Fulmini dall'Olimpo

di Aledileo
(/viewuser.php?uid=34334)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Gli ultimi difensori ***
Capitolo 3: *** Guerra senza fine ***
Capitolo 4: *** Enigmi Irrisolti ***
Capitolo 5: *** Tessendo la tela ***
Capitolo 6: *** Ritorno al Passato ***
Capitolo 7: *** Fedi diverse ***
Capitolo 8: *** Il Messaggero degli Dei ***
Capitolo 9: *** Negoziato fallito ***
Capitolo 10: *** Complotti sull'Olimpo ***
Capitolo 11: *** Primo assalto al Santuario ***
Capitolo 12: *** Il Regno del Nord ***
Capitolo 13: *** Nella nebbia ***
Capitolo 14: *** Sangue sul deserto di ghiaccio ***
Capitolo 15: *** Secondo assalto al Santuario ***
Capitolo 16: *** Graditi ritorni ***
Capitolo 17: *** La forza dentro ***
Capitolo 18: *** La scalata dell'Olimpo ***
Capitolo 19: *** La lunga via per la Reggia ***
Capitolo 20: *** Preparativi per la battaglia ***
Capitolo 21: *** Battaglia nel Mediterraneo ***
Capitolo 22: *** Cacciatori e serpenti ***
Capitolo 23: *** La Valchiria e le tigri ***
Capitolo 24: *** Il pugile e il domatore ***
Capitolo 25: *** Allievo e maestro ***
Capitolo 26: *** Rugge, il Drago della speranza! ***
Capitolo 27: *** L'Olimpo in fermento ***
Capitolo 28: *** Tre contro tre ***
Capitolo 29: *** Scontro incrociato ***
Capitolo 30: *** Sacrifici ***
Capitolo 31: *** Amori e rimpianti ***
Capitolo 32: *** La furia del Leone ***
Capitolo 33: *** Folle lotta ***
Capitolo 34: *** Uno scontro non voluto ***
Capitolo 35: *** L'alleanza oscura ***
Capitolo 36: *** Giochi di mente ***
Capitolo 37: *** Tremenda verità ***
Capitolo 38: *** Ardi, fuoco della speranza! ***
Capitolo 39: *** Riuniti ***
Capitolo 40: *** La luce del Nord ***
Capitolo 41: *** Incomplete ***
Capitolo 42: *** Epilogo ***
Capitolo 43: *** Schede tecniche 1 ***
Capitolo 44: *** Schede tecniche 2 ***
Capitolo 45: *** Ringraziamenti e curiosità ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Liberamente ispirato a “I CAVALIERI DELLO ZODIACO”, di M

Liberamente ispirato a “I CAVALIERI DELLO ZODIACO”, di M. KURUMADA

ALEDILEO presenta

 

I CAVALIERI DELLO ZODIACO

 

FULMINI DALL’OLIMPO

 

TRILOGIA DI FLEGIAS – Parte 1 di 3

 

Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Masami Kurumada; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro

 

 

PROLOGO

 

Era una brezza fredda e portatrice di tempesta quella che spirava sul promontorio ghiacciato dove la Celebrante di Odino rendeva omaggio al proprio Dio.

Avvolta nel suo lungo mantello, Ilda di Polaris giaceva in ginocchio, pregando Odino, Signore degli Asi, al fine di trovare una risposta che potesse confortare la sua mente e il suo cuore, in preda ad un interminabile affanno. Un affanno che aveva avuto inizio quando il giovane dai capelli biondi e gli occhi di ghiaccio, che giaceva ai piedi della scalinata che conduceva alla cima del picco, era giunto ad Asgard.

Le mani di Ilda sfiorarono la gelida90 superficie del terreno, su cui l’inverno aveva depositato il suo manto innevato, ed afferrarono confusamente pezzi di ghiaccio. Stringendoli forte, e chiedendosi cosa stesse accadendo.

 

In quello stesso momento, grida silenziose di numerosi Guerrieri del Nord riecheggiavano nello spazio antistante al grande Cancello Meridionale, l’ingresso principale che conduceva alla fortezza di Asgard. Caddero tutti quanti, in silenzio, impossibilitati ad emettere un suono per la rapida violenza che li uccise. Un luccichio di lame lampeggiò nella tarda sera di Asgard, spegnendo in fretta le vite dei soldati. Un secondo luccichio e il Cancello crollò.

Erano dentro.

 

Ilda tremò, avvolgendosi nel suo mantello, e rialzandosi, insoddisfatta e preoccupata. Si voltò, dando le spalle alla grande montagna di ghiaccio eterno che si alzava dietro al castello, delusa per non aver ricevuto risposta o consolazione ai suoi quesiti.

Flare, sua sorella, in piedi alla fine della scalinata, si mosse, portandosi le mani alle labbra, riconoscendo l’espressione delusa di Ilda, ma il giovane al suo fianco le afferrò un braccio, impedendole di andare da lei.

-         Mia signora! – Esclamò una voce molto maschile, di fronte alla coppia.

Ilda lo fissò, anch’egli in piedi alla fine della scalinata, annuendo silenziosamente con il capo. Alcor indossò l’elmo bianco della sua armatura, scuotendo poi il mantello dai fiocchi di neve che vi si erano posati, proprio mentre un rumore di passi disturbò la quiete del luogo. Un uomo, ricoperto da una nera armatura, corse fino al piazzale sul retro del Castello di Asgard, dove sapeva avrebbe trovato la Celebrante.

-         Arrivano! – Esclamò Mizar, cercando lo sguardo del fratello.

Ilda impugnò saldamente lo scettro di Polaris e discese gli scalini di ghiaccio, andando incontro al suo destino. Per Asgard, il Ragnarok era iniziato.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Gli ultimi difensori ***


CAPITOLO PRIMO. GLI ULTIMI DIFENSORI.

 

La notte era passata da un paio d’ore e il sole illuminava con i suoi lucenti raggi le Dodici Case dello Zodiaco, il cuore del Grande Tempio di Atene. Costruite all’alba dei tempi, dalla Divina Volontà di Atena, le Dodici Case erano l’ultimo baluardo terreno posto a difesa della giustizia e della libertà, e della vergine Dea che tali ideali incarna. Residenza dei dodici Cavalieri di casta più elevata, i Cavalieri d’Oro, queste erano ormai disabitate da parecchi mesi.

 

Durante la Guerra Sacra contro Ade, conclusasi mesi prima, avevano infatti perso la vita gli ultimi sei custodi dorati sopravvissuti al complotto di Gemini e alla corsa attraverso le Dodici Case. Soltanto due erano temporaneamente abitate: la prima, quella dell’Ariete, custodita da Kiki, giovanissimo fratello del Grande Mur, in cui il ragazzo si era sistemato al termine della Guerra Sacra, e la seconda, dove risiedevano temporaneamente alcuni Cavalieri di Bronzo e d’Argento, col compito di presidiare il Grande Tempio e difenderlo da eventuali nemici.

 

Poco distante dalla Prima Casa, separata da un piccolo avvallamento, sorgeva la residenza delle sacerdotesse guerriere. Una scuola a cui avevano dato congiuntamente vita Castalia e Tisifone, al fine di insegnare a tutte le ragazze interessate le tecniche basilari per diventare Sacerdotesse, o Cavalieri, come Tisifone amava ripetere, detestando tale effimera discriminazione.

 

“Cosa c’è che non va? Cosa attanaglia il tuo cuore?” –Esclamò la giovane, entrando nella stanza in cui alloggiava insieme a Castalia. Si tolse la maschera e si avvicinò a un lavello, per rinfrescare il viso, stanca per l’allenamento che l’aveva impegnata nelle ultime ore.

 

“Uh?!” –Rispose laconicamente la compagna, seduta su una sedia, con lo sguardo perso oltre la finestra. –“Niente, Tisifone! Non preoccuparti! Stavo solamente pensando…

 

“Non avrai intenzione di lasciare il lavoro pesante a me, quest’oggi!” – La brontolò bonariamente Tisifone, per scuoterla da quello stato di torpore in cui la donna sembrava essere precipitata negli ultimi giorni. –“Anche tu sei la loro istruttrice, e dovrai occupartene!”

 

“Certamente!” –Esclamò Castalia, alzandosi e sistemando le proprie vesti. –“Vado subito dalle nostre allieve!” –E uscì correndo dalla stanza.

 

Non le passerà mai! Commentò Tisifone. E ripensò al dolore che la compagna aveva provato nell’apprendere la morte di Ioria alla fine della Guerra Sacra. Castalia aveva pianto per giorni, per l’unico vero amico che aveva avuto per anni al Grande Tempio, per l’unico uomo per il quale aveva sempre provato qualcosa di più, senza mai trovare la forza per confessarglielo. E adesso, aveva perso l’occasione. Per sempre.

 

Tisifone conosceva quella sensazione, quel senso di impotenza e di disperata rassegnazione che dominava l’animo dell’amica. L’aveva provato anche lei, quando Lady Isabel, reincarnazione della Dea Atena, aveva ordinato che a Pegasus e ai suoi quattro amici, unici sopravvissuti in quella cruenta guerra, fosse fatta bere la Pozione della Dimenticanza, un’acqua speciale che, se opportunamente gestita da un potere spirituale forte, poteva far dimenticare episodi di vita vissuta, se non addirittura una vita intera. E tanto grande era il potere di una Divinità, che Atena aveva cancellato, con il cuore in mano, dalla mente dei cinque amici il ricordo del loro essere Cavalieri.

 

Non posso più vederli soffrire! Aveva pensato Atena, osservandoli bere, inconsapevolmente, la Pozione della Dimenticanza. Non posso più vederli rischiare la vita, per me, a causa mia! No, basta! È finito il tempo in cui Isabel viene rapita e imprigionata e i suoi cinque eroi rischiano la vita per lei! Da adesso esiste soltanto Atena! E aveva messo loro al collo una pietra, diversa per ciascuno dei cinque amici, ma con la stessa lucentezza. E ogni singola pietra, precedentemente immersa nella Pozione e intrisa del cosmo di Atena, contribuiva ogni giorno a mantenere nella loro mente quell’equilibrio che Isabel sperava avrebbero tenuto per sempre. Tra i ricordi che furono cancellati, oltre al sangue, al dolore, alle immagini di mille battaglie, anche i volti di tante persone, e quello di Tisifone fu necessariamente tra quelli.

 

È stato giusto così! Si disse il Cavaliere d’Argento, guardandosi allo specchio sopra il lavabo. Pegasus… tu possa avere la felicità che meriti! Anche per me! E si rimise la maschera, uscendo in fretta dalla stanza e raggiungendo Castalia e le loro allieve.

 

***

 

Non era ancora il tramonto quando il Grande Tempio fu scosso da un tremendo attacco, che prese di sorpresa le guardie del Cancello Principale. In una manciata di minuti, il cancello e parte delle mura perimetrali furono distrutti, spazzati via come polvere al vento, come il plotone di soldati semplici che tentò di impedirlo.

 

Fe… Fermatevi!” –Gridò l’ultimo superstite, brandendo una lancia. Un secondo dopo più non parlo, stritolato da folgori celesti. L’ultima cosa che vide, prima di spirare, fu tre guerrieri dalle lucenti corazze entrare nel Grande Tempio, seguiti da una figura avvolta in un nero mantello.

 

Il corno d’allarme risuonò per l’intero Grande Tempio, mettendo in allerta i Cavalieri rimasti a sua difesa. Kiki uscì dalla Prima Casa, volgendo lo sguardo al piazzale antistante dove Asher, Geki, Leone Minore, Aspides e Black stavano tentando di fermare l’avanzata degli invasori.

 

Il ragazzo si mise le mani alla bocca nel vedere lo sconfortante esito del combattimento. Con un lampo del dito, un lampo soltanto, uno dei nemici sollevò Asher e i quattro compagni scagliandoli lontano, contro le colonne del palazzo, senza che potessero muovere un muscolo per reagire.

 

“E questi sarebbero i valenti condottieri del Santuario della Dea Guerriera?!” –Esclamò l’uomo che li aveva spinti lontano. –“Uomini da poco, vi compiango!”

 

“Non perderti in chiacchiere, Sterope, e occupati della missione!” –Esclamò una voce dietro di lui.

 

Avvolta da un nero mantello, una figura seguiva attenta la scena, dando disposizioni ai tre uomini che aveva accompagnato. Sotto il mantello pareva risplendere inquieta un’armatura scarlatta.

 

Kiki impaurito avrebbe voluto correre via, rifugiarsi dietro la schiena di Sirio e lasciare all’amico e ai suoi compagni la battaglia. Ma Sirio non c’era più. E neppure i suoi compagni. E non restava nessuno a difendere il Grande Tempio e Atena. Si fece forza e corse verso Asher, per aiutare il Cavaliere dell’Unicorno a rialzarsi. L’uomo che aveva guidato l’attacco lo vide e lanciò un fascio di energia per fermarlo, ma Kiki fu svelto ad evitarlo con il teletrasporto.

 

“Chi sei, bambino?” –Domandò l’uomo, indispettito.

 

“Sono Kiki dell’Appendix, fratello del Grande Mur. E difendo al suo posto la Prima Casa dello Zodiaco!” –Esclamò il ragazzo, sforzandosi di non indietreggiare per la paura.

 

“Ah ah ah!” –Due invasori esplosero in una grassa risata, ma l’uomo che guidava l’attacco li zittì, dimostrando invece di ammirare il coraggio che il bambino aveva dimostrato.

 

“Coraggio che, purtroppo, non ti salverà se oserai fermare la nostra avanzata!”

 

Kiki lo osservò e si rese conto di quanto fosse alto e robusto, con spalle possenti, un viso rude e mossi capelli brizzolati. Indossava una splendida armatura celeste, dai riflessi vivi e argentei, che contribuiva a conferirgli un aspetto epico, quasi fosse un eroe dei tempi antichi. Ma è un nemico! E devo fermarlo! Si disse, stringendo i pugni. L’uomo puntò l’indice destro contro Kiki, intenzionato a colpirlo, ma il suo attacco non arrivò a buon segno perché nuovamente Kiki lo evitò. Stavolta però il teletrasporto non fu sufficiente, perché quando riapparve fu afferrato bruscamente per il collo e sollevato dalla figura ammantata che accompagnava gli invasori.

 

“Non crederai di essere l’unico a sapersela cavare con giochi simili!” –Sussurrò, ma a Kiki, che si dibatteva per liberarsi, quel suono parve un sibilo. –“Bambino o no, morirai anche tu per aver osato fermarci!” –E lo lanciò in aria, concentrando una sfera di energia cosmica tra le mani e scagliandola verso l’alto. La sfera non raggiunse però il bersaglio perché improvvisamente un’ombra sbucò fuori da dietro le rocce. Rapida come una gazzella, la figura spiccò un acrobatico salto verso l’alto, afferrando Kiki e atterrando poi davanti all’entrata della Casa dell’Ariete.

 

Grazie…” – Fu l’unica cosa che poté pronunciare Kiki, mentre Tisifone lo depositava a terra.

 

“Chi sei, donna?”

 

Tisifone dell’Ofiuco, Cavaliere d’Argento! E chi siete voi, invasori del Grande Tempio?”

 

“Che importanza ha sapere chi siamo per un’insulsa donna in procinto di morire?!” –Rispose a tono la figura ammantata.

 

“Punirò la vostra arroganza!” –Esclamò Tisifone, balzando avanti. Accese il proprio cosmo, dai forti bagliori verdi e violetti, e scattò in alto, liberando gli Artigli del Cobra. Rapidi fendenti si diressero verso l’uomo dall’armatura celeste, che si limitò a spostarsi di lato per evitarli e a sollevare un braccio verso l’alto, con il palmo aperto. In un attimo Tisifone fu immobilizzata e scagliata indietro, avvolta da un turbine di energia cosmica.

 

“È follia credere che un Cavaliere d’Argento possa così tanto!” –Esclamò l’uomo. –“Sono Sterope del Fulmine, Cavaliere Celeste. E questi sono Pelope e Oreste, miei sottoposti!”

 

“Tanto piacere!” –Ironizzò Tisifone, rialzandosi.

 

“Non perdere tempo con lei, Sterope, è solo una donna! E come tale scarsa!” –Esclamò la figura ammantata. –“Corri al Tempio di Atena e prendi la sua testa!”

 

Sterope annuì, puntando l’indice verso Tisifone, pronto per colpirla nuovamente. Ma quella volta il suo potere fu incredibilmente respinto. Una barriera invisibile, sottile come l’aria, si era interposta tra lui e la sua avversaria.

 

“Muro di Cristallo!” –Ansimò Kiki, soddisfatto, spuntando da dietro Tisifone. Nonostante la sua prematura scomparsa, Mur aveva fatto in tempo ad insegnare due cose a Kiki, ed una era proprio la creazione del Muro di Cristallo, una formidabile tecnica di difesa.

 

“La difesa di un ragazzino, dai seppur nobili ma deboli ideali, non basterà per salvarvi!” –Esclamò Sterope, bruciando per la prima volta il suo cosmo. Solo in quel momento Kiki e Tisifone si resero conto di quanto fosse vasto un potere simile. Più vasto di quello dei Cavalieri d’Oro che avevano conosciuto. Un cosmo che, per quanto scaturisse da un uomo, emanava esalazioni divine.

 

“Attento, Sterope!” –Gridò improvvisamente la figura ammantata, osservando i cinque Cavalieri di Bronzo rialzarsi e lanciarsi nuovamente all’attacco.

 

Sapevano di non avere speranze, con un essere infinitamente loro superiore, ma non avrebbero ceduto. Soprattutto adesso che avevano capito le intenzioni degli invasori: prendere la testa di Atena. No, Asher e i suoi amici sarebbero morti pur di impedirlo.

 

***

 

Castalia dell’Aquila nel frattempo correva lungo la scalinata del Grande Tempio. Aveva appena oltrepassato la Settima Casa, correndo a perdifiato verso la Sesta, recentemente ricostruita dopo le devastazioni della Guerra Sacra. Aveva sentito il cosmo dei suoi compagni accendersi alla Prima Casa e, con le notizie che le aveva fornito Lady Isabel in persona poco prima, nelle Stanze del Grande Sacerdote, non poteva che essere preoccupata. Tremendamente preoccupata.

 

Uscita dal Tempio della Vergine, sentì battere il cuore all’impazzata. Non soltanto per la corsa, e per i tragici eventi che stavano avendo luogo, ma per la vista che gli si parò davanti. Di fronte a lei, alta e silenziosa, stava immobile la Quinta Casa di Leo. Casa dove Atena stessa le aveva chiesto, in precedenza, se avesse voluto dimorarvi, come segno del legame che la legava a Ioria, in attesa che un nuovo Cavaliere del Leone fosse stato investito. Ma Castalia aveva gentilmente respinto l’invito, inconsciamente rifiutando di accettare un nuovo Custode del Quinto Tempio.

 

Il rumore degli scontri alla Prima Casa la risvegliò dai suoi pensieri, costringendola a concentrarsi sulla sua missione. Fermare l’avanzata degli invasori, impedendo loro di arrivare da Atena. Prima di correre giù verso la Casa di Cancer, si voltò un attimo verso l’alto, e si chiese di cosa stessero parlando Lady Isabel e il suo inaspettato ospite.

 

***

 

Un colpo allo sterno spinse Geki dell’Orsa all’indietro, mentre una moltitudine di calci lo sollevò da terra scagliandolo lontano, facendolo schiantare sulla bianca scalinata tra i frammenti della sua corazza. Stessa sorte toccò a Ban e ad Aspides, lanciatisi entrambi contro Sterope, mentre Asher e Tisifone fronteggiavano gli altri due nemici. Black si era scagliato contro la figura ammantata, ma era bastato un solo gesto del suo dito per imprigionarlo in un globo di energia, che implose subito dopo, scagliandolo in alto. Quando ricadde a terra, non riuscì neppure a sfiorare il terreno che una sfera incandescente, lanciata dalla stessa figura, lo scaraventò contro le rocce, distruggendole.

 

Maledetti! Ringhiò Asher, fronteggiando il suo avversario. Ci stanno facendo fuori!

 

“Uno dopo l’altro o tutti insieme, poco importa, morirete tutti!” –Esclamò Sterope, lanciando lontano Ban e Aspides, avvolti da un turbine di energia cosmica.

 

Noooo!!!” –Gridò Geki rialzandosi e bruciando al massimo il proprio cosmo.

 

Ban e Black fecero lo stesso, scagliando i propri colpi migliori, ma tutti si infransero contro il palmo aperto della mano destra di Sterope, che li rinviò indietro, ulteriormente potenziati.

 

“Bene! Il cammino è infine libero!” –Esclamò, voltandosi verso la figura ammantata.

 

Questa non disse niente, limitandosi ad annuire. Asher e Tisifone erano impegnati con gli altri due Cavalieri Celesti e Kiki non sarebbe stato d’intralcio. Sterope concentrò il cosmo sugli arti, creando incandescenti folgori celesti, e poi portò il braccio destro avanti, scagliando il suo colpo segreto.

 

“Fulmini dell’Eternità!” –Gridò, e un attimo dopo il Muro di Cristallo andò in frantumi.

 

Kiki fu travolto dall’impeto dell’assalto, così come i Cavalieri suoi amici, e tutti furono scagliati lontano, ricadendo a terra in pozze di sangue.

 

“Non c’è più nessuno che può fermarci adesso!” –Esclamò, mettendo un piede sulla scalinata. Ma una voce proveniente dall’alto lo distrasse.

 

“Questo lo credi tu! Volo dell’Aquila reale!” –Esclamò una donna.

 

Sterope alzò lo sguardo e vide arrivare dal cielo un cosmo scintillante di azzurri riflessi. Una grande aquila argentata scese su di lui a una velocità elevata, seppur inferiore a quella della luce. Sterope sorrise, spostandosi semplicemente di lato e lasciando che il colpo della Sacerdotessa Guerriero distruggesse il pavimento sotto i suoi piedi. Castalia atterrò proprio di fronte a lui, con il cosmo ancora acceso; concentrò i suoi poteri sul pugno destro e lo portò avanti, lanciando la Cometa Pungente da distanza ravvicinata.

 

Sterope mosse il braccio sinistro per parare il colpo, che seppur portato da un Cavaliere di basso rango era comunque abbastanza potente e veloce, e con il destro afferrò il braccio della ragazza lanciandola in aria. Una sfera energetica si dipartì dalla sua mano, raggiungendo Castalia e ferendola. Quando ricadde a terra, la ragazza sbatté la spalla destra con violenza, distruggendo il coprispalla della sua armatura.

 

“Adesso possiamo andare!” –Ironizzò l’uomo, incamminandosi verso il Tempio dell’Ariete.

 

La figura ammantata si mosse per seguirlo, ma in quel momento Asher e Tisifone si liberarono dei loro rivali, colpendoli e scagliandoli lontano. Castalia si rialzò, toccandosi la spalla dolorante, barcollò per un istante, faticando a mettere a fuoco la scena. Ma poi comprese. Dovevano fermarli, almeno uno di loro. Senza esitare, Asher e Tisifone si lanciarono all’assalto, puntando sulla figura ammantata che seguiva Sterope. Lo stesso fece Castalia, dal lato opposto, lanciando la propria Cometa Pungente. Tutti e tre furono respinti, da un cosmo potente sprigionato dalla figura. Un cosmo che, lo percepirono chiaramente, era oscuro e ostile. Fiammeggiante di ira.

 

“Portami la testa di Atena, Sterope!” –Esclamò improvvisamente la figura, fermandosi.

 

“E tu… non verrai con me?!”

 

“Appena avrò finito con questi tre ti raggiungerò!”

 

“Ma sono quasi morti!”

 

“Tu non conosci i Cavalieri di Atena, sarebbero capaci di camminare su una gamba sola  per difendere la loro Dea. E questi uomini non sono da meno! Perciò vai... e non perdere altro tempo!”

 

Sterope non rispose, limitandosi a voltarsi verso la Casa di Ariete e a lanciarsi al suo interno, in una corsa incessante che l’avrebbe condotto fino alla Tredicesima Casa, alla residenza della Dea Atena.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Guerra senza fine ***


CAPITOLO SECONDO

CAPITOLO SECONDO. GUERRA SENZA FINE.

 

Lady Isabel girava preoccupata per il grande salone della Tredicesima Casa, un tempo residenza del Grande Sacerdote, l’uomo che in periodo di assenza della Dea aveva il compito di mantenere efficiente e organizzato il Grande Tempio e l’esercito dei Cavalieri al servizio della Dea, sempre pronti, in caso di minaccia, a difendere l’umanità e la giustizia. La ragazza dai capelli viola indossava un lungo abito bianco, con qualche rifinitura color indaco, e reggeva in mano lo scettro di Thule, il bastone di Nike, simbolo del suo potere. Le notizie che aveva ricevuto dal suo ospite, in tutta la giornata, erano sconvolgenti e al tempo stesso molto preoccupanti. Quando Castalia l’aveva avvisata dell’attacco alla Prima Casa, si era limitata a farle soltanto dei brevi cenni, per non causare in lei maggior sgomento del necessario.

 

“Hanno attaccato Asgard!” – Esclamò, voltandosi verso il palco.

 

Là, su una poltrona a fianco del trono della Dea, sedeva Ilda di Polaris, coperta da un pesante mantello. La Celebrante di Odino era arrivata al Santuario quel pomeriggio stesso, in incognito, accompagnata da due Guerrieri del Nord, per conferire con l’amica Isabel, che già l’anno prima aveva avuto occasione di aiutarla a liberare Asgard dal nefasto influsso dell’Anello del Nibelungo.


”E adesso minacciano il Grande Tempio!” – Aggiunse, fermandosi e concentrando i propri sensi.

 

Poteva sentire i cosmi dei suoi Cavalieri accendersi impetuosamente e poi spegnersi subito dopo, colpiti da qualcuno che non aveva alcun interesse a tenerli in vita. Poi percepì un altro cosmo, veloce ed ostile, che si muoveva in fretta sulla scalinata dello Zodiaco. Aveva da poco oltrepassato la Sesta Casa, trovandola ovviamente vuota, come tutte le altre. Atena strinse lo scettro di Nike saldamente, consapevole che il suo nemico sarebbe venuto da lei, ma Ilda le fece cenno di non preoccuparsi. I Guerrieri del Nord sarebbero stati pronti per affrontarlo.

 

***

 

La figura ammantata di nero scaraventò indietro i tre Cavalieri di Atena, facendoli sbattere contro le rocce retrostanti. Li osservò ricadere a terra, con le armature mezze distrutte, pieni di tagli e ferite, di lividi impressionanti che non potevano che galvanizzarlo. Un omaggio alla mia potenza! Sogghignò.

 

Tisifone si rialzò ancora, ansando per la fatica, ma decisa a continuare la lotta. Fino alla morte. Accese nuovamente il proprio cosmo, gettandosi avanti, lanciando scariche energetiche contro la figura ammantata. Questi si spostò nuovamente di lato, per evitare i fendenti luminosi della donna, e concentrò il proprio cosmo sul palmo destro, pronto per ferirla. Ma in quel momento Asher da destra, e Castalia da sinistra, scattarono contro di lui, per fermarlo.

 

“Cometa Pungente!” – Gridò Castalia, lasciando partire la sua cometa di luce.

“Criniera dell’Unicorno!” – Urlò Asher, balzando in alto.

 

“Un attacco combinato?!” –Mormorò la figura ammantata. –“Tecnica interessante! Ma inefficace!”

 

Con un rapido movimento schivò la Cometa Pungente di Castalia, afferrando la ragazza e lanciandola a peso morto contro Asher che giungeva dal lato opposto. Evitò un paio di affondi di Tisifone, ma non riuscì però a schivarli tutti, prima di colpirla con una sfera incandescente. Nel balzare indietro perse il mantello, travolto dall’impeto dell’Ofiuco d’Argento, e rivelò il suo volto agli stanchi combattenti. Castalia fu sorpresa nel trovarsi di fronte un ragazzo, giovane come loro, ricoperto da una rifinitissima armatura scura. Moro, con gli occhi scuri ma iniettati di rosso sangue, il viso abbronzato e lo sguardo deciso, il cavaliere loro nemico stava in piedi su una roccia su cui era balzato per evitare l’affondo di Tisifone, ed era pronto a finirli.

 

“Immaginavo di trovare un mostro sotto quel mantello!” – Ironizzò Tisifone, rialzandosi.

 

Aveva perso la maschera, che si era distrutta, e il suo volto scoperto mostrava segni di ferite e righe di sangue, che si asciugò disordinatamente. Asher era accanto a lei, ma si reggeva in piedi per miracolo, con l’armatura distrutta, e numerosi sfregi su tutto il corpo. Dopo Thanatos, che lo avevano contrastato a distanza, era il nemico più potente che avesse mai affrontato. Di gran lunga superiore alle mie possibilità! Rifletté il giovane Cavaliere dell’Unicorno.

 

Improvvisamente una forte corrente energetica iniziò a soffiare, avvolgendoli e rendendo difficoltosi i loro movimenti.

 

“Cosa diavolo succede?” –Chiese Asher, guardandosi intorno.

 

Ma Tisifone e Castalia non risposero, volgendo lo sguardo avanti. In piedi, su quella roccia, il cavaliere invasore stava espandendo tutto il suo potere. Li avrebbe colpiti, presto, e definitivamente.


”Dobbiamo impedirgli di attaccare! Coraggio!” –Esclamò Tisifone, cercando di stimolare i compagni. E nel dir questo bruciò al massimo il proprio cosmo. Asher e Castalia fecero lo stesso, seppure con minore convinzione. E un secondo dopo Kiki fu in mezzo a loro, apparso come dal nulla.

 

“Lanciate i vostri colpi migliori! Io cercherò di proteggervi!” –Esclamò il ragazzino, creando nuovamente il Muro di Cristallo.

 

Asher avrebbe voluto dirgli quanto fosse inutile il suo gesto, ma non volle offenderlo, credendo che anch’egli, come lui, fosse pronto a morire, per Atena.

 

“È stato un bel gioco, ma mi sono stancato! Morite!” –Esclamò il Cavaliere invasore, alzando il braccio destro al cielo. –“Apocalisse Divina!”

 

Un’enorme tempesta cosmica si sprigionò dalle sue braccia, travolgendo i quattro difensori di Atena, che non ebbero neppure il tempo di lanciare i propri colpi. Kiki mise tutto se stesso nel Muro di Cristallo, e lo stesso fecero Asher, Castalia e Tisifone, mettendo il loro cosmo nella barriera invisibile, per potenziarla. Ma fu tutto vano. Il Muro di Cristallo andò in frantumi e i quattro furono travolti dall’impetuoso turbine energetico. Sollevati, scaraventati lontano, sbattuti contro rocce e pavimenti, tra i frammenti delle loro corazze. Il misterioso aggressore sorrise, balzando dalla roccia a terra, soddisfatto per il proprio operato.

 

“Questa è la giusta punizione per esservi opposti agli Dei! Perché solo la morte può attendere chi osa levare il braccio contro di me, Flegias, figlio di Ares!”

 

***

 

Con un balzo Sterope raggiunse il piazzale antistante l’entrata della Tredicesima Casa dello Zodiaco, la residenza del Grande Sacerdote, dove sapeva che avrebbe trovato Atena. Il sole stava tramontando e gli ultimi raggi illuminarono la sua luminosa corazza celeste. Non fece in tempo a fare un passo che fu attaccato da rapidi fendenti energetici. Come pioggia di spilli, veloci affondi lo costrinsero a mettersi immediatamente sulla difensiva, muovendosi velocemente per evitare di essere colpito.

 

Impossibile! Chi altri può difendere il Santuario?! Si chiese, consapevole della scomparsa di tutti e dodici i Cavalieri d’Oro. E a sentire questi cosmi, si tratta di due Cavalieri di notevole potenza! Dall’ombra del tempio uscirono fuori due Cavalieri, non molto distanti tra loro, con addosso le loro vestigia. Sterope fu genuinamente sorpreso nel riconoscere le vestigia dei Guerrieri del Nord.

 

“Chi siete?” – Domandò, indispettito.

 

“Siamo Cavalieri di Asgard, invasore del sacro suolo di Grecia!” –Gli rispose un uomo dall’armatura nera. –“Mizar di Asgard è il mio nome!”

 

“E io sono Alcor!” –Aggiunse laconicamente l’altro cavaliere, che indossava un’identica armatura ma bianca.

 

“E cosa fate qua? Perché non siete nel vostro paese?”

 

“Questo non ti riguarda!” –Fu la schietta risposta di Mizar, che, senza pensarci due volte, scattò avanti, veloce come una tigre.  Concentrò il proprio cosmo e scagliò il suo colpo migliore, i Bianchi Artigli della Tigre, rapidi fendenti di energia diretti verso Sterope.

 

Il Cavaliere Celeste si spostò velocemente di lato, per evitarli, ma Mizar continuò la sua corsa, spostandosi a sua volta e proseguendo l’attacco. È veloce quest’uomo! E molto determinato! Dovette riconoscere Sterope, evidenziando la superiore velocità e potenza, rispetto agli assalti delle due Sacerdotesse Guerriere. Aprì il palmo della mano destra, per contenere l’attacco del nemico, ma Mizar creò un reticolato di energia, muovendo la mano velocemente, scagliandolo contro Sterope, che vide scavalcato il proprio potere difensivo. Il Cavaliere fu ferito in numerosi punti, sentendo il freddo cosmo della Tigre Nera di Asgard stridere contro la sua corazza.

 

Per quanto sapesse che non avrebbe potuto neppure scalfirla, si spaventò non poco, ma subito si impose di reagire. Scattò avanti, muovendosi come un fulmine nel reticolato di energia, fin quasi ad arrivare di fronte a Mizar, al quale assestò un diretto dal basso sul mento, sollevandolo in aria, prima di scagliarlo indietro con una sfera incandescente in pieno petto.

 

Non ebbe il tempo di riprendere fiato che subito dovette affrontare l’attacco di Alcor, la Tigre Bianca di Asgard, che intuì essere il fratello di Mizar, data l’uguaglianza degli attacchi. Alcor sfrecciò verso Sterope, liberando tutta la sua forza nei Bianchi Artigli della Tigre. Il Cavaliere Celeste, convinto di saper adesso evitare quel colpo, si mosse con superficialità, immaginando che il ragazzo avrebbe ricreato il reticolato. Ma Alcor cambiò tattica, lanciando affondi in ogni direzione, senza uno schema preciso, rendendo difficile prevedere il prossimo colpo. Sterope fu colpito ad un ginocchio e ad una spalla, prima che riuscisse a reagire, scatenando i Fulmini dell’Eternità.

 

Alcor fu travolto dal turbine energetico creato dal Cavaliere Celeste e scaraventato indietro, contro le colonne del Tempio, distruggendone un paio prima di ricadere a terra. Non sono da sottovalutare! Rifletté Sterope, tastandosi la spalla destra. Fortunatamente coperta dalla sua infrangibile corazza, la spalla gli doleva, come il ginocchio, ma sarebbe riuscito a sopportare il dolore. Portando a termine la mia missione. Puntualizzò. Improvvisamente si accorse di non riuscire a muovere i piedi, quasi come se fossero incollati a terra. Vide che il pavimento intero era diventato una lastra di ghiaccio e che le sue gambe si stavano ricoprendo di ghiaccio, fondendosi col pavimento.

“Ma cosa?!” – Chiese, osservando Mizar, in ginocchio davanti a lui, concentrare il suo cosmo sulla mano destra, appoggiata al suolo.

 

“Adesso Alcor!” – Gridò Mizar, mentre il fratello, ripresosi, saettava veloce contro Sterope.

“Bianchi Artigli della Tigre!” – Urlò Alcor, lanciandosi avanti.

 

I fendenti luminosi di Alcor, dalla potenza che avevano, tranciarono in più punti la pavimentazione gelata, prima di dirigersi contro Sterope che, per difendersi, incrociò le braccia davanti a sé. Alcor gli balzò davanti, credendo di poterlo colpire da distanza ravvicinata, ma anch’egli, come Castalia prima di lui, sottovalutò il potere del suo nemico. Sterope lo afferrò per il collo, sollevandolo da terra e stringendolo in una stretta morsa energetica. I Fulmini dell’Eternità stridevano intorno al braccio di Sterope e tutt’intorno al corpo di Alcor, percorso da forti scosse energetiche.

 

“Maledetto! Lascialo!” – Gridò Mizar, scattando avanti. – “Bianchi Artigli della Tigre!”

 

E in tutta risposta Sterope lanciò Alcor contro Mizar, abbattendoli entrambi. Il Cavaliere Celeste bruciò il suo cosmo, distruggendo l’effimero legame che lo aveva temporaneamente immobilizzato, e mosse le gambe, avviandosi verso l’ingresso del Tempio. Mizar e Alcor si rimisero subito in piedi però, espandendo il loro freddo cosmo.

 

“Non ne avete prese abbastanza?” –Ironizzò Sterope.

 

“Non oltrepasserai quella soglia!” – Ringhiò Alcor.

 

“E chi mi fermerà?” – Domandò Sterope, concentrando il proprio cosmo.

 

Folgori incandescenti si srotolarono intorno alle sue braccia, pronte per colpire nuovamente i suoi due avversari. Mizar e Alcor si guardarono un momento, prima di scatenare la loro nuova tecnica combinata.

 

“Fulmini dell’Eternità! Danzate!” – Gridò Sterope, portando nuovamente avanti il braccio destro e lanciando folgori energetiche contro di loro.

 

Ma i Fulmini dell’Eternità quella volta non raggiunsero il bersaglio, venendo come attirati all’interno di un semicerchio di energia fredda che i due fratelli avevano creato.

 

“Che il Gelo eterno di Asgard sia con noi!” – Gridò Mizar, con le braccia avanti e i palmi aperti.

 

Sterope guardò stupefatto i propri Fulmini dell’Eternità schiantarsi contro questa barriera energetica, senza riuscire a superarla.

 

“Ghiacci eterni di Asgard! Via!” – Urlò Alcor, spingendo avanti.

 

Lo stesso fece Mizar e il semicerchio si chiuse progressivamente, diventando un grande globo energetico, all’interno del quale erano stati assorbiti i Fulmini dell’Eternità. Un secondo dopo i due fratelli lo spinsero avanti, sulla scia di una grande tempesta energetica che travolse Sterope, scagliandolo in alto.

 

Il Cavaliere Celeste quasi meravigliato da un simile prodigio ricadde a terra parecchi metri indietro, con un’abile piroetta che gli permise di tornare giù in piedi. Non l’abbiamo abbattuto! Pensò Mizar, con timore. Ma gli abbiamo fatto capire che non sarà facile passare! Incalzò Alcor.

Sterope si tastò la corazza lucente che aveva indosso e dovette constatare, meravigliato, che in numerosi punti brillavano cristalli di gelo. Incredibile! Esclamò Sterope, e in quel momento capì che non avrebbe avuto facile e rapida vittoria.

 

Dall’alto della scalinata Flegias contemplava soddisfatto il proprio operato. Il piazzale antistante la Casa di Ariete era stato completamente devastato, le colonne, la scalinata di marmo, le rocce circostanti distrutte. E sparsi qua e là giacevano i corpi inermi dei Cavalieri di Bronzo e d’Argento, feriti, sanguinanti e senza più difese ormai. Nel giro di una mezz’ora aveva completamente eliminato gli ultimi difensori di Atena, aprendo la strada al suo grandioso progetto.

 

Un’unica cosa lo turbava non poco: il fatto che Sterope non avesse ancora raggiunto Atena e preso la sua testa. Non capiva cosa stesse accadendo alla Tredicesima Casa, ma sentiva il cosmo di Sterope acceso e impegnato in un’ostica battaglia. Un mugolio attirò nuovamente la sua attenzione. Proveniva da Tisifone, il cui corpo giaceva a terra in un lago di sangue. La Sacerdotessa dell’Ofiuco stava muovendo le dita, quasi come a voler trovare la forza per rialzarsi. Patetica! La commiserò Flegias, balzando su di lei.

 

“Porrò fine alle tue sofferenze, donna!” –Esclamò, concentrando una sfera energetica sul palmo della mano destra e sollevando il braccio al cielo. – “Guardami, e muori!”

 

Ma non appena mosse il braccio per colpirla sentì qualcosa colpirgli la mano, obbligandolo a distogliere la sua attenzione. Osservò la sua mano, sconcertato, e trovò come delle piccole piume di bronzo conficcate nel guanto della sua armatura. Piume che iniziarono a bruciare istantaneamente, distruggendosi.

 

“Ma cosa diavolo?!” – Ma non ebbe il tempo per proferire altro, che vide la maestosa sagoma di un uccello infuocato saettare sopra di lui. –“Chi osa?!” – Gridò.

 

Ma non ottenne risposta, soltanto una forte corrente energetica calda, così impetuosa che lo sollevò da terra, avvolgendolo al suo interno.

 

“Ali della Fenice!!!” – Urlò una voce maschile.

 

E un turbine di energia infuocata avvolse Flegias, scagliandolo indietro, fino a farlo sbattere contro una colonna del Tempio dell’Ariete. Non fece in tempo a rialzarsi che il suo nuovo avversario gli era già sopra. Un destro in pieno viso gli fece sputare sangue, un sinistro dall’altro lato lo fece barcollare, e una raffica di calci lo sollevò da terra, prima che due mani robuste lo agguantassero lanciandolo in alto, nuovamente avvolto da fiamme incandescenti.

 

Tisifone intanto, con la forza della disperazione, aveva alzato lo sguardo da terra, giusto in tempo per vedere Flegias sbattere contro una parete di roccia, vide il suo elmo scuro volare via e lo vide cadere a terra, sbattendo il cranio e perdendo sangue.

 

La troppo sicurezza di sé aveva tradito il figlio di Ares. Un errore che Flegias non avrebbe più ripetuto. Tisifone chiuse gli occhi, troppo debole per rialzarsi, troppo stanca persino per parlare. L’ultima cosa che riuscì a fare fu sorridere. Adesso che Phoenix era arrivato, sarebbe stato possibile sconfiggere Flegias.

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Enigmi Irrisolti ***


CAPITOLO TERZO. ENIGMI IRRISOLTI.

 

Ikki di Phoenix stava in piedi all’ingresso della Casa di Ariete, silenzioso e misantropo come amava essere. Indossava l’armatura di bronzo usata durante la Guerra Sacra contro Ade e il suo cosmo ardeva di un rosso scintillante, capace di portare luce in quell’oscuro piazzale. Castalia, Asher, Tisifone, Kiki e gli altri cavalieri riconobbero il cosmo del vecchio amico e non poterono fare a meno di sorridere, ringraziandolo per l’intervento. Anche se non capirono come fosse possibile.

 

Flegias si rialzò di scatto, sputando sangue e osservando con rabbia le ferite che aveva riportato, i danni alla sua armatura divina che un solo attacco del suo avversario gli aveva causato. Maledetto! Ringhiò, prima ancora di aver riconosciuto chi aveva di fronte. E gli scagliò contro una raffica di sfere incandescenti che Phoenix non ebbe difficoltà ad evitare, spostandosi velocemente e balzando in alto. Flegias saltò a sua volta, lanciando una violenta scarica di energia che stavolta Phoenix non riuscì a schivare, venendo colpito e scagliato a terra, dove comunque riuscì a rimanere in piedi. Portò le braccia avanti, unendo le mani, per contrastare lo strapotere del figlio di Ares.

 

“Ma non è possibile!!!” –Esclamò Flegias, riconoscendolo. –“Tu non dovresti essere qua! I Cavalieri di Bronzo non esistono più, cancellati dalla stessa Dea che li aveva investiti di tale titolo!” –Ma Phoenix non rispose, limitandosi a osservarlo senza convinzione. –“Chi ti ha liberato, eh?!” –Incalzò Flegias, infuriato che qualcuno potesse aver interferito con i suoi piani. –“Chi ti ha ridato la memoria? È stata Atena?! Quella stupida e debole ragazzina che non riesce a difendersi da sola e che è costretta a rimangiarsi le proprie parole!”

 

Ma Phoenix nuovamente non disse niente.

 

“Non parli eh?! Persino tu la detesti, quanto me!” –Sibilò Flegias, girando intorno al suo avversario. –“Lo credo bene, dopo l’inferno che ti ha fatto passare! Che stima si può avere di una Divinità incapace di accettare se stessa, incapace di difendersi da sola, che ogni volta, nell’ora del pericolo, non esita ad usare voi, suoi Cavalieri, come carne da macello, come scudo umano al posto suo!!!”

 

L’ulteriore silenzio di Phoenix fece impazzire Flegias che gli lanciò contro una sfera incandescente di inaudita potenza.

 

“Parla cane!!!” –Gridò, mentre Phoenix tentava di contrastare il suo potere. –“Parla o ti ammazzo!!! Apocalisse Divina!!!” –E nuovamente Flegias scaricò contro il Cavaliere della Fenice una tremenda tempesta energetica da cui Phoenix fu inizialmente travolto. Ma poi riuscì a librarsi in aria, espandendo al massimo il proprio cosmo, padrone del settimo senso e consapevole delle sue possibilità. La sagoma di una fenice infuocata risplendette intorno a lui, prima che concentrasse il cosmo sui pugni, portandoli avanti insieme, in un turbine di fiamme incandescenti.

 

“Ali della Fenice!!!” –Urlò, lanciando il leggendario uccello infuocato attraverso la tempesta energetica di Flegias, che non rimase però ad aspettare inerme, aumentando la potenza dell’attacco.

 

“Apocalisse Divina! Spazzalo via!!!” –Gridò, spingendo al massimo.

 

Il contraccolpo tra i due poteri generò una fragorosa esplosione, che distrusse ulteriormente il piazzale di fronte alla Casa di Ariete, scagliando entrambi indietro fino a farli sbattere contro le rocce. Flegias si rialzò di scatto, e lo stesso fece Phoenix, ma invece di lanciarsi contro di lui, preferì riflettere. Sterope non ha ancora raggiunto Atena! Probabilmente ha incontrato difficoltà impreviste, proprio come me! Potrei anche continuare a combattere questo bamboccio, ma non è un tipo da sottovalutare! Insieme ai suoi compagni ha sconfitto Ade e Nettuno! E non si lascerà vincere in pochi minuti!

 

“E va bene, Cavaliere! Finisce in parità il nostro primo incontro! Ma non credere che la storia finisca qua! No!” –Aggiunse, concentrando il cosmo in una sfera energetica. –“Ci sono ancora molti capitoli da svolgere! Capitoli marchiati nel sangue!” –E lanciò la sfera contro il mucchio inerme dei suoi compagni.

 

Phoenix si lanciò immediatamente verso di loro, afferrando in tempo la sfera prima che li colpisse, ma al contatto essa esplose, scagliandolo lontano di parecchi metri, e danneggiando parte della propria armatura, oltre che ferendolo discretamente. Castalia trovò infine la forza di rialzarsi, e aiutò Asher a fare altrettanto. Si guardarono intorno, e a parte i corpi massacrati dei loro compagni non trovarono nessun altro. Flegias se ne era andato.

 

***

 

Il nuovo incontro tra i poteri di Sterope e quelli di Mizar e Alcor spinse entrambi i contendenti indietro. Ma prima che Sterope potesse rialzarsi, fu bloccato a terra da una forza invisibile. Schiacciato, quasi sovrastato da un mistico potere di cui non riusciva a comprendere l’origine.

 

Poco dopo due figure uscirono dalla Tredicesima Casa, mentre Mizar e Alcor si sbrigarono a correre loro incontro, per proteggerle. Sterope sgranò gli occhi, riconoscendo la donna che era venuto ad uccidere, per ordine del suo Dio: Lady Isabel di Thule, reincarnazione di Atena. Al suo fianco una donna che non aveva mai visto, ma di cui aveva sentito parlare. La celebrante di Odino, Ilda del casato di Polaris. Ed era proprio lei che lo stava tenendo a terra, inchiodato al pavimento.

 

“Non sforzarti troppo!” – Ironizzò la donna, stringendo in mano il suo bastone. –“Ho imparato qualcosa dopo anni di preghiera e meditazione! Forse è una tecnica rude, ma efficace!”

 

“È lui?” – Domandò Isabel, con il cuore in mano.

 

“No, ma è della stessa stirpe!” –Puntualizzò Ilda, e a Isabel non sfuggì l’acidità del suo tono.

 

“Cosa volete?” –Chiese Sterope, cercando di liberarsi dalla prigione mentale che lo schiacciava.

 

“Risposte!” – Esclamò Isabel.

 

“Da me non le avrete!”

 

Mizar avvampò a quella risposta, ma Alcor gli afferrò un braccio, pregandolo di stare fermo.

 

“Il tuo compagno se ne è andato!” –Esclamò Isabel. –“Vuoi davvero affrontarci da solo?!”

 

Sterope inizialmente non rispose, ma poi, sentendo effettivamente scomparso il cosmo di Flegias, che aveva sentito ardere fino a poco prima, realizzò che da solo, nonostante i suoi grandi poteri, non sarebbe riuscito nell’impresa. Non sono preparato per gli insuccessi! Si disse, accorgendosi con stupore di essere libero dalla gabbia. Non mi hanno preparato a questo! E si rialzò.

 

Mizar e Alcor si misero subito in posizione difensiva, davanti alle due donne, pronti a scattare avanti all’istante. Ma Sterope voltò loro le spalle, incamminandosi verso la scalinata di marmo.

 

“Fermati, Cavaliere!” –Esclamò Atena. –“È un ordine!”

 

“Non riconosco l’autorità di altro Dio al di fuori del mio, Dea Atena! Tanto più di una Divinità che mi è stato ordinato di uccidere!” –Rispose Sterope, voltandosi e bruciando il proprio cosmo celeste. –“Porterò a termine la mia missione, quanto prima!” –Aggiunse, scomparendo nel nulla.

 

Atena non disse nient’altro, facendo cenno a Ilda e ai suoi guerrieri di avvicinarsi. Le porte dello spaziotempo vibrarono, prima che il quartetto scomparisse e riapparisse davanti alla Casa di Ariete.

 

“Che Odino ci protegga!” –Esclamò Ilda, nel vedere la devastazione davanti ai suoi occhi.

 

Mizar e Alcor corsero verso Asher e gli altri, per aiutarli a rialzarsi. Ilda li seguì subito, pronta per prestare aiuto. E la stessa cosa stava per fare Isabel, quando una strana vibrazione la costrinse a muovere lo sguardo. In fondo, vicino alle rocce, al di là dei corpi inermi dei Cavalieri di Bronzo e d’Argento, avvertiva un cosmo noto, lo stesso che aveva sentito avvampare pochi istanti prima. Scese di corsa la scalinata, arrancando nel terreno, e si diresse là, da dove proveniva la vibrazione.

 

“Phoenix!” –Urlò, sorpresa e sgomenta. Davanti a lui, in piedi, in abiti borghesi, stralciati e un po’ sporchi, stava il Cavaliere della Fenice, mentre la sua Armatura di Bronzo era accanto a lui, ricomposta nella sua forma di araba fenice.

 

Quella sera Atena convocò un improvvisato consiglio di Cavalieri alla Tredicesima Casa, per informarli di quanto avesse appreso da Ilda quel pomeriggio. All’incontro parteciparono Castalia e Tisifone, Asher, Phoenix e pure Ilda, Mizar e Alcor. Black e gli altri Cavalieri di Bronzo furono affidati a Kiki e alle giovani sacerdotesse, insieme ai soldati semplici sopravvissuti, per le medicazioni necessarie. Atena in persona intervenne per lenire le ferite di Castalia e dei suoi compagni, usando il cosmo per curare i propri Cavalieri.

 

Nonostante questo, sia Asher che le due Sacerdotesse erano piuttosto malconci, impossibilitati a camminare bene e pieni di ferite su tutto il corpo. E soprattutto le loro armature erano andate distrutte. A questa situazione precaria si aggiungeva il mistero di Phoenix, inspiegabilmente apparso dal nulla a difendere i propri amici e il Grande Tempio, come se fosse un atto, quale effettivamente era, che avesse sempre compiuto.

 

“Ti ripeto, non so di cosa tu stia parlando!” –Esclamò Phoenix, rispondendo scocciato alle domande di Tisifone. –“Non so chi tu sia e dove siamo, e non capisco perché devo star qua a sentir voi delirare su Cavalieri e poteri magici!”

 

“È l’effetto della Pozione della Dimenticanza!” –Sorrise Castalia, rivolgendosi ad Atena. –“Non ricorda i nostri volti, né il suo passato!”

 

“E allora come ha fatto a intervenire?” –Domandò Asher. –“Poche ore fa Phoenix stava combattendo con Flegias! L’abbiamo visto tutti chiaramente, e i lividi sul suo corpo lo dimostrano!”

 

“Ma che stai dicendo, ragazzino? Io non ho combattuto nessuno!” –Brontolò Phoenix.

 

“Senti!” –Si infuriò Asher. –“Ma cosa cavolo c’è nella tua testa, eh? Prima ti dimentichi chi siamo, poi intervieni e ti fai quasi massacrare al posto nostro e adesso dici di non sapere chi siamo né quello che hai fatto! Ma ci vuoi prendere per fessi?!”

 

Phoenix si infuriò e afferrò Asher per il colletto della maglia, sollevandolo da terra.

 

“Ragazzi, per favore! Smettetela!” –Esclamò Castalia, alzandosi e cercando di separarli.

 

“Sì, basta! Asher, modera il tono! Non dimenticare che Phoenix è sotto l’influsso del Talismano della Dimenticanza!” –Lo brontolò Isabel, tirando uno sguardo alla pietra che Phoenix portava al collo. Un rubino rosso.

 

“Credo che la spiegazione sia molto semplice!” –Intervenne Ilda, per placare gli animi. –“Phoenix, per quanto abbia bevuto la Pozione della Dimenticanza, come Pegasus e gli altri, e per quanto porti il Talismano, ha sentito Atena e i suoi compagni in pericolo. Molto probabilmente si trovava nelle vicinanze, e credo che a quel punto, sapendo la sua Dea in grave pericolo, sia scattato qualcosa dentro di lui, più forte di qualsiasi Talismano, Isabel!” –Sorrise, mettendo una mano sulla gamba dell’amica. –“Sì, credo proprio che sia andata in questo modo!”

 

“L’amore dei Cavalieri per la loro Dea trascende ogni tempo e ogni spazio!” –Commentò Castalia. – “E non vi è pozione che resista! Sapervi in pericolo, Milady, richiamerebbe i Cavalieri dello Zodiaco in qualunque angolo del mondo si trovino!”

 

“Concordo con Castalia! E questo non farebbe che avvalorare la nostra tesi, contribuendo a spiegare cosa ci facesse Cristal ad Asgard!”

 

Cristal era ad Asgard?!” –Esclamarono Asher e Tisifone.

 

Anche Castalia sgranò gli occhi incredula. Da quel che ne sapeva, dopo la separazione del gruppo, Cristal era tornato in Siberia, a vivere in nel villaggio di Kobotec insieme al suo vecchio amico Jacov e alla sua famiglia.

 

Cristal è arrivato due giorni fa!” –Esclamò Ilda, raccontando ai Cavalieri di Atena ciò che aveva rivelato alla Dea quel pomeriggio. –“In una notte di tempesta, come è frequente ad Asgard!”

 

“E perché è venuto là? Cosa l’ha spinto?” – Intervenne subito Tisifone.

 

“È quello che cercavamo di capire io e Atena!” –Disse Ilda. –“Non sapeva cosa l’avesse condotto là, né che strada avesse seguito per raggiungere Asgard! “Ho udito un richiamo, un richiamo da lontano.” Queste furono le sue parole d’esordio, dopo aver varcato i cancelli del Regno!”

 

“E vi ha riconosciuto?” – Domandò Castalia.

 

“No, non ha riconosciuto nessuno di noi!” –Rispose Ilda, incontrando lo sguardo di Mizar e Alcor. –“Neppure Flare, per la quale comunque non ha nascosto di sentire un profondo legame!”

 

“Probabilmente anche nel caso di Cristal, come per Phoenix, il Talismano non è stato un’arma sufficiente, per annullare i suoi ricordi! E i suoi sentimenti!” –Esclamò Tisifone.

 

“Ma Asgard non era in pericolo!” –Precisò Ilda. –“Non lo è stata, fino al suo arrivo!”

 

“Cosa vuoi dire?”

 

“La scorsa notte Asgard è stata attaccata! Il Cancello Meridionale distrutto, i soldati di guardia spazzati via. Un gruppetto di Cavalieri ha fatto strage di Guerrieri del Nord, appiccando il fuoco lungo le strade della cittadella!”

 

“Ma è terribile!” – Esclamò Castalia.

 

“Abbiamo tentato di fermare la loro avanzata!” –Intervenne Mizar, ricordando con orrore quel momento. –“Ma abbiamo fallito! Presi alla sprovvista, da avversari più forti di noi, e in inferiorità numerica, abbiamo dovuto retrocedere, e permettere loro di invadere la città!”

 

“Che errore è stato!” –Mormorò Alcor, che fin dall’inizio si era opposto, preferendo morire combattendo.

 

“Non avevamo scelta!” – Esclamò Mizar.

 

“C’è sempre un’altra scelta Mizar, magari più onorevole e coraggiosa!” –Puntualizzò Alcor, e Ilda la percepì come una dura predica nei suoi confronti.

 

“Ho dovuto pensare alla mia gente, Alcor! Combattere nuovamente ad Asgard significava mettere in pericolo migliaia di persone che, in questo modo, hanno potuto salvarsi, mettendosi al sicuro!”

 

“Ma chi vi ha attaccato? E cosa volevano?” –Chiese Asher, quasi temendo la risposta.

 

“Cosa volevano?!” –Ripeté Ilda, cercando lo sguardo di Atena. –“Volevano Cristal! In quanto a chi ci ha attaccato… colui che guidava l’operazione aveva un’armatura celeste, della stessa identica fattura del Cavaliere che avete affrontato oggi!”

 

Sterope?!” – Balbettò quasi Castalia, ricordando la forza di quell’uomo.

 

Ilda annuì con il capo, mentre Atena, preoccupata, si alzò in piedi, iniziando a girare per la stanza.

 

“Una cosa non capisco…” –Intervenne Asher. –“Perché il figlio di Ares ha guidato una pattuglia di guerrieri contro il Grande Tempio? Non sapevo che foste in rapporti ostili con Ares, Milady!”

 

“Ares ed io siamo rivali da sempre, dall’epoca in cui gli Dei scesero sulla Terra! Numerose Guerre Sacre abbiamo combattuto!” –Rispose Isabel, avvicinandosi al balcone. –“Ma oggi le cose sono cambiate! Il cosmo di Ares è prigioniero in uno scrigno dove è stato rinchiuso al termine di un lungo conflitto. Il Sigillo di Atena che lo tiene bloccato non ha ancora perso efficacia!”

 

“E allora come mai?”

 

“Non è Ares il nostro nemico!” –Mormorò Castalia.

 

“Cosa?!” – Chiesero Asher e Tisifone.

 

“I cavalieri che abbiamo affrontato non sono Cavalieri di Ares. Le vestigia che indossano sono caratteristiche di un altro ordine di cavalieri! Non potete non essere rimasti stupiti dallo splendore delle armature dei nostri avversari! In particolare quella di Sterope. Leggera e resistente al tempo stesso! Una lega speciale che soltanto una mano divina ha potuto forgiare! I Cavalieri che indossano armature simili sono i Cavalieri Celesti!” –Chiuse il discorso Castalia.

 

“I Cavalieri Celesti?!” –Chiese Asher, non capendo.

 

“I Cavalieri Celesti sono i Cavalieri del Sommo Zeus!” –Atena ruppe il silenzio. –“Sono i guerrieri scelti da mio Padre per difendere l’Olimpo, residenza degli Dei, dagli invasori!”

 

Il silenzio calò nuovamente nella grande sala, turbando ulteriormente gli animi dei Cavalieri.

 

“Non so per quale motivo, Zeus abbia deciso di attaccarci, così di sorpresa! Forse per punirmi, come profetizzò Nettuno prima di essere rinchiuso nel Vaso di Atena, per aver difeso gli uomini dagli Dei?! Ho tentato più volte di mettermi in contatto con mio Padre ma non riesco ad avvicinarlo. È come se l’Olimpo fosse diventato irraggiungibile. I miei poteri non sono sufficienti per comunicare con lui! Ma qualunque cosa stia accadendo sul Monte Sacro di sicuro non promette niente di buono. È come se nere nuvole si fossero riunite intorno alla residenza degli Dei pronte per scatenare un temporale sulla Terra! Un temporale che non so se saremo in grado di contrastare!”

 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Tessendo la tela ***


CAPITOLO QUARTO. TESSENDO LA TELA.

 

Mezzanotte era arrivata in fretta, ma molte luci erano ancora accese al Grande Tempio di Atene.

 

Tisifone, nominata da Atena Capitano della Guardia, aveva decretato lo stato di allerta, mobilitando tutti i soldati e i Cavalieri disponibili, dando ordine che il muro e il Cancello Principale fossero riparati quanto prima. Lady Isabel aveva personalmente visitato le infermerie, per curare, con il suo caldo e confortante cosmo, i feriti; Asher e i quattro Cavalieri di Bronzo stavano meglio, anche se zoppicanti e pieni di lividi, e avevano deciso di piantonare l’ingresso del Grande Tempio, nonostante la stanchezza e la debolezza. Kiki si era messo all’opera, aiutato dai libri della Biblioteca di Mur, per compiere un’opera delicata, che fino a quel giorno non aveva mai tentato.

 

Le fiaccole nella Tredicesima Casa erano ancora accese e Isabel stava ancora conferendo con Castalia e Tisifone, e con Ilda, mentre Mizar e Alcor erano di ronda all’esterno. Phoenix ascoltava svogliatamente appoggiato a una colonna, disinteressato e stralunato.

 

“Credo sia la decisione più opportuna!” –Commentò Ilda.

 

“Lo penso anch’io!” –Sorrise Isabel, alzandosi in piedi. Si portò al centro della sala, stringendo in mano lo Scettro di Nike e si rivolse a Phoenix, pregandolo di perdonarla per quanto stava per fare. Perdonami Phoenix! E voi tutti giovani Cavalieri! Se nuovamente vi strappo alle vostre vite, alle vostre meritate esistenze! E nel dir questo sollevò il bastone d’oro, puntandolo verso il ragazzo.

 

“Che stai facendo?” –Domandò Phoenix, vedendo lo scettro illuminarsi.

 

Un raggio di energia investì il ragazzo, sollevandolo da terra, mentre il suo corpo veniva circondato da un cosmo scintillante. Isabel distrusse il rubino, liberando nuovamente l’anima del ragazzo. Per un momento Phoenix sembrò sul punto di svenire, mentre turbini di ricordi sopiti ricominciarono a muoversi nella sua mente. Rivide tutto, nel giro di un attimo: l’addestramento sulla Regina Nera, il suo maestro, Esmeralda, i Cavalieri Neri, il Grande Tempio, la Guerra Galattica, Loto e Pavone, le Dodici Case. E poi vide lei, bella come sempre, la Dea della Giustizia, in piedi di fronte a lui.

 

Atena…” – Sussurrò, nuovamente conscio di se stesso.

 

“Perdonami Phoenix! Perdona la mia debolezza!” –Pianse Isabel, assopendo il suo cosmo. –“Ma ho bisogno anche del tuo aiuto, per comprendere il mistero che sta dietro questa nuova minaccia!”

 

Phoenix non rispose immediatamente, e questo fece pensare alla Dea che il ragazzo fosse, giustamente, in collera con lei, per averlo catapultato di nuovo in un mondo di lotta e violenza. Invece si limitò ad accennare un sorriso.

 

“Sono al vostro servizio, Atena!” –Esclamò. Ilda sorrise, e anche Castalia e Tisifone.

 

Isabel fece un breve riepilogo a Phoenix, che iniziò ad avere un quadro più chiaro della situazione. E subito chiese notizie dei suoi compagni.

 

“Dov’è Andromeda? Lo avete già risvegliato?”

 

“No! Andromeda è a Nuova Luxor, con Pegasus! Sei l’unico che ha ricordato ed è sceso in campo contro il nemico!”

 

“E Cristal? Avete detto che era ad Asgard! Adesso dov’è?” –Chiese Phoenix, rivolgendosi a Ilda.

 

La Celebrante di Odino cercò lo sguardo di Atena, quasi come per avere il suo assenso per parlare. Quindi sospirò, prima di iniziare il discorso.

 

Cristal è nel posto attualmente più sicuro dell’intera Terra! Se la sua venuta ad Asgard non era passata inosservata, al punto che Zeus non ha esitato ha inviare una pattuglia di guerrieri nella mia città, a maggior ragione non credo lo sarebbe stata qua!”

 

“È rimasto ad Asgard?” –Chiese Castalia.

 

“Non nella Asgard che conoscete voi!” –Sorrise Ilda, stupendo i tre Cavalieri. –“Dovete sapere che la mia città, che voi avete visto e in cui avete combattuto, è soltanto l’avamposto umano del grande regno del Nord, un regno su cui impera Odino, Signore degli Asi, dalla sua fortezza nel Valhalla, nella vera Asgard!”

 

“Credo di capire…” –Continuò Castalia. –“Nella mitologia nordica, il mondo è diviso in nove regni, e uno di questi è il regno degli uomini, Midgard, o Regno di Mezzo!”

 

“Esatto! Ma ormai il vecchio termine è andato perduto, lo usano soltanto le genti del luogo. Per il resto del mondo noi siamo Asgard, una sola, città di uomini e di Dei!” –Disse Ilda, con nostalgia.

 

“E Cristal si trova quindi…” –Intervenne Tisifone.

 

Cristal si trova, o meglio dovrebbe trovarsi, nella vera Asgard, alla corte di Odino! Se è riuscito a trovare la via!”

 

“Cosa vuoi dire?” –Chiese Phoenix.

 

“Non a tutti gli uomini è concesso di trovare la strada che porta ad Asgard, anzi alla maggioranza la via è preclusa! Ma Cristal può contare su un’abile guida, qualcuno che in passato ha già visitato quel regno, e sa come tornarvi!” –Concluse Ilda.

 

“L’importante è che sia al sicuro!” –Commentò Phoenix, stufo di tutti quei discorsi.

 

“C’è un altro motivo per cui ho mandato Cristal ad Asgard!” –Riprese Ilda. – “Per sciogliere un dubbio… e per trovare aiuto!”

 

“Un dubbio?” –Chiese Castalia.

 

“Perché Cristal è venuto ad Asgard? La città non era in pericolo, inoltre i pochi giorni trascorsi nella mia città non sono certo stati così significativi da avere la forza per riemergere tra i suoi ricordi, prima ancora di altri! No, c’è qualcos’altro! Cristal continuava a dire di udire un richiamo, una voce nel vento che lo aveva portato fin là! come se qualcuno stesse tentando di inviargli un segnale!”

 

“E credi che alla corte di Odino troverà una risposta?”

 

“Odino è il Signore degli Asi, e alla sua porta convergono tutti i mondi di questa Terra! Se una voce sta chiamando Cristal, Odino non può non averla udita!” – Fu la risposta di Ilda, fiera e sicura.

 

“In quanto a noi... che cosa facciamo?” –Domandò Phoenix, desideroso di entrare in azione.

 

“Frena il tuo impeto, Phoenix! Non hai visto come sono stati ridotti i tuoi compagni?” –Lo placò Isabel. –“Non ho intenzione di vederti rischiare la vita, senza conoscere prima le intenzioni del nemico, né le forze a sua disposizione!”

 

“Beh, le intenzioni mi sembrano chiare! Come Nettuno e Ade prima di lui, adesso Zeus vuole emulare i fratelli tentando di distruggere la Terra!”

 

Lady Isabel non rispose, limitandosi a sospirare, silenziosamente soffrendo. Uscì fuori, sulla grande terrazza panoramica sul retro, con il cuore carico di apprensione. Tre volte! Tre volte ho provato a contattare mio Padre, ma i miei poteri non sono sufficienti! Il mio cosmo si ferma alle porte dell’Olimpo e non riesce a entrare! Perché?!

 

***

L’Olimpo era illuminato a giorno. Torce e fiaccole erano accese ovunque lungo l’alberata via principale che conduceva al Tempio di Zeus, residenza del Signore degli Dei. E anche al suo interno le sale e i corridoi risplendevano di celesti bagliori. Solo una stanza era buia. La Sala del Trono, dove Zeus sedeva alto e maestoso sopra un trono dorato, era illuminata soltanto da due grosse fiaccole posizionate ai lati del portone frontale. L’interno era avvolto dall’ombra e dal silenzio.

 

Nei corridoi si andava radunando un gran numero di Cavalieri Celesti, tutti rivestiti dalle loro scintillanti armature forgiate da Efesto in persona. Signore del Fuoco e della lavorazione dei Metalli, Efesto da sempre produceva le armature per i Cavalieri di suo Padre, il Sommo Zeus, nonché le Vesti Divine e altri accessori da battaglia. Anche l’Egida, lo Scudo di Atena, fu forgiato da Efesto stesso nelle fornaci sotterranee dell’Etna dove il Fabbro degli Dei risiedeva.

 

Flegias si aggirava preoccupato per i corridoi del palazzo. Non indossava più la sua armatura scarlatta ma una grande veste ricamata, tipica degli Dei dell’Olimpo, che nascondeva le sue forme perfette di giovane Cavaliere e la fasciatura alla gamba destra, che presentava notevoli ferite. Aveva il volto teso e irato e un livido sotto l’occhio sinistro, dovuto al pugno ricevuto da Phoenix, e questo rendeva la sua espressione ancora più accigliata e temibile. Maledetti, pensava il Figlio di Ares, mi hanno preso alla sprovvista! Ma la prossima volta non andrà così, li ucciderò tutti uno ad uno e porterò le loro teste al Tempio dell’Apocalisse offrendole in sacrificio a mio Padre!

 

“Maledetti!” –Tuonò ad alta voce.


Schhh! Non pronunciare parole simili alla Corte del Signore degli Dei!” –Sussurrò una voce.

 

Fregias si voltò di scatto. Alla sua sinistra, nascosta dietro una tenda, una figura in ombra gli fece cenno di avvicinarsi.

 

Issione!” –Esclamò il Cavaliere dagli occhi infuocati, avvicinandosi a lui ed entrando nella zona d’ombra del corridoio. In quel punto, non illuminato dalle fiaccole delle torce, Flegias conversò per una decina di minuti con il suo interlocutore, a bassa voce.

 

“Hai fallito l’attacco al tempo di Atena!” –Esclamò Issione, amareggiato.

 

“Non è stata colpa mia! I Cavalieri che mi hai affidato non valgono niente; due sono stati sconfitti subito, e Sterope non è riuscito a raggiungere Atena!” –Spiegò Flegias.

 

“Avresti potuto occupartene personalmente!” –Lo criticò Issione, senza alzare la voce.

 

“L’ho fatto, Issione, l’ho fatto! Da solo ho annientato gli ultimi difensori di Atena, e sarei corso a dare man forte a Sterope se non fosse stato per l’intervento di quel Cavaliere!”

 

“Un solo Cavaliere ha potuto fermarti?! Che ne è dell’ira che riversasti a Delfi? Non è bastata per piegare Atene?!” –Ironizzò Issione.

 

“Era Phoenix quel Cavaliere, Issione! Il Cavaliere della Fenice!” –Sussurrò con decisione Flegias, aumentando l’interesse di Issione. –“E non doveva essere lì!”

 

“Che abbia ricordato?!” –Si chiese il guerriero nell’ombra.

 

“Probabile... questo spiegherebbe il comportamento del Cigno!”

 

“Questo gioca a nostro sfavore!” 

 

“Ma non sarà questo che fermerà il mio glorioso piano!” –Incalzò Flegias. –“Potrebbero essere centomila i Phoenix di questo mondo, ma li abbatterò tutti!”

 

“Come Phoenix ha ricordato potrebbero ricordare anche gli altri!”

 

“Adesso sei tu che temi cinque Cavalieri di bronzo?!” –Domandò Flegias, quasi allibito.

 

“Cinque Cavalieri di Bronzo che hanno sconfitto Nettuno e Ade, fratelli del nostro Signore e, al pari di lui, le prime entità a risvegliare la Divina Volontà!” – Precisò Issione.

 

“Come credi… se vuoi prevenire il problema allora falli uccidere! Adesso!”

 

E a Issione, la frase di Flegias parve più un ordine che un suggerimento.

 

In quel momento la loro conversazione fu interrotta dall’arrivo di un Cavaliere Celeste. Un uomo alto e dall’aria maestosa, molto snello, con un viso colorito, due occhi verdi e capelli castani tirati all’indietro, si avvicinò. Flegias, percepita la sua presenza, si voltò verso il Cavaliere cambiando completamente tono e salutandolo con garbo.

 

“Nobile Eridano! Che piacere!”

 

“Salute a te, Flegias, Figlio di Ares! – Esclamò Phantom dell’Eridano Celeste, inginocchiandosi per rendergli omaggio.

 

“Oh, alzati amico! Non curarti in mia presenza delle regole di corte!” –Rise Flegias, facendo cenno di alzarsi. –“Un Cavaliere del tuo rango non deve abbassarsi a simili sottigliezze! Piuttosto…” –Riprese, con voce suadente. –“Mi permetto di farti notare una cosa che mi ha molto costernato!”

 

“Che cosa?” – Domandò il Cavaliere dell’Eridano Celeste.

 

“I vostri Cavalieri Celesti non sono poi così imbattibili! Ho notato un discreto livello di impreparazione nel combattimento, e questo proprio non si addice ai difensori dell’Olimpo!”

 

“Mi dispiace molto sentirglielo dire, mio Signore!” –Esclamò il Cavaliere dell’Eridano Celeste, visibilmente costernato. – “Ma... si riferisce per caso al fallito assalto al Santuario di Atena?”

 

Flegias udì Issione esplodere in una risatina dietro la tenda. Non se ne curò e continuò a parlare con il Luogotenente dell’Olimpo.

 

“Esatto, mio caro! Esatto! Due Cavalieri Celesti abbattuti da due Cavalieri di basso rango! E Sterope, uno dei tre Comandanti, che non riesce a portare a termine una missione!”

 

“Mi rincresce, mio Signore! Ma sono sicuro che c’è un buon motivo per spiegare il fallimento della missione di Sterope! Non si dimentichi che è uno dei tre Ciclopi Celesti, Comandanti dell’Olimpo, insieme a Bronte e ad Arge!”

 

“Beh, forse la prossima volta porterò loro con me!” –Ironizzò Flegias.

 

“Come crede, mio Signore! Ma se le trattative andranno per il meglio sarà possibile evitare una guerra con Atene!” –Concluse il discorso il Cavaliere.

 

“Trattative?!” –Flegias si trovò spiazzato. –“A cosa ti riferisci?”

 

“Non ha sentito le nuove? Il Sommo ha inviato Ermes ad Atene in qualità di Ambasciatore dell’Olimpo! Se Atena e Zeus troveranno un accordo non ci sarà alcun bisogno di combattere!”

 

A tale notizia Flegias rimase ammutolito.

 

“Qualcosa non va mio Signore? Forse è stanco per il combattimento di oggi? Vuole che chiami un servitore?” –Intervenne l’Eridano Celeste, notando la preoccupazione sul volto del figlio di Ares.

 

“Cosa?! No, no, sto bene! Non preoccuparti!” –Concluse in fretta Flegias, salutando il Cavaliere.

 

Dopo che questi se ne andò, Flegias si avvicinò nuovamente alla tenda, più rabbioso che mai. –“Si può sapere cosa sta succedendo? Che intenzioni ha il nostro alleato?”

 

“Non ne ho idea!” –Rispose Issione. –“Non mi ha detto niente!”

 

“Un accordo?!? Ma stiamo scherzando?! Non ci sarà nessun accordo, soltanto la guerra!” –Ringhiò. –“Andrò a parlarne direttamente con lui! Tu, nel frattempo, elimina i Cavalieri di Bronzo!”

 

“D’accordo! Fammi sapere appena puoi!”

 

Flegias si allontanò dalla tenda e si diresse a passo svelto lungo il corridoio del Palazzo di Zeus. Non ci contare! Pensò tra sé. Non so cosa sia questa storia del negoziato, ma sono certo che fallirà! E quando Atena sarà morta, non avrò più bisogno di nessuno! Né di te, né di Zeus, né di questi cialtroni di Cavalieri! Ah ah ah! Rise diabolicamente, dando libero sfogo ai suoi progetti di dominio.

 

***

 

Un paio d’ore dopo, mentre in Grecia Isabel e i suoi Cavalieri sprofondavano in un sonno inquieto, in Cina il sole era appena sorto, illuminando la bella vallata dei Cinque Picchi. Sirio, un tempo Cavaliere del Dragone, si era stabilito là, nella casa del Vecchio Maestro, dopo aver abbandonato, a sua insaputa, il ruolo di combattente di Atena. Fiore di Luna, la sua più vecchia e cara amica, fedele sostenitrice del ragazzo durante tutto il suo allenamento, era con lui, felice come non mai di poter trascorrere lunghi periodi insieme, senza lo spettro della morte in battaglia aleggiante su di lei. Aveva quasi benedetto Isabel il giorno in cui Sirio aveva bevuto la Pozione della Dimenticanza.

 

Quella mattina, Sirio si era alzato presto, come d’abitudine, e stava arando un terreno dietro casa, quando un boato attirò la sua attenzione. Corse davanti alla capanna, giusto in tempo per vedere uno spettacolo impressionante. Una raffica di fulmini stava colpendo la cascata dei Cinque Picchi. Fiore di Luna, appoggiata ad un albero, poco distante, si teneva una mano sul cuore per lo spavento.

 

“Cosa succede?” –Gridò Sirio, raggiungendo la ragazza impaurita.

 

“Oh no! Vai via! Vai via!”

 

Un nuovo boato scosse entrambi, mentre la terra sotto di loro tremò per un momento. Un fulmine si schiantò sul terreno vicino a Sirio e a Fiore di Luna e dal niente apparve una figura, che si avvicinò loro, fermandosi in cima alla stretta fascia di terra che correva davanti alla casa, proprio dove il Vecchio Maestro era stato solito sedersi per tanti anni.

 

Sirio lo guardò da cima a fondo, stralunato come non mai. Davanti a lui c’era un uomo, con indosso una luminosa corazza celeste, dai limpidi riflessi argentei, con uno sventolante mantello bianco fissato dietro. Era alto più di lui e muscoloso, con ampie spalle e braccia possenti. Aveva un viso elegante, con mossi capelli scuri striati di grigio, che spuntavano dall’elmo dell’armatura. Un elmo su cui era impresso il simbolo del fulmine.

 

“Sei tu Sirio il Dragone?” –Domandò l’uomo, con voce autoritaria.

 

“Mi chiamo Sirio, io!” –Rispose il giovane, ponendosi di fronte a Fiore di Luna per proteggerla. – “Chi sei tu? E cosa vuoi?”

 

“Sono qua per prendere la tua vita!” –Fu la pacata risposta dell’uomo. –“In quanto a chi sono… non credo avrebbe importanza per un condannato a morte!”

 

E nel dir questo tirò fuori una spada luminosa, che portava appesa alla cintura dell’armatura, in precedenza nascosta dal mantello bianco. Senza aggiungere altro piantò la spada in terra, sollevandola poi di scatto. Sirio fu stupito nel vedere che il gesto dell’uomo aveva creato un abbagliante fascio di luce che si stava dirigendo verso di lui, scavando nel terreno a velocità impressionante e distruggendo tutto quello che trovava.

 

Scappaaa!” –Urlò a Fiore di Luna, spingendola lontano, nel bosco, al di là della linea che il fascio di luce dell’uomo stava creando nel terreno.

 

Ma Sirio non fece in tempo a seguire il proprio consiglio. Il solco lo raggiunse, tagliando la terra davanti a lui e continuando la sua corsa fino a raggiungere la vecchia abitazione dove vivevano, e tutto ciò che rimase alla destra del solco franò rovinosamente a valle, nelle turbolente acque del lago sotto la cascata. Terra, alberi, pezzi di casa, e Sirio stesso, che non fece in tempo ad afferrarsi al bordo del terreno, precipitando nel lago.

 

“Addio, Cavaliere del Drago!” –Esclamò l’uomo, osservando il ragazzo scomparire tra i flutti.

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Ritorno al Passato ***


CAPITOLO QUINTO

CAPITOLO QUINTO. RITORNO AL PASSATO.

 

Pegasus stava correndo lungo un viale alberato della città di Nuova Luxor. Adorava correre di mattina, libero e felice, sentire il fresco tocco dell’aria sul suo viso, che lo risvegliava e lo preparava per la giornata. Era un’abitudine che aveva preso negli ultimi mesi, da quando, anche se non poteva saperlo, era tornato a vivere in città, insieme alla sorella. Patricia correva accanto a lui, ridendo e scherzando in allegria, come facevano ogni mattina. Si erano ritrovati pochi mesi prima, dopo anni di separazione, ma Pegasus questo non lo ricordava. L’immagine di sua sorella, che gli aveva fatto da madre da bambino, era talmente fissata nella sua mente, che anche la lontananza non l’aveva intaccata. Correndo correndo i due fratelli giunsero fino a Villa Thule, a quella che Pegasus riteneva fosse l’abitazione di un suo ricco amico, Andromeda. Il ragazzo dai capelli verdi era fuori in giardino, a fare stretching tra gli alberi della villa, avvolto nella sua colorata tuta da ginnastica.

 

“Ehi Andromeda!!!” – Lo salutò Pegasus, raggiungendolo tra gli alberi.

 

“Pegasus! Patricia!” – Esclamò Andromeda, con un gran sorriso. – “Puntuali come sempre, eh?!”

 

“Puoi ben dirlo!” –Affermò Patricia, ansimando. –“Mio fratello è uno schiavista! Non vuole fermarsi un momento!”

 

“Ma certo! Usciamo per correre, no? Mica per fare salotto!” –Esclamò Pegasus, ridendo.

 

Patricia rise a sua volta, cercando di apparire il più naturale possibile. Ma quando Pegasus stava con Andromeda si sentiva a disagio. Non per gelosia, tutt’altro, Andromeda era un caro amico e un ragazzo di compagnia. Patricia aveva semplicemente paura, come Fiore di Luna per Sirio, che Pegasus recuperasse la memoria, nonostante lo zaffiro che portava al collo, e ritornasse a combattere. Mai come quella mattina le sue paure erano fondate.

 

“Allora, dov’è il tuo burbero maggiordomo?” – Domandò Pegasus.

 

“Ti ho già detto che non è il mio maggiordomo, Andromeda! È il maggiordomo della proprietaria di questa villa! Quella che mi ha concesso di abitare qua!”

 

“Sì, certo, come no?!” – Scherzò Pegasus, arruffando i capelli dell’amico. –“Lo ripeti da mesi ma di questa fantomatica donna nessuna traccia! Non è mai comparsa!”

 

“Non burlarti di lui, Pegasus!” – Intervenne Patricia. – “Non è carino!”

 

“Non voglio burlarlo, vorrei solo che ammettesse che questa splendida villa appartiene a lui, al nostro caro miliardario!!!” –Rise Pegasus.

 

“Di nuovo con questa storia!?!” – Sbuffò Andromeda.

 

In quel momento uscì fuori Mylock, il maggiordomo della villa. I tre amici si voltarono e lo videro brontolare al telefono con qualcuno.

 

“Non invidio chi sta dall’altro lato della linea!” – Ironizzò Pegasus.

 

Ma Patricia non rise, preoccupata dall’eccessiva agitazione dell’uomo. Lo guardò con attenzione, mentre si avvicinava, e vide che Mylock non era soltanto inquieto, era anche molto triste ed angosciato. Il maggiordomo chiuse bruscamente la comunicazione, e la ragazza non udì niente, ma colse soltanto un nome, che la fece rabbrividire. Tisifone.

 

“Oh sei qua Andromeda! Ti stavo cercando!” – Esordì il maggiordomo.

 

“Sono con Pegasus e con Patricia!” –Sorrise Andromeda. –“Stiamo andando a correre nel bosco di querce! Vuoi unirti a noi?” – Ironizzò.

 

“Bravi, bene, no, cioè!” – Mylock farfugliò qualche parola incomprensibile.

 

“Ehi, stai bene?” – Gli chiese Andromeda.

 

“Certo, certo! Volevo solo sapere dov’eri e come stavi!” –Tagliò corto Mylock, voltandosi per tornare in casa. –“Non allontanarvi troppo, e quando entrate in casa pulitevi i piedi, per favore!!!”

 

“Certo, certo!!! Useremo le pattine!” –Scherzò Pegasus. –“Allora, partiamo per questa corsetta?” – Aggiunse, rivolgendosi verso l’amico.

 

Ma Andromeda non fece in tempo a rispondere che l’attenzione di tutti fu attirata da un singolare evento. Un vero e proprio fulmine a ciel sereno. Anzi, tre fulmini consecutivi caddero poco distanti da loro, bruciando gli alberi e la vegetazione. Patricia tirò un urlo spaventata, mettendosi dietro Pegasus, anch’egli, come Andromeda, stupefatto dal fenomeno. Ma il loro stupore aumentò ancora quando videro che dalle fiamme apparve una figura, piuttosto singolare. Alto e robusto, con un viso maschile e massiccio, barbetta incolta, occhi azzurri e capelli mossi, un uomo che poteva avere una trentina d’anni, ma anche un tempo indefinito, completamente ricoperto da una scintillante armatura celeste dai riflessi violacei, si incamminò verso di loro, fermandosi a pochi metri. Pegasus e Andromeda sgranarono gli occhi stupefatti, mentre un gran mal di testa li colpì improvvisamente.

 

“Che c’è?” – Chiese Andromeda all’amico, che sembrava accusare le fitte più forti.

 

“Non lo so... è come se quell’uomo mi ricordasse qualcosa ma non riesco a capire cosa!” – Si lamentò Pegasus, portandosi le mani alla testa.

 

“Siete dunque voi i Cavalieri di Pegasus e Andromeda?” – Domandò la voce.

 

“Io sono Andromeda, e lui è Pegasus! Ma non sappiamo chi siano questi Cavalieri!” – Esclamò il ragazzo dai capelli verdi.

 

“Umpf…” - L’uomo quasi sorrise di fronte a tanta beata ingenuità.

 

“Chi sei?” – Domandò Pegasus. –“E come hai fatto ad arrivare qua?”

 

“Non fare domande inutili, alle quali potresti rispondere da solo!” –Affermò l’uomo. –“Chiediti piuttosto cosa voglio!”

 

“Noo!!!” – Urlò Patricia, ponendosi istintivamente davanti al fratello. –“Smettila! Non tormentarlo ancora!!! Lady Isabel ci assicurò che era tutto finito, che non avrebbero più combattuto!”

 

“Togliti!” – Esclamò l’uomo, senza battere ciglio. –“Se non vuoi rimanere coinvolta!”

 

“Mai!” – Gridò Patricia.

Senza perdere tempo, l’uomo puntò l’indice destro contro la ragazza, e un attimo dopo Patricia si trovò spinta indietro, a sbattere violentemente contro un albero.

 

“Maledetto! Che cos’hai fatto?” – Gridò Pegasus, correndo a soccorrere la sorella.

 

Pegasus e Andromeda non avevano avuto il tempo di vedere niente, solo una piccola luce sulla cima dell’indice. Un colpo portato alla velocità della luce che aveva spinto la ragazza indietro, tramortendola.

 

“E adesso a noi!” – Esclamò l’uomo, rivolgendosi a Andromeda.

 

Ma Pegasus gli corse incontro, pieno di rabbia. Non sapeva chi fosse quell’uomo, né perché gli provocasse un così grande dolore alla testa. Sapeva soltanto che aveva ferito sua sorella, e gliel’avrebbe fatta pagare. Si buttò avanti, cercando di colpirlo con un pugno, ma l’uomo neppure si mosse. Con una mossa fulminea afferrò il braccio di Pegasus, sollevandolo e lanciandolo indietro, fino a farlo schiantare contro un albero.

 

“Pegasus!!!!” – Urlò Andromeda.

 

“Non curarti di lui! Pensa per te, piuttosto!” –Esclamò l’uomo, puntando l’indice contro Andromeda.

 

Un lampo di energia saettò dal suo dito verso il ragazzo, pronto per colpirlo, ma qualcosa glielo impedì. Una ragazza, coperta in parte da un’armatura grigia, si buttò contro Andromeda, spingendolo di lato e venendo colpita al posto suo e scagliata lontano, contro un muro di Villa Thule. Quando Andromeda si rialzò, poté vedere con orrore il corpo di una donna che conosceva rialzarsi a fatica dalle macerie.

 

Non vedo il suo volto, ma la conosco! La sento! Pensò, ma non ricordò il suo nome. Né perché fosse vestita in quel modo bizzarro. Un’armatura di bronzo, capace di coprire soltanto alcune parti del corpo, e una frusta legata alla vita. Una maschera sul volto, che lasciava trasparire soltanto i capelli, mossi e biondi.

 

“Chi sei, donna, che ti intrometti?” –Esclamò l’uomo, indispettito.

 

“Sono Nemes del Camaleonte, Cavaliere di Bronzo al servizio di Atena!”

 

“Un Cavaliere di Bronzo?! Ridicolo!” –La schernì l’uomo, senza degnarla di un ulteriore sguardo.

 

Fece invece per incamminarsi verso Andromeda, a terra, per eliminarlo. Ma Nemes fu svelta a balzare avanti, sfoderando la sua frusta e lanciandola contro l’uomo. Questi però non si fece sorprendere, afferrando la frusta e tirandola a sé. Nemes fu travolta dalla forza di quell’uomo, a cui cadde quasi addosso, mentre il suo braccio destro gli sfondava il pettorale dell’armatura, facendole sputare sangue, e spingendola indietro, nuovamente contro la casa.

 

“Che ti serva da lezione!” – Esclamò l’uomo.

 

“Maledetto!” – Urlò Andromeda, sgomento.

 

“Accetta il tuo destino e la morte che ti è stata riservata!” – Esclamò l’uomo, ormai di fronte a lui.

 

“Chi sei?” – Gli chiese Andromeda.

 

“Potrei anche dirtelo!” –Sussurrò l’uomo. –“Ma non capiresti comunque perché devo farlo!” –E nel dir questo concentrò una sfera di energia sulla mano destra, pronto per scagliarla contro di lui.

 

“Ehi, mister muscolo!” – Esclamò una voce dietro di lui. – “Colpisci questi!”

 

Era Pegasus, che si era lanciato e aveva iniziato a lanciare grossi sassi contro l’uomo.

 

“Attento Pegasus!” – Gridò Andromeda, osservando il veloce movimento dell’uomo.

 

Questi infatti si voltò di scatto, facendo esplodere la sfera contro Pegasus. I sassi si disintegrarono all’istante e lo spostamento d’aria travolse Pegasus spingendolo nuovamente contro un albero, mentre tutto il terreno subì notevoli scombussolamenti. Per un attimo Pegasus rivide se stesso sprigionare una simile luce. Fu un attimo, prima di essere distratto da un nuovo attacco dell’uomo.

 

Nemes si era infatti rialzata, lanciandosi nuovamente avanti con la sua frusta, nonostante il petto in fiamme e le ferite riportate. L’uomo lasciò che la frusta si arrotolasse intorno al suo braccio, per usarla nuovamente come arma per sollevare la ragazza. La lanciò in alto, colpendola con una sfera di energia incandescente. Nemes ricadde a terra, tra i frammenti della sua armatura distrutta. Era ferita ovunque, e sangue scorreva copioso sul suo corpo e sul viso. La maschera che portava sul volto era distrutta, rivelando il suo bel viso. Un viso che Andromeda aveva sicuramente già visto.

 

“Qua tutto finisce!” – Esclamò l’uomo, soddisfatto.

 

E si preparò per l’ultimo colpo, quello con cui avrebbe ucciso Pegasus e Andromeda. Il ragazzo dai capelli verdi era corso dall’amico, per aiutarlo a riprendersi, e l’uomo gliel’aveva ovviamente lasciato fare. Cosa potevano fare due ragazzi, senza poteri, contro l’emissario di un Dio?! Prima che potesse muoversi, la voce angosciata di Patricia risuonò nell’aria.

 

“Liberali!!!” – Esclamò, facendo voltare l’uomo.

 

Ma Patricia non si rivolgeva a lui. Bensì a Nemes, la donna, ancora a terra in una pozza di sangue, che arrancava per sollevare il mento.

 

“Liberali!!!” –Ripeté Patricia, stupendo persino Pegasus e Andromeda. –“Solo così potranno combattere con lui! Solo così potranno salvarsi!”

 

“Taci, sciocca!” – La intimò l’uomo, puntando nuovamente l’indice contro di lei.

 

Al pensiero che qualcuno potesse far del male a sua sorella, qualcosa scattò dentro Pegasus. Si lanciò avanti, veloce come una gazzella, e spinse avanti il pugno, pronunciando parole che gli uscirono dalla bocca senza neppure averle pensate.

 

“Fulmine di Pegasus!!!” – Gridò. E immediatamente decine e decine di sfere luminose partirono dal suo pugno destro dirette verso l’uomo che, nonostante la sorpresa, non ebbe difficoltà ad evitarle tutte.

 

“Pegasus!” – Gridò Andromeda, raggiungendo l’amico. – “Ma… come hai fatto?”

 

“Non chiedermelo, Andromeda!” – Balbettò Pegasus, stupefatto da se stesso.

“Quello è il tuo colpo segreto, Cavaliere di Pegasus!” – Esclamò Nemes, tentando di rialzarsi. Non ci riuscì e ricadde a terra, sanguinante. –“Voi siete i Cavalieri di Atena, sacri difensori della giustizia sulla Terra! Pegasus e Andromeda! Non so chi sia quest’uomo, ma vorrei… vorrei...” – Ma le forze la abbandonarono. –“Essere riuscita a proteggervi!” –E cadde a terra, svenuta.

 

I Cavalieri di Atena? Mormorò Pegasus, riflettendo su quelle parole che, improvvisamente, tanto oscure non gli sembrarono.

 

“Adesso basta, finiamola qua!” –Gridò l’uomo, ma nuovamente la voce di Patricia si sovrappose alla sua.

 

“La pietra! La pietra che hai al collo, Pegasus! Gettala via!” – Gridò.

 

La furia devastante dell’uomo quella volta non la risparmiò. Un lampo del suo dito la sollevò da terra, scaraventandola lontano, contro la grande vetrata della casa. La distrusse, precipitando rovinosamente al suo interno, mentre frammenti di vetro le penetrarono ovunque, divorandole il corpo.

 

“Patriciaaaaaaaa!” – Urlò Pegasus, ma Andromeda gli afferrò la mano.

 

Pegasus lo fissò, e con le lacrime agli occhi annuì. Insieme gettarono via le pietre che avevano al collo. Uno zaffiro e un topazio. Ma non accadde niente. Qualunque cosa avessero immaginato, le loro attese risultarono deluse.

 

“Morite stolti!” – Gridò l’uomo, lanciando loro contro un globo di energia.

 

I due amici si separarono, scattando di lato nella speranza di evitare la sfera, ma questa esplose travolgendoli e scaraventandoli lontano, facendo crollare rami e alberi interi sopra di loro. Ben fatto! Si disse l’uomo, osservando il risultato del proprio lavoro. E si mosse per andarsene, credendo che i due ragazzi fossero rimasti morti, travolti dall’esplosione.

 

Non fece in tempo a fare qualche passo che sentì due energie cosmiche liberarsi repentinamente nel grande giardino di Villa Thule. Si voltò e vide comparire in cielo due scintillanti armature: bianca la prima, con rifiniture azzurre, e violetto la seconda. Queste si scomposero all’istante, andando a ricoprire perfettamente i corpi dei due ragazzi, in piedi nel giardino devastato. Pegasus e Andromeda aveva indossato le loro vecchie armature di bronzo.

 

L’uomo fu piuttosto sorpreso di questo avvenimento, ma non si fece per niente intimorire. In fin dei conti! Pensò. Restano pur sempre dei Cavalieri di Bronzo! Nonostante abbiano sconfitto delle Divinità! E bruciò, per la prima volta, il suo cosmo, vasto come il cielo.

 

“Esteso e luminoso è il cosmo di costui!” – Esclamò Andromeda, osservando il proprio avversario.

 

“Non abbiamo forse già affrontato avversari potenti e insidiosi?” –Sorrise Pegasus al suo fianco, che pareva aver ricordato tutto.

 

“Lo sto ricordando!” – Annuì Andromeda, voltandosi nuovamente verso l’uomo.

 

Pegasus non disse altro, in pena per le sorti della sorella. Scattò avanti, bruciando il proprio cosmo luminoso e scagliando il colpo delle stelle cadenti.

 

“Fulmine di Pegasus!” – Gridò, lanciando centinaia di sfere contro l’uomo, che non si mosse di un centimetro, evitando tutti i colpi del ragazzo. –“Li ha evitati tutti!” –Commentò Pegasus, deluso.

 

“Non è esatto! Non li ho evitati, perché non mi sono mosso!” –Puntualizzò l’uomo. –“Li ho semplicemente parati!”

 

“Parati?!” – Sgranò gli occhi Pegasus.

 

“Attacco veloce, il tuo! Ma non così veloce per sconfiggere un Cavaliere Celeste! Non raggiungeva neppure la velocità della luce!” –Commentò l’uomo, espandendo il proprio cosmo. –“Adesso è il mio turno!  Tuono dell’Olimpo!” – Gridò, portando avanti il braccio destro.

 

Pegasus fu travolto dall’impeto dell’attacco dell’uomo, sollevato da una grande tempesta cosmica. Anche Andromeda, dietro di lui, venne sospinto in aria, senza il tempo di reagire. Caddero parecchi metri indietro, sbattendo violentemente a terra, feriti e sanguinanti. Pegasus perse addirittura l’elmo della sua armatura, la stessa che aveva indosso durante la Guerra Sacra contro Ade. Andromeda fu il primo a rialzarsi, rendendosi conto che il loro nemico si stava avvicinando. Srotolò la propria catena, disponendola a cerchi concentrici intorno a loro.

 

“Catena di Andromeda, disponiti a difesa!” – Esclamò, intimando l’uomo di stare lontano. Ma questi non si scompose minimamente, iniziando a camminare su di essa, per avvicinarsi a loro. –“Ma come? Non senti la tensione elettromagnetica della mia catena?” –Sgranò gli occhi Andromeda.

 

“Neanche una scossa!” – Commentò l’uomo, deridendo l’inettitudine del Cavaliere. – “Grazie alle mie vestigia, forgiate da Efesto in persona, sono praticamente inarrivabile!”

 

“Efesto?! Il fabbro degli Dei?!” – Esclamò Andromeda, mentre Pegasus si riprendeva, rialzandosi. – “Ma chi sei tu?”

 

“Sono Bronte del Tuono, Ciclope Celeste al servizio del sommo Zeus!” –Si presentò finalmente l’uomo. – E sono qua per uccidervi!

 

“Bronte del Tuono!” – Ripeté Andromeda. – “Un nome che ispira leggenda!”

 

Ma non ebbe il tempo di riflettere molto che dovette fronteggiare un nuovo assalto del Ciclope Celeste. Andromeda richiamò la sua catena che iniziò a roteare vorticosamente intorno a lui e all’amico, per impedire ai colpi energetici di Bronte di raggiungerli.

 

“Misera difesa quella catena! Non potrà certo resistere al Tuono degli Dei!” –Commentò Bronte, facendo esplodere nuovamente il proprio cosmo. –“Tuono dell’Olimpo!” –Urlò, scatenando una furiosa tempesta energetica. Molto più potente del colpo lanciato in precedenza.

 

I due amici furono sollevati da terra, e il tentativo di Andromeda di usare la catena come ancora fallì miseramente, venendo addirittura spezzata in più punti. Ricaddero a terra parecchi metri addietro, doloranti e seriamente preoccupati.

 

Andromeda aveva ricordato. Bronte era il nome di uno tre Ciclopi mitologici, figli di Urano e di Gea; imprigionati sottoterra, furono liberati da Zeus, a cui diedero in dono il fulmine. Pegasus e Andromeda non sapevano se si trattasse di uno di loro o di una sua reincarnazione, ma la forza che Bronte aveva finora dimostrato loro era certamente all’altezza della sua mitologica fama.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Fedi diverse ***


CAPITOLO SESTO. FEDI DIVERSE.

 

Pegasus scattò avanti, lanciando nuovamente il Fulmine di Pegasus, senza mai fermarsi, ma Bronte non si mosse di un centimetro, parando, con un rapido movimento della mano destra, tutti i colpi del ragazzo. Ma Pegasus continuò ad avanzare, giungendo fino a pochi metri dal Cavaliere Celeste, aumentando l’intensità del proprio attacco. Di questo, Bronte se ne rese conto, forzandosi ad usare anche il braccio sinistro per difendersi dai suoi colpi.

 

Migliora progressivamente il ragazzo! Rifletté il Ciclope Celeste, spostandosi per la prima volta a destra, per evitare una sfera incandescente. Ma non avrà il tempo di andare oltre! Concentrò il cosmo sulla mano sinistra, sotto forma di globo luminoso, prima di spingerlo avanti.

 

Pegasus fu travolto dalla sfera, che esplose al contatto con il suo corpo, e scagliato in alto. Mentre stava ricadendo, Bronte aveva già preparato una nuova sfera per colpirlo, ma Andromeda non glielo permise, lanciando la sua Catena di Difesa verso Pegasus, afferrandolo e tirandolo fuori dalla traiettoria di Bronte. Nel contempo scagliò anche la Catena di Offesa contro il nemico.

 

“Andate, Onde del Tuono! E colpitelo!” –E subito la catena si divise in decine di catene diverse, convergenti tutte verso Bronte. Questi non si mosse minimamente, limitandosi ad aprire il palmo destro, su cui si infransero le catene. –“Com’è possibile?” –Esclamò Andromeda, esterrefatto.

 

“E hai il coraggio di chiamarle Onde del Tuono?!” –Ironizzò il Ciclope Celeste. –“Ti mostrerò io, adesso, cos’è un vero tuono olimpico!” –E bruciò il proprio cosmo, celeste e infinito.

 

“Catena! Disponiti a difesa!” –Urlò Andromeda, mentre l’arma iniziava a roteare intorno a lui e a Pegasus.

 

“Sciocco! Non hai ancora capito che la tua catena non può niente di fronte al Tuono dell’Olimpo!” – Esclamò Bronte, scatenando la sua tempesta energetica.

 

Nuovamente la catena non riuscì a difendere i due ragazzi, scaraventandoli indietro, ma quella volta Pegasus si rialzò di scatto, quasi come se aspettasse di cadere a terra, e si lanciò avanti, scagliando un nuovo, velocissimo, Fulmine di Pegasus. Bronte, per quanto preso di sorpresa dalla rapidità di ripresa del ragazzo, riuscì comunque a parare la maggioranza dei suoi attacchi, lasciando che gli altri colpi si infrangessero dietro di lui. Stava quasi per rilanciare il Tuono dell’Olimpo, quando si avvide che Pegasus non era più davanti a lui. Con un rapido balzo, il giovane era saltato in aria e aveva iniziato a roteare su se stesso, creando una vera e propria cometa lucente che si stava dirigendo verso di lui alla velocità della luce. Bronte portò entrambe le mani avanti, per difendersi dal colpo del ragazzo che si schiantò sull’improvvisata difesa del Ciclope Celeste. Il contraccolpo scaraventò entrambi indietro di parecchi metri.

 

Andromeda approfittò di quel momento per lanciare le sue catene contro il Ciclope, che tentava di rialzarsi, mentre le catene si arrotolavano intorno al suo grande corpo.

 

“Great Capture!” –Gridò Andromeda, stringendo la morsa della catena e liberando una violenta scarica energetica. Quella volta il Ciclope sembrò accusare il colpo, mostrando segni di sofferenza a quella stretta energetica, ma nonostante questo riuscì a liberarsi dalla catena espandendo il proprio cosmo, e distruggendola.

 

“Incredibile!” –Mormorò Andromeda, osservando la Catena di Offesa andare in frantumi.

“Ti stupisci ancora, ragazzino? Sono un Ciclope Celeste, nato da sangue divino! Cosa possono farmi degli stupidi catenacci terrestri?” –Esclamò Bronte, bruciando ancora il suo cosmo.

 

Pegasus e Andromeda fecero altrettanto ma non riuscirono in tempo a lanciare i loro colpi che dovettero fronteggiare l’assalto impetuoso del Ciclope.

 

“Tuono dell’Olimpo!” –Esclamò, scagliando nuovamente il suo colpo segreto.

 

Ma quella volta, miracolosamente, i due Cavalieri di Bronzo non furono investiti dalla tempesta energetica. Pegasus, portando avanti le braccia e unendo le mani, riuscì a fermare il colpo del Ciclope, con notevole sforzo e dolore.

 

“Che cosa?!” –Esclamò Bronte, esterrefatto, osservando il ragazzo contrastare il suo potere. –“Ma come puoi fermarlo?!”

 

“Avevo dimenticato…” –Mormorò Pegasus. –“Cosa significasse essere Cavaliere di Atena! E avevo dimenticato anche l’infinito amore di Isabel nei nostri confronti!”

 

“Pegasus...” –Sospirò Andromeda, mentre l’amico si voltava a fissarlo, con gli occhi lucidi.

 

“Lei ci ha tolto dalla guerra per questo, per farci vivere una vita felice, senza più combattere, e adesso probabilmente sta affrontando questa nuova minaccia senza di noi! Non posso permetterlo! Sono un Cavaliere di Atena, per questo combatto!!!” –Esclamò, respingendo il colpo di Bronte.

 

Il Tuono dell’Olimpo venne rimandato indietro, potenziato dal cosmo di Pegasus, investendo il Ciclope e scaraventandolo lontano. Bronte si rialzò immediatamente, brontolando per la piega che aveva preso la battaglia. Una battaglia che avrebbe dovuto concludersi in pochi minuti! Sono stato fin troppo accondiscendente! Mormorò, espandendo il suo cosmo. Ma Pegasus e Andromeda avevano già fatto altrettanto, venendo avvolti da un’aura celeste e rosa.

 

“Adesso che abbiamo ricordato, si è acceso in noi un nuovo impeto, una nuova determinazione!” – Continuò Pegasus. –“Raggiungere Isabel! Adesso!” –E nel dir questo bruciò al massimo il proprio cosmo, mentre le tredici stelle di Pegasus brillavano intorno a lui.

 

“Sono con te!” –Esclamò Andromeda, facendo altrettanto.

 

“Cometa Lucente!”

Nebulosa di Andromeda!”

 

“Vi fermerò!” –Esclamò Bronte, unendo i palmi delle mani e poi riaprendoli di scatto, liberando una grande quantità di energia sotto forma di scariche incandescenti.

 

Zeus, Signore dell’Olimpo, Dio del Fulmine, di cui ti abbiamo fatto dono millenni fa, proteggimi in questa battaglia e permettimi di onorare l’incarico che mi hai affidato! Mormorò Bronte, creando, con le sue scariche, una barriera difensiva.

 

“Groviglio di Fulmini!” –Esclamò, mentre i colpi di Pegasus e Andromeda, per quanto potenti, si infrangevano sulla sua difesa.

 

“Incredibile!” –Esclamò Andromeda, esterrefatto. –“Non l’abbiamo colpito!”

 

“Non soltanto!” –Gli andò dietro Pegasus. –“Ma sta respingendo il nostro attacco!”

 

“Vortice impetuoso dei Ciclopi Celesti!” –Esclamò Bronte, liberando una notevole quantità di energia sotto forma di un vortice, creato da guizzanti fulmini, che travolse Pegasus e Andromeda sollevandoli in alto e avvolgendoli nelle sue spire.

 

Li trasportò per parecchi metri, prima di farli schiantare contro Villa Thule, distruggendo parte della casa. Fatto questo, Bronte si rilassò un attimo, stanco per il notevole consumo energetico, non credendo infatti che sarebbe dovuto arrivare a tanto per uccidere quei ragazzini. Si mosse e fece per rientrare sull’Olimpo, quando una squillante voce lo richiamò.

 

“Ehi, Ciclope! Non vorrai andartene adesso che iniziamo a divertirci!”

 

“Che cosa?!” –Esclamò Bronte, voltandosi verso Villa Thule.

 

Pegasus era in piedi, con il volto sanguinante e pieno di ferite sul corpo, e Andromeda era accanto a lui, affaticato come l’amico; entrambi con le armature semidistrutte.

 

“Ma... siete immortali?” –Mormorò il Ciclope Celeste.

 

“Dopo la Guerra Sacra contro Ade, Lady Isabel bagnò nuovamente le nostre armature con il suo sangue! Sangue divino! Temendo che un giorno saremmo dovuti tornare a combattere, preferì lasciarci le difese necessarie!”

 

“Nelle nostre armature scorre il sangue della Dea della Giustizia! Ed esso ci conforta, dandoci nuova linfa e vigore ogni volta in cui ne abbiamo bisogno!” –Commentò Andromeda.

 

“Capisco!” –Rifletté Bronte. –“Ma questo non vi servirà contro un Ciclope Celeste! L’immortalità non è dono dato agli uomini, e voi non fate eccezione!” –Ed espanse nuovamente il suo cosmo.

 

“Neppure tu ne sei esente, Ciclope dell’Olimpo!” –Lo schernì Pegasus. –“Sei immortale, certo, in quanto non soggetto al trascorrere del tempo, non destinato ad invecchiare! Ma sei mortale quando scendi in battaglia, sei mortale perché sai che una ferita potrebbe ucciderti, di una morte violenta che invece potresti evitare rimanendo seduto sui troni olimpici!”

 

“E pensi che ciò farebbe di me un eroe? Rimanere seduto sul trono e attendere che lenti trascorrano i miei giorni? Attendere che il mondo scivoli da solo verso il Caos, senza fare niente per fermarlo, indolente, pigro o semplicemente impaurito dalla morte? No, Cavaliere di Atena! Questo non sono io!” –Continuò il Ciclope. –“Siamo immortali, è vero! Ma non siamo codardi! Io e i miei fratelli dobbiamo fedeltà al Sommo Zeus, che nel Mondo Antico ci liberò dalla prigionia oscura di Tartaro, in cui nostro Padre ci aveva confinato! Per rendergli il favore noi adesso combattiamo, fedeli a lui come tu sei fedele alla tua Dea!”

 

“Parole piene di onore sono le tue, Bronte del Tuono!” –Commentò Andromeda.

 

“Peccato soltanto che non ti serviranno per evitare la sconfitta!” –Ironizzò Pegasus, espandendo al massimo il suo cosmo.

 

Lo stesso fece Andromeda, prima di lanciarsi avanti con l’amico e ripetere il doppio attacco di prima. La Cometa Lucente e la Nebulosa di Andromeda corsero verso il nemico, che tentò di ricreare il Groviglio di Fulmini per difendersi. Ci riuscì soltanto in parte, venendo sbalzato indietro di parecchi metri, come accadde a Pegasus e Andromeda. Quando si rialzò, Bronte dovette constatare, con sorpresa e orrore, che era stato colpito: la sua Veste Divina era incrinata in più punti.

 

Pegasus e Andromeda si erano rimessi in piedi, ansimando per la sforzo ma pronti a una nuova battaglia. Non ce ne fu bisogno, poiché Bronte voltò loro le spalle, non più intenzionato a batterli.

 

“Dove vai, codardo?” –Lo schernì Pegasus.

 

“Non sono un codardo, Cavaliere di Pegasus!” –Rispose Bronte, senza voltarsi. –“Ma questa non è la mia missione! Io avrei dovuto uccidere i due ragazzi chiamati Andromeda e Pegasus, non combattere contro due Cavalieri di Atena! Ma non cantate vittoria… ci rivedremo sicuramente, e in quel momento concluderemo il nostro scontro!”

 

“Puoi contarci, Ciclope!” –Esclamò Pegasus, con aria decisa.

 

“Non sfidare troppo il destino, giovane Cavaliere! Ricorda… C’è sempre una spada pronta ad infilzarti!” –Detto questo scomparve nel nulla, rientrando sull’Olimpo.

 

Quelle ultime parole ferirono Pegasus maggiormente che il combattimento, alludendo infatti alla Spada di Ade che si era conficcata nel suo petto durante la battaglia finale nell’Elisio. Se non fosse stato per il caldo cosmo di Atena, Pegasus sarebbe sicuramente morto. Il ragazzo si accarezzò il petto, accusando una leggera fitta, prima di essere distratto da Andromeda.

 

Nemes! E Patricia! Dobbiamo soccorrerle!” –Esclamò il ragazzo, correndo verso la villa.

 

Pegasus gli andò dietro, raggiungendo in fretta la sorella, mentre Andromeda soccorse Nemes. La Sacerdotessa del Camaleonte aveva perso molto sangue, e respirava a fatica, e Andromeda la sollevò delicatamente, per portarla in ospedale.

 

La scena più agghiacciante si presentò a Pegasus, invece. Mylock aveva cercato di soccorrere Patricia, che versava in gravi condizioni, non avendo il fisico né la resistenza di un Cavaliere. Era piena di tagli su tutto il corpo, penetrata da schegge di vetro, ferita e sanguinante ovunque. Ma mentre il vecchio maggiordomo la stava aiutando per portarla in infermeria, il tetto della villa era crollato, distrutto dalla battaglia tra Pegasus e il Ciclope, e Mylock si era sdraiato sulla ragazza per proteggerla dai detriti, venendo colpito al posto suo. Pegasus si arrabattò per togliere le macerie e liberare i due corpi, entrambi sfigurati, mentre copiose lacrime scendevano a fiumi dai suoi occhi.

 

“Patricia!!!” –Urlò, sollevando la sorella, che ancora, seppur, debolmente respirava. E solo allora si accorse che Mylock più non si muoveva. –“Noo!!! Mylock!!! Mylock!!!” –Gridò, tentando di farlo rinvenire. Ma l’uomo mosse soltanto le labbra e con il suo ultimo alito di vita, pregò Pegasus di prendersi cura di Isabel.

 

“Lei ti ama, ragazzo! Difendila! Sempre!” –E più non parlò il burbero maggiordomo che aveva sempre detestato quello scavezzacolli di Pegasus, ma che nel momento del bisogno non aveva esitato a dare la vita per salvare sua sorella.

 

Pegasus si chinò sul corpo dell’uomo, iniziando a piangere come un bambino, ma fu presto interrotto da Andromeda, addolorato anche lui, che lo pregò di rimandare il dolore.

 

“Adesso devi pensare a tua sorella!” –Gli disse. –“Che il sacrificio di Mylock non sia stato vano!”

 

Pegasus diede ragione a Andromeda, sollevando Patricia, prima di correre verso l’ospedale della Fondazione. In quelle poche ore, da quando era uscito di casa per fare jogging, la sua vita era completamente cambiata, rispetto agli ultimi mesi. Ritornando quella vita di dolore e di battaglie da cui Isabel avrebbe voluto toglierlo. Isabel! Mormorò, e la sua mente volò a lei, nella vecchia Europa, impegnata a fronteggiare il Padre degli Dei. Se tutti i Cavalieri di Zeus sono come Bronte, Isabel avrà bisogno del nostro aiuto! Commentò, nuovamente consapevole dei propri poteri. E delle proprie responsabilità.

 

***

 

Quando Flegias arrivò di fronte alla Sala del Trono, i Cavalieri Celesti di guardia si scansarono di lato, senza neppure cercare di fermarlo. Sapevano quanto poteva essere pericoloso il figlio di Ares. A che scopo inviare Ermes sulla Terra per tentare un negoziato con Atena? Nessun negoziato deve essere possibile! Solo la guerra! Questa era l’idea del Flagello degli Uomini, e anche se il Padre degli Dei non l’avesse approvata, sarebbe rimasta la sua e nessun negoziatore avrebbe potuto fargliela cambiare. Adesso doveva esporla a colui che qualche mese prima lo aveva accolto nella sua dimora, senza preoccuparsi né di dove venisse né di quali fossero i suoi progetti futuri.

 

Un gesto sconsiderato! Aveva sempre pensato Ermes.

 

“Mio Signore!” –Esordì Flegias, mentre il portone della Sala del Trono si richiudeva alle sue spalle.

 

“Ben arrivato, Flegias, Figlio di Ares!” –Rispose una voce.

 

La stanza era vasta e decorata da maestose statue di marmo inneggianti a Zeus e alle sue imprese. Sui muri erano disegnati affreschi, che si intervallavano con le ampie finestre che davano sul mondo sottostante. Una città sulle nuvole. Sul lato meridionale della stanza, sopra un grande palco alto parecchi metri, a cui si accedeva tramite una lunga scalinata di marmo chiaro, si ergeva un elegante trono, sormontato dal simbolo di Zeus: il fulmine.

 

“Di cosa vuoi parlarmi?” –Domandò la voce della figura seduta sul trono.

 

“Mio Signore, ho saputo dell’incontro. Davvero avete inviato Ermes, Messaggero degli Dei, a conferire con Atena?” –Domandò Flegias, inginocchiandosi in fondo alla scalinata.

 

“Esatto, mio fido, esatto! Ermes si è gentilmente offerto per recarsi sulla Terra per parlare con Atena nel tentativo di evitare un’inutile guerra!”

 

“Evitare la guerra?! Ma mio Signore… Non è a questo che miriamo? Una guerra con Atene che ci permetta di dominare il mondo intero?!”

 

“Eh eh eh…” –Una sinistra ma fragorosa risata risuonò per tutta la sala, lasciando Flegias irrigidito.

 

Attonito e ammutolito fissava il Dio, in cima al trono, e in cuor suo, anche se sapeva di non avere niente da temere, essendo il suo più fedele servitore, non poteva fare a meno di provare un brivido, al suono di quella risata. Per anni aveva sentito parlare di Zeus e dell’Olimpo, ma solo quando vi era giunto per la prima volta, mesi prima, aveva potuto constatare con i propri occhi quanto splendore vi fosse in quel luogo senza tempo. Un vero e proprio paradiso, dove il tempo sembra non scorrere mai. Zeus in persona lo aveva accolto, con una risata fragorosa e piena di gioia. Una risata che non aveva niente a che vedere con il sinistro sogghigno che echeggiava in quel momento nelle orecchia di Flegias.

 

“Mio giovane amico, comprendo la tua collera! Ma non è contro di me che devi dirigerla!” – Esclamò il Padre degli Dei, alzandosi in piedi.

 

Flegias si inquietò, osservando il Dio scendere la bianca scalinata. Ricoperto dalla sua Veste Divina, bianca e dorata, con striature argentate e celesti, e un lungo mantello bianco, Zeus si fermò qualche gradino prima del pavimento.

 

“Ermes è una brava persona, disponibile e altruista. Ed è anche un valente condottiero. Ma sai qual è il suo più grande difetto?! La sua totale abnegazione nei confronti del suo Signore! Ermes non disobbidirebbe mai ad un ordine del Signore degli Dei! E anche stavolta così è stato!”

 

“Capisco Signore ma…” –Ma Flegias non riuscì a parlare che la voce profonda del Dio lo sovrastò.

 

“Ermes sta facendo il nostro gioco, Flegias!” –Esclamò Zeus, cambiando tono e dicendo finalmente ciò che il figlio di Ares voleva sentire. –“La sua presenza era indispensabile per dare una parvenza di verità all’accaduto e per non far nascere sgradevoli sospetti!” –Affermò, quasi sussurrando. –“Atena non accetterà mai le condizioni che ho dettato ad Ermes. Tiene troppo alla Terra e ai suoi adorati Cavalieri e non permetterà a nessuno di far loro del male!”

 

Flegias ascoltava incuriosito e i dubbi emersi poco prima lasciarono spazio a una sola grande certezza.

 

“Atena arriverà sull’Olimpo! Ne sono certo! Molto presto!”

 

“E noi saremo qua a riceverla!” –Esclamò deciso il demoniaco figlio di Ares.

 

“Niente di più vero, mio fido Flegias! Eh eh… Adesso vai, preparati come si deve e impartisci gli ordini necessari per la buona riuscita del nostro piano!” –Detto questo Zeus si rigirò, risalendo verso il trono. Flegias si congedò, ma quando arrivò al portone una voce lo ghiacciò.

 

“E comunque…” –Affermò il Dio, dall’alto del Trono. –“Le decisioni di Zeus valgono come legge, per tutti i Cavalieri presenti sull’Olimpo! Non permetto a nessuno di contrariarle!” –Una fitta scosse Flegias da capo a piedi. –“Neppure al figlio di un Dio!”

 

“Si, mio Signore!” –Rispose laconicamente Flegias ancora turbato dal rimprovero della Divinità.

 

Uscito dalla Sala del Trono, il figlio di Ares si diresse rapidamente verso le sue stanze. Devo sbrigarmi! Si disse. Se Atena sta per arrivare sull’Olimpo, dobbiamo organizzarle una degna accoglienza! Ed esplose in una malvagia risata. Mai come in quel momento Flegias era felice di essere dalla parte di Zeus.

 

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Il Messaggero degli Dei ***


CAPITOLO SETTIMO

CAPITOLO SETTIMO. IL MESSAGGERO DEGLI DEI.

 

Quando la mattina successiva Lady Isabel si svegliò, si accorse che pioveva. Una lenta e monotona pioggerellina primaverile stava ricoprendo l’intero Grande Tempio, e Isabel espresse la speranza che non fosse un segno della tempesta che minacciava di travolgerla. Indossò le sue vesti migliori e fece convocare l’amica Ilda per banchettare insieme, cercando di mettere a punto una strategia. Pochi minuti dopo qualcuno bussò al portone della Sala del Grande Sacerdote, in cui Isabel e Ilda stavano conversando. Era Asher dell’Unicorno, con un’espressione preoccupata.

 

“Che succede, Unicorno?” – Domandò Isabel, alzandosi di scatto.

 

“Un messaggio urgente da Luxor, mia Dea! Sembra che anche Villa Thule sia stata attaccata!”

 

“Che cosa?!” – Esclamò Atena, preoccupata.

 

“Mylock… è morto per proteggere Patricia!”

 

“Che cosa?! Oh no… no!!!” –Urlò Isabel, sinceramente addolorata per la morte del vecchio maggiordomo di Villa Thule.

 

Ilda le si accostò, accarezzandole una mano, mentre gli occhi della Dea della Giustizia si bagnarono di candide lacrime. Mylock! Rifletté, colpevolizzandosi ancora. Ti ho ucciso io! Quando mi chiedesti di accompagnarmi in Grecia, io rifiutai, pensando che ti saresti trovato in difficoltà in un ambiente diverso, diverso da quello in cui hai passato tanti anni! Da quello in cui sei morto! Perdonami… perdonami..

 

“E Pegasus? E Andromeda?” – Domandò infine Isabel.

 

“Stanno bene, fortunatamente! Sono stati aggrediti da un Cavaliere che, dalla descrizione che ho ricevuto, somiglia a Sterope. Bronte del Tuono è il suo nome!”

 

“Un Cavaliere Celeste!” –Sobbalzò Isabel. E poi rifletté sulle parole di Asher. –“Questo significa che.. che…”

 

“Sì!” – Il viso di Asher confermò i dubbi della Dea. –“Pegasus e Andromeda sono tornati a vestire le loro armature, e a quanto pare il risveglio in loro è stato naturale, dovuto agli eventi!”

 

Lady Isabel si lasciò cadere sulla poltrona, in preda a un grande senso di disperazione. L’assalto al Grande Tempio, Cristal ad Asgard, Villa Thule attaccata da un Cavaliere Celeste, la morte di Mylock. E adesso, dopo Phoenix, anche Pegasus e Andromeda che indossano nuovamente le loro armature! Era evidente che tutto ciò che stava accadendo andava al di là delle proprie capacità di controllo. Ringraziò Asher per la notizia e lo congedò, rinnovando l’invito a tenersi sempre pronti.

 

“Stanno venendo qua!” – Fu l’ultima cosa che Asher disse, prima di lasciare la sala.

 

Pegasus! Ho fallito! Avrei voluto tenervi lontani dai pericoli, lontani da questa vita che gioca continuamente con la morte, e affrontare da sola il mio destino! Ma a quanto pare mi è stato negato! Singhiozzò, mentre il cuore iniziò a batterle freneticamente al pensiero di rivedere Pegasus.

 

“Non essere in pena, Dea della Giustizia!” – La voce serena di Ilda la rubò ai suoi pensieri. –“Per quanto doloroso possa essere, vedere i nostri cari che combattono, e cadono, davanti ai nostri occhi, è qualcosa a cui non possiamo rinunciare, se vogliamo continuare a lottare affinché la libertà e la giustizia regnino e non siano sottomesse dalle Forze Oscure!”

 

“Parole aspre le tue, Celebrante di Odino, ma veritiere!” – Esclamò Isabel, alzandosi. –“Solo che… avrei.. avrei voluto tenere Pegasus e gli altri lontani…”

 

“Lontani dalla morte?!”  Concluse la frase Ilda. –“Chissà, forse il fato ha in serbo qualcos’altro per loro…”

 

“Non possiamo perdere altro tempo!” –Esclamò Isabel. –“Invierò un messaggero sull’Olimpo, chiedendo spiegazioni a mio padre per questo improvviso attacco!”

 

“Un messaggero?!” – Ripeté Ilda.

 

“Proprio così! Non ho intenzione di lanciare i miei Cavalieri in un’impresa disperata di cui non conosco né i dettagli né l’origine!”

 

“Hai già in mente qualcuno?”

 

“Sì!” – Rispose Isabel.

 

Dieci minuti dopo Ikki di Phoenix entrò nella Sala del Grande Sacerdote, accompagnato dalle due Sacerdotesse Guerriere, Castalia dell’Aquila e Tisifone dell’Ofiuco, tutti e tre con indosso le loro armature, perfettamente integre.

 

“Ma… com’è possibile?!” – Sgranò gli occhi Atena, alzandosi dal seggio

 

“Tutto merito di Kiki!” – Esclamò Tisifone. –“Ha passato tutta la notte a ripararle per noi!”

 

“Sono bellissime!” – Continuò Castalia, osservando le proprie vestigia.

 

Erano simili a quelle precedenti, ma con qualche aggiunta significativa che permetteva alle nuove corazze di coprire porzioni maggiori di corpo umano. Azzurra e bianca l’Armatura dell’Aquila, con un pugnale d’argento, appeso ad una fascia in vita; e verde e violetto l’Armatura dell’Ofiuco, con una frusta marrone arrotolata sul fianco destro. Due accessori che si sarebbero rivelati utili in battaglia.

 

“Non sapevo che Kiki fosse capace di riparare le armature!” –Commentò Atena, visibilmente soddisfatta.

 

“Dopo anni trascorsi insieme a Mur, osservandolo e aiutandolo, anche il ragazzo ha mostrato le sue capacità!” –Affermò Tisifone. –“Per adesso ha riparato solo le nostre, oggi si occuperà di quelle di Asher e degli altri!”

 

Un forte boato scosse tutti i presenti, ricordando loro la pioggia esterna, diventata ormai un vero e proprio temporale con tuoni e fulmini.

 

“Milady!” –Esclamò improvvisamente Phoenix, inginocchiandosi davanti alla Dea. –“Ho saputo di Pegasus e Andromeda! E so cosa sta pensando! Ma non si colpevolizzi, no! Non deve assolutamente farlo! I loro cuori, come il mio, appartengono alla giustizia, e se non possono vivere per essa, e per lei che la rappresenta, allora sono certo che preferirebbero morire mille volte che non combattere per essa!”

 

“Grazie!” – Sorrise Isabel, accarezzando il volto del Cavaliere della Fenice.

 

Un nuovo tuono e un’improvvisa folata di vento, proveniente dalla finestra sulla grande terrazza, spensero le fiaccole nella Sala del Grande Sacerdote, limitando al massimo la visibilità. Castalia si mosse per riaccenderle, quando fu scossa, come tutti, dal fragoroso schiantarsi di un fulmine proprio sulla terrazza. Atena, Ilda e i tre Cavalieri si voltarono istantaneamente verso l’esterno, mentre un brivido li attraversò in fretta. Nel buio che tutto avvolgeva, un lampo rischiarò per un attimo la loro vista; un attimo, ma sufficiente per permettere loro di notare una figura in piedi sulla grande terrazza. Una scintillante armatura celeste a pochi passi dalla Dea della Giustizia.

 

Phoenix si lanciò verso di essa, venendo scaraventato via in un soffio, e stessa sorte toccò a Tisifone e Castalia che si scagliarono contro l’ignoto visitatore, lanciando i loro colpi migliori, che furono rispediti indietro. Ilda afferrò il suo scettro e si piazzò di fronte ad Atena, pronta a difenderla in caso di bisogno.

 

“Se volessi la vita di Atena, potrei averla adesso!” –Commentò lo sconosciuto, avvicinandosi lentamente al centro del salone. –“Ma non sono qua per questo!” – Concluse seccamente.

 

“Lo so!” –Intervenne finalmente Atena, stupendo i presenti. –“Ho riconosciuto il tuo cosmo, Ermes, Messaggero degli Dei!”

 

“Ermes?!” – Ripeté Ilda, fissando l’uomo davanti a loro.

 

Alto e magro, poco robusto, un portamento dritto e uno sguardo fiero. Un viso che non lasciava trasparire emozione alcuna, ma ad Ilda parve notare una goccia di tristezza nei suoi occhi azzurri.

 

“Sono stato inviato dal mio Signore Zeus per conferire con la Dea della Giustizia!” –Esclamò Ermes, togliendosi l’elmo della sua Armatura Divina.

 

“Prudenza, Milady!” –Urlò Phoenix, balzando davanti alla sua Dea, con il pugno destro carico di energia cosmica.

 

“Vuoi volare di nuovo via, araba Fenice?” –Ironizzò Ermes, ma poi esplose in una grossa risata. –“Suvvia, non preoccuparti, Cavaliere di Phoenix! Le tue paure sono infondate, non sono qua per scopi bellici!”

 

Io non combatto! Avrebbe voluto dire Ermes, ma si limitò ad un sorriso.

 

“Phoenix, ti prego! Ermes è un caro amico, nonché messaggero di mio Padre! E considerando i turbinosi eventi di questi giorni, credo che dovremmo ascoltare con attenzione ciò che è venuto a dirci!” – Intervenne Atena, afferrando la mano del ragazzo, e pregandolo di placare il suo cosmo.

 

“Ti ringrazio, Dea della Giustizia!” – Esclamò Ermes, inginocchiandosi.

 

Isabel fece chiamare alcuni servitori, che portarono cibo e bevande per accogliere l’ospite inatteso, mentre Castalia riaccendeva le torce della grande Sala. Phoenix e Tisifone non si scostarono da Atena per tutta la durata della conversazione, per timore di un eventuale attacco a sorpresa. Ilda sedette al tavolo appositamente imbandito con una certa prudenza, iniziando lentamente a sentirsi fuori luogo. E fuori gioco.

 

“Perché tutto questo?” – Domandò Isabel.

 

Vorrei saperlo anch’io! Fu la prima cosa che Ermes pensò, ma non poteva dirla.

 

“Tutto avviene secondo il volere del Padre degli Dei, Atena! E tu, che sei la sua figlia prediletta, dovresti saperlo meglio di chiunque altro!”

 

“Prediletta un corno!” –Sbuffò Phoenix, incrociando le mani al petto. –“E il modo migliore di dimostrare il suo affetto è mandare un gruppo di pazzi a attaccare il Grande Tempio e Villa Thule?”

 

“Frena la tua lingua, ragazzino!” – Lo fulminò Ermes.

 

“Sì, Phoenix controllati!” –Intervenne Atena. –“Al di là del modo poco garbato, Phoenix ha ragione! Perché ci avete attaccato?”

 

Ermes parve esitare un attimo, mentre i Cavalieri non gli toglievano gli occhi di dosso.

 

“Zeus non mi ha informato!” –Si limitò a rispondere. –“E giustificare l’assalto di ieri non rientra nei miei compiti! Io sono qua per evitare un’inutile guerra tra Atena e l’Olimpo! Ecco la richiesta del mio Signore: che tu, Lady Isabel di Thule rinunci alla tua esistenza terrena, abbracciando solo la divina, e che tu salga all’Olimpo per vivere con lui, come Dea della Giustizia, a fianco del Padre degli Dei!”

 

“Che cosa?!” – Esclamò Isabel, sconcertata. –“E che ne sarà dei miei Cavalieri? e della Terra che da anni difendiamo dalle Forze Oscure?”

 

“La Terra, rimanendo senza custodi, diventerà possedimento diretto degli Dei dell’Olimpo, guidati da Zeus, e tutti i suoi abitanti diventeranno servitori del Sommo Zeus!” –Continuò Ermes, di fronte agli occhi stupefatti di Isabel. –“Per quello che riguarda i tuoi Cavalieri...” –Esclamò, tirando un’occhiata ai difensori di Atena. –“Potranno scegliere se essere fedeli servitori di Zeus, che li accetterà con gioia tra le fila dei suoi Cavalieri Celesti, ben conoscendo il loro valore militare, oppure deporranno le armi e abbandoneranno la strada seguita finora, tornando a vivere come normali umani!”

 

“Questo è inaccettabile!” –Esclamò Atena, balzando in piedi e stringendo saldamente lo Scettro di Nike. E in quel momento Ermes si rese conto della grandezza e della maestà di quella fanciulla. No, non è più  una fanciulla! È una Dea ormai!

 

“Non permetterò che la Terra diventi un feudo dell’Olimpo, né che i miei Cavalieri siano costretti a rinunciare alla loro esistenza, a costo di mettermi contro mio Padre in persona!”

 

“Ti ricordo la seconda opzione…” - La interruppe Ermes.

 

“Noi non diventeremo servitori di un tiranno!” – Lo zittì una voce maschile. Phoenix si era alzato in piedi, affiancando Atena e sostenendola.

 

“Abbiamo consacrato la nostra vita ad Atena e alla Giustizia, Messaggero degli Dei, e non potremo mai servire un’altra Divinità! Soprattutto un despota che vuole condannare l’intera stirpe umana!”

 

“Hai del fegato, ragazzino!” –Osservò Ermes, per niente turbato, mentre le parole di Phoenix risuonavano nella sua mente.

 

Abbiamo consacrato la nostra vita ad Atena e alla Giustizia! Ripeté Ermes. Come temevo! È solo questione di tempo ormai, Zeus ha già deciso, ma se Atena si opporrà sarà guerra…!

 

“Ermes, mio vecchio amico, cosa succede?” –Domandò Isabel, con voce più pacata. –“Perché mio Padre vuole questo? Cosa muove i suoi interessi, dimmelo ti prego, tu che sei il suo consigliere più fidato?!”

 

Un tempo forse. Pensò Ermes, con un pizzico d’invidia per il nuovo ruolo che sembrava avesse assunto Flegias.

 

“Non conosco tutte le ragioni che muovono il mio Signore!” – Esclamò. Soprattutto adesso che conferisce soltanto col Figlio di Ares! Pensò.

 

“È inutile! Questo incontro non risolverà la cosa! Se non vuoi dirmi cosa muove mio Padre, allora lo chiederò direttamente a lui! Messaggero degli Dei…” -Esclamò Atena, con fare imperioso. –“Portami sull’Olimpo! Rivolgerò direttamente  Zeus le mie domande!”

 

“Non sono venuto per questo!” –Rispose Ermes, mentre Phoenix e gli altri si agitarono, preoccupati. –“Ma se questo è ciò che desideri…”

 

“Questo è ciò che sento di dover fare! Per i miei Cavalieri, affinché non siano costretti a scendere nuovamente in campo! E per gli Uomini, per dare loro la possibilità di vivere liberi e felici!”

 

“Prudenza, Milady! Una mossa simile è molto rischiosa!” – Esclamò Castalia.

 

“È come gettare un agnello in una gabbia di leoni!”– Ironizzò Phoenix, opponendosi all’idea.

 

“Niente di male accadrà alla Dea della Giustizia, finché sarà al mio fianco!” –Esclamò con maestosità il Messaggero Celeste, alzandosi in piedi.

 

“Non sono tranquilla...” – Continuò Castalia. –“Permettetemi di accompagnarvi?”

 

“Castalia... – Isabel avrebbe voluto negarle la richiesta, ma sapeva che sarebbe stato inutile. –“D’accordo verrai con me!”

 

“La accompagnerò anch’io!” –Esclamò Phoenix, con un tono che non lasciava spazio per un eventuale rifiuto. –“Castalia è una valente combattente, ma se fosse attaccata difficilmente riuscirebbe a difendersi da sola contro tanti Cavalieri!”

 

“Nessuno leverà la mano sulla Dea della Giustizia!” –Disse Ermes, ma Phoenix neppure lo ascoltò.

 

“Un solo Cavaliere non è una scorta sufficiente!” – Ripeté il ragazzo.

 

“Concordo con Phoenix!” – Intervenne per la prima volta Ilda, rimasta finora in disparte.

 

“E sia allora, verrai anche tu con me, Ikki di Phoenix!” –Esclamò Atena, poi si rivolse verso Tisifone. –“Tisifone, affido a te la cura del Grande Tempio, in mia assenza! Assicurati che i nostri ospiti siano trattati con riguardo, e disponi tutte le difese necessarie in caso di attacco!”

 

“Non si preoccupi, mia Dea!” – Rispose Tisifone, inchinandosi, lusingata per quell’incarico.

 

Quindi Atena si mosse, seguendo Ermes sulla grande terrazza, insieme a Phoenix e a Castalia. La pioggia continuava a cadere, ma la tempesta lentamente sembrò placarsi. Ermes alzò il braccio destro al cielo, liberando il proprio cosmo lucente. Un globo luminoso avvolse le due Divinità e i due Cavalieri, esplodendo pochi istanti dopo. Ilda e Tisifone, rimaste sulla soglia, furono accecate dall’esplosione di luce, e obbligate a coprirsi gli occhi. Quando li riaprirono non trovarono più nessuno sulla terrazza. Atena e i suoi Cavalieri erano già sull’Olimpo.

 

***

 

Nonostante fosse maggio, il tempo era comunque avverso nell’Estremo Nord Europa, dove ancora imperversavano tormente implacabili di neve. Cristal e Flare avevano trascorso due giorni alla ricerca del portale d’ingresso per la vera città di Asgard, la residenza di Odino. Flare sapeva dove andare, ma la tormenta rendeva difficile riconoscere la strada e muoversi. Per questo si erano fermati una notte in una caverna, dove Cristal aveva acceso il fuoco e l’aveva riscaldata con il proprio corpo. Anch’egli, come Phoenix, era stato liberato dal Talismano della Dimenticanza, non dal potere di Atena, per la quale l’affetto di Cristal e la volontà di combattere per lei erano sempre grandissimi, ma da qualcosa di più vicino, in quel momento, al suo cuore. L’amore per Flare, che, purtroppo, era stato costretto a dimenticare. Inoltre c’era quel richiamo, quella voce che sembrava chiamarlo, e che, avvicinandosi al Valhalla si faceva sempre più forte.

 

“Coraggio! Andiamo!” – Esclamò Flare, prendendogli la mano.

 

Avvolti nei loro pesanti indumenti nordici, Cristal e Flare raggiunsero il fianco settentrionale di un’alta montagna, dalla quale il paesaggio di fronte parve scomparire, immerso in una fitta nebbia.

 

“Eccoci!” – Sorrise Flare, ricordando il luogo.

 

“Qua?!” – Sgranò gli occhi Cristal, non vedendo niente intorno che sembrasse un castello, un palazzo o semplicemente una strada per raggiungerlo.

 

“Fidati di me!” – Rispose Flare, prima di baciarlo. Quindi si slacciò il cappotto, mostrando un amuleto che portava al collo. Lo sollevò al cielo, pronunciando magiche parole. –“Oh Heimdall! Che di Asgard sei il guardiano, concedi a me, Flare di Polaris, il permesso di raggiungere Odino per conferire con lui! Ascolta la mia voce, Heimdall di Asgard, e concedimi di raggiungere il Valhalla!”

 

Il talismano si illuminò improvvisamente, scintillando come una stella nell’insidiosa foschia. Ci fu un attimo di silenzio, durante il quale Cristal non smise di chiedersi cosa stesse accadendo, prima di udire un fischio. Flare sorrise, guardando avanti a sé. Le nebbie si diradarono improvvisamente, rivelando un affascinante paesaggio illuminato dal sole. E di fronte a loro, una sagoma in lontananza parve farsi sempre più grande.

 

“Ma… quello!??” – Chiese Cristal, sgranando gli occhi.

 

Un uomo in abiti nordici, con un elmo vichingo in testa, un corno e un’ascia alla cintura, si stava facendo loro incontro. E camminava… camminava su un arcobaleno! Cristal era allibito. Di tutte le entrate per Asgard, a quella sicuramente non avrebbe mai pensato. L’arcobaleno si allungò fino a sfiorare la piana della montagna su cui stavano Cristal e Flare, e l’uomo, che a Cristal parve un gigante da tanto che era alto, fu proprio di fronte a loro, con un’espressione accigliata, ma non irata.

 

“Salute a te, Heimdall, Guardiano del Ponte dell’Arcobaleno!” – Esclamò Flare, inchinandosi.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Negoziato fallito ***


CAPITOLO OTTAVO. NEGOZIATO FALLITO.

 

Quando Atena, Castalia e Phoenix raggiunsero l’Olimpo era mezzogiorno in punto ad Atene, ma là, nella città degli Dei, il tempo sembrava non contare. Ermes fece strada alla Dea della Giustizia e ai suoi Cavalieri lungo la Via principale, che dal Cancello Celeste conduceva direttamente al Tempio di Zeus, una magnifica ed immensa costruzione in marmo bianco, ricca di rifiniture.

 

“È questo l’Olimpo?” –Domandò Phoenix, osservando l’eleganza dell’ampio viale.

 

Una vasta strada correva per mezzo chilometro in mezzo ad alberi frondosi, mentre ai lati di essa statue e fontane, di chiara fonte ellenica, parevano sorridere loro.

 

“Questa è la residenza del Sommo Zeus! Mirate la Vetta dell’Olimpo!” –Puntualizzò Ermes, prima di voltarsi verso il basso. –“Giù di là si estende il Monte Sacro, ma la strada per raggiungerci non è affatto facile, disseminata di Templi di Divinità inferiori e luoghi sacri e saturi di misteri!”

 

“Questo posto è immenso!” –Commentò Castalia.

 

“Fa a tutti lo stesso effetto, la prima volta che vi giungono!” –Esclamò Ermes, pregando i tre ospiti di accelerare il passo. –“Qua il tempo e lo spazio non rispondono alle leggi della scienza terrestre, ma sono immersi in un’atmosfera mistica. Divina, oserei dire!”

 

Ermes condusse gli ospiti fino all’ingresso del Tempio di Zeus, presidiato da un gruppo di Cavalieri Celesti. Questi riconobbero Ermes e lo fecero passare senza problemi, aprendo le porte del Tempio e facendoli entrare all’interno. Atena, Castalia e Phoenix seguirono Ermes lungo i corridoi in marmo bianco, estasiati dalla magnificenza del luogo.

 

“C’eravate mai stata, Milady?”

 

“No, Phoenix! Perlomeno non in questa vita!” –Rispose Isabel, mentre la sua parte divina riconosceva numerosi elementi che aveva già incontrato in precedenza.

 

“Ecco, ci siamo!” –Esclamò Ermes, giungendo in un’ampia stanza, in fondo alla quale si ergeva un alto portone dorato.

 

Due Cavalieri Celesti vennero loro incontro, e Atena e Castalia sobbalzarono nel riconoscerne Sterope del Fulmine, l’aggressore del Grande Tempio.

 

“Benvenuta sull’Olimpo, Dea della Giustizia!” –Esclamò il Ciclope, accennando un inchino.

 

“Ci rivediamo, Ciclope del Fulmine!” –Commentò Atena, non troppo felice al riguardo.

 

“Questi è mio fratello, Arge lo Splendore, secondo dei Ciclopi Celesti!”

 

“È nella Sala del Trono, il Sommo?” –Domandò Ermes.

 

“Sì!” –Giunse rapida e tagliente una risposta. Ma non da parte di Sterope o di Arge. A parlare fu una figura ricoperta da uno scuro mantello, che si avvicinò loro. Rimasto in ombra fino a quel momento, Flegias era finalmente arrivato.

 

Flegias!!!” –Gridò Castalia.

 

“Ancora viva, principessa guerriero?!” –Ironizzò il figlio di Ares. –“Hai carattere!”

 

Flegias, non essere scortese! Atena è qua per conferire con suo Padre e…

 

“Sono al corrente di tutto!” –Lo interruppe Flegias, con maleducazione e superbia. –“Zeus mi ha incaricato di accompagnare Atena nella Sala del Trono, dove conferirà privatamente con lei!”

 

“Privatamente?!” –Sgranò gli occhi Ermes.

 

“È naturale! Una questione così delicata, come uno scontro tra Atene e l’Olimpo, non può certo essere messa sulla bocca di tutti!” –Commentò Flegias, lasciandosi scappare una risatina sinistra. –“Almeno per ora!”

 

“Non sono d’accordo!” –Intervenne Castalia. –“La sicurezza di Atena è la cosa più importante!”

 

“Non preoccuparti, Castalia! Noi saremo con lei!” –Tagliò corto Phoenix, ma Flegias smorzò il suo entusiasmo.

 

“Non credo proprio! Zeus è stato chiaro! Parlerà privatamente con Atena! Senza Cavalieri che la accompagnino o Messaggeri! Altrimenti l’incontro salterà!” –Precisò Flegias.

 

“Queste condizioni sono inaccettabili!” –Brontolò Castalia.

 

“Siete sempre liberi di tornare al vostro sporco Santuario!” –Commentò Flegias. –“E affilare le spade per la guerra...”

 

“Maledetto!” –Esclamò Phoenix, avventandosi sul figlio di Ares. Ma Sterope e Arge gli furono sopra, spingendolo via.

 

“Phoenix! Fermati!” –Gridò Atena. –“Non attaccare!”

 

Phoenix si rialzò da terra, dolorante e frastornato. Guardò Isabel e capì cosa avesse in mente.

 

“Se Zeus vuole parlare direttamente con me, accetto le sue condizioni! Se questo può servire per evitare la guerra!” –Esclamò, mentre gli occhi di Flegias si illuminarono.

 

“Perfetto! Prego, da questa parte!” –Affermò il figlio di Ares, invitando la Dea a seguirlo.

 

Atena fece un bel respiro, impugnò Nike saldamente e seguì Flegias, davanti agli occhi attoniti e preoccupati di Castalia, Phoenix e Ermes. Due servitori aprirono il grande portone dorato, lasciando entrare la Dea della Giustizia e il figlio di Ares. Inaspettatamente anche Sterope e Arge entrarono all’interno, e la cosa insospettì parecchio Phoenix e Castalia.

 

“Se le succede qualcosa, Messaggero dei miei stivali io...” –Inveì Phoenix, rivolgendosi a Ermes.

 

“Non so cosa stia accadendo, Cavaliere della Fenice! Ma posso assicurarti che Zeus non è tipo da infrangere un patto! Se ha deciso di incontrare Atena per parlare con lei, non hai motivo di temere un attacco improvviso!” – Affermò Ermes. Ma in fondo al cuore non ne era sicuro neppure lui.

 

All’interno della Sala del Trono, Atena fu fatta accomodare su un panchetto, al centro della stanza, affiancata da Flegias, in piedi accanto a lei. Sterope e Arge si erano fermati ai due lati del portone, pronti a intervenire in caso di bisogno. Non visto dai due, un altro Cavaliere era presente all’incontro, nascosto nell’ombra della sala.

 

“Mio Signore!” –Esordì Flegias, rivolgendosi al Dio, seduto sul Trono in cima al palco. –“Ecco a voi vostra figlia, la Dea della Giustizia!”

 

“Atena!” –Esclamò una voce profonda, proveniente dalla figura ricoperta da una veste divina.

 

“Padre...” –Rispose Atena, notevolmente emozionata per quell’incontro.

 

“Avevo inviato Ermes a prenderti! La tua presenza qua significa che hai dunque accettato il mio invito? Che siederai a fianco a me, sul trono dell’Olimpo?”

 

“No, Padre! Non sono qua per questo!” –Rispose Atena, alzandosi in piedi. –“Ho riflettuto sulla tua proposta, ma non la accetto! No, non posso accettarla! Non posso vendere il futuro degli uomini, che altre volte ho difeso fino allo stremo delle mie forze, ad un Dio che vuole renderli schiavi! Non posso vedere i miei Cavalieri costretti a rinunciare ai loro ideali o ad abiurare la loro fede, per servire un Dio che non sentono, un Dio ingiusto!”

 

“Ingiusto?!” –Tuonò il Signore dell’Olimpo.

 

“Sì, Padre! Ingiusto! Perché togli loro la possibilità di scegliere! Il dono più grande che sia stato dato agli uomini!” –Affermò Isabel, con fierezza.

 

“Atena, stai bene attenta! Pronunciare parole simili, qua, alla Corte del Padre degli Dei significa metterti contro di me! È così grande la tua arroganza?!”

 

“Non è arroganza, Padre! È amore!” –Rispose Atena, in piedi, con lo Scettro di Nike in mano. – “Amore per gli uomini e per i loro ideali!”

 

“Follia!” –Esclamò Zeus, balzando in piedi. Nel giro di un secondo una sfolgorante scarica energetica partì dalla sua mano, raggiungendo Atena e travolgendola. –“Tu offendi la mia persona, la mia dignità divina!” –Tuonò, stringendo la morsa energetica.

 

“No, Padre!” –Tentò di resistere Atena, espandendo il proprio cosmo. –“Io difendo gli uomini, la loro libertà, il loro diritto alla vita! E se nel far questo offendo te, o qualche altra Divinità che mira alla distruzione della razza umana, allora perdonami Padre, ma è un gesto che si rende necessario per tenere fede a un credo a cui non posso rinunciare!”

 

“Stupida!” –La zittì Zeus, stringendo ancora di più la presa.

 

Il corpo di Lady Isabel fu stretto da folgori incandescenti, che stridevano sulla sua esile carnagione, tranciandole gli abiti, creandole lunghe strisce di sangue sul corpo. Ma Atena sapeva resistere, e non era intenzionata a cadere.

 

“Hai la possibilità di elevarti, Atena! Di rinunciare alla tua mortale ed effimera natura terrena, per sedere al mio fianco, tra gli Dei dell’Olimpo! E cosa fai?! Rifiuti?!” –Gridò Zeus. –“È follia e grave insulto rinunciare all’eterno per il terreno!”

 

“È follia maggiore non comprendere il terreno, Padre! Il contingente!” –Rispose Isabel, mantenendosi in piedi a fatica. –“L’Olimpo sta scomparendo, l’ho notato salendo qua! Le nebbie lo stanno inghiottendo e molto presto questo posto si perderà, come l’isola di Avalon si perse secoli fa, al di là del tempo e dello spazio, lontano dalla Terra, lontano dagli uomini, da quelli stessi uomini che secoli or sono veneravano gli Dei e ti rendevano omaggio!”

 

“Gli uomini li piegherò, tutti mi renderanno omaggio!”

 

“Ma non sarà la stessa cosa!” –Affermò Isabel, e d’un tratto le scappò un sorriso. –“No, non sarà la stessa cosa della spontanea manifestazione d’affetto popolare che un tempo tingeva i cieli di Grecia e del Mediterraneo! L’obbligo non ha mai lo stesso sapore della fede spontanea!

 

“E sia, dunque!” –Esclamò Zeus, mentre i fulmini avvinghiavano sempre più il corpo di Atena. –“Dici che gli uomini non mi venerano, perché sto scomparendo dal tempo? Ma venereranno te?” – Chiese, con un ghigno. –“Renderanno omaggio a colei che ha rischiato la vita molte volte per loro?”

 

“Non voglio omaggio alcuno Padre, non ho intenzione…” –Ma Atena non poté terminare la frase, che fu atterrata da una nuova scarica energetica.

 

Zeus non aveva intenzione di parlare con lei. L’aveva convocata soltanto per ucciderla. Adesso le era chiaro. Phoenix aveva ragione, erano stati ingannati. Isabel tentò di rialzarsi, aggrappandosi a Nike ma una figura le fu sopra di scatto. Flegias, figlio di Ares, brandiva una spada incandescente e mirava alla sua gola.

 

Atena espanse il suo cosmo, creando un globo di luce capace di proteggerla, come i globi che avrebbero dovuto proteggere Pegasus e gli altri al Tempio di Ade e riportarli in Grecia, e la spada infuocata di Flegias si infranse contro l’invisibile barriera. Ma il piccolo demonio non si arrese, colpendo di nuovo e di nuovo, e scagliando infine l’Apocalisse Divina contro la barriera. Il contraccolpo tra i due poteri spinse entrambi indietro e Zeus approfittò di quella momentanea distrazione di Atena per intrappolarla in una gabbia energetica.

 

“Io, che sono il Dio del Fulmine, ricevuto in dono dai Ciclopi, ti condanno ad una prigionia eterna, figlia degenere! Ti ho offerto la possibilità di una vita immortale, ti ho offerto di lasciare liberi i tuoi Cavalieri, invece di obbligarli a combattere per te, ma tu hai egoisticamente rifiutato! E allora adesso accetta il tuo destino, il destino che tu hai scelto!”

 

La gabbia energetica strinse ancora di più, mentre Isabel urlò impaurita, lasciando cadere a terra lo Scettro di Nike. Prigioniera dei fulmini di Zeus, stritolata da un potere più grande di lei, Atena iniziò a perdere i sensi. Pegasus, e voi miei Cavalieri, perdonatemi! Ho fallito anche stavolta! Sono stata sciocca e ingenua, e come già contro Apollo, così adesso contro mio Padre, non sono stata capace di oppormi e sconfiggerlo! Avrei voluto farlo! Sì, avrei voluto impedirvi di combattere ancora! Impedirvi di correre qua, a rischiare nuovamente la vita per me, e per un’umanità che forse non ha ancora trovato il giusto, e forte, protettore! Lentamente Isabel si accasciò al suolo, con il corpo leso da mille ferite e le vesti lacere e macchiate di sangue.

 

“A una prigionia eterna ti condanno, Atena!” –Esclamò Zeus, mentre nuove scariche energetiche si dipartivano dalla sua mano, che sollevarono la Dea e, spinte da Zeus, la trascinarono via, attraverso le finestre, fino al limite estremo dell’Olimpo. –“Vediamo se gli uomini venereranno te, adesso!” –Tuonò, imprigionando la fanciulla nella Torre del Fulmine.

 

Al confine estremo dell’Olimpo si ergeva infatti una maestosa torre in marmo bianco, dalla cui cima si poteva godere della più spettacolare di tutte le viste. Una vera e propria finestra sul mondo. Atena fu imprigionata là, stretta in una morsa implacabile dai fulmini di Zeus, che le stritolavano il corpo, impedendole di muoversi, persino di parlare.

 

“Non durerai molto in quella posizione! I fulmini non soltanto ti uccideranno fisicamente, ma assorbiranno anche la tua essenza divina, prosciugandoti cosmo e anima!!! Ah ah ah!” –La sinistra risata di Zeus echeggiò nella Sala del Trono, mentre Flegias sorrideva soddisfatto. La prima parte del piano era riuscita.

 

***

 

Nel frattempo, mentre Isabel stava colloquiando con Zeus, Castalia e Phoenix erano rimasti soli nel grande atrio. Phoenix vagava avanti e indietro, nervoso come non mai, tirando continue occhiate al portone, nella speranza di vedere Atena uscirne in fretta sana e salva. Castalia si era invece seduta su una panchina di marmo, anch’ella agitata per la situazione, e incapace di decidere sul da farsi.

 

In quel mentre entrò nella sala un Cavaliere ricoperto da un’armatura celeste, lo stesso che aveva conversato con Flegias qualche ora prima.

 

“Benvenuti sull’Olimpo, Cavalieri di Atena!” –Esclamò, rivolgendo loro un cordiale sorriso. Phoenix si limitò ad un saluto scarno, mentre Castalia si alzò in piedi, andando incontro all’uomo.

 

“Sono Phantom dell’Eridano Celeste, Luogotenente dell’Olimpo!” –Si presentò, accennando un inchino di fronte alla donna.

 

“Piacere di conoscerti! Sono Castalia dell’Aquila, ed egli è Phoenix, Cavalieri di Atena!”

 

“La vostra Dea è a colloquio col Sommo …” –Esclamò Phantom, indicando il portone. – “Immagino che ne avranno per un po’ di tempo…

 

“Dipende tutto se riusciranno a trovare un accordo.” –Rispose Castalia, in maniera diplomatica.

 

“Me lo auguro! Per il bene dell’Olimpo, e di Atene!” –Sorrise il giovane.

 

Castalia lo osservò, con un certo interesse. Alto, robusto ma non troppo, un viso candido e due occhi verdi che, si sorprese nel pensarlo, ispiravano simpatia. Aveva modi eleganti, degni di un combattenti olimpico, come Castalia li aveva sempre immaginati.

 

“Perché non facciamo un giro? Mi piacerebbe conversare con voi!” –Le sorrise il Cavaliere. Si avvicinò a una porta laterale e la spalancò, mostrando un delizioso giardino che correva tutto intorno alla reggia. –“Potrebbe essere un’occasione per visitare l’Olimpo! Non è da tutti un simile privilegio!”

 

Castalia non rispose subito, piuttosto imbarazzata per la richiesta, e al tempo stesso anche insospettita da tutto quel garbo. Inoltre c’era la paura che ad Atena potesse accadere qualcosa, nonostante il Messaggero degli Dei avesse negato tale ipotesi. E fu quasi tentata di rinunciare. Ma alla fine, non seppe spiegarsi neppure lei come, aprì le labbra e acconsentì. C’era qualcosa, in quel giovane, che la attirava, una specie di legame che non riusciva a chiarire esattamente.

 

“Non preoccuparti!” – Sorrise l’uomo, intuendo le sue preoccupazioni. –“Non ci allontaneremo di molto! Anche se non credo ci sarà bisogno di intervenire…

 

“Voglio sperare!” –Commentò Castalia, uscendo nel giardino fiorito insieme al Cavaliere Celeste.

 

Fece un cenno a Phoenix, non troppo interessato alla cosa, e si incamminò con l’uomo lungo un sentiero in mezzo al grande parco.

 

Phoenix continuò a camminare avanti e indietro davanti al portone per qualche minuto, sbuffando per la lunga attesa. Ma c’era qualcos’altro che lo irritava profondamente, contribuendo a rendere ancora più angosciato il suo animo. Qualcosa che non capiva cosa fosse, ma che gli rimbalzava in mente da giorni. Fin da quando aveva lasciato l’Italia, imbarcandosi per la Grecia. Improvvisamente un sussurrò disturbò i suoi pensieri. Phoenix si voltò e vide una figura, nascosta dietro una colonna laterale, fargli un cenno.

 

“Uh?” –Domandò, sempre sospettoso.

 

Ma il suo misterioso interlocutore non disse niente, limitandosi ad uscire dall’ombra, in modo tale che Phoenix potesse vederlo. All’apparenza sembrava un uomo di una cinquantina d’anni, non troppo alto, con un grande viso barbuto e folti capelli grigi. Indossava una tunica piuttosto semplice, senza molte rifiniture, con un monile argentato intorno al collo, e camminava a piedi nudi. Phoenix gli si avvicinò, cercando di capire cosa volesse, ma questi si incamminò verso un corridoio laterale, senza proferire parola, ma con un gesto che aveva un solo significato.

 

Seguimi!” –Queste parole rimbombarono nella mente di Phoenix, e per un momento gli sembrò di aver già udito quella voce.

 

Si fermò un momento, intuendo quanto fosse delicata quella situazione, e continuò ad osservare lo strano personaggio camminare scalzo finché non infilò in un corridoio. Esitò ancora, mentre la voce continuava a rimbombare nella sua mente, senza dargli tregua, e poi cedette, infilando di corsa il corridoio del palazzo, inseguendo un perfetto sconosciuto.

 

 

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Complotti sull'Olimpo ***


CAPITOLO NONO

CAPITOLO NONO. COMPLOTTI SULL’OLIMPO.

 

Phoenix seguì l’uomo per un paio di minuti, finché questi non entrò in una grande sala, lasciando aperta la porta dietro di sé. Il Cavaliere della Fenice esitò un momento, ma poi entrò, deciso ad avere spiegazioni. Si ritrovò in una grande stanza, completamente arredata, ricca di mobili e soprammobili, all’apparenza anche troppo disordinata, per la stanza di una reggia olimpica.

 

“Accomodati, Phoenix!” – Esclamò l’uomo, che si era avvicinato alla finestra.

 

Tirò le tende bianche, lasciando entrare la calda luce solare che sull’Olimpo sembrava più lucente che mai, prima di voltarsi nuovamente verso l’ospite che, come immaginava, non si era affatto accomodato.

 

“Come conosci il mio nome?” – Domandò Phoenix.

 

“Oh beh, conosco il nome di tutte le creature viventi! Perché non dovrei conoscere il tuo, che sei Cavaliere di una Divinità Olimpica?” –Rispose l’uomo, continuando a trafficare per la stanza.

 

“Chi sei? E cosa vuoi da me?”

 

“Aiutarti!” –Affermò l’uomo, fermandosi un istante. –“Aiutarti a liberare la mente da quelle confuse visioni che la infestano!”

 

“Visioni?” – Ripeté Phoenix, fingendo di non capire.

 

“Non mentire, Cavaliere della Fenice! È perfettamente inutile negare la verità ad un Dio! Ad un Dio che sa leggere nel cuore degli uomini, e nelle loro menti, anche quando questi credono di essere al sicuro!” – Esclamò l’uomo, alzando per la prima volta il tono della sua voce. –“Ma adesso siediti, ti prego!”

 

Phoenix fu stupito nel vedere se stesso ubbidire alla richiesta dell’uomo, accomodandosi su una panchina al centro della sala, più confuso che mai.

 

“Posso offriti qualcosa?” –Chiese l’uomo, riprendendo a trafficare. –“Del vino? Ooh, penso che Dioniso si arrabbierà se prendo in prestito qualcosa dalla sua riserva!”

 

“Non disturbarti…” –Lo fermò Phoenix, spazientito. –“Vorrei solo sapere chi sei, e perché mi hai condotto qui?”

 

“Condotto?! Non mi sembra di averti legato e trascinato fin qua! Se non sbaglio sei stato tu stesso, e tu soltanto, a prendere la decisione di venire fin qua, tra le braccia di Morfeo!”

 

“Mo... Morfeo?!” – Balbettò Phoenix.

 

“In persona!” – Sorrise l’uomo, senza sforzarsi troppo.

 

“Ecco perché dicevi di poter leggere nella mia mente…”

 

“Io vedo tutto ciò che accade nella tua mente, Cavaliere di Phoenix! Tutto ciò che accade nella mente degli uomini! Io trasformo i tuoi sogni, le tue visioni, in realtà, dando ad esse consistenza e concretezza!” – Esclamò l’uomo, avvicinandosi.

Per un momento Phoenix sentì un brivido correre lungo la sua schiena, inebriato e impaurito da una Divinità così particolare, come Morfeo gli appariva.

 

“E vedo cosa affanna il tuo cuore!” – Aggiunse, prima di dargli le spalle e ricominciare a trafficare su un bancone di marmo.

 

“Sono soltanto preoccupato per Atena!” –Esclamò il ragazzo, rialzandosi improvvisamente. – “Anzi, a questo proposito.. meglio che torni a controllare…” –E si avviò verso l’uscita della stanza, rimasto un po’ deluso dalla conversazione.

 

“E non vorresti rivederla?” – Lo ghiacciò Morfeo.

 

“Chi?!” – Domandò Phoenix, in piedi sulla porta, senza voltarsi.

 

“La ragazza a cui pensi in ogni momento della tua vita! In ogni notte, anche quelle più serene; in ogni giorno, anche mentre rischi la vita per i tuoi ideali!”

 

“Non c’è nessuna ragazza, Dio del Sonno.. e ora ti prego..”

 

“Non mentirmi, Ikki di Phoenix!” – Esclamò Morfeo, alzando la voce. E a Phoenix parve che l’intera sala rimbombasse al suono delle sue parole.

 

“Sai che è inutile!” –Aggiunse l’uomo. –“Se non vuoi affrontare le tue paure, non importa! Fai ciò che ritieni giusto! Io ti ho solamente offerto il mio aiuto, senza obbligo alcuno!”

 

“Quale aiuto potresti darmi, Dio del Sonno? Farmi dormire per sempre?” –Ironizzò il Cavaliere, voltandosi nuovamente verso l’interno della stanza.

 

“Condurti da lei!” – Sussurrò l’uomo. –“Permetterti di incontrarla ancora!”

 

“È... è possibile?” – Azzardò la domanda Phoenix.

 

“In sonno tutto è possibile!” –Chiarì Morfeo. –“Ma se non ti interessa.. torna a fare il tuo dovere di Cavaliere e tieniti le tue visioni!” – Chiuse in fretta il discorso, con tono quasi indispettito.

 

Phoenix rimase per un momento a bocca aperta, combattuto violentemente tra il suo dovere di Cavaliere, che lo spingeva a tornare nell’atrio e prepararsi in caso di bisogno, e la sua natura umana, i suoi desideri, i suoi sentimenti, quelli che aveva dovuto mettere da parte per una vita intera per apparire diverso. Per sembrare cattivo, per sembrare superiore, per sembrare più forte di quanto in realtà non fosse. Adesso aveva l’opportunità, unica nel suo genere, di rivedere Esmeralda, l’unica ragazza che aveva mai amato in tutta la vita, l’unico fiore in quel deserto infernale che era stata l’Isola della Regina Nera. La stessa ragazza che da venti giorni ormai appariva continuamente nei suoi sogni, nei suoi pensieri, come mai aveva fatto prima. Appariva, e sembrava quasi preoccupata, sembrava chiamare il suo nome, ma non riusciva a farlo. Ogni volta moriva, e la visione si spegneva, senza che Phoenix riuscisse a comprenderne il senso. Adesso, forse, aveva la possibilità di risolvere quell’enigma che tanto lo attanagliava.

 

“Cosa accadrà?” – Domandò Phoenix.

 

“Come?” – Rispose Morfeo, recuperando interesse verso il ragazzo.

 

“Cosa dovrò fare?”

 

“Tu non dovrai fare proprio niente, solamente stenderti e chiudere gli occhi! Al resto penserò io!” – Commentò Morfeo, e indicò un grande letto, situato proprio sotto la finestra.

 

Phoenix esitò ancora, incapace a prendere quella decisione, preoccupato non soltanto per la sorte di Atena, ma anche per se stesso. E non poté fare a meno di chiedersi se sarebbe stato forte abbastanza per affrontare una simile prova.

 

“Sento molta angoscia nel tuo giovane cuore, troppa! E questo inquina la bontà delle tue azioni, Cavaliere della Fenice!”

 

“Puoi liberarmi da questa angoscia?”

 

“Posso provarci!” –Rispose il Dio. –“Ma scacciare le tue paure spetterà, in definitiva, soltanto a te!”

 

Non sapeva neppure lui come aveva fatto, ma aveva accettato. Si era sdraiato su quel lettino ed aveva chiuso gli occhi, mentre la voce di Morfeo gli rimbombava in testa. Una dolce melodia, un incantesimo suadente, e l’araba Fenice si perse nella culla di Morfeo.

 

Morfeo si staccò dal ragazzo, ponendo fine a quell’incantato motivo, e rimase ad osservarlo per qualche secondo, pieno di sensi di colpa. In quel momento udì scontrarsi due grandi energie, non molto distante da lì. Non ebbe bisogno di essere presente per capire cosa era accaduto. Era tutto chiaro, tutto stampato davanti ai suoi occhi. Pochi istanti più tardi, un giovane guerriero entrò nella sua stanza, a passo svelto. Era alto e robusto, con un viso scuro, pieno di cicatrici; capelli neri e mossi, occhi scuri, intrisi di sangue che ispiravano terrore soltanto a guardarlo. Tutto l’opposto dell’educato e nobile Cavaliere dell’Eridano Celeste. Con modi bruschi richiuse la porta alle sue spalle, osservando sul letto la preda tanto ambita.

 

“Ce l’hai fatta allora, vecchio?” – Esclamò il guerriero, con fare rozzo.

 

“Ne dubitavi, forse, Issione?” – Commentò Morfeo, indispettito.

 

“Hai fatto il tuo dovere, ma assicurati di farlo fino in fondo!” – Lo intimò il guerriero, rivolgendogli una torva occhiata.

 

“Non hai bisogno di ripetermi la lezione, sono il Dio del…”

 

Ma Morfeo non riuscì a terminare la frase che le possenti mani di Issione afferrarono il suo collo, sollevando l’uomo da terra e sbattendolo al muro, mentre folgori incandescenti circondarono il corpo del Dio, stringendolo e ferendolo.

 

“Bada a come parli, vecchio stolto!” – Sibilò Issione. –“C’è ancora posto sulla ruota di fuoco!”

 

“Come osi?” – Esclamò Morfeo, ma Issione strinse ancora di più la presa.

 

“Porta a compimento il tuo incantesimo, Dio del Sonno! O saranno queste mie spade a condannarti al sonno eterno!” –Sibilò il guerriero, sfoderando una spada infuocata che portava seco. Passò la spada sotto la gola dell’uomo, bruciando la sua sparuta barba, ma impedendogli di urlare. –“Non voglio sentire un sibilo!” – Sussurrò, fissandolo con i suoi occhi intrisi di sangue.

Morfeo annuì con il capo, impaurito e disperato, prima di essere lasciato e ricadere a terra, come una marionetta. Issione rinfoderò la spada e si avviò verso l’uscita.

 

“Il nostro Signore ha imprigionato Atena nella grande Torre del Fulmine, condannandola ad una sofferenza perpetua!” – Esclamò, prima di uscire dalla sala. –“Flegias è convinto che come Phoenix ha ricordato così anche altri Cavalieri possano risvegliarsi e giungere fin qua!”

 

“Poveri ragazzi...” – Mormorò Morfeo, immaginando il triste destino a cui andavano incontro.

 

“Li uccideremo tutti, se verranno!” – Esclamò Issione. –“Ma tieni pronto Phoenix!”

 

“Cosa ne sarà di lui? Non abbiamo già abbastanza guerrieri per difendere l’Olimpo?” –Domandò Morfeo, agitato.

 

“Ooh.. sì!” – Sussurrò Issione. –“Ma ho intenzione di usarlo come mia personale guardia del corpo, nel caso il nostro amico Flegias volesse tentare qualche scherzo!”

 

Detto questo, Issione uscì dalla stanza, sbattendo violentemente la porta, e lasciando Morfeo, a terra, con i propri pensieri. Il Dio del Sonno si rialzò a fatica, avvicinandosi al letto su cui era sdraiato Phoenix e chiedendosi cosa stesse accadendo nella mente del giovane. Lo aveva imbrogliato, vigliaccamente imbrogliato, solo per aver salva la propria pelle. Proprio come Issione, figlio di Ares, aveva ordinato di fare.

 

***

 

Quando esplose il cosmo di Atena, attaccata dai fulmini del Sommo Zeus, Castalia stava conversando con Phantom, dell’Eridano Celeste, nel giardino dell’Olimpo. Il giovane, dai modi garbati ed eleganti, si era rivelato un’ottima compagnia, mostrando sincero interesse affinché l’incontro tra Atena e Zeus si risolvesse pacificamente, senza il rischio di una guerra.

 

“Una guerra che, perdonami se lo dico, Atene non avrebbe alcuna possibilità di vincere!”

 

“Tu non conosci il valore dei Cavalieri di Atena!” –Gli rispose Castalia, riferendosi principalmente a Pegasus e ai suoi amici.

 

“Certo che lo conosco, Sacerdotessa dell’Aquila! Ho seguito le loro battaglie dall’alto dell’Olimpo, augurandomi sempre che ne uscissero vincitori!” – Esclamò l’uomo. –“Ma, credimi, conosco bene le difese dell’Olimpo, e i Cavalieri che Zeus ha a disposizione! Numericamente superiori ai vostri, e dotati di incommensurabili poteri!”

 

La risposta lasciò Castalia in silenzio, dovendo la ragazza ammettere che vi era un fondo di verità. Le armate di Atene si erano notevolmente ridotte, con la morte dei Cavalieri d’Oro, limitandosi a una decina di Cavalieri di Bronzo e d’Argento. Troppo pochi e male equipaggiati per un conflitto con le Divinità Olimpiche! In quel mentre si udì un grande boato, e l’accendersi di cosmi incandescenti che si scontravano poco distanti.

 

“Atena!” – Esclamò Castalia, correndo via, subito seguita e superata dal Cavaliere dell’Eridano Celeste.

 

Quando raggiunsero il grande atrio, Castalia notò la porta semiaperta e un giovane guerriero dall’Armatura rossastra uscirne in fretta, e infilare un corridoio laterale. La Sacerdotessa dell’Aquila chiamò a gran voce il nome di Phoenix, chiedendole dove fosse finito, e poi entrò nella Sala del Trono, con paura, ma anche con determinazione.

Phantom fu stupito nel vedere uscire Issione dalla Sala del Trono, essendo stato informato in precedenza che il colloquio sarebbe stato privato. Cosa ci faceva quel demonio nella Sala del Trono, quando persino ad Ermes, che del nostro Signore è il più caro amico e fidato consigliere, era stato negato l’accesso? Si domandò. Ma prima che potesse parlarne con Castalia, vide la ragazza infilare svelta dentro la Sala del Trono.

 

Senza perdere tempo, Phantom corse dietro a Issione, facendo attenzione a non farsi scoprire. Come Luogotenente dell’Olimpo aveva ricevuto un rigido addestramento, e una delle prime regole basilari che aveva imparato era proprio come ridurre ogni traccia di cosmo per non farsi scoprire. Per questo motivo era stato soprannominato Phantom, fantasma, per la sua abilità a rendersi invisibile. Phantom vide Issione entrare nelle stanze di Morfeo, e di questo ne fu piuttosto stupito; si avvicinò alla porta, rimanendo nascosto, e percepì sprazzi della conversazione tra i due. Morfeo sembrava impaurito e quando Phantom vide Issione puntargli contro la spada infuocata sarebbe voluto intervenire per salvarlo, ma preferì rimanere nascosto e cercare di capire cosa stesse accadendo.

 

Poco dopo Issione uscì dalla stanza, senza notare Phantom nascosto poco distante; questi si avvicinò nuovamente alla porta e la prima cosa che notò, a cui prima non aveva prestato attenzione, era il corpo di un Cavaliere sdraiato sul letto. Un volto che aveva seguito varie volte in battaglia, quello del Cavaliere della Fenice.

 

Quando Castalia entrò nella Sala del Trono trovò evidenti segni di lotta, ma nessuna traccia di Atena. Solamente una scia lasciata dal suo cosmo, gravemente indebolito dallo scontro con Zeus.

 

“Atena!” – Gridò la Sacerdotessa, mentre Flegias le si faceva incontro. Alle spalle della ragazza comparvero Sterope e Arge, i due Ciclopi Celesti.

 

“Cos’è accaduto? Dov’è Atena?” – Domandò Castalia, parecchio preoccupata.

 

“Ha avuto la punizione che meritava!” –Sibilò Flegias. –“Per aver osato levare lo scettro contro Zeus, nostro Signore!”

 

Immediatamente Castalia sollevò lo sguardo sopra Flegias, percorrendo con gli occhi la bianca scalinata fino al trono in cima ad essa. Zeus, Signore dell’Olimpo, era in piedi davanti al trono, avvolto da un lucente cosmo celeste.

 

“Ci avete imbrogliato! Ermes ci aveva garantito che non sarebbe accaduto niente... Atena era qua per parlare!”

 

“Tacii!!!” – Gridò Flegias, scagliando l’Apocalisse Divina sulla ragazza, che, incapace di difendersi, fu scaraventata lontano, fino a sbattere contro un muro.

 

Castalia non fece in tempo a riprendersi che le robuste mani dei Ciclopi Celesti le furono addosso. Sterope da un lato, e Arge dall’altro, la tennero stretta, portandola ai piedi della scalinata, dove la gettarono a terra con violenza. Flegias le si avvicinò, e Castalia poté sentire la sua sinistra risata echeggiare per la stanza.

 

“È tutta colpa tua, maledetto!” – Gridò la ragazza, prima che una mano robusta le sbattesse la faccia contro il pavimento.

 

“Desideri tanto rivedere la tua Dea, giovane donna?” –Esclamò la voce imperiosa del Dio dell’Olimpo. –“Ebbene, eccoti accontentata!”

 

E puntò un dito avanti, da cui si sprigionò un accecante raggio di luce che investì Castalia sollevandola da terra e avvolgendola in una sfera luminosa. Con un gesto veloce, Zeus scagliò la sfera, e Castalia dentro essa, contro il muro alla sua destra, frantumandolo e lasciando che la ragazza cadesse di sotto, precipitando nell’abisso.  Se hai le ali, impara a volare, Aquila! Ironizzò Flegias, ghignando.

 

Phantom dell’Eridano Celeste e altri Cavalieri Celesti raggiunsero correndo la Sala del Trono, avendo udito poc’anzi scontrarsi il cosmo di Zeus e quello di Atena. Anche Ermes arrivò in fretta, facendosi largo nella ressa che i Ciclopi Celesti stavano respingendo fuori dalla stanza.

 

“Non preoccupatevi! Il nostro Signore Zeus sta bene!” –Esclamò Sterope, spingendo i vari Cavalieri fuori dalla Sala del Trono.

 

“Devo conferire immediatamente con lui!” – Intervenne Ermes, e al suono della sua voce tutti gli altri Cavalieri presenti si allontanarono, intimiditi. –“Adesso!”

 

“Questo non è possibile!” –Rispose Sterope, con tono deciso. –“Zeus ha bisogno di riposare e ci ha dato ordine di non far entrare nessuno!”

 

“Sono il Messaggero degli Dei e Consigliere privato del Dio dell’Olimpo, Sterope! E conosco le prassi in questi casi!” – Continuò Ermes, rincarando il tono.

 

“Errore!” – Esclamò una figura, spuntando sulla soglia della Sala del Trono.

 

“Flegias!!!” – Gridò Ermes, incollerito.

 

“Zeus mi ha nominato come suo personale Consigliere, affidandomi il prestigioso incarico di gestire la crisi che si è appena aperta con il Grande Tempio di Atene!”

 

“Quale crisi? Cos’è successo?” – Incalzò Ermes, subito affiancato da Phantom, fingendo di non dare importanza alla nomina raggiunta da Flegias.

 

“Cos’è successo?!” – Gridò Flegias, e la sua voce andò aumentando sempre di più. –“Ecco cos’è successo! Atena, figlia prediletta del Sommo Zeus, ha respinto le richieste che il Dio dell’Olimpo le aveva proposto per evitare una guerra! E non soltanto! Ha osato levare la mano contro Zeus e i Cavalieri preposti alla sua difesa, causando un’onta insopportabile!”

 

Un mormorio di voci di disapprovazione si levò tra i Cavalieri e le varie Divinità presenti fuori dalla Sala. Ma anche di sorpresa. Possibile? Si chiese Phantom dell’Eridano. E la stessa domanda risuonò nella mente del Messaggero degli Dei.

 

“Per questo motivo, per vendicare il torto subito, Zeus ha ordinato l’immediata distruzione del Santuario di Atena, affidandomi personalmente il comando di tale missione!”

 

“E che ne è stato di Atena?” – Domandò Ermes, preoccupato per la sua sorte.

 

“Puoi sentirlo da solo… Messaggero!” – Sibilò Flegias, voltandosi lentamente verso sinistra.

 

Al di là della porta, al di là del parco, si estendeva un grande prato che progressivamente saliva, fino a raggiungere un picco, un’alta sommità su cui Zeus aveva fatto costruire la Torre Olimpica, o Torre del Fulmine, il punto più alto dell’Olimpo, capace di stare persino al di sopra della coltre di nuvole che da sempre celava la Residenza degli Dei alla vista dei comuni mortali. Là, in cima alla torre, Zeus aveva rinchiuso Atena, intrappolandola con i Fulmini ricevuti in dono dai Ciclopi e condannandola ad un’agonia perpetua, stretta in una morsa incandescente che lentamente l’avrebbe lentamente uccisa.

 

“E Castalia? Dov’è?” –Domandò Phantom, disturbando Flegias con quella richiesta così insignificante.

 

“Cavaliere dell’Eridano Celeste! Considerando gli attuali rapporti di crisi esistenti tra l’Olimpo e Atene, una simile domanda giunge completamente inattesa, e fuori luogo! È chiaro che, in un frangente simile, tutti i Cavalieri della Dea sacrilega devono essere eliminati!”

 

“Eliminati?!” – Ripeté Phantom, con tono preoccupato.

 

“Precisamente!” –Sogghignò Flegias. –“A tal proposito.. che ne è dell’altro? Il Cavaliere della Fenice, giunto con le due donne sull’Olimpo?” –E si rivolse verso Ermes, ma questi spiegò di non saperne niente.

 

“Avrà avuto paura e sarà fuggito!” –Esclamò una voce maschile, proveniente dal mucchio di Cavalieri. Phantom si voltò e riconobbe il ghigno sfregiato di Issione, colui che aveva appena parlato.

 

“Non ne sono sicuro...” – Mormorò Flegias. –“Cercatelo! E uccidetelo, ovunque si trovi!”

 

Molti Cavalieri Celesti, dopo quell’ordine, si allontanarono, mentre Sterope e Arge richiusero il grande portone dorato della Sala del Trono, lasciando Flegias fuori, di fronte agli sguardi attoniti e preoccupati di Ermes e di Phantom. E a quello compiaciuto di Issione.

 

“In quanto a te, Cavaliere dell’Eridano! Avrai un grande onore quest’oggi! Guidare l’assalto al Santuario di Atena!”

 

“Assalto?!” – Mormorò Phantom.

 

“Esattamente! Zeus ha ordinato che l’intero Grande Tempio e i Cavalieri rimasti alla sua difesa vengano distrutti, annientati, spazzati via dalla faccia della Terra!!!” –Esclamò Flegias, con un perfido sorriso. –“Avrai l’onore di eseguire questo importantissimo incarico! Sentiti degno della fiducia ricevuta dal Sommo, Cavaliere!”

 

“Sì, figlio di Ares!” – Affermò Phantom, inchinandosi, e poi allontanandosi. Ma la voce imperiosa di Flegias lo richiamò un momento.

 

“Da oggi non sono più soltanto il figlio di Ares, Cavaliere! Ma sono il Consigliere Personale del Dio dell’Olimpo!” – Precisò, irritando ulteriormente Ermes.

 

Il Messaggero degli Dei, ferito nell’orgoglio, non aggiunse altro, e se ne andò, lasciando Flegias e Issione a parlare davanti alla Sala del Trono.

 

“Meglio di così non potrebbe andare!” – Sussurrò Issione.

 

“Non ne sarei così sicuro..” – Precisò Flegias, per la prima volta preoccupato.

 

“Cosa vuoi dire? Cosa non va?”

 

“Prima, dopo che Zeus aveva lanciato la Sacerdotessa di sotto dall’Olimpo, ho avvertito una lieve, quasi impercettibile, vibrazione nello spaziotempo! Come se qualcuno fosse riuscito a raggiungere l’Olimpo!”

 

“Aaah! Sciocchezze, Flegias! È praticamente impossibile! Nessuno è mai riuscito ad arrivare fin quassù, superando i Giganti di Pietra e i Cavalieri Celesti! Inoltre, se un Cavaliere di Atena fosse riuscito a teletrasportarsi fin quassù il suo cosmo sarebbe stato percepito, non credi? Neppure il Grande Mur dell’Ariete e Shaka di Virgo avrebbero potuto tanto!”

 

“Tuttavia non sono affatto convinto.. ho progettato questo piano troppo a lungo e troppo bene, per permettere ad una anche piccola variabile di influenzarlo!”

 

“Se sei davvero così preoccupato, Flegias, perché non vai a controllare?” – Propose Issione. – “La prudenza non è mai troppa!”

 

“Sì! È quello che farò!” – Esclamò Flegias, allontanandosi.

 

Issione si sfregò le mani, soddisfatto. Quell’alleanza con Flegias, lo sapeva, era assolutamente provvisoria. Adesso che Atena era caduta, e dei suoi Cavalieri presto non sarebbe rimasta traccia, la Terra sarebbe potuta essere di Zeus. Ed egli avrebbe ricompensato degnamente i suoi fedeli servitori, promettendo loro un trono nel nuovo ordine. Ma se qualcuno di noi cadesse in guerra... Sogghignò Issione. Perderebbe il titolo, e anche il trono! Ed esclamò in una grossa risata.

 

Flegias passò più di venti minuti a perlustrare tutto il perimetro esterno del Monte Olimpo, balzando di roccia in roccia, di sperone in sperone, senza saltare nemmeno un anfratto. Ma di Castalia non c’era traccia. Alzò gli occhi, verso la cima dell’Olimpo, perennemente immersa in una coltre di nuvole, e ipotizzò dove si trovasse la Reggia del Sommo Zeus, ma non era facile neanche per lui riuscire a individuarla. Sbuffò un po’, continuando a rimuginare sull’accaduto, ma alla fine dovette convincersi che i suoi sospetti erano infondati.

 

Nessuno aveva raggiunto l’Olimpo, o se l’aveva fatto era stato talmente abile da non lasciare traccia alcuna, neppure un’impercettibile traccia di cosmo. Castalia probabilmente era precipitata nell’abisso, sfracellandosi contro qualche roccia più a valle. E tirò uno sguardo verso il basso, prima di essere investito da una forte folata di vento che lo convinse a rientrare a palazzo. Un rumore alle sue spalle lo fece voltare improvvisamente, trovandosi di fronte uno dei Ciclopi Celesti, Arge, lo Splendore.

 

“Il Sommo Zeus richiede la tua presenza a palazzo, Flegias!” – Esclamò l’uomo.

 

“D’accordo! Arrivo subito!” – Rispose Flegias, prima di tirare un’altra occhiata furtiva intorno a sé.

 

Quindi seguì Arge, rientrando a palazzo. Se si fosse trattenuto pochi minuti di più, avrebbe notato una figura in ombra, nascosta in un anfratto roccioso. Un uomo sui trent’anni, con dei lunghi capelli mossi, che teneva in braccio una giovane donna dal volto ricoperto con una maschera bianca. Vi fu una vibrazione nello spaziotempo, quindi entrambi scomparvero.

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Primo assalto al Santuario ***


CAPITOLO DECIMO

CAPITOLO DECIMO. PRIMO ASSALTO AL SANTUARIO.

 

Nel frattempo al Grande Tempio di Atene regnava il caos più completo, nonostante gli abili tentativi di Tisifone di organizzare la difesa al meglio, coadiuvata anche da Ilda e dai Guerrieri del Nord. La donna aveva ricevuto l’ordine di riorganizzare le armate di Atena, in vista di un eventuale guerra contro l’Olimpo, e così aveva fatto, ordinando a tutti i soldati e Cavalieri presenti di riunirsi al Grande Tempio, inviando anche messaggeri per il Mediterraneo e l’Europa. Ma i Cavalieri a sua disposizione restavano comunque pochi; oltre a Mizar e Alcor, la cui presenza era una vera benedizione, il resto dell’armata ateniese era composta da Asher e dai suoi quattro amici, a cui Kiki aveva riparato le armature di bronzo, e da Phoenix e Castalia, momentaneamente sull’Olimpo. E questo scoraggiava non poco i soldati semplici.

 

“Che speranze di vittoria abbiamo?” – Mormoravano voci preoccupate. –“Otto Cavalieri e un pugno di soldati, contro gli Dei immortali?!” –Ma Tisifone aveva spinto loro a reagire, a non arrendersi.

 

“Per quanto terribili e forti siano i nemici che ci aspettano, noi non arretreremo! Non ci arrenderemo!” – Esclamò, ma il suo discorso non sortì alcun risultato positivo.

 

L’esplosione del cosmo di Atena giunse come una bomba in un deposito di polveri da sparo, essendo chiaramente avvertita da tutti quanti. Tisifone, Ilda e Asher, a consiglio alla Prima Casa, uscirono fuori e guardarono verso l’Olimpo, vedendo soltanto fulmini luccicare impetuosamente.

 

“No... Non ci credo!” – Gridò Asher dell’Unicorno, stringendo i pugni.

 

“Isabel...” –Commentò Ilda, avendo percepito chiaramente il cosmo dell’amica spegnersi.

 

Cosa sta succedendo sull’Olimpo? Si chiese Tisifone, domandandosi quale sorte era stata riservata a Castalia e a Phoenix. Per l’ultima domanda non dovette aspettare molto per avere una risposta. Mezz’ora dopo infatti le porte dello spaziotempo vibrarono debolmente, e i Cavalieri di Atena videro un uomo apparire dal nulla, reggendo in braccio una fanciulla ferita. La ragazza era Castalia, salvata da Birnam, Cavaliere d’Argento della Bussola, da morte sicura.

 

“Birnam!” – Esclamò Tisifone, correndo incontro ai due. –“Cos’è successo? Dove sei stato?”

 

“Sull’Olimpo!” – Rispose il Cavaliere d’Argento. –“E a quanto pare sono giunto in tempo! Sarebbe bastato un minimo ritardo, e per Castalia sarebbe stata la fine!”

 

“Ma cos’è accaduto?” – Incalzò Asher.

 

“Questo dovremmo chiederlo a lei!” –Disse Birnam. E tutti si voltarono verso Castalia, che, seppur stordita, iniziò a raccontare brevemente quello che ricordava. –“Non so cosa sia accaduto nella Sala del Trono, ma Zeus ha attaccato Atena, imprigionandola per aver disubbidito ai suoi ordini!”

 

“Maledetto!” – Gridò Asher, stringendo i pugni.

 

“Conserva le tue forze per la difesa, Cavaliere dell’Unicorno!” –Esclamò Castalia. –“Se i miei presentimenti sono esatti, non tarderemo ad avere visite!” –E Castalia aveva proprio ragione.

 

“Come hai fatto a raggiungere l’Olimpo senza farti scoprire? Pensavo fosse impresa impossibile persino per un Cavaliere d’Oro!” –Fu l’ultima cosa che Tisifone riuscì a chiedere al Cavaliere della Bussola, prima che le mansioni organizzative la richiamassero.

 

“Non ci sono riuscito, infatti! Mi è stato permesso!” – Rispose Birnam, ringraziando il misterioso aiuto che dall’interno aveva reso possibile ciò.

 

Neppure venti minuti dopo, un’armata di Cavalieri Celesti attaccò il Grande Tempio, sfondando quel che restava del Cancello Meridionale ed entrando nel regno sacro. Fu la più sanguinosa battaglia che vi ebbe mai avuto luogo. I soldati semplici, seppur intimoriti e preoccupati dalla morte della loro Dea, si lanciarono senza esitazione contro gli avversari, ingaggiando sanguinari corpo a corpo, che si conclusero in un mare di sangue. Tisifone, Asher e i Cavalieri di Bronzo si radunarono nella piazza centrale, da cui i Cavalieri Celesti avrebbero dovuto passare per raggiungere la Prima Casa dello Zodiaco, dove Castalia, Mizar e Alcor si erano insediati, insieme a Ilda e Kiki.

 

“Fosse anche la nostra ultima battaglia…” –Disse Tisifone, alla vista dell’armata che avanzava, facendo strage di difensori. –“È stato bello e è stato un onore dividere questi momenti con voi!”

 

Asher annuì, accennando un sorriso, prima di lanciarsi avanti contro i Cavalieri Celesti, ma bastò un lampo dal dito di uno di loro per scagliarlo contro la parete rocciosa retrostante. Nel vedere l’amico sbalzato via, Geki, Ban, Aspides e Black si lanciarono avanti, lasciando Tisifone al centro della piazza. La donna fu circondata in fretta da un gruppo di Cavalieri Celesti, armati di spade, ma non si perse d’animo e ingaggiò battaglia con loro, affondando gli artigli del Cobra dentro le loro carni.

 

Nel frattempo un gruppo di Cavalieri Celesti aveva raggiunto la Prima Casa, superando Tisifone e gli altri. Erano in tre e il loro capo era il Luogotenente dell’Olimpo, Phantom dell’Eridano Celeste, sorpreso di trovare Castalia viva e vegeta. Ma grande fu il dispiacere nel dover combattere con lei.

“Sei viva, allora?!” – Commentò.

 

“È stato un miracolo!” – Rispose Castalia.

 

“Non credevo che ti avrei rivista!” – Si lasciò sfuggire Phantom, con un mezzo sorriso.

 

“Peccato che le circostanze non siano le migliori!” –Ironizzò Castalia, con voce pungente. –“Hai portato i tuoi guerrieri a fare strage di innocenti al Tempio di Atena, tu che, come mi avevi detto per abbindolarmi, detestavi la violenza!”

 

“Ho dovuto farlo! Questi sono gli ordini che ho ricevuto da Zeus!”

 

“E ovviamente gli hai obbedito!”

 

“Cos’altro avrei dovuto fare?!” –Esclamò Phantom, espandendo il proprio cosmo. –“Nessuno può contrastare una decisione del Sommo Zeus! Nessuno! Soprattutto uno dei suoi Cavalieri!”

 

“Mio Signore!” –Intervenne uno dei Cavalieri che lo accompagnavano. –“Aspettiamo il suo segno!” –Phantom annuì con il capo, senza dir niente, e i due Cavalieri Celesti si lanciarono all’assalto, puntando verso la Prima Casa dell’Ariete.

 

“Non cerco la guerra, Castalia!” – Mormorò Phantom. – “Ma se essa mi trova, io non posso tirarmi indietro! Sono un soldato, e combatto! Questo è ciò che so fare!”

 

“E io difenderò i miei ideali, proteggendo il Tempio di Atena, dalle barbare e sanguinose mani dei sicari di un Dio violento e ingiusto! Perciò fatti avanti, Cavaliere di Zeus, e possa il destino permetterci di incontrarci nuovamente da amici, dopo la morte!” – Detto questo, Castalia spiccò un balzo in alto, bruciando il suo cosmo e precipitando sull’uomo con il suo Volo dell’Aquila Reale.

 

Il colpo, di discreta efficacia, fu fermato da Phantom semplicemente alzando un braccio. Castalia atterrò sul dito indice dell’uomo, prima di venir sbalzata in aria da un fascio energetico molto potente. Perdonami! Ma questo è il mio destino! E non poso sfuggirvi! Mormorò Phantom, prima di concentrare il proprio cosmo celeste tra le dita.

 

La piazza principale del Grande Tempio diventò un cimitero, in cui mucchi di cadaveri giacevano a terra, in pozze di sangue. Numerosi soldati di Atene erano caduti e gli ultimi strenui difensori arrancavano a fatica di fronte all’avanzata dei Cavalieri Celesti. Un giovane dai corti capelli castani e da una lucente armatura si fece avanti, avvolto in un cosmo etereo. Black il Lupo e Leone Minore si lanciarono contro di lui, ma questi li respinse semplicemente aprendo il palmo della mano destra.

 

“Chi sei?” – Domandò Ban, allibito.

 

Narciso, Cavaliere Celeste della schiera dei guerrieri di Afrodite!” –Rispose, con tono calmo.

 

“Afrodite?” – Ripeté Black.

 

“Naturalmente, la Dea della Bellezza! È a lei che vanno tutti i miei pensieri e il mio operato!” – Esclamò il giovane, odorando un fiore che portava con sé.

 

“Allora sarà per la tua Dea che cadrai!” –Urlò Ban, rialzandosi. –“Lionet Bomber!”

“Dead Bowling!” – Gli fece eco Black, affiancando il proprio colpo segreto a quello di Ban.

 

“Sciocchi!” –Mormorò Narciso. E con un gesto velocissimo lanciò il fiore avanti a sé, che si moltiplicò in migliaia di esemplari, creando una fitta e impenetrabile barriera sulla quale si schiantò l’attacco combinato di Ban e Black.

 

“E adesso a voi, deliziose creature che portate il mio nome!” –Parlò il giovane, rivolto ai narcisi. –“Portate il sonno eterno a questi uomini delittuosi, avvolgendoli nella vostra armonica danza!”

 

Mentre Narciso parlava, i fiori sfecero la barriera, davanti agli occhi attoniti di Ban e Black, correndo verso di loro, in un travolgente turbine fiorito dal colore biancastro. Incapaci di muoversi, i due Cavalieri di Bronzo furono completamente ricoperti dai narcisi del giovane, inalando il loro odore, un odore che, come disse il Cavaliere, li stava uccidendo. Improvvisamente rapidi fasci energetici si diressero verso i due, liberandoli in parte dalla stretta morsa ammaliatrice di Narciso.

 

“Chi osa?” –Esclamò il giovane, alzando per la prima volta il tono della voce. –“Chi si permette un simile scempio?”

 

“Io oso!” –Ripose una voce maschile, balzando davanti a lui. –“Sono Asher dell’Unicorno, di Atena Cavaliere!”

 

“Pagherai per l’affronto di cui ti sei macchiato, Cavaliere!” – Esclamò Narciso, puntando un nuovo fiore contro Asher. – “Turbine di estatica bellezza!”

 

E scagliò un vortice di narcisi contro il Cavaliere dell’Unicorno che ne fu travolto e trascinato in alto, mentre i narcisi si attaccavano al suo corpo, intorpidendo i suoi movimenti. Asher ricadde a terra molti metri addietro, praticamente ricoperto di bianchi narcisi che, come le Rose di Sublime Bellezza di Fish, portavano ad una morte lenta e delicata, quasi soporifera. Il rumore della battaglia in corso, le grida di dolore dei suoi compagni, risvegliarono Asher dal torpore in cui i narcisi lo stavano facendo cadere. Il Cavaliere dell’Unicorno bruciò il proprio cosmo al massimo, facendo strage di fiori che, mentre si rialzava a fatica, caddero dal suo corpo come fossero stati inceneriti.

 

“Osi ancora?” –Si infuriò Narciso, mentre sul suo bel viso candido comparivano i segni della rabbia, deturpando il suo volto.

 

“Guerriero di Afrodite, che della bellezza hai fatto l’unica fede della tua vita, un Cavaliere di Atena si rialzerà sempre, finché ci sarà bisogno di lui!” –Esclamò Asher, con fare deciso. –“E non saranno i tuoi fiorellini a tenermi a terra inerme, mentre i miei compagni lottano anche per me!”

 

“Tale arroganza merita una punizione!” –Gridò Narciso, puntando nuovamente un candido fiore contro Asher. –“Prendi ancora, Turbine di estatica bellezza! Più potente di prima!”

 

Il fiorito vortice travolse nuovamente Asher, ma stavolta il ragazzo, espandendo il proprio cosmo al massimo, trovò la forza per resistere, facendo strage di fiori con rapidi fendenti luminosi. Brucia, cosmo dell’Unicorno! Mormorò il ragazzo, stringendo i denti.

 

“Criniera dell’Unicorno!” –Urlò, scagliando violenti fasci energetici contro i fiori, distruggendoli e riuscendo a uscire dal turbine.

 

“Ma... come hai fatto?” –Esclamò Narciso, esterrefatto. –Non vuoi dunque accettare il torpore eterno che ti avevo riservato?”

 

Asher neppure lo ascoltò quel damerino, come amava definirlo, e si lanciò avanti continuando a scagliare fendenti luminosi contro di lui. Narciso evitò un paio di affondi del Cavaliere di Bronzo, venendo però colpito di striscio in alcuni punti, prima di fermargli un braccio e lanciarlo in alto.

 

“Che ti serva da punizione!” –Esclamò il Cavaliere Celeste, concentrando una sfera energetica sulla mano destra e scagliandola contro Asher, che stava ricadendo a terra.

 

Il ragazzo fu colpito in pieno e si schiantò pochi metri più avanti, perdendo l’elmo della propria armatura, nuovamente danneggiata. Narciso si preparò per colpirlo nuovamente ma fu afferrato improvvisamente da sotto le ascelle da due robuste mani maschili.

 

“Che cosa?!” – Urlò, iniziando a scalciare. Ma Geki dell’Orsa non sembrava intenzionato a mollare la presa, bruciando il proprio cosmo e liberando sotto forma di scariche energetiche.

 

“Geki!” – Urlò Asher, rialzandosi.

 

“Colpiscilo adesso, Asher! Avanti! Colpiscilo!” – Gridò Geki.

 

“Bada a te, rozzo orso preistorico! Pagherai cara la conseguenza del tuo folle gesto, porre le tue sporche mani sulla mia bianca veste!” – Esclamò Narciso, bruciando per la prima volta il cosmo. Le scariche energetiche di Geki furono letteralmente travolte dal potere del Cavaliere Celeste, che le respinse e avvolse il giovane in una stretta morsa incandescente.

 

“Geki!!!” – Urlò Asher, ancora titubante.

 

“Non… non pensare a me, Asher! Colpiscilo!” – Gridò Geki, tremando.

“Muori!” – Esclamò Narciso, concentrando una sfera energetica sulla mano destra e poi sbattendola con forza contro il corpo del Cavaliere dell’Orsa.

 

“E sia!!!” –Asher bruciò al massimo il suo cosmo. –“Perdonami amico! Criniera dell’Unicorno!”

 

Asher si lanciò avanti, scagliando centinaia di fendenti ad una velocità superiore a quella del suono. Narciso, per difendersi, invocò nuovamente la barriera di fiori che probabilmente avrebbe sortito il suo effetto difensivo se il cosmo del Cavaliere non fosse stato impegnato a difendersi anche dal nuovo attacco di Geki, che, senza preoccuparsi minimamente della propria sorte, aveva ripreso a stringere sempre più. I fendenti di Asher fecero a pezzi la fiorita barriera, schiantandosi con fragore contro l’Armatura Celeste di Narciso. L’ultimo colpo gli sfondò il pettorale, spingendosi nel corpo dell’uomo che, in preda al dolore e alla pazzia di fronte a tanta deturpante violenza sanguinaria, fece esplodere al massimo il suo cosmo, uccidendosi spontaneamente, accelerando una fine che probabilmente sarebbe arrivata comunque.

 

Asher e Geki furono spinti lontano, tra i frammenti delle loro armature danneggiate, e quando si rialzarono trovarono il corpo di Narciso a terra, che lentamente veniva ricoperto da candidi fiori.

 

“Che è successo?” – Mormorò Geki, barcollando.

 

“La sua mente non ha retto all’idea di tutta questa violenza! Vedere il suo corpo sporco e pieno di ferite sanguinose lo ha distrutto, al punto da fargli preferire la morte alla fine in battaglia!” – Commentò Asher, ansimando a fatica.

 

Ma la conversazione tra i due Cavalieri fu interrotta da un’esplosione violenta. Sollevando lo sguardo verso la Prima Casa i due videro un enorme gorgo energetico schiantarsi su di essa, travolgendo i suoi difensori. Phantom aveva appena scagliato il suo colpo segreto. Si mossero per correre in loro aiuto, ma non riuscirono a fare un passo, travolti da un repentino attacco. Un nuovo avversario era appena giunto sul campo di battaglia.

 

Mizar e Alcor si erano lanciati senza esitare contro i due Cavalieri Celesti che avevano accompagnato Phantom dell’Eridano. Due Cavalieri che, come ebbero a notare subito i fratelli di Asgard, erano notevolmente inferiori a Sterope, il Ciclope da loro affrontato il giorno prima. Ma non sono da sottovalutare! Rifletté Alcor, scagliando i Bianchi Artigli della Tigre insieme al fratello. Il colpo travolse i due Cavalieri Celesti, scaraventandoli indietro, ma subito si rialzarono per dare nuovamente loro battaglia.

 

Lo scontro tra i quattro andò avanti per una ventina di minuti, davanti agli occhi preoccupati di Ilda, riparata tra le colonne della Prima Casa. La donna avrebbe voluto scendere a combattere con i propri guerrieri, per difendere il Tempio della Dea Atena, ma si rese conto di essere al momento solamente d’intralcio. La sua mente volò via, chiedendosi se Cristal avesse raggiunto la fortezza del Valhalla, chiedendosi cosa fosse accaduto a Phoenix e soprattutto ad Atena sull’Olimpo, dove il potere del suo cosmo non riusciva proprio ad arrivare.

 

Un diretto di un Cavaliere Celeste spinse Mizar contro una roccia, facendogli perdere il nero elmo della corazza, e rivelando un viso gonfio e pieno di ferite. Alcor si lanciò avanti per difendere il fratello, affondando i suoi Artigli nel pettorale del nemico, prima di voltarsi e contrastare l’attacco del suo compagno. Quando lo scontro ebbe termine, con la morte del secondo Cavaliere Celeste, i due fratelli corsero in aiuto di Castalia, bloccata in una scomoda posizione dal potere del Cavaliere dell’Eridano Celeste, potere che, Alcor lo percepì chiaramente, era vasto e luminoso, pari o superiore a quello di un Cavaliere d’Oro.

 

Castalia aveva infatti iniziato a combattere con Phantom dell’Eridano Celeste, ma lo scontro non pareva affatto volgere a suo favore. Nonostante il dispiacere nell’affrontare proprio l’unica persona degna di rispetto che aveva conosciuto sull’Olimpo, Castalia non aveva esitato a lanciarsi contro di lui, consapevole del divario tra i loro poteri. Forse, inconsciamente, Castalia stava sfogando su di lui la frustrazione conseguente alla delusione per averlo creduto diverso e il senso di colpa che non le dava pace per aver lasciato Atena da sola, invece di essere al suo fianco per proteggerla.

 

“Cometa Pungente!” – Esclamò Castalia, portando avanti il braccio destro.

 

Una luminosa cometa argentata si diresse verso il Cavaliere Celeste, un buon colpo, ma non abbastanza per un uomo capace di muoversi alla velocità della luce. Phantom evitò l’assalto e con un balzo fu davanti a lei, concentrando una sfera nella mano sinistra e sbattendola sul petto della ragazza, che fu travolta e spinta indietro, fino a schiantarsi nelle ormai distrutte scalinate davanti alla Prima Casa. Il Cavaliere Celeste concentrò una nuova sfera energetica nella mano, ma esitò un attimo prima di lanciarla avanti, dispiaciuto dall’idea di combattere con lei. Ma gli ordini del Sommo Zeus devono essere eseguiti! Mormorò, sinceramente combattuto.

 

“Cosa fai? Perché esiti?” – Domandò Castalia, rialzandosi. – “Non devi dare tregua al tuo nemico!” –E scagliò una nuova Cometa Pungente contro di lui, di potenza maggiore della precedente, che si scontrò con la sfera incandescente lanciata dall’uomo, provocando un’esplosione che costrinse entrambi a saltare indietro. Phantom balzò in cima a una roccia, sollevò il braccio destro in alto, puntando l’indice verso il cielo, e concentrò il suo cosmo.

 

“Perdonami Sacerdotessa dell’Aquila! Forse in un’altra epoca saremmo potuti essere amici, o anche amanti!” –Confessò il Cavaliere dell’Eridano Celeste, mentre una luminosa aura lo avvolgeva. –“Ma adesso le nostre fedi diverse ci impongono di combattere! Sappi però che ho grande stima di te, e dei Cavalieri di Atena, che avete lottato a lungo per la Giustizia su questa terra!”

 

“Giustizia che il tuo Dio sta calpestando come erba di prato!” – Commentò Castalia.

 

Phantom non rispose, abbassando per un momento lo sguardo, colpito da quelle veritiere parole a cui non aveva la forza per rispondere. Non disse niente e attaccò. Da sotto la terra comparvero improvvisamente tantissimi filamenti verdi, sottili piante che si attorcigliarono con violenza intorno al corpo della Sacerdotessa dell’Aquila, nonostante i suoi tentativi di balzare via. Le liane la strinsero con forza, fermando i suoi movimenti, incrinando la lucente armatura d’Argento.

 

“Liane dell’Eridano!” –Esclamò Phantom, osservando la ragazza venire sollevata e intrappolata in un reticolato verdastro. –“Questa sarà la tua fine, Castalia dell’Aquila! Stritolata lentamente dalle piante del fiume Eridano, perderai i sensi e abbandonerai questo mondo…”

 

In questo modo non sarò io, direttamente, il responsabile della sua morte! Pensò Phantom, balzando dalla roccia sul pavimento.

 

In quel momento Mizar e Alcor, uccisi i due Cavalieri Celesti contro cui stavano combattendo, si lanciarono contro Phantom, per liberare Castalia, ma il Cavaliere dell’Eridano neppure si voltò verso di loro, comandando alle piante di afferrarli e stritolarli come stavano facendo con la Sacerdotessa dell’Aquila.

 

“Ecco!” –Esclamò infine Phantom, osservando i tre dibattersi all’interno di quell’intricato groviglio di liane. –“Accettate la resa, Difensori del Santuario! Avete ancora una possibilità per aver salva la vita, quella di unirvi a Zeus entrando a far parte dei suoi Cavalieri! Egli conosce il vostro valore di combattenti di Atena e di Odino, e non esiterà nel nominarvi suoi Cavalieri!”

 

“Mai…” – Sibilò Castalia, tentando di liberarsi dalla morsa stringente delle liane.

“Puoi scordartelo, Cavaliere dell’Olimpo!” – Esclamarono Mizar e Alcor, bruciando il loro cosmo.

 

Rapidi fendenti di energia cosmica si liberarono dai corpi dei due fratelli, veloci come gli artigli delle tigri che rappresentavano, con lo scopo di tagliare le liane e liberarli da quel groviglio. Ma Phantom non lo permise loro, aumentando l’intensità della morsa, in modo tale da non consentire più neppure un minimo movimento.

 

“Abbandonate ogni resistenza, Cavalieri! Non sarebbe un disonore accettare una sconfitta inevitabile!” – Continuò Phantom, rivolgendosi ai tre, ma fissando solamente Castalia.

 

“È strano che sia tu a dirlo, Cavaliere dell’Eridano!” –Trovò la forza per parlare Castalia, espandendo al massimo il proprio cosmo argenteo. –“Tu che hai sempre ammirato le gesta dei Cavalieri di Atena, Cavalieri degni di lode e di ammirazione, per l’onore e la determinazione che hanno sempre dimostrato! Proprio tu vieni a dire a noi di arrenderci, di abiurare la nostra fede nella Giustizia per abbracciare quella del tuo despota che vorrebbe rendere il mondo schiavo?! No.. Phantom.. se pensi questo significa che non hai mai compreso chi sono i Cavalieri di Atena!”

 

Oppure l’ho compreso, ed è per evitarti una triste fine, che ti ho proposto questo! Mormorò il ragazzo, osservando i disperati sforzi della ragazza di liberarsi.

 

Mizar e Alcor tentavano di liberarsi da quell’aggrovigliante vegetazione che impediva i loro movimenti, ma non riuscivano a scagliare i loro fendenti luminosi. Allora decisero di tentare un’altra strada. Usare il loro secondo potere. I due fratelli del Nord concentrarono i loro cosmi, bruciandoli al massimo, per congelare le liane dell’Eridano intorno a loro. Non fu impresa facile, considerando la continua velocità e l’impeto che il Cavaliere Celeste imprimeva alle sue liane, ma alla fine ci riuscirono, quanto bastò per permettere loro di distruggere il legame che li immobilizzava e scagliare congiuntamente i Bianchi Artigli della Tigre contro il resto delle Liane.

 

Alcor si preparò quindi ad attaccare il Cavaliere Celeste, balzando avanti, nel momento stesso in cui Mizar sfoderava i suo taglienti artigli per liberare anche Castalia dalla presa delle liane. Ma Phantom non si intimorì per niente, evitando gli affondi della Tigre Bianca di Asgard e limitandosi ad aprire il palmo della mano destra, scaraventando Alcor indietro, travolto da una sfera luminosa.

 

“Dunque non avete intenzione di arrendervi, Cavalieri?!” – Esclamò Phantom, osservando i tre, piuttosto malconci, rialzarsi di nuovo. – “E sia dunque… vi onorerò con il mio colpo segreto!”

 

Detto questo unì le braccia al petto, bruciando ardentemente il cosmo, limpido e celeste. Castalia, Alcor e Mizar si lanciarono avanti, dopo essersi scambiati una rapida occhiata, ma furono tutti travolti.

 

“Gorgo dell’Eridano!” – Gridò Phantom, riaprendo di scatto le braccia. Un enorme gorgo di energia cosmica partì dalle sue braccia, dirigendosi avanti, travolgendo i tre Cavalieri e tutto lo spiazzo antistante alla Casa d’Ariete.

 

Ilda, nascosta tra le colonne del Tempio, tirò un grido spaventata, nel vedere i tre Cavalieri venire sbattuti violentemente contro le rocce circostanti, tra i frammenti delle loro armature e il sangue che usciva copioso dalle ferite. E la sua paura crebbe ulteriormente quando percepì l’arrivo di un nuovo temibile avversario, il cui cosmo, lo sentiva, era chiaramente quello di una Divinità.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Il Regno del Nord ***


CAPITOLO UNDICESIMO

CAPITOLO UNDICESIMO. IL REGNO DEL NORD.

 

Cristal era letteralmente stupefatto. Stava camminando su un arcobaleno solido, sospeso centinaia di metri sopra la terra, diretto verso la reggia di Odino, Signore degli Asi. Al suo fianco camminava Flare, sorella della Celebrante di Odino nel regno degli uomini, il cui nome originale, Midgard, era stato dimenticato e sostituito dal più celebre Asgard, che indicava la Terra Superiore. Sull’altro fianco camminava Heimdall, Dio Custode di Bifrost. Alto, massiccio, con un viso maschile e barbuto, lunghi capelli scuri, ravvivati da qualche ciuffo grigio; un grande corno legato in vita, un’armatura scura, ma lucente sotto i raggi del tiepido sole, dai caratteri prettamente germanici.

 

Vichinghi, oserei dire! Commentò Cristal, osservando l’uomo di sottecchi. Ma ad Heimdall, la cui vista e il cui udito erano acutissimi, non sfuggì l’interesse che il ragazzo sembrò mostrare per la sua corazza, e chiarì che erano stati i nani, nelle fucine di Muspesllheim, la terra del fuoco, a forgiarla.

 

“Ed è resistente quanto un’Armatura forgiata da Efesto in persona!!!” –Esclamò, con fierezza.

 

“Ne sono convinto, Custode di Bifrost!” –Rispose Cristal, in tono educato.

 

Dopo un po’ di cammino i tre giunsero alla fine del Ponte-Arcobaleno, mentre un meraviglioso spettacolo si apriva di fronte agli occhi del Cavaliere del Cigno. Flare già lo conosceva, essendovi stata anni prima, all’investitura di Ilda a Celebrante di Odino, ma anch’ella ne rimase affascinata. Davanti a loro Bifrost digradava leggermente, entrando all’interno della vera Asgard, la Terra Superiore, situata proprio in cielo, sospesa sulle nuvole. Qua, in un’era sconosciuta, che soltanto gli Dei sapevano ricordare, gli Asi edificarono una grande fortezza, suddivisa in templi e palazzi, di cui principali erano i dodici abitati dagli Dei.

 

“Eccola, Cavaliere di Atena! Questa è Asgard, la terra degli Asi, gli Dei del Nord!” –Esclamò Heimdall, con orgoglio e commozione per la sua terra. –“Normalmente non permettiamo a nessuno, neppure ai Guerrieri del Nord, a noi fedeli, di raggiungerla! Il tuo caso è una vera eccezione!”

 

“Ti sono grato, Heimdall, Dio della Luce, dell’Alba e del Giorno, Custode del Ponte-Arcobaleno, per avermi concesso questo onore e per averci accompagnato fin qua! E ti chiedo perdono se la mia visita è stata per te fonte di disturbo o perdita di tempo!”

 

“Nessuna perdita di tempo, Cavaliere! Sei giunto accompagnato dalla sorella della Celebrante di Odino, un’ottima referenza!” –Rispose Heimdall, sorridendo a Flare, che ricambiò con un inchino. –“Inoltre...” –E nel dir questo si schiarì la voce. –“La tua visita non giunge del tutto inaspettata!”

 

“Che cosa?!” – Domandò Cristal.

 

“Non mi è permesso aggiungere altro! E adesso perdonatemi, devo tornare alla mia mansione principale, sorvegliare il Ponte Bifrost!” –Esclamò l’uomo, prima di salutarli e tornare indietro.

 

“Cosa avrà voluto dire?” –Chiese il ragazzo a Flare. Ma ella non seppe rispondere. Si limitò a prendere la mano del giovane, e ad incamminarsi con lui verso l’entrata di Asgard.

 

“È una rocca immensa!” – Esclamò Cristal, affascinato. –“È un grande regno!” – Commentò Flare

.

Una figura si fece loro incontro, probabilmente avvisata del loro arrivo. Era un giovane dai capelli biondi e gli occhi verdi, molto bello ed elegante, avvolto da una tunica chiara che non riusciva però a coprire completamente l’Armatura che portava sotto.

“Principe Freyr!” – Esclamò Flare, correndogli incontro felice.

 

“Flare! È un piacere rivederti!” – Commentò il giovane, abbracciandola. Quindi si rivolse a Cristal, avvicinatosi a sua volta. –“E questo deve essere il Cavaliere del Cigno, un combattente di Atena!”

 

“Cristal, ho l’onore di presentarti il Dio della Bellezza e della Fecondità, Freyr, uno dei Vani!”

 

Cristal si inginocchiò con deferenza, ma Freyr lo pregò di non dare peso all’etichetta e comportarsi con naturalezza. Quindi fece cenno ai due ragazzi di seguirlo. Oltrepassarono le mura di Asgard, entrando all’interno, proseguendo a passo svelto, diretti verso il Valhalla, la Sala di Odino.

 

“Come sapevate che saremmo arrivati?” – Domandò Flare.

 

“Flare, dovresti saperlo! Nessuno può permettersi il lusso di arrivare ad Asgard di nascosto! Solcare il Ponte-Arcobaleno non è certamente la cosa più ovvia di questo universo!” –Sorrise il giovane, e Cristal dovette dargli ragione. –“Odino vi aveva sentito arrivare.. ma.. beh, vi spiegherà tutto lui!”

 

Freyr guidò Cristal e Flare fino al palazzo di Odino, il Valhalla, una grande e maestosa sala con 540 porte, muri fatti di lance, tetto fatto di scudi e panche ricoperte di armature. Cristal, che si guardava intorno estasiato, sapeva che quella era la residenza dei morti gloriosamente caduti in battaglia, gli Einherjar. Per un attimo si chiese se Orion e i Cavalieri morti durante la Guerra del Nibelungo fossero in quel luogo. Ma l’improvvisa apparizione di Odino lo costrinse a mutare i suoi pensieri.

 

Il Dio degli Asi, Odino, o Wotan in germanico, apparve improvvisamente di fronte a loro, e Freyr e Flare si inginocchiarono in segno di rispetto. E lo stesso fece Cristal, pur continuando a guardarlo di sottecchi. Odino era un uomo alto e robusto, ma il suo viso sembrava segnato dagli anni, più vecchio di Heimdall, reso ancora più vecchio dalla folta barba scura e dall’aspetto un po’ sgraziato con cui si presentava. Aveva un occhio solo, ma sapeva usarlo nel migliore dei modi, anche per scandagliare l’animo degli uomini. Apparve di fronte a loro indossando una splendida armatura, sul cui fianco penzolava la Spada che Pegasus aveva sfoderato l’anno precedente per liberare Ilda dall’Anello del Nibelungo: Balmunk.

 

“Tu sia il benvenuto, Cavaliere di Atena!” – Esclamò Odino, con voce tonante.

 

“Ti ringrazio per avermi accolto tra le tue mura, Dio degli Asi!” – Rispose Cristal educatamente.

 

“Non si può dire che abbia avuto scelta!” – Esclamò il Dio, pregando Cristal e Flare di accomodarsi ad un tavolo. Odino si sedette all’altro lato del tavolo, e Freyr lo affiancò, mentre alcuni servitori portarono cibo e bevande per i viaggiatori.

 

“Cosa significa, Dio della Saggezza?” – Domandò timidamente Flare.

 

“Flare! Sai bene quanto io ami e disprezzi gli uomini al tempo stesso, e quanto cerchi il più possibile di isolarmi dalle questioni che non riguardano direttamente Asgard!” – Esclamò il Dio, mentre Flare annuiva con il capo. – “Per di più sembra che questo giovane sia affetto da una maledizione!” –Ed esplose in una grossa risata.

 

“Abbiamo percepito il tuo arrivo a Midgard, Cavaliere del Cigno!” –Esclamò Freyr, entrando nella conversione. –“E abbiamo anche sentito cosmi inquieti raggiungerla poche ore dopo! Cosmi potenti, portatori di violenza e distruzione! Cosmi che, ahimè, sappiamo da dove provengono!”

 

“Lo sapete?” – Domandò Cristal.

 

“Naturalmente! E probabilmente lo avresti capito anche tu, se avessi avuto pieno controllo delle tue facoltà mentali quel giorno!” –Continuò Freyr. –“Non so per quale motivo ti stessero cercando, ragazzo, ma deve esserci sotto qualcosa di grosso se Zeus in persona si scomoda, ordinando ai Ciclopi Celesti di venire fin quassù per te!”

 

“Zeus?!” – Esclamò Cristal, sgranando gli occhi, mentre Flare gli prese la mano spaventata.

 

“I Cavalieri che hanno attaccato Midgard sono i Cavalieri Celesti, i Difensori dell’Olimpo!” –Concluse Freyr, prima di lasciare nuovamente la parola a Odino.

 

“Ma non è stato l’unico evento insolito negli ultimi giorni! Dimmi un po’, Cristal il Cigno, perché sei qua? Oltre che fuggire dai Cavalieri Celesti, cos’altro ha mosso il tuo cammino in questa direzione?”

 

“Non vorrete rifiutargli ospitalità e asilo, mio Signore?!” – Intervenne audacemente Flare.

 

“Flare di Polaris! Per quanto tu sia la sorella della Celebrante che ho scelto personalmente, non permetto un tono simile neppure a te, qua nella mia Sala!” –La brontolò Odino, e a Flare parve di sentire una spada scenderle sul collo. –“Inoltre non mi sembra di aver chiuso a te e al tuo compagno la porta in faccia!”

 

“Perdonatemi, mio Signore. Non era mia intenzione mancarvi di rispetto! Sono soltanto preoccupata per Cristal, e per mia sorella!”

 

“E fai bene ad esserlo! Non so per quale motivo Zeus si interessi a questo giovane.. ma so perché è qua! Per lo stesso motivo per cui sapevo del vostro arrivo!”

 

“Sento delle vibrazioni, Dio degli Asi!” –Esclamò infine Cristal. –“Una voce da lontano, come un richiamo! L’ho sentito una settimana fa per la prima volta, mentre allenavo dei ragazzi, nel nord della Siberia, e da allora questa voce non mi ha mai lasciato! Prima che riacquistassi la memoria, non sapevo cosa volesse significare, non sapevo neppure cosa rappresentasse Midgard o Asgard per me.. non ricordavo neppure i volti delle persone che avevo amato!” –E si fermò un momento, per incontrare il volto sorridente di Flare, seduta accanto a lui. –“Ma adesso ricordo tutto.. le mie battaglie, il mio dolore, e comprendo quanto sia stato difficile per Atena decidere di cancellare tutto questo dalle nostre vite, decidere di cancellare le nostre vite nella speranza che potessimo crearcene di nuove, senza più guerre, né battaglie. Ma a quanto pare non è questo il mio destino!”

 

“Il tuo destino ti ha portato qua! E forse qua troverai risposte!” –Esclamò Odino, alzandosi in piedi.

 

Si incamminò verso una porta della sala, seguito da Freyr, facendo cenno a Flare e Cristal di andare con loro. Camminarono per varie stanze, giungendo infine a una grande terrazza che si affacciava sull’intera Asgard. E là, per la prima volta, Cristal lo vide: Yggrdrasil, l’Albero dell’Universo.

 

“L’albero del mondo!” – Commentò Cristal, con un filo di voce.

 

Di fronte a loro, molti metri più in basso, vi era la base di un immenso albero, un frassino, le cui radici sprofondavano in tre mondi diversi: quello dei Giganti, il mondo infernale e quello degli Dei. Il suo tronco era immenso e saliva nel cielo, in alto, mentre le sue chiome e i suoi rami coprivano l’intera volta celeste.

“Yggdrasil! L’Albero Cosmico!” –Esclamò Odino. –“Come certamente saprai il grande frassino collega tutti i regni del mondo, ed è l’unica chiave per conoscere l’origine di queste vibrazioni!”

 

“Le abbiamo sentite anche noi..” –Intervenne Freyr. –“Ma non riusciamo a decifrarle. Sono impercettibili vibrazioni nell’aria.. come se qualcuno stesse cercando di raggiungerci..”

 

“Come se qualcuno stesse tentando di mandarci un messaggio!” – Ipotizzò Cristal.

 

“O mandarti..” – Suggerì Odino.

 

“Credete davvero che qualcuno stia cercando di contattarmi?” – Domandò Cristal sconcertato.

 

“Non vedo nessun altro motivo che potrebbe spiegare cosa ti abbia spinto a recarti fin quaggiù!” – Ironizzò il Dio degli Asi.

 

“E cosa dovrei fare, adesso?” – Domandò il ragazzo. Odino e Freyr si scambiarono una rapida occhiata, annuendo con il capo.

 

“Le vibrazioni provengono dal Niflheimr, la terra nella nebbie, il mondo infernale dove precipitano i defunti!” –Esclamò Odino. –“Lo percepiamo chiaramente! È là che forse troverai risposta alle tue domande!”

 

“Dovrei recarmi.. all’Inferno?” – Chiese Cristal.

 

“Non sarebbe certo la prima volta!” – Ironizzò Freyr.

 

“Fai quello che ti senti ragazzo, non posso certo obbligarti! Il Niflheimr è un posto ostile, un deserto di ghiaccio separato dal Muspelheimr, la terra del fuoco, da un enorme baratro, il Ginnungagabb! E, personalmente, non ci tengo a visitare quei luoghi! E a rivedere Hel!”

 

“Hel?!” – Chiese Cristal.

 

“È la Divinità che presiede ai defunti, incaricata da Odino di presiedere il Niflheimr, accogliendo le anime degli anziani e dei malati, e nutrendosi della loro forza!” –Chiarì Freyr. –“Ma se ti sbrigherai, e sarai fortunato, forse non la incontrerai! Detesta gli eroi, e i Cavalieri di Atena non fanno eccezione!”

 

Cristal non disse niente, fissando l’immenso frassino per qualche interminabile minuto. Alla fine tirò un sospiro, si voltò verso le Divinità nordiche e si rivolse loro.

 

“Posso partire anche adesso!” – Esclamò. –“Ma non conosco la strada!”

 

“A tal proposito.. c’è qualcuno che si è offerto di guidarti!” – Sorrise Freyr, facendo un fischio. Qualche istante più tardi comparvero sulla terrazza due figure che Cristal e Flare conoscevano bene: Orion e Artax, due Guerrieri del Nord, morti durante la Guerra combattuta ad Asgard.

 

“Orion! Artax!” – Gridò Cristal, andando loro incontro.

 

“Non essere stupito, Cristal!” –Esclamò Artax. –“Non dimenticare che ti trovi nel Valhalla! Qua vengono le anime degli eroi caduti in battaglia!”

 

“Dunque... siete soltanto anime?” – Si rattristò il ragazzo per un momento.

 

“Ma combattive!” – Intervenne Freyr.

 

“Siamo pronti per partire!” – Esclamò Orion, con fare deciso. –“Quando vuoi tu!”

 

Cristal annuì con il capo, accennando un sorriso. Si avvicinò a Flare, che non aveva tolto gli occhi di dosso ad Artax fin da quando era apparso, e la pregò di non preoccuparsi. Doveva andare a fondo a quel mistero. Ringraziò Odino e Freyr e si congedò da loro, seguendo Artax e Orion fino alla base dell’immenso frassino.

 

“Non sarà una passeggiata!” – Sorrise Orion.

 

“Niente nella mia vita è mai stato una passeggiata!” –Ironizzò Cristal, bruciando il proprio cosmo, per la prima volta. Qualche istante più tardi, una stella si illuminò nella volta celeste, scendendo lentamente verso terra. Cristal sorrise, riconoscendo la Bianca Armatura del Cigno. La indossò e fu pronto per partire. Il suo viaggio nel Niflheimr, il regno dei morti nordico, stava per avere inizio.

 

Quando Cristal, Artax e Orion arrivarono nel Niflheimr, discendendo una delle tre grandi radici di Yggdrasil, dovettero ammettere che era peggio delle loro aspettative: un’immensa distesa di ghiaccio, sotto un cielo freddo e scuro, percorsa da un pungente vento che sapeva di malinconia.

 

“Dunque… questo è il Niflheimr!” – Mormorò Cristal, guardandosi intorno.

 

E per un momento sorrise, pensando che, in fin dei conti, non era molto diverso dalle sterminate distese ghiacciate della Siberia. Ma quelle le conosceva bene, avendoci vissuto per tanti anni, e, per quanto ostili e terribili fossero le condizioni di vita, non poteva fare a meno di considerarla casa sua. Cosa che non poteva affatto dire del Niflheimr. Inoltre c’era un’altra cosa che lo distingueva dalla sua cara Siberia: l’aria. Era pesante quella che si respirava nel Niflheimr, ed era carica di morte.

 

“Coraggio!” – Esclamò Orion, cercando di far forza all’amico. – “Non perdiamoci d’animo!”

 

Cristal annuì col capo, sospirando, prima di chiudere gli occhi e concentrare i propri sensi, cercando di percepire quella vibrazione che l’aveva guidato dalla Siberia fino alla Corte di Ilda. E, per la prima volta, dovette ammettere che là, in quella terra ghiacciata, era molto più nitida che in precedenza. E questo lo convinse di essere sulla strada giusta per risolvere il mistero.

 

“Di là!” – Affermò infine il ragazzo, indicando un imprecisato punto di fronte a loro.

 

Orion e Artax assentirono, lanciandosi avanti sull’immensa distesa ghiacciata, subito raggiunti da Cristal. Scivolarono così, nell’oscura terra di Niflheimr, mentre i bagliori lucenti delle loro armature scintillavano nel triste mondo, uniche fonti di luce che quei ghiacci eterni avevano mai visto. Orion spiegò qualcosa a Cristal della conformazione del Niflheimr, ma si limitò a brevi cenni, non essendovisi mai recato neppure lui fino a quel giorno.

 

“La Terra delle Nebbie, uno dei Nove Regni del Mondo, è destinata ad accogliere gli spiriti di coloro che caddero per morte non eroica, per malattia o vecchiaia, ed è governata da Hel, una delle figlie di Loky, Dio del Male di Asgard, a cui Odino concesse il trono del Niflheimr. La Reggia di Hel è situata a Helgaror, la Casa delle Nebbie, popolato di spettri e di ombre.”

 

“Spettri?!” – Ripeté Cristal, continuando a correre nella nebbia.

 

“Precisamente!” – Rispose Orion. – “Spettri e ombre di persone morte senza gloria o per malattia nei tempi antichi, condannati da Hel a vagare per sempre in queste lande desolate senza possibilità di elevarsi, senza l’opportunità di salire ad Asgard, riservata alle anime degli eroi!”

 

“Triste destino il loro...” – Commentò Cristal.

 

“Già… per questo dobbiamo sbrigarci! La nostra presenza qua sarà già stata sicuramente percepita! Artax ed io potremmo forse essere riusciti a passare inosservati, ma sicuramente non tu, un corpo completamente estraneo a questo mondo!” – Disse Orion.

 

“Credete che Hel ci abbia notato?”

 

“Sicuramente! Sei come un granello di polvere in un occhio, Cristal!” –Intervenne Artax. –“Sbrighiamoci a trovare la causa delle tue vibrazioni, e a tornare ad Asgard! Per quanto stare al freddo non sia per me un grande sacrificio, non vedo l’ora di rientrare nella fortezza del Valhalla!”

 

“Sempre che gli  Hrimthursar non ci trovino!” – Commentò Orion, incitando gli amici a correre più velocemente. –“I Giganti del Ghiaccio! Sono gli abitanti del Niflheimr, i servitori di Hel! Enormi creature deformi, figlie del Caos, che non esiterebbero a sgozzarci vivi senza battere ciglio!”

 

Cristal, correndo, concentrò i propri acuti sensi, percependo l’aumentare d’intensità delle vibrazioni. Chiese ad Orion e Artax se anche loro le sentivano, ma essi negarono. Solamente lui riusciva a percepirle, meglio di quanto riuscissero a fare persino Odino e Freyr, due Divinità. Che fossero davvero dirette a lui? Ma chi mai poteva voler inviargli un messaggio da quel mondo? Non ci aveva ancora pensato, ma solo allora Cristal si rese conto di trovarsi lontano anni luce da casa. Non dalla sua amata Siberia, ma da Luxor, e soprattutto da Atene e dai suoi compagni.

 

Per un attimo la sua mente volò via, ricordando le mille avventure vissute insieme a Pegasus, Sirio, Andromeda e Phoenix, agli amici che aveva dimenticato per mesi. Si chiese dove fossero e se anche loro avessero ricordato e stessero già combattendo contro i Cavalieri Celesti. In quel mondo, lontano dalla Grecia, e dal Regno degli uomini, Cristal non poteva sentire altro, neppure l’assalto al Santuario, condotto da Flegias e Sterope, né le preoccupazioni di Isabel e Ilda. Sentiva soltanto un richiamo che gli rimbombava in testa, un segnale che, ammise, si stava facendo sempre più forte.

 

“Eccola!” – Esclamò Orion, indicando avanti a sé, e rubando Cristal ai suoi pensieri.

 

Cristal e i suoi compagni si fermarono, osservando un’immensa massa di ghiaccio, circondata da cumuli di scura nebbia. -“Helgaror! La Casa delle Nebbie!” – Mormorò il Drago del Nord.

 

“Un nome che sa di tempesta... “– Commentò Cristal.

 

“E di dolore!” – Aggiunse Artax.

 

Ma i tre amici non riuscirono a dirsi altro che improvvisamente sentirono un impetuoso e pungente vento soffiare contro di loro. Quasi fossero esseri animati, le nebbie si concentrarono intorno ai Cavalieri, limitando notevolmente la loro visuale. Urla strazianti lacerarono l’aria, insieme a pallidi lamenti di anime inquiete, prima che dalla terra emergessero orribili creature, figlie del Caos.

 

I Giganti di Ghiaccio, o Hrimthursar, intenzionati a fermare il cammino di Cristal e dei suoi compagni.

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Nella nebbia ***


CAPITOLO DODICESIMO. NELLA NEBBIA.

 

Cristal, Orion e Artax erano giunti fin quasi a Helgaror, la Casa delle Nebbie, residenza della Divinità nordica Hel, Sovrana del Niflheimr, seguendo un misterioso suono, quasi un ronzio, che rimbombava nella mente del Cavaliere del Cigno, e che nel Niflheimr si era fatto più consistente. Un suono che aveva iniziato a sentire nella lontana Siberia, sua terra natia, e che lo aveva portato prima a Midgard e poi alla Corte di Odino, nella Terra Superiore, la vera Asgard.

 

Adesso la situazione si era fatta pericolosa, essendo i tre compagni stati avvistati da un gruppo di Hrimthursar, i Giganti del Ghiaccio, creature infide al servizio di Hel.

 

“Credi che potremmo trovare un punto di incontro?” –Sussurrò Artax, appoggiato spalla a spalla a Orion.

 

“Onestamente?!” –Ironizzò il Drago del Nord, osservando i Giganti del Ghiaccio disporsi in cerchio intorno a loro. –“Non credo proprio!”

 

Ad occhio e croce Cristal ne contò una decina. Alti cinque o sei metri, grossi e robusti, erano creature deformi, ricoperte da cotte azzurre e grigie di uno sconosciuto materiale. Qualcuno portava seco una spada, qualcun altro uno scudo, ma nessuno sembrava intenzionato a parlare con loro. Anche perché, come fece giustamente osservare Orion, i Giganti parlavano una lingua che nessuno di loro riusciva a comprendere. Senza perdere troppo tempo un gruppetto di Hrimthursar si lanciò avanti, brandendo spade e lance, per colpire i tre amici, che furono costretti a dividersi, scattando in ogni direzione, nel piccolo spazio che i Giganti avevano lasciato loro per muoversi.

 

“Non sembrano tipi ragionevoli, eh?” –Affermò Cristal, evitando l’affondo di una lama nemica.

 

“Affatto!” –Rispose Orion. –“Anzi, credo proprio che sarebbe il caso di zittirli, prima che richiamino l’attenzione di qualche altro gruppo di Giganti, o peggio ancora di Hel stessa!”

 

“Sono d’accordo!” –Esclamò Artax, scattando avanti. Evitò una lancia nemica, afferrandola al volo e usandola poi come asta per saltare e centrare in pieno petto un Gigante, che però non crollò. Artax allora si aggrappò alla corazza nemica, balzando fino in cima ed espandendo il proprio cosmo.

 

“Caldo soffio del Meriggio!” –Urlò, piantando le mani nel cranio del Gigante.

 

La violenta esplosione di calore fece impazzire il Gigante, che iniziò a urlare e a dimenarsi, scaraventando Artax a terra, mentre violente fiamme gli bruciarono il volto. Artax dovette fare attenzione a non essere schiacciato da quel corpulento mostro, mentre barcollando cadde all’indietro, schiantandosi con fragore sulla distesa di ghiaccio.

 

Nel frattempo anche Orion aveva caricato alcuni Giganti, travolgendoli con una carica inarrestabile che aveva fatto impallidire persino lo stesso Cristal, che non poté fare a meno di ricordare lo scontro tra i suoi quattro amici e l’invincibile guerriero. Uno scontro che, sia Cristal che gli altri, avrebbero voluto avesse finale differente.

 

“Occhi del Drago!” –Urlò Orion, scagliando il suo colpo contro alcuni Giganti che furono colpiti e distrutti. –“Non dimenticarti che sono prevalentemente fatti di ghiaccio!” –Disse, incitando Cristal.

 

“Sì!” – Mormorò il Cavaliere del Cigno, espandendo il suo cosmo. E si lanciò avanti, scagliando una violenta Polvere di Diamanti, con cui ricoprì i corpi di due Giganti di Ghiaccio.

 

Credendo di averli fermati, Cristal si voltò, per continuare a combattere, ma i due Hrimthursar si liberarono dall’effimera prigione, avventandosi sul giovane. Un Gigante lo afferrò con le proprie mani, stringendolo con forza, determinato a stritolare il ragazzo, mentre l’altro pareva incitarlo, emettendo suoni incomprensibili, che a Cristal parvero solo versi osceni.

 

Perché la Polvere di Diamanti non ha avuto effetto? Si chiese, cercando di liberarsi dalla stretta morsa del Gigante. Ma certo... che stupido sono stato! Questi bestioni vivono qua, nel Niflheimr, un luogo così freddo che persino la Siberia sembrerebbe il Sahara! Sono abituati a temperature ben più rigide! E nel pensar questo, bruciò il suo cosmo ancora di più, cercando di congelare la mano del Gigante che lo stringeva. Artax venne in suo aiuto, atterrando il compagno del Gigante, piantandogli una lancia infuocata nel collo e spingendolo indietro.

 

Cristal!” –Urlò Artax, osservando dal basso l’amico prigioniero della mano del Gigante.

 

“Tutto... bene!” –Rispose Cristal, continuando a bruciare il suo cosmo. Un’aura bianca circondò il ragazzo, ricoprendo l’intera mano del Gigante, che iniziò a urlare, percependo il dolore. La mano andò in frantumi poco dopo, congelata dal potere gelante del Cavaliere del Cigno, che ricadde a terra, proprio sotto di lui.

 

“E adesso finiamola!” –Esclamò Cristal, assumendo la sua tipica posa da combattimento. –“Vortice fulminante dell’Aurora!” –E scagliò uno dei suoi massimi colpi segreti, già usato l’anno prima nella battaglia contro Phoenix. Un enorme vortice di energia congelante travolse il Gigante e altri suoi compagni, scaraventandoli in alto, prima di farli ricadere a terra, congelati e distrutti.

 

“Ottimo colpo!” –Si complimentò Artax, mentre Orion eliminava gli ultimi Giganti.

 

“Dobbiamo andare!” –Li incitò il guerriero del Drago del Nord. –“Questi erano soltanto dei controllori! Se arriva il grosso dell’esercito siamo finiti!” –Cristal e Artax annuirono, scattando verso Helgaror, infilandosi in quella fitta coltre di nebbia.

 

Dopo pochi passi risultò chiaro a tutti e tre che procedere in quel modo sarebbe stato un suicidio. L’aria era tremendamente fredda, più fredda di quanto i tre fossero abituati, e la nebbia era fittissima, da rendere impossibile la visibilità se non a un palmo dal naso. Maledizione! Mormorò Orion, cercando di mantenersi vicino ai due compagni. Ma non era affatto facile.

 

“Non riesco a vedere niente!” –Mormorò Cristal.

 

“Attenti a non cadere in qualche crepaccio!” –Esclamò Artax, abbassando la visiera dell’elmo.

 

Il vetro speciale della sua visiera gli permetteva una visibilità maggiore di quella dei compagni, e fu lui a prendere la guida della piccola spedizione, proseguendo nella direzione indicata da Cristal. Ben presto però iniziò a soffiare una tremenda tempesta di ghiaccio, così forte da rendere impossibile continuare il cammino. Artax cercò di creare delle fiamme, per far luce e riscaldarsi dal freddo, ma il vento era troppo forte per permetterglielo. Devo fare qualcosa! Mormorò Cristal, dispiaciuto anche per i due compagni. In fin dei conti è per me che sono qua!

 

“Anelli del Cigno!” –Esclamò, creando una cupola di ghiaccio sopra di loro, in modo da ripararli dalla violenta tempesta, lasciando scoperta soltanto la cima, per permettere loro di respirare.

 

“Che si fa adesso?” –Domandò Artax.

 

“Le sento!” –Esclamò Cristal. –“Le vibrazioni sono sempre più forti! Provengono da qua!”

 

“Dal Palazzo delle Nebbie?! Mi chiedo chi possa mandarti un messaggio da laggiù!” –Commentò Orion.

 

“Temi una trappola?” –Chiese Artax.

 

“Probabile... ma è un’ipotesi come un’altra!” –Rispose il guerriero del Drago.

 

Improvvisamente la tempesta aumentò ancora di intensità, al punto da far scricchiolare il muro di ghiaccio che Cristal aveva creato. Mezzo minuto dopo la difesa andò in frantumi, lasciando nuovamente gli amici in balia della tormenta. Cristal venne spinto indietro, travolto dalla furia della bufera, mentre Orion e Artax non poterono fare niente per salvarlo, non riuscendo a vederlo né a percepirlo. In quella dimensione infatti, percorsa da spiriti e da anime erranti, usare il cosmo per sentire o comunicare con qualcuno era estremamente difficile, se non impossibile.

 

“Lo abbiamo perso!” –Urlò Artax al compagno, in piedi a pochi centimetri da lui.

 

“Dannazione! Non possiamo fare niente! I nostri poteri sono inutili!”

 

“E allora?!”

 

“Continuiamo nella nostra missione! Prima o poi cesserà questa tempesta!” –Detto questo, Orion afferrò Artax per un braccio, avanzando insieme a lui in quella torbida tempesta.

 

Cristal venne travolto in pieno dalla tempesta, sballottato come un fuscello al vento per parecchi minuti, finché non si schiantò al suolo, con la faccia sul freddo ghiaccio del Niflheimr. Per un attimo il Cavaliere del Cigno provò quasi la sensazione di lasciarsi andare, di lasciarsi ricoprire da quel consistente strato di gelo che si stava depositando su di lui. Ma poi trovò la forza di rialzarsi. Per se stesso, per andare in fondo a quel mistero, e per i suoi compagni, un tempo suoi nemici, che non avevano esitato ad offrirsi volontari per accompagnarlo in quella missione letale.

 

Espanse il cosmo, tentando di rimettersi in piedi, ma si ritrovò improvvisamente schiacciato a terra, bloccato in una morsa che lo stava letteralmente congelando. Urla e grida confuse riecheggiarono intorno a lui, e a Cristal parve di vedere sagome di creature deformi emergere dal terreno, e spiriti fluttuare nell’aria. Non capì se si trattava di un’allucinazione o della realtà. Una nuova botta lo fece sbattere sul terreno gelato, paralizzando i suoi movimenti, e ricoprendolo di un consistente strato di ghiaccio. L’abbassamento della temperatura corporea, unito alla stanchezza e alla difficoltà di respirazione, fecero perdere i sensi al ragazzo, che chiuse gli occhi pochi istanti dopo.

 

Quando Cristal rinvenne, impiegò qualche minuto prima di capire dove si trovasse. Vide qualche luce in lontananza, deboli fiammelle che brillavano nella nebbia. Vide sbarre e mura, e un pavimento di ghiaccio. Fece per muoversi, ma si accorse di essere bloccato. Era stato murato dentro una parete di ghiaccio, a gambe e braccia aperte, come l’Uomo di Vitruvio. L’unica parte che rimaneva fuori dal feretro di ghiaccio era la testa, che comunque non riusciva a muovere. Era nudo, spogliato dalla sua armatura del Cigno, e imprigionato in un luogo che non conosceva. Tentò di muovere le braccia e le gambe, ma non riuscì a spostare neppure un dito, completamente ricoperto da quella fredda massa di gelo. Se al suo posto ci fosse stato un altro, non abituato a quelle fredde temperature, non addestrato nell’artica Siberia, sicuramente sarebbe morto molto prima.

 

Dove mi trovo? Si chiese, cercando di riordinare i frammenti della sua memoria. Dove sono Orion e Artax? Aggiunse, preoccupato per la sorte dei compagni. Cercò di raggiungerli attraverso il cosmo, ma si accorse di non riuscire a trovarli, percependo un groviglio di vibrazioni confuse, dovute probabilmente all’enorme presenza di spiriti in quella dimensione, il Regno degli Inferi.  Concentrò ancora i sensi e si accorse con stupore che il richiamo che aveva tanto sentito, che lo aveva disturbato negli ultimi giorni, proveniva proprio da lì. Sì, non aveva dubbi. Si trovava nel luogo da cui partivano le vibrazioni. Cercò di riprendersi e di liberarsi da quella prigione di ghiaccio, bruciando il proprio cosmo, come il suo maestro, il Maestro dei Ghiacci, e il maestro di lui, il Cavaliere di Acquarius, gli avevano insegnato a fare.

 

Ma non riuscì a smuovere niente, neppure a incrinare il robusto feretro di ghiaccio. Non è la prima volta che vengo congelato  vivo! Ironizzò, e comprese che quella bara doveva essere stata realizzata con una temperatura uguale allo Zero Assoluto. Mentre cercava di liberarsi dalla prigionia, un forte vento iniziò a soffiare per la stanza dove era rinchiuso. Il Cavaliere del Cigno guardò avanti a sé, e gli parve di vedere una figura danzare nella tempesta. Sbatté le palpebre, incapace di credere ai propri occhi, ma alla fine dovette ammettere che c’era davvero qualcuno. Qualcuno che si stava avvicinando. Una donna.

 

“Ben svegliato, Cigno Bianco!” –Sibilò la figura, avvicinandosi a Cristal.

 

“Chi... chi sei?” –Balbettò Cristal, osservandola.

 

“Sono la Sovrana di questo regno, colei che ha ricevuto da Odino in persona la potestà su tutti coloro che il Valhalla non ha accolto! I morti senza onore, per malattia, per vecchiaia o incidente, i traditori e i criminali! Tutti loro trovano posto qua, dopo la morte!”

 

“La Sovrana del regno?! Dunque tu sei…

 

Hel!” –Sibilò la donna, rivelandosi in tutta la sua mostruosità.

 

Fu in quel momento che Cristal la vide con chiarezza per la prima volta, e provò un enorme senso di disgusto. Hel era avvolta da una leggera tunica che sembrava svolazzare mossa dal vento, era di media altezza e corporatura esile, con lunghi capelli mossi che le cadevano sulla schiena. Ma il viso… Il viso era orribile. Metà volto era quello di una donna di mezza età, ma l’altra metà era cadaverica, putrefatta, orribile a vedersi. Un viso che esprimeva la duplicità della sua figura, da un lato quello di Grande Dea Madre, dall’altro quello della Signora della Morte.

 

È orribile! Mormorò Cristal, disgustato.

 

“Orribile?! Sì, orribile!” –Esclamò la donna, facendo comprendere al ragazzo di poter leggere nella mente. –“Come il Regno in cui Odino mi ha confinato, per farmi stare buona, sai?”

 

“Buona?!” –Balbettò Cristal.

 

Sììì!” –Sibilò la donna, avvicinandosi al viso del ragazzo. –“Sono la figlia del Dio del Male, Loky, e combatterò al suo fianco alla fine dei tempi, usando le anime di tutti coloro che il Valhalla ha rifiutato come esercito!”

 

“E cosa vuoi da me? Perché mi hai catturato?” –Chiese Cristal, cercando di recuperare la sua abituale freddezza, per quanto il viso deforme della donna, a pochi centimetri dal suo, lo disgustasse e spaventasse notevolmente.

 

“Catturato?! Io?! È questo il tuo modo di ringraziare? Se non fosse stato per i miei Hrimthursar saresti morto là fuori, nella tormenta?!” –Gridò Hel come una pazza.

 

“Beh, certo... qua invece sto al caldo!” –Ironizzò il Cigno.

 

“Non giocare con me, ragazzino! Non ti conviene!” –Sibilò la donna, alitando in faccia al Cavaliere di Atena, che subito iniziò a tossire. Quindi si distaccò da Cristal, voltandogli le spalle e andandosene, fluttuando nell’aria come un essere incorporeo. –“Avrò bisogno di te, prima o poi! Sì! Sarai un ottimo combattente, per Hel!” –E sghignazzando scomparve.

 

Cristal rifletté per un istante sulle sue parole, immaginando che Hel volesse usarlo come guerriero al suo servizio. Probabilmente Odino le ha affidato il Niflheimr per bandirla da Asgard, impedendole di fare danni lassù. D’altronde essere la Regina di questo Regno di ghiaccio è un po’ come esserne schiava! Commentò, adesso più risoluto che mai a liberarsi.

 

Coraggio Cristal! Puoi farcela! Sei uscito da solo da un feretro di ghiaccio mesi fa! Puoi farlo nuovamente! Si incitò, bruciando il proprio cosmo. Ooooh!!! L’intero muro fu avvolto dal potere del Cavaliere di Atena, percorso da lunghe e profonde vibrazioni. Devo portare il mio gelo allo Zero Assoluto! Sì, allo Zero Assolutoooo!!! Con notevole sforzo e grande uso di energia, Cristal riuscì infine a liberarsi dalla prigione di ghiaccio, frantumando il muro e  lasciando cadere a terra il nudo corpo del Cavaliere del Cigno, debole e inerme. Rantolò sul pavimento di ghiaccio, tremando come un disperato, cercando con lo sguardo qualcosa con cui coprirsi, qualcosa che potesse riscaldarlo. Ma era tutto buio, eccezion fatta per una luce lontana, che a Cristal parve una fiaccola, alla fine della grande stanza.

 

Tentò di rimettersi in piedi, ma ricadde a terra, col viso sul pavimento; ma non si arrese e provò di nuovo. Pensò ad Atena, pensò a Orion e Artax, sperduti chissà dove nella tempesta, se non fatti prigionieri a loro volta, pensò ai suoi compagni, in Grecia o in qualunque parte del mondo si trovassero, infine pensò a Flare, e il suo sorriso gli scaldò il cuore. A fatica si rimise in piedi, e procedette barcollando per l’intera sala ghiacciata, un enorme stanzone privo di finestre e di luce. Arrivò infine alla fiaccola, fissata accanto al grande portone d’uscita, la estrasse e la avvicinò al corpo nudo per riscaldarsi. Fu un vero e proprio tepore, quanto mai necessario per la sua sopravvivenza. Quando si fu ripreso, e poté sentire i muscoli muoversi con maggiore scioltezza, Cristal pensò ad agire. Appoggiò una mano sulle sbarre di ghiaccio che costituivano il portone e le congelò, mandandole in frantumi e uscendo dalla stanza.

 

Si guardò intorno e capì di essere in un corridoio, su cui si affacciavano altre stanze come quella. Probabilmente, pensò, queste sono le Prigioni di Helgaror!  Si appoggiò al muro, ancora piuttosto debole, e concentrò i propri sensi. La prima cosa di cui aveva bisogno era coprirsi, ritrovando la sua Armatura del Cigno. La evocò con il cosmo, sperando che non l’avessero distrutta durante la sua prigionia, e per fortuna essa apparve davanti a lui pochi istanti dopo. Cristal la indossò e subito si sentì meglio, rincuorato dalla presenza di Atena, che trasudava da quella bronzea corazza.

 

Fatto questo s’incamminò lungo i corridoi delle Prigioni di Helgaror, alla ricerca della fonte delle vibrazioni che sentiva. Camminò per parecchi minuti negli scuri corridoi della Città delle Nebbie, facendo attenzione a rimanere nascosto, ma non incontrò mai nessuno. Né Hel, né i Giganti di Ghiaccio, né altri abitanti di quello strano Regno. A Cristal parve di essere solo in un mondo sconosciuto, e non era molto lontano dal vero. Raggiunse un’ampia sala, debolmente rischiarata dalla luce esterna proveniente da un’ampia fessura nel muro, una stanza molto simile a quella in cui era stato rinchiuso. Vi entrò silenziosamente, attratto dal sensibile aumento delle vibrazioni, ma non trovò niente. E non udì più il richiamo.

 

Stava quasi per voltarsi e uscire quando qualcosa attirò la sua attenzione. Si avvicinò al muro e sfiorò la fredda superficie, percependo qualcosa; sulle prime parve non notare niente, ma poi guardando con maggiore attenzione si accorse di qualcosa che lo fece spaventare non poco. Dentro al muro, incastonati nel ghiaccio, c’erano cinque uomini. Sì, degli uomini mezzi nudi probabilmente fatti prigionieri da Hel! Maledetta! Mormorò, immaginando si trattasse di Einherjar, di Guerrieri del Nord fedeli a Odino.

 

Si avvicinò nuovamente al muro, per osservarli meglio, attratto da una strana sensazione di dejà-vu, come se conoscesse quegli uomini, nonostante non riuscisse a vederne il volto, a causa della poca luce della stanza e dell’oscuro spessore del ghiaccio. Poi un brivido lo scosse, facendolo tremare, come mai prima di allora. Debolissima, giunse al suo cuore una labile traccia di cosmo, proveniente dai prigionieri. Cristal lo riconobbe subito. Era il cosmo di cinque Cavalieri che conosceva bene. Là dentro Hel aveva murato vivi cinque amici che Cristal non avrebbe mai creduto di rivedere: i Cavalieri d’Oro di Atena: Mur dell’Ariete, Ioria del Leone, Dohko di Libra, Milo di Scorpio e Shaka di Virgo.

 

Nel frattempo, mentre Cristal cercava di orientarsi nelle Prigioni di Helgaror, ad Asgard Flare sospirava preoccupata per il ragazzo. Appoggiata al bancone della reggia di Odino, la Principessa di Midgard fissava l’Albero dell’Universo, incantata da tale solennità. Dopo la partenza di Cristal, Odino l’aveva affidata alle cure della moglie, Frigg, che le aveva dato il benvenuto nella sua residenza a Fensalir. Ma Flare non vi era trattenuta molto, ringraziando la Dea per l’enorme disponibilità dimostrata e preferendo aspettare il ritorno di Cristal, e di Orion e Artax, di fronte all’Albero Cosmico, riscaldata dal calore che Yggdrasil pareva emanare.

 

Dopo qualche ora però si stufò e iniziò a passeggiare all’interno della Fortezza di Asgard, per ingannare il tempo e distrarre la mente. Giunse così poco distante dal Valhalla, la Grande Sala di Odino, dove poche ore prima aveva incontrato il Dio del Nord. Per un attimo fu tentata di bussare e chiedergli consiglio, ma poi preferì evitare, non volendo disturbarlo. Mentre si allontanava udì la voce imperiosa del Dio risuonare all’interno della sala.

 

“Ancora nessuna notizia dal Niflheimr?” –Chiese Odino.

 

“Nessuna nuova!” –Rispose una voce, e a Flare parve quella di Freyr. Inconsciamente appoggiò l’orecchio alla porta, per udire la conversazione tra i due, sperando di captare qualche informazione rassicurante. Ma ciò che udì la preoccupò ulteriormente, facendo crescere in lei anche un sentimento di delusione e di rabbia.

 

“Temi per la sua vita?” –Domandò Freyr.

 

“E per tutta Asgard!  Non dimenticare la profezia!” –Commentò Odino, con voce preoccupata.

 

“Essa è oscura, come il Crepuscolo da lei annunciato! E non necessariamente deve coincidere con la sua cattura!”

 

“Ma è lui la chiave di tutto, Freyr!” –Esclamò Odino, sbattendo un pugno su un tavolo, spazientito. –“Se Balder muore, Asgard cadrà con lui!”

 

“Credo che adesso tu stia esagerando, Dio degli Asi! Ricorda ciò che hanno predetto le Norne! Esse tessono le trame del fato, ma non chiariscono quando ciò avverrà!”

 

“Tuttavia è necessario non rischiare, Freyr! Lo sai bene anche tu! Asgard non può cadere!” – Esclamò il Dio, mettendosi in piedi. –“Noi... non siamo ancora pronti per l’ultima guerra!”

 

“E non cadrà! Devi avere fiducia!”

 

“Fiducia?! E in cosa dovrei averla?! In un ragazzino di sedici anni che vaga per le desolate lande del Niflheimr alla ricerca della fantomatica fonte delle sue vibrazioni?” –Esclamò Odino, sfiduciato.

 

“Chissà... forse quella è la chiave per risolvere l’enigma…

 

Un rumore improvviso distrasse le due Divinità, impegnate a discutere tra loro. Una delle porte di legno del Valhalla si aprì cigolando e una graziosa fanciulla dai capelli biondi entrò poco dopo. Le mani giunte, gli occhi lucidi, un’espressione sconcertata sul viso.

 

Flare…” –Mormorò Freyr, avvicinandosi a lei.

 

“Perdonate l’intrusione, Signore degli Asi!” –Esclamò la giovane, con un filo di voce. –“Stavo venendo a conferire con voi… quando... quando… che significa tutto questo?” –Domandò ansiosa.

 

Freyr si voltò verso Odino, con aria preoccupata, incerto se confessare alla ragazza di cosa stessero parlando o meno. Odino sbuffò per un momento, ma Flare incalzò.

 

“Cosa c’entra Balder con Cristal? E perché non avete fiducia in lui?”

 

“Non si tratta di fiducia, Flare! Siamo semplicemente preoccupati per il futuro di Asgard!” –Spiegò Freyr. –“Tempo fa Balder, il Dio del Sole, nonché figlio di Odino, cominciò ad avere incubi spaventosi, in cui sognava ripetutamente la propria morte! Impaurito, decise di consultare le Norne, nonostante sia io che suo padre glielo avessimo sconsigliato!”

 

“Le Norne?! Le Divinità che tessono il fato?!”

 

“Proprio loro! Urd, il passato, Werdandi, il presente, e Skuld, il futuro! Fu proprio la terza che predisse a Balder la sua morte, mettendolo però in guardia, in quanto agendo sconsideratamente avrebbe potuto soltanto anticiparla, mettendo in pericolo l’intera Asgard!”

 

“È dunque questa la profezia di cui parlavate?” 

 

“Esattamente!” –Affermò Freyr.

 

“E questo cosa c’entra con Cristal?”

 

“Quattro giorni or sono Balder discese l’Albero dell’Universo, entrando nel Niflheimr, per incontrare Hel! Aveva preso talmente a cuore la sorte di Asgard, che la sua paura per l’eventuale Crepuscolo in cui la sua Città sarebbe potuta incorrere lo spinse ad un gesto simile, scellerato!” –Continuò Freyr, mentre Odino si sedeva sul trono di legno, stanco e preoccupato. –“Voleva parlare con Hel! Per ritardare la propria morte!”

 

“Ma non ha più fatto ritorno!” –Commentò infine il Dio degli Asi.

“Cosa?!” –Esclamò Flare, seriamente angosciata.

 

“Proprio così... temiamo che gli sia avvenuto qualcosa! Odino ha già provveduto a inviare alcuni Einherjar nel Niflheimr, per trovarlo, per salvarlo, ma sono tutti scomparsi!”

 

“Così voi avete lasciato che Cristal, Artax e Orion scendessero negli Inferi, senza informarli del pericolo che correvano? Se Hel ha veramente fatto prigioniero o ferito Balder, e magari ucciso tutti i vostri guerrieri, cosa vi fa credere che non faccia altrettanto con loro?!” –Si agitò Flare.

 

“Per la verità...” –Disse Freyr, con una punta di dispiacere. –“Orion e Artax sono al corrente della missione! È il principale motivo per cui abbiamo ordinato loro di scendere nel Regno di Ghiaccio!”

 

Flare, carissima, comprendo il tuo stupore e il tuo dolore, ma il mio agire è stato dettato soltanto dalla volontà di salvare Asgard, evitando un’inutile guerra contro Hel!” – Intervenne Odino.

 

“Così avete preferito mandare Cristal in avanscoperta, usandolo come cavia, come distrazione! E mentre Hel sarà impegnata a farlo a pezzi, Orion e Artax libereranno Balder! È così? Non è vero?” – Gridò Flare in lacrime. Freyr e Odino tacquero, scambiandosi una malinconica occhiata.

 

“Io... io... sono delusa, Dio degli Asi! Delusa e amareggiata! Cristal è venuto qua, con il cuore in mano, alla ricerca di aiuto e di risposte e voi cosa avete fatto? Lo avete inviato in una missione suicida, per quale motivo poi? Che senso ha sacrificare lui, e forse anche Orion e Artax, quando potreste scendere in campo voi, i Signori degli Asi e dei Vani, insieme alle centinaia di Einherjar di questo regno e alle Valchirie, e piegare Hel come un burattino?”

 

“Per risparmiare le vite di altri, Flare di Polaris!” –Rispose il Dio, seduto sul suo trono intarsiato. –“Per evitare un’inutile guerra alla mia gente, e agli spiriti degli eroi che qui dimorano! Tu sai quanto lunghe furono le guerre nel Tempo Antico, quando Asi e Vani combatterono tra loro! Da allora decidemmo di usare la forza il meno possibile, preferendo altre strade per risolvere i problemi!”

 

“E l’inganno è una di queste?” –Esclamò Flare. –“Loky applaudirebbe se vi udisse parlare!”

 

“Taci, sciocca!” –La rimproverò Odino. –“La profezia delle Norne pesa su tutta Asgard, come un’affilata spada! Ogni gesto avventato e sconsiderato potrebbe anticipare il Crepuscolo degli Dei!”

 

“È solo questo che temi, mio Signore? Il Ragnarok?” –Commentò Flare, ritrovando il proprio tono pacato. –“Beh, mi sorprende che proprio voi, Signore supremo di Asgard, abbiate paura di una battaglia? Voi che siete il Dio delle Guerre e della Saggezza, in realtà siete soltanto impaurito come un mortale, di fronte alla fine!”

 

Freyr fece per ribattere qualcosa, cercando di spiegare a Flare le ragioni che avevano spinto Odino a non rischiare. Ma la ragazza voltò loro le spalle, avviandosi verso l’uscita. Prima di aprire la porta però si voltò nuovamente verso di loro.

 

“Voi avete un debito nei confronti di Atena, Dio degli Asi! Cristal e i suoi amici lo scorso anno liberarono mia sorella dall’influsso dell’Anello del Nibelungo, impedendo così a Nettuno di prendere possesso di Midgard, del vostro Regno! Né Atena né i suoi Cavalieri si sono mai tirati indietro, per quanto ardua e disperata parve l’impresa, per quanto cruente siano state le battaglie, per quanto fossero soltanto uomini mortali!” –Esclamò, con gli occhi lucidi. –“Se foste uomini anche voi, invece che invecchiate Divinità impaurite forse riuscireste meglio ad agire con onore, rispettando valori come la vita e la fede, e impedendo che altro sangue venga sparso inutilmente!”

 

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Sangue sul deserto di ghiaccio ***


CAPITOLO TREDICESIMO

CAPITOLO TREDICESIMO. SANGUE SUL DESERTO DI GHIACCIO.

 

Cristal avrebbe voluto piangere di gioia nel riconoscere i cinque Cavalieri d’Oro che credeva caduti in battaglia al Muro del Pianto, chiedendosi come potevano trovarsi lì, nel Regno degli Inferi nordico. Ma poi pensò a cosa poter fare per liberarli. Sono loro che mi hanno inviato un messaggio! Mormorò il ragazzo, osservando nuovamente il muro ghiacciato. Sì, sono loro! Adesso li riconosco! I capelli di Mur, il viso di Libra, i muscoli di Ioria! Vi tirerò fuori di qua, amici! Contateci!

 

Improvvisamente un sibilo risuonò nell’aria, un impercettibile fruscio che spinse Cristal ad abbassarsi e a rotolare sul terreno ghiacciato, giusto in tempo per evitare di essere colpito. Una spada infuocata saettò sopra di lui, all’altezza del collo, piantandosi nel muro di ghiaccio, distruggendone un pezzo. Se il Cavaliere del Cigno non si fosse abbassato, sarebbe stato decapitato.

 

“Ma cosa?!” –Ma non ebbe il tempo di chiedersi altro che subito dovette fronteggiare un nuovo assalto dell’imprevisto nemico. Rapidi affondi della spada infuocata lo costrinsero a saltare continuamente per la sala, per non essere ferito, finché il suo avversario non si fermò, esplodendo in una maligna risata.

 

“Non sei cambiato affatto, Cristal!” –Esclamò una voce maschile.

 

Sulle prime Cristal non riconobbe il suo nemico, a causa della scarsa luminosità della sala, ma quando questi poi si portò la spada davanti al viso, illuminando così il suo perverso volto, il Cavaliere del Cigno sobbalzò atterrito.

 

“Megrez!”  Gridò, riconoscendo il Cavaliere di Asgard da lui affrontato nella foresta, rivestito di tutto punto della sua corazza.

 

“Sono contento di rivederti!” –Sogghignò Megrez, riabbassando la spada. –“Così potremo concludere il nostro scontro rimasto in sospeso! Scontro che, se la mia memoria non mi inganna, stava volgendo a mio favore!”

 

“Cosa ci fai qua?” –Domandò Cristal, agitatamente.

 

“Potrei farti la stessa domanda! Anzi, forse è più sconvolgente che ci sia tu qua, un Cavaliere di Atena, vivo, nelle Prigioni di Helgaror, nel Regno degli Inferi, che non io, un traditore, destinato a non raggiungere mai il Valhalla!”

 

“Per questo sei qua?”

 

“Esattamente! Odino mi considera un traditore, un Guerriero senza onore, immeritevole di salire al Valhalla! E così mi ha confinato quaggiù, nel freddo Niflheimr! Ma non ho avuto problemi ad ambientarmi, intendendomela fin da subito con la mia nuova Regina!”

 

“Quella bestia di Hel!” –Urlò Cristal, ricordando il volto deforme della donna.

 

“Taci!” –Sussurrò Megrez, sollevando di scatto il braccio destro, con il quale reggeva la spada infuocata.

 

Un rapido fendente corse verso Cristal, spaccando il terreno come un coltello nel burro, e ferendo di striscio al ginocchio il Cavaliere del Cigno.

 

“Immaginavo che Atena avrebbe mandato qualcuno a riprendersi i suoi servitori! E quando sei entrato nel Niflheimr, ho percepito chiaramente il tuo cosmo, avendolo già incontrato!” –Mormorò Megrez. – “Così, finalmente, oggi avrò la mia rivincita!”

 

 “Sei pazzo come un tempo, Megrez! La tua natura malvagia non è cambiata, neppure dopo questi lunghi mesi di permanenza quaggiù!”

 

“Al contrario, sono molto cambiato! Migliorato oserei dire!” –Detto questo, il Guerriero del Nord scattò avanti, brandendo l’infuocata spada. Veloci fendenti percorsero l’aria, dirigendosi verso Cristal, che riuscì ad evitarne parecchi, ma fu comunque ferito di striscio da altri.

 

“Muori!” –Urlò Megrez, sollevando la spada. Ma Cristal fu rapido a scagliare la Polvere di Diamanti contro di lui. –“Sciocco!” –Mormorò il guerriero, non reagendo neppure all’attacco del ragazzo. – “Abituata a temperature ben più rigide è la mia nuova corazza! Cosa vuoi che mi faccia il tuo ridicolo gelo?”

 

“Non è ridicolo il gelo del Cigno, ma è il freddo e possente gelo di Siberia che io domino!” –Urlò Cristal, assumendo la posa tipica del suo colpo segreto. –“Aurora del Nord, viaaa!” –E abbassò le braccia insieme, dirigendo l’attacco verso Megrez.

 

Il Guerriero del Nord, per difendersi, roteò l’infuocata spada avanti a sé, creando una barriera su cui si infranse buona parte dell’assalto del Cavaliere del Cigno. Quel che riuscì a passare non fu sufficiente per fermare Megrez.

 

“Cosa?!” –Esclamò Cristal, sgranando gli occhi. Ha parato l’Aurora del Nord, uno dei miei colpi più potenti! È migliorato davvero se riesce a roteare la spada così velocemente! L’Aurora sfiorava la velocità della luce! Ma non ebbe tempo di ragionare ancora che dovette fronteggiare un nuovo assalto di Megrez.

 

“Muori Cigno!” –Gridò il guerriero, muovendo velocemente la sua spada, dando vita a rapidi e infuocati fendenti diretti contro Cristal.

 

“Anelli di Ghiaccio!” – Urlò il Cavaliere del Cigno, creando un muro di ghiaccio a sua difesa.

 

Ma Megrez, per niente impressionato, vi abbatté con forza la spada infuocata, dandovi un paio di colpi e distruggendo l’effimera barriera del Cavaliere. Cristal, comunque, riuscì ad approfittare di quei pochi secondi, per uscire da dietro la barriera di ghiaccio, e lanciare una nuova Aurora del Nord, diretta questa volta ai piedi del Guerriero del Nord, congelandoli al suolo.

 

“Che cosa? Tenti ancora questa tecnica?” –Chiese Megrez, abbassando la spada per liquefare il ghiaccio.

 

“Già! Chissà che non si riveli una buona tecnica!” –Mormorò Cristal, portando le mani sopra di sé, ed espandendo il suo cosmo al massimo. –“Scorrete, Divine Acque!!”

 

La tremenda potenza del Sacro Acquarius fuoriuscì dalla brocca dorata comparsa sopra di lui, come un impetuoso fiume di energia che Megrez non riuscì ad evitare. Impegnato a liberare le proprie gambe, roteò la spada per difendersi troppo tardi. L’impeto dei ghiacci eterni lo travolse scagliandolo via, fino a sbattere contro un muro della sala, mentre la spada infuocata ricadde sul pavimento. Cristal, senza perdere altro tempo, si lanciò sulla spada, scagliando una violenta Polvere di Diamanti, che per un momento la ricoprì di ghiaccio, ma non riuscì a spegnere la fiamma.

 

“Sciocco!” –Gridò Megrez, rialzandosi ed aprendo le braccia. –“Ti affanni con quella spada che non potrai certamente gelare, quando invece dovresti difenderti da me! Teca viola dell’Ametista!” – Urlò, evocando il potere segreto della pietra viola.

 

Scaglie di ametista si diressero verso Cristal, per ricoprirlo e rinchiuderlo in un feretro, ma il Cavaliere del Cigno, che conosceva ormai quel colpo, fu svelto a scivolare sul pavimento ghiacciato, terreno sui cui si muoveva a suo agio, fino a portarsi sotto Megrez e a lanciargli contro un potente pugno di energia congelante. Il colpo del ragazzo colpì Megrez alla mascella, spingendolo in alto, mentre Cristal, dal basso, attaccava ancora con una nuova Polvere di Diamanti, ben più potente delle precedenti. L’assalto travolse Megrez, facendolo rotolare a terra per qualche metro, e spegnendo in lui quella spavalderia e quell’aria da facile vittoria.

 

Rialzatosi, Megrez aprì la mano destra, richiamando la spada a sé. Questa emanò un’improvvisa vampata, che liquefece il ghiaccio che l’aveva ricoperta, e sfrecciò nell’aria diretta verso la mano di Megrez. Il Guerriero del Nord, che riconosceva di aver sottovalutato Cristal, decise di smettere di giocare e passare ad attaccare veramente. Imboccò la spada e disegnò con essa un reticolato energetico che scagliò contro il Cavaliere del Cigno, il quale schizzò come un fulmine all’interno di esso, venendo colpito in più punti. Ma strinse i denti e proseguì, tentando di avvicinarsi il più possibile al suo nemico, per colpirlo con la Polvere di Diamanti.

 

Megrez sogghignò, scattando avanti a sua volta, fino a giungere a un passo da Cristal; brandì la spada e la piantò con forza nel coprispalla sinistro dell’Armatura del Cigno, facendo urlare Cristal dal dolore. Quindi si preparò per colpirlo dall’alto, sollevando la spada, ma Cristal gli afferrò il braccio destro con entrambe le mani.

 

“Che cosa?! Lasciami bastardo, lasciami!” –Gridò Megrez, iniziando a prendere a pugni il ragazzo con il braccio sinistro.

 

Ma Cristal non si curò dei suoi colpi, concentrando le sue energie sulle mani. Immediatamente sprigionò un immenso potere congelante, che ricoprì l’intero braccio di Megrez, rendendolo praticamente inutilizzabile. La spada infuocata cadde rumorosamente a terra, mentre il Guerriero del Nord urlava di dolore, trovandosi il braccio destro completamente congelato. Quando ebbe finito Cristal balzò indietro, bruciando ancora il suo cosmo.

 

“Se anche qua, nel profondo dell’Inferno, non riesci a cambiare Megrez, credo proprio che non vedrai mai lo splendore del Valhalla!” – Affermò Cristal, sollevando le braccia sopra di sé.

 

La dorata Anfora dell’Acquario comparve nuovamente, brillando di un’intensa luce, che rischiarò l’intera sala. Megrez, impaurito, tentò di creare una barriera di ametista, ma fu un tentativo vano, venendo completamente travolto dallo scorrere delle Divine Acque dell’Aurora. Rovinò a terra molti metri addietro, mentre la sua corazza si schiantava in più punti, completamente ghiacciata. Cristal ansimò, fermandosi un momento per riprendere fiato. Combattere là sotto non era facile, non soltanto per la scarsa visibilità ma anche per la mancanza di ossigeno, che rendeva difficoltosa la respirazione. Prese in mano la spada infuocata di Megrez, avvicinandosi al muro di ghiaccio dentro al quale erano incastonati i corpi dei cinque Cavalieri d’Oro.

 

Mur, Ioria, Virgo, Libra, Scorpio! Adesso vi libererò! Mormorò il ragazzo, brandendo la spada infuocata. Con forza la piantò nel muro ghiacciato, imprimendo ad essa la potenza del proprio cosmo per aumentare il suo potere incandescente. La parete tremò per qualche istante, prima di andare in frantumi e liberare i corpi mezzi nudi dei cinque Cavalieri d’Oro. Cristal cercò di portarli fuori dai frammenti di ghiaccio, distendendoli sul pavimento, tutti vicini. Li toccò più volte, spaventato, trovandoli freddissimi, come il ghiaccio che li aveva imprigionati. Cristal si domandò da quanti giorni fossero stati congelati, se fosse giunto in tempo per salvarli, o se invece il suo ritardo li avesse condannati. Debole, una traccia di cosmo permaneva in ognuno di loro, ma il Cavaliere del Cigno non sapeva se sarebbe bastata per permettere loro di riprendersi.

 

Devo uscire di qua! Si disse Cristal. Devo portarli via! Aggiunse, e in quel momento realizzò di non avere la più pallida idea di come trasportare tutti e cinque fino ad Asgard, da solo. Dove saranno Orion e Artax? La risposta alla sua ultima domanda non si fece attendere molto. Cristal udì un gran boato provenire da non molto distante; grida convulse e incomprensibili dei Giganti di Ghiaccio, e rumori di lotta. Nonché alcune voci familiari.

 

Decise di andare a controllare, ma prima creò una cupola di ghiaccio per ricoprire i corpi dei cinque Cavalieri d’Oro, per proteggerli in caso di pericolo. Corse lungo il corridoio principale fino a giungere ad un ampio spiazzo all’aperto, che doveva essere l’ingresso principale delle Prigioni di Helgaror, dove Orion e Artax stavano combattendo contro dei Giganti di Ghiaccio, ad occhio e croce una ventina. Insieme ai due compagni c’era un uomo, che Cristal non aveva mai visto, pallido in volto, come se, anch’egli, fosse stato congelato vivo in un muro di ghiaccio.

 

“Amici!” – Esclamò Cristal, sorridendo ai due Guerrieri del Nord.

 

“Cristal! Sei vivo!” –Urlò Orion, felice di rivederlo.

 

“Adesso allora possiamo andarcene!” –Intervenne Artax, lanciando il Caldo soffio del Meriggio contro un Gigante. Questi, alla vista delle fiamme, indietreggiò di un passo, ma altri dietro di lui lo incitarono a proseguire.

 

“Resistenti questi Hrimthursar!” – Commentò Cristal.

 

“Puoi ben dirlo! Quelli che avevamo incontrato prima dovevano essere solo dei controllori, questi sono dei veri e propri guerrieri addestrati da Hel!” –Esclamò Orion, evitando un assalto di un Gigante. – “Occhi del Drago!” –Urlò, lanciandosi avanti e travolgendolo.

 

“Non possiamo resistere ancora! Dobbiamo portare Balder ad Asgard, in salvo!” –Esclamò Artax, riparando l’uomo.

 

“Chi è Balder?” – Domandò Cristal, genuinamente sorpreso.

 

“È il figlio di Odino!” –Tagliò corto Artax. –“Era stato catturato da Hel e imprigionato nel ghiaccio!”

 

“Come i miei compagni!” –Esclamò Cristal, rivelando agli amici il mistero delle vibrazioni. –“I Cavalieri d’Oro!”

 

Un nuovo assalto degli Hrimthursar costrinse i tre a rimandare la conversazione.  Orion e Artax si lanciarono avanti insieme, scagliando il Caldo soffio del Meriggio e gli Occhi del Drago insieme, travolgendo un paio di Hrimthursar. Cristal concentrò il proprio cosmo, forte ormai della battaglia contro Megrez, e si lanciò avanti, brandendo la spada infuocata. Balzò in alto, squarciando il ventre di un Gigante, prima di atterrare poi a terra e infilzarne un altro nella gamba sinistra. Non riuscì a evitare però l’assalto di un terzo Gigante che lo colpì in pieno con il suo scudo, facendolo cadere a terra, perdendo la presa della spada. Un altro Gigante brandendo una lancia la puntò verso terra, per uccidere il ragazzo, ma Cristal fu svelto a rotolare sul pavimento, mentre la lancia si conficcava vicino a lui. Si rialzò di scatto, lanciando una furiosa Polvere di Diamanti contro le gambe di un paio di Giganti che si ritrovarono per qualche secondo immobilizzati. Mentre cercavano di liberarsi, intervennero Orion e Artax, travolgendoli con i loro colpi.

 

Scorrete, Divine Acque!” –Gridò infine Cristal, rovesciando nuovamente l’impeto dei Ghiacci eterni sui Giganti di Brina, che furono travolti e scaraventati lontano, congelati e distrutti, lasciando ai tre amici il campo libero.

 

“Coraggio, andiamo!” –Esclamò Artax, caricandosi Balder, ancora in trance, sulle spalle.

 

“Un momento!” –Lo fermò Cristal. –“Devo portare i miei compagni! Come possiamo farlo?”

 

Orion e Artax non risposero, scambiandosi un’occhiata di sottecchi. Un’occhiata che comunque non sfuggì a Cristal.

 

“Non pretenderete che li lasci qua?!” –Gridò infine. –“Non esiste! Hanno invocato il mio aiuto per essere liberati, e adesso dovrei abbandonarli? Alla mercé di queste creature deformi, e di quella Divinità malvagia?!”

 

“Cristal, ci dispiace.. ma non possiamo portare cinque persone! Come possiamo? Dovremmo costruire qualcosa, non lo so, una slitta, perdere del tempo, e rischiare di essere nuovamente attaccati dai Giganti!” –Cercò di spiegargli Artax. –“E non possiamo mettere in pericolo la vita del Principe Balder!”

 

Quest’ultima frase fece insospettire notevolmente il Cavaliere del Cigno, che domandò ai due compagni se il motivo per il quale erano scesi nel Niflheimr con lui fosse stato soltanto per accompagnarlo o se ne esisteva un secondo, di cui non era stato informato. Presi alla sprovvista, Orion e Artax si guardarono un momento, indecisi sul da farsi, ma alla fine Orion confessò la verità al ragazzo, spiegandogli comunque che le due missioni erano strettamente legate tra loro e che mai avrebbero permesso che gli accadesse qualcosa di male.

 

“Adesso ti prego, Cristal! Andiamo via!” –Lo incitò Artax. –“Non tarderanno ad arrivare, gli Hrimthursar e la stessa Hel, e allora sarà la fine per tutti noi!”

 

“Io non verrò! No, se non troverò un modo per portare i miei compagni con me!” –Fu la ferma risposta di Cristal.

 

“Ma Cristal! Non dirai sul serio?” – Esclamò Artax.

 

“Potrei scherzare?! Ma voi andate, non sarò io a trattenervi dal portare a compimento la vostra missione! Andate, troverò una soluzione per salvare i Cavalieri d’Oro, a costo di portarli uno ad uno in spalla fino ad Asgard!” –Detto questo, voltò loro le spalle, incamminandosi per rientrare nelle Prigioni di Helgaror.

 

“Cristal...” – Sospirò Orion, profondamente combattuto sul da farsi.

 

Ma in quel preciso momento la terra sotto di loro tremò, e urla spaventose riecheggiarono nell’etere. Il pavimento si aprì improvvisamente, ed una figura ammantata da uno scuro velo ne uscì fuori.

 

“Hel!” – Gridarono Orion e Artax spaventati, ricocendo il volto deforme della Dea.

 

“Ahahah!” –Sibilò la Divinità degli Inferi. –“Sciocchi, nessuno di voi uscirà vivo da qui!” –E si voltò verso Orion e Artax puntando loro contro il palmo della mano destra.

 

I due Guerrieri del Nord, e Balder, da Artax sostenuto, furono spinti indietro, travolti da un invisibile potere che li scaraventò lontano, fino a farli sbattere contro un muro.

 

Con un altro gesto della mano, la Dea colpì Cristal, scagliando lontano anche lui.  Accidenti! È una Divinità potente! Al pari di Ade, non c’è che dire! E forse capace di creare maggiore paura a causa del suo aspetto sfregiato! Mormorò Cristal, cercando di rimettersi in piedi.

 

Hel era già sospesa in aria sopra i corpi dei Guerrieri del Nord, pronta per ucciderli, soprattutto Balder, l’oggetto della sua preda. Anche lei infatti conosceva la leggenda delle Norne, avendogliela Balder ingenuamente raccontata giorni prima. Ed era stato proprio quello il motivo che aveva spinto Hel a imprigionarlo, per anticipare la sua morte, e con essa la distruzione di Asgard, il giorno in cui le forze del male, guidate da suo padre, Loky, marceranno sulla città di Odino, radendola al suolo.

 

“Ehi, mezza morta!” –La chiamò Cristal, distraendola dai suoi progetti omicidi. –“Prendi questa! Aurora del Nord!” –E scagliò il suo colpo segreto, che però non raggiunse Hel, che si limitò a spostarsi ad una velocità superiore, portandosi davanti al ragazzo.

 

Aprì nuovamente il palmo destro, sprigionando una tremenda quantità di energia che schiacciò Cristal, premendo con forza sulla sua armatura. Quella volta il ragazzo non venne spinto indietro, in quanto con la mano sinistra Hel lo stava spingendo nella direzione opposta. L’enorme pressione a cui fu sottoposta fece scricchiolare la bianca corazza del Cigno, frantumandola in più punti poco dopo, mentre Cristal si accasciava al suolo, completamente stordito.

 

“Maledetta Hel! Hai infranto il giuramento con Odino, tradendo il patto che avevi con lui!” –Esclamò Orion, rimettendosi in piedi, mentre Artax restava dietro di lui per coprire Balder, ancora intontito.

 

“I patti sono fatti per essere infranti, quando le circostanze si fanno più favorevoli!” –Sogghignò Hel, per niente intimorita dalla posa di battaglia di Orion.

 

“Che il potere del possente drago Fafnir sia con me! Occhi del Drago!” –Esclamò Orion, scagliando le due potenti comete energetiche.

 

Come con l’Aurora del Nord, anche stavolta Hel evitò il colpo, sfrecciando velocemente di fronte al Guerriero e atterrandolo con il palmo destro. Orion, anche se ferito, si rialzò comunque, forte dell’invulnerabilità che gli era propria.

 

“Se tu fossi davvero invulnerabile, non saresti salito al Valhalla!” –Lo schernì Hel, tirando fuori uno strano oggetto da sotto il suo mantello. Orion e Artax rabbrividirono alla vista di quell’utensile banalissimo, che nelle mani di Hel diventava strumento di morte.

 

Senza esitare si lanciarono avanti, per impedirle di usarlo, liberando tutta l’energia che avevano in corpo ne gli Occhi del Drago e nel Caldo soffio del Meriggio; ma Hel sogghignò, evitando gli assalti, semplicemente roteando alla velocità della luce l’oggetto che aveva tirato fuori.

 

“Ma… quella è.. una scopa?!” – Mormorò Cristal, cercando di rimettersi in piedi.

 

“Non farti ingannare dalle apparenze, Cristal!” –Esclamò Orion, spingendo ancora, sperando di infrangere la barriera di Hel. –“La scopa è terribile arma nelle sue mani! Narra la leggenda che quando Hel spazza la strada con la scopa, le persone si ammalano e muoiono!”

 

“Che cosa?!” –Mormorò Cristal, e in quel momento Hel attaccò i due Guerrieri di Odino con la mano sinistra, scaraventandoli indietro, mentre le loro armature andavano in parte in frantumi. Quindi si voltò per attaccare Cristal, sollevò la scopa e staccò un filo di saggina, lanciandolo vero il ragazzo, con un perfido sorriso sul volto.

 

“Saggina dell’infermità!” –Sibilò la donna, mentre il filo si allungava a dismisura arrotolandosi al corpo di Cristal, stringendolo con forza.

 

“Aaargh!” –Urlò il ragazzo, sentendo l’armatura schiantarsi e le carni dilaniarsi mentre il filo di saggina gli tagliava la pelle, facendo uscire rivoli di sangue.

 

Oh Atena! Dammi la forza, ti prego! Sono giunto fin qua, ai confini del mondo, e non posso cedere adesso! Non voglio cedere!!! Esclamò Cristal, bruciando al massimo il proprio cosmo. Il suo potere congelante tentò di ghiacciare il filo, ma questo prese improvvisamente fuoco, neutralizzando il gelo del Cigno e rendendo ancora più terribile quella sofferenza.

 

“Muori, Cigno bianco!” –Sussurrò la donna con un ghigno. –“Questo è il tributo che Odino e Atena devono pagare, per aver osato invadere il mio Regno!”

 

“Cristal!” – Urlò Artax, vedendo l’amico accasciarsi al suolo, in preda a una folle disperazione.

 

Il Guerriero del Nord, le cui vestigia raffiguravano Sleipnir, il mitico cavallo a otto zampe di Odino, bruciò al massimo il proprio cosmo, dotato di un elevato potere incendiario, e si lanciò avanti, creando un turbine infuocato.

 

“Tempesta di Fuoco, la tua ira si scateni su Hel!” –Gridò Artax, lanciando l’ardente vortice verso la Dea.

 

Ma la donna continuò a ridere, come una pazza isterica, mentre le fiamme del Guerriero circondavano il suo corpo, senza però riuscire ad incendiarlo, quasi come fosse intangibile.

 

“Danzano le fiamme di Asgard, ma della rovina della città saranno il simbolo! Non della tua salvezza!” –Mormorò Hel, staccando un secondo filo di saggina dalla sua scopa. –“Saggina dell’infermità!”

 

E lasciò che il filo guizzasse nell’aria fino a srotolarsi intorno al corpo di Artax, stritolandolo con forza. Con un colpo del suo manto scuro, Hel si liberò delle fiamme che gli danzavano intorno, facendole scivolare sul palmo della sua mano destra e rispendendole contro il Guerriero del Nord.

 

“Artax, attento!” – Gridò Orion, e caricò la Spada di Asgard, dirigendola contro l’amico.

 

Invece di spingerlo in alto, il colpo creò un cilindro di cristallo all’interno del quale Artax continuò a dimenarsi, stretto da quel mortifero filo di saggina, impedendo alle fiamme di Hel di raggiungerlo.

 

“Anche tu vuoi morire di nuovo, Guerriero del Drago?” –Sogghignò Hel, portando nuovamente la mano alla scopa.

 

“La mia vita appartiene ad Asgard, e sarei ben lieto di morire difendendola dalla tua malvagità, strega!” –Urlò Orion, concentrando una sfera incandescente in ogni mano, e poi spingendole avanti con impeto. –“Occhi del Drago!”

 

Hel balzò in alto, muovendo con un gesto rapido la scopa, annullando gli effetti del devastante colpo, come se lo avesse spazzato via. Liberò un nuovo filo di saggina, e anche Orion venne stritolato da esso, accasciandosi in preda a fitte di dolore. La Dea degli Inferi, convinta di avere vinto, atterrò nuovamente sul pavimento, srotolando nuovi fili di saggina che come serpenti strisciarono fino al corpo inerme di Balder, arrotolandosi intorno ad esso e conducendolo fin davanti a Hel.

 

“Eccolo!” –Sussurrò la Dea, osservando il bel viso del giovane. –“Il sacrificio necessario per creare un nuovo ordine!”

 

E sollevò la scopa, pronta per conficcare i fili di saggina nel petto del Dio del Sole, come affilati spilli sanguinari. Ma non riuscì nell’impresa perché mentre abbassava la scopa si rese conto che essa era interamente congelata.

 

“Cosa?! Ma chi è stato?!” –Urlò, voltandosi di scatto, e percependo, per la prima volta, un immenso cosmo finora sopito. Di fronte a lei, ricoperto dalla sua bianca Armatura Divina, stava in piedi Cristal il Cigno, liberatosi dal filo di saggina e determinato più che mai a concludere il combattimento.

 

Mentre infatti Hel era impegnata con Artax e Orion, Cristal aveva concentrato i suoi sensi al massimo, invocando l’aiuto della Dea Atena e dei Cavalieri d’Oro che avevano creduto in lui. Il suo cosmo crebbe fino ai limiti estremi della galassia, creando un potere congelante così grande da ghiacciare il filo di saggina, distruggendolo e l’Armatura Divina lo ricoprì poco dopo, risvegliata dall’espansione del cosmo del Cavaliere.

 

“Non può essere!” – Indietreggiò Hel, incapace di credere ai suoi occhi.

 

Cristal, recuperata la sua solita freddezza, non disse niente, socchiudendo gli occhi. Il suo cosmo invase l’intero spiazzo, chiudendo ogni possibile via di fuga della Divinità infernale, che cercava di risvegliare la sua scopa, liberandola dal ghiaccio.

 

“Vortice fulminante dell’Aurora!” –Gridò Cristal, liberando una tremenda energia cosmica sotto forma di un turbinante vortice glaciale.

 

Hel fu investita in pieno, travolta dal tifone di gelo che la sballottò per qualche interminabile secondo fino a farla schiantare a terra, accanto ai frammenti della sua scopa distrutta. Cristal corse subito verso Balder, congelando con il suo potere i fili di saggina e liberandolo, e lo stesso fece poi con Orion e Artax, deboli e sanguinanti.

 

Il Cavaliere del Cigno non ebbe però il tempo di gioire che dovette constatare, con stupore e terrore, che Hel era ancora viva. La Divinità Infernale si era infatti ripresa, nonostante le ferite e la batosta subita, ed aveva invocato l’aiuto dei Giganti di Brina, che emersero dal terreno poco dopo. Cristal concentrò il suo cosmo, preparandosi a combattere ancora, quando improvvisamente una triste melodia risuonò nell’aria, un canto di requiem. Fendenti luminosi squarciarono da dietro i corpi dei Giganti di Brina, mentre lame rotanti tagliarono loro la testa. Una violenta esplosione cosmica spazzò via quel che restava di loro, scaraventando Hel contro una parete ghiacciata.

 

Quando la Dea si rialzò poté vedere con paura, una schiera di Guerrieri di Asgard di fronte al Palazzo delle Nebbie. In cima all’armata camminava un giovane con i capelli biondi, ricoperto da un’argentea armatura: Freyr, Dio della Bellezza e della Fecondità. Al suo fianco i Guerrieri del Nord, e lo stesso Odino in persona.

 

“Wotan?!” – Mormorò Hel, ringhiando di rabbia. E si lanciò su Balder, per massacrarlo davanti agli occhi di tutti gli Dei che avevano osato invadere la sua terra, ma Cristal fu svelto a creare una barriera di ghiaccio con cui protesse il corpo del Dio del Sole.

 

“Adesso basta, Hel!” – La voce imperiosa di Odino risuonò nell’intero spiazzo.

 

”Il gioco è finito!” – Intervenne Freyr, sollevando una lucente spada.

 

La spada emanò una luce fortissima, che spazzò via le nebbie intorno ad Helgaror, rivelando per qualche momento la luce di un lontano sole. Hel si tappò gli occhi, disturbata da quell’abbagliante esplosione di luce, e Cristal approfittò di quel momento per rinchiuderla all’interno di una prigione di ghiaccio.

 

“Sarcofago di ghiaccio!” –Urlò il ragazzo, investendo la donna con il suo potere congelante.

 

Odino non disse niente, limitandosi ad osservare la Dea degli Inferi venire ricoperta dai ghiacci eterni, forse per sempre. L’ultimo suonò che Hel riuscì a pronunciare però lo colpì in pieno, come una spada affilata. Fu solo un sibilo, impercettibile per chiunque, tranne che per Odino: Ragnarok. E più non parlò.

 

Nel frattempo tre Guerrieri del Nord avevano raggiunto i compagni per aiutarli a rimettersi in piedi.

 

“Thor!” – Esclamò Cristal, ritrovando il possente guerriero di Asgard. Dietro di lui, un giovane dai capelli arancio, che reggeva una cetra, e un uomo con una corazza dalle sembianze di un lupo.

 

“E Mime e Luxor!” – Sorrise il robusto Guerriero.

 

“Siete venuti anche voi!” –Esclamò Cristal, sorridendo.

 

“È stato Odino ad ordinarcelo! Non sappiamo il perché, ma ha improvvisamente convocato l’intera armata di Asgard, tutti gli Einherjar al gran completo, orinandoci di marciare su Helgaror!” –Spiegò Mime.

 

“Se lo avesse fatto fin da subito avremmo rischiato meno!” – Commentò Orion.

 

“L’importante è aver salvato Balder, e liberato i Cavalieri d’Oro!” –Concluse Cristal, prima di incamminarsi all’interno delle prigioni, seguito dai cinque Guerrieri del Nord, per portare fuori i corpi degli amici e trasportarli ad Asgard, dove avrebbero avuto le cure necessarie per riprendersi.

 

Pegasus! Pensò infine il bianco Cigno, sorridendo. Adesso sono pronto! Aspettami, ovunque tu sia! Tra non molto sarò da te! E non sarò solo!

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Secondo assalto al Santuario ***


CAPITOLO QUATTORDICESIMO

CAPITOLO QUATTORDICESIMO. SECONDO ASSALTO AL SANTUARIO.

 

Mentre i combattimenti tra Asher, Geki e Narciso nella piazza principale del Grande Tempio, e tra Castalia, Alcor, Mizar e Phantom davanti alla Prima Casa dello Zodiaco, erano ancora in corso, un improvviso vento iniziò a soffiare, abbattendosi con forza contro le mura esterne del Grande Tempio di Atene. Gli ultimi difensori furono travolti da quell’artificiale tempesta, carica di energia cosmica, osservando cinque figure ammantate di un’aura celeste volteggiarsi sopra di loro, prima di schiantarsi contro i Cavalieri di Bronzo nella piazzetta del Grande Tempio.

 

“Ma che succede?” –Urlò Asher, venendo scaraventato contro le rocce circostanti. –“Cos’è questo vento improvviso?” – Gridò Geki dell’Orsa.

 

“È il vento che spazzerà via questo tempio, Cavalieri di Atena!” –Parlò una decisa voce di donna.

 

Asher trovò la forza di rialzarsi e guardare avanti a sé. Come sospese a mezz’aria stavano cinque figure ricoperte da Celesti Armature, alcune dalle sfumature verdastre, altre bluastre, con ali variopinte fissate agli schienali.  Quattro maschi dalle Armature piuttosto simili e una donna in mezzo a loro atterrarono in quel momento sul disastrato piazzale del Santuario.

 

“Chi siete?” – Ghignò Asher.

 

“Modera il tono, bamboccio!” – Esclamò uno dei quattro maschi.

 

“Non è l’atteggiamento giusto per chi sta per morire per mano di una delle più potenti Divinità greche!” – Intervenne un altro.

 

“Divinità?” – Balbettarono Asher e Geki, mentre anche Ban, Aspides e Black tentavano di rialzarsi.

 

La donna che accompagnava i quattro maschi fece un passo avanti, e Asher poté ammirarla in tutta la sua grazia. Era alta e imperiosa, con mossi capelli castani, e anche se non eccessivamente bella, sapeva emanare grazia e solennità al tempo stesso. Era ricoperta da una Veste Dorata, decorata con fregi intarsiati, che fece capire al ragazzo di trattarsi sicuramente di una Veste Divina, fabbricata con cura solenne dal Fabbro degli Dei, Efesto, figlio di Zeus.

 

“Eos è il mio nome, Dea dell’Aurora!” –Esclamò la donna, fissando con sguardo di superiorità gli insanguinati Cavalieri di Bronzo. –“E questi sono i miei figli: Borea, Zefiro, Euro e Austro, i quattro venti!”

 

“La Dea dell’Aurora?!” –Mormorarono i Cavalieri di Bronzo, sconcertati.

 

“Zeus in persona ci ha ordinato di affiancare il suo Luogotenente, per anticipare la distruzione di quest’impura città!” –Esclamò Eos. –“Non ho mai capito cosa ci trovi Atena in questa immonda umanità!”

 

“Bada a come parli, Dea dell’Aurora!” –La zittì Asher, asciugandosi il sangue che gli colava dal labbro. –“Non dovresti parlare di cose che non conosci!”

 

“Come ti permetti?” –Intervenne Borea, balzando su Asher. Lo afferrò per il collo, senza che il ragazzo potesse ribellarsi, e lo scagliò contro una parete rocciosa, avvolto da scariche energetiche.

 

“Asher!” – Urlarono i suoi quattro amici, lanciandosi contro il figlio di Eos.

 

“Stolti!” –Esclamò questi, sollevando le braccia al cielo e scaraventando i quattro in alto. –“Non c’era neppure bisogno di venire tutti! Potevamo restare tutti nella caverna della Tracia!”

 

“Non lamentarti Borea!” –Intervenne Zefiro. –“In quattro ridurremo i tempi! Coraggio, andiamo!” –Detto questo si librò in aria, sbattendo le variopinte ali della Veste Divina, seguito da un fratello.

 

“Zefiro! Austro! Distruggete ogni cosa!” – Li esortò la madre.

 

E i due figli saettarono nell’aria, ruotando circolarmente uno dietro all’altro, creando un vortice di energia che scagliarono contro il Grande Tempio. Le mura esterne si schiantarono sul colpo e anche numerose costruzioni furono travolte, mentre la popolazione rimasta si dava alla fuga, incapace di contrastare un simile potere distruttivo. Quando il vortice si diresse verso la zona delle abitazioni, dove si trovava tra l’altro anche la Casa delle Sacerdotesse e l’infermeria, con numerosi e malconci feriti, fu improvvisamente fermato, schiantandosi contro un’invisibile barriera posta a sua difesa.

 

“Ma cosa?” –Si chiese Zefiro, volteggiando nell’aria fino a tastare la cupola protettiva. –“C’è come un campo energetico che impedisce al vortice di procedere!”

 

“Beh, che state aspettando?” –Tuonò Borea, dal basso. –“Distruggetelo!”

 

Zefiro bruciò il proprio cosmo, lanciandosi contro l’invisibile barriera, ma questa incredibilmente resistette. Provò quindi Austro, scagliando fulmini e scariche energetiche che fecero vibrare l’intera barriera, che sembrò quasi sul punto di schiantarsi, ma non lo fece.

 

“Non capisco da dove provenga una simile barriera!” –Mormorò Zefiro, sconcertato.

 

In quel momento una figura si materializzò nell’aria, all’interno della cupola protettiva che aveva ricoperto la zona abitata del Grande Tempio. Era un uomo sui trent’anni, con un viso poco aggraziato, lunghi capelli grigi, in posizione meditativa, con gli occhi chiusi e i sensi concentrati al massimo.

 

“Un uomo?!” – Esclamò Austro sconcertato.

 

“Non un uomo, un Cavaliere di Atena!” –Mormorò una donna, dal piazzale del Grande Tempio, alta e ben fatta, con mossi capelli verdi e un’Armatura verde e marrone. –“Sono Tisifone del Serpentario, Cavaliere d’Argento! E quello è un mio compagno, Birnam della Bussola, fedele servitore di Atena!”

 

“Un Cavaliere d’Argento?!” –Esclamò Eos, quasi indispettita. –“Zefiro, Austro, non vi farete fermare da un guerriero di così basso rango?!”

 

Zefiro e Austro concentrarono i loro cosmi, sotto forma di due sfere energetiche che diressero contro la barriera invisibile di Birnam. Questa accusò il colpo, vibrando fortemente, e Tisifone poté sentire l’enorme sforzo che l’amico stava facendo per contenere l’attacco. Per distogliere l’attenzione dei figli di Eos, decise di agire autonomamente, lanciandosi avanti contro la donna.

 

“Cobra Incantatore!” – Gridò, balzando in alto.

 

“Stolta!” –Esclamò Eos, senza neppure spostarsi. Tisifone si schiantò contro un’invisibile protezione a difesa della Dea, venendo subito scaraventata indietro da un cosmo potentissimo che la fece sbattere contro le rocce, distruggendo la maschera argentata e rivelando il suo volto.

 

“Pagherai per quello che hai fatto, donna!” –Urlò Borea, balzando su Tisifone.

 

“Lo vedremo...” –Replicò la donna, scattando velocissima, evitando l’affondo del figlio di Eos, e preparandosi a lanciare nuovamente il suo attacco. Borea sorrise, con aria di superiorità, mentre bruciava il proprio cosmo, creando un potente vento che diresse contro la donna.

 

“Perditi, donna! Vento del Nord!” –Esclamò, scagliando una violenta tempesta energetica contro Tisifone, che fu come sollevata da quel turbine d’aria, percorsa da una tremenda pressione che fece scricchiolare in più punti la sua corazza d’argento.

 

Borea balzò in alto, concentrando il cosmo sulla mano destra e colpendo violentemente la Sacerdotessa sul petto, facendola precipitare a terra, con il pettorale dell’Armatura completamente distrutto e sangue che usciva copioso dal suo corpo.

 

“Tisifoneee!” –Urlò Asher, rimettendosi in piedi.

 

“Fermi voi!” –Gridò Borea, scagliando nuovamente il Vento del Nord sui cinque Cavalieri di Bronzo. Ma i cinque amici fecero barriera usando i loro cosmi. Non possedevano tecniche difensive efficaci, come il Muro di Cristallo di Mur o gli Scudi dorati della Bilancia, ma potevano contare sul loro cosmo, come avevano già fatto mesi prima per difendere Patricia dall’assalto di Thanatos.

 

“Una mossa inutile!” –Mormorò Borea, discendendo nuovamente a terra e scagliando un nuovo attacco, molto più potente del precedente. Il Vento del Nord spazzò via la debole resistenza dei cosmi dei Cavalieri di Bronzo, scaraventandoli lontani, avvolti da scariche energetiche.

 

“Attento!” –Urlò Eos, vedendo improvvisamente la Sacerdotessa dell’Ofiuco scattare avanti.

 

Artigli del Cobra!” –Gridò Tisifone, arrivando dall’alto, ma Borea si limitò a spostarsi di lato, lasciando che l’assalto della Sacerdotessa si infrangesse nel suolo. Quindi la colpì con il braccio sinistro, scaraventandola contro le rocce, ormai esausta. Eos ordinò al figlio di porre fine a quella ridicola commedia e Borea obbedì, preparandosi per scagliare una violenta tempesta.

 

Nel frattempo Birnam era ancora sospeso in aria, riparato dalla cupola protettiva che aveva creato per riparare le case del Santuario. Kiki, fratello del Grande Mur, era a terra, e lo aiutava dal basso a mantenere la barriera, potenziandola con il suo, seppur minimo, aiuto. Zefiro e Austro scagliarono un nuovo attacco contro la cupola, che parve nuovamente cedere, ma resistette ancora, nonostante i poteri di Birnam fossero ormai al minimo.

 

“Resistente è la tua difesa, Cavaliere d’Argento!” –Esclamò Zefiro, avvicinandosi alla cupola.

 

“La barriera che ho eretto a difesa della mia gente, del mio popolo innocente che voi vorreste violentemente massacrare, trae origine dal mio cosmo, dalla forza smisurata delle stelle! Sei in grado tu, che ti fingi un Dio, di spazzar via una stella?!” –Parlò per la prima volta Birnam.

 

“Piene di un ego smisurato sono le tue parole, Cavaliere della Bussola! E pagherai caro il tuo atteggiamento di sfida!” – Urlò Austro, pronto per attaccare nuovamente.

 

“Non c’è ego nelle mie parole, solo la ferma volontà di difendere il mio popolo e il tempio della Dea della Giustizia, come il mio maestro mi ha insegnato!” –Replicò Birnam, concentrando il cosmo.

 

“Beh, ti ricorderanno negli Annali con un poema eroico! Peccato che non resterà nessuno per scriverlo!” – Urlò Austro, scagliando il suo potente attacco. – “Folgori di Austro!”

 

E violente scariche energetiche avvolsero completamente la barriera invisibile, stridendo su essa, percorrendola fino alle radici. La violenza delle Folgori di Austro sollevò terra e polvere, spazzando via tutto quel che rimaneva fuori dalla cupola, facendola vibrare fino alle fondamenta. Kiki, le giovani Sacerdotesse e la popolazione all’interno avvertirono una violenta scossa nel terreno, che li fece rabbrividire e spaventare, ma il ragazzino pregò tutti di mantenere la calma. Appoggiò entrambe le braccia alla barriera, dando fondo a tutte le sue risorse per aiutare Birnam.

 

Il Cavaliere della Bussola accusò il colpo, sentendo il calo della sua energia, e decise di risparmiare le forze, atterrando, sempre in posizione meditativa, sul tetto di una delle case. Sudava e tremava quasi febbricitante, ma cercò di mantenere la calma.

 

Un nuovo attacco di Austro e Zefiro scosse l’intera cupola fin sottoterra, obbligando Birnam alla soluzione definitiva. Per te, mio maestro, Virgo! Mormorò, concentrando il cosmo e poi liberandolo improvvisamente, come un’abbagliante bomba di luce. Zefiro e Austro furono accecati da quell’improvviso bagliore che spazzò via le Folgori di Austro e spinse indietro i due figli di Eos. Quando riuscirono a riaprire gli occhi, ansando per aver accusato il colpo, si accorsero che il Cavaliere della Bussola aveva dato fondo alle sue ultime risorse per colpirli, giacendo adesso svenuto sul tetto di un’abitazione.

 

“Coraggio, Zefiro! La via è libera, ormai!” –Lo esortò Austro, bruciando il cosmo. Zefiro fece altrettanto, lanciandosi contro la cupola, sicuri ormai di distruggerla, priva del sostegno del suo creatore. Ma improvvisamente un cosmo immenso si levò, avvolgendo le abitazioni e uscendo anche fuori dalla cupola stessa, stupendo persino Kiki, e Tisifone impegnata in battaglia con Borea.

 

“Birnam!!!” –Urlò Kiki, alzando gli occhi. E vide il Cavaliere d’Argento della Bussola sollevarsi e riprendere la propria posa meditativa e portarsi in alto, vicino alla cupola, proprio davanti agli occhi attoniti dei due figli di Eos.

 

“Che cosa?!” – Gridarono Zefiro e Austro mentre lanciavano il loro attacco.

 

Un’enorme esplosione di luce abbagliò l’intero Grande Tempio, frantumando la cupola protettiva e travolgendo Austro e Zefiro, che non riuscirono a muoversi, quasi incantati da quell’assalto luminoso. Virgo, maestro mio, a te che mi hai insegnato a scoprire il cosmo dentro di me, a sentire viva la fiamma di Atena, che mi hai insegnato a combattere per ciò che ritengo santo, e che mi hai insegnato come portare a termine una battaglia, anche usando il cosmo come arma estrema, dono la mia vita! Mormorò Birnam, liberando l’intera energia del suo cosmo. Che il mio sacrificio possa servire per salvare i giovani innocenti di questo Santuario, che sia per loro esempio di fede!

 

“Ultima luce dell’Oriente!” – Gridò l’uomo, inghiottendo Austro e Zefiro con il suo cosmo.

 

I due figli di Eos furono letteralmente spazzati via, polverizzati dall’esplosione cosmica del Cavaliere della Bussola, il quale, troppo debole per sostenere uno sforzo simile, precipitò a terra, schiantandosi con fragore. La barriera protettiva crollò, e con essa se ne andò anche il suo creatore, Birnam della Bussola, Cavaliere d’Argento, Discepolo di Virgo, davanti alle lacrime di commozione di Kiki e della popolazione da lui protetta fino alla morte.

 

Nel frattempo Tisifone era impegnata in battaglia contro Borea, il Vento del Nord, ma lo scontro era rapidamente volto a favore del figlio di Eos, che aveva massacrato la giovane senza pietà. L’ultimo colpo scagliò Tisifone contro la parete rocciosa, con tale violenza da sfondarla, ricreando una rozza forma della donna.

 

“Affida l’anima ad Atena, Sacerdotessa! Presto la raggiungerai!” –Esclamò Borea, spavaldo.

 

Tisifone cadde a terra in una pozza di sangue, tra i frammenti di quel che restava della sua Armatura Argentata, ma rantolando si rimise in piedi, chiedendo al Dio cosa fosse accaduto ad Atena.

 

“Non so con esattezza cosa sia accaduto sull’Olimpo! Io non vi dimoro!” –Replicò il Dio. –“I miei fratelli ed io viviamo in una caverna della Tracia, ampia e ventosa, rifuggendo i lussi Olimpici! Ma voci certe mi hanno avvertito di una punizione a cui Zeus ha condannato sua figlia! Punizione che, certamente, porterà alla sua morte!”

 

“Maledettooo!” –Urlò Tisifone, lanciandosi avanti con gli Artigli del Cobra. Ma nuovamente Borea evitò il suo attacco, balzando in alto e facendo una capriola su se stesso in modo da atterrare proprio dietro alla donna. Sollevò il braccio di colpo, scagliandola in alto, di nuovo travolta dal Vento del Nord.

 

In quel momento Tisifone si ricordò di un’arma che Kiki aveva aggiunto alla sua corazza, una lunga frusta marrone. La srotolò istantaneamente, lanciandola verso terra. La frusta si arrotolò ad un braccio di Borea e permise a Tisifone di non essere scagliata lontano; con un ultimo disperato sforzo, la donna si spinse in avanti, balzando dall’alto su Borea, rimasto sorpreso dalla scena.

 

“Cobra Incantatore!” –Gridò Tisifone, piombando con velocità sul figlio di Eos che non riuscì ad evitare completamente l’affondo della nemica, venendo ferito di striscio sulle braccia, in alcune parti non protette dalla sua armatura.

 

“Abile mossa!” –Esclamò Borea, riprendendosi. –“Ma non abbastanza per permetterti di aver salva la vita!”

 

“Resisterò!” –Continuò Tisifone, ormai allo stremo. Ed espanse il suo cosmo al massimo, mentre scintille di energia cosmica saettavano intorno a lei.

 

In quella, una luce apparve improvvisamente sopra i contendenti, un’abbagliante luce dorata che dal cielo scese fin sopra la testa di Tisifone. Come fosse una stella.

 

“Ma questa è..” – Balbettò la donna, osservando la Dorata Armatura del Cancro che si era palesata.

 

“Non ti permetterò di usarla!” – Gridò Borea, avvedutosi del potenziale pericolo. E lanciò con impeto il Vento del Nord, che tuttavia non sortì l’effetto sperato, incontrando la tenace resistenza di un grande cosmo dorato. L’Armatura apparsa davanti a Tisifone infatti iniziò a brillare di oro acceso, riscaldando il cuore della donna e donandole nuova energia, prima di scomporsi in tanti pezzi che andarono a posarsi sul suo corpo.

 

“Incredibile!” –Mormorò Borea, osservando il proprio Vento venire respinto dal caldo cosmo della Costellazione del Cancro.

 

“Grazie!” –Affermò Tisifone, ringraziando il Cavaliere d’Oro, per il gentile aiuto prestatole.

 

Adesso, con l’armatura di Cancer addosso, sembrò a Tisifone di possedere nuove energie, ma sapeva bene che da sola la corazza non sarebbe bastata per vincere. Espanse al massimo il proprio cosmo, carico di bagliori dorati, e poi si lanciò avanti, scagliando gli Artigli del Cobra. Rapidi fendenti di energia cosmica si diressero verso il figlio di Eos, che scattò velocissimo per evitarli, ma non appena si spostava ecco che subito Tisifone lo inseguiva, sempre lanciando i suoi affilati artigli.

 

“Adesso basta!” –Tuonò la voce imperiosa di Eos, rimasta in disparte ad osservare lo scontro tra il figlio e la donna, e tra Austro e Zefiro e il Cavaliere della Bussola. E concentrò il cosmo sulla punta dell’indice destro, pronto per colpire la donna.

 

Un potentissimo raggio di luce, circondato da scintille energetiche, partì dal suo dito, diretto verso Tisifone, ma Asher, rialzatosi di scatto, si mise sulla traiettoria, venendo colpito al posto suo.

 

“Asheeer!” –Urlò la Sacerdotessa dell’Ofiuco, osservando il ragazzo schiantarsi metri addietro, in un lago di sangue, mentre quel che restava della sua armatura era stato completamente polverizzato.

 

“Non... preoccuparti di me...” – Mormorò il ragazzo, incapace di rialzarsi.

 

“Maledetti!” –Urlò Tisifone, e con la forza della disperazione scagliò un potentissimo Cobra Incantatore che stordì Borea, spingendolo indietro. Rapida come un fulmine, Tisifone srotolò la frusta, lanciandola contro di lui e afferrandolo per il collo, prima di dargli un potente strattone per tirarlo a sé. –“Artigli del Cobra Dorato!” –Gridò, scagliando rapidi fendenti con il braccio sinistro, mentre col destro teneva la frusta.

 

Borea, preso alla sprovvista da una mossa così imprevista e grossolana, fu colpito in pieno, e un affondo di Tisifone gli distrusse il coprispalla destro raggiungendo la carne al di sotto di esso.

 

“Aaargh!” –Urlò Borea, mentre Tisifone lasciava la frusta per colpirlo anche col braccio destro. Ma non fece in tempo.

 

Euro, il quarto figlio di Eos, che fino a quel momento era rimasto immobile e silenzioso dietro la madre, balzò su di lei, creando un cerchio di energia intorno alla donna, che dal basso scagliò Tisifone in alto, avvolta in folgori lucenti.

 

“Non ho chiesto il tuo intervento, Euro!” –Esclamò Borea, liberandosi dalla frusta di Tisifone e tastandosi la spalla dolorante.

 

“Come preferisci.. allora sbrigatela da solo, se ci riesci!” – Ironizzò Euro, voltandosi verso gli altri Cavalieri di Bronzo.

 

Black, Ban, Aspides e Geki si erano rimessi in piedi, con la forza della disperazione, e unirono i loro cosmi per creare una grande cometa energetica che diressero contro Euro, il quale neppure si spostò, aprendo il palmo della mano e facendo sì che la cometa scivolasse su di esso, ritornando indietro e travolgendo i quattro.

 

“Perfetto!” –Esclamò Eos soddisfatta, osservando i corpi inermi dei sei cavalieri a terra. – “Uccideteli, io vado a spazzar via il Tempio!”

 

Detto questo si librò nell’aria, leggera come una foglia, volteggiando sul Grande Tempio finché non si trovò proprio sopra le Dodici Case dello Zodiaco. Concentrò il proprio cosmo, creando una grande sfera energetica intorno a lei, una bomba che, nelle sue intenzioni, avrebbe spazzato via tutto. Ma in quel momento accadde qualcosa di incredibile, qualcosa che neppure gli ultimi difensori del Grande Tempio avrebbero immaginato. Un segreto nascosto, di cui solo gli antichi Sacerdoti erano a conoscenza: l’ultima difesa del Grande Tempio. Il cielo sopra di loro, fino a quel momento nuvoloso e cupo, iniziò a schiarirsi improvvisamente, rivelando la volta stellata nella quale numerose stelle iniziarono a brillare di un’intensa e innaturale luce.

 

“Che sta succedendo?” –Si chiese la Dea dell’Aurora.

 

“A quanto pare non solo Cancer ci sta dando una mano!” –Mormorò Tisifone, alzando gli occhi al cielo, piena di commozione.

 

Le Costellazioni dello Zodiaco iniziarono a brillare e da ognuna di loro partì un raggio luminoso diretto verso la Dea dell’Aurora, e la stessa cosa accadde da ognuna delle Dodici Case. Eos si trovò nel mezzo, trapassata da ventiquattro raggi luminosi, caldi come il sole, lucenti come il firmamento.

 

“Cosa diavolo succede?” –Esclamò Borea, muovendosi per correre in aiuto della madre.

 

Ma Tisifone non glielo permise, scattando verso di lui, lanciando nuovamente gli Artigli del Cobra Dorato. Borea evitò l’affondo e poi contrattaccò con una sfera energetica a cui Tisifone rispose con un nuovo attacco. Lo scontro tra i due poteri spinse entrambi indietro di parecchi metri, ansimanti ma determinati a combattere finché uno dei due non sarebbe caduto. Euro, nel frattempo, si era lanciato verso la madre, per portarle aiuto e liberarla da quella morsa lucente. Concentrò il cosmo, creando un tifone energetico che spazzò via i raggi di luce, svincolando Eos dalla strana gabbia.

 

“A quanto pare il Grande Tempio possiede dei meccanismi di difesa estrema!” – Puntualizzò Euro.

 

“Non crederai che basti per fermarci?” –Domandò Eos. – “Abbiamo ricevuto un ordine dal Signore dell’Olimpo e dobbiamo portare a termine ciò che ci ha chiesto!”

 

“Conosco gli ordini del Sommo Zeus, madre!” – Si lamentò Euro.

 

“Tuttavia non fai niente per applicarli, come hai sempre fatto!” – Brontolò Eos.

 

“Sai bene che non ho stima degli Dei Olimpici, madre, e non provo interesse alcuno ad intromettermi nei loro affari!”

 

“Taci, sciocco!”  Lo schiaffeggiò Eos. – “Non pronunciare parole scortesi! È da stolti mancare di rispetto a Zeus, in tempi inquieti come questi!”

 

“Mi fai pena!”  La schernì Euro. –“Tu, figlia dei Titani Iperione e Tea, che potresti sedere sul trono dell’Olimpo, chini il capo a Zeus, figlio di Crono, uno dei Dodici Titani, ed essere quindi tuo pari!”

 

“Non chino il capo a nessuno, Euro! Sono semplicemente riconoscente a Zeus! Non dimenticare che dopo la Titanomachia egli concesse all’uomo che amavo, e che avevo rapito da Troia, Titone, il dono dell’immortalità, permettendogli di restare al mio fianco per tutti questi secoli!”

 

“Grande dono, quello!” –Ironizzò Euro. –“Ottenne l’immortalità, certo, ma non l’eterna giovinezza! È adesso è soltanto un vecchio decrepito che gira stanco per i corridoi dell’Olimpo in cerca di una morte che non arriverà mai!”

 

“Adesso basta!” – Gridò Eos, puntando l’indice contro il figlio. Un lampo di energia travolse immediatamente Euro, facendolo schiantare a terra, mentre ancora se la rideva, deridendo sua madre e il vecchio Titone. –“Che ti serva da lezione, ragazzino! E adesso rialzati e spazza via quei cadaveri viventi!”

 

Euro non rispose, ferito nell’orgoglio, limitandosi a rimettersi in piedi e a prepararsi per l’attacco.  Di fronte a lui, quasi nudo e grondante di sangue, c’era rimasto soltanto Asher dell’Unicorno. Tutti i suoi quattro amici erano stesi a terra, in fin di vita, impossibilitati a rialzarsi. Euro sospirò, sempre più convinto della ridicolezza dei comportamenti degli Dei Olimpici.

 

E questo sarebbe un combattimento? Si chiese tra sé il figlio di Eos. Un Dio contro un bamboccio di sedici anni in fin di vita?! Aaah.. sono davvero finiti i bei tempi antichi dove gli uomini e gli Dei combattevano insieme, dove uomini valorosi edificavano città e si nutrivano di sapienza ancestrale! Troia, Micene, Corinto… niente resta più delle antiche città in cui tante volte mi sono recato, sotto forma umana, per abbeverarmi del loro sapere, della loro arte! Cosa rimane oggi di quelle virtù antiche? Esclamò, avvolgendo Asher in un cerchio di energia cosmica. Il ragazzo fu travolto dalle folgori incandescenti e scaraventato in alto, davanti allo sguardo malinconico e per niente interessato al combattimento del Dio del Vento dell’Est. In quel disperato momento, mentre le forze parevano abbandonarlo del tutto, Asher sentì un richiamo da lontano: il caldo cosmo di Atena, a cui continuamente andavano i pensieri del ragazzo, da sempre innamorato di lei.

 

Isabel, incatenata dalle folgori di Zeus, nella Bianca Torre dell’Olimpo, incitò il ragazzo a non arrendersi, a bruciare il suo cosmo fino ai limiti estremi della galassia, come mai aveva fatto finora. Asher sorrise, con gli occhi gonfi e pieni di lacrime, e fece avvampare il proprio cosmo, liberandosi dalla morsa del nemico. Euro, non molto attento alla battaglia, notò infine un accendersi impetuoso di stelle intorno al ragazzo, stelle che ricrearono la costellazione dell’Unicorno. In un attimo Asher piombò su di lui, come una scintillante cometa sulla cui testa splendeva un corno argentato.

 

“Corno d’Argentoooo!!!” –Gridò il ragazzo, colpendo in pieno petto il Dio del Vento dell’Est, che fu spinto indietro di parecchi metri.

 

In quello stesso momento Tisifone, con le ultime forze che le restavano, colpì Borea, travolgendolo con gli Artigli del Cobra Dorato e scaraventandolo indietro, non molto distante da Euro. Dopo quel colpo, sia Asher che Tisifone si accasciarono al suolo, deboli e inermi, mentre i due fratelli, figli di Eos, si rialzavano, pronti per finirli.

 

“Addio, donna!” –Esclamò Borea, concentrando il cosmo sotto forma di sfera energetica.

 

Ma non ebbe il tempo per scagliarla avanti che fu distratto da un sibilo metallico. Si voltò indietro, per capire cosa fosse, ma non fece in tempo a muoversi che fu ferito in più punti da una miriade di catene lucenti scagliate contro di lui. Euro, ancora nel pieno delle sue forze, balzò su una roccia poco lontana, evitando di essere ferito, e da lassù poté assistere, senza intervenire, all’intera scena. Due ragazzi, indossanti luminose armature, distrutte in più punti, erano appena arrivati. Uno dei due, con una corazza violetta e i capelli verdi, reggeva in mano delle catene, con cui aveva appena bloccato i movimenti di Borea, mentre l’altro, moro e con un’armatura bianca, si stava lanciando avanti, caricando il pugno di energia cosmica.

 

“Fulmineee di Pegasus!!!” –Gridò il ragazzo, colpendo in pieno Borea e scaraventandolo lontano.

 

E questo confermò i sospetti del Dio del Vento dell’Est, che aveva riconosciuto i due nuovi arrivati: Pegasus e Andromeda. Euro sorrise, preparandosi per la battaglia, e riflettendo che, tutto sommato, c’erano ancora eroi contro cui combattere in quei tempi moderni.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Graditi ritorni ***


CAPITOLO QUINDICESIMO

CAPITOLO QUINDICESIMO. GRADITI RITORNI.

 

Il Grande Tempio di Atene era stato in gran parte spazzato via dai vortici creati da Eos e dai suoi quattro figli, Borea, Austro, Zefiro e Euro, i quattro venti. Niente più esisteva delle robuste mura perimetrali, un tempo percorse da arcieri e Cavalieri di guardia all’ingresso, solamente disordinati detriti ammucchiati. L’unica parte rimasta intatta era quella più a ridosso della montagna, dove si concentrava il grosso delle abitazioni, la scuola delle giovani Sacerdotesse, l’infermeria e, soprattutto, le Dodici Case dello Zodiaco, percorso obbligato per chiunque voglia raggiungere la residenza della Dea Atena, o del sommo Grande Sacerdote, sulla cima della Collina della Divinità. Centinaia e centinaia di soldati semplici erano caduti, per difendere il Tempio della Dea Atena, in sanguinosi corpo a corpo contro i Cavalieri Celesti. Quelli che restavano, giacevano ammassati nella polvere e nel sangue, troppo deboli anche solo per volgere lo sguardo verso il firmamento.

 

Kiki, fratello del Grande Mur, aveva radunato, con l’aiuto di alcune giovani Sacerdotesse, numerosi feriti nell’infermeria, sperando di riuscire a medicarli in tempo, ma l’elevato afflusso di persone bisognose di cure aveva congestionato la struttura, impotente comunque di fronte a violenti attacchi esterni. Birnam della Bussola era caduto per difendere le popolazioni del Grande Tempio, e i loro feriti, impedendo a Zefiro e Austro, due figli di Eos, di radere al suolo le costruzioni abitate. Ma Kiki adesso era inerme di fronte al pericolo, e sapeva anche di non poter contare sull’aiuto degli altri Cavalieri, impegnati in massacranti combattimenti, a dir poco letali. Black, Ban, Aspides e Geki erano stati atterrati da Euro, lo sfuggente figlio dell’Aurora, con un solo colpo, mentre Asher e Tisifone, che avevano dato il meglio di loro stessi in quel glorioso giorno, erano esausti, accasciati al suolo e incapaci di muovere un solo braccio.

 

I loro avversari erano ancora vivi: Borea, Dio del Vento del Nord, anche se ferito dagli attacchi di Tisifone, e Euro, Dio del Vento dell’Est. Per non parlare poi di Eos, la Divinità dell’Aurora che aveva guidato l’attacco. Ad essi si aggiungeva il Luogotenente dell’Olimpo, Phantom dell’Eridano Celeste, impegnato alla Prima Casa dello Zodiaco contro Castalia, Mizar e Alcor.

 

L’assalto era iniziato già da parecchie ore quando Pegasus e Andromeda arrivarono al Grande Tempio. Sconvolti per aver trovato le mura distrutte, sentirono cosmi ardenti scintillare lungo la via per le Dodici Case. Pegasus tremò nel riconoscere, debolissimi, quelli di Tisifone, Asher, Castalia e degli altri quattro Cavalieri di Bronzo. Gli altri non riusciva a distinguerli, ma realizzò appartenessero a qualche sicario inviato da Zeus, come Bronte del Tuono che li aveva attaccati a Nuova Luxor. Senza esitare, Pegasus e Andromeda raggiunsero il piazzale centrale del Grande Tempio, diventato ormai un enorme cimitero in cu mucchi di cadaveri giacevano abbandonati e pochi difensori opponevano l’ultima resistenza.

 

Pegasus vide un Cavaliere sconosciuto, ricoperto da una luminosa corazza Celeste, forgiata probabilmente dalla stessa mano divina che creò quella dei Ciclopi, caricare una sfera e prepararsi per lanciarla contro Tisifone, rivestita dall’Armatura del Cancro, e contro Asher, praticamente nudo, accasciati davanti a lui. Non vide altro, ma fu abbastanza per farlo reagire.

 

“Fulmineee di Pegasus!” –Urlò, scagliando contro lo sconosciuto Cavaliere il proprio attacco lucente, mentre Andromeda lo teneva immobilizzato con le sue catene.

 

Il giovane fu colpito in pieno, preso di sorpresa e già indebolito dai colpi ricevuti da Tisifone, e fu sbalzato indietro di parecchi metri. Solo allora Pegasus notò che ce n’era un altro, con un’armatura non dissimile da quella del compagno, che era balzato sopra le rocce per evitare di essere colpito.

 

“Chi siete, invasori?” – Domandò infine.

 

“Siamo coloro che faranno strage dei Cavalieri della Dea traditrice!” –Esclamò Borea, rialzandosi e sputando sangue. –“Borea è il mio nome, Vento del Nord! Ed egli è Euro, Vento dell’Est!” – Aggiunse, indicando il fratello. –“Figli di Eos, Dea dell’Aurora!”

 

“La Dea dell’Aurora?!” – Mormorò Andromeda.

 

“Proprio così!” – Esclamò una voce di donna, sopra di loro.

 

Pegasus e Andromeda alzarono lo sguardo e videro una figura femminile, ricoperta da scintillante vestigia divine, fluttuare a mezz’aria e discendere su di loro. Non ebbero il tempo di dire altro che dovettero fronteggiare l’attacco della donna, che lanciò contro di loro un’enorme sfera incandescente. Andromeda roteò le proprie catene, per proteggere se stesso e l’amico, ma l’impatto fu comunque rovinoso, scagliando entrambi indietro di parecchi metri. Borea si lanciò subito avanti, determinato a neutralizzare i nuovi nemici prima che avessero la possibilità di reagire, ma Pegasus e Andromeda, rotolando sul terreno distrutto, evitarono gli affondi del Dio del Vento del Nord.

 

“Onde del Tuono!” – Esclamò Andromeda, lanciando la Catena di Offesa.

 

Questa subito si srotolò in decine di catene diverse, che puntarono su Borea, che tentò di schivarle, saltando indietro, ma fu afferrato comunque per una gamba e, con uno strattone deciso, tirato avanti. Pegasus lo afferrò in volo, scaraventandolo a terra, con forza tale da creare una rozza sagoma nel terreno, e poi si lanciò su di lui con il Fulmine di Pegasus. Borea fu colpito in pieno, incapace di muoversi, stritolato dalla Catena di Andromeda che si andava avvoltolando alla sua gamba, liberando scintille energetiche, e ferito dai pugni lucenti del ragazzo.

 

“Smettila!” –Urlò Eos, intervenendo per difendere il figlio. E scagliò una nuova immensa sfera energetica sui due Cavalieri di Atena.

 

Andromeda tentò inutilmente di ricreare la Difesa Circolare con la sua Catena, ma anche quella volta fu inutile, e i due furono travolti dall’esplosione della sfera e scaraventati indietro. Eos fu subito su di loro, piombando dall’alto come una cometa luminosa, ma Andromeda, ancora sdraiato a terra, lanciò la Catena per afferrarla. L’attacco non ebbe successo, in quanto la Dea, spostandosi ad una velocità superiore, non ebbe problemi ad evitare le Catene e a giungere sopra di lui, scagliandogli contro una sfera incandescente. Andromeda fu colpito in pieno, e dall’esplosione fu letteralmente scagliato in alto, mentre le sue vestigia bronzee si distruggevano in più punti. La donna non riuscì però a finirlo che dovette fronteggiare l’assalto di Pegasus.

 

“Fulmine di Pegasus!” – Gridò il ragazzo, scattando avanti per salvare l’amico.

 

Ma Eos evitò tutti gli attacchi del ragazzo, afferrandolo per un braccio, quando questi gli giunse davanti, e scaraventandolo indietro. Pegasus però fu abile a ricadere compostamente a terra, e a scagliare una nuova raffica di colpi luminosi, che costrinse la Dea ad aprire le braccia, creando una barriera su cui si infranse l’attacco del ragazzo. È una Divinità potente! Rifletté Pegasus, osservando Eos contrastare il suo attacco senza il minimo sforzo. Come Nettuno e Ade! E noi siamo solo in due stavolta! In quel momento avrebbe voluto essere insieme ai suoi compagni, a Sirio, Cristal e Phoenix, di cui non era ancora riuscito a percepire i cosmi. Fin da quando avevano lasciato il Giappone, Pegasus e Andromeda avevano cercato di comunicare con i loro amici usando il cosmo, ma inutilmente. Essi risultavano introvabili. E questo li aveva fatto preoccupare non poco.

 

Anche se era possibile che i tre fossero ancora sotto l’effetto del Talismano della Dimenticanza e che quindi i loro cosmi risultassero ancora celati. Sirio! Cristal! Phoenix! Vorrei essere con voi! Vorrei che fossimo insieme! A combattere un nemico comune, unendo i nostri cosmi e i nostri destini come tante volte abbiamo fatto! Rifletté Pegasus, scagliando un nuovo attacco contro la Dea dell’Aurora. Ma anche quello non raggiunse il bersaglio.

 

“È tempo di mettere la parola fine sul libro di questo tempio!” –Esclamò Eos, bruciando il proprio cosmo.

 

Pegasus e Andromeda approntarono le loro difese, spaventati dallo strapotere della Divinità che, di fronte a loro, stava concentrando il cosmo tra le mani, creando un’immensa sfera energetica. In un attimo la sfera saettò verso i due amici, che non riuscirono ad evitarla, venendo travolti da essa e scaraventati lontano, mentre le corazze bronzee che avevano indosso si schiantavano, lasciandoli a terra nudi e sanguinanti. Eos si pulì le mani, soddisfatta del proprio lavoro, e diede le spalle ai due corpi feriti, in tempo per osservare Tisifone rialzarsi e continuare lo scontro con Borea. Sorrise maliziosamente, sicura della vittoria del figlio. La cosa che la turbava maggiormente però, oltre alla perdita di Zefiro e Austro, era l’atteggiamento irriverente dell’altro suo figlio, Euro. Solitario e malinconico, il Vento dell’Est osservava la scena in disparte, e Eos si chiese cosa stesse ragionando da parecchi minuti.

 

Nel frattempo, mentre Birnam, Tisifone e Asher affrontavano i figli di Eos, Castalia stava continuando il suo combattimento contro Phantom dell’Eridano Celeste, davanti alla Prima Casa dell’Ariete. Il Luogotenente dell’Olimpo, dopo aver tentato di immobilizzare la donna, insieme ai due Guerrieri del Nord che combattevano al suo fianco, Mizar e Alcor, con le Liane dell’Eridano, aveva deciso di scagliare il suo colpo più potente: un gigantesco gorgo di acqua ed energia cosmica, che aveva travolto i tre Cavalieri e l’intero piazzale, ponendo una seria ipoteca sull’andamento della battaglia. Phantom si avvicinò infine a Castalia, che giaceva a terra, ferita e debole, mentre la sua armatura si era frantumata in più punti.

 

Devo rialzarmi! Si impose la Sacerdotessa dell’Aquila. Devo difendere il Grande Tempio e Atena! E i miei compagni che stanno morendo più in basso! Aggiunse, sentendo i cosmi di Birnam, Asher e Tisifone esplodere decine di metri più a valle.

 

Phantom dell’Eridano Celeste la osservava in silenzio, e i suoi occhi verdi sembravano esprimere una sconfinata malinconia, un dispiacere nel dover affrontare proprio lei, una donna per la quale sentiva qualcosa, un sentimento di unione che sembrava trascendere il tempo, e provenire dai Tempi Antichi. Ma gli ordini del Sommo Zeus devono essere eseguiti! Sospirò infine, sollevando il braccio destro e concentrando una sfera di energia cosmica sulla mano, per scagliarla contro la donna. Ma nel momento stesso in cui abbassava la mano, per calare come un boia su di lei, fu investito in pieno da un raggio di luce e spinto indietro, immobilizzato, completamente incapace di muoversi.

 

“Che succede?” –Mormorò, osservando il suo corpo avvolto da una specie di globo energetico.

 

“Non muoverti, Cavaliere di Zeus, e avrai salva la vita!” –Esclamò una voce di donna, uscendo dalla Prima Casa d’Ariete.

 

“Chi sei?” – Domandò, osservando la giovane donna che si avvicinava.

 

“Sono Ilda di Polaris, Celebrante di Odino a Midgard, e cara amica della Dea Atena!” –Esclamò con determinazione Ilda.

 

“La Celebrante di Odino?!” –Ripeté Phantom, e in quel momento si accorse che Mizar e Alcor si erano rialzati, ed erano subito corsi davanti alla loro Signora, per proteggerla.

 

Anche Castalia si rialzò in quel momento, debole e stordita, ma determinata a continuare la lotta.

 

“Leggo nel tuo cuore il dubbio, Cavaliere Celeste!” –Esclamò Ilda, e in quel momento la sua voce si fece più distesa. –“Perché sai di combattere per una causa ingiusta! Anzi, per nessuna causa che rientra tra i tuoi ideali!”

 

“I tuoi poteri sono grandi, Celebrante di Odino, se riesci a penetrare l’animo di un Cavaliere Celeste!” – Commentò Phantom, riuscendo finalmente ad abbassare il braccio destro.

 

“Non ho bisogno di saper leggere nel animo, Eridano Celeste! A volte basta semplicemente osservare i comportamenti umani per comprendere molte più cose di quanto si creda!”

 

Phantom sorrise per la genuina freschezza di quelle parole. Parole che, lo sapeva, erano vere.

 

“Phantom!” –Intervenne per la prima volta Castalia. –“Sull’Olimpo mi dicesti che speravi di evitare una guerra con Atene, adesso hai la possibilità di mettere in pratica ciò che avevi affermato!”

 

“No, Castalia! Io non ho quella possibilità!” –Precisò Phantom. –“Questa guerra è assurda, me ne rendo ben conto, e credo sia voluta più dalle ambizioni imperiali di Flegias che non realmente dal mio Signore Zeus! Ma dal momento che egli mi ha affidato questo incarico, come suo Luogotenente, ho il dovere morale di portarlo fino in fondo ed eseguirlo come egli mi ha ordinato! La fedeltà a Zeus viene prima di qualsiasi altro sentimento!”

 

“Concordo con le tue parole!” –Intervenne allora Mizar. –“Ma non sai quanto facciano male, Cavaliere dell’Eridano Celeste! Non sai quanto faccia male ubbidire agli ordini della Divinità in cui creiamo quando non condividiamo i suoi propositi! Non sai quanto faccia male osservare impotenti i propri compagni che combattono per una causa ingiusta, per una causa diversa da ciò che ci è stato fatto credere!”

 

E Mizar lo sapeva bene, come Ilda dietro di lui, cosa volesse dire combattere per una causa sbagliata. I suoi compagni erano morti, uccisi dai Cavalieri di Bronzo, per sbarrare loro la strada per il Palazzo di Ilda, lo scorso anno. Erano caduti tutti, il possente Thor, il cinico Luxor, l’innamorato Artax, l’impaurito Mime, il malvagio Megrez e il valente Orion. Ed erano rimasti solo loro due, Mizar e il fratello Alcor, a difendere la fortezza di Midgard. E per tutti quei mesi non era passato giorno in cui non avessero sentito Ilda piangere, e disperarsi per essere stata troppo debole da lasciarsi possedere dal Dio del Mari, per aver lasciato che i propri valorosi Guerrieri cadessero in battaglie cruente che mai avrebbero dovuto essere combattute.

 

“Queste sono le cause ingiuste, Cavaliere Celeste!” –Continuò Mizar, con gli occhi lucidi, mentre Ilda lo avvicinava prendendolo per mano. Come fece con Alcor. –“E se anche tu, nobile Eridano, credi nel rispetto della vita e in tutti quegli ideali che le sono propri, allora cessiamo di combattere!”

 

“Guerriero del Nord, conoscevo la nobiltà d’animo e di sentimento dei Cavalieri di Atena, avendo seguito con ammirazione le loro imprese recenti, ma non sapevo che anche nella fredda Asgard, o Midgard come da voi chiamata, esistessero calde emozioni e ideali così trascinanti come quelli di cui ti sei fatto interprete!” –Esclamò Phantom. –“Pur tuttavia non posso venir meno agli ordini che ho ricevuto, per fedeltà al Sommo Zeus, per ripagarlo della generosità che ha sempre mostrato nei miei confronti! Ed anche se non comprendo pienamente questo eccesso di rabbia distruttiva nei confronti di Atena, è mio dovere eseguire ciò che mi è stato comandato! Sappiate però che è per me un onore combattere contro uomini valorosi come voi, uomini che lottano per una fede, per qualcosa in cui credono, per qualcosa per cui sarebbero disposti a morire, pur di non rinunciarvi!”

 

“Ma...” – Mizar fece per dire qualcosa, ma Castalia gli afferrò il braccio, pregandolo di rimanere in silenzio.

 

Phantom espanse il suo cosmo al massimo, liberandosi dalla gabbia in cui Ilda credeva di averlo immobilizzato, e si preparò per saltare avanti, concentrando una sfera energetica sulla mano destra. Mizar e Alcor però furono più rapidi, scattando verso di lui, sfoderando i Bianchi Artigli della Tigre. Phantom vide quei luminosi fasci energetici dirigersi verso di lui, ma riuscì ad evitarli tutti, muovendosi ad una velocità superiore. Li schivò tutti, giungendo fin davanti ai due Guerrieri di Odino, scagliando loro contro una sfera energetica che li spinse indietro, davanti agli occhi preoccupati di Ilda. Ma Phantom non ebbe il tempo per riprendere fiato che già dovette affrontare Castalia, in picchiata su di lei con il Volo dell’Aquila reale.

 

Il Luogotenente dell’Olimpo evitò anche quel colpo, spostandosi di lato, e si preparò a colpirla, come aveva fatto all’inizio del combattimento, ma la Sacerdotessa, che aveva imparato la lezione, fu svelta a saltare nuovamente in alto, lasciando che la sfera di Phantom si infrangesse sul selciato sotto di lei, e atterrare alle sue spalle, afferrandolo da sotto le braccia e portandolo in alto.

 

“Che fai Castalia?” – Domandò Phantom, stupito.

 

“Ti mostrerò io come vola un’aquila!” –Mormorò Castalia, avvolgendo entrambi con il suo argenteo cosmo.

 

La cometa da lei creata saettò sulle Dodici Case dello Zodiaco, mentre il cosmo dell’Aquila strideva al contatto con l’Armatura Celeste del Cavaliere dell’Eridano, provocando in lui un certo dolore. Stufo di quella scomoda posizione, Phantom espanse il suo cosmo improvvisamente, allargando le braccia e liberandosi dalla presa della ragazza, mentre erano ancora in aria. Castalia, indebolita, ricadde a terra pochi istanti dopo, rovinando pericolosamente sulla scalinata di marmo, mentre Phantom tentò di ricadere a terra compostamente, ma mise male un piede, distorcendosi una caviglia e zoppicando leggermente.

 

Quando Castalia riaprì gli occhi, stordita e sanguinante, si rese conto di non essere più alla Prima Casa d’Ariete, ma sulla bianca scalinata di marmo che Pegasus e compagni avevano percorso l’anno prima per raggiungere le stanze di Arles. Ironia della sorte, la casa che sorgeva in cima a quella parte di scalinata era la Quinta, quella del Leone.

 

“Credo che abbiamo giocato abbastanza!” –Esclamò Phantom, bruciando il suo cosmo. – “Perdonami Castalia, ma non c’è altra soluzione!”

 

“Abbiamo sempre una seconda scelta, Phantom! Siamo uomini, non divinità, e il nostro destino non è scritto da nessuna parte!” –Lo rimproverò Castalia. –“È questo il maggior dono che gli Dei hanno potuto farci! Non l’immortalità o la giovinezza eterna, ma la possibilità di restare liberi e decidere autonomamente il proprio destino! La possibilità di scegliere, questa è la caratteristica fondamentale della razza umana!” –E nel dir questo la Sacerdotessa dell’Aquila si lanciò avanti, scagliando una potente Cometa Pungente contro il suo avversario che, impressionato dall’impeto e dalla velocità del colpo, dovette portare entrambe le mani avanti per contenerne l’impatto.

 

Cresce il cosmo in lei! È determinata a non arrendersi! Rifletté Phantom. Preferirebbe morire qua, piuttosto che dichiararsi vinta al potere dell’Olimpo! Piuttosto che rinunciare ai propri ideali! Aaah Zeus, ti prendi gioco di me! Sono proprio queste le doti che ho sempre ammirato nei Cavalieri di Atena, e adesso proprio io dovrei prendere la vita di uno di loro, per cui provo stima e ammirazione. E forse qualcosa di più!

 

“Cometa Pungente!” – Ripeté l’attacco Castalia, balzando avanti.

 

Ma quella volta Phantom non si fece prendere alla sprovvista, aprendo improvvisamente le braccia e creando il temibile Gorgo dell’Eridano. Il vortice energetico travolse Castalia, scagliandola in alto, mentre fulmini celesti laceravano le sue vesti e facevano a pezzi la sua armatura. Si schiantò molti metri più su, a un passo dall’entrata della Quinta Casa di Leo. La sua maschera andò in frantumi, rivelando il suo delicato viso che mai uomo alcuno aveva visto finora. Rantolò sul marmo per qualche secondo, cercando di focalizzare qualcosa, ma l’unica cosa che riuscì a vedere furono i due leoni di pietra, posti all’entrata del Quinto Tempio dello Zodiaco.

 

Per un istante Phantom provò il terribile desiderio di voltare le spalle alla Casa del Leone e correre giù, tornare sul campo di battaglia dove sentiva infiammarsi i cosmi dei figli di Eos, e chiuderla lì. Senza appurarsi delle condizioni di Castalia, senza sapere se fosse ancora viva o morta. Ma poi cambiò idea, incamminandosi senza troppa fretta lungo la scalinata di marmo, fino al piazzale antistante alla Quinta Casa. Non sapeva se a guidarlo fosse stato il suo senso di responsabilità e fedeltà verso Zeus, che lo imponeva di verificare se l’avversario fosse stato ucciso o meno, o se fosse un proprio capriccio interiore, che si ostinava a non voler lasciare Castalia, legato a lei da un vincolo antico quanto il mondo. Per un momento Phantom si chiese se lui e la Sacerdotessa dell’Aquila non fossero stati amanti in qualche epoca passata, se non fossero reincarnazioni di qualche Divinità primordiale che aveva forgiato il mondo, rimanendo uniti per l’eternità.

 

Quando arrivò al piazzale di fronte al Quinto Tempio, Phantom trovò Castalia in piedi, ferita e sanguinante, con le vesti lacere, e gran parte della sua corazza distrutta. I capelli rossicci erano spettinati, e in parte le coprivano il volto, volto che era adesso scoperto. La maschera argentata che parava il volto della donna si era frantumata, liberando il viso da quella strana prigionia. Ma Phantom non riuscì a vederne completamente il volto, coperto in parte da quegli spettinati capelli. Senza esitazione Castalia si lanciò contro di lui, usando soltanto il proprio corpo come arma. Pugni, uno dietro l’altro, e calci veloci, senza colpi segreti. Phantom evitò tutti i diretti della ragazza, muovendosi più velocemente di lei, quindi la colpì allo stomaco con il pugno destro, facendole sputare sangue, facendola accasciare sul suo braccio pochi istanti dopo.

 

“Lasciami!” – Mormorò Castalia, con un filo di voce.

 

“Non posso!” – Esclamò Phantom, stringendola a sé.

 

La ragazza tentò per un momento di liberarsi, ma poi si accorse di essere troppo debole per poterlo fare, troppo indolente per volerlo fare. Sentì le robuste mani del giovane correre sulla sua schiena, sfiorarla delicatamente facendole provare brividi che mai aveva provato prima. Lentamente Castalia sollevò lo sguardo, incontrando gli occhi del giovane, che adesso poteva finalmente ammirare il suo candido viso, la sua delicata bellezza. Con un gesto delicato Phantom le spostò i capelli dal viso, perdendosi negli occhi verde mare della ragazza.

 

Durò un attimo, prima che le loro labbra si incontrassero. E così, sul piazzale di fronte alla Quinta Casa di Leo, alla Casa dell’uomo che Castalia aveva sempre amato, senza trovare la forza per dichiararsi, la Sacerdotessa dell’Aquila si abbandonò tra le braccia dello sconosciuto amante, un giovane che le aveva eccitato l’animo fin da quando l’aveva incontrato sull’Olimpo. Quasi trasportata da una musica silenziosa, la donna si fece distendere sul pavimento, accogliendo con calore il corpo dell’uomo sopra di lei. Dentro di lei.

 

Pochi minuti dopo esplose il cosmo di Pegasus nel piazzale del Grande Tempio.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** La forza dentro ***


CAPITOLO SEDICESIMO

CAPITOLO SEDICESIMO. LA FORZA DENTRO.

 

Eos fu sinceramente stupita nel vedere Pegasus e Andromeda rialzarsi ancora, dopo il devastante attacco che avevano subito in pieno. I due amici erano ansimanti, grondavano sangue dalle numerose ferite sul loro corpo, ferite che la Dea intuì avessero ricevuto anche in precedenza, e le loro armature erano molto danneggiate, al punto che intere parti del corpo erano senza protezione, rivelando le vesti lacere sotto di esse. La Dea dell’Aurora, cercando di non apparire troppo sorpresa, si domandò cosa spingesse quei giovani a rimettersi in piedi, ad andare in cerca di una deliberata morte che avrebbero potuto fuggire.

 

Ermes mi raccontò che Atena, al termine della Guerra Sacra, aveva cancellato dalla mente dei suoi cinque più prodi Cavalieri il ricordo di loro stessi, di ciò che erano, per ricompensarli per l’aiuto che le avevano sempre dato, e per permettere loro di vivere una vita normale, come i ragazzi della loro età! E adesso perché? Si domandò Eos, osservando i due amici sporchi di sangue. Perché hanno rinunciato a ciò, preferendo tornare a vestire i panni di soldati folli in cerca di morte? Cosa sperano di ottenere, adesso poi che Atena sta morendo sull’Olimpo? Non crederanno davvero di salvarla?! I suoi pensieri furono interrotti dall’improvviso attacco di Pegasus, lanciatisi nuovamente avanti con il suo luminoso Fulmine.

 

“Iaiii!!!” –Urlò il giovane, scattando verso la Dea, che non ebbe alcun problema a evitare le centinaia di colpi al secondo portati dal Cavaliere e a rispedirlo indietro, travolto da una nuova sfera energetica.

 

“Perché?” –Domandò infine Eos, fissando Andromeda aiutare Pegasus a rimettersi in piedi. – “Cos’è che vi muove, Cavalieri di Atena? Che sentimento folle è quello che vi spinge a rimettervi in piedi ogni volta? Anzi no.. quale follia è mai quella che vi ha condotti fin qua, in quest’empio Santuario, a rischiare le vostre vite quando avreste potuto continuare a vivere una vita normale, come la vostra Dea aveva deciso per voi?”

 

“È strano che tu ci ponga questa domanda, Dea dell’Aurora!” –Ironizzò Pegasus, pulendosi le labbra sporche di sangue. –“Ma ciò mi convince sempre più che gli Dei sono veramente qualcosa di mistico e lontano, qualcosa di tremendamente distante dagli uomini, incapaci di comprenderne i sentimenti!” –Eos non rispose, continuando a fissare il giovane Cavaliere di fronte a lei.

 

“Già Nettuno prima, e Ade poi, avevano espresso il loro disprezzo e la loro indifferenza verso un mondo che non erano mai riusciti a comprendere! Il Dio dei Mari voleva ricoprire la Terra di acqua, purgandola dai peccati che, secondo lui, gli uomini hanno commesso, purificandola da quel marcio fango chiamato razza umana! Ma non comprese che non tutti gli uomini sono malvagi, non comprese che i concetti di giusto o sbagliato sono troppo labili per essere fissati nel tempo, che le persone si comporteranno sempre in maniera diversa in situazioni diverse, che spesso potranno fare cose pazze, folli come tu dici, che a molti forse potranno apparire sbagliate, ma non a chi le compie, non per chi ci crede! Il Dio dell’Oltretomba, odiando profondamente la Terra, in quanto luogo di luce e calore, tentò di distruggerla completamente, facendone un secondo Inferno, ma fallì, vinto dal più grande dei sentimenti umani, una forza così tremenda che nessuno ha il potere per resistergli!”

 

“L’amore!” –Aggiunse Pegasus, con le lacrime agli occhi. –“L’amore che spinge gli uomini a fare cose pazze, a sacrificare la propria vita per gli ideali che ritengono santi, a combattere con tutte le loro forze, anche rantolando sanguinanti sul terreno, per opporsi a chi non vi crede, a chi vuole distruggere questo mondo fantastico e pieno di luce e amore!”

 

“L’amore?!” – Ripeté Eos, per la prima volta interessata.

 

“Già… ma perché ne parliamo, Dea dell’Aurora? Tu sei come loro, non dissimile, incapace di comprendere i sentimenti umani, capace soltanto di deriderli e disprezzarli, convinta che siano fuochi fatui che il tempo spegnerà!” –Esclamò Pegasus, con una punta di cinismo verso l’operato degli Dei. – “C’è un abisso tra gli Dei e gli uomini, ma non è una distanza di forza e potenza, è una distanza di mondi, di sentimenti diversi! Ed è questo il motivo per cui Atena è tanto amata, da tutti noi Cavalieri! Perché ella, per tutto questo tempo vissuto insieme, per tutte le battaglie affrontate, non ha mai dimostrato freddezza, ma sempre comprensione e affetto verso di noi, verso gli uomini tutti, giungendo persino a sacrificarsi per loro, unica tra gli Dei tutti! Bah, perché perdere tempo in chiacchiere… le mie parole cadono su un cuore senza anima né calore! Combattiamo piuttosto!” –Si riprese Pegasus, mettendosi in posizione d’attacco.

 

“Ti sbagli, Cavaliere di Pegasus! Le tue parole le ho udite, perfettamente udite! E non credere che gli Dei non siano capaci di amare, tutt’altro! Sotto quell’aspetto sono molto più umani di quanto tu possa credere! Ade non rapì forse Persefone, figlia di Zeus e di Demetra, nell’Antichità? E non lo fece solo per dispetto verso l’odiato fratello, ma per amore! Apollo non amava Giacinto, di cui ammirava la splendida fattura, al punto da chiamare un fiore in quel modo, dopo la sua morte? E le mille donne avute da Zeus, molte erano di natura umana, e non fu soltanto per capriccio che il Sommo le avvicinò! No, Cavaliere, non credere che l’amore non imperi sull’Olimpo! Egli ha più potere sugli Dei di quanto tu non creda e di quanto loro stessi, anzi noi stessi, vogliamo ammettere!”

 

“Ciò non toglie che non comprendiate gli uomini, che li disprezziate, preferendo estirpare tale razza, conquistando la loro Terra! E dov’è l’amore in tutto questo?” –Urlò Pegasus. –“Dici che l’Olimpo trabocca d’amore, e allora mostramelo: dov’è Isabel? Dov’è Atena? Abbiamo sentito il suo cosmo esplodere parecchie ore fa, cos’è successo? Zeus l’ha aggredita? È amore questo?”

 

“Basta!” –Gridò Eos infine, espandendo il proprio cosmo. –“Non sono tenuta a giustificare i comportamenti del Dio dell’Olimpo, né i miei, di fronte ad un ragazzino agonizzante!”

 

“Bah...” –La disprezzò Pegasus, bruciando al massimo il proprio cosmo. –“Voi Divinità siete soltanto impaurite, preoccupate da qualcosa che non riuscite a comprendere e a fare vostro! E allora, anziché sforzarvi di capire, preferite distruggere ciò che per voi è estraneo, ciò che potrebbe in futuro risultare una minaccia per la vostra stessa sopravvivenza!”

 

“Una minaccia?!” –Esclamò Eos. – “Dovremmo noi Divinità temere gli Uomini?!”

 

“Penso che fosse la stessa domanda che si posero Nettuno e Ade, madre!” –Ironizzò Euro, intervenendo per la prima volta nella conversazione.

 

“Chetati, figlio degenere!” –Lo zittì Eos, indispettita dall’irriverenza del figlio. –“Bene, Cavaliere di Atena! Mostrami se quest’amore che governa gli Uomini è davvero così potente! Se davvero può salvarti da morte sicura!” –Ed espanse il suo cosmo, creando un’enorme sfera energetica.

 

Pegasus fece altrettanto, sostenuto da Andromeda al suo fianco, determinati più che mai a vincere quella battaglia, non soltanto per salvare i propri amici, e Atena, ma anche per ciò che essa rappresentava. Uno scontro tra due mondi.

 

“Splendi, Cometa Lucente!” – Urlò Pegasus, scattando avanti e lanciando il suo colpo più potente. Una lunga scia luminosa sfrecciò verso Eos alla velocità della luce, avvolta da una turbinosa luminescenza rosa. –“Nebulosa di Andromeda!” –Gridò infatti Andromeda, affiancando l’amico con il suo potente vento energetico.

 

“Incredibile!” – Mormorò Eos, nel vedere la potenza di tale attacco. Ebbe giusto il tempo di scagliare la sfera incandescente, che si scontrò con il colpo congiunto dei due ragazzi, creando un globo energetico, al centro dello spiazzo, su cui convergevano i poteri dei tre contenenti. Un globo che stava diventando sempre più grande. –“È un’enorme massa di energia!” –Esclamò Eos, continuando a spingere.

 

“Dobbiamo resistere, Andromeda! O ne saremo travolti!” – Urlò Pegasus, mentre anche l’amico aumentava l’intensità della Nebulosa.

 

“Pazziiii!!!” – Gridò Eos, per la prima volta impaurita.

 

La sfera energetica pareva crescere a dismisura, allargandosi fin quasi a lambire i corpi dei tre contendenti, e nessuno sembrava riuscire a smuovere l’equilibrio. Tisifone e Asher avrebbero voluto intervenire in sostegno di Pegasus, ma non riuscivano a muovere un muscolo; anche Borea avrebbe voluto aiutare la madre, ma era troppo debole per alzarsi da terra. Solo Euro era ancora nel pieno delle sue forze, ma non fece niente, continuando ad osservare la scena.

 

Brucia cosmo delle Tredici Stelle! Fino ai limiti estremi della galassia! Mormorò Pegasus, espandendo ancora il suo cosmo. Lo stesso fece Andromeda al suo fianco, determinati ormai a vincere quella battaglia. In quel momento i resti delle Armature di Bronzo che avevano indosso, stimolati dal caldo cosmo dei Cavalieri, bruciarono ardentemente, mutando forma, proprio come era avvenuto mesi prima nell’Elisio, e Pegasus e Andromeda si trovarono ricoperti dalle loro Armature Divine, splendenti come la prima volta in cui le avevano indossate.

 

“Non è possibile!” –Gridò Eos, osservando l’avvenuto fatto, e sentendo il potere dei due Cavalieri crescere ancora.

 

“Abbiamo una doppia ragione per batterti, Eos dell’Aurora!” –Urlò Pegasus, scaricando tutto il potenziale della sua Cometa Lucente. –“Non soltanto salvare Atena e i nostri amici, ma dimostrare a te e a tutte le Divinità che ancora non l’hanno compreso, cosa sia l’amore, quella forza meravigliosa capace di smuovere interi continenti! E capace di uccidere un Dio!”

 

Dopo quell’ultima frase la sfera incandescente, spinta da Pegasus e Andromeda, travolse completamente Eos, avvolgendola al suo interno e scagliandola in alto, dove esplose pochi istanti dopo. Fu una tremenda esplosione di luce che rischiarò l’intero Grande Tempio, come lo scontro tra i due Urli di Atena mesi prima.  Pegasus e Andromeda caddero a terra, esausti per il lungo combattimento, ma riuscirono a vedere la sagoma della Dea dell’Aurora esplodere in cielo, mentre la sua corazza dorata si schiantava in mille pezzi, ricadendo a terra poco distante.

 

“Madre…” – Mormorò Borea, rimettendosi in piedi. Pure Euro, dall’alto della roccia, si mosse per sincerarsi delle condizioni della Divinità, precipitata rovinosamente al suolo. Un triste spettacolo si palesò agli occhi dei figli dell’Aurora: il corpo della loro madre era praticamente a pezzi, grondante di sangue a dismisura, e il suo viso, che tanta grazia aveva emanato un tempo, pareva quello di una vecchia megera in punto di morte.

 

“Madreee!” –Urlò Borea, buttandosi in lacrime su di lei.

 

“Aaah.. aaah..” –La Dea dell’Aurora tentò di parlare, di pronunciare qualche parola, ma le uscirono soltanto suoni confusi. Anche Pegasus e Andromeda si avvicinarono, e Borea scattò rabbioso verso di loro, per vendicarla, ma Euro gli afferrò un braccio, bloccandolo.

 

“Non essere sciocco! La rabbia e la vendetta non sono sentimenti che si addicono agli Dei! Nostra Madre è caduta in battaglia, come gli eroi del Mondo Antico, in una battaglia che lei stessa ha voluto, ed ha avuto la forza di portare a termine!”

 

“Che stai dicendo, idiota?” –Lo brontolò Borea, tentando di liberarsi dalla presa di Euro. Ma il fratello non disse altro, limitandosi a scaraventare Borea indietro, contro una parete rocciosa, davanti agli occhi stupefatti dei due Cavalieri di Atena.

 

“Ca... Cavaliere di Pegasus...” –Mormorò infine Eos, con quel filo di voce che le restava. Pegasus si avvicinò ulteriormente, chinandosi sul corpo della Dea dell’Aurora. –“Nobile Cavaliere.. hai vinto!” –Affermò Eos, fissandolo negli occhi.

 

“Non io, Dea dell’Aurora! Ma l’amore ha vinto!” – Replicò Pegasus.

 

“Sì!” –Sorrise finalmente Eos. –“L’amore! La forza più grande della natura.. avrei voluto crederci di più anch’io, come feci da giovane, quando rapii Titone da Troia, rischiando la collera divina!”

 

“Titone, il Principe troiano?!” – Intervenne Andromeda.

 

“Sì.. proprio lui.. l’uomo che maggiormente ho amato in tutta la mia vita, l’uomo per il quale chiesi a Zeus il dono dell’immortalità, affinché potesse restare al mio fianco per sempre!”

 

“Eos…” - Tentò di dire qualcosa Pegasus.

 

“Se anche Atena crede nell’amore, come voi professate, nobili Cavalieri, allora salvatela! Correte sull’Olimpo e salvatela! Il mondo ha bisogno di qualcuno che creda nell’amore!” –Esclamò Eos, prima di chiudere gli occhi, e non parlare più.

 

Andromeda si commosse, versando lacrime sincere, e anche Pegasus restò colpito dalla forza interiore della Dea, della donna che c’era in lei, che alla fine le aveva permesso di morire con dignità e onore.

 

“Lasciatela a me!” –Intervenne infine Euro. –“La porterò sull’Olimpo, cosicché anche Titone possa onorare la sua memoria! E poi la seppellirò in Tracia, nella nostra caverna, dove i venti del mondo continuamente la faranno sentire viva!”

 

“Chi sei, tu?” –Domandò Pegasus, osservando il giovane sollevare con cura la donna e ricoprire il suo corpo ferito con un bianco mantello.

 

“Sono suo figlio, Euro, il Vento dell’Est!” – Rispose il ragazzo.

 

Pegasus inizialmente fece un passo indietro, temendo che il Dio volesse attaccarli, per vendicare la morte della madre come aveva fatto Borea poco prima. Ma Euro non disse niente, osservando dispiaciuto il volto della madre, e volgendo loro le spalle. Aprì le ampie ali azzurre della sua Armatura Celeste e poi si librò in aria, leggero come una piume. Prima di scomparire si voltò di nuovo e si rivolse a Pegasus e Andromeda.

 

“Siete degni della vostra fama, Cavalieri di Atena!” –Esclamò. –“Ma fate attenzione! Non tutti gli Dei dell’Olimpo saranno così accondiscendenti nei vostri riguardi!”

 

“Cosa ne sarà di te?” –Domandò Andromeda, preoccupato che Zeus gliela facesse pagare, per aver disobbedito ai suoi ordini.

 

“Ooh.. non curatevi di me! Sono convinto che presto Zeus avrà ben altri pensieri, che occuparsi del figlio ribelle di una Divinità minore!” –Ironizzò Euro. –“Chissà.. forse ci rivedremo pure..” –Detto questo scomparve in un lampo di luce, portando con sé la madre.

 

Borea, Vento del Nord, si rialzò poco dopo, stordito e barcollante, di fronte agli occhi sorpresi di Pegasus e Andromeda, che stavano aiutando Tisifone, Asher e gli altri a rimettersi in piedi.

 

“Non avrai intenzione di combattere ancora?” –Mormorò Tisifone, osservando il giovane bruciare il suo cosmo.

 

“Sono stato inviato per questo, donna!” –Esclamò il Dio del Vento del Nord. –“E porterò a termine la mia missione!”

 

“Sei rimasto solo!” – Lo schernì Pegasus.

 

“Cosa importa? Basta uno solo di noi per eliminarvi!” –E detto questo, espanse il proprio cosmo, lanciando contro di loro un’impetuosa tempesta energetica. – “Vento del Nord! Spazzali via!”

 

Tisifone e Asher furono sollevati nuovamente da terra e spinti indietro e se non fosse stato per la rapidità con cui Andromeda lanciò le sue catene si sarebbero schiantati contro una parete rocciosa, ma il ragazzo intervenne prontamente, afferrandoli. Borea aumentò allora l’intensità del proprio attacco, sollevando da terra anche Pegasus e Andromeda, nonostante la resistenza delle Armature Divine. Pegasus si dibatté nell’aria, cercando di scagliare il Fulmine, ma i suoi colpi non raggiunsero Borea, travolti dal vento impetuoso. Andromeda lanciò nuovamente la catena di Andromeda, che si moltiplicò e conficcò nel terreno, impedendo al ragazzo di volare via, ma mettendolo in una scomoda situazione, impegnato anche a tenere Asher e Tisifone.

 

“Lasciaci andare, Andromeda!” –Esclamò infine Asher, iniziando a dare colpi alla catena, per lasciar libero l’amico di contrattaccare.

 

“Non la spezzerai mai a mani nude, Asher!” –Urlò Pegasus, roteando all’interno del vortice, grazie alle ali della sua Armatura.

 

Brucia mio cosmo! Esclamò Pegasus, espandendo ancora il proprio cosmo lucente. Il Cavallo alato della Mitologia apparve improvvisamente su di lui, aprendo le sue bianche ali, capaci di resistere anche a quella tempesta. Pegasus roteò su se stesso, prima di assumere la forma di una luminosa cometa, dirigendosi verso Borea.

 

Il Dio del Vento del Nord fu molto sorpreso nel vedere il ragazzo muoversi ad una tale velocità all’interno del vortice da lui creato, e non poté far niente per evitare l’impatto. Pegasus scaraventò Borea indietro, fino a farlo schiantare contro la parete rocciosa, mentre la sua Veste Divina veniva nuovamente incrinata. La bufera cessò, permettendo ad Andromeda e agli altri due di ricadere a terra. Andromeda srotolò prontamente le Catene, lanciandole avanti per afferrare Borea, ma questi scattò via, iniziando a correre alla velocità della luce intorno al ragazzo, col risultato che le Catene si attorcigliarono tra loro e Andromeda fu scaraventato in alto dall’improvviso attacco del Dio del Vento del Nord. Improvvisamente una scarica energetica colpì Borea in pieno, spingendolo a terra, con la faccia sul ruvido selciato.

 

“Cosa?!” – Esclamò Pegasus, stupito.

 

Dalla scalinata che conduceva alla Casa di Ariete scesero tre figure. Una donna, che reggeva in mano un bastone a forma di tridente argentato, da cui era appena partita la scarica energetica, e due Cavalieri, piuttosto malconci a giudicare dalla ferite sui loro volti e dalle crepe nelle loro corazze.

 

“Ilda!!!” –Gridò Pegasus, sorpreso ma felice. –“Allora era tuo il cosmo! Mi sembrava di averlo già incontrato!”

 

“Felice di rivederti, Cavaliere di Pegasus!” –Esclamò Ilda di Polaris. Anche Andromeda si avvicinò al trio, salutando con gioia Mizar e Alcor, pieno di mille domande da fare loro.

 

“Rimandiamo il tempo della conversazione!” –Esclamò Ilda, indicando avanti a sé.

 

Borea si stava rimettendo in piedi, e dall’espressione rabbiosa sul suo volto, i Cavalieri capirono che non aveva intenzione di arrendersi. Mizar e Alcor scattarono improvvisamente avanti, sfoderando gli Artigli della Tigre nordica in un doppio attacco congiunto.

 

“Bianchi Artigli della Tigre!” – Esclamarono i fratelli, sfrecciando verso il nemico.

 

Borea tentò di difendersi scagliando nuovamente il Vento del Nord, ma la debolezza del suo attacco, unito alla grande capacità di resistenza dei Guerrieri del Nord a tempeste e temperature rigide, permise a Mizar e Alcor di continuare a proseguire, seppur rallentanti, verso il Dio del Vento del Nord, colpendolo più volte. Un affondo di Mizar ferì Borea sul fianco sinistro, facendolo urlare di dolore, mentre gli affilati artigli di Alcor si piantavano nel suo pettorale.

 

“Via!” – Urlò improvvisamente Ilda, ordinando ai suoi Guerrieri di allontanarsi.

 

Concentrò la propria energia cosmica nel tridente argentato e lo scagliò contro Borea, a incredibile velocità. Il Dio, indebolito e sorpreso, non riuscì ad evitare completamente l’arma che si piantò sul suo fianco sinistro, sopra lo squarcio aperto da Mizar, facendolo urlare come un pazzo, in preda al dolore. Scariche energetiche percorsero il corpo del Dio del Vento del Nord, vibrando sulla sua Armatura già scheggiata, fino a esaurirlo completamente, facendolo accasciare al suolo, in una pozza di sangue.

 

“Maledetti... tutti quanti.. Zeus ve la farà pagare! Egli ha già preso la testa di Atena! Verrà a prendere anche quella di Odino!” – Sibilò Borea, rantolando sul terreno.

 

“Cosa vuoi dire con questo?” –Urlò Pegasus. – “Cos’è successo ad Atena? Cosa le ha fatto Zeus?”

 

“Eheheh...” – La risata sinistra di Borea fu l’ultimo suono che il Dio emise, prima di morire, lasciando i Cavalieri impauriti e insoddisfatti.

 

La battaglia era finalmente terminata, dopo lunghe ore di lotte sanguinose che avevano trasformato la serena immagine del Grande Tempio di Atena in una grande arena. Numerosi erano i caduti tra le file dei difensori di Atena, Birnam della Bussola prima di tutti, e poi le centinaia di soldati che sarebbero stati tutti onorati. Mizar e Alcor aiutarono Asher e gli altri Cavalieri a rimettersi in piedi, ma si accorsero fin subito che le loro condizioni erano preoccupanti. Ban aveva un braccio rotto, mentre Black aveva il viso completamente sfregiato. Geki poi sembrava non riuscisse neppure a respirare, e tutto questo fece rattristare non poco l’animo di Pegasus e Andromeda.

 

Pegasus si guardò intorno, e non poté fare a meno di notare l’enorme sfacelo in cui versava il Grande Tempio. Macerie e detriti, cadaveri ammucchiati, e un fetore che si stava diffondendo minaccioso. La stanchezza per la battaglia si fece sentire anche su di lui e su Andromeda, e su Tisifone, Mizar e Alcor, bisognosi di cure come tutti. Un pensiero guizzò improvvisamente nella mente di Pegasus. Si voltò di scatto, osservando i volti presenti, e chiedendosi dove fosse Castalia.

 

La Sacerdotessa dell’Aquila comparve sul piazzale del Grande Tempio pochi minuti dopo, scendendo dalla distrutta scalinata di marmo che conduceva alla Prima Casa d’Ariete, davanti agli occhi attoniti dei presenti rimasti. Mizar e Alcor avevano aiutato Kiki e i giovani infermieri a portare Asher e gli altri all’ospedale, per essere anche loro curati, lasciando Ilda e Tisifone a discutere con Pegasus e Andromeda nel piazzale del Santuario.

 

“Pegasus!” – Esclamò Castalia, dall’alto della scalinata.

 

“Castaliaaa!” –Urlò il ragazzo, correndole incontro. –“Ma allora sei viva? Sono così felice.. così…”

 

Ma la gioia del ragazzo si tramutò in stupore, quando si accorse che a fianco della donna c’era un uomo ricoperto da una scintillante Armatura Celeste. E poi diventò preoccupazione quando vide il corpo della giovane coperto di graffi e ferite, l’armatura distrutta e... il suo viso! Per la prima volta Pegasus poté guardare Castalia negli occhi, in quegli occhi verdi che avevano ammaliato l’uomo al suo fianco. Sorrise, per un attimo Pegasus sorrise, ripensando a quando aveva creduto che Castalia fosse sua sorella. No, non lo è! Commentò il ragazzo, riconoscendo che il viso della donna era notevolmente diverso da quello di Patricia.

 

“Non aver paura, Pegasus! Egli non ti attaccherà!” –Esclamò Castalia, prevenendo la domanda del giovane. –“Questi è Phantom dell’Eridano Celeste, Luogotenente dell’Olimpo! Ed è forse l’unico Cavaliere Celeste ad avere il coraggio di ammettere l’ingiustizia di cui si sta macchiando il suo Signore!”

 

“È un onore per me incontrarti di persona, Cavaliere di Pegasus!” –Affermò il giovane, osservando il ragazzo ricoperto dall’Armatura Divina, splendidamente decorata. –“Le tue gesta sono arrivate anche sull’Olimpo e se per qualcuno sono fonte di irritazione, per il tuo atteggiamento bellicoso contro le Divinità, per me sono causa di ammirazione e di stima! Spero un giorno, se le circostanze lo vorranno, di poter combattere al tuo fianco, per capire cos’è, alla fine, che ti distingue così tanto!” –Detto questo, Phantom si allontanò da loro, scendendo nel piazzale del Grande Tempio, per sincerarsi delle condizioni di tutti i Cavalieri Celesti, di tutti quelli che aveva condotto alla morte.

 

Castalia, Tisifone, Ilda, Pegasus e Andromeda rimasero a parlare per una buona mezz’ora, riferendo tutte le notizie in loro possesso, in modo che anche Pegasus e Andromeda potessero disporre di un chiaro quadro degli eventi.

 

“Mio fratello è sull’Olimpo?” – Domandò Andromeda, preoccupato.

 

“Non so cosa gli sia accaduto, Andromeda! Ci siamo separati e non l’ho ritrovato!” –Rispose candidamente Castalia.

 

“Quindi è ancora là…”

 

“Tuo fratello è tra le braccia di Morfeo!” –Intervenne il Luogotenente dell’Olimpo, raccontando quanto visto ore prima. – “Non so quali fossero le intenzioni del figlio di Ares, ma è chiaro che ha obbligato il Dio del Sonno a incantare la Fenice, facendola precipitare in un sonno artificiale!”

 

“E Sirio? E Cristal?” – Incalzò Pegasus.

 

“Di Sirio non abbiamo notizie! In quanto a Cristal, dovrebbe trovarsi al sicuro, alla corte di Odino ad Asgard!” –Spiegò Castalia, raccontando a Pegasus e Andromeda degli strani eventi che Ilda aveva riportato.

 

“Sono certa che è al sicuro!” –Commentò Ilda, ma in fondo non ne era troppo convinta neppure lei.

 

“Vorrei che lo fosse anche Atena!” – Rispose Pegasus.

 

“La vostra Dea corre un grave pericolo, Cavalieri!” –Spiegò loro Phantom. –“È stata incatenata da fulmini incandescenti alla Torre Bianca dell’Olimpo, nel punto più estremo del Regno di Zeus! E là si consumerà il suo destino, un’atroce agonia a cui suo Padre l’ha condannata!”

 

“Dobbiamo salvarla!” – Esclamò Pegasus, mentre anche Andromeda annuì.

 

“E come farete? In due?” –Affermò Phantom.

 

“Non sono in due, ci siamo anche noi!” –Esclamarono Castalia e Tisifone.

 

“E anche Asgard darà una mano! Non soltanto per riconoscenza verso Isabel e i suoi Cavalieri, ma anche perché i destini del mondo interessano anche noi!” –Commentò Ilda. –“Se Zeus vuole la Terra per sé, non credo che lascerà stare il Regno del Nord! Regno che ha già barbaramente attaccato giorni fa!”

 

“Umpf.. un vero esercito!” –Ironizzò Phantom, sospirando. Quindi si allontanò dal gruppo, preparandosi per rientrare sull’Olimpo.

 

“Phantom!” – Lo richiamò Castalia, sperando di trattenerlo.

 

“Devo rientrare, mi dispiace!” –Commentò lui, voltandosi un’ultima volta verso di lei. – “Sono il Luogotenente dell’Olimpo, e devo riferire al Sommo Zeus l’esito di questa disastrosa battaglia!”

 

“Abbi cura di te!” – Mormorò Castalia.

 

“Lo farò... e se vuoi farlo anche tu, non mettere piede sull’Olimpo!” –Esclamò il Cavaliere Celeste, facendo bruciare il proprio cosmo.

 

“Non posso farlo.. devo continuare a combattere per i miei ideali!” –Rispose Castalia, con voce serena. –“Quegli stessi ideali che ami anche tu!”

 

Phantom non aggiunse altro, scomparendo in un lampo di luce, e raggiungendo l’Olimpo pochi istanti dopo. Pegasus e i suoi amici rimasero a discutere ancora per poco, preoccupandosi semplicemente di curare le proprie ferite e rimettersi in forma. La decisione era stata presa, ed era la più ovvia possibile, la più necessaria.

 

Raggiungere l’Olimpo e salvare Atena, anche se questo significa affrontare Zeus, le Divinità Olimpiche e tutti i Cavalieri Celesti posti a loro difesa! Mormorò Pegasus, mentre il proprio sguardo si perdeva nelle dense nuvole che avvolgevano il monte degli Dei.

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** La scalata dell'Olimpo ***


CAPITOLO DICIASSETTESIMO

CAPITOLO DICIASSETTESIMO. LA SCALATA DELL’OLIMPO.

 

Giunse infine la sera di quel lungo giorno, in cui il Grande Tempio aveva subito il più tremendo attacco mai portato prima, neppure paragonabile all’assalto delle truppe di Ade durante la Guerra Sacra. Un attacco che, come ogni altro, aveva lasciato dietro sé una lunga scia di sangue e di dolore. L’infermeria del Grande Tempio era strapiena di feriti e le giovani Sacerdotesse, aiutate da Kiki e da alcune donne anziane, facevano fatica a curare tutti i soldati bisognosi. Ilda e i Cavalieri di Asgard si offrirono per dare loro una mano, come fece Andromeda, rattristato nel vedere un simile spettacolo. Asher, Ban, Black, Aspides e Geki erano in condizioni veramente gravi, e anche Tisifone non stava affatto bene, nonostante il caldo cosmo del Cancro le avesse restituito un po’ di forze. La Celebrante di Odino partecipò attivamente alla cura dei feriti, insegnando alle giovani ragazze alcune ricette particolari di Asgard, come decotti di erbe, e altre tecniche utili per il medicamento dei malati.

 

Pegasus rimase a conversare con Castalia tra le rovine del Grande Tempio e la ragazza riuscì a convincerlo a rimandare di qualche ora la partenza, per permettere ai dottori di curare le loro ferite.

 

“Atena ha bisogno di Cavalieri sani ed efficienti, non di un gruppo di folli suicidi che non riuscirebbe neppure a superare il cancello dell’Olimpo!” – Esclamò Castalia, affidando Pegasus alle cure dei medici.

 

A mezzanotte in punto Pegasus e i suoi compagni si incontrarono alla Prima Casa dell’Ariete, pronti per partire alla volta dell’Olimpo. Pegasus e Andromeda indossavano le loro Armature Divine, Tisifone quella del Cancro, mentre Castalia, Mizar e Alcor avevano ancora indosso le loro corazze, seppur notevolmente danneggiate. Anche Ilda sarebbe partita con loro, nonostante le pressanti richieste dei suoi Cavalieri affinché restasse al sicuro al Grande Tempio.

 

“Non posso rimanere inerme mentre i miei guerrieri rischiano la vita, mentre la Dea  Atena soffre nuovamente per difendere la giustizia e l’umanità intera! Ma non preoccupatevi, non sarò un peso!” – Esclamò Ilda, risoluta più che mai.

 

“Perfetto! Allora possiamo partire!” –Incitò gli amici Pegasus.

 

“Vi porterò io fino all’Olimpo!” –Intervenne Kiki. –“Birnam mi ha insegnato la strada!” – Aggiunse, dando la mano a Pegasus e a Castalia, e pregando tutti gli altri di fare lo stesso.

 

Le porte dello spaziotempo vibrarono per un istante e Kiki, sostenuto dai cosmi dei suoi compagni, condusse i sette fino alle pendici del Monte Olimpo.

 

“Ecco!” –Mormorò il ragazzo, accasciandosi esausto per lo sforzo mentale. –“Di più non posso fare! I miei poteri si fermano alle porte dell’Olimpo!”

 

“Non preoccuparti, Kiki!” –Lo baciò Andromeda. – “Hai già fatto abbastanza!”

 

“Birnam ci disse che qualcuno gli aveva permesso di raggiungere l’Olimpo!” –Intervenne Castalia. – “Mi chiedo chi sia questo misterioso alleato!”

 

“Beh, a quanto pare sono in molti ad opporsi alla tirannia di Zeus! Anche Euro e Phantom!” –Esclamò Pegasus.

 

“Frena il tuo impeto, Pegasus, e non farti fatue illusioni! Il fatto che un Cavaliere Celeste non approvi completamente l’operato del proprio Dio non significa che sia disposto a ribellarsi a lui!” – Precisò Castalia. –“Se Zeus ordinerà di massacrarci, come probabilmente farà avendo già percepito il nostro arrivo, non credo che qualche Cavaliere Celeste si tirerà indietro!

 

“Questo non fermerà i nostri propositi!” –Urlò Pegasus, esaltato. –“Coraggio! Andiamo!”

 

Detto questo si lanciò avanti, correndo lungo l’erboso pendio del Monte Olimpo, affiancato da Andromeda, e seguito da Tisifone, Castalia, Mizar, Alcor e Ilda. Kiki si appoggiò a un albero, osservando i propri compagni lanciarsi nella più pericolosa delle loro imprese. La scalata dell’Olimpo aveva finalmente inizio.

 

I sette compagni non percorsero neppure cento metri che subito il loro cammino fu bloccato. Un boato tremendo scosse il terreno, e da esso uscirono poco dopo gigantesche figure deformi. I Giganti di Pietra, Custodi del Monte Olimpo.

 

“I Giganti di Pietra!” – Esclamò Ilda, puntando avanti il suo bastone. La luce del tridente illuminò per un attimo l’oscuro paesaggio, rivelando una decina di sagome di immensi guerrieri, tozzi e ricoperti di armature lucenti.

 

“Sono i Custodi dell’Olimpo! Non ci faranno certamente passare!”

 

“Beh, troveremo comunque un modo!” –Urlò Pegasus, scattando avanti, lanciando il Fulmine di Pegasus. Il colpo, seppur forte e veloce, si schiantò contro il grande scudo di un gigante, senza smuoverlo minimamente. E Pegasus capì che non sarebbe stato facile oltrepassare quella difesa.

 

Una decina di Giganti, uno accanto all’altro, sbarravano il passo ai Cavalieri di Atena e Odino, una cintura difensiva col compito di scoraggiare chiunque volesse invadere il Monte degli Dei. Al di là di essi, un ripido sentiero conduceva al Cancello dell’Olimpo, la vera entrata del Regno di Zeus.

 

“Cobra Incantatore!” –Urlò Tisifone, lanciandosi contro un Gigante, ma questi parò il suo colpo, spingendo indietro la Sacerdotessa con una secca botta del suo scudo, e facendole sbattere la faccia a terra.

 

Mizar e Alcor subito scattarono verso il Gigante, sfoderando i Bianchi Artigli della Tigre, che non riuscirono però a superare la resistente difesa offerta dagli scudi delle mostruose creature.

 

“Una solida barriera protegge il Monte Olimpo!” –Commentò Ilda, osservando i suoi Guerrieri venire spinti indietro dalla furia dei Giganti.

 

“Dobbiamo aggirare l’ostacolo!” –Rifletté Castalia. –“Ed evitare uno scontro aperto di forza fisica!”

 

Intanto Pegasus aveva cambiato tattica, preferendo concentrare tutti i suoi colpi in un unico punto, in modo da frantumare lo scudo di un Gigante. Si lanciò quindi in alto, roteando su se stesso ed espandendo al massimo il proprio cosmo, creando una luminosa Cometa Lucente che si diresse verso i Giganti. Questi, colti un poco di sorpresa, lanciarono spade e lance contro di essa ma tutte le loro armi vennero respinte dall’incandescente cometa che si schiantò contro lo scudo di uno di loro, mandandolo in frantumi, e trapassando l’intera creatura, distruggendola.

 

“Ma… ma.. sono realmente fatti di pietra!” –Commentò Pegasus, osservando il Gigante da lui colpito sgretolarsi in un attimo.

 

“Ma sorretti da cosmo divino!” –Continuò Castalia, evitando una lama nemica.

 

“Pegasus ci ha aperto la via, e noi non staremo certo qua ad osservarlo correre da solo sull’Olimpo!” – Esclamò Andromeda, liberando la sua Catena.

 

La Catena di Andromeda saettò rapida verso un Gigante, ma invece di puntare allo scudo, che riteneva troppo resistente, puntò sulle gambe, attorcigliandosi ad esse. Immediatamente la catena liberò una violenta scarica energetica, che fece vibrare l’intero Gigante, che la afferrò per cercare di liberarsene, ma gli fu fatale. Il colosso di pietra cadde all’indietro, percorso da scariche energetiche, mentre Andromeda balzava dall’alto su di lui, scagliando le Onde del Tuono, che penetrarono nella corazza e nel corpo stesso del Gigante, frantumandolo in più punti. Con un altro balzo anche Andromeda fu al di là della barriera, in tempo per aiutare Pegasus con un nuovo Gigante.

 

“Andate avanti, voi!” –Esclamò Ilda, rivolgendosi alle due Sacerdotesse. –“Affronteremo noi i Giganti!”

 

“Ma non ce la farete!” – Rispose Castalia, preoccupata. – “Sono troppi!”

 

“Non curatevi di noi, Sacerdotesse di Atena, ma pensate ad arrivare alla bianca Torre dell’Olimpo! Troveremo il modo per raggiungervi!” – E nel dir questo, sollevò il tridente argentato, dalla cui punta partì un violento raggio energetico, diretto contro un Gigante che stava per attaccarle.

 

Il Gigante fu letteralmente trapassato dal colpo di Ilda e, quasi come se stesse impazzendo per il dolore, iniziò a dare colpi a casaccio con la propria lancia. Un secondo raggio energetico lo distrusse completamente, liberando la via alle due Sacerdotesse.

 

“Abbi cura di te, Celebrante di Odino!” – Esclamò Castalia, sfrecciando avanti insieme a Tisifone.

 

Lo farò! Sospirò Ilda. Ma promettimi che lo farete anche voi, giovani Cavalieri della Speranza! Ed osservò Pegasus e Andromeda fare a pezzi un altro Gigante, mentre Mizar e Alcor liberavano il loro potere glaciale per fermarne altri. Castalia e Tisifone afferrarono Pegasus e Andromeda, strattonandoli lungo il sentiero nel bosco, diretti verso il Cancello. Ilda li osservò perdersi tra gli alberi, prima di continuare a combattere contro i rimanenti Giganti, e per un attimo provò la spiacevole sensazione che non sarebbe mai giunta insieme a loro alla Torre Bianca dell’Olimpo.

 

Pegasus, Andromeda, Castalia e Tisifone corsero a perdifiato lungo l’irto sentiero, che scoraggiava i rari visitatori del Monte Olimpo, fino a giungere ad un’ampia radura, al termine della quale sorgeva un elegante, quanto grandioso, cancello, unico passaggio per superare le bianche mura di confine. Ai due lati del Cancello due luminose fiaccole rischiaravano il paesaggio.

 

“Il Cancello!” – Gridò Pegasus, scattando avanti.

 

In quel momento la Catena di Andromeda vibrò repentinamente, ma il Cavaliere non fece in tempo ad avvertire gli amici che un enorme tuono esplose nell’aria notturna, prima che un’incandescente tempesta di folgori travolgesse i quattro Cavalieri scaraventandoli lontano, a terra o contro i tronchi degli alberi.

 

“Ma cosa…?” –Brontolò Pegasus, rialzandosi.

 

“Non avrete creduto di poter passare il Cancello dell’Olimpo così impunemente?!” –Esclamò la virile voce di un uomo. – “A comuni mortali come voi non è concesso di varcare questa soglia!”

 

Un fulmine si schiantò proprio davanti al cancello, illuminando l’intero paesaggio, permettendo a Pegasus e ai suoi compagni di vedere una scintillante Armatura Celeste risplendere davanti a loro. In piedi in cima al bianco muro di confine, c’era il Custode scelto per fermarli, una vecchia conoscenza di Pegasus e Andromeda. Alto e robusto, con un viso maschile e massiccio, barbetta incolta, occhi azzurri e capelli mossi: Bronte del Tuono, uno dei tre Ciclopi Celesti.

 

“Bronte!” –Esclamò Pegasus, riconoscendo l’uomo che avevano affrontato neppure ventiquattro ore prima.

 

 “Ci ritroviamo, Cavalieri di Atena!” –Commentò il Ciclope, con aria di sdegno.  “Come vi dissi a Nuova Luxor, un Ciclope termina sempre la missione a lui affidata dal Sommo Zeus! E quale occasione migliore di questa?!”

 

“Cedi il passo o passeremo con la forza!” –Urlò Pegasus, pronto per scattare avanti. Ma Andromeda lo fermò, afferrandolo per un braccio. E facendogli cenno di calmarsi.

 

“L’uomo che hai di fronte non è un normale avversario!” –Gli rammentò. –“Non ricordi a Luxor? I nostri due cosmi uniti sono stati appena sufficienti per ferirlo! Dobbiamo essere prudenti!”

 

“Cosa suggerisci, allora?” –Chiese Pegasus.

 

“Affrontarlo tutti insieme! Non avrà il tempo di fermarci tutti! E chi riuscirà a varcare il Cancello proseguirà verso la Reggia di Zeus!”

 

“Senza voltarsi indietro?” – Domandò Pegasus.

 

“Senza voltarsi indietro!” – Sospirò Andromeda.

 

Castalia e Tisifone annuirono, seppur angosciate all’idea di doversi confrontare col Ciclope. Avevano combattuto contro Sterope, suo parigrado, e sapevano quanto potevano essere tremendi tali Cavalieri. Tuttavia approvarono il piano, bruciando il loro cosmo, e scattarono avanti ai fianchi di Pegasus e Andromeda. I quattro Cavalieri lanciarono insieme i loro colpi segreti, uno dopo l’altro, per impegnare maggiormente Bronte, correndo verso il Cancello dell’Olimpo. Ma ebbero una brutta sorpresa.

 

Bronte schivò il Fulmine di Pegasus, il primo colpo a raggiungerlo, con facilità, prima di lanciarsi di sotto, evitando le guizzanti Catene di Andromeda, e atterrando sul selciato proprio tra il Cancello e i quattro amici. Non fece neppure caso ai colpi di Castalia e Tisifone che, se anche lo raggiunsero, non intaccarono neppure la liscia superficie della sua Armatura Celeste. Portò avanti il braccio destro, scatenando una violenta tempesta energetica, simile ai Fulmini dell’Eternità di Sterope, ma meno elettromagnetica.

 

“Tuonò dell’Olimpo!” –Vociò il Ciclope, mentre scariche incandescenti, da lui create, travolsero i quattro Cavalieri di Atena.

 

Castalia e Tisifone furono scaraventate lontano, incapaci di difendersi, mentre Andromeda tentò, con gesto disperato, di richiamare le Catene creando la Difesa Circolare per difendere lui e Pegasus. Ma non ci riuscì e fu travolto insieme all’amico.

 

“Perfetto!” –Commentò Bronte, con aria soddisfatta. –“I Giganti elimineranno gli ultimi tre invasori! Le preoccupazioni di Flegias erano infondate!” –E voltò le spalle ai quattro Cavalieri, pronto per rientrare sull’Olimpo. Ma una debole voce lo richiamò.

 

“Aspetta un momento, Ciclope Celeste! Non crederai che sia già finita!” –Esclamò Pegasus, rialzandosi.

 

“Pegasus! Ancora vivo?!”

 

“L’Armatura rinata col Sangue di Atena mi protegge, non dimenticarlo, Ciclope Celeste! Queste vestigia sono pari alle tue! Inoltre Andromeda si è messo di fronte a me per proteggermi, in modo che il tuo colpo mi raggiungesse soltanto in parte!”

 

“Nobile gesto quello del tuo compagno! Ma futile! Visto che morirai comunque!” –Commentò Bronte, bruciando il proprio cosmo celeste.

 

“La nobiltà di un uomo non sta nei grandi gesti, ma nelle piccolezze! Esse rendono un’amicizia degna di essere vissuta!” – Rispose Pegasus.

 

“E allora muori! Ringrazierai il tuo amico dall’aldilà!” – Urlò Bronte, creando un furioso vortice di energia, che scagliò contro il ragazzo. – “Vortice Impetuoso dei Ciclopi Celesti!

 

Il turbine energetico illuminò la radura, sollevando polvere e detriti, prima di avvolgere Pegasus tra le sue spire. Il ragazzo cercò di difendersi, portando entrambe le mani avanti e concentrando su esse il suo cosmo, quasi a voler creare un muro difensivo. Ma non ci riuscì e fu sollevato in alto, iniziando a roteare all’interno del vortice, mentre fulmini incandescenti stridevano sulla sua Armatura. Bronte osservò soddisfatto il risultato del proprio lavoro, ma una strana angoscia in fondo al cuore lo spinse a non cantare vittoria troppo presto. Pegasus infatti cercò di reagire, espandendo ancora il proprio cosmo, determinato più che mai a superare il Cancello e raggiungere Isabel. Bruciò il suo cosmo celeste, roteando su se stesso, circondato dalle tredici stelle di Pegasus, mentre le ali della sua Armatura si aprivano improvvisamente, permettendo al ragazzo, pur se a fatica, di uscire dall’impetuoso vortice, sorprendendo un esterrefatto Bronte.

 

Cometa Lucente!” – Gridò Pegasus, vorticando su se stesso fino a diventare una luminosa cometa energetica, che si diresse verso Bronte alla velocità della luce.

 

“Groviglio di Fulmini!” –Urlò Bronte, creando la propria barriera difensiva, sulla quale si schiantò la Cometa Lucente.

 

Lo scontro tra i due grandi poteri spinse entrambi indietro di parecchi metri, facendoli cadere a terra. Ma subito si rialzarono, pronti a darsi nuovamente battaglia.

 

“I miei complimenti, Cavalieri di Atena!” –Affermò Bronte, leggermente affaticato. –“Sei riuscito a liberarti dal Vortice dei Ciclopi!”

 

“E saprò anche rispedirtelo indietro, Bronte!” – Replicò Pegasus, ansimando per lo sforzo.

 

“Provaci!” – Sibilò Bronte, rilanciando il Vortice impetuoso dei Ciclopi Celesti.

 

Il turbine energetico travolse nuovamente Pegasus, ma non riuscì a sollevarlo in alto, nonostante la forte pressione esercitata su di lui.

 

“Iaiii!” – Urlò il ragazzo, spingendo con tutte le sue forze avanti a sé.

 

“Non è possibile! Un umano non può tanto!” – Commentò Bronte, osservando Pegasus, a braccia tese, respingere il suo vortice energetico.

 

Il turbine cambiò infine direzione, spinto da Pegasus e dal suo cosmo, travolgendo Bronte e scagliandolo in alto, fino a farlo ricadere proprio contro il muro bianco di confine. Il Ciclope si rialzò sputando sangue, e maledicendo la propria stoltezza nell’aver sottovalutato quel ragazzino. Avrei dovuto eliminarlo a Luxor, quando ancora non aveva ricordato! Commentò, rimettendosi in piedi. E cercando Pegasus per ucciderlo. Ma non lo trovò.

 

“Eh?” –Si chiese, mentre due mani lo stringevano con forza da sotto le braccia.

 

“Spirale di Pegasus!” – Urlò Pegasus, bruciando il proprio cosmo e sollevando Bronte con sé.

 

I corpi dei due Cavalieri, avvolti dalle scintille del cosmo di Pegasus, rotearono sopra il Cancello dell’Olimpo, prima che, con un rapido gesto, Pegasus allentasse la presa, afferrando Bronte per un braccio e scagliandolo via, fino a farlo nuovamente sbattere contro il muro di confine, che crollò in più punti.

 

“Maledetto!” – Urlò Bronte, rimettendosi in piedi.

 

Con orrore si accorse che in numerosi punti la sua Armatura Celeste presentava delle crepe, nonostante l’avesse fatta riparare da Efesto proprio poche ore prima.

 

“Beh, ne hai abbastanza, portinaio dell’Olimpo?” – Lo schernì Pegasus, sempre in posizione di combattimento.

 

“Taciiii!” – Gridò Bronte, fuori di sé per l’umiliazione.

 

E scagliò contro Pegasus il Tuono dell’Olimpo, un colpo dal devastante impatto, simile a una violenta carica di buoi, che colpì il ragazzo in pieno, scagliandolo parecchi metri indietro, facendogli perdere anche l’elmo della sua Armatura.

 

“Hai sfregiato la mia Armatura, vile mortale! Pagherai col sangue questo affronto!”

 

“Eh eh...” –Ridacchiò Pegasus, rialzandosi e sputando sangue. – “E come mi colpirai? Col tuo invincibile Vortice che posso rimandare indietro?!”

 

Ancora una volta Bronte si adirò, scagliando nuovamente il Tuono dell’Olimpo contro Pegasus. E ancora una volta il ragazzo venne colpito e scaraventato indietro, schiantandosi contro un albero che crollò per il colpo.

 

“Posso colpirti quando voglio, ragazzino! Non sottovalutare un Ciclope Celeste!”

 

“E tu non sottovalutare la natura umana, Bronte del Tuono!” – Commentò Pegasus, rialzandosi nuovamente, col viso pieno di graffi e sangue. – “Non sai quanto testardi riusciamo ad essere, noi uomini, quando siamo determinati, quando siamo accesi da una fiamma immortale!”

“E cosa ti spinge a tanto, Cavaliere? Soltanto il disperato tentativo di salvare la tua Dea?”

 

“Io combatto per un ideale, Bronte!” –Rispose Pegasus. –“Senza obblighi né costrizioni impostemi da alcuna tirannica Divinità! Combatto per salvare Atena, e con essa l’umanità, per dare agli uomini un futuro e una luce!”

 

“Il futuro degli uomini è già scritto, Pegasus! Appartiene a Zeus e per tale motivo essi lo serviranno!” – Urlò Bronte, bruciando il proprio cosmo.

 

“Il futuro appartiene soltanto agli uomini stessi! Loro, con le proprie azioni e i propri gesti, lo determineranno! Da nessuna barriera costretti, secondo il loro libero arbitrio!”

 

“Eresie!” – Commentò Bronte, sputando per terra.

 

“Si vede che non hai mai letto Pico della Mirandola!” – Mormorò Pegasus.

 

“E perché avrei dovuto farlo? Un altro di quei filosofi mortali che si degna di eruditismo, che parla di Dio e degli uomini senza aver mai conosciuto il primo, né compreso i secondi! Perché se così fosse stato, non avrebbe potuto non notare la loro effimera essenza! La loro temporanea presenza nel mondo, che li rende deboli e destinati a servire un potere immortale, immensamente superiore  a loro!”

 

“Se credi davvero questo, sei tu che non hai mai compreso gli uomini!” –Commentò Pegasus, con disprezzo.

 

“Gli uomini esistono per servire gli Dei, e il tuo comportamento lo dimostra!” –Precisò Bronte. – “Non è forse per questo che sei qua?!

 

“Oooh.. andiamo.. è inutile parlare con te, Bronte!” –Esclamò infine Pegasus. – “Sei veramente un Dio! Ma non perché sei forte, ma perché non credi nel libero arbitrio dell’uomo!

 

“Sono un Ciclope Celeste, Cavaliere di Pegasus! E combatto per il mio Signore!”

 

“E sia.. dunque..” –Strinse i pugni Pegasus, prima di lanciarsi avanti, scagliando centinaia e centinaia di pugni luminosi. – “Fulmine di Pegasus!”

 

Bronte evitò i numerosi pugni di luce del ragazzo, spostandosi velocemente, prima di rispondere con il proprio colpo: il Tuono dell’Olimpo. Ma quella volta il colpo non andò a segno, in quanto Pegasus lo fermò, a braccia tese, come aveva fermato il Vortice poco prima.

 

“Che cosa? Come puoi resistere? Il Tuono ha una potenza tale da sollevare una mandria di buoi!” – Urlò Bronte, stupefatto.

 

“Non conosci la prima regola di ogni Cavaliere, Bronte?! Un colpo segreto ha effetto soltanto la prima volta su un Cavaliere!”

 

“Bugia!” –Rispose Bronte, indispettito. –“Se un Cavaliere non ha difese sufficienti, continuerà a subire quel colpo anche la seconda e la terza volta, non riuscendo a pararlo né ad evitarlo! Come tu hai subito il Tuono finora!”

 

“Hai così fiducia nel tuo colpo segreto?” – Lo derise Pegasus.

 

“E tu sei davvero così convinto che il potere di un Cavaliere stia soltanto nei suoi colpi segreti?! Sono un Ciclope Celeste, ragazzino, non un apprendista, e posso creare tutti i colpi che voglio usando l’infinita potenza del mio cosmo!” –E nel dir questo concentrò una sfera energetica nella sua mano destra. – “E questa ne è la prova!” –E la scagliò avanti, contro Pegasus.

 

La sfera energetica esplose al contatto col corpo del ragazzo, scagliandolo in alto e danneggiando la sua Armatura Celeste.

 

“E un’altra! E un’altra ancora!” –Urlò Bronte, scagliando decine e decine di sfere incandescenti contro Pegasus, che non riuscì ad evitarle tutte venendo colpito e scaraventato indietro, fino a sbattere la faccia sul terreno.

 

Una possente mano lo afferrò subito per i capelli, sollevandolo, fino a mostrargli una sfera energetica che l’altra mano fece esplodere sul suo pettorale, scheggiando parte della sua corazza.

 

“Addio, Cavaliere!” –Esclamò Bronte, concentrando una nuova sfera energetica sulla mano destra, mentre con la sinistra stringeva il collo del ragazzo.

 

Ma prima che potesse sbattere la sfera contro il corpo del giovane, un sibilo echeggiò nell’aria, mentre una luminosa Catena si arrotolava al braccio del Ciclope Celeste, mandando a vuoto il suo attacco.

 

“Onde del Tuono!” – Urlò Andromeda, appena ripresosi, lanciando anche l’altra catena, che si moltiplicò in decine di altre catene, puntando sul Ciclope Celeste, che scattò indietro e di lato per evitare di essere colpito. Ma la Punta del Triangolo scheggiò la sua corazza in più punti.

 

“Groviglio di Fulmini!” – Esclamò Bronte, creando con dei fulmini la sua barriera difensiva.

 

Le Catene di Andromeda furono attratte dal Groviglio di Fulmini, come fosse una calamita, che fu presto trasformato da Bronte in un impetuoso Vortice che scagliò contro Andromeda, travolgendo il ragazzo e scagliandolo in alto. Bronte lo osservò con soddisfazione ricadere a terra, molti metri addietro, nel momento stesso in cui anche le Sacerdotesse si riprendevano.

 

“Pegasus!” – Urlò Castalia, osservando il ragazzo sanguinante rialzarsi.

 

“Sono contento che vi siate ridestati! Così ne manderò quattro all’aldilà, non uno!” –Esclamò Bronte, concentrando il proprio cosmo sulla mano destra, sotto forma di sfera energetica.

 

“Maledetto!” – Ghignò Tisifone, pronta per scattare avanti. Ma Pegasus la fermò, spiegando che avrebbe continuato lui il combattimento, conoscendo ormai la forza e i colpi segreti del colosso.

 

“Voi correte avanti! La strada per la Torre Bianca è ancora lunga!” –Li incitò Pegasus, bruciando il proprio cosmo.

 

Castalia fece per dire qualcosa, per replicare all’ex allievo, ma Tisifone la incoraggiò ad essere forte, e a lasciare a lui il combattimento. Andromeda le affiancò poco dopo, scattando insieme a loro verso il Cancello. Come previsto, Bronte si lanciò sui tre Cavalieri per fermarli, ma Pegasus lo anticipò, ponendosi nel mezzo, e liberando la devastante energia della sua Cometa Lucente.  Bronte dovette aprire entrambe le mani per contenere il colpo di Pegasus, che non accennava a diminuire di intensità, anzi andò aumentando ancora, fino a travolgere il Ciclope, scagliandolo indietro, fino a farlo sbattere contro il bianco muro di confine. In quel momento Castalia, Tisifone e Andromeda superarono il Cancello dell’Olimpo, correndo velocemente lungo il sentiero.

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** La lunga via per la Reggia ***


CAPITOLO DICIOTTESIMO

CAPITOLO DICIOTTESIMO. LA LUNGA VIA PER LA REGGIA.

 

Pegasus stava combattendo contro Bronte del Tuono, uno dei tre Ciclopi Celesti al servizio del sommo Zeus, di fronte al Cancello dell’Olimpo, dopo aver permesso a Andromeda, Castalia e Tisifone di superarlo ed iniziare a correre lungo il sentiero principale che portava alla Reggia di Zeus. Il combattimento stava andando avanti da quaranta minuti ormai ed entrambi i contendenti erano stanchi, e feriti. L’Armatura Divina di Pegasus era scheggiata in più punti, così come l’Armatura Celeste del Ciclope, e sangue usciva abbondante dalle loro ferite.

 

Pegasus non era soltanto stanco, ma anche preoccupato per i suoi compagni, e soprattutto per Isabel, stritolata dai fulmini di Zeus nella Torre Bianca dell’Olimpo.  Ancora una volta abbiamo il tempo contro! Rifletté il ragazzo, ricordando tutte le precedenti battaglie combattute per salvare la Dea. Al Grande Tempio, ad Asgard, ai tempi di Apollo, Discordia e Lucifero, nel Regno Sottomarino, nell’Elisio. E adesso qua, sull’Olimpo, dove mai avremmo pensato di arrivare! Oh Atena, sento il tuo cosmo fremere, lacerato da mille folgori lucenti! Resisti mia Dea, stiamo venendo da te!

 

Una sfera energetica lanciata da Bronte rubò il ragazzo ai suoi pensieri, costringendolo a concentrarsi sulla battaglia. Il suo avversario non sembrava intenzionato a cedere e, sebbene anch’egli stanco, più di quanto avrebbe creduto, aveva il vantaggio di non aver alcun limite temporale da rispettare.  Non è mia la Dea che sta languendo sul tetto dell’Olimpo! Rifletté Bronte, con un sorriso beffardo. Una Dea che non sento proprio! Commentò, disprezzando l’irresponsabile carattere di Atena, che aveva osato ribellarsi al Padre, il Sommo Zeus, per difendere un’umanità che neppure la conosceva. Bronte non era stato presente al colloquio tra Atena e Zeus, ma Arge e Sterope lo avevano informato appena era rientrato sull’Olimpo, e per quanto Flegias avesse ingigantito i fatti, per fomentare gli animi dei Cavalieri Celesti e delle altre Divinità contro Atena, Bronte era perfettamente d’accordo col suo Signore. Punire una Divinità eretica era l’atto migliore, soprattutto in un momento in cui strane voci giravano sull’Olimpo. Era l’atto necessario per re-imporre la Divina Volontà di Zeus, l’unico Padre di tutti gli Dei!

 

“Fulmineee di Pegasus!”– Urlò Pegasus, scattando avanti.

 

Centinaia di sfere energetiche partirono dal suo pugno destro, dirette verso Bronte, il quale, muovendosi alla velocità della luce, le evitò con destrezza, prima di contrattaccare con il Vortice impetuoso dei Ciclopi Celesti. Il turbine energetico, per quanto non riuscisse a sollevare Pegasus, scaraventandolo in alto, per la resistenza del ragazzo, fu abbastanza potente da spingerlo indietro, facendolo barcollare un istante. Bronte approfittò di quel momento, per balzare in alto, sopra di lui, e lanciargli contro una sfera energetica, così potente da atterrare il ragazzo.

 

Il Ciclope gli fu sopra, scatenando tutta la possanza del Tuono dell’Olimpo, la cui onda d’urto fu talmente grande da spingere Pegasus a terra e poi risollevarlo, prima che un violento calcio di Bronte lo scagliasse lontano, danneggiando ulteriormente la sua Armatura Divina.Pegasus rantolò sul terreno per qualche istante, stordito e piuttosto debole. La sua spavalderia iniziale se ne era andata,  riconoscendo che il Ciclope era avversario di gran lunga superiore a quel che aveva immaginato. Superiore a tutti i nemici che aveva affrontato fino a quel momento, Divinità escluse.

 

Pegasus! Lo chiamò improvvisamente una voce maschile, parlando al suo cosmo. Pegasus, alzati!

 

Pegasus boccheggiò un po’, facendo fatica a riconoscere il cosmo del suo lontano interlocutore. Alzati, Cavaliere di Pegasus! Non hai forse giurato che avresti protetto Atena, sempre e comunque, anche a costo della tua vita? Incalzò la voce dell’uomo. Non ho forse affidato a te, giovane Cavaliere della Speranza, la salvezza della Dea Atena?! Un caldo cosmo, lucente come il sole, invase per un attimo l’intera radura, riconfortando Pegasus dagli affanni del combattimento e lenendo in parte le sue ferite. Alzati adesso, e sconfiggi l’insidioso nemico che ti si è posto di fronte! Egli è forte e risoluto, indubbiamente, ma quale nemico hai mai incontrato che lo fosse meno? La salvezza di Atena dipende anche da te, come da tutti i tuoi compagni che stanno correndo adesso verso la Reggia di Zeus! Alzati e raggiungili, io ti aiuterò, donandoti le mie ali!

 

E improvvisamente Pegasus trovò un’inaspettata forza per rimettersi in piedi, come se un nuovo cosmo fosse confluito nel suo. Poi tutto si oscurò nuovamente, lasciando soltanto il ragazzo e il Ciclope Celeste in piedi uno davanti all’altro. Pegasus sollevò lo sguardo verso la volta stellata, e gli parve che la costellazione del Sagittario gli sorridesse da lontano. Micene! Non ti deluderò! Vincerò anche per te, il primo tra i Cavalieri! Mormorò Pegasus, stringendo i pugni e bruciando al massimo il proprio cosmo.

 

“Ancora non ti arrendi, eh, ragazzino?” – Esclamò Bronte.

 

“Non finché avrò qualcosa in cui credere, Ciclope Celeste, qualcosa che mi darà la forza per rialzarmi e non far sì che sia vinto!” –Rispose Pegasus, caricando il pugno destro di lucente energia. – “Fulmine di Pegasus!” –Urlò, scattando avanti.

 

Centinaia di sfere lucenti partirono dal suo pugno, dirette contro Bronte, a una velocità elevatissima, che sorprese lo stesso Ciclope Celeste, il quale si scansò più volte per evitarle, ma non poté fare a meno di essere colpito in vari punti. Sull’addome e su una spalla. Il Groviglio di Fulmini, la barriera difensiva che aveva ricreato, non aveva funzionato perfettamente. Con un balzo Pegasus fu di fronte a Bronte, con il pugno destro carico di energia cosmica. Lo sollevò di scatto, colpendo Bronte in pieno viso, dal basso verso l’alto, e scagliandolo in aria, ma il Ciclope, seppur ferito, fu svelto ad afferrare il braccio di Pegasus e portarlo con sé, centrandolo con un calcio in pieno petto. Pegasus rotolò sul terreno per parecchi metri, sputando sangue, mentre Bronte ricadde a terra sulle proprie gambe, massaggiandosi il viso dolorante. Con orrore si accorse che l’elmo celeste della sua Armatura era stato distrutto.

 

“Cos’è? Non ridi più adesso?” – Ironizzò Pegasus, rimettendosi in piedi.

 

“Taci!” –Lo zittì Bronte, puntando l’indice contro di lui. Dal dito si sprigionarono centinaia di scariche energetiche, guizzanti fulmini che, come serpenti, strisciarono sul terreno fino a raggiungere Pegasus e ad aggrovigliarsi intorno a lui, stringendolo. –“Ti piace? Una variante del Groviglio di Fulmini!” –Ironizzò Bronte, dando nuova forza ai suoi fulmini.

 

Pegasus urlò per il dolore, sentendo le folgori del Ciclope stridere sulla sua Armatura Divina, che si stava schiantando in più punti. Fu quasi tentato di buttarsi a terra, schiacciato da quell’immenso potere, ma si impose di reagire, come fece Micene a suo tempo, quando Capricorn lo massacrò.

 

“Non sei felice? Morirai come la tua Dea, stritolato dai fulmini dei Ciclopi, gli stessi che donammo al nostro Signore per ricompensarlo di averci liberato!” –Esclamò Bronte, sicuro della vittoria.

 

“Nooo!” – Urlò Pegasus, espandendo al massimo il proprio cosmo lucente. Il grande potere della costellazione di Pegasus esplose poco dopo, rischiarando l’intero spiazzo con la sua luce, obbligando persino Bronte a tapparsi gli occhi. Le folgori incandescenti parvero quietarsi, spazzate via dall’energia del Cavaliere.

 

“Incredibile!” – Esclamò Bronte, osservando Pegasus liberarsi dalla stretta morsa dei suoi Fulmini, e scagliare contro di lui un nuovo attacco.

 

“Fulmine di Pegasus!” – Gridò ancora il ragazzo, lanciando centinaia di pugni lucenti.

 

Molti di essi raggiunsero il bersaglio, colpendo Bronte in pieno petto o sugli arti, senza che il Ciclope riuscisse ad evitarli. Bronte tentò di rilanciare il Tuono dell’Olimpo, ma Pegasus lo fermò portando le mani avanti e rispendendolo indietro. Il colpo travolse Bronte come un treno in corsa, sollevandolo da terra, e spingendolo indietro, mentre Pegasus caricava nuovamente la Cometa Lucente, lanciandola sul Ciclope.

 

Il Ciclope Celeste fu travolto in pieno, trapassato dall’esplosione energetica del cosmo di Pegasus, ricadendo a terra parecchi metri avanti, tra i frammenti della sua Armatura Celeste. Tentò di rialzarsi, sputando sangue, ma fu afferrato da Pegasus dal dietro e lanciato fino a schiantarsi un'altra volta contro il muro di confine, avvolto da un globo di luce che esplose immediatamente.

 

“No! No!” – Urlò Bronte, in preda al panico, tentando di rimettersi in piedi.

 

Aveva la corazza distrutta e sangue grondava da tutto il suo corpo, dal suo viso sfregiato e ferito. Barcollò sul terreno per qualche passo, prima di crollare avanti, morto. E vinto. Pegasus ansimò per lo sforzo, cadendo a terra a sua volta, nella fresca notte di primavera.

 

***

 

Dopo aver lasciato Pegasus al Cancello dell’Olimpo, Andromeda, Castalia e Tisifone corsero lungo il sentiero principale della montagna, passando in mezzo a un grande bosco, dove alberi maestosi sembravano rendere il giusto onore alla massima Divinità della Terra.

 

“Che strano!” –Esclamò Andromeda. –“Nonostante sia quasi l’una di notte, l’aria è luminosa come fosse giorno!”

 

“Il tempo scorre diversamente sull’Olimpo!” –Intervenne Castalia. –“Me lo spiegò Ermes questo pomeriggio… Sull’Olimpo non tramonta mai il sole, mai viene la notte!”

 

E sollevò lo sguardo, osservando l’aria sopra di loro, ricoperta da un sottile strato di nuvole intrise di luce. Una misteriosa fonte di luminosità che impediva alla notte di scendere sull’Olimpo.

 

“Conosci la strada?” – Chiese Tisifone a Castalia.

 

“Purtroppo no, Tisifone! Ermes ci condusse direttamente nel giardino della Reggia di Zeus, ma temo che sarà lunga e irta di ostacoli!”

 

I tre Cavalieri erano angosciati, soprattutto Castalia, e dispiaciuti per aver abbandonato Pegasus da solo contro quel colosso, ma erano anche fiduciosi che l’amico sarebbe riuscito a sconfiggerlo, raggiungendoli in un secondo momento.

 

Improvvisamente, non se ne resero neppure conto, si ritrovarono nella nebbia. In una nebbia strana, umida, e piena di voci. Rumori disturbanti che stordivano i loro sensi, rendendo difficoltoso procedere nel cammino. Sibili sottili sferzarono l’aria, mentre Andromeda liberò la Catena per proteggerli da un attacco che non tardò ad arrivare. Una fitta pioggia di frecce li investì poco dopo.

 

“Attenti!” – Urlo Castalia, scattando di lato.

 

“Catena, disponiti a difesa!” –Esclamò Andromeda, mentre la Catena di Difesa iniziò a roteare vorticosamente attorno a lui per proteggerlo.

 

Andromeda poté vedere decine e decine di frecce, che rimbalzavano nella sua difesa, ricadere a terra, ai suoi piedi. Frecce di legno, dalla sottile punta di pietra. Un’arma quasi preistorica! Osservò il ragazzo, prima di lanciare la Catena di Offesa avanti.

 

Tisifone e Castalia intanto stavano cercando di evitare le frecce che provenivano da ogni lato, ma si resero conto che erano veramente tante e loro troppo scoperte. Alcune frecce raggiunsero i corpi delle due Sacerdotesse, infrangendosi fortunatamente sulle loro Armature.

 

“Artigli del Cobra!” –Urlò Tisifone, lanciandosi nella direzione da cui provenivano le frecce.

 

Castalia fece lo stesso in un’altra direzione, lanciando la Cometa Pungente, che si schiantò contro un albero, facendo cadere alcuni guerrieri armati di archi rustici. Ma non ebbe il tempo di rivolgere loro parola che dovette evitare un nuovo assalto da un altro lato, un’altra fitta pioggia di frecce. I tre Cavalieri, avvolti dalla nebbia, si stavano involontariamente perdendo, separandosi l’uno dall’altro, proprio come i loro avversari avevano comandato.

 

La Catena di Andromeda sfrecciò tra le nebbie, raggiungendo la cima di un albero e colpendo un paio di guerrieri; si arrotolò al loro corpo, liberando violente scariche energetiche, e li tirò di sotto, portandoli davanti a Andromeda, il quale fu piuttosto sorpreso nel trovarsi di fronte dei soldati del genere. Immaginava che i Cavalieri Celesti fossero tutti come Bronte, o come Phantom, ricoperti da lucenti corazze, invece questi erano mezzi nudi, coperti soltanto di pelli e di vesti di corteccia, e avevano il viso dipinto con tinte colorate.

 

Andromeda continuò a stringere i due guerrieri, chiedendo loro chi fossero, ma questi non erano intenzionati a parlare. Tirarono fuori due piccoli pugnali e si lanciarono avanti, ma furono travolti dalla Catena di Andromeda e passati da parte a parte. Ricaddero a terra morti, e Andromeda non poté fare a meno di sentirsi in colpa, come si sentiva ogni volta che doveva combattere, ogni volta che doveva ferire qualcuno. Gli parve che la pioggia di frecce fosse cessata, e chiamò a gran voce le due Sacerdotesse, ma nessuna di loro rispose. Maledizione! Ci siamo persi! Commentò, e poi, facendosi forza, liberò nuovamente la Catena di Andromeda, che saettò nella nebbia, facendo strada al ragazzo.

 

Dopo qualche minuto Andromeda poté notare le nebbie che si diradavano leggermente, ritrovandosi in un’ampia radura, circondata da alberi. Si guardò intorno, cercando di ritrovare il sentiero principale, ma si sentì completamente disorientato.

 

“Inutile che tu cerchi la strada, Cavaliere di Atena!” – Esclamò  una voce, proveniente dalla foresta.

 

“Tanto è qua che si fermerà la tua corsa!” –Concluse un’altra voce maschile, simile alla precedente.

 

“Chi siete? Mostratevi!” –Esclamò Andromeda, lanciando la sua Catena, che come un fulmine fendette l’aria, dirigendosi verso i due nuovi nemici.

 

Con un balzo, due Cavalieri Celesti lasciarono l’albero su cui erano saliti, per osservare il ragazzo, giungendo nella radura, di fronte a Andromeda. Erano giovani, molto simili tra loro, e indossavano un’identica armatura. Anzi no, non è identica! Osservò Andromeda, guardandoli con maggiore attenzione. È simmetrica! Quasi complementare! I due erano alti e ben fatti, con un viso maschile, capelli castani mossi e occhi marroni, ed erano così simili che Andromeda intuì fossero fratelli.

 

“Benvenuto sull’Olimpo, mortale!” –Esclamò uno dei due. –“Pensavamo che sareste morti tutti nella nebbia!”

 

“I cacciatori di Artemide non fanno mai fuggire nessuno!” – Intervenne l’altro.

 

“I cacciatori di Artemide?” – Balbettò Andromeda. E subito si ricordò di Castalia e Tisifone, ancora intrappolate nella nebbia, non avendo un’arma utile, come la Catena, per uscirne.

 

“Non preoccuparti per le tue amiche! Vi rivedrete presto nell’Elisio!” – Ironizzò uno dei due.

 

“Ci prenderemo noi, cura di te!” – Esclamò l’altro, mentre entrambi bruciavano il loro cosmo. – “Noi siamo i Dioscuri, i figli di Zeus! Castore è il mio nome, il domatore di Cavalli!”

 

“Ed io sono Polluce, il pugile!” –Terminò l’altro. – “Noi siamo i tuoi avversari, Cavaliere di Atena! I primi e gli unici Cavalieri Celesti di Zeus che affronterai su questo sacro Monte!”

 

Nel frattempo, mentre Andromeda cercava la strada per uscire dalla nebbia, Tisifone e Castalia erano impegnate in efferati corpo a corpo con questi strani guerrieri che avevano teso loro un’imboscata nella foresta. Uomini e donne seminudi, ricoperti di vesti di corteccia e di pelle, armati solo di pugnali, archi e frecce.

 

Inizialmente Castalia mostrò un certo remore nel doverli affrontare, ritenendosi quasi superiore, poiché dotata dei poteri del cosmo; ma vista l’efferatezza che questi dimostrarono, non esitando ad aggredirla alle spalle, o ad assalirla in più d’uno, armati di lame e frecce, mise da parte i propri scrupoli e bruciò il suo cosmo.

 

Una Cometa Pungente travolse una decina di guerrieri dei boschi, mentre anche Tisifone affondava i propri Artigli del Cobra nel collo di altri, facendo sempre attenzione a non essere colpita dalle frecce. Un dardo però ferì Castalia sul collo, in una zona non protetta dalla sua armatura, mentre stava combattendo contro un gruppo di guerrieri. La Sacerdotessa accusò il colpo, barcollando e iniziando ad accasciarsi al suolo, perdendo i sensi.

 

“Castaliaaa!” –Urlò Tisifone, liberandosi dei suoi nemici con un violento Cobra Incantatore.

 

La scarica energetica del Cavaliere dell’Ofiuco spinse una decina di guerrieri indietro, permettendo alla donna di correre in aiuto dell’amica. Ma un fendente luminoso le sbarrò la strada, tagliando in due il terreno e obbligandola a fermarsi.

 

“Non curarti di lei! Pensa a me piuttosto, al tuo avversario!” – Esclamò una voce maschile, mentre una sagoma indistinta prendeva forma nella nebbia.

 

“Chi sei?” – Urlò Tisifone, lanciando gli Artigli del Cobra. Ma le sue scariche energetiche si persero nella nebbia, troppo imprecise per colpire il suo avversario, che si mostrò poco dopo, presentandosi come Atteone, Cacciatore Celeste di Artemide.

 

“Atteone?!” – Ripeté Tisifone, osservando il giovane.

 

Era alto, muscoloso, con folti riccioli mori e barba incolta, ricoperto in parte da un’Armatura Celeste, dal colore che tendeva al verde, e ornata con pelli e frammenti di corteccia, come i guerrieri che aveva affrontato prima. Intorno alla vita, appesa a una cintura di cuoio, portava una lama e una frusta arrotolata, non dissimile da quella che anche Tisifone aveva in dotazione.

 

“In persona!” –Esclamò, uscendo dalle nebbie, che parevano aprirsi al suo passaggio. –“Figlio di Aristeo e Autonome, fui addestrato all’arte della caccia da Chirone, il centauro immortale, e fui sbranato vivo dai cani di Artemide per aver osato guardarla mentre si bagnava! Ma Zeus, impressionato dalle mie imprese, mi richiamò a nuova vita, e da allora servo Artemide, figlia di Zeus! Tu, donna, sei nel territorio della Dea della Caccia, ma io fermerò qua il tuo cammino!”

 

“Tsè..” –Lo schernì Tisifone, con spavalderia, bruciando il proprio cosmo. –“Non mi farò certo fermare da un selvaggio!” –E scattò avanti, liberando scintille energetiche dal proprio braccio.

 

Atteone evitò l’affondo della donna, balzando in alto, si aggrappò a un ramo, vi volteggiò sopra e ritornò indietro, colpendola in pieno petto, mentre Tisifone si voltava per cercarlo. La spinse indietro fino a farla cadere, poi srotolò la frusta, afferrando la donna per il collo, come un cappio, che strinse sempre più, prima di sbatterla con forza contro un albero.

 

“Arrgh!” –Urlò Tisifone, portandosi le mani al collo, per liberarsi da quel nodo che la stava facendo soffocare. Ma appena afferrò la frusta, una violenta scarica energetica la fece vibrare e urlare di dolore.

 

“Non sono così primitivo!” –Commentò Atteone, con un sorriso ironico. Quindi il ragazzo fece un fischio, chiamando a sé un gruppetto dei suoi guerrieri degli alberi. -“Portatela da Artemide!” – Ordinò loro, indicando il corpo inerme di Castalia, non molto distante. – “Se ne occuperà lei! Uccido questa e vi raggiungo!”

 

Detto questo i guerrieri degli alberi sollevarono senza molta cura il corpo ferito di Castalia e la portarono via, scomparendo con lei tra le nebbie.

 

“Cosa le hai fatto? Dove la portano, maledetto?” –Urlò Tisifone, dimenandosi ancora.

 

“La freccia che ha colpito la Sacerdotessa tua compagna era intrisa di un mortale veleno, come tutte le altre che vi abbiamo diretto contro! Siete state abili, non l’avrei mai creduto! Ma forse è tutto merito delle dorate vestigia che indossi, donna! Ti hanno protetto la pelle, ma la tua amica non è stata altrettanto fortunata!” –Commentò Atteone, liberando una nuova scarica energetica che percorse l’intera frusta, avvolgendo Tisifone e facendola urlare nuovamente di dolore. –“Muori adesso, invasore dell’Olimpo!”

 

E la scaraventò contro un albero, facendole sbattere la testa con forza. Tisifone perse l’elmo dorato dell’Armatura del Cancro, vomitando saliva e perdendo sangue dal naso. Afferrò nuovamente la frusta, cercando di sopportare il dolore della scarica energetica, ed espanse il proprio cosmo. Potenziato dal caldo potere del Cancro Dorato.

 

“Sciocca!” – Urlò Atteone, strattonando la frusta.

 

Ma Tisifone puntò saldamente i piedi al terreno, impedendogli di sballottarla ancora. Concentrò il cosmo sulla mano destra, mentre con la sinistra stringeva la frusta e poi liberò i proprio Artigli del Cobra, trinciando in più punti la sferza di Atteone, svincolandosi così dalla soffocante presa.  Poi si lanciò avanti, più a casaccio che realmente convinta di cosa fare, ma il suo attacco fu troppo lento per avere effetto. Atteone lo evitò e la colpì con un violento calcio in pieno petto, che spinse la donna indietro di parecchi metri, fino a farla sbatacchiare contro un albero. Tisifone sputò sangue per un momento, ansimando per lo sforzo, prima di sollevare gli occhi verso il suo avversario. Tremò, chiedendosi cosa ne sarebbe stato di Castalia.

 

Mentre i combattimenti ai piani bassi dell’Olimpo avevano luogo, la Reggia di Zeus era immersa in un sepolcrale silenzio. Il Dio dell’Olimpo si era rifugiato nelle sue stanze, dando ordine di non essere disturbato per alcun motivo, affidando a Flegias, suo Consigliere Privato, il compito di curare la difesa del Sacro Monte. E Flegias, figlio di Ares, non si era certamente tirato indietro, desiderando ardentemente sgominare i Cavalieri di Atena. Un gruppo di fanatici idealisti che rappresentano soltanto un ostacolo ai miei piani di dominio! Aveva riflettuto, ordinando ai Ciclopi di radunare i Cavalieri Celesti e prepararli per difendere l’Olimpo.

 

“Dubito che riusciranno ad arrivare fin qua! Ci sono troppi Cavalieri e Divinità sulla loro strada!” – Aveva commentato, con Sterope. –“Ma è un’eventualità che dobbiamo assolutamente impedire, ne va della reputazione del Sommo Zeus!”

 

Sterope del Fulmine aveva convocato immediatamente i Cavalieri Celesti, dando disposizioni a loro e alle altre Divinità presenti sull’Olimpo, per contrastare l’avanzata dei Cavalieri di Atena. Tutti avevano annuito, anche se molti di loro avrebbero preferito evitare uno scontro con loro; ragazzi che, in passato, avevano combattuto nemici come Lucifero e Ade, con cui lo stesso Zeus più volte aveva avuto occasione di scontrarsi.

 

“Sia chiaro! Nessun favoritismo!” –Ordinò Flegias. –“Nessun Cavaliere di Atena deve raggiungere la Reggia degli Dei!” –E nel dir questo incontrò lo sguardo preoccupato di Phantom dell’Eridano Celeste, il Luogotenente dell’Olimpo. –“A tal riguardo…” -Aggiunse a bassa voce, rivolgendosi solamente a lui. –“Sono piuttosto dispiaciuto per il fallimento dell’attacco di questo pomeriggio, Cavaliere dell’Eridano! E sono certo che anche il Sommo Zeus non abbia piacere nell’apprendere che il Grande Tempio non è stato raso al suolo come aveva ordinato, e che molti Cavalieri Celesti, e una Divinità, sono caduti!”

 

“Sono mortificato, mio Signore!” –Si scusò il Luogotenente, inginocchiandosi. –“Eravamo tutti convinti di avere facile vittoria, che non vi fosse sufficiente resistenza! Ma avevamo sottovalutato i Cavalieri di Atena!”

 

“Zeus ti ha dato fiducia, Phantom!” –Lo brontolò Flegias. –“Nominandoti Luogotenente e affidandoti il supremo incarico di sgominare le forze della sua nemica! È un vero peccato che tu l’abbia deluso! Voglio sperare che eventi simili non si ripeteranno!” –Sibilò, allontanandosi.

 

No! Mormorò Phantom, rialzandosi e indossando nuovamente l’elmo della sua Armatura Celeste. Non si ripeteranno!

 

In quel mentre un cosmo parlò alla sua mente, costringendolo a voltarsi e a incontrare lo sguardo preoccupato di un vecchio uomo, avvolto da una semplice tunica marrone. Morfeo, il Dio dei Sogni. Senza dire niente, Morfeo si incamminò lungo i corridoi di marmo, diretto verso le sue stanze, e Phantom lo seguì, immaginando che volesse parlargli. Quando il Luogotenente entrò nella stanza di Morfeo, fu afferrato di scatto e spinto lontano dalla porta, che il Dio richiuse subito alle sue spalle.

 

“Che succede?” –Domandò agitatamente Phantom. Ma Morfeo gli fece cenno di tacere, con due occhi pieni di terrore.

 

“Senti questi cosmi che si accendono, Nobile Eridano?” –Chiese Morfeo, concentrando i propri sensi. – “Li conosci?” –Phantom fece altrettanto, riconoscendo il cosmo argenteo di Castalia, ed altri sei che aveva già sentito ma non riusciva a focalizzare.

 

“Ne conosco uno soltanto, mio Signore! Di una Sacerdotessa!”

 

“Perfetto!” –Rispose Morfeo, sussurrando. –“Portala qua! Adesso!”

 

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Preparativi per la battaglia ***


CAPITOLO DICIANNOVESIMO. PREPARATIVI PER LA BATTAGLIA.

 

Cristal e i Cavalieri d’oro si fermarono per un giorno intero ad Asgard, nel Regno di Odino, per curare le ferite e recuperare le forze necessarie in vista delle imminenti battaglie che, il Cavaliere del Cigno sapeva bene, li avrebbero impegnati duramente.  I cinque uomini furono affidati alle cure di Eir, la Dea della Salute e della Guarigione, mentre Flare preferì occuparsi personalmente di Cristal, approfittandone per trascorrere del tempo con lui; tempo che, la Principessa lo sapeva, stava inesorabilmente giungendo a termine.

 

Per tutte le ore in cui aveva atteso sue notizie, appoggiata al balcone del Palazzo di Odino, la fanciulla non aveva smesso di pensare a lui, e di chiedersi cosa sarebbe rimasto di loro quando Cristal sarebbe ritornato. Quando Cristal sarebbe partito per affrontare gli Dei dell’Olimpo. E in quel frangente, logorata dalla paura e da mille dubbi, abbandonata su quella rocca, senza una voce amica e consolatoria, aveva commesso un gesto audace, e in parte sconsiderato. Si era rivolta alle Norne, le Divinità del fato che sedevano ai piedi del grande frassino Yggdrasil.

 

“Cosa c’è nel mio futuro?” –Aveva chiesto alle tre donne, con il cuore in gola.

 

Queste l’avevano guardata di sottecchi, continuando a tessere le trame del fato, e Flare non aveva potuto fare a meno di notare quanto il loro aspetto fosse orribile a vedersi, quasi fossero tre vecchie megere avvizzite. Infine Skuld, la Norna del futuro, si era rivolta a lei a bassa voce, sussurrando parole che la fecero rabbrividire.

 

“Morte!” –Aveva sibilato, continuando a tessere.

 

E a Flare era parso di vedere, sulla maglia da lei tessuta, ciò che sarebbe accaduto. Un grande prato fiorito, un bosco di satiri e ninfe, un bellissimo tempio greco da cui sgorgavano canti e felicità. E improvvisamente un’immensa luce, un’abbagliante esplosione di luce che cancellò tutto. La visione scomparve ma l’ultima immagine risultò chiara nella sua mente: un lago di sangue.

 

Flare era corsa via piangendo, immaginando che se Cristal fosse andato sull’Olimpo avrebbe trovato morte certa. Si era gettata sul letto della camera a lei assegnata a Fensalir, il palazzo di Frigg, e aveva pianto fino al ritorno del giovane. Cristal era corso subito ad abbracciarla, e Flare non aveva potuto fare a meno di notare il suo viso ferito e sporco, le ferite e i lividi che aveva nuovamente riportato in battaglia. E, si era detta, questi non sono che una parte!

 

I due amanti trascorsero buona parte del tempo insieme, durante il quale Eir si prese cura dei Cavalieri d’Oro, rigenerando le loro forze, e Flare fu profondamente combattuta se confessare l’accaduto a Cristal o meno. Alla fine optò per una soluzione diplomatica, spiegando al ragazzo di essere preoccupata per lui.

 

“So che partirai non appena i tuoi compagni staranno bene! Ma vorrei tanto che tu restassi qua, con me, tra le millenari nevi di Asgard!”

 

“Devo andare, Flare! Odino mi ha spiegato che Atena è in difficoltà e che un’aspra lotta contro le Divinità Olimpiche è iniziata! E devo correre a prestare aiuto ai miei compagni che sicuramente staranno già lottando!”

 

“Odio la guerra!” –Commentò Flare, volgendo lo sguardo altrove. –“Odio dover vedere ogni volta il ragazzo che amo rischiare la vita contro terribili nemici!”

 

“È proprio per questo che esistiamo, Flare!” –Le sussurrò Cristal, prendendole le mani tra le proprie. –“Per dare agli uomini un futuro, un mondo dove tutti possano amarsi liberamente e non ci sia più da combattere!”

 

Quindi la baciò sulle labbra, sul balcone della grande Reggia di Odino, mentre una frizzante brezza smuoveva le grandi fronte di Yggdrasil.

 

Per un momento le sembrò di udire la voce di Artax risuonare nella sua mente, memorie insepolte di un dolore mai dimenticato. Mi dispiace, ma l’obbedienza a Ilda viene prima nel mio cuore! Aveva affermato Artax, nella caverna di lava, prima di morire per mano di Cristal. Per colpa del dovere ho già perso un amore, perché deve accadere di nuovo? Si chiese la Principessa di Midgard.

 

Poche ore dopo Freyr venne a bussare alla loro porta, convocandoli per un’ultima riunione nel Valhalla, nella Sala di Odino. Quando Cristal arrivò fu felicemente sorpreso nel trovare, oltre a Odino e Freyr, anche i suoi cinque compagni, Mur, Ioria, Virgo, Scorpio e Dohko, in piedi e rivestiti di panni puliti.

 

Cristal!” –Esclamò Scorpio, correndo incontro all’amico per abbracciarlo, e ringraziarlo per quello che aveva fatto per loro. La stessa cosa fecero gli altri Cavalieri d’Oro. Persino lo schivo Virgo si unì al caldo abbraccio, tanto grande era in lui il desiderio di ritornare alla luce.

 

“Hai rischiato molto per noi!” –Commentò Ioria. –“E ti siamo immensamente grati per averci liberato da quella mortale prigionia!”

 

“Ma com’è accaduto?” –Domandò Cristal. – “Io credevo che voi foste…

 

“Che fossimo stati spazzati via al Muro del Pianto?!” –Continuò Ioria, sorridendo. – “Lo pensammo anche noi inizialmente, ma poi fummo come catapultati in un’altra dimensione, una dimensione lontana da cui non riuscivamo a tornare, nemmeno tramite gli immensi poteri di Virgo e di Mur!”

 

“Era un vasto limbo senza fine nel quale restammo confinati per mesi, senza neppure la forza e la capacità per muoverci!” –Commentò Mur. –“Infine, qualche giorno fa, si aprì una breccia extradimensionale che ci permise di uscire da quel limbo, per ritrovarci, soli e stanchi, in un esteso deserto di ghiaccio. Deboli com’eravamo fummo subito sopraffatti dai Giganti di Brina e condotti al Palazzo delle Nebbie, dove Hel ci rinchiuse nel ghiaccio, sperando di fare di noi dei combattenti al suo servizio, come gli Hrimthursar!”

 

“L’unica cosa che potevo fare era inviare un messaggio con il cosmo!” –Intervenne Virgo, con la sua solita calma. –“Ma i miei poteri erano molto deboli, e l’intera dimensione era percorsa da vibrazioni ostili che rendevano il mio messaggio di indecifrabile lettura!”

 

“Ecco cos’era quel richiamo! Era la tua voce che mi parlava da lontano!” –Esclamò Cristal.

 

“Cavalieri di Atena!” –L’imperiosa voce di Odino sovrastò tutte le altre, costringendo i presenti a voltarsi verso di lui.

 

Il Dio del Nord stava seduto sul suo intarsiato trono di legno, con Frigg alla sua sinistra e Freyr alla destra, mentre Flare si era inginocchiata per rendergli omaggio. Cristal e i Cavalieri d’Oro fecero la stessa cosa, ma Odino li pregò di rialzarsi.

 

“Conservate le vostre forze, giovani Cavalieri! Ben altre battaglie vi aspettano sull’Olimpo!”

 

“Sull’Olimpo?!” –Domandò Scorpio.

 

“Esattamente! La vostra Dea è stata imprigionata da Zeus, il quale, dopo secoli in cui ha lasciato in pace e tranquillità gli uomini, pare adesso che voglia rendere la Terra suo feudo personale!”

 

“È terribile!” –Mormorò Cristal.

 

Non so cosa stia accadendo sull’Olimpo, Cavalieri di Atena! I miei poteri si fermano al Bianco Cancello, al di là del quale si estende il Regno di Zeus, e il mio occhio più non riesce a vedere!”

 

“Ma abbiamo avuto notizia che alcuni vostri compagni hanno iniziato la scalata del Monte Sacro!” –Intervenne Freyr. –“Probabilmente con l’intenzione di liberare Atena e convincere Zeus a desistere dalla folle impresa!”

 

“Impresa altrettanto folle come quella in cui si è lanciato Zeus!” –Ironizzò Odino. –“Sappiamo questo in quanto due nostri guerrieri stanno accompagnando i vostri amici!”

 

“Pegasus!” –Intervenne Cristal. –“Sicuramente starà già combattendo! E ci saranno anche Andromeda e Sirio con lui!”

 

“Dobbiamo andare anche noi!” –Incalzò Scorpio, mentre gli altri Cavalieri d’Oro annuirono.

 

“Dio degli Asi!” –Esclamò Cristal, inginocchiandosi nuovamente. –“Ti siamo grati per la disponibilità che hai mostrato nei nostri confronti, per averci soccorso nel Niflheimr e per aver curato le nostre ferite al meglio! Atena ti è riconoscente!”

 

“Vorrei aver potuto fare di più!” –Commentò Odino, prima di incontrare lo sguardo sorridente, ma compiaciuto, di Flare. –“Ma se non ho rischiato prima è stato per non mettere in pericolo i miei Einherjar e le genti di Asgard, in un conflitto che non consideravo propriamente mio!”

 

“C’è qualcuno che vorrebbe ringraziarvi di persona!” –Esclamò Freyr, mentre una delle cinquecentoquaranta porte della grande Sala si aprì. Da essa uscì un giovane avvolto da una lucente aura, alto e robusto, con biondi capelli candidi e gli occhi azzurri. Balder, il Dio del Sole.

 

Balder!” –Esclamò Cristal, riconoscendo il giovane che aveva salvato da Hel.

 

“È un onore per me incontrarti, Cristal il Cigno!” –Sorrise Balder, inginocchiandosi di fronte al Cavaliere di Atena. Poi si rialzò e continuò a parlare, con voce tranquilla ed eterea, senza mai smettere di sorridere. –“Hai rischiato molto per proteggermi, aiutando i miei guerrieri nella perigliosa impresa! Impresa di cui, da ciò che so, non eri neppure al corrente!” –E nel dir questo tirò un’occhiata di rimprovero a Odino e Freyr.

 

“Non ho fatto niente di particolare, Dio del Sole! Soltanto il mio dovere di Cavaliere!”

 

“Coraggioso e modesto!” –Rise Balder. –“Hai sentito, Padre? Dovremmo averne di guerrieri così!”

 

In quel momento altre porte del Valhalla si aprirono e Cristal riconobbe i cinque uomini che entrarono nella sala: cinque Cavalieri di Asgard che lui e gli altri Cavalieri dello Zodiaco avevano affrontato l’anno prima. Orion, Artax, Thor, Luxor e Mime. Ognuno dei cinque guerrieri reggeva in mano un grande scrigno dorato, la cui luce rischiarava l’immensa sala.

 

“Per ricompensarvi dell’aiuto prestato, ho ordinato che le vostre Armature venissero riforgiate!” – Esclamò Balder. –“Nella terra delle Fiamme, a Muspellsheimr, dai Giganti nostri alleati! Eccole!”

 

E i cinque Cavalieri di Asgard depositarono a terra gli scrigni dorati, che subito si aprirono, rivelando le Armature dell’Ariete, del Leone, dello Scorpione, di Libra e della Vergine. Le corazze vibrarono immediatamente al contatto col cosmo dei loro possessori, scomponendosi poco dopo e andando a ricoprire i corpi ritemprati di Ioria e degli altri Cavalieri d’Oro.

 

“Forgiate nel fuoco eterno di Muspellsheimr, sono state intrise del caldo potere del Sole! Cosicché possano essere per voi fonte di ristoro ogni volta in cui le forze vorranno abbandonarvi, ogni volta in cui l’oscurità tenterà di avvolgervi!”

 

“Grazie, Dio del Sole!” –Esclamarono i Cavalieri d’Oro, inginocchiandosi.

 

“Ma adesso andate... come in tutte le imprese, il tempo è nemico!” –Li incitò Balder, mentre anche Odino si alzava dal trono, avvicinandosi con Freyr e Frigg ai Cavalieri di Atena. –“Questa non è la nostra guerra!” –Sospirò infine. –“Ma sta arrivando un giorno in cui tutte le guerre apparterranno a tutti! E quel giorno dovremo essere pronti a lottare insieme!”

 

Odino annuì, consapevole della veritiera profezia di Balder, e fece cenno ai Cavalieri di seguirlo. Raggiunsero tutti un’ampia terrazza, rivolta a meridione, da cui poterono godere di un panorama straordinario. Montagne innevate in lontananza, nuvole all’orizzonte, dove i lucenti raggi del sole lontano creavano spettacolari giochi di luce color amaranto.

 

“Non ho il potere di portarvi da Zeus, ma posso condurvi ai piedi dell’Olimpo, di fronte al Bianco Cancello!” –Esclamò Odino, chiamando un nome a gran voce. –“Ma fate attenzione, giovani Cavalieri! Qualcosa di oscuro si agita sull’Olimpo!”

 

Pochi istanti dopo un uomo apparve dal nulla, nel cielo di fronte a loro, camminando su una sottile striscia colorata, che lentamente andò aumentando di consistenza, fino a giungere al grande balcone di Odino. Cristal sorrise, riconoscendo l’uomo che aveva incontrato al suo arrivo ad Asgard: Heimdall, il Dio Guardiano del Ponte-Arcobaleno.

 

Cristal e i Cavalieri d’Oro si accomiatarono da Odino, e il ragazzo ringraziò più volte Orion e Artax, per l’aiuto prestatogli. Quindi salutò Flare, e fu la separazione più difficile della sua vita.

 

“Tornerò!” –Esclamò, baciandola. –“Quando questa guerra sarà finita, tornerò a prenderti!”

 

“Sì!” –Rispose Flare, in lacrime.

 

Ma finirà mai la guerra? Si domandò, osservando il Cavaliere del Cigno salire sulla ringhiera del terrazzo insieme ai suoi cinque amici, e mettere poi piede sul Ponte-Arcobaleno.

 

“Siamo sicuri che resista questo ponte?” –Domandò Ioria, battendo un piede sulla sua superficie.

 

“Non abbiate timore!” –Li rincuorò Odino. –“L’Arcobaleno di Heimdall vi porterà ai piedi dell’Olimpo!” –E aggiunse qualche avvertimento strategico. –“Credo che dovrai fare una deviazione nel tuo percorso, nobile Maestro dei Cinque Picchi!” –Commentò Odino, rivolgendosi a Dohko, e raccontandogli di aver sentito un violento cosmo esplodere nella sua natia terra.

 

“Siate prudenti!” – Aggiunse Freyr, mentre Heimdall sollevava il Ponte-Arcobaleno.

 

In un lampo di luce Bifrost scomparve, sfrecciando tra le nuvole diretto verso la Grecia, lasciando Odino, Freyr, Frigg, Balder e Flare sul grande balcone, insieme ai cinque Cavalieri di Asgard.

 

Cristal si voltò un’ultima volta, mentre una lacrima si congelava prima ancora di lasciare il suo occhio, e l’ultima cosa che vide fu Flare in lacrime pregare per lui, prima che la calda mano di Artax la stringesse, incitandola ad essere forte.

 

***

 

Durante quel giorno che Cristal e i Cavalieri d’Oro trascorsero ad Asgard, Odino non era mai uscito dal Valhalla, rinchiudendosi nella grande sala di fronte al caminetto, tentando di parlare con Zeus tramite il cosmo. Ma non era mai riuscito a raggiungere l’Olimpo, cinto da un’oscura e tenebrosa barriera che impediva al Dio di leggere al suo interno. Frigg, sua moglie, lo aveva raggiunto più tardi, spiegando di aver servito l’idromele ai Cavalieri loro ospiti, la bevanda degli Dei del Nord, opportunamente preparato da Eir, in modo che potesse fornire loro energia.

 

“Sei preoccupato, marito mio?”

 

“Sì! Mi chiedo cosa troveranno quei ragazzi sull’Olimpo! Credo che il Sacro Monte non sia più il paradiso degli Dei e degli eroi, ma sia diventato simile a un inferno!”

 

Prima di salutare i sei Cavalieri di Atena, camminando verso l’ampio balcone da cui Heimdall li avrebbe trasportati in Grecia, Balder si avvicinò a  Cristal, scusandosi per non aver potuto riparare la sua Armatura Divina.

 

“Ma un amico ha comunque un dono da farti!” –Commentò il Dio, mentre Orion si affiancava ai due. –“Non sia mai detto che l’ospitalità non è sacra ad Asgard!”

 

E Orion consegnò a Cristal una spada dai riflessi azzurri, lunga e tagliente, con il manico intarsiato di disegni che mostravano un uomo uccidere un drago.

 

Gramr è il suo nome! Ed è con essa che uccisi il Drago Fafnir, divenendo invulnerabile! La sua lama ti sarà utile in battaglia, e il mio caldo cosmo, che in essa risiede, ti conforterà quando ne avrai bisogno!”

 

“Grazie!” – Sorrise Cristal, commosso del dono dell’amico. E legò la spada alla cintura della sua Armatura Divina, alla quale si intonava perfettamente.

 

A tutto questo stava ripensando il Cavaliere del Cigno, oltre che a Flare e all’amore che provava per lei, quando improvvisamente si ritrovò con i piedi sull’erba. L’Arcobaleno scomparve in un lampo, lasciando Cristal e i quattro Cavalieri d’Oro suoi amici, in un vasto campo ai piedi di un monte alberato, monte di cui non riuscivano a vedere la cima, immersa in una coltre di nuvole.

 

“Che sia…?” –Domandò Cristal.

 

“L’Olimpo!” –Terminò la frase Mur, mentre anche gli altri Cavalieri osservavano sbalorditi quel luogo mitico.

 

“Coraggio! Andiamo!” –Li esortò Ioria, sbattendo i pugni. –“Atena ha bisogno di noi!”

 

Mentre stavano per scattare avanti, una debole voce li distrasse, facendoli voltare verso un albero. Là, appoggiato ad esso, c’era un ragazzino dai capelli fulvi e dall’aria sbarazzina, che li osservava con timore, e al tempo stesso con gioia.

 

Kiki!” –Urlò Mur, riconoscendo il fratello.

 

Muuur!!!” –Esclamò Kiki, correndo verso il Cavaliere d’Ariete, con le lacrime agli occhi.

 

I due fratelli si abbracciarono, felici di ritrovarsi, di fronte agli occhi commossi degli altri Cavalieri. Kiki chiese notizie a Mur, avendolo dato per morto, ma suo fratello preferì rimandare la conversazione a momenti più tranquilli. Il ragazzino allora raccontò brevemente tutto quello che era accaduto negli ultimi giorni. L’assalto di Flegias, la visita di Ilda, il ritorno di Phoenix, l’arrivo di Ermes e la prigionia di Atena, infine il violento attacco al Grande Tempio, sventato grazie all’intervento di Pegasus e Andromeda.

 

“Allora sono tutti sull’Olimpo?” –Domandò Cristal.

 

“Sì! Sento i cosmi degli altri Cavalieri accendersi impetuosamente da parecchie ore!”

 

Mur ringraziò il fratello per le interessanti informazioni e lo pregò di restare nascosto e aspettare il loro ritorno. Ma Kiki diede loro un’ultima notizia.

 

“Neanche mezz’ora fa un gruppo di Cavalieri Celesti è uscito dal Cancello dell’Olimpo, guidato da un uomo con indosso una splendida Armatura! Doveva essere una Veste Divina, a giudicare dalle rifiniture accurate!” –Spiegò il ragazzino, che per paura di essere catturato si era nascosto sulla cima di un albero. –“Non so dove stessero andando, ma erano armati di tutto punto! E poi sono scomparsi in un lampo di luce! Stavo riflettendo se tornare al Grande Tempio per avvertire Asher e gli altri!”

 

“Uhm...” –Rifletté Mur. –“Un gruppo di Cavalieri Celesti, guidati da una Divinità, sono un avversario troppo potente per i Cavalieri di Bronzo, qualunque fosse la loro missione!”

 

“Sono d’accordo con te, Cavaliere di Ariete!” –Intervenne Shaka di Virgo, con voce calma ma decisa. –“Mi occuperò io di loro! Se tuo fratello mi aiuterà, seguendo la scia del loro cosmo, riuscirò a trovarli e a scoprire le loro intenzioni!”

 

“Fai attenzione, Cavaliere di Virgo!”

 

Virgo sorrise genuinamente, osservando Kiki concentrare i propri sensi, per ritrovare la scia del cosmo dei Cavalieri Celesti. Quindi le porte dello spaziotempo vibrarono, mentre Kiki e Virgo scomparirono in un lampo di luce.

 

E anche Virgo ci ha lasciato! Sospirò Cristal, ricordando che anche Dohko si era staccato dal gruppo per raggiungere i Cinque Picchi e trovare Sirio. Scorpio, quasi avesse intuito le sue preoccupazioni, gli diede una pacca su una spalla, sorridendo, e incitandolo ad essere forte.

 

“Andiamo!” – Esclamò Ioria, lanciandosi avanti. Mur gli andò dietro, presto seguito anche da Cristal e da Scorpio, mentre molti metri sopra di loro cosmi esplodevano violentemente.

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Battaglia nel Mediterraneo ***


CAPITOLO VENTESIMO

CAPITOLO VENTESIMO. BATTAGLIA NEL MEDITERRANEO.

 

Kiki e Shaka di Virgo seguirono la scia di cosmi lasciata dai Cavalieri Celesti, giungendo infine in uno spazio aperto. Un’ampia spiaggia dalla sabbia fina, proprio di fronte al mare. La luce della luna illuminava l’enorme distesa d’acqua, su cui brillavano fioche luci di navi lontane.

 

“Perdonami Virgo!” –Si scusò Kiki, immaginando di aver sbagliato strada. –“Eppure mi sembrava di aver seguito il loro cosmo…”

 

“Non scusarti, Kiki! È così infatti! I Cavalieri Celesti sono giunti fin qua, di fronte al Mar Mediterraneo!” –Virgo si guardò intorno, cercando di capire dove si trovassero, ma non trovò indizi a sufficienza. Immaginò comunque si trattasse di una costa della Grecia meridionale; ma avrebbe potuto essere anche Creta. Un’onda si schiantò sulla riva davanti a loro, mentre una leggera brezza soffiava da Sud, risvegliando le idee del biondo Cavaliere di Virgo.

 

“Ma certo!” –Esclamò, denigrandosi per non averlo capito prima. –“Il Tempio di Nettuno! Ecco dove siamo!”

 

“Il Tempio... vuoi dire il Regno dei Mari? Dove Pegasus e gli altri combatterono l’anno scorso?”

 

“Esattamente Kiki! Sento una grande energia cosmica provenire dal fondo del mare, mentre il Tempio dovrebbe essere disabitato! Dobbiamo verificare!” –Esclamò Virgo, e nel dir questo espanse il suo cosmo fino a creare una bolla di energia dorata, che avvolse lui e Kiki al suo interno.

 

Il Cavaliere della Vergine chiuse gli occhi, mettendo le mani in posizione di preghiera, mentre la grande bolla dorata si mosse, fluttuando prima sulla superficie dell’acqua e poi scendendo in mare, inghiottita rapidamente da esso.

 

Neppure un’ora prima Ermes, il Messaggero degli Dei, era stato convocato da Flegias, il figlio di Ares, nonché Consigliere Personale del Sommo Zeus. Con poche parole Flegias aveva ordinato al Dio di guidare una squadra di Cavalieri Celesti nel Mediterraneo, per raggiungere il Tempio di Nettuno e recuperare un oggetto andato smarrito durante la battaglia dell’anno precedente.

 

“Un oggetto?!” – Domandò Ermes.

 

“Esattamente!” –Sogghignò Flegias, liquidando in fretta il Dio. –“L’ordine viene direttamente dal Sommo Zeus; non vorrai tirarti indietro, tu che sei il suo Messaggero?!”

 

Sono il suo Messaggero, non il suo galoppino! Mormorò indispettito Ermes, prima di voltare i tacchi e andarsene, di fronte allo sguardo compiaciuto di Flegias. Radunati alcuni Cavalieri Celesti, Ermes li condusse ai piedi dell’Olimpo, pronti a combattere con eventuali invasori che avessero incontrato, percependo numerosi cosmi scontrarsi nella foresta nebbiosa. I Cacciatori di Artemide non si tirano mai indietro! Rifletté, prima di giungere al Cancello dell’Olimpo, e trovarlo abbattuto dall’esterno. Bronte del Tuono, difensore del Bianco Cancello, era stato ucciso e il suo cadavere giaceva nella radura poco distante dalle mura. Ermes ordinò ad alcuni uomini di depositarlo in un luogo più riparato, prima di coprirlo col suo mantello, in attesa di onorarlo come meritava.

 

“Incredibile! Hanno sconfitto uno dei Ciclopi!” – Mormorò una voce, tra i Cavalieri Celesti.

 

“Bronte massacrato da un invasore!” – Gli fece eco un altro, spaventato. Ma Ermes li zittì tutti quanti, spiegando loro di non preoccuparsi.

 

“Nessun invasore riuscirà mai a raggiungere la Reggia di Zeus! Ci sono troppi Cavalieri posti a sua difesa!” – E radunò la truppa ai piedi dell’Olimpo. A un cenno della sua mano, tutti i presenti furono investiti da un luminoso cosmo celeste, un’immensa bolla di energia che esplose poco dopo, rischiarando l’intero paesaggio notturno. Kiki, che si era nascosto in cima a un albero per non essere sorpreso, dovette tapparsi gli occhi, e quando li riaprì si accorse che non c’era più nessuno.

 

Ermes guidò i Cavalieri Celesti nel Regno sottomarino, edificato da Nettuno nel Mondo Antico, dopo l’affondamento dell’epica Atlantide, conseguente alla prima Guerra Sacra con Atena, su cui il Dio aveva eretto il suo primo Tempio. Di quell’antico regno rimaneva ben poco, essendo stato distrutto l’anno precedente al termine dello scontro tra i Cavalieri di Atena e Nettuno e i suoi generali, quando, dopo il crollo del Sostegno Principale, immense onde si erano abbattute su di esso, mondandolo dalle sanguinarie battaglie che vi si erano svolte.

 

“Credevo di trovare solamente detriti!” –Commentò un Cavaliere Celeste. –“Invece esistono ancora delle costruzioni!”

 

“Certamente!” –Rispose Ermes, continuando a marciare lungo una strada nel Regno Sottomarino. – “Non dimenticare che qua risiede la Divina Volontà del Dio Nettuno, fratello del Sommo Zeus, e che essa è sufficiente a mantenerlo in vita, e a ricrearlo dopo ogni distruzione!”

 

Ermes condusse i Cavalieri Celesti fino a un ampio spiazzo pavimentato sul fondo del mare azzurro, davanti al quale si ergeva un imponente costruzione in stile greco. Il Tempio di Nettuno, con un colonnato davanti e una scalinata per raggiungerne l’entrata. Questo non crollerà mai! Rifletté Ermes, paragonandolo all’Olimpo. E ordinò ai Cavalieri di entrarvi, eseguendo gli ordini di Zeus.

 

Ma mentre i Cavalieri Celesti si lanciavano correndo lungo la scalinata del Tempio, una soave melodia raggiunse i loro orecchi. Un canto dolce, ma a tratti malinconico, che richiamò ai loro orecchi i canti delle sirene che incantavano i marinai.

 

“Che succede?” – Chiese Ermes, osservando i Cavalieri Celesti fermarsi senza riuscire a muoversi.

 

Improvvisamente, da un lato del Tempio, apparve una figura, e Ermes capì che quella era la fonte della musica, che intanto continuava a diffondersi intorno a loro.

 

“Chi sei?” –Domandò Ermes, fissando il musicista misterioso. Ma questi non rispose, continuando a produrre quell’ammaliante sinfonia, dovuta al suono del suo flauto, un lungo flauto dorato, perfettamente intonato alle vesti dell’ignoto Cavaliere. Scaglie dorate e arancione ricoprivano il corpo dell’uomo, dai capelli violetti, che continuava a camminare fino a giungere di fronte a Ermes. Quindi staccò lievemente le labbra dal flauto e si rivolse a lui.

 

“È Syria delle Sirene il mio nome celeste, Generale degli Abissi dell’Atlantico del Sud!” –Esclamò il Generale con voce leggera.

 

“Un Generale?!” –Rispose Ermes. – “Credevo che foste stati tutti uccisi dai Cavalieri di Atena!”

 

“Non tutti, io ancora resto, ultimo dei sette Generali di Nettuno!” –Esclamò Syria, avvicinando nuovamente le labbra al flauto.

 

“Beh, poco importa!” –Affermò Ermes. –“Non ti faremo del male, non preoccuparti, se non ostacolerai la nostra missione!” –E ordinò ai suoi Cavalieri di entrare del tempio, per recuperare l’oggetto della loro cerca.

 

“Fermatevi!” –Esclamò Syria. –“C’è solo un oggetto che potrebbe interessare gli Dei dell’Olimpo! Un oggetto che non vi è permesso avvicinare!”

 

Ermes non riuscì a pronunciare parola, quasi incantato dalla mistica figura di fronte a sé. Ma doveva portare a termine la propria missione.

 

“Il Vaso di Atena! In cui la Dea rinchiuse nuovamente lo spirito di Nettuno al termine del conflitto! Zeus lo vuole!” –Affermò Ermes.

 

“Per quale motivo?” – Chiese Syria.

 

“Questo non so dirtelo, Generale degli Abissi, non essendo stato informato al riguardo! Mi limito ad eseguire la Volontà Divina!” –Commentò Ermes.

 

“Capisco, Messaggero degli Dei!”

 

 “Tu sai chi sono?” –Chiese Ermes.

 

“Naturalmente! Ho riconosciuto le celesti vestigia che indossi, i rapidi calzari che ti permettono di muoverti ad altissima velocità, le splendide ali forgiate da Efesto, fissate dietro la tua armatura! Nettuno mi parlò di tutti gli Olimpi, in particolare di te, Ermes! Per il quale ho sempre avuto un’enorme ammirazione!”

 

“Realmente?” – Domandò Ermes, straniato.

 

“Non fosti tu, figlio di Zeus e di Maia, a fabbricare per primo la lira, servendoti del guscio di una tartaruga e di sette corde fatte di budello di pecora? E di trasmetterla poi ad Apollo, che della musica sarebbe diventato il Dio, circondandosi delle affascinanti Muse?” –Esclamò Syria, con voce suadente. –“Io, che delle sirene ricreo il canto, non posso che ammirarti, Dio che facesti dono al mondo della musica!”

 

“Sono confuso e affascinato, Syria delle Sirene, nel sapere che ancora oggi, millenni dopo, qualcuno ricorda Ermes non soltanto come l’araldo di Zeus!” –Sorrise lusingato il Messaggero. – “Ti chiedo quindi il permesso di entrare nel Tempio del tuo Signore, per recuperare il Vaso in cui il suo spirito dimora, di modo che io possa portarlo a Zeus, che l’ha richiesto!”

 

“Mi dispiace!” –Rispose Syria. –“Non so quali siano le intenzioni di Zeus, ma a nessuno è concesso asportare il Vaso dal Tempio di Nettuno, Vaso dal quale lo spirito del mio signore uscirà autonomamente quando il sigillo di Atena perderà efficacia!”

 

“Vuoi dunque opporti alla Divina Volontà di Zeus?” – Domandò Ermes, indispettito.

 

“Intendo solo salvaguardare il Tempio del mio Signore e non mettere nuovamente in pericolo la giustizia e gli equilibri della Terra!” –Commentò Syria.

 

“Opponendoti all’Olimpo?” –Si adirò Ermes, incitando i Cavalieri a proseguire.

 

Ma Syria non rispose, appoggiando le labbra al flauto dorato. Una melodia incantata si diffuse intorno a lui, raggiungendo nuovamente i Cavalieri Celesti, incapaci di fare un solo passo. Una sinfonia di morte. In un attimo i Cavalieri Celesti si accasciarono al suono, con le mani alla testa, in preda a una forte sensazione di delirio. Si tapparono gli orecchi, cercarono di non ascoltare quell’incantevole melodia, ma la musica, come sostenne Syria, non poté essere fermata.

 

“Melodia di Requiem!” –Sussurrò Syria, aumentando l’intensità della melodia.

 

Come circondati da farfalle e da fiori, i Cavalieri Celesti furono travolti dall’incantesimo del Generale, sollevati da terra e spinti indietro, mentre le loro Armature si incrinavano.

 

Stanno diventando pazzi! Mormorò Ermes, urlando al Generale di smetterla. Ma Syria neppure lo ascoltò, continuando a suonare il proprio flauto. Ermes concentrò una sfera di energia cosmica nel braccio destro, scagliandola quindi contro Syria, che fu obbligato a togliere la bocca dal flauto e a rotearlo velocemente avanti a sé, creando una barriera d’aria su cui si infranse l’attacco del Dio. Quindi il Generale degli Abissi avvicinò nuovamente le labbra per riprendere la sua melodia suadente, quando comparvero una ventina di soldati semplici, vestiti di armature di cuoio con gli elmi squamati, che attaccarono i Cavalieri Celesti.

 

Ermes, approfittando della confusione che si creò, scattò in avanti per raggiungere l’ingresso del Tempio, ma Syria, con grande sforzo, tentò di anticiparlo, sollevando il braccio destro, con cui reggeva il flauto, e lanciando un fendente luminoso che fermò l’avanzata del Dio. Ma questi, deciso a proseguire, concentrò una sfera energetica sul palmo destro, scagliandolo contro Syria, che si era lanciato su di lui. Il Generale respinse la sfera con il proprio flauto, prima di atterrare proprio di fronte all’ingresso del Tempio di Nettuno.

 

In quel momento terminò il rapido scontro tra i Cavalieri Celesti e i pochi soldati degli abissi sopravvissuti. Syria accostò nuovamente il flauto alle labbra, liberando l’incantevole magia della sua melodia. Tutti i Cavalieri Celesti furono aggrediti dalla melodia della Sirena e caddero a terra deliranti, ma prima che Syria riuscisse a suonare l’ultima nota fu colpito in pieno petto da una sfera incandescente che lo spinse indietro, fino a sbattere contro il muro e farla ricadere a terra.

 

“Com’è possibile?” – Si chiese Syria, rialzandosi.

 

“La musica che suoni è incantesimo suadente!” –Esclamò Ermes, avvicinandosi al Generale. –“Ma non ha effetto alcuno su di me! Non può averlo sul Dio creatore della lira!”

 

“Incredibile!” –Affermò Syria, poggiando nuovamente le labbra sul flauto e suonando una nuova Melodia di Requiem. Ma Ermes parve non risentirne minimamente, continuando a camminare senza problemi.

 

“Adesso che ti sei reso conto di non avere potere alcuno sul Messaggero degli Dei, cedi il passo Generale! Non è mia intenzione ucciderti, a meno che non sia tu a volerlo!” –Esclamò Ermes, preferendo evitare, come sempre, un conflitto.

 

“Sono l’ultimo dei sette Generali, Dio dell’Olimpo, e ho il dovere morale di impedire la profanazione del Tempio!” –Affermò Syria, puntandosi con forza di fronte all’ingresso.

 

“E sia dunque..” –Ermes unì le mani insieme, e prima ancora che Syria se ne rendesse conto si ritrovò scaraventato nuovamente al muro, schiacciato da potenti sfere energetiche.

 

Il Generale ricadde a terra, perdendo il suo flauto dorato, mentre le scaglie della sua corazza si frantumavano in più punti. Ermes fece un cenno ai Cavalieri Celesti ancora in vita, che si lanciarono all’interno del Tempio di Nettuno, mentre Syria, rialzatosi per fermarli, fu spinto nuovamente contro il muro da una nuova sfera energetica.

 

“Apprezzabile e doveroso il tuo comportamento, Generale dell’Atlantico del Sud!” –Esclamò Ermes, avvicinandosi a Syria. – “Ma improduttivo! Rinuncia, o morirai!”

 

“Non la morte in sé mi spaventa, Messaggero, ma la possibilità di non poter portare più conforto ai bambini orfani col suono del mio flauto!” –Confessò Syria, rialzandosi a fatica.

 

“Bambini orfani?!”

 

“Proprio così.. Terminato il conflitto tra Atena e Nettuno, scelsi di girare il mondo con Julian Kevines, reincarnazione del Dio dei Mari, accompagnandolo nelle sue visite benefiche negli orfanotrofi e nelle case di cura, dove bambini soli e anziani malati hanno ascoltato la musica del mio flauto!”

 

“Capisco!” –Sorrise compiaciuto Ermes. –“Immagino che fosse uno dei pochi momenti felici della loro vita! Che permettesse loro di sognare..”

 

“E di volare via… almeno con la mente!” –Continuò Syria. –“Non è forse questo uno dei migliori compiti che la musica assolve?”

 

Ermes non rispose, limitandosi ad uno scarno sorriso imbarazzato. Vociò ai suoi uomini per sapere se avevano trovato qualcosa, ma nessuno di loro rinvenne niente.

 

“Devo fermarli!” –Esclamò Syria, scattando all’interno del Tempio. Ma Ermes gli andò dietro, superandolo e fermandolo con una nuova sfera energetica che travolse il Generale scagliandolo fuori dall’edificio sacro.

 

“Come già ti ho detto, Generale, non puoi fare niente!” –Esclamò Ermes, uscendo a sua volta.

 

“Forse la mia musica non avrà effetto su di te, Ermes, ma sui tuoi soldati su!” –E Syria iniziò nuovamente a suonare il flauto, lasciando che un’armoniosa melodia si diffondesse intorno a loro.

 

Ermes concentrò una nuova sfera energetica e la lanciò contro Syria, ma la sfera si schiantò contro una barriera energetica posta a difesa del Generale. Un’ottima mossa! Rifletté Ermes. Usare il cosmo come barriera! Rischiosa, ma utile! In quel momento i Cavalieri Celesti che erano penetrati all’interno del Tempio, uscirono in fila indiana, stregati dall’incantesimo di Syria.

 

“Che cosa?” – Esclamò Ermes, sbalordito.

 

“Come le Sirene incantavano i marinai nel Mediterraneo, io Syria della Sirena incanto voi, invasori del Tempio di Nettuno! E vi condanno ad un’istantanea morte!”

 

Questa fu l’ultima voce che i Cavalieri Celesti udirono nella loro mente, prima di morire, uno dopo l’altro, uccidendosi tra loro, vittime di un mortale incantesimo di requiem, lasciando Syria ed Ermes da soli, fuori dal Tempio del Re dei Mari.

 

Il Messaggero degli Dei, per quanto dispiaciuto nel dover combattere, a maggior ragione contro un devoto cavaliere amante della musica, si fece avanti, concentrando una nuova sfera energetica sulla mano destra e lanciandola contro il Generale, che fu svelto a ricreare la bolla energetica su cui si infranse l’attacco di Ermes. Ma il Dio continuò imperterrito, scagliando decine di sfere, che misero a dura prova la resistenza di Syria, costringendolo a portare entrambe le mani avanti per contenere l’impatto con il potente cosmo divino.

 

“E sia, dunque, Generale degli Abissi!” –Esclamò infine Ermes, prendendo in mano un oggetto fissato alla cinta della sua Armatura Divina. –“Per te, che più di ogni altro hai dimostrato valore e coraggio, userò il mio principale attributo! Il caduceo!”

 

Syria inorridì nel riconoscere la bacchetta in mano al Dio dell’Olimpo. Un’arma terribile che Apollo regalò a Ermes, millenni addietro, in cambio della zampogna, dal Dio creata! Una bacchetta celeste con due serpenti intrecciati, sormontati da una coppia di ali aperte!

 

“Addio, Generale!” – Esclamò Ermes, puntando la bacchetta avanti a sé.

 

Da essa partì immediatamente un potentissimo raggio di energia, diretto verso Syria, che distrusse la barriera del Generale, trapassando poi la sua armatura di scaglie, mandandola in frantumi.

 

“Aah…” - Urlò Syria, accasciandosi a terra, in una pozza di sangue.

 

“Non desidero la lotta, Generale degli Abissi!” –Commentò Ermes, alla vista dell’uomo che si contorceva per il dolore. –“Ma sono tenuto ad obbedire agli ordini di Zeus! Per rispetto alla tua persona ti risparmierò la vita, se mi dirai dove si trova il Vaso di Atena!”

 

“Mai!”- Sibilò Syria, mentre Ermes puntava di nuovo la bacchetta verso di lui.

 

“Allora addio..” – E un nuovo potentissimo raggio di luce partì dal caduceo. Ma il raggio non colpì Syria, al sicuro dietro una bolla di energia dorata.

 

“Che cosa?” – Domandò Ermes, osservando l’avvenuto fatto.

 

In quel momento, sopra di loro apparve un Cavaliere indossante dorate vestigia, con lunghi capelli lisci e biondi, ad occhi chiusi e seduto in posizione meditativa, all’interno di una bolla energetica.

 

“Chi sei?” –Chiese Ermes, prima di puntare il caduceo su di lui.

 

“Sono Shaka della Vergine, Cavaliere d’Oro di Atena, e sono qua per te, Messaggero degli Dei, per impedirti di compiere un gesto di cui potresti pentirtene!”

 

 “Ma cosa stai dicendo?!” – Brontolò Ermes.

 

“Leggo nel tuo cuore l’incertezza e il dubbio, Dio dei Viaggi e dei Viaggiatori, dei Pastori, degli Oratori, dei Poeti, della Letteratura, dell’Atletica, dei Pesi e delle Misure, dei Ladri e dei Commercianti!” –Esclamò Virgo, con voce limpida. –“Nonostante l’ordine impartitoti provenga direttamente dal Sommo Zeus, tentenni, esiti nell’uccidere chi vuole difendere il Tempio del proprio Dio, come esiti nella tua missione, perché in fondo non vorresti recuperare quel Vaso!”

 

“Non è esitazione ciò che ferma la mia mano, Cavaliere di Atena, ma è rispetto per un nobile difensore della sua terra!” –Precisò Ermes. –“Inoltre, che io condivida o meno gli ordini di Zeus, sono tenuto ad eseguirli!” –E nel dir questo scagliò un raggio di luce dal suo caduceo contro Virgo.

 

La barriera protettiva andò in frantumi, mentre un’abbagliante esplosione costrinse Ermes e Syria a coprirsi gli occhi. Quando li riaprirono, convinti che il Cavaliere d’Oro fosse stato annientato, non trovarono niente più sopra le loro teste, ma Ermes non ebbe il tempo di gioire che subito fu costretto a voltarsi, percependo un immenso potere dietro di lui.

 

“Virgo!!!” – Urlò Ermes, prima di essere travolto dall’Abbandono dell’Oriente.

 

Il colpo di Virgo, da lui portato giungendo le mani in segno di preghiera, scagliò il Dio avanti, facendolo ricadere sulla scalinata del Tempio. Incredibile! Costui è degno della sua fama! Commentò Ermes, conoscendo i nomi e i fatti che accompagnano tutti i Dodici Custodi.

 

“Fermati, Messaggero Celeste! Non ha senso che combattiamo tra noi per qualcosa che neppure tu vuoi realmente!” –Esclamò il Cavaliere di Virgo. –“Zeus vuole il Vaso dell’Olimpo per il motivo più ovvio e più semplice: risvegliare il Dio dei Mari e convincerlo a schierarsi al suo fianco! Una proposta che suonerebbe come un ordine, una scelta inequivocabile, dal momento che Nettuno oggi non ha più niente! Né generali né armate, essendo passato troppo poco tempo perché il suo cosmo abbia potuto radunarne di nuovi!”

 

“Sono perfettamente a conoscenza di questi fatti, Cavaliere della Vergine!” –Commentò Ermes.

 

“E non comprendi la follia insita in questo?” –Continuò Virgo. –“Risvegliare Nettuno è un errore immenso, troppo grande persino per un Dio! A prezzo di dolore e sacrifici il suo spirito è stato rinchiuso nel Vaso di Atena, a prezzo di così tanti sacrifici che persino un suo Generale sta tentando di fermarti!”

 

“Il Cavaliere di Virgo ha ragione, Ermes!” –Esclamò Syria, rialzandosi a fatica. –“La rinascita di Nettuno non è possibile, non in quest’epoca! Condannerebbe definitivamente gli uomini alla morte! E obbligherebbe nuovamente Julian a trasformarsi! Ad abbandonare quel generoso volto che ha mostrato in tutti questi mesi, privo fortunatamente dell’ostico controllo del Re dei Mari!”

 

“Rinuncia, Ermes! So che comprendi le nostre parole!” –Continuò Virgo. –“Lo sento!”

 

Ermes non rispose, osservando con rabbia entrambi i Cavalieri. Strinse con forza il suo caduceo, espandendo il suo cosmo, prima di puntare la bacchetta avanti, verso il Cavaliere della Vergine, mentre mille dubbi gli attanagliavano il cuore senza dargli pace.

 

“Vorrei che fosse tutto così semplice!” –Sorrise il Dio, prima di scagliare un nuovo raggio energetico contro Virgo, che ricreò la sua barriera dorata, su cui si infranse il fascio di luce, prima di scagliare nuovamente l’Abbandono dell’Oriente. Il ventaglio di energia avvolse l’intera scalinata, ma Ermes lo evitò semplicemente balzando in alto, veloce e scattante grazie ai suoi calzari. Roteò su se stesso, prima di lanciare un nuovo raggio energetico contro Virgo.

 

“Fe... fermati… Messaggero!” –Balbettò Syria, portando nuovamente il suo flauto alla bocca.

 

Virgo contrastò ancora il potere del Dio, ma percepì il notevole sforzo che il mantenimento della sua barriera gli comportava. Giunse nuovamente le mani, per scagliare un ancor più potente Abbandono dell’Oriente, quando udì l’incantevole Melodia di Requiem, suonata da Syria.

 

Per un momento il Cavaliere d’Oro non pensò più ad Ermes, ma a Kiki, chiedendosi se il ragazzino aveva trovato il Vaso di Atena all’interno del Tempio. Lo aveva lasciato da solo poco prima, affidandogli un delicato compito, ma era sicuro che Kiki lo avrebbe portato a termine.

 

“Canto delle Sirene!” – Esclamò Syria, mettendo tutto se stesso in quella musica.

 

“Sciocco!” –Commentò Ermes, mentre tutto intorno risuonava quel delizioso canto. –“Non hai capito che il tuo canto non ha effetto su di me? Non impazzirò né mi prostrerò ai tuoi piedi, Generale!” – E puntò il caduceo contro di lui.

 

“E non è questa l’intenzione del canto di Syria!” –Sorrise il Generale, con gli occhi gonfi di lacrime. –“Un tempo un Cavaliere di Atena mi disse che solo un puro di cuore poteva suonare una musica simile! E aveva ragione, ma non ebbi la forza di riconoscere che ero nel torto, perché, come te adesso, anteposi il dovere alla ragione! Il senso del dovere che mi legava a Nettuno, che legava tutti noi Generali ad una guerra che, a parte Kanon, non sentivamo nostra! Ascolta la mia musica, Messaggero degli Dei, e liberati dalle nefaste influenze che oscurano la tua mente!”

 

E riprese a suonare con sempre più vigore, mentre Ermes, incerto sul da farsi, continuava a fissarlo, stringendo il caduceo celeste in mano.

 

Il Dio dei Viaggi e del Commercio non era uno sciocco, e sapeva che le parole di Syria e Virgo erano vere, che la rinascita di Nettuno in quel momento, al fianco di un bellicoso Zeus, sarebbe stata la rovina per le libere genti, un pericolo da scongiurare.

 

Ma sono il Messaggero di Zeus, uno dei suoi figli mitologici! Come posso disobbedire a un suo ordine, per quanto ingiusto e irrazionale possa sembrare? Oh Zeus.. vorrei tornare indietro nel tempo, tornare a quando l’Olimpo era un paradiso felice, e grandi banchetti vi si svolgevano alla presenza di Dei e di Eroi, e gli uomini mortali agognavano salirvi per vedere almeno una volta la Reggia degli Dei, per ascoltare Apollo suonare la lira che gli donai, per ammirare le grandi sale di marmo bianco ed assaporare l’ambrosia, il nettare degli Dei.

 

Ma adesso tutto questo è soltanto un ricordo! Commentò amaramente Ermes, stimolato dalla coinvolgente melodia di Syria. Adesso l’Olimpo è diventato una palestra di guerra, dove schiere di Cavalieri Celesti marciano senza ideali, pronti al tuo comando a scatenare guerre sulla Terra, sulla stessa Terra dove tua figlia ha combattuto per secoli per mantenere l’equilibrio e difendere la giustizia! Flegias! Mormorò infine il Messaggero, e per un attimo i suoi occhi grigi si incendiarono. Hai avvelenato la mente del mio Signore, mandando i nostri Cavalieri a morire in una guerra ingiusta! Aaah... ti pianterei il caduceo nel cuore, maledetto figlio di Ares!

 

Virgo, che nel frattempo si era avvicinato ai due, osservò l’espressione sul volto di Ermes farsi sempre più insicura e angosciata, a tratti quasi irata. E comprese che parte della sua rabbia derivava dalla frustrazione di non voler compiere un gesto che non comprendeva, che non riteneva giusto. O forse dal doverlo compiere sapendo di non volerlo? Improvvisamente Ermes diede loro le spalle, discendendo la scalinata fuori dal Tempio, di fronte agli occhi stupiti di Syria e di Virgo.

 

“Il potere che è stato scatenato è troppo grande per tentare di fermarlo!” –Esclamò infine, rivolgendosi ai due. –“Ma i vostri compagni ci stanno provando lo stesso, impetuosi come sempre, voi Cavalieri di Atena! È un peccato che Zeus abbia deciso di eliminarvi tutti!”

 

“Rinunci al Vaso di Atena, Messaggero degli Dei?” – Domandò Virgo, volutamente beffardo.

 

“Potrò sempre dire di non averlo trovato!” –Ironizzò Ermes, mentre una celeste aura lo ricopriva. – “In fondo le correnti potrebbero averlo portato via...” –Non aggiunse altro e scomparve, in un’esplosione di luce.

 

Virgo, felice che il Dio avesse rinunciato a quel folle proposito, aiutò Syria a riprendersi, prima che la squillante voce di Kiki lo richiamasse. Il ragazzino aveva perlustrato l’intero Tempio, ma del Vaso di Atena non vi era realmente traccia.

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Cacciatori e serpenti ***


CAPITOLO VENTUNESIMO

CAPITOLO VENTUNESIMO. CACCIATORI E SERPENTI.

 

Tisifone si trovava nella foresta di Artemide, impegnata da una decina di minuti in un duro combattimento contro uno dei Cavalieri della Dea della Caccia. Atteone era il suo nome, un tempo allievo del centauro immortale Chirone, che aveva insegnato al discepolo l’arte della caccia. L’uomo era d’aspetto rude, quasi selvaggio, alto e muscoloso, con folti riccioli mori e barba incolta, ricoperto in parte da un’Armatura Celeste, di colore verde, e ornata con pelli e frammenti di corteccia, molto diversa dalle più nobili vestigia dei Ciclopi Celesti. Ma altrettanto resistente! Dovette ammettere Tisifone, dopo aver scagliato un nuovo assalto contro l’uomo, senza aver raggiunto il bersaglio.

 

La Sacerdotessa dell’Ofiuco era assai stanca, per essere stata quasi soffocata dalla frusta di Atteone, frusta intrisa di un veleno che annebbiava i sensi, e soprattutto in pena per le sorti dell’amica Castalia, ferita e condotta via dai Cacciatori di Artemide.

 

Devo sbrigarmi! Devo trovare Castalia! Avrà sicuramente bisogno di aiuto! Si disse, sentendo esplodere in quel momento il cosmo di Andromeda, in un luogo che non riuscì a focalizzare, ma sicuramente più avanti rispetto a dove si trovava lei, e un po’ dopo altri due cosmi lucenti scintillarono a valle. E Tisifone immaginò che anche Mizar e Alcor fossero impegnati in battaglia.

 

Un destro di Atteone la ferì in pieno volto, spingendola indietro, mentre con un calcio l’uomo la colpì allo stomaco, ma Tisifone riuscì a reagire, buttandosi a terra e rotolando sul terreno, prima di snodare la propria frusta e lanciarla contro Atteone. Il Cavaliere di Artemide cercò di evitare la sguisciante arma di Tisifone, che sferzò l’aria pesante della foresta, percorsa soltanto dai sibili della frusta e dalle urla rabbiose della donna. Atteone scattò tra gli alberi, mentre Tisifone si lanciò al suo inseguimento, liberando continuamente la frusta, che si intrecciava ai rami della foresta senza mai riuscire a raggiungerlo. Improvvisamente Atteone si voltò scagliando un violento pugno energetico contro la donna che fu presa in pieno e spinta indietro, fino a sbattere contro un albero. Con un balzo, l’uomo le fu sopra, brandendo una rozza lama, pronto per tagliarle la gola, ma Tisifone fu svelta a rotolare a terra, lasciando che l’arma si conficcasse nella corteccia dell’albero.

 

Senza neppure darle fiato per riprendersi, Atteone si voltò di nuovo, liberando la lama con un colpo secco e lanciandola contro la donna. A Tisifone sembrò che l’arma si moltiplicasse in infinte lame, tutte convergenti verso di lei. Ne evitò alcune, prima che altre strusciassero contro la sua corazza.

 

“Non potrai evitarle tutte!” – Urlò Atteone, sogghignando soddisfatto.

 

E infatti Tisifone non ci riuscì, venendo colpita in più punti dalle lame rotanti del Cavaliere. Per fortuna indosso un’Armatura d’Oro! Si disse la Sacerdotessa, con un certo timore, mentre una lama le passava accanto, tagliandole una rozza ciocca di capelli. Devo reagire! Strinse i denti e scattò avanti, lanciando rapidi fendenti energetici contro le lame. Atteone, sorpreso, tirò fuori una nuova lama, scagliandola nuovamente contro la donna.

 

“Lame di Atteone ferite l’invasore di questa foresta sacra!” – Esclamò l’uomo, convinto di liberarsi facilmente di lei.

 

Ma Tisifone, decisa a tutto pur di non lasciarsi sconfiggere, riuscì a colpire quasi tutte le lame, mancandone soltanto un paio che le strusciarono l’Armatura, senza raggiungere la pelle al di sotto.

 

“Sei stupito, guerriero di Artemide?” –Chiese Tisifone, sarcastica. –“Che una donna possa tanto?”

 

“Non è la tua natura femminea a stupirmi, Cavaliere di Atena! Non dimenticarti che servo la Dea della Caccia, ed è per me normale vedere una donna lottare! Ciò che mi stupisce è la tua resistenza! La stanchezza e il veleno presente nella mia frusta avrebbero dovuto abbatterti già da tempo!”

 

“Comprendo la tua sorpresa, Atteone, ma non dimenticare il motivo per cui sono qua! Per salvare Atena, la Dea a cui sono devota e che Zeus ha condannato a morte! Un motivo più che valido per stringere i denti e rimanere in piedi!”

 

“Capisco..” –Si limitò a commentare Atteone, per niente interessato ad un’eventuale conversazione. –“Allora morirai con lei, contenta?” –Detto questo scattò avanti, muovendosi rapido come un felino, con mosse svelte e molto animalesche, che a Tisifone fecero proprio venire in mente una fiera feroce, più che un uomo. Atteone concentrò il cosmo sulle proprie mani, muovendole contro la donna come artigli pronti a ghermirla, ad una velocità pari a quella della luce.

 

Tisifone evitò un paio di affondi, prima di essere costretta a indietreggiare per non essere travolta da quella fiera furibonda. Fece un passo indietro, poi un altro e un altro ancora, alla cieca, urtando radici sporgenti e sassi, incapace di concentrarsi sul terreno di scontro, incapace di trovare una strategia su come evitare gli affondi energetici del Cavaliere che stridevano fortemente sulla sua corazza. D’un tratto si ritrovò con le spalle al tronco di un albero, proprio mentre Atteone caricava il braccio destro affondandolo contro di lei.

 

L’Armatura del Cancro vibrò pesantemente, sottoposta a notevole pressione, e a Tisifone parve sul punto di esplodere, lei compresa. Un secondo affondo e Tisifone fu spinta indietro, distruggendo l’albero a cui era appoggiata, e scaraventata lontano, fino a ritrovarsi con la faccia sul terreno.

 

“Non vali poi molto, donna!” –La schernì Atteone, osservandola mentre si rialzava a fatica. –“Mi chiedo come tu abbia potuto superare il Bianco Cancello! Probabilmente qualcun altro avrà combattuto per te, non trovo altre spiegazioni!”

 

“Taciiii!!!” – Urlò Tisifone, scagliando contro di lui un violento fendente energetico.

 

Atteone, seppur sorpreso, evitò il colpo della donna, semplicemente spostandosi di lato, mentre Tisifone si appoggiava alle sue ginocchia per riprendere fiato. Nessuno combatte per me! Si ripeté più volte, concentrando il proprio cosmo. Nessuno combatte per me! E si lanciò avanti, nuovamente, liberando gli incandescenti Artigli del Cobra.

 

“Umpf! Ridicolo!” –La derise Atteone, evitando tutti i colpi della donna, prima di colpirla sul braccio sinistro, nel punto lasciato scoperto dall’Armatura del Cancro, proprio sotto il coprispalla.

 

“Aaargh!” – Tisifone urlò di dolore, nel sentire le affilate unghie dell’uomo penetrare le sue carni.  Un calcio in pieno petto la scaraventò lontano, nuovamente a terra.

 

“Non rialzarti, brava, rimani a terra! È quello il luogo in cui devi restare! Non alzare il capo, non sollevare la testa verso una luce che non hai occhi a sufficienza per guardare!” –Esclamò Atteone, avvicinandosi a passo lento alla donna.

 

Tisifone ansimava a fatica, dolorante ma anche molto rabbiosa. Non soltanto per non riuscire a colpirlo, non soltanto per non sentirsi in grado di sconfiggere da sola un nemico, ma per le parole ostili che l’uomo le rivolgeva. Parole che la colpivano nell’orgoglio e che contribuivano, seppur indirettamente, a ricordarle la sua solitudine.

 

La Sacerdotessa dell’Ofiuco era sempre stata sola, orfana fin dai primi anni di vita, aveva intrapreso la strada dell’addestramento, per diventare Cavaliere, per servire la giustizia e Atena, ma soprattutto per se stessa. Per essere forte e indipendente, come una vera donna doveva essere, secondo lei, senza dipendere da un uomo. Rifuggiva le ragazze troppo femminili, troppo dolci e zuccherose, le aveva sempre detestate fin da bambina, fin da quando si allenava nel campo di addestramento femminile, in cui Pegasus l’aveva vista per la prima volta anni prima. Voleva essere diversa, voleva essere forte. Anzi, come disse a Pegasus, voleva essere considerata un uomo, perché così forse non sarebbe stata inferiore agli altri Cavalieri, perché così sarebbe stata all’altezza della situazione.

 

Il suo desiderio di realizzarsi era sempre stato grande, il suo sogno di diventare Cavaliere, per potersi confrontare alla pari con altri uomini, l’aveva guidata per tutti i suoi ventidue anni di vita, spingendola persino a rinunciare alla propria femminilità, al proprio volto, coprendolo con una maschera. Un segno discriminante che Tisifone non aveva mai compreso, nonostante si fosse sempre attenuta ad indossarla. Dopo la sconfitta di Arles, l’obbligo di indossare la maschera era decaduto, lasciando la libera scelta alle donne. Ma soprattutto era decaduto l’obbligo di uccidere o amare l’eventuale uomo che avrebbe visto il volto nascosto delle Sacerdotesse.

 

Pegasus! Mormorò Tisifone, afferrando grumi di terra umida con le mani. Il primo uomo che l’aveva vista in volta, il primo che era stata capace di amare realmente, al punto da non esitare, ben due volte, a sacrificarsi per lui. Pegasus ha combattuto per me! Rifletté, cercando di rialzarsi. Ha combattuto per darci la possibilità di superare il Bianco Cancello e permetterci di correre a salvare Atena! Non sprecherò questa opportunità, questa occasione di fiducia che ci ha dato! No! E nel pensar questo, bruciò tutto il suo cosmo, riuscendo a rimettersi in piedi, davanti agli occhi attoniti di Atteone. Pegasus, forse oggi mi hai davvero considerato un uomo, un tuo pari, al cui fianco poter combattere! Non ti deluderò, né deluderò me stessa, lasciandomi andare!

 

“Ti batterò, Atteone!” –Urlò Tisifone, voltandosi di scatto e lanciandosi in alto. –“A costo di morire ti batterò, qui, adesso! Cobra Incantatore!” –Le scariche energetiche raggiunsero Atteone, sorpreso dalla rapida ripresa della Sacerdotessa, stritolandolo, mentre le taglienti unghie di Tisifone vibravano sull’Armatura Celeste del Cavaliere di Artemide. –“Adesso sono io la cacciatrice, e tu la mia preda!” –Ironizzò Tisifone, graffiando l’uomo sulle braccia e sulle gambe, nelle parti non coperte dall’Armatura Celeste. La protezione di cuoio e corteccia andò in mille pezzi, distrutta dai fendenti luminosi di Tisifone, rivelando la nuda pelle dell’uomo sotto di essa.

 

Maledetta! Strinse i denti Atteone, cercando un modo per cavarsi d’impiccio. Di scatto si buttò a terra, di schiena, tirando le gambe a sé e poi spingendole di colpo avanti, colpendo in pieno stomaco Tisifone, a cui, per la botta, si mozzò il respiro, sputando sangue. Quindi Atteone la colpì in pieno viso, spingendola indietro, mentre con un balzo afferrava il ramo di un albero, salendo su esso. Tisifone lo guardò dal basso scomparire tra le verdeggianti fronde sopra di lei, prima di scagliare qualche fendente energetico a casaccio, che distrusse parecchi rami ma non raggiunse l’uomo.

 

“Scendi subito, vigliacco!” – Urlò Tisifone, avvicinandosi al tronco per guardare meglio in su.

 

“Vieni a prendermi!” –Ironizzò Atteone, la cui voce sembrava provenire dall’intera foresta, e non da un punto preciso.

 

Bastardo! Commentò Tisifone, e fece per arrampicarsi sull’albero. Poi però, prudentemente si fermò, preoccupata per un’eventuale trappola. Non ebbe il tempo di riflettere ulteriormente che udì un fischio provenire da dietro di lei. Un nugolo di frecce saettò nell’aria, diretto verso la donna, che fu svelta ad evitarle, spostandosi di lato; ma subito ne arrivarono altre, dalla cima degli alberi.

 

Tisifone si spostò velocemente, lanciandosi in una folle corsa nella foresta, mentre sciami di frecce la inseguivano ad ogni dove. La Sacerdotessa tentò di scagliare qualche colpo contro le cime degli alberi, ma caddero soltanto rami, e non i velenosi arcieri. Con inquietudine si accorse che le frecce la stavano obbligando a un percorso stabilito, impedendole di muoversi diversamente, ed ella non poté far altro che accondiscendere, impossibilitata a affrontare un nemico invisibile, nascosto da una sempre presente foschia che limitava la vista. Un nuovo fruscio non le diede tempo di pensare, che si ritrovò sollevata in aria, a testa in giù, intrappolata in una rudimentale rete di liane e arbusti.   

 

“Ma cosa diavolo?” –Si dimenò Tisifone, appesa con la testa in giù, cercando di liberarsi, ma anche le sue braccia si ritrovarono completamente bloccate.

 

“Un po’ rozza oserei dire...” –Esclamò una voce che ben conosceva, comparendo alle sue spalle. – “Anzi, decisamente primitiva! Ma efficace!” –Sogghignò Atteone, mentre una decina di Cacciatori di Artemide lo raggiungeva. Erano come quelli che avevano portato via Castalia mezz’ora prima, dopo aver attaccato entrambe con le loro frecce velenose. E Tisifone li guardò con tremendo disprezzo, prima di bruciare il proprio cosmo e tentare di liberarsi.

 

“Non dimenarti troppo! In quelle liane c’è il sacro cosmo di Artemide! È come se lei ti stesse soffocando!” –Esclamò Atteone, mentre uno dei Cacciatori gli passava un’affilata lama. –“E adesso muoriii!” – Urlò, saltando avanti.

 

La rapidità dell’assalto e l’impossibilità di muoversi di Tisifone fecero sì che, nonostante i disperati tentativi della donna di liberarsi, la lama colpisse il pettorale dell’Armatura d’Oro, scheggiandolo di brutto. Tisifone tremò, dimenandosi come una pazza e bruciando il proprio cosmo. Atteone, ormai davanti a lei, piantò di nuovo la sua lama rovente, scheggiandole quella volta un coprigamba, senza riuscire ad affondare, a causa dei continui dimenamenti della donna.

 

Sono una cacciatrice, si disse Tisifone, espandendo al massimo il proprio cosmo. Non posso morire così, appesa come una sciocca in una primitiva trappola! No, non posso! Non voglio! Il cosmo del Serpentario esplose in tutta la sua forza, caricato del dorato calore della costellazione del Cancro, bruciando le liane e le piante che tenevano Tisifone prigioniera, e abbagliando tutti i presenti, Atteone incluso, obbligandoli a coprirsi gli occhi con una mano. Con un’abile piroetta Tisifone si rimise in piedi, mentre i Cacciatori di Artemide caricavano gli archi, pronti per ucciderla.

 

“Artigli del Cobra!!!” –Urlò la Sacerdotessa, scattando avanti, avvolta ormai in un’aura dorata.

 

I suoi fendenti squarciarono l’aria tetra, portando luce in quella scura foresta, raggiungendo gli arcieri di Artemide che caddero tutti, uno dopo l’altro. L’ultimo colpo lo diresse verso Atteone, accanto a lei, con la lama in mano, ferendolo in pieno petto. L’artiglio affilato del Cobra penetrò la corazza divina di Atteone, spingendosi fino alle pelle al di sotto, facendo urlare l’uomo dal dolore.

 

Ma questi non si arrese, abituato, come tutti i cacciatori, a trattare con bestie ribelli. Con le ultime forze piantò la lama nel braccio sinistro di Tisifone, sfondando l’armatura d’Oro. La Sacerdotessa urlò e nello stesso momento il suo cosmo esplose, facendo terra bruciata di tutto ciò che le stava attorno, mentre il corpo di Atteone veniva scaraventato lontano, tra i frammenti della sua Armatura Divina. Prima di morire, l’allievo del centauro Chirone pensò alla sua Dea, la bellissima Artemide, a cui aveva consacrato la sua esistenza. La prima vita, e pure la seconda, che in quel momento finì.

 

Tisifone barcollò per qualche istante, prima di togliersi con un urlo il pugnale avvelenato che aveva distrutto la sua corazza dorata, piantandosi nel braccio sinistro. Sangue iniziò a uscire a fiotti, mentre la donna, debolissima, si accasciava al suolo, incapace di focalizzare l’ambiente intorno a lei. La vista le si stava annebbiando sempre più, si sentì sudare e poi gelare improvvisamente, prima di cadere con la faccia a terra, in una pozza di sangue, incapace di rialzarsi. Il suo ultimo pensiero andò a lui, all’unico uomo che aveva visto il suo volto, l’unico per il quale avrebbe voluto forse essere diversa. Non un uomo, non un Cavaliere, solamente una donna che avrebbe potuto amare.

 

Mentre Tisifone era impegnata nel combattimento contro Atteone, il gruppo di Cacciatori che aveva rapito Castalia aveva condotto la donna nel cuore della foresta, proprio di fronte ad un’ampia caverna, sul bordo estremo dell’Olimpo. La residenza della Divina Artemide. Castalia era febbricitante, percorsa da fitte di dolore dovute al veleno che le era penetrato nel sangue, che stava paralizzando i suoi sensi nervosi, facendola sudare, facendola ansimare e rendendola incapace di reagire, persino di parlare. Era diventata un vegetale, e molto presto sarebbe morta.

 

I Cacciatori la deposero a terra, sull’erba fresca, proprio mentre una donna usciva dalla caverna. Non era molto alta, anzi sicuramente più bassa di Castalia e Tisifone, ma aveva un fisico atletico, molto rude, mossi capelli scuri, che le ricadevano confusamente sul volto, nascondendo in parte il suo sguardo. Indossava solamente pelli di animali, che lasciavano scoperta gran parte del suo corpo e del suo abbondante seno, e portava con sé un arco da caccia e una faretra, della stessa fattura di quelli utilizzati dai suoi guerrieri.

 

“Lode a te, Divina Artemide, Dea della Caccia!” –Esclamarono i Cacciatori, inginocchiandosi. –“Le abbiamo portato uno degli invasori del Sacro Monte!”

 

“Perché soltanto uno? Dove sono gli altri sei?” –Domandò Artemide. –“Ho sentito sette cosmi raggiungere l’Olimpo!”

 

“Atteone sta affrontando un’altra donna, mentre i Dioscuri hanno attirato in trappola un terzo Cavaliere! Altri tre hanno proseguito per la strada principale e sono adesso impegnati in battaglia con i Cavalieri Celesti del Sommo Zeus!”

 

“E il settimo?”

 

“Di lui non sappiamo niente! Soltanto sei cosmi hanno varcato il Bianco Cancello!” –Risposero i Cacciatori di Artemide.

 

La donna non disse altro, avvicinandosi a Castalia, distesa a terra, in preda a forti convulsioni nervose. Le diede una rapida occhiata e per un istante provò il desiderio di strapparle la maschera. Poi si contenne, riflettendo che sarebbe morta da sola entro pochi minuti, e ordinò ai suoi seguaci di tornare nella foresta e uccidere gli altri Cavalieri di Atena.

 

I Cacciatori scomparvero tra gli alberi poco dopo, lasciando solamente un esiguo numero intorno alla caverna. Ma Artemide non aveva paura di nessuno, né dei Cavalieri di Atena, né di Zeus o di altre Divinità. Il territorio intorno, quello che lei chiamava con orgoglio la Foresta di Artemide, era il suo territorio, il luogo di caccia prediletto della Dea, l’unico in cui si sentiva sicura e protetta. Non solo dai suoi Guerrieri, appostati sulle cime degli alberi e mimetizzati nelle verdeggianti fronde, non solo dal suo Divino Cosmo, capace di percepire ogni minima variazione dell’equilibrio, ma dal territorio stesso. Sì, la sua terra era un tutt’uno con lei, un unico respiro, come amava definirla lei stessa. E in quella terra nessuno avrebbe potuto ferirla o solamente raggiungerla.

 

Un mugolio di Castalia richiamò l’attenzione della Dea, costringendola a uscire nuovamente dalla caverna. Artemide si avvicinò alla Sacerdotessa, distesa a terra, senza tradire espressione alcuna, né di godimento né di dispiacere. Si chinò su di lei e le strappò la maschera, gettandola via con disprezzo. Odiava quel simbolo! L’aveva sempre odiato, fin da quando Atena e altri Dei Olimpici avevano fissato tale pratica nel Mondo Antico. Una pratica che, come lei aveva sempre sostenuto, era soltanto una discriminazione, un’inutile proibizione. Nascondere il viso di una donna è come tenere un fiore sotto una campana di vetro! Mormorò Artemide, accarezzando il viso di Castalia. Un viso liscio, ma pallido, espressione della mortale febbre che la stava uccidendo.

 

Improvvisamente Castalia aprì gli occhi, e fissò la donna china su di lei, non capendo dove si trovasse. Ricordava poco di ciò che era accaduto nelle ultime ore, provava soltanto freddo.

 

“Sono Artemide, Dea della Caccia!” –Esclamò la Divinità, rialzandosi. –“E tu stai morendo, Cavaliere di Atena, per effetto del veleno contenuto nelle frecce dei miei guerrieri! Dovrei essere felice, dovrei gioire per la tragica fine degli invasori del Monte Olimpo, dovrei essere appagata, nel vedere di persona la morte di uno dei Cavalieri di Atena, quell’insolente assassina di Dei che ha causato la morte di mio fratello Apollo, del mio amatissimo fratello Apollo!”

 

Castalia mosse la testa, cercando di seguire con lo sguardo i movimenti della Dea, ma non riusciva a metterla a fuoco, vedendo soltanto una scura massa indistinta.

 

E allora perché non lo sono? Si chiese. Perché non provo il giusto piacere nel vedere la fine di questi invasori? Perché non pianto io stessa una lama nella sua gola? E senza pensarci ulteriormente strappò una lama dalle mani di uno dei suoi Guerrieri, brandendola con rabbia e avventandosi su Castalia. La Sacerdotessa dell’Aquila poté soltanto spostarsi, rotolando a fatica sul terreno, proprio mentre la lama lucente di Artemide si piantava nell’erba vicino a lei. Febbricitante, quasi delirante, Castalia tentò di urlare qualcosa, ma le parole le morirono in bocca, prima di essere afferrata per i capelli dalla Dea della Caccia e sollevata bruscamente. Con un colpo deciso Artemide le tagliò un pezzo di capelli, lasciandola poi ricadere a terra, con la faccia nell’erba. Le diede un calcio, offendendola per aver rinunciato alla sua femminilità.

 

“Voi Sacerdotesse di Atena siete la vergogna della Madre Terra, colpevoli di aver accettato di sottomettervi agli imperativi maschilisti del mondo, avete abiurato la vostra vera natura, nascondendo il vostro volto, coprendo il vostro corpo, invece di farne motivo di vanto e di mostra!” – Esclamò Artemide, osservando Castalia a terra, incapace di reagire ulteriormente. –“Guardami!!!” – Urlò la Dea, stracciandosi le vesti di dosso e rivelando il suo bellissimo corpo, che neppure Efesto avrebbe potuto ricreare così perfettamente. –“Guarda una vera donna! Non tu, che ti nascondi dietro quella maschera! Non tu che rinunci alla tua natura femminile, isterilendoti insanamente!”

 

Detto questo scagliò la lama contro Castalia, lasciando che si piantasse proprio accanto al suo volto, falciandole una ciocca di capelli e facendole sentire il freddo contatto con il metallo della lama.

 

“Aah!” –Esclamò Artemide, volgendole le spalle. –“Inutile perdere tempo con una moribonda, è questione di attimi ormai e poi lascerai questo mondo! Non ti compiango, anzi, ho pena di te!”

 

Un fruscio debolissimo fece voltare la Dea verso sinistra, proprio per incrociare lo sguardo deciso di un uomo dagli occhi verdi, ricoperto da una lucente Armatura Celeste. In un attimo decine di Cacciatori di Artemide scesero dagli alberi, lanciandosi a terra o vorticando in aria appesi a delle liane, sfoderando lame e pugnali e puntando i loro archi contro l’inaspettato invasore.

 

Incredibile! Mormorò Artemide, facendo un passo indietro e sistemando le proprie vesti, ricoprendo il seno nudo. Per la prima volta qualcuno riusciva a giungere fin lì, all’ingresso della sua caverna, nel cuore del suo impero, senza che lei lo avesse percepito, senza che i suoi Cacciatori lo avessero fermato.

“Chi sei?” –Domandò infine, cercando di non tradire le proprie emozioni di sorpresa.

 

“Sono Phantom dell’Eridano Celeste, Luogotenente dell’Olimpo!” –Rispose l’uomo, accennando un inchino. –“Sono qua per ordine del Sommo Zeus, per recuperare il corpo moribondo del Cavaliere di Atena qua presente e condurlo da lui, alla Divina Reggia!”

 

“Che cosa?! Neanche per sogno!” –Urlò Artemide, mentre i Guerrieri si avvicinavano a Phantom, con gli archi sempre più tesi. –“È la mia preda, il mio trofeo di caccia! Sono stati i miei Cacciatori, dai Cavalieri di Atena barbaramente assassinati, a portarlo qua!”

 

“E Zeus te ne renderà merito, Dea della Caccia!” –Continuò Phantom, con voce educata e suadente. –“Sapere che tra le fila dei suoi difensori ci sono guerrieri così abili e attenti non potrà che fare la felicità del Divino Zeus! Tuttavia io sono un suo messaggero, ed ho il dovere di eseguire i suoi ordini, perciò ti prego, Divina Artemide, di consegnarmi l’inerme corpo del Cavaliere di Atena!”

 

“Non capisco proprio cosa se ne faccia Zeus di quella donna!” –Mormorò Artemide, indispettita. Poi fece un cenno ai Cacciatori, che immediatamente abbassarono lame e archi, senza comunque indietreggiare di un passo. –“Prendila dunque, Cavaliere dell’Eridano, e conducila da Zeus! Se riuscirà ad arrivarvi viva! Gli ordini del Padre degli Dei sono l’unica legge che la Dea della Caccia rispetta, anche se gradirei che intrusioni simili non si ripetessero in seguito!”

 

“Lo terrò presente!” –Rispose Phantom, con un mezzo sorriso. Quindi si incamminò verso l’inerme corpo di Castalia, ancora delirante, e lo sollevò con cura, di fronte agli occhi attenti di Artemide.

 

La Dea della Caccia non era tanto infastidita per la perdita della sua preda, che comunque sarebbe morta entro pochi istanti, ma per l’affronto che sentiva di aver subito da Phantom. Un Cavaliere Celeste che riesce a spingersi fino qua! Tieni dunque fede al tuo nome di fantasma! Mormorò, osservando il giovane sollevare delicatamente la Sacerdotessa di Atena.

 

Castalia mugolò ancora, incapace di comprendere cosa stesse accadendo. Si sentì sollevare da mani robuste ma sicure e improvvisamente sentì un po’ di calore circondare il suo corpo. Tumultuosi ricordi cominciarono ad affollare la sua mente, vorticando senza tregua dentro di lei. In un attimo si scoprì bambina, cullata dal fratello maggiore che presto aveva perduto; poi si ritrovò in Grecia, ad osservare quel monello di Pegasus fare mille flessioni ad un’asta sospesa sopra un precipizio, e ad incitarlo a non mollare. Infine si ritrovò là, nella Quinta Casa di Leo, stretta tra le braccia dell’uomo che non era mai riuscita ad amare liberamente, in quell’unica notte che avevano passato insieme prima che lei partisse alla ricerca di Patricia. Aprì gli occhi di scatto, ma non riuscì a vedere niente, stordita dal veleno e dalla debolezza. Ma non ebbe bisogno di usare gli occhi per riconoscere l’uomo che la stava reggendo, soltanto di sentire il suo cosmo.

 

“Phantom!” – Mormorò. Fu un sussurro, ma non sfuggì ad Artemide, che improvvisamente si avventò sui due, chiedendo spiegazioni al Cavaliere.

 

“Come può conoscerti quella donna?!” –Urlò, mentre tutti i suoi Cacciatori si lanciavano su Phantom, brandendo lame e scagliando frecce avvelenate.

 

Maledizione! Strinse i denti Phantom, notevolmente preoccupato. Evitò un paio di frecce, scattò di lato per non essere ferito da una lama, ma poi si rese conto di non poter combattere contro di loro. Di non voler combattere contro Guerrieri fedeli al Sommo Zeus. Concentrò i propri sensi e scomparve. Artemide si fermò un momento e pure i Cacciatori si arrestarono, guardandosi intorno storditi. La Dea della Caccia chiuse gli occhi, per concentrarsi meglio, e poi sorrise.

 

“Ho capito adesso come sei arrivato fin qua!” –Affermò, riaprendo gli occhi. –“Mimetizzandoti con l’ambiente, al punto da essere invisibile!” – E afferrò l’arco, incoccando una freccia.

 

Ci pensò solo un secondo prima di scagliarla avanti a sé, veloce come un fulmine. Il dardo si piantò in un albero, ma improvvisamente accanto ad esso ricomparve Phantom dell’Eridano, che reggeva Castalia ancora stordita. La sua Armatura Celeste era percorsa da forti striature verdastre e marroni, che gli avevano permesso di mimetizzarsi nella foresta. Ma neppure lui poteva sfuggire ai poteri della Dea della Caccia nel suo territorio.

 

“Non permetto a nessuno di prendersi gioco di me due volte!” –Urlò Artemide, scoccando una nuova freccia.

 

Phantom evitò anche quella, depositando Castalia dietro un albero, mentre un gruppo di Cacciatori si lanciava su di lui. E sia dunque! Se questo è il mio destino… Commentò, bruciando il cosmo.

 

“Gorgo dell’Eridano!” – Esclamò, lanciando il proprio colpo segreto.

 

L’incandescente vortice energetico travolse tutti i Cacciatori di Artemide, scaraventandoli lontano, smuovendo le fronde degli immortali alberi della foresta, ma non fu abbastanza per fermare la Dea della Caccia, che, guizzante come una fiera, raggiunse Phantom brandendo un’argentea lama. La sollevò di scatto, stridendo fortemente sul pettorale dell’Armatura Celeste del giovane, spingendolo indietro, con la schiena contro un albero, contro l’albero dietro il quale era riparata Castalia. Un secondo affondo gli distrusse il coprispalla sinistro, mentre la lama raggiungeva la pelle, senza scendere troppo in profondità.

 

“Tieni così tanto a lei? Tieni così tanto a questa donna, al punto da tradire il tuo Signore Zeus?” – Sibilò Artemide, togliendo la lama dalla spalla di Phantom.

 

“Devo fare ciò che è giusto!” – Mormorò Phantom, bruciando il proprio cosmo.

 

“Traditore!” –Urlò Artemide. –“Ucciderti mille volte non basterà per lavare il tuo peccato!” –E abbassò nuovamente la lama su di lui. Ma Phantom afferrò l’arma con entrambe le mani, fermandola a mezza via, mentre sangue usciva copioso dalle sue mani. Il ragazzo trattenne a stento un grido, limitandosi a spingere con tutte le proprie forze, vincendo la resistenza di Artemide, che venne spinta leggermente indietro.

 

“Gorgo dell’Eridano!” –Urlò Phantom, scagliando contro la Dea il suo vortice energetico.

 

Artemide fu travolta e sollevata in aria, ma riuscì comunque a ricadere a terra poco distante, senza riportare grandi danni. Incoccò un’altra freccia, per scagliarla contro il giovane, quando percepì una grande energia cosmica raggiungere l’intero spiazzo e avvolgere i due Cavalieri.

 

“Nooo!” – Urlò, scagliando la propria freccia. Ma capì che ormai era troppo tardi.

 

Il dardo di Artemide si conficcò nuovamente in un albero, trapassando letteralmente Phantom e Castalia, scomparsi in un momento, grazie al cosmo amico di un’altra Divinità olimpica. Artemide imprecò più volte, minacciando ritorsioni contro il Cavaliere dell’Eridano Celeste e il suo inspiegabile alleato. Invocò il suo vero arco, costruito da Efesto insieme alla sua Armatura Divina, e scoccò una freccia verso l’alto. Il dardo trapassò la cima degli alberi, saettando nel nuvoloso cielo olimpico diretto come un fulmine verso la reggia del Dio dei Sogni.

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** La Valchiria e le tigri ***


CAPITOLO VENTIDUEESIMO. LA VALCHIRIA E LE TIGRI.

 

Aiutato dal cosmo di Morfeo, Phantom dell’Eridano Celeste ricomparve direttamente all’esterno della Reggia di Zeus, sulla cima dell’Olimpo. Usò i propri poteri mimetici per fondere il proprio corpo, e quello della donna che reggeva in mano, con il marmo bianco del Tempio, oltrepassandone la soglia, senza che i Cavalieri Celesti di guardia se ne accorgessero. Raggiunto il corridoio che conduceva alla residenza distaccata di Morfeo, proseguì a passo più spedito, mentre l’intrigante cosmo del Dio dei Sogni lo avvolgeva, contribuendo a renderlo ancora più impercettibile.

 

“Ce l’hai fatta!” –Esclamò Morfeo, soddisfatto, osservando il giovane ricomparire davanti a sé, reggendo la Sacerdotessa di Atena.

 

Ma a quale prezzo?! Sospirò Phantom. Appoggiò delicatamente la Sacerdotessa dell’Aquila su una panca, davanti agli occhi interessati del Dio dei Sogni, ansimando per la fatica sostenuta e per la paura che aveva provato entrando di nascosto nella Reggia di Zeus. Se qualcuno mi avesse sorpreso, avrei avuto un altro nemico contro cui confrontarmi! Commentò, tastandosi la spalla dolorante e ricordando lo sguardo furibondo di Artemide, per essere stata ingannata.

 

“Non curarti di Artemide, ragazzo!” –Esclamò Morfeo, indicando la freccia che la Dea aveva scagliato pochi secondi prima, e che si era piantata nel pavimento, trapassando i soffitti della reggia. –“Troverò qualcosa da dirle, che avevo bisogno della donna per i miei esperimenti... insomma qualcosa le dirò.” –Phantom annuì, ma non parve molto convinto, sentendosi in colpa per aver disubbidito agli ordini del Sommo Zeus.

 

“Non chiederti se era giusto, giovane Cavaliere! Ripetiti soltanto che era la cosa che sentivi di dover fare!” –Mormorò Morfeo, per rincuorare il ragazzo, iniziando a togliere l’armatura a Castalia, lasciandola solo con le vesti lacere che portava sotto. –“Spesso, nella vita, non esiste una cosa giusta o una cosa sbagliata ma solo una cosa che sentiamo di fare, che sappiamo di dover fare!”

 

“Artemide me la farà pagare! Invierà qualcuno a informare il Dio dell’Olimpo, che vorrà conoscere i motivi del mio gesto! Motivi che, a dire il vero, non comprendo perfettamente neppure io!”

 

“Non mentire a te stesso, ragazzo! Tu non hai salvato questa donna solo perché il Dio dei Sogni te lo ha ordinato! No, affatto! Tu volevi salvarla, io ti ho solo offerto l’occasione per dare libero sfogo ai sentimenti annidati nel tuo animo!”

 

Phantom non seppe cosa rispondere, sicuro che Morfeo avesse ragione. Voleva salvare Castalia, togliendola dalla guerra. Ma a quale prezzo? Un ostentato tradimento nei confronti del mio Signore, colui che anni fa mi prese sotto la sua tutela, accogliendomi sull’Olimpo e accettandomi nelle fila dei suoi Cavalieri Celesti nonostante fossi soltanto un uomo, un mortale?

 

“Verrà un giorno, Cavaliere Celeste, in cui Zeus ti ringrazierà per questo!”

 

“Tu credi? Pensavo volesse condannarmi per alto tradimento…” – Ironizzò Phantom.

 

“I figli di Ares seminano discordia!” –Sussurrò Morfeo, afferrando Phantom per il collo e avvicinando il suo viso al proprio. –“Per colpa loro, loro soltanto, l’Olimpo si sta tingendo di sangue! Non senti? Non odi le grida dei corvi, estasiati per banchettare con nuovo cibo, fresche carni di giovani Cavalieri? Non senti l’accendersi impetuoso di cosmi lungo la via che conduce alla Reggia di Zeus? Le verdeggianti distese della nostra terra sono infangate da una guerra che non dovrebbe essere combattuta, e tu, Luogotenente dell’Olimpo, dovresti saperlo meglio di chiunque altro! Tu che hai passato anni ad ammirare le eroiche gesta dei Cavalieri di Atena, di quei giovani che più volte hanno rischiato la vita per difendere la Terra dalle maligne forze dell’Oscurità!”

 

“Sono d’accordo con te, Dio del Sonno! Ma io sono soltanto un soldato! E non sono colui che comanda sull’Olimpo!” –Commentò Phantom, separandosi dal Dio.

 

“E chi comanda davvero? Chi muove i fili di quest’orrida commedia degli inganni?”

 

“Io... devo andare adesso!” –Mormorò Phantom, recuperando la sua compostezza ed eleganza. –“I Cavalieri di Atena stanno salendo il Sacro Monte, e sembra che nuovi arrivi siano giunti a dare loro man forte! Presto Flegias ordinerà l’assalto finale, e non potrò non prendervi parte!”

 

“Non morire, ragazzo!” –Commentò Morfeo, osservando il Luogotenente dell’Olimpo lasciare le sue stanze. –“Zeus avrà presto bisogno di te, molto più bisogno di quanto tu creda!”

 

Sospirò, voltandosi nuovamente verso i due Cavalieri sdraiati dietro di lui. Ikki di Phoenix, che il Dio aveva addormentato con l’inganno ore prima, per compiacere i desideri dell’arrogante figlio di Ares, e Castalia dell’Aquila, la cui vita stava volgendo al termine per effetto del veleno contenuto nelle frecce avvelenate dei Cacciatori di Artemide.

 

Morfeo si avvicinò alla donna, osservando il suo volto bianco ed emaciato, e le tastò la fronte con l’indice e il medio destro, socchiudendo per un momento gli occhi. C’è ancora vita in lei! Mormorò, con un certo sollievo. Si chinò su di lei e la colpì con le due dita unite in numerosi punti del suo corpo, creando delle ferite da cui poi iniziò a uscire il sangue in grande quantità. Non erano colpi dati a caso, ma corrispondevano ai punti vitali della Sacerdotessa, disposti come le stelle della Costellazione dell’Aquila. Ho fatto un errore, permettendo che un ragazzo si perdesse nel limbo! Commentò Morfeo, con aria triste. Ma te posso ancora salvarti!

 

Nel frattempo, ai piani bassi dell’Olimpo, la battaglia tra gli invasori di Atene e i Cavalieri Celesti era in pieno svolgimento. Tisifone stava affrontando Atteone nella foresta di Artemide, mentre Mizar e Alcor, dopo aver abbattuto i Giganti di Pietra, con sforzo e fatica, erano corsi avanti assieme a Ilda, per seguire i compagni sull’Olimpo, giungendo di fronte al Bianco Cancello, che avevano trovato abbattuto. Un Cavaliere Celeste, molto simile a Sterope e a colui che aveva guidato l’assalto di Midgard giorni prima, giaceva a terra privo di vita, e poco distante c’era il corpo di Pegasus, ricoperto dalla sua scintillante Armatura Divina. Ilda e Mizar corsero subito a sincerarsi delle sue condizioni, mentre Alcor rimase al centro dello spiazzo, con i sensi tesi.

 

“È ancora vivo!” –Commentò Ilda, con un sorriso. –“È soltanto svenuto! La battaglia contro il Ciclope Celeste deve averlo esaurito!”

 

“Spostatevi!” – Sussurrò Alcor, raggiungendo il fratello e la donna. –“Stanno arrivando!”

 

“Ma chi?!” –Mizar oppose improvvisa resistenza, non capendo a cosa si riferisse il fratello, ma questi lo incitò ad aiutarlo a sollevare Pegasus e a portarlo via dalla radura.

 

I Cavalieri di Asgard e la Celebrante si infilarono nel fitto bosco che correva ai margini del Cancello Olimpico, nascondendosi nell’oscurità della notte, fino ad accucciarsi molti metri lontano dal sentiero principale, riparati da frasche e cespugli. I tre azzerarono il loro cosmo, e Alcor, per ulteriore precauzione, ricoprì tutti quanti con il suo lungo mantello, dotato di un particolare potere, di cui neppure Mizar era al corrente.

 

“Così non ci vedranno!” –Sussurrò Alcor, spiegando l’unicità del suo mantello, in grado di nascondere tutto ciò che era al suo interno.

 

In quello stesso momento una dozzina di Cavalieri Celesti uscì dal Bianco Cancello, radunandosi nella radura di fronte ad esso. Ilda acutizzò la vista, riconoscendo soltanto uno di loro, colui che quella stessa mattina era arrivato al Grande Tempio come ambasciatore: Ermes, il Messaggero degli Dei. La pattuglia di Cavalieri Celesti rimase un poco di fronte al Cancello, quindi si allontanò, scendendo le pendici dell’Olimpo.

 

“Perché ci siamo nascosti?” –Domandò infine Mizar. –“È vile codardia!”

 

“No, Mizar! È realistica saggezza!” –Lo zittì il fratello. –“Hai visto quanti erano? Ho contato tredici cosmi, di cui uno immensamente grande, divino direi! E noi siamo ancora stanchi per la battaglia contro i Giganti di Pietra! Inoltre.…” –E nel dir questo volse lo sguardo verso Ilda, vicino a loro, china su Pegasus, ancora svenuto. –“Dobbiamo pensare anche a chi non può difendersi!”

 

“Non parlerai di me, voglio sperare, Alcor!” –Rispose Ilda.

 

“Mia Signora.. con tutto il dovuto rispetto, sono sempre più convinto che questa impresa sia troppo pericolosa per voi!”

 

“Pericolosa è dire poco!” –Sorrise Ilda. –“Ma come già ti ho detto, ti prego di non preoccuparti per me! Non devi! Abbiamo scelto insieme di partecipare a questa battaglia, portando il nostro, seppur minimo, aiuto ai Cavalieri di Atena! E non sarò certo io, adesso, a tirarmi indietro! No, Tigre Bianca, ho un debito nei confronti di Atena, e combatterò con tutte le mie forze per estinguerlo!”

 

“E sia allora…” –Sospirò Alcor, incontrando lo sguardo di Mizar, anch’egli preoccupato. –“Adesso dobbiamo andare!”

 

“E di Pegasus cosa facciamo? Non possiamo abbandonarlo!”

 

“Non abbiamo altra scelta!” –Commentò Alcor. –“È ancora debole, non senti il suo cosmo com’è flebile? Ora come ora ci sarebbe solo d’intralcio! Ma non preoccuparti, tenaci sono i Cavalieri di Atena, non ricordi Phoenix? Sono certo che ci raggiungerà non appena avrà recuperato le forze!”

 

“Sono d’accordo con Alcor!” –Intervenne Ilda, alzandosi a sua volta. –“Pegasus non è certo tipo da lasciarsi andare! Egli verrà, e salverà Atena, come ha sempre fatto!”

 

“Lasciatelo a noi!” –Esclamò improvvisamente una voce di uomo.

 

Mizar, Alcor e Ilda si voltarono di scatto, terribilmente sorpresi, e preoccupati. I Cavalieri di Asgard balzarono subito di fronte a Ilda, per proteggerla da un eventuale attacco, mentre dalle tenebre della foresta comparvero due figure, piuttosto minute, che stupirono non poco i tre. Un uomo e una donna di mezza età si fecero timidamente avanti, accendendo una fiaccola per illuminare i loro volti.

 

“Chi siete?” –Domandò Alcor stizzito.

 

“Non abbiate paura…” –Sorrise la donna. –“Siamo solo due pastori!”

 

“Pastori?!” –Ripeté Alcor, esterrefatto.

 

“Pastori del Monte Olimpo! Abbiamo una casa più a valle, vicino ad un’ampia radura dove portiamo i nostri ovini a pascolare. Ci prenderemo cura di noi del ragazzo!”

 

“Lo abbiamo visto combattere prima, e abbiamo capito che è un Cavaliere di Atena, della Dea della Giustizia!” – Intervenne l’uomo.

 

Ilda sorrise, facendosi avanti, e pregando Mizar e Alcor di abbassare le difese.

 

“Sono Ilda di Polaris, Celebrante di Odino nell’eterna città di Midgard, nel freddo Nord!” –Esclamò, con aria solenne. –“Non abbiamo niente con cui ricompensarvi, ma se saprete prendervi cura del Cavaliere di Pegasus sono certa che Atena, mia cara amica, lo apprezzerà tantissimo!”

 

“Non preoccupatevi, Signora del Nord!” –Esclamò la donna. –“È in buone mani!”

 

“In quanto a voi...” –Intervenne l’uomo. –“Fate molta attenzione! Una nera cappa è scesa sull’Olimpo, accecando i suoi splendenti bagliori!”

 

Ilda, Mizar e Alcor si consultarono velocemente, e poi decisero di affidare Pegasus alle cure dei due pastori, scambiando un’ultima veloce parola con loro, prima di correre via. Le Tigri di Asgard sfrecciarono nel bosco, raggiungendo in fretta il Bianco Cancello, lo varcarono e furono dentro, subito seguiti da Ilda, lanciandosi lungo la strada principale.

 

Mezzo chilometro dopo furono fermati di fronte al Tempio della Guerra da una decina di Cavalieri Celesti, rivestiti dalle loro brillanti corazze forgiate da Efesto, dotati di grandi scudi e di altre armi.

 

“Qua finisce la vostra corsa!” –Esclamò un guerriero, facendosi strada tra i Cavalieri Celesti.

 

Era molto diverso dagli altri, di aspetto più truce e trasandato, al punto da spingere Ilda a dubitare se si trattasse realmente di un Cavaliere Celeste. Era alto e robusto, con un viso bruno e segnato da cicatrici; mossi capelli neri, occhi scuri, intrisi di sangue che ispiravano terrore soltanto a guardarlo. Indossava un’armatura scarlatta, diversa, come stile e colore, dalle altre dei suoi compagni.

 

“Sarete tutti sterminati!” –Sibilò, sfoderando due spade infuocate che teneva agganciate alla schiena della sua armatura.

 

E senza aggiungere altro si lanciò avanti, brandendo le scimitarre arroventate, contro Mizar e Alcor. I due fratelli scattarono ognuno in direzione diversa, evitando i rapidi affondi del guerriero scarlatto, mentre anche Ilda si allontanò, sollevando il tridente argentato. Un raggio energetico partì dalla sua arma, ma il guerriero lo parò incrociando le sciabole davanti a sé, prima di osservare con un ghigno diabolico la sua prossima preda. Fece un cenno ai Cavalieri Celesti e questi si fecero tutti avanti, dirigendosi verso Mizar e Alcor, mentre egli con un balzo si metteva tra i due fratelli e Ilda.

 

“Spiegami, Celebrante di Odino, cosa spinge una donna come te, e i suoi guerrieri, a lasciare le lande del Nord alla ricerca di una certa morte qua, nella sconosciuta Grecia?”

 

“Ho deciso di offrire il mio aiuto ad Atena e ai suoi Cavalieri, per combattere al loro fianco per una causa che ritengo giusta!” –Commentò Ilda, cercando di non apparire troppo intimorita.

 

Umpf!” –Storse il naso il guerriero scarlatto. –“La lezione che ti abbiamo impartito allora non ti ha insegnato niente? Credevo che vedere la tua città in fiamme fosse un deterrente sufficiente per costringerti a non interferire con i piani dell’Olimpo?!”

 

“Chi devo dunque ringraziare per tale scempio?” –Esclamò Ilda, con fare deciso.

 

Issione, figlio di Ares! Ho ordinato io ad Arge, il Ciclope Celeste, di seguire Cristal il Cigno!”

 

“Quale onore incontrarti allora!” –Ironizzò Ilda, mentre una tremenda rabbia si stava impossessando di lei. –“Potrò finalmente esprimerti tutto il mio disprezzo!” –E senza aggiungere altro, puntò il tridente contro di lui, facendo partire un fascio energetico, che però non lo raggiunse, riparato dalle sue infuocate spade incrociate. Ma Ilda non cedette, continuando a lanciare raggi energetici dal tridente, cercando di avvicinarsi all’uomo per colpirlo.

 

“Sei coraggiosa, Celebrante di Odino! Coraggiosa e stupida, oltre che molto eccitante!” –Esclamò Issione, parando con una lama un nuovo assalto. –“Pregherai il tuo Dio dall’abisso profondo del Tartaro!” –E sferzò l’aria con le sue scimitarre incandescenti, creando veloci fendenti che si abbatterono su Ilda, la quale non poté far altro che difendersi con il proprio tridente, che non fu però difesa sufficiente, venendo ferita in più punti.

 

“Ah ah ah!” –Urlò Issione, in preda a un autentico godimento nel vedere la donna in difficoltà. – “Guarda Padre, sacrifico questa donna in tuo onore!” –E sollevò di colpo la spada destra, lanciando un violento fendente energetico che Ilda non riuscì a evitare, venendo colpita in pieno, trapassata da parte a parte e spinta indietro, fino a sbattere sulla scalinata di fronte al Tempio, mentre le sue vesti si strappavano in più punti, rivelando il candido corpo al di sotto di esse. –“Muori!” –Gridò il figlio di Ares, balzando in alto, evitando un nuovo raggio energetico di Ilda, e giungendo proprio davanti a lei.

 

La donna sollevò il tridente per difendersi, ma Issione glielo tolse di mano con un violento colpo di spada, che fece vacillare Ilda, fino a farla sbattere contro una colonna del Tempio della Guerra. Issione lanciò una spada infuocata, che si piantò nella colonna proprio tra il braccio e il corpo di Ilda, sotto la sua ascella, ridendo sadicamente per la sua vittoria e per l’umiliazione che stava impartendo alla sua vittima, umiliazione che adorava praticare con coloro che riteneva inferiori.

 

“Ah ah ah!” –Urlò, e lanciò l’altra spada, che si conficcò nella colonna, accanto alla testa di Ilda, che si trovò stretta in un’infernale morsa. –“Fine della corsa, bellezza!” –E si avvicinò lentamente.

 

Ilda era ferita e sanguinante, aveva perso il tridente e non poteva essere aiutata dai suoi guerrieri, entrambi impegnati in battaglia contro i Cavalieri Celesti. Ma sul suo viso non comparve alcuna espressione di rinuncia o rassegnazione, solo la ferrea volontà di non lasciarsi abbattere. La donna socchiuse gli occhi, concentrando i sensi, e lasciando che il proprio cosmo esplodesse pochi istanti dopo. Fu un’abbagliante manifestazione di luce, che spinse Issione indietro, sorpreso dalla ritrovata energia della donna.

 

Rapidamente Ilda si lanciò a terra, rotolando sul piazzale, afferrò il tridente e lo puntò nuovamente contro Issione, il quale fu colpito in pieno dal raggio energetico della donna e spinto indietro. Aiutandosi con l’arma, Ilda si rimise in piedi, ansimante per la fatica, ma decisa a non cedere. Le sue vesti erano ormai strappate in più punti, bruciate dalle infuocate spade del figlio di Ares, e sangue aveva iniziato a uscire dalle sue ferite. Ma avrebbe stretto i denti e continuato a lottare.

 

Issione recuperò le sue spade, lanciandosi avanti, muovendole in perfetta sincronia, prima una poi l’altra, mentre Ilda brandiva il tridente con cui cercava di evitare i pericolosi affondi dell’uomo. Improvvisamente Issione incrociò le spade di fronte a sé, sogghignando, mentre un violento colpo energetico, a forma di croce incandescente, partì da esse, travolgendo la Celebrante di Odino.

 

Ilda venne spinta indietro, incapace di difendersi da quel rapido e violento attacco, sbattendo con forza contro una colonna mentre il suo corpo era pieno di ferite e di ustioni. Fece per rialzarsi, ma si accorse di essere prigioniera in un cerchio di fuoco, appena creato dal demoniaco figlio di Ares.

 

“Ecco la sorte che ti ho riservato, bella regina!” –Sogghignò Issione. –“Morirai divorata dalle mie fiamme!”

 

“Mai!” –Esclamò Ilda, rimettendosi in piedi, e stringendo il tridente in mano.

 

Issione mosse la mano destra e le fiamme iniziarono a spostarsi, quasi danzanti ballerine a tempo di musica, avvolgendo il corpo della donna, bruciando quel che restava delle sue vesti, mentre le grida di Ilda rendevano la scena ancora più orribile. Quindi Issione si voltò, pronto per tornare sulla strada principale e uccidere anche i due Cavalieri di Asgard, quando un’esplosione di luce, proveniente dalle sue spalle, lo costrinse a voltarsi di nuovo. Un gelido vento aveva iniziato a spirare, portando con sé cristalli di ghiaccio che stavano ricoprendo l’ambiente intorno, e Issione si avvide, con sorpresa e timore, che il vento proveniva proprio da Ilda.

 

Odinooo!!!” –Urlò la donna, puntando il tridente argentato avanti e scagliando un violento raggio energetico contro Issione che tentò di evitarlo ma fu comunque colpito ad una gamba.

 

Il freddo cosmo di Ilda spense le fiamme di Issione, congelandole e distruggendole, e rivelando al figlio di Ares la nuda sagoma della Celebrante, completamente avvolta da un’aura argentata. Improvvisamente Ilda sollevò la mano destra, mentre un raggio di luce, proveniente dal cielo lontano, la investì in pieno. Un momentaneo ristoro dagli affanni. Pochi istanti dopo si ritrovò ricoperta da una grigia corazza, rilucente nell’aria plumbea. In testa, un elmo scuro, di natura vichinga, le copriva il volto, nascondendo i suoi argentei capelli, mentre in mano reggeva sempre il suo tridente. Non era più Ilda, la pacifica Celebrante di Odino, adesso era diventata Ilda, la Valchiria, la guerriera, potenziando la sua natura divina.

 

“Incredibile!” –Mormorò Issione, rendendosi conto di averla sottovalutata. –“Ma quella corazza non ti servirà!” –E scattò avanti, brandendo le sue scimitarre incandescenti.

 

“Vedremo!” – Sussurrò Ilda, difendendosi con il tridente.

 

I due si scontrarono per parecchi minuti, ferendosi di striscio alcune volte, senza mai riportare una decisiva vittoria sull’altro, grazie alle resistenti protezioni di cui disponevano. Stanco di giocare Issione bruciò il proprio cosmo incandescente, puntando tre dita della mano destra contro Ilda.

 

“Ruota di Fuoco! Travolgila!” –Esclamò, e tre comete infuocate si diressero verso Ilda, posizionandosi intorno a lei e iniziando a roteare, creando un’unica grande ruota di fuoco che la travolse, facendola roteare al suo interno, divorata dalle fiamme infernali.

 

“Questa fu la mia punizione, quando nel Mondo Antico tentai di sedurre Era, moglie di Zeus! Fui legato a una ruota di fuoco e costretto a roteare nell’etere!” –Sibilò Issione, osservando la donna girare su se stessa, stritolata dalle fiamme. –“E alla mia stessa fine ti condanno, Ilda di Polaris! Muori!”

 

Improvvisamente una voce parlò al cosmo del figlio di Ares.

 

Issione! Vieni immediatamente a palazzo!”

 

Flegias!” – Esclamò Issione, riconoscendo la voce del Flagello degli Uomini. – “Non adesso! Sono impegnato in battaglia!”

 

“È un ordine del Sommo Zeus! Presentati immediatamente nella Sala del Trono! Adesso!”

 

“D’accordo…” –Sbuffò Issione. –“Peccato, avrei voluto continuare il nostro divertente scontro, Celebrante di Odino! Pazienza, vorrà dire che continuerai a vagare per l’eternità! Ah ah ah!”

 

Quindi Issione scattò via, sfrecciando come un’infuocata cometa lungo la via principale dell’Olimpo, diretto alla residenza del Sommo Zeus, lasciando Ilda imprigionata all’interno della ruota di fuoco, roteante su se stessa.

 

Mentre Issione e Ilda combattevano, nel piazzale antistante al disabitato Tempio della Guerra, Mizar e Alcor erano impegnati contro i Cavalieri Celesti; forti e decisi combattenti,  schierati su una doppia fila di cinque, determinati a fermare l’avanzata degli invasori. I due fratelli del Nord si erano subito lanciati avanti, sfoderando i Bianchi Artigli della Tigre, che si erano scontrati con i resistenti scudi dei Cavalieri Celesti, forgiati nelle fucine dell’Olimpo, che le loro affilate unghie non riuscirono a penetrare. Alcuni Cavalieri Celesti si fecero avanti con delle lance, scagliandole contro di loro, ma i due fratelli furono abili ad evitare l’assalto. Alcor decise di tentare lo sfondamento dall’alto, ma non riuscì a raggiungere i propri nemici, riparati dagli scudi di Efesto che furono rapidi a sollevare. Mizar si lanciò allora contro di loro dal davanti, ferendone un paio, troppo lenti nel riabbassare lo scudo, ma venendo colpito da un altro. Presto la barriera di scudi si divise e i Cavalieri Celesti, pensando di aver facile vittoria, grazie anche alla schiacciante superiorità numerica, attaccarono singolarmente i due guerrieri.

 

In quel modo Alcor e Mizar poterono sfrecciare tra le loro fila, sfoderando i Bianchi Artigli della Tigre e colpendoli più volte, prima di venire respinti indietro a loro volta. Un colpo di spada ben affilata spaccò uno schiniere di Mizar, che si accasciò grondando sangue, mentre un paio di Cavalieri Celesti si lanciarono su di lui, brandendo lance. Alcor, vedendo il fratello in difficoltà, si buttò avanti per difenderlo, venendo ferito al posto suo. Una lancia si piantò nel suo braccio destro, distruggendo la sua armatura già danneggiata, prima che una raffica di sfere energetiche, scagliate dai Cavalieri Celesti, colpisse entrambi, spingendoli indietro.

 

“Sono in troppi!” –Esclamò Mizar, osservando le ferite sul corpo del fratello. –“Non sacrificarti per me!”

 

“Non ho intenzione di farlo…” – Ironizzò Alcor, rialzandosi. –“Ma non darmene occasione!”

 

“Non lo farò!”

 

I Cavalieri Celesti si compattarono, bruciando i loro cosmi e scagliando un violento attacco contro i due nordici guerrieri, tremendamente in pena per la sorte di Ilda, impegnata in un violento corpo a corpo con quel sadico spadaccino scarlatto. Mizar e Alcor unirono i loro cosmi, creando una barriera di gelo su cui si infranse l’assalto dei Cavalieri Celesti.

 

“Che le nevi eterne di Asgard siano con noi!” –Urlò Mizar, mentre l’aria intorno a loro vorticava di gelo. –“In nome dei Ghiacci eterni!” –Gridò, insieme al fratello, scaricando una violenta tempesta energetica contro i loro avversari. Il contraccolpo spinse i guerrieri nordici indietro, mentre tra i Cavalieri Celesti furono colpiti soltanto alcuni della prima fila, mentre gli altri non furono raggiunti dal loro attacco e si lanciarono avanti, brandendo lance e spade.

 

Improvvisamente un fascio di luce percorse l’intero spiazzo tra i Cavalieri Celesti e le due Tigri del Nord, stupendo sia gli uni che gli altri. In un attimo il fascio si moltiplicò all’infinito, diventando un fitto reticolato di luce che si abbatté sui Cavalieri Celesti, travolgendoli.

 

“Per il Sacro Leo!” –Urlò una voce maschile, balzando davanti ai difensori dell’Olimpo. E con un rapido movimento del braccio creò un reticolato di luce con cui investì i Cavalieri Celesti. –“Cuspide Scarlatta!!!” –Gli fece eco il suo compagno.

 

Gli ultimi difensori cercarono di contrattaccare, ma il loro assalto fu fermato da una sottile ma resistente barriera invisibile.

 

“Muro di Cristallo!” –Gridò un’altra voce, comparendo accanto agli amici. E l’attacco scagliato dai Cavalieri Olimpici tornò indietro, travolgendoli.

 

“Credo che ne abbiano prese abbastanza!” –Ironizzò Scorpio, affiancato da Mur e Ioria.

 

“Voi?! I Cavalieri d’Oro?!” –Esclamarono Mizar e Alcor, rialzandosi a fatica.

 

“E voi dovreste essere i nobili Cavalieri di Asgard, Mizar e Alcor! Odino in persona ci ha detto che eravate qua!” –Sorrise Mur.

 

“Odino?!” –Sgranò gli occhi Mizar.

 

In quel momento alcuni Cavalieri Celesti, in precedenza storditi, si rialzarono, pronti per attaccarli nuovamente, ma Ioria scagliò il suo devastante colpo sacro, che fece piazza pulita delle loro ultime speranze, scaraventandoli lontano, morti.

 

Nello stesso momento in cui Ioria e Mur salvavano Mizar e Alcor, Ilda fu sorpresa di sentire un freddo cosmo spegnere il fuoco della ruota che l’aveva travolta, permettendole di liberarsi e cadere a terra. Un cosmo amico che riuscì comunque a riconoscere nonostante la stanchezza.

 

Cristal!” –Esclamò, osservando il Cavaliere del Cigno, ricoperto dalla sua scintillante Armatura Divina, aiutarla a rialzarsi. –“Allora… hai trovato la strada per Asgard?”

 

“Proprio così!” –Sorrise Cristal, prima di essere raggiunti dagli altri compagni.

 

Cristal e i Cavalieri parlarono molto frettolosamente, vista la situazione, con Ilda, Mizar e Alcor, che li informarono degli ultimi eventi, di Pegasus e del Cancello Olimpico.

 

“Non so dove siano Andromeda e le Sacerdotesse!” –Commentò la Celebrante di Odino. –“Staranno sicuramente combattendo più avanti!”

 

“Castalia è sull’Olimpo?!” –Domandò Ioria, mentre la Celebrante gli faceva un cenno d’assenso.

 

Per un attimo, il Cavaliere di Leo concentrò i propri sensi, usando il cosmo per cercarla, ma si rese conto di non riuscire a farlo. Di Castalia non vi era traccia alcuna.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** Il pugile e il domatore ***


CAPITOLO VENTITREESIMO

CAPITOLO VENTITREESIMO. IL PUGILE E IL DOMATORE.

 

A Nuova Luxor era una nuvolosa mattinata di maggio, dove il sole faceva capolino tra i cumuli sparsi di nubi. All’Ospedale della Grande Fondazione Thule i dottori erano impegnati a prendersi cura di due pazienti molto particolari: Patricia, la sorella di Pegasus, e Nemes, Cavaliere di Bronzo del Camaleonte, compagna di addestramento di Andromeda. Dopo la battaglia del giorno prima, contro Bronte del Tuono, Pegasus e Andromeda avevano portato velocemente Patricia e Nemes all’ospedale, affinché potessero ricevere cure immediate.

 

La sorella di Pegasus versava in condizioni critiche, avendo perso molto sangue a causa delle numerose ferite riportate, e il suo corpo era pieno di tagli dentro i quali si erano infilati frammenti di vetro, talvolta anche molto piccoli, che impegnarono i dottori con molta attenzione. Nemes aveva un paio di costole rotte, dovute alla botta che aveva ricevuto combattendo, e altre ferite sparse sul corpo, ma, essendo un Cavaliere, aveva un fisico più predisposto alla guarigione.

 

Quella mattina Nemes ricevette una gradita visita, quella di Shadir, Lear e Benam, i tre ragazzini noti come Cavalieri d’Acciaio. Informati da Asher il giorno prima, Shadir e gli altri si erano subito recati a far visita a Nemes, con la quale, per tutti i mesi precedenti, avevano mantenuto un buon rapporto di amicizia, dopo averla incontrata per la prima volta a Villa Thule l’anno precedente, in occasione della partenza di Pegasus e amici per il Grande Tempio. Atena si era rivolta a loro, e alla Sacerdotessa del Camaleonte, dopo la Guerra Sacra, perché tutelassero da lontano Pegasus e Andromeda, portando aiuto in caso di bisogno.

 

“Come stai, oggi, Nemes?” – Domandò Shadir.

 

“Molto meglio, grazie!” – Accennò un sorriso Nemes, bloccata nel letto.

 

“Patricia è ancora in sala operatoria.. le stanno asportando gli ultimi vetri rimasti…” – Commentò Lear. – “Ma se l’è cavata anche lei!”

 

“Certo!” – Intervenne Benam. –“È la sorella di Pegasus! È resistente quanto lui!”

 

Nemes e gli altri accennarono un sorriso, non troppo convinto, essendo tutti preoccupati, non soltanto per Patricia, ma anche per Pegasus e gli altri Cavalieri, e per Atena stessa. Avevano ricevuto un messaggio dal Grande Tempio, neanche un’ora prima, in cui Asher spiegava in breve tutto quello che era accaduto in quel tremendo pomeriggio. E si erano preoccupati non poco, sentendosi, come in tutte le altre precedenti occasioni, inutili.

 

“Sei in pena per i Cavalieri?” –Domandò Shadir, osservando l’espressione angosciata dipinta sul volto di Nemes, dopo averle raccontato tutto.

 

“Come potrei non esserlo?” –Singhiozzò Nemes. –“Atena e i Cavalieri soli sull’Olimpo, contro Zeus e tutte le maggiori Divinità?! È un massacro!”

 

“Sì…” -Sospirò Shadir. –“È un massacro! E non possiamo fare niente per portare loro aiuto!”

 

“Già... una cosa è affrontare un Cavaliere d’Argento, un’altra è combattere contro un Cavaliere Olimpico!” –Commentò Lear. –“Saremmo uccisi solo con uno sguardo!”

 

“Possiamo solo rimanere qua.. e pregare…”

“Non crucciatevi, Cavalieri di Acciaio! Avete avuto modo di dimostrare la vostra fedeltà, e sono sicura che le vostre preghiere porteranno conforto nel cuore di Atena!” –Affermò Nemes, abbozzando un sorriso.

 

Quindi si lasciò cadere sui cuscini, socchiudendo gli occhi e chiedendosi cosa stesse facendo Andromeda in quel momento. Chiedendosi come stesse, e maledicendo ancora una volta la sua debolezza, per non essere in grado di appoggiare il ragazzo in battaglia, e per non essere in grado di reprimere le lacrime ogni volta che lo sapeva impegnato in una missione suicida. Una missione che, pensò, prima di addormentarsi, è determinante per la salvezza della Terra e delle libere genti che vi dimorano! Sorrise, affidando a Andromeda quel che rimaneva del suo limpido cosmo.

 

Andromeda si trovava in quel momento in un’ampia radura, ai margini settentrionali della foresta di Artemide; quasi a metà strada, in linea d’aria, tra il Bianco Cancello e il Cancello del Fulmine, che delimitava il giardino del grande Tempio di Zeus, sulla sommità del Sacro Monte. Aiutato dalla sua prodigiosa catena, il Cavaliere era riuscito a fuggire dalle pericolose nebbie ingannatrici della foresta, smarrendo però Castalia e Tisifone al suo interno, e ritrovandosi in un ampio spiazzo circondato dagli alberi, a fronteggiare due Cavalieri Celesti: i Dioscuri, Castore e Polluce.

 

I due ragazzi erano molto simili tra loro e le Armature Celesti che indossavano erano praticamente speculari. Dall’acceso colore celeste, con raggianti sfumature bianche, le armature dei Dioscuri coprivano buona parte del corpo dei due Cavalieri, lasciando scoperte solamente poche zone, lungo le braccia e nella parte superiore delle gambe. I due erano alti e ben fatti, con un viso maschile, mossi capelli castani e occhi marroni, ma Polluce, parve ad Andromeda, aveva un fisico più robusto, più adatto al suo ruolo di pugile.

 

“Sei pronto a morire, invasore dell’Olimpo?” –Domandò Polluce, facendo un passo avanti, mentre il suo cosmo iniziava a scintillare intorno a sé.

 

“Non vorrei combattervi, Cavalieri Celesti, ma se queste sono le vostre intenzioni…”

 

“Ooh, non dirci che hai paura!” –Ironizzò Polluce, concentrando il cosmo sul proprio pugno. –“Pugno di Zeus!” – Tuonò il ragazzo, portando avanti il braccio destro.

 

Andromeda non fece neppure in tempo a sollevare le catene per difendersi che fu colpito in pieno dal colpo energetico di Polluce, che si presentava come un enorme pugno scintillante. Il Cavaliere fu sbattuto contro un albero, abbattendolo, tanta era la violenza impressa a quel colpo. Polluce sorrise beffardo, incamminandosi verso Andromeda, con il pugno ancora carico di energia cosmica.

 

“Beh, sembra che la lotta si concluderà presto!” –Ironizzò, mentre Andromeda si rimetteva in piedi.

 

“Aspetta a cantare vittoria, Cavaliere Celeste! Devo ancora mostrarti il potere della mia catena! Vai, Catena di Andromeda!” –Esclamò il ragazzo, lanciando la Catena di Offesa avanti, che subito si divise in decine di catene scintillanti, dirette tutte verso il Dioscuro. Ma non riuscirono a colpirlo. Polluce infatti colpì tutte le catene che puntavano su di lui con i suoi pugni, a una velocità impressionante. Come scariche elettriche le catene drizzavano su di lui, ma venivano sempre respinte, sia che cercassero di raggiungerlo da destra, che da sinistra, sia dall’alto che dal basso.

 

Incredibile! La velocità e la potenza di Polluce sono sconcertanti! Mormorò Andromeda, prima di ritirare la Catena di offesa. Mai nessuno aveva respinto in questo modo la Catena di Andromeda!

 

“Se adesso ti sei reso conto dell’inevitabile conclusione di questo scontro, accetta la sconfitta e muori in pace, invasore dell’Olimpo! Pugno di Zeus!” –Tuonò nuovamente Polluce.

 

Ma quella volta Andromeda fu svelto a sollevare la Catena di Difesa, che iniziò vorticosamente a roteare intorno a lui, parando il colpo di Polluce. La pressione che il ragazzo esercitava con i pugni però era così grande da spingere comunque Andromeda indietro, facendolo barcollare leggermente. Polluce non si arrese, balzando davanti alla Difesa Circolare di Andromeda e iniziando a prendere letteralmente a pugni la Catena, sperando di sfondare la barriera del Cavaliere di Atena.

 

“Non essere sciocco! Non crederai di riuscirci!” –Esclamò Andromeda, osservando il ragazzo continuare a tirare pugni energetici contro la Catena roteante.

 

Nonostante questa reggesse bene l’impatto, Andromeda dovette ammettere che l’impeto di quei pugni, e la loro velocità e precisione, era tale da impegnarlo con tutte le sue forze e la sua capacità di concentrazione. Deciso a smuovere la situazione, Andromeda fece scivolare la Catena di Offesa fuori dal cerchio difensivo, ordinando un attacco immediato. Ma Polluce non si fece cogliere di sorpresa, balzando velocemente indietro e atterrando su un tronco d’albero mozzato poco distante.

 

“Onde del Tuono! Via!” –Urlò Andromeda, scatenando le catene in un deciso attacco. Ma prima che raggiungessero il ragazzo, persero improvvisamente vitalità, ammosciandosi al suolo, come addormentate. –“Ma.. che succede?” – Si chiese Andromeda, scuotendo la propria catena.

 

“Castore, non immischiarti! Eliminerò da solo questo moccioso!”–Urlò Polluce, adirato col fratello.

 

“Come preferisci, Polluce! Volevo semplicemente darti una mano per accelerare i tempi!” –Rispose Castore. –“Altri tre cosmi hanno varcato il Bianco Cancello e credo ci sia bisogno di noi altrove!”

 

“Puoi andare, se preferisci! Ma non intrometterti nel mio combattimento!” – Lo brontolò Polluce.

 

“Come credi…” -Si limitò a dire Castore, allontanandosi.

 

Improvvisamente le catene ripresero a guizzare, ritrovando la loro vitalità. Andromeda ne fu contento, ma al tempo stesso si chiese, preoccupato, in che modo Castore avesse fermato il loro movimento. Le grida di Polluce lo rubarono ai suoi pensieri, riportandolo nel mezzo alla battaglia.

 

“Allora, Cavaliere, abbandonerai la lotta o vuoi continuare?” –Domandò fiero il Cavaliere Celeste.

 

“Domanda retorica la tua, figlio di Zeus”! –Esclamò Andromeda, con ironia. –“Preferirei evitare di lottare con voi, ma se questo è l’unico modo per proseguire, l’unica via per raggiungere Atena e liberarla…in tal caso non mi tirerò indietro! La posta in gioco è troppo alta per lasciarsi abbattere dai sentimenti!”

 

“Una tale determinazione ti fa onore, Andromeda!” –Commentò Polluce, prima di bruciare il proprio cosmo. –“Ma in battaglia non basta essere decisi per vincere, bisogna essere anche forti!”

 

Detto questo scagliò un potentissimo Pugno di Zeus contro il ragazzo, che velocemente roteò la Catena, creando la Difesa Circolare che lo protesse, nonostante l’impeto del colpo nuovamente fosse tale da spingerlo indietro. Polluce attaccò ancora, balzando in alto e scagliando un nuovo fragoroso pugno contro il Cavaliere di Atena, ma commise un errore che gli fu fatale. Istintivamente la catena saettò in aria, diretta verso di lui, moltiplicandosi in decine di copie che si abbatterono disastrosamente sulla corazza di Polluce, scheggiandola in più punti.

Polluce fu travolto e spinto indietro, ricadendo malamente al suolo, mentre Castore, che si era appoggiato ad un albero ad osservare il combattimento, si fece avanti preoccupato, chiamando il fratello a gran voce.

 

“Sto bene... sto bene!” –Esclamò Polluce, rialzandosi e sputando sangue. –“Ti ho detto di non immischiarti, Castore! So cavarmela da solo!”

 

Il fratello non disse niente, limitandosi ad osservare la scena con occhi sornioni, pronto ad intervenire in suo soccorso, in caso di bisogno.

 

“Hai fatto un errore fatale, Cavaliere Celeste!” –Esclamò Andromeda. –“Attaccare dall’alto è pura follia, essendo la testa la parte meglio difesa dalla mia Catena!”

 

“Beh, se la testa è la meglio difesa...” –Commentò Polluce, concentrando il proprio cosmo nel pugno destro. –“Che mi dici delle gambe?”

 

E tirò un violento pugno nel terreno davanti a lui, la cui violenza fu tale da far tremare l’intera radura. Un istante dopo, un impetuoso getto di energia travolse Andromeda, sgorgando proprio dalla terra sotto i suoi piedi, spingendolo in alto ed esponendolo al nuovo attacco di Polluce. Il figlio di Zeus balzò in alto, caricando entrambi i pugni, e si lanciò su Andromeda, iniziando a colpirlo ovunque con diretti rapidi e precisi, soprattutto sul viso, e quando questi ricadde a terra si sentì tutto il corpo pesto, e le guance gonfie e doloranti. I suoi pugni sono micidiali! Muove le braccia ad una velocità elevatissima, riuscendo a sferrare colpi precisi e puntuali! Sa dove colpire, e quando! Ragionò Andromeda, cercando un modo per impedirgli di offendere ancora. A fatica si rimise in piedi, stupendo persino Polluce che immaginava ne avesse prese abbastanza.

 

“Non ti arrendi, eh? Sei un tipo tosto!” –Ironizzò Polluce, bruciando ancora il proprio cosmo. “Degno avversario di un pugile come me!”

 

E nel dir questo balzò avanti, pronto per scagliare nuovi pugni energetici contro Andromeda, ma si ritrovò letteralmente bloccato in aria. Con un’abile mossa infatti il Cavaliere aveva lanciato la sua Catena che aveva assunto una particolare disposizione, a lancio della rete, come quando aveva intrappolato l’aquila possente nello scontro con Kira di Scilla, alla Colonna del Pacifico del Sud.

 

“Ma… che diavolo è?” – Domandò Polluce, trovandosi catturato in quella trappola.

 

“Ora!” –Gridò Andromeda, lanciando la Catena di Offesa, che come un fulmine colpì in pieno il braccio destro di Polluce, distruggendo la sua corazza divina e scaraventandolo indietro.

 

“Aargh!!!” –Urlò Polluce, toccandosi il braccio destro sanguinante. Ma non ebbe il tempo di riflettere che dovette fronteggiare un nuovo assalto della Catena di Andromeda, che strisciò intorno a lui, afferrandolo e stringendolo in una resistente presa.

 

“Great Capture!” –Esclamò Andromeda, soddisfatto, osservando il volto sorpreso del suo nemico. – “Mai sottovalutare l’avversario!”

 

“Maledetto!!!” –Urlò Polluce, espandendo il cosmo e tentando di liberarsi dalla morsa della Catena. Ma Andromeda strinse la presa, liberando scariche energetiche che percorsero la catena, stridendo sul corpo di Polluce e frantumando ulteriormente la sua corazza.

 

“Qui tutto finisce!” – Commentò Andromeda, scagliando le Onde del Tuono.

 

La Catena d’Offesa saettò nell’aria, ma prima che la punta del triangolo si conficcasse nel petto di Polluce, si fermò, perdendo nuovamente vitalità. Un secondo dopo tutte le Catene di Andromeda caddero a terra, liberando Polluce che, esausto e dolorante, si accasciò al suolo, grondando sangue.

 

“Ancora?!” – Esclamò Andromeda, cercando di dare nuovo impeto alle catene.

 

“Non sprecare il tuo tempo, Andromeda! La tua Catena è inutilizzabile ormai!” – Esclamò Castore, facendosi avanti. –“Niente può la tua arma contro i miei poteri!”

 

“I tuoi poteri?!” –Domandò Andromeda, stupefatto.

 

“Non ricordi le mie parole, quando ci siamo incontrati? Castore è il mio nome, il guerriero domatore di cavalli!” –Sorrise il ragazzo, iniziando a bruciare il proprio cosmo. –“Le mie capacità, affinate per anni, mi permettono di esercitare il controllo diretto su tutti gli esseri inanimati, e sugli animali! Come domavo cavalli nel mito, adesso domo le tue Catene, rendendole inservibili!”

 

“Castore...” –Sussurrò Andromeda, con una certa preoccupazione. –“Il domatore…” –E gli saltò alla mente un interessante parallelismo con il Cavaliere d’Oro dei Gemelli, anch’egli, come i Dioscuri, domatore, di menti, ed esperto combattente.

 

“Addio Andromeda!” –Esclamò Castore, portando avanti il braccio destro. –“Carica dei Mille Cavalli!”

 

Andromeda fu letteralmente travolto dall’attacco di Castore, incapace di difendersi, privo ormai della sua Catena che pareva non rispondere più ai comandi mentali del suo padrone. Fu spinto indietro e ricadde al suolo, provando la dolorosa sensazione di essere stato schiacciato da un’imbizzarrita mandria di cavalli.

 

“I cavalli che domavo nel Mondo Antico mi hanno trasmesso la loro forza! In queste possenti braccia c’è tutta la potenza degli stalloni attici! Sarà un onore, per te, cadere per mano mia!” –Esclamò Castore, con fierezza.

 

“Non... non posso cedere...” – Affermò Andromeda, rialzandosi.

 

“Sciocco!” –Tuonò nuovamente Castore, scagliando una seconda Carica dei Mille Cavalli contro il ragazzo, che fu ancora una volta travolto e spinto lontano.

 

Andromeda rovinò al suolo, scavando il terreno già sconquassato, e perdendo addirittura il diadema dell’Armatura. Si sentiva le ossa in fiamme, per aver subito i pugni di Polluce ed esser stato travolto dalle divine mandrie di Castore. Per un attimo provò la sensazione di lasciarsi andare, ma poi strinse i denti, muovendo un braccio per rialzarsi. Ancora una volta Phoenix era venuto in suo soccorso.

 

Ma stavolta non fisicamente! Commentò Andromeda, cercando di rimettersi in piedi. Moralmente! Aggiunse, ricordando le parole di Phantom e di Castalia. Mio fratello è qua, sull’Olimpo! Non sento il suo cosmo, ma so che è qua! E probabilmente ha bisogno di me! Non posso lasciarmi abbattere così, non posso! Lo devo a lui, che troppe volte mi ha salvato, che troppe volte si è messo in gioco per aiutare me! Questa volta voglio essere io a salvare lui! E nel dir questo espanse il proprio cosmo, di accesi colori rosati, invadendo l’intera radura.

 

“Uh?! Che diavolo vuoi fare in quelle condizioni?” –Domandò Castore, osservando il ragazzo rimettersi in piedi.

 

“Combattere! E vincervi! Per correre da Atena, e da mio fratello!” –Esclamò Andromeda deciso, bruciando ancora il proprio cosmo.

 

“Non dire sciocchezze, non reggerai un altro attacco! Carica dei Mille Cavalli!” –Tuonò Castore, sollevando nuovamente il braccio destro.

 

Ma Andromeda, per niente intimorito, spinse avanti entrambe le braccia, contenendo, seppur a fatica, la devastante carica della mandria divina. In quella liberò tutta la potenza del suo cosmo, in una vorticosa corrente energetica che travolse Castore, spingendolo via.

 

“Nebulosa di Andromedaaaa! Via!!!” –Urlò il ragazzo, scaricando tutto il potenziale energetico della sua Nebulosa.

 

Castore fu investito in pieno e trascinato via, stritolato dal vortice luminoso creato da Andromeda. Ricadde al suolo sbattendo la testa, con l’armatura danneggiata in molti punti, e sangue che colava dalle sue ferite.

 

Quale potenza! Commentò il Domatore di Cavalli, riconoscendo di aver fatto lo stesso errore del fratello: aver voluto giocare al gatto con il topo, quando invece, insieme, avrebbero potuto mangiarselo subito, senza rischiare di perdere una partita. Boccheggiando, Castore si rimise in piedi, aiutando il fratello poi a fare altrettanto. L’aria era ancora percorsa dalla corrente della Nebulosa di Andromeda, seppur in forma attenuata, ed il Cavaliere di Atena ansimava al centro della radura, di fronte ai Dioscuri, finalmente decisi ad affrontarlo congiuntamente.

 

“Fermatevi vi prego!” –Esclamò Andromeda, non per codardia ma per sincero rispetto verso la vita. –“Non sono qua per battermi con voi, ma per salvare la mia Dea!”

 

“E noi siamo qua per difendere il Regno di nostro Padre da voi invasori, Cavaliere di Atena! Lui ci ha creato, lui ci ha dato l’immortalità!” – Commentò Castore. –“E noi lo ricompenseremo con la notizia della tua caduta!” –Concluse Polluce, espandendo il proprio cosmo.

 

Castore fece altrettanto, prima di allungare il braccio destro verso di lui. Polluce fece la stessa cosa col sinistro, afferrando la mano del fratello e stabilendo un forte contatto energetico. Le figure dei due fratelli lampeggiarono per un momento, prima di iniziare a moltiplicarsi all’infinito, davanti agli attoniti occhi di Andromeda.

 

“Per te, Andromeda, il nostro colpo unito e segreto! Illusione dei Dioscuri!” –Esclamarono insieme, moltiplicando la loro immagine e circondando in fretta il Cavaliere di Andromeda.

 

Maledizione! Imprecò il ragazzo, guardandosi intorno, per capire quale fosse la coppia reale. Ma non trovò niente che potesse aiutarlo. Lanciò qualche accenno di Nebulosa in varie direzioni, ma tutti i suoi colpi finirono nel vuoto, trapassando le incorporee figure verso cui si dirigevano.

 

“Ahahah!” –Risero insieme i due fratelli, e a Andromeda parve che l’intera radura si burlasse di lui. Poi i Dioscuri bruciarono il loro cosmo, circondando il corpo dell’impaurito Andromeda, pronti per scagliare i loro colpi segreti. –“Pugno di Zeus!” –Urlò Polluce, usando il braccio sinistro. –“Carica dei Mille Cavalli!” – Gridò Castore.

 

E Andromeda fu colpito da tutte le direzioni, non riuscendo a comprendere da dove provenissero i colpi. La sua Armatura fu scheggiata in più punti, nonostante il ragazzo cercasse di difendersi con il cosmo. Ma è difficile difendersi se non sai da dove provengono i colpi! Aaah... maledizione.. avessi la mia catena.. la mia catena.. Commentò, espandendo al massimo il proprio roseo cosmo. L’intera radura fu nuovamente invasa dalla tempesta energetica della Nebulosa di Andromeda, che stavolta non era diretta verso i Dioscuri, bensì tesa a risvegliare la proteiforme arma che era la sua Catena. Catena di Andromeda, svegliati! E torna a combattere con me! Per Atena! E per la giustizia! Urlò Andromeda, bruciando al massimo il proprio cosmo. Incredibilmente le Catene di Andromeda si risollevarono dal torpore in cui il potere mentale di Castore le aveva confinate, riprendendo a danzare nel vortice energetico, sotto il controllo del suo padrone e compagno.

 

“Che cosa? Non può essere!” –Esclamò Castore, stupefatto, cercando di recuperare il controllo dell’arma.

 

“Stavolta sono i tuoi poteri ad essere inutili!” –Commentò soddisfatto Andromeda. –“La mia catena ed io siamo una cosa sola! Essa non è soltanto un’arma, è parte di me e io di lei! Insieme abbiamo affrontato mille battaglie, mille avversari, e abbiamo sempre trovato la forza di sconfiggerli, lottando fino in fondo, credendo in noi stessi e in ciò che siamo! Vai, adesso, Catena di Andromeda, trova i nemici!” –E nel dir questo Andromeda lanciò la Catena nell’ampio spazio, osservandola mentre raggiungeva i Dioscuri, posizionati di lato rispetto a lui. Castore e Polluce non poterono far niente per arrestare la devastante furia della Catena di Andromeda, e ne furono travolti, penetrati dal freddo metallo e scagliati lontano. Si schiantarono a terra molti metri addietro, ai margini della foresta di Artemide, proprio dove avevano sorpreso Andromeda un’ora prima.

 

“Incredibile! Siamo... stati battuti…” –Balbettò Castore, tentando di rialzarsi. Ma non ci riuscì e ricadde al suolo in una pozza di sangue, accanto all’amato fratello, vinto anch’egli da Andromeda.

 

Il Cavaliere di Atena si fermò un attimo ad osservarli, con un’infinita malinconia nel cuore, la stessa che provava ogni volta in cui doveva combattere, ogni volta in cui doveva ferire un nemico, che non riusciva a convincere a rinunciare alla lotta. Praticamente sempre. Scacciò via quei pensieri, voltandosi in fretta e iniziando a correre lungo il pendio per raggiungere la Reggia di Zeus. Dopo neanche trecento metri, Andromeda si fermò, percependo uno strano suono nell’aria. Una musica.

 

Ricordando i precedenti, con Orfeo, Mime e Syria, il Cavaliere tentò di allontanarsi dal luogo in cui la musica proveniva, ma si accorse con orrore che non riusciva a sfuggirne. In qualunque direzione si dirigesse la musica lo seguiva, facendosi sempre più insistente. Ma era una musica diversa dalle melodie che lo avevano ammaliato in precedenza, questa era molto più leggera, più naturale.

 

Un fruscio alla sua destra lo fece voltare, così trovò la fonte di tale musica. Sdraiato su un tronco abbattuto, un essere dall’aspetto grottesco suonava uno strumento simile a un flauto, ma composto da varie sezioni. Lo strano personaggio era molto piccolo, con piedi caprini, un nudo corpo villoso, barba, naso camuso e due corna che spuntavano dal cranio. Andromeda sgranò gli occhi sorpreso, quasi inorridito, mentre il misterioso musico continuava a suonare, disinteressato a lui. Il Cavaliere fece per allontanarsi, ma in quella il musico smise di suonare, balzò in piedi e lo richiamò.

 

“Fermati, Cavaliere di Andromeda!” – Esclamò lo strano essere, balzando giù dal tronco.

 

“Conosci il mio nome?” –Domandò il ragazzo, mentre il musico si incamminava verso di lui.

 

“Naturalmente!” –Commentò questi, prima di accostare il suo strumento alle labbra. Allora, in quel momento, osservando lo strumento del musico, Andromeda lo riconobbe. Quella era la siringa, il flauto di canne, ed egli doveva essere il suo creatore: Pan, il Dio delle Greggi e delle Selve.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** Allievo e maestro ***


CAPITOLO VENTIQUATTRESIMO. ALLIEVO E MAESTRO.

 

Quando Dohko di Libra raggiunse i Cinque Picchi era l’alba di un nuovo giorno, un giorno in cui, pensava il Vecchio Maestro, i destini del mondo si sarebbero giocati sul Sacro Monte di Grecia. Ed egli voleva esserne partecipe e contribuire, come aveva fatto in passato, alla salvezza della Terra. Di questa magnifica e verde Terra, così piena d’amore! Disse, correndo fra le montagne della Cina.

 

Dohko era affezionato alla Terra, avendovi trascorso più di due secoli e mezzo, grazie al potere divino Misopethamenos, ricevuto in dono da Atena al termine della Guerra Sacra combattuta a metà del XVIII secolo. Tale dono gli aveva consentito di rallentare il proprio battito cardiaco, e le sue funzioni vitali, facendo sì che quei due secoli e mezzo fossero trascorsi come otto mesi. E durante quei duecentocinquanta anni aveva avuto modo di apprezzare la vita, la semplice, tranquilla esistenza in una valle nascosta della Cina, dove aveva costruito una piccola abitazione, una pagoda, proprio a ridosso di un corso d’acqua, che in quel punto creava una grande cascata, permettendogli di disporre di un’abbondante quantità di acqua con cui irrigare i propri campi. Una vita salubre, ma sempre dedita alla Dea che le aveva affidato il segreto compito, noto a lui soltanto, di vigilare sulle truppe di Ade, bloccate dal sigillo di Atena in un’oscura torre a mille chilometri a ovest da lì. Dohko aveva trascorso l’intera sua esistenza sempre di fronte alla Cascata dei Cinque Picchi, anche nei giorni di pioggia o di bufera. Aveva allenato vari allievi nel corso della sua vita, ma soltanto uno gli aveva riempito il cuore di amore e di soddisfazione, un allievo che non poteva fare a meno di considerare come un figlio: Sirio, il Dragone. Lo stesso che stava cercando.

 

Con un ultimo balzo raggiunse quel che restava del vecchio sperone roccioso su cui Sirio era solito allenarsi negli anni dell’addestramento, ma ne rimaneva ben poco, essendo il terreno bruscamente franato. Dohko sospirò preoccupato, avvicinandosi ai resti della pagoda, e si commosse nel vedere la sua distruzione. La distruzione di quello che era stato il suo mondo fino a pochi mesi prima.

 

Cercò con il cosmo di percepire tracce di Sirio, ma non trovò niente, udì soltanto un leggero fruscio provenire da poco lontano. Il Cavaliere balzò in avanti, entrando nel boschetto che sorgeva dietro alla vecchia pagoda, guardandosi intorno con attenzione, per paura di un possibile attacco. Odino lo aveva informato di aver sentito una forte emanazione cosmica provenire dai Cinque Picchi, e che fosse possibile che Sirio si trovasse in difficoltà, ma non sapeva se vi fossero ancora nemici in zona. Dohko sorrise quando scoprì l’impaurita Fiore di Luna, nascosta dietro a dei cespugli.

 

Aaah!” –Urlò la ragazza, spaventata.

 

“Calmati Fiore di Luna! Non aver paura!” –Cercò di rassicurarla il Cavaliere di Libra. –“Non riconosci le mie vestigia? Sono Dohko!”

 

Doh… il Vecchio Maestro?!” –Balbettò la ragazza, stordita, e ancora diffidente.

 

“In persona! Sono così felice di vederti sana e salva!”

 

“Ma... Maestro... voi siete?!” –Affermò confusamente la ragazza, prima che Dohko le spiegasse in poche parole tutto ciò che era avvenuto dopo la sua dipartita dai Cinque Picchi.

 

“Sono venuto a cercare Sirio! Dov’è?”

 

“Oh, maestro... è terribile... lo sto cercando anch’io da ieri, ma non sono ancora riuscita a trovarlo!” –Esclamò la ragazza, scoppiando in lacrime e raccontando al Maestro della venuta di quel misterioso cavaliere armato di spada, e della caduta di Sirio nella cascata.

“Cerca di calmarti, Fiore di Luna! Adesso andrò io a cercarlo! Sirio è forte e sono sicuro che è ancora vivo!” –Cercò di rassicurarla il Cavaliere, prima di dirigersi alla ricerca di Sirio.

 

Dohko perlustrò tutta la valle in lungo e in largo, seguendo prima il corso del fiume su un lato, poi sull’altro, addentrandosi anche nella foresta di bambù che cresceva su una riva. Infine, dopo un’ora di attenta ricerca, trovò il corpo svenuto del discepolo, naufragato sulla riva del fiume, in una piccola insenatura che forse Sirio aveva cercato di raggiungere. Era completamente fradicio e il suo corpo freddo fece temere il peggio al Vecchio Maestro. Lo sollevò di peso, urlando a Fiore di Luna di scendere a valle quanto prima, quindi lo depositò sul terreno asciutto, accendendo un fuoco per dargli un po’ di tepore.

 

Sirio! Mormorò, con gli occhi lucidi. Non sai quanto sono felice adesso, quanto ho aspettato di rivederti! La stessa gioia, forse anche maggiore, fu espressa da Fiore di Luna quando raggiunse la riva del fiume, gettandosi addosso a Sirio in lacrime e ringraziando Dio per averlo salvato. L’ardente bivacco acceso dal Maestro, unito al suo confortante cosmo, riaccesero il caldo soffio della vita nel gelido corpo del Cavaliere del Drago, che presto emise un sussulto, prima di iniziare a tossire e a sputare acqua agitatamente.

 

“Sirio!” –Esclamò Dohko. –“Ooh Sirio!” –Pianse Fiore di Luna, tenendogli le mani tra le proprie.

 

Il ragazzo impiegò qualche secondo per mettere a fuoco le immagini attorno. Si sentiva umido e ammaccato, disteso sullo scomodo terreno, vicino ad un fuoco, mentre la sua ragazza e uno sconosciuto rivestito da una dorata armatura lo fissavano interessato.

 

“Credo che questo non serva più, adesso!” –Esclamò Dohko, chinandosi sul ragazzo e strappandogli il talismano che portava al collo. Uno scintillante smeraldo che Dohko gettò nelle acque del fiume, prima di poggiare nuovamente la mano sul petto dell’allievo e donargli ancora un po’ di tepore tramite il proprio cosmo.

 

“Io... non capisco…” –Balbettò Sirio, ancora troppo stordito per comprendere.

 

“È naturale, ragazzo mio, è naturale!” –Sorrise Dohko, immaginando che gli effetti del Talismano della Dimenticanza sarebbero passati nel giro di un po’ di tempo.

 

“Fiore di Luna...” –Affermò Sirio infine, mentre la ragazza in lacrime di gioia si stringeva a lui. –“E voi... non riconosco il vostro volto, ma c’è qualcosa... c’è qualcosa di familiare in voi!”

 

La conversazione tra Sirio e il Maestro fu bruscamente interrotta dall’arrivo di due indesiderati ospiti, che immediatamente si palesarono, agli occhi di Dohko, come Cavalieri Celesti.

 

Arge aveva ragione a non essere convinto!” –Esclamò uno dei due. –“Il Bronzetto è ancora vivo, e con lui c’è pure un Cavaliere d’Oro!”

 

“Impossibile!” –Affermò l’altro. –“Deve trattarsi per forza di un impostore! I Cavalieri d’Oro sono tutti morti all’Inferno durante l’ultima Guerra Sacra!”

 

“A quanto pare le informazioni in vostro possesso sono errate, Cavalieri Celesti! I Cavalieri d’Oro esistono ancora, e io sono qua per dimostrarlo!” –Esclamò Dohko, mettendosi in piedi e fronteggiando i due. –“Sono Dohko della Libra! Chi siete voi, e cosa vi spinge in questi eremi luoghi della Cina?”

 

Paride è il mio nome celeste!” –Esclamò uno dei due Cavalieri Celesti. –“Ed egli è Giacinto, siamo Cavalieri di Afrodite! Incaricati dal Sommo Arge di controllare che Sirio il Dragone fosse morto, come era stato ordinato!”

 

“Ordinato?” –Domandò Dohko, assumendo una posa da battaglia.

 

“Esattamente! Gli ordini di Zeus, per bocca di Flegias, erano stati chiari: eliminare i cinque Cavalieri di Bronzo che avevano osato sfidare gli Dei, prima che recuperassero la memoria! L’impresa sembrava facilissima, ma considerando che tre di loro hanno ricordato, e invaso l’Olimpo, abbiamo ritenuto opportuno venire fin qua a controllare!”

 

Dohko li fissò con attenzione, cercando di comprendere l’entità del loro cosmo, mentre una devastante rabbia si faceva strada in lui.

 

“Un’impresa memorabile!” –Ironizzò. –“Inviare dei sicari a uccidere degli innocenti, impossibilitati a difendersi, senza poter fare uso dei loro poteri! Impresa degna del Dio dell’Inganno!”

 

“Come osi, essere inferiore?” –Tuonò Paride, ma Giacinto gli bloccò la mano, pregandolo di non curarsene.

 

“Il nostro compito è uccidere Sirio il Dragone, Cavaliere d’Oro! Fatti da parte, altrimenti saremo costretti ad eliminare anche te!”

 

“E credi di esserne capace?” –Ironizzò Dohko.

 

A quelle parole Giacinto espanse il proprio cosmo, mentre la rilucente Armatura Celeste che lo ricopriva iniziò a brillare. Il ragazzo non era molto alto, e di corporatura media; aveva mossi capelli biondi che fuoriuscivano dall’elmo a diadema che portava in fronte, e occhi azzurri, limpidi come il mare, che gli davano un’apparenza delicata, quasi efebica, soprattutto se paragonata alla maggiore virilità che il corpo di Paride pareva emanare. Questi era infatti ben più piazzato, con mossi capelli neri e occhi scuri, che contribuivano a mettere in risalto le sue origini latine. Ciascuno dei due Cavalieri portava seco delle armi: dischi il primo, e una lancia appuntita il secondo, della stessa foggia delle loro corazze, sicuramente opera di Efesto.

 

Senza aggiungere altro, Giacinto staccò i dischi dall’armatura, lanciandoli contro Dohko ad impressionante velocità. Il Cavaliere di Libra fu abile ad evitarli entrambi, ma questi, dopo averlo sorpassato, si moltiplicarono in infinite copie che tornarono indietro, pronte per colpirlo e trinciarlo.

 

“Dischi del Sole!” –Esclamò Giacinto, mentre le sue armi rilucevano di un’abbagliante luce che rendeva difficoltoso tenerli d’occhio.

 

Ma il Cavaliere ebbe una brutta sorpresa, osservando, con orrore, i suoi dischi frantumarsi uno dopo l’altro. Senza perdere tempo, infatti, Dohko aveva afferrato le Barre tripunte, una delle sei armi doppie della sua Armatura, e aveva iniziato a rotearle vorticosamente, lanciandole poi contro i dischi del suo nemico. In pochi secondi dei piatti volanti di Giacinto, come li descrisse Dohko deridendoli, non rimasero che frammenti. Con un colpo secco, il Cavaliere d’Oro lanciò la Barra Tripunte avanti, la quale, estendendosi, si conficcò proprio nel terreno sotto i piedi di Giacinto, che fu abile ad evitarla saltando in alto, atterrando su uno sperone roccioso più indietro.

 

Incredibile! Mormorò sconcertato il Cavaliere di Afrodite. Ha distrutto i miei Dischi del Sole come fossero di carta! Mai nessuno è mai stato così abile e veloce da fare ciò! Ma non ebbe il tempo di pensare ancora, che dovette affrontare un nuovo assalto del Cavaliere d’Oro. Dohko, infatti, aveva lanciato la Barra Tripunte, distruggendo lo sperone di roccia su cui stava Giacinto, che dovette saltare in alto per non franare a terra, esponendosi ad un diretto attacco del Cavaliere d’Oro.

 

“Colpo del Drago nascente!” –Esclamò Dohko, scagliando un violento assalto energetico contro il Cavaliere di Afrodite, che fu colpito in pieno e scaraventato lontano.

 

A quel punto si mosse Paride, brandendo la lancia celeste che portava con sé.

 

“Resistenti ed efficaci sono le armi di cui disponi, Cavaliere d’Oro! Ed altrettanta maestria dimostri tu nell’utilizzarle!” –Commentò il giovane, espandendo il proprio cosmo. –“Ma sarai in grado di fronteggiare questo divino manufatto?!” –E si lanciò avanti, puntando l’arma contro Dohko. –“Lancia dell’Olimpo!”

 

Muovendosi alla velocità della luce, Paride riusciva a scagliare migliaia di affondi in un solo secondo, impegnando notevolmente il Cavaliere di Libra nella difesa. Questi però poteva contare sulla robustezza del suo Scudo Dorato, fortemente ancorato al suo braccio sinistro, sul quale si infransero tutti i fendenti luminosi della Lancia di Paride. Con un colpo secco Paride tentò di piantare la lancia nello Scudo Dorato, ma si accorse, con stupore, di non essere riuscito a penetrarlo.

 

“Possibile? Che uno Scudo d’Oro possa fermare una Lancia Olimpica?!” –Si chiese, stupefatto, ritirando la sua arma.

 

“Non un semplice Scudo Dorato, Cavaliere di Afrodite! Ma una delle sei armi della Bilancia, riforgiate nelle fucine di Muspellsheimr, dai Giganti fedeli a Odino, con il sangue di Balder, Dio del Sole!” –Spiegò Dohko, con orgoglio. –“La difesa rappresentata dal mio scudo è insormontabile, almeno per la tua lancia!”

 

E afferrò le Barre Tripunte, puntandole contro Paride. Le armi si allungarono improvvisamente, saettando verso il Cavaliere Celeste, una alla sua destra, una alla sua sinistra. Paride ne evitò una, ma fu troppo lento per schivare anche l’altra che lo colpì allo sterno, spingendolo indietro e facendolo cadere a terra. In quella, Giacinto si rialzò, correndo ad affiancare il compagno.

 

“Chi sei, tu, che sai usare con simile maestria quelle dorate armi?” –Chiese Paride, rialzandosi e sputando sangue.

 

“È il mio maestro!” –Esclamò una voce, anticipando quella di Dohko. –“L’uomo che mi ha insegnato a lottare, che ha creduto in me, per tutti questi anni, e che mi ha salvato ancora una volta da una triste fine!”

 

Dohko si voltò, trovandosi di fronte Sirio, in piedi, pur se ansimante, mentre Fiore di Luna, al suo fianco, lo osservava preoccupata. Aveva recuperato la memoria.

 

“Sirio...” – Commentò, felice di rivederlo in piedi.

 

“Maestro...” –Sussurrò il ragazzo, con un ritrovato sorriso sul volto.

 

“Vorrà dire che vi elimineremo insieme!” –Tuonarono Paride e Giacinto, espandendo i loro cosmi.

 

“Provateci!” –Esclamò Dohko di rimando, liberando un nuovo Drago Nascente, che si scontrò a mezza strada con i colpi luminosi lanciati dai due Cavalieri Celesti. L’esplosione che ne seguì spinse tutti e tre indietro di qualche metro.

 

“Sciocchi!” –Esclamò un’imperiosa voce, risuonando per l’intera vallata. –“Non siete ancora riusciti ad eliminare il ragazzo e il suo Vecchio Maestro?!”

 

Giacinto e Paride non risposero, rimettendosi in piedi e ascoltando la predica con un certo imbarazzo. Dohko concentrò i propri sensi, cercando la fonte di tale voce. Improvvisamente un fulmine si schiantò in mezzo alle acque del fiume, seguito da altri due, sollevando un turbine d’acqua, intriso di energia cosmica. In mezzo al vortice comparve infine una maestosa figura, ricoperta da Vestigia Divine, che si incamminò verso di loro, fino a fermarsi su una roccia sporgente in mezzo al fiume.

 

Dohko osservò il nuovo arrivato, percependo in lui una tremenda energia cosmica, superiore a quelle che aveva sentito finora. Un cosmo che, rifletté, rivela origini divine.

 

Iiih... è lui!” –Urlò Fiore di Luna, riconoscendo colui che aveva assalito Sirio il giorno prima.

 

“Comandante Arge...” –Esclamò Giacinto, inginocchiandosi al nuovo arrivato. –“Stavamo portando a termine la missione, ma siamo stati ostacolati dal Cavaliere d’Oro!”

 

“Siete due incapaci!” –Li rimproverò l’uomo. –“Mi occuperò io di lui! Voi uccidete il ragazzo, come vi è stato comandato!”

 

Giacinto e Paride non risposero, muovendosi per avventarsi su Sirio, che prontamente si mise davanti a Fiore di Luna, per difenderla. Dohko, brandendo il Tridente d’Oro, lo sollevò puntandolo contro i due, ma non fece in tempo a scagliare un raggio energetico contro di loro, che fu costretto a fronteggiare l’assalto del nuovo arrivato.

 

Con una calma impressionante, l’uomo dalla Celeste Armatura aveva sollevato il braccio destro, lanciando un fendente luminoso che aveva scavato un lungo solco nel terreno, diventando un piano verticale che aveva separato Dohko dai due Cavalieri Celesti.

 

“Uh?” –Si mosse il Cavaliere di Libra, sollevando lo scudo per difendersi.

 

“Non crederai che quello scudo basti per fermarmi?!” –Esclamò l’uomo, fissando il Cavaliere d’Oro. –“Sono Arge, lo Splendore, uno dei tre Ciclopi Celesti! Figlio di Urano, Dio del Cielo, e di Gea, la Terra, in me scorre il Divino Sangue primordiale, e non esiste difesa alcuna che possa trattenere il mio cosmo!”

 

Uno dei Ciclopi Celesti?! Rifletté Sirio, con preoccupazione. Un avversario temibile! Il Maestro avrà bisogno di soccorso! Devo aiutarlo! Il ragazzo pregò Fiore di Luna di allontanarsi, di nascondere in qualche anfratto lungo il fiume e nella foresta di bambù, per non restare coinvolta.

 

“Ma Sirio...” – Cercò di fermarlo lei.

 

“Non ci sono “ma”, Fiore di Luna! La tua vita è troppo importante per me, e non voglio che ti accada niente di male! Coraggio, vai!” –E nel dir questo si lanciò contro i due Cavalieri Celesti, iniziando un corpo a corpo fatto di pugni e di calci.

 

Per quanto Sirio fosse un abile lottatore, la recente mancanza di allenamento, unita alla stanchezza e all’inferiorità numerica, lo esposero ben presto ai colpi dei suoi avversari. Un affondo della lancia di Paride gli tranciò le vesti, sfiorando il suo fianco sinistro, e obbligandolo a fare qualche passo indietro. No! Si disse, ricordando una delle prime lezioni del maestro. Non andare mai indietro, figliolo! Gli sembrò di sentire la voce dell’anziano Libra nella sua mente. Sempre avanti!

 

! Ripeté a se stesso. Sempre avanti! E si lanciò nuovamente contro i due Cavalieri, mentre il suo ardente cosmo si liberava in tutta la sua forza. Paride e Giacinto furono stupiti nel vedere in lui una simile ripresa e determinazione, e questo permise a Sirio di colpirli più volte, prima di fermarsi, concentrare i propri sensi e lanciare il suo colpo segreto.

 

“Colpo segreto del Drago Nascente! Via!” –Urlò, scatenando la tremenda forza del ruggente Drago contro i due Cavalieri Celesti, che non riuscirono ad evitarlo e furono travolti, venendo scaraventati indietro, fino a ricadere al suolo.

 

In quella, l’Armatura del Dragone apparve sopra di lui, nella forma che aveva avuto durante la Guerra Sacra contro Ade; si scompose e andò a ricoprire perfettamente il corpo di Sirio, che si sentiva adesso come rinato, grazie anche al benigno influsso del cosmo di Atena presente nella sua armatura tramite il sangue divino usato per la riparazione della stessa. Adesso sono pronto a combattere! Esclamò Sirio, volgendosi verso la riva del fiume, dove, con orrore, assistette alla violenza del colpo scagliato da Arge contro il suo maestro, il quale ne fu travolto e spinto indietro, fino a sbattere a terra con fragore.

 

Maestrooo!!!” –Urlò Sirio, scattando avanti.

 

Concentrò l’energia del suo verde cosmo nel braccio destro, e scatenò tutta l’ira del Drago Nascente contro il Ciclope Celeste. Questi, tranquillamente in piedi al centro del fiume, non si scompose affatto, lasciando che il drago di Cina si schiantasse contro di lui, senza venirne assolutamente scalfito.

 

“Che cosa?! Possibile che il Drago Nascente non l’abbia neanche sfiorato?!” –Mormorò Sirio, esterrefatto.

 

Arge non parlò, limitandosi a muovere il braccio destro con una velocità impressionante, al punto che Sirio fu travolto, quasi tranciato in due, da un sottile piano verticale che lo penetrò da parte a parte, frantumando il diadema della sua Armatura di Bronzo e facendo vibrare l’intero suo corpo. Col respiro mozzato, Sirio cadde in avanti, precipitando con la testa nell’acqua del fiume, mentre i suoi lunghi capelli neri si distendevano intorno a lui.

 

Com’è possibile? Si chiese il Cavaliere del Drago. Una difesa invisibile e invalicabile! E un attacco veloce e preciso, come il taglio di un’affilata lama! Chi è mai costui? E perché vuole ucciderci?A fatica, Sirio si rimise in piedi, affiancando Dohko vicino a lui, e cercando spiegazioni, mentre poteva sentire, con timore, il vasto cosmo di Arge invadere come una brezza l’intera vallata.

 

“È uno dei sicari inviati da Zeus, Sirio!” –Raccontò in fretta Dohko. –“L’Olimpo ha dichiarato guerra ad Atene, e i Cavalieri della Giustizia sono stati chiamati ad una nuova battaglia!”

 

“L’Olimpo?! Ma allora.… Pegasus? E Atena?” –Incalzò Sirio.

 

“Combattono già sul Sacro Colle! E anche Cristal e Andromeda, e Ioria, Virgo, Mur e Scorpio sono con loro!” –Esclamò Dohko, mentre Sirio ascoltava con interesse e sorpresa.

 

“Allora non dobbiamo esitare un solo istante!” –Si limitò a dire, con decisione. –“Dobbiamo correre in Grecia a prestare loro aiuto! La salvezza di Atena e della Terra ricade ancora una volta sulle nostre spalle!”

 

Dohko sorrise, fiero di aver istruito un allievo con un simile senso di giustizia e dell’onore; annuì con il capo, prima che l’imperiosa voce di Arge li richiamasse.

 

“Voi non andrete da nessuna parte, se non in Ade, dove già dovreste essere di casa!” –Esclamò il Ciclope, bruciando il proprio cosmo celeste.

 

Grrr… maledetto!” –Ringhiò Sirio, irato, ma Dohko gli afferrò il polso, pregandolo di calmarsi.

 

“Occupati dei due guerrieri minori, e poi corri a cercare Fiore di Luna!” –Gli ordinò il Cavaliere di Libra. –“Portala al sicuro, e raggiungi i tuoi compagni sull’Olimpo! Combatterò io con lui!”

 

Sirio rimase inizialmente senza parole, commosso per lo spirito di sacrificio del suo maestro; ma per quanto lusingato dall’offerta, la rifiutò senza mezzi termini.

 

“No!” –Esclamò, stupendo Libra. –“Non ho intenzione di abbandonarla qua, contro un avversario potente quanto un Dio!”

 

“Sirio tu non…” –Ma la frase di Dohko rimase a metà, interrotta dal brusco attacco di Arge. Un fendente luminoso scavò il terreno tra i due, creando un piano verticale che esplose spingendo entrambi indietro, mentre nuovi fendenti energetici correvano rapidi verso di loro.

 

Maledizione! La sua velocità è impressionante! Commentò Dohko, muovendo continuamente lo scudo dorato per difendersi. Ma, nonostante la resistente difesa, dovette constatare che numerosi fendenti energetici lo raggiunsero comunque, sulle braccia e sulle gambe, superando lo Scudo d’Oro. Afferrò quindi una spada, cercando di parare con quella i fasci di energia del nemico, riuscendovi solo in parte, e con gran fatica, tanta era la potenza e la velocità del Ciclope.

 

“Perfetto!” –Sorrise Arge, osservando Dohko muoversi sulla riva, come una marionetta nelle sue mani.

 

I suoi colpi lo spinsero proprio dove voleva lui, a ridosso di una parete rocciosa. Una sfera energetica, scagliata a gran velocità, colpì l’enorme blocco di roccia, mandandolo in mille frammenti che ricaddero su Dohko, sommergendolo.

 

Maestrooo!!!” –Urlò Sirio, ma non riuscì a raggiungerlo, in quanto Arge, che finora aveva attaccato dalla roccia in mezzo al fiume, balzò proprio davanti a lui, interponendosi tra Sirio e Libra.

 

“Preoccupati per te, ragazzino!” – Esclamò Arge, muovendo il braccio destro con gran velocità.

 

Rapidi fendenti azzurrognoli squarciarono l’aria, e Sirio cercò di ripararsi con lo scudo della sua armatura, ma non riuscì a trattenere un grido di stupore quando lo vide andare in frantumi. Con altri quattro fendenti Arge colpì il resto del suo corpo, facendo esplodere buona parte della sua corazza. Quando si fermò, finalmente Sirio vide la causa di quei rapidi fendenti energetici: una spada lucente che Arge stringeva in mano. Sollevata sopra di lui, la lama risplendeva di un’argentea luce di eternità, riflettendo i raggi del sole in uno scintillio di colori affascinante quanto mortale.

 

“Una spada?!” –Esclamò il ragazzo, ricollegandola improvvisamente a quella che Arge aveva piantato nello sperone roccioso il giorno prima, facendolo franare.

 

“Ma non una spada comune! La Spada del Fulmine, o la Bianca Spada dei Ciclopi, forgiata da Efesto, su ordine di Zeus, e donata a me e ai miei fratelli come ringraziamento per l’aiuto prestato al Sommo Zeus durante la Titanomachia! Una lama capace di penetrare qualsiasi materiale!”

 

Detto questo la abbassò su Sirio, per ucciderlo, ma il ragazzo si spostò velocemente a destra, venendo comunque ferito di striscio al braccio sinistro, che iniziò a sanguinare copiosamente.

 

“Stolto! Non ritardare una fine che arriverà comunque!” –Mormorò il Ciclope. –“Accetta il tuo destino, e muori!” –E sollevò nuovamente la spada, creando un luminoso fendente che travolse Sirio, trapassandolo da parte a parte e scaraventandolo indietro, tra i frammenti della sua armatura.

 

È forte e veloce! Commentò Sirio, a terra in una pozza di sangue. È veramente un Dio! Che speranze posso avere di batterlo? Si chiese, abbandonandosi lentamente.

 

“Le speranze di un vecchio che ha rinunciato alla vita!” –Commentò una voce, parlando direttamente al suo cosmo.

 

“Co... cosa?!” –Domandò Sirio, riaprendo gli occhi.

 

“Sirio, non avrai davvero intenzione di mollare?” –Lo esortò la voce, limpida e serena. –“Non è da te, Cavaliere di Atena! Non ti abbiamo forse affidato il compito di proteggere la Dea della Giustizia, anche per noi? Per cosa ti ho salvato, allora? Perché ti abbandonasti alla sconfitta, senza reagire né combattere?”

 

Capricorn!” –Esclamò Sirio, riconoscendo il caldo cosmo del Cavaliere d’Oro della Decima Casa.

 

“Alzati, mio buon amico! Rialzati ancora! Come hai sempre fatto! E affronta l’affilata lama del Ciclope Celeste, come un tempo affrontasti altrettanto pericolosa spada!”

 

“Uh?!” – Mormorò Sirio, cercando di rimettersi in piedi.

 

“Non ti ho forse fatto dono della più devastante arma dei Cavalieri d’Oro? La sacra Excalibur, che Atena ricevette in dono nel Mondo Antico dalle Sacerdotesse di Avalon dell’Isola Sacra! Forgiata dalle abili mani dei druidi e del popolo fatato, Excalibur alberga adesso dentro di te, Sirio! E nessuno potrà mai spezzarla!” –Esclamò Capricorn, prima che il suo cosmo scomparisse.

 

Hai ragione, Capricorn! Non posso lasciarmi andare in questo modo! Ho affrontato decine di avversari apparentemente più forti, Nettuno, Thanatos e Ade tra i tanti, ma non mi sono mai lasciato andare! Né ho intenzione di farlo adesso! Vincerò! Vivrò, anche per te! E si rimise in piedi, grondando sangue, e bruciò il suo cosmo al massimo, fino ai limiti estremi dell’universo. I frammenti di Armatura di Bronzo che erano sul suo corpo iniziarono a brillare di un’accecante luce, che costrinse persino Arge a coprirsi gli occhi, e poco dopo Sirio si ritrovò coperto dalla sua Armatura Divina, con un nuovo scudo al braccio sinistro e una nuova determinazione negli occhi. Quella stessa determinazione che gli avrebbe permesso di vincere anche quella battaglia. 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** Rugge, il Drago della speranza! ***


CAPITOLO VENTICINQUESIMO. RUGGE IL DRAGO DELLA SPERANZA!

 

Sirio il Dragone era in piedi sul terreno roccioso che costeggiava il fiume dei Cinque Picchi, ricoperto dalla sua Armatura Divina, che emanava una lucente aura, forte anche del cosmo di Capricorn, che nuovamente lo aveva soccorso dal Paradiso dei Cavalieri. Di fronte a lui stava un uomo, alto e robusto, con ampie spalle e braccia possenti. Aveva un viso elegante, con mossi capelli scuri striati di grigio, che spuntavano dall’elmo della sua Armatura Celeste. Un elmo su cui era impresso il simbolo del fulmine, emblema di Zeus.

 

Arge, lo Splendore, figlio di Urano e di Gea, uno dei tre Ciclopi Celesti che nel Mondo Antico avevano combattuto al fianco di Zeus, durante la Titanomachia, dopo che il Dio aveva liberato lui e i suoi fratelli dalle oscure prigioni del Tartaro. Per ricompensarli dell’aiuto prestatogli, Zeus aveva chiesto a Efesto, Dio della Lavorazione dei Metalli, di creare un’indistruttibile spada, la Spada del Fulmine, da offrire in dono ai Ciclopi.

 

“Perché possiate usarla per difendere l’Olimpo!” –Gli aveva detto millenni prima, porgendogliela.

 

E adesso la sto usando per offendere! Rifletté il Ciclope, con una certa ironia. Ma la cosa non lo turbò più di tanto. Per quanto fosse la prima volta che Zeus ordinava loro di scendere dall’Olimpo per attaccare deliberatamente nemici specifici, avendo sempre avuto ordine di difendere il Sacro Monte, Arge non aveva battuto ciglio, come Bronte e Sterope prima di lui, limitandosi a chinare il capo e a eseguire l’ordine. Senza chiedersi perché, né tanto meno se fosse giusto o sbagliato. Arge, al riguardo, non aveva dubbi. Un ordine che viene dal Signore dell’Olimpo non può che essere giusto! Pensò, muovendo velocemente la Spada del Fulmine.

 

Rapidi fendenti energetici si abbatterono su Sirio, il quale fu svelto ad evitarne la maggioranza, scattando di lato in lato, e tentando di parare gli altri con il proprio scudo, più resistente che mai. Rendendosi conto però di non poter evitare gli attacchi di Arge per sempre, Sirio decise di passare al contrattacco, scattando avanti, con il braccio destro carico di energia cosmica.

 

“Colpo del Drago Nascente!” – Esclamò, piombando su Arge.

 

Ma il Ciclope, come poco prima, non si mosse, lasciando che il pugno di Sirio si schiantasse davanti a lui, a pochi centimetri dal suo corpo, contro un’invisibile barriera capace di contenere ogni assalto. Sirio rimase sospeso in aria, dal contraccolpo generatosi, ma Arge, con un fulmineo colpo di mano, mosse la spada in orizzontale, tagliando il ragazzo all’altezza dello stomaco.

 

Aargh!” –Urlò Sirio, balzando indietro e constatando con orrore una sottile crepa nella sua armatura. Una dritta fenditura da cui il sangue iniziò a colare immediatamente, mentre il ragazzo stringeva i denti per il dolore.

 

“La tua Armatura Divina, per quanto nata dal Sangue di Atena, non è certamente pari alle Divine Vesti degli Dei, forgiate da Efesto stesso nel Vulcano Etna! La mia spada è di tale fattura, e come tale più resistente e penetrante!” –Commentò Arge, incamminandosi verso il ragazzo.

 

“Questo è da vedersi!” –Urlò Sirio, caricando il braccio destro di energia cosmica. –“Anch’io possiedo una spada e con essa abbatterò la tua barriera! Excalibur!!!” –Urlò, sollevando il braccio destro e poi abbassandolo di colpo. Un rapido fendente energetico si diresse contro Arge che, per quanto inizialmente stupito nell’udire simili parole, riuscì a parare il colpo, storcendo la Spada del Fulmine davanti a sé.

 

“Come hai detto? Excalibur?!” –Chiese Arge. –“Sei dunque tu il Cavaliere di Atena che ha ricevuto in dono la spada mitica?”

 

“Non io, Ciclope Celeste! Ma il custode della Decima Casa dello Zodiaco, Shura di Capricorn, che la cedette a me, in segno di amicizia e di riconoscenza, affinché la usassi per salvare Atena, recidendo con essa ogni male dalla Terra!”

 

“La potenza di una simile spada supera ogni immaginazione!” –Commentò Arge, molto interessato alla cosa. –“È sempre stato un mistero conoscere come i druidi e le Sacerdotesse di Avalon siano riusciti a forgiare una spada simile! Una spada che, per potenza e resistenza, è degna di essere messa a fianco della Spada del Fulmine e di altre opere generate dalla divina mano di Efesto!”

 

“Avrai modo di sentire sulla tua pelle il taglio della mia spada!” –Urlò Sirio, balzando in alto.

 

Caricò il braccio destro di energia cosmica, prima di abbassarlo, lanciando nuovi fendenti luminosi contro Arge. Il Ciclope Celeste fu svelto a muovere la Spada del Fulmine, parando tutti i colpi lanciati da Sirio, e lasciando che altri, da lui considerati minori in quanto a potenza, si schiantassero sulla sua invisibile barriera.

 

“Come puoi vedere la mia barriera è impenetrabile!” –Esclamò Arge, avanzando ancora. –“Essa trae origine dalla forza del mio cosmo, un cosmo di natura divina, antico come il mondo!”

 

Solida davvero è la sua difesa, ma riuscirò a penetrarla! Si disse Sirio, bruciando ancora il cosmo.

 

In quella, un boato riscosse entrambi i contendenti. Il caldo cosmo della costellazione della Bilancia distrusse i detriti che erano caduti su di lui, liberando il corpo di Dohko dalle macerie. Il Cavaliere d’Oro, un po’ stordito, si rimise in piedi, pronto per aiutare Sirio nel combattimento. Ma Giacinto e Paride, i due Cavalieri Celesti giunti in Cina per ordine di Arge, si rialzarono a loro volta, lanciandosi contro di lui. Il nuovo scontro tra il Cavaliere d’Oro e i due uomini proseguì per una decina di minuti e, per quanto si concluse in fretta, con la sconfitta dei due Cavalieri Celesti, travolti dal Drago Nascente, impedì momentaneamente a Dohko di correre in aiuto del suo allievo.

 

Arge, stufo ormai di combattere con il Cavaliere di Bronzo, che reputava un essere inferiore, decise di accelerare i tempi, preoccupato anche per ciò che stava accadendo sull’Olimpo. Aveva sentito il cosmo di Bronte esplodere poco prima e intuì che la situazione fosse più delicata del previsto.

 

“Il tuo tempo è scaduto, Cavaliere di Atena! Cadi, come la tua Dea prima di te! Spada del Fulmine!” – Esclamò Arge, sollevando la lama.

 

Un’esplosione di luce travolse Sirio, scaraventandolo lontano e, per quanto il ragazzo si difendesse con il suo scudo, non poté evitare di essere colpito in più punti. La potenza di Arge era incredibile, e Sirio dovette ammetterlo; quest’ultimo colpo gli aveva permesso di scagliare migliaia di fendenti semplicemente sollevando la Spada del Fulmine sopra di sé, tutti alla velocità della luce.

 

Il colpo scaraventò Sirio nelle basse acque del fiume, mentre Arge, soddisfatto, riabbassava la spada, convinto, quella volta, di averlo eliminato. Ma pochi istanti dopo fu genuinamente sorpreso nel vedere Sirio riemergere a fatica dalle acque.

 

“Ancora?!” – Brontolò, prima di espandere il proprio cosmo e balzare in alto, deciso a scagliargli contro altri fendenti luminosi.

 

Ma Sirio, che si aspettava una simile mossa, lo anticipò di mezzo secondo, scattando in alto con il braccio carico di energia cosmica.

 

“Colpo del Drago Volante!!!” – Urlò, scaricando un violento assalto energetico dal basso.

 

Arge, preso alla sprovvista, tentò di evitare il colpo, atterrando dall’altra parte del fiume, ma fu comunque colpito di striscio al fianco destro. Quando si tastò l’anca dolorante, poté sentire con orrore la Veste Divina bruciare e dovette ammettere che quel ragazzino non era così sprovveduto e inferiore come l’aveva considerato all’inizio. Bronte mi disse di aver avuto problemi con Pegasus e Andromeda, e di essere solamente riuscito a ferirli più volte, senza mai riuscire a dare loro il colpo di grazia! Rifletté il Ciclope. Quando me lo disse gli risi in faccia, dandogli dell’incompetente, del permissivo! Ma adesso mi rendo conto che forse non aveva tutti i torti! I pensieri di Arge furono interrotti dall’accendersi impetuoso del cosmo di Sirio.

 

Ardeva, bruciava come un incandescente Dragone che vorticava intorno a lui, prima di liberarsi in aria in tutta la sua potenza. Immense colonne d’acqua sorsero nel fiume, stupendo Arge per la potenza che il ragazzo stava dimostrando, mentre il terreno sotto i piedi del Ciclope si sgretolò, ed egli fu sollevato e travolto da un devastante getto d’acqua, controllato proprio da Sirio.

 

“Maledetto!” – Urlò Arge, riprendendosi dalla sorpresa e brandendo la sua spada. Un attimo dopo vide uno scintillante drago verde guizzare nel cielo di fronte a lui, mentre spruzzi d’acqua di fiume bagnavano la sua Celeste Armatura.

 

“Colpo Segreto del Drago Nascente!” –Urlò Sirio, ormai diventato uno splendente dragone.

 

“Spada del Fulmine, fermalo!” –Gridò Arge, abbassando la lama, proprio mentre il pugno destro di Sirio piombava su di lui.

 

Lo scontro tra i due poteri fu spaventoso, una grande esplosione energetica che spinse entrambi indietro, ognuno su una riva del fiume, danneggiando l’ambiente circostante. Arge rovinò al suolo, sbattendo con forza una spalla, perdendo l’elmo dell’Armatura Divina e la presa della sua Bianca Spada che ruzzolò sul terreno acquitrinoso. Nonostante il dolore che per la prima volta nella vita sentiva, si rimise subito in piedi, ansimando per lo sforzo.

 

Era dai tempi della Titanomachia, della grande guerra per l’Olimpo che combattemmo millenni fa, tra Divinità, che non provavo il dolore! Che non conoscevo un’emozione simile! Rifletté il Ciclope, respirando affannosamente. Con la sola forza del pensiero richiamò la Spada del Fulmine, che tornò prontamente nelle sue salde mani. Il suo tocco lo fece sentire meglio, ma non fu abbastanza per ridargli la baldanza e il senso di facile vittoria che aveva provato all’inizio. No! Si disse, tastandosi il fianco dolorante. Non è abbastanza!

 

Sirio si rimise in piedi a fatica, ansando, ma deciso a continuare la lotta. Adesso che era riuscito ad abbattere Arge una volta, era certo che avrebbe potuto farlo ancora. Sperò semplicemente di riuscire a farlo prima di morire. Osservò il pugno destro che sanguinava in più punti, avendo la Spada del Fulmine distrutto il guanto di protezione, proprio mentre Sirio lanciava il Drago Nascente. E anche la ferita allo stomaco gli doleva, ma strinse i denti e cercò di resistere.

 

“Questa volta morirai! Non puoi sopravvivere a un altro attacco!” –Urlò il Ciclope, dall’altra riva del fiume.

 

Sirio non rispose, limitandosi a bruciare al massimo il proprio cosmo, carico di verdi bagliori che invasero l’aria circostante, e a caricare il braccio destro. Arge sollevò la spada sopra la testa, che si illuminò poco dopo, liberando tutta la devastante forza del Ciclope Celeste.

 

“Spada del Fulmine! Spazzalo via!” –Urlò il Ciclope, abbagliando l’intera vallata.

 

Sirio, padrone ormai del Settimo Senso, che aveva riscoperto dentro di sé, cercò di vedere, non con gli occhi ma con il cosmo, i colpi di Arge. E ci riuscì, mentre prima aveva fallito. Vide chiaramente le migliaia di fendenti che partivano dalla spada sollevata sopra Arge e che si dirigevano verso di lui, come affilate lame pronte a bere il suo sangue. Si spostò velocemente, prima a destra, poi a sinistra, per evitare gli affondi del Ciclope, e alla fine, aiutandosi anche con la protezione offerta dal suo scudo, cercò di avanzare, nelle basse acque del fiume.

 

Arge rinnovò l’assalto, con fresco impeto e vigore, e a quel punto Sirio, con il cosmo carico al massimo, decise di scattare avanti, tentando il tutto per tutto. Evitò una raffica di fendenti, venendo colpito da altri, che, avvicinandosi al punto di origine, si facevano più forti e veloci, ma non se ne curò, sollevando il braccio destro, deciso a portare a compimento la sua opera.

 

“Manterrò la mia promessa, Arge!” –Esclamò Sirio. –“Excalibur, abbatti la barriera!!!”

 

Un unico fendente, deciso e veloce, partì dal braccio di Sirio, travolgendo tutti gli altri, lanciati da Arge, che si infransero vanamente contro di esso. Il Ciclope inorridì nel vedere un sottile fascio di luce stamparsi sulla barriera invisibile che lo proteggeva, e mandarla in frantumi pochi istanti dopo, trapassandolo da parte a parte e spingendolo indietro.

 

“Incredibile!” –Esclamò, sputando sangue, mentre cercava di rimettersi in piedi. –“Ha distrutto la mia barriera protettiva! Excalibur è veramente degna della sua fama!”

 

In quel momento la sua armatura vibrò in più punti, e numerose crepe comparvero su di essa, mostrando il sangue del suo corpo ferito. Possibile? Che dopo millenni sia destinato a riscoprire nuovamente il sapore del sangue? Del dolore? Mormorò Arge, accasciandosi al suolo. E che sia un uomo, un bastardo figlio mortale, a farmi provare tutto ciò? Sollevò lo sguardo e si accorse solo allora che Dragone era svenuto, per l’eccessivo sforzo, nelle acque del fiume.

 

A fatica, Arge si rimise in piedi, proprio mentre Dohko, dopo essersi finalmente liberato dei due Cavalieri Celesti, scendeva nel corso d’acqua per portare aiuto al discepolo. Il Cavaliere di Libra sollevò il corpo inerme di Sirio e lo trasportò sull’altra riva, depositandolo sul terreno acquitrinoso, mentre un sorriso stanco si dipingeva sul suo volto.

 

“Riposa adesso, Sirio! Mi occuperò io di Arge!” –Sussurrò il Cavaliere d’Oro, prima di portarsi di fronte al Ciclope Celeste. –“Sirio ha combattuto con onore! Come un vero Cavaliere di Atena! Sono fiero di lui!”

 

Arge non disse niente, limitandosi a stringere la Spada del Fulmine nelle proprie mani, mentre Dohko liberava un’arma della Bilancia, la Spada Dorata, afferrandola con la mano destra.

 

“Adesso affronterai le Sacre Armi di Libra, Ciclope!” –Urlò Dohko, espandendo il proprio cosmo.

 

“Fatti avanti, allora!” –Lo incitò Arge, con rinnovata baldanza.

 

“Fe... fermi!” –Esclamò una flebile voce.

 

“Sirio!” –Urlò Dohko, voltandosi verso l’allievo, che a fatica si era rimesso in piedi. –“Siediti, non…

 

“Maestro!” –Affermò Sirio. –“Si faccia da parte, la prego! Finirò io il combattimento con Arge!”

 

“Sei troppo debole, Sirio, lascia fare a me!”

 

“Lei ha fiducia in me?” –Domandò Sirio, sorprendendo lo stesso Dohko.

 

“Certo che ne ho!” –Rispose questi, mentre Sirio si faceva avanti, seppur con passo tremolante.

 

“E allora si scansi, e corra a prendersi cura di Fiore di Luna!” –Esclamò Sirio, sorpassando il Cavaliere d’Oro.

 

“Come desideri!” –Acconsentì infine Dohko, ritenendo inutile discutere con Sirio su queste cose, conoscendo la sua determinazione.

 

Dohko si mosse, pronto per tornare dall’altra parte del fiume, ma prima di andarsene, si voltò verso il ragazzo e gli sorrise.

 

“Un’ultima cosa. Non darmi più del lei! Non sono più il tuo Maestro!” –Esclamò il Cavaliere d’Oro. –“Per te sono Dohko, un tuo compagni di armi!”

 

Sirio non rispose, ma i suoi occhi si illuminarono di felicità; poi si concentrò nuovamente sul suo nemico. Aveva abbattuto la sua barriera, ma egli ancora disponeva della sua spada, e non era sicuro che il suo scudo, seppur irrobustito dall’Ichor di Atena, avrebbe resistito alla sua devastante potenza. No, doveva riuscire a colpirlo, prima che Arge scagliasse i suoi colpi. Facile a dirsi! Mormorò Sirio, scattando improvvisamente di lato.

 

Arge non aveva perso tempo, scagliando nuovi decisi fendenti energetici contro il ragazzo, ad altissima velocità. Ormai la battaglia stava giungendo alla fine, e il Ciclope voleva essere sicuro che la spada che avrebbe trafitto il cuore dell’avversario sarebbe stata la sua.

 

“Spada del Fulmine!” – Tuonò, scattando avanti, brandendo l’antica lama.

 

Sopra, sotto, di lato, Sirio dovette difendersi da tutti i fronti dal devastante assalto del Ciclope Celeste, mettendo a dura prova il suo scudo e le sue forze. Devo... togliergli la spada! Rifletté, ricordando il modo in cui aveva disarmato Capricorn, e poi Crisaore. Istintivamente si fermò, proprio mentre Arge abbassava la lama su di lui, sbattendola con forza sullo Scudo del Dragone. Lo scudo resistette e in quella frazione di secondo Sirio sollevò il braccio destro, abbassandolo di scatto su quello di Arge.

 

“Excalibur!!!” –Urlò il ragazzo, imprimendogli tutta l’energia che aveva in corpo.

 

Aaargh!” –Arge gridò dal dolore, sentendo una fitta immensa dilaniargli il braccio, al punto da obbligarlo a lasciare la presa della spada.

 

Il bracciale divino di Arge andò in frantumi poco dopo, rivelando il suo braccio nudo e pieno di tagli sanguinanti. Ma il dolore per il Ciclope non era finito, obbligato da Sirio a fronteggiare il suo nuovo attacco. Il Cavaliere del Drago portò entrambe le mani avanti a sé, bruciando al massimo il proprio cosmo, e scagliando il colpo che il Vecchio Maestro gli aveva insegnato mesi prima, di fronte alla Prima Casa di Ariete, mentre combatteva con Shin.

 

“Colpo dei Cento Draghi!!!” –Urlò Sirio, e ad Arge sembrò davvero di vedere cento dragoni incandescenti puntare su di lui.

 

Provò a ricreare la sua barriera difensiva, ma era troppo tardi, ed essa non resse all’impatto, facendo sì che il Ciclope venisse travolto e ferito dalle Zanne dei Cento Draghi. Arge tentò di rimettersi in piedi, tra i frammenti insanguinati dell’armatura semidistrutta, ma fu afferrato da sotto le ascelle da Sirio che, bruciando tremendamente il proprio cosmo, lo sollevò da terra, in un’avvolgente cometa di energia. È come una grande drago che sale verso il cielo! Rifletté Arge, incapace di liberarsi dalla stretta incandescente del Drago. Vide la terra sotto di lui farsi sempre più piccola, poi vide soltanto il cielo, e il sole lontano, poi rivide improvvisamente la terra, il fiume, la foresta di bambù, il mondo alla rovescia. Poi non vide altro, schiantandosi con fragore nel letto del fiume.

 

Sirio, dopo aver effettuato quel mezzo volo in aria, precipitò dall’altra parte del fiume, proprio dove Dohko lo aveva trovato un paio d’ore prima. Con le sue ultime forze tentò di rimettersi in piedi, in tempo per vedere Arge sollevarsi dal fiume un’ultima volta, lanciare uno sguardo al sole e cercare, con il cosmo, il suo adorato Olimpo, da cui non si era mai allontanato se non per morire.

 

Dohko e Fiore di Luna spuntarono poco dopo dalla foresta di bambù, e la ragazza corse subito da Sirio, piangendo nel vederlo pieno di tagli e ferite. Il Cavaliere d’Oro la pregò di essere forte, anche quella volta, e di essere paziente.

 

“Aspetteremo che Sirio si riprenda, prima di partire!” –Commentò Dohko.

 

“Pa... partire, maestro?!” –Balbettò ingenuamente Fiore di Luna.

 

“Esattamente! L’Olimpo ci aspetta, e noi non possiamo farlo attendere ancora!” –Esclamò Dohko, chiedendosi cosa stessero facendo i suoi compagni in quel momento, e quali fossero le condizioni di Atena.

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** L'Olimpo in fermento ***


CAPITOLO VENTISEIESIMO. L’OLIMPO IN FERMENTO.

 

Nelle profondità del monte Etna, in Sicilia, aveva sede la fucina olimpica, dove lavorava il Dio del Fuoco e della Metallurgia, Efesto, il Fabbro Divino. Figlio di Zeus e di Era, era un abilissimo fabbro, le cui pregiate creazioni erano da sempre oggetto di ammirazione e di vanto da parte degli Dei Olimpi, che periodicamente si rivolgevano a lui per la creazione di nuovi oggetti sacri. La Nike e lo Scudo di Atena, il Tridente di Nettuno, la Spada di Ade, il Fulmine di Zeus, e tutte le vestigia dei Cavalieri Celesti erano state create dalla sua esperta mano, che riusciva sempre ad aggiungere un tocco personale, capace di avvolgere in una magica aura ogni opera.

 

In quei giorni, mentre nuvole scure si addensavano sulla cima dell’Olimpo, e il Padre degli Dei meditava, su consiglio e spinta di Flegias, di attaccare Atene, Efesto aveva ricevuto una visita a sorpresa. Non erano molti i viaggiatori che scendevano nelle profonde oscurità dell’Etna, e lo stesso Dio non aveva l’abitudine di uscirne spesso, rifuggendo il lusso olimpico e le vezzosità in cui non si era mai sentito a suo agio. Soprattutto a causa della sua scarsa bellezza, e della sua infermità, che lo avevano fatto spesso oggetto di critica e di derisione da parte delle altre Divinità Olimpiche.

 

Efesto era zoppo e l’eccessivo coinvolgimento sul lavoro aveva contribuito a rovinare ulteriormente il suo fisico, rendendolo anche gobbo, con grande difficoltà di movimento. Ma non era una creatura malvagia né orribile, anzi era dotato di un’enorme cultura pratica e di un’abbondante dose di saggezza, oltre che di un’infinità bontà d’animo che gli aveva permesso di attirare l’attenzione, e l’interesse, della più bella Divinità Olimpica, Afrodite, la Dea dell’Amore, l’unica persona che gli faceva periodicamente visita, oltre al Messaggero degli Dei, Ermes.

 

Per questo motivo Efesto fu parecchio sorpreso quando sentì il cosmo di un Cavaliere giungere fino all’Etna. Sterope del Fulmine era sceso nelle viscere dell’italico vulcano per conferire con lui, informandolo di un importante progetto.

 

“Salute a te, Fabbro Divino!” –Esclamò il Ciclope Celeste, inginocchiandosi di fronte al Dio.

 

Sterope del Fulmine!” –Sgranò gli occhi Efesto. –“Cosa ti ha spinto a scendere fin quaggiù, nella Divina Fornace? Non credo che la tua armatura abbia bisogno di riparazioni, non è così?”

 

“Dici il vero, Dio del Fuoco! Splendide sono le vestigia che hai forgiato per me! Splendide e resistenti! Vestigia che mai andranno distrutte!” –Commentò Sterope, pieno di baldanza. –“Non sono qua per chiederti qualcosa per me, ma ti porto un ordine da parte del Divino Zeus! Un’importante commessa che dovrai eseguire prontamente!”

 

“Una commessa?! Di cosa si tratta?!”

 

“Devi produrre fulmini in grande quantità per il Sommo! Fulmini e spade, lance e scudi, e quant’altro necessario per una grande guerra, in cui il Dio del Fulmine confermerà tutto il suo valore e la sua possanza!”

 

“Sono lusingato da una simile proposta, Ciclope Celeste, ma sono anche piuttosto sorpreso! L’Olimpo non conosce guerre da millenni ormai e, per quanto sia passato parecchio tempo dall’ultima volta in cui salii sul Monte Sacro, mi pare di ricordare che Zeus vivesse tranquillamente in pace! Cosa lo ha spinto a una simile decisione? Quale nemico minaccia la serenità Olimpica?”

 

“I motivi che spingono Zeus ad agire non sono di nostra competenza, Dio del Fuoco, e non sarò io a rivelarli, non disponendo dell’autorizzazione né delle conoscenze al riguardo! Tuttavia, l’unica cosa che posso dirti è che Zeus intende muovere guerra ad Atene, tra pochi giorni! Perciò ti prego di eseguire gli ordini con solerzia e impegno, doti che, insieme alla tua impressionante abilità, hai sempre dimostrato, con piacere del Dio dell’Olimpo!” –Rispose Sterope, facendo per andarsene.

 

“Una guerra contro Atene?! Contro sua figlia?!” –Si stupì Efesto, cercando di trattenere l’improvvisato messaggero.

 

“Questo è quanto, Dio del Fuoco! Zeus attaccherà Atene con i suoi Cavalieri Celesti ed essi dovranno essere efficientemente equipaggiati!” –Concluse Sterope. –“Non deludere le aspettative che il mio Signore ha riposto in te!” –Non aggiunse altro e se ne andò, scomparendo dalle viscere del vulcano, troppo in fretta per vedere una smorfia dipingersi sul volto del Fabbro Divino.

 

Stupido d’un Ciclope! La tua arroganza è pari soltanto alla tua stupidità! Cosa ti fa credere di potermi parlare in quel modo superbo? Sei la guardia del corpo del Dio dell’Olimpo ma io sono pur sempre suo figlio, il Fabbro Divino! Rifletté Efesto con rabbia, prima di rimettersi al lavoro.

 

Quella notte, mentre i combattimenti sull’Olimpo tra i Cavalieri di Atena e i Cavalieri Celesti erano in corso, Efesto continuava a lavorare, martellando senza sosta, fondendo metalli e creando armi per il suo Signore, nonostante nei giorni scorsi ne avesse prodotte numerose centinaia. Sull’Olimpo c’è battaglia! Rifletté, sedendo un momento per riposare. Lo sento anche da quaggiù, dalle viscere infuocate di questo vulcano dove sono stato confinato da mio padre millenni fa, con la scusa ufficiale di disporre di un posto tutto mio dove poter operare. Mentre in realtà voleva soltanto togliermi di mezzo, dimenticare un figlio malformato che potesse inquinare la solennità e lo splendore dell’Olimpo! Ricordò con rabbia, ma anche con dispiacere. Motivo questo che mi ha spinto a rifiutare ogni contatto con il Sacro Monte, ad eccezione dei periodici ordini che Ermes provvedeva a recapitarmi, quando ancora si combattevano Guerre Sacre, quando il prestigio di Zeus era minacciato dai Titani o da altre creature infernali… Sono passati secoli, anzi millenni, e sono ancora qua, resistente come queste rocce!

 

In quel momento un cosmo che ben conosceva raggiunse l’isola italica, rasserenando il Dio, che si alzò in piedi, preparandosi per sorridere alla sua amata. Afrodite, Dea della Bellezza, comparve davanti a lui, splendida come sempre. Alta e snella, con lunghi e mossi capelli castano chiaro, che le ricadevano lungo la schiena, un fisico asciutto ed etereo e un grazioso viso su cui spuntavano due luminosi occhi dal colore verde-mare, Afrodite sorrise alla vista dello sposo, avvicinandosi per abbracciarlo. Ma Efesto, per quanto felice di vederla, percepì subito che c’era qualcosa di strano.

 

“Perché indossi la tua Veste Divina?” –Domandò, osservando l’armatura da lui stesso creata. Dorata, con luminosi riflessi biancastri.

 

“C’è guerra sull’Olimpo!” –Commentò lei, con voce leggera ma preoccupata. –“Zeus ha imprigionato Atena nella Torre Bianca, accusandola di disobbedienza nei suoi confronti, e i Cavalieri della Dea Guerriera stanno scalando il Monte Sacro nella disperata speranza di liberarla!”

 

“Terribile!” –Mormorò il Dio. –“Non avrei mai immaginato una guerra tra Zeus e sua figlia!”

 

“Nemmeno io, Efesto!” –Si limitò a rispondere Afrodite. –“Non ho mai avuto una particolare simpatia per Atena, come ben saprai, ma ho comunque provato dispiacere nell’apprendere una simile decisione! Decisione a cui non ho potuto oppormi, essendo ordine del Dio dell’Olimpo, mettendo a sua disposizione un’armata di miei Cavalieri, guidati da Narciso, che il Luogotenente di Zeus ha condotto al Grande Tempio di Atena questo pomeriggio, per raderlo al suolo!”

 

“Notizie interessanti mi porti, mia diletta, per qualcuno che passa la vita rinchiuso in una prigione sotterranea!” –Commentò Efesto, rimuginando sull’accaduto. –“Che cosa ti turba, Afrodite?”

 

“La guerra mi turba, mio sposo! La guerra e la devastazione che porta con sé, la distruzione del mio mondo, del mio paradiso perfetto! I Cavalieri di Atena hanno varcato il Bianco Cancello e adesso combattono sui pendii dell’Olimpo! Qualcuno lotta nella foresta di Artemide, altri si massacrano lungo la via principale! Non mancherà molto prima che qualcuno giunga al Tempio dell’Amore, dove mio figlio Eros li sta aspettando! E allora anche lì ci sarà battaglia, anche lì ci sarà sangue!”

 

“Comprendo il tuo dolore, mia amata, e vorrei fare qualcosa per alleviarlo!” –Affermò il Dio del Fuoco, cingendo Afrodite tra le proprie braccia.

 

“Unisciti a me, adesso! E poi torna con me sull’Olimpo! Non lasciarmi sola ad affrontare questa incerta battaglia!”

 

“Sai bene quanto io detesti la vita Olimpica... tutto quel lusso e quello sfarzo…

 

“Non è rimasto niente di quel lusso!” –Esclamò Afrodite, separandosi da Efesto con uno scatto di rabbia, verso l’intera ostica situazione. –“L’Olimpo di oggi è molto lontano da quel mondo fatato che abbandonasti millenni fa! Adesso è un campo di battaglia, dove si scontrano i destini di questo mondo, in una guerra che, lungi dal concludersi presto, è più incerta che mai!”

 

“Credi davvero che i Cavalieri di Atena possano avere ragione dei Cavalieri Celesti, e delle Divinità Olimpiche? Quei ragazzini saranno spazzati via in breve tempo, non preoccuparti! Il tuo Tempio resterà immacolato!”

 

“Quei ragazzini hanno sconfitto Eos e i suoi figli! E Bronte del Tuono, e altri Cavalieri Celesti!”

 

“Non ci credo?! Eos sconfitta?!” –Urlò Efesto. –“Incredibile!”

 

“Vuoi sapere una cosa, mio sposo adorato? Può sembrare assurdo ma non vorrei misurarmi con loro... non per paura, né per desiderio di ribellione al Sommo Zeus! Solo che vorrei... vorrei...”

 

“Che questa guerra non fosse mai iniziata?!” –Terminò la frase Efesto, mentre Afrodite annuiva con un sospiro. –“Lo vorremmo in tanti, ma non spetta a noi decidere! Noi dobbiamo solo eseguire gli ordini del Sommo Zeus!”

 

“E difendere l’Olimpo!”

 

I due Dei salirono in superficie, ricoperti dalle loro Vesti Divine, in una frizzante notte di maggio, pronti per raggiungere il Monte Sacro. Ma prima di partire, si concessero un momento per loro. Era così poco il tempo che trascorrevano insieme, divisi com’erano da due realtà diverse, che scelsero di cogliere l’attimo, unendosi sulle pendici del Vesuvio e confermando il loro millenario amore.

 

Nel frattempo Flegias, figlio di Ares e Flagello degli Uomini, sedeva su un’elegante poltrona  nelle sue stanze, in quelle sale di candido marmo che Zeus gli aveva assegnato mesi prima, quando era giunto sull’Olimpo la prima volta. Rideva, freneticamente rideva, sorseggiando ambrosia da una coppa dorata, e seguiva da lontano i combattimenti ai piani inferiori del Monte Sacro. Soddisfatto per come stavano procedendo le cose. Aveva sentito nuovi cosmi arrivare alle pendici dell’Olimpo, ma non si era affatto scomposto, quasi come lo avesse programmato fin dall’inizio. Neppure riconoscere che si trattava di Cavalieri d’Oro lo aveva minimamente preoccupato.

 

Tutto procede come previsto! Sogghignò il diabolico figlio di Ares, complimentandosi con se stesso per l’astuzia dimostrata. La guerra che aveva tanto voluto era finalmente in corso, le stragi che follemente lo inebriavano stavano avendo luogo ed egli poteva sadicamente abbeverarsi del sangue di tutti i caduti. Qualcuno bussò alla porta, proprio mentre Flegias esplodeva in una malvagia risata. Il figlio di Ares si voltò e vide un ragazzetto entrare nella sala, portando un ampio vassoio con calici ripieni di ambrosia. Era Ganimede, il coppiere degli Dei.

 

“Vi ho portato la bevanda da voi richiesta, mio Signore!” –Esclamò il ragazzo timidamente, mentre Flegias si alzava per andargli incontro.

 

Indossava la sua Armatura Divina, autorigeneratasi dopo i danneggiamenti che aveva subito nello scontro con Phoenix, il giorno prima. Ed emanava un’aria truce e violenta, che spaventò come sempre il giovane coppiere.

 

“Smettila di tremare, sciocco!” –Lo derise Flegias, tirando una torva occhiata al ragazzo.

 

Era un giovincello di media altezza, con capelli castani, un po’ ricciuti, e occhi marroni. Indossava eleganti vesti di un pregiato tessuto chiaro che contribuivano a dargli quell’aria candida, quasi semplicistica, che lo caratterizzava. Non aveva età, avendogli Zeus concesso vita immortale, ma apparentemente sembrava un sedicenne in buona forma.

 

“Sono preoccupato per la guerra, mio Signore! Non ho mai combattuto!”

 

“E probabilmente non dovrai neppure farlo! I Cavalieri Celesti fermeranno l’avanzata di quei miserabili combattenti di Atena, impedendo loro di giungere fin qua, alla Reggia del Sommo Zeus!”

 

“Ma quanti ne cadranno? Quanti Cavalieri Celesti saranno necessari per fermare la loro avanzata?” – Si chiese Ganimede, con dispiacere.

 

Li conosceva tutti, e anche se non aveva mai stabilito particolari legami con nessuno, ad eccezione di uno, provava coinvolgimento emotivo nel saperli impegnati in battaglia. Narciso è già morto, e Oreste, Pelope e numerosi altri soldati! E anche i cosmi di Castore e Polluce sono in forte fibrillazione! Presto toccherà a Giasone e a Phantom scendere in campo!

 

“In una guerra è normale che ci siano caduti, ragazzo! Non c’è limite al numero di Cavalieri da sacrificare per vincerla, per difendere Zeus e la sua reggia!” –Esclamò Flegias, sorseggiando una coppa di ambrosia. –“Li manderei tutti a morire, pur di eliminare quei bastardi ateniesi!”

 

Quelle crude parole fecero sobbalzare Ganimede, e al tempo stesso preoccuparlo. Anche lui avrebbe dovuto combattere? Fece per ribattere qualcosa, con un’ingenuità che Flegias proprio non sopportò.

 

“E smettila, ragazzino!” –Urlò, afferrando il giovane per il colletto della veste e scaraventandolo lontano, fino a farlo schiantare contro una parete e ricadere a terra. –“Sono stufo dei tuoi lamenti!”

 

Ganimede si rialzò stordito e impaurito, prima di aggiungere un messaggio che aveva ricevuto.

 

“Il Sommo Zeus vi sta aspettando nella Sala del Trono, e mi ha incaricato di dirvi di portare con voi anche vostro fratello Issione!”

 

“Cosa?! E me lo dici adesso? Stupido!” –Gridò Flegias, incamminandosi verso l’uscita della stanza. –“E Issione non è mio fratello! Non pensarlo minimamente! Siamo soltanto figli del Dio della Guerra!” –Precisò, fulminando il ragazzo con uno sguardo. Quindi uscì dalla stanza, contattando Issione telepaticamente e invitandolo a presentarsi subito nella Sala del Trono.

 

Quando arrivò di fronte al trono di Zeus, Flegias fu sorpreso nel trovare anche Sterope del Fulmine, impegnato a riferire al Sommo Zeus dell’esito dei combattimenti. Issione arrivò pochi istanti dopo.

 

“Anche Arge è caduto, mio Signore! Ho sentito il suo cosmo spegnersi poco fa!” –Esclamò il Ciclope Celeste, inginocchiato ai piedi della scalinata di marmo.

 

“Poco importa...” –Si limitò a rispondere il Dio seduto sul trono. –“Altri difensori fermeranno la loro avanzata! So dove trovare rinforzi!” –E nel dir questo espanse il proprio cosmo, di fronte allo sguardo preoccupato di Flegias.

 

“Mio Signore…” – Intervenne il figlio di Ares, ma il Dio gli fece cenno di tacere.

 

Tre scie luminose comparvero improvvisamente nella sala, tre cosmi appartenenti a personaggi che Zeus conosceva bene, avendoli nominati lui stesso, nel Mondo Antico, Giudici dell’Oltretomba. Le anime dei tre assunsero una sfuocata forma umana, domandando storditi per quale motivo il Padre degli Dei li avesse risvegliati, dopo la morte in cui erano incorsi durante l’ultima Guerra Sacra.

 

“Non vorrai chiederci di combattere con te?” –Domandò una voce.

 

“E tradire così il nostro Dio?!” –Incalzò un’altra.

 

“Tacete, stolti! Il vostro Dio è stato sconfitto da un’infantile Divinità e dai suoi Cavalieri e per altri 250 anni non potrà tornare in vita! I vostri corpi sono a pezzi, le vostre anime in vita soltanto perché io le ho risvegliate! Se volete tenere illogicamente fede a lui allora vi riconsegnerò al sonno eterno in questo stesso momento! Se invece volete ringraziarmi, per la nomina che vi concessi nel Mondo Antico, allora difendete l’Olimpo, ed io darò ai vostri spiriti un nuovo corpo e una nuova vita!”

 

I tre si consultarono per un momento e, per quanto la proposta giungesse loro inaspettata, accettarono di combattere per l’Olimpico Signore.  Questi diede loro tre nuovi corpi, differenti dagli ultimi in cui le loro anime avevano abitato, e li ricoprì con nuove Armature Celesti, simili alle scure Surplici che avevano indossato in precedenza, ma più resistenti. Flegias rimase stupefatto, nel riconoscere i tre Comandanti dell’Aldilà inginocchiarsi di fronte a Zeus e prestare giuramento di fedeltà. Sterope li condusse fuori poco dopo, pronto per guidare una pattuglia di Cavalieri Celesti contro i Cavalieri di Atena. Rimasti soli, Flegias e Issione si avvicinarono alla scalinata di marmo.

 

“I tuoi poteri stanno aumentando notevolmente!” –Commentò Flegias. –“Se puoi permetterti di richiamare anime assopite nel profondo dell’Ade!”

 

“Dubiti di me, figlio di Ares?” –Lo bacchettò Zeus. –“Sono il Dio dell’Olimpo, e non esiste luogo sulla terra che il mio cosmo non possa raggiungere!”

 

Flegias non disse niente, limitandosi a distogliere lo sguardo, mentre Issione prese la parola, esaltando le sua impresa contro Ilda e i Cavalieri di Asgard.

 

“Tornerò in battaglia e li ucciderò tutti, quei maledetti!”

 

“Frena il tuo impeto, Issione, e conserva le forze per la prossima fase del piano!” –Disse Flegias.

 

“Non dirmi cosa devo fare e cosa no, Flegias!” –Si incollerì Issione, sfoderando le sue sciabole.

 

Flegias non apparve per niente intimorito, e mentre Issione muoveva le scimitarre arroventate contro di lui, egli le fermò entrambe, facendole schiantare sulla propria spada infuocata. Con un gesto brusco Flegias spinse il guerriero indietro, prima che Zeus li richiamasse.

 

“Smettetela, sciocchi! Non sprecate energie preziose! Il tempo della vittoria è ormai prossimo! Poche ore ancora e domineremo il mondo! Per quel momento… fatevi trovare pronti!”

 

“Così sarà, mio Signore!” –Esclamò Issione, inginocchiandosi. Lo stesso fece Flegias, senza dire niente.

 

In quel momento qualcuno bussò alla porta della Sala del Trono, e le porte si aprirono poco dopo, rivelando l’elegante figura del Messaggero degli Dei, ricoperto dalla sua Armatura Celeste.

 

“Potete ritirarvi!” –Il Padre degli Dei ordinò ai due figli di Ares di uscire dalla Sala del Trono.

 

“Farò curare le mie ferite, prima di recarmi a far visita a Morfeo!” –Esclamò Issione, allontanandosi, lanciando un’occhiata torva a Flegias. Questi non rispose alla sua provocazione, fermandosi di fronte ad Ermes e chiedendogli se aveva recuperato il Vaso di Nettuno.

 

Nel frattempo, dopo aver parlato un poco tra loro, informandosi sulle ultime notizie, Cristal, Ioria, Scorpio, Mur, Ilda, Alcor e Mizar si mossero per incamminarsi lungo il sentiero principale, alla volta della Reggia di Zeus. Stavano discutendo l’eventualità o meno di separarsi, per rendere più difficile la difesa al nemico, quando arrivarono ad un ampio spiazzo, alla destra del quale si ergeva uno splendido Tempio greco, con un elegante colonnato che correva intorno all’edificio.

 

Chissà cos’è quella costruzione? Si chiese Mur, percependo una grande energia cosmica provenire dall’interno. Ma non fece in tempo a chiedersi altro che dovette creare il Muro di Cristallo, per difendere se stesso e i propri compagni da un improvviso attacco. Un plotone di Cavalieri Celesti era infatti giunto fin là, con l’intenzione di porre fine alla loro corsa, giunta fin troppo avanti.

 

Sterope del Fulmine, ultimo dei tre Ciclopi ancora in vita, guidava il gruppo di Cavalieri Celesti. E al suo fianco c’erano tre uomini dalle vestigia molto simili, che Mur e gli altri non avevano mai visto in volto, ma il cui cosmo parve loro familiare.

 

“Ci rivediamo, Cavalieri d’Oro!” –Esclamò uno dei tre, con voce maschile e baldanzosa. –“A quanto pare è stata data una seconda occasione a tutti noi!”

 

Ioria, Mur e Scorpio impiegarono pochi secondi per riconoscere il cosmo del Cavaliere che avevano di fronte, così come fece Cristal a sua volta, riconoscendo anche quello di uno dei suoi due compagni, contro il quale lui stesso aveva combattuto mesi prima, all’interno del Muro del Pianto, nelle profondità di Ade. Radamante della Viverna, Eaco di Garuda e Minosse del Grifone, i tre Comandanti dell’Aldilà, risvegliati dal sonno eterno dal Dio che millenni prima li aveva nominati Giudici infernali e che adesso pretendeva un pegno di fiducia. Le teste dei Cavalieri di Atena.

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 28
*** Tre contro tre ***


CAPITOLO VENTISETTESIMO

CAPITOLO VENTISETTESIMO. TRE CONTRO TRE.

 

Cristal e i Cavalieri d’Oro guardarono stupiti i Comandanti dell’Aldilà, ma nonostante l’iniziale sorpresa non si persero d’animo, risoluti a superare anche quel nuovo ostacolo. In fin dei conti, commentò Cristal, espandendo il proprio cosmo, li abbiamo già sconfitti una volta! Ma Scorpio lo fermò, pregandolo di rimanere indietro. Si sarebbero occupati loro dei tre Giudici Infernali.

 

“Allora, Radamantis!” –Esclamò Ioria del Leone, facendosi avanti e sbattendo il pugno destro nel palmo della mano sinistra. –“Se non sbaglio abbiamo una battaglia da terminare, noi due!”

 

“Se non ti è bastata la lezione dell’altra volta!” –Disse Radamantis di Wyburn, con fare baldanzoso.

 

“Intendo una vera battaglia!” –Sottolineò Ioria. –“Senza aiuti esterni!”

 

“Non ho bisogno dell’aiuto di nessuno per piegare un bamboccio come te!” – Si irritò Radamantis, espandendo il proprio cosmo.

 

Aiace e Minosse si fecero avanti, per combattere a fianco del Comandante loro compagno, ma Mur e Scorpio li fermarono, determinati ad affrontarli singolarmente. Sterope del Fulmine caricò il braccio di folgori incandescenti, per scagliare la loro elevata potenza distruttrice sul gruppo di Cavalieri di Atena, ma Minosse lo trattenne, pregandolo di farsi da parte.

 

“È il momento di stabilire una volta per tutte chi vale di più, tra un Giudice Infernale o un Cavaliere d’Oro!”

 

“Come già dissi a Papillon, durante il nostro scontro alla Casa di Cancer, nessuno spectre potrà mai valere più di un Cavaliere d’Oro!” –Affermò pacatamente Mur, espandendo il cosmo. –“E non sono solo la forza fisica o i nostri poteri paranormali a fare la differenza, ma le motivazioni, che spingono i nostri cosmi lucenti fino ai limiti estremi della galassia, permettendoci di rialzarci ogni volta, anche di fronte ad avversari apparentemente più forti, per difendere i nostri ideali di giustizia!”

 

La conversazione tra i due fu interrotta dallo scontrarsi impetuoso dei cosmi di Radamantis e di Ioria, poco distanti; un boato che sovrastò ogni altro rumore. Lo spectre di Wyburn espanse il proprio cosmo, dal colore violetto, creando un’immensa sfera di energia, che dal suo corpo si espanse intorno a lui, divorando tutto ciò che incontrava sul suo cammino.

 

“Muori!” – Urlò Radamantis, spingendo l’enorme globo contro Ioria.

 

Ma il Cavaliere del Leone, per quanto messo a dura prova, non arretrò di un passo. Puntando saldamente i piedi nel terreno, portò le braccia avanti, per contenere con il cosmo l’assalto energetico di Radamantis. La pressione era impressionante, ma le robuste braccia di Ioria non cedettero, invocando il nome di Atena e di suo fratello Micene, che Ioria sapeva lo stava guardando dal paradiso dei Cavalieri. Con un colpo secco, Ioria respinse l’enorme sfera di Radamantis, rispedendola indietro, travolgendo il Giudice Infernale. Il suo contrattacco non si fece attendere, portando avanti il braccio destro e creando un reticolato di luce diretto contro il suo nemico.

 

“Lightning Plasma!” –Gridò Ioria, con foga.

 

“Sciocco! Tenti ancora quel colpo inefficace?!” –Ironizzò Radamantis, muovendo le braccia avanti a sé, per annullare l’effetto del suo attacco. Ma ebbe una brutta sorpresa, riuscendoci solo in parte. Numerosi fendenti di luce infatti guizzarono fuori dalla sua presa, colpendo in pieno la sua armatura, nei punti più esterni, come le gambe, le ali e l’elmo fregiato. Incredibile! Commentò il Giudice, mentre Ioria rinnovava l’assalto con vigore. E non è neppure un attacco portato al massimo della potenza! Ma riesce a raggiungermi comunque!

 

Per non essere ulteriormente colpito Radamantis spalancò le ali dell’Armatura Celeste, sollevandosi in aria con un balzo, e uscendo dal campo d’azione del Lightning Plasma. Concentrò il cosmo tra le mani, lanciando una violenta sfera energetica, di medie dimensioni, contro Ioria, che fu abile ad evitarla, rotolando sul terreno, prima di rialzarsi e scattare in alto a sua volta, con un pugno di luce. Lo scontro tra i due spinse entrambi i contendenti a terra, ma prontamente si rialzarono, saltando in alto e incontrandosi a mezz’aria. Ognuno afferrò le mani del suo nemico, stringendo con forza e bruciando il proprio cosmo, mentre i loro occhi ardevano di un’impressionante determinazione.

 

Radamantis mosse le ali della sua Armatura, sollevandosi ulteriormente e roteando su se stesso, tentando di trascinare Ioria con sé, per poi sbatterlo a terra; ma il Cavaliere del Leone fu intuitivo ed abile nel lasciare la presa e voltarsi di scatto, scagliando un violento pugno di luce da distanza ravvicinata. Il colpo, pur se impreciso, colpì Radamantis in pieno, facendolo cadere a terra parecchi metri indietro, scavando una fossa nel terreno con la sua robusta Armatura; ma il Comandante dell’Aldilà non ebbe tempo di riposare, che subito si sentì stritolare da violenti fasci di luce.

 

“Che diavolo succede?” –Urlò, tentando di rialzarsi. Vide Ioria con un ginocchio a terra toccare il terreno con un pugno, sprigionando una violenta quantità di energia cosmica, che percorse l’intera superficie dello spiazzo, fuoriuscendo intorno a Radamantis e avvolgendolo in folgori dorate.

 

“Lightning Fang!” –Commentò Ioria, con un sorriso soddisfatto. –“Assaggia le zanne del Leone!”

 

Radamantis, irato e spazientito, bruciò al massimo il proprio cosmo, creando una violenta sfera energetica che spazzò via tutto ciò che gli stava intorno, comprese le folgori dorate del Leone. Aprì nuovamente le ali della sua Armatura, balzando in alto, e invocando il potere supremo della Viverna, il simbolo della sua costellazione oscura. Ioria fu inizialmente stupito da quell’improvvisa manifestazione cosmica, e gli parve di vedere la mostruosa sagoma di un rettile alato piombare su di lui, con due grossi artigli pronti a ghermirlo.

 

“Stritolamento della Viverna!” –Urlò Radamantis, piombando su Ioria e afferrandolo con forza per il collo, stringendo sulla sua corazza dorata, per distruggerla. La coda dell’armatura di Radamantis, uncinata come quella della mostruosa bestia, si mosse afferrando Ioria per il collo, stringendo con forza la nuda pelle, e facendolo urlare.

 

“Ti uccido nuovamente!” –Sogghignò Radamantis, fissando gli occhi verdi di Ioria. –“E questa volta non c’è la barriera a limitare i tuoi poteri! No, sei solamente più debole di me!”

 

“Tu credi?!” –Affermò Ioria, mentre un sorriso sarcastico si dipingeva sul suo volto. –“Le vestigia del Leone non cederanno mai! Se le vecchie Armature d’Oro erano indistruttibili, per qualcuno che non fosse un Dio, queste, forgiate nel fuoco sacro di Muspellheimr, sono ancora più resistenti, bagnate dal sangue divino del Dio del Sole, Balder, lo splendente!”

 

“Che cosa? Muspellheimr?” – Replicò confuso Radamantis.

 

Il Cavaliere del Leone espanse improvvisamente il suo cosmo, un’abbagliante esplosione dorata che accecò l’intero spiazzo, spingendo via numerosi Cavalieri Celesti. La coda della Viverna fu letteralmente disintegrata dall’esplosione cosmica di Ioria, mentre il ragazzo afferrava con le sue robuste braccia gli artigli della Viverna, allentandoli, pur se con un notevole sforzo, dal suo collo.

 

“Ma... ma.. non ci credo!” –Urlò Radamantis, osservando il Cavaliere d’Oro allargare le braccia. Ma non ebbe tempo di reagire che un calcio diretto di Ioria lo colpì in pieno petto, spingendolo indietro, sollevandolo leggermente, mentre un pugno luminoso, ben assestato, lo colpì sulla mandibola, dal basso verso l’alto, scaraventandolo lontano, in una pozza di sangue. Furioso, Radamantis si rialzò immediatamente, concentrando il proprio potere sotto forma di un’immensa sfera energetica che resse tra le mani, prima di scagliarla contro Ioria alla velocità della luce.

 

“Greatest Caution!” – Urlò il Giudice della Viverna.

 

Ma Ioria rispose all’istante, scagliando un violento Lightning Bolt contro la sfera di Radamantis. Lo scontro tra i due poteri mise entrambi i contendenti in una situazione di stallo, dove la tensione era al massimo. Entrambi erano tesi, concentrati sull’avversario, e stavano riversando tutti i loro poteri in quell’attacco. Radamantis aveva entrambe le braccia tese per lo sforzo, mentre Ioria contrastava il Comandante soltanto con il braccio destro, con cui aveva scagliato il Bolt poco prima. In quel momento una voce risuonò all’orecchio di Ioria. Un segnale debole, quasi impercettibile, che parve al ragazzo una richiesta di aiuto. Da una persona che non vedeva da troppo tempo. Anche Scorpio e Mur, impegnati in battaglia, lo sentirono e fecero cenno al giovane di correre da lei.

 

“Viaaa!” –Urlò Ioria, espandendo il proprio cosmo al massimo, mentre tutta la sua corazza risplendeva di dorati bagliori. –“Double Bolt!” –Esclamò, portando anche il braccio sinistro avanti e scagliando con esso una nuova cometa luminosa.

 

Il rinnovato attacco di Ioria travolse Radamantis, che fu colpito in pieno e sollevato in aria, mentre la sua Armatura Divina andava in frantumi in più punti. Non ebbe il tempo di ricadere a terra, che fu colpito nuovamente dal ragazzo, stritolato dal reticolato di luce che fece a pezzi le sue carni.

 

“Plasmaaa!” –Urlò Ioria, osservando il Giudice schiantarsi a terra poco distante. Stanco per la battaglia, Ioria crollò per un momento a terra, sbattendo le ginocchia sul selciato, ma poi si riprese subito, rendendosi conto che c’era ancora bisogno di lui.

 

Radamantis si mosse sul terreno, rantolando in un lago di sangue, prima di sentire la Divina voce del Sommo Zeus che lo accusava di debolezza e lo condannava ad una nuova morte. La mia seconda opportunità di gloria è svanita! Torno nel limbo da cui provengo! Addio, Cavalieri d’Oro! Ci incontreremo nuovamente nella prossima Guerra Sacra! Mormorò il Giudice Infernale, prima che il suo corpo andasse in frantumi e la sua anima scomparisse dall’Olimpo.

 

Ioria scattò avanti, facendosi strada tra un gruppo di Cavalieri Celesti che subito si avventarono contro di lui, fermandone l’avanzata con i propri scudi. Ma niente poteva fermare l’impeto del Leone Dorato che si sbarazzò dei suoi avversari con un violento Lightning Bolt. Sterope del Fulmine, che aveva seguito l’intero combattimento tra Ioria e Radamantis, concentrò le folgori incandescenti sul suo braccio destro, scagliandole contro il Leone in corsa, ma il suo colpo fu intercettato, e bloccato, da una resistente, quanto intangibile, barriera difensiva.

 

“Muro di Cristallo!” –Esclamò Mur, ponendosi con un balzo tra il Ciclope e Ioria, che esitò un momento, ma le voci di Mur e Scorpio risuonarono nella sua mente, incitandolo ad andare. Senza dire altro, ma con un groppo in gola, Ioria scattò lungo il sentiero, diretto verso la Reggia di Zeus.

 

Mentre Ioria affrontava Radamantis, Scorpio aveva ingaggiato combattimento contro Minosse del Grifone, uno dei tre Giudici Infernali, della stella del Cielo Nobile. I due si lanciarono uno contro l’altro varie volte, scagliando violenti attacchi energetici che si infrangevano ripetutamente sugli assalti dell’avversario. Quindi Scorpio decise di cambiare, sollevando la mano destra e concentrando sull’indice il proprio cosmo dorato. L’unghia del dito si allungò improvvisamente, diventando un affilato aculeo, mentre Scorpio scagliava il colpo segreto dello Scorpione.

 

“Cuspide Scarlatta!” –Esclamò, lanciando tre sottili raggi di luce rossa contro il suo avversario.

 

Minosse tentò di evitare i fasci di luce, ma non ci riuscì, venendo colpito in tre punti del suo corpo, sulle due gambe e su un braccio. Ma non accadde altro.

 

“Uh?” – Si chiese Scorpio, perplesso e preoccupato.

 

“Non so cosa fosse quel colpo, Cavaliere d’Oro, ma mi auguro per te abbia un effetto ritardato altrimenti potrei deriderti per l’eternità!”

 

Scorpio non raccolse la provocazione, domandandosi perché la Cuspide Scarlatta non aveva avuto effetto. Durante lo scontro alla Sesta Casa l’ago avvelenato dello Scorpione aveva penetrato senza problemi le difese di Gemini, Capricorn e Acquarius, che all’epoca indossavano delle Surplici. Che contro le Armature Divine la Cuspide Scarlatta non abbia effetto? Ma Scorpio non ebbe molto tempo per pensare che si ritrovò prigioniero di strani fili bianchi, sottili ma altamente resistenti.

 

“Cosa succede?” –Si chiese il Cavaliere dello Scorpione, osservando il proprio corpo intrappolato all’interno di una fitta rete di fili bianchi.

 

“Sei mio prigioniero, Cavaliere d’Oro!” –Esclamò beffardo Minosse, muovendo le proprie mani, da cui partivano i fili che avevano trasformato Scorpio in un burattino. –“Cosmic Marionette!”

 

“Una marionetta?!” –Si chiese, indignato, il Cavaliere dello Scorpione, mentre i fili stringevano sempre di più, rendendo difficili i suoi movimenti.

 

Le braccia furono legate insieme al corpo, e anche le dita furono impigliate in quello strano groviglio che si faceva sempre più stretto, stridendo sulla dorata corazza di Scorpio. Senza però riuscire a danneggiarla minimamente. Scorpio sorrise, prima di espandere a dismisura il proprio cosmo, sorprendendo lo stesso Minosse, a cui parve di vedere fiamme incandescenti esplodere dal corpo del Cavaliere d’Oro e salire verso il cielo. I primi fili si schiantarono, permettendo a Scorpio di liberare le braccia, e gli altri incontrarono la stessa fine poco dopo.

 

Muovendo le braccia velocemente, come affilate chele di uno scorpione, Scorpio tranciò tutti i fili che lo rendevano prigioniero, nonostante Minosse tentasse di intrappolarlo con nuovi attacchi. Quindi scattò avanti, falciando i fili del burattinaio infernale, e giungendo proprio davanti a lui. Con il braccio destro carico di energia cosmica, lo sbatté con forza contro il coprispalla sinistro di Minosse, distruggendolo con le sue aguzze chele.

 

“Chele dorate!” –Esclamò Scorpio, muovendo anche il braccio sinistro per affondarlo nell’altra spalla di Minosse.

 

Ma il Giudice Infernale non rimase ad aspettare il suo assalto, balzando in alto, seppur a fatica, e roteando su se stesso fino ad atterrare dietro a Scorpio. Concentrò il cosmo sulla mano destra, prima di muoverla contro Scorpio, che fu sbalzato lontano dal colpo del nemico. Minosse si tastò la spalla dolorante, osservando il sangue fuoriuscire dalla ferita. La Divina Armatura del Grifone, che Zeus gli aveva donato, era già stata distrutta, dal potere e dalla determinazione dei Cavalieri d’Oro.

 

“Cuspide Scarlatta!” –Urlò nuovamente Scorpio, rivolgendo l’indice acuminato contro di lui. Ma Minosse lo derise, senza neppure muoversi, convinto che la sua tecnica nulla potesse contro le sue difese. Ma si sbagliò, accucciandosi a terra in preda ad una fitta di dolore pochi istanti dopo.

 

“Ma che succede?! Aargh!” – Iniziò a urlare, mentre Scorpio si avvicinava soddisfatto.

 

“La tua corazza ti protegge dalla Cuspide, è vero! Ma non alla spalla sinistra, il cui coprispalla ho poc’anzi frantumato con le mie chele! E là ti ho bucato tre volte con il mio ago avvelenato!”

 

“Incredibile!” –Mormorò Minosse, rimettendosi in piedi, con molta fatica. –“Quale precisione millimetrica! Quale pericolosa arma quella Cuspide Scarlatta!”

 

Ma non ebbe il tempo di riflettere ulteriormente che dovette affrontare Scorpio, giunto con un balzo proprio di fronte a lui. Il Cavaliere dello Scorpione puntò il dito contro il petto di Minosse e sprigionò un ardente cosmo, che spinse indietro il Giudice Infernale, scaraventandolo a terra.  Quando si rialzò Minosse dovette constatare che il colpo del Cavaliere d’Oro, portato da così ridotta distanza, aveva danneggiato l’Armatura Divina, pur senza distruggerla.

 

“Basta!” –Esclamò infuriato. –“Muori!” –E balzò in alto, sfruttando le ali della sua corazza.

 

Scorpio tentò di colpirlo scagliandogli contro varie Cuspidi Scarlatte, ma i colpi, imprecisi, non andarono a segno, permettendo a Minosse di avvicinarsi. Il cosmo del Giudice esplose improvvisamente, assumendo la forma di una creatura mostruosa, un Grifone appunto, simbolo della sua demoniaca costellazione.

 

“Artigli del Grifone, ghermite!” –Gridò il Giudice, mentre affilati unghioni incandescenti si abbattevano sul Cavaliere dello Scorpione, che cercò di difendersi, incrociando le braccia avanti a sé, ma ci riuscì solo in parte, venendo scagliato indietro. Non fece in tempo a rialzarsi che Minosse era già sopra di lui e lo avvolse di nuovo nei fili del Cosmic Marionette prima di sollevarsi in aria, portandolo con sé, sua preda.

 

“Addio Cavaliere d’Oro!” –Esclamò Minosse, scaraventando violentemente Scorpio, ancora immobilizzato, contro alcuni alberi lontani.

 

Ma Scorpio, espandendo al massimo il proprio cosmo, e sostenuto dall’aiuto immortale di Atena, bruciò i legami che lo rendevano prigioniero, compiendo un’abile piroetta nell’aria e ricadendo compostamente a terra. Si voltò di scatto, aprendo le braccia e sollevando una gamba, assumendo una posizione strana, mentre un sorriso sardonico si dipinse sul suo volto.

 

Una violenta tempesta energetica iniziò a soffiare poco dopo, travolgendo Minosse ancora in aria. Nonostante la sua forza, e la potenza delle ali del Grifone il Giudice Infernale fu investito dalla furia della tempesta, che presto assunse la forma di una tromba d’aria carica di energia cosmica.

 

“Aaaah!” –Urlò Scorpio, spingendo ancora, travolgendo al tempo stesso un paio di Cavalieri Celesti che stavano intervenendo per aiutare il Giudice.

 

Minosse fu sballottato per qualche minuto, prima di schiantarsi a terra, poco distante, con l’Armatura notevolmente danneggiata e tutto il corpo percorso da scariche energetiche. Dolorante, tentò di rimettersi in piedi, ma si accorse di non potersi muovere, bloccato dalle onde mentali di Scorpio che lo esposero completamente al suo ultimo attacco.

 

“Hai disprezzato la mia arma, Giudice Infernale, definendola inadatta per penetrare le tue difese!” – Esclamò Scorpio, puntando l’indice contro Minosse. –“Ma sarà proprio questo mio aculeo a rispedirti all’inferno! Cuspide Scarlatta!”

 

E nel dir questo scagliò undici raggi energetici contemporaneamente, che raggiunsero il corpo di Minosse, ormai nudo in più punti, a causa del danneggiamento della sua Armatura. Il Giudice Infernale cadde a terra, mentre il sangue iniziò a zampillare con violenza fuori dalle ferite, annebbiando la sua vista e indebolendo i suoi sensi. Deciso comunque a non mollare, per l’odio che provava verso i Cavalieri di Atena, che avevano sconfitto il suo signore Ade, e per la riconoscenza verso Zeus, si rialzò ancora, caricando le sue braccia di energia cosmica.

 

“L’ultimo colpo!” –Gridò Scorpio, lanciandosi avanti. –“Antares!”

 

“Artigli del Grifone!” – Rispose Minosse, liberando la sua energia.

 

L’Antares colpì il Giudice in pieno petto, spingendolo indietro, mentre il suo corpo andava in frantumi, in preda a un delirio universale. La sua anima lasciò l’Olimpo, precedendo quella di Radamantis, che in quel momento lanciava il Greatest Caution. Ma anche Scorpio fu colpito dal Comandante dell’Aldilà, venendo spinto indietro e ricadendo a terra. Il Cavaliere d’Oro tastò con orrore la sua corazza, all’altezza dello stomaco, e la trovò incandescente. Incredibile! Se avessi avuto la mia vecchia armatura di Scorpio, sicuramente sarebbe stata danneggiata! E ringraziò Balder e Odino per il prezioso dono che gli avevano fatto, rinforzando le armature d’oro dello Scorpione e dell’Ariete, non essendo andate distrutte nell’Esilio, come quelle di Leo, Virgo e Libra.

 

Mur dell’Ariete stava scrutando Aiace di Garuda, il terzo Comandante Infernale, che, per quanto emanasse un cosmo di intensità inferiore rispetto a Radamantis e Minosse, era comunque un avversario da non sottovalutare, soprattutto in virtù di ciò che la sua costellazione simboleggiava, e che Mur aveva subito riconosciuto: Garuda, appunto, la fenice nella cultura induista. Aiace non accennava a muoversi, né ad attaccare, continuando a studiare Mur, di cui avvertiva probabilmente l’enorme potenziale psichico. Fu l’Ariete d’Oro a smuovere la situazione, sollevando il braccio destro per poi riabbassarlo di colpo, scagliando una violenta pioggia di stelle contro il suo nemico.

 

“Stardust Revolution!” –Urlò Mur, dirigendo l’attacco contro Aiace. Ma questi, con sua grande sorpresa, evitò tutti i colpi di Mur, muovendosi ad una velocità così elevata che sorprese persino il Cavaliere di Ariete. Con un abile scatto Aiace si portò di fronte a Mur, sollevando il braccio destro di colpo e scagliandolo in alto, con la sua tecnica segreta.

 

“Garuda Flap!” –Esclamò Aiace, prima di sollevare lo sguardo verso l’alto. Ma con sua grande sorpresa, e paura, non vide niente. Solamente una fitta cappa di nuvole che emanava una luce grigiastra, facendo di quel Sacro Monte un triste e spento paesaggio.

 

“Ma dov’è finito?” – Si domandò Aiace, guardandosi intorno.

 

“Sono qua!” –Giunse presto la risposta di Mur, che apparve dal niente sopra di lui, muovendo rapidamente il braccio destro e creando dei cerchi energetici con cui imprigionò il Giudice.

 

“Che cosa?! Non… riesco a muovermi!” –Esclamò Aiace, cercando di distruggere quegli esecrabili legami. –“Non è possibile che questi miseri cerchi di energia riescano a immobilizzare Garuda!”

 

“Non sono infatti i cerchi a limitare i tuoi movimenti, Giudice Infernale! Ma il mio potere mentale, di cui i cerchi sono mera manifestazione esteriore!” –Commentò Mur, atterrando di fronte all’uomo.

 

“Il tuo potere mentale?!” –Ringhiò Aiace. –“Degno davvero della tua fama, Grande Mur! Ora capisco come hai potuto avere ragione di Papillon!”

 

Mur non disse altro, concentrando il cosmo tra le mani, in una sfera che spinse verso il Comandante Infernale, che ne fu travolto e scaraventato indietro, urlando. Aiace si rialzò ansimando, accorgendosi che numerose parti della sua Armatura erano danneggiate. Rabbioso scagliò lingue di energia infuocata contro Mur, ma queste si infransero su un’invisibile barriera posta a sua difesa.

 

“Muro di Cristallo! Niente può superare questa difesa invisibile!” –Commentò il Cavaliere di Ariete, prima di bruciare il suo cosmo, probabilmente per attaccare il Comandante Infernale.

 

“Prendi ancora!” – Esclamò Aiace, incrociando le braccia avanti a sé. –“Illusione Galattica!”

 

Il colpo segreto di Aiace sorprese Mur, che si aspettava un attacco più fisico che non una tecnica con qualcosa di astratto al suo interno; una tecnica di discreta efficacia, come ebbe lui stesso a dire, ma incompleta. L’Illusione di Aiace creò numerosi occhi intorno a Mur, che fu sollevato in alto e leggermente stordito; ma riuscì comunque a liberarsi facilmente, grazie ai suoi poteri telecinetici. Si portò sopra Aiace, immobilizzandolo un’altra volta, prima di scagliargli contro lo Stardust Revolution, che travolse il Giudice, nonostante il suo tardivo tentativo di difendersi volando via, e frantumò parte della sua corazza. Mentre si rialzava, Aiace si accorse di essere completamente avvolto da un caldo globo di energia cosmica, che lo stava lentamente risucchiando al suo interno.

 

Mur, poco distante, aveva socchiuso gli occhi, pronto per il suo attacco più devastante. Con le ultime forze che gli restavano, rabbioso per essere stato nuovamente sconfitto da un Cavaliere di Atena, Aiace bruciò il suo cosmo al massimo, respingendo il globo lucente di Mur, mentre le fiamme del leggendario uccello Garuda brillavano intorno a lui.

 

“Lingue di fuoco di Garuda!” –Urlò Aiace, portando entrambe le braccia avanti a sé, e lanciando infuocati fasci contro Mur. Ma l’attacco, pur se potente, non riuscì a superare il Muro di Cristallo, insormontabile difesa che tolse ad Aiace ogni speranza di vittoria. Il potere mentale di Mur lo bloccò nuovamente, mentre un caldo cosmo lucente lo circondava.

 

“Starlight Extinction!” – Urlò Mur, aprendo le braccia improvvisamente. Un enorme globo di luce travolse Aiace, risucchiandolo al suo interno e divorando anima e corpo del Comandante Infernale. Un attimo dopo, il globo scomparve, e Aiace con lui.

 

Mur si voltò per prestare aiuto ai suoi compagni, ma fu subito circondato da un buon numero di Cavalieri Celesti e costretto a ricreare il Muro di Cristallo per difendersi dai loro attacchi. Per quanto stesse cercando di non darlo a vedere, anche l’Ariete d’Oro iniziava ad essere stanco, per aver fatto notevole uso dei suoi poteri, soprattutto mentali. Espanse ancora il cosmo, avvolgendo i Cavalieri Celesti in un’affascinante, quanto mortale, globo di energia. Un nuovo Starlight Extinction spazzò via gli ultimi Cavalieri Celesti, permettendo a Mur di correre in aiuto di Ioria.

 

Il Leone dorato aveva abbattuto Radamantis e adesso si stava facendo largo tra la massa di Cavalieri Celesti. Li superò, abbattendoli, e scattò avanti, ma Sterope del Fulmine scagliò contro di lui le incandescenti folgori energetiche. Con un balzo, Mur fu tra Sterope e Ioria, aprendo le braccia di colpo e creando il Muro di Cristallo, su cui i fulmini di Sterope si infransero, non riuscendo a raggiungere Ioria, ormai lanciato in una folle corsa verso la cima dell’Olimpo. Mur dovette sforzarsi parecchio, per contenere l’assalto di Sterope, di gran lunga superiore ai Comandanti Infernali. Ma strinse i denti e non cedette di un passo, per permettere all’amico Ioria di correre avanti, a salvare una persona il cui cosmo, lo avevano entrambi percepito, aveva invocato poc’anzi aiuto.

Ritorna all'indice


Capitolo 29
*** Scontro incrociato ***


CAPITOLO VENTOTTESIMO

CAPITOLO VENTOTTESIMO. SCONTRO INCROCIATO.

 

Nel frattempo, mentre Ioria, Scorpio e Mur combattevano contro i tre Giudici Infernali, le cui anime erano state risvegliate da Zeus con la promesse di ottenere un nuovo corpo in caso di vittoria, Mizar, Alcor e Cristal erano alle prese con i vari Cavalieri Celesti, che cercavano di fermare il loro cammino. Dopo qualche scontro tra i due fronti, Cristal propose ai fratelli di Asgard un’azione congiunta per bloccare, almeno temporaneamente, l’assalto dei Cavalieri di Zeus. I tre Cavalieri bruciarono il loro gelido cosmo, concentrando tutti i loro poteri per un attacco glaciale.

 

“In nomine tuo Acquarius!” –Urlò Cristal, lanciando il massimo colpo dell segno dell’Acquario.

 

“Ghiacci eterni di Asgard!” – Esclamarono i due fratelli.

 

L’unione dei tre geli produsse una violenta tormenta di ghiaccio che investì Sterope e gli altri Cavalieri Celesti, prima rallentando i suoi movimenti e poi iniziando a ricoprire il loro corpo di ghiaccio, fino a congelarli completamente.  

 

“Ce l’abbiamo fatta!” –Esclamò Mizar, soddisfatto, osservando le umane sculture di ghiaccio.

 

“Non credere che durerà a lungo!” –Commentò Cristal, percependo i cosmi dei loro nemici pulsare sotto quella fragile gabbia.

 

“Quanto basta per mettere in salvo la nostra Dea!” –Affermò Alcor, accennando un sorriso a Ilda.

 

La Celebrante di Odino, ricoperta dalle scintillanti vestigia delle Valchirie, pregò nuovamente i suoi guerrieri di non preoccuparsi, ma Alcor insistette con decisione.

 

“Prendila con te”! –Esclamò rivolto a Cristal. A cui sembrò quasi un ordine. –“E portala in salvo!”

 

“Ma...” – Balbettò Cristal, mentre Alcor li incitava ad allontanarsi.

 

“Adesso! Cristal, mi raccomando! Abbiamo fiducia in te!” –Incalzò Alcor, mentre il ghiaccio in cui avevano rinchiuso Sterope e i Cavalieri Celesti iniziò a scricchiolare, frantumandosi lentamente.

 

Cristal afferrò allora la mano di Ilda, incitandola a seguirlo e a correre via con lui, nonostante le resistenze della donna. In quella il ghiaccio esplose completamente, rivelando la massiccia sagoma del Ciclope Celeste: Sterope del Fulmine.

 

“Non avrete davvero creduto di bloccarmi in questo modo?” –Esclamò Sterope, fissando i due fratelli di fronte a lui. –“Per congelare le nostre Armature è necessaria una temperatura inferiore allo Zero Assoluto, che peraltro il vostro attacco non ha raggiunto!”

 

“Abbiamo comunque guadagnato un po’ di tempo!” –Ironizzò Alcor, prima di espandere il proprio cosmo. Mizar fece lo stesso, imitando il fratello, e scattando avanti insieme a lui, puntando sul fianco destro di Sterope, mentre Alcor sul sinistro. –“Bianchi artigli della Tigre! – Urlarono i due fratelli di Asgard, liberando il freddo gelo pungente del Nord.

 

Sterope tentò di contrastare l’assalto, creando una barriera di fulmini, formata da incandescenti folgori che dal basso salivano verso il cielo, in un ventaglio dal color amaranto. Gli Artigli ghiacciati di Mizar e Alcor scivolarono sulla barriera di folgori, senza riuscire a penetrarla, ma i due fratelli provarono nuovamente, prima di venire respinti dall’attacco di Sterope.

 

Il Ciclope Celeste infatti liberò la devastante energia delle folgori incandescenti, travolgendo Mizar e Alcor e scaraventandoli lontano, mentre il loro corpo era martoriato da roventi saette.

 

“Finalmente potremo concludere il nostro scontro, guerrieri di Asgard!” –Affermò Sterope, ricordando il breve combattimento di fronte alla Tredicesima Casa di Atene.

 

“Non ci tireremo indietro, Cavaliere!” – Esclamò Alcor arditamente, rimettendosi in piedi.

 

Non sarà facile averne ragione! Commentò, stringendo i denti. È uomo di grandi poteri costui, e temo che finora ne abbia mostrato soltanto una parte! Dovremo dare fondo a tutte le nostre risorse per riuscire a sconfiggerlo, a tutti i nostri poteri, anche quelli fino a questo momento mai utilizzati! Gli stessi pensieri rimbalzarono nella mente di Mizar, più preoccupato del fratello, e anche più debole di lui. Oltre alla stanchezza e alla prospettiva di una vittoria incerta, Mizar non poté fare a meno di pensare a Ilda, confidando che Cristal riuscisse a proteggerla adeguatamente. , sospirò infine, Cristal saprà difenderti, mia Regina! Anche per noi!

 

Il Cavaliere del Cigno aveva afferrato Ilda per un braccio e stava correndo insieme a lei verso l’entrata del Tempio di fronte a loro. Sentiva un cosmo potente provenire dall’interno, e, per quanto temesse che fosse loro nemico, in quel momento non aveva altra scelta. Doveva mettere al sicuro la Celebrante di Odino, ancora debole e sanguinante per le ferite dello scontro con Issione, e la strada principale era impercorribile, occupata in parte dagli scontri tra i Cavalieri d’Oro e i Giudici Infernali, e in parte dai Cavalieri Celesti, che erano anche nel bosco intorno a loro, rendendo il Tempio l’unica possibile via di uscita da quella situazione di stallo.

 

Arrivati alla scalinata di marmo bianco che conduceva all’ingresso, Cristal esitò un momento, combattuto se tornare indietro per dare manforte ai Cavalieri di Asgard, col rischio di esporre Ilda nuovamente al pericolo, o avventurarsi nell’ignoto, forse verso un pericolo maggiore. Alla fine, il Cigno scelse di aver fiducia nei suoi improvvisati compagni di battaglia, iniziando a salire la bianca scalinata del Tempio, bordata da statue di marmo raffiguranti bambini, pitti e svolazzanti cupidi. Prima di entrare nell’ampio edificio, si voltò un’ultima volta indietro, giusto per vedere Sterope atterrare Mizar e distruggere il suo elmo nero. Sospirò, entrando, mentre una strana angoscia si impadronì di lui; un’angoscia che lo portò a credere che non avrebbe più combattuto al loro fianco.

 

Cristal e Ilda non riuscirono a fare neppure tre passi all’interno del Tempio che subito si fermarono, per osservare l’uomo che si parava loro di fronte. Tranquillo e sereno, in piedi al centro di un’enorme stanza dall’alto soffitto, stava un Cavaliere Celeste, ricoperto da una bianca armatura di divina fattura, ornata di fregi dorati, e con grandi ali fissate sullo schienale. Alla vita portava un arco ripiegato, come quello del Sagittario, ma dal colore più chiaro e brillante. Era alto e magro, con  biondi capelli sfilacciati e un viso candido su cui splendevano due occhi azzurri e profondi come il mare. Ilda e Cristal convennero che li stava aspettando.

 

“Chi sei, Cavaliere Celeste?” –Domandò Cristal, con decisione.

 

“Non sono un Cavaliere Celeste, Cristal il Cigno!” –Disse l’uomo, con voce giovanile e frizzante. –“Ma una delle Divinità più antiche! Forza primordiale, attrazione irresistibile, pulsione irrefrenabile!” –E nel dir questo si avvicinò a una fontana di marmo, che sorgeva proprio all’interno della vasta sala. Una fontana circolare al cui centro si ergeva una colonnetta di marmo con sopra una statua rappresentante due fanciulli in atto di baciarsi. L’ignota Divinità sedette sul bordo della vasca, toccando l’acqua con una mano, e iniziando a declamare versi di una poesia in greco antico, ma, intuendo che Cristal e Ilda non lo conoscessero, la tradusse in un linguaggio più moderno.

 

“In me, Eros, che mai alcuna età mi rasserena, come il vento del Nord rosso di fulmini rapido muove: così, torpido, spietato, arso di demenza, custodisce tenace nella mente tutte le voglie che avevo da ragazzo!” –Esclamò l’uomo, aggiungendo infine. –“Ibico! Un poeta greco del VI secolo a.C.; spesso mi recavo a fargli visita, sotto mentite spoglie ovviamente, e non sapevo resistere alla tentazione di chiedergli una declamazione…” - Rise il Dio.

 

“Dunque tu sei Eros, il Dio dell’Amore?!” –Esclamò Cristal, mentre il cosmo della Divinità invadeva l’intero salone.

 

“È riduttivo definire Eros soltanto Dio dell’Amore!” –Commentò egli, alzandosi in piedi e allontanandosi dalla vasca. –“Ma se a voi piace così ricordarmi.. che così sia!”

 

Cristal e Ilda si guardarono un attimo negli occhi, cercando di comprendere gli strani atteggiamenti del Dio, a tratti frizzante e allegro, altri malinconico. Ma furono interrotti da Eros stesso.

 

“Avevo sentito i vostri cosmi arrivare, riconoscendoli tutti quanti, uno per uno! “–Esclamò il Dio. –“E mi compiaccio nel sentire l’amore dentro i vostri cuori, e dentro quello dei vostri compagni che combattono là fuori! Ma, ahimè, un amore che per indolenza non riuscite a realizzare!”

 

“L’amore?!”– Balbettò Ilda.

 

“Naturalmente, Ilda di Polaris! L’amore, il sentimento che domina l’uomo, principio animatore e ispiratore dell’intero universo, forza procreatrice e, al tempo stesso, distruttrice! L’amore alberga in tutti i cuori puri, ed io, grazie ad esso, riesco a raggiungere le zone più profonde del vostro animo, carpendo segreti occulti che la mente cercherà sempre di nascondere! Quei rimorsi, quei rimpianti, quei sogni nel cassetto per cui non siete stati forti abbastanza per combattere, per lasciarvi andare! Ooh, Ilda di Polaris, quanto mi addolora leggere ogni volta nel tuo cuore… le bianche pagine del libro sono spoglie, macchiate solo dalle lacrime che versi ogni volta che ripensi a lui, all’unico uomo che hai amato, e lasciato morire davanti ai tuoi occhi!” – Esclamò Eros, visibilmente affranto.

 

“Eros, Dio dell’Amore, non so di cosa tu stia parlando.. ma vorrei che tu capissi che noi siamo…”

 

“Lo sai, Ilda di Polaris, lo sai, meglio di me, che posso soltanto leggere ciò che è scritto sul libro del tuo cuore, mentre tu lo vivi in prima persona!” –Esclamò Eros, senza aggiungere altro. Quindi si rivolse a Cristal. –“E tu, impavido eroe, che per Atena fosti costretto a uccidere il tuo maestro e il maestro di lui, e l’amico che aveva rallegrato i tuoi freddi giorni d’infanzia, mitigando col suo calore le gelide giornate dell’addestramento, ancora non hai trovato pace, ancora hai sacrificato l’amore certo e stabile di una donna, per un’incerta lotta che potrebbe condurti alla morte! Perché?” –Cristal non rispose, rifiutandosi di aprire bocca e parlare con lui, ma il Dio incalzò. –“Non vorrei combattervi, io rifuggo il combattimento violento e sanguinario, come quello in cui sono impegnati i vostri compagni!”

 

“Lo eviteremmo anche noi, Dio dell’Amore, a meno di non esserne costretti!” –Precisò Cristal, sentendo i cosmi dei propri amici ardere fuori dalle mura. –“Dobbiamo raggiungere la Reggia di Zeus e liberare Atena! Se vuoi aiutarci in questo, saremo ben lieti di accettare ogni forma di aiuto!”

 

“Lo credo bene!” –Ironizzò il Dio. –“Disperati come siete, profughi di amori rinnegati, naufraghi allo sbando, aggrappati ad uno scoglio di vita che presto verrà sommerso dai flutti! Pur tuttavia continuate a lottare. Bello! Sì, bello e degno di onore!” –Per un momento un’espressione di sollievo si dipinse sul volto di Ilda e Cristal, ma presto si trasformò in delusione, e timore.

 

“Ma io odio l’onore!” –Tuonò il Dio, cambiando umore improvvisamente e facendo esplodere il proprio cosmo. –“Esso corrode i sentimenti umani, limita l’amore, la libera espressione del desiderio pulsante che alberga nel cuore degli uomini! L’onore uccide l’amore, come la ragione uccide il cuore! E io detesto gli uomini mortali, deboli e impauriti dall’amore, che preferiscono rinunciarvi, che preferiscono abbandonarlo come un fuscello al vento, per inseguire fatui sogni di gloria in battaglia!”

 

“Non cerchiamo la gloria! Solamente di salvare Atena!” –Incalzò Cristal, sperando di convincerlo.

 

“Atena è morta, Cigno! E voi presto la raggiungerete se vi ostinerete nei vostri stupidi propositi!” – Esclamò Eros, mentre il suo candido viso si contrasse in una terribile smorfia. –“Atena ha tradito l’amore due volte! Come Divinità, abbandonando suo Padre e l’Olimpica sua famiglia, per difendere gli uomini indolenti e incapaci di amare, e come persona umana, incapace di ammettere i suoi veri sentimenti verso l’uomo che le fa battere il cuore! Non vale la pena combattere per lei!”

 

“Ti sbagli Eros! Il cuore di Atena è colmo di amore, di amore puro e disinteressato, per l’intero genere umano, che lei, da millenni, difende con tutte le armi in suo possesso!” – Esclamò Cristal.

 

“Cristal ha ragione, Eros!” –Intervenne Ilda. –“Io stessa, mesi fa, ho potuto rendermi conto dell’immenso amore di Atena, un cosmo caldo e luminoso capace di confortare e portare quiete nei cuori affannati! Il suo amore ha permesso ad Asgard di sopravvivere, e a me di lavare via l’onta della vergogna per la prigionia mentale a cui ero stata sottoposta!”

 

“Quello non è amore, quella è follia!” –Precisò Eros, indispettito. –“Il sacrificio non porta mai all’amore, solo alla morte! E chi preferisce la morte, la fine di tutto, ad una vita vissuta amando, non merita salvezza alcuna!”

 

“No, tu non capisci Eros..” –Urlò Cristal. Ma Eros perse la pazienza e colpì Cristal con una sfera energetica in pieno petto, che spinse il ragazzo indietro, fino a farlo sbattere contro la parete anteriore del Tempio. Il Cavaliere del Cigno ricadde a terra fragorosamente, perdendo l’elmo a diadema della sua corazza, mentre Ilda correva ad aiutarlo a rialzarsi.

 

“Ciò che io vedo, e che comprendo, è il rifiuto dell’amore libero, passionale, del principio ispiratore dell’universo! Per questo motivo, nonostante avessi esitato fino all’ultimo, adesso vi combatterò, togliendovi dal mondo, cosicché possiate rinascere a nuova vita e iniziare da capo la vostra ricerca dell’amore!”

 

“Non abbiamo bisogno di cercare l’amore, Eros!” –Esclamò Ilda, affiancata da Cristal. –“Esso già splende come una stella nei nostri cuori! Se tu non riesci a leggerlo, se tu non riesci a riconoscerlo, allora non sei degno del titolo che porti, Dio dell’Incomprensione!”

 

Eros si infervorò ancora, nell’udire simili parole, espandendo il proprio cosmo divino; Cristal fece altrettanto, pregando Ilda di farsi da parte: avrebbe affrontato lui il Dio dell’Amore.

 

Nel frattempo, all’esterno del Tempio, la lotta tra i Cavalieri di Atena e i Cavalieri Celesti proseguiva con veemenza. Mur e Scorpio, che si erano liberati di Aiace e Minosse, stavano fronteggiando Sterope, per impedirgli di correre dietro a Ioria, lanciatosi in una corsa solitaria verso la cima dell’Olimpo, ma Mizar e Alcor li pregarono di lasciare a loro il Ciclope Celeste.

 

“Abbiamo iniziato un combattimento ad Atene!” –Esclamò Mizar. –“E lo porteremo fino in fondo!”

 

Mur tentennò un momento, preoccupato per le gravi condizioni in cui versavano i due guerrieri del Nord, ma Scorpio gli afferrò un braccio, socchiudendo gli occhi, quasi a voler intendere di non opporsi. Fate attenzioni, Tigri del Nord! Commentò Mur, prima di volgere la propria attenzione contro altri Cavalieri Celesti, di rango inferiore a Sterope.

 

“Allora, Ciclope, sei pronto all’ultima battaglia?” –Domandò Alcor, con una certa baldanza.

 

“E tu sei pronto a morire, guerriero di Odino? “– Rispose Sterope, con la stessa aria di certezza.

 

Mizar e Alcor non dissero altro, limitandosi a scambiarsi una fugace occhiata e a balzare via, sventolando i loro mantelli in una celere corsa.

 

“Vediamo se riesci a stare al passo!” – Esclamarono i due fratelli, obbligando Sterope a seguirli.

 

“Inutile fuggire, guerrieri del Nord! Non scapperete alla fine che meritate!” –Rispose Sterope, buttandosi senza esitazione al loro inseguimento. Mur li osservò sfrecciare via, una chiazza bianca e una nera, guizzanti fulmini alla velocità della luce, inseguiti dal loro rivale; sospirò, pregando Atena di prendersi cura di loro.

 

Mizar e Alcor sfrecciarono fin davanti all’ingresso del Tempio dell’Amore, puntando alla sua sinistra, entrando in un grande e fiorito giardino, ornato di statue di marmo bianco, raffiguranti cupidi, bambini e angeli. Il Giardino dell’Amore, dove Eros, Custode del Tempio, era solito passeggiare in compagnia di sua madre, Afrodite, Dea della Bellezza.

 

“Bianchi Artigli della Tigre!” –Gridò Alcor, fermandosi e lanciandosi improvvisamente indietro, contro il Ciclope Celeste.

 

Sterope, sorpreso dal repentino cambio di direzione, cercò di evitare l’assalto, spostandosi di lato, ma fu comunque ferito a un fianco, prima di fronteggiare l’attacco di Mizar, sul lato opposto.

 

Veloci e fieri come tigri, i fratelli di Asgard saettavano continuamente contro il Ciclope, preferendo un combattimento di velocità e movimento rispetto a uno scontro fisico, obbligando in questo modo Sterope a mantenere l’attenzione sia sull’uno che sull’altro, senza permettergli di distrarsi.

 

“Maledetti! Vi farò a pezzi!” –Gridò il Ciclope Celeste, espandendo il cosmo. Folgori incandescenti si sollevarono davanti a lui e di lato, creando un ventaglio energetico su cui si infransero gli ultimi attacchi dei due fratelli, dandogli il tempo di caricare il braccio destro di energia cosmica.

 

“Fulmini dell’Eternità!” –Tuonò il Ciclope, liberando le saette roventi del suo colpo.

 

Mizar e Alcor cercarono di evitare l’assalto, ma furono comunque raggiunti dalle folgori del Ciclope che si attorcigliarono intorno ai loro corpi, stridendo sulle loro malconce corazze.

 

“Aaargh!” –Urlò Mizar, accasciandosi, mentre il fratello lo incitava a non mollare.

 

“Avete ostacolato la mia missione ad Atene, guerrieri del Nord, interferendo in fatti che non vi riguardano! Adesso ho l’occasione di farvela pagare!” – Esclamò il Ciclope, osservando soddisfatto i due guerrieri prigionieri dei suoi Fulmini dell’Eternità.

 

“Questo è tutto da vedere…” – Sibilò Alcor, espandendo al massimo il proprio cosmo.

 

Il freddo gelo nordico travolse le incandescenti folgori di Sterope, liberando la Tigre Bianca dalla prigionia, e iniziando a congelare il terreno tra lui e il Ciclope Celeste.

 

“Stolto!” –Mormorò Sterope, caricando nuovamente il braccio destro di saette ardenti.

 

Ma il suo attacco non raggiunse Alcor, che si era lanciato prontamente in avanti, scivolando sul terreno ghiacciato, fino a portarsi ai piedi del Ciclope, rimasto sorpreso per la rapidità dell’assalto.  Dal basso, Alcor scagliò i suoi Bianchi Artigli che stridettero con forza contro l’Armatura Celeste di Sterope, che accusò il dolore, venendo ferito in pieno viso dalle unghie della Tigre Bianca. Alcor però non riuscì a fuggir via, afferrato per le gambe dalle robuste braccia del Ciclope che le strinse con forza, al punto da far scricchiolare la corazza grazie alle folgori che albergavano nelle sue mani.

 

“Alcor!!!” – Urlò Mizar, liberatosi finalmente dai fulmini di Sterope.

 

La Tigre Nera scattò avanti, creando un sottile piano di energia fredda che si interpose tra Sterope e Alcor, permettendo al secondo di liberarsi e rotolare sul terreno, e ferendo le braccia di Sterope, la cui Armatura si danneggiò in più punti.

 

“Artigli della Tigre, affondate nelle sue carni!” –Esclamò Mizar, puntando le sue affilate unghie contro le braccia di Sterope. Riuscì a piantare i suoi artigli ghiacciati nel braccio destro del Ciclope Celeste, frantumando la sua protezione, ma fu afferrato per il collo dall’altro braccio e imprigionato dalla stretta di Sterope.

 

“Porterò al Divino Zeus la testa delle Tigri di Asgard, cosicché possa farne trofeo nella sua Sala!” –Sibilò il Ciclope, mentre folgori incandescenti percorrevano il corpo prigioniero di Mizar.

 

“Aaargh!” – Urlò il guerriero del Nord, tentando di liberarsi.

 

Iniziò a graffiare con i suoi artigli il braccio sinistro di Sterope, ma questi, pur con grande fatica, colpì con forza col pugno destro il petto di Mizar, scaraventandolo lontano, tra i frammenti della sua armatura del Nord, distrutta in più punti e imbrattata di sangue. Alcor si precipitò immediatamente dal fratello, per sincerarsi delle sue condizioni, approfittando di una momentanea debolezza del Ciclope, il quale era caduto a terra, sulle proprie ginocchia, toccandosi il braccio destro dolorante.

 

Maledetti guerrieri del Nord! Mormorò Sterope, riconoscendo la loro forza. Il suo braccio destro era stato penetrato dagli Artigli di Mizar, che avevano distrutto la sua Armatura protettiva, raggiungendo la carne cruda, e adesso era ricoperto da un consistente strato di ghiaccio che rendeva difficile e doloroso il suo uso. Ma anche Mizar e Alcor non erano in buone condizioni, soprattutto il primo, il cui corpo grondava sangue in gran quantità, fuoriuscendo da quel che rimaneva della sua corazza nordica. Alcor era messo meglio del fratello, ma si muoveva a fatica, a causa del dolore alle gambe, dovuto alla stretta di Sterope.

 

Il Ciclope Celeste si rialzò, bruciando il proprio scintillante cosmo, mentre folgori incandescenti percorsero l’aria intorno, caricandola di elettricità. Concentrò il proprio potere sul braccio sinistro, e poi scaricò contro di loro i Fulmini dell’Eternità. Mizar e Alcor decisero di ripetere il vittorioso trucco che avevano usato il giorno prima, creando una barriera di ghiaccio di fronte a loro contro cui si schiantarono i Fulmini di Sterope, venendone inglobati poco dopo.

 

“Che le nevi eterne di Asgard siano con noi!” –Tuonò Alcor, espandendo il proprio gelido cosmo. –“Ghiacci eterni!” –E nel dir questo, aiutato anche da Mizar, trasformò la barriera in una sfera di energia glaciale che spinse verso il Ciclope; ma questi, aspettandosi una mossa simile, aprì il proprio ventaglio protettivo, facendo sì che il globo si schiantasse contro le folgori, neutralizzandosi a vicenda. L’esplosione che ne seguì spinse tutti e tre indietro, accecati dall’abbagliante luce.

 

Quando Mizar e Alcor si rimisero in piedi, trovarono Sterope di fronte a loro, determinato a concludere quell’incontro.

 

“È arrivato il momento di dirci addio, guerrieri di Asgard! Avete invaso il Monte Sacro, alleandovi con i ribelli di Atena che hanno osato contrastare il volere del Signore degli Dei! Per un reato simile, l’unica pena è la morte!” – Esclamò Sterope, concentrando il proprio cosmo.

 

A Mizar e Alcor sembrò che in quel momento tutto convergesse sul Ciclope, che egli stesse attirando su di sé tutte le energie presenti nell’aria, come un buco nero che risucchia ogni cosa. Chiuse gli occhi, raccogliendo il suo cosmo, e poi li aprì di colpo, mentre la grande sagoma di un occhio lampeggiava di fronte a loro.

 

“Occhio del Ciclope!” –Esclamò Sterope, liberando tutta l’energia immagazzinata in precedenza.

 

Mizar e Alcor non riuscirono a difendersi in alcun modo da quella tremenda esplosione di luce, che li travolse, scaraventandoli indietro, tra i frammenti delle loro armature. Rotolarono sul terreno, tentando poi di rimettersi in piedi, ma si accorsero di aver perso parte delle loro energie.

 

“È naturale!” –Commentò il Ciclope. –“L’Occhio del Ciclope risucchia tutte le fonti energetiche che ha di fronte, attirandole al proprio interno!”

 

 “Che cosa?! Ma allora?!” – Esclamò Mizar.

 

“Ho assorbito la vostra energia!” –Commentò Sterope soddisfatto, e rinvigorito. –“Non avete modo per difendervi!” – E concentrò nuovamente i propri sensi, chiudendo gli occhi.

 

Mizar non si arrese, deciso a fermare quell’assalto mortale, balzando avanti, con le sue ultime energie, per scagliare i Bianchi Artigli della Tigre, nonostante l’urlo di Alcor di fermarsi. Il colpo non ferì minimamente Sterope, anzi venne assorbito dal suo potere andando ad aumentare l’aura cosmica del Ciclope Celeste, che aprì nuovamente gli occhi, liberando il proprio devastante potere.

 

“Occhio del Ciclope!” –Tuonò, scaraventando Mizar e Alcor indietro.

 

Incapaci di ergere difesa alcuna, i due fratelli furono nuovamente travolti, perdendo ancora energia.

 

“Aaah…” –Rantolò Mizar, mentre la vista gli si spegneva sempre più. –“Di questo passo diventeremo dei vegetali!”

 

“Dobbiamo... fermarlo!” –Esclamò Alcor, tentando di rimettersi in piedi. Ma le forze lo abbandonarono, facendolo crollare al suolo.

 

Ma come? Il suo Occhio è in grado di attrarre ogni forma di energia, risucchiandola e usandola poi a suo vantaggio! Una perfetta macchina da guerra! Rifletté Alcor, cercando un modo per neutralizzare il proprio nemico. D’un tratto un’intuizione balzò nella sua mente, rendendosi conto che l’unico modo che avevano per fermare l’Occhio del Ciclope era saturarlo, liberando una quantità di energia talmente grande da rendere impossibile all’Occhio stesso di assorbirla. Con un sorriso di tristezza sulle labbra, Mizar e Alcor si rimisero in piedi, pronti per il loro ultimo attacco. 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 30
*** Sacrifici ***


CAPITOLO VENTINOVESIMO

CAPITOLO VENTINOVESIMO. SACRIFICI.

 

Cristal il Cigno stava combattendo con Eros, Dio supremo dell’Amore e delle forze primordiali, all’interno del Tempio dell’Amore, dove aveva creduto di trovare riparo, per togliere Ilda di Polaris dalla cruenta battaglia infuriata nel piazzale antistante, dove i Cavalieri d’Oro e i Guerrieri del Nord stavano affrontando i Cavalieri Celesti. Ma Eros, Custode del Tempio, aveva esternato prontamente il proprio disprezzo nei loro confronti, accusandoli, come la stessa Atena, di aver rinunciato a vivere liberamente il loro amore, rinnegandolo per inseguire l’onore e la gloria in battaglia, nonostante Cristal e Ilda avessero tentato di spiegargli il contrario, che era proprio in nome dell’amore, per gli uomini e per la giustizia, che Atena e i suoi Cavalieri avevano combattuto tante battaglie. Ma egli non volle ascoltare, espandendo il proprio immenso cosmo e dichiarando loro battaglia.

 

Cristal pregò Ilda di mettersi al riparo dietro di lui, concentrando il proprio freddo cosmo e scattando avanti, scagliando una violenta Polvere di Diamanti. Il freddo gelo di Cristal scivolò sull’Armatura Divina di Eros, per niente intimorito da quell’attacco, senza riuscire ad aderire ad essa, venendo spazzato via dall’ardente esplosione del cosmo dell’uomo.

 

“Con un gelo così basso non potrai mai fermarmi, Cavaliere del Cigno!” –Lo derise Eros, mentre una vasta aura rossastra lo circondava. –“Come può la tua misera Polvere di Diamanti congelare l’ardente fiamma dell’amore, che brucia dentro di me?!”

 

E nel dir questo puntò l’indice destro contro Cristal, concentrandovi il proprio cosmo. Fu un attimo, ma sufficiente a Cristal per vedere un lampo di luce rossa risplendere sul dito dell’uomo, prima di sentire il proprio corpo trapassato da un raggio energetico.

 

“Cristal!” –Urlò Ilda, avvicinandosi al Cavaliere, piegato in due dal dolore. Il fascio di luce rossastra aveva trapassato il corpo del ragazzo, penetrando e distruggendo l’Armatura Divina.

 

“Sto… sto bene... non preoccuparti!” –Esclamò Cristal, rialzandosi a fatica, mentre con le mani si tastava il petto macchiato di sangue. Il ragazzo tastò la propria ferita, cercando di congelarla, per limitare il dolore e l’afflusso del sangue, ma dovette ammettere che gli doleva parecchio.

 

Eros gli puntò nuovamente il dito contro, ma Cristal fu svelto a creare un muro di ghiaccio di fronte a lui, sperando resistesse al colpo del Dio; ma il suo tentativo fu vano. Il raggio energetico distrusse il muro di ghiaccio, liquefacendolo poco dopo, e raggiunse Cristal, trapassando il suo petto una seconda volta, e facendolo accasciare nuovamente al suolo.

 

“Maledetto, Eros! E saresti il Dio dell’Amore, tu?” – Tuonò Ilda, la cui voce, sempre tranquilla, si caricò di risentimento. –“Saresti degno di rappresentare la Guerra!”

 

“Taci, donna che hai rinnegato l’amore per regnare su un’isola di ghiaccio in una terra dimenticata da Dio!” –Esclamò Eros, puntando il dito verso Ilda. Ma la Celebrante non arretrò di un passo, sollevando il tridente argentato e liberando un violento raggio energetico diretto contro la Divinità. Eros si limitò ad aprire il palmo della mano, lasciando che il raggio si spegnesse su di essa poco dopo, di fronte agli occhi esterrefatti della donna.

 

“Incredibile!” –Osservò Ilda, con preoccupazione, mentre il dito di Eros lampeggiava nuovamente di un’accesa luce rossastra.

 

Il primo raggio di energia distrusse il tridente argentato, mentre il secondo, subito successivo, la trapassò, distruggendo parte della sua corazza, facendola accasciare al suolo in un lago di sangue.

 

“Bastardo!” – Urlò Cristal, lanciandosi avanti, con il pugno carico di fredda energia cosmica. Ma Eros lo colpì ancora con un raggio di luce rossastra, che gli perforò un gambale, facendolo crollare nuovamente al suolo.

 

“Cristal!” –Sibilò Ilda, strisciando sul pavimento fino a lambire il corpo sanguinante del Cavaliere.

 

“Lascialo morire!” –Esclamò Eros. –“E se un raggio non è bastato, per convincervi a desistere, eccone due!” – Aggiunse, puntando l’indice e il medio destri contro i due.

 

Cristal si rimise in piedi, barcollando, determinato a combattere ancora. Bruciò il proprio cosmo, sparando pugni verso il soffitto, mentre una sottile trama di ghiaccio ricadde sull’intera stanza.

 

“Aurora del Nord!” – Urlò Cristal, sbattendo per due volte le braccia unite di fronte a lui.

 

La cometa di ghiaccio però si scontrò con i due raggi paralleli del Dio dell’Amore, fronteggiandosi a mezz’aria. L’impatto tra i due poteri produsse una momentanea situazione di stallo, che si concluse bruscamente poco dopo, quando Eros aumentò la pressione del suo colpo, travolgendo l’Aurora del Nord e perforando nuovamente Cristal, che venne spinto indietro, cadendo sulla schiena. Aaah.. Atena.. Mormorò il biondo Cavaliere. È tremendo il potere di costui! Il mio corpo è in fiamme, il mio sangue brucia del calore immortale del Dio dell’Amore, e rende lenti i miei movimenti, deboli i miei poteri!

 

“Che ti succede, Cristal?” – Esclamò una voce, parlando al suo cosmo.

 

“Acquarius?!” –Mormorò Cristal, riconoscendo il cosmo del Custode dell’Undicesima Casa.

 

“Ti ho rimproverato più volte per i tuoi sentimenti, per il tuo sciocco sentimentalismo che ti impediva di essere freddo in battaglia!” –Disse il Cavaliere di Acquarius. –“Eppure, oggi, forse saranno proprio quei sentimenti che ti condurranno alla vittoria! O, in alternativa, che ti faranno morire con onore, fiero di quello che sei e sei sempre stato! Un cuore che batte, pieno di amore!”

 

“Acquarius… io…”

 

“Eros sbaglia se crede che tu non sappia cos’è l’amore!” –Concluse Acquarius. –“E se renderà conto molto presto!” –Il caldo cosmo di Acquarius confortò Cristal, aiutandolo a reagire.

 

Non posso cedere! Strinse i pugni il Cavaliere di Atena. Non voglio cedere! Io che credo nell’amore, che risiede nei cuori puri e che confidano nella giustizia, non mi lascerò abbattere!

 

“Accetta la morte, Cavaliere del Cigno! Non hai speranze di vittoria alcuna! Morirai qui, adesso, per mano mio, ed in questo modo realizzerò la suprema giustizia Divina!” – Esclamò Eros.

 

“Giu… giustizia...” –Balbettò Cristal, cercando di rialzarsi.

 

“Ripristinerò la supremazia dell’Amore, sull’onore e la gloria, su quei sentimenti fatui e terreni che avete abbracciando rifiutando l’eternità dell’Amore!”

 

Cristal! Mormorò Ilda, stesa a terra in una pozza di sangue. Ooh, Odino, dammi la forza, te ne prego! Dammi la forza per aiutare questo giovane che crede in Atena e nella giustizia, prima che io muoia!  In quella, Cristal si rialzò, ricordandosi del dono fattogli da Orion: la Spada di Ghiaccio. Bruciò il suo cosmo, bianco e freddo come le distese della Siberia, e impugnò la Spada.

 

“Adesso, Eros, so come sconfiggerti!” –Disse, mentre il Dio lo osservava con stupore e incredulità.

 

“L’ironia non ti manca, Cavaliere del Cigno! O forse è solamente insania che ha invaso la tua mente?!” – Ironizzò Eros, puntando nuovamente l’indice contro di lui. – “Muori!”

 

Il raggio di luce rossastra saettò verso Cristal, ma questi tenne la Spada davanti a lui, caricandola di tutto il suo cosmo, aumentato dello spirito di Orion e del drago Fafnir che dimoravano in essa, lasciando che il fascio si schiantasse su di essa, ritornando indietro. Che cosa?! Si domandò Eros, incredulo, mentre il raggio energetico puntava su di lui. Il Dio dell’Amore fu colpito alla testa, attraversato dal fascio di luce rossa che aveva scagliato, il quale distrusse l’elmo dorato che indossava e lo spinse indietro, obbligandolo a tastarsi il volto insanguinato.

 

Cristal approfittò di quel momento per espandere al massimo il proprio cosmo e lanciare il suo potente attacco glaciante.

 

“Vortice Fulminante dell’Aurora!” –Esclamò Cristal, liberando un violento tifone di gelo, che travolse l’incredulo Eros, sollevandolo da terra e facendolo schiantare proprio sulla fontana al centro della sala. Quindi Cristal si accasciò a terra, sbattendo rumorosamente i ginocchi sul pavimento, debole e ansimante per lo sforzo.

 

Eros si rimise subito in piedi, e sembrò chiaro a Cristal e a Ilda che, nonostante la ferita al volto, non avesse subito altri danni, essendo la sua Armatura solo ricoperta da un sottile strato di ghiaccio, che la rovente esplosione del cosmo del Dio provvide a sciogliere poco dopo.

 

“Devo ammetterlo! Mi hai sorpreso!” –Esclamò la Divinità. –“Ma non si ripeterà!” –E puntò nuovamente il dito contro Cristal, che prontamente si rimise in piedi, impugnando la Spada.

 

Il Dio liberò nuovi raggi energetici diretti contro il ragazzo, ma questi, con abilità e precisione, seppe respingerli tutti, uno dietro l’altro, colpendoli con la Spada di Ghiaccio. Al che, Eros usò ben tre dita della sua mano destra, rinnovando l’attacco con intensità e vigore. Cristal non riuscì a fermare tutti i raggi energetici del Dio, che lo colpirono in più punti, scagliandolo indietro con forza e facendolo ricadere a terra, mentre la Spada di Ghiaccio ruzzolava al suolo vicino a lui.

 

Deciso a eliminare la sgradevole e pericolosa spada, Eros scagliò un raggio energetico contro di essa, ma non la scalfì nemmeno, intrisa com’era del cosmo di Odino e dei Guerrieri del Nord.

 

“Non provarci nemmeno!” –Esclamò Ilda, rialzandosi a fatica. –“Non riuscirai mai a distruggerla! È la spada con cui Orion uccise il drago Fafnir, immergendola nel suo sangue, che rende immortali! In essa, adesso, confluiscono gli ardenti cosmi del mio Signore Odino, di Orion e di tutti i Guerrieri del Nord, che vi hanno riversato il loro amore, per Atena e per la giustizia, affinché Cristal possa portare a termine questa battaglia!”

 

“L’amore di Odino?! Non dire idiozie, donna!” – Esclamò Eros, con disprezzo.

 

Ma Ilda non se ne curò, trascinandosi fino alla Spada di Ghiaccio e sollevandola. Quindi si avvicinò a Cristal, incitandolo ad alzarsi, e gli porse la spada, pregandolo di stringerla in nome dell’amore, di quello stesso amore che Atena ha sempre dimostrato verso gli uomini e a cui pure lei, l’anno precedente, aveva potuto abbeverarsi, anche se solo per poco.

 

“Stringi questa spada, Cristal! E usala per condurci alla vittoria!” –Esclamò Ilda, prima di accasciarsi al suolo. –“Odino è in essa, e insieme a lui gli spiriti degli Einherjar ed il mio!”

 

“Ilda...” –Sospirò Cristal, vedendo la donna in grave difficoltà. –“Sì!” –Si limitò ad esclamare, espandendo il proprio cosmo.

 

Con tutte le sue forze, Cristal scattò avanti, brandendo la Spada di Ghiaccio, mentre Eros lanciava violenti raggi energetici dalle sue dita. Cristal ne evitò alcuni, respingendo altri, fino a portarsi proprio di fronte al Dio e ad abbassare la spada con forza su di lui. Ma Eros spalancò le lucenti ali della sua Armatura Divina, sollevandosi in alto velocemente e evitando l’affondo del Cavaliere del Cigno, venendo però sballottato dal potente spostamento d’aria. Quindi colpì Cristal dall’alto, scaraventandolo a terra, prima di atterrare nuovamente sul pavimento.

 

Ma il Cavaliere del Cigno non si arrese, espandendo ancora il proprio cosmo, e obbligando Eros, stufo di quella battaglia che pensava si sarebbe presto conclusa, ad usare la sua arma definitiva. Il Dio dell’Amore staccò l’arco dalla sua corazza, aprendolo poco dopo ed incoccando una freccia, incandescente come il suo cosmo. Cristal sollevò le braccia unite sopra di sé, mentre il freddo gelo del Cigno congelava l’intera stanza, l’intero pavimento.

 

“Questa freccia ti darà la fine che meriti, Cigno!” –Urlò il Dio, tendendo l’arco.

 

“Essa si perderà nell’aurora!” –Esclamò Cristal, mentre la maestosa sagoma dell’Acquario dorato comparve dietro di lui. –“Scorrete, Divine Acque!” –E abbassò velocemente le braccia, liberando la fredda energia contenuta nella dorata Anfora dell’Acquario.

 

“Trafiggilo, Dardo infuocato dell’Amore!” – Tuonò Eros, scagliando la propria freccia.

 

Il dardo infuocato di Eros saettò nell’aria, venendo presto investito dalle Divine Acque dell’Acquario, ma continuò il suo percorso, spinto dalla Divina Volontà del Dio. Mentre le gelide acque dell’Aurora travolgevano Eros, sospingendolo in alto e ricoprendo la sua Armatura Divina di un sottile strato di gelo, la freccia incandescente si piantò nel pettorale dell’Armatura di Cristal, a pochi centimetri dal suo cuore, trapassandolo e uscendo dall’altra parte del corpo.

 

“Incredibile…” –Balbettò Cristal, mentre fiotti di sangue iniziarono a uscire dal suo corpo. –“Ha superato l’Aurora dorata e mi ha trafitto! È questa la vera forza dell’Amore?!” –Si chiese, crollando al suolo poco dopo, in un’immensa pozza di sangue.

 

In quel momento Eros si rimise in piedi, un po’ stordito e sconcertato dal potere del Cavaliere del Cigno. Osservò la sua corazza Divina e notò che era ricoperta di ghiaccio, addirittura alcune parti erano completamente ghiacciate, e l’arco era andato in frantumi, per il freddo intenso.

 

Bravo, Cigno Bianco! Sei riuscito a colpirmi, come mai nessuno prima di adesso aveva fatto! Commentò Eros, espandendo il proprio caldo cosmo che, come fiamme ardenti, sciolse il ghiaccio dall’Armatura, rendendolo nuovamente libero. Questo è il tuo canto del Cigno! Osservò, puntando l’indice destro contro di lui. Spero che tu sia contento, morirai con onore, proprio come avevi scelto di vivere, ma senza amore! E un lampo di luce rossastra si accese sul suo dito, dirigendosi verso l’inerme corpo di Cristal. Incredibilmente il raggio energetico non lo raggiunse, schiantandosi con fragore contro una cupola di energia dorata che ricoprì il corpo del Cavaliere del Cigno, e tornando indietro, perforando un’ala della corazza di Eros, spinto indietro per il contraccolpo.

 

“Chi osa?!” –Tuonò il Dio, sentendo un nuovo, caldo cosmo, entrare nel Tempio dell’Amore. – “Odinooo?!”

 

“No!” –Rispose una voce calma e pacata, apparendo a fianco di Cristal. –“Non sono un Dio! Solamente un Cavaliere venuto a salvare un amico!” – Esclamò un uomo dal candido volto.

 

“Chi sei, uomo?” –Chiese Eros, osservando i lisci capelli biondi dell’uomo scendere lungo le sue dorate vestigia.

 

“Sono Shaka di Virgo, Cavaliere di Atena! E sono qua per combattere con te, Eros!”

 

***

 

Mentre la lotta tra Eros e Cristal era ancora in corso, Mizar e Alcor erano ancora impegnati contro Sterope del Fulmine, nel giardino dell’Amore. Il terreno era stato devastato, deturpando la bellezza di quel luogo sacro. Niente più restava delle statue di Cupido o di Amore e Psiche, disseminate lungo il giardino, o delle magnifiche composizioni floreali che Afrodite amava creare in quel luogo. Adesso era un campo da guerra, dove due diverse concezioni di vita si scontravano tra loro.

 

Da un lato Sterope del Fulmine, Ciclope Celeste fedele a Zeus, e incapace di mettere in discussione qualsivoglia ordine del Signore dell’Olimpo, essendo, in quanto espressione della sua Divina Volontà, necessariamente giusto; dall’altro Mizar e Alcor, gli ultimi guerrieri del Nord, che avevano affiancato i Cavalieri di Atena, per combattere insieme a loro per l’indipendenza delle genti libere della Terra, impedendo che l’Olimpo estendesse la sua nefasta ombra su di loro.

 

Sterope stava conducendo il gioco, nonostante le ferite che lui stesso aveva subito, assorbendo l’energia dei due guerrieri di Odino grazie al suo Occhio del Ciclope. Ma Alcor, rialzandosi, lo intimò a non cantare vittoria troppo presto, perché lui li avrebbe seguiti nel Paradiso dei Cavalieri.

 

“Non dire sciocchezze! E preparati a morire! Il prossimo Occhio del Ciclope vi toglierà le ultime energie, spazzandovi via!” – Tuonò Sterope, mentre anche Mizar si alzava, affiancando il fratello.

 

Mizar e Alcor non dissero niente, limitandosi a bruciare il proprio cosmo al massimo, come mai avevano fatto prima, al punto da liberare un’energia impressionante che distrusse le loro stesse corazze nordiche.

 

“Ma… che succede? Dove avevate questa energia?” –Mormorò Sterope, arretrando di un passo, impressionato di fronte all’esplosione di luce che si palesò ai suoi occhi.

 

“È il cosmo ultimo, Ciclope Celeste! L’ultimo stadio del nostro cosmo!” –Commentò Mizar.

 

“Il colpo massimo dei difensori di Odino!” –Intervenne Alcor, mentre l’aria intorno si caricava di limpidi bagliori.

 

“Il cosmo ultimo? Voi siete pazzi!” –Commentò Sterope. –“Qualunque colpo userete, qualunque tecnica, si perderà nell’Occhio del Ciclope!”

 

“Credi davvero?” –Mormorò Alcor, fissando il Ciclope con sguardo triste, quasi malinconico.

 

“Che... che cosa dici, Cavaliere di Asgard?”! – Domandò Sterope, allibito dalla calma ostentata dai due fratelli. Stanno per morire! Per essere spazzati via da me, eppure sono così sereni, così tranquilli! Perché? Perché, Zeus? Si domandò Sterope.

 

“Combattiamo da due giorni quasi, e ancora non hai imparato i nostri nomi!” –Commentò Alcor, con ironia. –“Ricordali Sterope, perché siamo coloro che ti priveranno della vita! Coloro che ti faranno ricordare, a tue spese, cosa significa essere uomini!”

 

“Che cosa?!” – Tuonò Sterope, mentre il cosmo di Mizar e Alcor cresceva sempre di più.

 

“Mizar di Asgard, Guerriero della Tigre Nera, è il mio nome!”

 

“E io sono Alcor, fratello di Mizar, Guerriero della Tigre Bianca!” –Concluse Alcor, prima di voltarsi verso il fratello. I due si scambiarono un’ultima occhiata, annuendo con il capo, ed accennando un sorriso, uno dei pochi che si erano fatti in vita, essendone sempre stati avari.

 

“Un uomo ha la possibilità di scegliere! Di discernere tra il bene e il male, evitando di servire il secondo, e lottando invece affinché il primo trionfi!” –Commentò Alcor, mentre ormai il cosmo dei due fratelli raggiungeva un’immensa estensione.

 

“E noi lottiamo per la giustizia, e per le generazioni che verranno, nella speranza che possano vivere in un mondo di luce, senza più oscure tenebre che minaccino la loro felicità!” –Aggiunse Mizar.

 

“Siete due folli.. vi spazzerò via.. Occhio del Ciclope!” –Esclamò Sterope, socchiudendo gli occhi e tentando di attirare a sé l’energia intorno a lui.

 

Ma, con orrore, si accorse di non poterlo fare, essendo troppo grande da non riuscire a controllarla tutta. Riaprì gli occhi giusto per vedere un’immensa esplosione di luce abbagliare l’intero spazio, ingoiando l’intero Giardino dell’Amore.

 

“Luce del Nord!!!” –Esclamarono insieme i due guerrieri di Asgard, liberando il potere supremo che tenevano dentro.

 

Tutto scomparve, le statue, i cupidi, le rose rosse di Afrodite, tutto fu ingoiato dall’esplosione di luce, che fu udita su tutto l’Olimpo, cancellando ogni traccia di quel luogo. Quando la luce si diradò, in mezzo alla polvere comparvero due figure strette per la mano: un bambino e una donna, che si guardavano intorno cercando i loro amici.

 

Trovarono il corpo morto di Sterope, la cui Armatura Celeste era stata praticamente annientata dall’esplosione, pieno di ferite sanguinanti, ultimo a morire dei tre Ciclopi Celesti. E più oltre, trovarono i corpi nudi dei due fratelli di Asgard, intrepidi eroi che avevano combattuto fino all’ultimo, senza mai arretrare di un passo. Prima di morire, Mizar trovò la forza per allungare un braccio, afferrando la mano del fratello, mentre un sorriso di pace si dipingeva sul suo volto.

 

Ilda in lacrime si chinò su di loro, sfiorando i corpi lacerati, e pianse tutte le lacrime che aveva in corpo, anche quelle che non aveva mai versato per Orion e gli altri cinque Guerrieri del Nord. Kiki, in piedi accanto a lei, si inginocchiò nella polvere, giungendo le mani in segno di preghiera, mentre fiumi di lacrime gli rigarono il volto.

 

In quel momento, nella vera Asgard, il corno di Heimdall suonò due volte, mentre veloci come fulmini le Valchirie galopparono sul Ponte-Arcobaleno, per guidare le anime dei nuovi Einherjar verso il Valhalla. Flare scoppiò in lacrime, cadendo in ginocchio di fronte a Odino, mentre Orion e Artax, appoggiati alla ringhiera della grande reggia, sospirarono, preparandosi per accogliere i loro compagni.

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 31
*** Amori e rimpianti ***


CAPITOLO TRENTESIMO

CAPITOLO TRENTESIMO. AMORI E RIMPIANTI.

 

Al Tempio dell’Amore era in corso un violento scontro tra Shaka di Virgo e Eros, Dio supremo dell’Amore e delle Forze Primordiali. Il Cavaliere di Virgo, dopo aver sventato, con l’aiuto di Syria delle Sirene, il tentato furto da parte di Ermes del Vaso di Nettuno, al Tempio sottomarino, era arrivato velocemente sull’Olimpo, insieme a Kiki. Il ragazzino aveva subito soccorso Ilda e Cristal, sdraiati a terra in pozze di sangue, portandoli fuori dal Tempio, e cercando di medicare alla meglio le loro ferite, mentre il Custode della Sesta Casa aveva manifestato apertamente il suo desiderio di affrontare il Dio, unico al momento in grado di poterlo fare, essendo Mur e Scorpio ancora alle prese con i Cavalieri Celesti, e Ioria in corsa verso la Reggia di Zeus.

 

“Sento in te una grande energia cosmica, Cavaliere d’Oro!” –Esclamò Eros, piuttosto interessato al suo nuovo avversario. –“Quasi maggiore rispetto al biondino, che pure mi ha sorpreso!”

 

“Il Cavaliere del Cigno è un combattente dai grandi poteri, Dio dell’Amore, al punto che Acquarius lo ha scelto come suo diretto erede, nuovo Signore delle Energie Fredde!” –Esclamò Virgo, con voce pacata.

 

“Non solo le sue energie sono fredde, Cavaliere d’Oro, ma anche il suo cuore!” –Commentò Eros, con disprezzo. –“Incapace di dare libero sfogo ai suoi sentimenti verso la donna da lui amata, il Cigno ha preferito l’onore e la morte in battaglia, calpestando quel supremo valore in cui io ripongo tutta la mia fede!”

 

“E non credi che questa sia la suprema manifestazione dell’amore?” –Chiese Virgo, sedendosi sul pavimento, in posizione meditativa. –“Avere la forza, il coraggio, di abbandonare una vita facile e sicura, un focolare domestico, per un’incerta battaglia, condotta fino in fondo, con l’ardore incandescente delle stelle, per il futuro della Terra e delle sue libere genti?”

 

“Assolutamente!” –Tuonò Eros, infervorandosi. –“Anche tu, come Cristal e Ilda, metti l’onore e la gloria prima dell’amore, tu, l’uomo più vicino a Dio, che meglio di chiunque altro dovrebbe conoscere la nobiltà dell’amore divino!”

 

“Ed è proprio per quella nobiltà divina che Cristal combatte, ed io con lui! Per l’amore verso la nostra Dea, impegnata da millenni a difendere gli uomini e la giustizia, per consentire a loro di vivere in un mondo sereno e pacifico, dove possano amare liberamente e crescere felici, nella tolleranza!”

 

“L’amore verso gli Dei non vale certo quanto l’amore tra due persone, tra due soggetti dello stessa entità, Cavaliere d’Oro!” –Precisò Eros. –“Quello che chiami amore in realtà non lo è; è ammirazione, devozione, ricerca di gloria e di onore, volontà di emergere in battaglia, rispetto verso il proprio Dio, fede! Ma non può gloriarsi dell’appellativo di Amore!”

 

“Sbagli, Eros!” –Affermò Virgo.

 

“No, non sbaglio!” –Tuonò il Dio, scagliando un violento fascio di luce contro Virgo, che, per difendersi, fu costretto a creare una barriera di energia dorata, a forma di cupola, su cui si infranse il raggio di Eros.

 

“Sì, invece! E posso comprendere meglio di chiunque altro i tuoi sentimenti, perché sono gli stessi che ho provato io per molto tempo!” –Commentò Virgo, facendosi sfuggire un sospiro. –“Per quanto fossi stato fin da piccolo addestrato a dialogare con il Divino, solamente in tempi recenti mi sono reso conto cosa significasse veramente amare qualcuno! Solamente in questi ultimi mesi, grazie all’incontro con i Cavalieri di Atena, Ikki di Phoenix per primo, e con la reincarnazione della Dea stessa, ho potuto tastare con mano il vero amore, il vero senso della vita! Ed ho imparato che si può amare in molti modi, sotto molte forme diverse!”

 

“E rinunciare all’amore è una di queste, Cavaliere della Vergine?” –Esclamò sarcastico Eros, non condividendo le idee dell’uomo.

 

“Forse…” Rifletté Virgo. –“Se quella che può sembrare una momentanea rinuncia, è in realtà finalizzata ad uno scopo più grande, più universale… che possa permettere alle genti libere della Terra, ai cuori pulsanti che battono intorno a noi, di continuare ad amare!”

 

“Sono solo sciocchezze…” –Commentò Eros, con disprezzo. –“E dall’uomo più vicino a Dio mi sarei aspettato qualcosa di più, che non semplici frasi fatte!”

 

Virgo non rispose, continuando a mantenere la sua posa meditativa, con gli occhi chiusi e i sensi concentrati.

 

“Spazzerò via la tua blasfemia con un solo colpo, Cavaliere d’Oro!” –Esclamò Eros, puntando nuovamente l’indice contro di lui.

 

Un raggio energetico, di potenza maggiore rispetto ai precedenti, sfrecciò nell’aria del Tempio dell’Amore, schiantandosi nuovamente contro la cupola energetica che riparava Virgo.

 

“Kaan!” –Urlò il Cavaliere d’Oro, concentrando al massimo il proprio cosmo, per resistere all’onda d’urto del Dio dell’Amore.

 

“Cadrai come un eretico, Shaka di Virgo, per mano mia, Dio di un sentimento che non hai mai provato!” –Tuonò Eros, abbassando il braccio e terminando il suo attacco, mentre un sorriso sarcastico si dipingeva sul suo volto.

 

“Uh?” – Si chiese Virgo, cercando di capire a cosa si riferisse. Per paura di un nuovo assalto, decise di passare al contrattacco, concentrando il cosmo tra le mani e liberandolo poi di botto. –“Abbandono dell’Oriente!” – Esclamò, scagliando il suo colpo dorato. Ma Eros lo arrestò con una sola mano, spegnendo tutta l’energia del suo assalto, stupefacendo persino Virgo.

 

“Adesso ti mostrerò, uomo più vicino a Dio, quanto sei stato distante dall’Amore, nella tua misera vita!” –Esclamò Eros, avvicinando le proprie mani.

 

Fece qualche segno nell’aria, abbozzando un rozzo cuore di energia, prima di mostrare al Cavaliere d’Oro il suo pericoloso colpo segreto, un colpo che non attaccava fisicamente l’avversario, ma psichicamente, uccidendolo con i propri rimorsi.

 

“Rimpianto dell’amore perduto!” –Sussurrò Eros, mentre il cuore di energia si allargava sempre più, fino ad invadere l’intera stanza, penetrando, con somma meraviglia di Virgo, anche la sua barriera protettiva. –“Non ci sono difese ai rimpianti, Cavaliere di Virgo! Essi non aggrediscono il corpo di un uomo, ma la sua anima! E Dio solo sa quanti ne hai accumulati in vita!” –Esclamò il Dio, prima di entrare nel cuore del Cavaliere d’Oro e leggere il libro dei suoi amori perduti.

 

Aveva nove anni Virgo quando una bambina, figlia di un’ortolana che commerciava nei mercati lungo il Gange, gli dichiarò il suo amore. Piccola, con un gran sorriso e occhi verdi, la fanciulla era da sempre innamorata di Virgo, recandosi spesso a Kasia Kusinagara, in Uttar Pradesh, dove sorgeva il Tempio in cui il futuro Cavaliere della Vergine praticava la meditazione, e il suo addestramento. Ma Virgo all’epoca non aveva tempo da dedicare alle ragazze, né all’amore, essendo la meditazione l’unico interesse a cui prestare la sua attenzione, e il suo cuore.

 

Una situazione simile si era verificata nuovamente tre anni più tardi, all’epoca della sua investitura a Cavaliere d’Oro della Vergine, quando nuovi compiti e nuove prospettive si presentavano a lui, impedendogli di dedicare tempo a coltivare relazioni affettive con le ragazze, ma negandogli anche un’altra forma di amore, molto importante per l’età adolescenziale: l’amicizia dei suoi coetanei, a cui Virgo aveva dovuto rinunciare, per proseguire i suoi studi e la sua meditazione.

 

Ma la più grande negazione dell’amore, in Virgo ebbe luogo sei anni dopo, quando aveva diciotto anni, ed era già noto e rispettato all’interno del Grande Tempio di Atena per le sue facoltà e le sue grandi doti, al punto che il Grande Sacerdote non esitava a ricorrere ai suoi consigli in caso di bisogno. Ana, Sacerdotessa d’Argento del Pittore, che era stata sua allieva negli anni precedenti, iniziò a provare per il Maestro qualcosa di più di una semplice ammirazione, di una semplice infatuazione verso il proprio precettore, alle cui idee aveva consacrato la vita, arrivando a dichiarare a lui il suo amore. Ma anche quella volta, l’uomo più vicino a Dio si dimostrò il più lontano dall’amore, non sentendone la necessità, in quel momento, nella propria vita.

 

Disperata per essere stata rifiutata, Ana meditò anche il suicidio, tanto grande era la disperazione provata, che neppure la meditazione e le tecniche di rilassamento mentale, di cui era abile maestra, potevano lenire il suo dolore. La ragazza scelse quindi di allontanarsi dal Grande Tempio, incurante della guerra contro i Titani che stava scoppiando, rifugiandosi in un’isola solitaria del Mediterraneo Orientale, dove dedicò il suo tempo alla preghiera e alla coltivazione della più grande passione della sua vita, la pittura. Arte alla quale si era sempre dedicata fin da bambina, e per la quale lo stesso Virgo provava un autentico, genuino interesse. Reso ancora più consistente dal fatto che Ana era cieca, e non poteva vedere gli oggetti e gli ambienti intorno a lei, ma semplicemente immaginarli.

 

Anni più tardi, quando ormai la stella di Arles si andava offuscando a causa delle vittorie dei Cavalieri di Bronzo su quelli d’Argento, involontari sicari al suo servizio, Ana fu richiamata dal Sacerdote, affinché scendesse in campo a fianco dei suoi parigrado, per uccidere i cinque traditori del Grande Tempio. Ma Ana, unica tra i tanti, forse anche grazie alla sua cecità, che le aveva insegnato per anni ad ascoltare con il cuore, a sentire i veri sentimenti delle persone, aveva rifiutato, percependo un’oscura ombra nell’animo del Sacerdote, una vasta ombra estesa su tutto il Santuario. Ne aveva parlato con Virgo, appena rientrato ad Atene, ma il Maestro non le aveva creduto, giudicando negativamente le sue percezioni.

 

“Tu vuoi disubbidire ad Arles solamente per fare un torto a me!” – Le aveva detto, in quella mattina di autunno.

 

“Lei sbaglia, Maestro mio! E mi rammarica che non ricordi uno dei fondamentali insegnamenti del nostro addestramento! Ascoltare il proprio cuore, e seguirlo, anche a prezzo di sacrifici!” –E se ne era andata, lasciando la Casa della Vergine e il Grande Tempio.

 

Quello fu il loro ultimo incontro. Per vendicarsi dell’umiliazione, Arles inviò infatti due Cavalieri d’Argento, discepoli di Virgo come lei, Loto e Pavone, che la uccisero dopo un’estenuante battaglia, vinta a causa della loro superiorità numerica. E Virgo non fece niente per impedirlo.

 

“Tu sapevi qual era il compito dei tuoi discepoli!” –Tuonò l’imperiosa voce di Eros, accusando pesantemente Virgo. –“Ma non hai mosso dito per evitarlo, lasciando che massacrassero l’allieva che un tempo avevi ammirato!”

 

“No!” –Urlò Virgo delirante, vittima dell’incantesimo del Dio dell’Amore. –“Non sapevo.. non potevo sapere.. non potevo.. oppormi!” – Confessò infine.

 

“Tu non volevi opporti, Custode della Sesta Casa! Perché detestavi quella donna, esclusivamente perché avevi paura di lei! Di lei che liberamente aveva dichiarato i propri sentimenti, decidendo di viverli senza timore né vergogna; di lei che aveva compreso la vera ombra che aleggiava sul Grande Tempio, superando persino il Maestro, vissuto per anni all’ombra del Sacerdote, coperto da un velo di ottusa miopia! “

 

“Tu menti...” – Gridò Virgo. –“Io non la odiavo... no, ero affezionato ad Ana...”

 

“Tu l’hai lasciata morire, osservando sul rosone del tuo Tempio la sua morte in diretta, vedendo con gli occhi di Loto e Pavone l’omicidio di cui ti sei reso complice!” –Lo accusò Eros.

 

Il Cavaliere della Vergine non rispose, ma il Dio dell’Amore poté percepire l’enorme vibrazione del suo vasto cosmo, sottoposto ad una pressione mentale terribile, superiore alle prove a cui era stato costretto finora. Per un momento, Eros temette che sarebbe esploso da un momento all’altro, crollando a terra esausto. Ma incredibilmente la pressione terminò, mentre il candido viso di Virgo riprendeva la sua pacata espressione.

 

“Uh?” –Si domandò Eros, cercando di percepire cosa stesse accadendo nel cuore dell’uomo.

 

“Dici il vero, Dio dell’Amore! Io vidi cosa accadde quel giorno... con gli occhi di Loto e Pavone, partecipai alla morte di Ana, senza poter intervenire! Cercai in ogni modo di scacciare quelle immagini dalla mia mente, ma esse continuavano a tornare, continuavano a palesarsi di fronte a me, dentro di me, senza darmi tregua, martoriandomi il cuore incessantemente!” –Esclamò Virgo, lasciandosi andare ad un leggero singhiozzo.

 

Una lacrima cadde infine sul volto del Cavaliere della Vergine, scivolando fino a terra, bagnando il bianco marmo del Tempio dell’Amore.

 

“Quanto avrei voluto evitarle quella sorte!” –Commentò Virgo. –“Intercedetti persino presso Arles, pregandolo di affidarmi la Sacerdotessa, di modo che potessi tentare di recuperarla, credendo veramente che fosse nel torto, e che sul trono di Grecia sedesse un uomo retto e puro! Aaah, Dei dell’Olimpo, se soltanto fossi stato meno cieco.. se soltanto avessi ascoltato i miei insegnamenti, quelli che Ana mi rinfacciò in quel giorno d’autunno…” –Pianse Virgo, e Eros pensò di aver vinto.

 

Aveva sconvolto l’equilibrio interiore del Cavaliere della Vergine, sacrificando la sua calma di fronte ai rimpianti che si portava dietro. Adesso avrebbe potuto ucciderlo, ed egli non avrebbe opposto resistenza. Eros concentrò il cosmo sull’indice destro, pronto per colpire l’uomo seduto di fronte a lui, quando si accorse di non potersi muovere, trattenuto da un’invisibile corrente energetica che aveva preso a soffiare nell’intera stanza. Con orrore, il Dio dovette riconoscere che la fonte di quella corrente era proprio Virgo.

 

“Devo ringraziarti, Dio dell’Amore, per aver risvegliato in me il ricordo di quel momento, di quel volto mai dimenticato!” –Commentò Virgo infine. –“Sbagliai quel giorno a non ascoltare le parole di Ana, e sbagliai anche nel non fare abbastanza per impedire che fosse punita... ma credevo di essere nel giusto, così come quando affrontai Phoenix alla Sesta Casa, oscurandomi con lui in un mondo di luce! Sbagliai… Sì, e un giorno pagherò per tutto questo! Ma non oggi, non qua, di fronte a te, quando ancora la mia presenza è richiesta altrove, per fornire qualche insegnamento che io stesso ho potuto imparare a mie spese, sulla mia stessa pelle!” –Il cosmo di Virgo esplose in quel momento, concentrandosi in una grande sfera di dorata energia tra le sue mani. –“Ohm!” –Mormorò il Cavaliere d’Oro. –“Oggi combatterò anche per Ana, per l’amore che non ha mai avuto! Per l’amore che non sono stato in grado di darle! Guardami Ana, guarda il tuo Maestro, e perdonami se puoi! Abbandono dell’Oriente!” – Gridò Virgo, aprendo finalmente gli occhi.

 

In quel momento la sfera di cosmo che aveva in mano esplose in un ventaglio di energia dorata, diretta verso Eros, che per difendersi portò entrambe le braccia avanti, evitando di essere travolto. Ma Virgo rinnovò l’attacco una seconda volta, e poi una terza, mentre l’aria intorno a loro si saturava di energia cosmica. L’ultimo Abbandono dell’Oriente scaraventò Eros indietro, fino a farlo sbattere contro la lontana parete dietro di lui, distruggendo l’interno del Tempio dell’Amore, lasciando soltanto una massa confusa di detriti. Eros si rimise in piedi immediatamente, irato come non mai, aumentando il suo cosmo a dismisura, mentre Virgo, notevolmente stanco, preparava le proprie difese.

 

“Ti spazzerò via, uomo mortale! Tu che hai rifiutato l’amore, in maniera indegna, non meriti più di vivere! Energia primordiale!” –Tuonò Eros, sollevando le braccia al cielo ed evocando un’immensa massa energetica.

 

“Neutralizzerò il potere del tuo cosmo!” –Esclamò Virgo, preparandosi per sferrare il suo più potente attacco: il Sacro Virgo, con il quale avrebbe eliminato in un unico colpo i sei sensi del Dio.

 

“Fallirai!” –Commentò Eros. –“Troppo vasto è il mio spirito affinché tu possa riuscire in una simile impresa!” –E nel dir questo scagliò l’immensa energia primordiale che padroneggiava contro Virgo, che ricreò la barriera protettiva, prima di giungere le mani e scagliare il proprio colpo sacro.

 

Eros fu scaraventato lontano, mentre una tremenda fitta colpiva il suo cuore, sentendo il violento potere del cosmo di Virgo entrare dentro di lui, per spegnere i suoi sensi; ma anche il Custode della Sesta Casa di Atene fu travolto dall’enorme ammasso di energia e scaraventato lontano, schiacciato contro i resti del muro anteriore, mentre l’immenso plasma primordiale pareva inghiottirlo. Improvvisamente una sottile barriera invisibile si interpose tra Virgo e l’Energia Primordiale del Dio, dando un momentaneo respiro al Cavaliere della Vergine, mentre un’infuocata cometa si schiantava contro l’ammasso energetico, respingendolo.

 

“Chi altro?” – Esclamò Eros, rimettendosi in piedi.

 

Due uomini ricoperti da vestigia dorate si ersero di fronte a lui, aiutando Virgo a rialzarsi.

 

Milo di Scorpio è il mio nome!” – Esclamò un uomo dai lunghi capelli violetto.

 

“E io sono il Grande Mur dell’Ariete, Cavaliere d’Oro di Atena!”– Esclamò l’altro.

 

“Siete giunti nel posto perfetto per morire, Cavalieri d’Oro!” – Ironizzò Eros, espandendo il proprio enorme cosmo.

 

“Non credo proprio!” –Esclamò Scorpio, baldanzoso, quindi concentrò il proprio cosmo sulla mano destra, creando una grande sfera energetica. –“Cometa di Antares!” – Urlò, spingendola avanti.

 

“Stardust Revolution!” – Lo affiancò Mur, liberando l’immensa polvere di stelle.

 

“Abbandono dell’Oriente!” –Esclamò Virgo, unendosi ai colpi dei suoi parigrado.

 

I tre attacchi si scontrarono con l’immensa massa di energia primordiale, producendo un boato immenso che distrusse completamente il Tempio dell’Amore, scaraventando i quattro contendenti indietro, travolti da cumuli di detriti e polvere. L’esplosione fu udita anche alla Reggia di Zeus, dove Flegias sogghignò soddisfatto. Pare che lo scontro al Tempio dell’Amore stia volgendo al termine! Ironizzò, percependo l’immensa energia liberata dai combattenti. Perfetto! Energia allo stato puro, che ci darà la forza necessaria per dominare il mondo!

 

Quando la polvere iniziò a diradarsi, emersero le rovine dell’antico Tempio dell’Amore, sotto le quali i corpi di Scorpio, Mur e Virgo stavano cercando di liberarsi per tornare alla luce. Un nuovo boato liberò Eros, la cui figura tornò a torreggiare sopra le macerie, mentre gli ansimanti Cavalieri d’Oro si rimettevano in piedi.


”Incredibile! Resiste ancora!” –Commentò Scorpio, affaticato.

 

“È veramente il Dio delle Forze Primordiali!” –Rifletté Mur.

 

“Cavaliere di Ariete, Cavaliere di Scorpio!” –Esclamò Virgo, rivolgendosi con voce calma agli amici. –“Lasciate a me questo nemico e correte avanti! Cristal e Ioria avranno sicuramente bisogno di aiuto!”

 

“Non se ne parla, Virgo! – Lo liquidò Scorpio, ma Virgo insistette.

 

“Brucerò il mio cosmo al massimo, liberando tutta l’energia insita in esso, travolgendo così Eros che non potrà opporsi! Adesso allontanatevi ve ne prego! Non avrei pace se restaste coinvolti!”

 

“Siamo stati fin troppo lontani!” –Commentò Mur, con un sorriso. –“Ben tredici lunghi anni in cui abbiamo vissuto in mondi diversi, incapaci di trovare quella coesione, quel senso di unità che invece i Cavalieri di Bronzo hanno sempre avuto, nonostante il minor tempo che hanno avuto modo di passare insieme!”

 

“Mur ha ragione! Non ce ne andremo! Non questa volta!” –Intervenne Scorpio, mettendo una mano sulla spalla del compagno. –“Supereremo insieme questo ostacolo, o moriremo qua, al tuo fianco!”

 

Virgo non seppe cosa rispondere, commosso dall’affetto dimostrato dai suoi parigrado. No, dai miei amici! Si disse, mentre una lacrima dispettosa scivolava sul suo viso.

 

La nuova esplosione del cosmo di Eros costrinse i tre Cavalieri ad interrompere la conversazione, preparandosi a fronteggiare il Dio con l’unico metodo che parve loro possibile. Mur annuì con il capo, prendendo posizione, sedendosi in mezzo ai due compagni, mentre Virgo alla sua destra e Scorpio alla sua sinistra portavano le braccia avanti, creando la sintonia necessaria per eseguire l’attacco congiunto.

 

“Che cosa?!” –Esclamò Eros, stupefatto, nel riconoscere quella posa. –“Quella posa.. intendete lanciare il colpo proibito?”

 

“Non può essere più considerato tale, da quando tre giovani eroi, incuranti dell’infamia con cui il loro nome avrebbe potuto essere macchiato, lo lanciarono nel Giardino di Sala, per arrivare dalla Dea che volevano salvare!” – Precisò Virgo, ricordando Gemini, Capricorn e Acquarius.

 

“E sia dunque!” –Tuonò Eros, concentrando un’immensa massa di energia nelle proprie mani. –“Energia Primordiale!” –Urlò, scatenando l’immenso plasma contro di loro.

 

“Urlo di Atena!!!” –Gridarono Mur, Scorpio e Virgo, liberando la potenza distruttrice del colpo congiunto.

 

L’impatto devastante dei due colpi travolse l’intero spiazzo, scagliando indietro i Cavalieri d’Oro e danneggiando addirittura le loro nuove Armature, senza però ucciderli. Eros fu investito in pieno dall’Urlo di Atena, al quale non riuscì ad opporre adeguata resistenza, venendo annientato dall’esplosione. Prima di spirare, il Dio dell’Amore e delle Forze Primordiali non poté che dare ragione a Virgo, e a Cristal prima di lui, riconoscendo il vero sentimento che aveva guidato i Cavalieri di Atena: l’amore. Un sentimento che egli, forse, non aveva mai perfettamente compreso.

 

Nel frattempo, mentre lo scontro tra i Cavalieri d’Oro e Eros era in corso al Tempio dell’Amore, due potentissimi cosmi raggiunsero finalmente l’Olimpo. Efesto, Dio del Fuoco e della Metallurgia, e Afrodite, Dea della Bellezza, nonché sua sposa, arrivarono sul Monte Sacro, ma invece di comparire direttamente al Tempio dell’Amore, residenza della Divina Afrodite, dove suo figlio Eros era impegnato in battaglia, raggiunsero direttamente il Tempio dei Mercanti, l’ultimo prima del Cancello del Fulmine, chiamati dal suo Custode.

 

“Bentornati sull’Olimpo, Efesto e Afrodite!” –Esclamò una voce maschile, ricevendo le Divinità.

 

“Ermes, Messaggero degli Dei!” –Lo salutò Afrodite, chiedendogli il perché della convocazione.

 

“Ho sentito i vostri cosmi arrivare e ho ritenuto importante scambiare qualche parola con voi.. per concordare insieme una strategia comune!” – Spiegò il Dio.

 

“Spiegati!” –Si incuriosì Efesto, mentre tutti e tre prendevano posto ad un’imbandita tavola in mezzo alla grande sala del Tempio.

 

“C’è battaglia al Tempio dell’Amore! Sono in ansia per mio figlio!” – Commentò Afrodite, sentendo il cosmo di Eros in forte fibrillazione.

 

“Lascia che vada incontro al suo destino!” –Commentò Ermes, stupendo la Dea per la crudezza di quelle parole. –“Forse la sua risolutezza è degna di maggiore lode che non la mia titubanza!”

 

“Cosa vuoi dire, Messaggero degli Dei?” –Chiese Efesto incuriosito.

 

Ermes non rispose subito, sorseggiando prima una coppa di squisito nettare di ambrosia; quindi porse ai suoi ospiti un vassoio pieno di focaccia, pregandoli di non fare complimenti.

 

“Zeus è cambiato!” –Esclamò infine il Dio. –“Non è da lui allestire una simile guerra! Riordinare l’esercito dei Cavalieri Celesti, affidandone il comando al figlio di Ares, assalire il Grande Tempio di Atena, imprigionarla nella Bianca Torre…”

 

“Avrà avuto i suoi motivi!” –Commentò Afrodite, non molto propensa a difendere Atena.

 

“Se anche li ha avuti, avrebbe dovuto rendercene partecipi!” –Puntualizzò Ermes, ancora ferito nell’orgoglio per la nomina di Flegias a Consigliere Privato del Sommo Zeus. –“Siamo sempre stati al suo fianco, lo abbiamo sempre seguito, in ogni impresa, combattendo accanto a lui millenni fa, quando i Titani tentarono di dominare l’Olimpo! E lo siamo ancora adesso, nonostante siano passati migliaia di anni, nonostante il mondo fuori dalle nubi olimpiche sia cambiato, più di quanto siamo cambiati noi, che siamo rimasti sempre gli stessi, immutati nel tempo! Ma vorrei conoscere i suoi piani, i suoi sentimenti, sapere cos’è che muove le sue azioni, cosa lo ha portato a dichiarare guerra aperta alla sua figlia prediletta!”

 

“Umpf, non ho mai capito perché Atena sia la sua prediletta!” –Storse la bocca Afrodite.

 

“Forse perché non mai chiesto niente al Padre degli Dei, combattendo da sola, e con l’aiuto dei suoi Cavalieri, le Sacre Guerre contro le oscure forze che volevano soggiogare la Terra!” –Rispose Ermes. –“Credo che Zeus l’abbia sempre ammirata, applaudendola da lontano, pur senza mai intervenire direttamente!”

 

“Questo rende ancora più incomprensibile il suo gesto!” –Commentò Efesto, ed anche gli altri due Dei dovettero dargli ragione.

 

Ermes aspettò ancora qualche istante, prima di confessare una sensazione che provava da un po’ di tempo. A bassa voce, quasi sussurrando.

 

“Un’ombra aleggia sulla Sala del Trono! L’ho percepito chiaramente!”

 

Afrodite tremò spaventata, mentre Efesto smise di mangiare, chiedendo ulteriori spiegazioni al Dio.

 

“Non so cos’altro dirti, mio caro Efesto! Queste sono le mie sensazioni, e, per quanto strane possano sembrare, sono assolutamente reali!”

 

“Che Zeus sia vittima di qualche forza oscura, capace di dominare persino la sua mente?” – Domandò Afrodite, preoccupata.

 

“Ma quale Divinità potrebbe essere capace di tanto, di arrivare a controllare persino la mente del Signore degli Dei? No, Afrodite, mia amata, credo semplicemente che Zeus sia stato attratto dalla guerra, dall’ambizione, tentato dai figli di Ares ad espandere il proprio dominio sull’intera Terra, uscendo da quell’isolazionismo in cui l’Olimpo era precipitato nei millenni scorsi!” –Esclamò Efesto. –“Eliminati in pochi mesi Apollo, Nettuno, Lucifero e Ade, Zeus ha deciso di cogliere l’attimo, approfittando della favorevolissima congiunzione, consapevole del fatto che adesso nessuno è in grado di opporsi allo strapotere dell’Olimpo!”

 

“Mi dispiace ammetterlo…” -Intervenne Ermes. –“Ma credo che Efesto abbia ragione, per quanto male mi faccia doverlo ammettere! Lo Zeus che siede sul trono dell’Olimpo non è più quello di un tempo, quello che per millenni ho servito con amore e devozione!”

 

Le tre Divinità rimasero per qualche minuto in silenzio, prima di percepire un cosmo sconosciuto, probabilmente appartenente a un Cavaliere di Atena, dirigersi verso il Tempio dei Mercanti.

 

“E cosa faremo allora?” - Domandò infine Afrodite, preoccupata.

 

“Ciò che abbiamo sempre fatto!” – Commentò amaramente Ermes. –“Difendere l’Olimpo, sperando che Zeus abbandoni i suoi progetti di dominio e ritorni ad essere il pacato re di un tempo. Un tempo che, ahimé, mi sembra talmente lontano, perso nelle nebbie del tempo, da non ricordarlo più!”

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 32
*** La furia del Leone ***


CAPITOLO TRENTUNESIMO. LA FURIA DEL LEONE.

 

Flegias era infuriato con il Messaggero degli Dei per non essere riuscito a recuperare il Vaso di Nettuno. Nonostante l’estrema sincerità con cui Ermes aveva spiegato l’accaduto, il figlio di Ares non poteva fare a meno di guardarlo con sospetto, detestandolo ancora di più di quanto aveva fatto finora. Zeus era stato molto accondiscendente, limitandosi ad esprimere il proprio rammarico per non poter liberare il suo adorato fratello, ma senza infuriarsi troppo.

 

“Ti preoccupi troppo, figlio di Ares!” –Esclamò Ermes, uscendo dalla Sala del Trono insieme a Flegias. –I Cavalieri Celesti difenderanno l’Olimpo come hanno sempre fatto, permettendo al nostro Signore di vincere anche questa guerra, senza risvegliare Divinità sopite!”

 

“Lo spero vivamente!” –Commentò acidamente Flegias, dirigendosi verso l’uscita del Tempio di Zeus. –“Altrimenti farai bene ad affilare le tue armi, nel caso i Cavalieri di Atena riescano a giungere fin qua! Come Messaggero del Sommo Zeus, devi anche essere pronto a morire per lui!”

 

Ermes non rispose, fermandosi atterrito dall’asprezza delle parole di Flegias. Scosse il capo e poi annunciò che sarebbe rientrato al Tempio dei Mercanti, avendo percepito, in quel momento, due grandi emanazioni cosmiche raggiungere l’Olimpo, e desideroso di parlare con loro.

 

Flegias entrò nel salone d’ingresso del Tempio del Dio dell’Olimpo, dove trovò una gran quantità di Cavalieri Celesti pronti per combattere. Rappresentavano l’ultima difesa, nel caso i Cavalieri di Atena fossero riusciti ad arrivare fino al Cancello del Fulmine. Flegias si guardò intorno e trovò chi stava cercando: Phantom, dell’Eridano Celeste, il Luogotenente dell’Olimpo, che stava parlando con un altro Cavaliere di una possibile strategia per fermare l’avanzata degli invasori.

 

Phantom!” – Esclamò Flegias, avvicinandosi al tavolo a cui erano seduti i due.

 

Il Luogotenente dell’Olimpo si alzò immediatamente in piedi, salutando il figlio di Ares, e lo stesso fece l’altro giovane Cavaliere. Ma Flegias lo zittì, intimandogli di seguirlo.

 

“Che succede?” –Domandò Phantom.

 

“Non senti il suo cosmo?!” –Esclamò Flegias, sempre irato. –“Un Cavaliere di Atena si sta avvicinando alla Reggia di Zeus! Si trova al Tempio del Sole, e sembra che sia solo!”

 

“Manderò subito una pattuglia! Non gli permetteremo di…” –Ma Flegias lo zittì di nuovo.

 

“No, niente pattuglia! Gli ultimi Cavalieri Celesti dovranno rimanere qua a difendere la Reggia di Zeus! Andrai tu!”

 

“Io?!”

 

“Esattamente! Uccidilo sul posto, non permettergli di proseguire! È oltraggioso che sia riuscito ad arrivare fin là!” –Sibilò Flegias, prima di voltarsi e andarsene, lasciando Phantom ai suoi pensieri.

 

Il Luogotenente dell’Olimpo dovette ammettere, con amarezza, che quella volta non aveva possibilità alcuna di tirarsi indietro. Finora aveva evitato di scendere direttamente in campo, limitandosi a pianificare la difesa del Cancello del Fulmine, ma adesso, con un ordine impartitogli proprio da Flegias, doveva combattere di persona. Recuperò l’elmo dell’armatura e scattò via, diretto verso il Tempio di Apollo, per affrontare il Cavaliere solitario.

 

Dopo aver lasciato Phantom, Flegias uscì nel giardino che circondava la Reggia di Zeus, proprio dove Castalia e il Luogotenente dell’Olimpo avevano parlato la prima volta. Non gli importava niente di Phantom, né dei Cavalieri Celesti o delle altre Divinità che aveva trascinato in guerra. In quella folle guerra che, come Ermes aveva fatto notare a Zeus poc’anzi, non avrebbe mai dovuto essere combattuta. Non c’è bisogno di un motivo per dichiarare una guerra! Ironizzò il figlio di Ares. Il potere e la volontà di dominio sono argomenti convincenti per armare un esercito e mandarlo a morire! Soprattutto quando la posta in gioco è il dominio sul mondo intero!.

 

In un attimo fece mente locale di tutti gli elementi che in quel momento giocavano a suo favore, ma gliene venne in mente solo uno: il caos. Il delirio cosmico che regnava sull’Olimpo, lo scintillante esplodere di cosmi che si scontravano, di emozioni che dominavano l’animo dei Cavalieri e delle Divinità. Energia allo stato puro che presto sarebbe finita nelle sue mani. Ooh, sì! Sibilò, mentre nei suoi occhi neri brillava una spettrale fiamma. Nel mio palmo, un’energia inesauribile! Ed esplose in una sadica risata, toccando con la mano una pietra nera che portava al collo.

 

Quando Phantom arrivò al Tempio del Sole, lo trovò disabitato come sempre. Dopo la decisione di Apollo, presa mesi prima, di abbandonare l’Olimpo per combattere Atena, e la sua susseguente sconfitta, il Tempio era rimasto vuoto. Le Muse, eterne complici dell’armonia del Dio, erano tornate alle loro fonti, sul Monte Elicona, in attesa che un nuovo sole sorgesse sul mondo. Dietro al tempio si estendeva un fitto bosco di lauri, che declinava a sud in un leggero pendio che conduceva alla Foresta di Artemide, mentre a nord, proprio a ridosso della montagna sacra, si aprivano le inebrianti terre stagnanti di Dioniso.

 

Il Luogotenente concentrò i sensi e non ci mise molto per trovare il suo avversario, il quale lo aveva sicuramente sentito arrivare e lo stava attendendo nel bosco di lauri. Phantom lo raggiunse in un secondo e si trovò di fronte un giovane sui venticinque anni, alto e ben fatto, con un viso maschile, occhi verdi e corti capelli castani. Indossava un’armatura dorata e Phantom intuì si trattasse di uno degli ultimi Cavalieri di Atena arrivati sull’Olimpo, non avendolo incontrato al Grande Tempio il giorno prima.

 

“Chi sei, Cavaliere d’Oro?”

 

Ioria, del segno del Leone! E tu?”

 

“Sono Phantom dell’Eridano Celeste, Luogotenente dell’Olimpo, e sono stato inviato per fermarti!”

 

“Ed io vado piuttosto di fretta, Luogotenente!” –Esclamò Ioria, con baldanza. –“Perciò ti prego di lasciarmi passare!”

 

“Mi dispiace, Cavaliere, ma mi è impossibile accondiscendere alla tua richiesta! Non so dove tu sia diretto, ma immagino alla Reggia del Divino Zeus, il Dio di cui sono il protettore!”

 

Ad essere sinceri non so neppure io dove sto andando! Commentò Ioria, che finora aveva semplicemente proceduto in mezzo agli alberi, seguendo un cosmo amico, che aveva tanto cercato nelle ultime ore, senza aver chiaro dove si stesse recando.

 

“Non sapevo ci fossero Cavalieri d’Oro vivi! Credevo foste tutti morti durante la Guerra Sacra!”

 

“Lo abbiamo creduto anche noi, Cavaliere! Ma a quanto pare ci è stata data una nuova opportunità per essere utili, ad Atena e alla giustizia!”

 

Conosco il vostro valore, Cavaliere d’Oro, e so che non sarà una facile battaglia!” –Commentò Phantom, iniziando a bruciare il proprio cosmo.

 

“Sei ancora in tempo per lasciarmi passare, Luogotenente! Non avverto malvagità in te, né bramosia o desiderio di lotta! No, il tuo animo è quieto e nobile, e non desidera questa battaglia!”

 

“Tuttavia non posso evitarla!” –Urlò infine Phantom, scattando avanti, mentre una lucente sfera si concentrava nella sua mano. –“E neppure tu!” –E la scagliò contro Ioria, che fu abile a scattare di lato, evitando l’incandescente globo e bruciando il proprio cosmo.

 

“Per il Sacro Leo!” –Esclamò, muovendo il braccio destro.

 

Un fitto reticolato di luce si abbatté velocemente con Phantom, ma questi, con notevole sforzo e concentrazione, riuscì ad evitare quasi tutti i fendenti luminosi e a muoversi in mezzo all’intreccio luminoso fin a giungere davanti al Cavaliere di Leo. Sollevò l’indice destro, evocando la rigogliosa natura del fiume Eridano, che si manifestò sotto forma di liane e piante rampicanti che spuntarono dal terreno sotto e intorno ai piedi di Ioria, avvinghiandosi su di lui e stritolandolo.

 

Aargh!” – Urlò il Cavaliere d’Oro, dimenandosi per liberarsi da quella presa micidiale.

 

“Le liane dell’Eridano ti stritoleranno vivo, Cavaliere! Una fine certamente non eroica, né degna del tuo rango!” –Esclamò Phantom, osservando i furiosi tentativi di Ioria di uscire dalla mortale presa.

 

Il cosmo dorato del Leone esplose in tutta la sua furia pochi istanti dopo, ardendo come fiamme immortali e bruciando le liane che tentavano di stritolarlo; con rapidi movimenti delle braccia, Ioria trinciò gli ultimi residui vegetali, grazie ai propri affilati artigli.

 

“E adesso difenditi, Luogotenente!” –Urlò, determinato più che mai a superare quell’ostacolo e a raggiungere il cosmo di cui era alla ricerca. –“Lightning Bolt!” –E scagliò una violenta sfera incandescente contro Phantom, che, sorpreso dalla capacità di ripresa di Ioria e dalla velocità e violenza dell’attacco, non riuscì ad evitarla completamente, venendo raggiunto alla spalla sinistra.

 

Quando ricadde a terra, Phantom si accorse con dolore che il coprispalla, già danneggiato da Artemide, era completamente distrutto, e sangue scorreva copioso dalla ferita riapertasi.

 

“Eri già ferito?” –Commentò Ioria, osservando il ragazzo rimettersi in piedi.

 

“È soltanto un graffio!” –Stigmatizzò Phantom, stringendo i denti per non mostrare il dolore che invece sentiva. –“Combatti piuttosto!”

 

E Ioria non si fece pregare, caricando una nuova sfera incandescente. Phantom, per evitarla, saltò in alto, afferrando un ramo e tirandosi su, usando il solo braccio destro. Fu colpito alle gambe dal colpo di Ioria, ma non cedette e balzò avanti, scagliando numerosi pugni di energia contro di lui.

 

Il Cavaliere d’Oro evitò tutti i colpi del nemico, muovendosi lateralmente alla velocità della luce, prima di fermarsi, in posizione difensiva, pronto per contrattaccare. Ma Phantom lo anticipò, bruciando al massimo il proprio cosmo, e chiudendo le braccia a sé; quindi le aprì di scatto, liberando una travolgente energia sotto forma di un vorticoso turbine che scagliò contro Ioria.

 

“Gorgo dell’Eridano! Spazzalo via!” –Urlò, dirigendo il vortice verso Leo.

 

Ioria incrociò le mani avanti a sé, per contenere l’impatto con il colpo di Phantom, ma fu comunque travolto e sballottato, fino a schiantarsi contro un albero poco distante. Tuttavia non riportò altre ferite, se non una secca botta alla schiena, attutita dalla sua nuova resistente Armatura d’Oro. Quando si rimise in piedi si accorse che Phantom era inginocchiato a terra, e si teneva la spalla dolorante, mentre rivoli di sangue sporcavano la sua mano. Il Luogotenente imprecò per qualche secondo, prima di rimettersi in piedi, davanti agli occhi attoniti, e preoccupati, di Ioria.

 

“Chi ti ha procurato una simile ferita?”

 

“Non sono cose che ti riguardano, Cavaliere di Atena!” –Rispose Phantom, bruciando il cosmo.

 

“Deve farti più male di quanto tu voglia farmi credere, se ti impedisce di scagliare i tuoi colpi alla massima potenza! Se un vortice come quello, lanciato espandendo al massimo il proprio cosmo, mi avesse raggiunto, saresti dovuto venire a cercare i miei resti ad Atene!”

 

“Credo che la lama che mi ha ferito fosse avvelenata!” –Balbettò Phantom, quasi parlando con se stesso. –“I miei sensi si stanno appannando!”

 

“Smettila di combattere, Cavaliere Celeste! È evidente che non sei in grado di confrontarti con un nemico adesso! Consentimi di passare e di portare aiuto a un’amica in difficoltà!”

 

“Un’amica?!”

 

“Proprio così...” –Commentò Ioria, mantenendo i suoi occhi verdi su quelli del Luogotenente.

 

I due restarono a guardarsi per qualche secondo, senza che nessuno dicesse niente, e Phantom per un momento fu tentato di lasciarlo davvero passare quel Cavaliere di Atena, avvertendo in lui, oltre che bontà d’animo e fierezza, anche una sensazione conosciuta. Ma alla fine, il dovere di servire il proprio Signore e difendere l’Olimpo dagli invasori, anche se degni di ammirazione e lode, vinse anche in lui. Si rialzò e bruciò al massimo il proprio cosmo, obbligando Ioria a fare altrettanto. Mi resta la forza per un solo colpo! Commentò, incrociando le braccia al petto. Che Zeus sia con me!

 

“Gorgo dell’Eridano!” –Urlò Phantom, scagliando il vortice energetico.

 

“E sia dunque! Che il Sacro Leo decida la mia sorte!” –Commentò amaramente Ioria, che avrebbe preferito evitare di confrontarsi con quel cosmo nobile, e per niente ostile, che aveva riconosciuto.

 

Il Cavaliere del Leone espanse il suo cosmo dorato fino ai limiti estremi, portando avanti le robuste braccia e contenendo, con grande sforzo, il gorgo energetico di Phantom.

 

“Che cosa?!” –Urlò il Luogotenente, stupito, mentre Ioria, invocando Atena, respingeva con tutta la sua forza il Gorgo dell’Eridano, rimandandolo indietro, contro il suo stesso creatore.

 

Phantom fu travolto e spinto in alto, mentre Ioria balzava su di lui liberando gli artigli del leone e trafiggendolo in numerose parti del corpo, frantumando la sua Armatura Divina. Il Luogotenente ricadde a terra con la faccia in una pozza di sangue, rantolando al suolo, prima di riuscire a voltarsi e a trascinarsi fino ad un lauro, al tronco del quale si appoggiò, affannando.

 

Ioria si avvicinò, chinandosi sul Cavaliere Celeste che tanto onore aveva dimostrato, continuando a combattere anche se ferito, per il senso di dovere che lo legava al Sommo Zeus.

 

“Se tu non fossi stato ferito, la battaglia sarebbe andata diversamente!” –Commentò.

 

“Non avrei comunque avuto le tue motivazioni...” –Affermò Phantom, toccandosi la spalla dolorante. –“Hai combattuto con coraggio, degno dell’ardente segno che rappresenti, Leone d’Oro! Spero che colei che ti stai apprestando a salvare sia degna di ricevere tali attenzioni!”

 

A quelle parole, Ioria si rinvenne, ricordandosi del motivo che lo aveva spinto ad abbandonare il gruppo.

 

“Castalia...” – Mormorò, e quelle parole non sfuggirono a Phantom. –“Sto cercando la Sacerdotessa dell’Aquila! Ho sentito il suo cosmo in pericolo e sono corso avanti per portarle aiuto!”

 

Castalia…” –Sussurrò Phantom. –“Si trova nel Tempio di Zeus, in un padiglione laterale adibito a Reggia di Morfeo, il Dio dei Sogni! Ma non riuscirai ad arrivare fin là da solo!” –Aggiunse il Luogotenente, cercando di rialzarsi. Non ci riuscì e cadde nuovamente a terra dolorante.

 

Ioria sfiorò con la mano la spalla sanguinante di Phantom, mentre tutto il suo corpo veniva ricoperto di una lucente aura dorata. In breve l’espressione di dolore sul volto di Phantom diminuì, sentendosi riscaldato, leggermente ritemprato.

 

“Adesso devo andare!” –Si limitò a commentare Ioria, alzandosi.

 

“Aspetta!” –Lo intimò Phantom, togliendosi una collana che portava. –“Prendi questo talismano, ti sarà utile per entrare nel Tempio di Zeus! È un dono di Demetra, Dea della Coltivazione, e permette a chi lo indossa di nascondersi agli occhi degli altri, mimetizzandosi con l’ambiente circostante!”

 

Ioria esitò un momento, indeciso se accettarlo o meno. Infine lo prese, ringraziando il Cavaliere Celeste e mettendolo al collo. –“Perché non l’hai usato durante il combattimento? Con questo avresti sicuramente potuto battermi!”

 

“Non sarebbe stato da Cavalieri!” –Si limitò a commentare Phantom, accennando un vago sorriso – “Ora vai! E salva Castalia, anche per me!”

 

Ioria non aggiunse altro, voltandosi verso monte. In un lampo di luce sfrecciò via, tra gli alberi del bosco, prima di raggiungere il Cancello del Fulmine e mettere alla prova il talismano di Phantom.

 

Nel frattempo, mentre Ioria combatteva contro Phantom dell’Eridano, molti metri più in basso, alle pendici nascoste del Monte Olimpo, Pegasus vagava alla ricerca di una misteriosa entrata che gli permettesse di aggirare il Bianco Cancello, raggiungendo la Reggia di Zeus per un’altra strada.

 

C’è un’altra via! Trovala ragazzo! E libera la Giustizia, soffocata dai fulmini di un oscuro despota! Le parole del vecchio pastore rimbalzavano ancora nella sua mente.

 

Il ragazzo, dopo essere svenuto in seguito allo scontro con Bronte del Tuono, si era risvegliato su un soffice letto di paglia, mentre un delicato odore di minestra raggiunse presto le sue narici. Stordito e sorpreso, Pegasus si sollevò, accorgendosi di trovarsi al riparo in una stanza, soffusamente illuminata, e non più nel prato di fronte al Bianco Cancello.

 

“Oh, ti sei svegliato finalmente!” –Sorrise una donna, spuntando nella stanza con una brocca d’acqua. La appoggiò sul tavolo e si sedette sul letto, accanto a lui.  –“Stavo venendo a controllare le tue ferite! Ho cercato di medicarle come potevo, sai, non sono una guaritrice, ma conosco metodi molto efficaci per lenire il dolore usando elementi vegetali!”

 

Gra... grazie…” – Balbettò Pegasus, domandandole chi fosse e dove si trovasse.

 

“Oh, che sciocca, dimenticavo che quando ti abbiamo portato qua eri svenuto! Il mio nome è Elena, e vivo con mio marito in questa poco prestigiosa casetta ai piedi dell’Olimpo! Siamo dei pastori e viviamo accudendo pecore e lavorando nei nostri campi! Abbiamo offerto il nostro aiuto ai tuoi compagni, combattuti se lasciarti di fronte al Bianco Cancello o prenderti con loro, portandoti qua per curarti!”

 

“Elena...” –Esclamò Pegasus, alzandosi in piedi. –“Ti ringrazio davvero per la tua generosità, e per la tua disponibilità.. e ti prego di ringraziare anche tuo marito…” – Ma la sua frase fu interrotta dall’apparizione nella stanza dell’uomo.

 

“Potrai farlo di persona, ragazzo! Mi chiamo Deucalione e sono il marito di Elena!” –Si presentò l’uomo, stringendo la mano di Pegasus con un gran sorriso.

 

“È un piacere conoscervi, Deucalione. Io… non so davvero come ringraziarvi…

 

“Non devi farlo, ragazzo! È stato un onore per noi! Abbiamo riconosciuto subito le tue vestigia, quelle di un Cavaliere di Atena! E abbiamo intuito che foste venuti per liberare la vostra Dea, fatta prigioniera lo scorso pomeriggio!”

 

“Voi sapete?” –Domandò Pegasus, mentre anche Elena si alzava, affiancandosi al marito.

 

I due si guardarono un attimo, e poi fu la donna a ricominciare a parlare.

 

“Nostro figlio è uno dei Cavalieri Celesti! Ha ottenuto l’investitura direttamente da Zeus molti anni fa e periodicamente viene a farci visita, l’ultima delle quali proprio ieri pomeriggio. È stato lui a informarci dell’evento, ma si è trattenuto poco, essendo impegnato in missione per conto del Sommo! Un compito ingrato, lo ha definito, ma al quale non poteva non prendere parte! Non so di cosa si trattasse ma doveva essere qualcosa di spiacevole se mio figlio, uno dei più grandi ammiratori del Dio dell’Olimpo, è arrivato a dire una cosa simile!”

 

“Zeus ha imprigionato Atena, e noi dobbiamo liberarla!” –Esclamò Pegasus, con decisione. –“Devo raggiungere i miei compagni sull’Olimpo! Hanno bisogno di me!”

 

“Fai attenzione ragazzo!” –Precisò l’uomo. –“Nostro figlio ci ha avvertito che tira una brutta aria sul Sacro Monte! Zeus non è più il caro vecchio Signore del Mondo Antico, disposto ad accogliere ospiti alla sua tavola! No, adesso è diventato il Signore della Guerra! Qualcosa di oscuro deve essersi annidato nel suo animo, qualcosa su cui forse neppure lui ha il potere di intervenire!”

 

“Verremo a capo anche di questo mistero! Adesso la cosa importante è raggiungere Atena! Vi ringrazio per la vostra generosità, e mi auguro che non abbiate a dovervene pentire in seguito!”

 

“Non temiamo rappresaglie! Stai tranquillo, Cavaliere di Atena!” –Lo rassicurò la donna. –“Per quanto strano possa sembrare, come genitori di un Cavaliere Celeste, siamo sotto la diretta protezione di Zeus, e nessuno potrà mai levare la mano contro di noi!”

 

Pegasus baciò entrambi, prima di uscire dalla casa. Era notte fonda, ma il cielo non brillava di stelle, bensì di una cupa luce che misteriosamente filtrava da una fitta cappa di oscure nubi.

 

“Tu credi che ci sia un’unica strada per raggiungere l’Olimpo!” –Sussurrò Deucalione. –“Un’unica via che dal Bianco Cancello porta fino al Cancello del Fulmine, percorrendo boschi e foreste, passando per i Templi delle varie Divinità, prima di giungere alla Reggia di Zeus!”

 

“Non è forse così?”

 

“È così, ma non è l’unica!” –E le sue parole furono quasi un sussurro. –“C’è un’altra via, molto più nascosta e inaccessibile, ma altrettanto difficile da percorrere! Una via che scorre all’interno del Monte Olimpo, scavandolo dalle fondamenta fino alla cima!”

 

“Realmente?!”

 

“Mio marito ha ragione. Fu nostro figlio a parlarcene una volta, raccomandandoci la massima riservatezza!” –Intervenne Elena. –“Non sappiamo dove sia l’ingresso, probabilmente in uno dei tanti anfratti alla base del Sacro Monte! Ma se tu riuscissi a trovarlo, potresti arrivare direttamente alla Reggia di Zeus, evitando le insidie dei Templi Divini e, forse, sorprendendo lo stesso Zeus!”

 

Pegasus rifletté un attimo sulla cosa, prima di convincersi che la via segreta, se esisteva realmente, doveva essere molto meno controllata del sentiero principale. Concentrò i propri sensi, cercando di raggiungere i cosmi degli amici che combattevano sull’Olimpo, ma non riuscì a distinguerli, percependo solo emanazioni sparse sull’intero monte.

 

I miei compagni combattono anche per me! Commentò, stringendo i pugni. Devo raggiungere la Torre Bianca quanto prima, e liberare Atena! Ringraziò i pastori e sfrecciò via, nella frizzante aria notturna, alla ricerca del passaggio segreto che avrebbe consentito di giungere direttamente fino alla cima dell’Olimpo. L’ultima domanda che pose loro fu una curiosità personale.

 

“Chi è vostro figlio?”

 

“È il Luogotenente dell’Olimpo, lo chiamano Phantom dell’Eridano Celeste!” –Rispose Elena, con le lacrime agli occhi, preoccupata come non mai per le sorti del suo figlio maggiore.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 33
*** Folle lotta ***


CAPITOLO TRENTADUESIMO. FOLLE LOTTA.

 

Andromeda seguì Pan, Dio delle Greggi e delle Selve, che lo aveva afferrato per mano e trascinato nel cuore del bosco, continuando a suonare il suo flauto di canne, saltellando allegramente. Il Dio caprino lo aveva pregato di andargli dietro, essendo desiderio del suo Signore incontrarsi con lui.

 

“Chi è il tuo Signore?” –Aveva domandato Andromeda, lasciandosi trascinare da Pan. –“Zeus?”

 

“Oh no! Zeus è il Signore di tutto, qua sull’Olimpo! Ma il Dio a cui appartengo e a cui sono devoto è un altro, uno dei figli che Zeus ebbe dalle diverse spose divine! Beh, per la verità il suo parto fu molto, molto particolare!” –Aveva ridacchiato Pan, continuando a trascinare Andromeda.

 

La strana coppia si era lasciata alle spalle la Foresta di Artemide, costeggiando un ampio bosco di lauri che correva alla loro destra, descritto da Pan come il bosco dietro al Tempio del Sole, antica residenza del Dio Apollo. Ci stiamo allontanando dalla Via Principale! Commentò Andromeda, cercando di orientarsi alla meno peggio. E infatti il luogo in cui Pan stava conducendo il ragazzo si trovava al limite occidentale dell’Olimpo, proprio a ridosso di un ampio rilievo che costituiva la vera cima del Sacro Monte, sulla quale sorgeva la Reggia di Zeus.

 

Ben presto il bosco iniziò a diradare, lasciando il posto ad ampi filari di vite, lavorati abilmente e con sistematicità, al punto da stupire Andromeda per la grandezza di quelle coltivazioni, che sembravano immensi archi che puntavano verso il cielo grigio. In mezzo ai filari di vite trottavano allegramente strani esseri simili a Pan, dall’aspetto caprino; alcuni di loro coglievano l’uva matura, mentre altri si sollazzavano al suolo, rotolandosi sul terreno e gustando i frutti appena raccolti, in compagnia di prosperose fanciulle, vestite soltanto con pelli di animali e cinte di edera.

 

“Quelle sono le baccanti, le donne che praticano il culto di Dioniso!” –Le presentò Pan, salutando qualcuna di loro, che risposero con un sorriso gaio. –“Mentre i mezz’uomini in loro compagnia, se così possiamo definirci, sono i satiri!”

 

Dioniso…” –Disse Andromeda, realizzando chi fosse la Divinità che aveva chiesto di incontrarlo.

 

“Lo vedrai tra poco! Guarda!” –Esclamò Pan, indicando avanti.

 

Il terreno digradava leggermente, fino a condurre a un bacino di acqua lacustre, dove alcune menadi si bagnavano nude, scherzando sotto l’acqua che cadeva dalla roccia sopra di loro, una cascata naturale che contribuiva a potenziare l’atmosfera mitica di quel luogo senza tempo. Incredibile! Disse Andromeda, guardandosi intorno. Sembra che qua il tempo non scorra, che non abbia importanza! Vendemmia in primavera! Uomini e donne sempre giovani! È il paradiso terrestre!

 

“Pan! Finalmente sei tornato!” –Esclamò una decisa voce maschile.

 

Andromeda si voltò e finalmente si trovò di fronte al virgulto Dio della Natura Selvaggia, del Vino e dell’Ebbrezza, Dioniso, figlio di Zeus e Semele, che morì partorendolo e dal cui corpo fu estratto dal padre. Il Dio si presentò indossando una leggera, quanto semplice, tunica biancastra, fermata in vita da una cintura di foglie di vite, la quale era molto larga e lunga, al punto da strusciare in terra. Fisicamente non era molto alto, di aspetto tozzo e paffuto, con un viso tondo e guance rosse, al centro del quale spuntavano due occhi verdastri. Spettinati capelli marroni spuntavano dalla corona vegetale che portava sul capo, formata intrecciando foglie di vite e grappoli di uva.

 

Dietro di lui venivano una decina di baccanti e di satiri, che tenevano disordinatamente il lungo mantello rossastro del Dio, e canticchiavano strofe di qualche poema sconcio.

 

“Tacete, voi!” – Li zittì Dioniso, prima di incamminarsi verso il suo trono. Un panchetto ricoperto di velluto sul quale il Dio si distese, mentre alcune baccanti gli porgevano profumati grappoli di uva appena colta. –“Dunque sei tu, il Cavaliere di Andromeda!” –“Commentò infine, rivolgendosi al ragazzo, sempre più straniato nel trovarsi in una situazione simile. –“L’uomo che è riuscito a rigettare Ade dal suo corpo, grazie all’aiuto divino di Atena!”

 

“Sì, Dio dell’Ebbrezza, sono io, Andromeda!”

 

“Bravo ragazzo!” –Si complimentò il Dio, mordicchiando alcuni acini d’uva. –“Hai fatto bene, sai? Ade non mi è mai piaciuto tanto. Per quanto sia il fratello del Sommo Zeus, nonché del mio creatore, Ade mi riesce veramente difficile capirlo! Distruggere la Terra, isterilendola, creando un secondo Inferno?! Follie!!!” –Tuonò, cambiando l’espressione del suo volto, che si fece irata, prima di rabbonirsi nuovamente. –“Distruggere i verdeggianti campi coltivati, capaci di offrire molto più di quanto un Dio possa creare?! Follia! E ti assicuro che di follia me ne intendo!”

 

Andromeda ascoltava con interesse, ma anche con un certo timore, preoccupato per quei continui sbalzi di umore, sperando che Dioniso si rivelasse un alleato o comunque non un ostacolo nella sua scalata all’Olimpo.

 

“Pensa che nelle ore in cui Ade scatenò la Grande Eclissi, i miei raccolti hanno rischiato di non produrre le abbondanti messi che invece mi hanno offerto! Tutto merito del mio Divino Cosmo!”

 

“Divino Dioniso!” –Si fece coraggio Andromeda. –“Sapete che Atena è stata imprigionata da Zeus nella Torre Bianca, non è così?”

 

“Certamente! Chi non è stato informato di tale evento?!” –Ironizzò il Dio, continuando a mordicchiare un grappolo di uva, senza mostrare tropo interesse o soddisfazione per un tale fatto.

 

“Come suo Cavaliere, è mio preciso compito arrivare da Zeus e salvarla! Vi prego quindi di non opporre resistenza, in modo da permettermi di proseguire!”

 

“Resistenza?!” –Esclamò infine Dioniso, mettendosi a sedere. –“Ho forse manifestato resistenza?! Non ho forse inviato il mio fido Pan a recuperarti, salvandoti dalle pericolose insidie della Foresta di Artemide?”

 

“Non era mia intenzione offenderla, Divino Dioniso... semplicemente…

 

“Semplicemente?!” –Chiese il Dio, osservandolo di sottecchi, mentre Pan, in piedi accanto a loro, non osava fiatare.

 

“Semplicemente ho fretta. Mi preme salvare Atena quanto prima…

 

“Ah ah ah!” –Dioniso esplose in una folle risata. –“Se è solo questa la tua preoccupazione, caro ragazzo, allora considerala già risolta! Svelti!” –Esclamò, rivolgendosi ad alcune baccanti. –“Portate cibo e acqua per questo giovane! Che si rifocilli all’istante!”

 

“Non è il caso, Dio del Vino… Devo raggiungere la Reggia di Zeus quanto prima!”

 

“E la raggiungerai! Ma non in queste condizioni! Sei stanco e affamato, e devi nutrire il tuo corpo, o verrai sconfitto dai Cavalieri Celesti!”

 

Immediatamente un gruppo di baccanti imbandì un’elegante tavola nell’erba intorno, ponendovi invitanti piatti dall’aspetto ammaliante e brocche di acqua fresca e di vino, appena prodotto.

 

“Tieni!” –Esclamò Dioniso, porgendo una coppa dorata al giovane, e tenendone una per sé. –“Brinda con me, ragazzo! C’è un tempo per tutto, e verrà anche quello per salvare la tua Dea!”

 

Andromeda afferrò la coppa con una certa titubanza, e qualcosa in fondo al cuore gli disse che non avrebbe dovuto bere. Ma quel profumo era così intrigante, quell’odore era così invitante, che il ragazzo ne restò inebriato, quasi drogato, sotto effetto anche di quei misteriosi, ma ammalianti, aromi di cui l’aria era intrisa. Ne bastò un sorso, di quel vino drogato, per far barcollare Andromeda e farlo accasciare al suolo, davanti allo sguardo soddisfatto del Dio del Vino.

 

“C’è un tempo per tutto, ragazzo!” –Commentò Dioniso, scolando con un solo sorso la sua coppa e gettandola poi via. –“Anche per morire!”

 

Subito un gruppo di satiri circondò il corpo inerme di Andromeda, spogliandolo delle vestigia e degli abiti che indossava. Qualcuno di loro esclamò estasiato, desiderando possedere quel nobile metallo, quella corazza brillante e resistente, ma qualcun altro preferì possedere il corpo del giovane, vedendolo così naturale, così provocante, nella sua semplicistica nudità.

 

“Portatelo nel vigneto! Che il rito abbia inizio!” –Tuonò Dioniso.

 

I satiri sollevarono il corpo nudo di Andromeda, portandolo al centro del Vigneto Divino, dove un cerchio di donne e altri satiri li stava attendendo. Pan affiancò Dioniso, continuando a zufolare con il suo flauto a canne, ma il Dio, che non aveva voglia di scherzare, lo colpì con forza sulla bocca, spaccandogli il labbro e spingendolo a terra.

 

Improvvisamente il cerchio si aprì, lasciando entrare una processione di donne semi-nude, il cui volto era coperto da una maschera, che reggevano in mano il tirso, un bastone ricoperto da pelle di animali, in cima al quale spiccava una maschera, coronata da edera e pampini.

 

Ooh, mie menadi! Mie invasate!” –Urlò Dioniso, follemente attratto da quel rito, da quel culto in cui veniva fatto oggetto di venerazione, in un’ebbrezza infinita, a tratti mortale. –“Ecco Dioniso, ecco il Dio, prendetelo, e assaporatelo!”

 

Detto questo, ordinò ai satiri di lanciare il corpo inerme di Andromeda al centro dello spiazzo, mentre le menadi battevano con forza i loro bastoni a terra, prima di sollevarli al cielo, cantando inni di adorazione al Dio. In breve, Andromeda fu circondato da un buon numero di donne, in delirio dionisiaco, che si avvinghiarono con forza al suo corpo, per farlo proprio, come volevano che il Dio fosse per loro. E tutto intorno, nel vigneto e allo stagno, e nei boschi circostanti, satiri e menadi si univano tra di loro, in orgiastici riti in onore al Dio a cui la loro esistenza era votata.

 

Le mani confuse delle donne, travolte da un’irrefrenabile pazzia, correvano sul corpo di Andromeda, graffiandolo, stringendolo a sé, contendendoselo tra loro, anche con la forza. Soprattutto con la forza. Una donna morse il braccio di un’altra, prima di venir tirata indietro per i capelli e percossa, mentre Dioniso sogghignava, continuando a sorseggiare il delizioso nettare che gli veniva offerto, senza prestare troppa importanza a un leggero vento che aveva iniziato a soffiare, smuovendo i tralci di vite. Riscosso dal torpore in cui era precipitato, Andromeda riprese lentamente i sensi, cercando di comprendere cosa stesse accadendo, ma era ancora troppo drogato per reagire.

 

Aaa… Atena...” –Mormorò, provando a liberarsi dall’avvolgente presa delle donne intorno a lui.

 

Il vento si fece più impetuoso, smuovendo con forza i tralci di vite e facendo svolazzare gli abiti del Dio del Vino, che dovette appoggiarsi a un satiro per non cadere. Questo fu abbastanza per risvegliare completamente Andromeda.

 

Per quanto debole fosse, il ragazzo si sforzò di reagire, scansando le donne invasate, senza far loro del male, non volendo ferirle, ma si accorse presto di non riuscire a liberarsene. Più le scansava, più queste tornavano da lui, in una delirante caccia dei sensi. Andromeda capì allora che c’era un solo modo per allontanarle. Concentrò il cosmo, facendolo esplodere poco dopo e scaraventandole lontano, mentre la Divina Armatura di Andromeda apparve sopra di lui, ricoprendolo.

 

“Come osi?” –Tuonò il Dio del Vino, offeso per il rifiuto del giovane di prendere parte al culto sacro. –“Pagherai con la vita per questa insolenza!”

 

E scagliò un fascio energetico contro Andromeda che fu travolto e spinto indietro, fino a schiantarsi contro dei sostegni che reggevano la vigna, facendoli crollare. Le menadi e i satiri, spaventati e confusi, iniziarono a scappare urlando, nonostante il Dio dell’Ebbrezza ordinasse loro di non allontanarsi.

 

“Se le donne che ti ho inviato, per procurarti piacere, non sono state di tuo gradimento… forse lo saranno questi uomini!” –Urlò Dioniso, mentre una quindicina di uomini raggiungeva il cerchio.

 

Costoro erano alti e ben fatti, rivestiti soltanto da una cintura di pelle animale che copriva loro il basso bacino, e avevano il volto coperto da una maschera scura, alla quale erano fissate delle corna, da cui il nome con cui Dioniso li aveva battezzati, i suoi Guerrieri Caprini. Mentre Andromeda si rimetteva in piedi, ancora frastornato, vide arrivare il mucchio di guerrieri contro di lui, alcuni brandendo lame, altri delle fruste, ma tutti intenzionati a ucciderlo. Il ragazzo evitò un paio di affondi e poi, resosi conto che il loro agire era completamente manovrato dall’ebbrezza di Dioniso, decise di reagire, seppur a malincuore. Liberò la Catena di Andromeda e la lanciò avanti, disarmando la maggioranza dei Guerrieri Caprini e travolgendo gli altri, che caddero a terra feriti.

 

“Rialzatevi!” –Tuonò Dioniso. –“Rialzatevi e uccidete l’uomo che ha offeso il nostro culto!”

 

Quasi spinti da un’arcana forza, gli uomini si rimisero in piedi, avventandosi nuovamente contro Andromeda, il quale ancora una volta si difese con la catena, scagliandoli indietro. Ma ogni volta che li vedeva rialzarsi, nudi e grondanti sangue, provava un immenso dispiacere nel doverli colpire.

 

“Dioniso!” –Mormorò il ragazzo. –“Devo arrivare a lui! È lui che ha ubriacato l’anima di costoro!”

 

Evitando l’affondo della lama di un Guerriero Caprino, Andromeda balzò in alto, usando la catena e arrotolandola ai sostegni rimasti del vigneto. Con rapidità scavalcò i guerrieri, venendo colpito alle gambe di struscio, e si buttò su Dioniso, che lo fissava compiaciuto. Ma non riuscì a raggiungerlo, in quanto il Dio afferrò una manciata di menadi e se le mise davanti, usandole come scudo umano, e osservando, senza dispiacere alcuno, la Catena di Andromeda lacerare i loro corpi.

 

“Maledizione!” –Urlò Andromeda, atterrando di fronte al Dio, mentre i corpi sanguinanti delle menadi si accasciavano al suolo. –“Dioniso! Combatti con me!”

 

“Mai!” –Tuonò questi, concentrando il cosmo sulla mano e sopraffacendo le difese di Andromeda.

 

Il ragazzo ricadde nuovamente a terra, mentre mucchi confusi di Guerrieri Caprini e di menadi si buttarono su di lui, sospinti dalla Divina Ebbrezza di Dioniso, il quale, convinto ormai della vittoria, voltò loro le spalle e si incamminò, sbronzo, verso lo stagno.

 

In quel momento una nuova folata di vento soffiò impetuosamente, agitando le calme acque del laghetto e sollevando la veste biancastra del Dio, che fu costretto ad appoggiarsi a un traliccio per non cadere. Una seconda folata, dalla forza simile a quella di una tromba d’aria, si abbatté quindi su di lui, travolgendolo e scaraventandolo in alto, fino a farlo precipitare nelle acque dello stagno. Andromeda si liberò dei Guerrieri Caprini e delle menadi facendo esplodere il proprio cosmo, mentre le veloci rotazioni della catena, disposta intorno a lui a forma circolare, impedivano agli invasati uomini di avvicinarsi nuovamente.

 

Ma anche a me di uscire! Commentò, riflettendo preoccupato. Non lo avrebbero lasciato passare, quello era chiaro! Per quanto la loro volontà  fosse annebbiata dai vapori dell’alcol e dal cosmo di Dioniso, quei guerrieri e quelle donne sarebbero morti pur di trattenere il Cavaliere di Atena.

 

Improvvisamente furono tutti spazzati via da una violenta tempesta che si abbatté sul vigneto, risparmiando incredibilmente Andromeda, che si trovava al centro dello spiazzo. Indebolito e in parte drogato, il ragazzo fu quasi sul punto di lasciarsi cadere a terra, quando gli parve di vedere una mano, ricoperta da una scintillante armatura celeste, avvicinarsi al suo viso, incitandolo ad aggrapparsi ad essa. Non capì neppure lui come accadde, ma pochi istanti dopo si trovò in volo, sopra lo stagno, sopra i vigneti inebrianti di Dioniso, stretto al corpo di un Cavaliere il cui cosmo gli evocava sensazioni conosciute.

 

“Eccoci a terra!” –Esclamò una decisa voce maschile, depositando Andromeda in mezzo a un gruppo di alberi, un paio di chilometri a est delle terre stagnanti di Dioniso.

 

Andromeda tentò di rialzarsi, ma ancora troppo debole ricadde a terra, osservando la figura di fronte a sé. Un uomo alto e snello, con un bellissimo viso che emanava un’aura di antica saggezza, gli sorrideva con due occhi grigi e profondi. Indossava un’Armatura Celeste, molto accattivante, sulla cui schiena erano fissate due grandi ali azzurre, le stesse che gli avevano permesso di piombare dall’alto e salvarlo.

 

“Io... ti conosco! Tu sei Euro, Vento dell’Est, figlio della Dea dell’Aurora!”

 

“E tu, se la mia memoria non fa scherzi, dovresti essere il Cavaliere di Andromeda!”

 

“Cosa fai qua? E perché mi hai salvato?” –Domandò Andromeda, stordito dal suo comportamento.

 

“Avresti preferito rimanere prigioniero di quel pazzo?” –Ironizzò Euro, mentre Andromeda si rimetteva in piedi. –“Sono rimasto finora con Titone, per consolare il suo cuore addolorato dalla morte di mia madre! Povero vecchio… Per quanto sia sempre stato cosciente dell’abisso che c’era tra loro, un mortale e una Dea, quell’uomo l’ha sempre amata, per tutti questi millenni, come la prima volta in cui lei l’aveva visto, a Troia! Credo che il suo vecchio cuore non resisterà a lungo, e se anche fosse risparmiato da questa guerra, la morte lo coglierà comunque!”

 

“Credevo fosse immortale…” –Mormorò Andromeda.

 

“Lo è, fisicamente! Ma cosa resta dell’anima di un uomo quando la donna che ha dato un senso alla sua intera esistenza se n’è andata?” –Sospirò Euro. –“Titone è morto con lei!”

 

Dopo un momento di pausa, Andromeda chiese a Euro se non temesse la collera di Zeus.

 

“Non ho motivo di temerla! Stavo lasciando l’Olimpo in questo momento, quando ho sentito un cosmo in difficoltà nel Vigneto di Dioniso e, giunto sull’altura sovrastante, ti ho riconosciuto, in difficoltà contro i Guerrieri Caprini! Adesso continuerò il mio viaggio... tornerò in Tracia, dove deporrò la salma di mia madre dando degna sepoltura al suo vecchio, ma sempre splendido, corpo!”

 

“Non combatterai dunque?”

 

“Questa guerra non mi appartiene!” –Rispose Euro, spalancando le azzurre ali della Veste Divina. –“E, in tutta onestà, credo che non appartenga neppure a Zeus!”

 

Sbatté le ali e si sollevò da terra, mentre il suo corpo veniva ricoperto da una celeste aura. Un’aura che, Andromeda poté percepirlo, aveva la stessa intensità di quella di sua madre, Dea dell’Aurora.

 

Inoltre…” –Aggiunse, ironicamente. –“Di cosa dovrebbe accusarmi? Di averti salvato la vita?! Ah ah!” –Ridacchiò Euro, ma a Andromeda parve di cogliere una vena di malinconia nella sua voce. –“Non credo che vivrai ancora a lungo, se continuerai questa scalata!”

 

“Ma devo farlo! Per salvare Atena! E garantire la libertà agli uomini della Terra!”

 

Euro, in volo sopra di lui, osservò Andromeda negli occhi per qualche interminabile secondo. E dentro sé si convinse di aver fatto la scelta giusta. ! Commentò, ricordando la prima impressione che aveva avuto su lui e Pegasus. Esistono ancora eroi disposti a combattere per i propri ideali!

 

“Che le stelle ti assistano, Cavaliere di Atena!” –Sorrise, prima che lo scintillante bagliore del suo cosmo illuminasse l’intero spiazzo, obbligando Andromeda a tapparsi gli occhi con una mano.

 

Quando il ragazzo risollevò lo sguardo, Euro era scomparso, lasciandolo solo, ai margini settentrionali del bosco. Grazie! Sorrise Andromeda, prima di proseguire. Sentiva cosmi ardere non molto lontano da lui, cosmi che, per quanto gli sembrava impossibile, riteneva di aver già incontrato. Erano quelli dei Cavalieri d’Oro.

 

Mur, Scorpio e Virgo infatti, dopo essere riemersi dalle rovine del Tempio dell’Amore, e aver sconfitto a fatica il suo custode, si erano incamminati lungo la strada principale verso la Reggia di Zeus, giungendo fino al Tempio dei Mercanti. Fuori da esso avevano ritrovato un caro amico, che li aveva incitati a procedere oltre, verso il Cancello del Fulmine, l’ultima cintura difensiva prima di entrare nel giardino di Zeus. Là si sarebbe combattuta la battaglia finale, contro l’ultimo gruppo di Cavalieri Celesti posti a difesa del Signore dell’Olimpo.

 

Quando i tre Cavalieri d’Oro arrivarono di fronte al Cancello del Fulmine, trovarono i loro nemici già pronti per combattere, disposti in fila, uno accanto all’altro, ricoperti dalle loro scintillanti corazze divine, armati di spade, scudi e lance affilate.

 

Un uomo si fece loro incontro, ed essi intuirono fosse il comandante. Era alto, ma non quanto un Ciclope Celeste, e robusto, con un viso maschile, corti capelli neri e occhi scuri, che spuntavano su un viso abbronzato e segnato da una cicatrice sotto l’occhio destro, segno inequivocabile della sua lunga carriera di soldato. Indossava un’Armatura Celeste molto semplice, ma ben rifinita, con uno scudo rotondo fissato al braccio sinistro, di dimensioni inferiori a quello di Libra, e portava una spada fissata alla sua cintura. 

 

“È Giasone della Colchide il mio nome celeste, Cavaliere di Zeus!” –Esclamò l’uomo, mentre Mur, Scorpio e Virgo si fermavano di fronte a lui, quasi incantati da quella figura mitica. –“Fermatevi adesso, Cavalieri, e tornate indietro! È l’unico modo che avete per evitare la battaglia, e quindi la morte!”

 

“Cavaliere Celeste…” –Affermò Scorpio, per nulla intimorito. –“Sai bene anche tu che non è possibile! Abbiamo una missione da compiere, salvare Atena, e non rinunceremo certamente adesso, ad un passo dalle stanze di Zeus!”

 

“Era questa la risposta che temevo!” –Sussurrò Giasone, prima di sollevare il braccio destro. –“E allora… che guerra sia!!!”

 

Al suo cenno decine di Cavalieri Celesti spuntarono dagli alberi intorno, da dietro il Cancello e dalla cima del muro di cinta che correva intorno al giardino, incoccando archi e scagliando dardi luminosi contro i tre Cavalieri d’Oro.

 

Kaan!!!” –Urlò Virgo, con una determinazione tale da spaventare qualche nemico, che fece addirittura un passo indietro nel vedere l’esplosione di luce con la quale Virgo materializzò la sua dorata cupola difensiva.

 

All’interno della cupola di energia, Mur e Scorpio bruciarono i propri cosmi, il primo per aiutare Virgo a reggere quella barriera, il secondo per attaccare i nemici.

 

“Non possiamo più indietreggiare! Anche se le forze fisiche ci stanno abbandonando, c’è ancora bisogno di noi!” –Tuonò Scorpio, balzando fuori dalla cupola con il cosmo concentrato sull’indice destro. –“Cuspide Scarlatta!” –Esclamò, sprigionando il deciso raggio energetico che diresse contro le incandescenti frecce dei Cavalieri Celesti.

 

I dardi furono distrutti e respinti e qualche Cavaliere fu colpito di striscio, ma anche Scorpio presto si trovò esposto ai colpi energetici dei difensori dell’Olimpo, venendo travolto e spinto indietro.

 

Mentre un gruppo di Cavalieri Celesti stava per avventarsi su di lui, Mur e Virgo si fecero avanti, scagliando il Sacro Ariete e l’Abbandono dell’Oriente, travolgendo i nemici, ma subito ne arrivarono di nuovi, in un continuo accanimento che presto tinse di sangue l’intero piazzale antistante il Cancello del Fulmine.

 

Giasone incoccò una lancia e scattò avanti, caricandola dell’energia del suo cosmo, prima di scagliarla contro Scorpio, che riuscì ad evitarla per un soffio, mentre essa si piantava tra le sue gambe facendo esplodere il terreno. Il contraccolpo spinse il Cavaliere indietro, esponendolo nuovamente all’assalto dei suoi nemici. Ma Scorpio non si arrese, concentrando il cosmo sotto forma di sfera incandescente tra le mani e scagliandola avanti, contro Giasone stesso.

 

“Cometa di Antares!!!” –Urlò, liberando la rossa sfera.

 

“Difendimi, Scudo della Colchide!” –Esclamò Giasone.

 

La Cometa di Antares si infranse sullo scudo, spingendo indietro il Cavaliere e facendogli scavare solchi nel terreno con i piedi, ma non riuscì a romperlo, forte dell’antico potere che lo sorreggeva.

 

“Adesso è il mio turno!” –Esclamò Giasone. Ma non riuscì a lanciare il proprio attacco che fu costretto a saltare indietro, per evitare di essere travolto da saettanti catene che guizzarono improvvisamente contro di lui.

 

“Chi altri?!” –Domandò, osservando un Cavaliere dai capelli verdi, ricoperto da un’Armatura Divina, arrivare in soccorso ai tre Cavalieri d’Oro.

 

Il Cavaliere di Andromeda!” –Esclamò il ragazzo, roteando con forza le sue catene, a creare una barriera contro cui si infransero le frecce dei Cavalieri Celesti.

 

“Andromeda!!!” –Sorrisero i Cavalieri d’Oro.

 

“Dovrete spiegarmi molte cose, voi! Prima tra tutte, cosa fate qua?!” –Esclamò il ragazzo, con le lacrime agli occhi all’idea di vederli vivi e vegeti.

 

“Che ne dici di rimandare a dopo?” –Ironizzò Scorpio. –“Il tempo di eliminare questi insetti fastidiosi!”

 

“Vedi di non fare loro troppo male!” –Commentò Mur. –“In fondo stanno solo facendo il loro dovere!”

In quella Giasone sentì cosmi avvampare nel Giardino dei Sogni, dietro la residenza di Morfeo, a pochi passi dalla Reggia del Dio dell’Olimpo. Com’è possibile? Chi può combattere laggiù, così vicino al Sommo Zeus? Nessuno ha oltrepassato il Cancello del Fulmine! E strinse i denti con preoccupazione, sentendo cosmi di vasta entità scontrarsi tra di loro. Maledizione! Devo andare a controllare! Rifletté, ordinando ai Cavalieri Celesti di intensificare l’assalto.

 

“Piegate questi invasori!” –Urlò loro, dando le direttive finali, prima di saltare il Cancello del Fulmine e iniziare a correre lungo il sentiero, diretto verso il Giardino dei Sogni.

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 34
*** Uno scontro non voluto ***


CAPITOLO TRENTATREESIMO. UNO SCONTRO NON VOLUTO.

 

Ermes stava ancora conferendo con Afrodite ed Efesto, quando sentì il cosmo di un Cavaliere di Atena avvicinarsi. Si alzò da tavola, mentre gli ospiti facevano altrettanto, e indossò l’elmo a visiera della sua Armatura Celeste, raggiungendo l’ampia sala d’ingresso del Tempio dei Mercanti, tra la cui bianche colonne comparve presto Cristal il Cigno.

 

Il ragazzo aveva lasciato il Tempio dell’Amore su intimazione dei Cavalieri d’Oro, percorrendo la strada principale fino all’ultimo Tempio prima del Cancello del Fulmine, davanti al quale ci sarebbe stata la battaglia finale. Quando entrò nel Tempio un’aria di rilassatezza parve invaderlo, sentendo una grande quiete regnare in quelle quattro mura, e per un momento si illuse di non dover affrontare alcun nemico, essendo, tra l’altro, sempre debole per le ferite riportate nello scontro con Eros, per quanto Virgo avesse cercato di lenirle con il proprio cosmo. Davanti a lui si paravano tre personaggi sconosciuti, indossanti Vesti Divine, la cui emanazione cosmica era superiore a quella dei Cavalieri Celesti affrontati di fronte al Tempio dell’Amore. Devono essere tre Divinità! Commentò.

 

“Benvenuto al Tempio dei Mercanti, Cavaliere di Atena!” –Esclamò un uomo alto e snello, avvicinandosi. Indossava una celeste armatura, ornata di grandi ali azzurre fissate allo schienale, le stesse ali che Cristal notò, seppure in dimensioni assai ridotte, fissate ai suoi piedi. Emanava un’aria tranquilla, per niente aggressiva, ma dai suoi occhi grigi traspariva un’infinita malinconia, che per un momento fece sperare il Cavaliere del Cigno.

 

Ermes, Messaggero degli Dei, ti dà il benvenuto!”

 

“Ermes? Dunque sei tu che hai ingannato Atena, spingendola a venire sull’Olimpo?”

 

“Non ho ingannato nessuno, Cavaliere di Atena, tanto meno la tua Dea! L’inganno è una dote che non mi è propria! Io consegno i messaggi da parte del Sommo Zeus, le risposte ai quali sono una libera scelta dei destinatari!”

 

“Ma Atena è salita all’Olimpo per parlare con Zeus, e invece si è ritrovata sua prigioniera! Non è forse un inganno, questo?”

 

Ermes non rispose, concordando con le parole del Cavaliere del Cigno, deluso dal fallimento del negoziato tra Atena e Zeus, fallimento nel quale doveva sicuramente esserci lo zampino di Flegias.

 

“Quali sono le tue intenzioni, Cavaliere di Atena?”

 

“Domanda inutile la tua, Messaggero!” –Ironizzò Cristal. –“Arrivare alla Torre Bianca e liberare Atena e se per farlo dovrò combattere con te o con chiunque altro mi si porrà di fronte, allora prepara le tue difese, perché Cristal il Cigno non si tirerà indietro! Neppure di fronte a un Dio!”

 

“Neppure di fronte a tre Divinità?” –Commentò Efesto, affiancando Ermes, insieme ad Afrodite.

 

“E voi chi siete?” –Domandò Cristal, osservando i due personaggi.

 

Alla destra di Ermes un uomo robusto e gobbo camminava con difficoltà, ricoperto da scintillanti vestigia, decorate con lingue di fuoco, in un affascinante gioco di colori; sull’altro lato, una donna alta e ben fatta, con lunghi capelli castani che scivolavano sul suo corpo elegante, e uno sguardo ammiccante.

 

Efesto è il mio nome, Fabbro Olimpico!”

 

“E io sono Afrodite, Dea della Bellezza!”

 

“Fermatevi!” –Li esortò Ermes. –“Mia è la difesa del Tempio dei Mercanti e mio l’onere di combattere con il Cavaliere del Cigno! Se è questo ciò che egli desidera!”

 

“Preferirei evitare lo scontro, Ermes, ma devo raggiungere Atena, e se hai intenzione di opporti, allora mi obbligherai a combattere!”

 

Ti obbligherò a combattere?! Mormorò Ermes. Ragazzo mio, ho fatto quello che era in mio potere, come fidato consigliere del Sommo, per evitare questa guerra, questo inutile spreco di sangue! Ma pare che abbia fallito, e che anche su di me ricadano le colpe di questo massacro!

 

“E sia!” –Sospirò infine, mentre Efesto e Afrodite si scansavano. –“Vieni avanti, Cigno!” –La risposta di Cristal non si fece aspettare, scattando avanti con il pugno carico di fredda energia.

 

“Polvere di Diamanti!!!”

 

Ma Ermes si limitò a spostarsi di lato, sfruttando la velocità che gli era propria, evitando l’assalto e contrattaccando con una sfera incandescente che colpì Cristal in pieno petto, scaraventandolo indietro, fino a schiantarsi contro una delle colonne dell’ingresso del Tempio dei Mercanti.

 

“Fermati, Cavaliere del Cigno! Rinuncia a quest’inutile e scontato scontro! Non hai speranza alcuna di sconfiggere un Dio!” –Esclamò Ermes, osservando il ragazzo, il cui corpo era pieno di ferite, rialzarsi. –“Come dissi ad Atena e ai tuoi compagni, non siete obbligati a combattere! Il Sommo Zeus vi lascia liberi di scegliere, se rinunciare a combattere, liberandovi dalla tirannia della guerra e vivendo come semplici ragazzi, o se entrare nelle sue divine armate!”

 

“Questa è follia!” –Commentò Cristal, con rabbia. –“Quale Cavaliere rinuncerebbe a lottare, mentre la propria Dea soffre martiri indescrivibili, prigioniera di un despota che vorrebbe dominare la Terra? Quale Cavaliere abbandonerebbe gli amici, impegnati a lottare chissà dove, su questo mistico colle, dimenticando i sacrifici che sono stati fatti per arrivare fin qua? Nessun Cavaliere potrebbe farlo, anzi no, nessun uomo lo farebbe! Ed io, Cristal il Cigno, non abiurerò mai la mia fede nell’amicizia e nella giustizia!”

 

Detto questo, Cristal bruciò al massimo il proprio cosmo, muovendo le braccia come le ali di un bianco cigno, e sbattendo i pugni verso l’alto, mentre una sottile trama di ghiaccio iniziò a ricoprire l’intera stanza, stupendo persino Efesto e Afrodite, sbalorditi dal suo potere.

 

“Aurora del Nord! Colpisci!” –Tuonò, sbattendo i pugni uniti di fronte a lui. Ermes, per quanto veloce, non riuscì ad evitare l’assalto, che lo travolse in pieno, scaraventandolo indietro.

 

“Ermes!” –Urlò Afrodite, correndo ad aiutare il Dio a rialzarsi.

 

“Sto bene, non preoccuparti!” –Disse Ermes, rialzandosi. La Veste Divina lo aveva protetto dal gelo del Cigno, il quale, per lo sforzo, era crollato in ginocchio, ansando faticosamente. Ermes staccò il caduceo dalla cintura, portandosi di fronte a Cristal, ed osservandolo con aria dispiaciuta.

 

“Hai combattuto bene, Cristal il Cigno!” –Mormorò, sollevando la bacchetta verso di lui. – “Atena sarà fiera di te!” –Un luminoso raggio energetico sprizzò dal caduceo, diretto verso Cristal, ma non riuscì a raggiungerlo perché inaspettatamente un grande Scudo Dorato si pose davanti a lui.

 

“Uh? Due nuovi arrivi?” –Chiese Ermes, osservando i Cavalieri giunti per prestare aiuto al Cigno.

 

Dohko di Libra!” –Esclamò il Cavaliere d’Oro, abbassando lo Scudo Dorato.

 

“E Sirio il Dragone!” –Urlò grintoso Sirio, prima di aiutare Cristal a rialzarsi. –“Come stai, amico?”

 

“Sirio... sei venuto anche tu?!” –Sorrise Cristal.

 

“Potevo mancare?”

 

“Bene, sembra che l’occasione per affrontare i famosi Cavalieri di Atena sia infine giunta!” – Esclamò Afrodite, affiancando Ermes. –“Spero che non vorrai affrontarli tutti da solo!”

 

“Come preferisci, Dea della Bellezza!”

 

“Ermes!” –Lo chiamò improvvisamente Dohko.

 

I due uomini si fissarono per qualche interminabile secondo, senza dire niente, finché Ermes non sgranò gli occhi, riconoscendo il giovane che aveva di fronte.

 

“Sorpreso?!” –Ironizzò Dohko.

 

“Esterrefatto!”

 

“Conosci quell’uomo?” –Domandò Afrodite.

 

“Sì!” –Rispose Ermes, mentre un sorriso si dipingeva sul suo volto. Ma non volle aggiungere altro, limitandosi a sceglierlo come avversario.

 

“D’accordo! Io affronterò il biondino allora!” –Esclamò Efesto, sbattendo i propri pugni.

 

“E a me resta l’affascinante uomo dai lunghi capelli!” –Disse Afrodite, ponendosi di fronte a Sirio.

 

“Sono pronto!” –Esclamarono i tre Cavalieri di Atena, lanciandosi avanti.

 

Dohko diresse un rapido fascio energetico contro Ermes, che prontamente lo evitò, contrattaccando con il suo caduceo.

 

“Quello scudo non resisterà per sempre!” –Disse, osservando il raggio venir respinto nuovamente.

 

“Lo vedremo! Il fuoco di Muspellsheimr arde nelle mie vestigia!” –Esclamò Dohko baldanzoso.

 

E caricò il braccio destro del suo cosmo ardente, liberando il Colpo Segreto del Drago Nascente, che Ermes evitò saltando in alto e portandosi proprio di fronte a lui; lo colpì con un calcio in pieno viso, ma Dohko fu svelto a sollevare lo Scudo Dorato, per proteggersi, ma la violenza del colpo fu tale da spingerlo indietro, scaraventandolo fuori dal Tempio dei Mercanti.

 

Con un agile e veloce balzo, Ermes fu su di lui, scagliando decine e decine di sfere energetiche dall’alto, mentre Dohko rotolava svelto sul selciato per evitarle. Stufo di essere il soggetto passivo dell’azione, Dohko si rialzò di scatto, liberando nuovamente le fauci del drago di Cina, dirigendole contro Ermes, che le evitò, balzando a terra.

 

“Abile e scattante come sempre!” –Commentò il Dio. –“Nonostante siano passati duecentocinquanta anni!”

 

“Duecentoquarantaquattro per la precisione!”

 

“E sei ancora giovane come durante la Guerra Sacra!”

 

“Grazie al divino dono di Atena, il Misopethamenos!”

 

“Capisco!” –Si limitò ad osservare Ermes. –“Degno dono per un valoroso combattente come te!”

 

“Risparmiami le false lodi, Messaggero degli Dei! E alza le tue difese, per difenderti dalle zanne dei Cento Draghi!”

 

“Non sono false lodi le mie, Dohko di Libra! Ma provo per te la stessa ammirazione di un tempo!” –Commentò il Dio, ricordando il giorno del loro primo incontro.

 

Era un freddo pomeriggio dell’inverno del 1743, e Ermes stava sorvolando i confini sud-occidentali della Cina, inviato dal Sommo in ricognizione, dopo aver percepito strane emanazioni cosmiche provenire da quella zona. Atterrato su un altopiano roccioso, Ermes si guardò intorno, cercando di percepire qualcosa di oscuro in quelle immense montagne non ancora conquistate dall’uomo, quando fu attaccato a sorpresa da un gruppo di Cavalieri indossanti nere vestigia.

 

Spectre!” –Sibilò il Dio, mettendo mano al Caduceo. Con un raggio energetico ne eliminò ben quattro, ma il resto del gruppo si avventò su di lui, obbligandolo a far uso del suo supremo potere per liberarsene. Distratto da quella ciurma di basso rango, non si avvide di fili che scivolarono intorno al suo corpo, imprigionandolo.

 

“Che cosa?!” –Urlò, cercando di liberarsi.

 

“Dominio Cosmico!” –Sibilò un uomo, spuntando dietro di lui. Ed Ermes riconobbe il Giudice Infernale, Minosse del Grifone. Ma non ebbe il tempo di dire niente, che il suo corpo fu colpito da un’enorme sfera di energia che lo scaraventò lontano, ferendolo in parte.

 

“Castigo Infernale!!!” –Urlò un’altra voce, sbucando di fronte a lui.

 

Radamante...” – Sussurrò Ermes, bruciando al massimo il proprio cosmo per liberarsi dai fili. Ma non ci riuscì, precipitando in un sonno improvviso e innaturale. Minosse e Radamante si voltarono verso la figura che apparve alle loro spalle, avvolta da un’argentea emanazione cosmica.

 

“Portatelo al Tempio di Ade! Sarà un prezioso ostaggio nelle nostre mani, qualora a Zeus venga voglia di interferire con i piani di conquista del nostro Dio!” –Esclamò la voce, prima di sparire.

 

“Sì, Dio del Sonno!” –Si inginocchiarono Minosse e Radamante, prima di ordinare a qualche altro Spectre di sollevare l’addormentato corpo di Ermes e portarlo via.

 

La truppa dalle nere armature discese il fianco della montagna, dirigendosi verso un anfratto nascosto, dove Ermes sarebbe stato imprigionato. Radamante si complimentò con Hypnos, per la sottile arguzia dimostrata, e si convinse che quella volta Atena non avrebbe vinto. A Sire Ade andrà il dominio sull’intera Terra, sul nuovo Inferno che presto sorgerà!

 

Scesi duecento metri, i due Comandanti e i quattro Spectre che reggevano Ermes si fermarono per evitare una frana che stava per travolgerli. Distratti dalla valanga rocciosa, non si avvidero in tempo di fasci di luce che si diressero verso di loro. Tre degli Spectre caddero morti, facendo cascare il corpo assopito di Ermes al suolo, mentre il quarto fronteggiò con decisione il nuovo arrivato.

 

“Frusta del giudizio!” –Urlò lo Spectre, liberando la propria frusta. Ma questa non raggiunse il bersaglio, venendo afferrata da una dorata Barra Tripunte.

 

“Chi sei?” –Domandò infine Radamante, osservando un ragazzo di diciotto anni della vestigia splendenti che stava combattendo con Lune.

 

Dohko di Libra, Cavaliere d’Oro di Atena!” –Esclamò questi, liberando un luminoso Drago Nascente contro Lune, che fu travolto e scagliato lontano.

 

“Un Cavaliere di Atena?!” –Tuonò Radamante. –“Ti ucciderò personalmente!”

 

Ma Minosse lo anticipò, avvolgendo il Cavaliere con i suoi fili invisibili. Dohko si dimenò non poco, cercando di liberarsi dalla presa del Dominio Cosmico, bruciando il proprio scintillante cosmo. Riuscì ad afferrare una delle sue Spade Dorate, e con essa recise i legami che lo rendevano prigioniero, scagliando un violento fendente luminoso contro Minosse, che ne fu travolto.

 

“E ora a noi, Spectre!” –Tuonò Dohko, rivolgendosi a Radamante.

 

“Non aspettavo che te!” –Rispose Radamante. –“Castigo Infernale!” – Urlò, creando un’immensa sfera energetica che scagliò contro Dohko alla velocità della luce. Ma questa si scontrò a mezz’aria con il violento Colpo dei Cento Draghi, determinando una momentanea situazione di stallo. Dopo pochi minuti un nuovo cosmo ruppe l’equilibrio, unendosi a Dohko e travolgendo Radamante che fu scaraventato contro la parete rocciosa retrostante.

 

“Ermes!” –Esclamò Dohko, vedendo il Dio, rimessosi in piedi, sorridere dietro di lui.

 

“Le presentazioni a dopo, Cavaliere di Atena!” –Commentò questi, mentre una nuova armata di Spectre si stava avvicinando. In pochi secondi, Ermes e Dohko si dileguarono, rifugiandosi sulla cima di una montagna, dove poterono parlare per qualche minuto.

 

“Non avrai creduto di affrontare i 108 Spectre da solo?” –Ironizzò Ermes, ringraziando il ragazzo per l’aiuto prestatogli.

 

“Non era mia intenzione, Messaggero degli Dei! Stavo semplicemente pattugliando i confini del mio territorio, per ordine del Grande Sacerdote, quando ho assistito all’ignobile scena che vi ha reso prigioniero! Ed ho aspettato il momento propizio per intervenire!”

 

“Nobile cuore il tuo, Cavaliere di Atena! Possa la fiamma della vittoria splendere sempre sul tuo petto! Ma dimmi come ti chiami, cosicché io possa ricordare il nome di colui che mi salvò la vita!”

 

“Sono Dohko di Libra!” –Rispose il ragazzo. –“Cavaliere d’Oro della Bilancia!”

 

Duecentocinquanta anni dopo il ricordo di quel momento era ancora vivo nella mente del Messaggero degli Dei. E questo rendeva ancora più difficile per lui affrontare il Cavaliere di Atena.

 

Un fascio di luce lanciato da Dohko lo rubò ai suoi pensieri, costringendolo a scattare di lato e a scagliare decine di sfere incandescenti contro il suo avversario, lo stesso valoroso ragazzo che lo aveva salvato quel giorno dalle grinfie dei sicari di Ade. Dohko si difese con lo Scudo Dorato, prima di concentrare il cosmo, pronto per lanciare il suo massimo colpo.

 

“Zanne dei Cento Draghi!” –Urlò, portando entrambe le braccia avanti.

“Caduceo!” –Rispose Ermes, sprigionando un violento fascio energetico dalla sua bacchetta.

 

Entrambi furono travolti dal colpo dell’avversario e scaraventati indietro, ruzzolando sul selciato di fronte al Tempio dei Mercanti, dentro al quale altri due combattimenti erano in corso.

 

Cristal stava infatti affrontando Efesto, all’interno del Tempio, mentre poco distante Sirio fronteggiava Afrodite. Il Dio del Fuoco e della Metallurgia, per quanto non molto agile né scattante, aveva una capacità difensiva impressionante, riuscendo a contrastare gli attacchi congelanti di Cristal, lasciando che scivolassero sul proprio corpo, riparato dalla sua splendida Armatura Divina.

 

Incredibile! Mormorò Cristal, atterrando al suolo dopo aver tentato un nuovo attacco dall’alto. L’Aurora del Nord e la Polvere di Diamanti non hanno minimamente intaccato la superficie della sua corazza! Eppure erano portati allo Zero Assoluto, o a una temperatura di poco superiore!

 

“Ottimi i tuoi attacchi, Cavaliere del Cigno!” –Disse Efesto. –“Meriti davvero il titolo di Signore delle Energie Fredde! Ma insufficienti per congelare la mia corazza! Forgiata nelle fucine dell’Etna, la sua resistenza è andata aumentando in questi millenni, esposta continuamente al calore della lava, che ha rassodato la sua superficie, facendo sì che diventasse la più resistente tra le Vesti Divine!”

 

“Capisco!” –Commentò Cristal, rendendosi conto che sarebbe stato difficile persino per lui raggiungere una temperatura così bassa da poterla distruggere.

 

“Vediamo se hai difese potenti quanto i tuoi attacchi!” 

 

Cristal si sentì circondato dal calore dell’energia del Dio, un potere millenario rimasto sepolto nelle Fornaci Olimpiche e pronto per liberarsi in tutta la sua potenza.

 

“Lava Incandescente!” –Urlò Efesto, puntando entrambe le mani avanti e aprendo i palmi. Fiotti di magma si diressero verso Cristal, il quale tentò di difendersi creando un muro di ghiaccio, che subito evaporò, venendo poi travolto dall’incandescente lava di Efesto.

 

Aargh!!!” –Urlò Cristal, sentendo il calore sopraffarlo. –“Devo… reagire!”

 

“È inutile! Presto la lava si solidificherà, diventando un unico immenso ammasso di roccia, all’interno del quale sarà murato quel che resterà del tuo corpo ustionato!”

 

Cristal bruciò al massimo il proprio cosmo, forte di tutte le sfide impossibili che aveva combattuto nella sua vita. Mentre la lava iniziava a solidificare, fondendosi con il suo corpo, il Cigno Bianco investì l’intera massa incandescente con il suo potere gelante, riuscendo nella titanica impresa di ghiacciarla e poi frantumarla, di fronte agli occhi attoniti e sbigottiti di Efesto.

 

“Non è possibile!” – Esclamò il Dio, mente Cristal sollevava le braccia sopra di lui, unendole nella posa del colpo sacro dell’Acquario.

 

In nomine tuo Acquarius!!!” –Urlò, invocando il Cavaliere che tanto gli aveva insegnato.

 

La devastante energia racchiusa nell’Anfora Dorata fuoriuscì immediatamente, travolgendo Efesto, che tentò di difendersi con il magma incandescente. Lo scontro tra i due poteri fu devastante, scaraventando entrambi indietro, mentre buona parte del Tempio dei Mercanti crollava su di loro.

 

Sirio, dall’altro lato della sala, stava affrontando Afrodite, Dea della Bellezza, la quale fin dall’inizio aveva seguito una strategia diversa da quella delle Divinità sue pari, preferendo usare un’arma differente rispetto allo scontro fisico. Quella della bellezza, della seduzione mortale.

 

Muovendosi alla velocità della luce, la Dea giunse di fronte a Sirio, mostrandogli un anemone, un fiore del vento, e facendo sì che il ragazzo odorasse il suo profumo. Un taglio netto di Excalibur recise il fiore a metà, spingendo la Dea indietro, stupefatta per la rapidità di esecuzione del colpo.

 

“Cos’era?” –Domandò Sirio, osservando i resti del fiore violetto sparsi sul pavimento di marmo.

 

“Un dono! Un dono che volevo farti, Cavaliere!”

 

“Un dono?!”

 

“Liberarti dagli obblighi che tanto dolore creano in te, e permetterti di vivere liberamente, abbandonandoti all’amore vero! Quello che porti nel cuore!”

 

“Sarebbe bello, Dea della Bellezza!” –Commentò Sirio, con una punta di tristezza. –“Ma non è questo il tempo né il luogo! Forse, quando avremo liberato Atena, e convinto Zeus a desistere dai suoi progetti di dominio, allora, e solo allora, potrò sentirmi libero dalle mie responsabilità!”

 

“Davvero, Sirio?!” –Esclamò una soave voce.

 

Sirio sgranò gli occhi, balbettando parole confuse, trovandosi di fronte una ragazzina dal viso sbarazzino, lisci capelli neri, ornati da un delicato fiore.

 

“Fiore di Luna!” – Balbettò, riconoscendo la sua compagna.

 

Ooh Sirio!” – Esclamò Fiore di Luna, correndo verso di lui.

 

Il ragazzo, inizialmente, temendo un inganno da parte di Afrodite, non la abbracciò, lasciando cadere la ragazza a terra, ma questa iniziò a piangere, rialzandosi e fissandolo negli occhi.

 

“Sirio... perché? Perché non ami? Non vuoi stare con me?”

 

“Fiore di Luna...” –Sirio non sapeva cosa dire, confuso e stordito, mentre la ragazza tentava nuovamente di avvicinarsi.

 

Vittima dell’incantesimo di Afrodite, che mostrava ciò che realmente vorrebbe il cuore di un uomo, Sirio lentamente iniziò ad abbassare le sue difese, permettendo alla ragazza di stringersi a lui. Sirio le accarezzò i capelli, giocando con il fiore che aveva in capo, un anemone violetto, morbosamente attratto da esso, mentre la ragazza si stringeva a lui, con tutto il suo calore.

 

Per un momento, Sirio immaginò di non trovarsi più sull’Olimpo, ma ai Cinque Picchi, ad inseguire farfalle nei campi dietro la pagoda, a correre scalzi sull’erba bagnata di rugiada, insieme alla sua adorata Fiore di Luna, l’unica famiglia che aveva mai avuto, ad eccezione dei suoi amici.

 

Piccola Fiore di Luna! Dolce consolazione dei miei affanni, presenza fissa della mia vita, capace di non farmi mai mancare un sorriso, una carezza, un gesto d’affetto! Rifletté Sirio, accorgendosi di camminare mano nella mano con lei sul pinnacolo roccioso, di fronte alla cascata dei Cinque Picchi, in una notte di luna piena. Una notte di primavera in cui i due ragazzi si erano abbandonati alla passione, unendosi sotto le stelle di Cina, in un momento che sarebbe rimasto con loro per sempre.

 

“Ti amo, Sirio!” –Mormorò Fiore di Luna, accostando le labbra all’orecchio del ragazzo. E Sirio non sapeva più se quella voce proveniva dal passato o dal presente. Ma in fondo, si disse, non era importante, in quanto era ciò che voleva sentirsi dire. Ciò che anche lui provava per lei.

 

“Unisciti a me, Sirio, come in quella notte stellata!” –Sussurrò Fiore di Luna, iniziando a baciarlo sul viso, mentre le sue mani sfioravano la schiena del ragazzo. –“Dedicati a me, per una volta! Concedimi il diritto di amarti e di stare con te, felici e insieme!”

 

In quel momento le labbra di Fiore di Luna si appoggiarono a quelle del ragazzo, che socchiuse gli occhi poco dopo, abbandonandosi a quel momento di pace dei sensi. Una violenta esplosione lo fece sobbalzare improvvisamente, e a Sirio sembrò che l’intera vallata dei Cinque Picchi tremasse, senza capirne il motivo. Un vento gelido iniziò a soffiare poco dopo, cancellando la visione del ragazzo, e facendo scomparire quell’incantevole, quanto illusoria, felicità.

 

Siriooooo!!!” –Urlò Fiore di Luna, precipitando nella cascata, mentre il ragazzo non poteva fare niente per fermarla.

 

Aaaaaah!” –Gridò improvvisamente Sirio, riaprendo gli occhi. E si ritrovò al Tempio dei Mercanti, steso sul pavimento di marmo, di fronte agli occhi attoniti di Afrodite.

 

“Che cosa non ha funzionato?” –Si chiese la Dea. –“Perché la visione è scomparsa?”

 

Sirio non disse niente, ansimando come se si fosse appena risvegliato da un incubo. Cercò di fare mente locale, ma i ricordi giungevano a sprazzi, confusi frammenti di un mosaico che era incapace di ricomporre.

 

“L’effetto dell’Anemone viola avrebbe dovuto portarti via dalla battaglia, imprigionarti in un limbo dove i tuoi sentimenti avrebbero trovato libero sfogo, per sempre! Come puoi essere di nuovo qua?” – Si domandò furiosa Afrodite. –“Non c’è dunque amore in te?”

 

“Ti sbagli, Dea della Bellezza! L’amore alberga nell’animo di Sirio, ma un amore che ha mille facce diverse e sa riconoscere la realtà dall’effimera vacuità del tutto!” –Commentò Sirio, riconoscendo l’esplosione che l’aveva risvegliato poc’anzi.

 

Era stato il cosmo di Cristal, scatenato nel lanciare il Sacro Acquarius. Il cosmo di un amico in difficoltà, impegnato a lottare per Atena, lo aveva liberato dall’illusoria visione, aprendo la via per un nuovo combattimento.

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 35
*** L'alleanza oscura ***


CAPITOLO TRENTAQUATTRESIMO. L’ALLEANZA OSCURA.

 

La Reggia di Zeus era avvolta da una tenebrosa cappa di nuvole, che rendeva difficile penetrare al proprio interno e percepire gli oscuri cosmi che vi si agitavano. Flegias, il Flagello degli Uomini, giunse nella Sala del Trono rivestito della sua armatura scarlatta, dai toni inquietanti, e armato della sua Spada Infuocata. Quella volta non c’era nessuno ad aprirgli la porta, essendo i tre Ciclopi Celesti caduti in battaglia e i Cavalieri e le Divinità superstiti impegnati in battaglia sull’Olimpo.

 

Issione era già arrivato, inginocchiato ai piedi della scalinata che conduceva al trono, rivestito della sua scura Veste, con le due scimitarre incrociate dietro la schiena, in perfetto assetto di guerra.

 

“Sangue cosparge le immacolate distese dell’Olimpo, tingendo di un rosso sublime i verdi campi dove gli Dei un tempo passeggiavano, sorseggiando ambrosia e ascoltando gli aedi cantare!” –Esclamò Flegias. –“Quella che un tempo era la residenza del Signore degli Dei, adesso è un campo di battaglia, il cui esito è ancora incerto!”

 

“E la cosa ti dispiace, mio fido Flegias?” –Domandò il Dio seduto sull’alto trono.

 

“Affatto!” –Sogghignò Flegias, mentre i suoi occhi neri avvampavano di sangue. –“Da ore i Cavalieri di Atena e i difensori dell’Olimpo si affrontano ininterrottamente, in un tumultuoso scontro di passioni e di violenza! Posso sentire le loro grida, i loro cosmi che avvampano come lingue di fuoco verso il cielo, la loro energia che sfrigola nell’aria, eccitando il mio io a dismisura!”

 

“Energia che cadrà tutta nelle nostre mani!” –Commentò il Dio.

 

“Ma i Cavalieri di Atena sono giunti al Cancello del Fulmine!” –Intervenne bruscamente Issione. – “Quando daremo loro l’assalto finale?”

 

“Giasone e gli ultimi Cavalieri Celesti si stanno occupando di quei miserabili!” –Commentò Flegias. –“Lascia che si uccidano tra di loro, favorendo ulteriormente la nostra vittoria finale!”

 

“E quando non ci saranno più Cavalieri Celesti, mio Signore? Chi difenderà l’Olimpo?” –Continuò Issione, incurante delle critiche di Flegias.

 

“Quando non ci saranno più Cavalieri Celesti, non ci saranno neppure più Cavalieri di Atena! E, in caso contrario, disporremo di un’energia talmente grande da disintegrare ogni loro proposito semplicemente con la forza di un dito!” – Esclamò Flegias, inebriato dal sapore della vittoria.

 

“Se Hel non avesse fallito, avremmo avuto meno nemici da affrontare…” –Commentò Issione, con una certa preoccupazione. –“I Cavalieri d’Oro sono forti e potenti, dei validi rinforzi…

 

“Non denigrate la Signora del Niflheimr!” –Sibilò una voce, proveniente dall’ombra.

 

Issione e Flegias si voltarono verso destra, osservando un’alta figura, ammantata da uno scuro mantello, spuntare da dietro una colonna e incamminarsi verso di loro, di fronte al soddisfatto sguardo del Signore degli Dei, che poco prima lo aveva ricevuto. Loki, Dio nordico dell’Inganno.

 

Loki?! Tu qui?!” –Esclamò Issione, sgranando gli occhi.

 

“Non dimenticatevi che l’alleanza oscura è anche merito mio!” –Sussurrò il Dio del Nord. –“Mio e delle trame che ho saputo ordire, su suggerimento di Flegias!”

 

“Trame che si stanno però rivelando un fallimento! I Cavalieri d’Oro sono stati liberati e adesso marciano alla volta della Reggia di Zeus, facendo strage di Cavalieri Celesti!” – Precisò Issione.

 

“Ed è questo un problema?” –Sogghignò Loki. –“Non credevo che la sorte dei Cavalieri di Zeus vi stesse a cuore...”

 

Issione non rispose, non comprendendo l’atteggiamento del Dio dell’Inganno, né soprattutto quello del Signore degli Dei. Com’era possibile che fosse così impassibile da non pronunciare parola alcuna per la sorte dei suoi Cavalieri Celesti, dei Difensori dell’Olimpo che lui stesso aveva scelto?

 

“Non è il caso di litigare tra di noi!” – Intervenne l’imperiosa voce del Dio seduto sul trono. –“Hel ha fatto quanto le avevamo ordinato! Ha catturato i Cavalieri d’Oro, impedendo loro di tornare dal limbo da cui lentamente, grazie ai poteri congiunti di Virgo e Ariete, sarebbero usciti e li ha imprigionati nelle prigioni di Helgaror, con lo scopo di farne Guerrieri di Ghiaccio! Progetto che, purtroppo, non è riuscita a portare a termine, in quanto ostacolata dall’assalto di Odino!”

 

“I Ciclopi Celesti avrebbero dovuto massacrare Cristal a Midgard, impedendogli di raggiungere la Corte di Odino!” –Esclamò Issione, rabbioso.

 

“Ma nessuno poteva prevedere che Odino in persona sarebbe sceso in campo, sfidando la profezia delle Norne!” –Commentò Loki.

 

“Se tua figlia non avesse rapito Balder, Odino non sarebbe intervenuto e la missione di Cristal sarebbe fallita!”

 

“Ci sono anche altri obiettivi da perseguire, figlio di Ares!” –Sibilò Loki, il cui volto continuava a rimanere nascosto dal cappuccio del mantello. –“Aspettavamo da secoli l’occasione per rapire Balder, indipendentemente dalle trame tessute con voi, greci alleati!”

 

Loki ha ragione, Issione!” –Parlò il Signore degli Dei. –“Certe occasioni, quando si presentano, devono essere sfruttate al meglio, uniche nel loro genere! Se tu avessi la possibilità di sedere sul più alto trono del mondo, non la sfrutteresti, qualunque mezzo sia richiesto per un simile atto?!”

 

“In ogni caso…” -Continuò Flegias. –“Non tutto il male viene per nuocere. I Cavalieri di Atena hanno eliminato Eros e i Ciclopi Celesti, e adesso combattono al Tempio dei Mercanti!”

 

“Quei maledetti!” –Sibilò Issione. –“Voglio le loro teste!”

 

“Le avremo!” –Lo zittì il Padre degli Dei. –“Ma prima ho un altro compito da affidarti, Issione!” –Il figlio di Ares rimase in silenzio, ad ascoltare l’insolita richiesta del Dio dell’Olimpo. Per un momento fu quasi tentato di rifiutare, per paura di perdere un potenziale sostegno nella sua corsa al trono Olimpico, ma alla fine accettò, accomiatandosi poco dopo. –“Quanti ancora resistono su questo Sacro Monte?”

 

“Un infimo numero, rispetto alle nostre forze!” –Sibilò Flegias. –“Li prenderemo di sorpresa, e li uccideremo tutti!”

 

“Così sia!” –Esclamò il potente Dio, alzandosi in piedi.

 

In quel momento due potenti emanazioni cosmiche arrivarono nella Sala del Trono, dal colore scarlatto e violetto, che assunsero presto la forma di due Cavalieri, ricoperti da un’Armatura di Divina fattura, simile tra loro, e inquietante nell’aspetto, dotata di una lunga e infuocata spada.

 

Flegias non fu troppo sorpreso nel ritrovare i due fratellastri mitologici sogghignare malignamente, prima che il Signore dell’Olimpo, dall’alto del suo celeste trono, desse loro l’ordine finale.

 

“Uccidete tutte le Divinità! E portatemi il loro potere, cosicché io possa nutrirmi!” –Esclamò, mentre Flegias e gli altri due guerrieri si inginocchiarono, dichiarandosi pronti all’ultima battaglia.

 

In un attimo sfrecciarono via dalla Sala del Trono, lasciando il Padre degli Dei solo, a riflettere. Anche Loki se ne era andato, silenzioso come era arrivato, ritornando nelle fredde lande di Asgard, dove avrebbe tessuto altri macchinosi piani ai danni di Odino.

 

Rimasto solo, il Dio discese la bianca scalinata, affacciandosi a un’ampia finestra per fissare il cielo sopra di sé. Scuro e nuvoloso, come era da giorni ormai, da quando insieme a Flegias aveva dato il via al macchinoso piano per la presa del potere. Toccò la pietra nera che portava legata al collo e per un attimo gli sembrò di sentire profonde vibrazioni provenire dal cielo sopra le nuvole, vibrazioni che lo inebriarono, aumentando il proprio potere.

 

Presto l’Olimpo sarà mio! E allora non ci sarà più nessuno in grado di tenermi testa! Sogghignò la possente Divinità. Grazie al potere supremo riaprirò le porte del Tartaro, liberando le creature che troppo a lungo vi hanno dimorato, libererò i miei fratelli, che i Cavalieri di Atena hanno sconfitto, e affiderò loro il comando del mio esercito! Io, il Signore dell’Olimpo, il Signore del Mondo!

 

I figli di Ares eseguirono alla perfezione il compito assegnato loro da Zeus, portando le infuocate spade a bere il divino sangue degli Olimpi. Flegias si occupò personalmente di sterminare gli ultimi rifugiati nella Reggia di Zeus, sgozzando Ebe, la Coppiera Divina, nelle cucine del Tempio, e tutte le sue ancelle; poi fu la volta di Ganimede, ferito allo stomaco dal Flagello degli Uomini, mentre i due guerrieri suoi fratelli tagliavano la testa di Estia, Dea del Focolare Domestico. Quindi i tre demoni si teletrasportarono altrove, veloci come fulmini: nel vigneto di Dioniso, dove fecero strage di menadi e di satiri, di Guerrieri Caprini e delle Divinità loro protettrici; nella selva di Pan, dove tagliarono il capo del fallico flautista, distruggendo anche il suo strumento, in una veloce e sanguinaria strage di Divinità. Il trionfo di Flegias, che tanto egli aveva bramato.

 

Mentre Sirio e Cristal stavano combattendo contro Afrodite ed Efesto, all’interno del Tempio dei Mercanti, due potenti emanazioni cosmiche raggiunsero il sacro edificio, cogliendo tutti quanti di sorpresa. Due guerrieri dalle scarlatte vestigia comparvero uno di fronte e uno dietro ad Afrodite, sogghignando all’antica madre, con cui mai avevano legato, dediti a culti completamente diversi. Erano due uomini molto simili, maschili nel volto e nei modi di fare, e brandivano due sottili spade infuocate, intrise di odio e di dolore.

 

La Dea della Bellezza fu sorpresa di trovarsi di fronte i suoi mitologici figli, ma la sorpresa cedette il passo alla disperazione quando li vide avventarsi su di lei, sguainando le incandescenti spade. Afrodite tentò di evitare il fendente del guerriero di fronte a lei, completamente avvolto in un’aura rossastra, ma fu colpita alla schiena dalla Spada infuocata dell’altro guerriero, che le trapassò il corpo, falciandole un urlo di dolore. Un secondo affondo, da parte del guerriero che le stava davanti, e Afrodite si accasciò al suolo, in un lago di sangue. Nel vedere l’orribile omicidio, Efesto, che era impegnato a combattere con Cristal, si liberò del ragazzo, scaraventandolo contro Sirio, e iniziò ad urlare, in preda alla disperazione, scatenando il suo ardente cosmo contro i due guerrieri.

 

Nooooo!!!” –Urlò, liberando il devastante potere della Lava Incandescente.

 

I getti di lava travolsero completamente i due guerrieri, scaraventandoli contro la parete e ricoprendo i loro corpi, fino a murarli vivi. Quindi, stanco per lo sforzo sostenuto e per il dolore per la morte della sua amata, Efesto crollò a terra, sbattendo le villose ginocchia sul pavimento, accorgendosi troppo tardi del manifestarsi di un terzo cosmo, ardente come le fiamme dell’Inferno, proprio di fronte a lui. Alzò il volto, tentando di rialzarsi, ma fu scaraventato contro un mucchio di detriti da una violenta tempesta energetica, che tutto distrusse.

 

“Apocalisse Divina!!!” –Tuonò una maschile voce, scatenando il suo cosmo distruttivo contro Efesto, che rovinò a terra pieno di ferite.

 

In quella, Sirio e Cristal, per quanto non avessero compreso bene ciò che stava accadendo, si lanciarono sullo sconosciuto Cavaliere dell’Armatura scarlatta, senza riuscire però a raggiungerlo. Il guerriero sollevò il braccio destro di colpo, creando un fendente energetico che travolse i due Cavalieri di Atena, facendoli finire nuovamente al suolo.

 

Efesto tentò di rimettersi in piedi, nonostante gocciolasse sangue, ma l’unica cosa che riuscì a fare fu incontrare il rabbioso sguardo di Flegias, Flagello degli Uomini, mentre con un secco colpo piantava la sua Spada infuocata nella gola del Dio, trapassandola da parte a parte. Mentre Efesto si accasciava al suolo, in una pozza di sangue, Flegias si voltò verso l’altra parete, lanciando la Spada infuocata che si conficcò nella lava solidificata, facendola esplodere poco dopo. Liberati i suoi fratelli, Flegias li incitò ad andarsene, mentre Cristal e Sirio si avventavano nuovamente su di loro, venendo ancora una volta respinti.  La strage degli Dei Olimpi era stata compiuta.

 

Fuori dal Tempio dei Mercanti, Ermes e Dohko stavano ancora combattendo tra loro, quando percepirono due vaste emanazioni cosmiche entrare all’interno dell’edificio, e scontrarsi in poco tempo con i divini cosmi di Afrodite e di Efesto. Poco dopo anche un terzo cosmo li raggiunse, scatenando un violento assalto, che non sfuggì ad Ermes.

 

Flegias…” –Mormorò il Dio, riconoscendo il cosmo del figlio di Ares. E subito si chiese cosa stesse accadendo all’interno. –“Fermati, Dohko! Qualcosa di terribile sta succedendo all’interno del Tempio dei Mercanti ed è mio dovere andare a verificare!”

 

“Ti accompagnerò, Divino Ermes, essendo anche il mio discepolo e il suo caro amico in pericolo!”

 

Quando entrarono in quel che restava del Tempio trovarono Sirio che aiutava Cristal a rimettersi in piedi, entrambi doloranti e malconci, mentre Efesto e Afrodite giacevano a terra, nella polvere, sadicamente trafitti da sanguinarie lame.

 

“Che Zeus ci protegga!” –Esclamò Ermes, correndo dalle Divinità massacrate.

 

“Sirio, Cristal, state bene? Cos’è accaduto?” –Incalzò Dohko.

 

I due Cavalieri raccontarono quello che avevano visto, e che non avevano ben capito, non conoscendo i misteriosi guerrieri dalle vestigia scarlatte che avevano assalito Afrodite ed Efesto.

 

“Sono spuntati dal nulla e hanno trafitto le Divinità, disinteressandosi di noi!” –Commentò Cristal, mentre Ermes raggiungeva i Cavalieri di Atena, profondamente affranto per la morte dei due Dei.

 

“Chi erano costoro?”

 

“Da ciò che ho potuto percepire, e che mi avete raccontato, posso supporre si trattasse del figlio di Ares, Flegias, colui che a mio parere ha ordito questa guerra, inducendo Zeus ad attaccare Atene!”

 

Flegias...” –Sibilò Sirio. –“Un nome che sa di terrore!”

 

“Un nome che porta con sé una scia di violenza e di sangue!” –Disse Ermes. –“Figlio di Ares e Re della Tessaglia, nel Mondo Antico era soprannominato il Rosso-Fuoco per il sanguinario sadismo che lo caratterizzava, mai clemente con nessuno, ma battagliero e fiero in ogni occasione, degno erede del Dio della Guerra! Di lui si sa ben poco, e voci sussurravano che professasse magia oscura, che ambisse disperatamente al potere, da raggiungere con qualunque mezzo! Persino le notizie sulla sua morte non abbondano; la tradizione vuole che sia stato ucciso da Apollo, punito per aver incendiato il suo Tempio a Delfi, dopo che il Dio aveva sedotto e ucciso sua figlia Coronide! Ma lo stesso Apollo, più volte, non fu mai convinto di averlo ucciso realmente, credendo di aver ferito soltanto il corpo, lasciando lo spirito libero di perdurare!”

 

“E così è stato dunque...”

 

“Non saprei dirti, Dohko! Ciò che so è che qualche mese fa, dopo la morte di Apollo per mano vostra, Flegias giunse sull’Olimpo, in veste di mendicante, arrivando fino alle porte della Reggia di Zeus senza che nessuno se ne accorgesse!”

 

“Che cosa?! Superando persino i Cancelli Olimpici?!” –Esclamarono sbigottiti Sirio e Cristal.

 

“Esattamente! Ma Zeus, mosso a compassione per il suo aspetto derelitto, invece di fulminarlo come avrebbe meritato, lo accolse nella sua Reggia, confessandomi che avrebbe voluto guarirlo!”

 

“Altro che guarigione!” –Ironizzò Cristal. –“Credo proprio che Flegias abbia avvelenato la mente di Zeus, corrompendo il suo pragmatismo e facendone una macchina bellica nelle sue mani!”

 

“Che voglia emulare il padre?” –Chiese Sirio.

 

“O superarlo!” –Commentò Dohko.

 

“E chi erano gli altri due guerrieri, che hanno trafitto Afrodite senza la minima esitazione, nonostante i disperati urli della donna?!”

 

Ermes non rispose subito, lasciando che il suo sguardo si perdesse tra le macerie del Tempio dei Mercanti, sua millenaria residenza. Solo un’ora fa conversavamo insieme al tavolo della mia mensa! Commentò, afflitto per la sorte dei due sposi. E adesso i vostri corpi a pezzi giacciono tra la polvere del mio palazzo! Che fallimento sono stato!  Come Dio e come amico!

 

“Venite con me!” –Esclamò infine. –“Alla Reggia di Zeus! Il Sommo deve essere immediatamente informato del massacro operato dai figli di Ares!”

 

“Figli?!” –Domandò Cristal, chiedendo nuovamente chi fossero i due guerrieri scarlatti.

 

“Demoni che speravo che il vento del tempo avesse spazzato via!” –Esclamò Ermes, correndo insieme a loro verso il Cancello del Fulmine. –“I demoniaci figli di Ares, avuti dal suo incestuoso rapporto con Afrodite! Phobos, Divinizzazione della Paura, e Deimos, Divinizzazione del Terrore!”

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 36
*** Giochi di mente ***


CAPITOLO TRENTACINQUESIMO. GIOCHI DI MENTE.

 

Quando Castalia riaprì finalmente gli occhi erano già passate parecchie ore dall’inizio della scalata dell’Olimpo. Ansimò per un momento, debole e stordita, prima di comprendere dove si trovasse. Si rigirò su se stessa e si trovò mezza spogliata, distesa su un morbido lettino in una stanza chiusa, mentre una leggera brezza le sbatteva sul viso, provenendo dalla finestra alla sua destra.

 

“Ben svegliata, Sacerdotessa dell’Aquila!” –Esclamò una voce limpida, ma al tempo stesso antica. –“Sono lieto che tu abbia finalmente ripreso i sensi!”

 

Castalia si voltò di scatto, trovandosi di fronte uno sconosciuto uomo di mezza età, rivestito da una larga tunica celestina, fissata in vita da una fascia di tela. Non era molto alto, e il suo viso sembrava segnato dagli anni, ma Castalia pensò subito che doveva averne molti di più di quelli che realmente dimostrava, emanando un fascino, un’aura di antica sapienza.

 

“Qualunque cosa tu abbia intenzione di dire, ti prego di parlare in silenzio! E azzera il tuo cosmo, per quanto ridotto sia! Ho avvolto le mie stanze nelle nebbie, per nascondere la tua presenza, ma in questi tempi oscuri è necessario essere ancora più prudenti!”

 

“Chi sei?” –Chiese Castalia, ancora stordita.

 

“È naturale che tu non ricordi! Stavi morendo, avvelenata dalle frecce dei Cacciatori di Artemide! Quando Phantom ti ha portato qua, ti stavi spegnendo, Sacerdotessa dell’Aquila! Ho cercato di curare al meglio le tue ferite, strofinando erbe medicamentose sulle tue lesioni! Tieni, bevi questo, servirà per ridare calore al tuo freddo corpo!” –E le porse una tazza contenente un infuso caldo.

 

“Grazie! “–Commentò Castalia, cercando di capire cosa stesse accadendo.

 

“È quello che vorrei sapere anch’io!” –Sospirò l’uomo, dando a intendere che fosse in grado di leggere nella sua mente. –“Non completamente, e non in tutte le menti! Ma tu sei stata distesa in quel lettino per quasi due ore, e mentre aspettavo che tu riprendessi i sensi, dopo aver tolto il veleno dal tuo corpo, ho scandagliato la tua mente, vagando nei tuoi sogni e nei tuoi desideri inconsci! Ed ho trovato molte cose interessanti!”

 

“Chi sei tu, per fare questo?”

 

“Sei una donna passionale Castalia dell’Aquila, anche se riesci a nascondere bene i tuoi sentimenti dietro la maschera che porti! Oh, no, non mi riferisco alla maschera delle Sacerdotesse, ma a quella che hai costruito, all’abile difesa che hai approntato affinché gli altri non possano troppo su di te! Hai creato un muro dentro al quale ti senti protetta, dentro al quale niente può ferirti, nessun uomo può ferirti! Un giardino segreto le cui chiavi concedi soltanto a pochi eletti, mentre obblighi gli altri a stare fuori, negando loro l’accesso!”

 

“Come puoi sapere questo di me?” –Domandò Castalia, mettendosi in piedi. E in quella si accorse di un altro lettino, poco distante, sul quale giaceva immobile un corpo che conosceva bene, essendo giunto con lei sull’Olimpo il pomeriggio precedente.

 

“Phoenix!” –Esclamò, avvicinandosi al corpo del ragazzo. –“Ma allora tu sei… Morfeo?!”

 

“Non toccarlo!” –La intimò il Dio. –“Potrebbe essere pericoloso!”

 

“Pericoloso? Che vuoi dire? Sveglialo!” –Esclamò Castalia, prima che Morfeo le tappasse la bocca.

 

“Ti ho detto di tacere, Sacerdotessa! Se qualcuno scopre che sei qua, viva, non esiterà a tagliarti la gola!” –Le sussurrò il Dio. –“E questo vanificherebbe i miei sforzi!”

 

“Quali sforzi?”

 

“Quelli fatti per salvarti!” –Confessò il Dio, raccontandole l’intera vicenda, sottolineando il ruolo giocato da Phantom. –“Il Luogotenente dell’Olimpo ha rischiato la vita per proteggerti! E adesso rischia di essere punito dal Sommo per insubordinazione! O peggio, per alto tradimento!”

 

Castalia si portò le mani alla bocca, spaventata da una simile prospettiva. Ma Morfeo, vedendola così emotivamente coinvolta, cercò di rassicurarla, spiegando che Zeus avrà problemi ben più importanti da affrontare.

 

“I tuoi compagni combattono sull’Olimpo! Sono divisi, ma uniti da un unico obiettivo! Raggiungere la Torre Bianca e liberare Atena!”

 

“E ci riusciremo, Dio dei Sogni!” –Affermò Castalia, con decisione.

 

“Leggo nel tuo cuore la stessa determinazione di quella dei tuoi compagni! Spero soltanto che il vostro ardore, il vostro nobile coraggio, non vi conduca alla morte!”

 

“Per quale motivo mi hai aiutata, Dio dei Sogni? Non dovresti essere fedele a Zeus? O pure tu rischi di essere processato per alto tradimento?”

 

“Hai detto bene, Sacerdotessa! Io sono fedele al Sommo Zeus, e mai oserei levare la mano contro di lui o contro uno dei suoi emissari! Ma non ai figli di Ares! Non agli arroganti, sanguinari, omicidi figli della Guerra!” –Esclamò Morfeo, surriscaldandosi per la prima volta.

 

“Ti riferisci a Flegias?”

 

“Non soltanto! Ares ha avuto numerosi figli nella sua vita, da Divinità e da donne mortali! Flegias è soltanto un bastardo la cui maternità non fu mai chiarita! Ma sul padre mai ci furono dubbi: solo Ares possiede quegli occhi iniettati di sangue, quell’aria sadica, subdola, incendiaria che non esiterebbe a dare in pasto ai leoni i suoi stessi figli pur di dominare!” –Disse Morfeo. –“Ma Flegias non è solo! Issione lo sostiene! Almeno finché la loro alleanza di comodo non verrà meno!”

 

“Chi è costui? Non è ho mai sentito parlare!”

 

Issione è uno dei figli bastardi di Ares, che nel Mondo Antico fu punito da Zeus per aver tentato di sedurre Era! Zeus gli inviò una nuvola con le sembianze di sua moglie e lo sorprese nell’atto di abbracciarla! Per punirlo, lo fece fustigare da Ermes e poi legare per mani e braccia a una ruota infuocata, che girava eternamente in cielo! Fu liberato in seguito da Ares, che lo volle nel suo esercito di berseker, quando fa si alleò con Ade per sconfiggere Atena!”

 

“Ares e Ade alleati contro Atena?!”

 

“Questo accadde molti secoli fa, ma Issione non prese parte a quella guerra, e di lui si perse ogni traccia, fino a qualche settimana fa! Fu Flegias a reintrodurre il guerriero alla Reggia di Zeus, rispuntato dall’ombra in cui si era nutrito di odio e sangue, nonostante Ermes e molte altre Divinità avessero espresso fin dall’inizio la loro opposizione! E a questo punto è chiaro che Zeus avrebbe fatto bene ad ascoltarli! Forse, in quel modo, questa folle guerra avrebbe potuto essere evitata!”

 

“Credi che siano i figli di Ares a tessere la tela?”

 

“Non trovo altre spiegazioni per un simile cambiamento di rotta nella politica conciliante, anzi sempre piena di lodi, che Zeus ha avuto nei confronti di Atena! Issione e Flegias hanno convinto il Sommo Dio ad occupare la Terra, approfittando della sconfitta dei suoi millenari nemici, Nettuno e Ade, ed entrambi sperano di avere un posto d’onore nel nuovo ordine che nascerà, magari come governatori di qualche provincia, o Comandanti dell’Esercito Celeste!”

 

“Un piano ambizioso…” –Commentò Castalia.

 

“Che però ha una falla! La rivalità tra i figli di Ares! Subdoli e meschini, Flegias e Issione non hanno fiducia l’uno nell’altro, mantenendo sempre una mano sulla spada mentre parlano tra loro! Ed è per questo motivo che Issione mi chiese di condurre qua Phoenix! Per risvegliare in lui il lato malvagio, e utilizzarlo come guerriero al suo servizio, magari contro lo stesso Flegias!”

 

“Che cosa?! E tu hai accettato?!” –Esclamò Castalia, delusa dal comportamento del Dio.

 

“Non ho avuto scelta, Sacerdotessa! Issione mi aveva minacciato di morte, strusciando le sue sciabole incandescenti contro la mia pelle! E un povero vecchio come me non avrebbe speranze contro quella furia!”

 

“Tu sei un Dio, Morfeo! Non un vecchio rinunciatario!”

 

“Un Dio?! No, Sacerdotessa dell’Aquila, ho rinunciato alla mia natura divina molto tempo fa, perdendo molti degli attributi che le sono propri!” –Sospirò Morfeo. –“Non vedi? Non indosso alcuna Veste Divina, non combatto, non ho armi se non la forza della mia mente e del mio spirito!”

 

“E con quelle avresti dovuto opporti a Issione! Avresti dovuto rifiutarti di prendere parte ad una simile impresa!”

 

Già… avrei dovuto farlo! Ma ho accettato! Forse per debolezza, forse per indolenza nel reagire, forse perché in fondo una parte di me non si rendeva conto della gravità della situazione! E credo davvero che sia stato così, finché non ho sentito il cosmo di Atena spegnersi per mano di Zeus; finché non ho sentito i vostri cosmi raggiungere l’Olimpo e lanciarsi in una folle impresa! E allora ho deciso di reagire, permettendo a un Cavaliere tuo parigrado di raggiungere il Monte Sacro per salvarti, nascondendo il suo cosmo ai sensi di tutti, e poi inviando Phantom a prelevare uno di voi, per ricevere l’aiuto necessario a riportare la Fenice tra di noi!”

 

“Cos’è accaduto a Phoenix? Perché dorme ancora?” –Chiese Castalia, osservando il volto rude del Cavaliere, immobile come un morto.

 

Issione aveva osservato a lungo Phoenix, impressionato dalla sua potenza e attratto dal lato oscuro che il Cavaliere aveva manifestato lo scorso anno, prendendo il comando dell’Isola della Regina Nera, sperava di farne un guerriero spietato ai suoi ordini! Per questo motivo mi spinse a inviargli dei messaggi subliminali, a introdurmi nella sua mente, quando dormiva, per attirarlo in Grecia, al Grande Tempio di Atena, dove effettivamente si recò, combattendo proprio contro Flegias! Credo che Issione nel far questo abbia voluto prendersi anche una piccola soddisfazione personale!”

 

“Quindi la presenza di Phoenix in Grecia non è stata casuale! Egli non aveva ricordato?”

 

“Non completamente! Mi limitai a rimuovere alcuni effetti del Talismano della Dimenticanza, ma essendo di divina fattura riuscii soltanto in parte! Portarlo sull’Olimpo fu semplice e pure convincerlo a sdraiarsi su quel lettino, per potermi introdurre dentro di lui e risvegliare i suoi oscuri ricordi della Regina Nera!”

 

“Devi risvegliarlo allora!” –Esclamò Castalia. –“Phoenix è un combattente di Atena! Ha rinnegato quel passato, ha chiesto più volte perdono, e sia Atena che i suoi Cavalieri gliel’hanno concesso! Si ucciderebbe piuttosto che ritornare a servire il male! Morfeo, ti prego, devi salvarlo!”

 

“Lo farei volentieri, Castalia! Ma non posso! Non posso risvegliare Phoenix dal sonno in cui l’ho precipitato, altrimenti rischiamo di provocare in lui uno squilibrio psichico che potrebbe condurlo persino alla morte cerebrale!”

 

No… non può essere!”


”Phoenix adesso è come un sonnambulo! Non può essere svegliato, per non danneggiare la propria psiche!” –Commentò Morfeo, sedendo accanto alla ragazza. –“Possiamo soltanto avere fiducia in lui e sperare che riesca a sconfiggere le sue paure inconsce, i suoi rimorsi!”

 

Castalia si prese la testa tra le mani, preoccupata per il destino di Phoenix e per quello di Atena e degli altri Cavalieri. Sospirò, domandandosi cosa stesse vedendo il ragazzo.

 

Aveva dieci anni Phoenix quando sbarcò sulla Regina Nera, un’isola vulcanica nel mezzo del Pacifico, offertosi al posto del fratello. Appena sceso dalla nave, Phoenix realizzò che l’isola era peggio di come l’avevano descritta, un pezzo d’inferno galleggiante. Un’isola sulla quale fu costretto a trascorrere sei lunghi anni, nell’odio e nella solitudine, nel dolore e nella sofferenza, senza un amico né un maestro capace di ascoltarlo, ma solo di spingerlo ad odiare tutto.

 

“Rialzati, Phoenix!” –Lo insultava spesso il suo maestro, durante l’allenamento, prima di afferrarlo per i capelli e riempirgli il viso di pugni. –“Non è così che si diventa Cavalieri, ragazzino!”

 

L’unica consolazione dell’isola era rappresentata da Esmeralda, la bionda figlia di Guilty, il maestro di Phoenix, l’unico sorriso di cui il ragazzo poteva disporre. Un vero raggio di sole, in quella vita oscura. Purtroppo la ragazza morì tragicamente, uccisa da suo padre durante un combattimento tra Phoenix e lui, un combattimento nel quale Phoenix aveva esitato a colpire Guilty, causando in questo modo la morte di Esmeralda.

 

Adesso il ragazzo si trovava a rivivere quegli angosciosi momenti, riprovando quei sentimenti di rabbia e disperazione che solo sull’isola aveva trovato.

 

Phoenix non indossava alcuna armatura, ma i suoi soliti vestiti, pantaloni rossi e maglietta blu, e stava camminando da solo lungo le desolate distese vulcaniche della Regina Nera, mentre rivoli di lava incandescente scorrevano accanto a lui, per confluire poi in un’unica grande pozza.

 

“Sei tornato!” –Sibilò una voce di uomo, costringendo Phoenix a voltarsi.

 

Dal fiume di lava si sollevò un’orribile forma umana, dal volto coperto da una strana maschera, che Phoenix riconobbe come il suo Maestro.

 

“Sei tornato per tornare a termine ciò che avevi iniziato!” –Commentò Guilty, con sarcasmo. –“Per cos’altro saresti qua?”

 

“No.. io..” –Ma Phoenix non seppe cosa rispondere, non trovando altra spiegazione per giustificare la sua presenza sull’isola.

 

Guilty lo condusse allora in un luogo che ben conosceva, un campo dove sorgeva un piccolo altare in cima al quale era posta l’Armatura della Fenice.

 

“Coraggio, Phoenix! Mostrami di cosa sei capace!” –Urlò il suo maestro, iniziando ad attaccarlo.

 

Phoenix rispose ai colpi e man mano che lo colpiva sentì in lui una tremenda ferocia salirgli nell’animo, un senso di profonda soddisfazione nel massacrarlo.

 

“Così Phoenix!!! Bravo! Colpiscimi!!!” –Urlava Guilty, aumentando l’eccitazione del ragazzo.

 

L’ultimo pugno di Phoenix scaraventò il maestro indietro, fino a farlo sfracellare contro delle rocce, e ricadere al suolo sanguinante.

 

Ih ih... Bravo! Ma ancora non basta! Saprai affrontare anche loro?” –E indicò dietro al ragazzo. In piedi, ricoperti dalle loro vestigia, stavano tutti i nemici che Phoenix aveva combattuto in vita. Il Cavaliere della Fiamma, Jango, Phoenix Nero, Agape e Vesta, Loto e Pavone, Virgo, Gemini, Mime, Alcor, Lemuri, Kanon, Eligor e altri che Phoenix non riuscì a riconoscere.

 

“Perché siete qua?” –Domandò, facendo un passo indietro.

 

“Per ottenere giustizia!” –Esclamarono i Cavalieri all’unisono. –“Tu ci hai combattuto, tu ci hai ferito! Tu ci hai ucciso!”

 

“No! Non è vero!”

 

“Sì, invece! Ci hai privato della vita, massacrandoci senza ritegno!” –Urlarono le confuse voci dei Cavalieri avvicinandosi a Phoenix. –“Adesso siamo qua per vendicarci!”

 

Jango e Phoenix Nero balzarono avanti, scagliando pugni energetici contro il ragazzo, che fu abile ad evitarne un paio, venendo però avvolto dalle roventi vampate del Cavaliere della Fiamma. In suo soccorso giunse però Vesta che lo afferrò con la palla chiodata, arrotolandola intorno al suo collo e strattonandolo a sé, mentre Agape lanciava i suoi dischi affilati per tagliargli le braccia.

 

Debole e mutilato, Phoenix cadde a terra, ma ancora non poteva avere pace, sollevato dal potere mentale di Loto e Pavone, e graffiato dagli affilati artigli di Alcor che stridevano sul suo corpo, lacerando la sua pelle, finché fili invisibili non lo imprigionarono, stritolandolo con forza.

 

Mime...” –Sibilò il ragazzo, mentre i fili della cetra del Cavaliere di Asgard tagliavano il suo corpo, il suo viso, deformandolo ulteriormente. Un brusco strattone lo liberò dai fili, scagliandolo in alto, mentre un piede ricoperto da una nera Armatura tracciava una croce in terra.

 

“Qua morirai! Adesso!” –Esclamò Eaco, mentre Phoenix si schiantava a terra, creando un immenso cratere. Ne uscì soltanto grazie allo smisurato cosmo di Shaka di Virgo che lo sollevò in aria, prima di togliergli i cinque sensi, essendo lo spirito, secondo lui, già morto.

 

“Tu non hai mai avuto uno spirito, Phoenix! La tua anima è precipitata all’Inferno appena sei nato!” –Commentò Virgo. –“Guardati, adesso la raggiungerai!” –E scaraventò il ragazzo in un lago di sangue. –“È la collera! Il mondo adatto a te! A te che della guerra hai fatto il tuo pane quotidiano, cibandoti di massacri e di violenza! A te che non hai esitato a combattere i tuoi fratelli, i tuoi amici d’infanzia, per ottenere il potere grazie alla Sacra Armatura! A te, infine, che hai ucciso il tuo maestro e sua figlia, macchiandoti del crimine più grave di questo mondo!”

 

Aargh!!!” –Urlò Phoenix, prima che una mano amica gli sfiorasse la guancia, offrendogli il suo aiuto per uscire dal lago di sangue. –“Andromeda!” –Mormorò, afferrando la mano del fratello.

 

Fratello…” -Commentò Andromeda. –“Perdonami… ma devo ucciderti!” –E lanciò la Catena a Triangolo contro di lui, trapassandolo in pieno viso.

 

Andromedaaaa!!!” –Urlò Phoenix, ricadendo a terra, mentre Andromeda riprendeva la forma del predatore di anime, il Generale Lemuri. Insieme, Kanon e Gemini scagliarono l’Esplosione Galattica eliminando i resti di Phoenix dal mondo.

 

“Ecco!” –Commentò Virgo infine. –“Adesso sei morto! E non è stata una fine gloriosa la tua, ma violenta e sanguinaria, come quelle che hai impartito ai tuoi avversari, uccidendoli senza rispetto!”

 

Phoenix si risvegliò poco dopo, accorgendosi di non avere più un corpo. Di non essere niente più che aria in un cielo senza fine. Tentò di urlare ma non aveva più voce. Era prigioniero, e solo, in un limbo senza fine, spettatore forzato di un film che mai avrebbe voluto vedere nuovamente.

 

Di fronte a lui, incapace di chiudere gli occhi, non avendoli più, incapace di voltare il capo, non possedendo più una testa, scorrevano le immagini della sua vita, una vita fatta di violenza e morte.

 

“Basta! Basta!!!” –Tentò di urlare Phoenix, ma le parole gli morirono in bocca, mentre Eaco, Giudice Infernale, lo bacchettava, spiegando che quello era il Giudizio Divino.

 

E continuamente quelle scene scorrevano di fronte a lui, incapace di cancellarle. Nuovamente si trovava sulla Regina Nera, nuovamente veniva massacrato da Guilty, prima che il suo pugno uccidesse Esmeralda. Quindi, tronfio e pieno di gloria, il Cavaliere dell’Oscura Fenice guidava l’assalto al Palazzo dei Tornei, al comando di un battaglione di Cavalieri Neri, che si lasciava andare alle più oscene efferatezze.

 

E più Phoenix cercava di cambiare, di dimenticare quei ricordi, più essi parevano riemergere dal suo animo, incapace di trovare qualcos’altro, di positivo, di migliore, che avesse fatto in vita, se non portare la morte. Per un momento, un dubbio lo colse, portandolo a pensare che forse non aveva fatto altro. Che forse non c’erano momenti belli a cui fare riferimento, ricordi felici a cui attingere nelle sue sere nere, essendo la sua vita stata fatta soltanto di dolore e morte.

 

“Accetta questo, Phoenix!” –Risuonò una voce nella sua testa. –“Accettalo e sarai finalmente te stesso!”

 

Maestro…” –Balbettò il ragazzo, riconoscendo l’uomo con la maschera incamminarsi verso di lui.

 

Qualche passo ancora, quindi Guilty si fermò, a torso nudo come sempre, mentre vulcani esplodevano dietro di lui. Lentamente l’uomo si tolse la maschera, mostrando il volto che Phoenix non aveva mai visto, ma che era l’unico che avrebbe ritenuto avesse. Il suo.

 

Nooo!!!” –Urlò Phoenix, cercando di cambiare visione. Ma non ci riuscì, e si ritrovò coperto dalla maschera di Guilty, mentre oscure ombre si agitavano intorno a lui. Le ombre dei suoi rimorsi.

 

Infine la visione cambiò di nuovo, e Phoenix si ritrovò a vagare sull’Isola della Regina nera; ma non era più un bambino, adesso era un ragazzo di diciassette anni, morto. Ucciso dai Cavalieri che aveva privato della vita e che erano ritornati per vendicarsi. Lentamente, Phoenix si incamminò verso un lago di sangue, intorno al quale erano riuniti tutti i Cavalieri che aveva affrontato, Alcor e Virgo esclusi, non essendo effettivamente morti. E in mezzo a loro, si ergeva solitaria Esmeralda, con le mani giunte e il suo bellissimo sorriso.

 

Esmeraldaaa!!!” –Urlò il ragazzo, correndo verso di lei. Ma la ragazza lo fermò, nonostante Guilty e gli altri Cavalieri lo incitassero a raggiungerli, e la sua voce, candida ed eterea, sovrastò tutte le altre.

 

“È ora di andare, Phoenix!” –Esclamò, mentre le figure intorno a lei si facevano sempre più sfuocate. –“Non è ancora tempo per te!”

 

“Esmeralda...” –Mormorò Phoenix, allungando una mano, ma anche la sagoma della ragazza parve sfumare sempre di più.

 

“Devi vivere, Phoenix! Vivere per chi ti ama, vivere per chi crede in te, vivere per chi lotta ogni giorno per la libertà! C’è del buono a questo mondo, e tu lo sai!” –E con quest’ultima frase, la ragazza scomparve, risucchiata da un turbinoso vortice, insieme alle ombre dei Cavalieri che prima erano con lei, lasciando soltanto il vuoto intorno a Phoenix.

 

“È ora di andare, Phoenix!” – Ripeterono Gemini e Kanon, con un sorriso, prima di scomparire a loro volta. –“È ora di vivere!”

 

Incredibilmente Phoenix trovò la forza per stringere un pugno e si accorse di essere di nuovo lui, di essere nuovamente il Cavaliere di Atena, ricoperto dalle scintillanti vestigia della Fenice. Sì! Commentò, bruciando il cosmo. È ora di andare! Nuove battaglie mi aspettano, nuove persone a cui prestare il mio aiuto! Sono Phoenix, il Cavaliere della Speranza, e anche se un giorno sbagliai a sostituire la bontà con l’odio, accecato di rabbia e di dolore, niente ha mai potuto offuscare il mio vero io, la mia vera natura; quella di un Cavaliere votato ad Atena, votato alla giustizia. Un ragazzo che compie errori, certo, ma che trova la forza di rialzarsi e andare avanti!

 

Pochi secondi dopo l’ultima confusa visione di Phoenix scomparve e il ragazzo aprì gli occhi, fissando il soffitto sopra di lui. Stordito, il Cavaliere si tirò su, scoprendo di essere su un lettino in un luogo sconosciuto di fronte agli occhi speranzosi di Castalia e di un uomo dai capelli brizzolati.

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 37
*** Tremenda verità ***


CAPITOLO TRENTASEIESIMO. TREMENDA VERITA’.

 

Phoenix aprì gli occhi improvvisamente, sorprendendo Morfeo e Castalia che avevano quasi rinunciato alla speranza di vederlo destarsi di nuovo. Per un momento i due si chiesero con preoccupazione quale Phoenix sarebbe uscito da quel traumatico viaggio nella memoria a cui era stato costretto, augurandosi che il ragazzo fosse riuscito a vincere le sue paure inconsce; l’espressione distesa, seppur frastornata, sul volto di Phoenix li fece rasserenare entrambi.

 

Castalia…” –Mormorò il ragazzo, mettendosi a sedere sul lettino.

 

“Sono contento di rivederti, ragazzo!” –Esclamò Morfeo, avvicinandosi. –“Allora il mio contro-incantesimo ha avuto effetto!”

 

Contro-incantesimo?!” –Balbettò Phoenix, chiedendogli a cosa si riferisse.

 

“Ho tentato di inviarti, tramite il sogno, dei piccoli segnali che avrebbero dovuto aiutarti a risvegliarti! Purtroppo non potevo intervenire direttamente, per paura di provocare pericolosi scompensi psichici alla tua mente, ma vedo che i messaggi subliminali che ti ho inviato hanno potuto aiutarti a sconfiggere le tue paure!”

 

“Sì!” – Sospirò Phoenix, alzandosi in piedi. –“Ho sconfitto gli spettri del passato!”

 

Morfeo e Castalia raccontarono in breve a Phoenix l’accaduto, e il Dio si scusò più volte per essersi prestato ad un simile gesto, sperando che il ragazzo non gliene volesse troppo.

 

“Morfeo, Dio dei Sogni! Un uomo con il mio passato, che del perdono ha fatto una fonte di sicurezza, non potrebbe mai negarlo a te, che ti sei pentito dei tuoi errori e sei intervenuto per rimediare!” –Commentò Phoenix. –“Inoltre, credo che una parte di me debba ringraziarti… Forse questo viaggio a ritroso, negli oscuri sentieri della mia memoria, è stato necessario per completare il mio percorso di espiazione, per confermare la mia fede nella giustizia e nell’amicizia!”

 

Castalia sorrise, prima di incitare l’amico all’azione. La Sacerdotessa aveva indossato le vestigia d’Argento ed era pronta per scendere in campo, ma Morfeo pregò entrambi di fare attenzione.

 

“Temo per voi, giovani cuori!” –Esclamò il Dio. –“E mi dispiace di non aver potuto fare altro per aiutarvi.. solamente aver curato le vostre ferite con le foglie medicinali di Asclepio, sperando che non se la prenda troppo!” –E si lasciò scappare una risata. –“La Reggia di Zeus non è un luogo sicuro… forse dovreste…

 

Ma il Dio dei Sogni non riuscì a terminare la propria frase che l’intera stanza fu invasa da un’incandescente emanazione cosmica. Due secchi colpi di lame infuocate tagliarono la testa di Morfeo, di fronte agli occhi atterriti di Phoenix e Castalia.

 

“Sapevo che non dovevo fidarmi di te, lurido traditore!” –Esclamò un guerriero dalle vestigia scarlatte, buttando a terra con un calcio il corpo del Dio dei Sogni.

 

Phoenix e Castalia non riuscirono a muoversi che furono travolti dalla furia demoniaca del guerriero, che scaraventò entrambi fuori dalle stanze di Morfeo, scagliando i loro corpi contro le grandi vetrate che davano sul giardino retrostante, sul terreno del quale Phoenix e Castalia ruzzolarono per parecchi metri.

 

“E adesso a noi, Cavalieri di Atena!” –Esclamò il guerriero, balzando fuori su di loro.

 

Phoenix e Castalia furono svelti a rotolarsi sul terreno, ognuno in una direzione diversa, per evitare l’affondo delle infuocate sciabole del guerriero scarlatto. La Sacerdotessa dell’Aquila lo fissò per un momento, senza avere dubbi su chi fosse. Dalla descrizione che Morfeo le aveva fatto, doveva essere Issione, figlio di Ares.

 

“Proprio così!” –Commentò Issione, avventandosi sulla donna, brandendo le sue sciabole infuocate.

 

Castalia cercò di evitare gli affondi del figlio di Ares, ma si rese conto che la sua velocità era molto inferiore a quella dell’uomo, che muoveva le sue armi con precisione millimetrica. Issione abbassò parallelamente le due scimitarre su di lei, ma Castalia, con tutta la forza che aveva in corpo, fermò l’affondo con il lungo pugnale argentato che Kiki aveva aggiunto in dotazione alla sua corazza. Ma la donna non aveva la forza per opporsi alle robuste braccia di Issione, che la scagliò indietro, scheggiando la sua armatura ad un braccio, prima di calare nuovamente le sciabole su di lei.

 

“Pugno infuocato!!!” –Urlò Phoenix improvvisamente, scattando verso il figlio di Ares.

 

Un pugno secco si diresse su Issione, che per evitarlo balzò in alto, puntando poi contro Phoenix. Con rapidità e sincronia, il figlio di Ares muoveva entrambe le sue sciabole, affondando pericolosamente e costringendo Phoenix a mantenere la concentrazione massima. Il ragazzo non sapeva come fermare quelle lame, inoltre si muoveva più lentamente del solito, essendo ancora stordito a causa del lungo viaggio mentale che aveva fatto. Un colpo secco di Issione lo colpì in pieno petto, distruggendo la sua corazza di Bronzo, mentre un’altra sciabola si abbatteva sul suo braccio, mentre tentava di difendersi.

 

“Muori!” –Urlò Issione, incrociando le lame a forma di croce infuocata, da cui partì un violento raggio energetico che travolse Phoenix, scaraventandolo indietro, tra i frammenti della sua armatura distrutta.

 

Mentre Issione si avvicinava per dargli il colpo di grazia, una voce femminile echeggiò nell’aria.

 

“Volo dell’Aquila reale!!!” –Urlò Castalia, balzando in alto e puntando poi verso di lui, come un rapace in volo verso la sua preda.

 

Issione, per quanto preso di sorpresa, riuscì a balzare indietro, evitando di essere colpito, e mosse una sciabola infuocata per colpire Castalia in piedi a mezzo metro da lui, ma la ragazza fu svelta a alzare nuovamente la propria lama, su cui si infranse il colpo di Issione. Non riuscì però ad evitare il secondo che le distrusse il guanto protettivo dell’Armatura, gettando via l’arma argentata, e ferendole la mano, senza però tagliarle alcun dito. Ma Castalia non si arrese, bruciando il proprio cosmo al massimo e caricando il sanguinante pugno destro di energia.

 

“Cometa Pungente!!!” –Urlò, liberando il suo assalto, che, proprio perché lanciato da vicino, travolse Issione spingendolo indietro di qualche metro, senza comunque che il ragazzo accusasse qualche danno particolare, ma dando tempo a Phoenix di rimettersi in piedi.

 

“Mi avete stancato, bambocci! Vi manderò insieme all’altro mondo!” –Tuonò Issione. –“Croce Infuocata, tu sia il marchio che segnerà la loro dipartita verso l’Ade!” –Esclamò, incrociando le sue due sciabole di fronte a lui. Dalla croce che si creò partì un raggio rovente diretto contro i due Cavalieri di Atena, ma Phoenix cercò di contrastarlo portando le mani avanti e caricandole del suo vasto e infuocato cosmo.

 

Atenaaa!!!” –Urlò il ragazzo, mentre l’infuocata Croce di Issione penetrava le sue carni scoperte.

 

“Phoenix!!!” –Gridò Castalia, venendo travolta e scaraventata lontano, mentre la sua Armatura si frantumava in più punti.

 

“Muori, Phoenix!” –Rinnovò l’assalto Issione, e quella volta Phoenix non riuscì a contenere l’impatto devastante della Croce Infuocata che lo investì in pieno, trapassandolo da parte a parte.

 

Il Cavaliere della Fenice cadde a terra, in una pozza di sangue, mentre sul suo petto lampeggiava ancora il segno della Croce Infuocata, come un marchio che produceva in lui infinito dolore.

 

Issione si avvicinò a Castalia, ritenendo che il ragazzo, con una ferita simile, sarebbe morto da solo; sollevò una sciabola infuocata e puntò alla sua gola, ma Castalia fu svelta a ruzzolare sul terreno, mentre la lama si piantava accanto alla sua testa.

 

Yaaiih! Artigli dell’Aquila!” –Esclamò la Sacerdotessa, balzando in piedi e lanciandosi contro Issione, muovendo le braccia a gran velocità, come fossero gli artigli di un’aquila pronti a ghermire.

 

Ma il tentativo della donna non andò in porto, essendo Issione più veloce di lei, e capace di spostarsi a sinistra mentre Castalia ancora si muoveva per colpirlo, anticipandola quindi di una manciata di secondi, in cui poté muovere la Scimitarra infuocata colpendo la ragazza su un fianco. La cintura protettiva dell’Armatura dell’Aquila andò in frantumi, mentre le vesti della donna presero fuoco, incendiate dal demoniaco figlio di Ares, e schizzi di sangue zampillavano dalle sue ferite. Un secondo colpo, di ritorno, colpì Castalia al braccio sinistro, con il quale stava tentando di difendersi, e la spinse indietro, distruggendo ulteriormente la sua Armatura. Stesa a terra, sporca di sangue e incapace di rialzarsi, Castalia sembrò contare i secondi che mancavano alla propria morte, mentre Issione sollevava nuovamente la propria sciabola infuocata su di lei.

 

Muoriii!!!” –Urlò il figlio di Ares, calando la punta della lama.

 

In quella, un sottilissimo raggio di luce lo trafisse al cranio, trapassandolo da parte a parte. Durò un secondo, ma fu sufficiente per bloccare i movimenti di Issione, più per lo stupore che non per il dolore che quel colpo provocò in lui.

 

“Beh?!” –Domandò il guerriero, prima di esplodere in una sadica risata. –“Cos’era questo? La puntura di una zanzara?!” –E si voltò indietro, verso il sanguinante corpo di Phoenix che stava in piedi poco distante, con il pugno destro portato avanti.

 

“È il Fantasma Diabolico!” –Rispose Phoenix, mentre Castalia trovava la forza per rialzarsi, rantolare sul terreno e andare ad appoggiarsi contro il tronco di un albero. –“Il colpo dell’Illusione della Fenice!”

 

“Il colpo dell’Illusione?!” –Rise Issione di gusto. –“Uahahah!!! Bel tentativo Phoenix, davvero! Avevo proprio bisogno di farmi una bella risata! Adesso potrò massacrarvi con il sorriso sul volto!”

 

“Tu credi?!” –Domandò ironico Phoenix.

 

“Sai una cosa? Credo proprio di averti sopravvalutato, Cavaliere della Fenice!” –Confessò Issione, incamminandosi verso di lui. –“In fondo non sei tutto questo granché! Mi aspettavo un guerriero forte, rude, determinato, che aveva fatto della guerra la sua fede di vita, e invece mi ritrovo davanti un ragazzetto ferito, che si arrende subito e tenta di evitare il conflitto, ricorrendo a fantomatici poteri nascosti! Aaah… Temo proprio di essermi sbagliato!”

 

“Io non voglio evitare il conflitto, figlio di Ares! Voglio solo avere informazioni da te!” –Replicò Phoenix, con voce determinata.

 

“Informazioni? E cosa ti fa credere che io te le darò?” –Si fermò Issione, stringendo le due sciabole infuocate. –“L’unica cosa che avrai da me sarà la morte! A meno che tu non decida di accettare la mia offerta, quella che quel vecchio idealista di Morfeo avrebbe dovuto mettere nella tua mente!”

 

“Risvegliare il mio lato oscuro?! E unirmi a te in questa folle strage?!” –Ironizzò Phoenix.

 

“Risvegliare il tuo vero io, il tuo lato dominante, Phoenix!” –Precisò Issione, travolto da un’eccitazione incredibile. –“Tu sei nato per dominare il mondo, proprio come me! In te arde l’immortale fuoco della Fenice, l’uccello dalle ali incandescenti! Esso sarà impresso sugli scudi dei nostri eserciti; esso volerà sopra di noi, dispiegando le sue ardenti ali, e porterà la distruzione a tutti coloro che oseranno opporsi! Insieme, Phoenix, domineremo questo decadente mondo, facendo piazza pulita dei vecchi Dei e dei loro idoli, e li sostituiremo con un nuovo culto: il culto del fuoco e della guerra! Marchieremo le genti con il nostro simbolo, facendone abili guerrieri dalle incandescenti vestigia; comporremo inni che glorificheranno le nostre imprese, che saranno scolpite in splendide statue di marmo, che saranno celebrate su arazzi, mosaici, affreschi! Credimi, Phoenix, il mondo che ti offro, io, Issione, figlio di Ares, va aldilà di ogni prospettiva, aldilà di ogni possibilità che qualsiasi altra Divinità potrebbe proporti! Perché il mio regno durerà per sempre, come la guerra che è parte integrante dell’umana natura, e che sempre insanguinerà il mondo, giacché ne dicano gli idealisti e i pacifisti!”

 

Phoenix rimase qualche secondo in silenzio, ad ascoltare il delirante monologo del figlio di Ares, realizzando che la sua psiche fosse molto più complessa di quella di un comune uomo e che l’effetto che il Fantasma Diabolico aveva sortito non era stato quello di piegarla al suo volere, probabilmente impossibile, ma quello di liberare tutti i propositi dell’uomo, le sue confessioni che adesso si riversavano come un fiume in piena, spingendo Phoenix ad ascoltarle e a nutrirsi di esse.

 

“Proprio come gli uomini si nutrono della guerra, Phoenix!” –Lo esortò Issione, piantando una sciabola infuocata a terra. –“È scritto su ogni libro, impresso nel cuore della razza umana che essa è l’unico motore che fa muovere la mortale specie! È un potenziale immenso quello di cui potremmo disporre, quello che ci è offerto, a noi, nuovi Signori della Guerra!” –Fece una pausa poi riprese. –“Per quale motivo credi che mi sia unito a Flegias? Per quale ragione credi che abbia accettato i suoi folli piani di dominio sull’Olimpo? Per arrivare a te, Ikki di Phoenix, il Comandante del mio futuro Esercito dalle Vestigia Scarlatte! Le Armate del Fuoco e della Paura! Quelle che comanderai in mia vece, quando questo patetico massacro Olimpico sarà terminato!”

 

“Che cosa ne sarà dell’Olimpo?” –Domandò Phoenix.

 

“Cosa vuoi che me ne importi di quest’erba brulla e isterilita?!” –Tuonò Issione, recuperando la sua spada e incitando il ragazzo a guardarsi intorno. –“Non vedi le nuvole addensate su questo colle? Non scorgi il tramonto degli Olimpici Fasti? La stella di Zeus è volta al tramonto e Flegias gli ha dato il colpo di grazia con le sue idee malsane di attaccare Atene! So per certo come finirà questa guerra, con un massacro inaudito e la morte di tutti i Cavalieri Celesti e di Atena! E, in fondo, tutto questo potrebbe solo venire a mio vantaggio, a nostro vantaggio, eliminando possibili avversari!” –Sibilò Issione. –“Flegias è davvero convinto di salire sul trono Olimpico, come sottoposto del Sommo, a cui ha leccato i piedi per tutto questo tempo! Che si illuda pure! Lo ucciderò quando avrà finito di essere utile!”

 

Il suo delirio cosmico raggiunge livelli altissimi! Rifletté Phoenix, cercando di elaborare una strategia per neutralizzare quello che si prospettava il nemico più violento e determinato che mai aveva affrontato. Quando una frase di Issione lo fece sussultare.

 

“Ma veniamo a te, Ikki di Phoenix, al ruolo che ricoprirai nel nuovo ordine da me forgiato! Non vuoi forse accettare il supremo compito di comandare le Armate del Fuoco e della Paura?” –Chiese Issione, con un perverso ghigno sul volto. –“Non sei forse tu, il ragazzo della Regina Nera, che da solo riuscì a piegare quel letamaio di Cavalieri Neri, privi di scrupoli e di ideali, e a farne un esercito al tuo servizio?! Credi che piegare le umane genti sia forse più complesso?” –Ed esplose in una sadica risata. –“Non ti ha forse Guilty dato motivi sufficienti per odiare la razza umana?!”

 

“Che ne sai tu di Guilty e di quello che mi ha fatto?” –Replicò Phoenix, disturbato dal dover parlare ancora del suo Maestro.

 

Un ghigno perverso comparve sul rude volto del figlio di Ares, sicuro di aver colto nel segno.

 

“Conosco ogni frase che Guilty ti disse, ogni insegnamento che quell’uomo ti diede, essendo stato io ad addestrarlo, io ad insegnargli ad odiare, chiedendo che lui facesse altrettanto con te!”

 

“Che cosa?! Non è possibile!” –Esclamò Phoenix, non credendo alle proprie orecchie.

 

“È più che possibile, Phoenix! È reale!” –Commentò Issione, ricordando quel lontano giorno di sette anni addietro.

 

Il figlio di Ares si trovava sull’Isola della Regina Nera, luogo in cui si era nascosto per anni, e in cui aveva avvelenato il suo animo già malato, usando il proprio tetro potere per attirare uomini da ogni parte del mondo, desiderosi di lasciarsi tentare dal lato oscuro, e farne dei briganti senza scrupoli, dei Cavalieri che avrebbe usato in seguito per mettere alla prova il suo futuro Comandante.

 

“Verrà un giorno…” –Amava ripetere Issione, nelle torride giornate sull’Isola. –“…in cui un ragazzo raggiungerà queste terre, per prendere l’Armatura di Phoenix! Tu dovrai addestrarlo, Guilty, tirare fuori l’odio in lui, la violenza e il male! Insegnargli i valori fondamentali a cui dovrà essere dedito: la vendetta, la collera, l’ingiustizia, figlie della Dea Madre Guerra, principio motore dell’intero universo! E voi…” –Aveva aggiunto, rivolgendosi ai Cavalieri Neri inginocchiati di fronte a lui. –“E voi dovrete seguirlo, se lui si riterrà degno di essere nostro fratello!”

 

“Tu eri il prescelto, e rivelasti qualità superiori alle mie aspettative! Forza fisica e vigore non ti mancavano, e pure la determinazione e la risolutezza in battaglia, doti indispensabili per un Comandante! Ma per quanto Guilty si sforzasse di rendere i tuoi giorni un Inferno, come volevo che fossero, dentro te qualcosa ancora ti frenava, qualcosa ancora ti impediva di abbracciare l’oscuro potere, che invece era là, a portata delle tue mani! La tua nobiltà d’animo ti frenava, Phoenix, la nobiltà dei tuoi sentimenti che dovevi assolutamente abbandonare per diventare come ti avrei voluto! In una guerra non c’è posto per i sentimenti, essi corrodono soltanto lo spirito battagliero di un guerriero, indebolendolo e conducendolo irrimediabilmente alla sconfitta! Per questo organizzai la morte di Esmeralda, obbligando Guilty ad ucciderla, e facendo ricadere la responsabilità di questo su di te!” –Confessò Issione. –“Quello fu l’ultimo tassello del puzzle, lo stimolo che fece di te l’uomo che eri destinato ad essere, il malvagio Comandante che avevo scelto!”

 

“Tu... tu... hai ordinato al mio maestro di uccidere Esmeralda?!” –Tuonò Phoenix, stringendo i pugni con forza. –“Sei stato tu?”

 

“Povero vecchio! Per quanto il suo animo ormai fosse corrotto, avvelenato dai miei poteri e dalla vita in quell’Isola, quel miserabile del tuo maestro osò contraddirmi quel giorno, esitando sul da farsi! Dovetti minacciarlo di morte e piegare nuovamente il suo volere a me, cosa ovviamente facile per una mente intossicata dal Male come la sua, per spingerlo a ciò! Ma me ne compiaccio ogni giorno, perché quel gesto ti fece diventare proprio come ti volevo, maligno e incapace di amare, incapace di provare altri sentimenti che non fossero la rabbia, la collera, la violenza! Poi quegli stupidi di Atena e di Pegasus si sono messi in mezzo e ti hanno convertito al loro sciocco credo pacifista, ma io, che ti conosco meglio di chiunque altro, avendoti forgiato personalmente, so che nel tuo tumultuoso animo non c’è posto per la pace, solo per l’odio e per la guerra!”

 

Maledettooooo!!!” –Urlò Phoenix, scagliando un violentissimo pugno infuocato contro Issione, il quale, stupefatto e sorpreso, fu investito in pieno e scaraventato indietro, ricadendo a terra con fragore. –“Tu hai ucciso Esmeralda!” –Gridò Phoenix, accecato dalla rabbia. –“Solo per usarmi come una pedina per i tuoi sporchi piani di dominio?! Maledettooo!!!” –E si lanciò avanti, con il pugno destro carico di energia cosmica. Ma Issione evitò l’affondo, balzando in alto e atterrando dietro al ragazzo, ridendo come un pazzo.

 

“Sì, Phoenix, io ho fatto di te l’uomo che sei, tirando fuori il lato oscuro e malvagio della tua personalità! Dovresti ringraziarmi invece di attaccarmi! Ringraziarmi e inginocchiarti a me, giurando fedeltà come mio Comandante!” –Enfatizzò Issione.

 

“Mi inginocchierò soltanto sul tuo cadavere, per piantarti una spada in gola e gettare il tuo corpo morto agli avvoltoi, bastardo!” –Urlò Phoenix, lanciandosi nuovamente avanti. Ma i suoi pugni infuocati, per quanto potenti, non raggiunsero Issione, che si muoveva più veloce di lui e con più tranquillità, mentre l’animo in tumulto di Phoenix rendeva i suoi colpi imprecisi, espressione diretta degli scatti d’ira del ragazzo.

 

“Sì! Così, Phoenix! Colpiscimi come facevi con Guilty! Libera l’odio, la rabbia che è dentro di te!” –Urlava Issione come un pazzo, mentre Phoenix continuava a lanciare pugni infuocati, senza mai colpire il bersaglio. –“Torna ad essere il Phoenix Nero che eri un tempo, il guerriero senza pietà che ha ucciso il suo maestro e avrebbe voluto fare altrettanto con i vecchi compagni d’infanzia!”

 

Improvvisamente Phoenix si fermò, con il braccio destro teso avanti, esausto per la lunga carica che non aveva prodotto alcun risultato, soltanto quello di lasciare alla rabbia la possibilità di esplodere dentro di sé, impedendogli di riflettere con lucidità. Il ragazzo si accasciò a terra, di fronte allo sguardo soddisfatto di Issione e a quello preoccupato di Castalia, che aveva udito l’intera confessione e poteva solo immaginare quanto dolore e rabbia albergassero nel cuore del ragazzo.

 

Cosa farà Phoenix? Si chiese la Sacerdotessa, maledicendosi per non essere più forte, per non avere l’energia di alzarsi e andare ad aiutarlo. Ma quale aiuto potrei dargli? Quale aiuto dare a un uomo che ha vissuto le pene dell’inferno e ha appena scoperto che quello era il destino che un semidio aveva scelto per lui? Che sia davvero così? Che Phoenix porti dentro sé il germe del Male e della Guerra? Si chiese la donna, prima di scacciare quei nefasti pensieri dalla sua mente. No! Si disse con risolutezza, mentre il suo cosmo caldo scivolava sull’erba per confortare Phoenix, accasciato a terra. Phoenix non è più quell’uomo pieno di odio e di rabbia che era un tempo! Adesso, e già da molto ormai, è il Cavaliere della Speranza! E terrà fede all’impegno che ha preso! Con Atena, e soprattutto con se stesso!

 

La mente di Phoenix era un crogiuolo di emozioni contrastanti, dalla rabbia verso Issione all’amore per Esmeralda, dai sensi di colpa per non aver potuto impedire la sua morte ai rimorsi per com’era diventato in seguito, e i malvagi atti di cui si era macchiato. Ma su tutto questo torreggiava un’immensa collera verso il figlio di Ares, che aveva osato ordire il suo malefico piano, che aveva strumentalizzato la sua vita, facendone un burattino nelle sue mani.

 

Esmeralda! Mormorò Phoenix, stringendo la terra tra le mani. Per tutti questi mesi, questi lunghi e interminabili mesi, non ho fatto altro che accusarmi, colpevolizzandomi ogni giorno per la tua morte, per non essere stato forte abbastanza, per non essere stato sufficientemente risoluto per evitarla! Ho torturato il mio cuore, chiudendolo alle nuove conoscenze, accusandomi di non meritare altro amore, tranne quello che tu, mio dolce fiore, sei stato in grado di darmi in quei sei anni infernali! E adesso… Ringhiò Phoenix, furioso. Adesso scopro che sei stata usata, come me, come Guilty, come i Cavalieri Neri, che facevi parte di un preordinato piano mirante soltanto a trasformarmi in uno spietato comandante fedele ad un Dio sanguinario e violento! Oh Esmeralda…

 

I pensieri di Phoenix furono interrotti da un violento calcio con cui Issione lo colpì alla mascella, scaraventandolo indietro, prima di scagliare le due sciabole infuocate contro di lui, lasciando che si piantassero ad un passo dal suo corpo e incendiassero la sua maglia, rivelando il nudo fisico scolpito del ragazzo.

 

“Allora, Phoenix, sei pronto per tornare a essere te stesso? Sei pronto per il destino scelto per te, quello che veramente ti farà sentire vivo?!” –Gli chiese Issione, incamminandosi verso di lui.

 

La risposta di Phoenix non si fece attendere, e si presentò sotto forma di un fiammeggiante cosmo che bruciò improvvisamente intorno a lui, mentre il ragazzo si rimetteva in piedi.

 

“Non sarai tu, Issione, a decidere il mio destino! Ma io, Phoenix, con le mie scelte e le mie azioni!”

 

“Credo che le tue azioni passate rendano merito al tuo futuro ruolo di Comandante delle mie Armate, Phoenix”! –Ironizzò Issione, fermandosi.

 

“Ho già chiesto perdono molte volte per i miei errori, ad Atena e ai miei compagni, e forse un giorno verrò condannato per questo! Forse un giorno, l’unico Creatore dell’Universo scatenerà la sua ira su di me, punendomi per il Male che ho fatto! Ma fino a quel giorno, Issione, continuerò a credere nella giustizia e nella libertà, e a lottare per questi valori, a fianco di Atena e dei miei compagni, e né tu né nessun altro folle e patetico ragazzetto accecato da sogni di dominio riuscirà a farmi cambiare idea, sovrastando il mio destino, che appartiene a me soltanto!” –Esclamò Phoenix, con decisione, mentre le ardenti fiamme della Fenice brillavano intorno a lui.

 

Il cosmo di Phoenix esplose in tutto il suo splendore, mentre i frammenti della corazza di Bronzo rimasti sul suo corpo avvamparono con forza, ricreando la Divina Armatura dell’uccello infuocato, che Phoenix aveva indossato contro Ade.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 38
*** Ardi, fuoco della speranza! ***


CAPITOLO TRENTASETTESIMO. ARDI, FUOCO DELLA SPERANZA!

 

Nel giardino retrostante le Stanze di Morfeo Phoenix, rivestito della sua abbagliante Armatura Divina, stava fronteggiando il figlio di Ares, Issione, dopo aver scoperto che questi aveva ordito, sette anni fa ormai, un piano per potenziare l’animo rabbioso del giovane, caricandolo di odio e di violenza, al fine di forgiare un rude e sanguinario Comandante per le sue Armate del Fuoco e della Paura, che avrebbe combattuto al suo fianco per creare un nuovo ordine mondiale.

 

Ma Phoenix non ci sta! Commentò il ragazzo, bruciando il proprio ardente cosmo. Non dopo aver trovato l’assassino di Esmeralda! Colui che per tutto questo tempo ha inquinato il mio cuore, caricandolo di rancori e rimorsi! È giunta l’ora di mettere da parte tutti i miei risentimenti, tutti i miei sensi di colpa! E lo farò sconfiggendo te, Issione, causa principale del mio Male di vivere!

 

“Pugno infuocato!” –Tuonò il Cavaliere della Fenice, scattando avanti con il braccio destro teso, e scagliando un velocissimo pugno di fuoco contro il figlio di Ares.

 

Issione incrociò le spade davanti a sé, ricreando la Croce infuocata, mentre il Pugno di Phoenix si schiantava contro la sua difesa, impegnando notevolmente il guerriero, che fu comunque spinto indietro dalla furia del Cavaliere di Atena, scavando profondi solchi nel terreno con la sua corazza.

 

“Croce Infuocata!” –Gridò Issione, potenziando il suo attacco. I fasci rossastri che scaturirono dalle lame incrociate di fronte a lui travolsero il pugno di Phoenix, ferendo il ragazzo e spingendolo indietro, mentre Issione scattava avanti, brandendo le sciabole incandescenti.

 

“Hai rifiutato l’occasione della tua vita!” –Esclamò Issione, muovendo velocemente le proprie lame infuocate. –“Hai sprecato l’occasione di sedere al mio fianco, sul trono del nuovo mondo!”

 

“Non ci sarà nessun nuovo mondo, Issione! Viviamo già in una terra splendida e piena di luce! Dobbiamo semplicemente impegnarci nel migliorarla!” –Lo criticò Phoenix.

 

Taciiiii!!!” –Urlò Issione, sollevando bruscamente una sciabola.

 

Il fendente infuocato scaraventò Phoenix indietro, scheggiando la Divina Armatura della Fenice.

 

Non posso indietreggiare! È determinato e sanguinario! Non si fermerà finché non mi avrà ucciso! Rifletté Phoenix, bruciando il cosmo. E io non posso morire qua! Non ancora! Devo salvare Atena, rivedere mio fratello e i miei compagni, e fare altre mille cose in questa vita! Oh Esmeralda, quante cose avrei voluto fare con te! Sospirò, mentre le fiamme della Fenice lo circondavano.

 

“Difenditi, Issione!” –Tuonò Phoenix. –“Adesso subirai il mio colpo segreto, le Ali della Fenice!”

 

“Non te lo permetterò!” –Rispose Issione, puntando tre dita avanti. Veloci come la luce, tre fiammelle rosse partirono dalla sua mano circondando Phoenix, unendosi in un vorticoso cerchio infuocato che iniziò a roteare all’istante, facendo girare Phoenix al suo interno.

 

“Ruota di Fuoco!” –Esclamò Issione, soddisfatto per aver imprigionato il proprio nemico. –“E adesso, il colpo di grazia!” – Sogghignò, lanciandosi avanti, con entrambe le apade impugnate.

 

“Cane!!!” –Urlò Castalia da lontano, lanciando la sua lama contro Issione, il quale fu svelto a colpirla con un secco colpo di spada e farla cadere a terra. –“Vigliacco traditore! Attacchi un nemico che non può muoversi!”

 

“Dopo aver ucciso Phoenix taglierò anche la tua testa, Sacerdotessa!” –Sibilò Issione, lasciando partire un fendente infuocato che si diresse rapido verso Castalia, scavando un solco profondo nel terreno. La ragazza fu svelta a rotolare a terra, venendo ferita di striscio al braccio sinistro, mentre Issione esprimeva sconci pensieri su di lei.

 

“Addio Phoenix!” –Esclamò il ragazzo, sollevando entrambe le sciabole sopra di se, mentre Phoenix, davanti a lui, continuava a vorticare su se stesso, prigioniero dell’infuocata ruota.

 

Un momento dopo Issione abbassò le lame, ma non riuscì a colpire il ragazzo, perché protetto da fiamme incandescenti, che si librarono in aria come l’impetuoso battito d’ali di un grande uccello.

 

“Che diavolo succede?” –Si chiese Issione, osservando la Ruota di Fuoco, con al centro Phoenix, cambiare forma e assumere la maestosa sagoma di un uccello infuocato.

 

“Non aver paura!” –Lo schernì una decisa voce, apparendo tra le fiamme. –“La paura non si addice a un guerriero spietato!” –Ironizzò Phoenix, circondato dalle sfavillanti fiamme. –“Accetta invece la morte con onore! Ali della Feniceee!!!” –Urlò, liberando l’immenso potenziale del suo cosmo.

 

Issione tentò di incrociare le sciabole avanti a sé, ma fu travolto comunque, trovandosi troppo vicino, e sollevato in alto, mentre le incandescenti Ali della Fenice stritolavano il suo corpo, facendolo schiantare contro le mura del Tempio di Morfeo, distruggendole. Il guerriero spietato cercò di liberarsi dai detriti caduti su di lui, tossendo a fatica, mentre Phoenix balzava in aria, spiccando il volo come una fenice, liberando decine e decine di piume metalliche, che Issione tentò di evitare, ma avendo perso le proprie sciabole fu colpito in più punti e la sua Armatura fu penetrata dalle Piume della Fenice che presero fuoco all’istante.

 

Aargh! Tu sia dannato Phoenix!” –Urlò Issione, rimettendosi in piedi a fatica.

 

“Dannato?! Credo di esserlo già da un po’!” –Ironizzò Phoenix, recuperando il suo solito cinico sarcasmo. –“Ma non credere che finisca qua, Issione! Hai ucciso Esmeralda, e devo fartela pagare! Pugno Infuocato!” –Tuonò, lanciandosi avanti.

 

Issione, ancora senza sciabole, non poté far altro che portare entrambe le braccia avanti, per contenere l’impatto col pugno del ragazzo. I due restarono così, vicini, uno contro l’altro, mentre i loro occhi si fissavano con rabbia, mentre il pugno destro di Phoenix, carico di rovente energia, cercava di abbattere la difesa di Issione.

 

Fu il guerriero a smuovere la situazione, cercando di colpire Phoenix con un calcio allo sterno, ma Phoenix lo parò con una gamba, aspettandosi un simile attacco. L’enorme pressione a cui furono sottoposti entrambi liberò una grande quantità di energia, la cui esplosione spinse entrambi indietro, Phoenix a terra e Issione contro un pezzo di muro del Tempio.

 

Il figlio di Ares fu svelto a recuperare le proprie sciabole infuocate e a lanciarsi contro Phoenix, sferzando l’aria con rapidità e ferocia, mentre il Cavaliere di Atena rotolava sul terreno per evitare i fendenti incandescenti di Issione. Afferrò l’argentea lama di Castalia, trovata per caso sul prato, e parò con essa un colpo secco di spada di Issione, ma non poté evitare la seconda sciabola che lo ferì al braccio destro. Dolorante, Phoenix espanse il proprio cosmo, lanciandosi avanti, incurante dei fendenti infuocati che giungevano contro di lui, con il braccio destro teso, carico di un’ardente energia cosmica.

 

“Pugno infuocato!!!” –Urlò il ragazzo, sbattendolo con forza contro il petto di Issione, che non si aspettava un attacco così diretto.

 

Il guerriero fu scaraventato lontano, ma riuscì comunque a piantare una sciabola nella coscia sinistra di Phoenix, facendolo urlare di dolore. Quando Issione si rialzò, notò con orrore che il pettorale scarlatto della sua Armatura era andato completamente distrutto, poco sopra il suo cuore, e che sangue stava uscendo copioso dalla ferita.

 

“Maledetto Phoenix! Che il diavolo ti porti!” –Esclamò rabbioso, prima di barcollare un momento ed accasciarsi a terra, in preda a un fitto dolore.

 

Ma Phoenix non stava meglio di lui, penetrato fin dentro le carni dall’infuocata lama del figlio di Ares, che il ragazzo fu lesto a estrarre e a gettare via, prima di appoggiare la schiena a un albero per respirare un momento.

 

Phoenix…” –Mormorò Castalia, tentando di mettersi in piedi.

 

“Vattene via Castalia!” –La incitò Phoenix. –“Trova Pegasus e mio fratello e salva Atena con loro!”

 

“Non potrei mai abbandonarti qua!” –Commentò Castalia nonostante sapesse che avrebbe potuto fare ben poco.

 

“Non essere sciocca! C’è bisogno di te altrove! Vattene!” –Urlò Phoenix, prima di concentrare il cosmo incandescente sul pugno destro e lanciarsi avanti.

 

Issione aveva appena fatto altrettanto e i due uomini si fronteggiarono a mezz’aria, colpendosi a vicenda e scaraventandosi indietro. Ma fu il figlio di Ares, per quanto ferito e dolorante, a rimettersi in piedi per primo. Bruciò il suo demoniaco cosmo, evocando il fuoco mortale di suo padre, Dio della Guerra, mentre immonde fiamme lo circondarono poco dopo.

 

“Danzate, fiamme di Ares, e distruggete quest’impuro mondo!” –Urlò Issione, guidando le lingue di fuoco con la sua mente, come ballerine al comando del maestro. –“Danza del Fuoco di Morte!”

 

Le vampe incandescenti invasero l’intero giardino, divorando tutto ciò che trovavano sul loro percorso, fagocitanti creature animate dalla maligna energia cosmica di Issione. Phoenix tentò di respingerle, travolgendole con le Ali della Fenice, ma dovette ammettere, con orrore, che la stessa Fenice era inerme, stritolata dalla mortale Danza di Issione, e sbranata in volo.

 

Aargh!!!” –Gridò Phoenix, mentre l’avvolgente Fuoco di Morte si attorcigliava intorno al suo corpo, strusciando sulla sua corazza, incendiando il suo stesso sangue che sgorgava dalla ferite. 

 

“Addio Fenice immortale, qua finirai in cenere!” –Rise Issione, delirando come un pazzo.

 

Quindi, senza aggiungere altro, recuperò una sciabola incandescente, scattando veloce come una fiera verso Castalia, la quale non riuscì a difendersi in alcun modo, venendo afferrata per il collo e sbattuta contro un albero. Per quanto cercasse di liberarsi, dimenandosi e tirando pugni contro il braccio robusto di Issione, presto dovette cedere, sentendo il respiro mancare e le forze venire meno. Il pesante alito di Issione sibilò qualche sconcezza al suo orecchio, mentre l’uomo sollevava la sciabola, pronto per spaccarle il cranio. Addio Atena! Mormorò la ragazza, perdendo i sensi. Perdona la mia debolezza, perdona la mia incapacità a reagire! Ho fallito su tutti i fronti, deludendo le aspettative che avevi riposto in me! Non ho saputo difenderti, permettendo a Zeus di imprigionarti nella Torre Bianca, né ho saputo affiancare degnamente i tuoi Cavalieri! Morirò qua, adesso, in questo sconsacrato giardino… con tutti i miei rimpianti!

 

Mentre l’infuocata lama di Issione scendeva sulla testa di Castalia, un fascio di luce colpì con decisione l’uomo sulla mano destra, con la quale reggeva l’arma, tagliando il guanto protettivo della sua Armatura e obbligandolo a voltarsi e a lasciare la presa, mentre il fascio luminoso si moltiplicava, diventando un infinito labirinto che colpì il guerriero sull’intero braccio.

 

“Chi osa?” –Tuonò il figlio di Ares inviperito, mentre Castalia ricadeva a terra, inerme.

 

L’unica risposta che udì fu un pugno di luce che lo investì in pieno, scaraventandolo lontano, contro un albero abbrustolito del giardino di Zeus. Quando Issione si rimise in piedi, imprecando come un dannato, vide un uomo ricoperto da dorate vestigia sollevare il corpo martoriato di Castalia e confortarla con il cosmo. Il Cavaliere dorato depositò la donna con delicatezza, avvolgendola nel suo bianco mantello, essendo le sue vesti lacere e bruciate. Castalia, debolissima, non comprese ciò che stava accadendo, e per un momento pensò di vivere un sogno, un bellissimo sogno.

 

“Chi sei?” –Domandò Issione, impugnando nuovamente le sue sciabole.

 

“Sono Ioria del Leone, Cavaliere d’Oro di Atena!” –Esclamò l’uomo con decisione, facendosi incontro al figlio di Ares. –“E sono colui che ti ucciderà!”

 

“Ah ah ah! Issione, figlio di Ares, non teme confronti!” –Rise beffardo il guerriero scarlatto. –“Prendi!” –E scagliò un fendente infuocato contro Ioria, che si difese scattando di lato, evitandolo.

 

“Fermati!” –Esclamò una voce improvvisamente.

 

“Che cosa?!” –Balbettò Issione, incredulo. –“Come puoi essere ancora vivo?!”

 

Un’enorme esplosione cosmica travolse le ardenti Fiamme di Morte di Issione, rivelando la sagoma di Phoenix, stanco e provato, ma ancora vivo.

 

Ioria...” –Mormorò Phoenix, riconoscendo il Cavaliere d’Oro. E grande fu la sorpresa in lui, ma non inferiore fu la felicità nel saperlo, qualunque fosse il motivo, ancora vivo.

 

“Phoenix... lascia a me quest’uomo!” –Esclamò Ioria, caricando il pugno destro di energia lucente. –“Tu riposa le tue ferite!”

 

“Non ho certo paura di affrontarvi entrambi, bastardi Cavalieri di Atena!” –Ghignò Issione, che aveva recuperato la sua sciabola infuocata.

 

Ioria!” –Esclamò Phoenix, con una voce decisa che lasciava poco spazio al dubbio. –“Prenditi cura di Castalia! È debole e ferita, ma grazie al tuo cosmo riuscirà a guarire! Terminerò io l’incontro con questo mostro, che non merita l’appellativo di uomo, non essendovi in lui niente di umano!”

 

“Sei sicuro di ciò che fai, Cavaliere?” – Chiese Ioria.

 

“Mai stato più sicuro in vita mia!” –Rispose Phoenix, mentre Ioria annuì sospirando. –“Porterò a termine la mia battaglia, senza che nessuno si intrometta! Ho un conto in sospeso con te, figlio di Ares, ed è il momento di riscuotere!”

 

“Ah ah ah! Ma davvero?!” –Esclamò Issione, delirante. – “E cosa ti devo?”

 

“Il mio passato!” –Rispose con freddezza Phoenix, prima di scaricare l’immenso potenziale delle sue Ali della Fenice, che travolse l’intero mare di fiamme che lo separava da Issione, nonostante l’uomo avesse richiamato le proprie vampe di morte, raggiungendolo e scaraventandolo indietro, distruggendo parte della sua corazza. Prima che Issione potesse reagire, Phoenix era già su di lui, determinato come non mai ad avere vittoria, la sua personale vittoria.

 

Nel frattempo Ioria si era chinato su Castalia e aveva usato i poteri curativi del suo cosmo per lenire le ferite della ragazza, ancora stordita dall’accaduto. Ma bastò il contatto con il caldo cosmo del Leone per risvegliare in lei sopiti ricordi, mai del tutto dimenticati.

 

Ioria...” –Commentò infine la ragazza, aprendo gli occhi.

 

“Proprio io...” –Sorrise il giovane, sollevandola e incamminandosi via dal giardino, rispettando la volontà di Phoenix.

 

Il Cavaliere di Leo però non riuscì a fare neppure quattro passi che dovette fermarsi, per osservare l’uomo appena arrivato nel Giardino dei Sogni. Un Cavaliere Celeste, non molto alto ma robusto, ricoperto da una splendente Armatura Divina, con raffinate striature argentate, dotata di uno scudo rotondo sul braccio sinistro e di una spada fissata alla cintura. Aveva un viso maschile, reso ancora più virile da una vistosa cicatrice sulla guancia destra proprio sotto l’occhio, scuro e brillante.

 

Ooh... ben arrivato Giasone!” –Urlò Issione, liberandosi di Phoenix con un calcio secco. –“Uccidi questi invasori quanto prima!”

 

“Non ascoltarlo, Cavaliere!” –Esclamò Phoenix. –“Costui è un vile traditore! Con il fratello mira a prendere il dominio dell’Olimpo, scalzando il Sommo Zeus dal trono!”

 

Il Cavaliere Celeste non rispose, spostando lo sguardo su Ioria e sulla donna che portava in braccio, senza curarsi troppo dello scontro tra il figlio di Ares e l’altro Cavaliere di Atena.

 

“Cavaliere Celeste!” –Lo chiamò Ioria. –“Evitiamo questo scontro, te ne prego! Conosco già il vostro valore, avendo affrontato poc’anzi uno di voi, e sono certo che voi sarete a conoscenza del nostro, indiscutibile dal momento che siamo arrivati fin qua! Concedici di passare e non ascoltare i deliri del tuo parigrado!”

 

“Egli non è un mio parigrado!” –Precisò il Cavaliere, parlando per la prima volta. –“Egli non è neppure un Cavaliere Celeste, ma il figlio di una Divinità Olimpica, ed è solo per questo che si trova qua, non certamente per meriti personali!”

 

La pungente affermazione di Giasone raggiunse Issione, ma il semidio non se ne curò, essendo impegnato a difendersi dai veloci e potenti attacchi di Phoenix.

 

“Il mio nome è Giasone della Colchide, Cavaliere Celeste al servizio del Sommo Zeus, ed è a lui solo che rispondo! A lui e al mio Luogotenente!” –Esclamò il ragazzo. –“Ed è per difendere la Reggia del mio Signore che sono qua!”

 

“Fermati, ti prego!” –Esclamò Ioria, ma Giasone parve non ascoltarlo neppure, bruciando il cosmo.

 

“Perdonami, Cavaliere, ma questo è il mio compito! Sono un Cavaliere Celeste e per Zeus combatto!”

 

“E sia dunque…” –Mormorò Ioria, depositando delicatamente Castalia a terra e pregandola di riposarsi.

 

Senza aggiungere altro, il Cavaliere di Leo scattò avanti, creando il suo fulmineo reticolato di luce. I fendenti luminosi si diressero verso Giasone, ma egli sollevò lo scudo, piccolo ma robusto, lasciando che su esso si infrangesse la maggioranza degli attacchi. Si preparò quindi per contrattaccare, ma fu troppo lento, trovandosi Ioria già di fronte a lui, con il pugno destro carico di scintillante energia cosmica.

 

“Per il Sacro Leo!” –Urlò Ioria, portando avanti il braccio destro con forza.

 

Il colpo luminoso si schiantò contro lo scudo di Giasone, evitando al ragazzo di essere ferito in pieno ma scaraventandolo indietro con vigore, fino a farlo sbattere su quel che restava del Tempio di Morfeo e ricadere a terra, mentre la costruzione franava su di lui.

 

Ioria…” –Si rialzò Castalia, preoccupata. –“Non l’avrai ucciso?”

 

“Non credo!” –Si limitò a dire il Cavaliere di Leo, tornando indietro. –“Ho cercato di metterlo fuori combattimento, senza ferirlo gravemente! Non c’è odio né malvagità nel suo cosmo, solo il profondo e sincero desiderio di servire il proprio Signore!”

 

“Come hai fatto ad arrivare fin qua?” -Domandò Castalia, buttandosi addosso al ragazzo.

 

“Mi ha guidato il tuo cosmo!” –Rispose lui, abbracciandola con affetto.

 

Una lenta pioggia di lacrime iniziò a scendere sul viso della Sacerdotessa dell’Aquila, in un crogiuolo di sentimenti, anche contrastanti tra loro, che non riusciva più a dominare. Il destino si stava nuovamente prendendo gioco di lei, e lei, ancora una volta, non riusciva a reagire. Era tremendamente felice per sapere Ioria sano e salvo, avendoci così tanto sperato nei mesi precedenti, avendolo tanto sognato ogni volta in cui aveva chiuso gli occhi. Ma era anche angosciata, tremendamente angosciata, combattuta tra i suoi sentimenti, in bilico tra due mondi, apparentemente così distanti tra loro. Da un lato l’incerto amore per Ioria, che mai aveva apertamente dichiarato, giungendo persino a perdere il sonno tra i rimpianti, al termine della Guerra Sacra; dall’altro il nuovo sentimento per Phantom, un Cavaliere che aveva osato persino disubbidire al Sommo Zeus pur di salvarle la vita. Due rapporti precari, come il suo cuore in quel momento.

 

L’improvvisa esplosione del cosmo di Phoenix riportò Castalia al presente, obbligandola a concentrarsi sulla battaglia ancora in corso.

 

“Danza del Fuoco di Morte!” –Tuonò Issione, richiamando le proprie fiamme infernali e lanciandole contro Phoenix.

 

Ma il ragazzo quella volta cercò di reagire, bruciando al massimo il proprio cosmo ardente, nella speranza di spazzar via quelle mortali fiamme con il battito d’ali della sua Fenice.

 

“Fallirai!” –Esclamò Issione, mentre le danzanti vampe da lui create avvolgevano nuovamente il corpo di Phoenix, divorandolo vivo. –“Come hai sempre fatto, Phoenix, rivelandoti infine per quello che sei realmente! Un fallimento esistenziale! Incoerente, incerto, incapace di portare fino in fondo qualunque tuo credo, pacifista o violento che sia, ma sempre e continuamente in dubbio!”

 

“La grandezza di un uomo non sta necessariamente nella sua immutabilità! Tutt’altro Issione!” –Rispose Phoenix, mentre l’incandescente battito d’Ali della Fenice spazzava via le danzanti fiamme di morte. –“Quella che tu definisci come incoerenza, come un mio fallimento, è in realtà il mio più grande successo, la mia più grande vittoria! L’aver riconosciuto i miei errori ed aver trovato dentro di me, grazie all’aiuto dei miei compagni, la forza per andare oltre!”

 

“L’unico posto in cui andrai è all’Inferno, Phoenix!” –Tuonò Issione. –“Ruota di Fuoco!” –Urlò, puntando tre dita contro di lui.

 

Ma Phoenix quella volta, già conoscendo il suo colpo segreto, seppe parare le tre comete infuocate, semplicemente spegnendole con decisi pugni, davanti agli occhi increduli di Issione.

 

“Come già ti ho detto, Issione, ho un buon motivo per batterti! E non è solo una mera prova di forza, o il desiderio di un’accecante vendetta, per quanto non nasconda una tremenda rabbiosa ostilità nei tuoi confronti!” –Commentò Phoenix, mentre il suo vasto cosmo si estendeva intorno a lui, intimorendo lo stesso figlio di Ares da tanto che era esteso. –“No! Ti sconfiggerò perché sono nel giusto, perché ho fatto la scelta giusta, abbracciando il credo di Atena e dei miei compagni, uomini soli, come me, che sono stati in grado di stabilire un legame profondo tra loro, un legame chiamato amicizia! Che supera il tempo ed ogni risentimento! E non può essere sconfitto!”

 

“Danza, Fuoco di Morte!” –Urlò Issione, ma la decisa voce di Phoenix presto lo sovrastò. –“Ardi, Fuoco della Speranza!!!”

 

Dicendo questo, Phoenix scattò avanti, scaricando l’immensa potenza del suo incandescente cosmo contro il figlio di Ares, il quale tentò di difendersi con la propria sciabola rovente, ma fallì, venendo travolto in pieno dalla maestosa e nobile sagoma di un uccello infuocato, che lo trapassò completamente, distruggendo la sua armatura, e il suo corpo. Issione rotolò sul terreno, mentre il suo fisico era pieno di ferite traboccanti sangue; tentò di rialzarsi, di riprendersi, ma Phoenix non gli diede tregua, centrandolo con un pugno in pieno petto, all’altezza del cuore, e sfondando la sua cassa toracica.

 

Esmeralda…” –Commentò Phoenix, mentre il corpo ormai privo di vita di Issione si accasciava a terra. –“Questa è stata la tua vendetta, non la mia! La rivincita di una donna a cui è stato negato un futuro! Un futuro che, sicuramente, sarebbe stato pieno di amore!”

 

In quel momento una lacrima scese sul volto di Phoenix, commosso e per un istante ancora vittima dei propri ricordi. Ioria e Castalia furono subito a fianco del ragazzo, mettendogli una mano su una spalla, cercando di comprendere il suo dolore. Phoenix non disse niente, incitando gli amici ad andare avanti, concordi nel correre quanto prima alla Reggia di Zeus, sicuri che anche i propri compagni sarebbero giunti entro breve tempo. Phoenix sorrise improvvisamente al pensiero di rivedere finalmente l’amato fratello.

 

Prima di andarsene, Castalia si accostò al corpo mutilato di Morfeo e lo ricoprì con un bianco telo, mentre sincere lacrime caddero dai suoi occhi. Dio dei Sogni, avevi ragione! Una maschera porto sul viso, un travestimento del volto e del cuore, che mi ha impedito per anni di dare libero sfogo ai miei sentimenti, vittime intimorite di una grande paura. La paura di amare! Forse, se avessi aperto il mio cuore prima, rivelando i miei sentimenti, all’epoca sicuri, molte cose sarebbero andate diversamente, e adesso non sarei così tormentata dai dubbi! E dai sensi di colpa! Commentò la ragazza, rialzandosi. Oh, Morfeo, che tu possa venire da me, nelle mie notti senza stelle, sbattendo le tue silenziose ali, per portarmi un po’ della tua saggezza, e un po’ dei tuoi ricordi! Addio, Signore dei Sogni! E grazie per avermene regalato uno!

 

Pochi istanti dopo, Phoenix, Ioria e Castalia uscirono dal Tempio di Morfeo, infilando nei silenziosi corridoi della Reggia di Zeus, puntando sulla Sala del Trono, mentre i rumorosi passi delle loro Armature riecheggiavano nel ventilato edificio.

 

È tutto troppo silenzioso! Rifletté Ioria, temendo un attacco a sorpresa. Lo stesso pensiero fu espresso da Phoenix e da Castalia, stupiti nel non trovare nessuno che li fermasse.

 

“Guardate!” –Esclamò Ioria, indicando avanti a sé.

 

Il corpo ferito di un ragazzo era disteso di schiena sul pavimento, mentre poco distante giacevano confusamente coppe dorate ed un vassoio, che gli era probabilmente caduto di mano quando era stato assalito. Ioria, titubante, si fermò, chinandosi sul ragazzo, e vide con orrore il violento segno di una lama che lo aveva ferito all’addome, strappando le sue vesti, adesso bruciacchiate. Il giovane, dai corti capelli castani e gli occhi marroni, emise un rantolo, e Ioria subito lo sollevò, appoggiandolo al muro, prima di usare i suoi poteri curativi per cercare di lenire la sua ferita.

 

“Ah aaah...” –Tentò di parlare il giovane, ma non ci riuscì, da tanto che era debole.

 

“Non sforzarti!” –Gli sorrise Castalia.

 

“Chi sei?” –Volle sapere Ioria. –“E chi ti ha assalito?”

 

“Ganimede...” –Mormorò il ragazzo, i cui occhi sembravano spegnersi da un momento all’altro. –“Flegias!” –Aggiunse, prima che la testa gli ciondolasse avanti.

 

Flegias!!!” –Ripeté Castalia. –“Il figlio di Ares! Morfeo aveva visto bene dunque, egli trama alle spalle del Signore dell’Olimpo, e probabilmente l’ha ingannato per realizzare i suoi piani di dominio!”

 

“Ma Ares non è prigioniero del Sigillo di Atena?” –Chiese Ioria, appoggiando il ragazzo a terra.

 

“Questo è quanto mi disse Atena, e Morfeo prima mi confermò!” –Commentò Castalia, mentre Phoenix incitava entrambi a proseguire.

 

La Sala del Trono era ormai vicina, e là avrebbero trovato tutte le risposte alle loro domande.

 

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 39
*** Riuniti ***


CAPITOLO TRENTOTTESIMO. RIUNITI.

 

Mentre Flegias faceva strage di menadi e di satiri, dopo aver sgozzato Dioniso, molti metri più a valle, nella Foresta di Artemide, la Dea della Caccia era a colloquio con uno dei sette Cavalieri di Atena giunti per primi sul Monte Sacro, Tisifone, la Sacerdotessa dell’Ofiuco.

 

Alcuni cacciatori di Artemide avevano trovato il suo corpo insanguinato, poco distante dal cadavere di Atteone, e l’avevano portata alla Caverna di Artemide, immaginando che la Dea volesse ucciderla con le sue mani, sgozzando la traditrice ed esternando così la sua frustrazione per la perdita dell’altra preda. La Sacerdotessa del Serpentario era molto stanca e debole, ferita al braccio dalla lama avvelenata di Atteone, e piena di graffi sul viso e crepe sulla corazza dorata del Cancro.

 

La Dea della Caccia sollevò di peso il viso della donna, afferrandola per i capelli, fissandola negli occhi, con sguardo serio e deciso, insultandola per aver invaso l’Olimpo ma complimentandosi per essere riuscita a sconfiggere Atteone, il migliore tra i suoi Cacciatori. Di tutta risposta Tisifone sputò in faccia alla Dea, cercando di liberarsi, graffiandola con i suoi artigli incandescenti, prima che un gruppo di Cacciatori la afferrasse con forza, imprigionandola dentro una rete.

 

“Come osi, bastarda?” –Tuonò Artemide, liberando il cosmo con il quale schiacciò Tisifone a terra.

 

E intanto si toccò il viso, per pulirsi dallo sputo di Tisifone, ancora incredula che una donna avesse potuto tanto. Un Cacciatore puntò una freccia contro il viso della Sacerdotessa, tendendolo l’arco, pronto per ucciderla. Ma stranamente Artemide lo bloccò, provando per la donna un sentimento diverso da quello che aveva provato per Castalia, il cui conformismo l’aveva disturbata parecchio.

 

“Tu non sei una donna!” –Commentò la Dea, avvicinandosi alla gabbia, mentre Tisifone si dimenava come una fiera all’interno. –“Sei un uomo!”

 

“Io sono un Cavaliere!” –Esclamò Tisifone, fissando la Dea negli occhi. –“E combatto per Atena!”

 

E nel dir questo fece esplodere il suo cosmo, distruggendo la rete in cui era prigioniera e lanciandosi contro i Cacciatori di Artemide, affondando i propri Artigli nel loro petto. Prima di riuscire a colpire l’ultimo guerriero, Tisifone fu violentemente spinta contro un albero, da un dardo incandescente che la raggiungeva in pieno petto, sfondando il pettorale dell’Armatura del Cancro e obbligandola a stringere i denti per il dolore.

 

“Ammiro il tuo coraggio, donna!” –Affermò Artemide, continuando a tendere l’Arco della Caccia, Divina Arma della sua Veste. –“Lotti come un uomo, non ti arrendi come un uomo, e soffri in silenzio, senza lamentarti!”

 

Tisifone non rispose, limitandosi a strappare il dardo dal suo petto, mentre il sangue usciva copioso dalla ferita, e a prepararsi a combattere nuovamente, per quanto le sue forze fossero minime.

 

“Vorrei che i miei Cacciatori fossero come te!” –Commentò la Dea, incoccando una nuova freccia.

 

Improvvisamente due vibrazioni nello spaziotempo la fecero voltare, giusto in tempo per trovarsi di fronte due sconosciuti guerrieri dalle vestigia scarlatte, armati di spade infuocate. Senza proferire parola, questi si avventarono su Artemide, nel tentativo di ucciderla, mentre un gruppo di Cacciatori si parava a sua difesa. Artemide, stordita dalla repentinità dell’attacco, e non comprendendo cosa stesse accadendo, vide cadere tutti i suoi Cacciatori, sgozzati come pecore, con incredibile ferocia, la stessa che lei aveva insegnato loro ad usare con gli invasori dell’Olimpo.

 

Ma questi non sono Cavalieri di Atena! Le loro vestigia scarlatte sono dissimili da quelle dei difensori Ateniesi! E non sono neppure Guerrieri del Nord! Chi sono allora? Si chiese Artemide, sollevando l’Arco per colpirli. Ma venne battuta sul tempo da uno dei guerrieri, che con un colpo secco di spada le tolse l’arco dalle mani, ferendo le sue dita, mentre l’altro balzava su di lei, pronto per affondare la spada nel cuore della donna. Ma non ci riuscì, venendo improvvisamente afferrato da liane e piante rampicanti che spuntarono dal terreno, immobilizzandolo.

 

“Che diavolo succede?” –Tuonò il guerriero dalle vestigia scarlatte.

 

Artemide approfittò di quel momento di distrazione per liberarsi dell’altro, spingendolo indietro, proprio mentre un Cavaliere dalla scintillante Armatura Celeste balzava di fronte ai due invasori.

 

“Gorgo dell’Eridano!” –Urlò il nuovo arrivato, chiudendo le braccia a sé e poi aprendole di scatto.

 

Un gigantesco mulinello energetico travolse i due guerrieri, scaraventandoli indietro di qualche metro, mentre Artemide riconosceva il Cavaliere che era giunto in suo aiuto, lo stesso che poche ore prima le aveva soffiato la preda: il Luogotenente dell’Olimpo, Phantom dell’Eridano Celeste.

 

I due guerrieri si rimisero subito in piedi, avventandosi su Artemide e Phantom, scagliando rabbiosi fendenti incandescenti contro di loro, che furono travolti dalla violenza dell’assalto e spinti contro gli alberi. Un colpo secco della spada infuocata di uno dei due sconosciuti si piantò nella corteccia di un pino, incendiandolo all’istante, mentre Phantom rotolava sul terreno, evitando l’affondo.

 

Artemide fu ferita a un braccio dalla lama infuocata dell’altro guerriero, e salvata inaspettatamente da Tisifone, la quale srotolò la propria frusta, afferrando il polso del guerriero prima che la sua spada calasse sulla Dea. Infuriato, l’uomo strattonò la frusta, tirando Tisifone a sé, e ferendola con un taglio secco all’addome, prima di gettarla con un calcio contro la Dea.

 

“Andiamocene! L’effetto sorpresa è svanito!” –Commentò uno dei due. E l’altro dovette dargli ragione, riconoscendo che c’erano altre due Divinità da uccidere assolutamente.

 

Quando i due scomparvero, un’espressione di sollievo comparve sul volto della Dea della Caccia, la quale, ansimante per la fatica e la paura, si era appoggiata a un albero, prima di correre ad aiutare i due Cavalieri, Tisifone e Phantom, che l’avevano spontaneamente soccorsa.

 

“Perché l’hai fatto?” –Chiese la Dea a Tisifone, sdraiata a terra sanguinante, piena di ferite gravi.

 

“Solidarietà femminile!” –Ironizzò la donna, stringendo i denti per il dolore lancinante che la stava facendo impazzire.

 

Artemide corse nella Caverna, recuperando in fretta delle erbe particolari che strusciò sulle ferite della Sacerdotessa, lenendo con esse il suo dolore. Quindi si rivolse a Phantom, domandandogli cosa lo aveva spinto a tornare nella Foresta, consapevole del fatto che avrebbe potuto essere ucciso.

 

“Non dai guerrieri sconosciuti, ma da me!” –Esclamò Artemide, sollevando di peso il giovane e sbattendolo contro un albero.

 

“Ero venuto per parlare con te, Dea della Caccia!” –Rispose Phantom, fissandola con i suoi occhi verdi. –“Sono un Cavaliere Celeste, e in me alberga il sacro senso dell’onore Olimpico, che mi permette, di fronte ad ogni situazione, di discernere tra il bene e il male, e di agire relativamente!”

 

“Fai attenzione!” –Gli disse Artemide, lasciandolo andare. –“Il tuo relativismo potrebbe portarti alla morte, un giorno o l’altro!”

 

Phantom si lasciò cadere a terra, debole e ansante, prima di domandare alla Dea della Caccia per quale motivo i figli di Ares avessero deciso di attaccarla. Ella rimase per un momento ammutolita, confessando di non sapere chi fossero i due sconosciuti Guerrieri, prima di ordinare ai due Cavalieri di alzarsi e seguirla alla Reggia di Zeus.

 

“Ci sono troppe cose che non vanno in questa guerra! Troppi elementi che mi convincono di essere vittima di un inganno!” –Commentò Artemide, incitando Tisifone e Phantom a seguirla.

 

Dopo aver travolto i Cavalieri Celesti al Cancello del Fulmine, ultimi difensori dell’Olimpica Reggia, Andromeda, Mur, Scorpio e Virgo erano corsi all’interno del giardino, giungendo rapidi al Tempio di Zeus. Un’enorme costruzione in stile greco, che ai Cavalieri richiamò la Tredicesima Casa del Grande Tempio, ma con un’estensione maggiore, almeno cinque volte tanto. Completamente circondato da un vasto giardino recintato, il Tempio di Zeus sorgeva proprio sulla cima dell’Olimpo, da dove si diceva che Zeus tenesse il mondo sotto controllo, ma le nuvole al momento presenti fecero dubitare i Cavalieri che il Dio dell’Olimpo fosse ancora capace di tanto.

 

Senza esitare, i quattro Cavalieri di Atena entrarono nel Tempio, infilando nel corridoio principale, guardandosi intorno per prudenza. Ma non trovarono niente, nessuna guardia preposta alla difesa, nessun guardiano nascosto, solamente sale vuote che si susseguivano ai lati del corridoio di marmo.

 

“Guardate!” –Esclamò infine Scorpio, indicando una sala sulla destra.

 

Andromeda e gli altri lo affiancarono immediatamente per osservare la macabra scena. Una decina di fanciulle giaceva a terra o tirate su tavoli di marmo, sgozzate e massacrate senza pietà. Una era persino stata decapitata, tanta era la violenza impressa al colpo che l’aveva uccisa.

 

“Che significa?” –Chiese Andromeda, nauseato dall’odore di sangue che invadeva l’intera stanza.

 

“Non ne ho idea!” –Commentò Scorpio, avvicinandosi ad alcune ragazze seminude, per osservarne i resti. –“Ma la strage si è compiuta di recente, massimo da trenta minuti!” –Esclamò, prima di ritornare con i compagni nel corridoio principale.

 

Un boato riscosse i quattro amici, mettendoli nuovamente in guardia, ma Virgo riconobbe il cosmo appena esploso, spiegando agli altri di non preoccuparsi. Corsero dietro al biondo Cavaliere della Vergine fino a giungere in un grande atrio, alla destra della quale si apriva un vasto giardino, mentre davanti a loro tre Cavalieri che ben conoscevano stavano per entrare in una vasta stanza.

 

Fratellooo!!!” –Urlò Andromeda, riconoscendo Phoenix e correndo ad abbracciarlo.

 

Un altro pugno secco di Ioria del Leone fece crollare il grande portone che conduceva alla Sala del Trono, aprendo la via ai Cavalieri, finalmente ritrovatisi.

 

“Felice di rivedervi sani e salvi!” –Commentò Mur, sorridendo a Ioria, Castalia e a Phoenix.

 

“Sono felice anch’io di sapervi qua, Grande Mur!” –Esclamò Castalia, mentre le voci incalzanti di Scorpio e Ioria spingevano ad entrare nella Sala del Trono.

 

La grande stanza si presentò completamente vuota, come il resto della Reggia di Zeus, un immenso salone dalle ampie finestre, ornata da statue e affreschi, al termine della quale, in cima ad una scalinata di marmo chiaro, sorgeva il Trono di Zeus, con il simbolo del Fulmine. Castalia inorridì per un momento nel ricordare la violenza che aveva subito proprio in quella stanza da Zeus e da Flegias; il muro sulla parte sinistra era ancora distrutto, dopo che il suo corpo l’aveva sfondato.

 

“Non capisco… Dov’è Zeus?” –Domandò Scorpio, guardandosi intorno.

 

“C’è qualcosa di molto strano in tutto questo!” –Commentò Ioria, con i sensi tesi, per percepire la minima vibrazione.

 

Improvvisamente un vasto e fiammeggiante cosmo fece la sua comparsa all’interno della Sala del Trono, mentre una figura ricoperta da un’armatura scarlatta appariva in cima alla scalinata, proprio accanto al vuoto trono di Zeus. Castalia tremò riconoscendo il maligno volto del figlio di Ares torreggiare su di loro.

 

Flegias!” –Esclamò, mentre gli altri sei Cavalieri si mettevano in posizione difensiva, uno al fianco dell’altro.

 

“Ih ih ih!” –Sibilò Flegias, accarezzando la spada infuocata che penzolava affissa alla sua cintura.

 

“Ecco il responsabile di questa guerra!” –Lo accusò la Sacerdotessa dell’Aquila, ritrovando un po’ della sua sicurezza. –“Morfeo aveva ragione a dubitare di te! Hai ucciso Ganimede, e hai mandato i Cavalieri Celesti a morire in una folle battaglia! Zeus ti ucciderà quando saprà la ferità!”

 

“Non credo proprio che qualcuno di voi vivrà abbastanza per poterglielo raccontare!” –Affermò sarcastico il figlio di Ares, bruciando il proprio cosmo scarlatto.

 

“Sarò io ad informare il Sommo!” –Tuonò una voce decisa, proveniente dall’ingresso della Sala del Trono.

 

I sette Cavalieri di Atena si voltarono, trovandosi di fronte un uomo dalla celeste Armatura Divina, con due grandi ali fissate alla sua schiena, ed uno sguardo fiero e maestoso. Ermes, il Messaggero degli Dei. Al suo fianco Dohko della Libra, con Sirio e Cristal.

 

Ermesss!” –Strinse i denti Flegias.

 

“Sirio! Cristal!” –Esclamarono Andromeda e Phoenix, felici di ricongiungersi ai propri compagni.

 

“Ci siamo ritrovati, infine!” –Sorrise Cristal, correndo assieme a Sirio dagli amici da cui erano stati separati per lunghi mesi.

 

“Adesso manca solo Pegasus!” –Commentò Sirio, chiedendosi dove fosse il suo più caro amico.

 

Improvvisamente un fascio energetico sferzò l’aria della Sala del Trono, colpendo in pieno il Messaggero degli Dei e scaraventandolo contro la parete retrostante, che crollò subito su di lui.

 

“Bastardo!” –Urlò Cristal, volgendo i pugni contro Flegias, che aveva ferito Ermes. –“Polvere di Diamanti!” –Tuonò, lanciando contro di lui il proprio attacco glaciante, subito affiancato da Sirio, con il suo Colpo Segreto del Drago Nascente.

 

“Ah ah ah”! –Flegias scoppiò in una grassa risata, lasciando che i colpi dei due Cavalieri si infrangessero contro una barriera cosmica di fronte a lui, scura, dai mortali riflessi scarlatti. –“Lo Scudo di Ares mi protegge!” –E rimandò indietro i due attacchi, travolgendo i Cavalieri dello Zodiaco.

 

“Adesso para questo!” –Urlò Ioria, caricando il pugno destro di energia, subito imitato da Scorpio.

 

“Fermatevi, Cavalieri d’Oro!” –Li bloccò inaspettatamente Virgo. –“Quest’uomo deve dirci ancora molte cose! Darci molte spiegazioni!”

 

“E ce le darà adesso!” –Affermò Mur, con voce risoluta.

 

Improvvisamente Flegias si sentì come bloccato, incapace di muovere un solo dito, mentre un’invisibile forza lo schiacciò a terra poco dopo.

 

“Maledetti!” –Ringhiò, mentre Ioria e Scorpio correvano sulla scalinata di marmo per raggiungerlo.

 

Ma i poteri congiunti di Virgo e Mur non furono sufficienti per trattenere la furia del demoniaco figlio di Ares, che fece esplodere il proprio cosmo fiammeggiante, scaraventando a terra Ioria e Scorpio e obbligando gli altri a difendersi per non essere travolti. Un attimo dopo Flegias era di nuovo in piedi, troneggiante dall’alto della scalinata semidistrutta. Un raggio energetico però lo sorprese, spingendolo indietro, fino a farlo schiantare contro il muro retrostante.

 

Ermesss!” –Ringhiò Flegias, osservando il Messaggero degli Dei puntare il Caduceo contro di lui.

 

“Uccidilo Ermes! Uccidilo adesso!” –Tuonò improvvisamente una voce di donna, entrando nella Sala del Trono.

 

Tutti i presenti si voltarono per ammirare lo splendore della Dea della Caccia, ricoperta dalla sua Veste Divina. Al suo fianco Tisifone, ricoperta dalla danneggiata Armatura del Cancro, e Phantom dell’Eridano Celeste, che si sorreggevano a vicenda, entrambi deboli e feriti.

 

Artemide…” –Esclamò Ermes, con sorpresa.

 

“Messaggero degli Dei! Mai avrei creduto di dover permettere a degli uomini mortali, Cavalieri di colei che ha ucciso il mio adorato fratello, di giungere fin qua, alla Reggia di Zeus! E mai avrei potuto sopportare un tradimento!” –Aggiunse, tirando un’occhiata allusiva al Luogotenente dell’Olimpo. –“Ma è grazie a loro se sono qua per parlartene A loro che hanno combattuto per me, nonostante fossero feriti, e mi hanno protetta dai figli di Ares!”

 

“I figli di Ares?!” –Chiese Ermes interessato, abbassando il Caduceo e liberando Flegias dalla morsa.

 

“Hanno sterminato i miei Cacciatori e hanno tentato di uccidere anche me, sgozzandomi come un agnello sacrificale, e ci sarebbero riusciti se non fosse per il valore dimostrato dal Luogotenente dell’Olimpo e dalla Sacerdotessa di Atena!” –Chiarì Artemide, prima di volgere lo sguardo carico di disprezzo verso Flegias. –“Avete distrutto l’Olimpo, maledetti, e adesso sono qua per prendere la tua testa, Flagello di Dei! Per vendicare le Divinità cadute a causa tua e dei tuoi fratelli!”

 

“Quanti altri?” – Domandò Ermes, con un filo di voce.

 

“Dioniso sgozzato... e tutte le menadi e i satiri massacrati, affogati nel lago che si è tinto adesso di sangue.” –Ermes chinò il capo, socchiudendo gli occhi alla notizia di quel massacro. –“Anche Pan, Estia e Demetra sono caduti… ed Ebe con loro! Ho trovato il suo corpo mutilato in una sala qua dietro!” –Disse Artemide, prima di tendere l’arco. –“È ora che qualcuno paghi per tutto questo, per aver distrutto millenni di storia e leggenda solo per assecondare i propri folli progetti di dominio!”

 

Phobos e Deimos hanno commesso un grave errore a lasciarti in vita, Dea delle pecore!” –La schernì Flegias, brandendo l’infuocata spada. –“Io ti avrei sgozzato con un colpo solo, come ho fatto con la giovane Ebe!” –E nel dir questo balzò in aria, mentre il suo oscuro cosmo ardeva intorno a lui.

 

Artemide liberò la freccia incandescente ma essa, con somma sorpresa della Dea e degli altri Cavalieri presenti, fu deviata da Flegias con un colpo secco di spada; quindi il Flagello degli Uomini, e di Dei, atterrò proprio di fronte a lei, superando i Cavalieri d’Oro e di Bronzo. Sirio, Cristal, Andromeda e Phoenix si avventarono subito su di lui, ma egli se ne liberò scaraventandoli via, travolti da una violenta tempesta energetica, la cui forza stupì gli stessi Ermes e Artemide, percependo in lui una potenza quasi divina.

 

“Muori, qua, adesso!!!” –Urlò Flegias, scagliando la spada infuocata contro Artemide, la quale, stupefatta e incredula, quasi non riuscì a muoversi.

 

Una barriera dorata si interpose tra la lama e la Dea, salvandola da una probabile morte, mentre la spada infuocata ricadeva rumorosamente a terra. Flegias si voltò di scatto verso sinistra, fulminando Virgo con il suo sguardo infuocato e scaraventandolo indietro, soltanto fissandolo.

 

“Per il Sacro Leo!!!” –Tuonò Ioria, avventandosi su di lui.

Antares!!!” –Urlò Scorpio, lanciando la sua cometa infuocata.

 

“Apocalisse Divina!!!” –Rispose Flegias, liberando l’immenso potenziale della sua violenta tempesta energetica.

 

Il contraccolpo spinse i Cavalieri d’Oro indietro, facendo crollare buona parte del soffitto della Sala del Trono, e obbligando gli altri a coprirsi per non essere feriti. Quando riuscirono a riaprire gli occhi, liberandosi dai detriti e dalla polvere, notarono che Flegias era nuovamente in cima alla scalinata, accanto al trono, stringendo la Spada infuocata nelle sue salde mani, con un ghigno sul viso che non faceva presagire niente di buono.

 

“È questione di poco, ormai!” –Commentò infine il figlio di Ares. –“Pochi attimi ancora e la vittoria del mio Signore sarà completa!”

 

“Di cosa stai parlando?” –Incalzò Ermes, chiedendo dove fosse Zeus. –“E Era?” –E in quel momento si udì un fischio tremendo, che costrinse i Cavalieri a coprirsi gli orecchi, tanto pungente e fastidioso era tale suono.

 

“Cosa diavolo succede?!” –Domandò Cristal.

 

“Provate ad arrivare adesso dalla vostra Dea!” –Commentò sarcastico Flegias, scagliando la spada infuocata contro la parete laterale alla sua sinistra.

 

L’enorme muro crollò poco dopo, rivelando ai Cavalieri una strana visione. Là, dove avrebbe dovuto sorgere il grande giardino di Zeus, dove iniziava il lungo campo che conduceva alla Bianca Torre dell’Olimpo, c’era invece una strana nebbia, una cortina azzurrognola che impediva ai Cavalieri di vedere al di là di essa. Avvicinandosi, i Cavalieri videro che non era nebbia, ma una vera e propria barriera, un’immensa cupola che li separava da ciò che c’era all’interno.

 

“Cosa diavolo è questa barriera?” – Domandò Scorpio, accostandosi ad essa.

 

“È una cupola di energia!” –Commentò Virgo. –“Che ci impedisce di proseguire!”

 

“Ma Atena è al di là di essa! Dobbiamo superarla!” –Tuonò Ioria, scagliando il suo colpo sacro contro la barriera, ma venendo subito respinto.

 

“Ah ah ah!” –La malvagia risata di Flegias risuonò nell’aere, e tutti poterono vedere il volto del demoniaco figlio di Ares accendersi di un macabro sorriso di vittoria. –“Troppo tardi! Nessuno di voi potrà arrivare alla Torre Bianca, e il mio Signore prenderà la vita di Atena, come ha preso quella degli altri Dei corrotti!”

 

“Sei un maledetto bastardo!” –Esclamò Ioria, concentrando il cosmo sul pugno e facendo per avventarsi contro di lui. Ma Phoenix lo fermò, spiegando che si sarebbero occupati loro di Flegias.

 

“Tu aiuta Virgo e Mur a capire come superare quella barriera! Dobbiamo raggiungere Atena quanto prima!” –Esclamò, prima di unirsi a Andromeda, Cristal e Sirio e bruciare i loro cosmi.

 

“Poveri sciocchi!” –Li derise Flegias, espandendo il proprio cosmo malvagio. –“Avreste fatto bene a lasciarvi uccidere dai Ciclopi Celesti, così la vostra morte sarebbe stata meno violenta! Ah ah ah!”

 

I Cavalieri di Bronzo non risposero, combinando i loro cosmi in un unico grande attacco.

 

“Colpo Segreto del Drago Nascente!!!” –Esclamò Sirio.

Aurora del Nord! Colpisci!” –Urlò Cristal.

“Ali della Fenice!!!” –Tuonò Phoenix.

“Onde del Tuono, via!” –Concluse Andromeda, liberando la propria saettante catena.

 

I quattro colpi uniti insieme viaggiarono alla velocità della luce contro Flegias, ma non lo raggiunsero, schiantandosi contro la solida barriera che lo proteggeva.

 

“Lo Scudo di Ares!” –Commentò soddisfatto Flegias, osservando l’energia del colpo congiunto dei quattro amici venir assorbita dal mistico scudo ed essere prontamente espulsa con fragore, travolgendo i Cavalieri di Bronzo.

 

“Incredibile!” –Disse Sirio, rialzandosi. –“Ha respinto il nostro attacco, aumentandone la potenza!”

 

“Ah ah ah!” –Rise ancora Flegias, osservando i quattro Cavalieri di Bronzo rialzarsi.  Ma il figlio di Ares dovette muovere la spada infuocata con rapidità, per evitare di essere colpito da un incandescente dardo diretto verso il suo collo.

 

“Non lascerò ai Cavalieri di Atena il piacere di tagliarti la testa, piccolo demonio!” –Esclamò Artemide, brandendo il suo arco scintillante. –“I miei Cacciatori gridano vendetta!”

 

“E pure i Cavalieri Celesti e le Divinità cadute a causa tua, Flegias!” –La affiancò Ermes, puntando il Caduceo. Anche Sirio, Cristal, Andromeda e Phoenix fiancheggiarono gli Dei, con il cosmo ardente.

 

“Attaccatemi tutti insieme, allora!” –Esclamò Flegias, urlando come un pazzo. –“Coraggio, venite avanti! Vi spazzerò via tutti quanti, relitti di un tempo passato che sprofonderò io stesso nel baratro della dimenticanza!” –E nel dir questo espanse al massimo il proprio cosmo rosso fuoco.

 

I quattro amici, insieme ad Ermes e ad Artemide, scagliarono il loro attacco congiunto, al quale Flegias rispose scatenando l’immensa furia devastante dell’Apocalisse Divina. L’energia prodotta da quello scontro fu immensa, ed esplose come una bomba di luce, distruggendo l’intera Reggia di Zeus, travolgendo persino i Cavalieri d’Oro, che erano usciti per studiare la barriera energetica, contro la quale furono sbattuti con forza, insieme ai malridotti Castalia, Phantom e Tisifone.

 

Quando la tempesta si placò, i cinque Cavalieri dorati si rimisero in piedi, cercando tra le macerie della Reggia i corpi dei quattro Cavalieri di Bronzo, aiutati anche dalle Sacerdotesse. Li trovarono poco dopo, fortunatamente ancora vivi, per quanto deboli e pieni di graffi e ferite. Anche Ermes e Artemide spuntarono tra i detriti del Tempio, liberando le loro scintillanti Armature Divine dalla polvere di tristezza che si era accumulata su di esse. Con malinconia, Ermes si guardò intorno, alla ricerca del dorato bagliore dell’Olimpo, quello di cui era sempre stato magnificamente innamorato. Ma non trovò niente, soltanto un ammasso di macerie, proprio come lui si sentiva in quel momento.

 

“Dov’è quel dannato?” –Domandò Phoenix, cercando tracce di Flegias. Ma non le trovò, e credette, come gli altri, che fosse stato spazzato via dall’esplosione. Ma in fondo al cuore non ne fu troppo convinto neppure lui.

 

Pegasus nel frattempo aveva finalmente trovato la segreta via che dalle viscere della montagna conduceva alla sommità del Monte Sacro, traforando all’interno centinaia di metri di roccia pura, permettendogli di arrivare sulla cima dell’Olimpo senza dover affrontare i Cavalieri Celesti posti di guardia ad esso. Elena e Deucalione, i due pastori che lo avevano salvato, genitori del Luogotenente dell’Olimpo, Phantom dell’Eridano Celeste, lo avevano messo al corrente di quell’altra via, nonostante neppure loro conoscessero come arrivarci, sapendo solamente della sua esistenza.

 

Con fatica, e usando soltanto il proprio corpo, Pegasus percorse l’intero sentiero nascosto, senza fare uso dei suoi poteri, in quel frangente completamente inutili, in quanto la via si presentava come uno stretto corridoio scavato nella roccia, fatto di spunzoni rocciosi e ripiani scavati nella montagna, la cui ampiezza non superava il metro nei rari punti in cui lo spazio si faceva abbondante. Gli ci vollero un paio d’ore per scalare la montagna, ritrovandosi infine, stanco e ansimante, all’interno di una grotta. Finalmente libero di muoversi, Pegasus si buttò a terra per qualche minuto, assaporando fino in fondo la ritrovata aria fresca e la luce che tanto gli erano mancate nello stretto tunnel.  

 

Non ne dubito che solamente in pochi ne siano a conoscenza! Commentò, rimettendosi in piedi. Chi mai potrebbe passarci attraverso?! Persino io, per quanto agile arrampicatore, con queste ingombranti ali ho avuto notevoli problemi di coordinamento! Per fortuna che sono riuscito a piegarle, in modo che mi dessero meno fastidio possibile! Quindi si incamminò fuori dalla caverna, ritrovandosi ai margini inferiori di un vasto campo, circondato da alberi da frutto, mentre un frizzante vento soffiava sul suo viso, facendolo sentire nuovamente vivo. Pegasus si guardò intorno, e dovette ammettere di trovarsi realmente sulla cima dell’Olimpo, nonostante i punti di riferimento fossero pochi e vaghi, a causa della grigiastra coltre di nuvole in cui la sommità era immersa.

 

Il ragazzo afferrò una mela da un albero e se la mangiò, incamminandosi lungo il pendio, facendo attenzione a non essere scoperto. Ma gli sembrò che quel luogo fosse disabitato. D’un tratto un suono rimbalzò nelle sue orecchie, anzi nel suo cuore, essendo un richiamo inviato tramite il cosmo.

 

Atena! Mormorò, gettando via i resti della mela e iniziando a correre avanti, seguendo la debolissima scia del cosmo della sua Dea. Dopo pochi passi si fermò, osservando l’alta costruzione che si ergeva alla fine del campo, proprio al confine estremo dell’Olimpo: la Bianca Torre del Fulmine, sulla cui sommità scintille celesti sferzavano l’aria, dilaniando il corpo inerme della giovane duchessa di Thule.

 

“Milady...” –Commentò Pegasus, mentre il cuore gli batteva all’impazzata, per aver ritrovato la tanto amata Dea.

 

Corse fino ai piedi della Torre Bianca, un unico blocco quadrangolare che si alzava da terra per una trentina di metri scarsi, completamente avvolto da un potente cosmo di natura Divina. Pegasus rifletté sul da farsi, e non trovò niente di meglio che spalancare le grandi ali della sua scintillante Armatura e librarsi in aria, fino a giungere alla sommità della Torre.

 

Isabel.…” –Esclamò, con gli occhi gonfi di lacrime. –“Sono qua!” –Ma la Dea non rispose, troppo debole persino per parlare. Erano ventiquattro ore che il suo corpo era stritolato dalle folgori di Zeus e, per quanto fosse una Divinità, le sue capacità di sopportazione erano giunte al limite.

 

Senza esitare Pegasus espanse il proprio cosmo, scagliando numerosi pugni lucenti contro i fulmini che la imprigionavano, sperando di dissiparli e liberare la sua amata, ma ebbe una brutta sorpresa. Non soltanto le folgori non furono spazzate via, ma esse attaccarono Pegasus, percependo la minaccia da lui rappresentata e avvinghiandosi al corpo del Cavaliere di Atena, stritolandolo con forza. Il ragazzo, preso alla sprovvista, precipitò a terra, tentando di liberarsi dalla morsa dei fulmini Olimpici che facevano vibrare la sua corazza.

 

Deciso a non arrendersi, giunto a quel punto, Pegasus bruciò ancora il cosmo, spazzando via le folgori incandescenti, prima di voltarsi verso la Torre Bianca e balzare in alto; ma non riuscì a raggiungere Atena che fu colpito in pieno da una violenta scarica energetica, che lo fece precipitare a terra. Quando si rialzò, dolorante, osservò la maestosa sagoma che gli si parava di fronte.

 

In piedi, sulla cima del leggero pendio, un uomo lo osservava, ricoperto da scintillanti Vesti Divine, le più belle che mai avesse visto. Sull’elmo, dal quale spuntavano i suoi mossi capelli lucenti, era inciso il simbolo del Fulmine, lo stesso che era impresso sul pettorale della corazza. E Pegasus capì che l’immenso cosmo che gli si parava davanti poteva appartenere soltanto al Dio dell’Olimpo, il Sommo Zeus in persona.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

.

 

 

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 40
*** La luce del Nord ***


CAPITOLO TRENTANOVESIMO. LA LUCE DEL NORD.

 

Pegasus stava fronteggiando il Sommo Zeus in persona, completamente rivestito dalla sua Veste Divina, ai piedi della Bianca Torre dell’Olimpo, ai confini estremi del Sacro Monte, mentre la Dea Atena era imprigionata in cima ad essa, dilaniata dalle folgori del Signore degli Dei.

 

“Non avrei mai immaginato che un Cavaliere di Bronzo arrivasse fin qua, alla Torre Bianca!” – Esclamò il Nume, avvicinandosi. –“Dimmi, Pegasus, come hai fatto a giungere fin qua?”

 

“Non era forse questo lo scopo della mia missione, Dio dell’Olimpo?” –Rispose a tono Pegasus, preferendo non rivelare del passaggio segreto, per paura di mettere in pericolo i generosi pastori.

 

“Non difetti di coraggio, ragazzo!” –Commentò il Dio, osservandolo con aria di superiorità. –“Pur tuttavia, per quanto dote degna di lode, non è abbastanza per abbattere il Signore dell’Olimpo!”

 

“Questo lo vedremo! Discordia, Apollo, Nettuno e Ade dissero qualcosa di simile!” –Ironizzò Pegasus, scattando avanti, concentrando l’energia sul pugno destro. –“Fulmine di Pegasus, risplendi!” –Ma tutti i suoi pugni furono evitati dal Sommo Zeus, semplicemente spostandosi sul posto, a una velocità superiore, prima che il Dio afferrasse il braccio di Pegasus e lo scaraventasse in aria, colpendolo con folgori incandescenti. Il ragazzo ricadde sul terreno, sbattendo con forza una spalla e scheggiando l’Armatura Divina, ma si rimise comunque in piedi, determinato a non lasciarsi andare.

 

I miei compagni sono qua! Lo so, anche se non riesco a sentire i loro cosmi! Rifletté. Non posso lasciarmi andare! Devo trattenerlo fino al loro arrivo, così insieme potremo sconfiggerlo!

 

“Non perderti in fatui pensieri!” –Commentò il Dio. –“Non arriverà nessuno a salvarti! La Torre Bianca è ormai isolata dal resto dell’Olimpo, protetta da un’immensa cupola energetica da me creata, con i cosmi delle Divinità cadute!”

 

“Divinità cadute?!” – Chiese il giovane, non comprendendo a cosa si riferisse.

 

“Morirai qua, Cavaliere di Pegasus, davanti agli occhi sconvolti della tua dolce Atena!” –Esclamò il Dio, concentrando il suo cosmo sulla mano destra, prima di spingerla avanti, travolgendo il ragazzo e scaraventandolo indietro, mentre nuove crepe si aprivano sulla sua corazza.

 

“Guarda Atena, ammira la fine del tuo paladino!” – E lo colpì nuovamente, scagliandolo proprio contro la Torre Bianca dell’Olimpo. –“Morirete insieme, osservando il mio trionfo dall’Aldilà!” –Ma quella volta Pegasus reagì, espandendo al massimo il proprio cosmo e contrastando lo strapotere del Signore dell’Olimpo.

 

Iaiiii!” –Urlò Pegasus, respingendo l’assalto di Zeus e scagliando la luminosa Cometa Lucente.

Il Dio, per quanto sorpreso dalla resistenza del ragazzo, non ebbe problema alcuno a contenere l’impatto con il suo colpo, e a respingerlo indietro, travolgendo ancora una volta Pegasus.

 

“Addio ragazzino, ho sprecato fin troppo tempo con te!” –Esclamò Zeus, sollevando entrambe le braccia sopra di sé. Una strana massa energetica comparve tra le sue mani, stupendo Pegasus, e al tempo stesso preoccupandolo. –“L’ora finale sta per arrivare, ancora una ventina di minuti e poi disporrò dell’energia necessaria per piegare il mondo, realizzando il mio grande progetto!” –Declamò, prima di portare le braccia avanti e volgere l’ammasso energetico contro di lui. –“Strappo nel Cielo! Risucchialo!”

 

Detto questo la massa di energia attirò Pegasus a sé, dentro di sé, fin quasi a inghiottirlo, nonostante i disperati tentativi del ragazzo di non lasciarsi andare.

 

“Inutile dimenarsi, Cavaliere! Accetta il destino che gli Dei hanno scelto per te e muori!” –Commentò il Dio, ma Pegasus non parve cedere minimamente.

 

“Il destino degli uomini non appartiene agli Dei, ma agli uomini stessi! Loro, con i loro comportamenti, lo determineranno!” –Urlò, espandendo il proprio cosmo lucente. –“Questo me lo ha insegnato un grande guerriero, il più valente tra i Cavalieri di Atena, colui che sacrificò la vita per salvare la piccola Isabel, incurante di ciò che gli altri avrebbero potuto pensare di lui! Micene di Sagitter era il suo nome, e in me rivive oggi il suo spirito!”

 

Il cosmo di Pegasus esplose come una piccola stella, mentre le scintillanti ali della sua Armatura Divina gli permettevano, seppur con un tremendo sforzo, di librarsi in aria, uscendo dallo Strappo Divino. In quel momento un’enorme esplosione risuonò per l’intero Olimpo, distogliendo l’attenzione del Sommo Dio, permettendo a Pegasus di liberarsi completamente dal vortice dello Strappo e di scagliare una potentissima Cometa Lucente contro di lui. Zeus si mosse tardivamente per evitare il colpo del ragazzo, che lo colpì di lato, spingendolo a terra qualche metro addietro. Per un momento si domandò cosa fosse stata quell’enorme esplosione energetica, ma poi sogghignò, riflettendo che di qualunque cosa si trattasse era tutto a suo esclusivo vantaggio.

 

Nel frattempo, fuori da quella che un tempo era la Reggia di Zeus, i Cavalieri di Atena, insieme a Ermes, Artemide e Phantom dell’Eridano Celeste, stavano studiando la barriera energetica che impediva loro di proseguire per la Torre Bianca.

 

“Ascoltate!” –Esclamò Mur dell’Ariete, concentrando i propri sensi. –“Ci sono dei cosmi in movimento all’interno della barriera!”

 

“Qualcuno combatte già alla Torre Bianca!” –Aggiunse Virgo, riconoscendo una debole traccia di cosmo.

 

“Possibile?” –Si chiesero Ermes e Artemide, ritenendo impossibile che qualcuno avesse potuto raggiungere la Torre Bianca.

 

“È il cosmo di Pegasus!” –Esclamò Virgo infine, mentre gli occhi dei Cavalieri dello Zodiaco si illuminarono di gioia.

 

“Come ha potuto raggiungere la cima dell’Olimpo?” –Si chiesero meravigliati, ma i loro pensieri furono interrotti da un’esclamazione di stupore di Ermes, quando, avvicinatosi alla barriera, realizzò con orrore com’era stata realizzata.

 

“È di fattura divina!” –Commentò. –“Ed è retta dai cosmi delle Divinità cadute!”

 

“Che cosa?!” –Tuonò Artemide, avvicinandosi per sentire a sua volta. E dovette dargli ragione. – “Morfeo! E Afrodite!”

 

“E Dioniso, e Pan!” –Continuò Ermes. –“La barriera è formata dalle energie delle Divinità scomparse, convogliate in un unico grande muro!”

 

“Ma per quale motivo gli Dei uccisi dai figli di Ares dovrebbero aiutare Flegias a difendere Zeus?” – Si chiese Andromeda.

 

“Non credo che lo facciano di loro spontanea volontà!” –Commentò malinconicamente Ermes. –“No! Percepisco chiaramente il tumulto che regna nei loro cosmi, l’inquietudine e la disperazione che albergano dentro di loro, per essere stati traditi!”

 

“In ogni caso…” –Intervenne Ioria del Leone. –“Dobbiamo superare questa barriera! E dobbiamo farlo adesso! Perciò…” –E nel dir questo si rivolse ai suoi parigrado. –“Credo che ci sia un solo modo per abbatterla!”

 

“Concordo con Ioria!” –Esclamò Scorpio, avvicinandosi al compagno, mentre Mur fece altrettanto. La sincronia cosmica che crearono fece capire ai Cavalieri dello Zodiaco e alle Divinità l’intenzione di lanciare l’Urlo di Atena, il loro massimo colpo, e convinse Sirio e gli altri a fare altrettanto.

 

“Lanceremo tre Urli di Atena!” – Esclamò Phoenix, unendosi a Virgo e a Libra nella postura della Triade, mentre Cristal, Sirio e Andromeda congiungevano i loro cosmi, per tentare, per la prima volta, il colpo congiunto.

 

“È una follia!!!” –Urlò Tisifone, pregandoli di rinunciare.

 

“Lo fu anche alla Sesta Casa! Ma adesso come allora, non ci sono alternative!” –Commentò il Grande Mur, socchiudendo gli occhi.

 

Per un momento l’aria fu percorsa da indicibile tensione, mentre i tre gruppi di Cavalieri di Atena concentravano i propri cosmi, pronti per liberare un’immensa energia. Ermes e Artemide si guardarono per un lungo momento, stupefatti dal coraggio che i Cavalieri stavano dimostrando, quando una voce di donna distrasse tutti i presenti.

 

“Non gettate via la vostra via, Cavalieri di Atena! Altre battaglie ancora vi vedranno impegnati, per mantenere la libertà e la giustizia sulla nostra splendida Terra!”

 

Una donna si fece avanti tra le macerie, avvolta in un lacerato mantello con il quale si era coperta dopo averlo rimosso dai corpi dei suoi Guerrieri caduti. Per mantenere ancora un contatto con loro, un caldo soffio di vita in un mondo che sembrava darle soltanto dispiaceri.

 

“Quel cosmo...” –Commentò Phoenix, riconoscendo la donna.

 

“Ilda di Polaris!” –Continuò Andromeda, mentre la donna mostrava il suo triste volto ai Cavalieri.

 

“Per distruggere una barriera di divina fattura, è necessaria altrettanta energia divina!” –Spiegò Ilda, passando lo sguardo su tutti i Cavalieri presenti. – “Per quanto forti siate, Cavalieri di Atena, non riuscirete a ricreare l’energia necessaria per una simile impresa!”

 

“Tenteremo comunque, Celebrante di Odino!” –Affermò Phoenix. –“Lanceremo tre Urli di Atena!”

 

“Non basteranno! E se anche fossero sufficienti, poi vi trovereste privi di forze per affrontare Zeus!” –Precisò Ilda, zittendo Phoenix. –“Lasciate a me il compito di aprirvi la via! Grazie all’aiuto di Odino e degli Dei del Valhalla vi aiuterò a raggiungere Atena!”

 

Ilda…” –Commentò Andromeda, commosso ma angosciato.

 

Ma i Cavalieri d’Oro si opposero, non desiderando che ulteriore sangue innocente venisse sparso. E la stessa cosa fecero Ermes e Artemide, spiegando che avrebbero abbattuto loro la barriera. Senza attendere risposta Artemide incoccò una freccia dalla sua faretra, potenziandola con il suo vasto cosmo, mentre Ermes puntò il Caduceo avanti a sé, liberando un violento raggio energetico. Ma entrambi gli attacchi, per quanto potenti e mirati, furono respinti, e Artemide fu ferita di striscio dal rimbalzo della sua freccia, che le scheggiò un coprispalla.

 

“Incredibile!” – Mormorò Ermes, rimettendosi in piedi.

 

“Se adesso avete capito, allontanatevi, vi prego! Odino mi darà la forza per liberare la Luce che porto dentro, il cosmo ultimo dei Guerrieri del Nord!” –Esclamò Ilda, mentre i Cavalieri, con rassegnazione, decidevano di accettare il suo aiuto.

 

La Celebrante di Odino si inginocchiò a terra, di fronte alla barriera, evocando il suo Signore.

 

“Mio Signore Odino, Dio degli Asi, elevo a te una preghiera! Concedimi la forza di abbattere l’ultima barriera, affinché i Cavalieri di Atena possano raggiungere la loro Dea, e liberarla così dalla tirannica prigionia dell’ingiusto Padre! Tu che già hai prestato aiuto ai Dorati Difensori della Giustizia, dona a me adesso la forza e l’energia cosmica necessaria per superare l’estrema difesa, dona a me la Luce del Nord!”

 

Per qualche incalcolabile secondo la cima dell’Olimpo fu avvolta nel più rigoroso silenzio, finché una debole risposta giunse all’orecchio della Celebrante, e dei Cavalieri riuniti intorno a lei.

 

“Ilda di Polaris, ultima Celebrante di Midgard, che hai saputo risvegliare in te l’indomita Valchiria per affrontare con risolutezza e determinazione i tuoi nemici, io, Odino, Signore supremo degli Asi, offrirò il mio aiuto, in segno di riconoscenza verso i Cavalieri di Atena, che per ben due volte in pochi mesi hanno aiutato Asgard disinteressatamente!” –Parlò il Dio degli Asi, mentre Ilda si rimetteva in piedi, togliendosi il mantello lacero e rivelando la grigia corazza, danneggiata in più punti. –“Che tu possa splendere come una stella, portando la Luce degli Asi su un Olimpo che si è dimostrato sempre più buio!” –Quindi un’aura lucente circondò la figura della Celebrante di Odino, il cui corpo si sollevò in aria, abbagliando l’intera cima del Monte Sacro.

 

I Cavalieri presenti si allontanarono, tappandosi gli occhi, mentre un’immensa energia cosmica veniva liberata. Un’energia che conteneva il vasto potere di Odino, di Freyr, di Balder e di tutti gli Dei e gli Einherjar del Valhalla. Prima di liberare l’ultimo potere, Odino avvertì Ilda, con poche sibilline parole, temendo che il suo debole corpo non avrebbe retto allo sforzo.

 

“Non importa!” –Sorrise Ilda, mentre lacrime scorrevano sul suo volto sereno. –“Sono stata pronta alla morte fin da quando è iniziata questa guerra! Fin da quando i Cavalieri Celesti hanno invaso Midgard, portandovi fiamme e distruzione! Per Atena, Dea della Giustizia e mia cara amica, nella speranza che, aiutata dai suoi valenti Cavalieri, riesca a far sorgere un mondo nuovo e migliore, dove la violenza e le battaglie siano bandite e le uniche fiamme che ardano siano quelle dell’amore, e non della guerra!”

 

E in quel momento a Cristal, e agli altri Cavalieri, parve di vedere il deciso volto della Celebrante di Odino sorridere, prima di liberare l’immenso potere della Luce del Nord. Tutto fu inghiottito, divorato dalla fagocitante luminosità, i resti del Tempio di Zeus, i prati e il giardino attorno, i boschi di satiri e ninfe, tutto fu cancellato nel breve spazio di un istante. Quando i Cavalieri riuscirono ad aprire nuovamente gli occhi, trovarono la via finalmente libera, sgombra dall’energetica barriera che aveva impedito loro di proseguire.

 

Cristal sospirò, avvicinandosi al corpo disteso a terra di Ilda, ormai praticamente nuda, essendo i resti della corazza stati spazzati via dall’esplosione. Con cura la avvolse nel mantello di Alcor, distendendola delicatamente, e giurando sul suo onore che si sarebbe preso cura di Flare, anche per lei. Fatto questo, mentre i restanti Cavalieri chinarono il capo commossi dal sacrificio della Celebrante, il Cigno si rivolse ai compagni, incitandoli a proseguire e a raggiungere finalmente la Torre dell’Olimpo, dove sentivano che Pegasus stava già lottando. Tutti annuirono, scattando nel verde prato, domandandosi, con un certo timore, contro chi avrebbero dovuto combattere.

 

***

 

Di fronte alla Torre Bianca, Zeus stava per colpire nuovamente il Cavaliere di Pegasus, che aveva messo a dura prova la sua pazienza, continuando a rialzarsi, nonostante le sue mille ferite, per salvare Atena, imprigionata nella stessa Torre. Il Dio dell’Olimpo sollevò un braccio, per scagliare nuovamente folgori incandescenti su Pegasus, ma un sibilo metallico lo distrasse, costringendolo a voltarsi, proprio mentre una lunga catena scintillante si arrotolò intorno al suo braccio destro.

 

“Fermati!” –Esclamò Andromeda, stringendo con forza la propria Catena.

 

Al suo fianco apparvero Sirio, Cristal e Phoenix, tutti ricoperti dalle loro Armature Divine, seppur danneggiate per i combattimenti sostenuti. Pegasus sorrise nel rivedere i quattro amici, ma la sua gioia aumentò quando dietro di loro vide spuntare cinque Armature Dorate, quelle dei Cavalieri che credeva di aver perso di fronte al Muro del Pianto.

 

“E invece siamo ancora qua!” –Ironizzò Ioria del Leone, aiutando il ragazzo a rimettersi in piedi.

 

Dietro di lui apparvero Libra, Scorpio, Mur e Virgo, seguiti da Castalia, piuttosto malconcia, e da Tisifone, ricoperta dalle dorate vestigia del Cancro. Per un totale di dodici Cavalieri di Atena di fronte al Dio dell’Olimpo. Ultimi arrivarono Ermes, il Messaggero degli Dei, Artemide, Dea della Caccia, e Phantom, il Luogotenente dell’Olimpo. Per un momento il Signore dell’Olimpo fu quasi sorpreso nel trovarseli tutti di fronte, sperando che qualcuno di loro fosse caduto durante la battaglia, ma poi scosse le spalle, immaginando che l’energia di cui adesso disponeva sarebbe sicuramente bastata per spazzarli via tutti.

 

“Mio Signore!” – Esclamò Ermes, facendosi avanti. –“Finalmente sono riuscito a trovarvi!”

 

“Ermes, mio fido, per fortuna sei qua!” –Affermò il Dio. –“E anche la Divina Artemide è con te! Perfetto! Eliminate questi invasori, questi barbari assassini di Dei che hanno portato la guerra sull’Olimpo!”

 

“Con tutto il rispetto, mio Signore, ma credo che la responsabilità di questa guerra ricada su Flegias e i figli di Ares!” –Esclamò Ermes, mentre Artemide al suo fianco incalzava.

 

“Sui figli di Ares?!” –Domandò il Dio dell’Olimpo.

 

“Sì, oh potente Zeus! Essi hanno fatto strage di Divinità, sacrificando i Cavalieri Celesti e tutti gli abitanti dell’Olimpo!”

 

“E con questo?!” –Replicò Zeus, stupefacendo le due Divinità. –“Non è forse compito dei Cavalieri Celesti, scelti personalmente da Zeus, difendere l’Olimpo dagli invasori? E non sono costoro, sporchi di sangue celeste, combattenti della Dea traditrice de me punita?!”

 

“Questo non toglie che siano stati i figli di Ares a sterminare le Divinità Olimpiche, mio Signore! Noi stessi abbiamo assistito al massacro!”

 

Il sacrificio degli Dei si è reso necessario!” –Commentò infine Zeus, con un filo di voce. –“La loro energia è stata per me fonte di nutrimento, permettendomi di erigere una barriera capace di ritardare l’avvento dei Cavalieri di Atena.. E liberandomi inoltre da scomodi rivali…

 

“Come?!” –Chiese Ermes, non comprendendo realmente le parole del Dio. Ma questi più non parlò, limitandosi a scagliare folgori incandescenti contro Ermes e Artemide, che furono travolti e scaraventati lontano, mentre il Dio sogghignava maliziosamente.

 

“Che razza di Dio sei?” – Incalzò Ioria, concentrando il cosmo sul pugno destro. –“Che non esita a colpire i suoi fedeli quando questi osano dissentire dalle sue posizioni! Per il Sacro Leo!” –E subito Scorpio e Dohko lo affiancarono, con i loro colpi segreti, ma furono tutti e tre respinti.

 

“Tu...” –Esclamò la possente Divinità, puntando il dito contro Ioria. –“Conosco il tuo cosmo…

 

Mur, Ioria, Virgo e Scorpio si guardarono un attimo esterrefatti, mentre un brivido corse subito lungo la loro schiena. Un ricordo rimosso di un cosmo già sentito.

 

“Tu, sei colui che sciolse i miei sigilli, otto anni fa!” – Continuò il Dio.

 

“Otto anni… ma… allora…” –Balbettò Ioria, affiancato da Mur e Virgo. –“Sei dunque tu? Tornato dal Tartaro in cui eri stato confinato?”

 

Il Dio di fronte a loro non parlò, limitandosi a scagliare un violento assalto energetico contro i tre Cavalieri d’Oro, che cercarono di difendersi con il Muro di Cristallo di Mur, potenziato dai cosmi di Ioria e Virgo. Ma alla fine il muro cedette, sottoposto a pressione indescrivibile, e i tre furono scaraventati indietro, di fronte agli occhi attoniti dei Cavalieri dello Zodiaco e di Ermes e Artemide.

 

“Cosa accadde otto anni fa?” –Chiese Pegasus freneticamente. Ma la risposta non si fece attendere.

 

Un enorme cosmo esplose poco dopo, invadendo l’intero spiazzo ai piedi della Torre Bianca. Un’immensa massa di energia che aveva nell’uomo di fronte a loro il suo baricentro. Incredibilmente le sue forme mutarono, cambiando aspetto e rivelando un viso che alcuni tra i presenti già conoscevano, mentre sopra di lui apparve la sua vera Armatura Divina, che si scompose e andò a ricoprire il corpo della possente Divinità.

 

“Tu sei… Crono! Figlio di Gea e Urano, e Signore del Tempo!” –Esclamò Ioria, di fronte agli occhi sgranati di tutti i presenti.

 

“Che cosa?! Ma dov’è il Sommo Zeus?” – Incalzò Ermes.

 

“Che importanza può avere ormai?! L’Olimpo mi appartiene, non essendoci più nessuno in grado di opporsi a me e reclamare il trono!” –Esclamò il Dio. –“Finalmente ho immagazzinato l’energia necessaria per dominare il mondo, energia che voi stessi, con le vostre battaglie, con i vostri impetuosi cosmi, mi avete fornito! Pochi minuti ancora e i Titani, confinati nel Tartaro, usciranno nuovamente, da me, loro fratello, liberati!”

 

“I Titani?!” –Commentarono Mur e gli altri Cavalieri d’Oro. E istintivamente ripensarono alla guerra contro Crono e i suoi undici fratelli combattuta otto anni prima, durante la quale i Cavalieri d’Oro avevano dovuto affrontare le mostruose creature determinate a distruggere la Terra. Iperione, Ceo, Giapeto e gli altri, sconfitti a costo di tremendi sforzi e sacrifici immani.

 

“Come hai fatto a liberarti dal Sigillo?” –Chiese Scorpio.

 

“Qualcuno lo ha fatto per me!” –Commentò Crono, mentre una vasta emanazione cosmica, che i Cavalieri già conoscevano, apparve al fianco del Signore del Tempo.

 

Flegias!” –Esclamò Andromeda, riconoscendo la sagoma del figlio di Ares. –“Ma sei immortale?”

 

“Sciocchezze! Non posso certo restare ferito da dei bambocci come voi!” –Li derise Flegias, con un malvagio sorriso sul viso. –“Si stanno smuovendo equilibri che non potete neppure immaginare! Il mondo degli Olimpi è crollato per sempre, e finalmente l’Unico recupererà il suo posto, dominando il mondo e ponendolo sotto la sua ombra!”

 

“Questo mai!” –Tuonò Pegasus, lanciandosi avanti e scatenando il suo pugno lucente. Ma sia Flegias che Crono non ebbero problemi a evitarlo, scagliando il ragazzo contro i suoi compagni.

 

Flegias!” –Tuonò Ermes, con il viso rosso di collera. –“Cosa ne hai fatto di Zeus? Pagherai per questo tradimento! Il mio Signore ti accolse nella sua casa con generosità e fiducia, e tu l’hai tradito, vendendo l’Olimpo a suo Padre, il suo antico e mortale nemico!”

 

“Per causa tua sono caduti i valenti Cavalieri Celesti, che credevano di combattere realmente per la difesa dell’Olimpo!” –Lo accusò Phantom.

 

“Un detto terrestre dice che il fine giustifica i mezzi, e credo proprio che sia l’espressione adatta per descrivere ciò che è accaduto!” –Ironizzò Flegias, mentre Crono si gloriava del proprio immenso riacquistato potere.

 

“Il momento è giunto ormai! L’energia immagazzinata mi permetterà di liberare i Titani!”

 

“E come conti di farlo?” –Domandò Ermes. –“A quale energia ti riferisci?”

 

“Credo che questa non serva più!” –Esclamò Flegias, sollevando il braccio destro.

 

Improvvisamente la scura cappa di nuvole che ricopriva da giorni l’Olimpico cielo si diradò, rivelando a tutti i Cavalieri una frizzante alba primaverile. Ma il cielo sopra di loro non si presentò affatto terso, bensì costellato da un enorme rettangolo dall’oscuro colore, un sigillo mistico che aveva permesso di accumulare tutta l’energia e le emozioni scaricate in quei giorni di lotta.

 

“Lo Scudo di Ares!” –Commentò Flegias, spiegando che il suo funzionamento era identico a quello della barriera che egli usava come difesa. –“Capace di attrarre l’energia circostante e di rispedirla indietro, usandola per i propri scopi!”

 

“Quindi tutta l’energia liberata in questa guerra…” –Commentò Ermes.

 

“È qua! Nelle mie abili mani!” –Esclamò Crono, quasi delirante, mostrando una pietra nera che portava legata al collo. –“In questa pietra ho raccolto tutta l’energia necessaria per dominare il mondo, energia che in buona parte devo a voi!” –Ed esplose in una pazza risata.

 

“La guerra è stata necessaria proprio per questo!” –Spiegò Flegias. –“Non soltanto per eliminare fastidiosi rivali, e indebolire notevolmente gli eserciti dei nostri peggiori nemici, la Dea della Giustizia e il Dio dell’Olimpo, che da sempre si oppongono ai progetti di dominio del Dio della Guerra e di Crono stesso, ma anche per ottenere energia!”

 

“Incredibile!” –Commentarono Ermes e Phantom. –“Un piano calcolato nei minimi dettagli!”

 

“Un piano che nasce da un desiderio di vendetta, Ermes!” –Tuonò Crono. –“Dal desiderio di distruggere i miei odiati nemici! Zeus, mio figlio, che mi spodestò dall’Olimpico Trono nel Mondo Antico, confinando me e i mie fratelli nelle oscure prigioni del Tartaro, e Atena, i cui Cavalieri mi sconfissero anni fa, in occasione della mia rinascita! 

 

“E ti sconfiggeremo nuovamente, Crono!” –Esclamò Scorpio, mentre anche i compagni annuivano.

 

“È troppo tardi!” –Urlò Crono, al culmine della sua estasi. –“Nessuno ormai può contrastare lo strapotere dei figli di Gea e Urano!”

 

“Ah!” –Esclamò improvvisamente Flegias. –“Errore!” –E nel dir questo, impugnò la sua spada infuocata, voltandosi di scatto e trinciando la gola del Signore del Tempo, afferrando la collana con la pietra nera, mentre il Dio si accasciava al suolo, portandosi le mani al collo sanguinante.

 

Ermes, Artemide e i Cavalieri di Atena non capirono cosa stesse accadendo, ma alcuni di loro balzarono avanti, per attaccare Flegias, venendo però respinti da una potente Apocalisse Divina.

 

“Un piano perfetto! Non c’è che dire!” –Commentò Flegias. –“C’è solo una variante! Che non disporrai mai di alcuna energia per liberare i Titani!”

 

Che… cosa?” –Rantolò Crono, tentando di rialzarsi.

 

“Questa è la vera pietra nera!” –Esclamò Flegias, mostrando il ciondolo che portava al collo. –“Qua c’è l’energia più grande del mondo, e grazie a essa forgerò un nuovo ordine dominato dal Caos, un mondo di disordini e di guerre, dove non ci sarà più spazio per gli Olimpici Signori, che dovranno piegare il capo, come gli uomini resi schiavi, alle Antiche Divinità!” –Detto questo, con un sogghigno di malefica soddisfazione sul volto, Flegias se ne andò.

 

Davanti al Rosso-Fuoco apparve infatti lo Scudo di Ares, formato da un oscuro plasma energetico e Flegias vi entrò dentro, mentre le porte dello spaziotempo vibrarono per un istante, scomparendo dall’Olimpo, di fronte agli occhi allibiti dei Cavalieri presenti. Mur si rivolse immediatamente a Virgo, incitandolo a seguire il figlio di Ares.

 

“Sei l’unico che può farlo! Devi trovarlo e impedire che quell’energia venga usata per scopi distruttivi!”

 

Virgo annuì, concentrando il proprio cosmo e scomparendo a sua volta, seguendo la scia energetica trasmessa da Flegias, lasciando i suoi undici compagni a combattere da soli sull’Olimpo contro Crono.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 41
*** Incomplete ***


CAPITOLO QUARANTESIMO. INCOMPLETO.

 

“Il tuo compare ti ha lasciato solo!” –Esclamò Pegasus, mentre Crono si rimetteva in piedi.

 

“Quel maledetto cane...” –Commentò il Dio, quasi parlando con se stesso. –“Mi ha imbrogliato... ha finto di appoggiarmi, mentre in realtà voleva soltanto l’energia per sé!”

 

“Crono!” –Lo chiamò Ermes, facendosi avanti. –“Ormai sei finito! Parla, dov’è Zeus?”

 

“Finito dici?!” –Rantolò il Dio per un momento, prima di far esplodere il suo cosmo, quello vero, finora tenuto celato per non essere riconosciuto. –“Finito dici, Ermes?! Affatto!” –Tuonò Crono, scaricando incandescenti folgori contro il Dio dei Mercanti, che fu travolto e spinto indietro. –“Zeus è all’Inferno, e voi tutti presto lo raggiungerete! Anche senza l’immenso potere della Pietra Nera resto la più grande Divinità su questa Terra, e nessuno, ripeto nessuno, potrà piegarmi!”

 

Detto questo espanse il proprio cosmo, liberando un’immensa tempesta energetica che travolse i Cavalieri di Atena. Mur cercò di creare il Muro di Cristallo, ma si schiantò poco dopo, sottoposto a una pressione troppo potente. Ioria, Scorpio e Phoenix si lanciarono avanti, scagliando i loro colpi incandescenti, ma furono travolti dalla tormenta energetica e scaraventati contro i loro compagni.

 

“Quale potenza!!!” –Commentò Andromeda, aiutando Cristal a rimettersi in piedi.

 

“Anche senza l’energia immagazzinata in queste ultime ore, Crono resta un Dio potente e pericoloso!” –Sussurrò Sirio, riflettendo con gli amici su una possibile strategia.

 

Nel frattempo Ermes e Artemide si lanciarono avanti, facendosi strada nella tempesta energetica, grazie al luminoso potere dei propri cosmi divini, incoccando il Caduceo e l’Arco della Caccia.

 

“Tu sia maledetto, Crono!” –Esclamò Ermes, puntando la bacchetta contro il Dio e liberando un potente raggio energetico. Artemide affiancò subito il Messaggero, scatenando una freccia. Ma entrambi ebbero una brutta sorpresa. Crono parò il raggio energetico con la mano sinistra, concentrando su essa il suo cosmo in modo da spegnere il fascio di luce, mentre il dardo della Dea della Caccia tornò indietro, rimbalzando su un’invisibile barriera posta a sua difesa e piantandosi nella Veste Divina di Artemide, proprio all’altezza della spalla destra.

 

Con un balzo, Crono fu davanti ad Ermes, concentrò il cosmo in una sfera energetica e la scagliò contro di lui, facendola esplodere al contatto, scaraventando il Dio in alto, quindi si preparò per colpirlo nuovamente, ma in soccorso di Ermes giunsero i Cavalieri dello Zodiaco. Andromeda srotolò infatti la Catena, che afferrò il Dio ancora in aria, portandolo fuori dal raggio d’azione di Crono, mentre Sirio, Cristal e Phoenix attaccavano il Signore del Tempo con i loro colpi segreti.

 

La sorpresa sul volto di Crono fu evidente, ma riuscì comunque a parare l’attacco con il cosmo, venendo però scagliato indietro, come accadde ai tre Cavalieri. Scorpio, Ioria e Dohko approfittarono di quel momento per liberare i loro colpi scintillanti e colpire Crono in pieno, il quale non riuscì a difendersi e fu investito dall’attacco e scaraventato indietro, fino a rotolare sul terreno, perdendo l’elmo della propria armatura. Mur tentò di fermarlo allora con i suoi poteri psicocinetici, bloccando i movimenti del Dio con cerchi di energia, ma percepì chiaramente che, grazie all’immenso e antico potere di cui Crono disponeva, non sarebbe riuscito a trattenerlo per molto.

 

“Che cos’è accaduto?” –Tuonò Ermes, scagliando un violento fascio energetico dal suo Caduceo contro il Dio. –“Come hai potuto sostituirti a Zeus? Parla!”

 

“Ah ah ah… È tutto così ridicolo! Ridicolo il modo in cui voi Olimpi vi siete lasciate ingannare, ridicola l’assoluta fedeltà che avete dimostrato a Zeus, anche quando questi vi ha ordinato di attaccare Atena e il Grande Tempio! È stato uno spettacolo sublime vedervi massacrare a vicenda!” –Dopo un’altra profonda risata, Crono decise di raccontare com’era riuscito a sostituirsi a Zeus, prendendo possesso dell’Olimpo.

 

“Fu Flegias a liberarmi! Egli sciolse i divini sigilli che mi tenevano prigioniero, dando nuova vita alla mia anima e alimentando in me il desiderio di rivalsa e di vendetta, un desiderio mai sopito che mi porto dietro da millenni, da quando mio figlio mi cacciò dal Trono Olimpico, dando vita alla cruenta guerra nota come Titanomachia! Il Rosso Fuoco mi disse che sarebbe stato facile, essendo stato un tempo il Signore dell’Olimpo, sostituirmi a Zeus e assumere il comando del Monte Sacro! E grazie all’assoluta fedeltà dei Cavalieri Celesti avremmo potuto innescare un violento conflitto con Atene, facendo sì che i difensori dell’Olimpo e i Cavalieri di Atena si uccidessero tra loro! Accettai senza esitazione, credendo che fosse l’occasione della mia vita, la possibilità di attuare finalmente il mio grandioso progetto di rivalsa e di dominio, contro Zeus e contro Atena!”

 

Flegias giunse quindi sull’Olimpo, facendosi accogliere da quel citrullo di Zeus e ottenendo presto i suoi favori! Ma io giunsi con lui, sotto forma di spirito, nascosto nel suo cuore malato, e pronto a portare la distruzione! Cosa che in effetti feci giorni dopo, approfittando di una passeggiata di Zeus in compagnia di Flegias, proprio qua, ai confini dell’Olimpo! Fu facile prenderlo di sorpresa, travolgerlo con un attacco unitario, al quale parteciparono anche i figli di Ares, Phobos e Deimos!”

 

“L’avete ucciso?” – Domandò Ermes.

 

“Purtroppo no! Anche se in superiorità numerica eravamo comunque in difficoltà contro il Dio del Fulmine e allora usai il mio colpo segreto, potenziato dagli infuocati cosmi dei figli di Ares, per spedire Zeus in un’altra dimensione, dalla quale da solo non sarebbe più tornato! Sfortuna volle che in quel momento, attirati dallo sfrigolare di cosmi e dai rumori della battaglia, Era e alcuni Cavalieri Celesti intervennero e fummo costretti a eliminare anche loro. Era fu spedita in un’altra dimensione, insieme al suo sposo, mentre i Cavalieri Celesti furono uccisi e i loro corpi gettati dall’Olimpo, scomparendo nelle nebbie, in modo che nessuno potesse mai trovarli! In quel momento Flegias, forte di un potere che non avrei mai sospettato che possedesse, innalzò lo Scudo di Ares, il mistico sigillo che avrebbe dovuto raccogliere le energie del Monte Sacro e convogliarle verso la Pietra Nera, oscuro talismano di ignota origine che mise al mio collo, nascondendo il tutto da una fitta coltre di scure nuvole, in grado di limitare anche le capacità sensoriali degli abitanti dell’Olimpo!”

 

“Incredibile!” –Commentò Ermes. –“Quale maestria!”

 

“Già! La maestria di un’ombra…” –Rispose Crono, prima che un attacco di rabbia lo pervadesse. –“Quel bastardo, tessitore nascosto di quest’oscura alleanza, mi ha tradito, facendomi vedere solo una parte dell’immensa energia accumulata e convogliando l’altra chissà dove! Maledetto!!!” –Urlò, espandendo al massimo il proprio cosmo e liberandosi dei legami che lo imprigionavano.

 

Ermes fu travolto e spinto indietro, mentre Crono sollevava le braccia al cielo creando un turbine di energia incandescente che scagliò contro di loro.

 

“Uragano Divino!!!” –Tuonò, osservando con soddisfazione i Cavalieri venire risucchiati dal gigantesco mulinello e scaraventati lontano, lacerati da folgori incandescenti. Tutti meno che uno.

 

“Uh?” –Si chiese Crono, prima di muoversi velocemente per evitare una raffica di pugni luminosi. Pegasus era di fronte a lui, con il pugno destro carico di energia, determinato più che mai a sconfiggere il Dio impostore, che tanto dolore aveva portato nel mondo.

 

“Mi aspettavo che i cerchi di Mur non bastassero a fermarti!” –Commentò il ragazzo, prima di lanciarsi avanti, scatenando il Fulmine di Pegasus.

 

Le migliaia di colpi lanciati da Pegasus furono evitati da Crono, che sapeva muoversi ad altissima velocità. Ma, dovette ammettere il Dio, l’attacco di Pegasus non soltanto non tendeva a diminuire, bensì ad aumentare, sia come quantità di colpi sia come intensità, obbligandosi ad usare tutta la sua concentrazione e il suo potere per difendersi. Improvvisamente Pegasus concentrò tutti i suoi colpi in un’unica grande sfera energetica che scagliò contro Crono, con tutta la forza che aveva in corpo.

 

“Cometa di Pegasus!!!” –Urlò il ragazzo, mentre l’abbagliante cometa si schiantava contro il Dio che, per non essere travolto, dovette portare entrambe le braccia avanti per contenerne l’impatto.

 

A fatica Crono riuscì a rispedire indietro la Cometa lucente, investendo Pegasus e scaraventandolo lontano, constatando amaramente quanto temibile fosse quel Cavaliere di Atena. E maledisse i Ciclopi Celesti per non aver ucciso i Bronzetti quando ancora non avevano recuperato la memoria. Una raffica di fasci luminosi si abbatté su Crono, che dovette balzare indietro per evitarli, prima che il gruppo di Cavalieri di Atena ricomparisse davanti a loro, indeboliti ma determinati a sconfiggerlo.

 

Libra propose di attaccare congiuntamente, essendo evidente che singoli assalti non avrebbero smosso la situazione, anzi sarebbero solamente serviti a indebolirli ulteriormente. Il Cavaliere d’Oro espanse quindi il suo cosmo, liberando le Dodici Armi della Bilancia e affidandone una a ciascun Cavaliere. A Pegasus e a Ioria assegnò la Spada Dorata, a Phoenix e Andromeda le Barre Gemellari, a Cristal e Scorpio la Lancia Bracciale, a Mur e Tisifone le Barre Tripunte, mentre per sé e Sirio tenne gli Scudi Dorati. Quindi lanciò un Tridente a Castalia, chiedendo al giovane dagli occhi verdi che era al suo fianco se fosse con loro.

 

“Certo!” –Esclamò con determinazione il Luogotenente, prima che Dohko gli porgesse il secondo Tridente dorato.

 

“Adesso, Cavalieri di Atena e di Zeus! Bruciate al massimo il vostro cosmo! Che l’immenso potere delle stelle sia con noi!” –Urlò Libra, mentre i dodici Cavalieri espandevano il loro limpido cosmo.

 

Ermes e Artemide, feriti e sanguinanti, restarono stupefatti dallo splendore delle aure dei Cavalieri, mentre sul loro viso compariva un sorriso, confortati dal calore delle stelle che scese su di loro.

 

“Adesso capisco perché Atena è tanto ammirata!” –Commentò Artemide, con sincerità. –“E perché Apollo è stato sconfitto! Nessuna Divinità può opporsi a un simile scintillio cosmico, a una simile luminosità, espressione di animi nobili e puri, disposti a dare la vita per la giustizia e la libertà!” –E nel dir questo, approfittando della distrazione di Crono, Artemide corse verso la Torre Bianca, insieme a Ermes, cercando un modo per liberare la Dea della Giustizia dalle folgori incandescenti.

 

“Insieme, Cavalieri!” –Urlò ancora Dohko, mentre tutti i dodici Cavalieri si lanciavano avanti, brandendo le Armi di Libra, cariche del loro vasto cosmo.

 

“Vi spazzerò viaaa!!!” –Tuonò Crono, ricreando l’Uragano Divino e scagliandolo contro di loro. La furia dell’uragano si abbatté con violenza sui dodici Cavalieri di Atena e di Zeus, travolgendo qualcuno di loro e obbligando gli altri al massimo sforzo per colpire il Dio. Fasci di luce, provenienti dalle Dorate Armi di Libra, spaccarono l’aria, raggiungendo in parte la Veste Divina di Crono, che accusò il colpo, ma continuò a resistere all’immenso potere unito dei Cavalieri.

 

Iaiii!!!” –Urlò Pegasus, scattando avanti.

 

Ma Crono spinse al massimo l’Uragano Divino, finendo per travolgere nuovamente i Cavalieri, prima di accasciarsi al suolo, notevolmente provato e indebolito. Phoenix e Andromeda si rialzarono subito, lanciando le Barre Gemellari contro il Dio, che le afferrò entrambe con le mani prima di scaraventare via i due Cavalieri. La Polvere di Diamanti di Cristal cercò di fermare i suoi movimenti, bloccandogli le gambe, ma ci riuscì solo per un breve attimo, durante il quale Dohko e Sirio scagliarono i loro Scudi Rotondi, travolgendo il Dio e ferendolo al braccio sinistro.

 

“Maledetti!!!” –Tuonò Crono, rialzandosi.

 

Castalia lanciò quindi il Tridente Dorato, ma il Dio lo rispedì indietro, dirigendolo verso il petto della Sacerdotessa.

 

Castaliaaa!!!” –Urlò Pegasus, incapace di correre in suo aiuto. Ma inaspettatamente l’arma non raggiunse la ragazza, piantandosi nel pettorale dell’Armatura Divina dell’Eridano Celeste.

 

Phantom!” –Mormorò la Sacerdotessa Guerriero, osservando il Luogotenente dell’Olimpo accasciarsi a terra, di fronte a lei, mentre fiumi di sangue macchiavano le sue celesti vestigia.

 

“Come hai sempre detto...” –Commentò Phantom, con un filo di voce. –“Bisogna combattere per i propri ideali! Non è forse questo ciò che ho sempre ammirato in voi Cavalieri di Atena?” –Detto questo, il Luogotenente dell’Olimpo crollò al suolo, mentre la sua vita scorreva via, come il sangue dalle ferite. Castalia, in lacrime, si chinò su di lui, abbracciandolo e cercando di dargli conforto con il cosmo, aiutata anche dall’amica Tisifone, che subito l’aveva raggiunta.

 

“Addio, Cavalieri di Atena!” –Esclamò la superba voce del Signore del Tempo. –“E portate i miei saluti a Zeus!” –E sollevò le braccia sopra di sé, creando una macchia energetica dalle fattezze simili a un buco nero, che abbassò poi davanti a sé, per attirare i Cavalieri. –“Strappo nel Cielo!”

 

Ioria e Scorpio si lanciarono avanti, scagliando pugni di luce contro Crono, ma vennero attirati verso la macchia energetica che si fece sempre più grande. Mur cercò di salvare i due compagni, affiancandoli e creando il Muro di Cristallo, ma l’enorme pressione a cui fu sottoposto fu tale da mandarlo in frantumi e risucchiare i tre Cavalieri d’Oro al suo interno.

 

“Dei dell’Olimpo!” –Esclamò Dohko, sconvolto dalla scomparsa dei tre all’interno del buco nero.

 

“E adesso spazzerò via anche voi, fastidiosi insetti!” –Gridò Crono, puntando l’indice contro i rimanenti Cavalieri. Ma Pegasus e i suoi compagni, forti delle numerose esperienze vissute insieme, e determinati a liberare Atena e a salvare le genti libere della Terra, bruciarono il loro cosmo al massimo, come contro Ade e i nemici in precedenza affrontati.

 

“Brucia cosmo delle Tredici Stelle!” –Urlò Pegasus, spalancando le scintillanti ali della sua corazza. –“Fino ai limiti estremi dell’universo!” –Gridò, lanciando il suo mitico Fulmine di Pegasus.

Pienezza del Dragone! Nei limiti di Atena!” –Lo affiancò subito Sirio.

In nomine tuo Acquarius!” –Esclamò Cristal, lanciando il colpo dell’Aurora.

“Nebulosa di Andromeda!” –Si unì a loro Andromeda, mentre Phoenix concludeva il gruppo con le sue impetuose Ali della Fenice.

 

I cinque assalti uniti sorpresero lo stesso Crono, che tentò di ricreare lo Strappo nel Cielo per risucchiarli tutti quanti, ma Dohko gli balzò davanti, caricando lo Scudo Dorato di tutto il suo cosmo e impedendo ai cinque amici di essere risucchiati all’interno del buco nero, venendone però aspirato al loro posto.

 

“Non riesco a crederci!” –Commentò Crono. –“Questi ragazzini… questi Cavalieri di Bronzo mi stanno sopraffacendo! Incredibileee…” –Urlò, venendo travolto dal furioso attacco.

 

Lanciati i loro colpi migliori, Pegasus e gli altri crollarono a terra, stanchi e feriti, ma Crono si rialzò ancora, maledicendoli per aver danneggiato la sua Armatura Divina. Il Dio del Tempo caricò le proprie braccia di folgori incandescenti, pronto per scagliarle contro di loro, quando improvvisamente si accasciò a terra, accusando una forte debolezza.

 

Argh, maledizione! I miei poteri stanno scomparendo!” –E maledisse Flegias per averlo ingannato. –“Ma resisterò! Sì, devo solo eliminare questi moscerini e avrò vinto, sarò il Signore dell’Olimpo!”

 

E si rialzò, pronto per attaccare nuovamente i cinque Cavalieri dello Zodiaco, che si fecero trovare pronti di fronte a lui. Lo scontro tra i poteri di Crono e quelli dei Cavalieri di Atena generò un’immensa bolla energetica al centro dello spiazzo, obbligando tutti i contendenti al massimo sforzo. Sarebbe bastata una maggiore spinta, da uno dei due lati, e la situazione si sarebbe smossa.

 

“Non mollateee!!!” –Urlò Phoenix.

Spingeteee!!!” –Gli andò dietro Sirio, mentre i cosmi dei Cavalieri bruciavano al massimo.

 

Improvvisamente una scarica energetica somigliante a un guizzante fulmine colpì Crono in pieno petto, distraendolo e facendolo crollare a terra, permettendo così ai Cavalieri di Atena di travolgerlo con l’incandescente sfera cosmica. Il Dio del Tempo si schiantò a terra molti metri addietro, mentre la sua Veste Divina accusava duramente il colpo, schiantandosi in più punti; ma si rimise comunque in piedi, forte del sogno di conquista che stava inseguendo da millenni.

 

“Chi ha osato?” –Tuonò il Dio.

 

“Io ho osato!” –Rispose una voce, maschile e molto profonda.

 

Pegasus e i suoi compagni si voltarono verso la cima del piccolo pendio, e là trovarono, con somma sorpresa, i quattro Cavalieri d’Oro loro amici, che credevano perduti in qualche dimensione, Ioria, Mur, Dohko e Scorpio. E insieme a loro, accompagnato da una donna rivestita da un lunga veste color porpora, c’era un uomo, apparentemente sui trent’anni, alto e ben fatto, con lunghi capelli castani al vento, due occhi azzurri e uno sguardo fiero, ricoperto da una Veste Divina, la più bella che mai avessero visto fino a quel momento. La stessa che Crono aveva indossato fino all’inizio del combattimento, e con la quale aveva ingannato i Cavalieri e le Divinità Olimpiche.

 

“Che cosa?!” –Urlò Crono, riconoscendo il severo sguardo del figlio.

 

“Questo cosmo… è immenso!” –Commentò Andromeda.

 

“Vasto e luminoso, più grande di quello di Atena, o Nettuno o Ade stesso!” –Continuò Sirio.

 

“Un cosmo simile non può che appartenere…” –Intervenne Cristal. –“Al padre degli Dei!”

 

“Il Sommo Zeus!” –Balbettò Pegasus, mentre Zeus e i Cavalieri d’Oro si avvicinavano.

 

“Come puoi essere tornato dal limbo in cui ti avevo confinato?” –Chiese Crono, carico di rabbia.

 

“Hai sottovalutato i poteri del Padre degli Dei, Crono!” –Commentò Zeus, con voce beffarda. –“In tutto questo tempo ho imparato a muovermi nella dimensione in cui mi avevi spedito, un immenso limbo senza fine, senza però riuscire a trovare la strada per tornare sull’Olimpo! Ma sei stato proprio tu, aprendo nuovamente lo Strappo nel Cielo, a darmi la possibilità di rientrare! Aiutato dal dorato cosmo dei Cavalieri di mia figlia, abili, a quanto pare, a muoversi tra le dimensioni!”

 

“È stato un onore servire il Signore degli Dei!” –Commentò Mur, abbassando gli occhi.

 

“E sarà un onore maggiore per me combattere al vostro fianco, Cavalieri della Giustizia!” –Esclamò Zeus, mentre la propria aura cosmica cresceva a dismisura.

 

Pegasus e i suoi compagni sorrisero, rincuorati dal ritorno del Padre degli Dei e dal suo aiuto in quella battaglia. Aiuto che, si augurò Pegasus, continuerà anche in seguito!

 

“Fulmini di Zeus! Trafiggete il Dio usurpatore!” –Urlò Zeus, liberando un’immensa scarica energetica. Crono fece altrettanto e il loro potere si fronteggiò a mezz’aria, creando incandescenti scintille che rischiararono l’intero spiazzo.

 

“Adesso!!!” –Urlò Dohko, riunendo i compagni. Sirio e Cristal immediatamente lo affiancarono, unendo i loro cosmi, mentre Pegasus, Andromeda e Phoenix facevano altrettanto, creando la sincronia necessaria per scagliare il colpo supremo.

 

Urlo di Atena!!!” –Gridò Ioria, unito insieme a Scorpio e Mur nella postura della Triade. E i tre gruppi di Cavalieri liberarono l’immensa potenza del colpo supremo, unendosi alle folgori di Zeus.

 

Argh!!!” –Si disperò Crono, mentre la massa energetica lo investiva. –“Resisterò!” –E ricreò lo Strappo nel Cielo, scagliandolo contro i nemici, per risucchiarli insieme a tutta la loro energia.

 

“Adesso!!!” –Esclamò Zeus, con un sorriso beffardo sul viso. E Mur aprì le braccia, come avevano in precedenza concordato, creando il Muro di Cristallo, potenziato dal cosmo unito di tutti i Cavalieri, sul quale si infranse lo Strappo nel Cielo, venendo rispedito indietro.

 

“Che cosa?!” –Urlò Crono, venendo attratto verso il buco nero che lui stesso aveva creato.

 

“Perditi nel limbo da te creato, Padre degenere!” –Commentò Zeus, scagliando un’ultima devastante folgore contro di lui.

 

Il corpo di Crono andò in mille pezzi, come la sua Veste Divina, mentre la sua anima fu risucchiata all’interno dello Strappo nel Cielo, che si richiuse, con una grande esplosione, poco dopo.

 

“Che tu sia dannato a vagare in eterno in un limbo senza fine!” –Affermò Zeus, placando finalmente il proprio cosmo. –“Come tu hai condannato me! Con l’unica differenza che non potrai mai più uscirne, e nessuno aprirà più quel portale, essendo tu l’unico in grado di farlo!”

 

“Un’ottima mossa!” –Commentò una voce giovanile e squillante.

 

Zeus si voltò e incontrò lo sguardo stanco ma soddisfatto di un ragazzino dai capelli scuri e gli occhi marroni, le cui gesta aveva ammirato da lontano nei mesi precedenti.

 

“Cavaliere di Pegasus!” –Esclamò il Dio, con uno sguardo pieno di ammirazione.

 

In quel mentre la Bianca Torre crollò, distrutta dagli stessi fulmini in cui Crono l’aveva avvolta.

 

Isabeeel!!!” –Urlò Pegasus, preoccupato per la sua Dea. Ma Sirio gli disse di non preoccuparsi, e di guardare avanti a sé. Tra la polvere dei detriti, due figure ricoperte da Vesti Divine avanzavano con passo deciso, mentre uno dei due reggeva il corpo inerme di una fragile donna.

 

“Ermes!” –Sorrise Zeus, riconoscendo il suo fido Messaggero.

 

Artemide era al suo fianco, ed entrambi si inginocchiarono di fronte all’Olimpico Signore, chiedendo perdono per i loro errori, per essere stati ciechi e non aver riconosciuto il male che aveva invaso il Sacro Monte. Ma Zeus, magnanimo e nobile, spiegò loro di non preoccuparsi, e che se anche avevano servito il Male lo avevano fatto in buona fede.

 

“E un giorno, quando le tenebre scenderanno sulla Terra, per dominarla ed estirpare la luce degli uomini e dei Cavalieri, allora, soltanto allora, chiederemo perdono per le nostre azioni!” –Esclamò Zeus. –“Fino a quel momento, anche con i nostri corpi a pezzi, continueremo a lottare per tutto ciò che riteniamo santo, per tutto ciò che riteniamo sacro!”

 

Pegasus sorrise, incrociando lo sguardo fiero e nobile del Padre degli Dei, prima di chinarsi su Isabel, preoccupato per le sue condizioni.

 

“Come sta?” –Domandò Zeus a Ermes, che l’aveva liberata.

 

“Il suo cosmo è molto debole, quasi impercettibile, e le sue condizioni fisiche sono allo stremo! Ha bisogno di cure immediate!” –Commentò il Messaggero degli Dei.

 

“E le avrà! Come tutti i Cavalieri e le Divinità che hanno combattuto in questi tristi giorni!” –Esclamò Zeus, dispiaciuto, ma anche determinato a costruire un futuro pieno di luce. –“Il sangue versato in questa guerra non sarà sprecato, no, ma esso costituirà le fondamenta su cui edificheremo il nuovo Mondo, liberandolo dalle paure del passato!” –Detto questo, concentrò un fulmine tra le mani, lanciandolo contro il cielo, dove esplose poco dopo, prima che una lenta pioggia iniziasse a scendere sull’Olimpo. –“Ecco! La pioggia laverà via il sangue dei Cavalieri caduti, degli eroi che hanno perso la vita in quest’assurda strage! E purificherà le verdi distese dell’Olimpo, che torneranno presto a fiorire!”

 

“E noi saremo al suo fianco, Dio dell’Olimpo!” –Esclamò una flebile voce.

 

Tutti si voltarono indietro, verso Castalia e Tisifone che sorreggevano il corpo ferito del Luogotenente dell’Olimpo, che aveva appena parlato.

 

“Nobile Eridano! Non avevo sbagliato ad accettarti nelle fila dei miei Cavalieri allora!” –Commentò Zeus, avvicinandosi e mettendogli una mano sul petto.

 

Il sangue dalle sue ferite smise di uscire immediatamente, mentre una sensazione di pace lo invase subito dopo. La stessa pace che Zeus portò anche nel cuore affranto di sua figlia, la Dea della Giustizia, prima di ordinare a Ermes di condurla alla Reggia, dove avrebbe avuto le cure necessarie.

 

“Mio Signore... Non esiste più alcuna Reggia! Né servitori o curatori! Sono stati tutti uccisi!”

 

Un’espressione di tremendo dispiacere comparve sul volto del Dio dell’Olimpo, dolore che andò aumentando quando Ermes gli elencò il gran numero di Cavalieri caduti, combattendo in suo nome. Oreste e Pelope, Giacinto e Paride, Narciso, Atteone, Castore e Polluce, Ganimede, i tre Ciclopi Celesti, Arge, Bronte e Sterope, e altri Cavalieri di rango inferiore. E le Divinità massacrate. Afrodite, Efesto, Demetra, Estia, Eos, i figli di Eos, Dioniso, Pan, Ebe e Eros. Lo splendore dell’Olimpo se ne è andato con loro!

 

“Ricostruiremo tutto, Ermes!” –Commentò il Dio dell’Olimpo, incamminandosi verso il luogo ove sorgeva un tempo la sua Divina Reggia, seguito da tutti i Cavalieri.

 

Il silenzioso corteo proseguì tra i campi dell’Olimpo, mentre visi stanchi e sporchi, per quanto felici di aver sconfitto Crono, non riuscivano a gioire per quella che non consideravano una vittoria. Come definire vittoria ciò che in realtà è stato un massacro? Si chiese Cristal, ricordando i sacrifici di Mizar e Alcor, e di Ilda. E in quel momento la sua mente spiccò il volo, lasciando le insanguinate cime dell’Olimpo, per volare fino ad Asgard, alla corte di Odino, chiedendosi come stesse Flare.

 

Zeus aiutava sua moglie Era a camminare, stanca e debole, mentre Ermes e Artemide marciavano ai lati del Dio dell’Olimpo. Dietro di lui Pegasus portava in braccio Atena, da cui non riusciva a staccare gli occhi, infatuato della sua leggiadra bellezza. E al suo fianco Andromeda e Phoenix, seguiti da Cristal, Sirio e Dohko. Ultimi venivano i tre Cavalieri d’Oro, Mur, Scorpio e Ioria, ognuno che sorreggeva uno tra i Cavalieri più bisognosi di aiuto, Tisifone, Castalia e Phantom.  Ioria e Phantom si scambiarono una silenziosa occhiata, ma nessuno dei due disse niente, non ritenendo fosse il momento opportuno per affrontare delicate questioni, di priorità inferiore rispetto alle impellenti necessità di riposo e cura.

 

Quando il corteo giunse nel luogo ove sorgeva la Reggia di Zeus, il Dio dell’Olimpo si fermò, concentrando al massimo il proprio cosmo, prima di sollevare un braccio e usare il suo Divino potere per ricostruire i fasti perduti. Immediatamente, muri e colonne sorsero dalla terra, ricreando in poco tempo l’immensa fortezza celeste che gli scontri avevano abbattuto. Ermes sorrise, riflettendo che quello era soltanto l’inizio della rinascita dell’Olimpo.

 

Poche ore dopo, mentre la maggior parte dei Cavalieri stava riposando e curando le ferite, Pegasus raggiunse Zeus nella Sala del Trono, trovando il Dio a consiglio con il Messaggero Olimpico.

 

“Vieni avanti, Cavaliere di Pegasus!” –Esclamò Zeus, con un gran sorriso.

 

“Non vorrei disturbare...” –Commentò il ragazzo, inginocchiandosi di fronte al trono.

 

“Non disturbi affatto, Cavaliere! Stavo dialogando con Ermes a proposito degli eventi verificatisi!”

 

“Una strana alleanza, Sommo Zeus, non trovate?! I figli di Ares e Crono… Cosa speravano di ottenere? Tutto questo per il dominio sull’Olimpo?” –Si chiese Pegasus.

 

“Temo purtroppo che sentiremo ancora parlare di loro!” –Intervenne Zeus. –“Issione è morto, ma Flegias è ancora vivo, così pure Phobos e Deimos! Nascosti in qualche oscuro anfratto attendono silenziosi il levarsi di una nuova notte!”

 

Pegasus annuì pensieroso, chiedendosi dove fosse Virgo e se fosse riuscito a trovarli.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 42
*** Epilogo ***


EPILOGO

EPILOGO

 

Shaka della Vergine inseguì la scia cosmica lasciata da Flegias, figlio di Ares, attraversando a fatica varie dimensioni spaziotemporali, fino a ricomparire in una sconosciuta foresta, mentre un pallido sole illuminava il suo viso. Il Cavalieri della Vergine si guardò intorno, avanzando nella fitta vegetazione e cercando di comprendere dove si trovasse. Alla fine giunse di fronte alle rovine di un antico Tempio, abbandonato secoli prima, il cui esterno era contornato da sculture orribili, rappresentanti mostri, creature deformi e guerrieri in atto di combattere tra loro.

Shaka ebbe un sussulto, riconoscendo il luogo, per quanto non vi fosse mai stato personalmente: il Tempio dell’Apocalisse, in passato residenza del Dio della Guerra, Ares. Un luogo antico quanto orribile e sporco di sangue, in cui il crudele Signore della Guerra sacrificava vittime innocenti per i suoi immondi e folli piani di conquista, gli stessi che avevano spinto Flegias a organizzare il complotto alle spalle del Sommo Zeus.

Shaka percepì una debole traccia del cosmo di Flegias provenire proprio dalle rovine, e decise di seguirla, addentrandosi all’interno delle segrete di quel che restava dell’edificio principale, riducendo il proprio cosmo al minimo, per non farsi riconoscere dal figlio di Ares. Non riuscì a percorrere neppure un paio di metri nell’oscurità, che una fila di torce si accese al suo fianco, rischiarando lo stretto corridoio in cui si era introdotto, mentre una voce possente lo chiamò.

-         Vieni avanti, Cavaliere di Atena!

Shaka si irrigidì immediatamente, non riuscendo a identificare la voce di colui che aveva appena parlato, né il cosmo, di cui percepì soltanto un debole segnale, come se fosse quasi inesistente. O come se questi volesse tenerlo celato! Si disse, raggelando, quando mise piede nella cripta sotterranea da cui la voce proveniva. In un momento comprese ogni cosa.

Sul lato destro della stanza in penombra, un uomo sedeva su un rozzo trono di legno, completamente rivestito dalla sua Divina Corazza dagli accesi colori scarlatti, emanante un’aura cosmica carica di odio e di violenza. Seduti sotto di lui, due ragazzi simili tra loro, ricoperti da Armature scarlatte, dai riflessi violetti e biancastri. Shaka inorridì nel riconoscere il volto sogghignante di Flegias inginocchiarsi di fronte a suo padre: Ares, il Dio della Guerra, riunito insieme ai suoi figli, Phobos e Deimos. Dall’altra parte della stanza, in un’immensa caverna sotterranea, centinaia di guerrieri ricoperti dalle loro terribili vestigia rosso fuoco erano pronti a portare sangue e distruzione sulla Terra: i Bersekers di Ares. La Grande Guerra avrebbe avuto presto inizio.

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 43
*** Schede tecniche 1 ***


FULMINI DALL’OLIMPO – Schede tecniche

FULMINI DALL’OLIMPO – Schede tecniche

 

CAVALIERI DI BRONZO:

 

PEGASUS:

 

(Colpi segreti: Fulmine di Pegasus, Spirale di Pegasus, Cometa Lucente):

 

Inizialmente dimentico del suo passato, per effetto del Talismano della Dimenticanza, Pegasus vive felice con la sorella Patricia a Nuova Luxor, ma a causa dell’attacco di Bronte del Tuono a Villa Thule recupera la memoria. Combatte contro di lui, per senza sconfiggerlo definitivamente, prima di recarsi al Grande Tempio con Andromeda ed affrontare la Dea dell’Aurora, Eos, vincendola.  Saputo che Isabel era in pericolo, non esita a lanciarsi a rotta di collo verso l’Olimpo, guidando i suoi compagni lungo la via, ed affrontando, stavolta vincendolo, il Ciclope Celeste Bronte. Nascosto e curato da Elena e Deucalione, Pegasus raggiunge la cima dell’Olimpo tramite una via segreta, che passa proprio dentro la montagna sacra, giungendo proprio alla Bianca Torre del Fulmine, e cercando di liberare Isabel. Non riuscendovi, è costretto ad affrontare Zeus, da solo, finché l’arrivo dei suoi compagni, tra cui i Cavalieri d’Oro che credeva perduti, non gli dà nuova forza per l’assalto finale. Sconfitto Crono, grazie al ritorno di Zeus, Pegasus si interroga sul destino di Flegias, ricevendo l’ammirazione del Dio dell’Olimpo.

 

ANDROMEDA:

 

(Colpi segreti: Catena di Andromeda, Onde del Tuono, Difesa Circolare, Nebulosa di Andromeda)

 

Andromeda è inizialmente prigioniero del Talismano della Dimenticanza e vive a Nuova Luxor, a Villa Thule, finché l’attacco di Bronte del Tuono non risveglia i suoi ricordi. Si reca in Grecia con Pegasus, affrontando Eos a fianco dell’amico, prima di correre sull’Olimpo per salvare Lady Isabel. Ai margini della Foresta di Artemide, dà una splendida prova di sé affrontando i Dioscuri, prima di venire però attirato da Dioniso in un rito orgiastico, da cui si salva soltanto grazie all’intervento di Euro.

 

CRISTAL IL CIGNO:

 

(Colpi segreti: Polvere di Diamanti, Aurora del Nord/Vortice fulminante dell’Aurora, Anelli di Ghiaccio, Sacro Acquarius)

 

È forse il Cavaliere che combatte più avversari, trovandosi inizialmente impegnato in una missione particolare nell’Oltretomba nordico, e poi in battaglia sull’Olimpo. Affronta Megrez, liberando Mur, Ioria, Scorpio, Libra e Virgo, prima di scontrarsi duramente con Hel. Orion gli cede la spada Gramr, che Cristal userà contro Eros al Tempio dell’Amore. In seguito affronterà Ermes e Efesto, prima che l’intervento improvviso dei figli di Ares scombussoli le vecchie alleanze.

 

SIRIO IL DRAGONE:

 

(Colpi segreti: Colpo Segreto del Drago Nascente, Colpo del Drago Volante, Excalibur, Colpo dei Cento Draghi)

 

Attaccato improvvisamente da Arge, lo Splendore, Sirio cade nel fiume dei Cinque Picchi, venendo fortunatamente salvato da Dauko di Libra. Ripresa coscienza di sé, Sirio si lancia in uno spettacolare scontro con il Ciclope Celeste, dove la sua Excalibur vincerà sulla Spada del Fulmine. Si reca quindi sull’Olimpo assieme a Libra, affrontando Afrodite al Tempio dei Mercanti, e correndo poi alla Reggia di Zeus con i compagni.

 

PHOENIX:

 

(Colpi segreti: Ali della Fenice, Piume infuocate, Fantasma Diabolico, Pugno Infuocato)

 

Phoenix è il primo dei cinque Cavalieri di Bronzo a comparire nella storia, essendo il primo ad aver risvegliato la coscienza di sé. In realtà, scopriremo negli ultimi capitoli, era stato Morfeo, su ordine di Issione, a richiamare a sé il ragazzo, inviandogli dei messaggi subliminali per attirarlo sull’Olimpo, dove Issione avrebbe voluto concludere il suo addestramento al male, per portarlo dalla sua parte e farne il suo più valente guerriero. Phoenix scopre infatti una tremenda verità, abbandonandosi ad un feroce scontro con Issione nel giardino del Tempio dei Sogni.

 

ASHER dell’UNICORNO:

 

(Colpi segreti: Criniera dell’Unicorno, Corno d’Argento)


Asher dà una splendida prova di sé, difendendo il Grande Tempio di Atena dai ripetuti attacchi dei Cavalieri Celesti. In particolare affronta Narciso, dei guerrieri di Afrodite, riportando su di lui una bella vittoria.

 

GEKI dell’ORSA:

 

(Colpi segreti: Stretta dell’Orsa)

 

ASPIDES dell’IDRA:

 

(Colpi segreti: Artigli dell’Idra)


BAN del LEONE MINORE:

 

(Colpi segreti: Lionet Bomber)

 

BLACK il LUPO:

 

(Colpi segreti: Dead Howling)

 

Geki, Aspides, Ban e Black affrontano più volte gli attacchi dei Cavalieri Celesti, inviati da Zeus/Crono e Flegias per distruggere il Grande Tempio. Molto deboli, e con le armature distrutte, cercano comunque di resistere agli assalti nemici.

 

NEMES del CAMALEONTE:

 

(Colpi segreti: Nemes usa la frusta in battaglia)

 

Compare solo per difendere Andromeda e Pegasus a Villa Thule dal Ciclope Celeste, Bronte del Tuono, a cui è notevolmente inferiore. Era stata incaricata da Atena di proteggere i due amici da lontano, ma viene sconfitta dal Cavaliere e ricoverata all’ospedale, dove si interroga sulle sorti dell’amato Andromeda.

 

ANA, del PITTORE:

 

Sacerdotessa guerriero, discepolo di Virgo, assieme a Loto, Pavone e Birnam, Ana è una ragazza cieca, dai sensi molto sviluppati. Innamorata non corrisposta del suo maestro, Ana si allontana dal Grande Tempio, percependo la malvagità crescente di Arles. Uccisa proprio da Loto e Pavone, per la superiorità numerica, non certo per il suo cosmo che niente aveva da invidiare a quello di un Cavaliere d’Argento. Il suo ricordo tormenta Shaka di Virgo.

 

 

CAVALIERI D’ARGENTO

 

CASTALIA dell’AQUILA:

 

(Colpi segreti: Volo dell’Aquila Reale, Cometa Pungente)

 

La Sacerdotessa, dopo la fine della Guerra Sacra contro Ades, ha allenato giovani ragazze insieme a Tisifone, per quanto la sua mente abbia sempre continuato a volare a Ioria, a ricordare l’amore che aveva perduto senza dargli la possibilità di esistere. Agli inizi della storia, dopo aver scortato Ilda da Atena, interviene in aiuto di Tisifone, Kiki e Asher alla prima casa, ma viene atterrata da Sterope del Fulmine e poi sconfitta duramente da Flegias. Salvata da Phoenix, e informata da Ermes degli eventi in corso, accompagna Atena sull’Olimpo, insieme al Cavaliere della Fenice. Là conosce Phantom dell’Eridano, venendone incredibilmente affascinata, ma non riesce ad impedire a Zeus e a Flegias di imprigionare Atena. Scaraventata da Flegias di sotto dall’Olimpo, viene miracolosamente salvata da Birnam, protetto da Morfeo, rientrando al Grande Tempio giusto in tempo per organizzarne la difesa. Affronta Phantom in battaglia, venendo sconfitta di fronte alla Quinta Casa di Leo, abbandonandosi ad un amore proibito, forse per dimenticarne un altro. Accompagna Pegasus e Andromeda sull’Olimpo, smarrendosi nella Foresta di Artemide e venendo fatta prigioniera dai Cacciatori della Dea. Salvata da Phantom, per ordine di Morfeo, viene condotta dal Dio del Sonno, che la mette al corrente del complotto operato dai figli di Ares. Travolta da Issione, assiste impotente alla morte di Morfeo, venendo in seguito salvata da Ioria, scoprendo che il Cavaliere d’Oro è ancora vivo. Unisce il proprio cosmo a quello di Pegasus e degli altri durante l’attacco finale contro Crono, di fronte alla Torre del Fulmine.

 

TISIFONE del SERPENTARIO:

 

(Colpi segreti: Artigli del Cobra, Cobra incantatore, Artigli del Cobra dorato)

 

Dopo la fine della Guerra contro Ades, per dimenticare il ragazzo di cui era innamorata, e che a causa della Pozione della Dimenticanza si sarebbe scordato di lei, aveva messo tutta se stessa nell’addestramento di giovani sacerdotesse, insieme a Castalia. Quando Sterope e Flegias attaccano il Grande Tempio, cerca di fermarli ma viene duramente sconfitta, salvandosi grazie all’intervento di Phoenix. In seguito affronta Borea e la Dea dell’Aurora, a fianco di Asher, espandendo al massimo il proprio cosmo e ricevendo provvisoriamente in dono l’Armatura d’Oro del Cancro. Accompagna Pegasus sull’Olimpo, affrontando Atteone, il più valente dei Cacciatori di Artemide, in uno scontro sanguinario che si conclude con la sua vittoria. Esausta, affronta Artemide senza timore, venendo salvata da Phantom dell’Eridano, prima di assistere, stordita, all’improvviso attacco di Phobos e Deimos. Partecipa insieme a Castalia e agli altri Cavalieri d’Oro e Divini all’attacco finale contro Crono.

 

BIRNAM della BUSSOLA:

 

(Colpi segreti: Ultima luce dell’Oriente)

 

Discepolo di Virgo, Birnam salva Castalia da morte sicura, riuscendo a raggiungere l’Olimpo, protetto segretamente da Morfeo. Durante l’assalto al Santuario, si sospenderà in aria sopra le abitazioni e l’ospedale, per proteggere le genti dall’attacco di Zefiro e Austro, due figli di Eos. Utilizzando il potere ultimo che Virgo gli aveva insegnato, Birnam fa esplodere il suo cosmo, spazzando via i due Dei, ma morendo a sua volta.

Nota: la scelta della costellazione della Bussola, come spiegato anche nel forum del sito di Shiryu, mi è sembrata la più appropriata, considerando i suoi poteri.

 

 

CAVALIERI D’ORO

 

MUR dell’ARIETE:

 

(Colpi segreti: Stardust Revolution, Starlight Extinction, Muro di Cristallo)

 

I Cavalieri d’Oro vengono salvati da Cristal, dalla prigionia di ghiaccio cui Hel e Loky, su consiglio di Flegias, li avevano destinati. In particolare, il Cavaliere di Ariete affronta Aiace di Garuda, vincendo facilmente su di lui, prima di aiutare il compagno Shaka della Vergine contro Eros.

 

IORIA del LEONE:

 

(Colpi segreti: Lightning Plasma, Lightning Bolt, Lightning Fang)

 

Ioria è sicuramente il più attivo, assieme a Virgo, dei cinque Cavalieri d’Oro salvati da Cristal. Affronta deciso Radamantis, riportando su di lui una bella vittoria, prima di scontrarsi con Phantom dell’Eridano Celeste nei giardini del Tempio del Sole. Uno scontro che non è soltanto fisico, ma una contesa tra i due uomini amati da Castalia, il suo passato e il suo presente. Salva infine la Sacerdotessa dell’Aquila, affrontando brevemente Giasone, prima di partecipare allo scontro finale.

 

SHAKA della VERGINE:

 

(Colpi segreti: Ohm, Kaan, Abbandono dell’Oriente, Per il Sacro Virgo)

 

Il potente Cavaliere della Vergine aiuta Syria della Sirena a difendere il Tempio di Poseidone da Ermes, per impedire che i Cavalieri Celesti mettano mano al Vaso dove lo spirito del Dio dei Mari è contenuto. In seguito affronta lo scontro più impegnativo della sua vita, contro Eros, al Tempio dell’Amore, uno scontro che lo costringe a ricordare un passato che avrebbe preferito dimenticare.

 

DAUKO della LIBRA:

 

(Colpi segreti: Colpo del Drago nascente, Colpo dei Cento Draghi, Armi della Bilancia)

 

Libra corre in aiuto di Sirio ai Cinque Picchi, affrontando e vincendo i due Cavalieri Celesti al servizio di Afrodite. In seguito corre sull’Olimpo, scontrandosi brevemente con Ermes, e ricordando il loro precedente incontro durante la Guerra Sacra tra Atena e Ade nel XVIII Secolo.

 

MILO di SCORPIO:

 

(Colpi segreti: Cuspide Scarlatta, Antares, Cometa di Antares, Onde di Scorpio, Chele dorate)

 

Scorpio partecipa allo scontro al Tempio dell’Amore, affiancando Mur e Virgo, dopo aver combattuto e vinto contro Minosse del Grifone.

 

 

CAVALIERI D’ACCIAIO

 

SHADIR del Cielo, BENAM della Terra, LEAR dell’Acqua:

 

I tre Cavalieri d’Acciaio fanno una breve comparsata nel 23° capitolo, in visita a Nemes all’ospedale, con cui avevano legato in precedenza, ed insieme a lei si chiedono come se la stanno cavando Pegasus e i loro amici.

 

CAVALIERI DI ASGARD:

 

ORION:

 

(Colpi segreti: Spada di Odino, Occhi del Drago)

 

Orion affianca Cristal, assieme ad Artax, nella spedizione ad Helgaror, con il compito segreto di liberare Balder, imprigionato dalla Regina dell’Oltretomba.

 

ARTAX:

 

(Colpi segreti: Fuoco del meriggio, Inferno di Asgard)

 

Artax accompagna Cristal a Helgaror, per aiutarlo a scoprire l’origine delle vibrazioni che il ragazzo percepisce nel cosmo, ma anche con il segreto compito di liberare il principe Balder, imprigionato da Hel.

 

MIZAR:

 

(Colpi segreti: Bianchi Artigli della Tigre, Ghiacci Eterni, Luce del Nord)

 

Mizar è uno dei guerrieri più combattivi della storia, non esitando a lanciarsi, assieme al fratello, in tutti gli scontri che gli si palesano davanti. Prima contro Sterope, poi contro Phantom e i Cavalieri Celesti, contro Borea, e infine sull’Olimpo, affrontando nuovamente Sterope del Fulmine. Morendo, afferra la mano del fratello ritrovato, con la speranza di stare nuovamente assieme nell’aldilà.

 

ALCOR:

 

(Colpi segreti: Bianchi Artigli della Tigre, Ghiacci Eterni, Luce del Nord)

 

Alcor affianca il fratello in ogni battaglia, lanciandosi contro Sterope e contro i Cavalieri Celesti. Sull’Olimpo lui e Mizar affrontano nuovamente Sterope, nel giardino del Tempio dell’Amore, usando il potere massimo dei Cavalieri di Asgard, la Luce del Nord, e morendo insieme al fratello.

 

MEGREZ:

 

(Colpi segreti: Spada infuocata, Teca viola d’Ametista)

 

Per aver tradito Asgard e Ilda, Megrez non viene assurto tra gli Einherjar e rimane uno spirito oscuro al servizio della Regina dell’Oltretomba, Hel. Si scontra con Cristal, nelle prigioni di Helgaror, venendo da lui sconfitto.

 

MIME, THOR e LUXOR:

 

Hanno un ruolo minore, intervenendo insieme a Odino, Freyr e l’esercito di Einherjar al Palazzo delle Nebbie, per dare ad Hel e ai Giganti di Ghiaccio il colpo finale. In seguito consegnano ai Cavalieri d’Oro le Armature riforgiate nel fuoco di Muspellheimr.

 

 

DIVINITA’ E PERSONAGGI NORDICI:

 

ODINO, Signore supremo degli Asi:

 

Wotan è la massima Divinità del Pantheon nordico. Si dimostra comprensivo nei confronti di Cristal e Flare, ma al tempo stesso è un tattico, deciso ad usare qualsiasi situazione per i suoi interessi. Punto sul vivo dalle suppliche di Flare, non esita infine ad armare l’esercito degli Einherjar e a marciare su Helgaror. La sua paura più profonda risiede nel Ragnarock.

 

FREYR, Dio del Sole:

 

È il Consigliere privato di Odino, e assieme a lui concretizza il piano per salvare Balder dalla prigionia di Hel. È anche un buon combattente, e marcia in prima fila contro la fortezza di Helgaror.

 

BALDER, Dio della Bellezza:

 

Rapito da Hel, il Dio figlio di Odino è molto buono e misericordiosa. Non ha amato il piano di suo padre di usare Cristal per liberarlo, e per ricompensare i Cavalieri di Atena fa riparare le Armature d’Oro nella terra del fuoco dei Giganti.

 

FRIGG, Moglie di Odino:

 

Moglie di Odino, assiste Flare nel tempo trascorso nella vera Asgard.

 

HEIMDALL, Dio Guardiano del Ponte Arcobaleno:

 

Dio buono e giusto, ma anche attento scrutatore di coloro che si parano di fronte a lui, difende Bifrost da chiunque tenti di percorrerlo senza autorizzazione.

 

ILDA di POLARIS, Celebrante di Odino:

 

Splendida, Ilda dà una grande prova di sé, dimostrando di voler cancellare ogni traccia delle sue azioni malvagie, compiute durante la Guerra del Nibelungo. Affronta Sterope del Fulmine, uccide Borea con il suo tridente, impegna i Giganti di Pietra in battaglia, si scontra con Issione, senza alcuna paura, vestendo infine l’Armatura della Valchiria. Nel finale, è disposta a dare la vita pur di salvare Atena, liberando l’immenso potere della Luce del Nord.

 

FLARE di POLARIS:

 

Flare è cresciuta, non è più la ragazzina che trascorreva le ore pregando Odino assieme ad Atena. Adesso è quasi una donna, che non esita ad alzare la voce in presenza del Dio di Asgard, per convincerlo ad intervenire in aiuto di Cristal, i cui sentimenti per lui sono chiaramente sbocciati in una forma di amore puro.

 

LE NORNE (Urd, Verdandi e Skuld):

 

Dee del fato nella mitologia nordica, siedono ai piedi dell’Albero Cosmico, stabilendo il destino degli uomini. La prima filava il tessuto della vita, la seconda dispensava consigli e la terza tagliava il filo al momento giusto.

Sono responsabili della profezia di Flare, che la Principessa di Asgard ha chiesto loro, pur senza comprendere la sua interpretazione.

 

HEL, Signora degli Inferi:

 

(Colpi segreti: Saggina dell’Infermità)

 

Hel è la Regina dell’Oltretomba nordico, un’immensa distesa di ghiaccio, ove si erge Helgaror, la sua residenza. Imprigiona i Cavalieri d’Oro di Atena, su ordine di suo padre, prima di affrontare Cristal, Orion e Artax. Viene sconfitta da Cristal, dopo l’intervento di Odino, Freyr e dell’esercito del Valhalla, lanciando però a Odino una profezia. Ragnarock.

 

LOKY, Dio del Male:

 

Loky fa una breve apparizione nel capitolo 34, mostrando di aver stretto un patto di alleanza con Flegias, e con Zeus/Crono, per favorire l’avanzata delle forze del male. Il suo ruolo era di usare sua figlia per catturare i Cavalieri d’Oro, senza poter sapere che Flegias premeva in realtà per un loro ritorno sul campo di battaglia, in modo da rafforzare l’esercito di Atena e metterlo in condizione di combattere, quasi alla pari, con l’Olimpo.

 

EINHERJAR:

 

Sono gli spiriti dei guerrieri che erano morti combattendo molto valorosamente in battaglia. Tra questi, nella storia, troviamo i Cavalieri di Asgard caduti durante la Guerra del Nibelungo: Orion, Artax, Luxor, Mime e Thor.

 

HRIMTHURSAR:

 

In norreno, "giganti di brina", sono una delle due stirpi di gigante, insieme ai Múspellsmegir. Combattono contro Cristal, Orion e Artax nel Niflheimr.

 

 

PERSONAGGI VARI:

 

LADY ISABEL

 

MYLOCK:

 

Fedelissimo maggiordomo di Lady Isabel, aveva ricevuto dalla Dea il compito di amministrare Villa Thule, prendendosi cura di Andromeda e di Pegasus. Muore sotto il crollo delle macerie della villa, proteggendo Patricia col suo corpo.

 

PATRICIA:

 

Sorella di Pegasus, compare all’inizio della storia, preoccupata dall’eventualità che Pegasus torni ad indossare la sua armatura, scendendo nuovamente sul campo di battaglia. Adesso che ha ritrovato suo fratello, è decisa a non perderlo più.

 

FIORE DI LUNA:

 

Compagna di Sirio, con cui vive ai Cinque Picchi nella pagoda un tempo residenza del Vecchio Maestro. Assiste imperterrita alla “morte” di Sirio, causata da Arge, lo Splendore, quando fa precipitare il ragazzo nella cascata, e successivamente viene rincuorata dalla notizia del suo ritrovamento e dal ritorno del Vecchio Maestro ringiovanito. Viene lasciata, dopo la distruzione della Casa, a vivere presso alcuni amici fidati di Dauko, aspettando, come sempre, il ritorno dell’amato Sirio.

 

ESMERALDA:

 

Essendo morta, non compare direttamente, ma il suo fantasma continua ad aleggiare su Phoenix, che non riesce ancora a liberarsene, al punto da accettare di cadere tra le braccia di Morfeo pur di rivederla. Sarà proprio lei a dare forza al ragazzo, liberandolo dagli incantesimi ipnotici e lasciandolo libero di andare.

 

ELENA e DEUCALIONE:

 

Genitori di Phantom dell’Eridano Celeste, aiutano Pegasus, conducendolo nella loro casa, sulle pendici meridionali del monte Olimpo. Sono semplici pastori, preoccupati per le sorti del figlio maggiore, che li aveva avvertiti, poco prima, di una fosca nebbia calata sul Sacro Monte. Dopo aver curato le ferite di Pegasus ed averlo rifocillato, i due narrano al ragazzo della via segreta, per raggiungere la cima dell’Olimpo, per quanto neppure loro sappiano dove si trova.

 

SYRIA delle SIRENE:

 

(Colpi segreti: Incantesimo suadente, Melodia di requiem):

 

Ultimo Generale degli Abissi ancora vivo, Syria difende il Tempio di Poseidone dall’assalto dei Cavalieri Celesti guidati da Ermes, per il quale nutre stima e profonda ammirazione, essendo stato l’inventore della cetra. Riluttante, Syria comunque non si tira indietro, affrontando i nemici che vogliono asportare il Vaso di Atena, contenente lo spirito del Dio dei Mari, e lo stesso Ermes, anche se, senza l’intervento di Shaka della Vergine, mai lo avrebbe battuto, non avendo la sua musica effetto su di lui.

 

MENADI

 

SATIRI

 

GUERRIERI CAPRINI

 

EBE

 

ANCELLE dell’Olimpo

 

 

© Aledileo

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 44
*** Schede tecniche 2 ***


Fulmini dall’Olimpo – Schede tecniche

Fulmini dall’Olimpo – Schede tecniche

 

DIVINITA’:

 

ZEUS, Dio del Fulmine, Signore dell’Olimpo:

 

Zeus compare realmente soltanto nel capitolo 40, dopo essere stato liberato da Mur e dai Cavalieri d’Oro dalla prigionia cui Crono lo aveva confinato. Potentissimo, unisce le sue forze a quelle dei Cavalieri di Atena, per sconfiggere il padre definitivamente. Splendido e generoso, loda l’operato dei servitori di Atena, e dei suoi stessi Cavalieri, dichiarando di voler ricostruire l’Olimpo e riportarlo ai fasti del passato.

 

ERA, Signora dell’Olimpo:

 

Moglie di Zeus e da Crono esiliata assieme a lui grazie allo “Strappo nel cielo”. Ricompare nel capitolo 40.

 

CRONO, Dio del Tempo:

 

(Colpi segreti: Strappo nel cielo, Uragano Divino)

 

Grazie all’aiuto di Flegias, Crono viene liberato dalla prigionia cui i Cavalieri d’Oro lo avevano confinato otto anni prima (al termine degli eventi di “Episode G”). Dotato da Flegias di una pietra nera, con cui immagazzinare tutte le energie cosmiche dell’Olimpo, viene in realtà ingannato e strumentalizzato dal figlio di Ares, che nient’altro vuole se non una guerra tra Atene e l’Olimpo, con la distruzione di entrambi i contendenti.

 

ATENA, Dea della Giustizia e della Guerra Giusta:

 

Lady Isabel, al termine della Guerra Sacra contro Ade, aveva deciso di non far più combattere Pegasus e i suoi quattro compagni, facendo bere loro una Pozione della Dimenticanza, e donando ad ognuno un Talismano. È costretta a venire meno alla sua promessa, quando la minaccia dell’Olimpo allunga la sua ombra di morte sul Grande Tempio. Con Castalia e Phoenix si reca sul Monte Sacro, ma è impotente nell’affrontare Zeus/ovvero Crono, e Flegias, e viene imprigionata nella Torre del Fulmine.

 

ERMES, Messaggero degli Dei:

 

(Colpi segreti: Caduceo)

 

Il più umano tra gli Dei dell’Olimpo. Un tempo Consigliere Privato, e grande amico del Sommo Zeus, Ermes viene usato dal Dio (ovvero da Crono) e da Flegias, come Messaggero e ambasciatore di pace, strumentalizzato come tutti gli altri Dei contro i Cavalieri di Atena. Affronta prima Cristal, poi Libra, ricordando il precedente incontro con Dauko avvenuto nel XVIII secolo. Si pone dei seri dubbi sull’operato di Zeus, non esitando a scagliarsi contro Flegias.

 

EFESTO, Dio del Fuoco e della Metallurgia:

 

(Colpi segreti: Lava Incandescente)

 

Efesto è il fabbro dell’Olimpo, che crea da millenni splendide corazze e armi indistruttibili. Raggiunto da Afrodite, nella sua fucina sotto l’Etna, il Dio ritorna sull’Olimpo, per parlare con l’amata Dea e con Ermes, prima di affrontare brevemente Cristal, ed essere massacrato da Flegias.

 

AFRODITE, Dea della Bellezza:

 

La Dea, compagna di Efesto, affronta brevemente Sirio al Tempio dei Mercanti, prima di essere improvvisamente aggredita dai bastardi figli che ebbe un tempo con Ares: Phobos e Deimos, venendo massacrata di fronte agli occhi di Efesto.

 

ARES, Dio della Guerra:

 

Compare solo nell’Epilogo, ma la sua presenza si fa sempre più aleggiante nel corso della storia, soprattutto dopo l’entrata in scena dei suoi figli bastardi, Phobos e Deimos.

 

EOS, Dea dell’Aurora:


Affronta Pegasus e Andromeda al Grande Tempio di Atena, eseguendo gli ordini di Zeus, più per riconoscenza verso il Dio che aveva concesso l’immortalità al suo sposo Titone, che non per reale sentimento di odio verso i Cavalieri. Ha uno splendido confronto sul tema dell’amore con Pegasus, morendo serena dopo essere stata sconfitta.

 

ARTEMIDE, Dea della Caccia

 

(Colpi segreti: Dardo di Artemide)

 

Artemide è una tra le Divinità più interessanti della storia. Battagliera e combattiva, difende a denti stretti il sacro suolo della sua Foresta, grazie ai Cacciatori, suoi abili guerrieri. Femminista convinta, detesta le donne che hanno rinunciato a loro stesso, cedendo al fascino della guerra e nascondendo il volto dietro una maschera. Attaccata a sorpresa da Phobos e Deimosi, si difende grazie all’aiuto di Tisifone e di Phantom dell’Eridano Celeste, combattendo assieme ai Cavalieri di Atena contro Crono.

 

MORFEO, Dio del Sonno:

 

Dio nient’affatto malvagio, Morfeo è inizialmente succube degli ordini di Issione, che lo obbligano ad attirare Phoenix sull’Olimpo, con l’intento di farne uno schiavo al servizio del figlio di Ares. Dispiaciuto per tale gesto, e sentendosi in colpa, Morfeo salva Castalia dalla furia di Artemide, inviando Phantom in suo soccorso, e aiutando la ragazza a prendere coscienza di sé. Viene brutalmente massacrato da Issione, di fronte agli sguardi attoniti di Phoenix e Castalia, su cui continuerà a vegliare.

 

DEMETRA, Dea delle Coltivazioni e delle messi:

 

La Dea non compare direttamente nella storia, ma viene citata tra le Divinità cadute per mano dei figli di Ares. Dona inoltre un talismano a Phantom, capace di mimetizzare il ragazzo, nascondendolo nell’ambiente circostante.

 

DIONISO, Dio del Vino:

 

Pazzo e un po’ selvaggio, Dioniso adesca Andromeda, gettandolo nudo ed inerme in un rito orgiastico. Sadico, non esita a servirsi dei corpi dei satiri e delle menadi, per farsi scudo contro gli attacchi del Cavaliere di Atena. Viene sgozzato vivo da Phobos e Deimos.

 

PAN, Dio delle Selve e dei Boschi:

 

Pan conduce Andromeda al vigneto di Dioniso, prima di essere massacrato da Phobos e Deimos.

 

AUSTRO, Vento del Sud:

 

(Colpi segreti: Folgori di Austro)

 

Uno dei quattro figli di Eos, Austro affronta Birnam della Bussola, assieme al fratello Zefiro, venendo annientato dall’esplosione cosmica del discepolo di Virgo.

 

BOREA, Vento del Nord:

 

(Colpi segreti: Vento del Nord)

 

Borea è il più forte e arrogante tra i quattro figli di Eos, impegnando duramente in battaglia Tisifone, Asher, Pegasus e Andromeda. Viene infine sconfitto da un attacco congiunto di Mizar, Alcor e Ilda, maledicendo i destini dei Cavalieri di Atena.

 

ZEFIRO, Vento del Sud:

 

Zefiro ha una parte ridotta nella storia, affrontando Birnam della Bussola, assieme al fratello Austro, e venendo annientato dall’esplosione cosmica del Cavaliere di Atena.

 

EURO, Vento dell’Est:

 

(Colpi segreti: Vento dell’Est)

 

Grande ammiratore delle gesta dei Cavalieri di Atena, Euro è un Dio sui generis, poco incline alla battaglia, a meno che non vi sia costretto, soprattutto contro degli uomini che lui stesso ammira. Protettivo verso la madre, e verso Titone, vorrebbe lasciare il campo di battaglia, frenando anche gli istinti bellici di Borea. Alla fine salva Andromeda dalla follia di Dioniso, dimostrandosi un valido alleato.

 

EROS, Dio supremo dell’Amore e delle Forze Primordiali:

 

(Colpi segreti: Raggio di luce, Rimpianto dell’Amore perduto, Dardo incandescente dell’Amore, Energia primordiale)

 

Eros non è il debole Dio dell’amore, che scocca frecce per far innamorare i mortali, ma una potente Divinità, il cui potere deriva dalle forze primordiali. Impegna duramente Cristal, Ilda, e poi ben tre Cavalieri d’Oro: Virgo, Mur e Scorpio, venendo sconfitto soltanto dalle loro energie congiunte. Ha il merito di risvegliare in Virgo ricordi e sentimenti che non provava da tempo.

 

FLEGIAS, Il Rosso Fuoco, Flagello degli Uomini:

 

(Colpi segreti: Apocalisse Divina, Spada Infuocata)

 

È la mente geniale che escogita il piano di guerra tra Atene e l’Olimpo, aiutando Crono a sostituirsi a Zeus, e sbarazzandosi poi di lui quando non serve più ai suoi progetti. Nel finale, sembra evidente che Flegias abbia agito per favorire la rinascita di Ares, ma il suo carattere subdolo fa presagire che le sue motivazioni siano molto più personali.

Molto potente, con un cosmo oscuro in grado di fronteggiare anche un Dio, Flegias massacra inizialmente Castalia, Asher e Tisifone, venendo atterrato da Phoenix soltanto per essere stato preso di sorpresa. In seguito affronta tutti i Cavalieri di Atena nella Sala del Trono, prima di scomparire con l’energia immagazzinata nella Pietra Nera, grazie allo scudo di Ares sollevato sopra l’Olimpo.

 

ISSIONE, Figlio di Ares:

 

(Colpi segreti: Sciabole Infuocate, Croce Infuocata, Danza del Fuoco di Morte, Ruota infuocata)

 

Reclutato da Flegias, per servire ai suoi piani di dominio, Issione nutre grandi progetti di conquista, e spera di sfruttare la politica bellicistica del Signore dell’Olimpo per imporsi e dominare il mondo. Collabora con Flegias, guardandolo sempre con ostilità, in un clima di diffidenza reciproca che li porta spesso a scontrarsi. Massacra Morfeo, venendo poi sconfitto da Phoenix, dopo aver rivelato il suo terribile segreto.

 

PHOBOS, Dio della Paura, e DEIMOS, Dio del Terrore:

 

I bastardi figli di Ares, avuti dal suo rapporto con Afrodite nel Mondo Antico, compaiono negli ultimi capitoli, quasi a sorpresa, lanciandosi in un violento e improvviso assalto contro le Divinità dell’Olimpo.

 

 

CICLOPI CELESTI:

 

STEROPE, del FULMINE:

 

(Colpi segreti: Fulmini dell’Eternità, Occhio del Ciclope)

 

Guida il primo assalto al Grande Tempio, assieme a Flegias, Pelope e Oreste, venendo però ostacolato da Mizar e Alcor, e da Isabel e Ilda poi. Fedelissimo agli ordini di Zeus, partecipa all’imprigionamento di Atena, senza remore alcuna, poiché l’unica voce a cui presta fede è quella del Signore dell’Olimpo. In seguito affronta Mizar e Alcor, nei giardini del Tempio dell’Amore, morendo assieme a loro.

 

ARGE, lo SPLENDORE:

 

(Colpi segreti: Spada del Fulmine: è la spada, forgiata da Efesto, che Arge ha ricevuto in dono da Zeus, per ringraziare i Ciclopi dell’aiuto prestatogli durante la Titanomachia)

 

È il Ciclope incaricato di uccidere Sirio ai Cinque Picchi. Inizialmente è convinto di aver portato a termine il suo compito, ma poi, vedendo che tutti gli altri Cavalieri di Bronzo sono ancora vivi e hanno recuperato la memoria e i loro poteri, decide di verificare la morte del ragazzo, scoprendolo ancora vivo e affrontandolo in un duello mortale.

 

BRONTE del TUONO:

 

(Colpi segreti: Tuono di Zeus, Groviglio di Fulmini, Vortice dei Ciclopi Celesti)

 

Il Ciclope incaricato di uccidere Pegasus e Andromeda a Nuova Luxor, prima che riacquistino i loro poteri. per quanto fedelissimo a Zeus, non è un assetato di sangue, e lascia inizialmente vivere i due ragazzi, per poi incontrare nuovamente Pegasus di fronte al Cancello dell’Olimpo. Là, lo affronta in una dura lotta, venendo infine sconfitto.

 

 

CAVALIERI CELESTI:

 

PHANTOM dell’ERIDANO CELESTE, Luogotenente dell’Olimpo:

 

(Colpi segreti: Gorgo dell’Eridano, Liane dell’Eridano):

 

Il più nobile tra i Cavalieri Celesti, il più generoso, e l’unico in grado di percepire l’oscurità addensarsi sull’Olimpo. Da sempre ammiratore dei Cavalieri di Atena, Phantom è costretto ad assalire il Grande Tempio, suo malgrado, su ordine di Flegias, ma si innamora di Castalia, incontrata poche ore prima sull’Olimpo, e disobbedisce ai divini ordini, lasciando vivere i Cavalieri di Atena. Spronato da Morfeo, salva Castalia dalle grinfie di Artemide, attirando la sua collera, che riuscirà a placare aiutandola a difendersi da Phobos e Deimos. Caso vuole che si scontri con Ioria, al Tempio del Sole, venendo sconfitto, in quanto già ferito in precedenza. Lo aiuta però, donandogli il Talismano di Demetra, permettendo al giovane di superare le ultime difese dell’Olimpo. A fianco di Zeus e dei Cavalieri di Atena nella battaglia finale contro Crono, non esiterà a porsi di fronte a Castalia per difenderla, anche a costo della vita.

Nota: il suo nome deriva dalle sue abilità mimetiche, riuscendo infatti il Cavaliere a rendersi perfettamente invisibile, celando persino il cosmo e mimetizzandosi all’ambiente circostante, grazie anche al Talismano di Demetra.

 

GIASONE della COLCHIDE:

 

(Colpi segreti: Scudo della Colchide, Lama della Colchide)

 

Cavaliere celeste fedelissimo a Zeus. Grande amico di Ganimede della Coppa Divina e di Phantom, Giasone incarna gli ideali del mito, e combatte non per amore per la guerra ma per difendere la reggia del suo Signore. Appare in poche scene, combattendo di fronte al Cancello del Fulmine e nel Giardino dei Sogni. Avrà un ruolo maggiore in “La Grande Guerra”.

 

GANIMEDE della COPPA CELESTE:

 

Servitore di Zeus, e suo amante, Ganimede è un bellissimo ragazzo, visto dal Signore dell’Olimpo un lontano giorno nel Mondo Antico e da lui portato sul Monte Sacro, dove lo serve, adorandolo, come coppiere.

 

CASTORE e POLLUCE, I DIOSCURI:

 

(Colpi segreti: Pugno di Zeus, Carica dei Cento Cavalli, Illusione dei Dioscuri)

 

Castore e Polluce sono due fedelissimi Cavalieri di Zeus, che affrontano Andromeda ai margini della Foresta di Artemide, venendo però sconfitti per aver sottovalutato il potere del Cavaliere di Atena.

 

NARCISO:

 

(Colpi segreti: Vortice di Estatica Bellezza)

 

È uno dei Cavalieri di Afrodite che attacca il Grande Tempio assieme a Phantom. Egocentrico, superbo e narcisista oltre ogni limite, Narciso combatte con Geki e, soprattutto, con Asher, venendo colpito ripetutamente. Non riuscendo a sopportare l’oltraggio subito, lascia esplodere il suo cosmo, autodistruggendosi.

 

PELOPE e ORESTE:

 

Cavalieri Celesti che, insieme a Sterope e a Flegias, assaltano il Grande Tempio all’inizio della storia, venendo sconfitti da Asher e Tisifone.

 

ATTEONE:

 

Il più valente dei Cacciatori di Artemide, segretamente innamorato della sua Dea, senza mai aver trovato il coraggio di confessarsi, sicuro che tale gesto l’avrebbe delusa. Atteone guida i Cacciatori di Artemide nella Foresta, per catturare Tisifone, Castalia e Andromeda. Riesce solo per metà nell’impresa, lasciandosi sfuggire infatti Andromeda e venendo in seguito sconfitto da Tisifone.

 

GIACINTO:

 

(Colpi segreti: Dischi del Sole)

 

Giacinto è uno dei Cavalieri, al servizio di Afrodite, che attacca i Cinque Picchi, assieme a Paride, per controllare che Sirio sia effettivamente morto. Viene sconfitto da Libra dopo un rapido scontro, in cui il Cavaliere d’Oro si dimostra sempre superiore.

 

PARIDE

 

(Colpi segreti: Lancia di Zeus)

 

Paride accompagna Giacinto ai Cinque Picchi, per sincerarsi della morte di Sirio e Libra. È uno dei Cavalieri al servizio di Afrodite, ma obbedisce agli ordini di Arge, intimorito dal Ciclope Celeste.

 

 

SPECTRE:

 

RADAMANTIS di WYBURN, della Stella del Cielo Furioso:

 

(Colpi segreti: Greatest Caution, Stritolamento della Viverna):

 

Resuscitato da Zeus (in realtà da Crono), il Giudice Infernale affronta Ioria, di fronte al Tempio dell’Amore, venendo sconfitto dal Cavaliere d’Oro.

Lo vediamo anche nel flashback di Libra e Ermes, ambientato nel XVIII secolo.

 

MINOSSE di GRIFON, della Stella del Cielo Nobile:

 

(Colpi segreti: Cosmic Marionette, Artigli del Grifone):

Resuscitato insieme a Radamantis e Aiace, il Giudice affronta Scorpio di fronte al Tempio dell’Amore, ma non riesce ad averne ragione, venendo sconfitto.

Lo vediamo anche nel flashback di Libra e Ermes, ambientato nel XVIII secolo.

 

AIACE di GARUDA, della Stella del Cielo degli Eroi:

 

(Colpi segreti: Illusione Galattica, Garuda Flap, Lingue di Fuoco del Garuda):

 

Resuscitato da Zeus assieme a Radamantis e Minosse, affronta Mur di fronte al Tempio dell’Amore, ma contro i grandi poteri del Cavaliere di Ariete non ha speranza, ritornando al sonno eterno.

 

LUNE di BARLON, della Stella del Cielo della Sapienza:

 

(Colpi segreti: Fire Whip):

 

Lune compare in un flashback ambientato nel 1743, durante la precedente Guerra Sacra. Affronta un giovanissimo Dauko di Libra, ma viene sconfitto.

 

 

© Aledileo

 

Ritorna all'indice


Capitolo 45
*** Ringraziamenti e curiosità ***


Liberamente ispirato a I CAVALIERI DELLO ZODIACO, di M

Liberamente ispirato a I CAVALIERI DELLO ZODIACO, di M. KURUMADA

ALEDILEO presenta

 

I CAVALIERI DELLO ZODIACO

 

FULMINI DALL’OLIMPO

 

TRILOGIA DI FLEGIAS – Parte 1 di 3

 

Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Masami Kurumada; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro

 

Un grazie a tutti i ragazzi che seguono con attenzione le mie fanfic, soprattutto a Shiryu, mio editor e editore, a Nirti e a Davide, per aver dato vita a scene e personaggi, e a tutti i fans che negli ultimi due anni mi hanno sempre sostenuto con interesse! J

 

Spendo due minuti per redigere un breve indice delle mie fanfic ed aiutare i molti lettori che, come mi hanno scritto, vogliono conoscere l’ordine definitivo:

 

Fulmini dall’Olimpo” è la prima fanfic sui Cavalieri dello Zodiaco che ho scritto nel 2005/2006, ed è la prima parte di una trilogia, interamente dedicata a quel “simpatico” demonio di Flegias, figlio di Ares.

 

Il seguito di “Fulmini dall’Olimpo” è “La Grande Guerra”, scritto nel 2006 e già pubblicato da due anni sul sito di Shiryu, e adesso disponibile anche su EFP.

 

L’ultima parte della Trilogia di Flegias, ovvero il tanto atteso “Il Maestro di Ombre”, è presente sia sul sito di Shiryu che qua su EFP.

 

Di Dei e di Rimpianti” è stato scritto tra 2006 e 2007 ed è invece un prequel, ambientato 13 anni prima degli eventi della serie classica, all’epoca dell’investitura dei Cavalieri d’Oro. Anch’essa è disponibile sul sito di Shiryu e da adesso anche su EFP. Per leggerla non è necessario aver letto “Fulmini dall’Olimpo” o “La Grande Guerra”, poiché è ambientata nel passato, ma è consigliabile conoscerla prima di leggere “Il Maestro di Ombre”, poiché nell’ultima fanfic vi saranno molti riferimenti al passato e tutti gli intrecci si chiuderanno in un cerchio completo.

 

L’ordine definitivo è quindi:

 

-         Di Dei e di Rimpianti

-         (Episode G)

-        (serie classica fino alla fine della Guerra Sacra contro Ade)

-         Fulmini dall’Olimpo

-         La Grande Guerra

-         Il Maestro di Ombre

 

Grazie a tutti per l’attenzione e l’interesse dimostrato.

 

Aledileo

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=203709