L'apprendista Sith 2: La Morte Nera

di NonSoCheNickMettere2
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Dichiarazione
Questa fiction è scritta solo per divertimento e non mi procura alcun guadagno. I personaggi e la galassia di Guerre Stellari appartengono alla Lucasfilm e alla Disney. Per i personaggi e i luoghi di mia invenzione, ho usato nomi presi dal mondo reale, ma li ho scelti soltanto perché stavano bene nella fiction e, quindi, non hanno alcuna relazione con persone vere o fatti storici: ogni eventuale rassomiglianza è puramente casuale.

Ringraziamenti
Desidero ringraziare jedi1952 per la revisione della versione originale inglese di questa fanfiction. Avendomi segnalato alcuni importanti problemi nella caratterizzazione dei personaggi e nelle scene, il suo lavoro è stato fondamentale e anche questa versione italiana sarebbe sicuramente diversa senza il suo aiuto.
La responsabilità di quanto scritto è naturalmente solo mia.

Nota
Questa fiction è il sequel della mia precedente Il rapimento. Se non l’avete letta, questo è ciò che serve sapere per seguire questa storia:
Luke è stato scoperto da suo padre quando aveva tre anni e allevato come apprendista Sith. Quando ha 18 anni, gli viene ordinato di rapire Leia da casa sua, perché Vader la vuole interrogare. Il giovane esegue l’ordine, ma, mentre lei è sua prigioniera, riesce a instillargli dei dubbi. Dopo il suo interrogatorio, il Signore Oscuro ordina a Luke di ucciderla. Ma Leia riesce a convincerlo a scappare con lei. Durante la loro fuga, Luke duella con il padre e perde, venendo gravemente ferito, mentre lei riesce ad andarsene. Quindi, il giovane rimane con Vader e viene perdonato.


------------ Capitolo 1 ------------
  

Il ventenne Luke Skywalker soppresse il bisogno di sbadigliare e mantenne il suo atteggiamento marziale. Gli sembrava di essere in piedi sul ponte di comando della Morte Nera da parecchi giorni, anche se in realtà si trattava solo di poche ore.

L’Ammiraglio Motti stava controllando ancora, per l’ennesima volta, la procedura di fuoco con gli ingegneri e gli altri ufficiali. Tarkin sovrintendeva i lavori, impaziente di mettere alla prova il suo progetto più importante. Vader se ne stava in disparte: una minacciosa ombra scura che incombeva su tutti loro. A ogni più piccolo contrattempo, gli ufficiali si chiedevano, pieni di paura, quanto il Signore dei Sith fosse arrabbiato per gli inevitabili problemi che dava il primo test di una nuova imponente stazione da battaglia ed erano terrorizzati alla semplice idea di un suo improvviso intervento. Non potevano immaginare che, nella Forza, emanava una sensazione di noia profonda che poteva competere solo con quella di suo figlio. Per dirla tutta, l’uomo sotto l’impassibile maschera nera stava provando a non addormentarsi in piedi. Tutta la situazione era vagamente divertente per Luke, l’unica persona sul ponte in grado di percepirla, e, al momento, costituiva la sua unica distrazione.

Sullo schermo, la sagoma di Eboli si stagliava solitaria sopra lo sfondo stellato. Il pianeta aveva una gravità compatibile con il corpo umano, ma era il posto più desolato che Luke avesse mai visto. Unico satellite di una stella fredda, non aveva un’atmosfera respirabile, ma solo una miscela di gas letali per qualsiasi essere vivente. La sua superficie fredda e deserta non aveva nemmeno la vegetazione. Era perfetto come pianeta di prova per la potenza di fuoco. Al giovane Sith non era stato detto molto di questa Morte Nera su cui si trovava, né quale tipo di test avrebbero eseguito. Ma, avendo già visto diversi collaudi degli incrociatori stellari, anche quello dell’Executor, sapeva più o meno cosa aspettarsi.

Non appena gli ingegneri fossero stati abbastanza sicuri di poter azionare il laser senza surriscaldare la stazione, avrebbero sparato sulla superficie. I dati telemetrici della larghezza, dell’altezza e della profondità dei danni avrebbero confermato o meno il raggiungimento della potenza di fuoco desiderata.

Il giovane era sempre un po’ scosso quando il fuoco raggiungeva la superficie, perché era immediatamente chiaro come una città di medie dimensioni potesse essere annientata in un colpo solo, ribelli con comuni civili, soldati con bambini. Perciò, quando guardava i buchi desolanti causati dai test, provava a ricordarsi che poi, in pratica, si sparava solo contro le navi nemiche. Almeno… di solito era così.

Percepì l’eccitazione crescere tra gli ingegneri e capì che finalmente erano pronti. Interruppe i suoi pensieri oziosi e si concentrò.

Sul ponte, i mormorii si silenziarono e tutti si voltarono verso lo schermo, dove si stagliava la sagoma spoglia di Eboli. Solo i passi di Tarkin echeggiavano, scandendo i secondi, mentre andava a riprendere la sua posizione di comando al centro della stanza. Quando raggiunse Vader, si voltò anch’egli verso lo schermo e ordinò: «Fuoco!»

Il più enorme colpo di laser che Luke avesse mai visto in vita sua partì dalla stazione di battaglia. Colpì il pianeta, che scoppiò in una miriade di pezzi. Al suo posto, il vuoto. Il giovane Sith sbatté gli occhi, credendo di non veder bene. Il vuoto. Dove una volta c’era stato un pianeta, ora c’era solo il vuoto. Non era un’illusione. La piena comprensione di ciò che era appena accaduto scese nella sua coscienza e la sua mente tirò le conclusioni. Eboli sarebbe stato abitabile per le sue dimensioni, a parte la sua atmosfera velenosa. Eboli non era più piccolo di Coruscant, Naboo o Alderaan. Se Eboli era stato distrutto completamente con un colpo solo, allora lo potevano essere anche Coruscant, Naboo o Alderaan.

I mormorii ripresero tra gli ufficiali e gli ingegneri che commentavano il successo del collaudo. Ma, per lui, erano solo un indistinto rumore di sottofondo. Per lui, niente aveva più senso. Si voltò per guardare Tarkin: i suoi occhi di ghiaccio osservavano lo schermo ora vuoto e le sue labbra erano incurvate in un sorriso sottile. «Non appena l’avremo testata su un pianeta abitato, la paura di questa stazione da battaglia terrà in riga i Sistemi,» stava dicendo a Vader.

Perciò Luke aveva ragione: il loro piano era di usare quella potenza di fuoco appieno. Era stato uno sciocco: fino a quel momento aveva considerato questa stazione con troppa leggerezza! L’Impero non avrebbe speso tante risorse solo per qualche danno superficiale; c’erano già abbastanza incrociatori stellari per quello. Si voltò ancora verso lo spazio vuoto sullo schermo. Aveva le vertigini: non poteva respirare bene e la sua bocca era completamente secca. D’improvviso provò un caldo insopportabile, stava soffocando e non poté fare a meno di allargare il colletto della sua tunica. Si obbligò a respirare profondamente per calmarsi.

Era consapevole di quanto dovesse apparire agitato. Lasciò andare subito il colletto e si raddrizzò in una postura più marziale. Diede un’occhiata furtiva alle persone intorno a lui: nessuno sembrava averlo notato. Ma, a dire il vero, di una sola persona in quella stanza temeva il giudizio. Guardò di nuovo alle sue spalle.

«Non essere troppo orgoglioso di questo terrore tecnologico che hai costruito. È la Forza che tiene unita la Galassia,» suo padre stava rispondendo a Tarkin.

Luke provò a sondare con discrezione il Signore dei Sith, ma le sue barriere mentali erano alzate e il suo umore non intellegibile. Non riusciva a capire la ragione di quella improvvisa discrezione, ma, date le circostanze, giocava a suo favore e alzò a sua volta le proprie barriere.

Adesso doveva trovare una scusa qualsiasi per fuggire subito da quella stanza, prima che si sentisse male di fronte a tutti. Assunse l’atteggiamento più casuale che al momento gli riuscisse e si avvicinò a Vader. «Dovrei verificare le nuove armi sperimentali per i TIE fighter. Chiedo il permesso di recarmi in sala sviluppo, mio signore.»

«Permesso accordato,» gli rispose il Signore dei Sith, senza prestargli molta attenzione.

Luke inchinò leggermente la testa e uscì. Si diresse effettivamente verso l’ufficio sviluppo, ma, prima di raggiungerlo, entrò nel primo bagno che incrociò e vi si chiuse dentro.

Finalmente solo, tutto il suo autocontrollo crollò. Andò al lavello, vi si piegò sopra e, afferrandone i bordi per sostenersi, vomitò. Alzò lo sguardo verso lo specchio davanti a lui. Nella sua immagine riflessa non vide altro che un assassino, in una stazione comandata da assassini, che stavano pianificando di polverizzare interi pianeti. Non era una bella vista e riabbassò immediatamente lo sguardo verso il lavello. Gli occhi gli si inumidirono di lacrime e, per la prima volta dopo molti anni, si concesse di piangere, singhiozzando come un bambino.

Questo lo fece sentire appena un po’ meglio e un pensiero iniziò a frullargli in testa: doveva far qualcosa per fermare quell’orrore.

Ma cosa? Cosa poteva fare? Chi sarebbe stato così stupido da combattere l’Impero?

Apparentemente un bel po’ di persone, considerando la guerra infinita contro i ribelli. Per un momento, gli sembrò di poter quasi capire le loro ragioni. Forse avevano abbastanza forza militare per fermare la Morte Nera, se fossero state passate loro le informazioni giuste.

Fu invaso immediatamente dalla paura e controllò le sue barriere mentali. Stava davvero pensando di passare dei segreti militari ai nemici, tradendo persino il proprio sangue? Aveva delle alternative? Squassò la testa: no. O contattava l’Alleanza o sarebbe stato un complice silenzioso della distruzione di ogni pianeta antipatico a Tarkin.

Rialzò lo sguardo verso lo specchio, per guardare dritto nei propri occhi. Vi scintillava una risoluzione che non aveva mai avuto prima: la risoluzione di uomo libero. Ogni sentimento di paura e lealtà sembrava spazzato via tutto d’un colpo da quella vista. La sua presa sul bordo del lavello si intensificò: sapeva che ce la poteva fare, se voleva. Aprì il rubinetto, lavò in fretta il disastro che aveva combinato e si rinfrescò la faccia per nascondere ogni segno del suo turbamento. Uscì dal bagno e si diresse verso l’ufficio sviluppo: era fortunato che era già stato autorizzato a recarvisi.

No, si rimproverò silenziosamente, la fortuna non esisteva: era opera della Forza.

L’ufficio sviluppo non era coperto dalle telecamere di sorveglianza. Poteva sembrare strano, ma serviva per garantire una maggiore discrezione sui dati: in quel modo, infatti, non potevano esserci inquadrature di nuovi disegni o di password digitate. La sicurezza era garantita da un accesso ristretto: i badge di identificazione personale registravano le entrate e le uscite delle poche persone autorizzate. Luke era consapevole che doveva coprire con cautela il suo furto, quando infilò il proprio badge sotto il lettore ottico per aprire la porta.

Come aveva previsto, al momento nella stanza non c’era nessuno, perché tutti gli ingegneri erano sul ponte di comando. Ma doveva comunque fare il prima possibile. Si sedette di fronte alla scrivania, dove si lavorava agli armamenti delle navi, caricò il programma di sviluppo e digitò la sua password per loggarsi. La finestra principale si aprì e il giovane selezionò l’ultima sessione di lavoro dalla barra degli strumenti. I disegni delle specifiche delle nuove armi per i TIE fighter apparvero sullo schermo: sarebbero stati la sua copertura, se fosse improvvisamente entrato qualcuno.

Rinforzò le sue barriere mentali e andò allo scaffale dell’hardware minuto, rovistando tra le schede di memoria. Scelse una delle più piccole e cercò un cavo per la connessione. Dalla scrivania riservata allo sviluppo della Morte Nera, prese un datapad e ritornò al proprio tavolo, sedendosi di nuovo. Accese il sistema operativo nella modalità base e collegò la scheda di memoria, usando il cavo scelto.

Eccolo al dunque! D’ora in avanti, doveva riflettere bene su come procedere.

Prima di tutto, in quel momento, era l’unica persona nella stanza ed era stato registrato dal badge. Perciò, selezionò la data di sistema e la riportò forzosamente indietro di quattro giorni, quando lui non era ancora atterrato nell’hangar della Morte Nera.

Adesso, poteva aprire in sicurezza il programma di download dei dati. Ma il caricamento si fermò quasi subito, richiedendo una password per proseguire. Non osava inserire la sua, non aveva intenzioni suicide!, ma non ne conosceva alcun’altra. Doveva cercarla dentro la mente di qualcuno, evitando però di mettere in allerta suo padre. Estese le proprie sensazioni al di fuori della stanza e sfiorò la forte presenza di Vader un paio di ponti al di sopra di lui. Lo sondò con molta cautela per non essere notato. Al momento, l’attenzione del Signore Oscuro era completamente rivolta al suo interlocutore e il suo atteggiamento era di timorosa sottomissione. Luke era ben consapevole che solo una persona in tutta la Galassia poteva suscitare quel sentimento in suo padre: Palpatine. Non era male, perché, finché il rapporto a Coruscant fosse proseguito, una modesta attività nella Forza non sarebbe stata rilevata.

Quindi, ora il problema era: chi usare? Non riusciva a visualizzare nella sua memoria alcun ingegnere in particolare. Tarkin? Lo aveva incontrato diverse volte, ma non era certamente debole di mente. Aveva bisogno di qualcun altro. Ripensò alle persone sul ponte, all’Ammiraglio Motti controllare la procedura di fuoco. Non gli aveva prestato troppa attenzione, ma pensava di riuscire a trovarlo. Lasciò andare la sua fretta e si rilassò passivamente, percependo attorno a lui i sussurri delle autocoscienze delle persone sulla nave. Era quasi un’armonia che lo riempiva di pace interiore. Doveva sempre usare in segreto quella tecnica di immergersi nella Forza, perché faceva arrabbiare suo padre, trattandosi di un sistema abominevole per un Sith. Eppure funzionava così bene per Luke che lui vi si era allenato un bel po’, alle spalle del Signore Oscuro. E, infatti, contattò in breve la mente di Motti. Le inviò l’immagine della prima finestra del programma di sviluppo e la password rimbalzò indietro.

Il giovane Sith ritirò le sue percezioni all’interno della stanza e grugnì in un mal riuscito tentativo di trattenere una risata. Si voltò verso il pad e inserì: «GrandMoffConanAntonioMotti». Pallone gonfiato!

Una lunga lista di file apparve sullo schermo. La scrollò su e giù, cercando quello giusto. Il significato dei nomi non gli era chiaro: ckSw34.tgb, tfWpSw.tgb, DcrSc56.thx, EncrTf12-58.ipt, ScScm122.iss, SvSvm56.iss, McImDs85-652.mos,… Impossibile decifrarli. Cercò sulla barra dei comandi se vi fosse modo di aprire qualche tipo di dettagli, ma non trovò alcuna opzione. Sotto il menù Visualizza c’era solo la voce Dimensione. La flaggò.

Accanto alla colonna dei nomi, comparve il conteggio dei byte di ciascun file. Cercò il più grande. Il suo nome era CrPMN3-89.ipt. Luke suppose che PMN fosse l’acronimo per Piani Morte Nera, 3-89 era sicuramente la versione e sapeva che ipt era l’estensione dei file del programma di sviluppo delle stazioni stellari. Molto probabilmente l’aveva trovato. Incominciò a scaricarlo sulla scheda di memoria. L’icona della copia iniziò a lampeggiare: 5% completato, 10% completato,…

Rifletté sulle prime lettere del nome: Cr. Criptato? Probabile. Non appena avesse finito il download, avrebbe cercato il programma di decriptazione.

Un improvviso tremore nella Forza lo mise in guardia. Estese di nuovo le sue sensazioni per capirne la provenienza. L’attenzione di suo padre non era più rivolta all’Imperatore e lo percepì avvicinarsi a quel ponte.

Verificò il download: 70% completato.

Si alzò, tenendo in mano il datapad, e tornò alla scrivania dalla quale l’aveva preso.

80% completato.

Mantenne le sue barriere mentali forti e alzate, sondando di nuovo Vader: ora era sul suo stesso ponte ed era chiaramente irritato. Aveva percepito qualcosa?

Sono calmo, sono calmo, ripeté mentalmente, provando a trasmettere quel pensiero fuori di sé e a nascondere ogni altra emozione. Sto verificando i piani dei TIE fighter. Le nuove armi sono interessanti.

90% completato.

Adesso, sentiva il Signore Oscuro avvicinarsi all’ufficio sviluppo. Poteva quasi vederlo camminare, veloce come al solito, lungo i corridoi.

Download completato.

Sospirò in sollievo. Scollegò il cavo e lo lanciò letteralmente sullo scaffale su cui lo aveva preso. Ridusse a icona il programma di download, riaprì l’amministrazione di sistema e reimpostò la data su quella corrente. Spense di colpo il pad, senza preoccuparsi di chiudere i programmi e lo lasciò sulla scrivania principale, accanto agli altri. Ritornò al suo tavolo e nascose la scheda di memoria in una tasca interna.

Percepì suo padre proprio fuori la porta.

Si sedette e osservò il programma che stava mostrando i piani dei TIE fighter, provando a cancellare totalmente dalla propria memoria ciò che aveva appena fatto e a concentrarsi sui dati sullo schermo. Doveva pensarli come interessanti. Erano interessanti.

La porta scorrevole si aprì e sentì il rumore inconfondibile del respiratore meccanico. Con calma ostentata, Luke si alzò e si voltò verso suo padre, inchinando la testa per salutarlo.

«L’Imperatore mi ha appena ordinato di tornare immediatamente a Coruscant,» gli disse Vader. «La nostra presenza è inderogabilmente richiesta la prossima settimana.» L’irritazione era chiara nel suo tono.

Il giovane Sith si sforzò di mantenersi calmo. Che cosa aveva causato quel sentimento nel Signore Oscuro? Sospettava qualcosa? «Quando partiremo?» chiese in modo neutro.

«Tra mezz’ora. Devi immediatamente andare a ritirare le tue cose dalla tua stanza e recarti all’hangar principale,» lo istruì il padre.

Il ragazzo non poté nascondere lo stupore a tanta fretta.

«Ne parleremo quando saremo sull’Executor, giovanotto,» rispose il Signore Oscuro alla domanda inespressa.

Alla coscienza colpevole di Luke sembrò automaticamente una minaccia, ma non percepiva rabbia rivolta a lui. Perplesso su ciò che lo attendeva, annuì obbediente.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Dichiarazione
Questa fiction è scritta solo per divertimento e non mi procura alcun guadagno. I personaggi e la galassia di Guerre Stellari appartengono alla Lucasfilm e alla Disney. Per i personaggi e i luoghi di mia invenzione, ho usato nomi presi dal mondo reale, ma li ho scelti soltanto perché stavano bene nella fiction e, quindi, non hanno alcuna relazione con persone vere o fatti storici: ogni eventuale rassomiglianza è puramente casuale.

Ringraziamenti
Desidero ringraziare jedi1952 per la revisione della versione originale inglese di questa fanfiction. Avendomi segnalato alcuni importanti problemi nella caratterizzazione dei personaggi e nelle scene, il suo lavoro è stato fondamentale e anche questa versione italiana sarebbe sicuramente diversa senza il suo aiuto.
La responsabilità di quanto scritto è naturalmente solo mia.
 

------------ Capitolo 2 ------------
 

Non appena erano entrati in iperspazio, Luke era stato chiamato a comparire difronte a Vader nelle sue stanze private e, al momento, si trovava in piedi davanti al guscio aperto, dove suo padre sedeva, osservandolo.

Il giovane Sith non riusciva a sostenere lo sguardo penetrante che percepiva provenire da dietro le lenti nere. Non capiva perché stesse venendo valutato. Ma non voleva neanche mostrare in maniera troppo palese il suo disagio abbassando gli occhi verso il pavimento. Perciò, finì per fissare il vocalizzatore e provò ad attendere tranquillo.

«Avanti è un Sistema indipendente nell’Orlo esterno, oltre Quermia e Cholganna,» finalmente Vader si decise a rivolgergli la parola. «Non è mai stato parte né della Repubblica, né dell’Impero. Il pianeta più importante, Ujjain, è governato da una monarchia assoluta umana, retta dalla Casa Reale degli Jagjit. Ma l’intera zona è in guerra, perché i vassalli dei pianeti minori complottano dei continui attacchi al governo centrale.»

Luke aveva sentito nominare una volta il Sistema di Avanti, ma non capiva l’importanza di quella improvvisa lezione di geopolitica sull’Orlo esterno. Comunque, sapeva che doveva ascoltare pazientemente.

«È stato firmato di recente un accordo tra l’Imperatore e il Re di Ujjain per mettere Avanti sotto la protezione dell’Impero,» continuò suo padre. «La pace nel Sistema sarà imposta dalla Morte Nera. Così, Tarkin potrà anche proseguire i suoi collaudi.»

Lo stomaco del giovane Sith si contrasse e non poté fare a meno di chiudere le sue mani a pugno.

Il Signore Oscuro ignorò la reazione del figlio. «Palpatine ha anche promesso alla Casa Reale di Ujjain l’entrata nella linea ereditaria dell’Impero, attraverso un matrimonio di convenienza.»

Gli occhi azzurri scattarono verso le lenti nere e la mascella si contrasse nell’immediata realizzazione di quello che stava per essere detto.

E, infatti, Vader finì inesorabile: «Il giorno dopo il nostro arrivo a Coruscant, sposerai la primogenita del Re Mahavira Jagjit.»

Luke fu preso subito da confusione e rabbia. Il suo fiato accelerò, mentre cercava le parole per esporre le proprie rimostranze. Come potevano imporgli una cosa del genere?

«Non approvo neanche io,» l’anticipò suo padre. Era evidentemente infastidito dalla decisione di Palpatine. «Ma l’Imperatore non ha lasciato alcuna scelta.» L’avvertimento era chiaro nel suo tono.

«Non credo che questo sia parte di un addestramento Sith,» suo figlio gli rispose in sfida.

Il Signore Oscuro si alzò in piedi. Era ancora calmo, ma la sua sagoma divenne automaticamente più minacciosa. «Tutto ciò che il nostro padrone ordina è parte del tuo addestramento.»

Luke mantenne il suo sguardo rivolto alle lenti nere. «Non questo genere di cose.»

Vader fece un passo avanti, puntandogli un dito. «Allora, potrai dirglielo, quando saremo arrivati.»

Il giovane Sith deglutì e abbassò lo sguardo.

«Così va meglio,» commentò suo padre. Poi, incrociò le braccia al petto. Nonostante la postura, in qualche modo la sua sagoma trasmise d’improvviso un insolito imbarazzo. «Affinché l’accordo sia valido oltre ogni possibile contestazione, il matrimonio deve essere vero: ci si aspetta che tu adempia i tuoi doveri.» Esitò. «Sei sicuro di riuscire…?»

«Naturalmente,» tagliò corto Luke indignato.

Il Signore Oscuro non era per niente irritato dall’inusuale brusca interruzione, anzi sollevato dal non dover esprimersi oltre. «Ottimo. L’Imperatore si arrabbierebbe, se ci fosse qualsiasi tipo di problema.» Più rilassato, lo istruì: «Abbiamo ricevuto il programma della cerimonia. Scaricalo sul tuo datapad e studiatelo bene. Non ci sarà tempo per fare le prove.» Poi, come se stesse parlando di una qualunque altra missione, chiese infine: «Hai qualche domanda?»

«Posso vedere un ologramma della ragazza?»

«Non ne ho.»

Avvilito, Luke annuì in comprensione.

«In libertà.»

Il giovane inchinò leggermente la testa e uscì. Attraversò rapido il corridoio del loro appartamento ed entrò nella sua stanza. Stava scoppiando di rabbia. Non si sarebbe ovviamente mai illuso che, a ogni modo, i suoi sentimenti avrebbero fatto alcuna differenza. Ma tutto era stato già fissato in anticipo, senza neanche dirglielo. Non si era mai sentito così umiliato in tutta la sua vita.

Attraverso la porta aperta del suo bagno, vide lo specchio sul lavello e si ricordò di quella speranza di libertà che era scintillata nei suoi occhi solo poche ore prima sulla Morte Nera. Aveva solo preso in giro sé stesso: non sarebbe mai stato un uomo libero. Non era altro che lo schiavo del peggiore dei padroni. Senza preoccuparsi di mascherare la sua rabbia a Vader, la sfogò nella Forza e, alzando la mano destra verso lo specchio, lo frantumò in centinaia di pezzi.

Schiavi, erano tutti schiavi! E il più miserabile di tutti era suo padre, lo schiavo addetto a far da guardia agli altri: non approvava la decisione di Palpatine, lui stesso l’aveva confermato, ma non osava pronunciare una sola parola in suo aiuto.

Si avvicinò alla scrivania, dove si trovava il datapad per scaricare il programma della cerimonia, e lo colpì violentemente con un pugno, rompendone lo schermo. Poi, un altro pugno, e un altro, e un altro ancora. Era così arrabbiato che non sentiva dolore. Il quinto colpo gli ferì la mano. Irato, puntò verso la parete difronte a lui. La scrivania e la sedia vi volarono contro e si ruppero.

Sei felice, mio signore?, sfidò Vader attraverso la Forza. Ti piace come il Lato Oscuro sta scorrendo in me adesso?

Ma non ci fu risposta, alcun riconoscimento, solo il silenzio, nonostante la potenza di quello sfogo dovesse essere stata percepita di sicuro.

Si sdraiò sul letto, senza preoccuparsi di togliere gli stivali o di sporcare le lenzuola con il sangue che gocciolava dalla ferita. Adesso, che era un po’ più calmo, iniziava a bruciare. Si portò la mano alle labbra e succhiò il taglio.

Che cosa si era aspettato? Che suo padre gli dimostrasse un po’ di comprensione? No, non era così ingenuo. Ma avrebbe preferito persino una reazione violenta a quella totale indifferenza silenziosa.

Stette lì sdraiato per ore a guardare il soffitto. La sua rabbia era scemata in un’apatia paralizzante. Era irrilevante cosa provava, cosa diceva, cosa rompeva. Sapeva che alla fine avrebbe studiato passivamente il programma a memoria e, arrivato a Coruscant, si sarebbe inchinato alla volontà di Palpatine. I suoi vaghi piani di vendetta erano deboli e stupidi persino ai propri occhi: non si curava nemmeno di mascherarli nella Forza.

Eppure… nella sua tasca aveva qualcosa che avrebbe fatto veramente danno. Alzò con cautela le sue barriere mentali e si sedette sul letto. Estrasse la scheda di memoria dalla tunica e l’osservò. Nella sua rabbia, aveva quasi scordato che doveva ancora esaminare i dati scaricati dalla Morte Nera. Se prima aveva una ragione per trasmettere le informazioni ai ribelli, ora ne aveva due.

Gettò un’occhiata al datapad rotto sul pavimento, tra ciò che rimaneva della sua sedia e della sua scrivania. Nascose la scheda e si alzò sbuffando. Si avvicinò alla porta di entrata e accese il comunicatore interno, selezionando la chiamata dei droidi domestici.

«Qui è Skywalker. Ho bisogno di una squadra di pulizie nella mia stanza, » ordinò. «E di un datapad standard nuovo.»

Attese pazientemente che il lavoro fosse svolto e che l’ultimo droide se ne andasse, lasciandogli il suo nuovo pad. Quando fu solo, si sedette sul pavimento, appoggiando la schiena al letto, ormai l’unico desolato mobile di una stanza che era sempre stata molto povera. Sondò l’ubicazione di suo padre e lo trovò abbastanza lontano, sul ponte di comando. Ritirò fuori la sua scheda di memoria e la connesse con il nuovo pad. Osservò le proprietà del file che aveva rubato. Il programma per aprirlo non era installato sull’hardware standard. Forse ce n’erano alcune copie nel CED. Ma Luke aveva ragione di credere che sarebbe stato un rischio inutile: probabilmente il file era criptato e la loro improvvisa partenza gli aveva impedito di scaricare il programma di decriptazione.

Perciò decise di aprire il file nella modalità di base su un semplice editor di testi. Sullo schermo apparvero stringhe di caratteri senza alcun senso compiuto. Le lesse lo stesso, cercando di capirne la struttura. Brevi sequenze di testo si intervallavano con stringhe molto lunghe: avrebbe scommesso che si trattava di corte descrizioni criptate più le immagini in linguaggio binario, anch’esse criptate. Scrollò centinaia di righe alla ricerca di qualcosa di comprensibile. I suoi occhi sorvolarono veloci su tantissime sequenze, finché non trovò qualcosa. Ritornò velocemente indietro di un paio di righe ed esaminò più attentamente. Nascoste fra i caratteri, poté leggere delle frasi di senso compiuto: «Reattore interno», «Motori supplementari», «Ubicazione degli hangar», «Cannoni sussidiari», «Gestione della gravità artificiale», «Ecosistema: ciclo ecologico del cibo e dei rifiuti», «Ecosistema: ciclo dell’aria e delle acque»,…

Evidentemente, i titoli principali non erano criptati come il resto dei dati. Ma i termini che stava leggendo erano troppo generici: qualsiasi incrociatore stellare aveva bisogno dell’implementazione della gravità, del riciclo dell’aria e dei rifiuti, di un reattore principale, di motori supplementari, di hangar o cannoni.

Cercò qualcosa di più specifico, perché doveva capire se il file valeva il rischio. Gli ci volle un bel po’ di tempo (e di pazienza!) ma alla fine fu ripagato: scoprì il titolo «Potenza di fuoco a livello planetario».

Nonostante il sorriso che gli comparve sulle labbra, era consapevole che si trattava solo dell’inizio. Adesso, doveva immaginare un modo per decriptare i dati. C’era sicuramente il programma giusto sulla Morte Nera, ma non sapeva se e quando gli sarebbe stato ordinato di ritornarvi. Era molto improbabile che fosse presto, perché nei mesi successivi, la stazione da battaglia sarebbe stata usata per una guerra al di là degli interessi dell’Impero.

Qualche alternativa? Non ne trovava. O, meglio, nessuna che volesse prendere in considerazione. Infatti, Luke sapeva che un backup dei dati fondamentali per la sicurezza era salvato in un’area riservata del Palazzo Imperiale. Doveva esserci installato pure il programma di decriptazione per poterli analizzare. Ma si recava al palazzo sempre con suo padre per incontrare Palpatine e certo non era mai stato autorizzato a vagarvi liberamente per conto proprio. Infilarsi nell’edificio, eludendo il vecchio Maestro Sith, era impossibile e non era semplicemente in grado di affrontare il suo potere. Sarebbe stato come chiedergli direttamente una condanna a morte.

A meno che… Poiché il suo matrimonio non era altro che un affare di Stato, avrebbe scommesso che la maggior parte della cerimonia si sarebbe svolta al Palazzo Imperiale.

Scollegò la scheda di memoria, si alzò e andò di nuovo davanti alla porta. Inserì il pad nella presa sulla parete, sotto il sistema di comunicazione, per scaricare i dati dalla rete interna della nave. Guardò la lista di file disponibili per il suo utente, trovando una mail con oggetto «Cerimonia di nozze», inviatagli dall’ufficio di suo padre, e la salvò sul suo terminale. Scollegò di nuovo il pad , risedendosi sul pavimento, ed esaminò il programma. Era infinito: avevano pianificato di fare le cose in grande stile! Si sentiva già a disagio. Infatti, nonostante fosse ben consapevole del proprio potere e del proprio posto nell’Impero, Luke tendeva per natura ad avere un carattere timido: non amava stare troppo sotto i riflettori. Mise da parte quei pensieri, che lo distraevano dal problema principale, e rilesse attentamente con più freddezza.

E così, di colpo vide una possibilità che poteva sfruttare, se ci avesse lavorato sopra.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Dichiarazione
Questa fiction è scritta solo per divertimento e non mi procura alcun guadagno. I personaggi e la galassia di Guerre Stellari appartengono alla Lucasfilm e alla Disney. Per i personaggi e i luoghi di mia invenzione, ho usato nomi presi dal mondo reale, ma li ho scelti soltanto perché stavano bene nella fiction e, quindi, non hanno alcuna relazione con persone vere o fatti storici: ogni eventuale rassomiglianza è puramente casuale.

Ringraziamenti
Desidero ringraziare jedi1952 per la revisione della versione originale inglese di questa fanfiction. Avendomi segnalato alcuni importanti problemi nella caratterizzazione dei personaggi e nelle scene, il suo lavoro è stato fondamentale e anche questa versione italiana sarebbe sicuramente diversa senza il suo aiuto.
La responsabilità di quanto scritto è naturalmente solo mia.
 

------------ Capitolo 3 ------------
 

La settimana successiva, Luke si trovava in una stanzetta al quinto piano del Palazzo Imperiale, accanto a un salone principale, dove si sarebbero svolte le nozze.

In quel momento, Palpatine, Vader e il Re Mahavira di Ujjain stavano firmando il contratto ufficiale di matrimonio, prima della festa di nozze per il pubblico. Ironicamente gli sposi non ne erano coinvolti: il diritto di Ujjain considerava le donne quasi solo come una proprietà degli uomini della famiglia e Luke era ancora un minorenne per le leggi di Coruscant.

Nel frattempo, si supponeva che gli sposi finissero i loro preparativi. Il giovane Sith poteva immaginare senza difficoltà la sua ignota controparte, circondata dalle damigelle, dare un ultimo ritocco al proprio trucco e all’acconciatura. Anche a lui erano stati assegnati un paio di attendenti, ma non aveva nulla da sistemare: il suo unico riguardo era stato indossare la sua migliore divisa da Sith, nera come sempre, con la spada laser al suo fianco per rimarcare il suo rango. A onor del vero, era consapevole che, nonostante lo stile semplice, il suo usuale abbigliamento era parecchio costoso, di ottima fattura con stoffa di prima qualità. Infatti, anche se non gli era mai concesso nulla oltre il minimo indispensabile, tutto ciò che gli veniva garantito era però di prima scelta.

A ogni modo, questa pausa di un’oretta era giusto ciò di cui aveva bisogno: gli dava un po’ di tempo all’interno del palazzo senza la supervisione diretta dei suoi padroni, per poter intrufolarsi nella stanza dei server e controllare i dati salvati. Prima di tutto, doveva liberarsi dei due attendenti e, almeno quello!, non era difficile: ordinò loro di andarsene, sostenendo che voleva meditare in pace.

Ora doveva raggiungere l’altra parte dell’edificio. Guardò all’insù, verso il condotto per la climatizzazione delle stanze. Era un nuovo modello ecologico che Palpatine aveva fatto installare pochi anni prima per fini propagandistici. Luke ricordava bene gli slogan associati: Il nostro Imperatore si preoccupa persino della vostra aria, Palpatine si prende cura di voi anche quando si rilassa nelle sue stanze personali e altre sciocchezze del genere. Secondo le ricerche che aveva condotto nei giorni precedenti, questa nuova tecnologia richiedeva di collegare l’intera costruzione con un unico tunnel che si diramava in tutte le stanze.

Alzò le sue barriere mentali al massimo, anche se contava che nessuno dei due maestri Sith fosse al momento interessato a verificare ciò che stava facendo. Sganciò con la Forza la griglia di copertura e l’appoggiò delicatamente a terra. Poi saltò in alto, afferrò il bordo dell’entrata del condotto con le mani e si tirò all’interno del passaggio claustrofobico. Richiamò la griglia, facendola levitare fino a rimetterla al suo posto, per sicurezza nel caso qualcuno fosse entrato nella stanza. Strisciò velocemente avanti, facilitato dalla sua costituzione minuta, e raggiunse la principale giunzione centrale di quella rete di tunnel.

Nei giorni precedenti, non era riuscito a trovare una mappa esatta del palazzo, perché naturalmente era un’informazione segreta per ragioni di sicurezza. Ma vi era stato abbastanza volte per avere almeno una vaga idea di come fossero distribuite le varie zone. Sapeva che doveva scendere nel seminterrato. Aprì una taschina della sua cintura e ne estrasse il capo di una corda. L’agganciò all’attacco per le riparazioni straordinarie e saltò in giù, srotolandola. I suoi piedi toccarono il suolo e si inginocchiò di nuovo per entrare nel tunnel di quel piano. Tirò fuori una piccola bussola da una tasca nascosta della sua tunica e si girò per strisciare verso la zona di sud-est.

A un certo punto, il tunnel si divideva in tre passaggi. Scelse il più largo: solitamente una server farm richiedeva più ventilazione. Strisciò in avanti e verificò a una a una le stanze in cui si imbatteva, guardando attraverso le griglie. Alla settima ispezione, trovò finalmente la zona dei backup di sicurezza. Attraverso la griglia non poteva vedere se c’era qualcuno all’interno e perciò lo verificò con cautela attraverso la Forza. Nessuno al lavoro! Sganciò la copertura e saltò giù nella stanza.

Estrasse la scheda di memoria dalla tasca e la inserì nel terminale principale. Cliccò sul file rubato CrPMN3-89.ipt e il programma di decriptazione dei dati della Morte Nera incominciò a caricarsi. Ma si fermò presto chiedendo una password. Inserì quella dell’Ammiraglio Motti.

Apparve una casella di messaggio: Utente sconosciuto!

Accidenti! Questo non era previsto: l’Ammiraglio non era abilitato sulla rete imperiale di Coruscant. Che cosa doveva fare adesso? Lasciar perdere fu il suo primo pensiero: era già abbastanza pericoloso che fosse arrivato fino a questo punto. Ma era consapevole che non avrebbe avuto una seconda possibilità. Rovistare nella mente di qualcuno per un’altra password qui, con due Signori dei Sith a sentire invece che uno, sarebbe stato persino più pericoloso di quello che aveva già fatto sulla Morte Nera e, oltretutto, non sapeva a chi rubarla.

Forse la sua password era abilitata. Non ne era sicuro, non aveva mai lavorato su quei server, ma aveva un utente con ampie autorizzazioni sulla rete di sicurezza. Però, il problema principale era che di sicuro gli accessi dei download venivano salvati su un registro. Non poteva loggarsi, se non era in condizione di cancellare il record.

Ridusse a icona il programma di decriptazione e, digitando il codice di comando nella casella di inserimento del sistema operativo, richiese di aprire i registri di accesso. Apparve una nuova finestra, ma anche quella voleva una password. Non sapeva più che pesci pigliare! Sospirò: era giunto il momento di rischiare. Con il cuore a mille, inserì la sua password. Ma i registri non si caricarono: non era un amministratore di sistema. Nonostante non avesse risolto il problema, era sollevato dal non essere riuscito a entrare con la propria password. Tuttavia, era ancora bloccato lì. Sapeva che la password di default dei registri del sistema operativo era administrator1234, ma sicuramente era stata cambiata subito dopo l’installazione. Sicuramente? Provare non costava nulla: digitò la password di default e la finestra dei registri si aprì. Non poteva quasi crederci e soffocò una risata alla superficialità: Beh, non si poteva dire che suo padre non avesse delle ragioni, quando strangolava qualcuno per inefficienza!

Ridusse la finestra dei registri alla metà destra dello schermo ed estese quella del programma di decriptazione alla metà sinistra. La seconda stava ancora aspettando la sua password. Digitò la propria. Immediatamente il suo accesso apparve sul registro, proprio come si era aspettato.

Il programma di decriptazione creò un nuovo file PMN3-89.ipt. Lo esportò sulla scheda di memoria, quindi la scollegò e se la nascose in tasca. Ce l’aveva fatta, ma adesso doveva cancellare il suo furto. Cliccò sul record del registro e premette il tasto DEL. Non accadde nulla. Perciò riprovò con ENTER. Ancora nulla. E non funzionarono neanche BACKSPACE o TAB. Non riusciva a rimuovere il record.

Cancellarlo sarebbe stato perfetto, ma, siccome non poteva, era sufficiente cambiare l’utente che si era connesso. Selezionò solo la sua password e premette la barra spaziatrice. Il suo nome rimase fermo sul registro. Iniziò a preoccuparsi. Provò a scrivere qualsiasi altra cosa al suo posto, ma non cambiava nulla. Il registro non era alterabile dall’interfaccia standard. Doveva assolutamente trovare una soluzione per forzarlo in qualche modo. Ma non aveva tempo per studiarne una ad hoc, né tantomeno per scrivere un file batch.

Concentrati, pensa a qualcosa!, si incoraggiò da solo e l’ispirazione arrivò.

Circa quattro mesi prima, Vader era partito per una breve missione senza di lui. Alcuni giorni di libertà gli erano sembrati troppo belli per essere veri e Luke aveva vagato tutto il tempo per i bassifondi di Coruscant, divertendosi un sacco. Gli era parsa un’idea brillante portarsi dietro il datapad e connettersi alla rete olografica di tanto in tanto, per controllare le email, giusto per non aver problemi se suo padre avesse cercato di contattarlo. Ma, in uno degli holonet point pubblici, era stato inavvertitamente infettato da un virus. Quando era tornato a casa il programma infestante si era sfortunatamente esteso nella rete interna, creando scompiglio nei registri di sistema di parecchi terminali. C’erano voluti diversi giorni ai tecnici per sistemare il problema. Il Signore Oscuro non era stato affatto indulgente verso l’errore del figlio e perciò difficilmente il giovane Sith avrebbe potuto dimenticare il nome del dannato programma.

Al momento, era l’unica soluzione che poteva immaginare per il suo problema. Era consapevole che in quel modo le informazioni non erano cancellate completamente, perché il virus si limitava a criptarle e a spostarle. Ma rimetterle in ordine richiedeva tantissimo tempo, ammesso che il problema fosse trovato.

Disabilitò l’antivirus e lasciò il server. Si recò difronte al client più vicino e anche qui disabilitò l’antivirus. Aprì la rete olografica e cercò il virus. Trovarlo fu facile: lo scaricò, poi lo tagliò e lo copiò all’interno del server. Riabilitò l’antivirus sul client e tornò sul server. Se il virus avesse fatto danni vistosi, il problema sarebbe stato individuato presto dai tecnici, esattamente come era accaduto a casa. Aveva bisogno di un intervento più controllato, che non attirasse l’attenzione. Se aveva capito bene come lavorava, il virus avrebbe attaccato i registri quando sarebbero stati usati. Quindi, dato che quello di accesso era ancora aperto, avrebbe dovuto essere il primo a venir infettato. Cliccò sul virus per caricarlo subito, osservando con attenzione la lista degli accessi. Funzionò e, uno a uno, i record furono messi sottosopra. Non appena fu coperto il suo accesso, attivò l’antivirus. Poiché il virus era già vecchio di quattro mesi, questa volta il programma infestante fu immediatamente riconosciuto e cancellato.

Sospirò. Aveva lasciato una traccia che non voleva, anche se coperta. Ma, a questo punto, ciò che era fatto era fatto. Adesso doveva solo sperare che fosse abbastanza. Non aveva tempo di rimuginarci su: doveva tornare nella stanza dove ci si aspettava che fosse. Saltò su nel condotto e richiamò la griglia con la Forza per chiuderlo. Strisciò, tornando indietro fino alla giuntura centrale, dove la sua corda era ancora attaccata, e cominciò ad arrampicarsi.

Luke!

L’improvvisa chiamata mentale di Vader, mentre era a metà strada, lo fece trasalire e quasi cadere. Il furto aveva richiesto più tempo del previsto, a causa di tutti quei problemi con le password, e ora era in ritardo.

Sentì che veniva localizzato attraverso la Forza. Era consapevole che le sue barriere mentali erano abbastanza forti per coprire il fatto che si trovava nel condotto di climatizzazione, ma, nello stesso tempo, troppo deboli per ingannare completamente suo padre: di sicuro sapeva già che il figlio era ben più in basso del quinto piano.

Il giovane Sith sondò discretamente il Signore Oscuro e percepì che si trovava nella stanza dove avrebbe dovuto essere lui stesso. Dannazione! Non poteva tornare indietro per dove era venuto. Questo creava un’ulteriore problema. Si fermò al piano in cui si trovava, sganciò la corda e la riavvolse di nuovo all’interno della taschina della cintura. Doveva lasciare il tunnel il prima possibile.

Perché non sei qui?

Il giovane Sith cercò di calmare il padre. Sto arrivando, rispose mentalmente, eludendo la domanda. Poteva percepire la crescente impazienza di Vader: sembrava preoccupato che Luke stesse facendo resistenza al matrimonio imposto. Incoraggiò la supposizione del Signore Oscuro, trasmettendo un sentimento di irritazione per l’imminente cerimonia: ciò gli avrebbe almeno evitato un vero interrogatorio, anche se forse non qualche guaio per la sua disubbidienza.

Alla prima griglia di una stanza vuota che incrociò, la sganciò, scese giù e la risistemò al suo posto. Si sfregò la divisa, provando a rimuovere la polvere grigia. Quando fu sufficientemente in ordine per farsi vedere, corse a più non posso verso il quinto piano.

Non appena Luke arrivò nella stanzetta accanto al salone principale, Vader gli si parò davanti minaccioso.

«Cosa stavi facendo?» gli chiese il padre con un tono che avrebbe gelato il ponte di comando dell’Executor. «Sei in ritardo.»

«Stavo meditando per rilassarmi e ho perso la cognizione del tempo,» rispose il giovane con la prima scusa che gli passò per la testa. Era una bugia spudorata e naturalmente il Signore Oscuro lo percepì: Luke trasalì nel vederlo alzare rabbioso una mano pronta a colpire.

Ma non venne picchiato.

Non c’era tempo per approfondire la risposta del figlio e Vader non poteva rischiare di lasciargli dei segni lividi in faccia proprio in quel momento. Finì per afferrargli la tunica nel mezzo della schiena. Lo girò senza complimenti verso la porta che dava sul salone principale e, alla sua maniera brusca, lo spinse in avanti di qualche passo. «Comportati bene ora,» ordinò cupo, lasciandolo andare. «O domani Palpatine ti rifilerà ben di peggio che qualche sberla.»

Luke si sistemò la tunica, mentre la porta di fronte a lui si apriva, comandata nella Forza da suo padre. Entrò nel salone, seguito dall’ombra nera del Signore Oscuro, e la Corte si voltò per dare il benvenuto allo sposo nel giorno più felice della sua vita. Il giovane provò a sorridere di conseguenza.

I Grand Moff, i dignitari e i politici fecero a gara per salutarlo.

Poi, fu annunciato l’ingresso dell’Imperatore e tutti si voltarono con rispetto verso una specie di piattaforma spettacolare, allestita per l’occasione, in mezzo alla quale si stagliava solitaria una poltrona. Incappucciato nel suo solito mantello nero di stoffa grezza, Palpatine apparve. Concesse un saluto alla gente sotto di lui e si sedette comodamente.

Nel silenzio solenne che era piombato nel salone, Luke e suo padre camminarono verso di lui su un tappeto rosso che attraversava la stanza. Con le teste abbassate, si inginocchiarono davanti alle scale che conducevano sulla piattaforma.

«Alzati, Lord Vader,» ordinò l’Imperatore.

Il Signore Oscuro fece come gli era stato detto, salì le scale e si pose in piedi di fianco al suo padrone.

Suo figlio fu lasciato laggiù da solo, nella sua postura sottomessa, ad aspettare. Non che gli importasse: vi era abituato. Anche se i suoi occhi azzurri erano rivolti a terra poteva percepire sia Palpatine che Vader osservarlo: un sorriso sulla faccia scoperta, una preoccupazione sotto quella mascherata.

Una tradizionale musica di nozze iniziò a suonare.

«Il Re Mahavira Jagjit da Ujjain del Sistema di Avanti e la sua primogenita Principessa Asha,» annunciò il cerimoniere.

Si chiamava Asha, Luke memorizzò, senza muoversi, come previsto dalla cerimonia. Anche se quella mattina si era concentrato solo sul suo furto, in quel momento non poteva dire che non fosse curioso di vederla. Tuttavia, sapeva che non poteva dare le spalle a Palpatine e che doveva aspettare pazientemente. Sentì i passi di lei e del padre. Poi finalmente una ragazza vestita di rosso apparve a lato della sua visuale, mentre si inginocchiava alla sua destra. Inclinò un po’ il capo per riuscire a darle un’occhiata.

La sua quasi moglie era giovane, persino più giovane di lui. La sua pelle era olivastra e i suoi lineamenti delicati. I suoi capelli erano neri e lisci, da quel po’ che intravvedeva sotto il velo rosso, ricamato con una fantasia floreale dorata. Anche i suoi occhi erano neri, bordati con una sottile linea di eyeliner che li metteva più in evidenza.

Luke doveva ammettere che era piuttosto carina, anche se non più di tante altre donne della Corte. Ma questa qui sarebbe stata la sua donna. Non sapeva da dove provenisse quel pensiero: fino a quel momento aveva rifiutato totalmente l’idea delle nozze.

La vide gettare un’occhiata di lato per incrociare il suo sguardo e sorridere leggermente in un’evidente sorpresa di sollievo. Si era aspettata un vecchio decadente con gli occhi gialli? Probabilmente sì. Il giovane Sith si sentì valorizzato dalla sua reazione e si rilassò, sforzandosi di non sorriderle di rimando.

Prese con gentilezza la sua mano sinistra, come era previsto dal cerimoniale, e si alzarono solo per salire le scale e tornarsi a inginocchiare proprio davanti all’Imperatore.

«Oggi,» incominciò Palpatine a fare della retorica, «è un giorno benedetto. Il Sistema di Avanti e l’Impero Galattico saranno uniti non solo da obiettivi comuni e aiuto reciproco, ma anche dal più sacro dei legami: l’amore indissolubile tra un uomo e una donna.»

Solo il terrore dei fulmini della Forza trattenne Luke dallo scoppiare in una fragorosa risata, sentendo il vecchio maestro Sith blaterare d’amore. E pensò che il Re Mahavira doveva essere veramente disperato con le sue guerre per accettare qualsiasi condizione imposta dall’Imperatore. Persino quel cerimoniale umiliante lo dimostrava chiaramente: il povero monarca di Ujjain doveva aspettare inginocchiato per un bel po’ di tempo!

Il giovane sperava solo che il discorso fosse breve, in modo da poter proseguire presto con il pranzo.
 

***
 

La sera, dopo il ricevimento, Luke si trovava a disagio davanti alle larghe finestre del soggiorno del suo appartamento e osservava gli ultimi raggi del giorno allungare le ombre dei grattacieli di Imperial City. La bruciante umiliazione che aveva provato alle nozze imposte non era totalmente scemata, ma non riusciva a darne la colpa alla donna che sedeva sul divano dietro di lui, con i suoi occhi neri rivolti timidamente a terra. Alla ragazza, da poco dichiarata sua moglie, non era di sicuro stata data più scelta che a lui al riguardo: era stata semplicemente venduta ai Sith per la maggior gloria della sua Casata. Tra tutte le persone, lui era quello che poteva comprenderla meglio.

Gli era stata assegnata una missione quella sera ed era consapevole che doveva portarla a termine. Non era affatto la peggiore della sua vita. Allora perché adesso stava esitando? Forse era la tensione di lei, così chiara nella Forza: dopotutto, lei non sapeva cosa aspettarsi da lui, anche se di sicuro era stata istruita a non opporgli resistenza. A ogni modo, a nessuno sarebbe importato con quanta delicatezza lui avrebbe agito. A nessuno, tranne che a lei.

Sospirò gravemente e prese coraggio. Si voltò verso di lei e le andò davanti.

Senza alzare lo sguardo, la ragazza (Asha, Luke si ricordò) chiuse gli occhi.

Le sganciò delicatamente le mollette che fissavano il velo ricamato, togliendoglielo e mettendo in mostra un perfetto chignon nero. Si sedette accanto a lei e sciolse i suoi capelli con tutta la gentilezza di cui era capace, mentre rimuoveva una a una le mollette, scoprendo quanto fossero lunghe le sue lisce ciocche profumate. Giovane e bella, sembrava una bambola agghindata per il suo padrone. Un uomo non avrebbe potuto chiedere di più. Sentendo crescere l’eccitazione, le baciò la testa.

La donna stette immobile e non pronunciò parola, ma nella Forza Luke percepì un brivido ansioso provenire da lei e si fermò. Quei sentimenti negativi lo disturbavano, rendendogli difficile proseguire. Doveva rassicurarla e calmarla.

«Lo sai che non ho scelta,» le sussurrò in un orecchio, «ma questo non significa che non debba essere piacevole per entrambi.»

Asha si voltò verso di lui e i suoi occhi neri incrociarono il suo sguardo. «Grazie,» gli rispose sollevata con un sorriso timido.

Luke sentì qualcosa di sorprendentemente caldo muoversi in lui. Arrossì e le sue labbra toccarono la fronte liscia per baciarla.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Dichiarazione
Questa fiction è scritta solo per divertimento e non mi procura alcun guadagno. I personaggi e la galassia di Guerre Stellari appartengono alla Lucasfilm e alla Disney. Per i personaggi e i luoghi di mia invenzione, ho usato nomi presi dal mondo reale, ma li ho scelti soltanto perché stavano bene nella fiction e, quindi, non hanno alcuna relazione con persone vere o fatti storici: ogni eventuale rassomiglianza è puramente casuale.

Ringraziamenti
Desidero ringraziare jedi1952 per la revisione della versione originale inglese di questa fanfiction. Avendomi segnalato alcuni importanti problemi nella caratterizzazione dei personaggi e nelle scene, il suo lavoro è stato fondamentale e anche questa versione italiana sarebbe sicuramente diversa senza il suo aiuto.
La responsabilità di quanto scritto è naturalmente solo mia.

------------ Capitolo 4 ------------
 

La mattina seguente, Luke si svegliò presto come al solito, mentre Asha dormiva ancora. La osservò per un po’, provando ad abituarsi all’idea che ora era legato a lei. Non sapeva come questo avrebbe cambiato la sua vita.

Lasciandola ai suoi sogni, si alzò, andò in bagno per vestirsi e poi nel soggiorno. La sua colazione abituale era già stata consegnata dal droide incaricato e si trovava sul tavolo, difronte ad un secondo vassoio. Prese il suo pad dalla credenza e si sedette. Inserì la scheda di memoria e aprì i dati decriptati nell’editor dei testi. Mentre li scorreva, portò la tazza alla bocca e bevve alcuni sorsi della sua cioccolata calda. I testi brevi erano assolutamente chiari: descrizioni, dimensioni, specifiche delle varie parti della Morte Nera. Le stringhe più lunghe erano ancora illeggibili nell’editor, ma ora era sicurissimo che sarebbero state correttamente visualizzate come immagini dentro un programma CAD adatto. Dopo aver scrollato alcune pagine, spense il pad, appoggiandolo sulla tavola, scollegò la scheda e la nascose di nuovo nella sua tunica.

Sorrise per la soddisfazione: ce l’aveva fatta. Era stato difficile, era stato pericoloso, ma ce l’aveva fatta lo stesso.

L’esame dei dati sarebbe stato interessante, ma sapeva che era impossibile per lui: avrebbe dovuto passare alcuni giorni chiuso nel CED dell’Executor, utilizzando un paio di computer e dei droidi. Assolutamente impensabile. A questo punto, doveva dare la scheda di memoria all’Alleanza il prima possibile: più tempo l’oggetto incriminante rimaneva in suo possesso, più lui era in pericolo.

Ma come consegnarla? Era difficile immaginare come contattare i ribelli alle spalle di suo padre. E anche se ci fosse stato un modo, loro lo consideravano solo come il tirapiedi di Vader. Nessuno si sarebbe mai fidato di lui.

Non appena formulò quel pensiero, si rese conto che non era completamente vero. La Senatrice Leia Organa si era fidata di lui una volta… e lui si era fidato di lei.

La lunga cicatrice indelebile al suo fianco gli dolse automaticamente al ricordo del duello perso contro il padre e della fuga della Principessa. Una parte di lui gli diceva che non poteva rimproverarla: non c’era nulla che lei avrebbe potuto fare. Ma un’altra parte si sentiva tradito e abbandonato: lei lo aveva convinto a ribellarsi e poi era scappata tra le braccia della sua amorevole famiglia, lasciandolo solo a fronteggiare l’ira di Vader.

A dire il vero, la reazione del Signore Oscuro era stata relativamente mite. Aveva spento la sua lama prima che il danno fosse irreparabile. Poi gli aveva garantito le migliori cure mediche. Aveva autorizzato l’uso di anestesia e antidolorifici: nessun altro maestro Sith l’avrebbe mai fatto, poiché un dolore molto acuto era un’ottima benzina da gettare sul fuoco del Lato Oscuro. In ultimo, aveva persino mentito a Palpatine per coprire il tentativo di fuga del figlio, raccontandogli che la ferita era stata una punizione per la sua incompetenza nel farsi scappare la prigioniera. L’Imperatore aveva riso compiaciuto, blaterando qualcosa su come finalmente Vader prendesse seriamente il suo ruolo di maestro Sith nel correggere le mancanze del ragazzo. Così, al giovane era stata evitata una buona dose di fulmini della Forza e forse persino la morte. Tutto questo aveva fatto sentire Luke più leale verso suo padre, anche se la sua voglia di libertà non si era mai sopita per davvero.

Nonostante ciò, il mese successivo al suo ferimento era stato il più duro di tutta la sua vita. L’aveva passato diviso tra sentimenti di terrore e abbandono, dolori post-operatori e sogni di fuga. Alla fine, suo padre gli aveva proibito la minima conversazione con la Principessa… come se il suo rapimento fosse stato un’iniziativa personale di Luke! Desiderando solo dimenticare, una volta tanto era stato contento di obbedire: non aveva mai più neanche rivolto uno sguardo alla donna.

Eppure ora, più ci pensava, più lei gli appariva come il suo unico contatto con i ribelli.

Aprì la rete interna e controllò gli appuntamenti istituzionali. Quel giorno era fissata una convocazione del Senato. Luke era ben consapevole che l’organo residuo della Vecchia Repubblica sarebbe stato a breve sciolto definitivamente. L’Assemblea non aveva più nessun potere reale e quegli ultimi incontri erano soltanto formalità. Palpatine li autorizzava solo per tenere quieti i nostalgici che avrebbero creato disordini, se lo scioglimento fosse stato troppo immediato. Nonostante l’assoluta futilità dell'incontro di quel pomeriggio, il giovane Sith presumeva che la Senatrice Organa avrebbe comunque partecipato, considerando il suo zelo.

Teoricamente nulla gli impediva di assistere all’assemblea nell’area riservata ai visitatori di riguardo. Praticamente, il problema era che non aveva l’abitudine di andarci. Era impossibile che la sua presenza passasse inosservata e che i pettegolezzi non arrivassero presto a Corte. Aveva bisogno di trovare una scusa credibile che gli evitasse domande da parte di suo padre.

«Buongiorno,» Asha lo distrasse dai suoi pensieri. Era vestita con un abito più semplice, ma non meno colorato di quello del giorno precedente e i suoi capelli neri erano legati in una lunga treccia.

Luke la salutò con un cenno del capo. «La tua colazione è già qui.»

Lei gli si avvicinò e si sedette difronte a lui. Alzò il coperchio termico e guardò incuriosita il contenuto.

«Cioccolata calda e brioche,» le spiegò.

«Mai assaggiati,» rispose la donna, prendendo la sua tazza e sorseggiando. Arricciò il naso. «È molto dolce,» notò senza entusiasmo.

«Puoi ordinare ciò che preferisci per i prossimi giorni,» le disse lui. «Questa è la mia colazione abituale. Non conoscendo i tuoi gusti, penso che per oggi abbiano copiato i miei.»

Lei scosse la testa. «No, va bene. È solo un po’ strano: non siamo abituati a pasti così zuccherati su Ujjain.» Bevve ancora, cercando di dimostrarsi adattabile.

Sedettero in silenzio per un po’, senza nessun argomento di conversazione. Luke guardava al suo pad sul tavolo, ma non lo stava più leggendo. Asha all’inizio diede un’occhiata al soggiorno, poi finì per osservare il traffico fuori dalla finestra.

In ultimo, fu lei a rompere il ghiaccio. «Quindi questa è la nostra casa?» Il suo tono era sobrio, ma non era difficile leggervi una delusione stupita.

Lui la guardò sorpreso e annuì, arrossendo leggermente. Non ci aveva mai fatto caso prima, ma improvvisamente si rese conto di quanto fosse modesto il suo appartamento: una camera da letto, un bagno e il soggiorno dove si trovavano al momento. Tuttavia, non era neanche la piccola dimensione che colpiva, ma la totale mancanza di qualsiasi decorazione. In camera, il letto era il solo arredamento: i pochi cassetti alla base della sua struttura erano sempre stati sufficienti per le sue divise (ma dubitava che lo sarebbero stati anche per gli abiti di lei). Nel soggiorno vi era solo un tavolo, una credenza e un divanetto, tutto dello stesso deprimente colore grigio del resto dell’edificio militare in cui viveva. Non c’erano quadri, né foto, né piante, né tende, né sopramobili. Niente di niente. Le sue stanze non erano diverse dalle sale riunioni, dagli alloggi dei soldati o dalle stanze di servizio. Non erano per niente come ci si sarebbe aspettato che fossero le stanze dell’erede dell’Impero. Le case dei Moff di minore importanza e dei governatori locali erano decisamente più ricche della sua. Non gli era mai importato, perché ora, tutto d’un colpo, quel fatto lo disturbava?

«Potrei forse provare ad abbellirla un po’?» lei sondò il terreno con cautela.

«Perché no?» il giovane Sith scrollò le spalle, ritornando a osservare il suo pad.

«Stai lavorando?» gli chiese.

«No,» scrollò la testa, non desiderando rispondere. «Controllo solo le email.»

«Andrai a lavorare più tardi?» insistette lei.

Alzò lo sguardo verso la donna, non capendo dove volesse andare a parare. «Non lo so. Quando serve, mi assegnano una missione, ma spesso senza alcun preavviso.»

«Allora cosa fai, quando sei a casa?» continuò.

Luke cominciava a stufarsi di quell’interrogatorio, ma voleva dimostrarsi gentile. «Ogni giorno, dopo pranzo, mi alleno un paio di ore con mio padre. Se ce n’è l’opportunità, testo navi e armi. Studio della roba sull’Impero e il governo, quando me lo ordinano. Questo è tutto. Per lo più sto solo qui a disposizione.»

Lo guardò perplessa. «Cosa ci si aspetta che io faccia?»Lui scrollò la testa. «Non ne ho la più pallida idea.» Capì: la donna pensava che si sarebbe annoiata a morte lì. Una vaga idea cominciò a formarsi nella sua testa. «Ti piacerebbe visitare Imperial City, oggi?»

«Certo,» gli rispose con entusiasmo.

«Abbiamo molti palazzi storici, alcuni musei interessanti e dei giardini botanici.» Il giovane Sith fece una pausa. «Potremmo persino vedere una riunione del Senato questo pomeriggio,» aggiunse con indifferenza, come se fosse stato l’ultimo dei suoi pensieri.

«Questo sarebbe davvero interessante! Non abbiamo nessuna assemblea del genere a Ujjain,» dichiarò lei.

Luke le sorrise in approvazione: ecco la buona scusa che stava cercando!

Dopo diverse ore, nel pomeriggio, si sedettero nell’area sopraelevata del Senato, dedicata ai visitatori.

«Wow! È enorme! Mi vengono le vertigini!» notò Asha, osservando dall’alto in basso lo spettacolo degli innumerevoli seggi del Senato disposti intorno a quello centrale del Capo di Stato.

Luke si obbligò a non ghignare. Questa ragazza era una principessa persino nelle sue movenze graziose e nel suo portamento reale. Ma, poiché Ujjain era solo un modesto pianeta in un Sistema insignificante, tutto ciò che avevano visitato quel giorno nel cuore dell’Impero l’aveva meravigliata. Eppure, anche lui doveva ammettere che non ci si abituava mai veramente all’impressionante vista del Senato.

La riunione stava quasi per terminare e il giovane Sith aspettava il momento giusto per agire: dopotutto, lui non era lì per turismo. Cercò il seggio del Sistema di Alderaan. Fu difficile individuarlo tra i tanti levitanti, ma fu ripagato dal vedere la Senatrice Leia Organa al suo posto, come aveva previsto. I suoi occhi marroni erano ancora orgogliosi come li ricordava. Giovane come lui, ora sembrava in qualche modo più matura.

Di colpo la Senatrice divenne consapevole che qualcuno la stava osservando e guardò direttamente nella sua direzione, incrociando il suo sguardo, con lo stupore e la curiosità che le si dipinsero in volto.

Non desiderando attirare la sua attenzione, Luke si voltò per guardare le altre persone presenti nell’area dei visitatori. Erano per lo più Moff minori, tutti presi dal crearsi delle nuove relazioni per migliorare i loro affari politici ed economici. Disgustoso: per fortuna lo scioglimento del Senato avrebbe presto chiuso quel mercato. Ma al momento, era proprio ciò di cui aveva bisogno.

Cercò qualcuno che conoscesse. Riconobbe il Moff Enrich, seduto accanto ad una splendida Twi’lek blu. Ma dubitava che il governatore avrebbe chiacchierato volentieri con lui: suo padre lo aveva minacciato di morte già un paio di volte. Non lontano, vide anche il Grand Moff Ricci. La sua politica regionale si accordava bene ai bisogni dell’Esercito e perciò avrebbero potuto scambiarsi alcune informazioni interessanti. Sfortunatamente, al momento non aveva alcuna compagna vicino a lui che potesse intrattenere Asha. Alla sua sinistra, trovò finalmente qualcuno adatto: il Grand Moff Long e sua moglie.

Non appena la riunione fu aggiornata, Luke si alzò e, con un gesto, invitò sua moglie: «Vieni. Ti presento una coppia.»

Lei annuì, felice di poter conoscere qualcuno lì a Coruscant. «Tuoi amici?»

Lui sbatté gli occhi in sorpresa. «Un politico e sua moglie. I Sith non hanno amici,» rispose.

Incerta su come commentare l’ultima asserzione, lo seguì in silenzio.

Il Grand Moff non riuscì a mascherare completamente la sua sorpresa nel vedere Luke lì. Ma sapeva che era meglio non fare domande. Si ricompose e inchinò leggermente la testa per salutarlo, pienamente consapevole che il giovane Sith era probabilmente l’erede dell’Impero. «Lord Skywalker è un piacere incontrarvi.»

«Il piacere è tutto mio, Grand Moff Long,» contraccambiò la cortesia e rivolto alla moglie: «Signora.» Appoggiò con gentilezza una mano sulla spalla di Asha, che si trovava accanto a lui. «Lasciate che vi presenti Asha Jagjit, Principessa di Ujjain del Sistema di Avanti, mia moglie.»

Lei eseguì un inchino perfetto e grazioso.

La signora Long le sorrise maternamente: «Abbiamo avuto l’onore di assistere al vostro matrimonio ieri. È stata una cerimonia veramente commovente.»

Il suo tono era così gentile e sincero che Luke le avrebbe quasi creduto, se non avesse percepito altrimenti nella Forza. Quella donna era un politico migliore di suo marito.

«Vi trovate bene a Coruscant, mia graziosa Principessa?» proseguì.

Asha sorrise timidamente. «Non conosco nulla qui. Oggi Lord Skywalker mi ha mostrato una parte di Imperial City, ma penso di dovermi ancora ambientare.»

«Naturalmente. È sempre difficile per noi donne seguire qui i nostri mariti,» recitò uno sguardo affettuoso rivolto al Grand Moff. «Dopo tanti anni, sento ancora nostalgia di casa e di tanto in tanto desidero ritornarvi. Ma, con il tempo, ci si fa degli amici. Per esempio, io ho conosciuto tanta gente aiutando ad amministrare l’orfanotrofio della Fondazione del Grand Moff Tarkin.»

«Interessante,» rispose la donna più giovane. «È una bella iniziativa.»

«Sarebbe un onore ricevere una vostra visita,» proseguì la signora Long. «Vi potrei presentare la signora Tarkin: è un’ospite veramente adorabile. Praticamente è lei che amministra la Fondazione, perché suo marito è sempre impegnato.»

Luke era già annoiato e non le stava più ascoltando. Con la coda dell’occhio, aveva tenuto sotto sorveglianza la Senatrice Organa per tutto il tempo. Quando la vide raccogliere le sue cose, capì che era ora di andare.

«Scusatemi,» interruppe bruscamente, «mi devo assentare per un momento.» Senza ulteriori spiegazioni, si rivolse ad Asha. «Aspettami qui: ho paura che ti perderesti. Torno subito.» Poi, quasi per scusarsi con i Long della maleducazione di quella secca partenza, aggiunse sorridendo: «Ti lascio in buone mani.»

Mentre il Grand Moff provò a nascondere il suo disappunto, la moglie salutò con cortesia: «Grazie, mio signore.»

Si era già voltato per andarsene, quando sentì Asha dire alla signora Long: «Mi piacerebbe veramente visitare la Fondazione…»

Corse tra la folla giù per le scale e raggiunse gli hangar. La nave di Alderaan era piuttosto isolata. La situazione politica per il pianeta era diventata dura negli ultimi anni, perché la linea politica degli Organa era in netta minoranza al Senato.

Luke si nascose tra le grandi colonne e attese.

Leia stava arrivando da sola e i suoi passi echeggiavano.

Il giovane Sith le si avvicinò silenziosamente da dietro e le sussurrò: «Senatrice Organa.»

Lei sobbalzò e lui le dovette mettere una mano sulla bocca per impedirle di gridare. Fu allora che lei lo riconobbe e lo guardò terrorizzata.

«Vi lascio andare subito, se mi promettete di non urlare,» le disse. «Non abbiate paura.»

La donna annuì e fu liberata. «Cosa volete da me? L’ultima volta che mi avete messo una mano sulla bocca, mi avete rapito,» gli rinfacciò con tono di sfida.

«L’ultima volta che mi avete rivolto la parola, ho passato tre settimane in ospedale,» replicò lui e fu soddisfatto nel vedere il senso di colpa scintillare nei suoi occhi.

Ma lei fece finta di niente. «A maggior ragione, non capisco cosa vogliate. Avevo avuto l’impressione che sarebbe stato poco igienico per entrambi essere visti conversare.» Il suo tono era carico di sarcasmo nel riferirsi alle brutali minacce di Vader.

Luke tirò fuori la scheda di memoria dalla sua tasca e gliela allungò. «Tenete!»

La principessa la prese insicura e lo guardò stupita.

«Sono i piani segreti di una nuova stazione da battaglia che, al momento, è in fase di test,» le spiegò.

Leia non era convinta. «Come faccio a sapere che non è una trappola?»

«Sono sicuro che avete le risorse per farla verificare,» le rispose seccamente.

Lei annuì. «Cosa c’è di così speciale in questa stazione da farvi affrontare tale pericolo?»

Luke si guardò furtivamente alle spalle. «Esaminate i dati e lo vedrete. Se rimango qui ancora, rischio troppo.»

La donna arrivò ad una decisione: nascose la memoria dentro la tasca della sua tunica.

Soddisfatto, lui si voltò per andarsene, ma udì alle sue spalle la voce di lei domandargli: «Perché?»

Sospirò. «Anch’io ho una coscienza,» mormorò e corse via.

Alcuni passi più in là, incontrò Asha. Era di sicuro troppo lontana per aver sentito la loro conversazione e probabilmente anche abbastanza da non poter identificare la Senatrice Organa. Ma, comunque, non era una bella sorpresa. «Cosa stai facendo qui?» le si rivolse con asprezza.

Confusa, spiegò: «Il Grand Moff Long e la moglie sono andati via. Ero sola e tu non tornavi. Allora ti sono venuta a cercare.»

Luke era preoccupato e per niente interessato alle sue giustificazioni. «Ti avevo detto di aspettarmi là,» la rimproverò seccamente.

Lei annuì, ma non lasciò andare. «Chi è quella donna?»

«Nessuno di cui devi preoccuparti,» liquidò la domanda.

Asha fece finta di non aver capito l’avvertimento implicito e insistette. «Sono consapevole che il nostro matrimonio è stato combinato per ragioni di alleanze politiche. Posso capire…»

Irritato sia dalla sua insistenza che dall’insinuazione, afferrò la sua tunica. «Non capisci un bel niente. Non è come pensi.» Abbassò la voce a un sussurro. «Dimenticati di quello che hai visto o ci farai ammazzare tutti e tre. Coruscant è un posto molto più pericoloso di quel che sembra. Per il tuo bene, non vedere e non sentire niente,» la minacciò e la lasciò andare, solo per puntarle un dito in faccia. «E quando dò un ordine, mi aspetto di essere ubbidito.»

La moglie abbassò la testa in un silenzio imbarazzato.

Soddisfatto dalla sua sottomissione, si voltò seccamente per raggiungere in fretta il loro trasporto, non preoccupandosi che lei dovesse quasi correre per seguirlo. Si sedette nel posto del guidatore e si accorse che l’aveva lasciata indietro. La osservò mentre raggiungeva la nave e finalmente si sedeva anche lei.

Asha evitava il suo sguardo. Era evidentemente confusa e spaventata.

Ovvio che lo fosse, si rese conto Luke, lui aveva appena agito e parlato proprio come avrebbe fatto suo padre. Era disgustato di sé stesso. Pieno di vergogna, distolse lo sguardo e mise in moto la navetta per tornare a casa. Mentre volavano tra il traffico di Coruscant, si scusò. «Mi dispiace,» mormorò. «Ma non è così che doveva andare.»

«Lo so,» rispose lei con calma, «Ti dovevo aspettare lassù.»

Il giovane squassò la testa. «Non mi riferivo a questo. Volevo dire che i Sith non dovrebbero sposarsi.»

La donna lo guardò subito stupita. «Vorresti rimanere da solo per tutta la vita?»

Luke ne fu confuso: aveva sempre provato a non pensare a quell’eventualità, ma non era che la logica conseguenza della propria affermazione. No, non gli piaceva la sua solitudine. Aveva dei ricordi lontani della sua prima infanzia, immagini sfocate della sua madre adottiva che lo abbracciava e del suo padre adottivo che gli arruffava affezionatamente i capelli. Non riusciva a ricordare i loro nomi, ma l’amore e la felicità che aveva provato erano impressi per sempre dentro di lui. Avrebbe desiderato sentire ancora quei sentimenti, ma non osava sperare. Quel tempo era finito e ora era intrappolato in questa vita da Sith che odiava. Non aveva alcuna voglia di trascinarvi un’altra persona e, d’improvviso, capì quanto era spaventato dall’idea di poter ferire qualcuno tanto profondamente quanto era stato ferito lui. «Non è questo il punto,» disse infine, «noi non siamo in grado di gestire una famiglia.»

Asha si accigliò non capendo. «Tuo padre lo fa,» dichiarò con uno sguardo interrogativo.

«Già,» lui alzò gli occhi al cielo, sospirando, «un esempio illuminante del perché i Sith non dovrebbero avere famiglia.»

«Quindi devo presumere che tu non sia felice delle nostre nozze.» Sembrava veramente delusa. Dopotutto, quello che lui aveva detto non le doveva essere suonato troppo carino nei suoi confronti.

«Senti, non volevo sposarmi fin dall’inizio. Quindi, non ha a che fare con te,» spiegò, cercando di metterci una toppa.

«Il nostro matrimonio non ha a che fare con me?» notò lei, quasi sarcastica.

Lui le gettò un’occhiata e poi guardò di nuovo il traffico. Era incerto su cosa dire: non era mai stato bravo a parlare. In più, realizzò che non aveva la minima idea di come lei giudicasse il loro matrimonio: non ci aveva proprio pensato. «Tu eri d’accordo con le nozze?» chiese infine.

«Ho sempre desiderato sposarmi,» gli rispose.

«Avevo capito che avesse combinato tutto tuo padre,» le disse stupito.

«Infatti è così,» gli confermò, «e me lo stavo aspettando già da un po’: la maggior parte delle mie amiche è già sposata da qualche anno.»

A Luke sembrava un po’ strano quello che lei stava dicendo. «Ma con qualcuno che non hai potuto scegliere per niente?»

«Questo è normale su Ujjain,» gli spiegò.

«Vuoi dire che sul tuo pianeta nessuna ragazza sceglie il marito?» si stupì lui. Era consapevole che molti matrimoni alla Corte imperiale erano combinati per convenienza, ma i fidanzati erano sempre coinvolti in qualche modo. Per quel che ne sapeva, lui era l’unico uomo che aveva visto sua moglie per la prima volta il giorno delle nozze.

«Per tradizione i mariti sono scelti solo dalle famiglie,» gli confermò.

«Ma come si può sposare qualcuno che non si ama?» Non che gli importasse veramente molto della vita coniugale a Ujjain, ma non poteva dire di non essere incuriosito da una tradizione così strana.

«Vedrai che alla fine ti amerò.» Sembrava che lei lo volesse rassicurare.

Lui non aveva inteso portare la questione sul loro livello personale. Non si aspettava il suo amore: non poteva chiedere tanto. Non sapeva nemmeno se lui stesso fosse in grado di amare qualcuno: una semplice coabitazione civile gli sembrava già una sfida piuttosto impegnativa per un Sith. Perciò la quieta certezza che aveva avvertito nel suo tono era nello stesso tempo spaventosa e attraente, ma a ogni modo mal risposta: non voleva nutrire delle speranze, solo per soffrire quando sarebbero finite in frantumi. «Ma perché? Non sai nemmeno chi sono,» sottolineò con un’asprezza involontaria nella sua voce.

«So che sei mio marito,» dichiarò lei semplicemente.

Luke le gettò un’altra occhiata stupita: quello era più o meno lo strano pensiero che anche lui stesso aveva fatto il giorno precedente, durante la cerimonia, quando l’idea che lei sarebbe stata la sua donna era venuta fuori da chissà dove. Ma non era una motivazione sensata, giusto?

Davanti al suo silenzio pensieroso, Asha aggiunse: «Io sarò sempre dalla tua parte.»

E quello che cos’era? Una promessa? Un obiettivo? E perché? Non si poteva semplicemente comandare ai propri sentimenti di venir fuori a piacere. Luke non capiva: «Come puoi obbligarti ad amare qualcuno?»

«Io non mi obbligherò a nulla: verrà con naturalezza,» provò a spiegargli la donna. «Non ho scelto i miei genitori, i miei fratelli o le mie sorelle, ma io li amo tutti. Amo i loro pregi e i loro difetti, perché sono la mia famiglia. Non ho scelto il pianeta in cui sono nata, ma amo la sua gente e i suoi paesaggi, perché è il mio pianeta natale. Allo stesso modo, mi affezionerò anche a te.»

Lui rise sommessamente, scuotendo la testa. Non aveva molta esperienza in faccende sentimentali, perché quell’ipocrita di suo padre aveva sempre blaterato molto su come fossero pericolose le donne, proibendogli qualsiasi storia d’amore, fino al giorno in cui lo aveva improvvisamente obbligato a sposarsi. Ma affezionarsi a qualcuno non era esattamente ciò che aveva compreso essere l’amore. «Non sembra che sarà una passione travolgente.»

«La passione se ne va veloce come viene. L’affetto cresce negli anni. Perciò, il vero amore è quest’ultimo,» dichiarò lei.

Non era completamente irragionevole: poteva perfino essere vero, da un certo punto di vista. Ma per sfortuna i Sith di solito ragionavano in assoluti e quindi lui continuava a pensare che il suo discorso fosse piuttosto bizzarro.

«Si può sposare chi si ama o si può amare chi si sposa: qual è la differenza?» aggiunse Asha.

Già… alla fin fine, qual era? Luke non aveva la risposta.

Arrivarono a casa. Le gettò un’ultima occhiata, prima di concentrarsi sulla manovra di atterraggio.

Era stato così arrabbiato nell’ultima settimana per tutta quella faccenda delle nozze, preoccupandosi solo del proprio orgoglio ferito, che non aveva riflettuto sulle implicazioni. Dopotutto, ora qualcuno gli era seduto accanto e chiacchierava con lui, promettendogli perfino una specie di affetto a venire. Anche se non credeva possibile quest’ultima cosa, la sua semplice compagnia era molto di più di ciò che avrebbe mai osato sperare solo dieci giorni prima. E, quindi, era veramente importante come e perché era accaduto? Comprese che aveva due possibilità: continuare a essere arrabbiato, sprecando ciò che gli era stato donato, o lasciar andare i sentimenti negativi e sfruttare al meglio quella situazione.

Per la prima volta nella sua vita, si immaginò di tornare a casa e baciare sua moglie. Immaginò di poter parlare con naturalezza e ridere con lei di qualcosa. Immaginò di poter condividere con lei un dolore o una gioia. Immaginò di arruffare i capelli di loro figlio e poi di giocare con lui, o di fare ciò che i padri normali facevano con i loro bambini…

Si fermò bruscamente di fantasticare: ora era andato troppo in là. Non importava ciò che lei diceva o quanto lui desiderasse delle relazioni affettive: lui era ancora un apprendista Sith in stato di schiavitù. Poteva provare a valorizzare la sua compagnia, ma non poteva permettersi tanta speranza: non sarebbe stato salutare per nessuno dei due.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Dichiarazione
Questa fiction è scritta solo per divertimento e non mi procura alcun guadagno. I personaggi e la galassia di Guerre Stellari appartengono alla Lucasfilm e alla Disney. Per i personaggi e i luoghi di mia invenzione, ho usato nomi presi dal mondo reale, ma li ho scelti soltanto perché stavano bene nella fiction e, quindi, non hanno alcuna relazione con persone vere o fatti storici: ogni eventuale rassomiglianza è puramente casuale.

Ringraziamenti
Desidero ringraziare jedi1952 per la revisione della versione originale inglese di questa fanfiction. Avendomi segnalato alcuni importanti problemi nella caratterizzazione dei personaggi e nelle scene, il suo lavoro è stato fondamentale e anche questa versione italiana sarebbe sicuramente diversa senza il suo aiuto.
La responsabilità di quanto scritto è naturalmente solo mia.

------------ Capitolo 5 ------------
 

Tu andrai nel Sistema di Dagobah.

Ancora quella voce! Leia aprì gli occhi nel buio della sua camera sul Tantive IV. Si accarezzò la fronte con la mano. Aveva il mal di testa. Non c’era da stupirsene: da una settimana quella voce invadeva i suoi sogni, rendendole impossibile dormire bene. Da una settimana, cioè da quando aveva incontrato Skywalker. Naturalmente non le era sfuggita la coincidenza, ma tuttavia non comprendeva il nesso, nonostante ci avesse riflettuto sopra molto. Avrebbe capito, se avesse avuto ancora degli incubi sul suo rapimento o sull’interrogatorio di Vader. Ma quella voce non assomigliava per niente a quella del Sith. Al contrario, era calda, ispirava fiducia, anche se era insistente. E non c’era nulla di interessante a Dagobah: non aveva mai sentito nominare il posto prima d’allora ed era solo un pianeta paludoso con forme di vita primitive, senza alcuna relazione con l’Impero, l’Alleanza o la guerra. O, almeno, questo dichiarava ogni fonte di informazione che aveva consultato nei giorni precedenti. Eppure, sapeva che in un modo o nell’altro quella voce era collegata a Skywalker.

Controllò l’ora convenzionale della nave sull’orologio e sospirò: era mattina presto. Era inutile cercare di riaddormentarsi. Si alzò, si vestì e andò nel salotto comune dell’appartamento reale.

Suo padre sedeva al tavolo e mangiava la sua colazione, osservando pensieroso un datapad. Quando udì i suoi passi, alzò lo sguardo su di lei: «Buongiorno. Siamo mattutini, eh?»

«Sembra che non sia la sola,» gli sorrise, sedendo davanti a lui.

Bail versò del caffè in una tazzina e gliela porse con gentilezza. «Il tuo nuovo incontro con Skywalker ha fatto perdere il sonno a entrambi.»

Lei annuì, sorseggiando dalla tazzina, ma non si sentiva pronta per confidare i suoi sogni sulla voce.

«Ma ha fatto la cosa giusta,» dichiarò l’uomo.

Leia lo guardò sorpresa. «Ha detto la verità?»

«Sì,» confermò suo padre. «Ho appena ricevuto l’esame completo dei dati che ti ha dato.»

«E…?» pressò lei intrigata.

«Questa stazione da battaglia, al momento in fase di test, è chiamata…» Bail controllò il nome esatto sul datapad «…Morte Nera. È grande quasi come una piccola luna e la sua potenza di fuoco è sufficiente per disintegrare un pianeta con un colpo solo.»

Leia sgranò gli occhi in shock. «Non capisco. Cosa pensa di guadagnarci l’Imperatore? Quando i Sistemi lo sapranno, si ribelleranno.»

«Lo penso anch’io,» convenne lui. «Ma siano tutti consapevoli che presto il Senato sarà sciolto definitivamente. Palpatine avrà bisogno di tenere in qualche modo in riga i Sistemi. Il terrore è una strada che può tentare.»

«Può essere fermata?» chiese speranzosa lei.

«Sì,» rispose suo padre. «Persino distrutta.»

Lei rimase perplessa. «Una stazione grande come una luna?»

Lui annuì e spiegò. «C’è un punto debole strutturale che può essere sfruttato. L’Alleanza sta già pianificando un attacco. Il problema vero è che non sappiamo in quale parte della Galassia sia la stazione in questo momento.»

«Skywalker potrebbe saperlo,» suggerì Leia.

«Probabilmente,» Bail sospirò pensieroso. «Ma ha già rischiato veramente tanto. Forse non osa andare oltre.»

Anch’io ho una coscienza. Le parole di Luke le tornarono in mente. Ora poteva comprenderle. «Scommetto che lo farà,» dichiarò. «Lo contatterò.»

«Sei sicura?» chiese suo padre dispiaciuto. «Temo che sia molto pericoloso per te.»

«Non ti preoccupare: prenderò ogni precauzione,» rispose convinta. «Sono l’unica nell’Alleanza di cui si fiderebbe.»
 

***
 

A metà mattinata, Luke si preparava per testare un nuovo modello di nave. Era solo nel suo appartamento.

Improvvisamente percepì nella Forza la presenza di Vader fuori dalla porta. Senza disturbarsi a preannunciare il suo ingresso o a chiederne il permesso, il Signore Oscuro irruppe nel suo salotto.

Il Sith più giovane resistette alla tentazione di alzare gli occhi al cielo: aveva sempre detestato quelle visite a sorpresa e ora che condivideva le sue stanze con la moglie la maleducazione di suo padre era diventata veramente insopportabile. Se solo avesse trovato un modo igienico per dirglielo… Si voltò e inchinò la testa, aspettando con aria interrogativa.

«Abbiamo un contatto interessante per arrestare una spia Bothan,» iniziò Vader senza tante cerimonie. «Un nostro infiltrato è riuscito a guadagnare la fiducia di alcuni ribelli, fingendo di essere un cadetto che vuole ammutinare e aiutare l’Alleanza, passando delle informazioni. Gli hanno fissato un incontro segreto su Rhen Var. Le coordinate esatte del punto saranno inviate nelle prossime ventiquattro ore.»

Non era difficile per Luke immaginare come tutto quello lo riguardasse. Sospirò mentalmente e disse addio al suo volo di prova.

Infatti, il Signore Oscuro continuò proprio come suo figlio aveva previsto: «Devi andare a quell’appuntamento. Voglio la spia viva e cosciente: forse sa dove si trova la base principale dei ribelli.»

«Sì, mio signore,» Luke rispose guardando dritto nelle lenti nere.

Ma lo sguardo di suo padre non era più su di lui, la sua attenzione era presa completamente dalla stanza. «Cosa è successo qui?» chiese perplesso.

Anche il giovane si voltò, per osservare il nuovo aspetto che Asha aveva dato al loro salotto. Le finestre erano adornate da tende gialle e arancioni che ricadevano leggere fino al pavimento. Due volant, tenuti fermi da farfalle finte, le raccoglievano ai lati, formando ricchi drappeggi. Piccoli cuscini degli stessi colori davano nuova luce al divano grigio. Sulla tavola, completamente spoglia fino a pochi giorni prima, c’era un centrotavola ricamato e un vaso di ceramica bianca con una composizione di fiori gialli e arancioni.

Pochi elementi erano bastati a trasformare la triste monotonia di quella stanza grigia in un posto più allegro. Eppure Luke non l’aveva realizzato, finché Asha non l’aveva fatto. Si voltò verso Vader e dichiarò, scrollando le spalle: «È carino.»

«Siamo in una base militare,» sottolineò suo padre severamente, guardando di nuovo verso di lui.

«Ma questo è il mio appartamento privato.» Il giovane Sith si sentì improvvisamente geloso del suo spazio.

«Giusto,» proseguì il Signore Oscuro. «Le permetti di cambiare le tue stanze come le pare?»

«Mi ha chiesto il permesso,» rispose Luke.

«Dov’è adesso?» Suo padre insistette ancora.

«È con la moglie del Grand Moff Long a visitare l’orfanotrofio della Fondazione dei Tarkin.»

«Tarkin gestisce un orfanotrofio?» La voce di Vader era carica di sarcasmo. «La prossima volta che vorrà sperimentare un’arma biologica, saprò da dove prende le cavie.»

«A ogni modo,» Luke sorvolò sull’ultimo commento, «credo che Asha sia annoiata e abbia bisogno di fare qualche amicizia.»

Nonostante la maschera che sempre copriva il volto di suo padre, il giovane Sith sentì chiaramente lo sguardo del Signore Oscuro penetrarlo.

«Sii prudente con i tuoi sentimenti, figlio,» lo mise in guardia. «Se Palpatine decidesse di rompere l’alleanza con Ujjain, ti sarebbe ordinato di eliminarla personalmente.»

Detto questo, Vader si voltò e se ne andò, lasciando Luke a prendere atto della dura realtà.

Il giovane Sith non riuscì a pensare a nient’altro che all’ultima frase di suo padre nei due giorni seguenti, mentre volava da solo verso Rhen Var.

Asha era abbastanza simpatica e Luke si era abituato a passare il suo tempo libero con lei. Adesso, quando rientrava a casa, sapeva che qualcuno era lì per salutarlo e mangiavano insieme.

Lei stava prendendo confidenza nei suoi confronti e parlava tanto, come tutte le donne facevano, presumeva lui. Anche se non avevano interessi in comune, non era spiacevole ascoltare le sue chiacchiere. Non ricordava la maggior parte di quello che lei raccontava sulla sua famiglia o sulle sue nuove esperienze a Coruscant, ma lei sorrideva spesso mentre parlava e lui amava sorriderle in risposta. Era un piccolo piacere, a cui era difficile rinunciare. Di solito nessun altro gli sorrideva: la maschera di suo padre non gli restituiva proprio alcuna espressione; per il personale militare, il giovane Sith era solo un’appendice di Vader, da evitare tanto per stare sul sicuro; qualche volta, l’Imperatore gli indirizzava qualche ghigno raggelante, ma non era mai un buon segno.

La piccola dimensione del loro appartamento li obbligava a vivere gomito a gomito e stava diventando difficile immaginare che lei non fosse lì intorno. Doveva ammettere che gli sarebbe veramente dispiaciuto se le fosse capitato qualcosa e la sola idea di ucciderla lo faceva star male. Eppure, era consapevole che suo padre aveva ragione: Palpatine era capace di chiedergli qualunque cosa.

Si interrogò anche sull’avvertimento del Signore Oscuro: aveva sentito un rimorso, nascosto sotto l’usuale tono duro, che Luke non riusciva a capire. Da solo in iperspazio, arrivò a domandarsi quale fosse stata la vera fine della sua madre sconosciuta.

La sua discendenza da Vader non era mai stata un problema, poiché il loro legame era troppo chiaro nella Forza per essere ignorato. Ma, da bambino, Luke aveva creduto di essere un clone: non aveva mai visto il volto di suo padre per poter fare paragoni e quale donna avrebbe mai voluto stare con Vader? Poi era cresciuto… troppo poco, per essere un clone. Allora, mille domande erano sorte, ma non aveva mai osato porle: aveva imparato molto presto che toccare argomenti delicati poteva portare a conseguenze severe. Perciò, nell’adolescenza, aveva fatto delle ricerche segrete. Aveva scoperto alcuni pezzi della storia di Anakin Skywalker, eroe Jedi. Aveva persino visto una vecchia foto, sopravvissuta in qualche modo alla soppressione della stampa della Vecchia Repubblica, e si era domandato quanto di quell’uomo fosse rimasto sotto la temuta maschera nera. Quel bel giovane era stato qualcuno che poteva veramente piacere a una donna. Ma ai Jedi era proibito avere storie d’amore e quindi lei era rimasta segreta. Una ragazza Jedi? Qualche donna che suo padre aveva dovuto proteggere? Era proprio impossibile saperlo.

E ora Luke aveva scorto il forte dolore di Vader, seppellito a fondo, ma nondimeno reale. Quando infine si pose la domanda, raggelò: suo padre aveva ucciso sua madre? Ne aveva sofferto? Quella era la ragione per cui non si concedeva più di amare?

E per quanto riguardava lui? Quando gli sarebbe stato ordinato, se Luke avesse ucciso Asha, sarebbe stato finalmente un vero Sith? Ogni speranza di un cambiamento sarebbe morta con lei?

Due giorni di quei continui pensieri tormentosi avevano messo di pessimo umore il giovane Sith, quando arrivò alle rovine ghiacciate di Rhen Var.

Ottimo: il Lato Oscuro sarebbe fluito meglio! Forse quello era stato il vero obiettivo finale di Vader.

Fece atterrare la sua nave non lontano dalle coordinate che gli erano state spedite, perché non poteva camminare a lungo sul pianeta ghiacciato, se voleva sopravvivere. Studiò la mappa e andò verso un’area rocciosa. Ogni passo era faticoso sulla neve alta e le sue impronte sulla superficie immacolata l’unico segno di vita. Nel suo cammino, osservava i relitti delle alte costruzioni marroni che emergevano qui e là dalla superficie bianca: quel posto doveva essere stato una città importante, prima del cataclisma che aveva trasformato il pianeta verde nella palla ghiacciata che era al presente.

Arrivò davanti a una caverna: date le coordinate, il luogo dell’appuntamento si trovava all’interno. Esitò. Era uno strano posto per incontrare qualcuno. Aveva un gran brutto presentimento. Ma gli era stata assegnata una missione: non poteva semplicemente tirarsi indietro. Prese una torcia dal suo zaino, l’accese ed entrò con cautela. Si aprì alla Forza, cercando di percepire la spia. Sentì un alieno davanti a lui. Bothan? Non riusciva a capirlo. Camminò in avanti per scoprirlo. Ma si preoccupò quando sfiorò una seconda presenza, chiaramente umana. Poi, improvvisamente un’altra, un’altra e un’altra ancora. Era circondato da un’intera squadra. Almeno sei persone, contando sia alieni che umani. Spense la sua torcia e l’agganciò alla cintura. Afferrò la spada laser, l’accese e si voltò per scappare. Fece pochi passi, ma poi percepì altre due presenze vicino alla via di fuga. Si fermò: era caduto in trappola come uno sciocco!

Dovunque si voltasse, un nemico gli stava puntando un fucile. Raggiunse con la Forza i soldati intorno a lui, pronto a difendersi. Così, percepì una presenza familiare, eppure cambiata in qualche modo. Senza abbassare la sua guardia, si rilassò leggermente e urlò al buio: «Senatrice Organa!»

Udì alcuni passi avvicinarglisi e una luce si accese. «Sono io,» confermò Leia. «Desidero parlarvi.»

«C’era bisogno di circondarmi con otto cecchini per questo?» chiese lui sarcasticamente.

«Loro sono solo la mia sicurezza,» rispose lei con calma. «Non tentate nulla contro di me e non avrete niente di cui preoccuparvi.»

«Potrei ucciderli tutti,» la mise in guardia, cercando di trasmettere sicurezza.

«Sono sicura che otto cecchini che sparano da direzioni diverse sono abbastanza pericolosi anche per un Sith,» proseguì lei.

«Che cosa volete?» chiese lui preso dalla fretta di fuggire da quella posizione scomoda.

«Abbiamo esaminato i dati che mi avete dato e abbiamo un piano. Ma abbiamo bisogno di sapere dove si trova la Morte Nera al momento,» spiegò la giovane.

«Perché dovrei dirvelo?» ribatté Skywalker.

«Per la stessa ragione per cui mi avete dato i piani,» gli rispose, provando a suonare affidabile.

«Voi ribelli non riuscite a far nulla da soli?» incalzò lui. «Ogni nuova informazione che vi dò è un pericolo enorme per me.»

«Se l’Alleanza riuscirà a deporre Palpatine, vi sarà assicurata l’immunità in cambio di tutto quello che state facendo,» contrattò Leia.

Luke grugnì in derisione, lasciandole comprendere quanto lui ritenesse probabile la vittoria dell’Alleanza.

Lei gli si avvicinò, affinché il giovane potesse vederla bene, e appoggiò un datapad sul terreno, proprio davanti a lui. «Qui ci sono i codici per contattare la mia nave. Se ne avrete necessità, vi garantirò asilo.»

«Spero che sia migliore di quello che mi avete promesso l’ultima volta,» le rispose sarcasticamente.

Ma la principessa gli si avvicinò di più, apparentemente non intimorita dalla lama rossa davanti a lei. «Mi era sembrato di capire che anche voi abbiate una coscienza,» gli disse con confidenza.

Luke sospirò. Gli stava ritorcendo contro le sue stesse parole. In un certo senso la donna aveva ragione a insistere: il giovane Sith era consapevole che, se non avesse fornito loro quest’ultima informazione, tutto ciò che aveva rischiato fino a quel momento sarebbe stato inutile. La guardò dritto negli occhi. «Sistema di Avanti. Non conosco le coordinate esatte.»

«La vostra nuova moglie…,» realizzò Leia.

Lui annuì: «È parte di un’alleanza tra l’Imperatore e il Re di Ujjain.»

«E voi avete acconsentito?» gli chiese confusa.

«Pensate che abbia avuto scelta?» rispose lui aspramente.

Lei squassò la testa in diniego e indietreggiò alcuni passi. «Vi ringrazio. Siete libero.»

Percepì i cecchini dietro di lui ritirarsi, aprendo una via alle sue spalle. Si inginocchiò per raccogliere il datapad che Leia aveva lasciato sul terreno. Poi si alzò e la osservò ancora. Percepiva così chiaramente in lei ciò che probabilmente lei stessa non sapeva. «Siete cambiata, Senatrice. Siete consapevole di essere sensibile alla Forza?»

La principessa lo guardò insicura su cosa rispondere.

«Il vostro potere latente si sta risvegliando,» spiegò. «Siate prudente la prossima volta che verrete a Coruscant: qualcun altro lo noterà.»

Il giovane si girò e se ne andò, compiaciuto dello shock che le aveva provocato. A onor del vero, era una soddisfazione molto piccola se confrontata con il guaio in cui lei lo aveva messo ora: si supponeva che lui tornasse a casa con una spia Bothan tra le mani. E più si avvicinava alla nave, più il problema diventava pressante nella sua testa.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Dichiarazione
Questa fiction è scritta solo per divertimento e non mi procura alcun guadagno. I personaggi e la galassia di Guerre Stellari appartengono alla Lucasfilm e alla Disney. Per i personaggi e i luoghi di mia invenzione, ho usato nomi presi dal mondo reale, ma li ho scelti soltanto perché stavano bene nella fiction e, quindi, non hanno alcuna relazione con persone vere o fatti storici: ogni eventuale rassomiglianza è puramente casuale.

Ringraziamenti
Desidero ringraziare jedi1952 per la revisione della versione originale inglese di questa fanfiction. Avendomi segnalato alcuni importanti problemi nella caratterizzazione dei personaggi e nelle scene, il suo lavoro è stato fondamentale e anche questa versione italiana sarebbe sicuramente diversa senza il suo aiuto.
La responsabilità di quanto scritto è naturalmente solo mia.

------------ Capitolo 6 ------------
 

Da un po’ di tempo, Luke sedeva pensieroso nella sua astronave, ancora immobile sulla superficie di Rhen Var: ora aveva un grosso problema. La Senatrice Organa e i suoi compagni erano riusciti a ingannare il sistema imperiale di investigazione per poterlo incontrare su quel pianeta. Perciò, al momento, suo padre stava aspettando una spia da interrogare. Il giovane Sith non poteva semplicemente tornare a casa a mani vuote, raccontando che la spia gli era sfuggita: sarebbe suonata come un’incompetenza troppo grossolana per passare impunita. D’altra parte, di sicuro, non poteva assolutamente spiegare a Vader che i ribelli avevano soltanto voluto parlare con lui.

Si strofinò gli occhi con la mano destra e poi la fece discendere a coprigli il viso, per fermarla infine sul mento. Parecchio contrariato, sospirò rabbiosamente e lanciò i guanti neri contro il pannello di controllo. Che i Jedi fossero tutti dannati, era veramente nei guai! Niente lo avrebbe salvato dalle botte che il Signore Oscuro gli avrebbe certamente rifilato.

Provò a calmarsi. Aveva bisogno di un’idea: se non c’era modo di sottrarsi completamente alla punizione, forse avrebbe potuto almeno alleggerire la mano di suo padre.

Stava aspettando una spia Bothan, giusto? E allora Luke gliela avrebbe data. Una spia Bothan che, sfortunatamente, non avrebbe più potuto dichiarare la propria innocenza. Vader non sarebbe stato troppo felice per il mancato interrogatorio, ma il fallimento del suo apprendista sarebbe stato meno grave.

Premette il pulsante che attivava lo schermo di navigazione sul pannello di controllo. Selezionò la mappa della Galassia e cercò Bothawui. Si trovava nella fascia centrale bassa, in mezzo tra il quadrante sinistro e quello destro. Considerando che al momento si trovava nel quadrante destro superiore, lo stesso di Coruscant, quella deviazione di percorso gli avrebbe preso un bel po’ di tempo, probabilmente una settimana, o giù di lì. Ma si sarebbe trattato di un inconveniente minore, perché non gli era stata assegnata alcuna scadenza e si trattava di un ritardo ancora accettabile.

Caricò il programma di calcolo per l’iperspazio e avviò la procedura per la nuova destinazione. Raccolse i suoi guanti e se li rimise. Si allacciò il casco e le cinture di sicurezza.

Decollò, pronto a dare conferma per il salto a velocità luce, non appena il computer avesse finito l’elaborazione dei dati.

Alcuni giorni dopo, Luke atterrò alla periferia di una delle città più piccole di Bothawui. Aveva scelto un penitenziario di secondaria importanza in una delle aree meno sviluppate del pianeta: così era più probabile che la sua breve incursione passasse inosservata. Non prevedeva alcun particolare problema: le leggi di Bothawui assicuravano processi giusti con procedure garantiste, ma erano dure, quasi crudeli, con chi era stato giudicato colpevole.

Quando finalmente i suoi piedi toccarono il suolo, non poté fare a meno di notare che il paesaggio era veramente bello: le basse costruzioni non coprivano la vista delle pianure verdi e delle montagne sullo sfondo, dove un sole giallo stava alzandosi. Fece un profondo respiro che riempì i suoi polmoni di atmosfera fresca, dopo giorni di aria riciclata nella nave. Il posto era proprio incantevole: non gli sarebbe dispiaciuto fermarvisi un po’ di tempo.

Che razza di Sith era!, si rimproverò da solo, scuotendo la testa. La sua mente non era mai attenta a ciò che stava facendo e da quando in qua si preoccupava di osservare paesaggi incantevoli? Riprese più velocemente la sua strada verso la prigione.

La costruzione era bassa e larga, scontatamente circondata da un muro alto, ricoperto di filo spinato. Ed era molto rovinata: la pittura vecchissima era per lo più scrostata e incredibilmente sporca, le crepe erano dappertutto.

All’unico ingresso, la guardia lo fermò. Anche se sapeva già come era fatto un Bothan, osservò con curiosità l’essere peloso e le sue lunghe orecchie: gli sembrava una capra con un corpo umano basso. Considerando come quegli occhi neri lo squadravano stupiti, avrebbe scommesso che la creatura stava pensando quanto strani fossero gli esseri umani.

Terminata la sua osservazione, la guardia si ricordò cosa in teoria stava lì a fare e, alzando il suo fucile, gli chiese: «Il vostro nome?»

Luke toccò la sua mente con la Forza e sorrise a quello che percepì. Era fortunato: sarebbe stato fin troppo facile. «Non hai bisogno di sapere il mio nome,» disse con un tono ipnotico.

«Non ho bisogno di sapere il vostro nome,» il Bothan fece eco.

«Portami dal direttore,» aggiunse il Sith, mantenendo il controllo della mente del suo interlocutore.

«Vi porto dal direttore.» La creatura si voltò, agitando una mano per far segno di seguirlo.

Passarono dall’ingresso e percorsero un breve corridoio fino a una porta. La guardia bussò.

«Avanti!» fu risposto dall’interno.

La guardia aprì la porta ed entrò alcuni passi. «Vi porto dal direttore,» ripeté ancora.

Il direttore lo fissò interrogativo e poi mosse il suo sguardo su Luke. Non era uno sciocco, reagì nel riconoscere l’abbigliamento tradizionale Sith e capì che cosa stava succedendo. Si alzò. «Grazie, Trey’lis. Potete tornare al vostro lavoro,» disse alla fine, senza spostare i suoi occhi stupiti dal temuto essere umano.

La guardia si inchinò leggermente e uscì.

Il giovane entrò, richiuse la porta dietro di sé e si presentò. «Sono Luke Skywalker, figlio di sua eccellenza Darth Vader e suo apprendista Sith.»

Il Bothan annuì in riconoscimento. Aveva paura, ma mantenne il sangue freddo. «È un onore ricevervi, mio signore,» rispose formalmente. Era evidentemente insicuro se dovesse inchinarsi, o stringergli la mano, o fare qualcos’altro.

Il giovane, per niente preoccupato dalle formalità, semplicemente si sedette in una delle sedie difronte la scrivania.

Il direttore tornò a sedersi di nuovo nella sua sedia. «Che cosa posso fare per voi, mio signore?» chiese.

«Voglio un condannato a morte,» rispose Luke senza preamboli.

Il Bothan lo fissò, non capendo. «Non abbiamo prigionieri politici qui, solo criminali comuni.»

«Non mi interessa quale sia il crimine,» il Sith spiegò. «Voglio solo prelevare qualcuno in attesa di esecuzione.»

Il direttore si schiarì la gola. «Mio signore, sarete d’accordo che sarebbe una grave interferenza nella nostra giurisdizione interna…»

«Ho bisogno di un Bothan,» infastidito, Luke lo interruppe seccamente. «Preferite che scelga un innocente?» minacciò.

«Capisco,» rispose il direttore. Sospirò e si infilò gli occhiali. Si girò verso un mobiletto e aprì uno dei cassetti.

Con sorpresa del giovane uomo, si trattava di un archivio cartaceo. Osservò affascinato il pezzo d’antiquariato: nelle prigioni imperiali era tutto computerizzato.

Il Bothan rovistò tra le cartelle, nell’evidente ricerca di qualcuno che potesse dare via senza rimpianti. Finalmente si voltò e gettò sulla scrivania uno spesso incartamento. Si risedette e lesse a voce alta il compendio: «Kai Saav’etu, trentaquattro anni, condannato a morte per l’omicidio di un bambino durante una rapina a mano armata. L’esecuzione è fissata per il prossimo mese.»

«Per me va bene,» confermò Luke. «Potete segnare oggi come data di esecuzione.»

Pieno di stupore, il direttore lo guardò dritto negli occhi.

Il Sith si chiese se tutti i Bothan fossero così lenti o questo qua fosse un caso speciale. «Muovetevi!» sollecitò.

L’alieno abbassò di nuovo lo sguardo sottomesso, prese una penna e scrisse in caratteri sconosciuti.

Soddisfatto, Luke diede un ultimo avvertimento. «Confido che dimenticherete del tutto il nostro incontro.»

«Naturalmente, mio signore,» il governatore rispose gravemente. Si alzò e rimise la cartella nel cassetto. «Se mi seguite, vi consegno il prigioniero,» indicò la porta.

Il Sith semplicemente annuì e lo seguì.

Il braccio della morte era persino più fatiscente del resto della prigione. Era incredibilmente sporco e la puzza fece storcere il naso a Luke. Si fermò all’ingresso e attese. Le celle dell’Executor non erano certo i posti più allegri della Galassia, ma l’ossessiva mania per l’ordine di suo padre si applicava persino alle stanze dei prigionieri, perciò esse avevano il grigio aspetto nuovo e lucente di tutto il resto dell’astronave.

Il direttore, accompagnato da una coppia di guardie, andò fino a metà corridoio e si fermò. La lunga chiave cigolò nella serratura arrugginita e la porta si aprì. I tre sparirono dalla vista del Sith, entrando nella cella. Un parlottìo in una lingua diversa dallo standard provenne dall’interno: toni riconoscibili di ordini secchi e di aperta sfida. Poi riemersero, scortando un altro Bothan con le mani ammanettate dietro alla schiena e i piedi legati da una catena, abbastanza lunga da farlo camminare, ma troppo corta per permettergli di correre. Il gruppo formato da quei quattro era veramente strano dal punto di vista di un essere umano: erano bassi come bambini di dieci anni e sarebbe stato difficile distinguere una creatura dall’altra, non fosse stato per la diversa fattura dei loro abiti.

Il detenuto fu scortato davanti a Luke, che annuì in approvazione.

«Desiderate che gli aggiungiamo altre restrizioni, mio signore?» chiese il direttore collaborativo.

«Non è necessario,» rispose il Sith. «Non vivrà abbastanza a lungo per provare a fuggire.»

Gli occhi del prigioniero si spalancarono. «La mia esecuzione è fissata per il prossimo mese! » rimostrò.

Disgustato, Luke lo spinse verso l’uscita. «Taci e cammina, feccia!» gli ordinò. «Non lo rimpiangerai: ti darò una morte molto più rapida e meno dolorosa di quella che la tua stessa gente riserva alla spazzatura come te.»

E sapeva bene quello che diceva.

Alcuni giorni dopo, il cadavere del Bothan giaceva sul pavimento di uno dei più importanti palazzi di Imperial City, tra i piedi di Vader e di Luke, che incombevano su di lui, uno di fronte l’altro.

Il Sith più maturo girò il corpo morto con uno dei suoi stivali, per ispezionare la ferita fatale. L’essere era stato penetrato da metà schiena al petto. Non era uscito sangue: un’inconfondibile cauterizzazione provocata da una spada laser. Evidentemente irritato, chiese infine: «Come posso interrogarlo?»

Suo figlio tenne la testa bassa, rivolto al fallimento che giaceva ai suoi piedi. «Stava scappando, avrebbe potuto avvisare i suoi compagni. Non ho avuto altra scelta.»

La maschera nera fissò i lineamenti del giovane. «Capisco,» sottolineò con un tono che lasciava intendere chiaramente il contrario.

«A ogni modo, non penso che avesse alcuna informazione importante,» azzardò Luke per alleggerire la sua situazione. Era vero. Beh, non totalmente vero, ma sicuramente vero. Si aggrappò con tenacia alla parte sincera della sua affermazione, in modo che la sua onestà potesse splendere nella Forza.

Suo padre si portò le mani dietro la schiena, con una che teneva l’altra, e si allontanò di qualche metro, voltandosi. «Perché?»

Il Sith più giovane alzò lo sguardo verso l’elmetto. «L’ho percepito.» Anche quello era innegabilmente vero.

Vader si girò per incontrare con il suo sguardo gli occhi azzurri. «Dubito fortemente che l’Alleanza usi qualcuno debole di mente come spia,» affermò.

Luke doveva ammettere che suo padre aveva un punto a suo favore. «Questo Bothan lo era,» insistette, concentrando la sua memoria sulla facilità con cui aveva letto la sua mente, nei pochi momenti in cui lo aveva lasciato vivo.

L’oscura presenza di suo padre investì interrogativamente i suoi sensi: stava venendo indagato, la sua affidabilità giudicata. Non poteva opporsi senza conseguenze a quell’inquisizione. Abbassò lo sguardo in disagio, dimenticando la provenienza del cadavere e pensando alla verità nelle sue parole: non aveva pronunciato neanche una bugia!

Lo scrutinio richiese parecchi secondi, scanditi solo dal rumore del respiratore artificiale. Alla fine, Vader raggiunse le sue conclusioni e ruppe il silenzio soffocante. «Perciò probabilmente era solo una pista falsa.» Era di sicuro irritato, ma non veramente arrabbiato.

Il giovane osò gettare un’occhiata verso le lenti nere, anche se era ben consapevole di cosa lo aspettasse ora.

«Però ti era stato ordinato di consegnare un prigioniero vivo.» Il tono era severo, mentre un dito era puntato verso di lui.

Luke annuì rassegnato al suo destino.

Percepì alle sue spalle un armadietto della stanza sollevarsi dalla sua posizione e volare verso di lui. Avrebbe potuto provare a intercettarlo con la Forza e fermare la sua traiettoria. Ma non era una sessione d’addestramento: qualsiasi resistenza avrebbe solo portato a conseguenze peggiori. Con più sottomissione avesse accettato la lezione che stava per ricevere, prima sarebbe finita. Si preparò all’impatto.

L’armadietto lo colpì violentemente sul lato destro della schiena, deviando e spingendolo. Represse stoicamente un lamento e si sforzò di mantenere l’equilibrio. La parte contusa pulsava, ma si concentrò di nuovo nella Forza per verificare dove fosse l’oggetto. Percepì che aveva già invertito il suo movimento; la sua traiettoria era più veloce e diretta nuovamente contro la sua schiena, ora verso il lato sinistro. Chiuse gli occhi per cercare nuove forze. Questa volta fu colpito più in basso, l’area di impatto arrivava fino alla coscia, mentre l’angolo superiore dell’oggetto strappò la sua tunica e gli aprì una ferita sanguinante sulla spalla. Singhiozzò, ma si riprese immediatamente sentendo l’armadietto ancora pericolosamente vicino. Istintivamente piegò il collo, abbassando la testa, e alzò il braccio destro per proteggere la parte più vitale. Il terzo colpo gli provocò la compressione dell’arto.

Poi tutto finì. L’armadietto tornò al suo posto.

Luke raddrizzò la sua postura e aprì gli occhi.

L’impassibile maschera nera lo stava osservando con freddezza. «Ricordatelo per le prossime volte,» lo mise in guardia.

Avrebbe voluto scappare, gettarglisi contro, sputargli addosso, chiedergli il perché, piangere. «Lo farò,» rispose.

«Bene,» disse suo padre, ignorando i sentimenti contrastanti del figlio, che sicuramente poteva percepire nella Forza. «Sbarazzati di questa roba,» ordinò, accennando con la testa al cadavere, «poi, sei libero.»

«Sì, mio signore,» Luke lo salutò con un inchino rispettoso. Poi si inginocchiò per afferrare una delle caviglie del Bothan e uscì dalla stanza, trascinandoselo dietro.

Non si preoccupò dello stupore dei soldati che incontrava nei corridoi, mentre camminava tirando il suo inusuale pacco. Alla prima apertura dello schiacciatore dei rifiuti che incrociò, ci gettò dentro la creatura morta e si diresse verso le sue stanze.

Ora lo stress del debriefing stava scemando. Rifletté che, tutto sommato, era andato piuttosto bene, nonostante il dolore pulsante della sua schiena. Il castigo non era stato severo, solo un avvertimento che doveva eseguire in pieno gli ordini. Di sicuro suo padre non aveva sospettato l’incontro con i ribelli e si era persino persuaso che non c’era niente di interessante nel Bothan.

Rientrò nel suo appartamento. Udì Asha in camera che cantava un motivo a lui sconosciuto. Lei entrò nel soggiorno e lo vide. Si fermò di cantare per dargli il benvenuto con un sorriso: «Salve. Sei finalmente a casa.» Gli si avvicinò, ma la sua attenzione venne catturata dallo strappo sulla tunica e dal sottostante taglio. «Sei stato ferito in missione,» osservò.

«Non esattamente.»

Lei lo squadrò con aria interrogativa, ma non lo pressò e si recò difronte alla credenza. «Se ti sdrai sul divano, ti medico subito.»

«Non è necessario: è solo superficiale. Posso gestirla,» rispose lui con baldanza.

La donna rovistò in un cassetto, senza guardarlo. «Sono sicura che puoi fare qualche magia Sith…»

Luke si mise quasi a ridere: non aveva mai sentito nessuno, prima d’allora, parlare con tanta noncuranza dei poteri che dava la Forza.

«…Ma lascia che me ne occupi io, per questa volta,» inconsapevole del divertimento di lui, lei proseguì con un tono imperioso. Rivolta a un Sith.

Il marito scosse la testa alla sua involontaria avventatezza, anche un po’ stupito che qualcuno si preoccupasse di una sua ferita leggera. «Agli ordini! » scherzò e si tolse la tunica, gettandola sul pavimento. Si sdraiò sul divano a pancia in giù, con gli avambracci incrociati sotto la fronte. Lasciando esposta libera all’aria fresca la parte dolorante, la posizione era piacevole. Chiuse gli occhi e si rilassò. Sentì i passi di lei provenire dalla credenza fino al divano e il suo improvviso sospiro.

Girò la testa per capirne la causa: gli stava osservando la schiena. Allungò il collo per gettarvi anche lui uno sguardo, per quello che poteva: due ampi lividi si stavano inscurendo, coprendo la maggior parte del suo dorso e un terzo tinteggiava la sua pelle dalla spalla destra fino al gomito. Non era nulla a cui non fosse abituato. Scrollò le spalle e riappoggiò di nuovo la testa sugli avambracci.

Asha gli si avvicinò e si inginocchiò di fianco al divano. Accarezzò dolcemente i suoi capelli. «Pensavo che avessi solo un taglio,» il suo tono era pieno di compassione. «Non avevo capito che i ribelli ti avessero fatto questo.»

Luke non sapeva come reagire alle sue improvvise attenzioni. La pietà e la cura erano state strappate via dalla sua vita diciassette anni prima, quando una lama rossa aveva assassinato i suoi genitori adottivi, che segretamente rimpiangeva. «È stato Vader,» affermò gravemente.

«Tuo padre?» chiese lei confusa.

Sospirò: come spiegarle? «Mi aveva ordinato di consegnargli una spia viva, ma l’ho uccisa.»

«Non capisco,» ammise lei.

«Non tollera il minimo errore.» Alzò lo sguardo di lato per incontrare quello di lei. «Senti, non è così grave come sembra.» Non aveva voglia di parlare di suo padre.

Lei annuì, anche se non era molto convinta, e lui riappoggiò confortevolmente la sua testa.

Luke sentì un fluido fresco scivolargli sulla schiena e le dita di lei spalmarlo con delicatezza. Il dolore si alleviò significativamente: era come stare in paradiso!

«È fantastico,» notò. «Che cos’è? Un tipo di bacta?»

«Olio alimentare,» rispose Asha divertita.

«Olio?» fece eco lui.

«È uno dei migliori prodotti agricoli di Ujjain,» gli spiegò. «Lo usiamo per cucinare, come fluido per la pelle, come olio per i mobili, come combustibile per le lampade tradizionali, come balsamo per le ferite… Possiamo fare di tutto con questo olio.» Fece una pausa. «Sei mai stato ad Ujjain?»

«No,» ammise il giovane Sith.

«Le sue colline sono coperte di ulivi,» la voce di lei era distante. «I loro tronchi corti e pallidi crescono rugosi e attorcigliati. In primavera, i loro rami ondeggiano al vento e poi, tra la fine dell’estate e l’inizio dell’autunno, si raccolgono le olive tonde e verdi per spremervi l’olio.» Il suo tono si fece malinconico. «Mi piacerebbe mostrarti il mio pianeta.»

Luke la capì e avrebbe desiderato poter soddisfare il suo bisogno, ma la realtà non lo permetteva. «Lo sai che non posso. Devo rimanere sempre a disposizione per le necessità militari.»

«Allora prenditi una licenza!» gli rispose ridendo, perché sapeva di dire qualcosa di impensabile.

La medicazione era finita e il giovane Sith si sentiva già meglio. Si sedette, girandosi verso di lei.

«Mmh,…» lui fece finta di meditarci su. «Sai? Hai ragione, scherzò. «Anzi, la prossima volta che Vader non sarà soddisfatto del mio lavoro, mi licenzierò.»

Scoppiarono a ridere al pensiero irrispettoso.

Poi le accarezzò delicatamente la guancia con il dorso della mano e improvvisamente tonò serio. «Grazie.»

«Prego,» gli sorrise lei.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Questa fiction è scritta solo per divertimento e non mi procura alcun guadagno. I personaggi e la galassia di Guerre Stellari appartengono alla Lucasfilm e alla Disney. Per i personaggi e i luoghi di mia invenzione, ho usato nomi presi dal mondo reale, ma li ho scelti soltanto perché stavano bene nella fiction e, quindi, non hanno alcuna relazione con persone vere o fatti storici: ogni eventuale rassomiglianza è puramente casuale.

Ringraziamenti
Desidero ringraziare jedi1952 per la revisione della versione originale inglese di questa fanfiction. Avendomi segnalato alcuni importanti problemi nella caratterizzazione dei personaggi e nelle scene, il suo lavoro è stato fondamentale e anche questa versione italiana sarebbe sicuramente diversa senza il suo aiuto.
La responsabilità di quanto scritto è naturalmente solo mia.

------------ Capitolo 7 ------------
 

Alzati e vieni immediatamente in sala riunioni.

All’urgenza del richiamo mentale di suo padre nel bel mezzo della notte, Luke si svegliò di colpo e aprì gli occhi nell’oscurità. In altre nottate, probabilmente sarebbe scattato in piedi in un attimo, pieno di timore alla sola idea dell’ira di Vader in caso di ritardo. Ma, in quel preciso momento, era piuttosto irritato all’idea di lasciare il tepore del suo letto e il piacevole contatto con Asha, che stava ancora dormendo tra le sue braccia.

Sbuffò, sapendo che a ogni modo non aveva scelta.

Baciò la spalla nuda della moglie, pensando alla sera precedente e a come lei gli era stata vicino. Ma non era stata la sua piccola medicazione che lo aveva davvero aiutato. Per una ferita superficiale e qualche livido, una breve trance curativa avrebbe funzionato altrettanto bene. Era stato il conforto emotivo che lei gli aveva dato ad averlo toccato profondamente. E, dopo, ciò che avevano condiviso nella notte era stato speciale, perché lo avevano voluto loro e nessuno l’aveva ordinato.

In qualche modo, Asha aveva avuto ragione sul loro matrimonio: un qualche tipo di legame stava davvero nascendo fra loro, nonostante non si fossero scelti. Non sapeva come chiamarlo, ma stava cominciando ad assomigliare pericolosamente a un’amicizia. Era troppo simile a un’amicizia. Luke era ben consapevole che non avrebbe dovuto coltivare quel tipo di sentimenti, perché avrebbero portato solo guai. Ma non era capace di bandirli.

Liberò le sue braccia dal dolce abbraccio nel modo più delicato possibile.

Lei si mosse, senza aprire gli occhi. «Luke?» mormorò cosciente solo a metà.

«Devo andare al lavoro,» rispose, accarezzandole i capelli. «Continua a dormire: è ancora notte.»

Lei mormorò qualcos’altro di incomprensibile e si riaddormentò.

Il giovane si vestì rapidamente e si affrettò verso la sala riunioni. Ormai era sveglio del tutto e, quindi, molto più consapevole che una chiamata diretta in piena notte era sinonimo di enormi problemi. E, se c’erano degli enormi problemi, il consueto cattivo umore di Vader era probabilmente vicino al grado di strangolamento telepatico. Fortunatamente per Luke, il padre non usava mai quella particolare abilità su suo figlio, riservandola al personale. Ma essere il bersaglio dell’ira di un Signore dei Sith non sarebbe stato comunque divertente.

Le porti scorrevoli si aprirono e Luke entrò nella sala conferenze. Sbatté gli occhi, non pronto alla tensione palpabile nell’aria, troppa persino per l’atmosfera tesa che suo padre era capace di creare dovunque fosse e qualunque cosa facesse. Alcuni ufficiali dell’Esercito e agenti della rete investigativa erano seduti nelle loro poltrone e parlavano con toni bassi, ma intensi. Circondato dal personale Vader era in piedi a dare ordini e ricevere rapporti sulla preparazione dell’Executor e sul dispiegamento della flotta. Tuttavia, alcune delle persone più qualificate e affidabili non erano ancora là, ma erano chiaramente attese. Non era strano: dopotutto, non vivevano nell’edificio e non potevano essere allertate da una semplice chiamata nella Forza come lui. Il giovane Sith camminò dritto verso il Signore Oscuro e inchinò la testa con uno sguardo interrogativo.

Suo padre si voltò verso di lui e spiegò: «C’è stato un attacco a sorpresa alla Morte Nera ed è stata disintegrata.»

Gli occhi di Luke si spalancarono. Di sicuro la Senatrice Organa aveva saputo il fatto suo, quando aveva sostenuto che i ribelli avevano un piano. Nel medesimo tempo in cui lui aveva deviato a Bothawui, loro erano riusciti a raggiungere l’obbiettivo: la flotta dell’Alleanza si era certamente trovata già lì vicino. Avrebbe scommesso che la loro base era nascosta da qualche parte nel quadrante destro superiore… forse nel Sistema Mon Calamari, notoriamente un pianeta con simpatie ribelli. Ma non era il momento di dar voce ai suoi sospetti. Tentò di ricomporre la sua espressione dall’aspetto stupefatto, anche se non era una reazione inadeguata. «Vittime?» chiese sobriamente.

«La maggior parte dell’equipaggio, tutti gli ufficiali e i comandanti, incluso Tarkin. Solo le poche centinaia di piloti che stavano volando all’esterno sono sopravvissuti,» rispose Vader di fatto.

Le viscere del giovane Sith si contrassero e impallidì: sapeva che c’era circa un milione di persone nell’enorme stazione da battaglia. Aveva voluto evitare la possibile morte di molti cittadini, ma alla fine il suo tradimento aveva portato alla morte reale di molti soldati.

Per fortuna, la testa di suo padre era troppo occupata per prestare attenzione ai sentimenti del figlio e proseguì in fretta. «Partiremo per il Sistema di Avanti appena possibile. La nostra prima missione è raccogliere i piloti sopravvissuti e ascoltare le loro testimonianze. Dobbiamo anche cercare la scatola nera, se non si è disintegrata. Poi, esamineremo tutte le informazioni per capire la dinamica dell’attacco e qual è stata la falla nella sicurezza.»

Naturalmente avrebbero ricercato la fonte di informazione dei ribelli. A Luke servirono tutti i suoi diciassette anni di duro addestramento per padroneggiare la propria paura e riuscire a mantenere l’aspetto neutrale di uno sguardo inespressivo. «Mi preparo per la nostra partenza,» disse il giovane, combattendo il bisogno di deglutire, mentre non desiderava altro che allontanarsi dalla presenza del Signore Oscuro.

Vader annuì leggermente per licenziarlo e rivolse di nuovo l’attenzione ai propri ufficiali.

Il giovane Sith lasciò velocemente la stanza. Era terrorizzato a morte e si sentiva anche colpevole per un milione di vite. Non aveva la più pallida idea di come avrebbe fatto a sopravvivere a tutto quello. Aveva pensato alle conseguenze delle sue azioni, prima di contattare la Senatrice Organa? Sì e no. Si era sentito in obbligo di fare qualcosa contro l’idea stessa della Morte Nera per ripulirsi la coscienza, ma non aveva mai supposto che i ribelli fossero in grado di distruggerla completamente. Naturalmente era stato consapevole dei pericoli a cui sarebbe potuto andare incontro, ma ora fronteggiarli era molto diverso. Solo la debole speranza che la traccia del suo tradimento passasse inosservata lo tratteneva dalla più assoluta disperazione.
 

***
 

Leia sedeva su una panca in pietra del balcone davanti al salotto nella sua casa di Alderaan. Nonostante la distruzione della Morte Nera, non era serena. Sapeva che presto sarebbe arrivata la reazione violenta dell’Impero e che quelli erano probabilmente i suoi ultimi giorni sul suo pianeta per alcuni anni a venire. E, se questo non fosse stato già abbastanza, la voce non voleva andarsene. Forse stava solo impazzendo.

Vide suo padre avvicinarsi a lei, osservandola pensieroso. Le si sedette a fianco e incrociò il suo sguardo. «Quando ti vedo qui, mi ricordo sempre la prima volta che ti ho portato a casa,» le disse Bail teneramente. «Tua madre sedeva proprio in questo punto e tu la guardavi con i tuoi occhietti curiosi.»

«Forse è questo il motivo per cui questo balcone mi piace tanto,» rispose lei, sorridendo al ricordo affezionato della mamma. «Ho avuto l’imprinting come un’ochetta,» scherzò.

Suo padre contraccambiò con un sorriso teso e si volse verso il panorama. «Cosa c’è che non va?» le chiese serio.

«Ho paura della reazione dell’Imperatore,» rispose lei semplicemente.

«Lo sai che non mi stavo riferendo a questo.» Non era tanto facile ingannare un uomo che era sopravvissuto alla caduta della Repubblica e a vent’anni di opposizione all’Impero.

«Non capisco: non c’è nient’altro,» dichiarò la figlia.

Lui si voltò di nuovo verso di lei e alzò un sopracciglio. Pochissime persone nella Galassia potevano affrontare la testardaggine di Leia e vincere: Bail era una di queste. «Non mi piace quando mi menti,» la rimproverò.

La giovane donna arrossì, distogliendo lo sguardo. «Non lo so,» mormorò e incrociò nuovamente i suoi occhi. «Non lo so veramente. Sento sempre una voce, di un uomo sconosciuto, che mi ordina di andare nel Sistema di Dagobah.»

Suo padre fu evidentemente turbato, prima di riuscire a ricomporsi, e lei non mancò di notarlo.

«Ho controllato la mappa, ma non ho trovato niente di speciale su quel posto,» proseguì con aria interrogativa.

Lui sospirò gravemente e sembrò raggiungere reclutante una decisione. «Leia, sei consapevole di essere sensibile alla Forza?»

I suoi occhi si spalancarono e un sorriso scioccato apparve sulle sue labbra. «Questa è la stessa cosa che Skywalker mi ha chiesto l’ultima volta che ci siamo incontrati!»

«Skywalker l’ha notato?» chiese Bail preoccupato.

Lei annuì in conferma. «Com’è possibile?» chiese, ormai sicura che suo padre sapesse molto di più di quanto le avesse mai detto fino a quel momento.

L’uomo volse di nuovo lo sguardo verso il lago. Qualunque cosa stesse per dire era evidentemente difficile per lui da proferire. «Skywalker ha esattamente la tua stessa età. Non ti ho mai raccontato che, pochi giorni prima che ti adottassimo, l’ho visto in fasce appena nato.»

Le era difficile immaginare il pericoloso giovane Sith come un neonato. Ma, soprattutto, Leia non capiva come ciò la riguardasse. Tuttavia, la sua curiosità fu catturata ed era sicura che suo padre sarebbe arrivato presto al punto.

«Sua madre era sposata segretamente con il Jedi Anakin Skywalker,» proseguì lui.

«Vader?» provò a indovinare la giovane.

«Sì, prima che si convertisse al Lato Oscuro,» confermò Bail. «Lei era Padmé Naberrie, Senatrice di Naboo, una politica coraggiosa e una cara amica.» I suoi occhi lontani divennero malinconici. «È stata anche una delle fondatrici dell’Alleanza.»

Leia non poté fare a meno di ridere. «La moglie di Vader una delle fondatrici dell’Alleanza?»

Suo padre non pensava che fosse tanto divertente e annuì serio. «Io e due maestri Jedi abbiamo dovuto nasconderla durante il parto. Morì subito dopo.» Si accigliò, non desiderando chiaramente approfondire la questione della sua morte.

«Perché l’avete nascosta durante il parto?» chiese lei. Molte cose non avevano senso ai suoi occhi in quel racconto.

«Volevamo proteggere i bambini dall’Imperatore e dal loro stesso padre,» spiegò Bail.

«Bambini?» Tutto stava diventando sempre più confuso.

«Partorì due gemelli,» le confermò. «Li abbiamo dovuti separare. Ma, dopo tre anni, Vader scoprì Luke, uccise la sua famiglia adottiva e il Jedi che lo stava proteggendo. Fece ciò che temevamo, allevandolo come un Sith.»

Leia annuì, ricordandosi che Skywalker stesso le aveva raccontato parte di quella storia, mentre la teneva prigioniera. «E l’altro?» chiese.

Bail scosse la testa. «Credo che Vader semplicemente non sappia della sua esistenza. Forse ignorava che Padmé aspettava dei gemelli, perché, per quel che ne so, non ha mai cercato oltre.»

«Così, almeno uno è salvo,» notò, intrigata all’idea di un altro Luke Skywalker nascosto là fuori nella Galassia. Poi, fu colta da un’idea: suo padre non aveva detto che aveva nascosto la Senatrice Naberrie appena prima di adottare lei? «Quindi, se tu e la mamma aveste preferito un maschio, invece che una femmina, avreste potuto persino adottare uno dei figli di Vader,» rifletté.

La mascella di Bail si contrasse e chiuse gli occhi, sospirando gravemente. «Erano due gemelli eterozigoti: un maschio e una femmina.»

A Leia venne meno il respiro, mentre cercava di dare un senso a quell’ultima affermazione. Poi, improvvisamente, il profondo significato di tutta quella storia piombò nella sua coscienza come una doccia gelida. Si girò di scatto verso di lui e guardò dritta nei suoi occhi pieni di compassione.

«No,» urlò, balzando in piedi. Corse per alcuni passi verso l’interno della casa e poi si fermò. Aveva le vertigini. «No! No!» ripeté. «Ti prego, dimmi che non è vero!» lo supplicò, ma Bail non le rispose. «NO!» urlò più forte, nascondendo la faccia nelle mani e scoppiando in lacrime.

Suo padre le si avvicinò e l’abbracciò, mentre lei piangeva.

«Dimmi che non è vero,» ripeté sommessamente.

Con la voce rotta dall’emozione, lui non poté far altro che confermare quanto lei aveva già compreso. «Mi dispiace tanto. Non hai idea di quante volte mi sono chiesto se avessi dovuto dirtelo oppure no. Avrei preferito evitarti questo dolore, ma come tuo fratello hai ereditato la facoltà di percepire la Forza dal tuo padre biologico,» le spiegò. «Adesso, il tuo potere latente si sta risvegliando e, per il tuo bene, devi essere consapevole dei pericoli a cui stai andando incontro.»

Lei si calmò, ma rimase ancora tra le sue braccia. «Cosa c’entra Dagobah in tutto questo?»

«Yoda, l’ultimo maestro Jedi sopravvissuto alle purghe, vive là,» le rispose.

«Cosa devo fare?» chiese la giovane.

Sospirò. «Ciò che ritieni giusto. È una chiamata rivolta a te.»

Leia si liberò dal suo abbraccio. «Ho bisogno di rimanere da sola per un po’,» spiegò.

Bail era evidentemente dispiaciuto di questo, ma nondimeno annuì, rispettando la sua richiesta.

Lei gli sorrise, grata della sua comprensione, e lo lasciò.

Il bosco sotto casa era sempre stato il posto designato per le sue riflessioni. Leia vagò senza meta per molto tempo, permettendo ai suoi sentimenti confusi di prendere il controllo. La Galassia era diventata improvvisamente molto più complessa di come era abituata a valutarla: la sua visione delle cose, fortemente divisa in bianco e nero, si era mescolata in un grigio confuso.

Arrivò sulla riva del Lago Minore e ricordò immediatamente quando aveva percorso la stessa strada due anni prima, rapita da Skywalker. Sedette sull’erba e ripercorse i sentimenti contrastanti che il giovane Sith aveva suscitato in lei.

Prima di tutto, naturalmente, paura per quello che era stato addestrato a fare. Non avrebbe mai potuto più dimenticare le terribili ore come sua prigioniera. Poi, si era arrabbiata davanti alle sue idee politiche fuorviate, solo una ripetizione dogmatica della propaganda imperiale a cui era stato indottrinato. Era stato così facile giudicarlo. Ma, alla fine, aveva provato compassione, quando aveva capito che lui era molto più prigioniero di lei. E ora, uno strano bisogno di proteggerlo stava crescendo in lei e persino una specie di senso di colpa. Dopotutto, lui avrebbe potuto essere l’amato principe di Alderaan e lei la giovane apprendista Sith, che doveva affrontare ogni giorno la bestia mascherata.

Quel pensiero la portò a ricordare l’interrogatorio e la tortura… subiti per mano del suo padre biologico. Quella nuova consapevolezza la nauseava, minacciando di sopraffarla. Ma tenne a mente che, stando alle parole di Bail, Vader semplicemente ignorava la loro parentela. Allora poté, infine, comprendere perché il Viceré aveva provato a parlare in privato al Signore Oscuro, quando lei era stata prigioniera sull’Executor: era stato pronto a confessare la verità e consegnarla per sempre al Sith, pur di salvarle la vita. Eppure Leia non era così sicura che sarebbe stata la scelta giusta. Poteva ancora rivedere mentalmente Vader e Luke combattere, le loro spade laser danzare nell’hangar dell’area di evacuazione e la lama del padre tagliare la carne di suo figlio… suo fratello.

Leia rabbrividì. Non era sicura di essere pronta a sopportare quella prova. Ma un maestro Jedi la stava aspettando. Sentì che non poteva semplicemente tirarsi indietro. Doveva imparare di più: era il suo dovere per l’Alleanza e forse persino per la sua perduta famiglia biologica. Perciò, si sentiva in qualche modo obbligata, anche se non eccitata. Più ci pensava, più vedeva quel destino davanti a lei.

Si alzò risolutamente e si avviò verso casa.

Cercò Bail, trovandolo nel suo studio, dove stava fingendo di lavorare. Quando Leia entrò nella stanza, le fece gesto di sedere nella sedia davanti alla scrivania, sorridendole in modo triste. Attese che si fosse messa comoda e solo allora chiese: «Quindi?»

«Vado,» rispose sommessamente.

Gli occhi dell’uomo lui si riempirono di malinconia, ma annuì in accettazione. «Ti accompagnerò con il Tantive

«Grazie,» gli disse, grata che lui fosse capace di rispettare la sua libertà di donna adulta.

La giovane si alzò e si voltò per andare a prepararsi per il viaggio.

Ma d’improvviso Bail la richiamò: «Leia!»

Lei si fermò e si voltò di nuovo.

«Qualunque cosa la genetica dica,» le dichiarò. «Tu sarai sempre mia figlia. Non dimenticare che io sarò sempre disponibile per te.

Gli sorrise: era già sicura di questo, ma era bello lo stesso sentirselo dire. «Promettimi solo una cosa…» e si fermò incerta.

Il padre annuì per rincuorarla.

«Non importa in quale situazione io mi possa venire a trovare,» proseguì la giovane, «non dirai mai, e poi mai, a Vader che sono sua figlia. Anche se la mia vita dipendesse da questo.»

Bail gelò. Si alzò anche lui e le si avvicinò. Alzò una mano per accarezzarle leggermente i capelli. «Non puoi chiedermi questo,» mormorò infine. «Io non posso… Come potrei mai lasciarti uccidere?»

«Ti prego,» lo implorò. «Io ho visto Luke, il suo sguardo da animale braccato,» provò a spiegargli. «Preferisco morire che vivere così.»

Lui chiuse gli occhi e deglutì, cercando la forza per concederle anche quello. Li riaprì e dichiarò solennemente: «Hai la parola del Viceré.» Il giuramento più sacro di Alderaan.
 

***
 

Dieci giorni dopo la loro frettolosa partenza, le cose non erano più facili per Luke. Quei giorni sull’Executor erano tesi: l’inchiesta in corso era approfondita, naturalmente, e avevano già raggiunto alcune conclusioni. Ora erano pronti per il loro primo rapporto a Coruscant e, al momento, era inginocchiato appena dietro a suo padre, in attesa che la linea con il cuore dell’Impero fosse aperta. Il giovane Sith aveva studiato molto le proprie emozioni e il proprio contegno nei giorni precedenti, in modo da essere sicuro di non lasciar trapelare niente, specialmente in presenza di Palpatine.

L’aria difronte a loro si elettrizzò con le strisce azzurre di un incipiente ologramma e Luke abbassò automaticamente lo sguardo al suolo, per non guardare con scarso rispetto negli occhi dell’Imperatore.

«Lord Vader,» il vecchio tiranno chiese con una sfumatura pericolosa nel suo tono apparentemente calmo. «Sai dirmi come una stazione da battaglia pesantemente corazzata possa essere distrutta senza la minima allerta della rete investigativa imperiale?»

«Le prime analisi di tutti i dati raccolti e le testimonianze mostrano che è stato un attacco mirato con precisione al punto debole della struttura,» dichiarò Vader sottomesso.

«Quale punto debole?» investigò Palpatine.

«Un piccolo foro di scarico collegato direttamente al reattore principale,» spiegò il Signore Oscuro. «I caccia ribelli sono riusciti a penetrare le difese esterne e a volare nel canale, colpendo lo scarico. Il colpo ha innescato una reazione a catena che ha distrutto la stazione.»

L’ira dell’Imperatore crebbe palpabilmente. «Un attacco troppo bene pianificato, che ha richiesto l’esame approfondito dei progetti di costruzione,» notò freddamente.

«Sì, mio signore.» Vader non poteva che essere d’accordo: non c’era alcun’altra spiegazione logica.

«Chi ha dato i piani ai ribelli?» L’anziano maestro Sith era esigente, non lasciava spazio alle scuse.

Luke sapeva che, fortunatamente, non avevano la risposta ed era ben consapevole della paura di suo padre, mentre esitava.

«Solo la scatola nera è stata parzialmente recuperata. Tutte le registrazioni della sala di sviluppo sono andate distrutte,» dovette ammettere Vader. «Non c’è modo di verificare un’operazione di pirateria.»

«Mi stai dicendo che non sei in grado di scoprire il colpevole?» Palpatine chiese minaccioso.

«Forse, ci sono delle possibilità controllando i backup a Coruscant,» azzardò l’uomo mascherato per alleggerire la sua situazione.

Luke si mantenne calmo, ma sentì crescere la sua preoccupazione: se quel consiglio fosse stato seguito, le conseguenze per lui sarebbero state imprevedibili.

«Stai forse sostenendo che la falla nella sicurezza potrebbe essere stato il mio stesso palazzo?» La domanda era carica di freddo sarcasmo.

«No, mio signore,» il Signore Oscuro ritrattò subito.

«Ma hai ragione,» proseguì sorprendentemente l’Imperatore. «Già nei giorni scorsi, ho fatto controllare tutti i dati relativi alla Morte Nera e una traccia debole, ma reale, è stata trovata. È un download coperto che i miei ingegneri stanno esaminando. Richiederà diversi giorni per decifrarlo, ma sono sicuri di poterci riuscire.»

Quella sgradita notizia improvvisa gelò il più giovane dei Sith. Sudò freddo, il suo cuore accelerò e dovette sforzarsi di rallentare il respiro. Tenne fisso il suo sguardo al suolo, mentre rifletteva su ciò che aveva appena udito.

«Ritorna a Coruscant con le informazioni raccolte,» ordinò Palpatine. «Poi riprenderai le tue indagini da questa traccia.»

«Come desideri, mio signore,» sollevato, il Signore Oscuro rispose obbedientemente.

Un fruscio fece comprendere a Luke che la linea era chiusa e osò sollevare lo sguardo. Suo padre davanti a lui si era già alzato e voltato per guardarlo in faccia.

«Questa traccia ci salverà dall’ira dell’Imperatore,» gli disse Vader, totalmente inconsapevole di quanto ironico suonasse alle orecchie di suo figlio. «Dobbiamo sfruttarla al meglio.»

«Lo faremo, mio signore,» il giovane Sith rispose automaticamente.

Soddisfatto, il Signore Oscuro se ne andò al suo guscio.

A meditare la mossa successiva, Luke avrebbe scommesso. Lui stesso si alzò e filò dritto in camera sua. Sapeva di non aver altra scelta che scappare, nascondendosi da qualche parte: entro pochi giorni, sarebbe stato probabilmente l’uomo più ricercato della Galassia. Ma non poteva farlo proprio in quel momento, perché ciò avrebbe voluto dire lasciare Asha a disposizione della vendetta di Palpatine. Non era abituale per un Sith preoccuparsi di qualcun altro, ma doveva pur proteggere sua moglie: non voleva che le fosse fatto del male. In più, dall’ultima notte trascorsa insieme a lei, dieci giorni prima, aveva una strana sensazione che lo faceva sentire anche più protettivo, perché avrebbe scommesso che la donna stesse portando qualcosa di suo in lei. Quindi, avrebbe corso il rischio di ritornare a Coruscant, sperando che la sua traccia non fosse decodificata troppo in fretta, e, prima di tutto, avrebbe assicurato la salvezza di lei. Solo a quel punto, anche lui sarebbe fuggito.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Questa fiction è scritta solo per divertimento e non mi procura alcun guadagno. I personaggi e la galassia di Guerre Stellari appartengono alla Lucasfilm e alla Disney. Per i personaggi e i luoghi di mia invenzione, ho usato nomi presi dal mondo reale, ma li ho scelti soltanto perché stavano bene nella fiction e, quindi, non hanno alcuna relazione con persone vere o fatti storici: ogni eventuale rassomiglianza è puramente casuale.

Ringraziamenti
Desidero ringraziare jedi1952 per la revisione della versione originale inglese di questa fanfiction. Avendomi segnalato alcuni importanti problemi nella caratterizzazione dei personaggi e nelle scene, il suo lavoro è stato fondamentale e anche questa versione italiana sarebbe sicuramente diversa senza il suo aiuto.
La responsabilità di quanto scritto è naturalmente solo mia.

------------ Capitolo 8 ------------
 

Leia quasi quasi ci ripensò, quando atterrò a Dagobah. Il posto era ancora più paludoso di quello che sembrava sulle mappe interattive.

Come avrebbe fatto a lavare i suoi capelli lunghi in quella pozza fangosa?, si chiedeva, mentre camminava provando a evitare ogni rettile disgustoso che incrociava. E non erano pochi!

Secondo le coordinate che Bail le aveva fornito prima che lei lasciasse il Tantive, la capanna del Jedi non doveva essere lontana. Strizzò gli occhi, cercando di scrutare attraverso la nebbia. Comparve l’ombra di un esserino e lei gli si avvicinò. Era un buffo alieno verde con lunghe orecchie. Anche se suo padre non aveva avuto alcun ologramma da mostrarle, la sua descrizione corrispondeva abbastanza bene e, quando fu proprio difronte alla creatura, Leia chiese confidenzialmente: «Maestro Yoda?»

Il troll annuì con un sorriso e rispose: «Dentro vieni, Leia. Parlare a lungo dobbiamo.» E si voltò per proseguire il cammino.

La ragazza poteva finalmente scorgere la sagoma di una piccola casa primitiva, costruita tra le radici di un albero centenario. La Principessa di Alderaan non era mai stata alta, ma seguire il nanerottolo dentro fu difficile persino per lei e dovette strisciare a carponi. Anche se era stata preparata al suo aspetto, era ancora un po’ sorpresa che quel vecchio alieno dall’aspetto modesto fosse uno dei più grandi Jedi di sempre.

«Le dimensioni non contano,» dichiarò Yoda, nel rispondere direttamente al suo pensiero.

Leia sobbalzò a come facilmente era stata compresa. «Come…?!»

«Con forza i tuoi sentimenti emani,» le spiegò. «A mascherarli io ti addestrerò.»

Aveva mille domande per lui e non sapeva da dove cominciare. Ma una cosa aveva già notato: «Non è stata la tua voce a chiamarmi qui.»

Yoda scosse la testa. «Obi-Wan Kenobi stato è. Tutt’uno con la Forza ora lui è.»

Leia si accigliò, il nome non le era nuovo: forse l’aveva sentito in uno dei racconti di Bail. «Il maestro Kenobi era il Jedi che stava proteggendo Luke, vero?»

L’alieno verde annuì. «Il maestro di tuo padre lui era.»

Vader, suo padre. Era ancora difficile pensarlo in quel modo. Sentiva che solo Bail Organa meritava quel titolo. Eppure, ora l’idea di uccidere il Signore Oscuro era divenuta vagamente scomoda, mentre fino a pochi giorni prima sarebbe stata proprio allettante. «Mi addestrerai a combatterlo?»

«No,» rispose lui con sicurezza. «Affrontare da sola tre Sith tu non puoi.»

«Allora, perché mi ha fatto venire qui?» gli chiese confusa.

«Un addestramento Sith tuo fratello affrontare potuto ha, senza al Lato Oscuro totalmente darsi,» il maestro Jedi le spiegò pazientemente. «Una qualità rara questa è. In moto il futuro messo lui ha, i piani rubati dandoti. Addestrarti devi per un nuovo Ordine dei Jedi fondare, quando i Sith sconfitto lui avrà.»

Lei annuì, anche se si sentiva ancora molto insicura sul vero significato di quello che aveva appena sentito.
 

***
 

Luke non sapeva cosa lo aspettasse, quando lui e Vader atterrarono a Coruscant. Ma nessun soldato provò ad arrestarlo, non attentarono alla sua vita e non venne immediatamente chiamato difronte all’Imperatore. Poteva ritenersi molto fortunato: gli ingegneri di Palpatine non avevano evidentemente ancora decodificato la sua operazione di pirateria.

Chiese immediatamente il permesso di andare nel suo appartamento. Per una volta tanto, non gli importò quando percepì suo padre accigliarsi irritato sotto la maschera, perché il Signore dei Sith pensava chiaramente che Asha fosse una distrazione indesiderata. Ottenne il suo consenso, corse a casa sua e praticamente irruppe nel proprio salotto.

Sua moglie sobbalzò all’improvvisa intrusione, prima di riconoscerlo e riguadagnare la sua compostezza. Gli sorrise e si alzò per avvicinarglisi, salutandolo: «Ciao!»

Lui le si avvicinò e afferrò gentilmente le sue braccia: non aveva tempo per i convenevoli. «Vieni con me all’hangar. Devi immediatamente partire per tornartene a casa di tuo padre.»

Asha era confusa dalla sua fretta: «Luke, cosa succede?»

«Non te lo posso spiegare ora. Fa’ come ti ho detto,» le rispose cripticamente.

Gli occhi le si riempirono di lacrime. «Cosa ho fatto per essere cacciata?»

«Cosa?» Poi, lui capì. Si addolcì e scosse la testa. «Tu non hai fatto niente. Io ho fatto qualcosa che presto farà infuriare l’Imperatore nei miei confronti,» le spiegò. «Perciò fidati di me. Stai con la tua famiglia: loro possono proteggerti,» la supplicò quasi.

«È così grave?» gli chiese preoccupata.

«Non ti darò alcuna informazione, per la quale mio padre potrebbe decidere di torturarti,» le rispose seccamente.

I suoi occhi neri si spalancarono. «Almeno sai dove scappare?»

«No,» l’uomo scosse la testa. «Ma mi inventerò qualcosa.»

Lei annuì. «Preparo le valigie.»

«Non c’è tempo,» le disse, spingendola gentilmente verso l’uscita. «Sono sicuro che potrai comprarti dei nuovi vestiti ad Ujjain.»

Asha non fece resistenza questa volta e seguì il suo passo veloce lungo i corridoi.

Raggiunsero l’hangar principale. Luke si recò direttamente alla postazione dei piloti. Gli uomini in servizio scattarono sull’attenti. «Mia moglie desidera visitare la sua famiglia a Ujjain,» spiegò, rivolgendosi al più alto in grado. «Comandante Wright, dovete accompagnarla là.»

Gli occhi del pilota designato corsero per un istante su Asha, prima di guardare di nuovo verso di lui. La richiesta era irritantemente al di là dei suoi doveri militari, ma, ovvio!, non osava lamentarsene. «Se poteste dirmi quando deve partire, pianifico il volo, mio signore.»

«Parte subito,» disse il giovane Sith.

L’uomo non fu capace di nascondere completamente il suo stupore davanti a tanta fretta, ma si limitò a fare un passo in avanti e a inchinare leggermente la testa. «Come desiderate, mio signore. Posso mandare un attendente per il bagaglio?»

«Mi occuperò io del suo bagaglio e di accompagnarla alla nave,» rispose Luke. «Voglio che scaldiate i motori immediatamente. Deve arrivare a Ujjain entro due giorni.» Gli si avvicinò e gli puntò un dito minaccioso, mettendolo in guardia: «Vi ritengo personalmente responsabile della sua sicurezza.»

Il pilota deglutì. «Naturalmente, mio signore.» Lo salutò militarmente e si affrettò verso la nave.

Il giovane Sith fece gesto ad Asha di seguirlo e si avviarono anche loro alla nave. Il rumore dei motori che si scaldavano riempiva l’hangar mentre si avvicinavano allo sportello. Si fermarono lì difronte e si voltarono per guardarsi in faccia. Lui le sorrise debolmente, non sapendo cosa dire.

«Luke!» gemette la donna con gli occhi bagnati e chiaramente preoccupata.

Lui l’abbracciò e le sussurrò all’orecchio a voce bassa, per essere sicuro che nessuno potesse udirlo: «Non appena troverò un rifugio sicuro, ti prenderò con me. Te lo prometto.»

La moglie annuì, facendo finta si sentirsi rassicurata ora.

Mentre ancora la stringeva a sé con il braccio destro, il giovane Sith le accarezzò la schiena, facendo correre la sua mano sinistra dalle spalle fino alla sua vita esile e seppe che aveva avuto ragione: poteva percepire il nuovo essere umano che si stava formando. Un punto di vita piccolo, eppure incredibilmente luminoso, brillava nella Forza dentro il suo grembo, ma era ancora troppo presto perché lei lo sapesse. «Sei la cosa più bella che mi sia capitata nella vita,» le mormorò.

Strinse più forte il suo abbraccio e le baciò delicatamente la bocca. Si fermò presto e la lasciò andare. «Ora vai!» le ordinò.

Asha annuì nuovamente ed entrò nella nave.

Luke arretrò di qualche passo, osservando il veicolo che iniziava a muoversi e infine decollare.

Quando fu fuori dalla sua vista, si voltò e andò a scegliere una nave per sé. Avrebbe dovuto essere sollevato di averla messa in salvo e di avere lui stesso tempo a sufficienza per fuggire. Eppure si sentiva completamente frastornato. Le aveva promesso che sarebbero tornati insieme, ma non aveva la più pallida idea di quando sarebbe accaduto. Era di nuovo solo, come in passato, e divenne consapevole quanto gli sarebbe mancata la sua compagnia.

Scelse una nave e si sedette dentro. Allacciò le cinture di sicurezza e decollò. Lasciò l’atmosfera diretto verso Alderaan.

Quando fu entrato nello spazio profondo, fuori dai sistemi di comunicazione di Coruscant, tirò fuori dalla tasca il pad con i codici segreti per contattare la nave di Leia. Lo inserì nell’apposita presa, sul pannello di controllo della nave, e inviò la richiesta di connessione.

La trasmissione non fu né facile, né veloce. Il ricevente era evidentemente lontano da Alderaan. Dopo diversi aggiustamenti di frequenza, un ologramma rigato apparve finalmente sul pannello. Luke fu deluso dal constatare che non si trattava di Leia, ma di un uomo anziano: il Viceré Bail Organa, se ricordava bene.

«Sono Luke Skywalker,» dichiarò, anche se l’uomo sicuramente l’aveva già riconosciuto. «Ho bisogno di parlare con vostra figlia il prima possibile.»

«Mi dispiace, ma Leia non può contattarvi al momento,» rispose il Viceré.

Il giovane Sith sospirò: aveva bisogno di aiuto in quel momento. Poteva solo sperare che l’uomo desiderasse dargli soccorso. «La Senatrice mi aveva promesso che mi avrebbe garantito un rifugio, se fossi stato in pericolo,» gli spiegò.

«Il vostro furto dei piani della Morta Nera è stato scoperto?» gli chiese Organa preoccupato.

«Non ancora,» disse Luke, notando che, proprio come aveva immaginato, il tizio lavorava in combutta con la figlia: questo avrebbe facilitato le cose. «Ma ritengo molto probabile che lo sarà nei prossimi giorni.»

«Capisco,» la voce del Viceré risuonò piena di empatia. «Vi mando le coordinate per un punto di incontro sicuro. Vi garantirò personalmente il rifugio che Leia vi ha promesso.»
 

***
 

Vader si inginocchiò davanti al suo padrone.

«Dov’è tuo figlio?» chiese rabbiosamente Palpatine dal suo trono.

Il signore dei Sith mascherato non ne aveva la più pallida idea. Quando aveva ricevuto l’ordine di apparire difronte al suo Imperatore, aveva cercato Luke affinché andasse con lui come al solito. Ma non era stato in grado di contattarlo. Una rapida ricerca attraverso la Forza gli aveva chiaramente confermato che, al momento, il ragazzo non si trovava a Coruscant. Gli aveva sempre proibito di andare in qualsiasi posto senza il suo permesso esplicito, perciò era piuttosto arrabbiato. Ma anche confuso e a disagio che a Palpatine interessasse l’attuale posizione del giovane. «Non lo so,» rispose semplicemente.

«Ci avrei scommesso,» gli sbatté in faccia il suo padrone con tono accusatorio. «Pare che tu sappia molto poco di ciò che quel delinquente combina.»

Il disagio di Vader divenne immediatamente paura. Non aveva mai sentito Palpatine così furioso con Luke prima di allora, nemmeno le volte che lo aveva punito con quei dannati fulmini. Che cosa aveva combinato il ragazzo?

Il Sith più anziano si alzò e fece qualche passo verso di lui. Come se avesse percepito la domanda nella mente del suo apprendista, gli rispose: «I miei ingegneri informatici hanno finito di decodificare la password dell’utente che ha scaricato il programma di decriptazione dei dati della Morte Nera qui a palazzo: è quella del giovane Skywalker.»

Un forte dispiacere colse immediatamente Vader, così intenso che le viscere gli dolevano. Era una sofferenza che non aveva più sperimentato da due decenni.

Un sorriso scaltro raggrinzì le labbra sottili dell’Imperatore. Sapeva chiaramente quanto fosse doloroso per il suo servo ciò che stava per imporgli: «Lo voglio vivo. Portamelo e ci penserò io a lui.»

«Come desideri, mio signore,» rispose in tono neutro l’uomo mascherato, reprimendo il bisogno di piangere.

«Spero che i tuoi sentimenti in questa faccenda siano chiari, Lord Vader,» proseguì Palpatine.

«Lo sono,» gli mentì spudoratamente.

«Lo spero. Se fosse casualmente ucciso da una raffica di fucile o dal taglio di una spada laser durante la cattura, non sarei contento,» lo mise minacciosamente in guardia il vecchio maestro Sith.

«Capisco,» riuscì a dire Vader. «Ma non so ancora dove sia.»

«Cerca dentro di te e lo troverai.»
 

***
 

Se Lord Vader voleva sopravvivere al dolore che minacciava di stroncarlo una volta per tutte, non poteva davvero cercare dentro di sé. Perciò, cominciò con l’esame delle registrazioni della sicurezza nell’hangar di casa. I filmati mostravano Luke che imbarcava Asha su una nave e, poi, con un’altra, se ne andava via da solo. Fece controllare e, proprio come aveva ipotizzato, la donna era stata rispedita dalla sua famiglia.

Il Signore dei Sith non poteva fare a meno di guardare e riguardare la registrazione, in qualche modo disturbato dalla tenerezza nel bacio d’addio della coppia. Nonostante la donna fosse legalmente sua nuora, non aveva mai parlato con lei e l’aveva vista solo il giorno delle nozze. Era arrivato il momento di prestarle più attenzione.

Era andato a Ujjain e aveva chiesto di incontrarla. Ma ora era un po’ irritato, anche se non completamente sorpreso, di scoprire che anche suo padre avrebbe assistito all’incontro.

«Dov’è Luke?», chiese alla ragazza, intimidendola con la sua imponente presenza.

«Non lo so.» Il tono di lei era spaventato, i suoi occhi neri spalancati.

«Ho dei seri dubbi che non vi abbia detto niente,» pressò il Sith, facendo un passo in avanti.

Il Re Mahavira si tese. Sicuramente si aspettava che l’alleanza tra Ujjain e l’Impero li proteggesse un po’, almeno nella loro casa, ma temeva i poteri del Signore dei Sith e chiaramente voleva trovare una via di fuga a quella situazione il prima possibile.

«Mi ha solo detto che non mi avrebbe rivelato alcuna informazione per cui avreste potuto decidere di torturarmi,» rispose lei semplicemente.

Quella sembrava una frase che Luke avrebbe potuto farsi scappare per davvero. Vader sondò velocemente Asha: era sincera.

«Lord Vader,» intervenne Mahavira. «Devo presumere che Skywalker abbia commesso qualche reato per essere ricercato…»

«Questo non è un problema vostro,» lo interruppe seccamente il Signore dei Sith, rivolgendogli la parola.

«Il matrimonio è un affare di Stato,» gli spiegò. «È assolutamente un mio problema sapere perché è ricercato. Se si dimostrasse indegno, lo ripudieremo.»

Vader prese immediatamente controllo della Forza attorno alla gola dell'uomo. Sebbene non stesse ancora soffocandolo e il Re (totalmente cieco al campo energetico) fosse inconsapevole del pericolo, il Signore Oscuro era pronto a manifestargli il suo sgradimento, perché nessuno poteva osare definire «indegno» suo figlio. Qualunque cosa avesse fatto, Luke sarebbe stato giudicato esclusivamente dai suoi maestri Sith.

«Non voglio ripudiare mio marito,» protestò Asha.

L’affetto nel tono di lei colpì Vader. Aveva sempre messo in guardia suo figlio dai pericoli di un’infatuazione amorosa, ma lo sciocco non solo si era innamorato, era anche riuscito, in qualche modo, a farsi ricambiare. In apparenza, negli ultimi tempi, Luke non aveva fatto gran tesoro dei consigli di suo padre. Tanto peggio per lui: quella debolezza poteva essere sfruttata in maniera utile ora. Nella sua testa prese forma un piano e lasciò completamente la gola dell’uomo.

«Taci! Non sai nemmeno di cosa parli,» Mahavira si rivolse severamente alla figlia senza nemmeno immaginare che gli aveva appena salvato la vita. «Non sarebbe gradevole ciò che ti aspetterebbe, come moglie di un ricercato.»

«Ma…,» iniziò a rispondere lei.

«Molto bene,» Vader interruppe bruscamente la discussione familiare, che non gli interessava ascoltare, e si rivolse al Re. «Avete contrattato il matrimonio con Sua Altezza l’Imperatore. Se questa è la vostra decisione, dovete chiedere a lui.»

Il Re inchinò leggermente la testa e Vader se ne andò.

Poche ore dopo, sull’Executor, ancora in orbita attorno a Ujjain, il Signore Oscuro tirò un sospiro di sollievo, mentre la maschera veniva rimossa dalla sua faccia. La solitudine della camera iperbarica era sempre stata una pausa importante dalla sua odiosa armatura. Ma, negli ultimi giorni, cercarvi rifugio per ore e ore era diventata una necessità vitale: lo stress a cui era sottoposto lo esauriva. Non poteva dormire bene, schiacciato dal dispiacere e dagli incubi, tutte le sue cicatrici gli dolevano, aveva costantemente il mal di testa e gli occhi pesanti.

Peggio di tutto, non riusciva a prevedere cosa sarebbe successo. La trappola era pronta e avrebbe funzionato, perché sapeva come si sarebbe mosso suo figlio: dopotutto, lui stesso gli aveva insegnato a combattere. Era sicuro che presto Luke sarebbe stato nelle sue mai. Ma poi?

Il suo dovere era di consegnarlo a Palpatine e stare accanto al suo padrone, mentre il ragazzo avrebbe pagato il prezzo della sua follia con una morte lenta e dolorosa. Ne era ben consapevole, ma non aveva la più pallida idea di come ce l’avrebbe fatta. Questa volta non c’era spazio per le fughe, i negoziati o le bugie.

Come Luke fosse stato in grado di imbrogliarli, coprendo un tradimento di quella portata, era ancora un mistero al momento. Eppure, quello che proprio non riusciva a comprendere era la ragione. Due anni prima, il ragazzo aveva cercato la libertà. Vader l’aveva in parte capito, anche se aveva dovuto fermare il suo inutile tentativo. Avrebbe simpatizzato se avesse provato a detronizzare il loro padrone, come ogni vero Sith avrebbe dovuto fare. Ma suo figlio si era messo in quel pericolo enorme solo per evitare qualche vittima di guerra. Naturalmente, la Morte Nera era un progetto sbagliato fin dall’inizio, quello era fuori questione. Ma la sua stupida reazione altruistica era stata assurda: non era di sicuro opera del Lato Oscuro.

Quello era il vero problema con il ragazzo: sembrava che il Lato Oscuro avesse una presa debole su di lui. Certo i suoi scoppi di rabbia erano violenti e pericolosi. Ma anche brevi e volatili. Si calmava velocemente, quasi stordito dalle conseguenze delle sue azioni e dalle reazioni delle sue vittime. Non riusciva a mantenere i suoi sentimenti abbastanza forti per padroneggiare il Lato Oscuro e liberarsi dal controllo della propria coscienza. Il più delle volte usava solo il Lato Luminoso, indifferentemente dalla severità con cui veniva corretto. I suoi occhi azzurri lo dimostravano in modo inequivocabile: non avevano mai, e poi mai, scintillato verso il giallo.

Vader ricordava delle vecchie teorie discusse dai maestri Jedi nel Tempio. La maggior parte di loro aveva ritenuto che ogni individuo sensibile alla Forza scegliesse di usare il Lato Luminoso o quello Oscuro di propria libera volontà. Ma una minoranza aveva sostenuto che ognuno nasceva tendendo a un Lato o all’altro per volontà della Forza e nessuno poteva veramente cambiarlo. La sua mente pragmatica aveva sempre evitato dibattiti così filosofici, ma, davanti alle difficoltà di inculcare il Lato Oscuro in Luke, qualche volta, si domandava se i secondi avessero avuto ragione.

O forse no. Forse stava solo cercando delle scuse per giustificare il suo fallimento come maestro. Probabilmente Vader aveva fallito con Luke, proprio come Obi-Wan aveva fallito con Vader. E, allo stesso modo, era stato tradito dal suo apprendista. Se fosse stato in grado di agire con la mancanza di riguardi di Palpatine, ora il ragazzo sarebbe stato un vero Sith. Suo figlio aveva percepito più di una volta le esitazioni del padre e aveva imparato, rispecchiando quelle debolezze, finché l’errore irreparabile era stato commesso. Vader stesso non era cresciuto abbastanza nel Lato Oscuro per proteggere Luke, nello stesso modo in cui non era stato in grado di proteggere Padmé vent’anni prima. E ora la sua ultima speranza stava per morire definitivamente, prima che i tempi fossero maturi per i suoi piani.

A meno di un improvviso, ma pericoloso, cambio di strategia.

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Questa fiction è scritta solo per divertimento e non mi procura alcun guadagno. I personaggi e la galassia di Guerre Stellari appartengono alla Lucasfilm e alla Disney. Per i personaggi e i luoghi di mia invenzione, ho usato nomi presi dal mondo reale, ma li ho scelti soltanto perché stavano bene nella fiction e, quindi, non hanno alcuna relazione con persone vere o fatti storici: ogni eventuale rassomiglianza è puramente casuale.

Ringraziamenti
Desidero ringraziare jedi1952 per la revisione della versione originale inglese di questa fanfiction. Avendomi segnalato alcuni importanti problemi nella caratterizzazione dei personaggi e nelle scene, il suo lavoro è stato fondamentale e anche questa versione italiana sarebbe sicuramente diversa senza il suo aiuto.
La responsabilità di quanto scritto è naturalmente solo mia.

------------ Capitolo 9 ------------
 



Luke sedeva sul divano in un salottino del Tantive, con il retro della testa sprofondato nei cuscini, mentre fissava il soffitto sopra di lui. I suoi piedi non potevano rimanere immobili e li muoveva nervosamente sul pavimento. Da diversi giorni era rinchiuso in poche stanze della nave: era preoccupato e stufo di aspettare.

Lo avevano informato che ora era ufficialmente ricercato dall’Impero. La sua traccia doveva essere stata decodificata, perché suo padre aveva persino messo una taglia favolosa sulla sua cattura vivo.

Non aveva modo di ricevere notizie di Asha, anche se contava che il Comandante Wright lo temesse abbastanza d’aver preso sul serio le sue minacce e l’avesse protetta al meglio.

Leia era sparita. Di certo non si trovava sulla nave, ma non era nemmeno in contatto da Alderaan o da qualsiasi altro luogo. Suo padre non la nominava mai e aveva risposto molto vagamente, quando il giovane Sith aveva provato a fare domande. Poteva solo fantasticare su cosa stesse facendo.

Le porte scorrevoli si aprirono, interrompendo le sue riflessioni pessimistiche, e Bail Organa entrò nella stanza.

Luke si raddrizzò immediatamente, sedendo in una postura più decorosa, e inchinò leggermente la testa per salutarlo. Il perché si preoccupasse di tali formalità con quell’uomo era un mistero persino per sé stesso.

Il Viceré gli sorrise in risposta e si sedette sul divano davanti a lui. «Contatterò di nuovo l’Alleanza questo pomeriggio.»

«Non si fidano di me, non è così?» dichiarò nervoso il Sith.

L’uomo più anziano sospirò. «Una parte di loro no,» ammise controvoglia. «Ma i leader più influenti vogliono aiutarvi. Non possiamo dimenticare quello che avete fatto per noi,» provò a rassicurarlo.

«Allora perché sono ancora rinchiuso qui?» chiese Luke polemicamente.

Organa era paziente. «Anche se tutti loro fossero pronti ad accogliervi a braccia aperte, ci sarebbero comunque dei problemi di sicurezza da risolvere. Per la nostra sicurezza e per la vostra stessa sicurezza.»

Il giovane lo guardò con aria interrogativa.

«Potreste incontrare molte persone tra i soldati ribelli che desidererebbero vendicarsi su di voi,» spiegò. «Solo poche persone nel comando dell’Alleanza sanno che siete stato voi a fornirci i piani. Per tutti gli altri, voi siete solo un nemico.»

Il Sith annuì: naturalmente quello aveva garantito la sua sicurezza dalle spie e dalle confessioni dei ribelli catturati. Ma il suo problema era molto pressante adesso: «Se non mi accettano, non so cosa fare.»

«Siate paziente: qualcosa arrangeremo e al momento qui siete al sicuro,» gli disse il Viceré con un paterno sorriso di incoraggiamento.

O, almeno, quello che Luke pensava sarebbe stato un paterno sorriso di incoraggiamento, se avesse mai avuto occasione di vederne uno. Non era la prima volta che l’uomo gli elargiva quel tipo di espressioni paternalistiche e non sapeva cosa pensarne: si sentiva rassicurato e irritato allo stesso tempo. Bail Organa era un rebus per lui. Parlava sempre quietamente e non minacciava mai nessuno. Era fermo, anche se non sensibile alla Forza. La sua mente era forte e doveva avere avuto sicuramente un aspetto possente nella sua giovinezza, eppure non lo si poteva immaginare far del male a qualcuno. Non imponeva mai la sua volontà, ma si ascoltava sempre con attenzione quello che diceva. Il giovane Sith non aveva paura di lui, ma si sentiva in dovere di rispettarlo. E questo era stupefacente, totalmente estraneo alle sue precedenti esperienze. Era abituato ad avere a che fare con Vader o Palpatine e il terrore che gli incutevano. Era capace di rapportarsi con autorità che lo atterrivano, ma ironicamente non con qualcuno che non lo minacciava. Non sapeva come reagire o cosa dire davanti a un sorriso paterno e, perciò, arrossì, abbassando lo sguardo confuso.

Il Viceré sembrò meditare qualcosa, osservandolo. «Abbiamo ricevuto una notizia che penso voi dobbiate sapere,» disse infine.

Il giovane fu allarmato dal suo tono preoccupato e lo guardò con attenzione.

«Il Re di Ujjain ha concordato con Palpatine l’annullamento delle vostre nozze,» spiegò Bail con cautela.

«Come può farlo?» chiese Luke con rabbia.

Il vecchio politico sapeva come funzionavano queste faccende. «Credo che legalmente possa dichiarare l’indegnità dello sposo.»

Il Sith spalancò gli occhi. «E adesso?»

Il Viceré sospirò. «Hanno stabilito un nuovo matrimonio con il Grand Moff Lavrans il prossimo mese.»

Chi? Cosa? Lavrans era così vecchio che avrebbe potuto benissimo essere suo nonno! Se le avesse sfiorato anche solo un capello,… Il giovane scattò in piedi e fece qualche passo. «Non lo permetterò loro,» ringhiò.

Anche Bail si alzò. «Penso che sia una trappola. Se andate, sarete catturato.»

«Farò attenzione,» dichiarò Luke. «Ma Asha è mia. Non lascerò che qualcun altro metta le mani su di lei.»

«Non vi posso fermare, naturalmente,» lo mise in guardia il Viceré. «Ma non sareste il primo uomo che si è rovinato per gelosia, Skywalker. E state sicuro che vostro padre lo sa molto bene.»

Il Sith rimase confuso dall’ultima affermazione, ma non aveva tempo di rifletterci bene: era deciso ad andare a Ujjain.

Il Lato Oscuro fluì violento in Luke, durante il suo volo verso il Sistema di Avanti, all’idea di quel dannato Grand Moff, che voleva portargli via sua moglie e suo figlio. Asha era l’unica cosa che aveva e la sua amicizia gli aveva fatto sognare una vita diversa. Perché, non appena scorgeva la possibilità di un cambiamento in meglio, doveva essere distrutta in quel modo? E a cosa stava pensando il Re Mahavira? Gli aveva rispedito la figlia affinché la proteggesse e, invece, lui l’aveva venduta (di nuovo!) per i suoi scopi. Non aveva ancora compreso quanto fosse imprevedibile Palpatine? Mise da parte il noioso dubbio che, forse, il Re stava veramente aiutando sua figlia, con quel tentativo di rompere definitivamente un legame che era diventato molto pericoloso, e si concentrò sul proprio desiderio di vendetta. Quando sua moglie sarebbe stata al sicuro con lui, avrebbe trovato il modo di dare a tutti una lezione: poteva essere ricercato dall’Impero, ma era ancora un Sith pienamente addestrato e la gente doveva temerlo di conseguenza, evitando di intralciare la sua strada.

Uscì dall’iperspazio lontano da Ujjain. La decelerazione secca in un posto ancora sicuro gli dava la possibilità di verificare la presenza della flotta imperiale. Persino prima che il computer di bordo confermasse la presenza in orbita geostazionaria di un super incrociatore stellare, percepì un’oscura presenza ben conosciuta: suo padre lo stava aspettando per dargli il benvenuto e sicuramente avrebbe rilevato la sua prossimità.

Sospirò. Era stato consapevole che il Viceré Organa aveva probabilmente avuto ragione nel sostenere che si trattasse di una trappola. Ma, durante il viaggio, aveva provato a nutrire la piccola speranza che non fosse così. Ora era finita e doveva pianificare attentamente le proprie mosse.

Sapeva di non potersi schermare completamente da Vader: il loro legame nella Forza era troppo profondo per essere ingannato. Ma doveva rendere la sua presenza vaga, non dandogli la possibilità di localizzarlo. Poteva prendere due precauzioni a tal fine. Prima di tutto, rafforzò immediatamente le sue difese mentali, coprendo i suoi poteri fino a un livello elusivo. Poi, naturalmente, doveva starsene il più lontano possibile dal Signore Oscuro, scegliendo con saggezza il suo percorso.

Luke avrebbe scommesso che l’Executor era in orbita proprio sopra la capitale. Cliccò sul pannello di controllo per iniziare il rilevamento della sua posizione esatta. Doveva atterrare dalla parte opposta del pianeta e trovare un trasporto meno distinguibile per raggiungere la sua destinazione. Cercò sulla mappa un posto adeguato: una città di dimensioni medie, abbastanza affollata perché un nuovo visitatore non desse nell’occhio, ma non così grande da essere sotto la sorveglianza diretta dell’Esercito. C’erano diverse possibilità e ne scelse una a caso.

Volò attorno al pianeta con un’orbita molto ampia nella direzione opposta dell’Executor e, quando finalmente fu sopra la cittadina di Ubda, contattò il porto spaziale locale per l’atterraggio. Dopo aver messo i piedi a terra, lasciò la sua nave e si avventurò nella zona abitata.

Si rese presto conto che la sua tuta nera da Sith poteva essere fantastica per le missioni notturne, ma era troppo vistosa tra quella gente: portavano tutti vestiti molto colorati, come quelli di Asha. Così, finì per rubare in un cortile una lunga tunica gialla maschile da un bucato lasciato ad asciugare al sole. Era larga e lunga per la sua taglia e non ebbe difficoltà a infilarla sopra i suoi abiti.

E la sua carriera da ladro era solo all’inizio! Infatti non aveva denaro per comprarsi un trasporto. Rise amaramente all’ironia della situazione: era stato l’erede di un Impero e adesso era obbligato a ottenere in maniera criminale ciò che aveva sempre dato per scontato. Ma era inutile rimuginarci su. Doveva pensare alle sue opzioni: rubare direttamente una navetta locale o scippare una borsa. La seconda scelta sarebbe stata più discreta e perciò si posizionò sotto i portici di una strada affollata. Individuare qualcuno debole di mente che avesse con sé denaro a sufficienza si dimostrò meno facile di quello che aveva sperato. Provò subito con una giovane donna: era elegante e supponeva ricca. Sfortunatamente, mentre la sua borsa era sicuramente chic e alla moda, era anche praticamente vuota.

Proseguì per cambiare direzione e vide una banca. Osservò la gente entrare e uscire. Provando a non abbassare le sue difese, decise di usare cautamente la Forza per capire chi avesse appena ritirato una somma consistente. Si avvicinò furtivamente dietro un vecchio che stava trasmettendo un forte sentimento di soddisfazione, mentre teneva un piccolo borsello.

Nella tua borsa non c’è nulla di importante: è solo un peso per te. Falla cadere al suolo, ordinò silenziosamente alla sua mente.

L’anziano signore aprì la mano e Luke si inginocchiò velocemente per raccogliere il pacco, prima che qualcuno tra la folla distratta potesse notare. Ma inaspettatamente, mentre si rialzava, l’uomo si girò verso di lui con la bocca aperta per lo stupore.

Il giovane Sith concesse uno dei suoi migliori sguardi innocenti e disse: «Grazie, ne ho veramente bisogno e tu ti dimenticherai dell’accaduto.»

«Ne hai veramente bisogno,» ripeté il tizio meccanicamente, «e io me lo dimentico.»

Luke si voltò, sorridendo, e se ne andò velocemente. Quando fu abbastanza lontano da non poter più essere rintracciato, controllò il ricavato: abbastanza! Cercò un venditore di navi.

Comprò il modello di nave più diffuso su Ujjain, per essere meno identificabile, anche se pensava che fosse veramente mediocre: non aveva armi, volava piano e dubitava che avrebbe mai potuto entrare in iperspazio, nonostante gli spergiuri del venditore. Ma non aveva importanza: doveva solo raggiungere l’altro lato del pianeta, volando nella bassa atmosfera. Poi, lui e Asha sarebbero fuggiti usando la sua nave, che aveva lasciato nel porto spaziale.

Dato che era pieno giorno a Ubda, dall’altra parte del mondo, dove si trovava la capitale, era notte. Perciò decise di partire immediatamente. In un’ora poté atterrare nel porto spaziale principale del pianeta. La presenza di Vader era molto più vicina ora: poteva percepirlo sopra di lui nell’Executor come una coperta soffocante che gli copriva la testa. Suo padre era silenzioso nella sua mente, ma la consapevolezza della loro vicinanza marcava la sua coscienza. Luke doveva muoversi.

Il Palazzo Reale era fuori dalla città principale, ma poteva essere facilmente visto anche di notte, perché era splendidamente illuminato e decorato in oro: il giovane Sith poteva adesso capire perché Asha era rimasta così delusa dal suo appartamento.

Camminò finché raggiunse le mura con l’aspetto casuale di un turista qualsiasi, mentre cercava di capire quanta sorveglianza vi fosse. Vide solo polizia locale, ma era propenso a pensare che da qualche parte fossero nascosti dei soldati imperiali: di sicuro l’Impero non parcheggiava la sua nave più potente in un posto senza alcuna ragione.

Girò l’angolo e si avvicinò al lato meno sorvegliato delle mura. Era ora di usare la Forza completamente. Raggiunse la mente delle poche guardie e accecò la loro visuale per qualche secondo. Si concentrò e saltò sul bordo dell’alta parete. Si fermò lassù solo un istante necessario per dare un’occhiata all’interno: c’era un giardino pieno di alberi. Saltò giù immediatamente lì in mezzo. Si tolse rapidamente la tunica gialla: era stata utile sulle pareti dorate, ma nell’oscurità del boschetto la sua solita tuta nera era meglio. Si immerse di nuovo nella Forza. A parte la persistente presenza oppressiva di suo padre, nessuno era in allarme: il trucco sulle guardie aveva funzionato. Cercò segni di Asha: era al secondo piano. Scandagliò più nei dettagli, finché individuò la stanza dove stava dormendo. Camminò verso di lei e raggiunse la sua finestra. Si arrampicò sull’albero accanto alla sua camera e saltò silenziosamente dentro.

Troppo facile! Stava sicuramente sottovalutando qualcosa.

Si avvicinò alla sagoma addormentata della moglie: era bella nell’inizio della sua gravidanza. Sarebbe rimasto là per sempre a osservarla, ma la costante fastidiosa presenza della mente di suo padre gli ricordava di muoversi. Si avvicinò al letto e le pose gentilmente una mano sulla bocca.

Asha si svegliò immediatamente, cercando di urlare.

«Shh! Sono io: Luke,» la rassicurò il giovane Sith.

La donna aguzzò gli occhi nella semioscurità della stanza e lo riconobbe.

Allora lasciò andare la sua bocca. «Mi dispiace per il risveglio brusco…,» iniziò a dirle.

Ma lei lo abbracciò immediatamente, singhiozzando. «Luke, non è colpa mia. Io non volevo, ma hanno organizzato tutto senza di me!»

L’accolse tra le sue braccia, stringendosela al petto e le accarezzò i capelli. «Lo so. Ecco perché sono qui.»

«Non dovresti,» gli rispose. «Tuo padre è sul pianeta: è venuto a cercarti. Credo che stia architettando qualcosa.»

«So anche questo, » Luke cercò di calmarla.

«Come?» chiese la donna.

«Attraverso la Forza,» le spiegò.

Lei si liberò dal suo abbraccio e lo guardò preoccupata. «Può sentirti anche lui?»

«Sì,» annuì. «Anche se al momento non mi ha ancora localizzato esattamente. Vieni con me: ho trovato qualcuno che mi sta nascondendo in un posto sicuro.»

«Va bene,» Asha si alzò pronta a partire. Ma si fermò e lo guardò negli occhi, ricordandosi di qualcosa. «Ho una notizia…»

«Sei incinta,» l’anticipò sorridendo.

Lei lo guardò con aria interrogativa. «Non l’ho detto a nessuno.»

«L’ho percepito quando eravamo a Coruscant,» le spiegò, accarezzando delicatamente la sua pancia ancora piatta. «La sua luminosità è sorprendente,» disse come in sovrappensiero.

«Perché non me l’hai detto?»

«Eri troppo turbata e preoccupata,» le rispose. «Non volevo appesantire il tuo fardello.» Le prese una mano e le disse: «Adesso dobbiamo andare. Ho una nave per scappare nel porto spaziale della città.»

Lei annuì e lo seguì fino alla finestra.

Luke si piegò sul davanzale e dalla sua cintura srotolò una corda con un uncino. Con un piccolo aiuto della Forza, lo lanciò sul ramo dell’albero difronte e l’agganciò, tirando il cavo per verificare che fosse sicuro. Poi, salì sul bordo e le fece segno di abbracciarlo. «Vieni!»

Asha era impaurita. «Sembra pericoloso!»

«No,» il Sith scosse la testa e gettò un’occhiata giù al giardino. «È solo il secondo piano.»

Ma lei non si mosse.

«Non ti preoccupare!» le fece pressione. «Non hai idea di quanta gente io abbia rapito in questo modo. Nessuno è mai caduto.»

La moglie lo guardò scioccata, incerta se stesse dicendo sul serio, e rimase immobile.

Non avevano tempo da perdere. Si inchinò verso di lei, le mise un braccio intorno alla vita e praticamente la sollevò sul davanzale. «Abbracciami,» la istruì, «chiudi gli occhi e in un attimo saremo sani e salvi a terra.»

Fece come le era stato detto, anche se stava tremando.

«Fidati di me,» le sussurrò all’orecchio. «Ho fatto un salto di più di quaranta piani con l’Onorevole rappresentante di Alderaan.»

«Chi è costui?» chiese la giovane, non osando aprire gli occhi.

«Costei è la tizia di cui eri gelosa,» scherzò lui, spingendosi in fuori.

Era un salto breve e in men che non si dica toccarono dolcemente il suolo. La baciò sulla fronte e le disse: «Vedi? È finita.» La lasciò e sganciò la corda dal ramo.

«Allora avevo ragione,» lo sfidò Asha, mantenendo il tono basso. «Tu hai avuto una storia d’amore con quella donna!»

«Cosa?!» mormorò il giovane Sith, volgendosi verso di lei. «Io l’ho arrestata, perché mio padre voleva interrogarla.»

«Deve essere stata veramente terrorizzata,» rifletté sua moglie seriamente. «Non ti sei sentito in colpa?»

Un fugace dispiacere scintillò negli occhi azzurri. «È una lunga storia. È meglio che ne parliamo in un altro momento.»

Lei annuì, comprendendo che era un argomento delicato, e lo seguì nel sottobosco.

Raggiunsero il punto delle mura da cui Luke era entrato. Osservò in alto dove poter agganciare la corda.

«Basta salti,» gli disse Asha piano: «Uno è stato sufficiente!» Si voltò e ritornò indietro nel giardino di qualche passo. «Vieni: conosco un’uscita segreta.»

Lo condusse in un’area più fitta del bosco. Poi si guardò intorno e si inginocchiò al suolo, spazzando via le foglie secche con le mani.

Il giovane Sith si chinò di fianco a lei e l’aiutò. «Cosa stiamo cercando?»

«Una botola segreta,» gli mormorò, mentre le sue mani si fermarono. «Credo di averla appena trovata,» disse e provò a tirare la catena. Ma non accadde nulla.

Lui prese via l’oggetto dalle sue mani e strattonò bruscamente. La porta si aprì.

La donna mise i piedi nel buco al suolo e si sedette sul bordo. «Hai una torcia?»

«Naturalmente,» le rispose, sganciandola dalla sua cintura e mostrandogliela.

«Ottimo.» Lei la prese e l’accese, facendo attenzione a mantenere il fascio di luce all’interno del buco. Poi, di colpo, si spinse dentro.

«Asha!» la chiamò Luke a voce bassa.

«È tutto a posto. Vieni,» gli fece fretta dal di sotto.

Scese anche lui. «Non farlo più,» la rimproverò affettuosamente.

La giovane sorrise. «Non ti preoccupare: conosco questo posto.»

Il Sith si guardò intorno. Dal poco che poteva vedere nell’oscurità, erano dentro un corridoio stretto. Lo esaminò con la Forza: continuava per parecchi chilometri in entrambe le direzioni. «Che cos’è?» le chiese.

«Un passaggio segreto di sicurezza che mio padre ha fatto scavare quando le guerre si sono intensificate,» gli spiegò. «Là,» indicò in avanti rispetto alla loro direzione, «possiamo arrivare direttamente nel porto spaziale della capitale. Invece alle nostre spalle ci sono le colline.»

Luke osservò in alto la luce che proveniva dalla superficie. Saltò abbastanza da afferrare la corda della botola e la richiuse.

Asha lo guardò con un po’ di panico. «Non so come funziona l’apertura dall’interno.»

Lui scrollò le spalle. «Posso sempre tagliarla con la mia spada laser, ma spero piuttosto di uscire nel porto spaziale.» Le fece segno di dargli indietro la torcia.

La moglie non ebbe da ridire e lo lasciò fare strada verso la città.

Camminavano velocemente. Il giovane Sith rifletteva che erano molto fortunati: quel passaggio segreto avrebbe permesso loro di evitare un bel po’ di problemi e sarebbero arrivati al porto spaziale prima dell’alba. Eppure una sensazione fastidiosa lo disturbava: era sicuro che la Forza lo stesse mettendo in guardia. Estese di più le sue percezioni e raggelò. Si fermò bruscamente.

Asha andò quasi a sbattere contro di lui. «Cos’è successo?»

«Vader,» le rispose. «Lo sento avanti in questa direzione.» Si voltò per guardarla in faccia. «Dobbiamo tornare indietro verso le colline.»

Si voltò anche lei e ripercorsero i loro passi quasi correndo.

Come aveva fatto a non percepirlo prima? Luke non lo sapeva e non aveva tempo per rifletterci, ma era arrabbiato per il proprio fallimento: avevano perso tempo prezioso camminando nella direzione sbagliata. Ritornarono presto sotto la botola nel giardino del Palazzo Reale e il giovane interruppe la corsa. Era quasi tentato di riaccompagnare Asha sana e salva nella sua camera, prima di fuggire da solo. «Cosa c’è sulle colline?» le chiese: aveva bisogno di più informazioni.

«Boschi per diversi chilometri. Poi una cittadina,» gli rispose.

«Con un porto spaziale?» pressò lui.

«Non sono sicura, ma credo di sì: è un’area di esportazione di merci agricole,» spiegò la donna.

Luke guardò nuovamente alla botola proprio sopra di loro.

Asha comprese a cosa stava pensando il marito e scosse la testa: «Non torno a casa: voglio venire con te.»

Il Sith poté scorgere appena alla debole luce della torcia la risoluzione negli occhi di lei e sorrise. «D’accordo. Ma dobbiamo affrettarci: posso sentirlo avvicinarsi. Ha sicuramente intercettato la mia posizione e ci inseguirà.»

Ripresero la loro fuga. Luke non era in grado di stabilire per quanto tempo avessero camminato o per quanti chilometri. Non erano probabilmente tanti quanti gli sembravano. Ma era ancora oppresso dall’oscura presenza che stava dando loro la caccia e che lo adombrava nella Forza.

La coppia raggiunse una porta davanti a loro. Il giovane Sith provò ad aprirla, ma rimaneva chiusa immobile. Puntò il raggio della torcia per osservarla meglio e trovò una serratura senza maniglia. Colpì il meccanismo con un pugno, ma non funzionò. Passò la torcia ad Asha, sganciò la sua spada laser e l’accese.

La donna sobbalzò in sorpresa quando la lama rossa prese vita: lui non l’aveva mai usata in sua presenza.

Le fece segno di stare indietro e senza alcun sforzo tracciò un buco nel ferro sottile, che cadde in fuori.

I raggi dell’alba li accecarono.

Entrambi sbatterono le palpebre per adattare la vista alla prima luce del giorno. Davanti a loro, il fianco della collina scendeva per alcuni chilometri, solo per poi risalire nella collina successiva. Alberi bassi dai bianchi tronchi attorcigliati ricoprivano l’intera area. Era un paesaggio delizioso.

«I nostri uliveti,» dichiarò Asha orgogliosamente.

Luke le concesse un sorriso in risposta, prima di ritornare ai loro pressanti problemi. «Dov’è la città?»

«Là.» Indicò un insediamento lontano sul pendio difronte a loro.

Il giovane Sith annuì, spense la spada, ma non la riagganciò alla cintura, e riprese il cammino. Il percorso tra gli alberi era sicuramente più piacevole rispetto al claustrofobico corridoio segreto, ma si sentiva meno sicuro di prima. Percepiva Vader proprio dietro di loro e un intero plotone con lui. I soldati camminavano più rapidamente di quanto potesse fare la coppia.

L’uomo provò ad accelerare il passo, ma Asha non era ovviamente tanto allenata come lui e iniziava a essere stanca. La prese per mano e, tirandola con gentile fermezza, la obbligò a non demordere. Ora si trovavano nella valle: non potevano tornare indietro, dove i soldati stavano avanzando, ma la risalita verso la cittadina era ancora lontana alcuni chilometri. Erano esposti a essere osservati dall’alto, mentre lui non aveva nessuna visuale della situazione, trovandosi sul terreno più in basso.

Luke, lo chiamò telepaticamente suo padre. Non hai più vie di fuga.

Non rispose, tentando di coprire la loro esatta posizione.

Non ti puoi nascondere per sempre, Luke, il Signore Oscuro lo avvertì di nuovo.

Si voltò nella direzione in cui sapeva essere Vader, ma non lo poteva scorgere. Eppure era così vicino ora.

Ferma questa follia, figlio!

Luke si accigliò.

«Cosa c’è?» chiese Asha, incerta su cosa stesse accadendo. Ansimava apertamente ora.

Il giovane Sith si fermò, si voltò verso di lei e le afferrò le braccia. «Asha, abbiamo un plotone imperiale proprio dietro di noi.»

Gli occhi impauriti di lei corsero alle loro spalle un istante, prima di fissarlo di nuovo.

«Io ti coprirò le spalle, ma tu devi correre più veloce che puoi verso la città,» la istruì.

La moglie scosse la testa: era senza fiato per lo sforzo e non voleva lasciarlo.

«Non arrenderti ora,» le ordinò e le baciò la fronte. Poi la lasciò andare. «Corri!»

Nonostante il precedente rifiuto, lei obbedì e proseguì spedita in avanti.

Luke ne fu in qualche modo sollevato e si voltò indietro per affrontare i primi soldati. Accese la spada laser e si immerse nella Forza. Percepì una raffica di laser alla sua sinistra e la intercettò: non un laser, un colpo a stordimento.

Si nascose dietro un albero e attese che il soldato si avvicinasse. Non appena fu entro il suo raggio d’azione, lo colse di sorpresa e lo decapitò. Il suo commilitone era subito dietro di lui e lo trapassò in mezzo al petto. Sondò nella Forza: erano solo un piccolo avvertimento; la maggior parte dei soldati si trovava ancora indietro, il Signore Oscuro era in mezzo a loro. Ora stavano avanzando più piano di quanto fossero in grado. Gli veniva concesso un piccolo vantaggio per qualche ragione ignota. A che gioco stava giocando suo padre?

Si voltò verso la strada percorsa da Asha. Non la poteva più vedere. Doveva essere stata più veloce di quanto avesse pensato. Corse dietro di lei, ma sembrava essere scomparsa. Decise di cercarla con la Forza. Ma prima che potesse individuarla, udì l’urlo di lei alla propria destra. Si voltò immediatamente.

Boba Fett la teneva prigioniera e stava puntando un fucile alla sua tempia con il grilletto mezzo premuto.

Luke gelò in terrore. Aveva la spada ancora accesa in mano, ma la distanza tra loro era troppo. Persino se gli avesse afferrato la gola con la Forza, il cacciatore di taglie avrebbe avuto abbastanza tempo per finire il colpo.

L’uomo mascherato era furbo: aveva soppesato bene le opzioni del suo avversario. «Sarebbe troppo rapido persino per un Sith,» confermò i calcoli del giovane. «Se non vuoi vedere saltare in aria il cervello della tua amata, è meglio che getti la spada.»

Senza muovere un solo dito, Luke spense la spada e la lasciò cadere al suolo. Il dolore esplose immediatamente in mezzo alla sua schiena. Un colpo stordente, comprese. Sentiva la scarica elettrica diffondersi attraverso i suoi nervi. Ma non poteva perdere i sensi proprio ora: Asha aveva bisogno di lui! Chiamò in aiuto la Forza, cercando di resistere alla dolorosa paralisi che gli stava bloccando tutti i muscoli. Cadde prone come morto, ma riuscì a rimanere cosciente, anche se non poteva muoversi o parlare e tutto era confuso.

«Luke!» sentì Asha gridare il suo nome.

Poi un ben conosciuto respiro rumoroso provenne da dietro di lui. «Molto bene, cacciatore di taglie,» lodò il Signore Oscuro. «Adesso riportala salva dalla sua famiglia: l’alleanza con Ujjain è ancore utile.»

«Come desiderate, mio signore,» rispose Boba Fett. Il Sith più giovane udì i suoi passi allontanarsi insieme ai singhiozzi di sua moglie.

Vader si concentrò su di lui. Sentì la sua presenza tenebrosa nella mente. «È ancora cosciente,» osservò. «Ostinato come sempre. Spara ancora!» ordinò al soldato.

Un secondo colpo in mezzo alla schiena mandò un’altra scarica al suo corpo. Non aveva più forze per resistere e svenne.

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Questa fiction è scritta solo per divertimento e non mi procura alcun guadagno. I personaggi e la galassia di Guerre Stellari appartengono alla Lucasfilm e alla Disney. Per i personaggi e i luoghi di mia invenzione, ho usato nomi presi dal mondo reale, ma li ho scelti soltanto perché stavano bene nella fiction e, quindi, non hanno alcuna relazione con persone vere o fatti storici: ogni eventuale rassomiglianza è puramente casuale.

Ringraziamenti
Desidero ringraziare jedi1952 per la revisione della versione originale inglese di questa fanfiction. Avendomi segnalato alcuni importanti problemi nella caratterizzazione dei personaggi e nelle scene, il suo lavoro è stato fondamentale e anche questa versione italiana sarebbe sicuramente diversa senza il suo aiuto.
La responsabilità di quanto scritto è naturalmente solo mia.

------------ Capitolo 10 ------------
 

Quando Luke rinvenne e aprì gli occhi, si trovò sdraiato sul freddo pavimento di una cella. La riconobbe facilmente come la prigione dell’Executor dove i ribelli aspettavano di essere interrogati. Sapeva fin troppo bene che pochi passi più in là, dietro la porta chiusa, si trovava la stanza dove Vader eseguiva il suo lavoro più sporco. Niente avrebbe potuto fargli comprendere meglio la sua situazione attuale.

Toccò la sua cintura sulla sinistra. La sua spada laser non vi era più agganciata. Naturalmente.

Fu sopraffatto dalla rabbia per il modo in cui era caduto in trappola. Non la scacciò: aveva bisogno di tutte le sue forze più oscure se voleva scappare da lì. Si alzò in piedi e chiamò la Forza per muovere i controlli delle porte scorrevoli. Ma… la Forza non c’era. Non sentiva nulla: non importava con quanta volontà provasse a chiamarla, solo un silenzio sconcertante permeava i suoi sensi. Non aveva mai sperimentato nulla di simile prima di allora e fu colto dal panico.

Si guardò intorno per capirne il motivo e notò sopra di lui una gabbietta, che pendeva dall’alto soffitto. Tra le sbarre, vide muoversi un piccolo rettile. Gli girò intorno e allungò il collo, per provare ad averne una visuale migliore. Non poteva osservarlo molto bene ed era quasi sicuro che, prima d’allora, non aveva mai avuto occasione di vederlo dal vivo, solo in foto, ma pensava che fosse un ysalamiri. Qualche volta suo padre gliene aveva parlato con disgusto, chiamandolo «una maledizione innaturale», «un’opera del male» e tanti altri epiteti del genere. Eppure, evidentemente non aveva scrupoli nell’usarlo per tenere sotto controllo il figlio traditore. Quel piccolo esemplare creava sicuramente una bolla di piccolo diametro, che nascondeva la Forza solo nel ristretto spazio della cella e non interferiva con le attività di Vader sul ponte o nel suo appartamento.

Siccome la gabbia si trovava proprio al centro del soffitto, Luke andò in un angolo in modo da trovarsi alla massima distanza possibile nel piccolo spazio della sua cella. Ma ancora non sentiva la Forza.

Se voleva avere la minima speranza di fuggire dalla sua prigione, doveva assolutamente liquidare lo ysalamiri. Tornò al centro della stanza e saltò più in alto che poté. Sfortunatamente, senza l’aiuto della Forza, non era abbastanza.

Dannazione!

Si tolse lo stivale destro e lo lanciò insù. Colpì la gabbia con abbastanza energia da farla dondolare un po’. Il rettile emise un grido acuto. Riprovò e riprovò: prendendo meglio la mira, saltando mentre lanciava, aumentando la forza, lanciando entrambi gli stivali insieme. Ma era tutto inutile: non riusciva a fare nessun vero danno. Tutto ciò che otteneva era solo di far gridare la creatura terrorizzata. Alla fine, era esausto e coperto di sudore.

D’improvviso si sentì uno sciocco, realizzando che probabilmente la gabbia era stata messa in vista proprio per aggiungere al danno la beffa. Suo padre voleva dimostrargli quando basso e impotente fosse, per farlo sentire di nuovo come un bambino dipendente e rimetterlo al suo posto.

Rassegnato, sospirò, si sedette e si rimise gli stivali.

Passò un tempo indefinito senza fine apparente. Sedette, fece qualche passo, si sdraiò e dormì. E poi si svegliò, si sedette, fece qualche passo, si sdraiò e dormì ancora. E ancora. E ancora. Non aveva la minima idea da quante ore fosse lì. Probabilmente giorni.

Nessuno venne. Ogni tanto poteva sentire degli stivali echeggiare fuori dalla cella, apparentemente senza mai fermarsi davanti alla sua porta.

La sua sola compagnia era lo ysalamiri sopra la testa. Lo sentiva masticare e succhiare. Alla dannata creatura era stato dato ciò che non era stato concesso a lui: cibo e acqua. E non era per niente strano, considerando che era il trattamento usuale per i prigionieri in attesa di interrogatorio. Il suo stomaco brontolava, ma il vero tormento era la secchezza in bocca, ben dura da sopportare senza l’aiuto della Forza. Iniziò a sognare di mangiare il rettile e di bere l’acqua della sua vaschetta, ma si trattava di un pensiero senza conseguenze, dal momento che non poteva raggiungere la gabbia.

A un certo punto, dopo un lungo tempo e prima di un altrettanto lungo tempo, sentì delle urla strazianti, cariche di dolore, provenire dalla camera di tortura. Non una grande sorpresa: le pareti di quell’area non erano acusticamente isolate di proposito, in modo che i prigionieri potessero contemplare cosa li aspettava in caso di reticenza. Era un trucco psicologico ovvio, ma funzionava benissimo: a quelle grida gli si torcevano le budella e gli veniva la pelle d’oca. Per tutto il tempo che continuò quel rumore angosciante, Luke non fu in grado di pensare a null’altro che immaginare sé stesso patire un tormento del genere.

Poi vi fu di nuovo silenzio. L’uomo era morto? Si era trattato di un ribelle? O, forse, un povero soldato, scelto a caso, solo per stroncare lo spirito di Luke? Probabilmente non l’avrebbe mai saputo.

Arrivato a questo punto, il giovane era terrorizzato sia di essere dimenticato in quella cella a morire di fame, sia di essere portato fuori per l’interrogatorio.

Così, alla fine, poteva sapere esattamente cosa aveva sofferto ogni vittima che aveva catturato. I loro volti riempirono la sua mente. Ognuna di loro era stata diversa: coraggiosamente risoluta, o spaventata, o rassegnata. Ogni essere umano aveva il proprio modo peculiare di affrontare una morte dolorosa. Si chiese oziosamente se i loro fantasmi vivessero ancora in quelle stanze allo stesso modo in cui affollavano la sua coscienza colpevole: in tal caso, che spettacolo si stava preparando per loro!

Forse era giusto. Sia Palpatine che Vader gli avevano detto che un Sith potente poteva piegare la Forza al proprio volere, ma Luke sentiva che non era così: la Forza conosceva la sua giustizia e alla fine ripagava ognuno per le proprie azioni. Forse stava solo per punirlo giustamente di tutti i suoi crimini.

Cielo! Come era arrivato a pensare che sarebbe stato giusto essere torturato? Come era arrivato in quella cella, prima di tutto? Non era un ribelle! Cosa gli era venuto in mente di passare dei segreti militari ai nemici?

Doveva riconoscere che Vader era veramente abile nel proprio lavoro: non l’aveva ancora visto, ma stava già rimpiangendo tutto ciò che aveva fatto. L’avrebbe torturato con le proprie mani?

Darth Vader, Signore Oscuro dei Sith, non era mai stato tenero con lui e nessuno si sarebbe aspettato qualcosa di diverso. Eppure… Eppure, era consapevole che suo padre non aveva mai neanche sfiorato la crudeltà prevista da un addestramento Sith. Aveva avuto a che fare con Palpatine abbastanza per sapere cosa fosse un vero maestro Sith. E, in fondo in fondo, suo padre non lo era.

Ma questa volta, non era solo un affare di famiglia. Questa volta, l’Imperatore in persona avrebbe sicuramente ordinato una morte molto lenta e dolorosa per Luke. Suo padre l’avrebbe permesso? O avrebbe corso il rischio di affrontare l’ira del Sith più anziano per il bene di un figlio che l’aveva già ingannato un paio di volte?

Non riusciva a darsi delle risposte, diviso tra paura e speranza.

A un certo punto, senza preavviso, la sua attesa angosciosa finì. Il rumore di stivali si fermò di fronte alla cella e le porte si aprirono.

Il giovane trepidante si alzò in piedi velocemente.

Un soldato apparve con un fucile tra le mani. Dietro l’uomo, nel corto corridoio, si sentiva il rumore del respiratore artificiale. Lo sguardo di Luke non ne cercò il proprietario, non desiderando affatto incontrare le sue lenti.

Vader non si avvicinò. Naturalmente non voleva entrare nell’area di influenza dello ysalamiri e provare il rivoltante silenzio della Forza, a cui aveva sottoposto il figlio.

Senza proferire parola, il soldato entrò, puntò il fucile alla gabbia e sparò un paio di raffiche di laser. Il rettile emise un ultimo forte grido e cadde immobile.

I sensi di Luke furono improvvisamente invasi dalla presenza vitale delle centinaia di migliaia di persone sulla nave e, soprattutto, dalla forte e oscura energia che suo padre stava proiettando appena fuori dalla porta. Superato quello shock, il giovane si sintonizzò meglio sul campo energetico, riprendendo il controllo della propria mente.

Silenzioso come era venuto, il soldato se ne andò, lasciandolo da solo ad affrontare il furibondo Signore dei Sith che stava avvicinandosi. I suoi stivali neri entrarono nella visuale dello sguardo abbassato del figlio.

Luke pensò che forse doveva inginocchiarsi e provare a calmarlo il più possibile, blaterando qualcosa per implorare perdono o, più realisticamente, una morte rapida con l’esecuzione veloce di una spada laser.

Il calcolo delle sue opzioni fu brutalmente interrotto dalla voce cupa, che sibilò «Ecco il traditore!», e da un pugno violento, che colpì il suo zigomo sinistro. Dovette chiamare a raccolta il suo appena ritrovato potere nella Forza per non cadere, lottando per l’equilibrio. La testa gli girava ancora, quando una mano guantata afferrò la sua gola e lo sollevò in modo che i suoi piedi non toccassero il suolo. I suoi occhi incontrarono improvvisamente la maschera nera che avevano evitato fino a quel momento.

Anche se istintivamente le sue dita afferrarono la mano meccanica che lo soffocava, non lottò per davvero. Forse, dopotutto, suo padre gli voleva abbastanza bene da finirlo alla svelta. Il dolore si fece acuto e, solo con uno sforzo enorme, poté mormorare: «Più veloce, ti prego.» La presa si strinse. La sua vista si offuscò e si rese conto con riconoscenza che stava per svenire. Ma improvvisamente fu lasciato andare e cadde a terra. L’aria passò di nuovo nella sua gola bruciata e automaticamente si massaggiò il collo per lenire l’indolenzimento della sua pelle livida.

Così seppe che ciò che era accaduto non era stato altro che uno sfogo paterno. Non osando alzare la testa, lanciò un’occhiata furtiva all’ombra nera che incombeva su di lui.

«Non commetterò di nuovo questo errore,» dichiarò Vader, come se stesse rispondendo alla precedente supplica del figlio.

Ma Luke non capì. Cosa voleva dire «di nuovo»? Suo padre non aveva mai afferrato la sua gola prima d’allora, né con le mani, né con la Forza. Il giovane si inginocchiò e decise di appellarsi alla pietà, se in qualche modo il Sith ne provava: «Ti prego, dammi una morte veloce, mio signore.»

«Taci!» ordinò Vader seccamente, alzando una mano imperiosa. «Di sicuro sai che Palpatine non lo permetterà» fu la raggelante risposta. Si voltò e si allontanò di qualche passo. La sua rabbia stava scemando e le sue mani corsero dietro la schiena, come era solito fare quando meditava qualcosa.

Luke alzò lo sguardo sul retro del suo elmetto, insicuro su cosa dire.

«Voglio delle risposte.» La maschera nera si voltò indietro verso suo figlio, incontrando il suo sguardo. «Veloci e chiare, senza neanche l’ombra di una bugia.» La sua voce si incupì minacciosa: «Farò tutto ciò che è necessario per averle.»

Non ci poteva essere la minima incomprensione su ciò a cui si stava riferendo. Il giovane ritornò subito pienamente consapevole di dove si trovavano. Il suo cuore accelerò e deglutì. Il suo sguardo passò oltre la sagoma di suo padre e si focalizzò sulla porta: pochi passi più in là c’era la camera degli interrogatori. Immagini dei prigionieri in tormento lo assalirono.

L’Alleanza non significava niente per lui. I ribelli avevano fatto il loro sporco lavoro nel far saltare la Morte Nera e non aveva veramente più niente da nascondere. Non si sarebbe fatto torturare. Guardò di nuovo le lenti nere e annuì per cooperare. Percepì la soddisfazione di Vader.

«Dove e quando hai rubato i piani?» chiese, invadendo con forza la mente di suo figlio per poter rilevare qualsiasi traccia di inganno.

Luke non poteva evitare l’indagine e abbassò gli occhi a terra, sopraffatto dalla dolorosa intrusione. Era consapevole che doveva essere completamente sincero questa volta. «Circa un’ora prima che lasciassimo la Morte Nera, avevo scaricato i piani dall’ufficio di sviluppo, mentre stavo verificando le nuove armi per i Tie fighter.»

«Allora perché ti sei connesso dal Palazzo Imperiale?» La voce irata del Signore Oscuro si rivestì di perplessità.

«Non avevo avuto abbastanza tempo per scaricare il programma di decriptazione sulla Morte Nera,» spiegò il giovane Sith. «Perciò l’ho scaricato al Palazzo Imperiale, appena prima della cerimonia di nozze.»

«Come hai fatto a passare i piani all’Alleanza?» suo padre pressò senza tregua.

Luke sospirò. Non aveva alcuna voglia di denunciare Leia, ma non voleva affrontare le conseguenze di un eventuale silenzio. Oltretutto lei sembrava scomparsa: al momento doveva essere piuttosto al sicuro, certamente molto più di lui. «Li ho dati alla Senatrice Organa, nell’hangar del Senato,» rispose infine.

Il Signore Oscuro esitò stupito. «Si è fidata di te?»

Suo figlio scrollò le spalle.

«Le hai detto anche l’ubicazione della Morte Nera?»

«Ci siamo incontrati a Rhen Var,» il giovane ammise. «Aveva ingannato di proposito i nostri Servizi investigativi con la storia della spia, per potermelo chiedere.»

«E il Bothan morto?» Se possibile, la voce meccanica si incupì.

Luke deglutì. «Ho preso da una prigione di Bothawui un criminale comune condannato a morte. Poi, l’ho giustiziato in modo che sembrasse rimasto ucciso in un tentativo di fuga.»

«Certo che hai dell’iniziativa, quando vuoi.» Il tono di suo padre era un misto di accusa e rancore.

Improvvisamente qualcosa scattò nel giovane Sith, nonostante la sua situazione attuale raccomandasse sottomissione. La sua mascella si indurì e alzò lo sguardo rabbioso per guardare dritto nelle lenti nere. «Ho avuto un maestro severo,» sibilò gelido.

Il respiro di Vader accelerò per quanto l’apparato meccanico permettesse e le sue mani si chiusero a pugno.

Un breve guizzo di rimorso apparve nella oscura presenza che opprimeva la mente di Luke. Poi sparì velocemente, lasciando il giovane nel dubbio che fosse stato reale.

Se il Signore Oscuro avesse provato per un istante un qualche scrupolo, sicuramente l’aveva presto scordato e continuò con il suo interrogatorio. «Perché l’hai fatto?»

Suo figlio sbatté gli occhi. «Quella cosa era mostruosa. Dovevo fermarla.»

«Affidandoti ai nemici, invece che a tuo padre?» Vader chiese con un tono di rimprovero.

Gli occhi di Luke si spalancarono. Poteva forse dire che non concordava con il principale progetto dell’Imperatore?

Il pensiero doveva essere risuonato chiaro al Signore dei Sith, che ancora invadeva la sua mente, poiché rispose con un tono paternalistico: «Non sei più un bambino, figlio mio. Inizi a renderti conto che il governo della Galassia non funziona. Palpatine non vuole la pace. Non l’ha mai voluta. Lui stesso ha manipolato le Guerre dei Cloni dietro le scene, mentre gli erano stati dati i pieni poteri per fermarle.» Il suo tono divenne più risentito. «Io sono stato ferito su Mustafar, dove ero andato a giustiziare i Separatisti che lui aveva mandato lì.»

In tutta la sua vita, Luke non aveva mai sentito tanta amarezza nella voce di suo padre e capì in pieno il tradimento che il Signore Oscuro aveva sopportato, non solo per mano di quel tizio, Kenobi. I lineamenti del giovane si addolcirono quasi in compassione.

Vader si ricompose, ritornando al suo solito tono freddo. «Hai ragione: la Morte Nera era una bestemmia che non poteva passare impunita. Ma,» aggiunse severamente, «i ribelli non sono la soluzione.»

Il giovane Sith abbassò la testa, annuendo in ammissione dei propri errori. «Lo so, ma non avevo alternative.»

«Il tuo addestramento è quasi completo,» il Signore Oscuro stese una mano invitante verso di lui. «Unendo le nostre forze possiamo distruggere l’Imperatore, porre fine a questo conflitto distruttivo e portare ordine nella Galassia. Possiamo governare insieme come padre e figlio.»

Luke rialzò lo sguardo verso le lenti e un leggero sorriso incredulo increspò le sue labbra. Non aveva mai osato pianificare l’uccisione di Palpatine, perché era molto più forte di lui e non aveva immaginato che anche suo padre la desiderasse. Ma capì che insieme ce l’avrebbero fatta. Nella sua vita, il giovane Sith non aveva conosciuto altro che guerra, come se fosse stata una parte inevitabile dell’esistenza. Una leadership più saggia l’avrebbe fermata, portando la pace. Era sicuro che suo padre sarebbe stato più clemente dell’Imperatore, ne aveva fatto esperienza molte volte, e presto anche gli altri l’avrebbero capito, cessando le ribellioni. Ma in mente non aveva solo il bene della Galassia in generale: anche lui aveva i suoi problemi. «Potrò riavere mia moglie?»

Il Signore Oscuro incrociò le braccia sul petto e rispose: «Naturalmente.» L’aria divertita in fondo al suo tono era chiara e, nella Forza, persino la risatina coperta dalla maschera. «Assomigli molto a tuo padre, giovanotto,» aggiunse come secondo pensiero. «Adesso alzati, figlio mio.»

Il giovane Sith obbedì e attese disposizioni, mantenendo uno sguardo interrogativo verso le lenti nere.

«Per sconfiggere Palpatine, bisogna che ti addestri su un’abilità che ancora ti manca del tutto,» spiegò Vader.

Suo figlio annuì, sapendo bene di cosa si stesse parlando: i fulmini della Forza. Sfortunatamente aveva dell’esperienza sulla loro violenza, ma non aveva mai provato a generarli.

«Non abbiamo molto tempo, perché saremo a Coruscant entro pochi giorni,» il Signore Oscuro proseguì. «Adesso, va’ nella tua stanza, bevi, mangia e riposa. Domattina ti addestrerò.»

Luke inchinò la testa in rispetto. Avrebbe dovuto anche pronunciare qualche frase formale. Ma, per la seconda volta nella sua vita, era stato appena graziato da una morte meritata: non aveva mai sentito che a qualcun altro fosse stata usata tanta clemenza su quella nave. Avrebbe voluto esprimere in qualche modo la propria riconoscenza, ma gli mancavano le parole. L’uomo davanti a lui non gli aveva mai concesso la minima confidenza e il giovane Sith non aveva idea di cosa dire per far arrivare il suo messaggio oltre l’invisibile muro gelido che li divideva. Alla fine, sussurrò: «Grazie, padre,» tralasciando il titolo onorifico che gli era stato insegnato a usare.

Vader si paralizzò in sorpresa. Il rumore del respiratore artificiale era l’unico indizio sensoriale che fosse ancora vivo. Eppure non trasmetteva nella Forza rabbia o irritazione, ma anzi un’immediata comprensione dei sentimenti del figlio. Dopo quattro cicli di respiri meccanici, annuì in riconoscimento di quelle parole, dando al giovane il più profondo senso di approvazione che gli avesse mai accordato in diciassette anni.

Il momento passò senza un commento e, quando entrambi sentirono che era finito, il Signore Oscuro lo avvertì con un tono più mite del solito: «Se fallisci questa volta, nessuno di noi due sopravvivrà.»

«Non fallirò,» Luke rispose risolutamente.

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Questa fiction è scritta solo per divertimento e non mi procura alcun guadagno. I personaggi e la galassia di Guerre Stellari appartengono alla Lucasfilm e alla Disney. Per i personaggi e i luoghi di mia invenzione, ho usato nomi presi dal mondo reale, ma li ho scelti soltanto perché stavano bene nella fiction e, quindi, non hanno alcuna relazione con persone vere o fatti storici: ogni eventuale rassomiglianza è puramente casuale.

Ringraziamenti
Desidero ringraziare jedi1952 per la revisione della versione originale inglese di questa fanfiction. Avendomi segnalato alcuni importanti problemi nella caratterizzazione dei personaggi e nelle scene, il suo lavoro è stato fondamentale e anche questa versione italiana sarebbe sicuramente diversa senza il suo aiuto.
La responsabilità di quanto scritto è naturalmente solo mia.

------------ Capitolo 11 ------------
 

Questa volta Luke spinse con la Forza il soldato piuttosto energicamente, ma ancora nessun fulmine uscì dalle sue mani.

L’uomo di mezza età gridò per la sorpresa, volando alcuni metri indietro. Batté la testa sul pavimento e svenne. Il giorno precedente, con un pessimo tempismo, si era fatto cogliere con le mani nel sacco, mentre stava rubando dagli armadietti dei commilitoni. Perciò era stato immediatamente promosso a bersaglio per i pietosi tentativi del giovane Sith di produrre i fulmini della Forza. Vader non sentiva davvero la necessità di un pretesto, quando occorreva scegliere una cavia. Ma, siccome Luke di solito sì, suo padre era abbastanza comprensivo da facilitare l’addestramento cercando qualcuno con una colpa qualsiasi: non era difficile in mezzo a un equipaggio così numeroso.

La palestra divenne silenziosa, a parte il rumore del respiratore meccanico, alle spalle di Luke. Com’era ovvio, il Signore Oscuro non era soddisfatto della sua prestazione. Stava chiaramente riflettendo su come istruire meglio il figlio. «Non importa con quanta energia spingi nella Forza,» gli disse infine. «La qualità dei tuoi sentimenti fa la differenza, non la loro profondità. Devi rilasciare rabbia e odio puro.»

Il giovane annuì automaticamente, ma si stava stancando. Quelle sessioni sui fulmini si erano dimostrate le più frustanti che avesse mai sopportato. Era piuttosto irritante ascoltare prediche su qualcosa che suo padre stesso non poteva fare e molto difficile imparare senza un esempio da seguire.

Il soldato rinvenne, sbattendo le palpebre.

«In piedi!» gli ordinò Vader secco.

Non desiderando cadere in ulteriore disgrazia, l’uomo obbedì docilmente, anche se con qualche difficoltà, e si mise a pochi passi davanti a Luke, come gli era stato spiegato all’inizio della sessione. Il suo volto rivelava con chiarezza che si era pentito della sua stupida avidità.

Il Sith più giovane alzò le mani nella sua direzione. Provò a odiarlo: quest’uomo non era un ladro che causava solo problemi? Non doveva essere disprezzato? Forse c’era qualcosa di sbagliato in Luke, perché a fatica poteva provare ostilità per lui. Perciò, cambiò strategia e si figurò mentalmente la faccia di Palpatine, l’ultimo vero destinatario dei suoi sforzi. Chiamò la Forza dal suo essere interiore e spinse ancora. La rabbia, che provava per l’Imperatore, si mescolò immediatamente alla costernazione per la paura che vide negli occhi del soldato. La risultante spinta debole, senza la minima traccia di fulmini, fece solo dondolare l’obbiettivo fino a farlo cadere sulle proprie ginocchia, con gli occhi ancora rivolti alla faccia del suo aggressore.

Davanti al nuovo fallimento, Luke chinò la testa. Poteva percepire facilmente l’impazienza di suo padre. Udì la spada di Vader accendersi dietro di lui: gli ci volle tutto il suo autocontrollo per non sobbalzare. La parte terminale della lama rossa entrò nell’angolo inferiore della sua visuale, vicino al suo braccio destro, lasciato nudo dalla canotta che indossava abitualmente durante l’addestramento. Chiuse gli occhi e si morse il labbro. Il rovente tocco della spada lo tagliò lentamente, ma superficialmente, sulla parte superiore del suo arto. Deglutì, reprimendo un gemito, mentre poteva sentire l’odore della propria carne che si cauterizzava. Respirò profondamente. Poi riaprì gli occhi.

Il soldato, pieno di stupore, stava osservando la ferita. Il suo sguardo corse alle tenui cicatrici che coprivano entrambe le braccia del giovane Sith. L’improvvisa comprensione che erano il risultato di anni di addestramento divenne chiara alla sua mente e uno sguardo empatico gli apparve sulla faccia.

Quel tizio lo stava compatendo!

La rabbia di Luke crebbe subito forte. Chi si credeva di essere? Una specie di suo camerata nella disgrazia? Quel soldato non capiva niente: non poteva nemmeno comprendere la differenza tra gli spiacevoli svantaggi di un addestramento Sith e l’adeguata punizione per un ladro. Ora, desiderava che l’uomo soffrisse per la sua insolenza. Alzò le braccia e rilasciò un rapido, ma potente, fulmine.

L’uomo urlò per il dolore e cadde a terra.

Capiva adesso? Al giovane Sith non interessava veramente, voleva solo fargli del male. Lo colpì ancora, questa volta continuando a generare fulmini.

Il soldato non poteva far altro che gridare e contorcersi per il dolore… proprio come Luke stesso aveva fatto diverse volte sotto gli attacchi di Palpatine.

L’improvvisa consapevolezza spezzò la sua concentrazione. Guardò dubbioso al tizio che ora stava gemendo debolmente. Conosceva anche troppo bene la nausea e la disperazione che l’uomo stava provando.

«Notevole,» lo lodò suo padre. «Veramente notevole. Devi imparare a protrarre ciò che hai sentito.»

Il giovane annuì debolmente, mentre i suoi occhi colpevoli erano ancora fissi sul soldato: la maggior parte del dolore se n’era andato, ma la paura di un nuovo attacco era chiara sulla sua faccia.

«Uccidilo,» ordinò Vader.

Luke deglutì. Non poteva. Non poteva proprio: non lo odiava più; non voleva che soffrisse. «Io… io…,» balbettò. Cosa poteva dire? Giustificazioni e lamentele non erano opzioni: facevano sempre arrabbiare il Signore Oscuro nei suoi confronti. «Io penso che abbia imparato la lezione per questa volta,» si lasciò sfuggire alla fine.

Udì i passi di suo padre: da dietro gli girò intorno per guardarlo in faccia. Poteva percepire il suo sguardo su di lui. Stava chiaramente soppesando il rifiuto del figlio. Stava per punirlo di nuovo?

«Molto bene,» gli accordò Vader sorprendentemente. «Sei abbastanza grande per giudicare in queste faccende di minore importanza. Se non riesci a sentire che merita la morte è inutile proseguire,» gli spiegò. Poi, si voltò verso il soldato che si stava lentamente alzando. «Siete un uomo molto fortunato. Fate in modo che non senta più la minima lamentela sul vostro conto o mi occuperò personalmente di voi, davanti al vostro stesso plotone. Siete licenziato.»

«Grazie, mio signore,» l’uomo balbettò, ancora incredulo di essere vivo. Fece il saluto militare e se ne andò.

Quando padre e figlio furono di nuovo da soli, il Signore Oscuro riprese a parlare con Luke. «Sappi che domani saremo a Coruscant,» lo mise in guardia, puntandogli un dito. «Per il tuo bene, è meglio che tu sia più determinato.»

Il giovane Sith impallidì all’idea del prossimo duello con Palpatine, ma annuì leggermente, guardando dritto nelle lenti nere: era sicuro di poter facilmente protrarre l’odio per il vecchio tiranno.

«Ora devo andare sul ponte. Questa sera, vieni nel mio ufficio: dobbiamo ancora studiare alcuni dettagli del nostro piano,» lo istruì Vader prima di lasciare la stanza.
 

***
 

Il giorno seguente, Luke sentiva le sue viscere stringersi in paura, mentre lui e Vader camminavano lungo i corridoi del Palazzo Imperiale che conducevano alla sala del trono, nella parte superiore della costruzione. Ufficialmente era un prigioniero portato difronte all’Imperatore. In realtà le sue mani erano libere e la sua spada laser era agganciata alla sua cintura. Era ben consapevole che, entro un’ora, almeno uno di loro tre sarebbe stato morto. Suo padre si diceva certo della loro vittoria. Eppure, lui non si sentiva così ottimista. Naturalmente erano in due contro uno, ma Palpatine era molto più forte di loro: le ferite del Signore Oscuro lo indebolivano, nonostante il suo grande potere; suo figlio era giovane e in salute, ma ancora carente in esperienza.

La porta si aprì ed entrarono dentro la sala del trono. Nella parte superiore della stanza, Palpatine sedeva sul suo scranno nero, girato verso l’ampia finestra. Apparentemente osservava il paesaggio.

Vader camminò verso la breve scala per avvicinarglisi. Come avevano concordato il giorno precedente, Luke si occupò immediatamente delle due guardie rosse. Senza nemmeno girarsi verso di loro, afferrò le loro gole con la Forza e le soffocò, mentre camminava dietro suo padre.

Il trono ruotò e il vecchio tiranno li squadrò con un sorriso sottile dipinto sulle labbra. «Lord Vader,» disse con un quieto tono divertito, «finalmente! Iniziavo a pensare che non avessi il coraggio di completare il tuo apprendistato.» Si alzò lentamente e avanzò di qualche passo.

Luke si stupì all’accettazione del tradimento in quelle parole, come parte naturale della vita dei Sith. Quello non era ciò che Vader gli aveva insegnato.

Palpatine rise e l’osservò. «Sei sorpreso, ragazzo

Il più giovane dei Sith non si sentiva abbastanza sicuro su cosa rispondere e rimase in silenzio.

«Cosa pensi?» lo schernì l’Imperatore, «Che se io vengo eliminato, tu e Vader non vi tradirete l’un l’altro solo perché siete padre e figlio?»

Luke non ci aveva mai pensato e probabilmente avrebbe fatto meglio a non pensarci proprio in quel momento. La sfida aveva lo scopo evidente di rompere la sua concentrazione e minare la sua lealtà. Eppure non poté fare a meno di interrogarsi, con l’angolo dell’occhio osservò il Signore Oscuro a suo fianco.

Suo padre, ben consapevole di ciò che stava accadendo, interruppe il monologo del suo padrone accedendo la sua spada. «Tutto ciò non ha senso,» dichiarò.

Palpatine gli rivolse una veloce occhiata, prima di rivolgersi di nuovo al giovane. «Ora ha bisogno di te per detronizzarmi, ma dopo tu sarai solo un pericolo per lui,» lo mise in guardia minacciosamente.

Gli occhi azzurri si rivolsero completamente verso suo padre questa volta, valutando la situazione. Luke non raggiunse una conclusione certa, ma desiderava solo che il vecchio tiranno la smettesse di parlare e di instillargli dei dubbi.

L’Imperatore era naturalmente consapevole del suo disagio e proseguì, mantenendo il tono calmo. «La fede in tuo padre è la tua debolezza.»

«E la sicurezza è la vostra,» ribatté questa volta il giovane.

Il sorriso di Palpatine si ampliò. «Non mi credi?» lo sfidò. «Eppure, il giorno che si adirerà con te per davvero, ti strangolerà come fece con tua madre.»

L’ira del Signore Oscuro scoppiò violentemente nella Forza. Urlò di rabbia e si scagliò risolutamente contro il Sith più anziano. L’Imperatore era pronto: la sua spada laser venne fuori da qualche parte del suo mantello nero e cominciarono a combattere.

Luke rimase immobile, osservandoli. Non riusciva a muoversi dopo quello che aveva appena sentito. Le parole di Palpatine e la reazione di Vader sembravano confermare le sue peggiori supposizioni sulla fine di sua madre. Avrebbe dovuto aiutare, come avevano pianificato per giorni. Invece, fece qualche passo in avanti verso i due avversari che stavano duellando ferocemente. Aveva bisogno di risposte e ne aveva bisogno adesso, ma nessuno poteva dargliele. Perciò, raggiunse la mente di suo padre e lo sondò a fondo. L’ovvia rabbia tetra avvolgeva il suo intero essere: la sua forza era impressionante e creava quasi l’illusione che fosse l’unico sentimento dentro di lui. Quasi. Riuscendo ad attraversare quella barriera nera, il giovane Sith trovò un caos di emozioni represse che erano difficili da mettere in relazione con il Signore Oscuro: dispiacere, dolore e un bruciante rimorso. L’aveva fatto, l’aveva veramente fatto! Ma poi l’aveva rimpianto così tanto che non era stato più in grado di perdonarsi e si era proibito da solo qualsiasi felicità.

Se Vader fosse consapevole della profonda indagine che suo figlio stava compiendo, non ne diede segno. Era nei guai: nonostante Palpatine fosse più vecchio, era molto più veloce di lui. I quattro arti artificiali di Vader non potevano reggere il confronto con la rapidità del suo maestro e appariva un po’ impacciato paragonato a lui. I due contendenti scesero le scale, affrontandosi. Nel loro duello, si spostavano ruotando e le lenti nere incrociarono lo sguardo del figlio, tradendo in qualche modo un rimprovero silenzioso per l’indecisione del giovane. Quella distrazione si dimostrò fatale. L’Imperatore tagliò via la sua mano destra, lasciandolo senza la difesa della sua spada.

Ridendo, Palpatine emanò una scarica di fulmini della Forza verso il petto di Vader, bloccando temporaneamente i controlli del suo respiratore artificiale.

Il Signore Oscuro volò indietro di alcuni metri, perdendo conoscenza.

Dispiacere e vergogna s’impossessarono di Luke: aveva giurato a suo padre che non lo avrebbe deluso, ma aveva lasciato che Palpatine li dividesse e poi aveva solo guardato, senza agire. Arrabbiato più con sé stesso che con chiunque altro, fece qualche passo in avanti e, alzando le mani, emise un fulmine verso il vecchio tiranno.

L’Imperatore, colto di sorpresa, cadde e la sua spada finì a terra. Ma l’attacco non era stato molto forte: non era svenuto e si rialzò quasi immediatamente. I suoi lineamenti si indurirono.

Ora Luke era terrorizzato. Emise un’altra scarica di fulmini. Ma questa volta il suo avversario era pronto e contrattaccò con forza opposta. L’aria tra loro divenne pericolosamente elettrizzata. Il giovane Sith non era in grado di generare tanto potere più a lungo: finì colpito e cadde all’indietro.

«Giovane stolto,» sibilò Palpatine. «Quanto potenziale sprecato! Avresti dovuto scegliere meglio il tuo alleato e imparare da chi ti poteva insegnare.»

Luke scattò in piedi, sganciò la sua spada laser e l’accese. L’Imperatore attaccò ancora con fulmini di potenza enorme. Il giovane li assorbiva con la lama rossa, ma era obbligato lo stesso ad arretrare. Palpatine avanzò, continuando a originare fulmini, senza fatica apparente. Finirono per spostarsi verso la parte sinistra della stanza e poi su un ponte retrattile che conduceva al giardino privato sospeso. Sotto a esso, c’era solo il vuoto per centinaia di metri.

Nel frattempo Vader aveva ripreso conoscenza e si era avvicinato a loro. Luke vide il Signore Oscuro dietro a Palpatine, vicino al bordo, ma ancora nella stanza. La sua rimanente mano sinistra era prossima ai controlli del ponte: doveva solo premere il pulsante che lo chiudeva e avrebbe vinto.

Il giovane Sith, terrorizzato, era consapevole che non c’era possibilità di fuga né per lui stesso, né per Palpatine. Avrebbe dovuto essere orgoglioso di aver adempiuto al proprio destino, permettendo al suo padrone di conquistare l’Impero. Allora, perché non provava altro, se non il dispiacere per la vita che avrebbe perso nella sua giovinezza? Parava ancora i fulmini automaticamente, mentre si faceva coraggio per affrontare la lunga caduta, che gli avrebbe lasciato un bel po’ di tempo per pensare, e per il violento impatto finale al suolo, che lo avrebbe ucciso.

Ma Vader non si decideva a premere il pulsante e continuava a fissarlo.

Anche l’Imperatore percepì il pericolo. Interruppe l’attacco verso il giovane Sith, si voltò di scatto e, con una rapidità sorprendente, correndo verso la sala del trono, fece volare di nuovo indietro il Signore Oscuro con una violenta scarica di fulmini.

Luke sapeva che Palpatine non conosceva le esitazioni di suo padre e lo inseguì. Ma era troppo tardi: non appena l’Imperatore mise saldamente i propri piedi nella sala del trono, premette il pulsante che controllava il ponte retrattile.

Il giovane sentì il pavimento scivolare via sotto gli stivali. Lasciando cadere la sua spada laser nel vuoto, riuscì ad afferrare con le mani l’angolo del ponte che si stava chiudendo, mentre questo si avvicinava all’edificio. Ma quando esso sparì all’interno della parete, per Luke iniziò la caduta. Pochi metri più sotto, agguantò al volo un’asta portabandiera che fortunatamente sporgeva dalla superficie della facciata e si tenne aggrappato lì.

Non c’erano appigli per arrampicarsi, ma se non trovava il sistema di tornare di sopra, presto avrebbe seguito la sua spada laser, mentre le forze iniziavano a lasciarlo. Si calmò, concentrandosi profondamente nella Forza. Percepì che il piano da cui era caduto si trovava molto al di sopra del suo livello. Palpatine non era più sul bordo del ponte, la sua attenzione era completamente presa dai fulmini che stava ampiamente usando contro suo padre, ormai al limite dell’incoscienza. Il giovane Sith doveva eseguire un salto altissimo. Sospirò. Superando la paura di un eventuale fallimento, si affidò alla Forza e si spinse in su finché fu all’altezza della sala del trono. Con un’elegante capriola nell’aria, toccò il pavimento, perfettamente sui suoi piedi.

L’Imperatore era diversi metri avanti, rivolto verso l’altra parte, dove giaceva Vader, il cui consueto respiro pesante suonava ancora più difficoltoso. Il vecchio tiranno era troppo preso dalla sua vittima per aver notato cosa era avvenuto alle sue spalle. «Anakin,» apostrofò il suo servo, «tu sei solo un fallimento: un vero Sith avrebbe chiuso il ponte. Hai fallito come Jedi e hai fallito come Sith.»

Luke comprese che Palpatine stava per riprendere l’attacco contro suo padre. Doveva coglierlo di sorpresa alle spalle. Vide la spada laser di Vader vicino alle scale, dove il Signore Oscuro aveva perso il suo arto artificiale. La richiamò con la Forza e l’accese non appena fu nelle sue mani.

Il movimento fu intercettato con la coda dell’occhio dall’Imperatore che si voltò per affrontarlo. Il suo stupore, alla vista del giovane ancora vivo, fu presto rimpiazzato da una feroce rabbia. Richiamò anche lui la propria spada dal pavimento, l’accese e gli corse incontro, urlando in odio. E allora ci fu l’errore. Nella sua furia, il vecchio tiranno non fu freddamente cauto e iniziò il suo colpo troppo presto, alzando la spada prima di aver spezzato la guardia del suo avversario.

Erano solo pochi millesimi di secondo, in cui il fianco del vecchio tiranno rimase esposto, ma per il Sith più giovane furono sufficienti a colpirlo appena sotto la cassa toracica a sinistra. Luke voleva finirla una volta per tutte. Non ritirò la lama dopo il colpo, ma la mantenne dentro al corpo del suo avversario, mentre avanzava di un altro passo, e le fece definitivamente tagliare l’uomo anziano in due parti, lasciandosi cadere su un ginocchio.

La morte di Palpatine fu nella Forza come un improvviso tornado: l’energia oscura fluiva intorno a lui, come se avesse potuto spazzar via tutto con sé. Ma scemò rapidamente, lasciando una pacifica luce al suo posto.

Il giovane Sith fu certo che il suo avversario fosse finito, prima ancora di voltarsi per verificarlo con i propri occhi. Si alzò e osservò il vecchio corpo morto, incredulo che l’incubo di tutta la sua esistenza non ci fosse più, sconfitto dalla più banale delle forme di combattimento, a causa del suo eccesso di rabbia. Al suo posto, solo un cadavere, rigido e patetico come quello di chiunque altro.

La contemplazione di Luke venne interrotta dal crescente rumore del respiro affannoso di Vader. Gli si avvicinò e si inginocchiò di fianco a lui. Sentì la sua presenza divenire sempre più debole, anche se era meno oscura del solito, anzi quasi luminosa alla radice. «Chiamo subito il soccorso medico,» provò a rassicurarlo, mentre scrutava la stanza per trovare il sistema di comunicazione.

«No,» gli disse suo padre con grande sforzo, «per me è finita. Aiutami: toglimi questa maschera.»

«Ma morirai,» protestò il figlio.

«Niente può impedirlo ormai,» spiegò Vader. «Lascia che, per una sola volta, ti guardi con i miei veri occhi.»

Il giovane annuì debolmente. Non aveva la più pallida idea di come fosse chiusa la maschera. Gli sfilò l’elmetto e, con le mani, cercò un gancio di apertura dietro al collo. Lo trovò e rimosse la perpetua barriera nera tra lui e suo padre.

Non era pronto a quella vista.

Il terribile Signore Oscuro era una uomo calvo e sfregiato. Sembrava molto più anziano dei suoi quarantatré anni. Solo gli occhi azzurri erano gli stessi che Luke aveva visto nella vecchia foto.

Tante domande affollavano la testa del giovane Sith, ma una cosa soprattutto non capiva. Si voltò indietro per osservare il ponte retrattile chiuso: suo padre aveva avuto l’Impero fra le mani, eppure non aveva premuto il pulsante. Luke poteva pensare a una sola spiegazione logica, ma non osava contemplarla. Si voltò di nuovo, per guardare Vader negli occhi. «Perché?» gli chiese.

«A cosa serve un Impero, se si perde ciò che di più prezioso si possiede?» rispose l’uomo più maturo.

Luke arrossì: non aveva mai sperato, nemmeno sognato, che suo padre potesse provare quel sentimento nei suoi confronti.

«Non intendevo far del male a tua madre,» dichiarò il Signore Oscuro con il tono di implorare perdono.

«Lo so,» rispose suo figlio, ancora colpito dal forte rimorso che aveva scoperto, quando aveva sondato a fondo suo padre.

«Luke,» lo chiamò Vader con grande sforzo, «ora l’Impero è tuo. Sii saggio nelle scelte: non farti odiare dalle persone che ami.»

«Io non ti odio, padre,» dichiarò suo figlio immediatamente.

Il Signore Oscuro tentò un ultimo respiro soffocato e un sorriso gli increspò le labbra: il sorriso paterno che Luke non aveva mai visto prima di allora. Poi chiuse gli occhi e morì.

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Capitolo 12
*** Epilogo ***


Questa fiction è scritta solo per divertimento e non mi procura alcun guadagno. I personaggi e la galassia di Guerre Stellari appartengono alla Lucasfilm e alla Disney. Per i personaggi e i luoghi di mia invenzione, ho usato nomi presi dal mondo reale, ma li ho scelti soltanto perché stavano bene nella fiction e, quindi, non hanno alcuna relazione con persone vere o fatti storici: ogni eventuale rassomiglianza è puramente casuale.

Ringraziamenti
Desidero ringraziare jedi1952 per la revisione della versione originale inglese di questa fanfiction. Avendomi segnalato alcuni importanti problemi nella caratterizzazione dei personaggi e nelle scene, il suo lavoro è stato fondamentale e anche questa versione italiana sarebbe sicuramente diversa senza il suo aiuto.
La responsabilità di quanto scritto è naturalmente solo mia.

------------ Epilogo ------------
 

L’Imperatore Skywalker sedeva sul suo trono. La Corte era riunita davanti a lui e qualcuno parlava di qualche problema da qualche parte. Erano ore che non li stava più ascoltando ed era annoiato a morte. Come Palpatine avesse potuto sopportare quella tortura quotidiana per decenni gli era misterioso. Forse perché era un Sith molto più potente di lui?

Poi finalmente i discorsi finirono. Si supponeva che Luke dicesse qualcosa di importante per risolvere la questione. Ma non aveva dato via parte del suo potere esecutivo per farsi venire il mal di testa con cose di cui non gli importava nulla. Infatti, il mese precedente, aveva scelto personalmente un Cancelliere che lo aiutasse a governare.

Era stata una decisione meditata a fondo. Invero, all’inizio del suo regno, qualche mese prima, era stato sopraffatto dalla responsabilità che provava nel governare l’Impero e, nonostante avesse ricevuto un’educazione adeguata per questo compito, si era sentito ancora mancante in conoscenze e capacità. Un numero incalcolabile di esseri senzienti aveva contato sulla saggezza delle sue decisioni per il suo futuro. Come avrebbe mai potuto un uomo solo sapere cosa sarebbe stato meglio per ciascuno di loro?

Eppure, Luke era stato sicuro che una cosa fosse assolutamente necessaria: la pace; perché la Galassia era stata ormai stremata da tanti anni di guerra. Ma non aveva avuto la minima idea di come raggiungere questo obbiettivo. La repressione si era già dimostrata inutile e non era nemmeno stato in grado di immaginarne una più feroce di quella di Palpatine. Se fosse ritornato a quel sistema, che senso avrebbe avuto alla fine il suo furto dei piani della Morte Nera? Luke era stato testimone di tali atrocità durante il regno del suo predecessore che aveva giurato a sé stesso di non diventar mai, per nessuna ragione, un nuovo Palpatine. Persino suo padre, a suo modo, lo aveva messo in guardia su ciò, prima di morire.

Ma allora che cosa si supponeva facesse? Aveva meditato ogni giorno per lunghe ore, finché la Forza gli aveva mostrato una risposta così banale che si era stupito di non averci pensato prima: se si voleva la pace, non si doveva lavorare per la guerra!

Perciò, aveva intavolato alcune trattative di pace informali e iniziato ad allentare la presa dell’Impero sui Sistemi stellari. Ma la Galassia avrebbe rischiato di polverizzarsi, se la giurisdizione centrale fosse stata persa. I Sistemi avrebbero dovuto desiderare di rimanere uniti di loro libera volontà. Come? Grazie a una nuova Repubblica.

La prima volta che la parola gli era frullata in testa era parsa una bestemmia al giovane Sith. Ma era giunto alla conclusione che fosse l’unico modo per evitare sia la repressione sia la secessione. Però non era cosa che si potesse fare troppo in fretta. Il percorso verso la democrazia avrebbe richiesto alcuni anni per essere completato pacificamente con l’accordo tra i partiti opposti che si erano fatti guerra per vent’anni. Il potere dell’Imperatore doveva ridursi lentamente (ma inesorabilmente), mentre il Senato aveva bisogno di riacquistare il suo antico ruolo. L’assolutismo doveva diventare democrazia in maniera graduale.

Allora si era accordato per un percorso pianificato in quattro tappe principali con i partiti e i rappresentanti dei Sistemi, in cambio della loro tregua e fedeltà: innanzitutto, Luke aveva ripristinato la carica del Cancelliere, delimitando con cura le sue competenze, in modo da evitare che qualcuno in futuro potesse sfruttarlo per concentrare troppo potere nelle proprie mani, come aveva fatto Palpatine in passato; poi, negli anni successivi, il Senato sarebbe stato convocato di nuovo; quindi, l’Assemblea avrebbe scelto un nuovo Cancelliere eletto; e infine, quando la situazione politica si fosse stabilizzata, l’Imperatore Skywalker si sarebbe dimesso, in cambio dell’immunità totale per ciò che aveva commesso come agente di Vader.

Luke era consapevole che, se questa era la teoria, la pratica si sarebbe dimostrata molto più ostica. Persino designare il nuovo Cancelliere aveva già richiesto un difficile compromesso. Il Partito imperiale avrebbe voluto un Grand Moff. Luke aveva cercato qualcuno tra quelli meno coinvolti nella repressione locale. Ma l’Alleanza aveva avuto paura che non ci sarebbe stato alcun reale cambiamento e lui era riuscito a comprendere il loro punto di vista. D’altra parte, loro avevano osato veramente troppo, provando a candidare alla carica Mon Mothma: non si era fidato di lei per niente. Alla fine, aveva pensato al carismatico Viceré di Alderaan, Senatore per anni, conoscitore della Vecchia Repubblica, uno dei leader ribelli, ma stimato anche fra molti imperiali.

Riportando la sua attenzione al problema attuale, si rivolse a Bail Organa, non lontano da lui, e gli chiese: «Potete suggerire una soluzione di compromesso, Cancelliere?» Ovvio che potesse: si capiva dal suo sguardo sicuro che aveva già pronto un accordo. Il giovane Sith era affascinato, mentre lo osservava spiegare il trattato proposto, e rifletteva che aveva fatto la scelta giusta.

Tutto sarebbe stato perfetto, se solo il Viceré fosse riuscito a smettere di sorridergli con quell’irritante sguardo paternalistico. Era probabilmente l’unico tratto detestabile di quell’uomo, anche se era un pochino più sopportabile da quando aveva scoperto che Leia era sua sorella gemella: ciò lo rendeva almeno comprensibile.

La sessione della Corte finì e la gente fu licenziata. Solo il Cancelliere, sua figlia e il maestro Jedi verde rimasero nella sala. Luke non desiderava altro che tornarsene a casa da Asha e dal bambino che stava aspettando. Ma sapeva che si dovevano incontrare spesso per il più spinoso dei problemi: stabilire un percorso per la ricostituzione dell’Ordine dei Jedi. Sospirò. Era consapevole che una nuova Repubblica significava un nuovo Ordine dei Jedi e, nel momento stesso in cui aveva avviato i colloqui di pace, aveva compreso che si sarebbe arrivati qui. Eppure, ciò non aveva diminuito il suo stupore quando Bail Organa aveva ammesso che Leia si stava già addestrando con l’ultimo maestro Jedi (ecco perché era sparita!) e gli aveva anche spiegato che erano fratelli gemelli. Come aveva potuto essere così cieco da non riconoscere le somiglianze evidenti tra la sua presenza e quella di suo padre, quando aveva percepito la sua sensibilità alla Forza su Rhen Var? A ogni modo, non era stato capace di rifiutare sua sorella e perciò l’aveva autorizzata ad addestrarsi qui su Coruscant, accettando inevitabilmente il suo maestro insieme a lei. Tuttavia, nemmeno quando aveva duellato contro suo padre si era sentito tanto traditore degli insegnamenti Sith del Signore Oscuro quanto ora. Più di una volta, si era chiesto se avesse davvero interpretato bene ciò che Vader aveva provato a dirgli con il suo ultimo respiro.

Si alzò e camminò verso i tre.

In Leia si rispecchiava in una maniera curiosamente deformata: adesso, lei indossava sempre la tradizionale divisa Jedi, molto simile alla sua Sith, ma bianca invece che nera, e una spada laser era sempre agganciata alla sua cintura. Stava fiduciosa tra suo padre e il suo maestro, mentre Luke era privato dell’uomo che era stato entrambe le cose per lui. Ogni tanto lo rimpiangeva: era un sentimento inatteso e non sapeva come gestirlo.

Vader aveva strangolato la moglie e poi ne aveva portato il rimorso per tutta la sua vita. Aveva trascorso ore e ore con suo figlio, insegnandogli tutto ciò che sapeva, ma l’aveva fatto con brutalità. Aveva rappresentato per anni la sua unica relazione umana, eppure era sempre stato freddamente distaccato. L’aveva usato per raggiungere le proprie ambizioni politiche, ma aveva rinunciato a tutto per risparmiargli la vita.

Il modo in cui il Signore Oscuro era morto aveva in qualche modo attenuato il ricordo della sua durezza, portando in superficie memorie dimenticate da tempo. Come quando Luke era crollato dal sonno nella palestra durante una meditazione e si era svegliato nel proprio letto. Era stato piccolo a quel tempo e non aveva riflettuto sul fatto che nessun altro, oltre a loro due, era stato autorizzato ad accedere a quelle stanze: solo l’uomo mascherato poteva averlo preso in braccio e portato a letto, rimboccandogli le coperte. Una volta era quasi svenuto sotto i fulmini di Palpatine e suo padre si era inginocchiato accanto a lui per controllare il suo stato. Due anni prima, un guanto nero si era appoggiato sulla sua fronte, inducendogli una trance rigenerativa, dopo che la stessa mano aveva diretto una lama rossa dentro il suo fegato.

Sentiva che poteva persino versare qualche lacrima per l’uomo che gli aveva sempre ordinato di trattenerle. Amava la sua nuova libertà, eppure era spesso sopraffatto dai sentimenti contrastanti che la memoria di suo padre gli causava. Incapace di mettere ordine in quel caos, Luke provava solo a guardare in avanti alla sua nuova vita, anche se non aveva la più pallida idea di come gestire una famiglia normale.

«Buongiorno, giovane Skywalker,» lo salutò il Jedi verde, mentre raggiungeva i tre.

In risposta, Luke inchinò leggermente la testa verso Yoda. «Come procede l’addestramento del vostro nuovo Jedi?» chiese con una punta di sarcasmo, anche se era sinceramente intrigato: non gli era concesso vedere una singola sessione, men che meno prenderne parte. Gli era stato spiegato che il suo piglio sulla Forza sarebbe stato per sempre deviato dal tipo di insegnamenti che aveva ricevuto e ciò avrebbe potuto ripercuotersi malamente sulla via dei Jedi. Era scontento di questa situazione, ma provava a tenersi buono il piccolo alieno, perché ne aveva paura: dopotutto, era stato l’implacabile Gran Maestro per secoli. In più, Luke poteva percepire quanto vecchio e vicino alla fine fosse. Entro pochi anni, l’appena addestrata Leia non avrebbe potuto avere l’aiuto di nessun altro sensibile alla Forza, tranne che di suo fratello.

«Bene, anche se necessariamente lento,» rispose cripticamente l’alieno verde, non fornendo alcun indizio sul tipo di esercizi che stava insegnando. «Ma la mia padawan paziente non è,» aggiunse con un sorriso di rimprovero.

Il Sith guardò di sottecchi verso sua sorella, che arrossì leggermente, ridendo in accordo. Avrebbe scommesso che avevano appena avuto una discussione ed era stupito che, nonostante ciò, lei fosse così rilassata nei confronti del proprio maestro. Fece finta di non aver notato nulla e proseguì: «Perciò, mi sembra di capire che la ricostruzione dell’Ordine dei Jedi possa attendere.»

Il Cancelliere Organa intervenne, sicuramente consapevole che questo era un argomento delicato. «L’Ordine dei Jedi ha sempre servito sotto la Repubblica. La gente sarebbe confusa e preoccupata, se il nuovo Ordine dovesse iniziare a servire sotto un Imperatore Sith,» spiegò. «Quindi, suggerisco di aspettare alcuni anni per rifondare ufficialmente l’Ordine, finché l'Imperatore Skywalker abbia rinunciato totalmente al suo potere e sia nata la Nuova Repubblica.»

L’alieno verde sospirò e rivolse il suo sguardo davanti a sé. Non era evidentemente felice: doveva essere consapevole che in quel modo non sarebbe sopravvissuto abbastanza a lungo per vedere la nascita del nuovo Ordine Jedi. «D’accordo sono,» concesse.

«Va bene anche per me,» si affrettò a dichiarare scetticamente Luke. «Ma non voglio che ogni neonato sensibile alla Forza sia per sempre portato via alla famiglia.» Aveva in mente una certa piccola vita che si stava formando.

«I bambini sempre meglio con i loro genitori pensi stiano?» gli chiese Yoda.

Era una domanda trabocchetto e bruciò come sale nelle ferite di Luke. Tre paia di occhi rivolsero completamente la loro attenzione a lui: si sentì come se fosse stato nudo e tutti stessero osservando le cicatrici che ricoprivano il suo corpo. Fissò il suo sguardo duro a terra per sopportare quell’esame, mentre le parole gli mancavano.

«Forse possiamo trovare una soluzione equilibrata, maestro Yoda,» suggerì Leia, allentando l’imbarazzo.

«Forse,» concesse l’alieno verde.

Il giovane Sith alzò lo sguardo verso di lei. La donna lo ricambiò, accennando un sorriso in empatia, e lui capì che potevano veramente, se lavoravano insieme a una soluzione.

L’equilibrio era già lì ogni volta che si rispecchiavano l’un l’altra.
 

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E con il Governo delle «larghe intese» galattiche si conclude la storia.
La quale, se non v’è dispiaciuta affatto, vogliatene bene a chi l’ha scritta, e anche un pochino a chi l’ha revisionata. Ma se in vece fossimo riusciti ad annoiarvi, credete che non s’è fatto apposta ;)

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