Il canto della sirena

di alpha_omega
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 01 ***
Capitolo 2: *** 02 ***
Capitolo 3: *** 03 ***
Capitolo 4: *** C03 ***
Capitolo 5: *** c05 ***
Capitolo 6: *** c06 ***
Capitolo 7: *** c07 ***
Capitolo 8: *** c08 ***
Capitolo 9: *** c09 ***



Capitolo 1
*** 01 ***


 
Il minuscolo porticciolo che dava sulla spiaggia era affollato di turisti: Ludwig Beillshimt non aveva mai visto tanta gente ammassata in un posto così ridotto: ma il tramonto sulla “Baia delle sirene” era un evento raro quanto imperdibile: succedeva solo una volta l'anno, e si diceva che se si ascoltava con attenzione si potesse sentire il mitico canto delle sirene; gli abitanti se ne stavano lontano da quel posto a causa di alcune superstizioni legate all'acqua, ma per i turisti non c'era il benche minimo problema visto che erano li solo per quello.
Prese la macchina fotografica e scattò qualche foto; nei giorni precedenti si era fermato in vari ostelli lungo la costa dell'italia fino ad arrivare in quello sperduto villaggio di pescatori: il motivo del suo viaggio entrò come una furia nel suo campo visivo sbracciandosi come un pazzo dall'altra parte del  molo.
-Hey, Lud!- Suo fratello Gilbert aveva appena azzerato la distanza che li separava, aveva il fiatone -Da quanto tempo non ci si vede: tre anni?- Gli diede una pacca sulla spalla e l'abbracciò. -Lo sapevo che non potevi fare a meno del magnifico me: non è vero, fratellino?-.
Ludwig non poteva negare il fatto che suo fratello gli fosse mancato, così ricambiò l'abbraccio, concedendogli uno dei suoi rari sorrisi: tuttavia c'era qualcosa che ci teneva a puntualizzare.
-Sono passati solo due mesi Gilbert, non tre anni.
L'altro gli sorrise sornione -Il fatto è che il tempo non passa mai quando non ci sei.
-Si, come no; come va con Elizaveta?-
L'espressione dell'albino passò da strafottente a incantata, ripensando al viso della fidanzata. -E' la ragazza più bella dell'intera spiaggia: sai, credo che le mie avventure romantiche finiscano qui: è quella giusta, sono sicuro.
-Gilbert?-
-Si?- lo sguardo era ancora perso tra le nuvole.
-Che cosa ti sei fumato?- 
Lui non avrebbe mai detto quelle parole; non era mai riuscito a mantenere una relazione stabile in tutta la sua vita, massimo un mese o due. Ma con quella ragazza ungherese era stato amore a prima vista; non l'aveva mai visto così felice.
Gilbert emise una sonora risata -Secondo me sei solo invidioso; da quanto tempo è che non stai con qualcuno? Quarta superiore?- Gli diede una pacca sulla spalla -Ma vedrai che qui troverai qualcuno; guarda quante belle ragazze ci sono in giro; domani ce la spasseremo!
-Ma domani è anche il mio primo giorno di lavoro ; non posso mancare.
Il fratello ci pensò su -Vuol dire che ce la spasseremo durante la pausa: ma dimmi un po'; come ci si sente a far parte di una squadra di ricerca biomarina? 
La baia delle sirene era un'ottimo punto d'osservazione per la scienza sottomarina; Gilbert era partito con il primo gruppo di ricerche, e Ludwig lo aveva seguito un paio di mesi dopo da solo: avrebbero lavorato insieme  sulla florae la fauna marina: erano solo agli inizi; ma gli scienziati che ci avevano lavorato erano certi che ci fosse qualcosa di davvero straordinario in quelle acque.
Ludwig si schiarì la voce -Ecco, io...
Ma non finì la frase: ogni particella del suo essere era stata attirata dal centro della baia: il tramonto stupendo sul mare lo rendeva un posto mozzafiato e meraviglioso; alcune persone in barca stavano raggiungendo velocemente il centro: l'aria vibrava dei canti e delle risate dei turisti.
Poi ci furono le urla.


 
Sul fondo del mare Natalya sorrise: la caccia era appena cominciata: come ogni anno c'erano almeno due o tre nuove sirene a cui imparare a cacciare; quell'anno le avevano affidato un ragazzo appena diciottenne. Gli rivolse una strizzatina d'occhio -Stammi dietro-. Poi si fiondò a capofitto verso la superficie dell'oceano fino a infrangere la sua apparente compattezza; inspirò aria e si guardò intorno in cerca di prede. Individuò una barca a poche centinaia di metri da lei che si trovava al centro della baia. Cominciò a cantare.
Quello delle sirene non era un vero e proprio canto: la ragazza emetteva un suono impossibile da percepire o registrare; come un'aspecie di ultrasuoni.
Il primo pescatore si girò verso di lei: gli occhi erano vitrei, la bocca piegata in un sorriso ebete.
Natalia si avvicinò all'uomo che si piegò verso di lei: gli rivolse il sorriso più dolce che conosceva: un'angelo caduto che aveva trovato dimora tra le stelle del mare.
-Ciao bellissimo!- allungò una mano e gli sfiorò una guancia -che c'è; perchè non parli? Non vuoi darmi un bacio? Sono tutta per te. Suvvia, non essere timido, non mi vuoi?-
Quello parve risvegliarsi da un sogno -Ma certo che ti voglio, tu sei stupenda- poi si abbassò per baciarla dal bordo della vasca, senza che nessuno dei suoi compagni si accorgesse di quello che stava succedendo.
Fu un attimo; un secondo prima erano a pochi millimetri l'uno dall'altra e quello dopo lui era completamente circondato dal mare; sopra di lui c'era la creatura più bella e spaventosa che avesse mai visto:il corpo della ragazza sembrava brillare di luce propria, le gambe erano strane: incredibilmente lunghe e flessuose, si muovevano leggere nell'acqua.
Era come se lei ci avesse sempre vissuto in acqua; un'aspecie di sirena.
Sirena... quella parola fu il suo ultimo pensiero.
Natalya lo baciò con foga; succhiando via tutti gli anni che rimanevano da vivere al malcapitato: sarebbe stata a posto per un paio di mesi, poi sarebbe tornata di nuovo a caccia.
Si girò verso il suo allievo -Hai capito tutto? Domani toccherà anche a te, devi essere preparato-
Feliciano guardò prima il corpo senza vita dell'uomo e poi il volto della sua insegnante. -Si- disse con voce flebile. -Ti ringrazio Natalya. Cercò di sorridere ma non ci riuscì; l'indomani avrebbe ucciso un uomo: non riusciva a capacitarsene: era un bisogno, il suo, e non avrebbe mai criticato le altre sirene per ciò che facevano per sopravvivere: ma il pensiero di fare lui stesso quelle cose gli faceva venire la nausea; suo fratello Lovino gli aveva detto che il senso di colpa sarebbe passato subito dopo essersi nutrito, ma lui non ci credeva. 
Non ci aveva mai creduto.
 
 
Angolo autrice
spero che vi sia piaciuta; dedico questa fic alla mia amica A.G. è la mia prima long su hetalia, spero sia venuta bene. Ho preso l'idea dal film “pirati dei caraibi 4” e il libro “sirene”.
Cercherò di aggiornare il più presto possibile.
A presto
alpha_omega.

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Capitolo 2
*** 02 ***


La polizia non ci mise molto ad arrivare; ma era già troppo tardi per quei poveretti: si erano gettati in mare e non ne erano più riemersi. Li avevano ritrovati qualche ora di ricerca dopo. Erano tutti morti con uno strano sorriso in volto.
Ludwig guardò l'orologio: era tardi, e malgrado lo shock per l'incidente si sentiva stanchissimo.
Mentre tornavano a casa suo fratello ruppe il silenzio.
-Facci l'abitudine-.
-Cosa?!-
-Non è la prima volta che succede: a volte la gente sparisce e li si ritrova in questo stato, credono sia un problema legato all'acqua, ma io non ci credo: molti erano marinai esperti che avevano lavorato in quella baia per anni interi senza nessun problema, poi un giorno si sono buttati in mare e li hanno trovati morti sulla riva con quell'espressione da manicomio in faccia; forse questo posto merita davvero il nome di baia delle sirene-
Ludwig si mise a ridere -Non dirmi che credi alle sirene-
Gilbert sbottò -E allora dammela tu una spiegazione, perchè io non ci capisco più niente; all'accademia non te l'hanno detto, ma ci hanno chiamato qui per risolvere il problema, non per studiare un qualche microorganismo: la gente sta iniziando ad avere paura.
Non seppe cosa rispondere: così continuarono in silenzio fino ad arrivare ad una piccola villetta dipinta di bianco: simile a molte altre in quella via.
-Questa è casa nostra- Suo fratello infilò le chiavi nella porta e tirò la maniglia con un colpo deciso.
La porta dava su un salotto dall'aria antica: la prima cosa che colpiva l'occhio era il bellissimo caminetto di mattoni e la grossa libreria a muro attorno alla quale erano disposti un divano e due poltroncine dall'aria comodissima: Ludwig emise un fischio di approvazione, era veramente ben arredata.
-E lei è la mia Eliza- la voce di suo fratello era carica di affetto mentre indicava una figura raggomitolata sul divano: la ragazza stava dormendo profondamente; era buio, ma anche alla luce fioca delle braci morenti si poteva scorgere la sua bellezza: un'eleganza che la seguiva anche nel sonno, i capelli sparpagliati sul cuscino la facevano sembrare ancora più dolce di quanto non fosse.
Gilbert prese una coperta, la distese delicatamente sopra il corpo della ragazza e le diede un bacio sulla fronte. Poi si rivolse a Ludwig parlando a bassa voce per non svegliarla -Vieni: ti faccio vedere la tua stanza.
La sua camera da letto si trovava al secondo piano: era arredata con l'essenziale; un letto, un comodino, un armadio, uno specchio e una sedia. Dalla finestra si poteva godere di una vista sul mare, anche se essendo buio non si poteva vedere un granchè. Ludwig immaginò che il panorama dovesse essere meraviglioso. Il pensiero gli fece dimenicare per un attimo l'incidente alla baia. Gli piaceva molto quel posto. Un piccolo angolo di paradiso con il suo piccolo angolo d'inferno personale.
-E questo è il bagno- Gilbert aprì un'altra porta rivelandone il contenuto.
A Ludwig per poco non cadde la mascella. -Ma è...enorme!-.
Era grosso quattro o cinque volte camera sua: con una vasca da bagno e una doccia gigantesche; in una grossa mensola erano posizionati vari barattoli contenenti tutto il necessario per soddisfare i bisogni del più lussuoso albergo del mondo. In un angolo era posizionato un vaso in ceramica alto più di un metro. Lo aprì, dentro era pieno di polverina bianca. La sfiorò con la punta delle dita e annusò i polpastrelli. -Sale...- mormorò. Che ci faceva del sale da cucina in bagno?.
-E' stata un'idea di Elizaveta: secondo lei è ottimo per il corpo-.                                                                 
-Si, e magari con un po' di origano e olio, così completiamo la serie-.
Il fratello parve non sentirlo: scostò la manica della camicia e imprecò leggendo l'ora. -E' meglio se vai a riposarti; domani sarò una giornata davvero intensa, e il magnifico me non può assomigliare neanche lontanamente ad un panda, quindi buonanotte-. Detto questo sparì, dileguandosi oltre la porta del bagno. Ludwig fece lo stesso chiudendosela alle spalle e s'infilò a letto, pregando le divinità del cielo di non fargli sognare ciò che aveva visto quel pomeriggio.
Le divinità non l'ascoltarono.
 
 
Feliciano non riusciva a dormire quella notte; era così nervoso che il suo buffo ricciolo di capelli era teso come una corda di violino: riuscì solo a guardare la superficie della gigantesca grotta sottomarina dove lui e il suo Clan passavano ogni notte a dormire, naturalmente tiepida per il calore dei corpi all'interno: erano circa un centinaio. Senza contare quelli che operavano in superficie per fare in modo che gli umani non gli dessero la caccia, che erano circa una decina; lui conosceva una ragazza che se ne era occupata; ma, chissà perchè, aveva fatto perdere le sue tracce.
Accanto a lui, suo fratello Lovino si rigirò più e più volte nel sonno, alzando una miriade di sabbia dal terreno della grotta e sbattendo ripetutamente la coda a terra: probabilmente un'altro incubo: da quando il loro nonno era stato ucciso da un umano non si dava pace nemmeno nei sogni. Si avvicinò a lui e lo abbracciò: il che parve calmarlo un poco anche se non del tutto, ma era meglio di niente.
Se lo ricordava: il nonno, un tritone di tutto rispetto, dalla muscolatura impeccabile e sempre pronto a scherzare. Era stato il loro capo per un po': questo prima di venire catturato e... non riusciva nemmeno a pensarci, ma i loro infiltrati erano riusciti a tenere segreta l'intera faccenda. Ora il loro capo era un ragazzo di nome Roderich, sebbene la successione spettasse a suo fratello di diritto, ma lui glielo aveva lasciato fare: non gli importava più di niente ormai. Tranne che del suo adorato fratellino che proteggeva con ogni mezzo a sua disposizione da squali e altre creature pericolose.
Feliciano strinse a se Lovino: dimostrava appena diciott'anni, ma in realtà ne avrebbe compiuti venti il mese prossimo: era merito dell'eterna giovinezza; le sirene erano immortali a patto che si nutrissero regolarmente degli anni restanti degli umani. Il fratello avrebbe avuto per sempre quell'aspetto; in cui si somigliavano entrambi: due ragazzi snelli dalla carnagione leggermente abbronzata e i capelli castani di due tonalità diverse ma molto simili tra loro: avevano anche la stessa ciocca di capelli a ricciolo, sebbene in punti diversi della testa. L'unica cosa completamente diversa era il colore della coda: ogni sirena aveva una coda di colore argentato, ma i riflessi cambiavano da individuo a individuo: quella di Lovino era contornata da riflessi color rame, tendenti all'oro, mentre quella di Feliciano era di un tenue azzurro pastello.
La loro non era la famiglia più numerosa del clan: anzi, erano pochi i gruppi di soli due individui: a pochi metri da una delle pareti della grotta Natalya dormiva profondamente assieme ai suoi due fratelli: una ragazza dalle forme prosperose e un ragazzo gigantesco che nel sonno le abbracciava entrambe, con un sorriso un po' infantile dipinto sul volto da bambino; gli sembrava si chiamasse Ivan o qualcosa del genere, ma non si ricordava molto bene. C'erano anche altri due fratelli: Mattew e Alfred, sebbene non si somigliassero per niente, a parte nei lineamenti del viso. Per il resto era impossibile pensare a una qualsiasi parentela tra loro due.
La luce che filtrava dall'entrata cambiò: si stava facendo giorno: senza dire una parola si alzò e si diresse verso l'uscita insieme ad altri due che come lui avrebbero dovuto eseguire il primo Bacio quel giorno; un ragazzo minuto dai tratti orientali di nome Kiku e una ragazza abbronzata con due lunghi codini castani di cui non ricordava il nome. Senza dire una parola sfrecciarono tutti e tre verso la superficie.
 
 
Ludwig ripose l'ennesimo campione nella sacca dell'attrezzatura; determinato più che mai a scoprire cosa contenesse: quando sentì una voce dietro di se.
-Ciao-. Era calda e piena di simpatia, faceva sorridere al solo sentirla.
Continuò a lavorare: molto probabilmente era solo uno scherzo della sua mente, quando sentì qualcosa toccarlo su una spalla.
Si girò di scatto.
Appoggiato col mento sul bordo della nave c'era un ragazzo castano con uno strano ricciolo che gli spuntava dalla testa; lo guardava quasi con curiosità. Sorrideva.
-Ciao- il suo sorriso si allargò di un paio di centimetri. -Ci conosciamo?-.
 
 
ANGOLO AUTRICE
spero vi sia piaciuta; ringrazio di cuore chi ha recensito (e anche chi ha letto) il precedente capitolo. Aggiornerò il prima possibile.
A presto
alpha_omega

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Capitolo 3
*** 03 ***


 
 
 
-Ciao- il sorriso del ragazzo si allargò di due centimetri -Ci conosciamo?-.
Ludwig provò ad aprire la bocca per parlare, ma gli occhi del ragazzo lo tenevano incollato al suo posto, incapace anche solo di battere le palpebre, tanto che gli occhi cominciarono a bruciargli. Vide la mano del ragazzo allungarsi verso di lui e sfiorarli la guancia, lasciando una scia bagnata sulla pelle.
-Perchè non vieni a giocare in acqua? Non vedi quanto è invitante?
E in effetti ora che glielo faceva notare l'acqua non aveva mai avuto un aspetto migliore: si rese conto che avrebbe potuto fare qualunque cosa per lui: persino buttarsi in un mare in burrasca se questo poteva renderlo felice. Quell'acqua limpida era uno scherzo.
Sorrise -Ma certo; sta a vedere.
E si tuffò; un tuffo da maestro, di quelli che si fanno una volta nella vita, senza nemmeno uno schizzo: i suoi compagni non si accorsero di nulla.
Avrebbe ucciso per quegli occhi, per quel sorriso, o anche solo per sapere il nome del ragazzo davanti a lui, sembrava un angelo tanto tutto in lui parlava di dolcezza. Era così puro che anche il solo stargli vicino poteva sporcarlo. Non voleva sporcarlo: per ciò si tenne a qualche metro da lui, continuando a osservarlo. Vide qualcosa di argenteo sotto di loro; pensò che fosse un grosso pesce, ma continuava a muoversi sempre nello stesso punto. Immerse la testa sott'acqua per vedere meglio.
E l'incantesimo si ruppe.
Era una coda di pesce, attaccata al ragazzo sorridente, che ragazzo non era. Si era accorto che l'aveva visto, e ora non sorrideva più: era triste, molto triste: sembrava sull'orlo delle lacrime. Stava singhiozzando silenziosamente: -Mi dispiace- sussurrò il ragazzo -mi dispiace tanto ma non posso fare altrimenti; so che non puoi capire ma mi dispiace-.
Lo avrebbe ucciso: lo avrebbe ucciso come tutti quei poveretti che erano morti con un sorriso ebete addosso.
Eppure, chissà perchè non riusciva ad odiarlo.
Però non voleva nemmeno morire, accidenti!
La barca dei ricercatori si era allontanata: era un grosso peschereccio con una quarantina di persone dentro: non era semplice accorgersi che mancava un componente. Avrebbe dovuto cavarsela da solo.
Il ragazzo si avvicinò a lui con grazia inumana -Mi dispiace- disse prendendogli la testa -Perdonami- avvicinò il suo viso al proprio, perdendo per un attimo il contatto visivo.
Ma un attimo era più che sufficente.
Ludwig riuscì finalmente ad avere il controllo del proprio corpo.
-NO!- fece leva con le braccia dal corpo della creatura e si staccò dalla sua presa fin troppo delicata. Si buttò all'indietro urlante: forse qualcuno lo avrebbe sentito, forse non sarebbe morto. Ma a chi la dava a bere? Erano a miglia e miglia dalla costa, e lui era così spossato che sarebbe svenuto dopo poche bracciate.
Forse se raggiungeva il peschereccio avrebbe potuto salvarsi; infondo non erano poi così distanti, no?
Nuotò con tutte le sue forze verso il punto dove la barca era a malapena visibile, era un suicidio, lo sapeva bene, ma non aveva scelta.
A mano a mano che avanzava sentiva le forze abbandonarlo mentre il fondo dell'oceano lo richiamava a se. Tutto si fece nero; l'ultima cosa che vide prima di svenire fu la creatura che si avvicinava a lui. 
Sperò che lo uccidesse in fretta.
 
 
 
Feliciano nuotò più veloce che poteva verso il punto in cui il ragazzo biondo stava affogando e lo riportò a galla tenendogli la testa fuori dall'acqua per farlo respirare.
Non aveva la più pallida idea su cosa fare: se l'avesse lasciato lì sarebbe morto di sicuro; se l'avesse fatto ritrovare ancora vivo sulla spiaggia avrebbe raccontato a tutti della loro esistenza.
E questo non poteva assolutamente permetterlo.
Scostò con delicatezza una ciocca ribelle dalla fronte della sua vittima e lo attirò a se per baciarlo, appoggiò la sua fronte alla propria e inclinò il viso , sfiorandogli la guancia con le labbra. Sentì il respiro irregolare del ragazzo solleticargli il viso...
-MA CHE COSA STO' FACENDO?!- stavolta era lui che urlava in preda allo sconforto. Non poteva fare una cosa del genere a una persona, non riusciva nemmeno a pensarci, figurarsi riuscirci.
Si strinse a lui come se fosse la sua unica salvezza quando invece era tutto il contrario. Si asciugò le lacrime che avevano iniziato a scendere copiose, offuscandogli la vista. Cercò di ragionare; c'era una baia piena di rtocce non troppo lontano da lì: una volta ritrovato avrebbero pensato che avesse subito un trauma cranico e molto probabilmente non l'avrebbero ascoltato.
Lo avrebbe portato alla baia e avrebbe aspettato l'arrivo dei soccorsi, di giorno era pieno di turisti, e lo avrebbero trovato subito: si, avrebbe fatto proprio così; suo fratello si sarebbe arrabbiato moltissimo ma l'avrebbe perdonato subito e avrebbe trovato una soluzione per aiutarlo. Sorrise, poi si rivolse al ragazzo svenuto -Adesso ti riporto a casa-.
E tenendolo sempre ben stretto a se nuotò ininterrottamente per mezz'ora; per un umano ci sarebbe voluta mezza giornata al minimo, ma lui c'era cresciuto in acqua; conosceva ogni singolo trucco possibile e immaginabile per andare più veloce. Conosceva tutto del mare, ma sapeva davvero poco sulle scogliere; per questo andò spedito verso la riva senza curarsi dei possibili scogli che potevano celarsi sotto il pelo dell'acqua.
Sentì un dolore lancinante al fianco sinistro, urlò, portandosi istintivamente una mano sul centro del dolore, e la ritirò completamente sporca di sangue. Dietro di loro c'era una scia di acqua rosata che andava allargandosi sempre di più.
Diede qualche breve bracciata e in pochi minuti era a riva. L'umano era salvo, e a pochi passi da lui dormiva profondamente.
Feliciano si rese conto di aver perso troppo sangue per poter tornare in acqua in quel momento; diede un'occhiata alla ferita e sentì le forze scivolargli via. Era enorme: un taglio profondo e slabbrato che partiva da metà addome e arrivava quasi alla fine della coda. La agitò aprendo ancora di più la ferita e trattenne un gemito di dolore: in quelle condizioni non sarebbe andato da nessuna parte: se gli umani avessero trovato il suo corpo avrebbero anche trovato il suo clan, sterminandoli uno a uno.
Cercò di strisciare sotto un cumulo di rocce, ma il poco sangue che aveva nel corpo serviva a malapena a tenerlo in vita; allora con un ultimo sforzo rotolò su un fianco per cadere in una pozza piena d'acqua; almeno non sarebbe morto disidratato dal sole e dalla mancanza d'acqua; le probabilità di sopravvivere erano bassissime, lo sapeva.
Ma continuò a sperare. Finchè non perse i sensi.
 
 
 
Elizaveta trangugiò l'ennesima bottiglia d'acqua: era strano che non le bastasse quasi mai: i primi mesi trascorsi fuori dall'acqua erano stati difficili, ma col tempo il suo corpo si era abituato a sopravvivere senz'acqua addirittura per due giorni; com'era possibile che senza un bagno ogni due ore non potesse più vivere?
Si spogliò ed entrò nella vasca con un sospiro; qualunque fosse la causa non poteva parlarne ad anima viva, o avrebbe messo in pericolo tutto il suo ex clan; e malgrado l'avesse lasciato era ancora affezionata a molti dei suoi membri.
Doveva cavarsela da sola.
Si sedette sul fondo della vasca e represse un gemito di dolore mentre sentiva le ossa delle gambe saldarsi e i muscoli allungarsi fino a essere ricoperte di squame argentate dai riflessi verde acqua: per quanto ne sapeva lei era una dei pochi che lo poteva fare: solo le sirene che non avevano ancora dato il primo bacio della morte potevano mutare. Con l'eccezzione dei leader, che potevano mutare anche dopo il bacio.
Si guardò allo specchio sconsolata; benchè fosse ancora giovane dimostrava almeno venticinque anni quando ne aveva appena compiuti venti il mese scorso; l'amore di Gilbert faceva rallentare notevolmente il suo corpo, ma avrebbe dovuto nutrirsi prima o poi; o sarebbe morta giovane nel corpo di una vecchia. 
Ebbe un giramento di testa: com'era possibile che stesse così male?
A Gilbert diceva che era lo stress dovuto al suo lavoro, ma anche lui incominciava a preoccuparsi.
Che cosa le stava succedendo?
 
Ludwig si svegliò di soprassalto, ansimando; era in una piccola spiaggia piena di rocce e pozzanghere d'appertutto; in una più grossa delle altre c'era la creatura: era riversa su un fianco, tremante, la parte inferiore del corpo non si muoveva più e giaceva abbandonata nell'acqua.
Si avvicinò con cautela: chissà perchè l'acqua dove era immersa era di un colore più scuro del solito.
E poi vide la ferita; perdeva ancora sangue che si spargeva tutt'intorno.
-No- disse in un sussurro.
Non poteva permettere che morisse
 
 
 
 
 
SPAZIO AUTRICE
ho aggiornato con un pò d'anticipo rispetto al previsto, spero non vi dispiaccia; ringrazio tutti quelli che hanno recensito, spero che il capitolo vi sia piaciuto.
A presto
alpha_omega.

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Capitolo 4
*** C03 ***


Ludwig si inginocchiò accanto alla creatura; era immersa fino a metà nella pozza e respirava a malapena, gli occhi semichiusi erano opachi e spenti.
Si guardò intorno, squadrando attento l'acqua; forse i suoi simili erano venuti a riprenderselo e volevano che lui si allontanasse, ma non vide nulla affiorare dal mare.
Sospirò, togliendosi la camicia, rimanendo in canottiera, ne strappò una striscia con i denti e la avvolse attorno al corpo del ragazzo, stringendo bene; ripetè più volte l'operazione, finchè della camicia non restò che il ricordo: in compenso la ferita aveva smesso di sanguinare e il respiro della creatura si era fatto più regolare.
Si chiese il perchè lui l'avesse salvato; forse aveva cambiato idea e non voleva più ucciderlo? Oppure aveva idee tutt'altro che pacifiche?
In ogni caso gli aveva salvato la vita; senza contare che sarebbe stato essenziale per le ricerche, studiarlo e capire di cosa si trattava, era chiaro che c'era la sua razza dietro agli omicidi.
Si guardò intorno; conosceva fin troppo bene quel posto; le cartoline lo ritraevano in mille prospettive diverse; non erano molto lontani da casa sua.
Sollevò da terra la creatura e se la mise in spalla, era molto leggera, ma la coda era davvero ingombrante; la osservò meglio: era lunga e snella, i muscoli che la facevano muovere erano allungati e tonici, non assomigliava a nessuna delle specie da lui conosciute, chissà cosa avrebbe detto Gilbert.
I suoi pensieri furono inrterrotti da un gemito di dolore; il ragazzo si era svegliato e singhiozzava rumorosamente, mordendosi una mano per non urlare.
Continuò a camminare incurante dei lamenti della creatura: per medicarlo doveva prima arrivare a casa, non avrebbe potuto fare niente per lui senza disinfettante o altro. Risalì il sentiero senza dire una parola; il sole stava per tramontare, e se non si sbrigava sarebbero finiti al buio. Un altro lamento, questa volta un urlo acuto, squarciò l'aria.
Si decise a parlare -Guarda che non cambierà niente se urli, prima arriviamo e meglio sarà per te, cerca di resistere, d'accor...-
Stava succedendo qualcosa nella metà inferiore del corpo: allarmato lo adagiò a terra, osservando sbalordito ciò che si trovava davanti -Non è possibile...- mormorò.
La coda si stava separando in due parti che andavano pian piano modellandosi, mentre le scaglie si ritiravano nella pelle e i muscoli si riadattavano alle gambe umane; l'intero processo sembrava davvero molto doloroso e Ludwig dovette farsi forza per poter continuare a guardare.
La creatura era più spaventata di lui: non capiva cosa stava succedendo, e tremava per la paura e per il dolore, le sue mani artigliavano convulsamente l'aria mentre ogni muscolo si tirava in uno sforzo enorme; poi gli urli finirono; sostituiti da un silenzio atterrito in cui il ragazzo lo guardava terrorizzato. -Che cosa mi hai fatto?- chiese in un fil di voce; le pupille erano così dilatate che il castano delle iridi si vedeva appena.
-Io non ti ho fatto proprio niente, sei tu che...-si rese conto che aveva ricominciato a sanguinare, le bende si erano allentate con la trasformazione e ora la ferita era di nuovo aperta.
Si inginocchiò e cercò di risistemarle come meglio poteva.
E allora si rese conto di una cosa; una cosa davvero stupida di cui non si era minimamente curato.
A parte le bende improvvisate, il ragazzo non indossava alcun indumento.
In altre parole era praticamente nudo.
Distolse lo sguardo, imbarazzatissimo; si tolse la canottiera rimanendo a torso nudo e gliela porse. -Mettitela- disse guardando dalla parte opposta a lui.
Il ragazzo la prese, titubante, -Perchè?- Chiese con aria innocente; non aveva capito.
-Fa freddo; mettitela e basta, va bene?-  la faccia di Ludwig sembrava un pomodoro maturo tanto era arrossito.
-Ma poi tu come fai?- la creatura continuava a non capire -Anche per te fa fredd...-
-Mettiti-quella-cosa-addosso!- Scandì le parole con una tale frustrazione che il suo interlocutore non disse più una parola e si infilò la canottiera: allora si girò verso di lui per scusarsi della reazione, ma gli venne quasi da ridere: si era messo l'indumento alla rovescia e al contrario, con tanto di etichetta cento per cento cotone che spuntava dal collo. Gli stava davvero grande, tanto che arrivava fino alle ginocchia.
-Devo portarti in un posto; lì ti cureremo la ferita e ti faremo alcune analisi per vedere se stai bene, dopodichè ti aiuterò a tornare in acqua; se ti lasciavo nelle tue condizioni saresti morto-.
Era una bugia per tenerlo buono:  chissà, magari se gli avesse raccontato la verità lo avrebbe incantato una seconda volta per non dire niente a nessuno: i ricercatori non avrebbero mai lasciato libero un potenziale assassino: sperò che ci cascasse senza fare altre domande.
Quello gli rivolse il più caldo dei sorrisi -Dici davvero? Ti ringrazio!-
Anche lui sorrise, era necessario, ma si sentiva comunque malissimo; pensò ai corpi di quei poveretti, inermi sulla riva e si sentì un po' più dalla parte del giusto.
-Adesso ti porto da mio fratello; è davvero un bravo ricercatore: ti aiuterà lui-.
-Anche io ho un fratello! Un giorno te lo faccio conoscere; adesso sarà davvero preoccupato, ma immagino la sua faccia quando verrà a sapere che sto bene; quindi non sei arrabbiato?-
Ludwig ripensò a quegli istanti passati in acqua tra la vita e la morte erano come un ricordo lontano; poi lo guardò negli occhi e sorrise.
-No, non sono arrabbiato; dopotutto mi hai anche salvato la vita-.
E almeno quello era vero.
 
 
Gilbert sbraitava come un dannato nella cornetta del telefono -COME SAREBBE A DIRE CHE NON L'AVETE TROVATO?- riprese fiato -COSA DIAVOLO E' SUCCESSO A MIO FRATELLO?.
Elizaveta non potè fare altro che stargli accanto, stringendogli piano la mano, mentre lui riagganciava con un ringhio e si accasciava a terra, disperato: lo abbracciò cercando di consolarlo. Lui appoggiò la testa nell'incavo del suo collo e cominciò a piangere silenziosamente.
-Eliza, ho paura-.
-Di che?- gli accarezzò i capelli, con fare consolatorio.
-Te li ricordi quei marinai? E se gli fosse successa la stessa cosa?-
Lo abbracciò ancora più stretto; non poteva dirgli che forse aveva ragione, non poteva dirgli cosa era lei realmente; l'avrebbe odiata.
Però poteva dargli tutto l'affetto che aveva: ignorò la familiare nausea che l'assillava da più di due mesi e lo aiutò a sedersi sul divano, facendogli bere un bicchier d'acqua a piccoli sorsi; poi corse in bagno e si sfregò una salvietta umida sul viso; dopodichè aprì il lavandino e bevve avidamente finchè i dolori nello stomaco non si furono placati. Tornò in salotto e si sedette accanto al fidanzato, in attesa di notizie dalla polizia.
Qualcuno bussò alla porta: Gilbert corse ad aprire e si buttò letteralmente tra le braccia del fratello. -Mi hai fatto prendere un colpo- rise -però stai bene- poi si accorse della persona che era con Ludwig -E lui chi è? E' ferito?.
Eliza si sporse per vedere meglio il ragazzo, poi strabuzzò gli occhi, riconoscendolo
-Feliciano- mormorò, -Che ci fai qui?-
 
 
 
ANGOLO AUTRICE
Ta,daaaaan, ecco il quarto capitolo; spero che vi sia piaciuto; ringrazio tutti quelli che hanno recensito. 
A presto
alpha_omega

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Capitolo 5
*** c05 ***


Ludwig guardò Elizaveta come se fosse davanti a un pericolo, mentre ogni tessera del mosaico si rimetteva al suo posto: il sale nel bagno, la gigantesca cotta di suo fratello, il fatto che avesse scelto lei di trasferirsi in una casa a pochi metri dal mare e per finire conosceva la creatura, l'aveva chiamata per nome. Nei brevi momenti in cui si erano parlati, quella mattina gli era sembrata una ragazza assolutamente normale, eppure la sensazione che aveva provato con lei era identica anche se molto meno intensa a quella che gli aveva provocato quel ragazzino che in quel momento era accasciato tra le sue braccia. Senza dire una parola lo fece distendere sopra il divano e indicò la ferita con un cenno del capo. Ma Gilbert non riusciva a capire -Ma cosa vuoi che faccia, Lud? C'è un ospedale a pochi chilometri da qui, dobbiamo chiamare un ambulanza!-.
-Tu intanto visitalo, non chiamare nessuno che poi ti spiego; devo parlare un attimo con Eliza; torniamo subito-.
Detto questo fece un cenno alla ragazza che lo seguì docile con aria mesta su per le scale, poi entrarono nel bagno chiudendo dietro di loro la porta; la vasca era piena d'acqua: probabilmente per uno dei cinque bagni che la ragazza faceva ogni giorno.
Ludwig incrociò le braccia al petto, squadrandola con rabbia.
-Come fai a conoscere quella cosa?- le domandò con un ringhio -per poco che oggi non mi uccideva!- sospettava già di conoscere la risposta, ma voleva che fosse lei ad ammettere la propria natura.
Il viso di Eliza era una maschera di rabbia e dolore-Devi sapere due cose Ludwig- raddrizzò le spalle, come per darsi coraggio -Primo: quella cosa, come la chiami tu ha un nome; secondo, se ti avesse davvero voluto uccidere stai pur certo che ci sarebbe riuscito senza troppi problemi.
-Non hai risposto alla mia domanda- si avvicinò a lei; i loro occhi erano a pochi millimetri di distanza -Che cosa sei tu?- le soffiò in faccia.
 
 
Eliza guardò prima l'acqua nella vasca, poi Ludwig e poi di nuovo l'acqua.
Non aveva scelta.
Imprecò a bassa voce e con un salto si buttò nella vasca: sentì i vestiti umidi appiccicarsi alla pelle: ignorò il dolore che le procurava la trasformazione e guardò Ludwig negli occhi per tutto il tempo, finchè delle sue gambe umane non rimase più traccia.
Il ragazzo la guardava senza battere ciglio -Che cosa hai fatto a mio fratello?-
A Eliza venne quasi da ridere; lui stava per condannare a morte un'intera specie e si preoccupava solo perchè Gilbert era un po' più romantico del solito?
Ma sapeva perfettamente che dietro a quella domanda se ne celava un'altra.
-Non voglio ucciderlo, se è di questo che ti preoccupi, mi sono realmente innamorata di lui, non permetterei a nessuno di fargli del male, è la verità.
-Come funziona la faccenda delle uccisioni?-
-Le sirene succhiano gli anni che restano da vivere a una persona; continuando in questo modo è possibile vivere in eterno; sono eternamente giovani-
Ludwig la osservava interrogativo -Ma come è possibile? Ho visto alcune delle foto che tu e mio fratello mi avevate spedito, e tu eri diversa, più giovane-
-Non ho mai dato il bacio della morte; invecchio con tempi quadrupli rispetto a voi umani; non si direbbe mai, ma ho solo vent'anni-
-Quindi tu...-
-No, non sono un'assassina- finì la frase -e non lo è neanche Feliciano, se è per questo; ci si riconosce perchè mutiamo forma una volta fuori dall'acqua e invecchiamo velocemente-
Ludwig deglutì, se quello che gli aveva detto era vero avrebbe dovuto vergognarsi di come l'aveva trattata fino a quel momento, ma non sapeva se crederle o no -come posso essere sicuro che ciò che mi stai dicendo è vero?- 
Sentirono dei passi che risalivano le scale, Gilbert entrò trafelato, dando le spalle alla vasca, senza vedere Eliza -Scusa Lud, ma dovevo prendere la cassetta del pronto soccorso-. La prese per la maniglia, in un angolo e fece per andarsene, ma la fece cadere non appena vide Eliza.
-Cosa?...come?- balbettò senza capirci più nulla; prima suo fratello che risultava disperso gli portava a casa uno sconosciuto chiedendogli di non parlarne con i medici ( lui era un medico, ma curava i pesci e i mammiferi acquatici; c'era una bella differenza!) e ora questo. Non ci capiva più niente.
-Eliza, amore- mormorò con un filo di voce. -Puoi dirmi quello che sta succedendo?.
Dietro di lui Ludwig sospirò; avrebbe dovuto dire molte cose 
 
 
Lovino aveva gia avuto parecchi attacchi d'isterismo, ma niente era paragonabile a quello che stava avendo in quel momento; attaccati a lui due tritoni tentavano inutilmente di tenerlo fermo mentre urlava tutta la propria frustrazione: dove era finito il suo fratellino?
-Lovino, SMETTILA SUBITO!- Roderich gli diede uno schiaffo in pieno viso, facendolo indietreggiare. Il tritone era rimasto con la mano ferma a mezz'aria e lo squadava severo -Neanche gli altri due sono tornati; ci sarà un motivo, no?-
-Bastardo! nessuno ha mai fatto così tardi, deve essergli successo quealcosa!- Lovino si massaggiò la guancia dolorante -bastardo- mugugnò tra se e se.
-Se non torneranno entro domani all'alba andremo a cercarli; ma non possiamo rischiare per un ritardo di così poco tempo, cerca di capire.
Lovino avrebbe voluto saltargli addosso e strappargli quel sorriso da damerino dalla faccia; avrebbe voluto far crollare quella maledetta caverna che gli impediva di vedere la luce del sole e il sorriso di suo fratello.
Ma non poteva fare nulla: si accasciò a terra e pianse tutte le sue lacrime.
Aveva disobbedito al capo; non sarebbe rimasto impunito.
Roderich agitò una mano con noncuranza -Portatelo nella Fossa; un paio di giorni e poi lo fate uscire.
La Fossa era una grossa crepa nel terreno a qualche chilometro da lì: era costantemente sorvegliata da una mezza dozzina di sirene e tritoni che la sorvegliavano a turno giorno e notte; non era la prima volta che lo rinchiudevano lì, e molto probabilmente non sarebbe stata neanche l'ultima, per via del suo carattere irascibile. 
Le due guardie lo sollevarono di peso per portarlo via; non oppose resistenza; sapeva che era inutile.
Avevano fatto pochi metri quando una sirena raggiunse Roderich in lacrime: Lovino la riconobbe subito; era una di quelli che erano partiti con Feliciano.
Lei era nervosissima e parlava con fatica -Io e Kiku ci siamo separati da Feli e abbiamo fatto il viaggio insieme fino ad un peschereccio di passaggio; quelli della nave ci hanno avvistato e poi ci hanno sparato degli aghi nel braccio, non riuscivamo più a muoverci; poi ci hanno raccolto con una rete, il mio ago non era penetrato a fondo e sono riuscita a togliermelo e a scappare, saltando via dalla barca, ma Kiku...- e qui scoppiò di nuovo in lacrime, singhiozzando disperata; lei e quel ragazzo erano molto amici: il pensiero che qualcuno potesse fargli del male la distruggeva dall'interno.
Lovino si divincolò dalla stretta delle guardie quel tanto che bastava per girare la testa e guardarla in faccia -Hai visto Feliciano mentre venivi qui?-
Quella scosse la testa -No, non l'ho visto.
 
Kiku battè più e più volte le mani contro la superficie della vasca trasparente; era un parallelepipedo pieno d'acqua di mare che lo costringeva a stare dritto con la schiena in una posizione d'avvero scomoda tanto era stretto e angusto quel posto; attorno a lui diverse facce umane  in camice bianco che lo scrutavano; un biondino basso e con delle sopracciglia sproporzionate si avvicinò per scrutarlo meglio; i suoi occhi avevano lo stesso colore delle alghe.
-Forse è meglio se gli diamo qualcosa da mangiare- un ragazzo moro e abbronzato stava parlando con uno biondo con i capelli che gli arrivavano fino alle spalle e che ogni tanto se li sistemava in modo civettuolo dietro le orecchie -E' da più di sei ore che è li dentro, non vedi che si sta innervosendo?-
E in effetti Kiku era d'accordo con lui, sentiva un certo brontolio allo stomaco, ed aveva incominciato a girargli la testa.
-E che cosa credi che mangi, Antonio?- Il biondo si era girato verso di lui, i suoi occhi erano di un azzurro sorprendente.
Sentì una voce dietro di lui; era di una vitalità sorprendente.
-Credo che mangi del pesce, aru- un ragazzo orientale con una lunga coda di cavallo si avvicinò a lui, gli sorrise: -A te piace il pesce, aru?-.
Era il primo a parlargli; se non fosse stato tanto spaventato avrebbe sorriso anche lui. Ma si limitò ad annuire.
Gli altri erano sbalorditi, -quindi capisci la nostra lingua?-
Annui un'altra volta; forse l'avrebbero portato via da quell'aspecie di bara verticale.
Per sua sfortuna non fu così; ma gli diedero del pesce che fecero calare dall'alto; lo mangiò quasi con voracità, non aveva mai avuto tanta fame in vita sua.
Il ragazzo orientale era sempre li a sorridergli: quando ebbe finito accennò anche lui a un timido sorriso.
Dalla porta entrò un uomo grosso e abbronzato che fumava un sigaro; si avvicinò a lui picchiettò un dito sulla superficie di vetro.
-Ma che cosa abbiamo qui?- disse ridacchiando -a quanto pare la nostra baia merita davvero il nome di baia delle sirene, o sbaglio?-
A Kiku non piaceva quell'uomo; gli faceva davvero paura; si comportava come se fosse il capo, e in effetti gli altri lo trattavano con assoluta obbedienza.
L'uomo prese una macchina fotografica e il flash lo abbagliò facendogli sbattere più volte le palpebre.
Si rivolse a una degli scenziati: porgendole la macchinetta -Manda le foto ai governativi e fai fare una completa scansione della baia: ho l'impressione che stiamo per scoprire qualcosa di davvero molto interessante.
 
 
ANGOLO AUTRICE
spero che il capitolo vi sia piaciuto; nel caso non l'avesse capito la ragazza che era con kiku era seichelles e il capo degli scienziati è cuba; scusate, ma non conosco i loro nomi umani.
Ringrazio tutti quelli che hanno recensito. 
A presto
alpha_omega

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Capitolo 6
*** c06 ***


-Quindi mi stai dicendo che la mia fidanzata invecchia il quadruplo rispetto al normale a causa della sua natura e che abbiamo un suo simile ferito e mezzo disidratato in salotto?-
-Esattamente-
Gilbert fissò la parete davanti a lui con aria vacua, senza dire o fare nulla: sembrava una statua vivente.
Ludwig pensò bene di aiutare la ragazza a uscire dall'acqua, la tenne in braccio il tempo necessario per farle invertire la trasformazione, poi la mise in piedi sul pavimento e prese la valigetta del pronto soccorso -Quel ragazzo ha bisogno d'aiuto il più presto possibile -disse rivolto al fratello -Se vuoi ci vado io-.                                                                                           
Gilbert annuì con un breve cenno del capo continuando a tenere sempre lo squardo fisso davanti a se; Ludwig non voleva lasciare Eliza da sola, ma la ferita di Feliciano rischiava seriamente di infettarsi; non poteva rischiare.
-Per qualunque cosa ti serva chiamami- Sussurrò alla ragazza. Poi se ne andò gettando un'occhiata preoccupata al fratello.
 
 
Dopo alcuni minuti Eliza decise di rompere il silenzio: non poteva più aspettare. c'era solo una cosa da fare: -Mi dispiace, capirò se non riuscirai a perdonarmi, o anche solo a parlarmi, ti ho mentito Gilbert. Ti prometto che me ne andrò dalla tua vita, se lo vorrai- Detto questo Eliza fece per andarsene: non riuscì a guardarlo nemmeno in faccia mentre si dirigeva verso la porta; la sua vita poteva dirsi finita: una volta che una sirena si innamorava di un essere umano non sarebbe mai più riuscita a togliere la vita a un altro; altri trent'anni al massimo e poi sarebbe finita per davvero. Non poteva stare con gli umani e non poteva stare con le sirene: Roderich non le avrebbe mai permesso di tornare a vivere con il Clan; anche se molti avrebbero preso le sue parti lei non avrebbe mai sopportato di vstare con persone che la consideravano una traditrice: come poteva vivere con la consapevolezza di averli abbandonati?
Soppresse una lacrima, chiuse la porta dietro di se ed entrò nella loro camera e presa la sua sacca da viaggio cominciò a ficcarci dentro tutto il contenuto dei cassetti riservati a lei; come poteva essersi illusa che tutto quel maledetto casino avesse potuto funzionare? Era stata solo un illusa.
Si sedette sul bordo al letto e scoppiò in lacrime. Neanche sentì il rumore dei passi che si avvicinavano. 
Qualcuno l'abbracciò; alzò il viso sorpresa. Gli occhi di Gilbert erano a pochi centimetri dai suoi. Poteva sentire il suo respiro accarezzarle la pelle.
Affondò il viso nell'incavo del suo collo e pianse tutte le sue lacrime mentre lui la sorreggeva: non si era mai sentita così dipendente da qualcuno. In quel momento la sua intera vita era nelle mani di quel ragazzo.
Glibert le accarezzò i capelli con tutta la delicatezza di cui era capace -Perchè non me lo hai detto? Avrei cercato di aiutarti-.
Elizaveta non riusciva a guardarlo negli occhi -I miei simili uccidono gli umani per sopravvivere, Gilbert: sei ancora sicuro che non t'interessi?-.
-E' ovvio che mi dispiace per ciò che sono costretti a fare, non lo nego, ma se credi che ti lascerò andare solo per questo ti sbagli. Le prese una mano e se la portò al viso -Ich liebe dich Eliza, e farò il possibile per trovare un rimedio: ho bisogno di tutte le tue informazioni su cosa ti fa stare meglio; forse non riuscirò a creare qualcosa per l'immortalità, ma ci sono ottime probabilità per trovare qualcosa che faccia rallentare l'invecchiammento: rifletti, dove ti senti più a tuo agio?
-Quando ero nell'acqua del mare mi sentivo benissimo: ho provato a simulare il sale marino con quello da cucina, in effetti mi aiuta molto, ma era molto più efficace quella naturale.
-Perchè non ci torni più?-
-Rischierei di mettere in pericolo la mia famiglia; se mi scoprissero capirebbero sicuramente che non sono l'unica, e non appena avessero scoperto il modo in cui ci nutriamo ci avrebbero sterminato, o forse no, non credo che sarebbero così gentili da ucciderci subito-
-Conosco un posto dove non viene praticamente nessuno, e di notte può considerarsi deserto; domani te lo mostrerò. Non è molto lontano da qui-. Le diede un bacio che lei ricambiò prima timidamente e poi con più naturalezza. Un dolore improvviso allo stomaco la fece sussultare, e dovette stringere i denti per non urlare. Gilbert si staccò da lei, allarmandosi parecchio -Cos'hai?-
-No, non è niente, è solo un bruciore di stomaco, tutto qua. Feliciano sta peggio di me, dobbiamo pensare a lui.
Gilbert annuì, anche se non era per niente convinto. -Dimmi un po', come lo conosci di preciso?-
-Siamo cresciuti insieme, io lui e suo fratello; mi consideravano come una sorella maggiore anche se non avevamo nessun grado di parentela, quando ho compiuto diciotto anni mi sono offerta volontaria per sorvegliare le scoperte degli scenziati del posto e non ci siamo più rivisti, sapevo che la sua iniziazione sarebbe stata in questo periodo, ma non credevo che l'avrei mai rivisto: è stata una sorpresa rivederlo- la ragazza sorrise: Feliciano era la persona più dolce che avesse mai conosciuto, gli voleva davvero molto bene: non si era mai perdonata di averlo lasciato solo quando se ne era andata dal Clan. Ma non poteva fare altrimenti, non dopo aver conosciuto Gilbert.
-Un'altra domanda: hai detto che le sirene che vanno in missione nel mondo degli umani ammaliano qualcuno e poi lo uccidono. Perchè la prima volta che ci siamo visti non lo hai fatto?.
Elizaveta sorrise -Questa domanda è davvero semplice; mi hai risposto prima tu-.
-In che senso?- Il ragazzo era confuso.
Il bacio quasi lo soffocò; quando si staccò da lui Elizaveta gli avvicinò le labbraall'orecchio -Ich liebe dich, Gilbert-.
 
 
Erano tre ore che Antonio Fernandez Carredo osservava la creatura muoversi lentamente nell'acqua; a parte fermarsi o mangiare non aveva fatto nulla di particolare. Più che a una ricerca scientifica gli sembrava il rapimento di un ragazzino, il fatto che avesse una coda dove avrebbero dovuto esserci le gambe era l'unico motivo che desse un senso a quella ricerca. 
Francis si sedette accanto a lui -Progressi?-
Lui scosse la testa -Neanche uno-
La creatura, dal canto suo non li aveva degnati di uno sguardo. Non aveva più risposto alle loro richieste di comunicazione, anche se sembrava aver preso in simpatia Yao. Ogni volta che il cinese si avvicinava al gigantesco acquario a muro dove lo avevano collocato gli lanciava uno sguardo quasi amichevole,  mentre le poche volte che potevano guardarlo in faccia rivelava uno squardo opaco e spento. Non ci voleva un genio per capire che stava soffrendo.
Qualunque cosa fosse non era solo: l'equipaggio della nave che l'aveva catturato diceva di averne visto un'altro,( una femmina?) scappare dalla rete con cui l'avevano catturata e dirigersi verso la baia: quella mattina era partita una squadra per esplorare il fondale: stavano aspettando i risultati.
 
 
Artur controllò un'ultima volta la scansione del fondale, non c'erano dubbi: c'era indubbiamente qualcosa di anomalo. Una gigantesca serie di grotte marine a più di trenta chilometri di profondità: c'erano volute le migliori attrezzature per individuarle: era praticamente impossibile sapere cosa ci fosse esattamente la sotto. Ma la situazione era disperata: la gente moriva, e là sotto c'era la causa. Dovevano trovare una risposta e una soluzione.
Il suo supervisore: un uomo abbronzato che fumava un sigaro puzzolente chiamò tutto il  personal alla sua postazione: in quel momento si trovavano sul bordo di una scogliera che dava ampia vista sull'intera baia. Non aveva idea di cosa volesse dirgli.
-Ragazzi...- si rigirò il sigaro tra le dita -ho intenzione di arrivare a fondo in questa faccenda, ma non credo che ispezionando il fondale senza poter operare direttamente sul campo serva a qualcosa: ho un piano, ma non credo che vi piacerà.
-E che cosa vorrebbe fare?- una ragazza bionda con un accento francese si era fatta aventi preoccupata, tutti conoscevano il carattere del loro capo.  E se c'era qualcuno che potesse decidere ogni cosa all'interno del loro gruppo quello era lui.
Il cubano prese un respiro profondo -Se non potremo raggiundere ciò che c'è la sotto allora sara lei a venire qui sopra.
La ragazza fece una faccia perplessa, più confusa di prima.
Lui ridacchiò -Non avete ancora capito?. Faremo saltare in aria le grotte. 
 
 
Lovino era appena uscito dalla Fossa: dopo qualche ora Roderich si era impietosito e aveva ordinato di liberarlo: nel Clan c'era estrema allerta. Nessuno poteva avventurarsi in superficie; neanche quelli che avevano un'assoluto bisogno di nutrirsi, accanto a lui Ivan aveva i denti scoperti per la fame; qualunque umano si fosse trovato sulla sua strada non ne sarebbe uscito vivo. Quel ragazzo era molto dolce, la maggior parte delle volte, ma per lui era impossibile controllarsi quando il suo corpo aveva bisogno del tempo degli uomini per vivere; sua sorella Sofia lo cingeva affettuosamente per un braccio nel tentativo di calmarlo.
Suo fratello non si trovava da nessuna parte: ma al momento la preoccupazione generale era per Kiku. Non era mai successo che una sirena fosse stata presa viva; una volta morti i loro corpi si decomponevano rapidamente in acqua, una volta ritrovati a riva erano irriconoscibili.
Ma la cattura di quel ragazzo aveva cambiato tutto.
Tra loro c'era chi parlava addirittura di spostarsi in altre acque per non correre rischi: ma sapevano bene che non avrebbero mai trovato un posto così adatto alla loro colonizzazione, anche perchè a parte quelli che si erano infiltrati tra gli umani da giovani, nessuno sapeva come fosse fatto il mondo. In quel momento gli infiltrati stavano lavorando come matti per salvarli. 
Aveva paura: non tanto per se stesso, ma per suo fratello: che cosa gli era successo?.
Diede dei lievi colpetti al suolo con la coda; lo faceva sempre quando era nervoso. Poi diede un'occhiata al soffitto della piccola grotta dove erano ammassati a decine. Era solo una sua impressione o il soffitto si era mosso?
Fu allora che il mondo esplose.
 
 
ANGOLO AUTRICE
scusate per il ritardo.Cercherò di aggiornare più velocemente in seguito.
Spero che vi sia piaciuto :)
ps. qualcuno ha un idea su quale nome dare a cuba? Non so proprio come chiamarlo: help!
A presto, al preossimo capitolo
alpha_omega

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Capitolo 7
*** c07 ***


-Ok, sta tranquillo; ho quasi finito- Ludwig tagliò l'ultimo pezzo di garza sterile e ripose il rotolo nella valigetta -Ecco fatto! Dovrebbe guarire entro un paio di mesi, anche se resterà la cicatrice per un bel pò.
Il ragazzo guardò prima la fasciatura e poi lui -Ti ringrazio, ma non so il tuo nome-.
Lui gli porse la mano -Mi chiamo Ludwig, mentre tu sei Feliciano, giusto?
Il tritone annuì -Te l'ha detto Eliza?-
-Si; riesci a camminare?-
Quello fece uno sguardo interrogativo; non sapeva cosa significasse.
Ludwig si alzò dalla sedia e cominciò a camminare avanti e indietro per la sala -è così, vedi?-
-Ma io non posso farlo, ho la coda.
-No, non più.
Feliciano si guardò le gambe e parve cadere da un sogno. -Però non so come usarle.
-Ti aiuto io- non poteva mica rimanere sul divano per sempre.
Gli prese le mani e lo aiutò a passare dalla posizione sdraiata a quella seduta. Poi lo sollevò dal divano mettendolo in piedi; il ragazzo perse l'equilibrio quasi subito e si aggrappò convulsamente a lui per non cadere. Poteva sentire il suo cuore premuto contro il suo petto battere a ritmo accellerato per la paura.
-Non è difficile; devi solo trovare l'equilibrio- Ludwig cercò di sorridere -segui me.
Camminò avanti e indietro per una mezz'ora con Feliciano che seguiva le sue mosse; alla fine era riuscito a rimanere in piedi e a muovere qualche passo da solo, anche se cadde dopo nemmeno una decina di secondi. Lo aiutò a rialsarzi e a ricominciare da capo: a ogni tentativo riusciva a stare in piedi un pò più a lungo di quello prima. Sembravano due ballerini nell'atto di danzare il più goffo valzer del mondo. Non si accorsero di quando Eliza e Gilbert tornarono al pianterreno: erano troppo concentrati sulla loro opera. Ludwig si rese conto che più il tempo passava più si affezionava a quel ragazzo. Erano passate solo poche ore dal loro incontro e si sentiva già così attratto da lui: era un piacere sentire il suo corpo a contatto con il proprio, gli dava un senso di completezza e tranquillità. Si vergognò di se stesso; non poteva abbassare la guardia in quel modo. Eppure ogni volta che lo guardava sentiva come una sorta di piacevole tepore interno a cui non sapeva dare una spiegazione. 
Furono interrotti da un rumore di applausi: Eliza sorrideva -Feli, sei bravissimo! Io ci ho messo due giorni a imparare a camminare. Accanto  lei Gilbert rise -Di certo non grazie all'insegnante, fattelo dire Ludwig, sembri una scimmia ubriaca quando cammini-.
-Veee; ma mi ha insegnato tutto lui- Feliciano lo indicò sorridendo.
Non aveva mai visto un sorriso così bello.
 
 
 
Ivan fu sbalzato via; non riusciva più a distinguere il sopra dal sotto. Intorno a lui era tutto impazzito, i corpi degli altri membri del clan venivano sbattuti contro le pareti dalla corrente che veniva formatasi, la roccia si frantumò sopra e sotto di lui e il suo corpo fu sbalzato in aria. 
Dopo un tempo che gli era sembrato un'eternità emerse in superficie e inspirò aria e acqua e tossì sputacchiando. Qualcuno lo afferrò da dietro e lo immobilizzò con una rete -Ehi capo, qui c'è ne è uno vivo-.
Provò a girarsi e a mordere, ma ricevette un pugno sullo stomaco. Il tizio che l'aveva colpito stava per menare un'altro colpo, ma un secondo umano lo interruppe bloccandogli il braccio.-Che cosa ci hanno detto? Non possiamo fargli del male-.
Quello annuì -Lo so, ma voleva mordermi-
-Tu vai, a lui ci penso io-
L'uomo se ne andò, per occuparsi di altre sirene ancora in vita. La maggior parte giaceva riversa senza vita sulle rocce, e il resto era troppo spaventato per reagire. Venne sollevato e buttato alla meno peggio su un camion scoperto insieme ad un altra quindicina di tritoni. Tra di essi riconobbe Mattew e Alfred, che gli rivolsero un lieve cenno del capo in segno di saluto. troppo sconvolti per parlare. Alla fine era successo.
Li avevano trovati.
 
 
Antonio vide i corpi di quelle creature affiorare dall'acqua uno a uno: molti erano inermi e senza vita, alcuni erano ancora vivi, anche se avevano il corpo paralizzato per lo shoc, una pochissima percentuale era ancora in grado di dimenarsi. Dovette trattenersi dal vomitare e corse a catturare quelli ancora vivi: poteva almeno cercare di tenerli in vita.
Uno dei suoi colleghi ne stava colpendo uno che cercava inutilmente di difendersi, mostrando i denti e cercando di morderlo. Lo fermò appena in tempo e lo allontanò con una scusa. Poi si fece aiutare per trasportare il tritone, ormai allo stremo, su un camioncino dove veniva gettata acqua in continuazione. La creatura sembrò tranquillizzarsi quando vide un paio dei suoi simili e se ne stette buono con lo sguardo perso nel cielo senza nemmeno una nuvola. Sembrava quasi rassegnato a morire.
 
 
Kiku tremava dalla testa ai piedi, tutti i ricercatori se ne erano andati. A sorvergliarlo era rimasto solamente Yao che cercava inutilmente di rassicurarlo parlandogli attraverso il vetro. -Andrà tutto bene, aru. Ti libereranno presto, non possono tenere segreta una notizia del genere, un paio di mesi e gli ambientalisti di tutto il mondo si schiereranno dalla vostra parte, aru!-.
Ne era assolutamente convinto e continuava a ripeterglielo con sicurezza. Gli aveva anche detto che ne avevano presi altri anche se non sapeva in quali condizioni erano. Non sarebbe stato più solo. Doveva stare tranquillo. Il cinese sorrideva, ma sembrava che quelle parole di conforto fossero dirette più a se stesso che a lui.
 
 
Wang Yao aveva paura.
Non sapeva cosa volesse fare il loro capo, ma non credeva fosse qualcosa di così drastico.
Aveva appena salutato il piccolo tritone per poter accogliere la squadra di ritorno quando aveva visto le botti di esplosivo vuote.
-Li avete fatti saltare in aria- mormorò. poi si rivolse con rabbia ad Esteban.
-Come hai potuto fare una cosa del genere! come hai potuto anche solo pensare di fare una cosa del genere!
Poi si rivolse agli altri -E voi come diavolo avete potuto obbedirgli, spiegatemelo.
Molti non riuscirono a guardarlo in faccia. Esteban si rigirò il suo solito sigaro puzzolente tra le dita -Era necessario, Wang, fattene una ragione. Erano loro la causa delle morti. Ne abbiamo catturati alcuni e spaventati molti. Non credo che quelli che ci sono sfuggiti torneranno ad uccidere tanto presto- sorrise- E se lo faranno abbiamo sempre le nostre bombe acquatiche. Non possiamo permettere che facciano del male alla nostra specie-.
-Ma non era necessario ucciderli.
-Era l'unico modo per farli uscire allo scoperto. Ne abbiamo catturati abbastanza per poterli studiare in tutta tranquillità.
Mentre parlava la sua espressione rimase impassibile e tranquilla: s'infilò il sigaro tra le labbra ed inspirò lentamente per poi soffiargli tutto il fumo in faccia. -O forse vorresti dire che preferisci questi mostri alla tua stessa specie, Wang?.
 
 
-Brutti bastardi, andate all'inferno!
Queste furono le parole più gentili uscite dalla bocca di Lovino rivolte agli scenziati che lo tenevano fermo. Li avevano suddivisi in gruppi, per poterli catalogare e studiare meglio. Ogni sua mossa era accuratamente seguita e registrata  da un gruppetto di medici. 
Non si era fatto particolarmente male, quindi lo portarono quasi subito dentro una gigantesca vasca a muro che dava su uno studio; la vasca era divisa in tante piccole cellette separate l'una dall'altra da dei muri di plastica trasparente. Accanto alla sua c'era Kiku, lo sguardo perso nel vuoto.
Battè un pugno sulla parete per attirare la sua attenzione. -Mio fratello è vivo?-
L'altro scosse la testa -Non lo so, non è venuto con me: che vi è successo?
-Ci hanno buttato delle bombe addosso, molti sono morti, ma altri sono riusciti a scappare. ma non credo che ci verranno a salvare molto presto.
L'orientale sospirò -Non so se ti farà piacere, ma uno degli umani è molto gentile con me, forse posso chiedergli di aiutarci.
Lovino ci pensò su; era già qualcosa. 
Si accorse solo in quel momento che uno degli scienziati si era avvicinato alla sua cella e annotava qualcosa sul taccuino: probabilmente era quello cui era stato assegnato; aveva un'allegra aria latina e gli sorrideva quasi amabilmente. -Mi hanno detto che sei l'unico che parlava. Appoggiò la mano alla parete, come se gliela porgesse -Io mi chiamo Antonio Fernandez Carredo, e tu chi sei?
Non seppe perchè, forse era quella sua aria così allegra, o forse era semplicemente rincoglionito. Fatto stà che premette la mano contro la sua, poteva quasi sentire il calore che emanava.
-Lovino- sussurrò.
 
 
ANGOLO AUTRICE
spero che vi sia piaciuta, mi scuso se il contenuto era un po violento.
a presto
alpha_ omega
 
PS ringrazio Aka_Sama per aver letto e commentato la bozza iniziale prima che la pubblicassi: ho già accennato a una sorpresa nelle risposte alle recenzioni. Ci vorrà più tempo del previsto, ma vi assicuro che ne varrà la pena =) 

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Capitolo 8
*** c08 ***


La stampa non ci aveva messo molto a farsi sentire: erano passate si e no quarantott'ore e la notizia della cattura aveva già fatto il giro del mondo. Non c'era un singolo angolino in cui nessuno non avesse pronunciato la parola “sirena”. I fondi che erano stati messi a disposizione erano praticamente illimitati. I giornalisti di tutto il mondo erano venuti a documentare quell'evento: era un bene che la squadra di scienziati fosse multietnica, o non sarebbero mai riusciti a stare dietro a tutte quelle domande in lingue diverse.
Erano passate solo un paio d'ore dall'inizio dell'intervista e Francis era così nervoso che si sarebbe fatto volentieri una bella dormita: non solo avrebbe dovuto lavorare fianco a fianco con il suo ex, Arthur; ma i suoi “meravigliosi” colleghi l'avevano lasciato lì da solo a rispondere a quella marea umana di gente. Si sistemò una ciocca di capelli dietro un orecchio: lo faceva spesso quando era frustrato. Per sua fortuna la giornalista belga di fronte a lui era piuttosto carina, forse quell'esperienza non sarebbe stata tutta da buttare.
-Salve- parlava francese -mi chiamo Laura, lavoro per un giornale itinerante del mio paese: permette qualche domanda?-
-Ma certo- il suo sorriso era smagliante mentre con la coda dell'occhio le dava una sbirciata nella scollatura: non era per niente male.
Lei prese un foglietto dove aveva scritto le domande e iniziò a leggere -Dunque, che cosa avete intenzione di fare ora che avete scoperto una nuova specie? Dalle foto e dai filmati sembrano delle creature dotate di ragione. No?
-Non lo so: siamo certi che siano dotati di un'intelligenza superiore a qualsiasi animale presente sul pianeta, ma non siamo ancora sicuri che possano competere con l'intelligenza umana. 
-Quando avete intrapreso le ricerche? Cosa vi ha fatto capire che non siamo soli?-
Francis sospirò, odiava quella domanda, o meglio, odiava la risposta -Vede signorina, sono parecchi anni in cui in questo pezzo di mare si verificano strani casi di decesso: i corpi delle vittime venivano ritrovati con uno strano sorriso in volto, e i medici legali dichiaravano che la morte non era avvenuta per annegamento, ma per cause sconosciute. Dopodichè è stata catturata una di quelle creature. Non c'è voluto molto a fare due più due.
La ragazza aveva un'espressione sbalordita -Vorreste dire che...-
-Mi dispiace, ma ogni singola prova suggerisce che siano stati loro la cuasa dei decessi. Ne stiamo studiando alcuni esemplari, e più di uno ha cercato di attaccare i propri custodi.
Era vero: il tritone che gli avevano assegnato non era per niente socievole, un ragazzo biondo gigantesco che non aveva fatto altro che mostrare i denti per poi sorridere amabilmente a quelli della sua specie, come una doppia personalità. Se ne era occupato Esteban, gli aveva detto di non preoccuparsi, dopo avergli affidato un altro tritone che si comportava come se non esistesse, ma le poche volte che riusciva a parlarci si meravigliava che fosse così così timido e riservato. Gli aveva detto solo il suo nome. Mattew.
 
 
Esteban Castro non era mai stato un uomo paziente; come non aveva mai sopportato le persone poco collaborative. Ivan, gli stava offrendo entrambe  le cose.
Il gigantesco tritone era chiuso in una teca di vetro piena d'acqua: la stessa che avevano usato per Kiku, solo che ci stava molto più stretto. Lo guardava con occhi pieni di rabbia.
-In quanti siete?- Era la stessa domanda che gli porgeva da diverse ore; prima o poi avrebbe ceduto. La bara d'acqua era collegata a diverse macchine e monitor, e il valore dell'ossigeno nell'acqua era pericolosamente basso.
Si chinò sul ragazzo, i loro visi erano a pochi centimetri l'uno dall'altro. -In quanti siete?- ripetè.
L'altro mostrò i denti: le sirene avevano una strana dentatura; davanti c'era una fila di denti umani, mentre la seconda fila era una chiostra di piccoli denti affilati, da squalo. Faceva davvero paura.
Spense il sigaro sul vetro, lasciando un'alone di cenere sulla superfice lucida. -Come vuoi, ma non potrò garantire nulla sulla tua incolumità-.
Detto questo lasciò la stanza. Il livello dell'ossigeno scese a zero.
 
 
 
Alfred si era sempre considerato un eroe; quando poteva ancora trasformarsi andava sempre a sfogliare i fumetti nelle sue librerie preferite: una volta aveva provato a portarne uno con se, ma si era sciolto subito non appena era entrato in acqua. Sognava di poter salvare la sua gente da quei giganteschi mostri armati che si vedevano nelle vignette. Quando lo avevano imprigionato si aspettava di trovarsi davanti ad un alieno venuto dallo spazio pronto per invadere la terra.
E invece si era ritrovato un sopracciglione biondo con la mania per il the: lo fissava al di là del vetro, bevendo a piccoli sorsi dall'immancabile tazza con su scritto earl grey su un lato. Gli stava davvero dando sui nervi.
-Hey, ma è davvero così buona quella roba? A me sembra semplice acqua-.
Lui era indignato -Non-è-semplice-acqua- ringhiò.
-E' una cosa magica? Prima parlavi con un unicorno invisibile, sicuro di stare bene?
-Che cosa vorresti dire con quest'insulto?:  ti ho visto, sai, mentre dicevi quelle frasi sconclusionate nel sonno, credi davvero che esista un cretino in calzamaglia che vola con le mutande sopra i pantaloni?-.
Adesso Alfred era davvero arrabbiato; non solo lo aveva spiato nel sonno, ma aveva anche insultato Superman. -Come lo hai chiamato?-. Diede un pugno alla parete di vetro -Perchè non entri qui dentro, così risolviamo la faccenda da uomo a uomo?-. Cercò di fare l'aria più minacciosa che aveva, ma il suo atteggiamento fece ridere a crepapelle il ragazzo. -Oh dear, tu non sei un uomo, se lo fossi non saresti qui-.
-Ti sbagli; io sono l'eroe!-
-Come no- rise di cuore e finì il suo the con un ultimo sorso -Quale eroe permetterebbe degli omicidi così efferati? Non penso che vi siate fatti scrupoli ad uccidere gli umani.
Alfred strinse i pugni: era vero, ma lo aveva fatto per necessità, senza sarebbe morto -E' vero, ma a noi serve l'energia vitale degli umani per sopravvivere: voi che scusa avete per sterminare la nostra specie?-
L'inglese parve un attimo in difficoltà; poi si ricompose -E' una questione di sopravvivenza, ragazzino: vince la specie più evoluta- fece unna pausa, in cui un'ombra di rabbia scese sul suo viso. -E voi avete perso; conoscendo Esteban verrete tutti vivisezionati; ti piace l'idea?.
Si accasciò sul fondo della vasca e pianse tutte le sue lacrime: anche se non lo guardava poteva benissimo percepire lo sguardo dell'uomo su di se. Non si era mai sentito così tanto la sua impotenza; la striscia di plastica col numero ventitrè applicata al suo braccio era la prova che la sua vita non gli apparteneva più. Però c'era qualcosa che poteva comunque fare. Se non poteva salvare se stesso poteva almeno alleviare le sofferenze delle persone che amava. Si girò verso lo scienziato. -Senti, so perfettamente che per te la nostra vita vale meno di zero; ma se è vero che volete semplicemente fare giustizia allora c'è una cosa che dovete sapere: le sirene che non si sono mai nutrite della vita di un essere umano mutano forma una volta uscite dall'acqua. Se gli farete del male torturerete degli innocenti-
-Cosa vorresti dire? In che senso mutano?- l'inglese era visibilmente interessato.
-Lo scoprirete quando lo farete: portate ogni sirena fuori dall'acqua e aspettate; capirete subito chi è colpevole e chi no-.
-E come posso essere sicuro di ciò che dici- Il suo aguzzino era scettico.
-Per me non farà differenza, io mi sono già nutrito, ma molti di quelli che avete catturato no, una sirena può uccidere solo se è dentro l'acqua; non potranno farvi niente una volta fuori. Anche se non credi alle mie parole potete sempre provarci-.
Suo fratello sarebbe stato salvo.
 
 
Arthur non si era mai pentito di come aveva trattato le sirene: all'inizio era stato difficile per lui ricordarsi ogni volta che quelle non erano persone, ma col tempo aveva imparato a trattarli alla stregua degli animali. Non poteva perdonarli; non dopo quello che avevano fatto al suo fratellino. Peter Kirkland era venuto con lui all'inizio dell'estate; poche settimane dopo il suo corpo senza vita era stato ritrovato tra gli scogli. Era giusto che pagassero. 
Ma per quanto disprezzasse quelle creature non poteva sopportare l'idea di uccidere degli innocenti.
-Ti ringrazio per l'informazione, numero ventitrè-. 
-Mi chiamo Alfred-.
-Davvero?- non aveva mai pensato che avessero dei nomi, e nemmeno gli interessava saperlo.
Forse perchè se lo avesse saputo si sarebbe dimenticato che non erano umani.
 
 
-Ma che volete fare!? Lasciatemi subito, bastardi!- Lovino venne accerchiato da una messa dozzina di sub che tenevano chi una rete chi delle corde: al dì là del vetro il ragazzo che si chiamava Antonio guardava l'intera scena senza poter intervenire in alcun modo. 
Qualcuno lo immobilizzò da dietro. Lo avvolsero nella rete e lo tirarono su con le corde, lasciandolo appeso a pochi centimetri dall'acqua. Poi, lentamente lo adagiarono ansimante sul pavimento. Uno tagliò le corde, permettendogli di respirare con più facilità.
Non capiva quello che stava succedendo, quando cominciò; una fortissima fitta lo attravarsò da capo a piedi. Emise un gemito, poi urlò, sentendo che il dolore aumentava sempre di più, fino a raggiungere livelli impossibili. Il suo corpo si paralizzò completamente diventando insensibile, guardò con occhi sbarrati il soffitto.
La faccia di Antonio riempì completamente la sua visuale: si sentì stringere la mano e si accorse di essere avvolto da qualcosa di caldo: era quella la morte? Se non fosse stato per lo strano formicolio nella coda sarebbe stato felice di andarsene così.
Ma non stava morendo. Piano piano recuperò il controllo del suo corpo,sbattè le palpebre piu volte.
-Ecco, così, bravissimo; avevo pensato che fossi morto-  Antonio gli diede una pacca su una spalla. 
-Come ti senti? ti fa ancora male?-
Lovino non aveva ancora smesso di tremare -Cosa?...-
E poi vide le gambe che gli spuntavano al posto della coda -No- mormorò.
E poi montò la rabbia -CHE COSA MI AVETE FATTO BASTARDI!?- -Non voglio essere come voi, perchè lo avete fatto?!-. Si rese conto di essere appoggiato contro Antonio: era lui che lo aveva sorretto durante la mutazione. 
-Perchè?- sentì le lacrime bagnargli il viso, ma non c'era acqua intorno a lui che potesse cancellarle, chiuse gli occhi: non voleva guardare cosa era diventato. Lo spagnolo lo circondò con le braccia in un aspecie di abbraccio. -Va tutto bene Lovinito: non siamo stati noi; vuol dire che non hai mai fatto del male a nessuno.
-Siete voi che state facendo del male a me, bastardi-. Fortunatamente per lui nessuno a parte il ragazzo lo sentì. La sua voce si era affievolita per la stanchezza.
Nella sala entrò un uomo che stringeva tra i denti un sigaro, sorrise quando lo vide -Eccone un altro! Chi è?- domandò ad uno degli assistenti.
-E' il numero undici, signor Castro.
L'uomo gli sorrise, faceva paura; lo metteva in soggezione. Poteva sentire la puzza di fumo che emanava; distolse lo sguardo, aggrappandosi ad Antonio e cercando di nascondere il viso. Lo aveva già visto la prima volta che era arrivato lì. Era quello che aveva ordinato la loro morte.
-Carriedo, tu rimani qui; tutti gli altri possono andare. Mettigli qualcosa addosso: ha tre ore per ambientarsi, preparalo per il tubo. Non voglio altri attacchi di isteria, o dovremo insegnargli a stare al suo posto. Chiaro?
Lo spagnolo chinò la testa -Chiarissimo, signore-.
Esteban se ne andò insieme agli altri, erano rimasti solo loro due.
Il ragazzo lo fece distendere sul pavimento, usando la sua giacca come cuscino -Vado a prenderti dei vestiti. Aspettami qui.
Tornò con un completo da ospedale bianco e lo aiutò ad indossarlo: era composto da dei pantaloni e una maglietta di tessuto leggero sterilizzato, poi parve ricordarsi di una cosa improvvisa. -Ah, ho un regalo per te- Gli porse una palla rossa e lucida -E' un pomodoro, li coltivano qui vicino. Se ti piacerà te ne porterò altri-.
Lo prese titubante e lo annusò; aveva un buon odore, lo stesso che aveva Antonio; lo addentò. Sentì il sapore invadergli la bocca. Lo finì in pochi morsi -E' buonissimo.
-Sapevo che ti sarebbe piaciuto- gli sorrise e gli porse un cestino che fino a quel momento aveva nascosto abilmente dietro la schiena -Per questo te ne ho portati altri.
Si ingozzò fino a che non ne rimase che una manciata, ne porse uno ad Antonio -Non mangi?-
-No, grazie- lo osservò mentre finiva di mangiare. Lovino prese in mano l'ultimo pomodoro e glielo porse -Sicuro?.
L'altro sorrise -Se proprio insisti-. Lo prese lo mangiò a piccoli morsi.  -Sono felice che ti piaccia; te li porterò ogni giorno.
Lovino rimase un attimo in silenzio -Ma perchè?-
-Cosa?-
-Perchè mi aiuti? Mi tratti diversamente da come mi trattano tutti gli altri. Perchè?-.
Antonio sorrise e gli scompigliò i capelli ancora bagnati -Non sono l'unico a pensare che Esteban sia un pazzo, e non riesco a vedervi come nemici, sinceramente credo che siate più umani di quanto sembri a un primo momento; ve ne abbiamo fatte passare tante, e non voglio che stiate ancora più male.
-Capisco...- Non sapeva se sentirsi lusingato o offeso dal fatto che lui lo avesse definito umano, ma sorrise lo stesso. Lo spagnolo gli stava sempre più simpatico.
 
 
Gilbert non si era ancora abituato alla presenza di Feliciano in casa; la cosa un po' lo infastidiva, perchè con il ragazzo in casa le attenzioni di Elizaveta  erano tutte per lui: era piuttosto geloso.
-Possibile che il magnifico me sia superato da un ragazzino con la coda?- sbottò, rivolto al fratello. 
Quello gli diede una pacca sulle spalle -E' solo contenta di aver trovato qualcuno come lei; tutto qui.
-Si, si, come no- ringhiò mentre andava a raccogliere la posta appena ricevuta: prese il giornale del mattino.
Sbiancò; il poco colore che gli era concesso dall'albinismo se ne andò via tutto d'un fiato. -Lud!- urlò -Accendi il telegiornale-.
 
 
ANGOLO AUTRICE
scusate per il ritardo; spero di aver fatto un buon lavoro e ringrazio tutti quelli che hanno recensito =)
spero che vi sia piaciuto;
a presto
alpha_omega

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Capitolo 9
*** c09 ***


Ivan galleggiava in uno stato di semincoscenza: era morto? Era quella la morte?
Provò a muoversi, a fare qualunque cosa, ma non riusciva più a percepire il suo corpo: sapeva solo di avere gli occhi spalancati sul vuoto.
Il nulla era di un bianco latteo che non aveva nulla di confortevole: provò a riportare a galla i propri ricordi. C'era un uomo che lo guardava dall'alto in basso e che gli faceva delle domande, poi c'erano le sue sorelle che venivano travolte dall'esplosione. Se era morto allora perchè non venivano a salutarlo? Poi c'era il sibilo del sigaro che si spegneva sulla superficie di vetro, poi delle piccole macchie nere che gli erano danzate per qualche minuto davanti agli occhi e poi era caduto in quel limbo. Molto probabilmente si stava confondendo parecchio, ma sapeva che erano ricordi autentici.
Per un secondo rivide se stesso: era steso a pancia in su, il coperchio era stato rimosso, e aveva gli occhi spalancati nel vuoto. C'era una seconda figura nella stanza: era girata di schiena, e teneva un'aspecie di conchiglia di plastica in ogni mano: gli oggetti erano collegati ad una strana macchina con due fili. A cosa servivano?
Il ragazzo strofinò gli oggetti tra loro e poi li pose sul suo petto.
Una scarica di dolore gli attraversò la spina dorsale. Battè le palpebre, intontito; era di nuovo padrone del suo corpo. Il ragazzo era chino su di lui.
-Ma allora sei vivo, aru! Sapevo che ce l'avresti fatta, aru!-
La prima cosa che vide furono i suoi occhi; erano a mandorla, molto espressivi, sorridevano da soli, i capelli erano stretti in un codino e ricadevano sopra la maglietta bianca. Lo sguardo gli cadde sul tesserino che portava appuntato sopra una spalla. Quella vista risvegliò in lui una serie di ricordi terribilmente spiacevoli. La sua mano agì da sola: in un attimo la ritrovò stretta attorno al collo dell'orientale, che strabuzzò gli occhi e si portò le mani alla gola, cercando inutilmente di liberarsi dalla sua stretta. Lo tirò verso di se -Che cosa mi hai fatto?- ringhiò.
Quello indicò il proprio collo: il colorito stava diventando sempre più innaturale. Allentò leggermente la presa, in modo da fargli respirare aria sufficente per non farlo morire soffocato.
L'orientale annaspò aria -Ti....ho...salvato.....la...vita......aru!- continuava ad armeggiare sul collo, senza successo: l'ossigeno non gli bastava: infondo non avevano usato lo stesso metodo anche con lui? Quella era una semplice resa dei conti.
-Non ci credo, che cosa mi hai fatto? Voglio la verità, oppure...- strinse per un secondo la presa e poi l'allentò -Non mi ci vuole niente ad ucciderti.
-Non...ti...ho...fatto...nulla...ti...ho...trovato...così...e...ti..ho...salvato, aru!-.
D'un tratto si rese conto di averlo già visto; era quello che litigava con l'uomo che lo aveva rinchiuso nella bara d'acqua, forse diceva la verità. Allentò ancora un po' la presa: ora poteva parlare senza problemi.
-E come avresti fatto a salvarmi?- mantenne il tono minaccioso: era pur sempre un umano.
L'altro aspirò più aria che poteva: evidentemente aveva paura che stringesse ancora la presa -Defibrillatore- sussurrò.
-Come?-
-Ti si era fermato il cuore per qualche secondo: ti ho fatto la respirazione artificiale e ti ho dato una scarica con quell'affare-. Indicò l'ammasso di metallo con attaccate le conchiglie di plastica. -Ti ha rimesso in moto il cuore: il livello di ossigeno era sceso troppo per mantenerti in vita; sono intervenuto appena ti ho visto. Non so che cosa ti stia passando per la testa, ma è la verità, credimi, aru!
C'era qualcosa negli occhi dell'umano che lo spinse a credere alle sue parole, tuttavia non lo lasciò andare. -Chi è quel tizio che mi ha fatto mettere qua dentro?-
-Non so di cosa stai parlando– Ma non fece in tempo a completare la frase che le parole gli morirono in gola, soffocati dalla stretta del tritone.
-Ti ho fatto una domanda; era un tizio grosso che fumava un sigaro, mi ha fatto delle domande e poi mi ha lasciato qui dentro a morire. Voi lavorate insieme, sapete tutto. Chi era-
-Se fumava un sigaro era sicuramente Esteban- tossicchiò -ma non possiamo uccidervi, sono gli ordini del governo, forse ti sei confuso-
Il suo sguardo si indurì; si chiese se non fosse il caso di ammazzarlo subito; tuttavia riuscì a dominarsi: aveva ancora qualche domanda.
-E chi è Esteban?-
-Qua dentro è il capo; dirige l'intera operazione Sirena; comanda praticamente tutto, aru- era molto spaventato; i suoi occhi si erano fatti enormi per la paura.
Fece un respiro profondo -c'è un modo per uscire da questo posto senza farsi notare?-
L'umano tremava -Non lo so, sono informazioni riservate, conosco solo l'ingresso pricipale-
Ivan sospirò -E allora non mi sei di nessun aiuto-
Avvicinò il viso del ragazzo al proprio, la mano smise di stringere il collo per cingere la vita, lo avvolse con l'altro braccio come le spire di un serpente -Anzi, forse qualcosa potresti ancora darmelo- erano mesi che non si nutriva, se doveva morire voleva farlo combattendo nel pieno delle forze.
Lo baciò quasi con rabbia, le sue labbra erano morbide e calde. L'umano non restituì il bacio, se ne rimaneva immobile stretto nella sua morsa.
Capì subito che qualcosa non andava; non sentiva la vita del ragazzo entrare a rinvigorire il suo corpo, anzi, sentiva quasi l'istinto di proteggere la sua preda, il pensiero gli fece venire la nausea -Ma cosa...-
Si staccò da lui: era intontito, ma sano come un pesce; come aveva fatto a non morire sebbene gli avesse appena dato il bacio della morte?
L'umano sfiorò le proprie labbra -Ma perchè l'hai fatto?-
Non poteva mica dirgli la verità: si inventò una scusa -E' un ringaziamento per avermi salvato, da noi si fa così; dovevo essere sicuro che dicessi la verità, scusa per i modi- sfoderò il suo sorriso migliore -avevo paura che anche tu volessi farmi del male-. Era incredibile la quantità di bugie che riusciva a inventare al momento, ma sembrò funzionare: l'espressione dell'orientale mutò pian piano da perplessa e spaventata a solare e accondiscendente -Ah ma allora non c'è niente di cui preoccuparsi, aru! Io non ti farò niente; ti capisco, eri spaventato, e impaurito; non è colpa tua- si rabbuiò -Ma perfavore non mi ringraziare più così. Aru!
Gli aveva appena perdonato tutto e ora lo guardava con simpatia, prima o poi avrebbe dovuto scoprire come mai era immune; era un individuo davvero fuori dal comune. Forse non era stata una così grande disgrazia il fatto che fosse sopravvissuto, e chissà se avere un'alleato sarebbe stata una fortuna per lui.

 

Ludwig aveva sempre apprezzato i viaggi in macchina; quelli comodi che si facevano in compagnia della propria famiglia con i dischi delle canzoni a palla che suonavano musichette idiote: la vacanza perfetta.
Ma in quel momento avrebbe voluto essere d'appertutto tranne che nel fuoristrada del fratello.
Gilbert guidava come un matto sulla strada bagnata dalla pioggia scrosciante, dietro di loro Feliciano si aggrappava convulsamente a Elizaveta, spaventato a morte dalla macchina, non aveva mai visto niente di simile: la ragazza non faceva altro che coccolarlo e sussurrargli che andava tutto bene. Non sarebbe potuta andare più lontano dalla realtà.
Erano partiti non appena avevano ricevuto la notizia. Feliciano aveva riconosciuto un certo Kiku nelle foto, e così aveva insistito per andare anche lui; Eliza era voluta andare perchè non voleva lasciare solo Feliciano e Gilbert era voluto andare perchè sosteneva che lui non era minimamente in grado di guidare una macchina favolosa come quella.
-Come è possibile che nei due giorni in cui manco al lavoro Esteban faccia così tante stronzate?- Sbottò Gilbert; si rivolse con rabbia verso i due dietro di loro -E voi perchè diavolo siete voluti venire?!? Se vi prendono siete morti, credevo di essere stato chiaro quando ve l'ho detto!
-Gilbert, là dentro potrebbero esserci dei nostri amici; come pretendi che stiamo con le mani in mano in un momento simile?- Eliza riusciva sempre ad avere l'ultima parola. Suo fratello sospirò -E va bene; però restate in macchina finchè non ve lo diciamo noi-
-Anche su questo devo contraddirti; ti ricordo che io e te facciamo lo stesso lavoro-.
Da quel momento in poi Gilbert se ne stette zitto tenendo gli occhi fissi sulla strada: un tic nervoso gli attraversava un occhio che apriva e chiudeva ad intermittenza; gli dava un che di comico, nonostante la situazione fosse tutt'altro che allegra. Ludwig evitò di parlare: capiva perfettamente la preoccupazione del fratello per la sua ragazza.
-E una volta dentro che facciamo? Non li libereranno mai: non possiamo entrare e farli uscire dalla porta principale come se niente fosse; il magnifico me non ce la farà mai- era passato da un momento di frustrazione a uno di impotenza. Gli mise una mano su una spalla -Intanto entriamo e vediamo cosa si può fare; forse troveremo anche una soluzione per il problema di Eliza-.
-Da quando in qua sei così ottimista? Conoscendo Esteban basterà un solo passo falso per essere arrestati e mandare loro due sotto un vetrino.
Sospirò; suo fratello aveva ragione, conosceva il capo da molto più tempo di lui, che ci aveva a mala pena parlato -Capisco, e nell'ipotesi migliore?-
-Era quella la migliore-
Dietro di lui Feliciano sobbalzò.

 


-Hai vinto ancora, bastardo!-
Antonio si maledisse: dopo la simpatia iniziale Lovino si era un po' inacidito nei suoi confronti, l'idea di portare degli scacchi era stata troncata sul nascere, partita dopo partita l'umore del tritone peggiorava sempre di più. Un po' perchè essendo stato costretto a ritornare nella vasca doveva dire a voce dove voleva mettere le pedine senza poterle toccare, ed anche per il fatto che essendo in acqua i pomodori avevano un sapore meno buono che sulla terraferma, anche se continuava a mangiarne in quantità industriali.
In quei giorni aveva imparato a conoscerlo meglio: le volte in cui non era di cattivo umore (che erano veramente poche) avevano parlato parecchio: le prime volte erano informazioni innocenti sui loro usi e costumi, che lui annotava su un taccuino. Poi quando erano arrivati a parlare delle loro vite aveva messo via carta e penna e non se ne andava finchè non si era addormentato. Parlava sempre di suo fratello e di ciò che facevano insieme: gli aveva detto che erano praticamente gemelli. Ma si rattristava sempre quando parlava del giorno in cui lo aveva perso, piangeva spesso, e lui era felice di poterlo consolare avvicinandosi al vetro e appoggiandoci una mano sussurrando parole di conforto finchè lui non si calmava e si rannicchiava sul vetro, a pochi millimetri da lui: era orribile non poterlo toccare o sentirne il calore; non sapeva il perchè, ma voleva stare con lui ogni secondo di più. Si era inventato la storia degli scacchi dicendo ad Esteban che voleva vedere i tempi di ragionamento di una di quelle creature, il permesso era stato quasi immediato, e ora poteva stare più tempo con Lovino, anche solo per poterne studiare le reazioni e ascoltarne le imprecazioni, molte volte rivolte contro di lui. Ma ormai aveva capito da tempo che quella di Lovino era solo una facciata. Quello vero si affacciava di rado, ma era bellissimo vedere come era veramente. Il pensiero gli strappò un sorriso.
-Che cazzo hai da ridere, bastardo!-
-Niente, niente- disse trattenento a stento le risate; come era buffo quando si arrabbiava: le guance gli diventavano tutte rosse, sembrava un pomodorino!
-E allora smettila di ridere! Mi da fastidio, bastardo!-.
Smise subito di ridere, ma continuò a sorridere -Che ci posso fare se mi piace stare con il mio tomatino?-
-Mi stai paragonando ad un ortaggio?!?- quando non aggiungeva l'insulto alla fine della conversazione significava che era davvero in imbarazzo.
Quanto gli piaceva stuzzicarlo; si avvicinò al vetro e diede un bacio sulla superficie lucida -Oh,si,l'ortaggio più carino di tutti-.
Le guancegli avvamparono -Antonio?-
-Si-
-VAMMI A PRENDERE ALTRI POMODORI, BASTARDO!-

 

Vash aprì pigramente gli occhi; intravide Feliks e il leader Roderich ancora profondamente addormentati; scosse con forza la testa. I capelli erano leggermente più lunghi di come se li ricordava. Improvvisamente gli balenò in testa un pensiero: ma quanto aveva dormito?.
Il fondale sul quale aveva dormito era duro e scomodo, aveva ancora i segni dei sassi impressi sulla pelle, alcuni aderivano così tanto alla pelle che dovette staccarseli con un certo dolore. Si guardò intorno; riconobbe diversi appartenenti al clan tra Natalia, Toris, Sadiq ed Heracles.
Si trovavano in una camera sorromarina creata dalle rocce cadute dopo l'esplosione; si erano miracolosamente accatastate attorno a loro permettendogli di sopravvivere.
Nella luce fioca che filtrava dalle acque intravide qualcosa spuntare tra le rocce: si avvicinò incuriosito e quello che vide gli fermò il cuore: era un braccio, un braccio umano che apparteneva a qualcuno palesemente senza vita.
Più si avvicinava più sentiva il dubbio premere contro la propria memoria. Cosa aveva dimenticato? Era sicuro che fosse qualcosa terribilmente importante: cosa? O per meglio dire chi?
Spostò le rocce per liberare il corpo e ne scoprì il volto.
I ricordi lo investirono completamente; un attimo prima stava sorreggendo il corpo della sorellina e un attimo dopo era a terra in preda ai conati: ricordava ogni singolo particolare dell'esplosione, ogni singolo frammento di roccia che era passato davanti ai suoi occhi.
Si avvicinò tremante al corpo e lo liberò completamente dalle rocce, togliendo con delicatezza tutti i detriti dal suo corpo, come se fosse ancora viva.
Scavò una fossa con le mani lavorandoci per chissà quanto tempo: i periodi di luce e buio che filtravano dalle rocce si alternarono senza che lui li contasse: qualcuno dei suoi compagni di sventura si era svegliato e si era offerto di aiutarlo, ma lui voleva fare tutto da solo. Tra tagli e lacrime riuscì a scavare per due metri buoni prima di raggiungere la nuda roccia.
Quando si decise a dire addio a Lili si erano ripresi tutti per poter assistere al funerale: furono dette poche parole, nessuno era in vena didiscorsi. Poco prima di seppellirla aveva sentito alcuni membri del clan parlare tra loro: dicevano che era stato fortunato, perchè aveva avuto la possibilità di poter dire addio per sempre a sua sorella, mentre per i loro parenti non ci sarebbe stata nessuna sepoltura. In quel momento gli dava ragione,  mentre prima non aveva fatto altro che crogiolarsi nella disperazione. Aveva la possibilità di dire addio alla sua Lili. Le chiuse gli occhi e le diede un breve, affettuoso bacio sulla fronte. -Addio sorellina- sussurrò; le sfilò il nastro dai capelli e se lo legò al polso. Non la avrebbe mai dimenticata.
La ricopri di terra e depose dei sassi colorati sopra la tomba.
Da qualche parte, sopra di lui nacque una stella.

Roderich gli mise una mano su una spalla -Vi giuro che vendicheremo la morte dei nostri compagni- disse rivolto a tutti -Libereremo quelli sotto il giogo degli umani e distruggeremo chiunque abbia architettato tutto questo.
Alzò gli occhi al cielo -Umani- sussurrò -preparatevi a morire-.

ANGOLO AUTRICE
scusate il ritardo: ecco qui il nuovo capitolo! Spero vi piaccia =)
ringrazio tutti quelli che hanno recensito e i lettori silenziosi.
A presto
alpha_omega.

 

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