Testa bacata

di fredsasche
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I° atto; Insomnia ***
Capitolo 2: *** II° atto; Onde e presentimenti ***
Capitolo 3: *** III° atto; Il Brome Theatre ***



Capitolo 1
*** I° atto; Insomnia ***






 

 

 

"Con l'insonnia nulla è reale.
Tutto è lontano.
Tutto è una copia di una copia di una copia..."
[ cit. Fight Club ]


Insomnia



Non c'era nulla di sensato in quello che mi capitava. Il fatto che ogni notte, puntualmente, dovessi svegliarmi stava iniziando a rendere il mio corpo ogni giorno più debole. Accusavo ogni ora di sonno mancata, ogni attimo di vita rubato da quegli incubi che mi trascinavano in un soffocante uragano di agonia. Sotto i miei occhi c'erano due pesanti occhiaie. A lavoro le domande si ripetevano nella loro superficialità. Chiedevano se qualcuno mi avesse preso a pugni. Che idioti. Se avessi potuto, se avessi avuto un briciolo di libertà nell'agire senza farmi licenziare, li avrei distrutti io per fargli capire cosa significasse essere davvero picchiati. Io lo sapevo.

Ero nel mio letto matrimoniale, troppo largo per farmi sentire troppo in solitudine. I miei occhi verdi fissi sopra il soffitto ed il respiro veloce, con il sudore che viscido mi scivolava dalle tempie andando a macchiare il cuscino. Succedeva in continuazione. Sempre il solito stramaledettissimo incubo: io davanti a quell'enorme portone con sopra quella dannata insegna, "Brome Theatre", ed i grattacieli di Los Angeles spenti in uno scenario post-apocalittico, con quegli occhi di ghiaccio che mi fissavano per l'ultima volta prima di tagliarmi definitivamente la gola. Il sangue cadeva a fiotti, una cascata rossastra dal sapore e dall'odore ferroso che mi tappava le narici, mischiato all'acre puzza di zolfo.
Scossi il cranio sul cuscino per levarmi quell'immagine tremenda dalla testa e mi alzai per andare a prendermi il mio latte fresco delle due del mattino. Guardai l'orologio distrattamente ed intercettai più in là la mia immagine riflessa nello specchio. Sto invecchiando e si vede. Ero un uomo e non più un ragazzo. La barbetta incolta che sempre mi rasavo era uno scarso motivo per definirmi ancora un ventenne, i tatuaggi che mi tappezzavano interamente le braccia facevano ridere quando mi abbigliavo da persona normale, da persona monotona, sottomessa alle regole rigide di una società costrittiva. Le mie occhiaie sempre più marcate e la magrezza, nei due metri della mia altezza, mi facevano sembrare anoressico, un cadavere, uno scheletro che camminava e si trascinava dietro l'aria di chi ne aveva viste abbastanza, eppure non se le ricordava. Tornai a guardare la mia schiena come facevo da due anni a questa parte, come sempre non trovai nessun accenno agli unici ricordi che possedevo e stringevo con gelosia addosso a me. Nessuna cicatrice, nessun marchio che mi ricordasse Berlino e mio nonno Herne. Ero immacolato e perfetto come il culo di un neonato. Preso il latte lo bevvi in un sorso, alla ricerca di quelle energie che mi avevano abbandonato da tempo immemore ormai, consapevole però che non sarebbe servito a nulla.
Per curiosità accesi il computer e cercai di seguire le tracce che mi suggerivano i sogni, alla ricerca di me stesso. Trovai degli articoli che parlavano del Brome Theatre. Lo descrivono tutti come un teatro glorioso e pieno di luci, che nella sua arte gotica si contrapponeva nella lucentezza di vetrate fatte di mosaico brillante e colorato. Non parlavano nient'altro che di cose superflue... Chi lo gestisse, chi ci lavorasse, dove spedire i curriculum, era tutto incredibilmente velato da un alone di mistero che mi convinse dopo un anno di meditazione ad andare a verificare io stesso di cosa si trattasse.


Mi svegliai alle dieci di mattina, colmo di speranze. Forse era davvero l'ora di riprendere in mano la mia vita e rivendicare quei cinque anni certamente smarriti. Al solito bar a Norimberga, con i soliti stupidi colleghi. Mi guardavano come se fossi un mostro. Ero un emarginato, ero quello strano, quello comparso dal nulla che si è aggiudicato la scrivania migliore grazie a non si sà bene cosa. Io lo sapevo. Il capo era un amico di famiglia, era la persona che tutelava me e mio nonno dopo la scomparsa di Marlene, mia nonna. Si era preso cura di noi fin da subito, al mio trasferimento in America s'era offeso come non mai, ma al mio inspiegabile ritorno si era sciolto come burro in un caldo giorno d'estate. Lo smog mi entrava nei polmoni mentre camminavo in direzione del suo ufficio... Abraham mi aspettava sull'uscio, aveva ricevuto il mio messaggio scritto durante la notte.

< Voglio sapere cosa fai sveglio la notte se sai benissimo che in ufficio devi arrivare per le otto, sveglio e pronto per le pratiche che ti ho assegnato >
Il suo tono di voce era talmente duro che sentii chiaramente le sue parole trapassarmi come lame affilate. Nell'ultimo periodo i miei flashbacks erano aumentati a dismisura, lui s'era accorto che c'era qualcosa in me che non andava, che mi ero inceppato. Esitai prima di rispondere e mi sedetti senza alcun rispetto sulla sua poltrona comoda, afferrando il suo croissant alla crema. Lo mangiai senza pensarci due secondi per due bocconi di caldo zucchero e forze, mentre le mie pupille incrociarono le sue iraconde. Avevo un po' di briciole sulle labbra, lui non me lo disse.
< Perchè ne avevo voglia. Comunque domani parto per Los Angeles, affida i miei compiti a qualcunaltro, sono tutti pronti a servirti > ridacchiai con sarcasmo, lo faceva impazzire il mio atteggiamento ma io approfittavo dell'affetto insito che provava nei miei confronti.
< Non se ne parla, Lance, fottuto stronzo! Non puoi lasciarmi adesso, io mi fido di te >
< Ed io di te, quindi mi aspetto che tu capisca, non sei così scemo da non aver notato che mi serve una vacanza, lontano da qui. Sono più pericoloso qui in ufficio che là fuori in questo momento >
Le mie parole erano fredde ed affilate, adesso ero io ad impugnare il coltello, ed anche se un po' mi sentivo in colpa nei suoi confronti non ebbi alcuna esitazione.
< Va bene, ma ti voglio qui entro due mesi. Mi servi >
Calcò l'ultimo imperativo con un tono di voce che non mi andò giù, e dopo averlo guardato a lungo profondamente contrariato, ruotai il corpo fuori dal suo ufficio e sparii diretto a casa, pronto per fare le valigie.


Mentre piegavo con scarsa attenzione i vestiti, ebbi la netta sensazione che seguire quelle orme in direzione di un passato dimenticato mi avrebbe condotto irrimediabilmente al patibolo. Non mi interessò e comprai i biglietti dell'aereo. Addio Germania.

 

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Capitolo 2
*** II° atto; Onde e presentimenti ***








Onde e presentimenti


L'appartamento non era affatto grande e puzzava di piscio di gatti. Immaginai all'istante che prima di me ci fosse una gattara single da una vita, con i capelli bianchi, le rughe ed i vestiti sporchi. Magari nel corso della mia permanenza sarei riuscito a trovare qualche blatta pronta ad uccidermi, in ricordo di quel soggiorno sgradevole. Ero certo alla prima occhiata che quella casa avesse bisogno di un tocco di stile, di qualcosa di innovativo, con i mobili in legno e la cucina di plastica, con la cappa che scende dal soffitto... Come quelle nuove che adesso vanno tanto di moda. Appoggiai le valigie sul pavimento impolverato e mi feci spazio in quel posto tremendo. Il motivo per cui avevo deciso di prendere in affitto quella topaia era molto semplice: la vicinanza al mare mi dava sollievo. Avevo bisogno di respirare aria pulita, ed era l'unico posto che aveva un prezzo abbordabile. Mi affacciai sopra il balcone in direzione del mare e ne osservai le onde incresparsi ad ogni folata di vento. Tuttavia, su quelle spiaggie non c'era molta vita, anzi. Erano spiagge libere e un po' mal ridotte, nonostante ciò non mi importava. Mi bastava essere vicino a qualcosa che mi dasse un senso di libertà assoluta, e cosa se non il mare poteva regalarmi certe emozioni?

Andai a riprendere le valigie all'ingresso e le trascinai in quella che doveva essere la camera da letto. Le buttai su un letto abbandonato a sè stesso da chissà quanti anni che albergava nella stanza e le aprii. Dentro potevo distinguere gli affetti personali più importanti: schiuma da barba, la foto dei miei nonni materni e le sigarette, e poi a lato strusciai la mano al di sopra del contenitore della mia chitarra. Non avevo mai perso la passione per la musica nonostante il lavoro misero che a Norimberga mi ero trovato. Non amavo quel posto, sinceramente, non apprezzavo essere uno stupido scribacchino che continuava a sfogliare compiti, pratiche degli affari degli altri. Inseguire le mie orme si era anche trasformata in una scusa piacevole per staccare la spina.
Afferrai le sigarette e scesi dalle scale, chiudendo la porta di quella che doveva essere casa mia.

Il mare profumava di salsedine. Ogni ondata era piacevolmente un sospiro di sollievo. Notai ai lati un gruppo di ragazzi giovanissimi che litigavano tra loro, forse scherzosamente. Personalmente non mi interessava. Indisturbato andai a sedermi al di sopra degli scogli e mi accesi una sigaretta, una Chesterfield. Era da una vita che le fumavo, ma non so di preciso perchè d'un tratto ho cambiato colore... Prima fumavo le blu, ora le rosse. Uno dei tanti dettagli inspiegabili comparsi nella mia vita dopo il vuoto di memoria durato cinque anni. I miei polmoni si gonfiavano di catrame, potevo sentire le mie pareti interne incrinarsi sotto il peso del fumo. Amavo uccidermi, amavo annullarmi, avevo voglia di diventare trasparente. Mio nonno non era uno che la pensava come me, invece. Herne era duro e forte come un cinghiale, nazista fino al midollo. Lo odiavo quel vecchio, se avessi potuto ucciderlo penso l'avrei fatto. Mi aveva lasciato un sacco di ricordi spiacevoli, un sacco di terribili incostanze che mi avevano fatto ereditare un tratto caratteriale molto vicino a quello dei soldati. D'altronde è così che mi aveva cresciuto dopo la morte di mia madre. Un po' ce l'aveva con me, pensava fossi io la causa solo perchè ciò che l'aveva uccisa era il parto... Era più incazzato con me che con mio padre, americano e quindi nemico della Germania, a detta sua, sparito per non prendermi in cura lui stesso. Bastardo, bastardi tutti.

Di colpo accanto a me si sedette una ragazzina di quindici anni dai capelli color rame e occhi scuri. I miei occhi si rivolsero a lei annoiati ed anche un po' stupiti, come se la sua presenza frizzante mi avesse risvegliato da un incubo. Lei mi guardò e sorrise angelica, senza curarsi davvero della mia presenza e della vicinanza improvvisa che aveva con il mio corpo. Insomma, cazzo, non sapevo che ci fossero ragazzine così intraprendenti, quelle che conobbi io ai miei tempi non si permettevano di avvicinarsi ad un uomo nemmeno per ricatto. Mi rivolse il suo sguardo malizioso.
< Mi dai una sigaretta? >, il suo tono di voce era pretenzioso ed arrogante, come quello di qualsiasi adolescente.
< Scordatelo, avrai sì e no tredici anni. >, approssimai l'età apposta verso il difetto, sapevo che l'avrebbe irritata.
< Non rompere, non sei mica mia madre! > < No, ma se me la fai conoscere potrei farti vedere quanto potrei essere un bravo paparino. > ammetto che con questa frase mi resi ancora più pervertito di quanto potessi sembrare, ma la sua risposta mi stupì < Se vuoi fare il bravo paparino, io posso insegnartelo. >, alla sua affermazione digrignai i denti infastidito e mi alzai dagli scogli, avviandomi altrove solo dopo averle lanciato un'occhiataccia e "casualmente" dimenticato il pacchetto di sigarette vicino a lei. Sgradevoli incontri oggigiorno. Decisi di tornare a casa, casa mia. Era strano affibiare un possessivo a quel nome e tra me, risi.

Camminavo lungo il marciapiede e mi limitavo a guardarmi in giro. La gente di quel luogo era modesta, non se la tirava e nella via si potevano incontrare un sacco di belle ragazze, anche se la fica non era di certo il mio pallino fisso in quel periodo. Passai di fronte ad un negozio e mi soffermai a guardare la vetrina. Era un negozio di elettronica e c'erano dei televisori accesi che trasmettevano tutti la stessa notizia: "Altro cadavere ritrovato nei pressi del Fiume del Parco Naturale nell'est di Los Angeles. Come sempre la vittima riporta gli stessi danni delle sette precedenti: corpo dilaniato, cuore scoparso. Era soltanto una ragazza. Erika aveva diciannove anni e...", e io proseguì, disinteressato. Mi domandavo tra me perchè i telegiornali dovessero sempre far notizia sulla vita privata delle vittime di omicidi o incidenti, rendendo tutti partecipi del dolore dei genitori ed amici. Ma io la conoscevo? Chi diavolo è Erika? Ci saranno milioni di Erika al mondo e non tutte vengono elencate nei telegiornali narrando della loro morte, forse più atroce della - Erika diciannovenne -. Proseguì.

Per un attimo ebbi la netta sensazione di essere seguito, ma fu soltanto una percezione distante dalla realtà. Vidi la chioma bionda di una donna ma non il volto, era forse un'allucinazione delle solite, fatto sta che per qualche breve attimo sentii un'aria opprimente attorno a me, così dal nulla, tanto che dovetti trattenere un conato del vomito salito così d'improvviso. Non mi interessò, mi capitava di continuo. Tornai a casa.

Il giorno dopo sarei andato al Brome Theatre, ero deciso.

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Capitolo 3
*** III° atto; Il Brome Theatre ***








 

Il Brome Theatre


Era una giornata calda ed afosa. Il caldo mi attanagliava le ossa in una morsa dura, violenta, ed io mi sentivo soffocare. Potevo percepire ogni singolo rivolo di sudore che scivolava lungo la mia ossatura, sulla nuca, sulla schiena, tra le scapole. Los Angeles in estate la si immagina piena di gente che passeggia, turismo e gelati. Non era così in quel lato della città. Si poteva chiaramente percepire la solitudine che faceva rinchiudere la gente in casa di fronte ad un ventilatore, si potevano carpire i dettagli di quei grattacieli che emanavano calore e noia. Non c'era assolutamente nulla da fare, ma a me non importava, nella mia visione delle cose l'importante era non essermi svegliato presto per andare a lavoro a Norimberga.

Il taxi mi aveva lasciato sul marciapiede ad una cinquantina di metri di distanza dal Brome Theatre, ed ogni passo che muovevo lentamente era il prologo di qualcosa di feroce. Sapevo che stavo andando incontro a qualcosa di terribile, eppure non ne capivo il motivo. Forse avrei trovato tutte le risposte alle domande che mi ponevo da due anni a questa parte. Chi sono? Cosa ho fatto in quei cinque anni di totale vuoto? Chi ero? Perchè non ricordo assolutamente nulla? Tutte queste domande finalmente sarebbero riuscite a trovare la loro famigerata risposta. Ormai il momento decisivo era arrivato, ci sarebbe stata una piccola svolta nella mia vita, forse grande. Dipende da quel che avrei trovato.
Il Brome Theatre era un teatro a prima vista estremamente elegante, ma decadente come un'anziana signora che ha perso la sua bellezza da giovincella. A destra ed a sinistra erano poste due biglietterie e l'edificio si innalzava come una grande cattedrale, con mosaici un po' cupi e rovinati dal tempo, tra vetri rotti e bottiglie di birra buttate di fronte all'ingresso semiaperto. Era completamente abbandonato a sè stesso, come una bestia perfetta legata ad un palo lungo il ciglio della strada, chiusa con catenacci spessi. C'era odore di polvere, ma dietro quelle porte potevo ancora sentire il sordo rumore della gente acclamare gli attori, i musicisti, gli scenografi ed il Direttore. Potevo sentire ancora l'aria festosa che si imponeva dietro quelle spoglie tetre, potevo sfiorare la vita che poco prima lo permeava fin dentro le fondamenta.
Decisi di entrare. Mi avvicinai ad una delle due biglietterie, al vetro. Mi impegnai a proteggere il gomito con un pezzo di stoffa della canotta e con un colpo secco lo crepai, con un ultimo calcio riuscii ad abbattere quell'ultimo brandello di integrità del teatro ed entrai da quell'ingresso improvvisato. La sala d'ingresso era ampissima, c'era un bar al lato sinistro, vuoto da bottiglie, da cibo e dalla cassa. Non c'era nulla di intatto in quel posto. Le grandi tende bordeaux che annunciavano l'ingresso alla platea erano un agglomerato di ragnatele e di strappi. C'era un forte odore di esplosione, come se quel posto fosse stato quasi del tutto raso al suolo a causa di un'enorme bomba di energia. Ovunque erano sparsi pezzi di carta e di stoffa, mentre un nastro della polizia circondava tutte le porte. Me ne fregai, ovviamente. Velocemente, ed anche con un po' di timore, devo ammettere, strappai il nastro che conduceva al palcoscenico.
 La platea era priva di poltroncine, o quelle che c'erano erano paradossalmente state scagliate contro i muri. Al centro di tutta quella scena miserabile, lungo il corridoio centrale alle due navate, era presente  un grosso cerchio nero che puzzava di marcio. Mi avvicinai ulteriormente. Potevo distinguere le impronte dei piedi di quattro persone. Mi misi nel centro e mi abbassai per accarezzare una strana sostanza gialla, polverosa. La annusai... Zolfo. Era zolfo. Aveva l'odore di quello che sentivo nelle narici durante il solito incubo ricorrente. Annusai ancora, incredulo, e un forte mal di testa mi colse, svelando altre immagini sempre più nitide: le mani di una donna sopra la mia testa, occhi di ghiaccio e coltello con sopra strane scritte in una lingua sconosciuta, il taglio netto della gola ed il sangue che sgorgava di fronte ad una donna ed un uomo, spettatori inermi dell'oscenità che era la mia morte. Quando mi ripresi, ebbi un giramento forte di testa, tanto che dovetti piegarmi verso la pavimentazione per non cadere rovinosamente a terra con tutto il corpo. Ci misi un po' a mettere a nitido quelle immagini nella mia testa. Una donna. Una donna mi aveva ucciso, e quei due chi erano? Perchè non hanno fatto niente? Ero morto? Come facevo ad essere morto se adesso sono ancora qui? Erano cose fuori di testa, dovevo mettere chiarezza in quel che nella mia testa stava succedendo. Era tutto davvero troppo anormale, non aveva senso.
Cercai di rialzarmi, pulendomi i vestiti dallo zolfo e provando a riprendermi. Guardandomi in giro, notai una porticina posta lateralmente al palcoscenico. Mi avviai lento ed a passi pesanti, un po' affaticato. La spinsi e mi inoltrai in un lunghissimo corridoio, con tante porte su cui  c'erano ben inchiodate delle targhette dorate: "Ripostiglio", "Camerini femminili", "Camerini maschili", "Uffici", e in fondo trovai "Ufficio del Direttore". Entrai. Era davvero bello, elegante ed impeccabile, impolverato e svuotato da qualsiasi documentazione che potesse darmi una risposta certa. Le domande anzichè diminuire aumentarono nella mia testa. Perchè diamine i miei sogni portavano sempre a questo teatro? Sì, forse avevano provato ad ammazzarmi nella platea, forse è stato così ma... Perchè sono ancora vivo, allora? Scossi il capo tra me, rassegnato, e decisi di uscire, ripercorrendo quello scenario inquietante e decadente.

Appena uscito mi guardai in giro e sembrava che nessuno si fosse accorto di quell'irruzione. D'altronde non girava molta gente. Notai poco più in là una donna, appoggiata su un muro lateralmente a teatro, a sette metri da me. Faceva la grande donna si direbbe, con le scapole ben aderenti al proprio sostegno, la gamba destra piegata in alto con il piede che aderiva dietro di sè. La sua mano destra stringeva una sigaretta, una Chesterfield rossa. Potevo sentirne l'odore, potevo percepire ogni singola sfaccettatura della droga che stava fumando. Indossava una vestina bianca ricamata, ma semplice che si reggeva sulle spalle con due sottili spalline. Ai piedi aveva un paio di semplicissime nike, nulla di speciale o particolarmente alla moda. Sembrava un fantasma. Nella sua ossatura potevo scorgere gli stralci di una strana anoressia, era talmente magra che non aveva nemmeno i seni, con lo sterno che si imponeva in quell'assente scollatura. Il profilo del viso era riconducibile ad un tratto slavo, non era americana. Occhi grandi e neri, capelli lunghi e biondi, disordinati. Era perfetta appoggiata contro il Brome Theatre, ispirava un'aria di carestia e pestilenza opprimente. S'era accorta che la fissavo, e per un breve attimo riuscii a notare un mezzo sorriso compiaciuto che le si delineava lungo le gote scarne e cadaveriche.
< Lance, sapevo che ti avrei trovato qui >
Restai pietrificato. La sua voce graffiante, la sua bellezza da cadavere in putrefazione. Mi girai indietro per scorgere qualcosa o qualcuno, sperando che non si riferisse davvero a me.
< Non aver paura, posso capire il tuo disorientamento >
Continuò, buttando la sigaretta in un tombino. Si girò e mi guardò severa, alta e magra. Fece qualche passo in mia direzione, ebbi il coraggio sfacciato di risponderle:
< Chi sei e che cazzo vuoi. Come fai a conoscere il mio nome?! >
Lei non si scomponeva di fronte alla mia volgarità, macinava le distanze con spavalderia, trascinandosi addosso un'aria sempre più soffocante. Ad ogni metro scansato dietro di sè, cadevo in una malinconia insolita, come se riuscisse a trascinarmi nella tragedia che scavava i suoi tratti, nella sua totale disperazione. Mi venne un conato di vomito, lo trattenni.
< Sono Irina, e sono colei che ti darà tutte le risposte che desideri. >
< Non ho bisogno di te >, come no.
< E invece sì, mi ha chiamata ogni giorno della tua misera vita, Lance. Io ti manco come l'aria, posso aiutarti, posso farti ricordare >
Come sapeva di tutte queste cose? Come conosceva i miei piccoli e innominabili segreti? Eppure mi fidai, inconsciamente. Lo feci perchè era Irina e sapeva tutto di me. Lei... Lei poteva davvero aiutarmi, lei poteva farcela.
< Io sono confuso >, riuscii a dire solo questo, mentre percepivo quell'aria che sempre diventava più atroce per i sensi. Volevo che Irina si allontanasse da me, volevo respirare, mi stava soffocando.
< Lo so. Di fronte a casa tua c'è un bar, Lance. Ti aspetterò lì questa settimana. Quando vorrai venire, io ci sarò. Avrai a disposizione qualche domanda. Io ti risponderò e ti aiuterò. Ma promettimi che non ne farai parola con nessuno, dentro di te sai perfettamente che potrei venirlo a sapere, e non vuoi che accada, giusto? >
< Giusto > ero ammaliato da quella Dea scheletrica. Era brava a soggiogarmi, mi aveva spiazzato nella sua paradossale irruenza slava.
Sparì com'era comparsa, dietro ad un vicolo.

La notte dormii come un bambino.





 

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Ecco qua una nota da parte dell'autrice, visto che me l'hanno caldamente consigliata u_u
spero che la storia vi stia incuriosendo e vi invogli a continuare a seguirla. Sopra ho messo fin
dal primo capitolo un banner con i volti dei personaggi che verranno e che già hanno fatto la loro
entrata in scena, così che possiate immedesimarvi in uno di questi. Grazie mille delle
piacevoli recensioni, mi aiutano molto a migliorarmi e spero di non deludervi.

Un bacio, Fred <3

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