L’arcangelo ebbe appena il tempo di guardare Dean e scagliarlo contro la parete, inchiodandovelo, prima che il suo gemello gli posasse quasi gentilmente una mano sul collo pulsante di vita. Leitsac sorrise, inclinando il capo e accostando il volto a quello di Castiel.
-Oh, sei così bello… come può l’uomo attirare la tua attenzione, quando tanta purezza può soltanto appartenere ai cieli più alti, Castiel? Per me sei come una fiamma, una candela dalla quale non riuscirò a separarmi finché non le avrò rubato ogni scintilla di calore… ho avuto freddo per tanto tempo, nel Cocito, e tu invece, non hai mai provato davvero il gelo della solitudine. Lui, non te l’ha mai fatto provare.-
Leitsac guardò Dean con odio, perdendo quel po’ di autocontrollo che aveva ostentato fino a quel momento. Sapeva di non poterlo toccare, sapeva che Castiel avrebbe perso il controllo soltanto se Dean fosse rimasto ferito. Ma a Leitsac, Dean interessava ben poco. Ciò che aveva sempre attirato il suo sguardo, la sua bramosia, era sempre stato il candore di Castiel e la sua innocenza, così diversa dall’oscuro peccato tentatore dell’inferno.
Castiel era diverso, Castiel era tutto ciò che Leitsac non era mai stato, ma che avrebbe voluto essere. Castiel rappresentava la perfezione, e Leitsac l’avrebbe ottenuto a qualsiasi costo.
Fece scorrere la mano gelida lungo il petto nudo di Castiel. Sentiva l’odore di Dean sulla sua pelle, e questo lo mandava in bestia.
-Come può un umano toccarti in questo modo, fratello? Come puoi permettere che cielo e terra si confondano così? Tu sei superiore da queste maledette creature, tu puoi permetterti di più… molto di più…-
Leitsac inclinò il capo e posò le labbra su quelle di Castiel. Le morse, le leccò con fare voglioso, facendo scorrere le mani lungo i suoi fianchi per afferrarli con tanta forza da graffiargli la pelle e premerselo addosso, bacino contro bacino, luce contro oscurità. Castiel non reagì, non gli diede corda, ma nemmeno si sottrasse al contatto. Sapeva che reagire avrebbe innescato in Leitsac una reazione rabbiosa che avrebbe rischiato di fare nuovamente a pezzi il paradiso, e soprattutto Dean.
Ti prego, Dean… non guardare.
-CASS!!!- gridò Dean, tentando di divincolarsi dalla stretta invisibile che lo costringeva contro la parete della caverna. Sentì la roccia graffiargli la schiena e sporcarsi di sangue, ma lui non si fermò e continuò a dimenarsi, sbattendo la testa contro il muro, cercando una disperata via di fuga da quell’incubo. Sapeva perché Castiel non reagiva, e questa consapevolezza lo uccideva ancor più dei baci di Leitsac.
Per lui. Era sempre per lui.
Dean urlò forte, pregando che finisse, che Leitsac sparisse una volta per tutte. Non meritavano un po’ di pace? Non avevano patito abbastanza, nel Cocito, tra gli artigli dei cani e il gelo dei ghiacci? No.
C’era ancora molto da scontare. Forse, la loro colpa era essere nati, o forse, l’essersi innamorati, amati, protetti a vicenda. Eppure, Castiel non aveva mai mollato veramente, nemmeno nel Cocito, quando ogni cosa era parsa perduta. Il suo residuo di speranza aveva sempre albergato in Dean, e quando l’aveva rivisto, l’arcangelo aveva trovato la forza di sopravvivere, di ribellarsi. Si erano sempre completati a vicenda, sostenuti, anche quando uno era zoppo o l’altro cieco.
Non era abbastanza, non avevano sofferto a dovere. Eppure, chi li puniva sembrava non conoscerli per niente. Dean non avrebbe mollato, non avrebbe permesso che Leitsac toccasse Castiel in quel modo.
Pensa, Dean. Pensa!
La situazione non era per niente equilibrata. Per quanto Castiel avesse la possibilità di combattere in casa sua, non avrebbe permesso che Leitsac facesse a pezzi il paradiso un’altra volta. Per Cass, quel luogo era una patria, un ricordo delle vite dei fratelli perduti, la prova che gli angeli, ormai quasi del tutto estinti, fossero esistiti veramente. Leitsac era avvantaggiato. Aveva distrutto il paradiso una volta, e l’avrebbe fatto di nuovo, se solo gli fosse stata data l’occasione.
Attaccarlo direttamente, era impossibile. Se possedeva la forza di Castiel, il più potente degli arcangeli, allora sarebbe stato un miracolo anche solo riuscire ad avvicinarlo. Dunque, il corpo a corpo con Leitsac era impensabile, così come anche qualsiasi altra strategia che comprendesse un combattimento diretto, nel quale Dean sarebbe rimasto devastato… sì, devastato…
“Tu sei il mio punto debole…”
Dean sbarrò gli occhi mentre la sua mente ricostruiva il ricordo di Castiel che parlava, che ammetteva di avere un’unica e più grande debolezza: lui. Il rischio di perderlo sarebbe riuscito a prevalere sul bisogno di Castiel di restare immobile come un cagnolino, ubbidiente ai capricci di Leitsac?
Se solo Leitsac avesse perso il controllo per un solo istante, un momento fatale che fosse bastato a far perdere le staffe a Castiel, e questa volta per davvero… cosa sarebbe successo in quel caso? Dean non sapeva fino a che punto fosse saggio forzare l’autocontrollo di Cass, anche perché, se Leitsac possedeva la sua stessa forza, allora c’erano buone probabilità che fosse lo stesso Castiel a fare a pezzi il paradiso una seconda volta.
Era una via senza uscita, un vicolo cieco. Era un’impasse. Doveva distrarre Leitsac… o quantomeno, Castiel. Cosa distraeva Castiel?
Dean voltò faticosamente il capo verso la dura parete appuntita alle sue spalle. Era molto ruvida, piena di pietre affilate e sporgenti che gli premevano contro la pelle. Sì, forse un modo per distrarre Castiel e innescare la reazione di Leitsac c’era. Era rischioso come giocare a calcio con una bomba a orologeria, ma Dean non era famoso per la sicurezza dei suoi piani molto più che folli.
Facendosi coraggio, Dean trasse un profondo respiro, poi sbatté violentemente la testa contro la parete di roccia. Una, due, tre volte. Il sangue gli scese dal lato del cranio, accarezzandogli l’orecchio destro, scivolando lungo il collo sudato e gocciolando a terra.
Plic.
Castiel socchiuse gli occhi, dilatando le narici.
Plic.
Leitsac accarezzò morbidamente la fascia stretta dei suoi pantaloni di seta, armeggiando per slacciarla.
Plic.
Castiel riconosceva quel suono. L’aveva udito tante volte, durante il suo soggiorno nel Cocito. No, non poteva essere… non lui.
Plic.
Castiel si sottrasse di scatto al bacio di Leitsac per voltare il capo. Fu allora che li vide: occhi di smeraldo colmi di dolore, occhi socchiusi che soffrivano in silenzio, urlando una richiesta di aiuto e muta sofferenza. Il sangue di Dean macchiava orribilmente la parete di roccia contro la quale il suo corpo premeva duramente.
Sangue innocente versato lì, in paradiso, dove giustizia e purezza avrebbero dovuto preservare il giusto. Eppure, Dean sanguinava, perdendo un piccolo pezzo di se stesso che adesso macchiava di rubino ciò che aveva dipinto l’habitat dove avevano fatto l’amore, dove si erano accarezzati, amati, chiamati a vicenda. Era davvero il paradiso, quel luogo dove il giusto si feriva per proteggere il debole arcangelo che non sapeva lottare per paura di perdere un ricordo importante?
Ma cos’era importante davvero, la memoria o ciò che costruiva il futuro?
Dean lo guardò, sorrise debolmente. L’ennesima goccia di sangue cadde nel vuoto, frantumandosi ai suoi piedi, come un pezzo di cuore andato in pezzi. Era il cuore di Castiel, quella goccia. Un piccolo brandello che se ne andava via. Ma restava ancora qualcosa, un’altra metà integra alla quale aggrapparsi, e quella metà, Castiel la vedeva custodita negli occhi di Dean.
No. Non è giusto.
Dean annuì lentamente, accettando la sua rabbia crescente, la frustrazione che poco a poco colorava di gelida furia la sua Grazia. Aveva sofferto abbastanza, e lo stesso valeva anche per Dean. Non poteva esistere solo l’inferno, col suo gelido Cocito. Da qualche parte, dentro di loro, c’era il calore della vita e del paradiso, e avrebbero saputo trovarlo.
Accetta il dolore, ma ricorda che una mano dolce sottomette perfino la perfidia umana, ma solo se si impara ad accarezzare l’anima, non la pelle, aveva detto Lucifero una volta, prima di cadere. Castiel lo ricordava, e adesso che guardava negli occhi di Dean e vi trovava forza e dolcezza sufficienti a sciogliere ogni sua insicurezza, capiva cosa avesse voluto dire suo fratello.
Leitsac ebbe appena il tempo di voltarsi a guardare Dean prima che un’esplosione d’energia lo scagliasse lontano, con tanta violenza che il suo corpo spezzò diversi alberi prima di finire di schianto nell’acqua di un laghetto, lo stesso nel quale era caduto Samael durante l’ultima caduta del paradiso.
Dean sentì la forza invisibile che lo bloccava venir meno. Cadde a terra, tossendo, ma quando trovò la forza di levare gli occhi, vide Castiel fissare con ira non più trattenuta Leitsac che riemergeva lentamente, sbattendo le ali sudice e spargendo catrame sull’erba e nell’acqua ormai nera di petrolio. Non erano gli occhi di Cass, quelli. Non poteva esistere tanto odio in quelle iridi… non poteva esserci tutta quella rabbia, quell’oscura voglia di ferire, di uccidere, di vendicarsi.
Qualcosa non andava.
Castiel stava perdendo il controllo, e se questo succedeva, non sarebbe stato soltanto il paradiso ad andare in pezzi. Una forza del genere lasciata a briglia sciolta, libera di scatenarsi, avrebbe esteso la sua potenza ben oltre i limiti dei normali arcangeli, e se Castiel non controllava se stesso, allora era finita per davvero.
-Cass!- urlò Dean, ma Castiel non parve sentirlo. Avanzò lentamente, mentre Leitsac si issava dall’acqua e usciva con un unico battito d’ali che abbatté diversi alberi per lasciare spazio a quell’immenso mare di piume affilate di oscura pece. Ebbe appena il tempo di toccare l’erba con i piedi che un’altra esplosione lo investì in pieno, ma stavolta, Leitsac non si fece cogliere impreparato. Antepose una mano dinanzi a sé, generando una barriera ricurva che spartì l’ondata di energia in due ali laterali che spazzarono via metà del paradiso.
Gli alberi caddero polverizzati, l’erba si annerì, bruciando e l’acqua evaporò, risalendo in aria in piccole volute nerastre.
Castiel si slanciò su Leitsac senza neanche fermarsi per richiamare a sé l’armatura. Era così furioso che non pensava nemmeno alla sua sicurezza. Tutto ciò che voleva era giustizia per aver sofferto una volta di troppo, per essere rimasto bloccato nel Cocito, costretto ad ascoltare lamenti di dannati e artigli nella carne.
Lo schianto tra i due arcangeli generò un’unica esplosione che avrebbe sovrastato la potenza di centomila supernove messe insieme. Ci fu un boato, un ruggire di corpi che si scontravano violenti in un eccesso di rabbia, scatenando le potenze dei loro elementi natale: il fuoco dell’inferno abbracciò il ghiaccio del paradiso vendicativo, generando una forza senza eguali, un violento azzannarsi di elementi opposti, eppure così vicini da risultare a occhio, indistinguibili.
Da una parte, il ghiaccio congelava e sgretolava, dall’altra il fuoco consumava e polverizzava. Il paradiso tremò, scosso ben oltre le sue fondamenta. La potenza dell’urto si riversò fino ai cancelli del purgatorio e giù, negli abissi dell’inferno, dove i demoni tremarono dinanzi a quella forza animale, senza eguali che mai, nemmeno Lucifero, aveva mai ostentato. Alcuni pensarono che si trattasse della furia di Dio stesso, altri non ebbero il tempo di ragionare: rimasero polverizzati, perché abbastanza sfortunati da essere sfiorati dalle raffiche di vento.
Dean si appiattì a terra mentre la terra sotto di lui si spaccava, sgretolandosi poco a poco. A breve, di lui non sarebbe rimasto che il ricordo di un mucchio si cenere sparso al vento. Aveva sbagliato a provocare Castiel in quel modo. Non si era mai reso conto di quanto fosse difficile gestire tutta quella potenza, racchiusa nel misero involucro di un piccolo tramite umano, e adesso che quel tramite si avvolgeva di luce, lasciando libero sfogo alla vera forma di Castiel, Dean si sentì perduto. Non riusciva a guardarlo perché appena ci provava, sentiva gli occhi bruciare e sanguinare.
Castiel, il suo Castiel, era lontano. Non lo riconosceva più, non lo sentiva più suo. Cosa aveva fatto?
Il vento estese i suoi artigli verso di lui, e Dean non riuscì a fare altro che chinare il capo, cercando invano di proteggersi da una potenza che nessun mortale o immortale sarebbe riuscito a contrastare in nessun modo. Aveva osato troppo, aveva giocato una mossa azzardata. Stavolta, non c’era scampo. Le forze della natura, soprattutto quelle che governano la natura stessa, non vanno mai stuzzicate, se non si sa come annientarle in caso di bisogno.
Dean chiuse gli occhi, rassegnato. Attese che il bruciore delle fiamme e del ghiaccio lo travolgesse e lo spazzasse via. Il suo ultimo pensiero andò a Castiel: voleva ricordare i suoi occhi caldi di zaffiro e luce stellata mentre facevano l’amore, la sua forma angelica dalla brillantezza calda, morbida e armoniosa. Il suo Cass era quello, e Dean non l’avrebbe dimenticato… mai.
Nemmeno io ho dimenticato, Dean.
Qualcosa lo avvolse stretto, due braccia calde lo protessero, sei immense ali composte non più di piume ma di purissima luce divina si chinarono come una cupola cristallina su di lui. La ventata di ghiaccio e fiamme lo travolse, ma non osò sfiorarlo. Semplicemente, appena toccò il muro di sangue e piume argentate che proteggeva Dean, si annullò in un’ennesima esplosione che tuttavia non portò altra cenere sul poco che restava del paradiso. Qualcosa aveva unito le forze in un’unica barriera che, aiutata dallo stesso Castiel, aveva annientato la distruzione e riportato una pace serena, tranquilla.
Un battito d’ali. Un altro. Un altro ancora. A dieci, cento, mille, come una voliera di magnifici uccelli che giungevano per posarsi sui loro trespoli d’oro e d’argento. Respiri bassi, armoniosi, invasero il paradiso, rimpiazzando l’aria putrida dello scontro con ossigeno pulito e carico di vita. Non vi era solo distruzione lì, ma questo Dean non se lo spiegava. Poteva essere sopravvissuto qualcosa allo scontro terribile dei due arcangeli più potenti degli eserciti celestiali? C’era ancora un respiro pulito, da qualche parte, dove ghiaccio e fuoco non avevano annerito la vita?
Dean aprì lentamente gli occhi, pauroso di ciò che avrebbe potuto trovare. Era morto?
Non proprio, ma per qualche istante, pensò di trovarsi molto più che in paradiso. Nemmeno la visione dell’intero universo avrebbe potuto eguagliare l’elegante magnificenza di ciò che vedeva il cacciatore. Se fino a quel momento pensava di aver guardato in faccia la bellezza eterea del paradiso, capì di essersi sbagliato.
Ali. Ali immense, lucenti, dai mille colori cangianti, come i cristalli racchiusi nella caverna dove Dean e Castiel avevano fatto l’amore. Piume rubino, ametista, grigio tempesta, bianche, smeraldine… ogni penna variopinta racchiudeva un riflesso cristallino, ipnotico e bellissimo, dove piccole sfaccettature di luce generavano l’aurora boreale più bella che fosse mai esistita. Ogni colore vi partecipava, ogni specchio di luce si amalgamava al suo gemello in un incastro d’ali preziose come niente di esistente sulla terra.
Poi, c’erano i padroni delle ali stesse. Austeri, fieri come statue, i visi atteggiati in espressioni di eroico stoicismo e i corpi avvolti in vesti candidissime che tuttavia scoprivano parte delle pelli lucenti di stella. Nessuna statua, nessuna opera d’arte o immaginaria fantasia umana avrebbe potuto riprodurre quello spettacolo senza eguali.
Gli angeli vivevano ancora. E lì, infine, ricomparivano, al cospetto di Dio, dell’uomo e dei loro stessi fratelli. Ciò che si era creduto perduto per sempre, adesso respirava dinanzi agli occhi di Dean, riportando alla vita il paradiso stesso, che poco a poco ricominciava a sbocciare intorno ai suoi abitanti finalmente ritornati a casa. Gli alberi rinacquero dalle ceneri, l’acqua sgorgò dalle rocce che si ricomponevano granello dopo granello e i fiori sbocciavano, avvolgendo i rampicanti per ogni dove, fino alle caviglie e alle mani di Dean, che abbracciarono con gratitudine e quasi istinto di protezione.
Per la seconda volta, il paradiso rinasceva.
Dean ne sentiva il respiro, il morbido fluire di Grazia, la magnificenza che pezzo dopo pezzo ricostruiva la gloria perduta e finalmente ritrovata. Il ragazzo levò lo sguardo su Castiel, incontrandone il profilo deciso, gli zigomi delicati e gli occhi fissi su Leitsac che, una volta dissipatasi la polvere intorno a lui, appariva in ginocchio mentre sputava un grumo di sangue. Anche Castiel presentava diverse ferite, ma quando l’arcangelo si raddrizzò, restando dritto al fianco di Dean, appariva fiero come un leone e sicuramente non prostrato in ginocchio.
Era quella la luce che aveva radunato al suo cospetto gli angeli sopravvissuti. Erano quelli i magnifici occhi di zaffiro capaci di ottenere attenzione, aiuto, e infine, regalare speranza a chi pareva averla persa. Castiel era la guida, Castiel era colui che attirava gli sguardi degli angeli presenti, fermi e in attesa di un semplice ordine di attaccare o di portar pace.
I Behemah Aqedà comparvero uno ad uno, riempiendo il breve silenzio dei respiri interrotti di nuovi ansiti di vita, battiti d’ali, uggiolii e altri versi. Sindragon affiancò Castiel, senza guardarlo, mantenendo un silenzio dignitoso che sapeva più di mille parole. Anch’egli, massiccio come una tigre, posava gli occhi blu su Leitsac, giudicandolo, minacciandolo di non muoversi.
Poi, a sorpresa, comparve anche Sindragosa, col suo bellissimo pelo rossiccio e gli occhi furbi sul muso snello da volpe. Avvolgeva la coda intorno al polpaccio di Gabriel, che sorrise alla vista dell’espressione stupita di Dean. Levò una mano in segno di puerile saluto.
-Ciao, dolcezze!- esclamò allegramente.
-Gabriel, finiscila di fare casino.- disse Samael, affiancandolo e massaggiandosi una tempia con fare teatrale. In risposta, ne ricevette uno scappellotto da parte di Balthazar, proprio dietro la nuca.
-E tu non atteggiarti, pennuto spennato!- disse, ma sorrideva. Gabriel batté le mani.
-Bravo, Balthy, difendimi!-
-Zitto pure tu, che stai messo anche peggio!-
-Non è vero! Lo dici solo perché ho il culo più bello del tuo!-
-Mi spieghi come è possibile che ogni volta che parliamo finisci col tirare in ballo il mio culo?-
Castiel sorrise mentre Gabriel si spostava al fianco di Dean, stendendo una delle magnifiche sei ali dorate alle sue spalle in segno di totale protezione. Lo stesso fece Balthazar, posizionandosi alla sinistra di Castiel e appoggiando la sua ala su quella dell’arcangelo.
Leitsac si guardò intorno, spaesato, e incespicò miseramente. Strinse i pugni, irrigidì le ali. Fissava Dean, come se stesse valutando l’alternativa di riuscire ad attaccarlo senza essere intercettato da Castiel o da un altro qualsiasi dei suoi fratelli. Era solo contro tutti, la cosa era evidente, eppure abbandonare la battaglia così era stupido, per lui…
-Non commettere l’errore più grande della tua esistenza, Leitsac.- disse una voce morbida alle sue spalle. Improvvisamente, gli occhi di tutti si spostarono sul nuovo arrivato, fermo alle spalle di Leitsac che lentamente si voltava per affrontare la sconfitta.
Belial indossava i magnifici pantaloni di seta degli angeli, ma in vita, portava una fascia evanescente, dai riflessi arcobaleno. La sua stessa pelle, liscia e ben scolpita sui muscoli aggraziati, emanava un delicato bagliore di diamante. I ricci ben definiti, avvitati in splendide volute d’oro puro, gli incorniciavano il viso dall’espressione grave, imperiosa e talmente fiera da costringere chiunque ad abbassare lo sguardo. Lo stesso Leitsac, dinanzi all’immenso splendore delle ali di cristallo e degli occhi color del ghiaccio, venati di argento, indietreggiò e rischiò di cadere nuovamente in ginocchio.
Belial avanzò di un passo, con i pantaloni che ondeggiavano come morbide onde drappeggiate contro le sue gambe perfette. Il torace era ampio, il ventre piatto, leggermente placcato di addominali non esagerati che conferivano potenza e armonia al fisico statuario, da sogno, che richiamava a sé la bellezza di Lucifero, la Stella del Mattino. Insieme al paradiso, anche il suo angelo perduto e compianto troppo a lungo, ritornava.
Leitsac guardò Castiel, sporco di sangue e luce divina, poi fissò Belial, le cui ali gigantesche parevano voler abbracciare l’altra metà del paradiso che non occupavano le piume enormi di Castiel. Infine, trovatosi in minoranza, ferito e sconvolto, Leitsac sparì con un unico frullio d’ali.
La battaglia era vinta, almeno per il momento. E a vincerla, erano state le figure imponenti di Castiel e Belial. La loro semplice visione aveva intimorito e retrocesso Leitsac a bestia ferita, costretta a ritirarsi. Avevano salvato il paradiso e aiutato a ricostruirlo, ma forse, questo non bastò a siglare l’accettazione della Stella del Mattino nell’alto dei cieli.
Tutti gli angeli lo fissavano, chi con astio, chi con i muscoli e le ali vibranti di tensione. Ognuno sembrava pronto ad attaccare e difendere, ma non fu necessario.
Le ali di Castiel accarezzarono morbidamente la schiena di Dean mentre l’arcangelo le ripiegava e, con un unico battito di morbide piume, muoveva il vento dell’intero paradiso. Atterrò accanto a Belial, guardando i suoi fratelli uno ad uno, sfidandoli a farsi avanti.
Gabriel e Balthazar si mossero simultaneamente e affiancarono Lucifero e Castiel, ponendo uno scudo, una barriera contro i mal giudizi, contro l’indifferenza e la rabbia. Alla fine, Samael tese la mano a Dean, che si alzò e, insieme all’angelo e ai loro Behemah, si posizionarono a difesa di quanto era giusto, di chi aveva combattuto e meritava, come tutti, una seconda possibilità, un perdono. Belial cercava la redenzione, era vero, ma non quella di Dio. Lui, chiedeva la carità gentile dei fratelli. Belial, cercava la sua famiglia, ciò che gli era stato tolto e che gli era mancato per secoli di solitudine e dolore che avevano trasformato una parte di sé nel Diavolo. Forse, il male non era stato totalmente opera sua. Era stato l’odio a generare l’odio, e gli stessi angeli avevano soltanto velocizzato un processo già ai suoi stessi inizi.
Gabriel guardò Castiel, incrociò i suoi occhi sicuri e colmi della stessa dolcezza che aveva richiamato a sé le forze di tutto il paradiso. Gli bastò un cenno per convincerlo a fare un passo avanti, anteponendosi a Belial.
-Guardatevi! Fissate questo fratello come se fosse un estraneo, quando in realtà egli conosce ognuno di voi, e almeno una volta voi stessi l’avete chiamato per nome. Vi fate artefici del vostro stesso odio? È davvero questo che volete? Cosa vi rende giudici del prossimo, cosa vi permette di sentirvi superiori? Ognuno di noi ha commesso errori, ha ucciso, e si è fatto boia del prossimo, che forse meritava la vita. Più volte avete voltato le spalle ai vostri stessi principi, e anche adesso prevale questa realtà: ricomparite adesso, radunandovi al mio richiamo, ma dove siete stati finora? Questo posto è casa vostra, e voi l’avete abbandonata! Adesso che vi ritornate, tuttavia, vi sentite superiori a chi ha lottato per salvare tutti noi! Chinate gli occhi, se ancora possedete un minimo di dignità, altrimenti attaccate me, poiché Leitsac è una mia creatura e io stesso sono stato artefice di tutto questo dolore. Chi si sente in diritto di avanzare, lo faccia, ma ricordi: il perdono è ciò che ci rende ciò che siamo, ciò che ci fa respirare. Il perdono rende liberi.-
Gli angeli esitarono, spostando gli occhi da Castiel a Belial, che tuttavia non chinava il capo, non abbassava lo sguardo. Sentiva la vergogna del peccato gravargli sulle spalle, ma forse era il momento di lasciarsi il dolore alle spalle. Guardarsi indietro gli avrebbe soltanto impedito di guardare avanti. Chi gli era rimasto accanto, era riuscito a donargli la forza di levare lo sguardo, di sentirsi fiero e un po’ più libero. Qualcuno, coi suoi occhi colmi di luce, l’aveva fatto sentire vivo. Qualcuno, gli aveva regalato la possibilità di sperare ancora, e soltanto adesso se ne accorgeva.
Lentamente, quasi automaticamente, la sua mano corse a quella di Balthazar, fermo al suo fianco. L’angelo sussultò e guardò le dita sottili di Belial intrecciarsi timidamente alle sue, cercando una risposta, una speranza di conforto proprio ora che ne aveva più bisogno. E Balthazar non mancò all’appello. Non l’aveva mai fatto, e fin dall’inizio, si era sentito in dovere di proteggere la Stella del Mattino e tutto ciò che rappresentava: la possibilità di perdonare chiunque, anche l’imperdonabile.
Le dita di Balthazar strinsero quelle di Belial in una stretta rassicurante che gli infondeva conforto, coraggio di tenere alta la testa e fiero lo sguardo. In realtà, Belial si sentiva più fragile di quanto apparisse, ma la solida presenza di Balthazar lo aiutarono a impuntarsi, ad appoggiarsi a un appiglio sicuro che non sarebbe mai venuto a mancare.
A uno a uno, lentamente, gli angeli abbassarono gli occhi. Poi, a sorpresa, ognuno di loro rivolse la propria attenzione a Castiel.
Un angelo si inginocchiò.
Poi un altro.
Un altro ancora.
I Behemah prostrarono il capo, i quadrupedi piegarono le zampe anteriori e i volatili distesero le ali in segno di totale sottomissione e obbedienza. Ognuno di loro, ogni singolo presente, riconosceva la supremazia di Castiel, la sua saggezza e la necessità di averlo come guida. Avevano risposto alla chiamata, e adesso rispondevano all’istinto che ordinava loro di radunarsi al cospetto dell’unica luce rimasta adesso che il paradiso stava affrontando il suo periodo più buio. Una luce argentata, possente, mai prossima ad estinguersi.
Castiel, con gli occhi sbarrati, sentì un movimento al suo fianco. Voltò il capo e vide Belial inginocchiarsi e chinare la testa, cedendogli la carica di angelo più importante del paradiso. Non era tornato per riprendere il suo posto, ma per concederlo a chi di dovere, come Castiel aveva sempre meritato, sin dall’inizio. Belial aveva semplicemente atteso che Castiel fosse pronto, e adesso lo era.
Alle sue spalle, Gabriel si inchinò, senza tuttavia mancare un sorriso furbo, ma colmo di fierezza per ciò che il suo piccolo, innocente fratellino era diventato. Era stata quella stessa innocenza, quella stessa innata purezza quasi puerile a condurlo lì, in cima al picco più alto della gerarchia angelica e del paradiso stesso.
Samael e Balthazar si inginocchiarono senza una parola.
Infine, restava solo Dean, in piedi in mezzo a quel mare di piume da sogno. Incontrò gli occhi di Castiel, il suo sguardo spossato che lo pregava di non imitare gli altri, di non spingerlo a sentirsi superiore anche a lui. Ciò che chiedeva Castiel, almeno al suo compagno, era equità, senza convenevoli o riconoscimenti di superiorità. Tutto quel potere gli faceva paura, rendeva le sue ali più pesanti, come avvinghiate da orribili catene di responsabilità. Poteva farsi carico di un intero mare di vite?
Dean avanzò, facendosi spazio a fatica tra le ali luminescenti di ogni singolo angelo. Raggiunse Castiel, gli prese il viso tra le mani e, dinanzi all’intero paradiso, fece ciò che solo un angelo si era mai permesso di fare a un suo simile: gli baciò la fronte.
 -Sono qui. Non tirarti indietro, Cass, e fai vedere a tutti quanto vali.- mormorò contro la sua pelle, e allora Castiel chiuse gli occhi, il cuore colmo di fiducia e un briciolo di coraggio in più ad alleggerirgli le ali. Dean era con lui, non l’avrebbe abbandonato.
Quel peso l’avrebbero portato in due, senza sforzo, rialzandosi a vicenda quando l’altro cadeva. Sì. Poteva farcela.
Castiel levò una mano al cielo e lentamente, con cautela, spalancò le ali. Poco a poco, un’ombra di pura luce argentata, come veste di luna splendente, si stese sui presenti, abbracciando il paradiso. In risposta, gli altri angeli levarono il capo, gli occhi puntati sugli archi di piume brillanti come cristalli stiracchiati sulle loro teste. Quelle ali conferivano una protezione, una guida, un domani. Ogni angelo aveva risposto alla chiamata, e adesso, radunato al cospetto di un’unica stilla di luce quasi divina, c’era il più grande esercito che la storia avesse mai ricordato o dimenticato. Mai era accaduto che tutti gli angeli comparissero al cospetto di un unico appello disperato, ma adesso, ogni cosa cambiava.
Quel viso, sovrastò un’intera specie come non era mai successo in un’eternità di vita.
Quell’amore divenuto leggenda perché legato ad un semplice umano, creò un esercito.
 Il paradiso aveva trovato la sua guida. Era tempo di combattere.
 
Angolo dell’autrice:
Dunque, vorrei cominciare col ringraziare col cuore i miei bellissimi angioletti recensori. Chiedo umilmente scusa per non averlo fatto individualmente come al solito, ma gli studi mi stanno massacrando e a stento trovo il tempo di scrivere. Ci tengo tuttavia a ricordare che grazie a voi, alla vostra magnifica pazienza e ai vostri bellissimi commenti, io continuo a scrivere, a sognare e (spero) a far sognare. Quindi, un abbraccio e un applauso specialissimo agli angeli più belli:

kimi o aishiteru (e sua sorella. Scusa piccolina, non volevo traumatizzartiiii!!!)
xena89
Shiva_
Sherlocked
HowlingFang
Un grazie di cuore, davvero! Grazie!!! (inchino)
 
Intanto, lontano dalla prigione in cui è rinchiusa Tomi…
Finitela. No, sono serio, finitela.
Gabriel: dai, Samael, sei una delizia con i bigodini! Non fare lo spocchioso!
Non sto facendo lo spocchioso! Perché non li metti tu!?
Gab: perché li ho già! E ho queste magnifiche babbucce rosa confetto che terminano in una coda di coniglio fucsia! Devo ancora capire perché non le hai volute mettere…
Già, un mistero… Belial, ma da che parte stai?! Non lo aiutare!
Belial: ma sei dolcissimo così!
Cos… no, posa quella trousse di trucco. POSALA!!! ADESSO!!! Ma che fine ha fatto l’autrice?
Gab: eh? Ah… di nuovo in galera per possesso illecito di animali in via di estinzione…
Quando uscirà, sarà peggio di Leitsac…
Gab: già…
Belial: fuga?
Gab: fuga.
Cosa… ehi! Non lasciatemi qui, dannati bastardi! Tornate indietro! EEEEEEHI!!!!

Tomi Dark Angel

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Capitolo 22
*** Occhi Di Bestia ***


I piedi di Dean toccarono terra con delicatezza mentre un ultimo battito alare di Castiel decretava la fine del viaggio. Le ali si richiusero delicatamente sulla schiena, morbide di enormi piume argentate che in quel momento parevano brillare più che mai.
Dean trovò appena il coraggio di guardarlo in faccia, di scrutare il volto fintamente rilassato dell’angelo. Castiel faceva il possibile per non apparire teso, ma era evidente dalle mani chiuse a pugno che si sentiva schiacciato, sotto pressione, e la cosa sarebbe stata difficile da smaltire, per lui. Dean sapeva che da quel momento, i loro incontri sarebbero stati molto più fugaci, quasi inesistenti, e questo gli faceva male. Adesso, Castiel era il signore delle truppe angeliche, l’unico in grado di annientare una volta per tutte Leitsac, e stava a lui occuparsi dei suoi fratelli. Doveva prendersi cura di loro, ancora scossi per la caduta del paradiso e per la riapparizione di Lucifero nell’alto dei cieli. Non c’era da stupirsi che fossero rimasti spossati, ma Dean non riteneva giusto porre tutto quel peso sulle spalle di Cass. Per quanto forte, l’arcangelo non ce l’avrebbe fatta a sostenere le sorti di migliaia di vite.
-Cass…- mormorò Dean, cercando di incrociare il suo sguardo, ma Castiel non lo guardò e il ragazzo sapeva perché. Castiel si vergognava. Aveva perso il controllo, si era lasciato andare all’ira, finendo quasi per ammazzare lo stesso Dean, e adesso non riusciva a guardarlo in faccia. Sentirsi tanto debole, per Castiel, faceva male. Lo rendeva vulnerabile come un bambino agli occhi di chi guardava, ma ciò che non sapeva era che Dean non lo trovava affatto vulnerabile… solo più umano. Ed era questo a renderlo speciale.
Quello era il suo Cass. Il suo angelo, il suo amore.
Intenerito, Dean sorrise e gli prese il volto tra le mani, cercando di costringerlo a guardarlo, ma Castiel teneva gli occhi bassi.
-È colpa mia.- disse allora Dean, e allora Cass levò gli occhi di scatto, turbato. –Hai sentito bene, fottutissimo pennuto. Sono stato io a farti perdere la testa. Sapevo che ti saresti incazzato, ma l’ho fatto lo stesso… ho voluto rischiare, e non me ne pento. Non avrei lasciato che Leitsac ti mettesse le mani addosso, avrei preferito morire.-
Castiel distolse nuovamente lo sguardo. –Stava per accadere.-
-Ne sarebbe valsa la pena.-
-Non dire assurdità.-
-Non ne sto dicendo.-
Castiel sospirò e chiuse gli occhi, abbandonandosi stremato al tocco di Dean, che gli accarezzava le guance con i pollici. Gli baciò una guancia, e quel contatto profumato e caloroso gli riportò alla memoria i momenti vissuti nella grotta, mentre Castiel ansimava e si contorceva sotto di lui. Si era impresso nella mente quegli occhi lucidi, dalle pupille dilatate e dallo sguardo quasi ferino.
-Cass, sei sicuro di non voler entrare in casa? Riposa un po’ e…-
-No, Dean. Devo andare.-
Castiel fece un passo indietro, sottraendosi al tocco del compagno, ma Dean lo raggiunse di nuovo e, cintogli i fianchi con un braccio, fece aderire i loro corpi per sprofondare in un bacio senza tempo. Gli mordicchiò le labbra, gliele leccò, giocando dolcemente con la sua lingua. Sentì le mani di Castiel appoggiarsi sui suoi fianchi e le ali piegarsi a suo indirizzo, chiudendoli in un bozzolo argentato che pareva farli fluttuare in un mare di fasci lunari da sogno.
Quando Dean tirò indietro il capo, fece aderire la fronte a quella di Castiel e inspirò il suo odore, la sensazione del suo tocco sulla pelle. Lo sentì sollevare una mano e poggiarla sul suo bicipite, laddove incideva la sua stessa impronta, il marchio del loro legame.
-Cass. Guardami.-
Castiel aprì finalmente gli occhi e lo guardò, specchiandosi in un mare verde giada. Avrebbe voluto dirgli tante cose, avrebbe voluto scusarsi, dirgli che lo amava e che avrebbe fatto il possibile per tornare di tanto in tanto, anche se sapeva che sarebbe stato difficile. Forse, quello era un addio. Sicuramente, se avessero deciso di attaccare frontalmente Leitsac, Dean e gli altri non sarebbero rimasti coinvolti in una stupida guerra angelica.
Castiel non l’avrebbe permesso.
Gabriel e Samael non l’avrebbero permesso.
Forse, non era giusto legare l’essenza di Dean alla sua in quel modo. Forse, se gli fosse stata data la possibilità di rimediare, di tornare indietro nel tempo per regalare al suo umano una meritata libertà… forse, Castiel l’avrebbe fatto. Ne avrebbe pagato caro il prezzo, ma per Dean era giusto provarci, riuscirci… era giusto sacrificarsi. Purtroppo però, non gli era stata data questa possibilità. Ormai erano legati, avvinti in una stretta che aveva raggiunto il suo apice poche ore prima, nella grotta, mentre facevano l’amore. Castiel l’aveva voluto, ed era stato bellissimo, ma adesso che leggeva quello stesso legame negli occhi di Dean… adesso era tutto diverso. Se la guerra con Leitsac fosse andata male, qualcosa si sarebbe spezzato irreversibilmente nel cacciatore, condannandolo all’infelicità e al silenzio di un’anima andata in frantumi.
C’era speranza, e a questa Castiel doveva aggrapparsi.
C’era speranza, ma solo negli occhi di Dean.
C’era speranza, e Castiel la abbandonava ora, facendo un passo indietro e scostando le ali che fino a quel momento li avevano protetti.
Forse Dean percepì qualcosa, un segnale d’allarme negli occhi stanchi di Castiel, che si domandava perché non potesse esserci un po’ di pace anche per loro, che la pace non l’avevano mai conosciuta davvero. Era bella? Com’era, sentirsi totalmente al sicuro?
-Cass?-
Un fiocco di neve cadde dal cielo, posandosi delicato sul naso di Dean. Il cacciatore sbatté gli occhi in un’espressione buffa che dipinse il viso di Castiel di un bellissimo sorriso colmo di tenerezza. Dean levò gli occhi, sorpreso. Non faceva freddo, eppure nevicava.
In breve, una piccola pioggia di fiocchi di neve bianchi, delicatissimi come vetro, cominciò a scendere, posandosi al suolo e sui loro corpi. Dean ricordava l’ultima volta che aveva guardato una nevicata così bella. Allora, aveva un’immensa ala argentata distesa sulla testa e un paio di occhi colmi di umanità incatenati ai suoi. Adesso, il proprietario di quelle stesse ali e di quegli occhi, lo fissava col capo inclinato e un sorriso triste sulle labbra. Era stato Cass a causare la nevicata, ed era la più bella che Dean avesse mai visto. Sembrava Natale!
-Torna presto, pennuto. Non ho intenzione di aspettare altri due anni, però. Se necessario, ti verrò a prendere di nuovo, quindi vedi di non cacciarti nei guai.- sorrise Dean, con la neve che poco a poco gli si depositava sui capelli e sulle spalle. Castiel guardò alcuni fiocchi incastrarsi sulle ciglia di Dean e desiderò essere uno di quei pezzettini di neve. Loro potevano cadere di tanto in tanto, sfiorarlo, essere sempre con lui. Castiel no. Lui era diverso, lui era un angelo. Stavolta, avere le ali riusciva solo a incatenarlo lontano dalla felicità.
Era ora di andare.
-A presto, Dean.-
Addio, Dean…
Castiel si voltò lentamente dando le spalle a colui che amava, a ogni sogno di pace che per qualche breve attimo l’aveva alleggerito dai pensieri. Adesso, il vecchio Castiel doveva soltanto morire per lasciare il posto a un nuovo angelo degno di guidare gli eserciti di Dio. Stava andando via per non ritornare, per lasciarsi definitivamente alle spalle la stessa umanità che gli aveva fatto risparmiare Leitsac pochi minuti prima. Doveva essere un generale. Doveva essere un sovrano senza scrupoli, senza sentimenti. Doveva tornare il soldato che era stato, quella parte di sé che credeva di aver annientato per sempre, affogandola negli occhi di Dean.
Con un battito d’ali, Castiel sparì, lasciandosi alle spalle nient’altro che il gelo di una fredda nevicata.
§§§§
Passò un mese da allora. Un mese di attesa, di silenzio, senza che nessuno nominasse anche solo uno degli angeli. In gran segreto, Dean chiamava sempre Castiel e Sam invocava Gabriel, ma nessuno dei due aveva mai ottenuto risposta. In cambio, ricevevano solo il silenzio.
Faceva male, bruciava come alcool su una ferita. Ogni tanto, i Winchester e Mary andavano a caccia, ma lavoravano così male che più di una volta avevano rischiato di farsi uccidere. A volte, Dean pensava che Sam si mettesse in pericolo nella speranza che Gabriel accorresse per proteggerlo con le gigantesche ali dorate, solide come una fortezza inespugnabile. Di notte, Dean ascoltava Sam raggomitolarsi nel letto e stringere a sé il campanellino, come se questo gli recasse conforto, speranza. Sam ricercava la presenza di Gabriel, e saperlo lontano, sordo ai suoi richiami e forse in piena battaglia con Leitsac, lo faceva sentire male.
Anche Bobby sembrava giù di morale, anche se non lo dava molto a vedere: beveva di più e li insultava il doppio tutte le volte che Mary e i Winchester lo chiamavano o che si presentavano sulla soglia di casa sua. La verità era che gli angeli e i loro Behemah mancavano a tutti. La stessa Mary si sentiva in pena per Samael, per la sorte che sarebbe potuta toccargli. Nessuno di loro sapeva se gli angeli fossero vivi, ma speravano ogni giorno di non vedersi comparire davanti uno dei loro fratelli, pronto ad annunciare la dipartita di Castiel o degli altri.
Poco a poco, Sam e Dean li sentivano sempre più lontani, sempre più assenti. Di loro, nessuna traccia. Erano rimasti soli.
Dean pigiò il piede sull’acceleratore. Al suo fianco, Sam guardava la città di Greenville allontanarsi poco a poco, rimpicciolendo in lontananza per poi venire inghiottita dall’oscurità della notte. Alle loro spalle, c’era Mary, stesa sui sedili posteriori e intenta a sonnecchiare pacificamente con ancora il machete insanguinato in pugno. Stavolta, la caccia al nido di vampiri era stata faticosa, e lei stessa si era quasi trovata con la testa spiccata dal collo. Ci era mancato davvero poco, ma ciò che più preoccupava Dean, era stata la remissività della ragazza nel proteggersi. Per qualche istante di troppo, era rimasta immobile, indifesa, come se non avesse nemmeno voglia di provare a difendersi.
La stessa cosa, tuttavia, stava accadendo a tutti loro.
Dean si massaggiò la base del naso, espirando esausto. Non si era voluto fermare per la notte, anche perché provare a dormire era inutile. Erano giorni che non ci riusciva, e quando lo faceva, aveva gli incubi. Era certo tuttavia, che anche Sam sognasse in continuazione la morte di Gabriel, come accadeva a lui con Castiel. Immaginarlo prostrato, con le ali spezzate e il magnifico corpo ricoperto di ferite, gli mandava i nervi in frantumi. Ricordava bene l’ultima volta che aveva visto Cass… ricordava i suoi occhi tristi e fragili, il piccolo tremore delle ali.
Come poteva una creatura tanto delicata essere costretta alla violenza?
-Dean?- chiamò Sam a bassa voce, per non disturbare Mary.
-Mh?-
-Pensi… pensi che loro stiano bene?-
Dean non rispose. Fino a quel momento non avevano mai parlato apertamente di Castiel e degli altri, e adesso Dean capiva perché: pronunciare ad alta voce certe parole, ne rendeva pericolosamente reale il concetto. Adesso che Sam chiedeva apertamente se secondo lui Cass e gli altri fossero vivi, Dean non sapeva cosa rispondere. Sì? Forse? Il “no” come risposta, non era contemplata. Pronunciarla, avrebbe decretato una frattura nei loro animi che sarebbe stata difficile da saldare.
-Non lo so.- si sentì rispondere in tutta sincerità. Strinse forte il volante dell’Impala, evitando accuratamente di guardare in faccia il fratello.
-Tu… da quando sei tornato dal paradiso, sei cambiato, Dean. È successo qualcosa?-
-Leitsac ha quasi fatto a pezzi Castiel e mi chiedi se è successo qualcosa? Che cazzo di domanda è?-
Sam sbuffò.
-Non intendevo quello. Tu hai… avete…-
-Sam. Se concludi la domanda, ti chiudo le palle nella portiera della mia bambina.-
Sam guardò Dean, la sua espressione forzatamente calma e le mani aggrappate con forza al volante. Era certo che, se non ci fosse stata Mary, suo fratello avrebbe acceso lo stereo al massimo volume pur di non pensare all’argomento. Sì. La risposta alla domanda di Sam era sì, e questo faceva male. Entrambi avevano una parte del loro angelo all’interno, entrambi avevano vissuto momenti meravigliosi con loro… entrambi, ripensavano a quegli stessi momenti e si sentivano spezzare in due dal dolore.
-Torneranno.- disse allora Sam, aggrappandosi all’unica convinzione che gli restava. –Torneranno… devono farlo.-
Dean non rispose.
§§§§
Belial inclinò il capo verso l’alto, distendendo i muscoli del collo. Erano due settimane che faceva il possibile per aiutare Castiel a risolvere i migliaia di problemi sorti insieme al ritorno di Leitsac e degli altri angeli. Purtroppo però, non tutti i suoi fratelli avevano accettato il suo ritorno. La maggior parte lo schivava, e quei pochi che gli si accostavano, lo facevano con totale riverenza, come se avessero davanti Dio in persona. In effetti, di questo ultimo problema soffriva anche Castiel. Ormai, loro due erano i personaggi più importanti dell’intero paradiso, e questo rendeva gli altri angeli sottomessi, come erano stati abituati ad agire in presenza dei loro superiori.
Castiel e Belial detestavano quell’atteggiamento, ma non potevano cambiare di punto in bianco secoli e secoli di formazione. Entrambi, si sentivano estranei, lontani dalla loro stessa famiglia, ma non avevano tempo per lamentarsi. Castiel era cambiato, e poco a poco aveva abbandonato totalmente la parte più umana di se stesso.
Comandava gli altri angeli con regale freddezza, li addestrava senza scrupoli e non parlava quasi più con Gabriel, Balthazar e Samael. A stento rivolgeva la parola allo stesso Belial. All’inizio, Castiel aveva sofferto nel doversi comportare così, ma poco a poco era caduto in uno stato di indifferenza, mista alla totale freddezza più rigida di quella del ghiaccio. Non era più Cass, non era più il dolce arcangelo dalla dolce umanità che l’aveva sempre contraddistinto.
Gli altri angeli l’avevano incattivito, caricandolo di problemi e responsabilità e appellandosi a lui come se fosse il nuovo Dio. Castiel non aveva mai chiesto quel ruolo, ma adesso ce l’aveva, e questo lo stava facendo a pezzi. In più, la lontananza da Dean aveva mutato il suo sguardo, i suoi sentimenti, perfino il fioco brillare della sua Grazia.
Quegli occhi che un tempo erano stati blu zaffiro, adesso parevano essersi congelati in un azzurro ghiaccio che annientava qualsiasi occhiata di chi gli stava dinanzi. Nessuno osava dirlo ad alta voce, ma era chiaro che poco a poco, Castiel stesse diventando anche peggio di Leitsac.
Ingabbiare un angelo, privarlo della sua libertà per condurlo a una vita in cattività, lo stava rendendo una vera e propria macchina da guerra. Perfetto per il combattimento… ma diverso, pericoloso. Forse, a breve, nemmeno lo stesso Dean sarebbe riuscito ad aiutarlo, ma Belial non poteva fare niente. Portare Dean lassù avrebbe scatenato una reazione a catena che avrebbe soltanto messo sottosopra l’intero paradiso e fatto incazzare di brutto Castiel. Al contrario, portare Castiel sulla Terra era anche peggio.
Impasse. Si trovavano in un vicolo cieco.
Belial inclinò debolmente il capo, ascoltando il basso suono d’arpa che era tornato a ridipingere il paradiso del suo canto armonioso. Nell’aria, pareva aleggiare una pace senza tempo, tranquilla, morbida come velluto. Lassù il tempo non esisteva, o forse non scorreva affatto, abbracciato com’era dal pallore sonnacchioso del suono d’arpa, dei fruscii di ali morbide come seta e di vesti che accarezzavano il terreno in un tocco che faceva sbocciare fiori e vita. Sembrava tutto immobile, sospeso in un limbo di pace, ma Belial sapeva che quella era solo una calma apparente.
Da qualche parte, Castiel soffriva.
Da qualche parte, Gabriel chiudeva gli occhi e si piegava in due, spezzato dal peso della situazione e dalla mancanza del suo umano.
Da qualche parte, Samael si ritirava ferito nel suo personale paradiso di pace pur di non guardare cosa si stava preparando.
Un attacco. Un massacro d’angeli e demoni. Leitsac non era solo, questo lo sapevano tutti, ma ciò che li spaventava era proprio non conoscere il volto del nemico. Era un gioco pericoloso.
All’improvviso, un suono, un fruscio di passi lievi. Belial udì qualcuno respirare alle sue spalle, poi scorse di riflesso in una goccia di rugiada lo scintillio di una lama sguainata. La riconobbe in pochi istanti, e sapeva chi la impugnava, ma non si sarebbe difeso. Aveva capito che quel momento sarebbe arrivato, aveva capito che prima o poi qualcuno si sarebbe ribellato al suo ritorno.
La lama scintillò, compiendo un arco nell’aria pulita e falsamente pura del paradiso. Belial sentì la carne aprirsi sulla guancia in uno squarcio profondissimo che quasi snudava l’osso dello zigomo. Faceva male.
Belial non si mosse, non si ribellò. Non diede nemmeno la sensazione di sentir dolore. Rimase fermo, a testa bassa, finché la spada angelica non calò di nuovo, stavolta su una delle sue ali, graffiandola poco più che lievemente. Belial rabbrividì e si morse a sangue le labbra per non urlare. Chiuse gli occhi, estraniandosi da quel dolore meritato, da quella rabbia che sapeva essere appartenuta a lui. Quanti angeli aveva ucciso? Quanta rabbia e dolore aveva scatenato nei fratelli superstiti? Belial non aveva dimenticato, non l’avrebbe fatto mai, e nemmeno coloro che avevano subito sofferenze a causa del Diavolo. Era giusto così, dopotutto. Non tutti gli angeli sapevano perdonare.
-Quanti di noi hai ammazzato, Satana?- ringhiò la voce di Elemiah* alle sue spalle. Belial non rispose, non ebbe il coraggio di provare a giustificarsi. Sarebbe stato inutile.
Un calcio lo raggiunse alle spalle e lo fece cadere nell’erba, rovesciato su un fianco. Elegia lo colpì all’altezza del petto, e Belial sentì una costola incrinarsi. Gemette, ma continuò a non volersi difendere. Se solo avesse voluto, un suo gesto sarebbe bastato a spazzare via mezzo paradiso, ma lui non voleva… non lo meritava.
Chiuse gli occhi, abbandonò il capo sull’erba, che lo accarezzò dolcemente, come per confortarlo.
-Quante vite? Rispondimi!-
-La tua, se non ti allontani adesso da lui.-
Quella voce. Quel timbro calmo, profondo come una marea. Belial lo conosceva, l’aveva sognato tante volte e udito anche quando non c’era. Aprì gli occhi a fatica, incontrando la figura possente di Balthazar, in piedi a pochi passi da lui. Indossava anche lui la tenuta angelica, con la bellissima fascia azzurrina legata ai fianchi e le magnifiche ali leggermente spiegate in segno di avvertimento. Ogni piuma, che dal blu zaffiro schiariva al bianco perlaceo, emanava una luce calma, tenue. La stessa luce che si rispecchiava nei suoi occhi vibranti di furia a stento trattenuta. L’aria intorno a lui vibrava pericolosamente, scompigliandogli appena i corti capelli biondi. Era bellissimo.
Elemiah esitò, preoccupato, mentre Balthazar avanzava di qualche passo. In un battito di ciglia, l’angelo biondo era apparso praticamente addosso ad Elemiah e gli aveva afferrato il polso della mano che ancora stringeva la spada angelica, torcendolo bruscamente, fin quasi a spezzarlo. Elemiah gemette di dolore e sbatté le ali perlacee, sfogando il dolore, ma subito le piume affilate di Balthazar saettarono, graffiando lievemente quelle di Elemiah. L’angelo smise di muoversi e sbarrò gli occhi, fissando terrorizzato quelli color del ghiaccio di Balthazar.
-Non voglio più vederti qui. Sparisci, e spera di non incontrarmi un’altra volta sulla tua strada, o giuro che ti ammazzo.-
Elemiah non se lo fece ripetere due volte: lasciò andare la spada, e nel momento in cui Balthazar gli liberava il braccio, sparì.
Belial tossì debolmente, tornando a chiudere gli occhi per regolarizzare il respiro. Gli bruciava la guancia, ma sentiva appena il dolore all’ala, proprio dove Elemiah l’aveva graffiato con la spada. Per fortuna, il taglio era lieve, ma Belial non si sarebbe guarito da solo.
Ci pensò qualcun altro a farlo.
Delle mani fresche si appoggiarono sul taglio all’ala, facendogli sbarrare gli occhi. Belial sentì la carezza delle dita di Balthazar che cancellavano pezzo dopo pezzo i piccoli rimasugli di sangue, i polpastrelli che si infilavano tra le piume, ripulendole con cura come Belial aveva fatto con lui durante il loro primo incontro.
Nessuno dei due pareva rendersi conto dell’intimità del contatto. Erano così abituati a sfiorarsi in quel modo, che ormai non se ne accorgevano quasi più e nemmeno provavano vergogna nel sentire le dita dell’altro affondare tra le piume. Belial si limitò a sospirare rilassato, cullato dal tocco dolce di Balthazar che alla fine cancellò ogni traccia del taglio e del sangue. Lo sentì alzarsi in piedi e spostarsi vicino al corpo.
Balthazar si inginocchiò accanto alla sua testa e, a sorpresa, gli accarezzò la guancia ricoperta di sangue. In un istante, Belial sbarrò gli occhi e li fissò in quelli di Balthazar, che aveva inclinato il capo e lo guardava con finta serietà.
-Quantomeno, siediti.- disse soltanto, e Belial ubbidì, senza riuscire a staccare gli occhi dal viso di Balthazar, che intanto distoglieva lo sguardo per fissarlo sulla sua guancia.
Belial non si era mai accorto di quanto il viso di Balthazar apparisse nobile. I suoi occhi erano così profondi e anziani, nonostante la finta strafottenza che cercavano continuamente di esternare davanti agli estranei. I tratti del volto erano decisi, la pelle leggermente abbronzata, i capelli scompigliati e tinti d’oro. Osservava il suo taglio con intensità, concentrandosi per rimarginarlo, e di questo Belial fu grato: in questo modo, Balthazar non si accorgeva che l’arcangelo lo stava fissando, e in modo non propriamente tranquillo.
È un tuo amico, Belial… è solo tuo amico.
-Finito.- annunciò alla fine Balthazar, annuendo soddisfatto. Guardò la guancia di Belial, ancora sporca di sangue, e per un attimo un’ombra di indecisione gli attraversò gli occhi.
-Balthazar, che…-
Ma Belial non finì la frase perché Balthazar si era slacciato la fascia tenuta legata in vita fino a quel momento. Portò la stoffa angelica al suo viso e la passò sul sangue, pulendo gentilmente la pelle morbida della Stella del Mattino. Belial inorridì.
-Balthazar! La tua veste…-
-Andrà benissimo così. La posso sempre pulire.-
Belial abbassò gli occhi sulla fascia macchiata di rosso. Era sangue sporco, il suo, sangue malato. Sangue d’angelo caduto.
Una mano affondò tra i riccioli, scompigliandoli dolcemente. Quando Belial alzò gli occhi, incontrò il sorriso di Balthazar, i cui occhi esprimevano una tenerezza infinita. Sentì la sua mano scivolargli lungo il collo, poi lo vide chinarsi su di lui.
Automaticamente, chiuse gli occhi. Automaticamente, si aspettò ciò che nessun amico si sarebbe dovuto aspettare. Automaticamente, schiuse con leggerezza le labbra, in attesa… in attesa…
Le labbra di Balthazar si posarono sull’angolo della sua bocca, pulendo l’ultimo residuo di sangue che vi era rimasto. Ci fu un attimo di calore, un istante di immobilità nel quale anche l’eternità fissa lassù pareva essersi fermata. Poi, Balthazar si ritrasse lentamente e guardò Belial che lentamente riapriva gli occhi, sconvolto più da se stesso che dal gesto appena compiuto dall’altro angelo.
Cosa si era aspettato? Cosa aveva creduto che potesse accadere, tra lui e Balthazar? No, lui era Lucifero, il Diavolo, Satana… lui era il male. Come poteva anche solo pensare di potersi accostare a un angelo puro come la neve?
Un battito d’ali, una folata di vento e Balthazar scomparve, lasciando Belial da solo, con le mani premute sul volto e un dolore atroce all’altezza del petto, laddove sentiva ancora battere il cuore del suo tramite.
§§§§
Castiel scacciò i due angeli rimasti al suo fianco con un brusco scatto della mano. Avrebbe voluto scagliarli via, annientarli, farli sparire definitivamente. Da quando aveva rimesso piede in paradiso, per lui non c’era stato un attimo di pace: i suoi fratelli lo contattavano anche per risolvere i problemi più stupidi e nessuno si curava delle sue fatiche, nessuno lo ringraziava, nessuno si assicurava che stesse bene. Gli angeli, nervosi per la battaglia imminente, non facevano altro che scontrarsi tra loro per motivi stupidi, e toccava a Castiel metterli a tacere. La sua sola presenza bastava ad acquietarli e un suo sguardo li poneva in ginocchio, ma a volte il solo dover svolazzare a destra e a sinistra lo stremava.
Mostrarsi forte e instancabile era uno dei suoi compiti, così come lo era risolvere ogni problema. Purtroppo però, gli altri angeli lo trattavano come se fosse Dio stesso e anziché aiutarlo, generavano nuovi problemi, nuove risse, nuovi guai che poi gli toccava risolvere.
Castiel era stanco. Esausto. Non ne poteva più.
Si sentiva solo, non volava quasi mai e gli altri angeli lo trattavano come un diverso semplicemente perché avevano assistito a una terribile manifestazione della sua forza. A volte, Castiel li sentiva mormorare tra loro e giudicare il suo rapporto con Dean, con uno stupido umano. Quanta superbia, quanta arroganza insudiciava le schiere angeliche. Poco a poco, Castiel se ne rendeva conto e se ne sentiva sempre più schiacciato. La realtà era che gli angeli si stavano abituando a sentirsi protetti grazie alla sua presenza, e per questo si comportavano come bambini viziati.
Incoscienti.
Castiel sentiva la testa scoppiargli. Era al limite, ma faceva il possibile per non darlo a vedere: si nascondeva dietro un finto autocontrollo che sentiva prossimo a svanire. In paradiso c’erano sempre problemi, sempre diffidenza e falsa bellezza tra gli angeli. Perché toccava a lui sopportare? Perché doveva essere lui a subire i suoi maledettissimi fratelli e i loro problemi? Non bastava dover pensare alla guerra contro Leitsac?
Castiel mosse le ali, e scoprì che gli facevano male. Sembravano quasi andate in cancrena, tanto era il tempo che non le muoveva. Non poteva più volare, allontanarsi, sentirsi leggero. Soltanto adesso si accorgeva di quanto la sua amata libertà fosse stata ingabbiata dall’arroganza degli altri angeli e dello stesso paradiso. Lui era al servizio di Dio e dei suoi viziatissimi figli. Non era giusto.
Castiel strinse le labbra, si piegò in due, scosso da piccoli tremori. Dov’era Dean? Perché non sentiva la sua presenza, i suoi richiami? All’inizio aveva udito la sua voce e si era aggrappato ad essa, ma erano settimane che non ne udiva il timbro profondo, confortante. Dean aveva smesso di chiamarlo, di pensare a lui? Ormai, ogni suo contatto con la terra e con l’umanità stessa, pareva essersi reciso. Reciso… reciso…
Dov’era Gabriel?
Dov’era Dean?
Dov’erano tutti?
Sono rimasto solo…
Castiel sbarrò gli occhi, sconvolto. Non sentiva più niente! Non la presenza di Dean, non quella dei suoi fratelli più amati. Si erano allontanati da lui, scottati dal suo improvviso cambiamento, dalla sua freddezza di soldato. Ormai, Castiel non sentiva nemmeno più il dolce peso delle ali… era insensibile… vuoto… spezzato…
-Fratello, abbiamo bisogno di aiuto.- disse Jeliel, comparendo al suo fianco. Castiel non rispose, perciò l’angelo si sentì incitato a continuare: -C’è un problema ai cancelli dell’Eden, pare che alcuni Behemah si siano azzuffati e…-
-Perché non… ve li risolvete da soli, questi problemi?-
Jeliel si zittì e lo guardò, stupito. Si accorse solo allora che le spalle di Castiel tremavano.
-Come?-
-Mi hai sentito… e adesso sparisci.-
-Ma i Behemah…-
Castiel lo guardò di traverso. Si scostò i capelli dagli occhi per far sì che i loro occhi si incontrassero… e Jeliel si accorse che qualcosa non andava. Qualcosa era cambiato nello sguardo solitamente pacato e misericordioso di Castiel. Adesso, i suoi occhi esprimevano la rabbia cieca di una bestia in cattività e pronta a sbranare chiunque fosse disposto ad avvicinarsi troppo. Quegli occhi, un tempo stati blu, adesso parevano essersi schiariti all’azzurro ghiaccio. Erano impalliditi, slavati, privi del caloroso blu che li avevano sempre contraddistinti.
Quello non era lo sguardo di un angelo misericordioso.
Quello era lo sguardo di un assassino.
Jeliel** indietreggiò, spaventato. Vide le ali di Castiel vibrare di energia repressa mentre, poco a poco, le piume si facevano di un rabbioso, impuro grigio tempesta. Jeliel conosceva quello sguardo. L’aveva visto una volta, millenni prima, quando qualcosa nell’integra purezza del paradiso era andata in pezzi. L’aveva visto quando la rabbia aveva superato la benevolenza, quando un angelo in particolare aveva scelto un’altra strada da seguire.
Quello sguardo ricordava gli incubi più neri degli angeli. Quello sguardo ricordava la macabra follia, la perdita della ragione e della purezza, sostituita a una rabbia animale e incontrollata.
Quello, era lo stesso sguardo del Diavolo.

*Elemiah: Elemiah, o Elamiyah, è il quarto Soffio e quarto raggio angelico nel Coro nettuniano degli Angeli Serafini guidato dall’Arcangelo Metatron, nel quale governa le energie di Marte. Il suo elemento è il Fuoco.
**Jeliel: Jeliel, o Yeliyel, o Yeliy’el, è il secondo Soffio e secondo raggio angelico nel Coro nettuniano degli Angeli Serafini guidato dall’Arcangelo Metatron, nel quale governa le energie di Urano.
 
Angolo dell’autrice:
Colpo di scena, signori!!! Castiel sta dando di matto, ma cerchiamo di capirlo: chi di noi non ha mai desiderato almeno una volta di far fuori un membro del parentado? Be’, diciamo che Cass prende le cose… un po’ alla lettera.
Dean: che? No aspetta, perché Cass indossa gli abiti di Leitsac? E perché ha un mantello sulle spalle, sembra Batman! Sono io Batman!
Gab: lo stiamo preparando alla parte del supercattivo. Che dici, se lo ricopriamo di borchie può apparire più terrificante? Con quello sguardo non fa paura nemmeno al mio comodino…
Gabe, tu non hai un comodino.
Gab: ce l’avevo prima che gli alligatori lo sbranassero!
Era il mio, cogl… coniglio! E l’hai usato come esca per recuperare il tuo peluche di Sam!
Gab: si è sacrificato per una giusta causa. Pace all’anima sua.
Cass: Dean, questi abiti mi stringono. E poi, questo completo è strano… che significa sadomaso? C’era scritto sulla busta.
Dean: GABRIEEEEEEL!!!
Gab: oh, finiscila! Guarda, ho pensato anche a te, ti ho preso il costume sexy da unicorno! Hai anche il corno sul…
Tutti: GABRIEL!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

Shiva_: ehm… Castiel è ancora eccezionale dopo questo casino? Insomma, non credo abbia poi tutti i torti, però. Sì, in effetti Dean è l’appiglio solido di Castiel, ma adesso che quell’appiglio di sanità viene a mancare… cosa succede al nostro dolcissimo angelo che adesso sembra più terminator che non un vero e proprio angelo del signore? Prepariamo le panic room, che è meglio. Grazie per il commento, a prestissimo!
xena89: lasci sempre delle magnifiche recensioni, non so come ringraziarti! Spero di continuare a creare immagini sempre più belle, anche perché mi impegno per far sì che gli altri vedano ciò che vedo io. Sapere che anche tu riesci a immaginare tutto questo mi aiuta a scrivere capitolo dopo capitolo. I tuoi commenti non deludono mai, grazie! A prestissimo, spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto!
Sherlocked: capitolo distruttivo in arrivo, mai rilassarsi troppo (eh no, hai a che fare con una vipera… nd Gabriel)(GABRIEL!!!)(Be’? è la verità!!! Hai distrutto il mio peluche di Sam, dannata bastarda! Nemmeno Lucifero sarebbe arrivato a tanto! Nd Gabriel)(E tu hai incendiato la mia camera perché ti andava l’idea di accendere in casa un fuoco da campo!)(Non è colpa mia se la scintilla è atterrata sul tuo copriletto! Nd Gab)( L’hai acceso sul mio letto, come facevi a non aspettarti che il copriletto restasse coinvolto?!)(Ragzzi, qualcuno ha per caso… nd Balthazar)(SPARISCI, GORDON RAMSAY!!! Nd Tomi e Gabriel). Sei ancora felice del ritrovo fraterno? XD prima lezione su come far odiare gli angeli del paradiso, a breve la seconda. Oddio, il miglior capitolo dell’anno? XD sono commossa! (puoi commuoverti lontana dal mio nuovo fuoco da campo? Nd Gabriel)( ma che… NO, LA CUCINA NO!!!!) comunque, grazie per la lima che mi hai fatto avere mentre ero in galera, ma quel cretino di Crowley l’ha sostituita a uno sfilatino di pane mentre cercavo di tagliare le sbarre… giuro che lo affetto. Ohohohoh, a prestissimo, e grazie per la magnifica recensione!
 
HowlingFang: allora, la coppia Belial e Balthazar è in lavorazione, mentre la Samary ha qualche problema al momento, considerando che Samael in questo capitolo non c’è stato affatto e Mary è impegnata a cacciare demoni. Prometto però che la loro coppia tornerà, anche perché al momento hanno un problema ben più grosso da risolvere (vedi Castiel con manie da Hannibal Lecter e Jason di Venerdì 13). Dopo questo capitolo però, la scelta su chi picchiare è bella ampia. Scegli, io ti fornisco le armi necessarie. Fossi in te sfogherei la rabbia su quel cretino di Balthazar. Fai un disegnino, così magari capisce, e Belial la pianta di fare il ritardato. A prestissimo, grazie per il commento!
Tomi Dark Angel

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Capitolo 23
*** Una Preghiera A Un Dio Minore ***


Dean guardò il soffitto della squallida stanza di motel che si erano procurati appena poche ore prima. Sentiva il taglio al braccio bruciare, ma quello all’addome si stava lentamente rimarginando. Era strano non avere nessuna mano delicata che si posasse sulle ferite e le curasse con devozione e dolcezza. Era strano, e orribile.
Cass, dove sei?
Dean si girò su un fianco, pensieroso. Si posò una mano sul bicipite, laddove sapeva esserci l’impronta del suo Cass, il suo marchio, il sigillo del loro incontro. Solo allora si accorse che c’era qualcosa di diverso: l’impronta… era fredda come il ghiaccio.
-Dean, ho comprato… che succede?- disse Sam, entrando in quel preciso istante, con un sacchetto di cibo d’asporto tra le mani e Mary al suo fianco. Guardò il fratello, che si era alzato a sedere sul materasso e guardava ad occhi sbarrati l’impronta sul suo braccio. Dean non rispose, non fiatò. Non ne era capace.
-Dean, mi stai facendo preoccupare.- disse Sam, chiudendosi la porta alle spalle con fare frettoloso e raggiungendo suo fratello insieme a Mary. La ragazza seguì la traiettoria dello sguardo allucinato di Dean e solo allora anche lei sbarrò gli occhi, stupita.
L’impronta era diventata nera come il carbone. Sembrava che una colata di densa pece l’avesse ricoperta, annerendola totalmente, cambiandone quasi le fattezze in un marchio infernale, cupo, ustionato dal fumo. Dean non aveva avvertito il cambiamento, non aveva percepito alcun segnale di pericolo. Cosa significava?
-Ma che…- mormorò Mary, allungando una mano per toccare l’impronta. La ritrasse subito, perché il marchio era molto più che congelato, eppure Dean sembrava non risentirne. Normalmente, il ragazzo l’avrebbe avvertito, avrebbe capito all’istante che c’era qualcosa di diverso, ma stavolta no.
Stavolta, il contatto tra Dean e Castiel aveva fallito.
-Cass…- balbettò il ragazzo, guardando l’impronta. Non poteva credere che fosse accaduto qualcosa di brutto a Castiel, non in paradiso. Se Leitsac l’avesse ucciso, l’impronta sarebbe sbiadita, non annerita, e quantomeno, uno degli angeli sarebbe venuto ad avvertirlo. Di certo, Gabriel non lo avrebbe lasciato così, senza notizie, se Castiel fosse veramente… morto. Qualcosa non tornava.
-Ok, adesso basta.- ringhiò Dean, scendendo dal letto con un balzo, ma Sam gli afferrò un braccio, fermandolo.
-Che hai intenzione di fare?-
-Ho intenzione di invocarlo e fare in modo che mi risponda.-
-No, Dean, non credo che sia una buona idea.-
-Perché no? dannazione, Sam! L’impronta è nera! Nera, cazzo! Deve essergli successo qualcosa!-
Sam esitò, corrucciando le sopracciglia e chinò il capo. Fu Mary a rispondere al suo posto: -Abbiamo una brutta sensazione, è questa la verità. So che è Castiel, ma… qualcosa non quadra.-
Dean si prese la testa tra le mani. Detestava ammetterlo, ma Sam e Mary avevano ragione. Erano mesi che Castiel non si faceva vedere, che non rispondeva mai alle sue chiamate giornaliere. Non era da lui, non era naturale che Cass sparisse di punto in bianco in quel modo: aveva promesso che si sarebbe fatto vivo, in un modo o nell’altro, ma fino a quel momento, Dean non aveva scorto neanche la sua ombra. Adesso, l’impronta si faceva nera e il cacciatore a stento se ne accorgeva. L’ultima volta che Cass era stato nel Cocito, Dean era quasi morto di freddo anche mentre si trovava sulla Terra ed erano lontani anni luce.
Adesso lo sentiva distante, assente, e questa sensazione lo stava uccidendo pezzo dopo pezzo, inesorabilmente, strappandogli minuscoli brandelli d’anima.
Qualcosa non andava. Cass non stava per niente bene, ovunque egli fosse, ed era impossibile raggiungerlo in paradiso… o meglio, era impossibile raggiungere lui.
-Dobbiamo andare da Bobby.-
§§§§
Castiel sbatté disperatamente le ali, spargendo tutto intorno una manciata di piume dal colore spento, ingrigito. Si sentiva debole, stremato, e tutto per colpa dei suoi boriosi fratelli. Non riusciva a volare, il peso del dolore e della responsabilità lo inchiodava al suolo con catene di titanio. Indistruttibili, massicce… orribili come il più macabro degli incubi. Erano catene che sapevano di prigione, di sangue, di morte. Poco a poco, costretto al suolo da quel peso esorbitante, Castiel si sentiva morire.
Cosa accade a un uccello dalle ali spezzate? Cosa ne è di lui, quando il vento decide che è tempo di liberarsi del suo peso leggero? Chi si ricorderà di quello stesso volatile, chi ne preserverà la memoria?
Castiel si sentiva dimenticato. L’assenza di Dean, il silenzio della sua voce e delle sue preghiere lo spezzavano poco a poco, disseminando brandelli d’anima sul percorso di una vita vissuta a metà, una vita d’inganni e ombre che Castiel aveva creduto semplici zone inesistenti. Adesso, quelle stesse ombre lo abbracciavano, gli strappavano le ali e le coprivano di sangue e dolore tremante. Si era creduto forte dell’appoggio di Dean, del suo umano… ma adesso capiva. Capiva quanto fossero volubili i sentimenti, quanto pesassero. Erano quelli a costringerlo al suolo, erano quei sentimenti ad averlo condotto al Cocito e alla morte. Sentimenti che adesso lo stavano uccidendo per l’ennesima volta, implacabili, oscuri… umani.
Era davvero l’umanità, a renderlo diverso? Era l’umanità a far sì che tutti lo guardassero come un alieno, un estraniato? Non era un angelo e non era nemmeno umano. Cos’era, allora?
Niente. Castiel non era più niente, ormai.
È così facile perdere noi stessi, a volte. È così facile sentirsi un meticcio, un pezzo di tutto e di niente. Castiel lo capiva bene, lo sentiva nelle ossa, ormai troppo pesanti, troppo umane per essere quelle di un arcangelo, e troppo angeliche per essere quelle di un umano. Stava perdendo se stesso, e questo gli faceva paura, ma non faceva che pensare all’abbandono di Dean e dei suoi fratelli. La rabbia surclassò il terrore, la consapevolezza rimase schiacciata da una cieca furia rivolta a quel Dio che l’aveva voluto in ginocchio, prostrato e ferito da un mondo che pareva volerlo schiacciare.
Castiel scrollò il capo, indebolito, confuso.
-Hai capito adesso?- disse una voce roca alle sue spalle. Castiel cadde carponi e si voltò sulla schiena per guardare Leitsac, che gli rilanciò uno sguardo impietosito, misericordioso, così simile a quello del vecchio Castiel.
L’arcangelo oscuro aveva le ginocchia piegate e i gomiti appoggiati su di esse. Non ostentava un’espressione bellicosa, ma colma di umana pietà per la creatura che vedeva disfarsi davanti ai suoi stessi occhi. Il vecchio Castiel, la magnifica creatura possente che aveva scosso i cieli con un solo gesto, era adesso prostrata ai suoi piedi, il capo chino e gli occhi vuoti di carità e dolcezza. Leitsac non aveva fatto niente, non l’aveva ferito o attaccato. Gli era bastato aspettare che la vera natura degli altri angeli facesse il suo corso, ed ecco il risultato. Forse, non era soltanto l’animo umano ad essere marcio. Forse, il vero marciume era laddove si ostentava una purezza fasulla.
Leitsac era nato e cresciuto nella malvagità, ma vedere il suo creatore, il suo gemello, ridotto in quel modo… lo riempì di dolore. Nessuno avrebbe dovuto spezzare le ali ad un angelo innocente, nessuno avrebbe dovuto trascinare in terra colui che era nato per il cielo. Vedere un angelo prostrato in quel modo, era quanto di più triste esistesse al mondo.
-Mi dispiace, fratello.- mormorò Leitsac, inginocchiandosi accanto al corpo accasciato di Castiel. Vide la sua fronte madida di sudore, i suoi occhi dalla pupilla ristretta attorniata da un azzurro pallido agghiacciante, che sapeva di cadavere. Nemmeno lui era stato ridotto così… forse perché per lunghi anni non aveva mai visto il sole, ed era nato nell’oscurità. Non aveva mai avvertito il peso della privazione o il bisogno di vedere la luce, mentre Castiel era diverso. Era nato nell’illusione che il paradiso fosse oro, che i suoi fratelli lo amassero per ciò che era. Adesso invece, era cambiato tutto. Adesso, il suo sguardo era pulito di ogni illusione, e questo faceva male, lo cambiava, lo rendeva poco a poco una bestia ferita.
Castiel sentì la forza nel braccio che gli permetteva di sollevare il busto dall’erba venir meno. Crollò per terra, si rannicchiò, nascose il viso tra le mani. Avrebbe voluto piangere, scacciare dalla testa l’odio e la confusione. Più di ogni altra cosa però, era il senso di abbandono a schiacciarlo. Si guardava indietro, e non vedeva altro che schiene in lontananza, diffidenti, traditrici, che l’avevano lasciato solo. Dean l’aveva lasciato solo.
-Portami via… ti prego… portami via.- supplicò, stremato. Sbatté delicatamente la testa al suolo come una bestia in stato confusionale e mosse debolmente un’ala, come in un ultimo, disperato tentativo di volare. Non gli restava più nulla, neanche la forza di pregare. Semplicemente, si affidò all’ultima creatura che si era rivelata amica, l’unica che fosse giunta lì senza voltargli le spalle: Leitsac.
§§§§
Gabriel corrucciò le sopracciglia e si strofinò gli occhi, esausto. Non ne poteva più di scorrazzare per tutto il paradiso. Cercava di aiutare Castiel, di risolvere silenziosamente i problemi che non erano ancora giunti alle sue orecchie e faceva il possibile per far sì che suo fratello non lo venisse a sapere, o si sarebbe inutilmente preoccupato. Quelle responsabilità, quel peso da portare, erano troppo grandi per Castiel. Gabriel lo sapeva, ma non poteva impedirgli di restare lì, al suo posto. La soluzione per lui, sarebbe stato scaraventare Cass davanti alla casa di Bobby, possibilmente tra le braccia di Dean, per fargli rivivere quel pezzo di vita normale, di libertà che ormai faceva parte di lui.
Castiel era un angelo, ma serviva gli umani, non Dio.
Cosa sarebbe accaduto se lo avesse dimenticato? Privare un angelo della sua libertà era un abominio, era sbagliato, era malato. Tarpargli le ali significava strappargli un pezzo d’anima e gettarlo via davanti ai suoi occhi come un brandello insignificante, inesistente, troppo pesante per essere anche solo custodito.
Se qualcosa si spezzava nella testa di un angelo, quell’angelo diventava pericoloso come una bestia in cattività finalmente libera di rivoltarsi sui suoi stessi padroni. Con Lucifero era stato così: caricarlo di stupidi problemi facilmente risolvibili per chi li creava, utilizzarlo come creatura sempre disponibile e priva di stanchezza. Poi, la Stella del Mattino aveva conosciuto lo sfinimento, la rabbia, il dolore di sentirsi sfruttato e tutto era andato in pezzi.
Gabriel si era impegnato per tenere buona almeno una piccola parte dei suoi fratelli, ma tutto il resto? Balthazar, Belial e Samael parevano gli unici in grado di capire il peso che Castiel era costretto a portare. Era così difficile comprendere, impegnarsi un briciolo in più per aiutare chi si stava facendo in quattro per il paradiso?
Castiel aveva combattuto per loro.
Castiel si era sacrificato per loro.
Castiel era morto e poi ritornato indietro per loro.
Questo però, agli occhi di coloro che guardavano, risultava un fatto insignificante, inutile, da gettare nel dimenticatoio.
-Gabriel!- esclamò una voce.
Gabriel si voltò verso Samael, comparso improvvisamente alle sue spalle, sconvolto e madido di sudore. Lo guardava con occhi sbarrati, terrorizzati, che parevano aver visto troppo. Ansimava, e gli angeli di solito non ansimano. Gabriel corrucciò le sopracciglia, allarmato.
-Castiel…-
-Cosa è successo?-
-Lui… lui…-
Samael si coprì gli occhi con una mano, sconvolto. Tremava da capo a piedi nel disperato tentativo di trattenere le lacrime e la paura.
Il mondo intero, il suo mondo, gli stava franando sotto i piedi. Sentiva l’anima sfasciarsi e perdersi in piccoli pezzi, lasciando alle sue spalle una piccola scia lucente di dolore e incredulità.
L’aveva visto, aveva visto Castiel accasciarsi stremato, distrutto da una vita che non aveva mai chiesto di ottenere. Aveva guardato Leitsac, supplicando, implorando un momento di pace dall’inferno nel quale era stato trascinato come facile preda ignara. I suoi occhi erano sbiaditi di speranza, come se ogni colore si fosse slavato, perduto da qualche parte nel passato dove l’arcangelo era stato felice, tra le braccia di Dean e le sue risate innamorate. Vedere un angelo accasciarsi, schiacciato dal peso delle sue stesse ali… era innaturale, era sbagliato. Era orribile.
Era Castiel. Era il suo Castiel, suo fratello… colui che amava.
-Andato.- riuscì ad esalare Samael, tra un ansito asmatico e l’altro. –Castiel è andato.-
Poi, si accasciò al suolo.
§§§§
-Sei sicuro di volerlo fare, ragazzo? Gli angeli potrebbero non essere contenti di questo tuo colpo di testa. In effetti, non è una mossa intelligente.- sbottò Bobby, guardando il simbolo tracciato per terra e la preparazione al rito di invocazione angelica.
Dean l’aveva utilizzato un paio di volte in passato, per chiamare Castiel, ma durante i due anni di assenza non aveva mai risposto, e adesso il ragazzo sapeva perché. Cass era rimasto bloccato nel Cocito, e Dean non aveva mai sospettato niente per due anni… l’aveva abbandonato, era rimasto incosciente mentre Castiel soffriva e invocava disperato il suo nome mentre i cani demoniaci gli sbranavano le ali.
Non avrebbe commesso nuovamente questo errore.
-Io non lo farei, se fossi in te.- disse una voce alle sue spalle. Sam, Dean e Mary si voltarono di scatto verso Gabriel, che li guardava con un’espressione cupa, molto diversa dal suo solito viso sorridente, rilassato, quasi da bambino.
Sam sbatté le palpebre, incredulo, lo sguardo fisso sul volto dell’angelo, sul suo corpo avvolto da abiti angelici. Gabriel nascondeva le ali e, visto in quella prospettiva, pareva in tutto e per tutto un umano. Non sembrava sentirsi molto bene: era pallidissimo e pareva molto stressato. Mai come in quel momento, il suo volto pareva antico, scolpito nel marmo.
-Gabriel…- mormorò Sam, avanzando cautamente verso l’arcangelo, che subito gli rivolse un sorriso stentato. Quando incrociò gli occhi del suo umano, Gabriel sembrò ringiovanire di colpo. Risollevò un po’ il capo, gli occhi parvero sgombrarsi di ombre e le spalle si raddrizzarono. Sorrise, un vero sorriso, quello di chi ha ritrovato qualcosa di importante rimasto perduto per lungo, forse troppo tempo.
Era bastato posare gli occhi su quel viso, su quel campanellino ondeggiante che sbatteva contro le clavicole ad ogni movimento del suo proprietario. Quel suono significava vita, per Gabriel. Quel suono significava Sam.
-Ciao, cucciolo.- salutò con un nuovo, caldo sorriso, e Sam non ci pensò quasi. Si slanciò in avanti, oltrepassando Mary e suo fratello, fregandosene di tutto, di ogni problema, di ogni difficoltà che fino a quel momento gli avevano pesato sul cuore. Rivedere Gabriel l’aveva riportato più su, lontano dai problemi della vita, che all’improvviso non sembravano neanche molto importanti.
Se Gabriel era lì, ogni cosa si sarebbe risolta. Se Gabriel era lì, la pace era tornata.
Sam gli circondò i fianchi con le braccia, affondò il viso contro la curva morbida del collo e inspirò con gratitudine quel profumo. Profumo d’angelo, profumo di paradiso. Del suo paradiso. Profumo di Gabriel.
Gabriel lo abbracciò a sua volta, aggrappandosi alla solidità del suo compagno, di colui che lo completava con un unico sguardo, racchiudendo tutto il suo essere in due piccole iridi d’uomo, all’apparenza tanto insignificanti, tanto umili. Sam era lì, tra le sue braccia, e improvvisamente gli pareva di tornare a respirare di nuovo. Chiuse gli occhi, abbandonandosi alla dolcezza di quel contatto, un tocco dolce, di quelli che sfiori con la certezza di trovarti già in paradiso senza esserti neanche mosso.
Dean, Bobby e Mary distolsero lo sguardo. Gli sembrava di guardare qualcosa di proibito, un momento di intimità nascosta che non si sarebbe dovuta rivelare davanti agli occhi altrui. Quel momento era di Sam e Gabriel, loro e loro soltanto.
Sam socchiuse gli occhi, stupendosi quando sentì qualcosa di bagnato accarezzargli le guance. Sbatté le palpebre, confuso dalla vista offuscata, ma quando si separò da Gabriel e l’arcangelo lo guardò in viso, vide che il cacciatore piangeva. Sam gli lanciò uno sguardo di timide scuse, miste a un piccolo sorriso mentre si asciugava gli occhi con fare imbarazzato.
Era la cosa più dolce che Gabriel avesse mai visto. Gli accarezzò le guance, eliminando definitivamente le scie umide e si chinò a baciarne il percorso, fino a raggiungere le palpebre di Sam, posandovi baci leggeri, ritrovati, che sapevano di dolci e dolcezza.
-Gabriel, che stai facendo?!- si alterò una voce, facendoli sobbalzare. Soltanto Gabriel rimase tranquillo e levò appena lo sguardo verso Balthazar, che pareva più allucinato del solito. Aveva i capelli scompigliati, la camicia per metà slacciata e gli occhi lucidi di stanchezza.
Gabriel sospirò e, posato un ultimo bacio sulla fronte di Sam, fece un passo indietro.
-Devono portarvi via. Sono venuti a prendervi.- spiegò, distogliendo lo sguardo. Quell’atteggiamento fece scivolare un brivido gelato lungo la schiena dei presenti, che sentivano già odore di pessime notizie.
-Gabriel… che stai dicendo?-
-Quello che ho detto, pasticcino. Dovete andarvene, sparire. E subito, anche.-
Dean fece un passo avanti, spingendo Mary di lato. –Perché?- sibilò, frustrato. Non vedeva Castiel, ne avvertiva l’assenza e l’atteggiamento di Gabriel cominciava a preoccuparlo sul serio.
Ci pensò Balthazar a rispondere. –Perché abbiamo un nuovo Anticristo in circolazione, scimmietta.-
-Di che cazzo parli? Belial non era con voi?-
-Non sto parlando di Belial.-
-E allora chi?!-
-Sto parlando di Castiel.-
Cadde il silenzio. Dean fissò ad occhi sbarrati Balthazar, aspettando che l’angelo sorridesse scherzoso, che gli dicesse di avergli fatto uno scherzo. Non accadde. Di lui rimase un volto esausto, un’espressione al limite del sofferente. E all’improvviso, l’assenza di Castiel e gli atteggiamenti prostrati di Gabriel e Balthazar ebbero un senso. Dean non aveva mai visto gli angeli così stressati, nemmeno durante l’apocalisse. Allora avevano sempre saputo da che parte stare, come agire, cosa fare. Adesso no.
Adesso era tutto diverso, tutto sbagliato, come una storia scritta male su pagine accartocciate di un libro malmesso. Non c’era logica in un Castiel malvagio, non c’era giustizia in una notizia del genere. Cass, il suo Cass, era sempre stato buono, e questo lo distingueva dagli altri angeli: era umano, caritatevole, giusto in ogni suo gesto. Aveva sempre creduto nel bene, nella speranza e in coloro che amava, non avrebbe mai voltato le spalle a tutti loro.
-No, è una stronzata.- disse soltanto Dean, guardando in faccia Balthazar, che sorrise con cattiveria.
-Lo è? Credi quello che vuoi, moccioso, ma noi dobbiamo sbrigare il nostro lavoro, con o senza il tuo amato. Ci sono due arcangeli impazziti in circolazione, il Cubo di Metatron è in pericolo il doppio di prima e forse si prepara una guerra di proporzioni bibliche. Dovete sparire perché tu sei il primo che Castiel verrà a cercare, e considerato che pensiamo di sapere perché è impazzito…-
-CASTIEL NON È IMPAZZITO!!!-
Il ruggito di Dean aveva scosso le pareti in tutta la sua disperata potenza. Era stato un urlo a pieni polmoni, di bestia ferita. Gabriel poteva capirlo, e Sam conosceva abbastanza bene suo fratello per capire che aveva urlato per convincere se stesso, non gli altri. Nelle parole di Balthazar non c’era menzogna, e questo faceva male, bruciava come fuoco e poco a poco dilaniava i loro animi.
Castiel era stata la loro testata d’angolo, il loro punto unitario e di riferimento. Adesso, quella stessa forza si sfracellava davanti ai loro occhi, indebolita da un male che pochi potevano curare, un male assoluto, senza scampo, che gli sottraeva ogni brandello di razionalità. Castiel stava sparendo.
-Dean.- chiamò Gabriel, con un tono così simile a quello di Castiel che Dean sussultò e levò lo sguardo. Gli occhi dell’arcangelo erano colmi di compassione, di dolore, di perdita. Gabriel aveva amato Castiel con tutto se stesso, l’aveva protetto e aveva dato la vita per far sì che venisse tirato fuori dal Cocito. Aveva sacrificato ogni cosa per non abbandonarlo mai, e forse quella situazione gli bruciava quanto bruciava allo stesso Dean. –Per favore, vieni con noi, tesoro.-
E Dean, davanti a tanta prostrazione, a tanto silenzioso dolore a stento trattenuto, dovette chinare il capo. Se Gabriel avesse urlato o l’avesse trascinato via con la forza, forse si sarebbe opposto, ma adesso, con lo sguardo triste dell’arcangelo addosso e quella richiesta dolce e gentile nelle orecchie, Dean non poteva reagire. Sciolse i pugni, strinse forte gli occhi per non abbandonarsi alle lacrime di abbandono e frustrazione.
-Perché?- chiese semplicemente, e Gabriel capì a cosa si riferiva.
-Perché i nostri fratelli sono stati arroganti. Perché credevano che Castiel fosse indistruttibile, al limite del divino e che non potesse stancarsi. Pensavano che obbedisse alle loro richieste senza pensare a se stesso, e Castiel lo faceva… purtroppo, lo faceva davvero. La stanchezza ha scalato i suoi poteri, la sua fiducia, e poco a poco anche la tua voce, le tue preghiere, sono scomparse. Noi cercavamo di aiutarlo senza dirgli niente per non farglielo pesare, ma abbiamo sbagliato: Castiel ha pensato che l’avessimo abbandonato, che fossimo diventati come gli altri… che tu lo avessi lasciato solo.-
Dean sentiva le ginocchia deboli. Era questa la realtà? Tutto in fumo per l’arroganza di angeli insensibili? Era assurdo, era disumano. Castiel non lo meritava, eppure era accaduto. Era sempre stato sensibile, bellissimo e fragile come il cristallo, e la malvagità di chi si professava un santo aveva mandato tutto in pezzi, sgretolandolo, prendendo a calci ciò che di lui aveva cercato, in un ultimo sforzo disperato, di rialzarsi dal dolore.
Dean ricordò i suoi occhi color dello zaffiro, l’innocenza che trapelava dal suo sguardo di bambino che ancora non comprendeva i complessi meccanismi del mondo. Castiel aveva assistito a guerre, massacri, atti di pura malvagità, ed era riuscito a mantenersi intatto come il piccolo miracolo di un fiore sopravvissuto alla più grande delle catastrofi artificiali. L’uomo non l’aveva scalfito. Gli angeli sì.
-Lo riporterò indietro.-
-Non è così facile, dolcezza. Al momento Castiel è molto instabile. Dobbiamo portarvi nell’unico posto al quale non si avvicinerebbe, se non correndo un grosso rischio.-
-Ossia?-
-Lo vedrai.-
Dean chinò il capo, sconfitto. Non si mosse, non si sottrasse quando Gabriel si avvicinò a lui e gli prese delicatamente una mano in segno di consolazione. Le ali sbatterono una volta, abbracciandoli tutti nel loro morbido splendore e nessuno vide l’unica lacrima, portata via dal vento, che Dean versò chiudendo gli occhi.
§§§§
Belial si sentiva stanco, tremendamente stanco. Sedeva compostamente nella terra, davanti alla casa di Bobby, in attesa che Castiel rispondesse alla sua chiamata, che si presentasse e lo guardasse negli occhi. Non avrebbe permesso che nascesse un nuovo Diavolo, una nuova maledizione. Sapeva bene cosa significava soffrire il peso dei peccati, di morti innocenti aggrappati come tumori alla coscienza.
Attese. Attese per lunghe ore, sotto la pioggia, a capo chino, come un cucciolo abbandonato che non manca tuttavia di aspettare il ritorno del suo padroncino. Chinò il capo, ascoltando il mormorio dell’acqua e chiuse gli occhi. Ripensò a Balthazar, a quel piccolo istante di vicinanza che li aveva accomunati l’ultima volta che si erano visti. Profumava di buono e le sue mani erano così delicate… dal tocco dolce, morbido, come se toccandolo, pensasse di sfiorare il fragile cristallo. Chissà se le sue labbra erano altrettanto soffici…
-Belial.-
Belial spalancò gli occhi variopinti, che in quel momento apparivano di un grigio azzurro slavato. Fissò Castiel senza stupirsi del suo cambiamento repentino, terrificante… il suo cambiamento da angelo guida ad angelo caduto.
Aveva i capelli appiccicati alla testa dalla pioggia, il volto di un pallore lunare, quasi ipnotico e gli occhi dallo sguardo spento, insofferente, gelido come il ghiaccio. Il suo trench, il suo solito, bellissimo trench, era nero, come se del fumo l’avesse ricoperto di oscurità che aveva infine impregnato la stoffa e contrastava magnificamente col candore marmoreo della carnagione, molto più esangue del solito. Poi, c’erano le ali. Nere come la pece, le piume immense, da predatore, come se fossero perennemente affilate. Parevano una gigantesca cappa di oscurità che poteva spiegarsi da un momento all’altro, abbracciando il mondo e tutto ciò che ci buono esisteva per soffocarlo una volta per tutte.
Poteva un angelo del Signore diventare così?
Era stato schiacciato dall’oscurità, soffocato, prostrato, e infine si era arreso al buio stesso, permettendogli di abbracciarlo in una stretta definitiva che non l’avrebbe più lasciato andare. Quello era il nuovo Castiel, e faceva molta più paura di Leitsac. L’oscurità vera era lì, davanti agli occhi di Belial. Era bellissima, tentatrice con quegli occhi che dal blu cobalto schiarivano nell’azzurro pallido del ghiaccio e quel volto magnifico, dannato, demoniaco.
-Non avresti dovuto chiamarmi.- disse Castiel con tono incolore. Belial si alzò lentamente.
-Castiel, ascolta. Devi ripensarci, non puoi…-
-Sono caduto, Belial. Sono quello che mi hanno fatto diventare. Io sono una vostra creatura.-
Belial sentì un lungo brivido gelido scivolargli lungo la schiena. Ricordava quelle parole, le aveva dette una volta, quando era caduto e Gabriel era venuto a cercarlo per convincerlo a tornare sui propri passi. Se solo gli avesse dato ascolto, se solo fosse tornato indietro, tra le braccia della sua famiglia… se solo Castiel avesse capito.
-Non è vero! Tu sei molto di più, tu sei ciò che vuoi essere! Sei un angelo, Castiel, sei uno di noi!-
-Non voglio esserlo. Ho subito fin troppo, e dov’era nostro padre mentre mi spezzavano le ali in suo nome? Dove eravate voi?-
Belial si alzò in piedi, insensibile alla pioggia che continuava a colargli lungo il corpo, appiccicandogli i capelli al viso e gli abiti alla pelle.
-Eravamo con te. Abbiamo cercato di aiutarti.- asserì con un dolce sorriso. Si avvicinò di un passo.
-Attento a ciò che fai, Belial. Ho ancora la forza per spezzarti le gambe.-
-Non ne dubito, ma non lo farai.-
-Hai ragione.-
Belial ebbe appena il tempo per capire, per avvertire il pericolo. Non si voltò, non cercò di reagire perché il suo ultimo gesto si rivolse a Castiel: tese una mano verso il fratello, un’ultima richiesta di tornare indietro, di redimersi. Poi, la lama angelica sbucò dal petto di Belial, facendogli sbarrare gli occhi in un’espressione stupita. La mano tesa si accasciò, il braccio perse la forza e un unico rivolo di sangue segnò la pelle del suo volto, fuoriuscendo dalle labbra e scivolando lungo il mento.
Leitsac estrasse la lama mentre, sotto gli occhi di Castiel, l’angelo che in passato aveva ammirato, emulato fino alla sua caduta, crollava a terra nel fango e nella miseria della sua stessa morte agonizzante. Incrociò gli occhi di Belial, che lo fissava con una muta richiesta di aiuto, un briciolo di speranza per lui, che la speranza non l’aveva mai più avuta.
La mano si tese ancora, il braccio si levò dal fango. Belial tese il corpo verso l’ennesimo appello, un grido silenzioso all’anima di Castiel che dietro i suoi occhi si dibatteva alla vista di ciò che era sbagliato, ingiusto, violento.
Belial socchiuse gli occhi brucianti di lacrime. Piangeva per Castiel, per ciò che gli stava accadendo. Non era giusto, non doveva andare così.
Quel pianto sommesso di vittima innocente, sarebbe stato soltanto il primo di una lunga serie. Castiel avrebbe ricordato quel momento, l’avrebbe portato sulla coscienza come un peso inestimabile che poco a poco lo schiacciava, trascinandolo verso la dannazione. Non lo meritava, eppure quel sangue era lì, a sporcargli la vista, l’anima, il cuore. Ce l’aveva ancora un cuore, da qualche parte? Ricordava cosa significasse averlo?
-Ti prego…- singhiozzò Belial, disperato.
Lui moriva, e piangeva per qualcun altro.
Lui moriva, e soffriva per quelle ali non sue, non ancora spezzate, ma che l’avrebbero fatto presto.
Lui moriva, e pregava Dio di proteggere Castiel, di aiutarlo.
Si accasciò al suolo, sotto gli occhi socchiusi di Castiel. Le sue mani tremavano mentre Leitsac si avvicinava all’arcangelo gentile, la cui ritrovata innocenza l’aveva infine condotto alla morte. Levò il pugnale per calare il colpo di grazia, un riflesso di follia nei suoi occhi così simili a quelli di Castiel, ma una mano arrestò l’arco luminoso della lama.
-Che diavolo fai?- ringhiò Leitsac, guardando Castiel, che tuttavia fissava Belial, immobile in un lago di sangue, gli occhi socchiusi, il corpo tremante.
-Lascialo qui.-
-Cosa?-
-Lascialo qui. Era mio fratello, glielo devo.-
-Tu non gli devi niente, Cast…-
La mano di Castiel torse il polso di Leitsac. Lo schianto secco del polso spezzato si propagò nell’aria, facendolo urlare e infine sparire con un battito d’ali melmose. Castiel piegò le ginocchia, accostandosi al corpo tremante, spezzato di Belial. Osservò la sua bellezza, che tanto aveva ammirato, l’ombra delle ali che poco a poco si incideva sulla terra come simbolo definitivo di trapasso.
Aveva amato tutto questo, aveva amato quegli occhi. Belial era suo fratello, la piccola gemma di preziosa innocenza che aveva guidato le sue azioni in passato. Credere nel giusto, e poi ricadere nell’errore. La storia degli angeli era questa, segnata nella storia come una ruota che gira senza mai fermarsi.
Belial meritava di essere ricordato per il suo buon cuore, per i suoi occhi che anche in passato avevano osservato, giudicato, amato. Sarebbe morto lì, con le ali spezzate e lo sguardo vitreo che ricordava una fine orribile e una vita vissuta a metà. Sarebbe morto, e nessuno ricordava quei momenti.
Castiel posò una mano sulla guancia di Belial e incontrò il suo sguardo supplicante, di pietà. Fu questo a renderlo migliore, superiore all’angelo che al contrario stava in piedi sopra di lui. La pietà, la carità per chi era stato cieco e avrebbe continuato ad esserlo.
-Hai… veramente dimenticato la luce, Castiel? Hai veramente… perso te stesso? questo… questo non sei tu.- mormorò Belial, tossendo pietosamente. Castiel inspirò a fondo mentre il suo animo si dibatteva ansioso, frustrato dalle tenebre che lo imprigionavano. Voleva venire fuori, urlare perdono, morire al posto di un fratello innocente che non meritava la fine.
Castiel sentì una goccia di pioggia farsi bollente sul viso. Si toccò la guancia e guardò quella piccola lacrima insignificante, fragile più del vetro, ma che pareva pesare troppo per uno come lui che il peso non riusciva a sopportarlo. Quella gocciolina, così diversa dai frammenti liquidi che gli scivolavano sulla pelle, gli ricordò che c’era ancora qualcosa di buono al mondo. Qualcosa di buono in lui.
Si è perduti solo quando si è convinti di esserlo.
“Cass.”
Castiel trasalì quando una voce gli riempì la mente. Si guardò intorno, confuso, ma non vide il proprietario di quella voce. Non lo vedeva… eppure era lì, nel suo cuore, Castiel lo sentiva. Lo sentiva di nuovo.
“Cass, non so se ci sei ma… cazzo, mi sento così stupido a pregare adesso…”
Una preghiera. Qualcuno stava pregando per lui, qualcuno provava pietà e chiedeva supporto alle sue ali, che non avevano più nulla di angelico, nulla di divino. Lui non era più niente, eppure qualcuno, come l’arcangelo disteso morente ai suoi piedi, credeva in lui.
“Ti prego, ascoltami. Ovunque tu sia, ovunque ti abbia portato quello stupido, irresponsabile culo piumato, ascoltami. Ho bisogno della tua attenzione, ti prego.”
Castiel chiuse gli occhi e non si accorse di aver fatto scivolare la mano in quella di Belial. Si confortavano a vicenda, vittima ed aguzzino, chiedendo il calore e la frescura di due corpi diversi in diverse condizioni. Belial sbatté le palpebre, guardando con dolcezza quelle dita intrecciate, quel segno di umanità ricordata e ritrovata.
“Io… ho bisogno di te. Tutti abbiamo bisogno di te. Ricordo la prima volta che ti vidi, sai? Allora non credevo fossi così indispensabile, così necessario per noi, ma mi sbagliavo. Tu non ci hai mai dimenticati, ci sei sempre stato e ci hai salvato la vita quando ritenevi necessario intervenire. Sei stato il nostro angelo sulla spalla, mio e di Sam, e ancora adesso mi chiedo se tu non ci abbia aiutati già in passato.”
Qualcuno rideva a bassa voce, un suono imbarazzato che fece palpitare il cuore ormai gelido di Castiel. Lo sentiva, sentiva qualcosa muoversi, sussurrargli la pietà che era in dovere di concedere a colui che, prostrato nel fango e nel sangue non meritava la dannazione.
“Stupido, no? Sono qui, che parlo al nulla e prego per te, pur sapendo che forse non puoi più sentirmi. Eppure… non ce la faccio, Cass. Non riesco a lasciarti andare, a voltarti le spalle e a credere che sia finita. Ho avuto fiducia in te quando tutti credevano che ci avevi voltato le spalle, ho creduto in te quando ti vedevo fare a pezzi il paradiso e io… io non avevo paura di morire, perché tu c’eri. Sei sempre stato lì, con le tue ali e quel viso che non mi ha mai destato reale diffidenza. Ancora adesso, mi fido di te. So che tornerai, so che non ci hai voltato le spalle. Ti affiderei la mia stessa vita, anche adesso che le tue ali sono nere, perciò… non mollare, Cass. Tu hai conosciuto la luce, sai meglio di tutti noi che significhi sacrificarsi e perdonare. Cazzo, me l’hai insegnato tu, il perdono. Non crollare proprio ora… sappi che sono qui, ovunque andrai, qualunque cosa deciderai… sono sempre stato qui.”
Castiel riaprì gli occhi, guardò il sangue di Belial, il marchio del suo peccato. Saper perdonare, donare una possibilità a chi la supplicava. Era giusto lacerare una vita in questo modo? Era giusto voltare le spalle, chiudere gli occhi e ignorare?
-C…astiel…- mormorò Belial con le ultime forze rimaste. Sorrise dolcemente, ascoltando gli ultimi battiti del suo cuore, del cuore del suo tramite. Avrebbe voluto vivere di più, imparare di più e avere più tempo per capire. Si sentiva un bambino, un cucciolo che implora il mondo di non lasciarlo andare.
Dove vanno gli angeli quando muoiono? Semplicemente, scompaiono, restano al buio. Per loro, il sipario si cala una volta sola, e non c’è modo per tornare indietro. Belial lo sapeva, lo capiva, eppure non riusciva a non provare paura.
Il suo corpo spezzato valeva molto meno di tutte le parole non dette che gli appesantivano il cuore, stretto in una morsa di gelido ghiaccio. Avrebbe voluto parlare con Balthazar, sedersi su un prato, sotto il sole o all’ombra della pioggia e ridere insieme a lui, stringergli la mano, sentire il calore della sua pelle. Era quella, la vita.
Aveva ascoltato i respiri del mondo, accarezzato la delicatezza di foglie appena nate, ma non aveva vissuto abbastanza. Era questo, il suo vero peccato. Pensare troppo alle sue colpe, affidarsi al loro peso e dimenticarsi che si poteva essere più leggeri semplicemente perdonando se stessi. Belial non si era mai perdonato, non aveva mai vissuto, e adesso moriva. Forse, la realtà era che non era mai veramente nato. Respirare non significava vivere, ma semplicemente abbandonarsi al silenzio dell’oblio.
Non gliel’aveva detto. Non gli aveva detto quello che provava.
Una lacrima scivolò lungo la guancia, sul naso e cadde nel sangue sotto di lui, il suo sangue. Sangue sporco, sangue innocente. Ormai, in punto di morte, non aveva importanza.
Aveva paura.
Belial chiuse gli occhi, aggrappandosi con le ultime forze a quell’unico appiglio di realtà che racchiudeva la stretta di una mano sulla sua. Pensò a Balthazar, al suo amico… al suo amore. Aveva amato, e se ne ricordava soltanto adesso, quando quell’amore moriva insieme a lui.
Emise un ultimo, gelido respiro mentre, poco a poco, intorno a lui la pioggia cadeva come lacrime di cielo, corrodendo il mondo in un ticchettio costante che non riuscì a pulire la terra fertile, macchiata di scuro sangue innocente.
 
Angolo dell’autrice:
uff, uff… ok, ci sono… ehm, sono in ritardo? Chiedo perdono, ma la preparazione agli esami mi sta uccidendo, abbiate pazienza… e QUALCUNO aveva trasformato la mia camera in una sala di gioco d’azzardo.
Gabe: non guardare me, io sono responsabile solo dell’averti convertito la cucina in serra di piante carnivore.
Eh? Ah, ecco perché sentivo Dean gridare che una pianta gli stava sbranando un femore… non è che Castiel se la prenderà, vero?
Gab: nah, che se ne fa di un femore? L’importante è che abbia ancora il soldatino, del resto chi se ne frega?
Il sold… GABRIEL!!!
Gab: che c’è? Tu come lo chiami? Mi hai detto di non essere volgare!
Coff coff, torniamo a noi. Dunque, mi inchino per scusarmi con i miei angioletti recensori che non potrò ringraziare individualmente, considerato che purtroppo gli esami mi stringono un cappio al collo, ma farò il possibile per aggiornare regolarmente. Grazie a voi che avete recensito con tanta pazienza e che, lo ripeto, aiutate il continuo sviluppo dei capitoli. Grazie! Grazie mille!!!

Tomi Dark Angel
 
 
 

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Capitolo 24
*** Patto Alla Luce Del Sole ***


Sono morto?
Belial si mosse lentamente, riprendendo poco a poco coscienza. Sentiva qualcosa di caldo e morbido avvolgerlo come in una delicata coperta e un profumo meraviglioso, che sapeva di casa e familiarità rilassargli le membra. C’era silenzio, c’era pace. Se quello era l’oblio, allora non era poi così male morire.
Mugolò dolcemente, affondando il viso contro quella morbidezza solida. Il basso suono di un respiro gli fece lentamente riprendere coscienza e contatto con la realtà, come se un piccolo pezzo di se stesso andasse a posto, ricomponendo un unico puzzle di consapevolezza. Conosceva quel profumo. Conosceva quel tepore e quel respiro calmo, pacifico anche durante le battaglie più sanguinose. Conosceva quel benessere.
Belial mosse lentamente le dita, accarezzando quella che capì essere pelle liscia, nervosa di muscoli accennati da soldato. Spostò poco a poco il braccio, accarezzando quel petto, facendo scivolare la mano fino al fianco, dove si fermò per saggiarne la consistenza. Infine, riaprì gli occhi.
Incontrò il viso di Balthazar, vicinissimo al suo. Dormiva, o quantomeno, riposava, visto che gli angeli non dormono mai totalmente come gli esseri umani. Aveva gli occhi chiusi e il volto rilassato come non l’aveva mai visto. Lo stringeva tra le braccia, le ali snudate per ripiegarsi sopra e sotto i loro corpi in una gigantesca, magnifica coperta che li abbracciava in una gabbia protettiva, gentile di piume morbide più della seta che profumavano di vento e vaniglia.
Belial non si mosse, non ebbe il coraggio di spezzare quel momento di pace. Balthazar non si era mai concesso liberamente una cosa del genere, non aveva mai voluto stringerlo in quel modo, come se fosse qualcosa di immensamente prezioso e fragile. Lo abbracciava dolcemente, mettendo da parte il soldato, soffocando il gelido angelo dagli occhi di ghiaccio. All’improvviso, Balthazar aveva abbandonato ogni rigidità per sostituirla a un viso dolce, angelico, che tuttavia sapeva di umana carità gentile. Quello era il suo Balthazar, quello era l’angelo che aveva conosciuto. Sotto lo strato di freddezza plateale, Balthazar aveva un cuore immenso del quale tuttavia pareva vergognarsi.
Belial credeva che non l’avrebbe mai più rivisto, e invece eccolo lì, sotto i suoi occhi, le sue dita. Era reale, era il suo Balthazar…
Lentamente, Belial tornò a nascondere il viso contro il petto di Balthazar, come un cucciolo spaventato che si fa piccolo all’ombra del padre protettivo. Non voleva essere la Stella del Mattino, in quel momento. Voleva essere un normalissimo angelo, un pari di Balthazar, del suo Balthazar, dell’ultimo pensiero che aveva occupato la sua mente quando credere di essere a un passo dalla morte. Che male c’era nel voler bene a un amico? Amico… be’, forse non era proprio un amico.
Belial ripensò a cosa avrebbe voluto dirgli, quando era in punto di morte. Non si era mai preoccupato di pensarci, di prendere in considerazione l’idea… l’idea di amarlo. Non ci aveva mai pensato, eppure quel pensiero era così naturale, così bello da apparire una semplice fantasia. Immaginarsi al fianco di Balthazar, immaginare di chiudere gli occhi ogni notte cullato da quel profumo e dall’abbraccio di quelle ali; era quello il vero paradiso. Sentirsi consolato, accarezzato, baciato. Non gli era mai successo di provare quelle cose per qualcuno che non fosse Dio stesso, ma adesso Balthazar era lì con lui e ogni cosa sembrava possibile.
Ogni cosa… tranne una.
Balthazar non lo avrebbe mai accettato. Sarebbe andato via, l’avrebbe lasciato solo come avevano già fatto gli altri angeli prima di lui. Dopotutto, Belial era pur sempre un traditore, il Diavolo, e questo nessuno di loro l’avrebbe mai dimenticato. Era una macchia nera, oscura come la notte che riposa, in attesa che l’alba cali per ricomparire una volta per tutte. Balthazar era puro, Belial no.
Questo muro era invalicabile.
-Non dirmi che hai la febbre.- disse una voce beffarda. Belial sobbalzò e cercò di allontanarsi da Balthazar, ma questo lo trattenne, portando la Stella del Mattino a incrociare il suo sguardo.
Occhi cangianti di puro spettro di colori in occhi azzurrini, che richiamavano le profondità degli oceani e l’infinità del cielo. Balthazar lo guardava con un sorriso sghembo sulle labbra sottili, all’apparenza morbide come seta. Chissà se lo erano per davvero.
-Io… ah, io…-
-Hai perso la lingua?-
-No, perché mi chiedi se ho la febbre?-
-Perché stai tremando, Belial. E gli angeli di solito non tremano, devo preoccuparmi?-
Belial scosse il capo e abbassò gli occhi. A guardarlo in quel tenero atteggiamento, nessuno avrebbe mai potuto dire che quello era il Diavolo, colui che aveva portato il male in terra e nell’universo stesso. Belial era quanto di più fragile e bello esistesse al mondo.
Con un sospiro, Balthazar tornò ad abbracciarlo, appoggiando il mento tra i ricci biondo oro e chiudendo gli occhi. Sentire la consistenza di quel corpo tra le dita, sotto la pelle e sapere che quello stesso corpo respirava ancora, era meraviglioso. Quando aveva trovato Belial svenuto in un mare di sangue, Balthazar aveva creduto di impazzire. Quando poi aveva scoperto che la ferita era stata in qualche modo rimarginata, gli era sembrato di rinascere.
-Scusami.- mormorò Belial all’improvviso, accucciandosi contro di lui.
-Per cosa?-
-Per… per essermi quasi fatto uccidere.-
-È stato Castiel?-
-Leitsac. Credo che Castiel abbia rimarginato la ferita. C’è ancora una possibilità, Balthazar… possiamo ancora recuperarlo.-
-No.-
Belial si risollevò di scatto per guardarlo in faccia. Il viso di Balthazar era imperscrutabile, freddo, rigido.
-Come?-
-Mi hai sentito. Non possiamo recuperarlo, Belial, che tu lo accetti o no.-
Belial si alterò.
-Non puoi pensare che sia perduto per sempre!- urlò, sollevandosi sulle ginocchia. Anche Balthazar si raddrizzò, e solo allora Belial si accorse che le coperte lo coprivano dalla vita in giù. Probabilmente, era nudo.
-Non posso pensare che ti abbia quasi fatto ammazzare, Belial! Non posso pensare che tu non abbia reagito! Queste sono le cose che non posso pensare, maledizione! Potevi morire…-
-Non mi importava!-
Cadde il silenzio mentre l’espressione di Balthazar mutava, diventando poco a poco furiosa, intrisa di rabbia repressa. Con un movimento repentino, abbatté Belial e piantò le mani ai due lati del suo viso, sovrastandolo col suo corpo, coperto soltanto dalla vita in giù grazie alle coperte che gli stringevano i fianchi. Belial sentì un’ondata di calore attraversarlo mentre Balthazar accostava il viso al suo. Mai come in quel momento pareva un predatore, un felino pronto al balzo sulla preda… il problema però, era che la preda era proprio Belial.
-Davvero, Belial? Davvero ti interessa così poco di te stesso?- sibilò, a un centimetro dal suo viso. Belial fece il possibile per mantenere il controllo, per restare impassibile e distaccato davanti a quegli occhi terribili e bellissimi che lo giudicavano. Sopra di loro, le ali invadevano l’intera stanza in un mare di piume azzurrine, perlacee, blu cobalto, rilanciando dei riflessi come di mare e cielo sui due angeli. Belial non ebbe la forza di distogliere lo sguardo da quello magnetico di Balthazar per ammirarle.
-Vedi di cambiare idea, perché ho intenzione di impedirti altre sciocchezze simili, a costo di spezzarti le ali e le gambe, così non potrai più muoverti.-
Quelle parole fecero salire il sangue al cervello di Belial.
-Cosa? Ma insomma, la vuoi finire di atteggiarti a soldato della mia scorta personale? Non ho bisogno di protezione, se non mi sono difeso da Castiel è stato perché ho voluto che fosse così!-
-E allora scordati di prendere ancora decisioni di testa tua!-
-Non sei la mia balia, sei un mio pari! ‘fanculo all’essere angelo e arcangelo, non siamo così diversi, perché continui a importi queste barriere?!-
-Perché è sempre stato così! È colpa mia se sei quasi morto, non…-
-IO SONO SOPRAVVISSUTO GRAZIE A TE!!!-
Balthazar e Belial sbarrarono gli occhi simultaneamente. La Stella del Mattino avrebbe tanto voluto tagliarsi la lingua una volta per tutte, ma ormai era troppo tardi. Aveva appena distrutto l’ultimo residuo di speranza che gli lasciava credere in un rapporto normale con Balthazar. La rabbia l’aveva portato a compiere un passo falso, un errore, e adesso era tutto perduto, tutto a pezzi, lo leggeva nello sguardo interdetto dell’altro angelo. Belial non si arrischiò a parlare e, semplicemente, distolse lo sguardo.
-Cosa hai detto?- gracchiò Balthazar, ma Belial non rispose. Se solo l’angelo si fosse levato di torno, sarebbe scappato a gambe levate e tanti saluti a Castiel, Leitsac e al Cubo di Metatron.
-Belial.- sussurrò Balthazar, chinandosi ancora, fino a far sfiorare i loro nasi. –Cosa hai detto.-
-Niente, io…-
-Non tirarti indietro, ti ho fatto una domanda. Sii sincero.-
Belial si zittì di nuovo e voltò il capo dall’altra parte. Cercò di alzarsi, con l’unico risultato che Balthazar gli bloccò entrambi i polsi con una mano e aderì il petto al suo, mozzandogli il respiro in gola.
Sono fregato.
-Belial.-
E, udendo quel richiamo, Belial si lasciò andare. Sentì un’unica lacrima uscire dall’angolo dell’occhio e accarezzargli la pelle al pensiero di averlo perso, di essere rimasto solo. Balthazar l’avrebbe abbandonato, e lui… lui sarebbe sparito. Avrebbe perso le ali, adesso lo sapeva. Perché Balthazar era la sua anima gemella, la metà che inconsapevolmente aveva sempre protetto, amato.
Pensare a una vita senza di lui era pura sofferenza, e quella sofferenza lo trascinava giù, gli sottraeva consistenza e leggerezza alle ali. Poco a poco, Belial sentì mancargli l’aria, la libertà e quel piccolo pezzo che inconsapevolmente l’aveva sempre tenuto a galla.
-Quando ti conobbi…- mormorò con voce strozzata, quasi senza accorgersene. -… quando ti conobbi, io ero diverso. Non ricordavo più cosa significasse la vita, ma mi illudevo di saperlo, di potermi aggrappare a un ricordo per illudere me stesso che vita è quando si respira e basta. Credevo di saperlo, credevo… credevo di poter vivere anch’io. Ma la realtà è che non ho mai vissuto davvero. Guardavo sorgere l’alba e mi chiedevo cosa significasse quella luce, perché sorgesse e salutasse un giorno che per me, come per altre mere esistenze non valeva niente.-
Belial inspirò, ricordando quei giorni, quei momenti di pura delusione. Perché il giorno sorgeva su vite che in realtà vite non erano?
-Poi… poi però, sei arrivato tu. Lo ammetto, e l’hai intuito tu stesso: all’inizio ti salvai perché eri in possesso del Cubo di Metatron e io volevo sapere cosa fosse successo in paradiso. È stato così… credevo che sarebbe continuato ad essere così. Poi però, ti svegliasti e mi guardasti, e io… Dio, credo di non aver mai visto qualcuno che mi fissava come tu fissavi me. Eri come… sembravi quasi felice di vedermi, e questo non mi capitava da tanto tempo. Sorridevi, parlavi, mi trattavi come un tuo pari e io… ero felice.-
Belial voltò il capo, appoggiando la guancia bagnata di nuove lacrime sul cuscino. Sorrideva leggermente.
-Mi insegnasti cosa significa volare davvero, sentirsi leggeri e in grado di proteggere qualcuno. Mi sentii in grado di farlo, in grado di chiedere il perdono, se solo ne avessi avuto il coraggio. Eri tu il mio coraggio, la luce del giorno che sentivo sorgere anche al mio interno. Fu allora che capii: il giorno sorge per darci speranze, per delimitare il tempo di vite preziose e ricordare al mondo che il tempo può spendersi in un abbraccio o in un sorriso come il tuo. Il sole sorge per darci la luce, e io ne abusavo semplicemente avvalendomene e ignorando il suo benessere. Mi hai fatto scoprire la vita e me ne sono accorto solo quando la vita per poco non me la strappavano via.-
Lentamente, Balthazar gli lasciò andare i polsi e si raddrizzò. Belial si sollevò a sedere, gli occhi bassi e ancora grondanti di lacrime.
Si accorse di essere libero, e allora si preparò a sparire una volta per tutte. Un battito d’ali, uno scatto del corpo e sarebbe finito tutto… tutto…
Ma Balthazar lo fermò, cingendogli saldamente i fianchi con un braccio e spingendolo nuovamente in basso, sul materasso. I suoi occhi erano lucidi, dalla pupilla dilatata e Belial non capiva cosa gli stesse accadendo. Possibile che…
-Tu te ne vai quando lo dico io.- ringhiò Balthazar, a un soffio dalle sue labbra. Belial tremò. Non gli era mai capitato di sentirsi preda, di sentirsi sottomesso a qualcuno che non fosse semplicemente Dio stesso. Eppure adesso, davanti a quegli occhi di puro, gelido ghiaccio, Belial si sentì immobilizzare come una vittima prossima al sacrificio.
Qualcuno bussò alla porta, facendo trasalire entrambi. Balthazar si tirò indietro di scatto e Belial si alzò a sedere, cercando di darsi una sistemata. La porta si aprì ed entrò un vecchio, lo stesso che aveva assistito Gabriel alle Colonne di Ercole. Sembrava più anziano che mai con la lunga barba e gli occhi ciechi fissi sul nulla della loro vacuità.
-Ciao, Metatron.- salutò Balthazar con malcelato fastidio nella voce. Metatron voltò verso di lui il capo, continuando tuttavia a fissare un punto indefinito della stanza. Entrò e si sedette sul bordo del letto, rivolgendo il volto verso Belial.
-Come ti senti, fratello mio?- domandò dolcemente. Belial gli prese una mano, grato.
-Meglio, grazie a tutti voi. Non saprò mai come sdebitarmi.-
-Sono certo che troverai il modo. Figliolo, posso parlarti in privato?-
Automaticamente, Balthazar scese dal letto, portandosi dietro il lenzuolo ancora avvolto in vita: si allontanò senza una parola, le ali luccicanti e le spalle larghe che Belial fissò a lungo finché non furono sparite.
-Cosa volevi dirmi?-
§§§§
Castiel camminò lentamente, con passo moderato, mentre intorno a lui Leitsac finiva di atterrare gli angeli rimasti. Come d’accordo, non li uccideva, ma si limitava a stordirli abbastanza per far sì che non si rialzassero. Castiel non sapeva perché avesse stretto questo accordo, né capiva cosa ci facesse lì, in paradiso, troneggiante su un mare di corpi svenuti, dalle ali lacerate e i corpi sanguinanti. Erano stati spazzati via uno dopo l’altro, senza possibilità di appello. Era bastato un cenno della mano, e come la prima volta, Leitsac li aveva scaraventati lontano e infine schiacciati a terra, prostrati da una potenza imbattibile, ineguagliabile.
Castiel non era riuscito a guardarli negli occhi. Si sentiva sporco, sbagliato… malvagio. Era una luna in piena eclissi, una terribile macchia che in paradiso non avrebbe neanche dovuto rimetterci piede. Eppure era tornato, e calcava quei pavimenti a testa alta, lo sguardo fisso e lontano dalle sue colpe mentre i Behemah si accasciavano e gli angeli soffocavano nel potere sovrastante di Leitsac. Castiel li vedeva accasciarsi, supplicare, implorare perdono… ma il perdono non esisteva più, non per Castiel. Era stata la debolezza del perdono a ridurlo così, era stata la debolezza dell’essere più umano degli altri a condurlo alla distruzione. E adesso non restava nulla, niente che lo aiutasse a riconoscersi.
Solo un traditore. Solo un pezzo di carne svuotata dell’anima che per lungo tempo si era illusa di possedere. Non esisteva la luce. Non esisteva l’amore. C’era soltanto la rabbia, l’odio, e la soverchiante frustrazione di chi si sente abbandonato a se stesso.
Inganno! Slealtà! Sul viso hai i segni della malvagità!*
Castiel camminò, camminò a lungo. Evitò accuratamente le ali spalancate degli angeli svenuti, sbatté le sue quando doveva levarsi in volo per evitare i corpi. Infine, lo raggiunse. Luccicante, fatto di vetro, sorvegliato da ben dieci guardie armate fino ai denti. Ormai, con le mani mozzate, quelle armi non servivano più.
Castiel allungò le mani, sfondò la teca di diamante con un semplice tocco e strinse tra le dita sottili.
Inganno! Vergogna!
-Andiamocene!- esclamò Leitsac, guardandolo, ma Castiel non si mosse. Rimase immobile, fissando il baluginio tenue del Cubo. Era giusto, quello che stava facendo? Era giusto ribellarsi, spezzare le catene e ritorcerle contro chi gliele aveva inflitte?
Affronterai da solo il fato!
No. Non esisteva più una giustizia. Non esisteva più una parte da cui stare. Aveva sofferto troppo a lungo, inseguendo e soffrendo per un ideale che era andato in pezzi in brevi istanti. Aveva sentito il suo mondo schiantarsi, i nervi cedere e urlare pietà a un mondo che la pietà non l’aveva mai conosciuta. Gli uomini si ammazzavano tutti i giorni, odiavano, e questi sentimenti parevano più importanti del bene che potevano compiere. Nessuno guardava a un uomo che porgeva la mano al suo prossimo, mentre tutti osservavano il volto di un assassino, quasi ossessionati da quegli occhi che apparivano umani, normali, ma nei quali albergava la violenza.
Devi andare, vivi e vai, ma il nostro perdono tu non lo avrai mai!
Castiel strinse forte il Cubo, osservò gli occhi spiritati dell’unica guardia rimasta sveglia. Si specchiò nel suo sguardo colmo di puro rancore, nell’orrore di una creatura che non aveva mai conosciuto il vero perdono. Castiel li aveva guidati, illudendosi che potessero essere purificati, ma la realtà era che gli angeli non erano poi così diversi dai demoni. Tutti arroganti, tutti violenti contro gli altri e loro stessi.
Con un ultimo, definitivo sospiro, Castiel chiuse gli occhi e voltò il capo dall’altra parte.
Tu non sei come noi!!!
§§§§
Gabriel si prese la testa tra le mani, confuso. Chiuse gli occhi, cercando inutilmente di calmare il respiro, ma fu inutile. Castiel. Il suo Cassie, suo fratello… aveva rubato il Cubo di Metatron e si stava preparando alla guerra al fianco di Leitsac. Era senza controllo, era… era diverso dal suo Castiel.
La sua innocenza era rimasta soffocata, schiacciata dal dolore patito. Poco a poco, l’arcangelo più gentile del paradiso era andato in pezzi, e adesso toccava al paradiso stesso cadere. Non c’erano vie di mezzo, non c’era via di fuga dall’incubo che lentamente li abbracciava in una morsa letale. Castiel non si sarebbe fermato, e adesso che aveva in mano il Cubo, la guerra era dichiarata. Ogni scusante era crollata di schianto davanti al tradimento, alla vergogna della rabbia che aveva accecato gli occhi solitamente limpidi di Castiel.
Era rimasto qualcosa, di quegli occhi?
Era rimasto qualcosa, di quel cuore?
Era rimasto qualcosa di lui?
Non gli sono stato abbastanza vicino… dovevo proteggerlo.
Gabriel scrollò il capo, frustrato, mentre gli occhi socchiusi di dolore si riempivano di lacrime pesanti, abbattute. Non ce l’avrebbe fatta ad abbatterlo, non poteva combattere contro le sue stesse maledette colpe. Castiel era caduto a causa sua, della sua assenza.
L’avevano lasciato da solo.
Una mano comparve dal nulla, coprendo le sue, intrecciate tra loro. Gabriel levò timidamente lo sguardo e vide Sam inginocchiato davanti a lui, al centro della stanza di Bobby, trasportata alle Colonne d’Ercole insieme a tutta la casa. Il cacciatore lo guardava con gentilezza mista a pietà per il dolore che il suo angelo era costretto a provare.
Abbassò gli occhi.
-Quando seppi di essere il tramite di Lucifero…- mormorò. -… pensai di aver tradito tutti, soprattutto mio fratello. Ero io quello sbagliato, l’errore, l’abominio che aveva contribuito soltanto a far danno. Piangevo. Piangevo, e non sai quanto, ma Dean non mi vedeva mai perché era troppo occupato a pensare alla guerra, a combattere i demoni, cercando di dimenticare che il vero demone ero io. Poi, alla fine… mi ha guardato.-
Sam sorrise dolcemente, mentre una piccola lacrima di cristallo gli sgorgava dagli occhi e cadeva a infrangersi sulle loro mani intrecciate.
-Mi ha guardato, e lentamente ho visto il suo sguardo mutare: non aveva paura di me, non ne aveva mai avuta… lui era fiero. Fiero di ciò che facevo, fiero della mia scelta di combattere. È stato allora che ho capito qual’era il mio posto e quanto fosse giusta la mia decisione di metter fine all’apocalisse. Avrei sacrificato me stesso, ma sapevo di volerlo fare per Dean, per Bobby, per Cass… per tutti noi. Non si vive solo di scelte errate, Gabriel. A volte sbagliamo strada e ogni cosa ci sembra nera. Non vediamo più il traguardo, dimentichiamo che alla fine, cambiando via, possiamo ritrovare la luce e qualcuno disposto a tenderci la mano. Ho visto della grandezza in Castiel, e ancora adesso la vedo, ma soprattutto … ho visto la grandezza in te. Conosci la tua via, la conosciamo tutti. Tu non sei bravo a uccidere, ma puoi perdonare e aiutare chi odia a perdonare se stesso. Sei nato per questo, perciò dimostra al mondo cosa sai fare. Conosci la tua via, Gabriel… ora, seguila.-
Gabriel levò lentamente lo sguardo. Alle spalle di Sam, accucciati sul divano, stavano Samael e Mary, entrambi con gli occhi socchiusi, entrambi stretti in un abbraccio che sapeva di paura, di solitudine e affetto reciproco. Poco lontano, Bobby frugava tra i libri con la solita birra posata in mezzo ai tomi mentre Balthazar, con indosso solo dei jeans scuri, fissava di tanto in tanto la porta della stanza dove Belial e Metatron parlavano a bassa voce. E poi c’era Dean. Anche lui ricoperto di libri, anche lui concentrato su una strada da seguire. Non si era arreso, non l’avrebbe mai fatto.
Erano tutte vite, tutte esistenze aggrappate a qualcosa per andare avanti, per non arrendersi. Ognuno di loro cercava una via, una piccola scintilla di luce, senza rassegnarsi mai. Si ancoravano alla consapevolezza che c’era del buono da qualche parte, che Castiel poteva essere salvato. Ci credevano davvero. Forse, per Gabriel era giusto cominciare a crederci a sua volta.
L’ho abbandonato… ma posso sempre ritrovarlo.
Guardò Sam e sorrise, chinando il capo in modo che le loro fronti combaciassero. Chiuse gli occhi, inspirando forte il profumo del suo umano, la sua forza, il suo coraggio. Pregò affinché quella stessa grandezza lo aiutassero anche stavolta.
-Grazie.- mormorò, grato. Non si accorse che tutti si voltavano a guardarli, non si accorse di avere diverse paia di occhi puntate addosso. Semplicemente, si affidò al suono del campanellino di Sam, al suo calore e come un’ape attratta al miele, così le labbra di Gabriel trovarono quelle del cacciatore in un bacio sereno, grato.
Le lingue si intrecciarono, le mani di Sam si aggrapparono alla sua nuca per tirarlo più vicino. Gabriel posò le mani sui suoi fianchi e inclinò il capo per agevolare il tocco morbido di quelle labbra dolci, che l’arcangelo non avrebbe mai abbandonato.
Sam era la sua acqua, quel pezzettino di grandezza che gli permetteva di andare avanti e lottare fino alla fine. Era stato così fin dall’inizio, ma entrambi ci avevano messo troppo a capirlo, e adesso si trovavano ai confini di una guerra che minacciava di spezzare le ali a Gabriel e il collo a Sam. Era una possibilità che non poteva essere ignorata, ma l’arcangelo seppe, senza ombra di dubbio, che qualunque fosse stato l’esito della battaglia, l’anima di Sam era destinata al paradiso. Questo gli bastava.
Dean tossì rumorosamente, spezzando l’incanto del momento. Sam lo guardò con aria di scuse, arrossendo leggermente, ma suo fratello non sembrava arrabbiato. Si limitò ad annuire con uno sguardo triste negli occhi: tutti sapevano che stava pensando a Castiel, e questo fece andare il sangue al cervello di Gabriel.
Avrebbe riportato quello stupido culo piumato dove doveva stare. Non poteva abbandonare quel ragazzo, non poteva spezzarlo così e sperare di passarla liscia. Gabriel si alzò in piedi proprio mentre Belial e Metatron entravano nella stanza.
I due arcangeli si fissarono, ma c’era qualcosa di nuovo negli occhi della Stella del Mattino. Gabriel tremò, riconoscendo l’antica regalità di Lucifero, la fierezza regale del suo portamento. Camminava a testa alta, con un leggero sorriso sulle labbra e quegli occhi antichi che parevano trapassare ogni cosa soltanto per abbracciarne l’essenza, il colore, l’anima. Quelli parevano gli occhi di Dio, quello era l’angelo sulla sua spalla. Quello era Lucifero.
Con calma, Belial attraversò la stanza e si fermò davanti a Gabriel proprio mentre Sam si scansava.
-Puoi guidare le armate angeliche, Gabriel?- domandò Belial con voce profonda e grave, ben lontana dal suo solito timbro dolce e quasi giocoso. Gabriel non distolse lo sguardo, ma lo sostenne faticosamente, con rigida fierezza.
-Sì.-
-Puoi proteggere i nostri fratelli?-
-Posso provarci quanto basta.-
Belial sorrise e annuì. –Così sia.- disse, tendendogli una mano. Gabriel tese la sua, e i due si scambiarono una stretta tra arcangeli, un patto che sapeva di silenzioso accordo reciproco. Era un evento epico, che due arcangeli si fronteggiassero in quel modo e stringessero accordi ufficialmente, dinanzi ad altre persone.
Accadde con semplicità, nell’istante in cui Metatron stendeva una mano verso la finestra e diradava le tenebre che avevano abbracciato per secoli le Colonne d’Ercole.
-È ora di svegliarsi, figli miei. Che le tenebre cedano!-
La luce piovve come una cascata d’oro e rubino sulle colonne di marmo, sulla strada lastricata che conduceva ad esse, finché sotto di loro non comparve una distesa d’acqua pura, limpida e ricoperta da ninfee bianche, rosa e azzurre. Sotto la superficie di vetro dell’acqua, si intravedevano strane creature nuotare serene, mentre dal cielo proveniva un unico grande rumore di stormo in avvicinamento. Un grosso gruppo di uccelli identici a Lunaria scese in picchiata dal cielo, le piume che riflettevano uno specchio di riflessi cangianti d’aurora boreale che poco a poco si dipinse sulle loro teste, come un quadro che ad ogni pennellata si fa più grande, più nitido e colorato.
Le Colonne d’Ercole non facevano parte di un orribile limbo, come avevano creduto tutti. No, quello era un bellissimo paradiso, un angolo di serenità che per la prima volta dopo secoli di sofferenze da parte degli angeli imprigionati, ritrovava la sua vera luce.
Per quanto pesasse il sangue versato, non era tardi per lavarlo via.
Lunaria si staccò dallo stormo di uccelli ed entrò in picchiata dalla finestra, seguita da un lucente raggio di sole che piovve dritto sui corpi fieri di Gabriel e Belial. L’uccello si posò sulla spalla della Stella del Mattino, che mai come in quel momento splendeva come un astro luminoso, che salutava il vespro e l’alba di un giorno che nasceva e moriva.
Molti narrano della bellezza degli angeli, molti ne elevano le lodi, ma nessuna parola vide espressa la meraviglia di due creature divine, padrone della luce e pronte a combattere l’oscurità.
-Và.- mormorò Gabriel, liberando la mano dalla stretta di Belial. –Falli uscire di lì, e vedi di convincerli a fare i bravi, dolcezza.-
Belial sorrise e annuì. Fu allora che Balthazar si fece avanti, leggermente timoroso ma anch’egli a testa alta, come un leone in presenza di un suo pari. Belial lo guardò, riflettendo negli occhi uno spettro di luci ipnotiche.
-Avevi detto che non volevi essere trattato come un superiore.- disse Balthazar, stringendo dolcemente il bicipite di Belial. –Avevi detto che volevi essere uno di noi.-
Belial annuì, coprendo la mano di Balthazar con la sua. Chiuse gli occhi, beandosi del calore di quel contatto, di quel profumo, di quella presenza solida che amava con tutto se stesso.
Era quello il motivo per cui lottare, era quella la vita che Belial riteneva preziosa come l’oro più lucente. Balthazar era il suo scudo, la sua speranza per andare avanti. Gli aveva restituito un domani, e ormai era tempo di ricambiare.
-Allora sii uno di noi, Belial… Lucifero. Riporta il tuo nome all’antico splendore e cammina a testa alta. Sii l’angelo che eri, ma sappi che comunque andrà… ti aspetterò.-
A sorpresa e sotto gli occhi di tutti, Balthazar appoggiò entrambe le mani sulle guance di Belial e si chinò, sfiorandogli le labbra con le proprie. Fu un semplice contatto, un tocco timido, leggero, quasi timoroso, ma che parlava di tante, forse troppe cose non dette. Balthazar sperò che Belial capisse, che comprendesse l’entità di quel bacio prima che fosse tropo tardi… prima che tutto andasse in pezzi.
Belial rimase immobile, troppo stupito per muoversi, e quando Balthazar si tirò indietro, gli accarezzò la pelle e gli baciò la fronte.
-Và. In nome di tutti noi, Lucifero… va. Tira fuori Michael e l’altro Lucifero dalla Gabbia.-
 

Inganno! Slealtà! Sul viso hai i segni della malvagità!*: pezzi della canzone “tu non sei come noi” tratta da “Il re leone 2”.

 Angolo dell’autrice:
E ora ci sarà da divertirsi. Ohohohohoh!!! Un guaio dopo l’altro! Bravo Castiel, peggioriamo la situazione!
Castiel: ma l’hai scritto tu il copione e… perché mi guardate tutti così?
Dean: ti lascio. Giuro che ti lascio, come hai potuto?!
Cas: ma Dean…
Dean: ERA IL MIO SANDWITCH, FOTTUTISSIMO CULO PIUMATO!!!
Tutti: sandwitch?
Dean: be’? per cosa dovevo incazzarmi, altrimenti?
Gabe: tipo perché Cassie ha quasi fatto a pezzi il paradiso e se la spassa in giro con Leitsac?
Cass: cosa? Ma è un copione, io seguo solo gli ordini! L’autrice ha sequestrato tutti i dvd contenenti quegli strani video sulla baby-sitter e il pizzaiolo…
Tutti: O_________________o
Cass: che c’è? Era una storia appassionante! E poi perché sul copione è scritto che nel prossimo capitolo avrò gli abiti simili a quelli di Leitsac?
Esigenze di copione, le lettrici vogliono più sex-appeal. E poi, Dean mi ha pagato.
Tutti: ma tu domani non hai un esame?
Be’?
Gab: be’ fa la pecora.
Penso alle priorità, e ora torna a finire la mia tesina, che ti ho pagato per questo!

kimi o aishiteru: dai, piano piano rimetterò tutte le coppie al loro posto… o almeno, ci spero. Suvvia, Leitsac è una vittima come tutti, anche se… no, quella tanica di benzina non l’ho comprata io e no, quello non è Leitsac legato a un palo addetto ai roghi di streghe… eheh, scommettiamo che riesco a farti cambiare idea su Belial? Dagli un attimo, e vedi il ragazzo come si sveglia! Diamine, è pur sempre Lucifero, anche se adesso, di Lucifero ce ne saranno due… dio mio, non so come farò a gestirli tutti, è un’impresa titanica. Al momento Castiel è un po’ instabile, ma credo che Dean saprà come farlo rinsavire… no, Dean, posa quell’olio santo. ADESSO. In ogni caso, ti ringrazio sentitamente per i bellissimi commenti che lasci e ancora una volta mi scuso per non aver risposto ai precedenti. Ah, e un saluto anche alla tua bellissima, traumatizzatissima sorella per la quale mi sento ancora in colpa XD a presto!
xena89: Castiel è un pazzo, lo sanno tutti. Chi accidenti manderebbe a quel paese uno come Dean, quando c’è una fila di ragazze e ragazzi che venderebbero l’anima a Crowley per essere al suo posto? Da qui si capisce quanto sia fuori di testa l’arcangelo in questione. Sì, Belial è un po’ sfigato, ma saprà come riprendersi. Dopotutto, lo aspetta un gran bel confronto con la sua controparte pazza, io stessa ho paura di scrivere quella scena XD in ogni caso, grazie mille per la recensione e no, non smetterò di scrivere soprattutto grazie ad angioletti recensori come te! Grazie!
HowlingFang: ehehehehe, in quanto a sadismo, non ho ancora trovato qualcuno più cattivo di me XD qui c’è gente che chiede un aumento per continuare a far parte della mia storia, ma che ci posso fare? Sono esigenze di copione, qualche pena i nostri amici la dovranno pur soffrire (qualche? QUALCHE?! Nd Gabriel). Riprenditi, si avvicina la tua scena preferita con Lucifero che grida GOOD MORNING VIETNAM!!! Non l’ho mica dimenticato, sai? Ho il pc pieno di post-it! Suvvia, Belial è vicino a capire cosa prova veramente per Balthazar, nonostante si faccia ancora delle domande dopo che il nostro biondino l’ha pure baciato davanti a tutti! BELIAL, SVEGLIA!!! Grazie per la recensione, a prestissimo, angioletto recensore!
Sherlocked: no, cambia la fase in: “UNA-COSA-E’-SCRITTA-IN-MODO-SADICO-QUANDO-GLI-ANGELI-CERCANO-DI-INCENDIARTI-IL-COPIONE-PUR-DI-NON-RECITARE (non era mia intenzione! Miravo a Crowley! Nd Gabriel)( Crowley si trovava dall’altra parte del mondo, imbecille!)(E tu come lo sai? Nd tutti)(mi ha mandato una cartolina di lui con addosso il gonnellino hawaiano e un paio di noci di cocco sul petto *mostra foto*)(I MIEI OCCHI!!! I MIEI OCCHI!!!! Nd tutti). Suvvia, non sono così cattiva, dopotutto, anche se un po’ massacrato, Belial è tornato, no? e ci metterà un secolo a capire perché Balthazar l’ha baciato, e di certo non lo dico perché il suddetto imbecille siede al mio fianco con la faccia sepolta dietro un libro intitolato: “il significato del bacio”. In effetti, intravedo altri libri di dubbia provenienza, e sono quasi certa che glieli abbia forniti Gabriel… povero Belial, non sa a cosa va in contro. Comunque, grazie mille per l’incoraggiamento, e grazie per la pazienza che porti alle mie mancate risposte ai commenti e a scrivere ogni volta una recensione bellissima. A presto, angioletto recensore!
Tomi Dark Angel

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Capitolo 25
*** La Stella Del Mattino ***


Belial sbatté furiosamente le ali, contrastando l’aria putrida che gli soffiava contro con tanta ferocia da graffiargli la pelle. Sentì il volto ricoprirsi di tagli, le ali appesantirsi dalla fatica e dal peso del vento che cercava di schiacciarle, ma non si fermò. Spalancò le ali, distendendo le piume al massimo delle loro possibilità. Un unico battito di sei possenti appendici alari smosse un vento profumato, feroce, che scombussolò l’inferno intero da capo a piedi, spazzando via i demoni.
Flap.
Le grida dei dannati si fecero più alte.
Flap.
I demoni caddero in ginocchio, coprendosi i volti feriti dalla luce, chiudendo gli occhi, riparandosi come bestie ferite all’ombra delle loro debolezze. La magnificenza di un angelo era troppa, quella di un arcangelo era accecante. Molti non sopravvissero e rimasero rovesciati nella loro stessa miseria, gli occhi sbarrati e consumati dalla luce che non erano più abituati a guardare.
Lunaria affiancò il suo arcangelo, i cui gelidi occhi giudiziosi posavano uno sguardo duro su ogni angolo dell’inferno. Occhi cangianti di luce e colori nuovi, rinati a nuova vita; occhi di arcangelo supremo, bellissimo, creatura di Dio stesso.
Il solo udire il fruscio musicale delle piume smosse dal vento feriva e faceva sanguinare le orecchie dei demoni, colpevoli di peccati innumerevoli, imperdonabili, troppo oscurati per poter guardare alla luce di Dio. Belial era la magnificenza, l’incarnato delle potenze dell’universo e dello stesso Padreterno.
Le ali di cristallo sbatterono come spiriti evanescenti, fieri di lucentezza di stella che irradiavano come stelle nate in un universo buio. Belial scivolò lentamente verso il basso, tra i cerchioni dell’inferno delimitati da corridoi putridi e catene che sollevavano a mezz’aria i condannati fatti a pezzi che gridavano pietà. Come in risposta alle preghiere più sincere, alcune catene caddero a pezzi, sbriciolandosi al solo sguardo luminescente di Belial, che guardò i dannati cadere nel vuoto, schiantarsi e rialzarsi lentamente.
Belial la sentiva, la presenza della sua metà perduta. Era lì, a poca distanza, tanto che l’arcangelo ne sentì quasi l’odore. Conosceva l’ubicazione della Gabbia perché gli era capitato di vedere con gli occhi della sua stessa metà… e anche di provare il suo stesso dolore.
Sentirsi rinchiuso, con le ali tarpate, come un uccellino privo di ogni libertà, era la punizione più orribile che un angelo poteva subire. Laggiù l’aria sapeva di stantio, di chiuso, di soffocamento. Belial la allontanò da sé con un faticoso sbattere d’ali, ma ogni cosa all’inferno aveva un peso e un prezzo, e poco a poco la sua forza cominciò a scemare.
Raggiunse la Gabbia dopo quella che parve un’eternità, e quando atterrò, Belial cadde in ginocchio. Si premette due dita sulle labbra schiuse e quando le ritirò vide che i polpastrelli erano coperti di sangue. Quel regno non apparteneva agli angeli. Lui era un intruso, una presenza estranea che, se troppo fastidiosa, sarebbe stata schiacciata dal proprietario del luogo.
Eppure, era cominciato tutto da lì…
-Ciao, Belial.-
§§§§
Sam intrecciò le dita tra loro e vi appoggiò il mento con calma calcolata, gli occhi socchiusi in un miscuglio di emozioni e domande silenziosi.
-Quindi vediamo se ho capito bene… Belial è un… insomma, è come Leitsac? È Lucifero, ma non lo è?- domandò Mary, esprimendo la domanda di tutti i presenti. Gabriel, seduto sul bracciolo del divano dove stava Sam, annuì lentamente. Bobby e Dean corrucciarono le sopracciglia, ancora più confusi, ma Sam aveva capito.
-E voi chiamate queste… questi doppioni, repliche.- riassunse a bassa voce con fare meditabondo. –Quindi sapevate dall’inizio che esistevano. La scoperta di Leitsac non è stata una sorpresa.-
Fu Samael a rispondere. –Sbagliato. È stata una sorpresa la sua esistenza, non la scoperta della sua specie. Insomma, pensavamo che un avvenimento del genere fosse un evento più unico che raro, ma a quanto pare non è così. Solo, non riusciamo a capire quando Belial si sia sdoppiato da Luc…-
-Durante il ritorno di Lucifero nella Gabbia.-
Tutti si voltarono verso Balthazar. L’angelo dava loro le spalle, le mani appoggiate al davanzale della finestra e lo sguardo rivolto verso l’esterno della casa, dove il sole tramontava lentamente, nascondendosi in lontananza, dietro la distesa d’acqua ricoperta di profumate ninfee galleggianti.
Il riflesso che la luce dava sulla superficie marina era uno spettro di diamanti che apparivano e sparivano di continuo, giocando come su una superficie di cristallo: questo gli ricordava le meravigliose ali di Belial.
Alle sue spalle, Gabriel sorrise. –Lo intuivo, cherì.- ammise, attirando su di sé lo sguardo di Sam.
-Davvero?-
-Davvero davvero.-
-Perché non ce l’hai detto prima, allora?-
-Perché non era rilevante, e poi la mia era solo un intuizione. Ho soltanto messo insieme i pezzi, pasticcino. Insomma, Belial dice di ricordare i massacri compiuti da Lucifero, al punto di ammettere di averli compiuti con le sue stesse mani, e sappiamo bene che Belial, così come lo conosciamo noi, non farebbe mai una cosa del genere. Ora, ricordando che il nostro fratellino ha avuto accesso al paradiso, cosa che a Lucifero non sarebbe stato permesso e che in tanti secoli che abbiamo calcato la superficie terrestre la presenza di Belial non ci è mai saltata all’occhio, ci resta una sola soluzione da considerare: Belial si è staccato da Lucifero più tardi, prima che cadesse nella Gabbia. Per questo non ci è finito anche Belialuccio.-
Tutti guardarono Gabriel a bocca aperta, in totale silenzio. L’arcangelo si guardò intorno, leggermente allarmato.
-Che c’è?- domandò, interdetto.
-Da dove li cacci certi ragionamenti?- intervenne Dean.
-Boh, ci ho pensato mentre mangiavo i miei dolci. Saranno stati quelli a ispirarmi.-
-Non ha senso.-
-Non hai idea di quanto possa essere ispirante una caramella gommosa alle quattro del mattino.-
Sam corrucciò le sopracciglia.
-Gabriel, quando ti sei alzato alle quattro del mattino per mangiare dolci?-
-E chi si è alzato? Sono troppo pigro per farlo, pago Sindragosa per convincerla a portarmeli.-
-Come si paga un Behemah?- chiese Mary, curiosa.
-Sindragosa è tutta suo padre, ama i dolci anche lei.-
-Una volpe che ama i dolci?-
-Lo so, è una catastrofe, ma almeno so chi fa sparire le mie caramelle appena mi giro!-
Samael tossì rumorosamente con aria falsamente noncurante, ma Gabriel lo ignorò.
-Quindi… quindi Belial è una replica? Ma non nascono quando un angelo và all’inferno?- domandò Sam, confuso. Gabriel scosse il capo.
-Nascono quando la nostra Grazia diventa terribilmente instabile, al punto di scindere un pezzo talmente minuscolo che quasi non ce ne accorgiamo. Eppure, quel pezzettino prende forma, cresce e acquista forze. Belial rappresenta il vero aspetto di Lucifero ai tempi d’oro, e posso solo dedurre che, essendo Lucifero la causa della nascita dell’inferno e non essendone mai uscito, la nascita di Belial è dovuta al momento di massima confusione del nostro fratellino: ossia, mentre cadeva nella Gabbia per ritornare a casa.- rispose l’arcangelo, meditabondo. Come in cerca di una conferma, guardo Balthazar, che non si mosse per anteporre obiezioni. Gabriel dedusse di averci visto giusto.
Sam sussultò, rendendosi lentamente conto di ciò che quella rivelazione comportava.
-Sono… stato io a liberare Belial?- domandò lentamente, attirando su di sé gli occhi degli altri. Gabriel sorrise intenerito.
-Sì, dolcezza. Sei stato tu.- rispose dolcemente, stringendogli la mano e incrociando il suo sguardo. Sam sembrava in qualche modo in difficoltà, stordito da quella nuova notizia. Quante cose aveva cambiato, gettandosi nella Gabbia con Lucifero e Michael?
-Sei stato tu, e ci hai salvato tutti. O almeno, questo potrò dirlo se Belial riesce a recuperare Lucy e Micky e a convincerli a collaborare…-
-Ma io…-
Si udì un forte boato. La terra tremò sotto i loro piedi, facendogli quasi perdere l’equilibrio, tanto che Mary per poco non cadde dal divano e Samael dovette reggerla per impedirglielo. Bobby si aggrappò alla scrivania mentre una cascata di libri ricopriva il pavimento, spargendosi a macchia d’olio sui loro piedi e tutto intorno.
Gabriel cinse la vita di Sam con un braccio, guardandosi intorno allarmato. Bastò un’occhiata con Samael e Balthazar, un piccolo segnale appena percettibile.
Otto paia d’ali si spiegarono appena prima che la casa cedesse di schianto sulle loro teste, abbattendosi su di loro in un mare di ciottoli, pietra e detriti affilati che penetrarono nella carne delle ali, pesando impietosi su ossa e tendini.
Gabriel non gemette, non piegò nemmeno il busto, ma al contrario, utilizzò un paio d’ali per cingere Sam e stringerlo a sé per farsi forza. Cercava di fingersi tranquillo, ma la verità era che non era così.
Avvertiva la presenza di Leitsac da qualche parte, e se c’era Leitsac, c’era anche Castiel. Guardò Sam, incrociando i suoi occhi confusi, spaventati per la sorte degli altri, rimasti forse sepolti dal mare di detriti. C’era suo fratello, là sotto, ma Gabriel aveva paura per il suo umano, il suo Sam… il suo fragile compagno.
Castiel era lì, aveva fatto crollare la casa sulle loro teste, ma Gabriel aveva paura di affrontarlo. Non voleva ucciderlo, non voleva combattere… non era giusto. Chinò il capo e chiuse gli occhi.
 
-Sam! Dannazione!- esclamò Dean, guardandosi intorno, ma tutto ciò che vide fu un’immensa cupola di piume zaffiro, perla e acquamarina abbracciare l’ambiente. Balthazar tremò per il dolore dei detriti infissi nella carne e rischiò di crollare, ma Bobby lo sostenne appena prima che le ginocchia gli cedessero. Le ali scivolarono più in basso, creando un piccolo terremoto di detriti sopra le loro teste.
-Che palle, era casa mia!- si lamentò Bobby, ma Balthazar non reagì. Aveva il capo chino, le labbra schiuse in un leggero ansito di vita affannata e i muscoli del collo tesi allo spasimo. Teneva duro, ma si vedeva che qualcosa non andava.
-Pennuto, che succede? Non è da te farti abbattere da un paio di muri…- constatò Bobby, notando soltanto allora il pallore di Balthazar. Lui scosse debolmente il capo.
-Credo… credo che una trave abbia… mi abbia trapassato da parte a parte un’ala.- ammise con voce tremante. Sbatteva disperatamente le palpebre, combattendo il dolore, lottando contro il nero opaco che poco a poco gli annebbiava la mente di scuri presagi. Capiva la situazione, capiva di dover resistere.
Se lui collassava, Dean e Bobby morivano.
§§§§
-Ciao, Belial.- salutò Lucifero, da dietro la spessa parete di diamante della Gabbia. Era una costruzione immensa, quattro pareti quasi invisibili e all’apparenza fragilissime. Ad occhio nudo, non si sarebbe mai detto che fossero abbastanza resistenti da poter trattenere il Diavolo in persona, ma là sotto, niente appariva com’era realmente. Lo stesso Lucifero, sembrava quasi umano con quel tramite di uomo dai capelli biondo scuro e dagli occhi derisori.
Il Diavolo stava al centro della Gabbia, immobile, con addosso solo dei lunghi, larghi pantaloni di seta nera e una fascia cremisi legata in vita: era un abbigliamento diametralmente opposto a quello degli angeli, una specie di presa in giro, o forse, quelli erano stati realmente i suoi vestiti di quando era vissuto in paradiso. Questo almeno, prima che si annerissero.
Belial si avvicinò alla Gabbia, posò una mano stanca sulla sua superficie, ripulendola semplicemente ansimandoci sopra. Ogni suo respiro d’aria pulita, risanava ciò che sfiorava.
-Ciao, Lucifero.- rispose lentamente, specchiandosi negli occhi azzurri dell’uomo. Non erano quelli, gli occhi del suo doppione. Laggiù, il vero aspetto di Lucifero era totalmente diverso, ma per qualche motivo lui si ostinava a mantenere quella parvenza di apparente umanità. Pareva essersi affezionato al tramite, ma era totalmente impossibile che uno come Lucifero si affezionasse a qualcosa che non fosse se stesso.
-Non mi aspettavo che tu venissi.-
-Stai mentendo. Sapevi dall’inizio che avremmo avuto bisogno di te.-
Lucifero sorrise con aria di sufficienza.
-A quanto pare, ma non vedo cosa ti fa pensare che vi aiuterò. Se Leitsac fa a pezzi i ragazzi che mi hanno spinto qui dentro, ben venga.-
-Se questo succede, tu resterai qui fino alla fine dei Tempi.-
Lucifero incrociò le braccia al petto, senza abbandonare il sorriso. Era questo il problema del gemello di Belial: non si capiva mai fino a che punto bluffasse, e quando invece diceva la verità.
-E cosa ti fa pensare che non voglia restare?-
Già, cosa? Era realmente un mondo migliore, quello al di fuori della Gabbia? Bloccato tra i gironi, assillato dalle grida dei dannati, dalle bestemmie dei demoni, dalle noie di essere il capo. Forse, la punizione di comandare l’Inferno era troppo anche per uno come Lucifero. Eppure, anche se all’Inferno, lì per lui c’era la libertà, una libertà maggiore rispetto a quella limitata di una bestia chiusa in gabbia, entro quattro mura che, per quanto mastodontiche, erano a stento sufficienti per poter racchiudere l’enorme ampiezza di sei ali spiegate. Quella era l’unica carta che potesse giocarsi Belial, l’unica speranza per l’umanità e per Balthazar…
-Dimmelo tu. Vuoi uscire?-
Il sorriso di Lucifero si inclinò appena.
-Non sta a te fare domande, Belial. A te serve il mio aiuto molto più di quanto mi serva la libertà.-
-Ne sei sicuro? Sai di essere pazzo, Lucifero, ma cosa succede se al pazzo già pazzo si sottrae l’ultima cosa che gli è rimasta di più cara? Cosa accade quando anche lo spazio di casa tua si riduce e ti tarpa le ali?-
Lucifero inclinò il capo in un gesto che fece rabbrividire Belial perché gli ricordava Castiel e il cambiamento che poco a poco lo rendevano sempre più simile al Diavolo, sempre più dannato… sempre meno umano. Poteva davvero Lucifero impedire che ciò accadesse? Poteva una bestia spingere un’altra bestia solo per metà a ritrovare la sua umanità? Era un azzardo, un gioco pericoloso, ma era anche l’unica cosa che restava tra le mani di Belial e degli altri, se non volevano uccidere Castiel… questo, ammesso che ci riuscissero.
-La libertà mi fu tolta tempo fa, e ormai ne ho dimenticato il sapore. Ero insensibile a tale piacere anche quando uscii dall’Inferno per tornare in Terra.- mormorò Lucifero, guardando in lontananza, verso ricordi passati che sapevano di dolore. –Ero libero, eppure non lo ero. Avevo il mondo ai miei piedi, ma ormai i miei occhi non vedevano che confini, limiti, prigionia. Ora, dimmi, fratello…-
Lucifero lo guardò, e in quegli occhi Belial lesse tutta la sofferenza che egli stesso aveva provato. Dolore, solitudine, sguardo di bestia intrappolata senza appello, senza possibilità di perdono.
-…sono nato per questo? Per anteporre un male al bene? Sono qui per fungere da piatto di una bilancia mai equa? Dimmi: quando in realtà il bene trionfa davvero? Quando capisci di essere dalla parte giusta e non hai esitazioni o paura di aver sbagliato? Il bene e il male non esistono, perché in realtà Dio non è tanto diverso da me. È davvero misericordioso come predicate o è realtà che vi abbia guardati soffrire, ammazzarvi a vicenda e cadere senza muovere un dito? Voi, i suoi figli prediletti… che ne è stato del suo presunto amore per le creature da lui stesso create?-
La voce di Lucifero si fece bassa, quasi roca a causa delle lacrime che non poteva versare. Appoggiò una mano sulla liscia superficie della Gabbia. Da quel contatto si sprigionò una fitta ragnatela di opaca fuliggine, come se il tocco di una mano pulita e all’apparenza umana potesse soltanto macchiare.
In contrapposizione, Belial imitò il suo gesto. Poco a poco, la sua essenza penetrò nella spessa parete della Gabbia, ripulendo lentamente il sudiciume, facendolo sparire con cura minuziosa, delicata. Un tocco d’angelo.
-Sai che non è così.-
-Sai che è come dico io, invece.-
-No. Io non combatto più per Dio, Lucifero. È stato un piccolo angelo a ripulirmi l’anima, e gli esseri umani si sono presi cura di me, mi hanno insegnato a vivere, a sentirmi bene. La vera libertà è questa, dopotutto: saper scegliere. E io ho scelto, e la mia decisione resterà tale fino alla fine. Volevi sapere se in tutta la mia vita almeno una delle mie scelte non ha mai vacillato, e adesso hai la risposta. Sono sicuro, so che ciò che sto facendo… è giusto, e tutto questo mi basta. A te la decisione, adesso: sceglierai la libertà o la Gabbia?-
-Non sta solo a Lucifero la decisione.- intervenne una voce, attirando l’attenzione di Belial.
§§§§
Gabriel strinse Sam con dolcezza, ma senza guardarlo negli occhi. Si accorse di tremare solo quando il ragazzo gli strinse delicatamente i fianchi e sollevò il capo dalla sua spalla per guardarlo negli occhi. Gli accarezzò il viso mortalmente pallido, osservando lo sguardo terrorizzato dell’arcangelo.
-Ricorda, Gabriel… ricorda la tua strada… non la percorrerai da solo.-
Gabriel si placò lentamente, osservando lo sguardo limpido di Sam. C’era tanta tranquillità, tanta pace su quel viso. Era quello il benessere che l’arcangelo aveva sempre cercato, la serenità di una vita affrontata a testa alta, senza paura di farsi male e di far male agli altri.
Durante l’Apocalisse, era scappato, ma qualcuno l’aveva riportato indietro.
Adesso che Castiel incombeva su di loro, stava fuggendo di nuovo… ma qualcuno l’aveva fermato.
Sam gli ridonava lucidità, coraggio, forza… era questo l’uomo, quello vero. Era questa l’umanità che gli angeli difendevano, e ancora una volta, quella stessa umanità chiedeva loro un aiuto, un appiglio di salvezza.
Delle mani si tendevano sofferenti verso la luce di migliaia di ali divine che, seppur spezzate, ferite, sanguinanti, arrecavano una via d’uscita al mondo messo alle strette. Gli angeli erano la luce, i protettori… gli angeli erano la forza dell’uomo, non di Dio. C’era chi credeva in loro, chi ancora li pregava e implorava una speranza. Migliaia di occhi avevano cercato i loro, migliaia di volti si erano rivolti a Dio e ai suoi figli alati, e adesso la storia si ripeteva.
Un appello. Un sacrificio richiesto per salvare altre vite. Una decisione da prendere.
La guerra… o la fuga.
-Gabriel…-
Gabriel levò leggermente il capo, appoggiò la fronte contro quella di Sam e chiuse gli occhi. Un’unica lacrima, un unico lascito di speranze infrante per ricordare la tragedia che sarebbe seguita. Infine, le braccia di Gabriel strinsero Sam con forza, invocando un coraggio che temeva venisse a mancare nel momento del bisogno. Le ali si mossero.
Flap.
Un battito, un unico possente movimento di muscoli e piume affilate. Dei raggi di luce penetrarono i detriti, li consumarono, corrodendoli come termiti che divorano la legna. L’esplosione di forza divina fu talmente potente che e il mare di macerie si riversò in aria come un ventaglio, mentre sei ali immense si spiegavano al vento, libere, furiose, pronte a combattere… pronte a uccidere.
§§§§
Belial posò gli occhi sulla figura apparsa alle spalle di Lucifero. Aspetto di ragazzo, viso affilato incorniciato da capelli biondicci e occhi severi, che lasciavano trasparire secoli infiniti, sofferti, osservati nel loro placido scorrere. Occhi che avevano guardato il paradiso, occhi che avevano guardato la morte. Il ragazzo indossava dei morbidi pantaloni di seta ingrigiti e una fascia color rubino legata in vita.
-Michael.- chiamò Belial, mentre il ragazzo si avvicinava lentamente, con passi misurati che esprimevano un’intensa stanchezza, ma anche una grande fierezza.
-Fratello.- ripose Michael freddamente, ma i suoi occhi parvero lentamente addolcirsi quando incrociò lo sguardo innocente, puro di Belial. Non ricordava fino a che punto la bellezza della Stella del Mattino potesse apparire sconvolgente, meravigliosa, come un fiore sbocciato in un campo di terra sterile. Era una magnificenza preziosa, pulita, ben lontana da quella sporca e peccaminosa del Lucifero al di là della Gabbia.
Lentamente, quasi senza accorgersene, Michael appoggiò una mano sul vetro, desiderando ardentemente di poter sfiorare la pelle pallida del fratello. Tutto di lui appariva estraneo all’Inferno. Come poteva un luogo tanto brutale permettersi di ospitare una creatura tanto bella, così bella da apparire anomala agli occhi degli angeli stessi?
Quella purezza attirava Michael perché gli ricordava che da qualche parte, Dio e gli angeli liberi esistevano ancora.
-Voglio portarti fuori, Michael…-
-Tu vuoi farmi uscire perché possiedi ancora l’erronea speranza che esista un domani per Castiel. Lui non può ritornare, Belial.-
-L’ho fatto io… può farlo anche lui.-
-Non è la stessa cosa.-
Belial chiuse gli occhi, sentì qualcosa spezzarsi dentro. Era vero, non era la stessa cosa. Lui si era separato dalla parte malvagia di Lucifero, e per questo era tornato quello di un tempo. Castiel no. Lui era sempre lo stesso, lui era… diventato così.
Era diverso, ma Belial voleva pensarla diversamente. Era l’unica speranza, l’unico appiglio che gli restava.
-Io… io non credevo di poter essere salvato. Fino all’ultimo, ho pensato di essere perduto, di essere condannato. Ma non è così. Castiel mi ha saputo perdonare, mi ha accettato nuovamente senza guardarsi indietro, senza ricordare ciò che avevo fatto… ha scelto di andare avanti, di giudicare chi aveva davanti, e non chi c’era stato alle sue spalle. Perciò ti prego…- mormorò, facendo scivolare la mano lungo il vetro della Gabbia. -… ti prego, lasciami almeno la speranza che sia rimasto qualcosa.-
Michael non rispose, e stavolta, davanti a quel dolore che aveva conosciuto bene, neanche Lucifero si arrischiò a parlare. Rimasero in silenzio, i due potenti del sovrannaturale, i due capi dei più grandi regni che si contendevano da sempre il mondo dei vivi. Rimasero in silenzio perché, davanti alla morte e al dolore Vero, chiunque, anche Dio, può soltanto chinare il capo.
-Belial, io…- mormorò Michael dopo un po’, levando gli occhi. Fu allora che lo vide. Uno scintillio di lama, un veloce scatto di coltello assassino. –ATTENTO!!!-
Belial si voltò di scatto, un istante prima che uno schizzo di sangue gli colpisse il viso con violenza, macchiando di innocenza quegli occhi sbarrati, increduli. Metatron afferrò la testa del demone e la strinse con le ultime forze. Una luce armoniosa, un grido lacerante che scosse l’inferno dalle sue fondamenta. Poi, tutto fu silenzio.
Belial afferrò il corpo di Metatron prima che cadesse, sorreggendolo con braccia tremanti. Lo adagiò al suolo, guardando gli occhi opachi del vecchio, il volto tirato e stravolto dalla paura e dal dolore.
Un volto che chiedeva perché.
Un volto che gridava al mondo un’inutile aspettativa di aldilà.
Qualcuno lo avrebbe ricordato? Qualcuno avrebbe riguardato ai ricordi dell’anziano angelo che con umana gentilezza e pazienza si era occupato dei torturati trattenuti alle Colonne di Ercole? No. Nessuno avrebbe ricordato.
-Metatron…- mormorò Belial, accarezzando dolcemente il viso del vecchio, che solo allora parve accorgersi di lui oltre che della ferita che gli squarciava il petto. Gli afferrò la mano con forza incredibile, spaventata, e appoggiò la guancia contro il braccio di Belial. Non disse niente, non ebbe bisogno di parlare. Tutto ciò che dovevano dirsi, se l’erano detto prima che Belial scendesse all’inferno.
Semplicemente, Metatron chiuse gli occhi, lasciando uscire le poche lacrime concessegli, l’unico segno di umanità che laggiù nessuno vedeva. Poi, come se il sonno l’avesse improvvisamente colto, Metatron rimase immobile, smise di respirare e il cuore affaticato di angelo che aveva visto troppo e troppe sofferenze, si fermò.
Metatron morì tra le braccia di Belial, abbandonandosi fiducioso al calore della Stella del Mattino, al respiro caldo che aveva avvertito sulla pelle proprio mentre al vecchio angelo, il respiro veniva sottratto per sempre.
Si dice che quando un angelo piange, il mondo intero si fermi qualche secondo per riflettere e ascoltare. A volte, soltanto i bambini, nella loro infinita innocenza, odono il basso lamento sofferente di una creatura celestiale, ma nessuno saprà mai attribuire il motivo agli occhi lucenti che grondano lacrime, al dolore accecante di un angelo che vede spezzarsi le ali.
Belial si augurò che qualcuno sentisse, che qualcuno capisse. Ma infondo, forse pretendeva troppo. Nemmeno lui sapeva perché tutto ciò stava accadendo, nemmeno lui capiva secondo quale giustizia del sangue innocente macchiava una terra sporca di peccato.
C’era un motivo alla violenza?
C’era un motivo all’odio?
Belial sentì le ali accasciarsi, il capo chinarsi per appoggiare la fronte contro quella di Metatron. Chissà dov’era, ora. Chissà se da qualche parte, qualcuno avesse scelto di accoglierlo, di prendersi cura di lui, che si era occupato tante volte di chi soffriva. Tanta pazienza e tanto sudore, forse valevano qualcosa… forse, la sua anima esisteva, eppure Belial non riusciva a convincersene.
Se n’era andato. L’anziano angelo che lo aveva guardato da subito come si guarda un fratello, il vecchio che l’aveva abbracciato con rispetto e gioia di aver ritrovato qualcuno da lungo tempo perduto. Con lui, Belial si era sentito a casa, e adesso… adesso, quella stessa casa andava in frantumi a causa sua.
Non era giusto.
Con delicatezza, Belial posò un dolce bacio sulla fronte di Metatron, lasciando che una piccola lacrima cadesse sulla sua pelle, sfiorandola di lucentezza, di preghiera. Una lacrima che racchiudeva la speranza che, da qualche parte, qualcuno si occupasse di chi aveva sofferto per anni in solitudine, ma non si era mai arreso.
-Guarda chi si vede.- disse Crowley, comparendo a pochi passi da Belial e Metatron. Sorrideva soddisfatto, conscio di avere la situazione in pugno, sicuro che Belial da solo non avrebbe affrontato l’Inferno intero.
Errore.
Illusione.
Con calma misurata, Belial adagiò il corpo gelido di Metatron ai suoi piedi, osservando le sue stesse mani sporche di sangue. Ancora una volta, sentiva il peso del peccato scorrergli nelle vene, ancora una volta, qualcuno cercava di trascinarlo nel baratro. Altro sangue. Altri innocenti massacrati.
Adesso basta.
Belial si raddrizzò lentamente, le ali che poco a poco si risollevavano in un arco possente sopra le loro teste. Il mare di piume cristalline era tanto ampio da ricoprire senza sforzo l’enormità della Gabbia, abbracciando di riflessi come di diamante la sua intera superficie. Un luccichio scintillante, una minuscola scintilla di Grazia bastò per spazzare via il sudiciume.
Lì gli angeli non sarebbero dovuti morire. Lì gli angeli non potevano dimorare, né col corpo da tramite, né come cadaveri senza spirito. Era sbagliato, era un abominio.
Crowley levò lentamente lo sguardo sull’ombra impressionante delle sei ali spalancate, immense, come mastodontici giganti pronti a calare su di lui un’impietosa, bellissima vendetta. Gli occhi del demone, ormai strabuzzati, si spostarono quasi con timidezza sul viso di Belial, e fu allora che qualcosa in Crowley cambiò: gli occhi dell’arcangelo esprimevano una rabbia cieca, implacabile e senza confini. Uno sguardo di ghiaccio, come di ghiaccio apparivano quelle iridi spettrali, ormai prive di qualsiasi umana emozione.
L’inferno tremò, scosso dalle fondamenta. I demoni gridarono allarmati, i dannati smisero di urlare e rivolsero gli occhi iniettati di sangue verso la fonte della potenza appena scatenata.
Crowley ebbe appena il tempo di realizzare cosa stesse per succedere, che Belial si mosse. Non attaccò il re dell’inferno, non spostò il peso del corpo, no: gli bastò un unico pugno ben assestato, un colpo dalla forza allucinante, senza precedenti. La Gabbia si ricoprì interamente di crepe rosso cremisi, come un disegno che colora le pareti e le incide poi con uno scalpello.
Crowley indietreggiò, indeciso su cosa fare, ma fu quando intrecciò il suo sguardo a quello di Belial che qualcosa in lui si mosse.
Ricordò allora, che quello che aveva davanti era pur sempre Lucifero.
Ricordò allora che quell’angelo, insieme a Castiel, rappresentava l’ira più terrificante del Creato.
Crowley sentì qualcosa agitarsi nel petto. Era un sentimento nuovo, ma che in qualche modo, in passato, la sua vecchia esistenza umana aveva conosciuto bene. Gli ci volle qualche istante per capire cosa fosse quel sentimento, un secondo prima che l’inferno, quello vero, si scatenasse.
Per la prima volta in vita sua, Crowley aveva paura.
 
Angolo dell’autrice:
Sssssssììììììììì!!! E finalmente, dopo due giorni di totale sofferenza, sono riuscita ad attivare su facebook il mio account da autrice posseduta!!! Ce l’ho fatta, pretendo un applauso. Gabriel, muoviti.
Gab: perché dovrei applaudire?!
(Mostra pacchetto di dolci appeso a una canna da pesca)
Gab: (coro da stadio)
Comunque, per chi vuole aggiungermi, mi trovate sotto il nome di Yune Tomi Efp.
Gab: non interessa a nessuno!
(mostra altro pacchetto di dolci)
Gab: ti odio… ma chi te li fornisce tutti questi dolci?
Torniamo a noi. Questo capitolo mi ha fatto sputare sangue. Questi sono i risultati di una fottutissima notte insonne passata a scrivere in pieno periodo esami!
Gab: appunto, tu non dovresti studiare?
Finiscila di distrarmi e torna a giocare a frisbee col mio libro di italiano!
Gab: ma tu non hai un libro di italiano!
Sì che ce l’ho! E… no aspetta, forse non ce l’ho… non più, almeno…
Gab: dovevi pensarci, prima di vendertelo… come li fai gli esami, adesso?
(Veste da suora) Santa botta di culo… prega per noi… san Castiel… prega per noi…
Castiel: sono un santo?
No, sei un cretino! E… chi ti ha fatto indossare questi abiti? Ehi, non stai mica male…
Dean: ehi, quello è il mio ragazzo! Balthazar, togliti quei baffi francesi, sembri un coglione!
Balth: no, sono uno stilista. L’ho vestito io Castiel in questo modo, perciò lasciatemi al mio momento di gloria!
Balthazar, sei assunto!
Mary: torniamo seri per qualche attimo, per favore? Tomi, cos’è questo post-it?
Ah, giusto! Dunque, dedico questo capitolo alla splendida kimi o aishiteiru e alle sue fantastiche amiche Ale, Agne e Chiara, che sinceramente mi hanno fatto morire dal ridere ed emozionare tantissimo con i loro più che inaspettati complimenti! Sante subito!

kimi o aishiteru: tu. Non hai idea di quanto ho adorato la tua recensione. Ehi, l’altro Belial non è altri che il caro vecchio Lucifero! Mica potevo escluderlo, poi si sentiva solo! Se nella serie televisiva è scoppiata l’Apocalisse, io sto organizzando un festino compreso di ben due Diavoli e un oceano di arcangeli! Accorrete, gente! Venghino, signori, venghino!!! No, Gabriel è demente, ma fino a un certo punto (e ci credo… solo un cretino si lascia scappare uno con un cu… una cultura, così. Ho detto cultura, non guardarmi in quel modo!!! nd Gabriel). Ti prego, risparmia la carriera agli psicologi. Una sola seduta con Castiel e finiranno a vendere noci di cocco in spiaggia. Cioè… tu sul serio hai organizzato una maratona di Supernatural con degli amici? Sto morendo d’invidia, non hai idea! Qui pare che nessuno lo conosce Supernatural, e quei pochi che lo conoscono lo odiano! Non sai che strazio non poter parlare delle serie televisive che ti piacciono, come Merlin, Sherlock, Heroes e soprattutto Supernatural, perché altrimenti ti guardano tutti male! Se sapessero che scrivo certe storie, mi lapiderebbero XD meglio vivere nascosti! Concludo col ringraziarti di cuore per la magnifica recensione. Purtroppo è poco dedicarvi il capitolo, ma vedete che appena convinco Gabriel a fare il postino, vi faccio recapitare un mazzo di fiori a testa, compreso a tua sorella! Ora, passiamo a un’altra parte importantissima: tu, oltre che una sorella spassosissima hai anche delle amiche strepitose! Ti ruberò anche loro, prima o poi! Ma rispondiamo per ordine ad ognuna di loro:
Ale: Castiel, ascolta questa santa donna e torna in camera da letto! Adesso, muoviti!!! Qui c’è gente saggia che ti propina ottimi consigli, e tu non segui mai quello giusto! Comunque, grazie, ma non è la mia storia ad essere fantastica. È il tuo commento, sto morendo dal ridere! XD
Agne: kimi fa più che bene a tener sveglia la gente per fargli vedere certe cose! Insomma, poi quando andate a dormire avrete i sogni popolati da Sam, Dean e Castiel. Vi ha fatto un regalo, ringraziatela! XD costringessero me a vedere una maratona di Supernatural, sarebbe meglio del mio compleanno! E davvero, non ho parole per il tuo complimento. Grazie, non pensavo che questa storia potesse piacere a molte persone… certi commenti ti lasciano col sorriso sulle labbra.
Chiara: ok, grazie a te mi sono venuti gli occhi lucidi. Finitela! Prima una mi fa ridere, un’altra mi lascia il sorriso e la terza mi fa piangere, sembro una donna incinta! No, Dean, non dicevo a te… aspetta, tu che c’entri? sei incinta? Insomma, paragonare questa… questa cosa, a un libro? Un libro vero? Dio mio (si nasconde). Comunque tranquilla, che a Castiel ci sta pensando Balthazar. E non chiedermi come si è improvvisato stilista, sembra Enzo del programma “ma come ti vesti?” di Real Time. E non è una bella cosa.

HowlingFang: eheh, Belial è un gran tenerone, ma a breve avremo la prova che c’è anche l’altro lato della medaglia da considerare. Se hai dimenticato che comunque, il nostro angioletto è anche Lucifero, è ora di ricordartelo. A breve l’Apocalisse numero due. Eh, in realtà mi impegno un sacco per aggiornare in tempo, a volte scrivo anche di notte. Tengo a non deludervi molto più di quanto sembri, anche perché dopo un po’ ci si affeziona ai lettori, e si fa il possibile per non tenerli troppo sulle spine, anche perché so cosa significa. Castiel ha bisogno di una camicia di forza, al momento ha qualche problema di autocontrollo… comincia a pregare che si riprenda, perché io stessa non ho mai i capitoli programmati, perciò, scrivendo le cose sul momento, potrei far succedere di tutto XD la Samary al momento è un punto morto, ma a breve si riprenderà. Non è facile gestire i caratterini di Samael e Mary, ma farò il possibile per convincerli a non fare come Balthazar e Belial… sveglia, ragazzi! A presto!
xena89: Belial ha un concetto di riuscita della missione tutto suo… aspettiamo di vedere cosa faranno Michael e Lucifero, considerato che non hanno ancora accettato di collaborare con i nostri amici. Se si rivoltano anche loro, tanti saluti a tutti i personaggi. Tranquilla, i commenti lampo non mi infastidiscono, anzi: sono felicissima che tu abbia trovato un piccolo momento da concedermi, e questa è la cosa che mi fa più piacere. Grazie, grazie con tutto il cuore.
Sherlocked: visto, ragazzi? Finalmente qualcuno vi apprezza e… Belial, che ci fai con le orecchie da orsacchiotto? (ehm… Balthazar si sta facendo prendere la mano con questo fatto dello stilista. Ti prego, fermalo… nd Belial)( MA COME TI VESTI?! Nd Balthazar)( ma tu non somigliavi a Gordon Ramsey? E togliti quella camicia, sembri una tappezzeria!)(non capisci le sottigliezze della moda! Nd Balthazar). Eheh, ti si è chiarita ora la faccenda di Belial? È come Leitsac, che appare diametralmente opposto rispetto al Cass originale. Così, allo stesso modo, Belial è il contrario di Lucifero, o meglio, è la Stella del Mattino come la ricordano alle origini. E no, Belial non se ne è mai andato dall’inferno. Non ci è mai entrato XD non so come le invento certi casini, sono peggio di Beautifoul! No, basta angeli! XD Gabriel mi ha demolito casa, Balthazar ha riempito i resti di vestiti all’ultima moda e Belial quando canta attira tutti i Behemah peggio di Biancaneve. In ogni caso, farò il possibile per impegnarmi, e ancora una volta, grazie. Grazie, angioletto recensore!
Tomi Dark Angel

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Capitolo 26
*** Due Fazioni Sulla Scacchiera ***


Gabriel non voleva crederci. Non poteva credere davvero di star guardando Castiel.
Castiel, il suo innocente fratellino, sempre abbigliato nel suo trench troppo grande.
Castiel, i cui occhioni avevano ammaliato angeli, demoni e uomini con tutta l’umanità che lasciavano trasparire in un semplice sguardo.
Quello non era Cassie, quello non era suo fratello. Quell’uomo dall’aria di ghiaccio e abbigliato in maniera provocante era totalmente diverso, pareva quasi una controfigura. Non era da Castiel indossare un semplice gilet smanicato, di pelle nera, aperto sul davanti per rivelare il petto nudo solcato di cicatrici. Quando se le era fatte? Non c’erano mai state, eppure adesso la sua pelle non appariva più immacolata e pura come Gabriel ricordava.
Dal canto suo, Dean, emerso dalle macerie grazie a un ultimo sforzo titanico di Balthazar, non riusciva a staccare gli occhi dal suo angelo. Vederlo con addosso quei pantaloni di pelle stretti, che collegavano una catena sottile legata alla cintura fino al collare chiodato, causò un terribile balzo al cuore di Dean. Castiel, affiancato da Leitsac, appariva provocante e pericoloso in un modo che chiunque avrebbe definito osceno, oltremisura… meravigliosamente diabolico.
Era lui il nuovo Satana. Era lui il Diavolo.
Gabriel si scrollò di dosso gli ultimi residui di macerie semplicemente scuotendo le ali imponenti. Le sentì improvvisamente pesanti sul corpo che pareva non essere più in grado di sopportarne l’amara presenza.
-Fratellino… Castiel…- chiamò debolmente, avanzando di qualche passo. Castiel lo guardò, un’occhiata carica di rancore, abbandono, tradimento. Dubbio.
Gli bastò un istante, un movimento della mano, e Gabriel fu scagliato via. Si schiantò contro un pezzo di parete rimasto in piedi, sputò un grumo di sangue e crollò a terra, senza forze, senza speranza.
-Gabriel!- urlò Sam, ma gli fu impossibile raggiungere l’arcangelo.
Una forza aliena, invisibile, li costrinse tutti in ginocchio, compreso Balthazar, che ansimava ancora e non staccava gli occhi increduli da Castiel. Era veramente quello, il nuovo volto del male? Quegli occhi, un tempo stati così dolci, così gentili da piegare anche la più enorme delle ire… quegli occhi. Castiel. Quante volte Balthazar lo aveva guardato, ridendo con lui, scherzando su quanto fosse terribilmente smielato rispetto agli altri angeli? Aveva scherzato, ma la realtà era che Castiel era… era stato il suo migliore amico. Il migliore di tutti loro. E adesso, vedeva come la malignità altrui l’aveva ridotto.
Era quella, la miseria. Prostrare creature innocenti, cancellare le ultime tracce di umanità semplicemente voltando le spalle a ciò che era giusto. Gli altri angeli avevano dimenticato, avevano finto di non veder aumentare il peso di Castiel, e adesso ne pagavano il prezzo. Un prezzo alto, un prezzo salato di lacrime e sangue. Balthazar lo capì quando vide il Cubo di Metatron stretto nella sua mano.
-Che cosa hai fatto?- ansimò con voce sfiancata. Cercò di opporsi alla forza invisibile che lo schiacciava al suolo, ma era troppo debole, ed era inutile pregare che Gabriel, l’unico in grado di ribellarsi, facesse qualcosa. L’arcangelo restava accasciato, tremante, come un burattino dai fili tagliati.
-Ho fatto ciò che mi avete spinto a fare. Ho fatto quello che dovevo.-
-Quanti hai ucciso per questo? Quanti hanno visto la morte per una tua stupida convinzione? Tu non sei mio fratello!-
Un’ombra di stanchezza attraversò gli occhi di Castiel.
-Lo so.- si limitò a rispondere. –Forse non lo sono mai stato. Forse non sono mai stato uno di voi. Dall’inizio, mi guardavate come si guarda un ribelle, un diverso. Poi, sono diventato arcangelo ed è cambiato tutto… siete cambiati voi. Ci ho messo troppo per capire che mi ero sacrificato per degli opportunisti. Ci ho messo troppo per capire che di me vi interessava soltanto la mia forza.-
Castiel fremette di rabbia, e in un attimo i suoi occhi si riempirono di un rancore profondo, invalicabile, cieco. Sembrava un animale ferito, costretto a trascinarsi per strada perdendo sangue, sudore e rabbia per un destino che non aveva mai meritato. Erano quelli, gli occhi che reincarnavano l’errore di ogni angelo. Erano quelli, gli occhi che avevano sanato e poi distrutto nuovamente il paradiso.
-Cazzate.- disse una voce, emergendo dal nulla, come una cascata di pura sicurezza sulle incertezze dei presenti. Dean levò lo sguardo fiero, incrociò quello rabbioso di Castiel, che vacillò. –Ti stai solo giustificando. Ti nascondi dietro un nulla di fatto, un capriccio, una debolezza che non hai saputo affrontare. Hai dimenticato tutto, Castiel, e questo fa di te un fottutissimo cazzone. Hai dimenticato che c’ero, hai dimenticato che c’eravamo tutti. Ti sei sentito solo perché hai voluto che fosse così, ma in fondo… noi siamo sempre stati qui. Hai sempre cercato di agire da solo, ma ancora adesso non comprendi che non puoi farcela senza un aiuto. Ti ho ripulito le ali, ti ho curato, ti ho salvato da quel cazzo di inferno, e ancora non capisci. Ma è questo il problema, no? Tu non capisci mai.-
Gli occhi verdi di Dean si riempirono di frustrazione. Era così difficile capire? Castiel non si era mai veramente affidato a lui, non gli aveva mai donato la stessa fiducia che Dean gli serbava ogni giorno. Anche in quel momento, agli occhi del cacciatore, l’arcangelo meritava fiducia. Per quanti errori facesse, Castiel era sempre Castiel. Il suo Cass, il suo angelo… il suo amore.
Diffidare di lui, era come diffidare di una parte di se stesso.
-Perché dimentichi sempre? Perché dimentichi che insieme abbiamo fermato l’Apocalisse e abbattuto metà inferno? È così facile per te mettermi da parte, Cass?- domandò Dean a voce bassa, ma tutti lo sentirono. Sam alle sue spalle, tremò guardando Gabriel ancora accasciato al suolo, con gli occhi sbarrati e l’affanno che usciva in ansiti disperati dalle labbra schiuse. Le sue ali tremavano, perdendo di lucentezza, diventando opache come stelle soffocate, tristi, spezzate.
-Basta con queste stupidaggini.- ringhiò Leitsac. Schioccò le dita. Un unico schiocco, un piccolo rumore che echeggiò contro le Colonne d’Ercole e contro i miseri resti della casa di Bobby. Tutti capirono che stava per accadere qualcosa di brutto ancor prima che la terra cominciasse a tremare, come scossa da un terremoto.
Bobby perse quel poco di equilibrio che gli restava e sbatté la faccia al suolo, Dean e Sam arpionarono le mani a terra per non crollare. Ognuno di loro sentiva lo stomaco ribaltarsi, agitarsi, contorcersi.
Il cielo si oscurò lentamente, avvolto da una coltre fitta, come un manto di velluto soffocante, appesantito dal nero inquietante che ricopriva le loro teste. Il sole lottò per qualche istante, ma in breve i suoi raggi furono soffocati e sulle Colonne d’Ercole tornò l’ombra, ancora più fitta, ancora più sinistra e aggressiva, come un incubo sconfinato che trasformava l’azzurro placido delle acque in un gorgo senza fondo irto di pericoli.
La terra tremò più forte, tra le Colonne si aprì una crepa che agitò le acque nere come la pece, risucchiandole in un crepaccio sempre più profondo, sempre più minaccioso. Un guizzo rossastro proruppe dal fondo della crepa. Poi, giunsero le urla. Forti, rauche di dolore agonizzante e preghiere di pietà. Grida che invocavano un Dio rinunciatario per le anime che non poteva salvare, grida che soffrivano. Grida di dannati.
No…
Dean si coprì le orecchie, chinò il capo. Le grida straziate dei dannati gli riverberavano nel petto, facendolo vibrare di un diapason da incubo, terribile, che il ragazzo non avrebbe mai voluto udire.
All’inizio, si udirono i ringhi di cani infernali che fuoriuscivano arrampicandosi dalla crepa, Sam lo capì dai segni di artigli che incidevano la roccia. I mastini dovevano essere decine, migliaia, abbastanza da coprire il terreno di impronte ferine, enormi e artigliate di artigli atroci. Qualcuno abbaiò, altri si accostarono alle prede con calma predatoria, come bestie da punta che aggirano la preda finché non la vedono crollare.
Poi, dopo i cani, giunsero i demoni. A migliaia, come tanti insetti che emergevano balzando leggeri fuori dalla crepa. Avevano corpi umani, a tratti ustionati dalle fiamme, ma erano i visi a traspirare odio, rancore, e una malignità senza confini. Occhi neri come la notte e il carbone, occhi di demone e visi sorridenti di rabbia.
Dean non ne aveva mai visti così tanti tutti insieme. Era come un macabro raduno, dove cani, demoni e dannati si schieravano al cospetto di una forza superiore che non era più Crowley, il demone meschino, schivo e contenuto, ma due angeli caduti dai cuori consumati, contorti.
Il mondo si stava rivoltando come un guanto, l’inferno si stava rivoltando. Ma il peggio doveva ancora arrivare.
Delle ombre oscure uscirono dalla crepa come proiettili. Si levarono in alto, sulle loro teste, spalancando all’aria quelle che sembravano… ali. Una, due, dieci, mille. Ogni creatura si librava in aria, alle spalle di Castiel e Leitsac, eretti e fieri al centro di quel mare infernale ricondotto in Terra.
Ogni elemento presentava un perfetto incastro col suo compagno, ogni creatura affiancava agitata e ansimante di rabbia un demone, un mastino o una delle ombre oscure, eppure Dean era sicuro che ognuna di loro non avrebbe esitato a fare a pezzi il suo stesso alleato se solo questo si fosse trovato sulla traiettoria sbagliata. Era come tenere al guinzaglio un mare di cani impazziti, affamati di carne, sangue e odio. Li puoi controllare fino a un certo punto, ma se la corda si rompe?
Sam levò gli occhi verso le ombre scure che imponenti si stagliavano sulle loro teste… e non credé ai suoi occhi.
-Ciao, tesoro.- salutò la replica di Gabriel. Era lui, identico per corpo, viso e voce, ma… ma era diverso.
I capelli erano leggermente più lunghi, lasciati liberi di cadere davanti a un occhio dall’aria felina, aggressiva. Indossava un jeans stretto sui fianchi e sul fondoschiena e largo dal ginocchio in giù, abbinato a… niente. Non aveva scarpe, non aveva maglietta, ma al contrario, sul petto si diramava il tatuaggio color pece di un tribale che si arrampicava a partire dalla spalla e giù fino al capezzolo. Quello era un Gabriel tremendamente simile, eppure diverso dall’originale. Quello era un Gabriel pericoloso, provocante, per nulla innocente come la dolcezza che dimostrava nel baciare Sam, nel toccarlo come se fosse qualcosa di fragile e prezioso.
Ce n’erano altri, uno per ogni angelo. La replica di Balthazar, con bracciali borchiati, piercing al labbro inferiore e abiti strappati per lasciar intravedere quanto più possibile del suo corpo; quella di Samael, abbigliata in camicia totalmente aperta sul davanti e pantaloni classici. Sam riconobbe i visi di tanti altri angeli visti in precedenza o che magari non esistevano più, come Uriel e Zaccaria. Una sola cosa li accomunava tutti, una sola cosa li rendeva tutti pericolosamente diversi dagli originali: le ali. Nere, grondanti di putrido catrame, come sudice erano le anime dei padroni che le possedevano.
Sam tremò. Per la prima volta, aveva paura, temeva per la sua vita e per quella di suo fratello… temeva per Gabriel. Lo guardò, e vide che il suo arcangelo fissava con occhi strabuzzati il suo doppione, non credendo alla crudezza di quella realtà che lo vedeva assassino, demoniaco, aggressivo. Era tutto sbagliato, tutto diverso. Eppure, era così.
Sarebbero morti tutti a causa sua? Sarebbe finita per colpa della sua Grazia, che una volta di troppo si era rivelata instabile, inadatta per tenere intatti tutti i pezzi come doveva essere? Era chiaro che Leitsac avesse trascinato all’inferno ogni replica appena nata, presentandosi poi come unica via di uscita, di vendetta, di riscatto. Un sovrano di forze che non andavano tenute sotto controllo, non tutte insieme.
Guardò Sam, si specchiò nei suoi occhi limpidi che lo incitavano ad aver coraggio, a rialzarsi e a tener alta la testa. L’aveva sempre fatto, lo avrebbe fatto fino alla fine. Avevano scelto di combattere fianco a fianco, angelo e uomo che alla fin fine non erano poi così diversi. Entrambi si amavano, entrambi provavano emozioni e, con un piccolo aiuto, entrambi potevano volare. Le ali di Gabriel, dopotutto, erano sempre state sei, e per un momento l’arcangelo pensò di capirne il motivo. Per lui, Sam c’era sempre stato.
-No…- mormorò, piantando i piedi e le mani nel terreno. Sentì le schegge premergli contro la carne, spingere, ma non l’avrebbero ferito in quel momento. Gabriel si oppose con tutte le sue forze, ringhiò come una bestia furiosa.
Erano arcangeli, uno contro l’altro. Normalmente le loro forze sarebbero state impari, ma Gabriel sentiva la rabbia affluire, riempirlo di una potenza che nessuno poteva trattenere, come un cane tenuto troppo tempo in gabbia o al guinzaglio. Una furia animale lo spinse a rialzarsi, a raddrizzare la schiena.
-Io. Davanti. A. Voi. Non. Mi. Inginocchio.- ringhiò, mentre poco a poco le ali riacquistavano colore, vigore e una forza fuori dal comune. Si allargarono, irradiando raggi di sole sui presenti, respingendo i cani e i demoni, che indietreggiarono feriti, uggiolando o gridando di dolore mentre la luce color oro li consumava.
Gabriel levò lentamente lo sguardo. Rabbia. Frustrazione. La sua espressione aveva perso ogni goccia di carità, ogni appiglio di sana umanità che lo rendeva umano, lontano dall’arcangelo di cui narravano i testi evangelici. Adesso, tutti vedevano la creatura ultraterrena, abbracciata di luce, che pezzo dopo pezzo costruiva su Gabriel un’armatura di diamante e gloria dorata che rifletteva i raggi delle piume affilate.
Il sole stesso pareva essersi presentato in Terra, sbocciando in tutta la sua cocente potenza… e bellezza. Gabriel aveva assunto improvvisamente un’espressione implacabile, impietosa, che decretava una brutale imparzialità verso i destini dei suoi avversari. I capelli che si muovevano in onde scosse dal vento, accarezzando come presenze spettrali un volto dalla bellezza disarmante, divina, che occhi umani non avrebbero mai dovuto incontrare.
Era quello, il viso della gelida furia.
Era quello, il viso scolpito ad arte da Dio stesso.
Era quello il guerriero temibile e sanguinario che in battaglia, con appena uno sguardo, piegava gli avversari al suo volere.
Così fu. Alcuni demoni caddero in ginocchio, mentre tutti gli altri si consumavano tra le fiamme della Grazia emanata dal corpo contratto di Gabriel.
Il crepaccio vibrò pesantemente, tanto che diversi cani infernali caddero nel vuoto, tutti lo capirono dai disperati segni di artigli che lasciarono sul bordo prima di precipitare con dei guaiti.
-Avete dimenticato una cosa importante di me…- ringhiò Gabriel a mezza voce, ma abbastanza forte perché Castiel, Leitsac e gli altri lo udissero. Il suo timbro vocale riecheggiò nell’aria, scuotendo il mondo intero come una madre adulta e possente scuote un cucciolo inerme e appena nato. Una voce secolare, una voce intrisa di grandezza. L’arcangelo biondo posò su Castiel uno sguardo carico di furia vendicativa, una muta sfida che innescò nell’altro una reazione analoga nella quale una luce oscura gli avvolgeva il corpo, avvinghiandosi ai vestiti, alla pelle, alle ali nero catrame, ma che catrame non grondavano. Non ancora.
-Avete dimenticato che sono un arcangelo.-
La luce di Gabriel si intensificò, scontrandosi contro l’alone oscuro di Castiel. Due fratelli che si fronteggiavano, due creature nate e cresciute insieme… due entità costrette a combattere tra di loro.
-Avete dimenticato che combatto per coloro che amo. E credetemi… se volete ammazzarmi, vi conviene fare in modo che abbia tutte e due le gambe e le braccia spezzate, perché finché resterà un piccolo pezzo di me stesso disposto a rialzarsi… io mi rialzerò.-
La luce accrebbe, abbracciando il corpo di Gabriel, ampliandogli le ali come due immensi aloni luminosi, piumati, brillanti come meteore incandescenti. L’oro liquido delle penne si trasformò in qualcosa di bellissimo e terribile, abbastanza grande da poter abbracciare mezzo mondo senza sforzo. Sei ali, sei dimostrazioni di pura potenza incontaminata.
-Io sono la luce.- proruppe con voce vibrante, possente, che piegava mari e monti con la sua semplice potenza. –Io sono il guardiano degli eserciti angelici. Non combatto per Dio, ma per l’uomo. E finché ci sarò io… non vi azzardate a toccare le persone innocenti, bastardi figli di puttana.-
-Il pennuto ha passato troppo tempo con te.- borbottò Bobby, rivolgendosi a Dean, che tuttavia non lo ascoltava. I suoi occhi erano fissi su Castiel, che continuava ad emanare un’aura di pura potenza oscura, oppressiva, vibrante di pericolo. Vedeva le ondate ampie e micidiali scontrarsi con potenza impressionante contro l’energia benefica di Gabriel. Erano due bestie immense, fiere, che si fronteggiavano più e più volte senza mai stancarsi, senza mai fermarsi.
Creature bellissime, diametralmente opposte.
Creature diverse, ma ugualmente potenti.
Un cavaliere bianco e uno nero, come su una scacchiera. Entrambi proteggevano i loro re, ma soltanto uno avrebbe prevalso in quel titanico scontro. Il campo di battaglia, per quanto immenso, tremava di paura, prostrandosi ai piedi delle gigantesche entità che parevano soverchiare l’universo, gli dèi, l’aldilà. Ogni confine di bene e male, di paradiso e inferno, sparì dinanzi al fronteggiarsi dei due arcangeli più potenti mai esistiti.
Gli altri non si erano mai sentiti così schiacciati. Se da una parte agiva la bellezza giudiziosa di un arcangelo più simile a un Dio potente e implacabile, dall’altra vi era la magnificenza pericolosa di ali nere, immense, che andavano a stuzzicare la potente purezza di pallide piume dorate.
Fu un attimo, un istante di pura attesa. Poi, Gabriel e Castiel scattarono in aria con un unico battito d’ali possenti, massicce. Le sbatterono, riflettendo tutto intorno uno spettro di riflessi dorati e onice mentre diademi di cristallo cingevano loro le tempie, coronando di bellezza le loro armature.
Le spade angeliche, quelle destinate a ogni arcangelo, comparvero all’improvviso. Quella di Castiel, nata da un arabesco intrecciarsi di filamenti argento e zaffiro, si abbatté sulla lama di Gabriel, che levò l’arma appena in tempo per parare il colpo. Lo schiantò che seguì richiamò a sé tutta la potenza dell’universo, spazzando via demoni e mastini ancora in piedi. Un fascio di luce dorata e letale scaturì dalle ali di Gabriel, che con un unico battito energico lo direzionò verso Castiel. All’altro bastò avvitarsi a mezz’aria e ricomparire alle spalle di Gabriel per ricominciare la battaglia in totale parità.
Ad ogni scontro si fronteggiavano corpi, Grazie, ali e sentimenti. La rabbia di Gabriel contro l’odio di Castiel. Le ali dorate contro quelle nero carbone. Grazia di luce contro Grazia oscura.
Le spade stridevano, sprizzavano scintille lucenti, poi si separavano e danzavano, compiendo archi luminosi a mezz’aria. Pareva che le armi fossero semplici appendici naturali delle braccia dei due angeli, che le muovevano con tale grazia e velocità da renderle invisibili, letali e bellissime come fiere in attacco. Le ali, in aggiunta, scivolavano leggere insieme alle spade stesse, eguagliandone lo splendore accecante. Le piume nere e dorate si intrecciavano e si sfioravano come immensi mastodonti impegnati in un corpo a corpo talmente violento da far tremare la terra e gli animi del mondo intero.
I due arcangeli erano talmente veloci che di loro si distinguevano soltanto scintille luminose e bagliori fuggiaschi, simili a lame di luce. Ad ogni loro scontro si espandeva un’onda di energia che faceva a pezzi qualcosa, uno squarcio di mondo, un pezzo lontano di città o un barlume più vicino di paesaggio. A causa loro, i vulcani si spaccavano in due, le montagne crollavano su loro stesse e i mari si agitavano, scossi dai terremoti di due potenze ineguagliabili che cercavano di fronteggiarsi e prevalere.
Fu un attimo, un secondo di troppo e uno sbaglio che Gabriel non si perdonò mai. Semplicemente, fu la sua rabbia a tradirlo.
Più guardava Castiel, più avvertiva la forza disperata dei suoi colpi scagliati senza pietà contro di lui, più sentiva il dolore aggredirlo.
L’aveva visto nascere. L’aveva stretto al petto quando era ancora un piccolo barlume di Grazia un po’ più luminosa delle altre e aveva accarezzato le sue piume argentate quando erano ancora piccoli boccioli spennati. Si era preso cura di Castiel, l’aveva guardato crescere, pensando ogni giorno che suo fratello fosse destinato a un grande destino. Non gli aveva mai voltato le spalle, mai, nemmeno quando era fuggito e si era nascosto da tutti. Allora Gabriel l’aveva seguito e avvicinato cautamente come ci si accosta a un animale ferito. Aveva portato pazienza, fiducia e la dolcezza di un fratello che rimane sempre lì ad aspettarti.
Gabriel amava Castiel, e questo gli faceva rabbia. Lo aveva sempre protetto e, che Dio lo perdonasse, il suo istinto primario era di continuare a farlo. Non riusciva a mirare ai punti vitali, non riusciva a combattere veramente.
Era suo fratello.
È mio fratello.
Castiel aggirò la sua difesa, direzionò la spada al petto. Gabriel si spostò appena in tempo, ma non riuscì a evitare il largo squarcio che gli si aprì sulla spalla. Annaspò proprio mentre Leitsac compariva alle sue spalle come un’ombra nera, cupa, mortifera. Calò la spada angelica.
-GABRIEEEL!!!- urlò Sam, straziato. Tese una mano verso l’arcangelo, che incontrò il suo sguardo. Gabriel lo fissò con tristezza e una muta richiesta di perdono. Sapeva di non potersi spostare, sapeva che in un modo o nell’altro, o l’avrebbe ucciso Castiel, o l’avrebbe fatto Leitsac. Era finita, perciò si limitò ad allungare una mano verso il suo umano, verso il suo ricordo felice… verso quanto gli restava di più prezioso. Non volle abbandonare i suoi occhi nemmeno per un secondo.
Una freccia luminosa compì una traiettoria dritta, precisa e micidiale verso le mani di Leitsac. La punta di diamante si conficcò a fondo in un polso, sbucando dalla parte opposta con uno schizzo di sangue che si riversò sul viso improvvisamente stordito di Gabriel.
Un oceano di luce purissima si riversò come un’onda sulle repliche, spingendole a retrocedere preoccupate, le ali che sbattevano con forza per cercare di sottrarsi al cocente bagliore divino. Dean e gli altri sentirono i legami invisibili liberarli. Si alzarono in piedi proprio mentre i Behemah Aqedà comparivano, atterrando sul terreno con zampe e artigli o librandosi sulle loro teste. Un vento profumato di orchidee si schiantò contro l’oscurità pressante che oscurava il sole. Le nuvole nere fremettero ferite, retrocessero leggermente, per lasciare spazio a piccoli, sottili raggi dorati che piovvero su un Gabriel improvvisamente consapevole.
L’arcangelo biondo fece ruotare la spada, aprendo un taglio profondo nell’avambraccio di Castiel e sparendo per poi riapparire accanto a Sam. Una delle ali immense si piegò sugli umani, proteggendoli dalla potenza accecante e distruttiva dell’ira più potente del paradiso.
Una distesa immensa di armature adamantine, spade angeliche e ali variopinte ricoprì l’ambiente, schierandosi dinanzi all’armata dell’inferno. Volti nobili, con occhi intrisi della gelida decisione del soldato; piume preziose come pietre che ad ogni movimento rilanciavano sul diamante rifinito delle armature uno spettro di riflessi cristallini; angeli possenti, ultraterreni, implacabili.
Alla testa dell’esercito, vi era Samael, abbracciato da un’armatura rifinita in decorazioni di bronzo e con un diadema sulla fronte che cadeva a intrecciare sottili filamenti di cristallo intorno a una pietra lucente al centro della fronte. Cingeva i fianchi di Mary con un braccio, stringendola a sé, le ali distese per mantenere una certa quota e il viso atteggiato in un’espressione di totale fermezza. Nell’altra mano, stringeva una spada angelica.
Atterrò accanto a Gabriel, lasciando andare Mary, che si aggrappò a Sam per mantenere l’equilibrio. Dopo aver visto il paradiso, non poteva che sentirsi scossa.
-Bentornato, fratello.- salutò Balthazar con un sorriso. Samael ricambiò e si rivolse a Gabriel.
-A te lascio la guida degli eserciti, Gabriel. Qualunque scelta farai, noi ti seguiremo.-
Gabriel annuì, ergendosi in tutta la sua fierezza. Strinse la mano di Sam, affidandosi al calore di quel contatto, ma quasi non si accorse di Castiel che si lanciava verso di loro a velocità folle, furioso, accecato dall’ira… dal senso di abbandono.
Gabriel strinse Sam, proteggendolo col proprio corpo, premendo il suo capo contro il petto e chiudendo gli occhi.
-No!!!-
Un grido, il balzo di qualcuno che li oltrepassava per frapporsi nello scontro.
Gli occhi di Castiel trovarono quelli smeraldo di Dean. Occhi d’odio in occhi di speranza. Occhi di paura in occhi d’amore.
Cass…
Crack.
Castiel sentì qualcosa spezzarsi al centro del petto e mescolarsi al dolore acuto di un pezzo di cuore andato in frantumi. Le ali gli vennero meno, il corpo perse di forze e si accasciò improvvisamente. L’unico istinto al quale rispose l’arcangelo, fu quello di piegare un’ala per non ferire Dean, per non urtarlo e causargli dolore… lo stesso dolore che Castiel provò urtando il terreno e rotolando per metri e metri. Fu la spada di Balthazar ad abbattersi sulla sua spalla, inchiodandolo al suolo.
-No!- gridò Leitsac, levando un braccio e calandolo poi a suo indirizzo. Le truppe infernali si mossero, scagliandosi verso gli angeli, dando inizio a una battaglia epica, che nessuna storia avrebbe mai potuto raccontare. Una battaglia tra angeli, uno scontro d’ali luminose e oscure… una guerra finale, per decidere il domani del mondo.
 
Angolo dell’autrice:
ok, chiedo scusa per l’orrore che ho scritto e per il ritardo, ma ho finito gli esami due giorni fa e questo capitolo l’ho scritto in questo lasso di tempo. Ho un po’ faticato, lo ammetto. Comunque il mio cervello non si è fermato, tranquille, sto già progettando altre long fiction, una su Supernatural e una su Merlin.
Gab: no, non sei perdonata. Signori, ecco pomodori e uova marce.
Non… Gabriel, perché sei vestito da cameriera?! Hai la minigonna di pizzo, dannazione!
Gab: er… credo che a Balthazar sia sfuggita la situazione di mano. Però le calze a rete mi donano.
No Gabe, sei allucinante. E pensare che è stato Balthazar a organizzare gli abiti delle vostre repliche! Sembrava bravo, ma tu con la divisa da cameriera no!
Crowley: beh? Cos’hai contro le cameriere?
Niente, io… (fiss fiss…………………………………………)
Crow: che c’è?
(Fiss fiss……………………………………………………….)
Crow: senti, questo costume mi dona, quindi…
Crowley, ti rendi conto di essere vestito da hostess? Un’hostess donna! Con minigonna e tacchi!
Crow: infatti sto andando al reparto trucco! Sembra che Lucifero si stia specializzando in make-up!
Santo…

kimi o aishiteru: tesoro, sposiamoci quando vuoi, Gabriel fa il prete! (perché io? Nd Gabriel) Cioè, davvero ti piacciono tutte le serie che ho elencato? Sei un sogno ad occhi aperti! E in più mi nomini Harry Potter, che io adoro, organizzi anche maratone di Supernatural e lasci recensioni meravigliose, ma sei reale? E parliamo delle tue amiche, credo che anche loro non possano esistere XD troppo bello per essere vero (si prende a schiaffi)(ti aiuto? Nd Lucifero)( tu fila via!). Comunque, Belial nel prossimo capitolo avrà il suo bel daffare e Castiel e Dean anche più di lui. Piuttosto, Balthazar chiede se vi sono piaciuti i nuovi abbigliamenti delle repliche. Ha faticato a trovarli e l’ho visto inseguire Gabriel e gli altri armato di stoffa e forbici. Gli sono venuti una paio di attacchi isterici, ma niente di grave (no? e allora perché manca metà della tua casa? Nd Gabe)( ehm…). E ora passiamo alle tue splendide amiche, anche se mando sempre un saluto in particolare alla tua altrettanto splendida sorellina:
Ale: per veder Crowley sputare sangue dovrai aspettare il prossimo capitolo, ma sicuramente Lucifero lo farà penare per aver anche solo pensato di prendere il suo posto. Insomma, il Diavolo è pur sempre il Diavolo, no? e con Belial nei dintorni che è anche più forte di lui, Crowley dovrà espatriare seduta stante. In realtà Gabriel si sta informando su tutte le promozioni sui materassi Eminflex, ma non ne trova uno abbastanza lungo per Sam. Da qui il motivo grazie al quale i due l’hanno fatto in acqua. Ohohoho, detto ciò ti ringrazio di cuore per la magnifica e spassosissima recensione, a presto!
Agne: dio mio, Kimi ha dimenticato il caffè? io l’avrei uccisa, senza caffè non si và avanti! Kimiiiiii!!! (posa quella mazza! Nd Gabriel) questa è una tortura medioevale! Spera che i lividi non permangano, altrimenti la gente penserà che sei di ritorno da una nottata di lotte in gabbia con tanto di scommesse clandestine (no, quello lo state facendo voi con me e Michael! Che accidenti, non è che perché siamo in una Gabbia voi potete scommettere su chi le prende di più! Nd Lucifero). Senti, Lucifero è tuo, io qui non lo sopporto più. Piuttosto uso una bambola gonfiabile con la sua faccia stampata sopra pur di non averlo tra le scatole! (nooooo!! Nd Michael) Ecco in regalo per te un magnifico Lucy tascabile con tanto di poteri demoniaci, sadismo e rompiballe a palla. Auguri e grazie per il commento XD
Chiara: eh, il problema è che ho l’autostima sotto le scarpe da sempre. Pensa che scrivo libri da quando avevo otto anni e non ho mai avuto il coraggio di provare a pubblicarli. Però ti ringrazio, il tuo complimento significa molto per me, anche perché il mio sogno è proprio diventare una scrittrice. Ecco, Balthazar fa sempre di testa sua, ma che ne pensi del nuovo abbigliamento di Cass? L’idea era di presentarlo nudo, ma la cosa avrebbe presentato qualche problema di troppo, tipo l’infermità mentale di Dean e delle lettrici. Piuttosto, il problema è che Balthazar si rifiuta di indossare l’armatura e continua a vestire da stilista, e la cosa è ridicola! Come lo mandi uno così in battaglia?! Ora ti saluto, un bacione!
PS: Ma voi la dedica la meritate eccome! Non mi aspettavo una recensione del genere, e sembrate delle persone fantastiche! È per quelle come voi, tanto appassionate a degli scritti, che continuo a scrivere, perciò non posso che ringraziarvi. Grazie di cuore.

HowlingFang: guarda, se durante il tour incontri Crowley, mandamelo qui che non si trova più. Suppongo che si sia nascosto da qualche parte dopo aver sentito che Lucifero era libero. E come dargli torto… diciamolo che sono un’autrice prettamente bastarda XD che ne pensi delle nuove repliche? Gabriel in particolare mi è stato difficile descriverlo, anche perché non sapevo in che modo avrei potuto vestire un personaggio identico d’aspetto ma opposto a quello originale. Ci sono volute diverse testate nel muro per trovare l’idea, ma alla fine, grazie allo stilista Balthazar di “ma come ti vesti?” di Real Time, abbiamo trovato quello che cercavamo. Castiel è un po’ sfortunato, ammettiamolo, ma avrà la sua parte di gloria… forse. E comunque Balthazar è rimasto in vita solo per aspettare il ritorno di Belial. L’ha promesso, no? e Balthazar, da bravo soldatino innamorato, le promesse le mantiene. Sono felicissima di essere una fonte di ispirazione, e proprio per questo ti dico: scrivi sempre! Scriviscriviscrivi! Vedrai che poco a poco, i tuoi personaggi diventeranno parte di te e imparerai a conoscerli come veri esseri viventi! Comunque ora che ho finito gli esami e sono sopravvissuta, riuscendo a pubblicare più o meno in tempo breve, potrò esserci un po’ più spesso. Finita questa, ne comincerò un’altra nel fandom di Merlin, e poi un’altra ancora per Supernatural. Spero di ritrovarvi tutte, perché oltre che ai personaggi, mi sono affezionata a tutti voi lettori! Un bacione!
Tomi Dark Angel
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 27
*** Fiducia Nella Speranza ***


Due schieramenti. Due facce della stessa medaglia. Ali simili, grondanti luce o catrame come marchio d’appartenenza alla fazione scelta.
Il mondo intero non aveva mai visto niente di così atroce o di così bello. Angeli dai visi identici si fissavano negli occhi con sguardi differenti mentre intorno a loro si diramavano luce e tenebre in una lotta continua, materiale. Stavolta non si trattava di angeli e demoni, ma soltanto di bene e male.
La due fazioni parevano distendersi per chilometri e chilometri, a vista d’occhio, schierati su una linea che in un solo istante, la fazione oscura decise di oltrepassare. Era bastata una piccola provocazione, un attacco a uno dei due capi oscuri per spingere l’altro a scatenare molto più dell’Apocalisse.
I Behemah Aqedà si levarono in volo, spiccarono una corsa e balzarono per anteporsi ai padroni prima che la morte li raggiungesse.
Un istante di calma, l’attesa dello schianto e della tempesta…
Un istante di movimento che pareva rallentarsi ad ogni battito d’ali…
Un istante.
Poi, vi fu lo scontro. Il boato che si propagò si espanse oltre il pianeta, rimbalzando con la violenza di un terremoto contro le galassie e all’infinito nello spazio. Un’immensa onda d’urto si propagò nell’aria, spazzando via ogni cosa, ogni rimasuglio di vita mentre la violenza ribaltava gli ordini naturali delle cose e compiva il suo corso egoistico, rimpiazzando la pace che aveva regnato per secoli e secoli.
Gabriel e Samael protessero gli esseri umani rimasti al suolo, stringendoli e spalancando le ali come scudi per impedire alla potenza angelica di spazzarli via. Poi, senza una parola, si levarono in volo, immensi, bellissimi, abbracciati da armature che narravano di potenza e grandezza divina.
Sam guardò Gabriel innalzarsi, contrastare la potenza delle sue stesse truppe, che appena lo notarono gli fecero spazio, alcuni chinando il capo, altri schierandosi alle sue spalle rispettosi, ubbidienti, addestrati come i soldati che erano. Le ali di Gabriel apparivano ancora più grandi di quelle degli altri, sei gigantesche appendici di scultura divina modellata ad arte sull’oro più splendente. Poi, vi era il viso. Magnifico, rigido nella sua freddezza di generale assassino, furioso, sicuro degli ideali che difendeva.
Lo faceva per la gente. Per le persone che meritavano di andare avanti, e per quelle che potevano redimersi. Lui aveva commesso degli errori, eppure gli era stata donata un’altra possibilità. Era ora di ricordare a se stesso che anche gli altri meritavano una seconda occasione.
I Behemah attaccarono in massa, possenti nelle loro moli innaturalmente grosse. Artigliarono le ali degli angeli avversari, insudiciandosi di catrame, cavarono loro gli occhi, azzannarono le loro gole. Alcuni caddero per frapporsi tra il proprio compagno e la morte, come una grossa tigre bianca che si fece decapitare per salvare un angelo dal tramite di ragazzino. Sam vide quello stesso angelo sbarrare gli occhi, gridare impazzito dal dolore e trafiggere con odio il suo stesso doppione. Piangeva, l’angelo, incurante dei suoi stessi fratelli che cadevano pezzo dopo pezzo come foglie di un albero.
Le repliche possedevano la stessa forza degli originali, con la differenza di riuscire ad anticipare ogni mossa degli angeli veri e propri. Si scambiavano di posizione, affrontando un angelo che sapevano essere più debole mentre una replica più forte annientava un altro figlio di Dio.
Castiel si liberò della spada di Balthazar e si levò in volo, sparendo tra la folla.
Sam vide Gabriel scontrarsi col suo doppione. Incastrò le ali con le sue, generando una bolla d’aria lucente che spazzò via un quarto di entrambi gli eserciti. L’arcangelo angelico bloccò il polso della replica, impedendogli di decapitarlo, poi gli  assestò una ginocchiata e lo spinse via con un titanico sforzo delle ali muscolose.
La replica indietreggiò confusa mentre Gabriel attaccava più e più volte, con rabbia e furia violenta e calcolatrice. Pareva una danza, un muoversi sinuoso di sue magnifici corpi abbigliati dello splendore delle stelle. Entrambi leggeri come l’aria, eleganti, raffinati in ogni più piccola movenza che non sapeva di morte, ma che al contrario, appariva solo come un semplice sfiorarsi di carezze.
La forza di un solo arcangelo era difficile da descrivere, ma quella di due arcangeli, seppur di fazioni diverse, era totalmente impossibile. La loro grandezza, l’incastrarsi e divellersi delle loro ali variopinte di nero catrame e oro lucente, gli archi luminosi delle lame che apparivano visibili solo per gli scintillii che causavano un nuovo graffio, una nuova ferita all’avversario.
A poca distanza da loro, Balthazar e Samael lottavano coi loro doppioni. Si trovavano fianco a fianco, facendo il possibile per mantenere una breve distanza l’uno dall’altro per scambiarsi di posizione con noncuranza, sfiorandosi appena con piroette e occhiate che avvisavano l’altro di muoversi più in fretta. Erano due soldati, due fratelli cresciuti probabilmente nella stessa fazione e con gli stessi addestramenti militari, lo si capiva dal meccanismo ben oliato che li spingeva a predire le mosse dell’altro, ad anticiparle, a capirsi con una semplice occhiata.
Le repliche non erano altrettanto ben addestrate. Conoscevano le tecniche degli originali e le loro movenze, ma gli riusciva difficile capirsi a vicenda come facevano Samael e Balthazar. Eppure, la forza delle creature oscure era pregnante, nociva, e pareva a tratti rallentare gli angeli, che sapevano di porsi su un equilibrio poco stabile, affidandosi all’altro. Se uno dei sue veniva ferito, sarebbero caduti entrambi, e questo lo sapevano anche le repliche.
Bastava una mossa sbagliata, ed entrambi avrebbero trovato la fine, eppure pareva non esistere falla in quel meccanismo di attacco e difesa, non un errore, non un’esitazione. Dove Balthazar offendeva, Samael difendeva e viceversa.
Sam udì un sibilo, il rumore di qualcosa che veniva scagliato a suo indirizzo. Rotolò di lato appena in tempo per evitare una freccia diretta al suo petto. La vide conficcarsi nella terra bruciata e divelta in zolle, vibrando l’asta minacciosamente. Si rialzò, aiutato da Dean, Bobby e Mary proprio mentre un demone si parava davanti ai loro occhi. Tese una mano verso di loro, sorridendo, ma Sindragon e Sindragosa comparvero dal nulla, atterrandolo con le moli massicce e la velocità fuori dal comune. Quantomeno, il cane sembrava essere ancora dalla loro parte.
Il demone si dimenò mentre Sindragon gli azzannava la gola e Sindragosa gli staccava una mano a morsi. Il muso le si coprì di sangue e lei levò all’aria il suo verso di battaglia, incitando i nemici a farsi avanti, a ferirla, a tentare di valicare la sua difesa.
Un altro demone comparve, ma Sam lo placcò, immobilizzandolo il tempo necessario per far sì che Dean pronunciasse a gran voce un esorcismo. Alle spalle del maggiore dei Winchester, altri due demoni furono costretti a lasciare i corpi occupati.
-Andiamo!- urlò Mary, sparando alla rinfusa sopra le loro teste. Aveva una mira precisa e letale. I colpi andavano sempre a segno, senza mai colpire un alleato. Non uno sbaglio, non un bersaglio mancato. Mai.
I cacciatori corsero tra le carcasse di angeli, repliche, demoni e mastini invisibili. Al loro fianco, come fide guardie del corpo, sfilavano Sindragon e Sindragosa, pronti ad abbattere nemici uno dopo l’altro, affondando zanne e artigli nelle carni di chi osava intralciare il loro cammino. Spesso, uno dei due Behemah bloccava un demone e subito Dean e Sam recitavano l’esorcismo che li avrebbe respinti al mittente.
Mary sparò all’ala di una replica, distraendola quel tanto che bastava per procurare la sue decapitazione a opera di un angelo.
All’improvviso, un doppione oscuro atterrò davanti ai loro occhi. Pelle scura, occhi neri come il carbone, braccia muscolose e viso altero. Se Dean non avrebbe visto le ali sudice di catrame stagliarsi alle sue spalle, non l’avrebbe distinto dall’originale.
-Uriel.- sibilò, sparandogli un colpo che venne deviato prontamente con un unico gesto della mano della replica.
-Banale. Povero piccolo umano, ti senti solo?- ghignò irrisorio, pulendosi dal viso uno schizzo di sangue. –Ti senti… abbandonato?-
Il viso di Dean si contrasse in una smorfia di rabbia. Sparò altri tre colpi, imitato da Mary, ma Bobby e Sam cercarono di tirarli via entrambi.
-Venite via, non possiamo…-
Sindragon e Sindragosa aggredirono Uriel insieme, azzannandogli entrambe le braccia e cercando invano di placcarlo con le moli gigantesche. Piantarono gli artigli nelle sue braccia, dilaniando con forza, ma alla replica bastò un gesto per scagliarli via. I due Behemah si schiantarono al suolo con violenza, e Sindragosa emise un guaito raccapricciante quando avvertì una costola incrinarsi.
-No!- gridò Sam, correndo dall’animale, ma Uriel gli comparve davanti all’improvviso, come un’ombra mefitica di morte.
Levò in aria la lama angelica, un sorriso di vittoria sul volto. Sam tentò di sottrarsi e Dean di intervenire, ma tutti loro erano bloccati nelle rispettive posizioni e a stento riuscivano a respirare. Il maggiore dei Winchester tentò di divincolarsi, di gridare, di impedire che quella maledetta ombra gli sottraesse quanto restava della sua famiglia… di suo fratello.
Ma qualcosa accadde. Una freccia trafisse il petto di Uriel, trapassandolo da parte a parte. Qualcosa di immenso piovve dal cielo, abbattendosi con la forza di una saetta divina sulla creatura oscura, che collassò al suolo senza neanche accorgersi di essere stata decapitata. Le gigantesche ali di Samael sbatterono un’unica volta, liberando un vento pulito, che spazzò via la sensazione di immobilità che opprimevano i corpi dei cacciatori.
-Andatevene.- ordinò l’angelo, guardando Mary in particolare.
-Non se ne parla!- si infuriò lei, mentre Samael atterrava e li trascinava al riparo di un detrito particolarmente grosso di ciò che restava della casa di Bobby. Le strinse forte il braccio, incatenando gli occhi eterocromi ai suoi. –Mary, dovete allontanarvi. Qui è pericoloso.-
-Lo è anche per te!-
-Sì, ma io devo combattere. Sono i miei fratelli, è compito nostro.-
-E tu sei… sei…-
La voce di Mary si strozzò mentre la ragazza ricambiava la stretta, arpionandosi al polso di Samael. Si specchiò negli occhi luminosi dell’angelo, riconoscendo una potente scintilla di Grazia purissima balenare nelle iridi chiare. Era quello, il viso del suo Samael, del suo angelo.
Una creatura all’apparenza fragile, che aveva commesso errori e pianto per la perdita di Castiel. La sua storia ruotava attorno alla tristezza dell’abbandono, del dover sorvegliare gelosamente quanto restava del suo affetto per l’unico angelo che rappresentava le sue colpe. Aveva ferito Castiel, poi si era impegnato per rimediare… e infine, adesso, si vedeva costretto a fronteggiarlo. Affrontare una parte di se stesso non era facile, ma Samael lo faceva a testa alta, occupandosi non di se stesso, ma di coloro che gli stavano intorno.
Era questa, la forza di Samael.
Avere fiducia in chi gli stava accanto, saper riconoscere il bene anche dove questo era assente. Lui non combatteva per abbattere Castiel… lui lottava per salvarlo.
-Riportalo indietro.- mormorò Dean, guardandolo negli occhi. Era la prima volta che fissava Samael con rispetto, riconoscendolo per ciò che realmente era: un compagno… un amico. Gli pose una mano sulla spalla. –Riportamelo. Non ti chiedo altro, pennuto da strapazzo.-
Samael sorrise e annuì, inchinandosi dinanzi all’affetto superiore che quel cacciatore provava per Castiel. Per quanto Samael lo amasse, al cospetto dell’amore di Dean per suo fratello, egli doveva soltanto chinare il capo e riconoscere la sconfitta. Forse era ora di guardare avanti. Forse era ora di lasciarlo andare.
-Lo farò… per voi.-
Samael chinò il capo, fece un passo indietro. Fissò Mary in viso, notando un’unica lacrima di terrore scivolarle giù dalla guancia. Sorrise con fare rassicurante alla ragazza, poi spalancò le immense ali di bronzo e le sbatté, levandosi in volo con un sibilo d’aria spostata e riflessi cangianti.
-Dobbiamo allontanarci!- urlò Bobby, ma Sam sembrò non ascoltarlo. I suoi occhi fissavano un punto lontano, indistinto. Un riflesso di luce li attraversò mentre l’intero corpo del ragazzo si muoveva lentamente, rispondendo a un istinto primario, vitale, importante. Un istinto che gli diceva di camminare, perché sarebbe rimasto incolume.
-Sammy!-
Un demone comparve all’improvviso al suo fianco. Tese una mano verso di lui, sorridendo malignamente, ma Sam non sollevò nemmeno la pistola. Lo guardò in viso, tranquillo, ascoltando una voce sibillina che gli sussurrava di restare calmo: nessuno lo avrebbe toccato, qualcuno vegliava su di lui.
Una massa di peli candidi, marchiati da disordinate strisce nere piombò sul demone e lo fece a pezzi con artigli d’avorio e zanne che parevano madreperla. Un muso gigantesco, massiccio, si levò insanguinato dalla carcassa del demone per piantare due affilati occhi azzurrini in quelli di Sam.
Il ragazzo aveva già visto quella tigre bianca, alta due metri al garrese e con saggi occhi chiari. Sam ricordava quello sguardo, la sensazione di quel pelo tra le dita. Aveva combattuto al suo fianco durante l’ultima guerra contro Raphael. L’aveva creduta morta, e invece eccola lì, splendida nella sua possanza ed elegante nella sua grazia di felino predatore.
Sam si avvicinò alla tigre, la guardò in viso. Questa chinò appena il capo per condurre il muso a pochi centimetri dalla faccia di Sam, che fissò incantato il pelo macchiato di sangue. Allungò una mano, affondò le dita nel pelo morbido come una nuvola e sorrise dolcemente, riconoscendo una punta di arrendevolezza e devozione nello sguardo dell’animale. Non seppe cosa lo spinse a pronunciare quella parola, non seppe chi gliela suggerì. Semplicemente, la sentì sulla punta della lingua, come qualcosa di naturale che in realtà c’era sempre stato: -Astrea.-
La tigre sbatté le palpebre, leccò la mano di Sam come farebbe un gattino col padrone. Poi, appoggiò la fronte sulla sua in un gesto nobile, di confidenza… di fratellanza.
Dean guardò suo fratello con occhi sbarrati. Non era da Sam comportarsi così, e non era normale che un Behemah Aqedà si comportasse in quel modo con un essere umano. Lo stesso Sindragon, dopo anni interi passati al loro fianco, non si era mai concesso tanta confidenza con qualcuno che non fosse Castiel. Cosa significava adesso, quel cambiamento?
Sam allontanò la fronte da quella di Astrea e si chinò per raccogliere una spada angelica. La guardò, scrutandone il riflesso argentato, prima di montare in groppa alla gigantesca tigre bianca. Bobby corse verso di lui.
-Idiota, che accidenti fai?-
-Non posso scappare, Bobby.-
-Cosa? Certo che puoi, non possiamo restare! Questa è una dannatissima guerra angelica, non…-
-Ma lì c’è Gabriel.-
Sam sorrise, poi guardò Dean, parlando silenziosamente con gli occhi, domandando, aspettandosi una reazione. Quello sguardo chiedeva fiducia e l’appoggio di un fratello, di suo fratello.
Dean levò gli occhi al cielo, dove Castiel lottava al fianco di Leitsac, abbattendo uno dopo l’altro i suoi fratelli. Combatteva come una bestia ferita, schiava dell’odio e della rabbia cieca, macchiandosi ad ogni gesto di altro sangue, di altro peccato: Dean poteva davvero lasciarlo lì?
In tanti anni che lo conosceva, Castiel non l’aveva mai abbandonato veramente. Era stato lontano, era sembrato assente, ma non era mai mancato davvero. L’aveva sostenuto, salvato e amato come nessuno, a parte Sam, aveva mai fatto in vita sua. Grazie a lui, Dean era andato avanti, e aveva trovato il vero valore delle cose, anche di una piccola carezza gentile o di un abbraccio amico.
Aveva salvato Cass una volta. Poteva farlo ancora.
Semplicemente, in risposta allo sguardo di Sam, Dean sorrise e annuì. Fu un semplice gesto, piccolo, e forse all’apparenza insignificante, ma per Sam valse oro. Si raddrizzò sulla groppa di Astrea, strinse forte il pelo dietro la sua nuca e mormorò a bassa voce: -Andiamo.-
Con un ruggito, la tigre si slanciò in avanti e Sam si tenne forte quando sentì le enormi zampe della bestia spingere sul terreno per spiccare un salto. Come al rallentatore, il ragazzo vide una replica avvicinarsi a velocità vertiginosa, perciò la colpì all’ala con un fendente preciso che le tranciò un quarto di muscolo. La creatura lanciò un urlo mentre un angelo la finiva.
Astrea atterrò e balzò di nuovo, avvicinandosi a Gabriel, che intanto distruggeva ogni cosa nel vano tentativo di abbattere la sua replica. Ad ogni fendente di spada, i due arcangeli spazzavano via nemici e alleati, abbattendo i miseri resti della battaglia. Lottavano in un corpo a corpo talmente serrato che a stento si vedevano, se non fosse stato per il sangue copioso che spargevano ovunque. All’improvviso, i due si separarono con pochi battiti d’ali che spazzarono via metà dei due eserciti.
L’alone luminoso che attorniava Gabriel era notevolmente diminuito e l’arcangelo sembrava stremato. Aveva il corpo e coperto di ferite, il volto pallido e tirato e grondava sangue. La sua replica non era messa molto meglio.
Gabriel volse lo sguardo verso Sam, incatenando gli occhi ai suoi. Fu una distrazione di troppo, un istante che gli costò caro. Avvertì il sibilo della lama, lo spostamento d’aria di qualcosa che si avvicinava al suo petto.
Sam sbarrò gli occhi, ma Gabriel si mosse appena, sorridendo. Aveva fiducia in Sam e nel Behemah che cavalcava. Gli strizzò l’occhio, con sincera tranquillità.
Sam vide la lama della replica penetrargli la carne, fargli sbarrare gli occhi, ma nemmeno per un istante l’espressione di Gabriel vacillò. Continuava a sorridere leggermente, nonostante il dolore, e solo allora Sam capì. Sentì la presenza di Gabriel, la sua solida persona invaderlo di sicurezza e affetto. No, finché ci fosse stato lui, non gli sarebbe accaduto niente.
Gabriel bloccò la spada con una mano, occhi negli occhi col suo Sam, il suo umano. Vide Astrea balzare, i suoi artigli brillare di forza. Un’ala di Gabriel si piegò sotto la mole possente della tigre, che usò il muro di piume come rampa di lancio per un nuovo, possente salto che la portò a schiantarsi contro la replica di Gabriel. L’arcangelo gli bloccò il polso, immobilizzandolo e costringendolo a restare fermo mentre Sam fendeva il collo della replica con la spada. La testa rimase attaccata per un filo al collo, ma quando il falso Gabriel si accorse di star morendo, sorrise.
-Non me ne andrò da solo.- mormorò. Estrasse la spada dal corpo di Gabriel con uno strattone che l’arcangelo non riuscì a trattenere e scagliò la lama verso Sam.
Lui no.
Era forte. Era forte abbastanza da poter fermare quell’attacco. Gabriel era stanco di versare sangue, stanco di vedersi separato dal suo Sam. Sarebbe rimasto al suo fianco, perché lo meritava, perché glielo aveva promesso.
Comparve accanto ad Astrea e Sam, afferrò il felino per la collottola e lo resse penzolante nel vuoto mentre tendeva una mano verso la spada in avvicinamento. Ci fu un’esplosione, un dilagarsi di luce che spazzò via e accecò le repliche che stavano intorno.
La luce ci un arcangelo era quanto di più potente esistesse. La luce di un arcangelo era la beatitudine per chi sapeva accoglierla, e la dannazione per chi la ripudiava. Era come guardare il sole, con la sua immensa criniera d’oro e rubino, e in quel momento, l’astro era Gabriel. L’arcangelo, coperto di sangue, stringeva a sé il corpo di una gigantesca tigre più grossa di lui, ma mai come in quel momento, la creatura pareva piccola e indifesa accanto alla gelida magnificenza divina della creatura alata.
Sei, le dorate, gigantesche appendici piumate che come fiori sbocciati stiracchiavano l’apertura alare di metri e metri di lunghezza.
Due, gli occhi ricoperti di luce divina, disumana e bellissima che irradiava di regalità un volto teso di rabbia.
Una, la mano stretta sulla collottola di una tigre. Una, la mano che fu coperta da un palmo più grande, umano, gentile.
La luce di Gabriel si intensificò, crebbe come un sole nascente, splendido e florido nell’alba che rappresentava.
Castiel ne rimase accecato, ferito agli occhi e nello spirito. Indietreggiò, sbattendo furiosamente le ali e si lasciò cadere al suolo, ma in quel momento Balthazar comparve dal nulla, alle sue spalle. Castiel si accorse appena della sua presenza, ebbe giusto il tempo di girarsi verso di lui.
-Mi dispiace, fratello.- sibilò, fendendo l’aria con la spada.
Uno schizzo di sangue, un rumore di carne lacerata.
Castiel che sbarrava gli occhi.
Balthazar che lasciava andare la spada, come scottato da ferro incandescente.
Poi, in quel momento, Leitsac piovve dal cielo e gli piantò una freccia di puro cristallo nel collo, facendolo accasciare di lato, sull’erba, con occhi ancora sbarrati e increduli. Davanti a lui infatti, stava ancora Dean, parato dinanzi a Castiel, con le braccia spalancate e una spada conficcata nel ventre. Sorrideva leggermente, gli occhi lucidi di dolore e stanchezza per una situazione che non poteva sostenere.
-DEEEEAN!!!- urlò Mary, correndo verso di lui, ma in quel momento Samael si schiantò al suolo, a pochi passi da lei, con un’ala recisa di netto. L’angelo aveva le lacrime agli occhi e un profondo taglio al collo che perdeva sangue… tanto sangue.
Gabriel atterrò, lasciò liberi Sam e Astrea e li affiancò. Dall’altra parte, comparvero una zoppicante Sindragosa e Sindragon. Entrambi annuirono lentamente, gli occhi fissi su Leitsac.
-Andiamo.- ringhiò Sam, vibrante di rabbia.
Era l’ultimo atto, l’ultimo gesto disperato contro un’oscurità soverchiante. Caduti i capi delle armate angeliche, caduti i loro ideali, non sarebbe rimasto più niente. Eppure, per quanto poche fossero le speranze, Gabriel e i sopravvissuti le avrebbero trattenute a due mani con energia, rabbia e speranza.
Questo, erano gli angeli: speranza. Vita.
Portavano con sé il vessillo di un credo che piantava radici nella sopravvivenza dell’uomo, e non più in Dio. Erano le persone, la speranza vera, la possibilità di andare avanti. Proteggere un bambino, un anziano con ancora la forza di innaffiare un fiore o una coppia di amanti che crede nell’avvenire radioso di un futuro pacifico. Loro combattevano per questo.
Gabriel levò in alto la spada, chiamando a sé le truppe di Dio e gli occhi dei suoi fratelli. Ogni angelo irrigidì le ali, rispose rifulgendo al suo appello, in trepidante attesa che un ultimo, disperato attacco avesse inizio. Ogni scintilla di Grazia fu chiamata a raccolta, ogni briciolo di energia residua abbracciò le figure alate che ancora credevano in una libertà. Le piante di tutto il mondo, le persone che pregavano, i moribondi che tuttavia sorridevano nel sollievo della morte fiduciosa che giungeva: ognuno di loro abbandonò un briciolo di energia inconsapevolmente, ma con tranquillità, per donarlo alla fazione giusta, alle ali che trattenevano ogni speranza, ogni residuo di benevolenza. Così come gli angeli affidarono la loro fiducia all’uomo, così l’uomo affidò la sua forza e umanità ai figli di Dio.
-Per gli uomini.-
Gabriel abbassò la spada, la impugnò a due mani e spiccò una corsa. Al suo fianco, Sindragon, Sindragosa, Sam e Astrea si lanciarono su Leitsac con un urlo.
Mary impugnò la spada angelica di Samael, piazzandosi dinanzi all’angelo per proteggerlo dalla sua identica nemesi che piombava dall’alto, vittoriosa.
Bobby indietreggiò fino al muro per avere le spalle coperte e fronteggiare il cerchio di demoni che si stringeva intorno a lui.
Infine, Dean si accasciò davanti agli occhi di Castiel, ripiegandosi su se stesso con grazia elegante, quasi stesse per addormentarsi. Vide il terreno avvicinarsi a velocità vertiginosa, ma non si pentì del gesto compiuto perché Cass lo meritava. Cass meritava ogni sua goccia di sangue, ogni sua briciola di vita, visto che l’arcangelo la vita, gliel’aveva regalata pezzo pezzo, costruendola al suo fianco come un castello di carte ben solido.
Castiel osservò Dean accasciarsi lentamente. Era stato lui a procurargli quella ferita, lui a versare quel sangue. L’aveva trapassato in un atto di violenza, spezzando quel corpo e ignorando la sua fragilità di vetro. Aveva colpito una parte di se stesso, annientandosi definitivamente. Non era umanità, quella. Non era una scelta giusta, ma soltanto facile.
Aveva sbagliato tutto, se ne rendeva conto soltanto ora, mentre il sangue di Dean, di un pezzo della sua anima, gli macchiava indelebile le mani come un monito di peccato che non sarebbe mai scomparso. Era sangue pesante, sangue pulito che non meritava di adagiarsi sul lurido di mani che avevano maneggiato il male. Sbagliato. Era sbagliato, innaturale… malato.
All’improvviso, qualcosa nella testa di Castiel si spezzò. Come un orologio danneggiato da un brutto schianto col terreno, così l’arcangelo sentì che la sua Grazia era in procinto di lacerarsi. Non reggeva tanto dolore, tanta consapevolezza di essersi macchiata. Non reggeva l’aver ferito Dean.
“Tu sei la mia debolezza”, aveva detto una volta. Era vero, e Castiel ricordò il significato di tali parole soltanto quando avvertì le ali appesantirsi, perdere di oscura luminosità. Una scossa dolorosa lo percorse, e l’arcangelo non si accorse di essersi accasciato sul corpo di Dean, la mano stretta nella sua e una lacrima amara a scivolargli sul viso.
§§§§
Dean aprì gli occhi sull’oscurità fioca che lo attorniava. Poggiava i piedi su una superficie solida, e tutto intorno vedeva soltanto ombre sinistre, nere, inquietanti come bestie nascoste dietro l’angolo e pronte ad aggredirlo. Si guardò intorno, allarmato, ma non si azzardò a compiere gesti bruschi: doveva mantenere la calma e capire dove si trovava.
-Sei qui…- mormorò una voce roca e affannata.
D’improvviso, il paesaggio si schiarì. Dean riconobbe l’ambiente ricolmo di scale, specchi e porte che sbucavano ovunque, sottraendo il sopra e il sotto, la destra e la sinistra. Ogni senso dell’orientamento e della logica si stravolgeva in quel dedalo di rampe che tuttavia, stavolta era diverso: le scale erano a pezzi, bruciate o fatte a pezzi, mentre le porte erano spaccate, sradicate dai cardini, come se una furia cieca avesse abbattuto e fatto a pezzi ogni cosa con violenza inaudita.
-Ma che…- mormorò Dean, ma la sua attenzione venne attirata da qualcos’altro. A pochi passi da lui, incatenato a un muro e attorniato da frammenti di specchi infranti, c’era Castiel. O meglio, ciò che restava di lui.
Era ricoperto di ferite, con grossi pezzi di carne mancanti, gli occhi chiusi che grondavano sangue e le ali strappate come carta, fatte a brandelli, squartate senza pietà. Delle catene intorno ai polsi e alle caviglie lo costringevano contro il muro alle sue spalle.
Quel Castiel, Dean lo riconosceva. Quel Castiel apparteneva alla sua immagine del Cocito, il cacciatore lo capì dal ghiaccio che gli ricopriva la pelle, senza tuttavia riuscire a bloccare la fuoriuscita di sangue bollente. Dean aveva pregato di non dover mai più guardare quello scempio, ma ancora una volta, nessuno aveva accolto le sue preghiere.
Castiel dondolò il capo, dilatando le narici per inalare il profumo di Dean. Era così bello, così vicino e reale…
-Non crucciarti per il mio aspetto.- ansimò Castiel, continuando a oscillare il capo. –Preoccupati piuttosto per la tua presenza qui. Non sei dove dovresti essere.-
Dean ci mise un po’ per parlare. Non riusciva a muoversi, ma neanche poteva staccare gli occhi da quell’immagine raccapricciante di angelo spezzato e dilaniato. Avrebbe voluto accostarsi, ripulirlo dal sangue e dalle ferite, ma si sentiva come paralizzato dal dolore e dal terrore.
-Cosa… è successo qui? E tu… sei Cass?-
-Sono ciò che resta di lui. Sono un fantasma in decadenza, come in decadenza è ogni cosa qui.-
-Ma… non è possibile, io…-
-Io sono la una parte della Grazia di Castiel, e mi hanno lacerato.-
Castiel sorrise debolmente, tra il sangue e le smorfie di dolore. Scrollò leggermente i polsi, facendo tintinnare le catene, e Dean si accostò di un passo. Voleva liberarlo, voleva ripulirlo e curarlo. Rivoleva indietro il suo Cass.
-Resta dove sei, Dean. Non puoi aiutarmi.-
-Perché no?-
-Perché sei stato tu a lacerarmi.-
Dean sentì la bocca seccarsi, il cuore riempirsi di peso, come se un macigno enorme rischiasse di schiacciarlo. Tentò di restare impassibile, ma le mani gli tremavano.
Come se avesse avvertito il suo disagio, Castiel sorrise con infinita dolcezza, orientando verso di lui il viso macchiato di sangue.
-Io sono al tuo servizio, Dean, non lo sapevi? Sono sempre esistita per te, in funzione della tua esistenza e del tuo concepimento, anche quando non c’eri ancora. Il corpo del mio padrone ha reagito alla rabbia, ma lacerarti le carni è stato quanto di più orribile abbia mai fatto in vita sua… in pratica, Castiel ha ucciso se stesso.-
Dean indietreggiò fino a schiacciare il frammento affilato di uno specchio. Abbassò gli occhi e vide la scheggia emergere da un mare di piume scolorite e pezzi di ala lacerata. Dean guardò quelle piume, le stesse che tante volte l’avevano accarezzato e protetto come mani di una madre misericordiosa. Il corpo di Castiel, così caldo e accogliente, adesso appariva rigido e abbandonato, come se la morte se lo stesse portando via… via, lontano da Dean.
-No.- ringhiò infine Dean, avanzando di qualche passo. Castiel non parlò, ma levò il capo a suo indirizzo, come in attesa di una mossa qualsiasi o di un gesto, che fosse un pugno o una carezza. Dean lo raggiunse, appoggiò le mani sul petto sanguinante dell’arcangelo e chinò il capo, premendo la fronte contro la sua scapola e chiudendo gli occhi. Quel corpo, quel calore, erano del suo Cass. Erano sempre lì, per lui, pronti ad avvolgerlo. Non l’avevano mai abbandonato, non l’avevano mai deluso. Adesso, Dean non avrebbe deluso Castiel.
-Non c’è niente di sbagliato in te.- sussurrò contro la sua pelle. Sentì il sangue di Castiel colargli sulle mani, tra i capelli e sul volto adagiato contro di lui, ma non se ne importò. Baciò la scapola dell’arcangelo, ringraziando uno di quei preziosi pezzettini che aiutavano a costruire la magnifica figura del suo Cass, del suo compagno.
-Hai fatto tante cose buone in passato, Cass. Perché lo dimentichi? Volti continuamente le spalle a te stesso, dimenticando di aver salvato tante vite e protetto quanto c’era di buono al mondo. Hai capito che è giusto combattere per questo, ma sei comunque uscito fuori strada per un peso di troppo che ti hanno costretto a portare. Ti sei sentito trascinare giù, e nel terrore di perderti hai dimenticato che io c’ero. Non importa, è capitato e non puoi tornare indietro. Tuttavia… possiamo rimediare. Insieme.-
Castiel si mosse appena, chinò il capo per volgere il viso verso quello di Dean, che alzava il capo per guardarlo in faccia. Alcune gocce di sangue e lacrime caddero sulle guance del cacciatore, colando sulla pelle con una morbida carezza. Dean si raddrizzò, facendo scorrere le mani sul collo e poi sul viso dell’arcangelo. Tese il collo per depositare piccoli baci umidi sul mento, sulle guance e sotto gli occhi, ripulendo con minuziosa cura ogni macchia di sangue peccaminoso. Sfregava le labbra contro la pelle di Castiel, usava la manica della giacca per accarezzarlo ulteriormente e finire di pulirlo. Quando infine arrivò alla bocce dell’arcangelo, si chinò a baciarla dolcemente, senza pretese, come un bambino che scopre per la prima volta la curiosa importanza di quel contatto.
Un bacio che sapeva di respiri e vita.
Un bacio che sapeva di speranza.
-Rialzati, Cass. Insieme possiamo farcela. Rialziamoci tutti e due. L’abbiamo fatto una volta, ricordi? Possiamo farlo ancora.- mormorò Dean contro le sue labbra, ma Castiel sorrise con tristezza e lentamente, quasi con cautela, sollevò le palpebre. Due occhi ciechi, di un vacuo azzurrino sbiadito si posarono sul viso di Dean, che rabbrividì.
No… i suoi occhi no.
-Ho cercato di guardare troppo in là, Dean. Mi sono improvvisato boia e giudice di una giustizia che esisteva solo ai miei occhi, senza accorgermi che non posso più vedere. Io non posso aiutarti, per me è tardi… però, non dimenticare che questa non è soltanto la battaglia degli angeli. Stanno lottando per voi, per gli uomini. E finché ci sarete voi, ci sarà ancora speranza. Vai dunque, e sii l’incarnato stesso di quella speranza. Appellati alla tua umanità e a quanto finora ti ha spinto a rialzarti. In piedi, Dean: hai una guerra da vincere.-
Detto questo, Castiel si chinò nuovamente per baciare Dean. Il cacciatore sentì la lingua dell’arcangelo sfiorare la sua in una muta richiesta che fu accolta all’istante in una danza arcana, senza voce, che tuttavia scatenò un mare di luce che avvolse ogni cosa, riportando Dean indietro… riconducendolo alla vita.
 
Angolo dell’autrice:
Ok, stavolta sarò seria. Voglio dedicare questo capitolo alla splendida sorellina di Kimi o Aishiteiru per augurarle una prontissima guarigione. Ricordate tutte e due che anche se non li vedete, vi ho inviato tutti gli angioletti di cui dispongo, perciò sono sicura che andrà benissimo. Ricordate Gabriel e Cass? Sono due fratelli, si fanno forza a vicenda, perciò, coraggio!!! Pensate a loro e sorridete, poi disperatevi perché avete fatto il grosso guaio di farmi affezionare a voi, e non vi mollo finché non saprò che state bene! Sono disposta a darvi il mio recapito telefonico pur di avere notizie!
Gabriel: Tomi, sa tanto di minaccia, sai? Nessuno vorrebbe un guaio come te sulle spalle!
Zitto tu, e torna a mangiare dolci!
Gabe: quali dolci? Ero venuto a chiederti se li avevi presi tu, i miei!
Io non ho preso niente!
Bobby: che c’è? Perché mi guardate? Ehi, avevo finito la birra, in qualche modo dovevo pur sfogarmi!!!
Seh, come no… comunque, ora scappo e ringrazio con un fortissimo abbraccio virtuale anche xena89, che come al solito ritaglia sempre un pezzettino di tempo per lasciarmi un commentino. Grazie, ricordo che siete voi angioletti recensori ad aiutarmi a continuare la storia, perciò… grazie.

Tomi Dark Angel
 

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Capitolo 28
*** Se L'Umanità Cade In Ginocchio ***


Alcuni pensano che in certi istanti, il mondo si fermi a respirare. Inala aria pura di attesa e momenti che restano impressi nelle leggende, per secoli e secoli. Alcuni narrano quegli istanti, dipingendoli di sfumature che nella realtà saranno state mille volte più ampie, assurde e variopinte.
Quello era uno di quei momenti. L’istante che precedeva il gesto estremo che avrebbe designato la salvezza o la condanna di chi lo compiva o lo subiva.
Balthazar era a terra, bloccato con occhi sbarrati, fissi sulla lama di Leitsac che calava su di lui.
Samael si rannicchiava su se stesso, l’ala mozzata che gridava dolore e paura di morire mentre Mary protendeva il corpo per difenderlo dalla sua stessa replica.
Gabriel, Sam e tre Behemah Aqedà caricavano disperati le truppe nemiche, accumulando e poi scagliando via ciò che restava della loro forza residua, spenta, prossima a spirare.
Solo una piccola scintilla di purezza balenava nel caos di una guerra insensata, malsana e putrida di violenza. Due occhi. Verdi, come la speranza più intensa, viva, capace di inginocchiare la più feroce delle battaglie. Due occhi ricolmi di luce e riflessi cangianti, che parevano respirare come la persona che li imprigionava nelle iridi.
Dean trasse un profondo respiro, aggrappandosi quasi istintivamente al terreno intriso di sangue… del suo stesso sangue. Come era possibile? Aveva sentito il suo cuore fermarsi, la sua vita scivolargli via dal corpo, eppure era ancora lì, con occhi socchiusi di stanchezza, ma vivi. Cercò di ricordare, di rimettere insieme i pezzi di ciò che poteva averlo riportato indietro, finché non ricordò: Cass.
Si mosse appena, non visto in mezzo a quella confusione di sangue, rabbia e disperazione. Tutto ciò che vide fu un mare di piume nere distese su di lui e intorno a lui, come a volerlo proteggere un’ultima volta, alleate fino alla fine, o finché il destino non lo avesse separato di nuovo da quelle sei ali gentili che l’avevano sempre abbracciato. Volse il capo per incontrare due zaffiri stellati intrisi di confusione e rabbia malcelata. Il volto di Castiel era così vicino che Dean sentiva il suo respiro profumato sul viso, il calore del suo corpo e la dolcezza del suo odore. Rimasero immobili per qualche istante di cristallo, momenti nei quali si osservavano, giudicandosi a vicenda, finché Castiel non si sollevò con una spinta, raddrizzandosi.
Il mare di piume sbatté al vento, issando il corpo dell’arcangelo in aria, verso lo schianto dei due eserciti che si scontravano con forza rinnovata, distruttiva, violenta.
Dean vide le immense ali d’onice sbattere furiosamente, confuse, sofferenti, agitate, tranciando con le piume affilate carni di alleati e nemici. Angeli e repliche gridavano feriti, se accarezzati dalle penne taglienti come lame appena spuntate. Castiel pareva non distinguere più gli amici dai nemici, così come era chiaro che non metteva bene a fuoco ciò che aveva intorno. Volava in modo strano, sbilanciato, crollando di lato di tanto in tanto, e soltanto il frenetico sbattere di ali affilate gli procurava intorno al corpo una barriera protettiva e micidiale che impediva ai nemici di massacrarlo.
Dean si raddrizzò per guardare Sam. Solo allora notò quanto apparisse diverso, con i muscoli del corpo gonfi di rabbia e sforzo e il viso deformato da una disperata ferocia animale che pareva incrementarsi ad ogni ferita che la sua spada infliggeva. Aveva il viso sporco di sangue, i capelli scompigliati e gli occhi scuriti dalla furia omicida. Combatteva insieme ai tre Behemah, sfoggiando una grazia e una precisione micidiale, da predatore. In passato, i suoi gesti non erano mai stati così eleganti, fluidi, naturali, come in quel momento. Pareva che il suo intero corpo splendesse quanto e più di quello degli altri angeli intorno a lui, e ad ogni gesto quella lucentezza cresceva come un alone glorioso.
Ogni suo movimento si adattava ai balzi continui e possenti di Astrea, fluida come acqua nell’artigliare e azzannare ali, corpi e armi. I suoi movimenti si intersecavano con quelli di Sindragon e Sindragosa (la seconda zoppicava un po’), generando un potente arma e scudo difficile da aggirare, anche abbattendo uno solo degli elementi di quella stessa barriera. Tuttavia, il massimo impatto si generava quando Sam combinava i suoi attacchi con quelli distruttivi di Gabriel. Era in quei momenti che si distingueva quanto fossero legati i due, quanto il loro rapporto li unisse come un sol uomo. Sembrava che si leggessero nella mente a vicenda, perfetti nelle loro movenze che si incastravano come magnifici pezzi di un puzzle.
Di tanto in tanto, Gabriel piegava un’ala per coprire le spalle di Sam mentre questi tagliava la gola a una replica immobilizzata dai Behemah o da Gabriel stesso. Capitava anche che il cacciatore si aggrappasse all’arcangelo, che lo scagliava in aria con una spinta del polso per fargli infilzare qualche nemico che si teneva fuori tiro. Erano loro le vere armi dell’esercito, molto più di tutti gli angeli messi insieme.
Un uomo e un arcangelo.
Sam e Gabriel.
La potenza del pugno e lo splendore di ali iridescenti.
Fu guardando loro che Dean ricordò le parole di Castiel: “Stanno lottando per voi, per gli umani.”
Aveva anche detto che per lui era troppo tardi, ma Dean non voleva crederci, non voleva concepire l’idea di doverlo abbandonare. Aveva promesso a se stesso e a Cass che avrebbe lottato per lui, non per gli angeli o per gli uomini. La sua vera forza era il suo arcangelo che, per quanto malvagio e fuori strada, era pur sempre il suo Cass, e questo Dean non l’avrebbe dimenticato.
Sì, Dean avrebbe lottato, ma non per gli uomini, come aveva predetto Castiel.
Con uno sforzo titanico, si levò in piedi, ma in quel momento si udì un urlo. Leitsac gettò a terra il Cubo di Metatron, fissandolo come se si fosse scottato, e Balthazar approfittò di quel momento di insicurezza per rotolare di lato e lanciarsi sulla replica di Samael un istante prima che questa si schiantasse contro Mary. I due rotolarono al suolo in un vortice di piume acquamarina e catrame. Balthazar assestò un pugno dritto in faccia alla replica e piantò le piume sanguinanti nelle ali nemiche, insozzandosi di melma.
-Mio fratello no, figlio di puttana.- ringhiò, a pochi centimetri dal suo viso. Sentì qualcosa sibilare, tagliare l’aria diretto verso di lui. Afferrò la replica per il collo e con una spinta si alzò in piedi, tirandosi addosso il falso Samael. La freccia angelica si piantò nella sua nuca, trapassandogli il collo da parte a parte e fermandosi a pochi centimetri dal mento di Balthazar, che la guardò spossato.
Levò gli occhi quando udì un rombo possente, di terra scossa dalle fondamenta. Una nuova crepa spaccò in quattro il campo di battaglia, aprendosi velocemente come una ferita inferta da una spada affilata. Diversi angeli e repliche furono trascinati in basso, tra le fiamme iridescenti dell’inferno.
Dean barcollò sul bordo del precipizio, perse l’equilibrio e cadde nel vuoto con un urlo, tendendo una mano disperata verso l’alto. Si sentì cadere… cadere sempre più giù.
Non voglio tornare lì dentro… non posso abbandonare Cass.
Ma qualcosa arrestò la sua caduta, afferrandolo per un polso e trascinandolo in aria. Dean levò lo sguardo stupito quando riconobbe i riflessi cangianti di sei immense ali di cristallo e allora lo vide, splendente non come una stella, non come la luna e il sole, ma come l’intero universo.
Belial lo tratteneva a mezz’aria, una mano avvolta intorno al suo polso e il corpo eretto, stretto in un’armatura di diamante e cristallo che pareva racchiudere l’intera aurora boreale. La corazza era modellata divinamente sul suo corpo, ricoperta di arabeschi arcani e variopinti. Gambali, spallacci, bracciali, pettorale e collare alto e rigido, disegnato per far sì che dinanzi alla gola si aprisse in due ali piumate. Intorno al capo, tra i ricci dorati che selvaggi danzavano al vento, spiccava un diadema d’oro, argento e cristallo che ai lati della testa spalancava nuovamente il motivo di ali spiegate, cristalline, magnifiche.
Il volto di Belial era un’unica maschera di freddezza e decisione, ma emanava, insieme alla luce, una bellezza scultorea, prostrante, di quelle che vedi e sai di trovarti nel paradiso più bello che esista. I suoi occhi, di un indefinito riflesso cristallino, puntarono su Dean, appeso sotto di lui.
Sbatté le ali, scatenando un’unica corrente d’aria che spazzò via il nero delle bruciature, il sangue, le piume spezzate di ali ferite e allora tutti i combattenti si fermarono, voltando il capo verso quell’unica fonte di energia e luce talmente potenti da soverchiare qualsiasi altra forza presente sul campo. La natura stessa pareva ritornare a respirare se accarezzata dalla purissima lucentezza dell’alone emanato da Belial.
La sola visione di quell’arcangelo appariva irreale, lontana da qualsiasi bellezza mai vista dai presenti, perfino dagli angeli.
Era lui, la Stella del Mattino.
Era lui, la luce di Dio.
Era lui Lucifero.
Belial sorrise, gli occhi fissi in quelli spalancati di Dean… e lasciò la presa. Il ragazzo cadde nel vuoto con un urlo, ma in quel momento qualcosa lo afferrò nuovamente al volo, strattonandolo per la vita e facendolo atterrare pesantemente al suolo. Dean tossì forte, si voltò verso il suo salvatore e rimase a bocca aperta: conosceva quel viso, ma non avrebbe mai creduto di rivederla… soprattutto in quelle circostanze.
-Ehilà.- salutò Meg Masters, sorridendo quasi amichevolmente, i lunghi capelli scuri del suo tramite scossi dal vento e gli occhi colmi di eccitazione per la battaglia che la attorniava. Aveva le narici dilatate all’odore del sangue, ma a Dean non era chiaro come avesse potuto salvarlo. Insomma, Meg! Era un demone!
-Che cazzo…-
-GOOD MORNING VIETNAM!!!-
Dean sbarrò gli occhi, riconoscendo quella voce che in passato come nel presente non avrebbe mai voluto udire di nuovo.
No… lui no.
Lucifero e Michael emersero dal crepaccio, ma non erano affatto come Dean li ricordava.
L’arcangelo sfoggiava sei gigantesche ali di madreperla, attraversate da curiose e quasi irreali sfumature color rubino. Erano ali gigantesche, poco più piccole di quelle di Belial e Castiel, ma parevano rappresentare un oscuro presagio di morte e protezione allo stesso tempo. Il loro proprietario invece, non lasciava scampo a dubbi per quello che era il suo reale obbiettivo.
Michael indossava ancora il corpo di Adam, il fratellastro di Dean e Sam, ma quel viso non era mai apparso così austero, così antico. Gli occhi azzurrini puntavano verso Castiel, che immobile mezz’aria, gli rilanciava uno sguardo di puro odio. Michael indossava un’armatura che pareva costruita, anziché in diamante, in madreperla con rifiniture di rubino e intorno al capo arrecava lo stesso diadema di Belial, Castiel e Gabriel. Un diadema uguale per tutti gli arcangeli, ma con una pietra e materiali diversi.
Al suo fianco, stava Lucifero, sconvolgente nella mutazione che pareva averlo mutato quasi del tutto. Il corpo del tramite umano c’era, ma soltanto vagamente. Come nelle illustrazioni più mefitiche della Bibbia, il Diavolo aveva occhi rosso sangue, con la pupilla verticale e due grosse corna che parevano da stambecco, se non fosse stato per la materia nero carbone che le componeva, rendendole lucide e micidiali. Il busto era scoperto, muscoloso e ben delineato nei pettorali ampi così come nei fianchi stretti. Dalla vita in giù, nasceva il vero cambiamento: i fianchi erano ricoperti di una fitta peluria lunga, mossa e all’apparenza morbida, nera e lucida come pietra lavica che culminava in gambe strette e zoccoli caprini d’avorio. Alle sue spalle, vi erano le ali.
Diverse da quelle degli angeli, ampie come ombre sinistre che parevano voler abbracciare aggressive il mondo intero per sprofondarlo in una cappa di oscurità. Ali da pipistrello, con una membrana traslucida nero catrame e ossa visibili anche attraverso il tessuto leggero della pelle.
Dean abbassò gli occhi sulla sua mano artigliata e la vide stringere una caviglia di Crowley. Il demone penzolava sotto di lui, con diverse parti del corpo mancanti e il collo visibilmente spezzato, la carne ustionata e gli occhi chiusi su un viso irriconoscibile. Dean sperò che fosse morto.
Lucifero guardò Castiel, che esitò alla sua vista. Una cosa era combattere contro gli eserciti angelici, ma vedersela anche col capo di quelli infernali era tutto un altro paio di maniche. La situazione sembrava stringersi a tenaglia su di lui, ma Castiel non voleva arrendersi. Sapeva di essere andato troppo avanti, troppo a fondo per poterne uscire vivo. A questo punto, era meglio morire combattendo che prostrato in ginocchio ai piedi di chi gli aveva già strappato le ali una volta.
Ho vissuto in catene negli eserciti di Dio… ma cadrò come angelo libero.
Castiel distese le ali, grandi quanto quelle di Lucifero, e fronteggiò da solo lui e Michael mentre gli eserciti infernali intorno a loro si agitavano confusi, senza sapere a chi rispondere. Alcuni demoni, come Meg, avevano già fatto la loro scelta, ma gli altri sentivano adesso di avere un’altra possibilità. Era chiaro che Lucifero fosse contro Leitsac e Castiel e che il governo di Crowley fosse caduto, e ciò cambiava le carte in tavola.
Combattere al fianco delle repliche, significava schierarsi contro Lucifero… significava pagarla cara, nel caso gli angeli oscuri avessero perso.
Castiel guardò la replica di Balthazar al suo fianco. Gli fece un cenno col capo e un piccolo segno che l’altro sembrò interpretare all’istante e con la massima facilità. Fu un istante, un’Apocalisse di puro terrore e confusione che lasciò spiazzati gli stessi Lucifero e Michael.
Semplicemente, le repliche si rivoltarono contro i demoni. Li massacrarono tutti, in pochi istanti e con possenti battiti d’ali che, all’unisono, scatenarono un vento feroce, tagliente, talmente violento da squartare i corpi che incontrava. I demoni gridarono, si contorsero, cercarono di fuggire, ma l’oscuro uragano li spazzò via, disperdendone i resti come pezzi di specchio infranto.
Meg e gli altri demoni appena emersi dal crepaccio si agitarono, alcuni ringhiando inferociti e altri retrocedendo, scossi dall’istinto di sopravvivenza che gli gridava di fuggire. Tutti guardarono Lucifero, fermo accanto a Michael. Era dall’alba dei tempi che i due Grandi non combattevano fianco a fianco, come i fratelli che erano, ma adesso, dinanzi allo sconfinato mare di sangue e massacri che gli si presentava agli occhi, entrambi capirono di dover interferire.
Ormai si trattava di un massacro di angeli e demoni. Sangue innocente e colpevole sparso inutilmente per una battaglia senza vincitori, uno scontro violento che non si giustificava più. Nemmeno l’Apocalisse aveva generato tante vittime di entrambi i regni, e se continuava così, si rischiava che Inferno e Paradiso cadessero, e allora sarebbe stato il caos puro e definitivo.
-Lucifero. Michael.- chiamò Castiel, inclinando il capo con quel suo fare quasi innocente. –Siete qui per intromettervi?-
Lucifero sorrise, scoprendo una fila di denti acuminati, da predatore.
-Tu che dici, fratellino? Hai fatto abbastanza, e adesso che siamo liberi, le cose tornano come prima.-
-Cioè? Parliamo di angeli incatenati da ordini e doveri errati e demoni mandati allo sbaraglio e senza controllo? No.-
-Non sta a te giudicare. All’alba dei tempi ci fu conferito questo potere, e adesso che possiamo tornare ad esercitarlo, lo faremo.-
-E io non ve lo impedisco. Bada bene, so che questa guerra è impari, so che il mio destino è segnato. Tuttavia, non cadrò ai vostri piedi. Non mi vedrete piegato o spezzato, poiché l’unico modo per distruggermi, sarà mandarmi definitivamente in pezzi.-
-Sarà meglio cominciare subito, allora.-
Lucifero levò una mano e la abbassò di scatto, sciogliendo ogni vincolo di immobilità del suo esercito. Con un ruggito rabbioso, i demoni si slanciarono verso le truppe di repliche, sbucando dal crepaccio in massa, come un mare di formiche laboriose.
Allo stesso comando di Michael, anche gli angeli sbatterono le ali, scagliandosi come proiettili a indirizzo del nemico, che si trovò stretto in un unico calare di martello su incudine d’acciaio.
Non vi era precedenti a ciò che accadeva. Per la prima volta nella storia della Creazione, angeli e demoni lottavano sotto un unico vessillo, amalgamando le reciproche mosse di combattimento al compagno alato o dagli occhi totalmente nero carbone. Creature così diverse, che dall’Alba dei Tempi si erano contrastate a vicenda, lottando con unghie e denti per uccidere l’altro, finalmente si guardavano in volto, dritti negli occhi, come compagni, fratelli, alleati.
Uniti sotto un unico vessillo!
Uniti per ricondurre l’equilibrio dell’universo!
Inferno e Paradiso, per una sola ed unica volta, insieme.
Lo schianto tra le truppe fu fragoroso, uno scontrarsi di mastodontiche forze bibliche, furiose, bestiali. Ognuno lottava con rinnovato vigore, forte del ritorno dei due Grandi che mai nessuno avrebbe mai creduto di rivedere affiancati come i fratelli che erano. Lentamente e faticosamente, le repliche cominciarono a retrocedere e a cadere uno dopo l’altro, come foglie staccatesi da un albero.
Dean osservò quel massacro dal basso della sua incredulità. Vide Lucifero, Michael e Belial scagliarsi verso Castiel e ingaggiare con lui una lotta senza esclusione di colpi, un’aurora boreale di ali intrecciate e sangue che colava da ferite appena nate. Castiel retrocedeva, ferito e sanguinante, le ali indebolite dalla lotta e la mente spossata, ma non si arrendeva. Parava e affondava, danzando nel suo arcano ballo di combattimento elegante e raffinato che Gabriel gli aveva insegnato in passato. Sentiva che quantomeno Belial non faceva sul serio, ma anzi, si limitava a coprire Lucifero e Michael dai colpi più duri. Non c’era realmente bisogno di loro, perché Castiel era solo… stava soltanto ritardando la sua fine, e questo lo si capiva semplicemente guardando il suo corpo tingersi di rosso sempre più fitto.
No… Castiel no.
Dean si guardò intorno, osservando suo fratello ammazzare senza pietà una replica dall’ala spezzata.
Vide Gabriel finire un nemico che rantolava ai suoi piedi, stringendosi al petto il moncherino di una mano.
Vide Balthazar massacrare un angelo oscuro che strisciava nel suo stesso sangue, disorientato e spaventato dai rumori della battaglia.
Mary e Bobby facevano lo stesso, aiutati da Sindragon e Sindragosa, che non mostravano pietà per chi la invocava, in nome non di Dio o di Lucifero, ma di una giustizia superiore e benevola che sembrava essere spirata con l’inizio di quella guerra senza senso.
Quando era accaduto? Quando la giustizia aveva abbandonato i cuori di chi combatteva in suo nome? Come si poteva dimenticare perché si lottava? Non c’erano più distinzioni tra i due eserciti, non c’era più un limite alla ferocia insensata che sembrava dilagare, spingendo i fratelli a trucidarsi a vicenda, senza neanche guardarsi negli occhi e chiedersi se tutto questo fosse giusto.
-Basta…-
Dean spiccò una corsa verso Sam e Astrea, atterrati in quel momento per finire una donna accasciata e tremante che si stringeva le braccia al petto, indifesa. Era una nemica. E allora? Era giusto massacrarla così, quando chiedeva perdono e un attimo di respiro?
Le vittime erano troppe. Ricoprivano il terreno come un macabro tappeto di carne e pelli animali dei Behemah Aqedà, che si contorcevano dal dolore appena sentivano il loro angelo andare in pezzi e cadere nell’oblio. Angeli distrutti, demoni massacrati… ormai si combatteva senza un reale perché.
-BASTA!!!-
Dean si piazzò davanti alla replica, sfoderò un pugnale dallo stivale e intercettò con forza la lama angelica di Sam che calava per porre fine a una vita che non lo meritava. Acciaio contro acciaio, occhi negli occhi. Fratello contro fratello, ancora una volta.
Sam si irrigidì, stupito.
-Dean, che diavolo fai?- esclamò, mentre suo fratello scostava con veemenza la lama di Sam e si voltava, dandogli le spalle. Lo guardò di sfuggita, senza accorgersi che anche gli occhi di Gabriel, Balthazar, Belial, Mary, Bobby e Samael erano fissi su di loro.
-Questo.- rispose,inginocchiandosi e sfilandosi la giacca davanti allo sguardo stupito di chi guardava. Dean premette il tessuto intriso di sangue e sudore contro la ferita sanguinante sul collo della replica, che tossì e gli afferrò il polso, fissandolo con occhi vacui di gratitudine e sollievo appena percettibili. Dean sorrise debolmente e annuì al muto ringraziamento che la creatura dalle ali sudice gli rivolgeva.
Non si trattava più di nemici e nemmeno del Cubo di Metatron… si trattava di umanità. Si trattava di ricordare a se stessi che ogni guerra è sbagliata. Si trattava di proteggere il fiore delicato della vita, che lì, in mezzo al campo di battaglia, tutti calpestavano con insensata furia omicida.
“…sii l’incarnato stesso di quella speranza. Appellati alla tua umanità e a quanto finora ti ha spinto a rialzarti.”, aveva detto Castiel, e in quel momento Dean sentì di capire cosa significassero le sue parole. Era ora di ricordarlo anche agli altri.
-Quando avete dimenticato per cosa combattete?- gridò per far sì che anche gli altri ascoltassero. –Quando avete soffocato la vostra stessa dignità per affogarvi nel sangue delle azioni da voi compiute? Da quando, Sam?-
Dean si voltò, guardò in volto Sam, che teneva ancora la spada sollevata e gli occhi sbarrati di sorpresa.
-Avete dimenticato, tutti voi! Vi professavate giudici di una giustizia che non è più vostra, o che forse non lo è mai stata! Ogni pietà, ogni segno di umanità, è rimasto soffocato sotto tonnellate d’odio, e siete stati voi a permetterlo! Dimenticare se stessi e quanto c’è di buono a questo mondo, questa è la vera morte. Massacrate innocenti che gridano pietà, fratelli che urlano preghiere a un Dio che sembra non ascoltarle. L’avete fatto anche voi, a vostro tempo, e da allora professate una giustizia che per voi in realtà non ha alcun valore. Guardateli! Guardatevi intorno!-
Dean aprì le braccia, come a voler stringere l’intero campo di battaglia. Gli angeli, i Behemah, i demoni e le repliche si guardarono intorno, incrociando gli occhi dei nemici, leggendovi la loro stessa paura e la loro stessa confusione.
-Sono veramente così diversi da voi?-
Tutti esitarono, alcuni tremarono e allentarono le dita sulle armi.
-Hanno i vostri occhi… le vostre ali. Bisogna soltanto ripulirle, aiutarle a ritrovare l’anima e la Grazia di piume che sono esattamente come le vostre… basta fare come ho fatto io in precedenza con colui che amavo e che amo ancora. Sono disposto a farlo di nuovo, sono disposto a morire al suo posto, e questo perché so che nei suoi occhi c’è il mio intero mondo. Ho visto umanità in quegli occhi, così come nei vostri, e non voglio dimenticarlo.- Dean levò lo sguardo e incrociò quello esausto di Castiel. Vide le sue ali sbiadire lentamente, scolorirsi a un grigio opaco e tempestoso, come se qualcosa dentro di lui stesse cercando di lottare per spezzare le catene che lo trattenevano.
-Ti ho guardato negli occhi mentre proteggevi un fiore, giù nel Cocito. Per te quella piccola vita era importante perché la vedevi delicata e innocente in un mare di peccato. Non ti accorgesti allora che le tue stesse mani erano quel fiore, poiché con le mani avevi stretto l’amore e protetto vite innocenti. Ricordi, Cass? Ricordi quando mi dicesti di voler essere diverso, migliore? Puoi aver sbagliato, è vero, ma per me sarai sempre colui che ha protetto quel fiore. Proteggilo ancora, Cass. Proteggi i fiori innocenti che sono le tue mani, i tuoi occhi, le tue ali. Liberati dal sangue, puoi farlo… possiamo farlo insieme. Io ci sono sempre stato, e sono qui per restare.-
Dean tese una mano verso Castiel, che esitò. Michael e Lucifero si guardarono negli occhi, indecisi se attaccare o lasciarlo libero, ma ci pensò Belial a strattonarli indietro, come una madre che richiama i propri figli.
-Aspettate.- mormorò, sorridendo dolcemente.
Castiel sbatté gli occhi ripetutamente, mentre un mare di immagini gli affollavano il cervello:
Un ragazzo dai corti capelli biondo cenere sorrideva, fissandolo con occhi di giada, occhi che Castiel amò dal primo istante in cui li incrociò.
Lo stesso ragazzo gli tendeva le mani, accucciato a pochi passi da lui mentre Castiel si sentiva trascinare giù dalla sporgenza rocciosa del Sinai dal peso ingente delle ali. Anche in mezzo alla semioscurità della bufera che infuriava, quegli occhi erano sempre lì, vivi come fiammelle inestinguibili.
Dean.
Dean che lo stringeva, accarezzandogli i capelli con la dolcezza di un volo di farfalla.
Dean che lo confortava, asciugando passo dopo passo le sue lacrime, aiutandolo a rialzarsi dal fango e dal dolore con la pazienza di un uomo che lentamente si accosta a un animale selvatico.
Dean che sorrideva, viveva, amava.
Dean.
Castiel sentì qualcosa nella testa riaggiustarsi lentamente, ricucirsi pezzo a pezzo, come parti di un puzzle che finalmente tornavano a incastrarsi. Dean c’era sempre stato, aveva sempre ripulito le sue ali e la sua anima quando ne aveva avuto più bisogno… aveva mantenuto la parola.
Lentamente, Castiel tese una mano insanguinata verso Dean, ignorando il dolore del braccio spezzato.
-COSA HAI FATTO!!!-urlò una voce, spezzando l’incanto del momento.
Castiel trasalì e ritrasse la mano mentre un Leitsac coperto di sangue e strisciante ai piedi di Balthazar lo guardava con disperazione. Aveva tre ali spezzate, il corpo coperto di ferite e gli occhi terrorizzati, sofferenti. A pochi metri da lui c’era il Cubo di Metatron.
-Cosa hai fatto…- mormorò ancora Leitsac con voce roca.
Dean non si spiegava cosa stesse accadendo. Come aveva fatto Leitsac a prenderle in quel modo da Balthazar? Tutti ricordavano di averlo visto premere il Cubo di Metatron contro il petto dell’angelo, come se stesse cercando di usarlo… ma allora perché non era accaduto niente e anzi, Balthazar sembrava stare un po’ meglio di prima?
Lentamente, il cervello di Sam ricostruì l’immagine e il suono di Leitsac che gettava via il Cubo, gridando frustrato. Era accaduto qualcosa in quel momento. O meglio, non era accaduto proprio niente.
Sotto gli occhi stupiti di tutti, Castiel fischiò e Sindragon spiccò un balzo affaticato, ma abbastanza alto da spingerlo contro il corpo del suo arcangelo. Castiel lo strinse per impedirgli di cadere e affondò una mano nel pelo morbido della collottola, facendo scorrere le dita lungo il collo… lungo la catenella che fino a quel momento aveva funto da collare al grosso Behemah canino.
Castiel slacciò la catenella, stringendosi ancora Sindragon al petto, e tra le sue mani, il Cubo di Metatron si ingrandì, tornando delle dimensioni naturali.
-Tu…- ringhiò Leitsac, alzandosi in piedi faticosamente. Balthazar cercò di atterrarlo di nuovo, ma con un colpo d’ala, la replica lo scagliò a schiantarsi contro un mucchio di macerie taglienti.
-NO!!!- gridò Belial, ma nessun altro si mosse.
-Non ti avrei permesso di usare il Cubo, Leitsac. Non te lo permetterò mai. Io non voglio più uccidere… mi rifiuto di seguirti ancora, poiché la tua anima è nera, e io sono stanco di annegare nell’oscurità.-
Castiel aprì lentamente la mano e la sua spada cadde nel vuoto, roteando lucente di sangue e catrame prima di piantarsi al suolo, vibrando minacciosa. Castiel chinò il capo e si strinse il Cubo al petto.
-Nessuno avrà mai più tanto potere. Non lascerò che tutto questo accada ancora, così come impedirò che la guerra torni a gettar radici dove non merita. Dean ha ragione… adesso basta.-
Castiel lasciò andare Sindragon, che atterrò pesantemente al suolo sotto di loro, proprio mentre l’arcangelo stringeva il Cubo con entrambe le mani e premeva con tutta la forza che aveva.
-No!- gridò Leitsac mentre raggi di luce purissima scaturivano dal Cubo e questo si copriva di crepe sempre più fitte e luminose. Ci fu un’esplosione, un rumore di vetri infranti in un mare di vibranti note argentine. I pezzi del Cubo di Metatron caddero nel vuoto, sparpagliandosi come pioggia luminosa  che scivolava tra le dita di Castiel, lungo i suoi abiti laceri, sugli angeli e le repliche che levavano le mani al cielo, affascinati dalla polvere di diamante che li ricopriva di lucentezza, accarezzandoli morbidamente.
Michael si rilassò, abbassando la spada e Lucifero fece lo stesso. Solo Belial e Castiel notarono che i due Grandi si prendevano per mano con fiducia e affetto reciproco. Erano così diversi, come due re del ghiaccio e del fuoco, ma qualcosa li univa, rendendoli completi solo in presenza dell’altro.
-No!!!- gridò Leitsac ancora una volta. Con uno slancio disperato, sbatté le ali rimaste intatte e balzò verso Dean.
Il cacciatore indietreggiò appena, stupito da quell’improvvisa mossa inaspettata. Ma Leitsac non avrebbe mai raggiunto il suo nemico.
Dean sentì un corpo caldo premergli contro la schiena. Delle ali grigiastre si intrecciarono davanti al suo corpo, attendendo di doverlo proteggere ancora una volta mentre due braccia forti, tremanti, spezzate, gli scivolavano intorno ai fianchi, stringendolo con gentilezza.
Castiel rimase lì, senza muoversi, come se non volesse contrastare realmente la sua replica. Infatti, non ce ne fu bisogno.
Leitsac rimase immobile, bloccato a pochi passi da Dean, gli occhi sbarrati di sorpresa mentre un sottile squarcio, più simile a un graffio, gli attraversava il petto, premendo all’altezza del cuore. Leitsac indietreggiò, posando il palmo in quel punto esatto, che poco a poco illuminava di lucentezza purissima il graffio. Guardò Castiel, che poggiava le labbra sul collo di Dean e chiudeva gli occhi.
-Cosa… hai fatto…- mormorò Leitsac, indietreggiando ferito. Castiel sorrise contro la pelle morbida di Dean e finalmente sollevò il viso pallidissimo.
-Ho impedito che mi uccidessi… che facessi a pezzi la mia anima.-
-Tu non hai un’anima! Noi non ce l’abbiamo!-
Dean poggiò una mano su quelle di Castiel, intrecciate sul suo grembo. Rabbrividì quando sentì qualcosa di caldo inzuppargli la schiena.
-Sai perché io e te siamo differenti dalle altre repliche, Leitsac?- mormorò Castiel, raddrizzandosi. –Pderché tu sei nato dal mio sacrificio. Sei qui perché io davo un pezzo di me stesso per salvare Dean, e questo ci rende uniti… ci rende uguali, parte di uno stesso insieme. Io ti generavo senza saperlo, ma ero disposto a lacerarmi pur di tirare fuori il ragazzo dall’Inferno. È per questo che condividiamo una sola Grazia. E questo sarà la tua rovina, poiché, così come la tua forza accresce quando accresce la mia… così sarà anche quando la mia Grazia torna a danneggiarsi.-
Le mani di Castiel persero la presa su Dean, che lo sentì scivolare via, allontanarsi, affiancarlo e infine oltrepassarlo. Sotto gli occhi stupiti di tutti, Castiel e Leitsac si fronteggiarono, entrambi feriti, entrambi spezzati e piegati dal loro stesso peccato, eppure talmente belli e fieri da apparire come leoni morenti.
Solo allora Dean notò che una lunga scheggia lucente sporgeva dal petto di Castiel, generando un lungo graffio sottile che si riproduceva luminoso sulla carne di Leitsac. All’improvviso, il corpo di Dean parve risvegliarsi e capire che l’abbraccio di Castiel era servito a una sola cosa. L’arcangelo si era spinto contro la schiena di Dean dopo aver incastrato la scheggia tra i loro corpi, ma facendo in modo che la parte tagliente vertesse verso se stesso.
Dean sentì il sangue di Castiel inzuppargli i vestiti, colargli lungo la schiena.
-Perché… perché lo fai? Cos’hanno fatto loro per meritare le tue catene?- mormorò Leitsac, aggrappandosi a Castiel, che lo sorresse con fatica e delicatezza. Le sue ali abbracciarono quelle di Leitsac, baciandone ogni piuma. –Ti hanno tradito, sfruttato, mentito! E tu adesso muori per loro! Perché?-
Castiel chiuse gli occhi, e da essi rotolò una piccola lacrima innocente, pulita, che si lasciò alle spalle una scia di sollievo e pace, come pioggia che finalmente lava via il sudiciume del mondo con tocco leggero e quasi celestiale.
-Lo faccio perché è giusto. Lo faccio perché tutti meritano una seconda possibilità… possiamo migliorare, Leitsac, possiamo imparare cosa è meglio. A volte, sviare dalla strada giusta ci aiuta a capire i nostri errori, e anche se non possiamo tornare sui nostri passi, abbiamo l’occasione di lasciarci alle spalle l’alba di una nuova era. Niente di tutto questo deve più accadere, ma è giusto che le atrocità della guerra vengano ricordate. Prego infatti, affinché il nostro sacrificio ponga fine a tutto questo… e risani le ferite che i nostri errori hanno aperto.-
Una goccia di pioggia cadde dal cielo. Un’altra. Poi un’altra ancora.
In breve, il cielo cominciò a piangere sofferente, ricordando le perdite, il sangue versato e le ali spezzate che mai più avrebbero irradiato il mondo. Acqua pulita, pura, che finalmente ripuliva il sudiciume dai volti dei caduti e il sangue dai corpi di chi era rimasto in piedi. Una mano gentile d’acqua trasparente che trascinava via il peso di una battaglia vissuta e marchiata a fuoco nella memoria di chi non avrebbe più dimenticato.
Castiel levò gli occhi al cielo, singhiozzò una volta, strinse a sé il corpo debole di Leitsac, che gli appoggiò la fronte sul petto, fiducioso e stremato.
-Io volevo soltanto trovare la mia strada. Volevo soltanto… avere una strada. Voi avete sempre avuto un obbiettivo, qualcuno a cui appoggiarvi…- Leitsac guardò Dean, i cui occhi ancora storditi e colmi di lacrime parevano ancora più belli e luminosi. –Io non ho mai avuto niente. Non ho mai capito cosa fosse giusto e cosa sbagliato, ma non tenterò di giustificarmi oltre. Chiedo solo… imploro il vostro perdono. Perdonami, fratello… mi dispiace per tutto.-
Leitsac si sciolse in lacrime, premendo il volto contro il petto del fratello, che lo sorresse mentre la replica perdeva la sensibilità delle gambe. Le lacrime di Leitsac si mescolarono a quelle di Castiel, che lanciò un unico sguardo alle sue spalle, dove Dean lo fissava, troppo terrificato per muoversi o realizzare cosa stesse accadendo.
-Non ho mai dimenticato, Dean. Sei sempre stato qui.- sorrise Castiel, prima di levare un’ultima occhiata al cielo. –Padre…-
Infine, Castiel e Leitsac si accasciarono, eleganti nel loro mare di piume e di bellezza angelica, aggraziata. Solo allora, quando i due caddero abbracciati tra le macerie sporche di sangue e fango, tutti notarono che le ali di Leitsac erano pulite, e adesso apparivano grigie, come quelle di Castiel, il cui viso rivolto al cielo ancora fissava con occhi socchiusi e vitrei di cadavere la volta nera di nubi.
Dean cadde in ginocchio, gattonò lentamente fino al suo angelo. Gli toccò la guancia, incrociò i suoi occhi di un azzurro spento, che non poteva più vedere.
-No… nononononononono…- mormorava ripetutamente Dean, accasciandosi sul corpo esanime di Castiel, ma in quel momento un altro grido straziato ruppe il silenzio mortifero del campo di battaglia.
Lì, a pochi passi da Dean, Sam reggeva tra le braccia un Gabriel esausto, i cui occhi lentamente si chiudevano. Una ferita profonda al fianco continuava a inzupparlo di sangue copioso, che gli sottraeva forze ed energie vitali.
-Mi dispiace, dolcezza…- mormorò Gabriel, toccando il campanellino appeso al collo di Sam. Non ebbe il coraggio né il tempo di guardarlo negli occhi, non riuscì a levare il viso perché troppo stanco. Semplicemente, Gabriel emise un ultimo, profondo sospiro e non si mosse più, accasciato come una marionetta esanime tra le braccia di Sam, le ali inzuppate di fango e sangue che soffocava il reale splendore di quelle che erano state le piume più belle del mondo. Le piume più dolci… che Sam avesse mai visto e toccato.
Lì, tra la pioggia e il sangue, morivano altri due grandi della loro epoca.
Arcangeli che avevano vissuto.
Angeli che avevano amato.
Uomini che avevano imparato cosa fosse la stessa umanità.
I presenti osservarono i loro corpi, le lacrime adamantine di chi più dei loro stessi fratelli li aveva conosciuti e amati oltre ogni prospettiva. Erano quelle, le lacrime di una famiglia. Erano quelle, le lacrime che decretavano la fine della vecchia era.
 
Angolo dell’autrice:
e con questa temo di aver concluso il penultimo capitolo. Già, il prossimo sarà proprio la fine… che tristezzaaa!!! Ma non è ancora finita, perciò bando alle ciance e piazziamo qualche bel chiarimento:
Lucifero l’ho voluto rappresentare nella sua “vera” forma, ossia in quella che lo raffigura come una creatura con corna e zampe da capra. Ammetto di avervi voluto risparmiare la coda col classico triangolino alla fine, ma spero che questa versione non mi frutti un mare di insulti e tentati omicidi. Sì, il nostro Lucy ha un rapporto mooolto stretto con Michael, ma dopotutto, ammettiamo che chiunque vorrebbe essere al suo posto, anche perché personalmente, ho trovato il Michael delle serie molto elegante e fiero, anche se altrettanto bastardo.
Sì, ho praticamente distrutto il mondo intero, ma ehi, cose del genere si scrivono una volta nella vita!
Crowley: ma se le scrivi ogni giorno! Lo fai da quando eri una marmocchia!
Non rompere, Gab… Crowley? E Gabriel dov’è?
Crow: si sta disperando per la quasi fine della storia. Continua a dondolare sul posto e a succhiarsi il pollice.
Quanto vuoi per deportarlo senza ritorno all’inferno?
Crow: assolutamente niente! Preferisco farmi riammazzare da Lucifero che avere quel coso pennuto tra i piedi!
Ti prego! Ti pago!!!
Crow: no.

kimi o aishiteru: coraggio, sorellina di Kimi! (si levano cori da stadio) siamo tutti con te e tua sorella!!! E mi ringrazi pure per l’interessamento? Ti dirò, io solitamente non amo i bambini e anzi, non so proprio averci a che fare, ma la tua sorellina mi è entrata nel cuore attraverso dei semplici commenti e già le voglio bene, a lei come a te (non dirglielo, che mi metto vergogna!!!) (e allora non scriverlo, no? nd Gabe)( non sto scrivendo io! È Balthazar che si appropria ogni tanto del pc! Ha imparato a fare l’hacker!)(l’hacker… ecco perché il mio pc era stracolmo di immagini e video del Titanic! BALTHAZAR!!! Nd Gabriel) Guarda che aspetto con impazienza sue notizie, entro ogni giorno nel mio account per vedere se ci sono novità! Spero tanto che stia meglio, anche perché altrimenti Castiel passerà un brutto momento, al ritorno dal vostro ospedale! Comunque, in ogni caso, ricorda una cosa: se Cass è riuscito ad affrontare Leitsac e Dean ha costretto una guerra a finire, allora tu puoi affrontare i brutti momenti e tua sorella può vincere qualsiasi cosa le stia succedendo! Gli angioletti ci sono, anche se non si vedono, e uno di loro sono io che spero continuamente che stiate meglio, tutte e due. Lei fisicamente e tu psicologicamente. Coraggio, ragazze!!! Forza! E tranquilla, nel prossimo capitolo vedrò di aggiustare un po’ di cose, ma questo solo se mi fai un sorriso, anche se non posso vederlo. Gabe, vai a controllare e falla ridere! Subito! A presto, e grazie per le bellissime recensioni che lasci sempre e con pazienza!!!
 
Sherlocked: tranquilla, non fa niente se non hai recensito (non è vero. Diamole fuoco! Nd Gabriel)( Gabe, finiscila di guidare folle inferocite, stai guardando troppi film ultimamente…)( THIS IS SPARTAAAA!!! Nd Gabriel)( Gabe, dacci un taglio!!!). Sul serio, non importa, soprattutto se eri senza connessione, può capitare a tutti XD sono anche io che aggiorno troppo velocemente, forse. Eheh, la differenza tra Belial e Lucifero è che uno grida GOOD MORNING VIETNAM e l’altro no XD la spiegazione è questa, in sostanza (non è vero! Nd Lucifero)( ah, e bevi più caffè di Belial.)( non è… no, questo sì. Nd Lucy) Oddio, voglio le foto di quei disegni! Verrò sotto casa tua per averli e infilarli nel portafogli che custodisce ancora quello che mi hai dato al comicon! Tra poco esplode! Ok, adesso ho abbattuto sia la Sabriel che la Destiel, che premio vinco? Jackpot! In ogni caso, spero che questo capitolo, per quanto catastrofico, ti sia piaciuto, anche perché è stato faticosissimo scriverlo. Dio mio, cosa farò quando la storia sarà finita? Ç_____ç a presto!!!
Tomi Dark Angel

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Capitolo 29
*** La Supplica Dei Caduti ***


Silenzio. Cupo, mortifero, pesante. Occhi che fissavano, occhi colmi di stupore, rabbia, dolore e lacrime.
Qualcuno piangeva, accasciato al suolo in una pozza di sangue non sua. Erano singhiozzi bassi e rochi, ma parevano urlati da una voce che pareva non poterne più di emettere versi straziati di bestia ferita.
Due ragazzi erano in ginocchio, stretti ai corpi gelidi di angeli immobili, ancora caldi di sangue, dolore e sofferenze patite con fare immeritato. Le ali immense, grigie e dorate, si stendevano al suolo, così grandi da ricoprire per metri e metri i corpi di chi anche nella morte, forse sentiva freddo. Piume calde che gentili coprivano quelle membra rigide, che non potevano più muoversi. Piume che ricordavano angeli bambini, cresciuti insieme alle loro ali senza sapere il destino che li attendeva.
Due angeli esanimi, i cui corpi ancora si muovevano grazie ai compagni umani che disperati continuavano a scuoterli, fissando i loro volti con occhi vuoti di pianto e dolore. Davanti a quella scena così naturale e macabra, coloro che guardavano si chiesero cosa fosse in realtà la guerra. Morte? Dolore? No.
Guerra significa dimenticare. Abbandonare ogni più piccolo brandello di umanità, mettere da parte i legami e tutto ciò che rende vivi. La guerra spezza gli animi, li fa a pezzi e poi rende i frammenti impossibili da rimettere insieme: lo si leggeva negli occhi di Sam e Dean Winchester, che ormai parevano aver esaurito le lacrime e la forza per piangere. Stavano chini come uomini distrutti sui corpi di chi aveva rappresentato la loro felicità, le loro ali, la loro vita.
Si erano persi tante volte, nelle risate di Gabriel. Avevano fissato gli occhi zaffiro di Castiel, che ricordavano loro il colore del mare e del cielo. Insieme, le ali, le mani, gli occhi dei due angeli avevano costruito un mondo dove essere cacciatori non era poi così terribile, un mondo dove ogni paura e avversità si poteva affrontare a testa alta, senza aver paura di ferirsi. Quando Sam e Dean cadevano, Gabriel e Castiel li avevano sempre aiutati a rialzarsi, e con pazienza li avevano ripuliti dal fango e dal dolore, sorridendo come genitori amorevoli che non sarebbero mai andati via.
Sam e Dean ci avevano creduto, si erano affidati alla leggerezza delle loro parole, ai loro “ti amo” che per i due fratelli erano valsi oro, aria respirabile e un sole nascente su una giornata sempre nuova. Ora, l’ossigeno si trasformava in veleno e il sole andava in pezzi come vetro, sparendo e lasciandoli al buio.
Nessuno avrebbe mai dimenticato quei lamenti. Nessuno avrebbe mai più cancellato la memoria di quei ragazzi accasciati, privi di forze, esausti per aver perso ciò che fino a quel momento li aveva tenuti in piedi. Era quello, il vero Dolore. Perdere, sapendo che niente sarebbe mai più stato come prima.
Perdere quei sorrisi.
Perdere quelle voci, così morbide e dolci, che mai una volta avevano mancato di confortarli.
Perdere quei respiri calmi, misti ai battiti di cuori che per anni avevano rassicurato i due Winchester che andava tutto bene, che in fondo, la loro vita non era poi così male.
Dean sentì il corpo di Castiel farsi freddo e diventare rigido, lontano. Per questo, il cacciatore si sfilò la maglietta e la poggiò dolcemente sulle spalle dell’arcangelo. Gli accarezzò il viso, sfiorando quei tratti che amava e sorridendo tristemente tra le lacrime.
Avrebbe atteso che il suo Cass si svegliasse. Non poteva morire, non lui. Aveva promesso… aveva promesso…
Sam premette la fronte contro quella gelida di Gabriel, inspirando il suo odore. Pregò di riaprire gli occhi, di svegliarsi tra le sue braccia e scoprire di aver appena abbandonato un brutto incubo.
Quante cose non gli aveva detto e quante non avevano fatto insieme? Non gli aveva mai fatto provare una fetta del suo dolce preferito, e non avevano mai bevuto un caffè insieme. Non avevano mai avuto un appuntamento vero, di quelli che li avrebbe visti affiancati, mano nella mano, a camminare tra la gente e vetrine variopinte di negozi. Adesso, ognuna di quelle assurdità che un tempo Sam avrebbe definito stupide e insignificanti, componeva un quadro importante e bellissimo di cui Gabriel non avrebbe mai fatto parte.
-Ti amo… Dio mio, ti amo… svegliati.- mormorò con voce roca. –Dimmi che è tutto un sogno… fai suonare il campanellino che mi regalasti…-
Proprio in quel momento, come in risposta a ciò che aveva appena detto, il collare si slacciò, cadde sul petto di Gabriel, scivolò senza un fruscio al suolo e lì, mandò in frantumi il campanellino. Frammenti piccoli, come fatti di vetro, esplosero in un piccolo ventaglio di scintille, che incarnavano le speranze di Sam e di tutto ciò in cui pregava e credeva. Speranze frantumate.
-No… no, no!- mormorò, raggruppando freneticamente i piccoli pezzi lucenti con cura maniacale, da pazzo. Li raccolse sui palmi delle mani e li strinse, ferendosi la carne. Portò le mani alla fronte, la appoggiò alle dita sanguinanti e pianse ancora, come se non sapesse fare altro… come piangere fosse l’unica cosa che avrebbe fatto in futuro, fino alla fine dei suoi giorni.
Piangere, ricordare.
Una mano gentile si poggiò sul suo capo, e allora Sam incrociò gli occhi lucidi di Bobby, inginocchiato al suo fianco. Sorrise tristemente.
-Portiamolo via da qui, ragazzo.- mormorò, ma Sam scosse freneticamente il capo.
-No! Può ancora tornare, può ancora…-
-Gabriel non tornerà.-
Ma Sam continuò a scuotere il capo e con calma, lasciò cadere le schegge del campanellino. Protese il corpo verso l’ala di Gabriel che riposava più vicina a loro. Dolcemente, Sam si coprì la mano con la manica sbrindellata della camicia e cominciò ad accarezzare una delle piume col tessuto ruvido. Una, due, tre volte.
Lentamente, Sam ripulì la piuma, riconducendola all’oro che ricordavano i suoi momenti più belli, quell’oro che aveva sempre brillato e inginocchiato il sole stesso ai piedi del suo padrone.
-Ragazzo…-
Ma un’altra mano seguì il suo esempio. Dean accarezzò delicatamente una delle piume di Castiel, ancora ingrigita, senza curarsi del sangue che la ricopriva e pensando soltanto che Cass non meritava quel sudiciume.
Qualcuno strisciò verso di lui, trascinando i piedi e le ali sul terreno. Samael, aiutato da Mary, cadde in ginocchio al suo fianco, protese una mano insanguinata e la passò dolcemente sulla piuma più vicina di Castiel che riusciva a raggiungere. Guardò Dean in viso, fissandolo con occhi vacui di dolore troppo forte che rischiava di spezzare qualcosa in lui con fare definitivo.
-Sai, prima che il Paradiso cadesse, Castiel mi chiese chi tra angeli e umani fosse migliore e chi avesse molto da imparare dall’altro… ora conosco la risposta, e allora la conosceva anche lui. Ha sempre creduto nell’uomo, e per questo vi amava e vi proteggeva, curando i vostri sbagli. Tuttavia, pur amandovi, non ha mai dimenticato noi angeli… è sempre stato al nostro fianco… sempre… e noi gli facevamo questo. Oh, Padre mio… cosa abbiamo fatto?-
La voce di Samael si spezzò e l’angelo chinò il capo, nascondendosi il viso tra le mani, come a volersi rifugiare nell’oscurità di occhi chiusi che gli impedissero di vedere lo scempio di un corpo amico e amato straziato in quel modo. Soltanto ora si rendeva conto della gravità dell’accaduto, dell’insensato della guerra nella quale senza pensare ognuno si era gettato a capofitto. Nessuno aveva considerato una possibilità di pace, una tregua che ignorasse il massacro di fratelli costretti a farsi a pezzi.
-C’è sempre un’altra strada, lui ce lo diceva spesso… e noi l’abbiamo dimenticato così.- mormorò Samael, scoppiando in singhiozzi. Mary lo strinse a sé, premendo il suo capo contro il seno, ma piangeva anche lei. Samael si aggrappò alla cacciatrice, strinse i suoi abiti così forte che vi piantò le dita, facendoli a brandelli, ma Mary non se ne curò. Continuò ad accarezzargli il capo, a baciargli i capelli, come se quei piccoli gesti la aiutassero a sentirsi meglio.
Poco lontano da loro, Balthazar lasciò cadere per terra la spada, proprio mentre Belial atterrava al suo fianco e lo stringeva in un abbraccio convulso, tremante di paura e dolore. Balthazar affondò il viso nei suoi capelli, beandosi della loro morbidezza che richiamava la consistenza delle nuvole e una parvenza di bellezza in un mondo che pareva aver perso tutto ciò che lo aveva reso vivibile fino a quel momento. Chiuse gli occhi e finalmente lasciò libere le lacrime, leggere di dolore pesante e pulite di colpe oscure come fuliggine nera.
-Temevo di averti perso…- mormorò Belial, tremando convulsamente. –Non doveva finire così… dovevo salvarlo…-
Ma Balthazar scosse il capo e lo strinse più forte, come se non volesse più lasciarlo andare. Belial era quanto gli restava di buono, la sua isola felice. L’unico punto luce che tenesse duro contro l’oscurità pregnante della solitudine.
Si abbandonò contro il suo corpo, desiderando che quel dolore finisse, che ogni cosa tornasse al suo posto, come un puzzle sbagliato e finalmente ricostruito alla giusta maniera.
Soltanto in pochi si accorsero che Sindragon e Sindragosa erano rimasti accasciati, immobili e vicini. Il muso della volpe poggiava teneramente sulla nuca del cane, che non si muoveva più… ormai, nessuno dei due respirava. Semplicemente, avevano scelto la loro strada, quella che prima o poi sceglievano tutti i Behemah Aqedà alla perdita del padrone: seguirlo, ovunque egli fosse finito. Fedeli fino alla fine.
Michael atterrò accanto ai due, si inginocchiò al loro fianco e li accarezzò, guardandoli con leggera compassione. Era un gesto talmente umano, talmente caritatevole, che Lucifero e tutti i presenti rimasero immobili a fissarlo, stentando a riconoscere il freddo e marziale arcangelo che aveva cercato già una volta di fare a pezzi mezzo mondo. Adesso tuttavia, dinanzi alla fedeltà di due Behemah ai loro padroni, anche il più battagliero degli arcangeli era costretto a chinare il capo, esausto da tanto dolore. Non avrebbe mai voluto che finisse così.
-Come siamo giunti a questo?-
Michael levò gli occhi al cielo piangente, rivolgendo la sua domanda a Dio più che agli angeli. Voleva una risposta, una spiegazione a tanta violenza, ma tutto restò silenzioso.
Si alzò in piedi, cadde in ginocchio accanto a Castiel e anche lui passò una mano pulita su una delle piume sporche di sangue. Al corpo di Gabriel, si aggiunsero Bobby, Balthazar e Belial, mentre Michael veniva aiutato da Samael e Mary. Poco a poco, lentamente, anche altri angeli atterrarono e posero le loro mani sulle piume degli arcangeli caduti. Anche Leitsac fu sottoposto alle morbide carezze rispettose che richiamavano un perdono e una piccola preghiera alla sua anima corrotta, dispersa. Non l’aveva mai meritato. Chiunque poteva trovarsi al suo posto, perduto e abbandonato al suo destino.
Una mano si pose accanto a quella di Dean, accarezzando di dolcezza le piume abbandonate di Castiel. Il ragazzo sollevò gli occhi lucidi e incrociò quelli di Meg. Il demone sorrise e gli fece l’occhiolino.
-Suvvia, non esserne tanto stupito. Dopotutto, il pennuto era un gran bel figo.- ammise col suo solito tono di scherno, ma Dean non riuscì a impedirsi di ricambiare con un sorriso tremulo e intriso di tristezza.
Lì, sotto un cielo che pareva aver deciso di sua volontà le sorti immeritate di tre arcangeli innocenti, tutti loro parevano uguali, fratelli. Non vi erano più angeli e demoni, Behemah o repliche. C’erano soltanto occhi, volti, corpi che per una volta, dinanzi all’incredulità del mondo intero, si spalleggiavano e si guardavano negli occhi da pari a pari. Dell’odio, ognuno di loro ne aveva avuto abbastanza.
Lentamente, con cautela, Lucifero atterrò, sbattendo le enormi ali velate. Fissò quel laborioso intreccio di corpi, nemici e amici che ormai non vedevano più nell’altro un nemico, ma soltanto un fratello. Poteva sperare anche lui di essere accettato, di essere uno di loro? Non aveva mai cercato il consenso del mondo, ma lì, davanti a Michael che finalmente si trovava libero e in presenza della sua famiglia, Lucifero capì che era il momento di lasciarlo andare.
L’arcangelo apparteneva al paradiso, ai cieli più alti, e lì, nella Gabbia, entrambi avevano imparato qualcosa, costruendosi un nuovo carattere, nuove leggi di giustizia, quella vera, che prevedevano una certa libertà per chi la invocava. Sarebbe cambiato tutto, Lucifero lo sapeva, ma non poteva sperare di riavere indietro l’unico arcangelo che avesse mai realmente penetrato il suo cuore di pietra e acciaio.
Si voltò lentamente, chiudendo gli occhi. Sarebbe rimasto solo, era questa la punizione infertagli da Dio. Il reale dolore, il vero male… era la solitudine.
Ma una mano gentile si posò sulla sua spalla, facendolo voltare appena. Belial sorrise, inclinando il capo.
-Non vieni, fratello?- domandò innocentemente, come se fosse la cosa più naturale del mondo.
Lucifero si voltò, guardò oltre le sue spalle e vide Sam Winchester scostarsi leggermente, come a volergli fare posto. Era vero, non c’erano più distinzioni. Lucifero e Michael erano esattamente come tutti gli altri, poiché, dinanzi alla morte, ogni persona è uguale all’altra, che si tratti di un essere umano, di una creatura sovrannaturale oppure no.
Erano tutte anime, tutti colpevoli della battaglia appena avvenuta, ma c’era sempre un modo per porre un rimedio, Castiel l’aveva insegnato a tutti loro. Capire l’errore, chinare il capo dinanzi ai propri sbagli e chiedere perdono come era giusto. 
Fu solo quando Lucifero si inginocchiò accanto a Sam, chinando il capo e mormorando un timido “Grazie” che accadde qualcosa. Un timido, fioco bagliore emanò dalla pelle chiara e sporca di Sam.
Dapprima, il ragazzo si guardò le mani, sbattendo ripetutamente gli occhi e chiedendosi se non stesse impazzendo come credeva che sarebbe successo. Spostò lo sguardo su Lucifero, che di rimando gli fissava il collo, il petto visibile attraverso i brandelli di maglia sbrindellata, le braccia, il viso. Sembrava incredulo, e ad ogni istante sbarrava gli occhi un millimetro di più. Si raddrizzò, scattando in piedi. Guardò Dean, che stava subendo lo stesso processo, ma non si era nemmeno accorto del fioco bagliore di stella emanato dalla sua pelle, troppo concentrato a ripulire le piume di Cass.
-Michael.- chiamò Lucifero, attirando l’attenzione dell’arcangelo, che si alzò in piedi e spostò uno sguardo consapevole da un Winchester all’altro.
-Dean!!!- urlò Sam, portandosi le mani davanti al viso. Sentiva qualcosa muoversi dentro di lui e mentre il sangue si trasformava in lava fusa, un grido di dolore emanò dalle labbra del cacciatore, che si contorse.
-Sam!- urlò Mary, cercando di reggerlo, ma il ragazzo pareva in preda agli spasmi e quasi la colpì.
-Sammy, cosa… aaaah!!!- urlò Dean, inarcando la schiena. Tentò di alzarsi in un gesto di disperata confusione, ma le sue gambe persero forza e il ragazzo stramazzò al suolo, gli occhi socchiusi e vacui mentre l’anima restava imprigionata in un corpo straziato dall’interno, sofferente. Dean ricordava un dolore del genere, ma lo associava soltanto alle torture dell’inferno.
Nessuno dei due fratelli riuscì più a gridare ma anzi, entrambi sentirono le funzioni motorie annullarsi per il troppo dolore, come se il cervello, per sottrarsi a quel disumano supplizio, avesse scelto di scollegare la spina e rintanarsi da qualche parte, anche se inutilmente. Il dolore c’era, bruciava, dilaniava, e i ragazzi non riuscivano nemmeno a manifestarlo. Restavano lì, scossi da violente convulsioni, le labbra socchiuse in un grido muto.
Alcuni tentarono di soccorrerli, ma Michael, Lucifero e Belial spalancarono le ali, attirando l’attenzione di tutti.
-State indietro!- gridò Michael, perentorio. Gli altri indietreggiarono, costretti dallo scudo di ali che quasi nascondeva i due fratelli alla vista. Belial si inginocchiò accanto a Dean e gli afferrò una spalla, stringendo forte.
-Supera questo momento, Dean. Ritrova te stesso, puoi farlo.- mormorò, prima di rivolgere gli occhi verso Castiel. –Aiutalo, fratello… se davvero sei da qualche parte, aiutalo. Aiutateli tutti e due.-
§§§§
-Dean. Dean!-
Qualcuno chiamava, invocava il suo nome. Chi era? Lui conosceva quella voce. Una mano gli toccò la spalla, lo scosse, mentre la voce chiamava ancora, insistente, quasi fastidiosa. Alla fine, Dean schiuse timidamente le palpebre e incrociò il viso preoccupato di suo fratello Sam, chino su di lui.
-Dove… siamo?- gracchiò il biondo, tirandosi a sedere. Sam attese qualche istante prima di parlare, perché anche pronunciare la più piccola e innocente parola sembrava fargli paura e incutergli soggezione.
Dean si guardò intorno, e solo allora capì il perché dell’atteggiamento timoroso del fratello.
Erano in un cimitero. Ma non si trattava di un cimitero ordinario, di quelli che fissi restando quasi indifferente alle lapidi che lo popolano. No, quel luogo era diverso.
Avvolto da un sottile strato di nebbiolina umida che ricopriva ogni lapide senza nome, ogni brandello d’erba verde spento, il cimitero appariva come un luogo popolato di spiriti e sogni infranti. Delle ombre parevano strisciare tra le tombe, affiancate da fiaccole fluttuanti a qualche millimetro da terra, che tuttavia non bruciavano né corrodevano l’erba. Infine, c’erano le statue: a grandezza naturale, poste in posizioni di disperata impotenza e di preghiera mai accolta, i volti deformati dal dolore e le ali… le ali spezzate alla base, come se un possente colpo di martello le avesse fatte a pezzi senza pietà, senza remore.
Quello era il luogo dove le anime ancora respiravano.
Quello era il luogo dove i morti trovavano volto, ma non voce.
Ogni statua raccontava una storia, ogni espressione narrava di una fine violenta, non voluta o terrorizzata, ma a nessuno di loro era concesso un grido o un lamento.
Silenzio.
Dean scorse lo sguardo sulle statue vestite di abiti drappeggiati, all’apparenza morbidi, e sulle fasce legate in vita: quei capi d’abbigliamento li riconosceva.
Le conferme iniziarono a giungere quando il ragazzo incrociò il volto disperato della statua di una donna il cui capo chino non permetteva comunque ai lunghi capelli di nasconderle totalmente il volto. Dean l’aveva vista qualche ora prima, soccombere sotto i colpi di ventinove demoni ben armati. L’aveva conosciuta, e non era l’unica che riconosceva.
-Dove cazzo siamo… dove cazzo siamo, Sam?- esclamò, alzando la voce e indietreggiando. Si guardava intorno, come una bestia in trappola, ma Sam gli afferrò un braccio e lo costrinse a guardarlo.
-Non alzare la voce, Dean. Siamo in un cimitero di angeli.-
-Stronzate, gli angeli non vanno da nessuna parte quando muoiono.-
-Invece sì. Io… ci trovai Gabriel, una volta. E credo che ci sia finito di nuovo, insieme a Castiel. Possiamo ritrovarli.-
Senza più una parola, Sam cominciò a camminare cautamente tra le tombe, il capo chino, che pareva voler evitare gli sguardi sofferenti delle statue sovrastanti, poste su enormi piedistalli di candido marmo. Dean lo seguì, imitandolo perché sempre più convinto che qualcuno li osservasse, strisciando sinistro e invisibile tra le tombe. Forse erano le statue stesse, forse qualcos’altro, ma Dean si sentiva esposto, nervoso, a dispetto dell’ambiente che appariva calmo e silenzioso.
Camminarono a lungo, per quelle che parvero ore. Lì il tempo pareva sospeso tra sogno e realtà, irreale, lontano come ogni ricordo di una vita e di qualsiasi rumore. Lì si poteva soltanto dormire, poiché anche il respiro appariva disturbante.
-No…-
Sam si fermò così all’improvviso che Dean sbatté contro la sua schiena ampia. Barcollò all’indietro stordito, finché non vide ciò che aveva scioccato suo fratello.
Due statue affiancate riposavano alle spalle di tombe di marmo appena nato, come vomitato dalla terra che ne abbracciava le basi.
L’arcangelo Castiel, uno dei grandi che la sua epoca ricordava, giaceva in ginocchio, seduto sui talloni, con le mani sollevate in preghiera, il capo chino e la fronte poggiata sulle dita intrecciate. I capelli morbidamente lavorati, scompigliati come quando era morto e gli occhi chiusi in nell’espressione pacifica di chi accetta e capisce che è ora di lasciar andare la vita.
Indossava soltanto i suoi splendidi pantaloni di seta e la fascia legata in vita, così lunga da drappeggiarsi lungo la fiancata del piedistallo e cadere a terra, modellata con così tanta precisione da sembrare realmente morbida come appariva.
L’atteggiamento di Castiel era rilassato, sereno. Aveva accettato la morte senza paura, lasciandosi alle spalle quanto riteneva giusto e la speranza di un mondo migliore costruito sul suo gesto. Sulle sue labbra aleggiava un lieve sorriso misericordioso, lo stesso che aveva ostentato stringendo tra le braccia la sua replica. Era morto pregando per gli angeli, per gli uomini e per Leitsac che infine si pentiva e spirava un istante dopo tra le sue braccia, e così infine restava bloccato: in preghiera, come eterno guardiano del destino di chi aveva amato.
Al suo fianco stava Gabriel, bellissimo nel suo atteggiamento di carità gentile che ricordava tutto ciò che era stato in vita.
Sorrideva anche lui, ma con una vena di tristezza nel volto immobile, dalle orbite appena visibili per gli occhi socchiusi, vuote e grigie, i capelli come scompigliati dal vento. Stava eretto, un piede dietro l’altro come a voler improvvisare un aggraziato passo di danza e il capo inclinato verso una mano portata a palmo aperto all’altezza della bocca. Le labbra dell’arcangelo poggiavano gentili su qualcosa di luccicante, colorito e dorato che riposava non pietrificato sul palmo. Un collarino familiare si allacciava intorno al polso di Gabriel mentre il campanellino da gatto, che egli baciava con totale devozione, costringeva Sam a coprirsi la bocca per trattenere un singhiozzo.
-Gabe…- mormorò, cadendo in ginocchio ai piedi della statua. Allungò una mano per sfiorare un piede di Gabriel in un gesto fiducioso, che chiedeva pietà contro un dolore che pareva aprirgli il petto in tanti squarci crudeli.
Dal canto suo, Dean non riusciva a distogliere gli occhi da Castiel. Come in trance, si avvicinò, si arrampicò sul piedistallo e sedette accanto alla statua, senza distogliere gli occhi dal suo viso. Quanti ricordi, risvegliavano quei zigomi, quel corpo, quelle vesti.
Castiel era stato parte integrante della sua vita, un pezzo d’anima perduto che Dean aveva sempre osservato e cercato di proteggere. Aveva fallito, e adesso, quegli occhi non vedevano più.
Niente più blu cobalto. Niente più zaffiri stellati e ali di luna. Niente più cielo sopra la sua testa. Castiel si era portato via ogni cosa, ogni razionalità in un mondo che pareva aver fatto a pezzi semplicemente smettendo di respirare.
Dean appoggiò una mano su quelle giunte di Castiel, ricercando un calore perduto che non riuscì a trovare. Chiuse gli occhi, appoggiò la fronte sulla spalla gelida di quello che ormai era soltanto un pezzo di pietra senza più colori né calore vitale.
-Sai, Cass…- mormorò. -…quando ti conobbi… pensai che fossi il primo dei bastardi. Sembravi un soldatino senza arte né parte, dedito solo a far contento quel bastardo di Dio che pareva avercela con me e la mia famiglia sin dalla nascita di ognuno di noi. Ti odiai per questo, credo. Perché, anche se invisibile, tu un padre ancora in vita ce l’avevi, o almeno, eri convinto di averlo. Eri così fiero, sembravi avere sempre un obbiettivo da perseguire, mentre io… io non sapevo nemmeno chi ero. Ti odiavo, ti odiavo da morire. Ma poi…-
La voce di Dean parve spegnersi, affogata nei singhiozzi di Sam che piangeva a pochi passi da lui. Anche il più anziano dei Winchester si sentì sul punto di piangere, ma doveva continuare a parlare, a dirgli quanto doveva. Perché Cass era Cass. Perché lui lo meritava.
-… poi ti conobbi davvero, e non eri il soldatino tutto ordini e armi che credevo. Anzi. Apparivi più umano di me, più vivo. Forse è per questo che ti scelsi come guida, anche se inconsciamente. Ti seguii, affidandomi alle tue ali che non permettevano mai che mi facessi male. Quando accadeva qualcosa di brutto, tu eri lì, potevo sentirti, e questo mi aiutava a restare sempre in piedi. Adesso però… tu non ci sei più. E io mi sento crollare, cadere in ginocchio, e mio fratello cadrà con me. Come si fa ad andare avanti, Cass? Come si può dimenticare ciò che in passato ti rese vivo e completo e illudersi ancora che la vita che verrà sarà reale? Insegnamelo, come mi insegnasti ad amare e a volare. Insegnamelo… proteggimi ancora con le tue ali, perché il mondo mi cade addosso e io sto morendo con te…-
La voce di Dean si spezzò, e allora il ragazzo fu costretto ad allontanarsi dalla statua e a coprirsi il viso con una mano per nascondere le lacrime.
Una volta, suo padre gli disse che era inutile piangere per i cari defunti, che era stupido e da deboli. Per l’ennesima volta, Dean si sentì una vera delusione per John, che aveva sempre creduto in lui. Aveva perso tutto, ormai. I genitori, Castiel, Gabriel, suo fratello. Restava soltanto lui, con i suoi logoranti sensi di colpa da sopravvissuto e i suoi “se” sussurrati al vento, che non gli avrebbe mai risposto.
Se solo gli avessi impedito di impugnare quella scheggia…
Se solo avessi impedito la guerra…
Se solo avessi provato ad aprirgli il cuore, a riportarlo indietro dall’inizio…
Se, se, se. Domande senza risposta, rimproveri che Dean non si sarebbe mai perdonato.
Plic.
Il rumore amplificato, cristallino di qualcosa che s’infrangeva sul freddo marmo del piedistallo gli fece levare la testa. Il viso di Castiel, immutabile nella sua espressione pacifica… piangeva. Lacrime salate, calde di vita, bagnavano le guance gelide di pietra, cadendo copiose sulle mani giunte e giù, fino al piedistallo.
-Cass? Cass!-
-Non si sveglieranno, figlioli.-
Sam e Dean sussultarono, voltandosi di scatto. Quella voce, per quanto bassa e roca, appariva come un grido nel silenzio ovattato del cimitero.
Un vecchio avanzava verso di loro, curvo sotto il peso degli anni, il volto scarno, gli occhi di un azzurro opaco e il capo calvo, a dispetto della barba incolta che gli ricadeva sul petto fin quasi alla cintola. Indossava una lunga veste nera, come un saio da monaco.
Pareva essere capitato lì per caso, durante una normalissima passeggiata, tanto era la naturalezza dei suoi movimenti lì. Non sembrava accorgersi del sinistro strisciare di ombre tra le tombe, né del silenzio schiacciante che opprimeva chiunque lo assaporasse per più di qualche istante. Avanzava pacifico, tranquillo e quasi ignaro dell’ambiente circostante.
Si fermò tra i due piedistalli e levò su di loro uno sguardo stanco, antico quanto e più del mondo. Quegli occhi dovevano aver visto troppo, poiché il peso che arrecavano nel loro piccolo universo di azzurro opaco pesava, pesava da morire.
-Non si sveglieranno.- ripeté con dolcezza, inclinando il capo in una maniera che ricordava dolorosamente Castiel. Sam si asciugò il viso col dorso della mano.
-Chi… è lei? Come fa a saperlo?-
-Perché sono morti, figlio mio. Qui sono tutti morti.-
-Noi no.-
-Ma non siete pietra come i figli sui quali piangete con tanta dedizione. Voi, potete ancora muovervi. Voi esistete. Loro no.-
Dean scattò in piedi.
-Non è vero! Loro sono ancora qui da qualche parte!-
-Dovresti sapere che non è così.-
-Ci sarà un modo per riportarli indietro!-
-Modo?- Il vecchio sospirò, esausto. Il peso degli anni, o dei secoli, pareva pesare come macigni immensi sulle sue vecchie spalle curve. –I modi esistono sempre, figliolo, ma non sono quasi mai alla vostra portata. Non perché siate umani, bada bene, ma perché certe cose vanno lasciate come sono.-
Dean chinò il capo. Stentava anche solo a pensarlo, ma il vecchio aveva ragione. Lui stesso, anni prima, aveva rimarcato quel concetto, riguardo il sacrificio che John Winchester aveva compiuto per riportarlo in vita: “Ero morto, e dovevo restarci.”
Eppure, Dean non riusciva ad arrendersi, non riusciva a voltare le spalle al suo piccolo paradiso che, anche se pietrificato, pareva respirare ancora attraverso la roccia che lo avvolgeva. Anche nella morte, Castiel aveva versato una piccola, preziosa lacrima per lui, in risposta alle sue suppliche sofferenti. Come angelo, non era mai morto, e Dean lo sapeva… doveva crederci.
Si lasciò scivolare lungo il piedistallo e cadde a sedere accanto al suo angelo, il capo chino e l’aria esausta.
-A cosa stai pensando, figliolo?- domandò allora il vecchio, accostandosi. Dean scosse il capo.
-Penso che non sia giusto. Penso che il fato sia un gran bel pezzo di merda.- ringhiò a denti stretti. –Penso che Castiel e Gabriel non meritavano quella fine. A volte nessuno ci pensa, nessuno guarda alla morte perché tutti troppo spaventati per farlo, ma è davvero giusto che il “cerchio della vita” si chiuda così? È giusto che i giusti soccombano e i malvagi sopravvivano? Lo stesso Leitsac era innocente, poiché fu soltanto la casualità a regalargli quel destino del cazzo, ma a quanto pare nemmeno lui meritava una seconda occasione.  Quale Dio può permettere tutto questo?-
Dean si portò al volto le mani chiuse a pugno, tremante di rabbia.
-Quale Dio lascia che si spezzino le ali ai suoi figli più fedeli? E noi uomini? Noi non siamo l’opera perfetta, Cass si sbagliava. Siamo rotti, siamo… siamo ciò che ha condotto lui e i suoi fratelli alla morte. Come possiamo incarnare la perfezione che narra, quando portiamo odio dove regna la pace? Non c’è nessuna bontà nell’essere umani, così come non c’è nessun Dio… non c’è neanche la speranza, perché l’ho vista morire negli occhi di Castiel e spegnersi quando il suo volto perse luce. Resta solo il buio e io… io non ci vedo.-
Dean si strofinò gli occhi, sentendosi realmente accecato. Faceva male, bruciava da morire. La luce di Castiel non c’era più. Per anni, l’angelo era stato la luna di Dean, l’unica fiaccola argentata capace di stendere i suoi raggi laddove le tenebre parevano più forti. Adesso, quella luce non c’era più.
-E tu, figlio mio?- disse l’anziano, rivolgendosi a Sam. –Tu cosa provi in questi istanti?-
Sam sorrise tristemente, tra il mare di lacrime e il volto cinereo di chi si sente prosciugato, secco di emozioni e vitalità.
-Io? Io non penso più, signore. Non ho il coraggio di pensare che Dio esista, perché, se è così, so per certo che è un gran bastardo. Se solo… se solo avesse un po’ di pietà, mi lascerebbe qui o… o permetterebbe che scambi il mio posto con quello di Gabriel. Non so nemmeno se ci ascolta, quando preghiamo, ma se solo lo facesse, a quest’ora ci saremmo io e mio fratello in quegli involucri di roccia.-
L’anziano guardò prima Sam e poi Dean, che annuiva lentamente. Entrambi mortalmente pallidi, entrambi coi visi smunti di chi ha pianto troppo ma non smetterà mai di farlo. Dicevano sul serio.
-È realmente così? Dareste la vostra vita, perfino la vostra anima per due soldati di Dio? Sono semplici angeli, creature nate per dover proteggere il paradiso e nient’altro.-
-Ti sbagli.- lo interruppe Dean. –Ognuno di quei fottuti angeli morti lassù, sulla Terra… ogni Behemah, ogni replica… loro hanno lottato per proteggere un ideale. Non c’entra un cazzo il paradiso e tutte quelle stronzate lì, loro lo sapevano… e hanno combattuto lo stesso.-
Dean scivolò giù dal piedistallo, troneggiando sul vecchio. Il viso del cacciatore trasudava fierezza e una convinzione talmente ferrea da apparire inattaccabile.
-E questo li rende degli eroi. Il mondo non saprà, non vedrà, ma ci sarà in futuro chi porterà sulle spalle i benefici che tutti quei sacrifici comportarono. Libertà di scegliere e amore. È questo che i nostri successori ricorderanno, e di questo sono fiero anch’io… perché forse, anche l’uomo può essere davvero l’essere meritevole che gli angeli proteggevano.-
L’anziano lo guardò in faccia, guardò Sam e infine gli angeli. Un’espressione impietosita gli scavò lentamente i tratti somatici finché un sorriso non giunse a frantumarla. Il vecchio osservò, giudicò, e infine capì.
-Molto bene.-
Fu allora che l’anziano batté le mani una volta. Un suono cristallino, ben diverso dal principio di un applauso si propagò nell’aria, vibrando possente tra le tombe, contro le statue, oltre la nebbia infinita che abbracciava il cimitero.
Sam e Dean non fecero in tempo a guardarsi intorno che un fascio di luce più luminoso del sole, della luna, e di tutti gli astri messi insieme esplose dalla curva figura dell’anziano. La luminosità si propagò con l’aspetto di un’aurora boreale molto più ampia e possente di quella di Belial, manifestando un’immensità di colori che accarezzò le tombe e il terreno. Fu allora che i fiori cominciarono a germogliare.
Orchidee, glicini, margherite e qualsiasi altra pianta esistesse al mondo emerse sbocciando dal terreno, stiracchiandosi grata al cospetto della luce purissima, variopinta come lo spettro di uno specchio attraversato da un raggio di sole. Piantine appena neonate dall’aspetto noto e sconosciuto, colorato, fresco e ancora giovane distesero i petali e le foglie di smeraldo con tanta gratitudine che parevano voler abbracciare il loro creatore.
Poi, giunse l’acqua. Sgorgò dalle basi di ogni piedistallo, scivolando accanto alla pietra, tra l’erba di smeraldo e le piantine appena nate e in continua crescita rigogliosa. Rugiada purissima e cristallina accarezzò l’intero cimitero, ricoprendo di un filo d’acqua fresca il terreno, bagnando le scarpe di Sam e Dean con una sorta di sfiorare giocoso di bimbo appena nato.
All’improvviso, la nebbia si dissipò e l’infinita distesa di tombe nivee si trasformò in un Eden di piante rigogliose e acqua fresca che pareva dissetare ogni statua. Sam socchiuse gli occhi e vide le piante arrampicarsi sui piedistalli, intorno alle statue, fino alle basi delle ali spezzate. Da lì, si sprigionarono ennesimi fasci di luce accecante e poco a poco, sbocciando come gli stessi fiori che le avevano richiamate alla vita, delle enormi ali di pietra ricoprirono l’aria come una cappa immensa di piume grigie e immense appendici piumate spiegate al vento, come pronte a spiccare il volo.
E lì, ove gli astri brillavano e la vita germogliava inarrestabile in un mare infinito di verde e acqua di cristallo, Sam e Dean videro il cimitero con occhi diversi. All’improvviso, i volti delle statue non soffrivano più. Avevano tutti un’aria sollevata, rilassata, anche se immobile e i corpi non erano più contratti dal dolore ma liberi, tesi nel volo che le anime perdute degli angeli parevano aver già spiccato.
Le tenebre sovrastanti si dissiparono, ferite dalla troppa luce, rivelando la magnificenza di un sole oro e arancio fisso nel momento di massima tranquillità e bellezza che potesse trasmettere: l’alba. Raggi di luce dorati piovvero sulle statue, tingendole di colori, riflessi, armoniosità. Quello, sarebbe stato per sempre un luogo di inizio, come lo era la morte. L’inizio di un viaggio, l’alba di una nuova era per chi moriva e per chi restava a ricordare la scomparsa di un caro.
Era uno spettacolo senza tempo, una riproduzione ancora più bella e commovente del paradiso stesso.
Lì, i morti tornavano a respirare attraverso la pietra.
Lì, i fiori germogliavano e proteggevano aggraziati chi riposava nella pace della vita e del silenzio rilassato di un nuovo Eden.
Lì, riposavano gli angeli in un degno cimitero che vedeva le loro anime vivere un sogno perpetuo e pacifico. Il sonno che ognuno di loro meritava.
-Figli miei.- chiamò una voce, e allora Sam e Dean rivolsero la loro stordita attenzione al concentrato di luce dinanzi a loro. Non videro il volto del vecchio, perché quel magro corpo gracile pareva non esistere più, insieme alla sua voce bassa e insicura. Chi parlava adesso, aveva un timbro possente, che scuoteva la terra e germogliava il sole e la luna. Quella voce aveva valicato le ere senza mai smettere di narrare, di ricordare, di costruire storie sul piatto di una bilancia che decretava bene e male.
Quella voce, capirono Sam e Dean, era l’inizio e la fine di ogni cosa. Quella… era la voce di Dio.
Nessuno dei due si sarebbe inginocchiato, perché nessuno dei due voleva credere che tutto ciò fosse reale. Quante volte avevano entrambi progettato di rifilare un pugno al padreterno semmai se lo fossero trovati davanti? Eppure adesso, con quella rinascita e nascita di vita che continuava a spiegare le sue ali di cristallo intorno a loro, i due Winchester non riuscivano neanche a parlare. A stento respiravano l’aria dai mille profumi che li abbracciava.
-Figli miei.- ripeté Dio. –Così parlaste e così io vi ascoltai. Chiedeste risposte, e infine io ve le pongo innanzi. Vi ho sempre ascoltati, figli miei, e mai ho dimenticato di osservare i miei figli, sebbene non fu sempre mia volontà intervenire. La vita è vita perché in essa si gioca una partita contro la morte e per la vostra libertà io non porrò mai mano contro una giocata che potrebbe risultarvi fatale. La libertà, quella vera, accetta la dipartita così come la accettarono i miei figli alati. Capire se morire è giusto o sbagliato non è alla vostra portata, ma vedete… voi combattete perché il vostro andare avanti verte intorno al non voler perdere molto presto quella partita che tutti giocate. Accettate il fato, lo combattete fino alla fine e a volte riuscite a prevalere. Tuttavia, non è ciò a rendervi speciali. Fui condotto qui, tra i miei figli, per ascoltare e ricordare le vostre invocazioni. La vostra umanità, il vostro implorare per la sicurezza di chi amavate… fu questo a condurmi qui. Chiamaste il mio nome: ebbene, eccomi e so già cosa chiedete.-
Dean barcollò, ma si appoggiò al piedistallo per non cadere.
–Sei Dio?- gridò.
-Ho molti nomi, figlio mio, ma se ti aggrada chiamarmi così, allora sì: sono Dio, e per anni ho ascoltato le vostre suppliche. Non ho mai mosso le pedine per voi, poiché consapevole delle vostre capacità. Lottate per ciò che credete giusto, per poter scorgere l’alba di un nuovo giorno, e questo vi da la forza per capire quanto sia importante ogni respiro. Sappiate che la vita è soltanto una transizione, ma è come la gestite che costruisce ciò che sarà della vostra anima. Ora, sappiate che io non potrò riportare indietro i vostri compagni. Il loro tempo è giunto, e così sarà.-
I visi di Sam e Dean si contrassero. Allora, il minore dei Winchester si fece avanti, afferrando la mano del fratello.
-Puoi scambiarci con loro?- chiese.
-Lo fareste? Una vita per una vita?- rispose Dio.
-Sì.- fu la conferma senza esitazioni, e allora la luce vibrò di potenza, scuotendo la terra sotto i loro piedi.
-Vostra fu la scelta, ma ancora una volta non sarà mia l’ultima mossa che potrete muovere nella vostra vita. Avete due strade, due perfetti bivi… sappiate riconoscerne l’importanza e non abbiate a dimenticare che la vera soluzione ce l’avete davanti agli occhi, nell’aria che respirate. Vi dono una speranza e uno spiraglio di luce: possano essi condurvi al traguardo laddove la strada si fa più irta.-
Un tonfo, un altro vibrare cristallino. Sam e Dean caddero in ginocchio, storditi mentre l’intero Eden che ancora si formava attorno a loro danzava di una nuova ondata di vita.
Caddero entrambi al suolo, esausti, disperati, mentre una parte di storia si dipingeva alle loro spalle. Poiché fu loro il merito di aver ricondotto il tramonto di un cimitero disperato all’alba di un luogo di paradisiaco riposo, ogni angelo avrebbe ricordato che due semplici umani, due ragazzi, avevano visto, parlato e convinto Dio stesso a rimescolare le carte di un destino già scritto.
 
Angolo dell’autrice:
Ok, fermiamoci. La storia si prolunga di un altro capitolo, ma questo non lo sapevo nemmeno io. Credo di aver esagerato a scrivere, ma non voglio neanche fare un capitolo infinito, perché quello stanca. Perciò, ecco il mio piccolo regalino: un altro capitolo, ma stavolta sarà davvero l’ultimo. Credo che il finale sarà abbastanza sorprendente e…
Balth/Mary: MA COME TI VESTI?!
Mary, anche tu?!
Mary: e dovresti vedere Lucifero e Michael! Sono vestiti come una tappezzeria, ma li trovo aaaaaaaltamente alla moda.
Oh, no… tregua!
Lucifero: tesoro, questo jeans è molto inadatto a una serata in discoteca, sai?
Chi vuole fare una serata in discoteca? E poi perché Michael ha l’armatura decorata con dei fiorellini?
Lucifero: perché anche in battaglia si deve essere chic!
Ora basta. GABRIEEEEEL!!! Apri questo armadio ed esci fuori di lì, maledetto vigliacco!
Gabe: no, ne ho abbastanza! Mi hanno già vestito da cameriera sexy due volte e ancora non riesco a togliere le calze a rete!
Calze a rete?!

kimi o aishiteru: mi hai dato la notizia più bella dell’anno, sappilo! Non smetto di sorridere da quando ho saputo che l’operazione è andata bene! Finalmente! Bravo Cassie, per ora eviterò di chiuderti la testa in un cassetto. Coraggio, Ale, Agne e Chiara, correteee!! Fatela svagare, altrimenti niente prossimo capitolo e niente Dean e Cass nudi nei vostri letti (L’hai detto davvero. Nd Dean)( non dovevo?)(ecco perché mi hai impacchettato! Fammi uscire!!! Nd Dean). Cioè, allora non sono l’unica che guida ascoltando le sigle dei cartoni animati!!! Non sono sola a questo mondo! La mia stima per voi cresce a livelli inimmaginabili, sappiatelo. Sai, credo che in fondo, Leitsac sia colui che rappresenta maggiormente ognuno di noi. A volte la solitudine ci fa fare cose strane, a volte sbagliate, ma non è mai troppo tardi per rimediare. Alla fine, un piccolo aiuto si trova sempre, anche nella persona più impensata, e Leitsac l’ha capito. Cosa hai pensato del nuovo aspetto di Lucifero? Temo di aver esagerato a figurarlo come lo immaginavo, forse dovevo attenermi ai canoni del telefilm… sto stravolgendo tuttoooo!!! (corre in tondo, presa da una crisi di panico) Kimi, spero con tutto il cuore di doverti “sopportare” in eterno! Le tue recensioni sono magnifiche e mi infondono sempre una grande forza e voglia di scrivere, perciò grazie! Grazie a te che scrivi e hai la pazienza di leggere il capitolo ad alta voce mentre sei in macchina, grazie alle tue amiche che commentano insieme a te e seguono ciò che pubblico. Grazie di tutto.
HowlingFang: in realtà, Gabriel sapeva che sarebbe finita così. Il suo scopo era proteggere Sam, e credimi, il nostro arcangelo non poteva morire più felice di così. Lo stesso vale per Cass, che non ha mai dimenticato che ogni briciolo della sua esistenza verteva intorno alla vita di Dean. Alla fin fine, i due fratelli non sono poi così diversi. Eh, Samael e Mary sono più rimbambiti di Balthazar e Belial, ma vaglielo a dire. Sì, il GOOD MORNING VIETNAM era tutto per te. Cosa pensi, che non me lo sia segnato che dovevo farglielo dire? Ho il pc pieno di post-it, ma finalmente questo l’ho eliminato. Dai, Michael in questo capitolo non è stato tanto male. Che ne pensi? Lo so, Meg sta sulle balle anche a me, ma non mi sono fatta mancare nulla in questa storia. C’erano gli angeli, e i demoni non potevo lasciarli fuori. Alla fin fine però, Meg non è mai stata cattiva. Certo, aveva un carattere di me**a, ma ha sempre aiutato i Winchester, fosse anche per suo tornaconto. Grazie per il commento, ci vediamo nel prossimo capitolo!
chelseadaone: suvvia, scriverò altre storie nel fandom di Supernatural! E non dico che sia impossibile che nasca un sequel di questa storia. In ogni caso, non sono un angelo, ma una semplice scrittrice pazza che però ama i suoi lettori e recensori. Grazie mille per il commento e ricorda che tu che commenti, aiutandomi a continuare la storia… sei tu la grande! Grazie!!!
Sherlocked: coraggio, fatti forza! Tutte le cose sceme finiscono! (non è una cosa scema! Come hai potuto definirla cosììììì!!! Nd Gabriel isterico)(ma che ha?)(crisi di nervi, ha preso troppo caffè… o troppo zucchero. Nd Balthazar)(sì, ma non è normale)( non è normale neanche che vada in giro vestito da struzzo, ma glielo lasci fare lo stesso. Nd Balth)( ah già… adoro quel costume, sembra quello di qualche sponsor pubblicitario!) Credimi, aspetto anche io che Gabe ritorni. Era uno dei personaggi più belli della serie, e me l’hanno ammazzato come se niente fosse. Non potevo sopportarlo, ma forse non è stato totalmente un male… calcola che ho scritto questa storia in funzione della sua morte. Volevo che cambiasse, tutto qui, e l’ho fatto. Le nuove coppie che ho creato qui dentro non me le aspettavo nemmeno io. In realtà, all’inizio della storia Samael doveva morire, Mary non doveva tornare indietro e Belial non doveva nemmeno esistere! In quanto a Crowley… purtroppo è ancora qui, anche se nella storia ha fatto la fine dei fuochi d’artificio e mi sta mettendo sottosopra l’armadio! (secondo te come mi starebbe questo vestito? Nd Crowley)(Crow, è da donna! E cavolo!)(però mi donano le calze. Non ho mai avuto le gambe così lisce, nemmeno dopo la ceretta! Nd Crowley)(TI FAI LA CERETTA??? Nd tutti) Comunque, se vuoi ho scritto già un’altra storia nel fandom di Supernatural, ed è sempre una Destiel. Dacci un’occhiata, se ti va. E sì, continuerò a scrivere altre fan fiction e ti avvertirò, perché le tue parole sono magnifiche. Credimi, se scrivessi un libro e lo pubblicassi, lo farei pensando alle vostre parole, ai vostri incoraggiamenti che non ho mai ricevuto in vita mia prima di adesso. Per questo ti ringrazio, perché la tua recensione è splendida e perché sembri amare davvero ciò che scrivo, e questo è… meraviglioso. Grazie.
xena89: scrivere della battaglia è stato un supplizio, lo ammetto XD ho sudato parecchio, anche perché avevo paura di aver tralasciato qualcosa e le parole che spesso pronunciano i miei personaggi… non so, a volte mi sembrano banali, e tremo al pensiero che lo siano davvero. Eheh, l’happy ending FORSE ci sarà, ma non assicuro niente, anche perché stai parlando con l’autrice più sadica di sempre XD tremate, gente! Grazie mille per il commento, al prossimo capitolo!
Tomi Dark Angel

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Capitolo 30
*** Dal Cielo E Dalla Terra Nacque L'Alba ***


Molti pensano che la vita sia uno stato di trance, un istante lungo decenni che trasformano il sogno in incubo e l’incubo in sogno. Alcuni vivono di respiri, altri di battiti cardiaci, troppo occupati a pensare a se stessi per accorgersi dei cambiamenti del mondo. L’uomo pensa ai suoi attimi, al suo essere, al suo futuro, e non vede ciò che è giusto compiere, non ascolta più la voce della coscienza. Tuttavia, esistono momenti che scuotono gli animi, li scrollano come una madre esasperata che agita il suo cucciolo per impartirgli una lezione; ed è in quei momenti che l’uomo, forse… ricomincia ad ascoltare.
L’intero pianeta tremava, scosso da una potenza inaudita, di terremoto furioso che rischiava di abbattere palazzi, monumenti, mura di ogni genere. La gente fuggiva, gridava, osservava il cielo scuro ormai da qualche ora e tremava. Era infine giunta l’Apocalisse?
Faceva freddo, e qualcosa di terribile assillava gli animi delle persone, che si sentivano schiacciate, pressate dal presentimento che da qualche parte, un pezzo importante dell’universo poco a poco venisse a mancare. Qualcosa di puro si spegneva lentamente, fiammella invisibile agli occhi ma percepibile ai cuori di chi sapeva ascoltare. Era un peso terribile, oscuro, che riempiva le strade di angoscia. Un equilibrio tanto a lungo sostenuto, infine si spezzava e precipitava l’universo nel buio.
Fu allora, dopo ore e ore di terrore, oscurità e grida, che la conferma giunse. Una goccia di pioggia gelida, poi un’altra, e ancora un’altra. Piovve, e il mondo parve fermarsi ad ascoltare, ad osservare. Ogni persona si immobilizzava, osservando il cielo come carica di aspettative, mentre, goccia dopo goccia, la pioggia corrodeva il mondo. Tutti attesero in silenzio, finché un sospiro prolungato, di creatura morente, non attraversò le strade e i volti in un’ultima carezza gentile che li fece rabbrividire. Una donna singhiozzò, premendosi le labbra sulla bocca. Aveva sentito il suo bambino sussultarle nel grembo, come attratto dall’alito di vento profumato che aveva appena sfiorato il corpo della madre.
Una signora anziana sbatté le palpebre stupita, mentre la sua parziale cecità si ritirava, restituendole colori vividi, lucenti, puliti.
Un uomo con la gamba ingessata guardò stralunato l’involucro spaccarsi e cadere ai due lati di un arto perfettamente sano, funzionante, senza più i punti dell’operazione.
Quel suono sospirato, quel vento lieve che aveva salutato il mondo per un’ultima volta, aveva compiuto un ultimo, grande gesto. Guarire i feriti, risvegliare le coscienze e scuotere gli animi per costringerli a vedere, ad ascoltare il respiro del mondo e la reale bellezza che da sempre aveva aleggiato intorno a loro. Ora, quello stesso respiro spirava, salutando le sue piccole opere di benevolenza e lasciando per sempre il vuoto nei cuori di chi aveva capito di essere stato sfiorato dagli angeli.
Lentamente, con calma, la donna incinta si inginocchiò nel fango e sotto la pioggia, giunse le mani e vi appoggiò le labbra. Pregò. Lì, dinanzi a tutti e senza preoccuparsene. Implorò pietà per le splendide creature spirate che avevano salutato per prime  suo figlio con una gentilezza al pari di un padre affettuoso.
Alla donna, seguì la vecchia, poi l’uomo, e poco a poco il mondo intero.
Uomini, donne, anziani di città diverse. Ladri e assassini, onesti lavoratori e bambini innocenti. Ognuno si inginocchiava, ovunque fosse, senza preoccuparsi del fango causato dalla pioggia, impegnata a cadere sull’intero pianeta. Gli animali levavano il capo, fissavano il cielo e infine anche loro chinavano la testa e le ginocchia. Creature quadrupedi e non si prostravano, piegando le zampe, le teste beccute o le antenne sottili innanzi al cambiamento del mondo, scosso dall’ennesimo, ma stavolta definitivo lutto.
Preghiere. A decine, centinaia, migliaia, come pioggia che improvvisamente si alleggerisce per tornare invisibile al cielo in un unico grido supplicante. La voce del mondo si levava, supplicando in un’unica preghiera  per la salvezza di creature che meritavano la vita.
La razza umana e quella animale infine, si riunivano sotto un unico vessillo. Nessuna differenza tra gli uomini santi e peccatori, nessuna distinzione tra bestie e persone.
ASCOLTACI!!!
La pioggia parve crescere, diventare violenta, ma nemmeno gli anziani curvarono le spalle dinanzi alla furia degli elementi. Mormoravano, imploravano sempre più forte.
ASCOLTACI!!! CHE DIO INTERVENGA!!!
La pioggia diminuì. Poco a poco, con delicatezza e cautela, fino a trasformare la bufera in una carezza gentile di madre finalmente acquietata. Un riflesso lucente attraversò le nuvole nere come il carbone, illuminandole di grigio sempre più chiaro, cristallino come acqua limpida.
Davanti alle suppliche di chi credeva, un unico, possente raggio di sole dorato piovve dal cielo, forando le nuvole e aprendosi un piccolo spazio di speranza per un domani nel quale anche il più piccolo bambino continuava a pregare.
§§§§
Un raggio di sole. Un piccolo fascio di luce laddove la luce, sembrava essere sparita per sempre.
Si riflesse negli occhi limpidi degli angeli e dei Behemah, in quelli scuri dei demoni, in quelli cupi delle repliche. Occhi che avevano visto la morte, vissuto una battaglia senza fine e che finalmente guardavano con sollievo a una piccola aura di pace.
Era bella, quella luce. Cadeva dal cielo, scivolava sui loro corpi e annientava la cappa di oscurità che per fin troppo tempo aveva gravato sulle loro teste. Alla fine, videro il raggio baciare il povero corpo accasciato di Dean Winchester, mentre un secondo fascio solare toccava gentile la schiena di suo fratello. Entrambi accasciati sui corpi esanimi dei loro angeli, entrambi silenziosi e quasi sereni nell’incoscienza che li stringeva. Nessuno osava toccarli, nessuno rompeva il legame fisico che pareva abbracciare le due coppie, unite fino alla fine. Alcuni si chiedevano se anche gli umani fossero morti, mentre altri semplicemente attendevano speranzosi che i loro occhi si riaprissero, riportando la luce e un brandello di speranza in un luogo che la speranza sembrava non averla mai vista.
All’improvviso, si udirono delle voci. Dieci, cento, mille. Migliaia di sussurri mormorati in lingue diverse, ma tutte volte verso quella che tutti capirono essere una preghiera. Tantissime persone invocavano Dio, imploravano pietà per qualcuno che infine giaceva nel fango e nella miseria di azioni compiute da altri: il mondo intero stava pregando per Gabriel e Castiel.
C’era ancora speranza, da qualche parte. C’era ancora una via per chi sapeva crederci.
Belial levò il capo e chiuse gli occhi in un’espressione beata, pacifica. Cominciò a mormorare a mezza voce, unendosi alla preghiera che scuoteva i monti, i mari e la terra. Michael annuì e anche lui lo imitò. Uno dopo l’altro, anche gli angeli e le repliche unirono la loro voce a quella già elevata del mondo intero.
I demoni si guardarono intorno sperduti, coprendosi le orecchie, e solo Lucifero giunse le mani dinanzi al petto vuoto del cuore ormai ridotto in cenere. Mormorò una preghiera, una supplica di salvezza non per se stesso, ma per i suoi fratelli. I suoi errori meritavano una punizione, ma quale giustizia trovava Dio nel punire i suoi angeli più giusti?
In breve, la pelle del Diavolo cominciò a corrodersi, a contorcersi, a consumarsi contro le ossa sporgenti. Lucifero sentì la carne bruciare da morire, ma non si fermò. Al contrario, la sua voce si fece più alta. Voleva che Dio ascoltasse, che capisse, che operasse la misericordia della quale si faceva vanto da migliaia di ere.
Ti prego.
Fu allora che qualcosa cambiò. L’aria fremette, parve piegarsi, contorcersi. Poco a poco, venne risucchiata nei sottili fasci dorati che abbracciavano i corpi delle due coppie immobili, strette nel gelido abbraccio della morte e dell’incoscienza.
-È ora di svegliarsi, figli miei.- tuonò una voce dall’alto, così potente da far vibrare la terra sotto i loro piedi e la sottile pioggerellina che ancora cadeva, accarezzando i loro corpi.
La luce esplose all’improvviso, squarciando il silenzio, l’oscurità e il banco di nuvole sopra le loro teste. Purissima come il più puro vagito di un bimbo appena nato, l’alone di astro celeste si estese, coperto di filamenti luminosi che si avvolgevano in spire sottili intorno ai corpi, sfiorandoli, coprendoli, accarezzandoli.
Nessuno dei presenti aveva mai visto tanta luce. Si espandeva a vista d’occhio, e pareva voler abbracciare il mondo intero come una magnifica, splendida onda. La videro innalzarsi, crescere oltre le stelle, più della luna e del sole, gloriosa nei suoi riflessi di aurora boreale.
In tutto il mondo, la fauna si risvegliò, reagendo al richiamo silenzioso dell’ondata di luce appena nata. Gli alberi scrollarono le fronde, i fiori spiegarono al massimo i petali, gli animali levarono al cielo i loro versi di benvenuto alla natia speranza luminosa. C’era ancora qualcosa, c’era ancora una possibilità! C’era vita!
La luce aumentò e aumentò ancora, spiegandosi come ali al vento. Il mondo intero levò il capo timoroso mentre un vero e proprio manto di aurora boreale stendeva le sue braccia sul cielo, ricoprendolo di luce calda, accogliente, grondante di vita e grandiosità. La pioggia alleggerì ancora, ma non andò via, anzi: le gocce si plasmarono lentamente, cambiarono colore e in breve divennero gocce tiepide, confortanti e luminose di mille colori diversi, come un arcobaleno che poco a poco si scioglieva in pezzi lucenti dalle infinite sfumature.
I bambini, gli anziani, uomini e donne levarono al cielo la loro risata felice e finalmente si alzarono, levando i visi grati, sorridenti di serenità ritrovata.
Qualcosa stava cambiando!
Qualcosa viveva, da qualche parte!
Gli angeli sbarrarono gli occhi, costretti a coprirsi il viso dinanzi a tanta accecante magnificenza. Non era una luce normale, non era… accettabile. Soltanto Castiel e Belial possedevano quella forza luminosa, ma il secondo non si era mosso e il primo era morto.
Stava davvero cambiando qualcosa? C’era davvero… speranza?
-IN PIEDI!!!-gridò Belial all’improvviso. Era l’unico, insieme a Michael, che intanto proteggeva Lucifero, abbracciandolo con le ali, a poter mantenere gli occhi aperti. Entrambi gridarono di nuovo: -IN PIEDI!!!-
Un’invocazione, l’ennesima preghiera. Non più a Dio, stavolta, ma a chi era la causa della luce splendente appena nata.
Qualcosa si mosse, levò il capo. I due fulcri dell’esplosione luminosa si mossero storditi, innalzarono lentamente i corpi, sagome gloriose in un glorioso abbraccio di Dio. Chi riuscì a socchiudere gli occhi giura ancora di aver visto gli abiti dei due nascituri sbriciolarsi per poi lasciare il posto a puri pantaloni di seta bianchissima un istante prima che accadesse: dapprima piccole come boccioli di rosa, poi sempre più grandi, ampie, massicce. Due gigantesche paia d’ali sbocciarono fiere dalle scapole degli uomini immobili, eretti come statue immense e immensamente fiere.
Le piume si dipinsero poco a poco, splendenti come diamanti nella luce pura che le sfiorava con totale dedizione. Bianche. Bianche parevano le piume gigantesche che componevano una dopo l’altra, sovrapponendosi e affiancandosi tra loro, le appendici alate. Tuttavia, guardando meglio chi poteva, fu chiaro subito dopo che in quelle piume era racchiuso il punto luce più splendente della perla. Non più bianche, ma perlacee come un prezioso gioiello degli abissi.
Ali immense, ali di angelo.
Ali gloriose, ali di uomo.
Ali al servizio non di Dio… ma della vita, poiché dalla vita generate.
Una carezza di speranza per chi brancolava al buio, un bagliore di respiro per chi il respiro non riusciva neanche più a gestirlo.
Ali che raccontavano una storia, nella quale due arcangeli infondevano così tanto amore, così tanti pezzi di loro stessi nei fragili compagni umani, da renderli creature al di sopra dei soldati di Dio e quasi al pari di Dio stesso.
Quelle erano creature nate dall’amore e dal sacrificio. Quelli, erano il risultato di occhi limpidi d’affetto e carezze pulite di dedizione. Ogni gesto aveva costruito una piuma, ogni sfiorarsi aveva generato un nuovo filamento o tendine dei possenti muscoli che infine si stiracchiavano al vento, abbracciando le speranze del mondo, le sue preghiere, i suoi gridi di dolore e angoscia per purificarli una volta per tutte.
La speranza esiste ancora!
La speranza vive, e siete voi ad alimentarla!
Vivete, sperate! C’è ancora amore laddove volete che ci sia!
Le due figure si ersero in tutto il loro splendore, guardandosi negli occhi chiari a vicenda, osservando leggermente storditi le ali alle spalle dell’altro prima di rendersi conto delle proprie. Fu allora che Belial entrò con passo lento e misurato nel possente alone di luce, attraversandolo a testa alta, splendido col suo manto di ali cristalline.
Aprì gli occhi, incrociò quelli dei due angeli nascituri. Sorrise dolcemente, i capelli scompigliati dai filamenti di luce arcobaleno che lo sfioravano come petali di fiori appena sbocciati. Si avvicinò, prese una mano di Dean e una di Sam, stringendole con calore e affetto.
-Avete parlato con Dio, e infine vi è posta innanzi questa scelta. Vi è proposto uno scambio, una decisione vostra e vostra soltanto. Che i vostri cuori non dubitino della scelta compiuta, poiché essa sarà irreversibile.- annunciò con fierezza, senza abbandonare il suo bellissimo sorriso misericordioso. –Siete miei fratelli ormai, e come tali vorrò trattarvi. Dunque, vi parlerò a viso aperto e a voi pongo la scelta che potrà decidere le vostre sorti… e le loro.-
Gli occhi cristallini di Belial si posarono leggeri sui corpi accasciati e ancora sanguinanti di Gabriel e Castiel. Una scelta. Una semplice decisione che avrebbe inciso a fuoco i destini dei presenti.
Sam e Dean si guardarono, sorrisero. All’unisono, come un unico re che infine si sfila la corona e la pone umile innanzi a un vincitore, entrambi si inginocchiarono, chinando il capo. Le ali seguirono il movimento, riflettendo un arcobaleno di riflessi perlacei che colorarono l’aurora boreale sulle loro teste.
Belial vide e capì. Nessuna parola fu degna più del gesto compiuto nella sua grandiosa umiltà, dove due splendide creature dalla forza soverchiante si prostravano ai piedi di una scelta che avrebbe sottratto loro un pezzo di se stessi. Così fu, e così sarebbe stato.
Belial allungò le mani, le pose sui capo dei due angeli prostrati. Poi, un altro paio di palmi si aggiunse al suo e Michael, l’arcangelo che in passato ebbe controllo sul Paradiso e sui suoi stessi fratelli, pose la sua ultima benedizione sui destini di chi sceglieva di rinunciare alla libertà di volare pur di riavere indietro delle vite.
Così come i piccoli brandelli di Grazia scintillante erano fluiti nei corpi di carne e sangue innanzi ai due arcangeli, così essi scelsero di tornare ai rispettivi padroni. Un immenso dolore come di tortura e carne lacerata si impossessò dei corpi di Sam e Dean, che tuttavia strinsero gli occhi e si presero per mano, forti della presenza dell’altro. Non gridarono, non gemettero, ma semplicemente strinsero i denti.
Vollero restare fieri innanzi alla sofferenza come non erano mai stati in vita e in morte fino a quel momento. Ora, mentre le ali poco a poco si irrigidivano e agli occhi di tutti si riempivano di crepe luminose come stelle, tutti videro che qualcosa cambiava: una piccola scintilla di luce mosse i suoi passi dal cielo, piovendo cristallina sulle ali marmoree. Appena le toccò, ogni piuma andò in pezzi. Si disgregarono, si consumarono, riducendosi a polvere di stelle che aleggiò nell’aria per qualche istante prima di trasformarsi in un’unica scia lucente, come la Via Lattea, per concentrarsi nelle mani ora levate di Belial e Michael.
-Che Dio intervenga! Che Morte inverta il suo corso e riconduca le ali della speranza a sbocciare un’ultima volta!- gridarono all’unisono i due arcangeli, mentre si recavano ognuno da Gabriel e Castiel. Alle loro spalle, i corpi accasciati e ancora tremanti, nudi, di Sam e Dean.
Le mani di Belial e Michael sfiorarono leggere i petti dei due arcangeli defunti, premendo a forza i globi di luce contro la carne. E lì attesero. In silenzio, mentre l’aurora boreale e la pioggia di arcobaleno ancora aleggiavano sulle loro teste e contro i loro corpi.
Un’ultima preghiera, un ultimo bagliore di speranza.
-CASTIEL!!!-
-GABRIEL!!!-
Due voci gridarono le loro speranze al cielo, indicando con un ultimo sforzo disperato la vita al suo ritorno. E allora, ogni preghiera si vide esaudita.
Due respiri identici, colmi di vita riempirono i corpi di Gabriel e Castiel. Tutti li videro sussultare, vibrare di energia ritrovata. Poco a poco, due nuove cascate di luce sgorgarono dai loro corpi, illuminando la terra, intridendola di Grazia angelica, celestiale.
In piedi.
Castiel si girò su un fianco, artigliò il terreno con le dita tremanti e ancora pallide. I suoi occhi tardavano ad aprirsi.
In piedi.
Gabriel ripiegò faticosamente un’ala, levandola dal fango. Le sue piume si schiarirono lentamente, dapprima opache, poi sempre più lucenti d’oro purissimo. Incontrarono gentili il grigio pallido di quelle di Castiel.
IN PIEDI!!!
Gabriel e Castiel aprirono gli occhi. Nello stesso istante, con lo stesso scatto nervoso, vivo. Blu zaffiro e oro intriso di smeraldo.
Occhi lucenti.
Occhi vivi di emozioni e speranza.
Occhi che ancora splendevano delle preghiere che li avevano infine costretti a riaprirsi.
Le ali si levarono, dodici immense appendici piumate che ad ogni mossa si scrollavano di dosso la sporcizia del grigio e dell’opaco. Come un pittore che ridipinge un’opera d’oro e argento antico, riportandola alla vita, così ogni piuma ritornò ad essere brillante come il più prezioso dei cristalli, così lucente da riflettere tutto intorno un pallido alone di Grazia purissima.
Due arcangeli, immensi nel loro splendore e gloriosi nella loro splendente armatura di luce. Seppur ancora insanguinati e leggermente sporchi del nero della battaglia, apparivano come creature eteree, rinate, che attraverso la morte avevano scorto qualcosa. Occhi che avevano guardato la fine, il traguardo di una vita che il corpo alla fine non aveva tagliato del tutto.
I muscoli si gonfiarono, le gambe si irrigidirono per farsi forza e sostenere corpi nuovamente vivi di sangue e carne. L’armatura di Gabriel cadde in pezzi ai suoi piedi, staccandosi dalla carne come la muta di un serpente, immobile, prostrata, monito di una battaglia insensata annegata infine nella violenza e nel sangue.
Lentamente, i due arcangeli spalancarono le ali in una miriade di riflessi cristallini che si riflessero al suolo, sui volti cinerei dei presenti e nei loro occhi. Oro e argento. Luna e sole.
Lì, dove la morte aveva abbattuto in precedenza la sua più grande falciata di vite innocenti… lì, le vite innocenti rinascevano. Si levavano imponenti, stendevano le ali su chi non si sarebbe più svegliato e in un profondo respiro di vita ricordavano al mondo che sì, erano vivi.
Gabriel e Castiel. Magnifici nel loro involucro di luce e altrettanto lontani per la loro essenza sovrannaturale che dall’inizio aveva tentato più e più volte di separarli da ciò che avevano ritenuto importante. Eppure, quei piccoli pezzi di anima erano ancora lì e, anzi, avevano restituito loro la vita, rifiutando la libertà che ogni uomo aveva sempre sognato.
Senza attendere, Sam si rialzò, tremando e su gambe malferme zoppicò verso Gabriel. Si sentiva ferito, a pezzi, lacerato, ma il suo arcangelo era lì e niente gli avrebbe impedito di raggiungerlo.
Gabriel tese una mano, incrociando i suoi occhi di limpide lacrime di sollievo.
Sam stese il braccio, zoppicò ancora.
Gabriel piegò un’ala a suo indirizzo, coprendo la sinistra di Sam con un muro altissimo di infinite piume dorate.
Coraggio.
Sam incrociò gli occhi di Gabriel e vi lesse un amore sconfinato, immenso più degli oceani. L’amore di un angelo.
Le dita si sfiorarono appena quando Sam sentì le forze mancargli. Le gambe cedettero, ma il ragazzo non urtò mai il suolo: le braccia di Gabriel lo strinsero con tanta forza che per qualche istante, Sam pensò che non l’avrebbe mai più lasciato andare, e a lui stava bene. Sentiva di nuovo quel battito, quel profumo, quel respiro che tante notti l’aveva cullato.
Era Gabriel. Era il suo Gabriel!
Lentamente, anche Sam ricominciò a respirare. Andava tutto bene, stavano bene entrambi. Senza accorgersene, si aggrappò al solido corpo di Gabriel e singhiozzò contro la sua spalla, tremando vistosamente. Gabriel gli accarezzò la schiena sanguinante, e laddove le sue dita passavano, lì la ferita poco a poco si richiudeva.
-Va tutto bene, dolcezza… sono qui.-
Sam annuì, piangendo più forte al suono di quella voce che avrebbe creduto di non sentire mai più. Gabriel sorrise contro i suoi capelli, gentile e delicato dinanzi alla momentanea fragilità del suo umano.
-Suvvia. Grande e grosso e piangi per niente?-
-Sta… stai zitto…-
-Ti ho sentito, prima.-
Sam smise di piangere e lentamente levò il capo per guardare Gabriel in viso. Sorrideva.
-Ti ho sentito mentre ero laggiù, intrappolato nella pietra. Credevo di sparire una volta morto, ma invece… la tua voce mi teneva ancorato qui. Continuavo a sentirti, gridavo per dirti che non dovevi piangere, ma tu non sentivi… non mi ascolti mai, gattino randagio che non sei altro.-
Tling.
Sam sbarrò gli occhi e abbassò lentamente il capo verso le mani posate con delicatezza ai due lati del suo collo. Intorno ad esso, si avvolgeva il collarino, ma adesso il campanello, tornato intatto, presentava qualcosa di diverso: una piccola crepa lucente lo attraversava diagonalmente, come monito a non dimenticare il dolore vissuto e i ricordi di una guerra vinta con la forza della pietà umana.
Una piccola lacrima cadde sul campanellino, facendolo tintinnare.
Tling.
Gabriel levò con delicatezza il viso di Sam e baciò ogni centimetro della scia bagnata che gli attraversava la guancia.
-In questo mondo si è già pianto abbastanza. Sorridi, tesoro, e porta con te la speranza che altri a volte perdono, perché è grazie ad essa che io ho ritrovato la mia luce.-
Le labbra di Gabriel trovarono quelle di Sam. Per un attimo, al cacciatore parve di tornare al passato, a quando avevano fatto l’amore per la prima volta. Risentì la carezza dell’acqua sulla pelle e i respiri vitali che gli infondeva ogni bacio di Gabriel. Adesso, con la morbida dolcezza delle loro lingue che si intrecciavano, Sam sentiva di poter respirare di nuovo.
Si aggrappò alle sue spalle e Gabriel li cinse entrambi con le ali poderose, che grazie allo stesso Sam avevano ritrovato la vita e la gioia di volare. Si incastrarono tra loro, come pezzi di un unico puzzle di perfezione. Sembravano costruiti per aderire i loro corpi alla perfezione, per sfiorarsi a vicenda con mani leggere come l’aria ma bollenti come l’inferno visto e vissuto in precedenza.
Dean intanto, non staccava gli occhi da Castiel. Avanzò di un passo, ma lo vide arretrare intimorito. Si guardava intorno come un animale in trappola, e a Dean fu chiaro cosa pensasse: tutti erano stati convinti che li avesse traditi fino in fondo, e dopotutto, lo stesso Castiel aveva ucciso troppi angeli per spingere Leitsac a fidarsi. Adesso lui si rialzava, ed era accerchiato. Aveva paura, ma più di tutto il resto, temeva il giudizio di Dean.
Il cacciatore stese le braccia, tentando di calmarlo. Si avvicinò ancora di un passo e Castiel rimase immobile, rigido e spaventato. Spalancava gli occhi, tremava leggermente, le ali accasciate alle sue spalle come se non avessero forze.
-Cass, guardami…- mormorò Dean, accostandosi. Levò le mani verso il suo viso e Castiel strinse forte gli occhi, timoroso e in attesa di un pugno in piena faccia. Non gli avrebbe fatto male fisicamente, questo no di certo. Tuttavia, un colpo ricevuto da Dean bruciava da morire al petto.
Guardandolo immobile e tremante come un gattino randagio sotto la pioggia di arcobaleno, Dean ripensò a quando la statua di Castiel aveva versato una lacrima. Una sola, nata dalla pietra. Per lui.
Aveva pianto, Castiel. Anche nella morte, si era ricordato del suo Dean, delle sue sofferenze. L’aveva guardato, e forse aveva gridato dalla pietra per l’impotenza di non poter placare le sue sofferenze.
Le mani di Dean si posarono sulle guance di Castiel, i pollici gli accarezzarono la pelle morbida, soffice come zucchero filato.
-Guardami, Cass.-
E lentamente, con cautela misurata, Castiel sollevò le palpebre sugli occhi blu cobalto. Dean si specchiò in quelle superfici luminose, sovrastate da ciglia umide per la pioggia, e si trovò ad annegare in un mare di cristallo e zaffiro. Erano quelli, gli occhi dei quali si era innamorato. Quelli gli occhi che lo guardavano tutt’ora con la dedizione più totale.
-Grazie, Cass.- mormorò, poggiandola fronte sulla sua. Inalò con gratitudine la freschezza del suo respiro e il suo profumo indimenticabile. –Grazie per le lacrime che versasti per me, grazie per esserci sempre stato. E perdonami, se puoi, per aver dubitato di te quando mai avrei dovuto. Resta con me, Cass. Resta per ricordare a me stesso e agli altri che gli angeli esistono ancora e che vegliano su di noi.-
Castiel sbatté le palpebre, e una lacrima sfuggì alle ciglia che la imprigionavano. Dean la vide scorrere sul suo viso, aprì la mano poco al di sotto del suo mento e, quando la lacrima piovve sul suo palmo già bagnato di pioggia, le dita si chiusero, racchiudendo quel piccolo cristallo prezioso sul palmo.
-Riportiamo tutto alla normalità, Cass. Riporta la pace e non lasciare mai che questo giorno e la sua vittoria nella speranza sia dimenticato. Ma soprattutto… se vorrai andare con loro, io lo capirò. È la tua famiglia, dopotutto, e io sono un umano che invecchia e rischia la morte ogni giorno. Se vorrai tornare in paradiso, vai e saprò perdonarti, ma non dimenticarmi di te.-
Castiel si guardò intorno, dove facce amiche, conosciute e fraterne lo osservavano in attesa. Michael si teneva per mano con Lucifero, e alle loro spalle paradiso e inferno si confondevano in un’unica massa di uguaglianza, nella quale i demoni e gli angeli parevano non distinguersi a vicenda. Erano tutti vivi, tutti uguali… e davanti a quella realtà, Castiel capì che per il momento, il paradiso non aveva bisogno di lui.
Si guardò alle spalle, dove tutti coloro che conosceva bene e che nel poco tempo trascorso insieme avevano imparato ad accettarlo e perdonarlo. Gabriel e Sam si stringevano l’uno all’altro; Samael, ancora ferito e zoppicante, stringeva la mano di Mary; Balthazar si appoggiava a Belial, che gli accarezzava il viso con affetto; Bobby, inginocchiato nel fango e con il cappellino consumato e lacerato ancora calcato in testa, accarezzava le grosse teste di Sindragon e Sindragosa, ancora accasciati l’uno sull’altro ma di nuovo svegli, vivi.
Castiel sorrise. Con tutti i loro difetti e i problemi che avevano affrontato, l’arcangelo non aveva dubbi: una famiglia lui già ce l’aveva, e adesso lo guardava in attesa, senza esternare pregiudizi. Ogni sguardo esprimeva perdono, accoglienza e un muto affetto che gli fece vibrare le ali.
Erano umani, erano angeli, erano animali. Eppure, ognuno di loro componeva un piccolo, prezioso tassello della sua esistenza.
Poi, c’erano gli altri angeli, Meg, Lucifer, che nella sua superbia aveva lottato al fianco di ciò che era giusto.
Quella era casa sua.
Gabriel incrociò il suo sguardo e senza farsi vedere, gli fece l’occhiolino.
-Io… credo di averla già, una famiglia. L’ho capito adesso, ma l’ho scoperto molto prima. Non è importante che siano tutti angeli, non importa che siano miei fratelli di sangue. Oggi abbiamo ricordato che ogni barriera è valicabile e se solo si tende la mano al prossimo, il paradiso possiamo condurlo in Terra e ricostruirlo ogni volta.- rispose, specchiandosi nello smeraldo degli occhi di Dean. Ricambiò la carezza al viso, sollevando lentamente un’ala dal fianco.
Il suo umano gli dava forza. La sua famiglia gli dava forza. Poteva essere invincibile, lo era sempre stato, e neanche lo sapeva.
Lentamente, come se avesse paura di spaventarlo, Castiel chinò il viso su quello di Dean. Le loro labbra si sfiorarono, accarezzandosi dapprima timorose, poi con fare sempre più bisognoso, ritrovato. Sapeva di vita, quel bacio. Sapeva di amore vissuto e rinato.
Dean sentiva il corpo di Cass reagire al suo, le sue braccia avvolgergli i fianchi, e quando si separarono per mancanza d’aria, l’arcangelo appoggiò la fronte sulla spalla del suo umano.
Da lontano, Samael non riusciva a staccare gli occhi dalla scena. Si accorse con un sussulto di non provare niente: non dolore per Castiel che stringeva Dean, non invidia per l’umano che lo sfiorava come lui non aveva mai fatto in passato. Si sentiva… felice. E insicuro.
Guardò la sua mano, intrecciata con quella di Mary. Era una stretta sicura, che non era mai venuta a mancare. L’aveva sostenuto quando si era ferito, l’aveva protetto quando la sua stessa replica aveva tentato di ucciderlo. Si sarebbe sacrificata per salvarlo, ma nemmeno aveva contemplato l’idea di lasciarlo lì.
-Tu…- mormorò, attirando l’attenzione della ragazza. –tornerai indietro? Al tuo tempo, intendo.-
Mary sbatté le palpebre, incredula. Poi gli tirò un pugno sul braccio, lasciandolo allibito.
-Ma sei scemo? Non posso andare via!-
Samael la guardò, stranito. –Eh?-
-Oh, andiamo! Se me ne vado chi penserà a te?-
-Guarda che non sono un cucciolo!-
-Sì che lo sei, io…-
Mary non riuscì a concludere la frase che due labbra soffici come piume d’ali d’angelo si posarono sulle sue. Samael le cinse i fianchi con un braccio, stringendola a sé e lei si abbandonò alla dolce familiarità di quel contatto. Sapeva di casa e menta, sapeva di Samael.
-Sì.- soffiò l’angelo contro le sue labbra. –Non andrai da nessuna parte.-
E Mary infine sorrise, appoggiando il capo sul suo petto. Sì, aveva trovato il suo posto al mondo.
Poco distante, Gabriel fissava insistentemente Balthazar. Belial si era allontanato per parlare con Michael e dava loro le spalle, ancora abbracciato dalla splendida armatura lucente. Era bellissimo.
-Che c’è?-
-Visto che ha fatto Mary?-
-E allora? Sono felice per loro.-
Gabriel si premette una mano sugli occhi. Da parte sua, Sam sentiva che l’arcangelo stava per perdere la pazienza.
-E allora sei un coglione!-
-Ma che ho fatto?-
-Cosa NON hai fatto! Hai rotto, se mai aveste delle fan girl alle spalle, sappi che sto soffrendo per loro!-
Detto ciò, Gabriel si allontanò da Sam e ancor prima che Balthazar potesse parlare, l’arcangelo schioccò le dita. Una piccola esplosione sbalzò Balthazar in aria, spingendolo a spalancare le ali per frenare la caduta, ma non ce ne fu bisogno. Un petto saldo, ampio, poggiò contro la sua schiena e lo fermò.
Balthazar si irrigidì, fissando Gabriel con aria omicida prima di girarsi a guardare Belial. I capelli erano ridotti a un ammasso scompigliato di luminosi riccioli e gli occhi cangianti, che parevano brillare di riflessi di ghiaccio lo fissavano silenziosi e in attesa. L’innocenza di quel volto era il vero paradiso. La sua puerilità di bambino ricordava quanto di più candido fosse mai esistito al mondo e vederlo lì, così vicino, Balthazar sentì il cuore balzargli nel petto.
Quegli occhi voleva vederli tutti i giorni, in ogni istante della sua vita.
Quel tocco voleva assaporarlo per sempre.
Quelle labbra dovevano sorridere senza mai smettere.
Belial era il sole, ecco cos’era. Belial era la luce, e prima di conoscerlo, Balthazar pensò di non aver mai visto davvero il giorno. La Stella del Mattino, l’angelo più bello di tutti. Decisamente, la storia non gli rendeva giustizia, perché a renderlo meraviglioso non era soltanto il suo aspetto, ma il suo sguardo pulito, privo di malvagità. Guardandolo, Balthazar si disse che per i secoli a venire avrebbe voluto ripulire quegli occhi ogni volta che si oscuravano.
Avrebbe riportato il sole laddove non brillava più per illuminare quelle iridi, e finalmente, anche le giornate di pioggia sarebbero finite.
Facendosi coraggio e spingendo da parte la paura, Balthazar gli prese le mani tra le sue, stringendole con forza. Lo guardò negli occhi, e vide in quelli di Belial un muto stupore.
-Ricordi? Una volta mi dicesti di non aver mai vissuto davvero e che grazie a me avevi ritrovato la luce. Ti convincesti di questo, senza sapere che la luce, quella vera… sei sempre stato tu. Tu sei il sole, Belial, e neanche te ne rendi conto. Illuminasti il mio cammino, mi concedesti di rivedere quel brandello di lucentezza che mi era sempre mancato. Allora, capii di non essere solo, così come capii di aver conosciuto la vita, quella vera… e il tutto grazie a te. Grazie… amore mio.- mormorò, chiudendo gli occhi. Dirlo ad alta voce, confessare ogni cosa a Belial, lo rendeva più leggero. Adesso però, la paura di rimanere solo, di vederlo voltargli le spalle e allontanarsi, bruciava da morire. Tuttavia, Balthazar non si pentiva, non l’avrebbe mai fatto.
Aveva visto la morte, l’aveva affrontata e sconfitta al fianco di Belial. Adesso, innanzi alla stessa morte Balthazar si prostrava ai piedi di colui che gli aveva donato una speranza vera e luminosissima semplicemente accarezzandogli il volto. Il paradiso era Belial, e ovunque andasse, Balthazar l’avrebbe seguito. Come amico, come protettore, se lui non desiderava più di questo.
Lentamente, Belial posò due dita sotto il suo mento e lo costrinse a levare il viso. Sorrise, illuminandosi di luce nuova, innamorata, felice. Una nuova alba sorgeva su quel viso, in quegli occhi, e Balthazar la vedeva innalzarsi in tutta la sua splendente criniera verso il più alto dei cieli.
-E cosa aspettavi a dirmelo?- mormorò Belial, prima di baciarlo davvero, con la dolcezza di un sogno e la semplicità di un bambino. Uno sfiorarsi di labbra, niente di più, ma un tocco che valeva mille e mille ere nella sua lieve innocenza.
Si separarono, fecero combaciare le fronti e le loro ali si intrecciarono in una stretta gentile, che non aveva mai atteso altro che di rivelarsi agli occhi di un mondo commosso che infine credette di nuovo nell’amore.
-Idioti…- borbottò Bobby, abbassando il capo per nascondere le lacrime di commozione con la visiera del cappellino.
Michael e Lucifer si accostarono a Gabriel e Castiel, ancora stretti ai loro umani. Si squadrarono tra loro, fratelli che si giudicavano e che parlavano con gli occhi.
-Cosa farete?- chiese Sam. Lucifero lo guardò, facendolo rabbrividire. Gabriel lo strinse più forte per infondergli coraggio.
-Torneremo ai nostri posti, suppongo.-
-Ma… voi…-
-Io e Michael ci rivedremo ancora, piccola alce, ma siamo nemici e capitani di due diversi eserciti. Non apparteniamo allo stesso mondo.-
-Ma potete farlo. Non è così difficile, l’avete già dimostrato. Ricordate che la Terra è regno di nessuno o di entrambe le fazioni. Semmai vorrete rivedervi, venite da noi, dove sapremo accogliervi.-
Tutti guardarono Sam, sconvolti.
-Sammy?- chiamò Dean, incerto. –Sai che questo qui è Lucifero, vero? Sai che eri il suo tramite?-
-Sì, Dean, ma credo che ognuno abbia bisogno di un’altra possibilità. L’ho imparato oggi, e non lascerò che migliaia di morti vadano dimenticate così. In questa battaglia, inferno e paradiso hanno trovato un punto d’incontro, e se vorranno, sapranno ritrovarlo. Credo… che il punto di incontro potremmo essere noi. Finché non faranno del male ai nostri cari, la nostra casa sarà zona neutrale e lì le stesse repliche potranno ritrovare i valori perduti. Sostenetevi a vicenda e insegnate loro che c’è ancora speranza. Fate in modo di non dover più combattere, mai più! Che mai si ripeta una tale violenza!-
Gabriel annuì, stringendolo a sé e guardandolo con fierezza. Era davvero il suo umano, quello.
-Ha ragione. E poi, dovremo pur trovare un bel posto fisso dove nascondere il Behemah di questo qui.- aggiunse, indicando Sam con un cenno. Il ragazzo lo guardò, stupito.
-Io?-
-Eh. Pensavi che Astrea fosse una bestiolina di turno che all’improvviso decideva di ubbidirti, mio dolcissimo fessacchiotto dal bel culo?-
Sam rimase in silenzio, poi incrociò gli occhi azzurri di Astrea e sorrise. Il mondo intero era lì, racchiuso intorno a loro, e mentre la pioggia poco a poco si diradava per lasciare spazio a un eterno arcobaleno luminoso sul tramonto di un giorno mai dimenticato, ognuno capì che si poteva andare avanti.
Avrebbero lottato, avrebbero perso. Ma si sarebbero sempre rialzati in memoria del giorno in cui i grandi regni terreni e celesti si erano riuniti sotto un’unica bandiera. Il mondo aveva ricordato che era giusto combattere levando una carezza in contrapposizione alla violenza di un pugno. Perché dove le parole gentili sarebbero giunte, lì non sarebbe arrivata il grido di rabbia e furore.
Una criniera dorata si riflesse sulle ali dei presenti, generando un ultimo arcobaleno che di luci che dipinse il cielo dell’intero globo terrestre. La gente guardava, sorrideva, e alla fine, ognuno di loro credé negli angeli.
Angeli guerrieri, che lottavano in nome dell’uomo.
Angeli amanti che sfioravano con carezze gentili chi sapeva credere.
Angeli. Demoni. Behemah Aqedà. Quel giorno fu ricordato per sempre come un prezioso tesoro e ancora oggi, per chi sa ascoltare, vedere, percepire e credere… ancora oggi l’aurora boreale si ripete, riflettendosi imponente sulle ali massicce degli angeli protettori e richiamando i ricordi nei cuori di chi riesce ad aprirsi.
Il sole ritorna sempre.
Il sole ricorda all’uomo che l’alba saprà sorgere, qualunque cosa accada.
Il sole è una fonte di luce che bagna gli animi e lì vi lascia l’impronta indelebile di chi per sempre ricorderà che le ombre saranno sempre più fragili del bagliore del coraggio e della speranza.
Ancora oggi, c’è chi racconta ai propri figli di due cacciatori, due fratelli dediti a combattere il male che un bel giorno si innamorarono di bellissimi angeli. Alcuni dicono che, una volta toccati i quarant’anni, ognuno di loro decise di comune accordo di chiedere accesso al paradiso, per giungere laddove non sarebbero più invecchiati.
Cosa si lasciarono alle spalle? La luce. La vita. E la consapevolezza che non si è mai abbastanza diversi per impedire al mondo di riunirsi, di racchiudere le forze quando è più giusto farlo.
Dopotutto, gli angeli sono sempre qui, anche quando ci si dimentica di osservare bene per notare le ali alle loro spalle. L’uomo non nasce mai in funzione dell’oscurità e, se chi ricorderà queste parole saprà scegliere di camminare sulla via dell’alba, allora non sarà così difficile vedere gli angeli. A volte si camuffano, altre ancora si rivelano, ma ci sono sempre, quando si fanno le scelte giuste e quelle sbagliate.
Allora, tiriamo le somme? Non starò qui a raccontare cosa accadde dopo, poiché è giusto lasciar loro il futuro che hanno deciso di scegliere. Tuttavia, vi dirò che ancora una volta, Sam e Dean avevano scelto la famiglia. Hanno vissuto, amato e trascorso una vita da cacciatori, da uomini, da compagni, ma non furono mai soli. Conobbero la speranza, la incarnarono e nella loro piccolezza di esseri umani insegnarono al mondo intero che finché si crede in qualcosa… allora, tutto sarà possibile. Basta un pizzico di umanità, di perdono e, perché no, di intrepido coraggio. Credete nell’impossibile, credete negli angeli e in quanto di giusto possa accadere e allora, anche la morte si inginocchierà ai piedi di chi infine, sa nuovamente ascoltare.

“Ci sono angeli che non possono volare, che ogni giorno muoiono e poi rinascono per ricomporre il cuore in frantumi e posarlo su mani indegne, affinché venga di nuovo spezzato; noi li definiamo: "angeli" che, giorno dopo giorno, insegnano a chi ascolta che si può sempre perdonare.”
 
Angolo dell’autrice:
E siamo alla fine. Sì, stavolta è proprio finita, ma ehi! Su col morale! E tu, Gabriel, ESCI DALLA MIA STANZA!!! Stai chiuso lì dentro da due giorni, ormai!
Gab: GIAMMAI!!! Cosa farò della mia vita, adesso?
Passi più tempo con Sam anziché a riempirmi la vasca da bagno di papere e il corridoio di corse clandestine di struzzi?
Gab: come faròòòòòòòòòòòòòòòòòòòòò!!!!!!!!!!!
Ehm, dicevamo? Ah, giusto. Allora, credo sia giusto stavolta parlare seriamente. Sì Gabe, ho detto seriamente, perciò filate tutti! Sciò!
Questa storia mi ha fatto davvero sudare, lo ammetto. Ci ho lavorato di notte, di primo mattino e durante il periodo d’esami, ma sapete una cosa? Non me ne pento affatto. Non me ne pento perché i vostri commenti entusiasti mi hanno sempre lasciato addosso l’emozione di aver suscitato in voi quel po’ di entusiasmo nel quale spero ogni volta che scrivo.
Ora, insieme a voi ho cominciato questa storia e con voi la chiudo. Insieme abbiamo vissuto attraverso gli occhi di Sam e Dean e abbiamo volato al fianco degli angeli. Li abbiamo amati, ci abbiamo parlato, li abbiamo ascoltati respirare e spalancare le ali col loro familiare fruscio. Le meraviglie che si trovano leggendo sono quanto di più bello si possa mai provare. Ricordate che, qualunque cosa accada, sarete sempre dei sognatori. Attraverso occhi di sogno avete letto e vissuto migliaia e migliaia di vite, perciò siete dei grandi ben oltre gli occhi che possono forse non percepire questa realtà. Non dimenticatelo e, qualunque cosa accada, affrontatela!
Siate forti come gli umani e gli angeli, capaci di vincere una guerra, di strappare alla morte le sue anime semplicemente impegnandosi e credendo che sia possibile. L’uomo è una creatura fantastica se solo vorrà esserlo, perciò siate la prova di ciò che dico. Che questa storia vi resti nel cuore come spero, anche se, se anche non sarà così, non importa.
Qui io vi lascio, dunque, e spero, dopo le vacanze di scrivere un terzo capitolo di questa stessa storia, anche se la vedo improbabile. Grazie per il vostro meraviglioso sostegno e, soprattutto, grazie per aver vissuto con me questa piccola, preziosa avventura. Gabriel, saluta! Gabriel? NO, LA VASCA NO!!! affogati da qualche altra parte!

chibisaru81: non so come ringraziarti per i complimenti, davvero. Li ho ricongiunti tutti, contenta? Spero di sì, perché ho fatto il possibile per trovare un happy ending che non fosse troppo noioso o scontato. In ogni caso, ti ringrazio per la recensione e per la pazienza che ci hai messo per leggere tutti questi capitoli. Grazie per l’attenzione che hai riservato al mio scritto, spero che quest’ultimo capitolo ti sia piaciuto. Un bacio fortissimo e ancora grazie!
Sherlocked: eh, in realtà Gabriel si è imbucato come Loki perché quello originale era impegnato nella produzione del film Thor 2 e non poteva venire. Gabriel si è fatto pagare in dolci per sostituirlo. Ehi, stavolta Balthazar e Belial il passo avanti l’hanno fatto e spero che ti sia piaciuto. Ho sofferto anche io a scrivere di Sindragon e Sindragosa morti, ma alla fine si sono ripresi, anche perché se li avessi uccisi definitivamente poi mi sarei picchiata da sola… cavolo, sai che tutti nominano Doctor Who per quella parte del cimitero? Il mistero rimane tuttavia, perché io Doctor Who non l’ho ancora visto (e dopo questa puoi sotterrarti. Che campi a fare, me lo dici? nd Gabriel)( Gabriel, torna a guardare ripetutamente la morte della madre di Bambi in tv e deprimiti in un angolino, ma non rompere!)(quella cerbiatta era così giovane!!! E Bambi continua a sembrarmi femmina, per me la Disney ci sta prendendo in giro! Nd Gabriel). In realtà i Behemah non dipendono strettamente dalla vita degli angeli padroni. Sindragon e Sindragosa si sono lasciati andare per la morte dei loro compagni, è vero, ma questo perché avevano riportato ferite troppo brutte per essere curate. In compenso, ora che ci penso, somigliano davvero ai daimon! °-° (e tu ora te ne accorgi? Nd Gabriel)( be’? sono un po’ tardiva, non è colpa mia!) Oh, Gabe è sempre stato il mio personaggio preferito e stavolta spero vivamente di avergli reso un po’ di giustizia. Chissà, forse scriverò ancora Sabriel e Destiel,  ma per ora starò un po’ a riposo (non è vero, scriverai tutta l’estate. Ti porti dietro solo taccuini e penne! Nd Gabriel)( e anche tu finirai in valigia, se non chiudi la bocca!). In ogni caso, ti ringrazio per il commento all’altra storia, sono felicissima che ti sia piaciuta e spero di leggerne altri nelle prossime storie che potrei pubblicare. Sei stata una lettrice meravigliosa, e non dimenticherò tutti i tuoi splendidi e divertentissimi commenti, anche perché ho il tuo disegno sempre nel portafogli e lì rimarrà fino alla fine delle ere! Grazie per tutto, grazie per i complimenti e per la pazienza portata nel leggere ogni storia! A prestissimo, spero! (Gabriel sventola tristemente la manina)
kimi o aishiteru: eh, suvvia riunitevi! Stavolta la storia è finita davvero, e un po’ mi dispiace per questo. Ma ogni tanto è giusto lasciare andare i propri personaggi e lasciare che continuino a vivere nei nostri cuori. Il seguito lo costruirete voi nelle vostre teste, con la vostra immaginazione, pensandoci di tanto in tanto. E farete un lavoro splendido. Aaaah, uffa! Voglio vedere anche io dottor who! Per un motivo o per un altro, non sono mai riuscito a vederlo e ora mi sto mangiando le mani per questo!!! Contente del finale? Spero che non vi abbia deluso, e mi scuso per averci messo tanto tempo per pubblicare, ma queste giornate mi stanno facendo a pezzi. Come faccio ora senza leggere più i vostri commenti ogni settimana? Adesso parto pure!!! Ditemi dove siete, vi raggiungo a piedi e facendo l’autostop!!! Gabriel, portami in volo! a che cavolo servi, sennò? Questa è la cosa più brutta, mi sono affezionata troppo a voi, accidenti! Siete persone meravigliose e adesso che la storia è finita… uffa! (salta sul posto come un imbecille) E ora, qualche parola alla tua sorellina: eh? Perché mi ringrazi?! Tu sei un piccolo angioletto, è normale che mi preoccupi! Sai, prima pubblicavo tanto in fretta per avere la scusa per chiedere a Kimi come stavi e ogni volta aspettavo il suo commento per sapere qualcosa. Anche io ho una sorella maggiore, ed è fantastica, ma non sono abituata ad avere sorelline… be’, c’è sempre una prima volta, no? Siete tutte splendide, ognuno di voi, e per questo vi abbraccio fortissimo, col cuore un po’ in pezzi perché mi ero abituata a voi. Detto ciò, vi ringrazio per ogni cosa. Mi avete fatto sorridere e mi avete sollevato il morale in brutti momenti, perciò… grazie. Di cuore.
Tomi Dark Angel

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