Victoria's Memories. Il Regno dei Demoni

di Kirara_Kiwisa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** La parata ***
Capitolo 3: *** Abrahel ***
Capitolo 4: *** Victoria, sei anni dopo ***
Capitolo 5: *** Il marchio ***
Capitolo 6: *** Moloch ***
Capitolo 7: *** Salem ***
Capitolo 8: *** Chiamami ***
Capitolo 9: *** Il suono della fiducia che si spezza ***
Capitolo 10: *** Isaac ***
Capitolo 11: *** Il figlio del Re dei Demoni ***
Capitolo 12: *** Qualcosa di nuovo ***
Capitolo 13: *** La scelta sbagliata ***
Capitolo 14: *** Il sapore delle tenebre ***
Capitolo 15: *** La vendetta ha lo stesso colore dei draghi del nord ***
Capitolo 16: *** Il sangue della Regina ***
Capitolo 17: *** Mi accorsi che tutto doveva ancora iniziare ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Victoria's Memories.

Il Regno dei Demoni




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A Marta M.



Prologo
  
 

Vi racconterò di quando l’oscurità scese sul nostro mondo. Vi mostrerò i fatti antecedenti alla nostra venuta.
Accadde quando ancora quegli spregevoli esseri umani vivevano sulla Terra.
Quando le streghe usavano i loro patetici poteri per cambiare il mondo e le ali delle fate brillavano in cielo.
Quando ancora non eravamo stati abbandonati da Dio.
Accadde tanto tempo fa.
In questi anni sono state promulgate molte versioni riguardanti la scomparsa della luce.
La più comune è che ci fu un’unica, epica, battaglia fra bene e male e che tutto si concluse con la nostra vittoria. E’ una menzogna, tutto è stato più complicato e allo stesso tempo molto più semplice. Dopo tanti anni ancora non passo notte a non pensarci, io me lo ricordo bene.
Alla fine di tutto non fu necessaria nessuna battaglia ma una sola persona.
Lo so perché sono io la responsabile.
Io mi chiamo Victoria e sono colei che consegnò il mondo ai demoni.

 

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Capitolo 2
*** La parata ***


Ero fuggita di casa molte volte prima di allora, tuttavia non mi ero mai spinta oltre la foresta che segnava i confini del regno. 
Per noi streghe era proibito entrare nelle terre dei demoni, io però non sono mai stata famosa per seguire le regole. Quella sera, comunicai in anticipo a mio padre e alla sua famiglia la mia prossima fuga.
- Domani vado alla parata-
Affermai con furore entrando nella sala da pranzo mentre erano riuniti a tavola.
Quattro sedie, quattro piatti, quattro porzioni per le cinque persone che abitavano sotto quel tetto.
Il suono di una pentola in lontananza sanciva la cottura del secondo. Il rubinetto del lavandino perdeva qualche goccia d’acqua. Questi, assieme alle mie parole, ruppero il silenzio.
Non destai molto scalpore, mia cugina alzò le spalle e tornò a mangiare. La piccola figlia di mio padre posò per un attimo la forchetta di plastica, per osservarmi e farmi la boccaccia. Sua madre sbuffò, stufa di ascoltare le mie numerose sciocchezze.
- Quella dei demoni?-
Domandò il capofamiglia con calma, senza distrarsi molto dalla sua cena.
- Sì, quella della famiglia reale. Ho letto che si svolgerà domani-
- E’ vietato-
Ricordò mio padre.
- Non mi importa-
Dichiarai fermamente cercando di incrociare i suoi occhi, di incontrare lo sguardo che quell’uomo non posava mai su di me.
- Io vedrò il Regno dei Demoni-
Accennò ad una risata, per poi soffocarla immediatamente. Deglutì il boccone compostamente, pulendosi la bocca con il tovagliolo prima di tornare a parlare.
- Almeno cerca di non tornare, stavolta-
Affermò, senza neanche alzare la testa dal piatto.
- Farò quello che mi pare-
Ribattei con impertinenza, incrociando le braccia.
- Non è colpa mia se non trovo un’altra casa. Nessuno vuole accogliermi-
- Ti sei mai chiesta perché?-
Domandò acidamente Priscilla, la seconda moglie di mio padre.
Ci pensai attentamente, effettivamente gli umani avevano dei buoni motivi per temermi.
- Io voglio conoscere i demoni-
Sbottai, decisa a portare a termine quell’impresa fino in fondo.
- Voglio vederli con i miei occhi.
- Non mi importa quello che fai-
Ammise l’uomo che mi aveva messa al mondo, arrendendosi al fatto che comunque non sarebbe riuscito ad impedirmelo.
- Ti ho rinnegata da tempo-
Ricordò duramente.
- Da quel momento tutto quello che combini non è affar mio. Non puoi più arrecar danno al mio onore-
L’onore. Esso era la cosa più importante per papà. Faceva parte del Concilio delle Streghe, l’organo costituito da vecchi stregoni che governava la nazione. Era un Anziano e per lui avere una figlia come me rappresentava una vergogna.
Non riuscì mai a liberarsi di me, così decise di ripudiarmi, rendendomi solo un’estranea che viveva nella sua abitazione. Una sconosciuta, che non possedeva neanche un posto nella tavola.
- Io parto domani mattina-
Affermai, ignorando le parole dell’uomo.
- Quindi riferisci a quei vecchiacci di non venirmi a disturbare-
- Non ti permettere Victoria!-
Urlò sferrando un pugno alla tavola, degnandomi finalmente del suo sguardo.
Sua figlia minore scoppiò a piangere e la madre fu costretta a prenderla in collo, dirigendosi in soggiorno. Mia cugina si allontanò dalla tavola con il piatto ancora in mano, irritata dalla confusione. Rimasi sola, catturata dagli occhi marroni di mio padre che tentavano di incenerirmi.
- Porta rispetto per il Concilio a cui appartengo!-
Gridò, con ancora le posate in mano. Strinsi i pugni, cercando di contenere la rabbia che provavo. I suoi stimatissimi colleghi avevano condannato a morte mia madre, strappandola da me per sempre. Quei mostri senza cuore non meritavano alcun rispetto.
- Per me il tuo Concilio può morire seduta stante-
Furibondo si alzò di scattò, avanzando minacciosamente. Non mi mossi, lo sfidai guardandolo con i miei occhi d’oro che gli facevano tanto ribrezzo. Non ebbe il coraggio di sfiorarmi, sapeva che, nei migliori dei casi, si sarebbe ferito a causa della mia temperatura corporea troppo elevata. Portavo su di me i segni evidenti della mia diversità, il sangue misto che scorreva nelle mie vene impediva a chiunque di toccarmi e mi donava una perfetta arma di difesa.
- Il Concilio ti ha concesso di continuare a vivere-
Rimembrò l’uomo, con le mani che gli fremevano.
- Dovresti essergli grata-
- Il Concilio mi ha permesso di vivere solo perché non può uccidermi!-
Ribattei, urlando piena di rabbia. Gli Anziani ci avevano provato a togliermi di mezzo, frequentemente e in vari modi. La mia lotta per la sopravvivenza era iniziata fin da quando ne avevo memoria. Al mondo non c’era spazio per gli esseri come me, né per coloro che tentassero di proteggerli. Alla fine ero rimasta sola, io contro tutti.
- Loro ti hanno dato una possibilità-
Continuò l’uomo, rinfacciandomi la loro immensa generosità. Si riferiva all’intenzione del Concilio di fare di me la loro arma da combattimento, mettere al servizio i miei poteri e la mia natura bizzarra per eliminare i loro nemici politici.
- La stessa che diedero a Blanche e che lei accettò-
Affermò orgogliosamente, venerando la memoria della sua figlia preferita, deceduta qualche anno prima.
- Gli Anziani non ti avevano mai chiesto di combattere, mai. Solo alla sua scomparsa ti concessero l’onore di rimpiazzarla-
Sorrisi ripensando alla mia terribile sorella maggiore, divenuta l’assassino personale del Concilio e morta in missione a causa loro. Qualcosa di buono, in fondo, il Concilio l’aveva fatto.
- La possibilità di essere accettata l’hai gettata solo per ripicca-
Accettata. Per essere accettate dagli esseri umani io e mia sorella avremmo dovuto diventare le schiave degli Anziani. Agli occhi di mio padre la virtuosa Blanche lo aveva fatto per quello, non sapeva che aveva stipulato il patto solo per il suo innato gusto di uccidere.
- Non è stata una ripicca-
Replicai.
- Non accetto di essere comandata. Io non uccido su commissione, a differenza sua-
Ci fissammo a lungo, comprendendo che, come al solito, vivevamo in un due mondi completamente diversi. Secondo lui ero io la cattiva, il mostro che si divertiva ad uccidere gli umani senza un permesso legalizzato dalle streghe. Pensavo con la mia testa e rifiutavo l’idea di essere il giustiziere di qualcuno, per questo ero stata ripudiata ed presa di mira dal Concilio.
- Lasciamo perdere-
Sbottai improvvisamente, tentando di calmarmi.
- Parto subito-
Nessuno si oppose all’idea che una ragazzina partisse in piena notte per un regno lontano, abitato da giganteschi mostri feroci e demoni assetati di sangue.
- Cerca di non scatenare una guerra-
Brontolò solamente mio padre, preoccupato che gli potessi arrecare dei problemi con i suoi superiori. Risi, che la facessero la guerra e che morissero tutti per i loro sciocchi ideali.
Preparai il mio fagotto con le poche provviste che riuscii a rubare dal frigorifero, aprì la porta e la sbattei forte, ritrovandomi in giardino.
Feci un respiro profondo, socchiudendo gli occhi per tranquillizzarmi. Li riaprì volgendo lo sguardo al cielo, cercando di immaginare dove si trovasse mia madre oltre quella immensa vastità di stelle. Ci si poteva perdere fra di esse, non riuscendo più a ritrovare la strada di casa.
Sospirai ancora, tornando alla realtà, all’oscurità in cui mi trovavo. Le luci della cucina illuminavano un pezzo del sentiero di fronte all’abitazione. Per qualche passo non avrei avuto problemi con la visuale, entrata nel bosco però sarebbe stato molto difficile orientarsi. Facendomi coraggio mi addentrai nella foresta, lasciandomi alle spalle la casa in cui ero nata. Essa era l’unica del villaggio a trovarsi innanzi al bosco che portava verso il regno dei nemici. Una volta mio padre mi aveva spiegato che casa nostra doveva fungere da vedetta, nel caso vi fosse stato un attacco da parte di queste creature oscure. In tempi di guerra, lui poteva accorgersi subito della venuta delle truppe nemiche e respingerle. Però anche in tempo di pace passava molte tempo alla finestra, ad osservare gli alberi.
Non mi era mai sembrata una vera pace quella che ci fu fra gli stregoni e i demoni, piuttosto si trattava di una tregua dovuta al fatto che nessuno riusciva a distruggere l’altro.
Anche se il “Trattato delle due parti” ci faceva vivere tutti tranquilli e al sicuro, gli uomini erano in continua allerta, nessuno poteva incontrarsi con un demone e nessuno di loro poteva giungere sino al nostro regno.
Una pace così falsa, per me non doveva neanche essere presa in considerazione.
Intrapreso il sentiero, mi volsi per un’ultima volta verso la porta di casa, osservandola da lontano. Sapevo cosa stavo lasciando ma ignoravo a cosa andassi incontro. Indugiai ad addentrarmi ulteriormente nel bosco, nonostante desiderassi ardentemente assistere alla parata dei demoni. Temevo il buio e quella attraversata da sola.
Non avevo mai imboccato quella strada e avrei potuto smarrirmi.
Non avevo paura dei demoni, nessuno in vita mia era mai riuscito a farmi del male ed ero certa che neanche loro potessero. Fin dalla nascita in molti avevano tentato di uccidermi, ciò che mi permise di sopravvivere fu un oggetto molto importante, qualcosa da cui io non mi separavo mai.
Il motivo della mia invulnerabilità era una semplice piuma, una delle candide ali di mia madre.
Il giorno in cui lei venne uccisa rilegò la sua anima all’interno di essa, donandomela.
Da allora mi aveva sempre protetto in gran segreto. Nessuno doveva sapere che la mia invincibilità derivava da un piccolo e delicato oggetto, così facile da strapparmi.
La piuma mi aveva salvato dai tentativi da parte delle streghe di uccidermi, riducendo in cenere chiunque tentasse di recarmi qualche danno. Funzionava anche con gli angeli decaduti ma sapevo per certo quanto fosse impotente contro i veri angeli. Se solo essi avessero voluto, avrebbero potuto distruggermi con facilità, da piccola ne avevo avuto la prova.
Fortunatamente, il patto stipulato con il Concilio alla mia nascita glielo impediva.
La congrega celeste si sarebbe occupata di mia madre e gli Anziani avrebbero dovuto occuparsi di me e mia sorella. Il patto non poteva essere rotto, avendo sangue di streghe gli angeli si rifiutavano di giustiziarci. Sospirai, tornando a fissare le stelle. Sopra gli alberi si stagliava una grande luna piena che mi faceva compagnia, c’era lei a mostrarmi il cammino.
Proseguì, togliendomi il noioso anello che di giorno nascondeva il mio reale aspetto e dimezzava i miei poteri. Non lo sopportavo ed ogni volta attendevo impaziente che calasse la notte, per essere finalmente libera e senza legami. Lo riposi in tasca, osservando il buio ed il silenzio che mi circondavano. Avrei dovuto camminare tutta la notte per attraversare la foresta e giungere nel regno al mattino.  
 

Dopo qualche ora presi coscienza di non essere più sola. Forse ero quasi giunta a metà strada, visto le numerose persone che mi stavano fissando. Ve ne era una a quasi ogni albero, incuriosite da una ragazza che percorreva da sola quella foresta. Alcune chiacchieravano fra loro, altre cercavano di parlarmi. Fantasmi.
Come ogni volta li ignorai, continuando a guardare davanti e facendo finta di niente. Sperai che non intuissero la mia possibilità di vederli, essendo realmente terrorizzata dai morti. A causa della mia natura riuscivo a percepire la loro presenza, a differenza di ogni strega normale. Sbuffai, questo mi rendeva ancora più strana di quanto già non fossi.
In quel luogo dovevano aver combattuto molte battaglie, praticamente tutta la foresta era piena di uomini ancora in armatura. Rari erano gli spiriti di defunti demoni. Essi si mostravano fieri ed orgogliosi anche dopo la morte, al contrario degli umani che non facevano altro che piagnucolare.
La razza demoniaca mi aveva sempre interessato molto, forse perché era proibito un qualunque contatto con loro, oppure perché mi parevano più coerenti e meno ignobili delle streghe. Ad ogni modo, ritenevo che i demoni non mentissero ai loro simili solo per raggiungere i loro scopi, che non tentassero di ingannare e raggirare i loro sudditi solo per proteggere qualcosa come la verità.
Ovviamente non ne ero certa, però mi piaceva pensarlo. Data la mia curiosità, per sbaglio incrociai gli occhi di un demone seduto su una radice di un grande albero. Era solo e pareva tenuto lontano dagli altri.
- Ehi tu, riesci a vedermi?-
Chiese lo spirito, facendomi rinsavire. Il cuore iniziò a battere forte, ero stata scoperta e le parole del defunto avevano attirato l’attenzione degli altri trapassati. Tutti si volsero a guardarmi sbalorditi ma invece di circondarmi, come sarebbe successo normalmente, continuarono a fissarmi da lontano. Lasciarono che lui fosse l’unico a potermi avvicinare, come se lo temessero.
- Rispondimi ragazzina, riesci a vedermi?-
- Sì che ti vedo. E ti sento pure-
Risposi innervosita dal fatto che l’altro alzasse la voce.
Questo sussultò, raggiungendomi velocemente.
- Se mi vedi…come sono vestito?-
- A parte…la trasparenza?-
- Sì, sì. A parte quella-
- Beh, hai un abito da cavaliere, un mantello nero e lungo fino ai piedi, degli stivali e dei capelli lunghi. Mai pensato di tagliarteli in vita?-
Il demone non rispose, al contrario continuò a fissarmi a bocca aperta.
- Che incantesimo è questo? Come fai a vedermi?-
- Non sono a fari tuoi-
Sbottai decisa.
- Ora scusa ma sto facendo tardi-
Mi allontanai proseguendo la via del sentiero, non essendo interessata a conoscere un demone morto. Questo però volle seguirmi, non contento di lasciarmi andare.
- Dove sta andando una bambina da sola nel bosco e in piena notte?-
- Dalla nonna, a portarle i dolcetti-
- Spiritosa. Cosa sei? Non sembri un demone. Una umana forse?-
- No-
Risposi io secca.
- Ah, una strega-
- Non proprio-
- Allora una fata, senza ali-
- Neanche-
Continuai a rispondere.
- E’ impossibile. Stai mentendo?-
- Per niente-
Lo spirito tacque per qualche istante, scrutandomi da capo a piedi.
- Non hai freddo?-
Mi accorsi allora di essere uscita di casa con la maglietta a maniche corte e gli shorts. Mi era proibito uscire di casa così, in pieno inverno. Nonostante io non avessi mai avuto freddo fin dalla nascita, non potevo mostrarlo alla gente.
- Sì, un po’-                             
- Non mentire ragazzina, non hai nemmeno la pelle d’oca-
A quel punto mi spazientii. Mi volsi verso di lui, mettendo in atto uno dei pochi incantesimi che avevo imparato ad usare contro di loro. Fortunatamente funzionò, anche se a malapena.
Creai una barriera magica che lo respinse e lo tenne lontano per un po’. Il lampo di luce che si venne a creare illuminò il mio sentiero e mi aiutò a rendermi conto di dove stessi andando.
Percorsi la strada in pace per circa mezz’ora, dopodiché l’incantesimo cessò e lo spirito tornò ad annoiarmi.
- Non sei molto brava con le magie vero?-
- Se non te ne vai, ti disintegro-
- Provaci. Voglio vedere ancora una volta quel cerchio rosso-
- Quale cerchio rosso?-
- Quello che ti compare negli occhi quando scagli un incantesimo-
Sussultai, prendendo a camminare sempre più velocemente.
- Sai, se tu portassi un anello potrei dire di aver capito chi sei. Per caso te lo sei tolto?-
A quelle parole mi irrigidii, voltandomi verso di lui per fissarlo spaventata.
- Ma tu chi sei? Nessuno sa…-
- Hai ragione, scusa. Non mi sono presentato-
Improvvisamente lo spirito fece un inchino e pronunciò il suo nome.
- Principe Medardo Harald Alvar I Lancaster. Erede al trono del Regno dei Demoni della casata Lancaster, prima della mia morte ovviamente-
- Come…come è successo?-
Chiesi con garbo, curiosa di come un principe potesse essere morto alla pari di servi e schiavi.
- Nella guerra di due anni fa, prima della pace dovuta al “Trattato delle due parti”. Diciamo che non mi piace assistere da lontano, le battaglie mi piace viverle-
- Ma non ti è andata bene-
- No, infatti. Una freccia scagliata da chissà dove…-
Rispose. Il suo sguardo improvvisamente mutò, il sorriso che lo aveva accompagnato sparì per lasciare il posto a un’espressione alquanto triste.
- Non mi hai ancora detto come fai a conoscere la mia razza-
- Conosco qualcuno come te, qualcuno a cui ero molto affezionato. Una persona che aveva solo me al mondo e che ora è rimasto solo…tu gli somigli molto sai? Avete gli stessi occhi…-
- Aspetta un attimo-
Sbottai, senza curarmi molto dei ricordi nostalgici del fantasma.
- Tu conosci qualcuno che è come me?-
- Certo. Non sei la sola, sai?-
Rimasi senza parole. Mi era sempre stato detto che non esisteva nessun’altro come me, che erano stati tutti uccisi.
- Dove stai andando?-
Chiese lo spirito del principe.
- Alla parata della famiglia reale-
Farfugliai, ancora sconvolta.
- Giusto, domani è il compleanno del nuovo successore al trono…-
Affermò, divenendo ancor più addolorato.  
- Potrei chiederti un favore?-
- Ci sono abituata. Dimmi-
- Se mai tu riuscissi a parlargli, non per forza domani, anche in futuro potresti dire a mio fratello che lo perdono?-
Rimasi un po’ perplessa da questa richiesta ma annuì. Ritenendosi soddisfatto il fantasma si congedò, lasciandomi libera di riprendere il mio cammino in silenzio.
  Erano circa le tre del mattino.
Da qualche tempo stavo percorrendo la foresta in completa solitudine.
Ero entrata in una zona del bosco dove non vi era la presenza di un solo spirito, piuttosto strano visto il massacro che doveva esserci stato in quel luogo tempo prima.
Avvertivo una strana sensazione, un’inspiegabile gelo che mi percorreva lungo le ossa.
I miei sensi si fecero più acuti ed attenti, mi sentivo osservata.
A prima vista non c’era nessuno intorno a me. Non un suono, non un’ombra se non quella degli alberi prodotta dalla luna splendente in cielo. Solo arbusti e querce.
Procedevo a zig zag fra le radici sporgenti, sassi e le tane degli animali, che formavano buche sul terreno. Spesso, per non cadere, dovevo appoggiarmi alla corteccia degli alberi.
Tutto pareva tranquillo, statico, immobile.
Eppure qualcosa dentro di me non riusciva a darsi pace. Pensai che fosse solo autosuggestione, in fondo stavo attraversando la foresta dei demoni in piena notte da sola, a soli quattordici anni.
Non ero così arrogante al punto di negare che avevo paura.
Per un po’ cercai comunque di non farci caso e procedetti.
Improvvisamente, l’inquietudine che mi opprimeva divenne insopportabile. Mi sentì schiacciare da un peso che mi gravava sul cuore, l’aria si fece pesante e respirare normalmente fu sempre più difficile.
Sentivo che mi stavo avvicinando a qualcosa di terribilmente oscuro ma non per questo tornai indietro. Decisi di continuare, spinta dalla curiosità di conoscere quella potente entità.
Dopo pochi metri, scorsi un ruscello che attraversava il bosco orizzontalmente, dividendolo in due parti. Non se ne vedeva la fine, né l’inizio. La sorgente e la foce si perdevano fra i lunghi alberi e la notte oscura. I raggi lunari rimbalzavano sulla limpida acqua di quel singolare rigagnolo, non ampio più di qualche passo. Rimasi incantata ad osservare i riflessi argentei, danzanti al ritmo della forza del rivolo. Il suono delle acque riempivano il silenzio in cui era caduta la foresta. Lo sgorgare del ruscelletto da un luogo ignoto faceva risuonare tale voce fra le antiche querce, rendendo quel luogo un po’ meno sgradevole. Sentivo però che c’era dell’altro, ciò che avevo percepito per tutto quel tempo era ancora presente.
Era lì ma ancora non lo vedevo, al contrario potei udirlo.
- Devi avere un bel coraggio per addentrarti fino a qui-
Quelle parole mi fecero sobbalzare. Le udì distintamente, come se le avesse pronunciate qualcuno innanzi a me.
- O forse la tua idiozia non ha limiti. Dimmi tu, quale delle due?-
Continuò, la voce che non apparteneva ad un volto. Scrutai nelle tenebre alla ricerca della sua figura, con il cuore palpitante. La voce misteriosa era decisa e ferma, non parve rauca né animalesca, al contrario melodiosa anche se vi era qualcosa di oscuro.
- Non rispondo a qualcuno che non degna nemmeno di mostrarsi-
Gridai nell’oscurità della notte.
Mi sembrò di percepire una leggera risata, dopodiché il mio interlocutore si mostrò a me.
Comparve sull’altra sponda del piccolo fiume. Si trattava di un uomo alto, dai capelli neri e leggermente lunghi. La pelle era olivastra e non apparteneva a quelle regioni, i suoi connotati dovevano essere caratteristici di un paese esotico.
Mi concentrai un momento sui suoi abiti. Semplici, se pur eleganti. Lino bianco.
- Chi sei?-
La domanda mi sorse spontanea. L’uomo però incrociò le braccia ridendo, non intenzionato a rispondere.
- Questo luogo, appartiene a me. Tu dovresti presentarti al mio cospetto, se mai io te lo consentirò-
Cercai allora di capire da sola chi fosse. Possedevo una vasta conoscenza delle maggiori entità demoniache. Lui mi ricordava qualcuno, il cui nome al momento mi sfuggiva.
Ero comunque certa della sua potenza e del suo rango. Si trattava di una creatura molto importante, al di sotto solo di Lucifero in persona. Se era davvero chi credevo che fosse, non aveva bisogno che io mi presentassi. Decisi di tentare.
- Tu sai già chi sono. Sarei maleducata se sottovalutassi il tuo potere. Tu sai già da dove vengo e dove andrò-
- Sei una ragazzina interessante-
Ammise il demone.
- E’ vero. Ti ho vista nelle acque del mio fiume e leggo la tua mente. Io sono Agaliarept. Il mio compito è quello di uccidere chiunque tenti da raggiunge il Regno dei Demoni. Considerami a guardia di un varco verso un altro mondo-
Rivelò sorridendo.
- Questo è il confine ragazza. Oltre questo rivolo hanno inizio i domini del mio re-
Scrutai i suoi profondi occhi neri da demone. Non sembravano contenere pietà e benevolenza.
Essi erano incredibilmente freddi, come la sua anima.
- Dunque, perché sono ancora in vita?-
- Perché non ho intenzione di ucciderti-
Affermò la creatura con un ghigno, a quelle parole anche a me scappò un sorriso.
- Ammettilo Agaliarept, tu come gli altri non sei capace di uccidermi-
- Scorgo un grande potere dentro di te ragazzina-
Rivelò l’uomo seriamente, squadrandomi da capo a piedi.
- Un potere pericoloso, dato dalla tua doppia natura. Ma non è quello a cui ti stai riferendo-
Continuò.
- Tu credi che la magia bianca che ti protegge sia invulnerabile a tutto. Ti sbagli, se solo avessi voluto ti avrei uccisa in pochi secondi-
Sobbalzai, era davvero in grado di scorgere ogni cosa.
- Dimostramelo-
Urlai spavaldamente nel cuore della notte. Il demone raccolse la mia sfida, quasi come se non aspettasse altro.
Scattò verso di me, attraversando il ruscello che ci divideva in pochi decimi di secondo. Prima che potessi rendermene conto, mi aveva già raggiunta.
Il mio cuore sussultò e capì di dovermi spostare per non essere colpita. Saltai in alto, schivando il potente calcio che, con estrema agilità, il demone tentò di sferrarmi all’addome.
L’uomo rimase sorpreso dalla mia prontezza di riflessi e questo lo rallentò. Io ne approfittai per appoggiarmi a lui nella discesa, con le mani usai la sua schiena per darmi lo slancio per cadere sull’altra riva del fiume. La creatura si voltò svelta, non lasciandomi neanche il tempo per pensare.
Strinsi la piccola scatoletta in legno che custodivo nella tasca. La barriera non si era attivata quando il demone aveva cercato di colpirmi, la magia di mia madre non poteva proteggermi dalle arti oscure. Digrignai i denti, non mi restava altro che il mio tocco. La seconda volta che si scagliò verso di me, decisi di mirare al collo. Non appena le mie mani entrarono in contatto con la sua gola, questa venne ustionata profondamente.
Il demone lanciò un forte urlo, rivoltandosi contro di me. Il mio elevato calore corporeo gli aveva bruciato la pelle, rendendola carbonizzata. Lo stesso accadde con le sue mani quando tentò di liberarsi dalla mia stretta. Sopportò il dolore, stringendomi le braccia per allontanarmi e scaraventandomi al suolo, precisamente sulle rive del ruscello.
Sbattei forte la schiena, rimanendo immobilizzata per diversi secondi. Il demone ne approfittò, ponendomi un piede sul petto per bloccarmi a terra. Lo premette forte sui polmoni, impedendomi di respirare. Nella sua mano destra comparve una lancia, dalla punta affilata e splendente alla luce della luna. Me la puntò al collo, facendomi percepire la lama tagliante. In quel momento pensai che sarei morta.
- Hai perso-
Disse solamente con volto serio, mentre a terra io ansimavo.  
- Non sopravvalutarti. Sei soltanto uno dei tanti scherzi dalla natura-
Con queste parole dissolse la sua arma, mi liberò dal peso del suo corpo e si allontanò da me.
Rimasi stesa al suolo tossendo, con una bella lezione di umiltà. Non ero affatto invincibile, fino a quel momento mi ero solo battuta contro i nemici giusti.
- Perché non mi hai finito?-
Chiesi, riprendendo aria.
- Ho visto il tuo futuro-
Rispose l’uomo, dandomi le spalle.
- Il tuo destino comincia da domani, andando oltre questo fiume-
Non volle rivelarmi altro, infastidito nel risparmiare una creatura che aveva appena sconfitto. Doveva essere molto importante quello per cui mi lasciava libera, altrimenti non si sarebbe privato del piacere di togliere una vita.
- Quale destino?-
Domandai, incuriosita.
- Usa la linfa delle radici di queste querce se ti sei ferita. E’ ottima per rimettere in sesto le contusioni interne-
Mi alzai lentamente, delusa dal non aver ricevuto risposta. Gemetti non appena eretta in piedi, con una mano sul ventre. Non aveva tutti i torti, qualche costola doveva essersi incrinata.
Per le sue ustioni non sapevo se vi fosse rimedio ma, se ci fosse stato lui, lo avrebbe trovato.
Era il miglior demone conosciuto per l’utilizzo delle piante per usi curativi, per quello e per essere il comandante della Seconda Legione infernale.
- Grazie Agaliarept per non aver usato la magia-
Affermai con riconoscenza, massaggiandomi la schiena. Il demone non si voltò nemmeno, piuttosto continuò ad osservare l’oscurità del sentiero dal quale ero giunta.
- So che non ti è mai stata insegnata. Ora vai, prima che cambi idea-
Non me lo feci dire due volte. Presi le mie cose a terra e mi incamminai per il Regno dei Demoni, ormai sempre più vicino.
 
Esattamente come avevo previsto, alle prime luci dell’alba uscì dalla foresta, mettendo piede sulle terre dei demoni raggiante. Ci ero riuscita, ero stata capace di attraversare il bosco da sola e di sopravvivere.
Presi una bella boccata d’aria, osservando con soddisfazione le valli davanti a me.
Il sole era appena sorto ed io ero solo a metà del mio cammino. Avevo studiato la geografia del regno su delle vecchie mappe e sapevo che il palazzo Lancaster si trovava a nord. Forse avrei dovuto oltrepassare almeno tre villaggi per arrivarci ma non era un problema, non mi sentivo affatto stanca. Al contrario ero emozionatissima, se pur un po’ spaventata.
Rimasi nascosta tra gli alberi ad osservare in lontananza le case dei demoni, ancora con le finestre tutte chiuse. Non vi era nessuno in strada, pareva che tutto stesse ancora dormendo.
Questo mi diede il modo di analizzare la situazione. Dovevo confondermi fra loro, non farmi scoprire. Il “Trattato delle due parti” parlava chiaro: io in quel luogo non potevo mettere piede.
Per camuffarmi cercai di ricordare i pochi demoni che avevo visto.
Dall’aspetto parevano umani dunque dovevo solo fingermi più sicura di quanto non fossi, possibilmente anche spietata.
Con una piccola magia mi riempì il corpo di tatuaggi e oggetti appuntiti, come avevo visto in una rivista a casa. Secondo le streghe, le ragazze di razza demoniaca indossavano abiti stracciati e le vesti leggere anche durante l’inverno. Possedendo gli shorts e sfoggiando diversi graffi risalenti allo scontro della notte precedente, potevo sembrare un vero demone dedita alle risse. Utilizzando sempre un po’ di magia, feci comparire una borsa a tracolla nera, con dei teschi disegnati. Sostituii il fagotto con essa e intanto feci un po’ di colazione.
Ero certa di sembrare un vero demone, grintoso e ostinato, almeno secondo la rivista che avevo letto a casa. Mentre mangiavo un tozzo di pane e mi compiacevo, mi chiesi come mai gli incantesimi mi venissero così bene quella mattina.
Dopo mangiato feci un passo in avanti, notando di essere molto pesante ed impacciata nei movimenti. Alzai lo sguardo leggermente verso l’alto, per capire cosa mi stesse bloccando. Mi congelai quando scorsi la terribile zavorra composta da piume bianche che mi era comparsa sulla schiena. Era mattino accidenti! Era giorno e non mi ero rimessa l’anello. Senza perdere tempo lo presi dalla tasca e lo indossai alla mano destra, sentendomi immediatamente alleggerita. Il peso dietro di me scomparve, rendendomi tutta la mia agilità. Odiavo vederle, ricordarmi cosa fossi realmente. Con un sospiro di sollievo, afferrai la borsa e ripresi la marcia verso la capitale.  


Alle dieci del mattino, avevo già superato il secondo villaggio. Durante il cammino non avevo avuto problemi, nessuno aveva fatto caso a me e nessuno aveva sospettato che non fossi un demone. Avevo passeggiato inosservata per le strade, più di quanto non mi capitasse nel mio paese. Prudentemente non avevo rivolto parola ad anima viva, nonostante la curiosità verso quelle creature mi divorasse. Notai subito che non si vestivano con borchie e teschi come avevo letto, rendendo così il mio abbigliamento nettamente fuori luogo. Usavano la magia per qualsiasi cosa ma non per scopi malvagi, come ci era stato insegnato. Il Regno dei Demoni non era affatto come lo spiegassero a scuola, tutti quei libri divulgati e approvati dal Concilio erano pieni di sciocchezze.
Non vidi il sangue degli esseri umani scorrere per le fontane delle città, le teste delle streghe impalate come ornamento, teschi umani usati come calici, nessun corpo appeso nei locali come trofeo. Purtroppo, io avevo desiderato che tutte le dicerie su di loro fossero vere, bramando la vista di qualche corpo di strega o angelo scempiato. Fremevo dalla voglia di vedere distrutte le creature che mi avevano rovinato la vita, distruggendo la mia famiglia. Sbuffai, forse un mondo così spietato ed arido non esisteva sulla Terra ma solo nel mio cuore.
Nonostante questo, avrei voluto fuggire per stabilirmi lì per sempre.  
I demoni erano liberi, liberi di essere ciò che erano e di usare la magia. Non dovevano nascondersi, confondersi con gli umani, come accadeva alle streghe nel mio paese. Erano fieri della propria razza e non desideravano la normalità. Erano soli, privi di fate o streghe. Un mondo fatto unicamente di demoni, senza niente menzogne o false dittature che assumevano il nome di “Concilio”. Al contrario, lì vigeva una sana monarchia, detenuta da una potente famiglia di stirpe reale ormai da millenni. Da quando regnavano i Lancaster, non si era mai registrata una sola guerra civile, mai lotte per il trono, mai perdite inutili. Esso era il regno perfetto, talmente perfetto da intimidire politicamente le altre tirannie mascherate e da costringerle ad inventare assurde storie per spaventare la popolazione. Il Concilio utilizzava la paura della gente per continuare a dominare indisturbato, unendo grazie al terrore sia umani che streghe contro il “Nemico Comune”.
Questo era il regno in cui io vivevo.   
Continuai a camminare, osservando curiosa le abitudini dei demoni. Constatai come fossero tutti incredibilmente belli e giovani. Non scorsi anziani, né malati, né poveri. Sembrava un’utopia, eppure lì era realtà.
Le creature oscure erano molto pallidi di carnagione, quasi mortuarie. Indossavano vestiti normali, oppure eleganti di velluto rosso sangue, nero o verde scuro. Io ero completamente fuori moda, per questo attirai le attenzioni di un ragazzino. Temetti di essere stata scoperta quando si avvicinò a me, chiedendomi se poteva farmi una domanda. Fortunatamente non mi chiese perché fossi a maniche corte, né perché avessi tutti quei tatuaggi o borchie. Fece caso a ciò che io ritenevo fosse più normale.
- Dove hai preso quella borsa? E’ fortissima!-
Con un sospiro di sollievo abbassai lo sguardo verso la mia tracolla, osservando i teschi sul tessuto. Temporeggiai cercando di pensare in fretta a qualcosa di tosto da dire, di inventarmi qualcosa da demone.
- E’ una borsa assolutamente normale ma i teschi sono veri. Appartengono agli umani che ho ucciso nella precedente guerra. Con la magia li ho messi sulla stoffa-
Il ragazzo parve schifato dalla mia risposta e, guardandomi male, se ne andò.
Rimasi senza parole. I demoni non erano affatto spietati come si raccontava anzi, io sembravo molto più crudele di loro. Forse era vero che non vi era un posto per la mia razza nel mondo.
Mi era stato già detto prima dei miei quattordici anni che non sarei stata bene in nessun regno.
Per la prima volta, realizzai di non avere una casa.
Neanche fra i demoni avrei potuto trovarla, ero troppo cattiva persino per loro.
Probabilmente era per quello che gli esseri come me li uccidevano alla nascita.

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Capitolo 3
*** Abrahel ***


Giunta nella capitale, iniziai a risentire della stanchezza.
Ero finalmente arrivata ma non riuscivo a muovere un muscolo. Mi sedetti ad osservare la città, notando la predilezione degli abitanti per il colore nero. Gli alti palazzi erano cupi e costruiti in uno stile che non avevo mai visto. Parevano dei piccoli castelli in miniatura, fatti di pietra e con tanto di torri. Se una sola casa poteva essere così bella ed imponente, non osavo immaginare il palazzo reale. Non vi erano alberi nel centro cittadino, tutto era completamente urbanizzato e, ovviamente, privo di sangue e corpi scempiati. Il cuore del regno demoniaco non smentiva i villaggi da me  visitati precedentemente, non vi era niente di osceno o maligno nella vita di quelle creature.
Seduta nella piazza principale, potei scorgere delle carrozze trainate da cavalli alati, il cui manto era rigorosamente nero. Rimasi affascinata dalle loro ali, piccole e tipiche dei diavoli. Dovevano essere cavalli infernali, molto pregiati e costosi. Essi si fermavano e sbuffavano nervosamente, mentre dai cocchi uscivano signore con abiti lunghi e sfarzosi. Gli uomini, vestiti elegantemente anch’essi, prendevano per mano le proprie donne per accompagnarle alla parata. Senza i padroni, la carrozza riprendeva il cammino, lasciando il posto ad un altro cocchio.
Più che dai nobili, rimasi colpita soprattutto da quei cavalli così possenti e forti, chiedendomi se avessero potuto volare. Probabilmente il nano o il folletto che guidava la biga lo sapeva, comunque non osai chiedere. Per qualche minuto, rimasi ad osservare i demoni che scendevano e si aggregavano alla folla, che già si era creata intorno alla strada principale della città.
Rinnovai la convinzione che la vecchiaia non doveva essere una caratteristica di quelle creature. Erano tutti bellissimi, con la pelle vellutata e i tratti delicati. Non assomigliavano alle miniature sui libri di storia, che li ritraevano come mosti orripilanti. Solo i cocchieri erano bruttini, goffi e alle volte gobbi. Capì dunque che essi non fossero demoni, bensì prigionieri di guerra, tenuti legati alla biga da fili magici che li bloccavano le caviglie. Erano creature inferiori che abitavano le regioni confinanti, come troll, nani, folletti ed elfi. Notai diversi schiavi di quelle etnie, trascinati da un lato all’altro della città con enormi carichi sulle spalle. Troppo deboli per ribellarsi, accettavano le angherie dei prepotenti demoni che invadevano i loro villaggi per catturare nuovi servi. Fra di loro vidi anche degli umani, sicuramente prigionieri di una qualche battaglia.
Pensai di poter riscrivere i libri di storia, una volta tornata a casa.
Mi avrebbero pagato milioni per sapere come realmente vivevano i demoni. Le bugie del Concilio non sarebbero state le uniche verità, ci sarebbero state le mie storie a contestarle. I veri racconti della sola che era andata e tornata viva dalla parata della famiglia reale.
Questo mi ricordò che stavo per perdermi il passaggio dei regnanti. Scattai in piedi, prendendo a spingere fra la folla per raggiungere le prime file. Ero uno scricciolo e non mi fu difficile passare per le strette fessure che i visitatori avevano lasciato.
Riuscì facilmente a trovarmi davanti, giusto in tempo per il passaggio della cavalleria.
Sotto i miei occhi attoniti, sfilavano centinaia di cavalli cavalcati da soldati in armatura, bellissimi. Tutti tenevano in mano lo stendardo della casa reale ed io mi persi in quei disegni complicati ed intricati. Anche la bandiera era a sfondo nero. Vi era disegnato in bianco un drago feroce legato da rovi e sopra di esso un’ala. Essa era disegnata in blu, che contrastava i rovi rossi come il sangue. Non pareva né quella di una fata o di un angelo, bensì era più l’ala di un diavolo. Molto più possente e grande di quella che avevano i cavalli ma comunque da diavolo.
Dopo la cavalleria fu il turno della fanteria, composta da demoni lupo. Non camminavano a quattro zampe, al contrario possedevano le sembianze di un normale essere umano. A contraddistinguerli avevano semplicemente una lunga e folta coda e delle orecchie pelose. Essi sostenevano un pesante scudo con lo stesso stemma degli stendardi ma non parevano affaticati.
Mi guardai intorno, compiacendomi di conoscere quasi tutte le razze demoniache che mi si presentavano. Fin da quando avevo imparato a leggere, ero riuscita ad entrare in possesso di libri proibiti che ne illustravano tutti i tipi. Potevo riconoscere molte celebrità fra i nobili che, se pur distanti da me, osservavano la parata.
Non emozionarmi al loro cospetto, mi era del tutto impossibile.
Oltre la strada principale, sulla quale sfilavano le legioni della famiglia reale, vi erano decine e decine di poltrone lussuose. Su di esse, rialzate su di un palco, vi sedevano i più grandi esponenti della nobiltà. Coloro che avevo visto scendere dalle carrozze, in confronto, non erano nulla.
Il vederli mi provocò una forte eccitazione. Il cuore prese a battermi forte, non potendo credere di essere a pochi metri dai mostri più spietati della storia. Se gli abitanti dei villaggi mi avevano deluso in fatto di crudeltà, loro al contrario mi appagavano completamente.
In prima fila, osservava la cerimonia il principe Amon, accompagnato da uno dei generali delle sue quaranta legioni. Quel demone era capace di indurre l’avidità negli esseri umani e, a causa sua, erano scoppiate molte guerre. Accanto gli era la principessa Eurinome, bella come nelle illustrazioni, ella era una divinità degli inferi. Se pur di candido aspetto, la donna adorava cibarsi delle carni dei morti.
Rabbrividì mentre venivo spintonata dalla folla, che si faceva sempre più numerosa. Più si avvicinava il momento del passaggio dell’erede al trono, più le fanciulle divenivano smaniose. Tutte volevano un posto in prima fila per ammirarlo, continuando a blaterale su quanto fosse bello e affascinante. Tentavo di non farmi sfiorare, mentre le ragazze dietro di me continuavano a spingermi in avanti. L’unica cosa che mi impediva di cadere era il cordone in velluto rosso, con il quale era delineata la pista in cui sfilavano i demoni per l’evento. Cercai di spostarmi, in cerca di un posto meno affollato. Trovata una posizione sicura, tornai ad osservare le eleganti poltrone che si stagliavano oltre il tappeto rosso, ove la fanteria stava ancora passando.
Nel frattempo la folla continuò a crescere ed io iniziai a trovare difficoltoso poter mantenere un posto fisso. Pur di non essere toccata, preferivo spostarmi e trovare angolini meno assediati.
- Guarda chi c’è-
- Già, quel politico corrotto. Gli tirerei volentieri il collo-
Ero finita accanto a due uomini che parlavano tra loro. Le urla della folla li costringeva ad alzare notevolmente la voce per sentirsi a vicenda, infastidendomi.  
- Sta facendo troppo il doppio gioco-
Roteai gli occhi seccata, disturbata dall’ammirare le celebrità da cui avrei voluto tanto volentieri un autografo.
- Ma che ci vuoi fare, fino a che ha il benestare della principessa degli inferi-
- Non mi importa, io alle prossime elezioni non lo voto-
I noiosi popolani probabilmente stavano discutendo sul presidente degli inferi, che fino a quel momento non avevo notato. Si presentava in forma umana e accompagnava Eurinome. Egli occupava un’intera poltrona e parlava, con voce roca, alla sua principessa. Accanto gli era uno dei generali delle sue numerose legioni, che non gli si allontanava un attimo.
Iniziai a nutrire il dubbio che le vicende politiche del Regno dei Demoni non fossero molto diverse dalle nostre. Mentre tornai ad esaminare i nobili, i due uomini accanto a me continuarono a ragionare su un ipotetico futuro candidato a presidente. A quel punto la fanteria degli uomini lupo stava per terminare. Poco dopo giunsero alcune creature dalla forma umana, con tamburi e trombe che dichiaravano l’arrivo di importanti nobili, sempre legati alla famiglia reale.
Prima dell’arrivo del Re, su una grande carrozza scoperta, giunse Abaddon.
Il vederlo mi fece sparire il sorriso. In piedi sul cocchio, bellissimo ed imponente, salutava la folla e i nobili che assistevano.
Io mi abbassai, non volendo essere vista. Non sopportavo quel demone. Egli era uno degli angeli oscuri che sarebbero stati presenti all’apocalisse. Era conosciuto come angelo vendicatore e sfoggiava le sue grandi ali nere alla parata, come simbolo della sua potenza. Apparteneva ai membri più alti della classe sociale del regno. Sapevo che era padrone del pozzo senza fondo degli inferi e che, periodicamente, vi gettasse dentro i prigionieri delle carceri del palazzo reale.
Era potentissimo, nessuno poteva contrastarlo. Al suo comando aveva tutta una gerarchia di demoni e un intero esercito di cavallette giganti, le stesse che avrebbero preso parte alla fine del mondo.
Ad una persona così, solo il sovrano in persona poteva tenere testa.
Io cambiai di nuovo posizione, cercando di non incrociare il suo sguardo che rivolgeva alla folla. Mi spostai, mantenendo comunque sempre il posto in prima fila. Avevo combattuto per ottenerlo e non lo avrei lasciato per niente al mondo.
Mi fermai in tempo per il passaggio del Granduca Agares, sul suo possente coccodrillo e con il suo elegante sparviere sulla mano. Passato il Granduca, giunse sulla sua carrozza un demone fastidioso, debole e che non avevo mai ammirato. Si chiamava Alastor ed era legato alla famiglia reale solo per i suoi servizi, dovuti ai suoi strani poteri. Non era forte ma era straordinariamente furbo, capace di creare discordie nelle famiglie e di convincere gli stessi membri ad uccidere i propri cari.
Dopo di esso giunse finalmente Adramelech, il cancelliere degli Inferi e intendente del guardaroba del Re dei Demoni. Se lui stava sfilando, il sovrano e la sua famiglia erano prossimi. Quel demone, consigliere del re, dalla forma umana ma con una grande coda di pavone dietro alla schiena, era anche il presidente dell'alto consiglio dei diavoli e l'ottavo dei dieci arcidiavoli.
Non avrei potuto vedere personaggi più importanti quel giorno ed ero fiera di me per essere fuggita da casa. Mi complimentavo per essermi travestita e per aver attraversato la foresta da sola. Se mi fossi persa quello spettacolo, non avrei mai potuto perdonarmelo. Ovviamente ero terrorizzata, temevo costantemente di essere scoperta ma la curiosità non mi aveva lasciato scelta. Io dovevo vedere ciò che mi stavo perdendo nella regione vicina, dovevo capacitarmi del fatto che non fossi l’unico mostro sulla Terra. Per di più adoravo la cultura demoniaca, così antica e interessante. Prima dell’avvento della monarchia che tanto ammiravo, il loro passato era pieno di inimicizie e scontri fra i più potenti nobili. Fin dalla creazione del mondo, tutti i più grandi demoni avevano mirato al potere. Nel corso dei millenni, avevano affrontato moltissime guerre, tessuto fitte e intricate reti di alleanze e di tradimenti, fino a che uno solo non ne uscì vincitore. La famiglia reale odierna discendeva dal grande sovrano che aveva vinto su tutti i più oscuri demoni della cabala infernale. Su come avesse fatto sono state narrate molte e svariate leggende, nessuno sa realmente cosa sia successo quando Enric Lancaster si presentò all’alba con il suo minuscolo esercito. Da quel giorno però, il giorno in cui nessun’altro rimase vivo su quel campo di battaglia, nemmeno un unico demone osò contraddire la sua corona. Egli aveva dato inizio alla civiltà demoniaca che centinaia di anni dopo si presentava ai miei occhi. 
Piena di emozione scorsi finalmente Fenrir, il grande lupo che trainava la carrozza reale. Egli portava il grande cocchio come un cavallo qualsiasi, anche se in realtà si trattava di uno degli esseri più feroci mai esistiti. La leggenda narra che gli stessi Dei, impauriti dalla sua potenza, lo avessero legato e costretto alla prigionia eterna. Sapevo che ad averlo liberato era stato l’attuale re, scatenando la furia divina. Incurante di questo, adesso lo usava come fidato servitore e macchina da guerra nelle battaglie. Avevo visto molte sue illustrazioni ma dal vivo incuteva ancor più timore.
Faceva impressione. Una creatura immensa, alla quale la mia altezza equivaleva la grandezza di una zampa, faceva da cagnolino domestico al regnante.
Sulla carrozza che conduceva, finalmente potei scorgere il motivo per cui mi trovassi lì.
Con incredibile emozione, posai gli occhi sulla Regina e il Re dei Demoni.
Non riuscì più a respirare. Il cuore per un attimo smise di battere, era troppo per i miei quattordici anni.
I reali apparivano come Dei, maestose divinità che passavano tranquillamente fra i mortali.
L’attuale regina eclissava completamente lo splendore della Lamia, di Eurinome, del Gremory e di qualunque altra donna. Davanti a lei, chiunque impallidiva.  
Ella pareva una Dea, scesa sulla Terra per mostrare a noi mortali il vero splendore.
Non mi stupiva che il re avesse voluto lei come sua terza moglie.
La sovrana salutava il popolo con la mano destra, abbozzando un sorriso se pur sembrasse molto annoiata. Indossava un maestoso abito blu scuro che le risaltava gli occhi, mettendo all’angolo tutti gli abiti che avevo visto quella mattina.
Il re pareva già un uomo molto più semplice. Dimostrava la mezza età e portava una lunga barba nera. Il suo volto era serio ma felice.
Iniziai a tremare dall’emozione. Innanzi a me avevo il nemico comune dei nostri popoli ed io lo stavo ammirando dal vivo. Nessuna strega aveva lo mai visto così da vicino ed era sopravvissuta per raccontarlo. Quando incrociai lo sguardo del re, mi accorsi del pericolo che stavo correndo. Mi fissò attentamente per qualche lungo, interminabile secondo. Presi a sudare freddo, temendo che mi avesse scoperta. Sussultai, allontanandomi leggermente dal cordone in velluto, non riprendendo a respirare fino a che non rivolse lo sguardo altrove.
Ma cosa stavo facendo?
Non importava quanto odiassi il mio genere, non importava come ammirassi quelle creature, non importava cosa fossi. Io non ero una di loro. Questo sarebbe bastato per farmi perdere la testa.
Una ragazzina che scappa di casa per vedere il nemico e finisce uccisa. Ecco cosa mi sentivo.
Non sarei mai stata accettata in quel mondo, mai e poi mai. Io non avevo patria, dovevo accettarlo.
Eppure non potevo muovermi, ero paralizzata da ciò che stavo osservando. Era la mia prima ed unica occasione per vedere la famiglia Lancaster e, forse, valeva la pena morire per quello. Certa che nessuno avrebbe pianto sulla mia bara, rimasi immobile a godermi lo spettacolo. In caso di fallimento, mia cugina avrebbe preso le mie cose, mio padre avrebbe cresciuto la sua nuova figlia e sua madre avrebbe usufruito della mia camera come meglio desiderava.
Tutti avrebbero vissuto una nuova vita senza il mostro, il sangue misto che non faceva altro che combinare guai. Non avevo mai stretto amicizie profonde nella mia scuola, ero sicura che pochi si sarebbero accorti della mia mancanza, giusto il Concilio che avrebbe festeggiato.
Non appena giunse il cocchio del principe ereditario, cercai di scacciare il pensiero della mia morte. Tornai a sorridere, osservando la carrozza trainata da dieci cavalli neri, le cui maestose ali erano piegate e ben legate.
Le creature parevano affaticate, come se la biga pesasse moltissimo. Erano in una decina ma a malapena riuscivano a trasportare la carrozza.
- Che stupidi-
Sbottai, quasi senza accorgermi di pensare ad alta voce.
- Con le ali spiegate farebbero meno fatica!-
- Te ne intendi?-
Chiese improvvisamente una voce che mi stava accanto.
Sussultai, fissando la misteriosa figura che mi aveva risposto.
Con il mio ultimo spostamento ero capitata accanto ad una donna, coperta da un mantello marrone fino ai piedi. Non riuscivo a vederne il volto, dal cappuccio spuntavano solo dei lunghi capelli rossi e potevo intravedere i suoi occhi rosso fuoco.
- S-Sì…ne ho uno a casa…-
Affermai, mentendo.
- Beh, hai esattamente ragione. Se una creatura è dotata di ali, le deve usare e non opprimerle. Così non farà altro che stare male! Ma la famiglia reale non capisce, è del tutto priva di buon senso. L’unico che capiva ormai non è più fra noi-
Le sue parole mi spaventarono, facendomi allontanare leggermente.
Dal suo mantello uscì improvvisamente la testa di un grande serpente, esso mi sibilò e mi osservò con i suoi grandi occhi gialli. Sobbalzai, solo allora intuendo chi fosse la donna.
- Lilith…-
Sussurrai, con un filo di voce.
- Segui la politica, dunque-
Rise la signora, complimentandosi.
- Non sono in molti i ragazzini che mi conoscono-
Certo che la conoscevo. Era uno dei miei demoni preferiti. Meritava di stare seduta sull’altra parte della strada tanto quanto i nobili che avevo visto prima. Invece stava fra il popolo, incappucciata e nascosta.
Sapevo che apparteneva alla cerchia delle creature più potenti, essa era infatti la prima donna creata da Dio. Tramutata in demone dopo la sua fuga dall’Eden, aveva scagliato la sua furia contro il genere maschile. In gioventù adorava soprattutto attaccare nel sonno i bambini piccoli, così da evitare che diventassero uomini. In un periodo dell’antichità i suoi attacchi erano così frequenti che i genitori dovevano travestire i bambini da bambine. Altri riempivano i piccoli di amuleti protettevi o disegnavano cerchi magici intorno alle culle. Solo così potevano scampare a Lilith. Riguardo agli adolescenti sapevo che li adescava nei loro letti durante la notte, per generare altri demoni. Sceglieva sia esseri umani che coloro della sua stessa specie, dopodiché li uccideva.
Successivamente si trasformò in diavolo, ottenendo un posto fra i dieci arcidiavoli della cabala. Da quel momento smise di uccidere per dedicarsi ad altre faccende, guidata da Lucifero in persona.
Nelle ultime centinaia di anni aveva prestato servizio a corte, collaborando nel consiglio privato della Re dei Demoni. Nonostante la sua posizione, quel giorno non sembrava essere invitata alla parata. Non ne capivo il motivo ma non potevo perdermi lo spettacolo per chiedermelo.
Volsi lo sguardo proprio quando la carrozza del principe stava sfilando innanzi a me.
Sul cocchio sedeva il festeggiato ed il fratello minore. Il primo era seduto elegantemente, intento a salutare la folla nel suo abito rosso e nero. Le donne impazzivano per lui e i suoi sorrisi, urlavano come matte sfondandomi i timpani e cercando di prendermi il posto in prima fila.
Potevo confermare le voci che avevo sentito sul suo fascino, dire che aveva preso la bellezza dalla prima sposa del re, nonostante questo non mi attraeva molto. Trovavo noioso ciò che era desiderato da tutti, considerandolo già obsoleto.
- Abrahel! Abrahel!-
Gridavano incessantemente le giovani oche che mi circondavano, disturbandomi. Il principe non faceva che pavoneggiarsi per la sua popolarità e per i suoi diciassette anni. Un anno più vicino al trono. Presto avrebbe preso il posto di suo padre ed io rimasi affascinata di trovarmi al cospetto del futuro re, piuttosto che per la sua bellezza.
Mentre le altre urlavano il suo nome, io mi chiedevo perché i genitori lo avessero chiamato in quel modo. Conoscevo il demone Abrahel, era deceduto circa un secolo prima, in giovane età visto i suoi soli mille anni. Si diceva che fosse un demone succube, nato solo per farsi adorare e idolatrare.
Smisi di chiedermi il motivo di tale nome, quando vidi il principe alzarsi in piedi e sollevare entrambe le braccia sotto le odi del popolo.  
Scossi la testa, inorridita da tale mania di protagonismo. Completamente diverso dal fratello, era invece l’ultimogenito della casata reale, figlio della seconda sposa del re.
Il principino non sorrideva e nemmeno salutava.
Era appoggiato sull’altro lato della carrozza e guardava in basso, sbuffando.
Pareva annoiato, molto più della terza Regina dei Demoni.
Doveva avere circa dieci anni e provai una forte rabbia nei suoi confronti. Sicuramente era un bambino viziato ed ingrato di ciò che aveva. Non si rendeva conto di quanto fosse fortunato, io avrei ucciso per essere a posto suo.
Lui era un demone, un principe, era potente, ricco e poteva ottenere tutto ciò che voleva.
Eppure non era contento, sospirava tremendamente e, sicuramente, bramava la fuga.
A quel punto, il fratello maggiore non sembrava più tanto male, almeno lui era lieto della sua posizione.
La lenta carrozza non era ancora passata, che l’ultimogenito alzò lo sguardo verso di me.
Sobbalzai dalla sorpresa, incrociando i suoi occhi. Non aveva rivolto attenzione a nessun spettatore, nessuno sembrava degno della sua vista. Sbadatamente mi aveva intravisto nella folla e, da quel momento, non mi mollò più. Lo avevo fissato malignamente fino ad un attimo prima, vergognandomi e divenendo rossa quando si rivolse verso di me. Cercai di modificare in fretta la mia espressione, abbozzando un sorriso e muovendo la mano in un saluto ebete.
Il piccolo non ricambiò, al contrario continuò a guardarmi, sbigottito.
Mi fissò a lungo, mettendomi a disagio. Smisi di salutare e tornai seria, iniziando a temere che mi avesse riconosciuta. Continuava ad osservarmi, senza staccarmi gli occhi di dosso, facendomi agitare incredibilmente. Il cuore iniziò a battermi forte, certa che mi avrebbe denunciato e che sarei stata barbaramente uccisa. Feci un passo indietro, pronta a scappare, quando mi accorsi di un dettaglio a cui non avevo fatto caso. C’era qualcosa di diverso in lui, qualcosa che lo contraddistingueva dai suoi simili.
Il terzogenito della casata Lancaster, possedeva gli occhi d’oro come me.
- Ora basta-
Sbottò improvvisamente la donna incappucciata accanto a me, facendomi sussultare. La carrozza del principe ereditario ci aveva quasi sorpassato, quando Lilith tirò fuori dal mantello un grande arco.
- E’ il tempo di lasciare che le ali si spieghino, Abrahel-
Affermò la creatura, preparandosi a scoccare una freccia dalla punta intrisa di veleno.
Mi voltai sbalordita verso il cocchio, notando che stava puntando proprio contro il principe che ormai ci dava la schiena. Nella folla nessuno se ne accorse subito, solamente io che l’affiancavo capì che Lilith stava attentando alla vita dell’erede al trono. Non mi piaceva Abrahel, era la prima volta che lo vedevo, non sopportavo il suo comportamento e non potevo immaginarlo a capo del fiero popolo dei demoni, nonostante questo lo salvai.
In quei brevi attimi il mio corpo agì d’istinto, scaraventandomi su Lilith mentre era intenta a scagliare la freccia. La gettai a terra, facendo cambiare la traiettoria del dardo che colpì il retro del calesse. Io e la diavolessa cademmo nel bel mezzo del tappeto rosso, mentre la parata si arrestava e la musica si interrompeva. Qualcuno urlò, al contrario nessuno mosse un muscolo. Tutti ci fissarono attoniti, per un tempo che parve interminabile.
Io rialzai il capo dal pavimento, scrutando i volti allibiti dei presenti. Neanch’io potevo credere a quello che avevo fatto. Avevo atterrato la prima donna dell’umanità e ci stavo accovacciata sopra.
Ero certa che sarei morta.
Quando scorsi il suo enorme serpente uscirle dal mantello ne ebbi la conferma, quel giorno in un modo o nell’altro sarei morta. Nel momento in cui Lilith realizzò ciò che era accaduto, si rivoltò contro di me, tentando di strangolarmi. Le afferrai istintivamente i polsi, dimenticandomi che l’avrei bruciata.
Al mio tocco la donna prese ad urlare, aizzando così il serpente contro di me, che prese a sibilarmi minacciosamente. Sussultai dal terrore, quell’essere squamoso se apriva la bocca poteva inghiottire tranquillamente un gatto per intero. Le sue fauci possedevano terribili zanne affilate e intrinseche di veleno, se mi mordeva mi avrebbe uccisa più in fretta di Lilith. Quando mi attaccò dovetti lasciare la presa sulla diavolessa, seriamente ustionata, per afferrare la testa del serpente ed impedirgli di mordermi sul collo.
Lo bloccai con tutta la forza che avevo, bruciando i suoi tessuti ed uccidendolo in pochi attimi sotto gli occhi della sua amata padrona. La donna urlò straziata mentre il rettile rilasciava una puzza di carne bruciata e i suoi occhi roteavano, fino a divenire bianchi. Impressionata da quel terribile spettacolo, lasciai la testa del serpente, facendolo cadere a terra praticamente carbonizzato. Era certamente la cosa più schifosa che avessi fatto fino ad allora.
Innanzi al corpo del compagno millenario, la diavolessa dai capelli rossi tentò nuovamente di avventarsi su di me. Per mia fortuna le guardie reali finalmente giunsero, catturandola prima che potesse uccidermi. L’afferrarono per le braccia, bloccandola e cercando di portarla via dagli occhi dei nobili, ancora a bocca aperta.
- Perché?!-
Continuava a domandarmi Lilith, disperatamente, mentre veniva trascinata via.
- Perché mi hai fermato?! Tu! Proprio tu! Anche tu sei così! Perché lo hai fatto?!-
Non capii le parole del demone, però mi spaventarono.
Mi alzai da terra per scappare ma, volgendomi, sbattei contro il busto di qualcuno.
Dovetti alzare lo sguardo per vederne il volto e tremai quando lo riconobbi.
Il Re dei Demoni mi impediva di fuggire.

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Capitolo 4
*** Victoria, sei anni dopo ***


La sentenza della mia morte, giunse a casa nell’anno del mio ventesimo compleanno.
Dopo vari tentativi falliti, il Concilio provava nuovamente a togliermi la vita.
Non mi sarei preoccupata, se non si fosse trattato degli angeli.
Gli Anziani, esasperati, avevano convinto le creature celesti a rompere il patto instaurato due decadi prima. Quei piccioni dalle ali bianche stavano venendo ad uccidermi.
Mio padre era defunto già da tempo e, come lui, gran parte dei miei coetanei e conoscenti.
Lo stesso valeva per il Re dei Demoni, che avevo visto sei anni prima alla parata.
Il tempo scorreva inesorabile e intanto le persone svanivano con lui.
Era appena terminata la guerra più tremenda che il nostro stato potesse ricordare. Durò circa tre anni e si portò via la metà della nostra popolazione.
Tutti avevano combattuto, compresi i bambini e gli umani. Questo mi era sembrata una gran stupidaggine ma nessuno aveva voluto ascoltare il mio parere.
Fummo massacrati. Eravamo un gruppo di streghe, uomini e fate contro i demoni più temuti della storia. Le sanguinose battaglie durarono a lungo, distruggendo le vallate, incenerendo le città e mietendo un gran numero di vittime. Niente avrebbe fatto presagire una vittoria, neanche le più ottimistiche delle predizioni. Eppure un giorno, quasi come un miracolo, il Re dei Demoni cadde. Incredibilmente, senza che nessuno avesse visto realmente cosa fosse successo, il nemico comune fu ucciso, decretando la sconfitta dell’esercito avversario.
Io non fui presente. Ricordo di essere stata l’unica strega a non partire per il fronte.
Anche la mia insopportabile cugina umana andò. “Per difendere tutto ciò che le era caro”, così mi disse sulla porta prima di andare.
Per questo proposito, tornò a casa in fin di vita e rimase in coma per un anno.
I suoi genitori, la madre strega e il padre umano, erano già morti durante la prima guerra, lasciando una figlia orfana che ne aveva quasi seguito il destino.
I miei compagni di scuola, umani o stregoni che fossero, presero le armi e partirono con le famiglie. Le case rimasero disabitate e in rovina. Le aule scolastiche si dimezzarono, molti banchi di liceo si riempirono di fiori e nessuno dei sopravvissuti osò occuparli.
Già, i sopravvissuti. I morti in guerra furono considerati eroi ma coloro che riuscirono a ritornare vennero ritenuti Dei.
Mia cugina doveva essere un lontano parente degli Dei, visto che tornò in coma.
Mio padre venne ritenuto un semidio, siccome fu proprio lui che, chissà come, uccise il sovrano nemico sacrificando la sua stessa vita. Saputo questo, lo detestai ancora di più.
Aveva ucciso un grande uomo, il mio idolo, abbandonando sua moglie e sua figlia piccola. Quell’insopportabile mocciosa non si sarebbe nemmeno ricordata di suo padre ma nessuno era triste per lei, perché Elisa era la figlia dell’eroe che aveva liberato il mondo dalla stretta del nemico.
Io non andai a combattere per principio. Non ero avversa al sovrano, nonostante avesse dichiarato guerra con il pretesto della mia intrusione nelle sue terre. Ovviamente voleva solo allargare i suoi confini e distruggere le razze inferiori, ufficialmente però la pace era stata rotta a causa mia.
In ogni caso non avevo motivo di combatterli, appoggiavo l’idea di sterminare le streghe e qualunque altro essere che non fossero i demoni.
Come se non bastasse ero riconoscente al re, gli dovevo la vita. Sei anni prima alla parata mi aveva risparmiato perché io avevo salvato l’erede al trono. Come ringraziamento, mi prese per le spalle portandomi fino al confine, mi poggiò su di esso e mi disse di non tornare più.
Non seppi cosa accadde a Lilith ma ciò che successe a me lo ricordo bene.
Non ci fu gloria per colei che aveva osato andare contro al terzo e al quinto emendamento delle leggi del Concilio, piuttosto trovai solo punizioni.
Non mi apprezzarono nemmeno quando raccontai di aver ucciso un serpente demoniaco a mani nude. Che stupida ero allora, ancora cercavo l’ammirazione di coloro che osavo chiamare famiglia.
Dell’aver disertato il fronte rimpiangevo solo di non aver visto i demoni che tanto ammiravo.
Dai racconti dei sopravvissuti seppi che avevano partecipato creature come Amon, Abaddon e Alastor. Come risorsa, il re aveva messo in campo anche il gigantesco lupo Fenrir.
- Era un vero inferno laggiù!-
Raccontò un uomo, tornato a causa di una profonda ferita.  
- Non avevo mai visto tanti mostri! Ce ne erano alcuni orripilanti! Ho visto un grande cobra e dovunque andava scendeva la notte su di lui! Era terribile!-
L’uomo era in stato di shock ma capì immediatamente che si trattava della grande divinità del buio.
- C’era anche un mostro gigantesco con tre teste!-
Continuava a ripetere.
- E che teste erano?-
Chiedevano altri.
- Quelle di un gatto, un uomo e un rospo. Faceva ribrezzo!-
Era ovviamente Bael, il miglior generale che il re potesse avere in battaglia.
La guerra era stata vinta solo da un anno, quando la sentenza del Concilio giunse nel becco di uno splendido colombo. A leggerla fu la seconda moglie di mio padre, con grande gioia.
Come vi era scritto, le streghe mi condannavano a morte e sarebbero stati gli angeli a giustiziarmi.
Ufficialmente non sarei stata uccisa per crimini contro natura, per essermi macchiata le mani di sangue o per aver scatenato l’ultima guerra. Meritavo la morte per aver infranto il primo ed il secondo emendamento del regolamento: aver svelato ad un essere umano di essere una strega.
La loro ironia mi faceva quasi sorridere.
 
Sedevo sul letto, quando capii che tutto stava per finire.
Era mattina, il sole entrava dalle finestre creando dei tenui fasci di luce sul pavimento.
I raggi mi riscaldavano la schiena, quasi avvolgendomi in un abbraccio.
L’aria fresca e il cinguettio fuori dal mio davanzale faceva presagire l’inizio della primavera.
Gli uccellini cantavano, mentre la mia anima piangeva. Non versavo lacrime ma il mio cuore era distrutto. Il mio sguardo vagava nel vuoto, mentre le mie orecchie erano intente ad ascoltare tutto ciò che avveniva in casa.
Elisa correva da una parte all’altra cercando una bambola persa. Sua madre telefonava a tutti i cari rimasti, informandoli di due grandi novità, una delle quali si riferiva a me.
Dalla fine del corridoio, in una piccola stanza parallela alla mia, provenivano due voci.
Mia cugina di un anno più grande si era svegliata dal coma.
Era appena stata informata della fine della guerra, della nostra vittoria e della eroica morte dello zio, ucciso sacrificandosi contro il Re dei Demoni.
Intanto il mio ragazzo le stringeva la mano e la baciava affettuosamente. No, il suo ragazzo.
Ero sempre stata invaghita di lui. Lo avevo desiderato da quando mia cugina lo aveva portato a casa. Come una stupida, mi ero infatuata perdutamente di un umano mentre lui aveva sempre giocato con i miei sentimenti. Non appena la sua ragazza era entrata in coma, si era gettato senza ripensamenti sulla cugina più piccola, forse attratto malsanamente dalla mia diversità.
Io accettai le sue attenzioni priva di sensi di colpa, avevo desiderato a lungo che accadesse e non avevo certo intenzione di rinunciarvi.
Nessuno era a conoscenza della nostra relazione, sarebbe stato uno scandalo per la reputazione della semi-dea. Per la gente lui era sempre il suo fedele fidanzato che, una volta a settimana, andava a portarle dei fiori al capezzale.
La nostra intensa, purtroppo breve, storia si interruppe nel momento in cui lei riaprì gli occhi.
Lui, senza dirmi una parola, ritornò da lei facendo finta che niente fosse successo.
Per gli umani era tanto facile ma per le streghe no.
Io avevo fatto un patto di fiducia con lui, gli avevo rivelato di essere una strega e con ciò noi eravamo legati per sempre. Le stupide e antiquate leggi del Concilio erano chiare: se una strega rivelava la sua natura e veniva tradita, doveva essere bruciata sul rogo.
La mattina che lei aprì gli occhi e lui la baciò, il mio cuore finì in pezzi.
Il Concilio non perse tempo, ottenuto il consenso celeste, sentenziò la mia morte specificando che non sarei stata messa al rogo. Scrissero che meritavo qualcosa di più particolare, di più adatto alla mia razza, tralasciando ovviamente che non potevano fare altrimenti.
Fu allora che la mia matrigna seppe della relazione fra me e l’umano.
- Sgualdrina-
Sbottò, con ancora la pergamena in mano.
- Rubare il ragazzo a tua cugina in coma. Meriti di morire-
Secondo i mortali io meritavo sempre si morire, non appena respiravo. Non importava quale era la ragione ufficiale, finalmente si sarebbero sbarazzati di me e del mio sangue misto.
- Se solo tuo padre fosse ancora qui…-
Continuò la donna, inveendo successivamente contro di me. Sospirai, non prestando attenzione al suo ribrezzo o alle sue parole. Proseguì ad osservare i raggi di sole sul pavimento, inerme e terrorizzata.
Non sarei mai riuscita a sopravvivere agli angeli. Ero spacciata.
- Quella ragazza ha perso tutto per la guerra che tu hai causato! Io ho perso un marito, Elisa il padre e tu non ti sei nemmeno degnata di andare al fronte. Se solo ti avessero ucciso alla nascita…-
Non replicai, quelle parole giunsero troppo lontane alle mie orecchie.
Finalmente era arrivata la mia ora. Il Concilio, mio padre e sua moglie avevano aspettato per venti anni quel momento. Era bastato un ragazzo, un uomo, per mettere fine a tutto.
Senza accorgermene, mi alzai. Costeggiai il muro lentamente, a piedi scalzi, sotto lo sguardo di Priscilla e di sua figlia.
- Dove stai andando?!-
Non risposi. Non sapevo nemmeno io quello che stavo facendo, però continuai a camminare.             
Giunsi fino alla fine del corridoio, fermandomi solo quando scorsi la camera di mia cugina.
Rimasi silenziosamente sulla soglia, spiando al suo interno.
La figura lunga e snella di Lidia era stesa sul letto. I capelli rossi ricoprivano tutto il cuscino e lui li toccava, li odorava.
- Ti sono mancata?-
Chiese la ragazza, accarezzando la guancia che solo la sera prima io avevo baciato.
- Immensamente-
- Cosa hai fatto senza di me?-
- Niente, mi hai lasciato un anno a soffrire e a sognare la tua guarigione. Senza di te non posso vivere-
Strinsi i pugni, protendendo leggermente la mia mano destra verso di loro. La tenni sollevata per qualche istante, desiderosa di inglobare le loro vite e soffocarle. Le mie iridi si contornarono di rosso, quando udì la voce terrificata di Priscilla.
- Victoria!-
Sussultai, rinsavendo. I due ragazzi si voltarono verso di me, fissandomi sorpresi. Indietreggiai di un passo innanzi ai loro occhi, trafitta dai loro sguardi. Lasciai perdere, volgendomi per tornare in camera mia, decretando che non ne valesse la pena.
 
Quando Priscilla venne a controllare quello che stavo facendo, era già troppo tardi.
Ormai avevo preparato lo zaino e messo dentro tutto quello che mi era più caro.
- Non puoi scappare! Devi accettare la legge!-
Urlò la vedova di mio padre, con il desiderio di fermarmi. Non aveva nessun modo di avvertire il Concilio della mia fuga, non c’era proprio il telefono nella sede di quelle mummie preistoriche.
- Io non sono come mia madre!-
Urlai furibonda contro di lei, facendola indietreggiare.
- Non starò ad aspettare pazientemente che gli angeli mi uccidano!-
Si allontanò da me, senza dire una parola. Lasciò che preparassi i bagagli, osservandomi mentre mi legavo i lunghi capelli neri. Il caldo mi stava soffocando.  
Mi tolsi i vestiti che ero costretta ad indossare, scegliendo semplicemente degli shorts e un top.
Iniziava ad andare meglio ma avevo ancora troppo caldo.
- Non puoi uscire così-
Rimproverò la donna, sempre sul ciglio della porta.
- Oh, certo che posso-
Risposi ormai fuori di me.
Stavo dicendo addio a tutto quello a cui tenevo, a tutto quello che avevo conquistato. Non avrei più cercato la normalità, non avrei più tentato di assomigliare agli altri.
Il voler essere normale mi stava portando alla morte, la mia natura invece mi avrebbe salvato.
Se volevano uccidermi ero pronta ad affrontarli o almeno avrei tentato.
- Non mi direte più cosa devo fare-
Sentenziai, controllando per l’ultima volta il contenuto del mio zaino. 
Un pettine, due cambi di vestiti, un coltello svizzero rubato a mio padre da piccola, la scatoletta con l’unico ricordo di mia madre e dei soldi.
Tutto ciò di cui avevo bisogno era lì dentro.
Con l’aria fresca della primavera, con lo zaino pronto e Priscilla adirata sulla porta, era giunto il momento di andarsene per sempre.
Mi volsi con lo zaino in spalla, mentre la mia matrigna si faceva da parte. Nonostante si logorasse, non era capace di impedirmi di andare. Non poteva fare altro che sperare che gli Anziani mi catturasse in fretta.
Oltrepassando il corridoio, incappai nella piccola Elisa di sette anni.
- Torni presto?-
Chiese, stringendo una bambola in mano. Ignorava la voce della propria madre che le diceva di spostarsi, continuando a guardarmi con i suoi fastidiosissimi occhi dolci.
- No, non torno proprio-
Dissi fermamente, scorgendo le lacrime nello sguardo di quella bambina.
- Prima papà…poi tu…-
Non avevo mai provato sentimenti fraterni verso la terza figlia di mio padre. Era sempre stata solo una creatura bionda che camminava per casa. In quel momento però, mi fece una grande pena. Amava qualcuno che non ricambiava i suoi sentimenti ma come potevo amarla? Non avevo cuore, come diceva il Concilio. Non provavo sentimenti, ero solo un mostro.
- Io non ho mai fatto parte della tua famiglia, dimenticami. Attaccati a Lidia piuttosto-
La sentì scoppiare a piangere mentre scendevo le scale per raggiungere la porta di casa.
Prima di spalancarla completamente, piena di rabbia, udì ancora la fastidiosa voce di Priscilla.
- Fermati Victoria!-
Urlò.
- Non puoi andartene! Se resti riscatterai il tuo onore! Se accetti le regole il tuo nome non verrà avvelenato più di quanto già non è!-
- Non me ne frega niente-
Risposi divertita mentre la donna mi guardava, inerme. Terrorizzata di essere accusata della mia fuga, cercò di prendere tempo dando un pugno sulla parete.
- Maledizione Victoria!-
Gridò infuriata, sorprendendomi per tale coraggio.
- Non sei più una bambina! Adesso le tue azioni hanno delle conseguenze! Non è come quando a sedici anni scappavi nel Regno delle Fate! Sei adulta ora!-
Scoppiai a ridere, non riuscendo a trattenermi.
- Priscilla, io a sedici anni le uccidevo le fate. Secondo te cosa potrei fare adesso?-
La donna si mise le mani alla bocca, senza più il coraggio di parlare. Forse si ricordò del “mostro delle fate” che qualche anno prima era sulle cronache di tutti i giornali. Per varie settimane una misteriosa figura aveva carbonizzato decine di quelle leggiadre creature, per poi svanire improvvisamente.
Cosa ne sapeva lei del mio nome? Non conosceva niente di me.
- Adesso, su questa porta, Priscilla io ti faccio una promessa. Io il mio nome lo eleverò, non lo infangherò. Tutti si ricorderanno di me ma non per come mi conosci tu. Io distruggerò il Concilio delle Streghe Priscilla, ecco per come mi conosceranno-
Con quelle parole me ne andai, sbattendo forte la porta di casa per l’ultima volta. Avanzai di qualche passo prima di voltarmi verso la finestra di mia cugina. Da lì, il suo ragazzo mi stava fissando mentre scuoteva la testa. Aveva sentito le urla e ora mi guardava sdegnato. Mi credeva pazza ma glielo avrei fatto vedere io di cosa ero capace.
Camminando all’indietro, rivolta verso la finestra, alzai la mano sinistra e gli mostrai il dito medio. Dopodiché mi diressi verso la stazione ferroviaria.
 
Correvo con il cuore che batteva a mille, consapevole di non avere speranze contro gli angeli.  Avevo tutta l’intenzione di sfidarli, appena ne avessi avuto la forza. Per il momento dovevo fuggire, nascondermi fino a che non avessi ottenuto il potere per difendermi.
- Maledetto Concilio!-
Sbottai mentre correvo verso la stazione.
- Maledetti angeli!-
Ero piena di rabbia. Era stato il Concilio ad impedirmi di studiare l’arte della magia. Non sapevo quasi nulla sugli incantesimi, pure le sciocche streghe della mia età erano molto più sapienti di me. Ovviamente non avevo seguito le loro regole e avevo rubato dei libri di magia, conscia che prima o poi mi sarebbero serviti. Purtroppo fra ciò che avevo letto e imparato non c’era niente che potesse aiutarmi contro gli angeli.
Ero quasi giunta alla stazione, quando udii un rumore dietro di me. Mi insospettì, visto che all’ora di pranzo nella mia piccola cittadina non vi era nessuno. Per di più dopo l’ultima guerra il mio paese era diventato una città fantasma. Le strade erano sempre deserte, i negozi chiusi con le saracinesche abbassate, porte e finestre di molte case erano sprangate con assi di legno. Molti uffici vennero chiusi e rimasero solo i servizi necessari. Un pronto soccorso, un ufficio delle poste, una locanda sempre vuota, un giornalaio. Questo era tutto quello che rimaneva della mia città natale.
Mi volsi lentamente verso quel suono inquietante, accertandomi di essere sola.
Scrollai le spalle, riprendendo a camminare e cercando di dimenticarlo.
Dopo pochi passi, lo risentì. Mi volsi velocemente, tentando di cogliere il colpevole sul fatto.
- Miaow-
Un gatto.
Cercai di calmarmi. Feci un profondo respiro, passandomi una mano fra i capelli. Avevo i nervi a fior di pelle e mi stavo agitando troppo. Era solo un gatto.
Cercai di non farmi prendere dal panico, rassicurandomi che avrei fatto in tempo a prendere un treno e a confondermi in una grande città. Gli Anziani erano potenti ma anche estremamente lenti
e tradizionalisti. La prassi voleva che fosse il Concilio a prelevare la strega da casa, per poi giustiziarla il mattino seguente all’alba. Nel mio caso, gli angeli mi avrebbero aspettato nella sede degli stregoni, a meno che io non fossi scappata.
Li avrebbero spediti sulle mie tracce non appena accortasi della mia fuga, avevo qualche ora al massimo. Ripresi a camminare, voltandomi per un’ultima volta indietro. Il gatto era sempre seduto in mezzo alla strada, intento a fissarmi. Un gatto bianco.
No, il Concilio non poteva già essere sulle mie tracce.

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Capitolo 5
*** Il marchio ***


Quando giunsi alla stazione, ebbi una brutta sorpresa: avevo perso il treno.
Il convoglio per la città vicina era appena partito e il prossimo sarebbe passato solo un’ora dopo.
Caddi nella disperazione. Alzai lo sguardo al cielo, scrutando fra le nuvole speranzosa di non incrociare già le loro terribili ali bianche. Cercai di respirare, di prendere aria. Era troppo presto, non potevano aver già scoperto la mia fuga. 
- Dovevi andare da qualche parte, Victoria?-
Il ferroviere chiuso in guardiola smise per un attimo di bere il suo caffè. Mi guardava fisso negli occhi, forse chiedendosi quali guai sarei andata a combinare questa volta. Mi aveva visto partire tante volte, spesso anche nel cuore della notte e quasi sempre senza biglietto. Assisteva alle mie partenze avventurose ma anche ai miei ritorni pieni di vergogna. Partivo sola per tornare scortata da membri del Concilio o da loro fastidiosissimi collaboratori. Era anche capitato che me ne tornassi spontaneamente, delusa da ciò che avevo trovato lontano da casa. Quella volta però, si trattava della mia ultima partenza, una partenza di sola andata.
- No, non importa…-
- Il prossimo passa fra un’ora!-
Come se non lo sapessi. Era già tanto se ne passava uno all’ora in quel microscopico villaggio abbandonato da tutto e da tutti. Era stata la sede di uno degli Anziani ma in realtà era solo un buco sperduto nei boschi, dove nevicava sempre e anche in estate era sempre nuvoloso.  
Con il cuore che scalpitava e con il caldo che non mi mollava, uscì dalla stazione verso i binari.
Mi guardai intorno, incredula. Non vi era neanche un vagone, nemmeno un treno merci.
Strinsi i pugni, continuando a tenere sotto controllo il cielo. Non potevo farne a meno, ossessionata che mi avessero già trovata. Rabbrividì a quel pensiero, sentendomi così impotente contro di loro.
- Pensi che pioverà?-                        
Mi volsi sussultando. Credevo di essere sola e quella semplice voce, con i miei nervi a fior di pelle, mi provocò quasi un infarto.
Ripresi fiato quando mi accorsi che si trattava solo di un ragazzo. Avrei giurato che fino ad un attimo prima non ci fosse eppure sedeva lì, sull’unica panchina della stazione.
- Come?-
Chiesi confusa.
- Il cielo-
Rispose il ragazzo.
- Non facevi altro che guardarlo-
Non risposi, osservando il suo volto fino a dimenticarmi della domanda. Era il ragazzo più bello che avessi mai visto, non sembrava neanche umano. Solitamente non mi facevo affascinare facilmente, eppure i suoi tratti delicati mi congelarono. Non potei fare a meno di fissarlo.
Aveva gli occhi d’oro come i miei. La sua pelle pallida splendeva alla luce del sole e gli abiti erano troppo eleganti per un provinciale. Vestiva completamente di nero, in un modo che avevo visto solo sei anni prima.
- Dove devi andare?-
Chiese ancora, facendomi rinsavire.
- Eh?-
- Stai aspettando un treno, no? Dove stai andando?
- A Colchester-
Risposi imbambolata, ricordando in seguito che rivelare il mio itinerario ad un perfetto estraneo non fosse una mossa proprio intelligente.
- Ho sentito dire che è stupenda in questo periodo dell’anno-
Descrisse il giovane, sorridendo. Non mi parve pericoloso, né un collaboratore del Concilio.
Dunque lo ignorai, domandandomi come avrei fatto a lasciare la città immediatamente. Sconfortata mi tolsi lo zaino di dosso, lasciandolo cadere a terra. Dovevo averlo chiuso male visto che alcuni oggetti uscirono, fra cui il prezioso ricordo di mia madre che rotolò fino ai piedi del ragazzo.
Questo lo prese al volo, fissandolo intensamente. Era solo una piccola scatola in legno ma conteneva la piuma che mi permetteva di sopravvivere. Il mio cuore non smise di stringersi fino a che non la riebbi in mano, sentendomi immediatamente più sicura e meno sola.
Dovevo smetterla di tenerla nello zaino.
- Hai appena perso il treno, lo sai vero?-
- Sì-
Risposi, esasperata dalla mia sfortuna.
- Anche tu devi andare a Colchester?-
Chiesi a terra, risistemando il contenuto del mio bagaglio. Il ragazzo avanzò verso di me, osservandomi accovacciata al suolo. Quando mi alzai, notai quanto fosse alto rispetto a me.
- No-
Proferì.
- Dovevo venire proprio qui ma credo che ripartirò. C’è brutta gente in questo villaggio-
Sorrisi, pur non comprendendo a fondo le sue parole.
- Lo hai notato anche tu, eh?-
Domandai ironica, ripercorrendo con la mente tutti gli sciocchi umani che popolavano il paese.
- Comunque, io parto subito-
Sbottai rimettendomi lo zaino sulle spalle.
- E come se hai perso il treno?-
Chiese, sarcastico.
- Andrò a piedi-
Il ragazzo perse il sorriso quando mi vide saltare sui binari ed iniziare la mia marcia verso la città vicina. Dopo qualche istante di titubanza, decise di seguirmi.
- Non hai proprio paura di nulla, vero?-
Disse balzando verso l’erba e camminando lungo la stretta rotaia in ferro, come facevo io. Non era molto bravo a restare in equilibrio, dopo poco infatti rinunciò ad imitarmi e prese a marciare sulla traversina del binario. 
- E se dovesse passare un treno?-
- Lo eviterò-
Affermai, iniziando anch’io a camminare sulle assi in legno a cui le rotaie erano fissate.
- Tu sai che Colchester è lontano, vero?-
- Sì-
Risposi solamente. Tralasciando la sua bellezza, quel ragazzo iniziava ad infastidirmi. Non era ottimale per un fuga portarsi appresso un curiosone che non la smetteva un attimo di fare domande.
- E sai che in treno ci metteresti molto meno?-
- Sì, lo so-
- Eppure, preferisci camminare per un giorno, piuttosto che aspettare un’ora?-
- Sì! Preferisco!-
Alzai la voce, lanciandogli un’occhiataccia.
- Di solito sei sempre così scontrosa?-
- Non sono scontrosa-
Lui rise.
- No, certo. In questo momento speri solo che un treno mi investa-
Allora fui io a ridere, pensando come non fosse del tutto falso.
- Ma tu cosa vuoi da me? Perché mi segui?-
Chiesi, continuando a camminare svelta.
- Mi annoio-
- E per questo stai seguendo una sconosciuta lungo dei binari isolati? Potrei essere una pericolosa assassina-
- Davvero? Non sembri un’assassina-
- Potrei stupirti, credimi-
- Comunque, se riesci a portarmi fuori città prima di un treno, io ti seguo. Ti ho detto che non voglio rimanere qui-
- Abbiamo una cosa in comune-
Per un po’ rimase in silenzio ma non durò a lungo. Io intanto tenevo d’occhio il cielo e la vegetazione che mi circondava, terribilmente angosciata. Fissavo ogni singolo albero o cespuglio, consapevole che chiunque poteva nascondersi fra di essi. Per un pezzo le rotaie proseguivano nel bosco e forse non era stata una grande idea percorrerle a piedi.
- Perché stai correndo?-
Chiese il ragazzo, accortosi che avevo accelerato notevolmente il passo.
- Ho fretta. L’hai detto tu che il cammino sarà lungo, no?-
- Stai scappando?-
Mi fermai un momento, riprendendo fiato. Di conseguenza anche lui si fermò. Era lontano da me giusto di qualche metro, senza più il sorriso stampato in volto.
- Da cosa lo hai capito?-
Domandai, senza tentare di negare.
- Non mi sembri una che sta andando in gita-
Risi istericamente. Di certo una che partiva per una scampagnata non prendeva la strada dei binari.
- Cosa hai fatto?-
Sbuffai a quella domanda, riprendendo a camminare.
- Chi ti dice che io abbia fatto qualcosa?-
- Di solito uno che scappa ha fatto qualcosa…sei una ladra?-
- Non ancora-
- Sei veramente un’assassina?-
- Non è per quello che sto scappando-
- Una strega?-
Mi fermai di nuovo, fissandolo intensamente, non sapendo cosa rispondere.
Avevo il sole negli occhi, non riuscivo nemmeno a vederlo bene senza una mano sul volto.
- Anche se fosse?-
Lui scosse le spalle ed io ripresi a camminare, non avendo tempo da perdere.
- Fai troppe domande-
Sbottai scocciata. Lui aumentò il passo, fino quasi a raggiungermi.
- Me lo dicono in molti. Sono un tipo curioso-
Non riuscì a sorridere, nonostante il suo tono sarcastico.
- Da chi stai scappando?-
Continuò, cercando di spezzare il silenzio.
- Da gente pericolosa-
Affermai.
- Vattene se non vuoi finire coinvolto. Non seguirmi più-
- Io adoro combattere contro gente pericolosa-
Rispose sconcertandomi. Mi volsi per guardarlo in faccia, sussultando terribilmente quando notai che era sparito. Dietro di me vi erano solo le rotaie vuote.
Spaventata, mi girai per scappare ma urtai contro qualcosa. Caddi leggermente all’indietro, constatando di aver colpito lo stesso ragazzo che era appena svanito dietro di me.
- Non sono io quello da cui devi scappare-
Spiegò con tutta calma, guardandomi negli occhi e sorridendo.
- Io sono dalla tua parte-
Era scomparso ricomparendo dal lato opposto in pochi attimi, decisamente non era umano.
- Sei…Sei…uno stregone?-
Chiesi intimorita.
- S-Sì-
Rispose lui incerto. Feci un ulteriore passo indietro, agitandomi al pensiero che fosse stato il Concilio a mandarlo. Lo scrutai per qualche attimo, prima di spintonarlo forte, tentando di allontanarlo da me il più possibile.
- Allora non siamo dalla stessa parte!-
Urlai cogliendolo di sorpresa. Lo sorpassai prendendo a correre lungo i binari, mentre lui ancora cercava di capacitarsi della mia reazione.
- Aspetta!-
Gridò iniziando a rincorrermi.
- Non voglio farti del male!-
- Vattene!-
Urlai rinnovando l’invito.
- Fai parte del Concilio!-
- No!-
Ribatté il giovane, raggiungendomi. Tentai di correre più veloce, se era uno stregone probabilmente era stato lui a seguirmi per la strada. Quei passi non me li ero immaginati e se lui era lì voleva dire che avevano già scoperto la mia fuga. Gli angeli sarebbero arrivati a momenti e mi avrebbero uccisa lì, fra i binari, dove nessuno avrebbe mai più ritrovato il mio corpo. Con questo pensiero inciampai, cadendo a terra sulle assi in legno.
Mi sbucciai le mani e le ginocchia, perdendo lo zaino. Nel frattempo il mio inseguitore mi raggiunse in un baleno, offrendosi di soccorrermi.
- Stammi lontano-
Ordinai, recuperando le mie cose e tentando di rialzarmi in fretta.
- Non devi scappare da me-
Spiegò il ragazzo, rispettando la mia decisione di non essere aiutata.
- Non sono del Concilio-
- Bene-
Sbottai scuotendomi gli abiti.
- Se non sei qui per uccidermi, allora te ne puoi andare-
Dichiarai con fermezza, oltrepassandolo.
- Perché me ne devo andare in ogni caso?-
Domandò il giovane con tono esasperato, rimanendo indietro.
- Perché io viaggio da sola!-
Finalmente non ribatté ed io sperai di poter proseguire in pace. Se non faceva parte della giuria della mia esecuzione, potevo proseguire senza perdere altro tempo inutilmente.
- Stai fuggendo da loro? Dal Concilio?-
Tornò a chiedere dopo qualche minuto. Annuì, senza voltarmi.
- E dagli angeli-
Aggiunsi.
- Gli angeli?!-
Urlò il ragazzo seriamente sconvolto. Mi volsi leggermente, osservando la sua espressione sbigottita. Non era rimasto sorpreso del Concilio ma delle creature celesti sì.
- Non lo sapevo…-
Bofonchiò arrestandosi e smettendo temporaneamente di seguirmi.
- Come?-
- Niente-
Tornai ad ignorarlo, procedendo lungo il bosco e lasciandolo indietro. Improvvisamente lo sentì nuovamente dietro di me, pronto con altre domande. Quella situazione mi ricordava stranamente un fatto al quanto simile accaduto sei anni prima, anche allora ero stata seguita con le stesse modalità. 
- Cosa hai fatto per metterti contro gli angeli?-
Chiese candidamente il ragazzo, ignaro di come quella domanda fosse capace di trafiggermi il cuore.
- Sono nata, ecco cosa ho fatto!-
Sbottai, fuori di me dalla rabbia.
Il giovane sussultò, osservandomi stranito ad un metro di distanza. Mi vennero le lacrime agli occhi, logorata dagli ultimi eventi che si erano abbattuti su di me e che non avevo ancora metabolizzato.
- Poi ho fatto un patto di fiducia con un umano-
Spiegai certa che, essendo uno stregone, avrebbe capito. Mi asciugai le lacrime, ripensando piena di collera a quel maledetto. Forse avevo sbagliato a non ucciderlo.
- Scommetto che ti ha tradito-
Io annuì, asciugandomi le lacrime.
- Da regolamento dovrei essere bruciata sul rogo. Sai come funziona, no?-
- C-Certo-
Rispose, non proprio sicuro.
- Ma nel mio caso verrò consegnata agli angeli e poi uccisa. Per questo sto scappando-
- Dove andrai?-
- A te che importa?-
Gli volsi le spalle, riprendendo a camminare. Non disse niente, continuando comunque a seguirmi lungo i binari. Attese pazientemente che rispondessi, massacrandomi con quel terribile silenzio che pretendeva un responso.
- Nel Regno delle Fate-
Svelai alla fine, arrendendomi.
- Certo, sei una strega. Ti piacciono le fatine, vero?-
- Non dire mai più una cosa del genere-
Sbottai, fermandomi di colpo e minacciandolo con lo sguardo.
- Odio quelle insulse creature-
Affermai, piena di disprezzo.
- Hai spesso questi sbalzi d’umore?-
Domandò beffardo, infastidendomi. Non lo degnai di una risposta, continuando a procedere offesa.
- Perché vai da loro?-
Tornò a chiedere, poco dopo.
- Perché vai dalle fate se non le sopporti?-
Sbuffai. Dovevo spiegargli proprio tutto.
- Perché lì non mi cercheranno mai!-
- Allora dov’è che ti cercherebbero?-
- Nel Regno dei Demoni-
Tacque. Per un po’ rimase come a pensare, serio. Nel frattempo io riflettevo su cosa avrei fatto d’ora in avanti, non avevo ancora affrontato il problema. Era difficile per me confondermi con le altre persone, per gli Anziani sarebbe stato abbastanza facile trovarmi anche in un’altra città. Forse avrei dovuto vestirmi più pesantemente, anche se ne avrei sofferto. Tagliare i lunghi capelli.
- Quindi…perché non sei andata dai demoni?-
Chiese distogliendomi dai miei pensieri. Il suo record erano stati cinque minuti di silenzio, non era capace di meglio.
- Ti prego, vattene. Ma cosa vuoi?!-
Urlai io senza neanche ascoltarlo, camminando ed agitando le braccia per l’esasperazione.
- Lasciami stare. Sciò! Sono già abbastanza nei guai-
- Voglio che tu venga con me-
- Cosa? No!-
Risposi categoricamente.
- Non so nemmeno chi sei!-
Affermai ridendo, ritenendo che non stesse parlando sul serio.
- Posso aiutarti-
Replicò il ragazzo senza demordere.
- Nessuno può aiutarmi!-
Spiegai tentando di allontanarmi da lui. Mi bruciavano le ginocchia e dovevo essermi slogata una caviglia a causa di quel petulante scocciatore, desideravo solo che se ne andasse, non che tentasse di aiutarmi.
- Non ti lascerò andare così-
Affermò improvvisamente, con tono estremamente autorevole, provocandomi i brividi lungo la schiena.
- Come?-
Domandai volgendomi ancora una volta verso di lui. Sobbalzai, notando che fosse a pochi centimetri da me. Aveva colmato la distanza che ci separava in un battito di ciglia e mi fissava duramente dall’alto verso il basso, con i suoi grandi occhi gialli. Velocemente mi afferrò per un polso senza darmi il tempo di scappare. Strinse forte trascinandomi verso di sé, senza ferirsi con la mia temperatura elevata e senza attivare i poteri del mio amuleto.
Era immune al mio tocco, immune all’incantesimo di mia madre e più forte di me.
Non poteva essere uno stregone.
- Scusa-
Bofonchiò, poco prima che percepissi un intenso calore al braccio che stava stringendo.
- Ahi! Lasciami!-
Gridai dimenandomi. Il ragazzo non obbedì, al contrario continuò a tenermi ben salda, ferendomi con il solo tocco della sua mano. Ero ancora intenta a dibattermi quando improvvisamente avvertì uno strano capogiro. Il suolo, la foresta, il cielo ed ogni cosa che mi circondava si stava muovendo. A malapena riuscì a mantenere l’equilibrio. Mi sentì terribilmente spossata e stordita, non avevo mai provato niente di simile. Chiusi gli occhi per un attimo, sperando che passasse presto. Quando li riaprì, il ragazzo mi lasciò ed io caddi in ginocchio, stringendomi il polso dal dolore.
Non appena notai di essere tornata alla stazione ferroviaria, il mio cuore si strinse.
- No-
Sussurrai disperata.
Quel pazzo mi aveva riportata indietro, tutta la strada che avevo fatto era stata inutile. In un’ora avevo percorso qualche chilometro e lui ora mi aveva riportato al punto di partenza. Era finita.
- Ora puoi andare-
Affermò, soddisfatto.
La mia risposta poco signorile venne soffocata dal fischio del treno, appena giunto in stazione. Drizzai le orecchie, voltandomi verso i binari. C’erano dei vagoni sulle rotaie e il macchinista continuava ad urlare il nome della città verso cui erano diretti.
- Colchester! Treno per Colchester in partenza!-
- Il treno!-
Sbottai rialzandomi.
Era già passata un’ora ed era arrivato il treno dopo. Tanta agitazione e alla fine avrei preso il treno dell’ora dopo lo stesso. Il convoglio stava già per ripartire quando scattai verso le rotaie, dando le spalle al ragazzo.
- Te la farò pagare!-
Garantii mentre cercavo di raggiungere il treno in tempo.
- Giuro che me la pagherai!-
Sgusciai fra le porte che si stavano chiudendo, senza voltarmi indietro.
La locomotiva partì all’istante ed io mi lasciai cadere per terra, ansimando.
Ce l’avevo fatta, ero sul treno per Colchester. 
Dopo qualche istante di assestamento controllai le condizioni del mio polso. Quel maledetto mi aveva ustionato, era riuscito a ferirmi nonostante il potere della piuma. Fissai intensamente il punto in cui mi aveva bruciato, notando un marchio impresso sulla pelle. Sobbalzai incredula, non mi aveva ustionata, mi aveva marchiata.
 
Giunsi a Colchester dopo quattro ore di viaggio, arrivando al tramonto. Il treno per la prossima città sarebbe partito solo l’indomani ed io mi preparai psicologicamente a passare la notte per strada. Uscì rassegnata dalla stazione, guardandomi attorno. Colchester era davvero molto popolata e le strade erano piene di giovani che non facevano altro che camminare verso chissà dove. Mi confusi fra la folla, divenendo una delle tante teste che avanzavano, unite e compatte. Difficile dire se fossi circondata da stregoni o umani, non ero affatto capace di riconoscerli.
Le streghe vivevano nascoste fra gli umani da cinquecento anni, dalla terribile guerra civile nata dopo l’unione del regno delle streghe e dello stato degli umani. La convivenza non aveva funzionato fin da subito, da quando gli umani avevano usato i poteri delle streghe per i loro subdoli scopi e, d’altro canto, le streghe avevano usato gli umani come ingredienti per i loro incantesimi. Molti uomini provarono invidia nei poteri magici delle streghe, altri terrore. Molte streghe si approfittarono della debolezza degli umani, schiavizzandoli presso le loro abitazioni. Cento anni di screzi, per arrivare alla guerra e alla morte al rogo di moltissimi stregoni. Ci furono perdite ingenti da entrambe le parti, sino a che il Concilio non prese una decisione estrema: cancellare la memoria alla popolazione.
La gente ripartì da capo, senza sapere chi possedesse poteri magici o meno. Agli stregoni fu inviato un comunicato con le nuove regole, una di esse era l’assoluta segretezza della propria identità.
Da allora le creature magiche non avrebbero potuto rivelarsi agli umani, pena la morte. Instaurare un patto di fiducia permetteva di vivere una sana relazione, a meno che l’altro non commettesse adulterio. “Per mantenere la pace e l’ordine” dicevano loro. Come no.
Le due popolazioni si erano unite solo per paura del Re dei Demoni, il nemico comune.
I Lancaster avevano sempre terrorizzato le streghe e gli umani, ora che i demoni erano senza un capo davo alla nazione pochi mesi per ricordarsi degli antichi nemici. Le dispute si sarebbero riaccese, i rancori e gli contrasti sarebbero rinati, almeno sino a che il regno nemico non si fosse stabilizzato. Dopo un anno dalla caduta dell’ultimo re, i demoni stavano infatti ancora annaspando senza un sovrano. I discendenti ritardavano a prendere il trono, per una qualche controversia sulla successione. Avevo sentito che il regno si era addirittura scisso in due, dando inizio a conflitti armati per decidere quale Lancaster dovesse portare la corona.
Senza rendermene conto, arrivai nel centro città. I lampioni erano accesi, l’oscurità stava calando e la gente si riversava verso i bar, i ristoranti, i teatri. Era tanto che non vedevo una città con un po’ di vita. Nel mio paese calato il sole si andava a dormire, non c’erano certo negozi che facevano l’orario serale. Lì invece potei dedicarmi alla visione delle vetrine luminose con i loro articoli in vendita. Sospirai con il naso schiacciato contro di esse. Avrei tanto voluto fare degli acquisti.
La tentazione di vestiti nuovi, trucchi e borse veniva scacciata dalla mancanza di soldi.
Rimasi nel centro della piazza, ad osservare la vita tranquilla degli abitanti di Colchester.
Mi sentivo un’estranea nel mio stesso paese. Seduta lì, ad osservare da lontano la vita degli altri, mi ricordai di quando avevo fatto la stessa cosa con i demoni sei anni prima.
Osservai gli alti palazzi, la bellezza della piazza in cui mi trovavo, la torre del municipio con l’orologio. Notai le coppiette felici, le allegre famigliole e i gruppi di amici sorridenti che si dirigevano verso il cinema.
Una quiete effimera. Chiunque altro, innanzi a quello spettacolo, avrebbe potuto vedere una realtà serena, pensare che tutti stessero bene dopo la guerra e che vivessero in pace.
Io invece vedevo tante persone in gabbia, intrappolate. Persone costrette a sorridere e a nascondersi, a soffocare la propria natura per “il bene comune”.
Sapevo scorgere il desiderio di trasgressività in ogni volto che mi passava davanti ma anche la paura per le conseguenze.
Come si poteva definire pace? Non poteva esserci amore, se una strega si doveva dichiarare temendo la morte.
Non poteva esserci tranquillità per uno stregone che usciva con gli amici, se era schiacciato dal terrore costante della messa al rogo se veniva scoperto.
Non poteva esserci serenità se non veniva permesso l’utilizzo delle arti occulte, neanche per difendersi. In caso di attacco demoniaco allora saremmo serenamente tutti morti, perché il Concilio non ci aveva dato la possibilità di imparare la magia nera.
Trovavo la nostra società assurda e sbagliata e, dentro di me, provavo un grande desiderio di cambiarla.
 
Mi distaccai dalle folle urlanti e gioiose, non riuscendo più a sopportarle. Intrapresi i vicoli bui della città, vagando a lungo fra di essi. Respirai profondamente la fresca aria della sera, provando in quella quiete un senso di lontananza e di libertà. Nonostante fossi stata costretta ad andarmene, ero estremamente felice di averlo fatto e di non dover più tornare indietro. Non era più come una volta, quando alla fine di tutte le mie fughe ero sempre obbligata a far ritorno a casa. Questa volta era definitivo, non avrei più messo piede fra quelle mura.
Entrata nell’ennesimo vicolo, mi sciolsi i lunghi capelli corvini.  
Lungo le umide pietre delle case circostanti, mi tolsi l’anello che portavo, mettendolo in tasca.
Finalmente i miei poteri erano liberi.
Circondata dall’oscurità, strinsi la mia chioma nella mano sinistra, fissandola.
- Addio-
Sospirai tristemente. Aprì completamente la mano destra, come una lama. Concentrai tutte le mie energie in essa, dopodiché la usai per dare un taglio netto alla mia acconciatura.
In pochi istanti mi ritrovai con un taglio a caschetto. Gettai il resto in un cassonetto e sorrisi. Cercavano una ragazza con i capelli lunghi fino al punto vita, forse questo mi avrebbe aiutato un po’.  Solo allora, dopo quella piccola magia, mi ricordai di aver lasciato il mio libro di incantesimi a casa. Con lui, tutti i miei volumi proibiti sull’occulto, la magia nera e i demoni. Non li avevo neanche nascosti, chissà cosa avrebbe pensato il Concilio una volta trovati. Li avrebbero sicuramente mostrati come prova agli angeli, dimostrando come fosse giusto uccidermi. Risi, portandomi le mani alla testa. Morire per mano degli angeli doveva essere una caratteristica di famiglia. 
- Guarda, guarda. Cosa abbiamo qui?-
Udì improvvisamente.
- Una strega a quanto pare-
Mi volsi con il cuore in gola, cercando nelle tenebre i volti dei due uomini dalla voce così roca.
Grossi, sporchi e vestiti di stracci. Non sembravano appartenere al Concilio.
- Che fortuna. La serviremo ai caccia streghe con un bel fiocco in testa-
Feci un sospiro di sollievo, cercando di calmare i nervi. Erano solo i sottoposti di uomini armati e addestrati, denominati caccia streghe. Oppositori al Concilio, organizzati in gilde segrete il cui unico scopo era quello di rintracciare e uccidere le streghe. Discendenti del primo ordine organizzato cinquecento anni prima, durante i tentativi di convivenza. Anche senza memoria, l’ordine aveva continuato ad odiare tutte le creature magiche, desiderando eliminarle.
Non avevo alcun motivo di temerli.
Mi volsi dando le spalle agli energumeni, intenta ad aggiustarmi i capelli appena tagliati.
- Ehi tu-
Urlarono ancora gli irritanti umani nella quiete notturna.
- Ci stai ascoltando? Ti conviene pagarci se non vuoi essere venduta ai…-
- Mi state infastidendo-
Affermai, voltandomi lentamente verso le due creature inferiori.
- E’ stata veramente una brutta giornata e voi siete tremendamente rumorosi-
- Forse non hai capito con chi hai a che fare-
Sbottò uno dei due, estraendo un coltello dalla giaccia.
- Noi lavoriamo per i caccia streghe e tu hai perso l’opportunità di corromperci-
Decretò l’altro, mostrandomi una rete in filo d’argento fatato. Disgustata, osservai gli straccioni armati dell’unico oggetto capace di inibire i poteri di una strega, chiedendomi dove l’avessero preso.
Velocemente me la gettarono addosso, riuscendo ad imprigionarmi. Erano dotati di una mira invidiabile, dovevo concederglielo. Da quel momento non mi sarei potuta liberare, fino a che colui che mi aveva catturata non avesse smesso di vivere. Ghignai, sarebbe stato divertente.
Li scrutai attentamente attraverso i fili argentei della rete, a braccia incrociate. I due ridevano, assaporando già il bottino. Anche io sorridevo, avendo trovato una distrazione capace di farmi dimenticare del Concilio per qualche istante.
- Sei ancora in tempo per pagarci-
Informò uno mostrandomi i denti marci.
- Ovviamente devi offrirci più dei caccia streghe-
Scoppiarono a ridere fragorosamente, facendo echeggiare le loro voci lungo i vicoli del quartiere. Digrignai i denti, potevano attirare gli angeli su di me.
- Signori-
Chiamai pacatamente, riuscendo a farli tacere.
- Conoscete la storia di questa rete?-
I due si fissarono enigmatici l’un altro, prima di tornare a scrutarmi con faccia ebete.
- Sono stati gli Elfi ad intrecciarla, su commissione della Regina delle Fate. Ai tempi della grande guerra fra fate e streghe queste reti hanno mietuto molte vittime. Il sangue dei vostri antenati è stato riversato su di esse, io riesco ancora a sentirlo-
Indietreggiarono contemporaneamente mentre accarezzavo dolcemente i fili che mi imprigionavamo.
- Posso vederle, le particelle di sangue deposte su di esse. Posso scorgere i volti di coloro che sono morti avvolti fra questi fili-
Continuai stringendo forte le taglienti maglie d’argento, ferendomi i palmi e riversando qualche goccia del mio sangue su di esse. I due uomini indietreggiarono ulteriormente, guardandomi negli occhi come se fossi stata un mostro. Sorrisi, forse lo ero davvero.
- Posso vedere anche il vostro, scaturito per caso dalle vostre goffe dita per niente capaci di maneggiare un tale oggetto-
Affermai, richiamando le piccole tracce ematiche sulla rete fino alle mie mani, mischiandole con il mio sangue. Un piccolo cerchio rosso comparve nei miei occhi e gli umani vennero colti immediatamente da tremendi spasmi. I loro corpi presero a tremare, talmente forte da non potersi reggere in piedi. Cercarono di allontanarsi carponi a terra, terrorizzati. Risi innanzi a quel patetico spettacolo, ormai non mi sarebbero più sfuggiti, neanche in capo al mondo.
- Sta usando la magia-
Urlò uno intimorito.
- Non è possibile! La rete dovrebbe bloccarle i poteri!-
Stolti, quella che usavo non era stregoneria. Fin dalla nascita possedevo un potere speciale, qualcosa che non avevo dovuto imparare. Era innato nella mia natura e potevo padroneggiarlo quando la mia forza non era bloccata dell’anello che indossavo sotto la luce del sole.
- Uccidila-
Ordinò l’uomo che mi aveva imprigionata. Il compagno cercò di riprendere il coltello cadutogli ma non appena lo sfiorò venne colto dalle convulsioni. Si sdraiò completamente a terra, mentre l’altro urlava il suo nome. Poveri umani, la magia delle fate poteva inibire i poteri delle streghe, non il dono del mio sangue misto.
Strinsi maggiormente la mano destra, racchiudendo nel pugno il sangue che da quel momento mi apparteneva, la loro flebile vita che sarebbe dipesa da me. Ignorando le urla, continuai ad esercitare il mio incantesimo più potente, un simpatico trucco che io chiamavo “controllo del sangue”.
- Cosa gli stai facendo, mostro?!-
Gridò verso di me. Stavo facendo ribollire il sangue contenuto nelle sue vene, ecco cosa stavo facendo. Lo osservavo ridendo, desiderando che soffrisse il più possibile. Volevo udire le sue urla, scorgere il suo dolore attraverso i suoi occhi, leggere il terrore sul suo volto. Dopo qualche istante riservai lo stesso trattamento anche all’altro, donandogli le identiche pene del compagno.
Avevo voglia di sfogarmi, di farli soffrire, di prendermi lentamente le loro vite. Volevo osservare i loro corpi contorcersi e rivedere il volto del ragazzo che mi aveva tradita nei loro.
Piena di rabbia, avrei voluto che gli angeli e tutto il genere umano soffrisse come loro.
Le urla raddoppiarono ma la sofferenza dentro di me non si alleviò, la rabbia non si affievolì.
Il loro sacrificio non mi faceva sentire meglio.
Intensificai il controllo sulle quasi invisibili gocce del loro sangue che avevo assimilato.
Tramite esse riuscivo a risalire alla vita stessa dei due criminali, potevo percepire i loro cuori pulsare, scorgere le loro vene ricolme attraversare l’intero corpo.
Carpendo una sola goccia di sangue ero in grado di controllare quello contenuto nelle vene del malcapitato. Potevo raffreddarlo, riscaldarlo fino a farlo bollire, fermarne la circolazione o accelerarla. Potevo ordinare alle arterie di non pompare più sangue al cuore, potevo comandare i circoli sanguigni nei muscoli, muovendo la mia vittima come una marionetta. Una sola goccia ed ero la padrona assoluta del corpo di chiunque. Sfortunatamente non ero capace di usarlo sugli angeli, non possedevo abbastanza forza per controllare il loro immenso potere. La mia povera tecnica si limitava alle creature mortali, magari non più di due o tre alla volta.
- Basta! Ti prego!-
Ripeterono gli umani facendomi rinsavire. Mi ero distratta, protraendo anche fin troppo a lungo l’incantesimo. Posi fine alle loro sofferenze, temendo di aver attirato l’attenzione su di noi con tutta quella confusione. Cercando di calmarmi, presi un bel sospiro e pronunciai solamente una parola.
- Morite-
I loro cuori si fermarono all’unisono, i loro corpi frementi si arrestarono e i due divennero cadaveri. Rilasciai il sangue che avevo tenuto nel pugno, facendolo cadere a terra e liberandomi finalmente della rete magica. La gettai nel cassonetto, tornando di nuovo ad assaporare il silenzio.
Chiusi gli occhi, certa che questa volta avevo esagerato. Non solo mi ero esposta agli angeli ma mi ero anche indebolita, usando molta della mia energia. Sospirai, volgendo le spalle ai corpi senza vita degli umani, decisa a proseguire la passeggiata nei vicoli oscuri.
Un rumore ruppe la quiete, facendomi sobbalzare. Mi voltai di scatto, non riuscendo a distinguere cosa fosse. Il panico mi rapì, temendo di essere stata scoperta.
Scorsi dei bidoni dell’immondizia cadere a terra, frastornandomi con il loro assordante rumore.
- Chi va là?-
Urlai, retrocedendo spaventata. Una sagoma balzò velocemente sull’unico bidone rimasto in piedi, per poi scattare verso di me. La paura mi impedì di scoprire cosa fosse e, senza pensarci due volte, mi voltai scappando.
- Miaow-
Mi parve di udire mentre stavo fuggendo, perdendomi fra i vicoli bui.
Probabilmente stavo solo scappando da un gatto ma ero troppo terrorizzata. Il pensiero che l’esercito celeste fosse già in città mi congelava il cuore, irrigidendomi i muscoli al punto di farmi male.
Mi fermai solo quando ritenni di aver scampato il pericolo, finendo in una piccola stradina di periferia. Appoggiai le spalle al muro, ansimando. Nessuno mi aveva seguito, forse era davvero un gatto randagio. Mi posi una mano sul petto dolente, gettando lo zainetto a terra. Ritenevo che i polmoni dovessero scoppiarmi da un momento all’altro.
Ero stata una stupida, torturare due uomini quando gli angeli erano sulle mie tracce.
Non ne combinavo una giusta.
Con le lacrime agli occhi mi lasciai scivolare lentamente al suolo, accovacciandomi sul pavimento. Scoppiai a piangere terribilmente, riuscendo finalmente a sfogare la rabbia più di quanto uccidere non avesse fatto. Continuai a lungo, provando una grande vergogna per la mia debolezza e ringraziando di essere sola.
Da tanto che piangevo, dovetti nascondermi il volto fra le gambe.
Rimasi in posizione fetale per diverso tempo. Urlavo e piangevo. Piangevo e urlavo.
Forse stavo sfogando le emozioni di una vita. Non avevo mai pianto così.
Forse non avevo proprio mai pianto.
Mi sentii liberare da tutti i mali che mi ero sempre tenuta dentro.
Mi ero innamorata e lui mi aveva tradita. Cercavano di uccidermi ed io non potevo difendermi. Scappavo come una ladra quando non avevo fatto niente di male. Mio padre era morto.
Il Re dei Demoni era morto. Il Re dei Demoni era stato ucciso da mio padre.
Mia madre era morta. Io ero nata. Mia madre era morta perché io ero nata.
Quando riuscii a smettere di singhiozzare alzai il volto e mi parve scorgere una figura innanzi a me. Era buio e avevo gli occhi pieni di lacrime, forse sbagliavo. Mi accorsi di non essere realmente sola quando mi asciugai il viso e provai ad osservare meglio. Un ragazzo mi stava effettivamente fissando. 
- Aspettavo che tu la smettessi di piangere-
Affermò colui che mi aveva perseguitato alla stazione e che mi aveva marchiato il polso. 
Mi scrutava saccentemente dall’alto in basso con le braccia incrociate e con la schiena appoggiata al muro. Cercai immediatamente di rialzarmi, di ricompormi terribilmente imbarazzata.
- Come diavolo hai fatto a trovarmi?-
Urlai incredula, asciugandomi frettolosamente il volto.
- Facile, se ti metti a torturare due persone nel cuore della notte-
- Hai…hai visto tutto?-
- Abbastanza per capire che è stata una brutta giornata-
- Già-
Risposi, accennando lievemente un sorriso.
- E poi ho capito non hai motivo di temere un gruppo di streghe-
- Infatti non solo loro che temo-
Spiegai.
- Ho paura degli angeli-
- E pensi che si commuoveranno davanti alle tue lacrime?-
Domandò freddamente il ragazzo.
- Come?-
- Cosa speri di ottenere piangendo così?-
Le parole mi morirono in gola dalla rabbia, rimanendo ammutolita e sbigottita. Desiderai picchiarlo ma prima che potessi farlo mi afferrò per un braccio, stringendomi forte, ancora una volta senza ferirsi.
- Basta, adesso vieni con me-
- Ma chi ti credi di essere?!-
Urlai furibonda, riuscendo a liberarmi della sua stretta e spintonandolo forte, lontano da me.
- Non provare mai più a toccarmi!-
Ordinai.
- Non verrò con te!-
Continuai innanzi alla sua espressione seria, rimasta impassibile.
- E non sono affari tuoi cosa faccio io!-
- Dovresti combattere, non nasconderti in un vicolo. Potresti batterli se solo volessi-
- E tu che ne sai?!-
Gridai furibonda.
- Tu non mi conosci!-
- E’ vero, non ti conosco-
Rispose, osservandomi con i suoi grandi occhi d’oro.
- Però conosco il tuo potere, l’ho visto! Se solo tu…-
- Non dirmi cosa devo fare-
Ringhiai.
- Hanno continuato a dirmelo per una vita-
Affermai, avanzando minacciosamente verso di lui.
- Adesso non permetto più a nessuno di dirmi cosa devo fare-
- Era un consiglio-
Bofonchiò il ragazzo.
- Non farlo-
Suggerii allontanandomi da lui.
- E vattene se non vuoi fare anche tu una brutta fine-
- E’ una minaccia?-
- Un consiglio-
Gli volsi le spalle, quando mi ricordai di qualcosa di importante. Tornai verso di lui furiosa, mostrandogli il marchio che solo qualche ora prima mi aveva impresso sulla pelle. Sorrise compiaciuto non appena lo vide e a quel punto non riuscì a trattenermi. Lo colpì in pieno volto con tutta la forza che avevo. Il ragazzo incassò il pugno senza spostarsi di un millimetro, rimanendo in silenzio con i capelli che gli coprivano entrambi gli occhi.
- Perché diavolo l’hai fatto?!-
Chiesi esasperata.
- E cosa vuoi da me? Perché continui a seguirmi?!-
Si voltò lentamente, aggiustandosi tranquillamente la capigliatura.
- Perché voglio proteggerti-
Rimasi esterrefatta. Era pazzo.
- Non posso lasciare che tu muoia-
- Vattene-
Intimai io, retrocedendo terrorizzata.
- Non continuare a seguirmi-
Ordinai, voltandomi per scappare. 
- Sei solo una codarda!-
Non riuscì a rimanere indifferente a quella provocazione. Tornai a fissarlo nei suoi grandi occhi da gufo, desiderando polverizzarlo.
- Cosa?-
- Scegli la fuga. Sei una codarda-
- Tu non sai niente di quello che sto passando!-
Sbottai andandogli addosso e gridandogli sul muso. Nonostante la mia violenza, il ragazzo rimase nuovamente immobile senza dire una parola.
- La tua famiglia non ha cercato di ucciderti dalla nascita!-
Continuai con ancora le lacrime agli occhi.
- La tua specie non ti teme come un mostro assetato di sangue!-
Il ragazzo non replicò ed io, ritenendomi soddisfatta, gli volsi le spalle pronta ad andarmene.
- Invece sì, stupida-
Furono le ultime parole che udii, dopodiché più niente. Mi girai incuriosita da quella risposta ma lui era sparito, lasciandomi sola nei vicoli bui della città.
Rimuginai a lungo sulle sue strane parole e su un anello che mi era parso di vedere alla mano sinistra, ero certa che quel pomeriggio non lo indossasse.

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Capitolo 6
*** Moloch ***


Dopo qualche giorno di viaggio, raggiunsi finalmente la capitale.
Gli angeli non mi avevano ancora trovata, lasciandomi sconcertata. Solitamente erano buoni cacciatori, raramente non riuscivano a rintracciare qualcuno. Eppure era quasi una settimana che stavo procedendo indisturbata verso il confine, l’unico capace di riuscire a trovarmi sembrava essere quell’assurdo ragazzo. 
Da quando stavo scappando, lo avevo sempre intorno. Continuava a seguirmi nonostante le mie numerose minacce e finivo per ritrovarmelo praticamente ovunque. Ogni volta rinnovava il suo invito a seguirlo ed io puntualmente cercavo di picchiarlo. Quando non c’era lui ad osservarmi o a sbarrarmi la strada c’era il suo marchio a rivangarmi della sua presenza.
La strana cicatrice a forma circolare non faceva altro che ricordarmi quel maniaco. Non appena la osservavo rivedevo quei suoi occhi gialli come una civetta. Ero fortunata che non lavorasse per gli Anziani, altrimenti mi avrebbero trovata già da tempo. Pareva avesse un radar con su scritto il mio nome sopra!
Quando tentavo di chiedergli come facesse o perché fosse così ostinato nei miei confronti, sviava sempre le mie domande. Appariva per criticarmi, ad esempio facendomi notare che non bastava tagliarsi i capelli per rendersi irriconoscibile e poi svaniva nel nulla. Ogni volta mi lasciava infuriata e piena di dubbi. Forse neanche vestirsi più pesantemente mi avrebbe aiutata a sembrare umana. Sbuffai. Avevo altri problemi che occuparmi di lui, da una settimana dormivo per strada e non mangiavo appropriatamente. Ero esausta fisicamente, continuamente in viaggio e terribilmente angosciata. Lo stress mi stava divorando viva, non lasciandomi mai modo di riposare. Anche giunta a Castleford non mi sentì al sicuro, se il Concilio aveva presagito la mia meta nemmeno confondermi fra un milione di persone mi avrebbe aiutato. La capitale era una tappa necessaria per raggiungere il confine orientale, probabilmente erano già lì ad attendermi.
Il mio prossimo treno sarebbe partito solamente tre ore dopo, in quel tempo dovetti quindi cercare di sopravvivere nell’immensa metropoli urbana. Camminavo per le strade terribilmente paranoica, credendo di vedere Anziani e angeli ovunque. Rubai da una bancarella un cappellino e degli occhiali da sole, cercando di fingermi normale e di non dare nell’occhio.
Evitavo le strade isolate e ogni tanto facevo finta di aspettare qualcuno o di essere interessata alle vetrine dei negozi. Camminavo in tondo lungo la strada principale, piena di pub e ristoranti.
Dai bar giungeva un ottimo profumino, che mi faceva borbottare lo stomaco vuoto.
Non ricordavo l’ultima volta che avevo mangiato.
Ogni tanto superavo una fontana e non so cosa avrei dato per rinfrescarmi, gettandomi in essa. Avevo caldo con quelle vesti ma fare il bagno in una fontana non faceva parte del mio progetto di passare inosservata. Rinunciai e procedetti nella passeggiata.
Stavo camminando accanto ad un banco di fiori freschi, quando improvvisamente udii un suono ormai familiare.
- Miaow-
Mi voltai verso destra e vidi un piccolo gatto bianco seduto in un angolo, che mi fissava con i suoi occhi azzurri.
- Miaow-
Ripeté.
Indietreggiai, essendo sicura che fosse lo stesso gatto delle volte precedenti. Non ero pazza, un gatto mi stava veramente seguendo di città in città. Temetti che facesse parte del Concilio e scappai via, nella direzione opposta. Non mi voltai neanche per controllare se mi stesse davvero rincorrendo. Continuai a correre senza sosta, desiderandolo solo seminare il mio possibile inseguitore. Durante la mia fuga senza rotta, giunsi in una piazza a me sconosciuta. L’attraversai e continuai a fare lo slalom fra la folla, sbattendo contro chiunque mi si parasse davanti. Non mi sarei mai fermata, neanche se mi fosse esploso il cuore, se non fossi incappata in lui.
Distrattamente sbattei forte contro il suo corpo, cadendo all’indietro a causa dell’impatto.
Mi afferrò tempestivamente per un braccio, impedendomi di finire a terra e riportandomi in equilibrio. Mi sentivo ancora sospesa a mezz’aria, quando alzai lo sguardo per vedere chi fosse.
- Tu!-
Gridai innanzi ai soliti abiti scuri e i capelli brizzolati.
Lo urlai forte ma non fu per quello che tutte le ragazze si voltarono verso di noi. Avevo notato che camminando fra la gente non riusciva a passare inosservato, soprattutto per le donne.
Non potevo dar loro torto, non sembrava fare parte del nostro mondo. I suoi tratti delicati e la sua pelle bianca attiravano lo sguardo di tutti. I suoi occhi parevano fari nella notte e il suo corpo era visibilmente atletico ed energico. Una postura aggraziata ed elegante ma con muscoli forti che potevo sentire sulle braccia ogni volta che mi afferrava. Mi chiesi che tipo di sport praticasse, solitamente quel tipo di muscoli appartengono agli schermitori. Improvvisamente rinsavì.
- Lasciami stupido gufo!-
Gli urlai contro, riprendendo l’equilibrio e facendogli mollare la presa dal mio braccio.
- Gufo?-
Ripeté lui non capendo.
- Certo-
Risposi io, massaggiandomi l’avambraccio. Mi aveva stretto talmente forte da farmi male, dove la prendeva tutta quella forza?
- Hai gli occhi gialli come un gufo, non dirmi che non ti sei mai visto allo specchio-
Affermai tremendamente irritata nel rivederlo e di aver interrotto la mia corsa a causa sua.
- Allora tu sei un gatto-
- Perché?-
Chiesi alzando lo sguardo e smettendo di massaggiarmi il braccio.
- Non dirmi che non ti sei mai guardata allo specchio-
Sussultai e mi toccai in volto. Solo allora notai che nell’urto mi erano caduti gli occhiali da sole. Li raccolsi e li rimisi a loro posto, per poi oltrepassare il ragazzo e rinnovare la mia richiesta.
- Non seguirmi più-
- Da chi stai scappando stavolta?-
- Non sono affari tuoi ma se mi prendono è tutta colpa tua!-
Cercai di riprendere a correre ma lui mi comparve davanti, sbarrandomi la strada.
Mi bloccai attonita, notando come non avesse paura di mostrare ai mortali i suoi poteri. Fortunatamente, in quella folla nessuno ci fece caso.
- Adesso basta giocare, devi venire con me-
- No-
Sbottai, quasi offesa da quell’ordine.
- Non ci penso nemmeno-
- Ho avuto fin troppa pazienza Victoria, ora andiamo-
- Cosa?-
Domandai incredula.
- Ho detto andiamo-
- No, il mio nome…-
Bofonchiai indietreggiando.
-Io non ti ho mai detto il mio nome-
Ci fissammo intensamente per qualche istante, prima che lui esclamasse qualcosa.
- Oh accidenti-
Tentò di afferrarmi ma io prontamente mi scansai, oltrepassandolo. Ripresi a correre prima che potesse acchiapparmi, svanendo fra la folla.
- Non riuscirai a sfuggirmi!-
Urlò, senza però tentare davvero di farlo. Sapevo che, se avesse voluto, avrebbe potuto raggiungermi in un baleno.
 
Mi fermai solo quando le gambe non furono più capaci di sostenermi. Avevo oltrepassato ben due piazze ed ero sgusciata fra enormi folle di gente. Esausta, mi sedetti sul marmo di una grande fontana. Gli schizzi d’acqua mi accarezzavano il volto ed io per un attimo chiusi gli occhi, alzando il capo verso il cielo.
Il cuore mi batteva forte. Quella fuga folle da tutto e da tutti non mi stava portando a niente, stavo guadagnando tempo ma di certo non acquisivo il potere che mi serviva. Prima o poi gli angeli mi avrebbero catturato, ne ero assolutamente consapevole.
- Scusa-
Una voce mi riportò alla realtà, sul pianeta Terra, nello stato delle streghe, a Castleford.
Sobbalzai quando quella ragazza si avvicinò me, toccandomi la spalla coperta dal tessuto della maglietta.
- Perdonami-
Disse sorridendo.
- Non volevo spaventarti-
La scrutai intensamente, valutando se fosse una possibile nemica. Pareva una ragazzina normalissima, forse della mia stessa età. Dietro di lei vi era una compagnia di amici che la stava aspettando e parevano un po’ innervositi dalla sua perdita di tempo.
- Sembri terribilmente stanca, vuoi un sorso d’acqua?-
Non seppi cosa dire. Non pareva pericolosa, al contrario era molto gentile. Possedeva due occhi azzurri quanto l’acqua della fontana e i capelli biondi come il sole. Era la tipica umana perfetta.
Senza accorgermene, presi in mano la bottiglia che mi stava porgendo e bevvi avidamente, quasi finendola. Quando me ne resi conto, gliela restituii scusandomi.
- Perdonami, non bevevo da un po’-
- Tranquilla me lo immaginavo, tanto ne ho un’altra. Io sono Ruby-
Mi tese la mano ma io non potei ricambiare. Sorrisi, alzandomi prendendo le dovute distanze e presentandomi con lo zainetto sulle spalle.
- Io mi chiamo Victoria-
La ragazza dovette ritrarre la mano, con un certo disappunto. Strinse la bottiglietta dall’imbarazzo, sorridendo e facendo comunque finta di niente.
- Non sei di queste parti, non è vero?-
- S-Sì…e dalle mie parti non si usa stringere la mano-
- Ah, capisco. E neanche vestirsi leggeri a quanto vedo-
Non capì e la ragazza continuò.
- Oggi fa un po’ troppo caldo per quegli abiti, non so come sia il clima da te-
- Beh, ho portato solo questi-
Mentii spudoratamente, con un grande sorriso sul volto. Nello zaino avevo abiti molto più freschi che, dopo quella conversazione, avrei sicuramente indossato.
Mi tolsi comunque gli occhiali e il cappellino, per cercare di apparire un po’ più normale.
- Che belli!-
Urlò improvvisamente Ruby, facendomi sussultare.
- Che…Che cosa?-
- Ma i tuoi occhi! Sono meravigliosi! Come li hai fatti? Perché sei una strega, no?-
Domandò, sussurrando l’ultima parte. Io tardai a rispondere e lei continuò a parlare.
- Tranquilla! Anche io lo sono! Ma allontaniamoci dai miei amici, loro sono umani-
Con queste parole mi fece spostare leggermente, si voltò verso di loro e li salutò, affermando di aver trovato una vecchia amica. Si diedero appuntamento per l’indomani e la strega tornò a farmi domande solo quando il gruppo se ne andò del tutto. 
- Dai dimmi, su che libro di incantesimi hai trovato questa magia? Li voglio anche io!-
Chiese sempre a bassa voce.
- E’ tanto difficile farli? Però devo dire che è molto imprudente, nessun umano li ha…poi capiscono che sono una strega! Ma il Concilio approva?-
Non smetteva di parlare un attimo ed io mi stavo inquietando veramente, non sapendo cosa rispondere.
- Francamente…non mi importa molto cosa dice il Concilio…-
- Che bello! Ho trovato un’altra che la pensa come me! Io credo che quelle streghe stiano rovinando il nostro paese! Ma dimmi, come li hai fatti?-
- Ho trovato l’incantesimo…su internet…sul sito…Occhidagatto.com-
La ragazza sorrise, promettendo di cercare subito quel sito non appena fosse tornata a casa.
Io ringraziai il cielo che per allora sarei stata già lontana.
Senza che me ne accorgessi, mi condusse a fare un giro della città. Avevo ancora un’ora e mezza di tempo prima del prossimo treno, dunque mi abbandonai alle chiacchiere e allo scoperta della capitale. Mi dispiaceva non poterla vedere tranquillamente, era la prima volta in vita mia che la visitavo e la trovavo molto bella. Nella metropoli tutto era grande e pieno di vita ed in compagnia vedevo le cose sotto un’altra luce. Per un attimo smisi di avere paura e di temere per la mia sorte.
Stavo conoscendo Ruby, che non pareva inquietata dalla mia diversità. Al contrario mi raccontava tutto su di lei e sulla città.
Mi parlò di un gruppo di ribelli che non approvavano le leggi degli Anziani e i loro modi di agire.
- Siamo in molti ad essere stufi di quei vecchiacci che governano la nazione come quattrocento anni fa! C’è bisogno di aria nuova, di cambiamento! Di nuove regole e leggi!-
Continuava a ripetere la ragazza, alzando le mani, quasi stesse partecipando ad un comizio.
- Eppure ho saputo che dopo l’ultima guerra sono morti parecchi di loro e sono stati rimpiazzati da giovani-
Affermai io, se pur spaventata da tutta l’enfasi che la giovane utilizzava per descrivere la situazione.
- Sì, di duecento anni!-
Affermò ridendo. Ragionandoci meglio poi aggiunse:
- No, aspetta…un ragazzo è riuscito ad entrare nella congrega-
- Veramente? E quanti anni ha?-
Chiesi io curiosa.
- Mi pare sui diciotto. Ho sentito che è stato raccomandato e per questo è entrato così giovane. Ma il problema è che anche i giovani comandano come i vecchi!-
Io annuivo, concordando con ogni parola. Fui felice di sentire che vi erano altre persone che la pensavano come me, che desideravano opporsi a quella tirannia e non chinare il capo come gli altri.
- Che ne diresti di unirti a noi?-
- A dire il vero…sono qui solo di passaggio-
- Ah, capisco-
Rispose lei tristemente.
- Ma se tu venissi solo un attimo a conoscere il gruppo?-
- Ho il treno che passa fra mezz’ora-
- Ma il nostro covo è dietro l’angolo e la stazione è vicinissima. In cinque minuti ci sei-
Dovetti cedere e alla fine seguì Ruby nel ritrovo dei ribelli.
Eravamo un po’ distanti dal centro e la ragazza mi spiegò che quello era un ghetto di sole streghe e creature magiche. Gli umani ovviamente non lo sapevano.
Disse che era un metodo per stare più tranquilli, così non dovevano temere perennemente di essere scoperti e di morire sul rogo.
- Siamo arrivate-
Avvisò la strega mostrandomi un pub, che non doveva essere proprio un locale dove si beveva e si ascoltava musica.
Mi avvicinai, osservando i due uomini che facevano la guardia alla porta.
Pareva fossero lì proprio per impedire agli umani di entrare.
Non appena riconobbero la ragazza dai capelli biondi, le sorrisero e le aprirono le porte, chiuse a chiave.
- Entra, coraggio! E’ questione di poco-
Incitò Ruby, notando la mia titubanza. Non mi piaceva fraternizzare con le streghe, anche se erano ribelli al Concilio. Nonostante questo mi fidai di Ruby, afferrando la porta per tenerla aperta e oltrepassarla. Non ero ancora entrata, quando qualcosa attirò la mia attenzione. Sui lati interni ed esterni delle porte erano stati appesi dei volantini con la scritta in grande: WANTED.
Subito dopo notai il disegno delineato a carboncino di un volto, incredibilmente simile al mio.
Aveva i capelli lunghi ma per il resto era del tutto uguale a me.
Mi sentì mancare quando lessi che cercavano una traditrice, una ragazza pericolosa, sia viva che morta. Non vi era una ricompensa in denaro, bensì la formulazione e la realizzazione di una qualsiasi richiesta al Concilio.
Come segni particolari vi erano i miei occhi d’oro.
Agghiacciata mi distanziai dalla porta e Ruby si accorse della mia reazione.
- Victoria? Non vuoi entrare un momento?-
Scossi la testa, indietreggiando.
La strega mi sorrise e i due uomini ai lati della porta si fecero avanti per prendermi. Scrutai attentamente i due enormi bestioni, grandi forse il quadruplo di me.
Ero caduta in trappola come una stupida. Non capì come potessi essere stata tanto cieca. I muri del quartiere erano pieni di volantini con sopra la mia faccia ed io non me ne ero accorta.
In pochi giorni gli Anziani li avevo sparsi ovunque, rendendomi ricercata in tutto il paese.
Tornai a fissare Ruby, scorgendo il suo candido sorriso. Strinsi i pugni, colma di rabbia.  
Avevo commesso di nuovo l’errore di fidarmi di qualcuno.
Più indietreggiavo più i tre ribelli mi erano addosso, vicini ad afferrarmi e a condurmi nel loro covo.
Mi arrestai, sfidandoli con lo sguardo. Attesi che provassero a toccarmi, a sfiorarmi. Grazie alla piuma che mi proteggeva, sarebbero morti carbonizzati non appena ci avessero provato.
Prima che potessero catturarmi, qualcosa mi piombò addosso, strappandomi lo zainetto dalle spalle. Barcollai per qualche istante, non capendo cosa mi avesse travolto. Incredula, osservai la figura di un gatto bianco allontanarsi con in bocca il mio zaino, al cui interno vi era la piuma di mia madre. Scattai per riprenderlo quando qualcuno mi afferrò per le spalle, stringendomi talmente forte da trapassare la maglietta con le unghie. Le affondò nella pelle con estrema violenza, facendomi urlare dal dolore. Cercai di dimenarmi, scoprendo che più mi muovevo più il dolore aumentava.
Digrignai i denti, arrendendomi a quella morsa così potente.  
Chiunque fosse, era sicuramente in combutta con il gatto.
- E’ tutta tua-
Proferì Ruby.
- Ma ricorda bene le nostre richieste. Vogliamo che le nostre iniziative di protesta vengano riconosciute, vogliamo essere oppositori in regola con la legge-
Codardi traditori. Mi vendevano per ottenere l’approvazione di coloro che odiavano.
Invece di combatterli, sceglievano di allearsi. I mortali mi disgustavano.
Non riuscendo a voltarmi, abbassai lo sguardo verso il suolo, scorgendo l’ombra di colui che mi stava infilzando le spalle. Sobbalzai quando notai due grandi ali, talmente immense da oscurare la luce del sole.
Mi congelai, il tempo si arrestò, il mio cuore smise di battere. Mi avevano presa.
Mi volsi lentamente, ignorando il dolore. Dovevo osservarle con i miei stessi occhi, capire se fossero state l’ultima cosa che avrei visto. Gli artigli della creatura si conficcarono maggiormente nella mia pelle, fino a rigarmi il petto e la schiena di sangue.
Gemetti ma riuscì a intravedere delle piume bianche oltre di me.
Era vero, la vista non mi mentiva, gli angeli mi avevano trovata.
Dovetti volgermi ancora, per riuscire a scorgere il suo volto. Prima di morire, volevo almeno sapere chi dovessi ringraziare. Le sue unghie mi lacerarono completamente la carne ma non ci feci caso, dovevo vedere. 
- Da quanto tempo Victoria-
- Oh che spavento-
Bofonchiai sollevata, rilassando i muscoli divenuti tremendamente rigidi.
- Menomale sei solo tu Moloch, pensavo fosse un angelo vero-
Per l’offesa subìta, la creatura affondò ulteriormente i suoi artigli, facendomi gridare nuovamente. La mia maglietta bianca era ormai rovinosamente macchiata di sangue.
- Io sono un angelo vero-
- Sei un angelo decaduto Moloch-
Precisai saccentemente a denti stretti, cercando di far fronte al dolore. 
- Dimmi, quando arrivano quelli che contano davvero?-
Mi gettò a terra furioso, ordinando ai tre di andarsene. I vigliacchi, spaventati, rientrarono come topi nella loro tana lasciandoci soli.
- Pagherai per la tua insolenza-
Affermò la creatura, colpendomi violentemente con un calcio. Lo incassai restando immobile, senza cercare di fuggire. Dovevo ancora capire qualcosa che mi interessava.
- Non arriveranno, non è vero?-
Chiesi a terra, stringendomi il ventre.
- Il Concilio non ha convinto i tuoi fratelli ad uccidermi, ci sei solo tu. Il cane degli Anziani-
Mi beccai un secondo colpo allo stomaco ma compresi di avere ragione. Per spaventarmi la congrega delle streghe aveva mentito, cercando di indebolirmi o forse sperando che mi consegnassi spontaneamente. Il temuto esercito celeste non sarebbe sceso per giustiziarmi, ecco perché in una settimana non erano ancora riusciti a trovarmi. Ad inseguirmi c’erano solo quei vecchiacci e un angelo esiliato dal Cielo, che non poteva ferirmi a meno che non mi privasse del mio amuleto.
- Pensi che non sia capace di ucciderti?- 
Domandò irritato, afferrandomi per la maglietta e sollevandomi in alto, portandomi fino al suo livello. Sorrisi istericamente, osservando i suoi temibili occhi blu a pochi centimetri di distanza.
Lo innervosiva sempre essere ritenuto meno potente dei compagni.
- Certo che puoi-
Affermai, alquanto innervosita.
- Mi domando solo come hai fatto a scoprirlo-
Mormorai.
- Chi te lo ha detto? Nessuno sapeva del mio cimelio-
La creatura sorrise malignamente, gustandosi finalmente il momento tanto atteso.
Mi odiava, mi odiava da anni, da quando aveva tentato per la prima volta di giustiziarmi sotto ordine degli Anziani. Era sopravvissuto per miracolo, ustionandosi completamente il corpo e perdendo per sempre qualcuna delle sue preziose piume. Da allora, era divenuto lo zimbello del Concilio e di tutta la sua razza. L’angelo che non era riuscito a compiere un lavoro da angelo.
Non mi avrebbe mai detto chi gli avesse rivelato il mio segreto, né dove avesse portato l’unica cosa in grado di proteggermi. Se mai fossi sopravvissuta alla furia di Moloch, senza di essa sarei stata spacciata ugualmente.
- Oggi riscatterò il mio nome- 
Rispose solamente, completamente ossessionato. Mi tenne sollevata con una mano, mentre l’altra si tramutò in una lama d’argento. Premette la punta dritta sul cuore, affermando che uccidermi sarebbe stato un onore.
Digrignai i denti, anche togliendomi l’anello non sarei stata capace di usare il mio potere.
Avevo bisogno di tempo e concentrazione, cose che non avevo a giudicare dalla pressione della lama sul mio petto. La paura mi impediva di utilizzare correttamente la mia strana dote, di visualizzare la vita della creatura e di strappargliela via in meno di un attimo. Nel corpo dell’angelo decaduto percepivo un potere troppo grande per me, una forza che non sarei riuscita a padroneggiare forse neanche con tutta la calma a disposizione. Il mostro dalle ali bianche ghignò, pronto ad infilzarmi come uno spiedino. Chiusi gli occhi impaurita, poco prima di udire una voce.
- Lasciala. Lei serve a me-
Li riaprì di scatto, scorgendo il ragazzo dagli occhi d’oro dietro le spalle di Moloch. Ci fissava tranquillamente a pochi metri di distanza, con sguardo deciso e le braccia incrociate. L’angelo si volse per osservare chi lo avesse interrotto, dandomi modo di liberarmi. Posi il mio tocco sulla sua pelle nuda, ustionandogli il volto e facendogli così perdere la presa su di me. Caddi a terra mentre Moloch gridava, contorcendosi dal dolore. In lontananza il ragazzo mi stava facendo segno di raggiungerlo e, in quel momento, non mi parve una cattiva idea. Scattai in piedi correndogli incontro, sorpassando la pericolosa creatura celeste. 
- Avanti andiamo-
Incitò il ragazzo dai capelli brizzolati, prendendomi per un braccio ed iniziando a correre verso il centro urbano della città. Attraversammo i vicoli della periferia puntando verso la piazza principale, affollata di gente. Costretto ad obbedire al Concilio, Moloch non avrebbe mai attaccato davanti gli esseri umani, io ne ero consapevole ma mi stupì che anche quello strano ragazzo lo sapesse.
Mi stava portando verso la stazione, verso il treno che stavo per perdere.
- Perché l’hai fatto?-
Domandai senza rallentare.
- Perché mi hai salvato?-
- E’ presto per dire che ti ho salvato-
Replicò il giovane, voltandosi continuamente indietro.
- La pelle degli angeli si rigenera in fretta. Quanti ce ne sono?-
- Come?-
- Hai detto di essere inseguita dagli angeli, è solo lui o ce ne sono altri?-
- E’ solo-
Rassicurai.
- Era una menzogna, non ci sono altri angeli-
- Meglio-
Ammise il ragazzo.
- Contro uno posso farcela-
- Vuoi affrontarlo?!-
Gridai, fermandomi istintivamente. Lui tornò indietro per afferrarmi una mano e costringermi a riprendere a correre. Mi trascinò attraverso i sobborghi delle streghe, deciso a condurmi fra la gente.
- Non rimandare a domani quel che puoi fare oggi, no?-
Improvvisamente mi parve di scorgere in lontananza il gatto bianco con il mio zaino. Mi bloccai di nuovo, obbligando anche il ragazzo a fermarsi.
- Che stai facendo?!-
- Il mio zaino-
Bofonchiai innanzi alla figura del felino che mi scrutava da lontano.
- Devo riprenderlo-
- No!-
Urlò stringendomi talmente forte da impedirmi di muovermi.
- Senza quello zaino sono morta!-
Replicai, cercando di liberarmi dalla sua stretta.
- E’ una trappola-
Sbottò, osservando anch’esso il gatto seduto comodamente con la refurtiva a fianco.
- Lascia stare, lo recupereremo dopo-
Promise, facendomi riprendere a correre. Facemmo pochi metri quando scorgemmo a terra l’ombra di Moloch sorpassarci. In pochi attimi l’angelo atterrò innanzi a noi, sbarrandoci la strada con le sue immense ali bianche.
- Non mi scapperete-
Affermò la creatura, evidentemente adirata.
La sua candida pelle era già tornata rosea e il dolore pareva solo un ricordo lontano, non sarei mai stata capace di ucciderlo con solo il mio tocco.
Mi ero divertita a stuzzicare Moloch ma la verità era che, pur essendo un angelo indebolito, era comunque un angelo mentre noi eravamo solo due ragazzi. Mancavano pochi passi alla piazza della capitale, ancora qualche metro e ci saremmo salvati. Strinsi i pugni, alla fine sarei morta in una misera stradina di periferia.
- Odio gli angeli-
Affermai con disprezzo, mentre Moloch mi osservava sorridente. Per un attimo pensai di liberarmi del mio anello, così da aver maggiore possibilità di salvezza. Mi volsi verso il ragazzo dagli occhi d’oro accanto a me, ricordandomi della sua presenza. No, non volevo mostrarmi in quello stato davanti a qualcuno.
- Io odio gli abomini-
Rispose la creatura avvicinandosi a noi senza abbassare le ali, così da non farci passare.
- E oggi ne ucciderò due-
Non compresi a chi si stesse riferendo ma non ebbi il tempo di chiedere spiegazioni, Moloch materializzò velocemente decine di punte di freccia e ce le scagliò contro. Si abbatterono su di noi come una letale pioggia di metallo, intenzionata ad ucciderci sul colpo. Innanzi a quello spettacolo il mio corpo si irrigidì, impedendomi di spostarmi. Il ragazzo al mio fianco mi afferrò, costringendomi ad accovacciarmi al suolo insieme a lui. Mi strinse, proteggendomi con il suo corpo. Istintivamente chiusi gli occhi, riaprendoli solo quando mi accorsi di non percepire le lame sulla mia pelle. Sussultai, vedendo che il giovane aveva eretto una barriera di oscurità intenta a respingere tutti i dardi del nemico.
- Sai usare la magia nera?!-
Domandai d’istinto, al quanto sorpresa. Lui non rispose, continuando a mantenere lo scudo alzato fin quando le punte d’acciaio non terminarono. Moloch poteva creare il metallo dal nulla, non ci avrebbe messo molto a ricrearne il doppio.
- Al mio segnale scappa-
Sussurrò il ragazzo.
- Cosa?!-
- Ho detto scappa. Non appena te lo dico io corri-
La barriera si dissolse e l’angelo si alzò rapidamente in volo, pronto ad avventarsi su di noi. Per un attimo oscurò il sole e, proprio mentre ci stava precipitando addosso, il ragazzo mi fece alzare in piedi.
- Adesso. Vattene!-
Urlò, spingendomi lontana da lui.
- Corri!-
Se pur titubante, mi volsi per scappare. Feci giusto pochi passi, quando udì il suono di qualcosa che cadeva pesantemente al suolo. Mi girai spaventata, sobbalzando innanzi al corpo di Moloch steso a terra. Le sue candide ali erano completamente aperte sul pavimento, quasi come un tappeto bianco che ricopriva le pietre della città. 
- Cosa stai aspettando!?-
Rimproverò il ragazzo in piedi davanti alla figura dell’angelo.
- Scappa accidenti a te!-
- E’…è morto?-
- Ma scherzi?! Sai che ci vuole ad uccidere un angelo! Sbrigati prima che si riprenda!
Sussultai, correndo fuori dal vicolo. Giunta nella piazza piena di gente mi volsi ancora una volta, preoccupata per il mio salvatore.
Vidi le ali bianche dell’angelo muoversi, constatando che Moloch si stava alzando, lentamente e gemendo.
- Me ne occupo io! Tu scappa!-
Per la seconda volta lo mollavo per prendere un treno. Non sapevo come avrebbe fatto a combattere da solo contro una simile creatura ma, nonostante mi stesse antipatico, sperai che non morisse.
Corsi il più veloce che potei, per salire sul treno che mi avrebbe portato ad una piccola città verso il Regno delle Fate. Lì non ci sarebbero stati volantini su di me. Se pur senza il mio amuleto, forse avrei avuto qualche speranza di salvezza.

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Capitolo 7
*** Salem ***


 
Arrivai nella cittadina successiva con ancora il cuore in gola. Avevo perduto la protezione di mia madre, l’ultimo ricordo che mi rimaneva di lei e da quel momento sarei stata un bersaglio facile.
Rimasi in stato catatonico per tutto il viaggio, seduta intenta a fissare il panorama che correva veloce. Non mi preoccupavo di essere ricoperta di sangue. Credo che gli altri passeggeri mi abbiano fissato per tutto il tempo, spaventati e inorriditi. Non facevo caso nemmeno al dolore, ero occupata a chiedermi come gli Anziani fossero entrati a conoscenza del mio amuleto.
Per tutta la vita avevo serbato accuratamente il segreto e in pochi attimi un gatto mandava tutto al diavolo.
Puntai gli occhi al cielo, non c’era traccia di Moloch ma non per questo potevo sentirmi più tranquilla. Sospirai sconsolata. Senza la piuma ero vulnerabile, bastava che il Concilio si riunisse interamente per giustiziarmi e non avrei avuto scampo. Neanche il mio potere naturale mi avrebbe permesso di uccidere così tante persone insieme.
Se non fosse stato per quel bizzarro ragazzo, non sarei mai fuggita dalla capitale.
Pensai a lui costantemente durante il tragitto, domandandomi cosa lo avesse spinto ad affrontare un angelo per me. Avevo già ricevuto qualche insana risposta a riguardo, niente che mi soddisfacesse davvero.
Non riuscivo a comprendere se potessi fidarmi di lui, mi aveva salvato la vita ma la sua figura era totalmente avvolta nel mistero. Aiutarmi a scappare non faceva necessariamente di lui un mio alleato. Serbava un segreto nei miei confronti, glielo avevo letto chiaramente negli occhi.
Fino a che non l’avessi scoperto non sarei riuscita a fidarmi, né ovviamente a seguirlo.
Sospirai, cercando di non pensarci. Il treno da Castleford mi aveva condotto in uno strano paese, denominato Salem. Si trattava di un piccolo e sperduto villaggio a due passi dal confine, l’ideale per nascondersi dal Concilio.
Pregustai l’attimo in cui gli Anziani avessero scoperto che mi trovavo proprio lì: l’unico paese in cui non potevano mettere piede.  
Scesa dal treno notai immediatamente lo stile antiquato del posto. La stazione ferroviaria era ancora tutta in legno, non ne avevo mai vista una così, eppure avevo viaggiato molto. Mi sporsi leggermente oltre la porta dell’edificio, spiando il villaggio dall’alto di una scalinata.
Gli abitanti portavano abiti completamente fuori dal tempo, le donne indossavano solo lunghi vestiti marroni o color ocra. Non vidi alcuna signora portare dei pantaloni, quasi come fosse vietato. In testa, quasi tutte portavano dei cappellini buffi e, sotto di essi, i capelli erano raccolte in strane acconciature.
Gli uomini portavano anch’essi un cappello, solitamente nero, tutti con una folta barba e con abiti di bassa qualità. Sembravano contadini che mettevano il vestito buono solo per andare in chiesa.
Uscì cautamente dall’uscio della stazione, tuttavia senza allontanarmi troppo da esso. Quel mondo a me sconosciuto mi metteva un po’ di apprensione. Avevo sentito parlare degli abitanti di Salem ma vederli con i miei occhi era tutta un’altra cosa.
Da sopra la scalinata su cui mi trovavo potei scorgere tutta la città con un solo sguardo. Era composta solo da tante case in legno, tutte uguali. Le strade non erano asfaltate, né pavimentate. Si camminava sulla terra nuda, polverosa e giallognola. I bambini correvano per le vie del paese senza paura delle automobili, la modesta popolazione infatti si spostava solo con il calesse. C’era un unico edificio religioso, con un campanile che ogni ora segnava lo scorrere del tempo.
Osservai l’orologio, i rintocchi sancivano il calar della sera.
Non vidi molti negozi di abbigliamento, né locali in cui divertirsi. C’era solo un bar, in cui si riunivano gli uomini alla sera. L’insegna diceva “Saloon”.
Rimasi qualche minuto a guardare affascinata la mia ultima tappa prima del Regno delle Fate. Sembrava tutto finto. Quel luogo era completamente tagliato fuori dal progresso.
Osservai la piazza antecedente alla stazione, notando un grande ammasso di paglia e rami secchi. Intorno ad essi si stagliava verso l’alto un palo in legno. Capì che si trattava di un rogo.
Il mio cuore sussultò, nonostante sapessi bene di trovarmi nella città dei caccia streghe.
Salem era l’unico paese affrancato dalla nostra nazione. Ripudiavano il Concilio da cinque secoli ed erano famosi per il “grande massacro”. Centinaia di creature dai poteri magici vennero scovate e bruciate vive, prima che Salem ottenesse uno statuto tutto suo.
Da cinquecento anni nessuno stregone poteva mettere piede in quel luogo, la punizione era la morte.
Sembrava assurdo, eppure in quel momento per me non vi era luogo più sicuro che quello.
Neanche pregando, gli Anziani sarebbero potuti entrare senza rompere il trattato con i cittadini di Salem. 
Sospirai, consapevole che la mia debolezza mi costringeva in quei confini, circondata da umani.
Tentai di trovare dei lati positivi, in fin dei conti ero stanca di viaggiare e il solo pensiero di salire su un altro treno mi disgustava. Volevo un letto comodo, un tetto sulla testa e un pasto caldo. Con un po’ di bravura i caccia streghe non mi avrebbero scoperta, avrei cambiato il colore dei miei occhi e avrei cercato di apparire il più normale possibile. Il taglio di capelli non mi aveva aiutata affatto ma tramutare le mie iridi da gatto in gemme azzurre, forse sì.
- Che obbrobrio-
Sussurrai tornata dentro, davanti allo specchio del minuscolo bagno della stazione.
Sbuffai. Mi pareva innaturale e strano avere gli occhi azzurri, ma non per quello stavo sbuffando. Avevo ancora la maglietta sporca di sangue.
Mi posi una mano fra i capelli, cercando di pensare a qualcosa.
Non potevo certamente uscire per strada con gli abiti insanguinati.
Irritata, presi dei pezzi di carta ed iniziai a pulire le ferite sulle spalle. Non bruciava molto, non era poi tanto grave però avevo perso l’ultima maglietta che mi era rimasta.
Un’altra colpa che gravava sulla testa di Moloch.
Uscì dal bagno esplorando l’interno della diroccata stazione ferroviaria, deserta. Non c’era poi molto al suo interno: una panchina, tante porte chiuse, una biglietteria, un telefono.
Cautamente cercai qualcosa che assomigliasse ad uno spogliatoio per gli addetti.
In quel momento mi sarei accontentata anche di una tovaglia trovata in un ripostiglio!
Scassai almeno un paio di porte, prima di incappare in una stanzetta buia con del vestiario abbandonato al suo interno. Si trattava di divise ferroviarie maschili ma, nel mucchio appeso alla parete, trovai una camicia bianca abbastanza piccola da potermi andare. Senza tante pretese, gettai la precedente maglia nel bidone della spazzatura ed uscì con quell’informe lenzuolino ruvido addosso. Perlomeno aveva dei bottoni.
Ripulita dal sangue, andai a cercarmi una locanda.
Dopo il tramonto il paese diveniva deserto e compresi quanto fosse sconveniente per una ragazza uscire di sera da sola e senza un uomo. Avevano una mentalità molto antiquata e bigotta, che mi portò ad essere subito adocchiata malamente dai contadini del luogo. Roteai gli occhi rassegnata, constatando che nonostante tanta fatica partivo comunque con il piede sbagliato.
Fortunatamente, giunsi presto davanti ad una squallida struttura per umani. Una stalla riadattata, che osavano chiamare albergo. Sospirai, cercando di farmi coraggio. Se dovevo fingermi umana, dovevo vivere da umana.
Priva del mio zaino e di tutto il suo contenuto, usai i pochi soldi che mi erano rimasti nelle tasche per pernottare in quella pensione per tre notti, poi mi trovai un lavoro.
Sentì di una anziana coppia di agricoltori che cercavano un aiuto per le faccende domestiche, in cambio offrivano vitto e alloggio.
Mi presentai a loro con un bel sorriso smagliante, cercando di farmi assumere a tutti i costi.
Gli abitanti non ricevevano mai stranieri in città e trattavano con sospetto chiunque non fosse nato e cresciuto a Salem. Fortunatamente per me, li convinsi presto che non fossi un pericolo.
Ero brava a persuadere la gente, almeno fino a che non combinavo qualche guaio. Qualcosa di grosso solitamente, che portava i miei ospiti a capire che non fossi del tutto normale. Un mostro, generalmente.
Comunque le prime settimane trascorsero tranquille, nonostante fossi costretta a lavori un po’ ingrati. Almeno ero viva e mi piaceva approfittare delle faide interne del nostro regno per salvarmi la pelle. Se gli Anziani avevano capito che mi trovavo lì, sicuramente si stavano logorando dalla rabbia. In quei giorni, mi sentì invincibile. 
L’unico pensiero che mi tormentava era quel ragazzo dagli occhi di civetta.
Non riuscivo a non pensarci.
Mi sentivo in colpa per essere scappata e averlo lasciato in balia del mio assalitore.
Avrei dovuto affrontarlo io, non certo lui.
Il cuore mi doleva, ogni qual volta osservavo la cicatrice che mi aveva inferto sul polso. Non avevo avuto più sue notizie da quando ci eravamo separati a Castleford. Non era spuntato da dietro qualche angolo come a suo solito, non avevo udito la sua fastidiosa voce nelle tenebre.
Dopo la battaglia contro Moloch, non era più venuto da me.
Quando pensavo a lui, la notte in camera mia, ero abbastanza angosciata. Nonostante lo trovassi seccante, non mi sarei mai perdonata la sua morte, avvenuta a causa della mia debolezza.
Al chiaro di luna, passavo il tempo a sospirare. Non era la prima volta che qualcuno perdeva la vita a causa mia e non lo riuscivo più a sopportare, dovevo diventare più forte.
Nei giorni successivi cercai di non pensarci, di concentrarmi sulla mia situazione a Salem e di sopravvivere in quel contesto. Il fingersi umana era già abbastanza difficile e inventare storie sul mio passato, lo era ancora di più.
La versione ufficiale era che i miei genitori, umani, erano stati uccisi dai demoni nella precedente guerra ed io, infuriata con il Concilio per averli mandati alla morte, ero scappata a Salem. Così, miracolosamente, ebbi il permesso di restare e conobbi molti personaggi interessanti.
Feci la conoscenza di uomini mercenari, cacciatori di taglie commissionati da ricchi uomini desiderosi di farsi giustizia da soli, nobili troppo impazienti per la lenta legge del Concilio. Si guadagnavano da vivere catturando o uccidendo stregoni, a seconda della richiesta. Le storie dicevano che nel tempo libero cacciavano indipendentemente le creature dai poteri magici, per poi giustiziarle nella piazza del villaggio davanti a tutti. Uccidevano senza nessun criterio, senza regola o motivo. Guidati solo dal loro piacere e dal loro odio, inseguivano come prede le loro vittime, anche se del tutto prive di taglia. Erano pericolosi, suscettibili e volubili. Potevano accettare commissioni da stregoni, per poi tornare ad ucciderli il giorno dopo. Assumerli era sempre un rischio, bisognava essere sciocchi o disperati per avvalersi dei loro servigi.
La sera, al locale vicino a casa, ascoltavo le loro storie piene di coraggio e di avventura.
Avrei voluto avere la loro forza, poter uccidere angeli, streghe e maghi come facevano loro.
Se mi avessero pagato poi, sarebbe stato tutto ancora più bello.
- Uccideresti un angelo per me?-
Domandai seriamente ad un giovane cacciatore, con cui ero entrata particolarmente in confidenza.
Si chiamava David e scoppiò a ridere quando udì la mia richiesta.
- Perché dovrei?!-
Domandò, ordinandomi ancora da bere nella confusione del Saloon, lieto che nessun altro avesse sentito.
- Perché mai vorresti la morte di un angelo?-
Scrollai le spalle, non sapendo cosa inventarmi. Uscivamo insieme ma non per questo mi fidavo di lui, né pensassi di dover essere sincera nei suoi riguardi.
- Lo hai mai fatto?-
Chiesi, cambiando domanda.
- Hai mai ucciso un angelo?-
- No-
Rispose sinceramente, avvicinandosi maggiormente a me con i suoi grandi occhi nocciola.
- Però ho visto qualcuno che lo faceva-
- Raccontami-
Supplicai, afferrando bevendo dal boccale che mi era appena stato riempito.
- Eravamo nella Nazione delle Streghe-
Iniziò il giovane.
- Lo atterrammo con le frecce e le pallottole avvelenate dopo il quarto giorno di caccia. Inibimmo subito i suoi poteri utilizzando lo zolfo e lo immobilizzammo con delle corde in oro massiccio-
Raccontò orgoglioso.
- Il nostro capo gruppo scelse la morte più lenta e dolorosa, gli strappò le piume una ad una-
Rabbrividì a quel pensiero.
- Gli angeli cessano di vivere dopo aver perso sette piume-
Informò il ragazzo, come se non lo avessi saputo.
- Anche l’arcangelo più forte spira dopo aver perso un massimo di dieci piume. Ma pensa che quel maledetto resistette fino a tredici! Incredibile!-
- Cosa aveva fatto?-
- Non ci interessava-
Spiegò il cacciatore, scrollando le spalle.
- Non era compito nostro saperlo-
Mi scostai da lui, rimanendole delusa. Uccidevano solo per amore dei soldi, non vi era più niente dell’antico ordine che li aveva creati. Pochi conservavano l’odio dei progenitori verso le creature magiche, per molti era ormai diventato solo un lavoro. Cacciavano creature che non gli avevano fatto niente personalmente, senza saperne il perché, solamente perché era divertente e andava fatto. Gli angeli non li avevano rovinato la vita, non li avevano terrorizzati a morte fin in tenera età, non li avevano strappato la cosa più preziosa che potessero avere. Nonostante questo li uccidevano con incredibile ferocia, con il sorriso sulle labbra e senza il dolore nel cuore.
Gli umani ero convinti che il mostro fossi io, eppure più li conoscevo più mi sembravano spietati, peggio dei demoni. Sospirai, scostandomi dal corpo muscoloso dell’aitante caccia streghe. Se avessimo fatto prima quella conversazione, probabilmente fra noi non sarebbe accaduto mai niente.
- Passi da me più tardi?-
Chiese il ragazzo, stranito che me ne stessi già andando.
- Non credo-
Bofonchiai.
- Ho mal di testa-
- V-Va bene. Ci vediamo domani?-
Annuì sorridendo, mentendo. Dal giorno dopo fino alla mia partenza, lo avrei sempre ignorato.  
 
Trascorsi qualche altra settimana ospite degli abitanti di Salem.
Avrei dovuto sentirmi tranquilla, visto che i caccia streghe non accennavano il minimo dubbio sulla mia identità. Avevo avuto conferma che non accettavano commissioni dal Concilio né che si immischiavano nelle loro faccende, eppure ero terribilmente paranoica. In cuor mio temevo che trovassero comunque qualche mio volantino fuori dal villaggio, condannandomi al rogo.
D’altro canto, lasciare Salem mi faceva ancora più paura.
Oltrepassare il confine cittadino senza la piuma, equivaleva rischiare di essere catturata e uccisa dagli Anziani. Ritenni di essere più al sicuro nel villaggio, circondata da semplici umani.
Nonostante le mie angosce, alle volte fantasticavo su un’ipotetica vita a Salem. Sognavo di farmi un futuro fra di loro, di imparare metodi per uccidere le creature magiche anche senza usare i poteri.
Mi sarebbe piaciuto diventare una caccia streghe, ovviamente con dei valori diversi dai loro.
Avrei vissuto alla giornata, mangiato grazie alle taglie, mi sarei fatta delle cicatrici sul corpo ed ognuna di quelle essere una storia emozionante da raccontare. Forse non avevo bisogno di cercare di distruggere gli Anziani, per la prima volta potevo tentare semplicemente di vivere.  
Ogni tanto, per la prima volta, si affievoliva il desiderio di un potere più grande e di portare a compimento la mia vendetta. Tornavo alla realtà non appena posavo l’occhio sul marchio che quel ragazzo mi aveva impresso, ricordandomi che forse era morto a causa mia. 
Una mattina, la mia illusione di normalità s’infranse del tutto.
Ero scesa presto in cortile, per adempiere ai miei compiti prima che la famiglia si svegliasse.
Stavo dando da mangiare ai maiali della fattoria, uno dei tanti lavori che dovevo fare per guadagnarmi il vitto. Nonostante il cattivo odore stavo imparando a lavorare, il valore di darsi da fare e di avere una vita retta in una buona famiglia. Stavo assumendo l’idea di essere accettata e non odiata. Lentamente, apprendevo il significato di vivere in un posto fisso, senza fuggire di casa ogni due mesi.
- E voi siete sistemati-
Dissi soddisfatta alle bestie che si rotolavano nel fango, terminato il lavoro.
Sospirai dalla stanchezza, asciugandomi il sudore dalla fronte. Non sapevo cosa fosse più faticoso, se fuggire dal Concilio o lavorare per gli umani. Con questo dubbio, mi voltai per rientrare con la ciotola di sbobba fra le mani. 
- Non solo ci lavori, ci parli anche con i maiali-
Mi bloccai incredula. Lo strano ragazzo era vivo.
Dopo settimane di attesa, spuntava alle prime luci dell’alba, quando ero sporca di fango e melma. Forse mi aveva visto conversare con Piggy, dire a Penzi quanto fosse grasso e ammonire Milly per rubare il cibo di Jilly.
Che vergogna. Davanti al suo sguardo divenni completamente rossa e mi parve di andare a fuoco.
Persi di mano la ciotola vuota, lasciandola rotolare a terra.
Non potevo credere che fosse vivo.
- Non ti sembra di essere caduta un po’ in basso?-
Domandò il ragazzo con tono di rimprovero. Mi fissava crucciato a braccia incrociate, a pochi metri di distanza come se fosse la cosa più normale del mondo.
- Non…non sei morto-
Riuscì solo a bofonchiare, con un filo di voce.
- Certo che no!-
Rispose il ragazzo, ridendo ed iniziando ad avvicinarsi.
- Sì, ce ne è voluto per battere quell’angelo ma neanche io sono tanto facile da uccidere-
Sorrisi istintivamente, felice che fosse sopravvissuto. Lui, aveva ucciso un angelo per me.
Rinsavì immediatamente assumendo un’espressione seria, non volendo mostrare la reale preoccupazione che mi aveva tormentata in quei giorni.
- Peccato-
Sbottai riprendendo la ciotola di sbobba da terra.
- Mi sarei liberata di un peso come te-
- Questo peso ti ha salvato la vita!-
Ribatté lui offeso, smettendo di avanzare verso di me.
- Lo pensi tu, io avevo la situazione in pugno. Se non fossi arrivato, l’avrei sistemato in metà del tuo tempo-
Affermai pavoneggiandomi. Il ragazzo rimase in silenzio ed io ne approfittai per andarmene, dovendo terminare ancora parecchi compiti. La sua figura mi impediva il passo, così per oltrepassarlo gli posi una mano sul fianco e lo spinsi verso la direzione opposta, liberandomi il cammino.
Il giovane gemette immediatamente, portandosi entrambe le mani sul punto che avevo appena toccato. Si inginocchiò a terra lamentandosi, restando immobile in preda al dolore.
- Cos’hai?-
Domandai spaventata, facendo cadere nuovamente la ciotola per terra. Non ricevendo risposta, lo raggiunsi in fretta, accovacciandomi al suo fianco e scrutando il suo corpo con attenzione. Cercai di toccarlo, ritrovandomi a ritrarre la mano per paura di ferirlo ancora.
- Ti ho scottato?-
Proseguì preoccupata, nonostante fino a quel momento il mio tocco su di lui non avesse mai funzionato. Il ragazzo non riuscì a rispondermi, aveva gli occhi chiusi e il volto contorto in un’espressione di dolore. No, non potevo averlo ustionato a tal punto. Gli presi le mani per spostarle dal fianco e con delicatezza sollevai appena la maglietta, notando delle bende.
- Sei ferito-
Affermai sbigottita.
- E’ stato Moloch?-
- Non è niente-
Bisbigliò lui, cercando di nascondere i bendaggi.
- E’ solo un graffio-
- Un graffio non può farti così male-
Obiettai scostando le mani dalla ferita.
- Va tutto bene…probabilmente è ancora presto-
Mormorò con un filo di voce.
- Me lo avevano detto di non rialzarmi-
Ridacchiò.
- Ma io non li ho ascoltati…veramente, io non li ascolto mai-
Borbottò, senza perdere il sorriso. Al contrario io non riuscivo a sorridere, ricordando che si era ferito a causa mia. Odiavo la mia debolezza, se solo avessi saputo controllare la mia natura non avrei avuto bisogno di essere protetta. Posi entrambe le mani sul terreno, stringendo forte il terriccio per scaricare la collera. Non potevo cullarmi in quell’illusione di una perfetta vita contadina. Dovevo uscire dal villaggio e rimettermi in viaggio, anche se avevo paura.
Dopo qualche istante, scorsi del fumo fuoriuscire da sotto le mie mani e percepì una tenue puzza di bruciato. Le aprì, constatando che avevo bruciato il terreno stesso. Il ragazzo lo notò, chiedendomi se stessi bene.
- Certo-
Sbottai, cercando di apparire tranquilla.
- Mi stavo solo chiedendo…-
Iniziai, imbarazzata.
- Hai tardato a tornare a causa della ferita?-
- Ti sono mancato?-
Chiese lui con un sorrisetto malizioso stampato in faccia.
- Per niente-
Affermai decisa e rialzandomi in fretta.  
- Non vorrei averti sulla coscienza, tutto qua-
Precisai, fissandolo ancora a terra con le mani sul fianco. Il ragazzo aggrottò le sopracciglia, squadrandomi divertito.
- Ma…prima hai detto che speravi fossi morto-
Mi stavo contraddicendo con una parola dietro l’altra. Per non fare maggiori danni, ripresi la ciotola di sbobba decisa a rientrare in casa.
- Aspetta-
Mugolò lui, tentando di alzarsi.
- Devi venire…-
Mi afferrò per un lembo dei vestiti, costringendomi a voltarmi. Scoppiò a ridere non appena incrociò nuovamente i miei occhi, colorati magicamente con un incantesimo.  
- Scusami ma sei ridicola con gli occhi azzurri. Fanno ribrezzo, veramente. Sono impressionanti-
Mi scostai da lui, liberandomi della sua presa mentre continuava a fissarmi divertito.
- E’ l’unico modo che ho per mantenermi in vita!-
Urlai.
- Sì e anche allevare i maiali ti serve per vivere?-
- C-Certo. Sto imparando ad essere normale-
Continuò a ridere, piegandosi in due mentre io desideravo colpirlo ancora sulla ferita.
- Ma tu non sei normale-
- Che vuol dire? Ho comunque il diritto di vivere! E poi tutto questo è temporaneo. Presto otterrò il potere necessario…-
- E come? Dando un po’ di sbobba in più?-
A quel punto persi il controllo.
- Come ti permetti…tu…stregone maniaco! Quello che faccio io non ti deve interessare! Perché non te ne torni da dove sei venuto?! Avrai una casa, no? Allora tornaci!-
- Io lo dico per te, maledizione! E’ possibile che non lo capisci?!-
Urlò a sua volta, divenendo improvvisamente serio.
- Una ragazza come te non dovrebbe abbassarsi a dare da mangiare ai maiali!-
- Ah no? Allora dimmi sapientone, cos’è che dovrebbe fare una ragazza come me?! Combattere e morire?! Ho perso l’unica cosa che mi teneva in vita!-
- Stupida, non ne hai bisogno! Basterebbe che tu venissi con me!-
Tacqui, guardandolo allibita.
- Stai iniziando ad essere ripetitivo e noioso-
Informai incrociando le braccia, tuttavia assumendo un tono di voce decisamente più basso.
Anche lui allora si calmò, capendo di aver alzato troppo la voce. Riprese fiato dopo un momento di silenzio, dopodiché continuò a parlare.
- Se tu venissi con me, non dovresti fare niente di tutto questo-
Non ebbi neanche il tempo di rispondere, improvvisamente udimmo delle urla e dei rumori provenienti dalla casa dietro di noi. I padroni di casa e gli altri aiutanti della fattoria stavano accorrendo velocemente con i forconi e le zappe in pugno, puntandocele contro.
- Come osa un essere come te mettere piede a Salem!-
Urlò violentemente il dolce vecchietto che mi aveva ospitata in casa. Sobbalzai spaventata, temendo di essere stata scoperta.
- Ragazzina!-
Continuò a gridare la padrona della fattoria, bloccandosi a pochi metri da noi.
- Fai comunella con questo demone?-
- No io…-
Tentai di dire in mia difesa, realizzando solo in seguito cosa la donna avesse detto.
- Demone?-
Ripetei ebete.
La ciotola cadde ancora una volta.
Il mio cuore tremò, il corpo si irrigidì, la mente divenne vuota e provai una tremenda fitta allo stomaco.
- D-Demone?-
Ripetei nuovamente sconcertata, voltandomi lentamente verso il ragazzo dagli occhi d’oro. Sussultai quando incrociai il suo sguardo, notando come fosse radicalmente cambiato. C’era qualcosa di diverso nel suo volto. Nei suoi occhi leggevo un’intenzione che conoscevo bene e che spesso si era potuta leggere nei miei: la mia stessa voglia di uccidere.
Prese ad avanzare verso i padroni di casa e i loro braccianti, sorridendo malignamente.
- Fermo-
Pregai, agendo d’impulso. Gli sbarrai la strada con il mio corpo, non potendo rimanere impassibile.
Il ragazzo dai capelli brizzolati si arrestò, abbassando lo sguardo fino al mio ed incrociando i miei occhi blu, irremovibili. Non potevo permettergli di farlo, quella gente mi aveva accolta in casa e aiutata più della mia vera famiglia. Non ebbi paura, neanche sapendo di trovarmi innanzi ad un demone. In quei brevi attimi pensai solamente a salvare i fattori, non ricordando nemmeno che, se solo avesse voluto, ci avrebbe uccisi tutti in un baleno.
Fortunatamente fece un bel respiro, tornando a sorridere come aveva sempre fatto fino a poco fa.
Mi sentì sollevata, riconoscendo nei suoi occhi lo stesso ragazzo che mi aveva salvata a Castleford. Abbozzai un sorriso, che scomparve quando tornai ad udire la padrona di casa che incalzava, pretendendo una risposta. Non sapevo cosa dire, come giustificarmi davanti ai loro occhi.
Cercai di bofonchiare qualcosa ma, prima che potessi farlo, il ragazzo svanì per comparirmi alle spalle. Mi afferrò per la gola, stringendomi talmente forte da farmi mancare il fiato.
Sobbalzai, con il cuore che batteva veloce, notando solo allora quante volte avesse usato quell’incantesimo. Nessuno usava la magia nera nel nostro stato, la sua forza e i suoi poteri erano una prerogativa dei demoni.
Non ebbi il tempo per riflettere sulla mia stupidità, visto che la creatura mi strinse forte trascinandomi lontano dai padroni di casa, minacciando di ucciderli se solo si fossero avvicinati.
- Lasciala andare!-
Urlò il fattore senza arretrare.
- Sporco demone! Oggi non avrai il tuo pranzo!-
Continuò un altro, alzando il forcone sempre più.
- La pagherai per essere entrato a Salem!-
Promise la donna.
- Andatevene se volete vivere. A me basta un solo umano-
Rinnovò il ragazzo freddamente, leccandomi una guancia come un animale intento ad assaggiare la sua preda.
- Se mi costringete ucciderò ognuno di voi-
Per la prima volta ebbi paura. La sua voce era diversa, incredibilmente spietata.
Sentì il mio cuore battere ancora più forte, quasi volesse fuggire dal petto.
Non sarei mai stata in grado di battere un demone.
- C-Che fai?-
Sussurrai io tremante. Già vedevo sul giornale il mio necrologio. Un commuovente articolo avrebbe parlato di una giovane donna uccisa da un terribile demone. Forse avrei fatto scoppiare una guerra, di nuovo.
- Zitta stupida-
Bisbigliò lui con la sua solita voce, facendo tornare i miei respiri regolari.  
 - Prenditi il maiale demone ma lascia la bambina!-
Urlò ancora la donna, portandosi le mani ai capelli quando la creatura dietro di me scosse il capo.
- E rinunciare alla carne fresca di un’umana? Mai!-
Disse quasi soffiando, come un gatto minacciato durante il pasto.
- Allora morirai!-
Sbraitarono in coro gli uomini, dotati di armi. Con furore si gettarono insieme su di noi, correndo puntandoci le zappe e i forconi addosso.
- Gufo?-
Mormorai spaventata.
- Non ora-
Rispose lui piano, rivolgendosi al mio orecchio nascosto dai capelli.
- Ancora un po’-
Chiusi gli occhi. Ormai gli uomini ci stavano per colpire e non sapevo che intenzioni avesse il ragazzo. Se non fossimo scappati ci avrebbero reso degli spiedini, per poi arrostirci sul fuoco del rogo. Possibile che dovunque andassi dovevano sempre cercare di uccidermi?
- Ora!-
Sussurrò lui improvvisamente, spingendomi a terra per farmi cadere al suolo.
Il demone scattò in alto con un balzo, mentre le armi lanciate dai contadini perforavano l’aria.
Rabbrividì accorgendomi che, se non mi avesse spinto, i fattori mi avrebbero colpita in pieno.
Il padrone di casa e gli altri urlarono infuriati al cielo, alzando le armi e lanciandole fino a lui, che scomparve senza lasciare tracce. Io rimasi stesa sul terreno, con le gambe che ormai non le sentivo più. La padrona di casa fu la prima a giungere da me, cercando di tranquillizzandomi e chiedendomi se stessi bene. Gli uomini invece corsero a raccogliere le armi, maledicendo forte il demone che gli era sfuggito.
Rimasi sorpresa e spaventata di come si erano prodigati tanto a salvarmi, per poi cercare di trapassarmi coi forconi pur di uccidere la creatura oscura. Solo la padrona sembrava lieta che fossi salva, gli altri erano malinconici per non aver preso il mostro. 
 
Dopo quell’episodio passai ogni notte insonne, a riflettere.
Stringevo forte il marchio che mi aveva impresso, desiderando che tornasse presto a farmi visita. Due linee collegati da due punti, un segno circolare che ricordava vagamente l’infinito. Non faceva male, se ne stava silente sulla mia pelle a ricordarmi i suoi grandi occhi di civetta.
Ero stata marchiata da un demone.
Nonostante la mia vasta conoscenza sulle creature oscure, non avevo la minima idea di cosa questo volesse dire, né di cosa comportasse. Ero certa però che a qualcosa quella cicatrice servisse.
Sospirai. Era un demone, lo era stato per tutto il tempo ed io non l’avevo capito. Avevo sempre ritenuto di poter riconoscere la razza demoniaca a prima vista, invece mi ero fatta ingannare.
Sbuffai, puntando lo sguardo verso le stelle e pensando a cosa gli avrei detto se mai lo avessi rivisto.
Sicuramente lo avrei picchiato.
Era solamente la terza notte da quando i fattori lo avevano cacciato, eppure a me sembrava essere passata un’eternità.
Appollaiata sul davanzale della mia finestra, mi refrigeravo alla fresca brezza della notte dopo una giornata di fatiche. In tenuta da notte, pantaloncini e top, osservavo i campi circondati d’oscurità. Davanti a quell’orizzonte tenebroso mi sentivo incredibilmente piccola, la vastità del firmamento sopra di esso mi ricordava quanto fossi insignificante.
Sospirai, così forte da farmi male ai polmoni. Socchiusi gli occhi, assaporando il vento che mi accarezzava il volto, libera dall’anello che di notte non dovevo portare, libera da ogni legame.
Nel buio rivedevo il suo viso, quei tratti così delicati, estremamente familiari.
- E’ tutto pronto-
Affermò improvvisamente una voce dietro di me. Non mi spaventai, non sobbalzai. Volsi lentamente il capo verso di lui e lo osservai seduto sul mio letto con disinvoltura, come se quella fosse stata la sua stanza. Le gambe accavallate e le braccia incrociate, due occhi dorati che mi fissavano nel buio.
Non potei fare altro che sorridere.
Ero abituata alle sue entrare in scena teatrali, ormai non potevo farne a meno.
- Adesso puoi venire con me-
Aggiunse. Io tacqui, ritrovandomi a fissarlo a lungo.
Le mille domande che gli volevo fare, scomparirono nel suo sguardo.
- Non verrò con te-
Decretai. Le mie parole lo fecero sospirare.
- Capisco. Hai paura di me-
Chinò il capo portandosi le mani ai capelli, fissando il pavimento.
- Per questo mi hai detto di essere uno stregone? Per non spaventarmi?-
- Veramente hai fatto tutto da sola, io non ho mai detto di essere uno stregone-
- Tu però hai annuito quando te l’ho chiesto-
- Non sapevo come avresti reagito-
Ammise, allora fui io a sospirare. Faceva tanto il saccente ma alla fine non capiva nulla. Scesi dal davanzale, avvicinandomi a lui di qualche passo.
- Gufo?-
Lui alzò il volto, rispondendo a tale nome. Io lo raggiunsi, avvicinando il mio viso al suo e giungendo a pochi centimetri di distanza dai suoi occhi.
- Tu sei…uno stupido!-
Urlai spintonandolo forte, gettandolo completamente sul letto. Rimase immobile, attonito, mentre io mi arrampicavo delicatamente sul materasso, raggiungendolo.
- Non ho paura di te-
Sussurrai, salendo sopra di lui e guardandolo dritto negli occhi.
- Ma…allora…perché non vuoi venire con me?-
Chiese lui balbettando, senza muoversi. Sorrisi, come al solito dovevo spiegargli tutto. Gli spostai i capelli dalla fronte, liberandogli lo sguardo.
- Ho un brutto presentimento-
Spiegai dolcemente, rimanendo carponi sul suo corpo.
Nell’oscurità della stanza riuscivo a scorgere distintamente soltanto le sue iridi dorate, mentre il resto era avvolto nelle tenebre.
- Ovvero?-
- Chiamalo intuito femminile ma non mi fido di te-
Stranamente sorrise, come se mi stesse dando ragione.
Avvicinai il mio volto al suo, posandogli gentilmente una mano sul busto. Il suo corpo ebbe un fremito mentre le mie labbra si accostavano alle sue, i suoi occhi si chiusero, arrendendosi.
- Soprattutto…di un gufo ferito di cui non so nemmeno il nome!-
Affermai scostandomi da lui e sollevandogli velocemente la maglietta. Finalmente potei osservare i bendaggi nella loro interezza. Come avevo immaginato, la ferita era estesa e le bende ricoprivano completamente il ventre e i fianchi.
- Lo sapevo-
Decretai scuotendo il capo mentre il ragazzo rinsaviva, al quanto deluso.
- S-Sei una cretina!-
Urlò lui imbarazzato sistemandosi velocemente le vesti e portandosi a sedere, costringendomi ad alzarmi.
- Così ti farai ammazzare. Inutilmente!-
Rimproverò completamento arrossito, alzandosi anch’esso in piedi.
- Perché esiste anche un modo utile di farsi ammazzare?-
Domandai divertita. Il demone, inaspettatamente, non rise.
- Se tu ti unissi a me potremmo distruggere quei vecchi in un baleno!-
- Frena frena-
Dissi io mettendo le mani davanti, fra me e lui.
- Distruggerli in un baleno? Io? Con te?!-
Domandai allibita.
- E perché mai tu dovresti aiutarmi? E come soprattutto?-
Sospirò, prima di accennare ad una risposta.
- Io ho visto il tuo potere-
- Beh hai visto male-
Sbottai innervosita.
- Ci sono particolari condizioni in cui posso usarlo e non con tutti. L’unico motivo per cui non temevo il Concilio, l’ho perso nella capitale!-
- Posso aiutarti a farne a meno-
Non gli diedi ascolto, certa che stesse vaneggiando.
- Non so cosa hai in mente. Non so chi tu sia né cosa tu voglia ma la mia è una faccenda personale, i demoni non c’entrano. Non voglio combattere al tuo fianco e non mi fido di te, hai capito?-
Affermai, creandogli un certo disappunto. Non so cosa si aspettasse da me ma non mi sarei unita ad uno sconosciuto per intraprendere una specie di battaglia fra parti. Io volevo solo vendicarmi per tutto ciò che mi era stato fatto, i demoni non dovevano venire coinvolti.
- Fai prima a dire che hai paura di me. Non devi vergognarti, è normale. Tutte le streghe hanno paura dei demoni-
Continuò, facendomi perdere le staffe.
- Ma non ci senti? Ho detto che i demoni non mi fanno paura!-
Gridai, portandomi subito dopo una mano sulla bocca. I padroni di casa stavano dormendo al piano di sotto.
- Semplicemente non mi fido di te-
Proseguì, a tono più basso.
- C’è qualcosa in te che non mi convince, tutto qui. I demoni non mi fanno paura, ero ancora piccola quando scappavo di casa per andare nel loro regno da sola-
Raccontai orgogliosa.
- Pensa che una volta mi sono pure confusa con loro-
Aggiunsi, fiera delle mie imprese. A quelle parole lui sussultò, bloccandosi per qualche istante.
- Una volta sono giunta fino alla capitale e ho visto anche una parata della famiglia reale! Non per vantarmi ma ho pure salvato la vita al vostro principe ereditario! Non so se lo sapevi ma un demone molto potente scagliò una freccia avvelenata contro il secondogenito e fui io a dirottarla, affrontando la grande Lilith in uno scontro corpo a corpo!-
Proseguì pavoneggiandomi e voltandomi verso la finestra. Gli diedi la schiena, attendendo complimenti e congratulazioni che però non arrivarono. Per un po’ vi fu solo il silenzio ma non me ne stupì. Il ragazzo era sicuramente rimasto attonito dal mio coraggio.
Improvvisamente mi afferrò da dietro, prendendomi per le spalle. Mi abbracciò forte, avvolgendomi completamente.
Rimasi allibita e mi accorsi di arrossire. Sentivo il suo respiro sul mio collo e il battito del suo cuore dietro la mia schiena. Non mi aspettavo certo una reazione simile.
Non disse niente, non una parola. Semplicemente mi tenne stretta ed io mi abbandonai al suo abbraccio.
- Eri tu-
Sussurrò.
- Credevo che fossi morta-
- Cosa?-
Domandai confusa, cercando di scostarmi da lui. Non mi lasciò andare, mi tenne stretta a sé per un lasso di tempo che parve interminabile. Quando si ritenne soddisfatto mi pose una mano sugli occhi e la stanza divenne ancora più buia. Dolcemente mi girò verso di lui, permettendomi solo allora di riaprirli. Rimasi sorpresa quando vidi che mi stava semplicemente fissando, se pur molto intensamente.
- Così va meglio-
Disse senza distogliere un attimo lo sguardo dai miei occhi, così uguali ai suoi.
Li aveva fatti tornare del loro colore normale, volendoli osservare come mai aveva fatto. Ne stava scrutando ogni particolare, come se un mondo intero vi fosse racchiuso al loro interno.
Mi sentivo in imbarazzo, non capivo cosa stesse cercando in essi.
Più mi guardava, più diventava triste. Dopo poco si distanziò da me, lasciandomi lì impalata nella stanza. Si voltò, dandomi le spalle e portandosi le mani alla testa. Mi parve che abbozzasse un risolino isterico, disperato, come se quello che era venuto a sapere lo infastidisse.
- Non puoi più venire con me-
Sbottò improvvisamente.
- Come?-
- Non devi più venire con me-
Si corresse, accentuando la parola “devi” ed offrendomi un triste sorriso. Rimasi senza parole, intenta ad osservare il suo sguardo mutato così repentinamente. Ero la prima a non desiderare di seguirlo, non avrei dovuto risentirmi di quell’imposizione eppure udire che non potevo, che non dovevo più, mi infastidì terribilmente.
- Mi dispiace-
Ammise sorpassandomi nell’oscurità della camera, per raggiungere la finestra. Mi volsi con il cuore che batteva a mille e un terribile nodo in gola. Se ne stava andando.
- Aspetta-
Pregai, avvicinandomi e protendendo una mano in avanti mentre lui era già intento a salire sul davanzale.
- Scusa se ti ho infastidita fino ad ora-
Affermò rivolgendomi il suo sguardo l’ultima volta per poi gettarsi dalla finestra, al terzo piano dell’abitazione. Scattai verso il davanzale, cercando la sua figura nelle tenebre del cortile.
Era sparito, se ne era andato lasciandomi sola.  

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Capitolo 8
*** Chiamami ***


Da quando se ne era andato ero diventata inquieta, irritabile, nervosa. In paese si erano venute a creare strane voci su di me e sul demone che mi aveva attaccata, alcune si avvicinavano troppo alla verità. Secondo loro non era nello stile dei demoni fare salotto con le vittime e scappare senza neanche ferirle. A quelle accuse rispondevo a malo modo e questo mi portò ad essere ancor più malvista dagli abitanti. Iniziarono ad evitarmi ma non mi dispiaceva, non ci facevo nemmeno caso.
Avevo altro a cui occuparmi: di giorno il suo pensiero non mi dava pace e di notte ero attanagliata da strani sogni che lo riguardavano. Sognavo continuamente di vederlo parlare con qualcuno, in una terra lontana a ovest dal confine. Sedeva su una grande sedia circondato da alte mura oscure, accanto aveva molte persone ma leggevo nei suoi occhi un’immensa solitudine. Due donne gli erano vicino, una dai capelli rossi alla destra e una dai capelli neri alla sinistra. Non vedevo i loro volti ma potevo udire le loro voci. Era sempre lo stesso identico sogno.
- Non lo farò-
Continuava a ripetere il ragazzo dagli occhi d’oro.
- Non ho intenzione di farlo-
- Perché mai?-
Incalzava la donna dai capelli neri.
- In fondo è tutta colpa sua. Non merita pietà-
- Ha ragione, mi ha impedito di adempiere al mio dovere. Non ci sarebbe questa inutile guerra se non si fosse intromessa-
Appoggiò la donna dai capelli rossi.
- Per non parlare della scorsa guerra-
Puntualizzò quella coi capelli lunghi e corvini.
- Lo scoppio della scorsa guerra non è stato un male-
Ammise il demone.
- Mi ha dato modo di fare una cosa che bramavo da tempo. Lo odiavo e la sua morte non mi ha certamente rattristato. Come ben sapete, se non si fosse tolto di mezzo non avrei mai potuto prendere il suo posto-
- Ci serve-
Ricordò duramente la ragazza dai capelli neri.
- Voi non capite, credevo che quell’uomo l’avesse uccisa. Questo cambia tutto-
Replicò esasperato il ragazzo, portandosi una mano sugli occhi. Sembrava stanco.
Ci fu un attimo di silenzio nella grande sala, poi la donna dai capelli rossi tornò a parlare.
- Perché è tanto importante?-
Chiese con tono molto più gentile rispetto all’altra.
- Mi ha restituito la speranza-
Spiegò il demone riaprendo gli occhi, seduto su quella strana e maestosa sedia in pietra nera.
- In un momento in cui l’avevo perduta, l’ho ritrovata nei suoi occhi-
Ammise seriamente. La donna dai capelli neri parve non capire e se ne andò furiosa.
- All’epoca…-
Riprese, parlando con l’ultima rimasta al suo fianco.
- Lui mi assicurò che non esistessero altri come me. Ovviamente stava mentendo. Disse che non avrei mai avuto futuro nel mondo-
Raccontò, ridendo istericamente.
- Era invidioso-
Sentenziò la donna, poggiandogli una mano sulla spalla.
- Lo so-
Sorrise il demone, stringendole appena il braccio.
- Ma mi sentivo incredibilmente solo, soprattutto dopo la morte di mio fratello. Vedere qualcuno come me, libero e in vita, mi ha cambiato, rendendomi quello che sono oggi. Ecco perché è tanto importante-
Ogni volta la donna dai capelli rossi pareva capire e lo appoggiava nella sua decisione.
Mi risvegliavo sempre sudata e stanca dopo quel sogno, relativamente confusa e allibita di cosa il mio cervello potesse arrivare a realizzare. Mi stavo ossessionando a tal punto da creare conversazioni senza senso con lui protagonista, non riuscendo così mai a riposare.
Nella consuetudine di quei risvegli traumatici, una mattina notai qualcosa di diverso.
Era comparso un biglietto piegato in due sul mio cuscino.
Lo raccolsi sorpresa, domandandomi come ci fosse arrivato lì. Lo aprì delicatamente, con i capelli arruffati leggendone curiosa il contenuto. C’era uno strano numero di telefono e poche parole scritte in inchiostro nero.
“Chiamami se mai fossi nei guai”
Non era firmato ma capì subito a chi appartenesse. Lo conservai gelosamente, se pur dubbiosa che un demone rispondesse al cellulare. Non che ci fosse niente di male, solo che non credevo che anche loro li avessero. Anche se, avevo appurato, del loro mondo conoscevo ben poco e ciò che sapevo si era rivelato sempre inesatto.
Dopo qualche giorno iniziai a dimenticarmene, come degli strani sogni del resto. Non feci caso neanche ad un particolare incubo che mi portò a rivivere un episodio passato della mia vita, riportandomi alla mente qualcuno che pensavo di aver dimenticato.
Durante una delle mie tante fughe, avevo conosciuto un giovane quindicenne di origini fatate. Anch’esso, come molti altri della sua razza, ospitato in un istituto per bambini divenuti orfani a causa della prima guerra. Avevo rivisto la sua figura nell’orfanatrofio in cui lavoravo, accanto alla villa del padrone in cui vivevo.
I bambini che correvano in giardino, le mie colleghe e la soffitta in cui ci incontravamo sempre.
La stretta fessura nel muro che portava alla terrazza ghiacciata, il nostro luogo preferito.
Lì, il giovane dai capelli biondi mi stava aspettando. Isaac.
Mi venne in contro, sorridendo e baciandomi come al solito.
Quando si scostò da me, i suoi tratti mutarono. I suoi capelli divennero neri come la notte e gli occhi azzurri si tramutarono in oro. Improvvisamente, stavo baciando il demone.
Lo guardavo ancora sorpresa, quando la finestra dietro di me si aprì di botto. Il padrone di casa mi sorprese in quella relazione proibita che da tempo portavo avanti e, fra urli e furia, mi cacciò, gettandomi per strada.
Il sogno terminò quando caddi sulla neve fredda.
Mi svegliai sussultando nel mio letto, accorgendomi che si fosse già levata l’alba.
Mi nascosi sotto le coperte, rifiutando di dovermi alzare ed abbandonandomi alla morbidezza del cuscino. Tutti quegli incubi mi stremavano, rendendomi sempre più inquieta al risveglio. Avrei voluto dimenticare per magia tutte le mie vicende passate, tutte le mie sconfitte che mi avevano sempre ricondotto in una casa che odiavo. Strinsi forte il marchio sul polso, colpevolizzando la mia mente per quei sogni assurdi.
Il mio inconscio sbagliava, io non desideravo affatto baciarlo.
 
Decisi di andarmene, di farmi coraggio, di affrontare ciò che mi stava aspettando là fuori.
Avevo indugiato fin troppo a lungo da quando si erano sparse le prime voci su di me e sul demone, attendendo chissà cosa.
Era il mio giorno libero, il momento migliore per sgusciare fuori casa senza che la famiglia se ne accorgesse. Preparai il mio piccolo bagaglio mentre i padroni erano intenti a lavorare nei campi.
Sgattaiolai fuori dalla fattoria senza essere vista, recandomi nel centro della città per fare le ultime spese prima della partenza. Con il mio lavoro avevo comprato una maglia rossa e dei nuovi pantaloncini che arrivavano fino al ginocchio, sempre da uomo ovviamente. Fu difficile trovare qualcosa del genere a Salem, il commesso del negozio sembrava in imbarazzo nel servirvi ma non abbastanza per accettare il pagamento. Mi avvisò che non era decoroso per una donna indossare abiti maschili e soprattutto un indumento così colorato e attillato. Io me ne infischiai. Sembrare umana era già difficile, sciatta insopportabile. Non avrei mai indossato le loro cuffiette e le loro tende ricucite, neanche davanti al rogo.
Con i miei nuovi acquisti uscì in strada raggiante. L’estate era ormai prossima e non dovevo più vestirmi pesantemente per nascondermi. Osservai la cittadina per l’ultima volta, chiedendomi se mi sarebbe mai mancata. Era minuscola e spersa nel nulla ma quello era stato l’unico posto in cui mi ero sentita normale per la prima volta.
Sospirai mentre procedevo lentamente verso la stazione, certa che non avrei mai più provato una sensazione simile. Ero quasi giunta in piazza quando mi accorsi che tutti mi stavano osservando.
Se ne stavano fermi a scrutarmi in mezzo alla strada, alcuni mi osservavano dalle finestre, altri dall’interno dei negozi. Le mamme portavano via i loro bambini e gli uomini mi lasciarono sfilare per il corso principale senza mai perdermi d’occhio. Parevano animali feroci, pronti a scattare da un momento all’altro. Mi vennero i brividi lungo la schiena, strinsi le buste della spesa e procedetti svelta. Avevo gli occhi di tutti puntati addosso ed ero certa che non fosse per i miei abiti nuovi.
Avevo atteso troppo a lungo prima di andarmene, ora ne ero sicura.
Da qualche giorno il clima a Salem era velocemente divenuto freddo ed ostile, ad ogni mio passaggio i contadini confabulavano fra loro facendomi accapponare la pelle.
Non capivano come una creatura oscura non tornasse a riprendersi la preda designata, lasciandola ancora in vita. Non era un comportamento da demone, ne andava di mezzo l’orgoglio e la reputazione.
Privata della fiducia che avevano riposto in me, sperai di riuscire a prendere almeno il treno.
Attraversai la piazza centrale, deserta. Vigeva uno strano silenzio nel villaggio, troppa quiete anche per i miti abitanti di Salem. Scrutai il rogo al centro del piazzale, notando come sembrasse più grande. Procedetti cauta verso i binari, scoprendo amaramente che tutti i treni erano stati sospesi.
Un enorme cartello informava, i pressoché nulli viaggiatori della cittadina, che fino a nuovo ordine nessun treno sarebbe arrivato e nessun altro sarebbe partito. Non mi piacque per niente.
Restai per qualche minuto in stazione, cercando di escogitare un piano. Non intendevo percorrere i binari senza l’amuleto ma neanche rimanere fra gente che mi credeva in combutta con i demoni.
Scrutai il cielo. Moloch era morto ma potevano esserci decine di altre cose là fuori capaci di uccidermi. Dovevo decidere cosa fosse più pericoloso e di cosa aver più paura.
Intenta a fare chiarezza nella mia mente, udì degli strani rumori dietro di me. Mi volsi verso gli uffici della piccola stazione ferroviaria, non riuscendo a vedere nessuno. Pareva che il vento facesse sbattere qualche porta o finestra ma io ne ero certa, mi stavano osservando.
Gettai lo sguardo sulla piazza deserta e sul rogo al suo interno, non ricordando quelle fiaccole poste accanto ad esso. Iniziai ad agitarmi. Si trattava solo della quiete prima della tempesta.
Posai le buste a terra, scorgendo un vecchio impianto telefonico attaccato al muro.
Era l’unico in tutto il paese, lasciato per i turisti, se pur rari, che non accettavano di abituarsi all’utilizzo del telegrafo.
Timidamente mi avvicinai ad esso, chiedendomi chi mai avessi potuto chiamare.
Non avevo nessuno da contattare, nessuno che avrebbe potuto aiutarmi. Improvvisamente mi tornò alla mente il biglietto del ragazzo dagli occhi d’oro. Mi trovavo definitivamente nei guai e mi parve il caso per usarlo. Lo cercai freneticamente nelle tasche, sperando di averlo conservato. Dovetti tornare indietro fino al mio bagaglio e rufolare  al suo interno. Udì ancora i passi di qualcuno in guardiola. Quando trovai il numero, impugnai qualche moneta e scattai nuovamente verso il telefono. Sperai fortemente che funzionasse, pareva in disuso da anni ed ebbi un momento di titubanza nel sfiorarlo. Alzai la cornetta piena di polvere, rasserenandomi solo quando udì il suono della centralina. Scartocciai velocemente il foglietto, scrutandolo intensamente prima di tentare di comporre il numero. Non avevo mai sentito dire che fosse possibile fare interurbane verso il loro regno. Nonostante questo, ci provai.
Mi parve un’idea ridicola, fino a che non prese a squillare veramente.
Sobbalzai, talmente forte che quasi mi cadde la cornetta di mano.
Stavo chiamando il Regno dei Demoni.
In pochi istanti cercai di escogitare qualcosa di sensato da dire, se mai qualcuno avesse risposto. Rimasi pietrificata non appena udì una voce dall’altra parte dell’apparecchio, perdendo tutte le parole.
- Pronto-
Stetti muta per qualche istante con la cornetta schiacciata contro l’orecchio, incredula.
- Pronto?-
Pronunciò nuovamente la voce, facendomi rinsavire.
- Hai…hai risposto-
Bofonchiai esterrefatta.
- Hai davvero risposto-
- Certo che ho risposto. Cosa credevi?-
Era lui, davvero lui. Quello strano numero pieno di zeri e di sei apparteneva davvero al regno oltre il confine ovest.
- Non credevo che avresti risposto-
Continuai a balbettare ebete.
- Ah no? E perché?-
- Beh, ma perché sei un demone!-
Proferì, certa che questo spiegasse tutto.
- E’ successo qualcosa?-
Domandò il ragazzo cambiando argomento. Rinvenni, ricordandomi il motivo della chiamata.
- Sì, devi venire qui-
Ci fu un attimo di silenzio.
- Ci sei?-
Incalzai nervosa.
- Hai capito? Devi venire subito-
- Non posso-
Affermò categorico, provocandomi una fitta allo stomaco.
- Non capisci-
Continuai.
- Devi venire assolutamente. Mi hanno scoperta, sono bloccata qui ed è tutta colpa tua-
Cadde la linea e non potei udire la sua risposta, né sapere se era riuscito a sentirmi.
Riposi la cornetta, notando che l’apparecchio telefonico aveva smesso improvvisamente di funzionare. Qualcuno aveva staccato la linea, interrompendo di proposito la conversazione.
Uscì tremante verso la guardiola, non trovando nessuno a cui chiedere spiegazioni. Avanzai verso i gradini che portavano alla piazza, notando incuriosita come improvvisamente tutta la popolazione fosse comparsa al suo interno.
Si erano riuniti intorno al rogo con le fiaccole in mano, fissandomi in assoluto silenzio.
Mi volsi istintivamente per tornare verso i binari ma venni bloccata da alcuni uomini che comparvero dagli uffici della stazione. Uno di loro stringeva ancora una presa telefonica in mano. Avanzarono con delle armi rudimentali, spingendomi verso la piazza, verso il rogo.
Osservai la folla che si stava riunendo dietro di me, accerchiandomi completamente. Ognuno di loro aveva in mano una sorta di qualche arma, pronti ad usarla se ce ne fosse stato il bisogno.
Un gruppo di caccia streghe, armati di reti argentate e fili fatati, si stavano avvicinando lentamente, costringendomi a scendere la scalinata. Quattro di loro si distinsero dai compagni, minacciandomi rispettivamente con una balestra, una lancia, un arco e una pistola. David impugnava la balestra. Alzai lo sguardo verso le case cingenti la piazza, notando che dalle finestre e dai balconi gli abitanti di Salem erano intenti ad osservare lo spettacolo.
- E’ per i vestiti?-
Chiesi sorridendo, continuando a sperare in cuor mio che fosse per quello.
- Posso provare a mettermi…-
- No Victoria-
Sbottò il giovane che avevo frequentato, mostrandomi il volantino del Concilio.
Sospirai tremendamente, i miei timori vennero confutati. Alla fine la notizia della mia taglia era giunta anche a Salem.
- Ma non eravate in guerra con gli Anziani?-
Domandai ormai rassegnata, incrociando le braccia con un certo disappunto.
- Perché li state aiutando?!-
- Strega Victoria-
Iniziò dicendo David, mettendo via il volantino. La sua voce tremava mentre pronunciava quelle parole, il suo sguardo si fece triste.
- Ci era già stato riferito che una creatura magica si confondeva fra i cittadini di Salem fingendosi umana ma noi non ci volevamo credere-
Spiegò e il gruppo di contadini dietro di lui annuì. Vi era anche il sindaco nella folla, nascosto dietro i muscoli dei suoi cacciatori migliori.
- Non pensavamo potesse esistere una strega così sfacciata da osare ingannare gli abitanti di Salem e prenderli in giro per più di un mese-
Iniziai a scuotere amaramente la testa. Il Concilio aveva puntato sull’orgoglio cittadino.
A questo non avevo pensato. 
- Alle luci dell’alba, gli Anziani si sono avvicinati ai confini del paese e hanno chiesto di mediare con noi. Hanno voluto fornirci la prova che quanto si diceva in giro fosse vero. Nonostante gli occhi siano diversi, questa strega sul volantino sei tu, Victoria-
Il cuore esplose dalla rabbia. Odiavo con tutto il cuore i membri del Concilio, bramavo le loro teste e ucciderli nel peggior modo possibile.
- Strega Victoria-
Continuò il sindaco, balzando fuori dalla folla e venendo leggermente avanti.
- Sei accusata di stregoneria, di esserti nascosta fra di noi e di esserti presa gioco delle nostre istituzioni e regole. Sei incolpata di aver fraternizzato con i demoni, di averne portato uno nella nostra città e di aver architettato chissà quale piano stregonesco-demoniaco per attaccarci. Per tanto, noi ti condanniamo a morte. Sul rogo!-
Comandò il primo cittadino e i cacciatori dietro di lui vennero avanti, spingendomi verso il cumulo di paglia. Digrignai i denti, consapevole che sarebbe finita male. Se non mi toglievo l’anello e non tentavo il tutto e per tutto mi avrebbero cotta alla griglia. Odiavo mostrare la mia vera forma ma forse così sarei riuscita perlomeno a fuggire. Mi stavo per togliere il sigillo quando venni improvvisamente afferrata da un cacciatore, talmente enorme da sollevarmi in aria come uno scricciolo. In pochi istanti non toccavo più il suolo, iniziai dunque ad urlare e a dimenarmi, tentando di congiungere le mani per togliermi l’anello.
- Lasciami andare!-
Urlai. Dopo poco non fui la sola a gridare, anche il gigantesco umano pieno di cicatrici e tatuaggi prese a lamentarsi del mio calore.
- Ma questa ragazza brucia!!-
Affermò, porgendomi ad un suo compagno che provvide velocemente a legarmi le mani con una corda.
- Questa è un’ulteriore prova della sua colpevolezza!
Sentenziò ancora il sindaco.
- Bruciatela viva!-
Finalmente i miei polsi erano congiunti e, anche se un po’ a fatica, riuscì a togliermi l’anello.
Con il sorriso sul volto attesi il mutamento nel mio corpo e il potere per vendicarmi di quei poveri stolti. Sussultai, quando notai che non stava accadendo niente.
- Cosa mi avete fatto?!-
Domandai terrorizzata. David si avvicinò a me, afferrandomi la maglietta per trascinarmi sino al rogo.
- Di cosa è fatta questa corda?!-
Urlai, tentando di voltarmi ma non riuscendo a scorgerla.
- D’oro, Victoria. Intrisa di zolfo-
Rivelò il ragazzo amaramente, congelandomi. Disperata, riposi l’anello al suo posto, così da non perderlo. Il caccia streghe mi portò fino alla cima del rogo e un altro lo venne ad aiutare per legarmi al palo. Incuranti delle mie urla e dei miei calci, mi strinsero talmente stretta da non farmi respirare.
- Questa dannata strega brucia come le fiamme dell’inferno! Mai visto niente del genere!-
Continuò a lamentarsi l’uomo che mi aveva afferrato, mostrando le ustioni sulle mani a tutti.
- Non sono una strega!-
Urlai io, scocciata da quella insinuazione e puntualizzando anche in punto di morte.
- No, non lo sei-
Confermò David scendendo dal rogo e guardandomi fra la folla.
- Sei un mostro. Un ibrido che comunque non resisterà al fuoco-
Con queste parole si fece passare una fiaccola ardente ed iniziò a dar fuoco alla paglia.
- Guarda i suoi occhi!-
Sbottò disgustato quello che mi aveva legato. Il metallo che mi imprigionava aveva sciolto l’incantesimo sulle mie iridi, mostrandole per quelle che erano davvero.
- Fanno impressione, sembrano quelli di…-
-…di un gatto-
Concluse l’altro ed io, per dispetto, soffiai come tale.
- Sicuri che non sia un demone invece?-
Domandò qualcuno fra la gente iniziando a retrocedere, temendo che fossi posseduta. Legata come un salame davanti all’intero popolo di Salem, i caccia streghe accesero completamente il rogo.
Innanzi al fuoco, le urla di approvazione da parte dei cittadini si innalzarono per tutto il paese. Maledizione. Perché tutto doveva andarmi sempre male?
Il fumo divenne subito intenso, impedendomi di vedere i volti dei miei carnefici. Iniziai a tossire, percependo una terribile sensazione al petto.
Non riuscivo a respirare, i miei polmoni si stavano riempiendo di fumo non lasciando posto all’ossigeno.
Mentre mi dimenavo, attanagliata dall’enorme calore, mi parve di vedere il ragazzo dagli occhi d’oro fra gli spettatori. Lo ritenni un miraggio, non credendo possibile che fosse già giunto in città.
- Per caso hai bisogno di una mano?-
Domandò, fra il fragore della folla. Era lui e mi stava osservando, a braccia incrociate, oltre la barriera di fumo.
- Sei venuto!-
Gridai incredula. I caccia streghe e i contadini erano così occupati a vedermi morire, che non si accorsero nemmeno di avere un demone che girava tranquillamente fra di loro.
- Sei venuto davvero!-
Continuai, tossendo.
- E’ caduta la linea-
Urlò il ragazzo in prima fila.
- Quindi ho pensato di fare un salto-
Sorrisi sollevata, cercando di liberarmi dalle corde. Quel fastidioso ragazzo non aveva ignorato la mia richiesta di aiuto.
- Sei nei guai?-
Chiese sarcastico, ridendo leggermente.
- Affatto! Ti ho chiamato per diletto!-
- Ti mancavo insomma-
- Stupido! E’ tutta colpa tua se mi hanno scoperta!-
Lui rise, doveva trovare la scena molto divertente.
- Perdonami, non avevo intenzione di rovinarti il teatrino che avevi inscenato con questi umani-
- Pensi di lasciarmi morire o cosa?-
Gridai furibonda, constatando che stava perdendo un po’ troppo tempo.
- Visto che sei qui, aiutami no?!-
- Credevo che tu non avessi mai bisogno d’aiuto-
- Ma cosa vuoi?-
Chiesi a fatica, preda della tosse.
- Mi devo forse scusare?-
- Sì, se vuoi che ti liberi-
Proferì sogghignando. Strinsi i denti, non riuscendo più a respirare. Non mi pareva il momento per darmi una lezione d’umiltà, il fuoco mi stava raggiungendo e la vista si stava annebbiando.
Attesi qualche infinito istante ma, non vedendolo giungere in mio soccorso, decisi di cedere e mettere da parte l’orgoglio.
- Scusa!-
Urlai con la testa che mi girava, tossendo terribilmente.
- Ti chiedo scusa! Ora liberami!-
Mi accorsi di non riuscire più a scorgere la sua figura né ad udire la sua voce. A malapena percepivo il calore delle fiamme, il dolore al petto stava svanendo per sopraggiungere l’oblio.
- Finalmente-
Udì bofonchiare al ragazzo mentre scattava in aria, balzando verso di me. Saltò fra le fiamme, raggiungendomi e liberandomi dalle catene e dalle corde in un attimo.
- Il demone! Il demone!-
Urlarono gli abitanti della cittadina.
- La strega! La strega!-
Percepì il battito del suo cuore e compresi che mi stava stringendo fra le braccia, portandomi via da Salem.
 
Quando mi ripresi, per prima cosa scorsi la luce del sole. Penetrava dalle fronde di quella che pareva essere una foresta. Sentivo l’erba che mi pungeva la schiena, percepivo il terreno sotto le mie mani. Nonostante questi segnali, ci misi un po’ a capire di essere distesa al suolo.
Cercavo ancora di focalizzare i rami sopra di me, quando nella mia visuale si contrappose il volto del ragazzo che mi aveva salvato. Due grandi occhi gialli e una voce mi fecero capire dove mi trovassi.
- Era l’ora che tu ti risvegliassi!-
Lui sorrise ma il mio viso si contorse in una smorfia di rabbia. Mi tirai su immediatamente, cercando di colpirlo in pieno volto, nonostante le terribili vertigini.
Mancai il bersaglio.
Vacillai ricadendo a terra senza forze, mentre lui mi afferrava ordinandomi di non agitarmi.
- Hai respirato moltissimo fumo-
- Per colpa di chi?!-
Urlai sprezzante, cercando di scostarmi da lui e possibilmente mettere a segno il mio pugno.
- Sei un bastardo. Perché diavolo ci hai messo così tanto ad aiutarmi?-
Continuai, allontanandomi carponi e cercando di non vomitare dai capogiri.
- Ma se sono arrivato subito-
- Non parlo di quello-
Sbottai furiosa osservando la sua figura ad un passo da me, seduta ai piedi di una grande quercia.
- Come hai potuto pretendere delle scuse in un momento simile?-
Ricordai calciandolo da terra, colpendolo negli stinchi.
- Mi hai lasciato bruciare fra le fiamme!-
- Non è vero!-
Ribatté il ragazzo, lamentandosi per i colpi inferti.  
- Ti avrei salvata in ogni caso. Stavo solo scherzando-
Si beccò un secondo calcio negli stinchi.
- Ho avuto paura!-
Rivelai con le lacrime agli occhi.
- Avevo paura-
Ripetei sottovoce, abbassando lo sguardo.
- Non riuscivo a liberarmi né a respirare. Ho avuto moltissima paura e tu te ne stavi lì a ridere-
Rimase in silenzio, fermo a fissarmi seriamente con gli occhi colpevoli.
- Non sapevo se mi avresti salvato davvero-
Mi asciugai velocemente le lacrime, notando come le mie mani fossero annerite. Mi accorsi di essere completamente piena di cenere, con i vestiti bruciati e ridotti a brandelli.
Cercai di coprirmi il petto con le braccia, rannicchiando le gambe tentando di nascondere quel che restava dei pantaloni. Senza volerlo erano diventati degli shorts, mentre della mia bellissima maglietta rossa rimaneva ben poco. Avevo scampato la morte per un pelo e forse, guardandomi, il demone se ne accorse solo allora.
- Aspetta-
Disse portandosi in ginocchio e spogliandosi.
- Che...che stai facendo?-
- Avrai freddo così-
Affermò togliendosi la maglietta nera e porgendomela a torso nudo, dimenticandosi delle bende che gli cingevano il fianco.
- Io non ho mai freddo-
Borbottai, intenta ad osservare i bendaggi macchiati di sangue. La ferita doveva essersi riaperta.
- Siamo in due. Prendila, ti coprirà almeno un po’-
L’accettai, indossandola sopra le vesti bruciate. Mi stava larghissima ed era anche lunga, tanto da coprirmi gli shorts improvvisati e avvolgermi come un vestito. Perlomeno ero coperta.
Lo osservai tornare a sedere mentre mi sistemavo delicatamente i capelli, leggermente bruciacchiati. Poggiò la schiena contro il tronco dell’albero, ponendosi una mano sul fianco. Gemette leggermente, socchiudendo gli occhi dal dolore.
Non riuscì a non osservare il suo corpo semi nudo. Aveva i muscoli scolpiti eppure, quando si muoveva, era molto aggraziato. L’occhio mi cadde sulle spalle larghe e sul fisico stranamente elegante, anche per un demone. Cercai di pensare ad altro, evitando di arrossire.
- E’ colpa mia?-
Domandai, attirando l’attenzione del ragazzo.
- Cosa?-
- La ferita si è riaperta. E’ successo mentre cercavi di salvarmi?-
- Non preoccuparti, non morirò per così poco-
Sbottò sorridendo e, come a suo solito, prendendomi in giro.
- Non temo quello-
Replicai, cercando di non posare lo sguardo sui pettorali.
- Voglio solo sapere se si è riaperta a causa mia-
- Ha importanza?-
- Te la sei procurata per proteggermi e ora si è riaperta per salvarmi. Sì, per me ha importanza-
Affermai, arrabbiata con me stessa, furibonda per la mia debolezza.
Il giovane sospirò, coprendosi con entrambe le mani il fianco sempre più macchiato di sangue.
- No-
Rispose sorprendendomi.
- Non si è riaperta per aiutarti. I punti erano già saltati-
- E’ per questo che non volevi venire?-
Chiesi.
- Come?-
- Quando ti ho chiamato, hai detto di non poter venire. Era per la ferita?-
Ci pensò a lungo prima di rispondere. Attesi che quei interminabili istanti passassero, sempre più dubbiosa della veridicità della sua risposta ogni secondo che trascorreva.
- Avevo da fare-
Sbottò solamente.
- Mi hai lasciato quel biglietto nel cuore della notte-
Obiettai.
- Dicendo che avrei potuto chiamarti in ogni momento se fossi stata nei guai e, quando lo faccio, tu ti rifiuti perché stai facendo altro?!-
- Avevo…moltissimo da fare-
Rispose solamente, stringendosi istintivamente la ferita.
- E poi che diamine di numero era? E da quando i demoni hanno il telefono?!-
- Non era un vero numero di telefono-
Spiegò il ragazzo.
- Era un incantesimo, qualcosa che noi usiamo con gli umani da secoli. Avresti potuto comporlo da ogni apparecchio telefonico, io avrei risposto direttamente col pensiero-
- Mi stai prendendo in giro-
Contestai, incredula delle sue parole.
- E’ la verità. La mia gente usava spesso questo incantesimo prima delle guerre, per non perdere i contatti con alcuni umani-
Non avevo prove che stesse mentendo. Credetti a quella stramba storia, certa che avrei fatto delle ricerche a riguardo non appena ne avessi avuto la possibilità.
- E cosa stavi facendo?-
Incalzai.
- Qualsiasi cosa fosse, era più importante della mia vita!-
- Sarei corso subito, se avessi potuto-
Affermò la creatura, tornando a toccarsi il fianco. Qualsiasi cosa stesse facendo doveva essere correlata alla riapertura della ferita.
- Perché non la curi con la magia?-
Chiesi incuriosita, cambiando domanda.
- Non posso, è magia bianca ed io non possono curare la magia bianca. Per di più mi è stata inferta da un angelo, è la più letale per un demone-
Annuì, ricordando i miei studi autodidattici. Io appartenevo alla magia bianca ma non conoscevo nessun incantesimo curativo, come al solito ero impotente.
- Come hai fatto ad arrivare così velocemente?-
Domandai, decisa a non dargli tregua fino a che non avesse fugato tutti i miei dubbi.
Era ferito e vulnerabile, non aveva scampo.
- Sei stato troppo veloce, anche per un demone. Eri al villaggio? Mi tenevi sotto controllo?-
- N-No-
Balbettò.
- Veramente ero a casa…-
La mia mente divagò su una possibile immagine di casa ma rinsavì subito.
- Eri nel Regno dei Demoni? A cinque mila chilometri di distanza?!-
Il ragazzo sorrise, protendendo una mano verso di me. Titubante gli porsi la mano destra, osservandolo intento a mostrarmi il marchio che mi aveva impresso.
- Anche questo è un incantesimo-
Spiegò.
- Con questo posso sempre sapere dove sei, trovarti e raggiungerti in un baleno. E’ un incantesimo di giunzione-
Ritrassi la mano, stringendomi il polso. Aveva senso. Tutto finalmente prendeva senso innanzi a quei due punti, uniti circolarmente da due linee.
- Ecco perché riuscivi sempre a trovarmi-
Sussurrai sbigottita.
- Perché non me lo hai detto subito?-
- Basta con tutte queste domande Victoria, ti prego-
Tacqui, osservando il suo volto realmente sofferente. Avrei voluto chiedergli ancora così tanto, ad esempio come sapeva il mio nome.
- Posso fartene un’altra?-
- L’ultima-
Decretò il demone. Deglutì, scegliendo accuratamente la mia ultima domanda.
- Come ti chiami?-

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Capitolo 9
*** Il suono della fiducia che si spezza ***


 
- Mi chiamo Nolan-
Rispose sorridendo, finalmente.
- E’ un bel nome-
Affermai, certa di averlo già sentito da qualche parte ma non ricordando bene dove.
- Tu come…-
- Ah! Niente più domande-
- Ma…-
- No. Quella era l’ultima-
- Ma chi ti credi di essere per utilizzare un tono così imperativo?!-
Criticai, ricordando come non avesse fatto altro che darmi ordini dal primo momento che mi aveva incontrata.
- Anche questa è una domanda-
Digrignai i denti, accettando la sconfitta. Mi alzai facendo ben attenzione a non ricadere a terra. Sentivo ancora la testa leggera e mi facevano male i polmoni ma per essere scampata ad un rogo non potevo lamentarmi. Ritenevo già un miracolo non essermi ustionata in alcun modo, solitamente sarebbe stata la piuma di mia madre a proteggermi. Divenni improvvisamente triste al ricordo di averla perduta, di aver lasciato che mi venisse rubata da uno stupido felino.
- Non è che nella capitale hai visto di nuovo quel gatto con il mio zaino?-
A causa della stranezza della mia domanda, al demone ci volle un attimo prima di rispondere.
- No…cosa c’era di tanto importante?-
- L’unica cosa in grado di proteggermi-
Ammisi sospirando.
Pensando alla mia scatoletta in legno e al mio zaino, mi ricordai delle cose lasciate a Salem. Tutto quello che possedevo era rimasto in balia di quei contadini. Mi volsi verso il ragazzo seduto a terra, fissandolo malignamente.
- Cosa c’è?-
- Per colpa tua ho perso il mio bagaglio-
Spiegai, sibilando dall’interno della sua immensa maglietta nera.
- Quel poco che avevo è rimasto lì, alla stazione-
Continuai a fissarlo dritto negli occhi, fino a che lui non intuì.
- No, oh no-
Replicò, cercando di rialzarsi.
- Oh sì-
Ribattei.
- Vallo a prendere!-
- In questo stato?!-
Contestò, riferendosi al fatto di essere svestito.
- Per di più sono ferito!-
Avanzai minacciosa, non volendo sentire ragioni.
- E’ stata tutta colpa tua se mi hanno scoperta, se hanno tentato di bruciarmi e se ho perso tutto quel che avevo costruito laggiù! Il mio ragazzo ha appiccato il fuoco!-
Informai furibonda.
- Il…il tuo ragazzo?-
Domandò timidamente il demone.
- Sì. Cioè…uno che frequentavo a Salem-
- E voleva ucciderti?-
- Sì-
Risposi, scoppiando quasi a ridere.
- E’ incredibile lo so. Alla fine tentano tutti di uccidermi, devo ispirare manie omicide nella gente-
Il ragazzo divenne incredibilmente serio, il suo volto si incupì all’improvviso, talmente da farmi passare il sorriso.
- Come si chiamava?-
Domandò all’improvviso, cambiando argomento.
- David, era un cacciatore-
Informai orgogliosa.
- Lui uccideva gli angeli sai-
- Oh certo-
Sbottò la creatura incrociando le braccia.
- Utilizzando le stesse catene d’oro che ti ha messo ai polsi magari-
Nascosi le mani dietro la schiena, vi erano ancora i segni di quel metallo a me così nocivo.
- Facile uccidere l’avversario inibendo prima i suoi poteri. E’ un atto molto nobile, estremamente coraggioso. Sarei curioso di vedere questo “David” in azione senza i suoi mezzi vigliacchi-
- E’ l’unico modo che hanno gli umani-
Affermai pacatamente.
- E’ l’unico modo che hanno le creature deboli per sopravvivere…-
Continuai stringendomi nella grande maglia che indossavo. Avevo pensato seriamente ad usare anch’io quei trucchi contro gli angeli e le streghe, sedotta dall’immagine dei miei nemici finalmente vulnerabili.
- Sai cosa fanno le creature deboli?-
Domandò il ragazzo, avanzando verso di me.
- Non si arrendono mai-
Sentenziò fissandomi dritto negli occhi.
- Combattono e si allenano fino a diventare più forti. Credi che io fossi più potente di quell’angelo?-
Proferì, sorprendendomi. Lo fissai intensamente, avendo creduto di sì.
- Era un angelo Victoria, andiamo! Non c’è niente di più potente dopo gli stessi diavoli dell’inferno!-
Spiegò, lasciandomi ammutolita.
- Però l’ho battuto e l’ho fatto senza usare trucchi. Mi sono procurato questa ma l’ho battuto-
Ripeté mostrandomi le bende macchiate di sangue.
- Come…come hai fatto a batterlo?-
- Ho combattuto-
Rispose semplicemente.
- Con tutte le mie forze. E ora scusami, vado a prendere le tue cose-
Affermò sorpassandomi.
- Aspetta-
Pregai, cercando di fermarlo.
- Aspettami qui, vado a Salem e torno il prima possibile-
Decretò il demone, cambiando di nuovo argomento.
- Non andare-
Scongiurai, avanzando di un passo verso di lui.
- Non lasciarmi qui. Ho cambiato idea, dopotutto non c’era niente di importante-
- E’ l’unica cosa che posso fare per farmi perdonare, farò presto-
Continuò scostandosi, avanzando cupamente verso la foresta.
- A proposito, mi dispiace-
- Per…per cosa?-
- Non ho mai avuto relazioni all’infuori dei demoni-
Iniziò dicendo, abbassando lo sguardo. 
- Solitamente sopportiamo bene le fiamme. Non credevo di metterti in pericolo lasciandoti sul rogo-
Tacqui, rimanendo immobile ai piedi della quercia.
- Resta qui, torno subito-
- Dove potrei andare?-
Domandai ironicamente.
- Non so nemmeno dove mi trovo!-
- Siamo ad un passo dal confine. Non sono riuscito a portarti oltre, perdonami-
Affermò, scusandosi ancora una volta. Scomparve sotto i miei occhi, lasciandomi sola nel bel mezzo della foresta.
 
Rimasi ad aspettarlo ai piedi dell’albero, sotto le fronde che mi portavano ombra e fresco.
Cercai di rilassarmi, dopo tutta l’agitazione precedente. Udì il canto di alcuni merli, il suono del vento che spostava delicatamente le foglie degli alberi più alti. Tutto appariva tranquillo, sereno mentre un gruppo di marmotte mi spuntata davanti per fissarmi enigmatiche. Stettero a scrutarmi giusto pochi secondi, per poi tornare a scomparire da dove erano apparse.
Coperta di fuliggine e di paglia, alzai lo sguardo, cercando di scorgere il cielo oltre i rami degli alberi. Ogni volta che lo scrutavo, non potevo fare a meno di ricordare di aver perso il mio amuleto. Tremai, pensando di trovarmi fuori da Salem senza esso. Per la prima volta dalla mia nascita, il Concilio aveva il potere di uccidermi, anche senza l’aiuto degli angeli. Quel villaggio di contadini aveva dimostrato che anche un gruppo di semplici umani erano in grado di farmi fuori. Mi strinsi le gambe fino al petto, rannicchiandomi e nascondendo parte del volto nella maglietta nera. Avevo paura.
Sentivo il bisogno di aggrapparmi a qualcuno ma non c’era nessuno accanto a me.
Desideravo sentirmi protetta, al sicuro. 
Quel buffo ragazzo demonizzava tanto gli insegnamenti che avevo ricevuto a Salem, inculcandomi che fosse quasi meglio morire con onore che difendersi con degli stratagemmi.
Sospirai. Nonostante le sue parole, io al cospetto degli angeli avrei usato molto volentieri quei immorali espedienti, pur di vivere.
I miei angosciati pensieri vennero interrotti da un rumore improvviso.
Sussultai terribilmente, quasi sbattendo la testa contro la corteccia d’albero.
Mi portai le mani al capo, scrutando il bosco di fronte a me. Qualcuno si stava muovendo fra le sue fronde e avanzava velocemente.
- Chi è?-
Domandai.
- Nolan, sei tu? Hai fatto presto-
Nessuno rispose. Mi alzai in piedi, cercando di intravedere qualcosa oltre la selva.
- Nolan?-
Chiamai ancora, avanzando.
Udivo dei rumori, scorgevo le sterpaglie muoversi ma non vedevo nessuno.
- Chi è là?-
Cercai di intravedere attraverso la parte più fitta del bosco, inutilmente.
Quando scorsi una figura uscire allo scoperto, indietreggiai di scatto. Il cuore scalpitò, notando che non si trattava del demone dagli occhi d’oro.
Dalla radura sbucò un ragazzo alto e dal nobile aspetto. I suoi abiti non erano vestiti comuni, li notai ancora prima del suo volto. Talmente sfarzosi che di certo non potevano appartenere agli Anziani ma neanche ad una persona normale.
Rimasi immobile, a guardarlo. Anche lui mi fissò per un po’, dall’altro verso il basso senza dire una parola. In quel momento mi chiesi perché tutti i ragazzi fossero più alti di me. Quello mi superava almeno di quaranta centimetri.
Osservai attentamente la sua figura, grande e possente, quasi inquietante.
Portava i capelli leggermente lunghi, che gli rifinivano il volto bianco color avorio e coprivano di un poco gli occhi verde smeraldo. Mi sembrava di averlo già visto.
Una spada con l’elsa piena di gemme gli cingeva il fianco. Su di essa vi era inciso un simbolo.
Non lo vidi bene ma mi parve di scorgere un drago con un’ala sopra la testa, simile a quella di un diavolo.
- Tu devi essere la nuova vittima del mio fratellastro-
Affermò il giovane, congelandomi.
- Come?-
Mormorai quasi senza voce, sperando di aver capito male.
- Era da tanto che volevo conoscerti-
Pronunciò lui avanzando verso di me, ignorandomi.
Retrocedetti spaventata, senza perdere di vista la spada che portava. La mano guantata continuava a stringere l’elsa, mentre i suoi occhi mi trapassavano il corpo.
- Ti immaginavo…vestita per incominciare-
Mi strinsi nei miei abiti improvvisati, cercando di coprirmi il più possibile. La maglietta a mezze maniche non riusciva ad avvolgere le gambe, scoperte dai jeans bruciati. Mi feci ancora indietro, imbarazzata da come mi stesse fissando.
- E’ di mio fratello quella maglia?-
Domandò il ragazzo con un mezzo sorriso, arrestandosi. Mi fermai di botto anch’io, fissandolo seriamente negli occhi verdi. La domanda non mi fu del tutto chiara.
- Tuo…tuo fratello?-
- Ma come?! Quel maleducato non ti ha parlato di me?-
Sbottò sghignazzando, quasi offeso da quella mancanza.
- Ah, capisco. Ti vuole tenere tutta per sé-
Indietreggiai ancora, innanzi al suo sguardo perverso. Il suo sorriso aveva qualcosa di incredibilmente maligno, tanto quanto la sua voce.
- C-Chi sei?-
Domandai. Il giovane rimase sorpreso da quella domanda, quasi stranito.
La sua espressione mutò, divenendo preoccupata. Avanzò ancora verso di me, costringendomi ad arretrare con le braccia che mi cingevano il petto.
- Te l’ho appena detto-
Affermò confuso.
- Sono il “fratello” di…
Si interruppe, arrestandosi.
- Aspetta. Tu non sai lui chi è-
Scoppiò a ridere, piegandosi praticamente in due. Vedendolo, non potei fare altro che indietreggiare ulteriormente, intimorita da quella reazione. Mi guardai attorno, cercando una via d’uscita, cercando Nolan. Non capivo cosa stesse succedendo, cosa volesse quel tizio e se fosse pericoloso. Senza l’amuleto e a poteri dimezzati, il cuore continuava a battere spaventato innanzi a quella inquietante figura.
- Lui non ti ha detto chi è!-
Ripeté il ragazzo mostrandomi un sorriso capace di congelarmi l’anima. Sembrava pazzo.
- In questo caso mi presento-
Proferì, accennando ad un inchino.
- Sono Abrahel Killian Hunter II, legittimo erede al trono del Regno dei Demoni. Tu puoi chiamarmi Abrahel Lancaster-
Ebbi un mancamento.
Le braccia mi caddero, la vista per un attimo si annebbiò e la mia mente non fu più in grado di ragionare.
Il Principe dei Demoni Abrahel. Ecco dove lo avevo già visto.
Il Principe Abrahel.
Avevo davanti Abrahel Lancaster, che si dichiarava fratellastro di Nolan.
- Se tu sei…lui allora è…-
Presi a balbettare, frastornata.
- Il Principe terzogenito, Nolan Ryan Garrick IV Lancaster. Strano che non te l’abbia accennato, deve essergli sfuggito-
Fortunatamente avevo raggiunto la quercia. Mi appoggiai ad essa, con una mano stretta sullo stomaco. Sentivo di dover vomitare, forse svenire.
- Mi dispiace che tu sia venuta a saperlo da me-
Continuò il principe, raggiungendomi lentamente.
- Sono certo che avrà avuto un buon motivo per tenertelo nascosto-
Alzai lo sguardo verso di lui. I suoi occhi gelidi stavano sorridendo mentre la sua espressione tentava di rimanere seria. Pareva estremamente compiaciuto.
- Cosa diavolo vuoi da me?-
Domandai, sorreggendomi alla corteccia dell’arbusto.
- Dovresti rivolgerti a me con più rispetto-
Proferì seriamente il giovane.
- Adesso che sai chi sono…-
- Non mi importa-
Ringhiai cercando di rimettermi in piedi.
- Io ti tratto come mi pare. Tu mi devi la vita-
Ricordai. Inizialmente il suo sguardo vagò nel vuoto, scrutandomi da capo a piedi cercando di trovare un senso alle mie parole.
- Sei anni fa, ho commesso l’errore di dirottare una freccia scoccata per ucciderti-
Continuai.
- Ma forse non ricordi perché in quel momento eri troppo occupato a pavoneggiarti che a prestare attenzione-
Scorsi un sorriso, un barlume nei suoi occhi che ancora una volta mi raffreddò il cuore.
- Non ci credo. L’intrusa che atterrò Lilith, eri tu-
- Non avvicinarti-
Ordinai, obbligandolo a fermarsi e a ritirare la mano che aveva proteso verso di me.
- Ho detto che sono pentita di averlo fatto. Tu mi sei sempre stato antipatico-
- Eppure mi hai salvato-
- Ho…ho agito d’istinto-
Spiegai pressando la schiena contro la quercia alle mie spalle, cercando di restargli più lontana possibile.
- Ora dimmi, cos’è che vuoi da me?-
Il demone sorrise maggiormente, scostandosi di qualche centimetro.
- Sono qui per salvarti-
Rivelò accennando un inchino verso di me. Lo osservai sbigottita, avanzando leggermente.
- Salvarmi da cosa? Il Concilio?-
- Il Concilio?!-
Sbottò divertito.
- Per quale motivo il Concilio…oh-
- Cosa?-
- Tu non sai che hanno smesso di cercarti-
Sussultai, accennando lievemente ad una smorfia di sollievo.
- Loro…loro hanno smesso…-
- Sì, già da qualche settimana a dire il vero-
Avanzai di un poco verso il messaggero di quella splendida notizia, non riuscendo a capacitarmi del motivo.
- Ho messo una buona parola per te-
Spiegò, compiacendosi di se stesso. Mi arrestai, provando quasi un brivido a quelle parole.
Non vi era alcun motivo per cui l’erede al trono dovesse salvarmi dagli Anziani.
- Li ho convinti a ritirarsi, minacciando di scatenare una guerra, ovviamente-
- Ma a Salem hanno detto…-
Bofonchiai.
- Questa mattina…-
Mi portai una mano alla fronte, socchiudendo gli occhi mentre le testa girava. Se era vero e non mi stavano cercando da giorni, non capivo chi, poche ore prima, avesse informato i caccia streghe della mia presenza nel villaggio.
- Perché mai l’avresti fatto??-
Chiesi rinsavendo, ricordandomi che in quel momento il punto non era chi avesse avvertito i contadini.
- Ma ovviamente perché tu sei preziosa per me, Victoria-
Rispose semplicemente, come se questo spiegasse ogni cosa.
- Io non ti ho mai detto il mio nome-
Puntualizzai spaventata.
- E’ stato il mio quasi fratello a dirmelo, come mi ha detto che le streghe ti infastidivano. Nolan sapeva che avevano smesso di braccarti, non ti ha accennato nemmeno questo?-
Non risposi, ponendomi nuovamente la mano sullo stomaco, non sapendo più a cosa pensare.
La mente era vuota, incapace di porre ogni congettura. C’erano solo le parole di Abrahel, che rimbombavano come veleno fra una parte all’altra della testa.
- Da…da cosa mi vorresti salvare allora?-
Domandai, vacillando leggermente.
- Dal principe terzogenito, ovviamente. Non posso permettere che ti uccida-
- Uccidermi?-
Ripetei ebete, indietreggiando.
- Non saresti la prima, ce ne sono state altre prima di te. Ti ha già marchiata?-
Nascosi istintivamente il polso dietro la schiena, tornando verso la quercia pronta a sorreggermi.
Sentivo il cuore stretto in una morsa, ad ogni sua frase il dolore aumentava impedendomi di respirare.
- Non mi devi temere Victoria, io sono qui per aiutarti-
Affermò avanzando velocemente verso di me, fino a raggiungermi.
- Devi venire via fino a che sei in tempo, con lui sei in pericolo-
- Mentre con te sarei al sicuro, suppongo-
- Ovviamente!-
Esclamò, ripetendo per l’ennesima volta quella parola.
- E ripeti un attimo…perché sarei tanto preziosa?-
Domandai, tentando di riprendere fiato.
- Sono interessato al tuo potere Victoria, come lui del resto. Mi serve per vincere questa assurda guerra-
- Quale guerra?-
Chiesi affannata, già temendo la risposta.
- Come…lui…-
Borbottò divertito.
- Non è possibile, c’è qualcosa che ti abbia detto?!-
Sbottò sollevando le braccia esasperato. Io, in quel momento, mi stavo ponendo la stessa identica domanda.
- Il regno è dilaniato dalla guerra civile Victoria-
Spiegò, più seriamente.
- Quell’insopportabile traditore sta cercando di rubarmi il trono. Siamo in lotta da un anno e mio “fratello” sta cercando un’arma per battermi, qualcosa per sconfiggere i miei eserciti. Vuole prendere la corona di mio padre ed è disposto a tutto per farlo, persino abbandonare il campo di battaglia per cercare l’ultimo ingrediente necessario al suo incantesimo-
- Quale…quale ingrediente?-
Domandai ansimando, esausta da quella conversazione. Proferì quelle parole senza quasi riflettere. Mi sentivo esplodere, ricolma di informazioni che avrei voluto non ricevere.
- Il sangue di un angelo. Ne ha uccisi tanti fino ad ora ma nessuno ha funzionato, nessuno. Ha marchiato quelle povere creature una ad una, prima di sacrificarle. Ha ottenuto la loro fiducia con sagacia e nel momento in cui si sentivano al sicuro, ha sperimentato la sua folle magia su di loro-
- Come…come so che non stai mentendo?-
- Non puoi, devi solo fidarti-
Affermò il demone, fissandomi con i suoi occhi verdi.
- Lui ti ucciderà Victoria, presto o tardi lo farà. Sei un sangue misto e lui crede che questo basti a far funzionare il suo micidiale incantesimo-
- Come fai a sapere che sono un sangue misto?-
- Non è così difficile capirlo-
Proferì sogghignando, scrutandomi da capo a piedi ancora una volta. Per un attimo smisi di respirare, soffocata da un terribile nodo alla gola. Secondo le sue parole, Nolan sapeva che in me scorreva il sangue di un angelo.
- Lui crede che tu sia il paziente zero, Victoria. Unica della tua razza al mondo in questo momento, unica che può essere compatibile con l’incantesimo-
- Lo devi pensare anche tu, se sei qui ad avvertirmi-
- E’ vero-
Ammise scostandosi da me di un passo.
- Temo seriamente che possa funzionare e che il paese finisca in mano a quel tiranno, per questo sono qui per proporti un patto-
- Quale patto?-
- Ti proteggerò da lui, eviterò che ti inserisca nel suo esperimento. Se non accetti potresti finire uccisa durante il suo tentativo di usarti oppure se sopravvivrai…-
- Se sopravvivrò?-
- Lui potrebbe ti ucciderà subito dopo aver ottenuto il regno, evitando così che altri possano mettere le mani su di te. In ogni caso morirai, se non vieni con me-
Mi mancò nuovamente il respiro, percependo un bruciore ai polmoni. Iniziai a divenire gelida, mentre la testa accusava un enorme capogiro. Non faceva che parlare, velocemente senza darmi il tempo di riflettere. Lanciava parole come se fossero state lame, talmente affilate da poterne sentire il dolore.
- Quali…quali sono le condizioni?-
Domandai in fine, se pur esitante.
- Dovrai permettermi di usare i tuoi poteri per vincere la mia guerra, ovviamente-
- Ovviamente-
Replicai istintivamente, abbassando lo sguardo a terra.
- Certamente senza ucciderti, i miei metodi non sono barbari come i suoi. Desidero solo che tu ponga il tuo controllo del sangue sulle truppe di mio fratello ed io ti ricompenserò come meglio desideri-
- Come diavolo sai del mio controllo del sangue?-
Urlai, cercando la forza di reagire.
- E’ stato lui a dirmelo-
Mi sentì ricadere a terra, tradita ancora una volta. Tornai ad abbassare lo sguardo, arrendendomi. Come al solito mi ero fidata della persona sbagliata.
Cercai di respirare con regolarità, sentendomi incredibilmente pallida. Mi piegai sulle ginocchia ai piedi della grande quercia, chiudendo gli occhi per un attimo. Se non morivo di dolore in quel momento, non mi sarebbe più accaduto.
- Io…io non sono in grado di…-
- Lo sarai, non temere-
Assicurò la creatura.
- Potenzierò i tuoi poteri, permettendoti di farlo. Dovrai uccidere lui e i suoi uomini ed io ti donerò qualunque cosa-
- Qualunque?-
Alzai lo sguardo verso di lui, incrociando i suoi occhi soddisfatti ed il suo perfido sorriso.
- Ovviamente-
Rispose, tendendomi la mano guantata per stringerla. Mi stava offrendo il potere che desideravo, qualcosa che ampliasse la mia dote naturale e che mi permettesse di usarla come meglio volessi.
Mi proponeva la salvezza, la libertà e qualunque cosa avessi voluto. Non accettare sembrava una follia eppure, quando protesi la mano verso di lui per stringerla, ebbi una strana sensazione.
In un battito di ciglia, mi parve di rivedere gli occhi d’oro di Nolan. Il marchio sul mio polso divenne incandescente, tanto da costringermi a ritrarre la mano. Sfiorai quella di Abrahel per un soffio, riportandola dritta al petto, stringendola per far fronte al dolore.
Stava bruciando esattamente come quando mi era stato impresso sulla pelle.
- Victoria, è stata dura ma te l’ho…-
Nolan comparve dagli alti rami della foresta, cadendo vicino a noi con indosso una maglia rubata chissà dove e il suo solito sorriso stampato in volto. Quando vide il fratello con la mano protesa verso di me, si bloccò, lasciando cadere le mie borse a terra.
- Ma cosa…-
Si volse scorgendo la mia figura inginocchiata, il mio sguardo sgomento ed il mio volto pallido.
Lo vidi diventare furioso, stringendo forte i pugni.
- Abrahel! Cosa le hai fatto?!-
Il maggiore dei fratelli si volse verso il terzogenito, dandomi le spalle. Mi parve un’ottima occasione per scappare. Sparì nella selva, correndo più velocemente possibile.
Allontanandomi, continuai ad udire in lontananza le urla di Nolan.
- Victoria!-
E poi ancora:
- Cosa diavolo le hai detto Abrahel?!-

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Capitolo 10
*** Isaac ***


Corsi fra gli alberi senza fermarmi un solo istante, neanche per riprendere fiato.
Il cuore batteva forte, scalpitava fino a farmi male ma non per la fatica.
La mente vagava, non lasciando spazio al presente. Scappavo senza preoccuparmi di dove andare, evitavo cespugli e arbusti senza curarmi dei graffi che mi stavo procurando contro essi. In quel momento riuscivo solo a pensare a lui.
I demoni sapevano mentire molto bene ma negli occhi di Abrahel avevo scorto la verità, anche se rivelata perfidamente. Nolan voleva utilizzare i miei poteri per ottenere il trono.
Per l’ennesima volta ero stata considerata una perfetta arma di distruzione di massa, senza che qualcuno si preoccupasse di cosa ne pensassi io a riguardo. 
Inciampai contro una radice e caddi a terra con la faccia in giù. Perlomeno mi ero fermata.
Rimasi al suolo per qualche istante, per niente intenzionata a rialzarmi. Non importava dove andassi, lui sarebbe sempre riuscito a trovarmi. Mi tirai su, osservando il marchio impresso sul mio braccio. Inginocchiandomi sul terriccio lo strinsi forte, desiderando strapparmi via la pelle.
Non avevo speranze di vincere quella battaglia, non era come scappare dal Concilio.
Il Re dei Demoni otteneva sempre ciò che voleva, sempre.
Se suo figlio era intenzionato ad avermi, non avrei avuto opportunità di ribellarmi.
Stetti a terra circondata dagli alberi per un po’, cadendo mi ero slogata la caviglia e non riuscivo a rialzarmi. Improvvisamente mi tornò alla mente lo strano sogno che avevo fatto a Salem.
Per intere notti lo avevo visto sedere su un trono in un enorme castello, circondato da servi e consiglieri. Parlava di guerre e di uccidere qualcuno, qualcuno che avrebbe fatto la differenza per la vittoria. Due donne di fianco a lui lo incitavano ad uccidere, a non farsi fermare da niente.
Entrambe mi sembrava di conoscerle.
Tornai a fissare il marchio, l’incantesimo di giunzione che mi aveva inferto. Involontariamente doveva aver collegato le nostre menti, rendendomi capace di osservarlo quando non mi trovavo con lui. Sorrisi istericamente, puntando lo sguardo al cielo. Ero sempre la solita stupida.
Nolan era il terzogenito della famiglia reale, il fratello minore di Abrahel Lancaster.
Era lui il bambino dagli occhi d’oro che avevo visto sedere nella carrozza sei anni prima.
Sorrisi nuovamente. Quel piccolo e ingrato moccioso era cresciuto in fretta, divenendo un demone a tutti gli effetti. Il destino era tornato ad intrecciare le nostre vite, a farci incontrare ancora una volta, purtroppo però non come amici.
- Sei tutta sola?-
Alzai lo sguardo spaventata. Non avevo udito i passi di nessuno e non riconoscevo la fine vocina che aveva pronunciato quelle parole. Fui sollevata quando mi accorsi che si trattava di un fantasma. Una bambina, dai lunghi capelli biondi, infestava il cuore della foresta a nord di Salem, ed io ci ero incappata.
Il bosco era immenso, eppure io mi ero fermata proprio dove vi era lei. Che strazio.
- Anche io…sono tutta sola-
Continuò lo spirito, uscendo allo scoperto. Superò l’albero dietro il quale mi fissava, venendomi vicino per osservarmi attentamente.
- Perché stai scappando?-
- Si nota tanto? Che sto scappando?-
Lei annuì più di una volta ed io scoppiai in una risata isterica.
Fra le risa scesero giù anche un paio di lacrime, che rigarono il mio volto fino a cadere a terra.
- Piangi perché sei felice o perché sei triste?-
Non risposi. Cercai solo di asciugarle in fretta, nonostante continuassero a sgorgare senza sosta. Solitamente non piangevo, quella notte a Colchester era stata un’eccezione. Eppure quel giorno, dopo essere stata messa al rogo dagli abitanti di Salem e dopo le parole di Abrahel, tornai a piangere come una bambina.
- Sai, anche io sono molto triste. Mi sono persa con mio padre in questo bosco e abbiamo finito per morire di fame entrambi-
Rialzai lo sguardo verso il fantasma, asciugandomi il viso con la maglia di Nolan.
- Mio padre prima di morire mi ha detto che è stata tutta colpa mia-
- Come mai?-
Domandai, cercando di dimenticare per un secondo la mia situazione.
- Perché quella mattina ho chiesto io a papà di andare nel bosco-
- Sciocchezze-
Sbottai, facendo sobbalzare il piccolo spirito.
- Non è colpa tua se tuo padre è morto-
La bambina mi guardò con stupore, incuriosita dalle mie parole.
- E’ successo e basta-
Continuai.
- Tu non potevi sapere cosa sarebbe accaduto e hai già pagato abbastanza per quello che è successo. Non sei tu la responsabile, è stato il destino ad essere così crudele con te. Non è colpa tua se tuo padre è morto-
Spiegai, quasi come se stessi parlando con me stessa.
- Quindi smettila di dire certe sciocchezze. Piuttosto faresti bene ad andartene da qui-
Lei mi guardò, dopodiché mi sorrise.
- Grazie-
Sospirò appena.
- Ho sempre pensato che fosse colpa mia…-
Sorrisi, accorgendomi che per la prima volta ero riuscita a dire ad un’altra persona le parole che, per una vita, avrei voluto fossero state rivolte a me.
- Penso proprio che me ne andrò. Sono stata qui per più di cento anni ma se non è stata colpa mia…non c’è motivo di rimanere…-
Disse candidamente la bambina, riflettendoci su.
- Comunque non devi piangere signorina. Guarda, sono venuti a prendere anche te-
Mi congelai, non trovando neanche il coraggio di voltarmi. La piccola sparì innanzi a me lasciandomi inginocchiata a terra, immobilizzata dal terrore. 
Improvvisamente udì un miagolio. Mi volsi di scatto, non potendo credere alle mie orecchie.
- Miaow-
Ripeté un felino, lo stesso che mi aveva rubato lo zaino nella capitale.
- Maledetto!-
Infuriai contro la creatura, cercando di alzarmi ma ricadendo subito al suolo. La caviglia slogata mi impediva di muovermi e finì proprio ai piedi del gatto, intento a fissarmi pacatamente.
Riversa a terra, scorsi un mutamento nella figura dell’animale. In pochi attimi davanti ai miei occhi comparve una persona, vestita interamente di bianco come da costume dei membri del Concilio.
Alzai lo sguardo percorrendo il suo corpo, fino a giungere al volto.
Tornai in ginocchio, senza perdere il contatto con i suoi occhi azzurri. Forse stavo sognando.
- Isaac?-
Il ragazzo dai capelli biondi sorrise.
- Ciao Victoria-
 
Dalla foresta mi trascinò sino ad un edificio abbandonato a Roister, distante centinaia di chilometri dal confine orientale. Lo raggiungemmo in un attimo, quasi senza che me accorgessi.
Avevo diciotto anni, l’ultima volta che avevo messo piede in quel luogo. Ci eravamo conosciuti fra quelle mura e lì avevamo consumato la nostra relazione. Adesso vi facevo ritorno da prigioniera, legata ad una sedia con dei fili d’oro che mi cingevano il corpo.
- Cosa stai facendo?!-
Continuavo a ripetere nervosamente, scalmanandomi per liberarmi dalle corde.
- Si può sapere cosa ti è preso?!-
Non rispose. Non aveva aperto bocca da quando mi aveva portata via dalle regioni dell’est, da me raggiunte così faticosamente. Se ne stava immobile intento ad osservarmi, in silenzio.
A lungo mi scrutò con i suoi occhi blu, seduto all’incontrario con il mento e i gomiti appoggiati allo schienale in legno.
- Non ne possiamo discutere civilmente?! Isaac??-
Pareva perso in un mondo di ricordi, talmente intensi da fargli dimenticare che io fossi lì.
Circondati dalle macerie della stanza mentre lui mi fissava, io tentavo di liberarmi. Mi osservai nevroticamente attorno, cercando qualcosa che potesse spezzare le corde. Nel vecchio collegio erano rimasti molti mobili e oggetti abbandonati lì velocemente, per sfuggire alla battaglia che aveva dilaniato la cittadina nell’ultima guerra. Scorgevo degli specchi in frantumi e dei cocci che forse avrei potuto usare, purtroppo non riuscivo a raggiungerli.
- E’ inutile-
Sbottò improvvisamente il ragazzo, senza scomporsi.
- Ho incantato le corde, non riuscirai mai a tagliarle-
- Maledizione Isaac. Sei forse impazzito?!-
Domandai furiosa.
- Liberami immediatamente! Lui potrebbe arrivare da un momento all’altro-
Cadde nuovamente nel suo mondo, lasciandomi sola e in silenzio. Sbuffai impaziente, inquieta nel restare nello stesso posto a lungo. Dovevo andarmene, spostarmi in fretta. Non importava quanto Isaac mi avesse portata lontana, quel demone mi avrebbe trovava ovunque.
- L’ultima volta che ti ho visto non eri capace nemmeno di cuocere due uova con la tua magia-
Rimproverai, scorgendo delle tracce di zolfo che circondavano la sedia dove ero legata.
- Mentre ora avresti rinforzato il materiale di queste corde? Stai cercando di fare colpo su di me?-
L’espressione del giovane rimase seria, senza mai accennare ad un sorriso. Persi anch’io il mio, constando che il mio vecchio conoscente non stava affatto scherzando.
- Le cose sono cambiate Victoria-
Affermò il ragazzo, risvegliandosi dal suo stato catatonico.
- L’ultima volta, ad esempio, noi due stavamo insieme-
- Avanti, ancora con questa storia? Sul serio?!-
Tornai a strattonare forte le corde, sperando di allentarle in un qualche modo.
Dopo poco rinunciai, era tutto inutile.
- E’ per questo che mi hai rapita? Per vendicarti che ti ho lasciato? Ti ritenevo più maturo!-
Scosse la testa.
- Non è per quello, purtroppo-
Rivelò sospirando. Per un attimo chiuse gli occhi, come se stesse pensando a qualcosa che gli facesse enormemente male. Quando li riaprì, il suo sguardo fu ancora più duro.
- Victoria, perché non mi hai mai detto niente?-
I miei occhi vagarono nel vuoto per un attimo, cercando di fare mente locale. 
- Ti riferisci al padrone dell’orfanotrofio? Lo sai, avevo bisogno di lavorare, di un posto dove stare. Se non fossi stata sua, mi avrebbe gettata per la strada-
- Non mi riferisco solo a quello-
Sbottò, alzandosi in piedi. Rimase in silenzio ancora per qualche istante, mettendosi nuovamente una mano sugli occhi. 
- Perché mi hai fatto credere di essere umana?-
Chiese spazientito, tornando a fissarmi. Sussultai a quella domanda, non aspettandomela per niente.
- Avevi detto di amarmi-                                                                       
Ricordò, avanzando lentamente verso di me.
- Non per questo avrei dovuto dirti la verità-
Risposi, così ammettendo di possedere effettivamente dei poteri magici.
- Amore vuol dire sincerità!-
Urlò, facendomi sobbalzare dallo spavento. Capì che la conversazione non sarebbe stata molto piacevole.  
- Io ti dissi tutto su di me, sulle mie origini-
- Certamente! La legge non lo vieta a chi possiede sangue fatato, Isaac-
Precisai, sperando che capisse che io al contrario non avrei potuto fare altrimenti.   
- Al diavolo!-
Continuò il mio aguzzino, terribilmente furioso.
- Io sono sempre stato sincero con te, sempre! Tu invece mi hai nascosto troppe cose-
- Isaac, mi dispiace per non averti detto di avere una relazione con il padrone-
- Maledizione!-
Gridò il giovane afferrando la sedia e scagliandola verso il muro. Essa si ruppe in diversi pezzi, che si unirono alla spazzatura già presente.
- Quello è il male minore! Voglio sapere perché non mi hai detto ciò che eri davvero!
Non avevo mai visto Isaac in quello stato, pareva distrutto.
In due anni, si era trasformato da dolce ragazzino a quel mago che mi aveva rapita con lo sguardo da pazzo.
Lo avevo conosciuto in una delle mie tante fughe da casa, lavorando nella struttura in cui lui viveva. In cambio di vitto e alloggio, mantenevo in ordine l’orfanotrofio di Roister e pulivo la residenza del direttore. Le relazioni con quest’ultimo erano occasionali e prive di ogni sentimento, perlomeno da parte mia. Nei miei compiti era previsto che tre giorni a settimana accudissi gli orfani, dando il cambio ad una delle maestre. Fra i tanti vi era anche il figlio di una fata e di uno stregone, che catturò subito la mia attenzione.
Dopo la prima guerra, molti dei bambini che abitavano al confine con il Regno delle Fate avevano perso i genitori. Isaac era uno di quelli.
Aveva sedici anni e per legge non poteva andarsene. Solo maggiorenne gli sarebbe stato concesso il permesso di farsi una vita, lontano da quel triste luogo. Io avevo diciotto anni e, chissà perché, mi occupavo di lui molto più dei bambini piccoli e anche più del direttore.
Io e lui passavamo ore sulla terrazza dell’ultimo piano della villa, vicino agli alberi ghiacciati per il freddo inverno. Avevo imparato da poco ad abbassare la mia temperatura corporea con la magia, permettendomi il momentaneo contatto umano con i ragazzi.
Trascorrevo tutto il tempo che disponevo con Isaac, inizialmente senza destare sospetti.
Il padrone fece caso alle mie numerose assenze solo quando notò che anche uno degli orfani più grandi scompariva sempre in concomitanza con me. 
Da quel momento divenne paranoico, geloso ed in fine violento.
Senza un apparente motivo, io ero la sua preferita. Non so se fosse per i miei occhi, per la giovinezza o per chissà cosa ma lui voleva solo me. Iniziò a ripudiare le altre serve della casa, tanto che un giorno le cacciò.
In quei freddi mesi stava per scoppiare il secondo conflitto contro i demoni.
Nell’aria già si sentiva l’odore delle guerra imminente e del sangue delle sue vittime.
La cittadina venne scelta come avamposto e molti fuggirono, lasciando il paese poco prima che venisse distrutto. Io decisi di rimanere, principalmente per Isaac. Poco dopo le porte dell’orfanotrofio vennero sbarrate, dividendoci. Per protezione, i bambini vennero segregati nell’istituto con una sola maestra e venne proibito a chiunque di uscire, o di entrare. Io rimasi bloccata nella casa del padrone, a fianco dell’orfanotrofio. L’unico modo che avevo per vederlo era tramite una finestra che si affacciava sull’altra. Successivamente la terrazza venne murata e il nostro luogo segreto reso inaccessibile. A lungo non potemmo vederci, separandoci ancora di più. 
Quando giunse l’ordine di fare ritorno a casa io lo ignorai, preferendo restare in quella prigione di ghiaccio che morire sul campo di battaglia. Le streghe partirono per prime per il fronte, morendo come tante mosche bianche, subito dopo susseguirono gli umani.
L’ultima volta che vidi Isaac a Roister, fu sulla terrazza dell’orfanotrofio. Lui riuscì ad arrivarci salendo sopra la grondaia, io mi servì dell’albero che d’inverno si ghiacciava e portava la sua neve nel nostro luogo d’incontro.
Così riuscimmo ad abbracciarci ancora. Stemmo là sopra per così tanto tempo che non ci accorgemmo di fare tardi. Capimmo il nostro errore solo quando udimmo la porta sbarrata di cemento abbattersi. Da essa comparve il padrone che ci colse in fragrante.
Lui scoprì noi e noi scoprimmo, con grande sorpresa, che lui era un mago.
Furiosamente usò la sua magia per dividerci e mi buttò fuori dai cancelli della proprietà, finendo così ancora una volta in mezzo alla strada. Ritornai a casa, in tempo per vedere mia cugina e i suoi coetanei partire per il fronte.
Lasciai Isaac in balia di quell’uomo accecato dalla rabbia, non avendo più sue notizie.
Varie volte avevo immaginato come potesse essere andata a finire, senza mai trovare una conclusione positiva.
- Mi dispiace-
Affermai, sinceramente. Isaac non aveva mai saputo della mia relazione con il direttore, per lui doveva essere stata una pugnalata dritta al petto.
- Mi dispiace per quel che ti ho fatto ma adesso slegami-
- Non posso-
Proferì il giovane, fissandomi duramente. Sbuffai, abbassando lo sguardo sino alle corde che mi tenevano bloccata
- Issac perché hai usato dei fili d’oro?-
- Penso che tu lo sappia, Victoria-
Digrignai i denti. Aveva ragione, erano cambiate parecchie cose in due anni.
- Da quanto tempo fai parte del Concilio?-
Il ragazzo sorrise, iniziando a camminarmi attorno.
- Da quando è stato dimezzato. Si erano liberati parecchi posti ed io sono entrato con una piccola raccomandazione del mio patrigno-
- Patrigno?-
Ripetei cercando di osservare la sua figura che solcava il pavimento intorno a me, come un corvo famelico.
- Dopo che te ne andasti, il padrone di casa mi prese con sé. Mi adottò-
Raccontò divertito.
- Avrei giurato che volesse uccidermi ma, al contrario, mi diede il suo cognome. Mi disse che non era stata colpa mia, che era stata “quella strega” a tentarmi-
- Sapeva che ero una strega?-
Bofonchiai istintivamente, cercando di ricordare qualche dettaglio del periodo trascorso insieme.
- Non è questo il punto!-
Tornò ad urlare il ragazzo, venendomi ad un palmo dal volto. Socchiusi gli occhi alle sue urla, iniziando ad inquietarmi. Dopo poco si calmò nuovamente, alternando stati di rabbia, tristezza ed euforia. Improvvisamente mi chiesi quale fosse l’ipotesi peggiore, che Nolan arrivasse o che rimanessi sola con Isaac.
- E’ stato lui ad insegnarmi ad usare la magia, a farmi studiare presso la sua biblioteca e ad aiutarmi a canalizzare la mia rabbia nella direzione giusta-
- Quale…quale direzione?-
Domandai con preoccupazione.
- La vendetta-
Lo sguardo di Isaac si illuminò a quelle parole. I miei timori vennero fondati, il direttore aveva plasmato a suo piacimento la mente del ragazzo, influenzandolo come meglio aveva desiderato. Quella era la vendetta di quel vecchio stregone, non di Isaac.
- Mi disse di entrare nel Concilio e che un giorno avrei potuto ottenere la mia rivincita, legalmente-
- Legalmente?-
Borbottai cercando di riflettere, di trovare una spiegazione. Ottenere la rivincita, legalmente.
- Lui ti ha usato-
Sbottai, lo informai, non capacitandomi tuttavia di come il padrone avesse saputo delle mie origini.
Aveva programmato tutto, nei minimi dettagli. Evidentemente aveva sempre saputo del mio sangue misto, sapeva bene che prima o poi gli Anziani avrebbero diramato una sentenza di morte nei miei confronti. Altrimenti quella frase non aveva senso. Qualcuno, due anni prima, si era preso la briga di rivelargli la mia natura.
- Stai facendo solo il suo gioco, la volontà di quei perfidi vecchiacci. Lasciami andare Isaac, non aiutarli a vincere-
Sul suo volto comparve uno strano sorriso, incredibilmente freddo ed agghiacciante.
- Ti sbagli Victoria-
Affermò, tornando ad avvicinarsi a me.
- Io non lo sto facendo per loro. Lo sto facendo per me-
Osservai i suoi occhi blu a pochi centimetri dai miei. Li scrutai in ogni particolare, cercando in essi la risposta ad una domanda che ancora non mi spiegavo.
- Perché mi hai portato qui Isaac?-
Chiesi.
- Perché proprio qui e non dagli Anziani?-
- Perché loro non sanno niente-
Rivelò sorprendendomi. 
- Hanno venduto i loro valori al miglior offerente-
Spiegò piegato verso di me, appoggiato ai braccioli in legno della sedia.
- Quei vecchi corrotti hanno ritirato il mandato nei tuoi confronti due settimane fa, ma io non mi lascio abbindolare dai demoni. Devo fare ciò che è giusto-
Tacqui per qualche istante, persa nel suo sguardo ricolmo di dolore e rabbia. Ormai del giovane che avevo conosciuto era rimasto ben poco.
- Tu hai avvertito gli abitanti di Salem-
Mormorai, giungendo finalmente a quella conclusione. Isaac sorrise, scostandosi leggermente da me. Tornò a fissarmi sprezzante dall’alto verso il basso, gustandosi a pieno la figura di me legata come un salame.
- Qualcuno doveva pur farlo-
Rispose candidamente.
- E sarebbe filato tutto liscio se quel demone non si fosse messo in mezzo ancora una volta-
- Come?-
Isaac tornò verso di me, affiancando il suo volto al mio e odorando il mio corpo.
- Puzzi di demone, Victoria-
Sussultai, cercando di scostarmi il più possibile.
- La maglia che indossi puzza di demone. E’ la sua non è vero?-
Mi fissò dritto negli occhi e dal mio silenzio comprese già la risposta. Afferrò forte il colletto, strappando il tessuto sul petto e rivelando al di sotto gli abiti bruciacchiati che ancora indossavo. Sobbalzai chiudendo gli occhi, attendendo che la sua furia finisse.
- Fin dal primo momento non ha fatto altro che intralciarmi-
Sbottò, riferendosi al proprietario dell’indumento.
- Ti avrei presa appena fuori casa tua se non fosse stato per lui-
Riaprì gli occhi di scatto, incrociando lo sguardo del giovane membro del Concilio.
Iniziai a tremare, senza sapere il perché.
- Quel bastardo ha continuato a proteggerti ovunque tu andassi, impedendomi sempre di catturarti-
Il cuore iniziò a battere forte. Ricordai che ogni volta che avevo scorto il gatto bianco inseguirmi, immediatamente dopo era comparso anche Nolan. L’avevo sempre ritenuta una coincidenza, un semplice caso.
- Quella notte a Colchester ad esempio-
Proseguì il ragazzo.
- Ero pronto a saltarti addosso dopo che avevi ucciso quei due umani ma lui mi ha fermato, cacciandomi con i suoi malefici poteri-
Abbassai lo sguardo, persa nei ricordi di quella notte. 
- E poi ancora quel maledetto giorno a Castleford-
Continuò furioso.
- Ovunque io ti raggiungessi c’era anche lui, incollato a te peggio di un cane-
Cercai di prendere aria. Ero incappata in lui ogni volta che scappavo da quel felino, alla stazione della mia città, nei vicoli bui di Colchester e nella piazza della capitale. Non mi stava inseguendo, mi stava proteggendo.
- Ha sconfitto il mio angelo-
Rammentò amaramente il giovane.
- Tutto era perfetto. Avevo messo Moloch in condizione di ucciderti e lui si è messo di nuovo in mezzo-
Proseguì con rabbia, calciando il primo mobile a terra che trovò. Lo distrusse, facendomi sobbalzare.
- Tu mi hai preso lo zaino-
Ricordai.
- Tu mi hai tolto l’amuleto!-
- Parli di questo?-
Isaac estrasse dalla tasca la piccola scatolina in legno con dentro la piuma di mia madre.
Digrignai i denti, come al solito mi ero fidata della persona sbagliata.
- Dovresti mantenere meglio i tuoi segreti, Victoria-
Sghignazzò agitandomi il cimelio davanti agli occhi, giocandoci. Strinsi forte i pugni, due anni prima avevo fatto il maledetto sbaglio di raccontargli la storia di mia madre.
Cercavo di dargli una speranza dopo la perdita di entrambi i genitori, dicendogli che la mia ancora mi proteggeva dal cielo. Un giorno, spaventato dai demoni che stavano marciando verso di noi, mi chiese se temevo la guerra ed io risposi sinceramente di no. Gli mostrai la scatola, svelandogli che niente poteva ferirmi, che al suo interno vi era un oggetto capace di difendermi da tutto. Sapevo già che non avrebbe potuto aiutarmi contro le creature oscure ma innanzi a lui mentì, cercando di non spaventarlo. Tenevo in tasca la piuma quando, quel giorno sulla terrazza, il padrone cercò di picchiarmi. Isaac osservò la luce del mio amuleto accanirsi sul direttore, ferendolo senza dargli modo di vendicarsi. Impotente, mi cacciò semplicemente richiudendo i cancelli dietro di me.
- Non avresti dovuto tenerlo nello zaino-
Affermò, facendomi rinsavire.
- E’ stato fin troppo semplice rubarlo-
- Perché non l’hai detto al Concilio?-
Domandai seriamente.
- Hanno sempre cercato il segreto della mia invulnerabilità. Perché non glielo hai detto?-
- Cosa ti fa credere che non lo abbia fatto?-
- Avanti Isaac, si sarebbero precipitati a casa mia in massa. Conosco il Concilio meglio di te, non avrebbero atteso un minuto in più con una simile informazione-
Il ragazzo sorrise, venendo avanti.
- Volevo essere io ad ucciderti-
Spiegò tranquillamente.
- Volevo che la tua morte avvenisse per causa mia. Non avrei lasciato che qualcuno mi togliesse questo piacere-
Rabbrividì. La luce dell’innocenza nei suoi occhi si era spenta per sempre, il padrone dell’orfanotrofio aveva già raggiunto la sua vendetta per metà.
- Ho spiato al suo interno-
Informò il ragazzo, accennando alla mia scatolina di legno.
- E’ una piuma. Tua madre era un angelo, non è vero?-
Non risposi, limitandomi a fulminarlo con lo sguardo mentre armeggiava con il mio amuleto.
- Un’altra cosa che ti è sfuggita di dirmi-
- Isaac…-
- Sei un mostro, Victoria-
Sentenziò brevemente.
- Credo che il mio patrigno lo sapesse, altrimenti non mi avrebbe fatto entrare nel Concilio…-
Borbottò fra sé e sé, continuando a giochicchiare.
- Era il fratello di uno degli Anziani-
Proseguì a bassa voce, sorprendendomi.
- Per forza doveva saperlo…l’unico a non saperlo ero io-
- Ascolta…-
- Perché non mi hai detto cos’eri?-
- Fare un patto di fiducia? Sei matto?! E’ illegale con un minorenne-
- Maledizione Victoria!-
Urlò colpendo ancora dei mobili a terra, facendomi sobbalzare.
- Perché non mi hai detto cosa eri davvero?!-
Venne verso di me, stringendo forte la scatola tanto da increpare il legno.
- Io mi ero fidato di te, ti avevo rivelato tutto mentre tu ti eri scordata di dirmi di essere un mostro con le mani macchiate di sangue-
- Proprio per questo non te l’ho detto…-
Mormorai, facendolo infuriare maggiormente. Lo stregone colpì la sedia su cui ero legata, facendomi quasi cadere a terra.
- Proprio per questo avresti dovuto dirmelo!-
Gridò.
- Io ero innamorato di una ragazza umana! E invece stavo corrompendo la mia anima in compagnia di uno scherzo della natura! Con un abominio, un affronto a Dio stesso! Ogni tuo respiro Victoria è una vergogna nei confronti del creato-
- Non ricordavo che fossi un fanatico religioso-
Si arrestò, mentre sul suo volto compariva un sorriso isterico.
- Però ricorderai quanto io tema i mostri-
Incrociai i suoi occhi blu, rammentando effettivamente il trauma che aveva subito dopo la morte dei genitori. Li aveva visti uccidere sotto i suoi occhi, colpiti dagli stessi demoni che io veneravo.
- Io voglio proteggere ciò che è rimasto di noi-
Spiegò tristemente, stringendo forte il mio cimelio nel pugno.
- Voglio proteggere le persone da creature come te e voglio vendicare la mia gente per ciò che hai fatto, mostro-
- Oh accidenti-
Sbottai, mordendomi la lingua dalla rabbia. Aveva saputo dal Concilio della strage che avevo compiuto nel Regno delle Fate, delle numerose vittime che a soli sedici anni avevo mietuto per diletto.
- Già Victoria, ora è il momento di pagare i conti-
Con forza, frantumò la piccola scatola in legno sotto i miei occhi, distruggendo con essa l’ultima piuma di mia madre. Urlai dal dolore, osservando la polvere celeste cadere sino a terra. Il suo fragile ricordo si era tramutato in cenere, la sua anima era sparita per sempre.
- La pagherai-
Promisi con le lacrime agli occhi, con la voce piena di rabbia.
- Ti giuro che la pagherai-
Isaac sorrise, finalmente compiaciuto.
Tornai a dimenarmi, cercando di divincolarmi dalle corde e ucciderlo con le mie stesse mani.
- Tu non sai quanto ti ho amato…-
Rivelò, ignorandomi totalmente. Si inginocchiò davanti a me, incurante della mia rabbia.
- E non sai quanto ti amo ora-
Con queste parole mi toccò le ginocchia. Sorrise, tenendo ben premute le sue mani sulle mie gambe.
- Eccolo, il calore del tuo corpo. Non ho mai potuto sentirlo, come quello del tuo cuore-
Dalle ginocchia Isaac passò alle spalle, fino ai capelli che ancora sapevano di fuliggine.
Digrignai i denti, tentando di liberarmi con tutte le mie forze.
Mi era così vicino eppure non riuscivo a ucciderlo.
Il ragazzo prese delicatamente un ciuffo dei miei capelli e li posò dietro al mio orecchio sinistro.
Si avvicinò appoggiandosi a me, fino a che le sue labbra non furono abbastanza vicine alle mie.
- Ti amo, Vicki-
Tentai di morderlo ma lui prontamente si scansò, sorridendomi perfidamente.
Mi afferrò forte per le guance, tenendomi ben ferma per porre le sue labbra sopra le mie.
Non riuscì a divincolarmi, dovetti attendere fino a che non avesse finito, continuando a giurare in cuor mio di ucciderlo. Parve assaporarselo con tutta la calma del mondo, come se non provasse nessun dolore, provocandomi ancora più rabbia. Quando riaprì i suoi occhi azzurri, si allontanò da me. Mi guardò ancora per qualche istante, poi si rialzò.
- Mi dispiace, Victoria-
Disse indietreggiando.
- Devo purificare la mia anima corrotta-
Farneticando, Isaac materializzò un pugnale nella mano destra. Un’arma sacrificale, terribilmente affilata e dalla forma elegante.
- Sei pazzo-
Ringhiai, senza smettere un attimo di strattonare le corde.
- Sì, Victoria-
Rispose il membro del Concilio.
- Sei stata tu a farmi impazzire. Uccidendoti potrò redimermi-
- Non ci provare-
Avvisai furiosa.
- Non ti avvicinare nemmeno-
- Non aver paura-
Sussurrò pacatamente, tornando verso di me.
- In questo modo salverò anche la tua anima-
Informò lieto.
- Ti libererò da tutti i tuoi peccati-
- Giuro che ti ammazzo-
Proferì a denti stretti. Isaac continuò a sorridere, divertito. Sarebbe finita così, a venti anni in un lurido edificio abbandonato, accoltellata da un vecchio amore. Pareva un titolo di cronaca nera. Uno di quelli che vedi scritto sul giornale quasi tutti i giorni. Una notizia che ormai non fa più scalpore.
Quando capita a te però, è tutta un’altra cosa. Sei tu la protagonista, sei tu l’articolo che il giorno dopo farà scuotere la testa dal dispiacere ai lettori.
Isaac avvicinò il pugnale, facendolo scorrere prima sulle mie gambe. Lentamente, giunse sino al ventre. Graffiò il seno e si fermò solo quando fu sopra il collo.
Inginocchiato, mi scrutava con i suoi occhi ricolmi di follia mentre fissava il mio corpo con precisione.
- Dove?-
Chiese.
- Preferisci che ti tagli la gola o che ti trapassi il cuore? Spezzandolo, come tu hai fatto con me-
Gli sputai in faccia, costringendolo ad allontanarsi. Per un attimo rise.
- In qualità di membro del Concilio…-
Iniziò a dire, ripulendosi il viso.
- Strega Victoria, ti condanno a morte per aver violato ben tre leggi fondamentali delle Sacre Regole del Concilio delle Streghe. Inoltre ti condanno per atrocità contro la natura stessa e per tanto, ora qui…verrai giustiziata-
Pronunciò queste parole lentamente, come se non avesse furia di iniziare l’esecuzione. Si avvicinò, giochicchiando con il pugnale ad un palmo dal volto, articolando il discorso mentre lo roteava. 
- Ti perseguiterò-
Assicurai, una volta terminata la sua sentenza. 
- Ti perseguiterò per sempre, non lasciandoti respiro fino a che non mi raggiungerai nella tomba-
Isaac sorrise.
- Non vedo l’ora-
Impugnò stretto il pugnale, scegliendo il cuore.
- Addio Victoria-
Rimasi immobile, non potendo fare altro. Ferma, quasi rassegnata, attesi ciò che presto sarebbe avvenuto. Mi prese per i capelli, alzandosi in piedi. Con delicatezza, mi strinse la testa contro il suo ventre mentre con l’altra mano teneva il coltello puntato sul petto. 
Presto sentì la lama spingere contro il cuore. Inizialmente non fu altro che una tenera puntura, poi il dolore divenne sempre più forte.
Quando capì che sarebbe stato lento e doloroso, chiusi gli occhi. Vidi il buio ed ebbi paura che quello sarebbe stato ciò che avrei continuato a vedere in eterno.
Cercai di sottrarmi ad Isaac, quando l’arma incise il seno, conficcandosi dentro.
Prontamente mi tenne la testa, non permettendomi di muovermi.
Io strinsi i denti, non volendo urlare.
Non potevo fare neanche il minimo movimento, ero costretta a soffrire.
Improvvisamente udì il mio sangue gocciolare. Cadeva a terra, bollente. Perforava il pavimento, rovinando il cerchio di zolfo che mi circondava. Ogni goccia bruciava le assi in legno, creando delle piccole fori tondi e fumanti. Riaprì gli occhi, osservandoli a lungo.
Sentì la lama che penetrava sempre più, cercando il cuore.
Quei brevi istanti sembrarono un’eternità, eppure il ragazzo aveva conficcato solamente la punta del pugnale. La fine era ancora lontana.
Percepì un movimento convulso nel ventre di Isaac, quasi come se fosse scoppiato a piangere.
Lo ignorai, visto che l’arma fece un altro scatto, entrando ulteriormente in profondità.
Questa volta non riuscì a tacere e lanciai un urlo che fece tremare i vetri rotti delle finestre.
Continuò a tenermi ferma, lasciandomi in grado di osservare solamente una pozza rossa che ribolliva sul pavimento. Il mio sangue lo stava consumando lentamente, quasi come se fosse acido. Presto forse si sarebbe potuto scorgere il piano di sotto.
Richiusi gli occhi. Stava realmente succedendo. Alla fine stavo finendo esattamente come aveva sempre desiderato il Concilio, come il direttore dell’orfanatrofio aveva voluto. Il mio stesso amante stava mettendo fine alla mia vita, non poteva esserci vendetta migliore.
Presi a tremare, la temperatura del mio corpo iniziò ad abbassarsi. Stavo morendo davvero.
Riaprì gli occhi udendo un suono in lontananza, una voce. 
Forse era per la perdita di sangue, forse per il male ma mi parve di udire il mio nome.
Quando lo risentì, pensai che ormai fosse giunto il capolinea e che mi stessero chiamando direttamente dall’aldilà. Scrutai le pareti della stanza, certa che avrei visto mia madre con dietro un vortice di luce. Isaac parve non sentirlo e continuò a conficcarmi il pugnale nel petto.
Lanciai un urlo più forte del precedente, percependo ancora il movimento convulso del ventre del ragazzo. A quel punto, la vista si offuscò e tornai a chiudere gli occhi.
Dopo l’ultimo grido mi parve di udire il mio nome ancora più forte, sempre più vicino. Compresi che non stavo delirando, quando riconobbi quella voce.
Non era mia madre, non apparteneva a qualcosa di ultraterreno, bensì a qualcosa di vivo che mi stava cercando per tutto il palazzo abbandonato.
- Victoria!!-
Sentì urlare, oltre le pareti della stanza in cui ero tenuta.
Riuscì a trovare la forza di voltare la testa e di guardare verso la porta in legno diroccata.
La mano di Isaac pretendeva di tenermi ferma ma io volevo vedere. Dopo un altro richiamo proveniente dai corridoi, anche lui perse la concentrazione e, per un attimo, il pugnale si fermò.
Riconoscendo quella voce, sorrisi istintivamente. Andavo di male in peggio.
Sotto il mio sguardo attonito, la porta della stanza venne scardinata e sbattuta contro il muro, rompendosi in pezzi.
- Victoria!-
Ripeté forte Nolan, facendo la sua entrata nella stanza. Si fermò un attimo, forse intento a fare il punto della situazione. Fissò la figura di Isaac innanzi a me, con un pugnale che mi aveva conficcato per metà nel petto. Scorse il sangue a terra e da quel momento la sua espressione cambiò. Nei suoi occhi vidi la furia, la preoccupazione oltre che un cerchio rosso contornare l’iride dorata.
Quasi non mi accorsi di ciò che accadde in seguito, forse per la velocità di Nolan oppure per l’eccessiva debolezza. Sono sicura però di averlo visto entrare nella stanza come un leone e dare un pugno in piena faccia ad Isaac, che cadde in terra.
Frettolosamente, estrasse il coltello che avevo in petto facendomi urlare ancora una volta.
Richiusi gli occhi, non riuscendo ad impedirlo.
Sentì il demone liberarmi dalle corde con l’uso delle sole mani, dopodiché mi afferrò. Riaprì gli occhi solo quando fui fra le sue braccia.
Una mano penzolava verso il pavimento, attraversata dal sangue che incessantemente sgorgava dalla ferita. Non riuscivo a muovere il braccio, a portarlo verso Nolan per intimarlo di lasciarmi andare. Non fui capace di aprire bocca, di esternare l’odio che provavo verso di lui.
Rimasi semplicemente in silenzio, con il braccio destro penzoloni mentre osservavo l’espressione di Isaac a terra. Mugolava al suolo, decisamente infastidito dall’interruzione del suo preziosissimo rituale. Appariva seccato ma l’irritazione che leggevo nel suo volto non mi bastava, lo volevo vedere disperato prima di ucciderlo con le mie stesse mani.
Il demone dagli occhi d’oro mi strinse maggiormente a sé, nel contempo il membro del Concilio si rialzò, massaggiandosi la mascella e mostrando delle leggere ustioni sul viso.
- Bruci proprio come lei. Anche tu sei un mostro-
Affermò con disgusto, fissando Nolan con sguardo di sfida. Io mi arresi richiudendo gli occhi, continuando ad udire i loro discorsi.
- Non te lo lascerò fare-
Sibilò il ragazzo dai capelli biondi, avvicinandosi.
- Non userai i suoi poteri-
- Taci. Non sono cose che ti riguardano-
Rispose freddamente il terzogenito della famiglia reale.
- Te lo impedirò fino a che avrò fiato in corpo-
Continuò lo stregone. Ci fu un lungo silenzio, prima che Isaac tornasse a parlare nuovamente.
- Cos’è quello sguardo demone? Sembri desideroso di uccidermi-
- Non dovrei? Le hai appena piantato un pugnale nel petto-
- Per questo ti chiedo, perché non hai ancora tentato di farlo?-
Ci fu un altro silenzio fra i due, fino a che non udì Isaac ridere.
- L’angelo ti ha ferito più di quanto sperassi-
Constatò il giovane dagli occhi azzurri, avanzando. Nolan retrocedette, stringendomi a sé.
- Fatti sotto-
- Te ne pentiresti biondino-
Proferì il Principe.
- Ho ancora abbastanza forza per batterti-
- Le tue azioni parlano differentemente-
Ribatté Isaac.
- Facciamo così, tu me la consegni ed io ti lascio andare-
- Preferisco morire-
Rispose Nolan risoluto. Riaprì gli occhi, cercando di osservare il suo sguardo.  
Era terribilmente serio, tanto quanto le sue parole.
- Sono certo che troverai un altro modo per ottenere la corona-
Incalzò il membro del Concilio, informato sulle vicende dei demoni meglio di me.
- Consegnami la ragazza, non saresti comunque in grado di controllarla. Nessuno lo sarebbe-
Proferì il giovane stregone.
- Ma chiunque ci proverebbe ugualmente, autodistruggendo se stesso e il mondo. Ucciderla è l’unico modo per impedire che la sua magia malefica venga sfruttata-
- L’unica cosa malefica in questa stanza, sei tu-
Rispose a tono il demone.
- Non si pugnala una ragazza legata. Dovresti vergognarti-
Il silenzio cadde nuovamente. 
- Noi due non arriveremo mai ad un accordo, non è vero?-
Scorsi Nolan scuotere la testa.
- Ho sentito parlare di te-
Proseguì Isaac.
- Raccontano che oltre quel bel visino, hai anche altre qualità-
- Strano che tu lo abbia sentito. Chi ha potuto scoprirlo, non è mai vissuto abbastanza per raccontarlo-
- Se è vero che hai abbastanza forza, fammi vedere-
 
Quando riaprì gli occhi, eravamo già fuori dalla stanza. Vedevo i muri scorrere veloci davanti a me, percepivo il respiro affannoso di Nolan che scendeva di corsa le scale, tante scale.
Non ricordavo cosa fosse accaduto in quella stanza, ma qualcosa mi diceva che mi ero persa proprio il più bello.
- Lasciami andare-
Sussurrai cercando di scostarmi da lui.
- Zitta stupida, hai perso un sacco di sangue-
Non riuscì a rispondere, nonostante provassi una grande rabbia. Priva della forza per ribellarmi, fui costretta a richiudere gli occhi. Il ragazzo si fermò di scatto, appoggiandomi al suolo e accucciandosi di fianco a me. Continuava ad urlarmi di restare sveglia ma francamente me ne infischiavo di cosa dicesse lui, avrei solo voluto picchiarlo.
Prese a scuotermi maggiormente, fino a che non tornò a stringermi fra le braccia. Cercai di riaprire gli occhi per vedere cosa stesse facendo, accorgendomi che mi stava premendo una mano sulla ferita.
- La magia nera cura le ferite di magia nera-
Borbottò fra sé e sé, concentrandosi.
Fece pressione sul petto, rilasciando un tenue bagliore di luce oscura che iniziò a darmi subito sollievo. Il dolore si attenuò, il sangue smise di fuoriuscire e la sonnolenza passò.
Fui in grado di ragionare, rendendomi conto di quanto ardentemente Isaac desiderasse la mia morte. Aveva usato un pugnale appartenente alle armi nere per uccidermi, nonostante fosse uno stregone. Rimasi sconcertata da quell’amara consapevolezza.
Successivamente la vista tornò nitida, tornai a percepire il calore del mio corpo e riacquistai forza. Sgranai gli occhi, finalmente capace di spintonare il demone lontano da me. Nolan si scostò sussultando, interrompendo la mia guarigione ad un passo dalla fine.
- Ma cosa…-
- Non toccarmi-
Ordinai rabbiosamente, ponendomi una mano sul cuore. La lunga maglietta nera che indossavo era intrisa di sangue, così come quasi tutto il mio corpo. Sotto la stoffa poi scorgere la ferita praticamente rimarginata, del brutto ricordo rimaneva solo una cicatrice.
- Ma che fai?!-
Rimproverò il ragazzo.
- Devo finire di…-
- La tengo così-
Informai decisa, spiazzandolo.
- Voglio tenere la cicatrice-
- E per cosa?-
Domandò istintivamente il principe, ridacchiando.
- Per ricordare-
Sbottai.
- Per ricordare di non fidarmi mai di nessuno-
Il suo sorriso si spense, tornando serio. Mi fissò negli occhi per qualche istante, prima di abbassare lo sguardo colpevole.
- Cosa ti ha detto Abrahel?-
- Un bel po’ di cose-
Risposi, cercando di rialzarmi. Mi appoggiai al muro tentando di rimanere in piedi, dopo poco il demone fece lo stesso.
- Gli credi?-
- Non dovrei?-
Nolan non rispose. Il suo silenzio fu per me una risposta esaustiva. Cercai di andarmene, di allontanarmi da lui per non rivederlo mai più ma, ovviamente, lui non me lo permise.
- Aspetta-
- Perché? Per darti modo di uccidermi?-
- Io ti ho appena salvato-
Ribatté offeso.
- Sì, perché ti servo!-
Replicai, urlandogli ad un palmo dal naso.
- Me lo ha detto tuo fratello! Mi ha detto chi sei, che mi hai marchiata per avermi sotto controllo e che mi vuoi usare per ottenere il trono! Tu vuoi i miei poteri, come tutti del resto!-
Continuai ad urlare.
- Isaac ha ragione! Tutti prima o poi tutti cercano sempre di usarmi!-
- Victoria…-
- Il mio nome!-
Ricordai.
- Dimmi chi ti ha detto il mio nome! Chi ti ha parlato del mio potere? Voglio sapere come hai saputo di me-
Lo fissai a lungo negli occhi, attendendo delle risposte che, puntualmente, non arrivarono.
- Bene-
Sbottai.
- Allora non abbiamo niente da dirci-
Corsi in direzione delle scale, percorrendole tutte fino alla porta con la sua voce che continuava a chiamarmi. Desideravo ucciderlo ma non ne avevo il potere, almeno non ancora.
Tentai di afferrare il pomello del portone, quando Nolan mi comparve al fianco, bloccandomi. Cercai di urlargli contro ma il demone me lo impedì, tappandomi la bocca con una mano e tenendomi ferma. Mi spinse contro il muro, costringendomi contro di esso ed in assoluto silenzio. Progettai di sferrargli un calcio, quando notai che era intento ad ascoltare qualcosa.
- Non puoi uscire-
Sussurrò.
- Si è già ripreso-
Distolse la mano, lasciandomi libera di parlare ed invitandomi ad ascoltare. Io non sentivo niente.
- Non lo hai ucciso?-
- Non ne ho avuto la forza-
Ammise il demone. Gettai istintivamente un occhio verso la sua ferita coperta dalle vesti. Moloch doveva averlo ridotto parecchio male.
- Bene-
Sbottai.
- Cosa?-
- Sono felice che tu non lo abbia ucciso-
Spiegai sinceramente.
- Non…non volevi che lo uccidessi? Perché?!-
- Perché devo essere io a farlo-
Affermai, cercando di riaprire la porta e di affrontarlo, desiderosa di vedere la sua testa staccata dal corpo.
- Fermati Victoria-
Ripeté.
- Quel ragazzo non è normale, è già in piedi dopo quello che gli ho fatto-
Mi bloccai, volgendomi lentamente verso di lui. Lo scrutai intensamente, prima di chiedergli cosa gli avesse fatto.
- Non ha importanza-
Rispose, evadendo del tutto alla mia domanda.
- Però non è un buon segno se già parla e cammina. Si può sapere chi è?-
- Un membro del Concilio-
- Questo lo sapevo-
Rispose seccato.
- Ha origini fatate. Non so altro-
Giurai, tentando nuovamente di afferrare il pomello.
- Come ha fatto a catturarti così facilmente?-
Domandò il ragazzo, richiudendo con forza la porta che ero riuscita a malapena ad aprire.
- Lo hai detto tu che non è normale-
- E’ il suo temperamento che è fuori dal normale. Cosa vuole da te?-
- Uccidermi?-
Domandai ironicamente, ritenendo ovvie e appurate le sue intenzioni.
- Già, ma come mai è così arrabbiato? Non credo che un Anziano desidererebbe la tua vita così ardentemente da rimettersi in piedi dopo il mio attacco. E’ estremamente motivato, credimi-
- Anche perché tuo fratello li ha già corrotti tutti i membri del Concilio-
Nolan tacque per un momento.
- Ragione in più Victoria, perché lui non si è fatto corrompere?-
- Stavamo insieme-
Sbottai, stufa di tutte le sue domande.
- Io l’ho tradito, è impazzito e ora vuole uccidermi perché sono un mostro. Soddisfatto?-
Cadde il silenzio. Passarono interminabili attimi in cui il demone mi scrutò negli occhi, pensando chissà a cosa. Improvvisamente rinvenne, accennando un sorriso e aprendo la porta.
- Andiamo ad affrontare questo ex, ti va?-
 

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Capitolo 11
*** Il figlio del Re dei Demoni ***


 
Fuori dal palazzo rimasi accecata per un momento, il sole batteva sulle strade desolate e subito il caldo mi assalì. L’estate stava arrivando. 
Mi guardai attorno, in cerca di Isaac.
- Eri diretta verso il Regno delle Fate, giusto?-
Chiese Nolan con fermezza, non appena fuori dal vecchio collegio.
- S-Sì-
 - Allora faresti bene a raggiungere il confine. Penserò io al cagnolino del Concilio-
- Avevi detto che lo avremmo affrontato insieme-
Ribattei.
- Ci ho ripensato-
Sbottò il demone, guardandosi attentamente attorno.
- Percepisco la sua presenza, ci sta osservando ed è parecchio arrabbiato. Dovresti andartene-
- Non se ne parla-
Replicai decisa, cercando ancora la figura del nemico fra le case abbandonate del quartiere.
- Isaac è mio-
Il demone tacque, fino a quando un forte rumore di vetri che finivano in frantumi non ci fece sobbalzare. Voltandoci, li potemmo vedere cadere a terra dalla cima del palazzo fatiscente.
Alzammo il capo e, attoniti, osservammo Isaac in piedi sul davanzale di una finestra. Ci fissava dall’alto con il fiatone, immobile come una statua di cera. Era parecchio spossato e affaticato, nonostante non mostrasse ferite esterne. Il suo volto parve invecchiato tutto d’un colpo, i suoi tratti si erano fatti più rigidi, gli occhi contornati da delle occhiaie scure e le guance scarne.
Nel suo sguardo intravedevo una sorta di terrore, un barlume di paura nei confronti del demone accanto a me.
- E’ tosto il tuo amichetto-
Sussurrò Nolan, intento ad osservare divertito l’avversario.
Tornai a scrutare la figura di Isaac, sbalordita. Qualunque cosa il principe dei demoni gli avesse fatto, non doveva essere stato piacevole. 
- Maledetto!-
Sbottò improvvisamente il ragazzo dagli occhi azzurri.
- Sei solo un vigliacco! Perché non ti batti senza i tuoi trucchetti infernali?!?-
Nolan scoppiò a ridere. Mi voltai leggermente verso di lui, attonita. Rideva proprio di gusto.
- Non sono trucchetti-
Puntualizzò, orgoglioso.
- E’ il mio potere. Dimmi biondino, non ti è piaciuto il tour?-
Domandò il demone.
- Non ti sei divertito?-
Tornai ad osservare la finestra dell’alto palazzo. Il membro del Concilio non osò rispondere, si limitò a stridere i denti mentre Nolan sghignazzava. I due si lanciarono una lunga occhiata, dopodiché Isaac si concentrò su di me.
- Sei un mostro Victoria, proprio come lui!-
Urlò.
- Entrambi dovete morire!-
Proferì infine, autoproclamandosi giudice e carnefice della mia vita.
- Perché non scendi?!-
Invitai piena di rabbia, avanzando di un passo verso l’edificio. Nolan cercò di bloccarmi ma io lo ignorai, liberandomi dalla sua presa.
- Avanti!-
Continuai urlando.
- Scendi a combattere Isaac! Non avrai paura?!-
A quella domanda, il membro del Concilio fissò istintivamente il demone dietro di me.
Mi volsi verso Nolan, detestandolo con tutto il cuore.
Isaac aveva distrutto ciò che restava di mia madre, doveva temere me, non la creatura che continuava a proteggermi contro la mia volontà.
Strinsi i pugni, pronta a rientrare nel palazzo per distruggere quel bastardo con le mie mani.
Nolan me lo impedì, afferrandomi con forza entrambe le braccia e stringendomi a sé. Cercai di liberarmi da quel demone per me così invincibile, finendo solo per farmi del male.
Era più forte di me. Me lo ricordò per l’ennesima volta, sussurrandomi che se lui non era riuscito ad uccidere Isaac io non avrei saputo fare di meglio. Mi vennero le lacrime agli occhi, consapevole che avesse assolutamente ragione.
Mentre noi bisticciavamo nel cortile, il ragazzo in piedi sul davanzale, incurante dell’altezza, preparò il suo prossimo attacco. Ci fissò malignamente, prima di scagliarci contro la potenza di un fulmine. Il demone mi spinse a terra, facendomi evitare la scarica elettrica evocata dal giovane di origini fatate. Isaac poteva usare la forza della natura per ucciderci, qualcosa che difficilmente avremmo contrastato con la magia nera o bianca. Alzai il capo da terra, notando l’enorme buco che la saetta aveva scavato nel terreno, incenerendo il suolo stesso. Digrignai i denti, mentre il demone ancora mi stava stringendo. Se solo ci avesse colpito, ci avrebbe ucciso sul colpo.
Dal quinto piano del palazzo, il vento scompigliò leggermente i capelli biondi di Isaac, conducendo le sue risate fino a noi. Si reggeva con una mano sola allo scheletro della finestra, senza la minima paura di cadere. Qualsiasi cosa Nolan gli avesse fatto, non era stato sufficiente a piegarlo.
- Vuoi il bis?!-
Urlò il Principe dei Demoni, parecchio infastidito. 
Scorsi Isaac rabbrividire alle sue parole, tanto che per un attimo esitò.
- Scendi vigliacco che ti rimando sottoterra!-
Promise la creatura dagli occhi d’oro, non ottenendo comunque il risultato sperato. Il membro del Concilio non si mosse dal davanzale, scrutandoci dall’alto con un sorriso isterico.
- Come…come preferisci morire, Victoria?-
Trovò infine il coraggio di pronunciare.
- Con il tuo vero aspetto oppure mascherata?-
Domandò ghignando e ignorando del tutto le minacce del principe che, vista la reazione del nemico, perse le staffe.
- Ok basta. Perché non vieni giù e non ne discutiamo?!-
Urlò il demone, sorpassandomi e tornando verso il palazzo. Questa volta fui io ad afferrarlo per un braccio, intimandolo di smetterla.
- Non lo hai ucciso la prima volta-
Ricordai.
- Cosa ti fa credere di riuscirci ora?-
Il ragazzo strinse i denti, mentre Isaac continuava a ridere.
- Sei solo un ragazzino arrogante-
Affermò la creatura fatata, sprezzante.
Scorsi un bagliore rosso negli occhi di Nolan, le sue iridi si macchiarono per la prima volta di sangue, intente a fissare la figura dell’avversario.
Innanzi a quello sguardo, Isaac venne colto da un fremito. Il suo corpo si immobilizzò, vacillando verso il vuoto. Il demone sorrise malignamente, continuando ad esercitare il suo incantesimo fino a che non dovette piegarsi in due dal dolore. Si inginocchiò improvvisamente, stringendosi forte la ferita sul fianco e gemendo. Avanzai di un passo verso di lui, protendendo una mano verso il suo corpo. I suoi occhi erano tornati normali e sudava freddo. Qualsiasi magia avesse cercato di usare, era troppo gravosa per il suo fisico malridotto.
Ritrassi la mano ad un palmo da lui, disturbata dalle risate di Isaac.
Libero dallo strano incantesimo di Nolan, il ragazzo dagli occhi blu prese ad ridere dall’alto del palazzo. Sghignazzando e ansimando, colmò il silenzio innervosendoci. Alzammo entrambi il volto verso di lui, osservandolo impegnato a scagliarci contro un raggio di luce. Tagliente come una lama, mancò di Nolan di pochissimo, ferendolo solo di striscio.
- Ma dove hai mirato razza di scemo?!-
Domandò il demone divertito.
Io sapevo dove aveva mirato.
Lo capì quando sentì un dolore alla mano destra e udì il suono di qualcosa rompersi.
Lontanissimo, Isaac aveva mirato fino a me. Con precisione, era riuscito a colpire il mio anello e a romperlo. I pezzi caddero a terra ed io mi ritrovai in pieno giorno, sotto i raggi del sole, senza sigillo.
- Ecco il tuo vero aspetto, Victoria-
Nolan sussultò, voltandosi di scatto ma io ero già svanita.
Scappai via non appena mi resi conto di cosa fosse realmente successo.
Velocissima, mi fiondai dentro una baracca abbandonata con le finestra sbarrate. Mi nascosi all’interno delle sue tenebre, richiudendo la porta.
Socchiusi gli occhi, appoggiando la fronte e le mani sul legno dell’uscio. Circondata dall’oscurità, feci un enorme respiro di sollievo tentando di tranquillizzarmi. 
- Victoria-
Udì alle mie spalle. Sobbalzai terribilmente, quasi gridando dallo spavento.
Mi volsi verso le tenebre con il cuore in gola, rimanendo attaccata alla porta dietro di me. I miei occhi necessitarono di qualche minuto per scorgere la sua figura, nonostante la sua voce non mi avesse lasciato dubbi.
- Come mi hai trovata?-
Domandai senza lasciare l’uscio, indecisa se fosse meglio scappare all’esterno. Le sue successive parole mi fecero scegliere di rimanere, perlomeno di ascoltare.
Senza avanzare, senza muovere un muscolo, prestai attenzione alla sua offerta mentre fuori infuriava la battaglia.
 
Per vari minuti udimmo i colpi scagliati contro le case circostanti, le urla di Nolan e di Isaac, poi finalmente il silenzio. A quel punto il mio ospite se ne andò, lasciandomi sola nel buio. Attraversai l’intera stanza per allontanarmi dalla porta il più possibile, certa che tra poco qualcuno sarebbe entrato. Stetti in silenzio ad aspettare di scoprire chi fosse il vincitore, chi meritasse la mia vita.
Alcuni passi si stavano dirigendo verso di me, provocandomi dei brividi lungo la schiena.
Non seppi di chi si trattasse fino a che non udì la sua voce. 
- Victoria?-
Sussurrò il demone aprendo la porta e cercandomi nel buio. Mi sfuggì un lieve sospiro di sollievo, forse era meglio così.
- Sei qui?-
- Non entrare-
Intimai io, nascondendomi nell’oscurità e stringendomi nella grande maglia nera che indossavo.
Nolan non mi ascoltò e richiuse la porta dietro di sé, venendo avanti. Sbuffai infastidita.
Non appena i suoi occhi si fossero abituati all’oscurità, mi avrebbe vista.
- Puoi stare tranquilla, se ne è andato-
- Non è per quello-
Sbottai, cercando di non pensare a quello che era appena successo nella vecchia baracca.
- Ha ragione lui. Sono un mostro-
- Dove sei?-
Proseguì il ragazzo, continuando a cercarmi.
- Vattene, non c’è niente da vedere qui. Hai davanti solo un mostro, niente più-
- Te lo hanno detto così tante volte che hai finito per crederci?-
Alzai il volto, cercando la sua figura nella penombra. Me ne stavo accovacciata a terra con le gambe strette al busto, le mani alle caviglie e il viso compresso fra il petto e le ginocchia.
Non potevo sfuggire alla luce, dei piccoli fasci penetravano dalle assi di legno messe storte alle finestre. Erano sufficienti ad illuminarmi e presto le avrebbe viste, almeno una parte.
- Non hai mai avuto qualcuno che ti chiamasse con altri nomi?-
Io scossi la testa e la rimisi giù, fra le ginocchia.
- Eccoti, ora ti vedo-
Affermò Nolan, facendomi iniziare a tremare.  
Al buio niente era visibile ma, lungo i fasci di luce sopra la mia testa, si scorgevano piume bianche.
Fu così che il demone mi vide a terra con le mie grandi ali, illuminate solo a pezzi dai raggi solari.
- Sono davvero belle-
Commentò, continuando ad avanzare.
Io alzai il viso, costernata.
- Come?-
- Ti ho detto che sono belle. Tua madre era un angelo, vero?-
Annuì, fissando il pavimento. Mi vergognavo a mostrarle, erano la prova dell’abominio contro natura che era stato fatto dai miei genitori. Appartenevo ad una razza spietata che aveva ucciso crudelmente mia madre, colpevole solamente di essersi innamorata. Odiavo me stessa, odiavo i miei simili e chiunque osasse vedermi sotto il mio aspetto più fragile.
- Perché non provi ribrezzo?-
Chiesi, con le lacrime agli occhi.
- Forse perché io sono come te. Sei così impegnata a piangerti addosso che non mi hai neanche guardato-
Alzai lo sguardo ma gli occhi lucidi non mi permettevano di veder bene.
- Di giorno non porto l’anello che mi hai visto al dito. Adesso sono qui, nell’oscurità di questa stanza, senza-
Il buio della baracca era sufficiente a mostrare la sua vera forma. Quando mi asciugai le lacrime potei vedere che anche lui era come me, se pur all’incontrario.
Nei fasci di luce non era visibile il suo aspetto ma, nel buio, io intravidi due grandi ali nere senza piume. 
- Mio padre era un diavolo-
Spiegò, facendomi sobbalzare.
- Anche io sono un sangue misto. L’oscurità mostra la mia vera natura-
Lo fissai stupita, allibita. Come al solito, non avevo capito niente.
- Mio padre era un diavolo infernale, mia madre un demone-
- Il Re dei Demoni era un diavolo?-
Domandai sconvolta.
- Certo che no-
Sbottò il ragazzo, divertito.
- Non era lui il mio vero padre, io ero solo il figlio della regina. Il mio progenitore venne ucciso per aver osato generare un essere come me-
Raccontò, con una tenue nota di tristezza nella sua voce.
- E perché mai?-
Chiesi io incuriosita, se pur cercando di mantenere un certo rispetto nella domanda.
- Mia madre venne giustiziata dagli angeli perché spiriti ancestrali come loro non possono permettersi di avere figli-
Spiegai, asciugandomi le lacrime.
- Non era un angelo caduto. Se lo fosse stato, il problema non si sarebbe posto. Sarei stata una Nephilim, avrei avuto una razza ma mia madre…lei era un arcangelo che viveva in cielo. Lasciarsi toccare da un essere terreno, come uno stregone, è una colpa gravissima. Ma un diavolo…-
- Pensi che loro non abbiano regole? Le creature oscure che diventano diavoli possono unirsi ai demoni, ma i veri diavoli dell’inferno non possono generare sangue misti. La legge ci considera troppo instabili, troppo pericolosi-
Spiegò, ridacchiando leggermente.
- Gli antichi ritennero che i bastardi dei diavoli fossero incapaci di controllare un potere così grande. Secondo me ne erano semplicemente terrorizzati-
Annuì senza neanche accorgermene, totalmente assorbita dalle sue parole.
- Mio padre era un vero diavolo, appartenente alla cerchia di Lucifero e creato da egli stesso millenni orsono. Per questo è stato giustiziato-
Continuò, seriamente.
- Perché tu sei vivo?-
Sbottai, non accorgendomi nemmeno di quanto potesse apparire brutale la mia domanda.
- La tua legge non vieta di uccidere i sangue misti?-
Nolan scosse il capo, riprendendo a spiegare.
- Il regolamento non è chiaro a riguardo, spetta al sovrano in carica e al Signore degli Inferi decidere in merito-
Tacqui, abbassando lo sguardo per un attimo.
- Noi non abbiamo un vero e proprio regolamento-
Borbottai.
- Non era mai successo che un angelo trasgredisse-
- I diavoli sono teste calde e non sono famosi per seguire le regole-
Disse il ragazzo, catturando nuovamente la mia attenzione.
- Nonostante conoscesse la legge, mio padre osò rapire la regina del Regno dei Demoni, la seconda sposa del re. Credo che se ne innamorasse perdutamente e la rapì, per averla sua -
Affermò incrociando le braccia.
- Eppure hai il cognome Lancaster…-
Ricordai, rinsavendo. Nolan accennò ad un sorriso, solo per un attimo, prima di divenire nuovamente malinconico.
- Mia madre ha insistito-
Spiegò.
- Grazie alle sue suppliche, ho avuto l’onore di vivere a palazzo come un principe. Lei credeva che io fossi predestinato a qualcosa, che la mia nascita fosse un segno-
- Un segno per cosa?-
Domandai, sempre più affascinata. Il demone venne avanti, sbattendo lievemente le sue gigantesche ali senza piume. Abbassai le mie ancora di più, intimorita dalla loro grandezza.
- Per il predominio del demoni sul mondo-
Dichiarò il principe, facendomi sobbalzare.
- La vittoria dei demoni…sugli altri regni?-
Nolan scosse la testa, arrestandosi ad un metro da me.
- I demoni come unica razza esistente sulla Terra-
Rivelò, sbalordendomi sempre più.
- Mia madre voleva che io consegnassi il mondo alla nostra razza-
- E tu cosa vuoi?-
Chiesi ad occhi sbarrati, completamente sopraffatta dalla sorpresa.
- Voglio espandere il mio regno sino ad ogni landa conosciuta, voglio governare sulle altre popolazioni, non distruggerle-
Abbassai lo sguardo, tornando ad appoggiare il mento alle ginocchia, delusa. Il terzogenito dei Lancaster non era ambizioso abbastanza per i miei gusti. Vedere sconfitti gli angeli e gli umani era il mio più grande sogno, il mio più grande desiderio. Veder sparire le fate e qualunque altra forma di vita che non fosse demoniaca, ecco cosa volevo io.
- Perche tua madre lo credeva?-
Domandai, bofonchiando contro le gambe.
- Perché pensava che tu lo avresti fatto?-
Il ragazzo sorrise, portandosi una mano ai capelli.
- C’è un motivo per cui sulle nostre bandiere vi è l’ala di un diavolo-
Spiegò.
- Il primo Re dei Demoni, Enric Lancaster, era un sangue misto come me-
Mi alzai in piedi di scatto, esterrefatta, non essendo mai entrata a conoscenza di quella parte della storia. La leggenda narrava dei suoi grandi poteri e della sua forza incredibile ma niente che riguardasse le sue origini. Da solo aveva distrutto interi eserciti ma nessuno aveva trascritto come ci fosse riuscito, né in cosa consistesse la sua magia. All’alba, sul campo di battaglia, i nemici erano semplicemente tutti morti, senza aver subìto neanche un colpo di spada.
- Anche se non sono un suo discendente-
Continuò Nolan.
- Molti nobili a conoscenza della leggenda, mi ritennero il degno successore del primo re. Pensarono che un altro sangue misto avrebbe dato al regno la stessa forza e splendore che diede Enric I ai suoi tempi. Sostennero che, se un mezzo diavolo aveva creato il Regno dei Demoni, solo un altro mezzo diavolo avrebbe potuto conquistare il resto del mondo. Ecco perché fecero pressioni sul re affinché mi desse il cognome Lancaster-
Tacqui, tornando a sedermi con le gambe che tremavano. Tutto avrei potuto immaginarmi nel definire un’identità al misterioso ragazzo dagli occhi d’oro, tutto tranne quello.
Un sangue misto paragonato il primo Re dei Demoni, un ragazzo che portava il peso delle aspettative di un’intera razza sulle sue spalle. Esattamente il contrario di ciò che ero io.
- Immagino quanto tu sia stato venerato da piccolo-
Affermai, senza neanche rendermi conto di dar voce ai miei pensieri. Nolan rise, raggiungendomi sul pavimento.
- Affatto, purtroppo-
Espose con un sospirone, incrociando le gambe.
- In realtà, molti volevano uccidermi-
- E perché?! Non eri qualcosa come il loro grande conquistatore leggendario?-
Il principe rise, divertito da quanti enfasi usai per pronunciare la frase.
- I demoni sono molto competitivi-
Spiegò.
- Non si sottomettono facilmente, non amano vivere all’ombra di qualcun altro. Molti non hanno apprezzato la profezia di mia madre, accusandola di aver generato un sangue misto di proposito-
Sobbalzai, sapendo bene cosa succedesse alle sovrane accusate di adulterio.
- A due anni dalla mia nascita, la corte iniziò a chiedere la sua testa. Il destino volle che la regina morisse di cause naturali, prima che la sentenza fosse emanata. Per la mia povera madre fu quasi una fortuna, dato che in tutto il regno si parlava di esecuzione ormai da tempo. Il re era infatti molto contrariato dalla mia nascita-
- Ha cercato di ucciderti?-
Chiesi, con voce mesta.
- Sempre. Fin da quando i diavoli consegnarono il mio progenitore al re, ovvero subito dopo che uccise di sua mano la creatura che aveva ingravidato sua moglie. Io dovevo essere il prossimo-
- Come sei scampato alla sua rabbia?-
Domandai, sperando che non fosse una domanda troppo dolorosa.
- Sono stato fortunato. Mia madre fece di tutto per convincerlo e, dopo la sua morte, ci pensarono alcuni nobili che avevano sostenuto la sua causa. Successivamente giunse anche una missiva dagli inferi, che appoggiava la mia nascita. A quel punto il re non aveva modo di uccidermi, almeno pubblicamente-
Rivelò, perdendosi per un attimo in lontani e oscuri ricordi.
- Provò a farlo segretamente-
Continuò, sorridendo.
- Con l’aiuto del suo secondogenito, Abrahel. Non credo che abbiano mai accettato di essere eclissati da un mezzo demone che poco aveva in comune con i Lancaster, un ragazzo che poteva essere definito “fratellastro” dagli altri discendenti solo per gentilezza-
Concluse, cadendo nel silenzio. Rimasi qualche istante a fissare i suoi occhi d’oro nelle tenebre, completamente affascinata. Quante volte da piccola avevo fantasticato sul Regno dei Demoni e sui loro signori, la mia mente però non sarebbe mai potuta andare così vicino alla realtà.
- Che storia interessante-
Mormorai, tornando ad abbassare lo sguardo.
- Il mio passato lo è molto meno. Non ho fantomatici predecessori, la gente ha sempre cercato di uccidermi perché sono un mostro. Tutto qui-
Spiegai, nascondendo il volto.
- Il Concilio mi considera un abominio…agli angeli faccio orrore…mio padre mi odiava…per un motivo o per un altro hanno sempre cercato di uccidermi-
Nolan si avvicinò a me, accucciandosi proprio davanti al mio viso.
- Non vogliono ucciderti perché sei un mostro, è solo una scusa-
Affermò abbracciandomi, facendomi percepire le sue ali nere strusciare lungo la mia pelle.
- In realtà hanno paura di te, perché sanno che sei speciale-
- Ma se non so fare praticamente niente-
- Naaa ma smettila-
Disse stringendomi ancora più forte. Sentivo il calore del suo corpo, potevo avvertire anche quello delle sue ali, che lentamente mi stavano circondando.
Io feci indietro le mie, alzandole in alto per dargli lo spazio di avvolgermi.
- Niente come uccidere due umani solamente con una goccia del loro sangue?-
- Ecco lo sapevo. Tutti vogliono i miei poteri-
Il demone rise ed io mi lasciai sprofondare nel suo abbraccio, dimenticando per un momento l’odio nei suoi confronti. Stretta al suo petto riuscivo ad udire il battito del suo cuore, così veloce da far trasparire ogni sua emozione.
- Non sapevo che possedere gli occhi d’oro significasse avere il sangue misto…-
Sbottai, cercando di spezzare quel silenzio imbarazzante.
- Altrimenti, avrei capito fin da subito che non eri esattamente come gli altri-
Non avevo mai conosciuto altre creature come me, non potevo avere la certezza che tutte avessero le iridi dorate e che la loro pelle scottasse. Avevo sempre attribuito quelle caratteristiche alla mia famiglia, sorprendendomi vedendole per la prima volta in qualcun altro sei anni prima.
- Fu mio fratello a spiegarmelo-
Raccontò il demone.
- Le leggende dicono che anche il primo re possedesse gli occhi d’oro-
Caddi in silenzio qualche istante, cercando di ragionare su cosa avesse appena detto.
- Quindi…-
Iniziai.
- Quindi tu invece sapevi fin da subito che ero un sangue misto-
Si scostò leggermente da me, non sapendo cosa rispondere. Il cuore prese a martellarmi nel petto, talmente forte da farmi male. Abrahel aveva detto la verità: il nostro incontro non era stato casuale.
- E’ tutto vero…-
Accertai, fissandolo dritto negli occhi.
- Tu mi hai avvicinato perché sapevi benissimo cosa fossi-
Mi alzai in piedi di scatto, retrocedendo con le mie pesanti ali bianche fino a sbatterle contro il muro della catapecchia.
- Quel giorno alla stazione, eri lì per uccidermi-
Ringhiai.
Lo fissai adirata a poco più di un metro di distanza, osservandolo mentre sospirava e si portava anch’esso in piedi.
- Victoria…-
Tentò di pronunciare, amareggiato.
Lo stomaco si contorse dalla rabbia. Non sapevo cosa avessi potuto aspettarmi dal Principe dei Demoni. Mi sembrava ovvio che non potesse essere arrivato nel mio villaggio sperduto per caso, ad intrattenere conversazione con una qualsiasi ragazza. Chissà perché allora, in cuor mio, lo avevo sperato così tanto.
- Chi è stato a dirtelo?-
Domandai, senza ricevere risposta. La creatura continuò a fissarmi nell’oscurità, mantenendo immobili le sue grandi ali visibili solo a tratti.
- Chi è stato a dirti dove trovarmi? Chi è stato a parlarti di me? Come sapevi il mio nome?!-
Rinnovai con rabbia, stringendo i pugni fino a farmi male.
- Nessuno di importante-
Bofonchiò infine, senza rispondere realmente.
- Dimmelo! Potevo essere un qualunque sangue misto ma tu sapevi che ero la figlia di un angelo, esattamente l’ingrediente che ti mancava. Come?-
Il ragazzo continuò a non rispondere, facendomi comprendere che non avrei mai saputo la verità a riguardo.  
- Vattene-
Intimati, snervata.
- Tornatene nel tuo regno. Hai una guerra da vincere, no?-
- Non posso farcela senza di te-
Parlò finalmente, ammettendo implicitamente per la prima volta che gli servivo per ottenere la corona.
- Avevi detto che non mi avresti più usata…-
Obiettai, indignata.
- Avevi detto di non volermi più uccidere-
- C-Come?-
- Dopo avermi riconosciuta, dopo quella notte a Salem. Tu hai detto che non mi avresti più uccisa, che non ti saresti più servito di me-
- E tu come…?-
- Il marchio-
Spiegai, mostrandoglielo per l’ennesima volta.
- Ci ha collegato. Ti ho visto discutere della faccenda, seduto sul tuo enorme trono-
Continuai sprezzante.
- Ho sentito tutto, della tua patetica infanzia e di quanto io ti avessi inferto speranza. Un racconto al quanto noioso, tranne la parte in cui dici di volermi tenere fuori dai tuoi folli esperimenti-
- Victoria-
- Non ti avvicinare-
Ordinai, avvolta dalle tenebre.
- Avevo sperato che fossero solo sogni-
Spiegai.
- Frutto di una immaginazione troppo fervida. Mi fai schifo. Mi avresti fatto schifo anche se avevi deciso di non usarmi più. Puoi immaginarti le sensazioni che mi provochi ora che hai cambiato idea-
- Ho capito che senza te non posso vincere…-
Ammise la creatura, avanzando ulteriormente.
- Quanto mi dispiace-
Affermai ironicamente.
- Ti prego…-
- Non ti aiuterò-
Sbottai decisa.
- Non ti darò questa soddisfazione, dovrai costringermi-
- Non posso-
Affermò il demone, sospirando.
- Non posso costringerti, l’incantesimo non funzionerebbe-
- Peccato-
Pronunciai soddisfatta.
- Allora non avrai mai il trono, le mie condoglianze Principe Nolan Ryan Garrick IV -
Proferì con rabbia, superandolo per raggiungere la porta.
- Dove stai andando?-
- Che ti importa?-
- C’è quel damerino biondo là fuori-
Mi ricordò il demone, facendomi bloccare innanzi all’uscita della catapecchia.
- Sta aspettando solamente di trovarti da sola. Sono stato io a proteggerti da lui fino ad ora, non l’hai ancora capito?-
- Certo che l’ho capito-
Ammisi furibonda, tornando a voltarmi verso di lui.
- Ma non voglio che tu mi protegga, preferisco morire che essere protetta da te-
Mi fissò tristemente con i suoi occhi d’oro, dall’altro lato della stanza. Si avvicinò a me lentamente, con le sue grandi ali da diavolo spiegate. In quella forma mi metteva soggezione, tanto che mi ritrovai ad abbassare nuovamente le mie. Le sue ali parevano molto più grandi e robuste di quelle che io possedevo.
- Non voglio che tu muoia-
Sbottò la creatura, seriamente nonostante io iniziassi a sorridere divertita.
- Certo, a meno che ad uccidermi non sia tu-
- Troverò un altro modo-
Spiegò il ragazzo.
- Non voglio farti del male, non voglio ucciderti. Credimi non vorrei mai usarti ma è…-
- Fammi indovinare-
Interruppi.
- Usarmi è l’unico modo che hai per battere Abrahel Lancaster. Giusto? E’ stata la tua intenzione fin da quando ci siamo conosciuti. Hai mentito fin dal primo momento, fingendo continuamente, salvandomi dal Concilio solo per proteggere la tua arma migliore-
Rinfacciai con le mani che mi fremevano.
- Perché non mi hai spiegato tutto dall’inizio?-
- Ti ho chiesto fin da subito di seguirmi. Non puoi dire che io non l’abbia fatto-
- Sfido chiunque a seguire un estraneo appena conosciuto!-
Urlai in mia difesa, talmente forte da ferirmi la gola. Ci fu un attimo di silenzio, dopo delle grida così disumane. Entrambi ascoltammo attentamente il vento soffiare fuori dalla baracca, cercando di capire se Isaac avesse sentito.
- Ti avrei spiegato tutto se tu l’avessi fatto-
Proseguì il demone, con calma e a bassa voce.
- Discutere delle mie strategie di guerra fuori dal castello…-
- Non parlare come un principe-
Implorai.
- Dimmi solo sinceramente, hai spiegato cosa stavi facendo agli altri angeli prima di ucciderli?-
Nolan tacque, lasciando che il silenzio rispondesse per lui.
- Lo sapevo-
Sbottai.
- Li hai uccisi e basta, chissà con quale scusa per costringerli ad aiutarti. Con me non ci sarebbe stata differenza-
- Mi dispiace-
Proferì il demone.
- Hai ragione. Accecato dalla rabbia cercavo solo qualcosa in grado di farmi vincere, probabilmente ti avrei uccisa poco dopo, con chissà quale scusa…-
Indietreggiai istintivamente, soddisfatta e spaventata allo stesso tempo da quella verità.
- Quando ti ho riconosciuta, quando mi sono reso conto di cosa stavo per fare, sono scappato via-
Raccontò, fissandomi dritto negli occhi.
- Puoi chiamare la mia storia patetica-
Continuò, sorridendo tristemente.
- Ma dopo la morte di mio fratello e l’allontanamento da palazzo della mia tutrice, io desideravo che la mia vita cessasse-
Ammise, facendomi sussultare.
- Con il mio patrigno ed Abrahel che cercavano continuamente di uccidermi, io il giorno della parata stavo riflettendo se valesse davvero la pena continuare a combattere-
Rabbrividì ricordando lo sguardo vuoto e triste di quel bambino sul cocchio sei anni prima, così piccolo e già così sofferente. Lo avevo ritenuto annoiato, viziato, quando in realtà il suo animo era ferito proprio come il mio.
- Volevo arrendermi Victoria, abbandonare la battaglia di potere di tutti quei nobili più grandi di me. Infischiarmene delle loro aspettative, dei loro desideri. Volevo solo riposarmi e lasciare che i veri Lancaster vincessero, quando poi ho visto te e ho capito di non essere solo-
Proferì, sconcertandomi.
- Tu mi hai reso la speranza che avevo perso, incentivandomi involontariamente a combattere. Eri così forte, capace di battere persino Lilith-
Risi a quel ricordo, divertita da come Nolan rimembrasse l’episodio. Nella mia versione dei fatti le guardie reali avevano afferrato il demone un attimo prima che mi staccasse la testa dal collo, al massimo avevo battuto il suo animaletto da compagnia.
- Io ti devo la vita-
Affermò improvvisamente il ragazzo, facendomi sobbalzare nuovamente.
- Senza te, oggi non sarei qui. Per questo non posso ucciderti-
Abbassai lo sguardo, sbalordita da quanto fossimo simili e allo stesso tempo avessimo trovato motivazioni talmente diverse per andare avanti. Lui si era affidato alla speranza, mentre io all’odio e al desiderio di vendetta.
- Come diavolo hai fatto a non riconoscermi subito?-
Incalzai, rinsavendo.
- Quanti altri sangue misti con gli occhi d’oro ci possono essere?!-
Continuai ironicamente, incrociando lo sguardo estremamente serio del demone.
- Mi aveva detto che eri morta-
Spiegò.
- Il re, il mio patrigno, giurò di aver ucciso la strega che aveva violato i confini. Affermò di aver ucciso ciò che per me simboleggiava la speranza, la vita. Quello è stato il momento in cui ho iniziato ad odiarlo più di ogni altra cosa, il momento in cui ho capito di volerlo morto e di voler prendere tutto ciò che era suo, incluso il trono. Il momento in cui decisi che lui sarebbe morto a causa mia, come mio padre era morto a causa sua-
Ci fu un momento di silenzio, in cui mi balenò un’assurda idea nella mente. Un pensiero terribile che presto venne fondato dalle parole di Nolan.
- Ho conosciuto un uomo in guerra, Victoria-
Iniziò, con voce grave.
- Un uomo che aveva tutta l’intenzione di uccidere il Re dei Demoni, nonostante non ne fosse minimamente capace-
Ammise, sorridendo appena.
- Io ho aiutato quell’uomo ad uccidere il suo nemico. Tramite quello stregone, ho ucciso il mio patrigno proclamando la sconfitta degli eserciti dei demoni, sancendo la sua morte. Io ho ucciso colui che ho scoperto in seguito essere tuo padre. Il suo fisico non ha retto, mi dispiace-
- Figurati-
Proferì, allontanandomi da lui con una mano sullo stomaco. Con gli occhi sbarrati, mi appoggiai alla parete in legno, avvertendo le vertigini. Mio padre aveva ucciso il Re dei Demoni solo perché Nolan aveva deciso di farlo. Il Re dei Demoni. Il mito che per anni avevo seguito, si era rivelata una creatura crudele, ipocrita e bugiarda. Era stato ucciso da un ragazzo cresciuto nel suo stesso palazzo, un figliastro che per tutta la vita aveva cercato di eliminare. Per molto tempo ero stata triste per la sua scomparsa, rimproverando alla memoria di mio padre la morte di un grande uomo. Visto da vicino, questo grande uomo non era poi granché, diversamente da un giovane che aveva vissuto nella sua ombra e che, per anni, aveva tessuto le fila del regno.
- Quindi tu vuoi prendere il trono ad Abrahel…per vendetta?-
- Principalmente, sì. Dopo la tua “morte”, giurai di restituire quello stesso dolore a lui e al suo ultimo figlio. Il re mi tolse tutto, così come Abrahel. Non vedo perché non dovrei restituire il favore-
Tacqui, non ritenendolo più così tanto diverso da me.
- Per di più, ho scoperto che mi piace regnare-
Sorrisi, nello stesso identico modo in cui stava sorridendo lui.
- Cosa ti ha fatto cambiare idea?-
Domandai. Nolan tornò a fissarmi seriamente, forse avendo perso il filo del discorso.
- Voglio dire, perché ora vuoi usarmi di nuovo?-
Il demone sospirò, prima di rispondere. Alzò leggermente la maglietta rubata da chissà dove, mostrandomi i bendaggi macchiati di sangue.
- Questa mattina, quando mi hai telefonato, stavo combattendo contro Abrahel-
Spiegò.
- E’ stato lui a far saltare i punti. Io mi ero messo in testa di batterlo senza il tuo aiuto ma alla fine ho perso, mettendo pure a rischio la tua vita. Mi sono ritirato per venire a Salem e lui ne ha approfittato per seguirmi-
La creatura si risistemò le vesti, finalmente raccontandomi la verità. Incrociai le braccia, scrutando la sua figura da capo a piedi.
- Hai lasciato il campo di battaglia per correre da me?-
Domandai lusingata.
- Ti stavano arrostendo sul rogo o sbaglio?-
- Scommetto che ti sei ritirato perché tanto ormai avevi già perso-
- Ha importanza?-
- Certamente-
Proferì.
- Se ti eri ritirato poco prima della vittoria, avrebbe avuto maggior apprezzamento. Ma a giudicare dalla tua ferita, Abrahel ti stava per ridurre a brandelli-
- Dunque non mi aiuterai?-
- L’unico modo che avevi per usare i miei poteri, era obbligandomi-
Affermai irremovibile. Nolan sospirò, abbassando le ali fino a terra. Distolse lo sguardo da me, deluso.
- Lascia almeno che ti protegga da quel biondino-
Propose il ragazzo.
- Mi basta che tu mi riporti sul confine orientale-
Spiegai.
- Al resto ci penso io-
- Ti troverà anche nel Regno delle Fate-
Obiettò il demone.
- Lascia che mi trovi-
Risposi.
- Per allora sarò già in grado di farlo a fettine-

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Capitolo 12
*** Qualcosa di nuovo ***


- Così non esco-
Sbottai innanzi alla porta, ferma con le mie grandi ali sopra la testa.
Il demone sospirò divertito, tornando verso di me. Mi strinse con sicurezza la mano destra, sorridendomi.
- Allora queste è meglio farle sparire-
Dalle sue mani scaturì una tiepida luce e un cerchio rosso comparve nei suoi occhi. In pochi istanti ricreò l’anello che avevo perso, seguendo ogni sua caratteristica.
Non capivo come avesse fatto ma non appena l’anello mi fu rimesso al dito, mi sentì più leggera e notai con piacere di non avere più la zavorra dietro di me.
- E’ un semplice incantesimo di contenimento. Me lo ha insegnato mio fratello-
Spiegò andando verso la porta.
- Medardo?-
Lui annuì e sorrise, cadendo nel dolce ricordo del fratello deceduto.
- Gli volevi molto bene?-
Il demone annuì nuovamente.
- Anche se non eravamo veramente fratelli, io lo adoravo. Lui si è preso cura di me, senza mai temermi un momento. E’ stato lui ad insegnarmi tutto quello che so-
- Ti manca?-
- Ogni giorno. Lui…era un persona fantastica-
- Lo so…ma un po’ troppo appiccicosa-
Vidi il ragazzo sussultare e tornare indietro verso di me.
- Lo conoscevi?-
Chiese con gli occhi spalancati, allargando le ali che ancora si mostravano nell’oscurità.
- Ho avuto l’onore di fare un pezzo di strada insieme, la notte prima della parata-
- Ma…-
Sussurrò interdetto.
- Lui…era morto già da due anni…come hai fatto…?-
- C’è una cosa che tu non sai di me, Nolan Ryan Garrick IV-
Pronunciai, incrociando le braccia.
- Io vedo le anime dei defunti-
Il ragazzo sussultò osservandomi stralunato, spalancando la bocca e rimanendo senza parole per qualche istante. Spazientita dalla sua reazione, lo sorpassai per raggiungere la porta.
Uscì all’esterno, verificando se Isaac se ne fosse andato e se il nuovo anello funzionasse sotto la luce del sole. Sorrisi, quando notai che sigillava la mia vera forma perfettamente.
Presi una bella boccata d’aria fresca, guardandomi attorno. I segni dello scontro fra Isaac e Nolan erano ben visibili nella strada, sembrava che fosse passato un uragano.
Avevano rotto le staccionate, i porticati delle case, le casse, i barili e qualsiasi cosa fosse rimasta in quel quartiere fantasma.
- Come ci riesci?-
Chiese la creatura, varcando la soglia della baracca e raggiungendomi all’esterno.
Con stupore, osservai come le sue grandi ali nere da diavolo svanirono sotto la luce del sole, rendendolo un ragazzo assolutamente normale. In un solo attimo, dal buio alla luce, Nolan tornò del suo solito aspetto.
- E’ a causa di mia madre-
Spiegai, tardando a rispondere.
- Lei faceva parte del mondo degli spiriti, quindi penso sia per quello che posso vedere i fantasmi-
Rimase affascinato e mi seguì in silenzio per qualche minuto, all’interno del quartiere desertico. Gli ero innanzi giusto di qualche metro, anche io silenziosa e piuttosto pensierosa.
Avevo una decisione da prendere e dovevo farlo in fretta.
- Ti ha detto qualcosa?-
- Come?-
Chiesi, rinsavendo.
- Sì, mio fratello quella notte…ti ha detto qualcosa?-
- Nolan, l’ho incontrato sei anni fa -
Rimproverai.
- Ricordo solo quanto fu fastidioso-
Lui parve deluso e cadde di nuovo in silenzio.
- Una cosa la ricordo però. Mi ha dato un messaggio da riferire ma non per te-
- E a chi?-
Chiese quasi ingelosito.
- A Lilith?-
Mi arrestai, voltandomi verso di lui. Con gli occhi sgranati, lo fissai incuriosita.
- Cosa c’entra Lilith?-
- Beh, era la sua promessa sposa-
Non riuscì a rispondere, scossi solamente il capo, ammettendo che non si trattasse di lei. La cosa però mi sbalordì completamente. Dopo il messaggio di Medardo e l’attentato al principe ereditario da parte di Lilith, vari dubbi iniziarono a sorgermi.
- Aspetta-
Sbottai.
- Io…ho fatto arrestare la fidanzata di tuo fratello? Oh no!-
Vedendo la mia espressione sconvolta, Nolan scoppiò a ridere.
- Piuttosto Victoria, dovresti essere rammaricata di aver salvato Abrahel-
Proferì, prendendomi in giro.
- Ho fatto arrestare Lilith!-
Proseguì disperata.
- Chissà cosa avrà pensato il povero Medardo! Si sarà rammaricato moltissimo-
- Ti interessa così tanto quello che pensa una persona morta?-
Domandò il demone seriamente, guardandomi dritto negli occhi.
- Solo perché il suo cuore ha smesso di battere, non vuol dire che non ci sia più-
Affermai, rispondendo con naturalezza
- Se tu vedessi quel che vedo io, capiresti-
Il demone non parve convincersi e allora tentai un altro approccio.
Gli presi la mano, facendogli toccare l’anello che solo qualche istante prima mi aveva donato.
- Solo perché una cosa non puoi vederla, non vuol dire che non ci sia-
Scorsi allora un sorriso sul suo volto ed io non riuscì a non imitarlo.
 
Il Principe dei Demoni mi scortò sino al Regno delle Fate, viaggiando con me in modo assolutamente normale. Non utilizzò i suoi poteri, né le sue ali. Prese il treno in mia compagnia raggiungendo il confine in quattro giorni, senza la minima fretta. Non osai ricordargli che aveva una guerra da vincere, non volli preoccuparmi né di lui né dei suoi affari.
Non toccammo l’argomento della sua casata né delle sue menzogne, almeno fino ai domini della Regina delle Fate.
Non appena superata la barriera orientale lo ringraziai e lo invitai ad andare, fu in quel momento che le discussioni ebbero inizio.
- Se me ne vado, quello stregone pazzo ti sarà addosso in meno di un minuto-
Obiettò incrociando le braccia, appena sceso dal bus che ci aveva condotto a destinazione, permettendoci di evitare la cittadina di Salem.
- Avevi promesso che te ne saresti andato-
Ricordai, stanca ed irritata dal lungo viaggio.
- Mi avevi dato la tua parola. Superato il confine non ti avrei più rivisto-
- Perché tu avevi detto che una volta arrivata saresti stata più forte. A dire il vero io non ho notato molti cambiamenti-
Replicò scrutandomi da capo a piedi, in ogni mia singola forma o curva. Incrociai le braccia a mia volta, cercando di nascondermi dal suo sguardo inquisitore. Indossavo finalmente qualcosa che non fosse la sua enorme maglia, ma davanti ai suoi occhi provavo comunque lo stesso imbarazzo.
- Lo diventerò se tu te ne andrai-
Sbottai.
- Ho un paio di cose da sbrigare in questo regno-
Spiegai avvicinandomi e fulminandolo con lo sguardo.
- Cose che mi permetterebbero di essere più forte-
Il demone mi ascoltò attentamente, incuriosito ma allo stesso tempo lievemente preoccupato.
- Ovvero?-
Io scoppiai a ridere.
- Non penserai che ti sveli i miei piani?! Non mi pare che tu mi abbia informato delle tue strategie di guerra-
- Ma tu non sei in guerra!-
Replicò il principe mentre io afferravo il mio piccolo bagaglio e mi avviavo verso il centro cittadino.
- Questa è la mia battaglia!-
Sbottai, aumentando il passo. Udì il demone sospirare tremendamente, cercando di restarmi dietro.
- Io mi preoccupo semplicemente per te!-
- Disse colui che voleva sacrificarmi per la sua patria-
Udì un lieve risolino.
- Certo che ne porti di rancore. Mi sembrava che avessimo raggiunto un’intesa in quella baracca!-
- Nessuna intesa-
Sentenziai duramente.
- Solo perché condividiamo il dramma di essere “anormali” non vuol dire che io ti debba perdonare-
- Dramma?-
Sussurrò a malapena la creatura, arrestandosi per un momento.
- Eppure, sembravi…-
- No-
Urlai, voltandomi verso di lui.
- Abbiamo parlato e ci siamo scambiati delle confidenze ma non significa niente. Tu per me continui a rappresentare una minaccia-
Mi allontanai dandogli le spalle, sentendolo sbuffare peggio di un cavallo.
- Potresti essere incoronata la regina delle donne che non perdonano!-
- Non parlarmi di regine, principe!-
Rinfacciai, tornando indietro verso di lui piena di rabbia.
- Tu non hai il diritto di essere preoccupato per me! Tu volevi uccidermi!-
Imbarazzato mi pregò di parlare più piano, facendomi notare il gruppo di turisti scesi dal bus intenti a fissarci. Incurante del suo avviso e ormai fuori di me, continuai ad urlare, lasciando però che mi facesse allontanare dal terminal degli autobus.
- Ascolta, mi dispiace-
Iniziò dicendo la creatura, facendomi fremere le mani dal desiderio di colpirlo.
- Mi dispiace per quel che ho fatto ma sei l’ultimo tentativo che mi rimane per battere mio fratello. Devo proteggerti, in ogni modo e a qualsiasi prezzo. So che un giorno mi aiuterai Victoria, so che un giorno vorrai farlo. Io devo mantenerti in vita sino a quel giorno-
Tacqui un istante, prima di esplodere nuovamente.
- Sono un tentativo, eh?-
Chiesi soffermandomi solamente sulla prima frase e ignorando tutto il resto.
- Un tentativo…-
Scorsi Nolan portarsi le mani al volto, disperato, mentre la mia rabbia accresceva ogni momento di più.
- Un tentativo-
Ripetei per la seconda volta, più furiosamente.
- Sono una persona!-
Tentai di sferrargli un pugno in pieno volto ma, il demone, bloccò prontamente la mia mano ad un palmo dal suo naso. La strinse forte, senza farmi male. La tenne salda per qualche istante, impedendomi di ritirare il braccio e, forse, dandomi il tempo di calmarmi. Non potevo prendere a calci il Principe dei Demoni, nonostante lo volessi con tutto il cuore, non ne ero minimamente capace.
- Lasciami andare-
Intimai, notando che la creatura non accennava a mollarmi.
Allentò immediatamente la presa, lasciandomi riappropriare della mia mano.
- Vattene-
Ringhiai, perdendo il conto di quante volte ormai glielo avessi ordinato.
Gli voltai le spalle, camminando verso la città e sperando che non mi venisse dietro.
 
Ovviamente continuò a seguirmi, accompagnandomi in tutto e innervosendomi ogni secondo di ogni minuto della giornata. Non riuscivo a seminarlo, mi dava giusto un po’ di vantaggio per poi ricomparirmi sempre davanti. Sembrava un film già visto, una storia già vissuta. Avvalendosi del marchio riusciva sempre a trovarmi, senza lasciarmi mai realmente da sola.
Provai a giocare la carta del regno abbandonato dal suo principe durante una guerra civile, ma sembrò non fare effetto. Non appena glielo ricordavo lui scrollava le spalle, affermando che al castello tutto fosse sotto controllo. Come facesse a sapere che tutto fosse sotto controllo non ne avevo la minima idea, sembrava un turista in vacanza, per niente desideroso di tornare a casa. Bighellonava dietro a me, rendendomi sempre più angosciata. Agitata scrutavo continuamente il cielo, sperando che ciò che stessi aspettando non giungesse proprio davanti a lui.
- Posso insegnarti a difenderti-
Sbottò una mattina a colazione, seduti in un piccolo bar sulla strada principale.
Per la sorpresa, quasi mi cadde il cornetto nel caffè.
- Se vuoi che me ne vada, almeno devi saper combattere-
- Io so combattere-
Lui rise, posando per un attimo il the caldo che aveva ordinato.
- Uccidere due umani indifesi non vuol dire saper combattere-
Tacqui, tornando alla mia colazione.
- Sapersi difendere vuol dire poter scacciare un angelo da soli, non farsi mettere al rogo, evitare che un ragazzino ti pianti un pugnale nel petto…-
- Ho capito-
Pronunciai infastidita, continuando a girare nevroticamente il cucchiaio nella tazza.
- Se accetto poi te ne andrai?-
Il demone non parve entusiasta di quella condizione. Sospirò cercando di prendere tempo, utilizzò qualche rigiro di parole che io smorzai subito.
- Te ne andrai? Se imparo a combattere mi lascerai sola?-
Alla fine, malvolentieri, dovette acconsentire. Feci un respiro di sollievo, sorridendo soddisfatta mente prendevo lo zucchero.
- Quando iniziamo?-
Domandai eccitata, aggiungendo il latte e sorseggiando dalla mia tazza completamente fiorita. Volsi lo sguardo fuori dalla finestra, scorgendo disgustata tante alucce colorate che ballonzolavano per la strada. I raggi del sole riflettevano sulle ali delle fate facendo propagare i colori per tutta la città. Se non prestavi attenzione, rischiavi di esserne abbagliato. Più le guardavo, più mi veniva voglia di strapparle.
- Perché hai così tanta fretta di liberarti di me?-
Domandò Nolan, facendomi rinsavire.
- Come?-
- Tutto bene?-
- Certo, perché?-
Il ragazzo mi indicò la tazza che stringevo fra le mani. La porcellana bianca era incandescente, mentre il caffè con latte fumante che conteneva stava ormai bollendo. Sopra si stava formando quella fastidiosa pellicola che avrei dovuto togliere con il cucchiaino. Posai la tazza sul tavolo e cercai di prendere la posata ma, appena la sfiorai, questa si sciolse.
- Ti senti bene?-
Chiese preoccupato.
- Sì-
Risposi, lasciando perdere il cucchiaio.
- E’ solo che, odio questo posto-
- Il Cafè la Fata Splendente?-
- No stupido-
Mi posi entrambe le mani sugli occhi, cercando di tranquillizzarmi.
- Il Regno delle Fate. Lo detesto-
- Allora perché sei voluta venire qui?-
- Per motivi miei-
Cadde il silenzio per qualche istante. Il demone tentò di proseguire la colazione, nonostante si stesse visibilmente logorando dalla curiosità.
- Come mai tanto astio verso questo regno?-
- Perché tu odi la nazione delle streghe?-
- Per le streghe-
- Ecco. Io odio il Regno delle Fate, per le fate-
Tornò a concentrarsi su tre zollette di zucchero e il suo the. Ci aggiunse il latte, prima di berlo.
- Anche tu vuoi conquistare le loro terre, eh?-
Non potei fare a meno di ridere. Parlava proprio come un principe, alle volte mi dimenticavo di chi avessi davanti. Accigliò la fronte, irritato dalle mie risa. Cercai dunque di contenermi, ponendomi una mano sulla bocca.
- Se non per questo, allora perché ti infastidiscono tanto?-
Tornai a fissarlo dritto negli occhi, con il volto libero da ogni sorriso. Proprio non riusciva a capire.
- Perché sono deboli-
Risposi fermamente. Nolan cercò di dire qualcosa, di pronunciare qualche parola che però io non riuscì ad ascoltare. Fuori dalla finestra, in cima ad un lampione, un corvo mi stava fissando.
Iniziò a gracchiare non appena i nostri occhi si incrociarono, chiamandomi all’esterno. Sussultai, quasi rovesciando ciò che rimaneva all’interno della tazza semi fusa.
- Potresti pagare il conto?-
Proferì d’improvviso, cercando di apparire tranquilla.
- Io ti aspetto fuori-
- C-Certo-
Il demone si alzò ubbidientemente verso il bancone, mentre io sgattaiolai in strada. Non appena uscì dal locale, il corvo che avevo notato scese verso di me, posandosi sul mio braccio.
Differentemente dalle altre volte, con sé non aveva un biglietto, bensì una piccola collana con uno strano ciondolo attaccato. Se ne andò non appena l’afferrai, svanendo nel cielo poco prima che Nolan mi raggiungesse.
- Ecco fatto-
Riposi velocemente la catenina nella tasca dei pantaloni, voltandomi verso di lui con un sorriso stampato in volto.
- Tutto apposto?-
Domandò, leggermente insospettito.
- Certo. Allora, quando iniziamo con la magia?-
 
Da quel pomeriggio, mentre ci spostavamo lentamente verso la capitale del regno, Nolan iniziò a spiegarmi come usare i miei poteri. Ci allenavamo nelle foreste, lontano da occhi indiscreti. Ogni giorno mi insegnava qualcosa di nuovo, relativo sia all’attacco che alla difesa. Se pur fosse un demone, sapeva aiutarmi a padroneggiare sia la magia bianca che celeste. Se qualcosa sfociava fuori dalle sue competenze, svaniva improvvisamente per poi far ritorno con qualche libro preso da chissà dove. Di notte mi obbligava ad allenarmi senza il sigillo che bloccava i miei poteri, chiedendomi anche di usare la mia tecnica più potente. Con il suo aiuto, il mio controllo del sangue divenne sempre più forte e preciso, tanto che fui capace di usarla anche su di lui.
Non lo uccisi. Iniziai a capire che forse i suoi insegnamenti potevano tornarmi utili e, anche se ne avevo avuto l’occasione, rilasciai l’incantesimo.
- Pensavo che non ti saresti fermata-
Sbottò sorridendo al chiaro di luna, ansimante a terra e con una mano sul cuore. Avevo avuto la sua vita in pugno per qualche minuto, ottenendo il controllo dei suoi movimenti e rallentandogli la circolazione verso il muscolo cardiaco per puro divertimento. Fissai la sua figura stesa al suolo, intento a riprendersi. Cercai di sorridere dolcemente. .
- Figuriamoci-
Dissi sistemandomi i capelli, svolazzanti a causa del forte vento.
- Ti avevo detto che mi stavo solo esercitando, no?-
- Già-
Ribatté Nolan tentando di rialzarsi, sempre ansimando.
- Ho iniziato ad avere qualche dubbio al quinto minuto, quando il cuore ha smesso di battere-
- Mi sembra che tu sia vivo, no?-
Lo superai intraprendendo il sentiero verso la città, stanca e desiderosa di tornare in albergo.
- Già-
Sussurrò il demone, prima di seguirmi.
Camminando verso l’hotel, sorrisi, conscia che da quel momento possedevo il suo sangue. Ucciderlo non sarebbe stato più un problema.
 
Giunsero altri corvi dalle terre dell’ovest nei giorni successivi, tutti con un messaggio. Alcuni contenevano delle indicazioni, altri degli appuntamenti, uno mi annunciò che avevo ancora una settimana. In attesa che il tempo passasse, io e Nolan proseguimmo il viaggio nel regno di quelle assurde e fragile creature fatate. Isaac non si fece mai vedere ma il demone al mio fianco pareva preoccupato che potesse sorprenderci e coglierci alla sprovvista. Era davvero intenzionato a difendermi, tanto che non chiudeva mai occhio per vegliare su di me. Tuttavia la sua resistenza non durò a lungo e presto prese ad addormentarsi durante il giorno, giusto per qualche ora.
Libera dalla sua presenza potevo ricevere i piccoli messaggeri gracchianti in pace, senza l’ansia di essere vista. Rispondevo e pianificavo, raccomandando al mittente di essere più cauto.
Quando Nolan era sveglio non faceva altro che infastidirmi, domandandomi cosa ci facessimo lì e perché mai fossi così ostinata a non andare con lui. Desiderava che io lo aiutassi, dalle prime file del suo esercito, magari soggiornando nel suo palazzo, fidandomi incondizionatamente delle sue parole. Più gli ordinavo di andarsene, più diceva di volermi proteggere.
- So difendermi adesso-
Ricordai.
- Avevi detto che te ne saresti andato-
- Non sei ancora capace di difenderti. Sei solo all’inizio di…-
Poteva continuare per delle ore, parlando e parlando su come la sua presenza lì fosse importante.
Io ogni tanto mi domandavo cosa mi impedisse di ucciderlo seduta stante. Tranne che per i suoi insegnamenti e per la sua protezione, era un peso morto. Non sapeva vivere all’infuori del suo grande castello. Abituato com’era alla corte e al lusso, non era capace di compiere una vita comune. Non sapeva come procurarsi del cibo senza la magia, come ci si fingesse esseri umani e come si usasse una semplice doccia di una modesta camera di albergo. Non faceva altro che darmi sui nervi, quasi lo facesse apposta, sembrava un bambino al quale dovevo insegnare come si stava nel mondo.
Un pomeriggio lo portai in un centro commerciale, sperando di dedicarmi a qualche ora di acquisti. Ci separammo un attimo, solo qualche minuto e improvvisamente lo vidi correre per i corridoi, intento a scappare da un vigilante. Mi passò di fianco come un razzo, mentre tutti lo stavano fissando e indicando la sua persona. Feci finta di non conoscerlo, osservando come presto le guardie divennero tre e lui dovette riuscire a seminarle tutte. Ignoravo cosa avesse fatto, non volevo saperlo. Ci rincontrammo in albergo, dove mi informò di non voler più mettere piede in un centro commerciale.
Per il resto, pareva divertito a fare qualsiasi cosa come se fosse tutto un gioco. Dormire in un letto piccolo e senza tanti fronzoli, passeggiare fra la folla tranquillamente, guardare le vetrine, prendere un mezzo pubblico, dover rispettare le file e non esigere di essere sempre servito per primo. Il dramma più grosso fu quando scoprì che doveva lavarsi i suoi vestiti, non buttarli e comprarne di nuovi ogni volta. Lì credo che rimpianse la vita a corte.
- Mi spieghi come vivi di solito nel tuo castello?-
Chiesi curiosa una sera davanti ad una lavanderia pubblica, dove le delicate creature fatate portavano a lavare i loro fini vestitini colorati.
- In che senso come vivo?-
- Sì, la tua giornata tipo. Com’è?-
- Beh, un servitore mi apre le tende. Un altro mi prepara i vestiti. Due mi portano la colazione…-
- Ho già capito-
- Cosa?-
- Niente, vai avanti-
- Allora, dopo colazione di solito faccio un giro per il giardino sul retro, lì incontro il mio lupacchiotto e gioco con lui fino a mezzogiorno. Poi mi è servito il pranzo e dopo, in alcuni giorni, devo incontrare il popolo oppure presiedere qualche riunione, se no posso dedicarmi alla lettura nella mia biblioteca, poi…-
- Insomma una noia-
Sbottai io, avendo capito il perché del suo distacco con il mondo reale.
- Sì, un po’-
Ammise lui ridendo, allora mi parve proprio un bambino. Quel sorriso così candido, mi fece ricordare la sua reale età. 
- Almeno fino alla morte del re era così-
Spiegò, tornando serio.
- Poi tutto è diventato più complicato. Il regno si è diviso ed io mi sono ritrovato improvvisamente a capo di migliaia di soldati-
- E amici?-
Chiesi, cogliendolo alla sprovvista.
- Di amici ne hai?-
- Dipende cosa si intende per amici. I miei servitori…-
- No, non i servitori-
Lo interruppi.
- Intendo qualche amico reale, che non sia costretto a sorriderti solo perché tu sei il padrone-
- Beh, con uno dei miei servitori ho un rapporto molto vero. Lui può dirmi quello che pensa senza timore e, ogni tanto, scherziamo pure…-
Io sospirai ma il ragazzo era serio davvero.
- Ho capito, sei senza amici-
Rimase in silenzio per qualche istante. Forse stava scandagliando tutte le persone che vivevano a corte.
- Ho una seconda mamma-
Rivelò, se pur con qualche indecisione.
- Una seconda mamma?-
- Sì, nel senso che per me è come una mamma. E’ un’amica. Mi è sempre stata vicina, si è presa cura di me e ultimamente il regno non si reggerebbe in piedi senza di lei. E’ la colonna portante del mio palazzo-
- Sembrerebbe molto importante-
- Lo è-
Rispose candidamente il demone, sorridendo. 
- E adesso questa seconda mamma, dov’è?-
- Al castello. Te l’ho detto, è tipo il mio comandante in seconda. Quando non ci sono io, si occupa lei del regno-
- E non è preoccupata?-
Il ragazzo abbozzò un sorriso.
- E’ abituata a me. Lo sa che ogni tanto prendo e sparisco. Posso tornare il giorno dopo come mesi più tardi-
- Ma un principe non dovrebbe stare a governare invece che vagabondare per il mondo?-
- No! Sono in missione io!-
Spiegò ridendo ed io non riuscì a non imitarlo.
- Lei sa che sono in missione segreta! Aggiungerei pure importantissima!-
Risi più fragorosamente, non potendo assolutamente a trattenermi.
- Giusto!-
Sbottai.
- Perché io sono il tuo asso nella manica!-
Lui annuì ed entrambi continuammo a ridere.

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Capitolo 13
*** La scelta sbagliata ***


La settimana di cui disponevo, stava volgendo al termine. Passò in fretta, più di quanto avessi potuto immaginare. Eravamo ad un passo dalla capitale e Nolan mi aveva insegnato moltissimo, rendendomi più forte e sicura di me stessa. Finalmente conoscevo qualche trucchetto che, in battaglia, probabilmente avrebbe fatto la differenza fra la vita e la morte.
Negli ultimi giorni Nolan non mi infastidiva più come prima, riuscivo a tollerare meglio il suo carattere, i suoi difetti. Non lo trovavo più così petulante e pedante, bensì mi faceva ridere.
Mi raccontava spesso della sua infanzia, di come lui e Medardo facessero continuamente scherzi ad Abrahel. Si coalizzavano nonostante fra loro vi fossero ben tredici anni di differenza e, insieme, prendevano di mira il secondogenito per pura vendetta. Abrahel aveva sette anni in più di Nolan e aveva tentato di ucciderlo per la prima volta a undici anni, quando il fratellastro ne aveva solo quattro. Da allora non aveva mai smesso, con l’aiuto e il supporto del padre.
Purtroppo non riuscirono mai a provarlo, né ad allontanare Abrahel dal castello.
Così, non appena ne avevano l’occasione, lui e Medardo punzecchiavano il fratello in ogni modo. Risi quando mi raccontò ciò che gli mettevano nel letto di nascosto o nel cibo.
Lo scherzo più innocuo erano rane parlanti fra le lenzuola, che lo chiamavano per nome invece di gracidare. Il resto erano vere e proprie diavolerie. Spesso gli rifilavano oggetti stregati e maledetti, che provocavano effetti come perdere i capelli o tramutare la pelle in colore verde. Incantavano i suoi abiti così da farli cadere al momento opportuno, solitamente davanti a qualche dignitario straniero. Lo spedivano nella foresta dietro al castello con qualche scusa per poi modificare il sentiero così da farlo perdere. Una volta rimase intrappolato a vagare fra gli alberi per cinque giorni.
Gli rendevano la vita un inferno, rinnovando puntualmente la richiesta di confessare alla nobiltà che il re stava attentando alla vita del figliastro.
Ovviamente lui negava e tutto tornava come al solito, almeno fino a che Medardo non fu misteriosamente ucciso. Dopo la sua morte ogni cosa perse incredibilmente senso, Nolan si ritrovò improvvisamente solo e costretto a difendersi con le sue sole forze.
Ascoltavo sempre con interesse, cercando di immaginarmi il primogenito ancora in vita intento a giocare con il fratello acquisito, donandogli almeno lui un po’ di felicità.
Sospiravo, invidiando una figura del genere accanto a me.
- C’è solo una matrimoniale-
- Come?-
Domandai rinsavendo. La receptionist dall’altra parte del back office mi stava fissando, le sue ali brillavano illuminando tutta la portineria dell’albergo. Con un quaderno delle prenotazioni in mano stava aspettando la nostra risposta, scusandosi di essere al completo.
- Che facciamo? La prendiamo?-
Non potei ribellarmi, era l’ultimo hotel rimasto con ancora una camera disponibile. In estate il Regno delle Fate si popolava di turisti e, senza una prenotazione, rischiavamo di passare la notte in strada.
Acconsentì, nonostante non scoppiassi di gioia nel dover condividere il letto con lui.
Nolan, al contrario, aveva uno strano sorriso stampato in volto.
- Non ci provare-
Affermai irremovibile una volta in camera.
- Tu dormi sul pavimento-
- I soldi sono miei, la camera l’ho pagata io. Quindi sul letto ci dormo io-
Io urlai che se fossi stata una principessa anche io avrei pagato tutti i conti, andandomene in giro con le tasche piene di monete d’oro. Lui replicò dicendo che, se non mi andava bene, potevo anche disdire la prenotazione e accamparci in un bosco. Io tacqui sapendo bene che, se fosse stato per lui, avremmo dormito tutte le notti sul terriccio freddo. Era un principe viziato ma era anche tremendamente abituato ad accamparsi dovunque gli capitasse.
Sospirai, tentando di farmene una ragione. Fino ad allora ci era capitato di dormire nella stessa stanza, se pur in letti separati.
Mi diressi alla finestra, scrutando il cielo uggioso attraverso le nuvole che lo ricoprivano.
Forse presto avrebbe piovuto.
- Dov’è finita la galanteria?-
Domandai rassegnata, incrociando le braccia. Mancava un giorno al termine della settimana, dopodiché sarebbe accaduto qualcosa che mi avrebbe cambiato la vita per sempre. Stavo aspettando l’ultimo corvo, l’ultimo messaggio prima del grande momento. Strinsi istintivamente la catenina che custodivo nei pantaloni, sperando che Nolan non fosse lì quando il pennuto sarebbe arrivato.
- Io non mi muovo da qui!-
Affermò sfidandomi. Si tolse la maglietta e la gettò sul letto, proclamandolo così di sua proprietà.
Sobbalzai, cercando di non guardare. Quando voleva sapeva essere estremamente fastidioso e capriccioso, talvolta non dimostrava neanche sedici anni. I demoni crescevano più velocemente rispetto agli umani, eppure lui continuava a ricordarmi un bambino bizzoso.
Il principe Abrahel alla sua età era già molto più maturo. Ricordo che durante la prima guerra contro le streghe aveva comandato personalmente vari eserciti, con grande destrezza e astuzia. Anche nel secondo conflitto si era distinto, nonostante poi il suo regno avesse perso.
Nolan al contrario non riuscivo ad immaginarlo a capo di migliaia di soldati, forse neanche se lo avessi visto ci avrei creduto.
- Puoi dormire sulla poltrona-
- Come?-
Domandai, rinsavendo.
- Se non vuoi dormire sul letto con me, c’è la poltrona-
Lo ignorai, non avendo voglia di scherzare. Senza rispondergli, uscì sulla piccola terrazza della camera d’albergo. Presi una bella boccata d’aria, socchiudendo gli occhi.
Ero terrorizzata per quello che stava per accadere.
Alzai lo sguardo, notando che sopra di noi vi era solo il tetto. Avevamo preso una stanza all’ultimo piano, a detta della receptionist, con una splendida vista sulla città. Trascurai l’insulso panorama, concentrandomi piuttosto sulla grondaia sopra la mia testa. La raggiunsi con agilità, saltando dapprima sulla balaustra del balcone. Balzai sulle tegole del tetto in un attimo, udendo le risate di Nolan dall’interno della stanza.
- Gatto!-
Mi urlò, continuando a ridere. Non gli risposi, sedendomi sulla cima del tetto.
Maledetto gufo.
 
Rimasi lassù per un po’, perdendo la cognizione del tempo. Ogni tanto percepivo del movimento dalla camera sotto di me, ma non me ne interessavo. La porta si apriva e si chiudeva, Nolan continuava ad uscire ed entrare e non capivo cosa cavolo stesse facendo. 
Tuttavia non mi sembrava importante, piuttosto continuavo ad arrovellarmi sulla decisione che avevo preso dieci giorni prima. Ci stavo ripensando, anche se il mittente dei corvi non ne sarebbe stato per niente lieto. Sospirai, osservando il cielo grigio. Pareva riflettere il mio stato d’animo.
In quella cupezza, cercai di vincere la battaglia fra cuore e ragione che si stava svolgendo dentro di me. Sarei stata una stupida a sprecare una simile opportunità, eppure sentivo che non sarei stata in grado di accettarne le conseguenze. Stavo socchiudendo gli occhi, quando udì un corvo gracchiare.
Mi alzai di soprassalto, scivolando dalle tegole e finendo quasi nel vuoto.
L’animale mi stava fissando dalla punta del comignolo dietro di me, con un messaggio attaccato alla zampa. Tentai di raggiungerlo in fretta, con le mani e le gambe che mi tremavano. Gracchiò nuovamente, incitandomi a prendere il piccolo foglietto. I suoi piccoli occhi mi scrutavano, mettendomi soggezione. Aveva degli ordini ben precisi: consegnare la missiva nel più breve tempo possibile e sparire non appena l’avessi letta.
Con il cuore in gola afferrai il biglietto, leggendone preoccupata il contenuto.
- Stanotte a mezzanotte-
Lessi ad alta voce. Percepì una fitta allo stomaco, la testa iniziò a scoppiarmi. 
Strinsi il messaggio, immobile, per qualche secondo. Lo rilessi una e più volte, desiderando esserne sicura. Aveva anticipato l’appuntamento, stringendo i tempi. Non avevo più ventiquattro ore per decidere, bensì fino alla mezzanotte.
- Victoria cosa vuoi mangiare stase…-
Nolan balzò sul tetto, raggiungendomi e beccandoci in flagrante. Si bloccò, scorgendo la figura del corvo scappare via, fuggendo più velocemente che poteva. Il suo sorriso scomparve, notando che avevo appena nascosto qualcosa dietro la schiena.
- Che sta succedendo?-
Domandò, incredulo.
- Di-Di cosa stai parlando?-
- Ma del corvo Victoria! Di chi era quel corvo?!-
- Corvo? Quale corvo?-
Borbottai, tentando miseramente di fare la finta tonta.
Il demone si diresse velocemente verso di me, spaventandomi. Strinsi forte il piccolo foglietto dietro la mia schiena, avvolgendolo nel calore delle mie mani. Mi concentrai come mi aveva insegnato, carbonizzandolo prima ancora che Nolan potesse prenderlo.
- Cosa stai architettando?-
Chiese furioso, trovando solo cenere e polvere fra le mie mani.
- Chi altro sa che siamo qui?-
- Io non…-
Mi afferrò per le spalle, fissandomi dritto negli occhi.
- Quello era un corvo dal mio regno, non è così?-
Proferì stringendomi forte, talmente forte da farmi male.
- Dimmi cosa c’era scritto-
Continuai a tacere, facendolo arrabbiare sempre di più. Nei suoi occhi scorsi una luce rossa e cercai di indietreggiare, di liberarmi. Nolan mi tenne ben salda, iniziando a scrollarmi pretendendo una risposta. Avvalendomi del mio potere più forte, lo allontanai con tutta la forza che possedevo in corpo. Applicai su di lui il controllo del sangue, immobilizzandolo ad un metro da me.
- Io non ti devo nessuna spiegazione!-
Presi ad urlare con la mano destra protesa verso di lui, verso il suo corpo ora sotto il mio potere.
- Non ti ho mai detto che ti avrei aiutato! Io non ti ho promesso niente! Ti avevo detto di andartene!-
- Liberami-
Ringhiò il demone, fremendo e cercando di contestare la mia magia in tutti i modi.
Le sue iridi dorate si macchiarono di sangue, divenendo completamente vermiglie. La sua forza aumentò vertiginosamente, impedendomi di mantenere il controllo sulla sua vita.
Indietreggiai spaventata, il dominio su di lui mi stava sfuggendo dalle mani, il mio incantesimo improvvisamente non era più abbastanza potente. Tentai di mantenere il controllo, sforzandomi fino all’inverosimile.
Nonostante tutto, Nolan riuscì ad avanzare di un passo verso di me, liberando prima la mano destra poi la sinistra sino a fare un altro passo. Esausta, ritirai l’incantesimo, arrendendomi ed indietreggiando innanzi a lui. Mi raggiunse in fretta, ponendomi una mano sul collo e stringendola fino a farmi mancare il fiato.
- Dovrei ucciderti-
Sussurrò la creatura, fissandomi con gli occhi completamente rossi.
- Sei un pericolo per me e dovrei ucciderti-
Continuò.
- Tutti mi hanno pregato di ucciderti, tutti. Ma io non li ho ascoltati e sono rimasto a proteggerti-
Presi a tremare, rinunciando a liberarmi dalla sua stretta. Le sue mani non si muovevano di un millimetro, soffocandomi. Stette a guardarmi a lungo, per un tempo che a me parve interminabile. Non tentai di replicare, né di mentire. Probabilmente aveva capito cosa intendessi fare e non lo biasimavo di volermi uccidere, anch’io avrei fatto lo stesso.
Eppure il suo sguardo mutò, i suoi occhi tornarono color oro e la sua mano mi lasciò andare.
Caddi a terra sulle tegole del tetto, tossendo terribilmente. Non mi aveva uccisa.
Con una mano stretta alla gola dolente, lo fissai incredula dal basso verso l’altro, incrociando il suo sguardo severo.
- Spero che tu farai lo stesso-
Con queste parole se ne andò, saltando giù dal tetto.
Raggiunsi la grondaia velocemente, per controllare che non si fosse spiaccicato al suolo. Guardai a lungo ma di lui nessuna traccia, era svanito.
 
Non attesi tranquillamente la mezzanotte.
Stetti in strada per tutto il tempo, circondata da quelle irritanti creature fatate. Camminai per ore senza accorgermene, indossando la collana che mi era stata recapitata. Mi persi nelle strade della cittadina, senza osservare realmente le sue meraviglie. Procedevo assorta nei pensieri, smarrita in un altro mondo. Continuavo a rivedere i suoi occhi, così delusi e pieni di rabbia. Non gli avevo mai promesso niente ma lo avevo tradito nel momento in cui avevo ricevuto quei corvi, nel momento che avevo stretto quell’accordo. Adesso volevo tornare indietro, se pur fossi certa che questo non sarebbe bastato a sopire i miei sensi di colpa. Strinsi il marchio, chiedendomi perché mai mi interessasse così tanto. Aveva progettato di uccidermi già prima di conoscermi, mi aveva ingannata per usare i miei poteri, aveva cercato di sacrificarmi in chissà quale esperimento eppure ero io quella che provava rimorsi. Lui sembrava convivere bene con i propri sensi di colpa, divertendosi e giocando continuamente. Inizialmente mi convinci che non avevo motivo per tormentarmi, non avevo fatto niente che lui non avesse fatto per primo. 
Iniziò a piovere e, ad un quarto d’ora dalla mezzanotte, mi diressi nel parco, desertico a causa del brutto tempo. Mi sdraiai su una panchina, nel centro della boscaglia, aspettando.
L’ansia mi divorava, mentre la pioggia cadeva su di me.
Non cercai un riparo, stetti immobile a fissare le gocce d’acqua intente a rigarmi il volto.
Piena di dubbi, strinsi forte il marchio impresso sul polso. Improvvisamente, fissando il cielo scuro pieno di nubi cariche di pioggia, capì. In quegli ultimi minuti ripensai all’ultima settimana trascorsa insieme, alle sue parole, ai suoi occhi. Nonostante tutto quello che mi avesse fatto, avevo preso la mia decisione. Sospirai, desiderando ardentemente che non fosse quella sbagliata. 
La mezzanotte scoccò e il campanile della città diramò la notizia. I rintocchi mi raggiunsero anche all’interno del parco, facendomi stringere il cuore. Già al primo rintocco la catena d’argento che indossavano iniziò a brillare, avvolgendomi lentamente in una fredda luce oscura.
Chiusi gli occhi, ascoltando le campane, rintocco dopo rintocco. Ne contai undici, poi non riuscì più ad udire il dodicesimo.
Quando riaprì gli occhi, la pioggia non stava più cadendo su di me. Le gocce che avevo intravisto ad un palmo dal naso, non mi raggiunsero.
Non mi trovavo più all’interno del parco, né nel Regno delle Fate.
Scrutai l’alto soffitto sopra di me, scorgendo le sue pietre oscure illuminate a malapena.
Adesso ero nel Regno dei Demoni.
- Ben arrivata-
Venni accolta non appena rinvenni sul freddo pavimento del castello, bagnata fradicia.
Mi alzai portandomi dapprima a sedere, fissando la figura del mio ospite.
- Una settima?!-
Rimproverai furiosa, sistemandomi i capelli bagnati.
- Davvero Abrahel? Una settimana?!-
Mi alzai, strappandomi la collana dal collo e gettandola sul pavimento. Con i vestiti gocciolanti, avanzai minacciosamente verso l’ultimogenito del Re dei Demoni, al quanto sorpreso.
- Qualcosa non va?-
- Mi hai lasciato ad aspettare una settimana-
Continuai, puntando il dito verso la figura asciutta e ben elegante del demone.
- Hai rovinato tutto-
- Perdonami-
Rispose la creatura, inchinandosi al mio cospetto.
- Sono stato molto indaffarato-
- Sei uno stupido-
Sbottai, allontanandomi da lui ed iniziando a camminare per la grande stanza in cui mi ero svegliata. Era la prima volta che mettevo piede nel palazzo reale di un demone. Lo trovavo maestoso e possente ma anche piuttosto lugubre.
- Siamo stati forse scoperti?-
- Non te lo ha detto il tuo corvo?-
Arraffai una brocca d’acqua da un tavolo e ne versai un po’ in un calice di argento. Bevvi, attendendo che la creatura rispondesse.
- Mi ha accennato qualcosa-
- Non è solo questo-
Proseguì, posando il pesante bicchiere.
- Mi hai lasciato troppo ad aspettare e adesso ho cambiato idea-
Calò il silenzio intorno a noi, prima che un sorriso isterico contornasse il volto del ragazzo.
- Come hai detto scusa? Potresti ripetere?-
- Hai capito bene-
Replicai, incrociando le braccia.
- Non voglio più ucciderlo-
Il silenzio fu agghiacciante. Gli occhi verdi di Abrahel mi stavano trapassando l’anima, mentre io stessa mi domandavo se fossi impazzita. Mi aveva offerto il potere assoluto in cambio della morte del fratello, la vendetta contro il Concilio, gli angeli e Isaac. Nella catapecchia a Roister avevo accettato il suo patto senza pensarci due volte, iniziando le trattative e patteggiando la libertà di poter usare la forza che mi donava come meglio credessi. Adesso gettavo tutto solamente per risparmiargli la vita. Sì, ero impazzita.
- Non puoi tirarti indietro-
- Non voglio tirarmi indietro-
Risposi, avanzando verso il principe.
- Ti aiuterò a distruggere i suoi eserciti, a farti ottenere il trono. Voglio il potere che mi offri ma non voglio ucciderlo. Desidero cambiare i termini del contratto-
Il demone scoppiò a ridere, voltandomi le spalle e portandosi le mani alla testa. Mi ignorò per qualche istante, ridacchiando istericamente e disperandosi allo stesso tempo.
- E’ colpa tua-
Proseguì duramente.
- Se fossi arrivato una settimana fa ti avrei offerto la sua testa su un piatto d’argento-
- Cosa è cambiato allora?!-
Domandò urlando il ragazzo. Sobbalzai, indietreggiando innanzi alla sua imponente figura.
- Come è riuscito a convincerti?!-
Continuò gridando. Furibondo pose una mano sulla spada che portava al fianco, stringendo l’elsa desiderando ardentemente di estrarla.
- Non voglio che muoia-
Riuscì a rispondere solamente, sfidando con lo sguardo il giovane dagli occhi verdi.
Abrahel abbozzò lievemente ad un sorriso, talmente perfido che un brivido mi percorse tutta la schiena.
- Ti sei innamorata-
Sbottò la creatura, facendomi sussultare.
- Ti stai innamorando di lui-
- Figuriamoci-
Ribattei offesa.
- Non sono innamorata. Semplicemente non sono malvagia come te-
A quelle parole il demone rise maggiormente.
- Victoria-
Iniziò dicendo, tornando repentinamente serio.
- Se tu non fossi malvagia, non avresti mai barattato la vita di un’altra persona con il potere-
Tacqui, non avendo argomenti con cui controbattere. Un nodo mi si formò in gola, lasciandomi ammutolita innanzi al suo sguardo inquisitore.
- Ti sei innamorata, nonostante tutto quello che lui ti ha fatto e vuoi sapere perché?-
Mi afferrò il braccio, stringendolo forte se pur la mia temperatura lo ferisse. Incurante del dolore, rigirò il polso mostrandomi il marchio che il fratello mi aveva inferto quasi due mesi prima.
- E’ colpa del suo incantesimo-
Proferì con durezza, congelandomi il cuore. Strattonai il braccio, liberandomi dalla sua presa e allontanandomi da lui di qualche passo.
- No-
Sussurrai con un filo di voce.
- Non è vero-
- Non trovi strano esserti innamorata così in fretta di un demone che voleva ucciderti?-
Incalzò la creatura, avanzando verso di me.
- Come credi che abbia ucciso le altre? Come pensi che le abbia convinte a sacrificarsi per lui?-
Mi strinsi lo stomaco con una mano, ancora una volta discutendo con lui mi saliva la nausea.
- Fa tutto parte dell’incantesimo Victoria. Hai ragione, ho sbagliato ad aspettare. Credevo che tu avessi più tempo, devi ucciderlo prima che la sua magia te lo impedisca-
Indietreggiai ancora, fissando quegli occhi che apparivano così sinceri. Come la scorsa volta, non scorgevo la menzogna nel suo sguardo. Piena di timore, rabbia e delusione, iniziai a credere seriamente che avesse ragione.
- Una settimana?-
Ripeté il demone divertito, senza darmi il tempo di pensare, di riflettere.
- Ti sei innamorata in una settimana? Meno di dieci giorni fa volevi ucciderlo e adesso lo difenderesti a qualsiasi costo? Pensaci, non ti sembra frutto di una magia questa?-
Non risposi, bloccandomi e lasciando che Abrahel mi raggiungesse. Sentivo di dover cadere a terra da un momento all’altro, il cuore mi faceva male come se desiderasse fermarsi. Strinsi i capelli bagnati, cercando di scaricare la tensione che mi attanagliava. Se il principe aveva ragione, la mia capacità di giudizio era compromessa, la simpatia che avevo iniziato a nutrire per lui non era reale. L’affetto che provavo era il sintomo di una malattia che mi scorreva nelle vene.
- Facciamo così, prenditi un’altra settimana-
Sbottò la creatura, accarezzandomi dolcemente una guancia, facendomi alzare lo sguardo sino al suo. I suoi occhi sorridevano, tornati improvvisamente soddisfatti.
- Non voglio costringerti, né che tu creda che io ti stia ingannando-
Continuò allontanandosi da me, lasciandomi lo spazio per respirare.
- Il mio regno resisterà per un’altra settimana. Prenditi tutto il tempo che ti occorre, ci rivediamo fra sette giorni. Sempre che per allora tu sia ancora viva-
Mi volse le spalle, lasciandomi impalata nel bel mezzo della stanza.
- No-
Mormorai, osservando la sua figura dirigersi con sicurezza verso la porta.
- Aspetta-
Abrahel si fermò di colpo, girandosi verso di me per ascoltarmi.
- Non voglio attendere oltre. Voglio farlo subito-
- Lo ucciderai?-
Domandò il principe, raggiungendomi velocemente. Io attesi qualche secondo, poi annuì.
Scorsi un sorriso raggiante sul volto del demone, il suo sguardo si illuminò, prima di tendermi la mano. Avrei dovuto stringerla, convalidare finalmente il patto con lui in cambio di un potere che, a differenza di quello di Nolan, non mi avrebbe sopraffatta e uccisa.
Il marchio sul polso iniziò a bruciare come la prima volta, mentre avanzavo verso di lui.
Ignorai il dolore, decisa ad afferrare la sua mano, se non fosse stato per una voce che mi interruppe.
- Credi a tutto quello che dice?-
Mi volsi di scatto verso la porta della stanza, ritirando il braccio. Nolan ci avevi raggiunti, scrutandoci con disapprovazione appoggiato allo stipite. Fui trafitta dal suo sguardo, così carico d’odio.
Le sue vesti non erano bagnate, a differenza delle mie. Dovunque fosse stato, non era rimasto nel Regno delle Fate dopo la nostra conversazione.
- Non ci credo-
Sussurrò Abrahel, vedendo suo fratello a corte.
- Non è possibile-
Scoppiò a ridere subito dopo, dando il benvenuto anche a lui.
- Che bella sorpresa fratellino, non ti stavo aspettando! Perdonami, non ho preparato niente! Se mi avessi avvertito, avrei costruito io stesso il patibolo della tua esecuzione-
- Non sono qui per te Abrahel-
Rispose il demone, senza scomporsi molto.
- Certo, so per cosa hai sfidato le guardie del mio palazzo. La ricerca del potere fa fare cose pazze, non è vero? Come penetrare da solo in un castello pieno di soldati-
Gli uomini in armatura a servizio di Abrahel comparvero dai corridoi e dalle porte secondarie della sala, circondando Nolan e costringendolo ad avanzare verso di noi. Il ragazzo dagli occhi d’oro sorrise, alzando le braccia in segno di resa e raggiungendoci al centro della stanza.
- Non ti stanchi mai di rubarmi le cose, vero Abrahel?-
- Io non ti sto rubando proprio niente. E’ lei che fra i due ha scelto me-
Nolan si volse verso di me, gettandomi un’altra occhiata colma di rimprovero.
Tentai di affrontare i suoi occhi ma non ne fui capace. Avrei voluto gridargli e urlargli tante di quelle cose che alla fine preferì tacere, priva di ogni forza.
- Puoi biasimarla?-
Domandò candidamente il demone, con la spada stretta al suo fianco.
- Il tuo incantesimo la ucciderebbe, mentre il mio le donerebbe tutto il potere che desidera-
- Non dire sciocchezze-
Replicò il terzo erede al trono divertito, facendomi trasalire.
- Ogni incantesimo di magia nera ha il suo prezzo, un prezzo molto elevato. E quello del tuo giocattolino è toglierle del tutto il libero arbitrio-
Il sorriso sul volto di Abrahel svanì, la sua espressione divenne improvvisamente cupa, infastidita da quelle parole. Alzai lo sguardo sino a quello di Nolan, così deciso e risoluto. Non sembrava aver paura, nonostante avesse decine di lance puntate contro.
- Non glielo hai detto Abrahel? L’effetto collaterale del bracciale maledetto di Samael che stai nascondendo in tasca?-
Il secondogenito della casa reale sobbalzò, indietreggiando di scatto. Strinse rabbiosamente l’elsa della sua spada, digrignando i denti.
- Non sai di cosa stai parlando-
Ribatté, estraendo del tutto la spada.
- Avanti Abrahel, non saremo veramente fratelli ma siamo cresciuti insieme. Ti conosco molto bene-
Proferì Nolan, sorridendo.
- Sono andato a cercarlo-
Raccontò, sfidando gli occhi color smeraldo dell’altro.
- Volevo servirmene, proprio come te-
Confessò.
- Desideravo il potere che il bracciale ha sugli angeli. Il dono di controllare qualunque angelo lo indossi, di dominarlo completamente. Chi non ne sarebbe attratto-
Ammise, fissandomi prepotentemente e senza vergognarsi della sete di potere che lo avrebbe portato ad usarlo anche su di me.
- L’ho cercato-
Proseguì.
- L’ho cercato a lungo nella tesoreria reale. Il cimelio dell’arcangelo oscuro Samael, che distrugge la volontà di chi lo indossa ma incrementa anche a dismisura i suoi poteri. Immagina la mia sorpresa quando ho visto che era stato rubato-
Abrahel digrignò i denti, fremendo letteralmente dalla rabbia.
- Solo che non mi spiego come tu abbia fatto a prenderlo. Chi ti ha aiutato?-
Il padrone del castello non rispose, dando l’ordine di catturare l’intruso. Le guardie armate non persero tempo, abbassando le lance per afferrarlo. Lo tennero ben fermo per le spalle, mentre Abrahel prendeva la mira per staccargli la testa dal collo.
- Ti pentirai di essere venuto qui, da solo-
Nolan non cercò di ribellarsi, né di combattere. Rimase fermo a fissare il demone dagli occhi verdi, bloccato da tre uomini in armatura. Lo fissò intensamente, attendendo semplicemente di essere ucciso.
Nel suo sguardo leggevo la rassegnazione, la consapevolezza di non avere speranze se accettavo l’accordo del suo nemico. Strinsi i pugni, non sopportando il sorriso compiaciuto sul volto di Abrahel, né che pretendesse di uccidere il fratellastro così codardamente.
Le guardie costrinsero il principe ultimogenito ad inginocchiarsi al suolo e, quando la spada del fratello scese verso la sua testa, non potei restare immobile.
Protesi una mano verso Abrahel, applicando il controllo del sangue su di lui. Tentai ciò che non avevo mai tentato prima: controllare qualcuno utilizzando il sangue di un membro appartenente alla sua stessa razza. Padroneggiavo il sangue di Nolan che, per metà, possedeva il tratto genetico dei demoni. Da lì ero risalita ad Abrahel, applicando debolmente il mio incantesimo su di lui. La sua mano prese a tremare, bloccando la lama poco prima che raggiungesse il collo del fratello minore.
Le mie iridi si contornarono di rosso, sforzandomi terribilmente per mantenere l’incantesimo attivo. Non ero in grado di controllare pienamente la vita e il corpo di un qualcuno con una goccia di sangue rubata ad un suo simile, soprattutto se questo era un demone.
- Ma cosa?!-
Bofonchiò Abrahel, constatando di non riuscire a muoversi.
Nolan alzò lentamente il capo, volgendolo verso di me. Il suo sguardo e il suo sorriso mi colpirono, era come se avesse sempre saputo che lo avrei fatto.
- Abrahel-
Pronunciò improvvisamente, ridacchiando.
- Chi ti ha detto che sono venuto da solo?-
I loro occhi si scrutarono per qualche istante, parlandosi tramite quel silenzio colmo di parole.
Osservai i loro sguardi, sbalordita. In un attimo colsi da entrambi la stessa identica luce, lo stesso desiderio di distruggersi a vicenda. Il mio cuore sussultò, Nolan non mi sembrò più un semplice bambino viziato. Era sicuro di sé, spavaldo innanzi alla spada del fratello, mostrandosi una persona totalmente diversa da quella che appariva di solito.
In uno scatto, il demone dagli occhi d’oro si liberò dalla presa delle guardie, prendendo a lottare contro di esse mentre io tenevo bloccato il loro principe.
- Victoria cosa stai facendo?-
Ringhiò Abrahel, voltandosi a fatica verso di me.
- Te l’ho detto, ci ho ripensato-
Affermai decisa, tentando di mantenere il mio delicato incantesimo su di lui il più a lungo possibile.
- Te ne pentirai-
Promise pieno di rabbia, mentre Nolan stava mettendo fuori combattimento da solo decine di guardie. Mi persi un attimo ad osservarlo, completamente allibita. Non lo avevo mai visto lottare e rimanevo sorpresa della sua forza. Non mi stupivo di non essere mai riuscita ad avere la meglio su di lui ed iniziavo a capire perché Abrahel avesse chiesto il mio aiuto per batterlo.
Era letteralmente una forza della natura.
- Lui ti sta usando-
Continuò il demone dagli occhi verdi, facendomi rinsavire.
- Ti sta ingannando, alla fine ti ucciderà-
- Mentre tu volevi tramutarmi solo in una bambolina ubbidiente, vero?-
Il ragazzo tacque, digrignando i denti. Tentò di ribellarsi al mio controllo, iniziando dapprima a muovere il braccio sinistro. Indietreggiai mentre la mia mano iniziava a tremare.
Abrahel era troppo forte e, il mio dominio su di lui, troppo debole per resistere.
- Se non vuoi aiutarmi, non mi servi-
- Stai indietro-
Intimai, sforzandomi per mantenere attivo l’incantesimo. Il suo corpo ebbe un fremito, la spada iniziò a scivolargli dalle dita eppure il demone non appariva preoccupato. Continuava a sorridere, certo che prima o poi si sarebbe liberato e mi avrebbe infilzato come una spiedino. Avrei dovuto ucciderlo finché non poteva muoversi ma distrarmi mi era del tutto impossibile, anche solo per afferrare qualcosa di appuntito. Scorgevo a terra le lance dei soldati caduti, battuti da Nolan.
Anche Abrahel le fissò, divertito del fatto che non riuscissi a raggiungerle.
Immobile, bloccata davanti a lui, dal braccio il tremore passò a tutto il corpo. Le gambe mi sorreggevano a malapena e la testa sembrava dovermi esplodere.
Avevo imparato ad applicare il mio potere sui demoni solo una settimana prima, pretendere di uccidere il secondogenito dei Lancaster, senza neanche possedere direttamente il suo sangue, era una pazzia.
- Che strazio non essere abbastanza forte, non è vero?-
Sbottò il demone, sorridendo.
- Con il bracciale di Samael saresti riuscita ad uccidermi in un baleno-
Prese a ridere fragorosamente, ricordandomi ciò che sapevo già. Ero debole.
Non riuscivo a visualizzare la sua vita, il sangue che gli scorreva nelle vene né il cuore che avrei desiderato tanto fermare.
Il principe del castello, sempre più vicino a liberarsi, riuscì ad estrarre l’oggetto maledetto dalla sua tasca, mostrandomelo. Sembrava un semplice bracciale di bronzo, molto antico e pieno di gemme dalla luce spenta e fioca a causa degli anni.  
- Peccato che tu non lo voglia-
Continuò.
- Avresti potuto uccidere quel ragazzo di cui mi hai parlato. Quello di nome Isaac, che ti ha privato di qualcosa di talmente importante da indurti ad accettare il mio accordo-
Mi venne da sorridere mentre il demone continuava a parlare tentando di convincermi.
- Sbagli a fidarti delle parole del mezzo diavolo. Questo bracciale non…-
- Oh, stai zitto-
Sbottai scocciata, intenta a concentrarmi sul mio controllo del sangue.
- Conosco bene Samael-
Svelai.
- L’ho incontrato-
Raccontai, facendo sgranare appena gli occhi di Abrahel dalla sorpresa.
- Non mi fido di Nolan-
Affermai con sicurezza.
- Però so che ha ragione. Il bracciale annulla la volontà degli angeli. Tu volevi solo ingannarmi Abrahel-
Il demone iniziò a stridere i denti, ad avvicinarsi lentamente e faticosamente a me combattendo il mio incantesimo. Con il volto paonazzo dalla rabbia, continuò a stringere forte il cimelio dell’arcangelo.
- Se non ti fidi di lui, perché mi impedisci di ucciderlo?-
Domandò, cambiando momentaneamente discorso. Io alzai le spalle.
 - Perché fra i due, tu sei quello che mi sta più antipatico-
Abrahel tacque, scrutandomi divertito. Solo allora fece un cenno a qualcuno dietro le mie spalle, qualcuno che non perse tempo ad attaccarmi e a farmi perdere il controllo su di lui. I soldati di Abrahel mi piombarono addosso, costringendomi a spostarmi e a schivare le loro armi. Con il mio incantesimo ormai spezzato, arraffai in fretta una lancia dal pavimento, rispondendo goffamente agli attacchi delle guardie.
- Sarebbe un peccato perdere una così cara risorsa-
Affermò malinconicamente il principe, gustandosi lo spettacolo. Lo ignorai, cercando piuttosto di mantenere la testa attaccata al collo. Nolan, in fondo alla stanza, aveva quasi sterminato tutte le guardie accorse in difesa del loro padrone, mentre io ero in seria difficoltà con soli cinque di loro.
Mi colpirono di striscio varie volte, graffiandomi sia le braccia che le gambe. A stento riuscì a schivare le loro armi, non riuscendo comunque ad attaccare efficacemente.
In quel momento, ripensai alle parole del demone dagli occhi d’oro.
Dopo una sola settimana di allenamenti non sapevo ancora difendermi, come al solito ero stata troppo arrogante. Innanzi al nemico scordai ogni cosa, qualsiasi tecnica che mi era stata insegnata.
- Ora basta-
Proclamò stanco Abrahel, prendendomi alla spalle.
- Sono stufo di giocare-
Mi puntò la spada alla gola, immobilizzandomi. Velocemente, mi infilò il bracciale di Samael al polso. Il gioiello si attivò, riconoscendo il mio sangue di angelo. Si illuminò attirando l’attenzione di Nolan in fondo alla stanza.
- No-
Gridò, arrestandosi circondato dalle guardie. Mi fissò terrorizzato, nei suoi occhi scorsi qualcosa spezzarsi. Non lessi il timore di aver perso una risorsa, bensì il dolore di aver perso una persona cara.
- Victoria!!-

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Capitolo 14
*** Il sapore delle tenebre ***


 
Abrahel prese a ridere, Nolan ad urlare.
Io rimasi immobile, circondata dalla luce del bracciale che mi aveva avvolto.
Mi stava scrutando, la sua maledizione mi stava cercando. Si insinuava nel mio corpo, nel mio sangue. Come un virus desiderava uccidere le mie difese, come un dono ambiva ad aumentare i miei poteri a dismisura.
Non accadde niente di tutto questo.
La maledizione si arrestò, la luce scomparve assieme alle risate di Abrahel e alle grida di Nolan.
Io fissai tutti i presenti, un po’ imbarazzata. Un silenzio agghiacciante era caduto nella stanza, tutti mi stavano scrutando aspettandosi qualcosa che non avvenne.
- Victoria?-
Chiamò Nolan, con un filo di voce. I suoi occhi esaminavano i miei, cercando di capire se qualcosa di me se ne fosse andato.
Mi schiarì la gola, prima di parlare.
- Samael…-
Pronunciai, non sapendo bene se dover dirigere il mio sguardo su Nolan o su Abrahel. Il primo mi stava fissando con il volto pallido, invecchiato di un decennio. Il secondo era diventato viola dalla rabbia, dallo sgomento di un piano fallito.
- Samael è il fratello di mia madre-
Spiegai.
- La maledizione non funziona sul suo stesso sangue-
Entrambi i principi stavano per svenire, uno dalla delusione l’altro per il sollievo.
Mi tolsi l’innocuo bracciale di mio zio, ricordando perfettamente quando da bambina lo avevo incontrato. Si trattava dell’unico angelo che non odiassi, l’unico che aveva dimostrato la sua affezione per me. Si era battuto per difendere mia madre due decadi prima ma, data la sua posizione sfavorevole nella congrega celeste, nessuno aveva udito le sue parole. Macchiatosi di oscurità e legato a Lucifero prima della caduta, Samael aveva perso ogni diritto di essere ascoltato.
Agli albori del mondo, non si era mai sbilanciato durante la grande battaglia fra i seguaci di Lucifero e quelli di Dio. Era rimasto neutrale, fedele al suo giuramento celeste, per questo non era stato spedito negli Inferi. Tuttavia la sua amicizia e familiarità con l’arcangelo Lucifero gli aveva costato molto. Nonostante possedesse ancora ali bianche, i suoi poteri e i suoi oggetti erano maledetti. Divenne a tutti gli effetti un demone, un angelo oscuro. Il suo nome acquisì il significato di “veleno di Dio” e venne condannato ad essere il giustiziere del creatore. La mano destra di Dio.
- No!-
Gridò Abrahel, interdetto.
- Ha detto che avrebbe funzionato-
Borbottò, ormai fuori di sé dalla rabbia.
- Ha detto che avrebbe funzionato!!-
- Desolata-
Proferì togliendo il grande bracciale di bronzo.
- E’ la regola. Le maledizioni non funzionano sullo stesso sangue, non hai studiato i principi fondamentali?-
Il padrone del castello esplose, la sua furia collassò in grida che ordinavano alle guardie di finirci.
Si avventarono di nuovo su Nolan e su di me mentre Abrahel mugugnava che non avevamo più ragione di rimanere in vita. Persa ogni speranza di utilizzarmi, entrambi eravamo ormai inutili.
Riprese da terra il bracciale, con rabbia e delusione. Lasciò che i suoi soldati giocassero un po’ con me, sfiancandomi e ferendomi con le lance. Quando fu soddisfatto si fece largo fra loro con la spada alzata, proclamando che mi avrebbe uccisa di persona.
- Complimenti ragazza-
Eruppe il demone mentre io ero immobile, ansimante dalla fatica, bloccata da un cerchio di lame appuntite.
- Sei la persona che trovo più irritante dopo mio “fratello”-
Ammise con un sorriso isterico. Tentai di indietreggiare ma percepì sulla schiena la punte delle spade nemiche. Non avevo scampo.
- Sarebbe divertente continuare a chiacchierare con voi, ma non posso certo dedicarvi tutta la notte-
La punta della sua spada mi toccò la gola. Alzai il mento, bloccata davanti ai suoi occhi verdi.
Mi avrebbe tagliato la carotide e sarebbe finita lì, in un lugubre castello da qualche parte nel Regno dei Demoni. Solamente tre mesi prima non ci avrei mai creduto.
Nolan fiutò il pericolo e si arrestò, voltandosi verso di me dando le spalle ai soldati.
Si distrasse e uno di questi lo colpì alla schiena, trapassandogli la spalla sinistra con la lancia.
- No!-
Urlai istintivamente, facendo un sussulto che mi provocò un’incisione alla gola. Una riga di sangue scese lungo il collo sino al petto mentre la figura di Nolan si accasciava a terra.
Abrahel si volse verso il fratello, osservandolo soddisfatto. Abbassò la spada per un attimo, scoppiando a ridere e complimentandosi con i suoi uomini. Avevano ucciso il mezzo diavolo.
 
Cercai di liberarmi per correre verso di lui ma il demone dagli occhi verdi me lo impedì. Mi tenne bloccata, intrappolandomi con la spada e ridacchiando come a suo solito.
Mi raggiunse alle spalle, intimando ai soldati di spostarsi. Imprigionandomi nella morsa del suo abbraccio, mi pose la lama sulla gola trasversalmente. Tornò a premere forte, fino a graffiarmela ulteriormente. Il sangue prese a scorrere sulla spada elegante del principe, sempre più divertito. Entrambi osservammo Nolan a pochi metri da noi, steso al suolo circondato dalle guardie. Non si stava rialzando.
- Ti ringrazio per averlo portato qui da me-
Mi sussurrò all’orecchio, mentre un secondo soldato si stava per abbattere sul fratello.
- Non avrebbe mai fatto qualcosa di così avventato, se non fosse stato per te-
Stetti ferma a fissare la lancia nemica scendere sul corpo del demone, con il cuore che stava per esplodere dal dolore. Percepivo il sangue ribollirmi nelle vene, lo stomaco contorcersi dalla rabbia, la testa schiacciata in una morsa. Strinsi i pugni furiosa, chiudendo gli occhi che avevano iniziato a bruciarmi. La lama di Abrahel, a contatto con la mia gola, con il mio sangue, divenne incandescente.
- Fermo!!-
Urlai con tutto il fiato che avevo in corpo, con tutto il desiderio di salvarlo, di fare qualcosa.
Aprì gli occhi un attimo dopo, quando mi accorsi di non udire alcun rumore. Scorsi la figura della guardia tremare, ferma con la spada appena sopra la testa di Nolan. Tutti i soldai ancora in piedi, attorno al ragazzo dagli occhi d’oro, erano immobilizzati. Si fissavano l’un l’altro domandandosi cosa stesse succedendo, spaventati di non riuscire a muovere neanche un muscolo.
Nolan si rialzò lentamente in piedi, approfittandone. Vacillò, tenendosi stretto la spalla sanguinante, fissandomi incuriosito.
- Victoria, come hai fatto?-
Mi accorsi allora di avere la mano destra protesa verso di lui, verso il gruppo di soldati improvvisamente immobilizzati. Il pugno chiuso, intento a racchiudere la vita e i movimenti di decine di demoni nello stesso momento. Quando me ne resi conto, l’incantesimo si dissolse, lasciando le guardie libere di attaccarci. Nolan sfruttò il vantaggio, scomparendo e apparendo di fianco a me, dall’altro lato della stanza. Colpì Abrahel con un pugno in pieno volto, cogliendolo di sorpresa e liberandomi dalla sua spada. Scattai verso di lui mentre le guardie del palazzo ci circondarono nuovamente, imprigionandoci in un anello di lance e ferro che non ci davano molte speranze. Nolan mi tenne stretta a sé, mentre i suoi vestiti si macchiavano velocemente di sangue. Scorsi una macchia anche dal fianco sinistro, dove Moloch l’aveva colpito. I punti dovevano essersi aperti, di nuovo.
- Bravi-
Bofonchiò Abrahel oltre i soldati intenti a circondarci, ridacchiando e massaggiandosi la mascella.
- Bravi davvero. Peccato che non uscirete mai vivi da qui-
A terra, vicino a noi, scorsi la collana d’argento che avevo gettato poco prima. Era finita sotto ad un piccolo mobile, a qualche passo da noi oltre i piedi delle guardie.
- Nolan-
Sussurrai, tenendomi stretta la ferita sul collo ancora sanguinante.
- Com’era il contro incantesimo?-
- Cosa?-
- Me lo hai spiegato l’altro giorno. Come si fa un contro incantesimo su un oggetto magico?-
Il demone rifletté qualche istante.
- Facile. Si pronuncia “ counterspell” e poi lo si distrugge. Perché?-
- Ce la fai ad aprirmi un varco in quella direzione?-
Il ragazzo fissò le enormi guardie in armatura prima di annuire.
- C-Credo di sì-
- Bene. Tu fallo, al resto ci penso io-

Scattammo contemporaneamente verso il lato sinistro della schiera di guardie. A pugni e a calci, Nolan riuscì ad aprirmi un piccolo passaggio verso il mobile in legno. Tenne occupati i demoni, mentre io mi gettai a terra schivando i soldati e le loro lance, fino a raggiungere il pendaglio d’argento. Lo afferrai in fretta, sotto gli occhi attoniti di Abrahel. Senza perdere tempo pronunciai le parole magiche, afferrando Nolan per l’angolo dei pantaloni mentre schiacciavo violentemente la collana sul pavimento, rompendone il ciondolo. 

Quando riaprimmo gli occhi notammo di essere a terra, sotto la pioggia.
L’orologio della città scoccò la nuova ora. 
Un solo rintocco dopo la mezzanotte.
Era passata un’ora da quando avevo lasciato il parco in cui ero rinvenuta. 
Mi posi a sedere sotto la pioggia battente, circondata dal fango e dalla melma. Cercai di ripulirmi i vestiti, volgendomi leggermente verso il demone steso accanto a me.
- Nolan? Tutto bene?-
- Sto bene. Sto bene-
Rispose con una mano sul petto, tardando a rialzarsi. Rimase immobile al suolo, parecchio affaticato. Io mi alzai immediatamente, scorgendo la panchina di fianco a noi da cui ero partita. La catenina ci aveva riportato indietro, nel punto esatto in cui aveva aperto il varco per il Regno dei Demoni la prima volta. Una volta distrutta, il varco era chiuso e Abrahel non avrebbe potuto raggiungerci tramite esso.
- Avanti Nolan, alzati-
Pronunciai all’interno del parco deserto, bagnata dalla pioggia incessante. Cercai di ricordarmi la strada per tornare in città, analizzando ogni sentiero. Avvolti semplicemente dalla fioca luce dei lampioni, avremmo dovuto percorrerne uno verso nord, sperando che fosse quello giusto. Avanzai di un passo, quando mi accorsi che il ragazzo non mi stava rispondendo. Mi girai di scatto verso di lui, notandolo incosciente al suolo. Lo raggiunsi, osservando attentamente la sua figura sanguinante e bagnata fradicia. Lo strattonai per qualche tempo, chiamandolo con forza, prima di capire che avrei dovuto trascinarlo sino in albergo.
Lo trasportai lentamente fuori dal parco, utilizzando tutta la forza che avevo in corpo. Attraversammo la cittadina deserta, passando fra enormi pozzanghere in cui il demone mi cadde accidentalmente. Neanche allora si svegliò, nemmeno quando lo gettai di peso nell’ascensore dell’hotel. Per entrarvi, dovemmo attendere prima che la portineria dell’albergo si svuotasse, per poi passare e gocciolare sangue per tutta la hall. Non si svegliò neanche ad aspettare fuori, sotto le luci e i rumori dei fulmini. Una volta in camera lo riposi sul letto, stracciandogli le vesti per osservare meglio le ferite. Aveva perso molto sangue, i punti sul fianco erano saltati ma a preoccuparmi era lo squarcio sulla spalla. La lancia era passata da parte a parte, ad un palmo dal cuore. Gli posi una mano sulla fronte, costatando quando fosse freddo.
Impotente, tamponai le ferite con qualsiasi cosa trovassi, cercando di tenere fermo il sangue fino a che non coagulasse. Successivamente le fasciai con dei mezzi di fortuna, strappando i lenzuoli e le federe. Smesso di sanguinare, il suo volto rimase comunque pallido e la temperatura terribilmente bassa. Spesi qualche minuto ad osservarlo, domandandomi cosa avessi fatto nel caso fosse morto.
Non sapevo chi contattare, a chi sarebbe potuto interessare. Aveva un intero paese ad ovest che lo stava aspettando ma lui sarebbe morto lontano da casa, senza che nessuno lo sapesse.
Sospirai, sistemandogli i capelli bagnati. Ancora una volta mi rendevo conto di quanto conoscessi così poco di lui. Avrei voluto poter chiedere aiuto a qualcuno, scrollarmi quella terribile responsabilità che, in caso della sua morte, sarebbe ricaduta su di me come una lama sulla mia testa.
Rabbrividì, immaginando a come avrei spiegato ai demoni delle terre occidentali ciò che era successo. Avrei dovuto dire che ad ucciderlo era stato suo fratello, che era andato da solo nel suo castello per colpa mia. Avrebbero capito che mi trovavo lì per tradirlo, per accordarmi con il suo nemico e mettere fine al suo regno. Sospirai, alla fine mi avrebbero di sicuro giustiziata. Le due donne che avevo visto a suo fianco nella sala del trono, avrebbero emesso la sentenza di persona.
Mi posi una mano sugli occhi, cercando di ricordarmi come fossi finita in quella situazione.
Sorrisi istericamente pensando che, ad averlo saputo, quel giorno non avrei cercato di prendere il treno alla stazione. Avrei evitato il demone dagli occhi d’oro in ogni modo e forse, tornando indietro, avrei potuto anche evitare di scappare nel suo regno a quattordici anni.
Tornai a fissarlo, impuntandomi sui suoi capelli fradici. Li asciugai d’istinto, nonostante vi fossero problemi più gravi al momento. Solo toccando nuovamente il suo corpo freddo e costatando che stesse veramente morendo, compresi quanto fossi sciocca. Di certo non avrebbe potuto lamentarsi di un raffreddore, se il cuore si fosse fermato. Gli accarezzai il volto con amarezza, scorgendo le labbra violacee ed i contorni intorno agli occhi terribilmente scuri.
Mi accorsi di non riuscire a respirare dal dolore, ad ogni movimento del torace percepivo un bruciore insopportabile. Distolsi lo sguardo dal suo corpo, non riuscendo più a guardarlo. Iniziai ad osservarmi irrazionalmente intorno, scrutando la camera. Dopo la mia procedura di salvataggio, la stanza era ridotta ad un campo di battaglia. Le tende erano strappate, il letto impregnato di sangue, così come la moquette. Nonostante i miei sforzi Nolan non stava riprendendo conoscenza, lasciandomi sola e spaventata all’interno di quella camera che, improvvisamente, appariva tanto grande. Mi allontanai da lui con la pelle d’oca e le gambe che tremavano, cercando di sistemare ossessivamente qualcosa pur di non pensare, di fare un po’ di ordine inutilmente, mentre il demone giaceva in fin di vita. In quegli attimi riuscì a concentrarmi solamente sul copriletto da buttare, sulle tende stracciate da nascondere e sulle coperte da sostituire. Andai a prenderne delle nuove dall’armadio, passando di fronte ad uno specchio ed osservando per caso la mia figura.
Mi bloccai scioccata. Ero bagnata da capo a piedi, sporca di fango e sangue ovunque.
Allora lasciai cadere i lenzuoli a terra, dirigendomi in bagno per farmi una doccia, scordandomi di Nolan. Mi ripulì da tutte le fatiche, lavando via ogni brutta sensazione provata quella notte. Stetti a lungo sotto l’acqua fredda, tentando di abbassare la temperatura del mio corpo.
Le parole di Abrahel continuavano a risuonarmi nella mente, come tanti piccoli spilli che mi trafiggevano l’anima. Aveva piantato il seme del dubbio dentro di me, ancora una volta.
Fino ad allora aveva avuto ragione, non vedevo il motivo per cui non dovesse averne di nuovo.  
Strinsi forte il marchio del demone sul polso, terrorizzata che potesse aver detto la verità.
Mi portai casualmente le mani al petto, sfiorando la cicatrice che avevo sul cuore. Sussultai, ricordando il motivo per cui mi era stata inferta e per cui la stavo conservando.
Dovevo ricordare di non fidarmi più di qualcuno.
Le lacrime cominciarono a rigarmi il volto, scendendo sino a terra e mischiandosi all’acqua e al sapone. Coperta dal suono della doccia iniziai a singhiozzare, accovacciandomi a terra, con le gambe strette forte al petto. Se aveva ragione quello che provavo, quello che sentivo, era solo l’evolversi del macchinoso piano del principe terzogenito della casa reale.
Desiderai strapparmi via il marchio con la pelle, curiosa di vedere cosa sarebbe accaduto dopo.
Affondai le unghie nel polso, lasciando che delle gocce di sangue fuoriuscissero.
Osservai a lungo lo strano disegno inciso sopra, le due linee e i due punti che rappresentavano la giunzione fra due persone. Maledivo il giorno in cui lo avevo conosciuto, maledivo di essere scappata di casa e di non essermi fatta uccidere subito dal Concilio. Avrei preferito mille volte essere bruciata sul rogo, piuttosto che provare quel dolore che mi stava straziando il cuore.
Uscì dalla doccia con le lacrime agli occhi e il sangue che gocciolava sul pavimento, impregnando il marchio del demone sino a renderlo irriconoscibile. Non cercai di fasciarlo, né di ripulirlo.
Presi il primo telo che trovai, coprendomi e asciugandomi distrattamente. Mi diressi verso il letto, incappando solo allora nel ragazzo dagli occhi d’oro, che avevo abbandonato su di esso.
Il mio cuore sobbalzò, ricordandomi finalmente di lui e di averlo lasciato morente.
Sul ciglio della porta, notai che non si era mosso di un millimetro. Non aveva riaperto gli occhi e il colorito della sua carnagione pareva spegnersi di minuto in minuto. Scattai preoccupata verso di lui, stretta nel ruvido asciugamano d’albergo. Gli posi una mano sul petto, percependo a malapena il flebile movimento del torace. Il respiro si stava indebolendo, i battiti del cuore erano quasi assenti, la vita si stava spegnendo. Improvvisamente ogni insicurezza scomparve, ogni dubbio, ogni paura si assopì. Inconsciamente, desiderai semplicemente salvarlo, incurante se Abrahel avesse ragione o meno.
Mi strinsi vicino a lui, toccandogli nuovamente il torace. Armata di tutta la mia forza, se pur esausta, cercai di applicare ancora una volta in quella giornata il mio incantesimo più forte. Lentamente iniziai ad intravedere la sua vita, la sua debole energia vitale e l’assoggettai a me.
Me ne impadronì non per distruggerla, come di solito accadeva, bensì per salvarla.
Scorsi le particelle di sangue scorrergli lente nelle vene, i battiti stanchi del cuore, il respiro affaticato dei polmoni. Con fermezza ordinai alle molecole di moltiplicarsi, al sangue di ricrearsi e di correre più veloce, di riscaldare il suo corpo. Costrinsi il cuore a continuare a battere, se pur contro la sua volontà. Non mi diedi pace fino a che non tornai a scorgere il colorito sul suo viso, sino a che non tornò a respirare e a muoversi. Ordinai all’intero organismo di non morire, di non lasciarmi sola.
Insistetti fino a che il processo rigenerativo non fu in grado di fare da solo, fino a che Nolan non riaprì gli occhi, facendomi sussultare. Si portò a sedere di scatto sul letto, completamente macchiato di sangue. Fece un bel respiro, restando immobile per qualche istante, prima di ricadere sul cuscino privo di sensi. Rimasi ferma, terrorizzata, per forse un minuto cercando di capire cosa fosse successo. Stretta nel bianco asciugamano, timidamente avanzai una mano verso di lui, prendendo la sua. Il suo corpo era tornato caldo e aveva recuperato buona parte del sangue perduto. Feci un respiro di sollievo, gettandomi sul letto di fianco a lui, esausta ma soddisfatta.
 
Mi svegliai qualche ora dopo, quando percepì qualcuno stringermi la mano. Aprendo gli occhi notai di essere ad un palmo dal suo volto, mentre il ragazzo mi stava abbracciando nel sonno. Mi feci indietro velocemente, forse svegliandolo. Il demone mugolò, schiudendo leggermente gli occhi.
Le sue iridi gialle mi fissarono nelle tenebre per qualche istante, accompagnate dal suono del temporale che infuriava fuori dalla finestra.
- Victoria-
Sussurrò, fissando la mia figura ancora coperta a malapena dall’asciugamano.
- Cosa è successo?-
- Sei quasi morto-
Spiegai, accovacciata dall’altra parte del letto.
- Non sei poi tanto forte-
Il demone sorrise, cercando di portarsi a sedere. Non appena percepì la fitta al petto e al fianco ci rinunciò, ricadendo sul materasso.
- Come mai sono vivo allora?-
- Perché sono stata io a salvarti-
Puntualizzai, sistemando l’asciugamano meglio che potevo.
- Sapevo che non mi avresti lasciato morire-
Proferì il principe, sorridendo.
- Come facevi a saperlo?-
Domandai amaramente, tremando. Strinsi il marchio, ancora sporco di sangue, attendendo che la creatura rispondesse.
- Come?-
- Tu sapevi già che fra te e Abrahel avrei scelto te, vero?-
Continuai a chiedere, impazientemente.
- E’ per il marchio?-
Sbottai infine, stringendolo maggiormente, sino a farmi male.
- Sapevi che mi avrebbe portata a scegliere te?-
- Cosa? No. Il marchio? Che fa il marchio?-
- Avanti, Abrahel me lo ha detto. Mi ha spiegato che è un incantesimo che porta la persona ad affezionarsi a chi glielo ha posto-
Ci fu un attimo di silenzio.
- Tu…ti sei affezionata a me?-
Tacqui, divenendo improvvisamente rossa,mentre il demone era impegnato a ridere.
- Tu ti sei affezionata-
Continuò, esilarandosi.
- Non è…non è opera del marchio…?-
- Se lo fosse, sarebbe la prima volta-
Spiegò, cercando di calmarsi. Ridere gli provocava dolore alle ferite.  
- L’incantesimo non ha mai prodotto un effetto simile-
Lasciai andare il polso, facendo un sospiro di sollievo. Socchiusi gli occhi, rasserenata, con l’impressione che fosse finito un incubo.
- Veramente ti sei affezionata?-
Chiese Nolan, facendomi rinsavire. Lo fissai nell’oscurità, stringendomi nel ruvido telo bianco dall’imbarazzo, tentando quasi di sparire mentre la pioggia batteva incessante sul balcone.
- Allora come facevi a saperlo?-
Tornai a chiedere, timidamente.
- Se non per il marchio, come facevi ad essere tanto sicuro che avrei scelto te?-
La creatura si pose un braccio sulla fronte, fissando il soffitto in silenzio per qualche secondo.
- Me lo avevano detto-
Rispose infine semplicemente, lasciandomi del tutto insoddisfatta.
- Chi ti aveva detto cosa?!-
Incalzai raggiungendolo all’altro estremo del letto, perdendo quasi del tutto l’asciugamano per la strada. Il ragazzo tacque, iniziando a riaddormentandosi. Lo scrollai, costringendolo a rimanere sveglio, obbligandolo a rispondermi.
- Nolan, chi te lo aveva detto??-
- Non li conosci-
Sussurrò.
- Sono dei miei amici, anche se tu mi hai detto che io non ho amici-
- E cosa ti hanno detto?-
Pretesi di sapere, cercando di non divagare.
- Dove trovarti, quando saresti stata lì e da cosa stavi scappando-
- Come facevano a saperlo?-
Domandai intimorita, lasciando il corpo del demone.
- Loro sanno tutto. E’ ciò che fanno, è il loro mestiere-
Rispose voltandosi dall’altra parte per dormire.
- Cos’altro ti hanno detto?-
- Che un giorno saresti stata dalla mia parte-
- Nient’altro?-
Nolan non rispose, lasciandomi nell’oscurità, semi nuda accompagnata dal suono della pioggia. Mi avvicinai a lui per vedergli il volto, notando che i suoi occhi si erano già richiusi.
 
Al mio risveglio, lui era sparito. Stetti immobile sul letto, irradiata dalla luce dell’alba.
Mi guardai intorno intontita per qualche istante, nei vestiti asciutti che finalmente avevo indossato prima di riaddormentarli. Scrutai la camera in ogni suo singolo dettaglio. Se ne era andato, lasciandomi sola in una stanza distrutta e macchiata di sangue. Mi portai una mano ai capelli, per niente sorpresa. Gli salvavo la vita e lui mi abbandonava senza neanche salutarmi, con il conto dell’albergo da saldare. Sospirai, cercando qualcosa da indossare, pronta a fuggire prima che la cameriera iniziasse il giro ai piani. Mi diressi in strada, uscendo dalla porta principale con molta noncuranza, restituendo la chiave e salutando calorosamente.
- A più tardi Signorina-
Salutò la receptionist, sorridendo e sbattendo le sue ali colorate. Fissandole, ancora una volta, mi salì la nausea. Non appena varcata la soglia iniziai ad aumentare il passo, correndo velocemente verso la stazione ferroviaria. Ripresi così a viaggiare attraverso quel disgustoso regno, diretta verso la capitale. Ancora una volta prendevo un treno per raggiungere un posto che odiavo, senza bagaglio e senza soldi.
Sospirai, spaventata.
Non mi preoccupavo molto per Nolan, sapevo che se aveva avuto la forza per sparire ce l’aveva anche per sopravvivere. Ciò che mi preoccupava era Abrahel infuriato sulle mie tracce, Isaac ancora a piede libero e il mio amuleto distrutto. Questo mi spingeva ancor di più a trovare un poter in grado di proteggermi, a portare a termine il piano B. Se tutto fosse andato come speravo, il mio viaggio si sarebbe concluso con le strade della capitale macchiate di sangue di fata.
 
Giunsi a Bordeaux il giorno dopo.
Mi cercai subito una locanda poco costosa, qualcosa che non desse nell’occhio e che potessi pagare solo alla partenza. Trovai sistemazione vicino alla foresta, leggermente in periferia. L’evento che stavo aspettando si sarebbe svolto verso la fine del mese, dall’altra parte della città. Lì, nel Grande Palazzo delle Feste, avrei attaccato e rubato il potere più grande che le fate possedevano.
Nolan comparve due giorni dopo, provocandomi quasi un infarto. Mi prese alle spalle mentre mi stavo vestendo, salutandomi candidamente. Urlando, mi volsi verso il davanzale sul quale sedeva, intento a fissarmi divertito. Cercando di coprirmi, gli lanciai contro qualsiasi cosa trovassi, scagliandolo giù dal terzo piano. Il demone, naturalmente, schivò tutto lasciando che i miei oggetti sparissero nel vuoto.
- Scusa, non volevo spaventarti-
Ridacchiò, scendendo dal davanzale.
- Ma dove sei stato?-
Urlai obbligandolo a voltarsi, finendo così di vestirmi.
- Eri preoccupata per caso?-
Domandò lui divertito.
- Certo che no!-
Sbottai offesa.
- Però eri quasi morto e poi sei sparito nel nulla! Cosa dovevo pensare?-
Gli permisi di voltarsi e di raggiungermi dall’altro capo della stanza. Il ragazzo mi sorrise, apparendo in perfetta forma solamente pochi giorni dallo scontro con Abrahel.
- Per caso stavi andando a fare colazione?-
Ci dirigemmo nella caffetteria più vicina, lasciando la locanda dietro di noi. Lì il demone sfogò tutto il suo appetito, divorando praticamente ogni cosa. Lo fissai ammutolita con ancora il caffè in mano, chiedendomi cosa mai gli fosse successo.
- Sono tornato a casa-
Affermò, finalmente rispondendo alla mia domanda.
- Tu dormivi e non volevo svegliarti, ecco perché non te l’ho detto-
- Lasciare un biglietto no, eh?-
La creatura sorrise, posando un attimo la forchetta.
- Non ci ho pensato, scusa-
- Perché te ne sei andato così in fretta?-
Domandai continuando a bere il caffè.
- Mi hai lasciato sola con tuo fratello che poteva arrivare da un momento all’altro-
Il ragazzo scosse il capo, cercando di deglutire tutto prima di strozzarsi.
- Abrahel non sarà un problema per un po’-
Rispose con la bocca piena, se pur a fatica. Sussultai fissando quei suoi occhi gialli così seri, posando la tazza in ceramica.
- Sono tornato proprio per occuparmi di lui-
Proseguì.
- Ho comandato l’offensiva verso il suo castello. Per un bel po’ sarà occupato a respingere i miei eserciti, con a capo la migliore dei miei comandanti. Non gli sarà facile respingerla, lei lo odia più di ogni altra cosa-
- La tua seconda mamma?-
Nolan sorrise sentendola chiamare nuovamente così.
- Possiamo stare tranquilli-
Tacqui, cercando di trovare il coraggio di dare voce ai miei pensieri.
- Non…non sei arrabbiato?-
Domandai, mantenendo lo sguardo basso.
- Arrabbiato?-
- Sì, per aver tentato di ucciderti-
Nolan si bloccò, forse ricordandoselo solo allora.
- Almeno adesso siamo pari-
Dichiarò sorridendo, tornando a concentrarsi sul pasto. Sorrisi come lui, nonostante sapessi bene che io non sarei riuscita a perdonarlo altrettanto velocemente.
- Le tue ferite? Come stanno?-
- Quella alla spalla mi è stata curata-
Spiegò, senza smettere di mangiare un attimo.
- Quella al fianco…prima o poi guarirà-
Tacqui, continuando a sorseggiare il mio caffè. Era stato ad un passo dalla morte eppure non pareva scosso, al contrario ne sembrava terribilmente abituato. Io invece rabbrividivo al ricordo di lui livido sul letto, gelido e dissanguato dall’attacco del fratello.
- Perché non sei sul campo di battaglia?-
Domandai, spiazzandolo.
- Come?-
- Perché non stai cercando di battere Abrahel?-
Il demone tornò a concentrarsi sul cibo.
- Una battaglia non decide poi molto in una guerra. Per di più, se fossi lì a combattere, non potrei essere qui a proteggere te-
- E perché mi stai proteggendo?-
Chiesi ancora una volta. Nolan tacque un momento, accennando ad un sorriso prima di rispondere.
- Perché grazie a te, otterrò il regno-
- Te lo hanno detto loro?-
Domandai seriamente, sconcertandolo nuovamente.
- Chi?-
- I tuoi amici, quelli di cui mi hai parlato l’altra notte-
- Non so di cosa tu stia parlando-
Posai la tazza sul tavolo, spazientita.
- Non fare il furbo. Quando stavi male hai svuotato il sacco e hai confessato che sono stati “loro” a dirti che un giorno ti avrei aiutato-
- Come hai detto tu, stavo male-
Concluse, tornando a mangiare e senza rispondere più alle mie domande.
 
Al ritorno in camera, notai che era comparsa una valigetta.
La intravidi cercando di recuperare una scarpa, scoprendola accuratamente nascosta sotto il letto.
Nolan stava prenotando una stanza più grande giù nella hall, mentre io la scrutavo in ogni suo dettaglio. Sembrava una valigetta normalissima, di pelle nera e con lo stemma della famiglia reale marchiato a fuoco. Era comparsa dopo il suo arrivo, contenendo chissà cosa. La rimirai a lungo, domandandomi se fosse il caso di aprirla senza il suo permesso. Attesi qualche minuto, dando tempo al ragazzo di tornare in camera, giusto per acquietare i sensi di colpa.
Spazientita dall’attesa e dalla curiosità, non riuscì più ad attendere oltre. Colta da una terribile smania, l’apri visualizzandole il contenuto.
Rimasi leggermente delusa quando scorsi una semplice fiala in vetro, imballata accuratamente.
La presi, estraendola con cautela. Osservai attentamente il denso liquido nero contenuto in essa, chiedendomi cosa diamine fosse. Continuai a rigirare il flacone con cura, non leggendo nessuna incisione o indicazione a riguardo. Aprì il tappo, annusando il siero e scoprendo, con disappunto, quanto fosse inodore. Iniziai a domandarmi se avesse un gusto, a cosa servisse e perché fosse nascosta sotto il letto. Avvicinai le labbra al beccuccio del flacone, certa che Nolan non avrebbe mai portato qualcosa di pericoloso in camera. Mostrai un po’ di titubanza temendo un sapore disgustoso, nonostante questo continuai, decisa a scoprirlo.
L’assaggiai, prendendone solo un sorso. Non fu una decisione molto ponderata, piuttosto fu presa d’istinto, per noia e curiosità. L’attimo in cui bevvi, il demone rientrò in camera, chiedendomi se desiderassi una camera fronte bosco o città.
La sua voce che urlava il mio nome, fu l’ultima cosa che sentì.
 
Dopo essere caduta nell’oscurità, mi risvegliai nella tenue luce di una lampada.
Cercai di tenere gli occhi aperti, nonostante mi facessero molto male. Provai un intenso dolore in tutto il corpo, che mi impedì di muovermi. Fui costretta a restare ferma, mentre le tenebre che mi attanagliavano la vista iniziavano a diradarsi.
Scorgevo il soffitto tramite una fessura nel buio, incapace di vedere altro.
Finalmente la fessura si allargò, estendendosi lentamente sino a mostrarmi la camera d’albergo nel Regno delle Fate. Le ombre degli oggetti sui muri mi fecero presagire che fosse notte, il richiamo di un gufo fuori dal davanzale me lo confermò. Tentanti di muovere la testa, di guardarmi attorno. I dolori che mi asserragliavano il corpo non sembravano attenuarsi, rendendomi del tutto impossibile anche solo parlare. Tentai di chiamare Nolan, seduto appisolato su una poltrona di fianco al letto ma fu impossibile. Rimasi semplicemente a fissarlo, impotente e immobile. Fu una sensazione strana, alquanto snervante. Desideravo muovermi, parlare e non ero in grado di farlo.
Mi sentivo come se fossi stata investita da un treno, convincendomi che bere una pozione senza etichetta non fosse stata una scelta intelligente.
Rimasi a riflettere sulla mia stoltezza, mentre anche solo respirare mi provocava dolore.
Presto mi accorsi che a dolermi fosse ogni singolo organo, a partire dal cuore.
Ero letteralmente a pezzi, distrutta da uno stupido siero.
Stetti nella penombra in silenzio per vario tempo, attendendo che Nolan si svegliasse.
I minuti trascorsero lenti, sino a che non fui in grado di muovere almeno gli arti.
Non appena delle sillabe furono in grado di lasciare la mia gola, chiamai il demone seduto di fianco a me, svegliandolo.
- Victoria-
Sussurrò la creatura, fissandomi incredula ed entusiasta allo stesso tempo.
- Sei viva!-
Si precipitò ad abbracciarmi, stringendomi talmente forte da provocarmi intense fitte in tutto il corpo. Provai a dirglielo ma a lui non importò, continuando a saltellare sul letto come un bambino.
- Sei viva!-
Ripeté.
- Non dovrei?-
Domandai con un filo di voce. Il demone si fermò un attimo, fissandomi attentamente con i suoi occhi d’oro. Scorsi in loro la preoccupazione, una malinconia che raramente avevo visto.
- Sì, no, non lo so. Dopo quello che hai bevuto, poteva succederti qualsiasi cosa. C’erano buone probabilità che tu morissi-
Sorrisi istintivamente, felice che si fosse sbagliato. Cercai di portarmi a sedere, chiedendogli cosa diamine mi fosse successo.
- Mi fa male tutto-
Precisai.
- Sento gli organi andare a fuoco-
Nolan mi aiutò a sedermi, a sistemare il cuscino.
- Dovrebbe passare presto-
Rassicurò, per niente elettrizzato nel dirmi cosa fosse successo o di cosa si trattasse quel denso liquido nero che avevo assaggiato.
- E’ già un miracolo che tu sia viva-
Ribadì.
- Questo l’ho capito, ma cos’era quella roba?-
Il ragazzo sospirò lievemente, chiedendomi prima chi me l’avesse offerta. Tacqui per un attimo, non capendo la domanda.
- Io l’ho trovata sotto il letto, con il tuo sigillo sopra. L’hai portata tu qui, no?-
- Figuriamoci-
Sbottò il demone, alzandosi in piedi e portandosi una mano sulla fronte.
- Io non l’avrei mai portata qui da te. Deve essere stato Abrahel-
Concluse furiosamente, camminando da una parte all’altra della stanza.
- Deve avermela rubata in un qualche modo e portata qui perché tu la bevessi-
- Cos’era?-
Tornai a chiedere seriamente, abbastanza preoccupata. Nolan sospirò ancora, rassegnandosi a dire la verità.
- Quello era l’incantesimo che io ho creato, l’esperimento che cercavo di portare a termine-
Svelò, sedendosi sulla poltrona e portandosi le mani ai capelli.
- E’ il siero che ho fatto provare agli angeli prima di te, uccidendoli-
Abbassò lo sguardo e dei brividi mi percorsero lungo la schiena.
- Era la pozione che volevi sperimentare su di me?-
Ripetei, incredula.
- Io non l’avrei mai portata da te, mai. Ti avevo promesso che ne saresti rimasta fuori-
Proseguì la creatura, alzandosi e sedendosi sul letto accanto a me.
- Sapevo che era pericoloso, che saresti potuta morire-
- Avevi detto…avevi detto che non mi avrebbe uccisa…-
Ricordai, fissandolo dritto negli occhi.
- Sono settimane che dici di aver trovato un altro modo di utilizzare il siero, un sistema meno pericoloso-
- Infatti-
Confermò il demone.
- Diluendolo si dovrebbe evitare ogni rischio per il soggetto compatibile. Lui però ti ha fatto bere la pozione pura. Mi sembra assodato che abbia cercato di arrecarti seri danni-
Tacqui un istante, cercando di mettere insieme ciò che aveva detto.
- Tu…tu come fai a sapere che io sono compatibile?-
- Perché sei sopravvissuta-
Rispose seriamente.
- Sei stata in coma due giorni ma sei sopravvissuta alla pozione pura, non ci sono dubbi che tu sia compatibile-
Rimasi in silenzio un attimo, lasciando che il demone mi porgesse qualcosa per sopperire ai dolori.
 
- Così Abrahel vuole uccidermi, veramente-
Proferì a cena, intenta a divorare una bistecca. Non avevo mangiato per due giorni, eppure accusavo la fame di un mese intero.
- Non deve aver preso bene il tuo ripensamento-
Sorrisi istintivamente, ripensando alla sua faccia infuriata.
- Evidentemente sperava che non sopportassi la pozione pura, che forse ne bevessi più di un sorso. Fortunatamente abbiamo appurato che una minima dose non è sufficiente a provocarti un arresto cardiaco-
Concluse infine.
- Avevi detto-
Cominciai, cercando di non strozzarmi con il cibo.
- Avevi detto che sarebbe stato occupato a battere il tuo comandate-
- Infatti-
Confermò il ragazzo costernato.
- Non capisco come sia riuscito a rubarla dalle mie stanze e a portarla qui. Sicuramente non ha fatto tutto da solo-
Calò un attimo il silenzio, mentre io passavo alla seconda bistecca. Nolan mi fissava mangiare, senza toccare cibo. Sembrava preoccupato, più del solito.
- Credi che ci sia un traditore?-
Il principe sospirò, iniziando a giochicchiare con la cena.
- Mi getterei nel fuoco per ogni demone a conoscenza di dove si trovasse il mio siero. Non è possibile che qualcuno di loro mi abbia tradito-
Lo fissai in silenzio, cercando di trattenere ciò che avrei voluto dire.
Sicuramente non gli avrebbe fatto piacere sapere cosa pensassi io dei segreti e degli amici.
- Chi sapeva dove tenevi la fiala?-
- Solamente tre persone-
Spiegò la creatura, continuando a sospirare e a giocare con le verdure.
-  La mia comandante, il mio amico, nonché capitano delle mie guardie e la mia promessa sposa-
Il boccone mi andò per traverso, soffocandomi. Iniziai a tossire, lasciando le posate e dando dei piccoli colpetti sul petto. Cercai di bere per far scorrere meglio il cibo, sperando di non morire in un modo così sdegnoso. Dopo aver attirato l’attenzione di tutto il ristorante su di me e, dopo che il viso color violaceo tornò del suo colore naturale, potei parlare.
- La tua…cosa?!-
- Non te lo avevo detto?-
- No-
Sbottai, avendo improvvisamente perso la fame.
- Credo…credo che me lo sarei ricordato-
- Oh beh, non c’è da dire molto. E’ un matrimonio combinato, lei è un demone che vive a palazzo da quando ero piccolo. E’ più grande di me, ha l’età legale per governare. Vista l’attuale crisi nel mio regno, i miei consiglieri vorrebbero che io la sposassi al più presto. In questo modo potrei regnare legalmente, con lei come reggente-
- C-Certo…è ovvio-
Bofonchiai pulendomi la bocca e allontanando il piatto da me.
- Perché allora non la sposi?-
Nolan tacque, forse riflettendo su una possibile risposta.
- Io e lei siamo amici ma…io non la amo-
Rispose, facendomi sussultare.
- E neanche lei mi ama. Desidera solamente il trono, riesco a leggerlo perfettamente nei suoi occhi. Non mi fraintendere, sarebbe una perfetta Regina dei Demoni ma…non quella che io vorrei al mio fianco-
Chiesi il conto e lasciai che il ragazzo pagasse.
Uscì per strada, aspettandolo fra le luci dei lampioni nel corso della capitale.
Respirai intensamente l’aria fresca della sera, circondata da numerose fate con le ali svolazzanti. Socchiusi un attimo gli occhi, domandandomi perché mi interessasse tanto.
Era colpa sua se mi trovavo nei guai. Aveva cercato di uccidermi, mi aveva ingannato e c’erano parecchie cose che ancora non mi diceva, eppure mi interessava. Sapere che a casa una fidanzata lo stava aspettando, mi faceva sobbalzare il cuore.
Quando uscì, mi chiese se stessi bene. Io cercai di sorridere, domandando perché mai me lo chiedesse.
- Beh, sei quasi morta oggi-
Giusto, la fiala. L’avevo bevuta confermando a lui e ad Abrahel che ero compatibile con l’incantesimo potenziatore di Nolan. Sospirai, domandandomi perché proprio io riuscissi a sopportarne gli effetti, mentre tutti gli altri angeli no. Mi piacque pensare che fossi più forte di loro, tuttavia non mi fu ben chiaro il motivo sino a che il ragazzo non mi spiegò da cosa fosse composta quella pozione.
- Praticamente è oscurità concentrata-
Rivelò.
- Sotto forma liquida, l’oscurità si insinua nel corpo dell’ospite fino a che l’organismo non lo metabolizza. La prima volta per te sono stati due giorni, la prossima volta l’effetto potrebbe durare molto meno-
- Quanto meno?-
- Se, diluendola, tu riuscissi a non svenire…i tuoi poteri potrebbero essere potenziati per qualche ora. Non di più-
Ascoltai interessata, domandandomi se mi fossero bastate per compiere la mia vendetta.
- Perché il mio corpo resiste all’oscurità pura?-
Chiesi, nonostante la risposta mi intimorisse.
- E’ necessario già possederla-
Proferì, definendomi così malvagia, se non maligna.
- Ecco perché gli angeli prima di te sono morti. Il mio incantesimo prima di conoscerti era assolutamente impossibile. Necessitavo di un angelo con l’anima colma di tenebre, non è facile da trovare!-
Continuò, ridacchiando.
- Infatti la pozione è fatta con…-
- Cosa? Continua-
- Sicura di non vomitare?-
- Certo, continua-
- Allora, per avere effetto su tutte le altre razze deve contenere qualcosa di loro. La pozione è fatta con ali di fata polverizzate, ossa di umano tritate, sangue di demone e doveva essere ingerita da un angelo per funzionare-
Sbiancai un attimo, comprendendo finalmente il sapore disgustoso.
- Così, nel piano originale, io avrei potuto ottenere il potere per soggiogare ognuna di queste razze. Ovviamente con il tuo controllo del sangue non sarebbe più così, basterebbe che sia tu a porre il tuo incantesimo su chiunque vorresti. Nel tuo caso la magia potenzierebbe il tuo dono, dunque ti sarebbe possibile uccidere a distanza centinaia e centinaia di streghe ad esempio-
Non risposi, bloccandomi nel bel mezzo della strada a pochi passi da un grande tendone. Il circo era giunto in città e le fate facevano la fila per entrare. Lo scrutai attentamente, perdendomi un attimo nella locandina dei maghi itineranti. Nel loro spettacolo vi erano delle prove di coraggio e dei giochi con i draghi neri, le creature più potenti e pericolose sulla terra. Fissai l’immagine incuriosita, stranita che delle fate accorressero per vedere delle bestie in cattività, costrette ad esibirsi.
- Victoria? Sei inorridita?-
- Cosa?-
- Da quello che ti ho detto. Ti senti male?-
- Affatto. Quando potrò riprovare la pozione?-
Il demone non rispose, notando solo allora il circo.
- Ti va di vederlo?-

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Capitolo 15
*** La vendetta ha lo stesso colore dei draghi del nord ***


 
 
Pagò il biglietto, conducendomi nell’arena. Oltre il tendone si apriva quello che sembrava un grande teatro antico, con i gradini in pietra su cui bisognava sedere, a radiante.
La struttura si sviluppava verso l’alto, in modo che tutti potessero vedere e sentire. Nolan mi portò proprio in prima fila, praticamente nell’arena. C’era solo una balaustra di pietra, fra noi e gli eleganti draghi neri che sfilavano.
- Non aver paura-
Disse il ragazzo, a spettacolo iniziato.
- Le bestie sono tenute sotto controllo. E’ raro che possano accadere incidenti-
Non avevo paura, bensì trovavo strano essere ad un passo dalle creature più pericolose e temute del mondo. Di loro avevo letto solo nei libri. Prima di allora, li avevo visti solamente disegnati.
Non sapevo che qualcuno osasse catturarli e ammaestrarli, rabbrividivo solo ad immaginare di mettere un piede nel loto territorio naturale.
Le creature squamose vivevano a nord, fra il fuoco e le fiamme di una terra vulcanica. I loro corpi erano incandescenti, la loro corazza nera riscaldavano il teatro rendendo l’aria quasi irrespirabile. Presi a sudare terribilmente, nonostante lo spettacolo avvenisse all’aperto e soffiasse vento.
- Sono proprio stregoni?-
Domandai incuriosita, cercando di osservare i domatori.
- Sì, è già qualche anno che hanno creato questa forma di intrattenimento-
Spiegò il demone, senza distogliere lo sguardo dallo spettacolo.
- Come hanno potuto degli stregoni catturare i draghi neri?-
Nolan sorrise, scrollando le spalle. Neanche i demoni riuscivano ad assoggettare quelle creature al loro volere, ritenevo impossibile che le streghe ci fossero riuscite. Feci caso ad un altro fatto strano quella sera: decine di creature fatate, votate alla protezione della natura, sedute comodamente a gustarsi lo spettacolo di cuccioli di drago impiegati in stupidi giochetti.
Le fate riuscivano sempre ad essere incredibilmente ipocrite.
- Nolan, perché mi hai portata qui?-
Chiesi improvvisamente, facendolo sussultare.
- Pensavo che ti piacesse-
Risi di quell’affermazione. Piacermi. Non c’era piacere nel vedere dei cuccioli spaventati lontani da casa, alti poco più di una persona, sfruttati per il divertimento di uomini e fate.
- Ti ho fatto una domanda prima e tu non hai risposto-
- Ovvero?-
- Voglio riprendere la pozione-
Il ragazzo si volse fissandomi dritto negli occhi, mentre i giocolieri e i domatori coinvolgevano le bestie nei loro trucchi.
- Quella diluita, ovviamente-
- E’ troppo pericoloso, anche diluita-
Tacqui un momento, cercando di realizzare che il demone aveva cambiato nuovamente idea.
- Avevi detto…-
- Lo so cosa avevo detto-
Sbottò.
- Mi sembrava un buon piano, fartela assumere diluita. So che sei compatibile e che amplificherebbe i tuoi poteri a dismisura ma non sono a conoscenza degli effetti collaterali-
- Potremmo scoprirli-
- Victoria, non si tratterebbe di un semplice mal di testa. Il siero è troppo potente, fino ad ora ha arrestato il cuore a chiunque la bevesse. E se dovesse funzionare, accrescerebbe i tuoi poteri a tal punto da non renderti capace di controllarli-
Continuai a tacere, piena di rabbia. Odiavo sentirmi dire che non ero in grado di fare qualcosa.
- Con quella fiala, se tu non perdessi conoscenza, potresti distruggere il mondo in un secondo-
L’alito di fuoco dei draghi illuminavano gli occhi d’oro di Nolan, intento a farmi assaggiare un potere che aveva già deciso di non darmi più.
Strinsi i pugni furiosa, più parlava più desideravo quel siero.
- E non so cosa potrebbe accadere alla tua personalità, schiacciata da tutta quella oscurità concentrata. Il piano iniziale non prevedeva che il soggetto compatibile dovesse controllare la forza che possedeva, quello avrei dovuto farlo io-
- E come?-
- Avrei usato il soggetto in questione come un’arma, un oggetto capace di aumentare il mio potere e da porlo sui miei nemici. Non voglio che questo accada con te, non voglio che tu sia un’arma-
- E da quando??-
Nolan non rispose, tornando a fissare le creature squamose senza rivolgermi più parola.
Sbuffai, ritenendolo uno stupido. Aveva fatto tanto rumore, tanta confusione, dicendo che ero l’unico modo per sconfiggere suo fratello e poi si fermava ad un passo dalla fine.
Strinsi la gonna dell’abito furibonda, desiderosa di spaccare l’intero teatro. Non mi importava se lui perdeva la sua stupida guerra, io con quella fiala avevo sperato di vincere la mia.
- Tu avevi detto di non voler l’aiuto di nessuno-
- Come?-
Chiesi, rinsavendo.
- A Salem, avevi detto di non voler coinvolgere i demoni. Pochi giorni fa hai continuato a dire di non voler essere usata come un oggetto, perché adesso vuoi tanto prendere quella pozione?-
Tacqui, ricordando perfettamente cosa avessi detto. Evitai di ammettere che avevo realizzato di necessitare il suo aiuto per ottenere la mia vendetta, visto che lui mi aveva rivolto quelle stesse parole una settimana prima.
- Sono cambiate parecchie cose-
Risposi semplicemente.
- Non avevo provato la fiala quando l’ho detto-
Nolan attese un istante prima di tornare a parlare, osservando i maestosi spettacoli dei domatori.
- Hai accettato l’aiuto dei demoni, prima di provare la pozione-
Borbottò.
- Cosa?-
Il ragazzo alzò la voce.
- Dico che non è vero! Perché tu mi hai consegnato ad Abrahel anche prima di aver provato la pozione!-
Stetti in silenzio, non sapendo più come giustificarmi. Quel gesto lo avevo compiuto per vendetta. Avevo deciso di farmi aiutare da Abrahel nell’attimo in cui mi ero sentita tradita, questo però non potevo dirglielo.
- Menomale che mi avevi perdonata!-
- Non te lo sto rinfacciando-
Precisò il demone, più a bassa voce dopo che nell’arena era tornato il silenzio.
Improvvisamente udì un urlo che mi fece sobbalzare. Alzai lo sguardo verso l’arena, osservando la figura di un drago accasciato al suolo. Non era riuscito a finire il percorso ad ostacoli, cadendo a terra stremato. Il domatore imbarazzato sorrideva al pubblico, ordinando agli acrobati e ai giocolieri di distrarre gli spettatori. Con la frusta cercò di convincere la creatura ad alzarsi, a raggiungere gli altri draghi oltre il percorso.
Lo picchiò furiosamente, nascosto dalle figure delle ragazze in vesti succinte. Sobbalzai, riuscendo ad udire i vocalizzi del cucciolo, inerme al suolo, fin dall’altra parte del teatro.
Ribollì di rabbia, non capendo perché i draghi non si ribellassero.
- Cosa intendevi prima con “sono tenuti sotto controllo”?-
Il demone trasalì.
- Hanno un collare che inibisce la loro forza. Solitamente glielo mettono appena catturati, quando sono alti cinquanta centimetri-
Tornai a fissare il gruppo di draghi stretti in un angolo. Impotenti, fissavano il compagno indifeso sotto i colpi della frusta. Sibilavano al domatore, cercando di sputare fuoco per incenerirlo.
- Perché non riescono a sputare fuoco?-
- Da quel che ho sentito, gli stregoni hanno il controllo dei loro poteri con quel collare. Gli possono rendere capaci di sputare fuoco e volare solo quando vogliono, per lo spettacolo ovviamente-
- Ovviamente-
Scrutai nuovamente la creatura a terra, inorridita. Qualcosa non andava, l’essere non si stava rialzando e lo stregone continuava a colpirlo. Improvvisamente, non ci vidi più.
Senza accorgermene, mi alzai dal mio posto per attraversare tutto l’anfiteatro.
Mi diressi verso il domatore, ignorando ogni stupido acrobata truccato che cercò di bloccarmi. Riuscì a raggiungere il grasso stregone baffuto, colpendolo in pieno volto e facendolo cadere a terra. Raccolsi la frusta che il domatore perse di mano, brandendola contro lo staff del circo. La musica si fermò, le urla di gioia si interruppero. L’intero teatro si bloccò ad osservarmi in silenzio, mentre lo stregone gemeva dal dolore. Gli avevo bruciato il volto, ustionandolo col solo tocco. Cercò di rialzarsi per piombarmi addosso, chiamandomi mostro. Tastandosi la ferita, urlò che mi avrebbe ingabbiata e usata come fenomeno da baraccone. Ritenendomi terribilmente offesa, usai la frusta, colpendolo sulla parte di faccia che non gli avevo sfigurato. L’uomo prese ad urlare nuovamente mentre una parte del pubblico si alzò in piedi, allibita. Il resto dei pagliacci cercò di venirmi addosso, minacciandomi con ogni attrezzo di scena. Scagliai la frusta anche su di loro, allontanandoli per avvicinarmi al drago a terra.
Mantenendo sotto controllo e a distanza gli stregoni, mi accovacciai di fianco alla creatura.
Potei notare che era ferito ad una zampa, per questo non riusciva ad alzarsi.
Gli accarezzai il volto squamoso, scrutando intensamente i suoi occhi rosso fuoco e leggendone tutta la tristezza.
- Sta toccando il drago-
Sentì le fate urlare mentre gli acrobati si fecero indietro, spaventati.
- E’ un mostro!-
- Chiamate le guardie della regina!-
Quell’affermazione non mi piacque e, in fretta, strappai il collare magico dal collo del drago.
La creatura riprese le forze non appena glielo tolsi, rialzandosi nonostante la zampa.
Schiuse le ali vigoroso, sputando fuoco contro il cielo stellato. Vedendolo, il pubblico iniziò ad urlare terrorizzato, accalcandosi verso le uscite. Persino i membri del circo fuggirono, minacciati dal fuoco e dallo sguardo della bestia che per anni avevano imprigionato e umiliato.
Solo lo stregone baffuto non riuscì a scappare e, mentre la creatura si prendeva la propria vendetta contro di lui, corsi in direzione del resto dei draghi. Uno ad uno li liberai dai loro collari, spezzandoli con tutta la forza che avevo. Senza aspettare un attimo, si riversarono anch’essi contro il domatore, finendo il lavoro già iniziato dal loro compagno. Me ne stetti ferma ad osservare lo spettacolo, trovandolo più divertente di quello a cui avevo assistito fino a quel momento. Dopo poco le urla dell’uomo cessarono, impregnando l’arena di sangue. Non potendo più giocare con lui, le bestie alate si allontanarono dal suo cadavere, puntando verso di me. Il mio sorriso svanì, indietreggiando intimorita innanzi al drago dagli occhi rossi. La sua bocca era sporca di sangue, così come le sue lunghe zanne. Zoppicò lentamente verso di me, scrutandomi con i suoi grandi occhi. Mi bloccai innanzi ad essi, assoggettata dalla loro profondità. Si fermò anch’esso a pochi passi da me, senza distogliere lo sguardo. Nonostante fosse un ciucciolo, era già molto più alto di me. Fissai dal basso le sue grandi e possenti ali, provando un brivido lungo la schiena. Non avrei voluto combattere contro un drago nero in vita mia, neanche appena nato.
- Grazie-
Sussurrò la bestia, spiazzandomi.
- Tu-Tu sai parlare?-
La creatura socchiuse gli occhi, annuendo leggermente.
- Non me ne dimenticherò. Tutti noi non lo dimenticheremo-
Lo fissai immobile imbarazzata, non sapendo cosa rispondere. Avevo lasciato il mio posto senza neanche accorgermene, cercando di fermare quella che mi sembrava solamente un’ingiustizia. Non pensavo di dover essere ringraziata.
- Ri-Ricordi la strada di casa?-
Domandai, stringendomi nel vestito che indossavo, macchiato di polvere.
Il drago scosse il capo, spiegando che aveva lasciato il nido troppo giovane.
- Volate ad ovest-
Spiegai.
- Puntate verso il mare del nord. Le vostre terre sono in un golfo sopra il Regno dei Demoni-
Il cucciolo dalle squame incandescenti abbassò il capo in segno di ringraziamento, tornando verso i suoi compagni.
- Chiedigli come si chiama-
Suggerì Nolan, comparendomi alle spalle e spaventandomi a morte.
- Da dove sei spuntato?-
Domandai, con una mano sul petto.
- E dove sei stato fino ad ora?-
- Possedere il nome di un drago può sempre tornare utile-
Continuò il demone, imperterrito.
- Per riconoscimento dovrebbe dirtelo. Prova-
Se pur restia, avanzai verso la creatura richiamandolo indietro. L’essere mi fissò con i suoi occhi rossi, ascoltando la mia domanda con molta attenzione. Rifletté un attimo prima di rispondere, scrutando gli sguardi dei propri simili quasi per consultarsi. Alla fine cedette, accontentandomi.
- Perché ci hai salvato la vita, ti farò dono del mio nome-
Spiegò il giovane esemplare di drago, allungando il collo per sussurrarmelo all’orecchio.
- Neceron-
Volò via subito dopo, seguito dai suoi fratelli. Mi volsi verso il ragazzo dagli occhi d’oro, intento a scrutarmi a braccia conserte.
- Allora?-
- Cercherò di ricordarmelo-
Ammisi candidamente, non prevedendo di aver bisogno dell’aiuto di un drago molto presto.
- Forse dovrei annotarlo-
Il demone sorrise, prendendomi sotto braccio per accompagnarmi fuori dall’arena.
- Tu sapevi che potevano parlare?-
Non rispose ma il suo sorriso si allargò. Senza porre altre domande lo seguì, prima che arrivassero le guardie.
 
Non toccammo più l’argomento pozione, per qualche giorno.
Sembrava che non fosse mai successo niente, che Abrahel non avesse cercato di uccidermi e che io non avessi scoperto un potere tanto grande. Nolan non cambiò atteggiamento, rimase il solito sciocco ragazzino viziato che preferiva dare fuoco ai toast piuttosto che usare il tostapane.
Dormiva poco come al solito, attento che non fossimo trovati da qualche nemico. Continuò a farmi a cambiare albergo ogni giorno, evitando di rimanere nello stesso posto troppo a lungo.
Tornammo anche ad esercitarci con la magia, in previsione di un prossimo attacco da parte di Isaac. In questo modo, lontani da occhi indiscreti, nel centro della folta foresta di Bordeaux, io potevo dare sfogo a tutta la mia rabbia. Mi avventavo sul giovane principe con il pretesto di esercitarmi, cercando di placare il desiderio di ucciderlo. Se in lui non era cambiato niente, dopo quella valigetta comparsa in hotel, in me nacquero nuovi sentimenti. Iniziai a vedere il demone come un obiettivo da raggiungere, un tramite per un potere più grande. Non riuscivo a pensare ad altro, giorno e notte. Quando lo guardavo ormai vedevo solo la fiala che il ragazzo continuava a negarmi, immaginando quante cose avrei potuto fare con essa. Non desideravo più scappare alla ricerca del potere, ce l’avevo accanto.
Ovviamente, dopo la mia esperienza di quasi morte il demone fece scomparire in fretta il siero, senza il minimo indizio di come riuscire a trovarlo. Non potevo fare altro che aspettare, sperando che cambiasse idea.
- Perché perdi tempo con me?-
Domandai ansimante a terra un pomeriggio, durante i nostri allenamenti.
- Voglio che tu sia pronta a difenderti-
Spiegò, sedendosi anch’esso per riprendere fiato.
- C’è un incantesimo importante che devo ancora insegnarti-
Continuò, asciugandosi il sudore dalla fronte.
- Qualcosa che potrebbe decidere le sorti di una battaglia in futuro-
- Difficile, visto che tu non vuoi farmi combattere-
Puntualizzai, innervosita. La creatura mi ignorò, sorridendo leggermente prima di continuare.
- E’ un incantesimo potente, che devi usare solo se costretta-
Proseguì.
- E’ pericoloso, potresti venirne coinvolta. Per questo voglio che sia la tua ultima scelta in battaglia-
- Di cosa si tratta?-
- E’ una magia del ghiaccio, un sortilegio che ti permetterebbe di distruggere anche il nemico più forte-
- Potrei usarlo per vendicarmi-
Proposi, scattando in avanti verso gli occhi gialli del demone.
- Non è così semplice-
Ammise il ragazzo.
- E’ molto comune che l’incantesimo distrugga anche chi lo evochi, oltre che il nemico-
- Perché mai dovrei usarla allora?-
Tornai a chiedere, delusa.
- Tu non sei mai stata in guerra-
Proferì il principe, sorridendo.
- Ma credimi, ci sono volte in cui saresti disposto a sacrificare la tua stessa vita per mettere fine a quella dell’avversario. E’ una pratica estrema, però voglio che perlomeno tu la conosca-
Ascoltai con attenzione, imparando che ogni nemico, per quanto potente, fosse comunque formato da semplici particelle come tutti noi. Il suo organismo poteva essere attaccato nelle singole parti, congelando molecola dopo molecola, fino a disintegrarlo.
- Se non riesci a distruggerlo nella sua interezza, attacca le sue particelle-
Continuò, spiegando che dovevo riuscire a visualizzarle come le se avessi davanti, entrando con la mente nel suo organismo. Con attenzione e concentrazione avrei dovuto congelare tutte le cellule del suo corpo per poi frantumarle, cercando di evitare che il potente incantesimo si riversasse anche su di me.
- Pochi sono sopravvissuti-
Confessò il demone.
- Quasi tutti sono stati tramutati in ghiaccio e distrutti-
Lo fissai sconcertata, chiedendomi perché mi volesse insegnare una tecnica tanto pericolosa. Non avrei mai utilizzato un incantesimo simile, avevo troppi nemici da sconfiggere, non sarei morta per uno solo di loro.
Sospirai, stiracchiandomi sotto i raggi del sole.
- Ancora non capisco-
Bofonchiai.
- Non capisco perché mi insegni tutto questo se hai deciso di non farmi sconfiggere Abrahel-
- Perché…mi è stato detto di insegnartelo-
Rivelò, facendomi scattare nuovamente verso di lui.
- Chi?-
Domandai curiosa.
- I tuoi amici?-
Il ragazzo tacque, non volendo rispondere direttamente.
- Hanno previsto che potresti trovarti nella condizione di usarlo-
Ammise, finalmente.
- Figuriamoci-
Sbottai incrociando le braccia.
- Non mi sacrificherò per un solo avversario!-
Nolan sorrise, forse rincuorato. Non sembrava d’accordo nell’insegnarmi quella pratica, la sua voce aveva assunto una strana malinconia nel rivelare quella strana previsione.
- Sono dei veggenti, i tuoi amici?-
Annuì leggermente, rispondendo per una rara volta ad una delle mie domande.
- E’ il loro mestiere. Ma non sempre vedono chiaramente ciò che gli chiedo, diciamo che mi mostrano delle possibilità-
- Così è troppo facile-
Borbottai, giochicchiando con l’erba a me sottostante. Anche io avrei potuto prevedere che forse l’indomani avrebbe piovuto, che forse saremmo stati attaccati e che forse un giorno avremmo realizzato i nostri desideri. Queste non erano vere e proprie predizioni.
Sospirai ancora, con l’erba verde fra le mani. Iniziai a strapparla a poco a poco, pensando alle possibilità.
- Per questo mi hai detto di chiedere il nome al drago?-
Domandai.
- Ti hanno detto che un giorno potrebbe tornarmi utile, non è così?-
Annuì, nonostante la sua espressione divenne improvvisamente amareggiata. Non sembrava molto lieto neanche di quella previsione. Sorrisi, cercando di ignorare il suo malumore.
- Ti diverti tanto a fare il saputello, ma è troppo facile elargire consigli con in pugno una traccia del nostro futuro-
Criticai, tornando a stiracchiare la schiena.
- Ti do questi “consigli”, perché non posso proteggerti per sempre-
Spiegò, ponendosi una mano sul fianco, sulla vecchia ferita di Moloch.
- Voglio che tu sappia combattere da sola-
- Cosa te ne importa?!-
Sbottai, improvvisamente piena di rabbia.
- Tanto non potrò mai esserti utile, no? Hai deciso di tenermi in panchina-
- Cosa ti prende?-
Borbottò il ragazzo, confuso dalla mia reazione.
Per giorni ero stata zitta, schiacciando la rabbia in fondo allo stomaco ma alla fine avevo ceduto.
A due giorni dalla grande manifestazione fatata che tanto stavo aspettando, dovevo sapere se fosse il caso di passare al piano B.
- Voglio che tu prosegua con il tuo piano originale-
Spiegai, giungendoli ad un palmo dal naso.
- Voglio che tu non ti faccia fermare da niente, che tu mi dia quella maledetta fiala e che poi lasci fare tutto a me-
Il demone mi fissò seriamente, scrutandomi attentamente negli occhi. Passarono attimi interminabili in cui, forse, stava decidendo del mio destino. Quando scosse il capo, la mia rabbia non poté non esplodere.
- Sei solo uno stupido-
Proferì spingendolo.
- Avrei dovuto lasciarti morire-
Mi abbattei su di lui, utilizzando tutto quello che mi aveva insegnato sino ad allora. Combattemmo, senza fermarci un attimo, avvalendoci rispettivamente della magia bianca e di quella oscura.
Non si risparmiò, affrontandomi seriamente con tutta la sua forza.
Mi lanciò un’offensiva molto potente, una magia d’attacco chiamata Luce Oscura, che mi costrinse ad innalzare una barriera per attutire l’impatto. La tenni sollevata per un tempo infinito, fino a che non sentì le mie mani divenire bollenti. Nolan cercava di abbatterla, di colpirmi forse quanto io desiderassi colpire lui. Chiusi gli occhi, percependo la barriera vicina a spezzarsi.
Dissolsi lo scudo, saltando verso l’alto per schivare il potente attacco. Giunsi ad almeno tre metri da terra, osservando con stupore il raggio oscuro distruggere due grandi arbusti dietro di me.
Sorrisi, notando che stava facendo maledettamente sul serio.
Il demone sotto di me ricambiò il sorriso, fissandomi con i suoi grandi occhi gialli.
Non persi tempo, prima di ricadere lanciai delle Lame di Ghiaccio contro di lui. Inviai le più potenti che ero riuscita a creare ma Nolan, senza sbattere ciglio, le respinse con il solo utilizzò del braccio. Le spezzò tutte, facendole ricadere a terra come se fossero stati giocattoli. Strinsi i pugni, ricadendo in ginocchio davanti a lui. Dovevo trovare qualcosa di più forte se volevo vincere.
- Allora, perché improvvisamente vuoi aiutarmi?-
Domandò ancora, osservandomi divertito mentre mi impegnavo tanto a batterlo.
- Cosa è successo?-
Digrignai i denti, senza rispondere. Evidentemente era troppo sciocco per capire.
Richiamai delle nubi oscure che si posarono proprio sopra le nostre teste, borbottando e rumoreggiando fino a coprire le nostre voci.
Mi alzai lentamente in piedi, attendendo che un fulmine nascesse dal cielo per ricadere oltre le spalle di Nolan. Il demone si preparò a schivarlo ma non ve ne fu il bisogno, la saetta colpì una quercia dietro di lui. Essa cadde non appena il suo tronco prese fuoco, spezzandosi in due dalla forza del fulmine. Vacillò verso il demone e, prima che potesse spostarsi, lanciai su di lui l’incantesimo “Diamante”. Esso era capace di immobilizzare qualunque avversario, imprigionando le sue gambe nell’infrangibile carbonio cristallizzato. Quando Nolan cercò di spostarsi, rinsavendo all’ultimo momento, si ritrovò bloccato completamente. La quercia in fiamme ricadde pesantemente sul ragazzo, rimasto inerme ad attendere il suo fato.
Incrociai le braccia, gustandomi lo spettacolo dell’enorme albero investire in pieno la figura del demone. Il suono della caduta della quercia fu assordante, tanto da annientare il grido di Nolan, lanciato pochi attimi prima che l’arbusto gli piombasse addosso. Mi avvicinai soddisfatta verso il tronco, mentre sopra le nostre teste il cielo stava ancora borbottando. Le nubi che avevo richiamato portarono qualche goccia di pioggia, accompagnando i vocalizzi del demone bloccato sotto i rami della quercia.
- Victoria!-
Urlò Nolan, ancora in vita. Si dimenava, cercando di liberarsi dal blocco di pietra e dal peso dell’albero. Io scoppiai a ridere, sfogando tutta la collera accumulata in quei giorni.
Il marchio che portavo al polso iniziò a bruciare, quando evocai un altro incantesimo contro il demone.
- Cascata d’olio-
Lanciai, ignorando del tutto il dolore. Il liquido infiammabile si riversò sulla corteccia, impregnandola completamente. Le isolate fiammelle sul tronco della quercia vennero alimentate dall’olio, nutrite fino a creare un enorme fuoco che inghiottì l’intero arbusto. In pochi attimi le fiamme si propagarono sino ai rami, alle foglie e al corpo del ragazzo ancora sotto di esse.
Mi allontanai per sicurezza, fissando il falò soddisfatta. Attesi pazientemente che Nolan si facesse vivo, scampando all’incendio, certa che non bastasse così poco per ucciderlo.
Aspettai, aspettai fino a che la pioggia non prese a cadere più forte, sino a spegnere del tutto le fiamme. Anche all’ora il principe non si fece vedere, lasciandomi in silenzio ad osservare la quercia carbonizzata. Mi avvicinai lentamente ai resti inceneriti, chiamando debolmente il nome del ragazzo. Incredula, lo chiamai più forte. Nessuno rispose, iniziando a farmi agitare. Scrutai con attenzione al di sotto dei rami, dove poco prima avevo scorto la figura di Nolan.
Mi posi entrambe le mani alla bocca, quasi urlando, quando vidi il suo corpo carbonizzato.
Caddi in ginocchio, realizzando di averlo ucciso. Sconvolta, rimasi immobile sotto la pioggia, con la mente vuota e il cuore che doleva per quanto corresse veloce. Lo avevo ucciso per davvero.
- Mulinello di fango-
Udì sussurrare improvvisamente dietro di me. Non feci in tempo a voltarmi che mi sentì sprofondare nel terreno, inghiottita da un vortice di sabbia e terra. Affondai velocemente, tanto da essere già a mezzo busto quando il demone dagli occhi d’oro mi comparve davanti.
- Quindi…non volevi uccidermi per davvero -
Constatò ridacchiando il ragazzo, riferendosi alle mie lacrime apparse repentinamente.
- Idiota!-
Sbottai, sprofondando sempre più nel mulinello.
- Sei solo un idiota!-
- Hai abbassato la guardia-
Rimproverò Nolan, sotto la pioggia battente.
- Non devi aver mai pietà del nemico-
- Sei un bastardo!-
Risposi, tramutando in fretta il mio pianto in rabbia pura. Cercai di uscire dal vortice di fango per saltargli al collo ma, come conseguenza, finì per venirne inghiottita del tutto. Il demone mi afferrò prontamente per un braccio, tirandomi fuori dal mulinello fino a portarmi a sé.
Sciolse l’incantesimo mentre io cercavo di riprendere l’aria che, per un attimo, mi era mancata.
- Ti odio-
Informai, ansimando.
- Con tutto il cuore…-
Socchiusi gli occhi, respirando profondamente e cercando di calmarmi. Avevo temuto di morire, che il cuore si fermasse per il dolore. Non avevo mai provato niente di simile per una persona.
La sensazione che qualcosa di importante mi fosse stata strappata via per sempre.
- Ma come hai fatto?-
Tornai a chiedere.
- Mi hai fatto prendere un colpo-
- Scusami-
Affermò la creatura, ridacchiando come a suo solito.
- Sono due incantesimi che non ti ho spiegato. Vortice Oscuro, con il quale sono scappato, e Morte Apparente. Confonde i nemici mostrando il tuo falso cadavere, così da poterli sorprendere alle spalle-
- Idiota-
Tornai a confermare, alzandomi in piedi e allontanandomi da lui.
- Temevo di averti ucciso per davvero. Già mi vedevo davanti ai tuoi soldati a dover spiegare in quale modo cretino avevi perso la vita-
- Non dovevi essere preoccupata-
Spiegò il demone alzandosi anch’esso.
- Ci vuole ben altro per uccidermi!-
- Già…-
Sospirai delusa, formando i pugni dalla rabbia. Non ero forte neanche per scalfire il terzogenito della casa reale, figuriamoci per battere Isaac, Abrahel e tutto il Concilio.
Le gocce d’acqua che cadevano su di me evaporavano all’istante, tanto ero furiosa.
- Se dovessi morire, te ne accorgeresti subito perché il marchio scomparirebbe-
Sbottò improvvisamente Nolan, attirando la mia attenzione.
- Davvero?-
- Beh, sì. E’ un incantesimo di giunzione, se l’altro contraente dovesse morire non avrebbe più motivo di esistere-
- Interessante…-
- Cos’è che trovi interessante, esattamente?-
Domandò il ragazzo, leggermente preoccupato.
- Beh, che se per caso un giorno volessi sbarazzarmi del marchio, non dovrei fare altro che ucciderti-
Il demone rise nervosamente, lievemente angosciato riguardo la mia affermazione. Mi domandò se desiderassi tornare in albergo, cambiando del tutto discorso. Lo ignorai, dirigendomi solitariamente verso un grande albero, le cui fronde mi avrebbero protetto dalla pioggia. Nolan mi seguì, trovando riparo sotto i rami del secolare arbusto. La sua chioma impediva il passaggio di qualsiasi goccia, dandoci modo di asciugarci. Il demone si tolse la maglietta, strizzandola per bene. Scorsi nuovamente i suoi bendaggi, sembrava che li portasse da un’eternità. Non immaginavo che i demoni faticassero così tanto per guarire da una ferita celeste, mi chiesi cosa sarebbe successo se per caso io riuscissi a ferirlo.
- Vuoi che ti aiuti?-
Domandò la creatura, facendomi rinsavire.
- Per cosa?-
- Per strizzare i tuoi abiti-
- Lascia stare, non mi spoglierò davanti a te-
Sbottai coprendomi il petto con le braccia, giochicchiando nervosamente con i miei capelli divenuti a spaghetto per colpa della pioggia.
- Ti prenderai un raffreddore-
Rimproverò il ragazzo, continuando a strizzare con forza la maglia.
- Che ti importa?-
Biasimai, poggiando la schiena alla corteccia dell’albero, bagnata fradicia.
- Tanto non stai progettando di farmi combattere, no?-
Portai le gambe al ventre, rannicchiandomi all’asciutto e cercando di sistemarmi i capelli. 
Pioveva a dirotto e non sembrava intenzionato a smettere molto presto. Chiusi gli occhi per un momento. Il rumore della pioggia era l’unico suono in tutta la foresta. Potevo percepire le gocce cadere sulle foglie, facendo eco fra gli alberi del bosco al confine con il Regno delle Fate.
Non c’era altra anima viva oltre noi per chilometri, nessuno a disturbarci. Eravamo soli, noi e la pioggia.
- Non ho intenzione di tenerti in panchina, Victoria-
Proferì il demone, accompagnato dal borbottio del cielo.
- Voglio ancora il tuo aiuto, so bene che senza di te non ho speranze di battere Abrahel-
- Allora perché non mi vuoi dare la pozione?-
Sbottai furiosa, volgendomi verso di lui e fissandolo dritto negli occhi.
- Perché voglio il tuo aiuto, ma senza la pozione-
Ricaddi nella delusione, allontanandomi da lui e volgendo lo sguardo altrove. Lo stomaco si contorse dalla rabbia, le mani iniziarono a fremermi.
Avrei dovuto passare assolutamente al piano B.
- Fino a tre giorni fa, pregavi affinché ti aiutassi-
Ricordai.
- Se non ti stavi riferendo al siero, a cosa stavi pensando?-
- Ho cambiato idea, mi sono dimenticato di dirtelo-
Roteai gli occhi, seccata.
- Preferisco non usare la pozione, neanche diluita. Quando ti chiedevo aiuto, mi riferivo a seguirmi per esercitarti al castello. Potrei aiutarti a divenire altrettanto forte, anche senza l’incantesimo-
Continuò Nolan, riempiendomi le orecchie di sciocchezze.
- Ci vorrà del tempo ma sono sicuro che il tuo controllo del sangue…-
- Cosa ti ha fatto cambiare idea?-
Domandai, interrompendolo.
- O meglio, chi ti ha fatto cambiare idea?-
- Come?-
- Avanti Nolan, non la pensavi così prima di tornare a casa. Eri fermamente deciso a darmi il siero diluito, chi ti ha fatto cambiare idea?-
Tornai a fissare il demone dritto negli occhi, scorgendone il fastidio.
- Non sono cose che ti riguardano-
Sbottò alzandosi in piedi, allontanandosi da me giusto di qualche passo. Sorrisi, certa di avere ragione.
- E’ stata la tua ragazza?-
Continuai, stuzzicandolo.
- Per caso è contraria?-
- Non parlare di cose che non conosci-
Lo raggiunsi all’estremità delle fronde dell’albero. Lo fissai divertita mentre lui, imbronciato, scrutava le nuvole cariche d’acqua.
- Allora è così, la tua fidanzatina non vuole-
- Lei non è la mia fidanzata-
Ringhiò il demone, giungendomi ad un palmo dal volto. Il mio sorriso scomparve, perdendomi nei suoi occhi così furiosi.
- Io non provo niente per lei-
- Eppure l’ascolti-
- Non è stata la sola a sconsigliarmelo, anche il mio comandante si è mostrata contraria-
- Oh, capisco-
Affermai, terribilmente infastidita.
- Così, nel tuo castello ci sono ben due regine ma nessun re-
- Cosa stai cercando di dire?!-
Ribatté il demone, seriamente seccato.
- Che non durerai un giorno su quel trono se non sei capace di prendere decisioni da solo-
- Perché tu sei un’esperta di troni e reami, non è vero?-
Tacqui, scrutandolo furibonda. Voleva atteggiarsi a grande sovrano, quando in realtà lasciava ancora che fossero gli altri a decidere per lui. Mi allontanai, non volendone più parlare. Presi a camminare sotto la pioggia battente, verso la città, mentre Nolan mi guardava da lontano, senza richiamarmi indietro. Udì la sua voce solo poco prima di percepire un forte dolore ad una spalla, prima di inginocchiarmi al suolo.
- Victoria!-
Udì per la seconda volta. Qualcuno mi colpì nuovamente, non dandomi modo di osservare chi diamine fosse. Rotolai nel fango e nella pioggia per qualche metro, finendo contro la corteccia di un albero. Sbattei la testa e la schiena, prima di constatare che stavo perdendo sangue. Mugolai irritata, osservando la figura sfuocata del mio assalitore avvicinarsi a me. Nolan finalmente mi comparve accanto, senza maglia, chiedendomi come stessi ed esaminando la ferita alla spalla sinistra.
- Sto bene stupido-
Dichiarai con una mano sulla fronte, cercando invano di tener ferma la testa che mi girava.
- Dimmi chi diavolo è, piuttosto-
Brontolai, cercando in tutti i modi di mettere a fuoco la sua figura. Il demone tardò a rispondere, preoccupato della domanda.
- Non lo vedi?-
- Lascia stare-
Sbottai rialzandomi, appoggiandomi al ragazzo dagli occhi d’oro. Lentamente l’immagine sdoppiata dell’aggressore divenne tutt’una, mostrandomi quel pazzo di Isaac in tutto il suo splendore.
- Maledetto-
Bofonchiai.
- Mi hai fatto venire mal di testa-
Lo stregone sorrise, bagnandosi completamente il suo elegante abito bianco sotto la pioggia. Avanzò verso di noi, scrutandoci con i suoi capelli biondi divenuti repentinamente marroni.
- Ti farò ben altro, credimi-
- Come ci hai trovati?-
Domandò il demone, afferrandomi per il braccio sano ed impedendomi di andare a spaccargli la faccia.
- Avanti, pensavi davvero che i tuoi incantesimi di oscuramento mi avrebbero trattenuto per sempre?-
Nolan strinse i pugni, realmente disturbato.
- Avrebbero dovuto-
Affermò digrignando i denti, fissando il giovane Anziano con odio. Lo osservai in silenzio, non comprendendo appieno il motivo della sua rabbia fino a che Isaac non prese a stuzzicarlo.
- E’ vero ma gli incantesimi servono a poco, quando qualcuno ti mostra una mappa con il tuo nome inciso sopra-
Spiegò l’altro, ridacchiando.
- La croce rossa nel mezzo della foresta di Bordeaux era inequivocabile-
Il principe al mio fianco prese a tremare dalla furia. Il suo volto divenne pallido, concentrato sulla figura dello stregone e desiderando di ucciderlo più di me. Stetti a fissarlo con una mano sulla ferita sanguinante, domandandomi quali delle tre persone, per cui lui si sarebbe gettato nel fuoco, lo avesse tradito.
- Chi è stato?-
Domandò il ragazzo avanzando verso Isaac, accompagnato dal suono dei tuoni che si stavano scatenando nel cielo sopra di noi. Le leggere nuvole che avevo richiamato si erano tramutate in un temporale, non dandoci modo di scacciarle con molta facilità. Per questo le streghe avrebbero dovuto evitare gli incantesimi correlati agli elementi naturali, spesso si rivelavano estremamente instabili. Il membro del Concilio al contrario pareva trovarsi a proprio agio sotto la pioggia, avendo origini fatate. Evocò anche un forte vento che prese ad abbattersi con violenza su di noi. In pochi attimi ci trovammo nel centro di una tempesta, con tanto di grandine nel pieno dell’estate. Scrutai il cielo preoccupata, mentre Nolan avanzava minaccioso contro il giovane dagli occhi azzurri.
- Forza, dimmi chi te lo ha detto-
- Non sarebbe divertente se te lo dicessi, no?-
Il demone gli saltò addosso, nel bel mezzo della bufera. Un forte soffio di vento lo colpì, bloccandolo prima che potesse avventarsi sullo stregone. Isaac scoppiò a ridere, mentre Nolan veniva sbalzato da un lato all’altro dalle violente raffiche. Solo il mezzo stregone parve esserne immune, iniziando a camminare con sicurezza verso di me.
- Non ho tempo da perdere con te-
Affermò rivolgendosi a Nolan, per poi fissarmi malignamente costretta a terra dal forte tifone di vento e pioggia. A stento riuscivo a tenere gli occhi aperti, ad osservarlo mentre si avvicinava minacciosamente sempre più.
- Ho ordini ben precisi-
Rivelò sorridendo, bloccandosi a meno di un metro da me.
- Devo catturarla viva-
- Per chi lavori adesso?-
Domandai, con la voce soffocata dalla tempesta.
- Ti credevo un cane sciolto, Isaac-
- Le cose sono cambiate, Victoria. Un patto è un patto-
Protese una mano verso di me, per afferrarmi. Cercai di scostarmi ma presto mi accorsi che la grandine si stava radunando intorno a me, congelandomi le gambe e costringendomi al suolo. Feci forza contro il terreno, tentando di liberarmi in ogni modo. La mano dello stregone era sempre più prossima ad afferrarmi, a portarmi chissà dove e al cospetto di chissà chi. Digrignai i denti, mentre la bufera infuriava intorno a noi sempre più.
- Giuro che ti ammazzerò-
Rinnovai la mia promessa, rabbrividendo dal freddo. Neanche il calore riusciva a vincere la temperatura di quel ghiaccio fatato, il blocco di gelo mi avrebbe consegnato nelle mani del nemico senza darmi modo di reagire. Isaac sorrise in modo quasi diabolico, un attimo prima che Nolan gli giungesse alle spalle, saltandogli addosso. Lo travolse, scomparendo con lui nel nulla non appena lo sfiorò. Una forte esplosione di vento mi fece chiudere gli occhi, ritrovandomi da sola quando tornai ad aprirli.
La tempesta era svanita e con lei anche la grandine e i fulmini, come lo strato di ghiaccio che mi teneva immobile. In cielo tornò a splendere il sole, scaldandomi con i suoi raggi mentre mi guardavo attorno allibita. Rimasi a terra, con una mano che teneva stretta la ferita sanguinante. Erano spariti, portandosi dietro il temporale. Mi alzai lentamente, vacillando, cercando le loro figure fra gli alberi ancora sconvolta. Se ne erano andati. 

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Capitolo 16
*** Il sangue della Regina ***


 
Lo aspettai a lungo, senza riuscire a pensare ad altro se non a lui. Ogni minuto fissavo il marchio sul mio polso, consapevole che fosse ancora vivo per il solo fatto che esso non scomparisse.
Sospiravo continuamente, domandandomi dove diamine fosse andato a finire in compagnia di Isaac.
Neanche quel pazzo di uno stregone tornava indietro ad uccidermi, i due erano semplicemente spariti senza lasciare traccia. Tentai di non essere amareggiata della scomparsa del demone, in fondo non lo avevo mai voluto al mio fianco. Senza lui avrei potuto dedicarmi completamente alla riuscita del mio piano B, senza preoccuparmi di una sua intromissione. Molto probabilmente avrebbe considerato le mie azioni folli e sconsiderate, rimproverandomi per tutto il tempo. Non che avessi molta scelta, Nolan non mi avrebbe mai dato il siero ed io non ero in grado di averlo da sola.
Se volevo ottenere il potere, quello era l’unico modo.
Stringevo i pugni dalla rabbia mentre pensavo a lui e alla sua maledettissima fiala. Quello stupido demone non portava a termine mai niente. Iniziai a truccarmi, riflettendo su uno sciocco principe viziato che intraprendeva una battaglia senza mai vederne la fine. Per noia o per diletto aveva dato inizio ad un esperimento che non intendeva concludere. Aveva ucciso, ingannato e fattomi assaggiare il potere per nulla.
Fusi il rossetto mentre lo stringevo e ne dovetti scegliere un altro, gettandolo nella pattumiera. Sapendolo in anticipo, avrei accettato di aiutarlo quando ancora voleva provare la pozione su di me. Avrei dovuto sconfiggere quel codardo di Abrahel, quel pazzo di Isaac e portare a compimento la mia vendetta quando ne avevo avuto l’occasione.
Fusi anche la cipria, buttandola via come il rossetto prima di lei.
Invece adesso mi trovavo al punto di partenza, senza niente in mano e con un paio di nemici in più che volevano la mia testa. Avevo perso tempo, costretta ad allenarmi di notte senza sigillo con il mio controllo del sangue. Quello che mi serviva era maggior potere, giusto per controllare meglio quello che già possedevo.

Attesi un attimo prima di toccare l’ombretto, avendo dovuto gettare anche la spazzola. Socchiusi gli occhi innanzi allo specchio, cercando di calmarmi. Quella notte, avrei ottenuto finalmente il potere, dipingendo di rosso sangue le strade di Bordeaux. 

Sorrisi, allietata da quel pensiero e riuscendo finalmente a truccarmi e a pettinarmi i capelli, già incredibilmente cresciuti. Si allungavano sempre con grande fretta, fin da quando ero bambina. Cadevano sulle spalle, corvini e terribilmente lisci.
Li spazzolavo, avvolgendoli in una intricata capigliatura, mentre riflettevo sulla serata.
Avrei trovato sfogo nel sterminare quelle creature che tanto odiavo, a bruciare quei fragili corpi fatati che si disintegravano non appena li sfioravo. Come anni prima, “il mostro delle fate” sarebbe tornato sui titoli di tutti i giornali e, come esattamente le scorse volte, avrebbero pagato per essere nate così deboli. Per un attimo mi persi nel ricordo di una notte della mia infanzia quando, in una delle tante fughe da casa, uccisi per la prima volta una fata.
Le mie mani divennero gelate, toccando la lunga collana di perle comperata con i soldi che Nolan aveva lasciato in camera. La indossai, specchiandomi con solo essa in dosso, truccata, con i capelli raccolti e i bendaggi alla spalla. Quella donna, quella sciocca fata che aveva fatto l’enorme sbaglio di essere tanto buona con un mostro, era morta a causa dalla fragilità della sua stupida razza. Dopo di lei, avrei voluto vedere morte qualunque creatura portasse un paio di insulse ali colorate dietro la schiena.
Mi diressi verso il guardaroba, terminando di prepararmi per la grande notte.
Prestando attenzione alla ferita infertomi da Isaac, indossai l’elegante e costosissimo abito blu.
Mi specchiai ancora una volta prima di uscire, chiedendomi quanto lo avrei macchiato di sangue da lì all’indomani.
 
Chiamai una carrozza, per attraversare l’intera città sino all’evento che tanto avevo aspettato.
Il lento mezzo impiegò quasi un’ora per fare il giro della città, mostrandomi dall’interno del cocchio ogni suo dettaglio. Potei osservare meglio le case delle creature fatate, notando che fossero divise in tre tipi. Gli insetti alati vivevano in abitazioni costruite con foglie e rami di alberi, in dimore scavate nella roccia e oppure costruite in alberi enormi. Queste ultime erano situate in arbusti, talmente alti da toccare il cielo e talmente larghi da catturare l’intera visuale. Come appartamenti, vi erano migliaia di case nelle quali abitava la classe più agiata delle fate. Più le case si trovavano verso i rami alti, più le famiglie che vi risiedevano erano importanti.
Quasi tutto il quartiere nobiliare era composto da questi soli alberi.
In periferia potei scorgere casette scavate nella roccia e abbellite da fiori e piante di ogni tipo, ovviamente. Ognuna di esse possedeva un grande giardino e appartenevano alla classe benestante. Le fate più modeste invece dimoravano nelle piccole casette costruite con rami e foglie, che si trovavano verso i confini della capitale.
Per i turisti, gli edifici e i negozi delle strade centrali erano costruiti nello stile degli umani. Alti palazzi di mattoni rompevano lo scenario della città costruita nella pietra e negli alberi, illuminate dalla sola luce naturale delle creature fatate, che si riversava in tutta Bordeaux come elettricità.  Pochi stregoni e umani in visita accettavano di dormire sopra un letto di foglie o di risiedere in un albero. Per la salvezza della economia dunque, che si basava completamente sul turismo, avevano accettato di annullare la loro cultura per abbracciare lo stile architettonico umano.  
Continuai ad osservare fuori dalla finestrella del cocchio, come le loro case, anche il loro aspetto si distingueva a seconda della classe sociale di appartenenza. I tre ceti non si riconoscevano per i modi di vestire, per il loro linguaggio o per il loro aspetto ben curato. Ricchi e poveri erano esattamente uguali, in tutto. Tutte le fate erano alte praticamente quanto me, avevano delle orecchie a punta orizzontali che spuntavano dai lunghi capelli blu, rosa o verdi e indossavano gli stessi vestitini di foglie colorate. L’unica differenza visibile erano le ali, per forma e grandezza.
Quelle allungate verso l’alto, con un taglio a zig zag e con il colore omogeneo appartenevano alle fate più semplici e modeste. Le fate invece con le ali dalla stessa forma delle farfalle, quasi come se avessero più strati, e dal colore sfumato appartenevano a quelle benestanti che abitavano all’interno delle case nella roccia. In fine vi erano le ali più eleganti e sfavillanti di tutte, dalla forma unica e irripetibile. Non vi era una coppia di ali uguale all’altra, ad accumunarle erano solo le diramazioni di un colore dominante che prevaleva su tutte le ali. Chiazze di un colore altrettanto forte era presente sulle estremità di ogni ala, con lo sfondo formato solitamente da decine di colori diversi. 
Le trovavo buffissime e assurde, il modo in cui interagivano fra loro poi mi faceva ancora più ridere. Quando trovavano una loro conoscente muovevano le ali felici, quasi fossero state cani. Parlavano tranquillamente anche con gente che non conoscevano e che apparteneva alla classe inferiore a loro, senza alcun problema.
Le fate si comportavano da membri del loro ceto solo una volta all’anno, durante la Festa del Sole, che veniva festeggiato durante il solstizio d’estate. In quell’occasione veniva dato un grande ballo a cui tutti partecipavano, a cui, quell’anno anch’io avrei presenziato.
Accorsero da ogni parte del regno centinaia di fate, che si riunirono all’interno di un’immensa quercia cava, utilizzata come palazzo per le cerimonie. Dato l’evento, le famiglie nobiliari portavano il proprio stemma sopra le loro vesti eleganti. Quasi tutte indossavano una bellissima corona, sopra i loro capelli delicati come la seta e, gli uomini, sfoggiavano un bastone d’oro da passeggio. Le fate benestanti indossavano vestiti luminosi e intricati, portando una dolce coroncina di fiori sopra il capo. I membri appartenenti all’ultima classe parteciparono vestiti come tutti i giorni ma non per questo meno eleganti o sciatti.
 
Finalmente giungemmo dall’altra parte della città, in coda per accedere all’entrata dell’albero cavo.
Feci un sospiro di sollievo, la mia permanenza nel cocchio fiorito stava per terminare.
Presi lo specchietto dalla borsetta, controllando per un ultima volta il trucco. Sistemai la collana, stringendola forte mentre osservavo il riflesso dei miei capelli raccolti. Raramente mi vestivo così elegantemente, pensandoci bene forse non mi ero mai conciata in un modo simile.
La ricerca del potere faceva fare cose pazze, come impiegare ore per prepararsi e poi rovinare un costosissimo vestito da cerimonia con il sangue d’oro della Regina delle Fate.
Sorrisi, giochicchiando con la collana. Sperai almeno che le sfumature dorate si intonassero ai tacchi che indossavo sotto all’abito blu, lungo fino alle caviglie. Li avevo scelti placcati pensando a quel momento, l’attimo in cui finalmente avrei ottenuto il potere contenuto nel sangue della regina, non solo per riprendere il colore delle mie iridi fuori dal comune.
Riposi lo specchietto nella borsa, lieta di portare a compimento perlomeno il mio piano B.
Ricordavo di aver letto su un qualche libro la leggenda di alcune creature definite “potenzianti”.
Il sangue di esse avrebbe dovuto donare poteri incredibili a coloro che lo bevano, una di queste era la Regina delle Fate. Il suo sangue color oro offriva enormi capacità, permanenti.
Continuai a sorridere, pensando che fosse persino meglio del siero temporaneo di Nolan.
Secondo la leggenda ci sarebbero state altre creature di cui poter bere il sangue, come gli unicorni, gli arcangeli, la prima principessa delle sirene, la fenicie morta almeno per mille volte e il grifone dalle ali d’argento. Mi parve più facile trovare la Regina delle Fate, visto che mi trovavo già nel suo regno. Sapevo bene che si poteva trattare di una semplice leggenda, un’antica storia che si sarebbe potuta rivelare falsa. Ritenevo comunque che valesse la pena tentare, nel caso peggiore avrei ucciso un bel po’ di fate.
 
La carrozza mi condusse esattamente davanti all’ingresso del grande albero cavo. Un valletto dalle ali blu si propose di aiutarmi a scendere, ponendomi pericolosamente la sua mano. La scrutai per qualche attimo, desiderando stringerla e poterne osservare le conseguenze. Mi contenni, rifiutando con garbo e scendendo da sola. Sfilai sul tappeto rosso che portava fino all’entrata, aperta nella corteccia. Quando fu il mio turno, mi presentai davanti ai soldati che presiedevano la porta. La loro presenza mi sorprese, le fate infatti non erano solite necessitare delle guardie duranti eventi pubblici. Si fidavano di tutti, anche quando doveva presenziare la loro carissima Regina.
Giunsi fino a loro con tutta tranquillità, per niente preoccupata da quegli stupidi insetti corazzati.
La guardia personale della sovrana mi fermò innanzi all’ingresso, domandando il mio nome, il mio rango e la mia provenienza. Fissai le tre donne per qualche istante, notando che appartenevano alla classe sociale più alta. Non indossavano le armature nonostante fossero delle guerriere, piuttosto erano molto più eleganti di qualunque altra donna presente alla festa. I loro abiti luccicavano alle luci dei lampioni e le loro grandi ali venivano ammirate da chiunque posasse per sbaglio lo sguardo su di loro.
Non avevo mai visto ali tanto grandi e tanto belle, anche il loro portamento era estremamente diverso da quello degli altri soldati sparsi un po’ ovunque.
- Van Liard-
Pronunciai, sfoggiando il cognome nobiliare che mio padre non aveva voluto tramandarmi.
Una delle fate segnò il mio nome sulla lista dei presenti, incitandomi con voce decisa a rispondere anche alle altre domande.
- Da dove ha detto che viene?-
Continuò, a volto duro e sbattendo le lunghe ali che emanavano una luce violacea.
- Dalla nazione delle streghe-
Risposi, come se una ragazza senza ali potesse giungere da altri luoghi.
- E cosa sareste? Una strega o un’umana?-
Chiese un’altra, vestita di un abito pieno di perle e circondata da una luce azzurra. Pareva avere uno sguardo leggermente più dolce rispetto alla prima, nonostante mi scrutasse con diffidenza.
- Una strega-
Dichiarai, accontentandole. La prima fata continuò ad appuntare il tutto sul suo enorme registro, così lentamente da spazientirmi.
- Perché tutto questo?-
Domandai infine.
- Non posso semplicemente entrare per il Ballo del Sole?-
- E’ la procedura-
Affermò la terza, il cui vestito era circondato da migliaia di fiori ed emanava una strana luce verde dalle ali.
- E da quando?-
Domandai sarcastica. Le tre donne si guardarono fra loro, dopodiché tornarono a fissarmi. Per la prima volta notai le splendide corone che portavano, su di esso vi era lo stemma della famiglia reale.
- Dallo sterminio del mostro delle fate-
Spiegò la fata con il registro in mano, rispondendo con ovvietà. Continuarono a fissarmi stranamente, come se non avessi saputo rispondere alla domanda più facile del mondo, come se provenissi da un altro pianeta.
- Voglia scusarci Signorina Van Liard-
Iniziò dicendo la guardia vestita di fiori.
- Non ne ha mai sentito parlare?-
Sorrisi istintivamente, stringendo la borsetta.
- Certo che sì-
Sbottai, sbattendo le ciglia.
- Me ne ero solo dimenticata-
Le tre donne mossero le ali contemporaneamente, mettendo via il registro delle presenze.
- Da quanto tempo è qui, Signorina?
- Da questa mattina, sono venuta per partecipare alla festa. Non è troppo tardi per il buffet, non è vero?-
Si lanciarono delle occhiate di sfuggita, prima di scusarsi per la perdita di tempo e liberandomi il passo.
- Il nostro paese è ancora sconvolto dagli eventi avvenuti quattro anni fa-
Ammise la fata piene di perle sull’abito.
- Quando numerose delle nostre sorelle sono state uccise carbonizzate-
Cercai di fare l’espressione inorridita, ponendomi una mano sul petto raccapricciata.
- Me lo ricordo bene-
Mormorai malinconia.
- Una vera tragedia. State svolgendo un ottimo lavoro ma non penserete certo che il mostro appartenga ad una famiglia nobile di streghe, non è vero?-
- Certo che no-
Sbottò la fata dalle ali violacee, ponendo il registro dietro la schiena.
- Prego, si accomodi-
- Si diverta-
Augurò la guardia vestita di fiori, aprendomi le porte per l’albero cavo.  


I raggi lunari risplendevano sulle ali scintillanti delle fate che ballavano, accompagnate dalla dolce musica dei violini. Rimasi abbagliata, domandandomi a che servissero i lampioni.
Avanzai lentamente nella folla, osservando le pareti dell’enorme albero cavo in cui mi trovavo.
In confronto ad esso mi sentivo minuscola, un insetto in una gigantesca quercia.
Il pavimento era composto dallo stesso legno del tronco, il soffitto dalle stelle del firmamento. Proseguì come una formichina, seguita da centinaia di coccinelle danzanti intorno a me. Al ballo del Sole erano accorse erano moltissime fate, eppure lo spazio sembrava non mancare mai all’interno di quel bizzarro palazzo delle feste.
Al lato sinistro erano stati costruiti i bagni in pietra, dall’altro, nel mezzo la pista da ballo, vi era il ristorante e, in fondo, l’orchestra.
Lo spazio vicino alle pareti pareva riservato alle fate lasciate sole, che aspettavano di essere invitate per le danze. Io rimasi per un po’ vicino al muro di corteccia, non volendo però essere invitata.
Stavo scrutando la situazione, cercando di vedere bene anche ciò che non doveva essere visto.
Fingendo di alzare lo sguardo verso il cielo, notai numerose guardie appostate nel buio presso la cima dell’albero. Ci stavano osservando e volevano essere sicure che non ci fossero incidenti.
Sopra la pista da ballo scorsi un grande balcone, su di esso vi erano alcuni soldati che pareva facessero da scorta ad una elegante fata con una bambina.
Non fu difficile capire che, la fata allontanata da tutti, fosse la loro regina.
Osservai bene la sua figura, mentre ella sorrideva fissando il suo popolo che festeggiava.
Sul capo portava una bellissima corona di rubini rossi, che splendevano alle luci della festa.
Il suo abito rosa era più semplice di tutti quelli delle signore presenti al solstizio, persino più semplice delle guardie. Le sue ali gialle si intonavano perfettamente alle scarpette.
Notai che teneva un bambina stretta per mano, intenta ad osservare le danze. La sua piccola e fragile figura mi incuriosì, scrutava i partecipanti piena di malinconia, colma di una tristezza ben visibile. Mi concentrai su altro, stringendo i pugni e domandandomi come raggiungerla.
 
Dovetti creare un po’ di confusione fra le fate, giusto per distrarre le guardie e per sfogarmi.
Avevo dato inizio ad uno splendido gioco, divertente e dal premio succulento. Se vincevo, mi aggiudicavo la splendida signora che si trovava in cima a quel balcone.
Attesi un’ora prima di agire, aspettando che le fate avessero il tempo di bere le bevande che avevo incantato.
Dovetti resistere a lungo, prima che perdessero le proprie inibizioni.
Le osservai spazientita, attendendo il momento in cui le guardie dall’alto avrebbero dovuto dedicarsi ai rumorosi ospiti. Successivamente mi interessai ai soldati che presiedevano la pista da ballo, necessitando che anch’essi si sciogliessero un po’. Dopodiché uccidere loro e gli invitati, sarebbe stato ancora più divertente.
Sorrisi istintivamente, capendo perché il Concilio si fosse sempre opposto ad insegnarmi la magia. Effettivamente, era pericoloso.
- Notato qualcuno di sospetto?-
Chiesi ad una guardia, posizionandomi accanto a lui con le spalle contro la parete.
L’uomo si stupì che gli rivolgessi la parola e prese a battere nervosamente le ali.
- N-No Signorina. Nessuno per ora-
- Allora, posso dire di essere al sicuro?-
Continuai a chiedere, avvicinandomi.
- Certo Signorina. Con noi voi siete assolutamente al sicuro!-
- Mi rincuora-
Risposi sorridendo.
- Sta facendo uno splendido lavoro questa sera. Posso offrirle da bere?-
- No…veramente…non sarebbe permesso-
Sbuffai, andandogli davanti.
- Faccia un piccolo strappo alle regole. Deve essere stancante stare in piedi tutta la notte. Deve avere la gola secca, non è così?-
- Sì…un pochino…-
Rispose, vedendo il vino che gli stavo agitando sotto il naso.
- E’ giusto un goccio. Non credo che possa farle male-
Dopo qualche secondo di fatica, convinsi tutte le guardie presenti nella sala.
Stupidamente, bevvero la pozione avvelenata senza pensare minimamente alle conseguenze, solo una di loro mostrò resistenza.
- Non è facile essere una ragazza senza ali a questa festa, sa?-
- Ma davvero-
- Sì, nessuno mi invita a ballare. Non ho nessuno con cui brindare…-
Continuai, avvicinandomi alla spalla della guardia.
- Sono sicuro che troverà qualcuno, in mezzo alla pista da ballo-
Rispose, senza neanche degnarmi di uno sguardo.
Digrignai i denti, infuriata per essere stata rifiutata. Volsi gli occhi in alto, cercando la figura delle guardie armate sopra le nostre teste. Ci trovavamo in un angolo vicino ai servizi, coperti da una piccola tettoia che ci proteggeva dalla vista dei soldati. Fissai fugacemente gli ospiti a pochi metri da noi, notando che erano troppo impegnati a festeggiare per osservarci.
Bevvi velocemente dal bicchiere che stavo porgendo al soldato, cercando di non ingoiare.
Libera dal sigillo, applicai l’incantesimo di contenimento per la mia temperatura, abbassandola giusto per qualche secondo. Dopodiché mi alzai sulle punte, gettando il calice vuoto a terra con rabbia. Afferrai la testa della guardia e lo baciai, senza che questo poté fare niente. Gli feci bere la pozione dalla mia bocca, facendolo stramazzare a terra prima che si potesse vendicare.
- Ci voleva tanto?-
Bofonchiai, asciugandomi le labbra e il petto sul quale era caduto del vino.
- Desideravo solo fartelo assaggiare-
Me ne andai lasciando l’ultima guardia sul pavimento, che presto si rialzò con l’unico desiderio di potersi divertire. I soldati del piano terra erano sistemati, adesso potevo creare un po’ di panico fra gli invitati.
 
Attesi in bagno le prime fatine con i sintomi del mio veleno.
Arrivavano tutte con i vestiti sporchi di alcol, colpite da forti mal di testa oppure con conati di vomito.
- Hai bisogno di aiuto?-
Chiesi alla prima che sopraggiunse. Aveva sporcato il suo bellissimo abito e non faceva che esilararsi per questo. Rideva, dicendo che il suo ragazzo aveva voluto leccarle tutto il vino che le era caduto addosso e che adesso aveva fatto peggio, rovinandolo del tutto.
Io sorrisi e mi avvicinai.
- Aspetta-
Dissi.
- Ti do una mano-
L’afferrai con forza per il collo, bloccandola. La delicata creatura non riuscì ad urlare, le corde vocali furono le prime a bruciare. Le cadde il fazzoletto che stringeva fra le mani, iniziando a sbattere nevriticamente le ali. Strinsi più forte, non facendo altro che toccarla. Presto le mancò il respiro e la sua pelle iniziò a bruciare, diffondendosi per tutto il volto e il corpo. I capelli di seta si tramutarono in cenere, le ali rosse si staccarono dalla schiena mentre tutto il resto diveniva polvere.
Mi allontanai, stringendo i pugni. L’avevo solo toccata, semplicemente questo.
Odiavo la loro fragilità, odiavo la loro delicatezza. L’avevo solo toccata e lei era morta, come accadde alla prima fata che uccisi. Rabbrividì ancora una volta al suo ricordo.
Farle del male mi aveva provocato una profonda ferita al cuore, che mai avrebbe potuto risanarsi. Strinsi la collana di perle furiosamente, fissando i resti della fata. Il Concilio aveva ragione, ero solo un mostro che si divertiva ad uccidere, per rabbia.
Il Mostro delle Fate nacque per vendetta contro quell’unica e stupida creatura che osò volermi bene, proteggendomi quando tutti mi davano la caccia. Le avevo detto di non toccarmi, glielo avevo detto ma lei non aveva ascoltato. La odiavo per avermi abbracciata. L’avevo uccisa e la odiavo per averla uccisa. Rivedevo il suo volto in tutte le fate che incenerivo, finendo per arrabbiarmi terribilmente. Fusi il costoso collier di perle che stavo toccando, gettandolo a terra.
Lo sostituì con un altro gioiello, che avevo portato per precauzione. Un bellissimo zaffiro blu a forma di cuore che avevo acquistato con i soldi di Nolan, pagandolo più dell’abito. Cercai di calmarmi, non desiderando distruggere anche quello.  
Mi dedicai alle decine di fate ubriache che si diressero in bagno, prendendole per il collo anche due alla volta. Avvelenate, non facevano altro che sbattere stupidamente le ali.  
Nemmeno cercavano di difendersi, di salvarsi. Rimanevano inermi, a morire, fino a che di loro non rimaneva altro se non le ali e gli abiti. In massa, chiudevo i resti nello sgabuzzino con le scope, poi aspettavo altre vittime.
Dopo un’ora, stufa del bagno delle donne, passai a quello degli uomini. Fu più divertente ucciderli, con un lungo bacio, il loro ultimo bacio di morte.
Anche le loro ali e i loro vestiti li gettai dentro lo sgabuzzino e aspettai. Aspettai che qualcuno si accorgesse che la sala si fosse dimezzata.
Finalmente le guardie del piano superiore iniziarono ad avere i primi sospetti, esattamente dopo aver ucciso tutti soldati presenti sulla pista da ballo. Uno ad uno li avevo convinti a seguirmi in bagno, per poi carbonizzarli come il resto della loro razza. Solo allora gli uomini armati scesero dalla cima del tronco, abbandonando le loro posizioni e cercando invano i loro compagni d’armi.  
Iniziarono a vagare stupidamente per la pista da ballo, allarmati. Qualcuno provò a cercare i disertori in bagno, finendo nella mia trappola.
 
Volli creare ancora più scompiglio, usando un incantesimo che Nolan mi aveva insegnato durante i nostri esercizi.
- Velo bianco-
Sussurrai, prima di uscire allo scoperto. Una luce impercettibile scaturì dal mio corpo, colpendo in pieno lo sguardo di chiunque mi circondasse. Nessuno riusciva a vedermi, permettendomi di attraversare la folla indisturbata. Non era un vero incantesimo della invisibilità, quella magia velava semplicemente gli occhi di chiunque ne venisse investito, impedendogli di vedere la persona che aveva proferito l’incantesimo.
Risi, camminando fra le coppie danzanti e toccandole, una ad una. Passavo tranquillamente e stringevo un braccio, un collo o una mano a piacimento. Questo non le uccideva ma le faceva urlare dal dolore. Tutti coloro che colpivo si accasciavano a terra, con la parte del corpo in questione bruciata. Presto la musica cessò e molti ospiti scapparono, accalcandosi verso l’unica uscita.
Il resto dei soldati che ancora osservavano dall’alto, finalmente scesero, cercando fra la folla impazzita il colpevole impossibile da vedere.  
Le vittime urlavano e si accasciavano a terra da sole, senza che nessuno apparentemente le toccasse. Le guardie iniziarono a correre per la sala, giungendo nelle mie grinfie.  
Appena mi erano abbastanza vicine le bloccavo con il mio corpo, stringendole forte.
Toccavo i punti scoperti dalle armature, pronunciando sempre la solita frase.
- Muori per la tua regina-
Sussurravo alle loro orecchie a punta, prima che esalassero l’ultimo respiro.
Questi si dimenavano, contro un nemico invisibile del quale potevano udire solo la voce.
Sconcertati giunsero ancora più soldati, cercando di salvare i compagni feriti ma seguendone atrocemente il destino.  
- Andate anche voi! Cosa aspettate?!-
Urlò la regina alla propria guardia personale, vedendo il popolo che moriva sotto i suoi occhi.
I soldati con un balzo scesero a terra cercando, con le spade sguainate, il mostro che stava mietendo così tante vittime. Li ignorai, scrutando la figura della regina in piedi sul balcone, intenta a stringere la mano della figlia.
Osservava la scena con orrore, tremando per la paura.  
Presi a ridere, avanzando verso la donna rimasta indifesa. Procedetti lentamente, gustandomi il momento in cui l’avessi uccisa. Giunsi sotto la balconata, dopo aver colpito o ucciso chiunque mi avesse intralciato il cammino. Con agilità, colmai l’altezza che ci separava, riuscendo a raggiungerla con un semplice balzo. Ella riuscì a sentirmi, pur non vedendomi. Sussultò spaventata, puntando lo sguardo verso di me.
- Dove sei?!-
Domandò tremante.
Spesi qualche minuto a fissarla, notando quanto fosse bella ed elegante. I capelli biondi le cadevano sulle spalle, le labbra rosse tremolavano mentre cercava di parlare e i grandi occhi, blu come zaffiri, scrutavano il vuoto spaventati. Ansimante, prese in braccio la bambina ancor prima che io sciogliessi l’incantesimo.
- Chi…Chi sei?!-
Continuò, allontanandosi da me. Scesi dalla balaustra iniziando ad avanzare, poteva udire i miei tacchi procedere verso di lei.
- Chi sei?!-
Ripeté, quasi morendo dal terrore.
- Non sono obbligata a presentarmi-
Sbottai, seccata dalla sua codardia.
- Cosa vuoi?-
- Il sangue della Regina delle Fate, ovviamente-
La donna strinse maggiormente la bambina che teneva in collo, quasi stritolandola.
- Vuol dire…che non tenti di rovesciare il regno?-
Domandò incredula la creatura, indietreggiando. Aggrottò le sopracciglia mentre il suo sguardo vagava nel vuoto, alla ricerca di colei che la stava minacciando. Io continuai a ridere, ritenendole creature veramente sciocche. Avevano dato un’identità tutta sua al “mostro delle fate”, definendolo un sovversivo, un ribelle dalle ali fragili che desiderava l’anarchia.
- Lei non è una fata-
Affermò improvvisamente la bambina, facendomi sussultare. Mi stava fissando, nonostante io fossi ancora invisibile ai suoi occhi.  
- C-Come?-
Chiese la madre.
- Non ha le ali. Viene dal paese delle streghe ma non è una strega-
- E tu come…piccola…-
Strinsi i pugni, digrignando i denti veramente infastidita. Mi mostrai con il mio aspetto, con l’abito lungo blu e i capelli raccolti, sorprendendo la donna innanzi a me.
- Sei…sei così giovane…-
Sussurrò la sovrana, quasi con compassione.  
- Eppure ho già incenerito un centinaio dei tuoi sudditi-
Ella sussultò, rinsavendo e nascondendo la bambina dietro la sua schiena.
- Cosa vuoi da noi?-
Tornò a chiedere, pallida e tremante.
- Il sangue della sovrana, te l’ho detto-
- E perché lo vuoi?-
Le sorrisi, avvicinandomi. Non aveva più posto per indietreggiare, era mia.
- E’ semplice. Voglio il potere del suo sangue d’oro-
- E’ solo una leggenda, non lo sapevi?-
Ribatté la fata, ansimante.  
- Davvero? Lo scopriremo subito-
Mi avventai sulla donna dai lunghi capelli biondi, cercando di colpirla ma qualcosa mi fermò. Fui respinta da una barriera elettrica, eretta intorno a loro come un campo magnetico.
Tornai a sfiorarla, provocando un’intensa scossa che mi colpì attraversandomi il corpo intero.
I capelli raccolti divennero elettrostatici, innervosendomi.
- Non sarà certo questo a fermarmi-
Gridai arrabbiata, afferrando la barriera a mani nude. Delle scariche di elettricità mi colpirono nuovamente, avvolgendo tutto il mio corpo, facendolo diventare ancora più caldo.
Io vivevo nel calore, quello non mi avrebbe certo bruciato.
Strinsi più forte la barriera e la strappai, come si fa con un sacchetto di plastica.
Non era certo più potente della magia di Nolan.
- Voi fate siete troppo deboli-
Dichiarai, avventandomi finalmente sul corpo della sovrana e graffiandole una spalla.
Conficcai le unghie nella carne, facendone sgorgare il sangue e verificando se fosse una leggenda o meno. Il sorriso dal mio volto scomparve, quando scorsi del sangue rosso fuoriuscirle dal corpo.
Era una leggenda.
La creatura crollò a terra dal dolore, con la pelle ustionata, tuttavia continuando a stringere la figlia fra le braccia. Le urla attirarono presto le guardie rimaste, fra cui le tre donne che avevo conosciuto all’entrata. Circondarono da terra il terrazzo in pochi attimi, togliendomi ogni via di fuga.
- Regina!-
Urlarono le guardie reali, cercando di alzarsi in volo per raggiungerci.
- Ferme o l’ammazzo!-
Gridai, facendole bloccare all’istante. Le soldatesse mi fissarono con rabbia dal basso, continuando perlomeno ad urlare il nome della sovrana.
- Sorella!-
- Sì-
Rispose la fata, se pur sofferente.  
- Sto bene-
- Col cavolo-
Sbottai io, ripensandoci.
- Dopo tutta questa fatica, almeno devo ucciderti-
Affermai, estremamente delusa che il mio piano B fosse fallito. Alzai una mano furiosa, per colpire il bellissimo e delicato volto della donna. Desideravo bruciarla viva, vendicarmi di tutto quel tempo perso per niente.
- No!-
Protestò la bambina, mettendosi temerariamente fra me e la fata. Per un attimo mi bloccai, sconcertata dal suo coraggio.
- Non credi di aver già ucciso abbastanza?-
Continuò la piccola dai capelli biondi, alta poco più di mezzo metro.  
- Non ti sei già vendicata?-
- Cosa ne vuoi sapere tu, mocciosa?-
- Ti prego, basta uccidere-
Proseguì con voce ferma, fissandomi negli occhi senza un solo accenno di terrore.
La scrutai indecisa, non riuscendo a riflettere con la madre che piagnucolava e le guardie reali che urlavano sotto il balcone.
- Ros! Ros!-
- Sì!-
Rispose finalmente la donna a terra.
- Sto bene Pearl!-
Mi stufai di quella situazione di stallo, afferrando l’unica che mi stava dando sui nervi.
Acchiappai la bambina per il vestitino, facendola urlare dalla sorpresa.
Con un salto sulla balaustra riuscì a trovare la spinta necessaria per salire sulla cima dell’albero cavo, per poi scappare.
- La regina!-
Udì gridare.
- Il Mostro!-
- Ha preso Sua Maestà!-
 
Corsi attraverso la foresta notturna, soddisfatta di aver almeno ucciso molte di quelle noiose creature. La bambina fra le mie braccia non faceva che blaterare, affermando che tutti mi avrebbero considerato malvagia. Mi fece ridere, sembrava quasi una battuta. Cosa ne sapeva lei della malvagità o di come la gente mi considerava?
Io ero stata ritenuta un mostro ancor prima di venire al mondo.
Malvagia, un angelo con le ali macchiate di sangue, più crudele dei demoni, ecco cosa ero.
Sorrisi, chiedendomi se la causa fosse il sangue umano e celeste, incompatibile fra di loro, che scorreva nelle mie vene.
Se così fosse stato, la malvagità sarebbe stata sicuramente una caratteristica di famiglia.
Iniziai a tremare a quel pensiero, rievocando un terribile ricordo legato ad una persona altrettanto orribile. Divenni gelida, ripensando a mia sorella e alla sua crudeltà.
Cercai di calmarmi, rammentando che era morta.
- Hai fatto male alla mia mamma-
Mugolò la bambina, facendomi rinsavire.
- Volevo ucciderla-
Ammisi, rallentando.
- Ringrazia tutti gli Dei che vuoi perché l’ho risparmiata-
- Le zie saranno arrabbiate-
Disse lamentandosi.
- Quelle tre? La guardia reale?-
La bambina annuì.
- Fanno parte delle quattro principesse reali-
- Quattro?-
Chiesi, non tornandomi i conti. Continuai a correre, fino a giungere talmente lontano che non seppi più dove mi trovavo.
- La mamma era solo spaventata-
Giustificò la fatina chiacchierona.
- Proprio come tu temi Blanche-
Mi bloccai, mollando la bambina e facendola cadere a terra. Questa bofonchiò qualcosa, rotolando con il suo piccolo e goffo corpicino sino a tornare in piedi.
- Come conosci il suo nome?-
Domandai, indietreggiando.
- Come sai di mia sorella?-
- Io leggo la mente degli altri-
Affermò la creatura, continuando a guardarmi con i suoi grandi occhi zaffiro.
- Ah sì? E cosa sto pensando ora?-
La piccola tacque, fissandomi un momento più intensamente.
- Chissà se Nolan sta bene-
Indietreggiai ancora. Quel mostriciattolo davvero mi leggeva nella mente.
- Come fai a farlo?-
- Ci riesco e basta-
Rimasi un attimo in silenzio, riflettendo su un dettaglio a cui non riuscivo a trovar spiegazione.
- Ma…se tu leggi la mente…sapevi fin dall’inizio che il “mostro” ero io-
La bambina annuì, spiazzandomi.
- Tu sapevi quello che volevo fare…fin da quando sono entrata da quella porta-
Ripeté lo stesso cenno del capo.
- Allora perché non hai detto niente? Hai lasciato morire…-
- Non sta a me fermarti, Victoria-
Sbottò la bambina, facendomi sobbalzare ancora.
- Nonostante sperassi con tutto il cuore che ti arrestassi-
Iniziai a ridere istericamente, sciogliendomi la capigliatura e strappandomi la collana dal collo.
- Voi fate siete incredibilmente deboli e stupide-
Proferì, camminando avanti e indietro.
- Per una volta che potete evitare un massacro, lasciate che accada. Meritereste di morire tutte-
- Tu non sei malvagia come credi-
Continuò la fatina, facendomi ridere ancora di più.
- Ah no? Sai che potrei ucciderti con un dito?-
Affermai con sguardo minaccioso, avvicinandomi al volto della piccola fata.
- Però non lo stai facendo. Tu non sei cattiva, hai solo ricevuto tanta cattiveria-
- Zitta!-
Urlai nel cuore della notte.
- Solo perché mi leggi nella mente non vuol dire che tu mi conosca-
- Tu uccidi le fate per vendetta-
Dichiarò la creatura alta sessanta centimetri, esibendo tutte le sue conoscenze.
- Da quando hai ucciso una tua amica, una fata di nome Daphne-
Cercai di toccarla per bruciarla ma, repentinamente, la creatura mosse le sue aluccie per scansarsi. Caddi nel vuoto, osservando il suo bel faccino con odio.
- Lei ti voleva bene-
Continuò.
- Anche quando l’hai uccisa, ti sorrideva-
- BASTA!-
Sbraitai, riuscendo a stringerle le sue piccole braccia. La piccola urlò a malapena, mentre la sua pelle stava bruciando velocemente. Mi bloccai solo quando scorsi per caso il colore del suo sangue.  
- Oro-
Sussurrai, lasciandola andare.
- Sangue d’oro…-
- Che ne dici di lasciare la Regina delle Fate?-
Sussultai, riconoscendo la voce. Mi volsi repentinamente, fissandolo incredula e, stupidamente, cercando anche Nolan insieme a lui.  
- Isaac. Lui dov’è?-
- E’ morto-
Sbottò lo stregone, provocandomi una fitta al cuore. Fissai velocemente il marchio impresso sul mio polso, calmandomi.
- Bastardo-
Feci un respiro profondo, socchiudendo gli occhi per lo spavento.
- Stai mentendo-
- E’ vero-
Il ragazzo dagli occhi verdi sorrise, senza cercare di negare. Avanzò verso di me, mostrandomi la sua figura malconcia alla luce della luna. Presentava diverse ferite, lividi e contusioni. L’elegante abito bianco era sporco e stracciato, come se avesse combattuto sino ad un attimo prima. Sembrava appena tornato da chissà dove, stremato da una lunga battaglia di cui non doveva essere il vincitore.
- Adesso lascia la Regina-
- Dov’è Nolan, dove siete…la Regina?!-
Mi volsi verso la bambina, fissando i suoi occhi sagaci e il suo sangue d’oro.
- La Regina l’ho lasciata al ballo…-
Bofonchiai mentre Isaac avanzava, blaterando qualcosa sullo scoppio di un caso internazionale.
- Non ti bastano le guerre che hai già causato?-
Proferì.
- Adesso attacchi anche il paese delle Fate? E’ stato il demone ad ordinartelo? Vuole una guerra?-
- Cosa?! No!-
- Cosa sta cercando di fare il tuo cavaliere infernale? Vuole mettere i regni alleati l’uno contro l’altro per indebolirli e poi attaccarli?-
- Nolan non sa niente di tutto questo-
Affermai, indietreggiando innanzi alla figura di Isaac.
- Ho fatto tutto da sola-
- E perché mai avresti dovuto attaccare e rapire la Regina delle Fate se non per provocare una guerra?-
- Per il potere, stupido-
Spiegai, bloccandomi.
- Ma parlarne è inutile perché la leggenda era falsa e la Regina l’ho mollata al ballo-
Isaac si bloccò, fissando dapprima me e successivamente la fatina dietro la mia schiena.
- Victoria, la Regina è proprio dietro di te-
Mi voltai di scatto, fissando gli occhi azzurri della bambina. Sulla testa aveva una piccola coroncina di fiori, le sue piccole ali colorate non avevano ancora raggiunto la maturità e al massimo erano visibili le sue ramificazioni. Il vestitino corto aveva giusto qualche gemma colorata, per il resto poteva passare come una popolana. Viva la semplicità.
- Non è possibile…-
Sussurrai, scioccata.
- Le fate hanno delle strane regole Victoria. La loro regina è sempre la figlia della principessa primogenita. Diciamo che saltano una generazione-
Non avrà avuto più di cinque anni ed era già regina. I suoi occhi erano profondi come se avesse vissuto per centinaia di anni e la sua calma era impressionante.
Mi fissava, senza proferire una parola. La Regina delle Fate.
- Perché?-
Domandai io, sconcertata
- Perché non hai salvato il tuo popolo?
Sbottai.
- Sei la loro regina…e hai lasciato morire i tuoi sudditi! Non li hai neanche protetti. Sei una codarda!-
Urlai, contro una bambina.
Tremai al pensiero di aver agito per tutta la notte sotto il suo controllo.
Lei era lì, a fissarmi e non aveva fatto niente. Non mi sentivo soddisfatta, né realizzata nella mia impresa. Non mi sentivo affatto vincitrice. Mi infastidiva il fatto che avesse saputo di me fin dal principio. Non ero stata io ad ingannare la regina, era stata lei ad ingannare me.
- Dovevi ucciderle per renderti conto di sbagliare-
Pronunciò la fatina.
- Come ti senti dopo averle uccise? E’ cambiato qualcosa?-
Scossi la testa, sentendomi sempre male.
- Tu non sei cattiva, Victoria-
Affermò la piccola Regina delle Fate.
- Ma la vendetta fa parte di te. La vendetta è nel tuo futuro, per questo ho lasciato che tu la portassi a termine-
Tacqui, osservando quegli occhi azzurri. Non sapevo fin dove stesse scrutando nella mia anima. Strano però che affermasse la mia bontà, visto che io non riuscivo a vederla affatto dentro di me.
Avrei potuto rifare ancora ciò che avevo appena fatto, lo avrei evitato solo per il fastidio di essere stata scoperta.
- Victoria, restituisci la Regina-
- Cosa te ne importa?-
Pronunciai, ancora fuori di me.
- Il Concilio ti ha cacciato per il tuo tradimento, no? Stai cercando di farti riammettere?-
Lo stregone non rispose, tuttavia continuò ad attendere che io obbedissi.
Feci un cenno alla creatura, intimandole di andarsene. La bambina sussultò, accostandosi a me.
- Non volevi assaggiare il mio sangue?-
- Sono tutte leggende, no?-
La Regina delle Fate sorrise, avanzando verso Isaac che le tendeva le mani. Sospirai, nel cuore della foresta illuminata solo dai raggi della luna. Questa battaglia, l’avevo proprio persa. 
Daphne morì in una notte di luna calante proprio come quella, in una piccola città sul confine occidentale. La fata dai capelli blu mi accolse in un momento in cui tutti mi temevano, facendomi sentire al sicuro per la prima volta. Mi diede un posto dove dormire e il cibo dalla sua tavola, trattandomi come una figlia. Scioccamente, iniziai a credere di poter restare, di poter ricominciare una nuova vita lontana da casa. L’illusione si infranse quando la ferì per la prima volta, accarezzandole una mano prima di andare a dormire.
Ricordai allora, solo allora, di essere un mostro.
Scappai spaventata in mezzo alla strada, non appena la fata urlò dal dolore. Nel buio di quella gelida notte, non mi accorsi della carrozza che stava sopraggiungendo, immobilizzandomi quando ormai scansarla mi era impossibile. Riaprì gli occhi sentendomi afferrare, spingere via dalla traiettoria dei cavalli.
Daphne era corsa in mio soccorso, abbracciandomi per allontanarmi dalla strada.
Si tramutò in cenere sotto i miei occhi, senza gemere, senza dire una parola. Continuò a sorridermi sino a che di lei non rimasero solamente le ali, congelandomi il cuore dal dolore. Fissai i suoi resti a lungo quella notte, sotto la neve che incessantemente cadeva dal cielo. Essa si scioglieva non appena si posava sulla mia pelle, proprio come era accaduto al corpo della creatura. Al sorgere del sole me ne andai, vagando per le strade innevate, uccidendo una fata che osò offrirmi aiuto. La toccai, come avevo fatto con Daphne.
Non provai tristezza per quella seconda vittima fatata, né per tutte le altre che seguirono.
Se la mia amica era morta, nessuno doveva più sorridere come lei.
- Non uccidere più-
Supplicò la bambina, avendo partecipato al mio ricordo che per tanti anni avevo tenuto celato.
Mi volsi verso di lei, osservando i suoi occhi.
- Non credo piccolina. Lo hai detto anche tu, la vendetta fa parte di me-
Sorrisi, tornando seria non appena mi sentì schiacciare da una strana pressione.
Era così forte da costringermi a terra, facendomi cadere pesantemente con la testa schiacciata al suolo. Con enorme fatica riuscì a scorgere un cerchio magico intorno a me, un incantesimo di costrizione.
- No!-
Sentì urlare Isaac.

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Capitolo 17
*** Mi accorsi che tutto doveva ancora iniziare ***


- Ferme! La Regina è già in salvo!-
Intravidi la figura delle quattro principesse reali, con i loro volti sprezzanti.
I loro sorrisi soddisfatti, i loro occhi, mi sferravano colpi durissimi da cui non potevo difendermi. Digrignai i denti impotente, mentre constatavo di essere stata catturata.
Le zie che si sarebbero arrabbiate alla fine giunsero veramente, desiderose della rivincita.
- Per questo e solo per questo eviteremo un conflitto con il vostro paese-
Affermò una di loro con un cristallo fra le mani. Più lo avvicinava a me, più la pressione mi opprimeva. Colei che aveva annotato il mio nome sul registro era una fata dei cristalli, capace di usarli per qualsiasi cosa, anche uccidere.
- L’assassina la teniamo noi-
Proseguì, nonostante le sonore proteste di Isaac.
- No, non potete. Lei serve a me, ho salvato la vostra regina ora datemi la strega-
Risi, divertita dal pensiero che stavano litigando per chi dovesse uccidermi.
Alzando il capo, vidi la bambina tornare dalla madre. Mi guardava, stretta al vestito della fata che avevo scambiato per la sovrana.
Sbuffai umiliata, ero stata battuta da delle lucciole in tutù.
- Se continui ad intralciarci verrai fatto prigioniero come lei-
A quella minaccia Isaac tacque, non lasciandomi sorpresa. Era solo un codardo, per questo ero stata felice di lasciarlo. Sicuramente era più forte di tutte loro messe insieme, eppure temeva qualcosa di più ampio, qualcosa che andava ben oltre quelle coccinelle scintillanti. Temeva la reazione di un Concilio che aveva tradito, di Anziani corrotti che non lo avrebbero più ripreso se solo avesse fatto scoppiare un caso diplomatico. Stupido, oltre che codardo.
- Flo!-
Urlò improvvisamente la fata che mi stava tenendo prigioniera.
- Sì-
Rispose venendo avanti la creatura con l’abito di fiori. Senza ricevere ulteriori ordini, la donna fece comparire dal terreno dei rami che mi bloccarono braccia e gambe.
Come se non fossi stata già immobilizzata. Adesso, oltre la pressione del cristallo, avevo i rami che mi tenevano ferma e che mi graffiavano. Non riuscì a sopportare oltre e tentai di liberarmi, divincolandomi il più possibile. La fata floreale sorrise malignamente, incentivando le ramificazioni a stritolarmi e a strattonare gli arti ulteriormente. Urlai dal dolore quando le fronde tirarono con violenza anche il braccio sinistro, dove portavo i bendaggi. La ferita si riaprì, macchiando le fasciature di sangue. Strinsi i pugni, certa che in poco tempo mi avrebbero staccato il braccio.
Gemetti ancora una volta, constatando che avrei dovuto concentrarmi sulla mia temperatura per bruciare i rami. Pensai a Nolan, al fatto che fosse scomparso lasciandomi da sola in quel casino.
Pensai a quanto normalmente mi facesse infuriare, a quanto lo odiassi per non avermi dato la pozione. Era tutta colpa sua se mi ero affidata al piano B e non compariva neanche ad aiutarmi.
Era vivo ma non tornava da me, impegnato in chissà cos’altro. Stavo soffrendo e lui non c’era, abbandonandomi ad Isaac e a delle stupide libellule.
In pochi attimi la mia pelle carbonizzò le ramificazioni fatate, che caddero a terra in un cumulo di cenere. Mugolai dal sollievo, piegandomi in due con una mano sulla ferita alla spalla. Perdeva sangue ma non era il momento di preoccuparsene, avevo delle fate da uccidere.
- Maledetta-
Gridò furiosamente la creatura dei fiori, indietreggiando innanzi alla mia figura. Mi alzai in piedi lentamente, contrastando con tutte le mie forze la potenza del cerchio magico. Fissai negli occhi la fata dei cristalli, sorridendole perfidamente. Indietreggiò anch’essa, stringendo il roseo cristallo.
Più le incutevo paura più il suo incantesimo si indeboliva, rendendomi capace di muovermi.
Avanzai di un passo, massaggiandomi i polsi graffiati dai rovi. Ripulì il marchio di Nolan dal sangue, scrutando preoccupata i suoi disegni leggermente danneggiati.
- Giuro che vi ammazzo-
Proferì, furibonda. Senza esso non sarei riuscita a ritrovarlo, né avrei potuto vendicarmi della sua prolungata assenza.
- Pearl-
Bofonchiò la donna con il cristallo in mano.
- Si sta liberando-
Avvertì, sempre più spaventata.
- Tranquilla sorellina, si pentirà di voler giocare con noi-
Rispose l’altra fata venendo avanti, impugnando una grande perla. Non appena me la puntò contro, percepì di essere immobilizzata nuovamente, quasi congelata. Osservai il mio corpo e con orrore notai che stava cambiando colore, diventando sempre più duro.
- Ma cosa…?!-
Rabbrividì, cadendo a terra. Posi entrambe le mani sulle gambe, quasi sperando di arrestarne il processo. Le ritrassi terrorizzata, notando che si stavano ricoprendo di madre perla.
Sentì la piccola regina delle fate ordinare di non farlo, sebbene in ritardo. La magia della fata mi aveva già ricoperta fino al busto, impedendomi di respirare.
Le gambe e le braccia divennero dure come il marmo, bloccate e schiacciate dalla pesantezza del materiale. Cercai di muovermi invano, imprigionata in un guscio duro ed impenetrabile.
- Victoria Van Liard-
Avanzò dicendo la donna con il cristallo in mano, improvvisamente colma di coraggio.
Ruotai gli occhi, riconoscendo già il tono di voce. Quando le autorità mi chiamavano in quel modo, non voleva dire niente di buono.
- Sei accusata di plurifaticidio, di tentato regicidio, del rapimento della regina e d’aver ferito un membro della famiglia reale. Pertanto, sei condannata a morte-
Le ringhiai contro, bloccata nel mio bozzolo di pietra, impossibilitata nel respirare.
Percepì il volto divenire paonazzo, il petto schiacciato dalla perla impediva ai polmoni di catturare ossigeno, soffocandomi.
La fata che mi aveva elencato i misfatti si avvicinò a me, per guardarmi dritta negli occhi.
- Se ti colpissi in questo momento, il tuo corpo si ridurrebbe ad un cumulo di detriti. Di te non rimarrebbe che la polvere, proprio come le nostre sorelle-
Sorrisi, prima di sputarle sulle sue eleganti scarpette. La fata retrocedette disgustata, cercando di colpirmi per mettere in atto la sua minaccia.
- Ferma!-
Urlò improvvisamente la madre della regina. La fata si bloccò repentinamente, volgendosi verso la sorella.
- Sua Maestà non gradisce tutto questo. Fermati e limitati a prendere in consegna la strega-
- Ma…deve essere giustiziata. Questo mostro ha…-
- Cris-
Urlò più forte la principessa primogenita.
- E’ un ordine. Vuoi metterti contro tua sorella maggiore e l’autorità di Sua Maestà la Regina?-
- N-No…perdonatemi Vostra Altezza-
Disse la donna inchinandosi innanzi alla bambina e obbedendo.
Dopodiché si voltò verso di me, puntandomi contro un altro dei suoi cristalli. L’ultima cosa che vidi fu una intensa luce rosa, poi più niente. Mi parve di sentire solo la voce di Isaac, chiamarmi, disperato per aver perso la sua preda.
 
Mi risvegliai in una strana stanza, illuminata da una luce fioca e le pareti rivestite di roccia. Tre figure mi stavano fissando da lontano, intente a sbattere soddisfatte le proprie buffe ali da insetto. Circondate da numerosi strumenti e macchinari appuntiti, aspettavano diligentemente che io mi svegliassi.
- Dove sono?-
Domandai, notando immediatamente di non essere più rivestita di perla. Potevo respirare, muovermi, se ben fossi legata su di un tavolo.
- Sotto il palazzo reale, nella stanza degli interrogatori-
Spiegò una delle tre fate, le stesse che mi avevano catturato.
- La stanze delle torture piuttosto-
Puntualizzai, fissando sorpresa il vasto assortimento di affilati utensili finalizzati all’estrazione della verità. Non erano poi le creature pacifiche che credevo.
- Come ti chiami?-
Chiesero in principio, sorprendendomi.
- Lo sapete già-
Borbottai, cercando di liberarmi dalle corde.
- Rispondi-
Incitarono le tre donne, brutalmente.
- Victoria-
Proferì, seccata.
- Victoria Van Liard-
- Menzogne!-
Urlò la fata dei cristalli, battendo un pugno sul tavolo in legno. Sobbalzai, fissando la mano a pochi centimetri dal mio ventre. Se solo fossi riuscita a sfiorarla, sarebbe morta carbonizzata.
- Tu non puoi essere una nobile-
Continuò la leggiadra creatura, infuriata.
- Perché mai una strega dell’alta società dovrebbe uccidere le fate?!-
- Avete una regina che legge nel pensiero. Chiedetelo a lei-
Con sorrisetto malizioso, mi puntò il suo magnifico cristallo contro, provocandomi delle terribili fitte per tutto il corpo. Urlai dal dolore, facendo echeggiare la mia voce nell’intera stanza, fino a che il cristallo non terminò di illuminarsi. In quegli attimi, mi chiesi a cosa servissero gli altri congegni di tortura.
- Cosa sei tu? Perché il tuo corpo brucia?-
Chiese, facendomi sorridere.
- Perché voi siete deboli-
- Smettila-
Gridò la creatura, tornando a puntarmi contro il cristallo. Ripresi ad urlare, mentre la donna mi intimava di non scherzare.  
- Ti abbiamo bloccato i poteri mentre non eri cosciente, come fai ad attuare ancora questa magia?!-
Continuai a ridere, istericamente nonostante il dolore.
- Pensavate che uccidessi con la magia? Divertente ma no-
Spiegai, se pur a fatica.
- Con voi deboli creature la magia non mi serve-
La fata intensificò il potere del cristallo, provocandomi un dolore maggiore, capace di farmi credere di morire. Gridai forte, soffrendo tanto che il mio sangue iniziò a ribollirmi nelle vene. Percepì di divenire rossa in volto mentre la mia temperatura aumentava, fino a bruciare lentamente le corde che mi stavano imprigionando.
- Come hai ucciso quelle ragazze?-
Proseguì chiedendo la donna.
- Toccandole-
Ammisi infine, stremata.  
- Non è una magia-
Continuai, ansimando, non appena il cristallo si spense.
- Sono semplicemente io. Li vedi questi occhi? Nessuna magia. Io sono un mostro-
La fata si allontanò, inorridita. Si rivolse alle sorelle, ordinando di chiamare il boia per l’esecuzione. Il “mostro delle fate” doveva finalmente morire.
- Cris, non credo che Ros ce lo lascerà fare senza il consenso della Regina-
- La Regina è troppo buona-
Rispose la fata.
- Questo demone va ucciso prima che possa fare ancora del male. Vendicheremo le nostre compagne-
Demone, era la prima volta che qualcuno mi chiamava così.
- Cris ha ragione. Flo dobbiamo…-
La fata col lungo abito ricoperto di perle venne interrotta da un forte rumore, che provocò delle scosse simili a quelle di un flebile terremoto. La stanza tremò per qualche secondo e il silenziò cadde al suo interno.
Dopo una breve quiete lo risentimmo: lo stesso suono simile a quello di un’esplosione che si avvicinava. Man mano divenne sempre più forte, sconcertando le mie aguzzine. Presto udimmo dei passi e delle urla di soldati, accompagnato da ulteriori esplosioni, talmente forti che ormai per le donne era impossibile reggersi in piedi. Dal soffitto iniziò a scendere della polvere, preannunciando il suo crollo imminente. Iniziai a dimenarmi, tentando di accelerare il processo di fuga. Le scosse e gli scoppi erano sempre più prossimi, tanto che qualcosa riuscì ad abbattere la porta in acciaio scavata nella roccia. Essa esplose, liberando una forte folata di vento e polvere. Chiusi gli occhi, temendo che quell’ultima esplosione potesse far cedere il soffitto del tutto.
- Chi sei?!-
Urlò la fata dei cristalli, cercando di avanzare tra i detriti. Vidi la sua figura indietreggiare spaventata, non appena intravide l’incursore ancora sulla soglia. Scagliò una potente luce rosa contro l’ignoto aggressore, che tuttavia la respinse senza fatica rispedendola al mittente. La fata dei cristalli cadde, segnando così l’intervento delle due sorelle. Queste si avventarono sull’intruso, seguendo lo stesso destino della compagna. Ogni loro attacco andò a vuoto, finendo a terra con profonde ferite. Coraggiosamente, tornarono sempre ad alzarsi, ponendosi fra la misteriosa figura e me.
- Vattene-
Ringhiarono le fate.
- Non riuscirai a salvarla-
Nonostante le loro parole, l’incursore avanzava indisturbato, facendo tremare la stanza ad ogni suo colpo. Dal soffitto caddero le prime pietre, alcune piombando intorno al tavolo, scansandomi appena. La mobilia nella stanza si rovesciò o venne colpita, distruggendo i terribili strumenti di supplizio di cui si avvalevano le fate. Quasi tutto finì sepolto dalla polvere o lo divenne a sua volta.
Strattonai forte le corde, riuscendo a sfilacciarle grazie al calore. Continuai a dimenarmi, sperando di liberarmene prima di finire schiacciata. Puntai gli occhi verso la porta, scorgendo delle grandi ali nere. Il mio cuore sobbalzò, la mente mi portò subito a lui.  
- Nolan!-
In quell’istante, il soffitto già tremante cedette del tutto.
Nella stanza si alzò un enorme polverone ed iniziarono a cadere giganteschi blocchi di terra. Uno grande il triplo della mia stazza di stava dirigendo verso di me.
Chiusi gli occhi, certa che sarei morta.
Strattonai ancora le corde, adempiendo al mio ultimo e disperato tentativo. Inaspettatamente le spesse corde si ruppero del tutto, liberandomi pochi attimi prima che la roccia crollasse. Scattai in fretta sotto al robusto tavolo in mogano, ponendomi entrambe le mani sopra la testa. I massi piombarono su di esso, incrinandolo fino a costringermi a venirne fuori. Indietreggiai, osservando il blocco di pietra che mi aveva quasi uccisa, volgendomi verso Nolan furibonda.
- Perché non mi hai liberata subito?-
Gridai, attraverso la nube di polvere che mi impediva di vedere appieno la sua figura. Udì urlare le fate, le vidi scagliate a terra per l’ennesima volta mentre le ali della creatura non assomigliavano più a quelle di un diavolo. Scorsi delle piume, poco prima che il resto della grotta cedesse.
Un pezzo della volta rocciosa, più grosso del precedente, puntò nuovamente su di me. Cercai di scansarlo ma inciampai su altri massi, finendo stupidamente a terra sotto il soffitto crollante.
Chiusi gli occhi spaventata, ponendomi le mani sul volto.
Lanciai un urlo, quando percepì qualcuno afferrarmi.
Rapidamente, mi trascinò via dai sotterranei, portandomi lontano dal castello. Senza neanche rendermene conto, mi ritrovai sull’erba bagnata fuori da palazzo, illuminata dalla luna.
Rimasi immobile per qualche istante, stringendo forte il terriccio sotto le mie mani. Ansimai, atterrita da quel che era appena successo. Il cuore mi batteva all’impazzata, comprendendo che questa volta me l’ero scampata per un pelo.
Percepì colui che mi aveva salvato scansarsi da me, evitando meticolosamente il contatto diretto con la mia pelle. Alzai lo sguardo verso di lui, fissandolo incredula stesa al suolo.
- Abaddon-
Sussurrai, pietrificata innanzi a quelle gigantesche ali nere da angelo.
- Hai fatto un po’ di confusione, Victoria-
Indietreggiai da terra, strisciando e finendo di sporcare l’elegante abito blu che ancora indossavo.
- Cosa ci fai qui?-
Domandai, senza distogliere lo sguardo dai suoi occhi neri.
- Non ci arrivi da sola? Sono venuto a salvarti-
Scossi il capo, non desiderando aiuto da un angelo. Mi bloccai, portandomi a sedere sull’erba. Mantenni il contatto visivo con lui, togliendomi lentamente i tacchi dorati.
- L’hai fatto-
Pronunciai.
- Adesso puoi andartene-
- E’ questo il ringraziamento?-
La creatura cercò di afferrarmi ma io mi scansai, alzandomi da terra a piedi scalzi.
- Non osare toccarmi-
- Giusto, avevo sentito che odi profondamente gli angeli. Eppure sono stato esiliato dal Cielo, non potresti avere un po’ di riguardo nei miei confronti?-
- Affatto-
Risposi.
- Odio tutto ciò che è legato al Cielo, anche se lavori per i demoni tu sei sempre un angelo-
- Che ragazzina cocciuta-
Sospirò lui, mettendosi una mano fra i capelli neri.
- Eppure anche tu sei un angelo-
- Zitto maledetto!-
Urlai.
- Io non sono un angelo!-
Con queste parole mi voltai e scappai, verso la foresta. Non feci molta strada, Abaddon si alzò in volo e mi raggiunse subito, bloccandomi la via frontalmente.
- Non dovresti trattare così chi ti ha appena salvata-
- Chi ti ha chiesto niente! Io potevo farcela da sola!-
- Oh, non ne dubito. Tuttavia non posso lasciarti andare, hai già fatto troppi guai-
- Cosa vuoi da me?-
Domandai, ignorando perché l’angelo caduto Abaddon, cavaliere dall’apocalisse, fosse giunto sino nel Regno delle Fate per salvarmi da tre insetti.  
- Mi è stato chiesto di portarti indietro, viva-
Spiegò la creatura, avanzando con il sorriso disegnato in volto.
- Chi è stato a chiedertelo?-
- Vuoi sapere chi mi manda? Vieni con me e lo vedrai con i tuoi occhi-
Continuò a sorridere malignamente, non volendomi dare la soddisfazione di dirmi chi fosse il suo capo. Semplicemente venne avanti, volando e abbattendosi su di me come un corvo.
Io mi voltai, scappando ancora. Provavo ribrezzo che un angelo mi toccasse e mi infastidiva il pensiero che poco prima mi avesse salvato dalle fate.
Strappai l’abito, lungo alle caviglie, riuscendo così a correre più velocemente. Non fu abbastanza per seminare un angelo, che si avventò su di me afferrandomi per la vita. Mi innalzò di mezzo metro, con tutta l’intenzione di condurmi in volo chissà dove. Gli toccai prontamente le mani, ferendolo a tal punto da costringerlo a mollarmi. Caddi a terra, rotolando e strappando del tutto il costosissimo abito firmato.
- Maledetta!-
Urlò il demone, posandosi a terra per far fronte all’intenso dolore. Ne approfittai, riprendendo a correre verso il centro della foresta.
- Torna qui!-
Sbraitò, facendo echeggiare la sua voce fra gli alberi. Dopo poco, udì le sue grandi ali dietro di me sopraggiungere a grande velocità. Mi stava raggiungendo e compresi che sarebbe stata una lotta impari.
Mi volsi, scorgendo la sua figura prossima a ghermirmi. Gli puntai velocemente le mani contro, scagliando contro di lui numerose lame di ghiaccio che lo colpirono come tanti piccoli proiettili. 
L’angelo fu costretto a fermarsi, riparandosi con le ali mentre io proseguivo nella corsa. Lo rallentai, sapendo tuttavia che presto sarebbe tornato a raggiungermi. Sempre più lontano dal castello e dai cristalli delle fate, la mia magia tornò, permettendomi di creare una grande barriera di tela. Migliaia di fili d’argento si frapposero fra me e la figura del mio inseguitore, attendendo di catturarlo come un insetto. Sorrisi quando udì le sue urla, furioso di non riuscire a liberarsi. L’incantesimo incollava la vittima alla tela, rendendola del tutto simile a quella di un ragno. Se pur fosse un angelo, Abaddon ci avrebbe messo un po’ a distruggerla.
Corsi più forte, evitando ogni radice, ogni arbusto, sperando di arrivare presto in città.
La foresta pareva non terminare mai. Senza fiato, continuai a sfrecciare fra gli alberi fino a quando qualcosa non cadde dal cielo, bloccandomi la strada.
Mi fermai urlando, indietreggiando innanzi alla figura di una persona senza ali. Nell’oscurità più totale osservai un giovane alzarsi da terra, appoggiato ad un elegante bastone nero col pomello d’oro.
- Chi sei?-
Gridai, non riuscendo a scorgere il suo volto. Udì le sue risa, poco prima che avanzasse sotto la luce della luna, mostrandomi i suoi occhi verdi.
- Abrahel-
Ringhiai.
- E’ stata una lunga notte. Levati di mezzo-
- Si tratta così un vecchio amico?-
- Tu non sei mio amico-
Bofonchiai, indietreggiando alla sua presenza. Scalza, col vestito a brandelli, sporca di terra, cenere e sangue, fissai il suo volto piena di odio. Era l’ultima persona che desiderassi vedere quella notte, anche più dell’angelo dietro le mie spalle.
- Perdonami, pensavo che ci fossimo riappacificati dopo il mio regalo-
- Quale regalo?-
- Non hai ricevuto il mio umile dono? Era contenuto in una valigetta, te l’ho fatto recapitare direttamente in albergo-
- Sei stato tu allora-
Pronunciai, avendone finalmente la conferma.
- Tu mi hai mandato il siero-
- Chi altri?-
Sbottò il ragazzo, sarcastico.
- Per caso non lo hai gradito?-
- Come no, hai cercato di uccidermi! Come potrei non averlo gradito?-
- Ucciderti? Certo che no, non era quella la mia intenzione-
Spiegò la creatura, avanzando sotto i lievi raggi lunari.
- Mia cara, te l’ho semplicemente fatta conoscere. Non dovevo forse?-
Tacqui, scrutando la sua figura in ogni particolare. Ancora una volta gli occhi verdi non sembravano mentirmi, eppure l’ultima volta erano riusciti ad ingannarmi perfettamente.
- Perché?-
Chiesi, non capendo.
- Hai sempre cercato di non farmela prendere, di farmi allontanare da Nolan. Per quale motivo hai fatto in modo che ora io la bevessi?-
Il giovane continuò a sorridere, abbassando lo sguardo a terra prima di rispondere.
- Vedi, Victoria, non volevo proprio che tu non la prendessi-
Spiegò.
- Quel che volevo, esattamente, è che tu la prendessi per mio conto-
Ammise, stringendo il bastone dal pomello d’oro.
- Che tu sfruttassi il suo potenziale, dalle fila del mio esercito-
Proseguì, fissandomi maliziosamente.
- Visto poi che il mio bracciale è inutile con te…-
Borbottò facendo spallucce.
- Hai mentito-
Puntualizzai.
- Hai mentito per tutto il tempo, dicendo che mi avrebbe uccisa-
- Sei molto dura con me-
Rimproverò il principe.
- Non ho del tutto mentito. C’era un minimo di rischio effettivamente che il siero ti uccidesse-
- Non hai fatto altro che mettermi contro Nolan-
Ribattei con rabbia, avanzando verso di lui sfidandolo con lo sguardo. Avrei voluto prenderlo a schiaffi, a calci, battermi se possibile. Avrei voluto rendergli tutto il dolore che mi aveva fatto provare l’ultima volta, quando mi aveva quasi strappato via quel demone con gli occhi di civetta.
- Sono affari Victoria, nient’altro che questo. Ma dimmi, non ti è piaciuta la pozione?-
Tacqui, allontanandomi leggermente. Non sapevo cosa rispondere senza arrecargli soddisfazione.
- Certamente che ti è piaciuta. Tu mi sei grata, te lo leggo negli occhi-
Proferì la creatura, facendomi sussultare.
- Il figlioccio di mio padre non la sperimenterà mai su di te, questo è chiaro. Se desideri riaverla, sono l’unico a cui tu possa rivolgerti. Ma c’è una condizione, ovviamente-
Indietreggiai ulteriormente, avvertendo dei brividi lungo la schiena.
- Uccidere Nolan?-
Il Principe fece una smorfia, ancheggiando e ballonzolando la testa.
- Uccidere è una brutta parola. Potresti toglierlo di mezzo, diciamo, regalandomi il trono-
- Ti ho già detto di no. Ti ho già detto che non intendo fargli del male-
Affermai, decisa.
- Devi avere la memoria corta-
- Affatto-
Pronunciò il ragazzo, avanzando verso di me.
- Credo solo che cambierai idea-
- Cosa te lo fa credere?-
- Il fatto che io so qualcosa che tu non sai-
- Come puoi pensare che ti crederò? Sei un bugiardo di natura-
Affermai con forza, tornando ad avanzare verso di lui rabbiosamente. Il demone mi fissò dritta negli occhi, avanzando anch’esso, con tutta calma.
- E’ vero. Ti ho detto che la pozione di quel traditore ti avrebbe uccisa pur sapendo che eri perfettamente compatibile-
Confessò, tranquillamente.
- Non potevo rischiare che tu distruggessi il mio regno sotto il suo comando, cerca di capire-
Tentò di toccarmi una spalla, senza perdere quel suo sorrisetto fastidioso.
Mi scansai, costringendolo a ritirare il braccio. Fece una smorfia, non perdendo comunque il sorriso.
- Capisco perfettamente-
Sbottai mentre il principe tornava a stringere forte il bastone.
- Meglio sotto il tuo di comando, annebbiata dal potere del bracciale, piuttosto che sotto quello di tuo fratello-
- Già-
Sbottò amaramente il ragazzo.
- Ma come al solito tu devi rovinare tutto, rivelandoti niente meno che la nipote di Samel-
Ricordò amareggiato, sospirando per la sua incomparabile sfortuna.
- Ad ogni modo, cerca di capire Victoria-
Pregò nuovamente.
- Io e te in fondo siamo estremamente simili. Entrambi bramiamo la disfatta dei nostri nemici. Puoi biasimarmi per ciò che ho fatto?-
Tacqui, stringendo i pugni. Avevo appurato di non saper leggere i suoi occhi, di non capire quando mentisse o dicesse il vero. Era estremamente bravo a dissimulare, ad ingannarmi con espressione ferma e con sguardo lucido, senza mai farmi comprendere appieno cosa gli passasse per la testa.
- Sarebbe stato un piano perfetto. Tu assumevi la pozione, io usavo il tuo potere per ottenere la corona e in cambio ti avrei permesso di distruggere chiunque tu desiderassi. Avresti eliminato il Concilio Victoria, fino all’ultimo stregone. Ma non disperare, siamo ancora in tempo-
Propose, raggiante.
- Basta che tu venga con me-
Cercava di convincermi con tante parole, facendomi credere di agire autonomamente quando in realtà era lui a guidarmi. Avevo quasi fatto uccidere Nolan per colpa sua, eppure non riuscivo a restar impassibile alle sue provocazioni.
- Cos’è…-
Iniziai, con voce tremolante.
- Cos’è che non so, riguardo Nolan?-
Abrahel sorrise, illuminando tutto il suo volto.
- Sta lavorando con una persona che conosci bene, qualcuno che odi profondamente-
Spiegò, sogghignando.
- La persona che per prima lo ha indirizzato verso di te, che lo ha condotto fino a te. Qualcuno che lo ha convinto ad ingannarti, ad usarti, sperando segretamente che quel dannato siero ti uccidesse-
Continuò, facendomi intuire che non stava parlando dei suoi amici veggenti.
- La persona che gli ha svelato cosa tu fossi esattamente. Qualcuno che lo sta manovrando come un burattino, Victoria. Non può fidarti di lui perché tu, come sai bene, non puoi fidarti neanche di…-
Stava per dirmi il nome, quando Abaddon spuntò dal nulla piombando su di lui. Lo colpì, con una tale intensità da farlo crollare a terra ai piedi di un grande albero. Il principe perse il bastone, massaggiandosi nervosamente il volto.
- Cane-
Sbraitò, fulminando con lo sguardo l’angelo caduto. Io sussultai sconcertata, facendomi indietro. Avevo pensato che la creatura alata lavorasse per Abrahel, che desiderasse uccidermi o portarmi al suo cospetto. Vederlo colpire il demone mi sconvolse, constatando che forse avevo combattuto contro la persona sbagliata.
- State lontano da lei, Altezza-
Pronunciò Abaddon fermamente, scrutando la figura del nemico mentre si rialzava.
- Il traditore è tornato a mostrare la testa-
Ringhiò il principe con rabbia, appoggiandosi al tronco dell’arbusto.
- Spostati se non vuoi che te la tagli-
- Non posso-
Spiegò la creatura, allargando le ali per coprirmi alla vista del ragazzo.
- Devo riportarla dal padrone, possibilmente tutta intera-
- Sono io il tuo padrone!-
Urlò il demone furibondo, facendomi sussultare. Nascosta dalle possenti ali dell’angelo non riuscivo ad osservare il suo volto, dalla sua voce capivo comunque quanto fosse fuori di sé.
- Tu sei al servizio dei Lancaster!-
Gridò Abrahel, talmente forte da far echeggiare la sua voce per chilometri.
- Hai giurato fedeltà al nostro sangue!-
Ricordò con impeto.
- Fedeltà al re! Ed io sono il legittimo Re dei Demoni! Non quel sangue misto, quel traditore, quel moccioso illegittimo che non fa neanche parte della mia casata! Se mio padre potesse vederti si rivolterebbe nella tomba!-
Continuò a sbraitare, con una furia che ancora non avevo mai visto in lui.
- Voi non siete il mio re-
Affermò l’angelo caduto, con tutta calma.
- Non da quando avete ucciso il principe che io servivo, l’erede al trono del mio re-
Sobbalzai, stringendomi dietro le grandi ali di Abaddon. Abrahel tacque, cadendo in un silenzio assordante.
- Voi avete tradito il vostro sangue, vi siete rivoltato contro esso. Il Signorino è il mio re adesso-
Il ragazzo dagli occhi verdi rise, così malignamente da ghiacciare il nostro animo.
- Folle. Io mi sarò anche macchiato del peccato di cui tu mi accusi ma il tuo “re” ha conquistato il trono delle terre sud occidentali assassinando il sovrano che tu servivi-
Proferì il principe, lasciando Abaddon in silenzio, immobile davanti ad una tale verità.
- Lo ha ucciso sotto il tuo naso, con la complicità degli umani. Il Signorino che segui con tanta devozione, non è altro che un mostro. Dopo tutta la clemenza ricevuta da mio padre, lo ha ripagato tradendolo. Ecco chi stai servendo, angelo-
Calò il silenzio, attimi in cui mi chiesi cosa sarebbe accaduto. Momenti in cui temetti di dover fuggire inseguita da ben due nemici, invece che uno.
- In tutta sincerità-
Iniziò la creatura dalle grande ali nere.
- Sono dispiaciuto che questa ragazza abbia impedito a Lilith di uccidervi-
Feci un respiro di sollievo, poco prima di udire i denti di Abrahel stridere. Con il cuore che scalpitava, continuai a domandarmi cosa spingesse l’angelo verso quella scelta. Il principe secondogenito aveva ucciso Medardo con una freccia durante la prima guerra, quando nessuno poteva attribuire a lui la colpa ma Nolan aveva ucciso il Re dei Demoni.
- Te ne pentirai-
Continuò il ragazzo dagli occhi verdi, imperterrito.
- Ti pentirai del tuo tradimento-
Udì il suono di una spada sguainata, prima che la figura dell’angelo scattasse verso il principe, scompigliandomi i capelli.
Iniziarono a combattere sotto i miei occhi, senza risparmiarsi. Illuminarono la notte, distruggendo un paio di alberi e facendo scappare ogni creatura della foresta nell’arco di chilometri.
Assistessi impotente allo scontro, mentre le forze dei due si equivalevano. Indietreggiai, nascondendomi fra i cespugli. Le enormi ali dell’angelo sbattevano violente, alzando un immenso polverone capace di accecarmi. Mi coprì il volto, perdendomi la maggior parte dello scontro.
Riuscì solo ad udire Abrahel urlare, colpito al fianco. Si accasciò a terra, stringendo nella mano sinistra il bastone dal pomello d’oro. Lo nascose dietro la schiena, tramutando la liscia impugnatura in una punta contundente. Si rialzò di scatto, fendendo il piccolo pugnale a tradimento contro Abaddon. Lo ferì con quel metallo agli angeli così velenoso, cogliendolo di sorpresa ed iniziando ad evocare un portale per fuggire in fretta. La creatura alata vacillò, tentando di sferrare un attacco mortale al nemico prima che svanisse. Si strinse l’avambraccio ferito, pronunciando un lungo incantesimo che gli avrebbe permesso di ucciderlo e correre a ricevere la ricompensa per il suo coraggio. La magia nell’antica lingua degli angeli avrebbe fermato il cuore di Abrahel in un istante, consegnando la sua anima agli inferi, se solo fosse riuscito a finire il rituale. Il portale del principe fu più veloce, aprendosi prima che le lunghe e intricate parole giungessero a termine.
Lo fissai mentre stava per svanire, decisa di non poter mancare una tale opportunità. Corsi verso di lui, innanzi agli occhi increduli dell’angelo. Mi fermai ad un metro dal demone e dalla sua via di fuga, urlando il suo nome.
- Ho un messaggio per te da parte di tuo fratello!-
- Nolan?-
Domandò questo ridacchiando, mentre la sua figura stava già scomparendo nel portale.
- No, Medardo! Sei anni fa incontrai il suo spirito. Lui ti perdona!-
La sua espressione mutò del tutto, divenendo terribilmente cupa. Non rispose, fissandomi impietrito prima che una luce oscura lo inghiottisse, portandolo via. Abaddon digrignò i denti, sbuffando e interrompendo il suo delicato incantesimo. 
- Avevo quasi finito-
Bofonchiò infuriato, stringendosi l’avambraccio ferito.
- Invece di blaterare potevi colpirlo o impedirgli di fuggire-
- Scusa, dovevo mantenere una promessa-
 
Mi convinsi a lasciarmi condurre da Nolan, in volo. Stetti buona, in silenzio quasi per tutto il viaggio. Cercai di non guardare mai in basso, odiando terribilmente volare.
Le sue ali mi avevano portato spaventosamente in alto, dove le luci della città si vedevano a malapena.
Lo faceva apposta, si stava divertendo come un bambino. Lo avevo fatto rimanere mezz’ora impigliato in una ragnatela, adesso agognava vendetta.
Mi teneva in braccio, cercando di toccarmi attraverso i vestiti mentre io al massimo mi appoggiavo alla sua camicia, blu scura. Rivolgevo il mio sguardo verso il suo petto, cercando di dimenticare di essere a centinaia e centinaia di metri da terra.
- Non ti faccio cadere-
Disse, notando il mio terrore.
- So che non lo farai-
- Il padrone mi punirebbe-
- Infatti-
Sospirai, mancava ancora un qualche minuto prima di arrivare.
- Tu…tu sei il capitano delle guardie?-
Domandai, cogliendo la creatura alla sprovvista.
- Come?-
- Sei tu il capitano delle guardie di Nolan?-
- Sì, perché?-
- Quindi sei uno dei pochi che sapeva dove ci trovassimo e dove fosse nascosto il siero-
- Non sono stato io a tradire il principe, se è questo che vuoi insinuare-
- Lo so-
Mugolai, continuando a stringermi alle sue vesti.
- Altrimenti mi avresti lasciato ad Abrahel-
- Cos’è che vuoi sapere, esattamente?-
- Non lo so-
Sussurrai, ripensando a tutte le parole del demone dagli occhi verdi.
- Al fianco di Nolan…c’è qualcuno che io conosco?-
- Lilith- 
- No, non Lilith…Lilith è al fianco di Nolan?!-
L’angelo non rispose, continuando a volare in silenzio. Lasciai perdere, non essendo quello ciò che mi interessava.
- Abrahel ha detto…-
- Il Principe Abrahel dice un sacco di cose-
Interruppe la creatura.
- Mente da quando è nato-
Continuò, notando quanto fossi angosciata.
- Ed io lo so, perché l’ho visto nascere-
Sorrisi, cercando di non fissare il vuoto.
- Ha detto…-
Proseguì.
- Che Nolan è guidato da qualcuno che io odio, come un burattino-
L’angelo rifletté a fondo prima di tornare a parlare.
- Non credo, il Signorino non si fa guidare da nessuno. Sua Maestà è terribilmente cocciuta-
Sorrisi nuovamente, stringendo il marchio che portavo al polso.
- Lo so…-
Sussurrai.
- Non capisco a cosa Abrahel si stesse riferendo-
- Conta sul fatto che tu non conosca Sua Altezza, in questo modo mette le persone l’una contro l’altra. Non può colpirti se non hai niente su cui dubitare-
- Io lo conosco…-
Pronunciai sottovoce, soffocata dal rumore del vento.
- Come?-
- Ho detto che io lo conosco. So molte cose di lui-
Proferì.
- So che se al mattino non beve un latte macchiato con molto zucchero ha una crisi di nervi, ad esempio-
Svelai, sorridendo.
- So che adora i dolcetti, li mangerebbe continuamente ma odia il cioccolato fondente. So che non sopporta le giornate di shopping ma gli piace stare in un punto alto, fermo ad osservare la gente che passa sotto di lui senza essere visto. So che quando dorme si ostina a prendere tutto il posto che c’è sul letto, nonostante vi sia un’altra persona. So che ancora non si spiega come senza magia l’acqua della doccia diventi fredda e calda a comando. So che si arrabbia se entro di soppiatto nel bagno mentre dentro c’è lui e so che preferisce comprare dei vestiti nuovi, piuttosto che lavarli-
- E’ vero-
Ammise l’angelo, sorridendo.
- Sai un sacco di cose, cose che nessuno sa-
Sospirai, non domandando altro all’angelo. La mia mente non riusciva a fermarsi, a smettere di pensare alle parole velenose di Abrahel. La persona che conosceva tutto di me e gli aveva detto cosa io fossi, che lo aveva spinto ad uccidermi. Qualcuno che mi odiava e che io odiavo altrettanto ardentemente, qualcuno capace di manovrare persino quel demone testardo. 
 
La creatura dalle ali nere mi lasciò sul tetto dell’albergo, avvertendomi che, nonostante le nostre confidenze, io gli ero profondamente antipatica. Una mina vagante, una perdita di tempo per il proprio padrone, una distrazione che in quel momento il principe non poteva permettersi. Sorrisi, anche quando mi definì una bomba ad orologeria che poteva scoppiare in ogni momento.
Ricambiai, ricordandogli che lui per me restava sempre un angelo.
Se ne andò, lasciandomi scendere sino al balcone che mi aveva indicato. Balzai su di esso, in una piccola città alle porte dalla capitale. Mi accostai ai vetri, cercando attentamente la figura di Nolan nell’oscurità. Vidi che era seduto sul letto, a braccia incrociate, intento ad aspettarmi.
Feci un respiro profondo, prima di entrare con cautela.  
- Nolan, dove sei stato?-
Domandai con preoccupazione, avanzando verso di lui.
- Cosa è successo?-
- Dovrei chiederlo io a te-
Pronunciò il demone, alzandosi in piedi. Mi bloccai in fondo alla stanza, scrutandolo nel buio. Portava altre bende sul corpo, che si sommavano a quella sul fianco. Scorsi numerosi lividi e contusioni, nonché il suo volto terribilmente pallido.
- Come ti è venuto in mente, Victoria?-
Chiese la creatura, fissandomi con aria di rimprovero.
- Come hai potuto uccidere tutte quelle persone?-
- Non erano persone-
Sviai, sorridendo istericamente e stringendomi nell’abito ridotto a stracci.
- Erano fate-
- Victoria!-
Ammonì il ragazzo.
- Sei forse impazzita? Adesso vogliono la tua testa, come se non la volessero già in molti!-
Cominciò a gridare, non smettendola più. Scalza e sporca di sangue, stetti nelle tenebre ad ascoltare i suoi rimproveri senza ribattere.
- Potrebbe scoppiare una guerra e in questo momento non l’avevo proprio prevista. Non posso occuparmi di Abrahel e delle fate insieme, non ho abbastanza soldati!-
Spiegò, come se lui dovesse essere immischiato nel casino che io avevo combinato.
- Se le fate scendono in campo, gli stregoni si uniranno a loro. Il Concilio potrebbe rompere l’accordo con Abrahel e tornare ad esigere la tua morte-
Proseguì.
- Si può sapere perché l’hai fatto?-
Chiese, finalmente non ponendomi una domanda retorica.
- Per ottenere il potere-
Esposi, tranquillamente.
- Tu non hai voluto darmelo ed io l’ho cercato altrove, nel sangue della regina-
- E l’hai ottenuto?-
Domandò, dopo qualche istante di silenzio.
- No, l’ho lasciata vivere-
- Meglio, forse non dichiareranno guerra-
Le mie mani iniziarono a fremere a quelle parole.
- Hai paura di qualche insetto?-
Ringhiai, divenendo bollente.
- Non posso combattere due guerre, Victoria-
Informò Nolan, avvicinandosi sempre qui, quasi minacciosamente.
- Non me lo posso permettere-
- Chi te lo ha chiesto?-
Borbottai, colma di rabbia.
- Ciò che faccio io non ti deve riguardare-
- Come non potrebbe?-
Proferì il ragazzo, ridendo nervosamente.
- Ciò che fai tu è sotto la mia responsabilità-
- Cosa?! Perché?!-
- Perché è grazie a me se sei viva-
Ricordò.
- E tutto il mondo riconduce le tue azioni a me. E’ solo questione di tempo prima che qualcuno inizi a puntarmi il dito contro-
Tacqui, ricordando le parole di Isaac.
- Se tu mi avessi dato la fiala…-
- E se tu non fossi così assetata di sangue!-
Sbraitò il demone, facendomi sussultare. Indietreggiò, portandosi le mani ai capelli e volgendomi la schiena. Rimasi in silenzio, domandando a me stessa quanto effettivamente di quello che dicesse fosse falso.
- Sono mancato solo pochi giorni-
Riprese a blaterare la creatura.
- E tu tenti di uccidere un capo di stato straniero. Sarei venuto a cercarti personalmente se mi fossi retto in piedi. Non puoi immaginare la rabbia quando Abaddon è tornato da me dicendo che eri tenuta prigioniera nel castello reale!-
Continuò, agitandosi sempre più.
- Per di più sei stata attaccata da Isaac e dalle guardie!! E se fossi morta?! Non ci pensi a questo?!-
Sbuffai, constatando che non si stava calmando, bensì che si stesse arrabbiando sempre più.
- Ho mandato Abaddon a prenderti due ore fa! Mi dici perché diamine ci hai messo tanto a tornare?!-
- Sono scappata-
- Sei scappata?!-
Urlò, talmente forte da far tremare la stanza.
- Ti eri scordato di dirmi che Abaddon era tuo servitore-
- Come diavolo hai fatto a scappare ad Abaddon?! E’ uno degli angeli della Apocalisse! Come diamine avresti fatto a scappare?!-
- Con la magia, ovviamente. Uscita dal castello delle fate ho riacquistato i miei poteri-
Spiegai.
- Lo avrei seminato se non fosse stato per…-
Mi fermai, prima che quel nome uscisse dalla mia bocca.
- Per…?-
Fui costretta a continuare.
- Per Abrahel, mi ha trovato-
Dovette sedersi, sopraffatto dalla rabbia.
- Tutto apposto, Abaddon lo ha messo in fuga-
Raccontai, sperando che si calmasse.
- E se non ci fosse stato?-
Domandò, ponendosi una mano sugli occhi e respirando profondamente.
- Cosa avresti fatto se non ci fosse stato lui?-
- Non lo sapremo mai-
Ammisi con fermezza, snervata dai suoi rimproveri, allargando le braccia.
- Probabilmente sarei andata via con lui-
- Come?-
Nolan alzò lo sguardo sconcertato, fissandomi con i suoi grandi occhi d’oro.
Si allontanò dal letto, avvicinandosi a me. Lo osservai dritto in volto, decisa di ciò che avevo appena detto.
- Se avesse ritardato anche solo di un minuto, probabilmente sarei andata via con Abrahel-
- Perché?-
Domandò incredulo, con un accenno di disperazione.
- Perché è stato lui a farmi trovare la pozione-
Raccontai.
- E non per uccidermi, bensì per mostrarmi di poterla sopportare-
- Ti fidi di lui?-
Chiese il ragazzo, venendo avanti.
Alle mie spalle il sole stava sorgendo, illuminando la stanza con i primi raggi solari del nuovo giorno. Irradiarono il volto di Nolan, mostrandolo ancor meglio sbalordito e sconcertato. I suoi occhi d’oro vagavano nervosi mentre pronunciavo quelle parole, ferendolo profondamente.
- No-
Sbottai, afferrando l’anello che dovevo portare di giorno. Lo indossai, impedendo alle mie ali di mostrarsi
- Però mi ha mostrato un potere che tu non mi avresti mai dato-
- Per non metterti in pericolo-
Ricordò.
- Per non distruggere la tua personalità-
- Abrahel ha dimostrato che…-
- Non ha dimostrato un bel niente!-
Sbraitò il demone.
- La prossima volta il tuo cuore potrebbe non reggere lo sforzo, oppure la tua personalità potrebbe essere annientata!-
- Oppure potrebbe andare tutto bene-
La creatura tacque, fissandomi come se fossi stata pazza. Si allontanò, dandomi della cocciuta, della testarda, sciocca e impossibile donna con cui parlare.
- Ti preoccupi troppo, per aver tentato di sacrificarmi-
- Maledizione Victoria-
Sbottò mentre io lo osservavo rabbiosamente, a braccia incrociate.
- Per quanto dovrò chiederti perdono?-
Tacqui, consapevole che non sarei mai riuscita a dimenticare.
- Abrahel ha detto che non devo fidarmi di te-
Informai.
- Che al tuo fianco c’è una persona che io odio e che tenta di uccidermi-
- Cosa? No!-
Affermò il ragazzo.
- Non c’è nessuno che conosci al castello e nessuno tenta di ucciderti!-
- E’ la persona che per prima ti ha parlato di me, quella che ti ha convinto ad usarmi per l’incantesimo-
Il demone rimase in silenzio, fissandomi profondamente. Fuori dalla finestra si udivano i primi canti degli uccellini, il sole si alzava in cielo sempre più, illuminandoci completamente.
- Ed Abrahel, come fa a sapere chi mi ha parlato di te?-
- Allora è vero-
- No-
Sbottò.
- Tu non la conosci, come potresti odiarla? E poi non vuole ucciderti-
- Di chi si tratta?-
- La conosco da una vita, abita a palazzo con noi-
Feci trascorrere qualche istante, prima di parlare ancora.
- Abrahel ha detto che mi vuole morta, che ti sta manovrando. Ti ha detto di darmi la pozione, sperando che mi uccidesse-
- Abrahel è un bugiardo-
Proferì il ragazzo, difendendo a spada tratta tale persona.
- Ogni cosa che dice è una menzogna, non capisco come tu possa dare credito alle sue parole-
- Meglio che delle tue, vuote e prive di senso. Tu non mi hai mai detto la verità-
Sbraitai, facendolo indietreggiare.
- No, non mi fido di Abrahel ma neanche di te-
Pronunciai, voltandogli le spalle e camminando decisa verso il balcone.
- Dove stai andando?-
- Faccio quello che avrei dovuto fare da settimane, me ne vado-
Annunciai, spalancando i vetri con forza e avvicinandomi alla balaustra.
- Victoria, non farlo-
Supplicò il demone venendo avanti, lentamente a causa delle ferite.
- Sono sempre sopravvissuta da sola e continuerò a farlo, anche senza di te-
Sbottai, rivolgendogli lo sguardo per l’ultima volta.
- Quello che farò non sarà più un problema per te-
Continuai, furiosa.
- Non sarai più coinvolto, adesso puoi occuparti del tuo regno in santa pace-
- Non volevo dire questo-
Bofonchiò il giovane, pentito.
- Non te ne faccio una colpa, hai un paese da portare avanti, fallo-
Affermai, saltando sul parapetto in pietra del balcone, fissando i quindici metri di vuoto che mi separavano da terra.
- Ti ringrazio per avermi insegnato a difendermi. Addio, Principe Nolan Rayan…eccetera eccetera-
Saltai dal balcone, senza indugio. Il demone tentò di fermarmi, non riuscendo ad utilizzare nessuno dei suoi poteri. Impotente, mi fissò scendere velocemente sino al suolo, cadendo in piedi per decine di metri senza neanche un graffio. Urlò il mio nome, pregandomi di non farlo. Ricordò che sarebbero venuti ad uccidermi, i demoni, le streghe e le fate prima o poi mi avrebbero trovato ed io non avrei potuto combatterli tutti. Alzai il volto verso la balconata, osservando la figura di Nolan in lontananza.
- Non osare cercarmi-
Minacciai, ignorando le sue parole e graffiando il marchio che portavo sul polso.
- Giuro che me lo strappo dalla pelle se ti vedo ancora una volta-
Il mezzo demone sussultò, allontanandosi istintivamente dalla balaustra.
Soddisfatta presi a camminare verso il sole che sorgeva, senza mai voltarmi indietro.
Lentamente non riuscì più ad udire la voce del demone chiamarmi, rimanendo sola con i miei pensieri. Il cuore correva veloce, temendo ciò che mi aspettava d’ora in avanti.
Tornavo ad essere sola, sola contro il mondo.
Lontana dall’albergo mi fermai un attimo, immobile a piedi scalzi sull’erba bagnata.
Sospirai, assaggiando l’aria fresca del mattino, socchiudendo gli occhi.
Puntai lo sguardo all’orizzonte, sull’alba che stava sorgendo proprio in quel momento.
Sorrisi. Tutto doveva ancora cominciare. E sarebbe stato divertente.
 

Fine del Primo Volume. 

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