Set Fire to the Rain

di MaryLouise
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo Primo ***
Capitolo 3: *** Capitolo Secondo ***
Capitolo 4: *** Capitolo Terzo ***
Capitolo 5: *** Capitolo Quarto ***
Capitolo 6: *** Capitolo Quinto ***
Capitolo 7: *** Capitolo Sesto ***
Capitolo 8: *** Capitolo Settimo ***
Capitolo 9: *** Capitolo Ottavo ***
Capitolo 10: *** Capitolo Nono ***



Capitolo 1
*** Prologo ***



Set Fire to the Rain.




Questa storia è dedicata a un bel po' di persone.

Prima di tutto a Charlotte McGonagall, la mia adorata Charlie, nonché formidabile beta, che mi sostiene sempre
e senza le cui idee la mia vita non sarebbe la stessa.
Poi a tutto il C.R.E.P.A. , e dico tutto: Ali, Mari, Trixie, Emma, Ter, Sole, Black, Freddy, Simple, Gra, Ginny, Cri, Rose
e tutte quelle che ho dimenticato sostengono il forum anche se non partecipano quotidianamente ai nostri scleri.
Non dimentichiamoci di Adele, che con la canzone omonima ha ispirato la mia mente contorta.

Infine a colui il quale non dedico una storia da, beh, un bel po'.
Sei sempre nei miei pensieri, nonno. Ti voglio bene.
 
 

 

 

Accennavano di rado al legame che li univa: forse le paroline dolci e le carinerie erano superflue per due amici di sì lunga data.

[Thomas Hardy, Via dalla pazza folla]

 


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Capitolo 2
*** Capitolo Primo ***



And the games you'd play, you would always win, always win.
[Adele - Set Fire to the Rain]

Capitolo 1

 

5 luglio 1980.

La notte incombeva su Villa Lestrange; una notte oscura e silenziosa in cui nemmeno un filo di vento scuoteva le fronde degli alberi, in cui nemmeno un leggero chiarore proveniente dalla luna illuminava l'ampia strada che conduceva ai cancelli in ferro battuto dall'aria imponente.
L'intero edificio era immerso nel buio, tranne che per un vago bagliore proveniente da una finestra al pian terreno. Proprio in quella stanza, il salotto di casa Lestrange, un'importante riunione stava avendo luogo.
Lord Voldemort sedeva con classe su un divano damascato, giocherellando con la bacchetta. Bellatrix Lestrange e suo marito Rodolphus stavano seduti di fronte a lui: l'uno tentava di nascondere un'espressione irritata che gli faceva corrugare la fronte, l'altra non staccava gli occhi di dosso all'Oscuro Signore, come in adorazione.
Lucius Malfoy, perfetto nel suo vestito scuro, camminava avanti e indietro per la sala con la coda bionda svolazzante.
«Pazienza, Lucius, pazienza», lo ammonì Voldemort con voce melliflua.
Malfoy si fermò nel mezzo della stanza, irrigidendosi come una statua. Si girò lentamente verso chi aveva parlato, abbozzando un falso sorriso. «Sì, mio Signore», mormorò.
«Severus è in ritardo questa sera, ma sono sicuro che avrà ottime notizie riguardo l'Ordine».
«Certamente».
«Lo spero per lui», ringhiò Bellatrix, sprezzante.
«Come sta il piccolo Draco, Lucius?», gli domandò l'uomo, mentre giocherellava con una ciocca di capelli scuri.
«Più che bene», rispose l'interpellato. «Narcissa lo sta allattando in questo periodo e il bambino cresce sano e forte».
«Speriamo non come il padre», borbottò la cognata tra i denti, mentre Rodolphus le dava una gomitata facendole segno di tacere.
«Porgi i miei saluti alla tua signora, allora», commentò Voldemort con uno strano sorriso.
Malfoy chinò il capo, «Sarà fatto».
In quel momento le quattro persone presenti nella stanza percepirono un rumore di passi provenire dall'ingresso e avvicinarsi rapidamente al luogo in cui si trovavano.
Una smorfia quasi compiaciuta comparve sul volto dell'Oscuro Signore quando Severus Piton fece la sua entrata. «Buonasera, Severus. Ti stavamo aspettando».
«Mi scuso per il ritardo, mio Signore, ma purtroppo non potevo arrischiarmi a venire prima».
Riddle fece un cenno con la mano. «Ti capiamo», rispose a nome di tutti, «Sei perdonato».
Piton s'inchinò lievemente.
«Dimmi, che notizie ci porti?», domandò curioso.
«Alcuni membri dell'Ordine hanno intenzione di uscire a far provviste tra qualche giorno. Me l'hanno accennato quest'oggi. Non hanno specificato il momento preciso, ma so per certo che saranno in tre».
«Molto bene», replicò Voldemort. «Come avete sentito, miei fedeli amici, tra qualche giorno avrete la possibilità di eliminare altri membri dell'Ordine. Tre è un numero niente male», ridacchiò. «Credo vi divertirete», commentò notando il sorriso malvagio che aveva illuminato il volto di Bellatrix. «Voglio massimo cinque uomini ad occuparsi della faccenda», diede ordini poi, «E che siano tra i migliori, Silente non lascerà uscire di certo i più sprovveduti. Occupatene tu, mia cara», fece cenno alla donna di fronte a lui.
Bellatrix annuì con fervore. «Certo, mio Signore», rispose soave.
 
*
 
Quella sera, gran parte dell'Ordine della Fenice era riunito attorno al tavolo della cucina del Quartier Generale.
«Necessitiamo di un abbondante numero di provviste», cominciò Molly Weasley. «Ho controllato la dispensa con Mary e mancano diversi alimenti».
Albus Silente annuì. «Dobbiamo organizzare una squadra per andare a recuperare i principali generi di sussistenza».
«Quanto possiamo tirare avanti ancora?», domandò Alastor.
«Non più di due giorni», rispose Molly con un'espressione preoccupata.
«In tal caso, sarà meglio organizzare tutto per domani sera», cominciò Albus. «La prassi è la solita: le tre persone scelte si Materializzeranno a Londra e faranno compere molto velocemente, per poi tornare qui il prima possibile. In questo modo eviteremo molti rischi».
I suoi interlocutori annuirono.
«Non ci resta che scegliere chi andrà», concluse Silente.
«Eliminiamo in partenza i Potter», cominciò Sirius. «James e Lily sono segregati in casa loro e chissà per quanto tempo dovranno starci», commentò.
«La gravidanza di Lily dovrebbe essere a termine in questi giorni», s'illuminò Molly. «Qual è il giorno stabilito?».
«Il ventotto di questo mese», rispose prontamente Sirius.
«Potrei andare io», saltò su Arthur, dopo una silenziosa riflessione. «Molly riuscirà a cavarsela da sola con i bambini per qualche oretta».
«Assolutamente no», proferì Black. «Non mi pare il caso di affidarti una missione così pericolosa. Insomma, hai moglie e sei figli, Arthur, di cui uno di pochi mesi», disse accennando al piccolo Ronald che dormiva tra le braccia della madre, succhiandosi un pollice. «E' escluso che tu vada».
Molly mimò un "grazie" con le labbra, non vista dal marito.
Sirius rifletté ancora un poco. «Non mi pare il caso di coinvolgere Alice e Frank Paciock, proprio quando la gravidanza di Alice è quasi a termine. Inoltre Remus è malato in questo periodo», aggiunse, pensando all'amico che stava affrontando il suo "piccolo problema peloso", «E Peter dice di essere molto impegnato. Senza escludere che Albus e Alastor lavorano costantemente al Ministero... rimane poca gente».
Alzò una mano subito dopo. «Io mi offro volontario per l'operazione», annunciò.
Anche la mano di Mary scattò in aria, mentre la proprietaria cercava di nascondere la sua preoccupazione, «Io pure», proferì.
«Stai scherzando, spero», abbaiò Sirius. «Non puoi venire con me, non ho intenzione di metterti in pericolo!».
Mary MacDonald lo fulminò con lo sguardo. «Ehi Black, forse non ti hanno insegnato che non si può sempre giocare a fare l'eroe», sbottò. «Stiamo insieme o no? Se tu ridi, io rido, se piangi, io piango, se vivi, io vivo, se muori, muoio anch'io».
Sirius sbuffò, «Quando smetterai di preoccuparti per me, donna?», domandò alla ragazza di fianco a lui, che gli rispose mostrandogli la lingua in modo scherzoso.
Lui le sorrise, baciandole dolcemente la guancia e stringendole la mano sotto il tavolo.
«Molto bene», annuì Albus. «Ne manca uno».
 Guardò Mundungus Fletcher che sedeva di fianco a Moody, come per incoraggiarlo, ma quello non diede l'impressione di volersi offrire come candidato.
«Potrei andare io», rispose qualcuno dal fondo della stanza.
La voce apparteneva a una donna alta e magra, gli occhi facevano pendant con la tunica verde smeraldo, i capelli neri avvolti in una stretta crocchia le conferivano un aspetto austero. 
Gli occhi di Silente incontrarono quelli di Minerva McGranitt, che in tutto quel tempo era stata di fronte alla finestra a guardar fuori, con la stessa attenzione e lo stesso sguardo fisso di un felino.
Il suo cuore saltò un battito. No, lei no. Non era la missione adatta a Minerva.
Peccato che nessuna delle missioni sia adatta a lei, nonostante sia una strega brillante e capace, sussurrò una voce nella sua testa.
«Minerva», cominciò cauto, «So che può sembrare una cosa da nulla, ma ti assicuro che questo compito è assai delicato e difficile».
Ti prego, desisti.
«Non c'è problema», rispose. «Del resto non sono più una bambina, da tanto tempo anche».
Gli occhi verdi e penetranti della donna brillavano, dandole un'espressione fiera e temibile.
Albus scosse la testa impercettibilmente. Dannata testardaggine. Una Grifondoro fino in fondo.
«Ottimo», tagliò corto Sirius. «Io, Mary e Minerva. Il magico trio».
Le due donne gli sorrisero, annuendo.
 
*
 
Le lancette dell'orologio segnavano quasi mezzanotte. Tutti i membri dell'Ordine erano andati a dormire ai piani superiori, solo Albus era ancora sveglio e percorreva a grandi passi la cucina, avanti e indietro, come se si stesse preparando per una maratona.
«Albus? Che ci fai ancora sveglio?», domandò qualcuno.
Silente si girò e fissò la professoressa McGranitt, che era appena entrata in cucina.
«Anche tu sei sveglia», ribatté. «Ed è quasi mezzanotte».
«Appunto», rispose l'altra, «Hai un'espressione stanca, forse è davvero il caso che tu vada a letto», gli disse accingendosi ad uscire.
«Sei sicura di quello che stai facendo, Minerva?», le domandò a bruciapelo, non riuscendo a impedire alle parole di uscirgli di bocca.
La donna ritornò nella stanza, accigliata. «Sicura riguardo a cosa?».
Respirò profondamente, ormai era fatta. «Riguardo a domani».
Lei alzò gli occhi al cielo, aprendo la bocca per parlare, ma Albus la interruppe alzando una mano. Minerva richiuse la bocca con disappunto, stringendo le labbra fino a farle divenire livide.
«Non è un compito così semplice; ci sono centinaia di pericoli là fuori, i Mangiamorte danno la caccia ad ognuno di noi. Lily e James sono già segregati in casa loro da giugno e praticamente tutti i membri dell'Ordine vivono qui stabilmente. Chi esce per andare al lavoro si sposta sempre in gruppo e nonostante questo abbiamo già perso molti amici e compagni per colpa dei seguaci di Voldemort. Questa missione non è uno scherzo, anche se non ti sembra così».
Un discorso davvero persuasivo, complimenti.
Minerva allargò le narici. «Non capisco perché, facendo parte dell'Ordine a tutti gli effetti, sono sempre esclusa da qualsiasi incarico. Non fraintendermi, le mie non sono manie di protagonismo, semplicemente non comprendo perché non vai a fare la paternale a Sirius o a Mary, che sono molto più giovani di me: per loro sì che questa missione sarebbe pericolosa».
Per una delle poche volte nella sua vita, Albus era rimasto senza parole. Sapeva che se le avesse rivelato ciò che lo turbava sarebbe stato tutto più facile, ma non poteva dirle la verità, oh no.
«Io ci andrò comunque, domani. Mi dispiace, Albus, ma Mary e Sirius hanno bisogno di qualcuno più esperto di loro a guidarli».
Lui annuì, sconfitto. Era una battaglia ad armi impari: aveva vinto, avrebbe sempre vinto contro di lui.
Minerva gli sorrise. «Buonanotte», mormorò uscendo dalla cucina.
«Buonanotte», salutò lui, un sussurro appena percettibile.
Si sedette su una sedia, poggiando i gomiti sulle ginocchia e massaggiandosi le tempie.
Sarebbe andata comunque, domani.







Buonsalve.
Questa idea folle è nata dalla canzone di Adele, Set Fire to the Rain.
Spero vivamente che la fic inizi a piacervi, o almeno che questo capitolo vi abbia attirato un poco.
Un ringraziamento a tutti quelli che sono arrivati anche solo fin qui.
Sperando di avere qualche lettore che mi seguirà anche al prossimo capitolo... *ditina incrociate*
Buona serata a tutti
Jo




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Capitolo 3
*** Capitolo Secondo ***


She is tomorrow and I am today 
And if right is leaving I'd rather be wrong 
She is the sunlight and the sun is gone 
[Trading Yesterday - She is the Sunlight]


Capitolo 2

 

Albus Silente non riusciva a dormire.
Continuava a rigirarsi nel letto, insonne: diversi pensieri gli frullavano per la testa senza dargli pace.
Se fosse successo qualcosa? Se lei fosse rimasta ferita o se, addirittura, fosse morta?
Scosse la testa. Non doveva preoccuparsi, Minerva era una strega brillante e caparbia, se la sarebbe cavata.
Peccato che la cosa non ti faccia stare meglio, anzi.
Insomma, era una donna adulta, no? Aveva passato la cinquantina, era più che in grado di cavarsela da sola.
"Non sono più una bambina, da tanto tempo anche", le sue parole continuavano a risuonargli nella mente, eco dei suoi pensieri confusi.
Conosceva Minerva da molti anni, l'aveva vista crescere, maturare, diventare una donna forte e coraggiosa, una vera Grifondoro.
Eppure gli appariva fragile, delicata, proprio come nei suoi primi anni a Hogwarts. Si ricordava ancora quella ragazzina dai capelli scuri che eccelleva in Trasfigurazione e alzava sempre la mano per rispondere. Si ricordava ancora quella ragazzina minuta e agile, a cavallo di una scopa, che sfrecciava per il campo da Quidditch mettendo a segno tiri fenomenali.
Si ricordava dell'accuratezza con la quale curava la sua scopa, dell'attenzione con cui sfogliava i libri di Trasfigurazione, della passione che alimentava il suo studio.
Quella stessa ragazzina era cresciuta, trasformandosi in una strega molto dotata.
E tu hai cominciato a provare qualcosa per lei.
'Era ed è semplicemente affetto. Insomma, l'ho vista crescere, è come se fossi suo... suo...'.
No, non lo sei. E lo sai.
La sua mente volò a quel pomeriggio di fine estate, in cui Minerva si era presentata nel suo ufficio di Preside per candidarsi al posto di insegnante.
Non la vedeva da dodici anni e aveva notato notevoli cambiamenti in lei: il suo corpo si era allungato, era ancora più magra e minuta. Il viso aveva lineamenti più marcati, duri, come scolpiti nel marmo, le labbra erano più sottili, i capelli scuri raccolti in una treccia stretta e arrotolata in una crocchia, gli occhi verdi erano affaticati e marchiati da pesanti occhiaie, velati da un paio d'occhiali che la rendevano molto più vecchia di quello che era in realtà.
Eppure la trovavi carina. Molto carina.
'Oh, zitto tu'.
 
«Buongiorno, signorina McGranitt».
«Buongiorno, professore».
Si era seduta di fronte a lui, cercando di non torcersi le mani per l'agitazione.
«E' qui per il posto di insegnante di Trasfigurazione, immagino».
«Sì».
«Bene. Mi può parlare del suo curriculum?».
«Non è molto lungo, ho lavorato al Ministero da quando ho finito la scuola, signore».
«Ora si è licenziata?».
«Non ancora, ma ho intenzione di farlo se verrò assunta qui».
«Perché pensa di essere adatta al posto d'insegnante di Trasfigurazione?».
«E' da sempre la mia materia preferita, non ha caso ho ottenuto ottimi voti ai M.A.G.O. Mi piace molto stare tra i ragazzi e ho già qualche esperienza in questo campo, inoltre ho scritto alcuni articoli per Trasfigurazione Oggi e sono un'Animagus regolarmente registrata al Ministero».
«Un'Animagus?», rispose lui, con finta sorpresa. «Può dimostrarmelo?».
Minerva annuì e chiuse gli occhi, aggrottando le sopracciglia scure. Arricciò un poco il naso e, in un istante, sparì dalla sua vista.
Un gatto soriano balzò all'improvviso sulla sua scrivania, miagolando sonoramente e fissandolo con gli occhi ambrati cerchiati di scuro, in corrispondenza degli occhiali.
Che occhi strani, magnifici e ammalianti.
Il micio agitò elegantemente la coda, prima di tornare sulla sedia e riassumere sembianze umane.
Minerva si sistemò meglio gli occhiali sul naso, con aria soddisfatta.
Quanto amavi quella sua espressione, quanto la ami ancora adesso.
«Ottimo», commentò il Preside. «Vedo che è migliorata molto dal tempo del suo esame, signorina».
«Sono contenta che lo abbia notato. Mi esercito ogni giorno».
Le sorrise cordiale. «Il nostro colloquio si conclude qui, le farò sapere la mia decisione al più presto».
 
E poi l'hai assunta, praticamente ad occhi chiusi.
Albus si girò dall'altra parte del letto, borbottando tra sé.
'L'ho assunta perché lo meritava'.
E perché ti piaceva, ti è sempre piaciuta. Hai sempre avuto una predilezione speciale per lei.
Per questo sei così preoccupato per domani.
Sospirò. Domani, domani Minerva sarebbe uscita allo scoperto. Non sarebbe stata protetta, accompagnata solo da due giovani maghi - capaci, sì, ma ancora molto inesperti; nessun membro dell'Ordine in grado di proteggerla davvero, nessuno come lui.
Lo dicevo che hai sempre avuto un debole per lei. Puoi anche affermare che si tratta solo di affetto, ma devi ammettere che quel giorno al colloquio ti ha colpito, nonostante non fosse il massimo della bellezza.
'Non mi ha colpito perché è bella'.
Beccato, lo hai ammesso!
'Lei non è bella, è semplicemente... speciale, ecco'.
Albus Silente, vecchio volpone!
«Finiscila», borbottò a se stesso, mentre si girava ancora nel letto, avvolgendosi di più tra le lenzuola.
Minerva non avrebbe mai potuto mostrare un minimo d'interesse per lui, era troppo vecchio in confronto. Meritava di meglio: qualcuno più bello, più intelligente, più giovane.
Sarebbe andato avanti così, come faceva da ormai trent'anni: l'avrebbe ammirata e stimata in silenzio, da lontano, probabilmente guardandola tra le braccia di un altro. Era giusto così.
Lei era speciale, lei era la sua Minerva e lo sarebbe sempre stata. Poco importava se si sarebbe legata a qualcun'altro, prima o poi.
Poco importava se avrebbe preferito un altro a lui, perché Albus era felice solo e soltanto quando anche lei lo era. Così doveva essere.
Chiuse gli occhi, cercando di calmare i battiti incessanti del suo cuore. Percepiva il sangue ribollirgli nelle vene e pulsargli in gola, nel petto, nello stomaco.
Chiuse gli occhi, cercando di cancellare la sua immagine impressa a fuoco sulla retina.
Il viso magro e pallido, le prime rughe a segnarle il volto, ad enfatizzare le sue espressioni, le sopracciglia scure e sottili che si incurvavano, avvicinandosi tra loro, ogni volta che la fronte si corrugava, l'espressione fiera e temibile, accentuata dagli occhi verdi... quegli occhi verdi così oscuri e brillanti, che rivelavano ma allo stesso tempo nascondevano i pensieri della loro proprietaria, occhi verdi in cui Albus, lo sapeva, era destinato a perdersi, ogni santissima volta.
Aprì gli occhi di scatto e sospirò. Per quanto ci provasse, togliersela dalla testa era impossibile.
Rimase a fissare il soffitto per il resto della notte, troppo agitato per dormire, gli occhi azzurri che scrutavano il buio con intensità non osavano guadare il posto vuoto nel letto troppo grande per una persona, semplicemente perché non voleva ammettere che avrebbe desiderato avere qualcuno al suo fianco in quella notte, qualcuno il cui nome non osava nemmeno pronunciare.
 
*
 
«Molto bene, signorina McGranitt», commentò uno degli esaminatori dei M.A.G.O., dopo la sua risposta all'ennesima domanda.
«Un'ultima cosa, più che altro una curiosità», intervenne un suo collega. «Mi hanno riferito che ha recentemente imparato a Trasfigurarsi in un animale, è vero?».
Glielo avevano riferito, eh? Minerva sapeva esattamente chi fosse stato e cercò il suo sguardo nella stanza, senza farsi notare.
Contrariamente alle sue aspettative, Silente non la stava guardando, anzi, pareva teso anche più di lei.
Minerva chiuse gli occhi, concentrandosi. Liberò la mente da qualsiasi pensiero e si trasformò.
Un formicolio le pervase tutto il corpo, le dita si rimpicciolirono sotto la forma di cuscinetti pelosi, mentre le spuntavano coda e orecchie.
In un battibaleno, un giovane gatto soriano stava di fronte ai professori, seduto con grazia sulla lunga scrivania. Il pelo era corto e lucido, color caffelatte, striato di scuro. Due  forme rettangolari erano impresse intorno agli occhi ambrati, in corrispondenza degli occhiali.
Minerva miagolò sonoramente, agitando la coda con impazienza. Gli esaminatori scoppiarono in un applauso. «Straordinario», commentò l'esaminatore di Trasfigurazione, «Davvero straordinario. Immagino sia opera tua, Albus».
Il gatto si voltò a fissare l'interpellato. Albus Silente stava sorridendo e rispondeva allo sguardo della sua alunna con soddisfazione.
«E' tutto merito suo, io ho solo supervisionato», rispose con orgoglio.
Un grande sorriso illuminò il volto di Minerva, ritornata in forma umana.
«I miei complimenti, signorina», gracchiò l'esaminatore.
La ragazza sorrise all'uomo dalla barba rossa, suo professore e mentore, fissandolo negli occhi azzurro cielo che erano offuscati da un sottile velo di lacrime.
 
Minerva aprì gli occhi. La prima luce del mattino filtrava attraverso la trama delle pesanti tende della sua stanza, illuminandola di una strana sfumatura di violetto.
Si alzò dal letto con l'accenno di un sorriso sulle labbra al pensiero del suo sogno.
Lo specchio in fondo alla stanza rifletteva la sua figura alta e magra. Il volto pallido era definito da lineamenti aguzzi, gli zigomi sporgenti mettevano in risalto gli occhi verdi e penetranti, la pelle chiara era in netto contrasto con i capelli neri come l'ebano, legati in una treccia morbida che le ricadeva lungo la spalla ossuta.
Non era esattamente quel che si definiva una bellezza, lo sapeva bene.
Si sciolse i capelli, mentre li spazzolava per legarli in una crocchia stretta.
Forse se fosse stata più carina, più femminile, avrebbe potuto... no, non gli sarebbe piaciuta comunque.
Era ovvio che lui la vedeva semplicemente come la sua Vice Preside, niente di più. Così sarebbe rimasto, avrebbe dovuto mettersi il cuore in pace.
Di certo Albus preferiva donne più mature, più acculturate, di classe. Alla sua altezza, insomma.
In confronto, lei era una ragazzina.
Completò l'acconciatura con l'aiuto di alcune forcine e cominciò a vestirsi.
Albus sarebbe sempre stato irraggiungibile, fuori dal suo raggio d'azione, avrebbe dovuto metterselo bene in testa.
Sospirò, allacciandosi il vestito verde scuro;  c'era altro da fare quel giorno, molto più importante dei suoi pensieri riguardo a un uomo.
Scosse la testa, mentre usciva dalla sua stanza.
Un nuovo giorno cominciava, non c'era tempo per stupide congetture femminili su Albus Silente. Non che lei ne avesse mai fatte a riguardo.

 









Salve!
Spero che il capitolo vi sia piaciuto.
Magari è risultato un po' noioso perché Minerva e Albus non fanno altro che parlare tra sé e sé, ma è davvero importante per i successivi sviluppi della storia.
Grazie a Krixi19, Acquamarine_, BlackLoony e _Trixie_ per aver commentato il primo capitolo.
Ringrazio molto anche Emma Wright che ha inserito la storia nelle preferite e Black Loony, emily silente, Jilly88, Krixi19, LadySaphira e _Trixie_ per averla inserita nelle seguite.
Grazie anche a tutti coloro che hanno semplicemente letto la storia. Il vostro sostegno mi fa tanto piacere.
Buon pomeriggio a tutti.
Jo

*Si ringrazia
Charlotte McGonagall per l'accurato betaggio del capitolo.

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Capitolo 4
*** Capitolo Terzo ***





One of these days letters are gonna fall 
From the sky telling us all to go free 
But until that day I'll find a way to let everybody know 
That you're coming back, you're coming back for me. 

[Civil Twilight - Letters from the Sky]



Capitolo 3

 
6 luglio 1980.


 
Le strade della periferia di Londra erano deserte; il sole stava calando lentamente all'orizzonte, inghiottito dai palazzi in cemento.
Una donna dai capelli scuri si sporse oltre il muro del vicolo in cui era appena comparsa, i brillanti occhi verdi scrutarono attentamente la via.
«Andiamo», fece segno ai suoi compagni.
Tre figure comparvero nella strada principale dal vicolo buio in cui si trovavano.
«Non per dare noia», cominciò Sirius, «Ma questi jeans mi stanno davvero scomodi. Insomma, come fanno i Babbani a indossarli tutti i giorni?».
«Sono molto comodi invece», replicò Mary. «Aderiscono bene al corpo, non danno eccessivo fastidio».
«A te», rispose l'altro. «Beh, se non altro c'è da dire che ti donano molto».
«Grazie».
«E di che? Sembrano fatti apposta per risaltare il tuo sedere».
«Sirius!», protestò Mary imbarazzata.
«Cosa c'è?».
«Sei sempre il solito!».
«Che ho detto di male?».
«Silenzio», mormorò tesa Minerva.
I due ragazzi obbedirono all'istante, non avevano dimenticato quanto la loro ex professoressa di Trasfigurazione sapesse essere autoritaria.
Osservando attentamente ogni particolare della stradicciola in cui stavano camminando, Minerva fece cenno ai due di seguirla all'interno di un negozio dall'insegna anonima.
Il campanello della porta trillò, il proprietario alzò il capo con un sorriso già stampato sul volto. «Buonasera», salutò. «In cosa posso esservi d'aiuto?».
 
*
 
Bellatrix Lestrange percorreva l'ampio viale in ciottolato a grandi passi. Ogni tanto guardava verso il cancello di ferro battuto con aria ansiosa e irritata.
Perché quell'idiota ci mette così tanto?
«Bellatrix, ti vuoi calmare?», le chiese il marito, seduto sulla panchina di marmo lì vicino.
Lei si girò di scatto, i riccioli scuri ondeggiarono come molle per il moto repentino del capo. «E' una domanda retorica?», domandò a denti stretti.
«Vieni qui, siediti», la invitò Rodolphus. «Severus arriverà».
«Tu non capisci», rispose nervosa, sedendosi al suo fianco. Lui le mise una mano sulla gamba, cercando di farla rilassare.
«Se Severus non arriva subito, andrà tutto a monte. Questa missione è molto importante, il Signore Oscuro si fida di me».
Lestrange sbuffò. «Chissà perché ruota tutto intorno al Signore Oscuro?», borbottò, stringendo istintivamente la presa sulla sua gamba.
Improvvisamente Bellatrix scattò in piedi, scrutando la strada davanti a sé con gli occhi castani.  «Severus», la tonalità della sua voce s'innalzò di un'ottava. «Alla buon ora», trillò.
Piton percorse il viale velocemente, avvicinandosi ai due coniugi. «Cattive notizie», mormorò.
Bellatrix lo fulminò. «In che senso?», si accigliò.
«Sono già partiti», le comunicò.
«Sono-già-partiti?», ripeté quella a scatti.
«Credevo uscissero tra qualche ora, ma Albus ha preferito farli uscire poco fa».
«Dannato vecchio», imprecò la donna. «Chi sono?».
«Tuo cugino, la MacDonald e Minerva».
«Quello non è mio cugino», rispose automaticamente Bellatrix.
Mosse una mano come per scacciare un pensiero dalla mente e aggiunse: «Anche la cara Minerva? Oh, ci sarà da divertirsi», sogghignò.
Rodolphus nascose una smorfia disgustata.
«Chiama Avery, Dolohov e Rosier», ordinò a Piton. Poi si rivolse al marito, guardandolo in modo significativo: «Vieni anche tu».
Non era una domanda, era un ordine. Rodolphus annuì.
Piton sfiorò il Marchio Nero con l'indice, chiudendo gli occhi.
Bellatrix sorrise malvagia. «Si va in scena».
 
*
 
«Abbiamo preso tutto?», domandò Sirius, ricontrollando per l'ennesima volta la lista.
Senza farsi vedere, Minerva fece entrare le grandi buste nella sua piccola borsa, immergendole all'interno come se fosse piena d'acqua. «Direi di sì», rispose, posando  diverse sterline sul bancone.
Il sorriso del negoziante s'allargò ancora di più e si affrettò a raccoglierle, per metterle al sicuro nella cassa.
Minerva si sistemò la borsa a tracolla. «Arrivederci», salutò, imitata dagli altri.
«Arrivederci!», rispose il proprietario.
Uscirono in strada. I lampioni illuminavano fiocamente la via in ciottolato e una fredda brezza serale soffiava su Londra.
Minerva rabbrividì per il freddo. «Muoviamoci», sussurrò, «Comincia a diventare tardi».
Svoltarono all'angolo della lunga via principale, per ritornare al vicolo buio dal quale erano usciti poche ore prima.
 
*
 
Il Quartier Generale dell'Ordine della Fenice era immerso nel silenzio, infranto dal ritmico ticchettio della pendola in cucina. Albus Silente sfogliava pigramente "La Gazzetta del Profeta", immagini in movimento e scritte scure a caratteri cubitali spiccavano sulle pagine candide, attirando di tanto in tanto la sua attenzione.
"Il Signore Oscuro continua a terrorizzare il Paese: altri cinque morti", recitava un titolo in prima pagina.
"Famiglia Babbana torturata", "Tre persone scomparse" e ancora: "Villaggio devastato nel Surrey". Seguiva un lungo bollettino di guerra a pagina dieci.
Nauseato, chiuse il quotidiano e si tolse gli occhiali, massaggiandosi gli occhi e le tempie. Per quanto tempo ancora sarebbe andata avanti quella guerra? Quante persone sarebbero morte? Quante persone avrebbero rischiato la vita?
Sapeva che in quello stesso istante Severus era da loro, dai Mangiamorte. Sperava con tutto il cuore che non avesse detto loro nulla riguardo la missione dell'Ordine, anche se, era sicuro, di certo Voldemort sapeva già, del resto faceva parte del lavoro di Severus, il doppio gioco.
Li aveva condannati, solo per il fatto di averli lasciati uscire allo scoperto così, indifesi. Li aveva condannati, l'aveva condannata a una morte certa.
Non riusciva a togliersi dalla testa la sua immagine, lei in pericolo. Non era sicuro che avrebbe sopportato la vista del suo cadavere, i suoi occhi vuoti e privi di vita... che avrebbe fatto se fosse morta?
Scosse la testa con vigore. Non poteva morire, era una strega brillante e capace, le sue erano solo stupide preoccupazioni di un vecchio sciocco.
Eppure le sue viscere continuavano a contorcersi; l'aveva venduta a Lord Voldemort, l'aveva venduta alla morte.
 
*
 
Minerva si bloccò in mezzo al vicolo, trattenendo il fiato. Cinque figure vestite di scuro avanzavano verso di loro. Cinque figure con mantelli neri e con maschere argentee, fin troppo note.
Mary soffocò un gemito, avvicinandosi a Sirius. Lui la strinse a sé con un braccio, guardando gli uomini davanti a loro.
«Bene, bene», proferì una voce acuta, soffocata dalla presenza della maschera.
Il suo proprietario la tolse con un colpo di bacchetta, abbassando il cappuccio e rivelando una folta chioma di riccioli scuri. La Mangiamorte sorrise diabolica.
«Bellatrix», ringhiò Sirius con rabbia.
La donna ridacchiò. «Buonasera».
Minerva si schierò protettiva davanti ai due giovani, la bacchetta alzata.
«Quella ti servirà a poco questa sera, Minerva», la schernì Bellatrix.
«Per te sono ancora la professoressa McGranitt, Black», sibilò in risposta.
«Sono una Lestrange adesso, non te l'hanno ancora detto?», rise, subito imitata dagli altri quattro, che si tolsero la maschera con un rapido movimento della bacchetta.
Lestrange, Avery, Dolohov e Rosier: era la fine.
Combattere tre contro cinque, soprattutto contro quei cinque, era impensabile. Doveva trovare una soluzione: qualcosa, qualunque cosa.
Sorrisi malvagi facevano arricciare le loro labbra e contrarre i muscoli del loro viso, rendendoli ancora più inquietanti e temibili.
Un brivido le scosse la spina dorsale con forza. Dovevano andarsene da lì, subito, altrimenti sarebbero morti tutti e tre.
Un'idea le folgorò la mente come un fulmine a ciel sereno. La Smaterializzazione era la soluzione ai loro problemi; doveva portare Mary e Sirius il più lontano da lì, al sicuro. Doveva riportarli al Quartier Generale.
I suoi occhi penetranti scrutarono velocemente intorno a sé, con un'espressione molto simile a quella di un gatto.
Arricciò il naso e indietreggiò quasi impercettibilmente, avvicinandosi ai compagni.
Non capendo quello che intendeva fare, i due si avvicinarono comunque a lei, come calamite.
Bellatrix Lestrange avanzò, la bacchetta puntata verso di loro e un ghigno orribile a deturparle il giovane viso.
Sirius si sentì invadere da un impeto d'ira; chissà se era la stessa espressione che esibiva quando torturava, quando uccideva, quando provava piacere nel far soffrire gli altri.
Era sua cugina, sangue del suo sangue, eppure non poteva essere più diversa da lui.
Minerva allungò una mano all'indietro, Sirius e Mary l'afferrarono senza esitazioni.
Ormai i Mangiamorte li avevano circondati: erano in trappola.
La professoressa chiuse gli occhi e si concentrò. Doveva fare in fretta.
Quartier Generale, Quartier Generale, Quartier Generale, Quartier Generale...
«Si stanno Smaterializzando!», strillò Bellatrix, slanciandosi verso gli avversari.
I suoi compagni la imitarono, ringhiando inferociti.
Quartier Generale, Quartier Generale, Quartier Generale, Quartier Generale, Quartier Generale,
Quartier Generale, Quartier Generale...
Le figure di Mary e Sirius, mano nella mano con Minerva, cominciarono a dissolversi. Bellatrix si lanciò nella foschia che diminuiva sempre più, aggrappandosi alle vesti di Minerva.
Rodolphus le fu subito dietro, seguito dagli altri tre compagni, che si aggrapparono a lui per essere trasportati con la Materializzazione Congiunta.
La piccola folla venne risucchiata e sparì con un sonoro pop.
Minerva viaggiava veloce, quasi alla velocità della luce. La testa doleva in modo terribile, il gruppo informe di uomini e donne vorticava grottescamente su se stesso.
Il Quartier Generale...
Bellatrix cercò di risalire lungo il suo abito verde scuro, Minerva percepì le sue mani ossute aggrapparsi più saldamente al tessuto e reggersi a lei.
Sono riusciti a Smaterializzarsi con noi, per Godric.
Stava portando cinque Mangiamorte al Quartier Generale dell'Ordine della Fenice, doveva cambiare destinazione, immediatamente.
Un posto qualsiasi... dovevano liberarsene assolutamente.
Sirius urlò, dibattendo le gambe strette tra le mani di Avery. Tirò un pugno a Lestrange, che cercava di tenersi saldo a Mary, facendogli quasi sfuggire la presa.
Qualcosa le trafisse i pensieri: le immagini confuse e offuscate di un fienile e di una casa in pietra scorrevano veloci nel suo cervello, tanto che seppe esattamente dove Smaterializzarsi. La vecchia canonica a Caithness, dove aveva trascorso la sua infanzia, ecco il posto perfetto.
La donna ricciuta le graffiò il viso con le unghie affilate e Minerva strappò il tessuto dalle mani avide di Bellatrix, soffiandole contro come un felino.
Improvvisamente, senza che nessuno se l'aspettasse, Minerva compresa, i loro corpi toccarono terra e tutti ruzzolarono malamente sul terreno freddo e umido.
I suoi occhi verdi misero a fuoco l'ambiente circostante: l'edificio in pietra sulla scogliera, in cui era nata e cresciuta, il fienile e il recinto del bestiame. Tutto era rimasto come se lo ricordava, persino la conformazione delle rocce, scavate anno dopo anno dalla forza dell'acqua.
L'urto con il suolo le mozzò il respiro, la bacchetta sfuggì alla sua presa e rotolò via.
Bellatrix si avvicinò a lei strisciando come un vero e proprio serpente, la lingua fuori dai denti. Minerva recuperò l'arma a fatica, giusto in tempo per parare una fattura.
La battaglia era cominciata. Sperava solo che, nelle condizioni disperate in cui si trovavano, ce l'avrebbero fatta, anche se sarebbe servito un miracolo.




Beh, buonasera.

Pensavo di non riuscire a pubblicare stasera, ma la mia formidabile beta è comparsa all'improvviso e ha corretto il capitolo al volo *grazie amour*
Quindi ecco a voi l' "opera", spero l'abbiate gradita v.v
Attendo commenti, opinioni e/o pomodorate.
Jo




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Capitolo 5
*** Capitolo Quarto ***



I was looking for the breath of a life
A little touch of a heavenly life
To get the dream of our life again
A little vision of the sight at the end
Another taste of heavenly rush
 
[Florence and the Machine - Breath of Life]

Capitolo 4

 

Il ritmico ticchettio della pendola era l'unico suono a infrangere quel silenzio perfetto; l'orologio segnava quasi le nove.
Perché ci impiegano così tanto? E' successo qualcosa?
In risposta alle sue domande, Severus spuntò sulla soglia. «Preside», esclamò, il viso olivastro acceso da uno strano rossore.
Albus balzò in piedi. «Ebbene?».
«Ho dovuto dire loro la verità, signore, ai Mangiamorte».
Albus trattenne il respiro. I Mangiamorte sanno, dunque. Lui sa. Cosa doveva aspettarsi, del resto? Era ovvio che Severus l'avrebbe detto, era un Mangiamorte o, almeno, fingeva di esserlo ancora.
«L'ho comunicato poco fa a Bellatrix Lestrange. Ha organizzato una squadra di quattro persone: suo marito, Avery, Dolohov e Rosier».
I migliori Mangiamorte sulla piazza: si sono organizzati proprio bene questa volta.
«Dove?».
«Avevano intenzione di bloccare loro alla svolta tra il vicolo in cui si sono Smaterializzati e la strada principale. Sono venuto il prima possibile, ma a quest'ora  avranno già messo in atto il piano».
Lei è in pericolo. Minerva è in pericolo, continuava a ripetere una voce nella sua testa.
«Dobbiamo organizzare una squadra, subito. Sono in tre contro cinque, non potranno mai farcela, anche con tutta la fortuna possibile. E' vergognoso, ma da Lord Voldemort ci si deve aspettare questo e altro».
Severus annuì.
«Chiama Alastor, Arthur e Frank. Non vorrei mai strapparli ai loro compiti e alle loro famiglie ma, purtroppo, ci servono».
«Vorrei poter venire anch'io».
«Lo so, ma tu devi restare qui. Se la tua copertura saltasse, saremmo tutti in pericolo: Minerva, Sirius e Mary per primi».
Minerva...
Un silenzio imbarazzato sopraggiunse tra i due, Piton abbassò lo sguardo.
 
*
 
Bellatrix incominciò ad attaccarla con più forza, un malefico ghigno ad accenderle il volto spiritato.
Minerva parò l'ennesimo anatema scagliato da Dolohov, che aveva colpito il suo scudo con tanta forza da mozzarle quasi il respiro.
Doveva chiedere aiuto, subito. Ma come?
Diede un'occhiata ai compagni, mentre diverse idee s'affollavano nella sua mente.
Mary e Sirius combattevano schiena contro schiena contro Lestrange, Avery e Rosier.
«Potete farcela senza di me?», gridò loro.
Mary fraintese le sue parole e il suo tono, urlando spaventata quando vide la figura di Minerva scomparire nel buio.
Sirius allungò una mano all'indietro e le strinse un fianco, per darle forza, mentre con l'altra scagliava incantesimi contro i Mangiamorte.
«Dov'è?», strillò Bellatrix.
Dolohov aguzzò la vista nel buio. «Non lo so!», rispose sbalordito.
«Non può essere morta, si è ben protetta da ogni nostro incantesimo!».
Minerva, approfittando della distrazione dei suoi nemici, corse a perdifiato verso il fienile. Percepiva la terra umida e fredda sotto le sensibili zampe da gatto, riusciva a vedere perfettamente nell'oscurità grazie agli occhi ambrati e notevolmente acuti.
Si nascose all'interno e ritornò in forma umana. Estrasse la bacchetta, tenendosi il petto con forza, prima che il cuore potesse esplodere.
Chiuse gli occhi e pensò a qualcosa di davvero potente, un ricordo capace di evocare un buon Patronus. Solitamente nelle situazioni di pericolo si aggrappava a un caro ricordo dei volti dei suoi genitori: i loro sorrisi benevoli, i loro occhi scintillanti... ma questa volta non sarebbe servito.
Lei e i suoi compagni erano in bilico tra la vita e la morte, l'unica persona che avrebbe voluto avere al suo fianco in quel momento era... il nome le squarciò il petto come un pugnale affilato: Albus.
La persona che avrebbe voluto avere accanto era Albus.
I suoi occhi azzurri, il suo sorriso, quelle sue assurde preoccupazioni riguardanti la sua incolumità. Le mancava e avrebbe voluto averlo lì, a darle sicurezza.
Mentre lo immaginava stringerla forte tra le braccia, il suo volto allegro e luminoso, un sussurro si levò dalle labbra: «Expecto Patronum».
Va', corri, avvertili. Avvertilo.
 
*
 
«E' meglio che tu vada ad avvertirli, non possiamo permetterci di perdere un solo minuto. Quei tre potrebbero rischiare la vita da un momento all'altro».
Piton annuì con decisione, allacciandosi il mantello scuro al collo.
Uno strano fruscio giunse alle orecchie dei due, entrambi si voltarono verso l'entrata della cucina.  
Un animale era appena entrato correndo con eleganza. Non era un vero e proprio essere vivente, si trattava di una figura argentea e brillante, come se centinaia di minuscole stelle si muovessero insieme, scintillando. Era un gatto soriano di piccole dimensioni, magro e agile.
Si fermò esattamente davanti a loro, scuotendo la coda ritmicamente, quasi con impazienza.
Il felino parlò con voce atona e metallica, tuttavia fin troppo familiare: «Ci hanno teso un'imboscata. Siamo in pericolo. Canonica di Caithness, Scozia. Aiutate...», l'ultima parola fu interrotta da un urlo acuto e prolungato, che fece attanagliare nuovamente le sue viscere.
Qualcosa scattò nella mente di Albus, come se un elastico fosse stato tenuto in tensione e in quel preciso momento fosse stato lasciato andare.
E' lei, la sua voce. Minerva è davvero in grave pericolo.
 
*
 
Minerva urlò e ruzzolò a terra, evitando un anatema scagliato da Bellatrix.
«Ti ho trovato, micina micetta! Non scappare, vieni da zia Bellatrix!».
Schivò un'altra maledizione. Impossibile fuggire da lì, la Mangiamorte le bloccava l'uscita.
«Che gattina testarda», ridacchiò l'altra. «Non vuoi uscire, eh? Ti farò uscire io, allora!».
Rise diabolica, per poi urlare: «Incendio!».
Le pareti di legno del fienile presero fuoco.
Minerva soffocò un gemito: adesso era davvero in trappola.

*
 
E' tutta colpa tua. Sapevi che Severus glielo avrebbe detto. Lo sapevi e non hai fatto niente per impedire a Minerva di partire.
I sensi di colpa attaccarono il suo stomaco con più tenacia. Stava male. Era colpa sua, non solo perché aveva lasciato che Minerva partisse, ma anche perché avrebbe volentieri permesso che fosse qualcun'altro a prendere il suo posto e a rischiare la vita.
Stupido, egoista. Debole, vecchio.
«Cos'è successo?», chiese Arthur trafelato, appena arrivato al Quartier Generale dal Ministero, insieme a Moody e Paciock.
«Lord Voldemort sa dei nostri spostamenti e ha incaricato cinque Mangiamorte di occuparsi della situazione», spiegò Albus.
«Chi?».
«Lestrange e moglie, Avery, Dolohov e Rosier».
«Stanno combattendo a Londra?», domandò Frank.
«No, a quanto pare Minerva ha provato a Smaterializzarsi con Mary e Sirius ma i Mangiamorte sono riusciti a Smaterializzarsi con loro, quindi ha dovuto cambiare direzione all'ultimo momento».
«Sai dove sono ora?».
«Ho ricevuto un Patronus da Minerva che chiedeva aiuto».
«Devono essere passati diversi minuti da quando l'ha inviato!».
«Per questo dobbiamo sbrigarci. Datemi la mano».
Albus chiuse gli occhi e si concentrò intensamente sulla loro destinazione.
La voce metallica di Minerva gli risuonava in testa: "Canonica di Caithness, Scozia".
Si Smaterializzò in un attimo, trascinando i suoi compagni con sé e cercando d'ignorare l'urlo acuto di Minerva che continuava a perforargli le orecchie, facendogli contorcere le membra.
 
*
 
«Dolohov!», urlò Bellatrix. «L'ho trovata!».
Ottimo, due contro una, rinchiusa in un fienile in preda alle fiamme. Quando si dice combattere ad armi pari.
Se non altro Sirius e Mary avevano due persone in meno di cui occuparsi. Sperò intensamente che fossero ancora vivi.
La figura di un altro Mangiamorte comparve nel buio, illuminata dal fuoco.
«Com'è arrivata fin qui?».
«E' un Animagus; una gattina tigrata molto dispettosa!».
Dolohov rise, lanciando un incantesimo che Minerva parò.
Si guardò intorno, non avrebbe potuto resistere ancora a lungo. Rimanere nel fienile avrebbe significato ardere viva e per uscire avrebbe dovuto incontro a quei due. Non sapeva quale soluzione fosse peggio... o forse sì.
Rispose agli attacchi dei suoi due avversari che pararono le sue fatture senza problemi.
Le fiamme si stavano avvicinando, riusciva a percepire l'aumento di calore che rendeva l'ambiente soffocante.
Si appoggiò alla parete dietro di lei, non ancora raggiunta dall'incendio, in quel momento ebbe una brillante idea.
Schermò l'ennesimo anatema scagliato dai nemici e si girò velocemente, la bacchetta puntata contro il muro di legno, urlando: «Confringo!».
Si rannicchiò su se stessa, coprendosi la testa con le braccia e chiudendo gli occhi, per evitare schegge e pezzi di legno.
Una grande apertura si era creata al centro della parete di legno, ancora fumante.
Minerva vide il cielo scuro, le stelle nascoste dalle nuvole... era libera!
Avanzò di qualche passo, per poi bloccarsi all'improvviso.
La canonica e il fienile si trovavano su un'alta scogliera a picco sul mare, il fienile in particolare era situato quasi sul bordo della roccia; Minerva si era dimenticata di quel piccolo dettaglio. Suo padre adorava la casa proprio perché, a differenza di normali canoniche, era stata costruita abbastanza vicino al paese, ma non troppo da trovarsi nella piazza principale.
Si sporse un poco. Il terreno proseguiva di qualche metro, per poi terminare bruscamente nel nulla.
La scogliera si gettava nel mare come un abile tuffatore, ripida, completamente in verticale.
Deglutì, scossa da brividi, voltandosi a guardare i Mangiamorte.
Avanzavano lentamente verso di lei, attraverso il fienile incendiato; non avevano fretta di farla finita, non avevano fretta di ucciderla.
Scintille verdi uscirono dalla bacchetta di Dolohov, Minerva parò velocemente il colpo, indietreggiando. Bellatrix attaccò subito dopo, senza darle nemmeno il tempo di riprendere fiato.
La maledizione colpì il suo scudo con forza, il suo piede scivolò lungo il terreno ghiaioso.
Accadde tutto molto velocemente: Minerva percepì se stessa perdere l'equilibrio, il suo corpo ondeggiò avanti e indietro. Ricadde malamente sul terreno, Bellatrix scagliò un altro bagliore verde che sfiorò la sua spalla, facendole definitivamente perdere ogni appiglio a terra.
La roccia si sgretolò, le sue gambe caddero nel vuoto, trascinando con sé la loro proprietaria.
Minerva si aggrappò al bordo della roccia, cercando inutilmente di evitare il peggio dell'impatto: il suo corpo colpì forte lo scoglio, l'abito si lacerò in diversi punti e cominciò a uscire sangue in abbondanza.
L'urto le mozzò il fiato, facendole perdere la presa sulla bacchetta, che rotolò lungo la parete di roccia accanto a lei, per poi inclinarsi pericolosamente e cadere in acqua.
Una morsa attanagliò il suo stomaco: ora che non aveva più la bacchetta, la sua unica arma, era davvero perduta.
Sopra di lei, Bellatrix si sporse ridacchiando. «Sai, ti trovo molto più sbarazzina così, che dici, Antonin?».
«In effetti quell'abito le dona molto ora!».
Minerva ringhiò rabbiosa, mentre Bellatrix le puntava la bacchetta contro.
Non c'era modo di scappare questa volta.
Sarebbe morta lì, dov'era nata.
Una decina di metri sotto di lei, le onde del mare s'infrangevano con violenza contro la scogliera, producendo schiuma bianca e spumosa.
Un sorriso malvagio illuminò il volto di Bellatrix, prima che pronunciasse le due fatidiche parole.
Minerva chiuse gli occhi, attendendo una fine che... non arrivò.
Riaprì gli occhi con cautela, tenendosi saldamente alla roccia con la forza che le rimaneva.
Riusciva a vedere a fatica, il dolore le annebbiava la vista e i suoi occhiali erano rotti in più punti, ma distinse chiaramente la sua figura nella penombra.
Pochi metri al di sopra di lei, nello stesso punto in cui la roccia era franata poco prima, Albus Silente era chino sulle ginocchia e le tendeva la mano, le vesti sporche di terra, diverse foglie imprigionate tra i fili della barba argentea.
Era lui, per Merlino, era proprio lui.
Mormorò qualcosa vagamente somigliante a un: «Albus». Era senza parole, la gola secca, le mani graffiate e sanguinanti, un dolore incessante in tutto il corpo.
Lui si chinò ancora di più e le allungò un braccio. «Forza, afferra la mia mano!», esclamò.
Obbedì con grande fatica, bilanciando il proprio peso per stringergli la mano.
La donna non riuscì a reprimere un urlo quando Silente iniziò a cercare di tirarla su; a giudicare dal dolore lancinante al braccio sinistro doveva essersi rotta qualcosa.
Finalmente, Albus riuscì nel suo intento, i muscoli delle braccia contratti e le vene notevolmente visibili a causa dello sforzo; Minerva si issò sulla superficie rocciosa aiutandosi con i piedi, per poi stramazzare a terra, rantolando.
Sputò saliva, respirando a pieni polmoni con la bocca sporca di sangue.
A pochi metri da loro, Bellatrix e Dolohov giacevano incoscienti a terra.
«Minerva, Minerva, tutto bene?», domandò con voce ansiosa.
La sua vista era decisamente annebbiata, riusciva a distinguerlo a malapena. Sapeva di essere ridotta davvero male: i vestiti erano lacerati talmente tanto che riusciva a percepire l'aria gelida sferzarle il petto, le spalle, gran parte delle gambe. Era sporca di sangue quasi ovunque, le ciocche sfuggite alla crocchia erano incollati alla fronte dal sudore, il braccio sinistro giaceva inerme sul suo grembo e bruciava ininterrottamente. «Io...», ansimò, «Sì, credo... di sì».
Alzò lo sguardo per incontrare i suoi occhi azzurri, le pupille dilatate  e il respiro accelerato per lo shock.
A fatica posò la mano destra sulla sua guancia, accarezzandolo. «E' tutto... a posto», sussurrò.
Lui sorrise debolmente e posò la mano sulla sua, stringendola forte. Minerva tremò: l'aveva toccata, le stava stringendo la mano, la sua espressione era così preoccupata e... che diavolo stava facendo?
Tutto questo era sbagliato, no, dovevano rialzarsi e combattere, non c'era tempo per... era Albus Silente, per l'amor del cielo! Lei e lui non potevano, non dovevano... forse Albus era semplicemente preoccupato per lei, probabilmente aveva reagito in modo eccessivo...
Sentiva il suo cervello vorticare, i pensieri più assurdi lo affollavano e non riusciva nemmeno a decifrarli.
I suoi occhi erano così incredibilmente luminosi, d'una sfumatura d'azzurro molto chiara. Pigmenti blu e argentei si intrecciavano tra loro, riproducendo il colore delle onde marine.
Il cuore di Minerva saltò un battito.
Erano così vicini; sentiva il suo respiro caldo su di sé, gli occhi azzurri specchio dei suoi.
Erano così vicini da potersi sfiorare, toccare, baciare.
Per alcuni interminabili istanti Minerva desiderò ardentemente che lo facesse.
Voleva che la stringesse a sé e la baciasse con dolcezza, con amore. Voleva che fosse innamorato di lei e che glielo dicesse.
Lo voleva e non sapeva nemmeno il perché, non riusciva a ragionare in modo lucido, probabilmente per il dolore, ma non le importava.
In una situazione normale si sarebbe odiata per aver pensato una cosa del genere, si sarebbe presa a schiaffi mentalmente per mantenere un certo contegno... ma in quel momento sentiva che nulla le importava.
Sarebbe morta se lui non fosse arrivato, se lui non l'avesse salvata. Albus era arrivato a salvarla. L'aveva fatto per lei.
Percepiva che i suoi ragionamenti erano stupidi ed egoisti - Albus era arrivato per salvare tutti e tre! - ma non le importava.
Il dolore era forte, accecante. Sapeva che un incredibile ammontare di fattori, in quel momento, le impediva di ragionare lucidamente, ma non le importava.
Tutto ciò che contava davvero erano i suoi occhi azzurri, la sua mano sulla guancia di lui, le sue labbra.
Baciami, ti prego.
Come se avesse percepito il suo desiderio, Albus s'avvicinò ancora di più a lei, erano a pochi centimetri l'uno dall'altra.
Baciami, ti prego.






Eccomi, finalmente!
Mi scuso molto per l'assenza, ma la mia beta ha avuto qualche problema/disavventura nel betare il capitolo, poveretta! In compenso ha fatto un ottimo lavoro, come avrei fatto senza di lei non lo so! Grazie Charlie!
Ringrazio anche tutti coloro che hanno commentanto, i 4 che la preferiscono e gli 11 che la seguono. Grazie, grazie, grazie, grazie! Significa molto per me **
Al prossimo capitolo - che arriverà appena posso, con le vacanze di mezzo, prometto!
Jo


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Capitolo 6
*** Capitolo Quinto ***





Capitolo 5

My beloved monster is tough
If she wants she will destroy you
But if you lay her down for a kiss
Her little heart, it could explode

[My Beloved Monster - Eels]


Albus distolse improvvisamente lo sguardo.
Il cuore di Minerva sprofondò e con lui tutte le sue speranze; come aveva potuto essere così stupida? Era ovvio che non gli interessava, lei era solo una semplice collega: Albus meritava di meglio.
Silente si alzò in piedi, tendendo la mano per aiutarla ad alzarsi. «Andiamo, dobbiamo aiutare gli altri».
Il battito di Minerva accelerò. Si era dimenticata di loro, che egoista. «Muoviamoci», replicò, cercando di sembrare determinata.
Lo seguì all’interno del fienile in preda alle fiamme: Albus creò uno scudo per proteggerli dal fuoco. Arrivati al grande prato che si estendeva di fronte alla canonica, videro che Sirius e Mary stavano ancora combattendo; Moody, Paciock e Arthur davano loro man forte.
Albus si lanciò in avanti per aiutarli, subito seguito da Minerva che, nonostante avesse le vesti stracciate, la vista annebbiata e un dolore lancinante in tutto il corpo, in particolare al braccio sinistro, stringeva con forza la bacchetta davanti a sé, agitandola con maestria e fierezza.
Avery, Lestrange e Rosier erano circondati dai membri dell'Ordine: erano tre contro sette, eppure se la cavavano ancora egregiamente.
Sirius, frustrato, lanciò un anatema contro Rosier, mancandolo di diversi centimetri. Lui, Mary e Minerva, stavano perdendo la concentrazione; era un miracolo che Mary potesse ancora reggersi in piedi, combattendo schiena contro schiena con Sirius, nonostante fossero entrambi stremati oltremisura.
Minerva sentì le voci dei tre Mangiamorte intorno a sé, soffocate dal rumore della battaglia: «Dove sono Bellatrix e Dolohov?», urlò Lestrange ai compagni.
«Non lo so; sono andati dietro alla McGranitt e non sono più ritornati!».
«E' stato il vecchio, di sicuro!», ringhiò Avery, riferendosi ad Albus.
«Abbiamo bisogno di rinforzi, non resisteremo a lungo!».
«Chiamiamo Piton e gli altri!».
«No», replicò Rosier, respingendo un anatema, «Ci metterebbero troppo. E' di lui che abbiamo bisogno».
«Non se ne parla!», esclamò Lestrange, «Bellatrix è stata chiara, l'Oscuro Signore non deve essere coinvolto!».
«Ma se non lo chiamiamo ora perderemo questa battaglia!».
«Moriremo!», gli fece eco Avery.
«Allora lo faremo con onore», replicò Lestrange, con un orgoglio e tenacia che Minerva non avrebbe esitato a definire tipici di Grifondoro.
Cosa diceva sempre Albus? Lo Smistamento avviene troppo presto.
Chissà, magari Lestrange non sarebbe stato un cattivo Grifondoro; certo, se non stesse cercando di ucciderla in quel momento, l’idea avrebbe anche potuto andarle a genio.
Si ricordava perfettamente il proprio Smistamento: all’epoca era una ragazzina minuta e fragile, molto timida. Solo grazie all’aiuto di Silente era riuscita a superare queste piccole difficoltà e mostrarsi per quella che era davvero, farsi valere.
L’Albus di una volta non era cambiato per niente: la esortava ancora a dare sempre il meglio di sé, in qualsiasi situazione. La conosceva bene; sapeva di che pasta fosse fatta, sapeva che non si sarebbe arresa mai, nemmeno nella disperata situazione in cui si trovavano – anche se, doveva ammetterlo, tutto le sembrava molto meno disperato dopo l’arrivo del suo ex professore, mentore, collega... amico.
Minerva parò l'incantesimo che era rimbalzato contro lo scudo di Rosier, Albus disarmò Lestrange, qualcuno imprecò poco distante da lei… poi, tutto accadde molto velocemente.
Avery approfittò della momentanea distrazione di Lestrange per premere l'indice sull'avambraccio sinistro, dritto sul Marchio Nero.
«NO!», urlò Rodolphus. «Ora ci hai condannati davvero a morte, stupido idiota!».
«State in guardia!», urlò Minerva agli altri. «Arriva!».
I suoi compagni sapevano esattamente di chi stesse parlando; probabilmente ognuno di loro aveva temuto sin dall'inizio un risvolto del genere.
Atterrò in un turbinio scuro, di fronte a loro. Lo seguivano altri cinque Mangiamorte, tutti mascherati: l’Ordine era di nuovo in svantaggio.
Tom Riddle era cambiato da come Minerva se lo ricordava ai tempi della scuola: i capelli ricci erano gli stessi, ma gli occhi erano più scuri e maligni, la pelle ancora più pallida e tesa sul cranio, come una sottile pellicola trasparente.
L’uomo - se ancora si poteva definire così - scrutò con intensità il campo di battaglia, soffermandosi sul volto di ogni mago e strega presente, alleato o nemico che fosse; il suo sguardo le provocò brividi di disgusto.
Voldemort scoccò un'occhiata minacciosa ai suoi seguaci e sillabò loro qualcosa di molto simile a: "Penserò a voi più tardi, idioti", per poi voltarsi e fissare gli avversari con fare calcolatore.
«Bene, bene, cosa abbiamo qui?», cominciò. «L’Ordine della Fenice, che piacere! Moody, Weasley, Paciock… oh, anche la signorina MacDonald con il signor Black», commentò con un sorriso inquietante.
«Minerva McGranitt, quanto tempo! L’ultima volta che ci siamo visti eri Caposcuola, ricordi? Tiranneggiavi gli altri studenti con un’adorabile aria di superiorità», ironizzò.
Minerva contrasse la mascella, non sapendo cosa replicare. Erano passati molti anni, ma Riddle era sempre lo stesso: freddo, calcolatore, mellifluo, persuasivo e incredibilmente sfacciato.
« E poi, e poi… il grande Albus Silente, quale onore!», accennò un piccolo inchino.
«Non credo tu sia nella posizione di ironizzare questa sera, Tom», replicò Albus.
Lo sguardo di Voldemort si infiammò. «Tom Riddle è morto, da lungo tempo ormai*», rispose, ridendo sguaiatamente di un perverso gioco di parole che solo lui e Albus parevano aver capito.
«A quanto ho capito al vecchio Albus non piace scherzare; diamo inizio alle danze, allora!», concluse con fare teatrale.
Puntò la bacchetta contro Silente e ne fece fuoriuscire una fiammata che Albus bloccò facilmente, sferzandola come se avesse una frusta.
La battaglia riprese: Lestrange attaccò Minerva e Mary con la bacchetta da poco recuperata, Avery e Rosier si difendevano da Arthur e Alastor insieme ad altri due compagni, Sirius e Paciock combattevano contro gli altri tre Mangiamorte.
Minerva si sentiva incredibilmente debole, percepiva il suo corpo implorare pietà e riposo, eppure una forte scarica di adrenalina le impediva di crollare a terra, almeno per quel momento.
Anche Mary era stremata, tanto che Lestrange riusciva senza problemi a tener testa a tutte e due: il suo viso era pallido, esangue, profonde occhiaie le marcavano gli occhi, diversi tagli le segnavano il volto e il collo.
Minerva parò l’ennesimo colpo di Rodolphus; questa volta dovette fare attenzione a non perdere l’equilibrio, perché la forza dell’incantesimo fu tanto potente da sbilanciarla.
Avevano bisogno di aiuto, ulteriore aiuto; i maghi a loro disposizione erano senza dubbio molto capaci, ma potevano poco contro un maggior numero di avversari – che, tra l’altro, utilizzavano maledizioni e magia oscura che Minerva poteva solo immaginare.
Sentì Riddle ridere alle sue spalle; una risata fredda e malvagia, da far rabbrividire. Un solo pensiero la turbò: “Albus è in pericolo. Se Voldemort ride in questo modo, allora…”.
Incapace di resistere senza sapere se Silente fosse ferito o meno, Minerva si girò. Un getto di luce verde le passò sopra la spalla, quasi sfiorandola: Mary lo parò a fatica.
Albus stava bene, fortunatamente. Combatteva con una concentrazione tale che sembrava non vedesse altro che l’avversario davanti a sé. Tom Riddle lo guardava e rideva quasi istericamente, divertito.
In quella frazione di secondo, un nuovo incantesimo lanciato da Lestrange colpì Mary in pieno petto. «NO!», urlò Minerva, Schiantando Rodolphus con forza.
Mary MacDonald giaceva a terra, priva di sensi, una grossa bruciatura lungo parte del collo. Minerva si avvicinò a lei e la sollevò con la bacchetta per trasportarla in un luogo sicuro. Anche un incantesimo semplice come la Levitazione le risultò difficile: riusciva a malapena a camminare, il braccio sinistro era praticamente inutilizzabile e contribuiva solamente a renderle ogni azione più complicata.
La portò fino ad un grosso albero nelle vicinanze del fienile, ben distante e riparato dalla zona di combattimento, poi ritornò alla battaglia; Albus non stava più combattendo contro Voldemort, che ora si destreggiava contemporaneamente con Alastor e Paciock. Tre Mangiamorte, compreso Lestrange, erano stesi a terra, inermi; erano sei contro sei, ora.
Albus fece comparire una sottile corda d’oro, con cui legò i tre Schiantati, ai quali si aggiunse Rosier.
Minerva si unì a Sirius e Arthur, che stavano combattendo contro due Mangiamorte sconosciuti; quest’ultimi non erano particolarmente dotati  e si trovavano in notevole difficoltà, essendo anche in svantaggio numerico.
Riddle, accorgendosi di star perdendo rapidamente vantaggio, fece un ultimo tentativo: attaccò Silente alle spalle.
Albus stava combattendo contro Avery e un altro Mangiamorte, non si accorse minimamente delle intenzioni di Voldemort nei suoi confronti.
Minerva urlò, lanciandosi in sua direzione. Lui si girò velocemente, disorientato.
La maledizione la colpì alla spalla sinistra, anche se lo scudo da lei generato riuscì a limitare i danni più gravi.
Si sentì sollevare da terra dalla potenza dell’onda d’urto e volò qualche metro più indietro, come una bambola di pezza.
 
*
 
«Minerva, Minerva, riesci a sentirmi?». La voce più bella del mondo la destò dal suo torpore.
«C-cosa?», borbottò con la bocca impastata, aprendo a fatica le palpebre.
Era sdraiata sull’erba, tra le braccia di Albus. Albus, Albus, Albus: il suo cervello riusciva a comprendere solo quello, al momento.
«Sei stata colpita da un anatema indirizzato a me, hai fatto un bel volo», le spiegò.
«Oh», fu tutto ciò che riuscì a dire.
«Ho appena creato una Passaporta per trasportarti al San Mungo il prima possibile».
Gli afferrò il braccio di scatto. «No, aspetta», balbettò. «La battaglia, gli altri, Riddle, io…», cercò di mettersi a sedere, ma il dolore al petto e al braccio sinistro erano insopportabili. Crollò a terra con un gemito.
«Tutto bene?», domandò lui con apprensione.
«No», fu la risposta sincera.
Lui le porse una delle proprie scarpe. «Ecco la Passaporta, si attiverà tra cinque minuti».
Minerva la posò accanto a sé, non facendoci caso. «Come sta Mary?».
«Sirius è con lei al San Mungo; ha ricevuto una brutta fattura, ma guarirà».
«Gli altri?».
«Stanno tutti bene; Voldemort è fuggito».
«Fuggito? Come?».
«Ecco, diciamo che dopo il tuo volo improvviso ho perso un tantino il controllo», le spiegò con uno strano sorriso.
Minerva cercò di evitare l’improvviso rossore che minacciava di tingerle le guance. «Vuoi dire che…?».
«Voglio dire che – modestie a parte - ho sbaragliato Avery e il suo compagno quasi ad occhi chiusi e ho Schiantato gli altri due».
«Li hai catturati tutti?», domandò.
«Purtroppo no; poco prima che Tom decidesse di fuggire, Bellatrix e Dolohov si sono ripresi.
 Bellatrix ha fatto in tempo a risvegliare il marito e si sono Smaterializzati insieme; chissà, magari ci tiene a lui, in fondo. A suo modo, ovviamente».
Minerva non colse l’ironia. «Tu come stai?».
«Meglio di quanto tu possa pensare».
«A me non sembra».
Albus alzò gli occhi al cielo, ma non riuscì a nascondere un sorriso. «Qualche graffio, niente di più», rispose, avvicinandosi a lei. «Sei tu quella che conta, adesso», mormorò, sfiorandole la guancia.
«Ahi».
«Perdonami», si scusò allarmato, allontanando la mano.
«No, non ti preoccupare. E’ solo un livido», replicò, posando la mano sulla sua.
Lui la strinse con cautela, sorridendole appena.
«Ti duole molto il braccio?».
«Il peggio è passato», mentì lei. Faceva ancora male, eccome, ma con Albus così vicino tutto passava in secondo piano, persino un braccio rotto.
Silente avvicinò il viso al suo, tanto che riusciva a percepirne il respiro caldo e umido, il battito del cuore.
La guardò intensamente, gli occhi azzurri parevano scrutarla nel profondo, come se riuscissero a penetrarle nell’anima; per un attimo Minerva pensò che fosse sul punto di baciarla, come aveva desiderato facesse prima, come desiderava ardentemente ancora adesso.
Albus reclinò un poco il capo, posando un leggero bacio sulla sua spalla sinistra.
«Non è molto, ma è il massimo che posso fare, per ora. Non oso azzardare incantesimi di cura perché non sono esperto come Madama Chips in questo campo».
Minerva avvampò. «Grazie», si limitò a dire.
Lui le accarezzò i capelli e le baciò la fronte sudata e sporca.
In quel momento la Passaporta s’illuminò di un soffuso bagliore blu.
«E’ meglio che tu vada», mormorò.
La donna lo guardò stranita. «Tu non vieni?».
«Purtroppo no, devo ancora sistemare alcune faccende. Ti verrò a trovare sicuramente», confermò con una strana espressione sul viso.
«Ti aspetto, allora», rispose, cercando di nascondere la sua delusione.
Guardò la scarpa di Albus illuminarsi a intermittenza, quasi invitandola ad afferrarla. Minerva si girò ancora verso di lui.
«Beh, credo proprio di dover andare», concluse dopo alcuni lunghi secondi di silenzio, in cui si limitarono a fissarsi a vicenda.
Silente annuì, senza parlare.
La mano di Minerva si avvicinò alla Passaporta, ma esitò, di nuovo.
«Minerva». La voce di Albus era fievole, quasi un debole mormorio, come se fosse scosso da centinaia di emozioni contrastanti.
Spostò lo sguardo dalla Passaporta a lui, la sua mano ancora a mezz’aria, sospesa in direzione della scarpa.
«Sì?».
Fu un attimo: Albus si chinò verso di lei, prendendole il viso tra le mani e baciandola teneramente. Le labbra dell’uomo sfiorarono appena le sue, ma questo bastò a far affluire il sangue alle guance di Minerva.
Silente si separò da lei un secondo dopo; entrambi avevano il respiro corto per l’emozione.
Un grande sorriso le comparve sul volto stravolto, ma per Albus non era così: la sua espressione era illeggibile, il suo viso una maschera. L’uomo applicò una leggera pressione al suo braccio, ancora sospeso a mezz’aria, in modo che la sua mano toccasse la Passaporta.
«No!», esclamò Minerva, rendendosi conto di cosa le avesse fatto fare.
In un attimo scomparve alla sua vista e con lui le molteplici emozioni che le avevano gonfiato il cuore fino a quel momento; rimasero solo un debole profumo di limone e un vivido ricordo delle labbra di Albus sulle sue.








Salve! Sono tornata, dopo la pausa estiva, o meglio, sabato partirò ancora per una settimana, ma poi sarò - più o meno, scuola permettendo, per cui le mie speranze sono quasi nulle - tutta per voi.
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, finalmente il bacio tanto agognato dall'autrice dai lettori  è arrivato! Non sedetevi sugli allori però, siamo appena al quinto capitolo, gente!
Ringrazio infinitamente la mia beta Charlotte, oltre alle persone che hanno commentato la storia, le 7 che la preferiscono e le 17 che la seguono; GRAZIE, GRAZIE, GRAZIE!
Al prossimo capitolo :)
Jo

*= Voldemort fa riferimento a Ton Riddle Senior che lui stesso ha ucciso qualche anno prima.



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Capitolo 7
*** Capitolo Sesto ***









Sometimes I wake up by the door, 
that heart you caught must be waiting for ya. 
Even now when we're already over 
I can't help myself from looking for ya 
[Adele - Set Fire to the Rain]




Capitolo 6 

 

8 luglio 1980.
 
 
La stanza in cui si trovava era vagamente familiare; a Minerva bastò una seconda occhiata per rendersi conto che si trattava del suo ufficio a Hogwarts, qualche anno prima che iniziasse a insegnare.
 
Alla scrivania era seduto un uomo dalla barba rossiccia e dagli occhi incredibilmente blu, velati da un paio di occhiali a mezzaluna posati sul naso adunco.
«Professor Silente?», chiamò una voce dal fondo dell’aula. Apparteneva a una ragazzina alta e magra, i lunghi capelli neri erano intrappolati in una grossa treccia che le ricadeva lungo la spalla. A occhio e croce doveva essere del sesto anno.
Albus alzò gli occhi da ciò che stava scrivendo. «Oh, signorina McGranitt. Non l’ho sentita entrare».
La giovane Minerva parve sorpresa di sentirglielo dire. «Mi dispiace disturbarla, professore, suppongo sia molto impegnato».
Lui la guardò da sopra gli occhiali, come soleva fare nei momenti più seri. «Lo sono, signorina McGranitt. Confido che sia venuta nel mio ufficio per una questione della massima importanza».
Minerva deglutì. «Ecco, mi chiedevo se… ultimamente ho fatto alcune ricerche più approfondite sugli Animagi, professore, e mi stavo domandando se lei potesse aiutarmi».
«Aiutarla in cosa?».
«A diventare un’Animagus».
Albus rimase in silenzio per un momento, pensoso. «E’ una Trasfigurazione molto complicata e rischiosa, Minerva», replicò, guardandola negli occhi.
La ragazza rabbrividì, sia per lo sguardo penetrante che per l’uso del suo nome di battesimo.
«Lo so, ma posso farcela. Sono la migliore della sua classe, professore. Se lei mi aiutasse, di sicuro non avrei problemi».
Silente rispose debolmente al suo sorriso. «Ci penserò. Ora va’ a divertirti con i tuoi amici, è una bella giornata estiva».
Lei annuì. «Grazie, professore».
 
Minerva sorrise nel sonno e lo scenario cambiò di colpo.
 
«Concentrati».
La stessa ragazza dell’anno precedente, che era venuta da lui in un caldo pomeriggio di inizio giugno per domandargli di aiutarla a diventare Animagus, gli stava di fronte; aveva gli occhi chiusi e la fronte corrugata nel tentativo di trovare la concentrazione necessaria.
«Inspira profondamente; ottieni assoluto silenzio intorno e dentro di te. Cerca il centro pulsante della tua magia e da lì scatena la trasformazione». Detto questo, Albus rimase in silenzio.
Minerva liberò la propria mente da ogni pensiero e, ad occhi chiusi, cercò il centro pulsante della propria magia, come Silente le aveva spiegato.
Diversi minuti dopo  riaprì gli occhi. «Niente», comunicò sconsolata.
Albus sorrise. «Nessuno ci è mai riuscito al primo tentativo, Minerva. Sai qual è il vero segreto per diventare Animagus?».
La ragazza s’illuminò. «Quale?».
«La perseveranza».
«Oh», rispose, delusa. «Tutto qui?».
Il sorriso del suo professore si fece ancora più largo. «Sì, tutto qui».
 
«Buongiorno, Pomona, da quanto tempo sei qui?».
Pomona Sprite si girò in direzione di chi l’aveva salutata, nonostante ne avesse già riconosciuto la voce. «Filius», lo salutò con un gran sorriso.
Vitious la raggiunse al capezzale della loro collega e amica, Minerva McGranitt.
«Sono venuta ieri sera e da allora non l’ho più lasciata», disse lei, in risposta alla sua domanda precedente.
«Non hai dormito nemmeno un po’?».
«Qualche ora su quella poltrona».
«Va’ pure a casa, sto io con lei».
«Non ti preoccupare, non sono stanca», mentì Pomona.
Filius ignorò la sua ultima affermazione. «Com’è potuto succedere?».
«Era in missione per l’Ordine; lei, Sirius Black e Mary MacDonald dovevano recuperare provviste per il Quartier Generale, a quanto mi ha detto Arthur. Purtroppo i Mangiamorte sapevano dei loro spostamenti e hanno teso loro un’imboscata».
«In piena Diagon Alley!».
«No, in piena Londra».
Il mago strabuzzò gli occhi. «Cosa?!».
«Sì, Albus ha preferito mandarli in incognito in un negozio Babbano a fare compere ma, a quanto pare, non ha funzionato».
«Hanno combattuto lì?».
«Minerva tentato di scappare, di Smaterializzarli al Quartier Generale, ma sono riusciti a seguirli».
«Per la barba di Merlino!».
«Così Minerva è stata costretta a cambiare direzione all’ultimo momento e a Materializzarsi con tutti gli altri a Caithness – sai, dove ha trascorso la sua infanzia».
Vitious annuì.
«Lì è incominciata la battaglia. Ovviamente i nostri erano in difficoltà – tre contro cinque! – così Minerva ha dovuto rifugiarsi nel vecchio fienile adiacente la canonica e inviare un Patronus ad Albus per avvertirlo del pericolo».
«E poi?», incitò Filius, agitatissimo.
«Poi è quasi caduta dalla scogliera, spinta da Bellatrix Black – pardon, Bellatrix Lestrange – e Dolohov». Sentì il collega trattenere il respiro.
 
«Ti sei esercitata?», domandò il professor Silente.
Erano passati ormai diversi mesi dalla prima lezione privata tenuta da Albus per aiutare Minerva a diventare Animagus.
La ragazza annuì. «Ho avuto qualche difficoltà a svuotare la mente; sto studiando talmente tanto per i M.A.G.O. che ho la testa piena di nozioni di Storia della Magia, Trasfigurazione, Pozioni…».
«Se hai difficoltà a continuare con le lezioni possiamo interromperle per un po’ e ricominciare quando avrai finito la scuola. Del resto, mancano pochi mesi».
Minerva scosse la testa con convinzione, «Oh no, non ho assolutamente intenzione di interrompere le lezioni, professore», replicò con un sorriso. «Ho solo detto che in questo periodo sono un po’ sovraccarica di lavoro, ma non è niente che non riesca a sbrigare».
«Benissimo, allora. Sei riuscita a trovare il fulcro della tua magia? Hai visto quella brillante luce argentea?».
Minerva rispose affermativamente.
«Ottimo. Ora ripeti lo stesso procedimento e concentrati sulla Trasfigurazione, poi pronuncia l’incantesimo».
Minerva chiuse gli occhi e liberò la mente. Dentro di sé trovò una luce argentea e brillante, quasi accecante. Si concentrò sulla percezione del proprio corpo che cambiava e pronunciò l’incantesimo, come il professor Silente le aveva insegnato.
Si sentì immediatamente più piccola, minuta. Notò il pelo crescerle sulle mani ma, in un attimo, era tornata alla sua forma umana.
«Professore, professore, ha visto?», esclamò eccitata.
Albus sorrise. «Ho visto, Minerva, ho visto».
«Mi sono vista crescere il pelo sulle mani; sarò un gatto, un cane? Spero proprio di essere un gatto», commentò con sguardo sognante.
«Credo che tu abbia faticato anche fin troppo, oggi», le fece notare Albus. «Ti sei impegnata molto, complimenti. Manca poco e sarai un’ottima Animagus».
Minerva esibì un sorriso a trentadue denti e lo salutò, ma prima di uscire si fermò, esitante, sulla soglia. Tornò indietro, rapida, e lo baciò sonoramente su una guancia.
«Grazie mille, professore», sussurrò, prima di uscire dall’ufficio e lasciare un Albus imbambolato nel bel mezzo della stanza, con le guance rosse come la sua barba.
 
«Quando Albus e gli altri sono arrivati, Mary e Sirius stavano combattendo contro Lestrange, Avery e Rosier. Arthur mi ha raccontato che, appena arrivati, Albus ha notato che Minerva non c’era ed è partito come una scheggia verso il fienile incendiato».
«Incendiato?», domandò l’altro, confuso.
«Sì, Bellatrix gli ha dato fuoco con l’intento di far uscire Minerva. “Avresti dovuto vedere l’espressione di Albus”, mi ha detto Arthur, “era livido”».
«Lo posso immaginare».
«E’ tornato poco più tardi insieme a Minerva. Era conciata davvero male: graffi, lividi e un braccio rotto».
Filius gettò un’occhiata all’amica che giaceva nel letto.
«I Mangiamorte rimasti erano seriamente in difficoltà, così hanno pensato di chiamare il loro Signore e Padrone».
«No!», commentò il mago, sconvolto.
«Lui è puntualmente arrivato - con rinforzi, addirittura! -  ma, nonostante tutto, la nostra Minerva ha combattuto come una vera leonessa. Arthur mi ha raccontato che, quando Lestrange ha colpito Mary, Minerva l’ha Schiantato con una forza tale da far paura».
Vitious annuì, impressionato.
«Voldemort si è accorto di essere in seria difficoltà, perché gran parte dei suoi seguaci erano incompetenti, di conseguenza ha deciso di attaccare Albus. Minerva se n’è accorta subito e si è letteralmente lanciata contro la maledizione. Ha fatto un bel volo», concluse, accarezzando la mano destra dell’amica.
«Lo credo bene», replicò lui, osservando la cartella clinica ai piedi del letto.
 
Minerva McGranitt
4 ottobre 1925
Frattura dell’arto superiore sinistro - Colpita da Maledizione
Prognosi: 5 giorni
 
«E’ stata trasportata qui l’altro ieri tramite Passaporta – scommetto che l’ha creata Albus. L’hanno visitata e curata; per qualche ora non è stato possibile entrare. Io sono stata la prima a visitarla, sono entrata alle sei di ieri mattina. Ovviamente ho fatto qualche pausa – quando per poco non mi buttavano fuori a suon di fatture perché non era più orario di visite – e poi ho deciso di passare la notte qui».
Minerva sorrise nel sonno.
«Guardala, chissà cosa sta sognando», commentò teneramente Pomona.
Filius accennò un sorriso, fissando la Sprite  perso nei propri pensieri.
«Già», sospirò.
Pomona si girò a guardarlo, interrogativa, e lui si riprese immediatamente, sorridendo in direzione di Minerva.
Ci fu qualche momento di silenzio, infranto solo dal respiro lento e regolare della donna addormentata, unito a quelli dei due visitatori, poi Filius parlò: «Albus è venuto a trovarla?».
«Non lo so. Ieri di sicuro non è venuto».
«E’ venuto qualcun altro da quando è ricoverata?».
«Sono venuti Arthur e Molly verso le dieci del mattino, portandosi dietro il piccolo Ronald – dovresti vedere com’è già cresciuto. Poi Sirius ha fatto una capatina dopo mezzogiorno – quel povero ragazzo non lascia mai il capezzale di Mary, lei si che è conciata male! James e Lily sono stati informati dell’accaduto e hanno mandato un mazzo di fiori sia a lei che alla MacDonald. Infine, verso le cinque, sono venuti Malocchio e Paciock ma si sono trattenuti per poco».
«Niente Albus, quindi».
«No».
«Nemmeno un gufo da parte sua?».
«Negativo».
«Sarà sicuramente impegnato; del resto noi pensiamo ai feriti, lui deve pensare a tutto il resto».
«Non so proprio come faccia».
 
*

Nello stesso momento, molti chilometri più in là, Albus Silente camminava avanti e indietro per il proprio ufficio, pensieroso.
Aveva provato a dormire più di una volta, nei due giorni successivi alla battaglia in cui aveva quasi perso Minerva, ma non ci era riuscito.
Si sentiva stanco, stremato, ma appena toccava le lenzuola, terribili pensieri lo attaccavano.
Si era buttato a capofitto nel lavoro e continuava a lavorare senza sosta, nonostante la stanchezza si facesse sentire.
Numerosi ricordi affollavano la sua mente stanca, ormai troppo provata dalle emozioni di due giorni prima e dalla mancanza di risposo.
Si sedette sulla poltrona, incapace di camminare ancora. Un sospiro sfuggì alle sue labbra: «Oh, Minerva».
 
«Avanti».
Una testa sbucò dall'uscio: un viso giovanile ma allo stesso tempo adulto, dai tratti delicati e allo stesso tempo marcati.
«Signorina McGranitt, a cosa devo la visita?», salutò.
«Non la disturberò più del necessario, professore. Sono stata informata dal Preside Dippet che intende lasciare la scuola in questi giorni».
«E' così, infatti».
«E' per la guerra, vero? E' per Grindelwald».
Albus nascose abilmente la sua espressione: era anche fin troppo brillante e matura per la sua età.
«Professore, la prego, non parta».
Sentire quella voce implorarlo di rimanere era per lui una sofferenza più grande dell’andare alla ricerca di Gellert.
«Devo, signorina McGranitt. Devo, per il bene di tutti».
«Ma là fuori è pericoloso! Lui è pericoloso».
Albus la scrutò da sopra gli occhiali a mezzaluna. «E’ pericoloso, ma io sono l’unico in grado di tenergli testa».
«Ma…».
Si avvicinò a lei, prendendola per le spalle. «Devi capire, Minerva, che molte volte siamo costretti a fare qualcosa che non vogliamo non solo per senso del dovere ma anche per amore degli altri».
«E’ profondamente ingiusto», mormorò la ragazza con la voce incrinata.
«Il mondo è profondamente ingiusto, Minerva. La vita è profondamente ingiusta», replicò lui, sollevandole il mento con l’indice.
La sua ex alunna lo abbracciò forte, poggiando la testa sul suo petto. «Prometta che tornerà a casa sano e salvo, professore. Lo prometta».
«Farò del mio meglio».
Poco prima di uscire dal suo ufficio, quella sera, la ragazza si girò verso di lui. «Non si dimentichi di me, professore».
«Non lo farò, Minerva, non lo farò».




Oh dear, è tantissimo che non aggiorno!
Chiedo perdono a tutti, davvero, mea culpa. Tra l'inizio del terzo anno di classico e gli altri impegni non scrivo dalla fine di quest'estate; che tristezza (e che pigrizia!).
Spero che, nonostante i coltelli che avrete sicuramente affilato più che bene in questo periodo, il capitolo vi sia piaciuto - ho aggiunto un pizzico di Filius/Pomona, perchè mi fanno tenerezza!
Ringrazio Charlotte McGonagall, la mia formidabile beta, le 14 persone che seguono la storia, le 2 che la ricordano e le 6 che la preferiscono, oltre agli scrittori delle 32 recensioni totali: GRAZIE infinite!
Vi prometto che non dovrete aspettare così tanto per il prossimo capitolo
Love always
Jo




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Capitolo 8
*** Capitolo Settimo ***







Ouch, I have lost myself again 
Lost myself and I am nowhere to be found, 
Yeah I think that I might break 
I've lost myself again and I feel unsafe

[Sia - Breathe Me]


Capitolo 7

 

9 luglio 1980.

 
Minerva aprì gli occhi lentamente, le sue palpebre si strinsero nel tentativo di schermare la luce.
Si guardò intorno vagamente stordita e confusa: si trovava in un letto d’ospedale, di sicuro il San Mungo.
Cercò di mettersi a sedere, ma un dolore al petto la convinse a rimanere sdraiata.
Guardò il proprio corpo: era vestita con una camicia da notte bianca e leggera, lasciata leggermente aperta sul petto. Il suo torace era stato interamente fasciato e il braccio sinistro aveva assunto uno strano colorito bluastro, diversi lividi e graffi erano sparsi lungo braccia e gambe.
La sua stanza era arredata semplicemente: due poltroncine bianche poco distanti dal suo letto, un comodino con sopra un vaso di fiori colorati e i suoi occhiali.
Allungò il braccio e inforcò gli occhiali squadrati: tutto le sembrò immediatamente più nitido. Su una delle due poltrone  vicino al letto sonnecchiava un mago di piccola statura, molto familiare.
Come se avesse percepito che si era svegliata e lo stava fissando, Filius aprì gli occhi. Voltò il viso sonnolento in sua direzione e sorrise.
«Buongiorno, Minerva. Come stai?».
«Ad occhio e croce direi che potrei stare meglio», commentò, dando un’occhiata eloquente al proprio corpo.
Vitious ridacchiò, «Ti hanno conciata abbastanza male».
«Niente che non possa guarire».
«Forse è il caso che chiami un Guaritore, di sicuro dovranno fare qualche controllo».
Filius ritornò poco dopo, accompagnato da un ragazzo alto e allampanato, che Minerva riconobbe come un suo ex allievo di qualche anno prima. «Signor Smith, che piacere rivederla», salutò.
«E’ un piacere anche per me, professoressa».
«Allora, quali sono i danni?».
«Frattura dell’arto superiore sinistro ed effetti collaterali causati da Maledizione», rispose Smith, come se fosse stato interrogato.
«La cura?».
«Abbiamo applicato un incantesimo al suo torace, per limitare al minimo i danni. Dopodiché abbiamo sistemato il braccio sinistro fratturato ».
Minerva si girò verso Filius. «Quanto ho dormito?».
«Due giorni e mezzo, da quando l’abbiamo sedata», rispose ancora una volta il Guaritore.
«Ora che devo fare?».
«Adesso applicherò questa pomata sui graffi e quest’altra sulle contusioni», spiegò, mostrandole due tubicini colorati. «Qualche ora e saranno completamente spariti».
Per una buona mezz’ora si lasciò curare docilmente, Filius venne fatto uscire mentre il Guaritore Smith le applicava le pomate su braccia, gambe, collo e viso.
«Quanto ancora dovrò restare qui?», domandò.
«La prognosi è di cinque giorni, verrà dimessa dopo domani sera».
«Potrò tornare tranquillamente alle mie occupazioni?».
«Certamente».
«Posso chiederle una cosa?».
«Dica».
«Non c’è bisogno di nient’altro per il mio torace?».
«Bisogna cambiare la fasciatura e mettere una pomata anche lì; se ne occuperà la mia collega», replicò il giovane, arrossendo un poco.
Minerva aprì la bocca per parlare, ma la richiuse subito dopo, rendendosi conto che lo spalmare la pomata sul suo torace sarebbe stato imbarazzante non solo per il suo ex allievo, ma anche per lei.
Quando la collega di Smith, la Guaritrice Connelly, le tolse la fasciatura, Minerva notò tre piccole macchie scure sul petto.
«Se ne andranno queste, vero?», chiese, mentre la donna continuava a spalmarle diverse pomate sul torace e sull’addome.
«Sì. A quanto ci ha raccontato il signor Arthur Weasley, lei ha generato un Sortilegio Scudo che le ha permesso di ripararsi dagli effetti peggiori della Maledizione; perciò basteranno due settimane di pomata e tutto sarà passato».
La paziente si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo.
«E’ molto fortunata ad avere incontrato Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato ed essere sopravvissuta per raccontarlo», le disse la Guaritrice poco prima d’uscire.
«Lo so», fu la secca risposta di Minerva.
 
*
 
Albus fu svegliato dall’insistente rumore di un gufo che bussava alla finestra. Si alzò a fatica, per scoprire d’essersi addormentato, la sera precedente, con i vestiti ancora indosso.
Prese la busta a lui indirizzata e, dopo averlo lasciato tornare da dove era venuto, chiuse la finestra.
La lettera proveniva dal Ministero, tanto per cambiare. L’abbandonò sulla scrivania con fare seccato e stanco; non se la sentiva di lavorare, aveva altro per la testa e avrebbe combinato solo pasticci.
Chissà come stava Minerva, chissà se si era risvegliata? Chissà se l’avevano curata, chissà se quei brutti graffi e contusioni erano spariti? Chissà se… scosse la testa con forza: non doveva pensarci. Non doveva, ma non riusciva a non farlo.
Non riusciva a ignorare il sentimento che aveva provato appena arrivato a Caithness: una furia gelida e incontrollata al pensiero di ciò che potevano averle fatto.
Non riusciva a ignorare i pensieri che affollavano la sua mente subito dopo averla salvata; Minerva era letteralmente sconvolta, ma l’insieme delle ciocche di capelli scuri sfuggite alla crocchia, i graffi sul viso, l’abito strappato, quei grandi occhi verdi e spaventati toglieva il fiato.
Avrebbe voluto stringerla tra le sue braccia, rassicurarla, farle coraggio e… baciarla.
Baciarla teneramente, tenendola stretta a sé, respirare a fondo il suo profumo, proteggerla da ogni male.
No, non poteva. Non poteva perché Minerva non lo amava, perché lui non la meritava.
Eppure aveva rovinato tutto; proprio quando la Passaporta stava per partire, proprio quando sembrava che fosse tutto finito, l’aveva baciata.
Non aveva resistito a quello sguardo stanco, tenero, confuso: così infantile.  
Minerva appariva sempre come una donna forte, persino insensibile, ma Albus la conosceva bene, sapeva che in realtà era intelligente, sagace, semplice e divertente. Certo, aveva i suoi difetti, sapeva essere incredibilmente testarda e acida, ma l’amava anche per questo.
Non aveva resistito al forte sentimento che provava verso di lei e aveva sfiorato le sue labbra in un bacio leggero; un bacio che, sapeva, sarebbe stato il primo e l’ultimo, l’unico dolce ricordo in giorni tristi come quello, la sua unica ancora di salvezza.
 
*
 
«E’ venuto a trovarmi qualcuno in questi giorni?», domandò Minerva a Filius una volta che lo ebbero fatto rientrare, un’ora dopo.
«Pomona mi ha raccontato che sono venuti a trovarti Arthur e Molly, Sirius, Alastor e il signor Paciock. Lei è rimasta qui da quando ti hanno ricoverato fino a ieri sera, poi ho insistito perché tornasse a casa; non lo dava a vedere ma era stravolta».
«E’ stato molto carino da parte sua».
«Infatti».
Dopo alcuni secondi di silenzio, Minerva parlò ancora: «Non è venuto nessun altro?», insistette.
«Chi ti aspettavi, il Ministro della Magia?».
«Ovviamente no», sbottò Minerva.
«Se stai cercando di chiedermi se Albus è venuto a trovarti in questi giorni la risposta è no», la informò Vitious, cogliendo al volo ciò che l’amica intendeva dire.
Minerva non rispose.
«So cosa stai pensando; non ti preoccupare, arriverà».
La realtà la colpì al petto con forza. «No, lui non verrà», proferì, tentando di celare la tristezza dietro le sue parole.
«E’ molto probabile».
«Già», rispose lei e, questa volta, la tristezza nelle sue parole era inconfondibile.
 
*
 
«Non guardarmi così, Fawkes».
La fenice continuò a fissarlo come se volesse rimproverarlo e, probabilmente, era proprio quello che intendeva fare.
«Non c’è bisogno che tu mi dica cosa devo o non devo fare».
L’uccello cantò una nota di disapprovazione.
«Mi sono approfittato di lei; se mai dovessi andare a trovarla al San Mungo sono certo che mi caccerebbe a suon di fatture. Sono stato così idiota, Fawkes! Lei era lì: così vulnerabile, bisognosa di protezione, così… bella. Ho rovinato tutto, amico mio».
Fawkes sfiorò la sua mano con la testa, guardandolo sconsolato.
«Mi stupirei se volesse ancora vedermi, parlarmi; ho approfittato della sua momentanea debolezza, della sua incapacità di intendere e volere, di difendersi. In circostanze normali mi sarebbe arrivato uno schiaffo, probabilmente».
Fawkes inclinò la testa, confuso.
«Non posso nemmeno inviarle un biglietto: mi prenderebbe per ipocrita - e non avrebbe tutti i torti! In cosa mi sono andato a cacciare? Ho rovinato il bel rapporto d’amicizia che avevamo e adesso Minerva è perduta, perduta per sempre».
 
*

Minerva si svegliò; a giudicare dalla poca luce che proveniva dalle finestre doveva essere mattina presto. L’avevano sedata ancora una volta e aveva dormito per diverse ore come un sasso.
Cercò di mettersi a sedere e, con molta fatica, riuscì nel proprio intento.
Lividi e tagli su braccia e gambe erano spariti, per fortuna. Anche i suoi muscoli erano più rilassati e il dolore al petto stava svanendo lentamente. L’osso del braccio sinistro si era ristabilito completamente.
Filius se n’era andato verso le sei del pomeriggio, quando l’avevano sedata per dormire e, ora, era completamente sola in camera. Sola come non mai.
Albus non era ancora venuto a visitarla e probabilmente non sarebbe arrivato; certo, di sicuro era molto occupato, ma… glielo aveva promesso. Le aveva fatto una promessa, eppure, come al solito, non l’aveva mantenuta.
Avrebbe voluto che lui fosse lì con lei, accanto al suo letto, non a tenerle la mano e ad accarezzarle i capelli o a sussurrarle parole dolci, no, quelli erano stupidi romanticismi, il suo rapporto con Albus valeva di più.
Lo avrebbe voluto accanto al suo letto per poter osservare il suo viso, i suoi occhi, parlare con lui tranquillamente, come un tempo.
Sperava che quel bacio non avrebbe cambiato tutto tra loro: non voleva perderlo e non l'avrebbe voluto perdere per tutti i Galeoni del mondo.
Perché mai avrebbe dovuto perderlo? Del resto, era stato lui a baciarla per primo: questo voleva dire che doveva provare qualcosa per lei... avrebbe voluto aggrapparsi a lui, stringerlo forte a sé e sussurrargli che era contenta che l'avesse baciata, ma Albus le aveva fatto toccare la Passaporta e quel vivido sogno era svanito.
Era così piena di gratitudine per quel breve momento passato con lui - quando l'aveva salvata sulla scogliera sembrava più spaventato di lei: aveva forse paura di perderla?
Allora, se ci teneva sul serio, perché non veniva a visitarla? Perché?
Il cielo fuori dalla finestra era azzurro e limpido, disturbato solo da nuvole insolenti; alcune erano bianche e soffici, altre, sottili e quasi trasparenti, venivano facilmente attraversate dai primi raggi di un timido e pallido sole, che conferivano loro un'aura argentea, molto simile a quella di un Patronus.
Un'idea sfiorò la sua mente in quel secondo: un Patronus, ecco cosa le serviva!
Magari Albus non sapeva ancora che si era risvegliata e forse voleva venirla a trovare una volta tornata cosciente: avevano talmente tanto da dirsi.
Sì, gli avrebbe inviato un Patronus. Inforcò gli occhiali e cercò la bacchetta sul comodino; non aveva bisogno di immaginarlo al suo fianco, come era accaduto a Caithness, il ricordo più bello che aveva in quel momento era quello delle labbra di Albus sulle sue.
Evocando il ricordo ancora una volta, con tanta facilità e nitidezza che le sembrava fosse successo solo poche ore prima, pronunciò l'incantesimo: «Expecto Patronum».
Una sottile nube argentea uscì dalla sua bacchetta e, in un attimo, il suo Patronus si formò.
Minerva soffocò un urlo, gli occhi sgranati dallo stupore.
Il suo Patronus non aveva assunto le sembianze del solito gatto soriano dagli occhi cerchiati di scuro, bensì quelle di un'elegante e maestosa fenice.




Sera!
Ecco a voi il settimo capitolo, come regalo di Natale ;)
Spero vi sia piaciuto, le recensioni sarebbero assai gradite v.v
Buoooooon Natale a tutti!
Jo





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Capitolo 9
*** Capitolo Ottavo ***




Next time I'll be braver 
I'll be my own savior 
When the thunder calls for me 
Next time I'll be braver 
I'll be my own savior 
Standing on my own two feet

[Adele - Turning Tables]


Capitolo 8

 

10 luglio 1980.

 

Minerva varcò con passo incerto la soglia di Hogwarts, la sua casa da quasi trent'anni, sorretta da un bastone e aiutata da Filius e Pomona che trasportavano le sue valigie con l'uso della Levitazione. 
«Mi raccomando, ricordati di applicare l'unguento su torace e addome ogni giorno», l'ammonì Pomona con fare quasi severo.
«Sì, certo», annuì l'altra, alzando gli occhi al cielo e aprendo la porta della propria stanza perché Filius potesse poggiare le valigie a terra.
«Noi andiamo; se hai bisogno di qualcosa non hai che da chiamare. Riposati più che puoi», concluse Vitious.
«Lo farò», mentì Minerva.
Pomona la baciò sulla guancia, «Rimettiti presto».

 

*

 

L'ufficio del Preside era molto silenzioso quel mattino; Albus si era svegliato da poco - o meglio, si era alzato dal letto dopo l'ennesima notte passata insonne.
La lettera del Ministero era ancora sulla sua scrivania, chiusa. Con un sospiro prese il tagliacarte e l'aprì, immergendosi nella lettura di malavoglia.
Fawkes riposava sul trespolo con il muso sotto l'ala sinistra, si notava a malapena il suo petto alzarsi e abbassarsi ritmicamente.
Si concentrò completamente sulla lettera del Ministero, tentando di ignorare con tutte le sue forze i numerosi biglietti che si trovavano nel cestino; li aveva scritti la sera precedente, per poi accartocciarli adirato e gettarli lì dentro, dove giacevano gli uni sopra gli altri, i lembi di carta che coprivano a malapena le parole scarabocchiate: "Mia cara Minerva....".

 

*

 

L'orologio della famiglia Weasley indicò "casa" nel momento in cui Arthur Weasley comparve nel giardino della Tana con un sonoro pop.
«Buonasera, cara», salutò con fare sorridente la moglie, che sedeva al tavolo della cucina, allattando il piccolo Ronald.
«Oh, ciao, Arthur», salutò lei, baciandolo sulle labbra. «Com'è andato il lavoro?».
«Tutto bene. Sono passato al San Mungo dopo essere uscito dal Ministero; hanno dimesso Minerva».
«Cielo, meno male!».
«Mary dovrà restare ancora un po', circa due settimane: era conciata davvero male».
«Immagino che Sirius si sia "accampato" là».
«Immagini bene, Molly, non lascia il suo capezzale un attimo».
«Povero caro», mormorò la signora Weasley.
«I bambini?».
«Ho appena messo a letto Bill e Charlie, Percy ci è andato di sua spontanea volontà più di un'ora fa. I gemelli invece si sono addormentati sul tappeto», disse indicando con la testa il grande tappeto di fronte al caminetto. «Non volevano saperne di andare a letto, volevano continuare a giocare a Gobbiglie - tirare le biglie a destra e a manca, più che altro; li avrei portati a letto dopo aver allattato Ron, si è svegliato perché aveva fame, povero piccolo».
«Metto io a letto i gemelli», replicò Arthur, avvicinandosi al tappeto e prendendo in braccio Georgie, che dormiva con la bocca aperta e la faccia imbrattata di liquido scuro e puzzolente.
«Direi che stava perdendo», commentò il padre prima di pulirgli il viso e portarlo di sopra.
Freddie dormiva beatamente accanto al fuoco, una mano accanto alle biglie e l'altra vicino alla bocca per succhiarsi il pollice.
Dopo aver rimboccato le coperte ai bambini, Arthur scese in cucina e si sedette di fronte alla moglie, guardandola allattare.
«Come sta Minerva?».
«Si è ripresa bene; il braccio è guarito, adesso mancano solo le macchie sul petto e tornerà come nuova».
Molly sorrise, «E' una donna forte».
«Oh, sì», commentò Arthur, «una vera leonessa. Avresti dovuto vedere come ha combattuto a Caithness, nonostante fosse stremata: incuteva paura. Non dimentichiamoci di Albus; la sua espressione quando si è reso conto che Minerva non era nella radura... davvero spaventosa. Certo, si è infuriato al solo sapere cosa fosse successo quando è arrivato il Patronus di Minerva, ma la sua espressione quando ha visto che lei non c'era stento a descriverla».
Molly iniziò a fissarlo incuriosita, «In che senso?».
«Te l'ho detto: era molto adirato. E' comprensibile, del resto, quei due sono molto amici».
«Tu dici?», il suo tono pareva dubbioso.
Toccò ad Arthur guardare la moglie incuriosito.
«Oh, andiamo, non dirmi che non hai mai pensato che ci fosse qualcosa di più tra di loro!».
«Devo ammettere che a volte l'ho pensato, ma non me ne sono mai preoccupato sul serio: alla fine non è affar mio».
La signora Weasley alzò gli occhi al cielo, «Voi uomini non notate proprio un bel niente. Non hai visto come si guardano certe volte? Si conoscono da anni e c'è sempre stato un certo feeling tra loro».
«Molly, per favore...».
Molly distolse lo sguardo dal volto del marito e sistemò meglio Ronald tra le proprie braccia.
Arthur si schiarì la gola e provò a cambiare discorso. «Sapevi che Minerva ha frequentato Hogwarts nello stesso periodo di Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato?».
La signora Weasley abboccò all'amo e sgranò gli occhi, «Davvero?! Non l'avrei mai detto. Si conoscevano?».
«A quanto pare lui la conosceva perché quando era studentessa Minerva divenne Prefetto e poi Caposcuola, lei lo conosceva di sicuro di fama: era uno dei migliori studenti della scuola».
«Che storia!».
«Già, che storia».
Il suo diversivo non funzionò a lungo e Molly tornò all'attacco, «Raccontami bene cos'è successo dopo la fuga di Tu-Sai-Chi».
Arthur sospirò: non c'era via di scampo. «Albus si è avvicinato a Minerva e le ha controllato immediatamente il battito, poi ha chiesto a ognuno di noi se avevamo subito gravi danni e infine ha provveduto a una Passaporta per Mary e Sirius. Ha congedato me, Alastor e Frank e si è dedicato completamente a Minerva: è arrivata al San Mungo mezz'ora dopo».
«Ecco!», esclamò la moglie. «Mezz'ora per portarla al San Mungo? Con una Passaporta? E' un po' troppo non credi? Cosa  pensi che abbiano fatto?».
Arthur la guardò sbigottito, «Molly, insomma!».
«Non fare il moralista, sono solo curiosa! Non dirmi che non ti farebbe piacere se si scoprisse che stanno insieme...».
Il signor Weasley arrossì. «Suppongo che Albus si sia voluto accertare che Minerva stesse bene - nonostante il braccio rotto e le contusioni - prima che intraprendesse il viaggio con la Passaporta». Ignorò il sopracciglio alzato della moglie, «E' stato molto carino da parte sua».
«Credo fosse il minimo che Albus potesse fare per lei».
Lui la guardò stupito, «Il minimo?».
«Ha ancora molto da fare per lei: questo è solo l'inizio».
Arthur accennò un sorriso. «Certo, se lo dici tu».
«Oh, smettila di fare l'ingenuo con me, signor Weasley! Già ai tempi di Hogwarts ho provato a farti capire che mi piacevi in tutte le salse, ma tu, ragazzo cocciuto, non capivi! Continuavi a sorridermi quando mi vedevi e a essere estremamente gentile, ma la prima mossa l'ho dovuta fare io e... probabilmente tra Minerva e Albus succederà lo stesso!».
Arthur la guardò con uno strano luccichio negli occhi, «Ah, sei stata tu a fare la prima mossa, eh?».
Molly annuì fiera e il marito iniziò a farle il solletico. «Sei ancora sicura di essere stata la prima?».
«Certo che sì», sibilò lei trattenendo a stento le risate e cercando di rimanere più ferma possibile per evitare di svegliare il figlio. «Ronald si è addormentato, così lo sveglierai!», lo ammonì.
Arthur lo prese tra le braccia e diede un bacio sulla guancia a Molly, «Vado a metterlo a nanna e torno in un lampo, io e te dobbiamo fare due chiacchiere, LollyMolly», affermò con un'espressione talmente buffa che la moglie non poté fare a meno di scoppiare a ridere.

 

 

*

 

«Posso entrare?», domandò timidamente Filius.
«Oh, Filius, ma certo, entra», invitò Albus, alzandosi in piedi.
«Come stai?».
«Bene, grazie. Tu?».
«Non c'è male. Ti ho disturbato?».
«No, figurati. Stavo solo riflettendo un po'», replicò il Preside, accennando al Pensatoio socchiuso.
«Mente troppo affollata di pensieri?».
«Esattamente».
Dopo un attimo di silenzio, Vitious parlò ancora: «Minerva è tornata a casa».
«Davvero?».
«Non fingere di non sapere, Albus. Sei stato avvertito appena io, lei e Pomona abbiamo varcato i cancelli».
«Devo essermi distratto», replicò Silente con assoluta nonchalance.
Filius non colse la provocazione, «Vorrebbe vederti, sai?».
«Chi?».
«Minerva, chi altri? Chiede di te da quando si è svegliata all'ospedale, due giorni fa. Si è quasi ammazzata per salvarti; capisco che tu sia impegnato, ma avresti potuto almeno farle una visita».
«Hai ragione; l'ho trascurata. Purtroppo il lavoro è molto e non sono riuscito a districarmi dai vari impegni. Le sarò eternamente grato per ciò che ha fatto, anche se non sono andato a trovarla».
Filius spalancò la bocca per un secondo, sorpreso, «Mi meraviglio di te, Albus. Non ti riconosco».
L'altro sospirò, «Probabilmente è così; le cose sono cambiate».
«Non so cosa sia successo tra te e Minerva, Albus, ma ti assicuro che per lei non è cambiato assolutamente niente».
«Per me, invece, è cambiato tutto», concluse il Preside con un tono d'amarezza nella voce, tanto che a Filius non restò che uscire dal suo ufficio, scuotendo la testa con disapprovazione.

 

*
 
La sera era ormai calata; con un sospiro Minerva si svestì con cautela, evitando si sforzare il braccio sinistro, poi sciolse la crocchia e si massaggiò delicatamente le tempie e la cute.
Si sedette sul letto pensierosa, i capelli sciolti le ricadevano sulle spalle nude e ossute e le coprivano parzialmente il viso.
Era tornata a Hogwarts da qualche ora e Albus di sicuro aveva saputo del suo ritorno fin dall'inizio - perché non era venuto a salutarla?
Magari non si trovava nel castello, magari era a qualche incontro del Ministero, magari... magari non voleva vederla.
No, non poteva essere; l'aveva salvata, accarezzata, baciata - non poteva essere semplicemente gratitudine per avergli fatto da scudo contro la Maledizione.
Doveva esserci qualcosa di più e lei desiderava con tutta se stessa che ci fosse; non poteva essere altrimenti.
Dopo aver indossato la camicia da notte, si stese sul letto e si coprì con le lenzuola, aveva deciso: si sarebbe presentata nell'ufficio di Albus l'indomani, quando sarebbe stata più riposata e più lucida.





Buongiorno!
Sono infinitamente dispiaciuta di non aver aggiornato prima, davvero, scusatemi. La mia beta quest'anno ha gli esami di maturità, quindi è assolutamente poco disponibile, è un angelo per il solo fatto che sia riuscita a correggermi il capitolo!
Ringrazio chi ha letto fino qui, se mi state seguendo ancora grazie infinite.
Il capitolo è solo di transizione, ma spero vi sia piaciuto comunque. Ho dovuto inserire una scena MollyxArthur con la famiglia Weasley perchè li amo troppo.
Buona giornata a tutti voi e scusate ancora il ritardo :)


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Capitolo 10
*** Capitolo Nono ***









But I set fire to the rain,
Watched it pour as I touched your face,
Well it burnt while I cried,
Cause I heard it screaming out your name, your name.

[Adele – Set Fire to the Rain]


Capitolo 9

 

11 luglio 1980.



Il Lago Nero era un’enorme distesa d’acqua di fronte a lei, luccicava come uno specchio alla luce del sole che sorgeva e rifletteva i suoi raggi rossastri sul viso di Minerva, che camminava poco distante dalla riva.
Era scalza, la sua veste verde scuro si avvolgeva intorno alle caviglie, spinta da un leggero vento che portava ancora con sé ciò che rimaneva della fresca nottata appena trascorsa.
L’erba era inumidita dalla rugiada e i ciuffi verdi le solleticavano le piante dei piedi.
Minerva sospirò e prese in mano la propria treccia, iniziando a giocherellare con la punta, pensierosa.
Fu allora che lo vide.
L’acqua del Lago, prima avvolta in una calma piatta, iniziò a muoversi. La superficie scura cominciò ad incresparsi in un punto poco distante da lei e ben presto una figura alta e distinta emerse dall’acqua con gli abiti e la barba gocciolanti: era Albus.
Si passò una mano sul viso per scostare i capelli bagnati e la scorse. Si avvicinò a lei lentamente, come se camminare nell’acqua gli costasse un’enorme fatica.
La sua tunica blu notte emergeva dall’acqua mano a mano che si avvicinava a lei, facendolo sembrare un pilastro di cristallo scuro: fiero, imponente, dalle mille sfaccettature.
Rimase senza fiato, come se un pugno invisibile l’avesse colpita dritta allo stomaco, togliendole il respiro. Non si vedevano da pochi giorni, ma a lei era parso un’eternità.
«Minerva», la sua voce risuonò profonda, facendo vibrare l’aria tra loro.
Lei si limitò a fissarlo, cercando di imprimere ogni dettaglio sulla propria retina, temendo di vederlo dissolversi da un momento all’altro.
Silente allungò una mano umida e le sfiorò titubante una guancia. Minerva si trattenne dal tremare quando il suo tocco le provocò la pelle d’oca.
«Albus, cosa…?», riuscì a dire a stento.
Lui le sorrise, ma il sorriso non raggiunse i suoi occhi azzurri, che brillarono tristemente.
«Ti prego, dì qualcosa», lo incitò lei in un sussurro.
Albus continuò ad accarezzarle le guance coi pollici, il viso di Minerva tra le sue mani.
I suoi occhi la fissavano intensamente, come se volessero sciogliere il suo intero essere, come se volessero penetrarle l’anima. Minerva si lasciò sfuggire un respiro tremante, non riuscendo a distogliere gli occhi dai suoi, come se fossero due magneti.
Solo allora Albus avvicinò il viso al suo e la baciò. Lei si immobilizzò, le sue membra sembravano diventate di marmo, ma lui continuò a sfiorare le sue labbra, intrecciare le dita nei suoi capelli e reggere dolcemente il suo capo.
Minerva cercò di spingerlo via, di allontanarlo da sé.
Che gli stava succedendo? Pochi giorni prima l’aveva baciata, poi non era venuto a trovarla al San Mungo e nemmeno quando era rientrata a Hogwarts la sera prima e adesso aveva il coraggio di venire a baciarla?
Albus si separò finalmente da lei con un triste sorriso sulle labbra.
«Albus, cosa ti salta in mente?», replicò lei, seccata, sforzandosi di non arrossire al pensiero delle sue labbra sulle proprie.
Lui si limitò a guardarla, per poi mormorare: «Minerva».
La sua figura prese fuoco all’improvviso: le sue vesti blu furono avvolte da fiamme di un rosso intenso e ben presto il suo intero corpo era intrappolato in un’enorme palla di fuoco.
Le uscì un grido soffocato: «Albus!»
Il fuoco bruciava sempre più caldo, sempre più in alto. Minerva si allontanò da Albus, proteggendosi il viso dal calore con le mani.
Le lingue dorate e scarlatte iniziarono a danzare insieme, unendosi e incrociandosi tra loro, iniziando ad assumere una strana forma: alcune si alzarono verso l’alto, incurvandosi e brillando ancora più intensamente.
Minerva aguzzò la vista, mentre altre fiamme quasi lambirono i suoi piedi nudi e l’orlo della sua veste per poi alzarsi in aria e allargarsi sempre più a formare un paio di possenti ali.
Le lingue di fuoco più in alto avevano assunto la forma di una sorta di collo animale, becco e cresta.
“Un uccello”, pensò Minerva, confusa.
Il fuoco scintillò ancora più intenso e tutto ebbe un senso.
Minerva soffocò un urlo. «No, non può essere!».
Le fiamme si illuminarono di un tenue bagliore blu che crebbe in intensità finché del fuoco e del corpo di Albus non rimase che uno scintillante Patronus azzurro, che aveva assunto le sembianze di una grande e possente fenice.
L’animale aprì il becco e ne uscì un grido stridulo e acuto, dopodiché esplose in centinaia di frammenti di cristallo. Minerva si accucciò e si protesse il capo con le braccia ma le schegge, a contatto con la sua pelle, si trasformarono in gocce di pioggia, bollente al tatto.
Al posto di Albus e della fenice infuocata era comparso un piccolo gatto tigrato.
Il micio miagolò lamentoso e Minerva non poté fare a meno di avvicinarglisi per vedere se fosse ferito.
Aveva un segno scuro intorno agli occhi, come se portasse gli occhiali.
Sembrava ferito gravemente, una grande quantità di sangue usciva dal suo fianco destro.
L’animale si voltò a guardarla e la chiamò: «Minerva».
Minerva non riuscì a trattenere l’urlo che le uscì dalle labbra. Urlò a pieni polmoni, urlò fino a non avere più fiato.
«Minerva! Minerva!», sentì la voce di una donna chiamarla.
Finalmente si svegliò. Pomona la stava scuotendo con forza, preoccupata.
Dopo aver aperto gli occhi di scatto, Minerva cercò di mettersi a sedere, ma fallì e ricadde sul materasso.
«Ahi».
Si sentiva molto calda e la sua camicia da notte le si era incollata addosso: era madida di sudore.
«Minerva?», domandò incerta Pomona.
«E’ tutto a posto, è stato solo un brutto sogno. Sono sveglia ora».
Pomona sembrò visibilmente sollevata ma tornò a corrucciare la fronte. «Un brutto sogno, dici?».
«Sì, un incubo. Niente di importante», tagliò corto Minerva, mentendo. «Perché sei qui?».
«Buongiorno anche a te», replicò l’amica, ironicamente. «Sono venuta ad aiutarti a lavarti e vestirti».
«Ne sono perfettamente in grado».
«Allora ti terrò semplicemente compagnia».
Minerva si trattenne dall’alzare gli occhi al cielo e sorrise. A volte Pomona sapeva essere davvero testarda.
«E brava la mia piccola Tassorosso», borbottò l’altra.
Pomona le scoccò un’occhiata truce, subito sostituita da un’espressione preoccupata.
«Sicura di stare bene? Non vuoi parlarmi del sogno?».
«No», rispose secca la professoressa di Trasfigurazione.
«Sudavi freddo e balbettavi», fece notare l’amica.
Minerva s’alzò a fatica dal letto e finse d’essere impegnata a indossare vestaglia e pantofole.
«Ho provato a chiamarti più di una volta senza risultati e…».
«E cosa?», sbottò Minerva, infastidita.
«Hai nominato più di una volta Albus».
Minerva si sedette pesantemente sul letto, come le sue ginocchia avessero ceduto all’improvviso.
Pomona le si avvicinò titubante. «Se hai bisogno di qualcosa, di qualsiasi cosa, non esitare a chiamarmi, chiedere di fare quattro chiacchiere con me. Davvero, io…».
«Sì», replicò Minerva, interrompendola. «Di qualcosa ho bisogno», aggiunse, suonando distante anni luce persino a se stessa.
«Cosa?».
«Trovami un po’ di coraggio».
 
 
*
 
 
Il suo ufficio era immerso nel silenzio e, quando qualcuno bussò alla porta, il rumore rimbombò per tutta la stanza.
Fawkes alzò il capo da sotto l’ala e si guardò intorno, cinguettando confuso.
«Avanti», incitò Albus, senza alzare lo sguardo dalle carte su cui stava lavorando.
«Buongiorno, professor Silente», lo salutò una voce rauca.
Albus alzò gli occhi dai fogli per educazione e la vide.
Minerva era appena entrata nel suo ufficio, richiudendo la porta in silenzio.
Era dimagrita e si serviva di un bastone per camminare. Indossava la sua tunica verde preferita e un mantello di un verde più scuro. Che avesse freddo?
Nonostante la fatica e la stanchezza si leggessero chiaramente sul suo volto, la sua schiena era dritta come un fuso e la sua testa era tenuta alta.
“Non ha perso il suo portamento fiero”, notò con piacere Albus.
Subito dopo una fitta di senso di colpa lo colpì allo stomaco. Non c’era stato per lei. Non era andato a trovarla e non le aveva scritto, nonostante lei si fosse sacrificata per lui.
«Buongiorno, Minerva», salutò, tentando di far sembrare la propria voce il più ferma possibile.
Il viso della donna s’indurì al sentire il suo nome di battesimo. Albus ignorò la sua espressione.
«Sei ritornata ieri?».
«Ieri sera, preside».
Preside? Da quando lo chiamava così?
Albus proseguì imperterrito a darle del tu: «Come ti senti?».
«Ancora un po’ debole, ma miglioro di giorno in giorno, preside».
Albus fece una smorfia impercettibile al sentire Minerva chiamarlo in quel modo, ma decise di provare a sotterrare il proprio orgoglio.
«La diagnosi?».
«Frattura dell’arto superiore sinistro e traumi da Maledizione, signore».
Signore?
«Non sono più il tuo professore da tanto tempo, Minerva», replicò lui, pacatamente.
Gli occhi di lei fiammeggiarono. «Mi scusi, preside».
«Ci siamo sempre dati del tu, Minerva», fece notare Albus.
«Lo so. Me lo ricordo».
Oh, andiamo, sai perfettamente perché ti tratta così freddamente, sussurrò una voce nella sua testa.
Sentendo i suoi occhi su di lui, Albus si trovò costretto ad affrontare la questione. Il giorno che aveva così tanto temuto era arrivato e, da codardo quale era, doveva viverlo.
«Non sei venuto a trovarmi», sputò Minerva dopo lunghi momenti di silenzio.
«No», replicò Albus.
«Eri impegnato». Non era una domanda, era un’affermazione.
«Sì».
«Non hai avuto un minuto libero».
Albus non rispose.
«Non hai mandato nemmeno un biglietto. Non hai detto a Filius o Pomona di portarmi i tuoi saluti. Non ho avuto tue notizie per giorni, Albus».
«Adesso mi dai del tu?».
La freddezza che incontrò nello sguardo di Minerva gli fece più male di quanto avesse pensato.
«Se questo è il ringraziamento che ricevo per averti fatto da scudo contro Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato…».
«Lord Voldemort, Minerva. Comunque non ti ho mai chiesto di sacrificarti per me».
Minerva lottò perché le lacrime non le rigassero le guance e cercò di deglutire l’improvviso nodo che le si era formato in gola.
«No, infatti, non me l’hai mai chiesto», concordò lei, con voce piatta.
Albus non rispose, abbassando lo sguardo sulle carte a cui stava lavorando poco prima.
«Trascorra una buona estate, preside».
«Minerva…».
«Penso che non soggiornerò qui in questo periodo. Tornerò il trentuno di agosto, pronta a iniziare l’anno scolastico».
«Minerva, io…».
«Per cortesia, desidererei che mi chiamasse professoressa McGranitt, da oggi in poi».
Albus si trattenne dallo strabuzzare gli occhi e spalancare teatralmente la bocca.  «Come desidera, professoressa». Quell’appellativo suonava così estraneo sulla sua lingua.
«Buone vacanze, preside», replicò Minerva, chiudendosi la porta alle spalle.
Nel silenzio del suo ufficio, risuonò forte e chiaro il suo: «Mi dispiace, Minerva».

 

*si ripara da eventuali lanci di pomodori con una padella, stile Rapunzel*
Si, lo so. Lo so, non aggiorno dal 14 di aprile. 

Vi dirò la verità, la scuola è una brutta bestia, non ti lascia un briciolo di forza, ispirazione e voglia per metterti a scrivere alla sera.
Secondo: ho iniziato a scrivere fanfiction in inglese su ff.net e questo mi ha rubato quel poco di tempo libero che avevo tra un impegno e l'altro.
Adesso, grazie alla mia B.B. (lei sa cosa vuol dire)
Charlotte_McGonagall sono tornata in pista con questo capitolo che avevo in mente da un po' (ma non avevo la forza mentale per scriverlo). Ringrazio anche la mia dolcissima Acquamarine_ che mi incoraggia sempre.
Ringrazio tutti voi che continuate a seguire e commentare questa storia: i 13 che l'hanno inserite nelle preferite, i 20 che la seguono e i 3
che la ricordano.
Grazie per continuare a seguire un piccolo rottame come me. Spero il capitolo non vi abbia deluso e, incrociando le dita, il prossimo dovrebbe arrivare tra poco.
Jo

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