Il destino scelto di CreAttiva (/viewuser.php?uid=498545)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il castello ***
Capitolo 2: *** Un nuovo amico ***
Capitolo 3: *** La verità (1^parte) ***
Capitolo 4: *** La verità (2^parte) ***
Capitolo 5: *** Rumori nella foresta ***
Capitolo 6: *** Il fiore che guida lungo il sentiero ***
Capitolo 7: *** A Trais ***
Capitolo 8: *** La prima missione ***
Capitolo 1 *** Il castello ***
2 - Un nuovo amico
Il
Castello
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Runne
era una bambina molto graziosa, con i capelli dorati dai quali
spuntavano le lunghe orecchie ripiegate come sua madre, e gli occhi
rossi come suo padre; la stessa bambina che ancora all’età di
undici anni si chiedeva chi fosse realmente il suo papà, partito per
la guerra quando lei era ancora troppo piccola per imprimere nella
mente il suo viso. Di lui sapeva solo che era un grande guerriero e
che si trovava in qualche angolo remoto del Mondo dell'Avvento.
Runne
sedeva sull’erba umida di rugiada mattutina. Era uscita di casa
presto, prima ancora che la madre si svegliasse, ed era salita sulla
collina più alta della cittadina. Lo faceva spesso: le piaceva
guardare l’alba. Il tramonto non le era mai piaciuto perché le
sembrava portare tristezza; quando invece il sole faceva lentamente
capolino dalle Montagne Incatenate era come se il mondo nascesse.
Strinse le gracili ginocchia al petto, appoggiando la testa su di
esse. I lunghi capelli lisci come la seta, che le arrivavano sino a
metà schiena, ondularono alla dolce brezza mattutina. Si spettinò
la frangia con le mani ricorrendo, inconsciamente, a una consueta
abitudine di sua madre Judith. Il sole era quasi del tutto sorto;
Runne stava su quella collina da un’ora e mezza ormai, seduta ad
ammirare la città dall’alto. Anche da così lontano poteva sentire
il profumo del pane, udire le risa dei bimbi, i battibecchi degli
adulti, le lamentele degli assonnati, il latrare dei cani, gustare il
sapore agrodolce dell’acqua del lago; proprio come se fosse stata
lì. Fiandher, la città che tutto illumina: così era chiamata. Tale
appellativo si doveva alla gemma posta sulla torre più alta del
luogo: essa, quando avvertiva un pericolo, si accendeva di una luce
verde in grado di illuminare l’intero territorio del Graäm.
Runne
pensava a questo guardando alle proprie spalle. Il vecchio castello
si ergeva in tutta la sua magnificenza, con i suoi mattoni di pietra
e la sua altissima torre: quella che conteneva la gemma. Il muschio
ricopriva il lato nord dell’edificio; una pianta rampicante si
estendeva sui cardini del portone logoro dal tempo. Si diceva che il
suo antico proprietario non avesse rispettato la Foresta Dipinta, il
bosco che si estendeva dietro il palazzo, e che per questo gli
spiriti dei boschi lo avessero punito togliendogli tutte le sue
ricchezze. Dopo la decaduta del signore, tutti i servitori se n’erano
andati e avevano cominciato una nuova vita. Senza eredi, abbandonato
dalla gente che pensava gli fosse fedele, il corpo dell'uomo (secondo
le dicerie) giaceva ancora sul suo seggio.
I
battenti del cancello cigolarono, facendo trasalire la ragazzina. Si
alzò lentamente e un’idea le s’insinuò nella mente: entra. Non
poteva farlo. Sua madre glie lo aveva proibito. E poi potevano
esserci dei vagabondi. Entra. Pensò al volto irato della madre.
Entra. Scusa
mamma.
Sospirò.
Avrebbe solo dato un’occhiata. Che male poteva farle?
Spinse
il cancello e mise piede nei giardini del palazzo. L’erba cresceva
incolta e Runne dovette prestare attenzione a una macchia di ortiche.
Gli alberi rinsecchiti si piegavano su se stessi. Giunse di fronte
all’alto portone di legno scuro. Posò le mani su di esso e provò
a spingere. Con enorme sorpresa si accorse che non c’era nulla a
bloccarlo. Peccato che fosse troppo pesante per lei. Nonostante
puntasse i piedi per terra e facesse più forza possibile, il portone
non si mosse. Runne abbandonò la lotta ansimando. Ormai era curiosa
e con le buone o le cattive maniere voleva entrarci. Guardò il
cielo. Il sole era alto!
«Oh
no!» fece preoccupata. Non si era accorta di aver perso tutto quel
tempo sulla collina. Corse a perdifiato verso la città, sapendo già
cosa l’aspettava.
Judith
era una bellissima donna, una feliana a dir poco splendida. I capelli
dorati e mossi, raccolti in un nastro rosso, raggiungevano le anche;
gli occhi castani erano truccati con la sabbia delle terre; le labbra
carnose fremettero d’impazienza, mordicchiate dai lunghi canini:
dov’era sparita sua figlia? Judith camminò con eleganza per la
cucina, prendendo e posando ripetutamente il suo lavoro a maglia. La
sua figura snella si arrestò solo quando la porta si spalancò,
permettendo a Runne di entrare. A constatare dal respiro affannato
doveva aver corso molto. La madre le rivolse uno sguardo severo.
Runne
fece finta di cadere dalle nuvole:«’giorno, mamma!»
«Dove
sei stata?»
Runne
scrollò le spalle, continuando a boccheggiare «In… giro.»
«In
giro dove?»
La
ragazzina si affrettò a inventare una balla «Alla piazza del
mercato.»
«Oh,
certo! Alla piazza del mercato!» le fece eco Judith «Non
raccontarmi altre bugie, Runne! Sei stata di nuovo sulla collina del
castello, vero?» Beccata.
«No!
Certo che no!»
«Piantala
Runne o mi arrabbio sul serio! Quante volte ti avrò detto che quel
luogo è pericoloso? Quante?!»
«Eddài,
mamma! Non crederai mica che ci siano i fantasmi!»
«Quello
a cui credo è affar mio. Non saresti dovuta andare là: te l’ho
proibito. Avresti dovuto rispettare le mie regole perché sono tua
madre.»
«E
solo per questo dovrei rispettare le tue stupide regole?!» Un sonoro
schiaffo si abbatté sulla guancia di Runne.
«Non
ti permetto di parlarmi così! Io sono tua madre e finché starai in
questa casa rispetterai le mie stupide regole!»
«Allora
non ci voglio stare in questa casa!» urlò Runne, salendo le scale e
chiudendosi in camera sua. Si buttò sul letto e singhiozzò tra le
coperte. Aveva esagerato con la mamma. Ma perché non lo voleva
capire? Lo sentiva: quella collina faceva parte di lei. Non riusciva
a comprenderne il motivo, ma sapeva di essere legata in qualche modo
a quel luogo da cui si potevano ammirare le albe di Fiandher. E
sapeva anche che, una volta libera dai pomeriggi di lavoro di cucito
di cui sicuramente la mamma l’avrebbe sommersa, sarebbe tornata al
castello. Ma stavolta non sarebbe stata sola.
Le
proverò che il castello non è pericoloso, così mi lascerà andare,
si promise.
Alcuni
giorni dopo il sole svegliò Runne, che dormiva comodamente nel
letto.
«Mmh!»
mugolò, affondando la testa nel cuscino.
«Runne!»
la chiamò sua madre. Nessuna risposta.
«Runne,
è ora di alzarsi!» Ancora silenzio.
«Runne!
Kail e i suoi amici ti stanno aspet…» Runne balzò bruscamente in
piedi e scese dal letto, inciampando tra le lenzuola per la fretta.
Prese il giaccone e i pantaloni di pelle e afferrò la sua fidata
spada di legno. Avvolse i capelli in foulard nero, nascondendovi il
più possibile le orecchie, e si lasciò scivolare dolcemente sul
mancorrente delle scale.
«Oggi
si va in guerra!» si giustificò allo sguardo perplesso della madre.
«Ma
tu sei una donna!»
«Sì,
ma sono una guerriera!» Con quest’altezzosa precisazione, che
Runne ricordava come la centesima, si avviò con i compagni per le
strade di Fiandher, agguantando al volo una focaccia.
«Era
un po’ che non ti vedevamo!» commentò Kail, il capo dei ragazzi.
Aveva due anni più di Runne ed era anche il più grande della
compagnia. Vantava dei capelli ricci e biondo-platino e due occhi
grigio-azzurri. Erano un gruppetto di dieci bambini, tutti maschi a
parte Runne. Era stata accettata con fatica, essendo una femmina, ma
aveva conquistato un certo rispetto battendo Kail nella lotta. Per
legittimità avrebbe dovuto prendere il ruolo del ragazzo, ma non lo
aveva fatto. Non lo avrebbe mai fatto. Perché Kail le piaceva. Il
suo sorriso, la sua voce imperiosa: amava tutto di lui.
«La
mia vecchia mi aveva messo in punizione.»
«Sei
proprio una femminuccia!» commentò uno dei ragazzini «Io me la
sarei svignata!»
«Ma
se appena una settimana fa sei rimasto ad aiutare tuo padre al
lavoro!» fece Runne.
«Mi
sono offerto spontaneamente per guadagnare un po’. Ricordi
femminuccia?»
Runne
gli si parò davanti, gli occhi rossi piantati nelle sue pupille
«Vuoi vedere chi è la femminuccia qui con una dimostrazione
pratica, Pylon?» Il bambino deglutì.
«Perché
non ci proponi dove andare, Runne?» s’intromise Kail. Era proprio
un vero capo: solitamente comandava i compagni con sicurezza, ma
quando avvertiva un pericolo li guidava pensando con chiarezza al
bene comune, mettendo da parte l’orgoglio. Era quello il caso. Con
Runne non c’era da scherzare.
«Pensavo
di andare al castello in esplorazione. Potrebbe diventare la nostra
base.» rispose Runne senza distogliere lo sguardo infuocato dal
ragazzino.
«Fico!»
esclamò qualcuno.
«D’accordo.»
acconsentì Kail. Il gruppetto raggiunse la collina in più di
mezz’ora. Se fosse stato per Runne, ci sarebbe voluta la metà del
tempo. Possedeva gambe agili e veloci e sapeva controllare bene il
respiro. Lei e sua madre erano le uniche feliane di tutta la città;
appartenevano a un popolo ormai in via d’estinzione. Per quanto ne
sapeva i feliani erano gli originari abitanti del Mondo dell’Avvento,
prima dell’arrivo degli esseri umani; con la mescolanza delle razze
e, più avanti, l’ascesa al potere di Endrun, il loro numero era
diminuito drasticamente.
Runne
si fermò a guardare Fiandher. Un senso di dolce malinconia la
pervase. Sentiva la città lontana, come se fosse dovuta scomparire
da un momento all’altro. Perché
mi sento così triste?
«Runne!
Che fai lì impalata? Muoviti!» sbottò Kail. Runne raggiunse gli
amici e il ragazzo proseguì:«Bene. Ora entreremo con cautela. Non
sappiamo se è abitato. Facciamo un rapido giro del pianterreno, poi
vi darò nuove istruzioni. Io apro la fila. Gli arcieri dietro di
me…» e tre ragazzini armati di fionda annuirono «…a seguire i
guerrieri…» e altri quattro (tra cui Pylon) con le spade di legno
si fecero avanti «…e Runne chiude la fila.» Runne fece un cenno
con la testa.
«I
maghi coprono i lati. Tutto chiaro?» Un sonoro “sì” riecheggiò
sulla collina, mentre due gemelli di circa dieci anni presero
posizione. Avevano delle borse capienti, al cui interno c’erano le
“pozioni”. Si trattava di semplici fumogeni, o perlopiù liquidi
che facevano solo un bel botto, mettendo in fuga i nemici. Merito di
loro padre, chimico ed erborista. I ragazzini rispettarono la
formazione, penetrando nel giardino. Tutti insieme, riuscirono ad
aprire il pesante portone di legno. Un pesante odore di muffa li
invase. Si riformarono e varcarono la soglia.
Un
salone a dir poco immenso mozzò il fiato a Runne. La stanza era un
ampio semicerchio: sul lato curvo si estendevano un’infinità di
porte, preceduto da un corridoio di colonne in marmo, il cui gioco
seguiva la forma della sala. Runne per poco non prese un colpo
guardando ai propri piedi: il pavimento di cristallo rifletteva le
immagini del soffitto. Spostò la testa verso l’alto. Gli affreschi
sul soffitto sembravano narrare una specie di storia. Riconobbe
uomini, sinhilari, gli eremiti delle leggende e persino alcuni
feliani. Portò istintivamente una mano sulle orecchie ricurve, che
lei trovava buffamente simili a quelle di un coniglio, poi si ricordò
che le aveva cacciate sotto il foulard. Così, girando su se stessa,
rimirava i graffiti, rapita come gli altri, fintantoché la sua
attenzione non venne catturata da delle strane figure. Somigliavano
agli esseri umani, ma qualcosa in loro li rendeva diversi. A partire
dagli occhi rossi. Runne ebbe un tuffo al cuore. Se aveva ereditato
gli occhi dal padre, allora lui faceva parte di quelle creature? Ma
cos’erano in realtà quelle creature?
Runne
avrebbe voluto capire, chiedere a quei dipinti la verità, ma la
pietra era muta. Si costrinse a guardare Kail e a
domandargli:«Allora, andiamo?»
«Sì.»
rispose lui con voce sognante «Andiamo.» I ragazzini scelsero una
porta a caso e cominciarono a perlustrare i dintorni. Gli affreschi
continuavano interminabili in ogni stanza. Piante rampicanti si
estendevano persino sulle pareti interne. Fu un attimo. Runne avvertì
uno scricchiolio.
«Ho
sentito qualcosa!» avvertì gli altri.
«Come?»
chiese Kail.
«Ho
detto che ho sentito qualcosa!» I bambini si misero all’erta,
guardandosi attorno con circospezione. Nulla. Neppure un respiro.
«Non
è che te lo sei immaginato?» la punzecchiò Pylon.
«No,
uffa! Sono sicura di aver sentito un rumore…» e indicò un mobile
in un angolo «Là, nella credenza.»
«Ma
è impossibile!» esclamò Kail «Nessun uomo si potrebbe nascondere
lì!»
«Sarà
un animale.» suggerì uno dei guerrieri; tuttavia il suo tono di
voce era teso.
«Bisogna
comunque controllare.» s’intestardì Runne «Vado io.» Si
avvicinò lentamente al mobile sospetto. Strinse la presa sulla spada
di legno. I suoi passi risuonavano sul pavimento, accompagnati dallo
sguardo dei presenti, che trattenevano il respiro. Esaminò la
credenza con attenzione. Sembrava non esserci davvero niente.
«Visto?»
la prese in giro Pylon «Te lo sei immaginato!» Proprio mentre
pronunciava quelle parole, uno sportello della credenza si spalancò
e ne uscì un piccolo essere dalla pelle bianca, alto meno di una
spanna, con soffici piume al posto delle orecchie, un vestito
elegante e un cappello a forma di cilindro. Il sinhilare si gettò su
Runne gridando:«ORA!» e fiotti di sinhilari dilagarono, scoprendosi
dai loro nascondigli. Fluttuavano come insetti fastidiosi attorno ai
ragazzini, mordendoli, graffiandoli, tirandogli i capelli. Stesso
trattamento riserbava il sinhilare alle prese con Runne: la cosa più
irritante era che sghignazzava sguaiatamente. La ragazzina menò
colpi con la spada con una furia cieca, facendo ridere l’esserino
ancora di più. La lotta durò un paio di minuti, finché un fumo
denso non invase la stanza: uno dei maghi aveva usato una pozione.
«Ritirata!»
urlò Kail, mentre i sinhilari tossivano e sbandavano, confusi.
«Ritirata!» I bambini si precipitarono fuori correndo a più non
posso. Alle spalle di Runne risuonò la voce canzonatoria del
sinhilare col cappello a cilindro:«Andatevene! Scappate via! Non li
vogliamo qui dentro gli umani!»
Runne
tornò a casa in tempo per il pranzo. Durante il tragitto di ritorno
i bambini non si erano scambiati una parola. Quando Runne si separò
da loro, non ricevette né porse un saluto. Quella era stata la loro
prima, clamorosa sconfitta. Sua madre la osservava masticare con lo
sguardo vuoto, ma inizialmente non domandò nulla. Poi non
resisté:«Cos’è successo oggi, Runne?»
La
bambina la guardò senza espressione:«Niente.»
«Sicura?
Se vuoi puoi parlare con me.» A Runne scappò una risata. Se la
mamma avesse solo immaginato dov’era stata… «Non credo sia una
buona idea. E comunque non ti preoccupare, non è niente di che.»
Judith
sembrava voler aggiungere altro, ma decise di cambiare
argomento:«Cosa mi dici di Kail?»
Runne
sgranò gli occhi «Che dovrei dire?»
«Bé…
come sta, ad esempio.»
«Bene.»
«E
tu come stai con lui?» chiese Judith con una nota di malizia.
Runne
arrossì «Cosa vuoi dire?»
«Che
ti piace.»
«Mamma!»
«Oh!»
sorrise «Eccome se ti piace!» Runne era rossa fino alla punta delle
orecchie ripiegate.
«Sì.»
ammise dopo un po’ «E allora?»
«Allora
pensavo che potremmo invitarlo a cena, ogni tanto.» Runne sospirò.
Sua madre aveva sempre avuto buon occhio per queste cose. Come faceva
ad accorgersene? Eppure era sicura di averlo nascosto piuttosto
bene…«Glie lo dirò.»
«D’accordo.»
Judith si alzò dalla sedia e cominciò a sparecchiare. Runne rimase
immobile mentre lei lavava i piatti.
Infine
si decise:«Mamma, cosa sai dei sinhilari?»
Runne
procedeva a passo lento, rimuginando su quello che le aveva detto la
madre.
«Perché
mi fai questa domanda?» si era insospettita Judith.
«Se
ti dico la verità prometti di non arrabbiarti?»
Judith
rimase in silenzio per qualche secondo, sostenendo lo sguardo della
figlia.
«Dimmi.»
«L’hai
promesso, eh? Stamattina sono stata sulla collina...»
«Cosa?!»
urlò.
«Non
arrabbiarti, l’hai promesso!»
«Runne...»
«Lasciami
finire, d’accordo?» Judith tacque.
«Bene:
io e i miei amici siamo entrati nel castello.» Gli occhi di Judith
sprizzavano scintille di fuoco, ma lasciò continuare la
bambina:«L’unico problema è che è abitato dai sinhilari.»
Runne
entrò nel giardino e giunse davanti al portone. Era socchiuso. C’era
un piccolo spiraglio, un po’ stretto forse, ma riuscì comunque a
passare, seppur con fatica.
Judith
la guardò con severità. «Quindi?»
«Cosa?»
«Mi
hai raccontato la tua bravata e mi hai chiesto cosa so dei sinhilari.
Cosa vuoi sapere?»
«Non
lo so...» rispose Runne «Non so neanche “cosa” siano...»
Judith
sospirò «I sinhilari appartengono a una categoria di creature
chiamata Demonaturi:
sono in stretto rapporto con la natura che li circonda. La rispettano
e ne ricevono poteri.»
«Che
genere di poteri?»
«Muovono
le piante, usano incantesimi soporiferi... roba simile. Detestano gli
umani perché non hanno alcun ritegno per la natura, ma si dà il
caso che apprezzino i feliani.»
Runne
ammutolì. Apprezzano i feliani? «Allora perché mi hanno
attaccata?»
«In
mezzo ai tuoi amici non ci avranno fatto caso.»
«Credi
che potrei diventare loro amica?»
Judith
diede un’alzata di spalle. «E’ molto difficile, anche per un
feliano. Sono creature schive; e poi tu sei feliana solo a metà.
Puoi tentare.»
Runne
rimase di stucco. «Mi dai il permesso??? Non dicevi che il castello
è pericoloso?»
«Come
se servisse a qualcosa proibirti di andare... se ci sono solo
sinhilari, non c’è da temere. Amano gli scherzi, ti faranno
saltare i nervi, ma non possono farti del male. Non a te almeno.» e
sfoggiò un sorriso pieno di sottintesi. Runne si accigliò,
chiedendosi cosa intendesse. Lasciò perdere e si avviò verso la
porta.
«Aspetta!»
la fermò Judith «Ti consiglio di cambiarti: conciata così non
rendi l’idea di avere buone intenzioni. E passa da Suran, il
droghiere: i sinhilari hanno un debole per le fragole.»
Runne
indossava un abito semplice color cremisi, che le arrivava sino alle
caviglie. Calzava dei sandali e si era sciolta i capelli. In mano
portava un fazzoletto che sembrava contenere qualcosa. Non appena
mise piede nel salone, un’orda di sinhilari la circondò.
«Cosa
ci fai ancora qui, umana?» il sinhilare con il cappello a cilindro.
Pareva essere il loro capo, nonostante apparisse giovanissimo.
«Non
sono un’umana.» rispose Runne indicando le orecchie «Sono una
feliana.» I sinhilari esclamarono note di stupore e meraviglia.
«Una
feliana? Ma...» li sentì bisbigliare.
«E’
davvero una feliana?»
«Sembra
di sì.»
«Non
emana l’aura pacifica dei feliani.»
«Già,
infatti ha gli occhi rossi.»
«Occhi
rossi? Allora sarà un...»
«Dev’esserlo
per forza con quegli occhi...»
«Silenzio!»
li zittì il sinhilare di prima «Come ti chiami, figlia del bosco?»
«Runne.»
Un’ombra di tristezza passò per un attimo sul viso del sinhilare,
ma si ricompose quasi subito:«Un nome della Lingua Perduta! Allora
sei davvero una feliana!»
«Mia
madre porta un nome umano, eppure è una feliana purosangue.»
«Sì,
hai ragione. Non sempre si portano nomi appartenenti alla propria
razza, di questi tempi.»
Runne
ebbe modo di osservare i sinhilari con più attenzione: la loro pelle
era di un bianco perlato, con lievi riflessi azzurri; le piume, che
si trovavano all’altezza delle orecchie, ondeggiavano placide,
mosse per istinto dai loro proprietari. Quello col cappello a
cilindro aveva lisci capelli rossi, lunghi fino alle spalle, e occhi
color miele. Poteva avere una ventina d’anni, forse, misurandoli
secondo il suo metro di giudizio. La ragazzina pensò che se fosse
stato della sua misura lo avrebbe trovato un bel ragazzo. Il
sinhilare si stampò in faccia lo stesso sorriso beffardo di sempre.
«Piacere
di conoscerti, Runne. Io sono Daeb, il capo dei sinhilari della
Foresta Dipinta. Dunque eri tu la bambina che vedo spesso su questo
colle. Da lontano non avevo notato che eri una felina. Come mai sei
qui?»
Non
poteva crederci: ce l’aveva fatta! «Vi ho portato queste.» Aprì
il fazzoletto: dentro vi erano le fragole.
«Fragole!»
esplosero gioiosamente molti.
«Pensavo
vi piacessero, così ne ho prese un po’ da un mio amico.»
Il
sorriso scomparve dalle loro facce «Un tuo amico umano?»
«Sì...
perché?»
«Noi
non prendiamo niente dagli umani.» precisò Daeb, gelido «Sono i
nemici della Grande Madre.»
«Ma
questo mio amico è buono, ama la natura!»
«Chi
è amico degli umani è nostro nemico. Vattene.» Runne avvertì un
blocco di ghiaccio alla bocca dello stomaco. Sentiva quelle creature
vicine a lei. Aveva sempre desiderato avere un sinhilare per amico. E
ora che c’era quasi riuscita...
«No.»
disse.
«Come?»
«Ho
detto che non me ne vado.» Un forte brusio si animò tra i
sinhilari.
«Vattene
subito, altrimenti...» minacciò Daeb.
«“Altrimenti”
cosa?» lo rimbeccò Runne con tono di sfida. Daeb era furibondo:«Hai
osato troppo. Ora ne pagherai le conseguenze.» Il sinhilare chiuse
gli occhi. Una misteriosa luce lo avvolse e Runne sentì il
sottosuolo tremare.
«Daeb,
aspetta!» provò a dire, ma non ricevette ascolto. Percepì un
movimento alle proprie spalle. Si voltò: un albero del giardino
esterno spalancò il portone con i rami, allungati a dismisura.
Guardò con orrore la pianta animata da una furia impetuosa. Poi i
rami si tesero verso di lei. Daeb mosse un braccio; simmetricamente i
rami dell’albero mirarono a Runne. La bambina evitò il colpo,
saltando con agilità. Le fragole rimasero spiaccicate. I rami si
piegarono nella nuova direzione presa da Runne e lei fu costretta a
scartare di lato. Continuò a schivare i rami, che seguivano ogni suo
movimento. Aveva ormai preso il ritmo giusto, perciò decise di
avvicinarsi a Daeb: colpendo lui molto probabilmente avrebbe fermato
l’albero.
I
sinhilari però capirono le sue intenzioni e cominciarono a
concentrarsi tutti assieme. Un intrico di rami sovrastò Runne: tutti
gli alberi del giardino adesso erano contro di lei. Si vide perduta.
Chiuse gli occhi. Silenzio. Li riaprì lentamente. I rami erano
immobili, sospesi sopra la sua testa. Rimase a bocca aperta. Non meno
sorpresi erano i sinhilari. Si concentrarono ancora di più e i rami
tremarono appena, ma non si mossero.
«Ma...
perché?» balbettò Daeb, allibito. I rami scesero fino ai piedi di
Runne e uno le si avvolse dolcemente alla vita per farla salire.
Runne si levò in alto, trasportata dalle piante, e venne posata con
accuratezza fuori dal cancello. Infine i rami si accorciarono a
lunghezza naturale e gli alberi tornarono immobili.
Runne
aveva il cuore in gola. Deglutì e riprese coscienza del proprio
corpo. Come mai gli alberi avevano esitato ad attaccarla? Di certo
non era merito dei sinhilari: loro erano intenzionati a ucciderla.
Forse la mamma ne sapeva qualcosa...
Sospirò.
Le dispiaceva dover lasciare quel luogo, ma era l’unica soluzione
se voleva evitare un secondo scontro con dei sinhilari iracondi. Non
era sicura che sarebbe sopravvissuta a un altro incontro. Guardò
tristemente il castello. Pensò ai sinhilari. Pensò a Daeb. Le
sarebbe davvero piaciuto diventare sua amica. Poi i piedi si mossero
da soli verso la città.
(S)parla
con l’autrice
Dia
dhaoibh,
lettori!
Grazie
di cuore per esservi interessati alla mia storia.
Cosa
ne pensate di questo primo capitolo? Per il momento i personaggi
introdotti sono Runne, Judith, Kail e Daeb. Ciascuno di loro ha una
propria identità, e spero di farla emergere nei capitoli successivi.
Badate,
nessun errore di dicitura: sono feliAni con la “a” messa lì per
un motivo. E quando dico che Runne ha i capelli “dorati” non
è una metafora: non sono biondi e sì, brillano come una scritta
glitterata xD Saprete di più su questo popolo continuando a
seguirmi.
Ora
passiamo al termine “sinhilari”. Provate un’analisi etimologica
di “simpatia”: sin=con + pathos=sentimento. Il processo di
formazione della parola è lo stesso. L’h è muta, a meno che non
vogliate farvi venire una sincope per pronunciarla.
Fate
un salto anche sulla mia pagina facebook: Parole
Cozzate – CreAttiva
Al
prossimo capitolo! Slán
libh!
CreAttiva
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Capitolo 2 *** Un nuovo amico ***
2 - Un nuovo amico
Un
Nuovo Amico
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Di
ritorno a casa, Runne passò per la piazza del mercato. Decise di
farsi un giretto, per distrarsi un po’. Era pieno di gente. Runne
si fece largo fra le innumerevoli persone. Nelle bancarelle si poteva
trovare di tutto: carne, verdura, frutta, dolci, vestiti, gioielli,
armi, erbe, manifattura, quadri... Runne ripose una statuetta a forma
di aquila e si diresse in un punto preciso. Aveva visto i suoi amici.
Passò in mezzo a due uomini che discutevano sul prezzo della stoffa
e li trovò: erano riuniti attorno al banco delle erbe e Pylon aveva
allacciato alla cintura un pugnale. Un pugnale vero.
E Kail non c’era. La cosa non le piacque.
Si
avvicinò a loro:«Ciao, ragazzi. Cosa state facendo?»
I
bambini rimasero spiazzati: a quanto pareva non erano contenti di
vederla.
«Ciao.»
rispose Pylon con calma «Ti unisci a noi?»
«Per
fare cosa?» domandò Runne allarmata.
Pylon
le sventolò un sacchetto sotto al naso «Veleno per topi. Pensiamo
di andare a togliere di mezzo quei sinhilari.»
«Che??»
Runne scosse la testa «Ma siete impazziti?!»
«Non
ti preoccupare. Sui sinhilari avrà solo un effetto di stordimento e
malessere.
Credo.»
Runne non era preoccupata unicamente per i sinhilari «Allora quel
pugnale?»
Pylon
accarezzò l’elsa dell’arma. «Per precauzione.»
«No,
ragazzi. E’ troppo pericoloso.» I bambini scoppiarono a ridere.
«“Pericoloso”?»
la canzonò un arciere.
«Sono
solo sinhilari!» fece un altro.
«Non
la prendete in giro, ragazzi!» disse Pylon con voce ironica
«Dopotutto è una femmina: è normale che se la faccia sotto!»
Runne non si arrabbiò neppure: la preoccupazione superava
l’orgoglio.
«Sei
un pazzo, Pylon! Non puoi farlo!»
Il
ghigno del bambino si tramutò in un ringhio «Non mi pare di averti
chiesto il permesso.» Il gruppetto la sorpassò e Runne ebbe solo il
tempo di gridare:«Vi prego! Datemi ascolto!» prima che scomparisse
nella folla del mercato.
Runne
rimase lì imbambolata. Le sfuggì una parolaccia. Girò sui tacchi e
corse per le vie. Lo scalpiccio dei sandali risuonava sul suolo.
Giunse innanzi a una bottega. Bussò nervosamente alla porta. Non
arrivò nessuno. Picchiò più forte, disperata. La porta si aprì di
botto e ne emerse un uomo alto e robusto: Gonta, l’armaiolo. Aveva
allacciato alla vita in grembiule sporco quanto la sua faccia, e
puzzava terribilmente di sudore. La sua stazza corpulenta aveva
sempre suscitato soggezione in Runne.
«Che
vuoi?» grugnì l’uomo.
«Cerco
Kail...» Gonta la squadrò da capo a piedi, poi chiamò:«Kail! C’è
qui la mocciosa tua amica!» L’uomo si fece da parte per cedere il
posto al figlio. Kail spuntò sull’uscio, anche lui sudato marcio e
con un asciugamano poggiato sul collo. Persino in un momento simile
Runne riusciva a pensare che era veramente bello.
«Runne!
Come mai sei qui? Lo sai che il pomeriggio devo aiutare mio padre...»
Runne
si riscosse:«Pylon e gli altri sono andati al castello! Vogliono
cacciare i sinhilari!»
«Che
cosa???» Kail buttò l’asciugamano su una sedia, quindi si rivolse
al padre:«Esco un attimo.» Gonta annuì senza proferire una parola.
I due bambini si misero a correre in direzione della collina.
«Grazie!»
disse Runne «A me non danno ascolto.»
«Quegli
idioti! Ma cosa pensano di fare?» Marciarono tra gli stretti e
labirintici vicoli, urtando le persone.
«Ehi!
Attenti dove andate, piccole pesti!» I ragazzini non sprecarono
tempo in scuse, né tanto meno il fiato che gli serviva per correre.
Continuarono a seguire la propria strada senza badare a nessuno.
Daeb
volava avanti e indietro per il salone d’ingresso. Gli altri
sinhilari si erano ormai dispersi per il castello, ognuno preso dai
propri interessi. Si sedette sulla sporgenza di una delle colonne e
si mise a riflettere. Si era lasciato prendere la mano e aveva
attaccato con ferocia una ragazzina. Dopo tutti quegli anni non aveva
ancora imparato: appena si era presentata l’occasione aveva usato
uno stupido pretesto per alimentare il suo antico rancore verso gli
umani. Sospirò. Fortunatamente gli alberi non avevano obbedito ai
loro comandi; ma perché? Perché avevano risparmiato quella
ragazzina? D’accordo, per metà era di sangue feliano, ma pur
sempre solo a metà. I feliani erano un po’ come i sinhilari: gente
del bosco, in stretta relazione con la natura, erano in grado di
sfruttare appieno la magia bianca. Tuttavia, se nel cuore di una
creatura qualsiasi (della foresta o meno) albergava malvagità, la
natura era in grado di sentirlo; e la puniva con fermezza. Lui ne era
la prova vivente... scosse la testa e tornò a concentrarsi sui
propri dubbi. Perché gli alberi erano stati clementi con lei?
Formulò
un’ipotesi, l’unica plausibile, ma la scartò subito: quella
bambina non poteva possedere poteri sacri. Sorrise sarcastico. Che
ironia della sorte: portava addirittura quel
nome.
Ciò non cambiava le cose. La stirpe sacra si era estinta per
sempre... I suoi pensieri vennero interrotti da un sottile vociare di
fanciulli. Volò sino ad affacciarsi a una finestra e li vide: i
bambini di quella mattina. Stringevano tra le mani dei sacchetti di
stoffa e avanzavano con fare pomposo. Li scorse con lo sguardo: la
semifeliana non c’era. Diede immediatamente l’allarme. I compagni
accorsero velocemente, da diverse direzioni. Si piazzarono di fronte
al portone, che venne aperto dai bambini.
«Cosa
volete, uma...?» Daeb non fece in tempo a finire la frase, che Pylon
aprì il sacchetto e lanciò una manciata di polvere bianca. I
sinhilari, colti di sorpresa, la respirarono. Daeb, invece, corse
prontamente lontano.
«Attenti!
Non respirate!» urlò ai suoi. Fu tutto inutile: i ragazzini si
unirono al loro capo, investendo le creature di veleno. I sinhilari
cominciarono a tossire, intossicati e disorientati; alcuni caddero
svenuti a terra.
«Lim!
Ryuha! Dannazione!» imprecò Daeb. Si concentrò per invocare
l’aiuto della natura, ma proprio in quel frangente Pylon lo
raggiunse con una ventata di polvere bianca, prendendolo in pieno.
Daeb si tenne la gola. Un moto di terrore lo percorse quando si sentì
mancare e non riuscì più a volare. Rovinò al suolo, sbucciandosi
un gomito. Si sentì afferrare per la giacca di pelle e sollevare dal
pavimento. Pylon portò il sinhilare all’altezza della sua faccia.
«Tu...»
disse con un ghigno «...sei un esserino fastidioso.» Estrasse il
pugnale. Il sorriso di Pylon baluginò nella lucentezza della lama.
«Nooo!»
Runne si precipitò verso il bambino, seguita a ruota da Kail. Runne
fermò il coltello afferrandolo con le mani, ferendosi le palme.
Pylon lasciò la presa sia su di esso sia sul sinhilare, che cozzò a
terra con violenza.
«CHE
CAVOLO FAI?!» urlò Pylon, fuori di sé. Runne non rispose. Raccolse
Daeb con delicatezza e lo posò sulla propria spalla. Daeb riprese a
respirare regolarmente, ma un forte capogiro lo costrinse ad
aggrapparsi al collo della bambina. Intanto Kail aveva sbattuto
contro il muro un paio di amici.
«Piantatela,
ragazzi!» ordinò Kail, scuro in volto «Questa è la casa dei
sinhilari e noi non abbiamo il diritto di violarla!» I bambini si
fermarono, a disagio.
«Cosa??»
esclamò Pylon «Loro ci hanno attaccato, umiliato e... IO NON HO
ALCUNA INTENZIONE DI LASCIARGLI FARE DI NOI CIÒ CHE VOGLIONO!»
«QUESTA
È CASA LORO!» ripeté Kail, urlando anch’egli «NOI SIAMO DEGLI
INVASORI E PER QUESTO CI HANNO ATTACCATI!»
«QUESTA
NON È LA LORO CASA! CHE SE NE TORNINO NELLA FORESTA DIPINTA!»
«ORA
BASTA, IDIOTA! NON È IL CASO DI SCATENARE UNA GUERRA PER UNA
RAGAZZATA!»
«ZITTO!
NON PUOI DARMI ORDINI!» Pylon scattò verso Kail, pronto a colpirlo,
ma Runne fu più veloce: s’intromise fra i due e gli tirò un pugno
violento in piena faccia. Pylon si accasciò, svenuto.
«Questo
è per Daeb; non provare mai più a fargli del male.» mormorò
furibonda. Kail si voltò verso i compagni:«Forza, andiamo. Queral,
Zodish; prendete Pylon. E datemi quei dannati sacchetti!»
Due
bambini si misero Pylon sulle spalle e lo sorressero, mentre Kail
requisiva il veleno. S’incamminarono verso l’uscita. Runne,
invece, rimase indietro.
«Non
vieni?» le domandò Kail.
Lei
scosse la testa. «Tornerò più tardi. Ora li devo aiutare.»
Kail
passò lo sguardo sui sinhilari intontiti, poi sospirò:«Va bene.
Fa’ come vuoi.» L’orlo dei suoi pantaloni sparì dietro al
portone e Runne rimase sola con le creature dei boschi.
Daeb
sollevò la testa su di lei, ancora pallido e tremante per gli
effetti del veleno:«Intento nobile il tuo, ma come pensi di
aiutarci?»
La
bambina sorrise. «In qualche modo lo farò. Aspetta un attimo qui.»
Runne prese Daeb e lo posò per terra.
«Dove...?»
provò a chiederle il sinhilare ma Runne aveva già imboccato
l’uscita, facendo ondeggiare i lucenti capelli dorati. La ragazzina
esplorò il giardino. Si orientò a fatica nell’erba alta, che le
pungeva le gambe nude. Finalmente trovò ciò che cercava: si chinò
su un gruppo di fiori viola, coi petali fini e ripiegati più volte
su se stessi. Ricordavano una cascata di capelli mossi, la cui faccia
era il polline. Alimut, fiori che facevano al caso suo. Ne strappò
un bel mucchio, quindi rientrò di corsa al castello. Alcuni
sinhilari, a quanto pareva guariti, aiutavano altri a camminare o
fluttuare in aria.
«Li
stiamo portando ai giacigli.» rispose Daeb allo sguardo
interrogativo di Runne.
«Che
cosa ci hanno fatto? Perché alcuni stanno bene e altri no?»
«Veleno
per topi.» Daeb sbiancò. Runne riprese a parlare:«Pylon voleva
solo stordirvi, ma temo che abbia sbagliato i calcoli.»
«Non
è vero. Ha cercato di uccidermi.»
«Voleva
uccidere te perché sei il capo dei sinhilari.» E poi lui per primo
l’aveva quasi uccisa.
«Cosa
ne sarà di noi?» chiese Daeb in tono disperato.
«I
più robusti guariranno, come te, ma i più deboli si ammaleranno e
continueranno a peggiorare.» Daeb trasalì. Runne gli sorrise:«Non
ti preoccupare. So come curarli.»
Daeb
l’accompagnò nelle cucine. La ragazzina prese una ciotola e vi
mise dentro i petali e le radici dei fiori. Dopodiché li pressò
finché non ottenne una poltiglia verde. Quindi salirono una ripida
scalinata ed entrarono in un’ampia stanza quadrata. I sinhilari vi
avevano creato il loro ambiente naturale: piante di ogni tipo,
cespugli e fiori crescevano sino a raggiungere l’alto soffitto. Tra
una pianta e l’altra, i sinhilari giacevano sdraiati sulle foglie.
Runne si avvicinò a uno di loro, prese un po’ di pappa con un
cucchiaino (che per il sinhilare era più grande di un piatto) e
glielo porse. L’esserino la guardò con riluttanza.
«Mandane
giù un po’. Ti farà bene.» lo incoraggiò Runne. Il sinhilare la
guardò, se possibile, ancora più male di prima.
«Calion,
per favore, fa’ come ti ha detto.» intervenne Daeb «Vedrai che
dopo ti sentirai meglio.» Calion mantenne il broncio, ma ubbidì.
Runne
distribuì pappetta per tutta la stanza, per precauzione anche a chi
si sentiva bene. Quindi anche Daeb ne mandò giù una porzione. Gli
esserini si ripresero, poco a poco. Runne emanò un sospiro di
sollievo; la mamma non era un'esperta di botanica e per un attimo
aveva dubitato dei suoi consigli. “L'Alimut cura tutte le malattie”
non le era parsa una massima affidabile.
«Grazie.»
disse «Ti siamo debitori.»
«Non
c’è bisogno di ringraziarmi, non ho fatto niente. Ho solo messo in
pratica quello che mi ha insegnato mia madre. Non ero nemmeno sicura
che funzionasse.»
Daeb
sorrise. «Hai fatto molto, invece. Sei venuta in nostro soccorso
nonostante noi avessimo tentato di ucciderti.» A proposito, quale
mistero l’aveva risparmiata?
«Inoltre
mi hai salvato la vita.» Daeb si tolse il cappello a cilindro e fece
un rapido inchino «Perciò permettimi di sdebitarmi a nome di tutti
i sinhilari della Foresta Dipinta. D’ora in poi sarò al tuo
completo servizio; cosa comandi, padrona?»
Runne
sbatté le palpebre più volte, incredula. Un attimo prima quello
stesso sinhilare l’aveva attaccata con un albero impazzito e ora
voleva diventare suo servo!
«Non
voglio niente da te, Daeb. Mi piacerebbe solo che diventassimo
amici.» rispose Runne. Daeb riassunse il solito sorriso
strafottente. «Credevo lo fossimo già, padrona.»
«Dico
davvero, Daeb, a me basta questo; perciò piantala di chiamarmi
“padrona”. Ho un nome, usalo.»
«Sicuro,
Runne.» La bambina si rincuorò, ma il sinhilare non si diede per
vinto. «Ma non c’è nessun desiderio che possa soddisfare? Nessun
sogno o ambizione? Farei qualunque cosa per aiutarti. Non c’è
proprio niente?» Runne si rabbuiò, assunse un’aria triste e
afflitta, al che Daeb si premette le mani sulla bocca e balbettò
mortificato:«Ho detto qualcosa che non andava?»
«No,
niente. Scusa. E’ solo che vorrei tanto sapere chi sia mio padre.
Mamma non ne parla mai, e se glie lo chiedo scoppia sempre a piangere
disperata. Ho capito che non è umano. Nessun umano ha gli occhi
rossi.»
«Sì,
infatti.»
Runne
lo guardò supplichevole «Tu sai cos’è? E cosa sono io?»
«Sì,
lo so.»
«E
allora dimmelo, ti prego!»
Daeb
volò a una finestra. «Ehi! Il sole sta calando! Non dovresti
tornare a casa?»
«Non
cambiare discorso. Perché non vuoi dirmelo?»
Daeb
sospirò. «Non credo di essere la persona più indicata...»
«Per
favore. Sei la mia unica speranza.»
Il
sinhilare si voltò verso di lei. «Te lo dirò. Ma non adesso. Non
qui.»
«E
quando?» Daeb la sorvolò e richiamò l’attenzione dei compagni.
«Daeb, quando?» insistette Runne.
La
voce di Daeb risuonò chiara nella sala «Io, Daeb, lascio la carica
di capo. Cedo il mio posto a Liuru, se egli concorda.»
I
sinhilari lo fissarono stupiti. Anche Runne rimase sorpresa e tacque.
Un sinhilare piuttosto robusto si avvicinò a Daeb, chinò la testa e
la risollevò:«Io, Liuru, accetto la carica di capo, promettendo di
impegnarmi a salvaguardare la Foresta Dipinta.» Un coro di applausi
emerse dagli esserini.
Runne
rimase spiazzata. «Daeb...» mormorò.
Daeb
abbracciò alcuni amici, poi tornò dalla ragazzina ed
esclamò:«Coraggio, andiamo a casa. Io ti seguirò ovunque.»
«Perché
l’hai fatto?»
Il
sinhilare inarcò un sopracciglio. «Non devo essere granché come
capo, se stavo per uccidere una bambina così graziosa.» Runne
arrossì. Cercò di ricomporsi guardando altrove.
«Com’è
tardi!» disse con enfasi. Salutò in fretta i sinhilari e si
precipitò giù per le scale, seguita da Daeb.
Runne
spalancò la porta di casa.
«Bentornata!»
la accolse Judith «Com’è andata?»
Runne
entrò, seguita da Daeb che aggiunse:«Permesso!» Si tolse il
cappello. «Buonasera signora.»
Judith
sgranò gli occhi. Subito dopo saltellò eccitata:«Ce l’hai fatta!
Piaciute le fragole?»
Daeb
emise un gemito e fissò la punta delle scarpe, imbarazzato.
«All’albero
penso di sì.» rispose ironica Runne.
«Albero???»
I tre si sedettero a tavola. Judith prese una scatoletta di legno e
un sottobicchiere, che Daeb usò rispettivamente come sedia e piatto.
Runne raccontò tutto dall’inizio alla fine, anche se parlò dei
sinhilari al plurale quando disse che l’avevano attaccata,
omettendo il fatto che era stato proprio Daeb a dare il via. Ad ogni
parola il sinhilare sprofondava nel sottobicchiere.
Judith
se ne accorse:«Non c’è niente di cui vergognarsi: hai agito
secondo il tuo istinto.»
«Potevo
ammazzarla.» sussurrò Daeb affranto.
«Credi
che l’avrei lasciata andare, se fosse stato pericoloso?» Runne
ricordò le parole della madre:“Non
possono farti del male. Non a te, almeno.”
«Che
intendevi dire con “non possono farti del male”?» chiese
sospettosa. Daeb si fece attento.
«Ma
è naturale.» rispose Judith con un sorrisetto «Perché sei metà e
metà.»
Runne
la scrutò senza capire, al contrario di Daeb che annuì
convinto:«L’avevo immaginato, ma non ci volevo credere.»
«A
cosa?» intervenne la bambina.
«E’
proprio così.» confermò Judith «E’ per via del padre.»
«Capisco.»
«Cosa?»
ripeté Runne sull’orlo dell’esasperazione.
«Finiamo
di cenare.»
«Sì,
signora...»
«QUALCUNO
MI VUOLE DARE ASCOLTO?!» l’urlo di Runne squarciò l’atmosfera.
Si rese conto di essersi alzata e di aver appena rovesciato la sedia.
«CHI
È MIO PADRE?! DITEMELO! HO IL DIRITTO DI SAPERLO!»
«Runne,
siediti.» le intimò Judith.
«NO!
ORA MI DICI LA VERITÀ!» Tremava e sudava freddo. Avvertiva una
morsa allo stomaco e le girava la testa. Sto
male? Runne
cadde a terra.
«Runne!»
gridarono all’unisono Judith e Daeb, soccorrendola.
«Oh
dei!» disse il sinhilare con una nota di preoccupazione nella voce.
La
madre la sorresse. «Runne, calmati! Placa la tua ira! Non lasciare
che la collera ti divori!» La collera? Cosa intendeva dire? Avvertì
il battito accelerare e il sangue rifluire vischioso nelle vene. I
muscoli si contrassero.
«Mamma...
cosa mi sta succedendo?»
«Se
solo ci fosse qui tuo padre...» lamentò Judith. Runne non capiva.
Nonostante non facesse nulla per alimentarla, la rabbia continuava a
crescere. Era come se qualcosa dall’interno la divorasse e le
lacerasse le carni. L’angoscia era opprimente e un terribile senso
di solitudine le fece salire le lacrime agli occhi. Tutte le sue
preoccupazioni, i ricordi dolorosi, tutte le sue paure le affollarono
la mente con l’impeto di un uragano.
Qualcuno
bussò alla porta e fu come se il tempo si fermasse. Poi si udì una
voce familiare:«Signora Judith! Sono Kail, l’amico di sua figlia.
Volevo sapere come stava...»
La
voce del ragazzo rimbombò nella testa di Runne. La rabbia si placò
poco a poco, il battito tornò regolare e tutti i brutti pensieri
vennero cancellati con la stessa velocità con cui erano comparsi.
Runne si afflosciò tra le braccia di Judith. Un attimo dopo rinvenne
e biascicò con un filo di voce:«Grazie, sto bene.»
La
madre la fece sedere e Daeb ordinò alla pianta da vaso vicino
all’uscita di allungare i propri rami e di aprire la porta. Kail
entrò a capo chino, i ciuffi biondo-platino spettinati.
«Disturbo?»
«No,
affatto.» rispose Judith. Daeb richiuse la porta con lo stesso
metodo di prima e il ragazzino lo contemplò stupito. «Ma tu sei il
capo dei sinhilari!»
«Non
più. Comunque chiamami Daeb. Tu sei... ehm?»
«Kail.
Come stanno i tuoi amici?»
«Molto
meglio, grazie. Runne ci è stata di grande aiuto.»
«Mi
dispiace per il comportamento dei miei compagni. Ti giuro che non
c’entro niente.»
«So
già tutto, non darti pensiero.»
Kail
assunse un’espressione amareggiata, poi posò lo sguardo sul volto
pallido e tirato di Runne. «Non stai bene?»
«Non
ho niente.» lo rassicurò stancamente. Non
più, almeno.
«Perché
non ti fermi un po’ da noi?» gli propose Judith.
«No,
la ringrazio. Devo tornare subito a casa.» Si salutarono. Con la
stessa semplicità con cui era venuto, se ne andò.
Runne
rimase a fissare l’uscio vuoto, dopodiché aiutò la madre a lavare
i piatti. Finito il lavoro, Judith aveva già un piede sulle scale,
quando la bambina la fermò. «Ti prego, mamma. Non evitarmi. Cosa mi
è successo prima?»
La
madre si voltò lentamente, con occhi tristi «Quello che è successo
è avvenuto proprio per l’altra tua metà. Per ciò che è tuo
padre.»
«Chi
è mio padre?» aggiunse Runne speranzosa.
Judith
scosse il capo «Parliamone domani. Ti dirò tutto, promesso.» La
donna salì le scale. Runne la seguì e si diresse in camera. Daeb
attendeva lì, sdraiato su un po’ di paglia, dentro una scatoletta
senza coperchio e riscaldato da un fazzoletto convertito in coperta.
Chiuse gli occhi quando la bambina si cambiò e li riaprì solo
quando lei si fu coricata.
«Buonanotte.»
le disse.
«Buonanotte.»
fu la risposta. Dopo qualche minuto di silenzio, Runne
mormorò:«Daeb...»
«Che
c’è?»
«Chi
è mio padre?»
«Buonanotte,
Runne.»
«Ti
scongiuro! Non ti chiederò nient’altro!» La voce della bambina
era quasi implorante, e forse fu per questo che Daeb si decise a
rispondere:«E’ un reptile.»
(S)parla
con l’autrice
Dia
dhaoibh,
lettori!
Con
questo capitolo Runne ha risolto un problema (la bellicosità dei
sinhilari) e ne ha guadagnato un altro: l’identità di suo padre.
Ma che diavolo è un rePtile, direte voi? Sono stata abbastanza
subdola da rivelarlo solo nel prossimo capitolo xD
Quali
sono le vostre opinioni? Come vi pare la storia fino a qui?
Fate
un salto anche sulla mia pagina facebook: Parole
Cozzate – CreAttiva
Al
prossimo capitolo! Slán
libh!
CreAttiva
|
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Capitolo 3 *** La verità (1^parte) ***
2 - Un nuovo amico
La
Verità - 1^ parte
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Runne
camminava a passo svelto, perdendosi tra le vie di Fiandher. Ogni
tanto rallentava per guardare qualche chiosco, poi riprendeva la
marcia. Quella notte aveva dormito poco. Quando era riuscita ad
addormentarsi, era stata tormentata dagli incubi. L’immagine di un
paio di occhi rossi l’aveva perseguitata per tutta la notte. Occhi
come i suoi. La mattina era uscita di casa senza avvisare né sua
madre né Daeb. Quell’unica parola le risuonava nella testa, con
una cantilena incessante. Reptile. Reptile. Reptile. Anche i bambini
conoscevano i reptili: esseri diabolici che sfruttavano la magia
nera. I reptili erano i personaggi cattivi delle fiabe, quelli che
rappresentavano il male e che popolavano gli incubi dei piccini.
Originari di una terra sconosciuta, c’era chi affermava che i
reptili fossero sorti dal sangue delle grandi battaglie. Inoltre si
vociferava che il re di Kuden, bramoso di dominare tutto il Mondo
dell’Avvento, avesse un intero esercito di reptili al suo servizio.
Re Endrun
era un uomo scaltro, in passato consigliere del sovrano precedente,
Flarel; quest’ultimo venne spodestato con un inganno che lo portò
alla morte. Endrun, cospiratore del raggiro, gli era subentrato.
Ma
Runne non pensava a questo, mentre piangeva sulla collina del
castello. Pensava invece a quella parola. Reptile. Reptile. Reptile.
Udì un fruscio alle proprie spalle e si girò di scatto. I sinhilari
che le si erano radunati attorno sussultarono assieme alle foglie e
agli stracci di cui erano vestiti.
Liuru
le si avvicinò cauto:«Perché piangi?» Runne non rispose. Non
aveva voglia di parlare con nessuno. Le lacrime continuarono a
scendere senza sosta. Gli esserini la guardarono tristi e
preoccupati, e alla fine la ragazzina disse:«Perché mio padre è un
reptile. Perché io sono un reptile.»
«E
allora?» fece un sinhilare paffutello «Che c’è di male in
questo?»
«Io...
sono un mostro!»
Liuru
scosse la testa. «E’ più mostro il malvagio figlio del santo che
il buon figlio del mostro.» Runne lo fissò con aria interrogativa.
Liuru
continuò:«Significa che non importa chi sia tuo padre, o tu, ma
cosa serbi nel cuore. Ci hai dato un grande aiuto, perciò sappiamo
che non sei un mostro. E per ripagarti ti faremo un omaggio!»
I
sinhilari si scambiarono uno sguardo d’intesa. Formarono un cerchio
attorno a lei e girarono come posseduti da una strana danza. Le loro
vocine si levarono in un canto e Runne se ne sentì riempire il
cuore. Le lacrime volarono via e un sorriso le si formò seguendo
quella melodia gioiosa. Non riuscì a resistere. Si sentì pervasa e
rapita dalla felicità sfrenata di quei sinhilari. Cominciò a
cantare suo malgrado, parlando una lingua a lei sconosciuta e venne
travolta da uno strano sentimento: fu come se stesse nascendo, come
se respirasse per la prima volta, come se desse il suo primo urlo.
Dopo un po’ il canto calò di tono e il cerchio di sinhilari si
spezzò.
Runne
si strinse il petto estasiata. Non riusciva a trovare il coraggio di
infrangere quella magia che la rendeva tanto eccitata con la
profanazione delle parole. Infine chiese:«Come mai mi sento così
felice?»
«E’
il Canto della Quiete.» rispose Liuru «Si dice che il Mondo
dell’Avvento nacque con questo canto. Tra noi viene tramandata di
generazione in generazione.»
«Cosa
vogliono dire quelle parole?»
«Nessuno
lo sa.» intervenne una sinhilare graziosa «Il loro significato si è
andato perduto nei misteri del tempo.»
«Come
ho fatto a cantare con voi? Eppure non avevo mai sentito questa
canzone...»
«E’
perché sei una feliana. I feliani sono stati i primi ad abitare
queste terre, sono ancora più antichi di noi sinhilari. La loro
magia, che scorre nelle tue vene, ti ha fatto ricordare questa
melodia.» Runne si rasserenò al pensiero che l’incanto dei
feliani l’accompagnasse nella vita.
«E’
incredibile! E’ l’esperienza più bella che abbia mai vissuto!
Grazie, Liuru! Grazie a tutti voi!» Salutò i sinhilari e si avviò
verso casa, colma di una frenesia incalcolabile.
Runne
sfondò praticamente la porta.
Judith
fece un gesto di stizza. «Dico, ma sei impazzita?!» Notò il
radioso sorriso di sua figlia e rimase di stucco «Ti vedo allegra.
Cosa ti è successo?»
«Mamma!
Mamma!» esclamò Runne.
«È
bellissimo! È stupendo! È magnifico! È...»
«Cosa?»
domandò la madre perplessa.
«Il
Canto della Quiete!»
Judith
sbatté le palpebre «Canto della quiete?»
«Non
sai cos’è? È... oh, come te lo posso spiegare?»
«Va
bene, va bene.» assentì sua madre. Si picchiò la fronte con una
mano. «Daeb, è vero! Era andato a cercarti! Lo hai visto?»
«No.»
«Sono
qui.» rispose una voce flebile. Daeb entrò ansimando e si sedette
sulla spalla sinistra di Runne.
«Ma
quanto corri?» prese fiato «Ti ho vista schizzare tra la folla
mattutina e ti ho seguita. Ma ti ho persa di vista. A sapere che
stavi tornando a casa me la prendevo molto più comoda.» Runne
scoppiò a ridere. Il sinhilare la guardò con aria stupita e un po’
offesa.
«Credevo
fossi giù di morale, per questo ti ho cercata. Tutta questa fatica e
tu ridi?» Runne rise ancora più forte.
«Parla
di un certo “Canto della quiete”.» spiegò Judith.
«Ah!
Ora capisco! Sì, fa quest’effetto.» Attesero che Runne placasse
le risate, quindi si sedettero. Il cuore di Runne batteva a mille.
«Ti
ho promesso di raccontarti la verità, e te la racconterò.» esordì
Judith.
Judith
vive con la sua famiglia
a Hermet Dlun,
nel Regno di Raion, la terra dei feliani. Sono poco più di seicento:
il resto della stirpe si è sparso da secoli per il Mondo
dell’Avvento, mescolandosi agli umani. Judith ha sedici anni ed è
figlia di tessitori.
Un giorno, mentre gira come di consueto in mezzo ai maestosi palazzi,
vede un uomo accovacciato a terra, completamente avvolto in un
mantello nero. Il cappuccio è calato fino alla punta del naso.
Judith si domanda come faccia a vederci. L’unica cosa che riesce a
distinguere è la pipa che sta fumando, emettendo soavi nuvole di
fumo.
«Cosa
ti serve, bambina?» domanda una voce gelida e roca.
Judith
scuote la testa. «Niente, scusi. Non volevo infastidirla.» e fa per
andarsene. L’uomo ammira le ciocche dorate dei suoi capelli
dondolare placide accarezzando la schiena; ne è ipnotizzato e senza
rendersene conto apre il mantello solo quel poco che gli permette di
scoprire un braccio, cui sono messi una moltitudine di bracciali. Ce
ne sono di tutti i tipi: di corde intrecciate, di legno finemente
intagliato e di ferro inciso. Judith li guarda ammirata. Anche con la
pipa in bocca, il ghigno dell’uomo è inconfondibile.
«Ne
vuoi uno, bambina?»
«Grazie,
ma non me li posso permettere.»
L’uomo
spegne la pipa e se la infila sotto il mantello. Si alza, si toglie
un bracciale e lo porge a Judith. «È derivato dall'intreccio di
algarame: una particolare pianta color ruggine dalle foglie lunghe e
sottili che al contatto col fuoco cristallizza la clorofilla in un
lucido manto protettivo.»
«Glie
l’ho detto: non ho i soldi...» L’uomo le afferra un braccio e le
fa indossare il bracciale.
«Te
lo regalo, bambina.» Avvicina le labbra al suo orecchio. Judith
sente il suo fiato misurato sfiorarle il collo.
«Per
la tua bellezza.» mormora lui.
«Non
posso accettarlo...» balbetta Judith arrossendo. L’uomo non
risponde. Si scosta da lei e scivola via come un’ombra, scomparendo
tra la folla.
Judith
torna a casa con aria trasognata. «Ciao, mamma.»
Gliend
si volta verso la figlia. «Bentornata! Allora: qualcuno ti ha fatto
la corte?»
Judith
nasconde d’istinto il braccio dietro la schiena. «Nessuno.»
La
madre sospira. «Speriamo in bene... sei in età da marito e il tempo
corre!»
«Non
ti preoccupare. Quando troverò quello giusto, sarai la prima a
saperlo.»
«Ti
ringrazio. Aiutami a preparare la cena, adesso. Tuo padre sarà qui a
momenti e avrà una fame da lupi.» La sera trascorre tranquilla e,
finalmente sola nella sua stanza, Judith rimira il bracciale.
Il
giorno dopo Judith esce di nuovo. Si guarda intorno preoccupata, poi
tira un sospiro di sollievo quando scorge l’uomo. È nello stesso
posto del giorno precedente, nella stessa posizione, indossa lo
stesso mantello e fuma di nuovo la pipa. Sembra quasi che non si sia
mai mosso da lì.
Judith
gli si avvicina e gli posa di fronte un cestino per il pranzo. «Per
ringraziarla. Non riuscirò mai a ripagarla del tutto, ma...» L’uomo
rimane immobile, come se lei non ci fosse.
«Spero
le piaccia.» prova Judith. Nessuna risposta. La ragazza stringe i
pugni nervosamente. «Bhé... io devo andare. Arrivederci.»
«Aspetta.»
Judith si congela sul posto. L’uomo spegne la pipa e le fa cenno di
sedersi. Judith obbedisce. L’uomo apre il cestino e tira fuori un
piatto avvolto in uno straccio, contenente una crostata di mele. Nel
cestino ci sono anche delle posate, che lui usa in silenzio.
«Sei
un’ottima cuoca.» acconsente, e Judith si riempie d’orgoglio.
«Come
ti chiami?» le chiede l’uomo, voltandosi verso di lei. Judith non
riesce tuttavia a distinguere il suo viso.
«Judith.
Lei...?»
«Non
credo di essere così vecchio. Avrò cinque o sei anni più di te.
Dammi pure del tu.»
«Invece
tu?» si corregge Judith. Il ragazzo non risponde.
«Vengo
qua ogni pomeriggio.» e così Judith inizia a parlare. Parla di sé,
dei suoi genitori, persino delle sue cottarelle da bambina, senza
riuscire a fermarsi.
«Parli
un sacco!» la interrompe lui.
Judith
arrossisce. «Lo so, ma non ho mai avuto nessuno a cui confidare
queste cose.» È troppo timida per farlo.
«E
le riveli a un perfetto sconosciuto come me?»
«Sei
stato tu il primo a regalarmi questo bracciale.» e solleva il
braccio per mostrarlo.
Lui
ha un attimo di esitazione, poi riprende il controllo:«Quella è
robetta da niente, è solo un... hobby.» Quante fanfaronate escono
dalla sua bocca?!
«Se
per te questi ornamenti non valgono nulla, significa che sei ricco!»
Il
ragazzo dà un’alzata di spalle. «Diciamo che nel mio lavoro è
normale maneggiare roba del genere.»
«Davvero?
Sei un mercante, allora?»
Lui
ridacchia, divertito. «Chissà? Magari sono un ladro.»
«Non
ho sentito di nessun ricercato in città. Non prendermi in giro.»
Sveglia,
la ragazza. «Devo andare.»
«Dove?»
chiede Judith, incuriosita.
«Sono
affari miei, chiaro?!» sbotta il ragazzo alzandosi di scatto. Judith
risponde con un debole «Scusa!» prima che lui scompaia avvolto nel
suo mantello.
Il
giorno seguente Judith torna con un altro cestino per il pranzo, e fa
altrettanto nei giorni successivi; ogni volta si siede a parlare con
il ragazzo, anche se lui non risponde mai alle sue domande dirette,
tenendosi sempre vago o cambiando discorso; e ogni volta la
conversazione finisce quando il mercante si dilegua nella folla
pomeridiana. Judith naturalmente non dice nulla ai suoi genitori:
cosa penserebbero di lei se sapessero che si è invaghita di uno
sconosciuto senza volto e senza nome? A Judith va bene così: quella
nota di mistero mette un po’ di pepe al suo amore.
Un
pomeriggio si reca come al solito dal suo amato. Ma non lo trova. Al
suo posto ci sono tre uomini che parlottano sottovoce. Judith
riconosce le loro armature feline: le guardie. Vorrebbe avvicinarsi,
chiedere spiegazioni. La voce le muore in gola quando una delle
guardie mostra una pipa alle altre due. Una pipa. La sua pipa.
Si
volta e torna a casa il più in fretta possibile.
Il
giorno dopo torna al solito posto, ma non trova più né il ragazzo
né le guardie. Così l’indomani e anche nei giorni a venire.
Judith si sente angosciata. Teme per il ragazzo e non sopporta il
fatto di non poterlo vedere. Qualche volta scoppia a piangere, chiusa
in camera sua, come una bambina. Si dà della stupida, ma le lacrime
non si placano.
Passa
un mese. Judith si accorge che c’è tumulto a Hermet Dlun: le
guardie pattugliano spesso la città e anche la gente è più
nervosa. Judith non si fa troppe domande: queste cose non la
riguardano. Così crede.
È
una notte fredda quella in cui Judith si sveglia di soprassalto. Ode
i passi dei suoi genitori salire le scale frettolosamente.
«Judith!
Judith!» Suo padre.
La
ragazza balza giù dal letto. «Che succede?»
«Dobbiamo
andarcene, presto!» Judith lo asseconda. Non sa cosa stia
accadendo, ma le grida che sente provenire dall’esterno precedono
le spiegazioni. Si precipitano fuori dalla casa e Judith vede ciò
che teme: l’inferno.
Le
case in fiamme, le donne che urlano, i bambini che piangono, uomini
che ne combattono altri. Uomini? No, quelli non sono feliani: sono
reptili. Judith osserva pietrificata quella scena di morte. Tortura,
carneficina, sangue, paura: si mescolano ovunque. Sua madre la
chiama, suo padre la tira per un braccio, ma lei non riesce a
distogliere lo sguardo da quell’orrore. I genitori la trascinano di
peso in mezzo alla folla scalpitante, nella calca urlante. Judith si
trova inghiottita dalle persone che scappano e gridano terrorizzate,
come lei. Man mano che procedono, qualcuno cade a terra e muore
calpestato. La gente non ci bada e continua a correre: la paura fa
anche questo. Poi è il turno dei reptili, che spinge la folla a
destra, a sinistra; che fanno stragi. Le inversioni di marcia sono
brusche. Judith viene spinta da una parte all’altra, reggendosi e
mantenendo salda la mano della madre a fatica.
Un
rombo sordo sopraggiunge non lontano dalla folla e una luce accecante
invade i loro volti: poco distante da Judith una ventina di persone
esplodono. Sotto la pressione della magia dei reptili, esplodono.
Judith viene sommersa dal loro sangue: ne sente l’odore pungente,
il sapore viscido in bocca. Sangue di amici, sangue di conoscenti,
sangue di innocenti. Judith trattiene un conato di vomito e
singhiozza in preda al panico. Sarebbe bastato un metro e anche per
lei sarebbe finita. Inutile pregare gli dei: vita o morte sono tutta
questione di fortuna. Judith sente freddo ed è scossa da tremiti,
nonostante il caldo soffocante proveniente dai corpi intorno a lei e
dalle fiamme che divorano le abitazioni.
È
un attimo. Le persone si stringono di più e una spinta le fa
scivolare via la mano di sua madre. La chiama, ma la sua voce è
coperta dal frastuono della folla. Riesce a scorgere il volto
terrorizzato di Gliend appena prima di perderla, inghiottita col
marito nel gorgo di gente. Judith rimane sola, indotta a proseguire
quella terribile marcia. Un altro rombo, e un’altra esplosione
invade i feliani poco dietro a Judith. La calca si restringe; sono
tanti ma rispetto a prima sono pochissimi.
Un
agghiacciante stridio che non può provenire da alcuna gola umana
squarcia il cielo. L’intera folla si arresta a guardare inorridita
la bestia sovrastarla. Il corpo è quello di un lupo, il cui pelo
rosso brace ricasca come una chioma sul collo possente. Una folta
coda fluisce nell’aria pesante, mentre le enormi ali da pipistrello
gli permettono di abbassarsi e agli artigli di afferrare in volo due
feliani. L’animale li finisce con le zanne. Negli occhi gialli,
senza pupille, si riflette lo stesso ghigno malvagio del suo
cavaliere, seduto sul suo destriero e protetto da un’oscura
armatura nera.
Judith
ha sentito parlare di quelle creature:
glorg, i lupi fantasma dei reptili. Il glorg spalanca le fauci e un
alito d’ombra scende sui feliani, disintegrandone una buona parte.
La folla si disperde, ma il glorg e il suo padrone la inseguono
spietati. Judith si guarda attorno disperata, cercando di cogliere
con lo sguardo i suoi genitori. Scorre la vista sulle persone che la
circondano,
corre senza seguire una direzione precisa. Finalmente li trova: ma
l’immagine che la raggiunge è quella di un reptile che trapassa
con la spada il corpo di suo padre e che decapita sua madre.
Judith
grida con quanto fiato ha in corpo. I polmoni le bruciano almeno
quanto le manca il respiro. Un altro raggio di tenebre sconvolge i
feliani. Non colpisce Judith, ma l’impatto è talmente vicino e
violento da farla volare tre metri più avanti. La ragazza batte la
testa. Qualche secondo di delirio e poi precipita nel nulla.
(S)parla
con l’autrice
Dia
dhaoibh,
lettori!
Capitolo
pesantuccio… e il passato di Judith non è finito qui! Che ne
pensate di questo colpo di fulmine per un uomo di cui non sa nulla?
Dopo qualche flirt e fru fru ecco una bella carneficina. Spero di non
avervi spaventato troppo. Ne “Il
destino scelto”
mescolo ironia, amore, azione e drammaticità. O almeno ci provo.
Solo voi lettori avete l’ultima parola a riguardo. Cianciatemi le
vostre opinioni! (ho appena violentato l’italiano xD)
Fate
un salto anche sulla mia pagina facebook: Parole
Cozzate – CreAttiva
Al
prossimo capitolo! Slán
libh!
CreAttiva
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Capitolo 4 *** La verità (2^parte) ***
2 - Un nuovo amico
La
Verità - 2^ parte
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La
cella è fredda e buia quella mattina. In mezzo ai prigionieri
terrorizzati e disperati c’è un ragazzo accovacciato a terra. È
avvolto in un ampio mantello nero e ha il cappuccio calato fino alla
punta del naso. Sospira. È senza la sua pipa. Quelle stupide
guardie! Per poco non avevano mandato tutto a monte! D’altra parte
la sua identità è dovuta rimanere segreta fino a questo momento; e
sempre lo sarebbe stata. Anche per quelle guardie. E dire che è
dalla loro parte! Non fa niente, ormai. Si è fatto catturare dai
reptili e rinchiudere in gattabuia apposta. Non si è fatto scoprire.
E ora parte del piano di riserva è riuscita.
Non
c’è comunque da stare allegri... non con la città in fiamme. La
porta si apre e un reptile scaraventa dentro con malagrazia una
ragazza dai lunghi capelli mossi e dorati. La poverina si rialza a
stento e il ragazzo la riconosce: la feliana a cui ha regalato il
bracciale. Judith. Ma ora del bracciale non c’è più traccia.
Probabilmente i reptili glie l’hanno rubato. Ha lo sguardo spento,
del sangue rappreso alla testa e il volto presenta i segni di un
lungo pianto. Solleva gli occhi e lo vede. Il ragazzo le si avvicina
lentamente. Judith gli si getta al collo, stremata. Lo abbraccia e
scoppia in lacrime. Il ragazzo sente che Judith vorrebbe parlare, ma
che non ha più voce. Allora è lui a parlarle; le mormora dolcemente
parole di conforto. Judith si tranquillizza e dopo un tempo
interminabile si scioglie dalla stretta del ragazzo.
«Perdonami.
Non volevo... infastidirti...» la sua voce è scossa dai singhiozzi.
«Mia
madre... mio padre... un reptile... loro...» Non riesce a
proseguire. Il ragazzo l’abbraccia più forte. Restano così per
qualche minuto, poi si separano. Il ragazzo si siede di nuovo a terra
e fa cenno a Judith di imitarlo.
«Dove
siamo?» balbetta Judith smarrita «Ci hanno fatto camminare a lungo,
ma... era tutto bruciato; non ho capito dove stessimo andando.»
deglutisce, facendo riaffiorare un ricordo spiacevole «Ci incitavano
a proseguire senza sosta, uccidendo quelli troppo stanchi o troppo
deboli per continuare il cammino. Alcuni hanno tentato di scappare,
ma...»
«Non
ci troviamo più nel Raion.» la interrompe lui «Siamo a Kradit,
capitale del Regno di Kuden.»
«Kradit?
Ma...
questa è la residenza di re Endrun?»
«Sono
le sue carceri. I reptili sono ai suoi servigi.»
Judith
annaspa con aria angosciata. Come può il re allearsi con quei
mostri? Non riesce crederci. Dopo un po’ chiede:«E Hermet Dlun?»
«È
caduta.» E il piano previsto inizialmente è fallito.
Judith
ha le lacrime agli occhi. «Cosa vuole il re dai feliani? Non gli
abbiamo fatto nulla!»
«Endrun
teme i feliani perché hanno un legame particolare con la natura.
Teme il potere dei vostri antenati e ha paura che esso si possa
risvegliare in voi.» Judith nota che il ragazzo parla dei feliani
come se non ne facesse parte.
«Cosa
ne faranno di noi?» riprende.
«Non
lo so e non ci tengo a scoprirlo. Non ti preoccupare, andrà tutto
bene.»
«Non
ti credo.» Come potrebbe? Vede solo la morte.
Il
ragazzo le accosta le labbra all’orecchio. «Finché starai con me,
sarai al sicuro.» Judith sa che è la verità.
Cala
la notte. Dormono tutti. Il ragazzo si alza e scivola silenzioso
verso la porta. Judith si desta e il ragazzo le fa cenno di tacere.
Il “ladro” avvicina una mano alla serratura. Una luce oscura la
fa scattare. Judith rimane a bocca aperta mentre il ragazzo apre con
cautela la porta.
«Aspettami
qui.» bisbiglia «Sveglia gli altri e avvertili di tenersi pronti
alla fuga.» Judith annuisce. Il ragazzo scompare richiudendo
l’uscio.
Il
ragazzo cammina veloce, ma con passo felpato. Sente l’arrivo di una
sentinella dietro l’angolo e salta, aggrappandosi alle travi del
soffitto. Se fosse stato una persona comune, non sarebbe mai riuscito
a spiccare un salto così alto. Ma lui non è una persona comune. La
sentinella svolta l’angolo e percorre il corridoio. Il predatore si
acquatta nell’oscurità della notte, attendendo il momento
propizio. Il ragazzo piomba sulla sentinella e la sgozza col
coltello. La preda si accascia tra le sue braccia senza emettere un
lamento. Il fuggiasco la trascina dentro una cella vuota e la stende
dove nessuno può vederla senza uno sguardo accurato. Esce e richiude
la porta alle proprie spalle.
Si
muove per i corridoi senza fare alcun rumore. Raggiunge quello che in
apparenza può sembrare un vicolo cieco. Poggia l’orecchio alla
parete e tasta delicatamente i mattoni. Si ferma. Sorride. Ne spinge
uno e la parete si apre, rivelando un passaggio segreto. Come
ricordava, si può aprire solo dall’interno. Scende la lunga scala
a chiocciola e arriva in uno stretto passaggio. Lo risale e spalanca
la botola sopra la sua testa. Sbuca fuori dalla fortezza: una
trentina di feliani lo attendono. Viene avanti un uomo dall’armatura
dorata come i suoi capelli.
«Possiamo
chiamare i rinforzi?» domanda con imperiosità Berital,
il sovrano dei feliani.
«Sarebbe
inutile.» risponde il ragazzo «Le vostre milizie non hanno impedito
la caduta di Hermet Dlun e non annienteranno Endrun. Mi bastano dieci
uomini per liberare i prigionieri. Gli altri possono attenderli qui
per soccorrerli.»
«Quanti
sono?»
«Meno
di un centinaio, sire.»
Il
re china la testa. «Così pochi...» Un dolore indicibile lo
attraversa. «Ormai non c’è più speranza. La stirpe dei feliani è
finita.»
«Non
ancora!» esclama il ragazzo. Il re sospira. Sceglie nove guerrieri e
propone a concludere se stesso.
«Voi
no, maestà. Non potete rischia...» comincia il ragazzo.
Il
sovrano lo zittisce con un cenno del capo. «Sono i miei sudditi.»
Il ragazzo non replica. Ripercorrono il passaggio segreto a ritroso.
Una volta all’interno della fortezza, si dividono per far fuggire i
prigionieri. Il ragazzo, l’unico in grado di aprire le porte con la
sua magia, passa davanti a ogni cella. Judith lo raggiunge. Ha
riconosciuto le armature scintillanti delle guardie reali e il volto
noto del re.
«Segui
gli altri.» le dice il ragazzo.
«No.
Io non esco senza di te.»
Il
ragazzo scuote la testa:«Non fare la sciocca. Va’.»
«No.»
«Judith,
coraggio, vai!»
«No!»
«Non
vale la pena rischiare la vita per uno come me. Non sai neppure chi
sono...»
«Non
m’importa.» Gli occhi di Judith sono vivi, sinceri. Il ragazzo ha
la tentazione di baciarla. Non
è questo il momento...
La prende per mano e la trascina verso il passaggio segreto. Diversi
feliani sono già fuggiti, mancano solo gli ultimi.
«ALLARME!
I PRIGIONIERI STANNO SCAPPANDO!»
Una
sentinella sbuca proprio in quel momento. Il ragazzo lascia la mano
di Judith e sguaina la spada. La sentinella gli piomba addosso, ma il
ragazzo è rapido a schivarlo e gli basta un colpo per abbatterlo.
Attraverso il corridoio si odono i passi affrettati e il vociare dei
rinforzi nemici. Sopraggiungono gettandosi sulla squadra di
salvataggio dei prigionieri, ormai al sicuro oltre il passaggio.
Dei
fuggitivi rimane solo Judith, impietrita sul posto; guarda lottare il
ragazzo, il re dei feliani e i suoi nove guerrieri. Due di questi
ultimi vengono finiti. Lo stile di combattimento del ragazzo,
impegnato in una terribile danza mortale, è il più letale di tutti,
o almeno così appare agli occhi di Judith.
Un
nemico mena un fendente a pochi centimetri dal suo viso e il
cappuccio gli scivola indietro. Il ragazzo è veloce a calarselo, ma
Judith e il guerriero davanti riescono a vedere il suo volto duro e i
suoi occhi rossi. Prima che l’avversario possa rivelare la sua
natura, il ragazzo lo uccide. Gli altri non si sono accorti di nulla.
C’è mancato davvero poco. Arrivano altri rinforzi.
«Non
ce la faremo mai!» urla il ragazzo.
Il
re esita un istante. «Andate avanti voi! Io li terrò impegnati!»
comanda con voce secca.
«Ma...»
«ANDATE!»
Il ragazzo imbocca il passaggio segreto, seguito da Judith. I feliani
rimangono al fianco del loro re. I due corrono senza fermarsi. Escono
all’aria aperta. Judith inspira a pieni polmoni, concedendosi
quell’attimo di pace. Il ragazzo chiude la botola e lo sigilla con
la magia.
«Questo
li terrà impegnati per un po’.»
«Che
fai?!» Judith ha la voce strozzata «E il re?!»
Il
ragazzo la tira rudemente per un braccio.«Ormai è morto.»
«Come
fai a dirlo?»
Non
c'è bisogno di rispondere. Si odono un tramestio strascicato e
clangore di spade al di sotto della botola. Judith trasale.
Il
ragazzo la trascina via. «Corri!»
Si
fermano in una piccola radura. Fa parecchio freddo, ma non possono
accendere un fuoco. Il ragazzo si siede spossato, appoggiato a un
albero. Judith trema.
«Vieni
qui.» le suggerisce lui «Il mio mantello ti riscalderà.»
Judith
rimane dov’è. Lo guarda con timore. Ha paura. Paura di colui che
ha amato per tutti quei giorni. Quella figura misteriosa che tanto
l’affascinava le appare all'improvviso terribilmente minacciosa. La
sua voce è roca:«Tu sei un reptile, non è vero?»
Il
ragazzo scoppia in una risata fredda e priva di allegria. Si toglie
il cappuccio. Ora Judith distingue meglio le sue iridi rosse come il
sangue. Distoglie lo sguardo.
Il
ragazzo ride ancora:«Speravo non mi avessi visto prima.»
Judith
non risponde. Lo osserva con timore. In quegli occhi rivive lo stesso
incubo del giorno prima e la morte dei suoi genitori.
Il
ragazzo si gratta il mento con noncuranza. «Bhé, fa’ come ti
pare.» Judith resta lì, immobile, combattuta dalla tentazione di
avvicinarglisi e da quella di scappare lontano. Sceglie invece di
chiedergli:«Eri alleato con re Berital?»
«Sono
anni che agisco sotto copertura. Passavo informazioni al re.»
«Ma...
sei un reptile, quindi... perché?»
Il
ragazzo si stringe nelle spalle. «Mi sono semplicemente reso conto
che la mia razza non combatte per sopravvivenza, come chiunque altro,
ma solo per la sete di sangue o per il potere. Queste cose mi danno
la nausea!» Sul volto ha un’espressione amareggiata.
«Ci
sono altri reptili come te?»
«Belli
come me nessuno.» ride della propria battuta «Se ce ne sono altri,
o sono già morti o si nascondono; sono dei reietti, considerati dei
traditori del loro sangue.»
Ed
ecco che Judith arriva a ciò che la tormenta:«Dove sono gli altri
feliani? Non avremmo dovuto raggiungerli?»
«Credi
forse che ti voglia portare nel mio oscuro covo e torturarti per il
semplice piacere di farlo?» Judith rabbrividisce. Il ragazzo si alza
e la guarda torvo.
«Rispondi:
chi ha salvato quel che rimaneva del tuo popolo?» Judith pensa di
dire “tu”, ma un’altra volta non ha più voce.
Il
ragazzo continua:«Chi è che ti ha salvato la vita? Io,
maledizione!»
Si
passa una mano sulla faccia. Poi sospira e le spiega:«I feliani si
stanno sparpagliando per le terre libere dal controllo di Endrun. Ti
sto portando alla città più vicina: lì troverai la tua strada. Non
ti preoccupare. Te l’ho già detto, no? Finché starai con me,
sarai al sicuro. Non posso cambiare ciò che sono, ma ti giuro che
non ti farei mai del male.»
Judith
arrossisce. Muove qualche timido passo verso di lui, nuovamente
seduto. Si mette sotto il suo mantello e si addormenta.
Judith
apre gli occhi e sobbalza: il ragazzo la sta portando sulle spalle.
Il cappuccio gli copre di nuovo il viso.
«Finalmente
ti sei svegliata!»
«Quanto
ho dormito?» chiede lei stropicciandosi gli occhi.
«Più
di tre ore. Al tuo posto sarei così agitato da non riuscire a
chiudere occhio.»
«Finché
starò con te, sarò al sicuro.» Il ragazzo ride. Lo fa spesso.
«Puoi
mettermi giù adesso.»
«No.
Hai il passo pesante, le tue orme sono troppo visibili. Ci
scoprirebbero in un lampo. Approfitta della mia galanteria.»
Judith
si guarda attorno. «Come mai non si vede ancora la città? E’ così
grande questo luogo?»
«No.
Siamo seguiti. Sto cambiando continuamente direzione lasciando false
tracce per confonderli.» In pratica stanno girando in tondo. Judith
appoggia il capo sulla schiena del ragazzo. Si sente pacificata dalla
sua presenza.
Ci
vuole un’altra ora prima di uscire dalla boscaglia. Giungono in un
modesto villaggio. Il ragazzo la fa scendere.
«Qui
le nostre strade si dividono.» la voce del ragazzo è asciutta. Le
mette in mano un sacchetto di monete e aggiunge:«Comprati un cavallo
e dirigiti nel
Dron.
Trovati un luogo sicuro e restaci.»
Judith
contempla il villaggio in silenzio. Le si stringe il cuore. Non
può finire così.
Si volta verso il ragazzo e dice:«Voglio stare con te.» Judith
scorge solo la smorfia del reptile, col capo chino; ma può percepire
il suo tentennamento.
«Lascia
stare.»
«Ti
prego...! Non ti sarò d’intralcio! Ti aiuterò! Ti affiancherò
nelle tue missioni...» tentenna lei con voce strozzata.
«Sei
in gamba.» mormora il ragazzo senza prestarle ascolto »Sono sicuro
che te la caverai.»
«Non
senza di te.»
«Judith...»
«Portami
con te! Farò qualunque cosa!»
Il
ragazzo l’afferra per le spalle. «Ascoltami: io sono un traditore
che rientra nella schiera dei ribelli. Il mio ruolo è quello di spia
tra le fila di Endrun e per questo sono in continuo peregrinazione,
non vivo nello stesso luogo per più di alcuni giorni o mesi. Non
devo essere riconosciuto, il mio volto è celato a tutti. Per questo
se venissi con me salterebbe la mia copertura. Non sono altro che
un’ombra. Io non esisto.»
«Non
sei obbligato a continuare.» si impone Judith «Possiamo fuggire,
soltanto io e te...»
Lui
scuote la testa. «Non è così semplice. In questi giorni mi sono
esposto troppo: sanno che c'è una spia e non avranno pace finché
non la troveranno. Se fuggissimo insieme saresti in pericolo anche
tu.»
«Non
ha importanza.»
«Ne
ha per me, invece!» è fuori di sé «Non voglio che tu muoia come
il mio migliore amico; e come mio padre, che ho ucciso io stesso!!»
Judith ammutolisce.
Il
ragazzo riprende il controllo. «E poi non ho tempo di starti a
proteggere sempre, mi saresti solo di peso.» Judith incassa il
colpo. Trema.
«Non
lasciarmi sola...» sussurra. Ha un nodo alla gola. Senza di lui la
sua vita non ha senso. Piange. Il ragazzo si sente in colpa. Forse ha
esagerato. Ma deve comportarsi così. Abbraccia Judith e la stringe
forte al petto, finché lei non si calma. Judith lo osserva
tristemente. Allunga le mani per sollevargli il cappuccio, ma il
ragazzo la ferma con le sue.
«Per
favore! Voglio vedere il volto dell’uomo che amo un’ultima
volta!»
Lui
l’accontenta. I due si fissano a lungo. E Judith non resiste. Lo
bacia. Il bacio è dolce, profondo; ed è ricambiato.
Improvvisamente
il ragazzo la stacca da sé:«Devo andare. E anche tu.»
«Promettimi
che tornerai!»
Lui
la fissa intensamente.«Te lo prometto. Ti troverò, dovunque sarai.»
I
genitori di Runne si separano; Judith guarda scomparire la figura del
ragazzo tra le fronde degli alberi spogli.
Passano
due anni. Judith vive come sarta in una piccola casetta di Larqua.
Non ha dimenticato il reptile, e il reptile non ha dimenticato lei.
Il ragazzo arriva una mattina al principio dell’estate. E’
avvolto nel solito mantello, nonostante il caldo. E le rivolge il
consueto sorriso ironico. Judith gli si getta al collo e si baciano.
Si
sposano. Un mese dopo si trasferiscono in una città lontana dalla
guerra, dove non conoscono i reptili, se non per sentito dire, e dove
non avrebbero riconosciuto il ragazzo: Fiandher. A seguire anche il
territorio del Dron sarà assoggettato da Endrun.
Con
la nascita di Runne, un anno dopo, si apre un nuovo capitolo della
loro vita. Runne non ha compiuto neanche due anni quando suo padre è
richiamato per una missione. Parte, senza più tornare.
«Da
allora non l’ho più visto.» terminò Judith «Inizialmente
ricevevo sue lettere una volta la settimana, poi una volta al mese e
via dicendo sempre più di rado. L’ultima volta che ho avuto sue
notizie è stato più di tre anni fa. Probabilmente ora è nascosto
chissà dove, oppure...» una lacrima le bagnò la guancia «Chiedeva
sempre di te. Avrebbe voluto starti vicino, crescerti. Ma, come
diceva lui, forse non era nel suo destino.» sorrise amaramente.
Runne
chinò la testa. Suo padre era un reptile alleato a feliani e umani
ed era... un eroe.
«Perché
non me l’hai detto prima?»
«Speravo
che sarebbe tornato presto. Speravo che, un giorno o l’altro, ti
avrebbe spiegato tutto lui. Non volevo caricarmi di questo peso. Mi
fa male solo pensarlo, figuriamoci parlarne... qualche mese fa ho
perso la ragione e ho bruciato tutte le sue lettere. Volevo tagliare
i ponti e ricominciare. È stato sciocco e comunque inutile.
Perdonami, se puoi.»
«Non
fa niente.»
Scese
il silenzio. Judith si mise a lavorare all’uncinetto, mentre Runne
rifletteva guardandosi la punta dei piedi. Daeb ridacchiò:«Insomma,
alla fine non c’è nessun problema! Tuo padre ti vuole bene ed è
un eroe! Ora rimane solo da scoprire dove si trova e tutto si
risolverà!»
Judith
alzò gli occhi al cielo.
«Daeb.»
disse Runne «Hai capito cosa ha detto mia madre?»
«Certo!
Che è nascosto, rifugiato in un
posto segreto oppure...»
«Mio
padre è sicuramente morto.»
(S)parla
con l’autrice
Dia
dhaoibh,
lettori!
Che
tristezza, povera Runne! Tenetevi pronti ancora per qualche sorriso e
lacrimuccia, perché tendo a maltrattare i miei personaggi,
soprattutto dopo avergli dato un assaggio di felicità. Non sono ai
livelli di George R. R. Martin (credo nell’happy ending), ma ho
ritenuto opportuno avvisarvi.
Ora
avete un quadro abbastanza completo per farvi un’idea su Judith:
che ne pensate di lei? Del marito si sa ancora troppo poco, ma
ammetto che adoro questa coppia. Il loro è un amore genuino, nato
nel corso di una guerra. Judith perde la famiglia, ama un uomo che
l’abbandona con la promessa di tornare, quindi passa pochi anni
felici prima di dire un'altra volta addio al suo sposo. La sua nuova
e unica gioia è la figlia. È una donna molto più forte di quanto
possa sembrare. Questo è quello
che volevo mostrarvi; ci sono riuscita?
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Cozzate – CreAttiva
Al
prossimo capitolo! Slán
libh!
CreAttiva
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Capitolo 5 *** Rumori nella foresta ***
2 - Un nuovo amico
Rumori
nella Foresta
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Passarono
i giorni. Né lei, né la mamma avevano più parlato di suo padre.
Perfino Daeb aveva evitato l’argomento. Anche se il suo
atteggiamento scherzoso non tardò a riaffiorare.
Ora
Daeb giocava assieme al gruppetto di ragazzini (Pylon compreso) e
spesso era lui a inventarsi divertenti trappole per il “nemico”,
ossia altri bambini o il signor Koremore, il vecchio contadino
brontolone. Una mattina, mentre giocavano l’ennesimo tiro a
quest’ultimo, Runne si isolò inconsciamente dal resto del gruppo.
Appena
passato il granoturco, si smarrì nell’incolta erba alta. Le risate
dei bambini riecheggiavano lontane, seguite dall’urlo iracondo del
vecchio. Runne guardò davanti a sé: i campi del signor Koremore
terminavano esattamente tre metri e mezzo prima del limitare della
selva della Foresta Dipinta. Runne uscì dall’erba alta e si
avvicinò alla boscaglia. WOM!
Un fruscio dentro la foresta. Era stato un suono quasi
impercettibile, ma non era sfuggito alle orecchie di Runne.
«Chi
è là?» domandò di scatto. Non ricevette risposta. La Foresta
Dipinta rimase immobile e silenziosa. Forse se l’era immaginato...
avvertì un movimento alle proprie spalle. Agì d’istinto. Senza
rendersene conto si ritrovò a stritolare Daeb, puntandogli contro la
spada di legno.
«Una
vera guerriera!» disse il sinhilare con voce strozzata.
Runne
lo lasciò andare. «Scusa.» Scrutò la foresta: niente. Legò con
un lacciuolo la spada alla vita e seguì rapida Daeb, prima che li
trovasse il signor Koremore.
Quel
pomeriggio Runne si sdraiò sul letto a ripensare a cosa poteva aver
udito nella Foresta Dipinta. Cercò di scacciare quel ricordo e le
venne in mente suo padre. Le sarebbe piaciuto vederlo un’ultima
volta. Vedere il suo viso, sentire la sua voce. Ma non lo avrebbe mai
conosciuto. Di lui aveva solo il vago ricordo di un paio di occhi di
un rosso luminoso. Si rese conto che sua madre non le aveva neanche
detto il suo nome. Chissà come si chiamava... non lo avrebbe chiesto
a Judith. Per quanto le premesse colmare quella curiosità, si era
promessa di non parlarne più.
La
voce della mamma giunse dal pianterreno:«Runne! È arrivato Kail!»
La
bambina fece un movimento brusco, perse l’equilibrio e cozzò sul
pavimento «Ahi!»
Kail
bussò:«Si può?»
Runne
si rimise in piedi e cercò di aggiustarsi i capelli scompigliati
dalla scivolata prima di aprire la porta. «Ciao!»
«Ciao!
Come sei...» il ragazzo si soffermò sull’abito di Runne
«...elegante!» Era raro vederla vestita da donna. Gli occhi di
Runne si posarono sulla spada di legno allacciata alla cintura di
Kail.
«Ah!»
esclamò, e gli sbatté la porta in faccia. Una manciata di secondi
dopo la riaprì in tenuta da guerra, saltellando su un piede per
infilarsi gli stivali. Si fiondarono fuori di casa. Daeb fece per
seguirli, ma Judith lo fermò:«Lasciali stare! Per una volta che
riescono a rimanere soli...!»
Il
sinhilare incrociò le braccia, contrariato, ma acconsentì.
Runne
si lasciò guidare al Lago Calmo. La brezza leggera increspava appena
l’acqua. Si sedettero sull’erba a chiacchierare.
«Cosa
pensi di fare più avanti?» chiese la bambina.
«“Più
avanti”?»
«Intendo
da grande... farai l’armaiolo, come tuo padre?»
L'amico
ci pensò su per un po’ prima di rispondere. «Non lo so. Forse sì,
ma preferirei entrare nell’esercito. Mio padre è contrario: dice
che è un suicidio. E non ha torto: la resistenza contro re Endrun si
sta sfaldando. Combattere contro le sue armate significa morire.»
«Quindi
pensi sia meglio arrendersi a Endrun?»
Kail
scosse il capo con veemenza:«Neanche per sogno!»
«Chissà,
magari non è poi così sbagliato. In fondo cosa abbiamo da perdere?
Solo la vita in un’insensata resistenza...» pensò al popolo dei
feliani, sterminato da Endrun per timore della loro magia.
«Magari
se ci arrendessimo sarebbe indulgente con noi. Dopotutto non sappiamo
come sia il suo governo, potrebbe non dimostrarsi tanto terribile...»
«Che
scemenze stai dicendo?» fece sdegnato Kail «Non è da te proporre
di arrenderci a un dispotico tiranno e usurpatore! Sai che dovremo
sottostare a quei mostri di reptili?!»
Runne
trasalì. «Sai chi è mio padre?»
«No,
non parli mai di lui.»
«Ti
avverto, è un segreto.»
«D’accordo,
giuro che non lo dico a nessuno. Ma cosa c’entra col nostro
discorso?»
«C’entra
eccome. Perché mio padre è un reptile.» Kail sgranò gli occhi
dalla paura.
«È
diverso dagli altri: è buono, combatte contro Endrun... cioè,
combatteva. La mamma pensa che sia morto.»
Kail
riprese un contegno. «E tu cosa pensi?»
«Che
sia ancora vivo, nascosto da qualche parte per sfuggire alla milizia
di Endrun.»
«Credi
che gli farebbe piacere sentire le tue parole dopo una vita passata a
lottare per un futuro sereno in cui tu potrai costruirti un angolo di
pace?»
Runne
arrossì. «Stavo solo facendo delle ipotesi. Non pensavo seriamente
a ciò che ho detto. Ma se non ci fossero più guerre... forse papà
potrebbe tornare.» Era una speranza sciocca e vana, lo sapeva. Un
capriccio nato dall’ingenuità infantile. Sapeva però che Kail
l’aveva capita.
«Che
mi dici di te?» riprese lui.
«Scusa?»
«Cosa
farai da grande?»
«Anch’io
voglio arruolarmi, voglio diventare una guerriera!»
Kail
la squadrò. Parve prendere seriamente in considerazione quella
possibilità. «Allora devi iniziare subito gli allenamenti! Un
guerriero non riposa mai!»
Runne
rise. «E chi mi darà lezioni? Tu?»
«Il
mio vecchio mi ha insegnato qualche tiro di spada. Vuoi vedere?»
«Certo!»
I due bambini si misero a giocare. Kail aveva già appreso qualche
tecnica, mentre Runne era alla frutta, ma l’abile gioco di gambe le
consentì un minimo di vantaggio. Si attardarono fino al tramonto.
Runne tornò a casa sporca come un maiale, il che le costò una
lavata di capo, in tutti i sensi.
Si
scoprì spesso a ripensare al rumore che aveva udito nella Foresta
Dipinta. Giorno per giorno si convinceva sempre più che non era
stata solo un’impressione. Ne parlò con Daeb, che non si mostrò
molto stupito:«Ci vivono tantissimi animali: uccelli, cinghiali,
caprioli... potrebbe anche essere stata una volpe.»
«Perché
voi sinhilari vivete nel castello e non nella foresta?» chiese Runne
d’un tratto.
«Un
tempo condividevamo la foresta con altre creature dei Demonaturi.
Circa due secoli fa il padrone di quel castello ha tentato di
conquistare la Foresta Dipinta, che considerava parte del suo
territorio, venendo meno ai patti. Mise a ferro e fuoco la foresta, e
noi spiriti dei boschi non facemmo altro che difenderci. Fu tutto
inutile: avevamo stipulato un contratto di pace col signore. A
differenza di lui, un Demonaturo non può venire meno a un
giuramento.»
«Perché?
Per l’onore?»
«L’onore
non c’entra: se infrangiamo un patto moriamo.» Runne rimase
sconcertata.
«Così
lanciammo una maledizione sul signore: nessuno lo avrebbe più
riconosciuto. Né le sue guardie né i cittadini. I soldati, privati
di un leader, e i servitori, senza più padrone, si ritirarono. Il
signore sparì; credo si sia rifugiato nel Kuden e si sia alleato con
Endrun... comunque adesso sarà bell’e morto. Al termine della
battaglia, non avevamo più una casa: la foresta è sempre stata
suddivisa tra sinhilari, Servetti e Talponi e il conte aveva
praticamente distrutto la nostra zona. Chiedemmo...»
«Servetti
e Talponi?» lo interruppe Runne spaesata.
«Oh,
giusto: sono creature talmente schive che i Marcianti
difficilmente ne conoscono l’esistenza. I Servetti si prendono cura
degli alberi secolari; i Talponi sono un popolo boschivo che vive nel
sottosuolo.»
«Che
bello! Quindi siete tanti! Ma ora devi spiegarmi quella parola
strana: “mar…”»
«Marcianti?
È il modo in cui chiamiamo gli umani e la gente alta come te: avete
la bizzarra caratteristica di non stare mai fermi in un posto.»
Runne
ridacchiò:«Continua pure.»
«Chiedemmo
asilo agli altri due popoli abitanti del bosco, ma entrambi ci
ripudiarono.»
Il
sorriso di Runne svanì. «Perché?»
«I
Talponi non sopportavano il nostro atteggiamento scherzoso ed
esuberante, che noiosi... mentre i Servetti non ci ritenevano alla
loro altezza; stupide teste di legno!» Daeb sospirò «Non avevamo
altra scelta che trasferirci nel castello, ormai disabitato. Ora la
foresta si è rigenerata completamente, ma Servetti e Talponi non
hanno esitato a soffiarci il posto. Che ci vuoi fare? Così è la
vita...» le sorrise. Runne ricambiò e osservò Fiandher dalla
collina.
La
città era vicinissima ai suoi occhi, eppure le sembrava distante,
irreale. Sinhilari, Servetti, Talponi, feliani... reptili. Il
pensiero era riemerso. Un’altra volta. Non poteva chiedere
informazioni a sua madre. Ma a Daeb sì. I sinhilari giocavano nel
giardino alle sue spalle. Le loro vocine acute avrebbero coperto
anche le loro orecchie. Daeb guardava il panorama con lei, seduto
sulla sua spalla ad addentare una ciliegia.
Runne
cominciò:«Quel giorno... a casa... mi stava accadendo qualcosa di
strano...»
Daeb
colse al volo l’allusione:«Ti sentivi in collera col mondo intero
e il tuo cuore era piagato da rabbia e tristezza, vero?»
Runne
annuì. «La mamma mi ha detto che è successo perché sono un
reptile. Ma secondo me non è successo niente. Doveva ancora
succedere. Qualunque cosa fosse, non mi ha dominata del tutto. Se lo
avesse fatto?»
Daeb
inghiottì un pezzetto di ciliegia. «Saresti diventata un reptile.»
Runne
aggrottò la fronte, confusa.
«Non
lo sono già?»
«Non
esattamente. L’aspetto che hai, l’aspetto che di solito
conservano i reptili, ossia umani con gli occhi rossi, non è quello
reale. Un reptile è un mostro, una belva, una creatura ripugnante
che prova solo odio. Senza offesa!» aggiunse rivolto a Runne, poi
riprese:«Se quel giorno ti fossi lasciata dominare dalle tue
emozioni, ti saresti trasformata in una bestia. Un mostro spietato,
che non riconosce gli amici dai nemici, una macchina omicida assetata
di sangue.» Runne rabbrividì. Si portò una mano al petto,
terrorizzata da quella cosa che aveva dentro.
Daeb
le diede un buffetto alla guancia. «Dopo un po’ tornano normali,
la loro trasformazione non è definitiva, non preoccuparti.»
«I
reptili trasformati sono molto potenti?»
«Terribilmente
potenti. Non so neanche se un altro reptile sarebbe in grado di
fermarlo, a meno che non muti anche lui.»
«Allora
perché non rimangono sempre mostri? Non capisco...»
«Con
l’ira bisogna andarci cauti. Spinge al disastro, alla follia. Ti
consuma lentamente e alla fine ti annienta. Molti reptili presi
troppo dalla rabbia si sono uccisi con le loro mani.» Un sinhilare
andò a sbattere contro un albero e gli amici scoppiarono a ridere,
prendendolo in giro. Liuru si fece attento ma l’esserino non si era
fatto nulla, quindi tornò a guardarsi attorno con circospezione.
Runne
teneva gli occhi incollati al paesaggio. Non riusciva a fare
nient’altro. Era nervosa e aveva paura. Daeb le si aggrappò al
collo come a dimostrare il suo sostegno e Runne non poté fare a meno
di essergli grata, anche se ciò non bastava a diminuire la sua
angoscia. Chiuse gli occhi, cercando conforto nel buio. La luce del
giorno la raggiungeva ancora. Serrò le palpebre più che poté.
Finalmente, in quell’oscurità forzata, riuscì a sentirsi
maggiormente tranquilla. Si estraniò dalle voci e dall’ululato del
vento. Pian piano perse coscienza della presenza di Daeb, benché
fosse rimasto sulla sua spalla, e successivamente del proprio corpo.
Adesso c’erano solo più lei e il buio. Nient’altro. La luce la
raggiunse di nuovo. Runne si spazientì. Come poteva essere tanto
insistente? Non la poteva lasciare in pace? Poi si accorse che quella
luce non era bianca ma... verde.
Aprì
gli occhi e vide che la luce l’avvolgeva, che s’irradiava sino a
Fiandher, che inondava le sue strade, il Lago Calmo e tutto il cielo.
Fin dove l’occhio potesse arrivare c’era solo verde. Daeb gridava
qualcosa indicando il castello, ma un rombo assordante lo sovrastava.
Sembrava il trillo di mille cristalli andati in frantumi. Runne e i
sinhilari si tapparono le orecchie voltandosi a guardare la torre: la
gemma risplendeva di una luce abbagliante e Runne comprese come fosse
possibile che illuminasse tutto il Graäm. Gli occhi le bruciavano.
Cominciarono a lacrimare. Runne cadde in ginocchio. Il frastuono le
rimbombava nella testa. I sinhilari volarono via, verso la città.
Runne si rimise in piedi a stento e gli corse dietro. Avvicinandosi a
Fiandher il rombo si affievoliva e una volta entrati in città
scomparve. Runne sentì la testa più leggera, anche se era
completamente svuotata. La gente intorno era stupita e sconcertata
prima dalla luce, poi dai sinhilari che sfrecciavano sotto il loro
naso.
Una
voce raggiunse a fatica la mente di Runne:«Stai bene?» Daeb.
«Sì...
credo... di sì...» Non era del tutto vero. Era ancora intontita.
Volse con una certa difficoltà lo sguardo al castello. «Cosa è
successo?»
«Lo
smeraldo della torre deve aver percepito un pericolo imminente. Di
questi tempi e con Endrun alle porte... non è un buon segno.»
«Che
tipo di pericolo?»
«Non
ne ho idea. Ma finché Fiandher è minacciata, la gemma continuerà a
splendere.»
Liuru
si avvicinò:«Come facciamo, Daeb? Non abbiamo dove andare... di
tornare al castello non se ne parla, con quel frastuono. E nemmeno
nella foresta...»
«Posso
ospitarvi io.» intervenne Runne.
«Tutti?
Oh, no! Non disturbarti! Troveremo un posto.» e fluttuò tra le
strade con il suo popolo.
Runne
e Daeb tornarono a casa. Judith aveva il volto tirato ma si sforzò
di apparire il più allegra possibile. La sua preoccupazione,
tuttavia, finì col contagiare anche Runne.
Nel
pomeriggio Daeb era andato a farsi un pisolino e Runne ne aveva
approfittato per uscire da sola. I sinhilari, ormai in completa
confidenza con gli umani, si erano sistemati nelle abitazioni nei
pressi del Lago Calmo, accolti con entusiasmo in casa dei generosi
cittadini. Vi sarebbero rimasti fino a che la gemma non si fosse
spenta. Kail e gli altri bambini li avevano raggiunti per giocare. Ma
non era diretta da loro. Lo scalpiccio di Runne puntava da tutt’altra
parte.
Sorpassò
i campi del signor Koremore e si trovò di fronte alla Foresta
Dipinta. Silenziosa e sinistra come sempre, i suoi alberi colmavano
la vista di Runne. Le radici possenti scavavano sotto la terra
irremovibile. Il verde del bosco si mescolava al cielo, ormai verde
anch’esso. Runne controllò un’ultima volta che nessuno l’avesse
seguita, poi entrò. Mosse un passo dopo l’altro cercando di non
far rumore, il che risultava alquanto complicato data la distesa di
foglie ai suoi piedi. L’autunno era venuto. Proseguì cauta fin
quando non rimase circondata dalla selva. Si concentrò su ogni
rumore o immagine sfuggente, qualunque segnale particolare. Assoluto
silenzio. Non il ronzio di una mosca, né il grugnito di un
cinghiale, neppure il frullio d’ali o il cinguettio degli uccelli.
L’aria era ferma, così come le fronde degli alberi. Troppo
silenzio. In quella calma innaturale Runne riusciva a sentire il suo
respiro, il battito del proprio cuore; percepiva ogni nervo, ogni
muscolo e ogni osso del suo corpo. Sembrava che nulla avesse vita lì
dentro. Non dovevano esserci animali, Servetti e Talponi?
«Affascinante,
non è vero?» Runne si girò di scatto. La sua mano corse alla spada
di legno prima che potesse pensare qualsiasi cosa, e un attimo dopo
teneva tesa la sua arma, puntata contro un uomo avvolto in un lungo
mantello rosso vivo.
«Mi
riferivo a questo luogo.» continuò lui senza fare una piega
«Alimenta i nostri sensi e li sviluppa oltre i livelli normali.»
«Allora
vorrai spiegarmi come ho fatto a non sentirti.» disse Runne di
getto. Come aveva potuto non avvertire la sua presenza in quel
silenzio? O perlomeno non scorgere il suo mantello rosso in mezzo a
tutto quel verde?
«Perché
il mio livello di per sé non è normale.»
«Chi
sei?»
«Con
quella non ci farai molto.» disse lo straniero riferendosi alla
spada della ragazzina. Aveva un accento marcato, con parole scandite
e le vocali molto chiuse.
Runne
non si lasciò distrarre:«Eri tu a spiarmi l’altro giorno, ne sono
sicura. Voglio sapere chi sei!»
«Il
mio nome è Arlenan.» l’uomo si tolse il cappuccio «E sono la
risposta che cerchi.» Una cascata di riccioli bruni si adagiò sulle
spalle. I boccoli scendevano lungo il volto di un giovane con la
barba ben tenuta. I lineamenti del viso rotondeggianti verso il mento
si congiungevano alla mascella larga. La pelle bronzea si corrugava
leggermente sopra il naso, tra le fini sopraciglia. Le labbra carnose
accennavano un sorriso, evidente negli occhi pieni di mistero, rossi
come il mantello.
Runne
si lasciò sfuggire una nota di stupore.
«Capisco
la tua meraviglia. Sono il primo reptile che incontri, se non erro. È
naturale: quasi tutti i reptili sono al servizio di Endrun, perciò è
difficile vederne uno in una terra libera dal suo dominio. Comunque
puoi rilassarti. Non hai niente da temere da me. Non faccio parte
della sua schiera.»
«Come
faccio a crederti?»
«Mettiamola
così: ti avrei già uccisa se non dicessi il vero.»
Un’ipotesi
da non escludere. «Non credo ci saresti riuscito.»
«Io
credo di sì, Runne.»
«Come
mi conosci?»
«So
molte cose di te. Sappiamo,
io e i miei compagni.»
«Che...?»
«Non
ti sei accorta di essere sotto tiro?»
Runne
sollevò lo sguardo. La spada le scivolò di mano. Cinque pezzi di
corteccia si staccarono dagli alberi.
Legno che si muove?
No. Runne si accorse che le figure lignee che la sovrastavano erano
uomini in carne e ossa, avvolti in uno sfavillante mantello rosso, e
che ognuno di loro teneva incordato un arco. Teso, pronto
all’attacco. Che non venne. A un cenno di Arlenan abbassarono gli
archi. Runne si diede un pizzicotto per essere sicura che quello non
fosse un sogno. Come avevano fatto a sembrare parte integrante degli
alberi, per di più senza fare alcun rumore? Rimase paralizzata sul
posto, esterrefatta.
La
voce di Arlenan la colpì come una freccia. «Come puoi vedere, le
nostre intenzioni sono più che cordiali.» Runne rimase vigile,
pronta a darsela a gambe.
«Cosa
volete?» domandò. Forse Daeb la stava cercando. C’erano buone
probabilità che si ricordasse della chiacchierata mattutina e che
provasse a cercarla nella foresta. Magari con Kail e gli altri. Le
loro voci concitate probabilmente avrebbero allarmato quei tizi e con
un po’ di fortuna li avrebbero messi in fuga. Sempre che la
trovassero. Si era inoltrata parecchio nel bosco. Poi non era passata
neanche un’ora dal loro ultimo incontro.
Runne
sperò con tutto il cuore che quella conversazione finisse presto, ma
sapeva anche che non potevano lasciarla andare come se niente fosse:
aveva visto in faccia quell’uomo. Lei si trasformava così in una
scomoda testimone. La paura la invase, riusciva solo a pensare alla
sua mamma: non l’avrebbe più rivista.
Mamma...
Sentì
gli occhi umidi.
«Cosa
volete?» ripeté con la voce incrinata dal pianto.
«Quello
che vuoi tu. Rispondere alle tue giuste domande, svelarti chi sei,
addestrarti a combattere Endrun.» Il cuore di Runne si fermò. Era
inebetita. Forse non aveva sentito bene?
Uno
degli uomini saltò giù dall'albero. «Noi siamo gli Scindri, una
compagnia segreta che difende il Mondo dell’Avvento da ogni genere
di male.» Si tolse il cappuccio: sembrava aver appena passato la
ventina, proprio come Arlenan, anche se con un feliano è difficile
indovinare l’età.
«Mi
chiamo Arghenteo. Saremmo felici se ti unissi a noi, Runne» disse.
Anche gli altri scesero dalle piante a presentarsi. Erano tutti
esseri umani fra i venti e i trent’anni.
«Non
è forse quello che hai sempre desiderato?» disse ancora Arlenan «Ti
abbiamo osservata giocare con i tuoi amichetti e siamo sicuri che la
nostra proposta ti interessi. Possiamo trasformarti nel migliore dei
guerrieri, renderti silenziosa come la nebbia e terribile come un
intero esercito. Ti insegneremo gli incantesimi più potenti
mettendoti a contatto col mondo della magia. Imparerai cos’è
l’autocontrollo, tenendo a bada la bestia che abbiamo entrambi
dentro di noi.» Runne incassò il colpo come uno schiaffo violento
in piena faccia.
Arlenan
sorrise. «Noi due siamo uguali. Condividiamo la stessa potenza
devastante, che possiedono solo i reptili; ma anche lo stesso dolore.
È frustrante dover tenere dentro tutte le nostre paure: rabbia,
tristezza, solitudine. Non potersi sfogare o lasciarsi andare è il
destino di ogni reptile.» sospirò «Il nostro cuore è come un
fiume in piena con argini troppo deboli. Se il fiume straripasse
distruggerebbe tutto quanto sul suo cammino. È per impedire questa
tragica fine che i reptili devono fortificare il cuore, prima di ogni
cosa. Noi ti mostreremo come convivere con questo peso e ti offriremo
la possibilità di entrare a far parte della compagnia degli
Scindri.»
Runne
era ipnotizzata dalle sue parole. Non osò aprir bocca per
interromperlo; qualcosa nella figura di quell'uomo le ispirava un
grande rispetto.
Arlenan
pose le condizioni:«L’addestramento avverrà in questa foresta.
Quando sarai pronta, le tue missioni riguarderanno Fiandher, Trais e
altri paesi minori nelle vicinanze. Ti lasceremo una settimana di
tempo per pensarci. Ci ritroveremo qui fra sette giorni alla stessa
ora. Confido nel tuo giudizio a mantenere il riserbo sulla nostra
chiacchierata. Per il resto, dipende da te: sei libera di accettare o
di rifiutare. Sono sicuro che saprai fare la scelta più giusta.
Spero di rivederti in qualità di mia allieva!»
Si
portò il pugno al petto in segno di saluto. I compagni lo imitarono
e gli uomini corsero rapidi nella selva, andandosene silenziosi come
erano venuti.
(S)parla
con l’autrice
Dia
dhaoibh,
lettori!
Papparapaaaa
colpo di scena! Si accende l’allarme, arriva un gran figo e Runne
viene reclutata dall’FBI! Bè, è andata più o meno così.
Traducete in medioevalese e voilà!
Quale
sarà la scelta di Runne? Credete possibile un suo rifiuto? Che ve ne
è parso del breve sipario sui Demonaturi e delle crisi di
autocontrollo dei reptili?
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Capitolo 6 *** Il fiore che guida lungo il sentiero ***
2 - Un nuovo amico
Il
fiore che Guida lungo il Sentiero
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Né
il giorno dopo né quello successivo la gemma in cima alla torre
smise di brillare. E dopo altri quattro giorni di luce smeraldina la
gente di Fiandher cominciò a calmarsi. Le persone cercavano di
reperire informazioni sulle città vicine tramite gli ambulanti, ma
lo facevano con scarso interesse. Credevano di essere al sicuro; in
fondo in quei lunghi anni il re non si era mai interessato al Graäm.
Tuttavia nelle locande nessuno aveva il coraggio di nominare Endrun;
se ne facevano vaghi accenni, ma nessuno osava pronunciare ad alta
voce il suo nome, quasi temessero che li udisse. Fortunatamente non
era accaduto ancora nulla: checché si dicesse, non c’erano in giro
soldati di Endrun; nessun villaggio saccheggiato o distrutto; nessuna
persona scomparsa o morta misteriosamente. Gli abitanti di Fiandher
seguivano la solita routine e attribuivano la colpa del fenomeno
luminescente alle interpretazioni più svariate: da un presunto
“guasto” dello smeraldo, allo scherzo di qualche stupido che
l’avesse attivato per divertimento fino anche alla credenza che in
realtà tutto fosse verde da sempre e che semplicemente una mattina
si fossero svegliati rendendosi conto della verità. Eppure Runne
sapeva che c’era qualcosa che non andava.
La
sera del sesto giorno dal suo incontro con gli Scindri non fu
diverso: la luce dello smeraldo splendeva come sempre. La bambina
osservava Lup e Nap, le lune gemelle, dalla finestra della sua
camera. Assumevano una tonalità sinistra alla luce della gemma. Si
spettinò la frangia. Aveva pensato per tutta la settimana alla
proposta di Arlenan. E non aveva ancora deciso. D’altronde, come
poteva fidarsi di un reptile? Ecco, lo aveva pensato. Sogghignò.
Nonostante suo padre fosse un reptile e lei lo fosse suo malgrado,
non riusciva a togliersi dalla testa quell’immagine di distruzione
che da sempre aveva imparato ad associare ai reptili. Le venne in
mente anche Arghenteo. Dopo la storia raccontata da sua madre, poteva
ben capire quanto i feliani sopravvissuti potessero odiare i reptili
e il loro emissario. Nondimeno Arghenteo era un sottoposto di Arlenan
e aveva notato una sorta di profondo rispetto fra i due. Scosse la
testa con veemenza, fin quando non sentì che le girava, poi si
fermò. Fece un largo sbadiglio e si alzò dal letto.
«Ehi
pigrona!» esclamò Daeb, sbucando dal nulla «Cosa fai ancora qui?
Forza, andiamo!»
A
Fiandher era tradizione recarsi dal cantastorie ogni giovedì per
apprendere del passato e del presente. La carriera passava di padre
in figlio, che aveva il dovere di viaggiare in gioventù per
accrescere le conoscenze della propria famiglia. Daeb aveva scoperto
questa usanza accompagnando Runne e vi si era appassionato.
«Non
ho molta voglia di uscire... Non puoi andarci da solo?»
«Scordatelo!»
disse il sinhilare, irremovibile «Non è divertente senza di te.»
Runne
sbuffò e decise di assecondarlo. Judith rimase a casa, stanca dopo
una giornata di rammendi e ricami. Si incamminarono di buon passo
verso l'estremità meridionale della città. Un gruppo di giovanotti
li fiancheggiò lungo la strada. Il cantastorie attirava soprattutto
un pubblico infantile, ma anche molti adulti erano curiosi di
ascoltare il vecchio. A Runne piacevano i suoi racconti, da cui aveva
appreso parecchio, ma da quando sapeva di essere un reptile temeva di
essere smascherata. Stranamente, il cantastorie non aveva mai
mostrato di riconoscere la sua natura. A ben pensarci, non aveva
neanche mai dato una descrizione fisica dei reptili. Ma il vecchio
cantastorie era sempre stato cieco, da quel che si sapeva di lui.
Raggiunsero
la locanda della Favella, dove erano soliti raggrupparsi. Grazie
all'impazienza di Daeb, erano arrivati abbastanza presto da
assicurarsi un posto in quarta fila... o addirittura terza? Non era
facile trovare un ordine in quell'ammasso di sedie che si stringevano
intorno a quella più comoda e robusta del cantastorie, che dormiva
profondamente. Mentre attendevano che la locanda si riempisse, con
Daeb che volteggiava sulla sua spalla, Runne vide appeso a una parete
il calendario con cui si insegnavano ai bambini i mesi dell'anno.
Si
apriva con Destante, il mese in cui arrivava la primavera. Seguivano
Florea e Paiato, con i suoi frequenti matrimoni. L'estate era portata
da Eliume e continuava con Caldeggio e Granetto, in cui avveniva la
trebbiatura. Rallegrato dal buon vino, Bevazzo era il mese corrente;
presto avrebbero attraversato Foliume e Pluvio. Dopo sarebbe giunto
l'inverno, con Gelante e Nevone. Sopiquo avrebbe segnato la fine
della stagione fredda e il termine dell'anno. Ogni mese contava 31
giorni; solo Destante e Granetto avevano un dì aggiunto: il primo
giorno dell’anno era dedicato agli dei e alla natura, mentre
l’ultimo giorno del mese estivo era festeggiato in vario modo a
seconda della razza e del popolo. Tra gli uomini venivano ricordati
gli antenati, a differenza dei feliani che celebravano la sacralità
della poesia e della musica.
L'oste
passò a distribuire bevande e vettovaglie e la locanda si riempì
del tintinnio di monete. In breve una discreta folla si sistemò
sulle sedie disponibili; altri rimasero in piedi o si spostarono
leggermente in disparte, addossati al bancone. Un silenzio di attesa
calò sul pubblico e il cantastorie si svegliò all'improvviso, come
gli succedeva sempre.
«C'era
un tempo...!» esordì. La smania di scoprire l'argomento della
serata percorse tutti gli ascoltatori. «C'era un tempo in cui gli
dei calcavano queste terre e nessuna forma di vita poteva
manifestarsi dinanzi ai loro occhi.»
Oh.
La storia della genesi l'aveva già sentita. Runne fece un enorme e
poco elegante sbadiglio, regalando a Daeb l'opportunità di lanciarle
in gola un tocco di pane. La ragazzina quasi si strozzò e tossì con
forza, richiamando involontariamente l'attenzione del cantastorie.
«Tu sei la figlia di Judith.» Non era una domanda. Non si sapeva
come facesse, ma nonostante la cecità il vecchio riusciva a
distinguere le persone senza fallo. E sembrava conoscere tutti.
«Sì,
signore.» confermò l'interpellata cercando di acchiappare Daeb per
fargliela pagare «Mi chiamo Runne.»
«Un
nome molto importante.»
«Davvero?»
«Oggi
la durata della vita dei feliani è come la nostra,» riprese il
cantastorie «ma c'era un tempo in cui vivevano molto più a lungo.
Secondo le leggende la Prima Stirpe viveva fino a “sette volte la
vita del mondo”.»
«Signore!
Quanto dura la vita del mondo?» chiese un bimbo dallo sguardo
curioso.
«Il
mondo è in continuo mutamento e rinasce a ogni millennio.» spiegò
il vecchio «I feliani avevano una prospettiva di vita di settemila
anni, donata loro dagli dei.»
Un
coro di stupore riempì la sala. Qualcuno sputacchiò dalla propria
pinta.
«Un
giorno i feliani scoprirono i nostri antenati, confinati nelle
regioni più aride del Mondo dell’Avvento. Gli offrirono una dimora
più agevole e condivisero la loro sapienza con gli uomini; ma il
divario tra le due razze alimentò la discordia. Alcuni feliani si
consideravano superiori agli umani e li volevano soggiogare; dal
canto loro gli uomini erano invidiosi della longevità feliana. In
questo spiacevole clima salì al trono Denowil, la “sovrana
guerriera”. Il suo operato di pace parve quietare gli animi, eppure
non impedì lo scoppio di una tremenda guerra tra le due razze.»
«Dobbiamo
dunque vergognarci dei nostri antenati?» chiese l'oste mentre
serviva polpette e altro pane bruciacchiato «Come hanno potuto dare
inizio a una guerra contro i loro benefattori?»
«Nessuno
è a conoscenza della causa scatenante; e potrebbero non essere stati
gli uomini a cominciare quella lotta insensata. È nostro dovere
ricordare e rispettare i nostri antenati, nel bene o nel male.» le
palpebre del cantastorie fremettero sopra ai suoi occhi vuoti
«Riprendiamo ora la nostra storia: per fermare quel bagno di sangue,
Denowil compì un miracolo, privando i feliani del Dono delle Sette
Vite. Per mettere in atto quella magia, ella infisse la sua lama nel
terreno, pagando con la propria vita.»
«Nooo!»
piagnucolò una bambina con la coda di cavallo.
Il
vecchio sorrise. «Il suo spirito vive ancora: la sua spada è
intatta, conficcata nel suolo, esattamente al centro del Mondo
dell’Avvento.»
Un
uomo con la pipa sobbalzò. «Al centro del... cioè a Kradit?»
I
più giovani si innervosirono:«Kradit... la residenza di Endrun?»
«Dove
c'è il re cattivo?»
«Sì.»
confermò il cantastorie «Ovviamente allora non c'era nulla.
Nient'altro che terra bruciata, consumata dalla battaglia. Ma quando
Denowil vi infuse la propria magia il terreno diventò
incredibilmente fertile. Attorno alla sua spada crebbe una pianta
sacra, che non necessita di sole né acqua. Da quel rampicante
sbocciò un fiore più candido della neve e più splendente di Lup e
Nap nelle notti limpide. Nessuno, a quanto si vocifera, vi si può
avvicinare. I re del passato, ammaliati da tanta bellezza e commossi
dal sacrificio della regina feliana, vi costruirono un monumento e
attorno la loro fortezza: così nacque la città. Da quel momento le
due razze convissero in armonia.»
«Ma
come può quello sporco Endrun vivere in un luogo tanto sacro?»
chiese una voce familiare al limitare della folla. Runne notò solo
allora Pylon.
«Suppongo
che non si possa avvicinare al monumento.» sospirò il vecchio
«Certo è che lo spirito di Denowil non glie lo permetterebbe mai.»
Gli
astanti si rilassarono un poco.
«Quel
fiore,» continuò il cantastorie «si dice che cresca spontaneamente
nel Mondo dell'Avvento per indicare ai giusti la strada da seguire. È
considerano tuttora un simbolo di speranza; i feliani lo chiamarono
runne.»
La
locanda al completa si voltò verso Runne, che arrossì. «Non lo
sapevo.»
«Ed
è per questo che io te l'ho raccontato. I tuoi genitori hanno scelto
un nome pregevole di cui non puoi permetterti di ignorare il
significato. Sicuramente ti attende un grande destino.»
Runne
fece una smorfia. «Non mi piace l'idea che il mio destino sia
scritto dal nome che porto. Non significa nulla. La mia vita
appartiene soltanto a me.»
Una
risata generale scosse la sala.
«Avete
sentito la piccola?»
«Che
caratterino!»
«Vai,
Runne! Digliene quattro!»
Il
cantastorie batté il bastone sul pavimento, piuttosto irritato:«I
vostri scherni mi riportano alla mente la storia del Talpone
citrullo. Volete ascoltarla?»
Alcuni
“sì” e altri “no” investirono le orecchie del vecchio,
mentre Runne si alzava per uscire dalla locanda. Si allontanò da
risate e frastuono e prese la via del ritorno. Forse la sua reazione
era stata eccessiva, ma non poteva fare a meno di essere turbata
dagli avvenimenti degli ultimi mesi. Aveva scoperto di essere figlia
di un reptile, la gemma in cima alla torre si era accesa e un gruppo
di sconosciuti la voleva reclutare. Ah, e dei sinhilari furiosi
l'avevano attaccata con degli alberi animati. A proposito, perché
c'era tutto quel silenzio?
Daeb
sedeva ancora sulla sua spalla, ma era insolitamente taciturno. La
bambina lo scrutò: le lacrime scendevano le guance del sinhilare,
lasciando solchi azzurri sulla pelle perlata. Daeb si accorse di
essere osservato e si asciugò in fretta il volto, recuperando il
sorriso e domandandole:«Stai bene?»
«Io?»
fece Runne dubbiosa.
«Non
badare a me. Ho provato solo un po' di nostalgia... Il Piccolo Popolo
è sensibile alle storie che narrano dei figli del bosco.»
«Sarà...»
Plic.
Plic. Plic.
La pioggia li sorprese lungo il tragitto. Gocce fredde cadevano dal
cielo color muschio. Runne accelerò il passo prima che l'acqua
scendesse più violenta e rientrò in casa appena in tempo. La mamma
parve rincuorata dal suo ritorno anticipato. Quella storia dello
smeraldo l'aveva riempita d'ansia. Runne e Daeb le augurarono la
buonanotte e salirono in camera.
Nel
buio della notte, il bagliore della gemma filtrava appena dalla tenda
della finestra. Runne si era coricata da qualche minuto, ma faticava
a prendere sonno. La voce di Daeb la fece sobbalzare:«Non hai ancora
deciso?»
«Cosa?»
«Se
accettare la proposta di Arlenan.»
Runne
si rigirò nel letto e assottigliò la pupilla per scrutare meglio il
sinhilare, che era appoggiato sul bordo della sua scatola. «Come fai
a saperlo? Mi hai seguita? No, aspetta; tu stavi dormendo!»
«Mi
pare ovvio, proprio così e no, stavo fingendo.» rispose Daeb con
ordine. «Non fare quella faccia indignata: lo smeraldo mi ha messo
in allarme ed ero preoccupato per te. Soprattutto perché l'angolo di
foresta vicino ai campi del signor Koremore è disabitato da decenni.
In quel luogo è stata lanciata la maledizione sul signore del
castello e nessuno osa metterci piede... o zampa.»
«Perché
non me l'hai detto quando ti ho parlato di quel rumore?»
Daeb
assunse un'aria di rimprovero:«Volevo indagare per conto mio ma tu,
impaziente come al solito, ti sei avventurata da sola nella foresta.
Senza avvertire nessuno.»
«Mi
dispiace.» Runne era sinceramente mortificata. Quando era stata
circondata da quegli stranieri aveva provato davvero paura.
«Dopo
il vostro incontro sono tornato nella foresta e ho parlato con gli
Scindri.» fece una pausa, quindi continuò con voce piatta:«Sembra
che siano qui per proteggere il Graäm dalla minaccia di Endrun. Non
mi convincono del tutto, ma devo ammettere che sono in gamba:
sapevano che ti avevo seguita. E condivido il loro interesse per te.»
«In
che senso?»
Daeb
recuperò la sua espressione allegra, a cui solo lui riusciva ad
accostare una nota di solennità:«Sei una creatura unica, Runne. I
tuoi genitori hanno fatto bene a rifugiarsi in questa piccola città,
lontano dagli occhi della Resistenza e dell'armata di Endrun; ti
hanno protetta fino ad ora, ma presto o tardi dovrai fare una scelta.
Dovrai continuare a nasconderti, magari con l'aiuto dei popoli
liberi, o entrare nell'esercito.»
«Io
voglio combattere contro Endrun!» esclamò la ragazzina.
«Allora
è meglio che impari a difenderti. Perché se il nemico viene a
sapere della tua esistenza ti obbligherà a servirlo. O ti ucciderà,
se ti ritiene una minaccia.»
Runne
giunse di fronte alla Foresta Dipinta. Era arrivato il momento e lei
esitava. Strinse le braccia al petto, prese un bel respiro ed entrò,
facendosi largo tra i cespugli. Non sapeva già più dov’era, ma
non aveva importanza: a trovarla ci avrebbero pensato loro. Era un
po' in anticipo; poggiò la schiena contro un albero e attese. Gli
uomini, come la settimana prima, sembrarono uscire dai tronchi. Runne
non poté fare a meno di meravigliarsi a quello spettacolo ripetuto.
Arlenan comparì sul ramo sopra la sua testa. Atterrò con eleganza
davanti a lei. Il mantello si posò fluido sull’erba, senza
muoverne un filo.
Si
calò lentamente il cappuccio:«Arriverò subito al sodo: qual è la
tua decisione?»
Gli
occhi di tutti erano puntati sulla bambina. Una leggera brezza le
fece fluttuare i capelli e le fronde degli alberi danzarono al vento;
eppure i mantelli degli uomini rimasero immobili. Quelle figure
sembravano non esistere. Runne ne rimase al contempo intimorita e
affascinata. Ebbe conferma che la sua scelta poteva essere una sola.
S’inginocchiò e disse:«Accetto la tua proposta, maestro.» Un
coro d’entusiasmo emerse dagli Scindri. Qualcuno fischiò.
Arghenteo batté le mani.
«Bene.»
asserì Arlenan tendendo una mano a Runne e aiutandola a rialzarsi.
L'uomo fece un cenno agli altri e la bambina seguì nel bosco la
compagnia, ascoltando attentamente le parole del maestro:«Ci stiamo
dirigendo al nostro nascondiglio. Da domani e per il resto della
settimana ti aspetterò all’entrata della foresta e ti
accompagnerò. Dopo dovrai ricordarti la strada da sola. La parola
d’ordine è...» si abbassò e le mormorò all’orecchio. Il
contatto con le sue labbra la fece avvampare «...CROSTATA DI MELE.»
Si rialzò e sorrise «La mia preferita!»
Arrivarono
ai piedi di un enorme albero secolare. I rami si intrecciavano e si
mescolavano impedendo di mirare il cielo. Le foglie crescevano come
spine, aguzze e taglienti. Poco male: lì almeno non li raggiungeva
quella monotona luce smeraldina. Arlenan avanzò, aprendosi un varco
nel cespuglio che cresceva di fianco all’albero. Si accucciò e
sollevò una zolla di terra, rivelando una buca profonda più di due
metri. Vi entrò. Runne lo seguì, scoprendo che la terra non era
altro che una botola ben camuffata. Scese per una scaletta e con un
balzo si posizionò al fianco di Arlenan. Il resto della compagnia
attese in cima alla buca: lo spazio era troppo angusto. La buca
appariva vuota, e Runne iniziava a essere perplessa. Arlenan disegnò
uno strano simbolo sulla parete e mormorò una formula a bassa voce.
Il muro ebbe un fremito: la terra si rattrappì come una pianta
senz'acqua, scoprendo una porta solida. Runne allungò un braccio
verso la maniglia, incuriosita, ma l’uomo la bloccò:«Se ci tieni
alla vita, non farlo. Ci vuole la chiave.» Arlenan estrasse dal
mantello una piccola chiave nera, proprio come la porta, la
introdusse nella serratura e la fece scattare. La porta si aprì.
L’ambiente
era una stanza di forma irregolare, come lo scavo di una miniera: su
un largo macigno, arrangiato come tavolo, pergamene con strani
ghirigori e piantine di edifici giacevano arrotolate o socchiuse;
boccette con liquidi dei più svariati colori erano accatastate negli
angoli; armi di ogni tipo (asce, spade, pugnali, archi, eccetera)
erano appoggiate ai muri.
Quando
tutti gli Scindri furono entrati Arlenan procedette a presentarle la
compagnia. Conosceva già Arghenteo, quindi vennero introdotti gli
altri sei membri: erano tutti esseri umani, e parevano entusiasti del
nuovo acquisto. Dopo i convenevoli, gli Scindri si sparpagliarono per
il nascondiglio, ognuno preso dal proprio lavoro. Arlenan condusse
Runne lungo il breve corridoio che si affacciava, sulla destra, su
una stanza piena di coperte. Doveva trattarsi di un giaciglio
improvvisato. Sulla sinistra il corridoio si piegava bruscamente
verso il basso fino a un'apertura con scaletta. Runne si stupì di
dover scendere ancora.
Sbucarono
in un ampio spazio buio, illuminato da una piccola torcia appesa al
soffitto. Un tenue fuoco bluastro bruciava silenzioso.
«Questa
è la Sala d’Addestramento.» annunciò Arlenan.
«Non
si vede niente!»
«Fa
parte dell’allenamento. Gli Scindri non sono semplici guerrieri:
sono spie, infiltrati, a volte sicari. Devi abituarti ad agire al
buio.»
«Come
vuoi tu, maestro.» rispose Runne a bassa voce, per nascondere il
fatto che le tremava.
L’uomo
sorrise:«Non preoccuparti. Per ora mi limiterò a insegnarti le
basi. Ma prima pensiamo al tuo abbigliamento.»
«Porterò
anch’io un mantello come il vostro, maestro?» scattò lei
eccitata.
Arlenan
scosse il capo «Lo riceverai all’investitura in qualità di membro
degli Scindri. Per adesso sei solo un’allieva.» Runne sgonfiò
l’entusiasmo, mentre il suo maestro frugava nei sacchi abbandonati
in un angolo.
«Vediamo...
per la tua misura...» e l’uomo si tuffò nella ricerca. Dopo un
po’ ne riemerse reggendo dei pantaloni di pelle, un corpetto, un
mantello e un paio di guanti neri. Studiò con scetticismo le
calzature di Runne e le porse anche un paio di stivaletti neri. La
bambina si cambiò nel bel mezzo della sala, con Arlenan girato di
spalle.
«Questo
posto l'avete creato voi?» chiese Runne per scacciare l'imbarazzo.
«No»
ammise lui «L'abbiamo trovato già così: suppongo fosse un rifugio
segreto del fondatore di Fiandher. Noi abbiamo aggiunto solo le
misure di sicurezza.»
La
bambina ebbe qualche difficoltà ad allacciarsi il corpetto, ma
riuscì comunque nell’impresa. Acciambellò la treccia dietro la
testa, a mo’ di cipolla.
«Sono
pronta.» disse Runne. Il maestro fu povero di commenti. Secondo lui
Runne rifletteva un’immagine di sé già visibile per chi sapeva
riconoscere un guerriero.
Arlenan
si sfilò il mantello e lo appese su una sporgenza della grotta.
Runne rimase a bocca aperta: dai polsi sino alle spalle la pelle era
ricoperta da sottili squame dello stessa tonalità bronzea della
pelle. L’uomo notò il suo stupore e, ammiccando, si tolse la cotta
di maglia. Runne si avvicinò: le squame proseguivano a delineare il
petto, lasciando scoperta la pancia, poi riprendevano sui fianchi; ma
Runne non osò chiedergli di slacciarsi anche i pantaloni... La
bambina girò attorno ad Arlenan e osservò la schiena: le squame
correvano lungo la colonna vertebrale per finire sul retro del collo.
«È
per questo che ci definiamo reptili: tutti i purosangue hanno un
aspetto simile.»
«Quindi
anche mio padre...» ipotizzò Runne, interrompendosi con disagio.
«Se
era un purosangue sì.» Si rivestì e le chiese:«Pronta per la
lezione?»
«Prontissima!»
Arlenan
le fece apprendere la corretta posizione di guardia, poi le spiegò
come poteva piegarsi, abbassarsi, schivare, saltare e muoversi da
tale posa; dopo le intimò di fare qualche capriola e le mostrò in
quanti modi si poteva cadere senza farsi male. Durante una breve
pausa, Runne risolse finalmente il mistero delle movenze silenziose
degli Scindri: risiedeva tutto in una pozione applicata ai loro
mantelli, che ovattava qualunque suono prodotto dai loro possessori.
Arlenan
fece uno sbadiglio contenuto, scrocchiò il collo e disse:«Credo
possa bastare. Per oggi finiamo qui. Dopo i primi giorni, verrai tre
volte a settimana, sempre a quest’ora.»
«E
per le missioni?» chiese speranzosa Runne.
«Per
quelle c’è tempo.» L'uomo si rivestì e intimò a Runne di
indossare i suoi vecchi abiti; quindi le concesse qualche secondo per
salutare la compagnia e la condusse fuori dalla foresta. La felicità
e l'eccitazione colmavano l'animo della bambina, ansiosa di
continuare le lezioni e di imparare cose nuove.
Runne
fece per congedarsi, ma inaspettatamente Arlenan decise di
accompagnarla a casa per parlare con sua madre. Lei rimase
disorientata a quella novità, ed esitò prima di assecondarlo. Era
ormai buio mentre si aggiravano per le strade di Fiandher, e la luce
dello smeraldo donava una strana atmosfera al cielo stellato. Lungo
il tragitto qualcuno salutò Runne, senza dare segno di notare l'uomo
che la seguiva, come se fosse invisibile. Merito delle proprietà di
mimetizzazione del mantello, oltre che delle capacità del suo
possessore. Lei ricambiò con un sorriso, anche se era parecchio
agitata: cosa avrebbe detto Arlenan a sua madre? E lei come avrebbe
reagito?
La
fedele piantina aprì la porta per Daeb, che sgranò gli occhi di
fronte ad Arlenan. Judith sedeva in disparte a lavorare di cucito.
«Bentornata.
Immagino tu non voglia dirmi dove sia stata.» osservò con una punta
di irritazione, rivolgendosi alla figlia.
«Era
con me.» rispose Arlenan. Judith sussultò, notando solo allora la
figura austera dell'uomo.
«Lei
chi sarebbe?»
Runne
richiuse la porta mentre lui si presentava come capo di una compagnia
segreta della Resistenza. La feliana lo squadrò con scetticismo e
preoccupazione.
«Potremmo
parlare da soli?» azzardò Arlenan «Non vorrei disturbarla troppo,
ma preferirei conferire con lei in privato.» Judith acconsentì, ma
date le dimensioni della casa chiese alla figlia e al sinhilare di
aspettare fuori. Runne uscì con Daeb, incamminandosi verso il Lago
Calmo, in modo da concedere ai due abbastanza tempo. Daeb volle
sapere ogni particolare sul suo primo giorno d'addestramento. La
bambina si divertì a raccontargli quello che le era stato insegnato,
ma si mantenne vaga sull'ubicazione del nascondiglio degli Scindri,
in parte perché non se la ricordava affatto. Il sinhilare fu lieto
che andasse d'accordo con il suo nuovo maestro.
Aggiunse
con voce monotona:«Mi sembra un uomo di cui ci si possa fidare. Ti
aiuterà nel tuo percorso di crescita e ti permetterà di combattere
per una giusta causa.»
«Che
paroloni!» rise Runne «Sembra che tu l'abbia letto in un libro!»
Daeb
sbatté le palpebre e aggrottò la fronte:«Può darsi.»
La
bambina fu scossa dalle risate mentre faceva ritorno. Trovò sua
madre da sola, a guardare con occhi lucidi il cielo verdognolo oltre
la finestra. Abbracciò Runne e le sussurrò con calore:«Ti voglio
bene! Avrei voluto per te un futuro diverso, senza battaglie e
lontano dalla guerra. Ma devo rispettare il tuo volere e dentro di me
sento che sarebbe ingiusto ostacolarti nella tua scelta. Sono sicura
che tu sola saprai fare la differenza.» La sciolse dalla presa,
quindi aggiunse più atona:«Arlenan conosceva tuo padre, me ne ha
dato la prova.»
Runne
ne fu sorpresa, ma non così tanto: un po' se l'aspettava.
Judith
continuò, sempre senza lasciare trasparire emozioni:«Purtroppo non
ha più contatti con lui, ma non ha importanza. Ho capito che posso
affidarti a lui.»
Runne
l'abbracciò di nuovo, uno scambio d'affetto a cui si unì anche
Daeb. Era felice: il suo sogno di diventare una guerriera si stava
avverando in modo inatteso, non perché vi era destinata dal suo
stupido nome, ma perché lei era speciale; perché poteva fare la
differenza. Mentre Judith preparava la cena, Runne lanciò uno
sguardo a quel cielo che stava scrutando al loro rientro. Si promise
che un giorno sarebbe riuscita a farlo tornare delle tinte turchine
che gli si addicevano.
(S)parla
con l’autrice
Dia
dhaoibh,
lettori!
Questo
capitolo non era previsto all’inizio. Il precedente si doveva
concludere con la scelta immediata di Runne. Poi però ho preferito
concederle un po’ di tempo, e approfondire la questione del suo
nome (interrogativo rimasto dalla presentazione di Daeb). Una
spiegazione spicciola veniva data alla fine del discorso di Judith
(nel quarto capitolo), ma non mi piaceva. E così ho introdotto il
cantastorie. Ogni villaggio o città che si rispetti dovrebbe averne
uno, non trovate? ;-)
Spero
di non aver allungato troppo la pappa...
Fate
un salto anche sulla mia pagina
facebook: Parole
Cozzate – CreAttiva
Al
prossimo capitolo! Slán
libh!
CreAttiva
|
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Capitolo 7 *** A Trais ***
2 - Un nuovo amico
Nota
dell’autrice pasticciona
A
tutti i nuovi lettori (dal
22/04/2014):
proseguite la lettura senza curarvi della nota.
Ai
vecchi lettori e a quelli più affezionati: ho cambiato alcuni
termini.
Consiglio
di rileggere i precedenti capitoli o in alternativa (quando leggete
qualcosa
che non vi è chiaro) consultare questa legenda:
https://www.facebook.com/notes/parole-cozzate-cre-attiva/legenda-il-destino-scelto/294400400727412
Buona
lettura e perdonate il disturbo.
CreAttiva
A
Trais
Leggimi
su Facebook:
https://www.facebook.com/notes/parole-cozzate-cre-attiva/il-destino-scelto-cap-7-a-trais/294420947392024
Runne
aprì gli occhi rossi alle prime luci dell’alba. Rimase ferma, in
ascolto, e udì con piacere il sottile respiro di Daeb, calmo e
regolare. Si alzò silenziosamente e si vestì in fretta, senza fare
alcun rumore. Erano trascorsi tre anni da quando
era entrata a far parte degli Scindri: ormai aveva imparato a
muoversi come un’ombra. Prese il coltellino che le aveva regalato
Arlenan, soppesandolo. Era indecisa se infilarlo nel cinturino
nascosto dall’ampia manica del braccio sinistro o lasciarlo sotto
al cuscino, dove lo teneva durante il sonno. Alla fine si convinse
che l'occasione le imponeva moralmente di farne a meno.
Si
grattò il naso a patatina e guardò il proprio riflesso allo
specchio incrinato che Judith le aveva regalato per il suo
quattordicesimo compleanno. Non era cambiata molto: era rimasta
piuttosto minuta, nonostante i muscoli sodi e la pancia piatta frutto
dell'addestramento; il seno si era leggermente gonfiato e
ammorbidito, le guance arrossate e le labbra erano forse più
carnose. Le orecchie ripiegate non sembravano più quelle di un
coniglio: con la crescita si erano proporzionate al volto tondo,
ricordando più i tratti di un gatto.
Nonostante
le pressioni del suo maestro, Runne si era rifiutata categoricamente
di tagliarsi i capelli. Ora erano parzialmente acciambellati dietro
la testa, ormai così lunghi che la treccia proseguiva fino a un
terzo della schiena; sul viso, invece, ricadevano la frangia e alcune
ciocche più lunghe.
Si
vergognava un po’ con quel vestito blu profondo indosso, abituata
ad abbigliarsi da uomo. Ma era un’occasione speciale: Kail l’aveva
invitata a uscire. Ufficialmente.
La
ragazza aveva accettato di intraprendere l’addestramento degli
Scindri e poco dopo Kail era partito con suo padre per girare il
Graäm,
imparando il mestiere di armaiolo. Senza il loro capo, il gruppetto
si era sfaldato, e Runne aveva smesso di giocare alla guerra con i
suoi amici. Kail era stato via più di due anni, tornando a Fiandher
soltanto un mese addietro. Runne era andata a incontrarlo e
accoglierlo; quando Kail le aveva timidamente chiesto se potevano
continuare a vedersi, lei aveva risposto di sì con entusiasmo. La
stessa risposta venne rivolta all’invito di Kail. Il giovane non
aveva voluto rivelarle dove l’avrebbe portata, ma non aveva alcuna
importanza: dovunque, purché ci fosse Kail. Controllò un’ultima
volta Daeb con soddisfazione.
Che
lui dormisse faceva parte del piano: era stato già abbastanza
difficile trovare Runne da sola per chiederle appuntamento. Uscì
silenziosamente dalla camera, rimuginando su Daeb. Ultimamente il
sinhilare era diventato iperprotettivo nei suoi confronti,
specialmente
se
si trattava di Kail. Sembrava quasi geloso. E di cosa? Runne
considerava Daeb il suo più grande amico e ci viveva anche assieme:
aveva forse paura che scappasse di nascosto? Trattenne a stento una
risata. Era proprio quello che stava facendo. Quasi. La mamma era al
corrente di tutto e aveva saggiamente appoggiato la sua scappatella
mattutina. Fece colazione in fretta, smaniosa di andare
all’appuntamento. Evitò per un pelo la secchiata di acqua gelida
che chissà come era finita incastrata fra la porta e la mensola
della cucina (opera di Daeb, sicuramente) e uscì. Il cielo
risplendeva come sempre del bagliore verde dello smeraldo. In tre
anni la luce non si era mai spenta e ormai gli abitanti del Graäm ci
avevano fatto l’abitudine.
Si
diresse al luogo d'incontro, l'estremità occidentale della città.
Kail la stava già aspettando. Il suo viso era diventato ancora più
bello e mascolino, con gli occhi grigio-azzurri seminascosti sotto i
riccioli biondo-platino; il corpo era forte e muscoloso, risultato
dell’addestramento e del viaggio intrapreso col padre. Il ragazzo
le andò incontro sorridendo.
«Buongiorno!»
lo salutò lei allegramente. Kail si bloccò, osservandola estasiato.
«Che
c’è?» chiese Runne.
«Niente.
Sei... bellissima!»
La
ragazza arrossì «Grazie.»
Kail
tossicchiò nervoso «Allora ci avviamo?»
«Certo!
Potresti anche dirmi dove andiamo adesso.»
«Segreto!
Dovremo camminare un po’; ti dispiace?»
«No,
figurati.» rispose Runne felice: più strada da fare significava più
tempo da trascorrere insieme fra andata e ritorno.
Marciarono
per un paio d'ore in direzione nord-ovest, uscendo da Fiandher. Kail
la interrogò su tutti i cambiamenti che c'erano stati a Fiandher
durante la sua lunga assenza. Runne iniziò dalle nozze della nipote
del signor Koremore, quindi riferì tutto quello che le veniva in
mente. Mentre parlava, però, non riusciva a guardare il ragazzo
direttamente negli occhi. Osservava con ostinazione la Foresta
Dipinta, che li accompagnò a cavallo del sentiero per tutto il
tragitto. Era così emozionata che, nonostante fosse allenata a
percorrere i terreni più accidentati, inciampò più di qualche
volta. Kail la sorresse prontamente, deciso a svolgere il suo ruolo
di cavaliere fino in fondo. Questo non aiutava Runne: quando lui la
soccorreva il suo viso si avvicinava e il cuore della ragazza
accelerava i battiti, già troppo veloci. Runne cercò di distrarre
la mente concentrandosi sul racconto, ma il suo stomaco non poteva
fare a meno di annodarsi mentre Kail di tanto in tanto le lanciava
un’occhiata di sottecchi. Grazie ai sensi stramaledettamente
sviluppati, Runne poteva percepire
il suo rapido sguardo, sebbene non lo vedesse.
Non
capiva perché si sentisse tanto agitata: dov'era finita la
naturalezza con cui trascorrevano insieme le giornate quand'erano
bambini?
Finalmente
giunsero davanti alle alte mura della città marittima di Trais. Lì
la luce dello smeraldo era leggermente più fievole. A Runne
quell'ingresso imponente sembrò quasi minaccioso. Non era mai stata
così lontana da casa. Si grattò il braccio vuoto, dove normalmente
avrebbe trovato il coltellino di Arlenan, sentendosi indifesa senza
armi.
Due
guardie si fecero avanti. «Quali sono i vostri nomi?» chiese una.
«Kail
e Runne di Fiandher.» rispose il ragazzo. La seconda guardia, più
alta e robusta dell’altra, gli puntò contro la lancia, mentre il
compagno tirava fuori una serie di carte. Runne sapeva bene
cos’erano: liste di nomi e ritratti di ricercati. Spie, traditori
noti e guerrieri al soldo di Endrun. Dopo averli controllati, l’uomo
rimise a posto i fogli, quindi si avvicinò per perquisirli.
«Potete
passare.» concluse l’uomo. I ragazzi varcarono con sollievo la
Porta Orientale. La prima cosa che sommerse Runne fu il frastuono
della gente del mercato, poi venne il turno dei colori variopinti
delle vesti e delle bancarelle. Non era abituata a tutto quel caos;
preferiva di gran lunga il silenzio. Strabuzzò gli occhi più volte
mentre Kail la trascinava in mezzo alla via.
«Andiamo
a mangiare un boccone?» urlò lui per farsi sentire. Runne riuscì
solo ad annuire. Dopo una moltitudine di “pesce
fresco!”
e “che
ne dice di una collana, bella signorina?”
i ragazzi entrarono in una locanda gremita di gente. Non appena si
sedettero, una ragazza con i capelli lunghi e castani si avvicinò al
loro tavolo.
«Prego...
desiderate?»
«Avete
le Alche rosate?»
«Certamente.
E per lei, signorina? Lo stesso?»
«Neanche
morta.» Piuttosto che mangiare Alche rosate preferiva tagliare le
unghie al vecchio Koremore...
«Mi
porti dei semi di Bargo.» Tipico piatto di mare, i semi di Bargo
erano dei piccoli molluschi azzurri. La ragazza annuì e portò
nell’attesa due Schiume. Runne ne bevve subito un sorso. Adorava il
sapore dolciastro di quella bevanda.
«Qual'è
il programma per oggi?» chiese.
Kail
sorrise furbo «Vedrai...»
«Dimmelo,
su!» protestò Runne.
«Neanche
sotto tortura! È una sorpresa.»
«Cattivo.»
Runne gli fece scherzosamente la linguaccia e Kail scoppiò a ridere.
Dopo
aver consumato il pasto (offerto dal ragazzo) uscirono nuovamente
nella strada affollata. La gente li spintonava in continuazione,
quindi Kail prese Runne per mano. Lei avvampò. Calma.
Possibile che continuasse a reagire in quel modo esagerato?
Proseguirono il cammino. Kail cercava di tagliare per i vicoli
evitando le bancarelle, ma persino lì la gente non mancava. Trais
era tutta così: sembrava che il mondo vi fosse esploso dentro. Era
una città piena di vita: i continui scambi commerciali con le città
vicine e con l’arcipelago Erenya l’avevano resa ricca e fiorente.
Se non fosse stato per il cielo dalle sfumature verdi nessuno avrebbe
pensato che Endrun esistesse. D’altronde chi avrebbe osato sfidare
la potente flotta di Trais, rinomata in tutta la contea? Eppure a
Runne quell’atmosfera non piaceva; la rendeva nervosa. Tutti quei
volti gentili, quei sorrisi tirati, quelle parole cordiali: l'aria
era densa di falsità. Esaminando a fondo quelle persone si poteva
percepire la loro ignoranza. Continuavano la loro vita monotona
giorno dopo giorno, senza sapere cosa stesse accadendo al resto del
mondo. A loro non importava se degli innocenti venivano torturati,
schiavizzati e uccisi. Erano al sicuro all’interno di quelle mura
robuste.
Dopotutto
Fiandher non era molto diversa. Sguarnita del suo esercito dalla
scomparsa del suo fondatore, la città si era estraniata dalla
guerra. Solo l'insediamento segreto degli Scindri la rendeva
differente da Trais.
Runne
represse un moto di disgusto: non era venuta per giudicare ma per
passare una bellissima giornata in compagnia di Kail. Si stampò in
faccia un ampio sorriso e si lasciò guidare davanti a un palco. Si
incastrarono fra gli spettatori e attesero.
«Di
cosa si tratta?» chiese Runne osservando le tende rosse ancora
chiuse.
«E’
uno spettacolo acrobatico. La banda è molto famosa.» Un attimo dopo
si udì un rullo di tamburi e le tende si aprirono. Una bellissima
ragazza che calzava un costume sgargiante fece il suo ingresso con
una piroetta. Runne si immobilizzò. Quei capelli neri dalle
sfumature tormaline non potevano che essere feliani; eppure le
orecchie della giovane erano perfettamente tonde e minute. Indagando
il suo sorriso, notò anche la mancanza dei tipici canini
pronunciati.
«Salve,
signori!» esclamò la fanciulla «Io sono Moe, vi auguro buon
divertimento!» Gli applausi non mancarono e poco dopo entrarono in
scena due ragazzi muscolosi. Al ritmo del tamburo si unì la melodia
di un violino e lo spettacolo ebbe inizio. I ragazzi inscenarono una
specie di sfida tra rivali: prima si batterono a mani nude, inserendo
qualche salto o piroetta, poi passarono alle spade. Runne li osservò
con interesse: sapeva che simulare un combattimento realistico poteva
essere più difficile che ingaggiarlo per davvero. Il suo sguardo
rimase ipnotizzato dalle movenze agili e aggraziate di Moe. La
ragazza compiva acrobazie spettacolari senza l’ombra di uno sforzo
nel tentativo di porre fine al presunto duello iniziato in suo nome.
Improvvisamente
il rullo di tamburi si fece più forte ed entrò in scena un uomo
incredibilmente alto con indosso un ampio mantello e un elmo ornato
di corna di cervo. I due ragazzi si ritrassero con il volto sfigurato
dalla paura, mentre Moe afferrava un lungo bastone e si avventava
contro di lui. La giovane si tuffò in un combattimento ad armi
impari, schivando all’ultimo secondo la mazza chiodata dell’uomo
e scatenando un coro di fischi ammirati e di applausi. Dopo una serie
di capriole e di avvitamenti aerei, Moe disarmò con destrezza
l’avversario e lo immobilizzò a terra. L’uomo attese la sua
fine, convinto di morire... Moe invece gettò il bastone, lo liberò
dalla stretta e gli porse una mano per aiutarlo a rialzarsi, come
voto di perdono. L'uomo si tolse l'elmo e abbassò il panno che gli
copriva il viso. Fissò il pubblico, che trattenne il fiato per lo
stupore.
Le
corna non erano parte dell'elmo: erano sue.
I palchi crescevano ad arco dalle tempie e sporgevano dal cranio,
afferrando l'aria con dita ossee. Le ampie narici del naso rincagnato
assumevano un tono più scuro rispetto alla carnagione bruna. Una
goccia di sudore si perse nella sua folta barba mentre gli astanti
attoniti cercavano di metterlo a fuoco. Quel particolare velo che
pareva avvolgere la sua pelle faceva strizzare gli occhi.
Runne
comprese a fatica che l'uomo non era avvolto da nulla; era proprio la
densità della sua pelle a essere impalpabile. La ragazza strattonò
Kail per la spalla. «E quello
che cos'è?»
«Un
cervode.
Ne
ho sentito parlare, anche se non ne ho mai incontrati durante il mio
viaggio. Si dice che siano intangibili.»
Dal
retro delle tende sbucarono i musicisti e i ragazzi della prima parte
dello spettacolo. Assieme alla bizzarra coppia formarono una fila.
S’inchinarono e la folla esplose in un applauso fragoroso a cui si
unirono anche Runne e Kail.
Runne
tornò a fissare Moe. Per un attimo i loro occhi si incrociarono:
vide lo stupore dell’acrobata, mascherato quasi subito da un altro
sorriso rivolto alla folla. Dopo un ultimo inchino, i saltimbanchi
rientrarono dietro le tende. Un bambino dal visetto dolce e ingenuo
passò fra gli spettatori con un bicchiere in mano. Si udì un
tintinnio di monete piuttosto consistente: a quanto pareva Moe aveva
conquistato tutti i presenti. Kail depose qualche soldo nel
bicchiere, poi chiese:
«Piaciuto
lo spettacolo?»
Runne
ammirò per un attimo ancora le tende rosse, prima di rispondere:«Sì,
molto.»
Il
ragazzo parve studiare la sua espressione «Non sembri convinta.»
«No,
è che... Moe è una feliana?»
«In
parte. Suo nonno lo era. Sposò un’umana. La sua famiglia è di
Trais e la sua abilità acrobatica l’ha resa piuttosto famosa.»
«Prima
mi ha guardata come se fossi un'anguilla volante.»
Kail
rise. «È raro vedere dei feliani, non dovresti sorprenderti.»
«Giusto.»
Dalla caduta di Hermet Dlun la razza feliana era praticamente
scomparsa. Runne scosse la testa e sorrise. «Grazie, mi sono
divertita tanto!» Kail contraccambiò e la prese per mano.
«E
adesso dove mi stai portando?» domandò lei. Il ragazzo le scoccò
uno sguardo malizioso e scosse il capo. Runne seguì con gli occhi il
movimento dei suoi capelli morbidi. Quasi non si accorse che Kail la
stava tirando per un braccio. Si riprese e sospirò, rassegnata. La
giornata fu tutta così: Kail la guidava da una parte all’altra di
Trais, mostrandole i palazzi più antichi, le bancarelle più
fornite, le gioiellerie più rinomate. Runne commentava con un “mmh”
e un “ah,
bello!”
ogni cosa che le passava sott’occhio e non appena la sua
espressione assumeva un leggero entusiasmo (posto da Runne anche solo
per educazione) Kail insisteva per comprarle l’oggetto in
questione. Runne doveva stare attenta: se dimostrava poco interesse
il ragazzo si deprimeva; se invece ne esprimeva troppo lui tirava
fuori tutti i soldi che aveva. Vedendo rifiutato ciascuno dei suoi
tentati regali, Kail rimaneva sempre più deluso. La sua speranza
però si riaccendeva quando dovevano raggiungere una nuova meta, a
Runne costantemente celata.
Al
termine del pomeriggio Kail la portò in un ristorante in riva al
mare. Runne era riuscita a non farsi comprare niente. Dopo qualche
minuto di silenzio, finalmente Kail disse:«Scusa.» A Runne andò di
traverso il boccone di kortrone, un pesce dalla polpa ambrata.
«E
di cosa?»
«Di
averti annoiata per tutto il giorno.»
Runne
lo contemplò tossicchiando. «Stai scherzando, vero?» chiese con
voce strozzata.
Kail
rimase zitto, lo sguardo basso. No, stava dicendo sul serio. Runne
bevve un sorso di Schiuma per frenare i sussulti, poi parlò:«Kail,
mi sono divertita con te oggi. Sono sincera. I tuoi regali mi hanno
fatto piacere; se non li ho accettati è solo perché non li trovavo
necessari. E neanche questo.» e indicò con un gesto il ristorante
«Potevi portarmi in un posto più economico. Immagino che vorrai
offrire tu...»
«Certo.»
si affrettò a rispondere il ragazzo.
Runne
alzò gli occhi al cielo «Siamo in riva al mare. Lo sai quanto
costa?»
Kail
fece spallucce «E allora? È la prima volta che usciamo insieme, mi
sembra il minimo.» Si pentì subito di ciò che aveva detto.
L’ovvietà delle sue parole lo fece arrossire violentemente. Anche
Runne sentì le guance pizzicare, ma riuscì a mantenere un po’ di
contegno.
«Quello
che volevo dire è che io non pretendo tutte queste attenzioni. Non
ne ho bisogno. A me basti tu.» Kail alzò gli occhi di scatto,
incredulo. Stavolta toccò a Runne abbassare lo sguardo: lei stessa
era stupita della propria sfacciataggine. Si tuffò nel proprio
piatto, affogando l’imbarazzo in frenetiche sorsate di Schiuma.
Finirono di cenare in silenzio, senza osare guardarsi negli occhi.
Runne insistette per pagare il conto in parti uguali; con una voce
stranamente rilassata, Kail accettò.
Uscirono
dal ristorante e il ragazzo la prese per mano quasi con naturalezza,
superando il disagio. Scesero i gradini di pietra che dal lungomare
portavano alla spiaggia. Lo smeraldo della torre di Fiandher brillava
con maggiore chiarezza di notte, senza l’attenuante luce solare. Le
stelle sembravano tremolanti gemme preziose intagliate nell’immensa
volta del cielo e il mare riluceva con riflessi di un verde cupo, ove
l’acqua era più profonda. La sabbia era composta di minuscoli
granelli sospinti dal vento, luccicanti di un verde bagliore se
sollevati dalle spirali. Runne e Kail camminavano a piedi nudi,
lasciando orme scure col loro passo lento, poi cancellate dal moto
placido delle onde. L’ipnotico scroscio della risacca e il profumo
salmastro accompagnavano i due ragazzi lungo il loro quieto tragitto.
«Durante
il viaggio con mio padre ho conosciuto un sacco di gente diversa.»
esordì Kail «Da Trais a Rodramino, dalla Cima Solitaria a Poltur:
ogni luogo ha la sua bellezza particolare, anche se guastata dalla
luce dello smeraldo. Eppure non ho mai smesso di pensare a Fiandher,
la mia vera casa. Ci siamo spinti oltre i confini e non ci sembrava
quasi vero di essere liberi da questa insistente luce verdognola.
Abbiamo raggiunto l'Erenem, una regione prospera grazie alla
ragnatela di fiumi che la contraddistinguono. È un paradosso, poiché
in quella terra convivono elementi contrastanti: le fruttuose
piantagioni di caciandre, il Deserto di Sale e la lunghissima catena
dei monti Xürba.»
«Siete
arrivati sino al confine col Regno di Kuden?!» esclamò Runne
stupita.
«A
dire il vero mio padre non voleva spingersi tanto lontano ma è stata
una deviazione necessaria: solo nelle miniere degli Xürba si può
trovare il titanio pallido, un materiale leggero come un filo d’erba
ma più resistente dell’acciaio.»
Runne
affondò i piedi in un punto in cui la sabbia era completamente
asciutta. «Ma da quel che ho sentito dire il titanio pallido è
molto costoso.»
«Da
una decina d’anni, dopo che Endrun ha conquistato il Raion e il
Dron, il prezzo è sceso sensibilmente: i maggiori acquirenti del
prodotto erano i feliani, gli unici capaci di sfruttare appieno le
proprietà magiche del titanio pallido. In effetti lavorarlo è
impossibile senza le dovute conoscenze nel campo della magia.»
Runne
era sempre più confusa «Allora... a che vi è servito comprarlo?»
Kail
si fermò. Teneva lo sguardo basso, pensieroso. Sembrava che si
stesse arrovellando per trovare le parole più adatte. Si volse verso
Runne con cautela.
«Prima
che partissi... avevo intenzione di forgiare una spada un po’
speciale. Ho chiesto consiglio a Daeb perché... bé, lo capirai dopo
il perché. Il punto è che è stato lui a consigliarmi il titanio
pallido, assicurandomi che mi avrebbe aiutato con la magia. Quando
sono tornato, in quest’ultimo mese, abbiamo lavorato insieme. Avevo
già elaborato un progetto ma Daeb l’ha corretto indicandomi le
modifiche necessarie. Poi ci siamo messi all’opera. Il titanio
pallido è immune al normale calore della fiamma, così Daeb ha
dovuto alimentare il fuoco con la magia e nel contempo mantenere
arroventato il metallo per permettermi di modellarlo. Ci sono volute
due mesi per portare a compimento il lavoro, poiché Daeb non
riusciva a ricorrere alla magia per più di un’ora e usarla gli
prosciugava tutte le forze. A parte qualche coltello, questo è stato
la mia prima forgiatura. Avevo paura di combinare un disastro...
invece non è andata così male. Persino mio padre mi ha fatto i
complimenti.»
«Wow...!»
fu l’unica cosa che riuscì
a dire Runne. C’era troppo mistero nel racconto di Kail e, cosa
ancora più sospetta, nelle conoscenze di Daeb. Alimentare un fuoco
con la magia richiedeva capacità avanzate ben lontane dalla portata
di un comune sinhilare. Quante sorprese riservava ancora il suo
piccolo amico?
Kail
la tirò per mano verso l’entroterra, fino a condurla sotto il muro
di pietra che tracciava il percorso del lungomare. Si accovacciò
vicino alle fondamenta. Runne aguzzò la vista. Alla base del muro,
dove la roccia era più grezza, notò una sporgenza che creava una
sorta di piccola nicchia naturale. Era bassa, quasi al livello della
sabbia, ed era talmente indistinta da risultare invisibile se non
l’avesse esaminata con attenzione. Kail allungò le mani sotto la
nicchia e scavò nella sabbia. Dopo qualche bracciata estrasse
qualcosa di lungo e solido, e si rialzò.
«Buon
compleanno... in ritardo.»
Gli
occhi rossi di Runne si spalancarono per la meraviglia. Srotolata
dalla stoffa una spada bianca riluceva come una stella. L’elsa si
apriva in un taglio diagonale, spalancandosi sulla lama affilata da
un lato.
Kail
sorrise di fronte alla sua aria sbigottita. «Prova a brandirla.»
Runne
seguì il consiglio e tagliò l’aria della notte. Sentì la spada
leggera e, malgrado fosse abituata a maneggiare tutti i tipi di arma,
doveva riconoscere che si adattava perfettamente all’estensione del
suo braccio.
Si
fermò a guardare Kail, che reggeva ancora il fodero perlaceo. Aveva
osservato rapito le sue eleganti evoluzioni. Balbettò uno
stupefatto:«Daeb mia aveva accennato qualcosa, ma non credevo...!»
Runne
rinfoderò la spada, quindi la poggiò con delicatezza sulla sabbia.
Si rialzò e si avvicinò al ragazzo con cautela. C’era qualcosa
che balenava nell’atmosfera intorno a loro. Forse era il rossore
sulle guance di Runne; o l’ardore
negli occhi di Kail. I ragazzi non sapevano dare voce a quelle
sensazioni, ma le parole sembravano solo un ostacolo alla dolcezza
che li stava avvicinando. Il mistero di quegli istanti si dissolse
nel momento in cui il loro timido abbraccio si trasformò in un
bacio.
Un’intricata
combinazione di colori si agitò nell’incrocio fra le loro anime.
La vampa della passione li avvolse, il sapore della tenerezza inondò
i sensi. Cullati dal moto placido delle onde, i due amanti
condivisero i cuori.
«Igh!.»
Runne finì schiacciata a terra, con il braccio bloccato dietro la
schiena. Arghenteo lasciò la presa, torcendole il polso come
ammonizione.
«Si
può sapere cosa ti prende oggi?» sbottò il feliano «Sei distratta
e prevedibile!»
Runne
si rimise in piedi, mortificata per l’umiliazione. Il suo
addestramento era ripreso quel pomeriggio, ma la sua mente vagava
ancora sui ricordi del giorno prima.
Era
tornata a Fiandher con Kail passeggiando in piena notte, con la
consapevolezza che Judith e Daeb l'avrebbero sommersa di rimbrotti
per l'ora tarda e l'incoscienza. Ne era valsa la pena, solo per
prolungare il tempo trascorso con il suo
ragazzo.
«Basta
così.» intervenne Arlenan. Arghenteo sbuffò e lasciò soli allieva
e maestro. Runne fece per scusarsi, ma Arlenan sollevò una mano per
invitarla al silenzio.
«Quando
arrivammo qui ti insegnammo a combattere. Ti impartimmo la disciplina
di un guerriero. E tu...»
Runne
si preparò a ricevere un duro giudizio.
«...
hai imparato meglio di quanto potessi sperare. Il primo bacio
distrarrebbe chiunque, non preoccuparti.» La ragazza rimase a bocca
aperta, arrossendo, mentre Arlenan le faceva l'occhiolino. Abbassò
lo sguardo e si spettinò la frangia, imbarazzata.
L'uomo
riprese il discorso, questa volta in tono più grave:«Sei cresciuta
molto in questi mesi, Runne. Penso sia venuto il momento di mettere
alla prova le tue capacità. Assisterai Thomas nella missione che gli
ho assegnato: sarà lui a valutarti. Sei pronta a mettere in gioco il
tuo titolo di membro degli Scindri?»
Runne
contenne la felicità per aver ricevuto quell'ordine inaspettato:«Sì,
maestro!»
(S)parla
con l’autrice
Dia
dhaoibh,
lettori!
Finalmente
ho pubblicato questo capitolo! Chiedo scusa a tutti i lettori, ma un
complotto che coinvolge genitori, università e computer (sottratti)
mi ha rallentata. Come se non bastasse, ho avuto un blocco durante la
descrizione della spada. Mi sono documentata su tutti i tipi
possibili di armi da taglio prima di decidere. La prima bozza uscita
esaltava l’ambivalenza feliana-reptile di Runne; ma era decisamente
pacchiana! Ve la lascio qua sotto, in modo che possiate confrontarla
con la scelta attuale (presa da Assassin’s CreedTM):
L’impugnatura,
con pomolo zannuto, era scolpita in squame sottili, che non
disturbarono la sua presa quando provò ad afferrarla. L’elsa si
apriva nelle fauci di un leone, spalancandosi sulla lama ondulata. La
punta terminava in una piccola testa di serpente.
Kail
sorrise di fronte alla sua aria sbigottita. «Prova
a brandirla.»
Runne seguì il
consiglio e tagliò l’aria della notte. I due piccoli fori sulla
lama, gli occhi del serpente, sibilarono seguendo i suoi movimenti.
Che
orrore! Come ho fatto anche solo a pensarci? Chissà, magari a voi
lettori piace questa spada decisamente troppo accessoriata xD
Spero
di aver fatto un buon lavoro alla fine, anche se non ne sono del
tutto convinta.
Trovo
molto carini Runne e Kail; era ora che le cose si muovessero fra loro
due, che ne dite? Avete già fatto castelli in aria su questa coppia?
O non vi piace? Spero di non essere stata troppo melensa. Ho faticato
a descrivere il loro appuntamento, perché le vicende troppo dolci mi
danno il voltastomaco... Spero che questo non abbia avuto
ripercussioni sul capitolo. In caso, criticatemi e aiutatemi a
migliorare!
Per
quanto riguarda le creature che popolano il Mondo dell'Avvento, ho
introdotto un'altra specie. Che ne pensate?
Per
problemi di complessità ho inserito una legenda sulla mia pagina
facebook, che trovate qui:
https://www.facebook.com/notes/parole-cozzate-cre-attiva/legenda-il-destino-scelto/294400400727412
Fate
un salto anche sulla mia pagina facebook: Parole
Cozzate – CreAttiva
Al
prossimo capitolo! Slán
libh!
CreAttiva
|
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Capitolo 8 *** La prima missione ***
8 - La prima missione
Legenda:
https://www.facebook.com/notes/parole-cozzate-cre-attiva/legenda-il-destino-scelto/294400400727412
La
prima Missione
Poltur
era un labirinto intricato di viottoli e sentieri. Salivano,
scendevano, s'inabissavano sotto il letto del fiume in cunicoli
stretti e si arrampicavano sulle alture della Cima Solitaria in
nastri di terra e pietre. Runne si muoveva nella parte bassa della
città, dove le strade serpeggiavano in un complicato intreccio di
umidi sotterranei. Fino a qualche tempo prima avrebbe avuto paura di
un luogo sinistro e malfamato come quello. Era risaputo che Poltur
fosse divisa fra le grandi potenze del Graäm: i sacerdoti di Gorä e
la gilda dei ladri.
Borseggiatori
e tagliagole si erano moltiplicati dalla scomparsa del signore di
Fiandher che, malgrado la cupidigia, aveva mantenuto un discreto
ordine nel Graäm. I sacerdoti di Gorä, già organizzati in una
casta, si erano impadroniti della flotta del commerciante. Trais fu
posta a difesa della terra sacra al dio Gorä. Di fatto, l'armata
navale dipendeva dalla carpenteria di Rodramino. Questa città era a
sua volta sotto il controllo della gilda dei ladri di Poltur. Si
poteva dunque pensare che il potere fosse in mano a loro; in realtà,
nessuno avrebbe osato sfidare i sacerdoti di Gorä e la sacralità
del suo tempio. Persino la gilda temeva gli dei. Runne non era mai
stata una credente devota: preferiva agire piuttosto che credere
nell'aiuto divino.
C'era
stata ben poca azione fino ad ora. Solo nascondersi, rifugiarsi,
sgattaiolare e procedere. Dal momento in cui aveva ricevuto il suo
incarico, Runne era partita con Thomas da Fiandher, coprendo in una
notte la distanza che li separava dal villaggio di Oned. Quindi
avevano marciato per un giorno intero fino a Poltur. Durante il
viaggio non avevano sostato in alcuna locanda; si erano cibati delle
provviste nelle loro borse e avevano trovato riposo sugli alberi.
Runne aveva lanciato un incantesimo feliano per camuffarli con la
corteccia, lo stesso usato da Arghenteo sugli Scindri tre anni
addietro.
Camminando,
si erano tenuti ai lati della strada, sfruttando spuntoni rocciosi e
macchie di alberi per non farsi vedere dai viaggiatori e (impresa più
difficile) dai membri della gilda. I ladri, infatti, svolgevano la
ronda per controllare i commercianti che si spostavano di città in
città.
Ogni
famiglia del Graäm pagava una tassa alla gilda, e le attività
dovevano essere autorizzate dalla stessa. La tassa era comunque
adeguata al reddito familiare: invadente, ma non eccessiva. Con
l'osservanza delle norme i ladri erano soddisfatti e non compivano
scorribande; si poteva condurre una vita pacifica. Chiunque cercasse
di sfuggire allo strozzinaggio o non rispettasse l'autorità della
gilda, era fortunato a cavarsela con uno scippo o una rapina. I più
cocciuti venivano ritrovati con un sorriso insanguinato sulla gola.
Thomas
e Runne avevano rischiato molto più della gola durante il tragitto.
Nonostante le precauzioni adottate, la coppia era stata avvistata da
una sentinella. Per fortuna Thomas se n'era accorto in tempo: aveva
inseguito e raggiunto la spia, riducendola al silenzio. L'uomo aveva
assicurato a Runne che quell'incidente non avrebbe compromesso la sua
valutazione. Le aveva spiegato che nel lavoro degli Scindri gli
imprevisti possono capitare.
Non
era la propria promozione a preoccupare Runne: piuttosto era
mortificata per la sua inesperienza, che aveva portato alla morte un
uomo innocente... o, nello specifico, un criminale che svolgeva solo
il suo mestiere. In ogni modo era una vittima che si poteva evitare.
Rimandò
a dopo i sensi di colpa e focalizzò l'attenzione sul presente. Aveva
bisogno di una mente libera e pronta a rispondere ai suoi sensi.
Ringraziò il suo udito feliano e l'adattabilità della pupilla alla
tenue rarefazione di luce. Avrebbe volentieri fatto a meno
dell'olfatto reptile in quel luogo putrido, ma questa sua metà la
aiutava a muoversi silenziosamente. Lei non indossava ancora il
mantello rosso incantato, vestito invece da Thomas, che non doveva
sforzarsi di nascondere la propria presenza. La ragazza si acquattò
nell'oscurità per eludere la luce di una torcia. Era quasi strano
non vedere il costante bagliore sbiadito dello smeraldo. Il cielo era
irraggiungibile per i bassifondi di Poltur.
Davanti
ai due Scindri le vie claustrofobiche si congiunsero in un’area
spaziosa, sostenuta da un’impalcatura più solida ed elaborata
delle precedenti. Un edificio in pietra spiccava in mezzo alle
catapecchie di legno e ai budelli scavati nel terreno. La sua
struttura massiccia pareva sorreggere i soffitti delle gallerie, che
poggiavano sul suo tetto. Thomas le indirizzò un cenno d'intesa: era
il momento di ottemperare alla vera parte della sua missione. Secondo
le informazioni reperite dagli Scindri, il capo della gilda dei ladri
era a Rodramino per affari. Si era portato dietro gran parte dei suoi
membri, perciò la sede era sguarnita. Il compito di Runne era
introdursi negli alloggi del capo e indagare sui suoi programmi.
Thomas
attese in disparte, osservando la ragazza all'opera. Runne seguì le
procedure che le avevano insegnato. Fece un giro completo
dell'edificio, studiandone la struttura e la sorveglianza. Due soli
piani, dalla pianta estesa e alti cinque metri l’uno. Assenza
di ulteriori sotterranei, come dimostrava la mancanza di sfoghi per
l’aria. Il lato posteriore dell’edificio poggiava direttamente
sulla parete brulla della galleria.
Nei
tempi meno redditizi per la gilda, i ladri avevano usato quel colosso
di pietra come rifugio dalle guardie. Dopo la scomparsa del signore
di Fiandher, la gilda sarebbe potuta uscire allo scoperto e vivere
nel lusso; ma il suo capo aveva preferito non spostare la sede,
mantenendo la propria identità. Questa volontà fu mantenuta anche
da Luther, il suo successore. Runne la ritenne una scelta saggia: in
quei cunicoli l’unica forza in grado di opporsi alla gilda, i
sacerdoti di Gorä, si sarebbe trasformata in una preda impacciata.
Solo una minaccia silenziosa avrebbe osato penetrare quel labirinto,
come un sicario estremamente abile. O come una spia estremamente
inesperta qual era Runne. A differenza dell’ipotetico assassino, la
giovane apprendista non avrebbe eluso dozzine di tagliagole e la
scorta personale del capo della gilda per poi scontrarsi con lui; si
sarebbe invece intrufolata in una residenza semivuota sgattaiolando
via a missione conclusa.
Terminato
il sopralluogo, decise di sfruttare il retro dell’edificio, che
forniva una stretta insenatura fra l’angolo sinistro e la parete.
L’arrampicata non fu semplice come aveva pianificato: a ogni
movimento rischiava di alzare un polverone strusciando contro il
terriccio, e le pietre erano umide e scivolose. Raggiunse il
marcapiano, quindi si mosse con cautela verso la prima finestra. La
sua meta si trovava sulla facciata: doveva percorrere tutto il fianco
e girare l’angolo. Valutò se aggrapparsi al davanzale per superare
le persone che discutevano di là dal muro a cui era appoggiata. Notò
allora delle protuberanze sporgere dal soffitto. A una spanna dal
sopraccielo, una serie di braccia di pietra si allungavano in
orizzontale e si chiudevano a pinza su qualcosa sospeso nell’aria.
Runne ebbe un giramento di testa quando mise a fuoco la barriera
magica che avvolgeva il perimetro del palazzo come un velo. Da terra
quelle estensioni apparivano semplici decorazioni del cornicione.
La
ragazza non aveva idea della funzione di quella barriera o di come
l’avesse attraversata indenne (e inconsapevole); decise di
ignorarla e di sfruttare come appiglio proprio quei diffusori.
Soffitti elevati e finestre piccole fornivano un riparo da attacchi
esterni, ma anche un notevole punto cieco. L’agilità feliana le
agevolò l’arrampicata fino ai pioli, e in breve entrò negli
appartamenti di Luther.
Corse
alla porta e udì con sollievo il pesante respiro di una guardia
addormentata.
«Sei
stata imprudente.» Thomas l’aveva appena raggiunta.
«La
barriera?»
«È
ancora attiva; ho aperto solo un varco. Ringrazia la tua resistenza
alla magia se ora non sei in preda a tremende allucinazioni.»
Runne
ricordò le lezioni sulla specialità dei maghi del Graäm: gli
incantesimi illusori. Le tecniche di combattimento invece
rispecchiavano il flusso dell’acqua, con movimenti sciolti e
ondeggianti, molto simili a quelli di Moe durante lo spettacolo.
Thomas le intimò di procedere e Runne interruppe il ripasso mentale.
Si accinsero a rovistare fra le carte della stanza. Lo studio era
modesto, arieggiato dalla finestra per la quale erano passate le due
spie; sulle pareti erano appese armi e alcuni quadri con simboli
votivi al dio Gorä. Esaminarono la scrivania e la cassettiera,
cariche di pergamene, rimettendo al loro posto ogni oggetto mosso
durante la ricerca. Lessero liste di negozi con i nomi dei
proprietari, riscosse, debiti e provvedimenti. Trovarono anche mappe
e schemi che collegavano la gilda all’assalto di Yequiza, l’isola
a sud-est che aveva cercato di sottrarsi alla tassazione credendosi
al sicuro per la sua lontananza dal continente. Nulla però che
facesse supporre una collaborazione con re Endrun. Runne iniziò a
pensare che non ci fosse nulla da scoprire, che si trovasse lì solo
per dimostrare le proprie capacità agli Scindri.
Un
nome in mezzo al mucchio la attirò: era il suo. La giovane avvertì
un’improvvisa agitazione e controllò i documenti. Era una
descrizione accurata di Runne, con riferimento ai suoi genitori:
Runne
di Fiandher – 14 anni – Minaccia elevata
Statura
minuta, capelli dorati e occhi rossi. Madre: Judith di Fiandher
(probabile sopravvissuta del Raion), feliana. Padre: sconosciuto.
Forti sospetti di origini reptili. Apprendista sarta. Alleati fra gli
umani e i sinhilari.
Runne
si mise a rovistare fra le pagine e vi trovò dati altrettanto
dettagliati sui suoi amici: solo sul suo profilo era annotata la
pericolosità. Sotto a quel materiale il piano della scrivania era
graffiato e inciso da solchi. Il pugnale piantato come una bandiera
nell’angolo dello scrittoio era presumibilmente il responsabile di
quello sfacelo. Un lieve fessura, più lineare delle altre, la
indusse a esaminarla a fondo. Quando comprese di cosa si trattava
chiamò Thomas ad aiutarla. L'uomo capì il meccanismo più
rapidamente di Runne: estrasse un temperino e fece leva sulla
fenditura, sollevando un'anta celata nel legno. Studiarono il
contenuto del cassetto segreto e individuarono fra le pergamene un
piano di attacco che prevedeva lo sbarco di truppe a Rodramino. Un
esercito avrebbe spazzato via il tempio di Poltur e i suoi sacerdoti.
«È
peggio di quanto immaginassimo. Ecco perché lo smeraldo di Fiandher
brilla con tanta insistenza.»
«L’esercito
che rientra in questo piano» chiese Runne «di chi è?»
«Guarda
il sigillo sulla lettera di consegna.»
La
ragazza rabbrividì alla vista del simbolo di Kradit: le due lune
gemelle raccordate da una “E” nel mezzo.
«Questo
cambia tutto.» concluse Thomas, riponendo i fogli sotto al mantello
«Non possiamo lasciare che questo piano si compia. Dobbiamo
intervenire.»
«D’accordo;
che facciamo?»
L’esaminatore
guardò negli occhi l’apprendista, trasmettendo una certa
esitazione. Pose una mano sulla spalla di Runne, comunicandole:«Non
era previsto che tu ti spingessi fino a questo punto, ma la nostra
missione ha già comportato degli imprevisti. Alla sentinella ho
pensato io; ora è il tuo turno. Attenderemo che Luther faccia
ritorno e tu lo ucciderai.»
Runne
trasalì. Per diventare una guerriera e combattere Endrun aveva
tenuto conto del fatto che presto avrebbe dovuto uccidere qualcuno.
Tuttavia non era preparata a togliere la vita in quel momento; non
rientrava nella missione che le era stata assegnata.
«Forse
dovremmo informare Arlenan prima di decidere.»
«Arlenan
ti ha affidata a me.
E ti ha detto espressamente di eseguire i miei ordini. Vuoi fare
qualcosa per fermare questa guerra? Uccidi quell’uomo e il re
tiranno avrà un’arma in meno contro la pace.»
Thomas
controllò di nuovo la porta, lasciando la ragazza imbambolata a
fissare il vuoto. Runne attese che lui aggiungesse qualcos’altro,
che la sottraesse a quella responsabilità. Ricevette solo
suggerimenti e istruzioni sul compimento dell’assassinio.
Il
Maestro Luther era amareggiato. L’uomo catturato sull'isola di
Yequiza e scortato a Rodramino
non aveva ceduto alle torture, rifiutando di tradire il proprio
padrone. Luther si
era recato personalmente alla città-cantiere, pensando di
confrontarsi con un nemico che meritava il suo rispetto. Ma il
prigioniero si era dimostrato solo un pazzo dalle informazioni
fasulle. Il capo della gilda si era scomodato per ascoltare i deliri
di un mentecatto.
Lasciò
che la sua scorta si riposasse al piano inferiore. L’Assistente del
Maestro insistette per accompagnarlo nelle sue stanze, ma Luther lo
liquidò con un gesto scocciato. Non voleva tra i piedi nessuno.
Aveva bisogno di fumarsi una pipa nel suo studio, e di rivedere le
carte. Quel rimbambito che gli aveva fatto perdere tempo lo aveva
allontanato dai suoi obiettivi.
Sbraitò
contro la guardia dei suoi alloggi, che giaceva sonnecchiante su una
sedia. L’incompetente si allontanò profondendosi in scuse prima
che Luther avesse la tentazione di ucciderlo. Il Maestro entrò nello
studio e sbatté la porta dietro di sé. Riordinò il caos che
regnava sulla sua scrivania borbottando seccato. Estrasse la pipa e
cercò il tabacco: dove l’aveva messo? Mentre frugava nei cassetti
e inveiva contro quel ladro dell’Assistente, un’ombra calò alle
sue spalle. Una mano fece tacere la sua bocca, e un coltello ne
disegnò una nuova sulla gola. Il cadavere cominciò a sgretolarsi
fra le dita di Runne, che mormorava una lenta litania. L’incantesimo
di incenerimento funzionò sui resti di Luther, cancellando persino
le tracce di sangue. Del capo della gilda di Poltur non restò
nemmeno la polvere.
Runne
seguì Thomas in una silenziosa e complicata fuga. Il
sicario su cui aveva fantasticato per alleggerire la tensione era
diventato reale, materializzandosi nel suo corpo e agendo attraverso
le sue mani.
«Dovresti
lasciarla uscire qualche volta, Judith cara.»
«Runne
sta imparando il mestiere. E ho molto da lavorare in questo periodo:
sa, dalla morte di Caroline...»
«...
sei l’unica sarta della zona nord di Fiandher. Ma si ammalerà se
resta sempre tappata in casa.»
«Sta
forse dicendo che non so prendermi cura di mia figlia?»
«Oh,
no! Non intendevo questo, mia cara.»
«Bene.
È stato un piacere vederla. Torni presto a farci visita.
Arrivederci.»
Judith
richiuse la porta tirando un sospiro di sollievo. Quella farsa andava
avanti da quando Runne si era unita agli Scindri: per nascondere gli
allenamenti della figlia, fingeva di tenerla segregata in casa. Fra i
vicini, alcuni erano più comprensivi, riconoscendo l’amore di una
madre per l’unica cosa che le era rimasta al mondo; altri, invece,
la consideravano una dispotica egoista. Judith non dava peso alle
voci che circolavano sul suo conto: non aveva mai visto Runne così
felice, e condividere un segreto tanto importante con la sua bambina
la colmava di gioia. La vedeva crescere giorno dopo giorno, affinando
tecniche e carattere, sempre più vicina all’essere una donna. Ma
per lei sarebbe sempre rimasta la sua piccola Runne.
Quella
mattina, però, Runne era stata molto pensierosa e taciturna. Non
aveva toccato la colazione, e si era messa al lavoro senza che Judith
le avesse chiesto aiuto. La madre decise di non porle domande,
ritenendo più saggio distrarla con qualche chiacchiera.
Runne
cuciva badando solo all’ago e alla stoffa, mentre Judith le
raccontava un piccolo scandalo sulla figlia del ceraiolo. Quando
entrambe ebbero finito, la ragazza andò a riposarsi. Aprì la porta
della camera e qualcosa la colpì sulla fronte.
«Ahia!»
«Ci
è cascata!» esclamò una vocina, lanciandosi in un risolino acuto.
Runne
si massaggiò la fronte, centrata da un laccio che era stato legato
alla porta. Sul comodino sedevano Daeb e un’altra sinhilare, quella
che aveva riso prima (e che stava continuando a farlo). Se la memoria
non la ingannava, si chiamava Jiya.
«Potevate
cavarmi un occhio!» li sgridò la vittima dello scherzo.
«E
tu eri convinto che l’avrebbe evitato!» ridacchiò Jiya.
«Ne
ero sicuro. Come succede sempre.» confermò Daeb, che al contrario
non era mai stato tanto serio «Stai bene?»
«Vorrei
stritolarti con il tuo laccio, ma a parte questo non mi hai ferita
mortalmente.»
«Avevi
ragione su di lei: questa ragazza è proprio uno spasso!»
Runne
fissò in tralice la graziosa sinhilare dai capelli biondi e si
soffermò sulla sua vicinanza con Daeb. «Ho interrotto qualcosa?»
«No.»
disse l’amico, che aveva appena sottratto la sua mano dalla presa
di Jiya «Lei se ne stava giusto andando.»
«Come
sei cattivo!» si lamentò Jiya, facendogli la linguaccia «E va
bene: lo so che sei molto timido.»
«No!
Per gli dei, non hai capito quello che ti ho detto?»
«Non
capisco perché tu non voglia darmi almeno una possibilità.»
Daeb
non rispose. Incrociò le braccia e guardò altrove. Jiya,
indispettita, gli sfilò dalla testa il cappello a cilindro e volò
via, fuori dalla finestra.
«Ehi!
Ridammelo!»
Daeb
la inseguì e Runne rimase sola. Aveva sperato di potersi sfogare con
lui prima che scendesse la sera. Si sfiorò ancora la fronte, benché
il dolore fosse passato; quantomeno quello fisico.
L’atrio
della base degli Scindri era più buio del solito e vuoto, il che
donava un tono spettrale all’ambiente. Le fiaccole erano disposte
parcamente a indicare il cammino. Runne le seguì, stringendo un
lembo del mantello per domare il nervosismo. Giunse nella Sala
d’Addestramento, dove fu accolta dalla Compagnia degli Scindri
riunita a semicerchio. Si fermò al loro cospetto, in attesa.
La
voce di Arlenan risuonò con fermezza:«Benvenuta, apprendista. Hai
intrapreso un duro percorso di addestramento, specializzandoti
nell’uso delle armi corpo a corpo e in diversi stili di lotta. Hai
imparato a lanciare alcuni incantesimi reptili e hai ottenuto il
controllo della bestia che alberga nel tuo animo. Questo fa di te
un’ottima guerriera, ma far parte degli Scindri significa molto di
più: analizzare l’ambiente che ti circonda, confonderti e
mescolarti con esso, carpire informazioni vitali da piccoli indizi.
Tali sono gli insegnamenti che ti sono stati impartiti, e nei scorsi
giorni li hai messi in pratica sul campo.» Tese un braccio verso
l'interessata «Consegnami il tuo mantello.»
Runne
se lo sfilò e lo porse al maestro. Arlenan lo tenne dinanzi a sé e
pronunciò la formula della cenere. Il mantello nero si sbriciolò,
perdendosi nell'aria cupa della caverna. Arghenteo passò ad Arlenan
un lungo panno ripiegato e il reptile lo distese: il nuovo mantello
rosso di Runne.
«Da
questo momento» decretò Arlenan posando il mantello sulle spalle
della ragazza «tu non sei più un'apprendista, ma un membro
effettivo degli Scindri.»
La
compagnia batté il pugno sul petto e Runne li mimò con orgoglio.
Arlenan fece cenno agli altri per comunicare che la cerimonia era
finita. Quindi esclamò:«E ora festeggiamo con del buon sidro di
Joor!»
Runne
sedeva sul ramo di uno zigado marittimo, non distante dall'albero
secolare che torreggiava sul nascondiglio degli Scindri. Le
particolari foglie di quella pianta, larghe e bucherellate, giocavano
con la brezza notturna, disegnando occhielli di luce smeraldina sul
corpo della ragazza. Runne accarezzava il suo nuovo mantello, così
leggero da far dubitare della sua esistenza. Avrebbe dovuto
rallegrarsi di quel traguardo; eppure un senso di inquietudine
sopprimeva il suo entusiasmo.
Arlenan
salì sullo zigado seguendo un ritmo volutamente rumoroso, in modo da
essere udito; Runne capì che le veniva offerta l'opportunità di
allontanare il maestro prima che la raggiungesse, qualora non fosse
gradito. Permise all'uomo di sedersi accanto a lei e di appoggiarsi
al tronco fessurato.
«È
un momento di festa, un evento troppo lieto perché tu mostri
quell'espressione cupa. Qual è il problema?»
«Ho
ucciso un uomo.»
«Hai
estinto una minaccia per il mondo. Luther avrebbe consegnato il Graäm
a Endrun. I suoi reptili avrebbero ucciso gli uomini, stuprato le
donne e schiavizzato i bambini. Per merito tuo siamo di nuovo al
sicuro.»
«Allora
perché lo smeraldo della torre non si spegne?»
«Altri
pericoli attendono in agguato. Gli Scindri sono gli unici in grado di
sventarli. Capisci ciò che intendo dire?»
Runne
annuì, accettando il peso delle proprie responsabilità. Arlenan le
cinse le spalle e la strinse a sé. «Rendi onore a tuo padre, ex
apprendista.»
I
due rimasero abbracciati in un muto conforto, mentre la notte
scivolava al termine per accogliere i raggi del mattino.
(S)parla
con l’autrice
Dia
dhaoibh,
lettori!
Capitolo
un tantino corto per i miei standard, ma fermarmi qui era necessario
per la trama.
Avete
domande sulla politica del Graäm? Ho paura di non essermi spiegata
bene... o di essermi soffermata anche troppo nelle descrizioni. Sarò
felice di fornire altre informazioni a chi ne vuole ^_^ a patto di
non cadere nello spoiler. L’assetto politico e geografico del Mondo
dell’Avvento è piuttosto complicato, ma ve lo esporrò a dosi
digeribili ;-)
E
la legenda all’inizio di ogni capitolo potrebbe esservi utile
quando vi dimenticate di un nome (lo faccio persino io!).
Qualsiasi
recensione, anche negativa, è ben accetta: sono qui soprattutto per
migliorarmi e divertirmi.
Fate
un salto anche sulla mia pagina facebook: Parole
Cozzate – CreAttiva
Al
prossimo capitolo! Slán
libh!
CreAttiva
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