Doppio giro all'inferno.

di misslittlesun95
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** 1 ***
Capitolo 3: *** II ***
Capitolo 4: *** III ***
Capitolo 5: *** IV ***
Capitolo 6: *** V ***
Capitolo 7: *** VI ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***


Doppio giro all'inferno.

Prologo.

Torino, 2013

Dopo un primo squillo il campanello di casa ne fece un altro parecchio prolungato, facendo capire a Viola due cose.
La prima era che, probabilmente, non si trattava di uno scherzo né di qualcuno che avrebbe perso facilmente le speranze di farsi aprire, sicuro per un motivo o per un altro che la giovane si trovasse all'interno.
La seconda era che chiunque si trovasse dall'altra parte della porta di certo non aveva conosciuto Viola negli ultimi sei mesi della sua vita, da quando cioè aveva lasciato Parma e si era trasferita a Torino.
Perché tutte le persone che la frequentavano in quel periodo sapevano benissimo di come non fosse il caso di andarla a trovare la sera, quando era stanca per la giornata trascorsa oltre che per ciò che stava passando, e l'unico che invece le recava gioia visitandola in quegli orari aveva le chiavi del piccolo bilocale, proprio per evitare che muovendosi da una parte all'altra si sforzasse più del dovuto.
Però, a quanto pareva, non poteva dare colpa all'inaspettato ospite della fatica, perché per lei in quel momento di ciò si trattava, che stava facendo.
Rapidamente, o almeno così le parve, si avvolse il capo calvo in un foulard e andò ad aprire, appoggiandosi alle pareti per evitare di cadere in terra.
Quando si trovò davanti al visitatore inatteso per poco non si sentì male, ma non di certo per le sue condizioni di salute alquanto precarie.

Suo fratello Vittorio, che come tutti i suoi cari e amici non vedeva da sei mesi, era lì, e la sua espressione incredula si specchiava perfettamente in quella di Viola. 

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Capitolo 2
*** 1 ***


1.

Parma, 2008.

Le sere di agosto passavano sempre più rapide.
Viola e le sue amiche si godevano per quanto possibile quegli ultimi momenti di libertà prima dell'inizio dell'ultimo anno di superiori.
Ancora non sapevano cosa fare dopo il diploma, e almeno fino alla fine dell'estate si erano ripromesse di non chiederselo neanche, né a se stesse né a vicenda.
Quella sera, quella del venti di quel caldissimo mese, non avevano in programma nulla di particolare.
Avevano deciso di andare a cenare fuori, tutti e otto; Viola, le sue migliori amiche Francesca, Marta e Sara e i quattro fidanzati delle giovani, in ordine Alberto, Giacomo, Simone e Carlo.
Alla fine di un difficile pomeriggio perso a decidere dove mangiare invece che a studiare avevano optato per un Sushi Bar che frequentavano da alcuni mesi e dove non si erano mai trovati male.
Una serata tranquilla, magari dopo la cena si sarebbero fermati ancora un poco lì, oppure sarebbero andati in un altro locale, poco distante, a bere qualcosa.
Di certo dalle undici e mezza alla mezzanotte e mezza sarebbero stati in un parchetto, come facevano sempre.
I pochi di loro, Viola, Marta e Carlo, per la precisione, che avevano ancora un coprifuoco malgrado la maggiore età, lo avevano all'una, e così a quell'ora andavano a casa tutti, perché per quanto potessero ancora divertirsi in cinque non avevano voglia di stare senza una parte di quel gruppetto che si era formato ai tempi delle scuole elementari e che, speravano, non si sarebbe mai sciolto.
Viola, orfana di madre dall'età di dodici anni a causa di un incidente stradale, viveva con il padre Mauro e il fratello Vittorio in una villetta non poco fuori Parma.
Non si trattava proprio di un paesino, perché anche dal paese più vicino distava qualche chilometro.
Era una zona isolata, ma si trovavano bene.
Un tempo era stata la casa di campagna del nonno Angelo, il padre di Mauro.
Poi lui era morto, ma il figlio non aveva avuto il coraggio di venderla. E così, divenuto vedovo, aveva abbandonato la casa di città, piena di troppi ricordi della defunta moglie, per andare a vivere lì, dove i ricordi erano comunque tanti, ma lui si sentiva in grado di conviverci.
Per i due figli non era stato un grosso trauma, per il semplice fatto che Mauro era un importante commissario di polizia, motivo per il quale doveva recarsi a Parma la mattina presto e spesso tornava tardi, quindi i due ragazzi andavano e venivano con lui, lasciando quasi invariati i loro orari precedenti, tolta giusto la sveglia, che suonava un poco più presto.
Quando aveva compiuto diciotto anni Vittorio aveva subito preso la patente e Mauro, con i soldi che da un po' metteva da parte, gli aveva comprato una macchina affinché potesse iniziare ad andare in città la sera, ovviamente senza bere né altro.
A Vittorio quella cosa era piaciuta e non poco, ma, accorgendosi che in un certo senso lo limitava, alla fine aveva fatto un patto col padre: lui avrebbe potuto bere perché sarebbe stato accompagnato a Parma e riportato a casa da Mauro, ma l'ora dell'incontro tra padre e figlio non avrebbe superato l'una.
Un'ora dopo la mezzanotte si sarebbero visti davanti al commissariato e sarebbero tornati a casa.
Cresciuta Viola la regola non era cambiata, tranne che da quando aveva la patente ogni tanto i due uscivano da soli e bevevano a rotazione.
Quella sera però Vittorio non c'era, aveva organizzato una settimana al mare con alcuni amici e così la sorella si era trovata a dover rispettare le disposizioni del padre.
Nessun problema, tanto l'incontro per la cena era alle otto e cinque ore erano più che sufficienti per stare con gli amici, soprattutto visto che anche l'intera giornata erano soliti passarla assieme.
Alla fine, verso le dieci, avevano deciso di uscire dal ristorante e andare a bere qualcosa.
Non bevevano mai molto, non era loro costume.
Si ritenevano alquanto diversi dai loro coetanei anche per quello; a loro bastava stare insieme, per divertirsi, non avevano poi bisogno di sballarsi o rischiare di farsi male e stare male.
Ogni tanto si chiedevano se quella loro idea sarebbe rimasta anche una volta finite le superiori e cominciata l'università, quando erano certi che si sarebbero ritrovati in una situazione completamente diversa.
Ma anche di quello parlavano raramente, di solito preferivano pensare al presente piuttosto che al futuro.
- Si però ragazzi ora non è che per farci dispetto ci mettono la Moretti di latino e greco, vero?- Domandò Alberto mentre si sedevano e ordinavano.
Eleonora Moretti era stata la loro insegnante di lettere classiche ai tempi del ginnasio, e nessuno, né tra di loro né all'interno dell'intera classe, ne aveva un buon ricordo.
- No, no, no e no! Io voglio finirlo il liceo, e che cazzo!- La violenta reazione era stata quella di Francesca, che ai tempi era stata rimandata, a suo dire ingiustamente, entrambi gli anni.
- Dai, Frà, quei debiti te li sei meritata tutti è due, è inutile che adesso fai così! Se ci capita la Moretti ci daremo da fare, ci metteremo sotto e le dimostreremo che in due anni con la Chiarello abbiamo imparato moltissimo, che altro dovremmo fare?- Aveva risposto Viola.
Francesca aveva indicato l'amica e poi aveva parlato a tutti gli altri.
- Vedete? Questa ragazza che dice che io mi meritavo i debiti è la mia migliore amica da quando avevo tre anni. La mia migliore amica, capite? Ora non so bene se sono io ad essere stupida o cosa, ma non capisco come faccia ad esserlo ancora!- Aveva riso, e con le lo avevano fatto tutti gli altri.
In effetti non avrebbero potuto essere più diverse, e spesso ridevano dicendo che era stato proprio quello a farle rimanere unite.
- Dai, efficiente lo dai che mi volgo bene!-
Alle parole di Viola rimasero tutti stupiti e, soprattutto, smisero di ridere facendosi improvvisamente seri.
Non capivano cosa avesse detto, non aveva senso quell'ammasso di parole.
- Vì non fare la cretina, parla bene.- Provò a dirle il fidanzato, che malgrado la paura iniziale voleva credere stesse scherzando.
- Roberto non gioisco quello che stai definendo!-
- Dai, lo sai! Smettila, sembri scema! Anche se ammetto che vorrei essere in grado io di cambiare le parole cosi dal nulla!-
Viola lo guardò strano, con gli occhi quasi sbarrati, e in quel momento Alberto capì che non stava scherzando.
- Cedo... Vero....- Disse ancora la ragazza.
Poi si sentì un tonfo, e solo l'intervento pronto di Carlo che le stava affianco fece si che la giovane non cadesse a terra con la sua sedia.
- Alberto chiama un'ambulanza.- Disse poi il ragazzo con Viola, ormai incosciente, tra le braccia.



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Questo è il primo reale capitolo, anche se avviso già che i prossimi saranno per buona parte più lunghi.
Niente, spero vi piaccia e fatemi sapere cosa ne pensate ^_^

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Capitolo 3
*** II ***


Torino, 2013.

Viola e Vittorio si guardarono per quasi cinque minuti prima di potersi dire qualcosa di serio.
Lui non si sarebbe mai aspettato di vederla così, malata, perché conoscendola bene lo notava, e non solo dal foulard che aveva in testa, in che condizioni fosse, mentre lei non si sarebbe aspettata di vederlo proprio. Avrebbe voluto anzi urlargli addosso, domandandogli per quale assurdo motivo si era fatto... quanti, duecento chilometri? Trecento? Per andarla a cercare.
Lo aveva detto chiaro e tondo quando era andata via che non aveva nessuna intenzione di mantenere i contatti, almeno per un periodo.
Voleva ricominciare da capo, se ne era andata da Parma dicendo quello.
Ovviamente non era vero, dietro a tutto c'era il ritorno della malattia e la sua voglia di combatterla, anche se detestava quel termine, in completa solitudine.
Sì, probabilmente Viola, fosse stata in forze, avrebbe urlato al fratello, che adorava, le peggio cose.

Ma non stava bene, non ce la faceva.
A dire il vero non fu in grado di far qualcosa che differisse dal far entrare il ragazzo e farlo accomodare nel salottino del piccolo appartamento, facendolo sedere nella poltrona difronte alla sua.
- Mi piacerebbe offrirti qualcosa, ma non ho poi tutta questa voglia e tutta questa forza per alzarmi. Comunque in cucina c'è cibo, sia dolce che salato, e da bere tante bibite quanto alcol. Se ti va fai pure.-
Disse la ragazza per tentare di mandar via almeno un poco l'imbarazzo creatosi nei minuti precedenti.
Vittorio scosse la testa facendo segno di no, anche se il pentimento arrivò subito dopo, quando si rese conto che se fosse andato nella cucina almeno un attimo avrebbe potuto cercare le parole per iniziare un discorso decente.
Non essendone però lui in grado fu la sorella a introdurre una discussione sull'accaduto, e lo fece con quella che inizialmente parve una battuta. - Immagino che nella tua idea di “incursione” in casa mia c'era anche una parte in cui tu te ne uscivi con un “ti trovo bene, Viola.” sono davvero.... dispiaciuta, ecco, di aver un poco cambiato la tua idea di visita alla sorellina, ma la situazione è quella che vedi.- Diretta, sfrontata, ironicamente sarcastica, la ragazza in quei sei mesi non era cambiata molto.
- In effetti sì, speravo che le cose stessero diversamente.- Sospirò il fratello. Anche lui era fatto allo stesso modo, se doveva dire una cosa la diceva.
Non che quella situazione lo mettesse poco in imbarazzo, anzi, anche se forse più che di imbarazzo si trattava di tristezza mista a preoccupazione, ma immaginava che sarebbe stato inutile stare lì a fissarsi imbambolati finché a uno dei due non fosse venuta voglia di domandare all'altro cosa stesse accadendo.
- Chi inizia?- Domandò poi Viola lasciando così cadere il discorso precedente.
- In che senso?-
- Nel senso che a me interesserebbe sapere cosa porta mio fratello maggiore a Torino in una fresca sera di Marzo, e penso che anche tu ti domandi alcune cose a cui solo io posso dare risposta. O mi sbaglio?-
Il ragazzo scosse di nuovo la testa, ma rimase ancora in silenzio.
- Okkey, immagino dunque che la situazione sconvolga più te che me, malgrado che la vittima, per così dire, dell'incursione inaspettata sia la sottoscritta. Quindi vediamo, da dove posso iniziare? Dal chiederti come mai sei qui? Non che mi vengano al momento altre domande intelligenti, sia chiaro, ma forse potrei avere altre curiosità.- Disse poi lei cercando ancora di essere sarcastica.
Man mano che la discussione andava avanti il suo sarcasmo diventava più pungente, malgrado Vittorio sapesse che non sarebbe mai arrivata ad offendere o, peggio, ferire.

Forse era un'autodifesa, un modo per non dimostrare la debolezza che in un modo o nell'altro le apparteneva, quantomeno in un momento come quello.
E in un certo senso funzionava; la voce di Viola, dal tono basso e interrotta costantemente da respiri lunghi e spesso affannati, pareva meno debole e ammalate quando la giovane parlava in quel modo, facendo trapelare una forza interna che né la malattia né le cure avevano diminuito.
- Non lo so, sai? Voglio dire, non penso di essere qua perché mi andasse di fare bungee-jumping dalla Mole Antonelliana, anche se devo dire che a pensarci ora l'idea non mi dispiace...- Rispose cercando di imitare, con leggero successo, l'ironia della sorella, che di fatti accennò un leggero sorriso alle sue parole.
Sorriso che poi scomparve lasciando posto ad un commento che suonava quasi come un rimprovero. - Forse, ora, è meglio che inziamo a fare i seri.- Sospirò la ragazza.
- Sì, credo di sì. Insomma, non penso sia difficile capire perché io sia qua. Te ne sei andata dicendo che non volevi più tenere i contatti con nessuno, e per quanto abbiamo tutti mantenuto la promessa, o quasi data la mia presenza qui, non potevi impedirci di sentire la sua mancanza. Un mese passa, due pure, ma poi a casa si sente la tua assenza, e non perché io e papà non siamo in grado di cavarcela senza una donna. A proposito, lui non sa che sono qui. Né lui né nessun altro. Ho detto a tutti che volevo visitare un po' l'Italia. Il prossimo autunno dovrei laurearmi e mi sto realmente domandando se sia il caso di rimanere in questo paese o no, e questa è l'unica cosa vera di tutto ciò che gli ho raccontato.
Tra l'altro il momento cadeva a pennello, dato che io e Micaela ci siamo presi una pausa.
È mancata suo nonno ed è tornata nel suo paesino, nelle Marche. Poi lì ha rivisto il ragazzo con cui si frequentava ai tempi delle superiori e si sa come vanno queste cose.
Adesso dice di essere indecisa, ma io tutta questa voglia di stare fermo ad aspettarla onestamente non la ho, e così vedremo, faremo decidere al destino.
Certo, quando gli ho detto che partivo per un periodo non meglio definito gli è preso un colpo, a papà. Povero babbo, nel giro di sei mesi si è ritrovato la casa vuota, ma io l'ho rassicurato dicendogli che avevo intenzione di farmi sentire ancora, nessun desiderio più o meno assurdo di taglio dei ponti generale.
Beh, questo per quanto mi riguarda è più o meno tutto, ora forse dovremmo passare all'altra metà della storia, non credi?- Vittorio fece un rapido resoconto di tutto ciò che era successo alla sorella senza fermarsi neanche un attimo.
Per Viola fare altrettanto risultava alquanto difficile, ma dopo aver ascoltato il racconto del fratello maggiore aveva deciso che non era il caso di nascondersi dietro a nessun tipo di scusa.
Era andata via da Parma per un motivo, e ora che una parte, anche se relativamente piccola, di quel motivo le stava seduta davanti non sarebbe valsa nessuna scusa.
- Ti avviso che potresti odiarmi, ma se prima di farlo mi dessi modo di spiegare te ne sarei grata.
L'ultima analisi di controllo che ho fatto a casa ha mostrato una recidiva. Purtroppo una cosa seria, arrivata quasi dall'oggi al domani come un uragano.
Potevo curarmi a Parma oppure qui a Torino, dove lavora il massimo esperto di tumori cerebrali della nazione. Il medico mi ha consigliato di farmi visitare una volta da lui e poi decidere assieme, a seconda di ciò che quella visita avrebbe decretato.
Così ho iniziato a pensare alla balla del trasferimento, e ho fatto il primo viaggio, giornaliero, a Torino.
Qui penso tu capisca da solo cosa il medico abbia detto, e mi è parso sincero, non credo fosse in qualche modo un semplice bugiardo autoreferenziale, anche perché penso che quello dell'oncologo non sia proprio il mestiere più adatto per chi manca di franchezza ed onestà, ma questo è un altro discorso.
A quel punto ho deciso definitivamente di venire su con quella cazzata del cambiar vita, senza dire a nessuno ciò che mi stava in realtà accadendo.
Ed è adesso che arriva il punto in cui potresti odiarmi.
Io non vi volevo vicino. Non volevo te, papà, Franci, Albe, gli altri, nessuno.
La prima volta che sono stata ammalata mi siete stati tutti vicini, ed è stato importantissimo.
Ma vi ho visti soffrire, addirittura ricordo di litigi tra te e papà causati, se non dalla mia malattia, dallo stress del periodo.
A diciotto anni ero una ragazzina impaurita, senza contare l'intervento e tutto quello che ha comportato, ma ora, forse anche per colpa della rapida crescita che mi ha causato quell'episodio, mi sento una donna, una donna davvero.
Credimi, non è stata una scelta facile, malgrado io l'abbia presa in modo abbastanza rapido, ma mi pareva, e mi pare tuttora, la migliore. La situazione è più grave della volta passata, benché sia in parte differente.
Se ti chiedi se guarirò o meno ancora non possiamo saperlo per certo, ed è stata la mia unica grande incognita. Non sapevo bene cosa avrei fatto se avessi scoperto di avere poco da vivere, so solo che ho deciso che me lo sarei domandata al momento.
Spero che tu possa comprendere...-
Anche Viola aveva parlato senza interruzioni, anche se era stata ovviamente molto più lenta del fratello.

Alla fine del discorso si era appoggiata meglio allo schienale della poltrona, come se il solo parlare l'avesse già distrutta.
- Beh... comprendere forse è una parola grossa...- Aveva risposto Vittorio, che comunque, da quando lei gli aveva aperto la porta al quel momento, aveva immaginato che la storia potesse essere simile a ciò che Viola gli aveva appena raccontato. La stava guardando bene, e ricordando ciò che era accaduto cinque anni prima non gli era stato difficile capire che non si era ammalata, o comunque non aveva iniziato le cure, di recente. - Ma in un certo senso, almeno in parte, penso di poter capire. Non ti sei certo trovata in una situazione semplice, e per quanto tu possa sentirti donna, so che ora toccherà a te odiarmi dopo ciò che dirò, forse non lo sei ancora del tutto. Insomma, io ti ricordo, a Parma, e avevi una vita... normale. Però forse hai semplicemente passato tutto quel tempo a nascondere una forza interiore che non mi è dato neanche di immaginare, quindi non posso dir nulla. Solo... sei davvero riuscita ad affrontare tutto, la malattia e il resto, in completa solitudine per tutto questo tempo? - Vittorio si diede del deficiente da solo. Avrebbe potuto chiederle come stava, se aveva bisogno di qualcosa, quale fosse in quel momento la situazione, se almeno un poco fosse guarita.
Ci sarebbero state millemila domande da fare alla sorella in quel momento, e qualsiasi persona con un poco di cervello le avrebbe fatte uscire tutte, qualcuno le avrebbe fatto addirittura più domande di quante fossero le risposte che Viola poteva avere. Ma lui no, lui le aveva chiesto una cosa che per quanto riguardasse la malattia ne stava ancora fuori, almeno in parte.
Forse era normale, dopo tutto lui di termini medici non capiva nulla, se la sorella gli avesse parlato del male che aveva in corpo l'avrebbe di certo fermata più volte per chiederle di spiegarsi in termini più elementari.
Lui era stato, ai tempi della prima malattia, tempi che a pensarci in quel momento parevano oltremodo lontani, un aiuto di tipo morale per la sorella, non un medico. E qualcosa di quello gli era rimasto dentro, altrimenti non si sarebbe subito preoccupato della solitudine che Viola aveva potuto provare in quei mesi.
La ragazza, intanto, dopo quella domanda era arrossita, ed era chiaro che almeno in quel caso, fortunatamente, la malattia non c'entrava.
Per evitare che il fratello facesse troppe domande, però, aveva deciso di correre subito ai ripari spiegando da se il motivo di quei rossori sul volto.
- All'inizio sì, ero completamente sola e questo, in parte, mi ha costretta anche a più ricoveri del dovuto. Poi però nella mia vita è entrato Ivan.
È uno specializzando di oncologia, quindi non è proprio il medico che mi segue e la nostra relazione, che è ormai conosciuta da tutto il reparto e buona parte dell'intero ospedale, è più o meno corretta anche a livello odontologico, cosa a cui io tenevo molto, addirittura più di lui.
È assolutamente brillante, come medico, e non volevo rischiare di stroncargli una promettente carriera sul nascere. Abbiamo iniziato a frequentarci al secondo mese di terapia, e al quarto ormai infermiere, medici e anche alcuni pazienti facevano scommesse clandestine su quando ci saremmo dichiarati al mondo. È molto dolce, forse un po' troppo protettivo perché sa più cose sulle mie condizioni di un ragazzo meno nell'ambiente, ma è anche in grado di dosare le paura per non essere opprimente...-

Mentre ascoltava la sorella Vittorio vedeva lampi di luce nei suoi occhi, e questo gli bastava per capire quanto fosse presa da quella relazione, una, forse la sola, cosa positiva di quel momento della sua vita.
- E Alberto?- Aveva poi chiesto pensando al ragazzo storico di sua sorella.
- Temo che sia un periodo chiuso della mia vita, o almeno così gli ho fatto capire quando sono venuta a Torino. In quel momento doveva convincersene più lui che io, è chiaro, ma poi è arrivato Ivan e ora so di essere molto presa da questa storia.
In più non sto facendo progetti per il futuro, considerando il fatto che, scusa se sono così cruda, ma potrei non averne uno, quindi non mi è neanche solito chiedermi “e sei quando sarà guarita tornerò a Parma?”. No, per ora mi prendo ciò che viene, le cose brutte, tante, e le cose belle, poche ma belle davvero. Comunque è certo che, a prescindere da qualsiasi cosa potrà accadere in futuro, tutto quello che ho vissuto con lui in molti anni, prima da amici e dopo da innamorati, non rimarrà nascosto da qualche parte per essere dimenticato, è troppo importante. Ma per adesso è andata così. -
I due rimasero in silenzio di nuovo, questa volta più a lungo.
Si erano detti tutto, i discorsi seri erano finiti.
- Stavo ripensando a ciò che mi hai detto prima, sai Viola? Il fatto del cibo in cucina. Ecco, non è che...-
La ragazza sorrise, quello era un ottimo modo per cambiare del tutto argomento e fingere una normalità che fino a quel momento, da quando Vittorio aveva suonato al campanello, pareva essere mancata.
- Se mi aiuti ad alzarmi e ad andare di là sì, ti faccio mangiare con piacere. Ho una poltroncina anche in cucina, io mi metto lì e tu fai ciò che devi, anche se ne approfitterò per mangiare qualcosa anche io. Poi ti aiuto a prepararti un posto dove dormire, domattina mi dirai quali sono le tue intenzioni. Ma adesso andiamo, dai, tu hai fame e anche io inizio a pensare che avrei potuto fare una cena migliore.- Disse la sorella più piccola mentre si preparava a rialzarsi.

 

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Capitolo 4
*** III ***


Parma 2008.


L'ambulanza era arrivata in pochi minuti, Viola era stata caricata ed in ospedale con lei era andato Alberto.
Nel locale, in quegli attimi, vi era stato un gran caos, e la cosa positiva era che tutto quello l'aveva causato la volontà degli altri presenti di dare una mano a quel gruppetto di ragazzi.
Gli altri amici di Viola erano andati a prendere la macchina per raggiungere il luogo dove stavano portando l'amica, tutti meno Francesca e Giacomo, che si erano subito diretti verso il paesino dove viveva l'amica.
Erano certi che Mauro fosse ancora a casa, dato che sarebbe dovuto andare a prendere la figlia molto più tardi, e non si sentivano di chiamarlo e dirgli tutto per telefono, per quanto sapevano che quell'andare e venire da Parma al paese e viceversa avrebbe di molto allungato i tempi.
Dopo neanche tre minuti di viaggio Francesca era scoppiata in lacrime, preoccupata per quello che era successo.
- Ho paura.- Aveva detto al fidanzato. - Prima l'ho detto scherzando, ma tutti sapete che è vero che lei è la mia migliore amica, e io non posso pensare di perderla. Sono spaventatissima, Jack.-
Il ragazzo aveva staccato un attimo un mano dal volante e aveva preso quella dell'innamorata, nel tentativo di rassicurarla. Lui si domandava solo se quei minuti che avevano passato a prenderla in giro per come parlava, credendo che stesse solo facendo la stupida, fossero potuti essere importanti per qualcosa, forse addirittura per salvarle la vita.
E il tempo, in quel momento, stava diventando proprio il suo principale nemico.
Si sentiva fortunato, non aveva bevuto e poteva per mettersi di andare un po' più veloce. Forse troppo veloce, ma in quel momento la strada su cui viaggiavano era vuota, e la preoccupazione per un'eventuale multa non lo sfiorava nemmeno.
Dovette comunque rallentare imboccando la strada che lo avrebbe portato fino a casa dell'amica, una strada stretta di collina e piena di curve.
Anche se con qualche difficoltà, ce la fece in tempi rapidi e appena giunto davanti al cancello che separava la strada dalla villetta iniziò a fare baccano con il clacson nella speranza di far uscire Mauro di casa più rapidamente.
Difatti tre minuti dopo il commissario era lì, incazzato nero per il casino.
- Mi spiegate che cazzo volete?- Aveva tuonato uscendo sulla strada, non potendo ovviamente immaginare ciò che stesse accadendo.
La macchina di Giacomo aveva i fanali accessi che puntavano dritti verso il cancello, e tra questo e l'auto stessa si trovava Francesca, con gli occhi lucidi ed un volto che non prometteva niente di buono.
Mauro la conosceva bene, lei e Viola erano cresciute insieme come fossero sorelle, e quel viso preoccupato e triste, insieme al fiuto di poliziotto e, sopratutto l'istinto di padre, gli fecero capire che sua figlia, in quel momento, non stava bene come quando l'aveva accompagnata a Parma tutta bella e raggiante poche ore prima.
- Vì si è sentita male, abbiamo chiamato un'ambulanza e l'hanno portata in ospedale. È successo più o meno una mezzora fa. Io non ho avuto il coraggio di chiamarti, dovevo dirtelo a voce. Scusami...- Aveva sussurrato la ragazza al padre dell'amica tra le lacrime che avevano iniziato a scendere di nuovo.
Mauro aveva tentato di mantenere la calma e le aveva detto di portarlo dalla giovane, che tutte le spiegazioni gliele avrebbe fornite con calma in auto mentre andavano.
Così si erano messi immediatamente in viaggio, e appena si era calmata Francesca aveva raccontato dell'afasia e dello svenimento.
- Siamo stati degli stupidi, non abbiamo capito subito quello che le stava accadendo.- Gli aveva detto facendo uscire per la prima volta quelli che erano i pensieri di Giacomo e, probabilmente, anche quelli degli altri amici, malgrado si trovassero a chilometri da lì.
- Non potevate immaginarlo, Francesca.- L'aveva subito tranquillizzata l'uomo. - Siete ragazzi, alla vostra età è normale fare cose sciocche come fingere di parlare male, non potevi sapere cosa ci fosse dietro, non hai colpe, nessuno di voi ne ha. Ora vedrai che andrà tutto bene, non sarà nulla di grave. Tu la vedi tutti i giorni proprio come me, ti è sembrato che stesse male, ultimamente?- Le aveva chiesto poi con una voce che era un misto tra una domanda retorica fatta per calmare e una domanda seria fatta per capire.
- Se devo dire il vero no, Mauro, non mi è mai parso stesse male. Ogni tanto era stanca, magari un po' di mal di testa. Ma come tutti gli anni ci siamo lasciati i compiti tutti per questo periodo e ci stiamo dando dentro, gli altri te lo possono confermare, e credevo che la causa fosse quella. Anche l'afasia, non ne ha mai avuta, che io ricordi, mai da quando è nata. -
Francesca provava a ricordare ogni minimo particolare degli ultimi giorni, dal Ferragosto passato sulla costa Adriatica ai pomeriggi di studio, ma non le veniva in mente nulla che poteva far presagire il malore avuto dall'amica quella sera.
Aveva sbagliato ancora? C'era qualcosa di cui poteva rendersi conto che invece aveva tralasciato? Qualsiasi cosa avesse fatto stare male Viola quella sera sarebbe stato possibile che qualcuno, lei o chiunque altro, se ne rendesse conto prima? Magari spedendola a fare una visita che avrebbe potuto evitare il tutto?
Francesca non era in grado di rispondersi, continuava a pensare ma niente, se c'erano stati dei sintomi erano stati troppo lievi per essere scovati in tempo.
O il suo occhio di diciottenne troppo inesperto per notarli.
O Viola troppo felice per farli venir fuori mentre stavano insieme, o addirittura troppo noncurante per rendersene conto e, soprattutto, rendere partecipi di ciò le persone che le erano attorno.
Tutti i suoi pensieri erano svaniti quando lei, Giacomo e Mauro erano arrivati all'ospedale.
In quel momento l'unica cosa che voleva era vedere la sua amica e assicurarsi delle sue buone condizioni, ma a quanto pareva anche chiedere solo quello era troppo.
Appena arrivati, infatti, i tre si diressero verso il Pronto Soccorso, dove si trovavano, già in attesa di novità, gli altri ragazzi.
Tutti e cinque, nessuno escluso.
Alberto, che in quanto fidanzato di Viola aveva anche un minimo di rapporto con il padre, andò in contro all'uomo e provò a spiegargli ciò che era successo appena prima il malore della figlia e dopo l'arrivo in ospedale. - Non ha bevuto, nessuno di noi l'ha fatto, non ce ne è neanche stato il tempo. E non ha assunto nessun tipo di sostanze strane, figurarsi, ci conosci.-
- Sì, sì lo immaginavo... mi fido di voi... ma ora? Come sta? Dove è? I medici cosa dicono?-
A quel punto Alberto scosse la testa e andò a sedersi su una di quelle sedie scomode di cui tutte le sale d'aspetto di ogni ospedale del mondo sono piene.
Mauro, capendo che non c'erano buone notizie in arrivo, si avvicinò al ragazzo e si sedette al suo lato sinistro, sull'ultima di quelle seggiole e aspettò che il fidanzato di sua figlia iniziasse a parlare.
Voleva sapere, Mauro, voleva sapere come era ovvio, ma si rendeva conto di quanto potesse essere difficile parlare per Alberto, e, anche se questo non faceva che aumentare le sue paure, non se la sentiva di incitarlo a dire come stessero le cose più di quanto non aveva già fatto.
Il ragazzo, nel mentre, aveva abbassato la testa e l'aveva messa tra le mani.
- I medici... - Aveva quasi sussurrato. - I medici dicono che la situazione è seria, probabilmente la ricoverano. A me non hanno detto molto di più perché non sono un parente, ma dalle facce che avevano si capiva che Viola non sta affatto bene. -
Il commissario aveva fatto un lungo sospiro e poi si era buttato contro il muro, come se fosse incapace di reggersi con la schiena alta in modo autonomo, distrutto da quello che aveva appena sentito.
Immaginare che sua figlia fosse malata e anche tanto era un conto, sentire un ragazzo di diciotto anni dire che solo dalle facce dei dottori aveva capito quanto fosse seria la situazione era tutt'altra cosa.
Avrebbe voluto piangere, ma davanti ai ragazzi, tutti spaventatissimi, aveva preferito evitare.
Li conosceva praticamente tutti e sette dalla più tenera età, il padre di Simone era un medico legale con cui si era trovato a lavorare e la madre di Marta era un magistrato che conosceva molto bene.
Il padre di Francesca, poi, che di nome faceva Lorenzo, era stato il suo migliore amico dal primo anno di elementari all'ultimo delle superiori. Si erano separati subito dopo la maturità perché entrambi avevano deciso di andare a studiare lontano da Parma, uno a Roma, Mauro, e l'altro a Venezia, Lorenzo.
Per un motivo o per un altro, alla fine, entrambi erano tornati alla città natale, e un giorno di quindici anni prima si erano rivisti in un giardinetto comunale, per caso, con le loro due bambine di tre anni che giocavano assieme.
- Il padre di Viola è quell'uomo lì.- La voce di Francesca, che probabilmente stava parlando di lui ad un medico, fece alzare la testa a Mauro, che subito dopo si vide avvicinare un uomo di media statura con un paio di grossi baffi neri e di, ugualmente grossi e neri, occhiali da vista.
Incarnava perfettamente l'idea di medico portatore di brutte notizie che lui si era fatto durante tutta la sua vita, smentita solo quando una ragazza di colore dai lunghi ricci bruni e gli occhi tristi l'aveva avvisato che sua moglie non ce l'aveva fatta dopo un incidente d'auto causato da un ubriaco.
Forse, pensò l'uomo nei pochi secondi che lo separarono dall'incontro col medico, se la notizia peggiore della sua vita gliela aveva data una dottoressa che non assomigliava minimamente ai medici incaricati, nella sua testa, di dare brutte notizie, allora neanche quella volta sarebbe successo qualcosa di grave.
Sicuramente in un libro o in un film un uomo del genere gli avrebbe detto che sua figlia stava per morire, ma non una calda sera di fine agosto a Parma, non in quella che era la vita reale.
Si ricredette, purtroppo, subito dopo, domandandosi anche se mai avesse realmente creduto all'idea che solo la fisionomia di un uomo potesse determinare le notizie che avrebbe dato.
Il dottore, che si presentò col nome di Professor Marzinaro, gli chiese di parlare in privato, lontano dai ragazzi che ancora attendevano e che subito dissero che sarebbero rimasti lì finché qualcuno, di certo Mauro, a quel punto, non gli avesse detto qualcosa.
A quel punto non gli importava più se le notizie sulle condizioni dell'amica fossero buone o meno, tanto sapevano che la possibilità di buone nuove era pressoché nulla, la cosa che premeva loro era non abbandonare il Pronto Soccorso del nosocomio senza saper nulla.
Così, prima di andare assieme al medico, Mauro gli disse che andava bene, che potevano rimanere lì a patto che avvisassero i genitori e gli dicessero di non venire, perché in ogni caso la presenza di molta gente all'ospedale era inutile.
Piuttosto, gli aveva detto, avrebbero fatto bene a chiedere a un paio di padri o madri di rimanere svegli ancora per andarli poi a prendere, in modo che nessuno di loro tornasse a casa solo se la cosa fosse andata per le lunghe.
- Credo che mio padre vorrà venire comunque, Mauro.- Aveva però sussurrato all'uomo Francesca.
- Sì, lui sì. Anzi, chiedigli di venire, per favore.- Aveva risposto l'uomo, che forse per la prima volta da quando era iniziato quel dramma aveva dato un vero e proprio segno di debolezza.
Il medico l'aveva accompagnato all'interno del Pronto Soccorso ma poi l'aveva guidato oltre, lungo un tunnel di corridoi e piani che gli avrebbe di certo reso difficile un ritorno autonomo al punto di partenza.
Alla fine arrivarono al reparto di Neurologia e Mauro fu portato davanti alla stanza di sua figlia.
Viola, nel letto e monitorata costantemente, dormiva, apparentemente tranquilla, probabilmente ignara di tutto ciò che le stava accadendo.
- Da quando è svenuta al locale con gli amici non ha mai ripreso conoscenza, ma pensiamo che domani, dopodomani massimo, dovrebbe svegliarsi. Non siamo riusciti a farle molte analisi anche per questo, e di fatti il ricovero qui in Neurologia è del tutto provvisorio, appena sapremo bene cosa le è accaduto saremo in grado di metterla in un posto migliore e far di tutto per farla star meglio.-
– Non capisco, mi perdoni.- Aveva risposto Mauro alle parole del sanitario.
- Non siete certi del fatto che il problema di Viola sia di tipo neurologico? Ma l'afasia...-
Il medico aveva prontamente spiegato al commissario il motivo delle sue parole. - Al momento non possiamo escludere niente. Come dice lei data l'afasia il ricovero in questo reparto è stata l'ipotesi più semplice, anche perché date le condizioni abbiamo preferito non lasciarla in Pronto Soccorso. È monitorata, teniamo sotto controllo tutte le funzioni vitali, e per il momento non pare essere in pericolo di vita né avere peggioramenti, ma è importante non tralasciare nulla.
Appena sapremo qualcosa gliela comunicheremo, non si preoccupi, commissario.-
A quanto pareva il medico, probabilmente informato dagli amici di Viola, conosceva il ruolo di Mauro.
- Sì, certo, certo.- Aveva risposto quello. - Ma lei può dirmi già che non ha nulla di grave, no?-
Il dottore aveva scosso la testa. - Lei direbbe ai parenti di una vittima che è vicino all'arresto di chi gli ha strappato la persona cara quando in realtà non ha neanche un indizio?- Gli aveva semplicemente domandato.
Il padre di Viola aveva compreso.
Girò ancora una volta il volto verso la stanzetta.
Coperta dalle pesanti lenzuola dell'ospedale, collegata a tubi e fili vari ed imprecisati, sua figlia dormiva tranquilla, come se stesse bene, come quando era bambina.
- Posso almeno entrare a darle un bacio?- Aveva domandato il commissario con voce quasi implorante al medico.
L'ultima volta glielo aveva dato la sera prima, quando Viola era andata a coricarsi.
Malgrado i diciotto anni la sera, la ragazza, continuava ad andare a letto dando la buonanotte in quel modo sia al padre che al fratello, e a loro di certo non dispiaceva.
Erano le uniche volte in cui si mostrava molto affettuosa, di solito, specialmente con gli amici in giro, faceva la dura, anche se sempre senza maleducazione o altro, per fargli capire che non era più una bambina.
O forse perché da quando aveva perso la mamma era diventata così, dura, chiusa, chissà.
- Si trattenga poco ed eviti di svegliarla, è già tanto che possa stare qui.-
Mauro annuì ed entrò nella stanzetta.
Rimase solo qualche minuto seduto accanto al letto della sua piccola, a tenerle la mano, baciarle la fronte e sussurrarle parole dolci, chiedendole di guarire e di tornare a star bene il più in fretta possibile.
Poi uscì, e fu riaccompagnato dal medico al Pronto Soccorso, dove assieme ai ragazzi, proprio come immaginava, vi era Lorenzo.
- Mauro, allora? Come sta?- Chiese subito l'uomo all'amico.
- Male, o almeno così ho capito da quello che ha detto il medico. Domani le faranno varie analisi, per ora è in Neurologia.
Dorme, sono potuto entrare un attimo a salutarla prima di venire qua, ma penso non mi abbia neanche sentito. I medici dicono che stanno monitorando tutte le sue funzioni vitali ma che per il momento non è in pericolo di vita. In ogni caso rimaniamo in attesa, e sono preoccupato.-
Lorenzo abbracciò Mauro, in quel momento era ciò di cui aveva più bisogno.
Poi, insieme ai ragazzi, si organizzarono in modo che tutti fossero riaccompagnati a casa in modo sicuro, con un paio di genitori ancora che andarono a prendere i figli e i loro amici.
Più o meno tutti avevano capito che Viola era stata male per motivi seri, e così da ogni bocca uscivano parole di conforto nei confronti del padre.
Solo Francesca non riuscì a dire niente, ancora incredula.
Quando dopo una mezzora abbondate erano rimasti nella sala d'attesa solo lei, Mauro e il padre fu quest'ultimo a parlare.
- Ti riaccompagno a casa, dai. Hai bisogno che rimanga da te?-
- No, grazie. Sto... bene, o almeno credo. Domani avviserò Vittorio, ma prima voglio parlare con mia figlia. Comunque grazie del passaggio, ne ho bisogno.- Aveva risposto.
Durante il viaggio in macchina non aveva parlato nessuno, ma all'arrivo Lorenzo aveva fatto capire all'amico che poteva cercarlo per qualsiasi cosa.
Mauro l'aveva ringraziato e salutato, ma poi, quando era entrato in casa e quasi automaticamente si era andato a buttare sul letto di sua figlia, come per sentirla più vicina, aveva iniziato ad odiare le parole di Lorenzo e di tutti gli altri.
Tutti, quella sera, gli avevano parlato come se Viola fosse dovuta morire da un momento all'altro, quando invece neanche si sapeva bene cosa fosse.
Magari era una cosa seria ma non troppo, curabile anche entro l'inizio del nuovo anno scolastico. Forse la ragazza aveva iniziato a parlare come una stupida per scherzo, poi il suo cervello aveva recepito male il messaggio, aveva continuato, e alla fine era svenuta.
C'erano mille ipotesi, ma le parole di quelli che erano passati per la sala d'attesa del Pronto Soccorso quella sera facevano apparire reali solo le peggiori.
Mauro si addormentò guardando la foto che Viola teneva sul comodino.
Lei e la madre, pochi giorni prima dell'incidente.
Si chiese se Angelica, sua moglie, non volesse accanto la figlia.
in fondo erano sei anni che se ne era andata, probabilmente anche lui, fosse morto, avrebbe sentito la mancanza dei figli.
- Però io ho bisogno di lei più di te, qui.- Aveva detto alla foto, convinto fosse che la donna sorridente ritrattavi potesse sentirlo.
Mauro si addormentò piangendo.

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Capitolo 5
*** IV ***


Torino, 2013.


La giornata di Viola, malgrado ciò che si poteva pensare, iniziava presto.
Colazione e medicine.
Uscita di casa e spesa, il tutto fatto con mille attenzioni per evitare di ammalarsi, poi pranzo e altre medicine.
Dopo un piccolo riposo pomeridiano per evitare di stancarsi nelle ore più calde e, nel tardo pomeriggio, un po' di studio se se la sentiva.
La sera passava Ivan, cenava con lei, vedendola prendere ancora medicine, e le rimaneva accanto finché non si addormentava.
A volte anche oltre, magari quando vedeva che qualcosa non andava, tanto nel fisico quanto nell'anima della fidanzata.
- Però oggi non passa e domani la routine verrà già sconvolta, Vitto, mi spiace.- Aveva concluso la ragazza raccontando al fratello come passava la sua vita a Torino.
- Ah, come mai, se posso?-
- Lui è due giorni a Milano per lavoro, e mi ha chiesto di raggiungerlo. È assieme al medico che mi ha in cura e quello che potrebbe operarmi appena sarà possibile, così abbiamo deciso che sarei andata portando le analisi ultime per decidere un po' come andare avanti.-
- E puoi viaggiare? Voglio dire, non è pericoloso? Se non mi sbaglio le tue difese immunitarie non sono al massimo in questo periodo, no?-
- Ci si sono messi due oncologi a dirmi che posso andare a Milano, Vittorio. Dai, sei arrivato ieri, non metterti già a fare l'ansioso.- Aveva risposto sorridendo la sorella.
- A beh, no, allora ci credo. Davvero, dico sul serio.- Provò a dire il ragazzo tentando di apparire convincente.
Quei medici avevano studiato, e magari anche parecchio, ma se fosse successo qualcosa a sua sorella non glielo avrebbe mai perdonato, poco ma sicuro.
- Devi stare tranquillo, dico sul serio io. Comunque a questo punto mi chiedo se non ti vada di venire con me, tanto qui a Torino da solo non ci faresti molto, no?-
- In effetti. Se per te non è un problema vengo.-
- Tranquillo, prima, mentre dormivi, sono riuscita a sentire Ivan e a dirgli quello che è successo ieri, è stato lui a convincermi di farti venire. Anche perché a questo punto, se hai intenzione di rimanere, ti trovi di nuovo coinvolto a pieno titolo nel mio percorso, di cui l'intervento sarà parte fondamentale, come è ovvio.-
Vittorio annuì.
Voleva domandarle se l'intervento avrebbe comportato gli stessi effetti collaterali della prima volta, ma non sapeva bene come farlo.
Era sua sorella, si erano detti tutto, qualsiasi cosa facesse parte della loro vita per oltre vent'anni, anche le cose più personali, ma in quel momento, per chiederle se sarebbe rimasta di nuovo paralizzata, non gli venivano le parole.
Si convinse che magari neanche lei lo sapeva con certezza, e che probabilmente lo avrebbero scoperto entrambi il giorno successivo a Milano.
La mattinata trascorse tranquilla, per la maggior parte del tempo rimasero dove si erano seduti la sera precedente a parlare.
Si raccontarono un poco come erano andati quei sei mesi passati lontano l'uno dall'altra, anche se senza dubbio il racconto di Vittorio poteva essere molto più avvincente di quello della sorellina.
- Io sono stata bene, tutto sommato. - Aveva detto Viola quando era arrivato il suo turno. - Certo, a parte i momenti peggiori della terapia. Però per il resto non sono stata troppo male. Sto studiando per gli esami che avrei dovuto dare quest'anno, a settembre in ogni caso mi iscriverò di nuovo all'università, ovviamente qui a Torino, e proverò ad andare avanti anche con i miei studi...- Faceva lingue, Viola. Studiava spagnolo e cinese.
Due lingue totalmente diverse ma che, come dicevano tutti, sarebbero state molto utili nel futuro.
Probabilmente utili quanto l'inglese in quel momento.
- Certo, come è naturale a settembre mi iscriverò se sarò ancora in vita, altrimenti la vedo un po' difficile.- Aveva poi detto.
Il fratello trasalì.
- Scusa.- Disse subito dopo Viola. - Per me è normale vederla in questo modo, non volevo che ti desse fastidio.- Aveva provato a riparare al sintomo di angoscia che vedeva negli occhi di Vittorio.
- No, figurati. Cioè, sì, è dura vederla in questo modo.... ma io non sono nessuno per dire cosa sia giusto o sbagliato, in questa situazione.-
- Con Ivan ne parlo spesso. Della morte, dico. Non solo della mia, a volte lo facciamo in modo più generale. Lui è un ragazzo fortunato, sai? Nella sua vita ha visto morire solo i due nonni maschi, tutte le altre persone che ha avuto al suo fianco e a cui ha voluto bene sono ancora qui. Magari con qualcuno ha perso i contatti, come capita a tutti, ma in generale si considera fortunato, da questo punto di vista.
Da quando ha iniziato a lavorare in oncologia ha visto morire molta gente, anche suo pazienti. Ma io... beh, se morissi sarebbe il suo battesimo del fuoco per quanto riguarda il peggio della vita. All'inizio proprio per questo continuava a dirmi che non dovevamo parlarne, ma poi una volta, un mesetto fa, un ciclo di chemioterapia mi ha fatta stare molto male e lui ha avuto molta paura. Da allora ne parliamo, soprattutto mi chiede della mamma, di quando le se ne è andata, di come si superano dolori del genere.-

- E tu cosa gli hai detto?-
- Sulla mamma o sulla morte?- Domandò la sorella minore.
- Su entrambe le cose.-
- Gli ho detto che il giorno in cui la persona a cui vuoi bene muore, alla fine, vai a dormire. E la mattina dopo ti alzi. Poi passa qualche giorno e ricominci a fare anche tutte le altre cose che facevi quando lui o lei c'era.
Gli ho detto che si va avanti, che bisogna farlo.
Il dolore non scompare mai, a volte fa fatica anche ad attenuarsi.
Ma è l'unica cosa che si ferma, il tempo continua a scorrere senza curarsi di te.
Lui dice che se io morisse non sarebbe così semplice, che forse cambia da persona a persona. Sì, te l'ho detto, parliamo anche di una mia eventuale morte, e lo facciamo senza piangere.-
Vittorio si scusò un attimo con la sorella e andò al bagno, quella discussione iniziava a metter voglia di piangere a lui.
Aveva ventitré anni, Viola. Ventitré.
Non poteva parlare in quel modo, non era giusto.
Una vecchina, forse, avrebbe parlato così della morte, avrebbe detto che si andava avanti punto, ma non una ragazza così giovane e, soprattutto, ancora piena di vita.
Lo si vedeva, che era piena di vita; oltre i segni del cancro, oltre i segni della chemio, lui che la conosceva da prima vedeva che aveva ancora voglia di vivere.

Non era affatto rassegnata a quello che le sarebbe potuto accadere da lì a poco, era chiaro, ma parlava come se lo fosse.
Tornò nel salone pochi minuti dopo, e subito cercò di cambiare discorso.
- Lo sai che non sono ancora riuscito a far capire a papà che deve trovarsi un amore?- Le disse.
- Sul serio?! - Rispose la sorella sorpresa.
Angelica, la madre dei due ragazzi, era morta da quasi undici anni, e da allora, non da subito ma quasi, i fratelli avevano tentato di far capire al padre che doveva rifarsi una vita con una nuova donna, ricominciare a far vivere anche quel lato di se, quello passionale.
Mauro era un ottimo padre, i due non avevano niente da dire su quello, ma era un uomo, e come tutti aveva bisogno di avere accanto qualcuno che non fosse né un figlio né un amico.
Non si erano mai interessati, un po' per rispetto e un po' perché davvero più di tanto non poteva fregargliene, al fatto che il padre avesse avuto, in tutto quel tempo, storie di sesso casuale o meno.
Ma non era quello che auspicavano per lui, loro volevano vederlo innamorato, non soddisfatto sessualmente.
Quelli non erano affari loro, anche se, ammesso fosse vera la storia dell'acidità, gli avrebbe fatto piacere veder scaricare tutto lo stress che il lavoro e il resto gli provocavano in modi diversi dalla semplice incazzatura verso i due figli.
Ma niente, a quanto pareva in undici anni non era cambiato nulla.
- Te lo posso giurare.- Aveva sospirato Vittorio. - E ti posso giurare anche che questa volta gli ho detto apertamente ciò che pensavo. Eravamo a cena e mi stava chiedendo di Micaela, di come me la passavo ora che anche lei se ne era andata. Io gli ho risposto dicendo che me ne stavo facendo una ragione, che prima o poi avrei trovato qualcuno da amare di nuovo, o che magari lei stessa sarebbe tornata, che si sarebbe chiarita le idee, e poi gli ho domandato come fosse possibile che lui continuava a rimanere solo. -
- E lui cosa ti ha risposto?- Viola era diventata curiosa.

Quei mesi erano stati la prima esperienza di vita da soli di Mauro e del figlio maschio, e la ragazza era interessata a sapere come fossero andati.
- Ha iniziato dicendo che quando la mamma è morta tu eri ancora piccola e magari non avresti preso bene l'idea di una donna diversa da lei in casa, poi ha detto che comunque noi e il lavoro gli occupavamo già parecchio tempo e questo gli bastava. Alla fine, me lo hai ricordato tu prima, ha detto anche qualcosa sul fatto che un conto è lasciarsi con una persona e un altro perderla, vederla morire quando invece sareste potuti rimanere insieme tutta la vita perché le cose fra di voi andavano bene.
Credo che in parte siano state tutte scuse, ma non ho voluto indagare oltre. In fondo è mio padre.
Però mi dispiace, sai? Prima o poi noi ce ne andremo di casa davvero, sempre ammesso che non lo abbiamo già fatto adesso, e anche il suo lavoro non ci sarà per sempre. Temo che in quel momento sentirà la mancanza di qualcuno al suo fianco, deve essere orrendo invecchiare da solo.-
Questa volta a sospirare fu Viola.
In effetti era vero, forse a dodici o tredici anni non avrebbe preso bene l'idea di una donna in casa che non fosse sua madre, ma diventata più grande ci avrebbe fatto l'abitudine. E poi se fosse servito a vedere più felice quel padre che tanto adorava non ci sarebbero stati problemi, anzi.
Sul pomeriggio tardi, quando Viola si svegliò dopo essersi come al suo solito riposata un poco, decisero di andare a fare quattro passi in centro.
La ragazza si era avvolta un foulard colorato, intonato con i vestiti ed il trucco che indossava, e non aveva perso tempo a disegnarsi le sopracciglia.
- Se portassi una parrucca lo farei.- Aveva spiegato al fratello. - Ma è inutile nascondere ciò che è palese, al massimo posso guadagnare un posto a sedere in pullman da qualche anima compassionevole, mostrando più o meno in tutto ciò che sto passando.- Aveva riso.
Si erano presi un gelato e poi avevano guardato un paio di vetrine.
In un negozio di abbigliamento e accessori su Via Roma la ragazza aveva comprato qualcosa al volo, evitando di trattenersi troppo in un luogo così affollato.

- Se Ivan sapesse che sono stata qui mi sgriderebbe come se avessi ucciso qualcuno. Ma tu non glielo dirai, vero Vitto?- Aveva domandato al fratello uscendo.
Lui aveva detto di sì, neanche lo conosceva, Ivan, ma poi aveva compreso perché Viola non sarebbe dovuta entrare in quel negozio e si era dato dello stupido da solo.
In fondo era solo per il suo bene, affinché evitasse di esporsi a germi od altro.
Infatti, arrivati a casa, glieli fece capire che un po' di paura l'aveva anche lui.
- Senti... che cosa devo fare se non stai bene?- Le domandò mentre stavano in cucina per decidere cosa fare per la cena.
- Se non sto bene in che senso? Se mi viene tipo un'influenza o se ho un vero e proprio malore?-
- In entrambi i casi.-
- Ti ricordi cosa dovevi fare la prima volta in quei momenti?-

- Sì, più o meno sì. Se avevi un malore dovevo chiamare l'ambulanza o portarti io in ospedale mentre in caso di febbre dipendeva da quanto fosse alta.- Recitò quasi a memoria Vittorio, che nulla si era scordato del periodo in cui sua sorella era stata ammalata quasi cinque anni prima.
- Ecco, è la stessa identica cosa. Dalla prima volta, almeno su questo, non è cambiato assolutamente nulla. E comunque vedi che sto bene, davvero, sono stata pochissimo in quel negozio, malgrado non avessi la mascherina. Se ti fa stare più tranquillo domani la metterò, avevo già in mente di farlo almeno in treno, ma penso che la terrò tutto il tempo, da quando usciamo di casa a quando rientriamo, okkey?-
Vittorio cercò la forza di sorridere alle parole che Viola proponeva come ilari e lui recepiva come drammatiche, convinto sempre più che le cose sarebbero dovute andare in maniera molto diversa.
I due si coricarono verso le undici, anche se non troppo stanchi avevano deciso di andare a dormire relativamente presto per fare tutto con calma la mattina seguente.
Prima di addormentarsi Vittorio rimase a lungo ad osservare la sorella minore, assicurandosi che stesse bene e che non le mancasse nulla.
In ventiquattro ore la sua vita era mutata completamente, ma ormai ai cambiamenti duri e rapidi aveva iniziato a fare l'abitudine.
Di certo il giorno successivo ne sarebbe successo un altro, con la visita a Milano.
Se positivo o negativo stava al destino deciderlo.

 

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Capitolo 6
*** V ***


Parma, 2008.

La mattina seguente al malore di Viola, per suo padre, era iniziata più presto del solito, alle cinque meno dieci, quando un sogno terribile l'aveva svegliato impedendogli di addormentarsi di nuovo.
Si era preparato ed era filato in ufficio che ancora il sole finiva di sorgere, lasciando stupiti i colleghi che stavano smontando dal turno di notte.
- Oggi non posso fermarmi, alle nove devo andare via. È successo tutto in fretta e non posso ancora spiegarvi molto, appena vedo Morosi parlo con lui e vi dirà ciò che c'è da sapere.- Aveva risposto agli sguardi stupidi dei suoi subordinati.
Si era chiuso nel suo studio cercando di finire un paio di cose importanti che non poteva rimandare, ma non fu semplice come aveva sperato.
I pensieri relativi alla salute della figlia, come era naturale, gli riempivano la testa rendendo complessa qualsiasi cosa, e pensava di essere anche alquanto stronzo nei confronti di Viola standosene lì seduto a tentare di lavorare mentre lei dormiva in un ospedale senza neanche sapere di esservi ricoverata.
Drammatico era per lui pensare che, purtroppo, non poteva rimediare in nessun modo a quello.
A quell'ora in ospedale non poteva andare, e non c'erano altri modi per star vicino a sua figlia.
Leonardo Morosi, Tenente, arrivò in commissariato verso le otto, come era solito fare, e andò subito nell'ufficio di Mauro a farsi dare spiegazioni.
Sui quaranta ben portati aveva una bella moglie e tre piccoli che frequentavano ancora l'asilo e le elementari.
Una famiglia modello, tipo, felice.
La moglie era impiegata in banca, i soldi c'erano e non avevano alcun problema rilevante.
Lui e Mauro avevano fatto carriera assieme, ma poi era stato l'altro a diventare commissario e ne era stato anche felice.
Quell'incarico non era roba su cui scherzare, riempiva chi lo ricopriva di responsabilità e rischi, più dei soliti che comportava il loro mestiere, senza contare che levava molto tempo, impedendo di stare con le persone amate.
Lui non aveva fatto i figli per caso, voleva seguirli nella loro crescita, accompagnarli nella vita fino a quando sarebbe stato possibile.
Per lui era molto importante stare con loro.
Era figlio di un importante funzionario dell'esercito e di una donna nata proletaria e arricchitasi col tempo che si divertiva a fare la borghese, un'esperienza che ancora lo faceva sentire mutilato dell'affetto che ogni bambino si meriterebbe.
Per nulla al mondo avrebbe permesso che i suoi figli passassero lo stesso, e Mauro lo sapeva bene.
- Devo purtroppo avvisarti che per un periodo non sarà più così, mi spiace.- Gli aveva detto con aria triste.
Voleva bene a Leonardo, erano amici ancora prima che colleghi, ma in quel momento la situazione richiedeva un cambiamento dello status quo.
- È successo qualcosa per cui hanno bisogno di me lontano da qui?- Aveva domandato.

- No, ma potrebbe essere che io abbia bisogno che tu mi sostituisca per un periodo. Te lo chiedo in amicizia, ma potrà essere che dovò domandartelo come commissario.-
- Mauro perdonami ma non ti riesco a seguire.-

- Sì, scusa. Ieri... Ieri sera mia figlia ha avuto un malore, è ricoverata e il medico mi ha fatto capire che non sarà semplice, che potrebbe essere grave. E io voglio starle accanto, credo tu possa ben capire quello che mi passa nella mente in questo momento, no? Sei il più alto in grado, e se davvero prendessi una pausa tutto rimarrebbe nelle tue mani in via ufficiale, quindi te lo dico prima in modo ufficioso. Mi piacerebbe semplicemente “chiedertelo” ma purtroppo questo prima o tardi diverrà un ordine.-
- Oddio... Io... Sì, certo, è un ordine ma lo farei anche se non lo fosse. Ma lei come sta?- Il tono preoccupato di Leonardo lasciava ben intendere che tipo di rapporto ci fosse col superiore.
- Non lo so. Ieri sera non ha più ripreso conoscenza e oggi non sono ancora andato in ospedale, ma ho paura. Alle dieci devo vedermi con il medico. Anzi, volevo domandarti se tu potessi parlare con gli altri, io non me la sento....-
- Stai tranquillo, vai da tua figlia, noi qui ce la possiamo cavare anche da soli.-
Mauro non disse nulla, abbracciò l'amico in segno di ringraziamento e uscì lasciando tutto sul tavolo, sicuro che tanto sarebbe tornato in giornata, quando non gli sarebbe più stato permesso di stare accanto a sua figlia.
Il medico lo attendeva davanti all'entrata del reparto di Neurologia, con in mano una cartellina blu e una faccia che non prometteva nulla di buono.
- Venga nel mio studio, poi la porterò da sua figlia, non si preoccupi.- Disse al commissario cercando di non guardarlo neanche negli occhi.
L'altro non rispose nulla e seguì il sanitario, tentando inutilmente di scacciare i brutti pensieri.
Il medico lo aveva fatto accomodare e poi aveva iniziato a parlare.
- Allora, le analisi di sangue ed urine hanno rilevato qualche anomalia, ma nessuna causa esterna, come droga o altro, che possa aver scaturito il malore di sua figlia. Questo significa che i suoi amici sono stati sinceri, ma purtroppo significa anche che Viola è ammalata, e ancoraa non sappiamo quanto.
Le abbiamo fatto una Tac alla testa, entro domani avremo i risultati, ma quando si è svegliata, dopo averle spiegato cosa fosse accaduto, le ho fatto alcuni test neurologici riguardanti sensibilità ed equilibrio, e anche qui temo di aver ragione per essere preoccupato.-
Mauro sospirò.
Il medico. Era preoccupato il medico.
- Hai idee su cosa potrebbe essere? Ha un sospetto, una direzione qualsiasi in cui cercare?-
- Sì, ma preferirei non...sbilanciarmi prima di avere certezze, mi capisca.- Aveva detto il dottore agitando ancor più il padre di Viola.
Mauro però aveva scosso la testa. - La prego, in ogni caso meglio sapere qualcosa di errato che non sapere nulla.- Aveva risposto. - So che questo è ciò che voi medici dovete fare, evitare di dare notizie sbagliate per non preoccupare o dare false speranze alle famiglie dei pazienti, dopo tutto anche nel mio lavoro spesso mi capita di dover fare cose del genere, ma io ho bisogno di sapere.-
Il medico aveva sospirato, certo che tanto sarebbe stato inutile continuare quella prova di forza contro il padre della paziente.
- Senta, commissario, facciamo così.- Gli aveva proposto. - Lei ora va da sua figlia e la calmi, sicuramente sarà in grado di parlarle molto meglio di quanto non possa farlo io. Non potrà trattenersi molto, anche perché non è orario di visita, ma non è importante, è giusto che Viola la veda. Quando la chiamerò fuori, senza cattiveria ma solo per dovere, le dirò tutto. Forse in breve avremo i risultati di altre analisi, quindi potrò essere ancora più preciso di quanto non potrei ora. - Gli aveva detto.
Mauro l'aveva ringraziato e l'aveva nuovamente seguito verso la camere di sua figlia.
Appena l'aveva vista era corso ad abbracciarla, e subito dopo si era preparato a rispondere a tutte le domande, dovendo purtroppo ammettere che ancora non avevano idea di cosa le fosse accaduto di preciso la sera prima e che per il momento era probabile che il ricovero durasse a lungo.
- Hai avvertito Vittorio?- Aveva poi domandato Viola al padre.
Come se fosse appena uscito da uno stato di trance, Mauro si era ricordato in quel momento di avere un altro figlio.
In quelle ore, da quando aveva saputo del malore della ragazza a quel momento, il ricordo di Vittorio, felice e spensierato al mare con gli amici, era stato lontano, come se non esistesse.
- No, cioè... è che tutto è accaduto così in fretta, io non ho avuto neanche il tempo di pensare di avvertirlo, da ieri sera penso solo a quello che ti è successo, quello che potrà accaderti ora e... no, non ho avvertito tuo fratello, scusami.-
Viola scosse la testa. - Tranquillo, papà, è molto meglio così. Se non te lo fossi, per così dire, scordato tu ci avrei pensato io a dirti di non avvertirlo. Voglio evitare di farlo preoccupare inutilmente, ha due settimane di vacanza l'anno, tra lo studio e il lavoro, non voglio rovinargliele. -
- Non saprei.- Rispose il padre a ciò che la ragazza aveva spiegato. - Io penso che vorrebbe sapere, lui ci tiene molto a te, lo sai.-
- Sì, papà, lo so. E proprio per questo so che chiamarlo e dirgli che sono in ospedale e che non sanno cosa abbia gli farebbe male. Se chiama digli che gli quando tornerà a casa gli devi parlare, e se mi cercasse digli di farlo sul telefonino. Per favore, papà, dammi retta.-
Mauro aveva annuito, anche perché non credeva fosse una buona idea dare certe notizie al telefono.
A fare due conti lui sarebbe tornato quando sarebbero arrivate le analisi definitive, e quindi la figlia aveva ragione, bastava dirgli che avrebbe dovuto parlargli e poi attendere, Viola se la sarebbe vista poi in modo autonomo con il fratello, prima senza fargli capire nulla al telefono e successivamente ammettendo come stessero le cose di persona.
Rimasero insieme ancora una decina di minuti, e la ragazza chiese semplicemente al padre di avvertire i suoi amici delle novità, e di tranquillizzarli dicendo che lei si sentiva bene e pensava di tornare tra di loro entro poco.
Quando il medico lo chiamò fuori Mauro baciò la fronte della figlia e la salutò mentre lei tentava di riprendere sonno, ostentando una stanchezza strana, non tipicamente sua che il padre si obbligò ad attribuire alle visite della mattina e alla noia ospedaliera, tentando in ogni modo, per l'ennesima volta da parecchie ore, di non pensare al peggio.
Il dottore lo accompagnò poco lontano dalla camera di Viola, facendo in modo quindi che quella non potesse né sentire né vedere i due.
Rimasero qualche secondo in silenzio l'uno davanti all'altro, immobili, poi il medico parlò.
- Nella migliore delle ipotesi si tratta di un tumore all'encefalo, molto probabilmente maligno. Mi dispiace, commissario.-
Mauro, che tutti sapevano essere un uomo forte e impassibile, quasi come se mancasse di ogni tipo di sentimento, scoppio a piangere.

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Capitolo 7
*** VI ***


Torino, 2013.

Il treno per Milano era un'altavelocità di quelle inaugurate su buona parte del territorio nazionale qualche anno prima con tanto di viaggio di prova del Premier del tempo.
Viola sedeva accanto al finestrino con il foulard abbinato alla maglietta chiara e la mascherina bianca che pareva proprio urlare al mondo la sua condizione di malata.
Fortunatamente aveva accanto a lei Vittorio, che tutto pareva meno che il compassionevole accompagnatore di una ragazza ammalata.
Ridevano e scherzavano, ed entrambi si chiesero se, per caso, qualcuno non li avesse scambiati per una coppia tanto stavano bene assieme.
Per entrambi, malgrado avessero rispettivamente ventitré e ventisette anni, era la prima volta nel capoluogo lombardo, e pur non avendo moltissimo tempo a disposizione, sarebbero arrivati poco prima di pranzo per poi vedersi con Ivan alle cinque e ripartire, sempre assieme al ragazzo ma questa volta in macchina, verso le otto, erano intenzionati a vedere qualcosa.
Infatti, appena arrivati, trovarono il modo per andare fino in Piazza del Duomo, visitare la famosa Cattedrale, e poi cercare un posto dove mangiare un boccone un po' perché affamati e un po' perché Viola doveva prendere alcuni farmaci a stomaco pieno.

Era una bella giornata di Marzo ma malgrado questo non si moriva di caldo neanche nelle prime ore del pomeriggio, anzi; un venticello fresco e parecchia ombra li accompagnarono fino al Castello Sforzesco mentre si facevano quasi le tre.
- Magari una volta, quando starò bene, potrei tornare qui e visitare la città con più calma e meno preoccupazioni. O potremmo farlo assieme.- Aveva detto Viola al fratello.
Lui aveva sorriso. - Ma sì, perché no?- Le aveva risposto sorridendo.
Dentro di se era stato ancora più felice, perché sentirla parlare di ciò che avrebbe potuto fare una volta guarita lo faceva sperare nel meglio.
Si ricordava la prima volta che era stata ammalata, quando all'inizio i medici dubitavano addirittura di una possibilità di guarigione.
Lei lo sapeva, fin da subito aveva spiegato che, essendo maggiorenne, voleva essere informata di tutto, anche delle cose peggiori.
- Sia ben chiaro che ho alcune cose da fare, prima di morire.- Aveva detto.- Quindi, se per colpa di questa malattia o di altro la mia fine è vicina intendo saperlo, non voglio nessun tipo di menzogna sulle mie condizioni, neanche se lo fate con il desiderio di non farmi soffrire, vi prego.- Queste le sue parole pochi giorni dopo aver saputo cosa stesse accadendo al suo corpo, e nessuno, amici, familiari o medici, aveva infranto la promessa fatta alla ragazza.
Malgrado quello, però, sempre fin dall'inizio Viola aveva manifestato un forte ottimismo, continuando a fare progetti per il futuro, immediato o meno che fosse.
Vittorio aveva sempre pensato che anche quel suo modo di fare fosse stato una parte della terapia, e proprio per quello sentendola felice anche in quel momento, quando la malattia, ancora più forte, era tornata nella sua vita, lo rendeva contento.
L'ora dell'incontro con Ivan e con gli altri medici arrivò presto, e senza neanche rendersene conto il ragazzo si ritrovò nell'atrio di un ospedale assieme alla sorella minore.
Il fidanzato di quella arrivò poco dopo, e le stampò un leggero bacio sulla mascherina, all'altezza della bocca, giurandole che presto si sarebbero potuti baciare realmente, senza i fastidiosi impedimenti che in quel periodo cercavano di preservare la poca salute della giovane.
Poi si presentò rapidamente a Vittorio, già sapendo che il ragazzo era stato informato di tutto.
Fu Ivan a guidare i due fino allo studio del chirurgo, il dottore che neanche Viola conosceva ancora.
- Se vuoi puoi entrare anche tu, dopo tutto sei un suo parente.- Aveva spiegato il fidanzato della ragazza al fratello.
Vittorio aveva annuito ed erano passati oltre la pesante porta scura.
Cinque minuti per conoscersi e poi subito avevano iniziato a parlare della situazione di Viola.
Il primo era stato l'oncologo, che aveva in breve riassunto ciò che era stato il percorso medico della giovane a Parma cinque anni prima e poi quello che stava facendo con lui da alcuni mesi a quella parte.
- Qualche miglioramento lo abbiamo avuto, nel senso che come ti dicevo ora la massa appare operabile, ai miei occhi. Ora però entri in gioco tu.- Aveva finito rivolto al chirurgo.
Mario Sindoli, il chirurgo, era un uomo di circa sessant'anni portati abbastanza bene, con alle spalle una carriera brillante e tutte le referenze possibili e immaginabili.
Non si trattava quindi dell'ultimo arrivato, ed era stato proprio questo a convincere anche Ivan e Viola della sensatezza di quell'incontro.
Edoardo Alvrandi, l'oncologo che curava la ragazza, conosceva Sindoli da una vita e quando aveva capito che un'operazione sarebbe stata di certo necessaria aveva subito pensato a lui.
Difficile era stato convincere la ragazza a pensare di sottoporsi ad un intervento, malgrado non vi fossero altre opzioni per guarire, poiché ancora spaventata dal dramma della perdita, temporanea, dell'uso delle gambe causata dal primo intervento.
Se però erano lì, seduti in quello studio milanese, era perché almeno nella teoria erano riusciti a convincerla.
- Bene. - Aveva esordito Sindoli. - Sarei un ipocrita se vi dicessi che la situazione è semplice e che l'intervento basterà a portare Viola ad una guarigione, e questo mi pare obbligatorio dirvelo fin da ora. È anche vero che le possibilità che la terapia sistemi tutto da sola sono bassissime, oserei dire nulle. So bene come è andata la prima volta e le paure che hai.-Disse rivolgendo lo sguardo verso la ragazza. - Ma devi stare tranquilla, la massa è dello stesso tipo della prima ma si trova in una zona completamente differente, il che impedisce gli effetti collaterali della prima volta. Anche qui devo dirti che potrebbero comunque essercene, il male è grave e l'operazione non è una passeggiata, però non certi come cinque anni fa. Al momento temo che dovrai sottoporti ancora ad almeno un paio di cicli di chemioterapia, sempre che continuino a fare effetto come hanno fatto finora, prima di poter valutare i come e i quando dell'intervento di rimozione della massa. Non è negativo, anzi. La terapia ha fatto davvero parecchio effetto, in questi mesi, e per quanto potrei già agire ora se riusciamo a ridurre ancora la massa diminuiamo ancor di più gli eventuali effetti collaterali. Per cui io direi che potremmo riaggiornarci tra un paio di mesi. Il dottor Alvrandi mi terrà comunque informato sui tuoi progressi, per cui anche se a distanza sarai sempre seguita anche da me.
Per quanto mi riguarda questo è tutto, so che speravate di poter ridurre i tempi, ma credo che abbassare le probabilità che qualcosa vada storto sia più importante, no? Avete qualche domanda? Tutti e tre, intendo, anche lei, dottor Caruso.- E indicò Ivan.- È giusto che vi leviate ogni curiosità fin da subito, se poi col passare del tempo ne avrete altre farò il possibile per soddisfare anche quelle.-
Concluse con un leggero sorriso, neanche troppo tirato, come se davvero tutto ciò che aveva appena detto fossero solo buone notizie.
Ivan e Vittorio scossero la testa, erano troppo pieni di pensieri, tanti negativi quanti positivi, per voler far domande, mentre Viola, timidamente, iniziò a parlare.
- So che non potete prevederlo ma... Vorrei sapere se, nel caso, in cui speriamo tutti, io riesca a guarire il male potrà tornare ancora. Ripeto, capisco che questa possa non essere una domanda a cui voi possiate dare risposta, o almeno credo non ora, ma se sapeste qualcosa mi piacerebbe... sì, ecco, poterlo sapere anche io.-
Come era ovvio la domanda non era apparsa strana a nessuno, dopo tutto quello della ragazza era un desiderio più che legittimo.
- Le certezze, purtroppo, non esistono. Né da una parte né dall'altra. Anche cinque anni fa credo te l'abbiano detto...- Sospirò Sindoli sapendo bene che lei sperasse in una risposta totalmente diversa. - Ma è anche vero che in cinque anni la medicina fa progressi. Al momento una risposta non posso dartela, ma quando tutto questo sarà finito ti prometto di dirti come stanno le cose.-
Viola fissò il medico negli occhi. - Anche se le cose non sono belle, vero?-
- Anche se non sono belle.-
Rimasero tutti in silenzio, forse spiazzati dalla frase della ragazza, poi si salutarono per bene e i due fratelli, accompagnati da Ivan, uscirono dalla stanza, dal piano e dall'ospedale stesso, cercando di allontanare il più possibile i brutti pensieri.
Chiesero alla giovane se volesse fare qualcosa prima di tornare a casa, magari un giro per distrarsi, ma ottennero risposta negativa.
Si rimisero dunque subito in auto in direzione Torino e nel silenzio sceso quasi immediatamente nel veicolo, Viola si era addormentata praticamente appena entrata, si domandarono quali fossero i giusti sentimenti da provare in quel momento.


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