six strings for my heart

di topoleone
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Non c’è storia senza Prologo ***
Capitolo 2: *** Il trasloco ***
Capitolo 3: *** Per fortuna c'è Alice Jade ***
Capitolo 4: *** L’adolescenza che sognavo ***
Capitolo 5: *** Cugino eremita ***
Capitolo 6: *** Concerto e pregiudizi ***
Capitolo 7: *** Accordi e dissonanze ***
Capitolo 8: *** Compleanni e sorpresa ***
Capitolo 9: *** Tre amici e un pianoforte ***
Capitolo 10: *** Lontano dagli occhi... ***
Capitolo 11: *** Inaspettatamente tu ***
Capitolo 12: *** Mai avrei creduto di cambiare idea ***
Capitolo 13: *** Per un poker di sì ***
Capitolo 14: *** Coppia controtendenza ***
Capitolo 15: *** Epilogo - La chitarra di Chris ***



Capitolo 1
*** Non c’è storia senza Prologo ***


1. Non c’è storia senza Prologo* 

Stavo rileggendo il mio primo vero diario, all’epoca avevo 15 anni. Le mie stesse parole mi facevano sorridere, ma rimanevano sempre attualissime: perché quel nome era capitato a me e non a mia sorella, perché a me se il nome più strano e altisonante viene affibbiato al più vecchio dei figli? E poi cosa aveva lei in più per esser stata fortunata da chiamarsi semplicemente Mary Jane?
Scrollai la testa; era inutile tornare a quel pensiero e perdere tempo con le mie confidenze adolescenziali, non avrei mai avuto il coraggio di cambiare il nome che i miei genitori avevano scelto per me, anche se potevo far di tutto perché la gente non lo usasse mai al completo.
Era già successo altre volte: a scuola, in negozio da papà, dietro le quinte: “piacere mi chiamo Alice Cooper”. Immancabilmente i miei vari interlocutori trattenevano a stento una risatina. Alcuni si allontanavano con la scusa di un improvviso raffreddore e tornavano dopo qualche minuto, pensando che non avessi avuto modo di seguire i loro movimenti e capire che avevano liberato le loro risate dietro l’angolo. E non andava meglio se mi presentavo con il nome completo: Alice Jade Cooper. Troppo poco spazio per poter cancellare il ricordo del primo nome.
Ora che ero un po’ più grandicella, almeno anagraficamente parlando, e riguardavo le mie vecchie foto, capivo che spesso ne avevano ragione. Ero uno di quei brutti anatroccoli, che pur non essendo diventati cigno, si sono trasformati in qualcosa di almeno presentabile. I brufoli: spariti; i capelli: decisamente meno indomabili. E, soprattutto l’abbandono totale dei vecchi fuseaux a stampa floreale che ho tanto adorato. Insomma, se non altro fisico e nome strampalato non facevano più quel tanto odiato effetto clown che stampato e incorniciato sulle pareti del corridoio e delle scale di casa mi ricordava costantemente il mio passato.

Forse dovrei scusarmi per questo discorso altamente entropico, ma che ci volete fare, la gente che bazzica il mondo dello spettacolo è per la maggior parte delle volte così. E poi io preferisco chiamarlo “disordine creativo”, visto che io trovo le mie cose solo in questo modo. Ci ho provato tantissimo, credetemi, ma ogni volta che mi trasformo in Cenerentola e pulisco la nostra casa, immancabilmente mi trovo a chiedere a mia sorella dove siano finite le mie cose.
Quindi forse è meglio passare alle presentazioni ufficiali.

Piacere mi chiamo Alice Jade Cooper, per gli amici AJ o Al, per i miei genitori J e per gli sconosciuti Jade Cooper. Ho quasi 24 anni e la mia vita ora è più che mediamente felice. Adoro mia sorella e domani partiremo per una lunga vacanza ai tropici. Ma vi prometto che scoprirete tutto il necessario leggendo la mia storia.




Note:
* Ovviamente non è vero, ma molto spesso ce li troviamo: poche parole, tante righe, paginoni infiniti, a seconda del genere che ci stiamo accingendo a leggere, ma quasi sempre utili. C’è chi li usa come flashback, chi per creare un contesto, chi ancora per inserire elementi del passato che in qualche modo ricomporranno la storia in un altro punto del libro.
A me serviva per presentarvi il mio personaggio principale e per provare ad incuriosirvi. Non potevo certo partire scoprendo subito tutte le carte in tavola. Ma tranquilli sono un pessimo baro e quindi non ci sarà troppo mistero.
E per rendervi partecipi di un altro piccolo segreto è bene che sappiate che, decisamente Alice Cooper non è il mio cantante preferito. Ma tempo fa nell’ignoranza più totale credevo fosse una donna. Un giorno, allargando i miei orizzonti musicali, ho scoperto che Alice era un Alicio! Poi il mio cervello ha accantonato questa notizia poco rilevante e la mia vita è continuata serenamente. Una mattina d’estate, mi sveglio pensando che esiste una Alice Cooper, è lì nella mia testa e sta bussando incessantemente per uscire. In 2 giorni avevo un’idea da sviluppare e poco tempo per scriverla. Così ho cominciato a buttar giù un po’ di appunti. A parte il nome delle sorelle, gli altri erano tanti “xx”, “yy” “nome fidanzato”, ecc., in attesa di trovare qualcosa che mi risultasse convincente e il testo era disseminato da punti di domanda e parentesi per ulteriori approfondimenti. Da lì è partito tutto e tra una passeggiata col cane e ceste di roba da stirare, quello che prima era un bozzolo, ha cominciato a dischiudersi. Non ho certo le pretese che sia una farfalla, ma spero che a forza di lavorarci sopra aver corretto passaggi e dialoghi e limato quello che mi pareva superfluo, possa piacere anche a voi.
Spero anche che le probabilità di aver avuto la stessa idea di qualcun altro siano pari a zero, anche se per la legge dei grandi numeri, con oltre 7 miliardi di persone attive su ‘sta faccia della Terra, un po’ ne dubito. Comunque sia, spero proprio non sia questo il caso.
Se leggerete il resto e trovate delle “somiglianze ardite” con altre storie di vostra conoscenza, fatemelo sapere, ok?
Grazie comunque per l’attenzione e buona lettura e/o scrittura.

P.S: soltanto il prologo contiene 2.712 caratteri, spazi inclusi. ; )
 

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Capitolo 2
*** Il trasloco ***


1. Il trasloco

“Alice??? Andiamo?”
C’erano solo due motivi per cui la mia adorata sorella mi chiamasse così: quando era arrabbiata o quando aveva il terrore che mi fosse successo qualcosa; nel secondo caso si poteva chiamare empatia tra sorelle.
“Arrivo, dammi ancora un minuto che controllo di aver preso tutto!” E puntualmente, per stemperare quegli attimi in cui avrebbe voluto incenerirmi, sfoggiavo la vocina petulante da bambina bisognosa di affetto.
La verità è che quella stanza mi sarebbe mancata. Ci avevo passato 22 anni della mia vita e non importava che di lì a poco saremmo entrate nella nostra nuova casa e che avremmo comunque passato assieme ancora molto tempo, stavamo abbandonando la casa dei nostri genitori e io volevo fare il pieno di ricordi, anche se cercavo di mascherarlo facendo finta di controllare, di nuovo, di aver preso tutto.
“Senti sis’, se già stai messa così prima della partenza puoi sempre tornare qui per il weekend.”
E chissà come si era materializzata sulla porta.
“Ma se un secondo fa eri giù in strada, come fai ad esser già qui a rovinarmi l’ultimo saluto alla nostra cameretta?”
Che si desse inizio al nostro teatrino…
“Oh mia dolce donzella, ti salverò io da queste mura, scendi mia diletta, la carrozza attende solo noi!”
Come succedeva puntualmente cercavo di evitare di assecondarla, ma era così buffa quando faceva il verso ai suoi colleghi di teatro, che non riuscivo ad evitare di ridere. Con le mani sulla pancia, il fiato corto e le lacrime agli occhi, cercavo comunque di resistere al movimento che cercava di impormi. Ma grazie ad una presa salda sui miei fianchi, Mary mi stava facendo scivolare verso la porta.
“Maledetta moquette, anche tu ti metti contro di me, non riesco ad avere grip!”
“Siiiiiis’ ,dai, anche la moquette è stufa di averti tra i peli, vuoi farmi finire tutta la benza? La macchina giù è rimasta accesa.”
Con gesto melodrammatico salutai per l’ultima volta le tende rosa, il copriletto viola, la specchiera con i ritagli di giornale dove si celebravano i primi meritatissimi successi di Mary e dove qualche volta comparivo anch’io in qualche piccolo trafiletto.
Che scherzo del destino, io così riservata, tanto a volte da risultare musona e lei così esuberante e ciarliera. Entrambe uscite dalla stessa scuola col massimo dei voti, ma destinate a due carriere diverse.
A volte mi trovavo a pensare a cosa sarebbe stato, a come avrei vissuto a ruoli invertiti. E non nascondo che inizialmente, quando durante una cena Mary ci annunciò di aver ottenuto la sua prima parte da protagonista una punta…che dico! un iceberg di invidia mi abbia fatta affondare l’umore sotto i piedi per parecchie settimane. Proprio all’epoca, quattro anni fa il nonno era morto lasciando l’attività interamente a papà e lui mi aveva implorata di ereditare un giorno il negozio. Ho provato a dire di no, ho detto più volte che la mia strada era tentare di stare al passo con Mary, ma alla fine ho ceduto alle rughe del nostro vecchio, Ray, e all’altra passione che comunque mi accompagna da quando sono nata: la musica.
Quando da piccole ci chiedevano cosa saremmo diventate da grandi rispondevamo all’unisono: attrici di teatro o ballerine. Ma se ci pungolavano chiedendo che altro potevamo diventare, Mary rispondeva sempre allo stesso modo, mentre io avanzavo delle altre ipotesi, anche se mai le avevo prese in seria considerazione: se non potevo essere ballerina sarei diventata una famosa coreografa, e se proprio proprio il mondo delle arti mi avesse sbattuto la porta in faccia sarei entrata dalla porta di servizio facendo musica. Non che la musica fosse un’arte minore, ma per una che voleva fare la ballerina, intendiamoci era quasi come chiedere ad una donna in carriera di trasformarsi in una casalinga disperata. Ok non volevo offendere nessuno, io adoravo la musica, ma mai avrei creduto che sarebbe diventato il mio mestiere. Per altro nemmeno vivevo scrivendo canzoni o cantando nei locali; io stavo affinando le tecniche per diventare la più giovane liutaia in circolazione.
Papà ha sempre cercato di non fare differenze, eppure ha implorato me lasciando libera Mary. D’altra parte però non faceva mistero del suo orgoglio per il fatto che un giorno il negozio sarebbe stato mio. Ad ogni cliente che entrava non faceva che ripetere, mettendomi in completo imbarazzo, che aveva una figlia dalle mani d’oro.
Insomma, approfittavo di fare il pieno di elogi da usare nei momenti di sconforto, che puntualmente arrivano quando Mary tornava a casa e mi diceva di aver superato un altro provino. In quattro anni di “duro lavoro psicologico” ero passata dalla gelosia allo sconforto.
Penserete che sono stata una cattiva sorella, forse, oppure una sfigata qualunque, ma vi sfido a trovarvi nella situazione in cui ero io.
Però sentivo che le cose stavano migliorando, perché c’erano momenti in cui, stanca al ritorno dalle prove, Mary mi confidava di invidiare la mia vita, tranquilla.
Lei che a volte invidiava le mie giornate in negozio e che avrebbe voluto venire in palestra con me, invece che piroettare con Rudy, il suo amico e collega gay, per vedere una delle mie coreografie o semplicemente per farsi una pedalata sulle bici da spinning.
Già, perché di sera potevo comunque coltivare quella che fino a poco tempo fa era la mia passione principale, anche se per un pubblico meno pretenzioso, che pur si lamentava ad ogni minima figura un filino più complessa che aggiungevo. Però non era frustrante, perché mi facevano tenerezza le coppie di nonni che mi chiedevano di insegnargli il liscio, mi facevano ridere i bimbi che imploravano di fargli fare la break dance perché odiavano i tutù delle loro compagne e adoravo le ragazzine che facevano finta di amare il moderno, ma che guardavano ammirate i muscoli dei ragazzi di hip hop della sala accanto, dove lavorava la mia migliore amica Vic.
Con Victoria ci conoscevamo da una vita, eravamo state le eterne compagne di scuola, che ora condividevano l’hobby serale. Lei però sapeva fin da subito che non sarebbe diventata una cacciatrice di fama, “la polvere di stelle è effimera” mi ripeteva spesso quando piangevo i primi tempi al negozio, “ricordati che ci sono altri modi di lasciare il segno in questo mondo”.
Il sogno di Vic era “semplicemente” quello di trovare un onesto lavoro e metter su famiglia.
Persa nei miei pensieri avevo rimosso completamente la parte degli abbracci e baci, non mi ero resa conto di essermi messa in spalla l’ultimo borsone e nemmeno di stare sfrecciando lungo le stradina di campagna, ops…stradina di prima periferia.
“Sis’ tutto bene? Sei muta già da qualche minuto e la cosa è preoccupante”.
Già, un altro aspetto del mio carattere è che ai più potevo sembrare un orso scorbutico, mentre con mia sorella e con altri pochi intimi ero molto disinvolta e chiacchierona. A volte mi chiedevano se ci fosse un bottone per spegnermi, soprattutto quando ero in vena di sfogarmi se qualche cliente avanzava delle pretese assurde o se qualcuno scavalcava la fila al supermercato mentre io ero in preda ai dolori del ciclo.
“Scusa, mi ero persa nei miei pensieri.”
“Oh beh ultimamente lo sei un po’ spesso o sbaglio? Innamorata?”
“Scherzi?! Non prima di conoscere il nostro unico divino ammoreee”(*).
“Ora ti riconosco!”
C’era qualcosa che non voleva dirmi o mi stavo immaginando tutto? La guardavo fissa e, beccata! Mary si grattava sempre il naso quando era a disagio.
“ah ha, sputa il rospo sorella!” e per un istante mi guardò con un sorriso a 32 denti che poteva voler dire solo due cose, o che aveva avuto la parte principale in una piece o che aveva una notizia bomba.
“Ma daiiii sis’ non posso dirtelo ora, altrimenti cosa ti racconto intanto che sballiamo le robe e puliamo casa?”.
E tornò a guardare la strada, che solo cinque chilometri dopo aver lasciato casa dei nostri genitori era diventata decisamente più trafficata. Abitare in centro sarebbe stato decisamente interessante. E come sempre Mary me lo lesse nel pensiero.
“Sis’ dai che forse è la volta buona che incontri l’anima gemella e che ti svecchio un po’”.
Solo perché lei si frequentava da qualche mese con un fonico, non voleva dire che avesse trovato la sua… anche se a dire il vero c’erano buone probabilità che le tenesse il cuore impegnato per un po’.
Finalmente dopo aver girato a vuoto in cerca di un parcheggio sotto casa, varcammo la soglia cariche come muli. Nuovi odori, colori e sensazioni. Eravamo eccitate come due scolarette in gita. Quella era a tutti gli effetti casa nostra, o meglio casa di Mary all’80%, con l’impegno da parte mia a pagare la mia restante quota appena possibile. E avremmo festeggiato quell’evento prima o poi nei prossimi dieci anni.
“Allora adesso me lo dici?”
Uh quanto se la stava tirando, passava da uno scatolone all’altro come un ape sui fiori, ma si vedeva che era impaziente di sganciare la bomba. Bene l’avrei lasciata macerare nel suo giochetto subdolo.
“Ok io vado giù al bar un attimo a prendermi una coca e poi riprendo, ho troppo caldo per far tutto ora” e fischiettando me ne andai verso la porta.
Nemmeno cinque secondi dopo me la trovai avvinghiata come una cozza
“Sei insopportabile quando fai così….” Io?!
“E va bene hai vinto tu. La notiziona ona ona è che moooolto probabilmente…”
Oddio è incinta? Parte per una tournée mondiale? Ha vinto alla lotteria?
“….è che qualcuno di nostra conoscenza verrà a vedere Romeo e Juliet, anche se con la sua fidanzata”.
Tutto qui? Cominciavo a vedere i sorci verdi. Ma quando avrebbe smesso di farmi sapere gli spostamenti del mio quasi ex ragazzo? Quasi ex perché in realtà non era mai stato il mio ragazzo. Ci eravamo frequentati per qualche mese, ormai più di un anno prima, ma alla fine mi aveva fatto capire in modo a dir poco garbato, che una ragazza già ce l’aveva e che io ero solo un’amica speciale, ma considerato che non avevo intenzione in tempi brevi di farlo entrare nel mio letto, forse era arrivato il momento di mettere le cose in chiaro! A ripensarci ora mi veniva il vomito.
Sia chiaro non ero così inesperta, ma avevo deciso che non era il caso di buttarla lì ai quattro venti e, a posteriori dovevo riconoscere di aver fatto bene a non fidarmi di lui.
Comunque sia direi che la mia vita sessuale non meriti particolari approfondimenti.
Parlare di George era comunque fastidioso perché nonostante tendessi a sminuire la cosa ero stata innamorata di quell’uomo.  
“Allora, non mi chiedi nulla?”
“Mary sono stufa di sapere dove va Geroge, cosa fa George, con chi si frequenta quel coglione di George”.
Ero acida? Ridicola? Patetica? Mary rideva ed ero già pronta ad ingaggiare una lotta feroce tra sorelle.
Mani in alto, in segno di resa e voce un filino tagliente, Mary invece non aveva voglia di battibeccare
“Mi arrendo, non c’è gusto a tenerti sulle spine. Molto probabilmente in prima fila o da qualche parte nascosto tra la folla ci sarà anche Nicholas Easter (**) con Zophy (***). E non ringraziarmi se riuscirò a farti avere un autografo, mentre io potrò bearmi del suo sorriso!”
Al diavolo l’acidità di mia sorella, c’erano buone probabilità che dopo lo spettacolo potesse stringerli la mano. Il nostro divino ammoreee, lo stesso ragazzo che adoravamo per motivi diversi, lei perché un bravissimo attore io perché oltre che attore era un musicista eccezionale e un ragazzo che voleva vivere una vita il più possibile riservata. Lo stimavo anche se non lo conoscevo affatto, al di là delle interviste che rilasciava, ed ora sì che il misuratore di invidia era schizzato alle stelle.
“Sis’ se ti va ti procuro un biglietto così vieni anche tu”.
Adoro mia sorella, l’ho già detto?.
“Grazie del pensiero, ma dovrò accontentarmi del tuo racconto”. Quel sabato sera ci sarebbe stato il saggio degli allievi di Vic e le avevo promesso di darle una mano col trucco e i costumi.
“Su col morale Al, cercherò di stringerli la mano anche per te”.
Non sarebbe stata la stessa cosa, ma avrei potuto sentire dalla persona più affine a me, se le nostre ipotesi sul tipo in questione erano vere: era alla mano come sembrava? Stava davvero assieme a Zophy?.
Sarebbe stato bello incontrarlo per caso in un bar. A volte lo fotografavano al piano mentre si esibiva in qualche locale sperduto e lui era costretto a scappare dal retro. O nelle rare volte che appariva ad un concerto di un amico, il pubblico femminile cominciava ad urlare e strapparsi i capelli.
Decisamente non ero una sua fan, o meglio, non ero una fan come le altre, ma avrei pagato non so cosa pur di… no nemmeno in quel caso avrei mai avuto il coraggio di dirgli che nel poco tempo libero in negozio stavo costruendo una chitarra acustica che avrei voluto lui suonasse.
E questo era il mio più grande segreto. Non lo sapeva nessuno, anche se forse Mary sospettava qualcosa. In famiglia pensavano fosse per me o per una mia collezione, quando sarei stata famosa in tutto il mondo, ma quella era una chitarra destinata a restare senza nome e senza padrone, perché non credevo avrei mai trovato il coraggio, nemmeno in forma anonima di fargli recapitare quella cosa, informe che ogni sera prima di andare a casa o in palestra guardavo, sperando si trasformasse magicamente nello strumento che avevo in testa da quando per la prima volta ho sentito la sua voce.
“Ci conto e non vedo l’ora di sentire che strategia adotterai per sbattergli addosso”.
Mia sorella era decisamente un caterpillar; se voleva una cosa frantumava tutti gli ostacoli che le si presentavano davanti pur di ottenerla.
“E allora quella cola che tanto volevi?”
Il suo tono di voce mi diceva chiaramente che mi stava prendendo in giro.
“Mi è passata la sete, meglio darci dentro finche c’è luce, visto che l’allacciamento arriverà solo domani mattina”.
“Ah ma allora ogni tanto mi ascolti eh? Credevo che quando ti ho parlato dell’arrivo del tecnico fossi su un altro pianeta”
“Io ti ascolto sempre Mary”
“Mhhh non penso sia proprio così, ma ti voglio bene lo stesso”.

E per punizione mise a ripetizione una selezione delle canzoni di Alice Cooper che detestavo. Vista l’omonimia e la “comune” passione per la musica, mi ero imposta di ascoltarlo almeno una volta, e devo dire che qualcosina mi piaceva anche, ma in linea di massima era decisamente fuori dal mio background musicale. Incassato il colpo basso di mia sorella, per smaltire l’invidia residua, mi misi al lavoro senza sosta, pur di poter spegnere quel maledetto stereo.

ORE 20.00          
“Oh cazz…ma è tardissimo! Mariiiiiiiiiii perché non mi hai detto che ore sono?”
“Ehi sis’ non sono mica mamma, sei grande abbastanza per portare e saper leggere l’orologio e poi non ti eri presa un giorno libero?”. L’avrei uccisa a colpi di scatoloni vuoti.
“Solo perché l’etoile è in pausa non vuol dire che le povere maestrine abbiano ottenuto un giorno di riposo. No sister, tra quindici minuti devo essere in sala e se non metto qualcosa sotto i denti vedrò moscerini neri per tutta la sera!”.
Inveendo contro l’armadio che aveva misteriosamente fagocitato borsone, scarpe e vestiti da palestra, riuscii in qualche modo ad arrivare in tempo, seppur trafelata da Fitness&Dance.
Oh merda, forse avevo lasciato il cervello in uno degli scatoloni, perché gli amabili signori mi stavano guardando malissimo, mentre rossa di vergogna li accoglievo in scaldamuscoli e tutù.
In realtà, in altre circostanze, la cosa avrebbe fatto ridere anche me, visto che le due adorabili coppie di ultrasettantenni erano lì per una lezione di liscio.
“Scusate, torno subito”.
Per fortuna il danno del tutù era rimediabile. Corsi di nuovo in sala e arrotolai i pantajazz per far vedere bene loro la posizione di ginocchia e piedi e placidamente cominciai a farli piroettare sulle note di un valzer.
Terminata la lezione aspettai pazientemente che la mia amica finisse nell’altra saletta
“Al, tutto bene? Sembri sul punto di svenire”.
“Ohi Vic, sì sì, credo sia solo colpa del trasloco”.
“Ti va se saltiamo l’allenamento e andiamo a mangiare qualcosa da Pyter (****)?” Diciamo pure che Pyter non aveva ne mai avrà nel suo menù nulla di compatibile con la dieta degli atleti, ma il bello di avere Vic come amica e collega è che sapevamo bene che un hot dog ogni tanto non avrebbe compromesso irrimediabilmente la nostra linea.
E dopo mesi che non lo facevamo, invece di salutarci dopo una doccia al termine del nostro allenamento, andammo sudatissime al chiosco in angolo per strafogarci di schifezze.
La fatica di quella giornata, grazie alla compagnia e solarità di Vic era sparita.

23.50
“’notte Al, ci vediamo sabato per il saggio.”
Mancavano tre giorni al gran giorno per i suoi allievi e forse eravamo più agitate noi di loro.
“Sarò lì puntualissima alle 16.”
“Sì ma non venirmi di nuovo in tutù, mi raccomando!”
Decisamente la mia svista di quella sera non era passata inosservata.
Ma la serata non era ancora terminata. Era tardissimo e giusto per gradire non trovavo le chiavi di casa e il cellulare di Mary era già spento. Merda merda merda.
Mia sorella odiava essere buttata giù dal letto. Stavo giusto per suonare quando Mary si affacciò alla porta.
“Per fortuna eri sveglia, mi sarebbe proprio….”
Non riuscii a terminare il mio pensiero e dirle che mi sarebbe dispiaciuto doverla svegliare perché il suo sguardo sprizzava fulmini e saette.
“Alice Jade Cooper, stai facendo così tanto casino cercando le chiavi, che peraltro hai dimenticato in bagno, che mi sono per forza dovuta alzare dal letto!”
In bagno? E come avevo potuto lasciarle lì?
“Ah e per la cronaca, puzzi di cipolla, salsicce e sudore e non c’è acqua in casa…genio!”
Porca miseria! Luce e acqua…domani…allacciamento. Ma lei dove si era lavata?
“Se te lo stai chiedendo sono andata da Alec, ti risparmio i dettagli.” Dio ti ringrazio mi si stava già dipingendo il quadretto di loro due avvinghiati sotto un getto di acqua bollente. O forse no, l’acqua era fredda per calmare i loro bollori.
Decisamente dovevo cambiare pensiero e non potevo andare a letto in quelle condizioni.
“Sis’ sei connessa?”
Ah già Mary mi stava ancora parlando…
“mamma e papà sono fuori a cena, con amici, forse li trovi ancora svegli”.
Geniale.
In fine non ero stata completamente travolta da quel precipitare degli eventi. A volte un panino non rovina la linea ma, ti devasta l’inizio di una notte tranquilla.


Note:
Le parti in grassetto corsivo, come anche nel prologo, sono scritte al presente. AJ è la voce narrante principale. Nel corso della storia, ci saranno però 3 parziali POV di Nick.

(*) divino amore, storpiato poi in divino ammoreee è un omaggio alla mia amica ed ex coinquilina Eli, con la quale ho vissuto due anni universitari bellissimi. Divino amore, se ricordo bene era il nome di un dolcetto, tipo cioccolatino-amaretto, che ci ha fatto compagnia per alcune serate (troppo poche visto che era così buono che la nostra golosità ha preso il sopravvento).
(**) Il nome non vi sarà nuovo perché esiste già. Ne avrei voluto uno originale, ma siccome il protagonista di Runaway Jury è uno dei miei preferiti l’ho preso a prestito. In realtà il primo cognome era un mix di quello e di Chris Evans, altro bel pezzo di manzo. Ma siccome Nicholas Evans è uno scrittore esistente e Chris Easter faceva schifo, allora ho optato per un’omonimia letteraria.
(***) Zophy è invece il nome di uno dei personaggi creati da Marc Levy, uno scrittore che adoro quando sono in cerca di qualcosa di non eccessivamente romantico, ma che sappia trasmettermi un mondo di sensazioni meravigliose.
(****) se c’è qualcuno di Siracusa forse avrà ritrovato un posticino familiare ; ) Spero con questo di non aver fatto torto a nessuno, ma mi piaceva che nella storia ci fosse anche lui. Ha rallegrato una delle mie ormai lontane serate siciliane in compagnia di una persona più che speciale, nonché mia comare.
  

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Capitolo 3
*** Per fortuna c'è Alice Jade ***


2. Per fortuna c’è Alice Jade

Per fortuna, la mattina sembrava cominciare meno peggio della notte precedente. Mary si era alzata all’alba, anche se non esattamente in senso letterale, per andare ad allenarsi con Rudy e io dovevo aspettare l’intervento del tecnico per l’allacciamento di luce e acqua. Erano già le 7 e contavo che sarebbe arrivato ben prima della mia partenza. Ma perché poi mi ero azzardata a pensare che la mattina promettesse meglio della notte del giorno prima?

TIC TAC, TIC TAC… 7.40
Inutile dire che il tecnico stava tardando e che quella mattina avremmo ricevuto un carico di strumenti al negozio, che un cliente importante voleva che gli mettessimo a nuovo il pianoforte e….
I WON’T LET THE SUN GO DOWN ON ME….
Ma perché mi stava suonando il cellulare e non il campanello di casa?
Per fortuna era mamma così potevo sfogarmi ed avvisarla di dire a papà che molto probabilmente avrei fatto tardi in negozio. Io ho sempre odiato far tardi agli appuntamenti!
“Sì insomma mamma capisci che quel tordo di un tecnico non è ancora arrivato? Avevano detto che sarebbe arrivato entro le 7.30 e….”
DRIIIIIIN
“Mamma ti lascio, forse è arrivato.”mi schiarii la voce.
“Chi è?”
“Quel tordo del tecnico è arrivato” lo disse ridendo, ma io mi sarei seppellita da sola. Aveva sentito tutta la mia conversazione?. Beh sicuramente non gli era sfuggito il poco garbato appellativo che gli avevo rivolto.
“Si accomodi prego.”
Con che coraggio avrei potuto guardarlo in faccia? Senza nemmeno aspettare la sua prossima, quanto scontata domanda gli feci segno di seguirmi e lo accompagnai alla centralina e poi in bagno e in cucina. Ma possibile che non me ne dovesse andar bene una?
“E’ questione di pochi minuti, non preoccuparti riuscirai ad arrivare al lavoro in tempo, a patto che tu non debba attraversare tutta la città”.
Ma come faceva ad essere carino con me, dopo quello che gli avevo indirettamente detto?
“Mi scusi, è che l’agenzia – e finalmente riuscii a guardarlo negli occhi – aveva….”
Accidenti non potevo credere ai miei occhi, io quello lo conoscevo, era Tim e lui non sembrava ricordarsi di me. Di fronte a me avevo quello che all’epoca era stato il ragazzo più figo delle medie, quello che mi aveva definita ai suoi amici la “macchinetta trita rifiuti” per via dell’apparecchio ai denti e dell’acne a costellarmi la faccia.
Alice riprenditi, riprenditi… niente, mi anticipò di brutto.
“Stavi dicendo…l’agenzia?”
Ma brutto figo, di un deficiente, mi devi proprio far vergognare ancor di più?
“Sì ecco, l’agenzia ci aveva assicurato che avrebbe mandato qualcuno entro le7.30. Abbiamo pagato un sovrapprezzo per questo servizio e…” dovevo solo evitare di guardarlo in faccia.
Ma di nuovo mi anticipò.
“Potrei evitare di farti compilare il foglio delle lamentele invitandoti a cena?”
Ah ah che situazione incredibile, il ragazzo con cui avrei voluto uscire, non mi riconosceva e mi invitava fuori per non farsi prendere a calci nel culo dall’azienda per cui lavorava! Accettare o non accettare? E dai sarebbe stata una bella rivincita per il mio orgoglio di ragazzina.
“Lo prendo per un sì?”
Resisti Alice, resisti…. Andata
“Quando?”
“Sabato sera?” che peccato sarà per un’altra volta.
“Mi spiace, sabato sera ho già un impegno, quindi mi sa che dovrò compilare quello spiacevole foglio”.
Il ragazzo mi sorrise, perché? Io volevo tirarmela un po’, anche se per scherzo. Oh no, forse credeva che ci stessi provando con lui.
“Ecco qui”. E mi porse un foglio in carta calcabile.
Ma dai, mi dava sul serio il modulo per la lamentela. Ora mi imbarazzavo di nuovo
“Ehm e a chi devo intestarlo?”
“Puoi mettere a EHS di Tim Erikksonn”.
La mia faccia doveva divertirlo un mondo perché senza sosta i miei occhi si spostavano dal foglio al tesserino che solo ora faceva bella mostra di sé dal taschino della camicia di jeans. Ecco collezionata un’altra figura di merda. Il proprietario dell’agenzia era Tim.
Cercai comunque di darmi un tono
“Oh sì e posso mandarglielo via fax?” tratteneva a stento il sorriso.
“Sì certo”.
“Ora potresti  gentilmente firmarmi il modulo di avvenuto allacciamento? Nome e cognome in stampatello e una firma qui.” Fregata.
Pensavo “incrocia le dita e spera che esca di lì senza ricordarsi di te. Scrivi di fretta e mandalo via”.

Fiuuuu…almeno questa volta mi era andata dritta.
Però rischiavo di far tardi sul serio. Presa la borsa e le chiavi che erano, chissà perché, sul comodino, mi fiondai fuori e TONF.
“Ma chi diavolo ha spostato i muri a mia insaputa?”
“Mio Dio sei uno spasso!”
Come sempre avevo pensato troppo in fretta. E mi trovai tra le braccia di Tim, gli ero letteralmente piombata addosso chiudendo la porta di casa, senza guardarmi le spalle e tutto per colpa dello zerbino troppo alto.
“Ha dimenticato qualcosa?” gli domandai con finta ingenuità.
“Non ti ricordi di me?” e ora che dovevo fare, bugia o verità?
“Ehm dovrei?” sembrava deluso, meglio provare a rimediare. “Dovrei aver dimenticato che eri il ragazzo più figo della scuola e che mi chiamavi macchinetta trita rifiuti?” ecco l’avevo detto e lui era in imbarazzo
“L’ho fatto davvero? - eh già cretino, anche se sei ancora molto carino, l’hai fatto per più di un anno - posso rimediare ora? Non vorrei andare via così, ora che lo so”.
“Tim sono seriamente in ritardo, e ti giuro che in questi anni sono vissuta bene, nonostante i tuoi commenti all’epoca mi abbiano fatta soffrire; sai come siamo fatte noi ragazze nel pieno della nostra adolescenza. Ma veramente è tutto ok”. Mi lasci andare a lavorare, per favoreeeeee?
“Allora posso comunque provare a non farti scrivere il reclamo? Cena quando vuoi tu?”
Sembravo sfigata ad accettare? Finalmente avevo l’occasione di uscire con lui, magari mi divertivo pure.
“Oh scusa, magari hai un ragazzo geloso e non vorrei, sai…”
“Non ti preoccupare non ti ucciderà nessuno e se sei libero potrei liberarmi sabato a pranzo. Ora però scusami ma devo andare e se non vuoi beccarti un reclamo dalla prossima signora che hai in lista forse è meglio se corri anche tu.
Ci salutammo ridendo. In fondo era simpatico trovare vecchi compagni di scuola e riallacciare i contatti.

Finalmente ero riuscita ad arrivare in negozio; il camion era appena arrivato e forse la mia giornata sarebbe decollata senza ulteriori intoppi.
Finimmo di inventariare tutto. Nessun “morto” durante il trasporto. Manici allineati, mi ero persa come sempre a contemplare quelle bellezze mozzafiato, acero, mogano, palissandro, ebano tutte quelle essenze erano lì per noi e per trovare una nuova casa. Finito di lucidare si erano già fatte le 11 e il campanello del negozio annunciò una nuova persona, ma tanto c’era papà pronto in sala per accogliere il misterioso cliente e il suo pianoforte e io potevo starmene nel retrobottega a lavorare un po’ sulle accordature di una vecchia cetra.
Incredibile come certi collezionisti vogliano a tutti i costi far suonare delle cose di dubbia provenienza, solo perché un antiquario gliele ha vendute come cimeli appartenuti a non si sa bene che personaggio famoso. Se non altro nel pomeriggio avrei affrontato la mia quinta arpa. Ricordo che la prima volta che papà mi aveva fatto cambiare le corde da sola sono letteralmente impazzita. Poi ho trovato un modo infallibile per non confonderle dimezzando i tempi per la sostituzione e l’accordatura. L’arpa è uno strumento mi affascinava, moltissimo.
“E allora fammi vedere il tuo gioiellino che ha bisogno di essere rimesso a nuovo”
Papà trattava tutti gli strumenti con rispetto, anche se detestava cordialmente le valvole dei moderni amplificatori.
“E’ sul furgone nel retro, vuoi dargli un occhio prima di scaricarlo? Non so se si può salvare”. Il cliente importante, non sapeva che Ray poteva far resuscitare anche un triangolo schiacciato da un tir?!
“J vieni che ti presento un amico e vediamo di fargli un preventivo per un pianoforte”
“E vorrei vedere anche di una chitarra per mia nipote”.
“Arrivo subito”.
Guardai per l’ultima volta quel Gibson rosso fuoco, mi pulii le mani sui jeans consunti e raggiunsi mio papà curiosa anche di vedere per la prima volta questo cliente e amico. Oh madonnina e tutti i santi, sarei potuta svenire da un momento all’altro, quindi mi ancorai saldamente a quella mano.
Avevo di fronte niente meno che Phil Collins e non sapevo cosa dire per non sembrare scema. Per fortuna mi salvò papà
“Sai Philip, J ti adora, ha imparato a suonare il piano grazie alle tue musiche.”
“Oh ma che bello, ne sono onorato!” Che persona alla mano.
“beh sono onorata io di poter vedere cosa ci ha portato.”
“Sai Philip, credo che J ti saprà tentare con qualche chitarra che è arrivata oggi”
Tze, figurati se avevo qualche chance di competere con lui.
“E’ una sfida? Fico, chissà di trovare il primo negozio che mi propone qualcosa di diverso dal solito.”
Scherzava ed era simpatico. Alla vista del piano i due uomini scoppiarono a ridere. Papà perché era in seria difficoltà, Phil forse perché pensava al portafoglio. Io ero in adorazione. Inoltre il “piano” era un fortepiano e aveva tutta l’aria di essere figlio di quel Cristofori. Era il primo che vedevo al di fuori dell’accademia ed era ridotto malissimo. Però avevo un’idea.
“Sta messo male vero?”
“Eh Philip devo guardarlo meglio, ma credo di dover passare la mano per questa volta”.
Potevo promettergli di riuscire a far qualcosa per quel bestione malridotto? Senza mettere il filtro cervello bocca stavo ancora ammirando i tasti sconnessi e quelli mancanti quando mi accorsi che Phil mi stava chiamando.
“Scusa che hai detto?”
“Prego?”
“Puoi ripetere quello che hai detto?”
Non potevo credere di averlo detto sul serio.
“Credo di poterti essere d’aiuto; certo non ti prometto che dopo essere passato sotto le mie mani si rimetterà a suonare, ma forse una speranza ce l’ha ancora”. Più che un’affermazione sembrava una domanda; sta di fatto che l’avevo detto ed ora non potevo tirarmi indietro.
“Quando mi fai avere il preventivo?” a dir la verità un lavoro come questo avremmo dovuto farlo pagare una cifra esorbitante. Così con la scusa del check up dello strumento e dello scarico nel laboratorio mandammo Phil a farsi un’idea delle chitarre per il regalo che doveva fare e io e papà restammo soli.
“Papà potresti diventare ricco e ritirarti in pensione grazie a questo pianoforte”.
“L’avevo intuito, ma non sono in grado di farlo da solo”.
“Ti aiuto io e chiederò anche al professor Alvaro, credo di poter contare su di lui. Ora sta a te decidere, ma se ti conosco bene, potresti quasi regalarglielo”.
Papà era visibilmente sollevato, non era tipo da chieder troppi soldi, soprattutto se si trattava di un cliente-amico, piuttosto ci rimetteva lui.
“Andiamo a dirglielo allora.” Poi parlò ad alta voce.
“Philip sei pronto alla sfida con J?”
“Posso prima impallidire con il preventivo?
Uno dei miei idoli sapeva quindi dare il giusto prezzo alle cose.
“Dunque, per fortuna c’è J che mi dà una mano e che è più esperta di me – ma cosa diceva il mio vecchio? – perché sarei stato in enorme difficoltà a farti un prezzo.
Quindi ti faccio una proposta: 100.000, se torna a suonare e un po’ di pubblicità al negozio”.
Phil era al settimo cielo, ma non tanto per il regalo
“Quindi le voci sono infondate?”
Quali voci?
“Oh no amico, erano vere, ma da un po’ di tempo ho potuto convincermi del contrario, anche se l’ultima parola ce l’ha pur sempre J”.
Ripetere prego?
Phil mi guardava pensieroso, papà sereno; io se avessi potuto guardarmi avrei fatto la faccia da pesce lesso.
“Sinceramente papà non so cosa stai dicendo”.
“Alice Jade, sono anni che lavori con me, oggi mi hai stupito accettando un lavoro che nemmeno io saprei portare a termine. Non avevo dubbi sulla tua bravura, ma sul fatto che fossi ancora dell’avviso di rilevare il negozio.”
Non potevo crederci che Phil pensasse che chiudessimo, dopo i miei sacrifici? Mai.
“Allora se è per me si può smentire la voce che circolava.”
“Brava ragazza! Ora vai a sfidare Philip”.
Ok, ero pronta ad essere svergognata. Dopo aver fatto un giro veloce in negozio, andammo nel retro dove stavo sistemando le accordature, prima del suo arrivo.
Stavo studiano il mio “nemico” e finalmente vedevo che gli occhi gli brillavano.
“Quanti anni ha il nipote?” domanda innocente.
“10 domani”.
E quindi eravamo nel reparto sbagliato.
“Allora Phil hai fatto la tua scelta?”
“Sì e non vedo l’ora di vedere cosa metterai tu sul piatto della bilancia.”
Simpatico e spavaldo. Spavaldo, ma con stile; spavaldo a ragione. Lui poteva permetterselo, io no.
E l’enfasi che aveva messo su quel “tu” mi stava facendo venire un po’ di complessi di inferiorità. Mi stava prendendo il giro, o forse voleva solo valutarmi attentamente? Aveva preso in mano una chitarra troppo grande per un bambino e decisamente priva di carattere.
Era uno di quegli strumenti che consigliavamo a chi vuole imparare a strimpellare, anche se comunque era pur sempre una signora chitarra. Dubitavo seriamente che il nipote di quel Collins non fosse già in grado di eseguire arpeggi e scale di ogni genere.
Era il mio turno e avevo esattamente in mente cosa proporre a quegli occhi furbi. Dal negozio tornai al bancone con un astuccio in plastica rigida, mentre dal retro riemersi con una sei corde nascosta da un telo rosso. Phil sembrava incuriosito.
“Dunque per il nipotino, piccolo ma esperto suggerirei questa fender stratocuster edizione limitata, mentre per lo zio proporrei questa”.
Bingo!.
Phil mi sorrideva e mi stringeva la mano. Un sogno.
E mio padre orgoglioso che pronunciava delle parole che mi fecero arrossire “te l’avevo detto che è la migliore e più giovane liutaia di mia conoscenza. Per fortuna che ho lei.”.
Phil si portò via entrambe le chitarre lasciandoci sul bancone più di 25.000 dollari senza darsi pena di avere il resto. Si era divertito, avrebbe suonato alla nostra salute e sarebbe tornato per il piano, senza fretta. Contenta e sfinita me ne uscii alle 19 con un pensiero in più nella testa.
Quando avrei finito di mettere a nuovo quel fortepiano?

 

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Capitolo 4
*** L’adolescenza che sognavo ***


Prima di cominciare aggiungo una piccola noticina: nel capitolo precedente è comparso il primo personaggio famoso della storia. Nei prossimi capitoli ce ne saranno altri 3 uno sempre del mondo della musica, un presentatore ed un'attrice. Sono stati catapultati qua dentro solo per dare un'idea di come io mi immagino certi personaggi. Ovviamente non conoscendoli spero di non aver fatto torto a nessuno di loro con i miei dialoghi. Comunque sia recitano tutti una parte da commedia quindi "solo buoni sentimenti" ; ) 


3. L’adolescenza che sognavo

Nonostante non fosse un appuntamento galante, cominciavo a sentire un piccolo fremito di agitazione, pensando che tra soli due giorni sarei uscita con Tim. Chissà se mi sarebbe stato ancora simpatico.
In negozio stavamo decidendo cosa portare ad una fiera a cui partecipavamo ogni anno ed era un periodo abbastanza calmo in cui potevo dedicarmi a quell’ammasso ancora informe che giaceva sotto al bancone del laboratorio.
Piallatrice alla mano cominciai a canticchiare la sua ultima canzone, invidiando Mary che forse l’avrebbe incontrato sabato sera. A volte fantasticavo su cosa avrei fatto se un giorno Nicholas Easter fosse entrato in negozio e se avrei avuto mai il coraggio di dargli l’oggetto che stringevo tra le mani in quel momento e che di certo non era la rumorosa piallatrice.
Se non altro quel rumore e le poche parole con Ray e qualche cliente erano un dolce sollievo.
A casa Mary non faceva altro che lagnarsi e rimbrottarmi per i pranzi e le cene che a volte cucinavo per tutte e due; il nervosismo la stava facendo delirare. Ripassava i passi in corridoio rischiano di travolgere il portaombrelli, l’attaccapanni o il cactus che un ammiratore le aveva fatto recapitare a casa dei nostri genitori e che fedelmente ci aveva seguite nel trasloco.La lasciavo in uno stato di agitazione e la ritrovavo in uno ancor peggiore. Per fortuna quella trasformazione grottesca aveva effetti limitati alla settimana prima del debutto, o della partenza per una mini tournèe, altrimenti col cavolo che ci sarei andata a viverci assieme.
La giornata stava scivolando via placida, nonostante lo sgangherato successore del clavicembalo avesse più volte reclamato la mia attenzione. Avevo già cercato di contattare il professor Alvaro, ma in accademia non si trovava e a casa era sempre impegnato. Avrei fatto passare qualche giorno e poi se avessi collezionato altri insuccessi gli avrei scritto una e-mail, sperando non avesse cambiato indirizzo di posta.
“J?”
“Dimmi pa’”
“Secondo te quella chitarra vedrà mai la luce del sole?”
Mmmmhhhhh forse anche lui si era accorto del tempo che dedicavo al mio piccolo segreto.
“Se pensi che sia una distrazione dal lavoro smetto subito”.
“Oh no cara, purtroppo l’altro giorno non ho potuto fare a meno di notare un bozzetto caduto a terra e trovo che sia stupenda; mi piacerebbe vedertela suonare.”
Se non altro il bozzetto non era quello con su scritto il nome che volevo dare alla mia creatura né dell’improbabile proprietario.
La sua domanda mi colse comunque di sorpresa e sinceramente mi trovavo in difficoltà nella risposta da dare. Dopo averci pensato un po’ su, sperando non fossero passati quegli odiosi interminabili minuti di silenzio, ed aver terminato di ordinare il laboratorio salutai Ray, .
“Se non ne verrà fuori un mostro, credo che un giorno la suonerò, ma solo per te” e gli scoccai un bacio sulla guancia.
“Adulatrice. A Domani J”
“Certo, come sempre; saluta ma’.”
Tornando a casa mi fermai a fare la spesa e alla cassa trovai Vic che stava per finire il turno.
“Ciao cara!”
“Ehi Al, cena pazza stasera?”
Vic mi stava decisamente prendendo in giro battendo i prezzi della mia spesa: patatine, pop corn, cola, birra, burro di arachidi, sciroppo d’acero, ….
“Effettivamente Mary andrà fuori di testa, ma io ho bisogno di un dessert salato e cosa c’è di meglio di una bella terrina di patatine e popcorn?. A proposito vuoi unirti a noi?”
“Mhhh sarebbe bello, ma non vorrei aumentare la dose di stress. I muri della vostra casa potrebbero non sopportare due donne isteriche nello stesso momento”.
Giunta quasi alla vigilia del saggio anche Vic cominciava a mostrar segni di tensione. Per quanto fosse un hobby, ci teneva che lo spettacolo venisse bene, anche perché spesso, tra gli spettatori, vi prendevano parte anche professionisti e talent scout.

A casa Mary mi stava aspettando pronta allo sfogo supremo. Però quella sera in particolare le sue paranoie erano per me fonte di divertimento
“Sis’ e se perdo una punta?”
Impossibile hanno i lacci.
“E se Rudy non mi prende?”
Ohhh, in quel caso prego per lui non lo faccia, altrimenti non si troverà più quel generoso rigonfiamento nella calzamaglia.
“E se faccio schifo come Giulietta?”
Oh no Mary tu sei troppo brava per far schifo; faresti schifo solo se volessi recitare da schifo.
“Mary calmati, andrà tutto bene, pensa a quando applaudiranno. Pensa che io ti aspetto qui per sapere tutto della serata.”
“Oh sis’, grazie. Grazie.”
Ma quella chiosa non prometteva nulla di buono, perché le dava il pretesto per passare allo stadio della petulanza acuta. E infatti…
“Sis’ ma perchè stai attentando alla mia dieta? Vuoi che mi facciano fare la parte dell’ippopotamo di Fantasia(*)?”
Sarei stata ore a guardarla sbocconcellando popcorn; era meglio del David Lettermann show. Gesticolava, alzava gli occhi al cielo, camminava su e giù attaccandosi ai mobili per fare stretching. C’era un unico modo per fermarla. E sarebbe stato come darmi una zappa sui piedi.
“Ti va se ci guardiamo un dvd?”
“Posso scegliere io?” Se volevo farla smettere dovevo assecondarla anche se avevo intuito dove sarebbe andata a parare.
“Ma non ci sono altri film che possiamo vedere? È la quarta volta di fila che mi fai vedere quella commedia solo perché c’è lui!”.
“Non dire che non ti fa piacere. So che in gran segreto sbavi sui suoi poster”.
A volte Mary esagerava, anche se effettivamente dopo una serata un po’ troppo alcolica ero arrivata a baciare un suo poster, ma da sobria non l’avrei mai fatto e poi per quanto potesse essere bravo con le battute dei copioni, a me non trasmetteva tanto quanto invece riusciva a fare suonando il piano o la chitarra. A me piaceva tecnicamente il polistrumentista Nicholas, il ragazzo impacciato che nelle interviste riusciva a dire qualcosa di profondo anche se la domanda era più che banale.
Ma, a quanto pareva, Mary era seriamente intenzionata a farmi diventare una sua fan sfegatata. Così cominciammo a rivedere il film e ahimè a recitarne anche le battute.

La sera dopo toccò ad Alec sorbirsi la sua ragazza isterica. Io mi ero fermata a casa dei nostri genitori, in modo da poter aiutare Ray con gli ultimi dettagli per la fiera di domenica. Quel weekend sarebbe stato veramente intenso: Tim, Vic, Ray e la fiera, i miei ottantenni col loro valzer e l’allenamento in palestra.


SABATO MATTINA IN NEGOZIO              

“J ti vedo strana oggi”. Io, strana?
“Davvero pa’?”
“Sì mi sembri più allegra del solito.”
Ray era un tipo riservato che non invadeva mai la nostra privacy e che aspettava pazientemente le nostre confessioni, ma era anche un tipo piuttosto curioso.
“Effettivamente sono un po’ su di giri perché a pranzo esco con un ragazzo”.
“E’ un ragazzo serio?”
“Oh papà sta’ tranquillo, è solo un vecchio compagno di scuola. Sai il tecnico che ha sistemato casa nostra l’altro giorno? Forse ti ricordi pure di lui. Hai presente Tim?...”
Per un anno della mia vita so per certo che Ray avrebbe voluto strangolare quel Tim.
“Quel Tim?” eccolo che ricordava.
“Sì, ma è cambiato sai.”.
“O forse si è reso conto che l’adolescenza è una cosa passeggera?” Quanto adoravo i suoi punti di vista così diversi dai miei.
“Comunque sia, mi piacerebbe uscire con qualcuno che non sia sempre Mary ed Alec o Vic e poi a dirla tutta, sognavo questo momento da anni”
O meglio, per anni avevo sognato che il ragazzo figo della scuola invitasse l’anonima Alice Jade Cooper ad uscire assieme.
“In questo caso allora ti conviene darti una sistemata perché l’orologio segna le 12.20”.
Accidenti mancava poco alla chiusura e all’arrivo di Tim ed ero semplicemente impresentabile: trucioli nei capelli, unghie sporche, jeans unti di grasso.
Stavo giusto scrollando i capelli a testa in giù quando nel mio parziale campo visivo comparvero due scarpe da tennis consunte.
“Ehi Al, così perderai l’equilibrio” ti pareva che dovesse arrivare proprio in quel momento.
“Tim, ma mi hai vista? Faccio schifo, sono impresentabile!”.
Mi aiutò a riconquistare la posizione eretta ed effettivamente mi girava un po’ la testa.
“Guardami ben Al”
Oh sì Tim ti guardo e vedo un ragazzo carino che sorride.
“Ti sembro al meglio?”
Gli diedi un’occhiata minuziosa e completa, facendolo oh mio dio, arrossire?!
“Ed ora che ti ho guardato?”
“Beh se il sangue non ti fosse arrivato alla testa avresti notato che ho addosso la tuta di tre giorni fa e che non sono esattamente vestito in modo decente, o quanto meno passabile per accompagnare una bella ragazza a pranzo”.
Ehi ehi fermi tutti, da quando ero diventata una bella ragazza? Mi stava prendendo in giro, non c’era altra spiegazione.
“Ok, allora faremo scappare inorriditi gli altri clienti!”
Dopo quello scambio di battute potevo confermare che Tim era proprio una simpatica compagnia.
“Allora Alice raccontami un po’ di te. Cosa hai fatto in questi anni?”. Gli raccontai vita morte e miracoli forse monopolizzando il suo tempo, ma lui sembrava non curarsene.
“E davvero sei impegnata stasera o era una scusa per non rivedermi?”
“Sì che ho un impegno! ma se vuoi puoi accompagnarmi. Aiuto la mia amica Vic col suo saggio”.
Di punto in bianco sembrava a disagio.
“Non posso, purtroppo ho già un impegno”.
Questa poi, prima mi invita e poi viene fuori che ha già un impegno. Tim, Tim, che delusione.
“Stasera esco con mio cugino; non lo vedo da mesi e ho promesso che non sarei mancato”
“Poco male, porta fuori anche lui, dopo il saggio possiamo andare a bere qualcosa tutti e quattro”.
Sembrava ancora a disagio.
“Vorrei tanto poter decidere per lui, ma sono stato invitato a teatro dalla sua ragazza”. Ah beh allora pazienza.
“Non fa niente Tim, ora che ti ho trovato possiamo vederci quando vogliamo”.
Era tornato sereno. Che ragazzo strano.
Terminato il nostro pranzo e constatato che il tempo in sua compagnia era letteralmente voltato ci salutammo.
“Alice, in bocca al lupo per stasera!”
“Grazie Tim”.
E mi venne naturale scoccargli un bacio sulla guancia, prima di salutarlo di nuovo uscendo dal locale.
“E grazie per il pranzo”.
Eh sì mi stavo prendendo le mie piccole soddisfazioni che non avevo avuto a quindici anni, a partire dal farmi offrire il pranzo.
Papà cercò di sondare il terreno sul mio pranzo, come se gli stesi nascondendo qualcosa. E il tempo in negoziò volò in fretta. Lasciai Ray a terminare le ultime faccende in negozio e corsi via, sperando di non trovare traffico per strada.
Puntuale alle 16, mi muovevo rapida tra camerini e quinte, cercando di tenere tutto sotto controllo, ma era un’impresa impossibile visto che stavo cercando di non pungermi le dita con le spille da balia mentre tra spalla e orecchio tenevo il cellulare dove Mary mi stava riversando addosso le sue ultime paturnie, dopo aver vomitato probabilmente il pranzo prima di uscire di casa in direzione teatro. Era uno degli effetti collaterali da paura pre esibizione.
“Al, ci sei? Dammi quel telefono. Ora è il mio turno!”
Per quanto in preda all’agitazione Vic riusciva comunque a non perdere la sua naturale allegria e simpatia. Per cui abbandonai Mary e mi dedicai completamente alla mia amica.
I ragazzi di Vic arrivarono un’ora prima dello spettacolo. Tra una cosa e l’altra il tempo era scivolato via così in fretta, nella concitazione degli ultimi ritocchi, che ci eravamo dimenticate di cenare.
A parte qualche contrattempo con le luci e alcune imprecisioni, i ragazzi di Vic se la cavarono alla grande e il loro spettacolo fu applaudito a lungo. Ci fermammo anche per le altre esibizioni in programma quella sera: un piccolo coro gospel, una recita e una sfilata. Spesso capitava che il piccolo teatro presentasse più manifestazioni assieme, per abbattere i costi della sala. Ne uscivano serate molto pittoresche, che però erano anche molto simpatiche.
“Al grazie, senza di te non ce l’avrei mai fatta a uscirne viva!”
“Ma va Vic, sei stata perfetta. Sei una maestra bravissima, i tuoi ragazzi ti adorano e il lavoro di tutti è stato ricompensato. Ora fatti una doccia e a letto, che altrimenti domani mi sbagli tutti gli scontrini!”
“Ah la mettiamo così? Allora fila a letto anche tu, se non vuoi pungerti con le corde o piallarti un pollice”.
Uno pari. Salutati anche gli ultimi genitori che erano venuti a vedere i propri ragazzini ognuna se ne tornò a casa propria.
Finalmente all’una passata ero pronta per dormire. Chissà come era andata la serata di Tim e chissà cosa mi avrebbe raccontato Mary a colazione.
DRIIIIIIN
Impossibile, era già mattina?
“Sveglia sveglia!”
Mary mi stava chiamando dalla porta della mia camera, ma io cercavo solo di far tacere la sveglia. Guardai inorridita il display luminoso. Erano solo le 4 del mattino!!
“Mary perché hai spostato la sveglia? Vuoi che uccida la più promettente ballerina in circolazione?”
“E’ questa l’accoglienza che riservi alla tua cara sorellina?”
E mi sventolò sotto al naso un pezzo di carta che ancora non riuscivo a mettere a fuoco.
“Guarda che posso sempre tenermelo, in fondo la dedica è interscambiabile nel nostro caso”.
La dedica?
“Sveglia Al! Ti ho portato l’autografo di Nicholas Easter”
Il resto del suo soliloquio passò subito in secondo piano e le strappai di mano il pezzetto di carta leggendolo avida quelle poche parole: Alla sorella. Con simpatia N. Easter.
“Mary dai raccontami tutto.”
Ormai ero sveglia e curiosa.
“E non mi chiedi nulla sullo spettacolo? Sorella ingrata!”
Stava scherzando, ma notavo una punta di sano risentimento; aveva intuito come la mia curiosità in quel momento fosse indirizzata al nostro idolo. Cercai comunque di rimediare.
“Sicuramente avrai ricevuto mazzi e mazzi di rose, applausi a profusione, lettere di ammiratori, ma dimmi, lui com’è?”
“Oh Al, è meglio che in tv, è più piuissimo anche rispetto al cinema. È simpaticissimo e alla mano. Anche se penso che non mi abbia creduto quando gli ho detto che l’autografo non era per me. Effettivamente penso che in quel momento il mio catino raccogli bava fosse già pieno e che lui se ne sia accorto perché ha riso alla mia richiesta. Però Al, ha dei denti….e quegli occhi. Fortunata quella Zophy che se lo porta a letto”.
“Oh ma sentiti; cosa penserebbe Alec se fosse qui ora?”
“Oh ma lo sa benissimo, credo di averlo ingelosito un pochino in macchina”.
E conoscendola, quel “pochino” era a dir poco riduttivo. Mary non faceva mistero della sua smisurata ammirazione per l’attore del quale stringevo ancora l’autografo tra le mani, ma Alec pur essendo una persona intelligente e sapendo che mia sorella sapeva essere molto sopra le righe in certe occasioni, era pur sempre un ragazzo che poteva diventare molto geloso. A parti invertite io lo sarei stata.
Quando Mary se ne andò a letto piombai nel sonno più profondo e mi ritrovai a sognare il mio cantante NickE. Sognai anche Tim e fu un altro pezzo di adolescenza rubata: mi portava al ballo di fine anno e mi diceva che ero più che bellissima. Due sogni così era da mesi che non li facevo.
Mi svegliai fresca nonostante la sveglia malandrina di Mary ed il poco sonno e la prima cosa che feci prima di andare ad aiutare Ray alla fiera fu quella di controllare che, oltre al ballo ed aver incontrato NickE, anche l’autografo non fosse stato solo un sogno. Immaginavo quelle mani affusolate e callose, mentre lasciavano una sicura traccia di inchiostro su quel piccolo pezzo di carta. Mi faceva sorridere la frase di circostanza, “con simpatia”, scritta per una sconosciuta. Ma questo non faceva che rendere l’immagine di Nicholas Easter ancora più affascinante.

Note:
(*) nel film Disney Fantasia il corto dedicato alla famosissima “danza delle ore” ha come protagonisti, tra gli altri animali, anche gli ippopotami.

 

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Capitolo 5
*** Cugino eremita ***


5. Cugino eremita

Ero in completa fibrillazione in attesa del “cugino eremita” di Tim. Ma alle 10 non si era presentato ancora nessuno e così pure alle 10.30, alle 11.00 e nemmeno alle 15.00. Ray era in negozio e percepivo la sua solidale attesa; stufa di aspettare, lavorando al mio ancora abbozzo di chitarra, decisi di dedicarmi un po’ al mostro sdentato che mi aspettava nel retrobottega.
Ray aveva appena ricevuto un carico e mi aveva invitata a guardare se ci fosse qualcosa da sistemare a stretto giro. Neanche farlo apposta c’era uno splendido pianoforte a coda. Non aveva nulla a che vedere col mostro pieno di tarli e sembrava pure in buono stato.
Mi ci voleva una pausa senza pensieri, così cominciai a vagare in quel mare bianco e nero inventandomi uno spartito tutto mio.
“Cosa stai suonando?”
Non mi ero accorta che fosse arrivato qualcuno.
“Oh nulla, improvvisavo.”
Imbarazzata per essere stata sorpresa in un momento di intimità, richiusi la tastiera e mi girai verso il visitatore, maledicendo mentalmente Ray per non avermi avvisata.
Non potevo credere al miracolo che si era palesato di fronte ai miei occhi; Nick, proprio quel Nick, il mio cantante NickE era lì di fronte a me. Tante volte avevo immaginato quel giorno e mai, dico mai, avrei pensato che il mio sogno si sarebbe avverato.

E infatti la mia bolla si infranse senza spiegazioni.
Il ragazzo mi squadrò da capo a piedi, i pugni stretti lungo i fianchi. Non c’era traccia della cordialità espressa quando ancora gli davo la schiena.
E se ne andò arrabbiato; avevo forse frainteso le sue parole? Sembrava che avesse maledetto qualcosa o qualcuno.
Ray corse da me per capire cos’era successo.
“J sbaglio o quello era l’attore famoso che piace a Mary? Si può sapere che gli hai fatto?”
“Va’ a saperlo; queste star tutto fumo e niente arrosto. Palloni gonfiati!”
Ero arrabbiata. Più che arrabbiata e a fine giornata lo ero ancora di più perché il cugino di Tim non si era presentato.
Lo chiamai un po’ per sfogarmi e un po’ per curiosità.
“Ciao Tim disturbo?”
“Tu? Mai. Allora novità?”
Sembrava attendere chissà cosa. Cercai di mantenere una calma apparente.
“No nulla di che, anche se non è stata una giornata particolarmente simpatica.”
Non ero tenuta al segreto professionale, ma non era nostra abitudine vantarci di avere quei pochi clienti vip che frequentavano il nostro negozio, quindi non avrei detto a nessuno, nemmeno a Tim, che quel giorno Nicholas Easter era passato ed uscito di corsa dal negozio, ma tanto meno avrei ammesso che il mio idolo non era per nulla simpatico come lasciava intendere.
“E’ passato mio cugino?”
“No. Puoi chiedergli come mai mi ha dato buca?”
“Certo. Che coglione, aveva detto che sarebbe venuto. Appena torna a casa lo massacro di insulti. Comunque Al, vedrai che alla fine risolveremo tutto.”
Tim; per fortuna c’era lui, mi venne naturale proporgli di andare a cena assieme e lui accettò.
Quella sera avrei abbandonato più che volentieri le mie amiche, che però non furono di quell’avviso quando dopo una doccia rinfrescante le informai dei miei imminenti impegni.
“Al ma ci lasci a casa a sbavare da sole?”
Non volevo ammettere che l’incontro con Nicholas avesse rovinato la mia stima per lui come persona e non avrei saputo come altro spiegare a loro quell’improvvisa freddezza nei suoi confronti. Così mi trincerai dietro una maschera di scherzosa complicità femminile.
“Sbaverò più tardi; intanto vado a cena con Tim.”
E guardai l’orologio.
“Certo che non ti abbiamo mai vista così carina per un semplice amico”
Basta ragazze, finiamola di sfottere!
“Mica potevo far fare la muffa a questo vestitino.”
Cercavo di essere superficiale, ma il mio gioco si stava già ritorcendo contro di me.
“Appunto vestitino.” risero insieme le due perfide “Non ti sembra un po’ cortino il vestitino?”.
Erano in due contro una, non avevo chance di vincere; così codardamente battei in ritirata uscendo di casa.
“Ci si vede….streghette.”
E le lasciai in preparazione alla loro serata divano.

L’espressione di Tim mi fece sorridere ed arrossire allo stesso tempo. Sembrava sorpreso di vedermi fuori dal mio paio di jeans e camicia annodata sul fianco. O forse quel vestito era davvero troppo corto come mi avevano fatto notare Mary e Vic?
“Alice sei…wow…”
“Oh anche tu lo sei, andiamo?”
La nostra cena fu allegra come le altre poche uscite, ma appena dopo il caffè, lo raggiunse una telefonata evidentemente non gradita.
“Scusami Al, ma a malincuore devo riaccompagnarti a casa.”
Mi stavo preoccupando.
“Tutto bene?”
Scema, ovvio che no.
“Sì, tranquilla, ma devo comunque andare. Magari ci riproviamo domani o quando sei libera.”
Sinceramente ero un po’ delusa, la nostra serata era durata poco più di due ore ed erano appena le 22.00, e a casa avrei trovato le due sul divano in piena crisi ormonale. A pensarci mi veniva il voltastomaco.
“Sei già qui?”
“Di’ la verità, hai scaricato Tim per il nostro divino ammoreee?”
Le due erano un po’ allegre; forse nei bicchieri vuoti, poggiati sul pavimento, non c’era stata un cocktail analcolico...
Mi schiarii la voce.
“Si dà il caso che Tim sia ancora qui.”
“Oh Tim, vieni anche tu e unisciti alla nostra serata, sta per entrare in scena il famoso Nicholas Easter. AJ non ti ha detto che è segretamente innamorata di lui?”
Le avrei uccise; mi girai verso Tim con fare di scuse, nemmeno lo stessi tradendo ed incontrai il suo sorriso. Ma non era il solito sorriso contagioso che mi rivolgeva sempre. Possibile che fosse infastidito come Alec? Ci salutammo rinviando alla sera successiva.
“Ma brave idiote, possibile che non vi riesca di tenere la bocca chiusa?”
“Oh ma guarda, Alice è cotta di Tim”
E ricominciarono con gli sfottò. Non ero cotta di Tim, ero solo imbestialita perché quel borioso di Nicholas Easter mi aveva trattata con evidente disprezzo. Meno di cinque minuti dopo però fingevo di sbavare con loro davanti allo schermo.
Quella sera le domande erano quasi tutte sul nuovo cd. E mi trovai a pensare che, per quanto gonfiato dai media e un tantino costruito, aveva comunque talento ed avrei, forse…senza forse, comprato il nuovo album. Era pur sempre un bravo musicista.
Cercai di leggere tra le righe se facesse cenno al fatto di essere entrato in un negozio di strumenti musicali, ma nessun cenno a noi o alla ragazza al pianoforte. D'altronde a chi poteva interessare una storia così stupida?

Il giorno dopo mi presi una pausa dal lavoro, avevo accampato una scusa idiota con Ray; in realtà mi vergognavo a dirgli che non sarei riuscita a concentrarmi per via del “mostro” di Phil. Mary era già partita per i suoi allenamenti. Vic aveva il turno del mattino. Alec era diventato praticamente “off limits” perché assorbito dai i preparativi per i suoi prossimi due progetti e perché stava cominciando a selezionare le gioiellerie in cui portarmi per la scelta dell’anello di Mary. Così pigramente, leccando un cucchiaio di gelato alla vaniglia mi ritrovai col cellulare in mano, senza nemmeno rendermi conto che avevo inoltrato una chiamata.
“Pronto chi parla?”
“Alice, ma guarda che sei una tipa fuori sai, mi hai chiamato tu.”
“Ah sì. Tim?! Scusami ero leggermente sovrappensiero”.
“Non sei in negozio? E’ un numero che non ho in rubrica.”
Acuto osservatore e, si era salvato il numero del negozio…
“Oggi sono libera e mi chiedevo se per pranzo ti andrebbe di uscire; ho anche un debito da saldare, se non ricordo male”.
La risposta arrivò senza tante attese.
“Tecnicamente finché mio cugino non passa in negozio, non mi devi nulla, ma sei comunque una ragazza fortunata; oggi ho solo due appuntamenti. Ti piacerebbe essere rapita per tutto il giorno? Vorrei portarti in due posticini che mi piacciono molto.”
Non potevo nulla contro la curiosità; mi aveva già comprata.
“Passi a prendermi quando hai finito o ci troviamo da qualche parte?”
Vestiti comoda, passo io tra un’ora”.
In realtà mi fece aspettare per altre due ore, ma avvisandomi ampiamente in anticipo per informarmi che una delle due case l’aveva trattenuto più del dovuto. Nella mia mente ne nacque un siparietto che gli avrei raccontato.
In realtà mi immaginavo Tim trattenuto da signore di ogni età che accampavano misteriose rotture o problemi, solo per vedergli gonfiare i bicipiti o stringere la camicia sul torace o scendergli una goccia si sudore dal naso al principio di barba incolta.
C’era poco da negare l’evidenza, Tim era diventato un bell’uomo, già da adolescente aveva dimostrato di avere le carte in regola per esserlo, ma all’epoca era il classico bulletto di periferia. Se mi avessero detto che si sarebbe trasformato in un ragazzo dolce e attento non ci avrei mai creduto.
Stavo ancora pensando alle fantomatiche signore urlanti quando il cellulare squillò di nuovo; con una punta di delusione accettai la telefonata
“Vuoi che rimandiamo?”
“Volevo solo dirti che sono sotto casa tua. Mi apri?”
Una gioia improvvisa mi fece schizzare giù dal divano, chiudere in fretta e correre giù in strada.
“Ehi ragazza fulmine, certo che devi aver avuto una mattinata fiacca se al primo che suona scendi di corsa e lo accogli così” Effettivamente, forse avevo esagerato; gli ero saltata in braccio, felice di vederlo. Reazioni a me sconosciute, visto che non ero mai stata molto espansiva a gesti. Con le parole invece mi riusciva meglio.
“Oh ma tu non sei mica il primo che passa e poi mi stai salvando da una giornata noiosissima, quindi mio eroe, un abbraccio era il minimo che potessi fare”.
Tim mi guardò in modo strano, che mi mise un po’ a disagio, ma mi fece scendere a terra senza aggiungere altro e raggiungemmo la sua auto sportiva.
“Allora, adesso mi dici dove mi porti?”
“Se continui un’altra volta con la stessa domanda ti bendo e ti imbavaglio finche non siamo arrivati”.
Mi ammutolii all’istante facendogli il gesto della zip sulle labbra, facendolo ridere. Con una mano mi scompigliò i capelli già mossi dal vento e quel gesto così ingenuo fu come una carezza inaspettata, quanto gradita.
Dopo meno di mezz’ora raggiungemmo la prima meta che Tim aveva programmato. Conoscevo quel lago, ci andavo spesso con Mary e i nonni, ma da quando anche nonno Jake era morto l’avevo dimenticato. Era lui ad averci insegnato da far rimbalzare i sassi sulla liscia superficie.
“Sei pronta ad una sfida di sassi?”
E così Tim voleva impressionarmi? Molto bene l’avrei accontentato.
“Ma io sono una frana a questo gioco, non possiamo far due passi intorno al lago e basta?”
Sembrava un bimbo contrariato
“Getti la spugna senza provarci? Forse non hai mai avuto un buon maestro.” Mi stava punzecchiando.
Oh ti sbagli Tim e rimpiangerai quello che hai detto.
“Oh maestro, te ne prego, illuminami.”
E così mi aiutò a cercare il sasso piatto al punto giusto, l’inclinazione ottimale. Mentre lui era concentrato sulle spiegazioni mi accorsi che non c’era un secondo fine, nonostante me lo trovassi spesso dietro e sentissi i suoi muscoli accarezzarmi la schiena. Approfittai per godermi la sensazione di calore dovuta al sole e alla felicità di Tim e per studiarlo in ogni minimo dettaglio.
“Allora è tutto chiaro?”
“Sissignore”
“Pronta? Al mio tre e non barare”.

VIAAAAA
1, 2, 3…dopo dieci rimbalzi il mio sasso fu inghiottito dalle acque scure e mi ritrovai stritolata dalle braccia di Tim.
“Oh brutta imbrogliona che non sei altro!”
E cominciò a farmi il solletico. Lo soffrivo tremendamente, ma provai a divincolarmi e sgomitando un po’ mi lasciò correre via. Ma mi raggiunse di corsa e felici e spensierati parlammo per tutto il tragitto intorno al lago.
“Chi ti ha insegnato a lanciare così?”
Faceva male parlare di loro, ora che non c’erano più, ma mi sorpresi a riportare in vita ricordi che non facevano più parte di me da anni.
“Nonno Jake era un vero campione e…”
E il giro intorno al lago finì troppo presto, o forse parlare dei nonni aveva accelerato il tempo.
In più il telefono di Tim ci riportò alla realtà di tutti i giorni.
“Sì certo, dammi una mezz’ora e sono lì.”
Avrei voluto scagliare il telefono nel lago e vedere quanti rimbalzi avrebbe fatto prima di lasciarmi al resto della giornata con Tim. Era la nostra giornata libera e qualche signora me lo stava portando via. Mi sorpresi a quell’improvvisa e sgradevole sensazione di cos’era? No, non potevo essere sul serio gelosa delle altre clienti di Tim. Mi scappò una risata.
“Che c’è da ridere?”
“Oh nulla, te lo racconterò stasera.”
“Ci conto!. Ti passo a prendere verso le 18?”
“Non promettere cose che non puoi mantenere.”
Tim mi guardò strano, ma alla fine si mise a ridere di nuovo.
“Tranquilla; cascasse il mondo sarò puntualissimo”.
E così fu.

Anche senza Vic in casa, le domande di Mary bastavano per mettere a dura prova i miei nervi.
“Esci ancora con Tim?” Mary era ingorda di dettagli.
“Che c’è di strano? È un amico e abbiamo voglia di uscire.”
Che c’era di così strano?
“No no nulla, ma se fossi un tuo amico e uscissi a cena con te vestita così come minimo mi farebbero la manovra di Heimlich tre volte”. Esagerata!!
“Che ha di strano questo vestito?”
Mi ero guardata almeno una decina volte ad ogni specchio della casa: non era corto, non era trasparente, non era scollato. Era un semplice vestito di seta, stile impero, lungo fino ai piedi, morbido e col top a fascia arricciata. Anche quello stranamente reduce dai tarli.
“Ok se insisti tanto ti faccio vedere cosa potrebbe sconvolgere il povero Tim questa sera.”
E mi riportò in bagno accendendo la luce al neon della specchiera. Per me non c’era nulla di fuori posto, ma Mary mi fece notare tre dettagli che mi erano ingenuamente sfuggiti: il top a fascia evidenziava il solco dei seni nudi facendomi sembrare più formosa del solito, gli spacchi laterali avrebbero lasciato ampie porzioni di pelle scoperta, qualora fosse arrivato un vento dispettoso e, dulcis in fundo, l’abito sotto determinate luci, non era esattamente opaco e lasciava intravedere il segno del perizoma color carne.
“Ora che lo sai, puoi uscire, a tuo rischio e pericolo”.
“Mary dovrei essere veramente sfortunata a cenare in un posto pieno di neon, di ventilatori e dove Tim debba starmi così vicino da poter guardarmi dentro al vestito.”
Non avevo tempo né voglia di cercare un altro candidato per quell’uscita, visto che il mio armadio conteneva per la maggior parte jeans, tute e abiti sportivi. Ricordatemi la prossima volta di ascoltare mia sorella.
Tim passò puntualissimo e senza dire nulla mi portò al lunapark, l’unico posto dove non mancavano gli spostamenti d’aria dovuti ai movimenti accelerati delle giostre e dove pare non esistano altre luci se non quelle dei neon colorati e soprattutto dove o cammini fianco a fianco o la folla ti risucchia facendoti perdere l’accompagnatore!
Ma fortunatamente Tim non batté ciglio. Mary aveva esagerato come sempre. E la serata passò piacevolmente tra zucchero filato, crepes e tanta birra. Forse troppa birra. O forse avevo mangiato tropo poco, perché cominciava a girarmi la testa e vedevo cinque barattoli di coca cola invece di due. Eh già sapevo anche sparare, sempre grazie a nonno Jake, ma solo quando ero a mente lucida. Tim si stava divertendo a vedermi in netta difficoltà e mi guardava appoggiato al palo della luce dietro il botteghino al quale cercavo di portare via, più che altro con le suppliche piuttosto che per bravura, un enorme peluche a forma di ippopotamo col tutù. Volevo regalarlo a Mary per i suoi momenti di crisi pre spettacolo.
Era un’idea simpatica, no?!
Alla fine il giostraio ci salutò ridendo anche lui. Stavamo facendo ridere molte persone col nostro siparietto. Io ero decisamente allegra e volevo giocare ancora, ma Tim non era dello stesso avviso e decise bene di prendermi di peso non sapendo che così mi si sarebbero aperti gli spacchi del vestito. Qualche fischio di approvazione dopo e qualche mio debole pugno di protesta lo fecero rinsavire e individuato il “problema” mi ritrovai con la sua mano sulla coscia a tenere i lembi del vestito.
“Ehi non approfittartene eh!”
“Non sia mai che si dica che Tim non è un cavaliere”.
Poi non si sa come sulla strada del ritorno cominciò a martellarmi la testa in risposta a tutte le domande che mi faceva. Nonostante l’alcol, mi era rimasto un briciolo di lucidità per capire che ogni tre domande ne arrivava una su Nicholas Easter. Esasperata non riuscii a trattenere una risposta un po’ acida.
“Senti Tim, mi prendi per scema? Sarò anche brilla, ma mi hai chiesto già cinque volte cosa provo per Nicholas Easter. Non ascoltare sempre Vic e Mary,! Ok mi piace la sua musica, ma questo è tutto. Non sono attirata dal mondo dello spettacolo e se lo vuoi proprio sapere sogno una vita normale. Ma tra ragazze ci piace scherzarci su, un po’ come a voi se passa per strada una ragazza con le chiappe di fuori.”
“Vogliamo parlare anche di questo?”
Ora se la rideva e io non ero più così arrabbiatissima, anzi mi sorpresi ad essere divertita da quell’involontario rimprovero.
“Tim alla fine sai che è solo colpa tua. Chi ha deciso di andare al luna park? Se non avessi deciso di mettermi in spalla sarebbe andato tutto bene.”
“Ehi piccola peste, non mostrarmi la tua lingua biforcuta sai”
Come al mattino al lago, cominciammo a correre sul marciapiede che portava a casa mia, ma non ero in gran forma e traballante mi appoggiai al muro aspettando Tim. Le sue braccia mi sorressero ed arrivai sana e salva sotto casa.
“Allora buona notte Al”
“’notte Tim e grazie per la splendida giornata.”
“Al…”
“Sì Tim?”
“Ti andrebbe di andare a sentire un concerto di NickE?” Era il nome d’arte di Easter, era anche lui un suo fan?
“Ho due biglietti per domani sera”.
Ero un po’ restia, dopo l’incontro al negozio, ma era Tim a propormelo…
“Ok, a domani allora.”
E persi l’equilibrio proprio mentre gli stavo depositando un bacio sulla guancia. Tim mi bloccò al volo prima che dalla guancia arrivassi accidentalmente alla bocca, ma quella situazione e quella vicinanza mi scatenarono comunque un’agitazione superiore a quella che precede il primo bacio. Il suo alito caldo era così invitante che mi trapanò come un pugno in pieno ventre.
“Non sia mai detto che Tim si approfitta di una ragazza mentre non è nel suo pieno delle facoltà mentali. Buona notte Alice. Non vedo l’ora arrivi domani sera”.
E con quella promessa arrivai frastornata all’ultimo piano della palazzina.
Mary già dormiva. Io mi gettai in testa una cascata di acqua gelida per allontanare quelle ultime sensazioni scatenate da Tim.
Ohi ohi, quello no che non l’avevo previsto.
Prima di dormire scrissi un messaggio a Vic e il giorno dopo la sua risposta mi rallegrò molto: “Vai sorella, fallo tuo. Ma non abbandonarmi in palestra, i tuoi vecchietti non li reggo”
Non si sa come alla fine Tim aveva recuperato altri biglietti ed aveva invitato tutti: Mary ed Alec e Vic. E io mi sentivo meno a disagio a sapere che non saremmo usciti di nuovo da soli. Per tutto il giorno al negozio mi aveva perseguitata una strana sensazione. Non scrissi a Tim, ma risposi al suo messaggio. Quel ragazzo era un perfetto organizzatore di appuntamenti. Si era accordato con Alec per passare a prendere Vic e poi venire da noi. Il locale era vicino quindi saremmo andati tutti a piedi da casa nostra.

Ormai conscia che la mia scelta casuale nel vestirmi era dettata dal desiderio latente di far colpo sul povero Tim, guardai l’abbigliamento scelto da Mary per quell’occasione in modo da copiare da lei, ma ne rimasi un po’ turbata. Era tutta strizzata in un paio di short di pelle e una canottiera a buchi.
“E poi dici a me?”
Ero sconvolta da quel lato eccentrico e provocante di mia sorella.
“Oh ma io so perché lo faccio!”
Capito il messaggio optai per un top a balze con spalline e leggings al ginocchio abbinati a un paio di sneackers con borchie. Per un concerto poteva andare? A me sembravo innocentemente casual.
Radunata la compagnia ci incamminammo, io e Vic sotto braccio a Tim e Mary avvinghiata al suo Alec.
“Certo che tu e Mary siete completamente agli antipodi!” Finalmente qualcuno lo notava. Mary si voltò per farci una linguaccia, ma la mano di Alec la riportò ben salda al suo fianco.

 

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Capitolo 6
*** Concerto e pregiudizi ***


6. Concerto e pregiudizi

Arrivati al locale venimmo sparpagliati dalla folla. Conoscevo il posto, ma mai l’avevo visto così pieno eppure all’entrata non c’erano manifesti che indicassero che lì avrebbe suonato NickE.
“Tim, ma sei sicuro che sia il posto giusto?”
Senza rispondere mi sorrise mostrandomi un invito scritto a mano. La stessa scrittura dell’autografo che giaceva nel cassetto della mia scrivania. Ma come faceva Tim ad avere ricevuto quella soffiata? O meglio, come faceva Tim ad avere gli inviti autografi di Nicholas Easter?
“Sarò anche un idraulico e un tecnico, ma anch’io ho le giuste conoscenze”
E mi fece l’occhiolino.
Nella bolgia infernale mi attaccai come una cozza a Tim e dopo un paio di drink ci buttammo nella mischia a ballare poi verso le 22 il volume e le luci cambiarono improvvisamente e diretti da segnali invisibili ci disponemmo ordinatamente per accogliere l’ingresso della star. Molte ragazze saltellavano agitate e lanciavano urletti ed inviti al palco ancora vuoto: “prendimi”, “lascia Zophy”, “chiamami”…
“Ma sono pazze?”
Tim sorrideva.
“Tu no?”
Che domanda strana; mi girai per chiedere spiegazioni e lo guardai dalla mia altezza, circa venti centimetri più in giù dei suoi occhi. Quella strana vicinanza mi ustionò a pelle e le sue parole mi incendiarono definitivamente.
“Avanzo un favore da te – io credevo che avessi estinto il debito con il luna park – se permetti lo vorrei adesso.”
E mi ritrovai a baciare Tim. Ci staccammo solo dopo che le note della mia ballata preferita cominciavano a mutarsi in ritornello e passammo tutto il concerto a tenerci per mano. Il mento di Tim nell’incavo della mia spalla e il suo alito caldo a farmi rimpiangere di aver accettato l’invito al concerto. In un’altra circostanza credo che sarei rimasta a baciarlo sotto un lampione per tutta la sera.
Tim sapeva di buono.
Ogni tanto mi perdevo ad osservare anche il nostro talentuoso intrattenitore e con rammarico mi trovai a cantare per tutto il tempo, anche sulle labbra di Tim. Non potevo farci nulla, la sua musica mi stregava.
“Certo che questo tizio ti piace molto.”
Perché quell’improvvisa aria di sfida?
“Pensavo piacesse anche a te visto che hai trovato il modo di avere degli inviti scritti direttamente da lui.”
Di nuovo tornavano le domande sul ti piace, ma quanto ti piace?
“Oh sì mi piace molto, nei suoi testi rivivo molti ricordi della mia infanzia; ma non pensavo che potesse essere apprezzato dalle ragazze soltanto per questo aspetto”.
Di certo non avrei raccontato a Tim delle mie deliranti serate con Mary e Vic, non ora che le cose stavano prendendo una piega diversa, anche se Tim poteva star tranquillo, dopo quello che era successo al negozio, nemmeno nei miei sogni sarebbe più ricomparso quel cretino borioso.  
Finito il concerto avrei voluto far due passi con Tim per approfondire ancora la mia conoscenza delle sue labbra carnose, ma nonostante l’ora tarda il mio…cos’era adesso Tim per me? Potevo considerarlo il mio ragazzo?

Tim sembrava intenzionato a trattenersi ancora nel locale. Uscita la bolgia infernale avevamo ritrovato anche i nostri compagni, per perderli di nuovo dopo poco; Vic aveva mal di testa e Mary ed Alec avevano già altri programmi.
Così passammo altre due ore a parlare e si era fatto più che tardi.
“Tim sto crollando dal sonno, ti andrebbe di andare?”
Per tutta risposta lui mi prese le mani allegro.
“Se ti dicessi che stiamo aspettando mio cugino, rimarresti ancora un po’?”
Non mi sarei fatta di certo scappare quell’occasione.
“Se è per questo allora rimango volentieri. Quando arriverà?”
Certo che era un gran nottambulo questo cugino eremita.
“Ad occhio e croce, dal brusio, direi che sta arrivando”.
Me ne accorgevo solo adesso che me lo faceva notare; ormai eravamo rimasti in pochi e per la maggior parte sembravano avventori abituali e personale del locale, ma effettivamente qualcosa era cambiato. C’erano più risate.
Mi girai a cercare di capire chi fosse il cugino sconosciuto, ma visto che non sapevo nulla di lui tornai a guardare Tim.
“Su alzati è il nostro turno.”
E ci spostammo verso un piccolo gruppo di persone che ci davano le spalle e che stavano allontanandosi.
“Ehi vagabondo mi sa che devi delle scuse a questa signorina.”
Il ragazzo che ci dava le spalle posò il boccale sul bancone alzando le mani in segno di resa.
“E questa signorina sarebbe?”
E si girò.
Non era possibile avevo di nuovo di fronte a me, gli occhi fiammeggianti di Nicholas Easter.
“Ancora tu!
Ma poi parlò solo a Tim che lo guardava esterrefatto stringendomi dolcemente la vita.
“Ci si vede Tim”.
E corse fuori dal locale.
“Al mi dispiace forse avrà bevuto troppo.”
Ma in quel momento stavo ancora digerendo la notizia che quel deficiente di Easter era il cugino di Tim. Ma cosa avevo fatto per urtarlo in quel modo?
“Non fa niente Tim”.
“Sì invece, stai per piangere e lui non ha il diritto di trattar male le persone solo perché è diventato famoso e tutti lo vogliono.”
Come aveva predetto Tim le lacrime cominciarono a sciogliere quel poco trucco che rimaneva sugli occhi. Cercavo di asciugarle, ma loro sbucavano di nuovo all’improvviso. Ecco ora gli avrei fatto pena come un piccolo panda orfano allo zoo.
“Al! Piantala di strofinarti gli occhi. Domani lo chiamo e chiariamo tutto. Come minimo ti deve delle scuse”.
“Senti Tim, non fa niente. Troverò il modo di parlare a Phil, ma non ho voglia di incontrare di nuovo tuo cugino.”
Che poi se pensavo che mi aveva taciuto quel dettaglio, pur sapendo di com’era venerato a casa nostra, avrei strangolato anche Tim.
Ormai eravamo sotto casa e io ero a pezzi, la magia di poche ore prima era sfumata grazie al suo adorato cugino. Probabilmente anche Tim era dello stesso avviso perché mi posò un bacio lieve e mi diede la buona notte.
Mi alzai l’indomani con un prurito alle mani e una furia cieca nei confronti della chitarra che stavo costruendo, ero seriamente intenzionata a vederla bruciare in una stufa, ma quando guardai le cesellature del top ormai terminate, mi pianse il cuore; stava venendo veramente bene. Dopo mezza giornata di incertezze e domande, il prurito però non mi era ancora passato e la furia si era trasformata in urgenza: se non potevo disfarmene voleva dire che l’avrei terminata e poi messa in soffitta. Ad ora di pranzo mamma sequestrò papà per andare a festeggiare il loro anniversario e io aspettai la telefonata di Tim. Ma all’una non avevo ancora avuto sue notizie; preoccupata misi via tutto e gli feci uno squillo che risuonò nel salone giusto prima che il famigliare DLIN DLON annunciasse l’entrata di un cliente.
Corsi di là e gli saltai al collo.
“Stupido scimmione, mi stavo cominciando a preoccupare!”
Ma il suo bacio mi fece dimenticare tutto.
Non mi chiedi perché sono in ritardo?”
“Avrai avuto le tue buone ragioni”.
Mi sorprese mentre stringendomi delicatamente il volto mi baciò di nuovo con passione.
“Al, sei la ragazza perfetta”.
Quel complimento mi mandò a fuoco il viso. Finalmente stava andando tutto bene.
Per quel giorno avevo preparato tutto per un picnic al parco giochi non lontano dal negozio. Una cosa senza pretese e abbastanza veloce visto che entrambi avevamo del lavoro da sbrigare, peccato che ad un certo punto il cellulare di Tim cominciò a vibrare e diffondere una suoneria infernale. Era chiaro che l’interlocutore non fosse gradito, perché Tim non dava segno di voler rispondere.
“Tim, abbi pietà di me; è già la terza telefonata a cui non rispondi o togli la suoneria o dici chiaramente a chicchessia di lasciarti in pace”.
Alla quarta telefonata decise di graziarmi e rispose in vivavoce.
“Ciao, non credevo che avresti avuto il coraggio di farti sentire dopo ieri sera”.
Ahia avevo un brutto presentimento.
“Ti ho solo dato un consiglio cugino. Le persone oramai le so riconoscere bene e so quando si avvicinano viscidamente ai miei cari per arrivare a me.”
“Non credi di essere diventato un filo presuntuoso? E credimi ciò che tanto ti spaventa l’ho imparato sulla mia pelle, ma Alice è diversa e non ti vuole. Oppure ne devo dedurre che sei invidioso perché finalmente ho trovato una persona sincera e che mi accetta per quello che sono e non perché sono imparentato con una celebrità?”
Ora capivo il perché dell’insistenza di Tim e tutto quel mistero sul cugino.
“E se ti dicessi che ho le prove che ti sta solo usando?”
Ma come si permetteva di giudicarmi? Anche se non ce n’era il bisogno strappai il cellulare dalle mani di Tim e ci urlai dentro.
“Senti pezzo di merda, non hai il diritto di trattarmi come una pezza da piedi, mi hai visto due volte in croce e pensi di conoscermi, mi hai cucito addosso un’etichetta che non mi appartiene e dubiti pure dell’intelligenza di tuo cugino. Sinceramente davi l’impressione di essere un’altra persona”.
Ed anche se non ne ero in diritto, gli chiusi in faccia il telefono che, da lì in poi rimase muto.
Tim mi fece rotolare sull’erba e rimanemmo silenziosi per qualche minuto.
“Al, ti giuro non era così una volta.”
Stavo dando sfogo più che altro ai miei pensieri…
“Sarà colpa del successo?”
Ero molto amareggiata; avevo perso un idolo.
“Non ha scusanti.”
“Non fa niente Tim. A me dispiace più per te che per me.”
“E col pianoforte?”
“Si vede che non era destino”.
“Non è giusto che tu debba rinunciare a del lavoro solo perché un imbecille di prima categoria non sa mettere da parte un po’ di orgoglio e rimboccarsi le maniche”.
Quella era la versione di Tim, ma io avevo visto solo furia e odio nei suoi occhi e quelle sensazioni non sono la risposta all’inezia.
“Forza andiamo, altrimenti ci licenzieranno tutti e due.”
E ci mettemmo a ridere visto che eravamo noi stessi i padroni delle nostre attività.

Ray mi aveva lasciato un messaggio in segreteria, sarebbe tornato per le 17, così Tim approfittò per fermarsi ancora un po’ con me. Ero seduta a cavalcioni sul bancone con le braccia allacciate al suo collo e stavo bene. Ma, evidentemente i miei momenti magici dovevano sempre essere interrotti da qualcuno o qualcosa.
Le sue ginocchia urtarono quella che ormai era a tutti gli effetti la cassa armonica che avevo riposto sotto al bancone ed un tintinnio di metallo e legno si sparpagliò sul pavimento.
“Merda!” lo scostai per controllare che i pezzi non fossero finiti nella fessura sotto la base del mobile e scesi dal bancone.
“Al, per la miseria ho combinato un casino!”
Ma io non ero arrabbiata con lui. Sembrava proprio che Nicholas Easter si fosse accanito contro di noi.
“Tim non è colpa tua. E poi basta raccogliere i pezzi, non hai mica rotto nulla!”
Ora che tutti i pezzi erano sul bancone mi trovai a guardare Tim. Era stranamente muto.
“Tim, tutto bene?”
Ma lui stava guardando attentamente ogni dettaglio che già cominciava a prendere forma”.
“Alice l’hai fatta tu?”
Perché mi stavo imbarazzando? Non era di certo la prima volta che costruivo uno strumento; Tim però sembrava sinceramente colpito.
“Beh tecnicamente non è ancora finita, ma ci sto lavorando”.
“Te l’hanno commissionata?”
Ahi non riuscii a trattenere una risata amara, che Tim interpretò correttamente.
“Se non la vogliono più la compro io!”
“Tu suoni?” dai suoi discorsi non sembrava…
“Oh no, ma anche appesa a un muro sarebbe comunque splendida” Quel complimento solo accennato mise a tacere il mio piccolo ego che già si ribellava alla sola idea di crocifiggere quello strumento solo per inglobarlo ad un eccentrico arredo. Oh Tim se sapessi per chi era quella chitarra.
“Beh forse un giorno potrei fartene una simile.”
“Al, Al…simile, ma non uguale…dev’essere proprio per una persona a cui tieni molto. In questo caso spero che di chiunque sia questa meraviglia ne sappia riconoscere il valore.”
Lo accompagnai alla porta rinunciando alla serata assieme, avevo la scuola di ballo della palestra e anche il mio saggio si stava avvicinando.
“Al, posso chiederti una cosa?”
Ed ero già tra le sue braccia per dargli un bacio di arrivederci.
“Cosa siamo?”
Cosa eravamo?! Credevo fosse una cosa semplice da dire.
“Cosa vorresti che fossimo?”
Sembrava deluso. Allora lo baciai pensando a quel cretino di suo cugino ed alle parole poco garbate che aveva riservato al mio Tim “Credevo fossi già diventato il mio ragazzo.”
Il bacio si trasformò in sorriso e ognuno tornò alle proprie abitudini.
Al ritorno in negozio papà era raggiante
“E allora pa’ festeggiato bene?”
“Oh sì J, più che bene, ma sono curioso di sapere come va qui in negozio; la signora Mikoshi vede sempre un bel ragazzo accompagnarti a pranzo”.
Maledetto gossip tra negozi dirimpettai.
“Visto che mi hai resa orfana qui al lavoro ho pensato di consolarmi con Tim.”
“Quel Tim?”
Evidentemente a papà non era ancora passata.
“Sì papà, quel Tim è un bravo Tim e non mi farà più soffrire”.
“Allora mi piace questo Tim. Gli daremo una seconda occasione.”
E cominciammo a cambiare la sistemazione degli strumenti nel salone. Ormai ogni settimana arrivava un pianoforte nuovo, tanto che avevamo dovuto affittare un box perché non c’era abbastanza spazio da noi. Solitamente ne tenevamo uno di prova e gli interessati venivano poi dirottati verso i nostri conoscenti specializzati, ma Ray aveva ingaggiato una lotta personale al restauro ed ora dovevamo rivedere anche gli spazi espositivi.
 
"OUTTAKE": NICHOLAS VS TIM

Nessuno mai mi aveva parlato così apertamente, quella ragazza sembrava posseduta da un’autentica furia. Era per caso bipolare? Passava dall’essere civettuola ad incazzata come ridere. Con Tim però sembrava sincera, eppure era sempre lei.
Ormai era diventata un assillo, prima con l’autografo, poi all’aeroporto, poi al negozio e di nuovo all’aeroporto, poi di nuovo al locale.
Ero sicuro fosse una stalker e sapevo che sarebbe arrivata a compiere quello che si era messa in testa: rovinare me o la mia famiglia.
Ormai ne avevo sentite di tutte i colori dai colleghi ed ero seriamente spaventato. Però non credevo Tim fosse uno sprovveduto, dopo tutti quei fallimenti collezionati a causa mia, sembrava aver imparato a tutelarsi. Quindi com’era possibile che lei lo avesse convinto?
Non avevo molto tempo, mi restavano pochi giorni prima di partire di nuovo e non volevo allontanarmi dopo un litigio con il mio più grande amico. Lo chiamai di nuovo.
“Che vuoi ancora Nick!”
“Tim forse dovrei scusarmi con te, ma non con la ragazza.”
“Nemmeno se fosse la mia ragazza?”
“Sul serio?”
Quello non me lo aspettavo, sì era una bella ragazza, ma era una pazza furiosa.
“Tim ero serio quando ti ho messo in guardia da lei.”
“Vorrei sapere, Sherlock, su che basi hai capito che non va bene per me.”
“Se ti va di venire da me ti fornirò tutte le prove.”
“Perfetto sono proprio curioso”.
La sua irruenza mi spiazzava, ma se non altro aveva accettato l’invito. Dopo qualche secondo di teso silenzio Tim mi liquidò.
“Senti ho da fare ci vediamo da zia stasera” e riagganciò.
Ero riuscito veramente a far imbestialire quel pezzo di pane di mio cugino.
Buttai il cucchiaino ancora sporco di miele nel lavello della cucina e passai oltre mia madre per andare a ripassare un po’ di tecnica; speravo di sfuggire al suo occhio clinico.
“Nick caro, sbaglio o tu e Tim siete ai ferri corti?”
Ovviamente a mamma non sfuggiva nulla; soprattutto ora che la fama mi aveva travolto, sembrava aver acuito il suo sesto senso materno, captando al volo ogni mio minimo disagio.
“Pare proprio che io debba passare per il guastafeste di turno; ma perché non vuole capire che lo faccio per evitare di farlo soffrire?”. Anche se avrebbe preferito farmi sfogare la frustrazione mi lasciò andare, così approfittai di quel giorno libero per suonare un po’al vecchio piano. Possibile che Tim fosse caduto nelle grinfie di quella squilibrata?
Era incredibile come fosse riuscita ad architettare tutto alla perfezione; anche in negozio era arrivata. Eppure ero ugualmente curioso di sentire la spiegazione di Tim. Mi ritrovai a percorrere con foga la tastiera; Beethoven era quello che ci voleva, mi teneva la mente occupata, mi faceva sudare per raggiungere la perfezione. Quando vidi una gocciolina di sudore scivolare sull’ultimo tasto di quella scala e sentii la pendola rintoccare, lucidai con cura i tasselli d’avorio e feci calare il drappo di velluto.

Stavo asciugandomi dopo aver fatto un bagno caldo, quando sentii mamma e Tim parlare giù in atrio.
“Zia Eloise.”
“Tim, da quanto tempo non passavi da noi.”
“Mi dispiace zia, rimedierò. Intanto ti porto i saluti dei miei”.
“Tim, so che Nick ha combinato qualcosa che ti ha dato fastidio, ma ti prego non essere duro con lui.”
“Ti ha chiesto lui di intercedere?”
Era furibondo.
“No, ma ho visto che è sconvolto; non mi ha detto di cosa si tratta, ma non vorrei che al resto si aggiungesse anche questo?”
Il resto l’avrebbero saputo tutti l’indomani, tramite un comunicato stampa. Io e Zophy ci eravamo lasciati. O meglio lei mi aveva dato il benservito. In realtà stavamo assieme da troppo poco tempo per poter soffrire davvero, ma mi mancava già la mia ancora di salvezza. Lei, decisamente più navigata di me nel jet set, anche se più giovane di qualche anno, mi manteneva ancorato ad un briciolo di realtà, quando ero lontano da casa. Decisi di liberare mia madre dall’imbarazzo e scesi ad accogliere il glaciale Tim.
“Tim.”
“Nick.”
“Bene ragazzi io vi lascio alle vostre faccende e metto su la cena. Spero che ti fermerai da noi caro”.
Ma lo sguardo di Tim non lasciava intendere di voler accettare l’invito di sua zia. Ed eravamo punto e a capo; dovevo uscire da quella empasse.
“Partitina con sfogo?”
Ci provai anche se sapevo che quella non era la scelta vincente; di solito riuscivamo ad insultarci meglio, litigare e risolvere tutto davanti al tavolo verde. Tim era un campione di carambola ed era stato il mio maestro, quando mio padre non fece più ritorno a casa. Nonostante la stranezza della proposta, forse in quel modo avrebbe capito che ero pronto a mettere in dubbio la mia posizione. Ma Tim era fuori di sé e sembrava proprio un tizzone ardente. Mi scansò con poco garbo e si accomodò sul divano.
“Cominci tu Nick?”
Gli feci cenno di no.
“Ottimo, a quanto pare il tuo mondo fatato ti ha reso anche un codardo” incassai il colpo.
“Quindi a parte il fatto che hai offeso la mia ragazza, prima di declassarti a conoscente, gradirei sapere su che base hai pensato che mi sia potuto innamorare di una persona abbietta, viscida, arrampicatrice e subdola. Ma ti querelerei anche solo per averla definita stalker!”
Aveva riassunto il pittoresco quadro della persona che gli avevo descritto.
“Credimi cugino, ho almeno cinque validi motivi per averla definita così.”
E cominciai a snocciolargli tutti gli incontri con l’insistente brunetta. In due mesi avevo visto lei più di Zophy; ormai sembrava la mia ombra. Anche i paparazzi l’avevano fotografata in due occasioni e anche sul web si era scatenato un inferno, che poi aveva minato la mia relazione con Zophy, o quanto meno quella era la mia spiegazione del fatto che di punto in bianco la mia ragazza e collega mi avesse piantato in asso.
Mi aspettavo un minimo di riconoscenza da parte di Tim a quel punto, o al limite un pugno in faccia a decretare la fine della nostra amicizia. Mai avrei pensato di sentirlo di nuovo ridere.
“Oh Nick mi stai diventando paranoico. Forse se mi fermo a cena potrei farti cambiare idea sulla mia Alice.”
A quel punto ero curioso di sapere la sua storia, ma per dar sfogo alla sua vendetta dovetti pazientare la mezz’ora successiva. Anche Eloise era curiosa di capire cosa avesse potuto far cambiare così repentinamente l’umore di Tim.
“Mi piacerebbe potervela presentare un giorno, Al è una ragazza eccezionale, sembra goffa, ma ha un carattere determinato, è una lavoratrice instancabile ed è bellissima. E pensare che una volta non l’avrei nemmeno invitata al ballo di fine anno. Per fortuna ho avuto la mia seconda occasione.”
Fin lì l’unica cosa su cui ero d’accordo era il “carattere determinato”; più che determinato era una vera spina nel fianco, ma Tim ne era chiaramente affascinato: di più, ne era proprio innamorato! Man mano che procedeva col suo racconto mi rendevo conto che c’erano troppe cose che non tornavano. Possibile che stessimo parlando della stessa ragazza? Vedendomi in difficoltà prese il cellulare e sperai caldamente di non dover avere un altro confronto verbale con l’urlatrice professionista, invece mi mostrò una foto di gruppo, dove spiccava la brunetta dell’aeroporto, vestita o meglio svestita ed avvinghiata ad un ragazzo che non era Tim. Si faceva decisamente notare.
A quel punto guardai Tim disgustato, ma lui ci invitò a guardare anche gli altri componenti del gruppo. In seconda fila c’era mio cugino col braccio posato sulle spalle di due ragazze e
“Oh merda!”
Non credevo che anche mia madre potesse uscirsene con termini a dir poco scurrili, togliendomi pure le parole di bocca. Ma dal cellulare di Tim, mi stava sorridendo la copia esatta della mia stalker.
Eppure quante probabilità c’erano che Tim si fosse innamorato della gemella, la cui sorella era diventata la mia ombra? Dovevo sapere di più, ma prima di tutto mi scusai.
“Oh Nick, troppo comodo. Non è con me che devi scusarti, ma con lei.”
Effettivamente delle scuse gliele dovevo, l’avevo trattata con sufficienza, anzi no, ero stato proprio un vero stronzo.
Passammo il resto della serata a parlare di questa Alice. Tanto uguale fisicamente alla sorella ballerina, ed ora potevo capire la frequenza degli “appuntamenti in aeroporto”, quanto diversa caratterialmente. Quindi l’autografo era veramente per sua sorella. Forse avrei avuto una chance per farmi perdonare, se nonostante tutto le piaceva ancora la mia musica.
E quindi non era un appostamento quello di pochi giorni prima nel negozio di strumenti musicali. Era lei che dovevo aiutare col fortepiano. Ora che si chiudeva il cerchio mi sentivo proprio un idiota. Per fortuna Tim fu clemente e mi diede l’attenuante dell’incoscienza.
Quando Tim se ne andò, cominciò a salirmi un po’ di angoscia.
“Nick, vacci prima di partire di nuovo. So che ti costa ammettere di aver esagerato, ma Alice ha davvero bisogno di un aiuto. Io non ne so molto di musica, ma per quel poco che ho visto ha le potenzialità per diventare una grande.”
“Secondo te a che ora posso trovare il negozio vuoto?”
Non potevo permettermi di ritrovarmi i paparazzi alle calcagna e men che meno che mi vedessero di nuovo con la brunetta del mistero, anche se, in realtà non era la stessa persona che avevano già immortalato.
“All’ora di pranzo la via è quasi sempre deserta”.
Tim mi regalò un insperato abbraccio che mi fece prendere forza per mantenere la promessa.

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Capitolo 7
*** Accordi e dissonanze ***


7. Accordi e dissonanze


Quella mattina un messaggio di Tim mi informava del fatto che non sarebbe passato per pranzo. Un po’ mi dispiaceva, ma così avrei dedicato tutto il tempo a Ray, che da un po’ stavo trascurando, anche se non sempre per causa mia.
“J mi suoneresti una canzone?”
In realtà ero concentrata ad accordare un paio di strumenti, ma quella pausa forse ci voleva anche a me. Così cominciai a strimpellare senza alcuna direzione e mi ritrovai a ripetere le stesse note che avevano cominciato ad assillarmi mentre levigavo e piallavo la chitarra che ormai era quasi terminata, mancavano il ponte e le cesellature del manico, la verniciatura e le decorazioni con l’aerografo, forse per la fine dell’estate l’avrei terminata.
“Ray?”
Non mi rispose nessuno. Strano non l’avevo sentito uscire.
“Papà?”
Niente. Mollai lo strumento e corsi a controllare che non avesse avuto un malore in negozio. Ma invece di Ray mi trovai di fronte, niente meno che Nicholas Easter che mi rivolgeva un timido sorriso.
“Ciao.”
E quello cosa significava? Nicholas Easter era l’ultima persona sulla faccia della Terra che avrei voluto vedere varcare la porta del nostro negozio.
“Ciao?! Che ci fai tu qui?”
Non era in diritto di venire a rovinarmi la giornata.
“Ehm qualche giorno fa avevo promesso a Tim che sarei passato per vedere un pianoforte.”
Quindi era opera di Tim… ma io non volevo più il suo aiuto.
“Purtroppo il tempismo non è un tuo pregio. Il proprietario verrà a prenderlo tra pochi minuti”.
Non era vero, ma forse così mi sarei liberata di lui.
“Ora se non ti dispiace dovrei tornare al mio lavoro.”
Sembrava deluso? Incerto? In ogni caso non gli diedi il tempo di dire altro e gli indicai la porta.
Il campanello accompagnò la sua uscita. Che persona assurda.
Dieci minuti dopo, Ray non era ancora tornato e lo cercai al telefono, mi rispese evasivo che aveva da fare.
Uomini, una specie strana sul serio. E il campanello annunciò un nuovo cliente.
“Arrivo”. Oh no di nuovo lui! “E poi sarei io quella che perseguita la gente?!”
“Scusami” cosa?! Era stato peggio che ricevere uno schiaffo in faccia, anche se stranamente gradito; Nicholas Easter entrava nel mio negozio per scusarsi? Ero comunque ancora su di giri per l’umiliazione subita.
“E se non accettassi?”
La sua faccia mi diceva che non si aspettava quella risposta. Anche se ero ancora arrabbiata con lui, era buffo vedere una star che non sapeva come comportarsi. Faceva anche un po’ di tenerezza.
“Allora me ne andrei sconfitto, vivrei col rimorso e non potrei espiare i miei torti aiutandoti.”
Che attore consumato. Ma bene Nick so recitare anch’io. E continuai con la mia triste bugia.
“Come dicevo purtroppo il tuo tempismo è qualche passo dietro di te. Non ho più bisogno del tuo aiuto.”
“Cocciuta ragazzina!”
Ma con che diritto si arrabbiava con me?
“Ehi stellina, non sono venuta da te implorandoti di aiutarmi, mi sono presa valangate di insulti gratuiti ed ora che mi chiedi di perdonarti, mi offendi di nuovo?”
Ero acida, tanto acida da poter corrodere tutto quello che mi circondava.
“Ok, ci rinuncio; me ne vado. Ma so che il pianoforte è ancora qui.” Non potevo crederci era rimasto fuori tutti il tempo?”
“L’uscita la conosci già.”
Ray tornò poco dopo e stranamente non fece domande sul mio umore nero. Ma si prese il pomeriggio libero, probabilmente perché quando ero arrabbiata con qualcuno in particolare, inevitabilmente ne andava di mezzo anche tutto il resto del mondo. A quel punto decisi che tanto valeva fare qualche ricerca per quel povero piano. Dopo che avevo rifiutato la richiesta di perdono di Nicholas, nonché il suo forse prezioso aiuto, dovevo decidere seriamente cosa fare con Phil. Cercai Tim per un consiglio, ma la segreteria avvisava che era impegnato.
Stavo consultando i miei appunti salvati su file e spulciavo in rete alla ricerca di agganci che mi potessero mettere in contatto con altre scuole di restauro.
Senza uno strumento gemello, da cui prendere esempio, avrei di certo commesso qualche errore. Il silenzio del negozio mi disturbava e cercai conforto nella radio. Evidentemente doveva essere in atto un complotto, perché proprio in quel momento stavano trasmettendo l’ultimo singolo di NickE.
Mentre smanettavo distrattamente sul tablet cominciai ad ingaggiare una improbabile lotta canora con l’etere. A lui le strofe a me il ritornello. Ero seriamente impegnata a tenergli testa urlando sopra quell’odiosa voce troppo sensuale.
“Se non altro non hai spento la radio. Quindi, forse, non mi detesti del tutto.”
Ancora lui?!
“Non ti ho sentito entrare.”
Colta di sorpresa mi sentivo vulnerabile e non ero minimamente pronta per un altro botta e risposta come prima. In più ora che mi vedeva accanto al mostro, aveva la certezza che gli avessi mentito.
“Effettivamente credo che tuo padre abbia disattivato il campanello”
Papà?! Improvvisamente quella strana giornata assumeva un nuovo significato: Tim che spariva, Ray che faceva il misterioso, Nicholas che compariva tre volte senza ombra di paparazzi alle spalle.
“Quindi siete tutti d’accordo per questa farsa?”
Cominciavo ad arrabbiarmi di nuovo per esser stata presa in giro, ma questa volta il mio muto sfogo ricadeva sulle teste di Tim e papà.
Come se mi avesse letto nel pensiero Nick mi allungò il suo cellulare, dovevo rispondere ad una chiamata verso un certo “Big Jim”.
“Pronto?”
“Al!”
“Tim? Brutto scimmione che non sei altro!”
“Ed io che speravo in tuo bacio.”
Bastò quello per farmi sorridere. E beh, avrei potuto sfotterlo per un bel po’ con la storia di “Big Jim”…
“Sì forse riconsidererò la cosa da un’altra prospettiva. Ma stasera me la paghi”
“Non demolirmi il cugino, per favore, pare ci siano problemi con Zophy”.
“Va bene. Bacio.”
E restituii il cellulare al suo proprietario, che mi guardava un po’ imbarazzato per aver assistito a quella telefonata privata.
“Ora posso provare a chiederti scusa?”
“Sarebbe stupido per me continuare a rifiutare, visto che vi siete coalizzati contro di me. Dimmi una cosa, se ti mandassi via torneresti di nuovo?”
“Sì, almeno fino alla mia prossima partenza. Sei la ragazza di Tim e lui è per me il fratello che non ho mai avuto.”
Ok Nick stai andando molto bene. Ora dimmi quanto tempo mi concedi.
“E quando ripartirebbe la star?”
“Domani sera, ma sarò di ritorno tra una settimana e mentre sono via potresti andare da mia madre e passare tutto il tempo che ti serve.”
Gentile da parte sua.
“Grazie.”
“Forse dovrei dirlo io a te, per non avermi scuoiato vivo.”
Mhhhhh…
La pelle di NickE sarebbe stata un bel cimelio da tenere in camera, ma non ero interessata a quel tipo di collezioni grottesche.
“Non oserei privare il mondo della sua giovane stella.”
La sua faccia si era completamente adombrata. L’avevo forse offeso? Forse dovevo comprare un manuale di comportamento da usare e non, in presenza di lunatiche celebrità.
“Ok Alice, ti aspetto domani.”
“Nicholas.”
“Chiamami Nick per favore.”
“Ok Nick, se tu mi chiami Al. Senti, se avessi bisogno di tenere il piano qui in negozio potrei sequestrartelo per, diciamo qualche settimana, magari quando sei via?”.
Stavo scherzando, più che altro per non lasciarci con il pensiero di prima sull’improbabile scuoiamento del mio interlocutore.
“Credo sia possibile, a patto che mi ospiti per suonarci sopra ogni tanto.”
Quella svolta nella conversazione mi piaceva. Forse Nick non era poi un tipo così borioso.
Dopo che se ne fu andato tornò Ray e a ruota lo seguì anche Tim. Non so come, ma quei due si erano sentiti a mia insaputa per organizzarmi quella sorpresa, all’inizio per nulla gradita.
Li fulminai con lo sguardo.
“Ingrata.”
Mi stavano prendendo in giro.
“Avete ragione. Un bacio per ciascuno ai miei due uomini.”
Il bacio a Tim, quello che non potevo dargli con Ray lì vicino lo avrei rimandato per una delle nostre prossime uscite.
“Ci sarai anche tu domani da tua zia?”
“Passerò a salutarvi, ma non posso prendermi un giorno libero. Però conto di vederti domani sera e tutte le sere che non sarai impegnata in palestra.”
“Perfetto. Tim…grazie. Sul serio.”
“Di nulla Al.”
Quella sera in palestra ci misi tutte le energie coi miei ragazzi, energie nuove che mi davano la speranza di essere arrivata ad un punto di svolta col pianoforte di Phil. Dovevamo preparare un saggio e avevamo otto lezioni per farlo, solo due mesi per ripassare quattro coreografie. Forse avrei dovuto chiedere aiuto a Vic. Congedati i ragazzi, aspettai che anche la mia amica terminasse, in modo da far due chiacchiere assieme.
Da quando uscivo con Tim la stavo un po’ trascurando.
Approfittai dell’attesa per farmi un giro in sala pesi, ripensando agli ultimi eventi. Ancora non ci credevo che Nicholas, quel Nicholas mi avrebbe permesso di usare il suo pianoforte, addirittura di conoscere sua madre.
Chi l’avrebbe mai detto, soprattutto dopo i primi due terribili incontri.
“Alice, finalmente posso coccolarti un po’ anch’io. Che mi racconti di bello?”
Glielo dico o non glielo dico? Dovevo dirglielo.
“Vic ho una notiziona notizionissima, che oooooooh non ce la faccio devo dirtelo!”
“Vi siete fidanzati?”
Ma no Vic, quanto corri, ci frequentiamo solo da un mese!
“Ti ricordi la storia del fortepiano e del cugino di Tim?”
A grandi linee le avevo detto che ero in apprensione per quel lavoro.
“Sì, ma pensavo lo avessi accantonato.”
“Diciamo che in qualche modo il cugino di Tim riuscirà a darmi una mano”.
“Ohhhh ottimo, questa sì è una bella notizia!”
“Ma non è questa la notizia”
Vic sapeva ascoltare, ma per incuriosirla ce ne voleva di tempo.
“Se ti dicessi che il cugino in questione è un tipo famoso?”
Eccola che si accendeva.
“Oh wow, dimmi le iniziali che indovino!”
“Se ti dicessi anche che è un tipo belloccio che piace anche a te?”
“E dai Al! Dunque vediamo è un tizio che se ne intende di pianoforti o ha agganci col mondo della musica….dunque dunque…ah ed è parente di Tim, non lo dimentichiamo.”
Era bello vederla ragionare ad alta voce, ma io ero impaziente.
“N. E. ti suggerisce qualcosa?”
Non c’erano altri che ci piacessero con quelle iniziali. Infatti Vic non ci mise più di mezzo secondo a lanciare un urletto
“Nooooooooo è quel N.E. per cui facciamo la coda al cinema e che ci tiene incollate al divano?”
Non occorreva che muovessi la testa in risposta, le bastava vedere il mio sorriso a trentadue denti.
“Certo che voi sorelle Cooper siete due paracule incredibili! Mary ci sbatte addosso mentre viaggia e tu ci lavorerai gomito a gomito per via di un restauro. Non è che lo convincete ad iscriversi qui in palestra così lo conosco anch’io?” Vic era uno spasso.
“Sicuramente aumenterebbero le iscrizioni”.

PIU’ TARDI…
Anche Mary rimase colpita, più che altro per non aver saputo prima che Tim e Nick erano parenti e cominciò con la lista delle somiglianze, che però finì molto presto perché quei due erano diversi in tutto: Tim aveva dei tratti nordici, Nicholas invece era il tipico ragazzo USA. Il primo biondo, l’altro castano; occhi castani, occhi di ghiaccio. L’unico tratto fisico che li accomunava era l’altezza, il fisico asciutto e la stretta parentela.
“Sis’ voglio dettagli su tutto, madre, casa, tutto quello su cui metterai gli occhi.”
Acconsentii soltanto per farla smettere, ma nemmeno sotto tortura le avrei rivelato i particolari privati della star.
In fondo era costretto a farmi già un enorme favore.
Stavamo ancora discutendo sullo strano caso del destino, quando squillarono entrambi i nostri telefoni, erano Alec e Tim, nemmeno avessero sentito che si stava parlando di un terzo uomo, anche se decisamente “off limits” per tutto il genere femminile, se non per Zophy…o forse nemmeno per lei.
Mimai una buona notte per Mary ed Alec e mi chiusi in camera mia a parlare con Tim.
“Domani sera hai impegni?”
Sì, sarei uscita con Vic per vedere la sala dello spettacolo e prendere le misure, ma potevo liberarmi per il dopo cena.
“Ok allora ti prenoto per il dopo cena.”
“Indicazioni sul vestito?”
“Nulla di troppo sexy altrimenti dovremo cambiare programmi” Stavo arrossendo violentemente ripensando alla serata al luna park. Per fortuna non poteva vedermi. Stavamo procedendo con molta calma ed era la prima volta che Tim alludeva al voler andare oltre. Per ora non ne sentivo la necessità, mi godevo ogni momento con lui. Il resto sarebbe venuto da sé, ma visto che mi ci faceva pensare, ora dovevo riconsiderare la possibilità di stuzzicarlo o meno con certi vestiti.
“Ok. Allora visto che fai così tanto il misterioso, ti sorprenderò.”
“Fidati Al, lo fai ogni volta… Ah Nick ti aspetta domani alle 8, se per te va bene. Secondo noi prima cominci prima ti liberi per tornare in negozio o per far altro. E Zia Eloise ti ha già precettata per il pranzo. Quindi tieniti leggera con la colazione.”
Ecco mi stavo strozzando con la saliva. Io a pranzo dagli Easter?!
“Al sei viva?”
“E’ proprio necessario che mi fermi a pranzo? Perché non vieni anche tu?”
“Tranquilla piccola, la zia è adorabile, ti troverai bene con loro. Io non posso liberarmi per pranzo, ma tu devi approfittare finché puoi avere due esperti musicisti a tua disposizione.”
“Tim sei un amore!”
“’notte dolcezza”
“’notte.”
Non riuscii a dormire per niente. Alle 6 buttai giù dal letto anche Ray, contento per quella buona notizia. L’avrei aggiornato sul procedere della mia giornata. Ma probabilmente ci saremmo visti direttamente l’indomani.
Scrissi a Vic per farmi augurare la buona fortuna e mi rispose subito chiedendomi se poteva farmi compagnia lei a pranzo.

Mary era già uscita quando mi ricontrollai per l’ultima volta allo specchio. Mi sembrava di dover andare ad un colloquio e contemporaneamente al patibolo. Le gambe molli, lo sguardo perso nel vuoto. E dai Al, fatti coraggio non ti mangeranno mica!
E mi avviai verso una zona sconosciuta della città.

Per quanto imponente, la casa non era appariscente, in stile vittoriano si integrava bene alle altre. Sul campanello c’era solo il cognome della madre di Nicholas, E. G. Erikksonn. Chissà se era sempre stato così o se era un cambiamento voluto in conseguenza alla fama del figlio. Chissà quanto sarebbe ancora resistito quel segreto, prima di esser scoperto da qualche scocciatore. Suonai, ma non ebbi tempo di soffermarmi su altri dettagli, perché una signora molto giovanile venne a prendermi sul vialetto.
“Tu devi essere Alice, la ragazza di Tim.”
“Sì, la signora Erikksonn è in casa?”
“Tecnicamente no, visto che è sul vialetto a stringerti la mano.”
E la prima figuraccia era arrivata. Eppure con una casa del genere mi aspettavo che quella fosse solo la domestica. Poi mi resi conto che stavo parlando alla mamma di un personaggio famoso. C’era un etichetta particolare da seguire in quei casi?
“Vieni cara, Nick arriverà a momenti.”
Che strano vederlo lì nella sua casa, al di fuori del bagliore dei riflettori e della carta patinata.
“Posso offrirti un caffè intanto?”
Stavo ancora decidendo se prendere o meno quella bevanda a me quasi estranea, soltanto per poterla sorseggiare in una tazzina degli Easter, seduta comodamente su una sedia vittoriana della cucina degli Easter…forse dovevo spegnere la modalità “fan impazzita”…quando ci raggiunse il ragazzo che stavamo aspettando, coi capelli ancora bagnati dalla doccia; accidenti il mio idolo era a pochi passi da me e al 100% senza photoshoppate.Ed era semplicemente divino.
“Per me si grazie.”
E posò un bacio sulla guancia della madre.
Quel contatto così intimo mi fece voltare in un’altra direzione, mi sentivo un’intrusa. Così per rompere il mio stesso imbarazzo comunicai la mia decisione.
“Per me no grazie, sono un po’ scombussolata.”
“Acqua, the, succo? Alice cara, non vederci come una famiglia diversa dalle altre solo perché Nick è famoso, te ne prego.”
Accidenti che diretta.
Le promisi che ci avrei provato. Andò meglio quando mi mostrò le foto di Nicholas da bambino. Con lui c’era sempre Tim. Ed Eloise li adulava entrambi.
“Forza mamma, te la restituisco per pranzo ora lasciaci lavorare.”
E il terrore ritornò a far tremare le mie gambe.
“Allora Alice, come hai conosciuto Tim?”
Quel tipo di approccio mi piaceva; spostare l’attenzione da lui a me funzionava”.
Risposi.
“E da quando lavori in negozio? Tim dice che te la cavi.”
Questa volta risposi con più dettagli.
“E ti piace anche suonare e comporre.”
Come lo sapeva?
“L’altro giorno quando sono passato in negozio, per ben tre volte prima di ottenere la tua benedizione, ho notato che suonavi un pezzo a me sconosciuto”.
Presuntuoso e saccente?
“Te ne intendi così tanto di musica signor Easter?”
In fondo doveva ancora compiere 28 anni; speravo di risultare simpatica, anche se quel tipo passava dall’essere cordiale a scontroso come ridere.
“Devo, a meno che non voglia rischiare di essere accusato di plagio. Mi informo, studio… Comunque era un bell’inizio.”
Nicholas Easter mi stava facendo un complimento?!
“Mi lusinghi, ma secondo me non era nulla di orecchiabile.”
“Oh ma spesso sono gli accordi e le dissonanze che rendono l’orecchio più curioso. Vuoi sentire?”
Il Nick musicista aveva preso il sopravvento ed era veramente un tipo interessante.
Senza darci peso mi aveva portata in una sala insonorizzata piena di strumenti e con al centro un bestione gemello di quello che giaceva impolverato nel nostro laboratorio. Quello sì che era una meraviglia. E si mise al piano riproducendo gli stessi accordi che avevo inventato e che grazie alle sue mani davano un effetto piacevole.
“Visto? Hai solo sbagliato con le pause e con questo bemolle.” e mi fece accomodare al posto suo sullo sgabello. Cominciai a suonare un altro pezzo, questa volta di un maestro. Non ero che una pianista mediocre, ma quel pezzo lo adoravo e lo sapevo a memoria. Finita la mia breve performance mi accorsi che Nicholas non era più nella stanza.
“Scusa mi hanno chiamato.”
Sembrava preoccupato.
Ero in diritto di chiedergli se andasse tutto bene? In fondo non ero nessuno; ma il legame con Tim mi fece osare.
“Senti se hai altri impegni posso andarmene”
“Ma no figurati, mi fa piacere stare un po’ a casa. Era solo il mio agente. Sai a volte tutto questo ciarlare, questi diktat dei registi, il sistema generale in sé, mi vanno un po’ stretti. Ma non parliamo di me.”
Così gli raccontai del fortepiano, del mio defunto maestro e del fatto che mi ero infognata in una situazione più grande di me.
“Tim ti ha mandata dalla persona giusta. Mamma!!”
Eloise ci raggiunse e mi raccontò tutto ciò che ancora non sapevo su quello splendido strumento. Anche lei era una restauratrice e mi avrebbe dato una mano in assenza di Nick. Ero decisamente più sollevata. Tim aveva ragione, quei due erano simpatici e il pranzo fu più che sopportabile, per quanto ogni tanto, ripensando a chi avevo davanti mi sentissi un po’ in soggezione.
Approfittai delle due ore successive per registrare tutte le sonorità e prendere appunti e far foto di tutti i dettagli. In laboratorio poi avrei cominciato a ricercarli nell’esemplare a mia disposizione. Alle 16 decisi che era ora di liberali dalla mia presenza.
Stavamo andando verso l’atrio quando Nicholas mi fece una domanda inaspettata.
“Alice, sul serio dopo come mi sono presentato sei ancora una mia fan?”
Ma che impertinente e che faccia tosta!
“Forse. Ti concederò il beneficio del dubbio. Perché comunque ti interessa?”
“Perché non ti comporti come le altre e questo è veramente interessante e strano”.
Ah allora ero soltanto un caso di studio.
Sentivo che, prima o poi, molto prima che poi, mi sarei arrabbiata di nuovo con lui. Ma cercai di mantenere un tono scherzono.
“credevi che mi sarei strappata le mutande e urlassi o baciassi tutti gli oggetti che avete in casa?!”.
Accidenti lo avevo fatto arrossire. Si stava grattando la testa a disagio. Era un gesto che faceva anche durante le interviste se gli rivolgevano domande troppo personali.
“Prima che andassi via volevo farti una domanda su un paio di chitarre.”
Mi stava prendendo in giro? O voleva semplicemente pavoneggiarsi? Nella stanza della musica ne avevo viste almeno venti, anche se mi ero accorta che mancavano le tre con cui di solito si esibiva.
“Ok NickE, vediamo queste chitarre” e tornammo indietro. Facevo finta di osservare tutti gli strumenti perfettamente allineati, ma in realtà già da prima avevo notato che preferiva le acustiche, quasi tutte delle Martins in edizione limitata, tra le elettriche mancava il suo “insostituibile Les Paul”. Dalla mia attenta analisi emergeva una personalità decisa di un collezionista fuori dal comune, non aveva una di tutto, né tutte di una. Era un compratore ricercato, ma aperto alle novità. Non mi sarei aspettata di trovare anche una vecchia Ibanez nella sua collezione. Forse la teneva perché era un tipo un po’ sentimentale? O forse era stata la sua prima chitarra.
“La tua domanda?”
“Vorrei comprare una nuova chitarra, secondo te cosa potrei provare?”
Era chiaramente divertito e quel gioco mi stuzzicava non poco.
“Queste sono tutte quelle che hai?”
“mmmhhh, allora sei davvero una brava fan.”
Oh no Nick, io sono solo una acuta osservatrice.
“Effettivamente ce ne sono altre tre di sopra, ma non credo sia conveniente portare la ragazza di mo cugino in camera mia.” Effettivamente... Dovevo togliermi d’impaccio, in fretta e tornare in negozio.
“Allora, direi che a questa collezione manca un pezzo solo, so esattamente cosa e forse un giorno….ma ora devo proprio scappare.”
“E avresti il coraggio di lasciarmi con la curiosità di sapere se davanti a me c’è una liutaia con le contro palle?”
Ero divertita, ma decisa a non dire nulla. Sapevo anche che Nick era conscio di cosa mancasse tra quelle chitarre, era così evidente ed ora sapevo anche che la chitarra a cui stavo lavorando, non era quella giusta per lui.
“Ti prometto che entro la fine dell’anno ti dirò cosa ti manca”.
Era visibilmente deluso, ma non insistette oltre.
“Aspetta, ti accompagno.”.
“Con il rischio di scatenare il pandemonio? Tranquillo come sono arrivata riuscirò anche a tornare indietro.”
“Sai Alice, è sempre più raro trovare ragazze genuine e divertenti.”
“Forse frequenti i posti sbagliati.”
Rimpiansi subito di non aver detto una frase meno stupida, ma in quel momento mi era passata per la mente la sua, a detta dei giornali ex, Zophy, che proprio non mi piaceva.
“Hai ragione, ricordami di chiedere consiglio a Tim. Ciao Alice. Grazie per non aver detto a nessuno dove abito”.
“Sta’ tranquillo che sarà un segreto che mi porterò nella tomba. Parola di scout.”
Lo feci ridere e risi anch’io.
“Salutami Eloise.”
E tornai nel mio mondo fatto di corde, bacchette, plettri, pelli e tanto altro ancora.

“Allora Al come è stato?”
Vic voleva sapere e Mary avrebbe fatto le stesse domande e poi ancora Tim. Il mio interrogatorio multiplo sarebbe andato avanti fino a notte fonda.
“Dire che è stato istruttivo è dir poco.”
“Ma lui com’è nella vita di tutti i giorni?”
Oh Nick era molto interessante, parlare di musica con lui era affascinante.
“Mi piacerebbe che fosse un mio amico.”
E quella da dove mi era uscita? L’occhiata di Vic era eloquente
“Al?!”
“Che c’è Vic?”
“No nulla, è che sei strana.”
“Più che strana mi sento eccitata, credo che finalmente da domani potrò mettermi a lavorare seriamente a quel pianoforte.”
Perché l’espressione di Vic era scettica?

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Capitolo 8
*** Compleanni e sorpresa ***


8. Compleanni e sorpresa

Il giorno dopo ricevetti un messaggio da Alec, dopo vari tira e molla si era deciso su tre negozi e voleva portarmi a vedere i dieci anelli “papabili”. E per fortuna che ne bastava solo uno! Mary sarebbe partita, questa volta per una settimana e voleva farle una sorpresa al suo ritorno. Chissà se questa sarebbe stata la volta buona.
Mi ero alzata prestissimo e alle 6 ero già in negozio. Sul bancone avevo lasciato una brioche per Ray. Di solito apriva lui, ma quel giorno era un gran giorno.
“A cosa devo quest’onore?”
Eccolo, finalmente. Ero impaziente di dirgli le novità.
Alle 8.40 poco prima che aprissimo al pubblico qualcuno suonò alla porta.
“J c’è una signora per te!”
Chi poteva essere?
“Oh ciao Eloise! Che piacere, come posso esserti utile?”
“Ciao cara, ascolta, ne abbiamo parlato e anche Nick è d’accordo con questa soluzione. Così anche tu sarai più libera di lavorarci a tutte le ore che vorrai.”
Senza darmi il tempo di metabolizzare la notizia, guardai basita il montacarichi depositare il bestione accanto all’altro; papà era sbalordito almeno quanto me; e io saltellavo impazzita. Avrei voluto abbracciare Eloise e avrei dovuto ringraziare anche Nick. Sì gliel’avevo buttata lì come ipotesi, ma pensavo stesse scherzando quando mi aveva detto che per lui andava bene, purché potesse passare a suonare ogni tanto. Anche se, dovevo ammetterlo, mi sarebbe piaciuto sentirlo suonare solo per me e per Ray, avevo intenzione di restaurare il bolide a tempi record. Era già da un mese che Phil aspettava pazientemente nostre notizie, senza metterci pressione.
“Alice, questo invece è un regalo da parte mia.”
E mi depositò uno zaino pesantissimo ai piedi.
“Posso aprirlo?”
“Oh fa’ con calma, ora è tuo.”
Inaspettatamente fu lei ad abbracciarmi e ad augurarci una buona giornata. E ci lasciò in fretta. Avevo bisogno di un calmante. Ero di là che guardavo i due “gemelli diversi” quando Ray mi portò di nuovo nel mondo reale.
“J non lo apri?”
Accidenti mi ero dimenticata dello zaino! E quale sorpresa si presentò ai miei occhi quando scoprii il prezioso contenuto: c’era tutto il necessario per restaurare il piano di Phil: pennelli quasi nuovi per togliere la polvere dagli ingranaggi, pinze e tenaglie, brugole di ogni dimensione, lucidatrice e più guardavo dentro allo zaino e più saltavano fuori cose interessanti. Sembrava la borsa di Mary Poppins. Corsi al telefono, ma sull’elenco non la trovai. Così chiamai Tim.
“Potresti darmi il numero di tua zia per favore?”
Così senza preamboli.
“Stai bene?”
“Più che bene, ma non ho il tempo di inseguirla per strada. Ti racconto tutto stasera. Bacio.”
E lo liquidai in fretta.
Dovevo prima sentire Eloise.
In altre situazioni non avrei mai osato chiedere il suo numero privato né tantomeno disturbarla al cellulare. Rispose al terzo squillo.
“Pronto? Ah ciao Alice!”
“Mi scusi, ma non posso accettare. Voglio pagarli.”
“Non se ne parla nemmeno Alice. Stavano a prendere polvere da quando sono andata in pensione. Tu ne hai bisogno e io sono contenta di averli dati ad una persona che li saprà usare.”
“Ma è troppo, come posso sdebitarmi?”
“Se proprio non riesci ad accontentarti di un grazie, allora tieniti libera sabato sera. Tim ti spiegherà con calma. Ora torna a lavorare.”
La salutai ringraziandola altre mille volte, ma curiosa di sapere cosa sarebbe successo sabato.

VERSO L’IMBRUNIRE…
La casa era silenziosa senza Mary. Di solito a quell’ora non l’avrei comunque trovata, ma era strano sapere che nemmeno per la buona notte sarebbe tornata. La sua carriera ormai era lanciata. A breve l’avrei vista sicuramente in tv. Aprii ad Alec e partimmo a caccia dell’anello, anche se mancavano meno di due ore all’appuntamento con Tim.
Ovviamente non avremmo visto tutte e tre le gioiellerie, ma se non altro avremmo ridotto la rosa dei possibili candidati.
Il primo gioielliere era chiaramente furibondo con Alec. Dopo avergli fatto vedere mezzo negozio una prima volta, ora tornava con una ragazza, che non era la sua ragazza per farsi mostrare ancora gli anelli. E non solo i tre su cui ricadeva la scelta, ma di nuovo tutti quanti.
Trascinai fuori il confusissimo Alec. Se continuava così sarei arrivata in ritardo al mio appuntamento. Però di buono c’era che avevamo tenuto in ballo solo un anello. Tra i primi tre scelti dal ragazzo indeciso di mia sorella, due erano decisamente troppo semplici. Sarebbero piaciuti a me, ma non a Mary che preferiva pietre più grosse che regalassero mille arcobaleni e urlassero al mondo guardatemi sono fidanzata!
“Grazie Alice. Quando posso rubarti di nuovo per vedere gli altri?”
Se mi andava bene dovevo vedere ancora sette anelli. E non avevo molto tempo da dedicare ad Alec.
“Sabato mattina?”
“Oh non posso. Ho un matrimonio.”
A tempo perso Alec faceva anche il dj. Maledizione, aveva lo sguardo da cane bastonato; mi fece così pena che gli promisi che sarei andata io, da sola, sperando di non farmi ammazzare dai commessi dei due negozi.
Per fortuna, in un momento di lucidità, Alec si era fatto dire i nomi dei vari preziosi.

Ovviamente arrivai in ritardo all’appuntamento. Ma di sicuro avevo mantenuto la promessa di sorprendere il mio cavaliere,anche se nel senso sbagliato: avevo ancora i capelli bagnati, ma raccolti in una treccia e le scarpe di certo non si accompagnavano al vestito, ma era un abito lungo e speravo che nessuno mi avrebbe guardato i piedi. Invece quando varcammo la porta del ristorante mi sentii pugnalata anche dagli sguardi dei camerieri.
“Faccio così schifo?”
Intanto ero furiosa con Tim che non mi aveva detto che saremmo andati a cena in uno dei più rinomati ristoranti della zona.
“Per me sei stupenda.”
“Ma non fanno che guardarmi male.”
E di lì passammo giusto davanti ad una separé specchiato dove Tim mi fece guardare.”
“Invece sei perfetta.”
Guardai l’immagine di lui, che era elegantissimo e poi mi soffermai sulla mia. Non mi ero di certo preparata con cura. Avevo applicato un trucco veloce, non vedevo un parrucchiere da mesi. Mi salvavo solo perché ero giovane. Ma lo specchio incredibilmente diceva il contrario, non sembravo nemmeno io. Sembravo affascinante, finché non alzavo l’orlo in simil pizzo del vestito nero (rubato all’armadio di mia sorella) ero salva. Quelle scarpe blu però proprio non ci stavano. Ma nel buio del corridoio mi erano sembrate nere!
“Allora Tim – stavamo aspettando l’antipasto – cosa si festeggia di bello?”
Perché era chiaro che dovevamo essere lì per una ragione speciale.
“Ci dev’essere per forza un motivo?”
“Beh no, ma mi sembrava strano ecco tutto.”
Ero un po’ a disagio.
“Effettivamente volevo festeggiare in maniera speciale questo compleanno, visto che era da tanto che non lo facevo con una ragazza.”
Ora sì che ero a disagio!
“Tim ma perché non me lo hai detto?”
“Perché, per farmi fare un regalo?”
Beh sì, tanto per cominciare.
“Beh si dà il caso che mi avrebbe fatto piacere fartene uno.”
“Per me questo è il regalo più bello. Uscire con te.”
A quel punto mancavano solo i violini tzigani e le rose rosse…
La cena proseguiva placida, ogni tanto la mano di Tim mi raggiungeva e io la stringevo con piacere. Stavo proprio bene in sua compagnia. Arrivati al dessert mi ricordai anche del mistero di Eloise e gli domandai del perché non dovessi prendere impegni per sabato.
“Vedi Al, tra due giorni è anche il compleanno di Nick e di solito festeggiamo sempre assieme. Solo che lui è via e zia voleva fargli una festa a sorpresa per quando torna”.
E voleva che ci fossi anch’io?!
“Ma mi sentirei fuori luogo in mezzo ad altre celebrità. Non fa per me Tim.”
E non mi importava che fossi in debito con sua zia.
“Oh Al ti stupirai nel vedere quanti pochi amici abbia Nicholas.”
Gli amici di Nick…
“Sul serio Tim, non credo sia il caso.”
“Nemmeno se te lo chiedesse il tuo ragazzo?”
Ecco, se la metteva in forma di ricatto ero fregata.
“Ma non so nemmeno cosa regalargli. Ha tutto!”
“Non ho dubbi che riuscirai a trovare qualcosa di unico.”
Perfetto ora ci mancava solo una sfida su chi trovava il regalo più originale per la grande star.
E mancavano solo quattro giorni alla festa per Nicholas.
Così il mio tempo era tutto occupato tra negozio, palestra, pianoforte, famiglia, Alec e la sua agitazione, Tim e gli addobbi.

GIOVEDI’
Era mezzanotte e stavamo scrivendo un cartellone di ben tornato da appendere in atrio.
“Alice, pensavo, ormai sono quasi due mesi che ci frequentiamo, ti andrebbe di venire in vacanza con me? Tra una cosa e l’altra con tutti i tuoi impegni non abbiamo mai avuto molto tempo per noi.”
Aveva ragione, ma non potevo concedermi una pausa prima del saggio e prima di aver terminato il pianoforte di Phil.
“Sì sarebbe bello liberarci per Pasqua, chiudiamo il negozio per qualche giorno.”
“Perfetto. Potrei prenotare già. Dove ti piacerebbe andare?”
“Tu hai già qualche idea?”
La verità è che ancora non avevo pensato a dove avrei voluto passare le vacanze con Tim.
Mi vivevo giorno per giorno la nostra storia e stavo bene anche così.
“Mi lasci carta bianca?”
In effetti le sorprese mi piacevano.
“Ok, ma niente lunapark o sport estremi.”
Tim assentì enfatizzando un lungo sì con il capo. E lo ringraziai con un lungo bacio, peccato che mi fossi dimenticata di posare il pennello nel barattolo e mi ritrovai con le mani piene di tempera. Tim decise che era meglio andare e mi ritrovai da sola a pensare alle vacanze di Pasqua e all’imminente festa a sorpresa. L’agitazione cresceva, ero ancora senza un regalo per il festeggiato e la notte avrebbe presto lasciato spazio al venerdì.

Stavo lucidando i tasti del mostro, quando Phil entrò in negozio. Che sorpresa, era da un po’ che non lo sentivo! O forse Ray manteneva contatti di cui poi non mi riferiva?
“Alice, vedo che stai lavorando. Brava ragazza. Senti, non voglio metterti fretta, ma pensi che potrebbe essere pronto per quest’estate? Sai mi piacerebbe portarlo nella prossima tournèe.”
“A dir la verità Phil, sto lavorando per terminarlo entro Pasqua. Per quanto sia una sfida piacevole, i miei nervi ne stanno risentendo.”
“Oh ma che piacevole notizia, non per i tuoi nervi intendo. Sai dove trovo Ray?”
E lo mandai nel retro a parlare con papà, mentre tornavo lavorare sulle zampe del mostro.
Ero decisa a rimettere in sesto tutte e tre le gambe per quella settimana.
Poi sarebbe toccato al coperchio ed alla cassa. Poi mi sarei dedicata al restauro dei tasti ed alla sostituzione di quelli mancanti. Poi avrei perso il sonno sui martelletti e sulle corde, il lavoro più lungo, ma contavo di chiedere a Ray di pazientare con il resto del lavoro, in modo da dedicarmi solo a quello.
Anche la mia chitarra, quasi ultimata, giaceva in attesa, coperta dal suo telo. Per una frazione di secondo pensai di regalargliela per il compleanno, ma era impossibile. Avrei finito il lavoro in modo poco originale. Però c’era una cosa che potevo fare!
“Ray. Torno tra un’ora.”
Speravo di riuscire a farcela, anche se era quasi impossibile.
Quando il commesso del negozio capì chi aveva di fronte, mi sentii inveire dietro che non aveva tempo da perdere.
Era la mia gioielleria preferita, non che fossi abituale cliente,ma tra quelle del centro mi piaceva guardare le sue vetrine, sempre addobbate ad arte. Era anche una delle due gioiellerie scelte da Alec e l’unica dove sapevo che tenevano articoli del genere.
“Senta, lo so che quel ragazzo vi ha fatto perdere la testa, ma le giuro che non uscirò da qui senza aver fatto acquisti”.
Non lo avevo convinto.
“La supplico, non ho molto tempo e non ho intenzione di farne perdere a lei”.
Forse stava cedendo sotto il mio sguardo supplice.
“E va bene. Da dove vuoi cominciare?”
Mi feci mostrare gli anelli e devo dire che ci stavamo avvicinando a quello che mi immaginavo al dito di Mary. Depennai dalla lista il primo negozio ed altri tre anelli. Il cerchio si stringeva.
“Questo è veramente carino.”
Non potevo smettere di guardare quella fedina. Era piccola in oro bianco e costellata di pietruzze. Sembrava un anello senza tante pretese.
“Per curiosità quanto costa?”
“Beh questa è un’edizione speciale e non credo che faccia al caso del suo ragazzo.”
“Oh non si preoccupi era solo curiosità.”
Quel commento mi aveva un po’ indisposta. In fondo chi gli dava il diritto di giudicare cosa potessero permettersi Alec o Tim? Si vede che si accorse dell’errore perché mi informò comunque della cifra. Ed era da capogiro. Aveva ragione, quell’anello era impossibile per le nostre tasche e quelle pietruzze erano in realtà gemme rarissime.
Mi consolai però quando tirò fuori i pendenti. C’era giusto quello che faceva al caso mio.
“E si potrebbe far incidere una frase?”
“Certamente, ma costerà di più.”
Ma che pensava non lo sapessi?
“Potrebbe farmelo per domani?”
“Purtroppo no; siamo pieni di lavoro in laboratorio. Per lunedì le va bene lo stesso?”
Ehi bellimbusto, ma ci senti? Se ti ho detto che mi serve per domani come può andarmi bene lunedì? Mi veniva da piangere.
E forse se ne accorse perché mi promise che avrebbe fatto in modo di farmelo trovare per sabato sera. Ero al limite, ma sarei arrivata alla festa col mio regalo. E ovviamente avrei pagato un ulteriore sovrapprezzo!
Visibilmente più sollevata tornai da Ray.
“J tutto bene?”
“Decisamente meglio.”
“Phil è proprio contento del lavoro che stai facendo.”
Per fortuna.
“A proposito pa’, volevo chiederti se potevo dedicarmi solo a quello per i prossimi giorni.”
“Certo certo, vedrò di non farmi prendere la mano alla prossima asta al buio.”
Ray e le sue trovate. Da qualche tempo due volte all’anno si faceva travolgere da quegli eventi. Dilapidava in quel modo il suo gruzzolo destinato ai regali. Era un tacito accordo con mamma, niente regali per compleanni o ricorrenze, fino alla prossima asta. Lei lo avrebbe accompagnato e fatto un’offerta al posto suo. Se si fosse aggiudicato l’asta quello sarebbe stato il suo regalo. Inutile dire che mamma cercava di farlo vincere sempre. Una volta ero andata anch’io per visionare l’eventuale vincita. A parte il fatto che il contenuto del box era quasi tutto da cestinare, era stato divertente vedere quei due così uniti e innamorati, divertirsi come ragazzini.

La sera chiamai Mary prima di andare dai miei bambini in palestra. Dovevo informarli che sarebbero stati gli unici a non fare il saggio quell’anno. Non erano riusciti a piazzarci in un altro evento e i piccoli sarebbero stati esclusi. Già mi immaginavo la loro delusione, ma avrei cercato di consolarli con un gelato a fine serata, anche se così, quel weekend si stava già rivelando troppo costoso per le mie finanze. Ma avrei recuperato una volta finito il lavoro per Phil. Ormai stavo facendo troppo affidamento con quel lavoro, dovevo fare una cosa coi fiocchi.
A FINE SERATA
Placati anche gli animi baldanzosi di genitori e piccoli, mi rilassai con l’ultima telefonata della giornata.
“Buonanotte Tim”.
“’notte Al; passo a prenderti domani alle 19”
Nicholas sarebbe rincasato due ore dopo per la festa a sorpresa.
Prima di spegnere il telefono scrissi a Mary. Ero agitata e mi mancava mia sorella.
Non so come facesse a rispondere così presto, forse sentiva veramente il richiamo della sua stessa carne. Le sue parole mi calmarono.
“Anche se è una star, avrai vicino Tim. Non giudicherà il tuo regalo e vedrai che ti divertirai. E poi hai il culo sfacciato di poter partecipare alla festa di compleanno del nostro divino ammoreee!”
Già.
Non ho ricordi del giorno dopo, perché fino a sera passai le ore tra tormento ed estasi. Per fortuna l’estasi era legata al fatto che il lavoro al pianoforte procedeva alla grande. Tanto che rischiai di uscire dal negozio più tardi del previsto.
Feci salire Tim. Ero nervosa come non mai. Non sapevo cosa mettermi. Giuro, mai avrei pensato di coinvolgere il mio ragazzo in quell’attività pazzamente femminile. Ma non sapevo veramente cosa mettermi per non farlo sfigurare.
“Al, calmati, saremo solo in sette, Nick compreso.”
Quella sì che era una novità.
“E perché non me l’hai detto subito?”
Io mi immaginavo già centinaia di persone più o meno famose e io e Tim i due Cenerentoli della situazione!
“Perché credevo non fosse così importante. Ora ti lascio al tuo armadio, ma fossi in te metterei quello. Tra tutti i vestiti era quello che avrei scartato per primo. Era un abito corto con gonna a palloncino e maniche corte a sbuffo. Bianco con fiorellini viola e celesti. Ma se Tim era convinto che andasse bene l’avrei accontentato.
Passammo in gioielleria all’ora che mi aveva detto il commesso e ritirai il pacchetto. Senza controllare il contenuto. Mi fidavo. E se mi avessero deluso sarei tornata da loro col lanciafiamme.
Tornare per la seconda volta a casa degli Easter in così poco tempo mi faceva una strana sensazione e pensare che di lì a poco si sarebbe svolta una festa con sole altre sei persone, in un posto dove potevano starcene comode altre cento era incredibile.
Ed io ero stata inserita tra gli amici stretti di una star. Alla fine tutto quel disagio si rivelò infondato. L’accoglienza calorosa di Eloise e il piccolo gruppo che aspettava solo noi mi fece quasi sentire a casa.
Gli altri due ragazzi erano compagni di scuola di Nick, l’altra ragazza invece era la segretaria della palestra dove lavoravo ed era la migliore amica di Nick. Che sorpresa! Approfondii subito la sua conoscenza. In realtà ci conoscevamo da anni, ma non abbastanza da essere mai uscite assieme. Volevo sapere come aveva conosciuto Nick. Ne venne fuori che tempo addietro era stata la sua truccatrice in un film e che era stata lei a far innamorare Nicholas e Zophy. Poi erano cominciati gli alti e bassi tra i due attori e lei era diventata la confidente di entrambi. Ora cercava di fare da paciere.
Ormai era tempo di zittirci. Eloise aveva chiamato il figlio per sapere se avrebbe tardato. Lo faceva sempre al rientro di Nick per via della cena. Il ragazzo quindi non sospettava nulla. E poche decine di minuti dopo dalla casa silenziosa sentimmo una macchina percorrere il vialetto.
Ero piena di adrenalina. In fondo non mi capitava tutti i giorni di far festa a una star.
“Bentornato Nick e tanti auguri di buon compleanno!!”
Sorpresa riuscita.
Nicholas era frastornato dal nostro benvenuto; eravamo solo in sei, ma sembravamo un plotone e la musica in filodiffusione copriva ogni minimo silenzio. Prima di dedicarci un attimo di attenzione, il nostro ospite andò ad abbracciare Eloise e Tim ringraziandoli e poi si soffermò con tutti, scambiando due parole e molti sorrisi. Fu solo quando arrivò da me che si trasformò in un ragazzo impacciato. “Grazie per esserti unita alla compagnia.”
“Di nulla.” senza ragione mi ritrovai ad essere invidiosa dell’accoglienza riservata a Sarah e forse, l’unica altra donna presente, se ne accorse. Approfittando della confusione e del via vai in cucina Eloise mi sfiorò il braccio:
“Alice come hai potuto vedere Nick non ha molti amici, è stata veramente una sorpresa per lui vederti qui.”
Ringraziai mentalmente Eloise per avermi trattenuta in cucina per spiegarmi il comportamento strano del figlio. Poi mi lasciò da sola, finché il mio ragazzo non tornò a riprendermi ed accolsi Tim tra le braccia. Gli altri erano di là in salotto pronti a discutere su cosa fare per il resto della serata. Eravamo praticamente da soli in casa d’altri e forse complice qualche cocktail di troppo ero particolarmente espansiva. Mi ritrovai a cavalcioni con le mani di Tim sul sedere e lo baciai appassionatamente, quando qualcuno entrò interrompendoci. Non sapevo più dove guardare, ma nemmeno chi ci aveva sorpresi.
“Scusate ragazzi, ma potevate mettere un cartello non disturbare!”
I due cugini si misero a ridere, mentre io li lasciavo da soli per andare a darmi una sistemata in bagno, dove trovai Sarah.
“Ehi Alice tutto bene?”
“Mah veramente mi sento un po’ fuori luogo, sai io non sono amica di Nick.”
“Forse non ti ha dato modo di notarlo, ma lui mi ha parlato molto di te. È un bravo ragazzo e se gliene darai la possibilità sarà un grande amico. Ma, cambiando discorso… credo che di là vogliano giocare con la psp, ti va se ci alleiamo?”
Come ipotizzato da Sarah i ragazzi avevano già predisposto tutto, solo che mai avrei pensato di giocare su un maxi schermo. In più ognuno di noi aveva messo in un’urna la propria preferenza di gioco e manco farlo apposta era uscito o il mio o il biglietto di Sarah perché di lì a breve sarebbe cominciata una sfida di ballo. I ragazzi furono messi fuori gioco dopo poco: erano scoordinati e non riuscivano a stare al passo. L’unico che si salvava era James, ma Sarah lo mise comunque ko prima che terminasse la prima canzone. Restammo noi due a ballare scalze. Gli altri solo un debole ricordo. Era da tempo che non mi divertivo così. Però non potevamo monopolizzare la play. Così finsi di non riuscire più a starle dietro e la decretammo vincitrice. Quello però segnò un cambio di programma e l’attenzione dal festeggiato passò a me, la sconosciuta. E peggiorò il tutto quando fu sorteggiata la seconda sfida della serata, alla quale però partecipò anche Eloise: Guitar Hero. Ovviamente una versione limitata che ancora non era sul mercato. Lì ce la giocammo fino alla fine io e Nick. Ovviamente vinse lui. Ma io mi ritrovai di nuovo tutti gli occhi puntati. Decidemmo quindi di abbandonare l’elettronica e tornare a mangiare. A notte fonda cominciarono a comparire i regali di chi stava andando via.

Eloise cominciò a sistemare il salotto, mentre io e Tim aspettavamo che Nick tornasse dai noi per scartare gli ultimi pacchetti.
Alla fine la mia idea era risultata così carina da coinvolgere anche gli altri due: Eloise aveva organizzato al figlio un viaggio a sorpresa con biglietti aereo ed entrate open per i musei di Londra e le maggiori case discografiche, Tim un set per pulire le chitarre e il mio, l’ultimo regalo della serata, pendeva ora dalle sue mani. Non sapevo se gli sarebbe piaciuto, ma l’unica cosa che avrei desiderato io a parti invertite era un ciondolo come quello. Nick non diceva nulla e così intervenne Tim.
“Allora si può sapere che c’è scritto?”
In quello arrivò Eloise e prese in mano il piccolo plettro in acciaio satinato mettendomi in completo imbarazzo. Eppure la frase l’avevo scelta io…
suonami sempre con tutta l’anima, oh Alice è una gran bella dedica. Tutti i musicisti dovrebbero avere un’amica come te”.
Per fortuna Eloise aveva capito il senso della frase. Ero agitata perché non volevo che qualcuno fraintendesse.
Il festeggiato ci accompagnò alla porta e mentre Tim andava a recuperare l’auto ed ero pronta per uscire, mi sentii trattenere dolcemente per un polso. I suoi occhi erano cerchiati dalle occhiaie ed erano cupi, forse stanchi, ma la voce era allegra.
“Grazie per essere venuta e grazie per questo.”
E si indicò il collo. Non so quando ne aveva avuto il tempo, ma il mio regalo luccicava debole tra le sue clavicole.
“Di nulla. Sono contenta che ti piaccia.” 

 

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Capitolo 9
*** Tre amici e un pianoforte ***


Ciao a chi legge! A volte il tempo vola via senza che riesca ad inserire gli aggiornamenti. Vedo che ogni tanto approdano qui (forse) nuovi lettori;mi farebbe piacere ricevere le vostre opinioni, quindi, se vi va, lasciate un commento.
Besos. T.


9. tre amici e un pianoforte


“Al, sei riuscita a vederli?”
Maledizione, era Alec e mi mancava ancora l’ultima gioielleria.
“Alec, mi mancano ancora tre anelli. Scusami; sabato non ho avuto il tempo di farle tutte e due.”
Ero dispiaciuta sul serio. Ancor di più se aveva ancora intenzione di fare una sorpresa a Mary quella sera.
“Tranquilla, non pensavo di darglielo oggi. Ma appena riesci fammi sapere.”
“Alec, se posso darti un consiglio da gemella a futuro cognato, non pensarci troppo. Domani mi prendo due ore libere e vado. Poi, quando vuoi tu lo andiamo a prendere. Ma se continui così ci sono buone probabilità che non riuscirai mai a darglielo.”
“Grazie per la fiducia cognatina.”
L’avevo fatto ridere, ma la sua agitazione era palpabile.
“Alec ti voglio bene.”
“Sì, buona domenica anche a te Al”.
Domenica… forse non avrei dovuto aspettare l’indomani visto che c’era una filiale di quella gioielleria anche al centro commerciale. Richiamai Alec, ma era irraggiungibile.
Tim era stato reclutato per una pesca di beneficienza alla casa di riposo di una sua prozia e siccome era troppo presto per le presentazioni ufficiali alla famiglia ci eravamo dati appuntamento in settimana. Così feci un salto dai miei e poi andai a spazzolarmi via una super coppa di gelato, controllando la vetrina del centro commerciale. C’erano tutti e tre gli anelli scelti da Alec ed erano tutti e tre alla portata del dito di Mary. Vedendo i prezzi potevo anche capire che razza di sbandata si fosse preso Alec. Certo non erano paragonabili alla fedina di cui mi ero innamorata, ma erano cifre comunque da capogiro. Ora capivo perché faceva il dj ai matrimoni per “arrotondare”.
Le casse sparavano musica ad alto volume e dopo Elvis e i Kiss partì un pezzo di NickE, la traccia 9 del cd. Che mix terribile. Per quanto il dj della radio avesse gusti opinabili, quella canzone mi fece venire i sensi di colpa. Non che il testo avesse dei nessi con la direzione che aveva preso il mio pensiero, ma mi aveva ricordato la prima volta a casa sua e la nostra strimpellata al piano.
Visto che non avevo programmi e che i miei pochi amici erano tutti occupati, sarei andata a lavorare in negozio. Prima di buttarmi sul piano, decisi però che era ora di terminare la chitarra. La vernice era asciutta e mancava solo il disegno con l’aerografo. Sembrava già una fenice che nasce dalle ceneri. Poi mi concentrai sui tasti e non mi accorsi dell’ora se non per il buio fuori dal negozio. Non avevo pranzato né cenato.
Mentre tornavo a casa mi raggiunse una telefonata di Tim; gli ero mancata e la pesca era andata bene. Ci saremmo visti forse nel fine settimana, perché aveva preso una commessa per terminare alcuni appartamenti fuori città.
“Sembra proprio che io e te siamo costretti ad aspettare le vacanze di Pasqua eh?”
“Mi sa di sì. Mi mancherai Alice.”
“Anche tu.”
Per fortuna a casa trovai Mary ed Alec e passammo qualche ora allegramente. Quando Alec ci lasciò per tornarsene a casa e restammo solo noi, finalmente ritrovammo la nostra intimità: potevamo aggiornarci dal vivo sugli ultimi eventi. O meglio, lei poteva raccontarmi di tutti i teatri che aveva visto.
Era felice, ma sentiva il bisogno di prendersi una pausa. E notizia bomba, avrebbe fatto la sua prima intervista in tv! Ero veramente felice per lei.
“Alice, ora basta parlare di me. Raccontami della festa di compleanno di Nicholas e di come va con Tim”.
Le raccontai a grandi linee quel poco che era successo. Non le dissi però della dedica sul ciondolo.
“Ma vuoi dirmi che con Tim non l’avete ancora fatto?!”
Io non l’avevo detto.
“Beh diciamo che tecnicamente non ne abbiamo ancora avuto il tempo”.
Perché quell’osservazione mi metteva a disagio? In fondo a lei che importava del fatto che facessi o meno sesso col mio ragazzo!
“Al, è soprattutto nei primi mesi che dovresti sentire un’attrazione spasmodica verso il tuo lui. Poi subentra la piacevole quotidianità. Non posso crederci che ancora siate al mano nella mano.”
“Beh in realtà siamo andati oltre”.
Piantala Mary!
“Ok ma siete fermi ai bacetti da due mesi! Sis’ se non vi date una mossa non arriverete a Pasqua.”
Di certo ora non le avrei detto che stavamo proprio aspettando Pasqua per avere un po’ di tempo per noi.
“Ti andrebbe di andare al cinema?” Era tardissimo.
“Preferirei guardare un po’ di TV, se per te è uguale.”
“Ok ma decido io!”
E ti pareva! E cosa avremmo mai potuto guardare? Ovviamente lui.
“Mary, ti prego almeno di non farmi rivedere quella commedia. Ormai mi esce dalle orecchie! Per fortuna mi accontentò e mi ritrovai Nick che interpretava un musicista squattrinato che poi diventa una grande star. Sembrava quasi un film biografico. E così Mary aveva il suo attore ed io il mio cantante. Certo le musiche del film non erano sue, se non la canzone finale, ma potevo ugualmente apprezzare la sua voce calda. E mi ritrovai a rivivere le partite a guitar Hero e il momento dell’apertura dei regali. E, di nuovo, quella prima volta a casa sua.

Le sere successive mi trovai sempre con Vic, a parte nei sui giorni di turno al supermercato: stavamo confezionando vestiti per il saggio. Il fatto che Tim fosse stato trattenuto fuori città per un’altra settimana mi faceva tirare un po’ il fiato. Ci sentivamo comunque tutte le sere via skype e ogni tanto si presentava a sorpresa in negozio, facendo la spola tra i cantieri e casa, solo per me. Per fortuna mancava sempre meno al saggio.
Stavamo per chiudere il negozio quando Alec arrivò tutto trafelato.
“Alice, Ray…Alice puoi uscire un attimo?”
Dovevo preoccuparmi? In quel momento stavo registrando l’ultimo cavo del pianoforte. Ero esausta, ci stavo lavorando quasi notte e giorno da un mese ed ero curiosa di sentirlo suonare. Ma Alec era impaziente e Ray molto curioso.
“Eccomi”.
“L’ho preso!”
Ah beh ci aveva messo solo due settimane da quando gli avevo suggerito di scegliere tra gli ultimi due anelli rimasti sulla sua lista.  Avrei voluto far festa, ma non ero proprio dell’umore. Volevo solo che Tim tornasse a casa e che il saggio terminasse; a volte tornavano prepotenti le parole di Mary e con un filo di vergogna dovevo ammettere a me stessa che più che due adulti innamorati sembravamo due scolaretti alle prime armi. Mi concentrai però su Alec.
“E quando glielo vorresti dare?”
“Non lo so.”
Ecco come smontare un ragazzo felice:
“Alec, è stato tutto molto interessante, ma non potevi dirmelo per telefono?”
Forse ci ero andata un filino pesante.
“Sì, ma ci tenevo a ringraziarti di persona.”
Che caro ragazzo. E dopo quello che gli avevo detto, potevo considerarmi una quasi cognata alquanto stronza.
“ok, grazie a te. Ora scusami, ma devo finire un lavoro.”
“Bene. Alla prossima Alice.”
Forse ero stata troppo brusca con Alec perchè il karma mi punì immediatamente. Sudata per il lavoro estenuante ero ormai pronta ad affondare le dita sulla tastiera, ma ne uscirono suoni sgraziati e stonature impressionanti. Dove diavolo avevo sbagliato?
Disperata e in preda al panico chiamai Eloise, che si precipitò in negozio nel giro di un’ora.
“Alice, tesoro, hai fatto uno splendo lavoro!”
A me invece veniva da piangere, altroché.
“E allora perché fa così schifo?”
Senza perdersi in chiacchiere inutili, Eloise aveva già scoperchiato il gigante che faceva bella mostra di sé accanto al gemello degli Erikksonn-Easter e stava armeggiando con chiavi e pinze.
“Vedi cara, direi che per essere il tuo primo restauro completo stai compiendo un miracolo. La struttura è perfetta, ma l’accordatura intera è un lavoro che si affina con l’esperienza, soprattutto se si tratta di oggetti di altri secoli, come questo. Direi che assieme riusciremo a sistemarlo in due giornate. Domani hai tempo?”
Certo che sì! Non mi sarei fatta sfuggire quell’unica occasione di vedere Eloise all’opera. E ci accordammo sull’orario.
Se occorreva avrei anche dormito in negozio, pur di liberarmi di quel mastodonte.
Uscita la zia, fu il turno del nipote, anche se solo per telefono.
“Ehi straniero! Quando torni?”
“Domani, finalmente”
Già, finalmente.
“Quando passi da me?”
“Posso venire in negozio, così vedo la belva? Giungono voci che ormai tu sia a buon punto.”
Mi dispiaceva incastrate Tim nei miei pochi rimasugli di tempo, ma non avevo scelta; per fortuna Pasqua era alle porte!
“Se riesci a passare, l’unico momento possibile è praticamente all’alba, perché poi tua zia mi darà una mano tutto il giorno fino a venerdì”.
Pur di vedere Tim, tra un impegno e l’altro ci eravamo dati appuntamento alle 7 del mattino in negozio. Prima che lui cominciasse con i suoi clienti ed arrivasse sua zia.
“Al, ma è stupendo!”
Gli ero grata per l’entusiasmo, ma mi serviva il parere di una persona un po’ più esperta. Ero curiosa di ricevere anche il parere di Nick, ad esempio ed, in ultima analisi anche quello del suo proprietario, che ormai fremeva per metterci sopra le mani.
“Dici? A me sembra solo un bestione più lucido di com’era entrato.” Ero in vena di lagnarmi, ma Tim l’aveva capito ed era di diverso avviso. E di colpo mi ritrovai a baciarlo stesa sul pianoforte. Cercai di fermarlo per paura che arrivasse anche Ray o che sua zia ci cogliesse ad amoreggiare sullo strumento al quale di lì a breve avremmo lavorato assieme, ma la lontananza stava facendo sentire gli effetti anche su di me e mi ritrovai a volere che non smettesse più di accarezzarmi. Quando ormai stavo per abbassare tutte le difese, di colpo Tim si tirò indietro.
“Al mi sei mancata da morire e non vedo l’ora di partire.”
A quel punto volevo partire immediatamente anch’io.
“Ci vediamo stasera?”
Per la prima volta era lui a dirmi di no e ne rimasi un po’ delusa, nonostante sapessi bene che il motivo del rifiuto era strettamente legato al lavoro.
“Mi spiace piccola, ma stasera non posso.”
“Domani?”
“Domani è perfetto.”.

Passai il resto della giornata in compagnia di Ray ed Eloise. A tarda sera eravamo a buon punto e rimandammo gli ultimi ritocchi al giorno seguente. E così mancava un infinitesimo a terminare il fortepiano e mancava un giorno al saggio e ormai contavo impaziente le ore alla partenza delle vacanze pasquali.

IL GIORNO SEGUENTE…
Mamma passò in negozio a sequestrare Ray che mi obbligò a chiudere al pubblico per prendermi la giornata per terminare l’accordatura. Da sola non avrei potuto fare tutto, per quanto l’afflusso di clienti non fosse mai ingestibile; solo che non potevo permettermi di perdere nemmeno un secondo con lei.
Oltre al prezioso aiuto, avevo un’occasione irripetibile di lavorare con un’esperta. Nelle ore passate in sua compagnia, avevo potuto apprendere molte cose che, che per ovvi motivi, anche in un corso di tecniche del restauro non potevano venire fuori. E dai racconti della signora che armeggiava gomito a gomito con me avevo intuito che la sua esperienza derivava da almeno trent’anni di lavoro nel settore.
Peccato che alle 9 del mattino Eloise ancora non si era fatta vedere. Così decisi di provare a suonare tasto dopo tasto i due pianoforte per vedere di cogliere eventuali stonature.
Sentii una presenza famigliare, che avevo catalogato come “l’odore di casa Easter”.
“Cominciavo a preoccuparmi, ancora qualche minuto e ti avrei cercata al cellulare.”
“E’ così che si saluta un amico che non vedi da tempo?”
Accidenti era Nick!
“Ehi Nick, bentornato!”
Ero contenta di vederlo, ma se avessi saputo che sarebbe passato lui al posto di sua madre mi sarei vestita diversamente. Lavorare sopra e sotto il pianoforte, nel laboratorio era diventato un vero inferno. Per comodità avevo dismesso la mia abituale divisa, camicia e jeans che si impigliava alle meccaniche del piano. In altre occasioni non ci sarebbe stato nulla di strano, ma in quel momento mi sentivo un po’ a disagio ad indossare una canotta e degli shorts elasticizzati.
Nick però parve non farci caso e tutto andò alla grande.
Eloise aveva avuto un contrattempo imprevisto…
Lavorammo sodo fino a sera. Parlando di interviste, provini e di cosa avrei fatto per le prossime feste.
“Credo che abbiamo finito.”
Nick era eccitato forse più di me.
“Fammi provare dai!”
E senza aspettare oltre gli rubai lo sgabello e cominciai a suonare tutto quello che mi veniva in mente. Mi sembrava a posto. Ma volevo la sua conferma. Ogni volta che mi giravo mi sorrideva e alzava il pollice. Poi mi bussò sulla spalla e con un colpo d’anca mi fece spostare e riprese a suonare dal punto in cui mi ero interrotta io. Così mi spostai alle sue spalle e ascoltai attentamente. Inutile dire che lui era bravissimo; la novità invece era che il piano era veramente accordato. Ero così felice che mi sedetti al suo fianco e continuammo a suonare a quattro mani un allegretto. Sembrava quasi un battibecco con lui che voleva prendersi tutta la tastiera e io che andavo a disturbare le sue posizioni. Volava qualche stecca, ma era così buffo e divertente. Anche Nick rideva. Poi di colpo smise di suonare e io lo imitai.
“Ti va di controllare gli altri dettagli?”
Annuì in silenzio e cominciai a fargli vedere tutti gli interventi che avevo fatto.
“Oh guardati questo.”
E lo trascinai giù per fargli vedere gli intagli dei piedi. Eravamo carponi per terra e mi tenevo i capelli che continuavano a voler fuggire dalla coda. Stavo cercando una molletta nella tasca dei pantaloncini quando sentii le sue mani callose sfiorarmi il viso e portarmi la ciocca di capelli dietro le orecchie che erano già andate in fiamme. Quella vicinanza cominciava a pesare. Mi rialzai in fretta da quella posizione scomoda e troppo vicina a lui.
“Allora Nick che te ne pare?”
Speravo non potesse cogliere la nota di panico nella mia voce.
“Direi che è un esemplare magnifico” potevo stare tranquilla, lui era sereno. Forse ero solo stanca eppure cominciavo a cogliere doppi sensi che non potevano esserci.
“Beh se non ci foste stati tu ed Eloise sarei ancora seduta lì a piangere.”
E mi spostati per andare a lucidare il legno ed eliminare tutte le impronte.
“E’ stato un piacere aiutarti, anche se io non ho partecipato poi molto.”
Improvvisamente la sua voce era troppo vicina al mio orecchio, ma invece di rimanere ferma o continuare a lucidare mi girai per affrontarlo. Avevo ampio margine per evitarlo, ma forse lui fu comunque troppo svelto perché dal nulla mi trovai con le sue labbra incollate sulle mie.
Non posso fare una cosa del genere a Tim. Non devo rispondere.
Credo che Nick abbia capito al volo i miei pensieri perché imbarazzatissimo si allontanò scusandosi mille volte.
“Alice, perdonami non so proprio che mi è preso.”
In quel momento non ero in grado di pensare lucidamente. Volevo solo che se ne andasse via.
“E’ tutto ok Nick. Ora va’ a casa.”
Suonò come un ordine.
“Alice ti prego non dirlo a Tim. Me ne occupo io.”.
Per un secondo avevo pensato che fosse un codardo. Invece a sangue freddo capii che era veramente sconvolto per l’accaduto ed aveva il terrore di perdere l’amicizia del cugino. Lo salutai con freddezza, ma dentro mi ribollivano altre emozioni e persa totalmente in esse risposi senza pensare al telefono.
“Al ci sei?” merda era Tim!
“Sì perché?”
“Puoi venire?” Sembrava sospettoso; quindi Nick era stato così veloce?
“Sì arrivo.” Ero completamente spenta.
“Sei sicura di star bene?”
“Sì certo” si poteva dire che avessi tradito il mio ragazzo, anche se non avevo risposto al bacio del cugino?
Corsi verso casa di Tim e quando mi aprì capii del perché mi aveva fatta andare da lui, senza spiegarmi nulla.
Aveva il gesso ad una gamba!
“Tim ma che è successo?”
Mi spiegò come si era fatto male e mi rivelò i progetti segreti per la nostra imminente partenza; aveva prenotato una vacanza in barca. Doveva essere la nostra sorpresa per Pasqua, ma a meno che io non sapessi pilotare un catamarano dovevamo rinunciare alla nostra uscita. Mi sentivo una merda. E più Tim parlava e più mi soffermavo su un dettaglio. L’unica cosa che in quel momento avrei dovuto pensare, l’unica parola, quando le labbra di Nicholas si erano incollate alle mie doveva essere “non voglio”. E invece mi ero attaccata al pensiero di Tim per non rispondergli. Non so perché, non riuscivo a capacitarmi di come fosse possibile, in fondo volevo un gran bene a Tim, mi sembrava di esserne innamorata, accidenti! Ma la sua gamba rotta era il segnale definitivo che forse non dovevamo stare assieme.
“Tim, credo che fosse destino che queste vacanze saltassero”.
Ovviamente non aveva ancora afferrato che ero triste per ben altri motivi.
“Ne faremo un’altra appena mi tolgono il gesso.”
A quel punto mi sentivo veramente male.
“No Tim, credo che non ci saranno altre vacanze per noi.”
Forse cominciava a capire.
“Che vuoi dire Alice?”
Era arrivato il momento di raccontargli quello che era e non era successo in negozio.
“Solo promettimi che non mi interromperai e non farai nulla di avventato.”
“Alice mi stai facendo preoccupare.”
Eccolo, era arrivato il punto di rottura.
“Tim, credimi mi dispiace da morire, ma credo che non possiamo più stare assieme.”
Anche se non piangeva da vero uomo qual’era e non dava segni di esser sconvolto, era evidentemente sofferente. E non solo per via del gesso.
“C’è un altro?”
Non esattamente. E gli raccontai i fatti.
“Tim promettimi che non lo allontanerai dalla tua vita e non lo priverai della tua amicizia; era veramente sconvolto quando ha capito cosa aveva fatto”.
Per come lo conoscevo c’erano buone probabilità che sarebbe riuscito a perdonare il cugino.
“Dimmi solo una cosa.”
Sapeva che non avevo risposto al bacio, sapeva che ero una persona di cui poteva fidarsi. Eppure me lo chiese ugualmente, anche se in modo più delicato.
“Se non ci fossi stato io l’avresti baciato?”
Ma a quella domanda non potevo rispondere e non perché non lo volessi. Provai a spiegarglielo ugualmente.
“Non lo so Tim ed è proprio questo il motivo per cui non posso stare più con te. Se avessi la certezza della mia risposta, non sarei qui a farti soffrire.”
“Alice, so che posso sembrarti sciocco, ma posso sperare che restiamo amici?”
Non meritavo di avere la fortuna di stare con lui, né di restargli amica.
“E non pensare che non mi meriti, so che lo stai pensando, sciocca” E mi abbracciò...con calore.
“Tim la tua amicizia è una delle cose che non vorrei mai perdere, ma ho bisogno comunque di tempo per fare chiarezza.”
“Aspetterò.”
Non volevo illuderlo.
“Non farlo.”
“Alice, guardami; non spero che un giorno torni da me, per quanto ne sarei onorato, ma aspetterò pazientemente che tu sia pronta ad uscire con me, come amico”.
A quel punto scoppiai in lacrime e corsi via chiamando Vic al telefono.
“Al, dove sei? Non ti muovere. Che è successo?”
“Vic ho bisogno di vederti.”
“Lo sento. Tu dimmi dove sei e io vengo a prenderti.”
Mi raggiunse al bar dove già stavo affrontando il terzo amaro. Notevole risultato per una che non regge bene l’alcol.
“Dio Al sei completamente ubriaca!”
E mi trascinò fuori. L’aria aperta mi fece tornare un po’ di lucidità e raccontai tutto alla mia amica, che mi portò a casa dove anche Mary mi aspettava preoccupata. Tim aveva chiamato lei perché non rispondevo al telefono. Stavo facendo preoccupare tutti.
A causa del mio stato psico-fisico Alec venne mandato via e restammo noi tre. Raccontai per la seconda volta i fatti che mi avevano portato alla rottura con Tim. E nessuna delle due mi giudicò per quella che mi sentivo. Vic cercò anche di farmi ridere. “Senti Al hai nulla in contrario se consolo un po’ il povero Tim?”
Mary invece voleva sapere come baciava il nostro divino ammoreee.
Dopo aver vomitato l’anima ed essermi fatta un lungo bagno scrissi a Tim: mi sento un’idiota totale.
La sua risposta non tardò a farmi sorridere: meglio ora che con un anello al dito. E comunque non ti libererai mai di me.
Poi ripresi a piangere.

L’indomani non avevo il coraggio di guardare in faccia nessuno. Vic aveva dormito sul divano, Mary era sveglia da ore e aspettava solo mi svegliassi per sapere come stavo. Anche Ray in negozio, era stato informato delle mie condizioni emotive. Solo Phil che entrò in quel momento non era a conoscenza del mio disastro sentimentale.
Papà, mortificato venne a sussurrarmi all’orecchio.
“Scusa J l’ho sentito ieri sera quando mi hai scritto che il piano era pronto, se avessi saputo gli dicevo di passare un altro giorno.”
Maledizione! Non ero in lutto e forse era il caso che cominciassero a capirlo anche loro. Dovevo reagire io per prima. Così mi concentrai su Phil.
“Alice, ma è spettacolare!”
Sembrava un bambino; non poteva credere che in così poco tempo fossi riuscita a rimetterlo a nuovo. Mi chiese perfino il permesso di suonare il suo strumento e come con Nick la sera prima (ahimè ricordo alquanto fastidioso, per le conseguenze che aveva portato) lo suonò lui e poi lo fece suonare a me per cogliere tutte le sfumature quel dejà vu mi fece male come una pugnalata.
Se invece di Nick ci fosse stata Eloise, non avrei lasciato Tim.
“Alice, ragazza, ottimo lavoro. Sono in debito con te.”
“Ma figurati Philip, è un onore aver lavorato per te.”
“So che vi devo molto più di questo – e posò un assegno sul bancone – ma ci terrei se venissi al mio concerto. È per beneficienza e visto che il piano è già pronto vorrei che lo suonassi con me.” Non ci pensai nemmeno un secondo, anche se sapevo che a mente lucida non avrei mai accettato una cosa del genere, nemmeno per beneficienza. Io da un po’ di tempo a questa parte detestavo le luci della ribalta.
“Quando sarebbe?”
“Tra tre settimane.” La mia mente stava elaborando idee, ancorandosi all’unica parola che avesse avuto senso: “suonare per beneficienza”. Sì avevo un’idea.
E Phil ne era entusiasta.
“Affare fatto! Allora ti aspetto.”
Quell’inaspettato risvolto rendeva meno tragica la mia giornata.
La sera mi trovai con Vic prima di andare in palestra e per la prima volta le raccontai l’intera storia del pianoforte di Phil Collins.
“Accidenti Alice che colpo di genio!”
E di lì a poco ci trovammo sommerse dalle braccia dei miei piccoli allievi. Dagli 8 ai 10 anni tutti erano eccitatissimi. Vic aveva chiamato alcuni dei grandi, quelli che avevano fatto lo spettacolo per primi, ed anche loro erano emozionati, anche se manifestavano la loro gioia in maniera decisamente più posata. Avevamo poco tempo per raccogliere i permessi dei genitori perché tutti minorenni, ma non avevamo dubbi sul fatto che tutti avrebbero accordato il permesso di ballare al concerto di Phil Collins. Vista la necessità di sottostare agli orari dei più piccoli avevamo proposto di fare un numero speciale di apertura e visto che si trattava di un concerto per beneficienza, nelle due settimane successive arrivarono tutte le firme che ci servivano.
Nel frattempo anche il saggio degli altri miei ragazzi si era concluso con successo.

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Capitolo 10
*** Lontano dagli occhi... ***


10 Lontano dagli occhi...

I giorni passavano e di Nick nemmeno l’ombra, a parte qualche canzone in radio. Mary non mi proponeva più di rivedere tutti i suoi film. Scrissi un biglietto di ringraziamento ad Eloise e le feci mandare dei fiori.
La mia vita procedeva quasi normalmente, anche se in maniera decisamente meno frizzante. Quello che invece mi riempì di gioia successe un mercoledì piovoso.
Stavo aiutando Mary a preparare le valige per una nuova imminente partenza, quando suonarono alla porta.
Era Vic ed era in affanno.
Mentre anche lei ci aiutava a controllare e spuntare per la centesima volta la lista del contenuto della valigia di Mary, rossa come un peperone ci annunciò che aveva intenzione di chiedere a Tim di uscire con lei. Mi guardava come a chiedermi scusa, ma io ero seriamente felice per lei; ero però preoccupata per Tim.
Così lasciammo Mary imprecante, a lottare con la cerniera della valigia e feci quattro parole con la mia migliore amica.
“Alice non volevo uscire con lui alle tue spalle, tutto qui.”
“Vic, dopo quello che gli ho fatto vorrei solo che non soffrisse ancora. Ti piace così tanto da chiedergli di uscire?”
“Credi che verrei qui a chiederti il premesso di uscire col tuo ex se volessi essergli solo amica?”
Era tra lo stizzito e il divertito. Era sincera.
“No, non lo credo affatto; ma volevo comunque fugare ogni possibile dubbio.”
“Ok, allora visto che siamo in vena di confidenze spinose, se te lo stai chiedendo, prima che vi lasciaste non mi piaceva, ma ora che è libero vorrei conoscerlo meglio.”
Non potevo essere più d’accordo con quella scelta e le augurai tanta felicità.
Ma uscita Vic mi trovai a comporre il numero di Tim. Avevo una spiacevole sensazione annidata alla base della spina dorsale, forse stavo diventando sensitiva…o semplicemente paranoica. Fatto sta che avevo paura di qualcosa di ignoto.
“Alice qualcosa non va? Era da quando avevo rotto con lui che lo evitavo come la peste.”
Forse quindi poteva essere sorpreso di sentirmi all’improvviso; forse avrei dovuto chiedergli prima come stava, ma ovviamente il filtro cervello – bocca era disattivato e, guarda caso, ogni qualvolta le emozioni prendevano il sopravvento.
“Esci con Vic?”
Ma non era quello che volevo chiedergli e lui mi conosceva abbastanza bene da sapere che non ero in preda ad un attacco di gelosia.
“Qual è l’altra domanda?”
“Hai parlato con Nick?”
“Non si è fatto ancora sentire, ma se vuoi non gli dirò nulla.”
“Grazie Tim. Sei veramente un caro… amico.”
“Di nulla Al. Gli amici esistono per questo. Spero di vederti presto”.
Non promisi nulla, ma lo salutai rimandando ad un prossimo incontro.
Restai con Mary qualche ora prima che se ne andasse con Alec e poi mi misi a cazzeggiare in internet. Stavo curiosando sull’edizione on line di People quando si aprì un allert sul numero in prossima uscita e rimasi agghiacciata nel leggere che Nicholas Easter era tornato assieme alla sua fidanzata storica. Nick e Zophy erano di nuovo assieme per buona pace dei loro fan.
C’era un valido motivo per cui improvvisamente mi sentissi furibonda? No!
Eppure avrei preso a calci il tablet. Il problema era che ero ancor più arrabbiata con me stessa perché in tutto quel tempo avevo riconsiderato quello stupido bacio cercando tutti i possibili significati. Ma dimenticavo che Nicholas era una star e che un bacio per lui poteva anche non significare nulla. Ben diverso per una persona comune come me, che da un bacio poteva mettere in dubbio una relazione.
Improvvisamente sapevo cosa dovevo fare. E dormii serenamente.
Il giorno dopo feci colazione con calma e andai al lavoro come sempre, ma quando arrivò Ray mi trovò in lacrime con La chitarra a pezzi. A dir la verità, alla fine, non avevo avuto cuore di sfasciarla. Mi era costata ore di lavoro, sacrificio e soldi. Ma giaceva ora a terra tutta asetticamente smembrata.
“Alice, ma che hai fatto?”
A quel punto mi uscì dalla gola una risata isterica.
“Oh nulla, non era venuta abbastanza bene.”
Ray era basito e mi consigliò di prendermi un giorno di ferie. Seguii il suo consiglio, come un automa. Ma più che ferie mi ritrovai a dover rispondere al telefono nemmeno fossi un centralino.
Mary mi chiamò per prima da Atlanta e mi sentii insultare. Ray le aveva detto quello che avevo combinato in negozio.
Mi sorpresero ancor di più le telefonate di Alec e Vic loro non sapevano che avessi terminato la sei corde, ma a quel punto cominciavo a capire  chi li avesse edotti.
Cominciai a girare a vuoto, poi il cuore mi indicò dove andare.

Quella era proprio una tipica “giornata no”. E la ciliegina sulla torta arrivò quando inaspettatamente mi ritrovai a far una gara di sassi al lago con niente meno che Tim. La situazione era surreale.
“Come mi hai trovata?”
“Sesto senso?!”
“Che sei vento a fare?”
Sembrava intenzionato a rispondere a domanda con domanda.
“Ne sei innamorata?”
“Tu credi?”
“Sono io che lo chiedo a te, ma forse solo per farti ragionare. Da quanto tempo ci lavoravi su?”
Mi vergognai a dirglielo, ma lui fu più che comprensivo.
“Al, forse hai scambiato l’amore, per una semplice passione per la musica. Forse dovresti tornare indietro e rimetterla a posto e fargliela avere.”
A quel punto avevo un’unica certezza: Tim era troppo buono e Nick troppo imbecille.
Avevo decisamente sbagliato cugino.
“Tim non è il caso che torni a commettere lo stesso errore due volte. Ammesso che tu abbia ragione, perché dovrei perdere tempo su uno strumento il cui destinatario non potrebbe mai apprezzare?” Tim non era sciocco e aveva capito la metafora.
“Alice, mi meraviglia il fatto che proprio tu decida di lasciar naufragare tutto: le ore che hai speso per farla, l’attesa di noi...”
Lo difendeva?
“Ti fa onore Tim, ma se fosse stato seriamente interessato a me, non sarebbe sparito nel nulla. E soprattutto non si sarebbe messo di nuovo insieme alla sua ex.”
Tim vinse la gara di sassi e mi lasciò a meditare sulle sponde del laghetto. Ripensai alle telefonate dei miei amici, a tutti i rimproveri che mi avevano fatto. E mi ritrovai a pensare alla promessa fatta a Nick molto tempo prima. Sì gli avevo promesso che un giorno l’avrei stupito suggerendogli una chitarra che non aveva nella sua collezione.
Mi aggrappai a quello per seppellire il mio orgoglio. L’avrei terminata solo per fargli vedere che ero in grado di mantenere le promesse. Se volevo lasciare il segno dovevo mantenere la professionalità, nonostante in quel momento fossi in balia di un immenso senso di nausea.
Purtroppo però non avevo tutto il necessario per portare le modifiche che avevo in mente. Nel tragitto dal lago al negozio avevo rivisto mentalmente tutte le linee. Non potevo semplicemente riassemblare i pezzi; lì dovevo modificare pesantemente il top.

Ero completamente persa nel mio mondo a sei corde. Forse un giorno avremmo assunto un fabbro, ma avrebbe voluto dire trasferirsi lontano dal paesino, perché non c’era posto per una fucina lì e comunque credo che nessuno avrebbe accettato il rumore del mantice dei pistoni e del martello. Però non avrei nemmeno voluto affidare i miei pezzi ad una ditta qualunque che fa tutto in serie. No credo che col tempo avrei mantenuto i miei piccoli e fidati fornitori e per quella chitarra mi serviva Valerio, mi affascinava la sua tradizione italiana e la passione che ci metteva nel suo lavoro. Presi di nuovo tutte le misure e il bozzetto definitivo, presi anche una chitarra come campione, per fargli vedere dove avrei dovuto inserire quel cerchio, che volevo mi preparasse al più presto possibile.
Non mi importava quanto mi sarebbe costato, anche perché mi serviva in acciaio satinato, molto difficile da lavorare a mano. Speravo volo non mi rimandasse indietro a mani vuote.
“Ciao Valerio!”
“Ehi AJ è da un po’ che non ti si vedeva da queste parti!”
“Già, purtroppo mi sono invaghita di un pianoforte e ho lasciato indietro il resto del lavoro.”
“Amore platonico?”
Mi piaceva scherzare con lui.
“Oh direi più che corrisposto, ma comunque un amore difficile.”
E gli raccontai dell’ultimo restauro.
“Come posso aiutarti?”

Che delusione Valerio non aveva i mezzi per fare il lavoro che mi serviva.
“Pazienza, troverò una soluzione.”
Ero chiaramente in frustrata.
“Senti AJ, so che preferisci lavorare in piccolo, io e te abbiamo la stessa filosofia, ma a questo mondo non si va avanti solo con l’artigianato. Ti stimo moltissimo, come stimo Ray e…senti non dirlo a nessuno.”
Valerio stava per dirmi qualcosa di così segreto che dovevo star zitta?
“Sono entrato da poco in affari con una grande ditta che potrebbe fare al caso tuo. Se ti interessa però mi servirà un disegno in cad da passare ad Eric ed avrai il tuo pezzo. Fuori ti costerebbe un occhio, ma sono curioso di sapere come verrà fuori quell’aggeggio e sono anche sicuro che a tempo debito mi restituirai il favore.”
Anche se quelle premesse non mi piacevano molto, non potevo permettermi di prendere e perdere tempo. Non potevo credere di aver trovato la mia buona stella.
Ma chi sapeva usarlo il cad?
Ci pensai su, molto poco in realtà, perché poco era il tempo che volevo ancora dedicare a quell’aggeggio infernale. Mi feci forza e lo chiamai.
“Tim scusa, sono di nuovo io.”
“Al piantala di scusarti. Tutto bene?”
“Sì, se tutti non mi chiedeste sempre la stessa cosa. Non è morto nessuno. Io sto bene anche perché non c’è nulla per cui star male!” Accidenti avevo sbroccato “scusa, non ho il diritto di parlarti così”.
Con pazienza Tim mi fece spiegare.
“Decisamente oggi è il tuo giorno fortunato, ho un buco tra le mie numerose donzelle casalinghe in difficoltà. Passo subito se per te non è un problema.”
Improvvisamente non vedevo l’ora di vedere Tim.
“Magnifico”

MENO DI MEZZ’ORA DOPO, IN NEGOZIO…
“Beh è veramente complicato questo disegno.”
Poche parole per porre fine alla mia felicità.
“Se mi dici in cosa è troppo complicato, posso cercare di eliminare qualcosa”…anche se voleva dire non realizzare il mio progetto originale.
“Oh immagino che non suonerebbe più come vuoi tu, giusto?”
Il perspicace Tim, aveva interpretato in maniera corretta, ancora una volta, il tono della mia voce.
“L’unico problema e che un’ora non mi basterà e avrò bisogno di te per non sbagliare con queste linee e stasera…”
Tim era in difficoltà? Mhhh forse sapevo cosa lo rendeva così impacciato.
“….e stasera c’è Vic, vero?”
“In effetti sì.” Ah destino, perché ti accanisci con me?
“Ma se per te va bene potremmo fare una serata a tre davanti al pc.
“Grazie Tim , ma non voglio portarvi via una serata. So quanto costi incastrare gli impegni”
Il suo dito mi sigillò la bocca.
“Smettila. Sappiamo tutti che finché non finirai questa chitarra non ti darai pace. E ci siamo rimasti tutto così male quando abbiamo saputo che era per Nick e che l’avevi distrutta. Vieni stasera sulle 20. Ti prometto che per domani riuscirai a prendere accordi per farti fare il pezzo che ti serve”.
E se Tim prometteva una cosa potevo star tranquilla che avrebbe smosso mari e monti pur di farla.
E così fu.
Dopo un primo momento di disagio nel vedere l’intesa che stava nascendo tra i miei due amici, tutto filò liscio e alle 2 di notte stringevo in mano una stampa ed una chiavetta usb, con dentro il progetto. A forza di disegnare tubi e condutture Tim era diventato un esperto di disegni anche microscopici ed era riuscito a riprodurre fedelmente il mio bozzetto.
Alle 6.30 del giorno dopo ero in officina da Valerio agitata come non mai. Fece una telefonata e nel giro di due ore eravamo all’ingresso di un enorme capannone industriale, poco distante dal nostro paesino, in attesa che il suo socio mandasse in esecuzione il mio lavoro. Era affascinato da quel dedalo di intagli indecifrabili e molto colpito dalla scelta del materiale.
Secondo Valerio mi avrebbe fatto un’offerta di lavoro. Forse avrei dovuto rivedere il mio modo di pensare? Per ora aspettavo in trepidante attesa che la macchina sputasse fuori il mio “coperchio”. Ci mise un’ora, perché non era settata per quel lavoro. Ma alla fine stavo per piangere su quell’oggetto ancora caldo.
“E mi dica Alice, lei quindi fabbrica chitarre?”
“Non solo signore.”
“Oh mi chiami pure Eric. La gioventù imprenditoriale mi affascina. Sarebbe interessata a diventare mia socia?”
Quindi Valerio ci aveva visto giusto.
“E in cosa se posso chiederlo?”
“Sarei interessato a produrre proprio gli strumenti di cui lei si occupa. Badi bene, come dicevo anche a Valerio, non sono interessato al vostro fallimento, anzi, vorrei diventare il vostro fornitore, intermediario e socio nella produzione di oggetti di largo consumo nel settore musicale e dell’arredo da giardino. Raggiungere così la fetta di mercato medio bassa e lasciarvi l’aspetto di design più creativo per le fasce medio alte e di lusso.”
In poche parole, sembrava volesse regalarci il mondo, ma in realtà ci avrebbe schiacciati come formiche. Avrei approfondito con Valerio in cosa si era andato ad infognare. Per quel che mi riguardava, gli promisi di rimanere a sua disposizione, di volta in volta, per valutare i suoi progetti, ma fui ben attenta a fargli cancellare sotto ai miei occhi il disegno in memoria nella macchina. Non ero una sprovveduta. E quel bagliore negli occhi mi spaventava. Quella chitarra sarebbe stata un pezzo unico, perché quel disegno che nessuno dei due signori, né tanto meno i miei due amici erano riusciti ad interpretare, agli occhi della persona giusta sarebbe stato chiarissimo. Intrecciate tra i vari sbalzi del metallo avevo inserito le iniziali del proprietario dello strumento e le mie iniziali, a firma dell’oggetto.
Ora che anche quel pezzo era pronto potevo tornare in negozio per assemblare lo strumento e passare alla verniciatura finale. Ray mi sorprese col pennellino in mano mentre finivo l’ultima mano di corallo.
“J, non ci posso credere l’hai già finita!”
Sì ci avevo messo due settimane intere, ma alla fine ero pronta per staccarmi dalla mia creatura.
“Bella vero?”
Ne ero orgogliosa. Avevo smontato l’acustica per dar vita all’unica chitarra che mancava alla collezione di Ncholas Eastrer: un magnifico dobro nero come la pece con il caratteristico oblò, rifinito con la vernice dello stesso color corallo che richiamava i segna tasti nei quali avevo incastonato le pietre levigate. Eh sì proprio quelle recuperate dalla collana di mia mamma, appartenuta un tempo alla nonna.
Quel dettaglio non passò inosservato a mio padre, perché le pietre ora piccoli puzzle di lastre coralline spiccavano dal nero manico.
Le sei viti anch’esse in acciaio satinato avevano una forma mai vista prima. Erano leggere perché completamente cave e sembravano tante piccole chiavi di sol dove saldare le corde.
“Oh J è…oh bambina mia, non so nemmeno come definirla per renderle giustizia.”
Ray stava per farmi piangere. Lo fotografai vicino alla nuova nata in casa Cooper e per scherzo mi feci scrivere una dedica: alla figlia più in gamba che potessi avere in affari. Oh Ray!
Ora non mi restava che spedirla, ma dovevo trovare uno spedizioniere di fiducia che mi garantisse che sarebbe arrivata sana e salva a destinazione e soprattutto che la sicurezza non pensasse che fosse una bomba.
Feci qualche telefonata e mi confrontai con Mary e Vic. Poi al negozio comparve magicamente Tim.
“Ehi Tim, che ci fai da queste parti?”
“Vic mi ha detto che devi spedirla.”
Non era necessario dire cosa.
“Beh non occorreva che disturbasse te, credo di aver trovato un corriere espresso che fa al caso mio.” Ero un po’ in imbarazzo a parlare con lui della chitarra per suo cugino.
“Oh so bene che sei in grado di arrangiarti, ma se ti dicessi che posso abbattere i prezzi mettendo il tuo pacco assieme ai miei? Sto per far partire una discreta quantità di tubi ed altri noiosissimi aggeggini idraulici in tre città diverse. Arrivo garantito in giornata; cosa che ti farebbe comodo a meno che tu non voglia recapitare la chitarra direttamente a casa di mia zia”.
Touchè. Non volevo in alcun modo che Nicholas sapesse che ero passata a casa sua. Sarebbe stato patetico. Triste. Stupido.
Volevo mantenere le distanze e forse…nascondermi dai miei stessi sentimenti.
Volevo che sapesse che quell’oggetto era da parte di una fan, non di una ragazza che si era presa stupidamente una sbandata per una persona irraggiungibile.
“Tim, sono in debito con te di una vita.”
“Tranquilla Al, ne vale la pena e se posso dirtelo sinceramente, dovevamo capirlo prima che non eravamo fatti per stare assieme.” Tim era diventato rosso come un pomodoro. Voleva dire solo una cosa. Con Vic era ben oltre il nostro punto di arrivo. Lo abbracciai di slancio. Poteva sembrare strano, ma non avevo più rimpianti, né rimorsi, né in me c’erano tracce di gelosia.
“Oh Tim sono stra felice per voi!” ed era la pura verità.
Ora che ero sicura di non poter far soffrire quel ragazzo e che con Vic era una cosa seria, potevo sperare di uscire assieme a tutti i miei amici.
“Tim lo so che lo sai. Ma nel caso in cui Vic non ti avesse invitato al concerto di stasera, posso farlo io?”
“Oh Al non mi perderei per nulla al mondo questo evento!”

Quella sera era la gran sera, due cerchi si chiudevano, il piano di Phil sarebbe entrato in scena e la chitarra si sarebbe aggiunta ad una superba collezione.

Outtake Nick contro tutti

Ero lontano da casa da un bel po’ ed avevo già firmato un nuovo contratto che mi avrebbe blindato per altri tre mesi. Da quando ero uscito dal negozio di Alice non avevo trovato il coraggio di chiamare Tim e quel che è peggio è che più passava il tempo e più mi rendevo conto che avevo fatto una stronzata dietro l’altra. A partire dal dare libero sfogo a una stupida sensazione del momento ero riuscito a rovinare un’amicizia che stava nascendo, a perdere una persona interessante, l’unica con cui mi piacesse condividere la musica, oltre mia madre; ero riuscito a vivere nel rimorso più totale nell’attesa di porre fine alla mia amicizia con mio cugino ed ero tornato assieme a Zophy per dimenticare Alice. Sì perché anche se lei non aveva ricambiato il bacio ero abbastanza sicuro di essere geloso della ragazza di mio cugino. Quando li avevo sorpresi avvinghiati in cucina a casa di mia madre ero uscito adducendo la scusa di lasciarli da soli, ma la verità è che avrei voluto scansare Tim e prendere Alice come stava facendo lui. Non osavo ammetterlo con me stesso, ma più passava il tempo e più sentivo Tim che ne elogiava le numerose qualità, più mi sentivo un mostro. Volevo che anche lei mi baciasse. E quando non era successo mi ero ritrovato a sbattere il muso contro la dura realtà. Quella ragazza era davvero speciale e leale, e non era giusto che io facessi una cosa così orrenda a mio cugino; nemmeno ad un semplice conoscente si fa una cosa del genere.
Avevo quindi accettato seduta stante un nuovo progetto per un film indipendente, sarei partito per l’Australia dopo una breve sosta obbligata a casa.
Questa volta sarei partito senza Zophy e per me era un sollievo non da poco visto che era chiaro che nessuno dei due provava un genuino interesse per l’altro. Purtroppo però la produzione ci aveva obbligati ad una recita supplementare per promuovere il dvd dell’ultimo film. Fortunatamente avremo posto fine alla farsa di lì a poco.
In quel momento stavo giusto uscendo con il mio staff per andare a pranzo, per discutere dei miei limiti da inserire nei futuri contratti, anche se ero una “giovane stella” ne avevo già le palle piene del sistema.
“Ehi Nick tu cosa prendi?”
In realtà non avevo fame, quindi lasciai scegliere agli altri. Io avrei preso quello che sceglieva la maggioranza. Ascoltavo svogliato la loro conversazione, quando il mio agente Joy mi tirò per i capelli nella conversazione.
“Qual è il regalo più strano che ti hanno fatto finora?”
Che domanda cretina, quasi al pari di quelle delle ultime interviste: che shampoo usi, le commesse si ricordano di farti lo scontrino, compri ancora i cd o li scarichi illegalmente….
Ci pensai su e poi optai per quella volta che mi avevano recapitato degli slip usati.
“E quello più bello?”
Sarebbe durato ancora molto quel gioco? Decisi di essere comunque garbato… ancora per un po’.
“Credo il vecchio vinile di un musicista jazz, peccato fosse così rovinato che le tracce non si sentivano.”
“Beh oggi è arrivato un altro carico di oggetti strani, pensate che la security ne ha dovuto aprire uno perché credeva contenesse un esplosivo.”
Joy rideva, ma a me venne la pelle d’oca. Ahi quel senso di terrore verso gli stalker e i mariti gelosi.
Gli stalker… quel pensiero mi riportò alla mente il primo incontro con Alice e a tutto quel pasticcio dovuto allo scambio di identità con sua sorella Mary. Dovevo allontanare quell’insopportabile senso di vuoto.
“E alla fine questa bomba aveva le fattezze di?”
“Ci credereste mai? Una sciroccata è arrivata a spedire una chitarra! Chissà quanto avrà speso.”
Gli altri ridevano, ma io non ci trovavo nulla di divertente, tanto più che stavo maledicendo Joy per non avermi detto che quella mattina era arrivato un oggetto così diverso dal solito.
Mi piaceva vedere fin dove si spingeva la fantasia dei fan. Ma il fatto che fosse arrivata una chitarra era un chiaro segnale che non potevo ignorare. Dovevo sapere chi l’aveva spedita. Molto probabilmente mi stavo facendo stupide illusioni, ma il pensiero di Alice mi assillava da troppo tempo ormai.
“Sai chi è il mittente?”
“No e non c’è nemmeno il modo di risalire al produttore.”
“C’era almeno un biglietto?”
Mi stavo incuriosendo.
“Sì, ma è rimasto sigillato. Capito che non si trattava di una bomba abbiamo pensato di non andare oltre.”
Deficienti, forse c’era una firma dentro! Dovevo sapere.
Stavo già scostando la sedia dal tavolo.
“Scusate mi è passata la fame. Joy dove trovo quella chitarra?”
“Nick stai bene? Mangia poi andiamo in magazzino e se vuoi la fai imbarcare in aereo stasera.”
Forse aveva ragione, mi stavo facendo prendere da delle stupide sensazioni. Pazientai per il pranzo, ma ero curioso di vedere quell’oggetto.

Il magazzino era buio, ma appena Joy accese le luci al neon cercai le forme a me più care ed inconfondibile, tra il grumo di oggetti e i sacchi di lettere, svettava la sagoma di una custodia Martins. Una punta di delusione mi colse all’improvviso. Avevo sperato fosse un segno che Alice non si fosse dimenticata di quella sciocca promessa. E riconoscevo che il mio staff ignorava completamente il mio mondo. Come si faceva a non riconoscere una Martins? Certo era impossibile capire dov’era stata acquistata, ma a quel punto poco mi importava. Volevo solo uscire di là.
“Nick non vuoi più vederla?”
“Non mi interessa più.”
E non mi importava che Joy pensasse che fossi uguale a tutti gli altri: un giovane attoruncolo viziato e lunatico.
“Vuoi che la faccia portar via?”
“Se ti fa piacere puoi regalarla a chi vuoi.”
“E il biglietto?”
Leggilo tu.
Joy mi passò davanti con la custodia, ma il biglietto svolazzò per terra. Qualcuno lo aveva aperto mentre eravamo a pranzo oppure non era sigillato come mi avevano detto. La curiosità ebbe il sopravvento. C’erano poche inconfondibili parole: suonami con tutta l’anima.
Mi portai involontariamente la mano al collo nudo. E corsi dietro a Joy.
“Joy ho cambiato idea posso vederla?”
“Che domande è tua!” e mi chiusi in camera tremante, mentre il mio manager borbottava in corridoio qualcosa del tipo “queste star e le loro follie”.
Quindi Alice mi aveva spedito una chitarra. Sapeva che avrei capito chi era il mittente, ma perché allora non farmela avere a casa?
I minuti passavano e continuavo a guardare la custodia come un pirla. Presi coraggio, nemmeno che dalla custodia potesse uscire un mostro a sei teste per divorarmi. Feci scattare le aperture e sopra un telo di velluto nero trovai un’altra busta, c’erano dentro disegni a mano libera, appunti vari scritti di suo pugno e un altro biglietto su carta bianca: è forse questa che manca alla collezione di NickE?
Quel biglietto così semplice ed apparentemente innocuo era una vera pugnalata. Era tutto e niente. Tolsi il panno e mi ritrovai a contemplare un magnifico dobro, fatto a mano, in un unico esemplare, ne ero certo. Ed ora capivo perché fosse impossibile capire dove fosse stato acquistato; semplicemente perché quella chitarra era di Alice. La studiai in ogni minimo dettaglio. Era perfetta. Lo sapevo già da prima, ma ora ne avevo le prove, Alice era la migliore. E anche se avevo combinato un pasticcio non potevo perderla così. Chiamai subito la responsabile della comunicazione e del marketing. E dopo aver sudato freddo per una decina di minuti, ottenni ciò che volevo.
Poi presi il telefono e feci quello che dovevo fare da giorni.
“Ciao mamma!”
“Nick sai quanto mi preoccupo se non ti fai sentire per più di due giorni!”
Era giustamente arrabbiata.
“Arriverò stanotte”
“Ok allora a più tardi” mamma era arrabbiata, ma io non avevo finito.
“Mamma, ho bisogno di un consiglio.”
E per la prima volta parlai a qualcuno di quello che avevo combinato.
“Nick posso dirlo apertamente che ho un figlio deficiente? Ma come hai potuto fare una cosa del genere?”
Aveva ragione e non avevo scusanti.
“Mamma, non so cosa devo fare.”
“Tanto per cominciare dovresti chiamare Tim, non credi? Sai è passato di qua l’altro giorno. Mi ha portato i saluti di Alice, ma lei è da un pezzo che non la vedo. Ora capisco perché…”
Dopo una decina di interminabili minuti, lasciai una madre furibonda e mi preparai mentalmente al secondo round.
Tim avrebbe vinto a mani basse.
“Tim disturbo?”
“Finalmente. Ce ne hai messo di tempo!”
Tim sapeva? Provai a sondare il terreno.
“Non avevo il coraggio di chiamare.”
“Nick hai bevuto?” un po’…
Effettivamente già al telefono con Eloise mi ero dovuto scolare un bel bicchiere di rhum per raccontare tutti i dettagli.
“E’ da settimane che non ti sento. Tutto bene?”
Oh merda, allora Alice aveva mantenuto la promessa.
“Non bene Tim, è da un po’ che mi porto dentro un segreto che mi costerà moltissimo.”
Mio cugino aspettava paziente.
“Ho baciato Alice.”
Silenzio. Ti prego Tim dimmi qualcosa!
“Razza di cretino… - eccolo che partiva, e a ragione -
e me lo dici così?”
“Tim è stato un attimo di rincoglionimento e lei non ha risposto, ti ama è evidente e io sono un totale coglione.”
“Sì Nick te lo sei detto da solo! Sei un coglione, ma non perché hai baciato la mia ragazza.”
Ma cosa stava blaterando?
“Ti sembra il modo di affrontare la vita, ne baci una e poi torni con quella svampita che ti sta solo usando?”
Tim era incazzato, non per il fatto che avessi baciato Alice, ma per il fatto che stessi con Zophy?
“Tim non mi vuoi uccidere?”
“Sì che lo farei, ma perché sei un tordo totale! Hai ricevuto la chitarra?”
Tim sapeva della chitarra…ovvio tra fidanzati non ci sono segreti…a parte un bacio non corrisposto, forse.
“Sì e non so che dire.”
“Sai quanto ci ha lavorato?”
Dagli appunti che mi aveva spedito avevo notato che il primo bozzetto era di quando era uscito il mio primo cd, l’ultimo di pochi giorni prima. In totale 14 mesi.
“Molto.”
Molto era riduttivo, sapendo che nel frattempo aveva lavorato anche al pianoforte di Phil e a mandare avanti il negozio.
“Sai dire solo quello? Se ti dicessi che la prima “versione” è stata distrutta quando sui giornali è stata data conferma del tuo ritorno con Zophy?”
Ero senza parole. Quello non me lo sarei mai aspettato.
“Ma Tim, tutto questo non ha senso.”
“E se ti dicessi che Alice non è più la mia ragazza?”
Improvvisamente mi sentivo morire di nuovo per poi rinascere. Volevo saperne di più.
“Da quando?”
Non c’era traccia di sofferenza nella sua voce.
“Dalla sera stessa in cui l’hai baciata! Ma se posso dirla tutta, non te la meriti una come lei. Mai una telefonata, mai niente che potesse smentire le voci che fosse tutto vero.”
Ma come potevo tartassarla, se aveva scelto Tim?
“Tim non lo sapevo.”
“Lo so, ma hai mollato subito senza far nulla.”
Aveva ragione.
“Come sta?”
“Bene. Stasera suona con Phil.”
“Che cosa?” non avevo più notizie di casa da troppo tempo.
“Se prendi il prossimo aereo forse riesci ad arrivare in tempo.”
“Grazie Tim.”
“Entra dall’uscita sul retro così non ti vedrà nessuno. Troverai Vic che ti dirà dove andare. Al non sa nulla. E tu non farai nulla. Solo volevamo non ti perdessi lo spettacolo”.
Non diedi spiegazioni, non presi nulla, se non la chitarra che mi aveva spedito lei e volai di corsa verso l’aeroporto lasciandomi alla spalle scatti ad ogni angolo della città. Ma non me ne fregava nulla di cosa avrebbero scritto. Avevo fretta.
Arrivai che era già buio in sala e, come annunciato, trovai Vic ad indicarmi il posto. Era arrabbiata anche lei. Mancava solo Mary all’appello e poi avrei raccolto l’en plein di dissensi.
Il teatro era pieno di persone. Non mi interessava molto di sentire Phil, per carità un grande, ma il mio cuore galoppava verso l’ignoto, aspettando lei. Una voce presentò l’evento di beneficienza, poi arrivò il grande ospite. Fu rapido nel presentare la serata, ma poi si emozionò anche lui, quando si alzò il sipario e tra le luci brillò il pianoforte di Alice.
“Ci tenevo a ringraziare Alice per aver reso possibile questa serata; sentirete molto parlare di lei e non solo per la sua bravura, ma anche perché ha reso speciale questo concerto, ancor prima del suo inizio. Diamole il benvenuto con un applauso perché ha acconsentito di rendere ancora più viva questa serata e perché ha già dichiarato che mai più si esibirà in pubblico.”
La sala rideva e applaudiva. Io ero incollato alla poltroncina di velluto, le mani un lago di sudore.
Cercai gli occhi di Vic, ma non mi degnò di uno sguardo; la sua poltrona era vuota. Nel posto dopo invece Tim mi sorrideva. Dalla quinta destra ne uscì una figura minuta, solo lei poteva vestirsi così, l’avevo appena immaginata in un vestito da sera, ma stupì tutti vestita al pari di Phil, anche se l’effetto era decisamente più sexy, almeno per me. Dio quanto mi era mancata quella piccola donna.
Jeans aderenti strappati e camicia hawaiana aperta su un top bianco. Infradito bianche, su una pelle abbronzata. I capelli le ricadevano morbidi sulle spalle. Sembrava una bambina; ancor di più quando fu travolta da tanti piccoli urlanti che cercavano di disporsi ordinatamente sul palco. Phil cominciò con un medley dal musical Tarzan, fu un vero spettacolo per il pubblico, ma la mia attenzione era tutta su di lei che faceva ora parte della coreografia. Un altro lato del suo splendido carattere; pur non volendo apparire spiccava tra tutti per la sua prontezza nell’aiutare i suoi ragazzi e mettersi in gioco con loro.
Calò il sipario. Ma io ne volevo ancora. Mi era mancata da morire. Ma quando il drappo rosso lasciò spazio al pianoforte di lei non c’era ombra. Guardai Tim, ma era concentrato sullo spettacolo, poi qualche “ohh” mi riportò sul palco. Un’altra coreografia, ma lei comparve dall’altra quinta. Stavolta i capelli raccolti in una treccia, senza camicia e con un paio di tacchi vertiginosi. Anche il top era sparito per lasciar spazio ad un bustino rosso porpora. Per quanto casual, faceva più effetto di un vestito di gran gala.

Avevo quasi paura che si capottasse dentro buca dell’orchestra tanto erano alti quei tacchi. Phil la stava invitando a venire al piano.
Fu un duetto sensazionale. E dire che non l’avevo sentita cantare, se non quella volta che urlava in negozio, sulle note di una mia canzone. All’epoca mi ero sbagliato a giudicarla anche in quello, perché ora che la sentivo davvero, aveva una voce celestiale.
Certo che, se la sua intenzione era quella di mantenere l’anonimato, doveva impegnarsi di più e sparire dalla faccia della Terra. Dopo quella performance sui giornali sarebbe venuto fuori di tutto e avrebbero fatto a gara per farla cantare di nuovo.
Poi invertirono le parti e Phil le lasciò suonare il piano. Era così emozionata che sbagliò due attacchi, ma i più non lo potevano sapere. Poi il concerto di Phil andò avanti come da programma. Prima della fine Vic tornò e mi fece uscire da dove ero entrato. Mi stava vietando di raggiungere Alice.
E a me non restava quindi che tornare a casa e meditare in fretta su cosa avrei dovuto fare.
Il giorno dopo mi presentai in negozio. Ma Alice non c’era.
“Tu devi essere Nick.”
Sapeva chi ero, ma cercai di lasciarlo fare. Si vedeva che stava giustamene interpretando la padre del padre arrabbiato
“E lei è sempre Ray.”
Ero in imbarazzo; quanto ne sapeva suo padre?
“Alice oggi non viene. Si è presa un giorno di ferie.”
Io però sarei partito di lì a poche ore, anche se sarei tornato l’indomani. Avrei passato a casa quattro giorni prima di partire per le nuove riprese.
Non volevo perder tempo, anche perché non avevo tempo. Come un cretino mi resi conto solo allora che non sapevo nemmeno dove abitava.
E ancora più in imbarazzo chiamai mio cugino.
“Nick sembri sconvolto.”
Rideva; buon per lui.
“Mi sento un completo idiota Tim, chiamo te perché lei non è in negozio!”
“Ultimo piano in Via dei cedri, aspetta che esca Mary. Dovresti trovare l’appartamento libero.”
Sembrava un complotto e ringraziai Tim per la soffiata; Mary proprio non la volevo affrontare.
Anche perché con lei in casa mi sarebbe stato impossibile parlare con Al.
Per un caso fortuito vidi Mary uscire dal palazzo e mi precipitai dentro prima che il portone si richiudesse; stavo improvvisando sperando di non combinare ancora errori e di avere una fortuna inaspettata.
Suonai il campanello.

 

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Capitolo 11
*** Inaspettatamente tu ***


11. Inaspettatamente tu

Strano che Mary si fosse dimenticata le chiavi, era di fretta e conoscendola avrebbe sfondato la porta pur di non consumare il campanello. Ero ancora frastornata dalla sera prima.
“Mary che hai scordato?”
Inutile dire che ero in uno stato impresentabile. Mi ero alzata dal letto pochi secondi prima e stavo aprendo a mia sorella. Ci volle del tempo prima che il mio cervello registrasse che di fronte a me c’era Nick e che gli stavo offrendo una versione di me quanto meno imbarazzante. Gli chiusi la porta in faccia e mi nascosi in bagno, come se lui potesse raggiungermi. Stava suonando con più insistenza. Mi misi addosso la prima cosa che mi capitò per le mani: la vestaglia di Mary appesa in bagno, facendo forse peggio, viste le trasparenze, ma almeno lo feci smettere di prendere a pugni la porta di casa.
“Aspetta qui”.
Tornai in cucina dopo pochi minuti in tuta e col cappuccio in testa. Forse avevo esagerato…di nuovo.
“Alice.”
Non ero intenzionata a lasciarlo proseguire.
“Nicholas. Come mai da queste parti?”
“Sai ho saputo di un concerto per piano e non potevo fare a meno di perdermelo. Sei stata grande.”
Quindi era lì per farmi i complimenti.
“Beh ho steccato un paio di volte, ma alla fine in qualche modo è andata. Sono contenta che ti sia piaciuto.”
Ma sarei stata più contenta se se ne fosse andato via. Nick però non dava segno di volersene andare.
“Senti Alice sono passato perché volevo…”
Voleva chiedermi di nuovo scusa?! Lo bloccai.
“Nick è tutto a posto Tim ha capito. Sai non sono riuscita a non dirglielo, tu non ti facevi più sentire e io non potevo nasconderglielo. È tutto a posto, puoi chiamarlo, non ce l’ha con te.” Sembrava deluso.
“lo so, l’ho già chiamato. È come hai detto tu. Quindi, credo sia tutto. Ancora complimenti.”
E se ne andò via. Perché mi sentivo avvolta da un senso di tristezza? Era quello che volevo, liberarmi di lui. Poi mi chiesi da chi avesse avuto il nostro indirizzo.

Feci le mie indagini, forse risultando una pazza furiosa. Ma alla fine…
“Non ci posso credere: Tim!”
Vic stava cercando di fornire una scusante al suo ragazzo, ma io avrei voluto ucciderlo. La mia amica mi promise che avrei avuto una chance quella sera al cinema. Non sapevo cosa saremmo andati a vedere, ma sembrava che lo sapessero tutti tranne me.
“Al sei pronta?”
Che compagnia di pazzi! Stavamo per festeggiare il mio ventitreesimo compleanno al cinema. E per assecondare il mio umore eravamo tutti in tuta. E manco a dirlo tutti gli altri ci stavano guardando storto. Il cinema era pieno. Proiettavano tre spettacoli e uno era un concerto di NickE. Caspita era da un po’ che non seguivo le sue interviste. C’era una folla urlante. Credo che volessero strapparsi i biglietti di mano, ma noi procedemmo verso la sala dove davano un vecchio musical.
Fine del mistero.
“In che fila siamo?”
Eravamo ridicolmente disposti come in un trenino, io alla locomotiva, alla ricerca dei nostri posti, ma con mio sommo stupore Vic mi sospinse verso l’uscita laterale per poi farmi correre verso la sala dove stavano comparendo già i tioli iniziali.
Che amici di merda a portarmi a vedere, anche se solo sul grande schermo, l’unica persona che non volevo vedere mai più.
Era un evento speciale che inaugurava la promozione del suo nuovo cd. Pieno riserbo sulle nuove tracce, ma lo spettacolo raccoglieva i video girati nei vari locali, più alcune nuove interviste. Vederlo sul grande schermo faceva male perché mi ricordava la conversazione di quella mattina. Di come se n’era andato, del fatto che avessi mentito su Tim, mente avrei voluto riempirlo di insulti per essere tornato con Zophy. Terminato lo spettacolo, prendemmo le nostre cose pronti per uscire, quando alcune fan bene informate urlarono.
“Ferme tutte, non è ancora finito!”
Ci girammo anche noi quando il conto alla rovescia sullo schermo era a 2, poi comparve un sorridente NickE.
“Ciao a tutti e grazie per essere passati in questa sala; grazie perché è la prima volta che canto in un cinema.”
Era imbarazzato in un modo troppo dolce e mi prese una fitta al cuore. Gli altri si erano tornati a sedere, io mi ero accasciata sugli scalini. Tutte le emozioni trattenute decisero di scoppiare lì in quella sala e mi ritrovai a piangere mentre il video continuava.
“Il montaggio è stato rivisto in tempi record, perché ci tenevo a mandarvi questo videomessaggio, anche perché ormai si avvicina il mio primo vero concerto e volevo darvi una piccola anticipazione.” Schioccò le dita nella nostra direzione facendoci l’occhiolino e partì una base country.
Nick cantava in primo piano, ma quel suono era inconfondibile. Mi mancava l’aria. Due minuti dopo sul più bello Nick smise di suonare e comparve un microfono.
“Nuova chitarra NickE?”
“Oh sì Janet, non è uno splendore?”
E l’inquadratura allargò sul mio dobro. Ma quando aveva avuto il tempo di girare quel video?
Senza aspettare la domanda successiva Nick informò tutti i presenti in tutti i cinema del Paese che quella chitarra era un regalo di una sua fan e che non sapeva come questa fosse riuscita a scoprire il fatto che lui conosceva la liutaia che l’aveva realizzata.
Sì perché quella era una chitarra unica nel suo genere, fatta apposta per lui e fece notare le sue iniziali intarsiate sullo scintillante oblò. Se ne era accorto…
NickE stava ringraziando tutti sperando che non avessero rimpianti per aver speso i soldi del biglietto. Ne avevo abbastanza e corsi fuori.
Non fu il braccio di Tim a raggiungermi, ma quello di Alec.
“Alice hai intenzione di disertare la tua festa di compleanno?”
“E me lo dici proprio tu che ancora non le hai dato l’anello?”
Era un colpo molto basso, ma Alec mi lasciò sfogare, mente gli altri ci raggiungevano. Misi su un finto sorriso. Alec però aveva ragione.
“Allora che si fa ora?”
“Discoteca?”
“In tuta?!”
“Al diavolo i cliché.”
Andammo a ballare e mi abbandonai ai ritmi folli dimenticandomi del cinema, dimenticandomi di tutto quello che mi girava intorno e che mi vorticava nella testa.
La mattina dopo, dopo solo due ore di sonno mi svegliò Ray al telefono.
“Sei in ritardo.”
“Pa’ ho bisogno di dormireeeeee.”
“C’è un cliente che vuole te, lo manda Phil.”
Merda!
“Arrivo, dammi mezz’ora.”
Mi lavai in fetta e mi vestii come al solito. Anche se lo mandava Phil non dovevo certo accoglierlo con tacchi a spillo e tailleur. Arrivai coi capelli bagnati che mi inzuppavano la camicia e mi sgocciolavano sul top; per fortuna qualche spiritello saggio mi aveva detto di metterne su uno di grigio scuro e non bianco, evitando così di collezionare un’altra figuraccia, visto che i capelli sgocciolanti avevano già lasciato sulla stoffa una macchia scura.
“Ray ci sei?”
“Sì siamo di qua”.
Ma quando andai nel retro la sagoma di Ray scomparve dall’uscita secondaria per lasciarmi di nuovo da sola con Nick.
Quel ragazzo sapeva proprio essere un rompi balle.
“Nick ti ho visto al cinema ieri.” tanto valeva prendere la situazione di petto e parlarci un po’ assieme.
“Non credevo ci saresti andata.”
“Beh si dà il caso che i miei amici mi abbiano voluto fare una sorpresa per il mio compleanno.”
E adesso cosa avrebbe detto?
“Un regalo poco gradito a quanto pare; forse posso rimediare io.” Ed estrasse un piccolo pacchetto; pensavo di metterlo in difficoltà, invece era preparato. Ma come diavolo faceva a sapere che avevo compiuto gli anni? Decisamente mi coglieva di sorpresa. Decisi di giocare sporco, di nuovo.
“Senti Nick, Tim sarà qua a momenti e sono parecchio occupata. Quindi dimmi perché sei venuto qui in negozio, problemi con la chitarra?”
Era diventato serio e si era avvicinato a me, anche se manteneva una certa distanza di sicurezza.
“Come avrai sentito tu stessa, con quella non ci sono problemi, ma ne ho con chi l’ha costruita.”
Ahhhh…
“Tipo?”
Ora sì che stava perdendo la pazienza.
“Tipo che sai essere esasperante Alice, tipo che vuoi farmi credere che stai ancora con Tim quando non è vero!”
Lo sapeva… e adesso che gli dicevo? Optai per la verità.
“Perché sei qui Nick? Immagino che Zophy ti stia aspettando in qualche albergo, quindi perché sei venuto a perdere tempo con me, con il tuo teatrino sul regalo di compleanno?”
Era visibilmente frustrato e stava per andarsene.
“Forse perché non c’è nessuna Zophy.” non c’era Zophy.
“Forse perché ho fatto passare troppo tempo quando invece mi mancava questo.”
Mi ero persa il passaggio, forse perché stavo guardando in basso per evitare di vederlo uscire per sempre dal mio negozio, quindi fu una sorpresa sentire le sue mani alzarmi il volto per poi essere avvolta dalle sue labbra. Quella volta però non c’era Tim a salvarmi e tutto quello che pensavo era solo un: non farlo Alice, soffrirai molto di più se ti lasci coinvolgere così.
Sentivo che Nick stava per andarsene e malgrado il mio cervello lottasse contro di me le mie labbra si dischiusero e risposi al bacio. Posò la fronte sulla mia.
“Sono stato un completo idiota e mi sei mancata troppo Alice.”
Non ero pronta per le dichiarazioni.
“Nick, forse è meglio non correre troppo.”
Mi costava mantenere le distanze, ma ero terrorizzata. Se avessi detto di sì mi sarei ritrovata in un mondo sconosciuto fatto di gente folle ed impazzita, di notorietà e regole che non volevo e soprattutto di apparenze da mantenere.
Anche se oggi non c’era Zophy, chi mi garantiva che per una scelta di marketing gli organizzatori vietassero a Nicholas di uscire con me perché era più seducente con al braccio la modella di turno?

Ci lasciammo malissimo. Sul bancone il suo numero di cellulare, come se fossi una persona qualunque, anche se prima di uscire mi aveva baciata di nuovo e io non mi ero opposta.
Ray ebbe la decenza di non tornare in negozio, ma io gli lasciai un messaggio al vetriolo in segreteria telefonica.
Poi agendo del tutto avventatamente chiusi il negozio e mi fiondai al supermercato. Misi nel carrello una spesa enorme quanto improbabile e mi diressi alle casse, impaziente di pagare.
“Al sei sicura di comprare tutta questa roba? Pare che tu sia in partenza per un lungo viaggio.”
“Vic, mi ha baciata, l’ho baciato, ci siamo baciati.”
Intanto la spesa procedeva inesorabile sul nastro scorrevole.
“Allora auguri e figli maschi.”
Mi stava forse prendendo in giro?!
“Viiiiiic, ma questa è una cosa terribile!”
“Non vedo come possa esserlo; lui ti ama tu lo ami…”
“Ma è proprio questo il punto lui non mi ama!”
“L’ha detto esplicitamente?”
“No non l’ha detto. Mi ha lasciato il numero di telefono perché era di fretta. Dopodomani parte di nuovo per tre mesi e io sono in un casino totale.”
“Sono 239 e 65 dollari.”
“Vic sai dirmi solo questo?”
Intanto la fila cominciava a sbuffare dietro di me.
“Purtroppo sì Al. Se li faccio aspettare ancora questi mi ammazzano. Ma tu chiamalo. Non perdere tempo.”
Oh no, non avrei chiamato Nick. Anzi. l’avrei fatto solo se Alec lo avesse fatto! Mi sembrava una cosa equa, mi sarei umiliata davanti a Nicholas Easter solo se lui finalmente si fosse deciso a dare quello stramaledetto anello a Mary.
“Alec?”
Accidenti lo stavo disturbando.
“Pronto?”
Se faceva finta di non riconoscere l’interlocutore poteva voler dire solo una cosa e infatti riconobbi i grugniti di mia sorella. Che imbarazzo. Misi giù senza continuare. Dovevo aver perso proprio la testa.
E mi trovai a girovagare con il carrello del spesa nel parcheggio del supermercato. Porca paletta i surgelati! Corsi a casa e mi accorsi solo in quel momento che Vic aveva ragione. Avevo fatto una spesa assurda e solo per avere più tempo da passare in cassa a parlare con la mia amica.
Avevo seriamente un problema.
Per certi aspetti era un gran bel problema, ma porca miseria perché dovevo andare ad innamorarmi di Nicholas Easter? Ecco, l’avevo pure pensato.
Lo ripetei ad alta voce
“Sono innamorata di Nicholas Easter!”
E non era possibile che lui mi ricambiasse. In fondo era solo passato in negozio; che gli mancassi non voleva dire proprio nulla. Mi feci forza e composi il numero, ma al terzo squillo buttai giù.
Se voleva sapere chi lo disturbava avrebbe richiamato, o no?.
Ma non mi cercò per tutto il giorno. E io non lo richiamai.
Forse era impegnato o forse semplicemente si era reso conto che ero soltanto una perdita di tempo.

IL GIORNO DOPO
Bel modo di passare il tempo. Il negozio era deserto e io strimpellavo pateticamente su una delle chitarre in esposizione.
“J credi che sia possibile sentire qualcosa di decente?”
non risposi nemmeno, ma lo accontentai nonostante fossi ancora arrabbiata con lui per lo scherzetto del giorno prima. E quello fu l’inizio del peregrinar dei miei pensieri; pensai a tutti i miei momenti con Nick, a quello che non era successo e che invece avrei voluto ci fosse stato.
Smisi di suonare solo quando Ray mi mise una mano sulla spalla.
“E’ molto bella e molto triste.”
“Credo che chi l’ha composta avesse altre intenzioni, ma evidentemente non è un bravo compositore.”
Quella musica era mia.
“Forse chi l’ha scritta aveva solo paura di accettare la realtà.”
Oh papà.
“O forse semplicemente non era destino.”
“Alice, non è solo per questi ultimi giorni; ti guardo lavorare e all’apparenza è come sempre, ti dedichi anima e corpo a ciò che fai, poi però in alcuni momenti esonda una tristezza infinita. E guarda caso centra sempre quel Nicholas.”
Oh papà…
“Si vede così tanto?”
“Forse perché è tanto evidente quanto è grande il tuo sforzo per evitare di lasciarti coinvolgere da lui. Ma è chiaro a tutti tranne che a te che l’unica soluzione che ti rimane è quella di dargli una possibilità”.
Era a prima volta che Ray mi dava un consiglio d’amore. E forse per una volta avrei evitato di fare la ragazzina cocciuta.
Aspettai comunque l’orario di chiusura, anche se stavo perdendo del tempo prezioso. Poi senza essere invitata mi diressi verso casa di Nicholas.
“Alice bentornata!”
“Ciao Eloise, c’è Nick?”
Sembrava raggiante, che sapesse qualcosa?
“No, non è in casa.”
Che delusione, ma in fondo c’era da aspettarselo.
“Puoi dirgli che sono passata a trovarlo?”
“Certo cara, ma sei sicura che non vuoi entrare? Mi farebbe piacere offrirti un caffè.”
Al diavolo tutto. Accettai.
E mi ritrovai a parlare del più e del meno con sua madre. Anche lei mi fece i complimenti per la chitarra che avevo fatto per suo figlio, senza aggiungere altro. Mi chiese di tutti i dettagli, affascinata dal fatto che originariamente avessi pensato ad un altro modello, ma che poi vedendo la collezione del figlio avessi cambiato idea. Ovviamente avevo omesso tutti i particolari sul mio stato d’animo e sull’idea di bruciare la chitarra liberando un urlo a squarciagola intorno ad un bel falò.
“Eloise, forse dovrei andare.”
Anche se era bello parlare con lei rischiavo di incontrare Nick. È vero ero venuta per lui, ma ora non mi sembrava più una buona idea elemosinare la sua attenzione.
Stavo uscendo quando me lo ritrovai di fronte.
“Nick che ci fai qui?”
Che domanda idiota. Per fortuna rideva.
“Per quanto poco qui ci abito. E tu?”
Attendeva una risposta.
“Mi chiedevo se avessi ricevuto la mia chiamata.”
Ma quanto potevo essere stupida?
“In effetti qualcuno ha chiamato.”
“E tu non richiami mai per sapere chi ti cerca?”
“Diciamo che non do il mio numero privato a molte persone…”
“Quindi sapevi che ero io e non hai richiamato?”
Ero in diritto di arrabbiarmi e di fare l’indignata dopo che lo avevo quasi cacciato dal mio negozio?
“Lo sai che sei adorabile quando ti arrabbi?”
Che faceva flirtava?
“Ok Nick me ne vado.”
“Aspetta Alice. In realtà non volevo farti arrabbiare, e… per il telefono mi dispiace, ma volevo vedere se avresti richiamato.” Ottimo! Aspettavamo tutti e due la stessa cosa.
Quella storia non sarebbe mai decollata. Però mi pesava andar via così…
“Domani parti?”
“Sì ma torno presto e vorrei che ti fermassi a cena da noi stasera.” Ah. Quello sì che era un piacevole, quanto inaspettato, cambio di programma.

Eloise fu bene contenta di avermi come ospite anche se restò con noi solo il tempo della cena. Quella presenza discreta mi metteva comunque in soggezione, anche perché sembrava che il bacio al negozio fosse per Nick solo un lontano ricordo.
Cercai di stemperare la tensione e dar sfogo ad una piccola curiosità.
“Avevi sul serio un regalo per me o era tutta una messinscena?”
Era divertito.
“La seconda che hai detto.”
Che attore consumato.
“Eppure il pacchetto c’era.”
Si alzò per poi scartarlo sotto ai miei occhi dopo averlo preso dalla credenza.
Ci rimasi malissimo; era il pendente che gli avevo regalato. Inaspettatamente si fece vicino e mi sentii avvampare.
“Quando ho combinato quel casino in negozio, non ho avuto più il coraggio di metterlo e dopo il biglietto che mi hai mandato ho deciso che l’avrei indossato di nuovo solo se fossi stata tu a rimetterlo al suo posto.”
Cosa stava cercando di dirmi?
Senza domandare oltre non esitai a riallacciare il gancetto e a sistemargli il plettro d’acciaio tra le clavicole. Era la prima volta che avevo l’occasione di avvicinarmi volontariamente a lui e di toccarlo.
Mi prese le mani e le intrecciò alle sue. La tensione stava accumulandosi tutta in basso e mi rendeva la mente pesante ed annebbiata. Ma forse non era quello che Nick voleva, perché mi invitò nella stanza della musica. Voleva sfidarmi come durante la sua festa di compleanno a sorpresa. E così mi persi a sentirlo amoreggiare col pianoforte. Era una sfida consensuale, lui sceglieva gli strumenti e io rispondevo. Avrebbe comunque vinto lui, visto che io non sapevo usare fiati e percussioni. Ad un certo punto mi passò una delle sue acustiche preferite. Era un onore per me poter mettere le dita sulle stesse corde suonate da Nick e cominciai a suonare persa nel mio mondo.
“E’ molto bella e molto triste” oh un dejà vu
“Credo che chi l’ha composta avesse altre intenzioni, ma evidentemente non è un bravo compositore.”
“Però è un gran bel compositore.”
Dovevo andarmene da quella casa.
Se ci fossi rimasta un minuto in più sarei crollata e avrei acconsentito a qualsiasi cosa pur di stare con lui.
Lo raggiunsi al pianoforte e lo abbracciai da dietro.
“Devo andare Nick e tu partirai domani. Però spero di rivederti ancora.”
Perché suonava tanto come un patetico addio?
Stavo sciogliendo l’abbraccio quando fece ruotare lo sgabello e mi strinse delicatamente per la vita.
“Puoi giurarci Al, anche perché questo, almeno per me, è solo l’inizio.”
E senza chiedere il permesso mi sollevò in braccio e mi depositò sul pianoforte. Quella fantasia mi aveva perseguitata per qualche notte, ma mai aveva raggiunto quella perfezione.
“dio Al, non sai quanto ho invidiato mio cugino quando quella sera vi ho visti in cucina.”
Perché quella frase, potenzialmente imbarazzante era in realtà così eccitante?
No, no era tutto perfetto e tutto sbagliato, non volevo che finisse prima ancora di cominciare!
Non volevo lasciarmi andare per poi doverlo lasciar andare.
“Nick ti prego, fermati.”
E lui si fermò e troppo cavallerescamente non disse nulla.
Invece mi augurò la buona notte alla porta e mi diede un bacio. Poi chiamò per sapere se ero arrivata a casa sana e salva.
Prima di addormentarmi gli scrissi un messaggio “so che è stupido da dire, ma vorrei che non partissi domani.”
Mi sorprese ancor di più però la sua rapida risposta.
“So che è idiota chiederlo per messaggio, ma vorrei che fossi la mia ragazza.”
Accidenti! Nicholas Easter mi aveva chiesto per messaggio di diventare la sua ragazza!
Per quanto sciocco mi addormentai felice, col telefono tra le braccia senza mandargli una risposta.
Le urla di Mary mi perforarono i timpani
“Non ci posso credere il nostro divino ammoreee ti ha chiesto di diventare la sua ragazza!!!”
“Mary ridammi il telefono! Subito!”
“L’avete fatto? E dimmi lui com’è?”
“Mariiiii!!! Nemmeno fosse l’ultima cosa che faccio prima di morire ti direi com’è Nick a letto!”
“Ok non l’avete fatto. Ma lo farete…presto.”
Pur di non sentirla oltre andai a chiudermi in bagno. Erano le 6 di mattina e suonarono alla porta.
Chi poteva essere? Mary non parlava. Quindi poteva essere solo Alec, solo in quel caso la bocca di Mary era cucita perché impegnata a stargli appiccicata come una cozza.
Anche se Alec ormai era di famiglia, non mi piaceva girare in mutande con lui per casa, quindi indossai una canotta e degli shorts un po’ troppo shorts. Ma Mary era imbambolata davanti alla porta e di fronte a lei c’era un super sorridente Nick che mi guardava da sopra la spalla di mia sorella.
“Quando Mary smetterà di stupirsi vedendomi, avrò seri problemi nel riconoscere la sorella giusta.”
Mi si scaldava il cuore a sentirlo dire quelle cose, eppure non era sufficiente per farmi stare tranquilla. Nonostante il mio cuore fosse in tumulto, scansai Mary e feci entrare Nick chiudendo la porta dietro di noi e dandogli, contro ogni logica, un più che caloroso bacio di benvenuto.
Ero in conflitto con me stessa e mi detestavo perché mi stavo comportando in maniera del tutto inaspettata e fuori luogo.
Mary si dileguò.
“Se sapevo che al mattino sei così espansiva evitavo di passare in negozio l’altro giorno.”
Che stupido.
Mi sventolava sotto al naso due brioche ancora calde.
“Ehi ma non dovresti essere in volo?”
“Sì, ma ieri sera mi hai lasciato senza risposta.”
Ah già, la proposta.

NOTE:
Eh già, la proposta.... : )

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Capitolo 12
*** Mai avrei creduto di cambiare idea ***


12. Mai avrei creduto di cambiare idea

“Ti arrabbieresti molto se non rispondessi oggi?”
Temevo di farlo impazzire e che alla fine si sarebbe stancato di me.
“Al, guardami. Credo di capire le tue paure. Facciamo un accordo. Sai che starò via per i prossimi tre mesi… ecco, avrai tre mesi di tempo per riflettere se vale la pena di rischiare con me. Che ne dici?”
Mi concedeva del tempo, ma era veramente quello che volevo?
“Affare fatto”.
Però mi piaceva baciarlo e gli rubai un piccolo bacio.
“Quando parti?”
“Se non voglio far impazzire i produttori e il mio manager dovrò imbarcarmi entro domani sera. Non so come hai fatto signorina Cooper, ma grazie a questo inaspettato cambio di programma, stasera vorrei invitarti ad un concerto”.
Sapevo cosa voleva dire.
“Uhhhh le tue fan mi adorerebbero!”
“E tu?”
Avevo intuito che la domanda fosse un’altra, ma decisi di continuare a mantenere un tono di conversazione il più leggero possibile.
“Potrei adorarmi anch’io per questa sorpresa.”
Lo feci ridere. Era bello come il sole.
Improvvisamente ricomparve Mary.
“E’ zona franca ora o devo starmene in camera ancora per qualche ora?”
Mary, la solita esagerata. Nick la invitò al concerto e poi lo fece anche con Vic, Alec e Tim. Chissà se un giorno alla sua festa di compleanno ci saremmo stati anche noi assieme ad Eloise, Sarah e i suoi due amici del cuore.

QUELLA SERA…
Fu emozionante e strano lasciarlo entrare dal retro del locale e guardarlo assieme ai miei amici mentre il pubblico, quasi esclusivamente donne urlanti, se lo mangiava con gli occhi. Una ventata di gelosia, mi fece vacillare. Avrei voluto dire a tutti che quel ragazzo era mio. Ma in realtà non lo era. Forse tra tre mesi, se solo si fosse sbilanciato un po’ di più; se solo mi fossi buttata nel vuoto. In fondo che promessa era per una star baciare la prima ragazza che gli capitava a tiro? Cercai di non pensare e di godermi lo spettacolo.
“Salve gente!”
Fui sommersa da urla e frasi oscene, tanto che in quel momento mi vergognai di far parte del genere femminile.
“Allora, come molti di voi sapranno starò lontano da casa per le riprese del prossimo film, ma poi abbandonerò le scene per un tour promozionale e spero di ritrovarvi tutti ai miei concerti.”
Boato assordante.
Quelle urla mi fecero scendere i brividi di terrore lungo la schiena. Non ce l’avrei mai fatta a far parte del suo mondo.
“Ora, prima di sentirvi cantare, volevo raccontare una cosa per chi non è andato al cinema in questi giorni…”
E mostrò a tutti la chitarra che gli avevo regalato.
Ero io la fan di cui parlava. Cosa sarebbe successo se avessero saputo che ero lì tra loro?
“…E per ringraziarvi di essere qui numerosi, anche se non posso svelarvi altro, ecco a voi un inedito. La musica non è mia, ma non ho potuto fare a meno di metterci le parole. Spero che chi l’ha scritta non si offenda. Ti amo.”
Di colpo avevo gli occhi dei miei amici puntati addosso e la voce di Mary e Vic nelle orecchie.
“Ha detto che ti ama?!”
Ma io ero completamente in balia della sua musica, la mia musica, rivestita delle sue parole (*)
[…]
Sapevo che non ti avrei dimenticato     
E così sono andato avanti           
ed ho permesso che tu mi sbalordissi   
[…]Il tuo profumo in ogni singolo sogno che faccio         
[…]Sono così ossessionato         
Il mio cuore è legato al battito  
indefinito fuori dal mio petto   

[…] guardarti è la sola droga di cui ho bisogno   
[…] Tu sei la sola che sogno       
[…] Voglio che il mondo veda che tu sarai con me          

A parte il fatto che aveva imparato a memoria la melodia che gli avevo suonato solo la sera prima, continuavano a girarmi in un loop vorticoso nel cervello le parole che aveva scritto per me. Avevo bisogno di altre prove? Sì, avevamo sentito bene, prima di cantare aveva detto davanti a tutti che mi amava; ma anche senza quelle due magiche parole, il testo della canzone da solo sarebbe stato sufficiente ad aprire le orecchie ad un sordo.
Non avevo bisogno di altro se non che il concerto terminasse in quel momento. Ma si sa che chi ha ha fretta che arrivi qualcosa aspetta poi il doppio del tempo per averlo.
Quando anche le ultime irriducibili raccattarono dal pavimento le corde vocali ormai lise, riuscimmo ad avere un dialogo normale.
“Al a casa in frigo abbiamo delle birre per far festa!”
Festa?! Ah sì?! E perché io non ne sapevo nulla?
“Bene bene, allora ci vediamo tutti a casa. E cosa festeggiamo?”
“Un pianoforte ed una chitarra? Ci sa che tra poco firmerai autografi anche tu.”
Che simpaticoni.
Però sarebbe stato bello vedere Nick interagire coi miei amici.

Mi sentivo quasi la fidanzatina che aspetta l’amato sotto casa. Il locale era quasi vuoto e mi aspettavo che Nick comparisse da un momento all’altro come la prima volta che l’avevo visto cantare lì. Invece arrivò all’improvviso da dietro e mi baciò la guancia.
“Tim ha detto che ci aspettano da voi, andiamo?”
Come poteva far finta di nulla dopo quello che aveva detto su quel palco?
Mi faceva tenerezza vederlo doversi nascondere sotto il cappuccio della felpa per non farsi riconoscere, ma nonostante tutto mi stringeva la mano e il suo calore era stranamente famigliare, come se fossi da sempre abituata a quel contatto.
“Ehi ragazzi?” la casa era silenziosa. Mentre mi toglievo le scarpe per indossare delle più comode infradito, Nick si mise comodo sul divano, dove poco dopo lo raggiunsi. Mezz’ora dopo eravamo ancora da soli. Ma era piacevole stare con lui; in fondo avrei voluto passare così il resto della notte. Però mi dava fastidio quel ritardo. Andai in cucina e le birre erano effettivamente nel frigo.
“Ma dove si saranno cacciati?”
Presi quasi uno spavento quando mi ritrovai la faccia di Nick dietro al portellone di metallo.
“Davvero non l’hai capito?”
Dovevo avere una faccia veramente buffa se Nick sorrideva così.
Nick stappò una birra e po’ di schiuma mi cadde sul naso. Non pensavo che la cucina potesse trasformarsi in un forno. Le sue labbra succhiarono via la schiuma e mi baciarono il naso.
Forse cominciavo a capire.
“Allora che te ne è parso del concerto?”
Faceva l’innocente dopo aver attentato così alla mia salute? B-bene Nick giochiamo!
“Spettacolo interessante, nuova chitarra, canzone inedita….”
“E ti amo.”
Sì l’avevo sentito, ma continuai a stuzzicarlo, anche se avevo il fiato corto.
“Pubblico un po’ sopra le righe, impossibile raggiungere il bar…”
“Alice a volte sai essere veramente esasperante”
sembrava frustrato. Era giunta l’ora di porre fine al gioco e non potevo fingere con lui.
“Se ti dicessi che sono terrorizzata?”
“Ti faccio così paura?”
Di colpo mi stava stringendo tra le braccia, il sapore di birra sulla sua bocca.
Baciami Nick e non farmi più pensare!
“Più che altro mi spaventa a morte il tuo mondo, così diverso dal mio.”
“Beh hai sempre tre mesi per pensarci.”
Quindi adesso non mi bacerai più? Mi stringeva, ma non accennava a voler far altro. Mi stava lasciando la possibilità di prendere le mie decisioni.
Improvvisamente sentivo la stanchezza della giornata e delle emozioni della serata.
“Sei a pezzi Al e io tra poche ore ho un aereo che mi aspetta.”
Ti prego, non andartene Nick.
Ma mi diede un rapido bacio e se ne andò. Stappai un’altra birra e suonarono alla porta; era il turno di vendicarmi dei miei amici. Riempii un bel secchio d’acqua e feci scattare la serratura e SPLASH. Il secchio cadde ai piedi di Nick.
Merda, merda, merda.
Per fortuna dopo lo shock iniziale stava ridendo assieme a me. “Questo è decisamente il peggior appuntamento della mia vita!”
“Su entra ti porto un asciugamano.”

Lo stavo guardando mentre si asciugava i capelli, dio quant’era bello!
“Nick perché sei tornato?”
Volevo sentirmelo dire di nuovo.
“Per farmi fare un gavettone dalla ragazza più interessante del pianeta.”
Era divertito, io imbarazzata e lusingata.
“E qual è la risposta ufficiale?”
“Domani ho un’intervista.”
“E…?”
“Mi faranno domande di ogni genere e volevo sapere in caso cosa dovrei rispondere se mi chiedessero qualcosa di stasera.”
Stava giocando sporco, cercando di estorcermi una risposta. Guastafeste. Ero già decisa a porre fine alla mia sofferenza, ma volevo fargli una sorpresa.
Era così scontato dirgli di sì dopo una dichiarazione così pubblica.
“Sai Nick io sarò anche esasperante, ma tu mi rovini le sorprese!” Era perplesso.
“Sai avevo intenzione di mandarti un mazzo di fiori in camerino con un biglietto di risposta. Avrei creato più pathos e…”
Nick mi stava baciando e, accidenti a me, non riuscivo a non rispondergli.
“E cosa avresti scritto?”
Ovviamente non gli avrei scritto quello…
“Non giudicarmi Nick.”
“Al, l’ho fatto una volta e me ne pentirò per tutta la vita.”
Dopo quelle parole lo trascinai in camera mia. Il fatto che fosse tornato indietro per chiedermi cosa avrebbe dovuto rispondere, lasciava trapelare tutta la sua insicurezza, eco della mia o forse addirittura la sorgente stessa delle nostre paure. E se lui aveva le mie stesse paure, forse era il caso di cominciare a non negare le poche certezze che avevo. Era innegabile che mi piacesse e che ormai non potessi evitare di far finta di non appartenergli completamente.
Avrei potuto continuare a stare avvinghiata a lui per tutta la notte, ma volevo che lui sapesse una cosa.
“Amore?”
“Ti prego dillo di nuovo.”
Gli risi sulle labbra. Non lo avrei accontentato.
“Nick?”
Il suo grugnito di disappunto ci fece tremare dalle risate.
“Volevo dirti che con Tim…”
La sua bocca mi riportò al silenzio sussurrandomi un dolcissimo “lo so”.

Una fitta di delusione mi risvegliò dopo poco tempo. Mi ero assopita tra le sue braccia ed ora mi lasciava avvolta nel tiepido lenzuolo
“Nick, dove vai?”
Era già vestito, ma era tornato per abbracciarmi.
“Credimi non uscirei mai più da questo letto, ma non voglio lasciarti da sola al tuo risveglio. Preferisco farlo ora.”
Che romantico il mio Nick.
“Vero che torni presto?”
Sarebbe stato via tre mesi e io odiavo le relazioni a distanza.
“Credo che li faremo impazzire.”
Ero quasi nel mondo dei sogni, ma cercavo di parlare ancora con lui.
“Chi?”
“Tutti.”
Sembrava felice.
Io ero felice.
“Ti amo Nick.”
“Anch’io Al.”

Note:
(*) adoro questo testo, che era perfetto così com’era, nonostante la traduzione un po' così. Non me ne vogliano i Train se Nick ha plagiato una loro canzone ; ) da lui però riproposta con sonorità blues.

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Capitolo 13
*** Per un poker di sì ***


13 Per un poker di sì

Piccola noticina: ci tengo a precisare che i pochi personaggi realmente esistenti che fanno da cornice a questa storia, vengono “usati” a loro insaputa e solo per mio diletto perché fanno un po’ parte di me. Mi piacciono come artisti, ho molti ricordi legati a loro canzoni/programmi ecc… e volevo facessero parte di questa mia fantasia. Se poi vi va di farmi sapere che ne pensate ne sarei felice, qualunque sia il vostro giudizio.
T.


IL GIORNO DOPO…
Eravamo tutti seduti sul divano, in diretta tv, per gli MTV music award, Josh Horowitz avrebbe intervistato la star Nicholas Easter. Nell’attesa avevamo finito le birre in frigo, mangiando pizza direttamente dai cartoni, tranne Mary che lamentava il fatto di dover restare in linea per la prossima parte che aveva appena avuto. Era la ventesima volta ormai che mi facevano raccontare dell’involontario gavettone a Nick ed ogni volta quando il mio racconto si interrompeva cominciavano i commenti goliardici.
Mary arrivò perfino a soffiarmi nell’orecchio “allora adesso mi dici com’è il nostro divino ammoreee a letto?”
“Nemmeno sotto tortura!”
In risposta lei mi diede il cinque.
“Grande sis’ così si fa!” Pessima e senza pudore! E poi da cosa l’aveva capito?
Ordinammo un altro giro di pizze che arrivarono immediatamente.
Tim si avventò affamatissimo verso la porta.
“Al?”
Mancavano spiccioli? Eppure avevo ricontato i soldi per tre volte, come sempre.
“Al, è per te.”
Andai alla porta e un fattorino mi fece firmare una carta per avermi consegnato una composizione di fiori a di poco singolare. Sembrava un paradiso terrestre e c’erano anche due tartarughe d’acqua. Solo una persona poteva avermi spedito quella “cosa” ed aver speso un sacco di soldi per avermi mandato un fattorino chiaramente oltre l’orario di chiusura dei negozi. Mi sentivo osservata, ma lessi tra me e me il biglietto: volevo farti una sorpresa prima dell’intervista. Immagino che per quando torno mi saprai stupire con i nomi.
Mi misi a ridere. Nick aveva già voglia di allargare la famiglia?
Misi le tartarughine nel lavello del bagno e raggiunsi gli altri che erano tutti pronti sul divano e la sigla partì. Mai avrei pensato di guardare un’intervista pensando che al di là dello schermo non vedevo soltanto la star che adoravo, ma il ragazzo che amavo. Chissà che domande gli avrebbe fatto Josh. Era il mio inviato preferito, ma comunque ero in trepidante attesa.
Tutti sgomitarono quando i riflettori si puntarono su un sorridente Nick. Il pubblico lo adorava. Io…beh io pendevo completamente dalle sue labbra. Tutto stava andando a meraviglia, Josh si stava dimostrando il più in gamba di tutti, teneva il pubblico incollato al televisore e le domande erano originali e intelligenti.
Poi il panico.
“Allora Nick i beninformati ci dicono che ieri sera hai dato un concerto a sorpresa.”
Caspita come volavano in fretta i rumors.
“Sì è vero. Mi piace fare sorprese ai miei ammiratori.”
“Pare che questa volta la sorpresa l’hai fatta anche a qualcun altro però.”
A chi si riferiva, non a me vero?! Noi ci eravamo tutti ammutoliti e stavamo incollati col fiato sospeso.
Ma Josh deviò sapientemente.
“Ma parlaci prima della tua nuova chitarra.”
Quell’intervista stava diventando un campo minato. Insomma involontariamente si parlava sempre di me. Ma Nick fu bravissimo nel rispondere.
“E dicci chi è la fortunata alla quale hai dedicato quella splendida canzone?”
Josh stava magistralmente giocando al gatto col topo e sullo schermo stava andando il video del concerto.
Era sgranato, ma si sentiva benissimo. E Nick era chiaramente in difficoltà. Josh però era abbastanza intelligente da capire quando evitare di mettere a disagio i suoi ospiti.
“Bene bene, sembra che questo mistero ci accompagnerà per molto tempo. E cosa ci puoi dire del nuovo cd?” fiuuuu.
“Aspetta Josh, così non mi dai modo di pensare alle risposte.”
La gente rideva divertita.
“Puoi darmi un secondo? non ti ho risposto ancora all’ultima domanda.”
Il presentatore era titubante, ma curioso. Io guardavo i miei amici aspettando di sapere cosa avrebbe fatto o detto Nick. Mary corse in bagno urlando.
“Ditemi se mi sto perdendo qualcosa di importante”
…il tempismo di mia sorella.
Nick stava telefonando in diretta?!
“Sis’ telefonoooo!!”
“Lascia che suoni! E torna qui!”
E infatti Mary tornò, ma col mio cellulare in mano che continuava a vibrare. Un attimo prima era sicuramente sul comodino.
“Sis’ forse è meglio che rispondi.”
Non guardai nemmeno di era. Ero paralizzata e guardavo lo schermo, dove la telecamera era puntata su un Nick mezzo allegro e mezzo preoccupato.
“Ma sei impazzito?”
Per fortuna nessuno, a parte i nostri amici accanto a me sentiva quello che gli stavo dicendo.
La voce di Josh mi arrivava forte e chiara.
“Qui la gente si sta chiedendo chi ci sia dall’altra parte del telefono.” Tutti attendevano.
Io nel frattempo decisi di andare a rifugiarmi in camera mia.
“Nick?”
“Metto giù?”
Era quasi comico.
“Perché hai chiamato?”
Dovevo toglierlo d’impaccio e non attesi la sua risposta.
“Passami Josh”
E lui lo fece!
Accesi la tv in camera proprio mentre il simpatico presentatore guardava curioso il display. Potevo solo sperare che avesse cambiato il mio nome, ma quella non era di certo una cosa studiata e io non sapevo se essere più preoccupata che Horovitz leggesse il mio intero nome di battesimo o se quel simpaticone del mio nuovo ragazzo mi avesse già registrata con un vezzeggiativo del tutto improbabile del tipo pucci pucci, micina, orsottolina, ecc….
Nick stava facendo un suo show del tutto personale e io stavo diventando paonazza.
“Interessante gente siamo in collegamento telefonico con AlL LOVE” Oh merda peggio che avesse scritto il mio nome completo. Nick rideva imbarazzato.
“Josh ti prego chiamami Al.”
“Al-leluja, una voce mi ha parlato! Abbiamo in collegamento una chiara e caliente voce femminile che dice di chiamarsi Al.”
“Josh puoi mettermi in diretta vivavoce, il tuo spettacolo rischia di raffreddarsi.”
Io ero percorsa da un rivolo di sudore ghiacciato.
“Oh mio dio gente, questa tipetta è veramente tosta, e uno due tre scoop”
E fui catapultata via etere al fianco dell’ospite.
Dovevo presentarmi?
“Salve a tutti, piacere di esser lì con voi ,anche se inaspettatamente.”
Alla gente piacevo? Dal salotto mi giungevano le urla dei miei amici “Grande Al sei una star!”
E l’attenzione si divise improvvisamente tra me e Nick.
“Scusa Nick, ma questo fuori programma ti costa caro, ora siamo tutti curiosi di sapere se al telefono c’è la ragazza alla quale hai dedicato la canzone. Ehi ragazza del mistero vuoi dirci come ti chiami?”
Mi sorpresi a rispondere così facilmente.
“Josh sei seriamente intenzionato a bruciarti tutti gli scoop? Ti assicuro che col mio nome potresti farci uno speciale!”
Il pubblico rideva e Nick era quasi rilassato.
“Ora, facendo finta che Nick non stia sentendo quello che ci diciamo potresti chiedergli perché mi ha fatta alzare dal divano?”
Il mio sarcasmo li divertiva.
Josh stava al gioco e distribuiva complimenti perché ero spigliata, simpatica e dalla voce si capiva che ero carina. Mi stupì la risposta di Nick.
“Oh Josh, te lo posso assicurare, è molto più che carina.”
E dal pubblico si levarono tanti ohhhhhh. Poi cominciò a parlare come se ci fossimo solo noi.
“Volevo farti una sorpresa.”
Perché era nervoso?
“Beh, la prima sorpresa ha suonato alla porta dieci minuti fa.”
Il pubblico rideva senza capire, come ubriaco da quella novità, ma non potevamo monopolizzare la serata e, di sicuro, i tempi dello spettacolo non consentono di fare tutto ciò che vuoi.
“Nick è stata una bella sorpresa ora torno a guardarti dal divano.”
“Aspetta, in realtà il motivo per cui ti ho chiamato è questo.”
E nelle sue mani si materializzò un’inconfondibile scatolina.
No! Era del tutto impazzito!!
La telecamera si puntò subito sul meccanismo di apertura mentre lui mi chiedeva in diretta nazionale se volevo sposarlo. Mary entrò di corsa in camera urlando.
“Di di sì, di di sì”
Per fortuna intuendo in anticipo le sue intenzioni avevo nascosto il cellulare sotto al cuscino e le mimai di uscire. Dovevo pensare. Ma Nick aspettava una risposata. Dovevo prendere tempo e parlai con Josh.
“Josh, ho sentito bene?”
E il teatrino continuò per qualche scambio di battute. Nick era impaziente.
“Al, allora vuoi sposarmi?”
E su quello mandarono la pubblicità. A quel punto li avevo tutti fuori dalla porta della camera, chiusa a chiave.
“Allora Al vuoi sposarlo?”
Volevo davvero legarmi a Nicholas Easter, possibilmente per tutta la vita?
Tornati in onda Josh si ricompose e fece altre domande alla sua celebrity, anche per riassumere ai nuovi telespettatori dove ci eravamo fermati prima del break pubblicitario.
“Allora Nick, immagino tu sia un po’ sulle spine, ma per i nuovi amici che si sono persi lo spettacolo puoi ripetere?”
E per la terza volta mi chiese di sposarlo, mentre dietro di lui comparivano cuoricini e uno zoom sull’anello. Accidenti in tutto quel frastuono di emozioni non avevo fatto caso a cosa brillava nella scatolina, forse perché non era tanto il contenuto che mi interessava, quanto la proposta in sé.
“Josh è tutto vero? Me lo faresti vedere più da vicino?”
Il pubblico era ancora dalla mia parte. E Josh mi accontentò. Nick però stava perdendo il controllo della situazione. Non potevo credere che avesse scelto proprio l’anello che avrei preso io. Ma come aveva fatto a capirlo? In fondo non l’avevo mai detto a nessuno! Feci un respiro profondo stavo per rispondergli, ma lui mi anticipò.
“AJ C. per l’ultima volta, vorresti diventare mia moglie?”
Non lo feci attendere oltre, il mio cuore non avrebbe retto.
“Anche se me lo ripetessi altre cento volte la mia risposta non cambierebbe.”
Il pubblico era ammutolito.
“Ed è quattro volte sì Nicholas Douglas Easter.”
E partirono applausi e campane. Non so come i tecnici del suono avevano messo su anche una marcia nuziale. La telecamera staccò da Nick per inquadrare un Josh commosso, proprio mentre lui mi recitava un muto ti amo.
Era il momento di mettere giù.
“Bene Josh ti sei ripreso?”
Forse dovevo considerare anche la carriera televisiva, ormai ero lanciatissima.
“Ehi fidanzatina d’America, vuoi soffiarmi la carriera?”
“Lungi da me, anche perché mi sei simpatico, ma credo che la tua scaletta subirà dei tagli se non ti saluto ora.”
“Ci mancherai Al.”
“Saluta tutti da parte mia e di’ a NickE che Patty e Smith lo aspettano nell’acquario”.
E misi più godendomi la risata liberatoria di Nick, che dopo aver spiegato che Patty e Smith erano due animaletti dotati di carapace, strinse la mano al presentatore che lo congedava, augurandogli buona fortuna a tutto tondo.
Era ora di affrontare i miei amici, ma aperta la porta trovai Mary in attesa col telefono in mano.
“Sì papà credo che adesso la troveresti, ma è qui davanti a me, te la passo”.
“Ciao pa’.”
“Alice Jade Cooper eri tu in tv poco fa?”
“Più o meno sì.”
“Carol era lei!”
Ray non era contento.
“Io ho riconosciuto la chitarra, mamma la tua voce; abbiamo sommato le cose e…beh Mary non poteva essere.”
“Papà che stai cercando di dirmi?”
“Non stai correndo troppo? Insomma da quanto lo conosci in fondo?”
Forse troppo poco, ma sapevo che avrei cercato sempre lui nella vita.
“Forse sì, ma non credo ci sposeremo domani.”
Sembrava più contento, o forse no.
“Promettimi una cosa J; ora che dovrai stargli accanto, non dimenticarti mai chi sei veramente.”
Forse avrei dovuto passare più tempo con Ray e fargli capire che di tutte le star Nick era la più genuina e assieme saremmo rimasti i due ragazzi semplici di sempre.
Salutati i miei, voglia o no, eccitatissimi genitori, saltellai come prima di un incontro sul ring, pronta ad affrontare il resto della ciurma. Ma contro ogni aspettativa vidi Tim e Vic impalati di fronte a Mary che baciava la testa di Alec, inginocchiato ai suoi piedi. Non potevo crederci, finalmente sull’onda della proposta di Nick, aveva trovato il coraggio di dichiarare le sue intenzioni a mia sorella.
Era ora che quell’anellone andasse a sistemarsi all’anulare di Mary.
Lei era al settimo cielo, Alec in preda all’emozione abbracciò tutti tre volte e mi ringraziò, nemmeno gli avessi concesso la mano di Mary Jane Cooper, al posto di nostro padre.
Poi Mary decise di pavoneggiarsi un po’ e anche se per scherzo elogiò la scelta del suo ragazzo e disse che quello sì era un anello di fidanzamento. Ma io che ne sapevo molto di più, decisi di lasciarla fare, anche se una punta di orgoglio, mi faceva fremere la lingua. Ma non sarebbe stato giusto sminuire Alec, solo perché Nick aveva speso una vera fortuna per quella fedina così poco appariscente.
E’ proprio vero, a volte i veri tesori, si nascondono dietro semplici apparenze.
Salutai tutti che erano le due di notte e di certo non avevo sonno. Mary era del mio stesso stato d’animo e decise di prolungare la serata facendo una passeggiata al parco col suo fidanzato.
E io cosa avrei fatto?
Forse una doccia avrebbe raffreddato i miei neuroni in subbuglio. Ma mezz’ora dopo ero ancora in piedi, coi capelli bagnati che scendevo a patti con l’aspetto più mieloso di me stessa. Non ci pensai due volte e misi su quel dannato dvd, solo per vedere la sua faccia. Chissà quando l’avrei rivisto.
Il cellulare vibrò improvvisamente: ti manco almeno un po’?
Diciamo che ero indecisa se dargli una scarica di pugni per quella sua uscita in tv o una pioggia di baci per tutta quella piacevole emozione che continuava a tenermi compagnia, ma che importava ora? Lui era lontano da casa e le riprese sarebbero cominciate a momenti. Avrei dovuto cominciare a rivestire il ruolo di Penelope.
“Un po’” è a dir poco riduttivo, specialmente dopo l’interessante telefonata di prima. Se vuoi avere un’idea di quanto mi manchi dovresti vedere cosa sto guardando in tv.” Ma non diede segno di aver colto ciò che intendevo.
Sai che credo che a Tim sia caduto il portafoglio di tasca? Puoi controllare se l’ha perso sulle scale?”
“Non hai proprio di meglio da fare che non il buon samaritano a quest’ora della notte?”

“Ricorda che sono in debito con Tim”.
Già, forse lo ero anch’io. Che mi costava alzare il culo e uscire un attimo? A quell’ora poi non c’era nessun movimento fuori e mi arrischiai ad uscire. Sullo zerbino non c’era nulla. Forse era il caso che mi mettessi una vestaglia per scendere fino in strada. Mi sporsi dalla tromba delle scale, ma non c’era nessuno così cominciai a scendere di corsa, ma del portafoglio di Tim nemmeno l’ombra.
Al secondo piano invece andai a sbattere contro un’ombra uscita dal nulla.
“Sorpresa!” oh decisamente sì! e senza pensarci un attimo gli saltai al collo, mentre con fatica mi faceva ascendere tra le sue braccia.
“Ma non eri già partito per l’Australia?”
“Li ho convinti a concedermi ancora qualche ora.” Nick era proprio un potente prepotente se voleva.
“Comincio a sperare che tu non te ne vada più.”
Ma sapevo che presto o tardi quei tre mesi sarebbero dovuti passare.
“Non potevo partire senza darti questo. Alice Jade Cooper vuoi sposarmi?”
“Mi sembrava di averti già detto sì altre quattro volte.”
Ero felice ed emozionatissima. E rimiravo quella meravigliosa promessa d’amore.
“Beh ormai sono abituato a ripetere le battute, mi è venuto normale chiedertelo di nuovo. E poi è sempre bello sentirti dire sì.”
Basta. Per quanto bello il nostro dialogo mi sembrava una perdita di tempo, non avrei sprecato un secondo di più in parole, dovevo fare il pieno d’amore, prima che mi lasciasse.
Ma prima avevo un’ultima curiosità da soddisfare.
“Amore, come hai fatto a capire che quello era proprio l’anello che avrei voluto?”
E stretta tra le sue braccia ascoltai quella storia.

OUTTAKE NICK: la curiosità è femmina

Sapevo che Eloise non era semplicemente scomparsa; se mi immaginavo mia mamma, in quel momento poteva essere sveglia in camera sua, intenta a guardare la pendola, aspettando che la ragazza che mi faceva compagnia se ne fosse andata. Per quanto imbarazzante avrei voluto che Alice si fermasse da noi e invece l’avevo salutata ed ero disposto a rischiare di perderla pur di non metterle pressione, o forse no...
La realtà invece era che volevo fosse mia e che nessuno potesse provare a portarmela via.
“Mamma puoi uscire!”
Eloise scese già pronta per la notte e sorridente come non mai.
“Allora?”
“Allora niente ma’”
“Niente di niente, nemmeno un bacio?”
Beh di certo non le avrei detto delle mie intenzioni poco nobili di qualche minuto prima.
“Credo di amarla ed ho paura di perderla.”
“Nick, non lo dico perché sei mio figlio, ma credo che siate fatti per stare insieme e, devo confessarti che da quando Alice ha messo piede in casa nostra non faccio che sperare che diventi mia nuora. Nick sono una sorella orribile, una zia orribile ed una madre orribile.”
“Ma’, che stai dicendo?”
“Come ho potuto sperare che si lasciasse con Tim solo perché anch’io adoro quella creatura?”
Doveva essere un difetto di famiglia visto che proprio io che lo mettevo in guardia da tutte e da tutti gli avevo soffiato la ragazza da sotto il naso. Decisamente riprovevole, anche se l’avrei rifatto altre mille volte.
“Se non altro tu non sei stata così egoista da desiderarla a tal punto di rischiare di rovinare la famiglia.”
Mamma mi abbracciò.
Per fortuna Alice aveva intercesso per me e Tim aveva archiviato con stile quel fatto.
“Ed ora che partirai hai pensato a come gestire questa relazione a distanza?”
“Beh di fatto non stiamo ancora assieme.”
E quella cosa mi rodeva non poco. Poi pensai a mio padre.
“Mamma, pensi che papà approverebbe se decidessi di sposarla domani?”
“Credo che anche tuo padre se ne innamorerebbe, anzi credo che sia stato lui da lassù a convincere il destino a fare una deviazione.”
“Quindi mi manca solo l’anello.”
Certo non l’avrei rincorsa per supplicarla di sposarmi domani, ma volevo essere pronto ad ogni evenienza e comunque non avrei fatto passare molto tempo. Se mi avesse accettato, l’avrei legata a me per sempre al più presto. Pensando a lei mi veniva subito il riflesso di stringere il ciondolo che mi aveva regalato per il compleanno. Mi ero innamorato di lei leggendo quella singolare dedica, forse potevo andare nella gioielleria dove l’aveva comprato. Ma va’ a sapere quale fosse.
“Mamma per caso hai conservato la custodia del regalo di Al?”
E potevo riferirmi solo a quel regalo.
“Oh oh hai visto che ho ragione a conservare tutto?”
Finalmente poteva rimbrottarmi bonariamente per averla tanto presa in giro per quella sua tendenza ad tenere tutto.

Ora che avevo l’indirizzo, dovevo solo trovare il modo di andare al negozio senza creare scompiglio.
Cercai di far desistere mia madre dall’accompagnarmi. E provai a dormire. Sfortunatamente quella notte il volto di Alice mi tormentava, così come la melodia che aveva suonato poche ore prima. Forse presuntuosamente ci avevo visto la nostra non-storia, raccontata dal suo punto di vista. Era una musica così dolce e così triste, come se non potesse avere un lieto fine. Non riuscendo a dormire andai a suonare e cominciai a ripetere quelle stesse note. Non era giusto che Alice pensasse a noi come ad una cosa triste, sempre che ci fosse un noi. Certo rispondeva ai baci con passione, ma poi era come frenata da qualche paura. Se avesse saputo quanto mi stavo mettendo in gioco io. Rimirai ancora una volta la chitarra che mi aveva fatto, e da lì le parole cominciarono ad uscire a fiumi. Il tema non fu toccato, ma le sonorità del dobro rendevano la melodia meno melanconica.
Improvvisamente capii come avesse potuto fare quello strumento disfarlo e ricrearlo ex novo in così poco tempo, perché anch’io sentivo la stessa urgenza. Accesi la strumentazione e registrai tutte le tracce col sintetizzatore. Poi alle 5 del mattino sfinito mi gustai un caffè super ristretto ascoltando quello che avevo combinato nella notte.
“E’ normale che in queste note io veda solo lei?”
Non avevo sentito entrare mia madre.
“Questa canzone è per lei. Questa canzone è lei.”
“Forse dovresti cantargliela e lei capirebbe quanto la ami.”
Aveva ragione.
Aspettando l’orario di apertura dei negozi, chiamai Sarah.
“Nick certo che sei mattiniero eh?”
“Scusa il disturbo, ma credo di aver bisogno di un favore dell’ultimo momento”.
Era fatta!
“Scherzi Nick?! Sai che ti aspettano sempre a braccia aperte. E poi quando arrivi tu le scorte finiscono sempre. Sei una fonte di reddito pazzesca”.
Non avrei mai pensato a me stesso in quei termini, che strano il mondo luccicante delle stelle.

PIU’ TARDI FUORI DA UN PICCOLO NEGOZIO IN ANGOLO…
Speravo tanto che nessuno mi notasse lì in strada, nonostante il cielo grigio portavo un cappellino con frontino e occhiali da sole. Insomma la tipica mosca bianca, ma non ero pronto ad altri travestimenti più stupidi.
Ero da solo ed aspettavo il commesso. Capivo perfettamente perché Alice avesse comprato lì il mio regalo. Nonostante l’apparenza quella era ancora una bottega artigiana, o meglio si vendevano articoli di tutti i tipi, da quelli di fattura dozzinale a quelli ricercati, passando per l’oggettistica rara, in quanto pezzi unici fatti a mano.
Una ragazza mi scansò passando al di là del bancone borbottando “Ma guarda ‘sti cafoni, che nemmeno si tolgono il cappello.”
Ma fu subito presa in disparte e rimproverata dall’uomo che poi si dedicò a me.
Mi feci riconoscere, mandando nel panico il signore di mezza età.
“Immagino che per il suo silenzio dovrò pagare un sovrapprezzo.”
“Oh ma si figuri signor….”
“No la prego mi chiami solo Nick.”
E cominciai a tastare il terreno; gli mostrai il plettro d’acciaio satinato. Per fortuna si ricordava di Alice nonostante fossero passati dei mesi.
“E per caso si ricorda se abbia espresso preferenze verso qualche altro oggetto?”
Tentare poteva rivelarsi utile.
“Beh ricordo che in realtà era entrata per vedere degli anelli.”
E così con Tim erano già agli anelli? Mi prese un’improvvisa fitta di gelosia mista a paura.
“Pensavo fosse una scusa, tant’è che poi non è più tornata, ma mi sono incuriosito perché prima ha voluto vedere i più appariscenti, senza chiedere nessun prezzo e poi mi ha chiesto di farle provare una cosa completamente diversa.”
Bingo!
“Badi bene era decisamente al di fuori della sua portata, ma devo ammettere che quella ragazza ha buon gusto.”
Beh stava parlando della mia Alice, e comunque vediamo questo anello.
Lo tirò fuori e capii perché Alice se ne fosse innamorata. Era così…Alice. Era fatto per le sue mani. Ma poteva bastare per una proposta di matrimonio?
Gli chiesi di farmi capire cosa giustificasse quella cifra esorbitante. Sorrise perché era la stessa domanda che gli aveva fatto la ragazza.
“Senta se scopro che mi ha venduto l’anello sbagliato giuro che la denuncio per raggiro.”
Stavo scherzando, ma il tipo se la prese a cuore e giurò e spergiurò e infine mi accompagnò alla porta. Mancava solo che si inchinasse.
Mi sentivo più leggero e non perché avessi dilapidato un piccolo capitale, per lei l’avrei rifatto all’infinito, ma perché ero pronto.
Di lì all’eternità ogni momento era buono per chiederglielo.
Inutile dire che a casa mi aspettava una donna più che curiosa. Ma non soddisfai le sue preghiere. Invece cominciai a fare le valige e a segnare appuntamenti in agenda. I prossimi tre mese sarebbero stati un vero inferno.

 

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Capitolo 14
*** Coppia controtendenza ***


Un altro piccolo cameo per Josh  : )

14. Coppia controtendenza


TRE MESI DOPO.
“Sei sicura di quello che stai facendo?”
Ma che domande mi faceva? Pensava che sarei scappata a soli venti minuti da quello che sarebbe stato il mio ultimo giorno di anonimato?
A dir la verità ci avevo pensato molto da quando gli avevo detto sì in diretta nazionale. Ma nonostante tutto, avevamo un piano e soprattutto per lui valeva la pena di buttarmi in pasto al mondo delle stelle carnivore.
“Se me lo chiedi un’altra volta giuro che ti lascio lì da solo e ti aspetto seduta comodamente al tavolo d’onore”.
“Sei sempre la stessa e ti amo per questo e per tutto il resto”.
La sua voce calda mi faceva venire solo voglia di sentire le sue mani abbracciarmi stretta. Per più di qualche secondo mi ricordai che mi sarei sposata a meno di ventiquattro anni. Ero giovane, innamorata e fottutamente impaurita. Ma avevo lui.
“Forza Romeo, mettiti i calzini e corri ad aspettarmi”.
“Ci credi se ti dico che non ho dormito stanotte e che sono pronto dalle tre del mattino? Piuttosto dammi un piccolo suggerimento, come saprò di non sposare Mary?”
Ah la sua dannata curiosità, un po’ alla volta stava rovinandomi la sorpresa, ma non gli avrei detto nulla sui nostri abiti.
“Diciamo che saremo una coppia non convenzionale. A quanto pare tu puzzerai come un caprone e io avrò un vestito molto rock con teschi e tagli dappertutto. Qualcosa di degno del mio omonimo”.
Finalmente una risata di gusto.
“A tra poco mia adorata mogliettina”.
Quelle parole avrebbero potuto farmi sciogliere il trucco all’istante, ma per fortuna mamma e Mary arrivarono a farmi aria.
“Tutto bene tesoro? Sei pallida come un fantasma”.
La sposa cadavere non era certo la parte che preferivo.
“Sis’, non mi lascerai mica ad affrontare il prete da sola, vero?” Mary era la mia ancora di salvezza. Ci sarebbe stata lei con me, come in tutte le cose, dalla nascita all’altare.
La guardai di riflesso nell’enorme specchio che mi dava una panoramica completa dalla testa ai piedi. Era raggiante ed io con lei.
“Dai che ti aiuto con la collana”.
Mamma ci guardava gongolante, le sue due bamboline presto avrebbero sposato due brave persone che le avrebbero accudite.
Cercai di abbracciare Mary, ma fu ferma e rinviò ai baci di rito; invece mi girò delicatamente verso lo specchio e fece scendere il pendente che avevo scelto per quel giorno speciale.
L’avevo disegnato io. Sì Nick non si sarebbe mai sbagliato, tra mille sosia o copie originali di me avrebbe sempre capito chi era la sua sposa.
“J?” Ci voltammo entrambe. “Alice, sei bellissima.”
Finalmente anche mamma si era convinta.
All’inizio avrebbe voluto indossassi un altro dei gioielli appartenuti alla nonna. Quando le avevo fatto vedere il lavoro del miglior orafo in circolazione aveva strabuzzato gli occhi. Va bene la passione, ma forse quello sarebbe stato un po’ troppo eccessivo.
A forza di vedermi rimirare ogni giorno quella collana aveva però cominciato a concedermi il beneficio del dubbio. Era un lavoro raffinato e minuziosamente cesellato, l’esatta copia dell’originale anche se in miniatura, per la persona che aveva saputo fatto vibrare le corde del mio cuore.
“Ragazze ci siamo, la macchina è arrivata e il tramonto è alle porte.” Papà era emozionatissimo.
Ci avrebbe condotte entrambe all’altare.
Nel tragitto da casa al posto che avevamo scelto ripensammo agli ultimi tre mesi di preparativi.
Ognuna aveva proposto ogni dettaglio di come avrebbe voluto rendere speciale quel giorno e per una volta, le richieste si erano incastrate senza litigi o concessioni forzate. Certo io avrei preferito una chiesina messicana e lei forse avrebbe voluto un ristorante sfarzoso, ma alla fine saremo state bene ugualmente.
La luce naturale rendeva tutto più aranciato, la brezza sollevava sbuffi di tulle da quella navata simbolica tracciata dalle sedie e il mare spandeva pagliuzze dorate di sole. I pochi invitati seguirono in silenzio il nostro arrivo.
Ci guardammo ancora per un lungo istante e strette al braccio di papà avanzammo verso i nostri promessi che attendevano più o meno pazienti il nostro arrivo.
Avrei voluto correre poco elegantemente a piedi nudi sulla sabbia ancora calda, ma con saggio masochismo mi persi ad ammirare ogni singolo dettaglio, fino a raggiungere i suoi occhi. Mary era sparita e con lei gli ospiti, Phil e Rudy, gli altri nostri testimoni e Vic e Tim ed i nostri genitori.
Sentii a malapena le parole del prete e non mi sentii pronunciare nessuna delle promesse che avevo scritto con tanto amore. Vedevo il suo labiale e a tratti percepivo alcune note delle sue parole.
Ero come in trance e vedevo solo la sua felicità, da quando aveva capito cosa mi distingueva da Mery: la miniatura della chitarra che gli avevo regalato ciondolava dal mio collo.
Partirono gli applausi quando i nostri ormai mariti ci baciarono e ci spostammo verso le tende che aspettavano solo noi. La cena fu perfetta e arrivò notte fonda in un lampo. Vic mi rubò con il pretesto di un ballo.
“Al, mi sa che da domani ci sarà la fila in negozio.”
La sua voce, il suo sguardo erano chiari e non lasciavano spazio a dubbi. Non si sa come a forza di cercare erano riusciti a leggere un cartello “chiuso per matrimonio”, a ricamarci sopra le loro supposizioni e ad avvicinarsi alla realtà. Negli ambienti frequentati da Nick giravano rumors sempre più insistenti che probabilmente si sarebbe sposato in segreto entro l’anno, ma non credevo che qualcuno avesse così tanto tempo da perdere dietro a noi.
“Ormai è fatta Vic. Volevamo goderci in santa pace questo giorno e ci siamo riusciti, da domani partiremo per il massacro mediatico.”
La mia migliore amica e damigella mi guardava con…compassione?!
“Vic, sapevo a cosa andavo incontro. Andrà tutto bene.”
E tornai a dondolarmi tra le braccia del mio bellissimo e talentuosissimo marito.
Alla fine se ne andarono tutti e restammo solo noi quattro più Vic e Tim a strimpellare attorno ad un falò. Era quasi l’alba e le braccia di Nick si strinsero più forti ai miei fianchi. L’aria calda mi solleticava l’orecchio. Sì forse era il caso di andare di corsa a casa prima di prendere fuoco e concederci finalmente la nostra prima notte da sposati.
“Al, tra poche ore dovremo partire e anche se la prima notte di nozze è ormai sfumata vorrei portarti a casa. Farti fare una doccia, baciarti all’infinito e…”
Sarei morta all’istante se avesse finito la frase, perché anch’io avevo voglia di lui.
Ci congedammo dagli altri e sparimmo. Non li avremmo rivisti più per qualche settimana.

“Amore sei pronto? Il taxi è arrivato!.”
Alla fine tra i due era lui la donna. Avrei potuto ingelosirmi dello specchio, tanto era il tempo che ci passava davanti per vedere se era camuffato a regola d’arte. Ma da quante ore era chiuso in bagno?
“Sai Al se non dovessimo andare di corsa all’aeroporto starei ore a guardarti saltare sopra quella valigia.”
Ma da quanto mi stava guardando?
“E tu hai avuto il coraggio di star lì senza dire o fare nulla? Guarda che potrei divorziare all’istante!”
Ovviamente scherzavo, ma un’ombra passò sul suo bel viso. Dovevo riparare, ma fu lui a coprire la distanza che ci separava e mi strinse forte.
“Non scherzare ti prego, su qualcosa che mi farebbe morire.”
Nick non si perdeva molto in frasi sdolcinate, ma quando mi dichiarava il suo amore lo faceva sempre in modi che mi facevano arrivare sull’orlo delle lacrime.
“Al?”
“Sì Nick?”
“Ha chiamato Joy. Siamo già su tutti i giornali. Ovviamente abbracciato a me c’è un punto di domanda con il velo da sposa in testa, ma lo scoop parziale dice che mi sono sposato con la ragazza del mistero. Sei ancora sicura di volerlo fare?”
Di nuovo con quel discorso?!
Eravamo d’accordo: subito dopo le nozze avremmo rilasciato la nostra prima intervista di coppia, giusto per rovinare qualche scoop da red carpet, visto che la sera dopo avrei accompagnato per la prima volta, mio marito ad un evento mondano, con due anelli inconfondibili agli anulari.
“Certo amore.”
E solo una persona poteva aiutarci a fare quello scherzetto ai paparazzi.

“Josh?”.
Una voce impastata risuonava in viva voce nello spazio vuoto della prima classe.
“Chi parla?”
“Sei da solo? Il tuo telefono è sicuro?”
“Ehi se è uno scherzo puoi andartene affan… e lasciarmi in pace. Ho avuto una nottataccia infame e vorrei dormire.”.
Mimai un muto “passamelo che ci parlo io”, ma soffocando una risata andò avanti imperterrito.
“Scusa il disturbo siamo Nicholas Easter e consorte”.
Dopo qualche secondo di silenzio Josh parlò.
“Non ci posso credere, è un fottutissimo scherzo. Bravi bravi…”
Ma non era su candid camera. Strappai il cellulare dalle mani del mio amore e salutai Josh.
“Non ti sei dimenticato di me vero?”
“Nooooooo, non ci credo. Siete sul serio Nick e Al!”
Quell’uomo aveva una memoria incredibile.
“Congratulazioni ragazzi, siete i miei idoli! Che spasso vedere i primi titoli sul web”.
Caspita, mi sembrava di aver chiamato un amico.
Avevamo la conferma, lui era l’unico che potesse aiutarci.
“Josh, senti, scusa per il disturbo, ma non ci chiedi perché ti stiamo buttando giù dal letto?!”
“Ah già, è vero. A cosa devo l’onore di questa chiamata?”
“Senti avevamo bisogno di un favore. Di quelli enormi però.”
“Cominciate a preoccuparmi ragazzi; sicuri di non essere ubriachi? E poi non dovreste essere in luna di miele?”
“Ecco appunto si tratta proprio di questo. Alice ha deciso che la luna di miele sarà molto anticonformista e mi accompagnerà per mezzo mondo a una ventina di eventi mondani.”
“Oh avete deciso di fare impazzire tutto lo star system, annessi e connessi. E io che centro con il vostro complotto?”
“Vorremmo essere intervistati da te per primo, così da rovinare un po’ il lavoro di quelli che ci hanno fatto correre come pazzi per organizzare tutto in gran segreto.”
“Ragazzi siete dei geni e sono onorato di avervi come ospiti”.
“C’è un piccolo dettaglio Josh, il primo red carpet è per domani sera.”
Silenzio.
“Ma secondo voi mi perdo questa occasione di vedere finalmente la tua sposa?. Datemi qualche ora che faccio cambiare il programma e montiamo una pubblicità che avvisi che abbiamo ospiti a sorpresa. Vi aspetto alle 20.30 per l’intervista. Ovviamente se vi va potete bussare al mio camerino anche un’ora prima”.
“Grazie Josh.”
“A voi. E a più tardi.”
Sembravamo due adolescenti in fuga. Scendemmo a distanza di qualche minuto l’uno dall’altra nonostante in prima classe ci fossimo solo noi. Uscimmo separatamente. Ma mi trovai sola all’esterno dell’enorme struttura.
“Dove sei finito?”
“Se ti dicessi che sto firmando autografi e che ho un rossetto che non ti appartiene sulla guancia, mi crederesti?”.
Ahia, dovevamo allontanarci al più presto e filare in albergo.
“Fermo un taxi, tu cerca di non dare troppo nell’occhio.”
In sottofondo sentivo le domande petulanti delle fan che lo avevano riconosciuto <è vero che ti sei sposato?>
Certo che non avevano proprio fantasia. Se avessi incontrato il mio idolo non mi sarebbe mai passato per la testa di chiedergli di sposarmi, anche se poi gli avevo risposto di sì.
Se avessi trovato il coraggio di fermarlo e distrarlo dai suoi impegni gli avrei chiesto quale fosse la sua canzone preferita in quel momento.
“Credevo di morire!”
Trafelato e sgualcito chiuse la portiera e sfrecciammo via nel traffico, tenendoci per mano.

La suite era così grande da non farci rimpiangere quella clausura forzata. Oziammo nella sauna privata e ci godemmo quello spizzico di luna di miele abbracciati.
“Al, ti ho già detto che sono un uomo fortunato?”
“No ma potrei dire la stessa cosa. Forza pigrone è ora di prepararsi e far scoppiare la bomba.”
“Ancora un secondino!”
“Oh no signor Easter potrei rischiare di non uscire più da questa stanza se mi baci ancora così.”
“Perfida! Non te lo meriti il vestito che ti ho comprato”.
Una novità. Lui che decideva per me?
“E da quando in qua non ti fidi delle mie scelte?”
Ero un tantino acida, ma mi rodeva un sacco il fatto che fosse switchato in modalità “sono un attore famoso e mia moglie si veste come voglio io”.
Lo lasciai sul letto a domandarsi, forse, cosa avesse mai fatto per infastidirmi ed andai nell’altra stanza. Appeso ad una gruccia c’era una confezione di alta sartoria ad aspettarmi. Mi veniva il vomito. Avrei voluto farlo a brandelli senza nemmeno aprirlo.
Le sue braccia mi strinsero protettive.
“Non dirmi che credevi ti avrei obbligata ad indossarlo stasera”. Centrato in pieno, stupido che non sei altro.
“Al, sei troppo intelligente per pensarlo seriamente.”
Silenzio.
“Alice, guardami.”
I suoi occhi nei miei.
“Maledizione, l’hai pensato sul serio!”
Lo aprì lui per me sempre parlando.
“Se non te ne fossi accorta, mi piace quando mi stupisci e lo fai di continuo. Però se non ti piace lo portiamo indietro. Questo comunque sarebbe stato per il nostro privato dopo cena di domani. A quel punto le mie mani strinsero un soffice velo di organza.
Caspita avevamo appena passato la nostra prima lite da sposati.
Che stupida.
“Posso?”
“Fai pure”.
Quando le sue mani si allontanarono da me sentii una fitta al cuore. Le volevo ancora su di me e avevo combinato un disastro. Quel vestito era stupendo e se la mia bocca non avesse rovinato tutto, avrei capito subito che non sarebbe stato un vestito adatto a nulla, se non ad una serata privata tra due amanti. Me ne innamorai all’istante e non per il vestito in sé, ma perché Nick mi aveva immaginata con quello addosso.

“Posso entrare?”
Nonostante tutto chiedevo sempre il permesso di violare la sua privacy mentre era in bagno. Ma non aspettai la sua risposta. Si stava annodando la cravatta. Era sexy da morire. Quando i suoi occhi incontrarono la mia muta richiesta di perdono, lo specchio sparì dalla mia vista e mi ritrovai ad assaggiare le sue labbra.
“Stai divinamente. E se Josh non ci stesse aspettando te lo farei togliere e rimettere e ritogliere almeno cento volte.”
Sicuramente le mie guance erano in fiamme.
“Quindi mi sta bene?”
“Più che bene; troppo bene. Così bene che pare fatto apposta per farmi impazzire.”
“Ok forse è meglio che scelga subito qualcosa da mettermi per l’intervista.”
I suoi occhi scintillavano di malizia.
“Decisamente. Non vorrei dividerti con i pensieri di nessun’altro.” Ohhhh così facevo quell’effetto? Mi studiai allo specchio. Effettivamente lasciava poco all’immaginazione. Lo riposi accuratamente nelle custodia e presi un decisamente più casto tubino turchese con applicazioni in pelle blu.
“Così può andare?”
“Qualcosa di più lungo non potevi metterlo?”
Il suo grugnito sconvolto mi faceva ridere. Un famoso marito geloso era l’ultima cosa che mi aspettavo di dover gestire.
“Oh andiamo, ma hai visto cosa mi ha proposto la tua stylist per le varie sfilate? E ti lamenti di questo castissimo tubino? Vedrai domani sera cosa ti aspetta” e non mi riferivo soltanto al bellissimo abito che avevo provato poco prima.
E uscimmo punzecchiandoci, con lui che mi supplicava e fingeva di trascinarmi indietro per vedere come lo avrei rovinato la sera dopo.
Il camerino di Josh era scintillante, come il suo carattere, pur non eccedendo. Mi stupì il suo abbraccio caloroso. Come se fossi un’amica che non vedeva da tempo. Ma ancora di più lo fecero le sue parole.
“Ho il piacere di essere il primo a conoscere una donna fenomenale.”
Stava parlando di me?
“Oh sì cara, non sai che si dice di te nel jet set: le arpie ti odiano e ti temono. I musicisti farebbero la fila per parlare con te e per quanto mi riguarda, mi sono innamorato di te alla prima parola che mi hai detto al telefono.”
Era impossibile fraintendere quell’uomo. Sprizzava genuinità da tutti i pori.
“Volete che concordiamo le domande?”.
Le nostre teste ciondolarono a destra e sinistra.
“Improvvisare ci piace.”
“Io vi a-d-o-r-o. Vi porto al trucco e poi cominciamo. Caffè?”
Per quanto mi riguardava ero nervosa a sufficienza e mi aggrappavo al braccio di Nick per non svenire; ma Josh mi portò in privato a provare il divano di pelle e mi fece vedere i bolidi delle luci. Sotto la sua guida allentai un po’ di tensione e quando ci annunciò ai suoi ospiti sorrisi a Nick ed entrammo in scena.
“Carissimi amici, come annunciato questa puntata è giunta inaspettata e gradita. Ringrazio gli altri ospiti che gentilmente hanno cambiato i loro programmi e ringrazio i nostri ospiti a sorpresa….”
Il nome del ragazzo accanto a me scatenò applausi da stadio che ci fagocitarono. E poi di colpo mi trovai sotto i riflettori, nel bel mezzo di un silenzio improvviso.
“Dunque ragazzi, prima che mi chiedano quanto ho pagato per avervi, avete qualcosa da dichiarare alla nazione?”
Josh era uno spasso ci guardammo e fu per tutti, noi compresi una sorpresa sentirci rispondere all’unisono come se ci fossimo preparati prima le battute
“Siamo venuti spontaneamente per confermare che ci siamo sposati.”
Avevamo rotto il ghiaccio e stavamo ridendo come bambini e Josh con noi. Anche il pubblico ci seguì, nonostante qualche ragazzina avesse già cominciato a fare le sue rimostranze.
“Quindi in questo caso calza bene il detto essere felici come una Pasqua(*)! Bene ragazzi, cosa scegliete, domande di rito o non convenzionali?”
“Decisamente non convenzionali!”
“Io adoro questi due! Bene Lo sposo lo conosciamo, ma della sposa non sappiamo molto se non che è bellissima, Phil Collins ha profetizzato che presto sarà su tutte le copertine dei giornali e che ha fatto ripetere quattro volte la proposta di matrimonio al nostro scapolone d’America. Dunque Al, possiamo sapere chi ha avuto la fortuna di impalmare questo magnifico ragazzo?”
La tensione se n’era magicamente andata, l’atmosfera era cordiale e Josh ammaliava tutti; l’imbarazzo lasciò spazio alla mia consueta e spavalda goffaggine, che per fortuna tutti scambiarono per simpatia “Josh non scherzavo al telefono quando ti ho detto che col mio nome ci potresti fare uno speciale. Vuoi bruciarti tutte le sorprese così?”
“Ok Al, allora vediamo come riuscirai a glissare le prossime domande.”
“Spara amico.”
“Partiamo dai fatti più recenti. Matrimonio blindato. Cosa ci puoi dire che non abbiano già fatto altri vip?
“Oh beh questa è facile. C’erano due spose.”
E dal pubblico salì un’ondata di ohhhhh
Nick al mio fianco rise e mi incitò a procedere sussurrandomi
“amore te la stai cavando alla grande per essere alla tua quasi prima apparizione in pubblico!”
E così raccontai all’incredulo pubblico che anche mia sorella si era sposata lo stesso giorno, anche se non con lo stesso marito. Sembrava che il pubblico mi adorasse, nonostante fosse ormai chiaro a tutto il mondo femminile che io ero quella che glielo aveva portato via dallo status di scapolo d’oro.
“Altri dettagli del matrimonio che potete raccontarci?” Questa volta prese la parola il mio simpatico marito.
“Credo sia la prima volta che le spose siano anche le comari l’una dell’altra.”
Josh era estasiato, gli stavamo fornendo un sacco di materiale inedito, ma la sua gioia era comunque genuina.
“Bene ragazzi, questa serata si annuncia interessante e scoppiettante, non è per caso che prima della fine ci direte che aspettate già un bambino?”
Ops e adesso come lo fermavo ora il rossore sulle guance?
Incrociai lo sguardo di Nick per un frammento di secondo e lui capì. Guardammo Josh, mentre tra il pubblico non volava una mosca.
Nick ci tolse dall’imbarazzo.
“Malgrado sia un pensiero che mi ha sfiorato in questi mesi, meglio non sfidare troppo la sorte; Al è quasi ancora una neo maggiorenne, meglio non rischiare che il padre voglia renderla vedova così presto. Credo che quando sarà il momento comunque sarai uno dei primi a saperlo.”
Un bel pugno in testa non glielo levava nessuno.
“Ok ci conto. Ora però facciamo un passo indietro. La domanda è per Nicholas: cosa hai pensato quando l’hai vista la prima volta?” Quello sì che era un discorso che faceva ridere ogni volta tutta la famiglia. Accavallai ingenuamente la gamba e bisbigliai al mio uomo “Non mentire”.
Non so cosa stesse riprendendo la telecamera, ma mi sentivo bene e scoppiai a ridere sentendolo rispondere impacciato.
“Ragazzi mi è stato chiesto di non mentire e mi perdoni ancora la mia bella moglie se quando l’ho vista la prima volta ho pensato che fosse una stalker”.
Il pubblico non capiva cosa ci fosse da ridere. Allora li sorpresi facendomi portare la mia borsa ed estraendo una foto sgualcita dal portamonete.
“Popolo tutto vi presento sua cognata Mary. E partì il boato di risate mentre cercavamo di riassumere il più possibile l’equivoco che ci aveva fatti incontrare. Josh era in visibilio. E appena si ricompose mi rivolse un’ultima domanda, questa volta seria.
“Al, da domani sarai davvero sulle copertine di tutto il mondo. Ma nessuno ancora ti ha mai chiesto cosa farai ora che hai sposato una celebrità”.
Cosa farò ora?!
“Beh Josh continuerò a fare quello che facevo prima, anche se forse dovrò farlo rispondendo alle domande di molti curiosi e dovrò aumentare il sistema di sicurezza del negozio”.
Ridevano divertiti alle mie battute. Quando mi linceranno? Domani, tra una settimana? Io speravo che la nostra monotonia li avrebbe stancati presto.
“Io sono riuscito a ricomporre il puzzle, ora ti chiedo è proprio vero che ne esiste un unico esemplare?”
Oh Josh risponderò solo perché sei tu. Nemmeno fosse tutto programmato intuii che sullo schermo dietro di me la gente stava guardando incantata qualcosa; mi girai assieme a Nick e vidi il pendente che indossavo ingrandito a dismisura.
“Acuto Josh, effettivamente ne esiste solo una perché è fatta apposta per un’unica persona. Hai presente le bacchette magiche di Harry Potter? Ecco nel mio lavoro funziona allo stesso modo. A meno che un altro musicista non lo sfidi e la vinca in regolar duello, quella chitarra sarà solo di NickE”.
Il pubblico applaudì incerto, poi più forte mentre Nick mi baciava davanti alle telecamere e mi sussurrava “sei stata magnifica”.
Poi Josh ci congedò ringraziandoci per avergli fatto questa enorme sorpresa e i tecnici ci fecero passare indenni verso i camerini e finalmente potemmo tornare in albergo.
Oh se tutte le interviste potessero essere così allegre e spensierate.
LA SERA DEL GIORNO DOPO..
“Amore sei pronta?”
Mi tremavano le gambe al pensiero di camminare su quei trampoli. E stavo rimpiangendo di aver scelto tra tutti quel vestito. Era la nostra prima volta assieme ad un evento mondano e avrei potuto fargli rimpiangere di avermi sposata. Potevo renderlo ridicolo e…
“Non pensarlo nemmeno. Tu sei il mio orgoglio e sei stupenda”.
Ero anche un bel po’ più alta con quei tacchi vertiginosi
“Non farmi cadere.”
“Non ci penso nemmeno.” E un caldo bacio mi sciolse dandomi un po’ più di forza.
“Pronta al massacro?”
Nemmeno un po’.
Feci ondeggiare i miei morbidi capelli arricciati ad arte per l’occasione e uscimmo scortati dalla security dell’albergo. Da quando avevano saputo che eravamo lì, volevano tutti intervistarci e c’erano drappelli di fans che battevano le vie della città aspettandoci al varco. Lo sapevo perché Vic mi teneva aggiornata per messaggio o al telefono e puntualmente noi scomparivamo dalla vista di tutti.
“Ma non hanno paura di farsi male, ci sono paparazzi ovunque e i loro obiettivi sfiorano i finestrini”.
Me la stavo facendo sotto dalla paura.
“Facciamo un gioco?”
Tutto pur di far volare il tempo.
“Vediamo chi indovina i titoli di domani.”
Comincio io allora: “dramma sul red carpet: giovane moglie sconosciuta precipita dai tacchi.”
La sua risata era la miglior medicina contro il mio panico.
“Moglie affascinante seduce la platea.”
Esagerato e adulatore.
“Divo di Hollywood sposa Cenerentola in cerca di autografi.”
Dovevo ricordarmi di evitare quel tasto dolente. Nick non rideva più, ma continuò comunque col gioco.
“Alice Cooper: la trasformazione in donna lo ha reso sexy”.
Non ero abituata a ricevere complimenti, a volte tornava fuori l’adolescente insicura e piena di brufoli. Oltre tutto non avevo mai pensato di essere molto più che passabile.
Lo guardai stranita, perché è quello che il riflesso del vetro oscurato mi faceva vedere.
Ma le sue labbra rassicuranti mi baciarono mentre le porta della limo si aprì e un’ondata inaspettata di flash ci accecò letteralmente. Involontariamente avevamo appena fornito delle immagini da scoop. Non ci capivo più nulla e fui sospinta da mani invisibili lungo il rosso percorso. Improvvisamente mi ritrovai da sola all’ingresso del teatro anche se i flash mi inseguivano dal limitare della cordonata ed ogni mio passo veniva immortalato.
Una signorina mi accolse mentre cercavo ancora di capire dove fosse finito il mio insostituibile accompagnatore.
Poi sentii la sua voce così calda e famigliare
“Alice di qua.” Non potevo crederci erano Vic e Tim. Li abbracciai commossa.
“Tesoro, non potevamo lasciarti da sola stasera.”
“Ragazzi l’ho perso!”.
Vic mi rassicurò di nuovo.
“Lo rivedrai tra poco.”
E mi portò nella sala in penombra dove sentii su di me mille invisibili occhi, ma dove nessuno osò fermarmi. Mi accomodai nei posti riservati in prima fila e seguimmo sullo schermo il resto del red carpet.
“Certo che voi due regalate perle a destra e a manca”.
Ah già Josh. Ma mi cadde la mascella quando sullo schermo riproposero le immagini di una ragazza avvolta da una nuvola di seta e tulle grigio che calcava il tappeto rosso al braccio di quel figo di mio marito. Tre foto una sopra l’altra immortalarono i due all’uscita dall’auto, che si baciavano e si guardavano innamorati. Non potevo ancora crederci, quella ragazza ero io. E tornò la diretta, mentre sentivo per la prima volta le domande e i commenti delle varie emittenti, per la maggior parte sulla vita privata di Nicholas Easter. Che ci crediate o no non mi ero mai interessata di quel film, se non per il fatto che è quello che ci ha tenuti separati per parecchi mesi. Ma ora ero curiosa di vedere se i commenti acidi e la critica pungente era tutta una montatura fatta ad arte per screditare il mio marito e musicista preferito.
Mani che conoscevo ormai alla perfezione mi accarezzarono mentre si faceva buio in sala. Che fine aveva fatto Vic? Lo guardai e mi sorrise.
“Ha detto che voleva vederlo in un cinema di periferia per non farmi perdere l’incasso del biglietto.”
Vic…
Posai la testa sulla spalla di Nick e lo guardai intensamente proprio mentre il suo volto gemello bucava il grande schermo.
Mi concentrai sulla sua recitazione per non essere distratta dai suoi baci a sorpresa o dalle sue mani o ancora dalle sue parole sussurrate e con tanta fatica riuscii a vedere per la prima volta la sua bravura nel ruolo di attore. Forse nessuno avrebbe capito mai meglio di me e dei pochi fortunati che potevano definirsi suoi amici, quanto bravo fosse. Di fronte a me si ergeva statuario un sicuro sex symbol, mentre a telecamere spente io rivivevo i ricordi di un ragazzo a tratti insicuro e timoroso di sbagliare tutto con me.
“Devo lasciarti sola per una conferenza stampa, ma se vuoi puoi accompagnarmi”.
“Credo che per oggi ho visto troppa celebrità, ti aspetto in albergo.”
Ma non riuscii a salutarlo che già ci fotografavano di nuovo e fui sospinta non so come verso il tavolo della conferenza. Volevo morire.
Sentii le domande, sterili o banalmente ripetute. Ascoltai però con attenzione tutte le sue risposte. Era la prima volta che sentivo dal vivo una sua dichiarazione su un film. Ma come per quelle da musicista era sempre originale in quello che diceva. E poi calò la mannaia.
“E’ vero che ti sei sposato solo perché la tua ragazza voleva entrare nel business della musica ed avere un po’ di pubblicità?”.
Volevo rispondere a tono. Cavolo ero lì davanti a loro e facevano finta di non vedermi?! Ma lui mi sorprese ancora una volta quando me lo ritrovai che mi abbracciava da dietro, davanti ai flash impazziti. Mi baciò il collo e rispose più che arrabbiato.
“Io amo questa donna. Non so come ho fatto a farla innamorare di me, dopo come l’ho trattata all’inizio, ma fortunatamente è successo e vi prego di non insinuare o cercare di infangare ciò che siamo in privato o ciò che riguarda la sua professione. Non sono il primo ad aver notato quanto sia brava in ciò che fa. Andatelo a chiedere ad altri professionisti che prima di me hanno riconosciuto la sua professionalità e competenza.
Cercarono di rimediare al danno chiedendomi qualcosa sul mio negozio, ma lui mi trascinò fuori mentre Joy si trincerava dietro dei no comment urlati in tutte le direzioni.
Poteva andare peggio, ma come inizio sembravo una reduce di guerra. Per fortuna in albergo trovammo Tim e Vic ad accoglierci e a tenerci compagnia per cena, mentre a notte fonda i suoi baci e non solo, mi consolarono.
Dopo quella prima folle esperienza ed una conferenza stampa emotivamente devastante, la luna di miele a tre, io lui e i red carpet andò avanti senza grossi intoppi e finalmente al termine di tutti gli eventi in programma potemmo tornare a casa per un meritato riposo.

Note:
(*) qui si gioca con il significato del cognome di Nick, Easter, che vuol dire pasqua e il detto “esser felice come una Pasqua”.

 

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Capitolo 15
*** Epilogo - La chitarra di Chris ***


Epilogo: la chitarra di Chris

“J è per te.”
Da quando eravamo tornati a casa, ogni giorno mio padre mi chiamava dalla sala esposizione per annunciare che c’era qualcuno per me. Sapevamo che sarebbe accaduto, ma non credevo che la cosa mi avrebbe infastidita così tanto. Per certe persone non c’era limite alla decenza, alcuni entravano e mi facevano domande personali sulla nostra intimità, a volte trovavo lettere minatorie di fan accanite, altre volte lettere di miei ignoti spasimanti che si dichiaravano, altre ancora inviti per interviste non programmate. Le prime volte davo qualche risposta, ma viste le mie gaffe incontrollate, lo staff di Nick mi proibì anche solo di dire “sì”. Anche da due semplici sillabe i giornalisti riuscivano a ricamarci sopra storie dalla più che dubbia veridicità.
Per fortuna nessuno sapeva dove avevamo preso casa. La bifamiliare era in campagna e i nostri unici vicini erano mia sorella e suo marito Alec. Ma ogni giorno in città era la stessa cosa. Chi mi riconosceva per strada mi fermava e mi chiedeva di Nicholas, ma devo dire che per i compaesani e per i vecchi compagni di classe e amici non era cambiato quasi nulla. Certo ero assurta al ruolo di “celebrità”, ma non avevano sbarellato come altri. Avevo rinunciato alla scuola di danza, sia per dar modo alle nuove leve di trovare un lavoretto, sia perché il lavoro in negozio e gli impegni del mio dolce consorte mi occupavano gran parte delle ore a disposizione.
“Mandalo via ora sono impegnata”.
Non ero proprio dell’umore adatto per sorridere all’ennesima bizzarra domanda e Nick era via già da una settimana, questa volta per due concerti di beneficienza, quindi ogni riferimento che risvegliasse la nostalgia era assolutamente bandito. Mi mancava e volevo evitare che le domande su di noi acuissero il senso di vuoto che solo lui sapeva colmare.
“J credo che faresti meglio a venire di qua”.
Scocciata a morte con l’importunatore che aveva interrotto il mio lavoro di cesellatura mi pulii le mani sul grembiule e raggiunsi Ray pronta a piantar grane. Ma quale sorpresa mi si presentò davanti quando riconobbi la donna al bancone. Nonostante fosse ammirata da tutti, di una bellezza disarmante e sicura di sé nel suo mondo, sembrava quasi intimidita dal nostro negozio.
“Tu sei Alice, vero?”
Come se non mi avesse vista su People, Vogue e Cosmopolitan, solo per citarne alcuni. Forse visto gli interessi in comune mi aveva vista anche su Rolling Stones, ma chi poteva saperlo.
“Sì sono io e credo che tu sia quella Gwyneth”.
Più dei paparazzi fuori e dentro il negozio, mi impressionava incontrare persone famose e stringere loro la mano. Con i musicisti però avevo un feeling particolare e mi azzardavo a farmi autografare scarti di legno che collezionavo in una teca. Nick lo definiva il “reliquiario” ed era ancora offeso perché a lui l’autografo non l’avevo ufficialmente mai chiesto, anche se il suo piccolo pezzo di carta era sempre in uno dei libri che leggevo prima di andare a letto quando lui era lontano da casa.
“Già, sì ecco, sono passata di qua perché volevo chiederti un favore.”
Lei a me. Ero decisamente incuriosita.
“Credo che se non oggi al più tardi nei prossimi giorni ti verrà a trovare mio marito perché vuole commissionarti una nuova chitarra per il prossimo tour”.
Ah già tempo fa era giunta voce che Chris Martin mi stesse cercando. Dopo mesi di silenzio credevo fosse uno stupido pettegolezzo e invece...
“Come posso aiutarti?”
“In realtà non so bene che richiesta ti farà, ma a parte il fatto che vorrei regalargli io quella chitarra volevo sapere se ci puoi incastonare dentro delle pietre preziose”.
Ci mancavano solo le richieste astruse. Però poteva essere un’idea originale per la mia collezione che avevo cominciato ad abbozzare a tempo perso. Dopo averla ascoltata e controllato di che pietre si trattava la sconsigliai caldamente nel proseguire con quell’idea. È vero che avevo aumentato i sistemi di sicurezza, ma se avessero saputo che in quel momento nel mio palmo scintillavano piccoli diamanti rubini e quarzi, smeraldi e giade, mi sarei ritrovata con una o più pistole puntate alla tempia. Sicurezza a parte, rendere una chitarra un diadema, creava non pochi problemi, ultimo dei quali la praticità e la tecnica da utilizzare nell’inglobare le gemme in una pasta o nel creare un supporto adeguato per assemblarle al legno.
Gwyneth sembrava scoraggiata, ma non delusa.
“Sul serio non puoi farci nulla con queste? Sappi che i soldi non sono un problema.”
Non doveva di certo dirmelo, immaginavo bene che tra tutti e due fossero molto ricchi; comunque nonostante avessi potuto fare il bello e il cattivo tempo, visto che nel settore non c’era ancora concorrenza di quel tipo, non facevo la cresta sui miei preventivi. Certo costavo, ma i miei clienti non si erano mai lamentati per i miei prezzi, che spesso mi permettevo di fare manutenzioni quasi gratis (secondo me la miglior forma di pubblicità e di fidelizzazione).
“In questo momento non so ancora se potrò soddisfare la tua richiesta, ma ti prometto che appena capirò cosa vuole Chris, ti farò un bozzetto e…” non mi lasciò concludere.
“Oh ma io non ci capirei nulla, hai carta bianca e puoi scegliere dove metterle. Solo quelle che avanzi le vorrei indietro per fare un paio di orecchini ad Apple e un braccialetto a Moses”.
Per correttezza nei confronti della cliente contammo assieme tutte le gemme e salutata Gwyneth cominciai a suddividerle per forme e colore. Nella mia testa cominciava a prendere forma un’idea, ma dovevo sentire il mio rifornitore abituale di madreperla. Due ore dopo stavo aiutando Ray a scaricare l’ultima batteria arrivata da un mercatino dell’usato. Una carcassa che si era messo in testa di voler rimettere a nuovo per vendere ad una fiera del Vintage.
Suonarono alla porta e papà mi chiamò.
“J di nuovo per te, cliente.”
Vista la figuraccia di prima, doveva aver deciso di creare un codice per distinguere le visite gradite da quelle non accettate. Senza farlo attendere chiusi il prezioso sacchetto nella cassaforte sotto il bancone del laboratorio e corsi in negozio. Alla faccia del tempismo. Solo due ore fa avevo di fronte sua moglie e adesso avevo il frontman dei Coldplay che mi sorrideva.
“Finalmente ti ho trovata”.
Era contento. Sarà anche stato un bravo compositore, ma non dimostrava certo di essere un geniale detective.
Ormai mezzo mondo sapeva dove trovarmi.
“Era da un po’ che volevo venire, ma alla fine tra concerti e famiglia ho dovuto prendermi una vacanza per passare a trovarti”.
Sembrava quasi un vecchio amico, tanto mi parlava a suo agio. A quel punto come dovevo appellarlo?
“Ah signor Martin, è un piacere vederla qui da noi.”
“Alice meglio darci del tu, se per te non è un problema.”
“Certo, nessun problema”.
Passato l’imbarazzo iniziale mi persi ad ascoltare quel grande musicista.

“Quindi lo puoi fare?”
Beh diciamo che sommato alla richiesta di sua moglie avrebbe avuto una chitarra unica quanto bizzarra; ma non avrei mai potuto dire di no, anche perché, proprio perché unica nel suo genere, mi sarebbe piaciuto sentirla suonare in un concerto.
“Che tempi mi dai?”
Quello era il vero problema.
“Non più di un mese, vorrei portarla in tournèe”.
Anche se di fronte a me avevo quel Chris a quel punto non potevo accontentarlo sia coi tempi che coi prezzi. Avrei dovuto cancellare molti impegni in agenda per non perdere tempo.
“Ti preparo un preventivo e te lo faccio avere, ok?”
“oh tranquilla, sono disposto a pagare qualsiasi prezzo.”
E con quella cifra avrei pagato un viaggio ai miei genitori, il regalo di matrimonio di Vic e ne avrei ancora avanzati per comperare pezzi di ricambio o legni rari da lavorare.
Tornata a casa, raccontai della mia giornata a Mary e videochiamai il mio musicista del cuore.
“Ciao amore tutto bene?”
“Sì ma non vedo l’ora che torni a casa!”
“Comincia a contare le ore, che presto sarò lì con te.”
In realtà sarebbe tornato di lì a tre giorni, ma forse contare le ore avrebbe fatto passare il tempo più velocemente. O forse no.
Quella notte sognai la chitarra di Chris. Sarebbe stata scintillante come una galassia nello spazio. Sul retro avrebbe avuto l’incisione del volto dei figli e una decorazione sui bordi. Si era fatto pregare di non dire a nessuno quello che mi aveva chiesto, come se io spifferassi ai quattro venti i segreti dei miei clienti.
Sarebbe stata una chitarra stilosissima, ma avevo solo un mese e le gemme nella cassaforte scottavano un sacco.
Dopo una settimana di tentativi ero riuscita a contattare due amici fornitori; quello delle valvole aveva assicurato che sarebbe riuscito a incastonarne una con rubini, una coi quarzi e una con le giade. Ma il mio fornitore di fiducia, non mi assicurò la riuscita del top e si tirò indietro. Così provai a realizzare da sola la mia idea. Ovviamente prima di usare i preziosi mi cimentai con bijotteria della migliore qualità e con vetri di ogni colore, ma non riuscii ad ottenere l’effetto desiderato. Ero nei guai fino al collo. E avrei voluto spaccare lo schermo del tablet e suon di testate.
Ero talmente concentrata che non avevo sentito la porta aprirsi. “Scusi siamo chiusi. Riapriamo tra due ore”.
Nessuna risposta, solo la campanella che segnalava che la persona era uscita. Senza salutare. Maleducato.
Alice concentrati e trova una soluzione! Ma una distrazione ben più inaspettata fece deviare tutti i miei pensieri.
Il respiro caldo, le sue mani che mi stringevano i fianchi.
“Mi sei mancata, non riuscivo a stare via altri due giorni”.
Nick!! Gli saltai letteralmente addosso e se non fosse entrato mio papà in quel momento giuro che avremmo dato scandalo proprio sul bancone del laboratorio. Ovviamente non riuscii a nascondergli per molto che stavo lavorando ad una chitarra per Chris, ma non gli svelai nulla di più. Promettendogli che però sarebbe stato il primo a vederla finita per darmi uno spassionato giudizio. Nonostante i numerosi misteri lo coinvolsi nel mio cruccio principale e fu grazie a lui che trovai la soluzione. Ci avrei perso un sacco di tempo, ma avrei ridotto al minimo vernici e colle.


AD UNA SETTIMANA DALLA CONSEGNA...
“Al posso entrare? Tra un’ora parto.”
Di nuovo. Ma questa volta solo per due giorni poi sarebbe stato mio per qualche settimana.
“L’ultima lucidatura e ci sono”.
“Ma se poi te la imbratto di nuovo, che senso ha lucidarla a puntino?”
“Uffa dai vieni, guastafeste”.
Gli allungai il manico; quello era il momento che più mi metteva in ansia.
La passione per la musica e per quell’oggetto gli si leggeva chiara in faccia. E guardava la chitarra e me, me e la chitarra.
“Amore, è semplicemente…stupenda! Ne voglio una anch’io”.
“Guardala meglio e provala. Io l’ho fatto non so quante volte, ma ormai non la vedo più bene. Non vorrei fosse un disastro o mancassero pezzi”.
Nick mi guardava con venerazione e amore.
“E’ una bomba Al!”
E si perse a saggiarne il peso, a controllare ogni tasto su cui avevo incastonato i diamanti. La levigatura era perfetta. Le valvole mosaicate con le pietre scintillavano nonostante la pasta di vetro avesse portato via un po’ del loro originario splendore. Il resto delle gemme era disposto come a disegnare la galassia M51. I volti incisi dei figli sembravano veri e la frase che correva ad arabeggiare tutto il contorno dello strumento era una strofa di una delle loro canzoni che, per inciso, adoravo. Inconsapevolmente i due coniugi Martin si erano dedicati a vicenda lo stesso strumento.
“Amore, questa entra di diritto al primo posto in classifica delle tue migliori creazioni”.
Gongolavo se era lui a dirmi quelle cose.
“Sul serio? E che fine ha fatto il tuo splendido dobro?”
“Chris ne andrà matto. Per quanto riguarda il dobro, dovrà cedere il primo posto, ma resterà sempre primo nel mio cuore. Posso suonare un pezzo?”
“Devi”. E le note risuonarono decise anche senza l’amplificatore.
“Vorrei vedere la faccia di Chris quando la vedrà.”
“Umh in realtà la consegnerò a sua moglie, quindi la sua faccia non la vedrà nessuno di noi.”
Ero impaziente, ma per fortuna la settimana volò.

DRIINN
“Sì pronto?”
“Alice, sono Gwyneth, posso passare in negozio?”
“Sì siamo aperti con orario continuato oggi”
Ci stavamo preparando per una fiera, il negozio chiudeva ai soliti orari, ma per i clienti “speciali” facevamo gli straordinari.
“Dieci minuti e sono da te.”
Sarebbero partiti nel primo pomeriggio. Peccato, mi sarei persa la foto di rito con Chris.
“Ecco a te Gwyneth, mi raccomando, niente urti e ogni tanto portatela a farla lucidare da un esperto.”
“Credo che Chris verrà qui apposta per farlo fare a te. Comunque complimenti è venuta veramente bene”.

DLIN DLON.
Che strano non aspettavo altri clienti di lì ad un’ora.
Ah beh quando si dice la sfortuna. Dietro a lei c’era lui.
Il sorriso di un secondo prima spento sulle labbra.
“Gwyn e tu che ci fai qui?”
“Potrei chiederti la stessa cosa”
“Beh non ce la facevo ad aspettare un’altra ora e volevo venire a prendere la mia chitarra.”
Invano cercai di aiutarla a nascondere la carta di credito. E Chris sembrava triste. Ma quando la moglie gli spiegò tutto, lui si inginocchiò e le baciò prima le mani per poi stringerla a sé. Alla faccia delle voci che li volevano in crisi perenne.
Poi la sua attenzione fu calamitata verso la chitarra che giaceva in attesa sul bancone; per fortuna, ormai non sapevo più dove guardare pur di risultare invisibile ed allo stesso tempo lasciargli quel momento di intimità che mi metteva un po’ a disagio.
“Alice, ma è stupenda. Ma… non ho parole, ma…. e queste e…..oh guarda qui.”
Sembrava un bambino col suo giocattolo preferito. Voleva lasciarmi un’altra mancia, che rifiutai a patto di poter fare una foto con lui, sua moglie e la chitarra e avere il suo autografo su un frammento di ebano.

DUE SETTIMANE DOPO…
Stavo comodamente seduta sul divano aspettando che Nick portasse le birre. Quella sera avrebbero trasmesso uno speciale sui Coldplay. Non mi aspettavo nulla, ma ero comunque curiosa. Chissà se Chris aveva poi aperto il suo tour con la nuova chitarra.
“Al non hai aperto la posta?”
Uffi, in quelle rare occasioni che ci concedevamo una serata sul divano anche perdermi la pubblicità era un reato.
“Amore la puoi prendere tu?”.
“Ok… sfaticata!”
Dopo pochi minuti birra e busta erano sulle mie gambe e alla TV risuonavano le note di Charlie Brown.
“Non la apri?”
Ero troppo incantata dalla musica.
“Sì sì ora apro”
E dalla busta uscì una cartolina di Los Angeles. Non riconoscevo la scrittura, ma leggendo capii subito da chi arrivava, nonostante le poche parole: alla ragazza 6 corde più in gamba che conosca. In concerto fa scintille.
“Chi ti ha scritto?”
Ma in quel momento un movimento sul palco aveva catturato la mia attenzione, tanto che rischiavo di far cadere cartolina e birra sul tappeto. Anche Nick si guardò alle spalle ed entrambi guardammo gli accordi di fix you uscire da una chitarra tempestata di gemme.

Il mix di concerto ed intervista stava volgendo al temine e appena prima dei titoli di coda comparve Chris che innalzava la mia chitarra mostrando a tutti i presenti il volto inciso dei sui due figli. Lo stesso Chris comparve un fotogramma dopo, sudato, nel post concerto mentre dichiarava
“dedico questo primo concerto del nuovo tour a mia moglie, ai miei figli e ad Alice, la più brava ragazza sei corde che io conosca. Grazie Al!”
FINE
Già questa è la fine di come ho conosciuto Nick e di come ci siamo innamorati, la fine di un periodo, che però è solo l’inizio di un’altra, spero lunghissima parentesi della nostra vita.
In questo momento sto cercando di capire cosa manchi. Sono sicura che ho tralasciato qualcosa, lo sento perchè ci sono già tre campanelli d’allarme nella mia testa.

DLIN DLON DLAN
Beh ve lo ricordate spero che non abito più nell’appartamento all’ultimo piano in centro. Casa che vai campanello che trovi!
“Sis’ qualcosa mi dice che stai cercando questo”.
Ma come diavolo ho fatto a dimenticare il beauty da lei?! Ah già la sua cartella clinica…tranquilli nessuna cicogna in arrivo, Mary è stata operata da poco. Un piccolo interventino al piede. Ecco perché posso rapirla dalle scene per qualche tempo. È solo che ogni volta che guardo i raggi e vedo quello spuntone osseo vicino all’alluce, mi chiedo come sia possibile che capiti una cosa del genere. Probabilmente ero così assorta che non mi sono ricordata che ero andata nell’altra metà dell’immenso giardino con il beauty in questione, abbandonandolo poi su chissà quale superficie.
“Ecco cosa mancava! Grazie Mary”.
“Al, mi piacerebbe sapere cosa ti dice Nick in merito al tuo proverbiale disordine.”
“Beh perché non glielo chiedi stasera quando saremo col culo in ammollo nella spa dell’albergo che abbiamo prenotato?”
Già mi stavo immaginando la scena: noi quattro, finalmente rilassati dopo mesi di lavoro e di riflettori puntati, a ridere finalmente come ragazzi della nostra età.
E mi immaginavo la faccia di Mary quando Nick avrebbe ammesso, che nonostante tutto anche lui è un sostenitore del “disordine creativo”; come potrebbe essere altrimenti, visto il lavoro che fa? Certo è un filino inquietante, se un calzino finisce inavvertitamente nel congelatore, o se al posto del calza scarpe ti capita un avanzo di un manico di chitarra, ma pazienza noi ci troviamo così.

E questa è proprio la fine, FINE : )


P.S: mi dispisace tantissimo che alla fine C&G si siano lasciati :((
Spero che questa storiella vi sia piaciuta, anche se non ha ottenuto riscontro in termini di recensioni, grazie a chi ha letto (e non siete proprio pochi) , a chi ha messo la storia tra le seguite. A chi in futuro si imbatterà in queste righe e a chi vorrà recensire anche dopo questo capitolo di chiusura. Grazie per aver contribuito a render reale un mio piccolo sogno. Come ho scritto da altre parti non ho velleità di inseguir i miei grandi idoli della carta stampata, ma da quando sono piccola ho sempre avuto il pallino della scrittura. E aver trovato EFP mi permette di mettermi in gioco, restando nell'anonimato. Mi diverto e spero di render piacevoli alcuni minuti delle vostre vite.
Spero alla prossima. Buona scrittura e lettura a tutte/i

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