R(evol)ution. -Amore per la rivoluzione.

di Friedrike
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Inizio settembre, si ricomincia. ***
Capitolo 2: *** Perché non posso dimenticare? ***
Capitolo 3: *** Primo giorno di scuola, (in)solita vita. ***
Capitolo 4: *** Brutto inizio di giornata. ***
Capitolo 5: *** Tagli, Partigiani, Fascisti. ***
Capitolo 6: *** Sarò ancora me stesso. ***
Capitolo 7: *** E se ci facessimo sentire? ***
Capitolo 8: *** La strada del domani. ***
Capitolo 9: *** Preparazione in corso. ***
Capitolo 10: *** Scritte sui muri, urla per strada. ***
Capitolo 11: *** I compagni non si abbandonano. ***
Capitolo 12: *** L'arte su mio corpo. ***
Capitolo 13: *** Problema fascista. ***
Capitolo 14: *** Voglia di ricominciare. ***
Capitolo 15: *** Casa dolce casa? ***
Capitolo 16: *** L'amore ha diverse forme. ***
Capitolo 17: *** Profilo FB! ***
Capitolo 18: *** Ahi ahi, fratello mio! ***
Capitolo 19: *** Ma che bella giornata. ***
Capitolo 20: *** Napoli, amore mio. ***
Capitolo 21: *** Lontani, ma vicini. ***
Capitolo 22: *** Io non mi capisco. ***
Capitolo 23: *** La perfezione non è in me. ***
Capitolo 24: *** Un rivoluzionario può innamorarsi? ***
Capitolo 25: *** E' una malattia o no? ***
Capitolo 26: *** Nessuna malattia, nessun timore. ***
Capitolo 27: *** Questo sono io. ***
Capitolo 28: *** Solo un po' di normalità. ***



Capitolo 1
*** Inizio settembre, si ricomincia. ***


"Vespe truccate,  anni '60,
sfilano in centro, sfiorando i 90. 
Rosse di fuoco, comincia la danza.
Frecce ingranate dalla prima alla quarta.."
 
A queste parole canticchiate sottovoce da Felì, si contrappongono quelle cantate dal fratello a voce più alta: il testo di 'Bella Ciao!'. 
 
"Una mattina, mi son svegliato,
oh bella ciao, oh bella ciao, 
oh bella ciao, ciao -ciao!
Una mattina, mi sono svegliato 
e ho trovato l'invasor."
 
Picchietta le dita sul ginocchio, guardando distratto la televisione in cerca di qualcosa da fare. Il fratellino è seduto al tavolo della cucina e sta disegnando, tutto contento, tra pochi giorni infatti avrebbe iniziato un nuovo anno scolastico e lui ne è stra-felice. E' il suo secondo anno del liceo artistico, non vede l'ora di rivedere i suoi compagni. 
Forse per un quindicenne tutta questa voglia di iniziare di nuovo a svegliarsi presto la mattina e studiare tutto il pomeriggio non è normale, ma lui è fatto così, ama apprendere cose nuove e stare con i suoi compagni, soprattutto con le compagne. Solo perché i maschi sono tutti un po' stronzi, violenti e volgari. Le ragazze invece sono decisamente più tenere. 
Romano invece non ha per niente voglia, di riprendere a frequentare il quarto anno. Lo ha già fatto una volta, è stato bocciato, e non intende ripeterlo, specialmente perché la bocciatura non pensa ancora di meritarla. 
"Ai professori non piace chi ha il coraggio di parlare" ha sempre detto, come fosse una giustificazione. 
Ha già diciannove anni, vorrebbe questo fosse l'ultimo suo anno all'interno dell'istituto classico e invece ne mancano ancora due. Ma quest'anno si è ripromesso di farsi i fatti suoi, qualsiasi cosa fosse successa, davvero qualsiasi. Non s'intrometterà, non si eleggerà come rappresentante di classe né come quello d'istituto.
... Non ci crede nemmeno lui.
E' che non gli piace rimanere a guardare, mentre l'Italia va a puttane, mentre l'istruzione pubblica va a quel paese, mentre la Repubblica diviene una dittatura; e, magari, si eleggerà rappresentante d'istituto. Deve ancora pensarci su, ma ha ancora un mese di tempo, le elezioni sono intorno il mese di ottobre, all'incirca. 
Ah, ecco, il programma che aspettava! La Grande Storia. Ama quella trasmissione. E ama la storia. Non lo direbbe nessuno.
Sembra proprio uno di quei ragazzi che s'impegna poco, svogliato, annoiato. Ma tutti sanno che è molto intelligente. Oh, sì! 
Peccato solo che la sua malattia lo mette sempre un po' a tacere. Alle volte, il Ballo di San Vito si fa ancora sentire e lui.. e lui se ne vergogna, prende qualche scusa, evita di andare a scuola. Nasconde la cosa, ecco. 
Si volta appena e osserva il fratellino. Com'è tranquillo, adesso. E pensare che anni fa.. stava così male.. accenna un piccolo sorriso, poi si volta per non mostrarglielo.
-Hei, Romano! Guarda! Ti piace?- chiede gentilmente Feliciano, mostrandogli il disegno appena fatto. E' davvero meraviglioso. Per questa sua dote, Roma lo invidia moltissimo. Annuisce appena mettendo la testa all'indietro, appoggiata sul cuscino del divano, per guardarlo, essendo il suddetto divano tra la televisione ed il tavolo (che comunque è un po' distanze.)
-Sì, è bello.- 
-Veh! Davvero ti piace? Sono così felice!- ridacchia e lo ultima, mettendo le ombre in alcuni punti strategici. Diventa entusiasta per davvero molto poco, lui.
Finita quell'opera d'arte, sbadiglia e ripone i colori del porta colori, che mette sopra il blocco da disegno. Gli si avvicina e si siede accanto a lui.  -Romà?- inclina la testa di lato. 
Il fratello ha gli occhi fissi sullo schermo, il piede coperto dalla calza grigia appoggiato al piccolo tavolinetto in legno davanti il divano. -Mh?-
Fé gli bacia la guancia e scende dal divano sbadigliando e stiracchiandosi. -Vedi di non fare tardi fratellone- si stropiccia gli occhi, pronto per andare a dormire.
-Sì, sì, va bene. Vai a dormire. E vedi di farlo davvero, stanotte, intesi?- sposta quei begl'occhi verdi sui suoi nocciola, infinitamente dolci. 
Sa che il fratellino ha ancora gli incubi, causati da ciò che ha passato nella sua infanzia, come Felì sa che di notte se ne fa uno davvero brutto può andare da lui. Lo ha fatto altre volte. Romano rompe un po' e sbuffa, ma lo accetta sempre nel suo letto e lo accarezza finché non riprende sonno tranquillamente. Naturalmente, negando il tutto il mattino dopo. Lui, coccolare qualcuno? Pff! 
Il gatto fa un salto e si accoccola sulle sue ginocchia. Lui lo accarezza distratto e guarda la televisione attratto da quel discorso sul fascismo.

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Note.
vi ringrazio per aver letto! 
Poco a poco scriverò tutto e spiegherò ogni cosa, intanto spero di non aver fatto errori. Grazie ancora (: 

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Capitolo 2
*** Perché non posso dimenticare? ***


Neanche quella notte Felì è riuscito a dormire.
Si è intrufolato nel letto del fratello e si è stretto a lui talmente forte da svegliarlo.
-Hei.. cosa c'è?- chiede Romano aprendo gli occhi assonnato. 
Lui scuote la testa, non volendo parlarne, affondando il viso nel suo petto, forte e rassicurante. Chiude gli occhi, ricordando tutto, mentre il maggiore lo accarezza sospirando.
 
 
Fuori sta piovendo a dirotto, dalla cucina si sente la televisione ad un volume decisamente troppo alto. 
Feliciano è seduto sul suo letto caldo, con la luce spenta. Sta abbracciando le proprie ginocchia, che ha portato al petto, e su di esse ha appoggiato il suo viso. 
Non sta piangendo; probabilmente non ha più lacrime da versare. 
Sente i genitori conversare animatamente e ridere ascoltando la trasmissione televisiva. E' da un po' che non sente Romano, invece. 
Chiude gli occhi, ben stretti, ma si sente costretto a riaprirli. D'un tratto, un tuono lo spaventa, così si accoccola sul letto, controlla spalliera, non accorgendosi di tremare. 
Si ferma solo quando sente bussare alla  porta. 
-A-avanti..- sussurra. 
Il fratello maggiore entra nella stanza. Lui ha dodici anni, mentre il Felì ne ha soltanto otto. 
Si avvicina al suo letto richiudendo la porta alle spalle, guardandosi poi intorno.
-Se n'è andata la luce- esordisce osservandolo. 
L'altro annuisce debolmente, fissandolo quasi impaurito.
-Che c'hai, Felicià?- gli si avvicina e si siede sul bordo del letto, guardandolo un po' confuso.
-N-niente- risponde il piccolo abbassando lo sguardo con gli occhi di nuovo pieni di lacrime.
Forse, dopotutto, può ancora piangere.
-Seh, va beh. Sei strano da un po'. Prima non ho detto niente alla mamma perché tu non vuoi dirmi che c'hai, però se continui così le vado a parlare.-
-No! Non chiamarla!- si affretta ad aggiungere, mettendosi seduto sul cuscino, provando un po' di dolore in tutto il corpo.
Romano spalanca gli occhi. Ma cos'ha? Perché si comporta così? Non ha mai alzato la voce, è un bravo bambino, lui. Mica come il maggiore che fa disperare sempre i genitori.
-Feliciano, che succede?- chiede ancora, serio, puntando gli occhi verdi sui suoi nocciola.
-I-io.. niente, scusa- chiude gli occhi ed appoggia la fronte sulle ginocchia, prendendosi il polso destro con la mano sinsitra, portando quella presa vicino le caviglie.
-Non è vero, stai male. Dimmi che hai!- si arrabbia quasi, ma è preoccupato, tanto tanto.
Gli si avvicina mettendosi a quattro zampe sul letto e gli fa alzare lo sguardo, gonfiando quasi le guance. 
-L-lasciami! Lasciami! Non mi toccare!- ribatte il minore, quasi isterico, singhiozzando.
-Fratellino...- lo guarda stupito, allontando le mani dal suo viso. Si mette seduto sul letto e lo scruta.
-Hai litigato con qualcuno?-
No, Feliciano scuote la testa.
-Hai preso un brutto voto?- 
Nemmeno questo.
-Ti ha sgridato qualcuno?-
No, acqua.
-Ti ha fatto male qualcuno?-
Centro. 
Il bambino annuisce debolmente e gli si avvicina, abbracciandolo forte e piangendo sulla sua spalla, spasmodicamente il suo corpo è scosso dai singhiozzi. Quello più grande lo stringe, non sapendo proprio che fare. Poi lancia uno sguardo sul punto in cui era seduto il fratellino: c'è sangue lì.
Lui non sa bene cosa significhi, è ancora un po' piccolo, forse troppo ingenuo, e non sa bene come vadano queste cose. 
Però ha sentito parlare l'insegnante di una classe di ragazzini più grandi con altre due donne, poi ha chiesto al papà e lui gli ha spiegato bene. Ma ha anche detto di non dire niente al più piccolo della famiglia, perché si sarebbe impressionato troppo, lui è molto più sensibile.
E pensare che queste cose, le ha subite. 
D'un tratto ricorda. Lo allontana un po', appoggiando le mani sulle sue spalle.
-Un uomo grande si è spogliato e ti ha costretto a fare delle cose brutte?!- chiede con innocenza e si porta una mano sulla bocca quando l'altro annuisce.
-Dio! Devi dirlo alla mamma e al papà!-
-No, no, Romano, non posso! Mi ha fatto promettere di non dirlo!- si asciuga le lacrime con la manina sporca di colore, quel giorno a scuola la maestra di arte li ha fatti disegnare e colorare, infatti. Lui è bravissimo in questo, mentre l'altro non riesce molto bene nemmeno a scrivere, è da poco guarito dalla Remautica Coreana (o Ballo di San Vito), quindi ha ancora un po' di problemi in questo.
-D-dobbiamo dirlo a qualcuno.. lo diciamo alla maestra? O al maestro Maurizio!- 
Feliciano vorrebbe dirgli che è stato proprio lui a fargli del male, ma la voce gli muore in gola e d'un tratto non riesce a respirare molto bene. Dev'essere il nervosismo, lo stresso, l'ansia. 
-Felì.. ? Felì? Mamma! Mamma, vieni subito! Mamma!- la chiama a gran voce, cercando di aiutare il fratellino. 
 
 
E' da poco passata l'ora di cena. 
Il minore dei due fratellini, dopo quella crisi, si è subito addormentato. 
Romano ha appena raccontato quanto gli è stato rivelato, si trovano tutti al tavolo della cucina, lui ha le mani sulla sua superficie ed i piedini che penzolano dalla sedia. 
La madre singhiozza da dieci minuti circa, non riesce a smettere di piange e di dire: 'il mio bambino! Figlio di puttana! Il mio bambino!"  mentre il padre cerca di consolarla e di capire, a mente lucida dopo lo shock iniziale, il da farsi. Le dice anche di essere forte, ma è difficile.
Certo, devono denunciare quel porco schif-- pedofilo.
Il bambino sveglio ha molta fame, ma non gli sembra il caso di lamentarsi adesso, data la situazione.
-Fè!- esclama guardandolo entrare nella stanza. 
E' molto pallido, gli gira la testa.
La donna si asciuga le lacrime e sussurra: -Amore mio..- con un piccolo sorriso forzato.
Gli va vicino e lo prende in braccio stringendolo a sé. -Sei al sicuro, adesso, nessuno ti farà mai più del male. Nessuno, te lo giuro, bambino mio..- gli dice a bassa voce e gli da qualche bacino sulla guancia. Il padre gli si avvicina e lo accarezza, lui sembra dapprima non capire.
-Me lo avevi promesso, fratellone.. che non gliel'avresti mai detto..- sussurra guardando il vuoto.
-I-io..- farfuglia l'altro. Accidenti, non solo rinuncia alla sua cena per lui e per farlo stare bene, pure si lamenta! Certo Romano non può capire come stia veramente il fratello, ma col tempo lo capirà. 
La donna intanto è scoppiata di nuovo il lacrime, che cerca di fermare portando una mano sul viso, dopo scappa in bagno, affidando il figlio al marito.
-Tesoro, adesso facciamo una cosa che fanno solo i bimbi grandi e bravi, d'accordo?- gli dice con gli occhi lucidi. 
Il bimbo con l'ingenuità che solo lui può avere in quanto piccolo, si porta un dito sulle labbra. -Che cosa, papà?- domanda. 
-Adesso tu rimani con tuo fratello, perché noi, io e la mamma, dobbiamo andare in un posto, ok? Vi preparo la cena, poi filate a nanna.-
Lo mette giù, lanciando un'occhiata al figlio maggiore: lui ha già capito. Prende per la mano il fratellino e lo porta in camera propria, facendolo eccezionalmente giocare con i propri giochi. Feliciano non può fare altro che sorridere e per un momento dimenticare quel brutto periodo.
Intanto l'uomo prepara una buona cena ai piccoli: patatine fritte, wurst scaldati nel forno con Ketchup e Maionese. Apparecchia loro la tavola che come ad ogni pasto è tutta colorata, per bicchieri, piatti, portatovaglioli e tovaglia, ognuno di un colore diverso, ma che si abbinano bene tra loro, senza fare troppa confusione cromatica.
La madre intanto cambia le lenzuola nella cameretta buia del figlio, sistemandovi i peluches attorno. Di solito fa un bel lavoro, ma quella sera s'impegna molto di più. 
I genitori escono per andare al Commissariato di Polizia, i bambini rimangono a casa.
 
Quella stessa notte, i due fratelli dormono insieme. 
Romano dorme nella cameretta del più piccolo, ma entrambi nella tenda da giardino che hanno montato con l'aiuto degli adulti. Sono più tranquilli entrambi -decisamente più tranquilli- mentre giocano prima di andare a letto. Secondo loro, i genitori li credono già nel mondo dei sogni da un pezzo, ma tutti in quella casa sanno che sono svegli, eppure per una volta non vengono rimproverati.
Quando oramai è passata la mezzanotte, Felì si accoccola tra tutti quei cuscini e coperte.
-Fratellone?- gli tira la manica del pigiamino verde con dei bei pomodori rossi stampati sopra, lui si volta e lo guarda. 
-Sì?-
-Dormiamo?- domanda strofinandosi gli occhietti stanchi.
-Sì- accoccolandosi vicino a lui, gli sistema la coperta e lo guarda chiudere gli occhi e sorridere appena.
-...Romano?-
-Cosa c'è?- 'ma quando prenderà sonno?' Si chiede il bambino.
-Mi.. mi abbracci?- chiede timido il più piccolo, avvicinandosi un po' a lui, spaventato dai fulmini e dai lampi.
Romano sospira appena, però lo accontenta.
E si addormentano in breve, entrambi.

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Note.
Salve! Questo capitolo, premetto dato che me l'hanno chiesto due volte già, è lo stesso della storia: "E se fossimo in un mondo 'normale'?".
Il capitolo lì si chiama in modo diverso, ma la storia è la mia e mi sembrava giusto metterlo anche qui, perché è molto importante nella loro vita, solo, ho aggiunto le prime righe iniziali. Metterò altri momenti, naturalmente! Volevo solo chiarirlo, così che nessuno possa invetarsi per caso che l'ho rubato a qualcuno! Grazie molte!

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Capitolo 3
*** Primo giorno di scuola, (in)solita vita. ***


Pessima musica di prima mattina. Non trova nemmeno una canzone che gli piace, accidenti.
Va beh, lasciamo perdere; dentro la testa ne ha una, si è svegliato. Non gli piace particolarmente, eppure è lì che se ne ripete un pezzo:
"Ogni cosa c'ha il suo tempo, 
però si è calmato il vento;
Chi ha pazienza ne uscirà, 
vado avanti e non ci penso,
quest'inverno passerà."
Fischietta distratto spalancando l'armadio davanti a sé. In boxer, Romano sospira, le braccia incrociate al petto, appoggiato sulla scrivania. Lancia un'occhiata fuori dalla finestra. Piove, non troppo forte, ma piove. Sbuffa spostando così un ciuffo di capelli ribelle dagli occhi verdi e mette un paio di jeans chiari, una maglietta nera ed una felpa dello stesso colore, di quelle nere con la zip ed il cappuccio.
Gli viene un mezzo infarto quando qualcuno spalanca la porta esclamando: -Buongiorno!!- entusiasta. Suo fratello. Si gira e gli tira un cuscino cacciandolo via, poi borbotta tra sé: -Ma come fa ad essere così felice di prima mattina? Aaah..- si passa una mano tra i capelli e va in bagno per lavarsi viso e denti. 
Si sistema ed intanto Felì saltella quasi dalla camera in cucina, dopo aver rifatto il letto ed aver riordinato. Si siede al tavolo in legno e fa colazione con estrema calma, in perfetto orario. Quando vede passare di nuovo suo fratello, lo saluta con la mano ed un sorriso.
-Dio, tra poco vomito. C'è troppo amore in questa casa- mugugna il maggiore, già pronto per uscire di casa. Afferra due fette biscottate, ne mette una in bocca ed infila il giubbotto, prendendo poi le chiavi del motore.
-Vai in motore?- 
-No, mi porto le chiavi ed il casco per figura- commenta ironico.
Fè sospira e lo lascia perdere. Voleva solo fare conversazione, tutto qui..
-Esco, cià.-
-Romano! Fé, chiama Romano!- urla la madre, Rita, dalla propria camera da letto. 
-Fratellone, ti vuole mamma!- lo avverte.
Lui alza gli occhi al cielo e rientra in casa. -Che c'è?-
-Vi accompagno io in macchina. Felì, amore, vai a lavare i denti, due minuti e ti voglio pronto- dice entrando nella stanza. Il piccolo annuisce e fila in bagno, poi prende lo zaino ed in un qualche minuto è pronto anche lui.  Salgono tutti e tre nella auto celeste; Romano sta davanti ed armeggia con la radio, un piede appoggiato al cruscotto, a tracolla verde militare con su varie scritte fatto con un pennarello nero appoggiata vicino l'altro. Le prime tre canzoni che trova sono di Laura Pausini, Vasco Rossi, Gigi d'Alessio.
-Ma che è, stamattina..?- borbotta sbuffando. Cambia ancora stazione. -Ah, un telegiornale.- 
Bene, perché quella mattina non l'ha ancora visto. Non si è svegliato subito, la sveglia invece di ritardarla di cinque minuti l'ha ritardata di venticinque, quindi ha dovuto fare tutto più o meno di corsa. Sistema la cintura di sicurezza, mentre sente le varie notizie. Impreca mentalmente per quelle di politica interna ed estera; e per varie cose. Si zittisce ad una notizia però. Pedofilia.. 
Si volta per dare un'occhiata a suo fratello. -Tutto ok?- 
-Sì..- annuisce e guarda fuori dal finestrino, immerso nei suoi pensieri.
-Per stavolta cambio, ma ti dovrai abituare prima o poi a sentire cose del genere- lo avverte il maggiore, mettendo sull'ennesima stazione radio. 'Part of Me', Katy Perry.
-Per te è facile- sospira. La madre anche, lanciandogli un'occhiata dallo specchietto retrovisore. Si ferma al solito posto per farlo scendere, ma prima si volta e gli carezza la guancia. -Tutto bene?- gli chiede dolce. Lui annuisce più tranquillo e le bacia la guancia.
Salutato anche Romano, scende dall'auto e va dalle sue amiche che lo abbracciano forte e calorosamente. Eppure si sono visti appena la settimana prima!
Ripresa la guida, Rita abbassa il volume della radio.
-Romano, prova a fare di nuovo una cosa del genere e, ti giuro, ti do una sberla!- gesticola, mentre guida.
Il figlio spalanca gli occhi non capendo e subito ribatte: -che ho fatto?!-
-Non provare più a dire una cosa del genere a tuo fratello! Ha i suoi tempi.-
-Sono passati sette anni! Quando deve reagire?! E' giusto che inizi a farlo!- sbotta. 
Non si trova d'accordo su un paio di cose che i suoi genitori hanno fatto. 
Sì, certo, loro vogliono solo che il loro 'bambino' stia bene, ma questo non è il modo migliore, secondo il ragazzo. E' giusto che reagisca e prima lo fa e meglio è.
-Vuol dire che non è pronto! E ha reagito benissimo, guarda! Non ha altri disturbi.-
-Mamma, ma che cazzo dici? Minimo due sere a settimana viene a dormire nel mio letto perché ha paura degli incubi che fa -e lo sai benissimo, che viene da me!-
Sì, in effetti, lei lo sa, il figlio minore le dice tutto, ma proprio tutto!, perciò non può negare sia vero. Rimane in silenzio perché sa che ha ragione, ma la questione non è finita qui. 
Quando è pronto per scendere, lui non ci pensa due volte e salta giù dalla macchina, ma si appoggia al finestrino con una mano e dice alla madre: -La prossima volta che Felì viene in camera mia, lo mando da te. Così vediamo se deve reagire o no.-
E detto ciò se ne va. Ecco perché sta costantemente scazzato, nervoso: lo fanno arrabbiare, non è colpa sua. Lui se ne starebbe pure tranquillo, per i fatti suoi, ma no, sempre a dirgli qualcosa che gli da sui nervi. Ovviamente, non avrebbe mai mandato via suo fratello, lo avrebbe accettato, sempre, per sempre. Qualsiasi cosa lui faccia. 
Costatato che la madre non è nei paraggi, si avvicina al tabaccaio e compra un pacchetto di sigarette. -Quanti anni c'hai?- gli chiede un vecchio, con una folta barba bianca, somigliante un po' a Babbo Natale, forse anche perché indossa un cardigan rosso.
-Diciannove. Me le da o no, 'ste sigarette?- 
-Te le do, te le do! Roba da matti. Fumate tutti. Tutti quanti. Pure quelli di prima. Ma che ci trovate?- borbotta ancora porgendogli  un pacchetto da venti. 
-Ma mi fa la predica lei, che c'ha un tabaccaio?- alza un sopracciglio scettico. 
 
Seduti di nuovo tutti in classe, un paio di ragazzine fanno a gare per chi si deve sedere con Felì. E' così tenero e dolce, fa copiare, aiuta sempre; tutti lo vogliono come compagno di banco. E' l'ideale. Non proprio tutte.. qualcuna lo ritiene un "falso" o "coglione" o ancora "idiota". Parole che se arrivassero alle orecchie del fratello maggiore, succederebbe un finimondo. Ma comunque.
Lui ridacchia e dondola un po' le gambe mentre loro decidono. Gli dicono di scegliere ma lui si astiene. E' meglio non entrare in questi discorsi di ragazze, lo sa bene.
Si accordano dichiarando guerra per gioco per il giorno successivo e la ragazzina che arriva a sedersi vicino al moro, che si chiama Paola, lo abbraccia ed inizia a parlare senza sosta, lui ascolta, ribatte e risponde. Quando le altre ragazze possono, si avvicinano. Poi ne entrano altre, che lo salutano. Quest'ultime sono un po' false, le sue amiche più strette, che sono quattro, non vogliono che stia con loro, ma certo non possono impedirglielo. 
Il problema di Feliciano, è l'ingenuità. E' fin troppo buono e si fa mettere i piedi in testa..
La giornata passa piuttosto tranquilla, non ci sono compagni nuovi, almeno fino al momento e neppure professori. L'anno prossimo ne cambierà molti probabilmente, perché passerà al triennio, ma per adesso la situazione è tranquilla.
 
Nell'altro liceo, lontano da questo, c'è Romano, annoiato come sempre in fondo all'aula, da solo nel banco, con nessuno che conosce, se non di vista. Ma gli altri ricordano di lui, perché.. si è fatto ricordare. I professori già lo conoscono, dopotutto non ha cambiato corso né sezione né tantomeno istituto, dunque i docenti sono gli stessi.
-Non credo ci sia bisogno di presentarvi Romano.. che ha una voglia di vivere sotto i piedi, noto- suggerisce l'insegnante di latino e di letteratura. -Il primo giorno di scuola? Che succede?- 
Il ragazzo nemmeno la guarda, impegnato com'è a fissarsi i lacci delle scarpe, un piede sulla sedia che ha accanto, la nuca appoggiata al muro.  -Niente..- 
-Mi sei diventato depresso, ah? Io ti voglio rivoluzionario, Romà- appoggia le mani sulla cattedra sorridendogli. -Romano? Guardami; che hai? E' successo qualcosa?- 
-No, no, niente. Sto benissimo.-
Sta solo.. pensando a suo fratello. Forse non doveva dirgli quelle cose, anche se non lo ha fatto per male. Ha sbagliato momento e tono. Si preoccupa che lui adesso stia triste, si senta ferito, ma ne dubita, è uno che si riprende facilmen--- ehm. Più o meno. Dipende. Ed anche se Felì un po' ha pensato a quello che è successo, sta bene, con le sue amichette, quindi lui dovrebbe stare tranquillo. Per il resto della giornata, comunque, sta in silenzio con la guancia appoggiata al palmo della mano. La professoressa di inglese lo osserva un attimo. -Ché, mo' sei calmo? In tre mesi sei cambiato?- chiede scettica. Lei proprio non lo sopporta, quel ragazzo. Ed il sentimento è ricambiato. L'alunno non risponde male perché non vuole cominciare in negativo l'anno, così si limita a scrollare le spalle. 
 
Tornati a scuola ad orari diversi, si ritrovano comunque tutti e quattro insieme a tavola, per la cena, qualche ora più tardi.
-Com'è andato il primo giorno?- domanda il padre, appena rientrato.
-Benissimo! Non vedo l'ora sia domani- dice il minore dei due fratelli, con il suo solito sorriso dolcissimo. Romano, come al solito, non si esprime.
-E tu?- aggiunge l'uomo, curioso. Si avvicina ad i figli e fa una carezza ciascuno; Felì l'accetta di buon grado, l'altro la rifiuta.
-E' andata.-
La madre sospira servendo abbondanti dosi di patate al forno per ciascuno dei maschi seduto al tavolo, per sé ne serba giusto un po'. -Devi iniziare male, Romà?- 
-Ma ho detto che è andata male? Non mi sembra.-
-Romi.. non ti arrabbiare..- gli dice il fratellino, avvicinandosi.
Il maggiore gli scompiglia i capelli annuendo. Non dice altro, si siede al suo posto, con gli occhi fissi sul piatto, come fosse distratto.
Il padre, però, vuole tornare sull'argomento. Agitando il coltello che ha nella mano destra, gli parla con tono serio: -Romano, ascoltami. Guarda che se ti fai bocciare un'altra volta..-
-Sì, sì, lo so: vado a lavorare. Me lo hai detto tutta l'estate, l'ho capito; e poi non ho quest'intenzione. Quest'anno me ne sto zitto e buono- mormora il figlio versandosi dell'aranciata.
Già, l'intenzione è quella di starsene seduto al banco, non fiatare, non fare nulla che possa portare avanti la sua immagine di 'rivoluzionario'.
Già. L'intenzione è quella, ma poi?

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Note.
Scusate il ritardo! Spero vi sia piaciuto questo capitolo.. nell'altro la storia la faccio movimentare un po' di più, promesso!
Grazie di aver letto e mi scuso per gli eventuali errori. 

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Capitolo 4
*** Brutto inizio di giornata. ***


Merda.
Merda, merda, merda.
Sta diluviando! E dire che poco prima di uscire di casa, aveva controllato il cielo fuori dalla finestra e a parte qualche nuvola non c’era.
Adesso è lì fermo al semaforo rosso, vicino scuola, bagnato fradicio. Posteggia di fronte l’edificio, toglie il casco, guarda con sdegno alcune scritte fasciste sul muro della sua scuola e sale pigramente le scale ignorando del tutto i rimproveri dei bidelli che si lamentano del ritardo.
Davanti la porta della sua classe, bussa, chiedendo permesso per entrare, permesso che gli viene ben presto accordato e che viene accompagnato dalla seguente frase: -Romano! Ma sei tutto bagnato!-
Il ragazzo ripete: -Posso entrare?- in modo più nervoso, trattenendosi da esclamazioni poco pulite.
Entrato in classe abbandona lo zaino vicino il suo banco, il giubbotto sull’attaccapanni così come il casco. Si siede al suo posto ed accetta il fazzoletto che gli viene dato dalla compagna di banco ma prima di passarlo sulle braccia umide e portarlo al viso per asciugarsi,  si toglie la felpa.
-Ti viene la febbre così, idiota…- borbotta lei, Elisa, la ragazza seduta accanto al lui, guardandolo con la coda dell’occhio.
Sebbene sia il primo anno in quella classe per lui, si conoscono da anni, perché andavano nella stessa classe anche alle medie (lei ha perso un anno perché ha cambiato scuola, difatti prima era iscritta al liceo linguistico.)
-Sento caldo- ribatte acido.
La professoressa sistema il registro segnando la presenta dell’alunno appena entrato, poi chiede di prendere la Divina Commedia. Domanda inoltre un riassunto dell’Inferno.
Romano alza la mano ed inizia a spiegare: -Composto da 33 canti più quello iniziale, l’Inferno introduce Dante nell’aldilà. A circa metà della vita media di un uomo, si ritrova infatti a dove espiare i vizi più diffusi nell’età medievale: cupidigia, lussuria, avarizia. Dopo essere uscito dalla selva oscura, si ritrova nell’antinferno…- inizia a spiegare in modo chiaro e conciso.
-Quello parla come un libro stampato- sussurra una ragazza ai primi banchi, guardandolo. La sua compagna non è della stessa opinione. –Eh, intanto è stato bocciato. Sarà il solito coglione…- borbotta.
La pioggia continua a picchiettare sui vetri delle finestre, entrambi i fratelli la guardano dalle rispettive scuola.
Il più piccolo è in condizioni migliori: ha preso l’autobus e aveva l’ombrello quindi non è poi così bagnato. Le sue compagne l’hanno abbracciato e coccolato per un po’ e lui non ha perso il sorriso nemmeno per un momento. Manda un messaggio al fratellone, ma quello non risponde. Ci rimane male, perché lui cerca sempre la sua approvazione in tutto quello che fa, in ogni singola cosa cerca di renderlo partecipe.
Comunque sia, le prime ore passano tranquille per entrambi ed arriva finalmente la ricreazione.
Feliciano prende la sua merenda e rimane in classe per aiutare una sua compagna con la matematica, le prime spiegazioni dell’anno sono importanti, su di esse si basa tutto il programma.
Così, pazientemente, le dice cosa fare. Con la coda dell’occhio, nota alcune sue compagne, avvicinarsi alla ragazza disabile che c’è in classe. I suoi genitori non hanno mai specificato che tipo di ritardo abbia, ma si capisce che la cosa è piuttosto grave. Quelle tre non sono esattamente le cosiddette ‘brave ragazze’ e  sebbene lui non giudichi mai nessuno e tenda a fidarsi un po’ troppo spesso, non gli va molto che si avvicinino a lei.
-Quelle troie…- borbotta l’amica del moro lanciando loro un’occhiata, poi tornando ai suoi conti. La ragazza disabile, Laura, non risponde e s’imbroncia. –Non ci parlo con voi!- dice incrociando le braccia al petto.  Il ragazzino lascia i suoi cracker sul banco e s’avvicina a lei, tendendole la mano.
-Lau, vuoi stare un po’ con noi?- le chiede dolcemente.
Le tre ragazze si lanciano un’occhiata complice, facendo una smorfia sdegnata.
-Sì, ci sto con voi, io, sì, ci sto- dice la ragazza annuendo. Così va a sedersi vicino al ragazzo e all’amica per tutta la durata dell’intervallo. Il ragazzino le parla in modo dolce, facendole qualche complimento per farla sentire importante, lei ridacchia e se lo abbraccia forte forte.
Intanto, nell’altra scuola, nel liceo classico, Romano va a farsi un giro per quei venti minuti di pausa, con Elisa.
-Oh, c’hai sigarette?- domanda lui.  Lei scuote la testa, così il ragazzo sbuffa. –Andiamo a cercarne una.-
Lui conosce praticamente tutta la scuola, quindi non sarà un problema. Chiede ad alcuni ragazzi e riceve una risposta negativa, poi incontra Alex, un ragazzo che indossa cappuccio, vestiti larghi e che sta facendo un drummino.
-Alex! Che c’hai sigarette, per caso? Ché domani le compro io.-
-Eh sarebbe pure ora che te le compri- borbotta quello, continuando ad arrotolare bene il tabacco nella cartina.
-Allora, ce l’hai o no?-
-Lo sto facendo, Romà- dice quello con gli occhi fissi su quel lavoro. Quando ha finito, glielo porge. –C’hai accendino?-
Il diciannovenne annuisce e accende entrambi i drummini, dopo di ché fa un tiro, poi lo passa ad Elisa, che fa una smorfia. –Preferisco le sigarette normali- dice lei, scuotendo la testa e va dalle sue amiche.
Ci voleva proprio, lui sentiva già il nervosismo dell’astinenza da nicotina. Va a farsi un giro, da solo, una mano in tasca, l’altra che vicino la bocca, intanto continua a fumare.
Soprappensiero, si scontra con un ragazzo. Quello lo guarda malissimo, capelli rasati, sguardo truce.
Roma assottiglia a sua volta lo sguardo e rimanendo in silenzio tira per la sua strada.
“Che diavolo di simpatie politiche c’ha, quel minchione?” pensa infastidito tra sé. Gli è sembrato tanto un simpatizzante delle idee di destra ed è pronto a scommettere che il Duce gli manca abbastanza. Con una smorfia, butta via il mozzicone di sigaretta e torna in classe.
Per tutto il resto della giornata, non fa altro che pensare allo sguardo scuro di quel ragazzo che nella scuola dev’essere nuovo.
Tra le peggiori ipotesi, lo etichetta come ‘neofascista’.
Rimane in silenzio per tutta la giornata, tra i suoi pensieri, e non segue nemmeno una parola della spiegazione di matematica. Scarabocchia invece il banco scrivendovi a matita motti partigiani ed i loro simboli, con l’orgoglio e il rispetto che ha sempre avuto per loro, almeno da quando ha memoria.
All’uscita di scuola, con il casco in mano, la felpa dentro lo zaino ed il giubbotto indosso, lo cerca con lo sguardo. Lo trova a ghignare, così, infastidito, sale sul motore e guida verso casa.

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Note.
Salve! E grazie per aver letto :) Mi dispiace se non è proprio un bel capitolo, ma l'ho scritto CINQUE volte. Due volte mi si è spento il pc, poi l'ho perso... un disastro! E mi è passata la voglia di farlo per bene. Ma col prossimo mi rifarò e lo pubblicherà presto <3.

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Capitolo 5
*** Tagli, Partigiani, Fascisti. ***


Feliciano asciugandosi una lacrima si avvicina al suo fratellone. Lui è di spalle,  ha le cuffiette sulle orecchie ed è tutto preso dall’articolo che sta leggendo on-line. La fronte corrugata, in un’espressione corrucciata. 
-R-Romano?- lo chiama il ragazzino, con la voce rotta.
Ma l’altro non lo sente, così è costretto a richiamare la sua attenzione. Appoggia una mano sulla sua spalla; il diciannovenne si spaventa e si volta di scatto. 
-Fè! Mi hai messo paura!- lo rimprovera, poi lo osserva per bene, quando il suo cuore riprende a battere regolarmente. –Perché stai piangendo? Che succede?- domanda, scostandogli una ciocca dal viso. 
Il ragazzino rafforza la presa che ha sul proprio braccio e distoglie lo sguardo. Romano si fa serio. –E’ quello che penso?- lo guarda abbassare lo sguardo. –Felì, che cazzo hai combinato?!-
Il fratellino porta il braccio al petto, singhiozzando parole di scuse.
Il primo si alza e notandolo fare un passo indietro appoggia le mani sulle sue spalle. –Fammi vedere- mormora guardandolo negli occhi. Prende la mano sinistra e la scosta, rivelando il braccio destro. Vi sono tre taglietti, uno più profondo degli altri. –Dio, fratellino… ma perché? Perché, cazzo?!- si passa una mano sul viso e tra i capelli. Quei graffi sanguinano un po’, sarà meglio disinfettarli. Lo prende per la mano e lo trascina sul proprio letto, si preoccupa di dirgli di non muoversi ed esce dalla stanza scomparendo per qualche minuto. Riappare con cerotti e disinfettante e si siede vicino a lui. –Dammi il braccio- gli dice, atono. 
Feliciano non riesce a smettere di singhiozzare, ma quando la voce è meno incrinata, riesce a domandargli: -S-sei arrabbiato?-
-Sono deluso. E’ la prima volta che lo fai?- domanda lui con gli occhi fissi sulle piccole ferite che sta medicando. –Brucerà un po’.-
Il primo istinto del minore è quello di ritirare la mano, però non lo fa. Si limita a chiudere forte gli occhi e ad asciugare con la mano libera le lacrime che gli rigano il viso dolce. Annuisce alla sua domanda. –La prima… giuro…- 
Non ha avuto il coraggio di rimanere nel suo lettino, da solo nella stanza, a tagliarsi. Quando ha visto prime, piccole goccioline si sangue colare dal suo braccio, si è terrorizzato e non ha saputo più che fare. Suo fratello è sempre stato la risposta, perciò è andato da lui.
Ed è proprio suo fratello che adesso mette dei cerotti in quel punto ed alza l’altra manica per controllarlo. Dopodiché, sospira. Si volta un poco e lo guarda negli occhi. –Perché lo hai fatto?- 
-Non lo so… stavo male e ho sentito dire che questo… aiuti… o qualcosa del genere….- non lo guarda nemmeno per un istante, lui. Non riuscirebbe a sostenere il suo sguardo, si vergogna ed anche tanto. 
-E come potrebbe aiutarti farti male, eh? No, ora devi spiegarmelo, perché sarò stupido, ma non lo capisco!- ribatte il più grande, incrociando le braccia al petto.
-Io… non lo so! Non lo so, mi dispiace! Non lo farò più!- risponde il quindicenne con voce isterica. –Non lo so… non lo so…- ripete lentamente. Finalmente, trova posto tra le braccia del fratello e lì scoppia in un pianto liberatorio, affondando il viso sulla spalla di quello. 
 
Il mattino seguente, si recano entrambi nelle rispettive scuole. 
Felì è molto più sereno del pomeriggio prima. Dopo aver passato un po' di tempo con fratello, infatti, tempo impiegato a guardare un film seduti sul divano, con una cioccolata calda tra le mani, si è subito atddormentato.  Romie lo ha preso in braccio e lo ha portato a letto. Lui è rimasto sveglio ancora fino a tardi, rimugunando sull'accaduto. 
Che il fratellino stesse male per qualcosa in particolare? Non può essere ancora quello. Non ancora gli abusi che ha subito da bambino. Va dallo psicologo una volta alla settimana da anni ormai, non può stare ancora così male. Che può essere accaduto, allora? E' un ragazzino estremamente sensibile, forse qualche litigio con i compagni è può essere un'ipotesi plausibile. Eppure ha qualche dubbio.  Si mette sotto le coperte e, lentamente, prende sonno. 
Come già detto, la mattina successiva, sono pronti per andare a scuola, il minore di nuovo col sorriso stampato in volto, il maggiore annoiato e svogliato come sempre. 
Appena giunto in classe, il primo, si ritrova attorniato dai soliti abbracci affettuosi. Davanti al cancello d'istituto, difatti, trova le sue compagne vicine alla ragazza disabile, Laura. Subito lei se lo abbraccia forte ed tenendola per mano, il ragazzino sale le scale per arrivare in classe.  La ragazzina ingenuamente dondola un po' sui talloni e gli mostra il golfino nuovo del suo colore preferito, rosa. -Ti piaaaace?- domanda allungando ogni singola vocale. 
-Sei bellissima- risponde lui, eppure non ha il solito tono di voce, è un po' più triste. Gli dispiace aver fatto preoccupare così tanto il fratello. E lei se ne accorge subito. 
-Shei triste?- gli chiede ancora. 
Lui scuote la testa e tira in su col naso. -Rimani con Giorgia...- le dice e voltandosi esce dall'aula, svelto. Un'amica se ne accorge e così lo segue. Si chiama Sara, è brava con lui, è onesta. La migliore amica che abbia, forse. 
-Felì? Che hai?- gli domanda, appoggiando una mano sulla sua spalla. Lo stringe forte quando lo vede piangere.  -Ohi? Che succede?- chiede. 
Lui scuote la testa, non vuole parlarne. Così l'amica lo trascina nel bagno delle ragazze, tanto a prima ora non ci va mai nessuna, è sempre deserto. E' lì che lui le mostra i tagli. 
La ragazzina si porta le mani sulla bocca e spalanca gli occhi. -Felicià! Ma che hai fatto?- 
Il moro si asciuga svelto le lacrime e copre i segni. -Ho deluso mio fratello... ecco cosa- e detto ciò si lascia stringere da lei. 
-Ma no che non lo hai deluso...- sospira.
-Sì! Me lo ha detto!- ribatte piangendo.
-Ma scommetto che dopo ti è stato vicino. Oramai, con quanto mi parli di lui, ho imparato a conoscerlo- sorride, poi ridacchia.  -Lui ti vuole bene, non potrà mai non volertene. Chiaro?- 
Feliciano annuisce, si concedono qualche minuto, poi tornano in classe.
 
Nell'istituto classico, le cose, sono alquanto diverse. 
Il Vargas che lo frequenta, non piange, anzi: è  tutto l'opposto del fratellino piagnucolone. Lui è forte, ha un sacco di ragazze che gli vanno dietro, tanti amici -o conoscenti- e a scuola lo conoscono quasi tutti. 
Arrivato stranamente in anticipo, posteggia il motorino e s'intrattiene con Roberto, il ragazzo col quale l'hanno precedente era rappresentante d'istituto. 
-Ci ricandidiamo, Romà? Dai!- 
-Scherzi?  Quest'anno, lo devo passare- dice lui. Si piega per mettere la catena al veicolo, ma alza lo sguardo e si volta sentendosi palpare il sedere. 
-Siamo a novanta con la mattinata, Vargas? Che schifo- dice Elisa, con palese finta indignazione. 
-Sei una cogliona- le suggerisce lui, rimettendosi in piedi. Si passa una mano tra i capelli, gli occhi verdi vagano qua e là. Dov'è che si posano?  Sulla figura volgare e sofisticata del fascista col quale si è scontrato pochi giorni prima. -Ma guarda tu quel testa di minchia...-  borbotta prendendo lo zaino a tracolla e mettendolo su una spalla. 
Il fascista in questione, Giorgio, ha i capelli rasati e guarda tutti dall'alto in basso, come se lui fosse migliore dei restanti alunni della scuola, nulla sapendo che è uno dei più ignoranti. 
E' con un suo amico, ma di lui Romie non conosce il nome. E' più basso e grasso rispetto l'altro, ma con lo stesso taglio e la stessa aria da "fighetto del cazzo", come il moro li ha definiti già un paio di volte. Non gli piacciono i fascisti. Magari accetta i comunisti, con qualche sforzo, ma i fascisti no. Se fosse nato decenni prima, avrebbe dato di tutto per fare il partigiano. 
Quei due ragazzi, Giorgio e quell'altro, sono nuovi nell'istituto, ma non gli unici. Nel corso dei cinque anni trascorso lì, il diciannovenne ne ha incontrati altri e ha litigato con tutti loro. Se una cosa non gli piace, la dice, affronta il problema. Ecco perché torna a casa sangunante almeno una volta per mese; ma è più forte di lui: non accetta nessuna forma di discriminazione. 
Il momento di parlare con quelli, non tarderà ad arrivare. 
Già a ricreazione, li incontra di nuovo, quando scende per fumare l'unica sigaretta della giornata, come da routine, con Elisa. Stanno parlando del più e del meno, quando li sente gridare qualcosa di incomprensibile, ma distingue bene, benissimo le parole: "Il Duce! Il Duce!" e sente subito crescere una gran rabbia ed un gran nervosismo dentro di sé.
-Che hai detto, scusa?- 
-Romie, lascia perdere...- prova la ragazza a dissuaderlo, anche se sa quanto sia difficile. 
-Perché non ascolti qua, la puttana?- domanda l'altro, un certo Paolo. 
Romano butta il mozzicone che è rimasto per terra e gli si avvicina; nessuno deve insultarla. 
-Che cazzo hai detto?-
-Oh, stronzo! Ché, che vuoi? Hai problemi?- domanda spavaldo Giorgio. 
Roberto, insieme ad altri due ragazzi, prendono l'amico e lo allontanano.  Per fortuna suona la campanella e devono tornare ognuno nelle rispettive classi.
Seduti di nuovo al banco, però, lui appare ancora nervoso, tanto che l'amica, nonché compagna di classe, banco e avventure, appoggia una mano sul suo braccio e lo guarda negli occhi. -Io apprezzo che tu voglia difendermi, ma non ti devi mettere nei casini per quei due stronzi.- 
-Sono fasc...- viene interrotto. 
-Romano!- lei rotea lo sguardo ed il suo tono di voce sembra voler dire: "Smettila di voler stare in lotta col mondo intero." Ma sa bene che il ragazzo non riesce a farlo, a starsi buono, seduto al suo posto. Non accetta queste 'convenzioni sociali', se così possiamo definirle.
Tornato a casa, Romano, butta in un angolo la borsa. 
Il fratellino sembra essere rincasato da poco. 
Non si stupisce che i genitori non chiedano come siano andata e che riversino tutte le loro attenzioni sull'altro, perché lo fanno sempre. 
Da quando successe quella brutta faccenda a Felì sette anni prima, è così che vanno le cose in quella casa. Tutte le attenzioni, preoccupazioni, tutti i regali, i baci e gli abbracci, vanno riservati esclusivamente al minore. 
Ora, ad esempio, non lo hanno nemmeno salutato. 
-Buongiorno. Sì, è andata bene. No, non ho avuto insifficenze, ho mangiato, sono vivo- dice lui, facendosi un discorso da solo ad alta voce, similando la conversazione che una famiglia normale dovrebbe avere a quell'ora della giornata, l'ora immediatamente precedente al pranzo.
-Roma, stai sempre a lamentarti!- intervene la madre, Rita. -Mai che ti rivolgi garbato con noi!- dice. 
-Mai che mi salutiate- ribatte lui, passando una mano tra i capelli del più piccolo, scompigliandoli e facendolo ridacchiare.  A stento si trattiene dal correggerle quell'errore grammaticale. Il congiuntivo! 
-Non litigate, su!- 
Ed intento entra anche il padre, che posa il giubbotto sull'attaccapanni. -Buongiorno!- saluta. Da un bacio alla moglie, accarezza la guancia del figlio maggior e fa solo un cenno al maggiore. 
-E ti pareva- dice quest'ultimo. Ripreso lo zaino se ne va in camera propria, sbattendo la porta. 
-Ma che ha?- chiede l'adulto. 
-Ma che ne so...- risponde la moglie, appoggiando lo strofinaccio sul tavolo con un sospiro. -Sarà successo qualcosa a scuola.-
Come sempre, non ne hanno capito nulla. 

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Capitolo 6
*** Sarò ancora me stesso. ***


[ PICCOLO AVVISO:  sì, ho cambiato il titolo della storia. Sì, anche la descrizione. Preferisco dedicarmi esclusivamente a Romano, ma Feliciano fa parte della sua vita, perciò sarà comunque abbastanza presente. Grazie :) ]



Alla fine, Romie, si è lasciato convincere. Complici quasi tutti i suoi amici ed il suo fratellino.
Hanno continuato a dirgli di eleggersi di nuovo come rappresentante d'istituto, giorno dopo giorno, momento dopo momento, perché è portato, perché è bravo, perché dice cose giuste, perché tutti lo voterebbero ancora e, in special modo, perché ha le palle di fare realmente qualcosa. Mentre tutti gli altri ragazzi giunti a questo ruolo, si spaventano sempre un po' di tutto. Non voglio fare questo, non vogliono parlare con la Preside, non vogliono andare alle manifestazioni, non vogliono occupare, hanno paura della Digos. Romie non ha paura di nessuna di queste cose. Inoltre, è una delle poche situazioni in cui mette il cuore per davvero.
Per questo, oggi, durante la prima assemblea dell'anno, si ritrovano tutti nell'Agorà (ovvero l'atrio più grande dell'Istituto Classico che frequenta) per decidere chi eleggere.  Lui è in carica dall'anno precedente, così come il suo buon amico Roberto. Gi studenti sono molti e ci vorrà del tempo prima di farli votare tutti. Si candidano altre persone. Una certa Alice, una tipa bassina e graziosa con i capelli castani, dalla faccia annoiata e quel tale, Pierpaolo, il classico figlio di papà. 
Ognuno di loro, fa il suo bel discorso. Ad ogni punto, ad ogni fine di una frase, parte l'applauso. E' divertente, per Romano, vedere come i ragazzi si entusiasmino con poco. Anche lui parla, si presenta di nuovo per i primini, ribadendo alcuni punti di forza degli anni passati. Ma non c'è bisogno dica molto: lo conoscono tutti e ricordano ciò che ha fatto. 
Mentre parla, il suo sguardo indugia sui ragazzi lì seduti per terra, con le gambe incrociate. Incontra un paio d'occhi scuri che riconosce per l'occhiataccia che essi mandando a suo carico, ma lui non vi da peso. Sono gli occhi di Giorgio. Le sue labbra sono deformate in un ghigno.
Il diciannovenne, comunque, continua imperterrito. Finito di parlare, si mette da parte ed invita tutti ad alzarsi e votare sul foglio che c'è nel banco in cui la cerchia dei rappresentanti è seduta. Tra di loro sono seduti non solo Romano e Roberto, ma anche gli altri candidati ed i loro amici più stretti, che tra loro si conoscono tutti. 
Passa circa un'ora, prima che tutti gli alunni, circa 1200, abbiano dato il loro parere, dopodiché possono pure andarsene. Il ragazzo moro, apre finalmente le porte. 
L'assemblea, infatti, può esser di due tipi: a porte aperte o chiuse. Se l'avesse fatta a porte aperte, nessuno sarebbe venuto. 
Purtroppo loro sono costretti a rimanere fino alle due e mezza lì, per contare e ri-contare tutti i voti. La maggioranza degli alunni a scelto: Alice e Romano. 
Segretamente soddisfatto, lui può finalmente tornarsene a casa, dopo aver scambiato due parole con la ragazza, ma prima di salire sul motore, manda un messaggio ad Elisa: "oh, troia! Siamo saliti io ed Alice."
Lei subito risponde, sbadigliando distesa sul divano: "La solita finezza da scaricatore di porto. Ma che avevi, dubbi?" 
Lui sbuffa e si sistema il casco, poi salta sul mezzo e guida svelto verso casa, dove ottiene la solita ramanzina, che proprio non gli mancava. 
-Romà! E a quest'ora si viene? Senza avvertire!- gli dice la madre, mentre lava i piatti. 
-Te lo avevo detto, che oggi avrei tardato- risponde lui, mettendo nell'angolo vicino l'ingresso la cartella. Ignorando le altre lamentele, va a lavare la mani.
-Romie! Romie!- lo chiama il fratellino. Gli va vicino e gli bacia la guancia, per salutarlo. -Che significa 'deflagrazione' ?- 
-Esplosione- dice lui, raccattando del cibo in cucina. Trova pane e salumi, così fa un panino, intanto il fratellino sta giocando col gatto e gli sta dando un po' fastidio. Il maggiore li fissa, appoggiato al frigo chiuso, dando un morso al panino. Poi, dice: -Se continui ti graffia.-
L'altro gonfia le guance, poi prende in braccio il gatto. -Oggi forse viene il nonno.- 
-Mh.- 
Entrambi adorano il loro unico nonnino. Era un archeologo e si può dire che abbia passato la sua vita tra le rovine dell'Antica Roma, età storica che ama alla follia. E' un tipo socievole e dolce, ha sempre una buona parola per tutti, ma ha il brutto vizio del bere e delle donne. E' rimasto vedovo giovanissimo, però non si è mai risposato. In ritorno dall'ennesimo viaggio in Grecia, terra ricca di storia ed antiche sue passioni, vuole passare un pomeriggio con i nipoti e la sua famiglia. Gli manca davvero tanto stare con loro, delle volte, forse non ha più l'età per certe lunghe gite. Non è molto vecchio: ha circa 72 anni, tuttavia si mantiene giovane e dinamico: non riesce a stare a casa per la giornata, ha bisogno di muoversi, uscire e parlare con la gente. Il maggiore dei due fratelli, ha ereditato da lui il nome, mentre l'altro, quello di Feliciano, è del nonno paterno che però nessuno dei due ha mai conosciuto. 
Romie addenta un altro pezzo di pane e mangia in silenzio, sua madre gli da subito a parlare. -Ti hanno interrogato, stamattina?- gli domanda mentre piega le lenzuola del letto di uno dei figli. Lui scuote la testa e beve un po' d'acqua. Per congedarsi, mormora: -Vado  a studiare.-  E detto ciò si chiude in camera sua. 
Ha soltanto spagnolo per il giorno dopo e matematica, ma quella non sa farla perciò nemmeno apre il quaderno. Prende il libro della sua seconda materia preferita e segna alcuni esercizi già fatti, svolgendo quelli che gli mancano in poco tempo. Rilegge una piccola lettura nella pagina accanto a quella presa, pagina 17 e 18, e si esercita un po', disteso a metà sul letto. E' bravo, perché la materia gli piace. E poi... e poi ama la Spagna. 
La sua stanza è sobria: non c'è molto. Tuttavia, riesce ad essere disordinata. E' piena di libri e manifesti antifascisti, roba politica; vi è uno striscione piccolo e bianco con su scritto: 'NO TAV.' Ed è proprio tra queste cose che brilla una bandiera spagnola, con i colori rosso e giallo ed il simbolo della famiglia reale su un lato. Ci sono vari motivi per cui lui adora quella Nazione. Quando era piccolo, era affetto dal Ballo di San Vito, o Corèa Reumatica. E' una malattia che viene in seguito ad un forte stress emotivo o dopo la febbre reumatica acuta,  nel suo caso, si è verificata dopo che ha accolto la confessione del fratello circa alcuni fatti che gli hanno rubato l'infanzia. Il bambino, che allora aveva appena otto anni, andava infatti solo da lui a parlare e a raccontargli quanto successo; è in lui che si rifugiava, tra le sue braccia, contro il suo petto, nella sua spalla. 
Alcuni sintomi si sono visti subito: variazione della grafia, perdita del controllo emotivo (pianti improvvisi ed isterici), perdita del controllo sul movimento, in special modo sugli arti superiori, ovvero le mani e le dita. Non riusciva più a vestirsi e mangiare da solo, per un periodo, e questa cosa lo rendeva esasperato. Per fortuna, in un ospedale vicino la loro casa, c'era un padiglione destinato ad accogliere i bambini con problemi simili. Stavano  tutti quanti lì e giocavano o quantomeno passavano un po' di tempo insieme. Lui però, aveva già dodici anni, e non voleva andarci. I suoi genitori lo obbligavano, credendo servisse lui a star meglio, quando in realtà lo faceva sentire davvero molto stupido e fuori luogo. E' stato lì che ha conosciuto Lola, una ragazza spagnola con grandi occhi verdi, capelli scuri e sorriso stupendo, una volontaria del centro, che lo ha convinto a svagarsi un po' attraverso la musica. Lei gli ha insegnato a suonare la chitarra e a ballare il flamenco. Ingenuamente, se n'era quasi innamorato. Ma lei era bella e dolce, aveva modi materni ed un'affezione particolare verso lui, che però vedeva solo come un fratellino. Il suo ritorno nella terra natale e il suo conseguenziale abbandono dell'Italia, ha contribuito a far chiudere il ragazzo in sé stesso. 
Però lui ha continuato ad amare la Spagna e per lunghi mesi ha aspettato che lei tornasse. 
Dopo quell'ultimo bacio d'addio sulla guancia, non volle più tornare al centro e dopo un po' guarì grazie anche l'auto dei farmaci e della terapia. Non abbandonò mai la chitarra che lei gli aveva regalato.
Era stata l'unica, in quei mesi, a prendersi cura di lui, nessun altro l'aveva fatto. Beh, forse un po' il nonno. Ma tutti avevano occhi per Feliciano e lui, naturalmente, non se ne lamentava. Come avrebbe potuto? Il suo fratellino stava male e lui era già grande. 
Adesso, se ne sta sul letto col libro tra le mani a leggere. E' un tomo bello grande sulla Resistenza, l'ennesimo; la sua libreria sembra essere piena di libri circa la vita o le avventure dei Partigiani, da qualunque parte del mondo.  Vorrebbe rimanere lì tutto il giorno, sotto le coperte al calduccio e si stacca solo per un attimo dalle pagine giallastre, quando uno sbadiglio lo costringe a socchiudere gli occhi. 
Appoggia pigramente il viso sul cuscino, mettendo il libro sul comodino e chiude per bene gli occhi. Ha così sonno, d'un tratto! La sua mente vaga lontano. 
 
Il suo fratellino, intanto, è sul divano che guarda la serie tv 'How I Met Your Mother', che sembra divertirlo un mondo. Sul petto, il micio che ronfa. 
Verso le quattro, sente qualcuno bussare alla porta, così subito spalanca lo sguardo pensando: 'Il nonno!' e mette via il gatto -povero!- andando di corsa ad aprire. Quando nota il vecchio uomo, gli butta le braccia al collo. -Nonno, nonno!- quasi urla. 
L'altro lo accoglie al proprio petto ridacchiando, poi entra in casa. -Ciao, Felì! Come stai?- gli domanda accarezzandogli i capelli.  
-Papà!- lo saluta la madre, appena svegliata. Bacia la sua guancia, avvicinandosi, poi dice al figlio: -Vai a chiamare tuo fratello!- 
-Credo stia dormendo! Poco fa volevo chiedergli una cosa, ma l'ho trovato sotto le coperte.-
-Eh, si sveglia! Vai a chiamarlo, su!- continua la donna, sistemandosi la vestaglia e appuntandosi i capelli in una piccola coda disordinata. -Ti aspettavo per le cinque- continua, in direzione dell'uomo. 
Il quindicenne, va in camera del più grande e bussa, bussa ancora e non ottiene risposta. Con un piccolo sospiro entra e gli si avvicina. -Romie!- sussurra. Lo scuote un po' per la spalla. -Romie!- chiama ancora non avendo ancora un minimo cenno di risposta. Sbuffa e gli tocchiccia la guancia con l'indice, alla sua espressione buffa si tappa la mano con una bocca, impedendosi di ridere. Finalmente l'altro si sveglia, ma si rigira su un lato, non volendo tirarsi giù dal letto. -Ora vengo- mugugna con la bocca impastata dal sonno. 
-C'è il nonno!- lo informa allegro l'altro. 
-Buon per lui- continua lui, prima di rendersi conto delle proprie parole. Con gli occhi mezzi chiusi e mezzi no si tira su e lo guarda con qualche ciuffo ribelle davanti gli occhi verdi. -....chi c'è?- chiede ancora non sicuro di aver capito bene. 
-Il nonno!- sbuffa il minore. Incrocia le braccia al petto, proprio non vuole capire quello, certe volte. Con gesto dispettoso, lo scopre ed osservandolo rimanere lì e non reagire, gli ruba il suo libro preferito e scappa in salotto. 
-TORNA QUA, MOSTRO!- gli urla dietro il maggiore. Incacchiato, si sistema i capelli con una mano e va nell'altra stanza, dicendo sottovoce qualche brutta parola. Quando vede il parente, lo saluta con un cenno ed un: -Ciao- dopodiché si adopera pre recuperare il suo prezioso testo. Quando ci riesce, non subito perché Felì è veloce a scappare, gli da uno scappellotto bello forte, tanto che l'altro si lamenta per il dolore. 
-Romano! Non alzare la mani a tuo fratello!- lo rimprovera la madre.
-Tu digli di non prendersi le mie cose- borbotta lui e va a rimettere il libro al suo posto. 
La donna sospira lievemente ed accarezza la guancia di quello che ancora, malgrado sia già abbastanza grande, definisce 'il suo bambino.' -Fatto male?- Lui scuote la testa.
E Nonno Roma? Lui non si trova affatto d'accordo.  -Oh! Rita! E' solo uno scappellotto, non s'è fatto nulla. Smettila di essere così apprensiva, o te lo ritroverai a casa fino a quarant'anni, che prende ancora il latte- ribatte. 
Va poi dal nipote più grande. -Romano?-
-Ohi, nonno- dice lui, sistemando il letto disfatto, svogliato. 
-Come stai?- lo vede scrolla appena le spalle, così sospira lievemente. -Mai che tu mi dia la soddisfazione di dirmi che ti passa per quella testa dura- continua, con un piccolo sorriso. -Allora, a scuola come va?- domanda, ancora, volendo fare conversazione. 
-Bene. Anche quest'anno faccio il rappresentante d'istituto, sai. E' una cosa che mi piace- ammette. 
Chissà perché, sente che col nonno può parlare di tutto, per questo risponde sempre in modo piuttosto dettagliato alle su domande. 
L'adulto si mostra contento. -Davvero? E' il terzo anno. Bene, è una buona cosa- annuisce. Gli importa davvero della vita del nipote e Romie lo sente.
-Hai sentito delle nuove proposte politiche? Dei nuovi tagli alle scuole pubbliche?- 
Ecco, un'altra cosa che lui ama dell'altro. Possono parlare di politica. Parlano e lui si sente capito. Non è fantastico? 
Con fare sconsolato, annuisce e fa lo zaino per il giorno dopo. -Sì...- 
Rimangono per un bel po' a conversare ed arrabbiarsi con i politici italiani, tanto presi dalla discussione che non si accorgono dell'ora che passa. Ed il resto della famiglia, verso sera, reclama la presenza del nonno. 
Rimane -per felicità di tutti- a cenare con loro, così mangiando carne arrostita e patatine fritte, la serata passa tranquilla. E Romano, stranamente, concede qualche sorriso.

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Capitolo 7
*** E se ci facessimo sentire? ***


Se ne sta da solo sul divano di casa a sgranocchiare patatine, nel buio della tarda sera. 
Sta guardando un film horror, in cui un gruppo di ragazzi sono andati a curiosare in un vecchio ospedale psichiatrico, dopo aver consumato una sera veloce al fast food, la sera di Halloween. Dopotutto, anche per Romano quella è la sera del 31 Ottobre. Non è uscito né sta festeggiando perché la ritiene una cosa sciocca e perché, principalmente, non vuole andare in giro per casa a chiedere dolcetto o scherzetto, ha diciannove anni, non è più un bambino. L'alternativa sarebbe la discoteca. Perciò meglio un buon film in santa pace. Quello è il suo genere preferito, dopotutto.
E' appena passata la mezzanotte e la tensione del film è al suo apice. L'unica ragazza sopravvissuta, una diciassettenne molto carina, tremando e piangendo si dirige verso l'uscita del luogo, che sembra ormai scomparsa. Non la trova, le sembra di essere in un circolo vizioso e quando si volta dietro di sé vede solamente il muro.  Lo spettatore, chi la guarda rabbrividere per ogni minimo rumore, sa che dietro di lei ci sono dei fantasmi che la stanno inseguendo e tentano di acchiapparla per portarla con loro. 
D'un tratto, però, è il ragazzo a saltare in aria. Sente una mano appoggiata alla sua spalla. Per quanto ne sa, i suoi genitori stanno dormendo, perciò la sua prima domanda è circa il possessore di quella maledetta mano. Feliciano. Si volta e gli da una forte botta al braccio. -Idiota! Mi hai fatto morire!- lo rimprovera.  
Il sorriso dolce e felice del ragazzino si spegne. 
Lui, a differenza del maggiore, è uscito ed andato in giro con le sue amiche ed i suoi amici, si è appena ritirato. 
-Ahi...- mugugna strofiandosi la parte colpita. 
Romie sbuffa. -Scusa...- borbotta addentando una patatina. 
-Non sei uscito?-
-Se fossi uscito sarei già a casa, secondo te?- 
-Ma perché mi devi rispondere sempre male?! Buonanotte!- sbotta il più piccolo, andando nella propria cameretta. Accidenti, era così contento... perché l'altro deve sempre rovinare tutto? Si asciuga qualche lacrima di rabbia e si spoglia, infilandosi poi sotto le coperte. Prende un cioccolatino di quelli che ha raccattato durante la sera e lo fa sciogliere in bocca, dopodiché si addormenta. 
Romano, invece, finisce di guardare il film, anche se la suspance oramai non c'è più e le patatine nella ciotola sono terminate. Poco dopo, imita il fratello e si addormenta nella propria stanza. 
 
 
-Eh, e chi ce l'ha più questa concezione, ormai?- domanda un ragazzo con i capelli a cresta scuri e gli occhi grigio-azzurri, seduto scomposto sulla sedia. 
-Mio fratello- risponde Romano. 
Hanno ora di buca, perciò loro due ed alcuni altri alunni della classe sono seduto in fondo all'aula e stanno parlando un po'.  Lui ha le spalle appoggiate alla parete ed un piede sulla sedia davanti, il ragazzo che parla, Giancarlo, è seduto più in là. Elisa, la sua buon amica, si accomoda tranquillamente sulle sue gambe. 
-Tranquilla, eh- dice ironico. 
-Tuo fratello, Vargas? Cioè, lui che è un adolescente maschio pensa che si faccia solo per amore?- chiede quello, scettico, alzando un sopracciglio. 
-Sì- annuisce il diciannovenne, appoggiando il mento sulla spalla della ragazza ed abbracciandola da dietro, dopo averla fatta sedere un po' meglio. -Esatto.- 
-Ma suo fratello è un amore. Davvero, è dolcissimo. Mica come lui!- interrompe una ragazza con i capelli biondo paglia, tinti, che le stanno davvero male. E mentre parla, si sistema il ciuffo allo specchietto, che tiene alzato rispetto la fronte, infatti è costretta ad alzare al soffitto gli occhi pieni di trucco.
-Sì, ma è un adolescente! Come fa a non volere scopare? Ma è vergine?- 
-Oh, ma i cazzi tuoi?- sbotta Romie. 
E' geloso di suo fratello, nessuno deve toccarlo o parlare male di lui, e si dia il caso che lui abbia un'ampia concezione di 'parlare male'. Inoltre detesta che le persone parlino senza sapere le situazioni. Suo fratello ha subito un trauma ed è probabilmente questo che lo ha portato a pensare in quel modo, ad avere una visione del mondo non proprio comune. 
Poco dopo suona la campanella. Lui ed Elisa rimangono lì,  solo,  si mettono più composti. 
-Che abbiamo ora?-
-Ma comprarti un diario no?- dice lei sbuffando. -Inglese.-
-Cazzo... non ho il libro.-
-E il quaderno? Li hai fatti i compiti?- continua la ragazza, esasperata. 
-Ma secondo te io faccio inglese?- dice lui, sbuffando. 
-Non sia mai...- e sospira.
La professoressa d'inglese, lo odia profondamente. E' una di quelle tipiche persone che non vogliono essere contradette, una di quelle un po' chiuse piena di pregiudizi che il ragazzo non riesce a tollerare. L'insegnante, inoltre, è molto severa sul piano scolastico. Pretende che la sua materia venga svolta sempre al meglio e non accetta giustificazioni di alcun tipo. Sfortuna per lui, che i compiti non ha quasi mai tempo e pazienza di farli. 
S'impegna, sì, a studiare la lingua, ma la voglia se ne va in quell'altro paese, quando vede che i suoi sforzi sono vani. Se la prof ha ormai deciso che non va bene, non andrà bene.
Quando la donna, cinquant'anni circa, entra nella classe, tutti gli allievi si alzano in piedi in segno di rispetto, sedendosi sono quando lei glielo concede con un cenno della mano. 
Fa l'appello.
-Siamo già all' 1 Novembre... è incredibile come passi il tempo. Mi sembra che la scuola sia iniziata ieri!- dice una ragazza qualche banco avanti a lui.
-Oh, Romie, che hai fatto ieri, per Halloween?- esclama d'un tratto Lisa, rispondendo ad un messaggio del suo ragazzo, un certo Francesco. 
-Nulla.- ribatte lui, facendola sbuffare e roteare gli occhi scuri.
La professoressa inizia a spiegare una nuova lezione, ma lui non riesce a stare attento. Le chiede cos'ha combinato lei la notte prima. Dal suo rossore lieve e dalle sue uniche parole: -Ero con Francesco...- deduce tutto, così si limita a sogghignare ed annuire, beccandosi poi uno scappellotto. 
-Oh, Elì- la chiama dopo un po'. 
-Che vuoi?- 
-Che ne dici se occupassimo?- azzarda.
-Ma sei scemo?! Ti devi fare bocciare di nuovo?- lo rimprovera lei. 
-Hai sentito che tagli vogliono fare alle scuole pubbliche? E noi non dobbiamo fare nulla?! Dobbiamo ribellarci! Va tutto a puttane!- alza un po' la voce. 
-Parlane con Alice, fai l'assemblea e fa votare. Io non ne voglio sapere nulla!- 
Il ragazzo ha già deciso: farà quella maledetta assemblea e vedrà di occupare la scuola, perché vuole farlo, perché sente che è giusto così e perché... le rivoluzioni, gli sono sempre piaciute.
E la sua mente vaga lontana, allontanandosi completamente dalla mente la lezione che la prof sta spiegando. Appoggia riluttante il viso alla mano, gli occhi vagano fuori dalla finestra. 
Ha già occupato due volte, nel corso della sua vita scolastica ma non gli hanno mai permesso di prendere le redini della situazione. La prima volta era soltanto in prima e queste cose si lasciano ai ragazzi più grandi (e più ribelli, sicuramente.) La seconda, organizzavano tutto alcuni ragazzi che lui detesta, perciò si è messo da parte. Ma non lo farà una terza volta. Stavolta vuole davvero fare le cose per bene. 
E' per questo che, finita l'ora, esce dalla classe e va in quella di Alice. Bussa alla porta e chiede al professore di matematica se la ragazza può uscire. 
Lei, svogliata, si avvicina alla porta e se la richiude alle spalle. 
-Che c'è?- 
-Occupiamo- dice lui diretto. 
-Eh? Ma sei minchione? Ma come, occupare! Sai che casino si viene a creare? Se una scuola occupa, tutta la città finisce per farlo. E lo sai, che comporta questo.-
-Eh, certo che lo so- continua, appoggiandosi con la mano al muro. -Per questo voglio farlo. Sai che vogliono fare, quei figli di puttana?- 
-Cosa?- chiede l'altra, sospirando, passandosi una mano tra i capelli scuri. 
-Voglio toglierci le assemblea di istituto, togliere i corsi di recupero pomeridiani, quello extrascolastici, tagliare altri fondo. Ti rendi conto? E noi ce ne stiamo a non fare 'n cazzo?- 
La ragazza rimane un attimo in silenzio. Ci pensa. 
Di certo non può lasciare che il suo futuro si sgretoli tra le mani; non può aspettare che gli "adulti" risolvino le cose; loro sono già abbastanza grandi. Ed è per questo che accetta. Annuisce, rientra in classe e prende carta e penna, poi si siedono al banco dei bidelli in corridoio e richiedono in modo abbastanza formale l'assemblea d'istituto. Come argomenti, mettono qualche cavolata come 'varie ed eventuali' 'viaggi d'istruzione' 'corsi pomeridiani' giusto perché non possono scrivere che vogliono occupare, o la preside non avrebbe concesso loro l'assemblea. 
Fatto ciò, scendo subito all'ufficio del primo piano e bussano. 
La preside si mostra molta disponibile nei loro confronti e gli concede di riunirsi, tra cinque giorni, nell'Agorà, dopo la prima ora,  cioè dalle nove in poi. Romano precisa che faranno tutto a porte chiuse, così i ragazzi sono costretti ad andare. 
Perfetto! Tra cinque giorni, occuperanno.
Il ragazzo non ha dubbi: per un motivo o per un altro, tutti vogliono occupare la scuola; certo, le quinte si ribellano sempre, perché hanno gli esami e devono studiare, ma lui provvederà anche a questo. Dopotutto è vicino alla maturità anche lui e lo capisce, cosa significhi. 
Per gli altri è perlopiù un periodo di vacanza. Ma per qualcuno... qualcuno ci crede davvero e non sono così pochi come ci si può aspettare. 
E' davvero felice, che abbiano questa possibilità e vedrà di giocarsela al meglio per convincere tutti e risolvere qualcosa. 
Tornato in classe con mezz'ora di ritardo, si prende il rimprovero del prof di spagnolo, che però gli vuole bene, perciò lascia correre e non fa rapporto sul registro. Romie lo ringrazia e torna al suo posto, stando per una volta attentissimo a quella che è la sua seconda materia preferita. 
E quell'ora passa e con essa anche quella successiva e finalmente, possono tornare a casa tutti quanti, sfiniti. E' stata una giornata così pesante... 
Roma prende il casco, saluta con un cenno tutti i compagni e mettendo lo zaino su una sola spalla dopo aver messo il giubbotto di pelle che però lascia aperto, scende svelto le scale. Ha fretta di tornare a casa. Deve studiare, ha fame e vorrebbe fare pace col fratellino, anche se dubita ci saranno problemi, a Felì passa abbastanza velocemente. 
Per cui, salta sul motore e guida svelto verso la sua modesta dimora, arrivando in anticipo. Recuperate le chiavi di casa dopo varie imprecazioni dalla tasca dello zaino Eastpak, apre la porta e con la solita routine toglie giubbotto, zaino, casco e scarpe.
Nota la tavola apparechciata, ma non vede nessuno in giro. 
-Ciao, Romie!- lo saluta il fratellino da sopra il divano, nel quale è seduto con le gambe incrociate. 
-Oh- fa un cenno. -Com'è andata oggi, mh?-  gli chiede, andando a lavarsi le mani nel lavello della cucina. 
-Bene! Ho preso otto- risponde lui, appoggiandosi allo schienale del divano, voltato, per guardarlo, col solito sorriso.
-Secchione.-
E' troppo eccitato dall'imminente situazione, però, per concentrarsie studiare, così si convince che lo avrebbe fatto subito dopo pranzo. Il pasto arriva, ricco e silenzioso (da parte sua), come sempre, ma della voglia di studio non c'è traccia. Così fa solo storia, gli piace molto, non è mai pesante per lui, dopodiché abbandona i libri sulla scrivania e si dedica ad un documentario che guarda su Youtube, qualcosa de La Grande Storia. E così se ne va tutto il pomeriggio. 

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Capitolo 8
*** La strada del domani. ***


Feliciano sbatte la mano sulla porta della camera del fratello maggiore.
-Romano! Vuoi perdere un altro anno? Lascia stare.. non puoi cambiare le cose..- sospira abbassando lo sguardo e ritirando la mano, portandola al petto. Stavolta è l'altro ad alzare la voce.
-Invece sì che posso! Tutti noi, insieme, possiamo cambiare questa merda di governo! Tu non capisci.. non puoi capire! Tu sei bravo nello studio, hai una vita perfetta, ma io.. io sono bravo solo a fare questo! E' una delle poche cose che mi appassiona veramente, quindi fatti i cazzi tuoi e vattene fuori dalle palle!- sbotta, allontanandolo con una spinta  e chiudendogli la porta in faccia, poi si passa una mano tra i capelli.
Per quel gesto Felì ci rimane davvero male e se ne va triste in camera propria. Si stende sul letto e pensieroso si addormenta.
Il giorno dopo, il maggiore dei due fratelli, si sveglia in estasi: è il suo giorno, lo sente! In quanto rappresentante del proprio istituto deve tenere un discorso e convincere tutti ad occupare la scuola. Sarebbe fantastico riuscire a farlo. Sua madre ha deciso di lavare proprio il giorno prima la sua felpa preferita così sbuffa; sta per mettere una maglietta ed un cardigan vestendosi un attimo più sistemato del solito, ma poi ci ripensa. Quel giorno più che mai deve essere sé stesso. E lui d'abitudine porta maglietta, felpa e jeans. Così si veste abbinando per bene il tutto e si prepara davanti lo specchio brevemente, dopo ruba la merendina del fratello dalle sue mani e afferra la cartella. 
Il suo zaino è un eastpak verde scuro, sul quale lui ha disegnato col pennarello indelebile una croce celtica, sulla quale poi ha posto un divieto, come quello rosso dei cartelli stradali; accanto a questa, alla sinistra, c'è una parte del testo di 'O Bella Ciao':
"E questo è il fiore
Del Partigiano
Morto per la Libertà." 
La terza ed ultima decorazione che il ragazzo ha fatto, è una bandiera italiana, sul fianco destro dello zaino, con dei pennarelli presi in prestito ad alcune sue compagne. Non è troppo grande, circa sette centimetri d'altezza.
Il fratellino è completamente l'opposto: mette dei jeans stretti, una maglietta bianca con sopra un cardigan grigio, delle scarpe da tennis dello stesso colore e prende lo zaino blu scuro. Tutto sistemato, capelli in ordine, sorriso dolcissimo. Prepara anche la merenda per la scuola e l'acqua. Roma, invece, le sigarette. Ma com'è che sono fratelli loro due? Il primo fa le cose alla luce del giorno, l'altro tutto di nascosto.
Escono entrambi, Fè saluta la mamma con un bacio sulla guancia, l'altro con un: -Cià, può essere che tardo- detto velocemente con la bocca piena.
Si dirige così verso scuola, dopo essere saltato sul motore.
Posteggia al solito posto, solo qualche metro più in là, tra un cinquantino ed una macchinina che a lui sembra tanto una lavatrice malvenuta; ha forme e colori insoliti e soprattutto è piena del musino bianco e senza bocca di Hello Kitty. 
Toltosi il casco, afferrata la cartella, si avvicina ai suoi amici e fa qualche tiro  dalla sigaretta di Alex, quel ragazzo con gli occhi azzurri e i capelli neri, magrolino e dalla media altezza, quindi fa dietrofront ed entra in classe, la campanella è suonata già da un po'. 
Ha italiano a prima ora, la prof non gli farà problemi per qualche minuto di ritardo, non lei almeno. Trova già la porta chiusa, così entra dopo aver bussato.
-Prof, posso?-
-E che ti dico no? Avanti; entra- dice lei son un sospiro lanciandogli un'occhiata di rimprovero.  Detto ciò, chiama l'appello. 
Il ragazzo prende posto all'ultimo banco della fila a destra, quella che da sul muro, come sempre accanto ad Elisa. 
-Alla buon ora!- 
-Ma tu sempre le palle devi rompere?- domanda lui retorico, togliendosi il giubbotto di pelle. 
-Dammi un bacio per farti perdonare di questa tua scortesia- ribatte la compagna indicandosi la guancia. Il diciannovenne, svogliato, avvicina le labbra alla sua guancia, dopo essersi seduto. Si sente anche dire: -Ma solo si richiesta, mi dai amore?- e così sbuffa pesantemente appoggiando con fare pigro il libro di letteratura sul banco grigio. 
Lo apre sulla lezione del giorno per poi iniziare a scarabbocchiare distrattamente il margine della pagina, in alto a destra. 
Quell'ora passa velocissima, ma lui non attende che suoni la campana del cambio dell'ora, per cui cinque minuti prima della fine della lezione, alza la mano e chiede alla professoressa il permesso di andare giù in Agorà. Permesso concesso; afferra giubbotto e zaino e si avvicina alla porta ma prima di scendere giù dalle scale, lancia un'occhiata eloquente ai suoi compagni di classe. 
-Ci vediamo all'assemblea- dice, quasi fosse un ordine o una minaccia. 
Alice esce dalla sua classe qualche minuto dopo, s'incrontrano proprio nell'Agorà. 
Lasciando le cartelle in un angolo, tornano indietro nel corridoio e prendono due banchi, uno ciascuno, mettendoli a ridosso di una parete. 
Lui si siede lì sopra, una gamba sotto il ginocchio, l'altra a penzoloni dal tavolo, le mani in grembo, la sigaretta tra le labbra. 
Solita confusione, solito caos, non si capisce niente, quando gli altri studenti iniziano a venire. Romano si toglie la felpa, sentendo già caldo.
-Ragazzi! Silenzio! Sedete e stare zitti!- dice agitando le mani e gesticolo molto, da bravo italiano. Gruppo disparati di ragazzi continuano ad urlare, lui s'incazza.
-Se voi non state zitti, torniamo tutti nelle rispettive classi e non facciamo più un cazzo!-
-Oh, Romà, ma statti calmo, però, eh!- grida una voce.
-Eeh, Giada, non rompere la minchia, per favore- le rivolge uno sguardo scocciato e si sistema un ciuffo di capelli, poi torna al suo posto.  Adesso, non c'è silenzio, ma si può parlare. Per non perdere altro tempo, inizia a parlare, è fermo sul banco, ma non si è risieduto.
-Non so se avete seguito il telegiornale ultimamente o se vi siete informati. Ma dopotutto guardiamoci attorno. Questa scuola, come le altre, non sta cadendo a pezzi? In quanti hanno almeno una cosa rotta in classe? Che sia la finestra, il muro crepato- domanda spostando gli occhi verdi qua e là, poco prima ha tolto la sigaretta dalle labbra e adesso la tiene tra le dita. Effettivamente, in molti alzano le mani.
-Esattamente. E vogliono toglierci ancora fondi, e toglierci le assemblee d'istituto, e i corsi di recupero, e poco a poco ci toglieranno tutto. A me non fotte un cazzo di prendermela in culo dalla preside di nuovo. Sono già stato bocciato e perderei un altro anno se servisse a cambiare le cose. Non vi chiedo di fare altrettanto, ma dobbiamo fare qualcosa! Ci vogliono ignoranti, ma non possono domarci così. Non ci lasciamo comandare. Il popolo siamo noi e se noi diciamo no quella cazzo di decreto non passa! Siamo noi che decidiamo e se vogliamo li buttiamo in mezzo ad una strada!-
Agli adolescente piacciono le rivoluzioni, è inutile negarlo. Tutti si emozionano almeno un po' a parole del genere, farsi sentire, decidere il proprio destino, beh, chi non vuole farlo? Chi non vuole avere una vita migliore? Eh, ma chi ha il coraggio di provare a far davvero qualcosa?
Tutti adesso battono le mani, eccetto i fascisti, Giorgio compreso. 
-Ragazzi, ragazzi, silenzio!- continua Romie facendo un cenno con entrambe le mani, così possono continuare a parlare. -Adesso votiamo per occupare,  che ne pensate? Alzate le mani.-
I ragazzi parlano concitati, più della metà poi alza una mano. 
Alice dice: -Non dovete votare a favore dell'occupazione per farvi la vacanza, però! I motivi sono più nobili!-
Romano annuisce e soggiunge: -E' vero! Occupiamo per cambiare le cose, non per non fare un cazzo a casa! Se occupiamo voglio vedervi tutti qua almeno durante le ore scolastiche! Non chiedo alle prime e alle seconde di dormire qui, so che alcuni genitori non lo consentono, ma almeno quelli di quarta, ragazzi! E le terze!- e gesticola per l'ennesima volta, intanto. 
-E non voglio sentir che avete paura della Digos! Quelli non possono farci niente!- 
-Seh, ma che minchia dici?! Quelli ci buttano fuori a calci!- dice una ragazza con la coda di cavallo. 
-E noi non li facciamo entrare! Non possiamo aspettare che tutto cambi senza fare niente! Abbiate le palle di cambiare! Se settant'anni fa non ci fossero stati i partigiani, i tedeschi magari sarebbero ancora qui. I vostri nonni hanno avuto le palle di buttarli fuori, perché voi non dovreste averne per occupare una scuola?- 
Lui è un ragazzo che ha studiato e la storia gli piace pure tanto. Tutte quelle battaglie epiche, tutti quegli ideali. Eppure è un po' il suo segreto, nessuno sa quanto impieghi sui libri di storia e al computer per documentarsi, ma tutti sanno che ha molta cultura e che è intelligentissimo.
Altri ragazzi urlano alla rivoluzione e si finisce per decidere: passerà un foglio tra tutti gli alunni, si voterà democraticamente. Si firmerà, contro o a favore. E così Alice prende un foglio, una penna e fa girare; in pochi minuti, forse venti, la massa ha deciso. Si occuperà. Yeah! Romano è stragasato. Sorride soddisfatto, uno dei suoi pochi sorrisi. 
I fascisti hanno votato contro, più che altro perché non approverebbero mai qualcosa detto dal ragazzo, lo detestano, lo vogliono morto, figuriamoci se gli danno ragione. 
La preside, povera donna, minaccia di chiamare la polizia, ma Romie sa che non lo farà. E difatti, non può che accettare suo malgrado la decisione di tutti gli studenti.  
Non avvisa casa, il giovane,  né la madre né il padre né il fratello, ma rimane lì tutto il giorno ad organizzare quello che c'è da organizzare. 
Verso le sei del pomeriggio, Felì gli manda un messaggio: "Fratellone.. quando torni?" al quale Romano così risponde: "Quando lo Stato ci ascolterà."
Il minore sospira e si passa una mano tra i capelli. E scrive: "Ti prego.. torna almeno per cena. Almeno per mangiare."
"Ho dei soldi, compro qualcosa. Dì a mamma che ci vediamo domani mattina, passo per cambiarmi, poi torno qua" scrive il ragazzo con gli occhi verdi, accendendosi l'ennesima sigaretta della giornata.
Così il fratellino lo chiama. -Per favore, Rom..- ma lui gli chiude il telefono in faccia. 
E quella notte Roma rimane a scuola. Non dorme, fa il turno davanti la scuola, mordicchiandosi distratto le labbra, per fare in modo che nessuno entri nell'istituto. 
Domani mattina tornerà a casa per prendere un sacco a pelo, farsi una doccia e cambiare i vestiti. Dopodiché tornerà lì. E ci starà per tutto il giorno, di nuovo, perché questo è quello che vuole veramente fare.   

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Capitolo 9
*** Preparazione in corso. ***


Sono già tre i giorni che Romano ha passato a scuola. Lì ha organizzato molte attività formative e didattiche insieme ad alcuni altri ragazzi. Corsi di fotografia, di canto,  di musica, corsi di lingue (inglese, francese, spagnolo, tedesco), di matematica, scienze, letteratura, greco e latino. Saranno gli alunni più grandi, di terza, quarta e quinta, a tenerli. 
Molto spesso vengono fatte assemblea e magari salta fuori qualche idea nuova. 
E' bello vedere tutti quei giovani ricchi di idee brillanti, che ridono, scherzano e si aiutano. C'è chi canta a squarciagola con l'ipod in mano, poi magari passa un'altra ragazza e si unisce a quella che cantava e ridono insieme. E nemmeno si conoscono. 
E' davvero qualcosa di bello da vedere. 
Durante le assemblee in Agorà, il diciannovenne ascolta le idee di tutti e comunica agli altri i provvedimenti presi dal governo  e spiega il decreto contro il quale stanno combattendo, giusto per avere fargli avere le idee chiare. 
Come per ogni occupazione, per ogni scuola, davanti l'ingresso, subito dopo il cancello, ci sono alcuni banchi con un coppia di ragazzi o ragazze seduti lì attorno, che prendono entrate e uscite. E' infatti necessario firmare con il documenti di identità, che sia carta, patente o libretto delle giustificazioni; va messo nome, cognome, classe, data ed ora di entrata ed uscita. E, attaccato ad una finestra, un cartellone enorme bianco con su scritto: "TOC TOC: LEON BATTISTA OCCUPATO!
Il ragazzo non torna a casa se non per un'ora e mezza, dalle dodici all'una e trenta-due meno venti circa, per mangiare qualcosa, fare una doccia e cambiare i vestiti. Si è portato dietro dei soldi, i documenti, un sacco a pelo e dei libri. Quando finirà di organizzare il tutto, infatti, anche lui si darà da fare per capirci qualcosa delle materie che ha sotto, ovverosia matematica e fisica principalmente. Poi, inglese. 
Ma per adesso ha decisamente troppo da fare.
-Andiamo alla manifestazione della prossima settimana?- domanda seduto scomposto si una sedia, voltandosi di tre/quarti per parlare con Alice. Lei subito suggerisce di andare in Agorà. 
Così, lei a destra, lui a sinistra, vanno a spargere la voce. 
-Ragazzi, tra mezz'ora in Agorà, fate passare, facciamo assemblea- dicono. 
Hanno imparato che aspettare tutti i ragazzi, non ha senso. Ci sono sempre quei tre gruppetti di persone che non partecipano. Romano non ne capisce il senso. Sa che si riuniscono un po' troppo spesso e che magari può scocciare questo fatto, ma dopotutti sono lì per capire che succede e fare le cose per bene, no? 
Seduto al solito banco mentre fuori c'è il sole, punta i begl'occhi verdi al di là di una  finestra intanto fischietta qualcosa tra le labbra. E' un po' stanco, dormire a scuola non è esattamente comodo.
Scattata la mezz'ora, si mette in piedi ed osserva gli altri. Sono pochini, ma alzando lo sguardo sui corridoi dei piani più alti che si affacciano sull'Agorà, vede i ragazzi avvicinarsi alle scale per scendere.
-Ragazzi, sbrigatevi! Iniziamo!- sente dire ad Alice.
Lui si passa una mano tra i capelli scompigliati ma puliti, dopodiché inizia a parlare. 
-Allora, ragà. La prossima settimana ci sono tre manifestazioni. Una lunedì, una giovedì, e l'altra...- si volta verso l'altra rappresentante per chiederle aiuto. Lei gli suggerisce l'altra giornata. -Ah, sì, venerdì, vero. Sono tutte in piazza, al solito posto. Vogliamo andare almeno alle prime due. In quella di venerdì ci saranno anche alcuni lavoratori ed i professori dovrebbero venire, in teoria, se non cambiano idea. A voi sta bene andare?- Notando molti sì e sentendo risposte affermative, inizia ad organizzare dei gruppi per fare dei cartelloni. 
-Io ho una domanda- esclama una voce familiare, ad un certo punto. -Quando disoccupiamo?-
Romie riconosce quella voce. E' Giorgio. Cercando di mantenere la calma, risponde: -La maggioranza ha votato l'occupazione. Finché la maggioranza terrà quest'idea, la scuola sarà occupata. Potrebbero volerci settimane.-
-Non mi sta bene. Voglio disoccupare.-
Il rappresentante si rivolge verso tutti gli altri. -Volete continuare ad occupare?- Naturalmente tutti (o quasi) annuiscono. -Ti hanno risposto- e si volta per continuare a fare altro, con un mezzo sogghigno perché l'altro non risponde. 
Giorgio, intanto, se ne va con quel suo amico. -Gli toglierò quel sorriso- sussurra osservando il ragazzo di con la coda dell'occhio. -Mi sta sul cazzo, quel comunista.- 
Da bravo ignorante qual è, non riesce a capire che non tutti gli antifascisti sono comunisti. Certo: ogni comunista è per nomina antifascista. Ma Romano non è dell'estrema sinistra, lui ha le sue idee, punto. Adesso, ignorando quei due, si volta verso la folla e chiede ai ragazzi che devono dormire lì ad andare da lui, per organizzarsi, così non avranno venti persone per quella notte e due per l'indomani, ma undici e undici. E loro, rappresentanti e company, possono riposarsi un po'. 
Rivede i fascisti qualche ora dopo. 
E' solo in corridoio, sta andando da Elisa, non sa che fine abbia fatto e non la vede dal giorno prima. Quei due, sono là, che fumano. 
-Ma guarda chi c'è. Quella testa di cazzo-  lo salutano. 
Lui non si volta, semplicemente perché non si riconosce in quel nomignolo volgare, per cui non ne ha motivo. 
-Cos'è, Vargas, hai paura?-  continua Giorgio spavaldo. 
-Di te? Tsk- risponde il ragazzo, girandosi verso di loro, dopo averli superati di qualche passo. -Non ho paura di due fascisti ignoranti.-
-Ignoranti?!- quello quasi ringhia. -Ignoranti... perché non pensi a quel finocchio di tuo fratello? Dovrebbero finire nei forni crematori, quelli.- 
Questo non lo doveva dire. 
Lui cerca sempre di rimanere calmo e di ignorarli, non vuole montare su l'ennesimo casino. Ma suo fratello non lo devono toccare. Torna svelto avanti al ragazzo e l'afferra per il colletto della polo La Coste, sbattendolo contro la parete. -Non osare parlare così di mio fratello, schifoso.-
Per fortuna, prima che finisca troppo male, passa di lì Elisa che gli si avvicina ed appoggiando le mani sul suo braccio lo tira via. 
-Romà! Sei impazzito? Che accidenti volevi fare?!- lo rimprovera dopo essere riuscita a trascinarlo al piano di sopra dell'edificio, le scale erano poco più in là. 
-Mio fratello non lo devono toccare.-
-Perché? Che hanno detto?- 
Lui non risponde. 
Suo fratello non ha mica detto di essere gay.  E' semplicemente molto ingenuo, che male c'è?  Inoltre, qualsiasi siano i gusti di Feliciano, quello rimane suo fratello e su questo non si discute. E' comunque il ragazzino dolce che lo abbraccia, quello che gli fa sorprese e regali, che sia anche una caramella, l'unico che pensa a Romano. Che lo rassicura anche se lui non fa capire niente, che gli dice quanto bene gli vuole e lo fa sentire importante, necessario, utile. 
Riceve giusto un suo messaggio: "Fratellone! Domani torni?"
Con un sospiro, chiudendo un attimo gli occhi, si concede un minuto per  riordinare le idee e calmarsi. Poi, risponde così: "Sono tornato ieri sera, tu eri fuori." 
"Ma mi manchi... domani mangiamo insieme?"
"Non lo so."
"Ti prego, Romano! Ho bisogno di mio fratello."
Romie ci pensa per un momento. "Lo so che hai bisogno di me. Ma per una volta sono io ad aver bisogno di qualcosa. E ho bisogno di stare qui." 
 
 
 
Il sole s'è alzato da un bel po' ma Felì non ha intenzione di uscire dal letto. Si stringe nella coperta e sbadiglia sentendo la sveglia. Sono le nove e mezza. Rita, la sua mamma, bussa alla porta.
-Amore, alzati!- gli dice, poi va in camera propria per rifare il letto e finire le sue faccende domestiche.
Svogliato il ragazzo si alza e va in cucina, concedendosi una buona colazione: fette di pane e nutella, succo di frutta e caffè. 
Col caffè si sveglia ancora di più, ma è con la doccia che lo fa completamente. Si veste per bene, maglietta bianca con su scritto: 'I love Venice', cardigan grigio, jeans stretti. Prende la borsa a tracolla nera, vi mette dentro le proprie cose ed esce di casa. 
Quel giorno vuole stare un po' con suo fratello e dato che anche la propria scuola probabilmente prenderà la stessa decisione del Leon Battista, lui non è andato. Non approva completamente quell'approccio lì. Non vede Roma né lo sente da un po' e gli manca davvero moltissimo. Così cammina verso il suo istituto, arrivano circa quaranta minuti dopo. 
Arrivato a destinazione, nota subito i banchi con i ragazzi posti vicino essi, su certi c'è un foglio attaccato con scritto 'entrate' su certi altri uno con scritto 'uscite'. Non sa bene cosa debba fare, ma lui si avvicina ed educatamente chiede loro: -Ciao ragazzi.. sapete dov'è mio fratello? Si chiama Roman...- non lo fanno neppure finire di parlare.
-Romano Vargas? E' tipo uscito per andare a comprare le sigarette. Cazzo, ma siete uguali- brobotta un ragazzo, Roberto, controllando il foglio sul quale vengono annotate entrate ed uscite, dopo averlo osservato.
-Ma se è tornato dieci minuti fa!- ribatte Alice, l'altra rappresentante d'istituto che sta comodamente seduta sulle scale e gioca a carte con altri ragazzi. -Scopa! AH!- esulta vittoriosa prendendo alcune carte da terra e riponendole nel proprio mucchietto.
-Potreste dirmi cortesemente dov'è?- chiede accennando un sorriso.
-Siete uguali fisicamente, ma caratterialmente l'opposto..- mormora il ragazzo.
Felì accenna una piccola risata annuendo. -Sì, ce lo dicono tutti.-
-Te lo chiamo, così non devi firmare. Aspetta qua- dice lui ed alzandosi entra a scuola iniziando ad urlare il nome del ricercato. Chiede in giro se qualcuno lo ha visto, poi lo becca e gli fa un cenno per avvicinarsi. Romano scosta la sigaretta dalle labbra e chiede: -che c'è?-
-Chi c'è, semmai! Tuo fratello. E' all'entrata- e poi va a farsi un giro.
Il rappresentante butta dalla bocca una nuvoletta di fumo grigio e gli si avvicina.
-Fé. Che ci fai qua?- domanda, non troppo felice di vederlo.
-Niente di particolare.. Volevo vederti. Stai sempre qua..- dice in poco più che un sussurro, non volendolo fare arrabbiare.
-Le rivoluzioni si fanno sul campo. Non dietro una scrivania- lo guarda male, dicendo ciò, perché Felì è stato a casa a studiare e lo ha criticato per quella decisione presa, quella di occupare. 
Il ragazzino abbassa un attimo lo sguardo, giocherellando nervoso con la tracolla della borsa. -Lo so, lo so.. possiamo.. parlare un secondo?- domanda timidamente. 
Alice ed alcune altre ragazze pensano che sia ingiusto trattarlo così davanti a tutti, però nessuno parla, si fanno i fatti propri.
-Firma, ed entra- annuisce lievemente buttando via il mozzicone di sigaretta.
-Devo.. devo proprio firmare?- domanda osservando il foglio. Il fratello maggiore gli si avvicina dicendogli: -Certo.-
-Se vuoi evitiamo, per stavolta, Romà..- suggerisce Roberto.
-No! Lui è come tutti gli altri, quindi deve firmare. Questo foglio non va mica in questura, Felicià, è solo una foglio che usiamo per controllare chi entra ed esce nella scuola.-
-Va bene...- con un piccolo sospiro, da i dati ad una ragazza con i capelli piastrati e lo smalto nero, gli occhi scuri. -Feliciano Vargas..- poi porge la carta d'identità della quale scrivono il codice, infine mettono l'ora. Il ragazzo firma, poi entra con il fratello nell'istituto. 
Si sente triste, ha bisogno di lui, di un suo abbraccio. Con il capo un po' chino sussurra: -Romano?-
-Cosa c'è?- chiede l'altro a sua volta facendo strada verso l'area riservata a chi dorme lì, che è solitamente vuota.
-Possiamo parlare da soli?- domanda asciugandosi una lacrima e fermando le altre. 
-Sì..- sussurra il maggiore più calmo.
Anche se è in collera con lui per le recenti conversazioni che ci sono state e ha preso qualsiasi scusa per non vederlo o parlargli, non riesce a vederlo che piange, gli si spezza il cuore, davvero. Sospirando apre la porta sulla qual vi è un biglietto con la dicitura: 'Aula notte - vietato l'accesso!' e chiede stanco ad due ragazzi che si stanno baciando lì di uscire. Non ha la forza di rimproverarli al momento. 
Fa cenno al piccolo di entrare e chiude la porta alle loro spalle. 
-Cos'hai, Fè?-
-Niente...- accenna un sorriso, dopo aver cacciato le lacrime. Gli si avvicina e lo abbraccia forte. -Mi sei mancato tanto tanto...- 
Romano appoggia una mano sulla sua nuca in segno di protezione annuendo, dopo un attimo di esitazione. 
-Hai fatto un brutto sogno, vero?-
-Come hai fatto a capirlo?- chiede il più piccolo staccandosi e guarandolo stupito.
-Sei mio fratello, ti conosco e capisco. Senti... perché stasera non dormi qua e ci fai un po' di compagnia? Ci serve una mano con dei cartelloni, tu sei bravo in queste cose..- borbotta distogliendo lo sguardo.
-Sì! Sì, d'accordo! Ma devo chiederlo a mamma, se posso.-
-Tu puoi. Decido io- con tono che non accetta repliche. 
Così rimangono a parlare altri dieci minuti, poi escono e vanno al piano di sopra dove i ragazzi si stanno organizzando per i cartelloni.
Felì prende subito parte del gruppo togliendosi la borsa e lasciandola in un angolo, ricco di idee che integrano e completano quelle dalle ragazze che disegnano e colorano. Gli viene dato subito un grande cartellone bianco, dei colori, un matita ed una gomma, ma lui scuote la testa: ha bisogno dei propri strumenti. Dalla borsa tira fuori il partacolori bianco sul quale ha disegnato la bandiere italiana e quella tedesca, insieme alle cose che più ama. Lo ha fatto con i pennarelli indelebili, così che non si possa distruggere, al massimo scolorire, quel capolavoro.
Prende la propria matita e gomma, mettendole accanto a sé in modo da non perderle ed inizia a disegnare ciò che ha deciso in conclusione, un sunto di tutte le idee praticamente. 
Stando piegato praticamente a novanta sul tavolo, da dietro è quasi identico a Romano: dev'essere che c'è poca luce perché le lampadine delle scuole pubbliche sono quello che sono, perché il tavolo è praticamente attaccato alla finestra insieme ad un altro e fuori c'è brutto tempo, quindi il cielo è nero e cupo.
Un ragazzo bassino e magro, si avvicina a lui con l'intento di infastidire il maggiore dei due fratelli, e gli da una botta sul sedere, sghignazzando poi. 
Feliciano si blocca un attimo spalancando un po' gli occhi e gli cade la matita di mano, macchiando un po' il disegno.
Prima che possa dire qualcosa, Romano, entrato in quel momento,  si avvicina al ragazzo e lo spinge bruscamente via.
-Che cazzo stai facendo?! Non ti permettere più di toccare mio fratello!- gli ringhia quasi. Il fratellino intanto si ricompone e, silenziosamente, prende la gomma e cancella la sbavatura, riprendendo il disegno.
-Mi sembravi tu, Romà.. non ti scaldare.. era uno scherzo..- si difende debolmente quello.
-Non devi permetterti di mettergli un dito addosso, hai capito?!- sbotta, difendendosi come sempre il fratello, che però si sente un po' in colpa per la situazione.
-Fratellone, non importa, è stato uno sbaglio.. calmati..- gli si avvicina.
-No che non mi calmo!- sbotta poi sospira. -Tocca di nuovo mio fratello e sei morto. Chiaro?- lo guarda negli occhi.
-Sì, sì.. scusami, eh..- si allontana e dopo poco se ne va.
Felì prova a ripristinare il clima di prima, ma con poco successo. 
Dopo un po' riescono a riprendere la calma di prima, perché il ragazzino mostra loro il disegno finito. Bellissimo! Elogi come 'meraviglioso', 'stupendo' e 'fighissimo' continuano a ripetersi, così lui, felice, non può fare altro che sorridere e rispondere con dei semplici 'grazie!' imbarazzati. Anche Elisa si aggiunge a loro, conosce da tempo l'arte del ragazzino.
Dopo un po' anche Roma si avvicina al cartellone. -Mi piace- dice soltanto, ma guardando il fratello in modo che lui capisca e si senta fiero del suo lavoro.
Le ragazze non capiscono la reazione esagerata del diciannovenne, ma non conoscono nemmeno la storia di Feliciano, altrimenti la giustificherebbero. Per fortuna sua, per il momento la questione tace e nessuno ne parla più. 

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Capitolo 10
*** Scritte sui muri, urla per strada. ***


[ Questa scritta è stata fatta praticamente dietro scuola mia, durante la nostra, di occupazione. La amo e volevo farvela vedere. <3 ]







I cartelloni sono ormai pronti, perfetti e grandi, scritte chiare e critiche, i ragazzi attendono soltanto che venga l'ora di andare, anche loro agguerriti e decisi. 
E' ancora sera, però, e devono attendere il giorno successivo.
Romano non è a scuola, ma vicino essa e si è ritrovato chissà come, chissà perché, con una bomboletta rossa tra le mani. Quella cosa gli sa un po' di comunista. Ma lui non ha di certo l'intenzione di disegnare falce e martello sul muro, scrivere 'W Stalin' o scrivere quanto il fascismo sia un'ideologia pietosa. Sicuramente, quest'ultimo è il suo pensiero. Ma deve riflettere bene a che fare, per cui osserva il muro con attenzione. 
C'è buio, perché è già calata la sera tarda, tra un po' andranno a mettere qualcosa sotto i denti, ma per il momento... hanno altro per la testa. 
I suoi amici, Alex compreso, stanno già imbrattando qualcosa più in là, con bombolette nere e rosse. Elisa non è lì, non approva minimamente, pensa agli effetti che questi graffiti hanno sull'ambiente, per cui nemmeno sa dell'iniziativa in cui è stato trascinato il ragazzo.
Romie si avvicina a muro, agita la sua arma e poi l'avvicina ad esso (ma non troppo) ed inizia a scrivere. 
"Ci vogliono Ignoranti, ci avranno Ribelli!" "Revolution" e quando qualcuno lo guarda con un'occhiata divertita, lui mormora con un sorrisetto sulle labbra: -'Fanculo il sistema.- 
Si allontana per guardare il suo operato, intanto una ragazza, una certa Anna, con i capelli rossi tinti, le unghia nere così come il cappuccio della felpa che le copre un po' il viso, tira fuori il cellulare e fa delle foto a quelle scritte e quei disegni. 
Alex, con un drummino tra le labbra sottili e qualche ciuffo nero che gli copre gli occhi, sta facendo una piccola opera d'arte. Berlusconi che tiene per mano il Duce. E' abbastanza preciso come disegno, ci sono ombreggiature e dettagli fatti benissimo. Persino l'uniforme di Mussolini ha tutti i particolari: la cintura che ferma la divisa poco sopra la vita, le medaglie sopra il petto, vicino al cuore, il cappello sulla nuca, le mostrine. 
Anna esclama ridacchiando: - Il Cavaliere ed il Duce.... avresti dovuto farli mentre si baciavano!-
Anche gli altri si dicono divertiti ma fieri di quel lavoro, naturalmente non mancano le foto; il diciannovenne si rigira la bomboletta tra le mani. 
-Oh, Alex, ma tu non devi mangiare? Tra poco noi andiamo- lo informa.
Fa qualche passo più in là e si avvicina ad un altro muro ed osserva l'operato degli altri ragazzi: "Il futuro lo stanno togliendo anche a te!" "Italia, desta!" "Ci tolgono il futuro, e tu? Davanti alla tv!"
Tutto ciò su diverse mura. 
Il ragazzo che fuma, scuote la testa. -Non lascio mai un graffito a metà. Devo fare ancora gli ultimi ritocchi- spiega, e fissa decisamente male un ragazzo con i capelli rossi e la felpa verde che gli chiede in prestito la bomboletta verde militare. -Mi serve- borbotta. 
Romano lascia la bomboletta vicino le altre, ancora ben funzionante -o l'avrebbe buttata- e con Anna, il tipo rosso, ed altri due, vanno a prendere un pezzo di pizza in un posto non troppo lontano.
Alex rimane lì da solo, chiuso nella sua arte. Quando finisce, ripone le bombolette ancora utilizzabili nello zaino, dopodiché se lo mette in spalla e li raggiunge. 
 
Il risveglio giunge piuttosto violento.
Qualcuno tira sulla faccia di Romano un cuscino.
-Ringrazia che sia di buon umore, o saresti già morta- mormora lui passandosi entrambe le mani sul viso, all'amica. 
Elisa ridacchia tra sé e gli tira dei jeans. -Sono le sei, vedi di darti una mossa, tra due ore dobbiamo manifestare.-
-Tra due ore! Avevo ancora un'ora e mezza di sonno! Ti odio!- borbotta in risposta lui, piuttosto acido, nascondendosi sotto le coperte. -Ma tu che cazzo vuoi, nell'aula notte, ah? Non puoi entrare.-
Lei si avvicina e si china su di lui scoprendo e sistemando con fare dolce i capelli con la mano sinistra, l'altra mano è appoggiata sulle proprie gambe e regge il cellulare. -Fai il bravo e alzati, ché ti ho portato la colazione, stronzo.- 
-.... rimani comunque una troia. Ieri sei sparita- dice Romano alzandosi. Si stiracchia e si alza, togliendosi la maglietta per mettersi dei vestiti nuovi. Indossa una maglietta a maniche corte e sebbene sia pieno inverno, soltanto una felpa sopra, senza giubbotto. Recupera il cellulare e si sistema i capelli, addentando poi il cornetto alla Nutella. 
Eli si siede pigramente sul materasso rubato dalla palestra e chiude gli occhi. 
-Da quanto non ti lavi?-
Il ragazzo rotea gli occhi. -Mi lavo ogni giorno quando vado a casa, idiota.-
-Non hai risposto alla mia domanda.-
-Ieri alle cinque e mezzo, "mamma."- 
A questo punto, lui si chiude in bagno per un po', quando esce, è tutto sistemato e più rilassato, tanto che lei, sempre presente, gli butta le braccia al collo e dice: -Ti sei masturbato, eh?- 
E lui per risposta le da un bacio sulla guancia e scioglie la presa. 
Quel che conta, comunque, è che lui sia pronto. 
Prima di andare a manifestare, però, occorre fare una breve assemblea in Agorà. 
-Ragazzi! Brevemente! Allora, Alice e Giulia rimangono qui, se avete bisogno di qualcosa chiedete a loro. Io e Roberto tra poco iniziamo ad andare, se volete venire alla manifestazione, venite qui entro cinque minuti!-
All'inizio si infastidisce perché non vede quasi nessuno, ma alla fine è più della metà della scuola che li segue. 
Non potrebbe esserci canzone più adatta di 'O Bella Ciao' tanto per iniziare. 
Ma il primo tentativo di cantarla fallisce; ci si riprova e ci si riesce. 
 
"Questa mattina, mi sono svegliato, o bella ciao, bella ciao, bella ciao, ciao -ciao! Questa mattina mi sono svegliato e ho trovato l'invasor! 
O partigiano, portami via, o bella ciao, bella ciao, bella ciao, ciao -ciao! O partigiano, portami via, ché mi sento di morir. 
E se io muoio, da partigiano, o bella ciao, bella ciao, bella ciao, ciao -ciao! E se io muoio, da partigiano, tu mi devi seppellir.
E seppellire, lassù in montagna, o bella ciao, bella ciao, bella ciao, ciao -ciao! E seppellire, lassù in montagna, sotto l'ombra di un bel fior. 
Tutte le genti, che passeranno, o bella ciao, bella ciao, bella ciao, ciao -ciao! Tutte le genti, che passeranno, diranno: 'Guarda che bel fior!'
E questo è fiore, del partigiano, o bella ciao, bella ciao, bella ciao, ciao -ciao! E questo è il fiore, del partigiano, morto per la libertà!"
 
E' così bello sentir di nuovo quel coro di voci un'animi che cantano allegre e convinte la canzone partigiana per eccellenza! 
E dopo queste, i loro cori che, alla fin fine, in ogni rivoluzione, sono sempre gli stessi. 
"Contro la scuola dei padroni, 10 100 1000 occupazioni!"
"La cultura non si vende, le nostre scuole, non sono aziende!" 
"Occupi, occupa -occupiamo la città!"
E ancora: "Profumo, Profumo... Profumo di minchiate!!" Profumo... il ministro dell'Istruzione.
Ma dopotutto... non si dice forse che la volgarità sia sintomo di spontaneità? 
E loro sono spontanei. E' spontaneo il loro disgusto a vedere certe facce da ducetti dilettanti che salgono al governo, pure loro corrotti, come tutto il resto di quella società, allenata ai sotterfugi e ai colpi bassi, da scuola di partito, come un tempo, recitava il maestro Giorgio Gaber, una delle persone che Romie ha ammirato proprio dal primo istante in cui lo ha conosciuto, con le sue canzoni critiche ma ironiche come 'Destra-Sinistra' oppure 'Mi fa male il mondo.' 
Così loro avanzano, ricongiungendosi alle altre scuole, ognuna delle quali: 'Si vede, si sente, il Leon Battista è presente!" Ed ecco tutti quei giovani urlare il nome della propria scuola al posto di 'Leon Battista'.
Sfilano per le strade, la mattina presto, e qualcuno si affaccia alla finestra per osservarli. 
Un vecchio urla: -Andate a studiare!- decisamente indispettito. E Roberto risponde: -Dovrebbe manifestare con noi, fascista!- 
Una giovane mamma, invece, prende in braccio il figlioletto di tre anni e si sporge dal balcone per fargli vedere i ragazzi passare. Glieli indica e gli dice qualcosa, ma sono tutti troppo lontani e presi dal momento per accorgersene. Comunque, non sono pochi a notare il suo sorriso. 
La gente si lamenta perché vuole dormire, loro perché vogliono avere la possibilità di studiare, di avere una scuola decente, di non preoccuparsi ad ogni minimo rumore che venga giù un pezzo di muro e si rompa una finestra per il vento, perché vogliono una scuola degna di questo nome, e gli piacerebbe inoltre che i finanziamenti non vengano dati soltanto alle scuole private. Che male c'è, voler un futuro dignitoso? Non vogliono crescere ignoranti, non vogliono farsi mettere i piedi in testa. Vogliono un governo che li ascolti, non una falsa democrazia. 
Per questo, ora, sfilano per le strade, gridando alla rivoluzione ed ogni tanto, se si zittiscono, Romano riprende qualche coro, e gli altri lo proseguono e ripetono più volte. Arriverà a domani senza voce, probabilmente, ma non gli importa più di tanto. 
Giungono al centro della città, dietro di loro e dietro le altre scuole, ci sono alcune vetture della polizia che controllano vada a tutto liscio, ché sono lì per sicurezza, mica per intervenire.
Anche se qualcosa dovesse andare storto, lui non ha paura. 
Va a manifestare da quando aveva quattrordici anni, cioè ormai da cinque, e sa che non deve mai dimostrare di aver paura (quando l'ha) perché i poliziotti vogliono soltanto questo. In questi cinque anni, è capitato che finisse in mezzo al putiferio che si viene a creare talvolta durante eventi del genere ed una volta, un uomo in divisa, ha abusato del suo potere e se l'è presa un po' con lui. Non è stato nulla di grave, perché quasi immediatamente tre suoi amici lo hanno aiutato a rialzarsi e si sono allontanati, mettendosi al sicuro. Aveva quindici anni e se lo ricorda benissimo. Forse dovrebbe tenere a freno quella lingua, di tanto in tanto, ma non ci riesce e per questo si caccia sempre in enormi guai. 
Quando i suoi occhi verdi finiscono sulla scritta bianca della unità mobile della polizia di stato, la sua mente finisce proprio su quell'episodio, ma le sue labbra non smettono di gridare e la sua attenzione torna presto alla folla. Ci sono alcuni professori, ma non della sua scuola. Più in là, scorge una giovane prof con il suo bambino di sette anni, lui tiene lo striscione insieme agli alunni della madre.
"Ottimo" pensa il diciannovenne. "Lo farei anch'io."
Ci mettono un po', i suoi professori ad arrivare. Scorge quello di scienze con sua moglie, una coppia che insieme fa circa sessant'anni complessivi, trenta e trenta. 
Non si accorgono nemmeno del tempo che passa, ma d'un tratto, si trovano a sfilare davanti alcuni gruppi che di scolastico hanno ben poco. .....Che c'entrano i fascisti? C'è un gruppo di ragazzi, del tutto fuori luogo, con bandiere nere sulle quali vi è la croce celtica, simbolo del fascio per eccellenza. Tra loro, Roma, cerca di vedere se c'è Giorgio e quell'altro tipo, ma probabilmente sono a scuola a studiare e si sono per altro fatti mettere le presenze. E' una cosa scorretta: perché far entrare in classe i professori e far mettere soltanto a loro due la presenza sul registro, quando il resto della classe -e della scuola!- non l'ha? 
Il Leon Battista è in occupazione bianca; questo vuol dire che i professori possono entrare e fare lezioni di riepilogo, ma non possono interrogare né fare verifiche scritte. Fosse stato per i rappresentanti d'istituto, l'occupazione l'avrebbero fatta nera. In questo modo i professori, il personale della scuola e la preside, non sarebbero proprio potuti entrare e le chiavi le avrebbero tenute loro al sicuro per un breve periodo, fino alla disoccupazione dell'istituto classico.
Romie non sa, però, che mentre lui graffiava le pareti con le scritte della rivoluzione, Elisa ed un'altra ragazza, hanno preso i registri di tutte le classi e li hanno nascosti. In questo modo nessuno, anche volendolo fare, può farsi mettere la presenza. Quando lo scoprirà, le dirà mille volte grazie. Sono soprattutto le quinte -che c'hanno gli esami- a dare problemi, ma anche Giorgio e quell'altro non scherzano.
Chissà come, pensare a lui e alle parole dette sul fratellino, tutto questo lo incita a gridare più forte. 
Si guarda un attimo in giro, avendo perso per un attimo la cognizione del tempo e dello spazio: che ore saranno? Ha un po' fame, non mangia dalla sera prima. Oltretutto, non ha la minima idea di dove si trovino, è troppo distratto per concentrarsi su strade e stradine. D'un tratto però vede una scuola, un istituto scientifico, che sta tranquillamente facendo lezione, come nulla fosse.
"Quei porci" pensa lui "non hanno né occupato né coogestito né autogestito né riattivato né fatto nient'altro. Non conoscono la benché minima forma di protesta." 
Solitamente, se le scuole non occupano, vanno quanto meno in autogestione. Ciò significa che ciascuna classe sceglie arbitrariamente di seguire le lezioni: può decidere di fare tutte e cinque (o sei) oppure soltanto una, oppure soltanto tre. Si gestiscono da soli. E, d'abitudine ormai, le quinte fanno sempre tutte le lezioni, le prima e le seconde quasi nessuna. E i professori non possono ribellarsi alla loro ribellione: nessun insegnante può dire, ad esempio, "la mia ora la facciamo, mettetevi composti."
La riattivazione è praticamente la stessa cosa dell'occupazione bianca, cambia ben poco. E la coogestione consiste in fare le prima tre ore di lezione, le altre sarebbero occupate in assemblee degli studenti. 
Romano sorride soddisfatto quando, le scuole che sono davanti loro, gridano in coro "Siamo tutti antifascisti!" passando proprio sotto quel liceo scientifico.
Perché dovrebbero differenziarsi? Sono poco persino quelli affacciati alle finestre, ma forse la colpa non è nemmeno loro, hanno i docenti in classe. Ma ai manifestanti non importa. E' l'unica scuola che non sta facendo proprio nulla: ha dichiarato di non sentire la crisi, e qualcuno ha osato dire che chi occupa perde tempo, lo fanno solo per farsi la vacanza, mentre loro, che studiano regolarmente in classe, sono migliori -fasciti! 
Già è tanto che lo dicano gli adulti, ché loro non possono capire i disagi dei giovani, loro non capiscono né vogliono capire, non ascoltano di certo il grido di dolore di questi giovani. Sono troppo indaffarati col lavoro e le altre faccende per sedersi con i loro figli ed ascoltare tutti i loro problemi. Una sfida: chi è, oramai, che si siede accanto al figlio o alla figlia, che lo accarezza, abbraccia e coccola, chiedendogli cosa non vada e che gli sussurra poi 'andrà tutto bene'? Il ragazzo, rappresentante del Leon Battista, non conosce certi gesti. Quelli sono tutti rivolti al fratellino e lui non si lamenta più di tanto; gli sta bene che vada così, va da anni così.
E grida quella parola, antifascista, ché lui lo è almeno dalla terza media, se non dalla seconda, insieme a tutti gli altri, ad un certo punto ci si ferma, ma loro non capiscono perché. 
Si volta verso Roberto. -Oh, non c'ho più voce- gli dice, schierandosi quella poca che ha. 
L'altro ridacchia annuendo e si passa una mano tra i capelli castani. 
-Che ore saranno?- gli domanda, dando un'occhiata in giro. 
Il primo si tocca la tasca cercando il cellulare, che però non trova. -Oh, merda...-
-Che?-
-Il telefono!- 
-....Cazzo.-
Rob prende il suo di telefonino, ha due messaggi, uno dei quali è di Elisa. Rassicura immediatamente l'amico: -Romà, lo ha Elì. Mi ha mandato un messaggio.-
-Ah, già, l'avevo dato a lei. .... Oh, merda- ribadisce. -Ora controlla tutti i messaggi e immagini- soggiunge sbuffando. 
Riprendo la marcia. 
Ci mettono delle ore ad arrivare al punto prefissato e quando finalmente giungono lì,la folla è diminuita. Non importa, l'importante è che la metà l'abbiano fatta, per Romie, si accontenta, anche se comunque non condivide il fatto di andarsene, ma sono già le due meno venti e i ragazzi sazi di ideali ed affamati di giustizia, vogliono mettere qualcosa di più concreto sotto i denti. Si siedono in mezzo alla strada per riposarsi un po', saranno sei ore che manifestano. 
Roma si siede appoggiando le mani dietro la schiena sull'asfalto e chiude gli occhi. 
-Dio, quanto sono stanco- borbotta. 
Una ragazza con i capelli raccolti in una treccia laterale castano chiaro, felpa e cerchietto blu scuro, giubbotto di pelle nero, borsa a tracolla, gli porge una bottiglietta d'acqua.
Lui apprezza decisamente molto, si mette meglio seduto e beve senza appoggiare la labbra alla plastica della bottiglia. -Aaah... grazie- le dice riconoscente. Lei pare (ri)conoscerlo, ma lui non ha idea di chi lei sia. Eppure dovrebbe ricordarsela. E' la ragazza ebrea, Miriam, quella che va in seconda. E' sempre molto gentile. In realtà non dovrebbe essere lì, i suoi genitori non vogliono assolutamente, ma lei ci teneva, Romie sa essere così convincente... come non fare quello che dice? Diciamo che è una persona facilmente plasmabile. 
Timidamente, risponde: -Di nulla...- rimanendo lì. 
Vorrebbe parlare un po' con lui, lo affascina, è un bel ragazzo, è testardo, deciso, ha carattere. Cosa che lei non sembra avere. Distoglie lo sguardo, leggermente a disagio. 
-Mi ricordi il tuo nome?- chiede lui dopo un po', mettendosi gli occhiali da sole scuri marcati Rayban, nascondendo così quegl'occhio verdi che sono una meraviglia. 
-Mi... Miriam- suggerisce.
Il ragazzo annuisce lievemente, riportando lo sguardo sugli altri ragazzi, qualcuno sta mangiucchiando una merendina, dei cracker o dei grissini. 
-Oh, Claudia, me ne dai uno?- 
-Ma sono integrali!- ribatte quella che più che alzarsi, preferirebbe qualsiasi cosa. 
-In questo momento, c'ho così fame, che sto per mangiare anche te- gli spiega il ragazzo. Quella sbuffa e lascia due cracker sul pacchetto, lo passa ad alcuni ragazzi e quel piccolo spuntino finisce sulle mani del ragazzo che ringrazia e addenta i cracker, integrali e per giunta si lamenta. -Non sanno di niente, cazzo mangi?- borbotta.
Miriam, intanto, sta cercando affannosamente qualcosa nella borsa, finalmente, la trova, dopo qualche minuto. Delle caramelle. Ne porge qualcuna al ragazzo. 
-Ah.. grazie- dice lui, prendendone una che mangerà dopo il salato. Si chiede perché la ragazzina sia arrossita subito al contatto con la mano, ma non dice nulla per non metterla in imbarazzo. Fa sciogliere in bocca la caramella rotonda fatta pressoché di zucchero, chiudendo gli occhi. 
Passano quasi due ore prima che possano dichiarare l'evento concluso e possano andare a riposarsi. 
Roberto si stiracchia e guarda l'altro. -Torni a scuola?-
-Mi tocca...- dice lui, con un piccolo sospiro. Si toglie solo ora gli occhiali da sole e li appende al colletto della maglietta. I suoi occhi sono cerchiati da marcate occhiaie, è un po' pallido, tutto dovuto alla stanchezza. 
-Rò, sei distrutto. Vattene a casa, stasera torni.- 
Il ragazzo da un'occhiata all'orologio da polso, sono le quattro e dieci circa, e gli farebbe piacere stare a casa qualche ora, dormire, lavarsi, mangiare qualcosa e svagarsi un po' senza essere a disposizione di tutti e senza dover socializzare per tutto il giorno. Annuisce. 
Prima però deve andare a scuola, lì ha il motore e oltretutto deve recuperare il cellulare. 
Si fa dare uno strappo da una ragazza il cui fidanzato è venuta a prenderla e si fa lasciare vicino scuola, fin dove gli altri possono, gli fanno male i piedi, deve riposarsi assolutamente. Pochi metri a piedi, ed eccolo dentro il cancello. Racconta brevemente l'esperienza. 
Purtroppo, Elisa è già andata via, lei abita un po' fuori città e deve prendere a corriera o il treno, di conseguenza ha degli orari da rispettare che non dipendono da lei. E il suo telefono? Lo ha Alice, lo ha tenuto lei, è quasi completamente scarico, ma sarà acceso per tutto il tragitto in motore. 
Salta su e guida velocemente verso la propria casa, un appartamento al primo piano di un quaritere grazioso, ma non troppo.
E' davvero molto assonnato, quindi vuole arrivare il prima possibile, prima che la sonnolenza gli impedisca la guida. 
Per fortuna, venti minuti ed è dietro la porta d'ingresso, prende le chiavi, apre, butta borsa e giubbotto al solito posto e per seconda cosa gtoglie le calze e le scarpe. Il micio gli si avvicina e si muove sinuoso tra le sue gambe. 
-Milù, togliti- dice lui. 
Sembra non esserci nessuno, c'è il silenzio completo. Il ragazzo prende il micetto tra le braccia e lo fissa. -Sei grasso. Mio fratello ti vizia, non va bene. E poi Milù è proprio un nome del cazzo. E' vero che era un bambino quando te lo ha dato... come se ora fosse tanto più grande- borbotta. 
Il micetto inclina di poco la testa e miagola. Gli graffia un po' le mani agitandosi, volendo essere messo giù, percepisce probabilmente l'indole del ragazzo. 
-Ma vaffanculo!- sbotta lui mettendolo malamente per terra, quasi lasciandolo cadere -quasi. Non è certo pro violenza sugli animali. Semplicemente, non c'ha pazienza. 
Quel gatto, dopotutto, non è nemmeno suo.
Sette anni prima, dopo il fattaccio accaduto al suo fratellino, i suoi genitori glielo avevano regalato, perché Felì, che ha sempre sorriso, aveva smesso di farlo e loro non riuscivano più a reggere questa situazione. Milù gli ha ridato il sorriso. Certo, non è stata l'unica cosa a farlo stare meglio e prima dell'animale deve ringraziare il fratellone, ma lui gli è già moltissimo riconoscente e non metterebbe mai in dubbio questa cosa, per nessuna ragione. 
Ogni tanto, Roma si chiede come ci rimarrà male quando il micio non ci sarà più. Scaccia subito quel pensiero, perché non gli piacere vederlo o solo immaginarlo in lacrime. 
Comunque sia, va a farsi una doccia calda, rilassando così i nervi e rinfrescandosi. Si asciuga alla bell'e meglio e infila boxer e pantaloncini neri, a vita decisamente bassa, non abbottonati, prendendo il phon da un cassetto. Sistemando i capelli con una mano, li asciuga fermo davanti allo specchio pensieroso, e si canticchia qualcosa tra le labbra. 
 
"Ogni volta che lei passa di qua
mamma mia che caldo che fa...
e ogni volta che lei passa di qua
mi mette in difficoltà."
 
S'intitola 'Lei' ed è di Babaman. Non conosce tutte le sue canzoni, solo un paio e quelle poche che sa gli piacciono abbastanza. 
Fischietta il seguito, non perché non lo ricordi, ma semplicemente perché la voce se n'è andata del tutto. 
D'un tratto sente suonare alla porta. 
"Ma come" pensa "suonano, non sanno che a casa non dovrebb'esserci nessuno?" 
Con i capelli umidi, va ad aprire, ma guarda prima dallo spioncino per vedere chi è. Riconosce la mano, gli sembra sola, inoltre è in silenzio e di solito quando è con qualcuno parla tutto il tempo e non sta zitta nemmeno per un seconda. Così non si preoccupa di non essere molto vestito ed apre. 
-Romano, copriti!- lo rimprovera la donna -sta scendendo la signora del piano di sopra con sua figlia, è per le scale- gli dice. 
Lui rotea lo sguardo e abbottona i pantaloncini ed alza la cerniera. 
E' quel senso di finto pudore che lo fa vomitare. 
Insomma, la figlia c'ha diciassette anni. Non ha mai visto un ragazzo a petto nudo? Ma per favore! Quella se lo mangia con lo sguardo ogniqualvolta che lo vede. Per cui, il giovane torna in bagno per sistemarsi i capelli mentre la madre mette su il caffè. Non lo ha nemmeno salutato (di nuovo.) 
Quando, minuti dopo, esce dal bagno ancora a petto nudo con i pantaloncini ad un livello piuttosto basso, le vede tutte e tre sedute al tavolo della cucina. Fa loro un cenno con la mano. -Salve, ciao- dice educato. Perché lui, al contrario di quello che si dice, è molto educato, quando vuole. Solo che non lo vuole quasi mai.
Come previsto, la ragazza, lo sguarda e si sofferma sul suo sedere, che reputa esser proprio bello -e non è la sola a pensarlo, è un fatto quasi oggettivo. 
Romano, quasi voglia fare un dispetto alla madre, si avvicina al frigo prima ancora di coprirsi e prende dell'acqua che versa in un bicchiere. Ne offre, lei annuisce e gli porge un altro bicchiere, che lui riempe. Dopodiché, si chiude in camera e si distende sul letto, con le cuffiette nelle orecche. Ritrova giusto quelle canzone. 
 
"Ed era lei la regina del dance floor
divina, la notavi per il suo splendor
non pagava mai nessuna consumazion
i barman sudano perchè la tipa emana calor.
Questa è una ragazza che imbarazza
che se non le vai bene, non sai quando ti rimbalza
che attira l'attenzione della gente nella stanza
che ti fa dire basta, basta, basta, basta!"
 
 
Chiude gli occhi, ci vuole poco perché si addormenti. 
E cade in un sonno profondo, per tutta la notte dorme, lì, nel suo letto e non a scuola in un sacco a pelo o sul materasso della palestra, decisamente più scomodo.
Non provano nemmeno a svegliarlo per la cena; quando sua madre entra in camera, con un sospiro gli toglie il lettore musicale dalle mani e, dato che il figlio è ancora a petto nudo, gli mette una coperta di sopra, richiudendosi poi la porta alle spalle. 

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Capitolo 11
*** I compagni non si abbandonano. ***


[ Scusate il ritardo, ma ho avuto la febbre e non me la sentivo di scrivere! Spero che questo capitolo vi piaccia! ^^ ]


Come dice quello striscione che alcuni ragazzi stanno portando 'Gli studenti hanno un difetto: sanno pensare.'
E è proprio quello che fa lui continuamente. Periodicamente, i tagli alle spese pubbliche raddoppiano ed ora lui sta manifestando proprio per questo. 
Non è la prima manifestazione a cui prende parte, ma non ha ancora una grande esperienza in merito, dopotutto, ha soltanto quindici anni. 
I suoi occhi color muschio, osservano l'ennesimo striscione bianco, sul quale, stavolta, vi è scritto: "Silvio! Se hai i capelli, è solo grazie alla ricerca." 
Le sue labbra si tendono in un sorriso divertito, poi continua a cantare i cori insieme a tutti gli altri. Vicino, ha due suoi buon amici, uno si chiama Carlo, l'altro Pietro. Si conoscono da poco, ma sono già piuttosto affiatati. Vanno nella stessa scuola, l'istituto classico Leon Battista, ma in classi diverse, tutti e tre, comunque, al primo anno. 
Continuano tutti e tre a gridare, convinti di quei motti recitati a coro unanime. 
Poi, all'improvviso, qualcosa va storto. Non capiscono subito cosa stia accadendo, c'è tanta confusione. La polizia in tenuta antisommossa li teneva d'occhio dall'inizio del corteo, com'è da prassi, ma, adesso, si sono fatti più vicino ed alcuni dei manifestanti si sono accaniti, senza un apparente motivo, verso di loro. Romie trova strano che degli studenti che fino a qualche momento fa facevano quella pacifica parata adesso stiano aggredendo dei poliziotti. La maggior parte delle ragazze entra nel panico, mentre i maschi, già che ci sono, si scatenano un po'.
Loro tre non sanno che fare. 
I due si lanciano un'occhiata d'intesa e decidono di allontanarsi, ma Roma è troppo occupato a sfidare con uno sguardo un agente che si avvicina verso due ragazze, manganello alla mano, per cui si distacca da loro che lo chiamano a gran voce. 
-Che cazzo fai, Romà?!- sbotta Pietro. L'altro si passa una mano tra i capelli biondo scuro.
Il ragazzo moro con gli occhi verdi, intanto, ha spinto via da quelle due il poliziotto, beccandosi per punizione un colpo tra le gambe che lo fa scivolare per terra. E' abbastanza normale che si spaventi, dopotutto l'altro è un adulto e adesso quasi lo sovrasta, chinandosi un po' su di lui. Però ha imparato che la paura non va mai mostrata. 
Così digrigna i denti ed il resto succede troppo velocemente perché lui distingui i vari colpi. Qualcosa lo colpisce sul viso, più volte, e sulla schiena, capisce solo questo. 
Carlo da una botta al braccio dell'amico.-Andiamo!- lo incita.
Si avvicinano entrambi all'amico; Pietro spinge via il poliziotto distraendolo, mentre l'altro aiuta Roma ad alzarsi. Poi, corrono via, infilandosi per qualche stradina isolata. 
-Roma! Stai bene?- domanda il biondo. 
Il ragazzo annuisce distrattamente e porta la manica della felpa vicino al naso, poi l'allontana. La osserva macchiarsi di rosso. 
-Rò, davvero, se stai male, ti portiamo in ospedale- soggiunge l'altro.
-No, no... sto bene- li rassicura, ancora un po' turbato dall'avvenimento. Lancia un'occhiata sulla strada, il putiferio non vuole calmarsi. 
Con la stessa manica di prima, tampona il naso, attendendo che il sangue cessi di scorrere. Ha inoltre un sopracciglio spaccato e gli fa male la schiena, ma sta bene, non è ferito gravemente. 
-Dobbiamo uscire da qui- interviene Pietro. -Come facciamo? Qua è vicolo cieco...- 
Tutti e tre i ragazzi volgono la loro attenzione verso la fine della breve e stretta strada. C'è una recinsione, non è molto alta, forse possono scavalcarla. 
Romie si avvicina ed porta una cassa di legno piuttosto fragile sotto la recensione, mettendovi un piede sopra. Sembra farcela, li reggerà. 
-Ragazzi, venita qua!- dice loro. Mette i piedi sui bordi della scatola, stando attento a non distruggerla, poi scavalca, atterrando malamente dall'altra parte, dopo lui, gli altri due. A passo svelto, si allontanano.
 
Sono tutti e tre seduti su una panchina, lontano dal caos dei manifestanti, Romie al centro. 
-....E' stata la cosa più eccitante che abbia mai fatto- commenta Pietro, gli altri due ridono.
Carlo si trova totalmente d'accordo. -Eh, mica hanno pestato te, però!- risponde lanciando un'occhiata al ragazzo che, invece, ha subito percosse da quel poliziotto. -Tua madre non ti farà più venire, conoscendola- soggiunge ridacchiando. 
Tutte risate nervose, comunque. 
-No, non mi fa più uscire di casa, piuttosto- dice lui, chiudendo gli occhi. Tira fuori il cellulare dalla tasca. Sette chiamate perse. Sua madre lo ucciderà. 
La chiama, appoggiando la nuca sulla spalliera della panchina. 
-Mam...- 
-Romano! Mi hai fatto preoccupare! Va tutto bene, ah? Quando torni?- lo interrompe con una domanda dopo l'altra, con tono decisamente ansioso. 
-Mà, sto bene, sta' tranquilla. Torno tra un po', non tanto tardi- le risponde con tono stranamente tranquillo. In un'altra occasione, non si fosse spaventato tanto, le avrebbe dato una di quelle sue brutte risposte. 
Pochi secondi e chiude la chiamata. Sente una sirena della polizia in lontananza, così si volta di scatto col cuore a mille. 
-Romie, tranquillo. Sono lontani- lo rassicura Pietro, un ragazzotto piuttosto alto, con occhi e capelli scuri, tagliati corti. 
-Sì...- risponde quello. -Ragazzi... grazie- mormora sincero, guardando negli occhi prima l'uno, poi l'altro. 
-Scherzi?- interviene l'amico biondiccio. -Tu avresti fatto la stessa cosa per noi. L'hai fatto per quelle due ragazze, figuriamoci.- 
-Che figli di puttana, comunque, prendersela con quelle due- risponde lui con un sospiro. Chiude ancora gli occhi chiari. -Che mal di testa...- 
-E' meglio se ti portiamo a casa, mo'- soggiunge il ragazzo alzandosi per primo, con lui quello con gli occhi scuri, infine Roma. 
Se ne tornano a casa, stavolta camminando più tranquilli e lenti. 
 
Appena rientrato, Rita, la madre, spalanca gli occhi e gli si avvicina, terrorizzata dal vedere il figlio con la felpa ed il viso sporchi entrambi di sangue. 
-Romano! Ma che ti è successo?!-  gli dice avvicinandosi e prendendogli il mento con una mano, per osservare più da vicino quel taglio, labbra e sopracciglio destro spaccati. 
Felì, che ha soltanto undici anni, stringendo forte forte a sé Milù, gli si avvicina con il cuore che sembra volergli uscire fuori dal petto, tanto batte forte. 
-F-fratellone, che ti è capitato?- gli dice con voce rotta. 
Romie si richiude la porta alle spalle e rimane in silenzio. Si toglia la felpa bianca e le scarpe nere.
La povera donna, alza la voce. -Romano! Ti ho fatto una domanda!- 
-E' stato un poliziotto. Se la stava prendendo con due ragazzine, così mi sono avvicinato. La protesta è degenerata, non ho capito bene cosa sia successo, però- gli risponde lui stringendo a sé il fratellino che si è avvicinato a lui con gli occhi umidi. -Sto bene, Fè, sono solo graffi- lo rassicura. In questo momento, però, vorrebbe essere rassicurato lui stesso.
Osserva la madre sparire in bagno ed uscirne con disinfettante, cerotti ed ovatta. Appoggia una mano sulla sua schiena, facendogli cenno di andare; lui sussulta appena al contatto, ma si siede sul divano. 
-Che c'hai sulla schiena, Roma?- chiede la donna, ripulendo per prima cosa il volto del figlio maggiore. Gli disinfetta i due tagli, mentre Feliciano si siede vicino a lui. 
-Romie, allora hai salvato quelle due ragazze?-
-Spero di sì... sono scappate, quando hanno potuto- mormora sottovoce. 
Rita si spazientisce. -Togliti la maglietta- gli dice, appoggiando dolcemente la mano sulla sua guancia, carezzandola. 
Il ragazzo ubbidisce e si mette di spalle. La schiena è arrossata e presto si formerà un grosso livido. 
L'undicenne gli sorride fiero. -Allora sei un eroe!- esclama. 
-Macché eroe...-  borbotta invece lui. 
La loro mamma prende della pomata e gliela spalma per bene sulla parte rossastra, dopodiché gli concede di rimettersi la maglietta a maniche corte. -Felì, prendi una felpa a tuo fratello. Questa è tutta sporca...- sospira mettendo quella bianca da parte, poi la laverà. 
-Romie, hai mangiato qualcosa?- si volta verso di lui e lo vede scuotere la testa. Lo sente dire di non aver fame, così annuisce socchiudendo gli occhi. Gli si avvicina e gli sistema i capelli con una mano. -Te l'avevo detto, io, che era pericoloso! Sempre a fare di testa tua, tu.- 
-Ma io volevo andarci comunque. E sto bene, non è il caso di allarmarsi. Perciò... - scrolla lievemente le spalle. 
-Va' a riposarti un poco, sarai distrutto, incosciente.  Quando ti alzi, ti preparo qualcosa da mangiare.-
Il ragazzo si chiude in camera sua e si butta sul letto, ma stare di schiena gli fa male, così si mette a pancia in giù e ben presto si addormenta. Inutile dire che non sente nemmeno il padre sbraitare ed il fratellino difenderlo. Inutile.
 
 
 
 
Non è affatto un buon risveglio. 
Sente freddo, ancora lì a petto nudo sul letto, che però è molto comodo. Si mette seduto e stiracchia. Gli brontola lo stomaco. 
-Oh, porca puttana... mi sono addormentato- sospira tra sé e mette via la coperta. Si chiede chi gliel'abbia messa di sopra, forse il fratellino, ipotizza. Si tira su e indossa una maglietta a maniche corte con una felpa, di quelle normali, non con la zip, sopra dei jeans neri. 
Si passa una mano tra i capelli morbidi e va in cucina. Nota sua madre e Felì. 
-'Giorno... che ore sono?- mormora stiracchiandosi, in questo gesto la maglietta si solleva e lascia un po' scoperta la sua pancia, affammata. 
-Ciao, Romie! Sono le nove- gli dice addentando poi una fetta di pane morbido del Mulino Bianco e Nutella.
-E tu che ci fai qua? Perché non sei a scuola?- gli domanda sedendosi sulla sedia, a capotavola. Accende la televisione cercando un telegiornale, ma non lo trova. Ci sono solo cartoni animati e serie tv americane che hanno mandato in onda già una trentina di volta. 
-La mia scuola ieri pomeriggio ha occupato- gli spiega non guardandolo negli occhi. Prende una nuova fetta dalla busta e la riempe di Nutella, poi gliela porge. 
Il diciannovenne la prende con una mano e l'addenta. Gli domanda: -E perché non sei andato?- il tono è piuttosto basso, però non ha completamente voce. Se la schiarisce, ma niente.
-Lo sai perché, Romà- gli risponde l'altro, puntando gli occhi nocciola sui suoi. Non si farà sgridare di nuovo. Beve un po' di succo di frutta, continuando a guardarlo.
-Complimenti- si sente dire con tono ironico. 
E allora risponde: -Non faccio le cose perché qualcuno mi dice di farle, ho la mia testa. Per me occupare non serve a nulla, perciò non aiuterò la mia scuola a farlo.- 
Romie osserva con fare distratto la propria fetta di PanCarrè e l'addenta un altro paio di volte fino a terminarla. 
-Abbiamo uscito gli artigli, finalmente?- gli domanda senza scomporsi più di tanto. 
-Non ti sto rispondendo male... semplicemente, mi da fastidio che tu debba  insistere- risponde Felì, pulendosi la bocca con un tovagliolino. 
-Fa come ti pare- 
-Smettila di fare così! Non hai sempre ragione- gli ricorda, porgendogli sgarbato la seconda fetta, meno piena della crema di nocciole rispetto la precedente, quasi voglia punirlo di quelle parole. 
-Guarda che non ti sto dicendo nulla, abbassa la cresta- ribatte il maggiore. Tiene testa a tutti, figuriamoci se non riesce a farlo con un quindicenne. 
-Non parlarmi come se fossi uno dei tuoi amici, perché a me da fastidio- risponde lui, alzandosi. 
Richiude il barattolo ed il pacchetto e li sistema negli appositi stipi, innervosito: si è scocciato di dover condividere il fratello con la scuola. 
Rita, la madre, che fino ad allora non era intervenuta, apprestandosi a passare una pezza bagnata sul tavolo, interrompere sul nascere le parole del figlio maggiore. -Ragazzi, smettetela di litigare. Se Felì a scuola non vuole andarci, non ci va. Tu, piuttosto,  alla tua devi tornarci?-
-Certo che ci torno- risponde pronto il ragazzo. Si pulisce la bocca e si avvicina al cestino per buttare il tovagliolino. 
Senza ascoltare le lamentele della madre che, preoccupata, gli dice di rimanere a casa, s'infila in bagno per lavare i denti ed il viso.  Sistema per bene il giubbotto di pelle e la sciarpa intorno al collo, poi prende la borsa a tracolla tirandovi fuori le chiavi del motore ed afferrato anche il casco, esce di casa. 
Sbuffa pesantemente una volta arrivato all'edificio scolastico, notando di non avere nemmeno sigarette per rilassarsi. Entra e firma anche lui, come tutti gli altri, nell'unico banchetto che c'è subito dopo il cancello. -Dove sono tutti?- domanda alle sole ragazze presenti, che sono due. 
-C'è assemblea- gli spiega una di queste. 
Lui annuisce e va in Agorà, ancor prima di togliersi giubbotto e abbandonarlo insieme alla borsa da qualche parte. Sente un gran vociare dal punto di ritrovo, per un attimo teme sia successo qualcosa di grave, ma in realtà trova un clima piuttosto sereno. 
Alice lo saluta con un cenno, lui a stento ricambia.
-Che state facendo?- 
-Parlavamo di ieri. Dove sei finito? Ti aspettavamo  e ti degni di venire ora, alle undici- lo guarda con aria di rimprovero, mezza distesa e mezza seduta sul solito loro banco. 
-Mi sono addormentato- le risponde con voce rauca. Finalmente ritrova la sua libertà, quando può rimanere con la felpa indosso ed la maglietta, tutto il resto lo lascia ai loro piedi. 
La ragazza annuisce e continua a parlare complimentandosi con gli studenti per la bella manifestazione del giorno precedente. Lui, invece, ascolta passivamente e per la prima volta da quando l'occupazione è iniziata, non dice nulla. Dopo un po' arriva anche Roberto. 
-Hai visto Lisa?- gli domanda lanciandogli un'occhiata con la coda dell'occhio.
 -Sì, era con Debora, credo. Stava piangendo- spiega l'altro, rimanendo in piedi.
Preoccupato, perché la ragazza non piange quasi mai, si alza e recuperate tutte le sue cose che lascia poi nell'aula notte,  sale le scale per il primo piano. No, lì non la trova. La cerca dunque al secondo piano, la scuola è piuttosto grande, quindi ci mette un po' a trovarla. 
E' in una classe, una quinta come dice il foglio di carta sulla porta, probabilmente, perché i bagni sono al momento non disponibili o sarebbe di certo andata lì. Ogni mattina, infatti, l'edificio viene pulito a turno da volontari che per fortuna non mancano. 
Elisa è infondo alla stanza, nascosta da banchi e sedie ammucchiati, che ripiega in due il fazzolettino che ha tra le mani. Il mascara le è ormai colato sulle guance e la matita è sbavata e le sporca gli occhi. 
Romano si sporge dalla porta e sentendo la voce di Debora, una ragazza di colore con qualche chilo di troppo, si avvicina e chiede a quest'ultima se può lasciarli da soli. Lei,  annuisce e va via. Così lui tende le mani verso la sua migliore amica, per farlza alzare ed abbracciarla, ma lei scuote la testa con il capo chino, tirando in su col naso un paio di volte. 
Dunque si siede le si siede e le cinge le spalle con un braccio, facendole poi appoggiare la nuca contro la sua spalla. 
-Hai litiago con Francesco?- La vede annuire ed asciugarsi di nuovo le lacrime. Con il pollide le carezza un po' il braccio su cui poggia la propria mano. -Che ha fatto?- 
-Non ce la faccio più, Romie... Ogni volta che dobbiamo vederci mi viene l'ansia perché so che poi, tanto, litighiamo e la colpa è sempre mia.-
Quelle ultime parole fanno decisamente arrabbiare Romano. 
La tiene sempre stretta, ma le fa alzare lo sguardo per poterla guardare ngli occhi.
-Sai che significa questo? Che il prossimo passo, è alzarti le mani.  E se inizi a pensare così ora, sul fatto che sia o meno colpa tua.... lo sai come la penso. Non dimenticarti quello che ti ha fatto; è capacissimo di metterti le mani addosso.- 
L'episodio a cui si rifesce non è datato molto tempo prima. 
E' stato alla fine di agosto. Elisa e il suo fidanzato avevano litigato pesantemente e lui le aveva preso il polso e dato poi uno schiaffo. Naturalmente, quando Romie lo ha saputo, ha voluto immediatamente vederlo e gli ha fatto un lunghissimo discorso. Non si sono mai sopportati, quei due. 
La ragazza adesso annuisce e si stringe a lui, sporcandogli di nero la felpa rossa, ma fregandosene altamente. -Ma io lo amo, non voglio lasciarlo...- 
Il diciannovenne, allora, si sposta un po' da lei e le sistema una ciocca di capelli dietro l'orecchio. -Eli, apri gli occhi. Ti fa male ogni giorno, emotivamente parlando. Ti ho più visto piangere in quest'anno per colpa sua, che da quando ti conosco. Lascialo, non hai bisogno di lui, anzi- le dice a bassa voce guardandola negli occhi. -Che ti ha detto, ieri?- 
-Che sono una stronza perché non mi interesso di lui, ché sono sempre qua e lo lascio solo tutto il giorno, tutti i giorni- risponde, asciugandosi le lacrime con la punta di alcune dita, le cui unghia sono pittate di rosso scuro.
-Non è mica colpa tua se non ha amici. E sai perché non ne ha? Perché è uno stronzo egoista- la stringe un altro po' a sé. -Chiamalo ora e digli che è finita.- 
Lei rimane ferma per un minuto per decidere che cosa fare, quando poi recupera dalla tasca dei jeans il cellulare, Romano le sussurra: -Brava.-  
Due minuti e sente di nuovo urlare Francesco come un matto, dall'altro capo del telefono. 
"Mi sta facendo girare i coglioni, questo" pensa tra sé infastidito ol diciannovenne, quindi prende il cellulare dalle mani della ragazza che si è zittita ed incerta stava di nuovo dando ragione al fidanzato.
-Senti, Francé, non devi più romperle le palle, chiaro? ... A lei ci tengo e so che sta male,  per cui, sì, m'intrometto.- 
Quello prova a dire qualcosa come "Non sono affari tuoi!" oppure "Deve decidere lei, non tu!" ma il ragazzo chiude la chiamata e spegne il telefono. 
-Se viene a casa- le dice, sapendo bene che abitano nello stesso residence -non gli aprire, d'accordo?- 
Non è molto preoccupato di ciò, sa che lui non arriverà a tanto. E comunque, lei , ha un fratello più grande di diversi anni, che ora va all'università e che può difenderla. Si chiama Andrea ed è fortemente comunista. Passa tutto il giorno a leggere spessi tomi su Marx, e se non legge questi, scarabbocchia con falce e martello i libri fotocopiati della facoltà a cui è iscritto, che tra l'altro ha cambiato un paio di volte.  E' molto geloso della sua sorellina, conosce Romano e si fida di lui, per un periodo ha insinuato anche che tra loro ci fosse qualcosa. 
Quando Eli si calma, si alzano e lui l'accompagna in bagno, rimanendo appoggiato allo stipite della porta, attendendo che lei si sciacqui il viso e rimetta la matita negli occhi. 
Finito, lo abbraccia forte forte.  -Ti ho sporcato la felpa- mormora seguendo con l'indice della mano sinistra il contorno della macchia informe sul petto dell'amico. 
-Ah, non ci dormirò stanotte- la informa ironico. 
Vanno a fumare nel cortile dietro scuola, dove teoricamente dovrebb'esserci la palestra aperta, che però è inagibile.
Rimangono in silenzio, lei seduta sul terzo gradino delle scale, con la sigaretta tra le labbra, lui, appoggiato al corrimano, la sigaretta la tiene tra le dita ed l'avvicina ad intervalli irregolari alle labbra, buttando poi una nuvoletta di fumo grigio. 
Li raggiungono dopo un po' due ragazzi, Carlo e Peppe. Il primo di loro, è un vecchio amico di Romie. Lo saluta con un cenno, ribandogli poi due tiri. 
-Ieri ti ho visto- gli dice sorridente, ai lati della bocca si formano due fossette -guidavi la truppa, eh?-
-Eh, però potevi pure venire con me, sai?- lo ribecca lui.
L'altro ridacchia appena. -Ti avrei parato il culo, se fosse successo qualcosa, come cinque anni fa, lo sai. E poi, ero comunque in prima fila a tenere gli striscioni- gli fa notare.  
Si intromette allora la ragazza: -Perché? Che è successo cinque anni fa?- domanda voltandosi prima verso Carlo, poi verso Romano. 
Loro due si lanciano un'occhiata d'intesa e le spiegano com'è andata più o meno la situazione, rivelandone lo stretto indispensabile. 
-E non lo hai denunciato?- chiede l'amica.
I tre ragazzi, compreso quel tipo che finora è rimasto in silenzio, trattengono a stento una mezza risata. 
-Queste cose non si denunciano. I poliziotti si parano il culo a vicenda- risponde Romano.
-Sì- concorda Carlo. -E' quello che si fa tra compagni. Lo abbiamo fatto anche noi. E lo rifaremo.- 

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Capitolo 12
*** L'arte su mio corpo. ***


Romano mangia in silenzio con lo sguardo fisso sul piatto di spaghetti col sugo che ha davanti.
E' tornato a casa verso le due e mezza quel giorno e si è ritrovato da solo in cucina col fratellino accanto che svolge i suoi compiti, perché gli altri avevano già pranzato all'una e dieci.
La loro mamma sta riposando un poco in camera da letto, il padre è uscito presto per andare a lavoro. Fa il muratore, non guadagna molto, per cui ogni qualvolta ha la possibilità di guadagnare qualche extra, la coglie al volo. Ha di certo tanta buona volontà, vuole che alla sua famiglia non manchi nulla e forse è proprio per questo che quando il figlio maggiore è stato bocciato l'anno prima, è rimasto molto deluso e gliel'ha fatta pagare per tutta l'estate. Roma non ha paura di sporcarsi le mani per aiutare in casa. Non si è goduto appieno i tre mesi di vacanza, ma non si è lamentato, anzi, temeva che suo padre lo facesse ritirare. Lui ci tiene al diploma!
Sono ormai due settimane che ha occupato la scuola con i suoi compagni e, tranne per i primi giorni, sta studiando tantissimo. Ha studiato i quattro capitoli di storia che aveva da fare, rifatto tutti gli esercizi di matematica che non aveva capito, ripassato le lezioni di spagnolo e inglese ed approfondito il resto. Si sta impegnando per davvero, perché stavolta deve farcela. 
Da un'occhiata al Feliciano, che sta studiando da un tomo enorme e pieno di illustrazioni.
-Ma tu fai solo arte?- gli domanda, inarcando un sopracciglio. -Ti vedo fare solo quella.- 
Lui scuote la testa e ridacchia. -No, ma è quella che studio di più. E' la materia d'indirizzo, no?- 
Il maggiore annuisce appena.
Hanno ben presto chiarito il malinteso dei giorni precedenti, dopotutto non riescono a stare litigati a lungo. Prende un altro po' di pasta e la porta alle labbra, la manda giù e si versa un po' d'acqua in un bicchiere.
-Senti...- inizia, poi beve un po' ed intanto lo guarda. Deglutisce e riprende. -La fai una cosa per me?-
-Anche due- risponde il ragazzino appoggiando la matita sul libro e la guancia alla mano. 
Romie prende un suo quaderno e dalle spille stacca un foglio, rubandogli poi una matita e l'altro ha già capito. 
-Che vuoi che disegni?- gli domanda.
-Voglio fare un tatuaggio.-
Felì spalanca gli occhi. -Papà ti uccide!-
-Non m'interessa. Lo voglio fare. Sono maggiorenne e poi ho i soldi che mi ha dato il nonno- gli ricorda. -Allora, mi aiuti?-
Il quindicenne sospira annuendo. -Sì, sì che t'aiuto...- gli dice e prende il foglio, portandolo davanti a sé e, allontanando il libro, impugna di nuovo la matita. -Cos'è?-
- "Insurgo ut Patria Resurgat." E' una scritta latina, che usavano anche i partigiani duranti la Seconda Guerra Mondiale. Significa: "Insorgo affinché la Patria Risorga." E vicino al 'gat' voglio tre petali di margherita, uno dei quali celeste. Ma piccoli! Altrimenti, è tamarro.- 
Il fratello annuisce con attenzione, cercando di immaginarselo.
Inizia a fare una bozza. -Significato?-
-Latina perché siamo cresciuti praticamente nell'Antica Roma. Partigiana perché... perché sì. Perché i partigiani sono le persone che ammiro più al mondo e cerco sempre di comportarmi come credo farebbero loro. I tre petali perché la margherita è il nostro fiore Nazionale. Celeste... per gli Azzurri, ovvio, la nostra squadra- gli spiega.
Eh, sì, loro sono cresciuti nell'Antica e bella Roma.
Da più giovane, Rita, la madre, lavorava, per cui non era spesso a casa e loro rimanevano col nonno, il quale, archeologo, li portava quasi ogni pomeriggio ai musei, illustrandogli tutto sull'Impero più grande che ci sia mai stato nella storia. Se non potevano andare, rimanevano a casa e costruivano modellini di soldati o monumenti, come il Colosseo, l'Arco di Costantino, i Fori Imperiali. Se il nonno, poi, aveva molto da fare, li lasciava giocare all'aperto col pallone da calcio. Solo loro sanno quante ginocchia e quanti gomiti si sono sbucciati correndo dietro a quella palla bianca e nera! Quello sport li ha uniti. Da quando hanno memoria, hanno sempre guardato le partite degli Azzurri insieme e, spessissimo, anche quelle del Napoli, la squadra preferita del più grande dei due. 
Proprio lui ha un forte sentimento nazionalista. Per quanto la sua Nazione possa avere sbagliato in determinati momenti storici, o per quanto la politica italiana sia corrotta, lui non andrebbe mai a vivere da nessuna parte.
E' già stato doloroso abbandonale Napoli da bambino per trasferirsi al nord, non accetterebbe mai di abbandonare la sua Penisola. La ama troppo. 
E darebbe la sua vita per la patria, se dovesse essere necessario farlo, come hanno fatto i partigiani, per la libertà.
Feliciano lo ascolta attendo ed accenna un sorriso dolce.
-Ha un bellissimo significato. E dove vorresti farlo?-  
Il ragazzo ci pensa un attimo mentre lava il piatto da lui appena utilizzato. -Pensavo sull'avambraccio. Tu che dici?-
-Non è brutto. Su polpaccio?-
-NO. E' orribile, detesto i tatuaggi su quel punto- esclama asciugando il suddetto piatto e mettendolo poi nello scolapiatti.
-Vada per l'avambraccio. Tra il gomito e la spalla?- 
-Ma poi, quando si è vecchi, la pelle lì cede e sta male. Invece vicino al polso è più difficile che si rovini- gli spiega lui. -Domani vado a donare il sangue, così poi posso farlo senza problemi, altrimenti non posso donare per un bel po'.- 
Subito dopo aver compiuto la maggiore età, difatti, è andato nel centro Avis più vicino. Fosse stato per lui, avrebbe donato già quattro anni prima, tuttavia non era possibile. Ha sempre detto che, facendo corna in gesto scaramantico, gli fosse successo qualcosa, magari un incidente stradale, i suoi genitori avrebbero dovuto donare i suoi organi, se fosse stato possibile e se essi non fossero danneggiati. 
Mentre il quindicenne fa il bellissimo disegno del tatuaggio, lui si mette un po' sul divano a riposare.
Dopo circa mezz'oretta, forse un po' di più,  gli si avvicina il fratellino con un foglio in mano, che tende verso di lui.
-Che ne pensi?- chiede. 
-E' bellissimo- mormora Romano, osservandolo attento. Poi, alzando una manica, si lascia fare la bozza sul braccio. Si guarda poi allo specchio. Gli piace proprio.
-Ottimo, ci vado sabato, ché a scuola c'è più gente e posso stare tranquillo.-
-Ah, ehm, e ci vai da solo?- butta lì Felì, abbassando lievemente lo sguardo.
Romie sorride lievemente e gli scompigli i capelli, andando a lavarsi il punto di pelle mascherato col colore nero a spirito. -Vuoi venire?-
-Sì!- esclama lui felice.
-Va bene.- 
Ancora qualche parola, e torna a scuola, per il suo solito pomeriggio da occupante, pronto per la notte. 
 
 
 
Il giorno dopo, puntuale, il ragazzo si trova al centro di donazione del sangue che c'è vicino casa sua, il casco accanto, la borsa a tracolla abbandonata sotto la sedia, in attesa che venga il suo turno, guarda tutto con noia e distrazione. 
Quando finalmente un'infermiera lo chiama, si porta dietro le sue robe ed entra nella stanza, togliendosi il cardigan e rimanendo a maniche corte, seduto sul lettino. 
Quell'incompetente del medico, un uomo piuttosto vecchiotto, ci mette tantissimo a trovare la vena per il prelievo. Mette l'ago prima nel braccio sinistro, poi, per non ammaccarlo troppo, in quello destro.
-Fatto male?- domanda.
Il giovane scuote la testa anche se sì, la sua mancanza di delicatezza gli ha provocato un certo dolore, tuttavia non se ne lamenterà più di tanto.
Osserva distratto il sangui nel tubicino, senza impressionarsi per nulla, poi, terminato quel processo, gli viene dato un cornetto con la Nutella ed un succo di frutta. Lui li consuma con calma, dopo essersi rivestito di giacchetta e giubbotto di pelle nero ed esce, per andare a scuola.
Quando giunge, si scusa per il ritardo -roba da matti, è quello che là dentro ci sta più di tutti, eppure si trova costretto a scusarsi per non far discussioni- e dopo vari giri di controllo, finalmente può sedersi e godersi un po' di riposo all'ingresso di scuola, vicino i banchi dei ragazzi che prendono le firme.
Verso le undici, nota una figura familiare avvicinarsi con un passeggino blu della Chicco, vuoto, vicino a lei un bimbetto di due anni circa, ricciolino, con la pelle quasi diafana, tant'è chiara.
La ragazza, che presto riconosce, è Chiara, una del quarto anno, rimasta incinta a sedici anni. Del papà Romie sa poco, sa solo che vede di rado il figlio e che è un tipo antipatico e con la puzza sotto il naso, come gli è stato riferito da Elisa, la quale, quel giorno, è rimasta a poltrire sotto le coperte.
Chiara si avvicina al cancello ed entra. -Permesso?- domanda ridacchiando, poi richiamando il figlio saluta un po' tutti. Anche lei è una di quelle ragazze che tutti conoscono, che fa parte della cerchia misteriosa dei rappresentanti d'istituto.
-Ohi- la saluta il diciannovenne. Butta via la cicca di sigaretta ormai spenta e scende pigramente quei pochi gradini che li separano. 
-Mamma mia- esclama -è fatto grande! Non lo vedo da tantissimo.-
Abbassa lo sguardo sul bimbo che sembra tutto preso dalla sua caramella alla cocacola. Sorride lievemente quando la madre gli carezza i capelli castani e poi guarda il rappresentante facendogli cenni di saluto con la manina. Probabilmente non si ricorda di lui, l'ultima volta che si sono visti, aveva un annetto scarso, ora ne ha due abbondanti. 
Roma lo prende in braccio e lo guarda. -Ciao- gli dice. -La mamma ti ha comprato le caramelle?- 
Il piccolo annuisce tutto contento e gliela mostra, ingenuamente, così lui ridacchia appena. 
-Matteo, te lo ricordi, lui? Si chiama Romano- interviene la ragazza, togliendosi il giubbotto. -Ragazzi, mi dispiace di non potere stare qui con voi, ma visto che non sono obbligata a venire, preferisco stare un po' col mio bambino.-
Loro si mostrano tutti comprensivi. Anche gli altri ragazzi, infatti, avrebbero fatto la stessa cosa. Il piccolo ha bisogno della sua mamma. Ed è proprio lui ora che, finita la caramella, informa il ragazzo tra le cui braccia si trova, di una cosa importante (per lui.)
-La mamma ieri mi ha comprato la macchinina rossa, quella che va velocissima- mormora annuendo un paio di volte con convinzione.
-Ah, ma davvero? La Ferrari? E' bellissima, sì, a me piace un sacco. Sai che l'ho anch'io, il modellino?- argomenta il ragazzo, sistemandolo meglio tra le braccia, camminando un poco in disparte dagli altri giovani.
-E te l'ha regalato la tua mamma?- chiede ancora il piccolo, insistente, biascicando le parole. -A me, sì!-
Romano scuote lievemente la testa divertito. -No, a me lo ha regalato il nonno.-
Rimane a parlare col piccolino per una ventina di minuti, tenendo il peso più sul braccio sinistro che su quello destro, dove ancora ha il cerotto del prelievo (ha dimenticato di toglierlo.)
Matteo sembra essere l'attrazione principale di quella monotona giornata, rimane perlopiù con il diciannovenne, però, perché lui dimostra più attenzione alle cose che fa ed è più divertente. 
Mangiano lì con loro un panino al volo, ma dopo tornano a casa, perché per il figlioletto è l'ora della nanna. 
Prima di andare, abbraccia forte forte Romano e gli rassicura: -Mamma mi ha detto che poi ci vediamo di nuovo, così posshiamo giocare! Tu sei contento? Io sì!- 
Il ragazzo annuisce divertito. -Tanto contento, sì. Ma ova vai a casa e vai a dormicchiare un poco.-
Lui stesso, dopo essersi congedato, va a schiacciare un pisolino nell'Aula Notte, perché la sera precedente non ha chiuso occhio. 
Ma il suo chiodo fisso, è per l'indomani.
 
 
Ed il sabato mattina arriva. 
Diversamente dagli ultimi giorni, ha dormito a casa, così il mattino dopo, può tirare giù dal letto il fratello e trascinarlo con sé allo studio di un tatuatore che ha fatto una piccola opera d'arte sul collo di Alex. 
Ha accennato all'iniziativa a lui, a Carlo ed a Elisa, i suoi migliori amici, e loro si sono detti entusiasti della cosa, perché dietro nasconde un significato profondo e molto bello.
Ha dovuto, per evitare liti profonde, dirlo ai suoi genitori, quando, a cena, la sera prima, ha cercato di mantenere i toni bassi, parlare in modo pulito, senza una parolaccia e con un calma che non gli appartiene proprio, gli ha esposto il tutto.
Suo padre, com'era da previsione, si è arrabbiato e si è messo ad urlare che i tatuaggi sono indice di persone dal brutto carattere, sporche, disgraziate, poco serie. 
Rita invece si è lamentata  rimanendo nei suoi soliti toni, dicendo che non è una cosa che fanno i ragazzi per bene e aggiungendo che nell'ultimo periodo si sta lasciando andare un po' troppo.
Feliciano lo ha difeso, cercando di spiegare che il maggiore voleva avere vicino anche suo nonno, utilizzando il latino, toccando il lato tenero della mamma, che a quelle parole si è addolcita e ha lasciato parlare il marito, senza più intervenire.
L'uomo, però, non voleva demordere. Si è preoccupato tanto perché la scritta sarà visibile spesso e magari, durante un colloquio di lavoro, può creare problemi. Ma Romano è testardo ed ha ottenuto quello che voleva: con rassegnazioni entrambi gli hanno detto qualcosa che suona come: "E che ti devo dire? Fattelo, se sei felice tu." Una specie di consenso. 
Sono appena passate le nove quando suona la sveglia del cellulare del diciannovenne, il quale la spegne subito e stranamente, con altrettanta velocità, si alza dal letto. E' felicissimo di star per fare questa cosa ed ancora di più perché il suo fratellino lo accompagnerà.
Fa colazione proprio con lui, in silenzio, ma contento, infatti sul suo viso appare l'ombra di un sorriso, evento abbastanza raro.
Per le dieci sono già in motore, diretti al centro tatuaggi della città. 
Il locale ha delle vetrine molto grandi che lasciano intravedere tutto ciò che avviene all'interno. Quando entrano, il tintinnio di uno scacciapensieri sulla porta, risveglia l'attenzione di una giovane ragazza dietro al bancone, che fa gli ultimi ritocchi ad una geisha giapponese che sta disegnando, poi rivolge loro un caloroso sorriso. Il suo collo è tatuato, così come le sue braccia ed il suo petto, per quanto la maglietta aderente lasci intravedere. 
-Ciao! Posso aiutarvi?- domanda.
Romano le spiega di avere appuntamento con Max, il fratello ventitreenne del proprietario del posto, un tipo con i capelli scuri quasi neri, la pelle bianca quasi diafana e gli occhi verde-azzurro. Anche lui è tatuato sulle braccia, dalle spalle ai gomiti. E' giovane, ma capace. Si presenta da loro pochi minuti dopo, trovandoli in sala d'attesa,  con il dilatatore nell'orecchio destro e in quello sinistro ed un cappello nero sulla nuca. 
Prende il disegno di Felì, un ritratto del fratello in procinto di sistemare le maniche della felpa che, appunto, arrotolate fino al gomito, lasciano scoperti gli avambracci. La scritta è visibile e chiara, il tatuarore non dovrebbe avere problemi ad imitarla, perché sì, Romie vuole il tatuaggio identico alla bozza fatta da Felì, è fiero di quel lavoro, rifatto poi più grande e con i dettagli più curati in un foglio a parte. Ed il fratellino si stupisce che non voglia apportare delle modifiche ma ne è allo stesso tempo entusiasta.
Viene dato a Max un documento che attesta la maggiore età del cliente, poi lui stesso mormora: -Allora, facciamo proprio questo? Sei sicuro? Non si torna indietro, eh!-  avvicinandosi a passi svelti ad una delle stanzette piccole dove operano lui e gli altri quattro ragazzi, ne hanno una ciascuno. Fa cenno al maggiore di prendere posto sulla sedia e chiede di alzare la manica della felpa oppure di toglierla. Lui sceglie la seconda, una volta seduto, Feliciano lì vicino ad osservarli curioso. Per fortuna il braccio è privo di peluria, così deve limitarsi a disinfettare la parte, senza rasarla.  -Sei un po' nervoso? E' il primo, dopotutto. Pensi che sarà l'ultimo? Sai, alcune persone sono svenute mentre si facevano tatuare, non tanto per il dolore, ma per la paura. Infondo non fa poi così male, dopo il primo minuto ci si abitua.-
"Ma quanto accidenti parla?" si chiede tra sé il ragazzo. Però, pacato, gli risponde. 
-E' il primo, non sono nervoso e non sarà l'ultimo. Non credo, almeno.- 
Chiude gli occhi pensieroso, le ginocchia piegate si muovono poco poco. Quasi subito Max gli chiede il motivo di quella scritta, così lui lo spiega chiaramente e lentamente, l'altro annuisce di tanto in tanto. 
-E' bello. Siete legati, voi due, eh?- gli domanda ancora, mentre rifinisce l'inchiostro nero sulle lettere.
-Tanto- ammette Felì.
-Tantissimo- lo corregge Romano. -Mi fa disperare ogni tanto, ma farei di tutto per lui.-
-Si vede- commenta il tatuatore allontanando quella particolare penna dal lembo di pelle sul quale lavora, guardando il quindicenne con uno sguardo tenero. Poi, riprende il lavoro e lo termina, con attenzione.
I tre petali sono piccoli, ma molto ben curati; date le loro dimensioni e la bellezza di quell'azzurro utilizzato, si decide di farli tutti e tre di quel colore, ma non ci sono altre modifiche.
Gli sembra che ci siano volute delle ore quando può finalmente alzarsi e, dopo aver scrocchiato le dita ed il collo, se lo controlla per bene, l'avambraccio sinistro.
-E' serissimo- dice osservando il riflesso allo specchio, con fare soddisfatto. -Mi piace un bordello.-
Lo fa vedere poi al fratello, che sembra se possibile ancora più contento di lui -tutta questione di carattere e di saper mostrare le proprie emozioni. 
-Mi raccomando, curalo bene. Adesso metto la pomata e la benda, che devi tenere per due giorni. All'inizio va trattato come una ferita, poi però deve prendere aria, quindi non tenere la fasciatura per troppo tempo- gli spiega il ventitreenne spalmando una cremina senza alcol sul lavoro appena realizzato, che dopo ricopre con una fascia bianca. 
Gli consegna un foglio sul quale sono scritte le giuste regole per preservare la cura del tatuaggio. 
-Da ora, dipende da te, non farlo rovinare, è peccato- gli dice. 
Si avvicinano alla cassa, gli fa un prezzo di favore perché conosce bene Alex, che gli ha parlato di questo suo amico. Gli manda sempre un sacco di clienti, lui, e confida che anche Roma lo farà. Quest'ultimo, soddisfatto per com'è, lascia una mancia e poi va via.
Appena fuori, Feliciano lo guarda.
-E' stupendo! E' venuto fantastico, devi farlo vedere a tutti- mormora annuendo convinto.
Il problema sostanziale è la reazione dei suoi genitori. 
La madre, appena ritornati a casa, gli guarda subito le braccia, che essendo coperte dal giacchetto, non mostrano alcunché. 
-Allora? E vediamo, no?- gli dice curiosa.
Il figlio scopre la benda e glielo mostra, lei si dice felice per lui. -E' grazioso, e non è troppo grande- aggiunge. 
Il padre si dovrà accontentare di farselo raccontare dalla moglie, perché il ragazzo sta tornando a scuola, portandosi dietro della crema, e non tornerà prima di domani.
 
 
Quando posteggia il motore, subito dopo, si mette a cercare Alex.
Ci mette un po' a trovarlo, è in palestra a fumare.
-Oh!- richiama così la sua attenzione e scopre il braccio mostrandogli la fasciatura. -Fatto.-
-Embè? Scopri, voglio vedere- dice quelle, osservando la benda bianca. -Ma ti ha fatto male? No, vero? E' bravo, Max. Suo fratello fa dei disegni allucinanti.-
Romano scopre delicatamente la parte e gli mostra il tatuaggio, chiedendo: -Suo fratello?-
-Sì, si chiama Spillo, è il proprietario della baracca. C'ha tipo trent'anni, qualcosa in più forse. Senti, non ci mettere la vasellina, ok? La consigliano tutti, ma non va bene, perché scolorisce. Evita. E sciacqualo spesso- lo avverte.
Lui, oltre il tatuaggio sul collo, ne ha uno sulla spalla ed uno sul polso che gli ha fatto proprio questo Spillo, un tipo con i capelli rasati silenzioso e serio.
Il diciannovenne nota Carlo più in là, così lo chiama, per mostrarglielo. 
-Ah, ma è meraviglioso- dice lui, salutando Alex con un cenno, il quale ricambia. 
Discutono un po' sul prezzo e sulla professionalità di quello studio, una volta che il ragazzo rimette la benda. 
Ma dopo pochi minuti deve scoprirlo di nuovo -per l'ultima volta- per mostrarlo ad Elisa.
Per il resto della giornata non lo fa vedere a nessuno, lo idrata ogni tanto con crema ed acqua e lo tiene coperto.

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Capitolo 13
*** Problema fascista. ***


Un'altra settimana di occupazione.
Alle assemblee, tutti i ragazzi hanno notato il nuovo tatuaggio di Romano, dato che lui sta quasi sempre con le maniche corte o comunque con gli avambracci scoperti e quasi tutti gli hanno fatto i complimenti. Però lui ha tenuto per sé il significato di quella scritta, lo ha rivelato solo a pochi eletti. -E' personale- ha sempre detto. 
In particolar modo, quel tatuaggio non è piaciuto a Giorgio.
Di certo il ragazzo non ha capito subito il suo significato, ma lo ha fissato a lungo, ponendosi delle domanda e s'è appuntato nel cellulare quelle parole che poi ha cercato a casa, comunicandola ben presto a quel suo amico. 
-Che schifo!- ha detto. -Quei disturbati dei partigiani!- 
Un motivo in più per detestare il rappresentante d'istituto. 
Anche quel giorno sono a scuola, lui e quell'altro, anche se vorrebbero disoccupasse si recano lì ogni giorno, cercando ogni tipo di scusa per dar fastidio al diciannovenne. Proprio in quel momento, sono nel bagno dei ragazzi a fumare da un pacchetto di Malboro, appoggiati al muro, vicino l'orinatoio. 
Romano si reca lì mentre fa il giro di ronda  abitudinale; ogni ragazzo nella scuola deve studiare, fare qualcosa di produttivo, perché devono dimostrare che non occupano per non fare nulla a casa, ma ci credono davvero e come ha sempre detto lui stesso, quando torneranno alle regolari lezioni, devono essere pronti in tutto. Se gli altri controllori beccano qualcuno che non fa nulla, ci passano su, ma non lui. Lui rimprovera e si fa odiare. Talvolta diventa pesante, la situazione.
Comunque sia, sentendo le loro due voci sghignazzare, si avvicina alla porta, il bagno maschile di quel piano, è una piccola L, a sinistra infatti ci sono wc e orinatoi, mentre lui rimane vicino ai lavandini, appoggiato alla parete, con le braccia conserte, per capirne di più.
-Quella troia giudea! Quanto schifo mi fa! Dovremmo darle una lezione- sta dicendo Giorgio all'altro, Paolo.
-Facciamocela- risponde lui con un ghigno. -Torna a casa in autobus, ma prima fa un pezzo a piedi. Facciamocela- ripete. -Così impara chi comanda.- 
Alla risposta affermativa del primo e alla conseguente risata di entrambi, Roma, innervosito di tanto, perché sa cosa comporta una cosa del genere, si mostra e si avvicina a loro.
-Siete così disperati da doverla prendere con la forza, ah? Non ve la da nessuno?- mormora acido, scrutandoli malamente.
-Ché, che problema hai, tu? E' la tua puttana? Te la scopi?- chiede Paolo, un tipo biondino, il più basso tra i tre. 
-No. E anche se fosse? Voi non la dovete toccare. Parlate di Miriam, vero?-
Annuiscono, poi si scambiano un'occhiata d'intesa, i due fascisti.
-Non la toccate. E non toccate lei né nessun'altra. Chiaro?-
Giorgio ghigna e gli si avvicina, Paolo le mani le tiene in tasca, quasi abbia qualcosa da proteggere lì dentro. 
-E pensi che se ce lo dice un comunista, noi l'ascoltiamo?- dice poi il primo scuotendo la testa con fare lento. -No, no. Noi facciamo quello che vogliamo.  Sai che succede a quelli che difendono gli ebrei?- 
Romie non si spaventa di certo. Lo osserva, appoggiato alla parete dove lo hanno costretto perché si sono avvicinati, le braccia al petto, un piede sul muro, col ginocchio piegato. -No. Che gli succede?- domanda guardando i loro occhi.
-Almeno sai che accade ai fratelli di chi quelli che difendono gli ebrei?- ribatte ancora quello, con un mezzo sorriso bastardo sul volto. 
Il diciannovenne digrigna i denti. -Tocca mio fratello e sei morto- lo minaccia. 
Lo afferra per il colletto...
Poi succede tutto alla svelta.
 
 
 
Il rumore assordante dell'ambulanza lo infastidisce fin troppo. 
Non sa bene cosa significhi e non ricorda nulla, ancora con gli occhi chiusi. 
Deve aprirli? Prima fa mente locale. L'ultima cosa che ricorda è la faccia da schiaffi di quei due fascistetti del cavolo e la frase di quello il cui nome inizia con la settima lettera dell'alfabeto.
 "Il fascio si serve, non serve."
Non ricorda nemmeno a proposito di cosa l'abbia detto. 
Una forte luce gli infastidisce gli occhi chiari, sente una voce femminile dire qualcosa, ma non capisce, così si limita ad aspettare. 
Due porte blu, simili a quelle di una sala operatoria, si spalancano. 
Ma dove diavolo si trova? Possibile sia in ospedale? 
Lo scopre ore dopo, quando riprende conoscenza. Per quanto ne sa, è svenuto. 
A fatica, alza le palpebre e si guarda intorno. C'è sua madre che piange su una sedia, il fratellino che gli tiene la mano, gli occhi arrossati per le lacrime, del padre non c'è traccia, ma c'è, fuori dalla stanza, nella scala antincendio che fuma. 
-Romano! Romano... come ti senti?- gli chiede Feliciano con un piccolo sorriso.
La prima cosa che fa il giovane è quella di provare ad alzarsi, ma il movimento brusco gli provoca dei crampi allo stomaco e alla testa e Rita, la mamma, subito gli si avvicina ed appoggia la mano sulla sua spalla, ammonendolo; vuole stia a riposo.
-Cos'è successo?- chiede lui, una mano sul viso a proteggerlo dalla luce al neon.
-E tu ce lo devi dire! Che hai combinato?-  dice la donna. 
-Non ricordo nulla- ammette, abituando poco a poco la vista all'ambiente nuovo. -Perché sono in ospedale?-
Felì, paziente, gli sorride appena ed accarezzandogli la mano a bassa voce gli spiega quel poco che ha capito lui della situazione. 
-Sappiamo solo che un ragazzo della tua scuola ti ha trovato in bagno, sporco di sangue. Hanno chiamato l'ambulanza e ti hanno portato qui. Ma non sappiamo cosa sia veramente successo o chi ti abbia ridotto così.-
-Ma così come?!- sbuffa l'altro. -Che ho, che mi hanno fatto? Operato?- azzarda. 
-Ti hanno picchiato e accoltellato sul fianco, credo... Potevano ammazzarti...- risponde il quindicenne, coprendo con una mano la bocca, le lacrime di nuovo gli rigano il viso. -Ma chi è stato, Romie? Ti prego, dimmelo...- lo prega con lo sguardo, stringendo più forte la sua mano.
Interviene lei, Rita, che accarezza dolcemente i capelli del più grande dei figli, gesto d'affetto che non gli riserva quasi mai, perché è proprio lui ad evitare certi contatti, lo infastidiscono, dice.
-Devi dircelo, Romano...- gli sussurra, puntando lo sguardo sul suo.
-Non ricordo nulla- risponde il giovane,  sincero. 
-Vedi di ricordare- dice lei. -Quando arriverà la polizia, ti farà delle domande.-
A quel nome, lui si spaventa un po', istintivamente. Polizia? Perché la polizia? Non dice nulla, dubbioso, dolorante e stanco. 
Non vuole stare lì, vorrebbe andare a casa, nel suo letto, con i suoi libri o nel suo ambiente, quello della scuola occupata.
Si chiede come stiano gli altri, se sono preoccupati oppure se sono totalmente indifferenti al fattaccio avvenuto. 
Chiude gli occhi rimanendo in silenzio, il respiro regolare. E pensa.
Si ricorda delle scene. Ecco.... li vede in bagno a discutere, voleva prendersela con Miriam. Poi lui si è intromesso... allora quelli hanno tirato in ballo Feliciano, lui ha perso la pazienza, ha sbattuto Giorgio al muro, aggredendolo verbalmente. Paolo... ah, sì! Ora ricorda! Lui aveva sempre le mani in tasca. Teneva qualcosa... si è ritrovato qualcosa di freddo e lucido sotto il collo, forse una lama, per cui istintivamente, nel letto bianco d'ospedale, porta una mano su quella parte, ma non vi sente nulla al contatto. Deve esserci stata una colluttazione. Deve avere reagito, sì, sì, questo gli sovviene alla mente. Ha reagito, gli altri due poi hanno iniziato a pestarlo; Paolo ha usato il coltello su di lui, sbagliando per fortuna mia; quando però si sono resi conto di quello che hanno fatto, sono scappati lasciandolo lì ed ora chissà che fine hanno fatto. 
In quel momento, qualcuno bussa alla porta, entrando subito dopo. Sono due agenti.
Uno ha circa trent'anni e la barbetta scura, l'altro sembra appena un ragazzino. Ha un taccuino tra le mani e una penna, probabilmente prenderà degli appunti.
Quello più maturo ed alto di grado si presenta con nome guarda il giovane disteso. 
-Tu sei Romano, giusto? Romano... Romano Vargas- gli domanda, come se volesse una conferma. Il ragazzo annuisce. -Siamo qui per farti qualche domanda.-
Romie non parla. Lo osserva soltanto. 
-Vogliamo sapere come sono andate le cose.-
-Li ho sentiti dal bagno progettare un'aggressione a fine sessuale, uno stupro, ai danni di una ragazza ebrea della mia scuola. Mi sono messo in mezzo. Ecco che è successo- spiega lui, sostenendo lo sguardo del poliziotto, con indifferenza. 
-La ragione dev'essere l'antisemitismo, allora...- Quello ed il collega si scambiano un'occhiata d'intesa. -Hai iniziato tu? Questo non va mica bene...- 
-L'avrebbero stuprata!- ribatte il giovane, sconvolto. -Sono due sporchi fascisti che volevano abusare di una ragazzina, che avrei dovuto fare, tornarmene a farmi i fatti miei? Oltretutto, hanno insultato mio fratello.-
Feliciano, lì vicino, abbassa lo sguardo mortificato. Scioglie la presa delle loro mani.
Allora, è colpa sua? Se lo chiede, perché è certo che il fratello sia passato "all'azione" quando i due aggressori lo hanno nominato. 
Il maggiore lo guarda con la coda dell'occhio e sospira lievemente. 
-Non gli permetterò di farti nulla- lo rassicura sottovoce. 
Il trentenne in divisa si schiarisce la voce per richiamare la sua attenzione. -Non è una buona cosa perché, con un buon avvocato, se la cavano con nulla, dato che tu hai iniziato.-
-Pronto?! L'avrebbero stuprata!- ribatte per l'ennesima volta. -Forse lei non ha idea di cosa voglia dire, ma noi sì.- 
A quelle parole, la madre sospira socchiudendo gli occhi, mentre il fratellino si affretta ad uscire dalla stanza, per andare a trovare il papà che sta ancora fumando fuori. 
Romano appoggia la nuca al letto. -Merda...- mormora sottovoce.
A tal proposito, non dice nulla alla polizia, ma racconta quello che sa sui due fascisti. 
Non ha un'ottima considerazione della giustizia italiana, perché l'ha conosciuta bene al processo -ancora in atto, per altro- che hanno passato tutti loro per la questione del fratellino, che all'ora aveva appena otto anni, oggi ne ha già quindici. 
Passa mezz'ora, può finalmente riposarsi un po', quando i due si congedano.
Chiude di nuovo gli occhi, appoggia una mano sullo stomaco, sente sotto le dita una spessa fasciatura, chissà com'è combinato, gli piacerebbe saperlo, per curiosità più che altro. 
Con suo inaspettato piacere, ci sono molte persone preoccupate per lui.
Elisa, ad esempio, piange disperata ormai da qualche ora, non riuscendo a rintracciare telefonicamente nessuno dei familiari. Carlo è vicino a lei, seduto col viso appoggiato alle mani congiunte, preoccupato. Alex continua a fumare. 
-Raga- esclama d'un tratto il biondo. -Io vado in ospedale, non riesco più ad aspettare.- 
Si alza e prende il giubbotto con la mano, poi s'avvia verso l'uscita dell'istituto. Svelti, gli altri due lo seguono. 
Prendono l'autobus, senza pagare il biglietto, con le facce stravolte, pallidi e preoccupati. 
La ragazza rimane attaccata al telefono, ma non risponde nessuno, così sospira mordicchiandosi il labbro inferiore per impedirsi di piangere. 
Giunti vicino l'ospedale, scendono, il ragazzo con i capelli neri con un piccolo salto, dopodiché si avvicina a lei e prova a rassicurarla, ma senza successo. 
Con un sospiro, segue Carlo dentro l'ospedale. Quest'ultimo, parla con un'infermiera e s'informa sulla salute dell'amico, ma lei non vuole dire nulla, nemmeno in che stanza si trovi. 
-Cazzo, deve solo dirmi se sta bene!- sbotta dopo un momento. 
Eli gli si avvicina e con voce roca e bassa prega la donna con uno sguardo. -Lo scusi, ma siamo preoccupati... può almeno dirci se lo hanno operato?- 
La donna, labbra rosse e trucco sulle tonalità del blu, sospira e dopo  accenna un sorriso annuendo. -Seguitemi- dice loro. 
Ha cinquantasei anni, i capelli scuri ed è robusta. Ma i tre non notano nulla di tutto questo. Si scambiano un'occhiata d'intesa e la seguono. Lei, facendo non più di un'eccezione, prende la cartella del ragazzo dal medico appena riposta in un cassetto. 
-Dunque...- mormora in tono vago leggendone le prime pagine. -Romano Vargas, avete detto, no? Eccolo qua. Ferite multiple all'addome... una coltellata sul fianco, in prossimità della milza; lo hanno operato d'urgenza.- 
La ragazza porta le mani sul viso, sbiancando ancora di più. 
Carlo le cinge la vita con un braccio. -Oh, ti senti bene?- le domanda. 
-Non preoccuparti, l'operazione è andata bene. Gli ci vuole riposo e ... nessuna complicazione, al momento. Sta riposando- comunica loro, poi va via rimettendo primo la cartella al suo posto.
Gli amici del giovane, si siedono in sala d'attesa sentendosi sollevati da quelle parole. 
-Sono convinta che abbia combinato qualche cazzata... sarebbe da lui- dice Elisa con un sospiro, appoggiando la nuca alla parete bianca. 
Alex, si allontana da loro e va a farsi un giro fuori, per fumare. La nicotina lo rilassa. 
Mentre accende l'ennesima sigaretta, incontra con lo sguardo una figura familiare, identica all'amico. Strabuzza gli occhi; ma com'è possibile? 
Deve averlo fissato troppo, perché il ragazzino abbassa lo sguardo. 
Felì, da solo, si appoggia nel muro vicino a lui. -Sei per caso Alex, tu?- domanda osservando la punta delle proprie scarpe, le mani in tasca e la nuca china. 
-Come fai a saperlo?- ribatte lui diffidente. 
L'altro scrolla appena le spalle. -Sei uno dei migliori amici di mio fratello. Ti ho visto un paio di volte.-
-Come sta, Roma, ah? Cos'è successo?- il ragazzo si avvicina a lui, mettendosi quasi davanti, continuando a fumare.
Il quindicenne tossisce per il fumo, prima di rispondere. -...Sta. Ha detto che due ragazzi fascisti lo hanno aggredito. Cioè, lui ha difeso una ragazza e loro se la son presa con lui...- 
Il maggiore si passa una mano tra i capelli neri e butta via la cicca di sigaretta annuendo. -Quei due figli di puttana! Ma stavolta non la passano liscia.- 
Si congeda da lui e torna a passo svelto dagli altri due; li chiama per attirare la loro attenzione.
-Sono stati Giorgio e Paolo.- 
Carlo si alza in piedi prontamente. -Ma io gli spacco la faccia, a quei due pezzi di merda fascisti! Questa volta hanno esagerato.- 
L'amica si alza anche lei, stringendosi nella felpa che il biondo le ha prestato. -Come fai a saperlo?- 
-Me lo ha detto suo fratello.-
-Feliciano? Dov'è? Voglio parlare con lui- chiede, dopo seguendo le sue indicazione lo va a cercare.
Il ragazzino è ancora lì, pensieroso e solo. 
Lei lo chiama a gran voce, correndo da lui; lo guarda. -Hai visto Roma? Come sta? Non ci lasciano entrare...- gli spiega con un sospiro triste. 
-Vieni, dovrebb'essere sveglio- le dice accennando un piccolo sorriso. 
Ritorna dentro e recuperando anche quei due sale le scale per il secondo piano, per fortuna nessuno li ferma, così in breve sono davanti quella porta. 
Non è esattamente un bello spettacolo.
Il diciannovenne ha grosso livido violaceo sulla guancia, l'occhio gonfio, escoriazioni, ematomi e lacerazioni sparse su tutto il corpo. Sulle braccia ci sono dei piccoli tagli, uno più profondo vicino al tatuaggio, quasi volessero rovinarlo, i due aggressori. 
Ha gli occhi chiusi, ma è sveglio; nel momento in cui aprono la porta lui tossisce, sentendo il rumore apre gli occhi verdi e li punta su di loro. 
Sono lì... sono davvero lì per lui. Accidenti, ha tre amici fantastici. 
Quei tre si avvicinano, salutando sottovoce la madre del giovane che sta seduta su una sedia lì vicino, col cellulare all'orecchio. Esce dalla stanza per lasciarli un po' da soli, trascinando con sé il figlio minore.
-Perché hai la felpa di Carlo?- chiude Romie con voce rauca alla migliore amica. 
Lei ridacchia, nervosamente. -Ti prenderei a calci nel culo, adesso.-  
-Non è una risposta. Carlo, se la tocchi sei morto- ribatte lui. 
-Ah, ma non è mio tipo- mette in chiaro il biodino. -C'hai fatto preoccupare, coglione. Che è successo, oh?-
"Quante volte mi verrà chiesto?" riflette tra sé Romano, che però vuole dire la verità ai suoi amici migliori. Racconta ogni cosa, lentamente, ha ancora un gran mal di testa. 
I ragazzi sono indignati e già pensano a come farla pagare ai due fascisti. 
Alex chiama Alice, l'altra rappresentante d'istituto, e le comunica che l'amico sta bene, per il momento nulla di più. Una telefonata bene per rassicurare chi è rimasto a scuola.
-Hai perso un sacco di sangue- dice poi, riponendo il telefono in tasca. 
-Qualche volta, per difendere le ragazze, ti farai ammazzare- sostiene invece l'altro, riservando al giovane disteso sul letto uno sguardo di disapprovazione. -Come cinque anni fa, eh?-
-Questo perché sei un coglione. Perché non potevi denunciarli, no, non sia mai!, dovevi insultarli e pestarli, per poi farti quasi ammazzare. Logico- borbotta la ragazza inacidita. -Logico- ripete. 
Romie rotea lo sguardo, che si sofferma sulla bottiglietta d'acqua. -Ho sete...- mugugna. 
Carlo sta per passargli la bottiglia verdognola, ma lei, Elisa, scuote la testa. -Dopo un'operazione così pesante non si può bere.-
-Non sappiamo quanto tempo fa l'abbiano operato- ribatte il biondo.
-Chiediamolo a sua mamma. Guarda che da questo momento in poi ti controllo, sia chiaro- conclude lei in direzione del diciannovenne. 
Esce dalla porta e fa qualche domanda a Rita, la quale, si mostra felice di quell'affetto rivolto al figlio, che temeva essere solo, per il suo brutto carattere. 
La madre sottovalutava il figlio.
 

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Capitolo 14
*** Voglia di ricominciare. ***


[ Spero vi piaccia questo capitolo. C: 
E spero che mi lascerete una recensione, almeno qualche parola... non ne ho da un po' e sincermente mi sembra inutile pubblicare per non averne. Per cui, se non avrò tra un po', smetterò di pubblicare. Il sito serve a questo, ma se nessuno mi da consigli o mi fa critiche, è del tutto inutile postare qui le mie storie, o sbaglio? ]



Romano se ne sta a letto a leggere uno dei suoi libri sulle rivoluzioni, in particolare questo tratta di Che Guevara. E' ancora nel letto d'ospedale sul quale pochi giorni prima i suoi amici lo avevano lasciato, promettendogli di ritornare al più presto. Tutti e tre si sono fatti sentire per messaggi e non sono stati gli unici a cercarlo: anche Roberto, Alice, Pietro, Chiara lo hanno fatto.
Sono stati tutti molto cari con lui, ma hanno fatto una cosa che lo ha fatto arrabbiare. Hanno disoccupato.
Le altre scuole, naturalmente, seguendo l'esempio del Leon Battista dai primi giorni di Novembre dove l'aria di rivoluzione si faceva già sentire, hanno fatto altrettanto. 
La notizia dell'aggressione si è subito diffusa e lui teme di trovarla in un qualche telegiornale o sulle pagine di un normale giornale in carta stampata. 
Di quei due, Giorgio e Paolo, al momento, non sa quasi nulla. 
Gira un'altra pagina del libro, perdendosi tra quelle parole. 
E' parecchio nervoso perché non può muoversi, la ferita potrebbe riaprirsi in caso di azioni brusche, per cui lo obbligano a stare a letto. Non volevano nemmeno farlo vestire, ma considerando che lui sconosce l'uso di pigiami e roba simile ed è testardo, ha vinto lui;  ora ha indosso dei pantaloni beige, una maglietta bianca ed una felpa celeste, dalla tonalità non troppo accesa. 
Avrebbe bisogno di fumare, eppure suo padre è lì, a "fargli compagnia" mentre la moglie e l'altro figlio non ci sono, per cui non può farlo. Non dice nulla, non è un tipo di tante parole né da gesti particolarmente affettuosi. E' affacciato alla finestra e sta fumando lui stesso ignaro di attirare l'invidia del figlio, mentre gli altri pazienti sono nel letto con i loro familiari. Qualcuno dorme, qualcuno parla con voce concitata raccontando le novità a chi dall'ospedale non può proprio uscire. 
Tra poco sarà l'ora delle visite, ma lui non si aspetta che qualcuno venga a trovarlo. Al momento del fattaccio il nonno era fuori città, subito voleva tornare dal nipote, ma all'aeroporto ha avuto dei problemi per cui è fermo ad Ankara, in Turchia. Lo ha chiamato una volta a giorno e proprio ieri ha detto che sarebbe arrivato il giorno dopo, cioè oggi. 
Lui lo aspetta con ansia, perché quella del nonno è l'unica figura che lo fa sentire importante, che gli da la forza di continuare a lottare; il vecchio lo ha sempre incitato a farlo.
Ma due minuti dopo lo scoccar dell'ora delle visite, non è il parente che sta dietro la porta. E' una ragazzina con i capelli lunghi scuri, mossi, che le ricadono sulle spalle esili dalla carnagione olivastra. Gli occhi hanno un bel taglio, ma non sono valorizzati, rimangono invece nascosti dietro gli occhiali neri. Ha una borsetta a tracolla, dei jeans ed una maglia fin troppo accollata. 
-Romano...- lo chiama timidamente. 
Il ragazzo alza lo sguardo dal libro, ma non prima di aver completato la frase che stava leggendo. La osserva un attimo perplesso, poi schiocca le dita come se volesse ricordare qualcosa. Non è mai stato bravo con i nomi. 
-Miriam, giusto?- domanda, osservandola.
Lei arrossisce lievemente, ma fa cenno di sì. 
-Scusami, ho una pessima memoria con questo genere di cose- commenta appoggiando il testo sul comodino, dopo averci infilato il segnalibro.
Un uomo piuttosto alto con un copricapo nero facilmente riconoscibile in testa,  si avvicina a lui ed umilmente gli dice: -Piacere, giovanotto, sono il padre di Miriam, il mio nome è Eliseo. In ebraico significa "Il mio Dio è salvezza."-
Accenna un lieve sorriso, il ragazzo annuisce scostando con una mano un ciuffo castano dagli occhi chiari. 
L'altro continua: -Siamo qui per ringraziarti di quello che hai fatto. Non l'avrebbe fatto nessun altro. Oh, speriamo di non farti stancare troppo, naturalmente.-
-No, no... Mi fa piacere siate venuti- risponde lui.
Suo padre si volta verso l'interno e li osserva un attimo. Quel cappello di quel colore è familiare. Curioso e lievemente infastidito dalla presenza di sconosciuti, butta via la cicca di sigaretta e si avvicina al letto del figlio. -Buonasera- saluta educato, porgendo loro la mano, con un sorriso.
-Salve, sono Eliseo. Sono il padre di Miriam, la ragazza che suo figlio ha salvato.-
Lei, intanto, osserva il suo salvatore con qualche occhiata, ma quando incrocia il suo sguardo, distoglie svelta il proprio, vergognosa.
I due papà si mettono da parte; il padre ebreo non fa altro che ringraziare l'altro, il quale, si mostra molto orgoglioso del figlio, ma lo rimprovera per la sua testardaggine. 
Romano e Miriam rimangono soli. 
-Dai, siediti- le dice dopo un po' il ragazzo, accennando alla sedia vicina. 
Lei ubbidisce e prende posto, rimanendo però in silenzio.
"Che stupida" si rimprovera. "Hai la possibilità di parlare con lui e non lo fai!"
Sta per aprire bocca, nello stesso momento del giovane, per cui entrambi si zittiscono; lei sorride. Ha un bel sorriso.
-Allora, avete disoccupato?- chiede il maggiore, mettendosi più comodo.
-Già... Dopo quello che è successo,  Alice ha fatto un sacco di assemblee per parlarne. La tua amica... quella con i capelli castani, ci ha informato sulle tue condizioni, fin dalla sera che sei finiti qui- spiega lei, guardandolo e domandandosi se la sua bellezza possa essere quantificata. Persino in una situazione simile e anche con le occhiaie, riesce ad essere bello. Almeno, secondo il parere della ragazza.
Il diciannovenne annuisce solamente, passandosi una mano tra i capelli. 
-Ed i prof? Hanno ripreso tutte le interrogazioni immagino.. siamo già a dicembre- sospira. -Che giorno è oggi?- 
-Il sette, è venerdì- risponde pronta lei. 
D'un tratto dalla porta entra Feliciano che subito va a salutare il suo fratellone. Con la mano fa un cenno anche alla ragazza.
-Mi hai portato quello che ti ho chiesto?- domanda il più grande, osservandolo, col viso appoggiato al cuscino. 
-Assolutamente no: non voglio che fumi in queste condizioni- ribatte sicuro il quindicenne. Va a salutare suo padre, dopodiché si ferma un momento a parlare con i due uomini. Roma osserva il padre appoggiare una mano sulla spalla del figlio minore e parlare di lui con fare fiero. Distoglie lo sguardo. 
Parla un altro po' con quella ragazza, ma sostanzialmente del nulla. Non sono amici né tanto meno qualcos'altro (anche se lei lo vorrebbe tanto) per cui non hanno alcun argomento di conversazione. Quando lei sta già andando via, il padre s'attarda in altri ringraziamenti che mettono a disagio il rivoluzionario in questione, il cui fratellino si prende la briga di rispondere al suo posto. 
 
 
Le nove e un quarto.
E' passato un altro giorno e l'orologio segna le nove e un quarto del mattino.
Si passa una mano tra i capelli scuri e sospira, osservando per l'ennesima giornata le pareti bianche dell'ospedale. Ormai è in quella camera da cinque giorni. "Non ce la faccio più a stare qui..." pensa tra sé, spostando gli occhi verdi dalla porta alla finestra. Solo nella stanza -o quasi- decide di alzarsi, le gambe intorpidite per la mancanza di movimento, l'astinenza dalla nicotina che gli provoca nervosismo. Ha indosso sempre dei pantaloni comodi, stavolta neri, con qualcosa di bianco sopra. Si avvicina al balcone, aprendo la finestra e respira un po' di aria buona. Chiude gli occhi sentendo il fresco del mattino frustargli il viso.   
Sente una presenza dietro di sé d'un tratto, così corruga appena la fronte. Non dice nulla, attende. 
-Figliolo?- 
Quella voce è così familiare... Subito si rilassa ed accenna un sorriso aprendo gli occhi. Si volta e lo guarda, più tranquillo adesso.
-Nonno...- sussurra. 
L'adulto lo stringe a sé annuendo e gli accarezza un poco i capelli. -Non volevano lasciarmi partire, mi dispiace di esser qui solo adesso, Romano.-
Godendosi quelle attenzioni che accetta solo da quella figura che lo ha cresciuto nell'infanzia, scuote la testa come per dire di non preoccuparsi.
Si stacca un po' e si passa un dito sotto l'occhio.
-Ma che fai, piangi, ah?- domanda il vecchio osservandolo col suo solito sorriso, quello che Felì sembra aver ereditato.
-No,no...- ribatte lui debolmente, distogliendo lo sguardo. Ha gli occhi un po' lucidi. 
-Lo so che ti sei spaventato, non devi fingere con me, no?-
Romie scaccia via una lacrima annuendo. -Non ce la faccio più a stare in quel cazz... cavolo di letto- borbotta con lo sguardo basso. 
Nonno Roma glielo fa rialzare e asciuga due sue lacrime, le uniche che scova. -Altri due giorni, poi puoi tornare a casa. Un'altra settimana e torni a scuola- lo rassicura con tono dolce. 
Il giovane annuisce e allontana qualche ciocca ribelle dal viso, appoggiato al muretto beige.
-Sì..- mugugna. 
-Mi racconti tu cos'è successo? Tua madre mi ha dato due versioni confuse e contrastanti- spiega ridacchiando come al solito. 
L'altro sorride lievemente e poi inizia a raccontare.
Il nonno si dice prima sorpreso, poi indignato, poi fiero.
Lo ascolta e lo lascia sfogare, riuscendo a fare le domande giuste per non farlo zittire.
-Sono orgoglioso di te, Roma- gli dice alla fine, accarezzandogli la spalla sulla quale poggi la mano. Si accende una sigaretta e fuma un po', poi gliela porge. -Fai un tiro, avanti.-
Romie lo fissa interdetto. Come fa a sapere che lui fuma? 
-Avanti, so che fumi da tre anni.- 
Il diciannovenne prende la sigaretta e se la gusta un po'. -Sono quasi quattro- gli confessa. 
-Fa male- ribatte il vecchio. -Ma non l'ho mai detto a tua madre in tutto questo tempo, per cui non lo farò adesso.-
Riconoscente, il ragazzo annuisce. Poi si mettono a parlare un po'.
Dopo qualche ora, intorno le dodici, arriva il fratellino che gli si avvicina e lo fissa un po' male. -Romano! Fila a letto!- lo rimprovera con le mani sui fianchi, poi saluta il nonno. 
Il maggiore sbuffa e gli si avvicina scompigliandogli i capelli, ma ubbidisce stranamente e ritorna a letto. 
-Ma tu a scuola no? Pare brutto?-
-Oggi uscivo alle undici- spiega Felì, sedendosi sul letto ed osservandolo. Tira fuori un libro dallo zaino che ha ancora in spalla, poi lo porge al fratello, una volta aperta la pagina della lezione per il giorno dopo. -Non ho capito una cosa, me la spieghi?- gli domanda. 
I due si perdono tra le pagine della storia. Romie legge prima i vari paragrafetti molto veloce, poi glieli spiega in modo semplice ma convincente, guardandolo negli occhi perché ha già memorizzato e del libro non ha più bisogno.
Intanto Nonno Roma si avvicina alla figlia e la trattiene fuori dalla porta senza lasciarla entrare. Andrà dai figli tra un momento. Dopo una breve conversazione iniziale, le dice: -Rita, stai attenta a lui. Ha bisogno delle stesse attenzioni di Feliciano. Ricordati che ha passato lo stesso suo inferno ed è stato lasciato da solo.  Anche se è già maggiorenne, è comunque un ragazzo. Non dimenticarlo.-
La donna rimane in silenzio ad osservare i due figli che ridacchiano per qualcosa, il più piccolo lo fa in maniera più dolce e spontanea.
-Lo so... ma è così testardo, scontroso. Non si lascia avvicinare, lo sai com'è.-
-Sì, lo so com'è. E lo sai perché lo so? Perché io lo ascolto- spiega il padre. Poi sospira, le braccia incrociate al petto. -Devo ancora sistemare la valigia e le altre cose, è meglio che vada adesso che ci siete voi. Torno più tardi.-
-Papà, aspetta- mormora lei avvicinandosi. -Vieni a stare da noi... tra un po' lui uscirà dall'ospedale e vorrà averti vicino. Sei solo tu che riesci a farti ubbidire. E sai com'è cocciuto, non ascolterà ciò che gli diremo noi.-
Ha paura che non si riposi, che non prenda le medicine, che faccia qualche altra sciocchezza. Ne sarebbe capace.
L'uomo annuisce con fare grave, poi si congeda, portando con sé la sua copia di chiavi di casa de' Vargas. 
 
Quel pomeriggio, nelle ore serali, gli fa visita Elisa. 
Gli si avvicina e lo abbraccia baciandogli dolcemente la guancia, poi esclama: -Chiudi gli occhi!- 
Lui ubbidisce curioso. Sente qualcosa dal gusto familiare sulle labbra. Cioccolato. Da quanto non ne mangia? Ha un sapore strano, però. Lo assapora lentamente, aprendo poi gli occhi e puntandoli sui suoi. 
-Che gusto è?- 
-Paprika- risponde lei, soddisfatta. -Buono, vero? Certo, li ho scelti io.- 
Romano, divertito, ne ruba un altro dalla scatola e lo addenta, mettendosi nel letto in posizione diversa, più disteso che seduto. 
Eli nasconde dietro la schiena la confezione celeste e verde di cioccolatini. -Basta, o ti cambiano di reparto e ti portano a quello per i malati di stomaco- dice annuendo convinta.
Il ragazzo, prendendola un po' in giro, risponde: -"Quelli per i malati di stomaco"? Lisa, come si chiama quel reparto?- 
-Non lo so!- rotea lo sguardo e sbuffa. Poi, vedendolo ridacchiare, gli da uno scappellotto. -Non sei affatto divertente.- 
Si siede sul suo letto e lo fissa un attimo, corrucciata.
-Ma perché cazzo vi sedete sul letto, quando c'è una sedia a due centimetri di distanza?- borbotta lui, imbronciandosi. 
L'amica ride e gli prende il volto con una mano. -Ma che carino che sei quando t'imbronci- mormora. 
-Tu invece non sei mai carina.-
-Infatti, sono gnocca, non carina- ribatte ancora facendogli la linguaccia. Scioglie la coda che le tiene raccolti i capelli castani, liscissimi, e li lascia un po' sciolti, sistemandoli con la mano. 
-Allora, come stai, ah? Devi fare finta di stare male ancora per molto?- continua cercando di infastidirlo.
-Sì, effettivamente mi diverto tantissimo a stare qui tutto il giorno senza fare nulla. Ho finito tre libri.- 
Lei spalanca gli occhi. -Come accidenti ai fatti in sei cinque giorni?!- 
-Ehhh. Se la smettessi due minuti di stare dietro facebook, magari lo capiresti.- 
Eli sospira e si alza stiracchiandosi, abbandonando la borsa marrone abbinata ai vestiti lì per terra. -La prof d'italiano è preoccupatissima per te. Quella ti ama- gli dice con una smorfia di disapprovazione. 
-Cos'è quella faccia? Sei gelosa?- commenta con un'occhiata divertita, poi recupera il telefono e risponde ad un messaggio. -Sto bene, domenica mi fanno uscire. Diglielo, così si tranquillizza.- 
La ragazza gli ruba il cellulare dalle mani. -Chi è Monica? Quella che ti scopi al momento?- 
Non ha mai approvato quello che fa Romie con le ragazze. 
Sa che sta con loro solo per divertirsi e si preoccupa e forse è pure un po' gelosa. 
Vorrebbe che lui stesse con una ragazza sola, una che magari gli vuole almeno un po' di bene e che non lo vuole soltanto per il suo aspetto fisico, perché il giovane è molto più che bello, è intelligente, caparbio, buono e infondo anche dolce. Solo che si deve scavar un bel po' prima di trovare quella dolcezza che solitamente riserva solo al fratellino. 
"Ma guardatelo, questo coglione, che si stava facendo quasi ammazzare di nuovo per una che non conosce" pensa lei con un sospiro preoccupato.
Quello che non sa, è che, a livello inconscio, lui fa così perché in quelle ragazze cerca in qualche modo affetto e attenzioni. Dopotutto, per un atteggiamento del genere, c'è sempre qualcosa sotto. 
Lei gli fa per l'ennesima volta la ramanzina.
-Oh! Elì! E la smetti di rompere le palle? Sai benissimo che non illudo nessuno, per cui, se vogliono farlo, perché devo dire di no?- dice lui infastidito da quella continua ripetizione. 
-Sei tanto furbo e non arrivi a capire una così logica? Lasciamo perdere va'. Ti devo fare vedere una cosa.- 
-E vediamo...- sospira lui. Prende il cellulare di lei e osserva una foto. C'è una ragazza bionda parecchio truzza in primo piano. Alza un sopracciglio. -Chi è?-
-Giovanna Pia o qualcosa del genere. E' la nuova ragazza di Francesco- mormora con noncuranza- 
-Ah... non ha perso tempo, lo stronzo. Cazzo, ma è brutta forte, eh? Passa dall'oro al fango? Che migliorasse almeno- commenta Romie.
La fa ridere, così le restituisce il telefono. -Non hai sigarette, vero?-
La giovane ne tira fuori una dalla tasca e gliela porge, ma siccome Rita entra in camera, lui la nasconde sotto le lenzuola, svelto. Non vuole sentirla urlare adesso. Si scambiano un'occhiata complice. 
-Elisa, cara, ciao- saluta la donna.
-Salve!- ricambia lei con fare innocente. Il rivoluzionario le sussurra: -Falsa!- prima che la madre possa voltarsi verso loro e sentire. 
-Che graziosa che sei. Hai visto Romano? Ti è venuta a trovare di nuovo- continua quest'ultima con un sorriso. 
Il figlio annuisce soltanto. -Mi deve raccontare una cosa, ci lasci un attimo?- le domanda poi. 
Lei, affranta, lo guarda. -Ma perché? I piccioncini di che devono parlare?- ribatte dopo osservandolo curiosissima. 
-Mamma! Tuo figlio può avere tutte le amiche femmine che vuole, quando ne ho una io già è la mia ragazza? Ma poi, dai, è Elisa... cioè. Elisa.- 
La compagna di banco, sentendosi chiamare in causa, inarca un sopracciglio e incrocia al petto le braccia. -Perché scusa, che c'ho io?- 
-Cosa non hai. Le tette- le dice con tono antipatico.
Lei, infastidita, gli da una botta al braccio e lo fissa male, assottigliando lo sguardo. 
-Ahia! Ma sei cogliona? Scherzavo!- mugugna strofinandosi la parte colpita. 
Rita gli rivolge un'occhiata di disapprovazione. -Roma! Ma sempre così volgare devi essere? La tua amica, qua, Elisa, è stata tanto graziosa da venirti a trovare e tu la tratti così. Ti pare corretto?- 
-Io la tratto sempre così- si giustifica il diciannovenne. 
Dopo qualche minuto, la donna decide di lasciarli un poco da soli. 
Elisa è di nuovo seduta sul letto appoggiata al suo cuscino, che gli racconta tutte le novità, tutti i litigi nuovi che ci sono stati a scuola, di come i prof della loro classe abbiano fatto interrogazione a tappeto in tutte le materie. Lei s'è beccata un quattro in spagnolo. 
-Come fai ad avere quattro? Che ci vuole a fare spagnolo?- 
-Eh, è facile per te! Io sono negata, lo sai...- dice imbronciandosi. Alza lo sguardo verso di lui per incontrare i suoi occhi. Dà infine un'occhiata all'orologio da polso e si alza.
-Devo andare... mio fratello mi viene a prendere al ristorante che c'è qui vicino tra cinque minuti- gli spiega. 
Si alza e si rimette il giubbotto, poi prende la borsa e gli si avvicina per salutarlo come si deve. 
Appoggia una mano sulla sua guancia e gli bacia l'altra più volte. -Mi raccomando. Quando sai che devi tornare a casa, il giorno preciso, mandami un messaggio o fammi uno squillo che ti chiamo io, così vengo a romperti un po' le palle, ah?- 
Romie annuisce e l'abbraccia brevemente. 
E' felice che sia andata a trovarlo, lo fa sentire decisamente meglio, perché lei riesce a farlo ridere ed è difficile per chiunque riuscire in un'impresa tanto ardua.
Si congedano, poco dopo arriva la cena. Di nuovo roba in bianco.
Storce il naso, ma è obbligato a mangiarla e ha molta fame. Per cui finisce svelto il riso e mangia due cioccolatini, offrendone poi un al fratellino.
Giunta la sera, si mette a dormire dopo aver letto qualche pagina, stanco.

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Capitolo 15
*** Casa dolce casa? ***


|| Salve! 
Questo capitolo è dedicato  a _Dori  e a dioloxkristof. Se ho messo il capitolo, è principalmente per loro :) Ad ogni modo, infondo al capitolo troverete il resoconto di tutti i personaggi apparsi fino ad adesso. Sono tanti e credo sia cosa buona e giusta mettere un po' d'ordine, considerando che anche io, di tanto in tanto, mi confondo. Recensite! <3 ||





"Poliziotti protettori della legge
Ma a noi dai poliziotti chi è che ci protegge? 
Pecore del gregge...
Per Natale voglio un capo questore della polizia
Ammanettato e incappucciato dentro casa mia.
Giusto per fare due chiacchiere, per dirgli la mia
Parlando la sua lingua, questa è democrazia!
Non ce l'ho con lei, caro capo questore
Ma sono oppresso e almeno per Natale voglio sentirmi l'oppressore!
 
Ed ogni mese c'è una nuova puttana, 
Ma non ti devi preoccupare: 
C'è lo speciale sul diritto d'Avetrana,
Non me lo posso far scappare!" 
 
 
E' mattina e lui sembra avere molta fretta.
Il medico, un uomo di colore con il camice bianco, gli ha spiegato con un sorriso che non avendo avuto complicazioni, può finalmente tornare a casa. E lui non se l'è lasciato ripetere.
Si è subito alzato in piedi, quasi di scatto, quasi avesse una molla sotto di sé, e ha iniziato a infilare tutte le proprie cose nel borsone nero che la madre ha portato in quella struttura qualche giorno prima.
Sta canticchiando quella canzone di Fedez, di tanto in tanto la continua fischiettandola, quando non ricorda bene le parole. Eppure quella parte sulla polizia ed il ritornello, li rammenta perfettamente. Ogni volta che sente la strofa appena citata, alla mente gli ritornano le immagini di cinque anni prima. Si chiede cosa farebbe lui stesso, se avesse un capo questore ammanettato ed incappucciato dentro casa sua. Anche lui vorrebbe dirgli la sua, nella lingua di quello, perché sì, sono in democrazia. Ma poi, ripensandoci, tutta la colpa gli ricadrebbe addosso e finirebbe dietro una cella perché già maggiorenne. Non come è accaduto all'agente che lo ha picchiato, certo. 
Comunque sia, è al momento solo, nessuno dei suoi parenti è presente.
E' sabato ed il papà lavora, mentre il fratellino va a scuola, il nonno non si sa dove sia, mentre la madre è andata a prendersi un caffè. 
Quando torna alza un sopracciglio confusa, buttando poi il bicchierino di carta nel cestino lì vicino. Gli si avvicina.
-Romano... ma che fai?- chiede piuttosto perplessa.
-Ha detto che posso andare- risponde lui in tono pacato.
Ha dei pantaloni comodi addosso, neri, una felpa bordeaux ed una maglietta grigio chiara. 
Richiude svelto la zip della borsa, passandosi infine una mano tra i capelli scuri.
-Ah...- 
Lei, non essendo troppo sicura delle parole del figlio, volge la sua attenzione all'esperto. -Dottore, quindi noi possiamo andare?- domanda insicura, cercando di evitare la successiva occhiataccia del figlio maggiore.
-Sì, sì! Niente scuola per una settimana e niente stress- si raccomanda l'uomo, salutandoli con l'ennesimo sorriso.
Tutti quei sorrisi non fanno altro che innervosire il ragazzo che si sente a disagio e fuori posto in quel mondo d'apparente felicità nel quale non si (ri)trova.
Lui non è così, lui non sorride, perché prende la vita con serietà -forse troppa. Ma questo è il frutto di un'infanzia per nulla semplice e di un'adolescenza piuttosto tormentata, tra manifestazioni e risse. Più di una volta, tra l'altro, il Ballo di San Vito non si è nascosto.
Ed anche adesso, a dire la verità, ha le prima avvisaglie di una ricaduta. Ma non ha detto nulla a nessuno perché se ne vergogna alquanto. 
Ha notato in sé certi sbalzi d'umore troppo evidenti eppure per un primo momento ha voluto far finta di nulla persino con sé stesso. Quelle lacrime davanti il nonno ed il seguente buon umore quando il fratellino gli ha chiesto di spiegargli la lezione di storia.
Non vuole ricadere in quell'incubo, ha paura. 
Le sue braccia e le sue gambe non si sono ancora mosse con scatti bruschi, ma lui teme che ciò accadrà presto. 
Conta per cui di starsene al riposo a casa per quei dannati sette giorni, perché quando tornerà a scuola, deve essere perfetto, sotto ogni punto di vista. 
Sa già che avrà tutte le attenzioni addosso, sia nel modo in cui è finito in ospedale sia perché è, diciamo pure, "influente" nell'ambito scolastico del Leon Battista.
Scendono pigramente le scale, con una certa lentezza: il giovane ha fatto pochi passi nei giorni di ricovero. 
Gli occhi verdi vagano qua e là ansiosi, mentre la mano destra è appoggiata al corrimano. 
Ai piedi delle scale, di fronte la porta d'ingresso dell'ospedale, spalancata e grande, sente un leggero fresco. Dopotutto è solo il 15 Dicembre. 
-Mi chiedo se non ti convenga tornare a scuola direttamente dopo Natale- pensa tra sé Rita, stringendosi nel cappotto.
-Io tra due giorni, ci torno- borbotta lui che ha già cambiato idea sul rimanere al riposo, infilandosi il giubbotto nero che la madre poco prima gli aveva detto di mettere e che lui non aveva ascoltato. 
La donna gli rivolge un'occhiata di disapprovazione, avvicinandosi al parcheggio. 
-Senti, Roma, vedi di non iniziare, ah! Tu rispetti i tempi che ti hanno detto i dottori, siamo intesi?- gli dice retorica, un po' brusca nella voce. 
-Convinta tu- ribatte lui scrollando appena le spalle.
Riconoscendo la macchina di famiglia, una Punto Fiat Classic, si avvicina ed infila nel sedile di dietro, dopo aver appoggiato lì vicino il borsone nero. Accanto, ritrova il fratellino. Corruga per un attimo la fronte e lo fissa. 
-Ma la tua scuola è un villaggio vacanza? Esci una volta ogni tre giorni prima- gli fa notare, richiudendo lo sportello con un rumore sordo.
Il quindicenne ridacchia. -Mi è venuto a prendere prima il nonno- gli spiega. Quando l'altro fa un'espressione a dir poco sorpresa, lui soggiunge: -Avevo materie che potevo permettermi di saltare. C'era interrogazione ed il ho già il voto.-
-E quanto c'hai?- domanda il maggiore con un'occhiata severa.
-Sette e nove- risponde pronto Feli.
Gli si avvicina e lo abbraccia, abbandonando poi la guancia contro la sua spalla, felice di riaverlo tutto per sé finalmente: non deve più dividerlo né con l'ospedale né con la scuola occupata.
Romano gli cinge le spalle con un braccio, quello sinistro, sul quale ha il tatuaggio, stringendolo un po' a sé. Sa di averlo trascurato ultimamente e gli dispiace per davvero.
Nonno Roma li osserva dallo specchietto retrovisore. "Hanno un legame speciale, davvero bello" pensa tra sé con un sorriso. Intanto la madre rimane in silenzio, pensierosa.
Il vecchio si ferma davanti un bar e scende, assentandosi per alcuni momenti. Quando torna ha in mano una coppetta al cioccolato ed una al pistacchio. Porge la prima al nipotino più piccolo, l'altra al maggiore, il quale abbozza un sorriso e la prende, iniziando a mangiare lentamente. 
Ci mettono un po' ad arrivare a casa, perché c'è traffico, così lui si distrae mandando un messaggio ad Elisa.
 
 
|Mensajes.
Nuevo Mensaje.
Para: Eli.| 
 
"Sono in macchina, sto tornando a casa."
 
|Enviar.|
 
 
Vedendo la scritta spagnola per 'Inviare', rimette il blocco tasti e ripone il telefonino -la cui lingua è stata impostata su Espagnol- nella tasca della felpa. 
La ragazza al momento è alla prese con un difficilissimo (a detta sua) problema di matematica, per cui non sa dove sia il suo cellulare e non gli importa nemmeno tanto.
Circa una quindicina di minuti dopo, il giovane ritorna a casa e si ritrova subito tra le gambe il gatto che, ormai adulto, con la sua coda sinuosa gli fa solletico alle dita della mano che si trova lungo il fianco. 
-Ciao- saluta lui, abbassando sul micio lo sguardo. Anzi... sulla gatta, dato che Milù è una femminuccia di ormai sette anni. 
Ha il manto tigrato che da sul bianco, gli occhi verde-gialli grandi e le zampette bianche, quasi abbia un paio di calzini. 
Non hanno mai avuto un magico rapporto, quei due, perché lei è di Feliciano, è stata a lui regalato. Roma si è tenuto a distanza, non ama particolarmente gli animali.
-Le sei mancato!- esclama il ragazzino additando la micia con un sorrisone. 
Toglie la borsa dalla spalla del fratello e va a mettere in camera sua; la svuota e getta in fondo alla cesta delle robe da lavare i vestiti sporchi. 
Poi torna da lui, chiedendogli se abbia bisogno di qualcosa.
-Ok, mettetevi in testa che sto bene e che voglio essere lasciato tranquillo- borbotta quello.
Altro sbalzo d'umore.
Hanno tutti questo segreto sospetto, ma nessuno vuole parlare.
La donna, però, sa di doverlo fare, anche se ciò significa farsi detestare dal figlio per qualche minuto. Andando a lavarsi le mani in bagno pensa bene a cosa dirgli, poi torna da lui.
-Romano... senti... sei sicuro di stare bene? No, perché in questi giorni ho notato sbalzi d'umore.. frequenti- inizia con tono poco convinto.
Il figlio, sentendosi di nuovo nervoso ed agitato, esclama acido: -Ho detto di stare bene.-
Nonno Roma sospira lievemente richiusa ormai la porta d'ingresso alle proprie spalla.
-Romie, guarda che tua madre lo dice per te. Nemmeno a noi piace l'idea di trovare una ricaduta, ma...- inizia, però il nipote lo interrompe.
-Non c'è nessuna cazzo di ricaduta, sto bene, sono solo un po' nervoso!- sbotta.
Ne segue un lungo silenzio.
Il vecchio prende in mano la situazione quando capisce che la figlia non sa gestirla. Lei ed il marito hanno lasciato troppo spazio al ragazzo, lo hanno costretto a crescersi praticamente da solo e lui se n'è, giustamente per carità, approfittato. 
-Romano! Non alzare la voce con me e con tua madre! Non ti stiamo dicendo che stai male e che sei incapace di intendere da solo su qualcosa, stiamo solamente affrontando la realtà dei fatti. Se noteremo in te altri sintomi, allora prenderemo un provvedimento. Non fasciamoci la testa prima di romperla- gli dice.
Fa qualche passo verso di lui. Ha ottenuto l'effetto desiderato: il ragazzo si è zittito, ciò significa che gli sta dando ragione. 
Nuovamente sospira, poi accenna un sorriso ed appoggia una mano sulla sua spalla. 
-Ascoltami- lo guarda, ma non ricevendo attenzione si trova costretto a richiamarlo. -Romano? Guardami. Ecco, bravo. Io lo so che non vuoi avere nessun tipo di ricaduta e che hai paura che invece questo possa accadere. Ma devi stare tranquillo. Perché se curata in tempo, e lo sai, può essere evitata.  Adesso vai a riposarti un poco, d'accordo? Se sei stanco. Oppure rilassati in qualche altro modo.-
Il diciannovenne annuisce ancora senza dire una parola. Non ricambia l'abbraccio veloce del nonno, ma nemmeno lo allontana. Semplicemente, entra in camera propria e lì si stiracchia un po' ed accende il pc. Guarderà una qualche serie televisiva per la prossima ora.
Il fratellino intanto ha assistito alla scena e subito si è fatto triste. Si avvicina al vecchio parente e lo abbraccia. -Nonno... ho paura. Non voglio che stia male, non se lo merita- mugugna affondando il viso nel suo petto. 
L'alto lo lascia fare e gli accarezza un poco i capelli. -Non preoccuparti, starà bene. E' forte, il tuo fratellone, ma non stategli troppo addosso. Lasciategli aria, eh?- dice ad entrambi i presenti.
Rita sospira e si appunta con un elastico i capelli in una piccola coda, dopodiché si occupa del pranzo. 
 
 
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" Va bn! Gg t lascio in pace, ma dmn vengo a romperti le palle :)" 
 
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E' questo che scrive Elisa in una scrittura che di certo infastidirà molto il migliore amico che, così patriottico per com'è, non può vedere violata così la propria lingua. 
Infatti leggendolo inarca un sopracciglio infastidito. 
Punta lo sguardo poi sullo schermo del pc, nel quale sta vedendo un film in inglese coi sottotitoli in spagnolo. E' una lingua che conosce molto bene, che lo appassiona, inoltre la trova decisamente più facile e familiare rispetto l'inglese o il francese -per non parlare del tedesco. E' per questo che se non trova i sottotitoli in italiano, li cerca in spagnolo. Uno dei due si trova sempre (è più facile la seconda opzione, in realtà, ed è anche utile ad esercitarsi.) 
Finisce gli ultimi sei minuti del film, poi le risponde. 
 
 
 
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"Dante si sta rivoltando nella tomba."
 
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Lei, divertita, si sistema il giubbotto prima di mettere sulle spalle la cartella e scendere piano piano le scale.
E gli risponde.
 
 
  
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" 6 1 mstr."
 
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Romano  fissa male il cellulare e decide di chiamare la ragazza.
-Io sono cosa?- le domanda. Non è abituato a saper decifrare quella scrittura e di certo non ha capito. O forse, più probabilmente, non ha voluto capire. 
Lei scoppia a ridere per via telefonica mentre esce dall'istituto classico.
-Non sapevo come si abbreviasse- si giustifica. 
-Sei una cogliona, sai?- la rimprovera col sorriso sulle labbra.  
Allunga la mano verso la libreria e recupera il libro di italiano, quella conversazione gli ha fatto venire in mente di dover ricontrollare una cosa circa le lezione che sta facendo ultimamente la sua classe.
Si è fatto dare i compiti, in modo tale che quando tornerà si farà interrogare in tutte le materie -eccetto in matematica, ha bisogno di qualche aiuto, è negato lui. 
Dunque, continua a parlare al telefono con l'amica per un po', poi chiude la chiamata.
Entra in camera sua il fratellino che lo osserva ed istintivamente tende una mano verso il suo occhio nero. Ne segue delicatamente il contorno, con sguardo triste.
-Hai un viso distrutto...-  gli fa notare.
Il più grande non dice nulla. Gli fa cenno di avvicinarsi solamente. Ha la strana, inaspettata voglia di abbracciarlo e sa che l'altro ne sarebbe facile, ciononostante qualcosa lo blocca. Passa una mano fra i suoi capelli, più chiari rispetto ai propri.
-Sei andato dallo psicologo?-
La risposta è il silenzio, al quale si accompagna un capo basso e mortificato. 
-Feliciano, ti ho fatto una domanda- continua. 
-Ecco... no- risponde Felì distogliendo lo sguardo per evitare l'occhiata di rimprovero del fratello. 
-E cos'avevi di più importante da fare, ah?- 
-Volevo stare con te... Tu sei più importante di tutto, per me.-
Che frase dolce. 
Frase che Romano non si sarebbe di certo aspettato. Ha la testa persa alle rivoluzioni, si sente escluso talvolta dal nucleo familiare e non pensa che qualcuno possa volergli così bene. 
Abbozza incerto un sorriso. -Vieni qui...- sussurra allargando un poco le braccia e stringendolo a sé, ancora seduto sulla sedia girevole. 
Rimangono abbracciati per qualche momento.
 
 
Quando il padre torna a casa, il pomeriggio tardo, chiede subito di entrambi i figli intanto che appoggia il giaccone sull'attaccapanni e toglie le scarpe. Concede alla gatta una carezza, poi si siede sul divano per riposarsi un po'.
-Stavo pensando...- inizia la madre, unico elemento femminile della famiglia. Gli si avvicina e si siede vicino a lui. -Hai notato gli sbalzi d'umore di Romano?- mormora appoggiandosi con un gomito alla spalliera del divano, la mano tra i capelli anch'essi scuri, come quelli dei figli.
L'uomo annuisce gravemente. Si volta verso di lei, con una lieve preoccupazione indosso. -Pensi che possa essere legato a quel fattaccio?- azzarda. La vede annuire, così sospira pesantemente. -Allora dobbiamo fare qualcosa. Sai com'è, distrarlo un po'.-
Sono soli nella stanza, il nonno sta facendo un bagno caldo. 
Rita sospira, accarezzando con la mano libera i capelli brizzolati del marito. -E come? Io una mezza idea ce l'ho. Però...- 
-Dimmela, poi ai però ci pensiamo- le dice con un piccolo sorriso. 
-E se per Natale ce ne tornassimo un po' a Napoli? Là Roma è felice...- spiega lei, guardandolo negli occhi. 
Il papà riflette un attimo.
Dopotutto, dovrebbero pagare soltanto il volo. La casa l'hanno già, nel capoluogo campano. E' una piccola villetta al mare, ha due camere da letto, una cucina ed un soggiorno che è il doppio di quello della loro attuale casa, quindi abbastanza spazioso. E la cosa fondamentale, è che ha un terrazzo enorme sul quale prendere il sole ed un giardino ancora più bello e grande nel quale è possibile fare la pizza in casa, per la presenza del forno e a legna.  Non ci sono molti mobili, è stata arredata con gusto, a differenza delle case al mare di molta gente, nelle quali si trova ogni oggettino che nella vita di tutti i giorni non serve e allora, per non buttarlo via, si abbandona lì. 
L'aria di Napoli fa davvero bene a Romie. Lo fa sentire vivo, in un certo senso. Il mare, gli amici, i tanti cugini che hanno lì, più o meno della sua età, le bellezze della città.... Napoli è perfetta per lui e andrebbe a viverci subito, potesse farlo.
-Va bene- esclama l'uomo, Raffaele, dopo averci riflettuto a lungo. -Va bene, ci servirà un po' di riposo.-
Si mettono dunque d'accordo per quel viaggio, sicuri che i figli saranno entusiasti di quella decisione. 


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PERSONAGGI.


-Romano Vargas. Capelli castani, occhi verdi. E' tanto bello, lui!  
-Feliciano Vargas. Capelli castani, più chiari rispetto quelli del fratello, occhi nocciola.
-Rita Abate. Capelli mossi e neri, sulle spalle, occhi celeste-verde, tonalità piuttosto chiara.
-Raffaele Vargas. Capelli brizzolati per via dell'età. Occhi scuri. 
-Nonno Roma.  Capelli scuri, occhi scuri, perenne sorriso. Quand'era giovane era un archeologo, è praticamente vissuto nell'Antica Roma. Ama i suoi nipotini, ma ha una particolare affezione per Romano. Non esiste vecchiaia per lui: è ludicissimo!
-Elisa Conte. Dopo aver perso un anno al liceo linguistico, si ritrova compagna di banco del protagonista. Si conoscono dalle medie e sono migliori amici. Ha i capelli castano chiaro e gli occhi scuri, bellissimi. E' legatissime al ragazzo, sebbene lo tratti spesso male, lo fa solo per dargli un po' fastidio. Fuma.
-Alex (Alessandro) Leone.  Capelli neri, occhi azzurri. Migliore amico di Romie, ha tre tatuaggi. Disegna benissimo, sia sulla carta, sia sui muri delle strade. Fuma.
-Carlo Sanna.  Biondo cenere (col sole diventano più chiari), occhi scuri. Altro migliore amico del ragazzo protagonista. Con lui è andato a manifestare le prime volte e lui lo ha tratto in salvo dal poliziotto cinque anni fa. Fuma.
-Pietro De Angelis. Capelli e occhi scuri. Anche lui fa parte del trio di Romano con Carlo ed anche lui c'era alle manifestazioni, ma certe volte s'assentava per pigrizia. 
-Giorgio Rinaldi. Fascista; capelli rasati, aria altezzosa, occhi verdi con sfumature scure vicino la pupilla. Fuma.
-Paolo Ferraro. Stesso taglio, fascista pure lui. E' più basso e più grasso rispetto Giorgio. Occhi e capelli scuri. Fuma occasionalmente.
-Roberto Villa. Capelli scuri, occhi neri. Amico di Romie, l'anno precendente erano rappresentanti d'istituto insieme.
-Alice Marchetti. Bassa, occhi chiari, capelli biondi. L'altra attuale rappresentante d'istituto, non tanto veloce di comprendonio. Ha costantemente la testa tra le nuvole, ma a carte vince spesso.


 

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Capitolo 16
*** L'amore ha diverse forme. ***


Non esce di casa da un paio di giorni ed ora non vuole metter piede neppure in corridoio. Vuole rimanere solo soletto nella sua camera, con la tartarughina peluche che gli permettere di affrontare con un po' meno paura quella situazione ed una copertina sulla testa. Sarebbe davvero molto carino se non avesse gli occhi arrossati per il pianto e il broncio perenne sul visetto da bambino.
E' successo tutto troppo in fretta e lui si è ritrovato nel caos più totale della sua mente e del suo corpo.
E' nato il suo fratellino e tutte le attenzioni sono state immediatamente riversate su di lui; e, pochi mesi dopo, suo padre gli ha dato una brutta notizia: dovevano andarsene da Napoli.
In meno di sei mesi si è ritrovato in un contesto totalmente diverso, si sono trasferiti dal sud al nord e ha dovuto dividere le attenzioni con il più piccolo. Non ha retto. Non gli hanno dato il tempo di abituarsi ad entrambe le notizie, era già abbastanza grande per capire, secondo loro. 
Ma Romano ha soltanto quattro anni ed un carattere piuttosto complicato già di suo. Adesso che questa strana malattia si è presentata in seguito a quella che pareva una banalissima febbre, nessuno sa come affrontare la situazione. Nei casi più gravi, i malati rimangono a letto per qualche settimana o qualche mese. Fortuna vuole che lui non sia costretto nel suo lettino, eppure fa di tutto per non allontanarvisi. 
Una settimana prima ha avuto uno dei suoi attacchi quand'era al parco e stava giocando con gli altri bambini e tutti loro hanno riso di lui. Da quel giorno, non vuole più uscire.
Adesso i genitori, cattivi, hanno voluto trascinarlo in uno strano centro. Ma lui non vi ha messo piede. Ha fatto dietrofront ed è corso a casa, attraversando senza guardare, beccandosi una serie di rimproveri causati dallo spavento che si son presi i due genitori. 
E' la mamma, adesso, che lo prega di uscire di lì, con tutte le scuse che ha. Ma quando Roma si sta giusto convincendo, lei si volta in direzione della cucina, ché sente Feliciano piangere. Lui ha soltanto sette mesi e da poco ha iniziato a gattonare. Proprio ora, nel tentativo di farlo, è ruzzolato già dal divano e s'è fatto la bua. 
Vedendosi tolte nuovamente tutte le attenzioni e ritrovandosi da solo, anche Romie scoppia a piangere e corre a chiudere la porta della sua stanzetta. "Sono cattivi!" pensa tra sé, le lacrime gli rigano il visino pallido per via del suo malessere. 
E' un miracolo che Rita quella mattina abbia potuto vestirlo. Solitamente, il Ballo di San Vito, non permette a chi ne è affetto di vestirsi da solo o mangiare. Il piccolino, che si sentiva ormai indipendente, voleva riuscirci ancora autonomamente e vedendo di non poterlo più fare, è andato su tutte le furie. 
Oltretutto, ieri mentre giocava a mettere l'uno sull'altro una serie di cassette dei cartoni animati, con un colpo violento e brusco e, soprattutto, involontario, le ha fatto cadere. Si è messo a battere i piedini per terra e a strillare tanto nervoso. Mamma e papà non lo hanno rimproverato. Non dipendono da lui questi sbalzi d'umore, glielo hanno detto mille volte i medici dai quali, tra l'altro, lui non vuole più andare. E non vuole prendere le medicine perché non servono a nulla, così per tre volte al giorno litiga con il papà che prova a fargliele invece ingerire.
Sente i passi familiari dell'uomo, così si rintana sotto la scrivania con la copertina, cercando di divenire invisibile. Trattiene anche il respiro per non essere trovato.
-Romano? Vieni qua- sussurra Raffaele. Lo cerca, poi lo trova, così si piega sulle ginocchia e tende una mano verso di lui. -Andiamo a fare una passeggiata?-
-NO!- esclama il piccolo coprendosi il viso per proteggersi da quella proposta.
-Compriamo il gelato. Te lo lascio mangiare in macchina, così non devi stare con nessuno. Va bene? Un bel gelato al pistacchio. Che ne pensi?- continua l'uomo, con tono più dolce possibile.
Roma, alla parola 'pistacchio' spalanca gli occhietti. Poco a poco scopre un occhio. -Pistacchio?- domanda per avere conferma con tono infantile. 
-Pistacchio!- concorda l'altro. 
E allora lui accetta. 
Si lascia sistemare dalla mamma e prendere in braccio dal papà, facendo il bravo, le braccia intorno al suo collo. Sale in macchina, dondolando un poco le gambine dal sedile, la cintura naturalmente non allacciata. All'improvviso il piedino sinistro sbatte contro il sedile in modo piuttosto forte, così lui piagnucola un po' silenziosamente. 
Raffaele gli asciuga le lacrime e scende dall'auto poco dopo, tenendolo per mano. 
Dopo pochi momenti, Romano ha tra le manine una coppetta al pistacchio e tra le labbra un cucchiaino celeste in plastica. Il papà si attarda un poco alla cassa, giusto per farlo stare fuori qualche minuto in più. Intanto il figlioletto si è seduto su una sedia ed ha appoggiato la coppetta sul tavolino. La osserva assaporandone con attenzione il contenuto, così diverso da quello di Napoli, che ai suoi ricordi è decisamente più buono. 
Una bella ragazza con i capelli castani e gli occhi anch'essi verdi, formosa, con la pelle abbronzata, alta, lo osserva con fare intenerito. Lo ha riconosciuto immediatamente. Si siede al tavolo con lui e gli sorride, la guancia sul palmo della mano.
-Hola! Tu sei Romano, vero?- 
Il bambino la osserva piuttosto confuso. Perché ha quell'accento così strano? E' diverso persino da quello che si sta poco a poco abituando a sentire, quello della sua nuova casa. Continua a mangiare la propria merenda, guardandola negli occhi. Il padre osserva la scena con molta attenzione, anche lui ha capito chi sia la ragazza.
-Io sono Isabel- si presenta con un sorriso a trentadue denti. 
-Parli in modo strano...- le fa notare il piccolo. 
Lei si mette a ridere, ha una risata dolce, calda. -E' perché sono spagnola! Sai dov'è la bella Spagna?- domanda. Lui scuote la testa. La porzione di gelato al pistacchio che ha sul cucchiaino si è poco a poco sciolta e gli sta ora macchiando i pantaloni beige, ma non se ne accorge.
La giovane donna, prende un tovagliolino e si avvicina per pulirlo, il bimbo però si allontana prontamente. 
-Vai via!- le dice imbronciandosi. 
L'uomo intanto si riavvicina e fa un cenno di saluto a lei, prendendo poi il fazzolettino e ripulendo la macchia per quanto è possibile. -Fai il bravo, Romie- gli dice, senza però arrabbiarsi. 
-Voglio andare a casa...- mugola il piccolo abbassando lo sguardo. Osserva con la coda dell'occhio il gelato, ne ha tanta voglia, ma vuole anche fare un po' di capricci, magari guadagna qualche coccola. 
Il padre lo prende in braccio e con la mano libera prende in mano la coppetta. -Mi scusi...- dice alla ragazza, poi si volta verso il figlio. -Sai? Lei sta nel centro dove ti volevamo portare io e la mamma. E' brava, no? Che ne dici se l'andiamo a trovare?-
Ma lui convinto scuote la testa, ancora imbronciato, e nasconde il visino sulla spalla del papà.
Isabel appoggia una mano sulla sua spalla e lo guarda. -Dai! Possiamo fare un sacco di giochi, insieme! Rimani un pochino e se ti annoi, papà ti viene a riprendere!- ottenuta la sua attenzione, gli fa l'occhiolino. -Ci sono i peluche, i robot, le matite per disegnare, i pennarelli per colorare, c'è il pallone e c'è anc...- 
Sembra aver fatto centro, anzi, goal. 
Romano spalanca gli occhi nel sentire quella parola magica e tonda: pallone. Lui adora giocare a calcio, ma negli ultimi tempi non ha potuto farlo, non si gioca soli e dentro casa.
-C'è la palla?- domanda ancora, più attento alla discussione.
-Sì! C'è la palla da pallavolo ed il pallone da calcio! A te piace giocare?- chiede lei con le mani sui fianchi. Vedendolo annuire con la manina sinistra sulle labbra (l'altra sulla spalla del'adulto), continua: -Perfecto! Allora ti aspetto domani?-
-Adesso è chiuso?- domanda l'uomo. Lei scuote la testa. -Non potremo venire adesso? Prima che cambi idea...-
-Claro! Io sto andando lì, proprio ora.-
Si mettono dunque d'accordo per andare insieme ed insieme salgono sulla macchina, andando verso il centro.
Il bambino non sa cosa aspettarsi, è emozionato di rivedere un pallone dopo tanto tempo, ma allo stesso tempo ha un po' di paura. 
Quando arrivano, scende titubante dall'auto e prende con altrettanta incertezza la mano che lei gli porge. Raffaele rimane fuori con la scusa di chiamare la moglie, cosa che effettivamente fa, e passate due orette, torna dentro per vedere come vanno le cose.
Rimane comunque un po' nascosto. Lo cerca con lo sguardo e quando lo trova sorride.
Romie sembra divertirsi moltissimo con quella ragazza straniera. Giocano, e lui sta addirittura ridacchiando. Forse è per via della musica. Isabel sta suonando la chitarra e insegnando ai bambini che si sono seduto in cerchio attorno a lei una canzone in spagnolo, una di quelle che ai marmocchietti piace tantissimo. 
E' quasi ora di cena e loro devono ormai rientrare.
-Romano!- lo chiama il padre, non avvicinandosi troppo per non intromettersi in quel nuovo ambiente. -Romano, dobbiamo andare a casa.- 
Il piccolo, tornando ad imbronciarsi, non vuole andarsene. 
-Ci vediamo domani, va bene?- gli dice la ragazza facendogli l'occhiolino ancora una volta. Gli da un bel bacio sulla guancia e lo lascia andare via.
Quella sera, a tavola, non sta zitto nemmeno per un secondo. 
Continua a dire ai genitori quanto si sia divertito, quanto abbia giocato e quanta voglia abbia di tornarci. 
-Hai visto? E tu che non volevi andare! Domani ti ci riporto- gli dice la mamma tagliandogli la carne che ha nel piattino. Il bimbo però, appena presa la forchetta, la ritrova per terra, così si mette di nuovo a piagnucolare. Certo i problemi in quelle due ore al centro non sono mancati, ma lui non vi ha dato tutto il peso che gli da ora. 
Quella sera, nella sua cameretta, stringe forte la tartarughina e chiude gli occhi pensando alla spagnola. 
 
 
Riaperti gli occhi, si ritrova a pensare con un sospiro che in fin dei conti lei gli manca per davvero.
E' strano, perché sono passati parecchi anni da quando ha smesso di frequentare il centro e, di conseguenza, ha smesso di vederla. Ma gli manca. 
Gli manca perché lei sorrideva anche quando non c'era nulla da sorridere. Perché aveva il buon umore nel sangue, nelle vene scorreva la passione e la solarità spagnola. L'adorava perché oggi giorno imparava qualcosa di nuovo. Sapeva fare tutto, lei. Sapeva cucinare, cucire, giocare a calcio, suonare la chitarra, cantare, e dopo che Romano glielo insegnò imparò anche a giocare con le carte napoletane. Era brava, aveva il talento di vivere.
Si era innamorato di lei. Era un pensiero ingenuo, l'amava perché lei gli dedicava tantissime attenzioni, era il suo cucciolo, il bambino che aveva deciso di aiutare, prima di tutti gli altri. Isabel lo vedeva come un fratellino. Lui avrebbe voluto sposarla. Non glielo disse mai, era un bimbo e si vergognava di quel pensiero. Fu difficile lasciare il centro, perché significava lasciare lei.
E' per la ragazza che lui, ancora oggi, ama la Spagna. 
Ha studiato già alle medie la lingua e ha da allora la bandiera rossa-gialla-rossa attaccata in una parete della sua camera, bella grande. Legge libri di autori spagnoli, recentemente anche nella lingua originale in cui sono stati scritti; vede film in spagnolo. Vorrebbe andare a vivere in Spagna, da una parte, dall'altra non vuole abbandonare la sua bella Italia. 
-Romie?- 
La voce del fratellino lo scuote da quei pensieri. 
Scuote appena la testa come per cacciarli via. 
Feliciano sorride. -Guardi quella pagina da almeno venti minuti- gli fa notare accennando al libro che il fratello ha tra le gambe.
-Ah...- 
Romano scosta una ciocca scura dagl'occhi e mette il cappuccio all'evidenziatore verde, sospirando poi.
-A chi pensi?- continua l'altro. 
Lui ha dei vestiti piuttosto pesanti indosso, sembra quasi che i due ragazzi vivano in due climi separati. Ha, comunque, poco da fare: non deve studiare oggi, così si dedicherà ad infastidire il maggiore. 
-No, nulla- mormora quest'ultimo. Spegne la tv, lasciando che il telecomando affondi infine tra i cuscini.
-Romano...- 
-Mh?-
Felì prende tempo, pensoso fissa il basso, con sguardo perso. Si ricompone quasi subito, puntando gli occhi sulla sua figura, vista di profilo. -Tu ami Elisa?- gli chiede. 
Il diciannovenne si volta verso di lui con la fronte corrugata. -Ma sei scemo?- gli chiede retorico. Lui adora davvero molto la ragazza, ma non crede che arriverà mai ad amarla. Sono amici, migliori amici, sì, ma nulla di più. 
Il ragazzino si sistema diversamente sul divano. 
Vi si distende, le ginocchia piegate, le mani sulla pancia, la nuca appoggiata al cuscino posto sul bracciolo. Guarda il soffitto. 
-Dico sul serio. State un sacco di tempo insieme. Quando sei con lei sei felice, ti vedo pure ridacchiare. Quando sei con noi sei sempre così serio... inoltre, lei non ti guarda come guarda gli altri ragazzi. Me ne sono accorto in ospedale, sai.-
Il più grande ripone l'evidenziatore fosforescente nella pagina del libro sul quale stava studiando, poi lo chiude e lo mette sul tavolino, alzandosi in piedi.
-Non dire stronzate. Io non amo lei né lei ama me. Siamo solamente buoni amici, tutto qui- gli risponde più serio.
Lui non è un tipo attento a queste cose. 
Non si accorgerebbe di un ipotetico amore neppure se lei lo ricoprisse di... attenzioni, cosa che in effetti fa. Ma è piuttosto scettico circa le questioni di cuore.
Ha avuto qualche ragazza, ma mai nulla di serio, nulla che valesse la pena di ricordare, citare, niente per cui non dormire la notte o diventare scemi. Non gli è mai capitato questo. Le sue relazioni non sono mai durate molto. Non si fida dei rapporti seri, per lui esistono solo le ragazze con cui si diverte, in questo momento della sua vita.
-Come vuoi...- mormora il quindicenne non tanto convinto.-Ma ho visto il suo profilo di facebook e...-
Tra le tante cose che ha notato, ne ha vista qualcuna in particolare che gli ha dato da pensare. Innanzitutto, lui ha facebook, e lo ha pure Elisa. Suo fratello no, perché dice di non aver tempo per certe sciocchezze.  Sul profilo della ragazza, Feliciano ha visto scritte alcune frasi, che lo hanno fatto sorridere e pensare. Qualcosa di non troppo esplicito.
-Lo so che stai pensando, ma fatti i fatti tuoi, per piacere. E poi scusa, hai Eli tra gli amici?- gli domanda il maggiore osservandolo, le mani sui fianchi.
-Sì!- risponde Felì con un piccolo sorriso. -Ti fai facebook? Daaai.-
-No.- Ecco la risposta secca dell'altro.
Stanno ancora a battibeccare un po', quando la madre torna a casa col padre ed insieme annunciano di aver preso una decisione. 
Raffaele, lasciando solo ora la mano della moglie, si avvicina a loro ed appoggia le mani sulla spalliera del divano. -Ragazzi- esordisce guardando prima uno, poi l'altro. -Io e mamma abbiamo pensato una cosa.-
I figli lo osservano piuttosto curiosi, quello nato prima scarta una caramella e la mangia. 
Il padre, riprende. -E se ci facessimo il Natale a Napoli, quest'anno? L'estate scorsa non abbiamo avuto la possibilità di partire.-
Feliciano e Roma si lanciano un'occhiata. Il primo balza seduto di scatto ed esclama un: -Evviva!- tutto contento, battendo due volte le mani. 
Anche l'altro giovane è felicissimo, ma non è bravo a dimostrare questi suoi sentimenti. Annuisce alla domanda del padre: -Sei felice? Vuoi andare?- e si sforza di accennare un piccolo sorriso. Altroché se è felice. Sta per tornare finalmente a casa.
E' entusiasta, a stento riesce a trattenere un sorriso. 
Non ha più la testa di studiare, per il resto della serata. E' troppo impegnato a programmare il suo ritorno nella sua amata città. 
 
 
Aveva giurato che sarebbe tornato a scuola prima dello scadere della settimana di riposo che gli avevano prescritto, e lui è solito mantenere le promesse.
Quella mattina, sveglia alle sette in punto: non vuole perdere altro tempo.
Così si alza, sbadiglia, rifa il letto alla bell'e meglio e davanti l'armadio si pone la solita domanda. "Che metto, mo'?" riflette fissando con aria corrucciata i vestiti. Prende dei pantaloni beige piuttosto comodi, belli, una maglietta bianca il cui scollo è una V ed una camicia a jeans. "Ma non è che sento freddo, così?" si chiede picchiettando con distrazione le dita sulla scrivania, le labbra deformate in una smorfia incerta. Non ha intenzione di cambiarsi, dopotutto a scuola ci sono i condizionatori accesi per quasi tutto il tempo alla massima potenza, dunque non soffrirà.
Esce dalla camera e sedendosi al tavolo della cucina, afferra dal cesto delle merende una del Mulino Bianco. In un paio di morsi, l'ha finita. Non rivolge parola a nessuno, ma quel giorno è maledettamente felice di tornare alla normalità. Anche perché, la sera prima, gli è stata data una notizia fantastica, quello del rientro a Napoli. 
Lavati i denti e spazzolati i capelli scuri, sale in macchina della madre che tanto ha insistito per accompagnarlo con la scusa del brutto tempo, insieme al fratellino, in quale, inizia anche lui con le sue solite raccomandazioni. 
Lasciano Felì all'istituto artistico, andando poi verso quello classico.
-Mamma... io lo so che lo fate per me- mormora con lo sguardo perso fuori dal finestrino, la guancia appoggiata al palmo della mano, il piede sul cruscotto. 
-Che intendi?- risponde Rita come cadendo ora da una nuvola, lassù nel cielo.
-Andare a Napoli...- 
Il ragazzo sospira appena. 
Lui vorrebbe di certo passare lì le feste, e non sono quelle, ma è ben conscio dei tempi difficili che la sua famiglia, come molte altre, sta attraversando. 
Si volta e la guarda, lei fissa la strada dritta davanti a sé. -Guarda che sto bene davvero. Se non abbiamo la possibilità, possiamo anche stare qui- le dice una volta arrivati davanti scuola.
La mamma posteggia e lo guarda un poco addolcita. -Non preoccuparti: se non avessimo avuto l'occasione, non te l'avremmo manco detto. Tu stai tranquillo e pensa a studiare. Le hai prese stamattina le pillole?- 
Il ragazzo annuisce.
Quando si ha nell'infanzia la Corèa Reumatica, occorre fare una primo trattamento, ed un secondo ed un terzo, almeno fino al compimento della maggiore età. Eppure lui ha smesso molto prima. Una volta iniziato il liceo, a 15 anni, non ha voluto saperne. Non perché si sentisse grande, semplicemente perché voleva lasciarsi tutto alle spalle. Chissà, forse se avesse preso quelle pillole, non avrebbe avuto questa ricaduta. Adesso sta prendendo alcuni farmaci per evitare di ricadere in quell'incubo. E vi cadrebbe di nuovo per davvero, se non lo facessero uscire di casa. 
L'aria della mattina gli bacia il viso delicata, quando scende dall'auto e chiude lo sportello. Si guarda subito attorno. E' tutto così diverso.
Non c'è più la grande scritta sullo striscione bianco che dichiarava fiera: "TOC TOC: Leon Battista Occupato!". Non ci sono più i banchetti davanti l'ingresso che segnano le uscite e le entrate; né i vetri oscurati nell'aula notte -né l'aula notte stessa. E' tutto tremendamente diverso e questo lo spaventa un po', ma nemmeno lui capisce il perché. 
Passa istintivamente una mano sul braccio dove ha il tatutaggio. Si da un po' di coraggio, necessario per affrontare tutte le occhiaie che da ora in avanti lo sguiranno, almeno per un paio di giorni. 
Apparentemente, così vestito, non ha nulla che non vada. 
Ha soltanto un taglio vicino l'occhio, ma sta già scomparendo. E poi, però, i punti dell'operazione vicino la milza. 
Passa dal bar, le ragazze lì sedute a fare colazione lo guardano, la maggior parte di loro se lo divorano con gli occhi. Roma è un ragazzo che piace, ma non ne è consapevole.
Scorge Pietro, in lontananza, ma fa di tutto per non passare vicino a lui e non salutarlo. Il ragazzo, amico anche di Carlo, è da un po' che non si fa sentire. Romie ha pensato che, magari, in quel brutto periodo, almeno qualche messaggio avrebbe potuto mandarlo. Ma ne ha mandato uno soltanto, scritto con poche parole e niente di più.
Carlo stesso lo ha chiamato ogni pomeriggio, mandandogli anche qualche messaggio di mattina. E' andato a trovarlo ben due volte da quando è tornato a casa.
Anche Alex lo ha cercato tutti i giorni, ed Elisa, beh, lei, era sempre ospite da lui. Quasi ogni giorno, alle volte fermandosi a cena. A nessuno dei Vargas è dispiaciuto, Rita la adora, la trova una ragazza a modo e sistemata. E molto carina. 
Quando la vede, lui è già in classe, seduto al solito ultimo banco della fila centrale, il libro di letteratura italiana davanti a sé, aperto. 
Lei entra e lo fissa con un sorrisetto divertito. -Tutta questa voglia di studiare ti è venuta? A saperlo, ti mandavo in ospedale prima- gli dice ridacchiando.
Abbandona lo zaino vicino alle loro sedie, gli si avvicina e gli da un bacio sulla guancia. -Buongiorno- mormora poco più dolce.
-'Giorno. Devo farmi interrogare- le spiega lui, le mani sulle proprie gambe. 
Man mano che i compagni e le compagne entrano, lo salutano calorosamente, eccezione vale per Silvia, una tipa saccente che proprio non lo sopporta. Non lo degna di un saluto, quasi si meritasse l'ingiustizia subita. Eppure lei non ha particolari orientamente politici. Semplicemente, lo detesta. Lei si siede al suo posto come tutti, e finalmente -anzi, purtroppo- entra la professoressa di lettere in aula.
-Romano!- esclama sorpresa di vederlo lì. Gli si avvicina con un sorriso, sollevata di sapere che stia tanto bene da tornare a studiare. 
-Prof- mormora lui, con tono di chi vuole salutare. -Salve.-
-Allora? Come stai?- domanda lei osservando con una piccola smorfia il taglio sotto l'occhio dell'alunno. 
Romie le spiega di stare bene, non scendendo troppo nei dettagli. 
L'insegnante fa l'appello, contenta di poter di nuovo mettergli la presenza, ed accoglie poi la sua giustificazione ed il certificato medico. 
E' tornato completamente, ma non potrà fare educazione fisica per un po'. E' rimasto parecchio male per questa cosa, perché lui non vede l'ora di correre dietro un pallone che ancora una volta nella vita gli è stato negato. Ma è vivo, insomma, eccolo di nuovo lì. Non può proprio lamentarsi. 
La docente esordisce con un: -Ragazzi, ora interroghiamo- tutto d'un tratto. Naturalmente non vuole chiamarlo, è appena tornato, vuole dargli il tempo di riprendere un poco il ritmo. E' per questo che si sorprende quando lui si offre volontario. Gli chiede un argomento a piacere, il giovane inizia a parlare e per i prossimi venticinque minuti non si ferma.
L'esposizione orale di Romano è qualcosa di fantastico: congiuntivi al posto giusto, tempi verbali giusti, preposizioni giuste, nessuna interruzione, un discorso logico e di senso compiuto in ogni sua singola frase. 
Vengono interrogati altri due alunni che non reggono per nulla il confronto. 
Alla fine dell'ora, Eli domanda con curiosità alla prof che voto abbia preso il suo migliore amico, che invece sta prendendo il libro della prossima materia, soddisfato del proprio operato, non molto entusiasta di conoscere il voto. E' indifferente su questo punto di vista. 
-Dì al tuo amichetto che ha preso nove- mormora l'adulta, dando poi i risultati dell'interrogazione agli altri due alunni. Quattro e sei. 
-Amichetto, hai preso nove- dice lei guardando con la coda dell'occhio il compagno di banco, il quale annuisce solamente. 
La ragazza poi si stiracchia e si mette a spiegargli la matematica. Con qualche difficoltà, lui capisce pure questa. 
Giunge la ricreazione, venti minuti che passano come fossero due, e la quarta ora di buca. La prof d'inglese manca, per cui loro vanno a fumare nella scala antincendio. 
-Roma, posso farti il profilo facebook?- chiede lei dopo un po'. 
Lo prega con lo sguardo, con le parole, lo abbraccia e fa la ruffiana, finché lui esausto non mugugna un -Sì- poco convinto. Allora esulta vittoriosa, buttando via la cicca di sigaretta. 
Ancora due ore e possono ritenersi liberi.
Decidono di pranzare insieme, così dopo essersi congedati dagli altri, si allontanano dalla struttura scolastica. 
Comprano un panino e lo mangiano seduti ad un piccolo tavolo rotondo azzurro cielo mentre fanno un po' di gossip. Sì, a Roma diverte fare gossip, in fin dei conti in lui dev'esserci l'animo delle comari di paese tipiche del sud. 
Dopo aver consumato il loro pasto veloce, intraprendono la via di un parco.
Vanno spesso lì, lo conoscono da cinque anni e da cinque anni si siedono sulla stessa panchina, fumando insieme e guardando gli skaters che fanno le loro acrobazie. 
Oggi però non c'è nessuno, forse per via del brutto tempo, sembra infatti che debba piovere.
Lei sta con le gambe incrociate. 
E lui, seduto accanto, dopo un po' le dice contento: -Lo sai? Torniamo a Napoli, per Natale.-
Elisa sorride addolcita perché in quell'affermazione vede quasi i suoi occhi verdi brillare, allora gli sistema i capelli scuri con una mano. -Ah sì? E me lo dici solo ora?- lo rimprovera fingendosi arrabbiata.
-Ma non lo so se è sicuro. Me lo hanno detto i miei, ma...- sospira lievemente scrollando le spalle. Scuote appena la testa, mandando via un pensiero negativo.
-Perché quella faccia? Tu ami Napoli.- 
-Sì...- 
Ne segue un breve silenzio.
Quel sì sembra nascondere tutto un mondo dietro, un mondo che lei forse non conosce abbastanza. E forse, è giunto il momento di svelarlo.
Con tono e sguardo ambedue melanconici, Romie sussurra quasi a fior di labbra: -Amo Napoli, e penso che se fossimo rimasti lì tutto quello che è capitato a mio fratello non sarebbe successo.-
Abbassa lo sguardo nel pronunciare quelle parole, fissando insistentemente la suola delle proprie scarpe.
Elisa non capisce. Vedendolo in quello stato, si china un po' su di lui, la mano ancora tra i suoi capelli, dolcemente che li accarezza. -Hei... che c'hai?- 
-Eli, io devo dirti una cosa- esordisce lui rialzando lo sguardo. 
Si alza in piedi, sospira, irrequieto, sbuffa, si toglie il giubbotto perché l'agitazione di quel pensiero gli fa salire il sangue al cervello e gli fa sentire parecchio caldo.
La ragazza rimane in silenzio. 
Pochissime volte lo ha visto così nervoso.
Con gli occhi fissi su di lui, gli dice di calmarsi.
Romano allora si risiede e respira profondamente per poter eseguire quell'ordine. Prende una sigaretta, nascondendola tra le mani per evitare che il vento la spenga, dopodiché ripone l'accendino nella tasca esterna dello zaino.
-Aveva otto anni- comincia col dire, guardando di fronte a sé.
Qualche coraggioso fiore ancora resiste al vento forte che sta iniziando a soffiare, senza staccarsi dalla piantina dov'è nato, attaccato alla vita con tutte le forze. 
Roma non riesce a guardare altro che il cielo grigio, sembra che stia per piovere. Le nuvole hanno un moto irregolare, sono gonfie di pioggia.
-Lui è praticamente nato qui. Quando ci siamo trasferiti, aveva solo sette mesi. E' affezionato a questa città, si trova benissimo. Quando compì l'età giusta per iniziare la scuola, i miei lo scrissero alle elementari. Io allora avevo 12 anni e andavo in prima media. Feliciano, lui...- 
Il suo tono si è ora fatto vago. 
Non sa se riuscirà a dirle quella terribile verità. Ma vuole farlo, perché tra loro non ci sono segreti. Eppure... eppure lei non sa di quella storia. E' un affare troppo grosso da buttare lì su due piedi. 
Si rigira nervosamente un pezzetto di carta, lo scontrino del pranzo, che ha tra le mani. -Era un bambino bravissimo. Socievole, solare, studioso, sempre attento. Lo adoravano tutti i compagni e tutti le maestre. Poi, ce n'era uno, un uomo, che diciamo l'amava troppo.- 
Lei d'un tratto sbianca. 
Non vuole intuire, non vuole pensare, continua a ripetersi la frase appena detta dal ragazzo. L'amava troppo. Ma che significa? Forse... forse non è così male. Forse intende dire che aveva un'affezione particolare come la prof d'italiano ha per Romano. Forse. 
-R-Romie che stai dicendo?- domanda con un filo di voce.
-Sto dicendo che il mio fratellino non voleva più andare a scuola. Che non giocava più. Che se ne stava pomeriggi interi con lo sguardo assente, al buio nella sua cameretta. Sto dicendo che una sera mi confessò ciò che quel figlio di puttana gli aveva fatto. Pianse tra le mie braccia per ore, nei giorni successivi. Non si calmava che con me.- 
Il giovane chiude un attimo gli occhi per riprender fiato. Lascia che quel pezzetto bianco gli cada dalle mani e finisca per terra, passandosi una mano sul volto. 
Si abbandona allo schienale della panchina e continua, ma non osa guardarla. 
-Intendo dire che... che quell'uomo abusò del mio fratellino. Di un bambino di otto anni che non poteva difendersi.-
Adesso, però, lo sguardo è basso e gli occhi umidi. 
Passa una mano su di essi cacciando via qualche lacrima che minaccia di rovinare la sua aria da duro. 
Ed Elisa è sempre più in silenzio. 
Non ha il coraggio di parlare, non sa che dire, non sa come confortarlo, aiutarlo, reagire.
Le servono un paio di minuti per metabolizzare la cosa. 
Minuti in seguito ai quali scoppia in lacrime. Cerca disperatamente di trattenersi, ma senza successo.
Com'è possibile?
Eppure Feliciano ride sempre. Ha il perenne sorriso tra le labbra. Ha sempre quell'aria allegra, dolce, infantile, quell'aspetto adorabile. E' sempre disponibile con tutti.
Com'è possibile essere così, dopo quello che ha passato? Eppure, lui non finge. 
E' la notte che gli fa più paura, quando l'orco viene a riprenderlo nei suoi sogni, allora si sveglia e corre dal fratellone, magari piange un po' tra le sue braccia, poi però si calma
Sì, poi si calma.  
Il diciannovenne rimane in silenzio.
Accenna un sorriso amaro.
-Adesso che lo sai, non guardarlo in modo diverso. Non fargli capire nulla. Si sentirebbe umiliato e non è giusto. Ne ha già passate troppe.-
Sì, troppe. Ed lui vorrebbe continuare a parlare, dire quant'è stato difficile anche per lui sopportare tutto questo, perché non lo ha mai detto a nessuno, solo il nonno ha intuito, ma mai avuto una conferma da parte del nipote.
Ma Romie preferisce ancora il silenzio.


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Capitolo 17
*** Profilo FB! ***


[ Note: 
-Ho inserito un'immagine nell'ultimo capitolo, avevo dimenticato di metterla. Quando potete, fate un salto e guardatela. :) 
-Ad un certo punto, noterete un link di youtube. E' il link di una canzone. Nella storia, Feli ha messo il link di un video normalissimo su quella canzone, un video con le parole, ma quello che invece ho messo io è proprio un video con i due Vargas. Vedetelo, mentre leggete, io piango ogni volta che lo vedo. 
-Spero vi piaccia il capitolo, secondo me è pessimo, ma non riesco a scrivere di meglio. çç Vi voglio bene ! Recensite, mi raccomando! :)
-Ultima cosa. Conoscete Ask? E' un sito nel quale, iscrivendosi, si possono fare domande -sia con l'anonimo che senza- a chiunque sia iscritto. Ebbene, io l'ho fatto con Romie. Nel senso, lo muovo io, ed è fatto a nome suo. Se volete fargli una domanda, fate pure. Eccolo qui: 
http://ask.fm/RomieVargas 
 


C'è una scatola verde piuttosto grande appoggiata al tavolo della cucina, contiene molte foto ed alcuni piccoli album di quelli che solitamente danno i fotografi, a libretto. 
Feliciano le sta sfogliando con attenzione, ridacchiando di tanto in tanto e facendo delle domande alla sua mamma, la quale, si è messa lì a curiosare con lui tra quei ricordi di famiglia. 
Il ragazzino prende tra le mani una foto del fratello, nella quale non avrà più di 14 anni; ha i capelli un po' più lunghi e la solita smorfia imbronciata, ma è davvero tenero da vedere.
Ridendo ancora, domanda: -Ma mamma, non c'è una foto di Romie dove non è arrabbiato?- con fare divertito.
La donna annuisce e scava un po' nel mucchio, fino a quando non trova le foto di due bambini, uno più grande con gli occhi verdi, l'altro con gli occhi nocciola. 
Le mostra al figlio con un sorriso. -Guarda qua- gli dice.
Lui prende quelle foto e le osserva spalancando gli occhi. Romano sta ridendo. 
Gli pare così strano! 
Nota poi un'altra foto dove sono più grandetti, circa nove anni e tredici. 
Chiude gli occhi. 
 
Il bambino se ne sta seduto su una sediolina colorata con lo sguardo basso, dondolando un poco le gambe. 
E' tutto il giorno che parla con assistenti sociali, psicologi e sociologi, sono tutti tanto gentili con lui, ma vorrebbe tornarsene a casa e starsene un poco tranquillo. L'ennesima donna passa di lì e gli rivolge un sorriso, che però lui non si sente di ricambiare a pieno. 
Sussulta perché sente una mano sulla sua spalla, ma sospira sollevato quando nota il profilo di suo fratello dietro di sé. Lui si appoggia ad un tavolo lì vicino, tenendo in mano una lattina di tè alla pesca, che poi gli porge.
Felì la prende e beve, però si bagna un poco, non sa bere senza bicchiere da lì. 
Romano prende un tovagliolino e glielo passa, commentando: -Sei un disastro- per poi scompigliargli i capelli.
Il più piccolo accenna un sorriso, poi però un qualche brutto pensiero lo fa piangere di nuovo. Così porta una manina sugli occhi, per cacciare via le lacrime. E' una cosa troppo grossa perché lui possa sopportarla. 
L'altro sospira lievemente e gli si avvicina. S'inginocchia per poterlo guardare negli occhi, cosa che fa, e glieli asciuga. -Ohi, ascoltami.- 
Ma non ottiene risposta. Il suo fratellino sta singhiozzando. 
-Felì, guardami- dice ancora. Ecco, adesso lui lo sta ascoltando. -Non devi piangere. E sai perché?- Feliciano scuote la testa e lo guarda, tirando in su col nasino. -Perché tu sei più forte di lui. Perché se piangi, gli fai capire che ha fatto bene ed invece ha fatto malissimo. Perché non deve vincere lui, ma devi vincere tu. Capito?- continua il più grande, accarezzandogli la guancia, per tirare via un'altra lacrima che con una graziosa piroetta finisce sulle sue dita. -Vieni qua- mugugna, poi l'abbraccia forte forte. 
 
 
Qualche giorno dopo, mentre sono tutti in casa, bussa qualcuno alla porta.
Romano sta finendo i compiti seduto sul divano, Feli sta dormendo nella sua cameretta. 
E' il maggiore che va ad aprire, con uno sbuffo, perché il papà glielo chiede. 
Quando vede nuovamente gli assistenti sociali davanti la soglia di casa, s'altera subito.
-Ma perché non lo lasciate in pace?!- sbotta, fissandoli male. 
-Noi vogliamo aiutarlo- spiega una giovane donna, con i capelli biondi. 
Ma lui ribatte: -Non è vero, gli fate ricordare quella merda continuamente!- 
Interviene allora Raffaele, avvicinandosi alla porta, richiamando il figlio con aria di rimprovero. -Romano! Ma che ti prende?- chiede.
Il dodicenne, allora, si allontana nervoso e si avvicina al fratellino che s'è svegliato sentendo quelle voci ed ora si sta stropicciando gli occhietti. Con fare protettivo, lo stringe a sé, quasi voglia nasconderlo. 
-Roma...- mormora la madre, pregandolo con lo sguardo di non rendere tutto più difficile.
Lui abbassa lo sguardo, carezzando i capelli castani del bambino. 
Gli rimane accanto, stringendo la sua mano, per tutto il colloquio con i due estranei. 
Felì ogni tanto lo guarda ed accenna un sorriso nella sua direzione.
 
 
Romie non ricambia quel sorriso, non ora, appena tornato da scuola. 
Non è stata poi una così bella giornata, ma almeno è uscito un po' di casa.
La docente d'inglese che tanto lo detesta, ha accettato il ragazzo come volontario per l'interrogazione e lo ha spremuto, chiedendogli di tutto.  E lui ha risposto, quasi a tutto, in modo perfetto. Ma quel 'quasi a tutto' quando si tratta di Romano Vargas, alla suddetta prof non va bene.
-Ma a te pare brutto, andare a scuola, ogni tanto?-  dice al fratellino, abbandonando lo zaino da una parte sul pavimento. 
L'altro rotea lo sguardo. 
-Veramente, sono tornato poco fa. Sei tu che hai fatto tardi- ribatte lui, facendogli la linguaccia. 
-E' che mi sono fermato a fare benzina- risponde il primo. 
Il quindicenne ruba alcune foto del fratello e rimette al suo posto la scatola. 
Va nella camera del maggiore e le scannerizza, dopodiché mette il risultato di quell'operazione in una cartella sulla pendrive ed esce di lì.
Una ventina di minuti dopo, Elisa entra in possesso di quelle foto.
La ragazza, però, è ancora in treno e quando le vede per la prima volta, lo fa attraverso il cellulare touch screen, mediante l'applicazione di What's App. Ridacchia, trattenendosi a stento per non beccarsi le occhiate perplesse di chi le è vicino.
Consumato velocemente il suo pasto, fa finta di studiare per un'oretta, infine accende il computer. 
Quelle foto le servono per fare il profilo facebook di Romano.
Inizialmente, inserisce un sacco di informazioni finte per gioco, poi però decide di impegnarsi seriamente. 
 
 
Nome: Romano. 
Secondo Nome: -
Cognome: Vargas.
Data di Nascita: 08-09-1994.
Vive a: -
Di: Napoli.
Su di me: - 
Situazione sentimentale: Single.
Orientamento religioso: ateo.
Orientamento politico: - 
 
 
Mangiucchia qualche biscotto mentre sistema il tutto e fa le prime richieste d'amicizia, richieste indirizzate a Felì, a sé stessa, a Roberto, Alex, Carlo, Alice, Chiara ed alcuni altri ragazzi e ragazze. 
Si mette a ridere quando, nel riquadro 'Persone che potresti conoscere - Aggiungi agli amici' appare  il profilo di Giorgio Rinaldi. -Sicuramente, gliela chiedo, a quel testa di minchia- borbotta lei, addentando l'ennesimo pasticcino al cioccolato. 
Fatto ciò  manda un messaggio sul cellulare all'amico, con password e la mail utilizzata.
In quel momento, però, Roma è preso dalla nuova lezione di spagnolo, quindi lo legge dopo qualche momento e non le risponde. Non è così tanto curioso del suo nuovo profilo fb, per cui controllerà quando ne avrà tempo e voglia. 
L'unica cosa che lo spaventa, è sapere che foto profilo abbia inserito. Spera in una sua bontà d'animo. Perché se ha messo qualche foto imbarazzante, è morta, davvero!
Accende il proprio pc solo dopo le sette, una volta finiti i compiti, finito di leggere un libro, aver fatto la doccia e lo shampoo. 
Fa il login e si ritrova nel suo profilo. Da un'occhiata, non ha nulla da cambiare per il momento, soltanto ha da mettere le informazioni come visualizzabili solo a chi fa già parte dei suoi amici. Non vuole siano pubbliche. 
La foto profilo non è così malaccio, per cui decide di lasciarla.
E' una foto che ha fatto a Napoli l'hanno precedente. O forse risale a due anni prima? 
Comunque, ritrae il ragazzo a mare, seduto in acqua laddove è più bassa, con la mano destra affondata tra la sabbia. Ha un costume celeste ed una smorfia sul viso. Quella smorfia l'aveva provocata il sole, se lo ricorda, si ricorda sempre quello che succede quando è in vacanza a casa sua.  


 
Ha già una cinquantina di amici: tutti coloro a cui Eli aveva fatto la richiesta d'amicizia hanno già accettato e molti altri hanno inviato la medesima richiesta.
Lui per il momento accetta tutti. Ha già diciannove 'mi piace' alla foto profilo.  Per quanto riguarda la foto di copertina, piuttosto, la ragazza ha messo una scritta. 
"Non avevamo coraggio. La verità è che eravamo incoscienti."
Frase di Vittore Branca, riguardante i partigiani. 
Romano adora quella frase, ma preferisce avere Napoli sempre presente, ed è proprio una foto del capoluogo campano che sceglie.
Sulla sua bacheca, inoltre, qualcuno ha già lasciato il segno.
 
Feliciano Vargas. 
Fratellone! <3
 
Elisa Conte. 
Tu, mi devi un favore. 
 
Alice Marchetti. 
TU! Lo sapevo che ti saresti fatto fb! Ho vinto! :P
 
 
Romano non ha esattamente voglia di rispondere, però si trova costretto a farlo, almeno con le ragazze. Al fratello riserva solo un 'mi piace'.
Ad Elisa fa notare che sia stata lei a voler fare il profilo e ad Alice, appunto, spiega che non è stato fatto per sua volontà.
Romie senza accorgersene passa più di un'ora al pc, sistemando un poco il proprio profilo,  controllando e 'mipiacizzando' alcune pagine ed altri profili, soprattutto quello della migliore amica e quello del fratellino. 
Stando su quello di Feliciano, nota una cosa molto dolce.
E' un'immagine di loro due, il quindicenne ha speso qualche parola su di essa ma soprattutto ha parlato del suo rapporto col fratello.


 
" Mi Rialzerai. 
http://youtu.be/TOv1hZS7zho
 
'Se dentro me, ho perso la speranza,
E sento che certezze più non ho
Non temerò, ma aspetterò in silenzio
Perché io so che sei vicino a me.
Mi rialzerai se non avrò più forze
Mi rialzerai, con Te ce la farò
Sarai con me, nel buio della notte

Mi rialzerai e in alto volerò.
'

Queste parole le dedico a mio fratello, perché lui mi è sempre stato vicino.
Sono stato sul punto di cadere un sacco di volte, ma lui mi ha sempre stretto a sé con protezione, impedendomi di farmi male, eppure ha anche lasciato che sbagliassi, perché è giusto che io viva le mie esperienze. Lui sa capirmi come nessun altro, capisce se sto soffrendo solo con uno sguardo, anche quando sorrido perché non voglio più essere compatito, e fingo. Lui sta con me in ogni momento importante, ogni volta che ho paura, e quando cado, lui tende la mano perché io mi rialzi. Mio fratello è stato tutto per me. Ne abbiamo passate così tante... certe cose i bambini nemmeno dovrebbero sapere cosa siano, eppure noi le abbiamo vissute sulla nostra pelle e se sono qui, oggi, vivo, felice, sereno, lo devo a lui, che se non ci fosse stato, beh, io non avrei avuto un'infanzia. Mi ha dato forza talmente tante volte, che ogni minuto di vita non posso che non dedicarglielo, perché sarei già sottoterra, se non ci fosse stato lui.
E per questo ti dico grazie, fratellone. 
Sei la mia vita. <3 "
 
Leggendo queste parole, Romie accenna un sorriso. 
Mette un bel 'mi piace' alla foto, che ha già più di sessanta di quei mi piace, e decide di commentarla.
 
" Tu ce l'hai fatta perché sei forte, non perché io ti spronavo a farcela. 
E sai che se hai superato quello, puoi superare di tutto. Io ci sarò sempre per te, ma devi imparare a fare le cose da solo, perché un giorno non ci sarò più. 
Ti voglio bene anch'io, comunque. "
 
Feliciano legge il commento, nella sua camera, lo mipiacizza e sorride spontaneamente. 
Si alza, va dal fratellone e lo abbraccia forte forte.
Gli sta appiccicato per almeno cinque minuti, accoccolato a lui, perché solo lì si sente davvero al sicuro, poi entrambi vanno a cenare. 
E la sera, prima di andare a letto, il minore dei due, commenta ancora la foto.
 
" Ti prego, non farmi più spaventare tanto.
Non reggerei, se ti accadesse davvero qualcosa. Lo sai che ho bisogno di te! "
 
Tuttavia, l'altro non vuole parlare tramite un computer, perciò non aggiunge altro.
Prima o poi parleranno di questa cosa, di persona, come va fatto, chiarendo ogni dubbio. 
Ma per adesso, è meglio dormire.


 

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Capitolo 18
*** Ahi ahi, fratello mio! ***


[ Chiedo umilmente perdono per il ritardo, tuttavia ho avuto la settimana pienissima.
Tutte le interrogazioni ed i compiti in classe adesso, li dobbiamo fare! T_T E' una cosa orribile. Spero vi piaccia il capitolo e compensi il ritardo. Visto che non riesco ad articolare un discorso, chudo qui.
Recensite! <3 ]



E' una sera piuttosto lunga, pare non finire mai.
Feliciano ha la testa che gli scoppia, studia dalle due e mezza ed ora, alle otto e cinque, non ha ancora terminato. E' chino sul tavolo della cucina, dov'è solito mettersi a fare i compiti, sul libro di matematica. La stanchezza gli annebbia le facoltà mentali e lui non riesce proprio a risolvere quegli esercizi. 
Richiude il libro e pesantemente lo trascina dentro lo zaino, che ha lasciato ai piedi del divano e ritorna ad occupare il suo posto sulla sedia; tira fuori il libro di italiano: ha da fare Manzoni, "I Promessi Sposi." Eppure, teme di non riuscire a capire ciò che l'autore vuole dire in quel capitolo, che è esattamente quello in cui è Renzo va a domandare la data del matrimonio a Don Abbondio, il quale, poveraccio, con mille e più scuse gli fa capire di voler rimandare il tutto.  
Felì è stato attento in classe e sa che adesso lo sposo si arrabbierà molto e darà un ultimatum al prete, per poi andare dalla sua bella, tuttavia dovrebbe saperne parlare più nel dettaglio e leggere ora quella scrittura per lui -e per tutti gli altri compagni- così inusuale, è uno strazio.
Fortuna vuole che il suo fratellone passi di lì per divorare un biscotto in attesa della cena. Si siede pure lui, a capotavola alla sinistra dell'altro, con i piedi sulla superficie del tavolo. Lo osserva con la coda dell'occhio, mentre mangiucchia un pasticcino.
-Dove siete arrivati?- 
-Renzo sta per andare dall'Azzeccagarbugli...- mugugna il minore, con tono basso.
-Ah, il terzo capitolo, allora- risponde pronto il più grande. -Quello che inizia con Lucia che entra nella stanza mentre Renzo sta angosciosamente informando Agnese di ciò che gli è capitato.-
L'altro appoggia allora il capo al quaderno, lasciandosi scappare l'ennesimo sospiro. -Ti prego, smettila di sapere tutto. E' umiliante- borbotta con voce di chi ha vissuto a lungo nelle catacombe, a stento si ode. 
In tanto, la madre dei due Vargas, Rita, entra in cucina ed appoggia la mano sui piedi del figlio maggiore, per indicargli di -Mettere via quelle zampacce dal tavolo- un poco severa. 
Poi gli da delle maglie pulite e stirate che profumano ancora di ammorbidente, perché lui le sistemi nel proprio armadio, ma il giovane non sembra troppo disposto a farlo. 
-Ma madre! Sono così affaticato, mi hanno da poco accoltellato,  ho subito un trauma. Non puoi farmi fare questo!- le dice con modi teatrali.
Lei non demorde. -Romano Vargas, non ci provare nemmeno. Fila a sistemare quelle felpe. Se vedo una sola cosa fuori posto, svuoto l'armadio e te lo faccio mettere in ordine da capo!-  risponde guardandolo negli occhi.
Il figlio, col suo solito broncio annoiato, si alza. -Sei un mostro- borbotta, prima di andare nella propria stanza. 
Il quindicenne intanto ridacchia e prova a concentrarsi su quel maledetto terzo capitolo, ma pochi momenti dopo il papà irrompe in casa, accende la tv ad alto volume e lo caccia via perché vuole apparecchiare, è parecchio affamato. 
Così cenano, come al solito con la tv accesa, ma lontana dai telegiornali. In quella casa non se ne possono guardare,  né alle due né alle otto di sera, ovvero durante ai pasti (che qualche volta, come quella sera, ritardano.) La mamma aveva avuto moltissimo da fare nel pomeriggio e si era sbrigata tardi, per cui ha cucinato Romie. 
Ha fatto della carne con l'insalata, è venuto tutto molto buono come al solito, ma non c'è da stupirsi, è bravo in cucina. 
Comunque sia, Feliciano d'un tratto esclama: -...Tra poco è il mio compleanno!- 
Ed il fratello lo contraddice subito: -Ci vuole una vita, ancora!- 
Lui aveva compiuto diciannove anni l'8 Settembre, data che coincide casualmente con una festa religiosa Napoletana, la festa di Pietragrotta. 
E' una festa religiosa ereditata dai Borboni che celebra la natività di Maria Vergine.  La leggenda narra che la notte del 7 settembre, gli atri dei palazzi e con essi le strade, vennero addobbati a festa; sfilarono carri arricchiti da chitarre e mandolini e non mancarono neppure “gruppetti di monelli muniti di aggeggi rumoristici e dello strumento principale, indispensabile e caratteristico della festa, ‘a trummettella (un cono di latta grossolanamente dipinto che emetteva una sola stridula nota), i quali davano le avvisaglie di quello che sarebbe stato il ciclopico concerto notturno”.
Questo "concerto" comprendeva moltissime canzoni, cinque o sei delle quali alla fine venivano premiate; esse venivano scritte da artisti e da non artisti. E' una festività nata nel 1835, esattamente 178 anni fa.
Romie è consapevole che esista quella festa, perché da bambino i compleanni li passava quasi sempre a Napoli, accerchiato dai parenti e dai cugini, dai quali non voleva mai staccarsi. E' nato con loro, hanno un rapporto stupendo, con quei matti che hanno supergiù la loro stessa età -sua e del fratello.
C'è Gennaro, un ragazzotto di ventunanni che è stato a lungo il suo migliore amico. Quand'erano insieme, ne combinavano di tutti i colori, infatti le mamme, cognate, avevano il timore di lasciarli da soli. 
Una volta, quand'avevano sette e nove anni, andarono al mercato e rubarono delle mele.  
Un altro giorno, invece, quand'erano più piccolini, si arrampicarono su un albero altissimo e non riuscivano più a scendere; una domenica s'infilarono in una piccola chiesa di provincia, cittadina nella quale avevano trascorso il fine settimana, e terrorizzarono le vecchie donne vestite di scuro che si erano recate lì la sera tarda per pregare. Un Natale nascosero tutti i regali della bambine di famiglia e dissero che Babbo Natale quella sera sarebbe venuto mentre loro dormivano e avrebbe tagliato tutti i loro lunghi capelli. Le piccole, naturalmente, rimasero sconvolte e non chiusero occhio per giorni. 
I momenti trascorsi insieme, sono alcuni dei più belli passati in famiglia. 
Solitamente non c'era Felì con loro, quando combinavano cose di questo tipo, lui era troppo piccolo per poterli seguire.
Ad ogni modo, crescendo, hanno un po' perso i contatti, ma ogni volta che si vedono, è come se si fossero lasciati il giorno prima. Si vogliono tanto bene.
Gennaro non ha finito la scuola, lavora con suo zio in officina. Non è un cattivo ragazzo, ha un paio di brutti vizi, ma non è una brutta compagnia.
Ha una sorella più piccola, Anna, la quale, povera vittima!, ne ha passate di cotte e di crude per colpa del fratello e del cugino di primo grado: era lei la principale vittima di quelle malvagità da bambini. Certo: non si salvava nessuno da loro.
E quante punizioni si sono beccati! Ma nulla, niente pareva fermarli eccetto la lontananza delle due città.
Col tempo, i quattro Vargas, hanno trascorso sempre meno tempo nel capoluogo campano; l'anno scorso solo una settimana, per i mesi più caldi sono rimasti a casa loro, i due maschi più grandi a lavorare. 
Gli altri cugini non sono così fondamentali per Romano, ma per il fratellino ce n'è uno che è importantissimo: il piccolo Nello. 
Lui ha soltanto cinque anni, ma è un po' più piccolino rispetto ai suoi coetanei.
Ha un leggero ritardo mentale. E', comunque, il più viziato della famiglia. I suoi genitori comprano di tutto a lui ed al fratello Domenico, otto anni e molto monello, che cerca in tutti i modi di attirare l'attenzione.
Nello è ben visto da tutta la famiglia. Sia Romano che Felì, Gennaro che Anna, sia gli zii che i nonni, se lo coccolano ogni volta che possono e guai -guai!- a prenderlo in giro per la sua malattia, se così si può definire. Anche Nonno Roma lo riempe di attenzioni.
Sono una bella famiglia, tutto sommato, molto unita. 
Tutto ciò da parte di mamma, certo, perché i parenti di papà sono... ecco, meno socievoli. 
Sono anche loro di Napoli, ma non vi è molto rapporto: i nonni a stento salutano i figli di Raffaele. E' tutta questione di ripicca: non tollerano la moglie, per cui non vogliono saperne di quel matrimonio. Parlano solo col figlio qualche volta, lui fa solo una telefonata per feste e compleanni, qualche volta va a trovarli quando tornano in Campania, ma poco più. 
Hanno un altro figlio, lo zio Luca, ma di lui si sa ben poco, non partecipa mai alle riunioni di famiglia. Feliciano non ricorda che faccia abbia. 
Questo è un po' quello che succede in tutte le famiglie, loro non sono particolarmente turbati per quest'assenza da parte dello zio, del nonno e della nonna paterni.
Tuttavia, se non potessero vedere il nonno materno -ah!- ci rimarrebbero malissimo. E' naturale, lui li ha cresciuti! 
Certe volte, nelle sere d'estate, se ne andavano i quattro nipoti più piccoli in qualche zona di campagna, accompagnati dal nonno stesso.
Nonno Roma si metteva sul tronco di un albero ad arrostire qualcosa sul fuocherello, attorno a lui Roma, Felì, Gennà ed Annie. Se ne stavano a raccontarsi storie fino a tarda sera, mangiavano patatine e panini e qualche volte rimanevano lì a dormire. 
Inutile dire che in quelle occasioni, l'unica ragazza del gruppo, non aveva pace. 
Se adesso il diciannovenne ripensa a quelle sere, lo fa con molta nostalgia, ma non così tanta; ogni volta che torna a Napoli, l'esperienza si ripete, magari senza il nonno.
Non riesce comunque ad immaginare il momento in cui lui non ci sarà più, non vuole pensarci. Già sente la sua mancanza adesso, che è solo a qualche passo da casa...
Infatti il vecchio è tornato al suo albergo, il giorno stesso in cui il nipote maggiore è tornato a scuola. Lo hanno pregato tutti quanti di rimanere a casa con loro, ma niente, lui voleva starsene un po' per conto suo. 
Finita finalmente la cena, il quindicenne è di nuovo con la matita nella mano, pronto a sottolineare le parti essenziali del testo. 
Il fratellone, a quel punto, gliela toglie e chiude il libro. -Basta- dichiara. -Sei troppo stanco, fila a nanna.- 
Infila tutto nello zaino e chiude, ignorando le proteste dell'altro. 
-Ma, Romie! E se domani m'interroga? Devo ripassare...- ribatte debolmente. 
-No. Sono otto ore che studi. Anche perché, stanco per come sei, non ci capiresti un cazzo.-
Il papà si è seduto pochi minuti prima sul divano a guardare la televisione, sentendo quella parolaccia lo richiama. 
Feliciano stropiccia gli occhi nocciola ed annuisce, il giorno dopo si sveglierà un poco prima e si metterà a ripassare. Lava i denti, e fila a dormire, come il più grande gli ha ordinato. 
 
 
La mattina seguente non è riuscito a ripassare, troppo stanco per alzarsi prima del solito, ed ora, alle dodici e dieci, se ne sta seduto a primo banco della fila centrale, proprio davanti la cattedra, con il mal di pancia, dovuto all'ansia. 
Giocherella nervosamente con il braccialetto celeste che gli ha dato il fratello. E' in gomma ed è quello che l'anno scorso era in omaggio con i bicchieri in vetro del Mc Donald's, sponsor degli Europei 2012. Era in sei tonalità: giallo, rosso, bianco, verde, nero, celeste. Vi è disegnato lo stemma della Coca Cola, un pallone da calcio e vi è una scritta: "Uefa, EURO2012, Poland-Ucraine."
Lui ha chiesto gentilmente a Romano poco dopo che gliel'aveva visto se poteva tenerlo per un po' e lui, ancora più gentilmente, glielo ha regalato. 
Se ne separa raramente, di solito lo porta sempre con sé. E' un ricordo. 
In aula è praticamente da solo, la classe è decimata dalla febbre e la sua fila è praticamente vuota. Dietro di lui c'è un banco libero, dietro ancora due ragazze. E' spaventato, teme che la prof possa chiamarlo. Anzi, più che spaventato è ansioso. Dopotutto sa cosa sia la vera paura. 
L'insegnante apre il registro, sistemandosi sul naso gli occhiali da vista marroni rettangolari. Parte da sopra ma in un tempo che gli pare brevissimo, arriva giù. 
-Vargas- dice.
 
 
L'altro Vargas, intanto, è seduto al suo solito posto, vicino Elisa. 
Si stanno dando fastidio, come da copione. 
Lei ha un felpa che le sta un po' grande addosso, è blu con su scritta la marca di Pull & Bear. Se ne sta stretta lì a mordicchiare il tappuccio della penna bic. 
-Mi ridarai mai la mia fantastica felpa?- domanda lui, addentando un cracker che le ha rubato da sotto il banco. Quei due certi giorni iniziano a mangiare dalla prima ora e finiscono all'ultima. 
La ragazza scuote la testa. -No, mi piace.-
-Eli, l'ha da un mese- ribatte lui, mettendosi poi a fare i compiti di spagnolo, il libro poggiato sulle gambe, i piedi sul banco.  Ha gli occhi fissi sul testo dell'esercizio da svolgere, la matita in mano che fa scorrere tra le dita. 
-Mi piace- ripete lei. -Ormai è mia.- 
Con un sospiro, lui depone le armi. 
Le aveva dato quella felpa uno dei primi giorni d'occupazione, perché lei aveva freddo e lui caldo -come al solito, poi lei se l'era portata a casa e da quel giorno non gliel'ha più ridata.
E' un peccato, perché è davvero una bella felpa, ma dopotutto cosa gli costa far felice la sua migliore amica? 
Controlla qualcosa sul cellulare, sorridendo appena, poi lo mette via.
Elisa lo guarda insistentemente da qualche minuto. 
-Che c'hai?- le chiede il giovane.
-Se tu avessi una ragazza, me lo diresti?- domanda invece l'amica.
-Sì.-
-Ma non mi dici mai nulla delle tue scopamiche.- 
A quella parola, a quella frase, scoppia il putiferio.
Il punto è che Romano è stanco di quelle insicurezze e di quei rimproveri.
Lei non fa altro che dirgli quanto faccia male a non avere una ragazza stabile, quanto appaia poco serio, quanto poco credibile, quando così e quando cosà. 
Così iniziano a litigare.
Loro si punzecchiano ed infastidiscono continuamente, ma qualche volta capita che litighino seriamente. Se ne dicono tante, di cose brutte, e si manda reciprocamente a quel paese. 
-Mi hai rotto il cazzo, con questa storia- ha detto lui, ad un certo punto. -Falla finita, faccio il cazzo che mi pare.- 
Dopo qualche secondo di frasi senza senso farfugliate, lei gli ha così risposto: -Io lo faccio per te, ma a quanto pare non lo capisci! A me non frega più una minchia, ti organizzi da solo, non voglio saperne più niente di te e di questa storia!-
-Ma cos'hai, oggi, il ciclo?!- 
Ed effettivamente, Eli è in quel periodo del mese particolarmente sensibile. 
Se certe ragazze diventano più emotive, nel senso che scoppiano in lacrime più facilmente, lei più facilmente s'innervosisce, invece.
Litigano abbastanza e quando, alle dodici, lui ritorna in classe con il permesso d'uscita anticipata, prende le sue cose e va via, senza salutarla col solito bacio sulla guancia o la solita parolaccia scherzosa. Mugugna solo un -Ciao, raga- ed esce. 
Lei dice qualcosa di abbastanza offensivo, a questo punto. 
E Romie la sente, ma continua a scendere le scale, ringraziando di essere maggiorenne. 
Le manda un messaggio con su scritto: "Comunque le cose dimmele in faccia, la prossima volta."
Infila il telefonino nella tasca del giubbotto e sale sul motore.
E' uscito prima perché voleva andare in giro col fratellino, stare un po' con lui, dato che hanno così tanto da studiare entrambi che non riescono a passare più un'ora da soli, come facevano prima. 
Giunto al liceo artistico, sottoscrive il permesso d'uscita anticipata per il fratello e lo aspetta giù, il casco in mano, appoggiato ad uno dei pilastri vicino l'ingresso dell'istituto, dentro il cancello.
Alcune ragazze passano di lì e si chiedono chi sia quel ragazzo nuovo, perché non l'hanno mai visto in quella scuola. 
Il permesso giunge nelle mani del bidello e lui apre la porta nel momento esatto in cui l'insegnante che si trova in IIB chiama Feliciano per l'interrogazione. 
Il ragazzino, preoccupatissimo, stava per iniziare a balbettare qualche cosina. Volge sorpreso la sua attenzione all'uomo, perché lui non ne sapeva nulla. 
-Ah, Feliciano, potevi dirmelo che uscivi prima, non ti avrei chiamato- mormora la prof mentre segna il tutto sul registro. 
-Non ne avevo idea...- risponde l'alunno. 
Ancora parecchio sorpreso, infila il libro ed il quaderno nello zaino, in qualche minuto è pronto. Saluta la classe e la docente ed esce. Scende le scale sistemandosi il giubbotto marrone, naturalmente ben abbinato al resto dei vestiti. 
Quando nota il fratellone subito si preoccupa. Ha paura che sia successo qualcosa, perché lo vede scuro in volto. Però Romie è solo un po' pensieroso, stava rimuginando sulla discussione avvenuta qualche minuto prima con la migliore amica. 
Due ragazze del terzo anno, appoggiate vicino ad una finestra che da su un cortile interno, li osservano.
-Com'è che si chiama quello? C'aveva un nome strano...- dice la prima, più alta, con i capelli scuri, un po' sovrappeso.
-Feliciano- chiarisce l'altra sottovoce. -Si veste benissimo.-
-Sì, ma è piccolo. E quello chi è, suo fratello? E' bello- continua la mora. 
-Boh, sì. Credo si chiama... Romano, tipo. Su facebook non c'è. Comunque anche lui si veste benissimo. Ah! Sai chi è? Quello che hanno accoltellato. Ti ricordi?- 
E si mettono a parlare di quanto sanno, probabilmente la maggior parte delle informazioni sono errate, almeno parzialmente. 
Comunque sia, i due ragazzi, si scambiano un'occhiata, non dicono nulla, prima di uscire di lì.
A quel punto però il più piccolo gli si avvicina di più e lo affianca, affrettando il passo e gli chiede cosa sia successo, l'altro non risponde. 
Si avvicina al motorino e sale, infilandosi il casco. Gli passa l'altro e gli fa cenno di metterlo, poi di salire.
-Roma, allora, me lo dici?- lo prega l'altro mentre esegue quell'ordine. 
Il motore su cui sono entrambi seduti è un 125, un SH bianco. E' stato regalato al maggiore circa un anno e mezzo fa, lui lo cura moltissimo, ci tiene davvero. Anche perché, è consapevole che se andasse male a scuola, i suoi glielo toglierebbero per punizione -lo ha già sperimentato. E' per questo che vi sta attentissimo, quando lo può usare. 
Certo, non è che sia nuovissimo, il mezzo. Lui guida malissimo, è inutile negarlo. Va così veloce! E inevitabilmente, un paio d'incidenti li ha fatti. I suoi genitori lo hanno rimproverato così tante volte che alla fine hanno perso le speranze. 
Così lui se ne va veloce sulla strada col fratellino dietro. 
-ROMANO!- esclama il minore esasperato, dopo un poco. 
-Volevo stare un po' con te- mugugna il diciannovenne. 
Felì, addolcito, si stringe a lui socchiudendo gli occhi. -Mi hai salvato dall'interrogazione...- gli dice ridacchiando. Lui sorride.
Vanno al centro della città veneta, posteggiato il motore proseguono a piedi.
Il quindicenne se ne sta con il capo un po' chino, accanto al fratellone. Si sente in colpa per l'interrogazione, avrebbe preso di sicuro un brutto voto se l'avesse fatta. O almeno, questo è quello che pensa lui, perché in realtà, lui è sempre attento in classe, per cui almeno un sei sarebbe riuscito a prenderlo. 
Roma cammina con lo zaino su una spalla, gli occhi verdi che guardano distratti davanti a sé. Sposta lo sguardo su di lui. -Non stare a testa bassa, non hai niente di cui vergognarti- gli dice d'un tratto. 
Tira fuori dal pacchetto di sigarette una di queste e l'accende, portandola alle labbra.
Il fratellino lo fissa, prima sorpreso, poi con aria di rimprovero. 
-Solo questa- lo rassicura lui.
Fanno ancora qualche passo e si siedono su un muretto.
Parlano per un po' di calcio, quasi litigando perché il più grande difende a spada tratta il Napoli, poi però cede agli occhi dolci del fratello e cambiano argomento. 
Immaginano già quanto sarà bello riabbracciare tutti quanti e si chiedono quando partiranno. Riflettono poi, sull'eventualità di fare un viaggio loro due da soli.
Felì vorrebbe andare in Germania, mentre Romie in Spagna. 
E' improbabile che giungeranno ad un accordo, perché il diciannovenne ha un cattivo rapporto con i tedeschi, ne sente troppe sul loro conto e già parte un po' prevenuto, lui, che sarebbe sicuramente nato partigiano, settant'anni fa. 
Il minore dopo un po' domanda se la loro mamma sappia che sono lì, Romano gli dice di non fare domande e di non dire nulla. No, questo significa che non lo sa. Gli dice inoltre di mandare un messaggio alla donna e dirle che pranzeranno fuori, perché ha intenzione di andare a trovare il nonno. 
Gioca con l'accendino, accendendolo e spegnendolo con distrazione, e quasi si brucia un po' la felpa, tant'è disattento, ma infine non accade nulla di tutto ciò. 
Elisa gli ha mandato una gran quantità di messaggi, più o meno provocatori, ma lui non ha risposto a nessuno di questi, perché sa che lei vorrebbe litigare ora, ma che poi se ne pentirebbe.
All'ennesimo, però, le scrive: "Smettila di fare la bambina, se non vuoi parlarmi, cancella il mio numero."
Non risponde al fratellino che gli chiede con chi stia parlando, ma quando aggiunge: -Elisa viene, sabato?- gli risponde di no, senza dare motivazioni. Avrebbero dovuto studiare insieme matematica, probabilmente non lo faranno. 
Chiamano il nonno, dicendogli che lo andranno a trovare da poco. 
Lui, naturalmente, è felicissimo, anzi, dice di volerli portare a pranzo fuori in un posto più  bello che una camera d'albergo. E dunque si ritrovano un'ora dopo seduti ad un ristorante, gli zaini appoggiati accanto i loro piedi. 
-Allora, come va a scuola?- domanda il vecchio, con uno dei suoi caldi sorrisi.
Il quindicenne inizia subito a parlare, raccontando nel dettaglio qualsiasi cosa. 
-Come sei logorroico...- gli dice il fratello, guardandolo con la coda dell'occhio, con fare divertito. 
-Non sono io logorroico, sei tu che non parli mai!- ribatte il più piccolo, imbronciato. 
Fissa poi con sguardo sognante un piatto di pasta al sugo che viene presto a posare davanti a lui. Sistema il tovagliolo tra le gambe e augura a tutti buon appetito. 
Gli altri due iniziano a pranzare. 
-E a te come va?- 
Nonno Roma porta alle labbra una forchettata di quel primo delizioso, ma gli occhi sono sul nipote più grande, il quale, con lo sguardo fisso su ciò che sta per mangiare, prende con la forchetta qualche spaghetto. Scrolla appena le spalle. 
-Allora?- insiste l'altro.
Lui non è abituato ad articolare un discorso sulla sua giornata. Solitamente, ai suoi genitori, una scrollata di spalle basta. 
Non dice quando prende un brutto voto, né racconta dei suoi nove in italiano, storia, spagnolo, latino.  Il fratellino parla, parla, parla tantissimo, ma lui no.
Per cui, ora, non sa che dirgli. 
Prende la bottiglia d'acqua e si riempe il bicchiere, portandolo poi alle labbra. Ne beve qualche lungo sorso, per poi dire: -Che devo dirti?-
-Se hai avuto interrogazioni, ad esempio. O come va con i compagni. O se c'è qualcuna che ti piace...- butta lì il vecchio.
Il ragazzo si affoga, così allontana l'acqua appoggiando il bicchiere in vetro sul tavolo e da dei colpetti sul petto per cercare di tornar a respirare. 
-Nonno, ti prego- mormora quando riporta tutto alla normalità. 
-Eh! Io chiedevo. E quella ragazza che stava sempre in ospedale? Come si chiamava... Elena?- 
-Elisa!- interviene il minore, beccandosi un'occhiataccia dal diciannovenne, che poi sospira pesantemente.
-Non stiamo insieme, ma perché lo pensate tutti?- esclama, quasi scocciato. -Siamo solo amici.- 
Ed evita ancora una volta di accennare al litigio, tanto sa che in un modo o nell'altro faranno pace.
La giornata trascorre tranquilla, verso le quattro tornano a casa, ambedue i ragazzi studiano un po' per il giorno seguente. 
 
 
Il giorno successivo, Romano giunge in ritardo in classe. 
Ha spagnolo, perciò sa di potersela prendere comoda, ché lo stesso prof arriva anche a e mezza delle volte. 
Sono tutti seduti intenti a copiare i compiti, Eli è da sola con lo sguardo fisso sul cellulare. 
Quando lo vede avvicinarsi, però, prende lo zaino Eastpak rosa e lo appoggia sulla sedia accanto a sé. Quello vuol dire: oggi voglio stare da sola. E ancora più profondamente: sono ancora in collera con te, non mi passerà tanto presto. 
Lui, infastidito, la osserva decisamente male. -La tua maturità mi sorprende- mugugna, andando a sedersi da un'altra parte, esattamente nel banco dietro la ragazzina che lo odia.
Non si cura di lei, sente il cuore un po' appesantito per la litigata. Di tanto in tanto si volta e lancia un'occhiata alla migliore amica, la quale, se le prime due volte che incrocia il suo sguardo lo fissa male, alla terza e alla quarta lo abbassa, rassegnata. 
Manda -lei- un messaggio al fratello Andrea, il quale, ovviamente, non ha soldi per risponderle. Gli dice comunque, semplicemente, che  deve venire a prenderla, ché i mezzi pubblici non passeranno per via di uno sciopero. 
Così si attarda, suonata l'ultima campana della giornata, mentre sistema i libri utilizzati dentro lo zaino. Lo guarda fare altrettanto, poi stiracchiarsi. Facendo ciò, il ragazzo lascia scoperto un lembo di pelle, sul quale vi è la cicatrice dell'operazione. Col tempo passerà, è ancora giovane e la pelle elastica. Poi cerca le chiavi del motore, prende lo zaino e se lo mette in spalla. Ci sono loro due, in classe, ed altre tre ragazze, che però escono ben presto lasciandoli soli, con un vago saluto ad entrambi. Roma sta per seguirle fuori dall'aula, quando lei lo chiama: -Romano! ... Aspetta- dice. 
Gli si avvicina, eppure non lo guarda. -Mi dispiace per le cose che ti ho detto...- ammette.
Lui annuisce, senza dire nulla.
E allora lei si altera un po'. -Beh, potresti scusarti a tua volta e provarci, a fare pace!-
-E di che mi dovrei scusare?- ribatte lui, spontaneo, tanto che quando riflette su quelle parole, se ne pente subito. Si passa una mano sul viso, poi la allunga e prende il polso di lei, delicato, per non farla andare via. La guarda negli occhi. -Scusami. Davvero- esclama, sincero. 
Un abbraccio, e non c'è più nulla. 
S'infastidiscono un po' mentre scendono dalle scale, senza che tra loro ci sia più rivalità, dopo si avvicinano alla macchina del fratello di lei. 
-Ciao, Andrea- saluta lui. La ragazza sale in macchina. 
Il maggiore tra i tre, si sporge un poco dal finestrino per salutarlo. -Ohi, compagno! Come stai? Ti sei ripreso? Ah, quella merda fascist...-
-Andrea, ti prego, non ricominciare!- mugugna Elisa con fare depresso, sprofondando nel sedile. Odia i suoi momenti da comunista esperto, che si fanno sempre più frequenti. 
Qualche minuto dopo riprendono tutti le loro strade, per tornare a casa, perché hanno tutti e tre molta fame.
 
Alla tv mandano in onda lo stesso spot da giorni. Quel pomeriggio, di nuovo. 
E' un banalissimo profumo, Roma lo ha sentito, non è neppure così buono. 
E' un modello il protagonista, ha gli occhi blu sicuramente modificati mediante qualche programma, tanto sono perfetti, i capelli neri, una lieve barbetta ed un fisico stupendo. Ha lo sguardo intenso, è proprio bello. Tutte le ragazze della IVE, la classe del diciannovenne, si sono innamorate di quel tale di cui non hanno ancora scoperto il nome, troppo pigre da cercare su internet. 
Anche Rita, quando vede quella pubblicità, commenta positivamente. 
Giusto ora, mentre è seduta sul divano a leggere, dice qualche parola, osservando la televisione: -E' perfetto, questo ragazzo.-
Feliciano stava giocando a carte col fratellone, nel tardo pomeriggio del giovedì, lo stesso in cui Roma ed Eli hanno fatto pace, però anche lui punta gli occhi su quella figura scolpita. -Già...- esclama senza distogliere l'attenzione. 
-Oh! Tocca a te, Felicià- gli rammenta il più grande, aspettando il proprio turno. Lui non ha degnato di uno sguardo il modello, gli da leggermente fastidio che tutte quante, ora, siano fissate con lui. Appoggia la guancia sulla mano e rimane ad aspettare, sbuffando.
-Cazzo, Fè, vuoi giocare o no?!- gli chiede ancora.
Il fratellino si scuote da quei pensieri e lo guarda fra le nuvole. -Eh?- 
-Ma che, mica ti piace quello?- domanda Romano, alzando un sopracciglio.
-C-certo che no!- si affretta a dire l'altro. Gioca le sue mosse. Scopa! Un punto va a lui, che soddisfatto mette le carte tra le altre che si è guadagnato, in un mazzetto posto sul tavolo, vicino al petto. -....Ma mettiamo caso fosse, ci sarebbe qualcosa di male?- sussurra ingenuamente, senza farsi sentire dalla mamma, la quale, comunque, è immersa nel suo romanzo d'amore.
Romie rimane un attimo fermo, la carta appoggiata per metà sul tavolo, per il resto ancora in mano. Sta zitto ad osservarla. Ci pensa. Abbandona la carta, sette di picche, vicino le altre e scuote impercettibilmente la testa, tanto lievemente che gli sembra giusto aggiungere qualche parole. -No.- 
-Ah... comunque, non mi piace- mette in chiaro lui, arrossendo lievemente. Fissa con attenzione le carte, cercando di non incontrare lo sguardo del fratello, che passa una mano tra i suoi capelli. 
-Tu sei il mio fratellino- gli dice. -Potrebbero piacerti pure, che so?, i pony, ma non m'importerebbe.-
Anche lui bisbiglia, perché ha percepito il suo disagio e non vuole metterlo in imbarazzo. 
Felì appoggia tutte le carte che aveva in mano davanti a sé e nasconde il volto tra le mani. 
-E ora perché stai piangendo?- dice con uno sbuffo il maggiore. Mette anche lui da parte l'asso di danari che reggeva con la mano destra e gli scosta un ciuffetto scuro dagli occhi. 
-Sono così confuso...- singhiozza l'altro. 
Roma sospira lievemente, allunga la mano e prende un foglio di scottex dal rotolo, asciugandogli poi gli occhi nocciola. 
-Hai quindici anni, va bene tu lo sia. Devi ancora capire chi sei. E comunque, qualsiasi gusti tu abbia, ripeto, sei mio fratello; in ogni caso. Adesso smettila di piangere, ché non c'è motivo.- 
Il minore annuisce svelto e caccia via tutte le lacrime. Gli da un bacio sulla guancia. -Grazie...- sussurra riconoscente. -Non saprei che fare senza di te.- 
 

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Capitolo 19
*** Ma che bella giornata. ***


-Ma dai, hai visto che rapporto hanno? Sono ridicoli- esclama Elisa, fissando il bicchiere di carta che si rigira distratta tra le mani. 
E' sabato, non hanno ancora pranzato e sono lì in attesa, seduti al tavolo della cucina, l'uno di fronte all'altra. 
Lei ha indosso un paio di jeans ed una maglietta blu a maniche lunghe molto carina.  Ha i capelli castani legati in una treccia laterale con un fermacapelli dello stesso colore della maglia, il ciuffo le ricade sugli occhi, quasi delicatamente. Ha le unghia pittate di nero, non troppo lunghe, senno sono volgari; il mascara nero, la matita nera, l'ombretto chiaro, il fondotinta che si vede appena. 
Non le piace truccarsi tantissimo per andare a scuola, di solito mette solo un velo di cipria e la matita, ma quel giorno starà  fuori casa e visto che è single, perché non farsi bella? Comunque, a ragione, sostiene che una donna deve farsi bella prima di tutto per sé stessa. 
Si trova lì per aiutare Romano a fare matematica, tuttavia dubita che rimarranno tutto il dì a studiare. 
E' stato piuttosto complicato rivedere Felì alla luce di ciò che ha scoperto sul suo conto, è piuttosto difficile abbracciarlo come nulla fosse, stringerlo, com'è abituata a fare sin dalla prima volta che ha messo piedi in quella casa, ma il ragazzino si è comportato con la sua solita spontaneità e naturalezza, e l'ha salutata in modo affettuoso.
A quelle parole, dette in tono un po' acido, Romie ridacchia appena. 
-Lo so. In un anno e mezzo non hanno costruito nulla. Si salutano la mattina con un bacio a stampo e si vedono solo a ricreazione. Non escono mai, non stanno soli, sono sempre a casa di lui a guardar la televisione. Che relazione è?- commenta quasi sconcertato della cosa.
Stanno (s)parlando di una coppia che c'è a scuola loro, lei è di seconda, lui è di terza. Si sono conosciuti chissà dove e sono tutt'e due incredibilmente pigri pure per fare una passeggiata insieme. Malgrado ciò, sono già fidanzati in casa. Sì, perché lei conosce tutta la famiglia di lui e viceversa. 
Il diciannovenne detesta questo genere di cose. 
Lui ha avuto qualche ragazza, ma l'ha sempre tenuta per sé. Non vede il motivo di fare le presentazioni ufficiali. Crede che sia una cosa che fanno le mentalità chiuse, quella di fidanzarsi in questa maniera, ad appena quindici-sedici anni. Ma, dopotutto, ognuno fa quello che vuole.
-Bah... io non li capisco. E lei -convinta!- ha trovato l'amore. Hai visto le frasi che condivide su facebook? "La mia vita sei tu <3" oppure "Ogni volta che penso a te sorrido nel mio letto." Ma poi, che cazzo significa, in italiano, 'sta frase? Niente.- 
Si sta quasi alterando lei, che di quei due non sa poi molto. Tutte le informazioni che hanno racimolato, le hanno estrapolate dai discorsi che si sentono in giro e da social network. 
-Ah, ma perché poi, lui, tra l'altro, questo coglione, le ha detto di cancellare tutti i contatti maschili da fb pure i parenti, perché non si fida. E lei lo ha fatto! E' ridicolo!- 
Elisa, mormorando ciò, si dichiara esausta con un teatrale sospiro. 
-Ma infatti, sì... A proposito di questo, Guido e Franca stanno ancora insieme?- domanda invece il ragazzo.
La sua mamma, Rita, giunge in cucina e dopo aver salutato per bene la ragazza, ordina ad entrambi di apparecchiare. Sono abbastanza in confidenza per potersi permettere di dire qualche parolina in più. -Apparecchiate, altrimenti niente pranzo!- esclama. Va dunque da Felì, perché lui l'ha chiamata. 
I due ragazzi di quarta, annuiscono (lei sorride anche) e continuando a conversare, apparecchiano la tavola.
-Sì, sì, stanno insieme da una vita.- 
-Lui le alza le mani- commenta quasi con fare annoiato lui. 
Prende da un cassetto una tovaglia e la dispiega sulla tavola, mentre l'ospite -che però ormai tale non può più definirsi- prende i bicchieri ed i piattini in vetro che le indica il ragazzo.
-Sì, lo so. Lo sanno tutti. Ah, ma se lei è contenta così! Le sue amiche glielo hanno detto tantissime volte di lasciarlo e per un periodo lo ha pure fatto. Ma poi è tornata a starci. Non riesce.. non ci riesce. Adesso è sola, ecco perché si attacca con tutto ciò che ha a quello schifoso.-
In una manciata di minuti, la tavola è ben addobbata.
La tovaglia arancione con della margheritine bianche, i bicchieri in vetro ed i piatti bianchi dai disegni gialli, l'acqua e l'aranciata, la cassetta con i salumi e la frutta al centro, vicino al pane. 
Felì giunge dopo un po', tutto contento. 
Adora avere gente a pranzo, lo mette di buon umore. Ruba un pezzetto di pane e lo mangia, intanto che attende la pasta, e si siede al suo posto.
-Che merda, la tratta malissimo. Non si fa schifo da solo?- dice il diciannovenne, con espressione disgustata sul volto. Si taglia un pezzetto di formaggio e lo taglia in due, un tocchetto lo mangia, l'altro lo avvicina alle sue labbra, così che lei possa mangiarlo.
-E poi siete solo amici, vero?- commenta il fratellino appoggiando il volto tra le mani congiunte, i gomiti sul tavolo, lo sguardo fisso su di loro. Ha un sorriso divertito. 
Entrambi lo guardano malissimo.
Si siedono soltanto quando i genitori sono a tavola con loro e la pasta è pronta. I Vargas ne mangiano una grande porzione, solitamente, ma poi non hanno un secondo. 
Elisa invece ne mangia appena 60 grammi. Le prime volte che andava a casa del migliore amico, si sentiva un po' a disagio a lasciarne tanta nel piatto, anche perché Rita si dispiaceva molto. Adesso però, è la mamma stessa che gliene mette di meno. 
Il papà non dice molto, mangia silenzioso, fa solo qualche domanda generica. 
-Com'è andata oggi?- 
Rispondono il minore dei due figli e l'ospite.
-Oggi Roma ha preso nove, in spagnolo- esclama. Soffia su qualche spaghetto arrotolato alla forchetta e poi lo mangia.
Raffaele lo guarda sorpreso. -E perché non ce lo hai detto?- gli domanda un po' severo.
Il diciannovenne scrolla le spalle. 
Eli continua: -Non vi ha detto del nove in storia, in italiano, di quel benedetto sei in inglese?- 
Sa benissimo com'è il ragazzo, sa di come non parli, si tenga tutto dentro e non racconti mai nulla di sé. Ecco perché dice questo. Lo sta facendo apposta. 
I genitori si dicono sorpresi, sulle loro facce cade la meraviglia.
Romano continua a mangiare, facendo finta di nulla. Detesta essere al centro dell'attenzione. Felì contento afferma di essere fiero di lui. Ha ancora al polso il braccialetto blu, il fratello ha quello rosso, sempre in gomma, con le medesime scritte e stemmi. 
Quando finiscono di mangiare, sparecchiano i tre ragazzi, dopodiché i due più grandi vanno a fare i compiti. 
Passa un'ora così, poi due. E passa tra le risate e le spiegazioni. 
Romano capisce finalmente qualcosa e riesce a fare da solo degli esercizi, sentendosi un dio sulla terra. Le porge il pugnetto, lei sbatte il proprio col suo. 
Infine decidono di fare una passeggiata, a piedi, ma lui vuole cambiarsi.
Toglie la felpa, rimanendo a petto nudo davanti a lei. Elisa sfiora appena la cicatrice del ragazzo, che sussulta, fissandola male.
-Hai le mani congelate!- esclama. 
Lei ride. Ha una bella risata, le lascia scoprire i denti bianchi e dritti. Si sistema una ciocca di capelli scappata dalla treccia dietro l'orecchio. 
Romie mette in dosso qualcosa di diverso dal solito: niente felpa! Ha indosso dei jeans grigi, una maglietta bianca ed un cardigan blu, con una cintura dello stesso colore, semplicemente qualche tonalità più scura.
La ragazza lo fissa, seduta sul letto. -Ti sei vestito bene- gli fa notare annuendo. 
-Dubiti che io sappia vestirmi?- risponde lui con un mezzo sorriso. Prende il portafogli ed il cellulare. Il suo, a differenza di quello di lei e di quello del fratellino, è un modello un po' vecchiotto, nero. A lui sta bene così, perché lo usa poco e niente, più che altro manda qualche messaggio, parla pochissimo al telefono perché lo detesta ed annoia.
Le porge la mano per aiutarla ad alzarsi ed escono.
Fanno un giro nel centro storico della città, rimanendo lì fino a tarda sera.
Vedono le vetrine dei negozi, comprano qualcosa per fare merenda, si raccontano gli ultimi pettegolezzi e ridono di gusto per chissà che.
Stanno così bene, insieme! Dimenticano tutti i loro problemi, oppure li affrontano insieme.
Si siedono sulla solita panchina, al solito parco. 
Quello è lo stesso luogo nel quale si fanno le più intime confidenza da ormai sette anni. Son cresciuti su quella panchina, c'hanno passato le stagioni, l'adolescenza. E' molto cambiato. Lo hanno visto trasformarsi da un bel praterello con le giostre per i bambini ad un luogo con le rampe per gli skaters. L'unica cosa che non è cambiata è stata quella panchina. Sembra un po' la metafora della loro amicizia: sono cambiate moltissime cose, ma rimangono comunque uniti in ogni circostanza. 
Si siedono lì anche oggi, lei d'un tratto si mette in braccio a lui.
-Momento foto- esclama. Allora tira l'iphone dalla tasca dei jeans, bianco, e si sistema per bene, prima di scattare la foto. Lui stranamente accetta. Non vuole negarle quel momento, perché tra un po' partirà e non la vedrà per quasi due settimane. Dunque vuole stare con lei e vederla felice. Non sa perché, non gli è mai successo con nessun altra, ma cerca sempre di vedere quel sorriso stampato sulla sua faccia. 
L'abbraccia, facendola sistemare meglio sulle sue gambe. Tra le foto che si fanno, ce n'è una in cui lui le bacia una guancia, una in cui sono eccessivamente vicini coi visi. 
-Non metterla su fb, questa, ok?- le dice. Non vuole gli altri pensino male. 
Non gli importa del parere altrui, ma non se la sente di ascoltare di nuovo quella domanda: "State insieme?" perché non è così. 
Lui non ha mai pensato a lei in quel senso. Lei, beh, forse sì, una volta, ma ha scacciato ben presto quell'immagine. Ha paura di rovinare quel bellissimo rapporto e non farà il primo passo; dopotutto, sono solo ottimi amici. 
Rimangono lì a farsi foto per un sacco di tempo, poi parlano un po'. Infine, lui la riaccompagna a casa, col motore. 
 
 
 
E' l'ultima ora e tutta la IV E sta scendendo le scale per andare in palestra.
Romano non può ancora fare sport, sono passati solo pochi giorni da quando è uscito d'ospedale, dopotutto. Anche se muore dalla voglia di giocare a calcetto e a pallavolo...
Con uno sbuffo depresso, si abbandona su una delle panche in legno che c'è in quella grande stanza, accanto a lui lo zaino. Appoggia i gomiti sulle ginocchia. 
Una ragazza di un'altra classe, di una terza, gli si avvicina e lo saluta affettuosamente, mettendosi poi sulle sue ginocchia. 
-Roma! Ma come stai?- chiede guardandolo negli occhi con un sorriso.
Lui dice di stare bene e dopo qualche parole si abbracciano. Il ragazzo è un Don Giovanni, sì. 
Elisa è rimasta in classe qualche minuto in più per farsi raccontare com'è andata a finire una certa situazione -nulla di importante, roba da fidanzati- da una sua compagna. 
Quando mette piede in palestra, nota quella sgualdrina tra le braccia del suo migliore amico. 
Si avvicina a loro e freddamente abbandona l'Eastpak rosa vicino quello verde del diciannovenne, dopodiché sistema i capelli in una coda un po' improvvisata e va a prendersi una palla. Tutto, naturalmente, dopo averlo guardato male.
Quella ragazza di terza va via, Romie, ormai solo, chiama: -Eli? Mi dai il tuo telefono, che gioco?- le domanda. 
La ragazza fa finta di non averlo sentito e schiaccia in battuta in modo piuttosto violento. Chissà chi ha immaginato ci fosse al posto della palla, se quella là oppure lui. 
Il giovane si avvicina ed appoggia una mano sulla sua schiena, ripetendo la domanda.
-Non avevi detto che faceva schifo?- risponde acida lei.
E lui ribatte: -Ho detto che non vedo motivo di spendere 600 euro per un telefono e che Steve Jobs è idolatrato in modo eccessivo, non che il tuo telefono faccia schifo.- 
Eli alza gli occhi al cielo, infila la mano nella tasca dei jeans -non mette quasi mai la tuta- e tira fuori l'IPhone 4S bianco. Glielo mette malamente tra le mani, dicendo però: -Se lo fai cadere, sei morto.- 
Romano mugugna tra i denti qualche cosa, ritornando a sedersi. 
Si mette a giocare a FruitNinja per almeno una decina di minuti, poi cambia gioco. Non ha idea di come si chiami, ma consiste nel trovare una sola parole che accomuna le quattro immagini che ci sono per ogni livello. Lo preferisce di gran lunga. Infine, l'ultimo giochino: si devono indovinare le marche. Ci sono dei simboli, ad esempio la mela della Apple, e lui deve appunto inserire il nome della casa di produzione. Si va avanti con squadre di calcio, macchine, computer (e tutti i programmi che ne competono: Word, Google...), vestiti, banche, negozi, penne.
Quando lei torna, con i capelli in disordine ed il fiatone, senza la felpa grigia che aveva indosso, si riprende il telefono e legge un messaggio.
-Che bravo, non l'hai letto- gli dice fissandolo con la coda dell'occhio. Lei lo fa spesso, invece, di leggere i suoi.
-Non m'interessa. Mi dici tutto, e ciò che non devi dirmi, è affar tuo. Senti... lo sai che ci dobbiamo salutare, sì?- le domanda, alzandosi in piedi. Prende lo zaino. 
E' suonata la campana e la palestra si sta poco a poco svuotando. 
Le ragazze vanno a cambiarsi, i maschietti escono direttamente fuori dall'edificio. A loro non importa se puzzano un po'. 
Ad ogni modo, Elisa quasi sbianca. 
Non si ricordava lui dovesse partire, ha voluto rimuoverlo. Fa la faccia triste, con tanto di broncio. -Ora proprio?- 
-Sì, ho il volo alle sei e di pomeriggio devo sistemare tutto e fare la valigia- le spiega lui.
Allarga le braccia e la stringe forte per un momento, dondolandosi un poco a destra e sinistra. Le da un bacio sulla guancia. Lei lo stringe forte forte, affondando il viso sulla sua spalla. -Fatti sentire, stronzo...- gli ricorda.
-Tratta bene la mia felpa, troia.-
-Ancora con questa felpa?- sbuffa lei. 
Si risistema con qualche sospiro, notando con sorpresa che si sono ridotti ad essere soli, anche i prof sono andati via. Allora, se lo stringe un'altra volta. 
-Mi raccomando, non farti la prima che trovi, a Napoli, ah?- gli dice guardandolo negli occhi. porta le braccia intorno al suo collo.
-Promesso.-
 
 
 
Già sogna Napoli.
Il sogno si fa più concreto mentre il tempo scorre, ogni minuto l'immagine diviene più nitida.
Hanno pranzato velocemente, lui con un sorriso mezzo accennato che non è riusco a mandare via. E' troppo felice. 
Felì parla più del solito, ridendo a gran voce per una pubblicità. Quello spot, quello che ha fatto rivelare la vera -sarà così o solo una fase passeggera?- natura del ragazzino, non si vede più se non raramente. 
In compenso, il quindicenne sta sempre attaccato al cellulare e Romie suppone ci sia sotto qualche cosa, perché lo ha visto arrossire leggendo un messaggio ed andare in iperventilazione mentre scriveva la risposta. Non ha detto nulla, ma intende indagare. Teme ci sia sotto qualcosa simile ad una prima cotta. Deve sapere di più.
-Ma quando torniamo, posso riprendere a fare sport?- domanda il più grande, guardando la madre. E' lei più severa, che gli vieta di fare determinate cose, perché eccessivamente ansiosa.
Il padre non parla quasi mai, se lo fa non è molto cattivo ma piuttosto restrittivo nei confronti dei figli. Li fa uscire quando vogliono, ma entro un certo orario devono tornare a casa. Per Feliciano quest'orario sono le dodici e trenta di notte, per Romano le due. Infondo lui è già maggiorenne e comunque esige più libertà; il fratellino si accontenta, gli va benissimo così. 
Inoltre, Raffaele, pretende il massimo a scuola. Ecco perché quando il maggiore dei due figli è stato bocciato, è rimasto delusissimo. Gli ha dato due ceffoni, lo ha messo in castigo per tutta l'estate, gli ha tolto il pc, il telefono, le uscite con gli amici, tutto. Gli ha fatto passare tre mesi al lavoro, sostanzialmente. Solo ogni tanto, vedeva Elisa, Alex e Carlo. Passato il primo periodo, però, al ragazzo è stato concesso pure il sabato sera per le uscite, poi la domenica pomeriggio, poi qualche altro giorno, senza che però lui se ne approfittasse.
E' stata una brutta estate, quella passata, chissà se questa sarà migliore.
Ma adesso siamo soltanto a dicembre e lui deve pensare a riprendersi totalmente e alla scuola.
La madre gli dice che chiamerà il dottore all'anno nuovo, per veder un po' il da farsi. Sa che il figlio fermo non sa stare, con un sospiro gli promette contatterà di certo il medico, quando lo vede scettico.
Subito dopo pranzo, si prende una piccola pausa. Si addormenta, ma alle quattro si sveglia con l'odore del caffè su per il naso. E' tardissimo! E lui deve fare ancora moltissime cose.
Ruba la merenda del fratellino, dandogli quanto più fastidio possibile, con gli occhi che un po' ridono. La finisce tutta in due bocconi, beccandosi un'occhiataccia -per quanto le sue occhiate possano essere cattive- da parte di Feliciano. Dopo, va a fare la valigia. 
La apre sul letto e la osserva vuota.
-Allora...- mugugna tra sé, spalancando l'armadio. Canticchia una canzone. Try, Pink.  
 
"Where there is desire 
There is gonna be a flame 
Where there is a flame 
Someone’s bound to get burned 
But just because it burns 
Doesn’t mean you’re gonna die"
 
"Dove c'è il desiderio,
ci sarà una fiamma, 
Dove c'è una fiamma, 
Qualcuno è destinato a bruciarsi,
Ma è proprio perché brucia,
Vuol dire che non morirà."
 
 
A lui non piace particolarmente l'inglese, ma ama la musica, specialmente quella italiana. Ed ha una bella voce, è calda. 
Prende per prima cosa i calzini ed i boxer e li mette in un angolo del trolley. Poi i pantaloni beige ed un altro paio di jeans, più chiari rispetto quelli che ha indosso. Prende la camicia bianca ed una a jeans, delle magliette e delle felpe, e due cardigan. Sistema con molta cura anche le scarpe nere.
Ha impiegato moltissimo a scegliere il tutto, vuole essere sempre ben sistemato, come fa qui al nord, farà lì al sud. 
Deve però decidere che metterà al momento della partenza. 
Ha indosso dei jeans scuri, una maglietta verde con delle scritte bianche ed una felpa rossa. No, non è uscito di casa così. Sopra la maglietta aveva una felpa bianca, ma appena arrivato a casa l'ha infilata nella cesta delle cose da lavare perché si è sporcata, per cui ha indossato momentaneamente la prima che ha trovato. 
Toglie entrambi i capi per mettere una maglia a maniche a lunghe bianca, con dei disegni blu e beige vicino al colletto. Non gli piace, allora si cambia di nuovo. 
Il prodotto finale, è un ragazzo abbastanza alto di diciannove anni, con dei jeans scuri, le Blazer grigie ai piedi, la cintura di cuoio marrone scuro, una maglietta bianca, una felpa marrone con cappuccio. Sale la zip fino a metà ed infila nella valigia le ultime cose. Per le cinque, è tutto pronto, sia lui, che i familiari.
Ha messo nel garage di un amico di suo padre il motore, salutandolo con un: -Fai il bravo, bambino- quasi affettuoso. Felì ha affidato Milù ad un'amica della mamma, una signora vedova che ha accettato con desiderio di prendersi cura del micetto. Solitamente, il giorno di Natale, sta un po' con loro, la vecchia, perché è sola. Ha solo un nipote, ma lui non viene mai a trovarla.
Adesso salgono sul taxi che li porterà in aeroporto, Roma con le cuffiette bianche sulle orecchie, gli occhiali da sole in testa, perché qualche timido raggio si è fatto forza tra le nuvole, la gomma da masticar in bocca. 
Guarda fuori dal finestrino, con fare attento, la città sfila davanti i suo occhi mediterranei.  
Pagato il tassista, se ne stanno seduti su una panchina, finché, alle 18:45, prendono il volo. 
Ci sono quattro sedili, una corsia soltanto. Si siedono nel seguente ordine: padre, madre, figlio maggiore, figlio minore, che, tutto contento, guarda le nuvole fuori dalla finestrella dell'aereo, esattamente come quando era bambino. 
Non saprebbero quantificare quanto stanno su in cielo.
Rita direbbe sicuramente sei ore. Soffre un po', in uno spazio chiuso, con così tante persone, sollevata da terra.
Raffaele direbbe qualcosa come: -Boh, forse venti minuti, forse di più.-
Feliciano risponderebbe: -Sempre troppo poco- perché quel panorama è qualche cosa di fantastico per lui. Lo ha disegnato tante volte, giusto ora sta creando l'ennesima piccola opera d'arte.
Romano esclamerebbe invece con un sospiro: -Una vita!- 
Non vede l'ora di atterrare. 
Chiude gli occhi e si mette a pensare. 
Alla sua vita, a ciò che ha fatto, a ciò che ha passato, a ciò che passerà ancora, a ciò che accadrà domani ed in queste bellissime due settimane.  Si chiede se qualcosa potrà deluderlo, farlo arrabbiare, in un'occasione tanto speciale, di nuovo un Natale con la sua famiglia. Si risponde di sì. Perché, dopotutto, lui è lui ovunque si trovi.
Apre gli occhi sorpreso dopo un po', quando sente la cabina di pilotaggio annunciare che si imbatteranno in una piccola turbolenza, nel modo di scendere ed effettuare l'atterraggio.
Sente la madre pregare tutti i santi del paradiso, il papà sbuffare, il fratellino farsi più nervoso.
-Stai tranquillo, non è nulla- lo rassicura. Gli sistema un ciuffetto di capelli con la mano. L'altro sorride. 
-Fratellone, sei felice, veh?- gli domanda.
Il ragazzo annuisce lievemente.
Ancora pochi minuti, e si ritrovano a prendere le valigie. 
Escono dall'aereoporto. Ci sono i loro parenti. C'è Gennaro con Anna ed i loro genitori.  C'è anche  il piccolo Nello che non ha saputo resistere e ha chiesto di poter andare con loro. Vedendo Felì, questo marmocchietto di cinque anni scappa al controllo della zia e gli corre incontro. Il quindicenne apre le braccia e lo accoglie, prendendolo in braccio e dandogli qualche bacio sulla guancia. 
-Taaao!- risponde il bimbetto. Ha i capelli scuri così come scuri sono i suoi occhi  dolcissimi. 
Saluta con la manina anche gli zii e l'altro cugino, che gli tocchiccia una guancia, ricambiando il saluto. 
-Romà!- lo chiama Gennaro a gran voce. 
Il diciannovenne si avvicina trascinandosi la valigia, gli occhiali Rayban sulla nuca. 
-Oh! Ma non urlare!- risponde. Dio, quant'è felice di vederlo. 
Annie gli salta addosso stringendolo forte forte, lui ricambia quell'abbraccio. Dopo di lei, il fratello. 
-Ma 'st'accento?! Oh, io ti voglio sentire parlare in napoletano- gli dice, nel suo dialetto, ridacchiando. Ha gli occhi chiari, così simili a quelli di Rita, i capelli corti e scuri.
Si salutano tutti quanti. 
E' stata una bella sorpresa, non pensavano i Vargas che qualcuno li andasse a prendere. Sono stati molto dolci. 
I ragazzi salgono in macchina con Gennaro, il quale porta quella del papà di Nello, il piccolino si siede sulle ginocchia di Felì e gli racconta per filo e per segno quello che ha fatto all'asilo negli ultimi tempi. Il quindicenne lo tiene tra le sue braccia e gli da corda.
Romano abbassa il finestrino, mettendosi comodo. 
-Vi prego, ditemi che avete sigarette- li supplica quasi. 
E' impressionate come nell'arco di mezz'ora, dal sedile dell'aereo a quello della macchina, abbia smesso di parlare con l'accento veneto e abbia preso quello napoletano, perfetto.
Feliciano non ne è affatto capace. Non sa una parola di napoletano, a stento lo comprende. 
Sospira quando il fratello chiede ai cugini delle sigarette, ma non vuole rovinare il momento, per cui sta in silenzio, tornando a dare attenzioni al bambino. Come al solito, prima di farlo salire in macchina con loro, ai ragazzi sono state fatte le solite raccomandazioni. "State attenti" "Mi raccomando, è piccolo" "Non fatelo sporgere dal finestrino." 
Roma appoggia il gomito sul suddetto, in vetro, ed accende la sigaretta buttando via una nuvoletta di fumo grigio dalle labbra. 
-Ma la zia lo sa che fumi?- domanda la ragazza, i cui piedi sono appoggiati sul cruscotto. 
-Macché- risponde lui. 
Il quindicenne si intromette. -Ma sì che lo sa. E' ovvio che fumi. Lasci i pacchetti in giro, poi, molto intelligentemente.- 
Gennaro ridacchia. 
La sorella esclama, voltandosi verso il maggiore dei due Vargas. -Oh! Me lo fai vedere?- 
E lui, confuso, domanda: -Ma cosa?- ed avvicina la sigaretta alle labbra. 
-Il tatuaggio.-
Gennaro, più grande di tutti, a quel punto chiede: -Io voglio vedé la cicatrice.- 
Romie alza le maniche della felpa e mostra la scritta in latino, spiegando poi tutto il significato ai cugini, perché di loro si fida. Aveva mandato alcuni messaggi al cugino, dicendogli che si sarebbe fatto un tatuaggio. Poi, Felì, su facebook, ha messo la foto con restrizione, in modo tale la vedessero solo loro due e pochi altri, per mostrarglielo. Ma vederlo di presenza, è tutta un'altra cosa, naturalmente. 
Fatto ciò, lui mostra la sua ferita di guerra, alzandosi un poco la maglietta e la felpa. Fermi al semaforo, i due ragazzi che stanno davanti, si voltano e l'osservano.
-Oh, si vede e pure assai...- borbotta lei. 
Nello chiede cosa sia successo, scendendo dalle gambe del quindicenne e salendo su quelle del diciannovenne. 
-Non è successo nulla, è stata Milù- gli spiega lui, allontanando la sigaretta dalle labbra. Sporge il braccio dal finestrino, per allontanare il fumo dal piccolo. -E' vero che non lo dici, alla zia, che sto fumando?- 
Il piccolino scuote la testa. -Prometto!- 
-Lo vedi che sei bravo?- 
Feliciano si arrabbia un po'. -Roma! Non insegnarli a dire le bugie!- 
Ci vuole ancora qualche minuti, prima che raggiungano la casa, ma non è così lontana l'aeroporto.
E' una bellissima villetta. 
Si presenta come una normale villa, attorniata dal giardino. Ah, dovranno passare un bel po' di tempo a tirar via tutte quelle erbacce. Dispiace a tutti lasciarla così, anche perché questa è di loro proprietà, quella in cui stanno attualmente è in affitto. 
Nel giardino ci sono delle sedie a sdraio, un barbecue e, cosa più importante di tutti, un forno a legna. Entrando, sulla sinistra vi è la cucina, sulla destra invece un enorme salone, grande il doppio. Vi è una grande tv, un divano e pochi mobili. E' lì che Romie, da piccolo, si metteva con tutti i cuginetti a giocare e a dormire. Continuando sulla sinistra, le due camere da letto (i due fratelli dormono insieme), mentre sulla destra, tre stanzette piccoline, ovvero bagno, camerino, ed una camera per gli ospiti che viene solitamente occupata dal nonno.
In fondo vi è uno spazio lasciato pressoché vuoto: vi sono delle librerie stracolme di libri, divani comodi, poltrone, ed una scrivania. La parete di fondo è tonda, come l'abside di una chiesa dell'età romana ed è tutta vetrata. E' un'ambiente luminosissimo. Sulla destra vi è una piccola porta, anch'essa a vetri, che porta nel punto migliore per prendere il sole. Lì vi è una piscina gonfiabile non molto grande, una palla, e dei giochi dei bambini da piccoli. 
Rita dice di volerli lasciare lì per i nipotini. Chissà quando -e se- ne avrà. 
Romano non vuole figli, Felì è incerto sulla propria sessualità...
A proposito del vecchio, anche lui, pochi giorni prima, è tornato nel capoluogo campano. 
Diciamo pure che non ha una dimora fissa, ma ha lì una piccola casa. E' stato lui a regalare a Rita la villetta, ha fatto lo stesso gesto anche nei confronti degli altri due figli, con altre piccole case. I risparmi di una vita, suoi e della ormai defunta moglie.
Lei era bella, ma la malattia ne trasformò i lineamenti facendola invecchiare in maniera precoce. Morì molto giovane, all'età di 57 anni. 
Li raggiunge poco dopo, insieme a tutti gli altri li aiuta a mettere in ordine la casa. 
Romie, dato che farebbe più danno che altro, è stato mandato col papà, incompetente pure lui nelle faccende di casa, e col cugino, a fare la spesa. Gli è stata data una lista con tutto l'occorrente per la cena di quella sera. 
Ci saranno tutti quanti, sarà fantastico, sarà come ai vecchi tempi.
Feliciano rimane a casa, si fa aiutare dal piccolo Nello per sistemare tutto quanto. 
Le donne sono di certo più veloci per via dell'abitudine a pulire, ma lui non scherza neppure: è in grado di pulire tutta la casa, anche se è un po' disordinato, la mamma non gli permette di lasciare robe in giro. 
Ci si mettono pure le zie che arrivano dopo, insieme a Domenico, il fratello di Nello, più grande di tre anni. E' lui quello monello. 
Impiegano almeno tre ore, quelle sette persone -nove se contiamo i bambini- a sistemare almeno il dentro della casa. Ognuno si occupa di una zona precisa ed intanto si raccontano le novità. Domenico viene rimproverato qualche volta e la mamma lo minaccia di mandarlo via nel caso la sua presenza dovesse rendere le cose più difficili per tutti, c'è già molto lavoro da fare.
Anche Raffaele, Romano e Gennaro parlano, anche se l'adulto da certi discorsi viene escluso.
E' un pessimo casalingo, per altro. Compra le cose sbagliate pure con la lista della spesa. 
Quando tornano a casa, un'oretta dopo, anche loro danno un aiuto. 
-Nico, Nico! Vieni a salutare lo zio!- dice la mamma dei due bambini. 
Nico, ovvero Domenico, saltella e si ferma davanti Roma studiandolo. 
-E' vero che ti hanno accoltellato?- domanda ad alta voce, con tono fin troppo tranquillo e curioso. 
Al ragazzo non da fastidio quella domanda, sebbene sia un po' indiscreta, ma lo zittisce ugualmente. -Shh! Tuo fratello ti può sentire- gli spiega. -Sì, è vero; ora fila ad aiutare gli altri.- 
Giunge anche Nonno Roma, abbracciando tutti i nipoti e salutando tutti calorosamente. 
Una parola particolare va a Romie, al quale domanda come stia. 
Il diciannovenne risponde come al solito con una scrollata di spalle, lui lo abbraccia.
-Dico davvero- gli sussurra il nonno. 
E' l'unico dal quale accetta un abbraccio. Certo, c'è Felì, ma ogni tanto lo respinge. Il nonno non l'allontanerebbe mai. 
-Sto bene... sono solo un po' stanco- gli confessa guardandolo. Poi si allontana. 
Qualcuno lo prega di fare la pizza. Anna. 
Gli prende la mano e fa gli occhioni dolci. -Ti prego, ti prego, ti prego.- 
-No, non me la sento. Sono troppo stanco. La prossima volta, la faccio, te prometto.- Le da un bacio sulla guancia.  
Mormorato ciò, si butta sul divano. Accanto a lui, Felì, Gennaro, poi Anna.
Eccoli, di nuovo, tutti e quattro insieme. 
Eccola, a sua famiglia di nuovo al completo. 

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Capitolo 20
*** Napoli, amore mio. ***


[ Ci tengo a precisare--- Ma prima, salve! <3 
Ehm, dicevo?, volevo precisare che ho messo alcuni stereotipi della città del sud. Ma so benissimo che Napoli non è tutta stereotipi, io sono del Sud, perciò so che significa esser presi per "terroni."  Volevo specificare! Beh, buona lettura. <3  RECENSITE! ]






La prima notte passa che è una meraviglia.
Nessuno disturba il suo sonno, è molto stanco e non fatica ad addormentarsi.
Feliciano, poi, dorme benissimo. Ha il suo fratellone accanto e non potrebbe desiderare di meglio. Verso le quattro si sveglia, ma notando alla sua destra il letto dell'altro, sul suo volto si dipinge un piccolo sorriso, allora torna a dormire molto più rilassato. 
Quella mattina si svegliano verso le nove, entrambi, perché il cellulare del maggiore da l'avviso di un messaggio. Strano, di solito è in modalità silenziosa.
Roma impreca e torna a dormicchiare, il fratellino ridacchiando decide di alzarsi, allora si stiracchia e va a fare colazione.
-Buongiorno...- mugugna.
La mamma sta pulendo nuovamente. Non riesce a stare con le mani in mano. 
E' in giardino, da una ripulita alle sedie a sdraio, coperte di polvere. E' il 23 Dicembre. Domani sarà la viglia di Natale. Non hanno un albero, ma hanno un piccolo presepio. Lo ha fatto il quindicenne stesso, sistemato su un tavolinetto sul quale ha posto una tovaglietta bianca ricamata che gli ha dato la madre. 
Va da lei, stiracchiandosi per bene ancora una volta. -Mamma, ma non avevo l'albero di Natale, qui?- le domanda.
Lei annuisce. -Sì, ma non so dove sia finito. Se lo trovi, ti fai aiutare da tuo padre a montarlo.-
-Lo chiedo a Roma?- dice lui, scegliendo mentalmente cosa mangiare per colazione.
-No! Non voglio si sforzi. Lascialo stare tranquillo- risponde la donna. Sistema la coda dei capelli e rientra in casa, chiudendo la porta perché fa freddo. 
Il ragazzino annuisce e va a mangiare qualche biscotto, al tavolo della cucina. Fa poi una doccia calda e si veste, intanto che l'altro fa colazione, appena alzato.
Romano avrebbe voluto stare un po' col cugino, ma lui lavora di mattina anche quel giorno, per cui non ha molto da fare. Indubbiamente, si farà n giro. Anna invece è a dormire a casa. Lui le ha detto di non svegliarsi molto tardi, perché vuole stare almeno con lei.
Feliciano si siede di fronte il fratello, sbadigliando. -Fratello, di chi era il messaggio?-
Contemporaneamente, anche Romie sbadiglia, bevendo dopo un goccio di caffè. -Elisa.- 
-Dicendoti: "Amore mio, mi manchi!" per caso?- commenta lui ridacchiando. 
Il diciannovenne lo fissa piuttosto male e gli da uno scappellotto. Dopodiché, va a fare anche lui la doccia. 
Per le dieci è pronto. 
Ha i jeans, la maglietta nera, la camicia alla boscaiola (che ha infilato all'ultimo momento nella valigia), le Blazer grigie. 
-Dove vai?- gli domanda il fratellino.  Lui porta dei jeans, una maglia scura a maniche lunghe alquanto pesante. 
-Faccio un giro. Vuoi venire?- risponde lui, leggendo un altro messaggio di Eli. "Non t'ingozzare a Natale, ché se diventi grassa, non ti parlo più" le dice per gioco. 
"Sei un figlio di puttana <3" risponde lei. "Stai uscendo?"
"Sì, ci sentiamo dopo."
La ragazza detesta questi momenti in cui la conversazione viene bloccata in modo brusco. Si sente inutile, di peso, ed è tutta colpa del ragazzo. Lo manda a quel paese, e si rigira tra le coperte, ancora non intenzionata ad alzarsi.
Feliciano annuisce svelto e gli si avvicina. -Sì!- esclama. 
Penserà dopo all'albero. Tanto rimarrà vuoto.
Quell'anno non ci saranno pacchetti, né regali né buste con soldi per i nipoti. 
Non ci sarà nulla.
La crisi ha toccato tutti, per cui si è deciso di spendere soltanto i soldi per fare una bella cena della vigilia ed un bel pranzo di natale. Dopotutto quello è l'importante: stare insieme. Allora mangeranno -come sempre a casa dei quattro Vargas- e giocheranno a carte, e a tombola, fino all'alba. Ci saranno solo i regali per Nello e Nico, fatti dai loro genitori e da Raffaele e Rita. Ai bambini è giusto fare qualcosa, anche piccola, ma qualcosa di utile.
Forse non sarà il Natale più bello, ma almeno sono tutti insieme, non alcuni in Campania ed altri in Veneto. 
I due ragazzi escono di casa, Felì indossando il suo giubbottino bianco. 




 
Sono meravigliosi, entrambi! 
Romano è più maturo, è più uomo; ha degli occhi stupendi, un bel fisico, lineamenti belli.
Feliciano, è anche lui bello, anche se ha i tratti più da ragazzino. I suoi occhi nocciola sono dolcissimi, così come il suo sorriso, sempre presente. Inoltre, si vestono entrambi in modo impeccabile, sempre adatti ad ogni occasione, nella loro semplicità.
Ci tengono a questo genere di cose, eppure non hanno vestiti firmati. 
Suo padre non guadagna abbastanza perché loro ne abbiano, e comunque non chiederebbero mai così tanto per un capo di abbigliamento. 
Le scarpe, sono solitamente quelle che costano di più.
Camminano per le strade tranquillamente, passo né lento né veloce, guardandosi intorno. 
D'un tratto il maggior si mette a fischiettare qualcosa. 
Poi, si mette a canticchiarla. S'intitola "Little Talks", è dei "Of Monster and Men."
 
 
"-I don't like walking around this old and empty house. 
-So hold my hand, I'll walk with you, my dear. 
-The stairs creak as I sleep, 
it's keeping me awake! 
-It's the house telling you to close your eyes... 
-Some days I can't even dress myself. 
-It's killing me to see you this way."
 
"-Non mi piace camminare in questa casa vecchia e vuota. 
-Allora prendimi la mano, camminerò con te, mio caro.  
-Le scale scricchiolano mentre dormo, 
e questo mi tiene sveglio!
-E' la casa che ti dice di chiudere gli occhi...
-Alcuni giorni non riesco nemmeno a credere in me stesso.  
-E vederti in questo modo mi sta uccidendo."
 
Anche il fratellino la conosce, così pure lui si mette a canticchiarla. 
Si fermano -e zittiscono- davanti ad un tabaccaio. Roma vorrebbe comprare le sigarette. 
-Romie, no- dice secco il quindicenne, guardandolo male.
-Cosa ti fa pensare che io ti dia retta se mi dici di non fare 'na cosa?- gli risponde l'altro. 
L'accento di Felì è palesemente veneto. Si capisce, lui è nato lì ed ama quella regione. Tutta quanta, ma soprattutto Venezia, che però, non è la loro città. 
Romie l'ha rifiutata dal primo momento, piangendo la prima volta che prese l'aereo per andare lì. Scendendo dal mezzo, ad ogni gradino, una lacrima gli rigava la guancia. Non diceva nulla, chi non lo conosceva poteva dire che si sia spaventato del volo, ma di questo non aveva avuto paura neppure per un secondo. 
Ad ogni modo, compra le sigarette, il più grande, con accento e dialetto del tutto diversi. 
-Senti un po', perché non lo dici alla mamma? Anzi, a papà?- domanda, mentre butta via la carta di plastica che ricopre il pacchetto da dieci. 
Le strade del nord sono più pulite rispetto quelle del sud, e lui non è abituato a buttare le cartacce per terra. Gennaro ed Anna, ogni tanto, lo fanno.
Feliciano così risponde: -Perché ti voglio bene, sei mio fratello e comunque non ti tradirei mai.- 
Camminano per le vie della città, non c'è una cosa che dia fastidio al diciannovenne. 
Né le strade sporche, né il traffico, né il clacson della auto, né il vociare della gente, né le scritte sui muri, né niente. Napoli è perfetta.  E' così viva, così bella, così.. pulita. Ma in molti altri sensi, non nell'accezione comune del termine. 
Una ragazza quasi gli cade tra le braccia, mentre lui è sovrappensiero. 
Supponendo di essere in torto, le domanda scusa per non aver guardato dove andava, lei, con un sorrisone, continua a fissarlo. -Nulla!- esclama. Poi si presenta. Non ha ben capito che nome abbia, ma non gli importa poi tanto. Insomma, deve pensare che lo abbia fatto di proposito, ad inciampare. 
Il suo primo istinto è quello di fare altrettanto, dargli la mano, presentarsi, flirtare un po', perché è certo -sicuro, convinto- che lei accetterebbe di fare qualcosa con lui. Tuttavia, poi pensa ad Elisa. Lei non vorrebbe. E allora, corrugando la fronte, annuisce distrattamente. 
-Va bene. Ciao- mugugna, fa dietrofront e se ne va, ignorandola.
Il fratellino aspetta di aver girato l'angolo, poi scoppia a ridere.
-Che c'è?- domanda lui, con un mezzo sorriso. 
-E' rimasta malissimo, povera ragazza!- gli fa notare. 
-Beh, ma che metodo per provarci, scusa?- risponde l'altro con una risata appena accennata, che gli lascia scoprire un poco i denti bianchi e dritti. Per fortuna nessuno dei due ha mai avuto bisogno di occhiali o di apparecchi per i denti. Sono di forte costituzione -e spirito.
Sì, perché anche il ragazzino è piuttosto forte. Malgrado tutto quello che ha passato, non si è mai lasciato andare completamente. Ha una dignità. Certo, magari delle volte ripensa a certi giorni passati e gli viene da piangere, ma a parte qualche lacrima, è raro faccia di più. E' raro smetti di mangiare, a meno che non sia successo qualcosa di grave. Quand'aveva otto anni, dimagrì moltissimo, perché non voleva toccare cibo. Ma si è ripreso totalmente. 
Incontrano Anna un'oretta dopo.  
Lei stringe forte prima il minore dei cugini, poi il maggiore in un abbraccio più lungo. 
-Mi sei mancato- gli sussurra. Con Felì si sentono spesso o comunque hanno modo di parlare. Ma con Roma... sono oltretutto molto affezionati l'uno all'altra. Rimangono stretti stretti per un momento. 
La ragazza ha i capelli lungi fino alle spalle, anche lei porta dei jeans, ed una maglietta bianca con dei piccoli fiori. E' molto magra ora, ma da più piccolina era grassa.
-Roma... mi prometti che starai più attento? Non ti fare ammazzà, capì?- gli dice affondando il viso nella sua spalla.
-Vedrò cosa posso fare.- 
-Dico per davvero, scemo...- la ragazza sospira.
Feliciano, intanto, scatta una foto col suo cellulare ai due. La fa in bianco e nero, perché quelle sono per lui le foto più belle, e viene davvero bene. La metterà su fb taggando entrambi, di sicuro.
 
 
 
 
I due se ne stanno mano nella mano, a passeggiare, Felì accanto a loro con il cellulare costantemente in mano. Non sa che rispondere ad un messaggio, per cui lo fissa, a lungo. Vorrebbe chiedere un consiglio ai due, ma si vergogna alquanto di farlo. 
-Senti Romie...- gli dice dopo un po'. 
La ragazza è entrata in un bar per comprare delle chewingum e sono da soli su una panchina. 
Il fratello si volta verso di lui, attendendo la domanda. Ha i gomiti appoggiati sulle ginocchia, un poco distanti l'una dall'altra. Lo nota molto rosso in viso ed un po' agitato. 
-Secondo te... se una persona ti cerca sempre... e ti dice che ti vuole bene, no?, però questa persona è molto timida e chiusa, e questa cosa non la dice mai a nessuno... che significa?- 
Si rigira tra le mani il telefono, fissando la punta della sua scarpe, che forse gli pare molto interessante, perché non riesce proprio ad alzare lo sguardo.
-Significa che ci tiene sul serio a te- gli risponde appoggiando la schiena allo schienale verde della panchina, mettendosi più comodo. Gli fanno un po' male i punti, quella mattina, ma non lo ha detto a nessuno e sta cercando di non pensarci. Guarda di fronte a sé, in direzione del bar nel quale è entrata Anna. Ci sono due tipi dalla brutta faccia lì vicino, e lui è protettivo anche nei suoi confronti. -Significa- continua. -che sei importante per questa persona. ... Che è un ragazzo, immagino.- 
Centro.
La faccia di Feliciano assume una tonalità viola intenso, annuendo svelto una sola volta. Gli sudano le mani. -S-s-sì...- 
Per fortuna il diciannovenne non fa in tempo a chiedergli chi sia questa persona, perché la cugina si avvicina a loro masticando una gomma. Ne porge una loro, ma rifiutano entrambi.
Verso l'ora di pranzo vanno a casa perché possano pranzare, ma stavolta sono nel modesto ma bell'appartamento di Gennà e Annie.
Seduti a tavola tutti quanti, a conversare con gli zii, esce il discorso del due fascisti.
Il quindicenne racconta: -E' stato tremendo. Quando l'ho visto, che era appena uscito dalla sala operatoria, non si poteva guardare. Aveva un occhio gonfissimo e nero, era pieno di lividi; aveva un graffio dove ora c'ha il tatuaggio, quasi volessero toglierlo e non poteva muoversi, per via dei punti.-
Con un sospiro sconsolato, guarda la zia, quasi col broncio. 
Era davvero inguardabile il ragazzo quel giorno. Adesso sta bene; a volte la ferita più profonda, quella alla milza, gli fa ancora male ed i punti tirano abbastanza provocandogli un certo dolore, però non ha quasi più lividi. Ne ha solo uno, sulla spalla, che all'inizio era enorme e viola intenso, adesso poco a poco va scomparendo. 
-Tesoro...- mormora sconsolata la donna, lanciando un'occhiata al nipote. 
Gennaro si mostra sconcertato. -Quei due figli di puttana...- 
A differenza di Raffaele, il loro papà non li rimprovera per le parolacce, o almeno, non rimprovera il figlio maschio. La ragazza viene tenuta più alle strette e certe cose non può farle, sia perché è una femminuccia, sia perché è ancora minorenne -per poco, comunque. 
-Ma se li vedo, gli spacco la faccia- continua il ragazzo. -Li ammazzo!- 
Romano è sprofondato totalmente nel silenzio.
Non lo ha traumatizzato quell'esperienza, gli ha solo fatto capire di essere pure lui vulnerabile come tutti gli altri. Non si è mai creduto Dio, tuttavia, faceva le cose senza pensare alle conseguenze. Forse d'ora in avanti ci penserà un po' su.
O forse no, dopotutto è impulsivo. Ha l'animo del partigiano, non può pensare. Deve agire.
-Adesso ti fanno male i punti?- domanda la cugina. 
Lui non se la sente di dire una bugia. -Sì, un po'- le confessa. -Ma comunque, non dobbiamo mangiare?- dice soltanto per cambiare argomento ed in effetti ci riesce benissimo. 
Mangiano a sazietà le tagliatelle ottime della zia materna, mentre Feliciano racconta le ultime novità. 
-E la vita amorosa?- chiede d'un tratto la donna, lanciando un'occhiata ad entrambi. Si chiama Claudia. 
 -...Passo- borbotta il maggiore. Non vuole parlarne, sono affari suoi. 
-Eppure c'è una ragazza su facebook che ti sta sempre dietro- esclama con fare non curante Anna. -Si chiama... Oh, Dio, com'era?, Conte?- 
-Sì, Elisa Conte- risponde il quindicenne, ma per evitare di essere linciato dal fratello, soggiunge: -Ma sono solo amici.-
-E tu?- chiede ancora la ragazza. 
Lui arrossisce, però riesce poi a sviare il discorso. 
Non sa bene come dirlo ai suoi genitori, per cui aspetterà molto prima di confessarlo anche al resto della famiglia. Romano lo aiuta a distogliere l'attenzione da sé. 
 
 
Si fa sera, e loro sono nuovamente a casa.
Feliciano ha trovato l'albero di Natale. Non è molto alto, ma ha una bella colorazione verde, quasi fosse vero. Lo decorano, con stile -sì, perché sembrano averlo nel sangue!- senza fare confusione cromatica. Il risultato è un bell'albero che non brilla, non ha troppe luci né pacchetti, ma dalle raffinate colorazioni. Vi sono dei nastri celeste chiarissimo che quasi sembra bianco e dei fiori bianchi, naturalmente -e purtroppo, secondo l'opinione del più piccolo- finti.
In alto, come puntale, un Angelo dai medesimi colori. 
 
 
 
 
 
 
Ad opera conclusa, osservano soddisfatti. 
Quest'anno Roma non ha voluto partecipare alla loro realizzazione. Gli cascavano ogni tanto le cose dalle mani e ha quasi rischiato di rompere la decorazione angelica, quella più importante dell'intero albero. Sebbene Feliciano lo abbia pregato più volte di aiutarli, prendendolo con le buone, lui è rimasto seduto sul divano blu, con le braccia incrociate ed una mano vicino la bocca, a mordicchiarsi le unghia pensoso. 
Rita ha portato delle patatine -tipo classico- e così ne hanno mangiato tutti. 
Dopo la cena che si consuma piuttosto velocemente a far commenti inutili sulle feste ed a organizzarsi per la Santa Messa, il ragazzo chiama la migliore amica e stanno a parlare per almeno due ore -sì, anche se lui stesso dice sempre di detestare l'apparecchio telefonico, perché lo annoia fin troppo.
Si danno la buonanotte, scappa anche qualche parolaccia, ma non litigano. Scherzano, come fanno sempre.

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Capitolo 21
*** Lontani, ma vicini. ***


[Chiedo scusa per il ritardo, ma!, la scuola sta finendo ed io potrò finalmente scrivere in santa pace. <3
Spero vi piaccia questo capitolo, specialmente.... tutto!
Mi raccomando,
RECENSITE ! ]






E' palese che Feliciano sia innamorato.
La prima cosa che fa al mattino è prendere il suo cellulare dal comodino, inviare un messaggio e solo dopo alzarsi e fare colazione. L'ultima cosa che fa la sera è la stessa, solo in ordine diverso: cena, legge un po', si stiracchia, spegne la luce, invia un messaggio, dorme. 
Romano pensa che dia il buon giorno e la buonanotte a qualcuno, si chiede però chi sia questa persona.
Per altro, il ragazzino, canticchia solo canzoni dolci e/o d'amore, e di tanto in tanto si perde in qualche pensiero con sguardo sognante. Il fratellone non fa altro che prenderlo in giro per questo, ma è segretamente felice. Forse avrà finalmente la serenità che si merita, adesso che ha trovato qualcuno da amare, tuttavia... Sa bene che il quindicenne sogna un po' troppo. E non vorrebbe ricevesse una qualche delusione.
La mattina della vigilia di natale, si ripete la stessa scena di tutte le altre mattinate. 
Fanno colazione insieme mangiando dei Pan di Stelle, quelli con le forme natalizie a campana, stella, alberello, palla. Entrambi ricordando che, da piccini, ne attaccavano alcuni all'albero, il quale quest'anno è più piccolo e meno addobbato dei precedenti. 
Dopo essersi lavati e vestiti, si sistemano in fondo alla casa, in quella parte con la parete rotonda, vetrata, su uno di quei tanti divani comodi. 
Romie legge uno dei suoi libri, assolutamente preso dall'argomento. 
L'altro, invece, se ne sta sul tavolinetto in vimini a disegnare distrattamente cuoricini blu nell'angolo superiore del foglio bianco. In seguito ad una lunga indecisione, lascia lì il portacolori, quello che ha usato durante l'occupazione alla scuola del fratello, bianco con decorazioni fatte da lui stesso, e si mette a leggere si un'altra poltrona.
Fissa a lungo una pagina, d'un tratto però vede il libro scivolare via dalle sue mani. Sorpreso, fissa le mani del fratello che adesso hanno in meno due libri, uno per ragazzini, uno per persone più resistenti di spirito. 
-Fratellone, ma che fai?- domanda il ragazzino con fare un po' confuso, abbracciando un cuscino arancione. 
L'intera stanza è decorata con tonalità calde, che creano un ambiente accogliente ma non troppo vistoso.
Il maggiore mette da parte i libri, prima però inserisce un segnalibro ciascuno per non perdere il segno. Lo guarda negli occhi, messo a metà disteso e a metà seduto di fronte a lui, perché gli fanno male i punti, anche se non vuole ammetterlo, per cui più sta comodo e meglio si sente.
-Come si chiama?- domanda, con fare tra il serio ed il curioso.
-Come si chiama, chi?- chiede l'altro. 
-La persona a cui pensi da giorni. Chi è?- 
Roma non alza molto la voce, sa che lui non è proprio sicuro di parlarne e non vuole che i genitori li sentano, sebbene loro siano da tutt'altra parte della casa. 
Le guance del quindicenne assumono una tonalità rossastra, sente il viso in fiamme e prova a nascondersi portando le ginocchia al petto. Ma non ci riesce. 
Così si trova costretto a rispondere alla questione tirata fuori dal fratello. Distoglie lo sguardo imbarazzatissimo. Mugugna un nome sottovoce. 
-Eh?-
-Ludwig...-
Che nome bizzarro.
E' ovviamente straniero, forse tedesco o austriaco. 
Ma perché, tra tutti quelli che poteva scegliere, proprio uno tedesco si doveva prendere? Roma si trattiene a stento da fare commenti. Sa che suo fratello adesso ha bisogno del suo appoggio e non lo lascerà solo.
-Non è italiano...- commenta. -Di dov'è?-
-Lui è tedesco... è nato e cresciuto a Berlino ma da qualche anno si è trasferito.-
Felì ha un piccolo sorriso. E' contento che suo fratello non abbia fatto questioni circa il sesso della persona che lui non riesce a togliersi dalla mente. Quando il diciannovenne gli chiede di raccontargli qualcosa in più, lui inizia incerto, poi si fa più convinto.
-Va al terzo anno del turismo, ha un anno in più di me... Ha un fratello, sai, anche loro hanno un legame bellissimo. Si chiama Gilbert, è albino. Non so poi molto della sua famiglia, a dire la verità... ci sentiamo da poco. Ci vedevamo ogni giorno aspettando l'autobus per tornare a casa... una volta ci siamo messi a scherzare. E... beh, una cosa tira l'altra... adesso siamo amici.- 
Gli occhi del ragazzino sono illuminati di una luce nuova, qualcosa di magico. 
Romano lo nota. Non parla, anzi lascia che sia lui a dire ciò che è necessario, ascoltandolo con una guancia appoggiata al palmo della mano, il gomito sul bracciolo del divano. 
Sicuramente, pensa, saranno amici anche su Facebook. E la prima cosa che gli viene in mente è di andare a controllare questo tipo qui. E' piuttosto geloso del fratellino e forse un po' troppo protettivo, però mai invadente. Starà al suo posto e non farà scenate.
-State insieme?-
-N-no!- farfuglia il minore tutto rosso, affondando il viso nel cuscino. -L-Lui non sa che mi piace...-
-E perché ti piace? Cos'ha di diverso?-
Da per scontato che per piacere al fratello debba avere qualcosa di più bello e particolare rispetto a tutti gli altri. Vuole sapere cos'è questo qualcosa.
-Lui è così dolce... è timido, anzi, timidissimo, però dolce. Ed è protettivo... ed intelligente... e bello... e poi ha degli occhi meravigliosi- conclude di nuovo fra le nuvole con voce un po' idiota. 
Romano ridacchia a quell'espressione, si alza e gli scompiglia i capelli. -Mi raccomando- gli dice.
-Per cosa?-
-Per tutto. Pensa bene a quello che devi fare.- 
Questa frase fa rimanere un po' male il fratellino che abbassa lo sguardo. E' come se gli dicesse di scegliere tra essere etero o meno, e questa non è una scelta che si compie. E' un qualcosa che si è, e basta. Lo rialza però con un gran sorriso quando lo sente soggiungere: -E se credi che sia quello giusto, beh, mettiti con lui.- Allora, non c'è nessuna scelta, e tutti e due lo sanno!
I due si lanciano un'occhiata d'intesa. 
Quella è proprio una bella giornata. 
Anche il sole si fa spazio timido per tra le nuvole che poco a poco scompaiono lasciando il cielo limpido. Al momento, non piove nemmeno più.
I ragazzi, arrivata la metà della mattina, iniziano a cucinare per quella sera. 
Fanno delle tartine, finendo però per mangiare almeno un terzo del condimento che utilizzano per esse. 
Tagliano il pancarré in alcune sezioni triangolari e vi poggiano sopra del salmone, o del salame, o del prosciutto. In alcune mettono della maionese, in altre delle olive o della pasta d'acciughe. 
Preparano allo stesso modo dei crostini di pane non troppo duro e delle bruschette, ovvero crostini con sopra porzione di pomodoro e basilico. Le mettono in frigo, nel pomeriggio le riscalderanno un po' nel forno. 
Romano avvicina una bruschetta alle labbra, ne mangia circa la metà, dopo l'avvicina alla bocca del fratello, il quale la termina con un paio di morsi. 
Fatto ciò, pranzano velocemente, insieme ai genitori.
Il pomeriggio non passa in modo molto particolare. 
Disteso sul divano, quello vicino la cucina, il diciannovenne entra su facebook dal cellulare di Felì. Ha due richieste d'amicizia, due ragazze. 
Una è colei che abita al piano superiore rispetto al suo, quella ragazza sfacciata che, appena lui accetta la richiesta, inizia a metter 'mi piace' in ogni singola foto del ragazzo. Non è bella, è bassina, con lo sguardo volgare. Lei, si sente stupenda. E sua madre, la crede meravigliosa e non fa altro che aumentare il suo ego. 
L'altra è una ragazzina del tutto diversa. 
E' Miriam, l'ebrea che ha salvato dai fascisti. 
A lui viene molto facile premere lo schermo del telefono touch ed accettare anche quell'amicizia. 
Ma a lei, invece, è venuto estremamente complicato inviargliela.
Ha avuto mille dubbi, si sentiva in imbarazzo, si è fatta dare consiglio da almeno i tre quinti delle sue amiche, che in realtà sono un numero esiguo. Alla fine, si è convinta. Ha osservato le foto del ragazzo a lungo, almeno per qualche minuto ciascuna. 
"E' così... bello" ha pensato tra sé. Avrebbe messo pure lei 'mi piace' a tutte le foto, ma si è data un contegno. Ne ha scelta una, la più bella.
Romano lì ha una giacca marrone/beige, sotto una maglietta celeste chiaro, dei pantaloni blu scuri o forse neri, le scarpe in abbinato con la giacca, i calzini rossi. 
Può sembrare un accostamento davvero brutto, eppure, su di lui sta una meraviglia.
E' seduto in un locale, ma non come le persone normali vanno solitamente a sedersi: ha il sedere appoggiato allo schienale, i piedi sul bracciolo del divano, i gomiti sulle ginocchia e le mani vicino al viso. 






Al ragazzo qualche 'mi piace' in più non cambia poi molto. Ne ha già tantissimi per ogni foto. 
Ad esempio, la prima foto profilo, quella in cui era seduto sulla spiaggia con un costume celeste, ne ha 73. Questa qui, 69.
Sulla sua bacheca, poi, ci sono vari link, la maggior parte dei quali parlano di politica. Manifestazioni, occupazioni, tagli, imbrogli della polizia. Questa cose qui, insomma. Oppure pezzi di canzoni o video presi da YouTube di alcune melodie famose. Soprattutto roba rap, ma non solo. E ha citazioni varie, inviti ad eventi, critiche alla società -sia sua, sia prede dalle pagine del social-network. L'unica cosa che gli manca, è l'amore.
Ha anche qualcosa sulla vera amicizia. Un link dice questo: "La vera amicizia la vedi nel momento in cui chiami un amico alle tre di notte dicendogli: 'Ho ucciso un uomo' e lui ti risponde: 'Va bene, dove lo seppelliamo?"
Ha taggato Carlo, nel suddetto. Ed il giovane biondino ha risposto: "Per te, questo e altro!"
I due sono così legati, che, di tanto in tanto, scherzano sull'essere fidanzati.
Sono due idioti e si divertono con molto poco. 
Il diciannovenne restituisce dopo un po' il cellulare al fratello e chiude gli occhi, addormentandosi, ma alle cinque viene svegliato dalla mamma. 
-Roma, dai, devi fare la pizza!- gli dice.
Ed eccolo di nuovo pronto a cucinare. 
Prepara il tutto per far la pasta della pizza, mescola gli ingredienti all'interno di una terrina, poi a mani nude -detesta usare il mattarello- stende il risultato sul tavolo, dopo aver messo sulle sua superficie un pizzico di farina, in modo che la pasta non si attacchi a nulla. 
Feliciano lo aiuta, facendo altrettanto, seguendo le sue istruzioni, ma naturalmente non è bravo come lui, lui che assaggia la pasta cruda.
-Guarda che ti lievita nello stomaco!- lo rimprovera la madre, ma il ragazzo non le da ascolto. 
Mette il prodotto di quel lavoro da parte, coprendolo con uno strofinaccio pulito, mentre lievita. Pulisce il tavolo e lava le mani. 
Intanto arrivano Nello e Nico. 
I bimbi si mettono a giocare, apparentemente tranquilli.
D'un tatto il piccolino di tre anni, però, viene scoperto dal maggiore dei cugini a piangere in un angolino del salone.
-Ohi, che succede?- chiede Romie piegandosi un po' sulle ginocchia. 
Il bimbo non risponde, ma tende le manine verso di lui per farsi prendere in braccio, poi tira in su col naso. 
Il ragazzo lo prende e lo stringe a sé, accarezzandogli un poco la schiena. -E' stato Nico? Ti ha fatto la bua?- domanda. Vedendolo annuire, innervosito, chiama l'altro bambino, che ha sette anni. -Domenico! Vieni qua subito.- 
Quello, pirgramente, abbandona i suoi giochi, eccetto un aereoplano stupendo che gli era stato regalato per il sesto suo compleanno e si avvicina a lui. -Che vuoi?-
-Che hai fatto a tuo fratello, ah?-
Il bambino fa di tutto per non confessare, ma alla fine, cede, beccandosi una sgridata che però non ascolta. 
Romano si siede su un divano con in braccio il piccino e lo fa giocare un po', non vuole vederlo piangere la vigilia di Natale, vuole che si diverta. Così si mettono a colorare, dopo aver chiesto il permesso a Felì per utilizzare uno dei suoi preziosi fogli bianchi. 
Quando Nello torna tranquillo, mostra il suo disegno alla mamma e va a giocare a nascondino con l'altro Vargas, quello di quindici anni. La sua risata cristallina si disperde per tutta la casa.
A questo punto, Romie si siede un momento sul divano, vicino a lui vi è Domenico che gioca adesso con la PSP ad un gioco di calcio. Gli si avvicina, il bambino al maggiore, come se volesse invitarlo ad unirisi a lui. Il diciannovenne, però, non comprende quella logica, è troppo grande e quei processi sono troppo lontani perché lui li ricordi e/o capisca. 
-Roma...- mugugna lui. 
Il ragazzo, chiamato in questione, si volta. -Mh?- 
-Giochi con me? Mamma non mi vuole parlare perché ho fatto piangere Nello...- borbotta con un tono misto tra rabbia e tristezza. 
Gli adulti lo rimproverano sempre e nessuno vuole mai giocare con lui, se fa il monello. Eppure, gli sembra che in nessun caso ci sia posto per lui.
Romano a quel punto, lievemente intenerito, si avvicina a lui annuendo. Si mettono così a giocare a calcio, chissà quale campionato, Italia contro Grecia.
Dopo una decina di minuti, lui si alza, scrocchiandosi le dita.
-Dove vai?- gli domanda l'altro. "Ma come" pensa tra sé "anche lui mi lascia da solo?"
-A fare la pizza. Mi aiuti?- 
Domenico annuisce con un sorriso. Mette da parte la play, e si mettono a cucinare insieme, condendo le pizze in modo semplice.
Pomodoro, prosciutto, funghi. Pomodoro, melanzane, salame piccante. Pomodoro, mozzarella, salame piccante, wurstell. Pomodoro, mozzarella, carciofi, formaggio. 
Tagliano a fette più o meno quadrate e le sistemano su un piatto riccamente decorato, su un altro sistemano le tartine ed i crostini che hanno già riscaldato precedentemente. 
Nella cucina ci sono vari profumi, tutti ugualmente invitanti, che mettono l'acquolina nella bocca di grandi e piccini.
La sera, quand'è tutto pronto, si contano i presenti, per vedere se manca qualcuno.
I ragazzi e i bimbi ci sono; gli adulti anche; Nonno Roma è appena giunto, come al solito ridendo con un bicchiere di vino rosso in mano. 
La mamma di Gennaro ed Anna, lo rimprovera. -Papà! Ma che fai, già bevi?- 
-Ehh, in vino veritas!- esclamana lui, agitando il bicchiere stesso. I ragazzi ridono.
Collaborano tutti: qualcuno unisce due tavoli per avere più spazio, qualcuno cerca una tovaglia che sia abbastanza grande per coprire entrambi, qualcun altro recupera le stoviglie.
Piatti, bicchieri, posate, tovaglioli, tutto in perfetto stile Vargas: vari colori, ma tutti abbanati tra loro. E' una specie di mania di quella famiglia. Sono ben vestiti tutti e quattro quella sera, anche se sono in casa.
Rita ha un vestito grazioso ma non troppo elegante ed un giacchettino di lana spessa sulle spalle. Raffaele ha dei pantaloni, una camicia ed un maglione. Feliciano indossa dei jeans con lunghe calze per combattere il freddo, una camicia anche lui ma bianca, a differenza di quella del padre che è celeste, un cardigan avorio e cintura marrone. Romano, invece, porta dei pantaloni beige ed una camicia celeste chiaro chiaro. Considerando che le maniche sono arrotolate fino ai gomiti, probabilmente non passerà molto da quando vorrà coprirsi con qualcosa di pesante. Il tessuto del capo d'abbigliamento sfrega un po' con la cicatrice e questo gli provoca fastidio. Cerca di non pensarci, ma quella sera non esita a prendere le medicine che altre volte ha fatto finta di dimenticare.





Sono tutti molto eleganti, tuttavia sono anche gli unici. 
Gli altri familiari hanno vestiti molto più sportivi.
Anna, ad esempio, ha dei semplici jeans ed un maglioncino molto carino. Il fratello ha una maglietta ed uan felpa. I genitori, un maglione leggero anche loro. Allo stesso modo sono vestiti i genitori dei due bambini, i quali, hanno magliette a maniche lunghe e pantalocini neri il più grande, beige il più piccolo.
Anche il nonno, ad ogni modo, è elegante. Ha una camicia bianca e dei pantaloni scuri.
Vedendo i nipoti, hanno riso. -Ché, nonno, devi rimorchiare stasera?- gli ha detto Romano con un sorriso divertito. 
-Perché no? Magari è la volta buona!- ha risposto il vecchio, stando al gioco. 
Hanno tutti quanti molta fame, purtroppo però devono aspettare per saziare i loro appetiti: i genitori (e Felì) sono tutti andati in chiesa. 
Il diciannovenne, il nonno ed i cugini, se ne stanno dunque a giocare a carte e ridere.
-Come giochiamo? Scopa? Scala 40?- dice Gennaro, dopo aver vinto un paio di partite.
E allora, cambiano gioco. Li provano un po' tutti: Cucù, porco, rubamazzetto, Machiavelli. Vince naturalmente il maggiore tra tutti, il quale, forse ha un po' barato. Tutto quel vino gli sta facendo male. E' già il quarto bicchiere della serata che manda giù!
La ragazza d'un tratto gli sottrae il quinto ed i due maschietti lo intrattengono per non farlo lamentare. Verso le nove di sera, però, iniziano a lagnarsi tutti.
-Ma quando cavolo dure una messa, sei anni?!- sbotta Gennà.
-Ma che ne so!- risponde la sorella.
Romie intanto inizia a sistemare le cose in tavola, iniziando dagli antipasti. Rubano una tartina ciascuno, per un totale di quattro -no, il nonno non li ferma, anzi, è complice delle loro marachelle. Proprio in quel momento tornano tutti e Rita, fissandoli male, li rimprovera. -Che fate, mangiate?!-
-Eh, ma voi ci siete stati una vita! Noi avevamo fame!- ribatte la giovane.
-Potevate venire- le risponde la sua mamma.
E dai tra ragazzi si alza un leggero coro: -Seeh! Ma anche no!- dicono.
Ancora mezz'ora, il tempo di lavare le mani e riposarsi un secondo, perché le cose di fretta non le vogliono fare, iniziano la loro bellissima cena, tra risa e sorrisi.
Sono così disposti: a capotavola, il nonno; alla sua sinistra Romano, Gennaro, Anna, Feliciano, Nello e Nico, Raffaele (all'altro capo del tavolo), Rita, i genitori dei bambini di fronte ad essi, quelli dei cugini. 
Il quindicenne si prende cura del più piccolo tra i presenti tagliandogli a metà le bruschette e lasciando che le mangi con le mani. Ne mangia qualcuna anche lui, poi prende una bruschetta e l'addenta. Il fratellone intanto mangia un po' di pane e beve anche lui del vino. 
Il primo piatto è pasta al forno, portata dalla mamma dei due marmocchi già calda; è bastato scaldarla un pochetto. Dopodiché, il secondo è naturalmente di carne, accompagnato da patatine al forno, Ketchup e maionese. 
Aspettano qualche momento prima di mangiare la torta ed il panettone, per trovare un posticino nel loro stomaco. Si fa un po' di ordine, e ci si rimette a giocare a carte. Tra poco è il momento della tombola!
E' il nonno che detta i numeri. Solo che il nonno è un po' brillo.
-Trantatre.-
-Eh?-
-Trentatré- traduce Romano. -Mamma, fa qualcosa.-
-E che devo fare? Stanotte si fa un bel riposino e passa tutto- commenta la donna come nulla fosse. Succede che il papà si ubriachi durante le feste, ma non diventa pericoloso per nessuno, tanto meno violento. Ama la sua famiglia, non farebbe del male mai a nessuno, oltretutto un minimo di lucidità la mantiene sempre, così non è del tutto ubriaco, ma almeno un po' vigile. 
Il ragazzo inizia a sentire fresco, così va in camera propria e prende una felpa nera. Ah, ma non si trova d'accordo con quell'abbinamento, così toglie i pantaloni ed infila i jeans. Quando torna, Annie alza gli occhi al cielo. -Non ci credo, ché ti sei cambiato!-
-Ma che vuoi? Guarda che ci stava 'na merda- commenta lui, sistemandosi per bene la felpa. 
Raffaele, come da copione, lo riprende per la parolaccia, così lui borbotta qualcosa, ma il padre è già impegnato a fare altro e non lo sente. 
E' a mezzanotte che aprono le confezioni dei due panettoni, uno dei quali è al pistacchio. 
E la torta.. che bontà! Completamente ricoperta di cioccolato e pasta di zcchero a forma di babbo natale. E' bellissima e buonissima.
Ma Romie non ha tempo di mangiarla. Gli arriva un messaggio.


|Desde: Eli.|
"Roma... dimmi una di quelle cose che mi piace sentirmi ripetere."

Non capisce cosa sia successo, eppure fa subito il suo dovere. 
Porta una forchettata di torta alle labbra e mentre la forchetta è in bilico tra le sue labbra, le risponde svelto.


|Para: Eli.|
"Mmh, ad esempio che ti voglio un bene dell'anima, che sei la mia migliore amica, che se ti toccano li ammazzo? O vuoi che ti ripeta quanto tu sia intelligente e bella?"


Elisa non si fa molto complessi sull'aspetto esteriore.
Tuttavia, in certi momenti, quando si sente giù, adora sentirsi dire anche queste cose dal ragazzo.
E' seduta nel letto di camera propria. I suoi genitori hanno litigato e suo padre se n'è andato sbattendo la porta, la notte della Vigilia di Natale... ha i capelli legati in una crocchia disordinata, una maglione pesante addosso, le gambe coperte dai leggins incrociate attorno ad un cuscino. Il viso è bagnato da alcune lacrime e le dita con le unghie pittate di nero si muovono svelte sulla tastiera touch. Ma prima di rispondergli accenna un sorriso e caccia via una lacrima da sotto l'occhio, il trucco sbavato sulle guance e gli zigomi. 


|A: Romie.|
"Mi prometti una cosa?"


|Para: Eli.|
"Tutto quello che vuoi."


|A: Romie.|
"Mi rimarrai sempre vicino?"


|Para: Eli.|
"E me lo chiedi? Sei la mia migliore amica, non ti abbandono di certo. Farei di tutto per te."


La ragazza a quelle parole si copre il volto con una mano, piangendo un po'. 
Ha un misto di sentimenti contrastanti. Ora come ora, vorrebbe piangere sulla sua spalla, così come ha fatto altre volte. Può sembrare forte, ma infondo è molto fragile. Non si fida di nessuno, perché ne ha avute di amicizie sbagliate nella sua vita. Solo Romano non l'ha mai tradita, in tutti quegl'anni. Certo, sì, hanno litigato un paio di volte, ma hanno sempre fatto pace. D'un tratto in camera sua entra il fratello Andrea, comunista convinto. 
Le si avvicina e l'abbraccia, eppure lei con lui non riesce a sfogarsi. Si tolgono un paio d'anni, lui ne ha ventidue, ma è come se tra loro ci sia un abisso. Certo, si voglio bene... ma tendono più che altro a darsi fastidio a vicenda. 
Si accoccola tra le coperte con uno dei regali che le aveva fatto il ragazzo tempo prima, per chissà quale occasione. E' un peluche adorabile, l'unico che lei abbia. E' un asinello adorabile. Si stringe a lui e piangendo ancora un po' s'addormenta.
Il ragazzo, però, le scrive un altro messaggio.


|Para: Eli.|
"Scema, non so se stai dormendo e non so cosa sia successo. Però smettila di piangere -ché lo so che lo stai facendo- abbraccia Mr. Pocky e riposati un po'. Domani mattina ti chiamo e mi racconti tutto, vediamo di risolvere insieme. Ti voglio bene!"


E' raro lui le dica che le vuole un gran bene, eppure in questi momenti lo fa. Sa che lei ha bisogno di sentirselo dire. Elisa si sveglia sentendo il rumore della vibrazione del cellulare, così allunga la mano per prenderlo e leggere il messaggio. L'asinello, Mr. Pocky, è con lei a farle compagnia. Sono almeno due anni che scherzano con quel peluche. Hanno pure inventato alcune delle storie più stravaganti su di lui, durante le ore scolastiche, giusto per non stare attenti e lei, ripensando a quelle, accenna un sorriso e si addormenta più tranquilla.
Il diciannovenne rimane preoccupato per lei tutta la notte, ciononostante continua a giocare con gli altri fino alle quattro, il momento in cui gli zii decidono di rincasare. Nello e Nico dormono già da un pezzo, Felì li ha seguiti almeno da un'ora ed Anna non fa altro che sbadigliare. 
Quando i quattro Vargas rimangono soli, se ne vanno subito a letto, sistemeranno casa il giorno dopo. 

La mattina del 25 Dicembre, si svegliano molto tardi un po' tutti quanti, ma specialmente i ragazzi.
Anche per quel pranzo devono cucinare ed un po' a Romie scoccia. 
Mentre prepara altri antipasti, stavolta di tipo diverso, utilizzando tante piccole tradizioni napoletane. Tagliano del salame e preparano su un piatto una vasta scelta di fette di prosciutto crudo e cotto, accompagnate da olive, mozzarelle e piccole pizzette con pomodoro e basilico. La pizza che fa il ragazzo è sempre la prima cosa che termina. Stavolta per primo ci sarà riso, e per secondo pesce. E anche oggi loro si vestono in modo molto ordinato. 
Stanno ancora cucinando quando il diciannovenne chiama l'amica. 
-Buongiorno...- le dice a bassa voce. 
Lei si è svegliata stranamente presto quella mattina. Voleva sapere se suo padre fosse tornato o no quella notte per dormire nel suo letto. No, nessuno pare averlo visto.
Sono circa le dodici, lei ha indosso una maglietta larga che le lascia scoprire una spalla e dei leggins pesanti.
-Pronto? Ah, Roma.. ciao- risponde svogliata, sbadigliando. Si strofina gli occhi, seduta al tavolo della cucina a mangiare svogliata qualche biscotto. -Com'è andata ieri?- dice.
-Tu, piuttosto. Che hai combinato?-le dice il ragazzo, addentando una fettina di salame che gli porge il fratellino, il quale, carpire qualche scorcio di conversazione. Ma capisce ben poco.
Gli squilla il cellulare, così vola a prenderlo e subito si perde a rispondere. Ogni tanto ridacchia, leggendo qualche messaggio di testo. 
Elisa nel mentre racconta al giovane cos'è successo, schiarendosi dopo la voce. Andrea la sente parlare e nota anche quel tono triste, ma se ne sta fermo in corridoio, perché non saprebbe che dirle, se lei gli piangesse tra le braccia. Sente la sorella chiamare al telefono qualcuno per quel nome che ormai gli è diventato familiare e che non teme più. E' gelosissimo di lei, ma di Romano si fida. E' un antifascista, come può non fidarsi? Per lui il mondo è diviso in due grandi categorie: fascisti e antifascisti. E se fai parte della seconda, sei automaticamente passato nella sua cerchia di amici. Romie tratta bene la ragazza, se la vizia anche, ogni tanto, e lui non potrebbe essere che d'accordo per quella amicizia. Conosce il valore del ragazzo. E poi, beh, è stato preso di mira dai fascisti -quei porci!- come può non idolatrarlo almeno un pochetto? 
Se ne torna a leggere uno di quei suoi tomi su Marx, giusto per fare qualcosa e togliersi dall'impiccio di consolare qualcuno. Non è proprio in grado di farlo. 
La ragazza racconta tutto, alla fine del racconto, ha anche finito i biscotti, fissa la scatola vuota e ne apre un'altra. Ha fame, fame nervosa. 
-Lo so che è dura, ma non devi lasciarti scoraggiare, i tuoi hanno sempre litigato, non è una novità. Faranno pace pure stavolta, non preoccuparti- dice lui, lavandosi le mani dalla pasta della pizza, appiccicosa ma buona. 
Dopo un po' chiudono e la giornata passa praticamente come quella precedente.
Si scherza, si ride, si gioca a carte e, soprattutto, a tombola ed infine si mangia tantissimo.
I loro parenti rimangono in casa loro sino alle sei di sera, dopodiché si congedano. 
Loro quattro la sera non mangiano, sono ancora troppo pieni dalla sera precedente.
-Ed anche questa festa è andata, per fortuna- commenta il diciannovenne, scrocchiandosi le dita, seduto sul divano. 
Feliciano gli si siede accanto, il viso sulla sua spalla. -E' stato un bel Natale- commenta.
-Sì, è stato bello stare tutti insieme- si trova d'accordo lui. 
-Anche senza regali.-
-Anche senza, mh-mh.-
Rimangono lì vicini per un po', d'un tratto al maggiore viene fuori un'idea. 
Lo guarda. Va a prendere il pc portatile che il fratellino ha voluto portare con loro. 
Lo accende, sullo sfondo c'è una loro foto -sfondo scelto dal suddetto fratellino.
Quella foto risale a qualche anno prima, loro allora erano poco più che bambini e si stavano divertendo un mondo. I genitori ed il nonno avevano preso in affitto per due settimane una piccola casetta in montanga, ma da essa si giungeva facilmente ad un prato un po' nascosto, eppure bellissimo: ricco di fiori di ogni genere. Un pomeriggio i due bimbi presero un carretto e corsero giù in quel pezzo di paradiso, raccogliendo una miriade di fiori diversi, coloratissimi. Era stato davvero stancante, infatti Romie si era appisolato sul carro per qualche momento e Felì l'aveva trascinato per un po', senza dirgli nulla. Così quando l'altro ha riaperto gli occhi si è guardato intorno, stupito. E hanno riso tanto insieme. Tutti contenti, la sera, erano rientrati con quella bella novità, regalando i fiori alla mamma.





Aprendo ora il motore di ricerca, digita la parola (o il nome)  "Slenderman."
Apre un paio di link e dopo un'attenta riflessione sceglie il sito migliore dal quale scaricare il gioco gratuitamente. Per fortuna il download è veloce e in una manciata di minuti possono iniziare a spaventarsi un po'. 
Feliciano non capisce cosa stia accadendo; non conosce il gioco ed il fratello, come al solito, non risponde alla sue domande. 
Romano gli mette davanti il computer e gli da istruzioni su come muoversi. 
-Muoviti per il bosco- gli dice. 
Il quindicenne inizia a muovere. Trova un biglietto appeso alla corteccia di un albero: "
Leave me alone." Poi ne trova un secondo attaccato al finstrino di una roulotte che pare abbandonata: "I will kill you." Deglutisce, e va avanti, ma fatto qualche passo vede lo schermo diventare grigio, come in seguito ad un'interferenza. 
-Non voltarti!- gli intima il fratello. Lui non sa che fare, così scappa e lo schermotorna normale. 
Chiede spiegazioni, Romie gliele concede. E rimangono tutta la sera a giocare a Slenderman, nella varie modalità che scaricano. Bosco, ospedale psichiatrico...
Feliciano dubita potrà dormire quella notte. Chissà.


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Capitolo 22
*** Io non mi capisco. ***


[ Salve! 
Vi auguro una buona lettura, spero le immagini ed il testo vi piacciano. 
Ancora tre parole: rapanello, dugongo, RECENSITE. ]









Natale passato. 
Quel giorno Romano sta studiando un po'. 
Ha il libro di filosofia appoggiato sulle gambe, un evidenziatore in mano, patatine tra le labbra. Suo fratello ne ruba qualcuna dal pacco e la sgranocchia, ha in mano non un libro, bensì il cellulare.
D'un tratto il maggiore sta per prendere un'altra patatina tipo classico ma qualcuno gliela sottrae. Alza così lo sguardo e nota Gennaro.
-Oh, andiamo a scopare?- dice quello. 
Roma si mette a ridere. -Questa frase, detta così, non si può sentire- gli dice sottolineando qualcosa. -Sto studiando.- 
-Dai, Romà. Ho conosciuto un paio di ragazze... tutto gratis.- 
Dice l'altro facendogli l'occhiolino.
Feliciano li guarda malissimo. Entrambi però lo ignorano.  
Sospira lievemente e risponde ad un messaggio di Ludwig. Lui gli riporta il sorriso quasi subito.
-Ti sembra che io abbia mai bisogno di pagare?- domanda retorico il diciannovenne, con un mezzo ghigno tra le labbra. 
Con sguardo alquanto scettico, il cugino gli molla uno scappellotto. 
-Scommettiamo?- dice lui. 
-Non ne trovi più di due.-
-Seh. Ti dico: scommettiamo?- ribadisce. 
Il fratellino gli lancia un'occhiataccia. E siccome quei due continuano a fare gli idioti, si alza e se ne va dall'altra parte della casa, nervoso. 
-Forse abbiamo esagerato...- mormora Gennaro.
Romie non si scompone più di tanto, anche se perde la risata ilare. Finisce di sottolineare il paragrafo. -No. Si deve abituare prima o poi a sentir cose del genere. Non c'è solo lui con i suoi problemi.- 
Non vuole fare un discorso egoista, perché lui non è un tipo egocentrico. Tuttavia sostiene -e ha sempre sostenuto- che Felì debba imparare a sentire anche queste cose. 
Lo lascia perdere poi decide di uscire veramente col cugino, così mette da parte i libri e va a cambiarsi. Fissa a lungo l'armadio. Sono le sette del pomeriggio e stanno andando in un pub. Deve scegliere qualcosa di appropriato. 
Indossa una maglietta un po' particolare e dei pantaloni scuri.
Dunque, sistemati bene i vestiti, lava i denti e da un'aggiusta anche ai capelli che però non riesce a mettere troppo un ordine -anzi, non vuole. Sono ribelli quanto il suo animo.
-Gennà, hai sigar...- si zittisce pensando che nella stanza accanto potrebb'essere tornato suo papà e di certo non può sapere che il figlio fuma. Anche se, effettivamente, è ormai maggiorenne e potrebbe in teoria fare ciò che vuole.
Ma vige ancora la regola "sotto il mio tetto fai quello che ti dico io."
Per cui, evita di fumargli davanti. 
Il cugino, ha sì le sigarette, e non vede l'ora di fumare, così i due si avvicinano alla porta d'ingresso; vengono però fermati da Feliciano che dice loro con tono acido: -Almeno prendi precauzioni. Non voglio diventare zio.- Gli occhi nocciola sono sempre fissi sullo schermo del cellulare. 
-Ed io non voglio marmocchi in giro- borbotta il fratello sbattendo la porta uscendo. 
In realtà fare sesso -perché fare l'amore è una cosa un po' diversa- con delle estranee non lo diverte nemmeno più così tanto. Non gli da più le soddisfazioni che aveva all'inizio, ma oramai è una specie di abitudine... e non riesce a smettere, nemmeno si trattasse di droga. 
Si ritrovano mezz'ora dopo in un luogo, è affollato e piccolino, però carino. Fanno dei drink davvero buoni. 
Roma regge bene l'alcol, anche se più dei cocktail preferisce il vino. Sono pochi quelli che gli piacciono, anche se ne ha provati diversi. 
Quel giorno non ha proprio voglia di allontanarsi dal bancone, così si siede su uno sgabello sorseggiando qualcosa con vodka e frutta, dal colore arancione chiaro. Gennaro è andato a ballare con delle ragazze, lui è piuttosto pensiero ed un po' irrequieto. Rigira distrattamente l'ombrellino del suo drink e poi ne beve un sorso, gli occhi verdi vagano qua e là. 
Delle ragazze trascinano la loro amica in bagno, è piuttosto ubriaca, per nulla lucida, dice frasi senza senso ed alcune fanno ridacchiare appena il ragazzo. 
Una ragazza con tacchi alti almeno dieci centimetri, scollatura inverosimile sia sulla schiena che sul seno, trucco pesante, gli si avvicina sedendosi con le gambe un poco aperte davanti a lui. Il suo vestito nero è molto corto, e anche se le gambe sono appena divaricate, lasciano intravedere le mutandine.
Roma vorrebbe tanto fare una smorfia. 
Si è portato a letto tantissime ragazze come quella e non è mai stato nulla di particolare. 
Sono facili, cedono subito, non c'è nemmeno il lato divertente della cosa: rimorchiare. 
Lei si avvicina anche troppo a lui ed inizia a parlargli. Il ragazzo non sa cosa lo spinge a darle corda, ma lo fa, la asseconda e dopo poco prendono a baciarsi. 
Gennaro intanto s'è preso un due di picche da un gruppo di ragazze, così, per nulla scoraggiato, alza un poco la voce per farsi sentire, e dice loro: -Ricordatevi che la bellezza passa, e tra cinque anni nessuno vi guarderà più; perciò non vantatevi tanto.- 
Una di quelle ragazze ride per questa frase e si avvicina al ragazzo. Iniziano a flirtare un po' ed anche loro finiscono per baciarsi. 
Circa un'ora dopo, Romie si avvicina a lui sistemandosi la cintura. Lui, si sistema la camicia. 
La ragazza col vestito corto e scollato, gli fa un cenno che significa: Chiamami.
Lui però non ne ha l'intenzione e non le risponde; si volta invece verso il cugino mugugnando ironico: -Sicuramente.-
Quando l'altro gli chiede se non gli sia piaciuta, scrolla appena le spalle.
Escono di lì, per fumare una sigaretta. 
Romano s'appoggia alla balaustra in metallo nero, con un sospiro, buttando una nuvoletta di fumo grigio dalle labbra. 
-Devo comprare i preservativi...- mugugna dopo un po'. -Li ho finiti...-
-Sei uscito senza? Ma sei scemo?- lo rimprovera Gennaro. 
-Ne ho uno...- 
Fa cadere la cenere giù dal quel balconcino con un mezzo sbuffo. 
-Che hai, Romie?- 
Lui scuote appena la testa. Alza lo sguardo verso il cielo scuro, la sigaretta tra le dita. 
Gli dice di andare un po' dentro, ché lui sta bene lì, un momento da solo. Socchiude gli occhi per un istante, quando li riapre nota alla sua destra una ragazza. Ha le lacrime agli occhi ed una sigaretta anche lei tra le labbra rosee. Il mascara nero e l'eyeliner le sono scolati sugli zigomi. 
Il ragazzo la osserva un attimo. -Qualsiasi cosa sia, non vale le tue lacrime- le dice con espressione serena, tornando a guardare davanti a sé. 
Lei accenna un sorriso ed e caccia via quel pianto con le dita, come meglio può, l'altra mano regge la sigaretta. 
Scende il silenzio per qualche secondo, ma non sembra pesare a nessuno dei due. 
Sono ora più vicini, ma nessuno dei due saprebbe dire chi si è avvicinato all'altro. Semplicemente, è successo. 
Alla ragazza si spegne la sigaretta. Fruga nella borsetta per cercare l'accendino, ma non lo trova. 
-Senti,  non è che hai da accendere?- chiede. 
Il ragazzo annuisce e le porge ciò che desidera. E lei ridacchia perché sull'accendino c'è stampata l'immagine di un micetto tutto bianco, col muso adorabile, immerso tra i fiori colorati. -Carino- commenta. 
Anche lui accenna una mezza risata, che gli lascia scoprire i denti bianchi. Scuote lievemente la testa, rispondendole. -A mia difesa, posso dire che preferisco i cani.- 
-Ah sì?- commenta lei, tornando a fumare. Glielo porge, con le dita pittate di smalto rosso. -A me piacciono, i mici.- 
-Bah, non lo so. Ne ho uno; sta tutto il giorno a dormire- le spiega. 
Lei ride di nuovo. Lui soggiunge: -Hai visto? Ti ho fatto ridere. In fin dei conti, passa tutto- commenta con una lieve scrollata di spalle. 
La giovane gli porge la mano. -Ilaria.- 
Lui la stringe. -Romano.- 
-Nome originale- commenta l'altra, scostando una ciocca di capelli biondi dal viso. Sono lunghissimi, e lisci, come piace a lui.
-Più che originale, vecchiotto.- 
-Eredità del nonno?- 
Romie annuisce. 
Rimangono a parlare per un po', e non saprebbero quantificare i minuti. 
Il diciannovenne non è tipo che da il proprio numero a tutte le ragazze che conosce -anche perché lo avrebbero in troppe- quindi si sentiranno forse su facebook. Non ci conta molto, però ha passato una bella serata in sua compagnia. 




 
Fanno strada verso casa, lui ed il cugino. 
Gennaro è un poco ubriaco quindi Romano decide di accompagnarlo a casa, poi torna alla propria da solo. Quando richiude la porta alle spalle sono circa le undici, non ha cenato, tuttavia non ha neppure un po' fame. 
Il fratellino si è addormentato sul divano con il cellulare tra le mani. 
Lui, curioso, glielo sfila e legge qualche messaggio. 
 
|A: Luddi.|
"Lo so... però mi manchi!"
 
|An: Felì.|
"Ed io lo so che ti manco, però tra poco tornerai, no? Sii paziente."
 
|A: Luddi.|
"Smettila di sapere l'italiano meglio degli italiani."
 
|An: Felì.|
"Scemo... non sono così bravo. Non ancora."
 
|A: Luddi.|
"Ma se sei bravissimo! <3 ho tanto sonno..."
 
|An: Felì.|
"Vai a dormire. Gute Nacht!"
 
|A: Luddi.|
"Ti voglio bene, 'notte! <3"
 
|An: Felì.|
"Ich auch..." 
 
 
Il ragazzo scuote la testa con disapprovazione, però ha un sorriso su volto. 
Osserva un attimo il fratellino, è molto più sereno rispetto anni prima, dorme tranquillo. Si chiede se sia stato lì a messaggiare tutta la sera. Forse avrà fatto una pausa solo per la cena. Sfogliando i messaggi, ne vede alcuni lunghissimi, poemi quasi. Parlano tantissimo... chissà che si dicono. Mette il blocco al cellulare e lo appoggia sul tavolo, poi sveglia il fratellino dolcemente. 
-Hei? Felì, dai, andiamo a letto- gli sussurra. 
Dalla camera dei loro genitori si sente la televisione a tutto volume, ma probabilmente i due già dormono da un po'. Fatto assodato, Roma entra nella stanza e spegne la tv. 
"E sono solo le undici..." commenta tra sé.
Convince poi il quindicenne ad andare a nanna e si coricano nei rispettivi letti. 
Però lui non si sente tranquillo. Manda un messaggio ad Elisa.
E' strano, perché per quante ragazze si possa fare, anche se ne bacia cento, lei gli mancherà sempre. 
 
|Mensajes.
Nuevo Mensaje.
Para: Eli.|
 
"Stronza, dormi?"

|Enviar.|
 
Lei risponde subito. 
Si è calmata rispetto due giorni prima. Non sta ancora dormendo, è seduta in cucina che guarda la televisione, rigirandosi una ciocca di capelli puliti, lisci e lunghi, esattamente come piace al migliore amico, tra le dita stavolta prive di smalto.
 
|A: Romie.|
"No, coglione, non è nemmeno mezzanotte. Quante te ne sei fatte?"
 
E' strana anche tutta questa gelosia, ma detesta l'idea di vederlo tra le braccia di un'altra ragazza, che la bacia e.. non vuole nemmeno pensarci. S'innervosisce troppo. 
Sospira lievemente, leggendo la risposta.
 
|Para: Eli.|
"Stasera, una."
 
|A: Romie.|
"Perché continui a farlo?"
 
|Para: Eli.|
"Perché continui a fare domande, se ti fanno stare male?"
 
|A: Romie.|
"E tu perché continui a farmi male?"
 
 
Il ragazzo non sa davvero che rispondere. 
Si rigira nelle coperte, mettendosi su un fianco, ma la ferita gli pulsa un po', così è costretto a mettersi con la schiena contro il materasso freddo. Chiude gli occhi e sospira.
Il fratellino lo chiama sottovoce. -Romie...?- 
Lui si volta per guardarlo. -Cosa c'è?- 
-Perché l'amore è così complicato?- 
-Non è complicato l'amore, sono complicate le persone e le situazioni...- 
Felì si volta e lo guarda a sua volta. -Hai mai amato qualcuno? Intendo... rimanere sveglio per pensare a lui... o a lei. Sperare che ogni messaggio sia il suo. Avere voglia di raccontargli ogni cosa, sentire com'è andata la sua giornata... la sera chiedergli se stia dormendo per parlare un po'. Volere stare con quella persona in ogni momento...- 
Su un fianco, abbassa lievemente lo sguardo, stringendosi al cuscino, il cellulare tra le mani.
Sospira appena e si rimbocca le coperte attendendo risposta.
Roma non ha mai passato tutto questo, però... 
C'è una persona alla quale vuole raccontare tutto, per la quale ha sempre un momento libero, una persona che spesso gli viene alla mente e che spesso cerca, per telefono, chat, o di presenza -che è anche meglio.
Tuttavia, fa cenno di no. 
-Mai successo. Ma sai com'è, ho diciannove anni, tutta la vita davanti... tante cose da fare.... non ho fretta. Per il momento, mi diverto. Poi come andrà, andrà.- 
Il quindicenne accenna un sorriso. Lo guarda e si scopre, mettendosi seduto nel letto. 
Roma capisce e lo guarda. Gli fa posto nel proprio, pronto ad accoglierlo.
Il ragazzino allora si stringe a lui e sospira. 
-Come faccio a capire se posso dirglielo o no? Io gli voglio bene... voglio stare con lui. Ma se mi rifiutasse?-  mormora guardandolo negli occhi verdi, con i suoi dolci e nocciola. 
-Dammi il tuo telefono.-
-Cosa?-
-Dammelo. Voglio controllare una cosa.- 
Lui va dunque a leggersi molto messaggi e vede il fratellino arrossire per questo, ma non vi da peso. 
Li controlla, sono dolci, il tedesco non è mai volgare in nessun senso, sembra un bravo ragazzo. E sembra interessato a Feliciano. Non lo conosce, per quanto ne sa potrebbe pure fingere, tuttavia qualcosa gli dice che è sincero. 
Restituisce dunque il cellulare.
-E' un tipo apposto- spiega. -Non sta lì a crogiolarti, "mi dirà sì oppure no?" "Vorrà stare con me? Ma è etero?" Non farti queste domande. Nessuno potrà risponderti, perché nessuno sa quello che c'è stato tra voi. Perciò, tu prova. Intesi?-
Dopo aver annuito entrambi, s'addormentano, il piccolo più rilassato, il maggior leggermente preoccupato.
 
 
 
 
Passano i giorni, si avvicina il Capodanno.
Romano odia quella festa. Detesta le piccole tradizioni dell'ultimo e del primo dell'anno, sia quelle del Sud sia quelle del Nord Italia. Sono noiose, vecchie, sciocche. E lui invece vuole sempre fare qualcosa di nuovo. 
Inoltre questa "festa" trascorre ogni anno alla stessa maniera: spumante, fuochi d'artificio, musica a tutto volume, balli di gruppo. 
Non vuole andare alla solita festa, ma probabilmente Anna si è già organizzata e ha già deciso di trascinare entrambi i cugini con sé, insieme al fratello. 
Il diciannovenne si vede già annoiato, la sera del 31 Dicembre, su una sedia ad ubriacarsi. Felì piuttosto rimpiange di non poter stare a casa sua, a Padova, con Ludwig.
Lui ama Padova.
E' una città stupenda, ricca di arte, di storia, di religione. C'è di tutto, in quella città veneta, che è chiamata in molti modi: città del “Santo senza nome”, del “prato senza erba” e del “caffè senza porte”.  Naturalmente ci sono dei motivi dietro.
La Basilica di S. Antonio che da ottocento anni richiama fedeli da tutto il mondo è detta solo “il Santo” senza citarne il vero nome; la seconda piazza più grande d'Europa, dopo la Piazza Rossa di Mosca, Prato della Valle, conta solo un po' d'erbetta, nessuna vera e propria distesa di verde; e l'ultimo nome è da attribuire alla mancanza di porte del Caffè Pedrocchi. 
E' piuttosto interessante quel luogo, Romie lo ha visitato tante volte, difatti è stato sede di molte mostre e gallerie, diventando una sorta di museo. Fino al 1916 era aperto sia giorno che notte, inoltre le vetrate non vennero inserite alla sua costruzione, ma in un secondo momento. Fu il primo Cafè illuminato a gas. I clienti potevano recarsi lì anche per leggere il giornale, senza ordinare nulla, alle donne venivano regalati spesso dei fiori e a chiunque veniva prestato un ombrello in caso di pioggia improvvisa. 
Ovviamente a Padova non v'è solo questo, e a Feliciano la città piace per ogni suo singolo dettaglio, anche se ha sempre preferito Venezia.
Così bella, così artistica, così... gli fa venir voglia di sognare, e dipingere, e sognare di nuovo.
Se chiude gli occhi se la figura così: le onde azzurro chiaro s'infrangono delicatamente, cullate dal vento, contro un ponte, un giovane uomo con un fazzoletto blu al collo ed un cappello di paglia sulla nuca, conduce una gondola con una coppia di giovani innamorati, sotto lo stesso ponte, cantando una canzone d'amore. 
Vorrebbe vivere lì anche se lasciare i suoi amici gli dispiacerebbe moltissimo -in più morirebbe al sol pensiero di non rivedere più il suo amato tedesco.
Ordunque, il ragazzino se ne sta anche ora pensoso col suo blocco di disegno posto sulle gambe un poco divaricate, la matita poggiata sulle labbra appena schiuse, gli occhi nocciola curiosi in cerca di qualcosa sulla quale posarsi. 
"Chissà che sta facendo Milù" si domanda. Inizia allora a disegnare la micia, distrattamente. 
Suo fratello sta facendo i compito poco più in là. 
Rita, la loro mamma, si avvicina loro e domanda cosa stiano facendo. 
-Disegno!- risponde il primo.
-Studio...- spiega mogio il secondo. 
-Roma, ma che studi a fare? Oggi è festa- ribatte lei con un sospiro. -Staccati un momento da quei libri. Vatti a fare un giro, no?- 
-Non mi va di uscire.- 
La donna ha imparato a rinunciare di fronte la testardaggine del figlio, per cui torna di là a ricamare qualcosa all'uncinetto davanti alla televisione, mentre guarda con poca attenzione uno di quei film ambientati a fine ottocento, un amore tormentato, malefatte e sotterfugi. 
Il quindicenne ci mette un po' a finire il suo disegno, cancella di tanto in tanto, cambia matita per i dettagli, ad un certo punto. Sorride soddisfatto ad impresa finita. 
Sposta delicato i residui di gomma dal blocco, lo alza e lo mostra al fratello.
-Fratellone! Ti piace?- domanda.
E' il suo solito capolavoro. 
Il musetto del micio in primo piano è volto verso la sinistra di chi lo osserva, le vibrisse sono evidenti ma non troppo evidenziate, ed il pelo, accidenti, pare vero.
E' così bello, così perfetto. 
 


 
 
Roma ne è un po' invidioso.
Detesta la sua bravura. Lui ha saltato qualche passaggio fondamentale, per colpa del Ballo di San Vito, e non ha mai voluto impegnarsi troppo, perché ogni volta che prendeva una penna in mano, gli cascava subito per terra. Con questa sorta di trauma, ha iniziato a scrivere tardi ed ora ha una pessima grafia. Chissà, magari se non si fosse ammalato, saprebbe anche lui disegnare...
Ad ogni modo ciò non fa altro che aumentare il complesso d'inferiorità che ha nei confronti del fratellino, che in ogni cosa pare perfetto. 
Disegna bene, riesce a scrivere abbastanza bene, si veste bene, gli vogliono tutti un gran  bene, è bravo, ubbidiente, dolce, sensibile, educato, non delude mai i genitori né nessun altro. 
Perché dev'essere così eccezionale? 
Lui è l'opposto...
Non sa disegnare, nessuno lo sopporta, è orgoglioso e fiero, per nulla ubbidiente, poco rispettoso delle regole, fuma e ha un tatuaggio, si preoccupa poco delle convenzioni sociali, delude sempre Rita e Raffaele.
Però questo è quello che pensa lui.
Perché il ragazzo è bravo a scrivere, si veste in modo ottimo e adeguato in ogni occasione, non è vero che nessuno lo sopporta, ha dei buoni amici e qualcuno che lo detesta, è vero, ma solo perché in pochi lo conoscono veramente e in molto lo giudicano. Oltretutto sono in pochi quelli che lo etichettano come "cattivo" solo perché fuma e ha un tatuaggio. Ed i suoi genitori, almeno in parte, sono fieri di lui. Certo vorrebbero fosse più tranquillo, tuttavia sanno che lui è così e non vogliono cambiarlo. Non ce la farebbero e ne sono consapevoli.
Fa solo un complimento svogliato al fratellino, che rimanendoci male va a cercare conforto dalla madre.
-Mamma, guarda! Ti piace?- le domanda con fare tenero. 
Lei subito annuisce. -Oh, Felì! E' stupendo, sei bravissimo!- dice ammirata, sinceramente colpita. Lui accenna un grandissimo sorriso e torna a disegnare qualcos'altro. 
Passa tutto il pomeriggio ed arriva la sera. 
Pigramente, il maggiore dei due figli si trascina in camera e spalanca l'armadio. 
Si siede però sul letto sbuffando pesantemente. Non sa proprio che indossare. 
Opta infine per dei pantaloni eleganti beige, una cintura blu della stessa tonalità della giacca classica più sportiva, una camicia bianca. 
Mentre sistema la camicia, s'avvicina al quindicenne, domandandogli perché non stia ancora vestendosi. 
Quello risponde: -Annie non mi ha detto nulla.- 
-Te lo dico io, di venire con noi.-
-Non voglio rovinarvi la serata... se ci sono io, tu non puoi fare quello che vuoi.-
-Smettila di dire cazzate e vatti a vestire.-
Non ci mettono molto, e sono tutti e due pronti.
E' il secondo anno che Felì li segue nelle loro avventure dell'ultimo dell'anno. 
Lo aveva fatto solo un'altra volta, due anni prima, a tredici anni, gli anni precedenti invece era troppo piccolo. E' felice di poter andare con loro, ma non sa che aspettarsi. 
Anche i suoi vestiti sono piuttosto eleganti, indossa dei pantaloni e una camicia. 
Nessuno si stupisce di vederlo arrivare, era abbastanza ovvio che Romie lo portasse con sé. 
Sulla serata non spenderebbero nessuno dei due troppe parole.
Non ci sarebbe molto da dire, neppure se volessero farlo.
Passano tutta la notte in un locale, il cui proprietario è lo zio di una delle amiche più strette di Anna, tra ragazzi e ragazze dai quattordici ai ventitré-ventiquattro anni circa. Per quanto ne sa Felì, c'è solo della musica, il karaoke, e dei cocktail. E' tutto più o meno tranquillo e con la cugina si divertono un poco a ballare. 
Dal punto di vista di Roma, però, è tutto diverso. 
Nota dei ragazzi passarsi qualcosa e suppone sia droga. Il quindicenne è troppo ingenuo per capire. Il maggiore nota poi un sacco di coppiette appartarsi, ad un certo punto nota anche due ragazzi ed una ragazza infilarsi in un bagno, ma non vi da peso, anzi, ridacchia sommessamente. Lui beve un paio di drink, stando però attento a rimanere lucido. E, soprattutto, controlla ciò che ha nel bicchiere, perché non si fida poi tanto.
Ad ogni modo, giunto il momento della mezzanotte, inizia il conto alla rovescia, e tutti i ragazzi si mettono lì vicino in un religioso silenzio spezzato solo da quel coro unanime che conta dal dieci all'uno, provvisto di trombette e cappellini colorati ed eccentrici. 
Anche Feliciano ha uno di quei cappellini, il suo è verde di carta con delle decorazioni in rosa di carta velina. Stando vicina al fratello e ai cugini, conta anche lui. 
E tutti insieme: -3... 2.... 1... Buon anno!-
E' un momento di pure felicità. 
Anche gli sconosciuti si fanno gli auguri e chiunque si ritrova sporco di spumante e ride senza curarsene troppo. 
Felì abbraccia forte forte Romie e gli dice qualcosa, che però il ragazzo non capisce a causa della confusione. 
Parte un trenino di persone che urlano chissà ché ed in questo modo passa il tempo, passano le ore e si fanno le quattro. 
I quattro ragazzi escono di lì, ancora ridendo per una battuta di Gennaro; tre su quattro hanno la sigaretta in mano. 
Il ragazzino li osserva e dopo un po' domanda all'unica ragazza. -Mi fai fumare?- 
Lei lo guarda stupita e gli passa la sigaretta, la quale però viene subito presa dalle mani del fratello maggiore, che lo guarda indispettito. -Tu non fumi.- 
-Perché tu puoi vietarmelo ed io non posso vietarlo a te?- gli domanda con fare innocente.
-Perché tu hai quindici anni ed io ne ho diciannove. Non provate a farlo fumare, voi due- dice severo all'indirizzo di Anna e Gennaro.
Lui non aveva mai avuto il desiderio di fumare, almeno fino ai quattordici anni. Poi aveva provato una volta ed aveva smesso. Giunto al liceo, però, ha iniziato questo suo vizio che lo accompagna ancora oggi, a distanza di ben quattro anni. Non fuma molto, a dire la verità, una o due sigarette al giorno. Spesso fuma soltanto durante la ricreazione, smezzandosi una sigaretta o un drummino con Elisa o Alex o Carlo. 
Non vuole il fratellino prenda questo vizio, è davvero male per la salute e lui lo sa. Sa anche, tuttavia, che l'altro non ne farebbe mai una cattiva abitudine, anzi; più probabilmente inizierebbe  tossire per almeno cinque minuti, senza aspirare nulla neppure la prima volta.
Dato che non ci tiene particolarmente, Feliciano rinuncia subito.
Non tornano a casa prima delle sei ed il giorno successivo lo passano a dormire. 
Il più piccolo dorme sino alle tre del pomeriggio, il maggiore fino alle cinque. 
Nessuno dei due vuole pranzare, ma alla cena non rinunciano. 
Il quindicenne racconta tutto ai genitori, una volta seduti a tavola insieme, mentre l'altro rimane in silenzio come al suo solito.
-E tu che ci dici?- chiede Raffaele, addentando un grosso pezzo di patata dal piatto. Ci ripensa fissandolo, lo taglia in due, portandone una parte alle labbra. 
-Quello che ha detto lui, no? Eravamo insieme- borbotta lui, con tono forse non troppo gentile.
Il motivo di tanto nervosismo è legato al fatto che il loro soggiorno a Napoli è praticamente finito. Torneranno a Padova, in Veneto, il 3 Gennaio e lui dovrà continuare a studiare ed andare a scuola, salutando di nuovo per chissà quanto Gennaro ed Anna, ma anche Nello e Nico (i genitori hanno passato quest'ultima festa con loro e gli zii dei ragazzi.)
Con un sospiro, guarda distrattamente il tatuaggio al braccio, coperto un poco dalla felpa rossa che porta addosso. Gli occhi verdi si riflettono in quel significato profondo, perdendosi in esso, tanto che smette di mangiare. 
-Roma, ti ho fatto una domanda- ribatte il padre.
-Eh?- 
-Vedi? Non ascolti mai! Sei sempre il solito menefreghista!- lo rimprovera. E poi continua: -Sarebbe carino da parte tua ascoltare ogni tanto quello che ti viene detto, lo facciamo per te. Testardo, cocciuto!- 
Ma il ragazzo ancora una volta non gli da retta, immerso nei suoi pensieri. 
-E noi che abbiamo fatto tutto questo per lui...- sospira l'uomo, iniziando a sparecchiare. -Devi mangiare o no?- 
-Non ho fame- ribatte il ragazzo. 
Stranamente, entrambi i figli s'addormantano velocemente, sebbene si siano alzati a pomeriggio inoltrato. 
E la notte non passa troppo tranquilla. 
 




 
Ma tranquilli passano i giorni seguenti, solo qualche sporadica uscita, più che altro rimangono a casa con i cugini, i quali, quella sera portano un film da guardare tutti insieme.
Aspettano faccia buio, così s'intrattengono fino alle venti e trenta, cenano con patatine fritte e della carne, dopodiché si dispongono comodamente sul divano, davanti ad un televisione piuttosto grande. 
Cacciano i genitori, perché non vogliono distrazioni. 
-Ragazzi, ma...- prova a dire la povera donna, ma il più grande dei suoi figli: -Buonanotte- dice in tono che non ammette repliche. E lei, sbuffando, va via, trascinandosi il marito in camera da letto. 
Hanno delle patatine e dei salatini in due ciotole e i piedi dei tre maschietti sono posti sul tavolino. La ragazza invece ha le gambe incrociate, tra di essere ha un cuscino. Tutti e quattro i telefoni cellulari sono posti lontano, nessuno deve distrarsi. E' un film horror ed occorre la massima attenzione! 
Così hanno chiuso porte e finestre per creare la giusta atmosfera, naturalmente anche la luce è spenta ed il buio è sovrano di tutta la casa. 
La musica di sottofondo è assai inquietante e non promette nulla di buono. Feliciano si accoccola al fratello. La notte prima non è riuscito a chiudere occhio ed un buon film lo distrarrà dai suoi incubi ormai vecchi di sette anni. E' la prima notte, ad ogni modo, che non riesce a dormire da quando sono a Napoli. 
-Lingua originale coi sottotitoli o in italiano?- domanda Annie, prendendo il telecomando del porta dvd. Optano per italiano, perché Gennaro è un po' lento a leggere i sottotitoli e non vuole perdersi nemmeno una parte del film. Felì ha gli occhi stanchi e non vuole applicarsi molto alle scritte. 
Passata la musica di sottofondo, si sentono dei gemiti affannati ed una donna ansimare. 
Il quindicenne stringe la mano del fratello, il capo contro la sua spalle, il viso però tranquillo. 
Mentre la ragazza è distesa a letto col suo fidanzato, la porta alle loro spalle si chiude delicatamente. La telecamera inquadra dopo la loro villetta immersa nelle tenebre, cerchiata da folta vegetazione, e nessuna musica adesso corona quella scena. L'unico suono, l'urlo della ragazza. 
Ora, i titoli di testa. 
-Tranquillo?- sussurra Romie al fratello, il quale annuisce con un piccolo sorriso. Mangia qualche patatina.
-Skippiamo i titoli?- mugugna poi, addentando l'ennesima. -Durano una vita e mezza.- 
Gennaro lo zittisce. -Shh! Rovini l'atmosfera.-
Così, silenziosi, continuano a vedere il film. 
E' ben fatto e li fa spaventare almeno un po'. I due ragazzi più grandi, sussultano solo una o due volte, la ragazza ed il ragazzino più di un paio. Almeno cinque a testa. 
Rimangono a guardarlo  per due ore, quando termina si stiracchiano. 
-Che ore sono?- domanda Felì. 
-Le undici e due- risponde la cugina. Sono rimasti solo loro sul divano, così lei s'avvicina e lo abbraccia forte, coccolandolo un po', 
-Ne guardiamo un altro?- propone il diciannovenne. -Tanto è presto.-
-Domani mattina ci dobbiamo svegliare presto. Abbia l'aereo tipo alle due...-  gli ricorda il fratellino. 
Ma non vogliono andarsene da lì e dunque vogliono che il momento di fare la valige arrivi il più tardi possibile. 
Quindi guardando un altro film, sempre uscito dallo zainetto della ragazza, che però è drammatico e non horror. 
-Anna...- la chiama Romano in tono eloquente.
Lei scuote la testa, lui annuisce e con due gesti hanno fatto un dialogo. Lei inserisce il dvd, sono di nuovo tutti e quattro sul divano, messi più o meno nella stessa posizione. 
Si sentono di nuovo rumori sospetti e tutti e quattro si mettono a ridere per la coincidenza. 
Però stavolta non sono un uomo e una donna.
C'è un uomo chino su un bambino di circa undici anni, il volto rigato dalle lacrime, gli occhioni scuri spaventati -nessuno nota quanto siano bravi i due attori, però. 
Felì sbianca, per un momento non riesce a staccare gli occhi dallo schermo, poi però affonda il volto nel petto del fratello, stringendo forte gli occhi. 
-Hei, va tutto bene, capito?- gli dice lui, appoggiando con fare protettivo una mano tra i suoi capelli scuri, carezzandoli un poco, senza scomporsi più di tanto. Deve fargli capire che è solo un film e se si spaventasse pure lui, non concluderebbero nulla, anzi Feliciano tremerebbe di più.
Anna intanto sta sprofondando nei sensi di colpa. Balbetta delle scuse: -F-felì, non mi ricordavo ci fosse questa scena, scusami...- 
Romano la fulmina con un'occhiata, torna però ben presto a dare attenzioni al fratello. -Non pensare nemmeno di piangere, intesi? E' solo un film- gli spiega, scostandosi un poco per incontrare il suo viso. -Intesi?- ribadisce prendendogli il volto con una mano. 
Feliciano annuisce abbassando lo sguardo, trattenendo qualche lacrima. 
-Togli subito 'sta merda di film- ordine protettivo il dicinovenne. Gennaro invece resta in silenzio. 
-Felì, davvero, non volevo...- continua la diciassettenne. 
-N-non fa nulla- farfuglia il ragazzino. -Sto bene... sto bene.- 
Romano sospira appena e mangia una patatina. 
-Giochiamo a Monopoli?- esclama. 
Feliciano si mette a ridacchiare per l'assurdità di quella proposta, anche perché sa bene quanto il fratello detesti quel gioco. Si mettono però a giocare per davvero ed in poco riprendono tutti il sorriso, per primo il quindicenne stesso.
Forse è un po' lunatico, ma passa velocemente dalle lacrima alle risa. 
E questa è la sua salvezza, perché sta imparando -lui ed il fratello stanno imparando- a vivere solo ora.



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Capitolo 23
*** La perfezione non è in me. ***


[Mi raccomando alle recensioni
Mi servono soprattutto stavolta, perché ho una domanda da fare: Vi danno fastidio le immagini? Sono troppe? Diteeemi! <3]





Tornare a Padova è sempre una specie di trauma per tutti loro. 
Si sono salutati all'aeroporto con Gennaro, Anna ed i loro genitori, mentre gli altri familiari li hanno salutati il giorno prima, nel pomeriggio. 
Nonno Roma rimarrà a Napoli ancora per un po', ha detto di dover controllare delle cose lì. E' come una presenza: si sposta di città in città ma rimane comunque vicino a tutti, tenendosi in contatto con la famglia per via telefonica. Nessuno sa cosa sia questa cosa che deve controllare e di certo nessuno sia aspetta abbia a che fare con la morte.
Il nonno si trova adesso al cimitero più bello della città, con lo sguardo chino su un'incisione. C'è ancora qualche raggio di sole nel cielo rossastro della sera, lui ha in mano una rosa dal colore arancione chiaro, tonalità quasi pastello.
Con un sorriso l'appoggia vicino la fotografia di una donna bellissima, che lui ha amato per quasi quarant'anni.
-Ciao, Emilia- la saluta. -Sai, i tuoi nipoti sono sempre più svegli... sono intelligenti, tutti quanti. Anche Nello, sì. Certo, il buon Dio c'ha un po', come dire?, voluto punire con questa sua malattia, però lui è sveglio, eh.  Suo fratello gli da fastidio, però gli vuole bene, ne sono certo. Così come Gennaro vuole bene ad Anna. Si è finalmente messo a lavorare seriamente... lei studia; ed è brava. Feliciano invece è cambiato moltissimo. E' molto più rilassato rispetto qualche anno fa, è felice e si vede dai suoi occhi. Ma quello che mi preoccupa di più è Romano.... Ah, Emilia cara, ne combina una dietro l'altra ed io non so più che fare. Nemmeno Rita e Raffaele lo sanno. E' da un po' che non ti aggiorno, eh? Sai, si è messo contro i fascisti. Ci pensi? Tutti gli insegnamenti che gli abbiamo dato da bambino, se li ricorda ancora. Ha difeso una ragazza, un gesto nobilissimo. Ed è finito in ospedale per lei, nemmeno la conosceva, pensa un po'. Lo hanno operato, è stato a riposo per quasi venti giorni, ora però è tornato a scuola. Dice di stare bene, ma secondo me non è così. E' un ragazzo forte e temo dimentichi i propri problemi dinnanzi quelli del fratello -e del mondo. Non dovrebbe farlo, ha solo diciannove anni, ha la sua vita da vivere, non deve spenderla per Feliciano. Si prende tutte le responsabilità! E' un così bravo ragazzo, sono fiero di lui. Vorrei solo stesse più attento... ma i rimproveri non li sente, se non sono i miei. Io non posso però stare sempre con loro. Io devo pur tornare qui a salutarti ogni tanto, ti pare? Sì, sì, lo so; devo pensare a loro in primis. Ma anche te mi manchi, oh! Ormai sono quasi sei anni che non ci sei più. Ti ho portato una rosa, hai visto?  Arancione, la tua preferita. Sarà meglio che vada, mo', si è fatto tardi. Ti amo tanto, Emilia cara. Ci vediamo tra qualche giorno.- 
Lo sguardo del vecchio s'è fatto più melanconico e lui non se n'è neppure accorto. 
Accarezza con due dita la foto della moglie, come se potesse toccar ancora i suoi capelli morbidi e belli, grigiastri e lunghi. Poi si volta e va via. 
Nota la lapide di un bambino, nella foto si vede ed è bellissimo. Come indicano le date incise su di essa, aveva soltanto due anni.
-Che Dio t'accolga in Paradiso- sussurra. 
 
 
 
 
 
 
Il quindicenne torna a casa con un'espressione nuova, quel giorno. 
Passata l'Epifania, sono tornati a scuola e hanno da poco ripreso il ritmo scolastico anche se fanno ancora un po' fatica. Comunque hanno a casa una serie di dolcetti e delizie diverse che li tira su di morale almeno un po'.
Gli occhi sono illuminato da una luce diverse ed il sorriso è decisamente più bello. 
Abbandona all'ingresso la borsa a tracolla nera, che continene ancora i suoi quaderni ed i suoi libri, il suo astuccio e la bottiglietta d'acqua, e si avvicina svelto al fratello, il quale è seduto sul divano a studiare per il giorno dopo.
-Romano, Romano, Romano!- lo chiama, accomodandosi vicino.
-Aspetta- gli dice l'altro. Finisce di fare l'ultimo rigo di traduzione dallo spagnolo all'italiano, dopodiché alza lo sguardo e lo punta sui suoi occhi. -Cosa c'è?-
D'un tratto le gote di Feliciano prendono una tonalità più rosea e lui abbassa lo sguardo, ancora felice. 
-Ecco... ci siamo baciati- gli dice, alzando di nuovo gli occhi.
-Cosa?- domanda d'istinto il maggiore. 
In una frazione di secondo però capisce, così mette da parte il libro, tenendo però il segno della pagina con la matita, e gli presta totale attenzione. -E che aspetti? Racconta, avanti.- 
-Dovevamo vederci oggi, dopo scuola, così finita l'ora di matematica...-
 
 
 
Appena suonata la campanella dell'istituto artistico, Felì lascia alla svelta la sua classe. Ha lo zaino, una borsa a tracolla, in spalla, ed è vestito meglio del solito. Ha dei jeans, una maglietta bianca ed un gilet nero sopra. Le scarpe e la cintura sono anch'esse nere, ma il giubbottino è bianco. Comunque non lo indossa. E' un po' agitato ed accaldato e non gli va proprio di metterlo. Così, a piedi, si muove svelto verso la fermata dell'autobus. E' almeno un anno che vede lì fermo quel ragazzo tedesco, un anno che lo scombussola dentro, quel tipo che ha scoperto solo di recente chiamarsi Ludwig. 
Un giorno, l'italiano ha borbottato qualcosa su quanto fosse in ritardo il treno e lui ha risposto, così hanno iniziato a parlare. Sono diventati amici, ma per quanto riguarda il quindicenne c'è qualcosa di più nel proprio cuore. 
Sono usciti solo un paio di volte e non sono mai stati sul punto di baciarsi; mai erano i loro visi così vicini. 
Arrivato alla fermata, lo vede lì. Gli sorride col solito suo sorriso dolcissimo e questo comporta una serie di reazioni diverse nel tedesco stesso, che non sa più cosa pensare di sè. L'altro è così bello, così dolce, ha quegl'occhio così teneri... lui non ha mai amato il contatto fisico, eppure quando Felì lo abbraccia non riesce a mandarlo via. 
Si avvicina a lui, senza sorridere, però con un'espressione palesemente rilassata. 
-Hallo... ehm, ciao- lo saluta, con tono forse un po' dolciastro.
L'altro ridacchia scoprendo appena i denti. -Hallo!- ricambia. -Andiamo? Ho un po' fame.-
Si mettono entrambi a camminare vicino, raccontandosi la propria giornata. E' una cosa che fanno tutti i giorni, mentre sono in autobus per tornare nelle rispettive case. Oramai l'uno conosce i compagni di classe dell'altro. E' strano: conoscono le loro mattinate, una per una, ma infondo dei loro dolori, delle loro delusioni, dei loro passati non sanno poi molto. Forse è perché ancora devono capire bene loro stessi. 
Ad ogni modo, prima di andare a mangiare, si siedono un momento in un parco vicino le loro scuole. E' un posto grazioso ed isolato. 
All'improvviso Felì si fa serio e lo guarda negli occhi. -Senti, Lud, devo dirti una cosa... non riesco più a tenermelo dentro.- Il cuore rischia di scoppiare nel suo petto. 
Il biondo annuisce e lo guarda a sua volta, incitandolo a continuare. Sistema lo zaino per terra e, seduto sulla panchina, si sistema meglio in modo da stare più comodo. Ha un ginocchio, il sinistro, coperto dai jeans, appoggiato alla panchina stessa, le mani in grembo. Ha una maglietta verde ed una camicia anch'esse a jeans, scarpe da tennis nere. 
-Io... Lud, tu mi piaci- farfuglia l'italiano arrossendo sulle guance. Vorrebbe tanto perdersi di nuovo in quegl'occhi, eppure qualcosa lo costringe a distogliere l'attenzione. Più probabilmente, questo qualcosa è la paura per la reazione dell'altro.
Ludwig spalanca un momento quegl'occhi belli ed azzurri che ha, poi però ragione per un istante."La ragione non serve, non adesso" pensa tra sé. Accenna un mezzo sorriso.
Appoggia la mano destra sulla sua guancia, per costringerlo a voltarsi ed appoggia le labbra alle sue. 
Ricambiato in modo dolcissimo il bacio, Feliciano non si sposta di un centimetro, ma gli chiede cosa succederà adesso. 
-Non lo so. Però anche tu mi piaci- risponde sincero l'altro. 
Il quindicenne appoggia la fronte alla sua, sorridendo. 
 
 


 
-Quindi ora state insieme?- domanda Romano. 
L'altro si accoccola tra le sue braccia, sorridendo. Poi ammette ridacchiando: - Non lo so, in questo momento non so neppure come mi chiamo.-
Il fratello accenna un sorriso e gli scompiglia i capelli. -Sono felice per te, idiota.-
Tuttavia, non è così contento per lui. Non è invidioso -lui può avere chi vuole quando vuole, più o meno.  
Quel tipo, quel tedesco, non lo convince poi tanto. E' che... lui è terribilmente geloso del fratellino, oltretutto nei suoi confronti è iperprotettivo. Ora che stanno insieme, lui e quell'altro, vuole vedere come vanno le cose. Se quel crucco  provasse a mettere le mani dove non deve, lui lo manderebbe in ospedale nel giro di tre minuti. Non deve inoltre permettersi di costringere Felì a fare nulla. Anche se è un adolescente, maschio per altro, non deve nemmeno pensare di andare oltre i baci con suo fratello. Non ora, almeno. 
Il suddetto fratello, va a fare la doccia, lui invece continua a studiare per tutta la sera. 
 
 
 
 
Superato il solito traffico della mattina successiva, Romie posteggia il motore davanti l'istituto classico, naturalmente in ritardo. 
Sbuffando, imprecando, bestemmiando, giunge finalmente in classe durante l'ora di italiano, e per fortuna l'insegnante non fa troppe storie. Ma per quanto ami quella materia, non ha voglia di seguire. Si siede subito, infatti, al suo posto accanto ad Elisa e le sussurra: -Ho da farti vedere una cosa. Dammi il tuo telefono.-
Lei riluttante gli mette in mano l'IPhone bianco con mille e più raccomandazioni, ché lo sa che lui con quei telefoni fa solo casini; è negato e per altro li detesta. La tecnologia gli è avversa, solitamente. Fatto ciò, la ragazza riprende a togliere svogliata le doppie punte dai capelli lunghi e lisci.
Lui, impiega almeno dieci minuti ad entare su facebook e trovare ciò che cerca, ovvero il profilo di un ragazzino biondo con gli occhi azzurri e dalle origini germaniche. Glielo mostra.
-E' carino, però è piccolo. Chi è?- chiede lei, coprende uno sbadiglio con la mano.  
-Il ragazzo di mio fratello- risponde l'altro, tirando fuori il libro e appoggiandolo al banco. 
-....Cosa?- 
-Il ragazzo di mio fratello- ripete Roma.
-E da quando è gay, tuo fratello?- 
Lei è piuttosto confusa, però capisce di dover abbassare il tono della voce.
Non ha problemi nei confronti degli omosessuali e di certo non ha problemi per Felì, è un bravo ragazzo e lo ha visto crescere. Sa però che non tutti la pensano a questo modo e non vuole che inizino ad insultarlo, anche perché Romie reagirebbe, e conoscendolo, reagirebbe malissimo. Non vuole si faccia male di nuovo. 
-Non lo so. E' un po' che ha dubbi... Ha pianto tra le mie braccia perché non sapeva che fare almeno due volte. Poi ha conosciuto questo tizio... dice che è dolce, che è bello, che è un bravo ragazzo-le spiega il migliore dei suoi amici. 
-Che è bello si vede- conferma Eli. 
-Non m'interessa. Mi basta che non tocchi mio fratello se a lui non va. Poi può fare il cazzo che gli pare-  
-Sarai mica geloso?- gli chiede ridendo. 
-Non sono geloso. E' mio fratello e deve fare quello che si sente di fare.-
Le ore continuano a passare e passano lente. 
I ragazzi della IVE sono appena rientrati dalla ricreazione e c'è ancora molto confusione tra le classi sprovviste di docenti che mantengano l'ordine. Neanche da loro il prof di spagnolo è giunto, così sono da soli. Una ragazza d'un tratto domanda: -Ma i viaggi d'istruzione, Roma? Ne sai nulla?-
Lui, essendo rappresentante d'istituto, dovrebbe saperne sicuramente in più rispetto a tutti gli altri. Alza lo sguardo dal cellulare e lo punta su di lei, chiedendole di ripetere, ché era sovrappensiero e non ha capito bene la domanda. 
Appresa la questione, risponde: -Al momento, io ed Alice non abbiamo ancora chiesto alla Preside. Non ci sembra il caso, abbiamo occupato da pochissimo. Facciamo tornare tutto completamente alla normalità e poi facciamo domanda, sperando che la preside accetti e non ci punisca per l'occupazione, il che è possibile.-
Salgono cori di protesta; s'inizia anche a fantasticare su un ipotetico viaggio. 
Elisa chiede a tutti chi può partire e chi no, giusto per iniziare a farsi un'idea.
-Se si parte, io non vengo- risponde sottovoce il migliore amico. Al momento vuole parlarne solo con lei. 
-Perché?-
-Perché forse parte mio fratello. E dato che tutti e due non possiamo, lascio andare lui, dato che non s'è mai mosso con la scuola.-
La ragazza gli molla uno scappellotto. -Coglione- esclama. -Pensa un po' a te stesso e lascia fare ai tuoi genitori.-
-Beh, poi si vedrà- borbotta.
La ragazza inclina il viso un po' di lato e s'appoggia alla mano, il gomito sul banco. "Smettila di essere così perfetto. Mi dai sui nervi" pensa tra sé guardandolo.
-Che c'è?- chiede lui.
-Nulla...- sospira. -Nulla. 
 
 
 
 
 

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Capitolo 24
*** Un rivoluzionario può innamorarsi? ***


Miriam non è esattamente il genere di ragazza sulla quale i maschietti sbavano. 
E' carina, ma non è bella. Non è troppo alta, né troppo grassa. Non da mai troppo peso all'abbigliamento, si veste male, ed è stonata e fin troppo timida. Di certo, però, è dolce ed intelligente. 
Quella mattina il sole gioca con le nuvole a nascondino ed il vento prova ad acchiapparlo, infatti s'ininua ovunque pur di trovarlo; nelle strade, dalle finestre e dalle porte lasciate aperte, nelle gonne delle ragazze o fin dentro le sciarpe. Ma il sole quel giorno non vuol farsi trovare.
E così, col cielo nuvoloso, i ragazzi si recano a scuola, e lei, la ragazzina ebrea, è appena giunta davanti l'Istituto Classico. Fa quello che fa tutte le mattine, ovvero cercare con lo sguardo quegl'occhi verdi così belli di cui si è innamorata. Li trova, poco dopo. 
Sono l'uno davanti l'altra.
-'Giorno, Miri- la saluta svogliato Romano. 
Ha qualcosa di strano oggi, e lei, attenta, lo nota subito. Forse è proprio lo sguardo. E' un po' più triste, più stanco, e cerchiato da occhiaie. Lo vede sbadigliare e passarsi una mano tra i capelli, mettendoli poi in ordine con la stessa. 
-B-Buondì!- esclama. 
Finalmente ha imparato a non arrossire ogni volta che lui le rivolge la parola -e le pare quasi un miracolo. Non può però star zitta dinnanzi quello sguardo. -Ma... è successo qualcosa?- azzarda.
Lui scuote appena la testa, una smorfia gli deforma il bel volto. 
Si sente d'un tratto scompigliare i capelli da dietro, così distoglie l'attenzione da lei, e la porta su un altro paio di occhi, scuri, e bellissimi. Questa ragazza, Elisa, gli bacia una guancia in cenno di saluto, veloce, ed entra, continuando a conversare con le altre compagne. Anche lei ha notato lo sguardo e, beh, è naturale, lo conosce da molto più tempo, gli bastano dieci secondi per individuare un problema in lui. La cuffietta nera scivola dal suo orecchio sinistro, con lo sguardo sulla ragazza alla propria destra, la rimette apposto ed annuisce. 
Romie la guarda allontanarsi. Quasi si dimentica di Miriam. 
-Eh? Ah, no, figurati- le dice, e facendo un cenno di saluto svelto, si congeda da lei. 
La ragazzina sospira lievemente dopo averlo salutato con un sorriso. 
"Perché accidenti sta sempre dietro quella? Ok, sono amici... ma..." 
E' così gelosa di ogni ragazza s'avvicini a lui! Vorrebbe essere la sola. 
Ad ogni modo, giunge in classe e così anche Roma. 
Lui abbandona lo zaino sul banco e si siede con fare sconfortato, appogiando la fronte alla superfice liscia del banco, le mani in grambo. 
La sua migliore amica, entra un classe un po' dopo, sebbene sia entrata nell'istituto con qualche minuto di anticipo. Gli si avvicina e, appoggiando lo zaino per terra, gli carezza i capelli scuri. 
-Stronzo, che hai?- gli domanda. 
Il ragazzo quelle coccole se le prende tutte, poi raddrizza la schiena e passa un dito sotto l'occhio. -Sono stanco...- mugugna. -Non ho dormito niente...- 
Si stiracchia un po' e sbadiglia. 
-E perché?- chiede lei, tirando fuori il libro della prima ora. 
-Non so, non riuscivo a chiudere occhio. Troppi pensieri.- 
Eli fa un gesto alquanto scettico con la mano e gli lancia un'occhiata alquanto perplessa. Eppure non vuole sminuire il suo dolore, ma soltanto sdrammatizzare un po'. Gli da quindi una botta sul braccio. -Dai, che a ricreazione fumiamo. Ho le sigarette, le ho fottute a mio fratello.- 
Romie annuisce ed inizia a seguire disinteressato la lezione. 
Per fortuna le prime tre ore passano senza interrogazioni che pesano su di lui -o sull'amica, perché infondo quando è interrogata lei, si sente interrogato anche lui, e viceversa. Bisogna aiutarsi, no? 
Giunge così la ricreazione. 
I due vanno quindi a fumare nella scala antincendio seduti sui gradini di questa, in piedi, di fronte, Alex e Carlo. Ridacchiano un po' e svagano le loro menti, parlando un po' di scuola un po' di altro. 
Il biondino d'un tratto dice: -Roma, andiamo a farci un giro con gli skate?- 
-Non lo so, Karl. Non tocco uno skate da un bordello. Non so neanche che fine mia madre abbia fatto fare al mio- borbotta leggermente imbronciato. Avvicina la sigaretta alle labbra per poi buttar fuori una nuvoletta di fumo bianco. Si lascia subito dopo convincere dall'amico, anche il ragazzo coi capelli neri s'unisce a loro. Non Elisa, lei abita fuori città e le scoccia un po' prendere il treno pure di pomeriggio. Nessuno dei tre insiste più di tanto, è una battaglia persa in partenza. 
Così, terminate le ore scolastiche, vanno tutti a casa per il pranzo. 
E verso le quattro, s'incontrano di nuovo, al parchetto in cui il diciannovenne è solito andare con la migliore amica. 
Alex non ha lo skate, ma ha un blocco da disegno. Ha intenzione di fare una bozza su di esso, riguardante il disegno che farà ben presto in camera sua, su una parete. I suoi genitori non sono mai a casa e a riguardo hanno solo detto "l'importante è che non sporchi nulla. La camera è tua e la decisione anche." 
Così lui, drummino tra le labbra, seduto scomposto su una panchina, inizia a disegnare.
Carlo e Romano hanno gli skate sotto i piedi. 
-Ohi, Alex!- lo chiama il secondo. -Senti un po', ma non potresti farmi un disegno sullo skate?- 
-Non lo so, cazzo, ci penso.- 
Così, il ragazzo, che ha lo skate tutto nero, inizia a camminare un po'. Deve riprenderci la mano, però si mantiene in equilibrio. 
Il biondino intanto, sistemandosi il capellino scuro sulla nuca, si pizzica appena la base del naso con l'indice ed il pollice e segue. 
-Karl, sto pensando, mo' tu c'hai gli esami- gli dice Romie dopo un po', salendo su un marciapiede. 
-Eh... Eh, lo so. Già le mie compagne sono in piena crisi isterica e siamo a Gennaio, cazzo. Oggi ne abbiamo... quanti? Ventidue?-  scuote la testa con dare sconzolato, lui, buttando via la cicca della sigaretta. 
-Eh, ventidue. Oh, sai che succede tra cinque giorni?- 
-No, cosa?- domanda, perplesso.
-Ventisette Gennaio ti dice niente?-
-Ah! Vero! E che si fa? Ci sono manifestazioni? Se sì, andiamo.-
Il ragazzo -entrambi i ragazzi- andrebbero volentieri a qualsiasi sorta di manifestazione, purché fatta per una giusta causa, e come non partecipare a quella del 27 Gennaio, in ricordo della Shoah? E' un argomento che interessa tutti quanti. Tra l'altro quest'anno giunge persino di domenica, giornata perfetta. 
Rita si dirà sicuramente in disaccordo con questa decisione, ma poco improta, perché sa bene che il figlio continuerà sempre a fare di testa sua. Dopotutto, ha deposto le armi in segno di resa. E comunque non sarà troppo pericoloso, non dovrebbe esserci nessun corteo, non sarà neppure faticoso. 
I due quindi continunano a scherzare un po' sugli skate e ricordare le passate manifestazioni ed occupazioni ed Alex, privo dell'aspirazione per la sua stanza, fa invece un disegno che li vede come protagonisti, sempre fumando. 
Goffo per com'è -tutta colpa della Corèa Reumatica, però- Romano cade col sedere per terra, d'un tratto. Afferra la mano che Carlo gli porge e si rialza, rimettendosi sullo skate. 
L'amico gli propone: -..Ci facciamo una canna? Tanto per provare.-
-Ma che idee ti vengono, dal nulla?- dice l'altro, corrugando la fronte. -Io vorrei tenermi i miei neuroni.- 
-Dai, solo una volta. Non ti fa mica niente!- ribatte il primo. 
Ma lui, testardo: -No, Karl. Ma poi, Elisa mi uccide.- 
-E chi cazzo è Elisa, scusa? Mica è la tua ragazza. Né te la sei mai fatto. Romano, tu con quella ragazza stai perdendo la testa- gli fa notare. 
Gli lancia un'occhiata, a volte loro con i soli sguardi fanno intere conversazioni, e ora quegl'occhi scuri vogliono dire molte cose. 
Roma però non vi da troppo peso, anzi, s'arrabbia pure un po'. -Ma che cazzo dici? E' la mia migliore amica, solo questo.- 
-Ti pare che non l'ho capito, come la guardi? Andiami, non sono coglione. Ok, forse un po'. Ma lo conosco quello sguardo e tu lo hai rivolto a pochissime persone. E le dai troppa importanza. "Elisa non vuole, non posso uscire" "Ho litigato con Elisa" "Io ed Elisa abbiamo fatto questo"- mormora facendogli il verso, finendo poi col ridere. 
L'amico gli da una botta sul braccio. -'Fanculo! Questo perché ti racconto le cose. E non ho mai detto che non volessi uscire per colpa sua. Mai. Io faccio quello che voglio!-
-Allora ce la facciamo una canna? Dai. Lo so che ti convinco. Una sola. Per prova!-
-Ci penserò.- 
Dubbioso a riguardo, continua ad andare in giro con lo skate, per un po' immerso nei suoi pensieri.
 
 
 
Feliciano non potrebbe dormire meglio, la sera, e così non fa più brutti sogni. 
Certo, ha ripreso, dopo la pausa natalizia, ad andare dallo psicologo, però si sente decisamente meglio. Sarà l'atmosfera più rilassata che si respira a casa, sarà l'amore...
Sta col tedesco da quasi due settimane oramai. 
Ha fatto uno di quei suoi disegni bellissimi e lo ha firmato aggiungendo la data del loro primo bacio. 12/01/2013. 
Ha deciso che farà un disegno per quei momenti così importanti. Ad esempio, in questo, ci sono proprio loro due che si baciano. Lo farà vedere sicuramente anche al biondo, prima o poi. Più prima, che poi, perché si vedono davvero spesso e lui non resiste più: vorrebbe dirlo ai suoi, ma ha paura. Ancora non hanno deciso come dirlo ai rispettivi parenti e non vogliono pensarci più di tanto.
Anche quel giorno sono mano nella mano, tutti e due, in giro per Padova. 
Non si scambiano molti baci, sono entrambi riservati a riguardo e davanti a tutti s'imbarazzano non poco. Solo rari baci casti, a stampo, di tanto in tanto.
Felì non si è ancora sentito pronto per dirgli cosa gli è capitato nell'infanzia e Ludwig, naturalmente, non può sospettare nulla. Il ragazzino spera solo lui non voglia andare oltre, neanche da soli, perché non se la sentirebbe adesso. 
Quando non sono sotto gli occhi di tutti, si danno anche qualche bacio più intenso e se ne stanno abbracciati, e nessuno dei due pensa -ancora- al sesso.
Adesso sono nei pressi di una piccola pizza graziosa, un po' isolata e non c'è molta gente. La presa delle loro mani, unita, oscilla un poco avanti ed un poco indietro. 
-Se dovrei...- inizia il biondo.
-Se dovessi- lo corregge l'altro.
Lui annuisce. -Ja, scusa. Se dovessi scegliere come dirlo a mio padre, credo scriverei una lettera. Non sono mai stato bravo con le parole...- 
Prende posto su una panchina, osservando l'acqua zampillare da una fontana. Incrocia per bene le dita alle sue, pensieroso. 
E Feliciano si si siede vicino a lui, annuendo. Appoggia la nuca sulla sua spalla, è un poco più basso dell'altro. -Forse è la cosa più giusta... ma aspettiamo un po'.-
-Warum?- 
-Perché adesso non me la sento. Aspettiamo un po', per favore.- 
Il biondo accenna col capo una risposta positiva, si china un po' su di lui e prendendogli il volto con una mano lascia sulle sue labbra un dolce bacio.



 
 
Romano era quasi certo, conoscendo il fratellino, che avesse già cambiato su facebook la propria situazione sentimentale passando a "Single" a "Fidanzato Ufficialmente" con Ludwig Beilschmidt. Eppure!, non lo ha fatto. E' semplicemente "Impegnato" ma non ha specificato con chi. Non vuole gli altri lo vengano a sapere, non è ancora pronto per dire a tutti: "Hei, ragazzi, io sono gay!" e ha bisogno dei suoi tempi. 
Oltretutto, non vuole che Anna e Gennaro facciano domande, ottengano risposte e riferiscano ai loro zii, ovvero Rita e Raffaele. Sarebbe un bel problema venirlo a sapere così. 
Proprio mentre sta sul social network, una mezz'oretta prima di cena, il diciannovenne viene contattato dalla cugina.
 
Chat.
 
Anna. "We! Ma tuo fratello con chi staaaa?"
Romano. "Chiedilo a lui, no?"
Anna. "Nn risponde"
Romano. "Beh, non è una cosa che devo dirti io."
Anna. "minchia roma dimmelo sono curiosa"
Romano. "No. E' una cosa sua."
Anna. "tu l hai vista?"
Romano. "Ma chi?"
Anna. "La ragazza di tuo frate"
Romano. "Ah, sta con una brava persona. Ora non fare domande." 
Anna. "....t odio"
Romano. "Piuttosto, scrivere in italian ti pare brutto?" "*italiano"
Anna. "k pall!! Vabbuo vd a cena! C sentiamo. <3"
Romano. "....Ci sentiamo."
 
Con una smorfia, si congeda anche lui. 
Ha trovato ultimamente delle foto davvero belle, ricercando su un motore di ricerca la parola "Revolution" e ora decide di metterle tutte quante in un album sul proprio profilo.
In molte di queste vi sono i manifestanti ed i poliziotti; i primi sono così calorosi! Gli altri freddi e impassibili. Il ragazzo sa che la polizia dopotutto fa solo il proprio lavoro, ma non dimentica quella volta, quattro anni prima, ed il dolore nella schiena che si è protratto per giorni. Ha fatto molto male. 
 
 






 
Dopo un po' di tempo passato tra una pagina e l'altra, gli arriva una notifica. 
Elisa lo ha taggato in un post, quindi ha qualcosa da fargli vedere. 
 
 
E' un'immagine di due mani unite, e sopra vi è una scritta in inglese.
"Please, stay."
La ragazza non ha sentito bisogno di aggiungere altro, ma entrambi, vedendo quella, hanno capito a che si riferisse. 
Accennato un sorriso, lui mette 'mi piace' e risponde. "Siempre." 
Gli si apre un'altra conversazione per chat. 
 
Chat. 
 
Elisa. "Il link è in inglese e tu mi rispondi in spagnolo? Ma che persona orribile sei?"
Romano. "Io odio l'inglese, troia."
Elisa. "Qualche giorno, per questi tuoi appellativi, ti arriverà un calcio tra le gambe."
Romano. "Ti ricordo che non sei meno maleducata di me, tu."
Elisa. "Stai zitto. Ho litigato con mio fratello. Si è arrabbiato per le sigaretta."
Romano. "Le sigaretta? Ahi ahi, cara Elisa, come scrivi male."
Elisa. "Suca." 
Romano. "Dai, scherzo. Andrea ti ha cazziata? Ha fatto bene. Ne hai prese due!"
Elisa. "E che palle, sempre a difendervi a vicenda, voi due! Stupidi comunisti."
Romano. "Stronza, non sono comunista."
Elisa. "Ti chiamo fascista? <3" 
Romano. ". . ."
 
Battibeccando ancora un poco, si mettono a discutere poi di mille altre cose. 
Possono dirsi tutto e non esitano a farlo. 
Con un sospiro, lui chiude la conversazione andando a cena e le da la buonanotte già alle venti e trenta di sera. 
Lei, dal canto suo, rimane lì fino alle nove, dopo mangia un boccone veloce ed assiste all'ennesima litigata dei suoi genitori. 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 25
*** E' una malattia o no? ***


In vita sua non si è mai preoccupato dei compiti scritti di storia. 
Quel giorno, quindi, è comunque tranquillo quando si alza la mattina e si prepara per andare a scuola. Il compito è stato fissato per la seconda ora, per cui non ha neppure troppa fretta. 
Indossa per una volta dei vestiti più sistemati, senza mettere felpe, però poi ricorda di avere educazione fisica quel giorno, così, con uno sbuffo si cambia, mettendo dei pantaloni da ginnastica. 
Uno dei lati positivi del ritorno da Napoli è stato proprio questo: ha potuto riprendere l'attività fisica. 
Non ha ancora rivisto i due fascisti, ma oramai è scontato che verranno bocciato col 5 in condotta -che, ad ogni modo, a lui pare pure poco. Non s'è informato più di tanto del processo penale al quale andranno incontro, se questo si terrà o no. Vuole solo non pensarci. 
Sale dunque sul motore, con lo zaino tenuto fermo più o meno dai piedi, e con un sorprendente anticipo arriva a destinazione. 
Elisa è terrorizzate per quel compito. 
Lei studia la storia, ma non ricorda mai né una data né i nomi degli Imperatori o delle battaglie; e la loro prof è molto puntigliosa a riguardo. 
Non fumano, stranamente, anche se lei ne avrebbe molto bisogno, ma rimangono un po' da soli perché i loro compagni non sono ancora arrivati. 
-Roooma...- mugugna lei affondando il viso nel suo petto. -Ho sonno.- 
-Anche io- ammette lui. -Per ora dormo poco.- 
Passati alcuni minuti, notano Carlo ed Alex dall'altra parte del marciapiede, gli stanno facendo cenno di avvicinarsi così i due attraversano e quasi vengono investiti da una macchina della polizia che va veloce con le sirene accese. 
-Capisco che i ragazzini siano in ritardo, ma per dignità non correte davanti le scuole, con le 'sto casino delle sirene, cazzo- sbotta il diciannovenne rivolgendo ai due sbirri una brutta occhiata. 
Uno di quei due agenti borbotta qualcosa, ma il ragazzo non l'ascolta, impegnato com'è a beccarsi i rimproveri della migliore amica.
A questi risponde: -Non ci posso fà niente. La polizia mi fa schifo.- 
-Roma- lo richiama Eli con tono esasperato. -Non fare di tutta l'erba un fascio.-
-So che c'è pure gente per bene, che ti pare? Ma l'80% è merda.- 
-Sì, va beh...- con un sospiro, la ragazza sistema la maglia grigia e fa un cenno all'ingresso. -Io entro, voi che fate?- volge la sua attenzione ai maschietti del gruppo. 
Le risponde il biondino, Carlo. -Noi rimaniamo ancora un po'.-
Anche senza aver consultato gli altri due, con uno sguardo, ha già capito che loro hanno appoggiato la sua proposta. 
-Alex, ma alla fine, hai fatto il disegno in camera tua?- chiede Romano. 
Lui scuote la testa. -Ci sto lavorando- gli spiega. 
Pochi minuti dopo, eccoli in classe, in tre aule differenti. 
E la prima ora passa alquanto tranquilla, ma a cinque minuti dalla fine, alla ragazza seduta alla destra del diciannovenne, inizia a venire il mal di pancia da ansia. 
Dice: -Non so un cazzo. Se ci prendo 3, è pure assai.- 
-Ma dai, idiota, ti aiuto io.-
Romano è un tipo sveglio e l'aiuta ogni volta che può. 
Tuttavia, appena l'insegnante entra in aula, è costretto ad andarsene via da quel banco.
-Vargas, tu alla cattedra, altrimenti prendono tutti quanti inspiegabilmente otto e nove.-
Lui, sbuffando appena, si alza e prende foglio e penna. -Prof, ma io mica suggerisco.-
Si sollevano varie risatine nell'aria, accompagnate da commenti sarcastici. 
Pur essendo seduto alla cattedra, riesce comunque ad aiutare qualcuno. Finisce per primo, come d'abitudine ormai, e consegnando il compito piegato a metà, appoggia i piedi sulla cattedra. 
D'un tratto qualcuno bussa alla porta. 
-Avanti- dice lui. Entra un bidello con dei fogli in mano. 
Romano li prende e li legge velocemente. -...Cazzo.-
-Vargas!- 
-E scusi, prof, mi è uscito spontaneo. C'è la riunione coi genitori.- 
Così molti ragazzi si distraggono per sapere giorno ed ora, ma lui ribatte: -Leggo io, quando finite ve lo dico. Fate il compito.- 
Con gli occhi verdi fissi sul foglio, fa una smorfia. -Firmo io, prof?- commenta.
L'insegnante gli scocca un'occhiata scocciata e firma la circolare, dopodiché l'uomo esce di là, augurando a tutti buon lavoro. 
Entra qualcun altro ed alcune ragazze sbuffano: si stanno distraendo. 
Ma questa volta non è per loro. E' Carlo a varcare la soglia. -Scusi, professoressa, Vargas può uscire un momento?- 
Il diciannovenne, seduto scomposto, si volta verso di lui mugugnando: -Non puoi fare a meno di me, vero, mi amor?- 
-Romà, manco ti rispondo.- 
La docente risponde: -Ma anche tre momenti, basta che non me lo riporti finché non suona, così si lavora un poco in santa pace.-
Il ragazzo esce con l'amico chiudendosi la porta alle spalle. 
In realtà non c'era un motivo preciso perché il moro dovesse uscire, semplicemente, Carlo in classe si annoiava troppo. 
Così si mettono a scherzare fino a quando, appunto, la campana non stabilisce la fine della lezione. Roma però a quel punto, oramai solo, incontra Roberto e scambia con lui due parole. 
Quando rientra in classe, vede una ragazza vicino Elisa, la quale sta asciugando con l'indice una lacrima.
-Hei?- domanda lui avvicinandosi. -Che c'è? E' andata male?- 
-No, Romie, non è questo... è che non c'è una cosa che vada bene per adesso.- 
Lei prende un fazzolettino dal pacchetto che ha dentro lo zaino ed asciuga il proprio pianto. 
Quel momento è interrotto da Silvia, la ragazza che detesta il rappresentante d'istituto -e di classe. 
Con la sua vocetta stridula ed odiosa, esclama: -Io vorrei sapere una cosa. Intanto, mi da fastidio che Romano parla tutto il tempo mentre facciamo i compiti in classe, è una cosa che fai sempre e mi son rotta, adesso!-
Lui non ha per niente voglia di litigare con lei adesso. Porta la mano sinistra tra i capelli della migliore amica e l'accarezza un po', detesta vederla piangere. E non sa che questo suo gesto, però, le fa più male di qualsiasi altra cosa. 
Eppure è brava a fingere e più di lanciarsi un'occhiata complice con la ragazza che la consolava prima, non fa null'altro. Lei si chiama Gloria.
Il ragazzo risponde in tono pacato: -Va bene, mi starò zitto.- 
-Eh, però vedi di toglierti quella smorfia dalla faccia, perché ho ragione io, hai capito?- 
-Ma che cazzo vuoi? Ti sto dando ragione, abbia la decenza di finire qua il discorso, no?- sbotta lui, sospirando poi pesantemente. 
-Vedi di moderare i termini con me, tu.- 
-Perché? Che mi rappresenti? Non sei nessuno. Dacci un taglio, non ho voglia di discutere.-
Ma lei insiste e lo fa ancora per dieci minuti abbondanti. 
Quindi, Elisa, nervosa, le risponde male.
-Silvia hai rotto il cazzo a tutta la classe. E -porca puttana!- stattene un po' zitta una volta tanto, ché non ti sopporta più nessuno. Romano non parla per dire cazzate, come fai te, ma per suggerisce. Cosa che tu non sai neppure che significhi, a quanto pare.-
Quella, sentendosi in difetto, balbetta qualcosa, poi li schernisce: -Certo, vedi farti difendere da una donna, ah, rivoluzionario?- 
-Esiste la parità di sessi- ribatte lui con fare tranquillo. Beve un po' d'acqua -naturalmente rubata dalla bottiglietta dell'amica, poi con lei e gli altri ragazzi scende in palestra.
Lì riprende il pallone in mano, finalmente, e gioca un po' a pallavolo. Sono tutti contenti di rivarlo in squadra e scherzano con lui con tranquillità, mentre tendono ad isolare Silvia, che ora è seduta su una panchina, composta, in silenzio.
Si è sicuramente andata a mettere in questa brutta situazione da sola, però è brutto stare da soli, senza nessuno che si avvicina. 
Solita monotonia per le altre ore, prive di avvenimenti importanti o degni di nota. Soliti compiti, solita storia.
La riunione coi genitori è datata il 2 Febbraio, dalle 15 alle 17 circa. 
Hanno tutti un po' il timore, ma soprattutto Romie...







 
Riprende conoscenza però non apre gli occhi. Sente qualcosa toccargli il viso e capisce solo dopo un momento: pioggia.
E' violenta; insistente. E gli fa male. 
Si passa una mano tra i capelli ed osservandola poi la scopre sporca di sangue. 
Si sente così debole...
Le forti luci blu dell'auto della polizia e dell'ambulanza lo accecano, così è costretto a chiudere gli occhi e stringerli. 
Si sente domandare se stia bene. Annuisce, credendoci poco. 
A dire la verità non ricorda molto. 
Non sa perché sia ferito. 
Sale aiutato dai paramedici dentro il loro mezzo e si sdraia sul lettino. Iniziano a toccarlo, delicatamente, per vedere dove ha male; ovunque.
-Puoi dirci cos'è successo?- gli chiede gentile una donna. Ha uno strano sorriso, come una cicatrice. Il suo sguardo è intenso...
-Nein, ich1... io non ricordo- spiega lui. Inizia a tossire. 
E' strano come, in una situazione simile, gli venga in mente il primo giorno di scuola in Italia.
Il primo giorno di liceo...
 
Il ragazzino dai tratti palesemente stranieri, cerca con lo sguardo la propria classe. 
Tra i fogli bianchi attaccati alle porte blu dell'istituto, trova quello sul quale v'è scritto "IB" e dunque entra. Siede a primo banco. Gli servirà essere così vicino la cattedra, ha ancora qualche difficoltà con la lingua, sebbene l'abbia parlare per tutta l'estate. Ma, a casa, si parla il tedesco. Le tradizioni non muoiono facilmente.
Una docente entra in aula, presentandosi come Maria Berga. Ha gli occhi piccoli e vicini tra loro, i capelli neri tenuti insieme in una piccola coda da un ferma capelli colorato. Fa ancora un po' caldo. Strano, è solo Settembre. Un'altra meraviglia di quel paese così bello, ma a lui straniero.
La donna sostiene di essere l'insegnante di tedesco e le labbra del biondo non possono che concedersi una specie di morfia, l'ombra di un sorriso. La sua lingua. 
Lei chiama l'appello. Lui è il primo. 
-Ludwig Beilschmidt... alzati pure in piedi. Da dove vieni, caro?- 
Il ragazzino, impacciato nei rapporti umani, s'alza e timidamente risponde, in italiano, ma con forte accento tedesco. Le mani gli sudano un po'. Il nervosismo. 
-Berlin...o.- 
La docente sorride affabile e gli domanda ancora: -Da quanto sei qui, a Padova?-
-Siamo... ci siamo trasferiti qui a Giugno.-
Sente un risolino alle sue spalle, così le sue guance si colorano di una lieve tonalità rossa; ma la sua pelle è quasi diafana, così quell'imbarazzo risulta evidente. 
Ridevano di lui? Del suo accento, del suo modo di vestire? I tedeschi non sono bravi in fatti di moda. Lui ha indossato dei pantaloncini ed una semplice maglietta con delle scarpe da tennis. Spera di non aver fatto una brutta figura il suo primo giorno. 
Maria Berga continua. -Io insegno tedesco, Ludwig. Immgino sarai il più bravo, nella mia materia, eh?- e le sue labbra si tirano ancor di più ad allargare il sorriso.
Lui annuisce, serio. -Lo spero- risponde, nella lingua madre.
Le presentazioni vanno avanti, con gli altri alunni della classe. 
 
lo ricorda bene quel giorno, fu abbastanza imbarazzante e dopo non andò subito meglio.
L'emozione di parlare una lingua difficile come l'italiano dinnanzi a chi la parla da quand'era in fasce, gli ha giocato brutti scherzi più di una volta.
I suoi compiti in classe di italiano non erano poi così eccellenti, ma la professoressa di lettere chiudeva un occhio, per lui. L'esposizione orale è sempre stata buona e lei voleva aiutarlo.
Ma Ludwig è un ragazzo testardo e non si accontenta della sufficienza; punta al massimo. Così, in quei tre anni, si è impegnato moltissimo e ha quasi ottenuto il massimo in tutte le materie praticamente da subito. 
Ha sempre amato molto la matematica e l'economia e ha sempre avuto i voti più alti. 
I compiti di tedesco, gli parevano un po' una presa in giro: così semplici, per lui!
 
Prima ora.
Verifica scritta. Materia: tedesco (grammatica.)
Ludwig entra in aula con pochi minuti di ritardo -strano, è sempre in orario. Tutta colpa di suo fratello che quella mattina ha insistito per accompagnarlo.
Si scusa con l'insegnante, la quale, chiedendo spiegazioni, si sente dare una risposta nella lingua che insegna: -Mi ha accompagnato mio fratello.-
Seduto come al solito a primo banco, prende il test in mano e vi scrive subito nome e cognome. Ludwig Beilschmit. Ha una bellissima grafia, così simile a quella ottocentesca. 
Scrive direttamente a penna le risposte, ricontrollandole per scrupolo di coscienza una volta soltanto. Così, sette minuti dopo, lo consegna.
-E allora, te lo devo pure correggere? Ti metterei dieci senza dare un'occhiata- risponde l'insegnante, osservando quel compito.
Il ragazzo si limita ad accennare solo un piccolo sorriso. 
Una ragazza agli ultimi banchi: -Prof, facciamo che mette dieci pure a me, senza guardarlo?- 
-A te metto due, senzaguardarlo.-
Ridono un po' tutti, il biondino compreso. 
-Senti, Ludwig, mi fai un favore?-
-Jawohl2- risponde lui, alzandosi e facendo un cenno positivo con la testa. Ha dei jeans scuri, una maglietta bianca ed una camicia alla bosciaiola bianca e blu, aperta. Al collo, ha la croce teutonica, un regalo di suo fratello -per loro significa molto. Prende alcuni fogli protocollo che gli consegna la donna e li porta, come da lei richiesto in presidenza. Quando torna, la professoressa gli porge il compito. E' immacolato, pulito. Solo un numero scritto in rosso. Dieci. 
-La prossima volta ti farò fare un tema. Così non c'è gusto.-
-Sehr gut3.- 
 
La luce gli da ancora fastidio agli occhi, ma adesso sono in ospedale e lui è disteso su un lettino. Qualcuno lo sta medicando. 
-Dobbiamo chiamare i tuoi genitori- gli dice il medico. 
Il tedesco non riesce a vedere cosa stia facendo sul suo ginocchio. 
-Mio padre sta lavorando...-
-E tua madre?- 
Trovando come risposta solo lo scostare l'attenzione da lui, il medico sospira lievemente. -C'è qualcuno che possiamo chiamare?-
-Mein Bruder ... ehm, mio fratello.-
-Come si chiama?-
-Gilbert. Gilbert Beilschmidt.-
Ne seguono pochi minuti di telefonata, l'albino si precipiterà subito dal fratellino, sebbene ora sia ad una festa. E' sera, ma all'ospedale c'è sempre molta confusione, naturalmente.
Lud sospira lievemente. 
Qualche momento dopo, ecco il maggiore.
-Ludwig! Wie geth's?! Mein Gott, aber4...- 
-Sto... sto bene, credo. Non lo so, non ricordo nulla.-
Il ragazzo con gli occhi cremisi gli carezza dolcemente i capelli, puntando lo sguardo sul suo. -Ludwig. Dimmi la verità.-
Lui non è capace di mentire e al fratello non sa disubbidire. Non ha mai saputo farlo con nessuno, e con lui è... è diverso. Non direbbe mai di no a Gilbert.
-Mi hanno picchiato.-
-Was5?!- 
-Ja, Bruder... ma non so chi. Non li ho visti bene in faccia. Mi hanno insultato... per via di Felì. Perché siamo diversi.-
Il ventunenne si passa una mano sul volto. 
Ha un po' paura degli ospedali, li ha visitati troppe volte quando la loro mamma, Klaudia, stava male. Ma adesso è al bene di Ludwig che deve pensare e lo farà, come ha sempre fatto.
 
Feliciano spalanca la porta; lo fa sussultare, però non gli interessa.
Singhiozzando, si avvicina a lui e gli tocca la spalla.
-Romano... Romano, ti prego, svegliati- lo supplica, tirando in su col nasino. Si asciuga svelto qualche lacrima, scuotendolo ancora. 
Il ragazzo si è addormentato nel tardo pomeriggio, adesso sono le sei circa, e avrebbe voluto dormire almeno un altro po'. Tuttavia, si mette seduto e lo guarda con le sopracciglia aggrottate, chiedendogli cosa stia succedendo ed il motivo di quelle lacrime.
-Ludwig è in ospedale... M-mi puoi accompagnare da lui? T-ti prego, è tardi e n-non so come arrivarci...- 
-In ospedale? Che è successo?- risponde l'altro.
Si passa una mano sul viso e si alza. Infila le scarpe da tennis e sistema i capelli scuri con una mano. Ascolta quel poco che sa il fratellino delle situazione mentre gli porge il casco ed esce di casa. Ha preso appena lo stretto indispensabile: chiavi di casa, portafogli, casco. Indossa il proprio e si mette alla guida dell'SH, partendo poi con i suoi solito modi spericolati, oggi più del solito. E giungono in ospedale. 
Mentre il più grande parcheggia -male- il motore, l'altro chiede informazioni alla reception ma non ottenendole chiama l'albino. 
Pochi minuti dopo, eccoli entrambi sulle scale del primo piano.
Il più piccolino dei due giunge in camera del biondo con gli occhi rossi e gonfi per il pianto, piangendo ancora. Gli si avvicina e gli butta le braccia al collo. Si è spaventato così tanto! 
Ludwig si è da poco svegliato, ancora un po' intontito, e ora lo sta abbracciando sussurrandogli di stare bene. 
Romano... lui non vorrebbe entrare, dopotutto si sentirebbe un intruso. Tuttavia, il quindicenne lo chiama e lui è costretto a salutare i due tedeschi. Fa un cenno al più piccolo, chiedendogli, palesemente svogliato, come stia; al più grande, ventun'anni circa, porge la mano, presentandosi.
-Magnificamente Gilbert Beilschmidt- risponde l'altro. 
Il diciannovenne lo fissa aggrottando la fronte ma lasciando cadere lì la questione. 
-Ludwig! Mi vuoi dire cos'è successo? Gilbert, non è grave, vero?- chiede Feliciano esasperato, perché il suo ragazzo non gli da alcuna risposta. E allora ci pensa il "cognato."
-Nein, nein, non è grave. Ha una frattura al polso sinistro, tagli und Prellungen... ehm, e lividi.- 
-Ma chi è stato?-
-Non li ha visti. Li hanno picchiati per...- 
Ma viene interrotto dal fratellino. -Rapina. Voleva rapinarmi.- 
Vuole proteggere Felì; non vuole debba avere paura di uscire di casa. Gli carezza una guancia guardandolo, con un piccolo sospiro. 
I due fratelli maggiori escono dalla stanza, lasciandoli un momento da soli.
-Hai detto "Romano", giusto?-
-Mh.-
-Stai attento.-
Il rivoluzionario, appoggiato alla parete bianca dell'ospedale, si volta verso di lui con un'espressione dubbiosa. -Come?-
-Stai attento- ripete quello. -Oggi è capitato a mio fratello, ma domani potrebbe capitare al tuo. Non è stata rapita, ma...-
-Omofobia. L'avevo dedotto- risponde lui. 
Ci sono alcuni striscioni in ospedale, contro i vari tipi di violenza. 
Violenza sulle donne, sui bambini, manifesti sull'aborto, sui contraccettivi, e poi, ce n'è uno, che attira subito la sua attenzione.
"E se fosse tuo fratello? L'omofobia è una malattia: combattila." 



 
Romano sospira lievemente. 
Una figura elegante in giacca e cravatta costringe la stretta di mano tra i due ragazzini a sciogliersi svelta. Si guardano negli occhi e Felì si alza dal letto del biondo. 
-Vati6...- 
-Mein Kind7! Come ti senti? Tuo fratello, qua fuori, mi ha detto tutto... Mi dispiace se arrivo solo adesso, ma Gilbert mi ha contattato solo qualche momento fa. Ero in riunione...- 
Con un sospiro, gli lancia un'occhiata apprensiva.
Quand'è in riunione, di solito, spegne il cellulare, per cui non aveva risposto alle numerose chiamate del figlio maggiore. Ma quando è riuscito a parlargli, si è precipitato subito in ospedale.
-Non importa, sto bene- risponde pacato il biondo. Lancia un'occhiata a Felì. 
L'uomo si scusa col ragazzino e si affretta a presentarsi. -Sono Malcolm Beilschmidt, il padre di Ludwig.- 
Ma ecco che il cellulare d'azienda suona ancora e lui, con un sospiro, mette la modalità silenziosa.
-Rispondi, Vati, è lavoro...- 
-Nein. Mio figlio è più importante. Richiameranno più tardi- risponde lui. Si allontana un momento per parlare col medico, così Felì gli lascia un bacio sulla guancia. 
-E' meglio che vada, hai bisogno di riposo. Ma tornerò domani, te lo prometto. Tu, però, non farmi preoccupare, intesi?- gli sussurra sorridendogli in modo molto dolce. 
Così si congeda da lui e ritorna a casa col fratello, rimanendo ad ogni modo molto preoccupato per la sua salute. 
Romano prepara da mangiare quasi subito, perché è molto affamato, poi con fare annoiato mette i piatti di pasta in tavola, senza nemmeno apparecchiare. Sono da soli, infondo, possono anche cenare più scomposti, per questa volta. 
Ovviamente, arrivata la sera, il diciannovenne si mette a letto e, cosa ancora più ovvia, chiama Elisa. Oramai non vanno a letto se prima non si sentono un po', per chiamata, chat o messaggi. Le spiega un po' la vicenda, facendo in modo che il fratellino non senta. Lui deve essersi addormentato esausto nel suo lettino. 
-Che bastardi...- commenta la ragazza con una smorfia. 
Anche lei è seduta nel letto, come il migliore amico, che però è disteso e distratto si rigira una ciocca di capelli tra le dita.
Lei chiude la porta della propria camera perché sente le urla dei suoi genitori dalla cucina.
-Senti... domani usciamo, stronzo?-
-Sì, troia. Lascio mio fratello in ospedale ed usciamo, promesso. Ah! Ma domani è il 27! C'è manifestazione!- si ricorda ed i suoi occhi subito brillano di una luce diversa.
Lei sbuffa. -C'andiamo, c'andiamo. E poi facciamo un giro, d'accordo?-
-D'accordissimo. Hei, Eli?-
-Sì?-
Lui sospira pesantemente. -No, nulla.- 
Chiusa la chiamata, s'addormentano pensierosi tutti i ragazzi: Romano, Elisa, Gilbert, Feliciano, Ludwig. 






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Note. 

1. Nein, ich... = No, io... 
2. Jawohl = Sì. (inteso come: sissignore!) 
3. Sehr gut. = Molto bene. 
4. Wie geth's?! Mein Gott, aber...= Come stai?! Dio mio, ma... 
5. Was?! = Cosa?! 
6. Vati = Diminutivo di "Vater", padre. Sta per "Papà."
7. Mein kind! = Bambino mio! 

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Capitolo 26
*** Nessuna malattia, nessun timore. ***


Per fortuna, è domenica. 
Lui però si sveglia ugualmente presto. Nel silenzio generale della casa si muove pigramente verso il bagno, infila i jeans, una maglietta bianca ed una felpa nera, prende le sue cose, sistemate la sera prima sulla scrivania ed esce di casa.  L'appuntamento è alle otto. 
Non capisce ancora perché debbano vedersi così presto, ma quando incontra gli altri sono tutti pronti per fare colazione. Li saluta in generale, sbadigliando subito dopo. 
-Che cazzo di sonno che c'ho...- si lamenta con una smorfia. 
Al bar ordina un cornetto ed un caffé amaro, gli piace sentire i saperi forti,  infatti ama molto i cibi piccanti. E' piuttosto silenzioso per i primi minuti, dopo inizia a parlare entrando nel vivo della giornata. 
-Ragazzi, ho l'onore di presentarvi mia  figlia- esclama d'un tratto Alex. 
Tira fuori dallo zaino il blocco da disegno e mostra loro la sua ultima opera d'arte, terminata la sera prima, anzi, la notte prima: non è andato a letto finché non si è detto soddisfatto. 
Il disegno è molto bello, realizzarlo in camera però non sarà semplice.
-Se ci hai messo tanto per farlo su carta, quanto ci metterai per farlo sulla parete?- gli domanda Carla, sbadigliando a sua volta. 
-Che c'entra? Questa era la bozza. Dovevo capire cosa dovessi disegnarci sopra, come accostare i colori- spiega, con una smorfia. 
Il bozzetto infatti è molto colorato. C'è disegnato un leone, in modo un po' particolare, un po' fiabesco. I contorni sono neri. La bestia è verde e blu e le fiamme attorno un'altra tonalità di blu, più scuro, con le punte giallo paglierino. L'animale è alla destra del foglio, in basso, le fiamme arrivano invece sino all'angolo in alto a sinistra. Ma hanno una grazioso gioco di colori e movimento. Inoltre, il ruggito del leone, non sembra così da paura. Questo perché accanto la bocca di esso piccole note musicali, naturalmente colorate di nero, danzano in sintonia. Alcune di queste hanno fiocchetti colori sopra. Rosa, rosso, verde, celeste. Tutte tonalità pastello.  Alla sinistra del foglio, in basso, su una roccia, una giovane leonessa con un qualcosa di lungo, sottile e bianco tra le labbra. Ha un'espressione stralunata. Vicino all'orecchio si apre una nuvoletta, come quella dei fumetti, che vai poi in alto, ricongiugendosi col disegno centrale. Infatti, al centro, vi è la terza parte del disegno. Qualcosa di completamente astratto; un bell'insieme cromatico, comunque. 
Elisa gira il foglio verso sé e lo osserva per bene.
-Alex, ma che si sta facendo, questo, 'na canna?-
-E' una leonessa, prego- la corregge lui. Punta il dito poco sopra il disegno, per non sporcarlo. -Sì. E non toccarlo, o si rovina.-
Lei sbuffa un poco e ruba l'ultimo pezzetto di cornetto al miglior amico. 
Dato che non doveva recarsi a scuola, si è vestita un po' più carina del solito. E si è truccata di più. Fondotinta, cipria, mascara, eyeliner, lucida labbra, ombretto. 
Ha dei jeans stretti, una maglietta bianca anche lei, però un po' arricciata sul davanti, con il disegno di una bambolina stilizzata molto carina, sopra un cardigan grigio ed una collana con un gufo grigio dagli occhi rosa-rossi. Ai piedi, le OXS grigie. La borsa, color fragola, giusto per spezzare un poco. Le unghia una volta avevano lo smalto, ma lei, tormentandole, lo ha scacciato via con poca eleganza. 
Roma la osserva un momento con la coda dell'occhio. -E perché quest'oggi hai i capelli mossi, tu?- le chiede. 
La ragazza rotea lo sguardo. -Perché mi andava.- 
Alex e Carlo si scambiano un'occhiata d'intesa. 
Quest'ultimo si schiarisce la voce. -Se i picciocini vogliono seguirci, abbiamo una manifestazione a cui prendere parte.-
Il rivoluzionario gli molla uno scappellotto, scende dallo sgabello e da un'occhiata all'orologio da polso. -Sono già le dieci meno dieci?- domanda, stupito. 
Così s'avviano verso il luogo d'incontro.
Sono un po' scocciati perché non hanno da sedersi, devono stare in piedi. Però a nessuno di loro importa molto.
Non ci sono tanti altri giovani, più che altro sono adulti. Ci sono due o tre bambini e qualcuno col proprio cane. L'evento si sta tenendo in un parco.  
Qualcuno -non si capisce bene presidente di quale associazione- inizia a fare il suo discorso, spiegando un po' le atrocità dei campi di concentramento e anche se sono cose che il diciannovenne conosce a memoria, le ascolta con estremo interesse.
La ragazza prova a dirgli qualcosa, ma viene zittita da una bruttissima occhiata e da un: -Shh!- così, scocciata, si allontana da lui. Va a sedersi ad un panchina un poco distante, che si è d'un tratto liberata. 
Carlo lancia un'occhiata a Romano. -Non dovresti trattarla così- le dice, intanto che batte le mani alla fine di quel discorso.
L'altro scrolla le spalle. -Non ho fatto nulla. Se c'è rimasta male, non è un problema mio.-
Passa un'ora, un'ora fatta di discorsi e ricordi, e finalmente c'è qualcuno di importante che parla. Il fratello di un sopravvissuto. Il suo volto è solcato da molte rughe, i suoi occhi, piccoli, sono come coperti da una patina che li rende impenetrabili, eppure si riempono di commozione al ricordo del fratello ormai defunto. Lui era solo un bambino e riuscì a scampare alla morte. Racconta però tutto quello che il fratello maggiore gli ha raccontato a sua volta. 
Romie lo ascolta, con particolare attenzione. 
Lui non si commuove, è un tipo tutto d'un pezzo ed è difficilissimo versi una lacrima. Con quello che ha visto, è diventato talmente forte... non riesce più a piangere. E forse questo non è affatto un bene. Lo ha però reso un'ottima spalla sulla quale sfogarsi.
La manifestazione finisce per le dodici e trenta. 
S'avvicina dunque alla ragazza, tranquillo, come nulla fosse e lei, altrettanto serena, lo guarda negli occhi. 
-Andiamo?- dice lui. 
Alex, scomposto accanto lei sulla panchina, gambe divaricate e gomito sullo schienale della suddetta, domanda: -Dove?- 
Ed il ragazzo così risponde: -Facciamo un giro. Volete venire?- 
Eli non dice nulla, ma prega perché gli altri dicano di no. E forse gli altri due maschietti se ne accorgono, perché si scambiano un'occhiata, mentre Roma è distratto, ed entrambi dicono di avere altri impegni. 
-Come volete- conclude allora quello. Porge la mano alla ragazza perché si alzi e con lei esce dalla villa.
Carlo si siede accanto ad Alex, a questo punto. 
-Finiscono insieme- commenta, i gomiti appoggiati sulle ginocchia. Li osserva allontanarsi. 
-Gli do due settimane. Due settimane e si danno almeno un bacio- ribatte l'altro, accendendosi una sigaretta.
-Due settimane e scopano.- 
 
 
I due ragazzi passano praticamente tutta la giornata insieme. 
Feliciano andrà da Ludwig con l'autobus, si è già organizzato da solo, così Romano non ha problemi di orario. 
Pranzano fuori, mangiano un piatto di pasta, nulla di particolare, pagando poi alla romana. 
Non che sia sempre così, però, perché capita che lui le offra il pranzo. Ma non oggi. E' un periodo un po' complicato per la sua famiglia e non ha molti soldi per adesso, così evita di spendere quando più. Avrebbe anche preso un panino veloce, ma lei ci teneva così tanto ad andare a mangiare lì che lui non ha saputo dirle di no.
Verso le quattro e mezza, salgono entrambi sull'SH bianco del ragazzo e, sistemati i caschi, prendono la rotta della villetta fuori città di Elisa. 
Ci mettono un po' ad arrivare, ma alla fine giungono in provincia. 
Lei ha male ai piedi, così lui la fa scendere sull'uscio di casa e va a cercare parcheggio lì vicino. Un idiota patentato, però, gli taglia la strada quando lui sta per infilarsi in un piccolo posto, proprio prima di iniziare a fare manovra e lo fa scivolare dal motore.
Solite urla; soliti "è colpa tua!" gridati da ambo le parti.
Ma il diciannovenne non ha intenzione di stare lì a discutere, così posteggiando il motore, ignora quel tipo di mezz'età coi capelli già bianchi e bussa alla porta di casa Conte. 
Lei ha ancora i jeans, la maglia e il cardigan, ma è ora a piedi nudi. Quando apre e nota i jeans strappati dell'altro, il lembo di pelle che s'intravede sporco di sangue, si spaventa e gli domanda: -Ma che cazzo hai combinato?!- 
Lo invita dentro con un gesto e richiude la porta alle spalle. 
Lui le spiega brevemente ciò che è successo. Eli lo conduce sul divano e gli ordina di stare fermo. -Che sfigato, che sei. Proprio sull'unico pezzo di marciapiede rotto che c'è in zona, dovevi cadere- lo schernisce.
Va in bagno, prende del disinfettante ed un po' di bambaggia e torna da lui. 
-Avanti, abbassa i pantaloni- ordina. 
E' come divertita dalla faccenda e sulle sue labbra vi è una specie di sorrisetto comico. 
-Signorina Conte, ci sta provando con me?- ribatte lui, divertito.
-Dai, coglione, datti una mossa!- sbuffa l'altra.
Il ragazzo ubbidisce e sfibbiati i pantaloni, li abbassa poco sotto il ginocchio.
Elisa gli si siede accanto. -Brucerà un po'...- l'avverte. 
Con cura, bagna il cotone idrofilo e lo passa sulla ferita.
-Ahia, cazzo, brucia un casino!- sbotta lui. 
La ragazza suggerisce: -Distraiti.-
-E come?- 
Lei un modo lo ha. Lo guarda un momento negli occhi, dopo, socchiudendo i propri, avvicina le labbra alle sue, lasciandogli un dolce bacio.
Romano rimane stupito da quel gesto e in un primo momento, non sa che fare. Dopo, però, ricambia. E quando lei si sposta, appoggia una mano sui suoi capelli e l'avvicina a sé, prolungnado il bacio. -Aspetta, mi fa ancora un po' male- le dice.
Eli quasi vorrebbe ridere, ma è troppo presa da quella labbra, così si distrae e fa scivolare un'eccessiva dose di disinfettante su quel povero ginocchio malato. Il ragazzo non è per nulla d'accordo.
-Porca puttana, che male!- 
Lei ride. 
-Per questo ti ci vorrà un'intera scopata, sai?-
La sua risata si spegne.
Lo fulmina con lo sguardo. Gli molla un ceffone. -Sei uno stronzo.- 
Roma però stava solo scherzando. Possibile l'amica fosse così sensibile? La guarda alzarsi e andare via scalza, arrabbiata, con gli occhi lucidi e le sue proteste non servono a nulla. 
-Cazzo...- mormora tra sé. Appoggia il cotone morbido sul ginocchio, tamponando finché il sangue non smette più o meno di uscire, poi rialza i jeans e zoppica verso camera della ragazza. Bussa alla porta. -Posso?- 
-No!- esclama in lacrime lei. "Come ho fatto ad essere così stupida? Non c'è mai stata speranza per noi..."
Lui però apre lo stesso la porta. Si sente in colpa, non gli piace vederla soffrire, così le si avvicina e le carezza i capelli, poi le si siede vicino nel letto. -Mi dispiace- mormora, sincero. -Non dovevo dirlo.- 
-No, infatti, non dovevi. Romano io...- 
Ma è obbligata ad abbassare lo sguardo di nuovo sulla sua figura, perché il ragazzo, le ha preso il volto con una mano e l'ha costretta a voltarsi verso la sua direzione. Si scambiano un altro bacio.
-Romie, ascoltami.- 
-Cosa c'è?-
-Io non voglio essere una delle tue tante puttane. Io sono pronta ad esserci, ogni volta che vorrai, però pretendo da te rispetto. Non considerarmi una delle tante.- 
Il rivoluzionario annuisce lievemente. 
La guarda negli occhi, quegl'occhi che ha sempre amato, scuri, eppure così particolari e belli. 
-Te lo prometto- le sussurra. 
-Sarai sincero con me?- 
-Con te lo sono sempre stato.- 

 
Rientrato a casa, la sera, fa finta di nulla.
La migliore amica ha frequentato per anni, sotto questo aspetto, quella casa, ma adesso che tra loro è cambiato qualcosa, chissà se continuerà a farlo. Ad ogni modo, lui non vuole dire ai suoi genitori e al fratellino qualcosa, perché è ancora decisamente presto. Forse lo farà tra qualche mese, ma... probabilmente non lo farà. Saranno di certo madre e fratellino ha capire tutto da soli. Intanto, lui, manterrà la cosa riservata a pochi. 
Si chiede come andrà il giorno dopo. A scuola lo verranno a sapere? Ma non si preoccupa perché ne hanno già discusso. Hanno deciso di tenere la cosa un po' per loro, per i primi giorni, non vogliono lo venga a sapere tutta la scuola e conoscendo il ruolo che ha lui in questa e i pettegolezzi che già circolano su di loro, unito il tutto alla voglia di gossip che hanno le loro compagne, è decisamente meglio evitare.
Romano non ha nulla di diverso in quel momento, non ha il sorriso ebete che aveva il fratellino al suo primo bacio. Non si pente in nessun modo di ciò che ha fatto, spera solo che funzioni, perché lasciarsi vorrebbe dire rovinare quell'amicizia così bella che ormai dura da quasi otto anni. Ma farà di tutto perché niente tra loro si rompa. Devono solo... provarci entrambi. E ci riusciranno di certo. 
Col ginocchio finalmente medicato, infila dei vestiti più comodi e butta via, un po' depresso per lo spreco, quel paio di jeans. Erano vecchi e malconci già di loro, questo nuovo e spesso taglio è solo l'occasione giusta di disfarsene.
Lava per bene le mani ed il volto, poi però il fratellino va da lui, col solito sorriso. 
-Ciaaaao!- 
-Buon pomeriggio- risponde lui, asciugandosi il viso con un asciugamano. 
-Devo chiederti una cosa- mormora Felì guardandolo. 
Lui si che ha un aspetto del tutto nuovo ogni giorno. Quando litigheranno, perché prima o poi capita a tutti, sicuramente starà vestito a lutto con gli occhi gonfi di lacrime almeno per due giorni. Sempre che riescano, a star litigati 48 ore.
Ad ogni modo, lo prega per almeno dieci minuti di aiutarlo e Roma continua a dirgli di no, più per infastidirlo che per altri motivi. L'altro lo segue, prima in cucina e lo osserva bere dell'acqua fresca, poi in camera mentre fa lo zaino per il giorno dopo, poi quando si siede sul letto e si distende.
-TI PREGO!- si lagna infine.
-Ahhh! Dìos! Che vuoi che faccia?- mormora lui esasperato. 
-Voglio fare una sorpresa a Ludwig. Ho già parlato con suo fratello che ha parlato con suo padre. A loro va bene.-
-...No, devi parlare con sua madre- risponde il più grande con tono vago, incerto, solo per trovare una pecca in quel discorso semplicissimo. 
Il sorriso di Feliciano si fa triste. -Lui non ce l'ha più la mamma...-
-Ah, già. Beh, e in cosa consiste la sorpresa?- 
Si mostra quasi il solito insensibile, in realtà è un po' dispiaciuto per il tedesco, ma non più di tanto. Ha altri pensieri per la testa, al momento. Un momento di puro egoismo. 
-Voglio andare al canile. Voglio prendergli un cucciolino. Sarebbe così felice...- mormora il più piccolo sedendosi nel letto con lui. -Mi accompagni con la macchina? Andiamo al canile e poi a casa da lui.-
Romano è ormai disteso sul letto, la pancia un po' scoperta perchè si è appena stiracchiato, le mani congiunte dietro la nuca. -Primer problema1- lo contraddice, con cadenza spagnola. -I cani del canile possono essere sporchi, malati, e problematici. Segundo problema2. Sono più che altro bastardini e non sai fino a quanto possano crescere. Tercer problema3.  Non ci sono quasi mai cuccioli, lì. Sono più che altro adulti. Lo so perché, tempo fa, volevamo prendere un cucciolo ad un nostro amico.- 
Gli spiega, guardandolo negli occhi mentre parla. 
Feliciano mantiene il contatto visivo, così intenso, così a lungo, con poche persone. Si rabbuia sentendo quelle parole e abbassa lo sguaro.
-Ma io voglio vederlo sorridere... come posso fare? Dove possiamo prenderlo?- gli domanda, con una smorfia.
Il diciannovenne addita il pc portatile sulle propria scrivania. -Prendilo, diamo un'occhiata su internet.-
Mezz'ora passa in fretta e lui si concede qualche altro minuto, l'altro è seduto al suo fianco e guarda con lui lo schermo del computer portatile. 
Con loro immensa sorpresa, trovare dei cuccioli in regalo non è poi così difficile. In particolare, trovano una famiglia che vive non molto lontano da loro, che regala dei cuccioli di pastore tedesco.  Il fratellino svelto gli porge il telefono.
-E che dovrei farci?- chiede lui. 
-Li chiami tu?- domanda Felì facendogli gli occhioni. 
Ma Roma non ci casca. -No. Sei grande, vuoi fare questa cosa e la fai da solo. Io faccio solo servizio taxi.-
Così, il ragazzino, chiama il numero indicato sulla pagina d'annuncia e parla un po' sul proprietario. Avendo un gattino da ormai sette anni, sa bene come vanno certe cose e più o meno sa che domande fare. Chiusa la chiamata, soddisfatto, guarda il fratello.
-I cuccioli hanno un mese e mezzo, possiamo andarli a prendere anche domani, ha detto.  Anzi, prima facciamo e meglio è.- 
Il maggiore annuisce, l'altro gli si avvicina e lo stringe forte. -Sono così felice! Sai, fratellone, mi ha detto una bugia... non è stata una rapina.- 
L'altro annuisce appoggiando una mano sui suoi capelli, senza però ricambiare l'abbraccio. -Lo so- dice. Alla sua occhiata dubbiosa soggiunge: -Ormai lo capisco, quando qualcuno viene picchiato. L'ho capito subito che era una cosa intenzionale. Volevano prendersela con lui e l'hanno fatto. Anche perché, ha ancora il cellulare e con quello che costa... impossibile i "ladri" non l'abbiano preso.- 
Feliciano annuisce. -Non m'interessa se mi ha mentito... voglio comunque vederlo felice. Mi aiuterai?-
-Sì. Andiamo domani dopo scuola, va bene?- 
-Danke!1-
-De nada4.-
Il ragazzino esce dalla camera sorridendo.
 
 
La mattina successiva, Romano si sveglia prima del solito. 
E' un po' nervoso ma non riesce a capire perché. Sta tra le coperte a fissare il soffitto, tra un sospiro e l'altro, le sue labbra s'increspano in una smorfia, d'un tratto, e lui si mette su un fianco.  Con fare depresso, chiude gli occhi. "Forse ho sbagliato" si dice. "E se non funzionasse? Non voglio perderla. Però... forse il fatto che penso proprio questo, il fatto che la voglio con me, dovrebbe farmi capire che andrà bene. Ahh! Porca puttana! Mi faccio i complessi di una quattordicenne!" 
E rimproverandosi mentalmente, si scopre e si mette seduto. Si passa una mano tra i capelli e li allonana dal viso, poi stiracchiandosi. Da un'occhiata al cellulare. Nulla. Per fortuna nessuno dei due è un tipo da "buongiorno, amore mio!" Sono entrambi estranei a questo genere di sdolcinatezze. Nessuno se l'aspetta dall'altro e non si stupiscono per nulla trovano nel telefono alcun messaggio. 
Il ragazzo si alza, va a farsi una doccia tiepida, dopo spalanca l'armadio ed infila un paio di jeans, una maglietta grigia ed un cardigan, tanto stufo delle solite felpe. Poi si guarda allo specchio. Perché vestirsi meglio del solito, quel giorno? Tra crisi d'identità varie, decide che è troppo tardi per cambiarsi, così sistema lo zaino e va in cucina, cercando qualcosa da mettere sotto i denti. 
Quando nota il papà, gli domanda: -Posso prendere la macchina di pomeriggio? Ti serve?- guardandolo con la coda delll'occhio.
L'uomo, seduto su una sedia, si sistema le scarpe con uno sbuffo. -E a che te serve?-
Il ragazzo gli risponde in dialetto napoletano, dicendo: -Fatti miei; serve a me e a mio fratello. Dobbiamo uscire insieme, di pomeriggio. Allora, me la presti oppure no?- 
Il padre annuisce con un sospiro. -Va bene, va bene. Mi raccomando.- 
Dunque il giovane esce di lì, recandosi a scuola. Ma non si ferma come al solito vicino al cancello, lo fa piuttosto lontano dall'istituto classico, nascosto dietro un muretto. Fermo lì, fuma, aspettando che Elisa lo raggiunga. 
Qualche minuto dopo, lei gli si avvicina da dietro, gli prende la sigaretta dalle dita e fuma qualche tiro. -Perché mi hai chiesto di venire qui?- 
-Per questo- risponde lui. Appoggiando una mano sulla sua, per allontare la sigaretta dalle labbra e la bacia brevemente. 
Lei ricambia e si allontana subito dopo, distogliendo lo sguardo. -Quindi sei ancora dell'idea che non debbano vederci?- 
Lui annuisce serio, poi si lascia scappare un sorriso. -Beh, così è più eccitante, no?- 
Eli rotea lo sguardo e gli da una botta al braccio. -Deficiente! Alza il culo da lì, dobbiamo andare.- 
-Ci vediamo tra dieci minuti.- 
Il diciannovenne si allontana col motore, lei a piedi, così si rivedono solo in classe e si salutano come nulla fosse. Ad entrambi, però, viene da ridere. Fanno finta di niente tutto il giorno, si danno fastidio come al solito, si insultano come ogni dì, si deridono come d'abitudine.
Nulla di particolare.
Perché loro sono solo migliori amici come il sabato precendente, no? No. 
 
Nel pomeriggo funziona tutto più velocemente del solito. 
La madre deve scendere presto di casa per andare dal dentista, così li fa pranzare in fretta e furia, dopodiché, visto che devono scendere alle quattro da casa, entrambi i Vargas s'affrettano a svolgere i loro compiti. Così, alle quattro meno un quarto sono pronti per andare a prepararsi. Vanitosi per come sono, vorrebbero entrambi cambiarsi, tuttavia non c'è tempo. L'unica cosa che fa Roma è togliere il cardigan e mettere una felpa. Vorrebbe mettere quella blu, però non la trova nell'armadio.
-Felì! Sai dov'è la mia felpa blu? Quella coi laccetti bianchi?- domanda ad alta voce. 
-Ehm... ce l'ho io. Indosso- risponde il fratellino. 
-Quando la smetterete di rubarmi le felpe sarà sempre troppo tardi- ribatte il maggiore. Prende quindi la felpa bordeaux e, finalmente pronti, denti lavati, visi sciacquati, capelli sistemati, escono di casa. 
-Vuoi che t'insegni a guidare?- domanda Roma facendo retromarcia. 
Feliciano scuote la testa. Con sé, ha una copertina che gli ha dato la mamma, una un po' vecchiotta che può usare per tenere il cucciolo appena lo avrà tra le braccia. 
Arrivano al punto stabilito, trovano una macchina nera piuttosto grande, sulla quale è appoggiato un uomo sulla quarantina con un pesante cappotto nero. Vicino a lui, una giovane coppia, forse fidanzati o fratelli. La ragazza ha in braccio un cagnolino piccolissimo che le si aggrappa alla maglietta, tutta sorridente lei lo sostiene con entrambe le mani. 
-Fratellone, dev'essere lui!- dice il quindicenne, facendo un cenno. Sorride, è davvero molto felice. Posteggiata l'auto, è il primo a scendere. Si avvicina all'uomo e lo saluta educato, affiancato dal fratello.
-Salve... avevamo parlato per telefono- spiega. 
-Ah, sì. Sei il ragazzino che ha chiamato ieri, vero?- fa l'adulto, affabile. -I cuccioli sono qui. Hai preferenze sul sesso?-
Sei cuccioli di pastore tedesco sono raggomitolati dentro una scatola vuota, provvista solo di una ciotola d'acqua; sono ancora molto piccoli eppure sembrano così vivaci!
Feliciano se ne innamora subito.
-Sono dolcissimi... preferirei maschietto, se non è un problema- risponde, andando ad accarezzare il musino di uno di loro con un sorriso molto dolce. 
-Prima vorrei farvi qualche domanda. Avete una casa grande? Hanno bisogno di molto spazio per giocare, diventeranno enormi, se prendono dai genitori.-
Il ragazzino riporta lo sguardo su di lui ed annuisce convinto. -E' un regalo, in realtà, però la persona a cui andranno ha tanto spazio.-
-E ha esperienza?-
-Mh-mh! E' praticamente nata tra i cani.- 
-Perfetto allora- conclude l'uomo con un sorriso. -I cuccioli sono piccolini, devono ancora fare il primo vaccino ma sono stati svezzati. Scegli quello che vuoi, a questo punto.- 
Felì non sa scegliere, sono tutti adorabili. 
Gioca un momento con loro, poi ne vede uno che lo guarda con occhioni dolcissimi, così sceglie. Lo prende tra le braccia con molta delicatezza. -S-sta tremando!- 
-E' normale, deve abituarsi.- 
Intanto arriva un'altra coppia di interessati, che da un'occhiata ai cucciolini. 
In poco tempo, quindi, i due ragazzi si congedano e tornano in macchina. 


 
-Roma, vai piano, sennò si spaventa!-
Il diciannovenne rotea lo sguardo, uscito dal parcheggio guida un po' più lento del solito -che è comunque molto veloce. Ma è una cosa di famiglia e nessuno mai se ne cura troppo. Anche Felì, quando porterà la macchina, sarà spericolato alla stessa maniera, anche se ora non si direbbe. 
-Dobbiamo andare al negozio di animali a comprargli la pappa per stasera e una ciotola- dice il minore. Non riesce a staccare lo sguardo dal cagnolino. Gli ha avvolto attorno una coperta. 
-Sei bellissimo, piccolino!- gli dice con tono un po' idiota, tenendolo in grembo e continuando ad accarezzarlo.
Si fermano nel primo negozio d'animali che trovano e scendono ancora dalla macchina. 
Appena entrati, la ragazza che lavora lì, si avvicina loro e gli fa i complimenti, accarezzando l'animale, una piccola palla di pelo a due colori, beige e nera. 
-Vi servirà una ciotola per l'acqua, una per il cibo ed un po' di croccantini per cuccioli- spiega lei. Prende così deu ciotole in metallo, delle più economiche, ed un pacco di Croccantini Puppy. Gli consiglia di ammorbidirli con un po' d'acqua per i primi giorni. Messo il tutto in un sacchettino, ritornano all'auto e guidano stavolta verso casa del tedesco. 
La casa è davvero molto bella. 
E' un po' isolata, in un quartiere silenzioso e tranquillo, al settimo piano di un alto edificio beige, ed è davvero molto grande e spaziosa. Ci sono grandi finestre, il sole entra quasi a tutte le ore del giorno in salone ed in una delle camere da letto. I ragazzi ne hanno una ciascuna, il papà una per sé. Ci sono due bagni, un salone enorme ed una cucina abitabile. Inoltre, la camera di Lud e quella di Gil, sono accanto, ed entrambe hanno un piccolo balcone personale. Il papà ha la finestra più grande, ma il balcone più piccolo. 
Ad ogni modo, il più piccolo dei due Vargas, manda un messaggio all'albino, chiedendogli di aprire il cancello d'ingresso, così che possano posteggiare all'interno del condominio, dato che questo non sembra essere un problema. Suonano dunque al video citofono. Roma propone di aspettare giù, ma l'altro lo prega di salire. 
Ludwig non si aspettava di certo la visita, dato che si erano visti il giorno prima e quello prima ancora. Con dei pantaloni della tuta ed una felpa, se ne sta sull'uscio di casa, ad attendere che il suo fidanzato sbuchi dall'ascensore. Ha ancora dolore al braccio sinitro, un sopracciglio spaccato e qualche livido qua e là, ma nulla di serio. 
Gilbert si appoggia allo stipite della porta. Gli toglie gli occhiali (solitamente li porta quando legge, studia, o è al pc) e gli copre gli occhi con una mano. 
-Che fai, Bruder2?- gli chiede lui un po' confuso, cercando di liberare la vista. 
-Tu stai fermo- risponde il fratello, ghignando. 
Si trattiene a stento dall'esprimere un apprezzamento nel vedere il cucciolino, ma non trattiene di certo le risate e gli sghignazzi.
-Gil... perché stai ridendo?- domanda sempre più confuso il fratellino.
Feliciano gli si avvicina. -Lud?- gli prende una mano e l'appoggia sul pelo morbido dell'animale.
-Was3...?- mormora lui in tono vago non capendo. 
-Ti do un indizio- gli dice l'italiano. -E' vivo.- 
I due fratelli maggiori ridacchiano appena per quest'affermazione. Anche il biondo accenna una mezza risata e tocca delicato il manto del cucciolo con la mano destra.  Il polso sinistro è ancora fasciato e non può ancora muoverlo senza sentire dolore. -Qualsiasi cosa sia, sta tremando- mugugna. 
-Forse ha sete...- commenta distrattamente Felì. 
-E' quello che penso?- 
-Ja4! Ed è tutto tuo!- ridacchiando ancora, gli sistema il fagottino tra le mani. L'albino lo lascia finalmente guardare. 
Il biondo spalanca gli occhi azzurri e lo guarda, sollevandolo un po' in aria con una mano sola, dopotutto è ancora molto piccolo. -Ma sei stupendo!- esclama sincero. Dopo, fissa male il fratello. -Tu lo sapevi e non mi hai detto nulla?- 
Quello si difende: -In realtà anche papà lo sapeva. Il Magnifico Me non poteva rovinarti la sorpresa! Dai, entriamo in casa.- 
Romano, un po' svogliato, entra nell'abitazione tedesca, facendo violenza su sé stesso. Non gli piace molto quel popolo, in realtà. Entra, dunque, e se ne sta un po' in disparte.
Gilbert richiude la porta e fa un cenno al salotto ed è là che vanno tutti.
Ludwig è ancora emozionato per il regalo. Se ne sta seduto sul divano a coccolarselo tutto, annuendo solo distrattamente a Felì che gli dice di aver portato le ciotole e i croccantini. 
Quando torna in sé, avvicina il viso al suo e gli da un bel bacio. -Danke1...- sussurra guardandolo negli occhi. 
Non si sono ancora detti "ti amo." 
Stanno insieme da troppo poco, anche se sono già così complici, così uniti, sembra stiano insieme da anni. Sembra fossero predestinati a mettersi insieme. 
Si scambiano quel bacio solo perché dei fratelli si possono fidare. Se ci fosse stato in casa Malcolm, il padre, non l'avrebbero di certo fatto. 
Rimangono lì seduti sul divano per un po', a giocar col cucciolino, addolciti nel vederlo bere in un ciotola più grande di lui. 
-Dobbiamo trovargli un nome!- esclama d'un tratto il more.
-Ja4, un nome tedesco- risponde lui, col suo adorabile accento, che proprio non vuole saperne di andarsene del tutto. -Aart, Alis, Bas, Baki, Cenk, Dax, Derk mmmh.... Max...- 
-Me li stai elencando in ordine alfabetico, ti rendi conto?- gli domanda lui ridendo. -Derk mi piace. E'... virile.- 
Il ragazzino biondo ridacchia. -Anche Jäger è bello. Significa "cacciatore."-
Romano li osserva, segretamente intenerito.
E' bello vedere il fratello così felice e amato. Si vede, che l'altro lo apprezza, da come si guardano, da come si parlano, da come sorridono.
Lui, appoggiato alla parete in un angolo, guarda l'orologio. Sono già le sei. Tra una cosa e l'altra, si è fatto tardi.     
-Felì, dobbiamo andare tra un po'- li interrompe, con tono piatto, quando si fanno le diciotto e trenta. Il fratellino annuisce. 
Lui da un'occhiata al telefono. C'è un messaggio di Elisa, che risale più o meno a due ore prima. Decide di non rispondere ora, risponderà quando tornerà a cassa, anzi, la chiamerà direttamente. 
Passa un'altra mezzora ed arrivati alle diciannove, quando a momenti rientra il padre dei Beilschmidt, loro due decidono che sia meglio andare. 
I due ragazzini si danno un ultimo bacio e Felì fa un'ultima carezza al cane che si è addormentato tra le braccia del suo nuovo padrone. 
Ancora qualche momento e sono di nuovo in macchina. 
 
 
Alla sera, tutti e due sono distesi a letto col telefono in mano, subito dopo cena. 
Romano sta parlando un po' con Elisa, le racconta a grandi linee cos'ha fatto  nel pomeriggio, chiendole poi che stia facendo. 
Feliciano, invece, è solito dire ogni cosa nel dettaglio al biondo, che lo ascolta più che volentieri. 
Adesso gli chiede cosa stia facendo il cagnolino e come stia.
 
 
|Nachrichten. Nachricht. An: Feli.|
 
"Sta bene, dorme. Grazie ancora per quello che hai fatto..."
 
|A: Lud!|
 
"Ti ho visto un po' triste, in questi ultimi giorni...volevo solo vederti sorridere! <3"
 
|An: Felì.|
 
"Dankeschoen... :)"
 
|A: Lud!|
 
"Amore, io non ce la faccio più... poco fa ho dovuto mentire a mia madre. Le ho detto che oggi sono stato da un'amica. Ho bisogno di dirglielo, lo so che sarà difficile, ma... facciamolo. Ti prego."
 
|An: Felì.|
 
"Ja, Felì. Neanche io voglio più cambiare argomento quando mio padre mi fa domande... und di questo passo, lo capiranno da soli. Oggi ho avuto l'impressione che papà ha capito qualche cosa. Da come mi paralva."
"*parlava."
 
|A: Lud!|
" *Che papà abbia capito. 
Comunque sì. Come facciamo? Una lettera come avevamo deciso? Quando?"
 
|An: Felì.|
"Ja, abbia, danke...
So, potremmo scrivere quelle lettere, ja. Und dann, parlare con loro."
 
|A: Lud!|
"D'accordo, d'accordo... allora vado a letto ora... dolce notte. <3"
 
|An: Felì.|
"Gute Nacht!" 
 
 
Feliciano si rintana sotto le coperte, con gli occhi pieni di lacrime. 
Li chiude, stringendo un poco le coperte con a mano destra, nella sinistra ha ancora il cellulare in mano. Ha paura, però... è una cosa che va fatta.
Poco a poco, prende sonno. 
 





 
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Note. -Arancioni. 
1. Primer Problema = Problema uno. 
2. Segundo Problema = Problema due.
3. Tercer Problema = Problema tre.
4. De nada = Prego/di nulla. 



Note. -Blu.
1. Danke = Grazie. 
2. Bruder = Fratello.
3. Was...? = Cosa...? 
4. Ja = Sì.

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Capitolo 27
*** Questo sono io. ***


Primo pomeriggio.
Hanno parlato per due ore circa, seduti tutti e tre su una panchina, passandosi una sigaretta dietro l'altra, con fare annoiato. Ora, è calato il silenzio. 
Fa ancora un po' freddo, dopotutto è solo il 7 Febbraio. 
Non ci sono troppi cambiamenti, in realtà, ma tutto procede per il meglio.
Romano ed Elisa stanno ancora insieme, ma nessuno ne sa nulla. Ogni mattina si vedono di nascosto e si baciano prima che gli altri compagni arrivino. Potrebbero anche evitare, ma la cosa diverte molto il ragazzo. Lei è un po' meno divertita. Ha paura che lui lo faccia per vergogna o per imbarazzo. Ha paura che non tenga davvero a lei. 
Eppure lui glielo ha dimostrato in questi undici giorni di "fidanzamento", che ci tiene.
Non sono volate grandi parole né nomignoli dolci; ma ci sono stati dei baci teneri e qualche coccola in più. Sono usciti da soli tre volte ed è sembrato strano ad entrambi. Devono un po' abituarsi alla cosa, ecco tutto. 
Quel giorno, comunque, lui è seduto con i suoi migliori amici.
Spezza il silenzio dopo un attimo di esitazione. 
-E quindo, tipo due settimane fa, io ed Elisa ci siamo baciati- butta lì con indifferenza, evitando di guardarli.
Il biondino abbassa il capo, sconfitto. 
Alex lo indica soddisfatto. -Tu. Mi devi come minimo una birra.- 
Roma non capisce, così si volta per guardarli. Crede abbiano cambiato discorso e ci rimane un po' male. Poi però capisce e ci rimane ancora peggio, tuttavia è anche leggermente divertito dalla piega che ha preso il pomeriggio. -Avete scommesso su di noi?- dice, con tono sconvolto, fissandoli male, un po' per gioco, un po' per vero. 
Carlo lo guarda negli occhi. -Te l'ha data. E' vero, Romie, che te l'ha data? Perché se è così non devo dargli nessuna birra.- 
-Siete delle merde- ribatte il rivoluzionario. 
Butta via l'ormai mozzicone di sigaretta e sospira appena, dando attenzione ad altro. -No, non abbiamo scopato.- 
Alex si piazza davanti a lui, in piedi, e lo guarda. -Fai sul serio, con lei?- 
Il ragazzo lo guarda, gli occhi chiari leggermente infastiditi dai raggi del sole, uno di essi leggermente socchiuso, il destro. Abbassa il capo una volta, in cenno positivo.
-La ami?- domanda ancora l'amico. 
Lui si affretta a rispondere: -Credo sia troppo presto per parlare di "amore." Però mi piace. E con lei sto bene. E vorrei farmela. Ma se ti chiedi se sto con lei per questo, allora no. Stavolta il sesso è l'ultimo dei miei pensieri.-
Carlo lo fissa meravigliato. -Oh, mio Dio. Si è innamorato. Alex!- per richiamarlo, gli da una botta al braccio e continua. -Lo hai sentito? Si è innamorato. Ma che carino!- soggiunge, prendendolo un po' in giro.
-Andate a fanculo entrambi- sbotta Romano, leggermente imbarazzato. -Ah, non vogliamo si sappia. Lo sapete solo voi.-
-Più tutte le amiche di Elisa. Quindi lo sanno tutti- afferma, il ragazzo coi capelli neri. 
-Ragazzi, dico davvero...- li prega con lo sguardo, un momento serio.
Così gli altri due giurano che non diranno nulla. 
Scherzano ancora un po', ridacchiano insieme, come hanno sempre fatto.
E' stato proprio Roma a far conoscere quei due. Adesso non c'è più Pietro, il loro vecchio migliore amico, ma Alex, sicuramente più sincero di quell'altro. 
Si congedano dopo ore, tornando a casa per la cena. Quando si mettono a parlare, sono decisamente peggio delle ragazze, quei tre. Come vecchie comari di paese, persino! Ma sparlare diverte anche loro, sebbene non vogliano ammetterlo. 
Romano però ha un importante compito da svolgere a casa.
Sa benissimo che il fratellino è di nuovo dal fidanzato tedesco, che i genitori credono sia da un'amica e che loro sono a casa da soli, perché è già tardi. Forse lo stanno aspettando per mangiare. Ma quando torna a casa, li vede in cucina a conversare vicino al tavolo ancora spoglie, quella sera la cena verrà allora servita in ritardo. Lui fa un cenno ad entrambi per richiamare la loro attenzione. 
-Devo parlarvi- dice, serio. Richiude la porta alle proprie spalle e indica le sedie in legno. Soggiunge: -E' una cosa lunga, sedete.- 
Rita e Raffaele, un po' preoccupati, si guardano ed ubbidendo prendono posto. Il padre, temendo il peggio, gli lancia subito un'occhiata di rimprovero. -Romano, guarda che se hai osato mettere incinta qualcuna...- inizia, venendo subito interrotto dal figlio.
-Ma sei matto?! Io ho sempre il profilattico!- esclama turbato. Ha appena confessato apertamente che fa sesso occasionale davanti i genitori. Loro sanno anche che lui potrebbe avere una ragazza, come in effetti ha, e tenerla nascosta. Ma sono convinti che in tal caso lo capirebbero e non sapendo che lui sia impegnato, possono solo pensare che il profilattico di cui parla il ragazzo si usato per una sgualdrina qualunque. 
Invece non è più così. 
Calmati gli spiriti, il ragazzo prende posto, appoggiando entrambi i gomiti sul tavolo. Si passa una mano sulla nuca, non sapendo bene come iniziare il discorso. Le sue labbra s'increspano in una smorfia. 
-Feliciano è in casa?- domanda. 
Gli risponde la madre. -No... mangia fuori- dice soltanto, con gli occhioni chiari carichi di preoccupazione. 
-Bene...- risponde lui, passandosi una mano sul viso. -Vi devo parlare di una cosa che riguarda lui. Penso proprio che tra non molto ve lo dirà da solo e sono certo che s'arrabbierebbe sapendo che ve lo sto anticipando io. Ma ho - anzi, ha- paura della vostra reazione e così io devo essere sicuro che voi la prendiate bene.- 
Spiegato ciò, con tono pacato, si cura bene da non guardarli negli occhi. Non lo fa spesso. Parlano raramente e quando lo fanno, sono entrambe le parti impegnate in alto. Quindi il contatto visivo è difficile da stabilirsi, in quella famiglia. Anche se con Feliciano è diverso... 
Rita, preoccupatissima, esclama: -Oddio! Ha messo incinta la sua amica? Oh, cielo, dev'essere così, è sempre a casa sua. Santa Rita! Che Dio lo perdoni!- Inizia a scuotere la testa con disapprovazione e rassegnazione, mentre il marito cerca di calmarla. 
Il figlio, annoiato da quelle stupide paranoie, rotea lo sguardo appoggiando un piede sul tavolo. Malgrado la disperazione, la donna gli intima di togliere -quelle zampacce dal tavolo- e lui ubbidisce, non ha voglia di fare storie ora, ha altro di cui occuparsi.
-Né io né lui abbiamo messo incinta qualcuno, possiamo chiudere il discorso gravidanza, adesso?- sospira pesantemente. -D'accordo... si è innamorato.- 
-Oh, mamma mia! Mi hai fatto prendere un colpo, figlio mio, non si fa così, eh!- fa ancora lei.
-Mamma, per piacere, fammi spiegare. Si è innamorato di una persona, che in questo particolare momento della sua vita non sta molto bene. E dunque è sempre da questa persona.-
L'uomo, a questo punto, il capo famiglia, gli chiede di essere più diretto, perché non capisce dove sia il problema. 
-Questa persona, è un ragazzo.-
Cala il gelo all'intero della cucina. E' come se le graziose tendine colorate, le mattonelle bianche e verdi vicine al piano cottura, il mestolo e l'insalatiera entrambi rossi, la tovaglia con i girasoli arancioni colorati, d'un tratto, fosse diventati tutti neri. 
I genitori non sanno che dire. E per un momento, nessuno dice nulla. Ma i minuti passano, ne trascorrono ben tre, e la donna d'un tratto, si porta una mano sul cuore, con gli occhi lucidi. 
-Gesù mio... che dolore che mi hai dato! Lo sapevo, io! E' tutta colpa di quel mascalzone, Gesù, mi ha rovinato un figlio! Me lo ha fatto diventare deviato!- 
A Romano non sfugge il chiaro riferimento al maestro Maurizio che, ora, in quella casa non va più nominato. Ma lui sa bene che il fratellino non è diventato gay perché ha subito abusi sessuali ripetuti da questa persona. Perché lui sa bene che il fratellino non è diventato gay. Lo è, punto. Non è una malattia, non si viene contagiati, semplicemente lo si è. E' una cosa del tutto naturale. Non c'è niente che non vada in lui e sentire la madre dire quella parola... Deviato. Sentirle dire che, forse, dovrebbero cambiare psicologo, perché non ha fatto nulla di buono. Sentirle dire che quel tipo, le ha rovinato il figlio, non per aver distrutto la sua psiche, ma perché lo ha fatto innamorare di una persona del suo stesso sesso. Non è sempre amore? La donna non aveva sempre parlato di questo sentimento come qualcosa di irrazionale, che viene da dentro? E allora perché adesso si rimangia tutto e giudica il figlio? 
Il padre, invece, non dice nulla. Semplicemente, si è rabbuiato. Ha detto solo qualcosa come: -Dove abbiamo sbagliato?- come se il quindicenne in questione avesse derubato una banca o sparato ad un poliziotto.
 Romie non crede alle sue orecchie. D'un tratto si sente arrabbiato e nervoso. Allora scatta in piedi e sbatte una mano sul tavolo. -Smettetela, state zitti! Mio fratello non ha nulla che non vada. Ma non vi vergognate? Non vi fate schifo?! Avete idea di...- 
Tuttavia, anche lui, è costretto a zittirsi. 
Raffaele gli molla un ceffone, rimproverandolo per i suoi modi maleducati. -Così ti rivolgi ai tuoi genitori?! Ma non ti vergogni?!-
Lo guarda in modo molto severo, eppure ciò non ha nessun effetto sul ragazzo, che pronto replica: -L'unica cosa di cui mi vergogno, siete voi. Avete idea di come la prenderebbe vostro figlio sentendo una cosa del genere? Sentirsi dire che è malato, deviato, sbagliato. Starebbe male per giorni. Forse questa è una fase adolescenziale e passerà. Ma voi dovete comunque appoggiarlo. Perché non c'è niente di sbagliato in lui; non sta facendo nulla di male. Non ruba, non molesta, non inganna, non uccide nessuno. Sta semplicemente amando. Quindi, non permettetevi di dirgli una parola, o giuro che lo prendo e andiamo via di casa.-
Lui parla in tono serissimo, puntando ora gli occhi su quelli dei genitori, prima quelli scuri del padre, poi quelli chiari della madre. Lei sta in silenzio, non osa parlare. Non le piace che il figlio alzi la voce, ma non ha il coraggio di controbattere. Le sue parole l'hanno colpita. 
Il padre però si è concentrato a dire il vero più sul tono che su altro. Gli da un secondo schiaffo. -Abbassa i toni, rivoluzionario- lo schernisce. -Se tu ti vergogni di noi, io mi vergogno di te. Usare quei toni! Ma con che coraggio? Siamo i tuoi genitori!- 
-E allora provate a farli una buona volta! Sono sette anni che non fate una cosa per me! A stento date un'occhiata alla mia pagella, non mi appoggiate mai in nulla, mi date sempre torto, non mi chiedete mai come sto. E non m'importa. Non più. Ma tu non provare a fare il genitore solo quando mi devi alzare le mani, perché non te lo consento. A te non importa nulla di me, come a mamma, e va bene. Ma fate soffrire mio fratello, e non lo vedete più.- 
Quasi ringhia, mentre parla. 
Erano anni che voleva dire ad entrambi queste parole, si sentiva oppresso ed ora va un po' meglio. Si è... liberato, in un certo senso. 
Non vuole guardarli, vuole solo andare lontano da loro. 
Così, nervoso, se ne va in camera propria sbattendo forte la porta. Raffaele lo chiama, ma non ottenendo risposta sospira, passandosi una mano sul volto. 
Il ragazzo si passa una mano sul volto, poi tra i capelli, e sospira pesantemente. Chiude a chiave la porta e si distende sul letto a guardare il soffitto. Sente squillare il cellulare. Lo prende tra le mani, nota la chiamata di Elisa, ma non ha voglia di parlare adesso. E' troppo agitato. Così rifiuta la chiamata e le manda un messaggio. "Ti chiamo dopo" scrive soltanto. 
Si ricorda quand'era piccolo. Tutti gli davano attenzioni perché era malato, ma quando Feliciano piangeva lo lasciavano tutti da solo. Tranne il nonno. Dov'è adesso? Gli manca così tanto... Dopo lo chiamerà. Soltanto lui lo capisce. D'un tratto inizia a chiedersi il perché di molte cose. Lui ha salvato suo fratello confessando l'inconfessabile ai genitori; a quindici anni, ha salvato quelle ragazze durante la manifestazione; qualche mese prima, ha salvato Miriam. Perché, allora, tutti preferiscono Felì? Lui non si definisce un eroe per quello che ha fatto però credeva che i genitori fossero almeno un po' fieri di lui. Invece niente. Di certo non lo ha fatto per ottenere la loro approvazione, ha fatto tutto ciò perché sentiva doverlo fare, tuttavia vorrebbe solo essere un po' più coccolato. Un po' più pregato per fare le cose. Vorrebbe la sua mamma non si fermasse al primo no, perché alle volte ha anche lui il bisogno di una carezza, di una coccola, di un bacio tra i capelli, di una parole dolce. Si sente un uomo, è vero, si sente già un adulto. Ma infondo lo sa che è vulnerabile anche lui. E' per questo che quando Felì lo abbraccia non lo scansa. Lui è l'unico che gli voglia bene per davvero, insieme ad i suoi migliori amici e ad Eli, l'unico da cui accetta qualche gesto d'affetto. Sospira ancora, pensando ciò. Chissà come sarebbe andata, se la violenza l'avesse subita lui? L'avrebbero amato così tanto come amano Feliciano? Eppure a lui non importa. Anche se un po' triste, è fiero di sé stesso. Semplicemente, vorrebbe solo essere amato dai genitori. Che c'è di sbagliato in questo? 

 

 
" Ciao mamma, ciao papà! 
Scusate se vi scrivo una lettera, ma mi manca il coraggio di confessarvi questa cosa di presenza. So che siete fieri di me, me lo ripetete spesso ed io non posso che crederci. E' per questo che non so come dirvelo.
Come definireste l'amore? 
Non lo fareste come qualcosa che vi prende all'improvviso, che vi fa stare svegli la notte e non vi fa chiudere occhio per lunghe notti intere? 
Vi ricordate il vostro primo bacio? Io sono sicuro di sì. 
Non avete chiesto il permesso a nessuno per farlo, né l'avete fatto per sposarvi, perché l'unica cosa che importava era l'amore che ognuno di voi aveva per l'altra. 
Era bello incontrarvi e stare insieme, ricordate? Sapevate che nulla vi avrebbe diviso.
Anche per me è così.
Sì, mamma, sì, papà, mi sono innamorato.
E l'ho fatto nel più comune dei modi. 
Ho visto questa persona di sfuggita una volta ed i suoi occhi azzurri -belli, bellissimi- mi sono rimasti subito impressi nella mente. Non riuscivo a pensare ad altro. Mi chiedevo chi fosse, che scuola frequentasse, quali fossero le sue origini. Pensavo che non le avrei mai parlato. Ma un giorno vidi proprio questa persona alla fermata del bus, così iniziammo a scherzare. Ha un bel sorriso. Non riesco a togliermelo dalla mente mentre ve ne parlo. 
Quando nasciamo non chiediamo il permesso a nessuno e non lo facciamo per i tre quarti della nostra vita. Decidiamo noi che strada prendere, che scuola frequentare, che indirizzo d'università, che lavoro, che vita. E non chiediamo scusa a nessuno, perché questa è la nostra vita e nessuno può togliercela. 
La vita è fatta di scelte.
Ed io ho fatto la mia.
Sapete,  io voglio essere me stesso, ho paura, ma non voglio più nascondermi. Siete la mia famiglia, perché dovrei farlo? Siamo sempre stati uniti.
Il fatto è, cari mamma e papà, che questa persona di cui mi sono innamorato non è una ragazza, ma un ragazzo, come me. 
Si chiama Ludwig, è nato a Berlino ma si è trasferito da un paio d'anni qui, in questa splendida città. Ha un anno in più di me. 
Lui mi vuole bene per davvero, io lo so, lo capisco da come si comporta nei miei confronti. E' dolce, apprensivo, e anche se è un po' timido mi dimostra sempre quanto ci tenga a me, nelle piccole cose e nelle grandi.
Stiamo insieme già da un po'.
Non riusciamo a stare separati per più di due giorni, perché la nostra non è una fase adolescenziale, non è dovuta a nessun passato melodrammatico, semplicemente, è quello che siamo. 
Non voglio deludervi e dopotutto non sto facendo nulla di male se non professare ciò che sono: una normalissima persona innamorata. 
Non credo di far del male a qualcuno, anzi. 
Vi sto chiedendo di capire quanto sia per me difficile dire queste parole, soprattutto a papà, ché lo so che è un po' troppo tradizionalista. 
Ma da me non avrà nipoti, forse mai. 
Sono sempre io. Continuano a piacermi i bambini, amo ancora disegnare e mangiare la cioccolata; ho ancora tanti amici, sia maschi che femmine, e vi voglio ancora bene come ve ne volevo qualche mese fa. Per me non è cambiato nulla. Sono solo più felice.
Riuscirete a condividere questa mia felicità?...
Per favore, pensateci.
 
Con amore, 
Feliciano. "
 
 
 
Rita è seduta sul divano del salotto. 
Nasconde il viso con una mano, le lacrime le rigano le guance. Non riesce a fermarle. Suo marito è accanto a lei, pure lui un poco commosso. Non sono più arrabbiati. Non sono più delusi. Il discorso di Romano e le parole di Feliciano hanno aperto i loro occhi ed il loro cuore. Non sanno come parlare al figlio minore, però vogliono aiutarlo. Il diciannovenne ha ragione: se fosse solo una fase adolescenziale, passerà. Inoltre, non possono permettersi di far star male ancora il loro bambino. Per cui, rileggendo la lettera qualche altra volta, si dicono decisi ad affrontare l'argomento. Sono oltretutto curiosi di conoscere questa persona, questo Ludwig -il nome non sanno ancora pronunciarlo correttamente, ma impareranno. Felì ha fatto capire che è una brava persona. 
La donna ha trovato la lettera quella mattina sul suo letto del figlio e ha aspettato il marito per iniziare a leggerla. O così voleva. Troppo curiosa, l'ha aperta e letta subito. Con Raffaele l'ha riletta per la quinta volta. E' una lettera così dolce! 
Sono di nuovo soli a casa, Romano è uscito e ha solo mugugnato che non avrebbero dovuto aspettarlo per il pranzo. E' ancora arrabbiato, così non li ha degnati di uno sguardo. Sentiva il bisogno quasi fisico di stare un po' con la sua ragazza. Solo lei può calmarlo un po', come ha sempre fatto in questi otto anni, anche se a volte il loro rapporto ha oscillato, soprattutto quando entrambi erano al primo liceo. 
Mentre i genitori si mettono in tavola silenziosi (il quindicenne è davvero uscito con alcuni compagni, stavolta), l'altro figlio, anche lui in silenzio, sta fissando la vetrina di un bar, piena di panini, tramezzini e pezzi di pizza. Punta lo sguardo su un panino pieno di olio piccante.
-Cosa c'è, è troppo hot per te, stronzo?- lo prende un po' in giro Elisa, scherzosa, mentre lo guarda. 
Lui distoglie lo sguardo, lontano dal cibo e da lei. -No... non ho fame.- 
-Mi dici che hai? Stai così da tutto il giorno. E ieri, non mi hai più richiamata- domanda lei, cercando di incontrare quegl'occhi tanto delicati, color muschio. 
-Niente. Ti aspetto qua fuori.-
Dunque esce da quel piccolo locale e si siede ad uno dei tavolini in metallo lì fuori, sotto un capanno in legno, lo zaino tra il piede ed il muro e lo sguardo basso. Sta giocando distrattamente con un tovagliolino di carta, distruggendolo.
La ragazza esce poco dopo e sospira lievemente. Appoggia il proprio piatto sul tavolo e si siede vicina a lui. Toglie il fazzolettino dalle sue mani e lo butta nel contenitore poco distante. 
-Hai litigato con tuo fratello?- chiede, cercando di capire cosa ci sia che non vada. Lo vede scuotere la testa. Fa molte ipotesi, ma nessuna sembra quella giusta. Poi inizia a scherzare. -Hai scoperto che i dinosauri si sono estinti? Gli alieni sono atterrati in camera tua, si sono presi il tuo corpo e tengono il vero te in ostaggio dentro l'armadio?- 
Romano accenna un sorriso, sempre non guardandola. -Scema...- 
-Però ti ho fatto sorridere- dice lei, soddisfatta, toccandogli la guancia con l'indice. Beve un po' di coca cola, dalla cannuccia, osservandolo. -Dai, dimmi che c'è.- 
Dunque, il ragazzo le racconta tutto. Stranamente, nei dettagli. Ha solo bisogno di sfogarsi adesso. Lei annuisce, da un morso al panino poi lo mette sul piatto in plastica rossa, per dargli completa attenzione. 
-Quindi non vi parlate...- 
Il giovane scuote la testa. -Non voglio più vederli. Sono stanco delle loro stronzate.- 
Eli gli si avvicina e gli da un breve e dolce bacio a stampo, che lui ricambia, poi gli dice: -Dai, distraiti.- 
A quelle parole, lui ridacchia. -Mi dai un bacio, per distrarmi?- 
-Te ne do pure due, se vuoi- ribatte lei, addentando il panino. Si pulisce poi le labbra col fazzoletto bianco in carta. 
-Sì, li voglio- conferma il ragazzo, dopo averci pensato per gioco. Così le loro labbra si avvicinano. Elisa gli da il primo bacio veloce, poi un altro, prolungato e più intenso. Roma si prende quei baci e poi le lecca le labbra. -Sai di Ketchup, sai?- le dice, ancora vicino a lei. 
La ragazza ride e gli da una botta al braccio. -Fammi mangiare, coglione.-
Così, si dedica a finire il suo panino, mentre lui gioca col suo IPhone a Ruzzle. Quel gioco è una droga. Continuano a parlare e ridere, a darsi dolci baci, da parte di lui forse un po' troppo passionali ogni tanto. Lei lo rimette subito in riga però. Ed il diciannovenne, per un po', decide di assecondarla. Non andrà oltre i baci, finché lei non lo vorrà. 
 
 

 
Ludwig è tornato a scuola, dopo quattro giorni. 
Il polso gli fa ancora male e tutti iniziano a pensare che ci sia qualcosa di più che una semplice slogatura, ma il biondo fa di tutto per far cadere ogni sospetto. Per fortuna, il suo umore è tenuto alto dal fidanzato e dal nuovo arrivato, che ha deciso di chiamare Derk. Lui per il momento non si muove molto, è ancora troppo piccolo e si dedica a dormire. E' adorabile però vederlo mangiare dei croccantini così piccoli e vederlo bere in quella ciotola così grande. Ha provato a dargli del succo di frutta, un poco, giusto per farlo provare. Sa che dovrebbe mangiare solo le sue cose, però lo stava bevendo lui stesso ed il cucciolo si è fermato a fissarlo. Poi, comunque, non ha voluto bere il liquido arancione e lui ha lavato la ciotola per far sparire le prove. 
Ha giocato molto con lui, lo ha coccolato per lunghi momenti e gli ha fatto qualche foto. Alcune di queste, le ha messe su Facebook. Il suo stato è passato da "single" a "impegnato." Così quello di Feliciano. Non voglio ancora mettere, tuttavia, con chi sono impegnati, perché le notizie di Facebook sono di dominio pubblico e se qualche parente di Felì -perché il biondo parenti sul social network non ne ha- vedesse, potrebbe riferire a mamma e papà. E sarebbe un guaio! In base alla reazione che avranno i genitori alla lettera, modificherà la sua relazione anche lì. Ma non lascerebbe mai Ludwig, questo no.
Ad ogni modo, quel giorno, a scuola, è andato tutto più o meno come al solito. Solo qualche attenzione in più da parte dei compagni e dei professori...
 
 
Ha ancora qualche livido sul viso, però niente di troppo grave.
Quando entra in classe, però, tutti se ne accorgono e si avvicinano svelti a lui. -Ludwig, Ludwig! Cos'è successo? E' per questo che non sei venuto a scuola?- domandano. 
Lui non vuole dare spiegazioni, perché darle avrebbe significato affermare chiaramente la sua omosessualità. E questa è una cosa privata.
Così ha risposto: -Sto bene, non è successo niente. Non voglio parlarne più.- 
I compagni e le compagne hanno deposto le armi. Non hanno chiesto più nulla. Quando ha giustificato le sue assenze, la prof lo ha squadrato per bene. Gli ha domandato se volesse parlarne un po' fuori, da soli. Lui ha risposto di no. Immagina i professori e gli altri pensino che è stato picchiato dai genitori, ma ovviamente non è andata così. Suo papà non lo farebbe mai. 
Quando arriva la prof di tedesco, però, non demorde e continua a fare una domanda dopo l'altra, parlando nella lingua che insegna. -Sei sicuro, Ludwig? Chi è stato?-
Lui decide di confessare almeno a lei parte della verità, sussurrando, così forse lo lasceranno un poco in pace. -Mi hanno aggredito un paio di giorni fa... sono stato in ospedale due giorni, poi sono tornato a casa. Adesso sto bene, davvero.- 
La donna annuisce e gli fa cenno di tornare a sedersi. Conosce la scarsa capacità di mentire che ha il ragazzo. La compagna di banco di Ludwig -ah! se lui sapesse di potersi fidare!- continua ad osservarlo preoccupata. Lei si chiama Giorgia. E' un'appassionata di anime e manga giapponese e se c'è una cosa che ama, è lo yaoi.
Arrivata l'ora della ricreazione escono quasi tutti, ma lei non va via. Mangiando svogliata i suoi Tuc Pocket gusto classico, lo osserva con la coda dell'occhio. Dopo un po', si decide a parlare. -Hei, Lud... senti, mi dici chi è stato? Non lo dico a nessuno, se non vuoi.- 
Il ragazzo non ha veramente legato con qualcuno, in Italia. Ha dei ragazzi amici suoi con i quali gioca a calcio, altri amici per uscire ogni tanto, ma si fida di poche persone. E' suo carattere, non può farci molto. Notando che sono rimasti soli, annuisce con un piccolo sospiro. Le fa promettere di non dire nulla. Lei giura. In quei tre anni, ha capito che lei è una persona sincera. 
-Mi hanno picchiato dei ragazzi... sono stati un po' in ospedale, poi a casa, a riposo... Mi hanno picchiato perché, ecco, io...- 
Le sue guance si colorano di una lieve tonalità rossastra. 
Lei sorride e finisce la frase per lui, però bisbigliando: -...ti piacciono i ragazzi. Vero? Lo sospettavo già da un po'.-
-Ma come...?- 
-Ehh! Che ci vuoi fare? Comunque non preoccuparti, non lo sospetta nessun altro. Ho indagato!- esclama. -E scommetto che sei anche impegnato- soggiunge, guardandolo con aria furba. 
Il biondo, tutto rosso, annuisce distogliendo svelto lo sguardo. -Devi presentarmelo! E possiamo uscire a quattro, se vi va! Io, il mio ragazzo e voi due.- Tornando poi seria, soggiunge: -Sei un bravo ragazzo... Non te lo meritavi.- 
Però suona la campana e gli alunni tornano ciascuno nella propria classe. Per cui, la loro conversazione viene interrotta. I due si congedano con un'occhiata complice. 
 
 
Il tedesco riapre gli occhi. Osserva il cucciolino dormire nel letto vicino al suo.
"Ach... devo essermi addormentato" riflette tra sé, in tedesco, perché quella è la lingua in cui pensa e ragiona. Poi traduce in italiano, ma quello avviene solo in un secondo momento. A casa, infatti, i tre maschietti parlano la loro lingua madre. Si stiracchia un poco, si è addormentato in una posizione scomoda ed il polso sinistro gli fa ancora più male. Derk dorme tranquillo, acciottolato su sé stesso. Il respiro è regolare. Il corpicino si alza e si abbassa. 
D'un tratto qualcuno bussa alla porta. 
Il padre quel pomeriggio, nel proprio studio, ha trovato una lettera, sulla propria scrivania. Chissà com'è arrivata lì! Seduto, ha subito iniziata a leggerla. 
 
 
"Ciao papà. 
Come stai? E' da molto che non parliamo.
Abbiamo entrambi molte cose da fare, molto da studiare e lavorare ed il tempo per le parole è sempre meno. 
Però non è per questo che ho deciso di scriverti. 
E' vero, non ci incrociamo che a cena, per un'ora al giorno o poco più, e sinceramente stare con te mi manca moltissimo. Mi mancano le lunghe giornate insieme, le passeggiate, le gite, mi manca tutto dell'infanzia. 
E mi manca la mamma. 
Non te l'ho mai detto, ma mi manca davvero moltissimo.
Lei se n'è andata senza preavviso quattro estati fa, non è più tornata a consolarmi quando prendevo un brutto voto a scuola, non è tornata per abbracciarmi o per darmi il bacio della buona notte. Non è tornata perché Dio l'ha chiamata a sé. Ma tu hai fatto ugualmente tutto per farmi stare bene ed io per questo te ne sono più che grato. Gilbert è un fratello Magnifico e a volte penso che se non ci fosse stato lui io mi sarei già tagliato le vene in un qualche squallido bagno pubblico. Ma il fatto che sia così, è in parte merito tuo. 
Tu ci hai reso forti, ed uniti.
Papà, non voglio ferirti, ma io ho bisogno di parlarti.
Hai presente queste brutte ferite di cui ho ancora il segno? Non volevano rubarmi il cellulare.
E ti ricordi tutti quei bei voti che ho tutt'ora? Ecco, lo studio è solo una scusa per non pensare.
E rammenti, inoltre, quel brutto periodo che ho passato ultimamente? Ero un po' depresso, ma non era per il motivo che ti ho detto. Non ero turbato da ciò che è successo, dalle ferite, o meglio, non solo da quello.
Vedi, papà, io sto crescendo e molti aspetti di me stanno cambiando.
Lo vedi tu stesso, no?, ho esigenze diverse, bisogni diversi. Ma non è neppure questo il punto. 
Avrei dovuto dirti questa cosa un paio di mesi fa, ma ho sempre rimandato. "Ci sarà un momento migliore" mi dicevo, ed intanto ci stavo malissimo. Avevo paura che non mi avresti accettato.
Papà, non voglio perdere altro tempo. Non voglio "tenerti sulle spine" come si dice qui, in quell'Italia dove tu stesso ci hai portato. E' bella, non temere, non è per questo che ti scrivo.
Mi sono innamorato. 
Immagino tu abbia capito dove sta il problema. 
Sei un uomo dotto ed io ti stimo per questo, non hai bisogno di ulteriori spiegazioni. Ma vorrei comunque dartele. 
Io... mi sono innamorato di un ragazzo. 
Lui è molto diverso da me, però insieme stiamo bene. 
Lui è dolce, affettuoso, forse un po' bisognoso di calore umano, ma fantastico. Ha due occhi nocciola dolcissimi, ed un sorriso che, Dio, non riesco nemmeno a descriverlo. 
Stare con lui mi fa stare così bene... 
Mi sono chiesto se fosse una cosa sbagliata. Tuttavia, non credo lo sia.
Lui è una persona speciale, e se è così bello e perfetto perché dovrebb'essere anche sbagliato? Tu e la mamma mi avete insegnato che "Dio è amore." 
Io non sono mai stato un ottimo fedele, ma ho sempre creduto in Dio. Non ho paura di finire all'Inferno, e, beh, se ci finirò, sarò con lui, il ragazzo che amo. Non sarà poi così terribile.
Sai, ha un nome particolare. Si chiama Feliciano Vargas, ha quindici anni e frequenta il secondo anno del liceo artistico. Ha ottimi voti. Vedi? E' un bravo ragazzo, studioso, diligente, serio. Ok, è un po' disordinato e a volte infantile, ma è giustificato dal suo passato. Non te ne parlerò, non adesso almeno. Ne ha passate tante, ti basti sapere questo. 
Ha anche lui un fratello. E anche loro due hanno un rapporto bellissimo, come quello che io ho col mio fratellone. 
E anche Felì sta scrivendo una lettera ai suoi genitori, perché neppure lui sapeva come dirglielo. L'abbiamo detto ai nostri fratelli maggiori e loro c'hanno capiti. Ci capirete anche voi, vero? Abbiamo bisogno del vostro appoggio. Siamo adolescenti e dunque fragili. 
Ti prego, papà, parliamone, perché io non riesco più a tenermi tutto dentro. L'ho fatto per troppo tempo ed ho bisogno che tu capisca.
Stiamo insieme da quasi un mese ed io non potrei essere più felice. 
 
Ti voglio bene.
Ludwig."
 
 
Così l'uomo ha accennato un sorriso.
Ha continuato a lavorare, sempre con quel pensiero nella mente e a fine giornata ha portato a casa la lettera, in mezzo alla cose importanti, nella valigetta. Le cose futili le lascia a marcire in un cassetto, in ufficio. Ma quella lettera... la confessione di suo figlio! Accidenti, sì, che è importante. E' una prova.
Giunto a casa, bussa dunque alla porta del ragazzo. Chiede permesso; ottenuto, entra. 
-Ludwig...- 
Il biondo deglutisce e si mette seduto. Lo guarda negli occhi. Probabilmente, sa già tutto. Col cuore colmo di ansia, stringe le labbra, non distogliendo lo sguardo.
L'uomo entra e richiude la porta alle spalle. Ha ancora il completo elegante che porta quando si reca a lavoro, in ufficio. Lui fa l'architetto.
Questo lo ha portato a viaggiare molto per tutta l'Europa, gli è sempre piaciuto imparare nuove tecniche e avere una visuale più ampia per costruire casa. E' divertente, per lui. Non avrebbe mai accettato il lavoro oltre confine, se non ci fosse stato quell'incidente. 
Klaudia, la moglie, stava tornando a casa dopo aver fatto la spesa, era in macchina e come al solito aveva allacciato la cintura e guidava con prudenza. Un camion però perse la giusta rotta e le finì addosso. Passò trentadue giorni in coma. Fu il mese più lungo della vita dei Beilschmidt. Ludwig aveva solo dodici anni, quando successe, Gilbert già diciassette. 
Fu difficile per tutti, da affrontare, e quando la madre li lasciò definitivamente loro vollero cambiare pagina. Finirono l'anno scolastico poi il padre accettò un incarico in Italia e lì si trasferirono, al Nord. Ogni estate, però, tornano a casa per almeno un mese e mezzo. Infondo, quella tedesca è rimasta la loro casa. Soffrirono così tanto... e se lo ricordano come fosse successo da poco. 
 
Anche quel giorno Ludwig si reca in ospedale dalla sua mamma. 
Gilbert è seduto accanto a lei, le tiene stretta la mano. Sta piangendo. Il biondo non lo ha mai visto piangere. 
-Mamma, ma che fai? Hai sempre tenuto unita questa famiglia, non puoi andartene. Io e Lud abbiamo bisogno di te...- le sussurra allontanando qualche lacrima dal viso.
I battiti del cuore sono rallentati. La donna non si muove.
E' così bella, la loro mamma. Ha i capelli così biondi da sembrare bianchi, la pelle delicata, le lentiggini, gli occhi verdi. Sembra dormire.
-Mamma, ti prego... lo sai che da soli non possiamo farcela...- 
L'albino sta singhiozzando seduto sulla sua sedia. A stento si trattiene. 
Il ragazzino appoggia una mano alla porta e fa un passo in avanti e lui, sentendolo, asciuga svelto le lacrime e rimanda giù quelle che minacciano di rovinare la sua aura magnifica.
-F...Fratellino! Ma che fai, non dovevi uscire con i tuoi amici, oggi?- domanda osservandolo. 
-Hai gli occhi rossi, Bruder.-
-Certo che ho gli occhi rossi, stupido, sono albino!- 
-Intendo che si vede che hai pianto.- 
Quella risposta mormorata con una serenità irreale, inverosimile, gli fredda il sangue nelle vene. Sospira lievemente, si alza e richiude quella porta alle spalle.
Gilbert è quasi adulto. Si reca ogni pomeriggio a trovare la madre, sebbene al padre dica di essere con i suoi amici. Malcolm sa quella sia  una bugia, ma non dice nulla. E' palese che questa situazione non andrà avanti ancora per molto. 
Torna a sedersi nella sua sedia e gli fa cenno di avvicinarsi. Il fratellino si siede sulle sue gambe.
-Hei, Lud, ormai sei grande...- gli dice. 
Gli occhi vermigli sono rivolti alla figura della donna. Non osa spostare lo sguardo. Tiene stretto l'altro tra le sue braccia, appoggiando il mento alla sua spalla. -E' ora che tu capisca...- 
Il biondo lo guarda e no, non capisce cosa voglia dire. -Che stai dicendo, Bruder?- 
Ma è intelligente e il fatto che non voglia comprendere la situazione è più che comprensibile, ma non dovuto a stupidità o ignoranza.
-E' bella, vero? Lei è dolce... è perfetta. Non riesco a pensare che non preparerà più la nostra merenda, che non si arrabbierà perché lascio in giro la divisa del basket, che non cucinerà più la torta dei nostri compleanni, che non vivrà più con noi...- 
-Gilbert, mi stai spaventando...- 
-Non posso mentirti. Non io, fratellino- si volta e lo guarda negli occhi. Li vede riempirsi di lacrime. 
-Nein...- sussurra il più piccolo. -Nein! Non è giusto! Lei è mia...- 
-Shh...- 
L'albino appoggia una mano al suo capo e lo stringe a sé. Accarezza delicato i suoi capelli biondi, lasciando che si sfoghi, mandando via qualche lacrima che minaccia di rigargli il volto e prosegue. -Non piangere, andrà tutto bene... ti prometto che andrà tutto bene... insieme ce la faremo. Hei, non piangere. Non siamo soli. C'è papà, lo sai.-
-Voglio la mia mamma! Non voglio se ne vada...- esclama Ludwig affondando il viso nell'incavo del suo collo, singhiozzando. -Non se lo merita...- 
-Lo so... è stata tutto per noi, eh? La nostra ancora... ciò che ci ha reso uniti...- porta l'indice vicino l'occhio rosso, catturando una piccola goccia che osserva sul polpastrello. -E noi resteremmo uniti, come ci ha insegnato. Te lo giuro, fratellino. Saremo uniti per sempre.- 
 
 
-Posso parlarti un attimo?- chiede l'uomo.
Lui annuisce, quasi spaventato, fissandolo. 
Il papà si avvicina e si siede nel letto con lui. Porta l'attenzione sul cagnolino e fa qualche carezza sul suo musino, mentre lui dorme, delicato il suo petto s'alza e s'abbassa ancora a ritmo lento.
-Questo pomeriggio ho trovato la tua lettera- continua, riportando lo sguardo sul figlio, il quale abbassa lo sguardo. Il cuore gli batte forte forte. 
-Ludwig, ormai sei un uomo. Hai sedici anni e non sei più un bambino. Mi hai molto deluso, sai?- lo guarda, poi sospirando pesantemente.
Il ragazzino si sente morire a quella frase. China ancora di più il capo, vorrebbe ribattere, ma percepisce che c'è dell'altro per cui decide di aspettare.
Però... possibile che il padre non capisca? Che consideri quell'amore un capriccio? 
-Mi hai deluso perché... me lo hai detto per lettera. Avrei voluto mi affrontassi di persona. Che me lo dicessi guardandomi negli occhi. Ludwig, alza lo sguardo, stiamo parlando da uomo a uomo. Voglio che mi ascolti per bene.- 
Malcolm è un uomo severo, severità nascosta sotto la patina di dolcezza. 
In quella casa ci sono molte regole, per qualsiasi cosa. A tavola si tiene la televisione spenta e si fa conversazione, per esempio. I voti dei ragazzi devono essere alti. Ci sono degli orari per uscire e per stare a casa. E, quando si esce per pranzo o cena, lo si deve dire per tempo, altrimenti ci si becca una sgridata. Gilbert viene rimproverato spesso, perché non rispetta quasi mai le regole. 
Il biondo, ora, alza lo sguardo e lo punta a fatica su quello del padre. Ha capito che non è d'accordo e questo non può che farlo stare malissimo. -Ti sto ascoltando- gli dice a bassa voce, ma con tono deciso. 
-Dimmi perché non me lo hai detto.- 
Eh... ecco che lui abbassa di nuovo lo sguardo, guardandosi le mani distratto. Derk si alza e si accoccola sui suoi piedi, leccandoli un pochino con gli occhi chiusi. Il padrone lo coccola un po', dolcemente, con la mano sinistra, il cui polso è ancora fasciato. 
-Avevo paura che tu non capissi. Che ritenessi tutto questo un capriccio. Ma non lo è, perché io sto davvero bene con lui- rivela al padre, arrossendo leggermente sulle guance. 
-Ich weiss. Lo so che non è un capriccio. Io credo a quello che mi dicono i miei figli. Se dici di amarlo, allora dev'essere così. E non c'è nulla di male in questo- ribatte il padre, con un accenno di sorriso. Nessuno dei due è mai stato bravo a sorridere. Ma Klaudia... aveva un sorriso stupendo. Gilbert lo ha in parte ereditato. 
Ludwig spalanca gli occhioni azzurri a sentire quelle parole. -D-davvero?- farfuglia.
Malcolm annuisce. -Io mi fido di te. E non sono affatto deluso perché ti sei innamorato di un ragazzino. E' quello che sei e va bene così. L'importante è che tu sia felice. Ma ora dimmi una cosa: ti hanno picchiato dei ragazzi per questo, dico bene?- 
Il figlio sedicenne, annuisce un paio di volte, lentamente, sospirando. -Scusa se ti ho detto una bugia.- 
-Alla polizia hai detto la verità?-
-Ja- conferma. -Ma non li ho visti in faccia.- 
Tra l'altro, ambedue sono negati con i gesti affettuosi. Abbracci, carezze, coccole. 
Eppure il padre lo guarda e gli fa cenno di avvicinarsi. Dopo, lo stringe forte a sè, facendogli qualche carezza sulla schiena. 
-Anche mamma faceva così...- sussurra il biondo, chiudendo gli occhi contro la sua spalla. 
-Mh?- 
-Le carezze sulla schiena...- 
Tutt'e due accennano un sorriso. 
L'albino rovina quel momento dolce, irrompendo in casa spalancando la porta e richiudendola brusco. -Bruder! Vati! Ho fame, dove siete?- li chiama, ad alta voce. 
-Va da tuo fratello, io vado a cambiarmi- sussurra il papà. 
Si alza e si avvicina alla porta, ma quando il figlioletto lo chiama si volta e lo guarda interrogativo. 
-Danke...- conclude lui, con occhi sinceri. 



 
 
Si avvicina l'ora della verità anche per Feliciano.
Quel giorno, tornato a casa dopo l'uscita con i suoi amici, rimane un momento davanti la porta d'ingresso. "Chissà se hanno letto... chissà se c'è Romano in casa... ho paura, da solo..." pensa tra sé. E sospira, terrorizzato pure lui. Cerca di prendere tempo. Da un'occhiata al suo cellulare in attesa di una distrazione, ma nulla. "Roma ha ragione. Sono un adulto." Dunque, infila le chiavi nella tocca ed apre la porta. 
I genitori sono seduti in salotto a guardare un po' di televisione. La lettera è aperta sul tavolino che hanno davanti. Sentendolo rientrare, si voltano a guardarlo. 
Anche il suo cuore batte fortissimo... 
Accenna un sorriso, nervoso e forzato, richiudendosi la porta alle spalle. -Ciao...- mugugna. 
Il papà è a disagio e non sa da che parte iniziare. La madre è più o meno nelle stesse condizioni. 
-Ciao, Felì... siediti qua, dobbiamo parlare- dice lei, accennando alla poltrona vicina al divano. Il ragazzino, capo basso, zitto zitto, va a sedersi, abbandonando lo zaino al solito angolo vicino la porta e l'attaccapanni sul quale lascia il giubbotto. Nota la lettera. Così domanda: -L'avete letta...?- 
I due annuiscono e si risiedono. L'imbarazzo in quel momento è talmente palpabile... e c'è silenzio, un silenzio pesante. 
-Senti, Feliciano, noi... non conosciamo questo ragazzo e quando lo abbiamo saputo, pensavamo che tu non dovessi frequentarlo- inizia col dire la donna, gesticolando e non guardandolo. 
Il quindicenne riceve una pugnalata al cuore. -Cos-? No... no, io lo amo, non posso lasciar...-
-Aspetta, fammi finire. Tuo fratello ci ha parlato e poi questa lettera... ci ha fatto aprire gli occhi. Alla fine non è... una cosa sbagliata, ecco. Non fai male a nessuno.- 
Lei pare molto incerta, però il marito annuisce alle sue parole rendendosi suo complice. 
Felì, con gli occhi già umidi, annuisce e asciuga una lacrima. -Noi non facciamo male a nessuno, nemmeno a noi stessi... Non abbiamo fatto niente, siamo piccoli, e lui non mi costringerebbe mai a fare nulla contro la mia volontà. Mi rispetta, ecco tutto. Non posso fare a meno di stare con lui. Ci sono... altre persone che mi voglio bene, ho tanti amici, ma con lui è diverso. Lui mi fa stare bene. E da quando stiamo insieme, non ho più avuto incubi. Mi rende felice, sereno...- spiega lui, accennando un sorriso. Lo sguardo però lo punta sulla punta delle sue scarpe e le gote sono leggermente rosse. Suo fratello... che avrà detto? La sera prima lo ha visto nervoso.
-Avete fatto l'amore?- chiede schietto il padre.
 Lui diventa tutto rosso e, gesticolando nervoso, scuote la testa. -No, papà, ma che ti salta in mente? Non abbiamo fatto nulla! Non ci siamo ancora nemmeno detti "ti amo"... è presto, te l'ho detto.- Sente improvvisamente molto caldo, il viso in fiamme. 
-Va bene, va bene, ho solo chiesto- risponde Raffaele. Poi allarga un poco le braccia. -Beh, se stai bene tu, allora va bene. Se ci hai pensato...-
-Tu hai mai pensato di essere sbagliato solo perché amavi la mamma?- domanda lui, semplice e ingenuo. 
Il papà scuote la testa, ancora una volta in evidente difficoltà.
-Ed io so che non è sbagliato. Io voglio stare con lui. Non voglio nessun altro. Solo lui, Ludwig.- 
Rita, sentendo il nome, gli chiede di ripetere. -Aspetta, aspetta! Com'è che si dice?- 
Il ragazzo si lascia scappare un sorriso. -Ludwig. Ludwig Beilschmidt.- 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 28
*** Solo un po' di normalità. ***


Il giorno della riunione a scuola s'è avvicinato sempre più e finalmente è giunto. 
Quel dì sono tutti un po' nervosi, ma in particolar modo Romano non riesce quasi a stare fermo tanta è l'agitazione. 
Oltre al colloquio coi genitori a scuola, quel giorno Feliciano ha il suo solito appuntamento dallo psicologo. Non sente in modo speciale la necessità di andare da lui ma sa che saltare una seduta potrebbe avere ripercussioni pesanti, lo ha già sperimentato, e quindi non discute. Infondo ha tutto il resto della giornata per stare con il fidanzato e gli amici.
Così si mettono in macchina per le tre e mezzo, i due ragazzi e la loro mamma, che per l'occasione è andata dal parrucchiere a fare la piega per i capelli neri, ordinandoli per bene.  Ci tiene sempre a sistemarsi un po' quando deve incontrare gli altri genitori, Roma sostiene sia un qualcosa di ridicolo. 
Ad ogni modo giungono dinnanzi lo studio dello psicologo Virga, lui, il rivoluzionario, si offre di accompagnare il fratellino al secondo piano, dato che sono un po' in anticipo e ha tutto il tempo di farlo. Giunti in cima alle scale, entrano e prendono posto su uno di quei divanetti in tessuto, violetto scuro, nella sala d'aspetto, il più grande in silenzio in palese disagio, l'altro tutto allegro in un ambiente che ormai conosce a menadito, dopo sette anni di frequentazione.
Quando lo psicologo esce dallo studio congedando una ragazzina di non più i tredici anni, si volta al loro indirizzo e si mostra alquanto sorpreso di vederli entrambi. Romie si è già alzato ed è pronto per andare via.
-Quanta fretta, Romano! Non vuoi parlare un po' con me?- gli dice affabile l'uomo. 
Lui scuote prontamente la testa con decisione. -Sono sette anni che me lo chiede, mi lascerà mai in pace?-
Felì è divertito nel vederli quasi discutere, litigare, ma il diciannovenne no. E' nervoso, perché sente tutti gli occhi addosso, quelli degli altri pazienti seduti e dei loro parenti. Lui sta bene. Non smetterà mai di dirlo. Lui. Sta. Benissimo. 
-Eh, che vuoi farci? E' mio dovere tentare- risponde quello, aprendo le braccia in segno di resa.
Dunque lui sistema il giubbotto di pelle nero sulla felpa bianca e fa un cenno al fratellino.
-Ci vediamo dopo.- Quindi, esce. 
Il quindicenne ed il medico sospirano. -Ho paura...-
-Di cosa, Feliciano?-
-Prima o poi esploderà.- 
 
 
Intanto i due sono di nuovo in macchina diretti versi l'Istituto Classico Leon Battista. Appena giunti, il ragazzo indica alla madre un parcheggio e lei -a fatica, perché non è molto brava a guidare- vi posiziona la sua modestissima autovettura. Fatto ciò, scendono entrambi.
Per Romano stare a scuola è meglio di casa, per certi versi. 
Lo salutano e rispettano praticamente tutti. Anche i professori hanno un occhio di riguardo per lui, dopo quello che ha fatto, e la sua posizione di rappresentante d'istituto gioca un ruolo fondamentale all'interno della realtà quotidiana scolastica. 
Così già dal cancello d'ingresso alcuni soggetti lo salutano o fanno un cenno nella sua direazione. Persino i bidelli lo conoscono, anzi, soprattutto i bidelli. Lui ricorda i loro nomi e loro si ricordano sempre di lui. 
Si avvicina dunque ad una donna bassina coi spessi occhiali ed orecchini a cerchio dorati, vestita maluccio, ma sorridente e con un bel colore d'occhi. 
-Signora Rosa- la chiama lui, avvicinandosi. -Sa dove sta la mia classe?-
Lei, rossetto sulle labbra e correttore intorno a quegl'occhi poco valorizzati, gli fa cenno di aspettare un momento. Va a controllare e, tenendo in mano un foglio e scrutandolo, torna da lui.
-Allora, Romà... State al primo piano. Nella IA. Là ci sta il vostro colloquio- gli spiega, con l'accento tipico della sua terra, la Puglia.
Lui la ringrazia in napoletano, scoccandole un'occhiata divertita. La donna saluta la madre del ragazzo, che ha assistito alla scena silenziosa. Lui, per cui, sale le scale svelto. Molte ragazze lo guardano e lo sa, lo sa, però non gli interessa, non più. Rimugina tra sé su cosa fare per il giorno dopo, San Valentino. Elisa gli ha espressamente detto di non voler festeggiare, perché è una cosa patetica e perché stanno insieme da troppo poco tempo, nemmeno un mese. E lui? Deve ubbidire? La pensa allo stesso identico modo, ma la sua segreta vena di romanticismo ultimamente pulsa più forte. 
Le sue labbra s'increspano in una smorfia pensosa, si volta per vedere che fine abbia fatto sua madre. Arrivati -lenti!- al primo piano, lui si guarda attorno per vedere se riconosce un qualche compagno, ma nulla, non li trova. C'è solo... Silvia, seduta più in là su una sedia, maledettamente composta, con atteggiamenti molto finti e studiati al dettaglio. 
Romano le passa accanto senza degnarla di uno sguardo, lei assottiglia il proprio e gli rivolge un'occhiata stizzita. -Vargas- lo chiama.
Il ragazzo le rivolge a stento le spalle. -Che vuoi?- 
-Che maleducazione- commenta la ragazza alzando un sopracciglio. La madre di lui appare mortificata, sgridandolo debolmente.
Ignorando tutti, ignorando in mondo, il diciannovenne si avvicina ad una classe e si mette a turno, con le braccia incrociate al petto e le spalle appoggiate al muro per metà bianco e per metà blu. La classe reca la scritta "IA -Riunione IVE."
Adesso sì che vede alcuni suoi compagni, tra i genitori. Lo salutano tutti più o meno allegri. Si sono affezionati a lui, sebbene lo abbiano in classe solo da pochi mesi. E' il loro rappresentante, dopottutto, eletto democraticamente tra loro stessi.
Comunque, anche qualche compagno vecchio s'avvicina per scambiare con lui una parola, destino vuole che il ricevimento della quinta sia organizzato allo stesso giorno in un'altra classe, invece che messo a turno con la quarta.
Si sente continuamente "Com'è andata? Tutto bene?" e si vedono molte facce contrite e smorfie di dolore sui volti dei ragazzi. Ecco che giunge il turno di Roma.
Il prof di spagnolo, con la sua pessima pronuncia, sostiene che l'alunno sia uno dei migliori, i suoi voti alti -tutti nove ed un otto- lo confermano. Si vede che ama la materia, da come la parla e la racconta e la studia e descrive. E' davvero portato. Tutto merito di Isabel, eh? Infondo grazie a lei il ragazzo ama tanto la Spagna.
L'insegnante di filosofia, è anche lei molto contenta dell'operato del ragazzo,  perché "ha idee brillanti e fa interventi geniali." La pensano in modo simile anche altri professori. Quella di matematica, lo guarda con un'occhiata di rimprovero. Lui è intelligente e s'impegna, ma più di cinque non prende nei compiti scritti e nelle interrogazioni orali. 
Il docente di educazione fisica lo guarda divertito fin da subito. 
-Signora, suo figlio è maledettamente pigro. Ma appena vede un pallone da calcio... scatta in piedi in men che non si dica! Ed è molto bravo, devo dire. Gioca bene.-
Buone parole per tutti gli altri, ma arrivati alla prof di inglese, il ragazzo si fa più serio ed incrocia le braccia al petto.  Lei lo odia e difatti lo descrive malissimo. Disattento, rumoroso, fastidioso, volgare -condizione non troppo lontana dalla realtà, tuttavia- maleducato e ignorante nella sua materia.
Romano non ribatte a nessuna di queste affermazioni, come se lei lo stia provocando, fa finta che non esista e che non sia la sua insegnante. Ma non riesce a trattenere un'occhiataccia alla parola "ignorante." Detesta quando lo definiscono in quella maniera, perché l'ignoranza per lui è il primo dei mali, che porta poi gli altri, ma solo in un secondo momento. Cerca di distrarsi. Si avvicina infin all'ultima docente, quella di italiano, che ha un gran sorriso stampato sul volto.
-Signora Vargas! Ma che devo dirle? Per me può pure andare via direttamente- risponde lei, incrociando le braccia al petto.
-Gesù! Va così male?- domanda sconvolta Rita. -Ah, ma lo sapevo io! Lo metterò  in punizione, non si preoccupi. Riesce a recuperare, vero?-
L'altra però corruga la fronte un po' confusa. -Cosa...? Signora, suo figlio va benissimo. E' il migliore della classe, nella mia materia e non solo. Ha nove in italiano e nove e mezzo in storia. Va perfettamente. E' educato, sveglio e soprattutto intelligente. Non ho di cosa lamentarmi. Però una cosa gliela voglio dire. Roma, ci lasci un momento da soli?- lancia un'occhiata al ragazzo sperando capisca e, ottenuta obbedienza, abbassa la voce avvicinandosi un poco alla madre dell'alunno. -Signora... io sono un po' preoccupata. Romano è attento, costante nello studio, un bravo, bravissimo ragazzo. Però certe volte ha la testa tra le nuvole. E non credo sia l'età. Lo conosco solo da due anni, essendo nuova di questa scuola, però... ho come l'impressione sia un poco depresso. In certi giorni è completamente assente.-
Rita sospira mortificata, con fare seriamente dispiaciuto. 
-Io... mi dispiace, mi dispiace tanto. Lo metto in punizione, così impara a non distrarsi.- 
-No, signora, non ha capito... deve parlare con lui. Quand'è stata l'ultima volta che lo ha fatto?- non ottenendo risposta e percependo un certo disagio, continua con un sospiro. -Ecco, appunto.-
-Lei sa com'è mio figlio...- si difende debolmente la madre. -Non parla, non si esprime; fa sempre di testa sua. Non mi dice mai cosa c'è che non va.-
-Lei glielo chiede?-  Altro breve silenzio. -Lo immaginavo... stia attenta a lui.-
Ma a Rita non piace farsi consigliare su come educare i figli da un'estranea e prende molto alla leggera le sue parole. "Che ne vuole sapere, lei, di come si mettono al mondo i figli? E' troppo giovane per dare consigli" pensa. E, ovviamente, sottovaluta la situazione, andando via un poco pensierosa. Recuperato il figlio, torna alla macchina. 
 
 
Qualche ora dopo il ragazzo se ne sta sul suo letto a meditare. Gli sembra strano che la madre non lo abbia sgridato per i brutti voti in inglese e matematica, tuttavia ne è sollevato. Non vuole sentirla urlare. Lo urta. 
Disteso sul letto, ha il pc tra le gambe. Sta chiedendo ad alcuni amici suoi come sia andata la riunione scolastica. A Karl è andata più o meno come è andata a lui. Ad Elisa, peggio. Lei è... tremendamente pigra, anche se è intelligente e sicuramente sveglia. Alex ha il colloquio domani. A Roberto, l'ex rappresentante d'istituto, è andata così così. Alice, l'attuale rappresentante, è in punizione. Sommariamente, un disastro. 
Leggendo un articolo di cronaca -le fonti indipendenti sono le migliori, per lui- storce il naso. Sente d'un tratto un buon odore ma non vi da troppo peso. Poi bussa qualcuno alla porta. -Avanti- mugugna con gli occhi fissi sullo schermo. Entra suo fratello, con in mano un piattino di plastica sul quale vi è una torta rotonda, tagliata a fette, al cioccolato, una di quelle semplici e soffici. L'appoggia sul comodino e lo guarda con un sorriso sereno. -Assaggia!- lo incoraggia. 
Il maggiore appoggia il computer sul letto ed incrociando le gambe prende un pezzetto di torta, mandandolo subito giù. -Buona- gli concede. -Perché hai fatto una torta?- domanda, deglutendo poi il secondo boccone. 
-Per dirti grazie. Domani la faccio anche a Luddi. Roma... ti devo dire una cosa- mugugna lui, sedendosi sul letto. China un po' il capo fissandosi le mani che giocano distratte con le maniche del maglioncino. Incentivato dall'altro a parlare, continua. -Mamma mi ha detto cos'hai fatto per me... che hai parlato con loro. Che gli hai detto quelle cose.- 
-So che non sono fatti miei- ribatte l'altro, continuando a mangiare. E' ora di cena e ha tanta fame.
-Già. Però... beh, grazie, fratellone- sussurra Felì abbracciandolo. Si prende un po' delle sue coccole, poi lo prende per mano e lo porta in cucina, per consumare il pasto.
Sono tutti seduti silenti al tavolo, mangiano la pasta con il sottofondo di "Un Posto al Sole", soap opera che seguono da più di sette anni, racconta le vicende legate agli abitanti di Palazzo Palladini, in un quartiere elegante di Napoli. Non è nulla di impegnativo, è rilassante e leggero, da guardare. Raffaele ne è innamorato. Ogni sera deve seguirlo e nessuno deve alzare troppo la voce mentre lo guarda, altrimenti è lui ad arrabbiarsi. Ci tiene un sacco. Anche il figlio minore e la moglie, oramai, sono affezionati. Romano no. Lo detesta. L'unica sua consolazione è lo scenario della sua città. 
Tace, mentre si concede un po' di insalata, ed il papà richiama ben presto la sua attenzione. Dato che la moglie con lui non ha segreti né vuole averne, gli ha detto tutto quanto. 
-Romano- lo chiama, serio. 
-Che c'è?- risponde il figlio. Già si immagina il rimprovero, il proprio rotear d'occhio ed il successivo alzare di toni. Trattiene un sospiro.
-So che sei andato abbastanza bene. A parte in matematica e in inglese- dice, spezzando un poco di pane con le mani, per accompagnarlo all'insalata. -Che hai intenzione di fare? Devi recuperare.- 
-Lo so.-
Lui non ha mai aiutato i figli nello studio, semplicemente perché non ha mai studiato. Stessa storia per Rita, che però è un poco più acculturata.  Il quindicenne è sempre stato aiutato dal maggiore nei suoi compiti. Roma da nessuno. Anzi, ogni tanto dal nonno a dire la verità. Si ripromette di chiamarlo. 
 
 
Il piccolino è seduto sulla scrivania, le gambette dondolano un poco dalla sedia. Con fare attento, la fronte lievemente corrugata, ricopia le vocali. Deve ricopiarle tutte quante, in stampatello, e riempire il foglio. Però è così difficile! Ha appena sei anni e va alla prima elementare.  Ricercando l'attenzione del fratello maggiore, prende il quaderno e la sua inseparabile penna cancellabile blu Reply e va a cercarlo in cucina. Lo trova in salotto a giocar con della macchinine in plastica, una blu ed una nera, facendo il verso con la bocca. Bruuum, bruuuuum!
-Fratellone... mi aiuti?- gli chiede Felì dondolandosi un po' sulle gambe, avanti e indietro, nascondendo il tutto dietro la schiena. 
Romano scosta qualche ciuffetto scuro dagli occhi. Si alza, mette le due piccole autovetture sul un mobile ed appoggiando una mano sulla sua spalla gli fa cenno di andare verso il tavolo della cucina. Si siedono lì, vicini. 
-Che devi fare?- chiede. E' già in quarta. Già ripete oralmente, fa di conto con le quattro operazioni, sa fare le equivalenze ed fare dei bei temi. E' bravo. Ha quasi tutti dieci e lode. Ne va molto orgoglioso perché studia da solo. 
-Devo copiare le vocali...- spiega il fratellino con tono molto dolce. Roma di certo non capisce che è solo una scusa per stare un po' con lui, quella richiesta di attenzione, però comunque lo aiuta. Lo segue in ogni vocale, tutte le A, E, I, O, U vengono fatte alla perfezione con lui accanto. E quando sbaglia, lo corregge. Lui non è molto bravo a scrivere, è colpa della Corèa Reumatica, che lo ha influenzato fin troppo nella sua giovane vita. Tuttavia, vuole che il piccolo Fè, lui che può, scriva bene. Per questo lo aiuta ogniqualvolta ha difficoltà. Ritenutosi entrambi soddisfatti dell'opera conclusa, sentono bussare alla prota nel momento in cui chiudono il quaderno.
-Il nonno!- esclama Romano. Si avvicina svelto alla porta e va ad abbracciare il parente che non vede, purtroppo, quasi mai. Il vecchio se lo coccola per bene, poi da le stesse attenzioni all'altro nipote. Si siede dunque sul divano. 
-Ah sì? Il tuo fratellone ti ha aiutato? E tu hai aiutato lui?- chiede Nonno Roma col solito sorriso, tenendo davanti a sé il nipotino, il quale riflette un momento sulla risposta e poi scuote la testa. Così, lui prosegue. -Romano! Allora! Che hai da fare per domani?-
-Ho già studiato, nonno. Ho fatto la geografia.-
-Capitale d'Italia?- chiede sfidandolo con lo sguardo.
-Roma!- esclama lui.
-Capoluogo campano?-
-Napoli!- risponde ancora ridendo un poco. Sì, sa ridere.
-Capoluogo veneto?-
-Venezia!- 
-Ma sei bravissimo! Vieni qua; ti devo dare una cosa.-
Con la mano gli fa cenno di avvicinarsi, il bambino un po' perplesso ubbidisce. Prende poi un pacchetto tra le mani. Lo apre, lento, e spalanca gli occhi notando una macchinina bellissima chiusa in una scatola. Rosso fiammante. Una Ferrari. Bellissima. E' un modellino fantastico in ogni dettaglio. 
Si avvicina al nonno e lo abbraccia forte, ringraziandolo. Accenna un sorriso.
 
 
Non lo spegne, il sorriso, perché quello che sta leggendo gli piace molto. Forse sarà la solita storia di amicizia, ma a lui queste cose piacciono. Lavoro di squadra, intimità di gruppo. "Questo rimane tra noi" ... quante volte ha detto questa frase ai suoi migliori amici? Lui capisce quando non c'è da fidarsi troppo delle persone, ecco perché ai suoi ex migliori amici non ha mai raccontanto molto di sé. La sua storia la conoscono solo Elisa, Carlo, Alessandro. Ma quest'ultimo non sa proprio tutto. 
Manda giù un altro pezzetto di torta, prima di andarla a riporre in cucina in modo che non diventi asciutta durante la notte. Ripensa alla discussione avvenuta poco prima con i suoi genitori. Non si sono arrabbiati poi tanto... e la cosa è sospetta. 
Comunque, con un sospiro, si mette a dormire, è stanchissimo quel giorno. 
Per le dieci e mezza è già nel mondo dei sogni. 




 
La mattina dopo non vuole alzarsi dal letto. Ha ancora troppo sonno e non sente neppure la sveglia. La spegne, la ignora completamente, nascondendosi sotto le coperte. Chissà perché ha così sonno... certe medicine hanno come effetto collaterale la sonnolenza, ma lui ultimamente non ha preso nulla. Forse è solo un po' di stress. Ad ogni modo, irrompe ancora una volta suo fratello in camera, che lo scopre e lo saluta col solito modo affettuoso ed allegro.
-Fratellone! Svegliati, è tardissimo! Sono già le sette e mezza!- 
-Tanto ormai arrivo in ritardo. Entro a seconda ora.- 
Feliciano sospira lievemente. -Roma... sono nervoso. Fa qualcosa- mugugna in tono supplicante. Il ragazzo si passa una mano tra i capelli e suo malgrado si alza, andando subito a vestirsi. -Nervoso?- chiede. -Per cosa?-
L'altro con una smorfia si abbandona sul letto ancora disfatto. -Stasera ceno da Ludwig. Suo padre vuole conoscermi.-
-Oddio, che ansia- borbotta il maggiore. 
Non condivide proprio questo genere di cose. Non approva i "fidanzamenti in casa", dove i ragazzi già sono parte integrante della famiglia, come se stessero insieme da anni. E' una cosa che devono vivere solo loro, per lui. Una cosa privata, ecco. Eppure il fratellino già va a cena dal tedesco. Spera solo vada tutto bene, non si fida troppo. 

 
Serata importante per Ludwig e Feliciano, quindi. 
I loro genitori, alla fine, l'hanno presa bene e loro non possono che esserne felici.
In particolare Malcolm, ha deciso di invitare a cena il fidanzato del figlio, sempre che quest'ultimo sia d'accordo ovviamente, per conoscerlo meglio. Il biondo ha accettato. Vuole fargli vedere che tipo di persona sia il suo ragazzo, quanto sia dolce ed affettuoso, quanto sia bello sia dentro che fuori. 
Così, quella sera, quella prima di San Valentino, apparecchiano per una persona in più. 
Loro non sono molto bravi a cucinare, ma se la cavano e con un po' di pazienza -non senza bruciare qualcosa- hanno organizzato una cena con più portate. Naturalmente, Gilbert non ha fatto nulla. Si è limitato a rubare un  pezzetto di pane o qualche patata e a giudicarli ad alta voce senza però aiutarli. Si è beccato qualche brutta risposta, ma ha continuato a sogghignare indifferente. Comunque le parolacce sono poco ammesse in quella casa, oltretutto il vocabolario tedesco ne sconosce ben poche. Per lo più si utilizzano insulti come löd (stupido), idiot (idiota), depp (cretino), dumm (altro modo di dire stupido), dummkopf (testa stupida.) Molto frequenti in quella casa, soprattutto da parte dell'albino che dell'Italia ama poche cose ed una di queste è la volgarità delle sue parolacce. La prima cosa che ha imparato, forse.
Ad ogni modo, un contributo prezioso, è stato dato da Ahida.
Lei è una ragazza di trent'anni, proveniente dall'Europa dell'Est, precisamente dalla Romania. E' la loro domestica da quando sono arrivati lì, ormai da tre anni, ed ora è praticamente una di famiglia. Si è meritata la loro fiducia: è brava, diligente, e svolge al meglio il suo lavoro. Dato che è una mamma, ha dato loro alcuni consigli, trattenendosi altro l'orario normale di lavoro.
Il biondo adesso sta giusto finendo di apparecchiare la tavola. E' un po' nervoso. 
-Ludwig, hai visto che c'è in salotto?- lo riprende il papà. 
Lui scuote la testa sistemando i bicchieri. -Nein, was?1
Malcolm mette qualcosa in forno, la portata principale, e lava le mani nel lavabo della cucina, asciugandole poi su uno strofinaccio. -Vai a vedere. E pulisci- ordina in tono che non ammette repliche.
Il biondo, trattenendo uno sbuffo, si passa una mano tra i capelli e va a dare un'occhiata. Trova la pipì di Derk vicino al tappeto. "Se la faceva lì sopra, ero morto" si dice tra sé.
Va dunque a prendere dei fogli di scottex in cucina, dove si scontra quasi con Ahida, che sta indossando il giubbotto pronta per tornare a casa. -Ci penso io, non preoccuparti- dice lei dolce con il suo strano accento.
Prima che lui possa dire qualcosa, il padre ribatte: -Nein, il cane è sua responsabilità. Fino al vaccino, fino a quando Derk non potrà uscire, ci penserà lui a pulire.- 
Così il figlio ripara in fretta al danno, infine va a lavare per bene le mani col sapone nella camera da bagno.
Quando sente la ragazza andare via, come gli altri due uomini in casa, la saluta. -Tschüß und danke!2- dice a voce un po' alta per farsi sentire. Asciugate le mani, torna in cucina. 
-Vati3, hai visto Derk?- domanda, con le mani sui fianchi. Non è vestito in modo particolare. Ha dei jeans, una maglietta ed una felpa aperta. Accostamento dei colori pessimo. Ma dopotutto la sua terra produce macchine, birra, molte altre cose, ma non moda. Il fratello sta giocando alla playstation in salotto e sentedo quella domanda urla: -Derk ist hier!4
Infatti il cucciolo è accoccolato dentro la tasca della sua felpa, ne esce fuori soltanto il musino da una parte e la codina dall'altra. Notandolo, il biondo accenna un sorriso divertito. Sta per andare a prenderlo, però sente suonare il citofono. E' Feliciano. Da un'occhiata all'orologio, è in ritardo di cinque minuti, sei per essere precisi ed il tedesco lo è. 
-Ehm... c'è Felì- dice in tono vago, il papà annuisce. Lui ha dei pantaloni blu ed una camicia. E' tornato tardi dal lavoro, ha avuto giusto il tempo di fare una doccia. 
C'è una strana contrapposizione delle due famiglie.
Generalmente, i tedeschi, come popolo, non sono abituati a pensare troppo ai vestiti. Sono capaci di andare ad un matrimonio in jeans e maglietta. Comodità prima di tutto.
E gli italiani, dal canto loro, sono attentissimi alle ultime tendenze. E anche chi non è alla moda, anche chi non la segue, fa una netta distinzione tra il vestito per un matrimonio e quello per una partita di calcetto con gli amici. In Germania questo non accade.
Eppure il papà Beilschmidt è stato abituato ad tenere spesso la camicia, anche con dei jeans sotto come la indossa proprio questa sera, è un uomo elegate, di classe.
Mentre il papà di Felì, muratore, non ha esattamente gli stessi gusti raffinati e raramente indossa giacca e cravatta. Sono un po' l'eccenzione delle loro terre. 
Ad ogni modo, Lud, tremendamente ansioso, apre la porta e lo aspetta appoggiato allo stipite, guardando l'ascensore ancora chiuso. 
Suo fratello lo prende in giro. 
-Il magnifico me crede che tu sia terribilmente nervoso. Vuoi chiuderti in bagno ed allentare un po' la tensione?- mormora con tono canzonatorio, giocando a Call of Duty. Come si faccia ad uccidere i propri connazionali, resta un mistero. Il fratellino ogni tanto gli domanda: -Ma non potresti uccidere, quantomeno, i comunisti? Che almeno sono russi, o comunque dell'est.- Di certo non approva quello che la sua terra ha fatto settant'anni prima, ma lui è così nazionalista che non se la sentirebbe di uccidere i tedeschi ad un videogioco. 
Gilbert se ne frega altamente, così come non ascolta il richiamo del papà.
Adesso ribatte: -Invece di dire cavolate, tieni Derk, che sennò scappa.- 
E' fermo con le braccia incrociate al petto. 
L'ascensore si apre e da lì, naturalmente, esce il ragazzino italiano che subito gli sorride. Gli va incontro ed esclama: -Che dolce, hai gli occhiali!- sottovoce. 
Il biondo si era completamente dimenticato di averli indosso. Se li toglie e gli da un bacio a stampo veloce, poi fa cenno di entrare in casa, con un piccolo sorriso.
Lui è astigmatico, ciò significa che non vede bene da vicino. Tiene gli occhiali blu scuro solo per studiare, leggere, o stare al pc. 
Entrati in casa, richiusa la prta alle loro spalle, il quindicenne si avvicina all'albino e lo saluta col solito tono allegro, lui risponde con gli occhi vermigli fissi sullo schermo della televisione. Per la verità nemmeno lui ci vede troppo bene, ma questa è una delle colpe dell'albinismo. Porta le lentine. 
Malcolm immaginava il ragazzino fosse lo stesso che ha visto in ospedale, ora ne ha avuto la conferma. Gli porge educato la mano, giungendo in salotto, con tono affabile lo saluta.  -Ciao, Feliciano.- 
-Buonasera!- risponde lui, allegro come sempre. E' un bravo ragazzo, solare, socievole e Lud non gli stacca gli occhi di dosso se non per qualche secondo. Ridacchia divertito quando nota Derk scodinzolare debolmente nella felpa di Gilbert. Gli si avvicina e gli fa qualche carezza sul muso. 
Pochi minuti dopo sono seduto tutti quanti a tavola con le mani umide, perché appena lavate, Derk è in cucina a mangiare la sua razione di croccantini, però sentendo l'odore del pollo si avvicina alla sala da pranzo e si accoccola accanto la sedia del padrone, osservandolo con gli occhioni dolci, sperando di ottenere qualcosina; ma nulla. Il biondo non si lascia intenerire. Feliciano sì, però si trattiene perché quella non è casa sua. 
Il papà inizia la conversazione che fila dritta, senza problemi, per tutta la serata, senza interrompersi per un momento. Sta ben attento alle parole dell'italiano, nota tutte le occhiate del figlio e si lascia scappare un piccolo sorriso. Si vede che è preso. Lo guarda con occhi innamorati, dolci. Non lo ha mai visto così tranquillo, da quando Klaudia li ha lasciati. Scambia un'occhiata d'intesa con il figlio maggiore, quando i due ragazzi si mettono a parlare. Gilbert se la ride. 
-Ach, mein Bruder... ti sei innamorato!- dice puntando gli occhi sui suoi. Le guance di Ludwig diventano subito rosse e tra i due inizia una piccola lite. 
Felì ride felice. E' contento vada tutto per il meglio. Ora non gli manca nulla. Ha la famiglia, gli amici, l'amore. Che può volere di più? Adesso si sente finalmente bene.




 
Mentre il fratellino è fuori per la "cena di famiglia" ed i genitori hanno ben pensato di concedersi un momento per loro, per risvegliare la passione... solo pensare a questo fa venire un brivido lungo la schiena del ragazzo. Fa una smorfia e rimane lì seduto sul divano, da solo, col micio vicino.
-Ah, Milù. Quel disgraziato di un tedesco. Giuro che se fa soffrire mio fratello, gli spezzo le gambe. A lui, e all'albino.- 
Sospirando con fare melodrammatico, spalancca poi gli occhi sentendo suonare alla porta. -E chi minchia è, ora?- dice a voce un po' bassa. Ma a lui piace parlare da solo, qualche volta, quando a casa non c'è nessuno. E poi c'è la gatta. Lei lo ascolta, eh!
Abbandonando il pacco di patatine sul tavolo, si tira in piedi e va ad aprire. Spalanca gli occhi nel ritrovarsi Elisa davanti. -E tu che cazzo ci fai qui?- chiede, osservandola.
Lei sbuffa girando gli occhi. -Che accoglienza del cazzo- borbotta. Entra in casa e richiude la porta alle spalle con un gesto netto, così appoggia una mano sulla sua guancia per dargli un bacio. -Andrea doveva uscire. Siccome sapevo che eri da solo, ho pensato di venire a romperti un po' le palle.- 
Legando i capelli in una coda di cavallo, lo guarda. Lui accenna una mezza risata. 
-Non sarebbe garbato mandarvi via, Señorita- dice lui, avvicinandosi alla ragazza, la quale ha ancora le mani tra i capelli, ed appoggiando le proprie sui suoi fianchi, le da un secondo bacio, più passionale, stavolta. 
Sono a casa da soli. Lui ha i profilattici nel secondo cassetto del comodino. Hanno casa libera e la ragazza ha indosso una maglia bianca che le sta benissimo. 
Le prende la mano e le fa fare una giravolta. -Fatti vedere- le dice. E' davvero bellissima quel giorno. O forse è Romano sempre più cotto di lei. Appena è ferma, lui la stringe a sé, accarezzandole un poco la schiena. Lei non sfugge al bacio e appena può gli circonda il collo con le braccia. gli mordicchia piano le labbra. Roma dopo scende fino al suo collo e vi lascia dei baci. La ragazza però lo allontana scuotendo la testa. -Non lo sai?-
-Mh?- 
-Marchiare il proprio partner è sintomo di insicurezza.-
-...Ma va' a cagare, tu e queste riviste del cazzo che ti leggi- borbotta lui. Però Eli ha fatto centro, sebbene il diciannovenne non lo sappia. Scioglie la presa e va a riprendersi le patatine, mangiandone un paio sul divano. 
Lei ridacchia tra sé e si avvicina da dietro, chinandosi in avanti gli prende il volto tra le mani e gli da un bacio. Dalla sua mano ruba una patatina. Poi fa il giro e si siede sul tavolinetto davanti a lui. Accavalla le gambe e lo guarda. Scioglie i capelli e li sistema con la mano, lasciando che qualche ciocca le copra il seno e la spalla. Ha il capo un po' basso e gli occhi su di lui.
-Ci conosciamo da una vita, Romano. Pensavo sapessi fare meglio che...- lo indica con la mano e fa una smorfia. -Stare lì a mangiare patatine mentre sei solo a casa con la tua ragazza.-
-Dolcezza- risponde lui, ironico. -Ti sto solo rispettando. E comunque ho finito di mangiare.-  
Da quel che ha potuto capire, lei non è intenzionata a fare l'amore con lui e lui di certo non vuole creare situazioni spiacevoli o imbarazzanti. 
-Chi ti dice che io voglia essere rispettata?- ribatte lei, alzando un sopracciglio. 
Romie accenna un sogghigno. Le si avvicina, appoggiando svelto le mani accanto ai suoi fianchi e baciandola con passione. Affonda una mano tra i suoi capelli. Lei sorride e si lascia toccare. 
 
 
   


 
-Le voci erano vere- esclama Elisa, distesa sul letto accanto a lui.
Si volta, mettendosi a pancia in giù e tirandosi un po' su coi gomiti. Lo guarda negli occhi. -Me l'ero sempre chiesta.-
Il ragazzo si mette su un fianco, una mano sulla schiena di lei. Gli fa un cenno interrogativo col capo ed aggiunge: -Cosa?- 
-Se fossi davvero così bravo a scopare- ribatte lei, facendo spallucce. -E non fare quella faccia. Non sono venuta a letto con te per scoprirlo.- 
Ci tiene davvero a lui. Notandolo alzarsi un poco, a sua volta si abbassa fino ad incontrare quelle labbra ancora una volta. Non ne è mai sazia. 
Romano si alza, il preservativo usato è già finito dentro al cestino di camera sua tra le cartacce. Infila di nuovo i boxer ed i jeans, lasciandoli però sbottonati. Lei sente freddo, così si nasconde sotto le coperte. Allunga una mano verso i vestiti, le sembrano così lontani! Ci rinuncia ben presto. 
Lui la rimprovera mentre mette la cintura. -Mi hai sporcato il letto di ombretto.-
-Non ti rispondo, potrei essere volgare- ribatte lei, stizzita. Sistema un po' i capelli. "Ah, Romano, che idiota che sei... io avrei voluto che la mia prima volta fosse stata con te... Ho aspettato così tanto, per essere tua... Non tradirmi, non lo sopporterei. Non da te" si ritrova a pensare. Trattiene a stento un sospiro e si riscuote da quei pensieri solo quando lui le chiede se ha fame. Annuisce, s'infila l'intimo, i jeans ed una felpa del ragazzo per stare più comoda stringendosi ad essa. Va in bagno e sistema i capelli in una crocchia disordinato ed un po' il trucco, una volta recuperata la sua borsa. Infine, torna in cucina, sedendosi al tavolo. Fa una carezza a Milù, la quale torna veloce sulla sua copertina, ad accoccolarsi. 
-Che ore sono? Sfamami!- mugugna un po' capricciosa. 
-Sono le dieci. Tra un'oretta tornano i miei- spiega lui. Sta impastando qualcosa. Lei domanda cosa, così le spiega: -Pizza.-
-Ma ci metti una vita a farla!- si ribella. Non ottenendo giustizia, si mette a curiosare in giro. Apre un cassetto scoprendolo pieno di farmaci. Rita ha la strana abitudine di scrivere sopra ogni medicina il nome di chi deve usarla. In molte di esse c'è il nome del figlio maggiore. Elisa se ne stupisce e chiede al fidanzato una spiegazione, corrugando la fronte.
-Per l'operazione- mormora lui, condendo la pizza. Aveva già preparato l'impasto nel tardo pomeriggio, intorno le sette e trenta, perciò la maggior parte del lavoro è già fatta. Mette pomodoro, mozzarella, basilico e prosciutto cotto. Quindi, inforna. 
Lei è un po' perplessa, però gli crede. Ripone tutte le confezioni al loro posto e gli porge il cucchiaio appena richiesto, più tranquilla. 
Però Romano... non vuole mentirle. Sospira lievemente ed esclama: -Ok, bugia.-
Ancora una volta lei non capice. Gli si avvicina chiedendogli di essere più chiaro.
-Non sono solo per l'operazione. Quella è passata. Non ti ho detto... una cosa importante.- Ha sempre odiato parlare di sé, ma stavolta lo trova indispensabile. Si distrae mettendo in ordine la cucina, è una cosa che detesta, pulire, ma è l'unico modo per non guardarla mentre si mette a nudo completamente dinnanzi la ragazza.
-Sai che sono venuto qui quando avevo quattro anni, no? Ero nervosissimo, in più era da poco nato il mio fratellino e tutte le attenzioni erano riversate su di lui.-
-Erano e sono- corregge Eli. 
Lui annuisce con poca attenzione e continua, sia a parlare, sia a lavare le stoviglie. -Ero sempre più stressato e mi sentivo solo, volevo tornare a casa mia. Un giorno mi venne la febbre. Continuava a salire e per giorni fui costretto a letto. Ero debole e non riuscivo ad alzarmi. Inoltre, scoppiavo a piangere all'improvviso e non riuscivo più a vestirmi... mi cadevano i giocattoli di mano. Mi fecero degli esami. Ero malato; avevo contratto la Corèa Reumatica o Corèa Minor, volgarmente denominata Ballo di San Vito. Comporta questo: sblazi d'umore, movimenti a scatti e involontari, peggioramento della grafia -ma io allora ero piccolo e non sapevo scrivere, però coloravo e disegnavo. Non potei imparare a disegnare e scrivere bene per la malattia. Ecco perché tutt'ora ho una pessima grafia e non so disegnare.-
La giovane lo ascolta in silenzio. 
Lo stringe forte avvicinandosi a lui da dietro quando immagina quel bambino di quattro anni che non può più giocare tranquillo. Gli bacia la spalla sulla quale è appoggiata in modo dolce. Gli dispiace davvero. Non è arrabbiata perché non glielo ha detto, semplicemente ci ha rinunciato a saper di lui. Sa che parla solo quando ne ha voglia, quindi non lo costringe a farlo. Ormai lo conosce. 
-Mi dispiace...- sussurra. -Quanto ci hai messo a guarire?- 
-Non si guarisce completamente. O meglio, non tutto lo fanno. Sono stato fortunato, perché ogni tanto capita che questa malattia porti dei problemi al cuore. I pazienti di solito devono stare a letto per settimane o per mesi, ma io potevo tranquillamente uscire di casa. E' che non volevo farlo. Così rimasi per giorni sotto al letto nascosto. A stento mangiavo. 
Possono esserci delle ricadute, ogni tanto. Io ne ebbi una quando Felì...  avevo circa 12-13 anni. Fu la ricaduta più pesante. Le altre sono sciocchezze. Per questo ci sono così tante pillole. Ci sono dei cicli da seguire per evitarle.- 
Il tono è piatto, non ha alcuna incrinazione particolare. Né nervosismo, né angoscia, né amarezza. Non esprime nulla, con gli occhi fissi sulla terrina nella quale ha mischiato farina, acqua, lievito e sale, non aggiunge nient'altro. Non vuole essere compatito, lo è stato per troppotempo, troppi anni. 
Qualche momento dopo i due ragazzi si mettono a tavola a mangiare. E' strano avere casa tutta per loro, fare l'amore e cenare ancora da soli. E' come se convivessero! E' una sensazione un po' strana alla quale non vogliono affezionarsi troppo.
Quando lei deve andare via, lui non può baciarla, perché è già tornata tutta la famiglia. Così la saluta normalmente, ma c'è qualcosa nel suo sguardo, qualcosa in quegl'occhi verdi, che rende il saluto poco normale. Lo rende diverso, speciale. Vorrebbero baciarsi ma non lo fanno. Lei vorrebbe di sicuro e lo farebbe, però... 
Nel resto della serata, Romano ascolta il fratellino raccontargli com'è andata. 
Tutto liscio. Malcolm gli è sembrano proprio una brava persona. E' entusiasta e si è divertito, ma è ancor stanco, così fila a dormire in poco tempo. 

 
Quattordici Febbraio, San Valentino. 
Elisa e Romano come concordato non vogliono festeggiare, però, quel giorno a scuola, lui le si avvicina. Sono soli in classe. Appoggia i gomiti sul tavolo chino su di esso, lei seduta. 
-Chiudi gli occhi- le dice. Lei ubbidisce. Così appoggia alle sue labbra un Bacio Perugina, che la ragazza gusta con un mezzo sorriso. 
Ripendo la giornata come nulla fosse.
Feliciano e Ludwig sono usciti da soli, la sera. Hanno un po' vergogna di tenersi la mano, ma la superano insieme e le loro dita s'intrecciano. L'italiano, con quello che ha passato, ha ancora un po' paura del contatto fisico; ed il tedesco ha paura della gente, non vuole finire ancora in ospedale. Ma adesso vogliono solo viversi. Si danno qualche casto bacio a stampo. Sono tutt'e due troppo puri ed ingenui per fare alcunché. 
Si fermano a cenare in un posto carino, loro due da soli e per fortuna nessuno da loro fastidio. Neppure quando escono di lì per fare una passeggiata -ha pagato il biondo, per imbarazzo dell'altro- nessuno ha da ridire. Si siedono su una scalinata di una antica piazza, Lud due gradini più un alto, l'altro appoggiato al suo petto. Si china un po' in avanti e lo bacia, tenendoselo stretto. 
Oramai sono cinque settimane che stanno insieme. 
Felì ha sempre creduto nell'amore a prima vista e mentirebbe se dicesse che non lo ama. E' che lo amava già pria di dargli il primo bacio, quando ogni giorno lo vedeva alla fermata dell'autobus senza conoscere il suo nome, quando poi gli mancava se non c'era, e quando si sedevano vicini sul mezzo pubblico, ben attenti a non toccarsi e quando invece lo facevano, una volta diventati amici. Si amavano già da allora. 
Ed il ragazzino italiano è un tipo estremamente romantico. 
Alza lo sguardo sulle stelle. Un leggero alito di vento gli carezza il viso. 
Accoccolandosi al suo petto chiude gli occhi. 
-Veh, Lud...- lo chiama, con tono dolce.
Il biondo abbassa un po' il capo per guardarlo. -Mh?-
-Ti amo...- sussurra puntando gli occhi nocciola sui suoi. Si scosta dal suo petto ed appoggia le mani sulle sue ginocchia, guardandolo. 
Ludwig, stupito di quel gesto e quelle parole, arrossisce appena. Socchiude gli occhi ed avvicina le labbra alle sue, baciandolo dolcemente, in modo diverso dal solito. 
"Perché non mi dice 'anche io'? Non mi ama?" si chiede Feliciano. Ricambia il bacio, ma quando la presa si scioglie abbassa lo sguardo. 
-Hei... che c'è?- domanda il tedesco.
Lui guarda altrove. La mano, pelle chiara, quasi diafana, del tedesco si appoggia sulla sua guancia. Lo costringe a guardare. -Ich auch- sussurra, facendosi più rosso. 
L'italiano accenna un sorriso. Scuote appena la testa. -Me lo dirai quando sarai pronto.- Avvicina le labbra al suo viso e gli bacia la punta del naso. 
 



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Note. -Blu. 
1. Nein, was? = No, cosa?
2. Tschüß und danke! = Arrivederci e grazie! 
3. Vati = Diminutivio di Vater, padre. Quindi, "papà."
4. Derk ist hier! = Derk è qui. 









 
 
 
 
 
 

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