Critical Acclaim

di A little piece of Heaven
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione ***
Capitolo 2: *** Pvimo Capitele. ***
Capitolo 3: *** That day. ***
Capitolo 4: *** You were born to be with me. ***
Capitolo 5: *** Let it burn. ***
Capitolo 6: *** Just a beautiful memory. ***
Capitolo 7: *** Cancer. ***
Capitolo 8: *** My medicine ***



Capitolo 1
*** Introduzione ***


 Critical acclaim – introduzione
                             

                                                                    Settembre 2012
 

“Sei in ritardo.”
“Oh, buongiorno anche a te Simon.”
 
Ammetto di non essere mai stata una persona puntuale, ma Simon ci teneva a precisarmelo ogni mattina : “Sei in ritardo, Sarah”. E sì, anche il primo giorno di scuola sono riuscita ad entrare non in 2° ora, ma addirittura all’intervallo. “Vai dal preside!” mi urlò la bidella. Dal preside il primo giorno di scuola, iniziamo bene.
“Simon, dovrei andare in presidenza” gli dissi “Hai intenzione di andarci?” mi chiese, sapendo già la risposta. “assolutamente no: mi copri tu?” – “aaaah, vai!”.
Presi la borsa e corsi giù per le scale, prima che il professore mi mandasse in presidenza. Guardai bene che non ci fosse nessuno, uscii fuori in giardino passando dalla palestra. Cancello chiuso. Maledizione! Beh, le punte non erano nemmeno così appuntite, quindi decisi di rischiare la vita per evadere da scuola e scavalcai. Mi ritrovai nel quartiere dietro la scuola : vecchie sospette che mi fissavano. Hey, pensate al diabete, pensionelle.
Un messaggio: Simon. “per questa volta te la sei cavata, non ti avevano nemmeno segnato la presenza sul registro!” lo ignorai. Erano le 9 del mattino, era il primo giorno di scuola e avevo marinato. L’anno scolastico prometteva bene.
 
 
Hi guys, questa è la mia prima storia, quindi siate clementi xD
Fatemi sapere cosa ne pensate dell’introduzione (anche se corta!) e tra poco pubblicherò il primo capitolo ^^
Bye!


- Heaven
 

 
 

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Capitolo 2
*** Pvimo Capitele. ***


 Critical acclaim – capitolo 1

                                                                                         Settembre 2012
       

Il giorno dopo arrivai puntuale, ma il professore decise comunque di tenermi un’ora fuori dalla classe (ancora sconosciuta a me, tranne Simon e Zoey ) per non essermi presentata il primo giorno di scuola. Scocciata, mi sedetti fuori dalla classe. Tirai fuori dallo zaino la PSP e il mio amato iPod.
Mi misi le cuffie ed inizia a giocare. Nel frattempo, pensavo anche alla mia classe. Sapevo che era cambiata, e che per la maggior parte erano persone nuove, e mi chiedevo come fossero. I soliti stronzi pieni di pregiudizi, o persone del mio stesso rango? Non mi facevo illusioni.
Dopo circa 40 minuti (sì, perché dei 60 minuti ne avevo passati 20 a cercare di convincere il prof a farmi restare in classe) suonò la campanella. Era l’ora dell’intervallo. Uscì un’orda di persone che mi guardarono storto: stronzi e pieni di pregiudizi. Lo sapevo.
Videro una ragazza per terra, in jeans corti e maglietta dei supereroi, con le all star (una scarpa slacciata e l’altra no) che ascoltava la musica e giocava alla PSP.
Le ragazze passarono senza nemmeno guardarmi in faccia. I ragazzi men che meno, tranne qualche pervertito commento sulla mia taglia di seno.
Venne fuori Simon, mi porse la mano e mi aiutò ad alzarmi : “Dai, vieni. Ti ho tenuto il posto vicino a me” oh, Dio.
Almeno non sarei finita chissà dove vicino a una di quelle stronze. “Sarah!” mi arrivò addosso Zoey: la mia bella Zoey.
Zoey era bionda, con i capelli lunghi fin sotto le spalle. Un po’ più alta di me (io sono 1.70 circa, lei sarà 1.73) occhi azzurri come il cielo d’estate e il solito sorriso smagliante.
Nonostante la sua presenza, decisi comunque di mettermi vicino a Simon.
Simon per me è tutto. Non vivrei senza di lui, mi salva (quasi) sempre.
La cosa bella delle prime 2 settimane di scuola, è che non fai assolutamente niente. I professori ti lasciano le ore libere, e ti osservano. Io mi limito a disegnare con Zoey che mi racconta la sua estate in città assieme al suo ragazzo. Anche Simon disegnava: i suoi soliti mostriciattoli.
Dopo un po’ smisi di disegnare, e guardai Simon: Simon aveva i capelli neri e folti, gli occhi scuri come la pece e alto 1.65 . Ebbene sì, sono più alta di Simon.
Zoey è fidanzata con il mio migliore amico : Daryl.
Daryl è alto, moro e con gli occhi castani. E’ la tipica persona che ti salva il culo nei momenti peggiori; è lui che mi salva dalle peggiori depressioni.
Beh sono felice per loro, mentre io mi godo la mia fantastica vita da single e senza problemi.
Uscendo da scuola misi la musica nelle orecchie, quindi non sentii Cole che mi rincorreva e chiamava. Oh, Cole. Bionda, occhi grigio/bianco come il ghiaccio, capelli rasati da un lato e più lunghi dall’altro. Mi riempì subito di abbracci, dopo un po’ me la scollai di dosso perché mi sentivo tutti gli sguardi addosso.
Ora che si era trasferita vicino la scuola, potevamo fare la strada di ritorno insieme. E ci vedevamo molto più spesso, passava quasi tutti i pomeriggi a casa mia, e a me ovviamente faceva piacere, considerato che tutti i miei amici abitano lontano dalla scuola.
Scesi alla fermata dell’autobus davanti a casa mia, salutai Cole e mi avviai verso il cancello. Cercai nello zaino le chiavi, aprii il cancello, e mi ritrovai nel cortile del condominio. Presi l’ascensore (sì sono pigra) e arrivai all’appartamento.
Controllai sullo scrittoio e trovai una lettera : Jackie.
Jackie
non mi aveva mai mandato lettere in 10 anni che la conoscevo. La aprii. Mi aveva mandato le foto dell’estate, e una lettera con su scritto “Zucchero, torna presto.”
Aaah, la mia cannella.
Ci siamo conosciute all’età di 5 anni, e siamo tutt’ora migliori amiche. Jackie ha i capelli mossi e castani, gli occhi color nocciola e un adorabile naso dritto.
Decisi di chiamarla, e le raccontai i miei primi due giorni di scuola disastrosi.
Mi disse che nella sua classe c’erano ragazze carine, e che aveva già fatto amicizia.
Io in due giorni ero riuscita a farmi odiare da tutta la classe, e anche dalle bidelle. E ogni giorno pregavo che il preside non venisse a cercarmi e che non mi chiedessero la giustifica per l’assenza del primo giorno.
Finita la chiacchierata con Jackie, mi buttai sul letto e mandai la musica degli Avenged Sevenfold a palla.
Oh, la mia amata musica i metal.
I miei amati metallari. Loro sono tutto per me. Anzi, la musica è tutto per me. Un giorno io e la musica saremo una cosa sola, perchè avrò una band. È questo il sogno per il futuro del momento.
La musica: è lei che ti salva nei momenti peggiori. Quando sei triste, a pezzi, quando sei felice, quando nessuno può venire a salvarti. Lei significa tutto, finchè non spegni le cuffie e ritorni al mondo reale.
Il mondo reale. Tutti ti dicono che sei bellissima, e poi ti danno dei canoni di bellezza per essere perfetta. E’ strano e a dir poco ridicolo come la società spezzi i tuoi sogni.
“non vivrai mai grazie all’arte, la musica e i fiorellini.” Chi ha mai parlato di fiorellini? Io parlo di vera musica! Quella che ti pompa nelle vene, quella che ti elettrizza ogni singolo neurone.
Quella che batte a ritmo insieme al tuo cuore.
Io parlo di arte. Di quadri, di volti, di persone. Di quadri rappresentanti il mare in tempesta, quadri rappresentanti un eroe.
Io parlo di me stessa con l’arte, con la musica e con le canzoni.
E gli Avenged Sevenfold lo sanno.
 



Yeaaah *voce da Matt Shadows*!
Ecco il primo capitolo, di una vita scolastica alquanto disastrata.
Tratto da una storia vera *voce da film*
Jackie : - OHH! Ma ci sono io!
Simon : - Ma perché l’hai fatta sarcastica?? E’ bellissima xD

Heaven : - Che titolo metto?
Jackie : - Pvimo Capitele. *detto con accento tedesco/russo/mongolo/elfico*
 
Ecco, questi sono alcuni commenti degli idioti che mi circondano. xD

 

Nightmares!

- Heaven

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Capitolo 3
*** That day. ***


                                            Critical Acclaim

 
   “Sei in ritardo”
Oh, dannazione. Lo so. Sono in ritardo e lo sarò sempre.
Riuscirò mai ad arrivare puntuale?
Non solo a scuola, ma ad ogni situazione.
È come se non riuscissi mai ad arrivare al momento giusto.
E se arrivo puntuale, qualcosa va storto. Sicuramente.
Proprio come quel 3 febbraio. 


3 Febbraio, oggi.

 
Quel giorno non andai a scuola, e decisi di passare buona parte della mattinata a dormire. Mi alzai, bevvi del tè e mi vestii.
Jeans, felpa grigia con su una rosa rossa e le amate all star.
Presi la mia borsa a tracolla e decisi di fare un giro per la città.
Andai persino a trovare Denise a scuola, finchè…non mi ricordai, che quel giorno a scuola avevo i corsi di inglese.
Oh, Jesus Christ.
Erano le 13, e i corsi iniziavano alle 14.
Magnifico: salterò la prima lezione.
Pensai, cercai di riflettere.
Cercai di trovare un modo per catapultarmi a scuola. Al diavolo, quando arriverò, arriverò.
Salutai Denise e corsi sul pullman che mi avrebbe portato dritta a scuola.
Durante il tragitto pensavo al perché (nonostante odiassi la scuola) di voler fare un corso di inglese. Per migliorare la lingua.
Ah già, appena maggiorenne sarei dovuta scappare in America con la mia chitarra.
Ecco perché.
Arrivata a scuola incrociai due mie compagne di classe. Girai la testa sperando che non mi riconoscessero.
Ma ovviamente, io sono io, ed ho una sfiga assurda come se fossi il pisciatoio del fato, e mi videro.
Dio vuole che io non sia popolare, quindi non gliene fregò nulla di chiedermi “perché non sei venuta a scuola?”.
Arrivai nell’atrio e mi sentii alquanto smarrita.
Dove dovevo andare? A chi dovevo chiedere? Dopo il fatidico evento del primo giorno, non mi avvinavo più alle bidelle.
Fu in quel momento che sentii un ragazzo chiedere dove fossero le due aule dei corsi. Decisi di seguirlo: io e il ragazzo eravamo in due corsi differenti, quindi azzardai una porta a caso.
Fu quella giusta.
“G-good afternoon…”
“What’s your name?”
SarahSarah Hyner.”
Controllò il registro.
“Okay, Sarah..” disse con un accento inglese molto pronunciato “sei nell’aula giusta” , grazie.
In ritardo, ma aula azzeccata.
Ci stava un bel “FUCK YES” ma evitai, considerando che la ragazza era madre-lingua.
La ragazza aveva i capelli cortissimi e neri, occhi azzuri con un leggerlo velo di eyeliner, gonna nera e camicetta a righe. Mi ricordava una ragazza universitaria. E probabilmente lo era.
Mi guardai intorno, e ci fu un terribile momento in cui pensai “dove cazzo sono finita”.
I banchi erano tutti occupati da ragazzine. Probabilmente del primo anno. Anzi, sicuramente.
Perfetto.
Hey tu, Inghilterra, alla disadattata manca un posto dove sedersi.
Per fortuna se ne accorse da sola, e mi mise NEL BEL MEZZO delle ragazzine. “Come ti chiami? Di che classe sei? Quanti anni hai? Dove abiti?” non so, volete anche chiedermi se ho un buco del culo sul gomito? Mi sedetti e mi guardai intorno imbarazzata. Era una situazione piuttosto scomoda.
Un momento: non c’era neanche un ragazzo.
Non che fossi un’allupata in cerca di testosterone, ma cavolo, nemmeno un ragazzo? Come si fa a stare in una classe senza maschi e senza battute sul sesso?
“Toc toc”
“Oh, hi! Coming!”
Mi voltai e vidi un ragazzo.
OH DIO TI RINGRAZIO, FINALMENTE UNO DELL’ALTRO SESSO.
Lo esaminai. Era biondo, capelli gellati e tirati all’insù e… una costellazione di brufoli sulla faccia. Matthew.
Caro Matthew, benvenuto al girone dell’inferno con le ochette.
Trovò un banco dove riuscì ad isolarsi dal resto della classe.
PERCHÉ-IO-NON-AVEVO-TROVATO-QUEL-BANCO.
Iniziò la lezione, tutta interamente in inglese, con le ragazzine che mi chiedevano ogni minima e fottutissima parola.
“Okay guys, 10 minutes!”
Intervallo.
Sia lodato il signore e tutti i suoi discepoli.
Arrivai nella zona macchinette, e notai il ragazzo che avevo seguito che prendeva a calci una macchinetta urlando “RIDAMMI I MIEI SOLDI” .
Tesoro, non siamo in futurama dove le macchine ti rispondono. Andai lì, presi una coca-cola che fece cadere anche la sua bevanda. Gliela diedi. Mi guardò sorpreso, e sibilò un grazie.
Gli sorrisi. Era carino. Molto carino. Ok, era figo. Stuprabile.
Sarah, smettila.
Uscì fuori con altri suoi amici e notai che con lui c’era anche Matthew. Lo vedevo che mi guardava, mentre io cercavo di sembrare interessata solo alla lattina di coca-cola.
Finito l’intervallo e finita la lezione, tornai a casa.
Appena entrata in casa andai al frigorifero e presi una lattina di coca-cola.
Andai in camera, accesi lo stereo con la musica dei Green Day e mi buttai sul letto.
Continuavo a pensare al ragazzo-picchia-macchinette.
Aveva i capelli castani, gli occhi verde smeraldo, un fisico da paura, sorriso caloroso e due adorabili fossette.
Non mi usciva dalla testa quella scena.
E improvvisamente lo immaginai camminare per i corridoi della scuola, e sorridermi di nuovo.
Nah, vaffanculo.
L’amore non fa per me.
Quello non era amore.
Quello era solo Aaron.



Perfetto, eccoci al secondo capitolo!
Ci sentiamo fra 2 giorni con il terzo capitolo di Critical Acclaim~

Nightmares!
  

- Heaven

  

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Capitolo 4
*** You were born to be with me. ***


                                                                       Critical Acclaim

                                                    Capitolo 3 - You were born to be with me
 

~THUNDER AND LIGHTNING~

Andai a dormire con il temporale. Adoravo dormire con il suono dei tuoni e dei fulmini. Stare sotto le coperte mi faceva sentire.. protetta.
Mi svegliai durante la notte con un tuono che fece vibrare il letto. Guardai l’ora sul cellulare accuratamente appoggiato sul comodino: le 3.50
La cosa magica di quando sei in periodo scolastico, e ti svegli verso le 3 di notte, il pensiero principale è “oh, Jesus, posso dormire ancora un bel po’.” E quello era sempre il mio primo pensiero.
Diedi un’occhiata alla finestra.
Pioveva a dirotto.
Mi addormentai quando un fulmine tagliò in due il cielo.
 
(Aaron)
Mi svegliai di soprassalto quando un fulmine fece tremare tutta la camera, fino a far cadere le bacchette della batteria.
Dovevano essere le 4 del mattino. Avevo dormito pochissimo. Non ero il tipo che andava a letto presto, ero più un tipo notturno. Che ama sfruttare la notte. I pensieri migliori sono quelli che si fanno di notte, sapete? E io pensavo al suo sorriso. La ragazza che era riuscita a prendere la bibita dalla macchinetta malefica. È semplicemente arrivata, ha preso una coca-cola ed et voilà: mi ha dato il mio tè.
Era tutto il giorno che pensavo al suo sguardo magnetico.
Dio, era bellissima.
Non l’avrei rivista per altri due giorni.
Maledetto week end.
Per una volta che volevo andare a scuola!
Mi alzai e andai sul balcone.
Diluviava.
Guardai il cielo lampeggiante per via dei fulmini.
Pensai a lei.
Non sapevo il suo nome.
Pensai ai suoi occhi profondi come la notte.


 Lunedì mattina.
 
Avete presente quella voglia improvvisa che ti invade il corpo, e ti ordina di alzarti e di vivere al meglio la giornata? Ecco, a me non succede mai.
Specialmente nel periodo scolastico.
Pioveva, faceva freddo e le mutande troppo strette mi tagliavano in due il culo. Maledettissime mutande di cotone che si restringono non appena le lavi! Altro che mutande di cotone, dovrebbero chiamarle “mutande usa e getta”.
Entrai in classe con il mio solito entusiasmo invernale (odiavo l’inverno),
e misi la borsa sul banco. Simon era già arrivato. Mister perfettivo era come una vecchia burbera : come le vecchie  in hotel arrivano prima che il ristorante apra, Simon arrivava prima che le porte dell’atrio della scuola si aprissero.
Sentii parlottare e mi voltai.
Oh, un gruppetto di ragazze.
Vennero verso di me fissandomi per poi andarsene con non-chalance.
Cosa pretendevano? Un buongiorno da… me? A quest’ora del mattino? D’inverno? Con questo freddo? Con le mutande impiantate nel culo? No care.
È vero, avrei potuto salutarle per cortesia ma… ecco…io…
Oh, ciao Zoey!
Zoey pure lei come Simon, arrivava ad un’ora poco ortodossa a scuola.
Aveva in mano un pacchetto di riso soffiato al cioccolato. Quindi era alle macchinette, ecco perché non la vedevo.
Le macchinette.
Il ragazzo-prendo-a-calci-le-macchinette, chissà se lo avrei rivisto.
Ahh, troppi problemi.
Troppo sonno.
Troppa noia.
Troppa scuola.
 
(Aaron)
La mia classe era al piano terra, grandissima fortuna considerato che alcuni avevano le classi al 2° piano.
Arrivai con il mio solito passo saltellante a scuola (non che ci fosse qualche motivo per cui saltellassi, ma era il mio passo abituale) salutai Alessandro e andammo insieme verso la classe.
Ammetto che mentre mi dirigevo verso la classe, camminavo piuttosto…lentamente.
Cercavo lei.
La ragazza che aveva salvato il mio tè.
La ragazza con gli occhi come la notte.
Non la vidi.
Forse non era al piano terra.
Forse era al 2° piano. O al primo.
Eppure, da qualche parte in quella struttura, lei era lì.
 
 
La mia ora preferita a scuola è quella dell’intervallo.
All’intervallo si mangia.
All’intervallo si incontrano gli amici delle altre classi.
All’intervallo copi i compiti che non hai fatto.
All’intervallo c’è Aaron.
 
Avevo scoperto il nome del ragazzo-prendo-a-calci-le-macchinette, perché era venuto lui di persona a dirmelo.
Ci eravamo trovati alle macchinette (che strano), mi aveva visto, gli si erano allargate le pupille e mi aveva sorriso.
“Ehi, ciao ragazza-salva-tè”.
“Ciao ragazzo-prendere-a-calci-le-macchinette-è-figo”.
Rise.
Oh, dio. Era bellissimo quando rideva.
Quel ragazzo era un suono. Tic…tic…boom.
Esplodeva con la sua bellezza in quell’atrio grigio e cupo.
Mi offrì un caffè, e ci mettemmo al bar a chiacchierare. Scoprii che lui aveva la classe al piano terra. Che fortuna! Io ero al secondo piano! 55 scalini ogni mattina!
Mentre eravamo lì, a bere il nostro caffè passarono delle sue ex compagne di classe, che ora erano in classe con me. Lo salutarono, lui si girò e fece loro un cenno di saluto. Poi si rigirò verso di me, arrossendo.
“Compagne di classe…”
“Oh, lo avevo intuito”
“Come..?”
“Sono in classe con me” dissi sbuffando.
“allora devi avere una pazienza assurda”
“mi limito ad ucciderle nella mia testa 3 volte al giorno.”
Rise di nuovo.
Abbiamo trovato l’ottava meraviglia del mondo : la risata di Aaron.
Girava il cucchiaino nel suo caffè a vuoto, con lo sguardo basso.
Decisi di esaminarlo al meglio.
Aveva le ciglia lunghe, delle folte sopracciglia scure, occhi verdi che da vicino brillavano ancora di più, qualche piccolo brufolo sulla faccia (era perfetto comunque!) e la mascella squadrata.
I suoi capelli stavano perfettamente dritti, senza gel ne niente:
Erano color cioccolato alle nocciole.
Le unghie mangiucchiate e qualche callo sulle mani.
Probabilmente suonava qualche strumento.
Aveva un fisico tonico, e dei perfetti muscoli che venivano ancora più evidenziati dalla maglietta celeste che indossava.
Mi guardò alzando un sopracciglio e sorridendo.
Oh Jesus, si era accorto della radiografia che gli avevo fatto?
Abbassai lo sguardo e mi sorrise dolcemente.
Suonò la campanella.
Maledizione, sarei rimasta a fissarlo per giorni.
Si alzò timidamente : “Ci vediamo in giro, Sarah” sentire il mio nome uscire da quella sua bocca rosea e perfetta mi fece venire i brividi.
“Ci conto, Aaron”.
Mi sfiorò la mano e se ne andò.
Era tutto così semplice.
Così caldo.
Tutto così…Aaron.



E siamo già al 3° capitolo di Crical Acclaim~
Grazie a tutti quelli che continueranno a seguire la mia storia ^^

Nightmares!

-Heaven
 


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Capitolo 5
*** Let it burn. ***


                                                                                                                                                              Critical acclaim
 

4 capitolo,      

Let it burn.
       
 
“Lascialo bruciare”, esatto, caro mondo. Brucia da solo.
 

Un giorno richiamarono tutte le classi terze nell’aula magna, per discutere di qualcosa-che-non-mi-importava, quindi mi sedetti vicino a Simon, e iniziai a farlo ridere parlando della prof di storia ultra 80 e vestita come una 20 enne.
Mentre parlavo con Simon, arrivò Aaron.
“Ehi.”
“Ciao Aaron.”
Simon si girò, ed Aaron e Simon si esaminarono per un attimo.
Uomini.
“Sarah se vuoi restare da sola io.. Vado là.. Dove c’è Zoey” disse voltandosi e cercando Zoey con lo sguardo.
“N-no, nessun problema Simon.” Dissi rassicurandolo.
Aaron mi guardò un po’ incuriosito, ma lasciai perdere. Doveva abituarsi a Simon. Dove c’ero io c’era Simon. O ci prendi tutti e due o non prendi nessuno. Pacchetto all inclusive.
“Piacere, io sono Aaron” disse porgendo la mano a Simon.
“Sì so chi sei…Simon” disse un po’ scocciato.
Ehi, Simon, che fai? “Si so chi sei” perfetto, ora Aaron penserà che parlo solo e sempre di lui.
“Qui è una noia, andiamo a prendere qualcosa da bere?” mi chiese Aaron, sfoderando un sorriso a 32 denti, afferrando il mio imbarazzo.
“Sì… Simon torno subito”
“Si, certo. Come vuoi” disse andando verso Zoey.
Eddai, Simon, non puoi tenermi il muso.
Risucchiata dai sensi di colpa per aver abbandonato il piccolo e indifeso Simon, seguii Aaron alle macchinette.
Mi porse un cappuccino mentre lui beveva una cioccolata calda.
Rimasi per un po’ con lo sguardo nel vuoto.
“Ti và bene il cappuccino?” mi disse, cercando il mio sguardo.
“Eh? Ah, sì sì…scusa..”
“Dai, non dispiacerti per lui. Finisci il tuo cappuccino e poi torniamo la, così sarai più tranquilla”
“Grazie, ma non è colpa tua, è che non mi piace lasciarlo da solo..”
“Beh se ti può consolare ho visto che andava a sedersi vicino alla tua amica”
“Ma Simon sta solo vicino a me” dissi con tono soddisfatto.
“Allora dovrà abituarsi a non averti più tutta per sé…” disse avvinandosi al mio volto sempre di più.
Indietreggiai di un passo, e lui si avvinava ancora di più, non sapevo dove-come-cosa fare, e in quel momento esatto arrivò la professoressa che ci urlò contro per essercene andati.
Aaron si allontanò lentamente da me tenendo gli occhi chiusi e sbuffando, e dicendo alla professoressa che eravamo andati a bere un caffè perché non avevo fatto colazione e non mi sentivo bene.
Sullivan, se la tua amichetta sta male, portala in infermeria invece di star qui a civettare.”
Uè, shura, civetta a chi?
La vecchiaccia mi guardò con aria sospetta, quindi feci finta di star male ed Aaron mi portò in infermeria.
Mi stesi sul lettino, l’infermiera mi diede una coperta e Aaron andò a comprarmi un tè.
C’è da dire che Aaron era fissato con questi tè, ma mi accontentai.
Infondo, bastava il pensiero.
“Ce la siamo scampata…” disse un po’ imbarazzato.
“Oh, ci mancava solo di finire di nuovo nei guai. Io ne ho già passate abbastanza con le bidelle e professori quest’anno!”
Aaron scoppiò a ridere, e la gentile infermiera gli disse che ora doveva andare e lasciarmi riposare.
“Buon riposo, allora.”
“Mi hai fatto un favore, almeno ora potrò dormire un po’. Grazie del cappuccino, del tè e di avermi coperto prima..”
“Grazie a te” disse sorridendo.
Prima di alzarsi mi diede un bacio sulla fronte e se ne andò.
L’infermiera mi guardò.
“Sei tutta rossa. Febbre?”
“Io direi più febbre da Aaron.”
Si mise a ridere e chiuse la tenda che divideva il letto dov’ero distesa dagli altri.
Che dire gente, Aaron Sullivan. Un nome una leggenda.
 
 
(Aaron)
Lasciai l’infermeria con il rammarico di non aver potuto baciare davvero Sarah.
Quella maledetta professoressa. Tutta colpa sua! Mancava pochissimo e avrei potuto sfiorare quelle sue perfette labbra.
Almeno avevo potuto baciare la sua pelle delicata : piccole vittorie Aaron, piccole vittorie.
Mentre entravo nell’aula dove tutti ancora guardavano il solito filmino che mandavano da anni sul sesso/droga/alcol , notai che “Simon” mi guardava con fare circospetto.
Ricambiai lo sguardo e andai a sedermi.
Quando quella lagna di video finì, e tutti uscirono Simon venne verso di me:
“Dov’è Sarah?”
“Si sentiva poco bene, ora sta riposando in infermeria.”
“Stamattina stava benissimo. Che aveva?”
“Mal di testa..stanchezza…starà bene.”
“Vado da lei”
“No, ehi, senti amico, lasciala riposare.”
“Cosa le hai fatto?”
“Non le ho fatto assolutamente nulla. Siccome la prof ci ha scoperti fuori dall’aula, Sarah ha finto di stare male e così non siamo finiti nei casini. Tutto qui.”
“All’intervallo andrò comunque a trovarla.”
Mi guardò un’ultima volta e se ne andò.
Gelosetto, il caro Simon.
Uscii qualche minuto prima che la lezione finisse, così potei andare un po’ prima da Sarah.
Arrivai li e stava dormendo.
Dormiva abbracciando un secondo cuscino, i capelli morbidi e leggermente scompigliati le incorniciavano il viso, era  girata di lato e con le gambe rannicchiate. Era così carina che avrei voluto farle una foto, ma mi sarei sentito un maniaco sessuale se lo avessi fatto.
Suonò la campanella e lei si svegliò.
Buongiorno principessa
“Buongiorno” disse con la voce ancora impastata dal sonno.
Si stiracchiò, scompigliò un po’ i capelli e tornò la Sarah di sempre. O almeno, quella che io vedevo girare per i corridoi della scuola.
Poco dopo arrivò il suo amico, e allora li lasciai a parlare, prima che Simon-se-tocchi-Sarah-ti-ammazzo mi pugnalasse con una siringa.
Guardai Sarah, e le feci un cenno che sarei passato a trovarla più tardi.
Lei mi sorrise dolcemente e piegò leggermente la testa da un lato.
Uscii dall’infermeria, ma il pensiero che lei fosse li dentro con Simon mi tormentava.
Era come una calamita, e io dovevo stare vicino a lei.
Io. Non..quello.
Dopo un 10 minuti vidi uscire prima Simon e poi Sarah.
“Ehi” le presi lo zaino e la accompagnai in classe, mentre Simon stava dietro di noi e ci controllava.
Non mi importava, ora c’ero io vicino a lei.
Lei era mia, e mi prendevo cura io di lei.
Solo io.





Ed eccoci al 4 capitolo ^^
Grazie a tutti quelli che seguono la storia~

Nightmares!

-Heaven

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Capitolo 6
*** Just a beautiful memory. ***


                                                                      Critical acclaim
Capitolo 5
Just a beautiful memory

 
Avevo gli occhi rossi, il respiro affannoso e irregolare, come quello di chi ha appena pianto.
Io avevo appena pianto.
Non che io dimostri sempre il mio lato sensibile, ma nel profondo c’erano delle cose che mi rendevano infelice.
Una di queste, era la morte di James.
Io amavo il suo modo di suonare, di ascoltare, e di capire nel profondo le persone. Come aveva aiutato me, aveva aiutato tanti altri, la maggior parte delle volte senza nemmeno saperlo.
E così, all’improvviso una malattia grave ai polmoni lo portò via.
Portò via forse l’unica persona che aveva capito come andava il mondo, ma non se ne andò con dei rimpianti.
Era soddisfatto, era morto facendo ciò che più amava, ma averlo visto morire poco a poco aveva lasciato una profonda ferita dentro di me, che non guariva, e sanguinava ancora.
 
Arrivai a scuola con gli occhi gonfi, pieni di sonno e lacrime della nottata precedente.
Prima di entrare a scuola mi diedi un’occhiata su una vetrina di un negozio, intravedendo la mia figura, per vedere se ero messa male come credevo.
Nonostante avessi l’aria un po’ trasandata, mi tirai il ciuffo davanti gli occhi ed entrai a scuola con lo sguardo basso.
Non farti vedere, non far vedere il tuo dolore.
Salii le scale, camminai verso la classe e prima di aprire la porta tirai un grosso respiro, ed entrai con un sorriso finto sul volto. Scompigliai i capelli a Simon e mi sedetti vicino a Zoey.
“Stai bene?” mi chiese.
“Sì.. ho solo dormito poco” dissi cercando di non guardarla, e rufolando nel mio zaino.
Zoey mi esaminò per qualche secondo, poi disse risolutiva “hai ancora il segno di una lacrima seccata sulla guancia..” e con la mano cercò di eliminare quel piccolo ma fondamentale dettaglio, che a me quella mattina era sfuggito.
“Ho solo pianto un po’, mi sono sfogata” dissi con l’aria più convinta che avevo.
Zoey probabilmente capì che non avevo voglia di parlarne, e mi lasciò stare.
Quel giorno c’era uno sciopero che al mio diario era sfuggito (altrimenti sarei rimasta a casa a dormire!) e allora ne approfittai per ascoltare un po’ di buona musica e per riposare quel cervello pieno di pensieri.
Simon e Zoey parlarono del più e del meno, fecero i compiti del giorno dopo e si assicurarono che nessuno disturbasse il mio mondo fatto di chitarre, batterie e di luoghi tranquilli.
Avevo bisogno di stare con me stessa, di rimettere a posto i pensieri, ma la scuola non era sicuramente il posto adatto per farlo. Quindi mi tolsi le cuffie, feci un sorriso che voleva dire ‘sto bene, davvero’ e mi misi a parlare con Simon.
L’unico ragazzo che riusciva a capirmi e che non mi aveva mai tradito.
Fino a quando non arrivò un messaggio di Aaron, e vidi una smorfia di disprezzo sul volto di Simon.
“Zoey, faccio un giro, torno subito” le dissi, prendendo lo zaino.
“Puoi tranquillamente dire che vai dal mister seduco-le-ragazze-e-le-mollo-in-infermeria” mi disse Simon, con aria di sfida.
“Sì, vado da Aaron. E non mi ha mollato in infermeria” aprii la porta della classe, mi voltai e vidi Aaron seduto li davanti, con il cellulare in mano che veniva picchiettato sul suo ginocchio.
“Però, sei svelta ad uscire dalla classe” disse alzandosi.
“Non hai lezione?”
“Sciopero”
“Oh, giusto”
“Vieni, andiamo. Ho controllato ai tabelloni, manca la maggior parte dei professori, niente lezione oggi”
Oh, grazie a Dio.
Aaron era come un angelo custode. Nel momento peggiore, ti portava le notizie migliori.
Che in quel momento, significava andarsene da scuola e passare il resto della giornata insieme a lui.
Mandai un sms a Zoey dove le spiegavo che andavo via con Aaron, e mi avviai fuori da scuola insieme a lui.
Mancava solo un bel cavallo bianco, e sarebbe stata una favola. Ma al posto del cavallo bianco mi accontentai del pullman che ci portò in un parco in cui passammo buona parte della mattinata, sdraiati sull’erba a prendere il sole di Aprile.
“Sai, tra un po’ è il mio compleanno” disse improvvisamente.
“Oh. Buon compleanno allora” gli dissi, porgendogli una margheritina.
“Spiritosona”
“Goditi questa bella mattinata, questo caldo sole di aprile e la bellissima margherita che ti ho appena dato” dissi chiudendo gli occhi.
Lui rimase un po’ a guardarmi, e poi disse “sei così semplice, è facile stare insieme a te, non ho bisogno di fingere di essere qualcun altro.”
Lo guardai.
“Ti hanno mai chiesto di essere qualcuno che non sei?”
“No”
“E allora sii te stesso. Garantisci la tua originalità.”
“E tu Sarah, sei davvero così?”
“Trasparente come un bicchiere d’acqua”
“Stamattina ho visto che ti nascondevi il volto, e non guardavi nessuno. Avevi gli occhi gonfi.”
Dannazione. Quando mi ha visto? Perché mi ha visto? Perché IO non l’ho visto?
“Capita. Ho dormito poco.”
“Dormi poco ultimamente”
“Naah, troppi pensieri”
Aaron rimase in silenzio, si alzò, mi tirò su prendendomi la mano e mi portò via da li.
Via da quel prato, che nonostante tutto, non riusciva a scacciare i cattivi pensieri.



Grazie a tutti quelli che seguono ancora la storia ^^

Nightmares!


- Heaven

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Capitolo 7
*** Cancer. ***


                                                                           Critical acclaim
- 6 capitolo
Cancer

 


Dicono sempre che dopo la tempesta viene il sereno. Che dopo un brutto periodo, accadrà qualcosa di bello, che migliorerà la propria esistenza. Io non ci ho mai creduto.
Come il mondo vuole, che se ad una persona accade qualcosa di bello, ad un’altra accadrà qualcosa di brutto.
Solitamente, l’altra persona sono io.

 
 
Non ho mai amato la pioggia. Anzi, non ho mai amato uscire con la pioggia.
Se sei in casa, sotto le coperte e con una buona tazza di cioccolata calda il rumore della pioggia può diventare molto piacevole.
Quel giorno ero andata a fare un giro per i negozi insieme a Cole, giusto per sgombrare i pensieri. Non che fare shopping mi aiutasse molto, ma almeno uscivo di casa e passavo un piacevole pomeriggio.
Certo, un piacevole pomeriggio finché non è arrivato un forte temporale, ed ovviamente io e Cole eravamo senza ombrello.
Ci siamo rifugiate in un negozio, sperando che smettesse, ma niente.
C’era da prendersi un malanno non da poco, ad uscire sotto quella tempesta.
Ma cosa potevamo fare? Restare 8 ore in un negozio? Assolutamente no.
Il nostro giro dei negozi non era ancora finito, e io non volevo tornare a casa.
Ma sì, facciamo una follia : camminiamo sotto la pioggia persistente, al massimo ci prenderemo una polmonite.
Così io e Cole ritornammo a camminare per strada. Ammetto che quella pioggia era fastidiosa, e la sensazione di bagnato sulla mia pelle era a dir poco insopportabile.
Pessima idea.
Per fortuna nel centro della piazza dei negozi, c’era un porticato, così potemmo camminare tranquillamente e stare all’asciutto.
Entrammo in un negozio di musica dove comprai il nuovo CD dei Green Day, poi andammo in un negozio di accessori dove mi comprai delle mollette per i capelli e infine comprai dei plettri giusto per soddisfazione personale. Volevo comprare un ombrello, ma a quel punto sarebbe stato inutile: eravamo bagnate fradice.
Cole dovette andarsene prima, perché sua madre si trovava in centro e per fortuna sua, l’avrebbe riaccompagnata in macchina. Insistette per darmi un passaggio, ma rifiutai cordialmente. Non volevo tornare a casa. Solo perché avevo i vestiti completamente bagnati e perché diluviava come se ci fosse il nubifragio universale, non significava che dovevo buttare quel pomeriggio piovoso in casa.
Così mi andai a sedermi dove c’erano delle panchine, sotto la pioggia.
Ora era meno forte di prima, ma pioveva comunque.
Sentivo il freddo entrarmi nelle ossa.
Vibrò il cellulare: “ehi Americana, che fai? -” non feci in tempo a leggere tutto il messaggio, che il cellulare si spense. Dio no! Era nuovo quel cellulare! Essendo nella tasca dei jeans, si era bagnato, e quindi probabilmente si era fritta anche la batteria al suo interno.
In quel momento arrivò un venditore ambulante di ombrelli, che mi diceva “compra signorina, compra!” sventolandomi una ventina di ombrelli davanti al naso.
Uè, Mohammed, non vedi che sono bagnata fradicia? Che me ne faccio di un ombrello?
Cacciato il presunto venditore di ombrelli, ripensai a ciò che avrei dovuto affrontare tornando a casa.
Mia madre, che mi aveva detto di non rivolgerle più la parola per motivi ancora a me sconosciuti, o forse per la mia presunta arroganza che non mi abbandonava mai.
O forse perché dovevo smetterla di piangermi addosso, e di realizzare che James non sarebbe tornato da me, neanche se avessi pianto tutte le notti della mia vita.
Però io piangevo ancora, tutto quel dolore dentro mi me mi stava facendo a pezzi.
Le persone che la mattina sorridono, sono quelle che piangono la notte.
E ve lo assicuro, è vero.
Alcuni non si fanno problemi a farsi vedere mentre piangono, io è una cosa che non sopporto: non potrei mai mettermi a piangere davanti a qualcuno. Nemmeno davanti al mio migliore amico.
Non voglio che mi vedano crollare, che vedano il mio dolore, o che vedano la parte peggiore di me.
Quindi, piangere la notte era l’unica soluzione che mi rimaneva.
Mio padre non voleva assolutamente che io fossi un’artista nella vita, non voleva che io suonassi, che dipingessi, che inseguissi i miei sogni. Diceva che i sogni ormai erano finiti nel bidone, e che ci dovevamo adattare. Io non mi volevo adattare. Non sarei mai andata in ufficio a imbustare lettere e a ricevere gli ordini da un presunto “capo”, che era il capo solo perché era lì da più tempo di me.
No, io non lo avrei fatto.
Quindi, con la famiglia contro di me, stare fuori casa era la soluzione migliore.
Anche se si trattava di dover stare sotto la pioggia e di prendermi un malanno.
Non avevo mai riflettuto abbastanza sulla mia vita, ma mi accorsi in quel momento che da quando ero tornata a Heaventon, le cose non avevano fatto altro che peggiorare.
Forse ero io, forse era il mondo, o forse qualcos’altro, ma avrei solamente voluto che tutto tornasse com’era prima.
Jackie era lontana, e io avevo solo bisogno di lei, che malgrado tutto riusciva ad apprezzare ogni mio lato, ascoltandomi in silenzio per poi accarezzarmi la testa e dicendo “ci sono qua io con te, zucchero”.
Iniziai a piangere, un po’ per la nostalgia un po’ per la tristezza che mi seguiva come un’ombra.
“Ehi, ma sei tutta bagnata” era una voce familiare.
Alzai la testa, e mi ritrovai davanti Aaron che mi fissava con aria perplessa.
Sperai con tutta me stessa che quelle gocce che mi rigavano il viso fossero gocce di pioggia, e non gocce di cuore. E sperai soprattutto che Aaron non le notasse.
“che ci fai qui? Sotto la pioggia poi…” fece cenno per allungarmi la mano, ma io rifiutai quella mano e mi fiondai tra le sue braccia. Non mi importava cosa sarebbe successo, cosa avrebbe pensato, cosa io avrei pensato. Mi strinsi a lui e basta.
Lui non disse nulla, mi abbracciò e basta.
Guardai quei suoi profondi e caldi occhi verdi, e infine mi resi conto di cosa avevo fatto.
“brutta giornata?”
Notò le lacrime sul mio volto. Le asciugò, mi prese per mano e mi riaccompagnò a casa.
Beh, infondo non poteva piovere per sempre.




Ed eccoci qua col 6 capitolo!
Scusate se ho tardato tanto a pubblicarlo, ma un po' non avevo e idee e un po' non avevo tempo.
Spero comunque che soddisfi tutti ^^
Grazie ancora a chi segue la storia :D


Nightmares!

-Heaven
 

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Capitolo 8
*** My medicine ***


Critical Acclailm



Capitolo 7

My Medicine.

 

Un improvviso odore di muschio e pini mi svegliò. 
Mi svegliai in un letto che non era il mio.
In una stanza che non era mia.
In una casa che non era mia.

 

Aaron

Non so se la cosa più difficile fosse ignorare i vicini che litigavano o Sarah che dormiva nel mio letto.
Ero seduto sul divano, la televisione accesa, e l’orologio che scandiva ogni secondo dell’attesa.
Vivevo da solo in quell’appartamento, quindi poteva dormire quanto voleva.

Ero preoccupato per la sua famiglia, non volevo che la sgridassero perché era tornata a casa tardi.
Aveva dei problemi a casa, e lo si notava dalla luce dei suoi occhi che cambiava improvvisamente quando le chiedevi qualcosa riguardante la sua famiglia. 
Era così bello vedere quella luce nei suoi occhi. Avrei fatto qualsiasi cosa per cacciare via i brutti pensieri.
7.30 PM
Dai Sarah, svegliati.

 

Sarah

Non riconoscevo la stanza.
Sentivo solo questo odore di pini.
Infondo al letto c’erano dei vestiti. Indossavo dei pantaloni della tuta e una maglietta. Com’ero finita in quei vestiti? Indossai i pantaloncini rossi e la canottiera nera che giacevano in fondo al letto, ed uscii dalla camera.
Percorsi un lungo corridoio, pieno di quadri interessanti: rappresentavano volti, paesaggi, felicità e tristezza.
Con gioia notai una bellissima polaroid appoggiata su un piccolo mobiletto in legno, la presi in mano esaminandola. Doveva avere come minimo vent’anni, era molto vecchia ma ancora bella. Non resistetti, e la provai. Scattai una foto al corridoio vuoto, pieno di quadri e di fantasmi passati per quella casa.
La polaroid funzionava. La foto era un po’ ingiallita, il che dava un tocco di macabro alla foto. La misi a posto e posai la foto a fianco della polaroid.
Alla fine del corridoio sentii un fantastico profumo di pancake e vidi Aaron giocare con la bottiglia del succo. Perché Aaron cucinava dei pancake? Non era mattina. O almeno così speravo.

“Ciao” dissi. Si voltò di scatto.

“Oh, ti sei svegliata!”

“Così sembrerebbe. C’è un buon profumo che attira il mio stomaco verso di te.”

“Solo il tuo stomaco ti attrae verso di me?” risi.

Mi avvicinai ad Aaron, osservando cosa cucinava. Aveva persino tagliato delle fragole, da mettere sui pancake.

“Come sai che mi piacciono i pancake?”

“A tutti piacciono i pancake”

“Ma io sono fuori dalla massa.”

“Infatti tu mangerai i pancake con fragole e panna montata”

Perché alla fine Aaron, con i suoi piccoli gesti riusciva a farmi sentire meglio.

“Che ore sono?”

“È ora di cena”

“E noi mangiamo i pancake”

“Esattamente” e con un sorriso soddisfatto prese i pancake, le fragole e la panna e ci mettemmo a tavola.

Così, nella nostra semplicità senza dire nulla mangiammo i pancake.
Era una casa semplice, quasi vintage. In un angolo c’era persino una chitarra classica, che dava l’idea di essere scordata, e probabilmente lo era.
Non c’era nessun segno in casa. Nessun passaggio di nessuno, nessun mazzo di chiavi, nessun cellulare. Nulla.
Era una cosa strana, ma allo stesso tempo mi incuriosiva. Dov’erano i genitori? Abitava da solo? Tutto solo? 365 giorni all’anno?

“Ti vanno bene i vestiti che ti ho dato?”

Inizialmente non capii a cosa si riferisse, mi guardai le gambe e realizzai che parlava dei vestiti che avevo trovato infondo al letto.

“Vanno benissimo ma… come ci sono finita dentro quei vestiti della tuta?”

“Beh, eri fradicia e sei crollata subito sul letto..”
“Aaron!”

“Non ho guardato niente, giuro!”

Risi.

“Non ti sei perso niente, credimi.”

“Invece sei bellissima, Sarah.” Arrossii. Non ero abituata ai complimenti, ed Aaron continuava a farmeli. Non erano quei complimenti che ti fanno gli amici per farti sentire meglio, lui…lo pensava davvero.

“Non ci voglio tornare a casa Aaron.”

“Non sei obbligata a farlo. Resta qui, con me.”

Si avvicinò, mi accarezzò dolcemente la guancia, esaminò il mio viso e infine mi baciò.
Fu il bacio più bello e dolce del mondo, senza fretta, senza ripensamenti, ma con tanto desiderio.

“Sarah, resta.”

Non potevo fare altro, e non volevo fare altro.
Aaron era la mia medicina, e io non volevo tornare a casa.
Lui era casa.

 




Saluti dall'autrice:

Dopo tanto tempo, sono riuscita a scrivere il settimo capitolo. Non è niente di che, lo so, ma sempre meglio di niente.
Spero comunque che lo abbiate apprezzato, in attesa dell'ottavo capitolo (se mai ci sarà).
Nightmares a tutti,
Heaven.

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