Le mille stanze del Tardis di Yahohel (/viewuser.php?uid=151722)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Primo Capitolo ***
Capitolo 3: *** Secondo Capitolo ***
Capitolo 4: *** Terzo Capitolo ***
Capitolo 5: *** Quarto Capitolo ***
Capitolo 6: *** Quinto Capitolo (Epilogo) ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Le
mille
stanze del Tardis
Prologo
Quando il Dottore aveva deciso di
partecipare a quella gara
di abbuffate sul Pianeta Vattelapesca della Galassia Chissenefrega,
Rose aveva
capito che non sarebbe andata a finire bene.
E come poteva? Erano
nell’anno 10 miliardi e la competizione
era già stupida di per sé sulla Terra nel 21esimo
secolo, con hamburger o torte
di mele, se poi lo scopo era cibarsi del maggior numero di larve verde fosforescente in un minuto era evidente
a qualsiasi essere dotato di raziocinio l’idiozia di quella
prova.
“Le
larve di Kros sono
buonissime, Rose! Le mangiavo a merenda tutti i giorni su Gallifrey!”
fece
Rose scimmiottandolo, nonostante lo sforzo per trascinarlo fino al
Tardis “La
prossima volta che decidi di fare a gara di abbuffate galattiche
assicurati che
i tuoi avversari non siano dotati di stomaci
estendibili multipli, perché l’ultima
volta che ho controllato i Signori
del Tempo hanno due cuori, ma uno stomaco solo” aggiunse,
chiudendo la porta e
scaricandolo con poca grazia sul pavimento.
Si diresse verso il guardaroba,
posò la giacca e si girò a
guardarlo, notando che era ancora sdraiato per terra davanti
all’ingresso.
“Che fai? Andiamo,
alzati!”
“Mi piacerebbe, ma credo di
essere paralizzato” replicò il
Dottore.
“Cosa? Non fare lo scemo,
dai” la ragazza si diresse verso
di lui, provando a sollevarlo “Non è divertente,
smettila di scherzare!”
“Non sto scherzando, non
riesco a muovermi” fece il Dottore,
senza andare minimamente nel panico. Anzi, sembrava si stesse
divertendo. Tipico,
pensò Rose.
Dopo qualche attimo di silenziose
elucubrazioni della
ragazza, che stava per esplodere in una crisi isterica degna di mamma
Tyler, il
Dottore spalancò gli occhi, consapevole.
“Ma certo!”
esclamò, e Rose sapeva avrebbe cominciato a
saltare e a gesticolare se non fosse stato – in grazia di Dio
– paralizzato sul
pavimento. “Le larve di Kros sono velenose per i Signori del
Tempo adulti”
spiegò con il tono più calmo e rilassato del
mondo.
Rose resistette all’impulso
di colpirlo in testa con il Martello.
“E si può sapere perché diamine le hai
mangiate?” sbottò guardandolo come se
fosse pazzo. In effetti lo era.
Il Dottore sembrò pensarci
seriamente per qualche istante.
“Oh, non lo so” fece dubbioso “Non ho
saputo resistere, sono deliziose,
dovresti provarle. Il nostro problema è che, in quanto
adulto, non ho più gli
enzimi per digerirle e mi corroderanno dall’interno. Abbiamo
circa” fece un
rapido calcolo mentale “cinque minuti prima che il veleno
danneggi permanentemente,
e aggiungerei mortalmente, i miei organi vitali,
perciò” guardò Rose “premi il
pulsante alla tua sinistra”.
La ragazza obbedì e una
specie di cono di vetro apparì poco
distante.
“Quello” la voce
del Dottore era più roca, segno che il
veleno stava facendo effetto “è uno dei sistemi di
emergenza del Tardis. Mi
farà tornare bambino in modo che io possa digerire le larve
senza subire danni.
Avrò corpo e coscienza di un poppante, perciò
sarà compito tuo prenderti cura
di me.” Le spiegò con semplicità.
“Mi stai dicendo che
dovrò fare da babysitter ad un mini Dottore,
con tanto di pannolini e omogeneizzati?” chiese Rose,
inarcando un
sopracciglio.
“Oh, no, no!”
esclamò l’altro “Mi basterà
tornare ad un’età
accettabile – diciamo sui sei, sette anni? – gli
enzimi faranno il loro lavoro
e in ventiquattr’ore sarò come nuovo!”
disse, prima di tossire forte. “Credo
sia meglio tu mi porti sotto il cono, non vorrei dovermi rigenerare
prima del
previsto” gemette, tossendo di nuovo.
“A proposito di
rigenerazioni” fece la ragazza mentre lo
trascinava dall’altro lato del Tardis “il te
bambino sarà com’eri all’inizio?
Voglio dire, che aspetto avrai?”
Il Dottore aspettò di
essere posizionato sotto il congegno
prima di prendere fiato e parlare “No, quella che vedrai
sarà la versione
infantile di questo corpo. Richiederebbe troppa energia farmi tornare
alla mia
prima forma, è infinitamente più facile
ringiovanire questa.”
Rose annuì. Le sarebbe
piaciuto vedere il Dottore da
bambino.
“Prima che tu prema il
bottone blu” continuò il Dottore
indicando con lo sguardo un pulsante e tossendo convulsamente
“sappi che il
Tardis ci chiuderà automaticamente dentro e
bloccherà i comandi, per evitare
che il piccolo me faccia danni, ma le stanze del Tardis sono comunque
aperte e
troverai qualsiasi cosa ti serva.” tossì di nuovo
“Ora premi il pulsante”.
Rose obbedì.
“Buona fortuna
Rose” disse il Dottore mentre cominciava a
illuminarsi “Da quello che mi ricordo, ero un bambino
piuttosto pestifero”
sorrise, mentre l’intero Tardis veniva invaso di luce e la
ragazza fu costretta
a chiudere gli occhi.
Note
dell’Autrice:
Ciao a tutti! Prima storia nel fandom, prima het, e bla bla bla. Non
voglio annoiarvi con inutili sciocchezze, vi dirò solo poche
cose "importanti".
Primo, questa è una Work In Progress, quindi se leggete
sapete a cosa andate incontro.
Secondo, ho già il primo capitolo pronto e
tenterò di pubblicare una volta a settimana, ma il problema
delle WIP è che se non ho tempo/ispirazione per scrivere ci
rimaniamo un po' tutti appesi, perciò tenterò di
portarmi un po' avanti questi giorni di vacanza, per evitare di
lasciarvi troppo senza aggiornamenti quando ricomincerà la
scuola e, di conseguenza, gli impegni.
So dove voglio arrivare, ma non ho idea di che strada farò
per arrivarci, quindi potrebbe essere una storia di pochi capitoli ma
se avete dato un'occhiata al titolo prima di aprire capirete che ci
potrebbe essere un'infinità da scrivere ;)
Detto questo spero vi piaccia questo prologo e che vi abbia incuriosito
e, ovviamente, spero vi vada di lasciarmi qualche recensione,sono
così rare di questi tempi u.u
A martedì prossimo con il primo capitolo!
Baci,
L.
|
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Capitolo 2 *** Primo Capitolo ***
Primo
Capitolo
Quando Rose riaprì gli
occhi la luce era sparita e il cono
di vetro anche; sul pavimento del Tardis c’era solo un
mucchio di vestiti, e
per un attimo la ragazza pensò al peggio. E se il Dottore si
fosse sbagliato?
Magari la macchina non ringiovaniva, ma distruggeva.
Poi però si rese conto che nei vestiti c’era
qualcuno, gli andavano solo un po’
grandi.
Un po’, perché
il Dottore era magro, sì,
ma ora al suo posto c’era un bambino
di sette anni al massimo, che dormiva profondamente.
Rose sorrise mentre nel sonno il
piccolo si tolse una delle
Converse, rivelando il piede nudo. Stava per svegliarsi, il che era un
problema. Cosa gli avrebbe detto? Il Dottore l’aveva lasciata
senza la minima
idea di cosa raccontargli per spiegare il fatto che era in un Tardis,
in
vestiti enormi e con una ragazza sconosciuta. Ottimo lavoro, davvero!
All’ennesimo movimento
pre-risveglio del bimbo, Rose prese
un bel respiro, cercando di calmarsi. La cosa migliore sarebbe stata
vedere
cosa il Dottore ricordava di sé stesso e costruire man mano
una storia
vagamente plausibile. Dopotutto aveva a che fare con un ragazzino, non
sarebbe
dovuto essere così difficile. Ce l’avrebbe fatta.
Nel frattempo il Dottore si era
svegliato tirandosi su a
sedere e la stava osservando incuriosito, probabilmente chiedendosi chi
diavolo
fosse e perché lo stesse guardando come se sembrasse sul
punto di esplodere.
“Ehi, ti sei
svegliato!” cominciò Rose, constatando
l’ovvio.
Meglio cominciare dalle cose semplici, si
disse.
Era mille volte meglio passare per
stupida davanti ad un
Signorino del Tempo fin dall’inizio, piuttosto che farsi
sgamare inventando
storie poco realistiche. Per quello che ne sapeva, i Signori del Tempo
potevano
essere super intelligenti anche a sette anni e il mini Dottore
probabilmente conosceva
il Tardis infinitamente meglio di lei.
“Tu chi sei?”
La domanda la fece sussultare. Ok, e
ora cosa gli diceva? Ciao, so che non ti
ricordi di me, ma sono
una tua amica. Viaggiavamo insieme, finché non hai avuto la
brillante idea di
mangiare larve velenose e tornare bambino. Comunque mi chiamo Rose,
piacere. Ma
andiamo!
“Mi chiamo Rose”
Avrebbe riflettuto sui dettagli più avanti,
si disse. “Tu come ti chiami?” Ripensandoci, il
Dottore non le aveva mai detto
il suo vero nome, nonostante i suoi sforzi, e lei aveva rinunciato
anche
abbastanza presto, chiamandolo come lui desiderava. Ma ora aveva la
possibilità
di scoprirlo ed era piuttosto eccitante.
Il Dottore piegò la testa
di lato guardandola confuso. “Non
me lo ricordo”
L’entusiasmo di Rose si
sgonfiò come un palloncino bucato. Ovviamente,
pensò.
“Cosa ti
ricordi?” Chiese allora, cercando di non sembrare
delusa. “Da dove vieni?”
“Non lo so”
rispose spaventato. Probabilmente stava
realizzando in quel momento di non ricordare nulla, era ovvio avesse
paura. Lei
al suo posto sarebbe già scoppiata in lacrime. E il suo
terzo grado non aiutava
di certo.
“È tutto a
posto” cercò di tranquillizzarlo lei,
avvicinandosi poco a poco. “Se non sai come ti chiami ci
inventeremo noi un
nome che ti piaccia, mh?” gli sorrise “Che ne dici
di John? Ti piace?”
Il Dottore annuì, prima di
aprirsi in un sorriso timido. Era
adorabile nonostante gli occhi e il nasino rossi.
“Bene John” disse
Rose in tono scherzosamente pomposo,
alzandosi in piedi “ andiamo a trovarti dei vestiti
adatti”.
Il bimbo non se lo fece ripetere due
volte e si tirò fuori
dagli abiti del vecchio sé, calpestandoli con i piedini
nudi. Rose si ritrovò a
pregare che non li rovinasse, perché il Dottore non le
avrebbe mai perdonato il
completo sgualcito, non importava fosse stata la propria versione
infantile a
camminarci sopra.
Lo prese per mano e si diresse verso
il corridoio. Se non
ricordava male, la terza porta a destra del quinto corridoio a sinistra
era un
centro commerciale. Sperava solo di non sbagliarsi, perché
il bimbo oltre ad
essere scalzo era completamente nudo, e non voleva doversi preoccupare
di un
Signorino del Tempo con la febbre.
Come credeva, spalancata la porta si
ritrovò a vagare tra i
negozi deserti – tutti aperti e con la merce in mostra
– di un grande
magazzino.
Alla sua destra, i manichini della
vetrina più vicina
esponevano vestiti all’ultima moda per i bambini londinesi
dai zero ai dieci
anni, perciò si affrettò da quella parte cercando
di scacciare la visione di
fantocci di plastica cerebro-controllati.
“Ok, ora io e te cercheremo
qualcosa di adatto da metterti
addosso. Che ne dici di questi?” lasciò andare la
mano del bimbo e agguantò una
maglietta rossa e un paio di jeans. Piuttosto anonimo come
abbigliamento, a
dire il vero, ma la sua priorità era vestirlo e evitare che
si ammalasse. Due
cuori o meno, era pur sempre un bambino nudo in giro per un centro
commerciale.
“Da quella parte c’è il reparto intimo,
e in fondo a destra troviamo le scarpe”
continuò guardandosi intorno.
John però non sembrava
pensarla come lei.
“A me non
piacciono!” sbuffò contrariato “Sono
noiosi!”
A quanto pareva il
Dottore aveva uno strano gusto nel vestire fin da bambino. Non si
sarebbe
stupita nel vederlo girare fiero con il completo del sé
stesso adulto, adeguatamente
rimpicciolito.
“Va bene” cedette
“Ti infili questi per evitare di ammalarti
e poi possiamo fare tutti i cambi di look che vuoi”.
Appena cinque minuti dopo, un John in
maglietta, jeans e
scarpe con il velcro passeggiava mano nella mano con Rose, indicando di
tanto
in tanto un negozio e trascinando la ragazza per provarsi qualche nuovo
vestito.
“Guarda lì,
Rose!” esclamò entusiasta all’indirizzo
di un Footlocker “quel
cappello è
meraviglioso!”
“È anche troppo
grande per te” rispose l’altra entrando nel
negozio per prendere il cappello NY che tanto piaceva al Dottore.
Il piccolo glielo tolse dalle mani e
se lo calcò in testa,
mettendolo di traverso come lo aveva il manichino. Il cappello gli
appiattiva
il ciuffo facendoglielo finire negli occhi e aveva un orecchio dentro e
l’altro
fuori.
“Ti sta bene”
disse Rose cercando di non ridere.
“Non è
vero!” si imbronciò contrariato l’altro,
togliendoselo. “Stai ridendo!”
“Non sto ridendo”
replicò prontamente Rose, costringendosi a
tornare seria “Ma credo sia ora di provare qualche altro
stile” sentenziò,
mettendosi il cappello e prendendo il bambino per mano.
Un infinità di outfit
dopo, Rose era stremata. Aveva anche
comprato – ma forse non era il termine giusto, dato che non
c’erano commessi a
cui pagare – una macchina fotografica e aveva immortalato
tutto ciò che John si
era provato, ma il piccolo era ancora alla ricerca dell’abito
perfetto. La
ragazza non avrebbe mai detto che il Dottore fosse un fanatico della
moda.
Probabilmente era solo strano.
“Rose, Rose!” il
ragazzino le corse incontro con ancora
indosso il vestito da cowboy. L’ultima fermata era stata il
negozio di costumi,
ed era stata costretta a provare tutti
gli abiti delle principesse Disney, con tanto di coroncine e scarpette
varie.
Sperò solo non le avesse trovato qualcosa da mettere,
perché era esausta dopo tutti
quei cambi d’abito.
Il Dottore aveva preso la situazione come un gioco e insisteva nel
cercare un
nuovo look anche a lei, nonostante non avesse trovato niente che gli
piacesse
veramente per sé. Saltava da uno stile all’altro;
il più quotato al momento era
quello dark, ma aveva finito per non piacergli più una volta
entrato nel
negozio di costumi. Trovare un abito che lo conquistasse sembrava
impossibile,
si stava giusto dicendo Rose, quando il bambino richiamò la
sua attenzione.
“Guarda! Ho trovato le
scarpe!” fece tutto contento,
mostrando fiero le converse rosso bordeaux che aveva ai piedi.
Rose si dette un
ceffone mentale. Ma certo!
“Sai, credo di aver trovato
l’abito adatto a te” replicò
allora, non senza un po’ di soddisfazione.
Era anche ovvio e si stupì
di non averci pensato prima. Si
sarebbe risparmiata di girare come una trottola per negozi, per prima
cosa.
Adorava fare shopping – non come sua madre, certo –
ma il mini Dottore era
instancabile, non si fermava un attimo e aveva messo a soqquadro tutti
i negozi
in cui erano stati, costringendola a rimettere a posto ogni reparto che
visitavano. Non che ce ne fosse bisogno, il centro commerciale era
vuoto, era
solo la forza dell’abitudine.
Come stava dicendo, era sicura di
aver fatto centro, questa
volta.
Camminarono ancora un po’,
alla ricerca del negozio giusto e
Rose stava quasi per arrendersi in favore di qualcosa da mangiare
– era
stancante fare su e giù senza sosta per negozi, ed era certa
avesse perso
almeno un chilo nell’aiutare John a vestirsi –
quando vide la vetrina che stava
cercando. Abiti da cerimonia.
Si lasciò andare a un
gridolino di vittoria, prima di
trascinare il bambino da quella parte.
Varcata la soglia, il Dottore
lasciò la sua mano correndo
nella sezione delle cravatte e i farfallini, sicuramente gli elementi
più
colorati del negozio. Era circondata da completi sui toni del nero,
grigio e
bianco e qualche marrone. Stava per richiamare John e andarsene quando
in un
angolo vide un manichino con un completo gessato blu, identico a quello
del
Dottore.
Non entrava spesso in posti del
genere – Mickey non era il
tipo che si vestiva elegante – ma era abbastanza sicura ci
fosse anche una
sezione per i bambini, perciò si mise a cercare meglio e
dietro un separé trovò
quello che cercava, con file e file di manichini a grandezza bambino
con
addosso camicie, pantaloni eleganti, bretelle e papillon. Non credeva
che quel
posto fosse così grande.
Ora doveva solo trovare
la copia ridotta del gessato blu del Dottore, il che non
era
propriamente semplice, considerando la quantità abnorme di
vestiti che aveva
davanti.
Aveva bisogno di una mano e
l’unico aiuto disponibile era a
giocare con i papillon nell’altra stanza.
Tornò indietro e
lanciò uno sguardo all’ingresso; John non
si era mosso da lì, aveva semplicemente preso tutte le
cravatte a cui era
riuscito ad arrivare e stava cercando di legarsene il maggior numero
possibile
al collo, seguendo le istruzioni del video tutorial che trasmettevano
no-stop
dallo schermo piatto del negozio.
Inutile dire che non era riuscito a
farne uno decente o che,
come minimo, non sembrasse un cappio pronto a strozzarlo.
“John” lo
chiamò la ragazza divertita “puoi posare quelle
cravatte? Penso di aver trovato l’abito adatto a
te” gli disse con un sorriso.
Il bambino si alzò in
fretta e, con ancora un paio di
cravatte allentate al collo, la raggiunse.
Rose sorrise di nuovo e si
affrettò a mostrargli il completo
blu che aveva visto. Sperò solo gli piacesse,
perché non credeva avrebbe retto
altri outfit folli e corse da un negozio all’altro.
Osservò gli occhi del
piccolo illuminarsi e capì di aver fatto centro. Finalmente!
“Ti piace?”
chiese per conferma.
“È
stupendo!” esclamò contento l’altro,
distorcendo appena
la “s”. Probabilmente gli mancava qualche dentino. Adorabile, pensò Rose.
“Ora, questo qui
è un po’ grande” spiegò la
ragazza sotto lo
sguardo concentrato del bimbo “perciò dobbiamo
cercare lo stesso modello, ma
della taglia giusta, di là” indicò con
un cenno della testa il divisorio “Mi
aiuti?”
Il Dottore non le diede neanche il
tempo di finire la
domanda e corse immediatamente al di là della tenda sotto lo
sguardo divertito
di Rose che, ridacchiando, lo seguì.
Dopo aver messo a soqquadro
l’ennesimo negozio – Rose aveva
una mezza idea di far ripulire tutto
il centro commerciale al Dottore una volta tornato adulto –
erano riusciti a
trovare il gessato blu che tanto cercavano.
John aveva un modo tutto suo di
cercare, a dire la verità:
lanciava in aria più vestiti possibili, affermando che
quello che volevano
sarebbe rimasto in alto fluttuando.
Non era andata proprio
così, ma tra i tanti mucchi che il
bambino aveva sparso per il negozio Rose era riuscita a trovare quel
dannato
completo.
“Ecco fatto”
esclamò dopo aver chiuso tutti i bottoni “manca
solo un piccolo dettaglio”. Prese una delle due cravatte che
il piccolo si era
portato dietro – quella rosso bordeaux con i disegni blu
– e gliela annodò al
collo “Perfetto” sorrise.
John corse subito al primo specchio
disponibile, per
ammirarsi.
Sì,
era decisamente un
fanatico della moda, pensò Rose mentre lo
osservava specchiarsi
meravigliato, cercando la posizione migliore e facendo piroette per
guardarsi
da tutte le angolazioni.
Gli stava davvero bene e, anche se di
solito era strano
vedere un bambino di sette anni in un abito tanto elegante, lei era
sicura non
sarebbe riuscita a vederlo in nessun altro modo se non vestito
così. Era pur
sempre il Dottore, nonostante l’età, e non era
tipo da magliette e jeans a
quanto pareva.
Il brontolio dello stomaco di John la
riscosse dai suoi
pensieri.
“Cosa abbiamo qui, un
orso?” lo prese in giro, ridendo
“Andiamo, ho fame anch’io”.
Note
dell’Autrice:
Ciao a tutti! Rieccomi come promesso
con il primo capitolo. Passiamo alle cose pseudo-importanti:
Prima di tutto, penso che il martedì sarà, in
linea di massima, il giorno di pubblicazione, ma potrebbe variare a
seconda dei miei impegni. In ogni caso, ve lo farò sapere.
Martedì prossimo, quindi, dovrebbe arrivare il secondo
capitolo, che ho quasi terminato di scrivere. Speravo di portarmi un
po' avanti con il lavoro, ma a quanto pare sono anche più
indietro di quanto pensassi :/ Dal 5 all'8 non ci sarò, e di
conseguenza non potrò scrivere, ma cercherò
comunque di farvi avere il terzo capitolo Martedì 10.
Per quanto riguarda i capitoli,
avranno pressocchè tutti la lunghezza di questo e in ogni
caso cercherò di non farli più corti di 2000
parole.
Beh, che dire, spero il capitolo vi
sia piaciuto, ringrazio chi mi segue/preferisce (O___O Pazze!) e chi ha
recensito il prologo: mi fate davvero felice. Se voleste lasciarmi un
commentino anche a questo capitolo ne sarei onorata :)
Al prossimo capitolo!
Baci,
L.
|
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Capitolo 3 *** Secondo Capitolo ***
Secondo
Capitolo
La cosa bella del Tardis, a detta di
Rose, era che aveva la
cucina. Una cucina super accessoriata e fornita di tutto, a dire il
vero, e per
questo era diventata la sua stanza preferita. Certo, il guardaroba
aveva il suo
fascino, ma dopo aver viaggiato su e giù per lo spazio, su
pianeti folli e in
tempi strani, a volte sentiva il bisogno di mangiare qualcosa di
semplicemente terrestre.
Per questo, varcata la porta,
lasciò il piccolo ad ammirare
la grandezza del locale e si diresse subito alla dispensa,
controllandone il
contenuto. Non si stupì di trovarla piena come al solito. Il
Tardis era come
una specie di gigantesca Stanza Delle
Necessità, a quanto pareva, quindi Rose non era
più di tanto sorpresa di trovare
anche prodotti deperibili come latte, uova e frutta. Non si era mai
chiesta il
perché, c’erano e basta, tutte le volte in cui ne
aveva bisogno.
“Allora John, cosa vorresti
mangiare?” fece voltandosi verso
di lui con un sorriso.
“Patatine! No, banane!
Sì, mi piacciono le banane!” rispose
il Dottore concitato.
La ragazza rise notando come il
bambino assomigliasse sempre
di più alla sua versione adulta.
“Ok, e che banane
siano!” concordò “Come le vuoi?
Naturali?
O ti va di cimentarti in qualche ricetta un po’
più complicata?” lo provocò
“Con questa cucina sarebbe uno spreco mangiare frutta
semplice”.
“Mi piacciono le cose
complicate” Sì, era identico
al Dottore.
“Allora mettiamoci al
lavoro!” rispose lei, tirando fuori da
un armadio due grembiuli e due enormi cappelli da chef. Se dovevano
cucinare
bisognava farlo con stile!
“Cosa ti andrebbe di
cucinare?” gli chiese dopo averlo
bardato di tutto punto. Era tutto troppo grande per lui e
nell’insieme era
parecchio buffo ma si trattenne dal ridere ricordandosi di quanto fosse
permaloso anche nella sua versione ringiovanita.
“Banane!”
ripeté sicuro.
“Sì, ma ci sono
tanti dolci che si possono fare con le
banane” spiegò pazientemente mentre si sistemava
il grembiule. Si era
dimenticata di avere ancora addosso il cappello NY che avevano preso a Footlocker; lo posò sul
bancone e lo
sostituì con quello da chef.
“Ci sono torte alla banana,
banane split, macedonie di
banane, frullati” elencò prima di farsi pensierosa
“Un mio amico va matto per i
dolcetti alla banana, ad esempio. Potremmo prepararli, che ne dici?
Scommetto
ti piaceranno” propose con un sorriso.
Presi gli ingredienti dalla dispensa
non ci volle molto
prima che si ritrovassero coperti di farina e uova, il bancone sporco e
niente
che assomigliasse anche solo vagamente ad un dolcetto alla banana.
Sarà stata
l’incapacità del Dottore nel seguire la ricetta
–
era convinto che il procedimento fosse sbagliato e si ostinava a
raddoppiare le
dosi di zucchero e burro – o la sua totale inesperienza con i
bambini, fatto
sta che nella cucina sembrava essere appena esplosa una bomba.
“Stop, stop,
stop!” fece a un certo punto Rose. Gestire un
bambino di sette anni era più complicato di quanto pensasse.
“Qui bisogna andare con
ordine” disse al piccolo che si era
immobilizzato con le manine immerse
nella pasta e qualche sbuffo di farina sul naso.
“Prima di tutto”
immerse un dito nell’impasto e lo assaggiò.
Era tremendo. “qualcuno ha avvelenato i nostri
dolcetti” inventò.
John spalancò gli occhi
spaventato. “Ma tu li hai appena mangiati!”
“Oh, non sono velenosi per
ora, ma una volta cotti
potrebbero distruggerci” rispose cercando di restare seria
“perciò, dobbiamo
buttare tutto” fece una finta faccia contrita “e
riprepararli, stando bene
attenti a cosa ci mettiamo dentro.
Se
siamo concentrati, nessuno riuscirà ad avvicinarsi di nuovo
per avvelenarli”.
Il bambino annuì serio.
“Nessuno si avvicinerà”
Rose sorrise e si diede da fare per
ripulire le varie
ciotole sporche mettendole in ammollo nel lavandino.
Dando un’occhiata alla
ricetta per sicurezza, cominciò ad
impartire ordini. “Tu comincia a preparare
l’impasto, io taglierò le banane” Doveva
tenerlo d’occhio e
farlo giocare con
coltelli affilati non era certamente il modo migliore. Non sapeva
neanche dove fosse
l’ospedale. C’era sicuramente
anche quello nel Tardis, il
problema era trovarlo.
“Amalgamare
le uova
con lo zucchero” mormorò
concentratissimo il piccolo mentre mischiava con
la frusta e pesava meticolosamente gli ingredienti. Si atteneva perfino
alla
ricetta originale, talmente attento all’impasto e a possibili
sabotatori.
Doveva aver preso seriamente a cuore il problema di un possibile
avvelenamento.
Con una risatina Rose
continuò il suo lavoro con le banane,
le spolverò con la farina e le mise nell’impasto
del bambino.
In men che non si dica il preparato
era pronto nei pirottini
– quelli blu, come voleva John – e Rose lo aveva
messo in forno.
“Bene!”
esclamò “180° per 15 minuti e poi potremo
strafogarci di muffin!” si voltò a guardarlo con
un sorriso, notando che stava
osservando un post-it attaccato allo sportello del frigorifero.
Si avvicinò curiosa. Lei e
il Dottore ultimamente si
lasciavano spesso bigliettini sparsi qua e là e la cosa, se
all’inizio l’aveva
sorpresa, ora le lasciava soltanto una piacevole sensazione di
familiarità,
come se avessero instaurato una specie di routine.
“Abitudine” e “Dottore” di
solito non andavano d’accordo, è vero –
lei stessa
rifiutava tutto ciò che potesse arrivare a diventare
scontato o ripetitivo – ma
quando viaggiavano di notte e lei si svegliava senza trovarlo come al
solito ad
armeggiare al motore del Tardis, un post-it attaccato alla console le
restituiva quella sicurezza perduta.
Anche se c’era scritto, come qualche giorno prima:
Siamo su
Roxacoricofallapatorius,
mi hanno chiamato per partecipare ad un convegno e potrei morire. Torna
a
dormire.
Il biglietto sul frigo era piuttosto
scemo, in realtà,
niente possibili morti precoci o altro.
Banane
di proprietà del Dottore.
Sì,
non sto scherzando
Rose, sono contate, se ne manca anche solo una mi preparerai i dolcetti
per una
settimana.
Il Dottore
“Chi è il
Dottore?” chiese voltandosi a guardarla.
“Oh, un mio
amico” rispose lei, vaga “Viaggiamo insieme e,
come te, va matto per le banane” concluse con un sorriso.
“E
dov’è ora?” insisté
l’altro “Ti ha lasciato da sola!”
La ragazza sospirò. Sapeva
che prima o poi avrebbe dovuto
rispondere a domande del genere, sperava solo
che quel momento arrivasse il più tardi
possibile. Non sapeva ancora cosa
dirgli, era un bimbo curioso e intelligente dopotutto, non si sarebbe
accontentato di poche cose inventate al momento.
“Preparo un po’
di tè e ti racconto del Dottore, ti va?”
temporeggiò.
Pochi minuti dopo erano seduti al
bancone, con una tazza
fumante tra le mani e una teglia di dolcetti alla banana ancora caldi
davanti.
Il bambino, nonostante la tentazione, non aveva alcuna intenzione di
muoversi o
mangiare nulla, finché lei non gli avesse dato le risposte
che cercava.
Rose in quel momento detestava il
Dottore. L’aveva lasciata
senza alcuna indicazione, con un bambino intelligentissimo che tra
pochi
istanti l’avrebbe bombardata di domande. E lei non aveva la
più pallida idea di
cosa rispondere.
“Allora…”
iniziò incerta “Cosa vuoi sapere?”
“Il Dottore” fece
lui sicuro “chi è? Dov’è
ora?”
Dallo sguardo determinato nei suoi
occhi non sembrava
minimamente avesse sette anni. Era lo sguardo di chi voleva qualcosa e
l’avrebbe ottenuta che Rose era abituata a vedere negli occhi
del suo Dottore e
che poco si addiceva ad un bambino.
Nonostante tutto, la ragazza decise
gli avrebbe detto la
verità, esclusa la parte del suo ringiovanimento ovviamente.
“È un mio amico,
viaggiamo insieme” ripeté. Era la stessa frase che
propinava a tutti quelli che
le chiedevano chi fosse quello strano tipo con la cabina blu insieme a
lei.
Era ovvio che questa risposta non
sarebbe stata abbastanza
per John.
“Adesso non so
dov’è, mi ha solo lasciato un biglietto
dicendomi che tornava presto. Domani dovrebbe essere qui”
fece con un mezzo sorriso.
Dopotutto non era una bugia, il Dottore sarebbe tornato grande in
ventiquattr’ore. O almeno, così le aveva detto.
“Viaggiate insieme?
Come?”
“Con il Tardis. Ci sei
dentro, in realtà. Ha tantissime
stanze, neanche il Dottore le conosce tutte” rispose,
già aspettandosi la
prossima domanda. Che sapesse o meno, pensò, non era un
problema: Il Tardis
aveva chiuso le porte e bloccato i comandi e in poche ore John sarebbe
tornato
grande.
“Cos’è
il Tardis?” domandò infatti l’altro
incuriosito.
Almeno aveva perso l’atteggiamento da “voglio
sapere cosa sta succedendo”, ritornando
ad avere l’aria di un semplice bambino di sette anni.
Rose inspirò, pronta a
sganciare la bomba “È una nave
spaziale. Spazio-temporale, in realtà” si
corresse, osservando gli occhi di John
diventare grandi come piattini. Se conosceva il Dottore almeno un
pochino, di
lì a poco sarebbe stata investita di domande. Ma dopotutto
non poteva dire di
trovarsi in una nave spaziale ad un bambino di sette anni, umano o
alieno che
fosse, e sperare di cavarsela con poco.
Prese un dolcetto e
sospirò. Sarebbe stata una lunga
chiacchierata.
*
Un vassoio di muffin alla banana
dopo, il Dottore si ritené
soddisfatto da più o meno tutte le sue curiosità,
smettendo di fare domande. Al
momento era immobile con lo sguardo perso nel fondo della sua tazza,
probabilmente intento ad assimilare tutto ciò che aveva
scoperto nell’ultima
mezz’ora. Ed era davvero tanto.
Rose gli aveva raccontato tutto,
cercando di semplificarlo
per farglielo capire, ma John non sembrava avere bisogno di chiarimenti
ed
esempi facilitati per comprendere ciò che la ragazza si
scervellava per
spiegargli.
Gli aveva raccontato del Tardis, del
Dottore, di come lo
avesse conosciuto e dei posti meravigliosi in cui l’aveva
portata, tutte cose
inconcepibili per chiunque, figurarsi un bambino. Lei stessa si fermava
molto
spesso a pensare quanto fosse strano in realtà
ciò che per lei ora era normale.
C’era da uscirne pazzi.
John, invece, era stato ad ascoltare,
serio, cercando di
capire e sorprendendola con domande sagaci a cui lei spesso non era
stata in
grado di rispondere e che l’avevano messa in
difficoltà.
L’unica cosa che non era
riuscita a spiegargli era cosa ci
facesse lui lì, in vestiti troppo grandi e senza alcun
ricordo di sé, ma non
era stato difficile fingere una confusione che in realtà
c’era – per motivi
diversi – e fargli credere di non saperne nulla.
Il bambino a quel punto era rimasto
zitto più a lungo,
probabilmente nel tentativo di ricordare. La sua memoria, dopotutto,
non era
andata persa, era solo sepolta ma ogni tanto piccoli dettagli
trapelavano. La
passione per le banane, ad esempio, o anche solo il fatto di aver
scelto
l’outfit del sé stesso adulto.
Ciò che la sua mente gli
nascondeva, probabilmente, erano le
informazioni di base sulla sua identità e sulla sua
provenienza e tutti i
ricordi ad essi collegati. Quello che sapeva di sé
riemergeva come fatto puro e
semplice, senza riferimenti ad episodi passati.
La sua ignoranza era anche un bene,
considerando che era l’ultimo
Signore del Tempo. Sarebbe stato difficile spiegargli perché
non sentiva il
collegamento con gli altri e tutto il resto. Avrebbe dovuto parlare di
una
guerra di cui sapeva molto poco ad un ragazzino. Era infinitamente
meglio che
non lo sapesse e, di conseguenza, non cercasse alcunché
nella sua mente.
Ad ogni modo, che
gli
abitanti di Gallifrey fossero curiosi per natura o lo fosse solo il
Dottore,
Rose era stata sottoposta al più lungo e inflessibile
interrogatorio della sua
vita. E lei era cresciuta con Jackie.
Era stato difficile, non
perché lei non sapesse mentire –
era diventata una campionessa da quando viaggiava con il Dottore
– ma perché
non aveva mai raccontato frottole al Signore del Tempo e non voleva
cominciare
ora, anche se era un bambino. Riusciva sempre a capire quando mentiva e
quando
diceva la verità, quindi prima o poi si sarebbe reso conto
che non le aveva
detto tutto ciò che sapeva.
Si sarebbe goduta il momento, fino a
quando John non avesse
scoperto chi era. Magari non lo avrebbe
mai capito, si sarebbe ritrasformato nel
Dottore prima. O forse già lo sapeva.
Non era importante.
“Allora, cosa ti va di fare
adesso?” Rose ruppe il silenzio
che andava avanti già da parecchi minuti.
Il bimbo alzò lo sguardo
perdendo l’aria assorta e aprendosi
in un sorriso “Hai detto che il Tardis ha tante
stanze” disse, lasciando la
frase come sospesa.
Cosa-? Oh.
La ragazza sorrise “Andiamo
ad esplorare!”.
Note
dell'Autrice:
Ciao
a tutti! Eccomi qui, di nuovo puntale, con il Secondo Capitolo. Non ho
molto da dire, se non che probabilmente il prossimo aggiornamento
scalerà di una settimana. Non ho pronto il Terzo Capitolo
come speravo (ho solo scritto un centinaio di parole, in effetti) e
questa settimana avrò ben poco tempo per scrivere, come
già vi avevo anticipato. Spero che questo ritardo rimanga
isolato ma non posso comunque assicurarvi che non si ripeta, dato che
la scuola per me ricomincia il 12... è possibile che gli
aggiornamenti slittino a una volta ogni due settimane, non lo so,
dipende dal tempo che avrò per scrivere. Vi farò
sapere! Spero comunque che questi ritardi non vi facciano perdere
l'interesse per la storia, e che abbiate comunque voglia di lasciarmi
un commento, lo apprezzerei molto :)
Al prossimo aggiornamento!
Baci,
L.
|
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Capitolo 4 *** Terzo Capitolo ***
Terzo
Capitolo
Quando il Dottore, tempo prima, le
aveva detto che il Tardis
aveva tantissime stanze lei ci aveva creduto. Voglio dire, dopo essere
riuscita
a superare il fatto che in una cabina blu della polizia ci fosse una
nave
spazio-temporale, aver viaggiato nel tempo e via dicendo, la parola impossibile era praticamente sparita dal
suo vocabolario. Di fatto, però, non ci aveva pensato
più di tanto, si era
semplicemente limitata all’utilizzare poche stanze: la camera
da letto, la
cucina, il guardaroba per i viaggi nel passato. Il centro commerciale,
ad
esempio, l’aveva scovato sbagliando strada per il bagno.
Non si era mai fermata molto a
riflettere sull’immensità
della cabina blu, troppo presa
dalle meraviglie che poteva scoprire fuori.
Ad ogni modo, ora, mentre teneva per
mano John e osservava
l’infinità di porte davanti a lei, si chiese se
fosse saggio girovagare per la
nave senza avere la più pallida idea di dove fosse.
Certo, il Dottore le aveva detto che
avrebbe trovato
qualsiasi cosa le servisse nelle stanze, ma da lì a gettarsi
a capofitto nel
cuore del Tardis, aprendo porte, incurante di cosa potesse esserci
dentro o del
fatto di avere un bimbo di sette anni al seguito, c’era un
po’ di differenza.
Non voleva metterlo in pericolo,
voleva solo che le ventiquattr’ore
passassero, così lei e il Dottore sarebbero tornati a fare
quello che sapevano
fare meglio: viaggiare.
Non avrebbe potuto essere certa di
tenerlo al sicuro, però:
non aveva la più pallida idea di cosa ci fosse al di
là di quelle porte.
Un’orda di assassini, una macelleria, il forno per fare il
pane… Mille erano i
pericoli, e gli scenari che si stavano formando man mano nella sua
testa non
erano di certo incoraggianti. Non avrebbe dovuto accettare la proposta
di John
così a cuor leggero.
Mentre Rose ragionava, il piccolo era
andato avanti,
guardandosi intorno e sbirciando i corridoi, con la stessa espressione
estasiata
del Dottore mentre pilotava il Tardis.
Le ricordò di quando, con
quel suo sorrisone folle, le aveva
detto di tenersi forte perché la
sua
piccola li avrebbe portati ovunque volessero. Lei aveva riso,
perché parlava della cabina come
della sua ragazza, e lui si era
imbronciato, sostenendo che se avesse continuato così
l’avrebbe offesa e non
era raccomandabile inimicarsi una nave spazio-temporale.
Aveva ridacchiato ancora ed era
andata nel corridoio in
cerca della cucina, senza trovarla.
“Dottore! È
sparita la cucina!” si era lamentata con le mani
sui fianchi, tornando nella sala comandi.
Il Signore del Tempo le aveva rivolto
un sorrisino furbo e
Rose avrebbe giurato di aver visto un lampo di vittoria nel suo
sguardo. “Ti
avevo detto che avresti potuto offenderla” aveva detto
semplicemente, tornando
ad armeggiare sotto la console.
“Mi stai dicendo che
l’ha fatta sparire per vendetta?” aveva
sbottato incredula, sporgendosi per guardarlo in faccia.
Lui aveva alzato lo sguardo, il
compiacimento che sprizzava
da tutti i pori.
“Io te lo avevo
detto.”
Il Dottore adorava avere ragione.
“E come dovrei fare, di
grazia, per prepararmi un the?” aveva
replicato lei scocciata.
“Potresti chiederle
scusa” aveva risposto lui, senza la
minima traccia di sarcasmo.
La ragazza lo aveva guardato
scioccata per un attimo, poi
era tornata in corridoio a “chiedere
scusa ad una macchina”.
Riflettendoci ora, il Dottore le
aveva ripetuto varie volte
che il Tardis era senziente,
semplicemente lei non ci aveva mai fatto caso più di tanto.
L’episodio che le
era tornato alla mente, ad ogni modo, era la prova che
l’astronave ascoltava e
capiva, come quando le aveva chiesto scusa e la porta della cucina le
si era
aperta davanti.
Avrebbe potuto chiedere alla macchina
di non aprire stanze
pericolose, si disse.
In quel momento, si accorse che John
aveva puntato una porta
e stava allungando la manina per aprirla.
“Ti prego, fa che non ci
sia niente di pericoloso!”
bisbigliò supplicante, mentre il ragazzino spariva al di
là dell’uscio.
Un urletto la raggiunse e si
affrettò a varcare la soglia,
pronta al peggio.
Nella stanza non c’erano mostri
marini o punte avvelenate come aveva temuto. Il posto era
enorme e le
ricordava il centro commerciale per la grandezza e l’assoluto
silenzio.
Non c’era
un’anima, solo il Dottore che tendeva il collo per
cercare di vedere la cima delle montagne russe di fronte a loro.
La stanza era un Luna-park.
A quanto pare il Tardis
l’aveva ascoltata, seguendo più o
meno la scaletta che si era prefissata: vestiti, pappa e giochi. Avrebbe dovuto ringraziarla.
“Grazie”
bisbigliò incerta, ma sincera. Le sembrò quasi di
sentire un ronzio in risposta.
“Allora” fece ad
alta voce affiancando il bambino “Su quale
giostra vuoi salire per prima?”
John si guardò un
po’ intorno, indeciso su quale scegliere
tra le tante, ma alla fine il suo sguardo tornò su quella
che lo aveva
affascinato dall’inizio: le montagne russe.
Rose ridacchiò e lo prese
per mano “Forza allora, andiamo!
Allons-y!” disse, ripensando ai momenti in cui era il Dottore
a dirlo con un
filo di malinconia.
“Cosa significa
allons-y?” chiese il bimbo curioso,
strappandole un sorriso, mentre camminavano.
“È francese,
significa “andiamo”. Il mio amico lo dice
sempre” rispose lei addolcendo lo sguardo.
“Il Dottore?”
ricordò lui.
“Il Dottore”
confermò lei senza aggiungere nulla.
John non chiese, probabilmente
intuendo la sua
preoccupazione, nonostante i suoi sette anni. Rose non era veramente
preoccupata,
sapeva che il Dottore stava bene, era solo tornato bambino dopotutto, ma le mancava ugualmente.
Si sforzò di sorridere,
prendendo il bimbo in braccio per
farlo sedere nel vagoncino. Prese posto e abbassò la sbarra,
indecisa su come
procedere. Se non c’era nessuno a controllare i comandi, come
avrebbero
azionato la giostra?
Le avrebbe fatto comodo il cacciavite
sonico del dottore, al
momento.
Dopo pochi secondi, ad ogni modo, la
macchina prese a muoversi,
all’inizio lentamente, poi sempre più veloce.
A quanto pare il Tardis era del tutto
automatizzato. O
semplicemente l’aveva vista in difficoltà e aveva
deciso di intervenire. Non
era da escludere la seconda opzione, perciò la
ringraziò di nuovo a bassa voce.
Il vagone aveva cominciato a salire e
gli urletti eccitati di
John le stavano facendo venire un gran mal di testa. Si chiese se tutti
i
bambini urlassero in maniera così acuta o fosse una
caratteristica tipica del
Dottore. I gridolini folli erano una sua prerogativa anche da adulto, dopotutto.
Aggiunse anche questa alla lista
delle cose che il bimbo
aveva mantenuto dopo il ringiovanimento.
La macchina aveva raggiunto la cima,
nel frattempo, e Rose
ebbe giusto qualche secondo per ricordarsi di mantenere un minimo di
dignità e
non lasciarsi andare a urli di terrore. Si aggrappò alla
sbarra con entrambe le
mani, per sicurezza.
“John?” lo
chiamò preoccupata. Aveva sette anni, e a
quell’età
teoricamente non si poteva salire sulle montagne russe. O almeno questo
era
quello che aveva imparato dai film, con il cartello per
l’altezza minima e via
dicendo. “Credo sia meglio tu ti tenga forte. Andremo un
tantino veloci” disse
accennando un sorriso.
“Mi piace andare
veloce!” ribatté eccitato l’altro,
guardando avanti, pronto alla discesa.
Rose non fece in tempo a dire altro
che il vagone precipitò.
Erano
ovviamente
sempre ben ancorati alle rotaie, ma l’impressione era quella
di cadere fino a
sfracellarsi al suolo. Fu relativamente breve, giusto il tempo per
urlare e
credere di essere a un passo dalla morte, per poi rallentare fino a
fermarsi.
Raggiunto il blocco, Rose si
voltò verso il posto al suo
fianco, per controllare che il Dottore fosse seduto ancora
lì e non fosse
volato via, dato che per tutta la discesa aveva totalmente ignorato la
barra
metallica ed era abbastanza magro da sgusciarne fuori.
Era ancora lì con i
capelli sparati da tutte le parti e un
sorriso da un orecchio all’altro.
“Lo rifacciamo?”
Prevedibile.
*
Dopo qualche altro giro – e
con qualche si intende fino a
quando il Dottore non si fu stancato di tuffarsi nel vuoto a tutta
velocità
– stavano di nuovo passeggiando mano nella mano tra le varie
giostre, in cerca
della successiva su cui salire. John era indeciso e Rose si era
stancata di
andare avanti e indietro tra Il Tiro a
Segno e l’autoscontro, in attesa che il piccoletto
si smuovesse.
“Facciamo
così” disse Rose bloccandosi “scelgo io:
prima
andiamo a uno e poi all’altro” disse semplicemente.
Il bimbo saltellò in
direzione del tiro a segno, contento
che il problema fosse finalmente risolto.
Lo stand era esattamente come quelli
del tiro a segno sulla
Terra, tranne che le pistole erano laser. La ragazza sperò
fortemente che il
bambino non decidesse di puntarsela, o puntargliela,
contro.
“Rose!” la
chiamò John “vincerò un pupazzo per
te” promise
solenne.
Lei ridacchiò, mentre il
piccolo si metteva gli occhiali
protettivi e puntava la pistola sulla prima sagoma di un alieno pieno
di
tentacoli. Era strano vedere il Dottore con un’arma in mano,
anche se
giocattolo. Era da sempre abituata a lui, disarmato, con il suo
cacciavite
sonico.
Probabilmente non ricordava
più cosa lo aveva portato da
adulto a disprezzare le armi, e a evitarle il più possibile.
O forse si stava
semplicemente godendo il gioco come qualunque bambino della sua
età. Rose non
avrebbe saputo dirlo, ma poteva dire con certezza che il vero Dottore
cominciava a mancarle sempre più, nonostante tutte le
analogie che
evidentemente c’erano.
Un rumore la riscosse. John aveva
abbattuto con successo
anche la terza sagoma aliena e attendeva con ansia il suo premio. Un
braccio
meccanico prese uno dei pupazzi nella teca – un Judoon di pezza enorme – e lo
porse con molta gentilezza al
bambino.
In men che non si dica si
ritrovò il Dottore davanti che,
con tutta la solennità del momento, le tese il giocattolo.
Rose lo prese e
abbracciò tutta contenta il ragazzino, dimenticandosi per un
attimo del
ringiovanimento e di tutti i problemi collegati. Piccolo o grande, lui
era il suo Dottore e sapeva che le
sarebbe
mancato una volta tornato adulto, esattamente come ora le mancava il
Signore
del Tempo tutta pazzia e viaggi con il Tardis.
“Dove andiamo
ora?” chiese la ragazza prendendolo per mano.
“Alle macchinine
dell’autoscontro” rispose eccitato John
“Allons-y!”
aggiunse poi, guardandola.
“Allons-y!”
ripeté lei. Era sempre il suo Dottore.
*
L’autoscontro era stato
divertente per certi versi,
terrificante per altri.
Dopo aver scelto le macchine, rosa
per lei blu per il Dottore
– era un vero e proprio maniaco del
blu! –
avevano fatto qualche giro di prova, dandosi colpi soprattutto per
sbaglio.
Dopo un po’ John aveva cominciato a prenderci gusto,
spintonandola più che
poteva e Rose si era ritrovata a fuggire inseguita da un bimbo che
rideva e le
lanciava frasi intimidatorie in Gallifreyano senza rendersene conto
minimamente.
Era stato divertente, mal di schiena
a parte, vederlo così
spensierato come in quel momento ed anche rilassante in un certo qual
senso.
Non era abituata a vederlo sorridere
così spontaneamente,
senza tutte quelle preoccupazioni che gli appesantivano lo sguardo, e
certamente le sarebbe mancato questo aspetto del Dottore,
rifletté, mentre
raggiungevano la porta.
Forse ci sarebbero potuti tornare, un
giorno, per vedere se
l’espressione libera e felice l’aveva solo da
bambino o poteva guadagnarla
anche da adulto. Sarebbe stato divertente.
“Ci possiamo
tornare?” chiese improvvisamente John, quasi
leggendole nel pensiero “Ci sono tante giostre che non ho
ancora provato, e
vorrei mangiare ancora lo zucchero filato” aggiunse dando un
morso alla nuvola
rosa che aveva in mano e sporcandosi fin sopra ai capelli. Qualche
pezzetto
volò anche sopra al Judoon che il bimbo teneva sottobraccio.
Era un disastro.
“Certo, ci
torneremo” promise Rose prendendolo per mano “Ma
ora credo che a qualcuno di noi serva una lavata” aggiunse
facendogli l’occhiolino.
Il bimbo
s’imbronciò risultando ancora più
adorabile con la
faccia tutta coperta di appiccicoso zucchero rosa. La ragazza
ridacchiò.
“Andiamo, so
dov’è il bagno”.
Note
dell'Autrice:
Ciao a tutti! Sono qui come
promesso con il Terzo Capitolo e mi scuso ancora per aver posticipato
l'aggioramento. Sappiate che anche così ho terminato il
capitolo giusto 10 minuti fa, il tempo di rileggerlo, e l'ho
pubblicato. Spero comunque di riprendere le pubblicazioni una volta a
settimana (anche se quasi sicuramente mi ridurrò domenica,
lunedì e martedì a scrivere x__x).
Per quanto riguarda il numero dei capitoli, credo che in tutto saranno
cinque, più epilogo e prologo. Non mi sento di prolungare
troppo questa storia, anche perchè il ringiovanimento dura
24 ore e credo di aver individuato i punti base. L'epilogo
sarà comunque molto aperto, e potrebbe darmi
l'opportunità di scriverne un'altra sulla stessa linea. Poi
si vedrà :)
Detto questo, spero vi sia piaciuto anche questo capitolo, e che vi
vada di lasciarmi una recensione, lo apprezzerei molto <3
A Martedì prossimo! (si spera)
Baci,
L.
|
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Capitolo 5 *** Quarto Capitolo ***
Quarto
Capitolo
Quando Rose aprì la porta
capì che chiamarlo bagno era
riduttivo. Era più simile ad una piscina, con quella sua
vasca enorme e le
vetrate.
Il bimbo corse immediatamente dentro,
affascinato
dall’ennesimo posto nuovo tutto da scoprire, e
andò a premere il naso contro il
vetro della finestra più vicina. Quando Rose aveva chiesto
come fosse possibile
che ci fosse qualcosa fuori – erano in una nave spaziale!
– il Dottore le aveva
detto che era solo un’immagine. Il Tardis la cambiava tutti i
giorni, ma certe
volte, quando il Signore del Tempo era giù e si andava a
fare un bagno, il
panorama diventava quello del suo Pianeta.
Quel giorno era un semplice giardino
verde con qualche
alberello e lo stagno con le papere, talmente semplice che sembrava
uscito
dall’immaginazione di un bambino, ma mentre John guardava
fuori, il paesaggio
cambiò, diventando lo sfondo degli interminabili bagni del
Dottore adulto, i
prati rosso scuro e il cielo arancio bruciato di Gallifrey.
Rose si avvicinò
preoccupata al bimbo.
“Tutto bene?”
chiese.
Il bimbo si voltò a
guardarla e annuì. “Cos’è
quello?” fece
poi, indicando fuori.
“Gallifrey, il pianeta del
Dottore” rispose lei “Non c’è
veramente, è solo un’immagine”
Chissà perché
lo sfondo era cambiato. Probabilmente il
Tardis aveva fatto il collegamento bagno – tristezza talmente
tante volte che
ora si attivava automaticamente ogni volta che il Dottore entrava nella
stanza.
“Ci sei mai
stata?”
La voce di John la riscosse dai suoi
pensieri. Il bimbo
aveva ancora lo sguardo fisso fuori dalla finestra, probabilmente
cercando di
memorizzare i particolari di quel paesaggio così alieno. O
forse gli ricordava
qualcosa, e allora sarebbe stato un problema per Rose spiegargli il
perché.
“No, mai. È
andato distrutto” rispose la ragazza.
John si voltò verso di
lei, con gli occhi spalancati. Poi si
ricompose e, con quel tono che poco si addiceva a un bambino di sette
anni, il
tono di quando voleva risposte, le disse “Racconta”.
Rose richiamò alla mente
le poche conversazioni avute al
riguardo con il Signore del Tempo, rendendosi conto di quanto
frammentaria
fosse la sua conoscenza di Gallifrey. Il Dottore non amava parlarne,
era cosa
risaputa, e molto di ciò che era avvenuto nella leggendaria
Guerra del Tempo le
era ancora sconosciuto.
“C’è
stata una guerra” cominciò allora, rendendosi
conto di
star usando il tono che il Dottore aveva le rare volte in cui avevano
affrontato il discorso. “La Guerra del Tempo, tra i Signori
del Tempo e una
razza malvagia chiamata Dalek. Nella guerra entrambe le fazioni hanno
perso,
sono morti tutti e il pianeta è bruciato. Il Dottore
è l’ultimo della sua
specie.” Aggiunse l’ultima frase con un velo di
tristezza. Sapeva bene la
solitudine che l’altro ancora sentiva, nonostante ora ci
fosse lei con lui.
“In realtà,
abbiamo scoperto che i Dalek non sono estinti, e
che in un modo o in un altro rispuntano sempre fuori, in tempi e
situazioni
diverse. Per quello che ne sappiamo, però, i Signori del
Tempo sono tutti
morti. Il Dottore dice che riesce a sentirlo, che non
c’è più nessuno.” Rose si
fermò un attimo, indecisa su come proseguire. Bene o male
questo era quello che
sapeva sulla Guerra e su Gallifrey, nonostante avesse incontrato
più volte i
Dalek e quasi tutti gli alieni che avevano incontrato ne parlassero. Il
Dottore
non le aveva mai spiegato cosa era successo di preciso, di come era
riuscito a
fuggire o altro. Era uno dei tanti misteri con cui si doveva convivere
se si
voleva viaggiare con lui, e lei lo aveva accettato.
Mai si sarebbe immaginata di dover
dare così tante
spiegazioni – su cose per lei pressoché
sconosciute, tra l’altro – a un mini
Signore del Tempo assetato
di sapere.
“È bello”
mormorò
l’altro che nel frattempo era tornato a guardare fuori.
Rose si chiese se magari stesse
percependo l’appartenenza a
quel posto. Si chiese se anche lui sentisse quel qualcosa mancante
nella sua
testa, come una connessione interrotta.
“Allora, qualcuno qui ha
bisogno di un bagno!” esordì dopo
qualche minuto di silenzio, cambiando discorso.
Il Dottore si voltò verso
di lei con un sorriso che
illuminava la stanza, il che rassicurò Rose: non avrebbe
dovuto costringerlo in
nessun modo a lavarsi infradiciandosi e allagando il bagno. Era
già un passo
avanti.
“Voglio le bolle
colorate!” esclamò John, correndo ad aprire
tutti i rubinetti.
Ora che li notava meglio,
c’erano centinaia di rubinetti
tutto intorno alla vasca e ne usciva acqua e sapone colorato,
alternandosi.
L’acqua che ne fuoriusciva,
ora che il piccolo li aveva
aperti tutti, era talmente tanta da aver riempito l’enorme
vasca già per metà.
La ragazza si chiese perché mai si ostinava a lavarsi nella
doccia della sua
camera, quando lì c’era anche
l’idromassaggio. Si trattava bene il Dottore.
Il ragazzino, nel frattempo si era
spogliato, riuscendo
miracolosamente a districarsi con i bottoni e la cravatta, e ora
sgambettava
sul bordo, pronto a tuffarsi.
Rose nel frattempo era indecisa se
chiudere gli occhi o
meno: era pur sempre il Dottore, nudo.
Diamine,
Rose, ha
sette anni! Si rimproverò.
Riaprì gli occhi giusto in
tempo per vedere uno schizzo
enorme bagnarla da capo a piedi.
“Dottore!”
strillò isterica, prima di mordersi la lingua.
Il bimbo però non dette
segno di averla sentita, impegnato
com’era a creare schiuma colorata sbattendo l’acqua
con le mani.
Sospirò. Non poteva andare
avanti così per sempre. L’unica
cosa buona era che tra non molto le fatidiche ventiquattr’ore
sarebbero
scadute, e lei non avrebbe più dovuto tenere nascosto al
Dottore chi fosse
realmente.
“Rose!” la
chiamò il bimbo dalla vasca, reggendosi al bordo
“Vieni anche tu?”
La ragazza rispose con un enorme
sorriso e, cercando di
mascherare l’imbarazzo, gli fece cenno di aspettare.
Corse in fretta in camera sua e si
mise il primo costume da
bagno che le capitò sotto mano.
Quando entrò nel bagno,
vide il Dottore seduto sul bordo che
faceva sbattere i piedi in acqua, creando una quantità
incredibile di schiuma.
Quando fu soddisfatto del suo lavoro si alzò in piedi sul
bordo e si ributtò in
acqua.
Rose osservò la scena
divertita, prima di avvicinarsi alla
vasca ed entrarci dentro a sua volta.
Ora che ci rifletteva, non faceva un
bagno da secoli,
probabilmente da quando aveva incontrato il Dottore. Quando tornavano a
casa ci
restavano per talmente poco tempo che era praticamente impossibile
concedersi
un paio d’ore di relax. O peggio, erano coperti di schifezze
aliene e la sua
unica preoccupazione era quella di togliersi di dosso muco
intergalattico il più
presto possibile.
In definitiva, quello era il suo
primo bagno da molto tempo, e aveva
intenzione di
goderselo.
Non fece in tempo a terminare quella
frase nella sua mente
che uno schizzo di acqua saponata la centrò in faccia,
facendole aprire gli
occhi.
“John!”
sbraitò strofinandosi gli occhi per togliere il
sapone. In grazia di Dio il Dottore aveva impostato la vasca su
“sapone per
bambini”, dopo la loro ultima discussione post-bagno sul “perché mi entra il sapone
negli occhi? Io non gliel’ho chiesto! E poi
brucia!”.
Quando Rose gli aveva detto che
c’era lo shampoo
anti-bruciore lui era saltato su, ignorando l’irritazione ai
bulbi oculari e il
fatto di essere in un accappatoio con i cacciaviti sonici,
proclamandola Invenzione di ogni Linea
Temporale – un
grande titolo, a detta sua – mentre pilotava il Tardis verso
la fabbrica più
vicina.
L’aver prosciugato la
fabbrica per riempire il serbatoio
della vasca, ad ogni modo, le aveva salvato la vista.
Non le aveva
evitato,
ovviamente, di ritrovarsi con tre dita di trucco scolato sotto gli
occhi,
pensò due secondi dopo, osservandosi i pugni neri di mascara.
John, nel frattempo, stava ancora
ridacchiando per la sua
bravata, perciò quando Rose si avvicinò
rovesciandogli l’acqua dalle mani a
coppa in testa, non se ne accorse minimamente.
Due secondi dopo cominciò
a sbraitare, gridando al
complotto.
*
Dopo un paio d’ore passate
in ammollo, Rose e il Dottore
uscirono dalla vasca e si infagottarono per bene in due morbidi
asciugamani di
spugna blu.
Dopo essersi asciugati e rivestiti,
dettero un’occhiata al
panorama gallifreyano ancora presente “fuori dalla
finestra” e uscirono.
Una volta in corridoio, Rose si
domandò cosa fare.
Il piccolo accusava già
segni di stanchezza e, per quanto
lei non avesse mai visto il Dottore dormire, suppose che essendo un
bambino
avesse bisogno di qualche ora di sonno ristoratore.
Avrebbe dovuto portarlo a letto, si
disse.
Era abbastanza riluttante, in
verità. Non voleva dire addio
a John, per quanto potesse mancarle il Dottore.
Ora che aveva avuto anche solo un
piccolo accenno della sua
infanzia e innocenza, era doloroso tornare a scrutare negli occhi del
Signore
del Tempo e non sapere perché ci fosse quel fondo di perenne
tristezza e
rabbia.
Avrebbe tanto voluto delle risposte
ma, come non poteva
chiederle al bambino perché ancora non aveva vissuto quella
parte della sua
lunghissima vita, sapeva perfettamente che se avesse domandato qualcosa
all’adulto,
avrebbe ricevuto in risposta solo silenzio.
Non sapeva ancora, inoltre, se e come
il Dottore avrebbe
ricordato le ultime ventiquattr’ore. Sarebbero state
trasferite direttamente
tra i ricordi della sua infanzia o avrebbe saputo di essere stato
bambino fino
a qualche ora prima?
Rose non sapeva cosa rispondere.
Decise che, per prima cosa,
lo avrebbe messo a letto, e poi avrebbe riflettuto su quali spiegazioni
dargli
una volta tornato normale.
Come in risposta ai suoi pensieri,
una porta si aprì di fronte
a lei, rivelando la camera del Dottore.
La ragazza prese per mano il bambino
ed entrò.
“Questa è la
stanza del mio amico” fece lei con un sorriso,
osservando John sbattere le palpebre più velocemente nel
tentativo di non
addormentarsi “Puoi dormire qui, mentre lui non
c’è”.
Il ragazzino annuì e
cominciò a spogliarsi.
“Resti qui?”
domandò dopo un po’ con voce assonnata, come a
voler essere sicuro.
“Certo” promise
Rose “vado a mettermi il pigiama, tu mettiti
a letto” terminò con un sorriso dolce.
Una volta uscita dalla camera si rese
conto dell’assurdità
di ciò che aveva detto. Il mattino dopo il Dottore sarebbe
tornato grande, non
poteva dormire con lui! Arrossì improvvisamente al pensiero.
Sospirò.
Tornò alla sala della
console. Avrebbe atteso che il piccolo
si fosse addormentato, e poi sarebbe tornata in camera sua. Semplice.
Dando un’occhiata in giro
si accorse che il completo del Signore
del Tempo adulto era ancora lì per terra. Lo raccolse e
andò in camera sua per
mettersi il pigiama.
Quando tornò nella camera
del Dottore il bimbo si era già
addormentato, perciò senza far rumore aprì
l’armadio e mise il completo al suo
posto. Stava per chiudere l’anta quando una delle grucce
cadde a terra facendo
un fracasso infernale.
Rose imprecò sottovoce.
Dal letto giunse un grugnito
assonnato. “Rose?”
“Non ti preoccupare, torna
a dormire” lo rassicurò la
ragazza.
“Vieni qui!” la
chiamò allora, con il tono
pseudo-autoritario che avevano i bambini quando volevano qualcosa, un
po’
falsato dal sonno.
La bionda sorrise inconsciamente e si
avvicinò.
“Dovresti dormire,
è stata una giornata stancante” fece
dolcemente.
“Non ci riesco, faccio
brutti sogni” si lamentò il piccolo.
“C’è
gente che urla, il fuoco e io so solo che devo scappare
lontano” cominciò a
piangere.
“Va tutto bene, era solo un
sogno” sussurrò.
La ragazza si issò sul
letto e lo prese tra le braccia per
consolarlo, accorgendosi in quel momento che era completamente nudo.
“Ti
prenderai un raffreddore se dormi così!” disse
preoccupata.
John tirò su con il naso,
asciugandosi le lacrime con una
mano. “Non volevo rovinare il vestito”
borbottò impacciato.
La ragazza ridacchiò, poi
si alzò e prese dalla cassettiera
una maglietta del Dottore e un paio di boxer.
Navigava in entrambi – le
mutande sembravano dei
pantaloncini piuttosto larghi – ma almeno avrebbe avuto
qualcosa addosso al suo
risveglio invece di ritrovarsi con i vestiti a brandelli effetto
Hulk.
L’imbarazzo del mattino
dopo sarebbe notevolmente diminuito,
si disse.
Rimise il bimbo a letto, gli rimboccò le
coperte e gli diede il bacio
della buonanotte prima di accorgersi dell’occhiata triste che
gli stava
lanciando.
“Oh, al diavolo! Fammi
spazio!” fece ridacchiando. Un
sorriso spuntò immediatamente sulle labbra del piccolo che
l’abbracciò felice.
“Ora dormi”
concluse, stringendolo a sua volta. “Buonanotte”.
Note
dell'Autrice:
Ciao a tutti e scusatemi per l'infinito ritardo! Mi vergogno da morire
perchè è quasi passato un mese dallo scorso
aggiornamento, ma ora sono qui per la vostra felicità (?)
con il Quarto Capitolo! YEEEEE A mia discolpa dico che se non fosse
stato per Flamerain
che mi ha chiesto di betargli una Jily avreste avuto l'aggiornamento
molto prima u.u Love you sistah <3
Comunque, l'ho terminato qualcosa tipo trenta secondi fa e non ho
ancora iniziato il prossimo. Tra poco comincia anche Doctor Who su Rai4
quindi non penso che per stasera continuerò a scrivere u.u
Ciononostante questa settimana a scuola c'è occupazione, il
che significa che in assenza di compiti ho un po' più di
tempo per scrivere! Il prossimo potrebbe essere l'ultimo aggiornamento
perchè non so se farò l'epilogo. Vorrei, ma forse
non sarà necessario e non mi piace allungare il brodo quando
non serve :)
Detto questo, spero che nonostante il ritardo vi sia piaciuto anche
questo capitolo, e ringrazio chi ha seguito/preferito/recensito: Se vi
andasse di commentare anche questo ne sarei onorata :)
Baci,
L.
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Capitolo 6 *** Quinto Capitolo (Epilogo) ***
Quinto Capitolo (Epilogo)
Rose si svegliò spaesata il mattino dopo, chiedendosi perché quello che aveva sopra la testa non fosse il suo solito soffitto rosa ma quello blu con le stelline fosforescenti – si illuminano al buio! – del Dottore.
Non ci mise molto a ricordare le precedenti ventiquattr’ore e appena ebbe realizzato quanto era successo si girò in cerca del bimbo quasi sicuramente tornato adulto, stupendosi – ma poi neanche tanto – di non trovarlo al suo fianco.
Probabilmente il Dottore si era svegliato da tempo, magari appena ritrasformato, e non aveva più sentito il bisogno di dormire. Si strofinò pesantemente gli occhi nel tentativo di svegliarsi completamente, ritirando le mani meno coperte di trucco del solito, grazie al bagno del giorno prima.
Si alzò e in quel momento era esattamente come tutte le mattine, uno zombie biondo in cerca di un caffè. Voleva cercare il Dottore, ma la sua colazione non poteva aspettare. Aveva bisogno di forze e capacità mentali per affrontare l’imbarazzo di aver dormito abbracciata a un Signore del Tempo millenario in boxer e maglietta. E grazie al cielo che la sera prima glieli aveva messi, altrimenti di caffè se ne sarebbe dovuti fare due. E andare in giro con un sacchetto del pane in testa per il resto della vita.
Ovviamente il motto “Possa la fortuna essere sempre dalla vostra parte” non funzionava per i tributi e neanche per lei, perché non appena ebbe varcato la soglia della cucina, sempre con passo e sguardo zombieggiante si intende, si ritrovò il Dottore davanti. La cosa positiva era che la mano non impegnata ad appoggiarsi allo stipite reggeva una tazzina di caffè. Rosa, quindi sua.
La cosa negativa – perché non ci sono mai solo cose positive – era che il suo sguardo vagava dal suddetto stipite a un punto indefinito sopra la spalla di lei.
In sintesi la scena era uno di quei classici film in cui lui la ignora e lei mette su uno sguardo da cucciolo ferito capace di commuovere i sassi ma che non lo smuove di un millimetro. Ovviamente questo particolare dettaglio venne smontato quando Rose, con una spallata entrò in cucina trangugiando il suo caffè, biascicando un grazie e lasciando l’altro a guardare fuori la porta per qualche secondo prima di uscire definitivamente e chiudersela alle spalle.
*
Non era un bel momento per Rose. Dopo il caffè si era raggomitolata sopra lo sgabello in cucina, ancora nel suo pigiama rosa, e non si era mossa di un millimetro. Non sapeva neanche perché stesse così, dopotutto di cose imbarazzanti con il Dottore ne erano successe, ma dopo una risata e qualche spintone tutto si era risolto. E ora lei stava lì, immobile, senza neanche sapere il perché.
Neanche a dire “Oh mio Dio, mi sono svegliata con un Signore del Tempo nudo ed eccitato al fianco!”
Nada. Era sola.
Chissà se anche il Dottore ha l’alzabandiera mattutina.
“Rose, che razza di pensieri!”, si rimproverò con la voce di Jackie, abbastanza divertita.
Ehm, sì. Come stava dicendo, era sola. Forse era proprio questo a renderla così nervosa. Perché non era neanche più imbarazzo quello che provava, ma nervosismo e ansia, perché il Dottore, da quando le aveva sorriso sotto la cupola di vetro ventiquattro ore prima, non le aveva più rivolto la parola.
Neanche uno sguardo se è per questo, figurarsi un sorriso o un buongiorno Rose, come stai dopo avermi fatto da babysitter per un giorno intero?
Era frustrante.
Meritava come minimo di sapere cosa avesse fatto di male per ricevere in cambio tutta quella indifferenza. Il Dottore non era mai indifferente nei suoi confronti. Non lo era mai stato, neanche nella sua versione precedente, più seria, vendicativa e tenebrosa, di ritorno dalla Grande Guerra del Tempo. Verso di lei aveva sempre un sorriso, da un orecchio all’altro. Ridacchiò. Le mancavano le sue orecchie.
Non poteva sopportare questo suo comportamento, non dopo tutto quello che aveva fatto per lui, non dopo tutto il tempo passato insieme in cui si erano avvicinati, avevano viaggiato, scoperto mondi nuovi e pericolosi per poi tornare sempre in quel luogo sicuro che era il Tardis.
Si alzò.
Non gli avrebbe permesso di fare il bimbo incompreso perciò, senza preoccuparsi della sua mise, si diresse verso la Sala Comandi.
Varcata la soglia la sua determinazione cominciò a vacillare. Dopotutto anche gli alieni millenari hanno i loro momenti no, non doveva per forza essere colpa sua, si disse.
Il Dottore però era chino sulla console, e se si era accorto del suo ingresso non aveva dato cenno di volerla salutare.
Rose si avvicinò, pronta a strattonarlo e farsi dire cosa non andasse – perché qualcosa non andava – quando notò lo sguardo dell’altro puntato sul pulsante blu che lei aveva premuto il giorno prima per ringiovanirlo.
Mistero risolto, il Dottore ricordava tutto e gliene diede conferma alzando gli occhi – finalmente – su di lei, triste e imbarazzato. Mortificato, forse, di essersi fatto vedere così debole.
“Che hai?” sussurrò Rose, perdendo tutta la sua baldanza.
“Spero di non averti causato troppi problemi” rispose l’altro distogliendo lo sguardo, alzando appena gli angoli della bocca.
“Potrei anche essere dimagrita” fece lei con tono scherzoso, cercando di incrociare di nuovo il suo sguardo.
Anche lui sorrise. “Mi sorprende tu non sia impazzita”.
“Ho visto di peggio, tranquillo” gli fece l’occhiolino, ridendo con la lingua tra i denti.
Si appoggiarono alla console sospirando, e sembrava che tutto fosse tornato come doveva essere.
Finché il Dottore non si voltò verso di lei, con lo stesso sguardo di prima.
“Io…” cominciò incerto “Nessun umano mi ha mai visto così” disse distogliendo nuovamente gli occhi.
Bingo. Rose quasi si stupì di averci preso prima, abituata alle mille sorprese del Signore del Tempo. Ma a quanto pareva per alcune cose era molto umano.
Per questo, si comportò come se quello che aveva davanti non fosse un essere con una conoscenza grande quanto l’Universo, ma come se fosse tornato ad essere il bimbo della sera prima spaventato dagli incubi.
“John” bisbigliò dolcemente, provocandogli un sussulto, prima di abbracciarlo.
L’altro non ci mise molto a sciogliersi, senza pianti da bimbo, ma solo con un lungo sospiro appagato, come se quella stretta fosse tutto quello di cui aveva bisogno.
*
“ROSE! DOVE DIAMINE E’ FINITO TUTTO IL SAPONE?”
Il Dottore usci di corsa dal bagno, tutto bagnato e senza il solito accappatoio con i cacciaviti sonici.
“Quel maledetto bambino mi ha finito il sapone!” sbraitò offeso, dimenticando che il bambino in questione era lui.
Le cose in poco tempo erano ritornate alla normalità, con viaggi folli intorno a mondi ancora più folli in compagnia di gente folle, ma mai quanto il Dottore. Il suo folle Dottore.
Erano appena rientrati da una chiamata da Nuova New York – Faccia di Boe aveva voglia di una chiacchierata – e ovviamente erano rimasti prigionieri di nonricordoqualespecie ma qualche colpo di cacciavite sonico, la parlantina del Dottore e una buona dose di fortuna avevano permesso loro di uscirne sani e salvi, coperti solo dalla solita cascata di muco spaziale. Chissà perché tutti i mostri quando esplodono – ma anche se restano in vita eh – lanciano sbobba giallo-verde-arcobaleno ovunque.
Qualunque fosse il motivo, c’era anche la possibilità fosse semplicemente per rovinargli i vestiti e costringerli a lavarsi con la spugnetta per togliere il nero alle pentole.
Il Dottore, invece, sembrava muco-repellente, passava ore in bagno ma solo per il piacere di stare immerso nell’acqua calda.
Quando avrai viaggiato a lungo come me, Rose, capirai che l’importante è rilassarsi, le aveva detto una volta, con il tono di Miyagi a Daniel-san. Lei aveva inarcato un sopracciglio, osservandolo versarsi una generosa dose di shampoo alla camomilla sui capelli arruffati.
Certo.
Avrebbe anche potuto crederci, se non fosse che, appena uscito dalla vasca, il Dottore tornava ad essere una trottola impazzita, incapace di prestare attenzione a qualcosa per più di due secondi perché Oh, Rose, c’è così tanto che voglio mostrarti!
Lei aveva imparato a spegnere il cervello e ad assimilare solo le informazioni fondamentali, nascoste chissà dove tra le mille parole che il Signore del Tempo sputava fuori ogni minuto, per questo ignorò tutti gli starnazzi dell’altro sulla soglia del bagno, prestando attenzione solo all’enorme pozza d’acqua che si allargava sul pavimento del corridoio.
“Se pensi che io asciughi tutto questo casino ti sbagli di grosso” ridacchiò alzando lo sguardo sul colpevole e arrossendo di colpo.
“PERCHE’ DIAMINE SEI NUDO?” strillò.
L’altro di tutta risposta abbassò lo sguardo sul proprio corpo, come accorgendosi in quel momento di non avere neanche un asciugamano a coprire il suo cacciavite sonico, per poi guardare Rose con un sorrisino divertito “Ieri non ti sei posta tanti problemi nel farti il bagno con me”.
Rose arrossì ancora di più. “Avevi sette anni!”
“Devo ringiovanire di nuovo per avere l’onore di un bagno con Rose Tyler?” sorrise. “Andiamo, il tuo costume è ancora di là”.
*
Il bagno era stato divertente come quello con John, soprattutto quando Rose aveva ripescato un costume da fargli indossare, tra schizzi e risate come nei film ma, ora che la vasca era vuota e loro si stavano asciugando, un po’ di imbarazzo ricominciava a venir fuori.
Il corpo del Dottore era caldo, anche nell’acqua fresca, ricordò.
Lasciò l’asciugamano, avviandosi verso la sua camera per vestirsi, cercando di scacciare il rossore.
*
Quando il Dottore entrò in cucina, di nuovo nel suo completo, la trovò lì con due tazze di thè e il cappello della Footlocker tra le mani, mentre lo osservava pensierosa.
Si avvicinò e lo prese, facendole alzare lo sguardo, per poi calcarglielo bene in testa.
Sorrise.
“Sai, abbiamo viaggiato tanto” cominciò “abbiamo tanto muco intergalattico che potrei modificare il motore e risparmiare sui costi della benzina” ridacchiò, ben sapendo che la sua piccola non andava a benzina.
“Potremmo fermarci qui per un po’” Rose alzò gli occhi, interrogativa.
“Sì, sai il Tardis ha tante stanze” sorrise di nuovo, spostandole il ciuffo da davanti agli occhi “potremmo provare a vederle tutte” propose.
“Ci sono quelle pericolose?” chiese la ragazza speranzosa.
Il Dottore si illuminò.
“Puoi giurarci”.
Fin.
Note dell’Autrice:
Ciao a tutti! So che è imperdonabile la mia assenza per 394 mesi (?) ma so che se vi dicessi di aver coltivato la mia vita sociale non mi credereste, perciò smetto di dire minchiate e parlo del capitolo :3 L’ho scritto l’altroieri e ho deciso di unirlo all’epilogo perché di norma non mi piace allungare il brodo più del necessario e il capitolo in sé era piuttosto corto. Dato che l’epilogo rischiava di diventare più lungo del capitolo stesso ho tagliato la testa al toro e ora abbiamo qualcosa più corto di un capitolo ma più lunga di un epilogo XD YEEE (?)
Ora proprio perché siamo alla fine sarei curiosa di conoscere i vostri pareri, sempre se non mi avete abbandonato ritenendomi la persona più inaffidabile del mondo quale sono :c
Credo sia chiaro un po’ a tutti che questa non è una vera fine, mi sono lasciata la strada aperta per un possibile seguito che potrebbe o meno esserci, ma spero che come conclusione di questa fanfiction non vi abbia deluso la mia scelta di rimanere sul rating verde e lasciare le cose un po’ in sospeso tra Rose e il Dottore. Nella mia testa era nata come una cosa tutta fluff, ammoreh e cuori e così doveva finire :3
Questa è la prima ff che porto a termine e ne sono davvero fiera, a voi i commenti :)
Baci,
L. |
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