Sarnek ed Eowin - Storia di un amore impossibile

di Always_7
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo primo. ***
Capitolo 3: *** Capitolo secondo. ***
Capitolo 4: *** Capitolo terzo. ***
Capitolo 5: *** Capitolo quarto. ***
Capitolo 6: *** Capitolo quinto. ***
Capitolo 7: *** Capitolo sesto. ***



Capitolo 1
*** Prologo ***



Grazie a Rayafree, che ha ispirato questa storia
e che mi ha aiutato nella scelta del nome della
sacerdotessa, non citato da Licia Troisi nei suoi libri.


     


     


       ì





Sarnek ed Eowin- Storia di un amore impossibile
 

Prologo



-Tra poco verranno a prendermi.
Non era una domanda né un’esclamazione. Un dato di fatto. Una semplice constatazione, che nascondeva, pero’, una nota di malinconia.
Sarnek sospirò sconsolato, accarezzando i mobili capelli della donna, sparsi sul suo petto.
-Scappiamo.
La ragazza alzò la testa, per incontrare i suoi occhi di un azzurro profondo quanto l’oceano. Non era la prima volta che se ne usciva con certe affermazioni. Eowin sapeva che non potevano fuggire: era troppo rischioso. Nessuno fugge dalla Gilda. Non vivo, almeno.
-Ci uccideranno.
-E se non darai alla luce un bambino, uccideranno te.
Ribatté pronto Sarnek.
-Ma non voglio che tu muoia.
Le lacrime rigarono il volto della fanciulla.
-Se tu muori, morirò anch’io, dilaniato dal dolore.
Aveva gli occhi lucidi anch’egli e tentava di mantenere un tono fermo, per non turbare ulteriormente la sua Eowin.
Questa gli stampò un bacio sulla fronte, nel momento in cui gli Assassini sbatterono violentemente i pugni contro la porta.
-Tempo scaduto. Tra cinque minuti scatterà il coprifuoco.
Sarnek sfiorò ogni centimetro del suo corpo, mentre questa lo ricopriva con la veste da sacerdotessa.
Sul punto di uscire dalla stanza, si voltò, guardandolo negli occhi e accarezzandosi il ventre.
-Dai, forse questa è la volta buona.





Miss Gale allo sbaraglio:
Perdonatemi la brevità, ma si tratta solo di un prologo.
Prometto che i prossimi capitoli saranno più lunghi ;)

Buona lettura,
MissGale.

Grafica made by Lady_Juliette.

 

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Capitolo 2
*** Capitolo primo. ***


Sarnek ed Eowin - Storia di un amore impossibile. 


Capitolo primo.

Occhi verde smeraldo lo fissavano. Sembravano interrogarlo o, forse,… accusarlo. Ma di cosa? Continuavano a penetrargli l’anima, a scandagliarla alla ricerca di un qualcosa che non avrebbe saputo definire. Impugnò l’arma, quel pugnale che tante volte l’aveva accompagnato nelle sue opere.
Con un fluido movimento scivolò sulla morbida pelle di quel giovane.
La candida pelle si chiazzò di rosso.
Una boccetta si riempì di liquido vermiglio.
“A Thenaar, Padre dei Vittoriosi, in attesa dei suoi giorni”.
Bevve.
E la Morte abbandonò la dimora di quel qualcuno di cui non conosceva neanche il nome. Un qualcuno con una vita, una famiglia, probabilmente. Un qualcuno che, forse, aveva solo parlato troppo. Un qualcuno che aveva firmato la sua condanna a morte.
Un Perdente.
Con la medesima indifferenza con cui aveva compiuto il suo compito, si lasciò l’ormai freddo cadavere dietro di sé.
La Casa lo attendeva. Il regno delle  tenebre,  dove di lì a poco si sarebbero compiuti i riti sacrificali.


L’eccitazione era palpabile. L’odore ferroso del sangue impregnava le narici. Le voci dei Vittoriosi invocavano all’unisono Thenaar. Gli animi sempre più scalpitanti, sempre più impazienti.
E Sarnek muoveva meccanicamente le labbra, guardandoli interrogativo. Per la prima volta, si chiese: perché? Perché uccidere una persona ed offrirla ad un dio? Un dio che se ne fregava altamente di ciò che accadeva nel Mondo. Se davvero c’era un qualcuno o un qualcosa che regolava il Mondo, questo era certamente un sadico. O, altrimenti, perché non potevano vivere? Perché erano costretti ad andare incontro alla Morte, che non sdegnava certo di accogliere tra le sue braccia nuove anime? Anima. Poteva dire di averne di averne una? Seppure avesse avuto un’anima, l’omicidio l’aveva corrotta a tal punto che… Si ritrovò a sorridere mestamente. Buffo: attorno a lui regnava morte, sangue e distruzione. E lui si ritrovava a parlare di anima. Ma se lui non ne aveva una, lei, lei sì. Era luce. Luce che brillava in un regno di tenebre. Luce che lo aveva illuminato. Gli aveva aperto gli occhi e grazie a lei aveva compreso il perché: perché  la sua vita non lo appagasse, perché non trovasse nell’assassinio, nel compire il volere di Thenaar il suo scopo di vita, perché non trovasse conforto nel dio.
Lui non apparteneva a quel mondo. Loro non appartenevano a quel mondo. E presto lo avrebbero abbandonato. Presto avrebbero cominciato a vivere.
 
Sentiva Sarnek che continuava a fissarla come fosse una torcia nell’oscurità di una grotta. Come lui, pronunciava meccanicamente le preghiere e il pensiero era diretto a lui, ai loro incontri brevi e saltuari. E in particolare a quello.
 
Sentiva il suo respiro caldo sul collo. I corpi nudi, sudati, ansanti. Combaciavano  alla perfezione. Sembravano stati creati apposta. Chissà, magari un dio che vegliava su di loro c’era. Ma davvero le importava? L’unica cosa fondamentale in quell’istante era lui. Lui lì con lei. Lui dentro di lei. Lui che…
- Ti amo.
Impiegò qualche secondo per assimilare quella confessione. Cercò di catturare il suo sguardo, ma quegli occhi azzurri in cui tante volte si era specchiata le sfuggivano. Improvvisamente scivolò fuori. Fuori da lei. Fuori dal loro mondo. Fuori da quel piccolo angolo di 
normalità, che si erano costruiti con tanta fatica.
Si ostinava a non guardarla, mentre con lentezza esasperante rivestiva la candida pelle dei panni dell’Assassino. Né tantomeno lei era in grado di proferire parola: non aveva ancora compreso fino in fondo quanto era uscito involontariamente dalla bocca di Sarnek. Ti amo. Aveva detto di amarla. Ma cosa significava? Amare. Aveva un suono dolce, ma pericoloso. E sulle sue labbra diventava così 
attraente. Due parole così comuni eppure così straordinarie. Ma comuni per chi? Non per lei, che non sapeva cosa fosse l’amore: non ne aveva mai ricevuto né ne aveva dato.
Ma poi era arrivato Sarnek: la sua luce, la sua guida, l’unica che sarebbe stata in grado di condurla al termine di quel tunnel infinito, che insieme avevano intrapreso.
Semmai ce ne sarebbe stata una, di fine.
Si chiamava amore tutto quello? Non lo sapeva. Non poteva saperlo. Sapeva solo che quell’uomo all’apparenza così insensibile,indifferente nascondeva un animo dolce che nemmeno lui riusciva a riconoscere e ad accettare. Sapeva che quell’uomo l’avrebbe salvata da quel mondo, da quella vita, da se stessa. Sapeva che 
 lei voleva quell’uomo. E non lo avrebbe lasciato andare per nulla al mondo.


La sua determinazione era rimasta invariata. Anzi, si era rafforzata, se possibile. Con la coda dell’occhio inquadrò Yeshol, quell’uomo che per tanti anni l’aveva intimidita, pur sempre elogiandola.  Eowin la Bambina della Morta. Eowin la prescelta. Eowin la Vittoriosa. Era quello ciò che la Suprema Guardia e i suoi seguaci le avevano sempre detto e continuavano a ripeterle da quando l’avevano strappata dalle mani del padre, dopo che sua madre era morta di parto. Ed in un primo momento, aveva accettato il suo destino. Ne era stata fiera, ma poi…poi aveva compreso. Aveva dovuto toccare il fondo, raggiungere l’abisso, prima di risalire alla luce e trovare una speranza di salvezza.
Aveva avuto due figli fino a quel momento. Due figli che ora venivano addestrati a diventare degli Assassini , dei mostri. Due figli che non avrebbe mai conosciuto. Era quello il compito delle sacerdotesse all’interno della Casa. Era il suo compito come lo era stato della misteriosa sacerdotessa che aveva generato Sarnek.

Entrambe le volte era stata brutalizzata. I Vittoriosi erano violenti, privi di sensibilità, di umanità. Erano peggio degli animali. E come un animale era stata trattata: lei non era una persona, un mezzo, uno strumento nelle loro mani, per sfornare Assassini che avrebbe incrementato le file di Thenaar. O, meglio, Assassini, che sarebbero serviti a Yeshol per un suo misterioso progetto.
Inizialmente aveva sopportato, credendo che quello era il suo compito. Non poteva sottrarsi, ma era stato doloroso, straziante: era stata umiliata, era stata condotta in baratro infernale, che difficilmente avrebbe potuto colmare se non  fosse arrivato Sarnek. Ricordava nitidamente  la loro prima volta. Il loro primo incontro. La sua incertezza , la sua delicatezza. E la meraviglia. La sorpresa per aver trovato un uomo. Un uomo degno di essere definito tale.

-Eowin?
 
 


MissGale allo sbaraglio!

Buonsalve mie cari lettori,
dopo tanta attesa per voi, indecisione per me, ecco a voi il primo vero capitolo della fanfiction. Premetto che è stata dura la stesura di questo capitolo. Ho avuto poco tempo e scarsa ispirazione. O, meglio, troppa, ma allo stesso tempo non abbastanza. Mi spiego: mi ritrovo con quaderni di scuola (da quello di matematica a quello di greco), imbrattati da frasi sconnesse e breve periodi e il mio "abituale" quaderno destinato alle bozza pieno di pagine e pagine con versioni su versioni, una diversa dall'altra, di questo primo capitolo. Detto ciò, vi lascio alla lettura, che spero apprezzerete e commenterete, lasciando una piccola recensione.
Please xD Sono importanti per me: mi aiutano a migliorarmi sia sul piano linguistico che su quello dei contenuti. Accetto anche le critiche!

Buona lettura,
MissGale.

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Capitolo 3
*** Capitolo secondo. ***


Sarnek ed Eowin- Storia di un amore impossibile.


Capitolo secondo.


-Eowin?
Yeshol la richiamò all’attenzione, prima che potesse sprofondare in un nuovo dolce ricordo.
-Mi scusi, mio signore.
E tornò a pronunciare le preghiere rituali più forte e più convinta di prima. Chiuse gli occhi, recitando con passione quegli inni che sembravano aver perso di ogni significato per lei, ma che sembravano incitare sempre più quei Vittoriosi che quasi non riuscivano a contenere l’esaltazione, mentre l’atto sacrificale raggiungeva il suo culmine. L’odore ferroso del sangue le penetrò le narici e un conato di vomito le salì per la gola. Sentiva la statua possente e severa di Theenar girarle in torno. La guardava. Sembrava interrogarla, rimproverarla, accusarla. Di tradimento. Di ripudiare la sua Casa, quella che l’aveva accolta, quella che l’aveva istruirla, educata, quella che le aveva dato una famiglia.
Quella che l’aveva gettata in un pozzo senza via di uscita.
NO. Lei non aveva tradito nessuno, perché quella non era la sua famiglia, ma solo un branco di fanatici.
Lei era diversa da loro. O almeno lo sperava.
 
Sentiva lo sguardo di Yeshol dritto su di lei.
Se avesse capito qualcosa?
Impossibile.
Se avesse sospettato che la sua fedeltà a Theenar e a lui stesso era venuta meno?
Sarebbe morta. E con lei Sarnek.
Non poteva permettere che ciò accadesse.
 
 
-Fatela entrare.
Fece il suo ingresso la sacerdotessa, i lunghi capelli a caderle sulle spalle, gli occhi gentili, quasi…innocenti. Ironico, no? Una Bambina della Morte, accolta dalla Casa ancora in fasce, una neonata che si era macchiata del sangue di sua madre, una prescelta di Theenar, che avrebbe fatto grandi cose di lei. Ne era sicuro. Doveva solo riportarla sulla retta via.
-Voleva vedermi, Yeshol?
Il tono fermo, la voce pacata. Eppure poteva scorgere una scintilla nei suoi occhi profondi quanto un baratro, quello in cui sarebbe sprofondata se non l’avesse salvata. Ma da chi? O, forse, era meglio chiedersi: da che cosa?
-Sì, volevo parlarti. Conosci la mia ammirazione verso di te: te l’ho sempre manifestata. E ho sempre creduto che ti avrebbe atteso un grande futuro come sacerdotessa, come Vittoriosa. Mi dispiacerebbe dover apprendere che tu non possa più essere definita tale
-Non credo ci sia il pericolo, Guardia Suprema.
Un tono di sfida nella sua voce, appena velato da quell’ossequioso rispetto, che i membri della Gilda gli dovevano.
-Non puo’ che rallegrarmi udire queste cose. Ora puoi andare Eowin.
La vide alzarsi e dirigersi verso l’uscita.
-Ah –la interruppe Yeshol, prima che potesse raggiungere l’uscita- ti ho vista particolarmente assorta oggi durante il sacrificio. Sono immensamente contento della tua crescente fede. Vedrai che Theenar ti sarà riconoscente.
Sul suo viso candido comparve un sorriso di…sfida? O di tensione?
La salutò, lasciandolo solo.
Un rapido cenno ai due Assassini ai lati della porta e questi comparvero al suo fianco.
-Fate come vi ordino.
 
 
Affonda.
Indietreggia.
Schiva.
Finta.
Pungnala.
Schiva.
Affonda.
Indietreggia.
E così via in una danza mortale senza fine. Sembrava un cigno nero, che si librava su un lago di sangue. Quello che avrebbe causato se non si fosse trattato di un semplice allenamento. Negli anni aveva affinato la sua tecnica di combattimento. Era diventato il più silenzioso, il più rapido, il più raffinato.
Perché, nonostante tutto, a lui piaceva. Gli piaceva combattere. Era un’arte a cui aveva dedicato tutta la vita. Fino a quel momento. Cosa avrebbero fatto una volta fuori dalla Gilda? Come avrebbero potuto sopravvivere lui ed Eowin? Lui non sapeva fare niente. A parte uccidere. Era l’unica abilità che aveva appreso, l’unica che gli avevano dato la possibilità di apprendere. Ma davvero voleva consacrare il resto della sua esistenza ad un atto tanto turpe? Perché era un atto indegno l’omicidio. O no? Sacrificare un innocente ad un dio dalla dubbia esistenza era irrazionale. Ma l’assassinio in sé, cos’era? Togliere la vita ad un innocente era inconcepibile, ma se questo era un assassino anche lui? Ma… no. Era così difficile districare quella rete di pensieri ingarbugliati, che affollavano la sua mente. Ne sarebbe mai venuto a capo? Aveva bisogno di Eowin. Ancora una volta.
 
 
Due tunnel. Infiniti. Neri come la pece. Ma limpidi come le acque di un lago. Quello in cui era sprofondato, rivelandole tutto  il suo mondo, i suoi continui e irrisolvibili enigmi che la sua mente produceva. 
E lei era lì. Nuda sul suo letto. La candida pelle sembrava illuminare la stanza: l’unica cosa pura presente in quella stanza, anzi, nella sua vita. L’unica cosa razionale. L’unica che capiva, senza bisogno di perdersi nei meandri più oscuri della sua mente. La sua certezza.
-Tu non sei una persona malvagia. Io ne ho conosciute di persone cattive, crudeli, senz’anima. Tante mani mi hanno toccata, tanti bisogni ho dovuto soddisfare. Mi hanno sporcata dentro e fuori. Ora: io sono nuda davanti a te e sono perfettamente cosciente di non esserti poi così indifferente. Tuttavia, non mi stai neanche sfiorando.
Riuscì a strappargli un debole sorriso, ma continuava a non capire dove volesse giungere.
-Tu, Sarnek, conosci qualcosa, che qui dentro ci si conquista solo con la violenza e la prepotenza: il rispetto. Io sono certa che tu non oseresti toccarmi senza il mio consenso.Io so che saresti incapace di violentare la mia anima o il mio spirito.
Una lacrima rigò il suo volto e le prese il viso tra le mani come a chiederle il permesso. E poi  congiunse le sue labbra a quelle morbide e rosee di Eowin. La sentiva vicina. I loro corpi, i loro animi, i loro pensieri. Tutto combaciava come le tessere di un puzzle: separati, ma destinati a formare una cosa sola. Alla fine.
 
Una nuova determinazione  l’aveva investita. Avrebbe dovuto preoccuparsi, indagare, prendere qualche precauzione. Invece, l’incontro con Yeshol l’aveva fortificata se possibile. Aveva compreso la minaccia velata di quelle parole di elogio: lui sapeva. O quantomeno avrebbe fatto il possibile per sapere. Perché doveva possedere il controllo su tutto e tutti. Doveva mantenere quella rigida gerarchia che vigeva nella Casa. Non poteva permettere che qualche tassello venisse meno. Il suo mondo sarebbe crollato. Mentre con passo leggero attraversava i silenziosi corridoi della Casa, un sorriso di sfida si disegno sul suo volto: avrebbe combattuto per il loro amore e per la loro libertà, perché, in fondo, erano due facce della stessa medaglia. Il suo viso tornò ad essere una maschera di indifferenza, quando raggiunse le altre sacerdotesse.
Provava quasi pena nei loro confronti. Loro non sapevano. Loro erano ancora imprigionate in quell’ampolla di convinzioni e di dogmi imposti loro e non si erano mai interrogate sulla loro veridicità o sulla loro fondatezza, non avevano mai provato a mettere in moto gli ingranaggi. No, erano ferme nella loro pigrizia ed ignoranza, fisse in un ruolo imposto loro da qualcun altro.
Rabbrividì. E riprese a pestare quelle erbe, che sarebbero servite alla Guardia dei Veleni per i suoi strano intrugli.
Erano ormai le sette quando la chiamarono per compiere il suo dovere, quel dovere che aveva da tempo assunto i caratteri di un piacere irresistibile e irrinunciabile.
E solo quando si ritrovò nel suo abbraccio caldo, si sente finalmente libera. A casa. E solo in quel momento pensò di capire, finalmente, cosa fosse l’amore.




MissGale allo sbaraglio:
Salve mie cari. Non posso che essere strafelice del successo che ha riscontrato il primo capitolo di questa fanfiction, che sta prendendo anche me in modo incredibile. Di tanto in tanto, una nuova idea che preme per essere messa su carta fa capolineo nella mia mente. Ed io, ovviamente, non posso che esserne contenta. Per quanto riguarda il capitolo che avete appena letto, la sua stesura ha duramente messo alla prova i miei nervi. Più che altro, ero pervasa da una sorta di ansia e timore e incontrollabile. Avevo e continuo ad avere paura che non sia all'altezza del precedente. Ma spero che voi siate gentili e possiate perdornarmi e darmi nuove idee e consigli da applicare ai successivi capitoli, per potermi migliorare. 
Le psicologie dei personaggi si vanno via via delineando, la storia procede un po' a rilento, ma, per il momento, le sto dando poca rilevanza. Anche perché, purtroppo, sappiamo tutti quanti come finisce la vicenda.
Detto ciò, ci vediamo al prossimo capitolo!

MissGale.

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Capitolo 4
*** Capitolo terzo. ***


Sono tornata. Sembrava impossibile, ma ce l'ho fatta! E torno con un capitolo che non mi convince poi così tanto, ma che ero stanca di tenere per me. Quindi, voilà! Anyway, miei cari, grazie a tutti voi che seguite e recensite la mia storia. Prometto che risponderò a tutte le recensioni v.v  Non pensavo di riceverne così tante e sono parecchio esaltata *-*
Un'ultima cosa e vi lascio alla lettura del capitolo! Stavo pensando di trovare dei volti a miei personaggi e non mi dispiacerebbe avere qualche opinione da voi! Non siate timidi xD
Al prossimo capitolo, 
Running_
 
Sarnek ed Eowin- Storia di un amore impossibile.


Capitolo terzo.



-Sarnek, cosa aspetti?
-Uccidilo.
Sai qual è il modo più rapido: devi solo impugnare l’arma e traffigergli il cuore.
-Sarnek, cos’hai?
 
Le voci giungevano lontane, echi confusi.  E non coglieva il senso di quelle parole, non vedeva gli Assassini che lo incitavano ad uccidere. A macchiarsi del sangue di un innocente. Galleggiava in una realtà parallela. Vedeva solo bianco , luce immensa, che poi ad un tratto si chiazzò di vermiglio e un corpo ferito, dal torace perforato da una freccia gli comparivano davanti. Ma lui non voleva. Non voleva assistere a quello scempio. Non voleva essere costretto a fissare quegli occhi lucidi, imploranti una pace che Sarnek non voleva concedergli. Era un egoista, sì. Non poteva macchiarsi ancora, ancora e ancora. Non voleva ucciderlo e berne il sangue come una bestia assetata.  Non era una bestia. Non voleva essere una bestia. E non avrebbe voluto vedere il suo braccio protendersi  davanti a sé, il suo polso ruotare, la sua mano avventarsi su quell’ammasso di carne, il suo pugnale concedergli quella pace che tanto agognava.
L’assordante tintinnio del metallo macchiato di sangue gli ferì le orecchie. I suoi passi taciturni varcarono la soglia di quella realtà in cui non volevano mai più disseminare terrore, sangue, morte. Il fine fiuto avvertiva il puzzo della morte, a cui era fin troppo abituato. Le iridi chiare cercavano, indagavano, si domandavano. Gli arti immobili, disgustai da se stessi, dal loro agire, da quel pugnale lurido, che aveva lasciato scivolare sul pavimento freddo.
E corse. Corse nel gelo della notte perenne. Solo le lacrime bollenti a riscaldargli il viso e la fioca luce della luna a illuminare il suo cammino verso la perdizione. Si fermò solo quando giunse alla riva di un fiumiciattolo. Si accasciò sull’erba umida e si sporse verso il fiume. A guardarlo un uomo, anzi un ragazzo, dal viso scavato e le pupille dilatate dalla paura. Allungò una mano verso il suo riflesso, accarezzandogli  la guancia come avrebbe fatto una madre o un padre. Chissà chi erano. Chissà se erano ancora nella Casa. Chissà. Magari li incontrava tutti i giorni tra quelle mura senza sapere chi fossero. Ma… seppure li avesse conosciuti, sarebbe cambiato qualcosa? Erano anche loro degli Assassini. Come lui. E come sarebbe dovuto diventare suo figlio. Eh no. Questo non poteva accadere. Non doveva accadere. Suo figlio avrebbe dovuto avere un destino diverso. Suo figlio avrebbe conosciuto i suoi genitori. Suo figlio avrebbe vissuto.
All’indifferenza aveva sostituito lo sdegno, all’incomprensione la decisione: avrebbe dato un vita vera ad Eowin e a suo figlio. Affondò la testa nell’acqua gelida, quasi a purificare la sua anima dalle tante atrocità che aveva compiuto fino a quel momento.
Sentì di essere diventato uomo. Aveva compreso cosa fosse il male, ma ancora non sapeva cosa fosse il bene. Forse non c’era. Forse l’umanità era dominata dal dolore e la via di scampo non ci sarebbe mai stata, perché l’uomo è male e causa morte e sofferenza qualsiasi cosa faccia.
Eowin. Un nome. Un viso. Due occhi limpidi apparvero nella sua mente. Il bene esisteva, perché Eowin era luce. E in quel momento prese veramente coscienza del significato di quella parola che continuamente ritornava alla mente quando aveva davanti  a sé l’amata. Perché quella donna era stato l’inizio di tutto. Aveva innestato in lui una bomba, che l’aveva scosso, l’aveva turbato nel più profondo dell’anima , ma solo in quel momento era esplosa.
L’immagine del corpo insanguinato e ferito del giovane che aveva ucciso balenò nuovamente nei suo pensieri. Si costrinse a ricordare lo smarrimento e la paura. La sua e quella della sua vittima. E poi il disgusto e lo sdegno per se stesso e per la sua opera.
Non sarebbe mai più accaduto ed era ora che quella che era solo una proposta sussurrata tra le lenzuola divenisse realtà e quella sera stessa avrebbe affrontato Eowin.
Ora, pero’, cosa avrebbe fatto dei Vittoriosi? Come avrebbe giustificato il suo comportamento? Avrebbero detto tutto a Yeshol e il prossimo animale da macello sarebbe stato lui. Senza alcun dubbio. E se avesse scoperto un qualche collegamento, avrebbe fatto la sua stessa fine anche Eowin.
Restava una sola cosa da fare: eliminare le prove e i testimoni.
Due Assassini in meno non avrebbe fatto alcuna differenza. Anzi, avrebbe reso il mondo meno sporco.
Con passo deciso si avviò da dove era venuto, da quel luogo macchiato di sangue, di violenza, di morte.
Entrambi chini su quel corpo ormai immobile. Stavano compiendo quei riti che avrebbe dovuto fare lui.
-Sarnek.
Pronunciò il suo nome a fior di labbra. Gli occhi fissi su di lui. In quelle pupille dilatate da terrore o dalla confusione poteva leggerci un interrogativo inesprimibile. Perché qualcosa l’aveva intuita. Qualcosa doveva sapere.
Un motivo in più per ucciderlo.
Continuò a procedere lentamente verso il compagno, il cui sguardo si era posato sul pugnale, quello ancora sporco che aveva raccolto da terra entrando.
-Sarnek, cosa…?
 
I passi leggeri la conducevano verso le piscine, dove avrebbe potuto abbandonarsi all’abbraccio dell’acqua calda e accogliente. Dove avrebbe potuto finalmente pensare ed estraniarsi da quella cruda realtà, seppur circondata dalle altre sacerdotesse, di cui sapeva di non doversi preoccupare. Si spogliò delle vesti e scivolò nella piscina, chiudendo gli occhi e liberando  la mente di qualsiasi pensiero e preoccupazione.
Ma sembrava impossibile. Immediatamente il viso di Sarnek con i capelli scompigliati e gli occhi sorridenti galleggiò nell’universo buio e infinito che era la sua mente.  Fu accompagnato da un’altra figura, più piccola: aveva gli occhi chiari e limpidi di Sarnek e dei boccoli scuri e lucenti ad incorniciargli il volto innocente e gentile. Suo figlio. Loro figlio. Quello che non avrebbero mai avuto. A causa sua. Sua e del suo inutile corpo. Perché? Perché quell’ipotetico dio di cui tutti lì dentro parlavano le aveva riservato un destino così crudele? Perché il suo compito su quella maledetta terra era finito? Perché sarebbe dovuta morire ora che aveva riscoperto cosa significasse vivere?
Perché?
Basta. Basta. Basta. Il tempo dei piagnistei era finito. La sua decisone l’aveva presa. E tutti i dubbi andavano cacciati. Ma… se li catturavano? Per lei il pericolo era nullo: era morta in ogni caso. Ma Sarnek? Non poteva permettere che egli morisse, ma neppure poteva lasciarlo lì.
Diamine!
Si prese la testa fra le mani e spalancò gli occhi di scatto come a cercare una risposta nascosta tra quelle mura. Quasi rimpiangeva il giorno in cui quel dannato uomo era entrato nella sua vita.
 
E’ più giovane degli altri due. E anche più carino. Ma, in fondo, non le importava, perché sa che è come gli altri. Selvaggio. Crudele. Incurante di lei. L’importante è godere e sfornare “nuovi Vittoriosi per Thenaar”.
La guarda. La sta studiando. O forse sta pensando a tutto quello che avrebbe potuto farle. A tutto quello che le farà. Perché di certo non chiederà il suo consenso. O il suo parere. Si immagina loro due seduti. L’uno di fronte all’altro a discutere di come sarebbe interessante sperimentare una determinata posizione. Scoppia a ridere. Una risata amara, roca. Di chi non ha più nulla da vivere. Nulla da cui trarre godimento.
L’Assassino piega la testa di lato e apre la bocca, ma dalle sue labbra non esce nulla. Solo un sospiro.
Perché non agisce? Perché non la afferra e non la piega sul letto, penetrandola fino a farle male?

 
Perché lui era diverso. Più che altro lui era normale.
Ora lo sapeva e si maledì  di aver pensato una tale atrocità poco prima.
Sarnek si era dimostrato uomo, ma era sicuro di quella scelta avventata che avevano preso in una dolce notte di follia? E lei lo era? Dov’era finita quell’infinita sicurezza che aveva provato nei giorni precedenti dopo il sacrificio e l’incontro con Yeshol?
 
-Eowin, ho in mente una via di fuga perfetta.
Lo sguardo della ragazza era indecifrabile. Che avesse cambiato idea? Che non lo amasse più? Che volesse rimanere in quella gabbia di bestie feroci e assatanate per l’eternità?
-Sarnek, io non posso chiederti un sacrificio così…
Non fece in tempo a terminare la frase che quello la soffocò con le sua labbra morbide, calde, invitanti, delle labbra che cercavano di trasmetterle un senso di sicurezza.
_Basta. Tu meriti una vita. Nostro figlio merita una vita.
-E anche tu Sarnek. Ribatté lei carezzandogli la guancia appena ricoperta da un’ispida barba rossiccia.
-Io… io non lo so se lo sono. Io non so neanche più chi sono. So solo che non voglio essere più un assassino.
E il suo pensiero ritornò  a quanto stava per accadere quella mattina: quello che credeva un Vittorioso assetato di sangue e vendetta si era rivelato un essere umano.  Egli aveva compreso. O meglio…cercato.  E forse poteva dire di aver trovato un amico.
-E  allora, quale sarebbe quest’idea?

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Capitolo 5
*** Capitolo quarto. ***


Salve cari lettori,
perdonatemi il leggero ritardo. Avevo in programma di aggiornare prima, ma, comunque, ecco qui il capitolo, dedicato in buona parte ad un'avventura del Sarnek bambino. Spero apprezzerete e commenterete la storia in molti, sapete che i vostri consigli sono sempre d'aiuto!
Buona lettura,
Always_7







Sarnek ed Eowin- Storia di un amore impossibile.

 

Capitolo quarto.

Una figura nera sbucò fuori e fu subito abbagliata dalle numerose stelle che brillavano nella notte perenne. I passi taciturni scivolavano sull’erba fresca di rugiada. Tastavano il terreno. Indagavano ogni centimetro. Studiavano tutte le possibili vie. Penetrarono, poi nella fitta boscaglia, tentando di scoprire quanto fosse profonda. E solo dopo averne individuato la fine, ritornarono indietro, fino a raggiungere il principio da cui erano venuti.
Attento a non far cigolare i cardini di quella porta che aveva trovato anni prima quasi per caso, la figura nera ritornò nell’ambiente acre e oscuro della Casa.
 
Ingoia con avidità la zuppa bollente e strappa un morso al pane nero. In nemmeno cinque minuti, il suo piatto è vuoto. Sospira soddisfatto: dopo una mattinata di allenamento, ha un gran bisogno di rifocillarsi.
Quest’oggi ha impugnato per la prima volta un pugnale e si è dimostrato il migliore del gruppo. E ne è orgoglioso, felice. E’ la prima volta che è bravo in qualcosa. Ed è la prima volta che vengono riconosciuti i suoi meriti. “Thenaar ha acquistato un grande Assassino. Diventerai un buon Vittorioso se continui così, Sarnek”, gli ha detto il maestro d’armi. Lui e il pugnale sono un cosa sola. Una macchina perfetta: un ragazzino dal corpo scattante e appena scolpito dai muscoli che volteggia nella stanza con un pugnale che taglia l’aria con la leggiadria di una farfalla.
La soddisfazione più grande è stata l’invidia dipinta sul volto di Joy. Quel pallone gonfiato. Si crede il migliore solo perché ha ucciso un brigante quando aveva sette anni. Che poi dicono che l’abbia solo fatto inciampare e che questi abbia sbattuto su una pietra. E da quel momento è  stato accolto nella Casa, assieme alla madre. Pare che Yeshol l’abbia voluta come sacerdotessa. Chissà perché. Del padre non parla mai, Joy. Magari è morto o magari è un Assassino come il suo. Magari è un Vittorioso della Casa. Un Vittorioso come suo padre. E chissà chi è suo padre. Ogni tanto gli pare di riconoscere tra le file dei Vittoriosi uno che gli assomiglia, ma poi scuote la testa. Non gli importa. Il suo unico padre è Thenaar, quel dio misterioso, che pregano e cui sacrificano sciocchi Perdenti. Così gli hanno insegnato.


Aspetta che i compagni finiscano il pasto e poi si recano insieme al tempio, sotto la statua grande e possente del dio. Gli incute un po’ di timore, ma pensa sia giusto: in fondo Thenaar è onnipotente ed onnisciente. E’ il dio. Ma è anche giusto e misericordioso: tiene in conto la fedeltà e la riverenza dei suoi Vittoriosi e punisce i Perdenti, gli infedeli che non riconoscono la grandezza di Thenaar.
Sarnek non ha mai visto un Perdente, se non i Postulanti che lavorano nelle cucine. Non ha mai messo piede fuori dalla Casa. Non ha idea di cosa ci sia. Ed è avido di notizie, ma le uniche risposte che ottiene, quando osa chiedere qualcosa in merito al mondo esterno è: “sono solo Perdenti, non ti devono interessare”. E si accontenta di guardare quegli angoli di boscaglia che compaiono davanti a loro, quando i possenti portoni di metallo del tempio si aprono, per accogliere al suo interno quei Perdenti in cerca della salvezza.


Continua a recitare quelle preghiere che gli hanno fatto imparare a memoria, senza chiedersene il significato. E tira un sospiro di sollievo, quando giungono al termine. Un paio d’ore di riposo, prima delle altre lezioni.
Fuori dal tempio attraversa quei corridori, che conosce a memoria: li percorre da ben dodici anni ormai.. E’ sul punto di entrare nella sua stanza, quando ode un fruscio alle sue spalle. Si volta ed ecco che un lembo di veste nera scompare dietro l’angolo, senza che sfugga, però, alla sua vista.
Chi sarà mai la figura misteriosa?
Agisce senza riflettere. La mano scivola via dal pomello della porta. Ed il ragazzino si appiattisce lungo il muro, imitando quella figura nera, che aveva avvistato poco prima. Senza produrre alcun minimo rumore, un passo dopo l’altro, avanza lungo il corridoio stranamente vuoto di Assassini. Si guarda intorno: la figura nera non c’è più. Magari non c’è mai stata. L’ennesimo demone prodotto dalla usa mente.
Eppure…eccolo! Schiacciato contro il muro dal colore scuro, rivede quella che pensava un prodotto della sua fantasia. Sono ormai giunto vicini ad una porta. Una porta che non hai mai visto prima: in effetti non si è mai spinto a tal punto nelle profondità della Casa. Appena la figura nera apre la porta, uno spiragli di
Mondo si presenta davanti ai suoi occhi. La figura scompare e la porta si richiude alle sue spalle, così come quell’angolo di natura verde e pulita.
Proseguire o tornare indietro?
Continua a camminare fino alla porta misteriosa. Avvolge il pomello. Lo ruota. Ed ecco che quel meraviglioso spettacolo si manifesta nuovamente davanti ai suoi occhi. Guarda estasiato. Si riempie gli occhi di quel paesaggio così normale che costituisce, però, una novità per quel ragazzino rimasto chiuso per dodici anni in quella
prigione, in un universo alternativo, basato su principi e convinzioni strane, malate. Ma il piccolo Sarnek, cresciuto lì dentro, non ne è cosciente. La Gilda è la sua famiglia, quella mura sono la sua Casa. Eppure si sente soffocato alle volte. Mentre, ora, davanti a quel bosco, alla luna, alle stelle della Terra della Notte, puo’ respirare.
Muove qualche passo. Non ha una meta- Vuole solamente assaporare ogni porzione di quello spettacolo così nuovo.
Ad un tratto gli sembra di vedere qualcuno che lo osserva. Forse è la figura nera. Solo in quel momento ritorna alla realtà. Dovrebbe stare più attento: di certo non dovrebbe trovarsi lì, in quel momento né in nessun altro. Meglio tornare indietro o avrebbe fatto una brutta fine.
Un rumore. Un suono strano. Mai  sentito prima. Un ruggito, forse? Un verso animale. Di questo è sicuro. Da dove proviene? Si guarda intorno. Un bagliore. E’ un attimo, ma riesce ad individuarne la fonte. Si volta verso destra e prosegue con cautela, fino a raggiungere l’origine di quel breve sprazzo di luce. Ed eccone un altro. C’è una finestra e dentro un… cos’è? Un mostro? Un…? Si alza in punta di piedi, fino ad aggrapparsi al cornicione, fino a che non vede un…drago. Un drago! Di quelli di cui parlano nei libri. Quegli animali mitici dal dorso scattante, dalle ali grandi e leggiadre al tempo, dai grandi occhi grandi e rassicuranti.
E’ il primo che vede. Chissà, magari un giorno avrebbe potuto cavalcarne uno. Quello davanti ai suoi occhi ha il dorso ricoperto da scaglie verdi e gli occhi di un viola talmente profondo. Ha i brividi: è una creatura così affascinante, ma sofferente. Si sporge: ha le catene. Ed ecco la figura nera. Agita le braccia. Sembra pronunciare qualcosa. E il drago strizza gli occhi, contrae i muscoli. Vorrebbe entrare lì e sottrarlo a quella pena straziante che pare subire, ma la figura ora si volge esattamente nella sua direzione. E’ un attimo. Non ha il tempo di pensare: scivola via e corre. Ritrova la porta e rientra nella
sua Casa.
Appoggia la schiena lungo il muro e respira. Lentamente. Confuso ed estasiato al tempo, cerca di assumere un aspetto normale e rientra nella sua stanza. Mancava appena mezz’ora prima della lezione nel tempio.

 
-Allora, qual è quest’idea?
E Sarnek le raccontò la sua esplorazione di quella mattina di ritorno dalla sua missione notturna.
-E come sapevi di quell’uscita? Gli Assassini non passano mai di lì.
-E’ una storia molto lunga.
-E non puoi…
Le fermò il respirò con un bacio.
-No, non posso. Vorrei trascorrere il mio tempo con te in altro modo.
Sarnek sorrise.
Eowin sorrise.
Sarnek non sorrideva mai.
Sarnek non rideva mai.
Sarnek non era mai stato così felice.
Sarnek non era mai stato così vivo.
E lo lasciò fare. Si lasciò spogliare. Accarezzare. Baciare. Si lasciò prendere. Gli occhi dell’uno cercavano quelli dell’altra. Sfuggivano, giocavano, fino ad abbracciarsi, ad incatenarsi così come i loro corpi, assetati d’amore, di sicurezza, di libertà, di voglia di vivere.
Si rivestirono in silenzio. Il sorriso che non abbandonava le loro labbra. Erano invasi da una nuova speranza: non tutto era perduto.
Sarnek avvolse le sue mani esili tra le sue, più grandi, ruvide. Le lasciò un dolce bacio sulla guancia.
-La via di fuga l’abbiamo trovata. Dobbiamo solo aspettare il momento più adatto.
-Forse, ho la soluzione.
Dei pugni sbattevano sulla porta.
-Devi andare Sarnek. Ora tocca a me agire.
Un lungo bacio prima di lasciarla. E fu sola.
Si lanciò sul letto, affondò la testa nel cuscino e scoppiò a ridere. Era così esaltata, felice. Non si era mai sentita così: poteva avvertire il calore che le scorreva nelle vene. Lo stesso calore che le bagnava le guance. Piangeva. Rideva e piangeva. C
osa le stava accadendo?




 

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Capitolo 6
*** Capitolo quinto. ***



Sarnek ed Eowin- Storia di un amore impossibile


Capitolo quinto.

«Oh, mia cara, qual buon vento?»
«Mio signore, non sono mai stata così felice di vederla»
«Eppure non si direbbe». Il tono duro, fermo, posato. Gli occhi di entrambi sfrecciavano. Si incatenarono. Brillarono. Di odio, di sfida, di tensione.
«Cosa glielo fa supporre, Guardia Suprema?». Voce civettuola, cristallina, stridula. Tanto che fece rabbrividire ella stessa. La mano si strinse attorno al metallo freddo nascosto sotto la veste, un gesto che non sfuggì al suo interlocutore, che sorrise. Le sue labbra si piegarono verso l’alto, mostrando i denti bianchi affilati, quasi zanne velenose, pronte a strappare via, a consumare carne umana, viva, fresca, giovane. La fissò a lungo, spogliandola di ogni protezione o barriera ricoprisse la sua pelle.
E rise. Rise vittorioso. Un riso malvagio, maligno, malato.

Il battito cardiaco scandiva gli attimi, rimbombando nel torace. Le lenzuola l’avvolsero in una morsa feroce. Spalancò gli occhi nell’oscurità della stanza. Rizzò la schiena e avvertì una goccia di sudore rigarle la fronte. Dilatò le pupille, cercando nel buio un appiglio che la riportasse alla realtà. Si toccò le gambe, risalendo a tastoni fino al petto che si gonfiava al ritmo del cuore. Era stato un sogno, un incubo, il peggiore. Tornò a distendersi sulla brandina, nascondendosi sotto le lenzuola, come a proteggersi da un demone, a celarsi da una realtà fin troppo malvagia.

Qualche ora dopo il calore dei raggi solari la ridestarono da quel sonno che era riuscita a riprendere confortandosi con l’immagine di un’altra figura, più positiva del demone che l’aveva turbata.

Compiva meccanicamente quei gesti, divenuti ormai abituali: pestava erbe, sminuzzava bacche, preparava boccette. Impiegava, però, più tempo del necessario nella speranza che quell’ora potesse non giungere mai. Avrebbe dovuto occuparsi dei nuovi arrivati: prima i neonati e poi quei ragazzini che la Gilda raccoglieva e sottraeva alle loro vite come anni prima avevano fatto con lei.
Yeshol sapeva.
Altrimenti non l’avrebbe sottoposta a quella prova di fedeltà: educare ragazzini, plasmare giovani menti secondo le loro convinzioni, aprire a dei semplici bambini le porte di un mondo da cui non sarebbero mai usciti, un mondo sbagliato che li avrebbe fatti precipitare in un fosso privo di qualsiasi spiraglio di luce.
E la prova Eowin l’aveva superata. Non aveva avuto la capacità di imporsi e, forse, la possibilità non l’avrebbe neanche avuta. I Vittoriosi erano sempre lì e alla sua vita teneva fin troppo per fare l’eroina: era una vigliacca o aveva semplicemente seguito il buon senso?
Ora che la Guardia Suprema era stata accontentata, avrebbe potuto rifugiarsi nel tempio vuoto di Assassini. Si poggiò sulla panca di legno, prendendosi il volto tra le mani. Guardò la statua del dio avanti a sé, quel sorriso rassicurante agli occhi alcuni, inquietante agli occhi di altri.
«Cerchi qualche risposta, mia cara?».
Sussultò appena al suono di quella voce metallica. Non volse lo sguardo verso l’uomo né lo degno di una risposta.
«Sembri piuttosto concentrata». Quell’uomo da cui voleva fuggire continuava ad emettere suoni che avrebbe preferito ignorare. E che avrebbe fatto se Yeshol non avesse deciso di farle compagnia in un ora di intense preghiere. Al termine di queste, quando era in procinto di abbandonare il tempio, l’uomo la prese per un polso, costringendola a guardarlo negli occhi.
«Ascoltami, Eowin». La donna volse lo sguardo verso di lui, fissando curiosa quello sguardo sinceramente paterno. Il suo tono era gentile, calmo, pacato. E la sua espressione era bene diversa da quella che aveva assunto quella notte nel suo incubo: più umana.
«Di qui a pochi giorni si svolgerà una celebrazione più importante delle altre, sarà presente il re della Terra del Sole, mio valido alleato. Ho bisogno che tutti eseguiate i miei ordini alla perfezione» Non era certo la prima volta che il re prendesse parte ai loro sacrifici, perché quella volta sarebbe dovuto essere diverso? Yeshol sembrò capire il suo smarrimento.
«Sarà l’inizio di una nuova era, l’inizio di qualcosa importante al punto tale da cambiare radicalmente le nostre esistenze. E tu avrai un compito preciso».
 

Raccontava a Sarnek del colloquio avuto con Yeshol e notava il suo sguardo dubbioso.
«Che hai?»
«La cosa non mi piace»
«E invece è tutto perfetto. Devo sfilare con l’ampolla per il corridoio principale del tempio e metterla poi al sicuro in una teca contenuta nello studio di Yeshol: non vuole che qualcuno la trovi, importante com’è per qualche strano rito. Basta che tu ti dilegua mentre i Vittoriosi cominciano ad alzarsi, incitati da Yeshol a raggiungere le piscine di sangue ai piedi della statua. Ci sarò tanta di quella confusione che non noteranno la nostra assenza, almeno all’inizio, e avremo il tempio necessario per fuggire. Io non vedo intoppi.»
«Io sì. Quadra tutto fin troppo bene!»
«E non riesci a credere che finalmente le cose possano iniziare ad andare bene?»
Avevano quasi cominciato ad urlare tanto che si premette una mano sulla bocca come ad indursi a tacere. Poi, con voce fioca, continuò: «Perché hai paura di essere felice? Hai cambiato idea? Non mi vuoi?»
«Non è questo il punto, lo sai.» Ribatté con fermezza, innervosito. «E se fosse una trappola? Se Yeshol avesse capito qualcosa? Ci sta offrendo la via di fuga su un piatto d’argento!» Esclamò con un filo di voce, mentre cominciava a torturarsi le mani, ansioso.
«No, è impossibile. Si fida di me, l’ho letto nei suoi occhi. Ha testato la mia fedeltà, ho superato la prova. Che bisogno avrebbe di tenermi ancora in vita, altrimenti? Se avesse capito le  nostre intenzioni, sarebbe già qui con un spada alla mano e due Assassini ai lati, pronti a trascinarci nel tempio e a sgozzarci davanti a una folla curiosa. Diventeremmo la dimostrazione che niente e nessuno può sfuggire al suo controllo. Ma evidentemente non è così».
«Forse hai ragione tu»
«Direi di sì»
Un sorriso rassicurante sul volto stanco. Prima di convincere Sarnek aveva dovuto convincere se stessa, trovare un appiglio a cui aggrapparsi. E si illudeva di averlo trovato piuttosto che ammettere che quei dubbi che attanagliavano Sarnek erano gli stessi che l’avevano tormentata dopo lì incontro con il sacerdote. Perché Yeshol non faceva mai nulla senza una ragione. E forse il motivo per cui le aveva affidato quell’incarico era esporla maggiormente al pericolo. E se il problema fosse stato solo nella sua mente? Le piaceva credere fosse così. Doveva credere fosse così. Voleva credere fosse così. Ma era giusto spingere anche Sarnek ad illudersi con lei? Se il loro piano fosse fallito? Avrebbe messo in pericolo la vita di entrambi.
Beh, almeno sarebbero morti insieme.


La guardò allontanarsi nella sua veste nera, che spiccava sulla pelle diafana. Sarnek non riusciva ad arrendersi a quell’illusione che sembrava, invece, aver risucchiato Eowin. Il desiderio di libertà sembrava sopraffarla. Eppure… eppure come faceva a non darle ragione? Dove avrebbe trovato la forza di sottrarsi ad un sogno tanto affascinante? Non poteva semplicemente arrendersi e crederci?

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Capitolo 7
*** Capitolo sesto. ***


Salve! 
Non ve lo aspettavate, dite la verità! Ho pubblicato due capitoli a distanza di pochi giorni. Ecco, mi dispiace essere scomparsa per molto tempo, ma gli ultimi mesi di scuola sono stati un inferno tra compiti ed interrogazioni. Per questo ho cercato di farmi perdonare. Ecco, la storia è giunta ormai al culmine, prevedo un piccolo epilogo con il quale ho intenzione di ricollegarmi al libro. Spero che questo viaggio che avete deciso di intraprendere insieme a me vi abbia soddisfatto. Sarei immensamente felice se mi lasciaste qualche recensione per comunicarmi le vostre emozioni, impressioni, critiche e suggerimenti. Prometto che non vi farò attendere troppo per l'ultimo capitolo. Detto ciò, arrivederci e buona lettura!
Always_7






Sarnek ed Eowin- Storia di un amore impossibile


Capitolo sesto.


La mappa della Casa davanti ai loro occhi. L’avevano realizzata dopo giorni di indagini al fine di ricostruire tutte le possibili vie nascoste e passaggi segreti che avrebbero potuto rivelarsi utili. Una linea rossa segnava il cammino di Eowin e una blu l’affiancava a partire da quello che era lo studio di Yeshol. Insieme proseguivano attraverso uno stretto corridoio fino a quella porta che avrebbe segnato la loro salvezza. Ogni particolare era curato nei minimi dettagli. Tuttavia Sarnek non riusciva a sentirsi tranquillo. Non riusciva ad accettare l’idea che potesse filare tutto liscio. E non aveva la forza di confidarsi con Eowin, non quella volta. La ragazza sembrava animata da un fuoco che lui non aveva intenzione di spegnere con le sue ansie, forse anche legittime . Perché se si fosse rivelata una trappola, avrebbe messo in pericolo la vita di entrambi. Ne valeva la pena? Scosse il capo mentre con un flebile sorriso guardava Eowin, tutta intenta a sistemare la loro mappa e a fantasticare su tutto quello che avrebbero visto fuori da quella prigione. Gli occhi brillavano di una luce nuova e le gote apparivano più rosee: era più viva. Come faceva ad ucciderla?
Le carezzò un braccio, continuando ad ascoltare i suoi vaneggiamenti circa una casa nella Terra delle Acque con tanto di giardino fiorito e bambini scorazzanti per le vie di qualche paesino pacifico. E la lasciò andare senza distoglierla da quell’illusione, mentre lui ritornava, invece, nel suo mondo grigio e malinconico. Nella realtà.


Mancava un giorno a quella celebrazione che avrebbe decretato il suo successo sotto vari punti di vista. Yeshol fissava la statuetta del dio, poggiata sulla sua scrivania mogano e sorrideva soddisfatto. Se tutto fosse andato secondo i piani avrebbe rabbonito quello sciocco re, inducendolo a credere di essere diventato il suo braccio destro nella scalata verso il potere, e punito quei traditori che strisciavano per i corridori della Casa da troppo tempo, ormai. Ramnos si era dimostrato fin troppo utile, confidando i suoi dubbi sullo strano cambiamento di Sarnek, rivelandogli la sua indecisione nel compiere il suo dovere, il dovere che imponeva quel dio che sembrava non temere più come quando da bambino si accovacciava nel tempio ai piedi dell’imponente statua della divinità, per fissarla con gli occhi grandi di ammirazione e il cuore palpitante per la paura e rispetto al tempo. Aveva sguinzagliato i suo fedeli Vittoriosi e aveva scoperto quello che, purtroppo, aveva intuito da troppo tempo ormai. Due pecorelle erano uscite dal gregge ed era troppo tardi per far sì che ritornassero ai loro posti. L’unica soluzione era eliminarli.
 

«Domani sarà il gran giorno, Sarnek. Ci pensi che saremo liberi? Finalmente…» Terminò con voce sognante, ma si incupì, quando incontrò lo sguardo vuoto dell’uomo, seduto davanti a lei a gambe incrociate su quel letto logoro, protagonista dei loro incontri nell’ultimo anno.
«Io, tu, noi… dobbiamo parlare» Sospirò sconsolata alle parole di Sarnek, poggiando una mano sulla sua gamba, mentre il suo entusiasmo veniva intaccato. «Cosa c’è?» Chiese, allora, pronta a sorbirsi tutti i suoi dubbi.
«Non possiamo fuggire. E’ troppo pericoloso, il nostro piano non si regge in piedi, è privo di fondamento. E’ una fantasticheria e basta. Chi ci assicura che ad aspettarti nell’ufficio di Yeshol non ci saranno degli Assassini? Come facciamo a sapere che tutte le entrate e le uscite non saranno controllate? A maggior ragione che la cerimonia è in pompa magna e saranno presenti anche il re e i suoi consiglieri! Se, se… Puo’ accaderci di tutto! Non abbiamo fatto abbastanza indagini e Yeshol è un uomo pericoloso, di cui è difficile intuire i pensieri. Chi ti dice che non è tutta una farsa? Che domani mattina non spunterà nelle nostre stanze per trascinarci al tempio? Magari le vittime sacrificali questa volta saremo noi e  non qualche sciocco Perdente che spera di poter essere salvato da un dio sanguinario!» Avrebbe continuando all’infinito, vomitando tutte le insicurezze che aveva accumulato quei giorni, se Eowin non si fosse premuta le mani sulle orecchie, rifiutandosi di ascoltare oltre.
«Stai zitto. Devi smetterla. Vuoi capire che andrà tutto bene? Non può accaderci nulla di male! O forse vuoi continuare a vivere in questa prigione?» Sarnek la fissò, senza riuscire ad emettere suono nella vana ricerca di qualcosa che potesse convincerla a desistere e a tornare in sé, ma continuava a parlare, imperterrita, senza voler sentire ragioni. «Dillo che hai cambiato idea. Tu  sei quello che ha buttato giù l’idea, tu quello che mi hai dato la speranza che avremmo potuto decidere e costruire un destino diverso,  tu quello che giorno dopo giorno hai fatto in modo che io credessi in un sogno, in una vita nuova, in una vita vera. Ed ora? Vuoi togliermela via? Ora vuoi abbandonarmi? A me non interessa. Io domani farò quello che devo fare e ti trascinerò via con me, perché non ho alcuna intenzione di lasciarti qui dentro. Forse tu non te ne rendi conto, ma ti stai spegnendo a mano a mano. Diventerai uno di loro, se rimani qui, ma io ti salverò. Perché non posso salvare l’umanità, ma una persona sola sì»
E Sarnek la fissò con lo sguardo lucido, incapace di proferire parola. I suoi pensieri erano confusi, le sue emozioni contrastanti impossibile da decifrare. Solo questo uscì fuori dalle sue labbra, flebile come la luce di una candela che va affievolendosi: «Tu non devi morire» Gli occhi vacui, le guance ormai umide.
«Non morirò. E nemmeno tu. Te lo prometto»Parlavano sotto voce, ormai, dopo essersi attaccati negli ultimi minuti, arrivando quasi ad urlare.
E l’aveva lasciata andare. Non aveva avuto la forza di fermarla. Il piano non era per nulla sicuro e mancavano ormai poche ore alla sua attuazione. Di certo non poteva lasciarla da sola: l’avrebbe salvata. Anche a costo della sua vita.


Le ore sembravano non passare mai, però, nel buio dello sua stanza. Non riusciva a chiudere occhio né a tranquillizzarsi. Il cuore continuava a battere imperterrito, ma non riusciva a sentirlo veramente. Non sentiva nulla. Era come fermo in una sfera di cristallo, sospesa a cento metri sopra il cielo, mentre guardava dall’alto la Casa. Immaginava gli Assassini che dormivano tranquilli nei loro letti, Yeshol che ordiva i suoi piani nell’intimità delle sue stanze e poi Eowin, la sua dolce Eowin che non riusciva a svegliarsi da quel sogno in cui lui stesso aveva fatto sì che si immergesse al punto tale da dimenticare quale fosse la realtà. Era colpa sua, sì. Come sempre. E avrebbe cercato in qualche modo di risolvere la situazione: se non era riuscito a distogliere la sacerdotessa dall’immane proposito, avrebbe almeno fatto in modo che il piano andasse per il meglio. A questo punto, tanto valeva crederci. O no?
 
Si dirigeva nel tempio come un Vittorioso qualsiasi, incastrato in quella massa ordinata di Assassini, rigidi nelle loro vesti nere. Ad attenderli, Yeshol in persona. Dopo un discorso pomposo su quanto quel momento si sarebbe rivelato importante per loro e per la Storia, li invitò a sistemarsi nei loro posti, pregando nella propria intimità il dio, in attesa che il re facesse il suo ingresso nel tempio. E sembrava che questi non avesse intenzione di giungere: un altro personaggio egocentrico, appena salito al potere, desideroso di acquisirsi il favore di uno degli uomini più spietati e amorali del Mondo Emerso.
E intanto Sarnek fissava Eowin, ai piedi dell’imponente statua, immobile nella sua veste scura e concentrata nel suo piano. Poteva vedere lo sguardo fisso su un punto qualsiasi del pavimento e intuiva che il suo pensiero andava a ciò che avrebbe dovuto compiere di lì a poco. Si lasciò scappare un sospiro e si maledì ancora per non aver avuto la forza di distoglierla prima, per averla gettata in quel viaggio senza avere alcuna guida. Andavano incontro a morte certa. Ma, in fondo, la loro fine non era sempre stata quella?
 

La celebrazione era finalmente iniziata all’arrivo del sovrano, accolto con tutti gli onori dalla Guardia Suprema. Eowin seguiva tutto nei dettagli, senza far scappare alla sua vista anche il minimo gesto del sacerdote. Guardò con orrore quelle due donne,  quasi certamente madri, giunte lì nella speranza di salvare i loro figli, venire sgozzate davanti ad una folla trepidante di Assassini, eccitati alla vista del sangue umano che zampillava dai loro colli pallidi.  Soltanto il forte desiderio di libertà, quell’attaccamento alla vita che sembrava aver riscoperto in tutto il suo valore, fecero sì che non muovesse alcun muscolo per fermare quello scempio e salvare quelle donne, che, tuttavia, apparivano felici di morire. Delle espressioni serene erano dipinte sui loro volti, mentre i corpi morti venivano trascinati via. Poteva portare a tanto l’amore? L’amore per un figlio poteva essere davvero così forte? E lei lo avrebbe mai scoperto? Se tutto fosse andato per il verso giusto, se loro si fossero salvati e  se per qualche assurdo motivo il destino le avesse concesso un figlio, forse sì. Forse in quel caso sarebbe riuscita a comprendere quanto grande e potente fosse il sentimento di quelle donne per i loro figli.
Ma ora non aveva tempo per fantasticare. Ora era giunto il momento di agire.
Un passo dopo l’altra l’avevano condotta verso un punto di non ritorno.
Un passo dopo l’altra l’avevano condotta in un luogo di morte, sangue e distruzione.
Un passo dopo l’altro l’avrebbero condotta via, lontano da quel luogo di morte, sangue e distruzione.
Teneva in alto, davanti a sé, affinché tutti potessero mirarla, quella boccetta tanto speciale, che conteneva a suo avviso solo sangue. Compì il tragitto che era stato prefissato, uscendo dal tempio ed imboccando il corridoio diretto allo studio di Yeshol. La porta era già aperta e la teca, dove avrebbe dovuto riporre quel tesoro tanto prezioso era lì sulla scrivania in bella vista. La mise al sicuro e la chiuse a chiave. Mai suono fu più soave alle sue orecchie come il rumore di quella serratura. Il suono della libertà.  Trionfante si voltò verso l’uscita, nella speranza di trovare Sarnek davanti a lei. E così fu.
Il problema era che aveva compagnia.


Sarnek aveva lasciato il tempio appena aveva visto Eowin raggiungere la fine della navata. Era strisciato tra gli Assassini nella speranza di passare inosservato. E così sarebbe accaduto se non avesse trovato Ramnos ad attenderlo . Era accaduto tutto in breve tempo. Questi aveva poggiato l’indice sulle labbra, intimandogli di fare silenzio , conducendolo per i corridori. Ma, una volta raggiunto lo studio di Yeshol, aveva sguainato fuori il pugnale, puntandoglielo alla gola. Aveva cercato di opporsi, ma era un valido combattente e non sarebbe stato semplice sfuggire alla sua morsa, rimanendo illeso. Era stato un duro colpo, più all’animo che al corpo. Perché aveva creduto di potersi fidare. Aveva pensato di aver trovato un amico durante l’ultima missione, quella in cui lui stava per fallire, quella in cui era stato aiutato da quelli che riteneva essere diventati dei validi alleati. Ma era stato ingenuo: nella Casa non c’era posto per il sentimento.
Ed ora aveva davanti a sé gli occhi di Eowin, quegli occhi che non avrebbe rivisto mai più, quegli occhi scuri, profondi, ma limpidi e luminosi allo stesso tempo, quelli in cui ci si era specchiato tante volte, quelli di cui si era innamorato. Perché  se nella Casa i sentimenti non esistevano, tuttavia, lì dentro aveva conosciuto l’amore, aveva conosciuto Eowin. Quella Eowin che sembrava ancora intenta a salvarli entrambi, mentre metteva una mano sotto la veste e tirava fuori un pugnale.
«Eowin, non ti muovere». La intimò, allora, Sarnek. Non lo sapeva maneggiare, sarebbe finita male. Ora toccava a lui agire. Approfittò di un gesto della donna, che distrasse l’Assassino, per liberarsi con un fluido movimento e porsi davanti a lui, pugnale alla mano. Con il braccio invitò Eowin a ripararsi dietro la sua schiena e, almeno per quella volta, la ragazza sembrò ascoltarlo.
Cominciò un affronto con il compagno di armi, volteggiavano nella stanza, colpendosi e schivando colpi, tralasciando qualsiasi forma di correttezza. E provvidenziale fu l’intervento della ragazza, che lanciò il suo pugnale alla cieca, colpendo il Vittorioso alla gamba. Sarnek guardò sconcertato la donna e si avvicinò al suo avversario. Lo guardava dall’alto in basso. Si sentiva potente: era lui da avere in mano la situazione, ora. Ma non lo uccise. Perché lui era diverso. Non era come loro e finalmente l’aveva capito.
«Dai, Eowin, andiamo via» La incitò Sarnek, prendendola per mano e trascinandola via verso la loro uscita, quella che avrebbe segnato l’inizio di una nuova vita. Una vita che, però, fu negata ad Eowin. Un coltello spunto fuori dal suo petto, macchiandole di vermiglio la veste. L’urlo gli si strozzò in gola, mentre vide l’artefice di tutto quello: Yeshol. Ramnos era solo un diversivo. Era lui che aveva scoperto il misfatto. Lui era il capo. E lui avrebbe dovuto punire le sue pecorelle smarrite. Si guardarono negli occhi, Yeshol e Sarnek. Il primo mostrando sprezzante il suo orgoglio, il secondo pietrificato dalla scena a cui aveva assistito. Gli occhi vuoti, privi di vita della sua Eowin ancora fissi, impressi nella sua mente.
«Eri un bravo ragazzo» Cominciò Yeshol, mentre la mente del ragazzo riattaccava la spina e cominciava a macchinare una possibile via di fuga. Il corpo di Eowin era lì ai suoi piedi. E non sapeva cosa fare. Il pugnale macchiato di sangue, per via delle ferite inferte al suo avversario, era ancora nelle sue mani e se il suo animo l’avrebbe spinto ad un gesto tragico, fu l’istinto di sopravvivenza a prevalere.
«Finita in anticipo la celebrazione?» Il tono era sprezzante, quasi ironico e la voce simile al sibilo di un serpente. Poi, tutto accadde in un attimo. Lanciò il pugnale, senza avere intenzione di uccidere, ma il gesto distrasse Yeshol. Furono, quegli attimi, fondamentali alla sua salvezza. Fece appena in tempo a raggiungere la porta, prima che Yeshol e i suoi Vittoriosi lo raggiungessero. A quel punto si inoltrò nella fitta boscaglia e se ne persero le tracce per molto tempo.






 

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