L'invisibile persecutore

di biberon
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un sabato qualunque, in un Gennaio qualunque ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 21: *** capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** 23 ***
Capitolo 24: *** 24 ***
Capitolo 25: *** capitolo .... ***
Capitolo 26: *** Colpi di scena ***
Capitolo 27: *** Prese ***
Capitolo 28: *** Nuovo Capitolo. ***
Capitolo 29: *** CAPITOLO 29 ***



Capitolo 1
*** Un sabato qualunque, in un Gennaio qualunque ***


 
 
 
 
Capitolo 1
 
Stavo camminando nel parco, come ogni mattina di quel freddo Gennaio..
 
La neve scricchiolava dolcemente sotto i miei piedi, facendomi sentire attraverso i sandali leggeri e piacevoli brividi di freddo.
 
L’atmosfera era magica.
Gli alberi luccicavano e risplendevano agli ultimi raggi di sole, e fiocchi candidi con riflessi argentati planavano soavemente verso terra.
 
Le panchine erano coperte da grossi blocchi ghiacciati, e sul prato coperto si potevano intravedere piccole e graziose impronte di uccelli e leprotti.
 
Nel lago ghiacciato riuscivo a intravedere i riflessi sfocati degli alberi scuri.
 
Il silenzio era perfetto.
 
Camminavo piano, per non rovinare quell’atmosfera fiabesca.
 
Infilai le mani nelle tasche del giaccone rosso e soffiai.
 
Subito il mio respiro si trasformò in una nuvoletta densa che si disperse nell’aria.
 
Indossavo un paraorecchie rosa, e avevo i capelli raccolti in una coda di cavallo tiratissima.
 
Non ero al massimo della  forma, avevo alcuni capelli sbarazzini che uscivano dall’elastico, leggere occhiaie violacee, la punta del naso rossa e le labbra screpolate.
 
Ero uscita in fretta, avevo messo solo un filo di ombretto marrone scuro e del mascara, che avevo pure sbavato leggermente sulla palpebra.
 
Era mattina presto, le sette, circa, e benché fosse presto ero contenta mi essere uscita, avrei fatto di tutto per non perdermi quella bellezza.
 
Non avevo nemmeno una meta, era un sabato mattina qualunque di un Gennaio qualunque, eppure c’era qualcosa di particolare nell’aria … camminavo, come ogni mattina, per cercare ispirazione per il mio romanzo.
 
Uscii dal vione principale, e a malincuore lasciai il parco per immergermi nel grigio della città.
 
Entrai nel primo bar che trovai, “Da Bibe.”
 
Presi una brioche liscia e una tazza di cioccolata con panna.
 
Divorai la brioche (davvero squisita!) e rientrai nel parco leccando via l’abbondante strato di pazza dalla mia tazza.
 
Trovai una panchina non troppo coperta di neve e mi sedetti, per osservare meglio la splendida natura mattiniera che mi si presentava davanti.
 
Ad un tratto, mentre mi perdevo nelle spirali candide dei fiocchi, qualcosa mi riscosse.
 
Qualcuno si sedette sulla panchina, il più lontano possibile da me.
 
Mi girai a guardare.
 
Era un ragazzo.
 
aveva una chitarra in spalla, chiusa in un bel fodero nero, e una borsa a tracolla.
 
I capelli neri disordinati gli dondolavano davanti agli occhi verdi, le sue labbra si incurvarono leggermente in un sorriso mentre girava pagina del libro che stava leggendo. Sul suo mento c’era un accenno di pizzetto ordinato e un velo di barba appena visibile sulle guancie
 
Sembrava un libro di storia, con la copertina in stoffa beige tenuta insieme da un pezzo di spago.
 
Le pagine erano giallognole, consumate e spiegazzate.
 
lo teneva aperto sulle ginocchia, posato sui jeans con una cintura di cuoio raffinato.
 
Era stretto nel suo giaccone e nel suo paraorecchie blu, teneva una mano sul collo alto e slanciato, fasciato in una sciarpa blu.
 
Sembrava un ragazzo per bene.
 
Un fiocco cadde dal’alto nella mia tazza e affondò, risucchiato dalla cioccolata densa e fumante.
 
Alzai lo sguardo, e vidi che lui mi stava osservando con aria divertita.
 
  • "Singolare, vero?"
 
  • "Che cosa?"
 
  • "Che un fiocco cada proprio nella sua tazza."
Mi stava dando del lei.
Era davvero un bravo ragazzo.
  • Singolare, sì
  • Bello, vero? Dico, stare qui. Il parco in questi giorni è stupendo.
 
  • Ha ragione, io vengo qui tutti le mattine.
 
  • Davvero?
 
  • Sì, davvero.
 
  • Ma pensi! Anche io!
 
  • Non l’ho mai vista.
 
  • Beh, questo posto è grande.
 
 
  • In effetti ... senta, e lei come si chiama?
 
  • Mi chiamo Trent.
 
  • È davvero un bel nome! Conoscevo un ragazzo che si chiamava così …
-            E lei?
 
  • Mi chiamo …
Indugiai.
Da quando avevo abbandonato il reality mi facevo chiamare Betty, perché pensare al mio nome mi faceva pensare a total drama, e quello mi faceva pensare a Duncan.
Quel ragazzo però mi ispirava fiducia.
  • Mi chiamo Courtney.
 
  • Anche io conoscevo una ragazza che si chiamava così … ma sa, sono passati dieci anni … non mi ricordo molto di lei, fatta eccezione per la sua bellezza e la sua pignoleria …
Dieci anni.
Riflettei.
Era esattamente da dieci anni che avevo lasciato a Tutto Reality.
  • Può darmi del tu, Trent …
  • Fantastico! Ehm … tu … cosa studi?
 
  • Studio per un master di legge. Mi sono laureata in legge.
 
  • Woah! Roba di poco conto, eh?
 
  • Ah ah ah. Lo so, è un percorso abbastanza difficile. Mi piacerebbe riuscire a diventare giudice, ma so che bisogna farsi una bella gavetta  … tu, invece?
 
  • Io studiavo musica … vorrei riuscire a entrare a far parte di un complesso abbastanza famoso, ma per il momento eseguo le colonne sonore nei teatri.
 
  • È un lavoro ben retribuito?
 
  • Direi.
 
  • Sai, anche io studiavo musica, prima di intraprendere la carriera legale.
 
 
  • Cosa studiavi?
 
  • Violino.
 
  • Davvero un bello strumento!
Posò una delle sue belle mani sulle mie ginocchia e mi guardò dolcemente.
Io guardai quel ragazzo intensamente, nei suoi magnetici occhi verdi.
Eppure c’èra qualcosa in lui, qualcosa di terribilmente familiare …
All’improvviso capii.
  • Trent!
 
  • Che succede? Ti ha dato fastidio … che io abbi a messo le mie mani sulle tue ginocchia?
 
 
  • No, no, affatto, ma …
 
  • Ma cosa?
 
  • Trent, non mi riconosci?

- no, io non … un momento! Tu sei … Courtney?


  • Esatto! Sono io!
 
  • Oh mio Dio, Courtney, ne è passato di tempo!
 
 
  • Dieci anni, per l’esattezza.
Ci guardammo per un attimo, un attimo che conteneva universi.
  • Cosa stavi leggendo?
 
  • Qui … ho raccolto alcune lettere che io e Gwen ci siamo mandati dopo l’isola, dopo Azione  … e durante la vendetta. Dopo i due reality ci siamo mandati lettere e sms … l’ultima corrisponde al giorno in cui siamo passati davanti all’isola con la nave da crociera … lei stava, stava … baciando Duncan.
A sentire quel nome fu come se qualcuno mi avesse dato un pugno nello stomaco.
Li avevo visti anche io, ed ero stata male …
  • Potrei … vederlo?
 
  • Sì … tanto, ormai. Lo ammetto, non sono riuscito a dimenticarla … l’ amata così tanto …
  • Si vedeva. Lo ammetto, l’ho sempre invidiata. Tu eri così innamorato, così dolce, così premuroso … e lei … non ti ha mai meritato.
 
  • Lasciamo perdere …
 
 
  • Beh, ora devo andare …
 
  • Okay …
 
  • Tieni il libro … se vuoi.
 
  • Okay, grazie.
 
  • Ah … mi è dispiaciuto per la tua eliminazione, ho guardato la puntata in tv … è stato un brutto malinteso … colpa di Heather e Lesawna …
 
 
  • Ah, Heather …
 
  • Lei faceva solo strategia, però … come … come ho fatto io in azione …
 
  • Già …
 
  • Beh, vado, allora.
 
  • Ciao Courtney, e … mi è dispiaciuto per LA TUA  eliminazione … Duncan e te stavate così bene insieme …
 
  • Grazie.
 
  • Aspetta, prima di andare … mi dai il tuo numero.
 
  • +393921356478
 
  • Grazie, ciao.
 
  • Ciao ciao.
M’incamminai verso casa lentamente.

Quel giorno non dovevo studiare nulla, ero libera.

Era un sabato mattina qualunque, in un Gennaio qualunque.

Strinsi le dita al quaderno di Trent.

O forse no. 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Appena arrivai a casa, verso le otto meno un quarto, mi sedetti sul letto  e aprii il libro, senza nemmeno togliermi le scarpe.

La prima pagina era bianca, fatta eccezione per una scritta a pennarello rosso:

Dopo le nostre eliminazioni, durante e dopo l’isola.

Iniziai a leggere.


28 agosto, 2010
Cara Gwen,
è stato molto strano lasciarti, oltre che doloroso.
È come se mi avessero portato via un pezzo di me … Vorrei tanto che Crhris non avesse rovinato il nostro bacio, perché ora le tue labbra mi mancano come l’ossigeno.
Il bacio che mi hai dato è stato come la mia prima boccata d’ossigeno, forse, solo allora, ho respirato per la prima volta.
Mi mancano i tuoi capelli colorato e sbarazzini, mi mancano i tuoi magnetici occhi neri, mi manca il tuo sorriso furbo e ribelle che mi ha conquistato, mi manca il tuo corpo slanciato e il tuo stile  darck, mi manca la tua indipendenza e la tua intelligenza … insomma, mi manchi tu.
Sei il mio ossigeno, piccola, e ti prometto che ci rivedremo.
Te lo prometto.
Mia piccola dolce stella, l’unico mio conforto è che stiamo dormendo sotto lo stesso cielo.
Stanotte, una stella veglierà su di te.
Sarà la mia.


31 agosto, 2010
Caro Trent,
Anche tu mi manchi, mi manchi tanto.
Qualunque cosa ti abbia detto Heather, devi sapere che io ti amo, ti amo tantissimo, amo la tua musica, amo come parli, come mangi, come bevi e come respiri.
Amo i tuoi capelli, i tuoi occhi, la tua voce e le tue mani … insomma, ti amo.  
Non ti trovo affatto una persona banale, anzi.
Anzi.  
Ti giuro che il mio cuore si è spezzato quando ti ho visto baciare Heather, e lo sai perché?
Perché quel bacio stupendo lo volevo io, sentivo che eri mio e solo mio.
Ti amo.

Per sempre tua,
Gwendalyne.
 
2 settembre, 2010
Cara Gwen, anche io ti amo, ti amo più della mia stessa vita.
La tua lontananza mi sta uccidendo lentamente.
Come una malattia.
Non ho nemmeno il tuo numero, ma forse non lo voglio nemmeno, perché le nostre lettere sono piene di romanticismo.
TI AMO TANTISSIMO.
tinua a scrivermi.
Aspetto la tua risposta, piccola.

Trent
 
7 settembre, 2010
Come fai a essere sempre così dolce?
Ti scriverei ogni giorno, se solo … se solo arrivassero ogni giorno direttamente … sai che ti amo moltissimo.
Moltissimo.
Perché non posso rivederti?

 
10 settembre, 2010
Concordo con te.
Sai?
Ho saputo che faranno una nuova stagione … a tutto reality Azione!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
Cercherò di partecipare.
Per rivederti.
Prova a classificarti!
Ti amo,

Trent.
 
14 novembre, 2010
Scusami, Trent, scusa se non ti ho risposto.
Ultimamente, con gli esami sono molto affaticata.
Spero di riuscire a iscrivermi a una buona università.
Ti prometto che mi qualificherò per a tutto reality Azione.
Per rivederti.

Gwen
 
16 novembre, 2010
GWEN!
MI SONO QUALIFICATO PER A TUTTO REALITY AZIONEEEEEEEEEEEEEEEEEEEE
CI RIVEDREMO!
TI AMO!

 
18 novembre, 2010
Caro Trent … 
Sono felicissima!
Ti amo tanto. 
Ci rivedremo!
Sei sempre dolcissimo.
Mi sono qualificata, ovviamente.   Beh …  sinceramente tua, Gwendalyne


DOPO LA MIA ELEMINAZIONE IN A TUTTO REALITY AZIONE …
20 giugno, 2010
Cara Gwen … Perché?!!!! 
Perché lo hai fatto?
Io ti ho sempre amata, ti ho amata moltissimo … tu … tu non hai IDEA di quello che ho provato quando mi hai
lasciato.
Ho fatto l’indifferente, ma a casa ho pianto tutte le mie lacrime
Gwen, ti amo, ti ho sempre amata e ti amerò sempre. 
Sei la persona più importante della mia vita!
Perché mi hai lasciato …?
Forse non dovevo aiutarti … non lo so.
Quelle … quella … quella clip con Duncan … tu non ti sei mai comportata così con me.
Ho rivisto l’isola … sembrava ce tu mi amassi, da tutti i confessionali etc etc … dimmi solo dove ho sbagliato.

TI prego!
Trent


28 giungo, 2010
Senti, Trent, non ho molta voglia di darti spiegazioni.
La gente si lascia ogni giorno!
Non mi sento in colpa, sinceramente … io … ho smesso di amarti.
Punto.
Succede.
Non hai sbagliato nulla, solo, mi sono accorta che non poteva funzionare.
Non ti amo più, non ti amo più  e punto.
Voglio solo dimenticare, e restare amici, se vuoi.
Ma, sempre sinceramente … insomma … sei solo uno dei miei ragazzi.
Non sei stato il più importante.
Sei solo uno … ti ho amato tantissimo, ma è bene usare il passato.
Io e Duncan siamo solo amici.
Migliori amici, e non ho ancora trovato il mio lui.

Questo è quanto.
Non voglio malintesi,
Gwendalyne.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Poi c’era una pagina in cui erano attaccate alcune foto con una graffetta.

Lentamente le tolsi da lì sotto e le osservai attentamente.

Erano foto.

Foto sviluppate e stampate a colori, con la plastlina trasparente intorno.

Foto fatte allo schermo del cellulare di Trent.

Erano dei messaggi che si erano mandati lui e Gwen in una chat, su un sito strano, che non avevo mai sentito nominare.

Risalivano appena dopo l’ultima lettera di Gwen.

Guitarhero22: ciao piccola … J

Gwendalyne99: ciao Trent …

Guitarhero22: come va?

Gwendalyne99: abbastanza bene.

Guitarhero22: che freddezza … che hai fatto in questi ultimi tempi?

Gwendalyne99: senti, non ho voglia di parlarti dopo quello che è successo.

Guitarhero22: ma sei stata tu a lasciarmi!

Gwendalyne99: appunto. Trent, io ti voglio bene, ma se ti ho lasciato c’è un motivo. Non ti amo più.

Guitarhero22: :_(

Gwendalyne99: mi dispiace.

 
Il quaderno finiva lì.

Sembrava più grosso, nelle mani morbide di Trent.

Lo chiusi e lo riposi sul tavolo della cucina.

Mi tolsi i paraorecchi, il giaccone e le scarpe e mi sedetti sul divano, con la tazza di cioccolata ancora in mano.

Ormai era quasi disgustosa, aveva perso la sua cremosità e sembrava uscita dal frigo.

Finii di berla e poi buttai la tazza plasticosa, omaggio del bar.

Mi preparai una bella ciotolona di pop corn al microonde e guardai un programma di cucina mentre li divoravo.

Alle 12 e mezza squillò il mio cellulare.

Era Trent.

Il cuore prese a battermi fortissimo, anche se non sapevo bene perché.

Sorrisi mentre trascinavo il dito sul mio i-phone 4 per accettare la chiamata. 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


“Pronto?”

“Ehi, Courtney.”

“Ciao …”

“Senti, ti andrebbe di uscire a mangiare un boccone con me?”

“Mh … ma certo”

“Offro io.”

“Non pensarci nemmeno.”

“Invece sì.”

“Sai, è strano che nel reality non ci filassimo mai.”

“Eri diversa, meno … meno dolce nel modo di parlare.”

“Mh … forse. Beh, dove e quando ci vediamo?”

“Tra dieci minuti al parco? Dove ci siamo visti stamattina?”

“Ok, arrivo subito.”

Mi infilai dei leggings verdi aderenti e una canottiera blu piuttosto scollata e una felpa della gap aperta sopra.

Ai piedi misi le mie adorate nike air alte, piene di scarabocchi e firme.

Mi pettinai velocemente i capelli, mi struccai e misi del lucidalabbra, un ombretto rosa e un cerchietto turchese.

Presi la mia borsa, con cellulare, portafoglio, carta di identità, fazzoletti, specchietto e correttore e lucidallabra di emergenza.

Misi al collo le cuffie, per essere più moderna, poi uscii di casa e infilai le chiavi in tasca.

Raggiunsi il parco quasi correndo, con le orecchie che ronzavano e il cuore che pulsava.

Trent era lì ad aspettarmi, e indossava la maglietta del reality.

Era maledettamente carino.

“Sei davvero stupenda!”

“Grazie Tren, anche tu.”

“Andiamo?”

“Mh … a che locale pensavi?”

“C’è n’è uno vicino a casa mia che è un vero gioiello … “

“Ok, andiamoci subito.”

Mi portò poco lontano, in un ristorantino delizioso chiamato “BN 4 ever!”

Ci sedemmo nel tavolo centrale, sotto uno splendido lampadario di cristallo.

Il pavimento era coperto da un gigantesco tappeto persiano, le tende erano di raso rosso e gli sgabellini di marmo rosa leggero

Doveva essere un posto davvero di lusso.

Ci facemmo portare un menù ciascuno.

Io ordinai una pasta allo scoglio e una coca, lui una birra piccola e una pizza margherita con prosciutto, tipico piatto Italiano.
“Oltre al violino e a legge, c’è qualcos’altro che fai? Un hobby, una passione?”

“Beh, sai, mi piace lo sport. Adoro la corsa, vado in palestra ogni martedì dopo lo studio.”

“Beh, si vede.”

Arrossii.

“E tu, invece?”

“Insegno tennis ogni sabato per tre ore, ai bambini di sei anni.”

“Carino. Per arrotondare o per passione?”

“Un po’ tutt’e due …”

“Capisco. Potresti insegnarmi?”

“Ohoh, sarebbe davvero divertente.”

“Io sarei peggio delle bambine di sei anni.”

“Ah ah ah. Ma no, dai, hai delle belle braccia, lunghe e con abbastanza muscoli per fare degli splendidi destri …”

“È un complimento o un insulto?”

“È una constatazione.”

“… bel posto, eh, questo?”

“Già … ci sono venuto per il mio compleanno un paio di volte.”

“Con i tuoi amici, immagino.”

“Già.”

“Hai più notizie di qualcuno del Reality?

“No, non ho più notizie.

“Dopo aver dato la notizia, nove anni fa, di aver cancellato all star … sai, ci sono rimasta male.

“Volevi rivedere Duncan?"

“Assolutamente no, non dopo averlo visto sulla barca a limonare con Gwen. E Alejandro stava con Heather.”

“Strano.”

“Perché?”

“Sei una ragazza così intelligente e carina …”

“Come sei dolce …”



In quel momento arrivò la cameriera con i nostri piatti.

Si chinò sul tavolo per posare il vassoio, quando ad un tratto si rialzò di scatto facendo cadere tutto a terra.

“Ma cosa …?"  Chiese Trent stupito, ma si fermò di botto.”

Alzai lo sguardo sulla cameriera e sentii un tuffo al cuore.

Aveva lunghi capelli neri raccolti in uno chignon spelacchiato, la pelle bianca come il gesso e il rossetto nero, con un trucco scuro sopra la divisa da cameriera.

Sulle mani portava dei guanti copri-dita bordati di pizzo nero.

“Gwen!” esclamò Trent serrando i pugni.

“Che cosa ci fate voi due qui?”

“Vorremmo mangiare, ma tu hai fatto cadere il nostro pranzo …”

“Ehi, oh. È stato un incidente. Ma che ci fate voi due … insieme?”

“Stiamo uscendo. Qualche problema?”

Io rimasi zitta a guardarli battibeccare.

Mio Dio.

Gwen.

Lì, davanti a me.

E poi accadde qualcosa che non scorderò mai più.

Di fianco a lei comparve un ragazzo all’incirca della nostra età, coi capelli neri arruffati, un orecchino, grandi occhi verdi e una divisa da cameriere. Teneva per mano un bambino che mi arrivava alle ginocchia.

Afferrò il colletto della t – shirt di Trent.

“Che stai dicendo a Gwen, eh?”

“Ma … stavamo parlando.”

“Senti stronzetto, fai un solo passo falso e giuro che ti ammazzo! Lo giuro!”

“Provaci!”  esclamò Trent.

Solo allora riconobbi quel ragazzo.

Era Duncan.

“Quentin, vieni, andiamo via.” disse Gwen.

Quentin?

Chi era quello?

Che ci facevano loro due insieme?

“Quentin, amore … è ora di tornare a casa.”

“Ma papà …” disse il bambino piagnucolando.

Gwen lo trascinò fuori dal locale per un braccio.

“Quello chi era?” chiesi, temendo di aver capito.


“Mio figlio Quentin.” disse Duncan in un soffio.

Sentii il respiro che si mozzava e un forte dolore tra le costole.

Non ci potevo credere.

Duncan e Gwen avevano fatto un figlio insieme.

Le mie mani si chiusero a pugno.

Tremavo di rabbia.

Lì avrei dovuto esserci io.

Avrei dovuto esserci io!

Duncan doveva essere mio, e per colpa di quella … di quella …

Senza ritegno le diedi uno spintone che la fece cadere all’indietro.

Duncan l’afferrò per un braccio.

“Courtney, datti una calmata, pazza psicotica!” urlò, e tutto il locale si girò a guardarci.

Rossa di vergogna e di odio feci una cosa che avevo già fatto nel tour.

Allungai la mano e tirai un ceffone a Gwen, che indietreggiò barcollando, stupita e disorientata.

“Baldracca! Ladra di fidanzati! Mostro orribile!” mi gettò ancora su di lei, ma sentii le braccia calde e rassicuranti di Trent che mi si avvinghiarono ai fianchi.

“Calma, COURT. Calma.”  Giocherellò con i miei capelli, cosa che ebbe un effetto grandioso e calmante su di me.

 “Sh …”

Duncan si fece avanti e mi fissò dritto negli occhi.

 “ Io ti ho amato tantissimo ...” dissi con la voce rotta da i singhiozzi.

  “Rompevi, dopo un po’! Tu e le tue regole strambe, tu e il tuo palmare, tu e i tuoi avvocati, tu e la tua perfezione, tu e il tuo isterismo … non ne potevo più!”

“Avresti potuto lasciarmi invece di tradirmi così! Con quella gotica schifosa!”

  “Almeno lei è sana di mente! Qui l’insana sei tu!”

Gli occhi mi si riempirono di lacrime, mi voltai e uscii dalla porta del locale seguita a ruota da Trent.
“Courtney, aspetta!”  mi seguì correndo.

Non sapevo nemmeno dove andavo, avevo gli occhi troppo pieni di lacrime e la testa che stava per esplodere.

Odiavo Duncan per quello che aveva detto.

Odiavo Gwen per la sua fortuna.

Odiavo Trent perché mi aveva portata in quel locale.

Odiavo quel locale per averli assunti.

Odiavo quel bambino perché era la prova che lei aveva vinto e io avevo perso.

Odiavo me stessa perché amavo ancora Duncan. 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


“Courtney, calmati. Va tutto bene.” mi disse Trent trattenendo le lacrime.

 Ero a casa sua, stavamo bevendo una cioccolata seduti in salotto.

Lui mi accarezzava i capelli con fin troppa confidenza.

 Io piangevo come una bambina.

“Non ci posso credere, Trent. Gwen e Duncan. Io lo amavo! Lo amavo! Non posso credere che dopo tutto questo tempo ... io non ho mai smesso di pensare a lui. Cercavo tra gli schedari dei criminali per trovarlo, visitavo ogni giorno un carcere diverso … tutto per lui! E lui si presente con Quentin. Mi avrebbe spezzato il cuore se si fosse trattato di un’altra, ma mi sarei detta che non poteva essere mio per sempre, ma Gwen! Quella ragazza rappresenta il mio fallimento, la mia sconfitta, la mia inutilità e la ingenuità. Io ho continuato a cercarlo mentre lui se la spassava con la gotica. E ora c’è Quentin. Quel bambino che con un solo sguardo ha incenerito 10 anni della mia vita …”

“Non credi che per me sia lo stesso? Io amavo Gwen, la amavo tanto e tu lo sai bene … anche io l’ho cercata e guarda cos’ho ottenuto? Niente. Anzi, una cosa. Un bambino, un delizioso bambino che non mi appartiene. Ora lei e Duncan solo legati da un filo così spesso che nessuno potrà mai spezzare."

Nascosi il viso tra le mani, le lacrime avevano sbavato tutto il mascara.

Era notte.

Dopo aver visto Quentin ero rimasta a calciare la neve al parco, ignorando Trent che cercava di calmarmi.

Lui mi guardò a lungo.
Anche se avevo gli occhi chiusi, percepivo il suo sguardo affettuoso che si nutriva avidamente dei miei capelli color nocciola e delle mie mani curate.

Prese il mio mento tra due dita e mi sollevò il viso.

La luce della luna piena, che splendeva magnifica in cielo illumino i nostri volti.

Mi scostò una ciocca bagnata di lacrime dalla guancia e posò delicatamente le sue labbra sulle mie.

Sentii le sue mani che si stringevano sui miei fianchi e chiuse gli occhi.

Li chiusi anch’io, e lo sentii bisbigliare  “ti amo”  dentro le mie labbra.

Non sapevo se dirgli  “anche io” oppure no.

Rimasi zitta e lo attrassi a me. 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Quando gli dissi che ero in cinta, Trent non si scandalizzò.

Non mi chiese neanche per un secondo di abortire, fu solo felicissimo.

Ma io non ero pronta.

Prima di tutto, non ero sicura di amarlo.

Non sapevo come dirlo ai miei genitori, perché faticavo ad accettarlo persino di fronte a me stessa.

Avevo sperato con tutte le forze il contrario, ma il test era positivo e non c’era nulla da fare.

Presto avrei avuto un bambino da Trent.

Un giorno, qualche settimana dopo la scoperta, decisi di telefonare a Heather.

Ero in casa mia, e Trent era in cucina a preparare il thè.

Anche se nel reality ci eravamo odiate, dopo ci eravamo frequentate e tra noi si era creato un forte legame d’amicizia, fino a diventare migliore amiche.
Sentivo sempre che potevo dirle tutto e che lei, in qualche modo, mi avrebbe capita.
Ma stavolta avevo paura di raccontarle ciò che avevo fatto, il mio sbaglio.

“Pronto, Heather?”

“Courtney! Da quanto non ci sentiamo?”

“Due settimane circa.”

“A me sembrava un’eternità. Bhe, mi sei mancata. “

“Heather, devo dirti una cosa.”

“Cosa c’è?”

“Ho fatto una cazzata.”

“Una delle tue.”

“No. Milioni e miliardi di volte più grossa.”

“L’altro ieri ero al parco e … ho incontrato … Trent.”

“Trent chi?”

“Quello del reality.”

“Oh … mio … DIO!”

“Già, lo so, è incredibile. Ma … non era questo che volevo dirti.”

“E allora … che cos’hai combinato?”

“Lui mi ha invitata a cena e … abbiamo incontrato Duncan e Gwen.”

“Oh mio Dio! Courtney?! Ti rendi conto della coincidenza incredibile?!”

“Sì, ma …”

“Ma cosa?”

“Stanno insieme. Lavorano insieme. Hanno un bambino. Si chiama quentin. Ha dieci anni. Devono averlo fatto dopo la fine del tour.”

“Courtney … mi dispiace … ma cosa c’entri tu?”

“Duncan mi ha insultata. Ero così fuori di me che ho accettato di andare a casa di Trent e …”

“E?”

La voce mi s’incrinò. Posai il mento sulla mano e sentii una lacrima che scendeva sulla guancia.

“Courtney, cosa ti ha fatto quel porco?! Giuro che lo uccido se …”

“No, Heather, no, non mi ha violentata. Siamo stati insieme … insomma … non contro la mia volontà. Volevo solo … dimenticare Duncan …”

“Courtney, non si fa così. Non puoi andare con qualcuno che non ami solo per dimenticare chi ami.”

La mia voce si fece lamentosa.

“Non farmi la predica!”

“Perché non dovrei?”

“Non sono in vena. “

“Courtney, però non capisco una cosa. Non è la tua prima volta, credo … che problema c’è?”

“Heather, io …”

Le lacrime ora erano due, grossi lacrimoni tondi.

Mi bruciava la gola.

“Heather, sono incinta!” esclami tutto d’un fiato.

Lei non rispose, ma sapevo che era in linea. Sentivo il suo respiro umido.

Sembrava che avesse i polmoni pieni d’acqua.

“Sono da te tra cinque minuti.” 

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Capitolo 6
*** capitolo 6 ***


Angolo dell'autrice:
Attenzione: qui Heather è un po' OCC. è molto dolce con Courtney e comprensiva, quasi piange. Però nel tour Heather dimostra di avere un lato dolce e sensibile, quindi ho forzato su quella parte. Nei prossimi capitoli mostrerà la dura e la forte che è. ma anche sensibile  e premurosa migliore amica. BaCiOni SpEro Vi PiAcCiA!












“No, Heather, non …”

Troppo tardi, aveva agganciato.

In quel momento entrò Trent nella stanza con due tazze di te.

“Forse dovremmo parlare …”

“Di cosa?”

“Di noi. La nostra storia è durata una settimana circa … il secondo giorno abbiamo concepito un bambino … dobbiamo decidere, pensare al futuro …"

 Quella frase mi rimbombò nel cervello tanto da farmi male alla testa.

“Trent, io …”

“Abbiamo solo corso troppo, tutto qua. Ma ora non si può tornare indietro. Devo farti tre domande. La prima riguarda il bambino … lo vuoi tenere?”

“…”

“Io vorrei, ma dobbiamo deciderlo insieme. E se tu non vuoi, non sei obbligata. Insomma, è un bell’impegno per tutti e due. Abbiamo ventisette anni, dopotutto. Una vita da vivere.”
“Sì, lo so.”

“E allora?”

Mi guardai la pancia, che sarebbe rimasta piatta ancora per poco.

“Courtney, si tratta di ingerire una pillola …”

“…”

“Non ti farà male. Te lo prometto. È solo una pillola. La mandi giù e quel bambino non esisterà ne sarà esistito.”

“Non lo so, Trent, ho bisogno di tempo …”

“Non avraimolto tempo per decidere, però, lo sai vero?”

“Lo so.”

“La seconda domanda riguarda noi: se deciderai di tenere il bambino, dovremmo … trovare una soluzione. Sei disposta a convivere con me per lui?”

“Sì.” annuii, ma non ero sicura.

“La terza e più importante domanda riguarda me: credi di amarmi?”

La terza domanda mi colpì come una pallottola in una tempia.

“Voglio solo che tu sia sincera con me.”

“…” abbassai lo sguardo, per evitare i suoi occhi lucidi.

In quel momento suonò il citofono, ed io lodai il cielo per la fortuna.

Andai ad aprire, e l’espressione che vidi dipinta sul volto di Heather nel vedermi non la scorderò mai più.

Entrò in casa e guardò Trent con disgusto.

Lo salutò con un cenno del capo, e lui se ne andò con le sue tazze strette in mano.

“Courtney …” Heather si sedette accanto a me.

“…” non sapevo cosa dirle.

“Courtney …” ripetè lei.

Provai a dire qualcosa, ma non ci riuscii.

Ci provò anche lei, ma la voce s’incrinò e gli occhi s’inumidirono.

Mi gettò le braccia al collo e mi strinse forte.

“Oh, Courtney!” esclamò lasciandomi.

“Heather …” presi una delle sue mani e giocherellai con un anello di legno tutto pasticciato che aveva all’anulare.

“Cosa … cosa pensi di farne del bambino?”

“Non lo so, Heather, non lo so.” scossi la testa, sentendo in bocca l’amaro sapore della nausea.

“Vuoi abortire?” chiese lei timidamente, come se quella parola la spaventasse.

“Non lo so.” ripetei come un disco rotto.

“Come … come lo dirai ai tuoi?”

La sola idea mi fece accapponare la pelle.

Mia madre, così pura e perfetta, mio padre, che voleva che io facessi la suora.

Una volta mi disse: “courtney, tu non potrai mai fare l’amore. Io non lo permetterei. Non ce la farei a sopportarlo, ammazzerei chiunque ti toccasse anche solo con un dito.”

Io l’avevo guardato male, quella volta, mio papà.

Pensavo che non sarebbe mai successo.

E invece … eccomi qua.

Heather capì che non era il caso di parlare, lasciò che io appoggiassi la testa sulla sua spalla e piangessi per un po’.

Un bel po’. 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Angolo dell'autrice: AVVERTIMENTO: Heather è ancora un po OCC. Cioè ha preso un sacco di vizi che nel reality non aveva. Ha preso il vizio di fumare e quello di bere, tutto per dimenticare Alejandro. Ma ... leggete, capire meglio. Spero vi piaccio, baci





Quella sera le chiesi di restare a dormire da me.

Lei accettò di buon grado, per evitare di lasciarmi da sola con Trent, dato che i miei erano in viaggio d’affari.

Decidemmo di dormire nello stesso letto testa- piedi.

Lei si mise con la testa vicina alla porta.

Trent, confinato nell’altra stanza, parlava al telefono con qualcuno.

Chiudemmo a chiave la porta della stanza e guardammo una commedia, che stranamente non riuscì a strapparmi neanche un sorriso.

Ero molto stanca, e così, dopo una cena a base di cereali e latte freddo decidemmo di metterci a dormire.

Io avevo la testa vicino alla finestra, faceva freddo anche se era chiusa a doppia mandata.

“Court?”

La voce di Heather, proveniente dai miei piedi, risuonò morbida in quella stanza con l’aria viziata.

“Sì?”  chiesi io.

Heather si accese una sigaretta e si mise seduta, abbracciando le ginocchia con il braccio destro.

Lei mi rimproverava spesso, ma era la regina dei vizi.

Fumava e beveva da quando era finito il reality.

Dieci anni.

Non sembrava invecchiata, anzi, cresciuta neanche un po’.

Gli occhi grigi erano gli stessi, i capelli erano tagliati regolarmente per mantenere una lunghezza tale da permettergli di farsi quella graziosa coda di cavallo, il fisico pallido da modella era rimasto tale e quale.

L’unica cosa che era cambiata era la voce, sempre dolce e melodica, ma un po’ arrochita dal fumo e dalla birra di scarsa qualità.

Amava anche il gioco d’azzardo, soprattutto online, ed era soprannominata fortunata vincente.

La osservai mentre si portava alla bocca la Marlboro con classe, mentre con l’altra mano era intenta a incidere segnetti privi di senso nel legno dell’intelatura del letto, rovinandosi lo smalto rosso brillante che si notava anche sulle dita lunghe dei piedi nudi.

Aveva iniziato a bere a fumare per dimenticarsi di Alejandro e di ciò che gli aveva fatto.

Se ne era pentita.

Perché lo amava.

Ma se n’era resa conto troppo tardi.

Apri appena la bocca e un filo di fumo grigio pallido si disperse nell’aria entrandomi bel presto nelle narici.
Molti odiano l’odore del fumo, io lo amo perché mi ricorda lei.

“Cosa provi?” mi chiese.

“In che senso?”

“Ad avere qualcuno che ti ama.” disse lei e io intercettai una nota aspra nella sua voce.

“Cosa?”

“Trent ti ama, si vede. Da come ti guarda. Dopo un giorno, lui già ti ama. Nessuno mi ha mai amato.” disse lei con gli occhi persi nel vuoto.

“Ma tu … tu hai avuto decine e decine di ragazzi.”

“Mi desideravano per il mio fisico, per il modo in cui mi pongo, per la mia bellezza, presumo. Non mi amavano di certo per come sono.”

“Tutti tranne Alejandro.”  dissi. Avrei voluto trattenermi, ma non ci riuscii.

Lei mi lanciò un’occhiata strana, come se non appartenesse a questo mondo.

Poi, con la punta delle dita spense la sigaretta, senza nemmeno un gemito di dolore, la gettò a terra e la pestò con la pianta del piedi nudo.

“È ora di dormire.” disse, posandomi un dito sulle labbra per zittirmi.

Si distese e chiuse gli occhi.

La imitai.

Era confortante e meraviglioso avere i suoi piedi vicino alla testa, non puzzavano nemmeno.

Avevo addosso solo la biancheria intima e una maglietta della Hollister regalatami da mio padre l’anno prima.

Nell’elastico delle mutandine rosa tenevo un coltellino svizzero e il cellulare acceso.

Sospirai e provai a prendere sonno.

Qualcosa mi fece trasalire.

Un rumore furtivo, dietro la mia testa, e uno spiffero di vento gelido.

Mi voltai di scatto.

La finestra era chiusa, e fuori non c’era nessuno.

Mi convinsi che si trattava solo della mia immaginazione.

Qualche secondo dopo, il mio cellulare vibrò.

Cercando di calmare i battiti del cuore frenetici accesi lo schermo e digitai la password.

Un nuovo messaggio, numero sconosciuto.

Lo lessi. 


HAI VISTO, RAGAZZINA, COSA SUCCEDE QUANDO SI VUOLE ESSERE GRANDI A TUTTI I COSTI? ADESSO SEI NEI GUAI E NON PUOI FARCI NULLA … A MENO CHE TU NON VOGLIA UCCIDERE IL TUO BAMBINO, UN GIRINO APPENA NATO CHE CRESCE DI SECONDO IN SECONDO NEL TUO VENTRE … è SOLO TUA LA SCELTA. TI MACCHI DI QUESTA COLPA ORRIBILE, DI QUESTO OMICIDIO LEGALIZZATO, OPPURE … OPPURE TI UCCIDI DA SOLA, ROMPENDO LA TUA VITA E DIVENTANDO PER SEMPRE UN’ADULTA? IL TEMPO PER SCEGLIERE è POCO, RAGAZZINA … TIC TAC TIC TAC TIC TAC … DECIDI PRIMA CHE SIA TROPPO TARDI. E RICORDA, NON AVRAI QUEST’Età ANCORAPER MOLTO … SFRUTTALA BENE! HIHIHI …
 
Una sensazione di panico mi invase dalla testa ai piedi, sentii il respiro che si mozzava e soffocai un urlo.

Chi era quella persona?

Come sapeva di me e del mio bambino?

Forse uno stupido scherzo?

Ma chi, chi poteva aver fatto una cosa del genere?

Lo sapevano solo Trent e … Heather.

La guardai dormire, gli occhi socchiusi, la pelle di cristallo che rifletteva la luce della luna, le lunghe unghie smaltate posate sotto la guancia …

No, era ridicolo.

Heather no.

Allora, chi? 

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Decisi di ingorare quel messaggio.

Lo cancellai e misi il cellulare sul comodino.

Mi stesi di nuovo, ma non riuscii a prendere sonno.

La stanza ora mi pareva una casa stregata.

Sentivo fruscii, sussurri, pianti infantili e lamentele.

E poi un rumore assordante mi fece alzare immediatamente seduta.

La finestra era rotta, i vetri sparsi ovunque.


Mi alzai in piedi di scatto e accesi la luce.

Non c’era nessuno.

Controllai nell armadio e dietro i mobili, ma non c’era nessuno.

Poi lo vidi, per terra.

Un sasso circolare con attaccato un foglio di carta con dello spago consunto.

“Che succede, court?”

Heather si era alzata lentamente e stava venendo verso di me.

“Heather … guarda!” esclamai.

Lei guardò prima il vetro, poi me, prima me, poi il vetro.

Pareva incredula.

Slegai il pezzo di carta e dispiegai il foglietto.

Era un messaggio, fatto con le lettere del giornale tagliate, come nei film polizieschi.

"Povera, povera Court "

Sentii una potente stretta allo stomaco, e avvertii un conato.

“Heather … solo tu mi chiami Court …” 

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Capitolo 9
*** capitolo 9 ***


Sentii una potente stretta allo stomaco, e avvertii un conato.
“Heather … solo tu mi chiami Court …”


“Mi stai dando la colpa?!”


“Certo che no! Mi chiedevo solo … chi altro potrebbe saperlo?”

“Chiunque, Court. Chiunque può aver sentito il nostro discorso.”

“Ma ero in casa da sola quando abbiamo parlato al telefono.”

“Gli stalker sanno il fatto loro.”

Deglutii.

Le raccontai del messaggio.

Lei strabuzzò gli occhi, e quando ebbi finito di parlare si precipitò nella camera dei miei e svegliò Trent con uno schiaffo.

“Se questo è uno scherzo giuro che ti AM-MA-Z-ZO!”

“DI COSA stai parlando, Heather?”

Gli raccontammo del messaggio e della pietra.

Trent andò al telefono di casa per chiamare la polizia.

“Trent, non esagerare … non esagerare!” disse Heather.

“Non si scherza con queste cose!” esclamò lui.

“Allora chiama l’F.B.I !” urlò lei esasperata.

Non aiutava il fatto che fosse l’una e un quarto di notte.

La testa mi girava, e lo stomaco sembrava minuscolo dalla paura che provavo in quel momento.

“Smettetela di litigare!” urlai.

Loro mi fissarono.

“Sembrate due bambini dell’asilo! Non capite che è una cosa seria questa?”

“E allora cosa intendi fare?” mi chiese Trent.

“Adesso torniamo a dormire. Domani andremo a fare una denuncia.”

Loro due annuirono.

“E benché so che la cosa non vi piacerà, dormiremo tutti in una stanza! È rischioso separarci …”

“Forse dovremmo trasferirci a casa mia …” disse Trent.

Heather non ne fu contenta, perché a casa sua in veste di ospite non se la sentiva di continuare a odiarlo.

“Bah.”  disse, ma accettò per farmi felice.

Ci vestimmo, io chiusi casa e prendemmo il motorino di Trent.

Lui guidava, io abbracciata a lui e Heather dietro, seduta sul portabagagli, con le braccia strette alla mia vita per non cadere.

Mise in moto e accese i fanali.

Spense subito il motore.

“Che succede?!”

“Ho sentito un rumore.”

Mi strinsi a lui ancora più forte, ma decise di scendere e controllare.

Restai immobile sul motorino, presa da un senso di panico totale.

Tornò qualche secondo dopo.

Sembrava stesse correndo.

Ci guardò negli occhi,prima una e poi l’altra, desolato.

“C’è qualcuno.”  fece appena in tempo a dire, poi si accasciò a terra.

Colpì il terreno con un tonfo, svenuto.

Il suo sangue, proveniente da un taglio in testa, bagnò l’asfalto.

Ebbi il coraggio di alzare lo sguardo, pronta ad affrontare chiunque mi si fosse presentato davanti.

Ma non c’era nessuno. 

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Heather prese l’iniziativa.

Sollevò con difficoltà Trent e lo adagiò sul sellino del motorino.

Gli tolse il casco, se lo mise e accese il motore.

“Tienilo stretto!”  esclamò.

Io lo afferrai per le spalle e lo tenni inchiodato sul sedile in cuoio, mentre Heather partiva a tutta velocità nel buio delle due di notte.

Mentre lasciavamo la via di casa, capii di aver fatto un tragico errore.

La porta.

L’avevo lasciata aperta.

Lo vidi, all’improvviso, e fu come se il mio cuore si fermasse per un istante.

Qualcuno era entrato. 






La notte in ospedale non fu proprio il massimo.
Ma il peggio successe verso le 4 e mezzo.
Qualcuno mi chiamò.
Un numero sconosciuto.
Avevo paura di rispondere, avevo paura che fosse di nuovo lui.
O lei.
Chiunque fosse  quel tipo.
Mi fece coraggio e risposi.
La voce era abbastanza melodica, femminile, sembrava isterica.

“Cosa è successo a Trent?”

“Chi sei?”

“Sono … sono Gwen.”

“Non credo che siano affari tuoi.”

“Ma …”

“Come lo hai saputo?”

“Heather … la Heather del reality. Quella heather. Mi ha ditto che c’è stato un incidente …”

“Sono affari miei e di Trent!”

“Ho il diritto di saperlo!”

“No! Non ne hai nessun diritto! Trent ora è il mio ragazzo! Vai dal tuo maritino Duncan!”

“Courtney, non è giusto il tuo comportamento …”

“Sai cosa di tico? Vaffan …”

Lei attaccò.
 
“Bene. “ Mormorai tra me e me.

Trent era in una sala operatoria, io ero fuori ad aspettare.
Heather era scomparsa qualche minuto prima.
Decisi di cercarla, perciò, con gli occhio mezzi chiusi, seguii i cartelli fino alla caffetteria del pronto soccorso, ma era chiusa.
Heather non era lì.
La trovai ai distributori automatici vicino ai bagni, intenta a scartare un mini pacchetto di pop corn.
Nell’altra mano teneva un bicchiere di caffè.

“Heather, perché hai detto a Gwen dell’incidente?”

“Non ci posso credere. Te lo ha detto? Che brutta …”

“Heather, non cambiare discorso.”

“Pensavo che ora fosse il suo turno di stare un po’male.”


 Heather sapeva essere perfida e gentile allo stesso tempo.

Siccome avevo fame e avevo in tasca il portafoglio decisi di prendermi una barretta al cioccolato.
Scelsi un twix, la carta d’oro e il disegno dell’onda di caramello mi attiravano fin da quando ero bambina.
Ascoltai il rumore delle monete che cadevano nel distributore e guardai rapita la molla che faceva cadere giù la barretta.
La recuperai e iniziai a mordicchiarne il bordo dopo averla scartata.

Era congelata.

“Quando pensi che sia giusto andare a fare la denuncia alla polizia?”

“Non lo so, Heather.”

“Courtney. Nelle ultime ventiquattro ore hai detto troppe volte questa frase. Adesso è ora di prendere delle decisioni.”
“Andremo … appena ci daranno la diagnosi di Trent.”

“Okay …”

Finì di bere il caffè e deglutì con un suono gutturale.

Il mio cellulare vibrò.

Probabilmente era ancora Gwen.

Ma che voleva da me?

Risposi.

“Ciao, Court.”

Quella non era Gwen.

Era una voce strana, innaturale, inumana, sembrava alterata da qualche congegno.


Temevo di sapere chi era.


“Ciao, court.” ripeté quella voce, con quel tono modulato e calmo che mi stava togliendo il respiro.

“Indovina dove sono, bellezza? Sono qui, sono in casa tua, sto rovistando tra le tue cose … mi sto lavando i denti con il tuo spazzolino, mi sto guardando nello specchio della tua casa, sto osservando gli abiti appesi nel tuo armadio … bello, questo paio di leggings. Chissà come ti stanno … uh, non parliamo di questa camicetta bianca. E questi tacchi? Oh, courtney, non saranno troppo alti? Potresti cadere. E allora ti faresti male … non vorrei mai che ti facessi male.”


“Chi sei?!” ebbi il coraggio di chiedere, con voce soffocata.

“Vorresti saperlo? Non te lo dirò, mia carrrrraaaaaaa …”

“Sai che ti dico? Non mi importa. Tra poche ore chiamerò la polizia, e tu sarai arrestato. O arrestata. Quello che vorrei sapere è … perché stai facendo tutto questo? Cosa ti ho fatto io di male?”

Quella voce rise, una risata agghiacciante e orribile.

Poi attaccò.
Heather mi stava fissando.

Aveva sentito tutto.

“Courtney, io la polizia la chiamo adesso. Se quel bastardo è in casa tua possiamo prenderlo.”

“Heather, non so se è veramente lì o lo dice solo per depistarmi …”

“C’è un solo modo per scoprirlo.”

Io annuii.

Heather frugò nella borsa, poi mi guardò con gli occhi sbarrati.

“Courtney … non trovo più il mio cellulare.” 

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Heather frugò nella borsa, poi mi guardò con gli occhi sbarrati.
“Courtney … non trovo più il mio cellulare.”



Fu un momento di panico per tutt’e due.

“Che ne so, potrebbe esserti caduto …”

“Ma la borsa era chiusa!”

“Ne sei certa?”

“Certissima.”

“Oh mio Dio.”

“Ma come …”

“Qualcuno te lo dovrebbe aver rubato.”

“Calma, Courtney. Non colleghiamo il mio cellulare al tizio che ti ha chiamata.”

“…”

“Ok, adesso calmiamoci. Aspettiamo che dimettano Trent, io vado a vedere se il mio cellulare l’ho lasciato da qualche parte … tu avverti la polizia.”

“Ok.”

Misi una mano in tasca, per prender il cellulare che avevo appena lasciato.

Ebbi un tuffo al cuore.

 “Heather, non c’è nemmeno il mio, di cellulare.”

Lei cercò di rimanere calma, ma si vedeva che non lo era per nulla.

Guardò l’orologio.

Erano le cinque di mattina.

“Okay. Calmiamoci.” prese a camminare avanti e indietro nervosamente.

“…”

“Cel’avevi? Quando … quando … quando l’hai messo in tasca?”

“Appena è finita la telefonata.”

“Ma … è stato un minuto fa!”

“Lo so!”

“Ma chi potrebbe ….?”

“Calmiamoci, Heather, magari mi è solo caduto.”

Heather si chinò e guardò per terra, sotto le sedie, dietro i distributori.

“Courtney, qui non c’è. Ti sei mossa dopo la telefonata?”

“Ma se eri qui davanti a me!”

“Oh Dio, Courtney … ma come potrebbe … chi potrebbe …?”

“Heather, siamo sole, in questa stanza.”

“Qualcuno potrebbe essere entrato e poi subito uscito.”

“Ma l’avremmo visto!”

“Potremmo chiedere di controllare il video della telecamera di sicurezza.”

“E tu credi che ce lo farebbero fare?”

Si sentì un fruscio alle loro spalle.

Si voltarono di scatto.

Heather trattenne il fiato.

“Ma cos …?!”
  

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Si sentì un fruscio alle nostre spalle.
Ci voltammo di scatto.
Heather trattenne il fiato.
“Ma cos …?!”
 


Non c’era nessuno.

“Heather, mi sto cominciando a spaventare …”

“Inizi solo adesso? Io sono terrorizzata da circa … un giorno! Anzi, una notte.”

“Heather, guarda.” Esclamai.

Sulla sedia c’era il mio telefono.

“è sempre stato qui.”

“Ma com’è possibile, ho controllato alla perfezione!”

“Cosa vuoi che ne sappia io?!” esclamai.

La tensione era palpabile.
“Chiama la polizia …” disse Heather.

“Ok.”
Composi il numero.

“Dri drin … il suo credito non è sufficiente …”

“Che cosa?!” urlai.

“Che succede?”

“Non ho più credito. Due minuti fa avevo cinquanta euro!”

“Impossibile! Ne se certa?”

“Certissima.”

“Aiuto. Courtney, aiuto. Non so più cosa pensare …”

Io degluitii forte.

“In pratica: il mio credito si è misteriosamente esaurito in quindici secondi, tu hai perso o ti hanno rubato il telefono, quindi nessuna delle due può chiamare …”

“Sì, Courtney.”

Controllai se era tutto a posto: i contatti, le immagini, i video, era tutto salvato. Non poteva trattarsi di un virus. Guardai il punto di informazione del mio operatore, ma stranamente la pagina non si caricò.

“Heather,  non si carica la pagina del mio operatore …”

“Com’è possibile?”

Stavo iniziando a irritarmi.

“Che cazzo ne so?!” urlai, in preda a una crisi isterica.

Heather mi fissò come se fossi una matta.

Dopo aver preso a calci il distributore per qualche secondo, mi lasciai cadere su una sedia plastic osa e presi la testa tra le mani.

“Heather, ho tanto paura …” sussurrai.

“Devo essere sincera? Anche io.”

Heather estrasse dalla tasca un pacchetto di Marlboro e se ne accese una.

“Che cosa fai? Dentro non si può fumare.”

“Tanto usciamo tra un minuto.”

Non avevo la forza di iniziare una nuova discussione.

Controllai di nuovo il telefono, era tutto a posto.

Per ammazzare tempo e nervosismo decisi di fare una partita a Subway Surfers, il mio gioco per cellulare preferito, anche se ero scarsa.

Appena si aprì notai subito qualcosa di strano: avevo 500.000 monete.

Eppure … ero sicura di averne solo 240 l’ultima volta che avevo giocato.

Poi mi venne un’illuminazione.

Andai a controllare il negozio di monete a pagamento.

Per  50, 00 dollari ti davano 500.000 monete!

Ecco come avevo speso il mio credito.

Un attimo.
ma io non avrei mai fatto una cosa del genere.

“Heather, i miei cinquanta euro sono stati spesi in questo gioco.”

“Courtney, perché spendi i tuoi soldi in queste puttanate?”

“Non sono stata io!”

“E chi potrebbe essere stato? L’uomo invisib …” Heather si tappò la bocca con la mano.

Sapeva di aver appena pronunciato il nome del colpevole.

“Esatto!” urlai io in modo isterico.

“Ok, basta. Adesso andiamo a vedere come sta Trent e usiamo il suo cellulare per chiamare la polizia, oppure usiamo il suo motorino per andare a fare la denuncia in centrale.

“Va bene …” dissi io.

Lei mi precedette e fece per aprire la porta a sbarra.

“Heather, quanto cazzo ci metti ad aprire una porta?!” chiesi.

Ero troppo nervosa per essere gentile.

Lei si girò verso di me, molto lentamente.

Aveva lo sguardo vitreo, assente, perso nel vuoto.

“Courtney …” disse, con voce velata.

“Heather! Sta bene? Tutto bene?” la scossi per le spalle.

“Courtney.” Disse di nuovo lei con una voce che non sembrava appartenerle.

Fece una risatina inumana, orribile, agghiacciante.

“Courtney … non si apre la porta. Siamo chiuse dentro.” 

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


ANGOLO DELL'AUTRICE: ATTENZIONE: questo non è il capitolo finale. Quindi non finisce così ... il caso non è risolto ... sarà chi credono Courtney e Heather ? Oppure no? Scopritelo nel prossimo capitolo, e nel frattempo gustatevi questo ... vi do un'indizio. Niente è mai come appare. Continuate a leggere! Baci.




Realizzai in un secondo che era la fine.

Ero chiusa in una stanza senza poter chiamare nessuno, Heather aveva fumato e avevamo si e no tre ore d’aria.
Pensai se ci poteva essere un lato positivo, ma l’unica cosa che mi venne in mente furono tutti i personaggi che avrei potuto comporare a Subway Surfers.

Mi diedi una leggera sberla per costringermi a smettere di fare la scema.

“Heather, butta quella sigaretta …”

“MA ...”

“Butta quella cazzo di sigaretta!”

Lei la gettò a terra e la pesto con il piede.

“Datti una calmata!” m’intimò.

Ci sedemmo sulle sedie di plastica schiena contro schiena, imbronciate come bambine di due anni.

Dopo neanche mezzo secondo ci voltammo e ci guardammo negli occhi, soffocando una risata.


Poi ci ricordammo della situazione in cui ci trovavamo, del nostro incubo nato da poche ore e tornammo a essere cupe.
Dopo venti minuti di silenzio lugubre, Hetaher si alzò e si avventò contro la porta in preda a una crisi isterica.

Iniziò a prenderla a calci e pugni come una pazza psicopatica e a urlare.

“FATECI USCIRE! CAZZO! SBRIGATEVI! QUI DENTRO STIAMO MORENDO! MA QUANDO LO APRONO, STO BAR?!” e cose del genere.

Ma non arrivò nessuno.
Io, che stavo camminando avanti e indietro per la stanza notai un buco nella parete.
“Beh, almeno abbiamo aria garantita …” dissi, fingendomi calma e positiva.
Heather mi guardò con la stessa ferocia con cui uno squalo guarderemmo un delizioso pesce rosso.
Alla fine, stremate, ci addormentammo per terra una accanto all’altra, Heather imprecando, io pregando.



 
“Signorina … singorina?”
Qualcuno stava tentando di svegliarmi

Mi alzai con fatica in piedi e misi lentamente a fuoco chi si trovava davanti a me.

Un ragazzo sui ventidue anni, capelli ordinati e piastrati, orecchino, camicia del bar.

Era il barman.

“Ci siamo …  ci siamo addormentate qui, ieri sera.” Mi giustificai.

Dopo essermi scusata e aver svegliato Heather ce la filammo dalla porta a perta e ci dirigemmo davanti alla sala dove avevano operato Trent.

Bussammo,  e riconoscemmo la sua voce che ci disse “avanti.”

Entrammo.

Era steso in una brandina e aveva metà testa bendata.

Parlare gli costava molta fatica.

Di fianco al suo letto c’era un’infermiera bionda stile “grey’s anatomy”.

“Allora, ci dica …”

“Deve essersi ferito con un a pietra, come se qualcuno l’avesse colpito …”

“ah.”

“per quando potrà uscire?” chiese Heather impaziente.

“Tra due giorni al massimo.”

“La ringrazo.” Dissi io.

Mi avvicinai a Trent.

“Come stai?”
“Courtney, amore …” disse lui prendendomi per mano.

Non sapevo cosa rispondergli, così lo baciai a stampo e sussurrai “andrà tutto bene.”

Uscimmi dalla stanza.

“Andiamo a fare la denuncia?” chiese Heather incrociando le braccia al petto.

“Uhm … d’accordo, purchè prima passiamo da casa tua  a cambiarci. Puzziamo.” Dissi io con una nota sarcastica.

Ragiungemmo casa di Heather con il motirno di Trent e lo parcheggiammò nel garage.

Facemmo una bella colazione con uova e bacon, e poi andammo nella sua cabina armadio.

Lei si mise una canottiera fuxia e degli shorts brillantinati, io una tuta con gli shorts e presi le sue scarpe da ginnastica, le uniche che mi andavano bene, mentre lei prese dei sandali con la zeppa.

Ci truccammo velocemente, controllammo che il mio cellulare fosse carico e andammo in commissariato con il motorino rosa di Heather.

Furono venti minuti di tragitto silenzioso e senza casco, con il rischio di ammazzarci.

Quando parcheggiò il mio cellulare vibrò.

Risposi, attanagliata da una fitta allo stomaco.

“Ciao, stai andando in commissariato? AHAHAHAHAHAHAHA MA LO SAI QUANTO è INUTILE?! Ahaahahha. A proposito, ti ho rubato qualche paio d pantaloni … piaceranno alle zingare che vivono vicino a casa m …”

S’interruppe la chiamata.

Era lui.

Heather aveva sentito.

“Courtney, l’abbiamo incastrato! Hai sentito?! Si è tradito da solo. Chi è che conosciamo che vive vicino a una roulotte con degli zingari?”

Io ci pensai un po’ su, mentre scendevamo dalla moto.

“Sappiamo chi denunciare.” Disse Heather.

Io boccheggai e barcollai, mi appoggiai alla moto per non cadere.

“Duncan … non è possibile …” mormorai. 

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Ci precipittammo in commissariato.

“Cel’abbiamo in pungno!”

Ci mettemmo in fila e aspettammo.

Dopo circa mezz’ora abbiamo finalmente guadagnato lo sportello.

“Vorrei fare una denuncia.”

“A carico di chi?”

“Di Duncan Nelson.”

“I motivi?”

“Stalking. La mia amica ha qui registrate due chiamate, abbiamo un messaggio cartaceo, e penetrato in casa della mia amica, tutt’ora abbandonata da lei stessa, le ha rubato degli oggetti e ha rubato il mio cellulare.”

“Le prove?”

“In una chiamata ha dichiarato per errtore di abitare vicino ad alcune roulotte. Dove abito Duncan Nelson, l’unico di nostra conoscenza.”

Il carabiniere rimase pensoso.

“Dobbiamo avere prove più concrete.”

In quel momento mi squillò il cellulare.

“è lui!” urlai, riconoscendo il numero.

Il carabiniere ci disse di seguirlo, e ci portò in una stanza dentro il commissariato dove c’erano altri tre agenti.

Chiuse a chiave la porta.

“Metta in vivacoe, io registrerò.” Disse.

Io premetti il vivavoce e risposi.
“Pronto?”

“Pronto. Sono io. Sappi che la tua casa è ancor ain mio possesso, ma se oserai chiamare la polizia o denunciarmi la farò esplodere.”

“Ah sì?”

“Sì.”

Heather cacciò un urlo.

“Che succede, signorina?” chiese il carabiniere.

“Guardate tutti! Quello è Duncan Nelson!”

Fuori, nel parcheggio, c’era Duncan.

E stava parlando al telefono.

Io,m senza chiudere la chiamata, seguii i quattro uomini fuori.

Io cercai di intrattenerlo.

“Dove ti trovi?”

“Vorresti saperlo, eh? Sappi che sono molto, molto vicino a te.”

Duancan in mezzo secondo fu prese per le braccia e messo contro il muro, in manette.

“Colto in flagrante.” Esclamò un polizziotto.

“Ma cosa …?!” urlo Duncan infuriato cercando di liberarsi.

“Sei accusato di stalking!” esclamò un poliziotto.

“Ma che caz …?! Stavo parlando con mia madre!” esclamò lui.

“Certo, come no. Lo racconterai al giudice.”

Lo stavano portando via, mentre Heather annuiva  soddisfatta.

“Ehm … scusate.” Dissi io.

Loro si fermarono.

“Sta ancora parlandomi.”  Dissi io.

La voce rise e disse “Ahahahah! Mi fai sbellicare! Come sei ingenua! Hai fatto arrestare il tuo ex! Sai? Sono molto vicino a te. Voltati.”

Trattenendo il respiro, mi voltai.

“Oh porca di quella TR**A!” urlò Heather, e prese a correre.

La sua moto stava sgommando nel vialetto, guidata da lui, o lei, il mio invisibile persecutore.

Che ci salutava con la mano. 

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


“Ma se non è Duncan, allora, chi è?”

Questa fu la domanda che mi feci per tutta la durata della settimana successiva al furto dell’auto di Heather.

I poliziotti avevano inseguito quella … quella persona, ma non erano riusciti a prenderla.

Era stata una settimana difficile, molto difficile.

Casa mia era stata dichiarata “zona vietata”, e i poliziotti stavano cercando tracce, come impronte digitali o altro.

Ma non avevano trovato nulla, ne un pezzo di pelle morta o un capello.

Chiunque fosse il mio persecutore, doveva essere un tipo esperto.

In quel periodo vivevo a casa di Heather un giorno, nell’attesa che la polizia scoprisse qualcosa o che dimettessero Trent.

Non mi erano arrivati altri messaggi, a parte uno di Duncan che mi chiedeva di vederci.


Lo avevo subito cancellato.
Quel pomeriggio ero seduta sulla poltrona del salotto di Heather, aspettando che lei tornasse dal lavoro.

Si era fatta assumere come baby sitter da un suo vecchio amico, Harold, che aveva avuto quattro gemellini pestiferi da Leshawna.

Ero raggomitolata sulla poltrona di pelle, con addosso una coperta di lana ruvida e una tazza di thé bollente tra le mani, solo per scaldarne.

Sulle ginocchia aveva posata una copia del quotidiano locale.

Eravamo alla terza pagina, io e Heather, in una grossa foto a colori.

Lei era posizionata davanti a me con il braccio in avanti, io di fianco a lei con un’aria stralunata.

Ero venuta davvero male: capelli arruffati, espressione terrorizzata, indossavo una camicia macchiata di caffè con le maniche arrotolate e un paio di jeans.
Ai piedi avevo le infradito che Heather mi aveva prestato.

Quella foto risaliva al giorno in cui avevamo fatto la denuncia: un giornalista ci aveva prese da parte per cercare di spillarci uno scoop.

Avevano fatto un piccolo articolo su di noi, stretto tra alcune notizie politiche e la cronaca dell’ultima partita di calcio.

“L’INIVISBILE PERSECUTORE”

“Forse l’abbiamo capito, da dove gli scrittori prendono spunto per i loro romanzi thriller.
Da fatti realmente accaduti e casi di vita reale.
Casi come quello di Courtney Barlow, una ragazza di 27 anni che circa sette giorni fa è stata contattata da un misterioso individuo via sms e telefonata.
Lo sconosciuto ha lanciato un messaggio intimidatorio nella casa della giovane, che stava insieme al fidanzato ed ad un’amica, Heather Wilson.
Le due ragazze hanno deciso di trasferirsi per la notte  nella casa del ragazzo, Trent, ma mentre uscivano lui è stato ferito alla testa con un oggetto non identificato dall’individuo che aveva contattato la ragazza.

Le due, spaventatissime, hanno portato Trent all’ospedale, dove è stato portato immediatamente in sala operatoria per un intervento.
Perdeva molto sangue dalla tempia e non prendeva i sensi.
Le ragazze sono rimaste in ospedale per il resto della nottata, ma sono rimaste misteriosamente rinchiuse nella sala bar, ad una di loro è stato sotratto il cellulare e l’altra ha perso misteriosamente tutto il suo credito.
Sono così rimaste isolate nella stanzetta finché un impiegato dell’ospedale non le ha liberate, tre ore dopo.
Le due sono corse in commissariato dopo un’altra telefonata dello stalker e hanno accusato un ragazzo di loro conoscenza, Duncan Nelson.
Ma mentre i poliziotti gli mettevano le manette, il vero stalker ha rubato sotto i loro occhi il motorino di Heather, e dopo un inseguimento della polizia sembra essere scomparso misteriosamente nel nulla. I poliziotti continuano a indagare per collegare questa catena di eventi, è certo che chiunque sia questa persona possa essere un pericoloso pazzo …”

 
Chiusi il giornale e lo feci scivolare per terra.

“Incredibile come i giornalisti riescono sempre a procurarsi un sacco di notizie … chissà quanto avranno parlato con i piedipiatti di noi.” Pensai mentre provavo a bere il thé.

Era ancora troppo caldo, così quando qualche goccia mi passò sulla lingua cacciai un urletto e la tazza cadde a terra, rompendosi in decine di piccoli pezzi bianchi che si sparsero ovunque.

Il thé avanzò minaccioso in direzione del tappeto, bagnando e imbevendo alcune assi del parquet chiaro.

Rimasi incantata a guardare il liquido marrone che inzuppava il bordo sfilacciato del tappeto persiano della casa della mia migliore amica.

Dopo pochi secondi mi resi conto del danno, mi alzai con molta fatica e andai in cucina a prendere uno straccio per pulire.

C’è n’era solo uno, fatto di spugna molle grigia.
Aprii il rubinetto e lo misi sotto l’acqua tiepida.

Il mio cellulare vibrò a lungo.

Una chiamata.

Il cuore prese a battermi fortissimo nel petto.

NO, non era possibile.

Non avrebbe mai potuto richiamarmi.

Non con tutti quei poliziotti alle calcagna.

No, avrebbero intercettato la chiamato.

VERO?!
Forse era solo Duncan.

VERO?!

Appoggiai lo straccio sul bordo metallico del lavandino, mi pulii le mani nei pantaloni e risposi senza guardare il numero.
Pronto?”
“Ciao, Barlow.”
Il sangue mi si gelò nelle vene.
Volevo attaccare, ma mantenni il sangue freddo.
“Ciao.” Bisbigliai, come per paura che potesse reagire male.                                                                                                  
“Ascoltami bene, Court. Non aspettare che la tua amichetta asiatica torni a casa, stasera … la sto andando a prendere io. Ma non te la porterò … la porterò in un posto che tu conosci molto molto bene … a proposito, Court, tu non senti la mancanza di … di casa? Non è brutto essere sempre ospiti della tua amichetta? Ma io amo la giustizia, Courtney, e per questo motivo … adesso sarà Heather a stare per un po’ da te … a , un ultima cosa: attenta a quel tappeto persiano … deve costare un bel malloppo di soldi!”

Chiuse la telefonata.

Il telefono mi cadde di mano, sentii il suono dello schermo che colpiva il pavimento e vidi la  cover gommosa separarsi dal resto e la batteria schizzare sotto la lavatrice.

Capii al volo cosa dovevo fare.

Corsi in salotto e tolsi il pezzo sotto della poltrona.

Trovai quello che cercavo: la beretta
.
nuova fiammante di Heather.

Non l’avevo detto?

Beh, tutti hanno i propri lati oscuri … tutti.

E Heather possedeva illegalmente una pistola e giocava d’azzardo.

E io avevo un figlio in ventre di un ragazzo che non amavo.

Presi l’arma con le dita che pizzicavano.

Non avevo mai minacciato nessuno a mano armata, ma ero pronta a farlo.
Corsi fuori aprendo la porta con un calcio e feci un giro di corsa intorno alla casa.

Se aveva visto il tappeto persiano, doveva essere lì.

Giusto?

Vidi una sagoma in ombra dietro la casa e puntai la pistola.

“Fermo o sparo!” esclamai, tirando fuori tutto il mio coraggio.

Mi sentivo come un’eroina delle serie poliziesche.

Ma quella era la realtà, e avevo paura. Tanta paura.
La sagoma rimase ferma immobile.
Poi disse qualcosa, con quella voce alterata e inumana.
“AHAH, sei stata fregata. Sei stata fregata, Barlow … Ah! Ora mi prendo la tua amichetta … un vero piano, vendetta perfetta!”
Che filastrocca stupida.
Mi avvicinai a piccoli passi e allungai la mano senza pistola.
Mi sembrava di essere in Psyco, nella scena in cui la ragazza sta per sfiorare la spalla della vecchia signora assassina che poi si rivela un manichino.
Beh, sapete una cosa?
Andò proprio così.
Cacciai un urlo strozzato e indietreggiai.
Gli occhi vuoti del manichino mi fissavano come se volessero sfottermi.
Un manichino! Uno di quei manichini che si trovano nei grandi magazzini, completamente bianchi con gli occhi vitrei.
A terra erano appoggiati due cellulari vecchio modello.
Uno indicava che aveva appena finito di trasmettere una registrazione, e l’altro era su “chiamata terminata.”
Ascoltai la registrazione premendo il pulsante “Play”.
Era come immaginavo:
 
                                                                                                                                                                                          
“Ascoltami bene, Court. Non aspettare che la tua amichetta asiatica torni a casa, stasera … la sto andando a prendere io. Ma non te la porterò … la porterò in un posto che tu conosci molto molto bene … a proposito, Court, tu non senti la mancanza di … di casa? Non è brutto essere sempre ospiti della tua amichetta? Ma io amo la giustizia, Courtney, e per questo motivo … adesso sarà Heather a stare per un po’ da te … a , un ultima cosa: attenta a quel tappeto persiano … deve costare un bel malloppo di soldi!”
 
 
“Quel tipo è un pazzo.” Pensai.

Poi, un pensiero mi balenò nella mente.

“Heather!” urlai.

Mi voltai di scatto, infilai la pistola nella tasca della felpa, chiusi a chiave casa di Heather e corsi, con le mie ciabatte a coniglietto e i pantaloni del pigiamo, a cercare Heather.

Prima che fosse troppo tardi.
 

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


La moto correva velocemente sulla strada, divorava fette e fette di asfalto grigio rombando.

Stava scendendo la sera, il cielo era color indaco con sufmature violette.


La ragazza che vi stava sopra era snella, portava una tuta nera aderente da spia, un paio di occhialoni da sole e il il casco della stesso colore.

Aveva chiesto la moto in prestito ad un amico, perché la sua era stata rubata qualche giorno prima.

Le dita erano strette sul manubrio della vespa, le nocche bainche dallo sforzo, quasi dello stesso colore della pelle candida del viso.

Ai piedi aveva due scarponi neri con il tacco spesso di trenta cm.

Il vento le scompigliava i capelli neri e morbidi, come  fili d’inchiostro, che le uscivano dal bordo del casco.

S’infilò in una stradina secondaria, illuminata solo da qualche sporadico lampione a bordo strada.

Stava tornando a casa dal lavoro, dove l’aspettava la sua migliore amica, un’ispanica abbronzata tutta curve, come lei, del resto.

All’improvviso udì un fischio e vide una figura china su due bidoni della spazzatura, contornata di bottiglie vuote di birra.

Inchiodò, pronta a insultare l’ennesimo maniaco che ci provava con lei.

“Salve.” Disse lui con una voce cavernosa.

Lei scese dalla moto e si portò una mano alla tasca, dove teneva il suo prezioso tesoro.

“Salve.” Ripeté l’uomo avanzando di qualche passo, ma restando sempre all’ombra.
Le posò una mano sul braccio, vicino al gomito.

Ci fu uno scintillio alla luce del lampione e la mano del tizio si staccò dal braccio della ragazza.
Lui trattenne un gemito, qualche goccia di sangue cadde a terra.


Poi accadde qualcosa che lei non aveva previsto.

In pochi secondi si ritrovò sollevata di circa un metro e sessanta da due braccia muscolose, poi salì ancora senza rendersi conto di che le succedeva, poi avvertì sulla faccia un materiale unto e rigido, come la tela di un sacco.

Sentì un violento strattone alla testa, poi il casco rotolò giù e andò a sbattere contro la moto.

Sentì qualcosa che si chiudeva sopra la sua testa e le narici vennero invase da un odore di pizza del cartone.

Non vedeva nulla, se non minuscoli buchini rettangolari.

Fuori di vedevano piccoli rettangoli di strada.

Era stata chiusa in un sacco.

Il sacco si alzò alto e poi ricadde a terra, colpendo la ragazza in fronte.

L’asiatica sentì un ghigno, poi svenne.
 


“Courtney, per l’amore del cielo, calmati. Va tutti bene , ci sono qui io.”
Trent mi accarezzò l’inizio della schiena cercando di calmarmi.
Avevo la testa appoggiata al suo petto vagamente muscoloso e le mie mani affondavano nei suoi capelli neri.
Singhiozzavo ogni due secondi e le mie spalle si muovevano ritmicamente su e giù.
Io e Trent eravamo seduti nel retro di una macchina della polizia del dipartimento locale.
Davanti e dietro di noi c’erano in tutto cinque auto con le luci rosse e blu lampeggianti, e fuori c’erano dei poliziotti in divsa che parlavano tra di loro.
Davanti a noi c’era casa mia, la villetta in cui avevo vissuto per circa tre anni della mia vita.
Vidi un poliziotto che prendeva di nuovo il megafono dalle mani di una altro e lo accendeva.
Con decisione mi liberai dalla presa di Trent e uscii dalla macchina.

“Signorina, torni dentro!” esclamò uno.

“Si scansi!” dissi io sorpassandolo.

I miei occhi erano puntati sulla casa.

“Potrebbe sparare!” disse un altro prendendomi per un braccio.

“Posso correre questo rischio!” urlai io, ma non mi ascoltarono.

Mi fecero sedere di nuovo in macchina, ma lasciarono la portiera aperta, in modo che io potessi sentire.
Il poliziotto parlò nel megafono.

Vogliamo solo parlarti.” Disse, diretto alla mia casa.
Una voce dall’interno rispose : “Vi ascolto.”
 

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


Tenni stretta addosso la giacca e sospirai forte.
La voce era quella che nell’ultima settimana popolava i miei incubi.
 
Noi vogliamo solo la ragazza.” Disse il poliziotto molto pacatamente.
 
“Sì, ma lei è qui con me.” Disse la voce.
 
“Per piacere, cerchiamo di parlarne. Ridaccela. Quali sono le tue … condizioni?”
 
Sembrava che anche l’altro parlasse in un megafono.
 
Ma come diavolo ci era arrivato un megafono in casa mia?
 
“Le condizioni? Mh, già, le condizioni. Ho un’unica condizione molto semplice … la signorina Courtney Barlow deve abortire e andarsene dalla città. Per sempre.”
 
Calò un silenzio tombale.
 
Si vedevano solo nuvolette di condensa uscire dalle bocche dei poliziotti.
 
Io boccheggiavo.
 
Mi appoggiai alla macchina per non cadere.
 
Trent si alzò di scatto e mi prese per le spalle.
 
“Courtney!” esclamò.
 
Io avevo gli occhi lucidi, e una lacrima mi scivolò lentamente sulla guancia.
 
Poi corsi in avanti e mi sentii gridare “Che cazzo vuoi da me?!” furiosamente.
 
Mi tappai la bocca con entrambe le mani, come fanno le adolescenti quando bestemmiano per sbaglio.
 
La voce esitò.
 
Si sentiva il suo respiro nel megafono.
 
“Voglio solo che tu te ne vada da qui. Tutto qua. Oh, voglio anche che tu ammazzi tuo figlio!” gridò.
Io sentii la testa girare forte.
 
Tutti i poliziotti, quasi all’unisono, puntarono le pistole contro la finestra da cui proveniva la voce.
 
“Falla finita?!” urlò il commissario rivolto alla finestra. “Non dire stronzate!”
 
“Perché?! Perché vuoi che me ne vada?!” urlai a mia volta.
 
Aspettai qualche secondo, ma non successe nulla.
 
Poi qualcosa cadde dall’alto verso la mia testa ad una velocità incredibile.
 
“Attenta!” ululò un poliziotto, e afferrandomi con entrambe le braccia mi spinse via.
 
Peccato che fu colpito lui.
 
Cadde a terra sotto il peso del manubrio che avevo in casa per fare peso.
 
Sulla sua fronte si era aperto un lungo taglio profondo da cui sgorgava un rivolo copioso di sangue.
Due piedipiatti lo trascinarono in macchina vociferando.
 
“Cristo” bisbigliò un poliziotto vicino a me.
 
Il commissario prese il cellulare e digitò il numero del centodiciotto.
 
Prima che potesse finire la telefonata un proiettile gli bucò la mano e lui cadde a terra in uno schizzo di sangue.
 
Molti dei poliziotti salirono sulle macchine e due trascinarono me e Trent via da la sotto.
 
“Okay, adesso però basta!” gridò uno nel megafono. “Noi siamo in nove, con nove pistole. Tu in uno. Come la mettiamo?”
 
L’individuo tacque.
 
“Vieni fuori con le mani sopra la testa!”
 
Si sentì un tonfo in un cespuglio accanto alla casa, e immediatamente i poliziotti ci furono sopra per prenderlo.
Chiunque fosse, era seduto di spalle, afflosciato su dei rametti, immobile.
 
“Preso!” esclamò un poliziotto estraendo le manette e schiacciandolo contro la siepe.
 
In un attimo il persecutore si divise in due pezzi e la testa insieme al busto rotolò qualche metro più il là.
 
“Ma che diav … ?”
 
Illuminarono con una potente torcia e constatarono di essere stati sfottuti per la seconda volta: davanti a loro giaceva un manichino improvvisato fatto con dei vestiti riempiti di lenzuola e peluche per fare spessore.
 
Udirono un fruscio alle loro spalle, si voltarono tutti e  …
 
“Oh mio Dio! Il corpo del commissario è sparito!”
 
Dove prima giaceva in corpo sanguinante del commissario ora c’era solo una pozza di sangue.
 
“Questo sangue odora di …” iniziai io, china sulla macchia, ma qualcosa mi distrasse.
 
<3


Una figura in sella ad un motorino stava sgusciando tra le auto della polizia con un sacco enorme legato dietro.
 
“Ci si vede, imbecilli!” urlò quella voce innaturale prima di scomparire nella notte.
 
“Oh cazzo!” urlò un poliziotto. “Tutti in macchina, presto! Inseguitelo! Io riporto a casa la signorina Barlow e Il signor Trent …” disse.
 
Noi salimmo sulla sua macchina e mentre le altre sfrecciavano dietro alla moto della mia migliore amica, probabilmente chiusa in quel sacco, iniziai a credere che non ne sarebbe uscita viva.
 

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


Angolo dell'autrice: Scusate per il capitolo molto corto, ma vi prometto che ci sarà un altra scioccante rivelazione dal nostro persecutore ... saluto tutti! <3

Andammo da Trent per la notte.
Casa mia non era sicura a questo punto, e nemmeno quella di Heather.
 
Ringraziammo brevemente il poliziotto e salimmo nel appartamento.
Non ero mai stata a casa sua, quando l’abbiamo fatto eravamo da me, e anche tutte le altre volte che ci siamo visti.
Era un bilocale con salotto e camera da letto.
La cucina era ricavata in un pezzo di sala, e aveva solo un fornello, il frigorifero, il freezer e il microonde.
La camera conteneva tre chitarre, un basso, un sacco di spartiti e testi di canzoni, più un’enorme scatola con plettri di tutti i colori.
 
 
“Dove mi farai dormire?” gli chiesi appena entrammo.
 
“Se ti va bene nel mio letto … io dormirò per terra, ok?”
 
“Ne sei sicuro?

“Ho il sacco a pelo, non preoccuparti.”
 
“Mh … d’accordo. Grazie.”
 
“Non c’è di che. Ehi, hai fame?”
 
“In effetti …” dissi passandomi una mano sullo stomaco. Quella terribile faccenda mi aveva distratto molto, e non avevo neppure cenato.
 
“Ti preparo qualcosa.” Disse Trent sparendo nella sua “cucina”.
 
 
Io mi sedetti su una delle sedie in paglia in fondo alla stanza, davanti alla finestra, e guardai fuori.
Chissà dov’era Heather…
No, non era possibile.
Dovevamo ritrovarla!
Forse ero io a dover andare a cercarla.
 
 
 
Il mio cellulare vibrò per qualche secondo.
Mi era arrivato un messaggio, questa volta in whats app.
Il numero era sconosciuto.
Anzi, non esattamente.
Io lo conoscevo benissimo.
 
 
 “Piccola Courtney, sei spaventata per la tua migliore amica? Sta bene, tranquilla, ma per quanto tempo ancora? Ha Ha Ha , nessuno lo sa. Cosa farò alla cara Wilson? Nessuno lo sa. Nessuno lo sa. Non sprecare tempo a venirla e cercare, tanto è inutile, non la puoi trovare … ho fatto la rima, visto, bambina? L’unico modo per convincermi a liberarla è andartene da qui e … via quel figlio. Non ti voglio più vedere qui a Toronto, piccina … mai più! Da adesso le ore contate tu avrai, per decidere quello che ora non sai. Puoi chiamare la polizia, ma non cambierà niente finché tu non vai via! Ti rimangono sette giorni precisi precisi, e dopo sulla tomba della Wilson porterai fiordalisi. Corri piccina, hai poco tempo, fa le valigie, parti in un lampo. Se il mio consiglio tu seguirai, presto prestissimo Heather riavrai.”
 
 
Non riuscivo a crederci. Non era possibile.
Quel tipo era un pazzo, un maniaco, dovevo fare qualcosa.
Per il momento lui aveva in pugno Heather …
L’unica soluzione era andarmene da lì.
Ma lì avevo tutto …
 
Ma chi poteva farmi una cosa del genere?
 
Trent arrivò in quel momento con due vassoi.
Aveva preparato delle frittelle con burro e sciroppo d’acero e della spremuta d’arancia.
 
“Courtney, io dovrei … chiederti una cosa.”
 
“Che cosa?”
 
“Noi due … stiamo ancora insieme, no? Non mi hai lasciato, no …? Insomma, mi ami, no? Altrimenti … chi ami?”
 
La mia mente, benché non lo volessi, corse a un bel paio di occhi azzurri e a una cresta verde brillante.
 
“No, Courtney.” Sussurai tra me e me.
Duncan amava Gwen, e questo era quanto.
Non c’era più nulla da fare.
 
 
 
 
Forse …
 
“Courtney, mi stai ascoltando?”
 
“Ehm … cosa?”
 
“Ti ho chiesto se mi ami …”
 
“Sì, certo, ovviamente.”
 
 
 
Non sapevo che cos’era quella.
 
Se una sporca bugia o una pesante realtà.
 
Volli chiudere subito la conversazione, così mi ficcai in bocca un grosso pezzo di frittella e rimasi in silenzio per il resto della “cena”.
 
 
Non dissi nulla a Trent di quel messaggio.
A cosa sarebbe servito?
Neanche la polizia poteva aiutarmi, ora.
Ero sola.

 

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


Il problema era che ero sola. Non sapevo a chi rivolgermi o a chi chiedere aiuto … a Trent, per caso?
No. Non penso che avrebbe potuto aiutarmi.
Così feci qualcosa di incredibilmente stupido, il giorno dopo.
Forse per paura.
O forse per pazzia.
O per amore.
O per tutte e tre le cose.
 
 
Knok knok knok!
 
“Chi è?” chiese lui da dietro la porta.

“Sono io.” Dissi abbastanza ad alta voce. “Lei non c’è, vero?”

“è uscita poco fa.” Rispose, e mi aprì la porta.

“Che ci fai qui?” chiese, leggermente allarmato.

“Devo parlarti.” Dissi io, ed entrai nella roulotte senza chiedere il permesso.
 
Era davvero disordinata: c’erano vestiti ovunque, giocattoli per bambini, libri di scuola, banconote, cibo e macchie unte … e almeno un dito di polvere su ogni mobile.
Le due poltrone al centro della stanza erano rattoppate in più punti.
 
“Gwen non è una brava casaligna, eh?” chiesi ironicamente.

“No, in effetti …” disse Duncan alzando un sopracciglio.

“Bella casa.” Dissi io.

“Ehi, pupa, mi prendi in giro?”

“Al contrario. È splendida.”

Dunki sembrava dubbioso.

“Dunque, potresti dirmi perché mi hai quasi fatto arrestare?”

Mi avvicinai alla loro cucina: un fornello a gas, un microonde, un frigorifero …
Sfiorai con due dita abbronzate uno dei cassetti con le posate.
Lanciai uno sguardo al tagliere pieno di coltelli.

“Niente, lascia stare.”

“Senti, non ti ho perdonato quella scenata da pazza nel posto dove lavoro, perciò o mi dici quello che mi devi dire o levi le tende.”

“TU?! Non mi hai perdonata!? Ma ti senti! Idiota!” sbottai.

“E ora che c’è?!”

“C’è che mi hai tradito in mondo visione, pezzo di cret …” mi bloccai.

“Che c’è, non si dicono le parolacce?”

Gli mollai un pugno sul braccio più forte che potevo, ma lui si limitò a ridere.
“Non sei cambiata, principessa.”

“Non sei cambiato, imbecille.”
Lui rise.
Io mi voltai di scatto e gli puntai alla gola il coltello che avevo appena estratto furtivamente dal tagliere.

“Dimmelo! Non fare il finto tonto! Se sei tu ad aver rapito Heather dillo e tirala fuori o ti ammazzo!” urlai, in preda ad una crisi isterica.


Non mi riconoscevo più.
Stavo davvero minacciando un ragazzo con un coltello?
Quella non ero io.
Quel mostro, quel persecutore, quel bastardo … era riuscito a trasformare sia me che la mia vita.
Forse per sempre.
 
 
 
 
 

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Capitolo 20
*** Capitolo 19 ***


Il problema era che ero sola. Non sapevo a chi rivolgermi o a chi chiedere aiuto … a Trent, per caso?
No. Non penso che avrebbe potuto aiutarmi.
Così feci qualcosa di incredibilmente stupido, il giorno dopo.
Forse per paura.
O forse per pazzia.
O per amore.
O per tutte e tre le cose.
 
 
Knok knok knok!
 
“Chi è?” chiese lui da dietro la porta.

“Sono io.” Dissi abbastanza ad alta voce. “Lei non c’è, vero?”

“è uscita poco fa.” Rispose, e mi aprì la porta.

“Che ci fai qui?” chiese, leggermente allarmato.

“Devo parlarti.” Dissi io, ed entrai nella roulotte senza chiedere il permesso.
 
Era davvero disordinata: c’erano vestiti ovunque, giocattoli per bambini, libri di scuola, banconote, cibo e macchie unte … e almeno un dito di polvere su ogni mobile.
Le due poltrone al centro della stanza erano rattoppate in più punti.
 
“Gwen non è una brava casaligna, eh?” chiesi ironicamente.

“No, in effetti …” disse Duncan alzando un sopracciglio.

“Bella casa.” Dissi io.

“Ehi, pupa, mi prendi in giro?”

“Al contrario. È splendida.”

Dunki sembrava dubbioso.

“Dunque, potresti dirmi perché mi hai quasi fatto arrestare?”

Mi avvicinai alla loro cucina: un fornello a gas, un microonde, un frigorifero …
Sfiorai con due dita abbronzate uno dei cassetti con le posate.
Lanciai uno sguardo al tagliere pieno di coltelli.

“Niente, lascia stare.”

“Senti, non ti ho perdonato quella scenata da pazza nel posto dove lavoro, perciò o mi dici quello che mi devi dire o levi le tende.”

“TU?! Non mi hai perdonata!? Ma ti senti! Idiota!” sbottai.

“E ora che c’è?!”

“C’è che mi hai tradito in mondo visione, pezzo di cret …” mi bloccai.

“Che c’è, non si dicono le parolacce?”

Gli mollai un pugno sul braccio più forte che potevo, ma lui si limitò a ridere.
“Non sei cambiata, principessa.”

“Non sei cambiato, imbecille.”
Lui rise.
Io mi voltai di scatto e gli puntai alla gola il coltello che avevo appena estratto furtivamente dal tagliere.

“Dimmelo! Non fare il finto tonto! Se sei tu ad aver rapito Heather dillo e tirala fuori o ti ammazzo!” urlai, in preda ad una crisi isterica.


Non mi riconoscevo più.
Stavo davvero minacciando un ragazzo con un coltello?
Quella non ero io.
Quel mostro, quel persecutore, quel bastardo … era riuscito a trasformare sia me che la mia vita.
Forse per sempre.
 
 
 
 
 

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Capitolo 21
*** capitolo 21 ***


 
E poi accadde qualcosa che non avevo minimamente previsto.
Duncan avvingiò le dita ai miei polsi, mi attrasse a sé e mi baciò.
Io avrei voluto ribellarmi, da una parte, ma dall’altra …
Chiusi gli occhi e mi lasciai trasportare.
Il coltello cadde sul pavimento.
Lui m’infilò le mani nel retro della maglietta e accarezzò delicatamente la pelle della mia schiena.
Le mie mani affondarono nella sua cresta colorata.
Cosa poteva rovinare tutto, se non …
Il mio cellulare vibrò.
Ma sapete una cosa?
Lo lasciai vibrare, lasciandomi cullare dalle morbide mani di Duncan.
Dopo un momento che mi sembrò un attimo ci staccammo e ci guardammo negli occhi.
“Principessa io …”
Io guardavo per terra, perché non sapevo cosa dire.
“Non ho rapito Heather.”
“Lo so. Non lo faresti mai … sono solo un po’ tesa.”
All’improvviso una lacrima si formò sotto uno dei miei occhi neri e cadde giù.
Lui l’asciugò con il dorso della mano prima che potesse arrivare sul mio collo.
“Che succede, principessa?”
“Niente, è che io … mi sono comportata nello stesso modo in cui si è comportata Gwen nel tour.”
“Vuoi dire tradendo Trent?”
“Sì. Io non volevo, ma sento di provare ancora qualcosa per te, capisci?”
“Sì, capisco. Anche io.”
“Ma tu hai un figlio …”
Il mio cellulare vibrò di nuovo.
“Cazzo, proprio in questo momento?!” esclamai, stupendomi della mia stessa volgarità.
Risposi.
Non guardai neppure il numero, sapevo chi era.
 
“Barlow, hai superato ogni limite. Non sei altro che una zoccola. Te ne devi andare, adesso. Il tuo tempo si riduce ancora. Da adesso hai solo due giorni di tempo. Poi per Heather sarà finita. Ah, e c’è un’altra cosa … non sperare di nasconderti, dal tuo amichetto Duncan. Ricordati che io ti vedo, ti sento, ti seguo … sempre.”
 
 
In quel momento mi venne una crisi isterica.
“E allora esci fuori, codardo!” urlai.
 
Non avrei dovuto farlo.
 
Nell’istante preciso in cui finii di parlare il vetro della roulotte s’infranse in mille pezzi con uni schianto, e Duncan cadde a terra in una pozza di sangue, con una pallottola infilata nella spalla.
 
Mi accorsi che chi aveva sparato era ancora in linea.
 
“Contenta?” chiese.

 

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Capitolo 22
*** Capitolo 22 ***


 
Rimasi in silenzio, il cuore che batteva fortissimo.
Guardai fuori dalla finestra, ma ovviamente sapevo già cosa avrei trovato.
Nessuno.
Ad un tratto bussarono alla porta.
“Dunki, sono io!” disse una voce fin troppo familiare.
“Dai, su che non ho le chiavi oggi!” insistette.
Io presi coraggio e aprii la porta.
“E tu cosa ci fai qui?!” esclamò Gwen, a metà tra il sorpreso e l’infuriato.
“Lascia perdere.” Esclamai.
“No, ora tu mi dici che ci fai in casa mia, brutta pu …”
“Non c’è tempo per spiegare!” urlai, e la trascinai per un braccio in cucina.
Lei, nel vedere il corpo di Duncan steso a terra cacciò un urletto.
“Chiama un ambulanza!” le intimai.
Era buffo che io le dessi ordini, dato che mi aveva trovata appena in casa SUA con il suo ragazzo.
Ma in una situazione del genere non è il caso di giocare a “chi comanda.”
 
L’ambulanza arrivò in cinque minuti, parcheggiò sulla strada asfaltata e poi quattro uomini vennero a prenderlo con una barella.
Fecero salire Gwen, ma io dovetti rimanere lì.
“Ma io …” protestai, ma loro mi zittirono sgarbatamente.
La sirena dell’ambulanza non fece che aumentare la mia tensione.
Siccome la loro casa era aperta, decisi di ritornare nella roulotte fino al ritorno di Gwen in modo che nessuno potesse pensarci prima di me.
Avrei voluto chiamare la polizia, ma non avevo un centesimo di credito.
Chiusi la porta scorrevole e mi sedetti sulla poltrona rattoppata.
Ad essere sincera, avevo un po’ paura che ci potessero essere dei topi.
No, non erano così sporchi.

 
Almeno credo.
Di topi non ne incontrai, ma piuttosto, dopo mezz’ora (trascorsa guardando la loro tv minuscola), incontrai un bambino.
Uscì dalla sua stanza ad un certo punto.
Come aveva fatto a non aver sentito lo sparo, l’urlo di Gwen e tutto il trambusto?
Forse dormiva.
“Ciao …” dissi spegnendo la tv, felice di poter parlare con qualcuno.
“Tu chi sei? Cosa ci fai qui?” chiese spaesato. “Dove sono la mia mamma e il mio papà?”
“è successo una cosa molto brutta, piccolo.” Dissi.
Non sapevo come spiegargli l’accaduto.
Non potevo spiegarglielo.
“Tu sei la pazza che ha attaccato la mia mamma al lavoro!” esclamò impaurito.
“Non sono pazza. Vedi, io e tua madre abbiamo avuto un piccolo litigio quando eravamo giovani. Tu non ci litighi coi tuoi amichetti?”
“Beh, sì. Mi capita.”
“Ecco, noi abbiamo litigato.”
“E perché?”
“Una sciocchezza … lei mi aveva preso una cosa che non era sua.”
“E poi tel’ha ridata?”
Pensai al bacio con Duncan.
“In un certo senso.”
“Quindi ora avete fatto pace?”
“Ma certo, piccolo mio.”
“Sai, tu non sembri una persona cattiva.”
“Oh, grazie.” Dissi io.
“Ma … papà e mamma stanno bene?”
“Tua madre sì … tuo padre … non sta molto bene, ma sta’ tranquillo, guarirà.”
“Che cosa gli hanno fatto?”
“Sta solo un po’ male … come quando ti fa male il pancino e devi stare a casa da scuola.” Gli dissi pizzicandogli la pancia, cosa che gli strappò un sorriso.
“E tu che ci fai qui?”
“Devo badare a te finché mamma e papà non tornano.”
“Tornano, vero?”
Sorrisi.
Era fantastica la semplicità con cui parlavano i bambini.
In effetti, io adoravo i bambini.
“Quando mamma e papà se ne vanno, io ho paura di restare a casa da solo.”
“Ma non sei solo. Sei con me.”
Lui mi diede subito la sua fiducia, e lo dimostrò sedendosi sulle mie ginocchia.
“Vuoi che vediamo un po’ la televisione?”
“Sì. Ma tu sai cucinare? Perché io ho un po’ di fame …” disse timidamente.
Mi alzai di scatto togliendolo prima dalle mie ginocchia e andai nella loro rudimentale cucina.
Riempii d’acqua una pentola  che trovai sul lavello e la misi sul fuoco a fiamma bassa.
Che strano effetto mi faceva cucinare in casa loro.
Dopotutto, io ero quasi di famiglia.
QUASI.
Mentre aspettavo che bollisse l’acqua mi risedetti sulla poltrona con il bambino in braccio.
“Tu ti chiami Quentin, giusto?”
“Sì. E tu come ti chiami?”
“Io sono Courtney.”
“Il mio papà ha detto che sei tanto bella.”
Io arrossii.
“Ha ragione.” Disse lui.
Oh, che latin lover!
Risi piano.
Lui accese la tv e mise su un canale di cartoni animati.
“Ecco, questo è il mio cartone preferito.” Disse indicando lo schermo.
“Si chiama Dragon Winerr and magic Match.”
Io cercai di distrarmi.
Avevo solo due giorni di tempo per fare ciò che mi aveva ordinato il persecutore.
L’avrei fatto?
“Quello lì è Puk, il protagonista. Quella è Sonia, la ragazza bella che tutti amano. Lei è Calì, l’aiutante. E poi c’è il mio personaggio preferito, lo vedi? È un vero eroe! Si chiama Bobby! È mitico! Sconfigge le streghe e distrugge i castelli dei cattivi!”  disse tutto ad un fiat agitando il dito verso lo schermo.
Dopo un po’ vidi l’acqua bollire e misi a cuocere la pasta con un po’ di sale.
Appena fu pronta la condii con burro e olio e preparai per Quentin anche un bel bicchiere di latte.
“Ecco qua.” Gli dissi.
Spensi la tv e lui si sedette a tavola.
“Che buona!” esclamò arrotolando la pasta sulla forchetta e infilandosela in bocca.
Quando vidi qualche gocciolina d’olio cadere dalla sua bocca e il suo buffo incespicare nell’arrotolare la pasta provai una sensazione bellissima, che mi fece sentire viva e felice.

 
In quel preciso momento decisi che non avrei abortito.
 
Forse c’era un via di mezzo.
Dopotutto, le scelte none rano realmente due.
Potevo abortire ed andarmene, non farlo e mandare a morte certa Heather, oppure …
Potevo andare a riprendermela.
 
Passai un bel pomeriggio con Quentin, costrummo un puzzle e mi insegnò tutti i nomi dei protagonisti dei suoi cartoni preferiti.
Alle sei e mezza arrivò Gwen.
“Come sta Duncan?” fu la priam domanda che le feci.
“Intanto ti ringrazio per aver badato alla casa e a mio figlio in mia assenza. Comunque, per quanto riguarda Duncan … lui sta molto male.” Abbassò la voce per non farsi sentire dal piccolo. “Ha un emorragia grave.”
Tirò su con naso.
“Hanno rimosso la pallottola?” chiesi.
“Ci stanno provando cercando di non fargli troppi danni.”
“Oh.” Abbassai lo sguardo.
“Ma com’è successo?”
“Gli hanno sparato.”
“Credo che tu mi debba una spiegazione.”
“Chi sia stato non lo so, so solo che a un certo punto si è rotto il vetro della finestra e Duncan si è ritrovato la pallottola nella spalla. Tutto qui.”
“Non mi riferivo a quello. Voglio sapere che diavolo ci facevi in casa mia tu.”
“Dovevo chiedere a Duncan una cosa.”
“Che cosa, sentiamo?”
“Pensavo  … che lui fosse lo stalker.”
“Come puoi pensare una cosa del genere …”
“Era in cima alla lista dei sospettati della polizia. Era normale che io fossi d’accordo con loro …”
“vattene.” Mi disse solo lei, indicando la porta.
“Ciao ciao Courtney!” cinguettò Quentin.
“Spero di rivederti presto!”
“anche io!” gli dissi, sapendo che non sarebbe successo a breve.
Uscii dalla ruolotte e mi avviai su per la collinetta per raggiungere la strada.

 
Ben presto avrei scoperto che la ragione per cui Quentin non aveva sentito lo sparo non era certo perché dormiva.
Il mio cellulare vibrò a lungo.
Forse era Trent.
L’ultima cosa che volevo fare era rispondere, ma lo feci comunque, per necessità.
Era un  numero sconosciuto, ma non il solito numero.

“Pronto?”

“Salve, signorina Barlow.”

La voce non era QUELLA. Trassi un sospiro di sollievo.

“Chi parla?”

“Sono l’agente CMK, ma lei può chiamarmi semplicemente agente C. Sono di un’organizzazione speciale che si occupa di casi come il suo, signorina. Abbiamo trovato notizie di lei sui giornali degli ultimi giorni. Saremmo interessati a darle una mano, signorina.”

“Mh. Alla modica cifra di … ?”

“Com’è professionale, signorina. Verrò subito al dunque.”

Quando mi disse la cifra, credo si aspettasse che io riagganciassi, ma non rimasi per nulla impressionata.
Dopotutto, ero molto ricca di famiglia.

“Mh … quale sarebbe la differenza dalla polizia? A parte che loro lo fanno, gratis, intendo.”

“La polizia? Scusi, sa che probabilmente i poliziotti incaricati di ritrovare la sua amichetta ora sono in pausa a mangiarsi un donut o a letto con le vicine? Creda a me, signorina, noi quando abbiamo un caso ci dedichiamo mente e corpo finché non lo risolviamo. La professionalità è la nostra parola d’ordine.”

Io rimasi in silenzio.

“Ci rifletta bene, Courtney. Che alternative le rimangono?”

Aveva ragione.

Dannatamente ragione.

“E va bene.” Dissi infine.

“Perfetto. Ci incontriamo domani al cancello del parco centrale alle sette e mezza del mattino, signorina. Porti un bell’assegno …io porterò due dei miei uomini, un’attrezzatura consona e il mio fascino. Mi raccomando, non mi dia buca …”

“Faccia poco lo spiritoso.” Disse freddamente.

“Allora siamo d’accordo.” Disse lui,e mise giù.

Lo so, era da matti fidarsi di un uomo, più grande di me a giudicare dalla voce.
Incontrarlo in un parco deserto al mattino quando è ancora tutto buio.
Potevano violentarmi.
Rapirmi.
Ma che ero una persona tanto colta e razionale, potevo essere così ingenua?
Era da pazzi.
Ma d’altronde lui aveva ragione.
Che alternative avevo?
Nessuna.
In quel momento avrei fatto di tutto per riavere la mia vita di prima e la mia Heather.
Ero una ragazza disperata.
E come tutte le ragazze disperate, ero pronta a tutto.

 

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Capitolo 23
*** 23 ***


Sbuffai e mi strinsi addosso la giacca.
Faceva davvero freddo quella mattina.
Il mio respiro si trasformò in una nuvoletta opaca e candida.
Guardai l’ologio.
Le sette e un quarto.
Sarebbero arrivati da un momento all’altro, chiunque fossero.
Era tutto buio.
Attorcigliai le dita a una delle sbarre del cancello.
Guardai dentro.
C’era un barbone sdraiato su una panchina, contornato da numerose bottiglie di birra vuote, addormentato.
Un rivolo di bava gli colava sulla folta barba castana e stringeva tra le mani un bassotto molto piccolo, rannicchiato tra le sue enormi dita.
Aveva addosso solo dei pantaloni e una coperta di lana.
 
“Salve, è la signorina Barlow?” chiese una voce alle mie spalle.
Mi voltai di scatto.
Di fronte a me c’erano tre uomini.
Due di loro erano alti e muscolosi, entrambi con la carnagione scura, probabilmente africani.
Avevano entrambi piccoli baffi sopra le labbra carnose, erano calvi e portavano lo smoking.
L’uomo al centro era più basso e aveva un aspetto meno minaccioso, più simile ad un playboy: capelli neri lisciati dietro la testa, leggera barba, bei tratti mascolini e un fisico medio. Portava una tuta nera fin troppo aderente, un cappello di paglia e degli occhialoni da sole che gli coprivano una buona fetta di faccia.
Rimasi impietrita per un bel po’, tanto che alla fine più basso borbottò “Mi scusi, dobbiamo aver sbagliato.”
Girarono sui tacchi e fecero per incamminarsi, ma li fermai appena in tempo.
“Sono io!” urlai.
L’uomo sorrise.
Mi tese la man o e io la strinsi.
“Sono l’agente C, al suo servizio.” Si esibì in un’elegante baciamano.
“E questi sono i miei uomini: Ned e Ted.” Disse indicando i nerboruti dietro di lui.
“Piacere …” sussurrai io.
“Ehm …” iniziò lui, ma io non gli diedi il tempo di formulare la frase: estrassi l’assegno e glielo ficcai in mano.
“Ora è sua giuristizione.” Dissi.
Anche se aveva gli occhiali, mi sembrò di vedere luccicare i suoi occhietti minuscoli.
“Non rimarrà delusa, vedrà.”
“Ma che faccio, devo venire con voi o …?”
“Mentre Ned andrà alla ricerca della sua amichetta, io mi occuperò di alcune piccole faccenducole. Lei … dovrebbe andare all’ospedale e informarsi dello stato di salute del signorino Nelson.”
“E perché mai?”
“Non discuta, signorina. Questo è l’unico modo per scoprire la verità.”
Deglutii.
Il suo tono grave mi mise in soggezione.
Ma ancor più mi mettevano i soggezione le enormi mani di Ned e Ted.
Mi allungò un foglio e una spenna a sfera.
“Firmi qui.” Disse, e io firmai.
“Se vuole, signorina, Ted le darà un passaggio …”
Io dissi di sì.

Non avevo un mezzo per muovermi.
L’agente C e Ned mi salutarono con un inchino e girarono sui tacchi, mentre Ted m’informò con un grugnito che avrei dovuto seguirlo in macchina.
Passammo dietro il parco senza che lui dicesse una parola, e anche io rimasi muta.
Accesi il telefono e controllai la segreteria telefonica: c’erano una dozzina di messaggi di Trent.
Decisi di cancellarli senza nemmeno ascoltarli.
“Scusa, Trent.” Mi dissi.
Ma era per il bene di Heather.
Dovevo fare il più in fretta possibile.
Scoprii che Ted non era certo un poveraccio: quando mi aprì la porta della sua limousine nera lucidissima dovetti soffocare un gridolino.
Salì alla guida e io mi misi di fianco a lui.
Finalmente parlò.
“Le piace, signorina?”
“Ehm … è deliziosa.”
“Se avremo l’opportunità di conoscerci un po’ meglio potrà farci molto più di un semplice giretto.” M’informò con un’espressione compromettente.
Io storsi il naso e mi voltai a guardare fuori i cumuli di neve che scorrevano veloci sotto di noi.
All’improvviso sentii il rombo di un motorino dietro di noi e aprii il finestrino per guardare.
Un tonfo dal retro della macchina mi fece balzare in avanti e sbattere la testa contro il lussuoso cruscotto rivestito di pelle nera.
“Ma che diav ..?!”
Ted inchiodò e scese sbattendo la portiera.
Sentii delle voci provenire da fuori, a volume abbastanza alto.
Vidi un casco da moto planare in aria, sbattere contro il terreno gelato e rotolare per qualche metro.
Scesi rapidamente e guardai fuori.
“Che succede?!” chiesi allarmata.
Vidi di striscio il retro dell’auto ammaccato e rigato in un punto.
Ted sovrastava un ragazza alto qualche spanna più di me, che portava una bandana e degli occhiali da sole.
“Che cazzo ti è preso, eh?!” chiese l’omone nero stringendo i pugni.
Il ragazzo sembrava intimorito ma deciso.
“Poi disse qualcosa che mi spiazzò.
“Quella è la mia ragazza, Barack Obama!”
Ted, offeso, lo afferrò per il bavero e lo sollevò di circa mezzo metro da terra.
“Tieni quella fottuta lingua a posto o te la faccio ingoiare.”
Ringhiò.
“Mi hai ammaccato la limousine … ora ti ammacco la faccia!” esclamò, alzando un braccio.
“Aspetta!” gridai io, ma era troppo tardi.
Chiusi gli occhi.
Sentii dei rumori, qualche grido, tonfi.
Avevo paura.
Singhiozzai.
Li riaprii.
Pochi secondi dopo Trent era caduto all’indietro su un mucchio di spazzatura, gli occhiali rotto, alcune costole spezzate, il naso storto da cui usciva un rivoletto di sangue, gli occhi chiusi, il braccio destro penzolante di lato, la mascella probabilmente rotta, un dente accanto a lui.
Ted si pulì il sangue nella giacca.
“Che cos’hai fatto?!” piagnucolai io, decisamente nel panico.
“Gli ho dato quello che si meritava.” Sentenziò lui.
Fece per rimettersi in macchina.
“Non possiamo lasciarlo qui! Dobbiamo portarlo in ospedale.”
“Col cazzo.” Rispose Ted con fin troppa naturalezza, e aprì la portiera.
“Beh, io non mi muovo senza di lui!” esclamai posando una mano sulla fronte di Trent.
L’omone alzò un sopracciglio, poi sogghignò.
“Scommettiamo?” disse solo.
In due passi mi fu di fianco, mi sollevò da terra e mi caricò su una delle sue spalle, tenendomi con una delle sue enormi manone posata sul mio posteriore.
“Ehi! Lasciami andare, brutto stupido! Mollami, deficiente! Chiamerò i miei avvocati, e quando lo farò saranno gravi guai per te!”
Estrassi dalla tasca l’phone e digitai il numero del mio avvocato.
Ted allungò una manò, e due secondi dopo il mio cellulare nuovissimo e super costoso fu scaraventato addosso a Trent e si divise in due.
La batteria schizzò dentro una lattina di birra nel cumulo di immondizia e la sim cadde nella mano ciondolante di Trent.
“Non puoi farlooooo!” piagnucolai.
Ma poteva eccome.
Mi ficcò in macchina, bloccò le portiere e ripartì sgommando, gettando una secchiata di neve un faccia al mio ragazzo.
Una lacrima mi scese sulla guancia.
Se Trent fosse rimasto lì per troppo tempo sarebbe morto.
Cacciai un urlo e battei un pugno sulla spalla di Ted.
Non avrei dovuto farlo.
Pochi minuti dopo la macchina stava andando al doppio della velocità e io avevo le labbra tappate da un pezzo di nastro adesivo.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 24
*** 24 ***


Scusate il capitolo molto corto e dopo molto tempo (per i miei standard), ma in questa pezzettino Courtney è in punto di morte …
Beh beh, vi basta come suspense?

 
 
 
“Pronto.”
“Pronto. Allora?”
“Mi dispiace, non cel’ho fatta.”
“Ted, sei un’incapace. Uno stupido incapace! Idiota! Non avrei mai dovuto fidarmi di te … d’altronde, con il fratello che ti ritrovi …”
“Senta, ho avuto un contrattempo. Quella stronzetta non voleva tacere. Ci ho messo tanto a metterla in macchina e poi è arrivato quel suo fidanzatino … ho dovuto farlo quasi secco a pugni.”
“Vuoi dire che lo hai picchiato?!”
“E che altro dovevo fare?!”
“Sei un cretino! E adesso!? Se lo troveranno lì tutto ammaccato ci daranno sicuramente la colpa. Troveranno le tue impronte digitali sulla sua roba, cazzo!”
“Ma io …”
“Il cellulare della ragazza?! Dov’è il cellulare della ragazza?! A quest’ora potrebbe aver già chiamato la polizia ….”
“Tranquillo, capo: il cellulare è sulla neve accanto al fidanzatino.”
“Ma allora sei proprio pirla!!! Non credi che troveranno le impronte digitali anche su quello?! Cazzo. Dov’è ora la ragazza?”
“In macchina, con lo scotch sulla bocca.”
“Almeno una cosa l’hai fatta, imbecille. Un attimo, con lo scotch sulla bocca?! Tu sei pazzo! Adesso ci vorrà denunciare! Porco di quel … ma lei ha visto tutto? Quando hai picchiato il ragazzo?!”
“Beh, sì …”
“Cristo di quel Dio! Giuro che se fai un’altra cazzata ti licenzio! Santa Madonna … senti. Io posso prendere degli accordi e falsificare un contratto medico … con il potere che ho sarà semplicissimo aver e una ricetta da un qualsiasi medico in modo che, se la ragazza ci denuncia, proveremo che fa uso di psicofarmaci ed è mentalmente insana … in ogni caso … ora manderò l’altro imbecille a prendere il corpo del ragazzo, che verrà portato in centrale qui da noi e poi in ospedale. Non si ricorderà nulla, se ti conosco bene. L’avrai picchiato a sangue … avrà rimosso tutto. Gli diremo di una caduta rovinosa in moto. Si sistemerà tutto, ma tu vedi di non fare altri errori.”
“Okay, ehm, capo …. Ma ora che devo fare?”
“Tu pensa solo a portare la ragazza in ospedale il più presto possibile … al resto ci penserà LUI.”
“Ehm … okay.”
Ted riagganciò la cornetta ed uscì dalla cabina telefonica sporca per tornare alla macchina.
Okay, direte, ma se io ero in macchina come avevo fatto a sapere cosa aveva detto Ted al telefono?
Quando lui fermò l’auto e m’intimo di rimanere dentro perché doveva fare una telefonata, io lo seguii di nascosto, mi nascosi in un cespuglio accanto al marciapiede (tipo una siepe) ed ascoltai tutto.
Poi feci una corsa per tornare in macchina prima di lui.
Avevo un milione di pensieri che mi frullavano in testa.
Con chi parlava Ted?
Era forse un sostituto, un falso, e il vero socio dell’agente C era un altro?
Perché doveva portarmi in ospedale?
E chi era lui?
Il mio persecutore?
Come?
Aveva anche degli aiutanti?
Perché in ospedale?
Come poteva falsificare un trattato medico?
Chi era l’altro imbecille?
E soprattutto, che diavolo stava succedendo?
Mi raggomitolai sul sedile e finsi di essere addormentata, ma in realtà stavo facendo lavorare il cervello.
Avevo un piano: non appena l’auto di fosse fermata davanti all’ospedale, io sarei scesa e corsa dentro cercando aiuto, in modo che tutti vedessero la benda sulla bocca e capissero che ero una specie d sequestrata.
Secondo voi andò così?Ted mi tolse il nastro adesivo dalla bocca e parcheggiò l’auto non nel parcheggio, ma nel giardinetto sul retro dell’ospedale.
Quando gli chiesi il perché, non mi rispose.
Rimase fermo.
Poi, dopo circa due minuti di silenzio totale, in cui io rimasi bloccata perché aveva messo la sicura alle porte, mi disse: “Aspetti qui. Io vado a informarmi sullo stato di salute del signorino Nelson.”
Io annuii.
Che altro potevo fare?
Bloccò le porte e mi chiuse dentro l’auto.
Lo guardai scomparire dentro le porte scorrevoli poi mi guardia in torno.
 
L’auto era talmente lunga che non ne vedevo nemmeno i sedili in fondo.
 
Picchiettai le dita sul cruscotto e frugai nello sportello interno: conteneva solo dei fogli, documenti, volantini e qualche penna.
Dentro un altro cassettino sul davanti, vicino al volante, trovai alcune zollette di zucchero.
 
Ne presi una, la cartai e me la misi in bocca.
 
Gustai lo zucchero dolcissimo che si scioglieva lentamente sulla lingua invadendomi le papille gustative …
 
Adoravo lo zucchero.
 
Mi faceva provare un immenso piacere.
 
Così dolce, così intenso, così squisitamente tenero e …
 
Un momento.
Avvertii un fruscio dietro di me.
Feci per voltarmi, ma mi precedette.
Sentii qualcosa di freddo sul collo e mi bloccai seduta, con la schiena ben dritta.
La zolletta di zucchero mi scivolo fuori di bocca e rotolò, mezza sciolta, sul sedile accanto alla mia coscia.
 
E poi udii di nuovo quella voce.
 
Quell’orribile voce inquietante, sinistra, stridula, innaturale.
 
Quella voce che da ormai settimane popolava i miei incubi.
 
Quella voce che mi parlava di giorno e di notte, quando meno me lo aspettavo.
 
Quella voce i cui i discorsi iniziavano sempre così:
 
“Ciao, Courtney.” Disse in un sussurro.
 
 
 
 
 
 
 

 

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Capitolo 25
*** capitolo .... ***


Ogni singolo muscolo del mio corpo era teso e pulsante.
Ero in una situazione paradossale.
In una limousine, parcheggiata davanti ad un ospedale, con una pistola puntata sulla nuca.
“Buffo.” Pensai.
Io, Courtney Barlow, la brava ragazzina di 12 Surrey Streer, a un passo dalla morte.
Soffocai una risatina nervosa.
“E così ce l’hanno fatta, a portarti fin qui.” Disse quella voce.
Avevo il sospetto che chiunque stesse parlando, avesse un registratore per modificare la voce.
Forse, se avessi fatto come diceva, non  mi avrebbe sparato. Per sopravvivere dovevo solo essere accondiscendente.
“A quanto pare.” Sussurrai, così piano che quasi non mi sentii.
Anche lui ( o lei) rise.
Ma era una risata diversa dalla mia.
La sua era una risata che trasudava malvagità.
“Almeno, se vuoi uccidermi, dimmi prima dov’è Heather.”
Prese un grosso respiro. Stava soppesando l’idea di dirmi tutto.
“Mh … ma sì, dai. Tanto tu non uscirai viva da quest’auto. Lo sapremo solo io e il tuo cadavere.”
“Ah, hai intenzione di uccidermi per davvero?”
“Tu non hai ubbidito al mio ordine. Non … tu non hai abortito e non ti sei trasferita da questa città.”
“Ma ...”
“Sta’ zitta!”
“Okay ...” mi rilassai un po’ appoggiando la testa ancora più vicino alla canna della pistola.
Inspirai, espirai.
“Heather è a poca distanza da noi.”
“non puoi dirmi nulla di più preciso?”
“No.”
Tossicchiò e sentii parecchi fruscii dietro di me.
La sua mano libera, che non teneva la pistola, mi accarezzò la guancia lentamente.
“Se devo morire, posso almeno vederti in faccia una volta sola?”
“NO.” Rispose freddamente.
Le sue dita mi sfiorarono i capelli.
“Perché?” chiesi timidamente.
Forse stavo riuscendo ad ammorbidirlo, pensai.
“Perché no.” Rispose con freddezza, e le sue dita si strinsero, provocandomi un acuta fissa.
Strinse i miei capelli sempre di pi, e sentii la pistola che scavava nella pelle sudata del collo, come se stesse per sparare.
“Ora basta chiacchierare.” Disse, e m’inchiodò la testa contro il finestrino, restando nascosto dietro il sedile.
Ero immobile. Tolse la pistola dalla nuca e me la puntò in fronte.
“Siamo davanti ad un ospedale, Courtney. Questa è la tua ultima possibilità. Abortisci o muori. Conterò fino a dieci, poi sparerò, a meno che tu non cambi idea su tuo figlio.”
Il respiro mi si mozzò in gola.
“Uno …”
Strinsi i pugni, scavai con le unghie nel sedile.
“Due …”
Non potevo farlo.
“Tre …”
Non potevo uccidere quel che avevo nel ventre, e avevo capito perché.
Era il frutto di un rapporto d’amore sincero e ingenuo, un rapporto d’amore vero e dolce.
“Quattro …”
Non era stato rude come le altre volte, non era stato rude o fissato. A lui interessava solo rendermi felice, ci siamo uniti perché volevamo stare più vicini che mai.
“Cinque … sei …”
Non avevamo bisogno di sesso, stavolta no.
Avevamo bisogno di qualcosa, o qualcuno, a cui aggrapparci, quando sembrava che tutto quello in cui credevamo fosse svanito per sempre.
“Sette, otto …”
Io avevo avuto bisogno di lui e lui aveva avuto bisogno di me.
Forse avevamo solo bisogno d’amore.
Ed era proprio per questo che non potevo uccidere quel bambino.
“Nove …”
Decisi.
Qualunque cosa mi aspettasse dall’altra parte, dopo la morte, io l’avrei affrontata con coraggio e a testa alta.
Ero fiera dell’amore che avevo dato e che avrei potuto dare a mio figlio se fossi sopravvissuta.
Ero fiera di me stessa.
Non lo facevo per qualcuno in particolare.
Già.
Forse, per la prima volta nella mia vita stavo facendo qualcosa per me stessa.
Non ero più Courtney la brava ragazza. Non ero più Courtney la gentile. Non ero più Courtney la fifona.
In quel momento ero Courtney la coraggiosa.
“Dieci.”
Vidi chiaramente il suo dito avanzare di qualche centimetro per premere il grilletto.
E vidi ancora più chiaramente la mia mano che scattava in avanti con una velocità che non sapevo di avere e gettare la pistola via dalle mani del persecutore.
Il colpo partì comunque.
Mi abbassai istintivamente e sentii un rumore fortissimo di vetro rotto e un sacco di schegge penetrarmi sotto la pelle.
Era un dolore fortissimo, ma non ci feci caso.
Ero troppo occupata ad aprire la portiera con un calcio e rotolare fuori.
Sentii il sangue che si espandeva a macchia d’olio sulla pelle sporcando i vestiti, a causa delle troppe ferite.
Finii con la faccia nella neve.
Mi rialzai barcollando, la faccia gelata e il corpo in fiamme.
Vidi la portiera della macchina aprirsi di nuovo e vidi una mano cercare la pistola sul cruscotto.
Ma era troppo tardi.
Io la stringevo forte nella mano.
Nel rotolare fuori l’avevo afferrata.
Mi avventai su chiunque stesse uscendo dall’auto.
Solo il busto era fuori, era ancora seduto sul sedile.
Puntai la pistola sulla sua fronte.
Sentii un singhiozzo spezzato a metà.
Lo guardai: si vedeva solo la testa, che era coperta da un passamontagna nero.
“Vuoi sapere chi sono?” chiese in un filo di voce.
“Lo sai?” dissi io, cercando di ignorare le schegge conficcate ovunque nel mio corpo, “Non mi importa. non mi importa chi sei o perché hai fatto quel che hai fatto. Voglio solo che tutto questo finisca.”
“C’è un solo modo per farlo. Nessuno lo saprà. Potrai dire che mi sono suicidato. Qui è una lotta alla sopravvivenza, cara. O tu uccidi me, o io uccido te. È questo, il destino. Io il predatore è tu la vittima. È stato così fin dall’inizio. Uno dei due deve morire. Cosa scegli?”
“Tu … sei pazzo.” Esclamai incredula, con troppa enfasi.
“COSA SCEGLI?!” urlò lui bruscamente.
Io lo guardai con un misto di disgusto e pena.
Potevo farlo.
Potevo premere il grilletto e mettere fine alla mia sofferenza.
Avrei detto che lui si era sparato e io avevo cercato di salvarlo.
Non c’erano telecamere, tutti avrebbero creduto alla studentessa che raccontava la storia del pazzo che si suicidava pentendosi della sua opera di stalking.
Ma io cel’avrei davvero fatta a sparare a qualcuno?
Avrei avvero avuto tanto fegato da ucciderlo?
Lo guardai negli occhi. Erano azzurri, azzurri come il mare. Aveva uno sguardo disperato.
Sì, sparandogli sarebbe finito l’incubo.
Avrei avuto la pace.
Pace, sì, pace.
Volevo solo quella, in fin  dei conti.
Cel’avrei fatta, no?
Dopotutto io ero Courtney, la coraggiosa.
Fu per questo che girai la pistola e lo colpii forte alla nuca, facendolo svenire.
Barcollai all’indietro e lasciai cadere l’arma a terra.
Ci vuole molto più coraggio per non uccidere che per farlo.
Mi accasciai a terra, la schiena calda, rovente.
Mi lasciai dietro una scia di sangue. Mi portai una mano lì e constatai con orrore che una scheggia delle dimensione del palmo di una mano mi si era conficcata per qualche centimetro nella carne.
Mi avvicinai strisciando e stringendo i denti al corpo svenuto del persecutore.
Chi era, in realtà?
Avevo paura di scoprirlo.
La vista mi si annebbiò e comincia a vedere doppio.
Con dita tremanti, reggendomi a fatica sulle ginocchia alzai il bordo del passamontagna, scoprendo prima un mento, poi una bocca, un naso, due occhi, dei capelli.
Non posso descrivere quel che provai vedendo quel volto.
Gli occhi mi si riempirono di lacrime.
Oddio.
Avevo appena colpito alla nuca con una pistola …
Un bambino.
Cominciai a vedere delle macchie rosse ovunque, tutto prese a girare …
“Q-Quentin.” Fu l’ultima cosa che dissi, prima di stramazzare a terra.
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 26
*** Colpi di scena ***


Qualche minuto dopo fui risvegliata da un grido d’orrore.
A fatica riuscii a puntellarmi sui gomiti e a guardarmi intorno: ero ancora sdraiata sulla neve, e Quentin era accanto a me, con la testa ancora abbandonata sulla spalla.
“Ma … che …”
Mi girava tutto, la testa mi faceva male e mi veniva da vomitare.
Mi resi conto che c’era qualcuno chino accanto a me, che mi fissava.
Con un grosso sforzo cercai di mettere a fuoco quella figura, e la riconobbi subito.
“Heather!” urlai, ma me ne pentii subito. Sentii il sapore del sangue passarmi vorace in gola e strusciarmi viscido sulla lingua.
 
Avvertii le sue mani  cingermi le spalle e tirarmi su con forza.
“Che … succede?” biascicai.
“Non c’è tempo per spiegare, Court. Ti dirò tutto dopo. Ora dobbiamo andarcene di qui.”
“Ma …”
Lei mi alzò in piedi e io barcollai all’indietro, in preda a una fitta come non ne avevo mai provate prima.
Trattenni a stento un grido portandomi una mano tremante alla bocca.
Sentivo la schiena calda appiccicosa.
Poi le mie orecchie vennero punte da un suono inconfondibile.
“Cazzo! La polizia!” esclamò Heather, e mi trascinò in avanti.
“Ma … Heather, aspetta, loro ci aiuteranno …”
“Non dire cazzate! Quel bastardello ha fatto delle prove false contro di noi … cioè, le ha fatte fare a quei due uomini enormi e al piccoletto tutto laccato …”
“Che cosa?!” urlai.
“Ma sì … quello che ti ha portato qui in macchina.”
“Cristo …” bisbigliai, con la voce rotta. Non mi sarei mai dovuta fidare di qualcuno che non conoscevo. “L’agente C, Ned e Ted …” pensai ad alta voce.
“Ora, praticamente l’intero dipartimento poliziesco di Toronto ci da la caccia per stalking e tentato omicidio!”
“Oh, no …”
“Sì! Se non ci muoviamo ci prenderanno, Courtney!”
“Ma …cosa pensi di fare? Io non posso camminare …” dissi, desolata.
Lei mi guardò, e per un attimo mi sembrò che sorridesse.
“Camminare? Chi ha parlato di camminare?” disse in tono malizioso.
“Cosa …”
Non mi fece neanche finire la frase che capii benissimo il suo intento.
Mi lasciò andare all’improvviso facendomi cadere sulle ginocchia e si avvicinò ad un auto sportiva nella parcheggiata accanto alla limousine.
“Ma … è chiusa!” esclamai, cercando di non pensare al fatto che mi aveva appena lasciata cadere a terra nonostante avessi la schiena lacerata da dei vetri sporchi.
Lei sorrise di nuovo.
Si chinò, presela pistola che avevo lasciato cadere accanto a Quentin e la alzò dalla parte de manico.
“Non penserai di …”
Troppo tardi.
Heather alzò il braccio e lo abbatté con violenza contro il vetro dell’auto, che i ruppe all’istante.
Un rumore assordante, l’antifurto, si aggiunse alle sirene della polizia.
“OH … MIO … DIO!” esclamai furente.
Lei continuò a colpirlo finché si creò un passaggio grande quasi quanto tutto il finestrino.
Poi tornò verso di me, mi sollevò di peso e mio malgrado mi infilò nella macchina.
Sentii i bordi di vetro spezzato che mi graffiavano gli avambracci e dovetti mordermi le labbra con forza per non mettermi a piangere.
Invece, mi sistemai sul sedile e aprii l portiera per farla entrare.
Lei afferrò il passamontagna e, tenendo stretta la pistola, si mise al volante.
Le sirene si facevano sempre più vicine, e l’antifurto non cessava di trillare.
“Come pensi di farla funzionare?” chiesi.
“Secondo te perché ho scelto quest’auto?” mi chiese sarcasticamente.
“Non so … perché è veloce?”
“No.” Esclamò ammiccando furbescamente, “Perché è l’auto di un coglione.” Aggiunse afferrando le chiavi, che lo sfortunato proprietario aveva dimenticato in bella vista sul cruscotto.
Lei le infilò nel vano e fece partire il motore.
Intravidi qualcuno muoversi nello specchietto retrovisore.
Alcuni infermieri stavano uscendo correndo dall’ospedale per vedere cosa succedeva.
“Parti!” urlai.
Lei premette sull’acceleratore  e partì sgommando.
“E Quentin?”
“Che cosa?”
“Non possiamo asciarlo lì … anche se le prove le hanno date per lui non possiamo escludere che lo arrestino …”
“Ma dopo tutto quello che ha fatto!” protestò Heather.
“Magari l’hanno costretto.” Dissi risoluta.
“e CHI?!”
“Non possiamo saperlo.”
Lei sbuffò rumorosamente e fermò la macchina.
Io scesi a rotta di collo, afferrai il bambino svenuto per le spalle  lo trascinai con fatica sui sedili posteriori.
“ORA VAI!” urlai. Heather partì e proprio mentre usciva dal parcheggio cozzò contro un’auto della polizia,venuta per arrestarci.
“AHHHHHH!” urli, in preda al panico.
Heather fece retromarcia di qualche millimetro e ripartì al massimo della velocità sotto il naso degli agenti.
La loro auto si lanciò a nostro inseguimento, seguita da almeno altre cinque o sei.
Vedevo la strada luminosa, gli edifici e i cartelloni pubblicitari che ci sfrecciavano ai lati.
Le macchine si spostavano bruscamente dalla strada e la gente correva urlando terrorizzata.
Ormai le mie orecchie si erano abituate al suono delle sirene.
Mi sistemai un po’ meglio sul sedile, cercando di non pensare che avevo la schiena in pezzi, il dipartimento di polizia di Toronto al gran completo dietro e un ragazzino ch probabilmente era solo una delle tante pedine del gioco del mio persecutore accanto.
Heather era concentrata, stringeva il volante come se avesse dovuto strozzarlo, le nocche bianche per lo sforzo.
Qualche goccia di sudore luccicante imperlava la sua fronte bianca e i suoi occhi erano puntati sulla strada.
Ignorando il dolore in ogni parte del mio corpo le chiesi “Allora?”
“Allora cosa?”
“Che diavolo sta succedendo.”
“Anche io sono felice di vederti, Courtney.” Rispose acida.
“OH, ma certo che sono contenta che tu stia bene, ma … insomma, dov’eri? Dove ti teneva? Chi,soprattutto? Quentin? Come sei scappata? Che ci facevi all’ospedale?”
“Il tipo che mi ha preso, quella sera, non ha detto una parola. Mi ha portata in un magazzino abbandonato di vestiti e ciarpame. Sono stata tutto il tempo rudimentalmente legata e imbavagliata. Mi davano da mangiare solo scatolette di tonno. Erano in due, due uomini alti e snelli …”
“Di colore?”
“No.”
“Quindi non erano quelli che mi hanno portata all’spedale …”
“Non credo.”
“MA ti hanno … insomma, capisci che intendo.”
“Sì, hanno provato a spogliarmi, un paio di volte. Ma poi hanno avuto sempre altro da fare. Li chiamava il capo o roba del genere.”
“Quentin c’era?”
“L’ho intravisto una volta. Avrei voluto avvertirti.”
“Era da solo?”
“Sì.”
“E … ehm … come …?”
“Come sono scappata? Un tizio strano ha chiamato al telefono un dei due che mi sorvegliava, dicendo che avrebbe incaricato degli agenti speciali di contattarti e di portarti da lui … ma non sapevo chi fosse … beh, fatto sta che quel tizio si è distratto. Così ho chiesto all’altro di passarmi la mia giacca, perché avevo freddo. Lui ha accettato. Ora, tu ai che io dentro la tasca della giacca ho uno specchio … l’ho fatto cadere “accidentalmente”, e come speravo si è rotto. Ho usato uno dei frammenti per liberarmi dalle corde e appena il tipo si è distratto gli ho sfilato la pistola carica dalla tasca. Se ne sono accorti, ma li ho minacciati e sono riuscita a scappare fuori … si sono lanciata mio inseguimento, ma sono riuscita a salire su un autobus di linea dopo aver gettato la pistola in un bidone … non avevo il cellulare, così sono andata subito da Gwen … lei mi ha detto che Duncan era in ospedale. Sono venuta subito, ma un agente mi ha riconosciuta e mi ha inseguita. Sono riuscita a mettermi in salvo, sono corsa in ospedale e … beh, eccomi qui.”
“Wow. Ammirevole.”
“Già.”
Sterzò bruscamente in un viottolo laterale, e io caddi in avanti sbattendo il petto contro il cruscotto.
“Attenta, Heather!” esclamai.
“preferisci che ci prendano?” urlò lei, in preda al panico. Accelerò ancora.
“Di questo passo investirai qualcuno!”
“Fotte un cazzo!” gridò esasperata, e premette il clacson con una foga incredibile per fare spostare due vecchietti che stavano attraversando la strada.
“E adesso che pensi di fare?” chiesi, mantenendo la calma.
“Adesso andiamo da Gwen, appena ci liberiamo dei poliziotti. Lì ti spiegherò la questione delle prove finte e vedremo di farci dare delle spiegazioni dal piscia sotto …e giuro che se è stato lui a cercare di farti abortire e ucciderti, ne vedrà delle belle … qualsiasi cosa dirà Gwen in sua difesa!” disse accennando a Quentin, ancora venuto, che veniva sballottato sul retro della macchina.
“Ma è il primo posto dove cercheranno!”
“Tranquilla, l’ho avvertita da un telefono pubblico di spostare la sua roulotte.”
“E dove andremo?”
“C’è un solo posto sicuro dove la polizia non ci cercherà. Un posto che non si raggiunge via terra.”
Ci guardammo per qualche secondo.
C’era silenzio. Sì, ok, le sirene e il casino c’era ancora … ma … c’era silenzio tra di noi. Un silenzio che non c’era mai stato.
Fui io a dirlo, a labbra socchiuse, quasi mi sentissi in colpa di rievocare tanti ricordi.
“Wawankwa.”
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 

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Capitolo 27
*** Prese ***


Il battello era sudicio e puzzava di merda.
Ma almeno ci avrebbe portate da Gwen.
E lì, se Dio avesse voluto, avrei avuto le mie risposte.
La mia mano scivolò istintivamente sulla mia pancia un tempo piatta. Nel sentire il rigonfiamento, un conato di vomito mi risalì su per la gola.
Lo ricacciai giù con fatica.
Tutto quel casino doveva finire.
E sarebbe finito proprio lì, nel posto dove tutto era iniziato.
“WAWANAKWA!” urlò Heather dalla stiva, indicando un ammasso di terra e piante davanti noi.
Mi venne in mente la prima volta che l’aveva vista via mare: quando ero giunta lì con lo yot di Crhis per A Tutto Reality: L’Isola.
Sorrisi amaramente e tornai dentro, accanto al volante.
Jorge, il tipo che ci aveva affittato la barca, guidava troppo lento, per i miei gusti.
Almeno lì la polizia non ci avrebbe trovate.
Questo era un problema in meno.
Ora dovevo solo sistemare il persecutore, chiunque fosse.
Non sapevo perché, ma ero convinta che non si trattasse di Quentin.
È vero, lui mi aveva minacciato a bordo della limousine, ma … insomma, era solo un bambino, dopotutto.
Solo un bambino.
La navetta prese a rallentare per ancorarsi a riva.
Heather uscì dalla sottocoperta, prese una cima appoggiata sul ponte e si terre pronta per ormeggiare.
Cozzammo contro il ponte di legno marcio, e l’urto mi fece barcollare all’indietro. Guardai l’isola.
Erano passati dieci anni.
Dieci anni, e quella non mi sembrava più wawanakwa.
La vegetazione era fitta e non curata, la casa dei produttori era praticamente distrutta, con numerosi buchi e travi mancanti dappertutto. Le roulotte erano sparite.
Il cielo era bianco latte e alcuni gabbiani volano silenziosi.
Mi sembrava di stare dentro un fil horror.
Scesi dalla barca seguita da Heather, e individuammo subito la roulotte della gotica: era parcheggiata al margine dellla foresta.
“Gwen!” urlò Heather.
Il rumore della barca che ripartiva mi fece rendere conto che eravamo sole, ora.
“GWEN! SIAMO NOI!” ripeté battendo furiosi pugni contro la porta in rame.
Era nervosa, tesa come la corda di una chitarra. Io ero solo spaventata e stanca. Terribilmente stanca.
“GWEN! APRI QUESTA CAZZO DI PORTA!”
La porta si aprì con un click e noi entrammo velocemente.
Gwen era in piedi al centro della stanza, e non aveva un bell’aspetto.
I capelli colorati ricadevano disordinatamente sulle spalle, unti e arruffati allo stesso tempo. Delle profonde occhiaie sgnavano il bordo inferiore dei suoi occhi nero pece, le labbra erano piegate all’ingiù come in un fumetto giapponese.
“Lui dov’è?” chiese debolmente.
Heather sollevò a fatica il sacco che si stava trascinando dietro da tutto il viaggio.
“L’hai chiuso dentro un sacco?!” esclamò inorridita Gwen strappandoglielo dalle mani.
“Ragiona, deificiente, secondo te potevamo tenerci un bambino svenuto in macchina come se nulla fosse?”
“IN CHE SENSO SVENUTO?!”
“Courtney l’ha colpito con una pistola …”
Gwen lasciò cadere il sacco e guardò Courtney con odio.
“BRUTTA STRONZA!” le urlò, sciogliendo la corda che teneva chiuso il contenitore.
Quentin era raggomitolato su se stesso, gli occhi chiusi, la fronte sporca di sangue, il passamontagna ancora attaccato ai capelli e le mani strette a pugno.
“CHE COSA GLI AVETE FATTO?!” urlò la gotica oscultando con un orecchio il petto del figlio.
“è vivo, Gwen, calmati.”
“Calmati?! CALMATI?! MIO FIGLIO HA OTTO ANNI, CRISTO SANTO! TU L’HAI COLPITO CON UNA PISTOLA!”
“Perché secondo te, razza di idiota, io a otto anni andavo in giro a minacciare le ragazze con una pistola?!”
“Cercate di darvi una calmata, tutte e due!” intervenne Heather bruscamente.
“E ORA che facciamo, calcolatrice?” domandò acidamente Gwen.
Heather andò nella cucina, prese un bicchiere dalla credenza, lo riempì d’acqua e lo vuotò con un gesto secco in testa Quentin.
“CHE CAZZO FAI?!” ululò Gwen spaventata.
Il bambini tossì un paio di volte e aprì gli occhi.
“Grazie al cielo!” esclamò la dark abbracciandolo.
Courtney l’afferrò per le spalle e la trascinò lontana da lui.
Heather colpì il bambino con un leggero schiaffo in volto, per farlo riprendere.
“Quentin, ci sei?!” chiese.
“S-sì.” Balbettò lui.
“Tu ci devi spiegare un sacco di cose. Punto primo, sai qualcosa delle prove false fabbricate contro di noi?”
“Cosa sono le prove false?”
“Brutto stronzo, fai finta di non capire?!”
“Non si dicono le parolacce.”
“NON SI MINACCIA LA GENTE CON UNA PISTOLA. CHE CAZZO FACEVI IN QUELL’AUTO?!”
“Heather, ti prego. È solo un bambino.” Implorò Gwen dal fondo della camera, bloccata al muro dalle braccia possenti dell’ispanica.
“Sei stato tu a chiedere a Courtney di abortire? SEI STATO TU A PERSEGUITARLA?!”
“Che cazzo dici, Heather, è un Cristo di bambino … non ha nemmeno un cellulare!” esclamò la madre.
“STA’ ZITTA!” le intimò l’asiatica.
“Io non c’entro … non ho fatto niente.” Biascicò il bambino.
“E allora cosa ci facevi nella macchina?”
“Ma non è stata un’idea mia … LUI mi ha detto di farlo …”
“Lui CHI?!”
“Quel signore …”
“QUALE SIGNORE?!”
“Non so chi è! Non so niente! Io non volevo essere cattivo! Mi avevano detto che lei e mio papà avevano fatto sesso e io non volevo che la mamma veniva tradita …” disse indicando Courtney.
“Di’ un po’, Gwen, ma gli hai insegnato a usare i congiuntivi?” sputai.
“Cazzo, Courtney, ha solo otto anni. Ritornando alla questione del sesso …”
“Aspetta, tuo figlio sa che cos’è il sesso?!” chiese Heather quasi divertita.
“A grandi linee …”
“Scommetto che gliel’avete spiegato con una dimostrazione pratica.” Sbottai indispettita.
“è tutto chiaro. Il piccolo pensava che tu e Duncan aveste avuto un rapporto tradendo Gwen, ed era convinto che quel figlio che porti in ventre fosse del suo papà … volveva quindi eliminarlo prima che nascesse in modo che il suo papà non tornasse da te e non volesse più bene a lui …” rifletté ad alta voce Heather rivolta a me.
“Ma un bambino non può avere una mente così contorta da escogitare un piano simile! Insomma, qui di parla di stalking, violenza, aborto, minaccia a mano armata …”
“Ed è qui che subentra l’uomo che ha nominato … qualcuno deve avergli messo in testa questa idea e deve averlo usato come capro espiatorio per le sue azioni …”
“Ma potrebbe odiarmi così tanto? E perché?”
“Perché se odiosa.” Sussurrò Gwen.
“Vaffanculo” sibilai io, tenendola ancora più stretta.
“Ma adesso che facciamo?” chiese Heather.
“Adesso restiamo qui finché non capiamo che diavolo sta succedendo. Se non è Quentin e non è Duncan … allora … chi è?” bisbigliò Gwen a mezza voce.
“Ehy cervellona, non pensare troppo che se non l’unico neurone che hai va in sovraccarico” dissi sarcasticamente.
“Courtney! Piantala, una buona volta! Abbiamo alle calcagna un criminale spietato, probabilmente non solo, che vuole uccidere la creatura che hai nel ventre e tutta la polizia di Toronto! Non mi sembra il caso di litigare per una vecchia faccenda …”
“Una vecchia faccenda? UNA VECCHIA FACCENDA?! Non so se ti rendi conto che questa escort mi ha RUBATO il mio ragazzo …”
“ESCORT A CHI?!” esclamò la gotica dimenandosi.
“Sh! Ascoltate!” esclamò l’asiatica mettendosi un dito sulle labbra.
C’era un rumore strano, in effetti.  Come di pale rotanti. Un rumore che si faceva sempre più forte, proveniva da fuori.
Heather sbirciò dalla finestra.
“MERDA!” urlò, in preda al panico. “SIAMO FOTTUTI!”
Lascia andare Gwen e mi precipitai a vedere.
Fuori, davanti alla roulotte, in cielo, c’erano almeno due elicotteri della polizia e alcuni agenti si stavano calando giù.
Una voce mi fece gelare il sangue nelle vene.
“USCITE FUORI CON LE MANI BENE IN VISTA …” disse un poliziotto nell’altoparlante.
“Che cosa facciamo?!” strillai io.
“RIPETO: USCITE FUORI CON LE MANI SOPRA LA TESTA …”
Gwen si accucciò a terra singhiozzando, e Quentin scoppiò a piangere.
“OH, ma per favore!” esclamai. La alzai con un gesto deciso. “Reagisci, rammollita!” urlai. “Chissà cosa penserebbe Duncan se ti vedesse in queste condizioni …”
“Non me ne frega niente!”
“Lo so che non te ne frega niente di lui! Non te ne è mai fregato niente!”
“Piatatela, voi due!” esclamò l’asiatica.
Le sirene e gli allarmi mi stavano per fare scoppiare le orecchie.
“Usciamo di qui.” Dissi con voce ferma.
Gwen prese per mano Quentin e uscimmi tutti e quattro, ordinatamente.
Anche se c’era ancora luce, appena fummo fuori un agente ci punto in faccia una torcia enorme.
L’elicottero era atterrato con frastuono e ora una decina di polizotti si erano riversati fuori, tutti armati.
“Eccovi, finalmente, gli invisibili persecutori …” disse uno con ari soddisfatta.
“MA NOI NON ABBIAMO FATTO UN CAZZO!” urlò Heather.
“Sì’, come no … ammenettateli.”
Due guardie si avvicinarono a noi con le manette in mano.
“Che facciamo?” chiese disperata Gwen, stringendo Quentin al petto.
Provai l’impulso di correre, ma sapevo che non sarebbe servito a nulla.
Così misi i polsi in avanti. Forse, se mi avessero portata in tribunale, avrei avuto un giusto processo con gli avvo cati squali e forse l’incubo sarebbe finito.
Forse.
Sentii le manette chiudersi ai miei polsi con un click metallico e avvertii il freddo del ferro contro la pelle delicata.
Io, Courtney Barlow, sarei stata incarcerata.
Io, la dama della legge.
Una lacrima involontaria mi si formò nell’occhio destro, e appena battei la palpebra cadde sulla guancia color cioccolato bagnandola.
“FERMI TUTTI!” urlò una voce.
Il poliziotto che mi stava incatenando si voltò di scatto.
Sull’isola volteggiava un altro aereo, grigio, senza riconoscimenti particolari, in metallo lucido.
“FERMI!” ripeté quella voce.
Una scala sbucò dal portellone e si srotolò fino a terra.
Un uomo voltato di spalle scese appendendosi ai pioli molto, molto lentamente.
Quando si voltò, ebbi un tuffo al cuore. Le parole mi uscirono di bocca come se fossero dotate di vita propria.
“E TU CHE CI FAI QUI?!”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 

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Capitolo 28
*** Nuovo Capitolo. ***


Ciao a tutti! Ri-eccomi.
Scusate il ritardo, ma, sapete com’è, la scuola e … dopodomani è Natale! YE!
Anche se a leggere questo capitolo non c’è molta allegria. Capirete i perché.
Buon Natale a tutti.
Ps Scusate se ho fatto errori di battitura, ma ormai dovreste sapere che la mia tastiera non è un granché.

 
Sull’isola volteggiava un altro aereo, grigio, senza riconoscimenti particolari, in metallo lucido.
“FERMI!” ripeté quella voce.
Una scala sbucò dal portellone e si srotolò fino a terra.
Un uomo voltato di spalle scese appendendosi ai pioli molto, molto lentamente.
Quando si voltò, ebbi un tuffo al cuore. Le parole mi uscirono di bocca come se fossero dotate di vita propria.
“E TU CHE CI FAI QUI?!”
Lo guardai negli occhi con fin troppa intensità.
 
Lui batté un paio di volte le palpebre.
“E lei chi è, scusi?” chiese il piedipiatti lasciando la presa dal mio polso.
“Lei non sai chi sono io?” chiese stupito l’uomo.
“No. Ma vorrei sapere che ci fa qui.”
“Io sono famoso! Non può non conoscermi!”
“Chris!” urlò Heather scattando in avanti. Il poliziotto l’afferrò per un braccio e la tenne indietro.
“Quello è il mio nome, piccola, am non me lo sciupare.” Rispose l’uomo con un ghigno.
“Ora mi spieghi che sta succedendo qui. Si identifichi immediatamente.” Disse il commissario puntandogli contro la pistola.
“Uo uo uo! Non c’è bisogno di essere così scontrosi!” ribatté Chris.
Non potevo credere che lui fosse lì. A Wawanakwa. Insieme a noi.
Come ai vecchi tempi.
“Io sono Chris McLane. Lavoro nel mondo del cinema e della televisione. Conduco alcuni show serali e quiz a puntate. Una decina di anni fa conducevo uno dei Reality Show più famosi d’America, a tutto Reality.”
“Non so di che cosa sta parlando.”
“Io sì!” esclamo uno degli agenti. “Mia figlia mi ha costretto a comprare un sacco di gadget di quel maledetto programma.”
“Dicevo …” continuò Chris alzando un sopracciglio. “Sono qui per impedirvi di arrestare tre ragazze innocenti.”
“Che cosa sta blaterando?”
“Sono qui per darvi delle spiegazioni. Inanzitutto, vorrei precisare che la denuncia nei confronti di queste ragazzi l’ho sporta io in persona.”
“Ma che cosa …?!” Heather tentò di nuovo di avvicinarsi a lui, ma la tennero di nuovo indietro.
“Inoltre, volevo dirvi che io sono quello che voi chiamate ‘L’invisibile persecutore’.”
“TU?!” urlai istintivamente.
“Lei stia zitta!” mi intimò il commissario. “Che cosa intende dire, con tutto questo?” chiese poi a Chris.
“Intendo dire proprio ciò che avete sentito.”
“Quindi lei, insomma, lei afferma di essere … il famoso stalker che ha gettato nel apnico la città?”
“Sì.”
“Ci deve delle spiegazioni, signor McLane.”
Due poliziotti lo presero per le braccia e in pochi secondi lo ammanettarono.
“Lasciatemi spiegare. Per favore!”
Il commissario soppesò l’ipotesi di lasciarlo parlare.
“Essia. Parli. Jhona, registra tutto.” Disse ad un’agente.
“Dunque, tutto è cominciato circa due mesi fa. Si da il caso che io fossi in un momento di grave crisi. Vedete, dopo aver finito di condurre il mio reality show, la mia fama è andata via via diminuendo, finché, qualche anno dopo, non diventai nessuno. Perdetti il mio ultimo posto da conduttore e rimasi, come si suol dire, in strada. Ben presto le spese per la manutenzione delle mie numerose case nelle varie località turistiche mi soffocarono, e fui costretto a venderle tutte. Perdetti fama e soldi. Capite? Ero disperato. Ma un giorno, mentre riguardavo la seconda stagione di aA Tutto Reality, mi venne un’idea. Un’idea grandiosa e incredibile. Pericolosa, certo, ma grandiosa. Un’idea che mi avrebbe riportato sul podio. L’idea era quella di creare un nuovo reality show, ma stavolta senza l’aiuto di una rete televisiva. Volevo farlo solo con la mia vecchia squadra di lavoro. Così li richiamai tutti, ad uno ad uno, decidemmo che avremmo venduto il reality, già diviso a puntate, ad una rete molto importante, una volta completate le riprese. Questo nuovo show sarebbe stato diverso da A Tutto Reality, sarebbe stato un thriller coinvolgente che avrebbe attirato moltissimi ascolti. Mi serviva solo un protagonista e una buona trama. Così mi ricordai di tre concorrenti che erano piaciuti molto al pubblico, nelle loro beghe: Courtney, Duncan e Gwen. Cercai in rete i loro dati, e li scovai tutti e tre. Riuscii a scoprire praticamente tutto di loro, grazie soprattutto ad alcuni social network. In pochi mesi scoprii dove abitavano, cosa facevano, chi frequentavano. Avevo i miei protagonisti, ma dovevo anche scrivere una trama. Così, guardando un programma televisivo, ebbi un’’illuminazione. Fu in quel momento che nacque l’invisibile persecutore. L’idea era che uno stalker psicopatico pedinasse Courtney, mentre la troupe riprendeva tutto. Puntata dopo puntata, la storia si sarebbe fatta sempre più intricata e complessa, coinvolgendo anche la sua migliore amica Heather e molti dei suoi conoscenti. Investimmo tutto ciò che avevamo nella realizzazione di questo progetto. Io e il mio migliore amico, chef Hatchett, ci mettemmo a capo dell’organizzazione. Unendo i risparmi di tutta la vecchia troupe riuscimmo a comprare le attrezzature necessarie, tra cui alcune minuscole telecamere da mettere in casa della ragazza e nei suoi abiti. Fin dalla prima puntata, lo show venne benissimo. Iniziammo a effettuare le riprese anche dall’alto, dal mio vecchio elicottero, e a rendere la trama sempre più interessante. Dopo le due puntate iniziali capii che dovevo mandare qualcuno sul campo, diciamo, a ‘metterci la faccia’. Così lo chiesi a Chef e ingaggiai anche un altro ex-partecipante di A Tutto Reality, Izzy. E ci serviva anche qualcuno di piccolo e agile. Così una sera prendemmo Quentin e gli dicemmo che Courtney e il suo papà avevano tradito la sua mamma. Lui s’infuriò, e noi gli proponemmo di vendicarsi, aiutandoci a far andare via per sempre Courtney dalla città. Lui accettò.
 Una sera, Chef colpì Trent alla tempia con un masso, e mentre Courtney e Heather lo portarono all’ospedale, Izzy entrò in casa della ragazza. Mentre lei era all’ospedale, le telefonò e Chef le chiuse dentro la stanza. Fu lì che Quentin intervenne per la prima volta. Rubò il cellulare di Heather e consumo tutti i soldi in un giochino elettronico. Iniziammo a perseguitare Courtney tramite messaggi e chiamate anonime, da un cellulare comprato apposta. Mentre io la chiamavo senza farmi riconoscere grazie ad un alternatore vocale, Chef la seguiva per controllare ogni sua mossa. Circa alla quindicesima puntata decisi di entrare anche io a far parte del programma, sotto le spoglie dell’agente C, un agente dei servizi segreti che avrebbe dovuto aiutare Courtney. In quello stesso episodio, uno dei due fratelli di Chef, membro della mia troupe, picchiò a sangue Trent e condusse Courtney all’ospedale. Qualche puntata prima avevamo rapito Heather, o meglio, Izzy lo aveva fatto. Fornimmo a Quentin una pistola senza colpi, e  lo facemmo appostare nel sedile posteriore della limousine con cui avevamo preso Courtney . Gli ordinammo di minacciarla di morte. Ma le cose presero una piega inaspettata. Courtney si ribellò ed Heather riuscì a scappare. Le due si ritrovarono inspiegabilmente e riuscirono a scappare con la macchina, prendendo anche Quentin. Fermammo le riprese. Ma io ero stato previdente, e qualche giorno prima avevo fabbricato delle false prove e accuse contro le due ragazze per rendere lo show più interessante. Le avevo denunciate per stalking, la cui vittima era Izzy. Avevo spedito dei messaggi intimidatori al suo cellulare dal cellulare di Heather, in modo da far credere alla polizia che lei fosse una criminale. Ma loro ..,. loro sono venute qui, qualche minuto fa, inseguite dalla polizia di Toronto. Io le ho seguite in aereo, e, beh, ora ci ritroviamo qui.”
Sentii un rumore sordo schioccare nell’aria, e capii dopo qualche secondo che si trattava di Gwen.
Si era accasciata a terra. Non era svenuta, ma aveva gli occhi chiusi e respirava a bfatica. Aveva avuto uno shock.
“Tu … cosa?!” riuscii solo a dire Heather, sconcertata.
“Un momento …” iniziò il commissario. “Ci sono alcuni punti che dobbiamo chiarire. È stato lei a esporre denuncia?”
“Sì.”
“Contro queste due ragazze.”
“Esatto.”
“E mi dica, perché ora si sta consegnando nelle mani della polizia? Sarebbe potuto fuggire con i suoi complici.”
“No. Non avrei mai potuto. Vede, all’inizio, questo ‘show’ era solo un’idea. Volevo che fosse una cosa molto semplice. Non pensavo che sarebbe andata così. Avrei terminato di girare le puntate, avrei consegnato il materiale a Courtney dandole tutte le spiegazioni necessarie le avrei chiesto l’autorizzazione, sotto paga, naturalmente, di venderle ad una rete televisiva. Ero sicuro che avrebbero accettato. Avrei detto a a tutti che erano attrici, e fine della storia. Ma poi la faccenda è degenerata. Trent è stato picchiato TROPPO forte, Heather è scappata, Duncan è stato colpito da un proiettile che non doveva colpirlo , Courtney è scappata … io non volevo che finisse così. Non avrei mai voluto infrangere la legge in questo modo.”
“Ma l’avrebbe infranta comunque!”
“Nessuno sarebbe mai venuto a saperlo. Dovevo confessare tutto, se fossi scappato le cose si sarebbero solo aggravate. Le prove che ho fabbricato erano troppo deboli. Prima o poi la verità sarebbe saltata fuori, con tutti i processi che queste due ragazze avrebbero ricevuto. E avrei potuto prendere persino l’ergastolo. Inoltre, adesso che ho investito tutto ciò che avevp in questo reality show e non verrà venduto, non ho comunque più una casa in cui tornare. Non ho niente, non mi è rimasto nulla. Man mano che ho perso successo, mi sono avvicinato sempre di più ad alcol e droga. Ormai sono dipendente dall’eroina. Non posso fare nulla da solo. Tanto vale costituirmi, se questo mi potrà dare le cure necessarie. Mio cugino ha compiuto un omicidio, ed era tossico-dipendente. Prima di condannarlo l’hanno mandato in clinica. Vedete, sarà sempre meglio stare in prigione che stare in strada. E poi, spero che, dato che le cose non sono ulteriormente peggiorate, la mia pena sarà ridotta un po’rispetto a quanto potrebbe essere secondo la legge. Avete capito? Io voglio consegnarmi alla giustizia prima che le cose peggiorino. Mi avreste scoperto comunque, dopo tutto il casino che ho combinato. Tanto valeva.”
La sua lunga spiegazione cadde in un silenzio sordo e freddo.
Avevo la testa che stava per scoppiare. Il cuore mi batteva a mille. Avevo un’infinita di cose da dire, eppure era strano come non riuscisse a venirmene in mente nessuna.
Alla fine dissi solo: “davvero?”
Il commissario mi lanciò un’occhiata perplessa, poi si rivolse di nuovo a Chris.
“Sa una cosa? Lei è pazzo.”
“Sa che io avevo una moglie, commissario? Avevo una splendida moglie di nome Blaneley. Beh, lei sen’è andata. Portandosi dietro i nostri due figli. Io l’amavo, ma non potevo più mantenerla. E così, vedendo le mie crisi di astinenza e la mia, come la chiamava lei, fame di fama, lei mi ha abbandonato. Dicendo che non sarebbe più tornata. E non è più tornata. Io … io l’amavo. Volevo solo che lei tornasse a casa.”
“Beh, sono molto rammaricato, ma …”
“Oh, non ho finito. Il più piccolo dei due figli, Carl, ha … ha il cancro.. Lei è andata a stare da sua madre, ma non avevano i soldi per curarlo. Carl … Carl sta morendo. Qui non siamo in Europa, agente, qui le cure te le devi pagare tu. Qui, in questo grandioso paese che è l’America, qui, qui, qui sarà la tomba di mio figlio,”
In quel momento mi accorsi che altri due individui stavano scendendo frettolosamente dalla scala di corda.
“Chris! Chris, che diavolo stai facendo?” esclamò Chef, afferrandolo per un braccio.
“Ehy!” lo apostrofò un agente, puntandogli contro la pistola.
“Ormai è troppo tardi, Cheffino … ormai loro sanno tutto.” Sussurrò l’altro, lo sguardo perso nel vuoto.
“Quest’uomo è pazzo! Non credete ad una sola parola di quello che dice!” esclamò Izzy, schiaffeggiandolo con una mano.
Una lacrima solitaria si formò nel’occhio di chris.
“Forse hai ragione, Izzy, forse sono pazzo.”
Cadde in ginocchio sulla sabbia, e sfilò con un gesto rapido la pistola dalla mano di un’agente. La alzò in alto e la puntò dritto davanti a se.
“Fermi tutti!” urlò.
Lo guardai.
Non era più l’uomo spavaldo, arrogante e sadico che avevo conosciuto due anni prima.
Era solo un uomo disperato.
Malato, povero, solo, con un figlio in procinto di morire.
Improvvisamente, nonostante tutto quello che mi aveva fatto, provai una grande pena per lui.
Lo vidi piangere.
Non stava mentendo, sulla faccenda di Carl.
 
Feci un passo avanti e gli tesi la mano.
“Avanti, McLane, alzati, su.” Gli dissi.
Lui mi guardò con una faccia che non dimenticherò più. I suoi occhi avevano qualcosa di inumano. Erano vuoti.
Poi, lentamente, molto lentamente, si portò la pistola alla testa e se la premette contro la tempia.
In pochi secondi capii cosa aveva intenzione di fare.
“ASPETTI, LEI NON può …” cominciò il commissario.
BANG.
Lo sparo risuonò sordo e secco, nell’aria fredda e umida di quel pomeriggio d’inverno.
“No.” Mi sfuggì di bocca, mentre il corpo di Chris McLane scivolava a terra senza vita.
 

 

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Capitolo 29
*** CAPITOLO 29 ***


Buonsalve a tutti i lettori di questa long.
Ebbene, questa è una storia.
E come tutte le storie deve avere una fine.
Ma che sia un finale speciale, però! Soprattutto poi per chi ha seguito e recensito tutti (oh, beh, quasi tutti) i capitoli della FC, e che l’ha seguita fin da quando era una fanfiction neonata. Vi voglio avvisare: questa storia non ha una conclusione vera e propria. Infatti non escludo un possibile continuo in un’altra long, che si chiamerà “The Hidden Stalker 2: The Return Of Fear”, ma non prometto niente. Nel frattempo vi lascio al mio finale, che spero non vi deluderà. E se avete dei dubbi, ditemi tutto nella recensione!
E MI RACCOMANDO, SE QUESTA STORIA VI è PIACIUTA VI RICORDO DI CLICCARE SULLA BANDIERINA VERDE E di lasciarmi due o tre righe di commenti personali. E, perché no, qualche adulazione o applauso (SCHERZO) come alla fine dei migliori Show.
Show come a Tutto Reality.
Beh, che altro dire? Buona lettura a tutti.
E, PS, se trovate errori sappiate che stavolta cel’ho messa tutto per rileggerla/correggerla. Almeno c’ho provato :,).
 
Chapter 29, finally.
 
 
 
Quel pomeriggio tornammo a Toronto su un elicottero della Polizia.
Il corpo di Chris venne caricato su un altro aereo diretto in ospedale, insieme a Gwen e Quentin, che sarebbero poi stati riportati a casa.
Io e Heather fummo costrette a fermarci alla centrale mentre gli agenti controllavano le prove false e informavano il giudice che era stato assegnato al nostro processo della faccenda.
Dopo quasi due ore di attesa in una piccola sala scura, accanto ad una cinquantenne venuta a trovare suo figlio (arrestato per molestie sessuali a minori), uno degli agenti mi intimò di seguirlo.
Era un uomo di colore, alto, robusto e calvo.
Entrammo in una stanza con un tavolo grigio e due sedie, illuminate da un’enorme luce a neon posta sul soffitto.
“Signorina Barlow, io sono l’agente Carman. Vorrei porle qualche domanda su questo caso.”
“Poi mi lascerete andare a casa?”
“Ma certo, signorina. Non si preoccupi.”
“Allora va bene. Che cosa vuole sapere?”
“Tanto per cominciare … quando ha avuto inizio tutto questo?”
“Io …”
All’improvviso mi resi conto che non mi ricordavo nulla.
Non ricordavo quando aveva avuto inizio tutto. Non lo sapevo.
Sapevo solo che volevo che finisse al più presto.
“Non me lo ricordo.”
L’uomo sospirò e poso le mani sul tavolo.
“Prima di … prima di mancare, McLane ha parlato di una donna … una certa Blaneley … sa per caso a chi si riferiva?”
“Conosco una Blaneley. Circa dieci anni fa ho partecipato ad un reality show molto importante, e Blaneley è stata una concorrente in una delle stagioni. È rimasta con noi solo per poche puntate … non so molto di lei, in realtà. So che era una conduttrice televisiva che intervistava celebrità e faceva programmi per le donne e TeleQuiz serali.”
“A quel tempo aveva già una relazione con il signor McLane?”
“No, non ancora. Erano … insomma, si vedeva che erano attratti l’uno dall’altra, ma non credo ci fosse nulla di ufficiale. Pochi anni dopo seppi che si erano sposati ed avevano avuto un bambino.”
“Sì, il piccolo Carl esiste davvero. Abbiamo trovato la sua scheda medica in un database di un’importante ospedale a Ottawa.”
Rimasi in silenzio a fissare il bordo del tavolo.
“Il suo fidanzato è già stato dimesso dall’ospedale?”
“Non lo so.”
“E l’altro uomo, Duncan?”
“Non so neanche questo. Credo di no, insomma, è stato colpito da un proiettile. È già tanto che sia vivo! E poi perché le fate a me queste domande. La ‘signorina Gwen’ dovrebbe saper rispondere meglio.”
“Lei è già stata interrogata sulla vicenda, così come il bambino. In ogni caso, ancora qualche domanda. È vero che c’era una relazione tra lei e Duncan?”
“Sì, è vero. Siamo stati insieme durante il reality show, e poi …”
“E poi che altro è successo?”
“Niente.”
“Quindi la mente di Quentin è stata manipolata da McLane senza che la questione avesse un fondo di verità?”
“Sì.”
“D’accordo. Può andare.”
Feci per alzarmi, ma lui mi bloccò sfiorandomi il polso.
“Oh, dimenticavo. Dovremmo prendere il suo cellulare per un po’ di tempo, capisce? Dovremmo controllare tutti i messaggi e le chiamate, per fornire prove contro i complici di McLane.”
“Tenetevelo pure. Non voglio rivedere quel cellulare mai più. Era solo un i-phone. Contiene il ricordo di questa esperienza. Non voglio rivederlo mai più, quindi … per favore, buttatelo via.”
“Ma che sta dicendo? Ne è sicura?”
“So che può sembrare strano, ma … sì. Me ne comprerò uno più economico prossimamente.”
Carman mi sorrise brevemente.
“Per quanto riguarda le riprese, desidera che vengano eliminate anche quelle?”
Soppesai l’ipotesi.
“No. Anzi, mi piacerebbe averne una copia. Cioè, comprendo bene che voi poliziotti dovrete esaminare ilo materiale, ma se poteste farne una seconda copia per me …”
“Non si preoccupi, nessun problema. Le faremo arrivare l’hard-disk per posta tra qualche giorno.”
“Grazie. E, ehm … i complici? Che ne sarà di loro?”
“Devono ancora subire il processo, però … saranno tutti condannati, ovviamente con diversa pena a seconda della gravità delle azioni compiute.”
 
“Molto bene.”
“Inoltre, abbiamo convenuto che lei debba prendere parte ai vari processi dei complici del signor McLane … le invieremo i documenti con informazioni, date, luogo e orari per posta insieme al disco. Oh, e dovrà andare ad almeno cinque appuntamenti con la psicologa della nostra centrale, che si occupa di vittime di stalking e di rapimenti.”
 “D’accordo. Mi farò dare il numero della psicologa dal centralino e mi accorderò per telefono per gli appuntamenti. Ora, se non le dispiace, vorrei andare via … mi sento molto stanca.”
“Sì, certo. la sua amica Wilson sta venendo interrogata nella stanza qui accanto da un mio collega, se vuole aspettarla.”
“Senz’altro.”
“Beh, allora, buona sera, signorina Barlow.”
“Buona sera, agente.”
Aprì la porta per farmi uscire e lo sentii soffocare una risatina.
“Io seguivo A Tutto Reality, sa? Avevo venticinque anni quando uscì la prima stagione. Le sembrerà stupido, ma io … ero cotto di lei, era la mia preferita.”
Annuii sorridendo. Ero troppo stanca per ringraziarlo.
“Però ero anche un grande sostenitore della DxG …”
Sentendo queste parole scattai in avanti e gli chiusi la porta di metallo in faccia.
“Buonanotte” esclamai irritata ad alta voce.
 
Nella sala d’aspetto vidi Heather seduta a gambe incrociate sul pavimento.
“Sei arrivata finalmente! Ci hai messo un’eternità!”
“Dev’essere tardi …”
“In effetti, sarà già ora di cena. Hey, senti, Court, non credo che ti farà piacere andare subito a casa tua, ora, dopo quello che è successo …”
“Infatti.”
“Allora è deciso, vieni a dormire da me.”
“E come faccio con il pigiama?” le chiese sarcasticamente.
“Ti presterò uno dei miei completini sexy.”
Risi piano e andai allo sportello informazioni per farmi dare il recapito telefonico della psicologa.
Mentre io e Heather uscivamo, notammo una moto nera parcheggiata davanti alla centrale.
A bordo c’era una ragazza pallidissima, con i capelli neri a ciocche blu.
“Gwen? Che ci fai qui?!” esclamai.
“Sono venuta a prendervi, mica vi faccio tornare da sole a casa con questo buio.” Disse non troppo convinta.
Avrie dovuto ringraziarla, lo so, ma non lo feci.
Mi limitai a sedermi dietro di lei e a toccarla il meno possibile.
Quando partì sgommando, Heather le toccò bruscamente una spalla facendola sbandare.
“Hey, darkettona. Non pensare neanche per un momento che questo favore che ci stai facendo cambi qualcosa tra di noi.”
“Non l’ho mai pensato. Anche perché non potrei mai rivalutarti, sarai sempre acida, cattiva e volgare.” Rispose Gwen da sotto il suo pesante casco.
Alzai gli occhi al cielo.
Sì, la vecchia Courtney l’avrebbe guardata male e le avrebbe detto “Cretina.”
Ma io non ero più la vecchia Courtney.
È proprio vero che certe esperienze ti cambiano la vita, e così fu per me.
“Ehm, Gwen? Ci porteresti all’ospedale Centrale, prima di andare a casa di Heather?” chiesi, cercando di essere gentile.
“Solo se dici per favore.” Ghignò lei.
“E va bene. Per …”
BEEEEEEP!
qualcuno suonò fortissimo il clacson dietro di noi.
BEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEP!
Un’altra moto scura si affianco alla nostra e ne sfiorò la ruota anteriore, facendoci nuovamente sbandare.
“FANCULO!” urlò Gwen col pugno alzato, rivolta all’altro autista, che per tutta risposta scoppiò a ridere.
“Ferma la moto, gotica. Adesso gliela faccio passare io la voglia di ridere.” Sibilò Heather.
Gwen fermò la moto e l’asiatica corse praticamente in contro all’altro tizio, che si era fermato a sua volta.
“Senti, tu …” la sentii dire, ma s’interruppe.
“WIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIII!” urlò come una pazza, gettando le braccia al collo del ragazzo.
“Ma le è dato di volta il cervello?” chiesi attonita alla dark.
Era troppo buio per vedere chi fosse quel tipo, ma aveva un qualcosa di familiare …
Camminò lentamente fino al cono di luce creato dal lampione sopra di noi e …
“TRENT!” esclamai.
Saltai giù dalla moto e lo abbracciai più forte che potevo.
Mi staccai da lui dopo averlo stritolato per bene e lo baciai a stampo.
Poi rimanemmo per qualche secondo a guardarci negli occhi.
“è finita, Trent, li hanno presi. È tutto finito.” Sussurrai, e la voce mi s’increspò.
“OH mio Dio ….” Disse lui sorridendo, gli occhi lucidi.
“è FINITA!!” urlai, rendendomene conto solo dopo averlo fatto.
Una lacrima mi si formò nell’occhio e rotolò giù per la guancia lentamente.
“Tesoro, ma tu stai piangendo …”
“Sì, Trent. Lo so che non è da me, ma … è FINITA, capisci? FINITA! Sono libera!” esclamai.
“Amore!” rispose solo lui, e mi strinse di nuovo a sé.
“Se avete finito di tubare, io vorrei …” cominciò Gwen.
“Ma taci un po’!” l’apostrofò Heather guardandoci.
“Beh, ora direi che la mia principessa viene con me a casa. E tu e Gwen potete tornare insieme …” disse Trent rivolto a Heather.
“Non se ne parla, principe azzurro. Ora tu ci dai la tua motoretta e ti fai accompagnare a casa dalla gotica. Tanto ci state bene insieme, voi due …” esclamò Heather.
Trent scrollò le spalle. “Sai guidare?” le chiese.
“Per chi mi hai preso, pivello?” sbuffò lei strappandogli le chiavi di mano.
Rassegnata all’idea di avere una migliore amica fuori di testa, mi accodai sulla moto di Trent dietro di lei.
Mi sentivo strana, però.
Avrei dovuto provare gelosia, insomma, Trent e Gwen stavano tornando a casa INSIEME  in moto …
E lui era il padre del bambino che sarebbe nato di lì a poco …
E così mi tornò in mente la domanda che lui mi aveva fatto all’inizio, prima che succedesse tutto.
“Mi ami, Courtney?”
Il problema era che ancora non sapevo dargli una risposta.
“A proposito di tuo figlio, come lo chiamerai?” chiese Heather.
“Non lo so … non so nemmeno se è maschio o femmina.”
“Se fosse femmina?”
“Mh … Mathilda?”
“Carino! E se fosse maschio?”
“Ehm … Duncan.”
Lei mi guardò con un’espressione molto strana, alzando un sopracciglio.
“Andiamo all’Ospedale Centrale.”
“Perché?”
“Voglio vedere come sta … Duncan.”
Lei zittì per qualche secondo.
“Lo ami ancora, vero?”
“Io …”
“Non mentire, Court.”
“Io … non lo so.” Risposi con voce flebile.
Lei accelerò un po’ e prese la strada laterale per andare in centro, verso l’ospedale.
“Fermati qui.” Le dissi quando arrivammo al parcheggio. “Tu vieni?”
“No, resto qui. Fa presto.”
Entrai nell’ospedale praticamente correndo.
Dentro c’era un sacco di luce e file e file di sedie blu davanti a degli sportelli di vetro.
Mi guardai intorno. C’erano solo vecchi e bambini.
“Mi scusi …” chiamai un’infermiera. “Sa dirmi la stanza in cui è assistito il paziente Duncan Owe?”
“Fammi pensare … ma certo, il signor Duncan! Lo assisto proprio io, sai? Stanza 234. Vuoi fargli visita?”
“Vorrei.”
“Mh, sappi che sei fortunata! Appena in tempo! L’orario di visita finisce tra cinque minuti. Ma tu sei la signorina Gwen? Sai, mi ha parlato tanto di te …”
Deglutii. All’improvviso mi sembrava che facesse molto più caldo, all’interno di quell’edificio.
“Che cosa le ha detto, esattamente?”
“Beh, la verità! E cioè che sei sveglia e molto molto bella! E che avete un bellissimo bambino di otto anni …”
“Ah, sì, Quentin. E non le ha mai parlato di una certa Courtney?”
“Courtney … no, in effetti no. Mai sentita.”
“Ah … grazie.”
La seguii a testa bassa attraverso un lungo corridoio fin troppo illuminato.
“Ecco qui … fai in fretta.” Mi disse con voce dolce, aprendo la porta di una delle stanze.
“Duncan! C’è qui Gwen!” esclamò, poi girò sui tacchi e se ne andò, lasciandomi entrare.
Mi chiusi la porta alle spalle.
“Oh, Gwen, amo …”
“Duncan. Sono io.”
“Courtney?! Che ci fai tu qui?”
“Sono venuta a vedere come stavi.”
“Che cosa? Fai … fai sul serio?”
Lo guardai.
Aveva una grossa fasciatura al petto, che ricopriva anche parte del braccio destro. La sua cresta punk era afflosciata da una parte ed era di un verde più pallido del solito. Gli occhi, però, erano sempre gli stessi,k due triangoli di cielo incastonati nel volto di quel giovane uomo con un filo di barba scura sul mento.
“Sì. Beh, che ti aspettavi? Ti hanno sparato!”
“Ti hanno chi? Alla fine s’è scoperto sto’ invisibile persecutore?”
Mi avvicinai in silenzio e mi sedetti sulla sedia di plastica accanto al suo letto.
Annuii.
“Chris McLane.”
“Che cos … Chris?! Proprio quel Chris? Il conduttore pieno di se, avaro, egoista e malvagio?”
“Sì, era lui. Cioè, era lui, ma non era lui. Lo conoscevo come avaro, egoista e malvagio, ma quello che ho visto era un altro uomo. Un uomo solo e disperato … un uomo abbandonato dalla moglie e con un figlio malato di cancro.”
“Chris ha … un figlio?”
“è una storia lunga.”
“Cioè, ce lo vedi Chris a letto con una biondina a fare le cosacce? Ahaha! Che spettacolo! Magari era una maialone, McLane …” ridacchiò con uno sguardo complice.
Lo fulminai con lo sguardo.
“è morto, razza di idiota!” esclamai all’improvviso afferrandolo per le spalle.
“Calmina, eh! Mi ha fatto prendere un colpo! Isterica del cazzo!”
“Sentimi bene, tu … ti ho appena detto che ha un figlio con il cancro e tu ridi e scherzi sul modo in cui ‘scopava’, per dirlo nel tuo gergo?!”
“Come ‘montava le pecore’’ mi corresse il punk con aria saccente.
“Lo sapevo! NON SEI CAMBIATO DI UNA VIRGOLA! DEFICIENTE, STUPIDO, INSENSIBILE, IDIOTA E PERVERTITO!”
“Ma senti chi parla … tel’ho già detto nel Tour, se non sbaglio, ma lo ripeto: sei un vecchio trombone starnazzante! Non sei cambiata, in effetti … ACIDA, PREPOTENTE, VIZIATA E PERFETTINA!”


Senza che me ne fossi accorta, ci stavamo urlando contro a volume decisamente alto.
Temevo che da un momento all’altro un infermiere sarebbe venuto a buttarmi fuori a calci.
“Oh, e, post scriptum … la tua canzone da principessa faceva schifo! Sono contento che Justin ti abbia baciata, perché io ti avrei vomitato addosso!”
“Ma andiamo bene! Rozzo e patetico! Sono contenta che ti abbiano sparato!”

“Sono contento io che ti abbiano perseguitata! Anzi, è un vero peccato che li abbiano arrestati, sarei stato felice di vedere la tua tomba, anzi, di ballarci sopra!”
“Adesso non esagerare, idiota! E piantala di rispolverare vecchie storie legate al reality!”
“Perché, ti da fastidio? Cosa c’è, è? Oh, ho capito … PARLARE DEL REALITY TI VA VENIRE IN MENTE CHE IO HO SCELTO GWEN E NON TE!”
“Tu non l’hai scelta e basta, TU MI HAI TRADITO COME UNO STRONZO! Anzi, no, la più stronza sono io, a preoccuparmi di un deficiente come te!” urlai. “E la sai un’altra bella cosa? GODITI il tuo stupido bambino fatto con quella specie di zombi di Gwen, mentre io mi godrò lo splendido tesoro di me e Trent! Buona fortuna!”
Lui fece per ribattere, ma io mi alzai di scatto dalla sedia e uscii dalla stanza a passo di carica.
Uscendo andai a sbattere contro l’infermiera di prima.
“Tutto a posto, cara? Vi ho sentiti urlare un pochino … stavo giusto per venire a dirvi di fare piano, sai, qui è pieno di gente che dorme … per fortuna che il signor Duncan ha la stanza singola … e poi credo che …”
“Mi faccia un favore. Lasci perdere” mugolai lasciandomi cadere a peso morto su una sedia blu.
“Avete litigato, immagino.”
“A quanto pare.” Borbottai fissando il pavimento con gli occhi lucidi. Stavo per mettermi a piangere.
“Non piangere. Non c’è n’è bisogno. Sai da che cosa si riconosce il vero amore, ragazza mia?”
“Da che cosa?”
“Potete urlarvi contro. Potete insultarvi. Potete farvi a pezzi e mangiare i pezzi dell’altro, è vero, ma pochi secondi dopo farete pace e vi amerete più di prima. Perché questo è il vero amore. Non essere mai veramente arrabbiati, ma solo delusi da un comportamento dell’altro. Poi, però, quando lo si guarda negli  occhi, si capisce subito che ogni delusione sarà rimpiazzata anche subito da altro amore.”
Alzai gli occhi.
“Beh, ora e meglio che tori al lavoro. Ah, mia cara, una cosa ancora …”
Si chinò verso di me con aria confidenziale.
“Cosa c’è?”
“L’orario di visita non è ancora finito.” Sussurrò facendomi l’occhiolino.
Aveva ragione.
Scattai in piedi come una furia, e urtando un vecchio seduto accanto a me guadagnai la maniglia della stanza 234.
“Duncan!” esclamai entrando.
“Ah, eccola che si ripresenta, bella bella, viene qui, come se niente fosse, neanche chied …”
Non seppi mai come avrebbe voluto terminare quella frase.
Seppi solo che pochi secondi dopo le mie labbra furono premute forte contro le sue e le sue contro le mie, e  che le sue braccia mi circondavano il corpo e lei mie mani affondavano nei suoi capelli morbidi, ed era come stare in un sogno …
Mi staccai dopo un tempo che mi sembrò troppo poco e lo guardai brevemente negli occhi.
“Tu mi ami?” sussurrò con voce flebile.
Era la stessa domanda che mi aveva posto Trent, però stavolta era diverso.
Stavolta sapevo qual’era la risposta giusta.
O meglio, non la risposta giusta.
La risposta vera.
“Sì” dissi, e poi lo baciai ancora e ancora, finché la porta non si aprì cigolando.
“Signorina Gwe … oh, che teneri!” esclamò l’infermiera di prima.
“Mi scusi, ora esco” bofonchiai9 con mezzo labbro di Duncan ancora in bocca.
Prima di alzarmi e andare gli chiesi: “E tu? Tu mi ami o ami Gwen?”
Lui aprì la bocca e la chiuse un paio di volte, come un pesce fuor d’acqua.
“Ti amo.” Disse con voce spenta, e mi sorrise.
È tutto quel che ricordo. Perché dopo uno dei suoi sorrisi, tutto è offuscato e annebbiato. C’è solo lui.
Pochi minuti dopo uscii dall’ospedale e raggiunsi Heather sulla modo.
“Allora, com’è andata?” mi chiese Heather curiosa.
Io salii dietro e abbracciai la sua schiena magra.
“Benissimo” dissi solo, e, grazie a Dio, lei non fece altre domande.
Una domanda me la feci io, invece, più e più volte, sfiorandomi la pancia con aria desolata.
“E adesso?”
 “Heather, forse dovrei abortire PER DAVVERO.”
“Non lo so, Courtney, non so lo. Questa è una decisione che devi prendere da sola. Devi solo chiederti due cose: 1) chi ami per davvero 2) se vuoi distruggere il cuore dell’altro.”
Dopo quella frase, rimanemmo in silenzio per tutto il tragitto fino a casa sua.
No, non avrei abortito. Allora la domanda da porsi era sempre la stessa: “E adesso?”
Chi avrei scelto? Chi avrei lasciato? Amore o lealtà?
Era una decisione solo mia.
E solo il tempo mi avrebbe dato la risposta che cercavo.
Non me n’ero accorta fino a quel momento, ma quella sera in cielo c’era la luna.
Fin da piccola, mi hanno sempre detto che nella luna vediamo il volto di chi amiamo.
So che io avrei dovuto vederci due grandi occhi verdi e dei capelli corvini, eppure quella notte la luna era azzurra.
Azzurra come gli occhi di Duncan.
 
 
 
Written by: Biberon
Story by: Biberon
Caracters by: Biberon








CAST:
                            COURTNEY BARLOW as COURTNEY BARLOW
 
                            HEATHER WILSON as HEATHER WILSON
 
                            DUNCAN NELSON as DUNCAN NELSON
 
                            GWEN as GWEN
 
                            TRENT as TRENT
 
                            CHRIS MCLANE as CHRIS MCLANE
 
                            BLANELEY as BLANELEY
 
                            IZZY as IZZY
 
                            CHEF as CHEF

                            DJ as CARMAN


                            
 
 
 








 
THE END.

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