D'amore e di musica

di I Fiori del Male
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** -1- ***
Capitolo 2: *** -2- ***
Capitolo 3: *** -3- ***
Capitolo 4: *** -4- ***
Capitolo 5: *** Avviso: la storia continuerà. Leggere con attenzione please :) ***



Capitolo 1
*** -1- ***


D’AMORE E DI MUSICA

-1-

 
Il sole accennava appena a scomparire dietro alcune basse colline. La campagna francese in quel periodo, e cioè a primavera, era splendida ad ogni ora del giorno e della notte, ma il tramonto, con la sua luce aranciata, ricopriva ogni cosa di uno strato di calore visibile che confortava il cuore.

Solo con quello spettacolo davanti agli occhi Oscar suonava, e forse era nient’altro che una coincidenza che l’aula di musica fosse libera unicamente a quell’ora, ma era ormai tanto avvezza a gustarsi in completa solitudine quell’esatto momento del giorno da credere che non avrebbe mai potuto suonare in un altro momento.

Il pianoforte a coda bianco di fronte al quale era seduta, con le dita leggermente piegate sospese sulla tastiera, era diventato il suo migliore amico in un collegio dove lei, ragazza, femmina in ogni senso, vagava spacciandosi per maschio. Ad aiutarla un po’ c’era il fatto che poteva nascondere il seno in abiti un po’ più larghi, costringendolo oltretutto con delle fasce di lino strette attorno al busto, che all’inizio  le avevano dato non poco fastidio, ma poi si era abituata. L’educazione maschile che aveva ricevuto dal padre faceva il resto: Oscar era in grado di tirare di scherma contro qualsiasi ragazzo e sapeva andare a cavallo splendidamente, oltre a possedere una vasta cultura generica che le permetteva di inserirsi in qualsiasi conversazione, alimentatasi anche grazie alla sua passione per la lettura, seconda solo a quella per la musica.

Ad un tratto un particolare raggio di sole si introdusse nella stanza, andando a scontrarsi proprio coi cristalli del grosso lampadario, sospeso dal soffitto a pochi metri da lei, rifrangendosi in numerose schegge di luce e  generando un minuscolo arcobaleno. Agli occhi di Oscar, alla continua ricerca di ispirazione, non sfuggì quel minuscolo particolare: in una frazione di secondo la sua mente produsse una nuova, semplice melodia.

La suonò ad occhi chiusi, poiché le sue dita ritrovavano da sole la strada sul pianoforte, e poiché non c’era uno spartito da seguire;  lui scelse proprio quel momento in cui lei non poteva vederlo per sporgersi un po’ di più da quell’angolo d’ombra dove si era rintanato, quando lei era entrata nella stanza, senza accorgersi della sua presenza.

Ma  lui si era accorto di lei eccome, e non era certo la prima volta che lei entrava e si sedeva a quel pianoforte e suonava, convinta d’esser sola, portando alla luce il suo segreto.

Perché quando Oscar suonava, solo allora tutta la sua femminilità, repressa in ogni altra ora del giorno, scaturiva. Veniva fuori da ogni singola nota, esibendosi nei gesti delicati, negli arabeschi che le sue mani producevano svolazzando sulla tastiera e nel modo in cui a volte teneva gli occhi socchiusi, e questi sembravano piccole pozze d’acqua cristallina orlate di ciglia lunghe e ricurve. Altre volte le sfuggiva un piccolo sorriso, che piegava leggermente le labbra piene e rosate, alzava un pochino gli zigomi e ne addolciva oltremodo l’aspetto. Qualche volta l’aveva vista perfino piangere in silenzio, ed era a suo modo un incanto anche quello, vedere piccole cascate sgorgare da quegli occhi meravigliosi, anche se lo faceva stare  male non poter uscire allo scoperto per asciugargliele:  se si fossero visti in quel frangente poi lui non avrebbe potuto fare a meno si chiederle che necessità ci fosse di nascondersi dietro abiti e atteggiamenti maschili, quando avrebbe potuto frequentare una scuola femminile, e sapeva che lei non gli avrebbe risposto e che da allora non gli avrebbe più rivolto la parola, malgrado frequentassero la stessa classe. Il come gli era oscuro, ma era sicuro che andata così.

Scosse la testa, come per liberarsi di un insetto fastidioso che gli ronzasse nell’orecchio, e in effetti i suoi pensieri ultimamente erano diventati proprio così: fastidiosi. Confusi, anzi. Si rimise nel suo angolo riparato, smettendo di guardarla e limitandosi ad ascoltare la musica che suonava, fino a quando lei non uscì dalla stanza, di nuovo senza accorgersi affatto di lui, seduto a terra dietro quella colonna. Tra le mani stringeva qualcosa come cinque o sei fogli: un piccolo spartito. L’indomani sarebbe stata domenica, quindi niente lezioni. Aveva composto lui quella musica, per lei, e voleva davvero sentirla suonare quel pezzo, così glielo lasciò lì sul pianoforte. L’indomani sera, prima del suo arrivo, avrebbe controllato che fosse ancora al suo posto.

 
Nella sua stanza Oscar, sdraiata sul letto, era persa nei suoi pensieri.

C’erano cose nella sua vita, a diciotto anni, che nemmeno facendo uso di ogni goccia della sua forza di volontà avrebbe mai potuto controllare del tutto.

Avrebbe potuto nascondere in eterno il suo corpo inequivocabilmente femmineo dentro abiti di taglio maschile. Sarebbe anche potuta arrivare a parlare peggio di uno scaricatore di porto, si sarebbe potuta tagliare i capelli e continuare a ripetersi, davanti allo specchio, di essere maschio, ma questo non avrebbe impedito al suo cuore di battere per un ragazzo.

Era passato quasi un mese ormai, da quando lo aveva visto la prima volta, intento a chiacchierare amabilmente con alcuni amici. Certo, per vederlo lo aveva visto anche prima, erano compagni di classe, ma era stata la prima volta in cui si era concessa di osservarlo, e quando, dopo averlo guardato per un bel pezzo, aveva cominciato a chiedersi come sarebbero stati al tatto i suoi capelli e che tipo di odore avrebbe avuto, aveva compreso di provare qualcosa di speciale per lui. Perché quelle domande non se le era mai poste prima e perché non aveva mai davvero guardato un ragazzo come donna. Un giorno poi lui si era voltato a guardarla, e ciò che lei aveva letto nei suoi occhi era proprio il suo segreto. Lui sapeva! Ma al contrario di quegli altri pochi che erano venuti a scoprirlo non le aveva mai fatto domande. Si era limitato a sorridere leggermente, di un sorriso che la incantava, un sorriso destinato a una ragazza, per poi distogliere in fretta lo sguardo.

E su quegli occhi lei aveva scritto una melodia. Era stata la prima e unica volta in cui aveva composto qualcosa e se l’era scritta, senza affidarsi all’improvvisazione, e in cima al foglio pentagrammato aveva scritto una sola parola: Forête. Foresta. Perché il colore dei suoi occhi non era un verde preciso, ma l’insieme delle sfumature di una foresta illuminata dal sole, e aveva avuto il potere di creare della musica dentro di lei, un potere che apprezzava immensamente, perché immenso era il suo amore per la musica.

Oscar passò così il resto del giorno: sdraiata sul letto, lo sguardo fisso al soffitto senza in realtà vederlo, osservando in verità ogni tratto di quel ragazzo che la memoria le avesse lasciato a disposizione.

 
André se ne stava appoggiato con la schiena sulla solita colonna. Era quasi ora. Ancora poco, e Oscar sarebbe arrivata. Appena entrato aveva controllato che lo spartito fosse sopravvissuto alla giornata, constatando che era rimasto lì indisturbato. Ad un tratto, mentre per passare in qualche modo il tempo osservava i riflessi di luce sulla parete di fronte a lui, sentì la porta aprirsi con uno scatto e un leggero cigolio.

Si voltò lentamente verso la porta, trattenendo involontariamente il respiro per la tensione che provava, e la vide. Anche quel giorno era arrivata. Il suo sguardo le scivolò addosso come acqua, memorizzando ogni frammento di lei come ormai accadeva ogni giorno. Non si sarebbe mai stancato di guardarla, di sorriderle, come a volte gli scappava di fare durante le lezioni, quando incrociava il suo sguardo e questo gli infondeva una serenità inesprimibile a parole. Mai. Ogni giorno trovava qualcosa di nuovo da notare, qualcosa che nel suo piccolo lo sorprendeva.

Stavolta portava con se uno spartito.

Oscar si sedette al piano, come sempre convinta d’esser sola, e nel farlo buttò un occhio sul leggio, malgrado molto spesso non lo utilizzasse affatto. Per un attimo parve non rendersi conto di ciò che André aveva lasciato per lei; poi, quando sembrava ormai che lei avesse intenzione di suonare ciò che aveva portato con se, riprese tra le mani quei fogli.

In cima al primo foglio, in maiuscolo, era scritta una sola parola: Mer. Mare. Il titolo che André aveva scelto per una melodia che era venuta fuori osservando i mille e più riflessi che gli occhi di Oscar erano in grado di assumere, abbeverandosi della luce del tramonto.

La vide mentre leggeva rapidamente lo spartito e qualcosa tra quelle note la faceva sorridere. Risistemò i  fogli al loro posto, abbandonando i propri sulla coda del pianoforte, e dopo un tempo che gli sembrò infinito si decise a posare il dito sul primo tasto.

In quello stesso istante Oscar si rese conto che doveva appena esser scattato un qualche tipo di incantesimo. Le parve di aver scritto lei stessa quelle note; le sentiva sue, pur sapendo che non era così, perché le uniche note che avesse mai scritto da se si trovavano sulla coda del pianoforte. Nonostante quella consapevolezza ogni suono la rimandava alle mille emozioni che fino a quel momento aveva provato, fin dalla prima volta che aveva visto quel ragazzo e aveva finito per perdersi in pensieri che non le parevano ne giusti ne normali, e le venne naturale chiedersi chi avesse composto quella musica, chi fosse stato in grado di entrare dentro di lei in quel modo discreto e brutale assieme.

Suonava e piangeva e rideva insieme, Oscar, e quando ebbe terminato di suonare, ricominciò da capo. Allora André ebbe l’ardire di sporgersi un poco dal suo nascondiglio e la vide suonare senza leggere, con gli occhi socchiusi, come quando si lasciava andare alle sue melodie improvvisate. La vide sollevare gli angoli della bocca in uno di quei sorrisi che lo incantavano e vide le sue iridi farsi liquide e poi sgorgare lacrime, che corsero veloci sulle sue guance, illuminandole di riflessi di sole,  e si intrappolarono fra le sue ciglia rendendole simili a fili d’erba intrisi di rugiada. Rivide il miracolo che aveva composto quella melodia e questo lo rapì tanto da fargli dimenticare ogni cosa e spingerlo a uscire dal suo nascondiglio, per vederla meglio. Ora era lì, accanto alla colonna, allo scoperto, e il sole lo colpiva e se lei avesse voluto avrebbe potuto vederlo ... e d’improvviso, lui non se ne rese conto, la melodia finì ancora una volta, e lei si voltò.

Per un attimo, tutto rimase sospeso nel silenzio, mentre l’ultima nota si spandeva nell’aria. Si guardarono. Lei aveva gli occhi ancora pieni di lacrime, ma erano spalancati per la sorpresa, la bocca semichiusa. Lui la fissava senza batter ciglio, perché era la prima volta che la vedeva rivolgergli uno sguardo tanto ... sfrontato? E questo lo aveva lasciato senza difese, come un fucile che si scarichi nel bel mezzo di una battaglia.

Poi con un rumore sordo, causato dal premersi di diversi tasti tutti assieme, Oscar si alzò. Il suo volto era diventato di pietra, non un’emozione si poteva più leggere. Prese a camminare rigidamente verso di lui e lo oltrepassò senza parlare, per uscire dalla stanza chiudendosi la porta alle spalle con violenza.

 
*Angolo Autore*

Ciao a tutti!!! Eccomi qui, con una nuova long su Lady Oscar. So che come primo capitolo forse l’ambientazione non è del tutto chiara, e nemmeno il tempo in cui si svolge la storia, ma volevo che questo primo capitolo fosse fatto unicamente di emozioni, per quanto possibile, per cui i chiarimenti conto di rimandarli ai prossimi. Spero comunque che, come primo capitolo, vi piaccia :)
Un bacio
Una rosa di Versailles.

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Capitolo 2
*** -2- ***


D’AMORE E DI MUSICA

-2-

 

Oscar camminava per il corridoio il più velocemente possibile, rigida come un manico di scopa, chiedendosi come fosse possibile che il corridoio si fosse riempito proprio a quell'ora in cui non c'era mai nessuno.

Non poteva piangere. Quello era un collegio maschile, dove i ragazzi imparavano a essere uomini, acculturandosi, esercitandosi nel combattimento e nella caccia, doti fondamentali per un nobile rispettabile e ancor più necessarie per lei, che secondo i desideri del padre avrebbe un giorno dovuto prendere il posto di generale delle guardie reali. Non c’era spazio per le lacrime, una debolezza esclusivamente femminile.

Represse il pianto fin quando non si chiuse la porta della camera alle spalle, poi crollò sopra di essa accasciandosi a terra, e si abbandonò ai singhiozzi. Perché lui la stava guardando proprio come quella volta, come si guardava una ragazza, e lei se n’era accorta. Anche se le faceva piacere essere vista per quel che era davvero, sapeva che non doveva accadere, le avrebbe dato solo qualche illusione in più per alimentare quell’amore che non le era concesso vivere. E lei non voleva soffrire ancora, era già abbastanza vivere la vita di un uomo col cuore di una donna.

 
André non sapeva che fare. Restò lì impietrito per qualche secondo, tentando di capire cosa fosse accaduto, fin quando si rese conto che una risposta non c’era, perché lui non stava nella testa di Oscar, i suoi veri pensieri li conosceva solo lei. Mosse qualche passo, avvicinandosi al pianoforte, anzi a quello spartito abbandonato su di esso. Malgrado quanto accaduto, proprio non voleva saperne di lasciarla perdere,  e quei pochi fogli avevano su scritta una melodia che quasi certamente era sua e che quindi parlava di lei. Un’altra cosa da scoprire.

Si sedette di fronte alla tastiera, accomodando i fogli sul leggio, e prese a suonare seguendo il testo.

Non era bravo quanto lei, lo sapeva. Malgrado la musica fosse una disciplina scolastica del collegio, in pochi riuscivano ad accostarvisi con naturale bravura come Oscar. I più eccellevano nell’arte della spada o della pistola, lui stesso tirava di scherma con sorprendente abilità, ma il foglio che aveva di fronte era stato scritto da lei e questo era sufficiente perché lui decidesse quantomeno di tentare.

All’inizio, i suoni vennero fuori un po’ stentati. Suonò l’intero spartito una prima volta, cercando di assimilarlo per poterlo suonare in maniera più scorrevole, per poi riprovare un’altra volta, e poi di nuovo fin quando non si sentì abbastanza sicuro di aver mandato a memoria tutte le note. Infine, decise di provare a suonare sul serio e ciò che ne venne fuori lo sconvolse: non era solo una bella melodia, scritta con abilità. C’era qualcosa di più che lo catturava, che rendeva suo quell’incrocio di note, allegro e al tempo stesso calmo, d’un tratto felice e poi ancora triste, in un’altalena di emozioni che sentiva sua perché lo accompagnava ogni giorno, ogni momento passato a tentare di raccogliere un barlume del suo sorriso, perché lei sorrideva a stento e solo in solitudine.

Inseguire il suo sorriso era come ... inseguire un miraggio, dopo averlo visto una prima volta, sperando che si ripresenti portando con se le medesime, meravigliose emozioni che ha suscitato in noi. Difficile, faticoso, anche se da qualche parte dentro di noi sappiamo che non è impossibile,  e per questo andiamo avanti. Ecco, cercare il suo sorriso era così, un miraggio che si presentava solo al tramonto, in una sala vuota arredata di musica. Ma quello spartito sapeva di lei, e poteva immaginarla, vedere con chiarezza il suo viso mutare a ogni nota come faceva sempre, e sorridere e poi piangere e sorridere ancora, e chiudere gli occhi e riaprirli e scorrerli sulla tastiera, sullo spartito, nella sala attorno, senza rendersi conto che lui stava facendo la stessa cosa.

D’un tratto finì. André si accasciò per un attimo sulla tastiera, come svuotato di ogni energia, chiedendosi ancora una volta il perché di quella reazione gelida alla sua presenza, un perché che non fosse solo una sua congettura. Era necessario perché potesse capirla e starle vicino. Un desiderio che aveva avuto fin da quando ...

Settembre 1773

La campagna parigina è certamente più fresca, ma nulla lascia presagire l’arrivo della stagione fredda lì, ad Arras, dove sorge il collegio maschile La Victoire, poiché ancora si possono vedere fiori dappertutto. È un trionfo di luce e colori che mette davvero poca voglia di studiare, e André non è certo diverso dagli altri. D’altronde, è sempre stato un tipo piuttosto socievole, e l’idea di studiare da solo in casa lo ha sempre ripugnato, al punto di chiedere lui stesso, al padre, di iscriverlo in quella scuola, a quindici anni. 

Ovunque si giri, c’è qualcuno che lo saluta sorridendo, agitando le mani con energia, chiedendogli di come ha passato le vacanze, se è riuscito a conquistare qualche bella ragazza, se qualcun altro ha osato sfidarlo a colpi di spada, considerando la sua bravura divenuta più che celebre ... e lui risponde, con altrettanto entusiasmo, fino a quando qualcosa non cattura la sua attenzione.
O meglio, qualcuno.

Perché quel ragazzo è davvero strano. Nessuno gli parla. Nessuno gli chiede come sta, come ha passato le vacanze, eppure tutti lo guardano e anziché trovare il disprezzo negli sguardi che gli vengono rivolti, come ci si aspetterebbe da un simile atteggiamento, tutto quello che vi si legge è curiosità. André lo conosce già. Tutti lo conoscono, Oscar François de Jarjayes, e d’altronde la sua famiglia è una delle più rinomate di Francia, suo padre è nientemeno che il generale delle guardie di Sua Maestà, ma non è certo la sua posizione sociale a destare curiosità, anche perché per frequentare quel collegio è necessario appartenere ad una famiglia d’alto rango.

Quello che lascia tutti senza parole è il suo aspetto. Chiunque definirebbe Oscar “bello”, considerando quel complimento allo stesso tempo riduttivo. Ha una grazia nel muoversi e nel rapportarsi con gli altri senza pari, da far sembrare tutti gli altri dei maiali rivestiti, dei bifolchi che giocano a fare i nobili. Suscita ammirazione, rispetto e anche una certa dose di paura, quando ti punta addosso i suoi occhi azzurri come il mare e taglienti come lame, senza proferire parola, quasi a studiarti, a soppesarti. In più, eccelle in tutte le discipline trattate in collegio, si tratti di semplice cultura o di scherma o di caccia o di equitazione. Quel che più sconvolge però delle sue abilità è l’affinità con  la musica ... insomma, un vero genio.

André, come tutti gli altri, scopre il suo sguardo inspiegabilmente attratto da quella figura, ma a differenza di tutti gli altri vede la sua occhiata ricambiata. In un attimo, Oscar si volta verso di lui, come disturbata dal suo modo di fissarlo in particolare, e gli punta gli occhi addosso. È solo un momento, ma André sente il sangue gelarsi nelle vene. Solo qualche mese dopo, a gennaio, si renderà conto di chi ha di fronte, capitando per caso di fronte alla sua musica. Solo allora ricomincerà a cercare il suo sguardo e il suo sorriso, il suo volto e il suo corpo, di volta in volta anelando a qualcosa di sempre maggiore, impossibile da compiersi  con altre se non con lei.

Il sole era ormai tramontato, quando André decise di lasciare l’aula di musica, determinato a fare qualcosa, anche se non sapeva ancora di preciso cosa.

La luna era appena sorta quando Oscar, per quanto sconvolta, si lasciò scivolare nel mondo dei sogni, l’unico dove il suo sentimento esisteva, dove il suo amore viveva alla luce del sole.

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Capitolo 3
*** -3- ***


D’AMORE E DI MUSICA
-3-

Il professor De Bourguignonne era un tipo alquanto severo, o forse era solo la disciplina che insegnava, la scherma, a farlo apparire tale. A volte lanciava sguardi talmente truci da far rabbrividire anche a metri e metri di distanza, sguardi che non toccavano mai ne ad Oscar ne ad André, entrambi eccezionali nel combattimento con la spada.

- Insomma! Non voglio più vedere porcherie come quelle che mi avete propinato ieri, chiaro? Io devo prepararvi a superare le selezioni della guardia reale, avete capito? -

- Si, signore ...- risposero tutti in coro, obbedienti.

- Bene. Ora faremo una dimostrazione di un ottimo combattimento di scherma. Per questo potete andar bene solo voi, Grandier e Jarjayes. -

Entrambi alzarono lo sguardo verso il professore, attoniti; specie André, che di puntare la spada su Oscar proprio non ne aveva l’intenzione. Si avvicinarono però allo spiazzo scelto per l’incontro senza protestare. Con Bourguignonne non c’era niente da fare.

- A voi le spade! - esclamò, porgendo loro due lame affilatissime, dallo scintillio mortale, rette da else dorate e incise minuziosamente con motivi di foglie e fiori. Quasi all’unisono, Oscar e André tesero la mano verso la propria spada, per poi puntare gli occhi l’uno nell’altro.

Fu un attimo. Qualcosa brillò intenso negli occhi di Oscar, una scintilla che solo in battaglia era concesso vedere. Il lampo di un sorriso beffardo le illuminò il volto e lui fu stregato, ammaliato, sottomesso dall’improvvisa meraviglia della sua bocca. Era la Oscar combattiva, che per rifarsi della pessima figura del giorno prima sembrava avere tutta l’intenzione di batterlo; nient’altro che una delle tante Oscar che André aveva imparato ad amare.

La prima stoccata venne da lei, verso il fianco sinistro di André. Era così rapida nei movimenti che fece appena in tempo a schivarla, rimettendoci comunque un sottile lembo di camicia. Di nuovo, lei attaccò, stavolta a destra, ma non lo prese: aveva capito il gioco e non stava mai fermo ne scoperto. Le lame si incrociavano, strillando e rilucendo come fossero attratte da un richiamo. Cominciò la prova di forza, Oscar spinse con tutte le sue forze contro André, che malgrado tutto era più robusto e respinse il suo assalto con una torsione del polso che le fece volare di mano la spada, subito ripresa al volo con sorprendente maestria. Ricominciarono. Stavolta fu Oscar a rischiare qualche taglio, all’altezza del petto, si scostò appena in tempo e André si morse il labbro, pensando a cosa stava per fare.

Bastò quell’attimo di distrazione per far si che Oscar si introdusse nella sua guardia con facilità, puntandogli l’estremità della spada sotto il mento. Lui finì a terra e lei, beffarda, si inginocchiò davanti a lui con la spada puntata: il gioco era finito. André la fissò a un tempo estasiato e spaventato dalla possibilità di soccombere del tutto, ma poi le porse la mano, che lei non prese. Si rialzò da sola, scuotendosi un po’ di terra dai vestiti, e restituì la spada al professore, che sorrise soddisfatto.

- Non mi deludete mai, voi due ... visto? È così, che si combatte! -

Oscar sorrise, fiera di se stessa, al commento del professore, ma il suo volto tornò ad essere freddo come il ghiaccio, quando i suoi occhi si volsero su André e sullo stupido ghigno che aveva stampato in faccia senza accorgersene. Quell’improvviso cambio d’umore lo sorprese e lo rattristò, perché gli parve quasi lui la causa del perenne malumore di Oscar. Avrebbe voluto parlare con lei del giorno prima, chiarire una volta per tutte. Avrebbe voluto chiederle un sacco di cose, ma quando finì la lezione lei sparì nel nulla, come fumo nel vento. Lui la cercò dappertutto, nella folla di studenti diretti alle varie lezioni, salì la prima scalinata e, quando il suo sguardo si volse per un attimo ad una delle finestre la vide: seduta sotto uno degli alberi più vicini, stropicciava fili d’erba con le dita, assorta nei suoi pensieri.

Scese di nuovo, André, ma trovò il modo di aggirarla, perché non voleva farsi vedere, solo spiarla come ormai era abituato a fare, perché solo così riusciva a vederla per quel che era davvero.

Dalla finestra non se n’era reso conto, ma stava cantando. Non aveva la voce di un usignolo, Oscar, piuttosto era una di quelle persone mediamente intonate, ma c’era qualcosa di incantevole, di affascinante in quell’atmosfera in cui era compresa anche quella voce perfettamente nella norma. Come sempre, sarebbe potuto stare a guardarla per ore intere, senza mai annoiarsi.

Ad un tratto però, sporgendosi un poco, André mosse un passo che finì proprio su un rametto. Oscar si voltò di scatto in direzione dello scricchiolio e lui non fece in tempo a nascondersi. La scena dell’aula di musica sembrò volersi ripetere, ma lei restò li a fissarlo, senza parlare per un po’, fin quando non si decise a chiedergli:

- Perché mi osservi così, di nascosto? Lo facevi anche ieri. -

Alle sue orecchie sembrò spavalda, se non addirittura sfacciata, la domanda di Oscar. Se solo lui avesse sapto quale gigantesco sforzo stesse infondendo in quelle poche, semplici parole ...

E lui non sapeva che risponderle. Cosa avrebbe dovuto dire? “ti osservo perché mi sono innamorato”? o magari “continuo a chiedermi come saresti in abito da sera”, o “lo faccio perché altrimenti non riuscirei mai a vederti ridere e poi piangere insieme e cambiare continuamente espressione, e perché mi piacciono i riflessi dei tuoi occhi e dei tuoi capelli al sole”?  Tutte queste cose erano vere, ma nessuna poteva esser rivelata. Non in quel momento, non così.  Lo sentiva, da qualche parte, che quello non era il momento giusto, eppure avrebbe tanto voluto poter posare le labbra sulle sue, lì dove nessuno li avrebbe visti perché erano tutti impegnati con le lezioni ...

- Non lo so, è che sei ... particolare.- Rispose invece, cercando di fare il disinvolto mentre si sedeva accanto a lei. In fondo entrambi sapevano del suo segreto, ma nessuno di loro, forse, ne avrebbe fatto cenno.

- Che vuoi dire, scusa? - sembrò sfuggirle una risata. Si voltò a guardarla in viso e in effetti stava ridendo, la schiena leggermente piegata, gli occhi socchiusi, le dita ancora intrecciate ad alcuni ciuffi d’erba.

- Non lo so. Ti ricordi quando ci siamo visti al cancello? Ecco, è da allora che lo penso. -

- Scusa, quando? - chiese lei, fingendo di non ricordare. In realtà, la memoria di quel giorno era vivida nella sua mente tanto quanto in quella di lui. Ricordava di avergli lanciato uno sguardo truce e di essersene subito pentita, perché non dava l’impressione di meritarselo, ma lo aveva fatto per abitudine. La gente la scrutava, stretta in quegli abiti da uomo, senza nemmeno sospettare che fosse donna, che stesse recitando una parte non sua e che fosse pertanto costantemente a disagio. Quella forse era la ragione per cui non riusciva a socializzare molto con la gente, ma in fondo che importava? Nessuno avrebbe mai capito. Almeno così aveva creduto, fin quando lui non l’aveva guardata e le aveva sorriso in un modo diverso dagli altri, come se sapesse.

- Non ricordi, eh? All’inizio dell’anno. Ma fa niente. Comunque siamo in classe insieme, quindi dovresti ricordarti di me. Sai, quello che prima hai quasi ucciso con la spada, hai presente? - cercò di prenderla in giro.

- Ah, vuoi dire quel perdente che ha lasciato all’improvviso la guardia scoperta, pensando a chissà che cosa? - . stavolta fu lei a prenderlo in giro, con un’audacia che sorprese lui e sorprese lei stessa. Era incredibile come si trovasse bene a parlare con lui, malgrado non avessero mai parlato davvero prima.

- Non credevo fossi tipo da battute come queste. Sei divertente! Non parli mai, in classe, forse è per questo che non me ne sono mai accorto? -

Lei fece spallucce. - Non so ... può essere. Ma non dovresti essere a lezione? -

- Senti chi parla! - esclamò lui, ridendo. - Cos’è, mi stai cacciando? Se ti do fastidio dillo, vado via ... - disse, un po’ meno allegro adesso. Lei parve rendersene conto, perché per la prima volta lo guardò.

- Scusa se ti ho offeso, comunque ... non è che devi andare via per forza. - Disse. Lui sorrise.

- Non mi sono offeso. Te l’ho detto, lo so che sei particolare ... -

- Ancora con questa storia ... non potresti spiegarmi che intendi con un po’ più di precisione? -

Per un attimo cadde il silenzio. Poi André si voltò di nuovo verso di lei, puntando gli occhi nei suoi.

- Voglio dire, che so che sei una ragazza. -

Lei sobbalzò, i ciuffi d’erba le caddero dalle mani. - Ma che dici, devi essere proprio scemo... -

- Smettila, è inutile negarlo. Lo so. Si vede. -

Lei tacque, riprendendo qualche ciuffetto da terra. - E adesso? - chiese poi.

- Adesso che cosa? -

- Adesso vorresti sbandierarlo ai quattro venti, così, giusto per rendermi lo zimbello dell’intera scuola? Perché è solo questo che potresti fare, visto che il rettore è a conoscenza della situazione. -
Osservò lei, la voce più dura. - Solo che, non so se l’hai notato, ma già non sono un granché nei rapporti sociali, ci manca solo che tu faccia questo. -

Lui scoppiò a ridere. Lei lo guardò sconcertata.

- Perché ridi, adesso? -

- Rido perché hai pensato che io volessi prenderti in giro! Ah, se sapessi ... - si lasciò sfuggire, ma subito tacque, abbassando di nuovo gli occhi a terra. Oscar però non era tipo da ignorare nulla.

- Se sapessi ...? -

- Niente, lascia stare.- Tagliò corto lui, poi decise di cambiare discorso. - Ma Oscar è il tuo vero nome? O lo usi solo qui a scuola? -

Un sorrisetto increspò il volto della ragazza. - No no, è proprio il mio nome. Lo ha scelto mio padre. So cosa stai per dire, non è proprio un nome da ragazza, ma che vuoi farci? La mia è una famiglia di tradizione militare, e mio padre, dopo aver visto nascere cinque figlie femmine, ha deciso che almeno la sesta venisse allevata come un maschio, tutto qui. -

- Ah, ecco perché sei così forte. - Osservò André, un po’ sorpreso da quanto Oscar gli aveva detto. -Ma non ti piacerebbe vivere come tutte le altre ragazze? -

A quella domanda il volto di Oscar si oscurò. Lui non poteva saperlo, ma lei si è posta tante volte quella domanda, senza mai arrivare a una risposta.Aveva visto le sue sorelle crescere e andare in spose a ragazzi che non avevano mai visto e che avevano in comune, tutti, solo una cosa: il titolo nobiliare, il prestigio, perché il loro padre aveva sempre scelto con grande cura. Per qualche ragione l’idea di sposarsi a quel modo, per quanto fosse conscia della normalità della cosa nell'aristocrazia di cui faceva parte, la ripugnava. Era convinta, lo era sempre stata, che per sposarsi fosse necessario conoscersi e amarsi. Poi aveva conosciuto lui, André, e questo non aveva fatto altro che rafforzare le sue convinzioni. Se fosse stata come tutte le altre, prima o poi sarebbe dovuta andare in sposa a qualcuno, e il solo pensiero di dover smettere di pensare a lui e sposare uno sconosciuto le metteva i brividi.

- Scusa , ti ho fatto una domanda stupida ...- disse lui, non appena intravvide il suo cambiamento d’umore. Poi volse la testa dall’altra parte, dicendo a bassa voce: - Eppure, sei così bella ... -

Il suo cuore prese a battere all’impazzata. Quasi temeva di vederselo uscire dal petto e solo lei riusciva a fargli quell’effetto. Tutto si scoloriva, perdeva forma, consistenza, importanza in sua presenza. Riusciva a vedere solo lei, e ad ascoltare solo la sua voce e percepire solo il suo profumo e il suo calore. Nient’altro contava, nient’altro era necessario esistesse.

- Cosa hai detto? Scusa, ma non ti ho sentito ... - disse lei. E allora lui, come posseduto da una forza oscura, la mente ottenebrata da quel desiderio che, fino a quell’istante, non lo aveva mai abbandonato, si volta verso di lei, le posò una mano sulla spalla, spingendola contro il tronco dell’albero, e la baciò.

 

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Capitolo 4
*** -4- ***


D’AMORE E DI MUSICA

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Calore.

Questo era tutto ciò che Oscar riusciva a sentire. André le teneva la mano sinistra premuta sulla spalla, così che lei non rusciva a staccarsi dal tronco dell’albero. L’altra mano le avvolgeva delicatamente la guancia sinistra e la sua bocca era su quella di Oscar, delicata, premurosa, mentre il respiro affannoso di entrambi era intriso di desiderio, di necessità.

Lei aveva gli occhi spalancati, ma man mano che quel contatto tanto cercato e voluto si prolungava le palpebre si abbassarpno, affinché l’esclusione della vista rendesse più sensibile ogni altro senso.

Riusciva a udire con chiarezza quasi sconvolgente il battito dei loro cuori, come fosse uno solo, e poteva assaporare l’odore della sua pelle come aveva sempre solo sognato prima. Quando André mosse le labbra, tentando di aprire le sue a ricevere un bacio più pieno, completo, ne saggiò la morbidezza, assecondando il suo desiderio. Le lingue si incontrarono, frementi di erotico desiderio, e quel calore scese lungo la gola di Oscar fino alle viscere, spingendola a stringere la stoffa della giacca di André, sulla schiena e sul petto, attirandolo su di se. Lui rispose alla stretta, strappandola al tronco dell’albero per avvolgerla tra le sue braccia, intrecciare le mani nei lunghi capelli biondi,  carezzarle la schiena, il collo.

Per un attimo il bacio si interruppe e lei si lasciò sfuggire un sospiro incontrollato, tenendo gli occhi chiusi sul mondo finché il suo istinto non decise di farglieli aprire. Allora la magia si dissolse e la realtà tornò a inondare impietosa il suo cervello, muovendo le sue mani a spingere via André, lo sguardo di nuovo puntato sull’erba.

 - Scusami.-  Disse soltanto, per poi alzarsi in piedi di scatto, lasciando cadere mollemente le mani di André, a dir poco sconcertato, a terra. - Io non ...- scosse la testa, per poi prendersela tra le mani, quasi a voler strappare le sue lunghe ciocche bionde e ondulate.

- No no, scusami tu ... mi dispiace ...- si scusò lui, alzandosi a sua volta. Lei si voltò di nuovo a guardarlo, e nel suo sguardo c’era qualcosa che André non riusciva a decifrare: il senso di colpa, perché lui non avrebbe dovuto sentirsi così, perché lei questo lo voleva, lo aveva sempre voluto, ed era solo colpa sua se le cose avevano finito per rovinarsi. Avrebbe voluto dirgliele, tutte queste cose, ma la voce non voleva saperne di uscire e così, maledicendosi per quello che stava facendo, gli voltò di nuovo le spalle e corse via, lasciandolo solo.

Quando André si decise a rientrare a sua volta, era iniziata da poco un’altra lezione e finì per saltare anche quella. Salì all’ultimo piano, dove si trovavano le camere. Accanto ad ogni porta, c’era una targhetta che recava scritti i nomi degli occupanti della stanza. Si soffermò di fronte ad ogni porta, a leggere i cognomi conosciuti e sconosciuti, giusto per passare il tempo, in attesa che anche l’ultima lezione finisse.

Gli venne un tuffo al cuore quando lesse su un cartellino, scritto in bella grafia, “Jarjayes”.

Era la stanza di Oscar.

La porta non chiusa agì come un richiamo per lui. Sapeva benissimo che molto di una persona lo dice il luogo in cui vive, e lui voleva sapere tutto, di Oscar. Dopo averci pensato su per qualche minuto, la curiosità ebbe la meglio sulla ragione e lui entrò, chiudendosi la porta alle spalle.

L’ambiente era inondato di sole, perché la finestra era stata lasciata aperta. Le cameriere dovevano essere già passate perché era tutto ordinato, ma la stanza era pregna del profumo di rose che André aveva imparato ad associare a Oscar, ed eccola lì, la fonte del profumo: un enorme mazzo di rose sistemato in un grande vaso, sulla scrivania. Subito il cervello di André si concentrò su di esse, ricercando nei meandri della memoria un ricordo legato a quelle rose in particolare, bianche come la neve, che colpite dal sole sembravano quasi risplendere di luce propria. Quando finalmente quel ricordo ritornò a galla non può fare a meno di sorridere.

Le rose in genere erano il simbolo della segretezza per eccellenza. Bianche rappresentano la purezza. Chiunque gliele avesse mandate, aveva il suo stesso pensiero su di lei, l’impressione che Oscar fosse una creatura ricca di segreti che non aveva alcuna intenzione di mostrare ma dotata di una grande qualità, che risplendeva su di lei con la stessa forza di quelle rose.

La purezza.

André sfiorò le rose con la punta delle dita, avendo cura di non sciuparle, e gli sembrò di avere a che fare proprio con lei, con la paura che le cose andassero storto non appena si avvicinava un po’ troppo. Come in risposta ai suoi pensieri, un petalo cadde, facendolo sussultare. Si chinò a raccoglierlo, lo annusò e lo infilò nel taschino della giacca. Rialzandosi, notò la custodia di un violino. E così, Oscar sapeva suonare anche quello? La cosa non lo stupì poi tanto. Stando a sentirla suonare, gli era quasi sembrato di avere a che fare con una specie di dio della musica, non si sarebbe stupito nemmeno se fosse stata in grado di suonare ogni strumento esistente, perché la musica pareva più provenire da lei stessa, dalle mille persone diverse che era in grado di essere, che dagli strumenti che usava.

Proprio mentre gli sembrava di risentire nelle orecchie l’ultima melodia da lei suonata, quella che lui aveva scritto, la porta scattò. D’istinto, André corse verso il letto e si nascose sotto di esso, non sapendo cos’altro fare. Oscar era rientrata nella sua stanza. La vide muoversi da una parte e dall’altra, e quando ebbe l’ardire di avvicinare un po’ di più la testa al bordo del letto e scoprì che si stava spogliando quasi pensò di svenire, perché sapeva già che l'avrebbe spiata, per quanto sapesse benissimo di non doverlo fare.

La vide togliere la giacca della divisa e appoggiarla sul letto. Poi si sfilò le scarpe, lanciandole in un angolo proprio come faceva lui. Sfilò la camicia dai pantaloni e la sbottonò, lentamente, restando solo con indosso le fasce di lino e i pantaloni. Srotolò le fasce, lasciò cadere i pantaloni e André suo malgrado trattenne il fiato. Era bellissima. Ora che vedeva cosa c'era sotto, André non potè fare a meno di chiedersi come fosse, per una ragazza così bella, doversi nascondere così, costringere il seno pieno, sodo in una fasciatura stretta, impedire alle sue braccia snelle e toniche di essere viste, al sensuale incavo tra le clavicole di respirare. Se ne stava lì nascosto, André, a chiedersi come avrebbe fatto da allora in poi a guardarla con gli stessi occhi, quando era già di per se difficile trattenersi. La luce si spense, Oscar si infilò sotto le coperte con un leggero fruscio e André attese che il suo respiro si facesse pesante e regolare, prima di decidersi ad uscire.

Lentamente, strisciò con la pancia sul pavimento, tenendo la testa bassa per non sbattere. Quando infine riuscì a rialzarsi, si voltò verso di lei.

Si stringeva alle soffici coperte, tirandosele fin sulle orecchie, ma si vedeva ugualmente il viso, e i capelli brillavano alla luce flebile della luna, e le curve armoniose si intuivano sotto il tessuto pesante. Quando dormiva se possibile era ancor più bella. Allungò una mano, tentato di sfiorarle una guancia, ma la ritirò subito. Scosse la testa rassegnato, le voltò le spalle ed uscì dalla stanza, chiudendo la porta il più piano possibile.

 Al mattino, Il petalo di rosa sfuggito al suo taschino era l’unico, indecifrabile segno rimasto del suo passaggio.

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Capitolo 5
*** Avviso: la storia continuerà. Leggere con attenzione please :) ***


Gentili utenti che, quando ho iniziato a pubblicare questa storia, l'avete seguita :) 

Grazie mille. Mi spiace aver letteralmente abbandonato la storia, la mancanza di ispirazione è l'omicidio dei racconti, sicuramente lo sapete meglio di me. 

Volevo solo dirvi che continuerò questa storia a breve. Sto modificando i capitoli precedenti in alcune cose, per cui vi prego di rileggerli anche solo per schiarirvi le idee ed essere pronti per il prossimo capitolo :)  Sono cresciuta abbastanza in questo periodo in cui mi sono dedicata ad altre storie, forse la mia scrittura avrà un sapore diverso ma spero vi piaccia comunque :) 

A prestissimo :) 

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