Set Fire to the Rain di MaryLouise (/viewuser.php?uid=92673)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo Primo ***
Capitolo 3: *** Capitolo Secondo ***
Capitolo 4: *** Capitolo Terzo ***
Capitolo 5: *** Capitolo Quarto ***
Capitolo 6: *** Capitolo Quinto ***
Capitolo 7: *** Capitolo Sesto ***
Capitolo 8: *** Capitolo Settimo ***
Capitolo 9: *** Capitolo Ottavo ***
Capitolo 10: *** Capitolo Nono ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Set
Fire to the Rain.
Questa storia è dedicata a un bel po' di persone.
Prima
di tutto a Charlotte
McGonagall, la mia adorata Charlie, nonché
formidabile beta, che mi
sostiene sempre
e senza le cui idee la mia vita
non sarebbe la stessa.
Poi a tutto il C.R.E.P.A.
, e dico tutto: Ali, Mari, Trixie, Emma, Ter, Sole, Black, Freddy,
Simple, Gra,
Ginny, Cri, Rose
e tutte quelle che ho dimenticato sostengono il forum
anche se non partecipano quotidianamente ai nostri scleri.
Non dimentichiamoci di Adele, che con la canzone omonima ha ispirato la
mia mente contorta.
Infine a colui il quale
non dedico una storia da, beh, un bel
po'.
Sei sempre nei miei
pensieri, nonno. Ti voglio bene.
Accennavano di rado al
legame che li univa: forse le
paroline dolci e le carinerie erano superflue per due amici di
sì lunga data.
[Thomas Hardy, Via
dalla pazza folla]
|
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Capitolo 2 *** Capitolo Primo ***
And
the games you'd play, you would
always win, always win.
[Adele
- Set Fire to the Rain]
Capitolo 1
5
luglio 1980.
La notte
incombeva su Villa Lestrange; una notte oscura e silenziosa in cui
nemmeno un
filo di vento scuoteva le fronde degli alberi, in cui nemmeno un
leggero chiarore
proveniente dalla luna illuminava l'ampia strada che conduceva ai
cancelli in
ferro battuto dall'aria imponente.
L'intero
edificio era immerso nel buio, tranne che per un vago bagliore
proveniente da
una finestra al pian terreno. Proprio in quella stanza, il salotto di
casa
Lestrange, un'importante riunione stava avendo luogo.
Lord
Voldemort sedeva con classe su un divano damascato, giocherellando con
la
bacchetta. Bellatrix Lestrange e suo marito Rodolphus stavano seduti di
fronte
a lui: l'uno tentava di nascondere un'espressione irritata che gli
faceva
corrugare la fronte, l'altra non staccava gli occhi di dosso all'Oscuro
Signore, come in adorazione.
Lucius
Malfoy, perfetto nel suo vestito scuro, camminava avanti e indietro per
la sala
con la coda bionda svolazzante.
«Pazienza,
Lucius, pazienza», lo ammonì Voldemort con voce
melliflua.
Malfoy si
fermò nel mezzo della stanza, irrigidendosi come una statua.
Si girò lentamente
verso chi aveva parlato, abbozzando un falso sorriso.
«Sì, mio Signore»,
mormorò.
«Severus è
in ritardo questa sera, ma sono sicuro che avrà ottime
notizie riguardo
l'Ordine».
«Certamente».
«Lo spero
per lui», ringhiò Bellatrix, sprezzante.
«Come sta il
piccolo Draco, Lucius?», gli domandò l'uomo,
mentre giocherellava con una
ciocca di capelli scuri.
«Più che
bene», rispose l'interpellato. «Narcissa lo sta
allattando in questo periodo e
il bambino cresce sano e forte».
«Speriamo
non come il padre», borbottò la cognata tra i
denti, mentre Rodolphus le dava
una gomitata facendole segno di tacere.
«Porgi i
miei saluti alla tua signora, allora», commentò
Voldemort con uno strano
sorriso.
Malfoy chinò
il capo, «Sarà fatto».
In quel
momento le quattro persone presenti nella stanza percepirono un rumore
di passi
provenire dall'ingresso e avvicinarsi rapidamente al luogo in cui si
trovavano.
Una smorfia
quasi compiaciuta comparve sul volto dell'Oscuro Signore quando Severus
Piton
fece la sua entrata. «Buonasera, Severus. Ti stavamo
aspettando».
«Mi scuso
per il ritardo, mio Signore, ma purtroppo non potevo arrischiarmi a
venire
prima».
Riddle fece
un cenno con la mano. «Ti capiamo», rispose a nome
di tutti, «Sei perdonato».
Piton
s'inchinò lievemente.
«Dimmi, che
notizie ci porti?», domandò curioso.
«Alcuni
membri dell'Ordine hanno intenzione di uscire a far provviste tra
qualche
giorno. Me l'hanno accennato quest'oggi. Non hanno specificato il
momento
preciso, ma so per certo che saranno in tre».
«Molto
bene», replicò Voldemort. «Come avete
sentito, miei fedeli amici, tra qualche
giorno avrete la possibilità di eliminare altri membri
dell'Ordine. Tre è un
numero niente male», ridacchiò. «Credo
vi divertirete», commentò notando il
sorriso malvagio che aveva illuminato il volto di Bellatrix.
«Voglio massimo
cinque uomini ad occuparsi della faccenda», diede ordini poi,
«E che siano tra
i migliori, Silente non lascerà uscire di certo i
più sprovveduti. Occupatene
tu, mia cara», fece cenno alla donna di fronte a lui.
Bellatrix
annuì con fervore. «Certo, mio Signore»,
rispose soave.
*
Quella sera,
gran parte dell'Ordine della Fenice era riunito attorno al tavolo della
cucina del
Quartier Generale.
«Necessitiamo
di un abbondante numero di provviste», cominciò
Molly Weasley. «Ho controllato
la dispensa con Mary e mancano diversi alimenti».
Albus
Silente annuì. «Dobbiamo organizzare una squadra
per andare a recuperare i
principali generi di sussistenza».
«Quanto
possiamo tirare avanti ancora?», domandò Alastor.
«Non più di
due giorni», rispose Molly con un'espressione preoccupata.
«In tal
caso, sarà meglio organizzare tutto per domani
sera», cominciò Albus. «La
prassi è la solita: le tre persone scelte si
Materializzeranno a Londra e
faranno compere molto velocemente, per poi tornare qui il prima
possibile. In
questo modo eviteremo molti rischi».
I suoi
interlocutori annuirono.
«Non ci
resta che scegliere chi andrà», concluse Silente.
«Eliminiamo
in partenza i Potter», cominciò Sirius.
«James e Lily sono segregati in casa
loro e chissà per quanto tempo dovranno starci»,
commentò.
«La
gravidanza di Lily dovrebbe essere a termine in questi
giorni», s'illuminò
Molly. «Qual è il giorno stabilito?».
«Il ventotto
di questo mese», rispose prontamente Sirius.
«Potrei
andare io», saltò su Arthur, dopo una silenziosa
riflessione. «Molly riuscirà a
cavarsela da sola con i bambini per qualche oretta».
«Assolutamente
no», proferì Black. «Non mi pare il caso
di affidarti una missione così
pericolosa. Insomma, hai moglie e sei figli, Arthur, di cui uno di
pochi mesi»,
disse accennando al piccolo Ronald che dormiva tra le braccia della
madre,
succhiandosi un pollice. «E' escluso che tu vada».
Molly mimò
un "grazie" con le labbra, non vista dal marito.
Sirius
rifletté ancora un poco. «Non mi pare il caso di
coinvolgere Alice e Frank
Paciock, proprio quando la gravidanza di Alice è quasi a
termine. Inoltre Remus
è malato in questo periodo», aggiunse, pensando
all'amico che stava affrontando
il suo "piccolo problema peloso", «E Peter dice di essere
molto
impegnato. Senza escludere che Albus e Alastor lavorano costantemente
al
Ministero... rimane poca gente».
Alzò una
mano subito dopo. «Io mi offro volontario per
l'operazione», annunciò.
Anche la
mano di Mary scattò in aria, mentre la proprietaria cercava
di nascondere la
sua preoccupazione, «Io pure», proferì.
«Stai
scherzando, spero», abbaiò Sirius. «Non
puoi venire con me, non ho intenzione
di metterti in pericolo!».
Mary
MacDonald lo fulminò con lo sguardo. «Ehi Black,
forse non ti hanno insegnato
che non si può sempre giocare a fare l'eroe»,
sbottò. «Stiamo insieme o
no? Se tu ridi, io rido, se piangi, io piango, se vivi, io vivo, se
muori,
muoio anch'io».
Sirius
sbuffò, «Quando smetterai di preoccuparti per me,
donna?», domandò alla ragazza
di fianco a lui, che gli rispose mostrandogli la lingua in modo
scherzoso.
Lui le
sorrise, baciandole dolcemente la guancia e stringendole la mano sotto
il
tavolo.
«Molto
bene», annuì Albus. «Ne manca
uno».
Guardò Mundungus Fletcher che sedeva di fianco
a Moody, come per incoraggiarlo, ma quello non diede l'impressione di
volersi
offrire come candidato.
«Potrei
andare io», rispose qualcuno dal fondo della stanza.
La voce
apparteneva a una donna alta e magra, gli occhi facevano pendant con la
tunica
verde smeraldo, i capelli neri avvolti in una stretta crocchia le
conferivano
un aspetto austero.
Gli occhi di
Silente incontrarono quelli di Minerva McGranitt, che in tutto quel
tempo era
stata di fronte alla finestra a guardar fuori, con la stessa attenzione
e lo
stesso sguardo fisso di un felino.
Il suo cuore
saltò un battito. No, lei no. Non era
la missione adatta a Minerva.
Peccato che nessuna delle missioni sia
adatta a lei, nonostante sia una strega brillante e capace,
sussurrò una
voce nella sua testa.
«Minerva»,
cominciò cauto, «So che può sembrare
una cosa da nulla, ma ti assicuro che
questo compito è assai delicato e difficile».
Ti prego, desisti.
«Non c'è
problema», rispose. «Del resto non sono
più una bambina, da tanto tempo anche».
Gli occhi
verdi e penetranti della donna brillavano, dandole un'espressione fiera
e
temibile.
Albus scosse
la testa impercettibilmente. Dannata
testardaggine. Una Grifondoro fino in fondo.
«Ottimo»,
tagliò corto Sirius. «Io, Mary e Minerva. Il
magico trio».
Le due donne
gli sorrisero, annuendo.
*
Le lancette
dell'orologio segnavano quasi mezzanotte. Tutti i membri dell'Ordine
erano
andati a dormire ai piani superiori, solo Albus era ancora sveglio e
percorreva
a grandi passi la cucina, avanti e indietro, come se si stesse
preparando per
una maratona.
«Albus? Che
ci fai ancora sveglio?», domandò qualcuno.
Silente si
girò e fissò la professoressa McGranitt, che era
appena entrata in cucina.
«Anche tu
sei sveglia», ribatté. «Ed è
quasi mezzanotte».
«Appunto»,
rispose l'altra, «Hai un'espressione stanca, forse
è davvero il caso che tu
vada a letto», gli disse accingendosi ad uscire.
«Sei sicura
di quello che stai facendo, Minerva?», le domandò
a bruciapelo, non riuscendo a
impedire alle parole di uscirgli di bocca.
La donna
ritornò nella stanza, accigliata. «Sicura riguardo
a cosa?».
Respirò
profondamente, ormai era fatta. «Riguardo a
domani».
Lei alzò gli
occhi al cielo, aprendo la bocca per parlare, ma Albus la interruppe
alzando
una mano. Minerva richiuse la bocca con disappunto, stringendo le
labbra fino a
farle divenire livide.
«Non è un
compito così semplice; ci sono centinaia di pericoli
là fuori, i Mangiamorte
danno la caccia ad ognuno di noi. Lily e James sono già
segregati in casa loro
da giugno e praticamente tutti i membri dell'Ordine vivono qui
stabilmente. Chi
esce per andare al lavoro si sposta sempre in gruppo e nonostante
questo
abbiamo già perso molti amici e compagni per colpa dei
seguaci di Voldemort.
Questa missione non è uno scherzo, anche se non ti sembra
così».
Un discorso davvero persuasivo, complimenti.
Minerva
allargò le narici. «Non capisco perché,
facendo parte dell'Ordine a tutti gli
effetti, sono sempre esclusa da qualsiasi incarico. Non fraintendermi,
le mie
non sono manie di protagonismo, semplicemente non comprendo
perché non vai a
fare la paternale a Sirius o a Mary, che sono molto più
giovani di me: per loro
sì che questa missione sarebbe pericolosa».
Per una
delle poche volte nella sua vita, Albus era rimasto senza parole.
Sapeva che se
le avesse rivelato ciò che lo turbava sarebbe stato tutto
più facile, ma non
poteva dirle la verità, oh no.
«Io ci andrò
comunque, domani. Mi dispiace, Albus, ma Mary e Sirius hanno bisogno di
qualcuno più esperto di loro a guidarli».
Lui annuì,
sconfitto. Era una battaglia ad armi impari: aveva vinto,
avrebbe sempre vinto contro di lui.
Minerva gli
sorrise. «Buonanotte», mormorò uscendo
dalla cucina.
«Buonanotte»,
salutò lui, un sussurro appena percettibile.
Si sedette su
una sedia, poggiando i gomiti sulle ginocchia e massaggiandosi le
tempie.
Sarebbe andata comunque, domani.
Buonsalve.
Questa idea folle
è nata dalla canzone di Adele, Set Fire to the Rain.
Spero vivamente
che la fic inizi a piacervi, o almeno che questo capitolo vi abbia
attirato un poco.
Un
ringraziamento a tutti quelli che sono arrivati anche solo fin qui.
Sperando di avere qualche
lettore che mi seguirà anche al prossimo capitolo... *ditina
incrociate*
Buona serata a tutti
Jo
|
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Capitolo 3 *** Capitolo Secondo ***
She is tomorrow and I am
today
And if right is leaving
I'd rather be wrong
She is the sunlight and
the sun is gone
[Trading Yesterday -
She is the Sunlight]
Capitolo 2
Albus
Silente non riusciva a dormire.
Continuava a
rigirarsi nel letto, insonne: diversi pensieri gli frullavano per la
testa
senza dargli pace.
Se fosse
successo qualcosa? Se lei fosse rimasta ferita o se, addirittura, fosse
morta?
Scosse la
testa. Non doveva preoccuparsi, Minerva era una strega brillante e
caparbia, se
la sarebbe cavata.
Peccato che la cosa non ti faccia stare
meglio, anzi.
Insomma, era
una donna adulta, no? Aveva passato la cinquantina, era più
che in grado di
cavarsela da sola.
"Non sono più una bambina, da tanto tempo
anche", le sue parole continuavano a risuonargli nella mente,
eco dei
suoi pensieri confusi.
Conosceva
Minerva da molti anni, l'aveva vista crescere, maturare, diventare una
donna
forte e coraggiosa, una vera Grifondoro.
Eppure gli
appariva fragile, delicata, proprio come nei suoi primi anni a
Hogwarts. Si
ricordava ancora quella ragazzina dai capelli scuri che eccelleva in
Trasfigurazione e alzava sempre la mano per rispondere. Si
ricordava ancora quella ragazzina minuta e agile, a cavallo di una
scopa, che
sfrecciava per il campo da Quidditch mettendo a segno tiri fenomenali.
Si ricordava
dell'accuratezza con la quale curava la sua scopa, dell'attenzione con
cui
sfogliava i libri di Trasfigurazione, della passione che alimentava il
suo
studio.
Quella
stessa ragazzina era cresciuta, trasformandosi in una strega molto
dotata.
E tu hai cominciato a provare qualcosa per
lei.
'Era ed è
semplicemente affetto. Insomma, l'ho vista crescere, è come
se fossi suo...
suo...'.
No, non lo sei. E lo sai.
La sua mente
volò a quel pomeriggio di fine estate, in cui Minerva si era
presentata nel suo
ufficio di Preside per candidarsi al posto di insegnante.
Non la
vedeva da dodici anni e aveva notato notevoli cambiamenti in lei: il
suo
corpo si
era allungato, era ancora più magra e minuta. Il viso
aveva lineamenti più
marcati, duri, come scolpiti nel marmo, le labbra erano più
sottili, i capelli
scuri raccolti in una treccia stretta e arrotolata in una crocchia, gli
occhi
verdi erano affaticati e marchiati da pesanti occhiaie, velati da un
paio
d'occhiali che la rendevano molto più vecchia di quello che
era in realtà.
Eppure la trovavi carina. Molto carina.
'Oh, zitto
tu'.
«Buongiorno, signorina McGranitt».
«Buongiorno, professore».
Si era seduta di fronte a lui, cercando di
non torcersi le mani per l'agitazione.
«E' qui per il posto di insegnante di
Trasfigurazione, immagino».
«Sì».
«Bene. Mi può parlare del suo
curriculum?».
«Non è molto lungo, ho lavorato al
Ministero
da quando ho finito la scuola, signore».
«Ora si è licenziata?».
«Non ancora, ma ho intenzione di farlo se
verrò assunta qui».
«Perché pensa di essere adatta al posto
d'insegnante
di Trasfigurazione?».
«E' da sempre la mia materia preferita, non
ha caso ho ottenuto ottimi voti ai M.A.G.O. Mi piace molto stare tra i
ragazzi
e ho già qualche esperienza in questo campo, inoltre ho
scritto alcuni articoli
per Trasfigurazione Oggi e sono un'Animagus regolarmente registrata al
Ministero».
«Un'Animagus?», rispose lui, con finta
sorpresa. «Può dimostrarmelo?».
Minerva annuì e chiuse gli occhi,
aggrottando le sopracciglia scure. Arricciò un poco il naso
e, in un istante,
sparì dalla sua vista.
Un gatto soriano balzò all'improvviso sulla
sua scrivania, miagolando sonoramente e fissandolo con gli occhi
ambrati
cerchiati di scuro, in corrispondenza degli occhiali.
Che occhi
strani, magnifici e ammalianti.
Il micio agitò elegantemente la coda, prima
di tornare sulla sedia e riassumere sembianze umane.
Minerva si sistemò meglio gli occhiali sul
naso, con aria soddisfatta.
Quanto amavi
quella sua espressione, quanto la ami ancora adesso.
«Ottimo», commentò il Preside.
«Vedo che è
migliorata molto dal tempo del suo esame, signorina».
«Sono contenta che lo abbia notato. Mi
esercito ogni giorno».
Le sorrise cordiale. «Il nostro colloquio si
conclude qui, le farò sapere la mia decisione al
più presto».
E poi l'hai assunta, praticamente ad occhi
chiusi.
Albus si
girò dall'altra parte del letto, borbottando tra
sé.
'L'ho
assunta perché lo meritava'.
E perché ti piaceva, ti è sempre
piaciuta.
Hai sempre avuto una predilezione speciale per lei.
Per questo sei così preoccupato per domani.
Sospirò.
Domani, domani Minerva sarebbe uscita allo scoperto. Non sarebbe stata
protetta, accompagnata solo da due giovani maghi - capaci,
sì,
ma ancora molto
inesperti; nessun membro dell'Ordine in grado di proteggerla davvero,
nessuno
come lui.
Lo dicevo che hai sempre avuto un debole per
lei. Puoi anche affermare che si tratta solo di affetto, ma devi
ammettere che
quel giorno al colloquio ti ha colpito, nonostante non fosse il massimo
della
bellezza.
'Non mi ha
colpito perché è bella'.
Beccato, lo hai ammesso!
'Lei non è
bella, è semplicemente... speciale, ecco'.
Albus Silente, vecchio volpone!
«Finiscila»,
borbottò a se stesso, mentre si girava ancora nel letto,
avvolgendosi di più
tra le lenzuola.
Minerva non
avrebbe mai potuto mostrare un minimo d'interesse per lui, era troppo
vecchio
in confronto. Meritava di meglio: qualcuno più bello,
più intelligente, più giovane.
Sarebbe
andato avanti così, come faceva da ormai trent'anni:
l'avrebbe ammirata e
stimata in silenzio, da lontano, probabilmente guardandola tra le
braccia di un
altro. Era giusto così.
Lei era
speciale, lei era la sua Minerva e lo sarebbe sempre stata. Poco
importava se
si sarebbe legata a qualcun'altro, prima o poi.
Poco
importava se avrebbe preferito un altro a lui, perché Albus
era felice solo e
soltanto quando anche lei lo era. Così doveva essere.
Chiuse gli
occhi, cercando di calmare i battiti incessanti del suo cuore.
Percepiva il
sangue ribollirgli nelle vene e pulsargli in gola, nel petto, nello
stomaco.
Chiuse gli
occhi, cercando di cancellare la sua immagine impressa a fuoco sulla
retina.
Il viso
magro e pallido, le prime rughe a segnarle il volto, ad enfatizzare le
sue
espressioni, le sopracciglia scure e sottili che si incurvavano,
avvicinandosi
tra loro, ogni volta che la fronte si corrugava, l'espressione fiera e
temibile, accentuata dagli occhi verdi... quegli occhi verdi
così oscuri e
brillanti, che rivelavano ma allo stesso tempo nascondevano i pensieri
della
loro proprietaria, occhi verdi in cui Albus, lo sapeva, era destinato a
perdersi, ogni santissima volta.
Aprì gli
occhi di scatto e sospirò. Per quanto ci provasse,
togliersela dalla testa era
impossibile.
Rimase a
fissare il soffitto per il resto della notte, troppo agitato per
dormire, gli
occhi azzurri che scrutavano il buio con intensità non
osavano guadare il posto
vuoto nel letto troppo grande per una persona, semplicemente
perché non voleva
ammettere che avrebbe desiderato avere qualcuno al suo fianco in quella
notte,
qualcuno il cui nome non osava nemmeno pronunciare.
*
«Molto bene, signorina McGranitt»,
commentò
uno degli esaminatori dei M.A.G.O., dopo la sua
risposta
all'ennesima domanda.
«Un'ultima cosa, più che altro una
curiosità», intervenne un suo collega.
«Mi hanno riferito che ha recentemente
imparato a Trasfigurarsi in un animale, è vero?».
Glielo avevano riferito, eh? Minerva sapeva
esattamente chi fosse stato e cercò il suo sguardo nella
stanza, senza farsi
notare.
Contrariamente alle sue aspettative, Silente
non la stava guardando, anzi, pareva teso anche più di lei.
Minerva chiuse gli occhi, concentrandosi.
Liberò la mente da qualsiasi pensiero e si
trasformò.
Un formicolio le pervase tutto il corpo, le dita si
rimpicciolirono sotto la forma di cuscinetti pelosi, mentre
le
spuntavano coda e orecchie.
In un battibaleno, un giovane gatto soriano
stava di fronte ai professori, seduto con grazia sulla lunga scrivania.
Il pelo
era corto e lucido, color caffelatte, striato di scuro. Due forme rettangolari erano
impresse intorno
agli occhi ambrati, in corrispondenza degli occhiali.
Minerva miagolò sonoramente, agitando la
coda con impazienza. Gli esaminatori scoppiarono in un applauso.
«Straordinario», commentò l'esaminatore
di Trasfigurazione, «Davvero
straordinario. Immagino sia opera tua, Albus».
Il gatto si voltò a fissare l'interpellato.
Albus Silente stava sorridendo e rispondeva allo sguardo della sua
alunna con
soddisfazione.
«E' tutto merito suo, io ho solo
supervisionato», rispose con orgoglio.
Un grande sorriso illuminò il volto di
Minerva, ritornata in forma umana.
«I miei complimenti, signorina»,
gracchiò l'esaminatore.
La ragazza sorrise all'uomo dalla barba
rossa, suo professore e mentore, fissandolo negli occhi azzurro cielo
che erano
offuscati da un sottile velo di lacrime.
Minerva aprì
gli occhi. La prima luce del mattino filtrava attraverso la trama delle
pesanti
tende della sua stanza, illuminandola di una strana sfumatura di
violetto.
Si alzò dal
letto con l'accenno di un sorriso sulle labbra al pensiero del suo
sogno.
Lo specchio
in fondo alla stanza rifletteva la sua figura alta e magra. Il volto
pallido
era definito da lineamenti aguzzi, gli zigomi sporgenti mettevano in
risalto
gli occhi verdi e penetranti, la pelle chiara era in netto contrasto
con i
capelli neri come l'ebano, legati in una treccia morbida che le
ricadeva lungo
la spalla ossuta.
Non era
esattamente quel che si definiva una bellezza, lo sapeva bene.
Si sciolse i
capelli, mentre li spazzolava per legarli in una crocchia stretta.
Forse se
fosse stata più carina, più femminile, avrebbe
potuto... no, non gli sarebbe
piaciuta comunque.
Era ovvio
che lui la vedeva semplicemente come la sua Vice Preside, niente di
più. Così
sarebbe rimasto, avrebbe dovuto mettersi il cuore in pace.
Di certo
Albus preferiva donne più mature, più
acculturate, di classe. Alla sua altezza, insomma.
In confronto,
lei era una ragazzina.
Completò
l'acconciatura con l'aiuto di alcune forcine e cominciò a
vestirsi.
Albus
sarebbe sempre stato irraggiungibile, fuori dal suo raggio d'azione,
avrebbe dovuto
metterselo bene in testa.
Sospirò,
allacciandosi il vestito verde scuro; c'era altro
da fare quel giorno, molto più importante dei suoi pensieri
riguardo a un uomo.
Scosse la
testa, mentre usciva dalla sua stanza.
Un nuovo
giorno cominciava, non c'era tempo per stupide congetture femminili su
Albus
Silente. Non che lei ne avesse mai fatte a riguardo.
Salve!
Spero
che il capitolo vi sia piaciuto.
Magari
è risultato un po' noioso perché Minerva e Albus
non fanno altro che parlare tra sé e sé, ma
è davvero importante per i successivi sviluppi della storia.
Grazie
a Krixi19,
Acquamarine_, BlackLoony e _Trixie_
per aver commentato il primo capitolo.
Ringrazio
molto anche Emma
Wright
che ha inserito la
storia nelle preferite e Black Loony, emily
silente,
Jilly88, Krixi19, LadySaphira e _Trixie_
per averla inserita nelle
seguite.
Grazie
anche a tutti
coloro che hanno semplicemente letto la storia. Il vostro sostegno mi
fa tanto piacere.
Buon
pomeriggio a tutti.
Jo
*Si ringrazia Charlotte McGonagall per l'accurato
betaggio del capitolo.
|
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Capitolo 4 *** Capitolo Terzo ***
One of these days letters are
gonna
fall
From the sky telling us all to go free
But until that day I'll find a way to let everybody know
That you're coming back, you're coming back for me.
[Civil
Twilight -
Letters from the Sky]
Capitolo 3
6 luglio 1980.
Le strade
della
periferia di Londra erano deserte; il sole stava calando lentamente
all'orizzonte, inghiottito dai palazzi in cemento.
Una donna dai
capelli scuri si sporse oltre il muro del vicolo in cui era appena
comparsa, i brillanti
occhi verdi scrutarono attentamente la via.
«Andiamo»,
fece segno ai suoi compagni.
Tre figure
comparvero nella strada principale dal vicolo buio in cui si trovavano.
«Non
per
dare noia», cominciò Sirius, «Ma questi
jeans mi stanno davvero scomodi.
Insomma, come fanno i Babbani a indossarli tutti i giorni?».
«Sono
molto
comodi invece», replicò Mary.
«Aderiscono bene al corpo, non danno eccessivo
fastidio».
«A
te»,
rispose l'altro. «Beh, se non altro c'è da dire
che ti donano molto».
«Grazie».
«E
di che?
Sembrano fatti apposta per risaltare il tuo sedere».
«Sirius!»,
protestò Mary imbarazzata.
«Cosa
c'è?».
«Sei
sempre
il solito!».
«Che
ho
detto di male?».
«Silenzio»,
mormorò tesa Minerva.
I due
ragazzi obbedirono all'istante, non avevano dimenticato quanto la loro
ex
professoressa di Trasfigurazione sapesse essere autoritaria.
Osservando
attentamente ogni particolare della stradicciola in cui stavano
camminando,
Minerva fece cenno ai due di seguirla all'interno di un negozio
dall'insegna
anonima.
Il
campanello della porta trillò, il proprietario
alzò il capo con un sorriso già
stampato sul volto. «Buonasera», salutò.
«In cosa posso esservi d'aiuto?».
*
Bellatrix
Lestrange percorreva l'ampio viale in ciottolato a grandi passi. Ogni
tanto
guardava verso il cancello di ferro battuto con aria ansiosa e irritata.
Perché
quell'idiota ci mette così tanto?
«Bellatrix,
ti vuoi calmare?», le chiese il marito, seduto sulla panchina
di marmo lì
vicino.
Lei si
girò
di scatto, i riccioli scuri ondeggiarono come molle per il moto
repentino del
capo. «E' una domanda retorica?»,
domandò a denti stretti.
«Vieni
qui,
siediti», la invitò Rodolphus. «Severus
arriverà».
«Tu
non
capisci», rispose nervosa, sedendosi al suo fianco. Lui le
mise una mano sulla
gamba, cercando di farla rilassare.
«Se
Severus
non arriva subito, andrà tutto a monte. Questa missione
è molto importante, il
Signore Oscuro si fida di me».
Lestrange
sbuffò. «Chissà perché ruota
tutto intorno al Signore Oscuro?», borbottò,
stringendo istintivamente la presa sulla sua gamba.
Improvvisamente
Bellatrix scattò in piedi, scrutando la strada davanti a
sé con gli occhi
castani. «Severus», la
tonalità della
sua voce s'innalzò di un'ottava. «Alla buon
ora», trillò.
Piton
percorse il viale velocemente, avvicinandosi ai due coniugi.
«Cattive notizie»,
mormorò.
Bellatrix lo
fulminò. «In che senso?», si
accigliò.
«Sono
già
partiti», le comunicò.
«Sono-già-partiti?»,
ripeté quella a scatti.
«Credevo
uscissero tra qualche ora, ma Albus ha preferito farli uscire poco
fa».
«Dannato
vecchio», imprecò la donna. «Chi
sono?».
«Tuo
cugino,
la MacDonald e Minerva».
«Quello
non
è mio cugino», rispose automaticamente Bellatrix.
Mosse una
mano come per scacciare un pensiero dalla mente e aggiunse:
«Anche la cara Minerva?
Oh, ci sarà da divertirsi», sogghignò.
Rodolphus
nascose una smorfia disgustata.
«Chiama
Avery, Dolohov e Rosier», ordinò a Piton. Poi si
rivolse al marito, guardandolo
in modo significativo: «Vieni anche tu».
Non era una
domanda, era un ordine. Rodolphus annuì.
Piton
sfiorò
il Marchio Nero con l'indice, chiudendo gli occhi.
Bellatrix
sorrise malvagia. «Si va in scena».
*
«Abbiamo
preso tutto?», domandò Sirius, ricontrollando per
l'ennesima volta la lista.
Senza farsi
vedere, Minerva fece entrare le grandi buste nella sua piccola borsa,
immergendole all'interno come se fosse piena d'acqua. «Direi
di sì», rispose,
posando diverse sterline sul bancone.
Il sorriso
del negoziante s'allargò ancora di più e si
affrettò a raccoglierle, per metterle
al sicuro nella cassa.
Minerva si
sistemò la borsa a tracolla.
«Arrivederci», salutò, imitata dagli
altri.
«Arrivederci!»,
rispose il proprietario.
Uscirono in
strada. I lampioni illuminavano fiocamente la via in ciottolato e una
fredda
brezza serale soffiava su Londra.
Minerva
rabbrividì
per il freddo. «Muoviamoci», sussurrò,
«Comincia a diventare tardi».
Svoltarono
all'angolo della lunga via principale, per ritornare al vicolo buio dal
quale
erano usciti poche ore prima.
*
Il Quartier
Generale dell'Ordine della Fenice era immerso nel silenzio, infranto
dal
ritmico ticchettio della pendola in cucina. Albus Silente sfogliava
pigramente
"La Gazzetta del Profeta", immagini in movimento e scritte scure a
caratteri cubitali spiccavano sulle pagine candide, attirando di tanto
in tanto
la sua attenzione.
"Il Signore Oscuro
continua a terrorizzare il
Paese: altri cinque morti", recitava un titolo
in prima pagina.
"Famiglia Babbana
torturata",
"Tre
persone scomparse" e ancora:
"Villaggio
devastato
nel
Surrey".
Seguiva un lungo
bollettino di guerra a pagina dieci.
Nauseato,
chiuse
il quotidiano e si tolse gli occhiali, massaggiandosi gli occhi e le
tempie.
Per quanto tempo ancora sarebbe andata avanti quella guerra? Quante
persone
sarebbero morte? Quante persone avrebbero rischiato la vita?
Sapeva che
in quello stesso istante Severus era da loro, dai Mangiamorte. Sperava
con
tutto il cuore che non avesse detto loro nulla riguardo la missione
dell'Ordine, anche se, era sicuro, di certo Voldemort sapeva
già, del resto
faceva parte del lavoro di Severus, il doppio gioco.
Li aveva
condannati, solo per il fatto di averli lasciati uscire allo scoperto
così,
indifesi. Li aveva condannati, l'aveva condannata a una morte certa.
Non riusciva
a togliersi dalla testa la sua
immagine, lei in pericolo. Non era
sicuro che avrebbe sopportato la vista del suo cadavere, i suoi occhi
vuoti e
privi di vita... che avrebbe fatto se fosse morta?
Scosse la
testa con vigore. Non poteva morire, era una strega brillante e capace,
le sue
erano solo stupide preoccupazioni di un vecchio sciocco.
Eppure le
sue viscere continuavano a contorcersi; l'aveva venduta a Lord
Voldemort,
l'aveva venduta alla morte.
*
Minerva si
bloccò in mezzo al vicolo, trattenendo il fiato. Cinque
figure vestite di scuro
avanzavano verso di loro. Cinque figure con mantelli neri e con
maschere
argentee, fin troppo note.
Mary
soffocò
un gemito, avvicinandosi a Sirius. Lui la strinse a sé con
un braccio,
guardando gli uomini davanti a loro.
«Bene,
bene», proferì una voce acuta, soffocata dalla
presenza della maschera.
Il suo
proprietario la tolse con un colpo di bacchetta, abbassando il
cappuccio e
rivelando una folta chioma di riccioli scuri. La Mangiamorte sorrise
diabolica.
«Bellatrix»,
ringhiò Sirius con rabbia.
La donna
ridacchiò. «Buonasera».
Minerva si
schierò protettiva davanti ai due giovani, la bacchetta
alzata.
«Quella
ti
servirà a poco questa sera, Minerva», la
schernì Bellatrix.
«Per
te sono
ancora la professoressa McGranitt, Black»,
sibilò in risposta.
«Sono
una
Lestrange adesso, non te l'hanno ancora detto?», rise, subito
imitata dagli
altri quattro, che si tolsero la maschera con un rapido movimento della
bacchetta.
Lestrange,
Avery, Dolohov e Rosier: era la fine.
Combattere
tre contro cinque, soprattutto contro quei
cinque, era impensabile. Doveva trovare una soluzione: qualcosa,
qualunque
cosa.
Sorrisi
malvagi facevano arricciare le loro labbra e contrarre i muscoli del
loro viso,
rendendoli ancora più inquietanti e temibili.
Un brivido
le scosse la spina dorsale con forza. Dovevano andarsene da
lì, subito, altrimenti sarebbero
morti tutti
e tre.
Un'idea le
folgorò la mente come un fulmine a ciel sereno. La
Smaterializzazione era la
soluzione ai loro problemi; doveva portare Mary e Sirius il
più lontano da lì,
al sicuro. Doveva riportarli al Quartier Generale.
I suoi occhi
penetranti scrutarono velocemente intorno a sé, con
un'espressione molto simile
a quella di un gatto.
Arricciò
il
naso e indietreggiò quasi impercettibilmente, avvicinandosi
ai compagni.
Non capendo
quello che intendeva fare, i due si avvicinarono comunque a lei, come
calamite.
Bellatrix
Lestrange avanzò, la bacchetta puntata verso di loro e un
ghigno orribile a
deturparle il giovane viso.
Sirius si
sentì invadere da un impeto d'ira; chissà se era
la stessa espressione che
esibiva quando torturava, quando uccideva, quando provava piacere nel
far
soffrire gli altri.
Era sua
cugina, sangue del suo sangue, eppure non poteva essere più
diversa da lui.
Minerva
allungò una mano all'indietro, Sirius e Mary l'afferrarono
senza esitazioni.
Ormai i
Mangiamorte li avevano circondati: erano in trappola.
La
professoressa chiuse gli occhi e si concentrò. Doveva fare
in fretta.
Quartier
Generale, Quartier Generale,
Quartier Generale, Quartier Generale...
«Si
stanno
Smaterializzando!», strillò Bellatrix,
slanciandosi verso gli avversari.
I suoi
compagni la imitarono, ringhiando inferociti.
Quartier
Generale, Quartier Generale,
Quartier Generale, Quartier Generale, Quartier Generale,
Quartier
Generale, Quartier Generale...
Le figure di
Mary e Sirius, mano nella mano con Minerva, cominciarono a dissolversi.
Bellatrix si lanciò nella foschia che diminuiva sempre
più, aggrappandosi alle
vesti di Minerva.
Rodolphus le
fu subito dietro, seguito dagli altri tre compagni, che si aggrapparono
a lui
per essere trasportati con la Materializzazione Congiunta.
La piccola
folla venne risucchiata e sparì con un sonoro pop.
Minerva
viaggiava veloce, quasi alla velocità della luce. La testa
doleva in modo
terribile, il gruppo informe di uomini e donne vorticava grottescamente
su se
stesso.
Il Quartier
Generale...
Bellatrix
cercò di risalire lungo il suo abito verde scuro, Minerva
percepì le sue mani
ossute aggrapparsi più saldamente al tessuto e reggersi a
lei.
Sono riusciti a
Smaterializzarsi con noi,
per Godric.
Stava
portando cinque Mangiamorte al Quartier Generale dell'Ordine della
Fenice,
doveva cambiare destinazione, immediatamente.
Un posto
qualsiasi... dovevano liberarsene assolutamente.
Sirius
urlò,
dibattendo le gambe strette tra le mani di Avery. Tirò un
pugno a Lestrange,
che cercava di tenersi saldo a Mary, facendogli quasi sfuggire la presa.
Qualcosa le
trafisse i pensieri: le immagini confuse e offuscate di un fienile e di
una
casa in pietra scorrevano veloci nel suo cervello, tanto che seppe
esattamente
dove Smaterializzarsi. La vecchia canonica a Caithness, dove aveva
trascorso la
sua infanzia, ecco il posto perfetto.
La donna
ricciuta le graffiò il viso con le unghie affilate e Minerva
strappò il tessuto
dalle mani avide di Bellatrix, soffiandole contro come un felino.
Improvvisamente,
senza che nessuno se l'aspettasse, Minerva compresa, i loro corpi
toccarono
terra e tutti ruzzolarono malamente sul terreno freddo e umido.
I suoi occhi
verdi misero a fuoco l'ambiente circostante: l'edificio in pietra sulla
scogliera, in cui era nata e cresciuta, il fienile e il recinto del
bestiame.
Tutto era rimasto come se lo ricordava, persino la conformazione delle
rocce,
scavate anno dopo anno dalla forza dell'acqua.
L'urto con il
suolo le mozzò il respiro, la bacchetta sfuggì
alla sua presa e rotolò via.
Bellatrix si
avvicinò a lei strisciando come un vero e proprio serpente,
la lingua fuori dai
denti. Minerva recuperò l'arma a fatica, giusto in tempo per
parare una
fattura.
La battaglia
era cominciata. Sperava solo che, nelle condizioni disperate in cui si
trovavano, ce l'avrebbero fatta, anche se sarebbe servito un miracolo.
Beh, buonasera.
Pensavo
di non riuscire a pubblicare stasera, ma la mia formidabile beta
è comparsa all'improvviso e ha corretto il capitolo al volo
*grazie amour*
Quindi
ecco a voi l' "opera", spero l'abbiate gradita v.v
Attendo
commenti, opinioni e/o pomodorate.
Jo
|
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Capitolo 5 *** Capitolo Quarto ***
I
was
looking for the breath of a life
A little touch of a heavenly life
To get the
dream of our life again
A little vision of the sight at the end
Another
taste of heavenly rush
[Florence
and the Machine - Breath of Life]
Capitolo 4
Il
ritmico
ticchettio della pendola era l'unico suono a infrangere quel silenzio
perfetto;
l'orologio segnava quasi le nove.
Perché ci impiegano così
tanto? E' successo
qualcosa?
In risposta
alle sue domande, Severus spuntò sulla soglia.
«Preside», esclamò, il viso
olivastro acceso da uno strano rossore.
Albus balzò
in piedi. «Ebbene?».
«Ho dovuto
dire loro la verità, signore, ai Mangiamorte».
Albus
trattenne il respiro. I Mangiamorte sanno,
dunque. Lui sa. Cosa
doveva
aspettarsi, del resto? Era ovvio che Severus l'avrebbe detto, era un
Mangiamorte o, almeno, fingeva di esserlo ancora.
«L'ho
comunicato poco fa a Bellatrix Lestrange. Ha organizzato una squadra di
quattro
persone: suo marito, Avery, Dolohov e Rosier».
I migliori Mangiamorte sulla piazza: si sono
organizzati proprio bene questa volta.
«Dove?».
«Avevano
intenzione di bloccare loro alla svolta tra il vicolo in cui si sono
Smaterializzati e la strada principale. Sono venuto il prima possibile,
ma a quest'ora
avranno
già messo in atto il piano».
Lei è in pericolo. Minerva
è in pericolo,
continuava a ripetere una voce nella sua testa.
«Dobbiamo
organizzare una squadra, subito. Sono in tre contro cinque, non
potranno mai
farcela, anche con tutta la fortuna possibile. E' vergognoso, ma da
Lord
Voldemort ci si deve aspettare questo e altro».
Severus
annuì.
«Chiama
Alastor, Arthur e Frank. Non vorrei mai strapparli ai loro compiti e
alle loro
famiglie ma, purtroppo, ci servono».
«Vorrei
poter venire anch'io».
«Lo so, ma
tu devi restare qui. Se la tua copertura saltasse, saremmo tutti in
pericolo:
Minerva, Sirius e Mary per primi».
Minerva...
Un silenzio
imbarazzato sopraggiunse tra i due, Piton abbassò lo
sguardo.
*
Bellatrix
incominciò ad attaccarla con più forza, un
malefico ghigno ad accenderle il
volto spiritato.
Minerva parò
l'ennesimo anatema scagliato da Dolohov, che aveva colpito il suo scudo
con
tanta forza da mozzarle quasi il respiro.
Doveva
chiedere aiuto, subito. Ma come?
Diede
un'occhiata ai compagni, mentre diverse idee s'affollavano nella sua
mente.
Mary e
Sirius combattevano schiena contro schiena contro Lestrange, Avery e
Rosier.
«Potete
farcela senza di me?», gridò loro.
Mary
fraintese le sue parole e il suo tono, urlando spaventata quando vide
la figura
di Minerva scomparire nel buio.
Sirius
allungò una mano all'indietro e le strinse un fianco, per
darle forza, mentre
con l'altra scagliava incantesimi contro i Mangiamorte.
«Dov'è?»,
strillò Bellatrix.
Dolohov
aguzzò la vista nel buio. «Non lo so!»,
rispose sbalordito.
«Non può
essere morta, si è ben protetta da ogni nostro
incantesimo!».
Minerva,
approfittando della distrazione dei suoi nemici, corse a perdifiato
verso il
fienile. Percepiva la terra umida e fredda sotto le sensibili zampe da
gatto,
riusciva a vedere perfettamente nell'oscurità grazie agli
occhi ambrati e
notevolmente acuti.
Si nascose
all'interno e ritornò in forma umana. Estrasse la bacchetta,
tenendosi il petto
con forza, prima che il cuore potesse esplodere.
Chiuse gli
occhi e pensò a qualcosa di davvero potente, un ricordo
capace di evocare un
buon Patronus. Solitamente nelle situazioni di pericolo si aggrappava a
un caro
ricordo dei volti dei suoi genitori: i loro sorrisi benevoli, i loro
occhi
scintillanti... ma questa volta non sarebbe servito.
Lei e i suoi
compagni erano in bilico tra la vita e la morte, l'unica persona che
avrebbe
voluto avere al suo fianco in quel momento era... il nome le
squarciò il petto
come un pugnale affilato: Albus.
La persona
che avrebbe voluto avere accanto era Albus.
I suoi occhi
azzurri, il suo sorriso, quelle sue assurde preoccupazioni riguardanti
la sua
incolumità. Le mancava e avrebbe voluto averlo
lì, a darle sicurezza.
Mentre lo
immaginava stringerla forte tra le braccia, il suo volto allegro e
luminoso, un
sussurro si levò dalle labbra: «Expecto
Patronum».
Va', corri, avvertili. Avvertilo.
*
«E' meglio
che tu vada ad avvertirli, non possiamo permetterci di perdere un solo
minuto. Quei
tre potrebbero rischiare la vita da un momento all'altro».
Piton annuì
con decisione, allacciandosi il mantello scuro al collo.
Uno strano
fruscio giunse alle orecchie dei due, entrambi si voltarono verso
l'entrata
della cucina.
Un animale
era appena entrato correndo con eleganza. Non era un vero e proprio
essere
vivente, si trattava di una figura argentea e brillante, come se
centinaia di
minuscole stelle si muovessero insieme, scintillando. Era un gatto
soriano di
piccole dimensioni, magro e agile.
Si fermò
esattamente davanti a loro, scuotendo la coda ritmicamente, quasi con
impazienza.
Il felino
parlò con voce atona e metallica, tuttavia fin troppo
familiare: «Ci hanno teso
un'imboscata. Siamo in
pericolo. Canonica di Caithness, Scozia. Aiutate...»,
l'ultima parola fu
interrotta da un urlo acuto e prolungato, che fece attanagliare
nuovamente le
sue viscere.
Qualcosa
scattò nella mente di Albus, come se un elastico fosse stato
tenuto in tensione
e in quel preciso momento fosse stato lasciato andare.
E' lei, la sua voce. Minerva è
davvero in grave
pericolo.
*
Minerva urlò
e ruzzolò a terra, evitando un anatema scagliato da
Bellatrix.
«Ti ho
trovato, micina micetta! Non
scappare, vieni da zia Bellatrix!».
Schivò
un'altra maledizione. Impossibile fuggire da lì, la
Mangiamorte le bloccava
l'uscita.
«Che gattina
testarda», ridacchiò l'altra. «Non vuoi
uscire, eh? Ti farò uscire io,
allora!».
Rise
diabolica, per poi urlare: «Incendio!».
Le pareti di
legno del fienile presero fuoco.
Minerva
soffocò un gemito: adesso era davvero in trappola.
*
E' tutta colpa tua. Sapevi che Severus
glielo avrebbe detto. Lo sapevi e non hai fatto niente per impedire a
Minerva
di partire.
I sensi di
colpa attaccarono il suo stomaco con più tenacia. Stava
male. Era colpa sua,
non solo perché aveva lasciato che Minerva partisse, ma
anche perché avrebbe
volentieri permesso che fosse qualcun'altro a prendere il suo posto e a
rischiare la vita.
Stupido, egoista. Debole, vecchio.
«Cos'è
successo?», chiese Arthur trafelato, appena arrivato al
Quartier Generale dal
Ministero, insieme a Moody e Paciock.
«Lord
Voldemort sa dei nostri spostamenti e ha incaricato cinque Mangiamorte
di
occuparsi della situazione», spiegò Albus.
«Chi?».
«Lestrange e
moglie, Avery, Dolohov e Rosier».
«Stanno
combattendo a Londra?», domandò Frank.
«No, a
quanto pare Minerva ha provato a Smaterializzarsi con Mary e Sirius ma
i
Mangiamorte sono riusciti a Smaterializzarsi con loro, quindi ha dovuto
cambiare direzione all'ultimo momento».
«Sai dove
sono ora?».
«Ho ricevuto
un Patronus da Minerva che chiedeva aiuto».
«Devono
essere passati diversi minuti da quando l'ha inviato!».
«Per questo
dobbiamo sbrigarci. Datemi la mano».
Albus chiuse
gli occhi e si concentrò intensamente sulla loro
destinazione.
La voce metallica
di Minerva gli risuonava in testa: "Canonica
di Caithness, Scozia".
Si
Smaterializzò in un attimo, trascinando i suoi compagni con
sé e cercando
d'ignorare l'urlo acuto di Minerva che continuava a perforargli le
orecchie,
facendogli contorcere le membra.
*
«Dolohov!»,
urlò Bellatrix. «L'ho trovata!».
Ottimo, due
contro una, rinchiusa in un fienile in preda alle fiamme. Quando si
dice
combattere ad armi pari.
Se non altro
Sirius e Mary avevano due persone in meno di cui occuparsi.
Sperò intensamente
che fossero ancora vivi.
La figura di
un altro Mangiamorte comparve nel buio, illuminata dal fuoco.
«Com'è
arrivata fin qui?».
«E'
un
Animagus; una gattina tigrata molto dispettosa!».
Dolohov
rise, lanciando un incantesimo che Minerva parò.
Si
guardò
intorno, non avrebbe potuto resistere ancora a lungo. Rimanere nel
fienile avrebbe
significato ardere viva e per uscire avrebbe dovuto incontro a quei
due. Non
sapeva quale soluzione fosse peggio... o forse sì.
Rispose agli
attacchi dei suoi due avversari che pararono le sue fatture senza
problemi.
Le fiamme si
stavano avvicinando, riusciva a percepire l'aumento di calore che
rendeva l'ambiente
soffocante.
Si
appoggiò
alla parete dietro di lei, non ancora raggiunta dall'incendio, in quel
momento ebbe
una brillante idea.
Schermò
l'ennesimo anatema scagliato dai nemici e si girò
velocemente, la bacchetta
puntata contro il muro di legno, urlando:
«Confringo!».
Si
rannicchiò su se stessa, coprendosi la testa con le braccia
e chiudendo gli
occhi, per evitare schegge e pezzi di legno.
Una grande
apertura si era creata al centro della parete di legno, ancora fumante.
Minerva vide
il cielo scuro, le stelle nascoste dalle nuvole... era libera!
Avanzò
di
qualche passo, per poi bloccarsi all'improvviso.
La canonica
e il fienile si trovavano su un'alta scogliera a picco sul mare, il
fienile in
particolare era situato quasi sul bordo della roccia; Minerva si era
dimenticata di quel piccolo dettaglio. Suo padre adorava la casa
proprio perché,
a differenza di normali canoniche, era stata costruita abbastanza
vicino al
paese, ma non troppo da trovarsi nella piazza principale.
Si sporse un
poco. Il terreno proseguiva di qualche metro, per poi terminare
bruscamente nel
nulla.
La scogliera
si gettava nel mare come un abile tuffatore, ripida, completamente in
verticale.
Deglutì,
scossa da brividi, voltandosi a guardare i Mangiamorte.
Avanzavano
lentamente verso di lei, attraverso il fienile incendiato; non avevano
fretta
di farla finita, non avevano fretta di ucciderla.
Scintille
verdi uscirono dalla bacchetta di Dolohov, Minerva parò
velocemente il colpo,
indietreggiando. Bellatrix attaccò subito dopo, senza darle
nemmeno il tempo di
riprendere fiato.
La
maledizione colpì il suo scudo con forza, il suo piede
scivolò lungo il terreno
ghiaioso.
Accadde
tutto molto velocemente: Minerva percepì se stessa perdere
l'equilibrio, il suo
corpo ondeggiò avanti e indietro. Ricadde malamente sul
terreno, Bellatrix
scagliò un altro bagliore verde che sfiorò la sua
spalla, facendole definitivamente
perdere ogni appiglio a terra.
La roccia si
sgretolò, le sue gambe caddero nel vuoto, trascinando con
sé la loro
proprietaria.
Minerva si
aggrappò al bordo della roccia, cercando inutilmente di
evitare il peggio dell'impatto:
il suo corpo colpì forte lo scoglio, l'abito si
lacerò in diversi punti e
cominciò a uscire sangue in abbondanza.
L'urto le
mozzò il fiato, facendole perdere la presa sulla bacchetta,
che rotolò lungo la
parete di roccia accanto a lei, per poi inclinarsi pericolosamente e
cadere in
acqua.
Una morsa
attanagliò il suo stomaco: ora che non aveva più
la bacchetta, la sua unica
arma, era davvero perduta.
Sopra di
lei, Bellatrix si sporse ridacchiando. «Sai, ti trovo molto
più sbarazzina
così, che dici, Antonin?».
«In
effetti
quell'abito le dona molto ora!».
Minerva
ringhiò rabbiosa, mentre Bellatrix le puntava la bacchetta
contro.
Non c'era
modo di scappare questa volta.
Sarebbe
morta lì, dov'era nata.
Una decina
di metri sotto di lei, le onde del mare s'infrangevano con violenza
contro la
scogliera, producendo schiuma bianca e spumosa.
Un sorriso
malvagio illuminò il volto di Bellatrix, prima che
pronunciasse le due
fatidiche parole.
Minerva
chiuse gli occhi, attendendo una fine che... non arrivò.
Riaprì
gli
occhi con cautela, tenendosi saldamente alla roccia con la forza che le
rimaneva.
Riusciva a
vedere a fatica, il dolore le annebbiava la vista e i suoi occhiali
erano rotti
in più punti, ma distinse chiaramente la sua
figura nella penombra.
Pochi metri
al di sopra di lei, nello stesso punto in cui la roccia era franata
poco prima,
Albus Silente era chino sulle ginocchia e le tendeva la mano, le vesti
sporche
di terra, diverse foglie imprigionate tra i fili della barba argentea.
Era lui, per
Merlino, era proprio lui.
Mormorò
qualcosa vagamente somigliante a un: «Albus». Era
senza parole, la gola secca,
le mani graffiate e sanguinanti, un dolore incessante in tutto il
corpo.
Lui si
chinò
ancora di più e le allungò un braccio.
«Forza, afferra la mia mano!», esclamò.
Obbedì
con
grande fatica, bilanciando il proprio peso per stringergli la mano.
La donna non
riuscì a reprimere un urlo quando Silente iniziò
a cercare di tirarla su; a
giudicare dal dolore lancinante al braccio sinistro doveva essersi
rotta
qualcosa.
Finalmente,
Albus riuscì nel suo intento, i muscoli delle braccia
contratti e le vene
notevolmente visibili a causa dello sforzo; Minerva si issò
sulla superficie
rocciosa aiutandosi con i piedi, per poi stramazzare a terra,
rantolando.
Sputò
saliva,
respirando a pieni polmoni con la bocca sporca di sangue.
A pochi
metri da loro, Bellatrix e Dolohov giacevano incoscienti a terra.
«Minerva,
Minerva, tutto bene?», domandò con voce ansiosa.
La sua vista
era decisamente annebbiata, riusciva a distinguerlo a malapena. Sapeva
di
essere ridotta davvero male: i vestiti erano lacerati talmente tanto
che
riusciva a percepire l'aria gelida sferzarle il petto, le spalle, gran
parte
delle gambe. Era sporca di sangue quasi ovunque, le ciocche sfuggite
alla
crocchia erano incollati alla fronte dal sudore, il braccio sinistro
giaceva
inerme sul suo grembo e bruciava ininterrottamente.
«Io...», ansimò,
«Sì, credo...
di sì».
Alzò
lo
sguardo per incontrare i suoi occhi azzurri, le pupille dilatate
e il respiro accelerato per lo shock.
A fatica
posò la mano destra sulla sua guancia, accarezzandolo.
«E' tutto... a posto»,
sussurrò.
Lui sorrise
debolmente e posò la mano sulla sua, stringendola forte.
Minerva tremò: l'aveva
toccata, le stava stringendo la mano, la sua espressione era
così preoccupata
e... che diavolo stava facendo?
Tutto questo
era sbagliato, no, dovevano rialzarsi e combattere, non c'era tempo
per... era
Albus Silente, per l'amor del cielo! Lei e lui non potevano, non
dovevano...
forse Albus era semplicemente preoccupato per lei, probabilmente aveva
reagito
in modo eccessivo...
Sentiva il
suo cervello vorticare, i pensieri più assurdi lo
affollavano e non riusciva
nemmeno a decifrarli.
I suoi occhi
erano così incredibilmente luminosi, d'una sfumatura
d'azzurro molto chiara. Pigmenti
blu e argentei si intrecciavano tra loro, riproducendo il colore delle
onde
marine.
Il cuore di
Minerva saltò un battito.
Erano
così
vicini; sentiva il suo respiro caldo su di sé, gli occhi
azzurri specchio dei
suoi.
Erano
così
vicini da potersi sfiorare, toccare, baciare.
Per alcuni
interminabili istanti Minerva desiderò ardentemente che lo
facesse.
Voleva che la
stringesse a sé e la baciasse con dolcezza, con amore.
Voleva che fosse
innamorato di lei e che glielo dicesse.
Lo voleva e
non sapeva nemmeno il perché, non riusciva a ragionare in
modo lucido,
probabilmente per il dolore, ma non le importava.
In una
situazione normale si sarebbe odiata per aver pensato una cosa del
genere, si
sarebbe presa a schiaffi mentalmente per mantenere un certo contegno...
ma in quel momento sentiva che
nulla le
importava.
Sarebbe
morta se lui non fosse arrivato, se lui non l'avesse salvata. Albus era
arrivato a salvarla. L'aveva fatto per lei.
Percepiva
che i suoi ragionamenti erano stupidi ed egoisti - Albus era arrivato
per
salvare tutti e tre! - ma non le importava.
Il dolore
era forte, accecante. Sapeva che un incredibile ammontare di fattori,
in quel
momento, le impediva di ragionare lucidamente, ma non le importava.
Tutto
ciò
che contava davvero erano i suoi occhi azzurri, la sua mano sulla
guancia di
lui, le sue labbra.
Baciami, ti prego.
Come se
avesse percepito il suo desiderio, Albus s'avvicinò ancora
di più a lei, erano
a pochi centimetri l'uno dall'altra.
Baciami, ti prego.
Eccomi,
finalmente!
Mi
scuso molto per l'assenza, ma la
mia beta ha avuto qualche problema/disavventura nel betare il capitolo,
poveretta! In compenso ha fatto un ottimo lavoro, come avrei fatto
senza di lei non lo so! Grazie Charlie!
Ringrazio
anche tutti coloro che hanno
commentanto, i 4 che la preferiscono e gli 11 che la seguono. Grazie,
grazie, grazie, grazie! Significa molto per me **
Al
prossimo capitolo - che arriverà appena posso, con le
vacanze di mezzo, prometto!
Jo
|
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Capitolo 6 *** Capitolo Quinto ***
Capitolo
5
My beloved
monster is tough
If she wants she will destroy you
But if you lay her down for a kiss
Her little heart, it could explode
[My Beloved Monster - Eels]
Albus distolse
improvvisamente lo sguardo.
Il cuore di Minerva sprofondò e con lui tutte le sue
speranze; come aveva potuto essere così stupida? Era ovvio
che non gli
interessava, lei era solo una semplice collega: Albus meritava di
meglio.
Silente si alzò in piedi, tendendo la mano per aiutarla ad
alzarsi. «Andiamo, dobbiamo aiutare gli altri».
Il battito di Minerva accelerò. Si era dimenticata di
loro, che egoista. «Muoviamoci»,
replicò, cercando di sembrare determinata.
Lo seguì all’interno del fienile in preda alle
fiamme:
Albus creò uno scudo per proteggerli dal fuoco. Arrivati al
grande prato che si
estendeva di fronte alla canonica, videro che Sirius e Mary stavano
ancora
combattendo; Moody, Paciock e Arthur davano loro man forte.
Albus si lanciò in avanti per aiutarli, subito seguito da
Minerva che, nonostante avesse le vesti stracciate, la vista annebbiata
e un
dolore lancinante in tutto il corpo, in particolare al braccio
sinistro, stringeva
con forza la bacchetta davanti a sé, agitandola con maestria
e fierezza.
Avery, Lestrange e Rosier erano circondati dai membri
dell'Ordine: erano tre contro sette, eppure se la cavavano ancora
egregiamente.
Sirius, frustrato, lanciò un anatema contro Rosier,
mancandolo di diversi centimetri. Lui, Mary e Minerva, stavano perdendo
la
concentrazione; era un miracolo che Mary potesse ancora reggersi in
piedi,
combattendo schiena contro schiena con Sirius, nonostante fossero
entrambi stremati
oltremisura.
Minerva sentì le voci dei tre Mangiamorte intorno a
sé,
soffocate dal rumore della battaglia: «Dove sono Bellatrix e
Dolohov?», urlò
Lestrange ai compagni.
«Non lo so; sono andati dietro alla McGranitt e non sono
più ritornati!».
«E' stato il vecchio, di sicuro!»,
ringhiò Avery,
riferendosi ad Albus.
«Abbiamo bisogno di rinforzi, non resisteremo a
lungo!».
«Chiamiamo Piton e gli altri!».
«No», replicò Rosier, respingendo un
anatema, «Ci
metterebbero troppo. E' di lui che abbiamo
bisogno».
«Non se ne parla!», esclamò Lestrange,
«Bellatrix è stata
chiara, l'Oscuro Signore non deve essere coinvolto!».
«Ma se non lo chiamiamo ora perderemo
questa
battaglia!».
«Moriremo!», gli fece eco Avery.
«Allora lo faremo con onore», replicò
Lestrange, con un
orgoglio e tenacia che Minerva non avrebbe esitato a definire tipici di
Grifondoro.
Cosa diceva sempre Albus? Lo Smistamento
avviene troppo presto.
Chissà, magari Lestrange non sarebbe stato un cattivo
Grifondoro; certo, se non stesse cercando di ucciderla in quel momento,
l’idea
avrebbe anche potuto andarle a genio.
Si ricordava perfettamente il proprio Smistamento: all’epoca
era una ragazzina minuta e fragile, molto timida. Solo grazie
all’aiuto di
Silente era riuscita a superare queste piccole difficoltà e
mostrarsi per
quella che era davvero, farsi valere.
L’Albus di una volta non era cambiato per niente: la
esortava ancora a dare sempre il meglio di sé, in qualsiasi
situazione. La
conosceva bene; sapeva di che pasta fosse fatta, sapeva che non si
sarebbe
arresa mai, nemmeno nella disperata situazione in cui si trovavano
– anche se,
doveva ammetterlo, tutto le sembrava molto meno disperato dopo
l’arrivo del suo
ex professore, mentore, collega... amico.
Minerva parò l'incantesimo che era rimbalzato contro lo
scudo di Rosier, Albus disarmò Lestrange, qualcuno
imprecò poco distante da
lei… poi, tutto accadde molto velocemente.
Avery approfittò della momentanea distrazione di Lestrange
per premere l'indice sull'avambraccio sinistro, dritto sul Marchio
Nero.
«NO!», urlò Rodolphus. «Ora ci
hai condannati davvero a
morte, stupido idiota!».
«State in guardia!», urlò Minerva agli
altri. «Arriva!».
I suoi compagni sapevano esattamente di chi stesse
parlando; probabilmente ognuno di loro aveva temuto sin dall'inizio un
risvolto
del genere.
Atterrò in un turbinio scuro, di fronte a loro. Lo
seguivano altri cinque Mangiamorte, tutti mascherati:
l’Ordine era di nuovo in
svantaggio.
Tom Riddle era cambiato da come Minerva se lo ricordava ai
tempi della scuola: i capelli ricci erano gli stessi, ma gli occhi
erano più
scuri e maligni, la pelle ancora più pallida e tesa sul
cranio, come una
sottile pellicola trasparente.
L’uomo - se ancora si poteva definire così -
scrutò con
intensità il campo di battaglia, soffermandosi sul volto di
ogni mago e strega
presente, alleato o nemico che fosse; il suo sguardo le
provocò brividi di
disgusto.
Voldemort scoccò un'occhiata minacciosa ai suoi seguaci e
sillabò loro qualcosa di molto simile a: "Penserò
a voi più tardi,
idioti", per poi voltarsi e fissare gli avversari con fare calcolatore.
«Bene, bene, cosa abbiamo qui?»,
cominciò. «L’Ordine della
Fenice, che piacere! Moody, Weasley, Paciock… oh, anche la
signorina MacDonald
con il signor Black», commentò con un sorriso
inquietante.
«Minerva McGranitt, quanto tempo! L’ultima volta
che ci
siamo visti eri Caposcuola, ricordi? Tiranneggiavi gli altri studenti
con un’adorabile aria di
superiorità»,
ironizzò.
Minerva contrasse la mascella, non sapendo cosa replicare.
Erano passati molti anni, ma Riddle era sempre lo stesso: freddo,
calcolatore,
mellifluo, persuasivo e incredibilmente sfacciato.
« E poi, e poi… il grande Albus Silente, quale
onore!»,
accennò un piccolo inchino.
«Non credo tu sia nella posizione di ironizzare questa
sera, Tom», replicò Albus.
Lo sguardo di Voldemort si infiammò. «Tom Riddle
è morto,
da lungo tempo ormai*»,
rispose, ridendo sguaiatamente di un perverso gioco di
parole che solo lui e Albus parevano aver capito.
«A quanto ho capito al vecchio Albus non piace scherzare;
diamo inizio alle danze, allora!», concluse con fare
teatrale.
Puntò la bacchetta contro Silente e ne fece fuoriuscire
una fiammata che Albus bloccò facilmente, sferzandola come
se avesse una
frusta.
La battaglia riprese: Lestrange attaccò Minerva e Mary con
la bacchetta da poco recuperata, Avery e Rosier si difendevano da
Arthur e
Alastor insieme ad altri due compagni, Sirius e Paciock combattevano
contro gli
altri tre Mangiamorte.
Minerva si sentiva incredibilmente debole, percepiva il
suo corpo implorare pietà e riposo, eppure una forte scarica
di adrenalina le
impediva di crollare a terra, almeno per quel momento.
Anche Mary era stremata, tanto che Lestrange riusciva
senza problemi a tener testa a tutte e due: il suo viso era pallido,
esangue,
profonde occhiaie le marcavano gli occhi, diversi tagli le segnavano il
volto e
il collo.
Minerva parò l’ennesimo colpo di Rodolphus; questa
volta
dovette fare attenzione a non perdere l’equilibrio,
perché la forza
dell’incantesimo fu tanto potente da sbilanciarla.
Avevano bisogno di aiuto, ulteriore
aiuto; i maghi a loro disposizione erano senza dubbio
molto capaci, ma potevano poco contro un maggior numero di avversari
– che, tra
l’altro, utilizzavano maledizioni e magia oscura che Minerva
poteva solo
immaginare.
Sentì Riddle ridere alle sue spalle; una risata fredda e
malvagia, da far rabbrividire. Un solo pensiero la turbò:
“Albus è in pericolo.
Se Voldemort ride in questo modo, allora…”.
Incapace di resistere senza sapere se Silente fosse ferito
o meno, Minerva si girò. Un getto di luce verde le
passò sopra la spalla, quasi
sfiorandola: Mary lo parò a fatica.
Albus stava bene, fortunatamente. Combatteva con una
concentrazione tale che sembrava non vedesse altro che
l’avversario davanti a
sé. Tom Riddle lo guardava e rideva quasi istericamente,
divertito.
In quella frazione di secondo, un nuovo incantesimo
lanciato da Lestrange colpì Mary in pieno petto.
«NO!», urlò Minerva,
Schiantando Rodolphus con forza.
Mary MacDonald giaceva a terra, priva di sensi, una grossa
bruciatura lungo parte del collo. Minerva si avvicinò a lei
e la sollevò con la
bacchetta per trasportarla in un luogo sicuro. Anche un incantesimo
semplice
come la
Levitazione
le risultò difficile: riusciva a malapena a camminare, il
braccio sinistro era
praticamente inutilizzabile e contribuiva solamente a renderle ogni
azione più complicata.
La portò fino ad un grosso albero nelle vicinanze del
fienile, ben distante e riparato dalla zona di combattimento, poi
ritornò alla
battaglia; Albus non stava più combattendo contro Voldemort,
che ora si
destreggiava contemporaneamente con Alastor e Paciock. Tre Mangiamorte,
compreso Lestrange, erano stesi a terra, inermi; erano sei contro sei,
ora.
Albus fece comparire una sottile corda d’oro, con cui
legò
i tre Schiantati, ai quali si aggiunse Rosier.
Minerva si unì a Sirius e Arthur, che stavano combattendo
contro due Mangiamorte sconosciuti; quest’ultimi non erano
particolarmente
dotati e si
trovavano in notevole difficoltà,
essendo anche in svantaggio numerico.
Riddle, accorgendosi di star perdendo rapidamente vantaggio,
fece un ultimo tentativo: attaccò Silente alle spalle.
Albus stava combattendo contro Avery e un altro
Mangiamorte, non si accorse minimamente delle intenzioni di Voldemort
nei suoi
confronti.
Minerva urlò, lanciandosi in sua direzione. Lui si
girò
velocemente, disorientato.
La maledizione la colpì alla spalla sinistra, anche se lo
scudo da lei generato riuscì a limitare i danni
più gravi.
Si sentì sollevare da terra dalla potenza
dell’onda d’urto
e volò qualche metro più indietro, come una
bambola di pezza.
*
«Minerva,
Minerva, riesci a sentirmi?». La voce
più bella
del mondo la destò dal suo torpore.
«C-cosa?»,
borbottò con la bocca
impastata, aprendo a
fatica le palpebre.
Era sdraiata
sull’erba, tra le braccia di Albus. Albus,
Albus, Albus: il suo cervello riusciva a comprendere solo quello, al
momento.
«Sei
stata colpita da un anatema indirizzato a me, hai
fatto un bel volo», le spiegò.
«Oh»,
fu tutto ciò che riuscì
a dire.
«Ho
appena creato una Passaporta per trasportarti al San
Mungo il prima possibile».
Gli
afferrò il braccio di scatto. «No,
aspetta», balbettò.
«La battaglia, gli altri, Riddle, io…»,
cercò di mettersi a sedere, ma il
dolore al petto e al braccio sinistro erano insopportabili.
Crollò a terra con
un gemito.
«Tutto
bene?», domandò lui con
apprensione.
«No»,
fu la risposta sincera.
Lui le porse
una delle proprie scarpe. «Ecco la Passaporta,
si attiverà
tra cinque minuti».
Minerva la
posò accanto a sé, non facendoci caso.
«Come
sta Mary?».
«Sirius
è con lei al San Mungo; ha ricevuto una
brutta
fattura, ma guarirà».
«Gli
altri?».
«Stanno
tutti bene; Voldemort è fuggito».
«Fuggito?
Come?».
«Ecco,
diciamo che dopo il tuo volo improvviso ho perso un
tantino il
controllo», le
spiegò con
uno strano sorriso.
Minerva
cercò di evitare l’improvviso rossore che
minacciava di tingerle le guance. «Vuoi dire
che…?».
«Voglio
dire che – modestie a parte - ho
sbaragliato Avery
e il suo compagno quasi ad occhi chiusi e ho Schiantato gli altri
due».
«Li
hai catturati tutti?», domandò.
«Purtroppo
no; poco prima che Tom decidesse di fuggire,
Bellatrix e Dolohov si sono ripresi.
Bellatrix
ha fatto
in tempo a risvegliare il marito e si sono Smaterializzati insieme;
chissà,
magari ci tiene a lui, in fondo. A suo modo, ovviamente».
Minerva non
colse l’ironia. «Tu come
stai?».
«Meglio
di quanto tu possa pensare».
«A
me non sembra».
Albus
alzò gli occhi al cielo, ma non riuscì a
nascondere
un sorriso. «Qualche graffio, niente di
più», rispose, avvicinandosi a lei.
«Sei tu quella che conta, adesso»,
mormorò, sfiorandole la guancia.
«Ahi».
«Perdonami»,
si scusò allarmato,
allontanando la mano.
«No,
non ti preoccupare. E’ solo un
livido», replicò,
posando la mano sulla sua.
Lui la strinse
con cautela, sorridendole appena.
«Ti
duole molto il braccio?».
«Il
peggio è passato», mentì
lei. Faceva ancora male,
eccome, ma con Albus così vicino tutto passava in secondo
piano, persino un
braccio rotto.
Silente
avvicinò il viso al suo, tanto che riusciva a
percepirne
il respiro caldo e umido, il battito del cuore.
La
guardò intensamente, gli occhi azzurri parevano
scrutarla nel profondo, come se riuscissero a penetrarle
nell’anima; per un
attimo Minerva pensò che fosse sul punto di baciarla, come
aveva desiderato
facesse prima, come desiderava ardentemente ancora adesso.
Albus
reclinò un poco il capo, posando un leggero bacio
sulla sua spalla sinistra.
«Non
è molto, ma è il massimo che posso
fare, per ora. Non
oso azzardare incantesimi di cura perché non sono esperto
come Madama Chips in
questo campo».
Minerva
avvampò. «Grazie», si
limitò a dire.
Lui le
accarezzò i capelli e le baciò la fronte
sudata e
sporca.
In quel
momento la Passaporta
s’illuminò di un soffuso bagliore blu.
«E’
meglio che tu vada»,
mormorò.
La donna lo
guardò stranita. «Tu non
vieni?».
«Purtroppo
no, devo ancora sistemare alcune faccende. Ti
verrò a trovare sicuramente», confermò
con una strana espressione sul viso.
«Ti
aspetto, allora», rispose, cercando di
nascondere la
sua delusione.
Guardò
la scarpa di Albus illuminarsi a intermittenza,
quasi invitandola ad afferrarla. Minerva si girò ancora
verso di lui.
«Beh,
credo proprio di dover andare», concluse dopo
alcuni
lunghi secondi di silenzio, in cui si limitarono a fissarsi a vicenda.
Silente
annuì, senza parlare.
La mano di
Minerva si avvicinò alla Passaporta, ma
esitò,
di nuovo.
«Minerva».
La voce di Albus era fievole, quasi un
debole
mormorio, come se fosse scosso da centinaia di emozioni contrastanti.
Spostò
lo sguardo dalla Passaporta a lui, la sua mano
ancora a mezz’aria, sospesa in direzione della scarpa.
«Sì?».
Fu un attimo:
Albus si chinò verso di lei, prendendole il
viso tra le mani e baciandola teneramente. Le labbra
dell’uomo sfiorarono
appena le sue, ma questo bastò a far affluire il sangue alle
guance di Minerva.
Silente si
separò da lei un secondo dopo; entrambi avevano
il respiro corto per l’emozione.
Un grande
sorriso le comparve sul volto stravolto, ma per
Albus non era così: la sua espressione era illeggibile, il
suo viso una
maschera. L’uomo applicò una leggera pressione al
suo braccio, ancora sospeso a
mezz’aria, in modo che la sua mano toccasse la Passaporta.
«No!»,
esclamò Minerva, rendendosi conto
di cosa le avesse
fatto fare.
In un attimo
scomparve alla sua vista e con lui le
molteplici emozioni che le avevano gonfiato il cuore fino a quel
momento;
rimasero solo un debole profumo di limone e un vivido ricordo delle
labbra di
Albus sulle sue.
Salve!
Sono tornata, dopo la pausa estiva, o meglio, sabato
partirò ancora per una settimana, ma poi sarò -
più o meno, scuola permettendo, per cui le mie speranze sono
quasi nulle - tutta per voi.
Spero
che questo capitolo vi sia piaciuto, finalmente il bacio tanto
agognato dall'autrice
dai lettori è arrivato! Non sedetevi sugli allori
però, siamo appena al quinto capitolo, gente!
Ringrazio
infinitamente la mia beta Charlotte,
oltre alle persone che hanno commentato la storia, le 7
che la preferiscono e le 17
che la seguono; GRAZIE, GRAZIE, GRAZIE!
Al prossimo capitolo :)
Jo
*= Voldemort fa riferimento a Ton Riddle Senior che lui stesso ha ucciso qualche anno prima.
|
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Capitolo 7 *** Capitolo Sesto ***
Sometimes
I
wake up by the door,
that heart you caught must be waiting for ya.
Even now when we're already over
I can't help myself from looking for ya
[Adele
- Set Fire to the Rain]
Capitolo
6
8 luglio 1980.
La stanza in cui si trovava era vagamente familiare; a
Minerva bastò una seconda occhiata per rendersi conto che si
trattava del suo
ufficio a Hogwarts, qualche anno prima che iniziasse a insegnare.
Alla scrivania era
seduto un uomo dalla barba rossiccia e dagli occhi incredibilmente blu,
velati
da un paio di occhiali a mezzaluna posati sul naso adunco.
«Professor
Silente?», chiamò una voce dal fondo
dell’aula. Apparteneva a una ragazzina
alta e magra, i lunghi capelli neri erano intrappolati in una grossa
treccia
che le ricadeva lungo la spalla. A occhio e croce doveva essere del
sesto anno.
Albus alzò gli occhi
da ciò che stava scrivendo. «Oh, signorina
McGranitt. Non l’ho sentita
entrare».
La giovane Minerva
parve sorpresa di sentirglielo dire. «Mi dispiace
disturbarla, professore, suppongo
sia molto impegnato».
Lui la guardò da
sopra gli occhiali, come soleva fare nei momenti più seri.
«Lo sono, signorina
McGranitt. Confido che sia venuta nel mio ufficio per una questione
della
massima importanza».
Minerva deglutì.
«Ecco, mi chiedevo se… ultimamente ho fatto alcune
ricerche più approfondite
sugli Animagi, professore, e mi stavo domandando se lei potesse
aiutarmi».
«Aiutarla in cosa?».
«A diventare
un’Animagus».
Albus rimase in
silenzio per un momento, pensoso. «E’ una
Trasfigurazione molto complicata e
rischiosa, Minerva», replicò, guardandola negli
occhi.
La ragazza
rabbrividì, sia per lo sguardo penetrante che per
l’uso del suo nome di
battesimo.
«Lo so, ma posso
farcela. Sono la migliore della sua classe, professore. Se lei mi
aiutasse, di
sicuro non avrei problemi».
Silente rispose
debolmente al suo sorriso. «Ci penserò. Ora
va’ a divertirti con i tuoi amici,
è una bella giornata estiva».
Lei annuì. «Grazie,
professore».
Minerva sorrise nel sonno e lo scenario cambiò di colpo.
«Concentrati».
La stessa ragazza
dell’anno precedente, che era venuta da lui in un caldo
pomeriggio di inizio
giugno per domandargli di aiutarla a diventare Animagus, gli stava di
fronte; aveva
gli occhi chiusi e la fronte corrugata nel tentativo di trovare la
concentrazione necessaria.
«Inspira
profondamente; ottieni assoluto silenzio intorno e dentro di te. Cerca
il
centro pulsante della tua magia e da lì scatena la
trasformazione». Detto
questo, Albus rimase in silenzio.
Minerva liberò la
propria mente da ogni pensiero e, ad occhi chiusi, cercò il
centro pulsante
della propria magia, come Silente le aveva spiegato.
Diversi minuti
dopo riaprì
gli occhi. «Niente»,
comunicò sconsolata.
Albus sorrise. «Nessuno
ci è mai riuscito al primo tentativo, Minerva. Sai qual
è il vero segreto per
diventare Animagus?».
La ragazza
s’illuminò. «Quale?».
«La perseveranza».
«Oh», rispose,
delusa. «Tutto qui?».
Il sorriso del suo
professore si fece ancora più largo.
«Sì, tutto qui».
«Buongiorno, Pomona, da quanto tempo sei qui?».
Pomona Sprite si girò in direzione di chi l’aveva
salutata, nonostante ne avesse già riconosciuto la voce.
«Filius», lo salutò
con un gran sorriso.
Vitious la raggiunse al capezzale della loro collega e
amica, Minerva McGranitt.
«Sono venuta ieri sera e da allora non l’ho
più lasciata»,
disse lei, in risposta alla sua domanda precedente.
«Non hai dormito nemmeno un po’?».
«Qualche ora su quella poltrona».
«Va’ pure a casa, sto io con lei».
«Non ti preoccupare, non sono stanca»,
mentì Pomona.
Filius ignorò la sua ultima affermazione.
«Com’è potuto
succedere?».
«Era in missione per l’Ordine; lei, Sirius Black e
Mary
MacDonald dovevano recuperare provviste per il Quartier Generale, a
quanto mi
ha detto Arthur. Purtroppo i Mangiamorte sapevano dei loro spostamenti
e hanno
teso loro un’imboscata».
«In piena Diagon Alley!».
«No, in piena Londra».
Il mago strabuzzò gli occhi. «Cosa?!».
«Sì, Albus ha preferito mandarli in incognito in
un
negozio Babbano a fare compere ma, a quanto pare, non ha
funzionato».
«Hanno combattuto lì?».
«Minerva tentato di scappare, di Smaterializzarli al
Quartier Generale, ma sono riusciti a seguirli».
«Per la barba di Merlino!».
«Così Minerva è stata costretta a
cambiare direzione
all’ultimo momento e a Materializzarsi con tutti gli altri a
Caithness – sai,
dove ha trascorso la sua infanzia».
Vitious annuì.
«Lì è incominciata la battaglia.
Ovviamente i nostri erano
in difficoltà – tre contro cinque! –
così Minerva ha dovuto rifugiarsi nel
vecchio fienile adiacente la canonica e inviare un Patronus ad Albus
per
avvertirlo del pericolo».
«E poi?», incitò Filius, agitatissimo.
«Poi è quasi caduta dalla scogliera, spinta da
Bellatrix
Black – pardon, Bellatrix Lestrange – e
Dolohov». Sentì il collega trattenere
il respiro.
«Ti sei
esercitata?», domandò il professor Silente.
Erano passati ormai
diversi mesi dalla prima lezione privata tenuta da Albus per aiutare
Minerva a
diventare Animagus.
La ragazza annuì.
«Ho avuto qualche difficoltà a svuotare la mente;
sto studiando talmente tanto
per i M.A.G.O. che ho la testa piena di nozioni di Storia della Magia,
Trasfigurazione, Pozioni…».
«Se hai difficoltà a
continuare con le lezioni possiamo interromperle per un po’ e
ricominciare
quando avrai finito la scuola. Del resto, mancano pochi mesi».
Minerva scosse la
testa con convinzione, «Oh no, non ho assolutamente
intenzione di interrompere
le lezioni, professore», replicò con un sorriso.
«Ho solo detto che in questo
periodo sono un po’ sovraccarica di lavoro, ma non
è niente che non riesca a
sbrigare».
«Benissimo, allora.
Sei riuscita a trovare il fulcro della tua magia? Hai visto quella
brillante
luce argentea?».
Minerva rispose
affermativamente.
«Ottimo. Ora ripeti
lo stesso procedimento e concentrati sulla Trasfigurazione, poi
pronuncia
l’incantesimo».
Minerva chiuse gli
occhi e liberò la mente. Dentro di sé
trovò una luce argentea e brillante,
quasi accecante. Si concentrò sulla percezione del proprio
corpo che cambiava e
pronunciò l’incantesimo, come il professor Silente
le aveva insegnato.
Si sentì
immediatamente più piccola, minuta. Notò il pelo
crescerle sulle mani ma, in un
attimo, era tornata alla sua forma umana.
«Professore,
professore, ha visto?», esclamò eccitata.
Albus sorrise. «Ho
visto, Minerva, ho visto».
«Mi sono vista
crescere il pelo sulle mani; sarò un gatto, un cane? Spero
proprio di essere un
gatto», commentò con sguardo sognante.
«Credo che tu abbia faticato
anche fin troppo, oggi», le fece notare Albus. «Ti
sei impegnata molto,
complimenti. Manca poco e sarai un’ottima Animagus».
Minerva esibì un
sorriso a trentadue denti e lo salutò, ma prima di uscire si
fermò, esitante,
sulla soglia. Tornò indietro, rapida, e lo baciò
sonoramente su una guancia.
«Grazie mille,
professore», sussurrò, prima di uscire
dall’ufficio e lasciare un Albus
imbambolato nel bel mezzo della stanza, con le guance rosse come la sua
barba.
«Quando Albus e gli altri sono arrivati, Mary e Sirius
stavano combattendo contro Lestrange, Avery e Rosier. Arthur mi ha
raccontato
che, appena arrivati, Albus ha notato che Minerva non c’era
ed è partito come
una scheggia verso il fienile incendiato».
«Incendiato?», domandò
l’altro, confuso.
«Sì, Bellatrix gli ha dato fuoco con
l’intento di far
uscire Minerva. “Avresti dovuto vedere
l’espressione di Albus”, mi ha detto
Arthur, “era livido”».
«Lo posso immaginare».
«E’ tornato poco più tardi insieme a
Minerva. Era conciata
davvero male: graffi, lividi e un braccio rotto».
Filius gettò un’occhiata all’amica che
giaceva nel letto.
«I Mangiamorte rimasti erano seriamente in
difficoltà,
così hanno pensato di chiamare il loro Signore e
Padrone».
«No!», commentò il mago, sconvolto.
«Lui è puntualmente arrivato - con rinforzi,
addirittura!
- ma, nonostante
tutto, la nostra
Minerva ha combattuto come una vera leonessa. Arthur mi ha raccontato
che,
quando Lestrange ha colpito Mary, Minerva l’ha Schiantato con
una forza tale da
far paura».
Vitious annuì, impressionato.
«Voldemort si è accorto di essere in seria
difficoltà,
perché gran parte dei suoi seguaci erano incompetenti, di
conseguenza ha deciso
di attaccare Albus. Minerva se n’è accorta subito
e si è letteralmente lanciata
contro la maledizione. Ha fatto un bel volo», concluse,
accarezzando la mano
destra dell’amica.
«Lo credo bene», replicò lui, osservando
la cartella
clinica ai piedi del letto.
Minerva McGranitt
4 ottobre 1925
Frattura dell’arto superiore
sinistro - Colpita da Maledizione
Prognosi: 5 giorni
«E’ stata trasportata qui l’altro ieri
tramite Passaporta
– scommetto che l’ha creata Albus.
L’hanno visitata e curata; per qualche ora
non è stato possibile entrare. Io sono stata la prima a
visitarla, sono entrata
alle sei di ieri mattina. Ovviamente ho fatto qualche pausa –
quando per poco
non mi buttavano fuori a suon di fatture perché non era
più orario di visite –
e poi ho deciso di passare la notte qui».
Minerva sorrise nel sonno.
«Guardala, chissà cosa sta sognando»,
commentò teneramente
Pomona.
Filius accennò un sorriso, fissando la Sprite perso nei propri pensieri.
«Già», sospirò.
Pomona si girò a guardarlo, interrogativa, e lui si
riprese immediatamente, sorridendo in direzione di Minerva.
Ci fu qualche momento di silenzio, infranto solo dal
respiro lento e regolare della donna addormentata, unito a quelli dei
due
visitatori, poi Filius parlò: «Albus è
venuto a trovarla?».
«Non lo so. Ieri di sicuro non è venuto».
«E’ venuto qualcun altro da quando è
ricoverata?».
«Sono venuti Arthur e Molly verso le dieci del mattino,
portandosi dietro il piccolo Ronald – dovresti vedere
com’è già cresciuto. Poi
Sirius ha fatto una capatina dopo mezzogiorno – quel povero
ragazzo non lascia
mai il capezzale di Mary, lei si che è conciata male! James
e Lily sono stati
informati dell’accaduto e hanno mandato un mazzo di fiori sia
a lei che alla
MacDonald. Infine, verso le cinque, sono venuti Malocchio e Paciock ma
si sono
trattenuti per poco».
«Niente Albus, quindi».
«No».
«Nemmeno un gufo da parte sua?».
«Negativo».
«Sarà sicuramente impegnato; del resto noi
pensiamo ai
feriti, lui deve pensare a tutto il resto».
«Non so proprio come faccia».
*
Nello
stesso momento, molti chilometri più in là, Albus
Silente camminava avanti e indietro per il proprio ufficio, pensieroso.
Aveva provato a dormire più di una volta, nei due giorni
successivi alla battaglia in cui aveva quasi perso Minerva, ma non ci
era
riuscito.
Si sentiva stanco, stremato, ma appena toccava le
lenzuola, terribili pensieri lo attaccavano.
Si era buttato a capofitto nel lavoro e continuava a
lavorare senza sosta, nonostante la stanchezza si facesse sentire.
Numerosi ricordi affollavano la sua mente stanca, ormai
troppo provata dalle emozioni di due giorni prima e dalla mancanza di
risposo.
Si sedette sulla poltrona, incapace di camminare ancora.
Un sospiro sfuggì alle sue labbra: «Oh,
Minerva».
«Avanti».
Una testa sbucò
dall'uscio: un viso giovanile ma allo stesso tempo adulto, dai tratti
delicati
e allo stesso tempo marcati.
«Signorina
McGranitt, a cosa devo la visita?», salutò.
«Non la disturberò
più del necessario, professore. Sono stata informata dal
Preside Dippet che
intende lasciare la scuola in questi giorni».
«E' così,
infatti».
«E' per la guerra,
vero? E' per Grindelwald».
Albus nascose
abilmente la sua espressione: era anche fin troppo brillante e matura
per la
sua età.
«Professore, la
prego, non parta».
Sentire quella voce
implorarlo di rimanere era per lui una sofferenza più grande
dell’andare alla
ricerca di Gellert.
«Devo, signorina
McGranitt. Devo, per il bene di tutti».
«Ma là fuori è
pericoloso! Lui è
pericoloso».
Albus la scrutò da
sopra gli occhiali a mezzaluna. «E’ pericoloso, ma
io sono l’unico in grado di
tenergli testa».
«Ma…».
Si avvicinò a lei,
prendendola per le spalle. «Devi capire, Minerva, che molte
volte siamo
costretti a fare qualcosa che non vogliamo non solo per senso del
dovere ma
anche per amore degli altri».
«E’ profondamente
ingiusto», mormorò la ragazza con la voce
incrinata.
«Il mondo è
profondamente ingiusto, Minerva. La vita è profondamente
ingiusta», replicò
lui, sollevandole il mento con l’indice.
La sua ex alunna lo
abbracciò forte, poggiando la testa sul suo petto.
«Prometta che tornerà a casa
sano e salvo, professore. Lo prometta».
«Farò del mio
meglio».
Poco prima di uscire
dal suo ufficio, quella sera, la ragazza si girò verso di
lui. «Non si dimentichi
di me, professore».
«Non lo farò,
Minerva, non lo farò».
Oh dear, è
tantissimo che non aggiorno!
Chiedo perdono a tutti,
davvero, mea culpa. Tra l'inizio del terzo anno di classico e gli altri
impegni non scrivo dalla fine di quest'estate; che tristezza (e che
pigrizia!).
Spero che, nonostante i
coltelli che avrete sicuramente affilato più che bene in
questo periodo, il capitolo vi sia piaciuto - ho aggiunto un pizzico di
Filius/Pomona, perchè mi fanno tenerezza!
Ringrazio Charlotte McGonagall, la mia formidabile beta, le 14 persone
che seguono la storia, le 2 che la ricordano e le 6 che la
preferiscono, oltre agli scrittori delle 32 recensioni totali: GRAZIE
infinite!
Vi prometto che non dovrete aspettare così tanto per il
prossimo capitolo
Love always
Jo
|
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Capitolo 8 *** Capitolo Settimo ***
Ouch,
I have
lost myself again
Lost myself and I am nowhere to be found,
Yeah I think that I might break
I've lost myself again and I feel unsafe
[Sia
- Breathe Me]
Capitolo 7
9 luglio 1980.
Minerva
aprì gli occhi lentamente, le sue palpebre si
strinsero nel tentativo di schermare la luce.
Si
guardò intorno vagamente stordita e confusa: si trovava
in un letto d’ospedale, di sicuro il San Mungo.
Cercò
di mettersi a sedere, ma un dolore al petto la
convinse a rimanere sdraiata.
Guardò
il proprio corpo: era vestita con una camicia da
notte bianca e leggera, lasciata leggermente aperta sul petto. Il suo
torace
era stato interamente fasciato e il braccio sinistro aveva assunto uno
strano
colorito bluastro, diversi lividi e graffi erano sparsi lungo braccia e
gambe.
La sua stanza
era arredata semplicemente: due poltroncine
bianche poco distanti dal suo letto, un comodino con sopra un vaso di
fiori
colorati e i suoi occhiali.
Allungò
il braccio e inforcò gli occhiali squadrati: tutto
le sembrò immediatamente più nitido. Su una delle
due poltrone vicino al letto sonnecchiava un mago di
piccola statura, molto familiare.
Come se avesse
percepito che si era svegliata e lo stava
fissando, Filius aprì gli occhi. Voltò il viso
sonnolento in sua direzione e
sorrise.
«Buongiorno,
Minerva. Come stai?».
«Ad
occhio e croce direi che potrei stare meglio»,
commentò, dando un’occhiata eloquente al proprio
corpo.
Vitious
ridacchiò, «Ti hanno conciata abbastanza
male».
«Niente
che non possa guarire».
«Forse
è il caso che chiami un Guaritore, di sicuro
dovranno fare qualche controllo».
Filius
ritornò poco dopo, accompagnato da un ragazzo alto
e allampanato, che Minerva riconobbe come un suo ex allievo di qualche
anno
prima. «Signor Smith, che piacere rivederla»,
salutò.
«E’
un piacere anche per me, professoressa».
«Allora,
quali sono i danni?».
«Frattura
dell’arto superiore sinistro ed effetti
collaterali causati da Maledizione», rispose Smith, come se
fosse stato
interrogato.
«La
cura?».
«Abbiamo
applicato un incantesimo al suo torace, per
limitare al minimo i danni. Dopodiché abbiamo sistemato il
braccio sinistro fratturato
».
Minerva si
girò verso Filius. «Quanto ho dormito?».
«Due
giorni e mezzo, da quando l’abbiamo sedata»,
rispose
ancora una volta il Guaritore.
«Ora
che devo fare?».
«Adesso
applicherò questa pomata sui graffi e quest’altra
sulle contusioni», spiegò, mostrandole due
tubicini colorati. «Qualche ora e
saranno completamente spariti».
Per una buona
mezz’ora si lasciò curare docilmente, Filius
venne fatto uscire mentre il Guaritore Smith le applicava le pomate su
braccia,
gambe, collo e viso.
«Quanto
ancora dovrò restare qui?», domandò.
«La
prognosi è di cinque giorni, verrà dimessa dopo
domani
sera».
«Potrò
tornare tranquillamente alle mie occupazioni?».
«Certamente».
«Posso
chiederle una cosa?».
«Dica».
«Non
c’è bisogno di nient’altro per il mio
torace?».
«Bisogna
cambiare la fasciatura e mettere una pomata anche
lì; se ne occuperà la mia collega»,
replicò il giovane, arrossendo un poco.
Minerva
aprì la bocca per parlare, ma la richiuse subito
dopo, rendendosi conto che lo spalmare la pomata sul suo torace sarebbe
stato
imbarazzante non solo per il suo ex allievo, ma anche per lei.
Quando la
collega di Smith, la Guaritrice
Connelly,
le tolse la fasciatura, Minerva notò tre piccole macchie
scure sul petto.
«Se
ne andranno queste, vero?», chiese, mentre la donna
continuava a spalmarle diverse pomate sul torace e
sull’addome.
«Sì.
A quanto ci ha raccontato il signor Arthur Weasley,
lei ha generato un Sortilegio Scudo che le ha permesso di ripararsi
dagli
effetti peggiori della Maledizione; perciò basteranno due
settimane di pomata e
tutto sarà passato».
La paziente si
lasciò sfuggire un sospiro di sollievo.
«E’
molto fortunata ad avere incontrato
Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato ed essere sopravvissuta per
raccontarlo», le
disse la Guaritrice
poco prima d’uscire.
«Lo
so», fu la secca risposta di Minerva.
*
Albus fu
svegliato dall’insistente rumore di un gufo che
bussava alla finestra. Si alzò a fatica, per scoprire
d’essersi addormentato,
la sera precedente, con i vestiti ancora indosso.
Prese la busta
a lui indirizzata e, dopo averlo lasciato
tornare da dove era venuto, chiuse la finestra.
La lettera
proveniva dal Ministero, tanto per cambiare.
L’abbandonò
sulla scrivania con fare seccato e stanco; non se la sentiva di
lavorare, aveva
altro per la testa e avrebbe combinato solo pasticci.
Chissà
come stava Minerva, chissà se si era risvegliata?
Chissà se l’avevano curata, chissà se
quei brutti graffi e contusioni erano
spariti? Chissà se… scosse la testa con forza:
non doveva pensarci. Non doveva,
ma non riusciva a non farlo.
Non riusciva a
ignorare il sentimento che aveva provato appena
arrivato a Caithness: una furia gelida e incontrollata al pensiero di
ciò che
potevano averle fatto.
Non riusciva a
ignorare i pensieri che affollavano la sua
mente subito dopo averla salvata; Minerva era letteralmente sconvolta,
ma
l’insieme delle ciocche di capelli scuri sfuggite alla
crocchia, i graffi sul
viso, l’abito strappato, quei grandi occhi verdi e spaventati
toglieva il
fiato.
Avrebbe voluto
stringerla tra le sue braccia,
rassicurarla, farle coraggio e… baciarla.
Baciarla
teneramente, tenendola stretta a sé, respirare a
fondo il suo profumo, proteggerla da ogni male.
No, non
poteva. Non poteva perché Minerva non lo amava,
perché lui non la meritava.
Eppure aveva
rovinato tutto; proprio quando la Passaporta stava per
partire, proprio quando sembrava che fosse tutto finito,
l’aveva baciata.
Non aveva
resistito a quello sguardo stanco, tenero,
confuso: così infantile.
Minerva
appariva sempre come una donna forte, persino
insensibile, ma Albus la conosceva bene, sapeva che in
realtà era intelligente,
sagace, semplice e divertente. Certo, aveva i suoi difetti, sapeva
essere
incredibilmente testarda e acida, ma l’amava anche per questo.
Non aveva
resistito al forte sentimento che provava verso
di lei e aveva sfiorato le sue labbra in un bacio leggero; un bacio
che,
sapeva, sarebbe stato il primo e l’ultimo, l’unico
dolce ricordo in giorni
tristi come quello, la sua unica ancora di salvezza.
*
«E’
venuto a trovarmi qualcuno in questi giorni?»,
domandò
Minerva a Filius una volta che lo ebbero fatto rientrare,
un’ora dopo.
«Pomona
mi ha raccontato che sono venuti a trovarti Arthur
e Molly, Sirius, Alastor e il signor Paciock. Lei è rimasta
qui da quando ti
hanno ricoverato fino a ieri sera, poi ho insistito perché
tornasse a casa; non
lo dava a vedere ma era stravolta».
«E’
stato molto carino da parte sua».
«Infatti».
Dopo alcuni
secondi di silenzio, Minerva parlò ancora: «Non
è venuto nessun altro?», insistette.
«Chi
ti aspettavi, il Ministro della Magia?».
«Ovviamente
no», sbottò Minerva.
«Se
stai cercando di chiedermi se Albus è venuto a
trovarti in questi giorni la risposta è no», la
informò Vitious, cogliendo al
volo ciò che l’amica intendeva dire.
Minerva non
rispose.
«So
cosa stai pensando; non ti preoccupare, arriverà».
La
realtà la colpì al petto con forza.
«No, lui non verrà»,
proferì, tentando di celare la tristezza dietro le sue
parole.
«E’
molto probabile».
«Già»,
rispose lei e, questa volta, la tristezza nelle sue
parole era inconfondibile.
*
«Non
guardarmi così, Fawkes».
La fenice
continuò a fissarlo come se volesse
rimproverarlo e, probabilmente, era proprio quello che intendeva fare.
«Non
c’è bisogno che tu mi dica cosa devo o non devo
fare».
L’uccello
cantò una nota di disapprovazione.
«Mi
sono approfittato di lei; se mai dovessi andare a
trovarla al San Mungo sono certo che mi caccerebbe a suon di fatture.
Sono
stato così idiota, Fawkes! Lei era lì:
così vulnerabile, bisognosa di protezione,
così… bella. Ho rovinato tutto, amico
mio».
Fawkes
sfiorò la sua mano con la testa, guardandolo
sconsolato.
«Mi
stupirei se volesse ancora vedermi, parlarmi; ho
approfittato della sua momentanea debolezza, della sua
incapacità di intendere
e volere, di difendersi. In circostanze normali mi sarebbe arrivato uno
schiaffo, probabilmente».
Fawkes
inclinò la testa, confuso.
«Non
posso nemmeno inviarle un biglietto: mi prenderebbe
per ipocrita - e non avrebbe tutti i torti! In cosa mi sono andato a
cacciare?
Ho rovinato il bel rapporto d’amicizia che avevamo e adesso
Minerva è perduta,
perduta per sempre».
*
Minerva si
svegliò; a giudicare dalla poca luce che
proveniva dalle finestre doveva essere mattina presto.
L’avevano sedata ancora
una volta e aveva dormito per diverse ore come un sasso.
Cercò
di mettersi a sedere e, con molta fatica, riuscì nel
proprio intento.
Lividi e tagli
su braccia e gambe erano spariti, per
fortuna. Anche i suoi muscoli erano più rilassati e il
dolore al petto stava
svanendo lentamente. L’osso del braccio sinistro si era
ristabilito
completamente.
Filius se
n’era andato verso le sei del pomeriggio, quando
l’avevano sedata per dormire e, ora, era completamente sola
in camera. Sola
come non mai.
Albus non era
ancora venuto a visitarla e probabilmente
non sarebbe arrivato; certo, di sicuro era molto occupato,
ma… glielo aveva
promesso. Le aveva fatto una promessa, eppure, come al solito, non
l’aveva
mantenuta.
Avrebbe voluto
che lui fosse lì con lei, accanto al suo
letto, non a tenerle la mano e ad accarezzarle i capelli o a
sussurrarle parole
dolci, no, quelli erano stupidi romanticismi, il suo rapporto con Albus
valeva
di più.
Lo avrebbe
voluto accanto al suo letto per poter osservare
il suo viso, i suoi occhi, parlare con lui tranquillamente, come un
tempo.
Sperava che
quel bacio non avrebbe cambiato tutto tra
loro: non voleva perderlo e non l'avrebbe voluto perdere per tutti i
Galeoni
del mondo.
Perché
mai avrebbe dovuto perderlo? Del resto, era stato
lui a baciarla per primo: questo voleva dire che doveva provare
qualcosa per
lei... avrebbe voluto aggrapparsi a lui, stringerlo forte a
sé e sussurrargli
che era contenta che l'avesse baciata, ma Albus le aveva fatto toccare
la
Passaporta e quel vivido sogno era svanito.
Era
così piena di gratitudine per quel breve momento
passato con lui - quando l'aveva salvata sulla scogliera sembrava
più spaventato
di lei: aveva forse paura di perderla?
Allora, se ci
teneva sul serio, perché non veniva a
visitarla? Perché?
Il cielo fuori
dalla finestra era azzurro e limpido,
disturbato solo da nuvole insolenti; alcune erano bianche e soffici,
altre,
sottili e quasi trasparenti, venivano facilmente attraversate dai primi
raggi
di un timido e pallido sole, che conferivano loro un'aura argentea,
molto
simile a quella di un Patronus.
Un'idea
sfiorò la sua mente in quel secondo: un Patronus,
ecco cosa le serviva!
Magari Albus
non sapeva ancora che si era risvegliata e
forse voleva venirla a trovare una volta tornata cosciente: avevano
talmente
tanto da dirsi.
Sì,
gli avrebbe inviato un Patronus. Inforcò gli occhiali
e cercò la bacchetta sul comodino; non aveva bisogno di
immaginarlo al suo
fianco, come era accaduto a Caithness, il ricordo più bello
che aveva in quel
momento era quello delle labbra di Albus sulle sue.
Evocando il
ricordo ancora una volta, con tanta facilità e
nitidezza che le sembrava fosse successo solo poche ore prima,
pronunciò
l'incantesimo: «Expecto Patronum».
Una sottile
nube argentea uscì dalla sua bacchetta e, in
un attimo, il suo Patronus si formò.
Minerva
soffocò un urlo, gli occhi sgranati dallo stupore.
Il suo
Patronus non aveva assunto le sembianze del solito
gatto soriano dagli occhi cerchiati di scuro, bensì quelle
di un'elegante e
maestosa fenice.
Sera!
Ecco
a voi il settimo capitolo, come regalo di Natale ;)
Spero
vi sia piaciuto, le recensioni sarebbero assai gradite v.v
Buoooooon
Natale a tutti!
Jo
|
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Capitolo 9 *** Capitolo Ottavo ***
Next time I'll be
braver
I'll be my own savior
When the thunder calls for me
Next time I'll be braver
I'll be my own savior
Standing on my own two feet
[Adele
- Turning Tables]
Capitolo 8
10 luglio 1980.
Minerva
varcò con passo incerto la soglia di Hogwarts, la
sua casa da quasi trent'anni, sorretta da un bastone e aiutata da
Filius e
Pomona che trasportavano le sue valigie con l'uso della Levitazione.
«Mi raccomando, ricordati di applicare l'unguento su
torace e addome ogni giorno», l'ammonì Pomona con
fare quasi severo.
«Sì, certo», annuì l'altra,
alzando gli occhi al cielo e
aprendo la porta della propria stanza perché Filius potesse
poggiare le valigie
a terra.
«Noi andiamo; se hai bisogno di qualcosa non hai che da
chiamare. Riposati più che puoi», concluse Vitious.
«Lo farò», mentì Minerva.
Pomona la baciò sulla guancia, «Rimettiti
presto».
*
L'ufficio del Preside era molto silenzioso quel
mattino;
Albus si era svegliato da poco - o meglio, si era alzato dal letto dopo
l'ennesima notte passata insonne.
La lettera del Ministero era ancora sulla sua scrivania,
chiusa. Con un sospiro prese il tagliacarte e l'aprì,
immergendosi nella
lettura di malavoglia.
Fawkes riposava sul trespolo con il muso sotto l'ala
sinistra, si notava a malapena il suo petto alzarsi e abbassarsi
ritmicamente.
Si concentrò completamente sulla lettera del Ministero,
tentando di ignorare con tutte le sue forze i numerosi biglietti che si
trovavano nel cestino; li aveva scritti la sera precedente, per poi
accartocciarli adirato e gettarli lì dentro, dove giacevano
gli uni sopra gli
altri, i lembi di carta che coprivano a malapena le parole
scarabocchiate:
"Mia cara Minerva....".
*
L'orologio della famiglia Weasley
indicò "casa"
nel momento in cui Arthur Weasley comparve nel giardino della Tana con
un
sonoro pop.
«Buonasera, cara», salutò con fare
sorridente la moglie,
che sedeva al tavolo della cucina, allattando il piccolo Ronald.
«Oh, ciao, Arthur», salutò lei,
baciandolo sulle labbra.
«Com'è andato il lavoro?».
«Tutto bene. Sono passato al San Mungo dopo essere uscito
dal Ministero; hanno dimesso Minerva».
«Cielo, meno male!».
«Mary dovrà restare ancora un po', circa due
settimane:
era conciata davvero male».
«Immagino che Sirius si sia "accampato"
là».
«Immagini bene, Molly, non lascia il suo capezzale un
attimo».
«Povero caro», mormorò la signora
Weasley.
«I bambini?».
«Ho appena messo a letto Bill e Charlie, Percy ci
è andato
di sua spontanea volontà più di un'ora fa. I
gemelli invece si sono
addormentati sul tappeto», disse indicando con la testa il
grande tappeto di
fronte al caminetto. «Non volevano saperne di andare a letto,
volevano
continuare a giocare a Gobbiglie - tirare le biglie a destra e a manca,
più che
altro; li avrei portati a letto dopo aver allattato Ron, si
è svegliato perché
aveva fame, povero piccolo».
«Metto io a letto i gemelli», replicò
Arthur, avvicinandosi
al tappeto e prendendo in braccio Georgie, che dormiva con la bocca
aperta e la
faccia imbrattata di liquido scuro e puzzolente.
«Direi che stava perdendo», commentò il
padre prima di
pulirgli il viso e portarlo di sopra.
Freddie dormiva beatamente accanto al fuoco, una mano
accanto alle biglie e l'altra vicino alla bocca per succhiarsi il
pollice.
Dopo aver rimboccato le coperte ai bambini, Arthur scese
in cucina e si sedette di fronte alla moglie, guardandola allattare.
«Come sta Minerva?».
«Si è ripresa bene; il braccio è
guarito, adesso mancano solo
le macchie sul petto e tornerà come nuova».
Molly sorrise, «E' una donna forte».
«Oh, sì», commentò Arthur,
«una vera leonessa. Avresti
dovuto vedere come ha combattuto a Caithness, nonostante fosse
stremata: incuteva
paura. Non dimentichiamoci di Albus; la sua espressione quando si
è reso conto
che Minerva non era nella radura... davvero spaventosa. Certo, si
è infuriato
al solo sapere cosa fosse successo quando è arrivato il
Patronus di Minerva, ma
la sua espressione quando ha visto che lei non c'era stento a
descriverla».
Molly iniziò a fissarlo incuriosita, «In che
senso?».
«Te l'ho detto: era molto adirato. E' comprensibile, del
resto, quei due sono molto amici».
«Tu dici?», il suo tono pareva dubbioso.
Toccò ad Arthur guardare la moglie incuriosito.
«Oh, andiamo, non dirmi che non hai mai pensato che ci
fosse qualcosa di più tra di loro!».
«Devo ammettere che a volte l'ho pensato, ma non me ne
sono mai preoccupato sul serio: alla fine non è affar
mio».
La signora Weasley alzò gli occhi al cielo, «Voi
uomini
non notate proprio un bel niente. Non hai visto come si guardano certe
volte? Si
conoscono da anni e c'è sempre stato un certo feeling
tra loro».
«Molly, per favore...».
Molly distolse lo sguardo dal volto del marito e sistemò
meglio Ronald tra le proprie braccia.
Arthur si schiarì la gola e provò a cambiare
discorso. «Sapevi
che Minerva ha frequentato Hogwarts nello stesso periodo di
Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato?».
La signora Weasley abboccò all'amo e sgranò gli
occhi,
«Davvero?! Non l'avrei mai detto. Si conoscevano?».
«A quanto pare lui la conosceva perché quando era
studentessa
Minerva divenne Prefetto e poi Caposcuola, lei lo conosceva di sicuro
di fama:
era uno dei migliori studenti della scuola».
«Che storia!».
«Già, che storia».
Il suo diversivo non funzionò a lungo e Molly
tornò
all'attacco, «Raccontami bene cos'è successo dopo
la fuga di Tu-Sai-Chi».
Arthur sospirò: non c'era via di scampo. «Albus si
è avvicinato
a Minerva e le ha controllato immediatamente il battito, poi ha chiesto
a
ognuno di noi se avevamo subito gravi danni e infine ha provveduto a
una
Passaporta per Mary e Sirius. Ha congedato me, Alastor e Frank e si
è dedicato
completamente a Minerva: è arrivata al San Mungo mezz'ora
dopo».
«Ecco!», esclamò la moglie.
«Mezz'ora per portarla al San
Mungo? Con una Passaporta? E' un po' troppo non credi? Cosa pensi che abbiano
fatto?».
Arthur la guardò sbigottito, «Molly,
insomma!».
«Non fare il moralista, sono solo curiosa! Non dirmi che
non ti farebbe piacere se si scoprisse che stanno insieme...».
Il signor Weasley arrossì. «Suppongo che Albus si
sia
voluto accertare che Minerva stesse bene - nonostante il braccio rotto
e le
contusioni - prima che intraprendesse il viaggio con la
Passaporta». Ignorò il
sopracciglio alzato della moglie, «E' stato molto carino da
parte sua».
«Credo fosse il minimo che Albus potesse fare per
lei».
Lui la guardò stupito, «Il minimo?».
«Ha ancora molto da fare per lei: questo è solo
l'inizio».
Arthur accennò un sorriso. «Certo, se lo dici
tu».
«Oh, smettila di fare l'ingenuo con me, signor Weasley!
Già ai tempi di Hogwarts ho provato a farti capire che mi
piacevi in tutte le
salse, ma tu, ragazzo cocciuto, non capivi! Continuavi a sorridermi
quando mi
vedevi e a essere estremamente gentile, ma la prima mossa l'ho dovuta
fare io e...
probabilmente tra Minerva e Albus succederà lo
stesso!».
Arthur la guardò con uno strano luccichio negli occhi,
«Ah, sei stata tu a fare la prima mossa, eh?».
Molly annuì fiera e il marito iniziò a farle il
solletico.
«Sei ancora sicura di essere stata la prima?».
«Certo che sì», sibilò lei
trattenendo a stento le risate
e cercando di rimanere più ferma possibile per evitare di
svegliare il figlio. «Ronald
si è addormentato, così lo
sveglierai!», lo ammonì.
Arthur lo prese tra le braccia e diede un bacio sulla
guancia a Molly, «Vado a metterlo a nanna e torno in un
lampo, io e te dobbiamo
fare due chiacchiere, LollyMolly», affermò con
un'espressione talmente buffa
che la moglie non poté fare a meno di scoppiare a ridere.
*
«Posso entrare?»,
domandò timidamente Filius.
«Oh, Filius, ma certo, entra», invitò
Albus, alzandosi in
piedi.
«Come stai?».
«Bene, grazie. Tu?».
«Non c'è male. Ti ho disturbato?».
«No, figurati. Stavo solo riflettendo un po'»,
replicò il
Preside, accennando al Pensatoio socchiuso.
«Mente troppo affollata di pensieri?».
«Esattamente».
Dopo un attimo di silenzio, Vitious parlò ancora:
«Minerva
è tornata a casa».
«Davvero?».
«Non fingere di non sapere, Albus. Sei stato avvertito
appena io, lei e Pomona abbiamo varcato i cancelli».
«Devo essermi distratto», replicò
Silente con assoluta
nonchalance.
Filius non colse la provocazione, «Vorrebbe vederti,
sai?».
«Chi?».
«Minerva, chi altri? Chiede di te da quando si è
svegliata
all'ospedale, due giorni fa. Si è quasi ammazzata per
salvarti; capisco che tu
sia impegnato, ma avresti potuto almeno farle una visita».
«Hai ragione; l'ho trascurata. Purtroppo il lavoro
è molto
e non sono riuscito a districarmi dai vari impegni. Le
sarò eternamente grato
per ciò che ha fatto, anche se non sono andato a
trovarla».
Filius spalancò la bocca per un secondo, sorpreso,
«Mi
meraviglio di te, Albus. Non ti riconosco».
L'altro sospirò, «Probabilmente è
così; le cose sono
cambiate».
«Non so cosa sia successo tra te e Minerva, Albus, ma ti
assicuro che per lei non è cambiato assolutamente
niente».
«Per me, invece, è cambiato tutto»,
concluse il Preside
con un tono d'amarezza nella voce, tanto che a Filius non
restò che uscire dal
suo ufficio, scuotendo la testa con disapprovazione.
*
La sera era ormai calata; con un sospiro Minerva si svestì
con cautela, evitando si sforzare il braccio sinistro, poi sciolse la
crocchia
e si massaggiò delicatamente le tempie e la cute.
Si sedette sul letto pensierosa, i capelli sciolti le
ricadevano sulle spalle nude e ossute e le coprivano parzialmente il
viso.
Era tornata a Hogwarts da qualche ora e Albus di sicuro
aveva saputo del suo ritorno fin dall'inizio - perché non
era venuto a
salutarla?
Magari non si trovava nel castello, magari era a qualche
incontro del Ministero, magari... magari non voleva vederla.
No, non poteva essere; l'aveva salvata, accarezzata,
baciata - non poteva essere semplicemente gratitudine per avergli fatto
da
scudo contro la Maledizione.
Doveva esserci qualcosa di più e lei desiderava con tutta
se stessa che ci fosse; non poteva essere altrimenti.
Dopo aver indossato la camicia da notte, si stese sul
letto e si coprì con le lenzuola, aveva deciso: si sarebbe
presentata
nell'ufficio di Albus l'indomani, quando sarebbe stata più
riposata e più
lucida.
Buongiorno!
Sono infinitamente
dispiaciuta di non aver aggiornato prima, davvero, scusatemi. La mia
beta quest'anno ha gli esami di maturità, quindi
è assolutamente poco disponibile, è un angelo per
il solo fatto che sia riuscita a correggermi il capitolo!
Ringrazio chi ha letto
fino qui, se mi state seguendo ancora grazie infinite.
Il capitolo è solo di transizione, ma spero vi sia piaciuto
comunque. Ho dovuto inserire una scena MollyxArthur con la famiglia
Weasley perchè li amo troppo.
Buona giornata a tutti voi e scusate ancora il ritardo :)
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Capitolo 10 *** Capitolo Nono ***
But I set
fire to the rain,
Watched it
pour as I touched your face,
Well it
burnt while I cried,
Cause I
heard it screaming out your name, your name.
[Adele – Set Fire to
the Rain]
Capitolo 9
11 luglio 1980.
Il Lago Nero era un’enorme distesa d’acqua di
fronte
a lei, luccicava come uno specchio alla luce del sole che sorgeva e
rifletteva
i suoi raggi rossastri sul viso di Minerva, che camminava poco distante
dalla
riva.
Era scalza, la sua veste verde scuro si avvolgeva
intorno alle caviglie, spinta da un leggero vento che portava ancora
con sé ciò
che rimaneva della fresca nottata appena trascorsa.
L’erba era inumidita dalla rugiada e i ciuffi verdi
le solleticavano le piante dei piedi.
Minerva sospirò e prese in mano la propria treccia,
iniziando a giocherellare con la punta, pensierosa.
Fu allora che lo vide.
L’acqua del Lago, prima avvolta in una calma piatta,
iniziò a muoversi. La superficie scura cominciò
ad incresparsi in un punto poco
distante da lei e ben presto una figura alta e distinta emerse
dall’acqua con
gli abiti e la barba gocciolanti: era Albus.
Si passò una mano sul viso per scostare i capelli
bagnati e la scorse. Si avvicinò a lei lentamente, come se
camminare nell’acqua
gli costasse un’enorme fatica.
La sua tunica blu notte emergeva dall’acqua mano a
mano che si avvicinava a lei, facendolo sembrare un pilastro di
cristallo
scuro: fiero, imponente, dalle mille sfaccettature.
Rimase senza fiato, come se un pugno invisibile
l’avesse colpita dritta allo stomaco, togliendole il respiro.
Non si vedevano
da pochi giorni, ma a lei era parso un’eternità.
«Minerva», la sua voce risuonò profonda,
facendo
vibrare l’aria tra loro.
Lei si limitò a fissarlo, cercando di imprimere ogni
dettaglio sulla propria retina, temendo di vederlo dissolversi da un
momento
all’altro.
Silente allungò una mano umida e le sfiorò
titubante
una guancia. Minerva si trattenne dal tremare quando il suo tocco le
provocò la
pelle d’oca.
«Albus, cosa…?», riuscì a
dire a stento.
Lui le sorrise, ma il sorriso non raggiunse i suoi
occhi azzurri, che brillarono tristemente.
«Ti prego, dì qualcosa», lo
incitò lei in un
sussurro.
Albus continuò ad accarezzarle le guance coi pollici,
il viso di Minerva tra le sue mani.
I suoi occhi la fissavano intensamente, come se
volessero sciogliere il suo intero essere, come se volessero penetrarle
l’anima. Minerva si lasciò sfuggire un respiro
tremante, non riuscendo a
distogliere gli occhi dai suoi, come se fossero due magneti.
Solo allora Albus avvicinò il viso al suo e la
baciò.
Lei si immobilizzò, le sue membra sembravano diventate di
marmo, ma lui
continuò a sfiorare le sue labbra, intrecciare le dita nei
suoi capelli e
reggere dolcemente il suo capo.
Minerva cercò di spingerlo via, di allontanarlo da
sé.
Che gli stava succedendo? Pochi giorni prima l’aveva
baciata, poi non era venuto a trovarla al San Mungo e nemmeno quando
era
rientrata a Hogwarts la sera prima e adesso
aveva il coraggio di venire a baciarla?
Albus si separò finalmente da lei con un triste
sorriso sulle labbra.
«Albus, cosa ti salta in mente?»,
replicò lei,
seccata, sforzandosi di non arrossire al pensiero delle sue labbra
sulle
proprie.
Lui si limitò a guardarla, per poi mormorare:
«Minerva».
La sua figura prese fuoco all’improvviso: le sue
vesti blu furono avvolte da fiamme di un rosso intenso e ben presto il
suo
intero corpo era intrappolato in un’enorme palla di fuoco.
Le uscì un grido soffocato: «Albus!»
Il fuoco bruciava sempre più caldo, sempre più in
alto. Minerva si allontanò da Albus, proteggendosi il viso
dal calore con le
mani.
Le lingue dorate e scarlatte iniziarono a danzare
insieme, unendosi e incrociandosi tra loro, iniziando ad assumere una
strana
forma: alcune si alzarono verso l’alto, incurvandosi e
brillando ancora più
intensamente.
Minerva aguzzò la vista, mentre altre fiamme quasi
lambirono i suoi piedi nudi e l’orlo della sua veste per poi
alzarsi in aria e
allargarsi sempre più a formare un paio di possenti ali.
Le lingue di fuoco più in alto avevano assunto la
forma di una sorta di collo animale, becco e cresta.
“Un uccello”, pensò Minerva, confusa.
Il fuoco scintillò ancora più intenso e tutto
ebbe un
senso.
Minerva soffocò un urlo. «No, non può
essere!».
Le fiamme si illuminarono di un tenue bagliore blu
che crebbe in intensità finché del fuoco e del
corpo di Albus non rimase che
uno scintillante Patronus azzurro, che aveva assunto le sembianze di
una grande
e possente fenice.
L’animale aprì il becco e ne uscì un
grido stridulo e
acuto, dopodiché esplose in centinaia di frammenti di
cristallo. Minerva si
accucciò e si protesse il capo con le braccia ma le schegge,
a contatto con la
sua pelle, si trasformarono in gocce di pioggia, bollente al tatto.
Al posto di Albus e della fenice infuocata era
comparso un piccolo gatto tigrato.
Il micio miagolò lamentoso e Minerva non poté
fare a
meno di avvicinarglisi per vedere se fosse ferito.
Aveva un segno scuro intorno agli occhi, come se
portasse gli occhiali.
Sembrava ferito gravemente, una grande quantità di
sangue usciva dal suo fianco destro.
L’animale si voltò a guardarla e la
chiamò:
«Minerva».
Minerva non riuscì a trattenere l’urlo che le
uscì
dalle labbra. Urlò a pieni polmoni, urlò fino a
non avere più fiato.
«Minerva! Minerva!», sentì la voce di
una donna
chiamarla.
Finalmente si svegliò. Pomona la stava scuotendo con
forza, preoccupata.
Dopo aver aperto gli occhi di scatto, Minerva cercò
di mettersi a sedere, ma fallì e ricadde sul materasso.
«Ahi».
Si sentiva molto calda e la sua camicia da notte le
si era incollata addosso: era madida di sudore.
«Minerva?», domandò incerta Pomona.
«E’ tutto a posto, è stato solo un
brutto sogno. Sono
sveglia ora».
Pomona sembrò visibilmente sollevata ma tornò a
corrucciare la fronte. «Un brutto sogno, dici?».
«Sì, un incubo. Niente di importante»,
tagliò corto
Minerva, mentendo. «Perché sei qui?».
«Buongiorno anche a te», replicò
l’amica,
ironicamente. «Sono venuta ad aiutarti a lavarti e
vestirti».
«Ne sono perfettamente in grado».
«Allora ti terrò semplicemente
compagnia».
Minerva si trattenne dall’alzare gli occhi al cielo e
sorrise. A volte Pomona sapeva essere davvero testarda.
«E brava la mia piccola Tassorosso»,
borbottò
l’altra.
Pomona le scoccò un’occhiata truce, subito
sostituita
da un’espressione preoccupata.
«Sicura di stare bene? Non vuoi parlarmi del
sogno?».
«No», rispose secca la professoressa di
Trasfigurazione.
«Sudavi freddo e balbettavi», fece notare
l’amica.
Minerva s’alzò a fatica dal letto e finse
d’essere
impegnata a indossare vestaglia e pantofole.
«Ho provato a chiamarti più di una volta senza
risultati e…».
«E cosa?», sbottò Minerva, infastidita.
«Hai nominato più di una volta Albus».
Minerva si sedette pesantemente sul letto, come le
sue ginocchia avessero ceduto all’improvviso.
Pomona le si avvicinò titubante. «Se hai bisogno
di
qualcosa, di qualsiasi cosa, non esitare a chiamarmi, chiedere di fare
quattro
chiacchiere con me. Davvero, io…».
«Sì», replicò Minerva,
interrompendola. «Di qualcosa
ho bisogno», aggiunse, suonando distante anni luce persino a
se stessa.
«Cosa?».
«Trovami un po’ di coraggio».
*
Il suo ufficio era immerso nel silenzio e, quando
qualcuno bussò alla porta, il rumore rimbombò per
tutta la stanza.
Fawkes alzò il capo da sotto l’ala e si
guardò
intorno, cinguettando confuso.
«Avanti», incitò Albus, senza alzare lo
sguardo dalle
carte su cui stava lavorando.
«Buongiorno, professor Silente», lo
salutò una voce
rauca.
Albus alzò gli occhi dai fogli per educazione e la
vide.
Minerva era appena entrata nel suo ufficio,
richiudendo la porta in silenzio.
Era dimagrita e si serviva di un bastone per
camminare. Indossava la sua tunica verde preferita e un mantello di un
verde
più scuro. Che avesse freddo?
Nonostante la fatica e la stanchezza si leggessero
chiaramente sul suo volto, la sua schiena era dritta come un fuso e la
sua
testa era tenuta alta.
“Non ha perso il suo portamento fiero”,
notò con
piacere Albus.
Subito dopo una fitta di senso di colpa lo colpì allo
stomaco. Non c’era stato per lei. Non era andato a trovarla e
non le aveva
scritto, nonostante lei si fosse sacrificata per lui.
«Buongiorno, Minerva», salutò, tentando
di far
sembrare la propria voce il più ferma possibile.
Il viso della donna s’indurì al sentire il suo
nome
di battesimo. Albus ignorò la sua espressione.
«Sei ritornata ieri?».
«Ieri sera, preside».
Preside? Da
quando lo chiamava così?
Albus proseguì imperterrito a darle del tu: «Come
ti
senti?».
«Ancora un po’ debole, ma miglioro di giorno in
giorno, preside».
Albus fece una smorfia impercettibile al sentire
Minerva chiamarlo in quel modo, ma decise di provare a sotterrare il
proprio
orgoglio.
«La diagnosi?».
«Frattura dell’arto superiore sinistro e traumi da
Maledizione,
signore».
Signore?
«Non sono più il tuo professore da tanto tempo,
Minerva», replicò lui, pacatamente.
Gli occhi di lei fiammeggiarono. «Mi scusi, preside».
«Ci siamo sempre dati del tu, Minerva», fece notare
Albus.
«Lo so. Me lo ricordo».
Oh, andiamo,
sai perfettamente perché ti tratta così
freddamente, sussurrò una voce
nella sua testa.
Sentendo i suoi occhi su di lui, Albus si trovò
costretto ad affrontare la questione. Il giorno che aveva
così tanto temuto era
arrivato e, da codardo quale era, doveva viverlo.
«Non sei venuto a trovarmi», sputò
Minerva dopo
lunghi momenti di silenzio.
«No», replicò Albus.
«Eri impegnato». Non era una domanda, era
un’affermazione.
«Sì».
«Non hai avuto un minuto libero».
Albus non rispose.
«Non hai mandato nemmeno un biglietto. Non hai detto
a Filius o Pomona di portarmi i tuoi saluti. Non ho avuto tue notizie
per
giorni, Albus».
«Adesso mi dai del tu?».
La freddezza che incontrò nello sguardo di Minerva
gli fece più male di quanto avesse pensato.
«Se questo è il ringraziamento che ricevo per
averti
fatto da scudo contro
Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato…».
«Lord Voldemort, Minerva. Comunque non ti ho mai
chiesto di sacrificarti per me».
Minerva lottò perché le lacrime non le rigassero
le
guance e cercò di deglutire l’improvviso nodo che
le si era formato in gola.
«No, infatti, non me l’hai mai chiesto», concordò lei, con voce piatta.
Albus non rispose, abbassando lo sguardo sulle carte
a cui stava lavorando poco prima.
«Trascorra una buona estate, preside».
«Minerva…».
«Penso che non soggiornerò qui in questo periodo.
Tornerò il trentuno di agosto, pronta a iniziare
l’anno scolastico».
«Minerva, io…».
«Per cortesia, desidererei che mi chiamasse
professoressa McGranitt, da oggi in poi».
Albus si trattenne dallo strabuzzare gli occhi e
spalancare teatralmente la bocca. «Come
desidera, professoressa». Quell’appellativo suonava
così estraneo sulla sua
lingua.
«Buone vacanze, preside», replicò
Minerva,
chiudendosi la porta alle spalle.
Nel silenzio del suo ufficio, risuonò forte e chiaro
il suo: «Mi dispiace, Minerva».
*si ripara da
eventuali lanci di pomodori con una padella, stile Rapunzel*
Si, lo so. Lo so, non aggiorno dal 14 di aprile.
Vi
dirò la verità, la scuola è una brutta
bestia, non ti lascia un briciolo di forza, ispirazione e voglia per
metterti a scrivere alla sera.
Secondo: ho iniziato a scrivere fanfiction in inglese su ff.net e
questo mi ha rubato quel poco di tempo libero che avevo tra un impegno
e l'altro.
Adesso, grazie alla mia B.B. (lei sa cosa vuol dire) Charlotte_McGonagall sono tornata
in pista con questo capitolo che avevo in mente da un po' (ma non avevo
la forza mentale per scriverlo). Ringrazio anche la mia dolcissima
Acquamarine_ che mi incoraggia sempre.
Ringrazio tutti voi che continuate a seguire e commentare questa
storia: i 13 che l'hanno inserite nelle preferite, i 20 che la seguono
e i 3 che
la ricordano.
Grazie per continuare a seguire un piccolo rottame come me. Spero il
capitolo non vi abbia deluso e, incrociando le dita, il prossimo
dovrebbe arrivare tra poco.
Jo
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