A caccia del passato

di Carmilla Lilith
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo uno ***
Capitolo 2: *** Capitolo due ***
Capitolo 3: *** Capitolo tre ***
Capitolo 4: *** Capitolo quattro ***



Capitolo 1
*** Capitolo uno ***


La ragazza si sentì scuotere e, lentamente, si risvegliò. Ancora stordita dal sonno si girò lentamente su un fianco e aprì gli occhi, pentendosi amaramente di quel gesto: un uomo, morto a causa delle numerose ferite d’arma bianca, giaceva poco distante da lei. La giovane scattò rapidamente a sedere, notando con orrore che tra le mani stringeva una spada, la cui lama era insanguinata.
Era talmente inorridita che per qualche minuto non si accorse dell’uomo che l’aveva risvegliata, un giovane della sua età, poco più alto di lei ma decisamente più possente. Aveva i capelli lunghi e biondi, indossava un’armatura e portava uno spadone enorme assicurato alla schiena. La ragazza si sentì perduta quando incrociò i suoi occhi azzurri, severi e indagatori.
Cosa poteva dire? Che non c’entrava, che non sapeva nulla dell’accaduto? In effetti era vero, non ricordava niente, assolutamente niente! Provò a parlare ma non vi riuscì, dato che il panico le aveva inaridito la gola e si sentiva estremamente debole. L’altro si chinò accanto a lei e le offrì la sua borraccia. La ragazza ringraziò con un cenno e bevve una lunga sorsata d’acqua, poi disse, indicando il corpo senza vita accanto a lei: “Non sono stata io!”.
Il ragazzo annuì. “Lo so, conosco l’arma che ha provocato quelle ferite e non è la tua spada”. La ragazza sentì un gran sollievo: allora era davvero innocente!
Il ragazzo, nel frattempo, aveva cominciato ad esaminare dei cadaveri che si trovavano poco distante, doveva esserci stato uno scontro particolarmente violento. La giovane si concentrò il più possibile, ma riuscì a far emergere soltanto pochi ricordi dalla sua mente confusa: si chiamava Sirona e la sua spada Foxy. Era in viaggio con l’uomo che giaceva accanto a lei, ricordava che erano stati aggrediti da un piccolo gruppo composto da quattro uomini, che aveva eliminato lei stessa, e una ragazza, che aveva ucciso il suo accompagnatore per poi fuggire.
Lo sconosciuto la raggiunse: “Sei stata tu a uccidere quei ladruncoli” annunciò, con freddezza. “Lo so” rispose Sirona, confusa.
“Come ti chiami?” le domandò il giovane. “Sirona.” rispose lei. “Ti ricordi da dove vieni? Perché eri qui?” proseguì l’altro. Lei scosse piano la testa, affranta.
“Sai chi è stato?” domandò all’uomo. “Sì, si chiama Anya, è un’assassina che vive nella Palude Nera, ai servigi del Cavaliere dell’Incubo.” rispose lui. Sirona sobbalzò: conosceva quei nomi e le mettevano i brividi, anche se non sapeva come mai.
“Ti senti bene?” le domandò l’altro. “Sì, solo che sono certa di aver già sentito quei nomi, ma non ricordo nè dove, nè quando.” rispose lei: stava tremando e aveva solo voglio di piangere, ma decise di non farlo, non era ancora il momento delle lacrime.  
“Non ti ho nemmeno chiesto come ti chiami.” Disse poi, rivolta al giovane.
“Mi chiamo Lovernios.” le rispose lui.
“Adesso che ne sarà di me, Lovernios? Dove posso andare?” domandò Sirona, confusa. Era senza ricordi e priva di qualsiasi aiuto, non poteva vagabondare senza meta.
“Puoi venire con me.” propose Lovernios. “Sono un cacciatore di taglie e si da il caso che sia anch’io alla ricerca di Anya. Tutto ciò che ti  chiedo è di non farti notare troppo e non interferire nei miei affari, a quanto pare sai difenderti da sola e questo è un bene”.
Sirona rifletté brevente, prima di rispondere: “Va bene, ci sto. Grazie Lovernios”.
Dopotutto accettare era la cosa migliore, dato che Lovernios ne sapeva più di lei su Anya e nemmeno lei desiderava finire in situazioni complicate, era stata appena aggredita e ancora non ne sapeva il motivo.
 
I due decisero di rimandare al giorno successivo la sepultura del compagno di viaggio di Sirona, dato che si stava approssimando il tramonto e la foresta di notte non era un luogo sicuro. Si diressero, quindi, verso un villaggio poco distante e decisero di pernottare nella locanda del paese. Presero due camere vicine e cenarono insieme. “Dove pensi di andare adesso?” domandò Sirona. “Verso oriente, la Palude Nera è in quella direzione.” rispose Lovernios.
“Cosa puoi dirmi della Palude Nera e del Cavaliere dell’Incubo? Per quanto mi sforzi non riesco a ricordare nulla di loro.” Domandò la giovane.
“Il Cavaliere dell’Incubo è un essere misterioso: si dice che sia lo spirito di un antico cavaliere devoto alla magia nera. Dopo la sua morte il suo spirito si è messo alla ricerca di potenti guerrieri, nel tentativo di prendere possesso del loro corpo, ed ha imparato a manipolare i sogni delle persone, trasformandoli in incubi. La malvagia presenza del Cavaliere ha contaminato queste terre, che si sono trasformate in una palude popolata da creature oscure” rispose Lovernios.
Sirona annuì, trovando familiari le parole del giovane.
“Perché conosci Anya?” domandò, poi, la giovane. Lovernios la fulminò con lo sguardo.
“Ho avuto a che fare con lei in passato. Non siamo proprio in rapporti amichevoli e preferisco non parlarne” rispose poi, con freddezza. Sirona ammutolì, notando che l’argomento aveva decisamente irritato Lovernios. Decise dunque di cambiare discorso.
“La tua spada è molto bella. Ha un nome?” domandò.“Sì, si chiama Rhuntde” rispose Lovernios, accennando un sorriso. Sirona annuì, mostrandosi interessata all’argomento, e il giovane prese a raccontarle di come suo padre lo avesse introdotto all’arte della spada e dell’affetto che provava nei confronti della sua arma. Sirona, con sorpresa, ricordò che la sua spada le era stata regalata, anche se non aveva idea di chi fosse stato a donargliela.
Dopo aver cenato, i due si ritirarono nelle rispettive stanze.
 
Benché si sentisse estremamente stanca, Sirona faticò ad addormentarsi, presa com’era dai dubbi circa la sua identità. Anche quando riuscì a prendere sonno, gli incubi la tormentarono: avvertiva il momorio di alcune voci che le suonavano dannatamente familiari, ma non riusciva a capire né chi stesse parlando, né cosa volessero dirle quei sussurri inquietanti.
Il giorno la giovane si svegliò presto, il sole aveva illuminato il suo letto e la luce l’aveva svegliata. Si lavò con l’acqua fredda del lavabo, si rivestì rapidamente e cercò nei suoi bagagli  un pettine con il quale sistemò i capelli castano scuro, lunghi fino alle spalle. Si specchiò rapidamente alla finestra, notando che i suoi occhi ebano erano pieni sonno. In quel momento sentì qualcuno bussare alla porta e si avvicinò, domandando chi fosse. “Sono Lovernios” rispose il ragazzo. Sirona raccolse i suoi averi e aprì la porta, raggiungendo il suo compagno di viaggio.
Giunti sul luogo del loro primo incontro i due ebbero una pessima sorpresa: la salma dell’uomo era scomparsa e nella zona circostante svolazzavano dei corvi. “Deve essere stata Anya.” intervenne improvvisamente Lovernios.
“Cosa?” domandò Sirona, sconvolta. Perché quella ragazza non le dava pace?
“I corvi sono i suoi compagni di viaggio, ma questi sono stati lasciati come retroguardia. Guarda, la stanno raggiungendo.” spiegò lui, indicandole il cielo. Era vero, i corvi stavano volando tutti nella stessa direzione.
“Seguiamoli!” esclamò la giovane, lanciandosi all’inseguimento dei neri uccelli e venendo rapidamente seguita da Lovernios.
 
I due giovani correvano, entrambi animati dall’ardente desiderio di trovare Anya, Sirona  per scoprire cosa la legava a quella disgustosa assassina, Lovernios nella speranza di ottenere da Anya informazioni su Sirona e su quello che stava accadendo all’interno della Palude Nera: avvertiva la presenza del Cavaliere dell’Incubo farsi ogni giorno più forte.
I due seguirono i corvi senza sosta per circa un’ora ma, dopo aver attraversato una piccola macchia di latifoglie,  scoprirono che non c’era più alcuna traccia degli uccelli del malaugurio nel  cielo.
“Li abbiamo persi” annunciò tristemente Sirona. “Temo tu abbia ragione.” concordò Lovernios. Seguì un breve silenzio, interrotto da Sirona che diede un calcio a un tronco e se ne andò, furiosa.
Non ci poteva credere: l’aveva lasciata sfuggire! Da quando aveva aperto gli occhi il giorno prima si erano susseguite solo disgrazie e lei non ne sapeva nemmeno il motivo, dannazione!  “Sirona”. Lovernios la stava cercando.
Strano, non pensava che l'avrebbe seguita. Si sedette e aspettò l'arrivo del suo compagno di viaggio tentando, invano, di non piangere. Le era stato insegnato che i sentimenti esprimevano debolezza e  che non dovevano essere mostrati agli estranei, era troppo rischioso. Quando Lovernios la raggiunse, però, non riuscì più a trattenersi e così scoppiò in un pianto sconsolato. Il giovane mercenario la osservò imbarazzato, ma poi l’abbracciò e le lasciò sfogare la sua rabbia e la sua tristezza.
Non appena si fu calmata, Sirona si alzò in piedi di scatto. Si vergognava terribilmente, sentiva di aver commesso una leggerezza imperdonabile. “Scusami, non accadrà mai più” si scusò freddamente con Lovernios.
Lui la osservò, un po’ stupito. “Non preoccuparti, è giusto sfogarsi.” rispose. Sirona si limitò ad annuire rapidamente prima di domandargli che cosa aveva intenzione di fare.
“Non saprei, la cosa migliore è senza dubbio proseguire verso oriente.” le rispose lui. “Allora andiamo. Non possiamo permetterci di perdere tempo” lo incitò, acidamente, lei.
Lovernios annuì e passò davanti alla compagna di viaggio, facendo strada.
 
Il giovane mercenario non riusciva proprio a capire cosa fosse accaduto a Sirona. Sembrava pentita di aver pianto. Che avesse dell’astio verso l’uomo ucciso? Non poteva vergognarsi dell’atto di piangere, le donne piangevano spesso, pensò Lovernios.
Doveva, però, ammettere che Sirona non si era rivelata una donna qualsiasi fino a quel momento: era una brava spadaccina e non si sconvolgeva davanti alla vista del sangue.
Un dubbio fulminò la mente di Lovernios, l’unica donna che assomigliava a Sirona era Anya, se anche la sua compagna di viaggio fosse stata un’assassina? Non era un’ipotesi da escludere, dato che  le aggressioni tra assassini erano piuttosto frequenti e forse Anya aveva aggredito Sirona e il suo compagno perché erano suoi rivali. “Dannazione!” imprecò tra sé Lovernios.
 
Sirona, dal canto suo, era rosa dalla rabbia nei confronti della sua assurda e insensata emotività. Non era il caso di disperarsi, tutto sommato aveva ancora tempo per trovare Anya, anzi, la vendetta sarebbe stata più cruenta e inaspettata se non avveniva nell’immediato. Si sentì pervadere da una certa letizia al pensiero del possibile scontro con colei che le aveva distrutto la vita, ma la sua mente venne attraversata da un dubbio: come mai provava tanta familiarità con l’atto di uccidere? I ladri che aveva trovato morti al suo risveglio li aveva uccisi per pura e semplice necessità, ma era ormai certa che quella non fosse la prima volta che aveva tolto la vita ad un essere umano. “Non può essere.” pensò accigliata, mentre accelerava il passo per raggiungere Lovernios.
 
I due proseguirono silenziosamente. Il cielo si stava lentamente coprendo di nuvoloni grigio scuro. “Presto comincerà a piovere, sarà meglio cercare un riparo, gli acquazzoni sono estremamente violenti in questa zona.” spiegò Lovernios alla ragazza che lo seguiva silenziosamente. In effetti anche Sirona aveva percepito una certa umidità nell’aria e anche una brezza particolare, si preparava certamente un temporale molto forte. “Qui dovrebbe esserci un casolare abbandonato, possiamo dormire lì.” le propose il giovane biondo. “Ottima idea, sta per aprirsi il cielo.” concordò Sirona.
Il casolare era una piccola struttura in mattoni, con il tetto miracolosamente intero. L’interno era spoglio e diroccato, ma una stanza al piano terra, probabilmente la cucina, era in buone condizioni ed era inoltre dotata di camino.
“Vado a prendere della legna.” annunciò Lovernios. “Aspettami, ti do una mano.” si offrì Sirona. Ormai le nuvole si erano addensate e non mancava molto all’inizio del temporale.
Riuscirono a rientrare nel casolare con la legna proprio mentre cominciavano a cadere le prime gocce di pioggia. Lovernios armeggiò un po’ con la legna e diede vita a un fuocherello che scaldò e illuminò la stanzetta mentre Sirona, seduta in un angolo, osservava il suo compagno di viaggio: si era accorta che lui non si fidava di lei, forse era giunto alla sua stessa conclusione riguardo ai suoi rapporti con Anya.
Decise di parlargliene, prima che la situazione si facesse troppo ambigua e pericolosa. “Non ti fidi di me, vero?” domandò a Lovernios. Lui la osservò e le si sedette davanti. “Cosa intendi dire?” le domandò. “Tu pensi che io sia un’assassina e non so darti torto, ma sappi che ti puoi fidare di me, non ho intenzione di farti del male” lo rassicurò lei.
Il ragazzo la fissò negli occhi, probabilmente stava verificando la veridicità delle sue parole. Sirona lo lasciò fare, era sicura di essere sincera. Dopo un po’ Lovernios rispose: “Nemmeno io posso dirti tutto di me, sarebbe veramente troppo pericoloso e non sono certo di potermi fidare completamente di te”.
“Nemmeno io posso fidarmi completamente di te, sei un cacciatore di taglie e forse io sono un’assassina, potresti decidere di catturarmi.” osservò Sirona.
“Non hai tutti i torti. Però dobbiamo collaborare se vogliamo raggiungere i nostri obbiettivi, sei in grado di farlo?” le domandò lui. “Sì, sono disposta a tutto per arrivare a Anya.” gli rispose.
“Anch’io. Siamo d’accordo, allora? Accetti di fidarti di me, per quanto ti è possibile, e di aiutarmi a trovare Anya?” le domandò Lovernios, porgendole la mano. Senza esitare nemmeno un istante, Sirona strinse la mano. “Certamente. Ma nemmeno tu devi tradire la mia fiducia, Lovernios. Per quanto riguarda Anya, devo essere io ad ucciderla.” disse con aria risoluta la ragazza.
Lovernios annuì. “Mi sembra giusto, hai la mia parola che non ti ostacolerò mai.” le promise poi, sciogliendo la stretta di mano.
Dopo aver suggellato quella bizzarra alleanza, i due cenarono con della carne secca che Lovernios si era procurato prima di partire, e si coricarono davanti al camino per scaldarsi.
 
Il giorno dopo, del temporale non rimaneva nulla, ad eccezzione di una fresca e umida brezza. Fu proprio questa a svegliare Sirona: la ragazza era accoccolata contro una delle pareti del camino ed era coperta da un mantello che non riconobbe subito. La giovane si stiracchiò e stropicciò gli occhi con le mani, poi mise a fuoco la stanza in cui si trovava: tutto era come la sera precedente, a parte il fuoco del camino, che si era trasformato in braci. Lovernios dormiva serenamente seduto con la schiena contro la colonna davanti a Sirona e non indossava il mantello; solo in quel momento Sirona si accorse che il mantello che indossava era quello di Lovernios, probabilmente il giovane l’aveva coperta la sera prima, quando si era addormentata.
La ragazza rimase stupita da quel gesto tanto gentile e decise di contraccambiare riaccendendo il fuoco. Sfortunatamente non c’era più legna. “Poco male.” pensò la ragazza. “Adesso mi alzo e vado a prenderla”. Si alzò e, dopo aver coperto Lovernios con il suo mantello, uscì alla ricerca di legna.
 
Nel bosco aleggiava un odore penetrante, tipico del muschio, e un leggera nebbiolina attutiva l’impatto dei primi raggi solari mentre l’aurora s’intravedeva tra i rami degli alberi. Non sarebbe stato facile trovare legna secca in quella situazione, ma Sirona non demorse. Infine riuscì a trovare una piccola rientranza che aveva riparato dalla pioggia dei piccoli arbusti: non era molta legna, ma bastava per riaccendere il fuocherello. Mentre era intenta nella sua raccolta, la giovane sentì un rumore alle sue spalle. Si voltò di scatto ma non vide nulla.
La giovane diede la colpa di quella sensazione al sonno ma, dopo dopo qualche istante, udì nuovamente il suono. Sicura di non sbagliarsi, posò a terra il suo piccolo carico di legna e uscì dalla rientranza.
Immediatamente scartò di lato, guidata dai suoi riflessi, e quest’azione le salvò la vita: un immenso essere grigio aveva tentato di decapitarla con la sua gigantesca ascia. La ragazza impugnò rapidamente la sua spada, pronta a combattere.
L’essere le si scagliò contro ma Sirona,  grazie alla corporatura esile, riuscì a schivarlo scivolando attraverso le sue gambe. Il gigante inveì contro di lei e abbassò la sua ascia ma la giovane parò l’attacco facendosi scudo con la sua spada. Approfittò poi dello stallo creatosi per scivolare di lato e infilare qualche rapida stoccata al fianco del mostro. Quello emise un gemito orribile e cominciò a roteare la sua arma, ferendo Sirona ad una gamba e strappandole un urlo di dolore.
La giovane si trascinò ancora dolorante su una piccola altura e da qui si gettò addosso al mostro: il suo istinto le aveva consigliato l’unica possibilità di sopravvivenza, ovvero uccidere. La ragazza si mise con difficoltà a cavalcioni sulle spalle del mostro e, da questa posizione, sollevò la spada per poi conficcarla nel cranio della creatura. L’effetto non fu quello sperato: la cosa ululò di dolore e la gettò giù dalle sue spalle. ma non morì. Sirona si trovava a terra, ferita e disarmata, mentre l’essere correva a destra e a manca, fendendo l’aria con la sua ascia. “Dannazione!” imprecò la ragazza: non sapeva più che fare. In quel momento un’ombra si stagliò dalla macchia e osservò, allarmato, la scena: era Lovernios che, svegliato dai lamenti del mostro, si era lanciato a vedere cosa stava succedendo. Sirona si accorse a malapena dell’arrivo del giovane, presa com’era dal combattimento. Aveva appena dato una vigorosa spallata al mostro e, approfittando del fatto che l’essere era in equilibrio molto precario, l’aveva fatto cadere a terra. Poi vi si gettò addosso e, scivolando sul suo busto, raggiunse la testa. “E adesso…” estrasse la spada insanguinata dal cranio con un unico, rapido, gesto per poi riaffondarla nella gola del mostro. Questo si agitò, in preda all’agonia, scalzandosi Sirona di dosso, per poi spegnersi sussultando.
“Che tu sia maledetta, Sirona!” urlò la creatura,  prima di morire.
Sirona si rialzò a fatica da terra e si diresse verso il cadavere dell’essere, che Lovernios aveva già raggiunto. “Lo conoscevi?” domandò il giovane a Sirona. “Non che io mi ricordi. Ma a quanto pare lui conosceva me.” rispose la ragazza, osservando il cadavere. “In effetti.” osservò il giovane. “Andiamocene da qui, non vorrei subire un’altra aggressione.”
“Buona idea. Andiamo!” accettò la ragazza, raccogliendo la sua spada e passandola lentamente contro un masso per pulirla dal sangue. “Vedo che sai come si pulisce una spada dal sangue.” osservò Lovernios. Sirona stupita dalla naturalezza con cui aveva eseguito quel gesto. “Chi sono io?” si domandò, sconvolta.
 
I due continuarono il loro cammino verso oriente. Lovernios prevedeva di non impiegare più di tre giorni per raggiungere la palude e Sirona si era affidata completamente a lui, in primo luogo perché non aveva altra scelta e perché, tutto sommato, aveva fiducia in quel misterioso giovane. Riconosceva in lui qualcosa di simile a lei, una colpa del passato che li continuava a perseguitare. Sirona adesso ricordava qualcosa: era brava a confondere la realtà, a mentire e ingannare per vivere e di averlo fatto spesso in passato, ma sapeva anche di non poter gabbare Lovernios perché quell’uomo era dannatamente furbo e sembrava prestare attenzione a tutto ciò che lo circondava. A dirla tutta, questo era uno dei motivi per cui Sirona lo rispettava e si fidava di lui.
 
Lovernios ormai non aveva più dubbi sul fatto che qualcosa di oscuro macchiasse il passato della sua ambigua compagna di viaggio. Aveva visto la sua espressione e le sue movenze finché combatteva e poteva tranquillamente concludere che uccidere non era una novità per la giovane. Eppure si fidava di lei: era sicuramente una ragazza troppo astuta per commettere stupidaggini ma Lovernios sentiva che, anche avendone l’occasione, non l’avrebbe fatto nulla di malvagio e gli sembrava che Sirona avesse imparato a combattere più per necessità che per mero sadismo. La sentiva molto simile a sé, in un certo senso, ma non poteva fare a meno di porsi alcune domande su di lei: chi era veramente? Perché aveva perso la memoria? Tutti questi interrogativi restavano senza risposta, anche perché al momento Lovernios doveva occuparsi di un problema ben più grande, ovvero l’orribile sensazione che il potere del Cavaliere dell’Incubo stesse pericolosamente aumentando. Forse l’immondo spettro aveva trovato un nuovo corpo da possedere e Lovernios sapeva bene quanto questo fosse pericoloso, perché c’era stato un tempo in cui lui e il Cavaliere erano stati una cosa sola.
 

L'angolo dell'autrice 
 

Salve gentaglia, eccomi di ritorno, pronta ad infestare nuovamente la sezione fantasy! 
Questa storia doveva partecipare al contest "Fantasy I love U" indetto da fravgolina sul forum di efp (http://freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd=10569622) ma, non sono riuscita a rispettare i termini di consegna. Intanto, vi lascio con il primo capitolo di una storia totalmente sconclusionata e qualche noticina: Sirona, nelle lingue celtiche, significa stellare ed era il nome della dea che i Romani decisero di porre come moglie di Apollo, mentre Lovernios, sempre in celtico, significa volpe. Rhutnde, invece è il pietoso anagramma di tuono in inglese (thunder). Detto ciò, non mi resta che sparire.
P.s. Mi spiace ma questa storia non ha nulla a che fare con Le sette spade di Efesto e C'è un re, MA mi impegno a dare aggiornamenti in tal senso prima di fine estate.
A presto, 

Carmilla Lilith.

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Capitolo 2
*** Capitolo due ***


fantasy 2
Dopo due giorni di cammino pressoché ininterrotto Sirona e Lovernios raggiunsero la Palude Nera. Sirona capì immediatamente perché quel luogo suscitava così tanto terrore negli abitanti delle terre limitrofe: l’aria era pregna dell’odore di decomposizione, una foschia nerastra rendeva difficile orientarsi e le acque stagnanti erano nere come la pece.
“Il Cavaliere dell’Incubo vive ormai da duecento anni in un maniero all’interno della Palude, in molti hanno provato a sfidarlo, ma tutto ciò che sono riusciti soltanto a donare nuovi corpi da possedere allo spirito del Cavaliere.” spiegò Lovernios a Sirona, poco prima di addentrarsi nella palude.
La giovane annuì, prima di domandare: “Perché il cavaliere si circonda di assassini? Il suo potere non è sufficiente”?
“Gli assassini hanno il compito di procurare vittime che il Cavaliere possa possedere, oltre che di razziare i territori confinanti per permettere l’espansione della Palude. Inoltre, quando la persona che il Cavaliere possiede muore, spesso sono gli assassini donano il proprio corpo, permettendo allo spirito di mantenere una dimora corporea”.
Sirona annuì, poi lei e Lovernios proseguirono il loro cammino all’interno del territorio infestato.
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Trovare un posto per accamparsi non fu un’impresa facile nel territorio, dato che le numerose sabbie mobili rendevano l’avanzata faticosa e gli appezzamenti di terra sicura erano pochi e non molto estesi. Le riserve di carne secca erano abbandonati, ma le scorte d’acqua cominciavano a scarseggiare e Lovernios decise di fare una deviazione nell’itinerario, che avrebbe permesso di passare dall’unica fonte di acqua pura all’interno della Palude. Non venne acceso alcun fuoco, sia per la mancanza di legna che per evitare il rischio di attirare qualche nemico.
 
Quella notte Sirona sognò l’uomo del bosco. Rivide l’ultima notte che trascorsero insieme e scoprì che i suoi rapporti con lui erano tutto fuorché casti ma, soprattutto, vide l’attentato: era vero, Sirona aveva eliminato tutti i suoi rivali ma, mentre Anya si occupava del suo compagno, lei era rimasta ferma ad osservarlo morire.  Non aveva alzato un dito per salvarlo, anzi, si era sentita sollevata quando l’uomo aveva esalato il suo ultimo respiro e Anya non aveva nemmeno provato ad attaccarla.
La giovane si alzò di scatto, trattenendo a stento un urlo, sconvolta dalla consapevolezza delle proprie colpe. Fortunatamente Lovernios dormiva e non si era accorto dell’orrore che provava la sua compagna, la quale non era intenzionata a rivelargli quanto scoperto.
 
Il giorno dopo il mercenario spiegò il suo piano a Sirona: si sarebbero diretti verso l’estremità meridionale della palude, dove si trovava un antico tempio dedicato a Dana, la divinità delle acque celesti. All’interno dell’edificio si trovava l’unica fonte di acqua potabile delle Palude Nera, inoltre Dana, la sacerdotessa del tempio e la presunta reincarnazione della divinità, conosceva molto bene Lovernios e sarebbe stata certamente disponibile ad aiutarlo a trovare Anya.
I due compagni di viaggio ripresero il viaggio verso sud, anche se la marcia proseguiva molto lentamente.
 
Dopo circa tre ore di camminata accadde qualcosa di strano. Più di una volta sia Lovernios che Sirona udirono dei rumori di passi che non appartenevano a loro. La foschia rendeva difficile individuare un possibile nemico, così presero ad avanzare nel più completo silenzio, affidandosi soltanto all’udito.
Improvvisamente sentirono un colpo di arma da fuoco esplodere alle loro spalle e riuscirono a mettersi in salvo soltanto gettandosi a terra.
Sirona si rialzò per prima e, non appena riuscì a mettere a fuoco l’avversario, rimase sconvolta: era un non morto. La pelle era putrefatta e gonfia, le vesti lacerate e odoravano di muffa e, oltre alla pistola, era armato di una corta daga. Gli occhi vitrei dell’essere indugiarono su Sirona mentre la ragazza si metteva in posizione di guardia. “Povera creatura, vuoi cedermi la tua anima così?!” la schernì lo zombie, ridendo.
“Non mi fai paura.” Rispose, in un soffio, Sirona “Ne sei sicura, piccola impudente?”domandò, minaccioso, l’altro.
Il non morto le sparò ma lei scartò di lato appena in tempo per evitare il proiettile. Fortunatamente quella pistola richiedeva molto tempo per essere caricata e questo giocava a favore della ragazza. Piena di rabbia e alimentata da un certo desiderio di violenza, la giovane si scagliò contro l’avversario a spada tratta. Lo zombie, però, sapeva il fatto suo e bloccò il colpo opponendo alla lama di Foxy quella della sua spada e cominciò a fare pressione verso il corpo di Sirona.
Nel frattempo aveva cominciato a piovere e leggere ma gelide gocce di acqua cadevano sui due combattenti. Sirona mollò improvvisamente la presa e, approfittando del momentaneo squilibrio dello zombie, gli mollò un calcio facendolo cadere a terra. Sollevò poi la sua spada e la calò sul corpo dell’avversario, che urlò di dolore ma, soprattutto, di rabbia. La ragazza tentò di estrarre la spada dal corpo del mostro ma quello si alzò e la scaraventò a terra per poi estrarre la spada e gettarla lontano.

Lovernios si ritrovò impegnato nello scontro con altri due guerrieri zombie, che avevano attaccato subito dopo il loro compagno.
 

Lo zombie fissò la giovane che giaceva semisdraiata a terra e lo guardava con espressione sprezzante. Cominciò a caricare la pistola per finire quella dannata sgualdrina ma gli bastò un istante di distrazione per perderla di vista. Si guardò intorno e la vide mentre riafferrava la sua spada. “Non pretenderai di affrontarmi ad armi impari.” mormorò la ragazza con un espressione divertita. Il non morto capì che quella ragazza era decisamente più pericolosa di quanto dimostrasse e decise di finirla, sparandole mentre lei lo caricava. Il proiettile non colpì, come aveva sperato, un organo vitale ma si conficcò in una spalla della ragazza. La giovane avvertì quel lancinante dolore che si diffondeva in tutto il suo corpo ma proseguì imperterrita il suo attacco: infilzò lo zombie con la sua spada, gli rifilò un calcio nell’inguine, estrasse Foxy dal corpo dell’avversario e la utilizzò per potenziare la spallata con la quale gettò la malvagia creatura all’interno delle sabbie mobili color della notte.
La spalla sembrava aver preso fuoco da tanto le bruciava e la pioggia continuava a cadere. Lovernios, che aveva eliminato gli altri aggressori, le corse incontro, domandandole se stesse bene.
Sirona sorrise debolmente, mostrando la sanguinante ferita che aveva sulla spalla. “Non molto, purtroppo.” rispose poi.
Il mercenario imprecò, affrettandosi a soccorrere la sua compagna di viaggio realizzando una rudimentale fasciatura.
“Dobbiamo raggiungere il tempio il prima possibile, certamente sapranno come medicarti!” disse Lovernios, incoraggiando Sirona a riprendere il cammino.
La giovane avanzava più lentamente del compagno di viaggio, resa debole della generosa perdita di sangue, e si sentiva sempre più debole.
Quando, dopo un’ora di cammino, i due arrivarono alle porte del tempio Sirona svenne, vinta dalla fatica.
 
“Ehi, Foxy!” chiamò un giovane dai capelli neri, piuttosto muscoloso e ricoperto di cicatrici. “Che vuoi, Jackal?” domandò sottovoce Sirona. I due erano seduti nei pressi di un acquitrino fetido e osservavano l’acqua melmosa.
“Volevo vedere come stavi, dopo l’ultima missione mi sembravi piuttosto scossa.”
“Missione? Con quale coraggio definisci missione l’aggressione di poveri mercanti indifesi? Non erano corpi adatti al nostro padrone, lo sai benissimo!”
“Non puoi lamentarti, Foxy, questa è la nostra vita! I loro corpi non saranno la prossima dimora del Cavaliere, ma si sono rivelati degli ottimi zombie.” ribattè Jackal.
In quel momento arrivarono una donna dai capelli corvini e l’espressione maliziosa e l’uomo del bosco, raggiunti poco dopo da due ceffi alti e muscolosi, entrambi castani.
“Dov’eravate finiti voi due?” domandò Sirona, rivolta all’uomo del bosco e all’altra donna. “Che c’è, sei gelosa?” domandò la donna, con un largo sorriso.
Sirona scattò in piedi e puntò la lama contro la gola della donna. “Foxy, Puma, fatela finita immediatamente!” le separò l’uomo del bosco. Sirona rifoderò l’arma, squadrando Puma “La tua amichetta dovrebbe darsi una calmata o il nostro Signore potrebbe adirarsi con lei.” osservò, riprendendosi, la donna mora.
“Tu farai meglio a sparire, prima che io…” minacciò Sirona. “Foxy, smettila immediatamente! Puma ha ragione, sei indisciplinata” intervenne l’uomo del bosco. “Scusami, hai ragione Wolfe.” si scusò Sirona, calmandosi un po’.
“In ogni caso il Cavaliere vuole già vederla.” intervenne uno dei due uomini castani. “Che hai detto Lionel?” domandò, esterrefatta, Sirona. “Ti garantisco che è vero.” assicurò l’altro.
“Non può essere, non ho mai disubbidito agli ordini, lo sai Leonard!” obbiettò Sirona. “Io non c’entro. Che tu ci creda o no, è stato proprio lui a chiedere di vederti.” rispose Leonard.
Sirona si alzò e si avviò verso l’interno del castello. “Non preoccuparti, vedrai che non è niente di grave.” la rincuorò Wolfe, battendole una mano sulla spalla. “Forse vuole solo sapere chi sei, non ti ha mai vista.” aggiunse.
La ragazza accennò un sorriso e poi raggiunse l’interno del castello, con il cuore che le batteva all’impazzata.
 
Sirona si svegliò di soprassalto, interrompendo il sogno. Era distesa all’interno di un edificio che non riconosceva, probabilmente il tempio e, poco distante da lei, udì la voce di una donna e di Lovernios. La ragazza si alzò a fatica, notando che la sua ferita era stata medicata, e raggiunse i due. “Sirona, come stai?” domandò Lovernios, andandole incontro. “Molto meglio, anche se sono ancora un po’ debole.” rispose la giovane. Lovernios annuì, rasserendandosi notevolmente.
Il mercenario presentò a Sirona la sacerdotessa Dana. Quest’ultima era una donna piuttosto anziana, dai capelli candidi e lunghissimi, vestita di una larga tunica color acquamarina.
“Cosa sta succedendo, Dana? Sento che il potere del Cavaliere dell’incubo sta tornando.” intervenne il giovane mercenario.
Dana sospirò. “Non so se posso parlartene in sua presenza.” disse, osservando diffidente Sirona. “Lei viaggia con me, deve saperlo.” sentenziò Lovernios, difendendo la compagna di viaggio.
Sirona cominciava a temere che Dana sapesse qualcosa sul suo passato. Forse lo avrebbe detto a Lovernios, e sarebbero stati guai seri. “Se tu ti fidi di lei…” commentò la sacerdotessa, facendo le spallucce.
“In ogni caso, circola la voce che il Cavaliere dell’Incubo sia tornato al suo antico splendore, protetto dalla sua servitrice Anya. Alcuni dicono che quell’essere malvagio stia escogitando qualcosa per diventare ancora più potente.” spiegò Dana, preoccupata. “Sai dove si trova?” domandò, con una sorprendente foga, il giovane mercenario.
 “Le mie fonti dicono che ha fatto ritorno nel suo maniero.” rispose Dana, osservando Sirona con uno strano luccichio negli occhi chiari. La giovane mora ne ebbe la conferma: quella sacerdotessa sapeva qualcosa su di lei.

L'angolo dell'autrice

Salve a tutti! Vi lascio un nuovo capitolo, molto più breve del precedente.
Non c'è molto da dire, se non che anche il nome Dana deriva dal celtico ed era uno dei nomi della Grande Dea, generalmente associato al suo potere sulle acque.
Ringrazio tutti coloro che hanno seguito questa storia e vi invito a segnalarmi eventuali errori riscontrati nel testo: l'ho ridotto moltissimo e ho paura di aver modificato dei periodi senza corregerli.
Detto ciò, sparisco.
A presto,
Carmilla Lilith.
 

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Capitolo 3
*** Capitolo tre ***


fantasy 3
Sirona riuscì a parlare con Dana quella sera. Lovernios stava studiando alcune carte geografiche in possesso della sacerdotessa e così la ragazza ne approfittò per chiedere a Dana di poterle parlare in privato. La donna acconsentì.
“Tu sai chi sono, vero?” domandò, a bruciapelo, Sirona. Dana sorrise. “Sei un’assassina. Anzi, sei peggio, sei una dei criminali al servizio del Cavaliere dell’Incubo.” rispose poi.
La ragazza scosse istintivamente la testa. “Non può essere! Come lo sai?” domandò, poi.
“Una volta vi siete introdotti nel mio tempio. Ho ucciso uno di voi, poi siete scappati. Eravate soltanto in tre: tu e due ragazzi, uno biondo e uno moro.” rispose la sacerdotessa.
“Quanto tempo fa è successo?” domandò Sirona, dubbiosa. “Circa sei settimane fa.” rispose Dana.
I conti tornavano: Jackal era morto lì mentre Sirona e Wolfe erano riusciti a fuggire, cercando l’acqua pura al di fuori della Palude Nera. Nella foresta avevano incontrato Anya, che li aveva puniti per aver fallito la missione. Ma perché non aveva ucciso Sirona?
“Perché non l’hai detto a Lovernios?” domandò Sirona a Dana.
 “Dovrai farlo tu. A quanto dice Lovernios ti stai dimostrando degna di fiducia e sembri intenzionata ad affrontare il tuo lato oscuro.” rispose la sacerdotessa.
“Lovernios mi allontanerebbe, se venisse a saperlo.” rispose Sirona, amareggiata. Dana le poggiò la mano sulla spalla. “Mettilo alla prova, potrebbe stupirti!” la incoraggiò.
La giovane annuì, intuendo che Dana conosceva molto meglio di lei  passato di Lovernios.
 
Dopo aver riempito le borracce con l’acqua pura della fontana, i due decisero di trascorrere la notte nel tempio, che se non altro era un posto sicuro.
Lovernios tentava di non essere indiscreto, ma aveva notato l’improvviso silenzio della sua compagna di viaggio e la cosa lo inquietava un po’. Non osava chiederle di cosa avesse parlato con Dana, anche perché era evidente che Sirona non aveva voglia di parlarne, ma non riusciva ad accettare il muro di silenzio che la ragazza aveva eretto intorno a sè.
“Ti senti bene?” domandò alla giovane, mentre cenavano. “Abbastanza.” rispose atona.
“C’è niente che vorresti dirmi?” domandò Lovernios, anche se non sperava molto in una risposta della compagna di viaggio. Sirona parve riflettere. “In effetti c’è una cosa che vorrei domandarti.” rispose.
“Davvero? Dimmi pure.” la invitò il biondo mercenario, sorpreso.
Sirona fece un profondo sospiro. “Tu hai mai visto il Cavaliere dell’Incubo?” domandò, poi. Lovernios si sentì gelare.
“Sì, l’ho visto, perché?” rispose, tentando di mantenere la calma. “Volevo sapere com’è fatto, voglio sapere se l’ho mai visto.” rispose Sirona.
“Il Cavaliere è solamente una gigantesca armatura nera, il suo interno è vuoto e viene manovrato come un burattino dal suo spirito oscuro.” rispose Lovernios.
 
Dopo cena i due giovani si ritirarono in due stanze divise del tempio, su richiesta di Dana.
Sirona era distesa nel suo letto, ma non riusciva a dormire, dato che aveva paura di proseguire il suo sogno, se si fosse addormentata. Però era anche curiosa: voleva sapere se Lovernios le aveva detto la verità sul Cavaliere dell’Incubo. Lei non ne era così convinta: ricordava che il Cavaliere le era anche parso attraente e dubitava che un’armatura potesse piacerle.
La ragazza sospirò. Era ingiusta con Lovernios, negli ultimi tempi, era evidente come lui tentasse di farla parlare, mentre lei gli rispondeva a monosillabi. Non poteva fidarsi di lui, era certa che non sarebbe stato in grado di capirla.
Come se non bastasse, c’era un altro problema ed era uno dei motivi per cui tentava di allontanare il mercenario: si sentiva sempre più attratta da lui. Non era solo attrazione fisica ma una specie di alchimia che, bene o male, la faceva pensare al suo compagno di viaggio sempre più spesso.
La cosa era piuttosto imbarazzante, dato che il frutto delle sue attenzioni era un giovane tanto bello quanto misterioso, ma non riusciva a controllare i suoi sentimenti.
Sirona decise che non le importava nulla dei sogni: era stanca e aveva bisogno di dormire, così decise di rilassarsi e di provare a dormire.
 
Lovernios era perplesso. Perché Sirona gli aveva chiesto del Cavaliere dell’Incubo? Che domanda idiota, era ovvio: doveva aver recuperato dei ricordi riguardanti l’armatura.
Già, ma aveva capito che Cavaliere dell’Incubo e Lovernios erano stati la stessa cosa, in passato? Questo avrebbe spiegato il suo silenzio, forse aveva paura del suo compagno di viaggio. Ma se Sirona conosceva il Cavaliere che rapporti aveva con lui?
Anche Lovernios cominciava ad avvertire la sensazione di aver già visto Sirona prima di quel giorno nel bosco, ma tutto ciò era semplicemente pazzesco, nonché impossibile.
Come se non bastasse Sirona era un chiodo sempre più fisso per il giovane mercenario, le si era affezionato, nonostante lei fosse una ragazza piuttosto ambigua.
Perché quella situazione era così maledettamente intricata? si domandò Lovernios, sconsolato, prima di chiudere gli occhi, nel vano tentativo di allontanare i suoi dubbi.
 
Il giorno dopo Sirona si diresse a passo sicuro verso la stanza del suo amico e rimase stupita nel trovare la porta socchiusa.
La giovane mise mano all’elsa di Foxy ed entrò con circospezione: c’era qualcosa di losco! Proseguì trattenendo il fiato e si avvicinò al letto di Lovernios: i biondi capelli del suo compagno di viaggio sbucavano dalle coperte.
Sirona scostò le coperte e urlò di terrore: non era Lovernios, quello! O meglio sì, ma aveva l’espressione malvagia e gli occhi neri e vacui. La giovane arretrò sconvolta, mentre l’altro le andava incontro, supplicando aiuto.
La ragazza si risvegliò con il fiatone e tremante da capo a piedi. Grazie al cielo era solo un sogno!
Il Cavaliere dell’Incubo e Lovernios potevano essere la stessa persona, era assolutamente impossibile. A quanto ne sapeva nessuno era mai sfuggito al Cavaliere e Lovernios non poteva affatto essere un corpo posseduto dal Cavaliere.
“Non può essere. Dei, vi supplico, ditemi che non è così!” pregò Sirona. Non sarebbe riuscita ad accettare una cosa del genere.
 
Il giorno dopo Lovernios e Sirona ripartirono alla volta del maniero del Cavaliere dell’Incubo, certi che Anya fosse ritornata dal suo padrone.
Quando si congedarono da Dana, Sirona non poté fare a meno di notare una luce particolare negli occhi della donna, che la invitava a parlare con il suo compagno. La giovane, però, non si sentiva affatto pronta a farlo: l’incubo della notte precendente l’aveva inquietata terribilmente e aveva smorzato ancora di più il suo desiderio di confidarsi con Lovernios.
Il viaggio proseguì, certo, ma tra i due compagni d’avventura regnava il più assoluto silenzio, che rese il giorno di marcia ancora più lungo.
Come se non bastasse, i ricordi avevano preso ad emergere sempre più velocemente nella mente di Sirona: ella, infatti, aveva riacquistato molti ricordi legati alla sua infanzia. Era una bambina piuttosto alta e magra, con il viso spruzzato di lentiggini.
La donna che l’aveva adottata, invece, era una donna piuttosto anziana con lunghi capelli biondo cenere striati di grigio, che conosceva i segreti delle piante e delle erbe, cosa che non piaceva affatto ai suoi compaesani più anziani.
Anche Sirona non era molto amata, infatti pensavano che fosse una poco di buono, dato che, essendo adottata, non si sapeva da che famiglia provenisse ed era stata cresciuta da quella strana donna. Le comari del paese si segnavano ogni volta che passava e le mormoravano parole acide e commenti alle spalle e anche i frequentatori della locanda la temevano.
Sirona ricordava la sua terribile soffrenza, dato che lei non provava astio nei confronti di nessuno, voleva solo vivere la sua vita in santa pace e essere accettata per ciò che era. Era venuta a sapere da una ragazza con la quale andava d’accordo che un uomo raccontava spesso storie sul suo conto alla locanda. Anzi, era sempre stato lui a cominciare, gli altri si limitavano a raccontarle. E a crederci.
Chi era quell’uomo? Cosa voleva da lei?
 
“Adesso dove ci stiamo dirigendo, di preciso?” domandò Sirona, quella sera, mentre lei e Lovernios osservavano una mappa illuminata dal fuoco da loro acceso.  Lovernios, infatti, aveva spiegato che non c’era più alcuna necessità di prestare attenzione ai nemici che avrebbero potuto scoprirli, dato che in quel punto della Palude la nebbia era così fitta che il fuoco non si sarebbe potuto vedere se non a pochissimi metri di distanza.
“Verso sud, in un giorno di marcia dovremmo raggiungere il maniero.” rispose Lovernios.
“Mi dispiace se oggi non sono riuscita a parlarti, Lovernios, il mio comportamento è imperdonabile.” si scusò poi Sirona, sinceramente dispiaciuta per la improvvisa ritrosia.
 “Sono contento che ti sia tornato il dono della parola, ma non devi scusarti. Capisco il dolore che provi.” rispose, quasi senza pensarci.
Sirona rimase stupita. “Non puoi capire, Lovernios, tu non puoi immaginare ciò che ho fatto.” replicò la giovane.
“Nemmeno tu puoi.” fu il commento di Lovernios.
“Non tentare di farmi sentire normale, Lovernios. Sono un mostro, lo capisci? Un mostro!” tuonò Sirona, all’improvviso, voltandosi di scatto verso il suo compagno di viaggio.
“Se tu lo sei, anch’io lo sono.” sentenziò Lovernios.
“Ascoltami bene Lovernios, adesso posso dirtelo. Io sono stata un’assassina ai servigi del Cavaliere dell’Incubo stesso, cosa può esserci peggio di questo?!” disse Sirona, piangendo mentre osservava il mercenario.
Lovernios la guardò negli occhi e finalmente ricordò dove l’aveva già vista, ricordò tutto. Il mercenario emise un profondo sospiro, ormai nella confusione più completa. “Io ero il Cavaliere dell’Incubo.” disse.
Sirona emise un gemito. “Allora ricordavo bene.” mormorò, mentre le lacrime continuavano a scorrere. “Ti chiesi di curarmi, quel giorno, ma tu eri appena arrivata e non volevi essere una dei miei assassini.” mormorò Lovernios.
Sirona annuì, senza smettere di piangere. “Ma ubbidii comunque. Oh, Lovernios, quello non eri tu!” prendendo le mani di Lovernios tra le sue.
“Nemmeno tu sei più quell’assassina.” rispose Lovernios, chinandosi verso la giovane. Sirona non sapeva più che pensare, rimase perfettamente immobile, ma il mercenario cambiò all’ultimo istante le sue intenzioni e si limitò a poggiare le sue labbra sulla fronte della ragazza.
“Forse dovremmo riposare, che ne dici? Siamo abbastanza sconvolti, per oggi.” disse poi, con la voce titubante.
“Hai ragione, io ne ho abbastanza, per oggi.” sorrise amaramente Sirona, prima di coricarsi.
 
L’ultimo giorno di cammino fu il più estenuante. La nebbia nera era fittissima e ogni singolo passo andava attentamente misurato per non finire nelle sabbie mobili o nei gelidi acquitrini. Le sagome alberi morti, appena intuibili nella coltre di nebbia, donavano a quel luogo un’atmosfera ancora più teatra, resa insopportabile dal tanfo che veniva emanato dalle acque stagnanti.
A volte, all’improvviso, il gracidare di alcuni corvi risuonava nell’aria, facendo rabbrividrie Lovernios e Sirona.
C’è da dire che durante la marcia Sirona ebbe il tempo di riflettere: la ragazza si ritrovò a pensare a che cosa sarebbe accaduto dopo che fosse riuscita a compiere la propria vendetta, ammesso che vi riuscisse. Sirona non ne aveva la più pallida idea: non aveva una casa, non aveva denaro ma soprattutto non aveva una famiglia. Ora ricordava che  Karen, la donna che l’aveva allevata, era morta molti anni prima ed era stato per quel motivo che Sirona aveva lasciato il suo villaggio d’origine.
Aveva portato con sé solo qualche vestito, i suoi pochi averi e Foxy, la spada di Karen. Si era poi data al vagabondaggio e proprio durante il suo girovagare aveva conosciuto Wolfe, che l’aveva poi convinta a diventare un’assassina.
Questi ricordi, che aveva recuperato durante la notte, l’avevano distrutta: comunque fosse andata la sua missione, nessuno se ne sarebbe curato. Eppure il desiderio di vendetta e la voglia di scoprire quei pochi segreti rimasti tali spingevano Sirona a concludere quella folle vicenda, non importava in che modo.  

L'angolo dell'autrice

Eccomi di ritorno con il penultimo capitolo di questo racconto (forse ci sarà anche un breve epilogo, ma non ne sono sicura).
Ringrazio di cuore tutti voi che avete letto e recensito finora, a presto!

Carmilla Lilith.

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Capitolo 4
*** Capitolo quattro ***


capitolo 4
Il cavaliere dell’incubo si affacciò alla finestra del suo maniero, concedendosi un sorriso: Lovernios stava arrivando! Era finalmente giunta l’ora di vendicarsi e di riprendere quel corpo che si prestava così bene al combattimento.
Non avrebbe nuovamente commesso l’errore di sottovalutare la forza di volontà del suo ospite, che era incredibilmente riuscito a sfuggire al suo controllo circa un anno prima. Certo, anche il senso di colpa aveva avuto il suo peso nella ribellione di Lovernios e, sotto questo aspetto, rischiava molto meno: l’unica persona che poteva ancora rischiare d’immolarsi nel tentativo di salvare il guerriero era quella stolta di Sirona e, molto presto, anche lei non sarebbe più stata un problema, Anya la stava aspettando.
 
***
.
“Karen è morta.” disse improvvisamente Sirona, mentre lei e Lovernios percorrevano il sentiero che li avrebbe condotti allo scontro finale.
Lovernios osservò la sua compagna di viaggio, senza capire. “Era la donna che mi ha allevato, sono rimasta sola.” spiegò Sirona.
“Hai recuperato la memoria, alla fine.” commentò il giovane. “No, non del tutto. Non so perché Anya non mi ha uccisa e non ricordo con chiarezza cosa sia accaduto quella notte…” la voce della ragazza si spense, dato che lei e Lovernios avevano raggiunto il cancello d’ingresso al maniero.
I due poterono entrare facilmente, dato che il cancello sembrava volutamente lasciato socchiuso.
Nel cortile interno giacevano numerosi cadaveri di uomini armati: sembrava che fossero stati dilaniati da uno spadone gigantesco.
Come Rhuntde, pensò Sirona, mentre lottava contro la nausea provocatale dal forte olezzo di sangue rappreso. Evidentemente anche le spade di Lovernios e il Cavaliere dell’Incubo erano due facce della stessa medaglia, così come i loro proprietari.
“Non ci conviene restare qui.” osservò improvvisamente Lovernios, fermandosi accanto alla fontana che sorgeva nel bel mezzo del cortile.
Di nuovo, Sirona agì completamente d’istinto: si lanciò verso il giovane e lo spinse a terra, appena in tempo per evitare che l’attacco di Anya lo colpisse.
“Chi non muore si rivede.” mormorò Sirona alla sua rivale dai corti capelli rossi.
Gli occhi  verdi dell’altra squadrarono l’ex assassina. “Te l’ha mai detto nessuno che sei una guastafeste?” domandò, poi.
 
Nel frattempo Lovernios si stava preparando a sostenere la compagna di viaggio, ma Sirona glielo impedì.
“Vai avanti senza di me, Lovernios. Anya spetta a me, eravamo d’accordo.” disse la giovane, senza distogliere lo sguardo dall’avversaria.
Il giovane ebbe qualche esitazione ma si decise quando Sirona aggiunse, rialzandosi: “Ti prego, devo farlo da sola”.
Lovernios proseguì e il tentativo d’attacco da parte di Anya venne prontamente bloccato da Sirona. “Dobbiamo parlare.” mormorò la giovane.
Anya scrutò attentamente l’avversaria. “Ti preferivo una volta, direi che sei quasi stata il mio idolo…” commentò l’assassina, lanciando la sua arma e riprendendola al volo.
Sirona la riconobbe: era una spada dalla lama ondulata, piuttosto lunga, chiamata Asphyx.
“Il tuo idolo?” domandò Sirona, incuriosita. “Già. Dicevi che disprezzavi la nostra professione ma eri insolitamente brava. Determinata, precisa e pulita. Eri quasi diventata la leader dei più anziani, se non fossi stata così dipendente da Wolfe.” raccontò Anya, soddisfatta.
“Non mi hai uccisa perché mi ammiravi?” proseguì Sirona. Non le importavano le cose orribili che Anya raccontava: era il suo passato, non poteva rinnegarlo.
“Non esattamente. Sei stata tu ad addestrarmi e volevo darti una seconda possibilità, speravo che tu ti liberassi di Lovernios, una volta che l’incantesimo del Cavaliere fosse svanito e avessi recuperato la memoria, ma ho fatto solamente un grosso errore. Tu avresti dovuto uccidere Lovernios per poi unirti nuovamente alla tua famiglia, alla nostra causa! Non l’hai fatto, ora pagherai per questo!”.
Detto questo, l’assassina dai capelli rossi provò nuovamente ad attaccare Sirona, che la evitò scartando rapidamente di lato.
 
Adesso la giovane sapeva quel poco che ancora voleva sentir dire da Anya e poteva, finalmente, compiere la sua vendetta.
Anya si scagliò contro Sirona, che si fece avanti, tentando un affondo che la sua avversaria evitò compiendo un balzo all’indietro, per poi contrattaccare con un colpo dall’alto che Sirona dovette affrettarsi a parare.L’impatto fu comunque tanto violento da scagliare a terra la ragazza mora, che dovette rotolare rapidamente a sinistra per evitare un colpo di Anya.
Sirona riuscì a colpire l’avversaria a un braccio, per poi realizzare una proiezione che la spedì a terra e le consentì di sferrarle un calcio al fianco.
Anya rispose con ferocia, con un attacco tanto potente da scagliare Sirona in aria e farla atterrare dolorosamente al suolo. La mora dovette parare un attacco della rivale, che se fosse andato a segno l’avrebbe certamente uccisa.
“Vedo che le nuove leve non mi sono inferiori.” sorrise Sirona. “Peccato che stiate servendo una causa sbagliata!” aggiunse, mentre caricava Anya, per poi spingerla nella fontana.
La ragazza dagli occhi verdi sbatté la testa contro la statua e rimase un po’ stordita, a sufficienza da poterle infliggere il colpo di grazia. Sirona, però, era profondamente indecisa: voleva compiere la sua vendetta ma non si sentiva più in grado di uccidere.
 
Mentre la giovane tentennava udì un rumore di passi alle sue spalle e si voltò rapidamente, vedendo Puma che cercava di caricarla con la sua spada. Non fu difficile parare l’attacco dell’avversaria e scaraventarla a terra ma, quando Sirona si voltò verso Anya, quest’ultima era sparita, lasciando soltanto uno stormo di corvi inferociti che la costrinsero a rifugiarsi a qualche metro di distanza. Quando i pennuti se ne andarono, l’assassina era scomparsa.
Puma, invece, era ancora sana e salva e stava nuovamente tentando di caricare la giovane mora. Anche due uomini avevano fatto il loro ingresso nel cortile e Sirona li riconobbe come Lionel e Leonard.
“Maledetta! Hai ucciso Wolfe e Jackal!” urlò Puma, mentre Sirona parava nuovamente il suo assalto. “Io non li uccisi, è la causa che servivano a farlo.” rispose la ragazza mora.
“Traditrice, hai rinnegato la tua famiglia!” proseguì Puma.
“Ah, famiglia! Wolfe mi aveva già screditata agli occhi degli abitanti del mio villaggio, così sarei stata felice di unirmi a voi, una volta che Karen fosse morta! Non faceva altro che prendersi gioco di me, approfittandosi del mio affetto!” replicò Sirona, scagliando nuovamente a terra la sua rivale.
“Stai servendo un’illusione, Puma, dovresti rendertene conto! Jackal e Wolfe sarebbero ancora vivi se non fossimo stati così idioti da obbedire al Cavaliere dell’Incubo!” concluse la giovane, voltandosi verso Lionel e Leonard.
“Volete uccidermi anche voi?” domandò ai due che la stavano raggiungendo. “Ce ne stiamo andando, la situazione si fa troppo pericolosa e non vogliamo fare la fine degli altri.” le rispose Lionel.
“Capisco. E ne sono immensamente felice.” sorrise Sirona. “Tentiamo di portare via Puma, poi cercheremo un posto dove andare.” disse Leonard, mentre Lionel tentava di convincere Puma ad alzarsi.
“Farete meglio ad affrettarvi, allora, presto ci sarà uno scontro molto duro.” li avvertì la mora mentre Lionel sollevava di peso Puma e raggiungeva Leonard. “A tal proposito, cosa pensi di fare? Il tuo amico biondo sembra nei guai.” rispose il ragazzo.
Lovernios! Dannazione, in tutto quel caos se n’era quasi dimenticata! “Dov’è?” domandò, in preda all’agitazione.
“Nel salone principale, spero non sia troppo tardi.” rispose Leonard, prima di allontanarsi insieme ai suoi due compagni d’avventura.
Sirona corse a perdifiato, stupendosi della sua idiozia: se era successo qualcosa a Lovernios a causa del tempo che aveva perso prima di soccorrerlo era pronta ad uccidersi con le sue stesse mani!
 
Giunta davanti al portone, scoprì con orrore che era sbarrato. La giovane estrasse Foxy e riuscì a scassinare il portone, decisa come non mai a spalancarlo.
Si ritrovò davanti al combattimento più cruento a cui avesse mai assistito: Lovernios si stava scontrando contro il Cavaliere dell’Incubo e i colpi si succedevano con spaventosa violenza, mentre  Sirona restò paralizzata dalla paura e così rimase ad osservare quel fatidico duello.
Il mostro  sembrava in difficoltà mentre Lovernios lo attaccava con potenti fendenti, determinato come Sirona non l’aveva mai visto. Improvvisamente, una voce rimbombò nella testa della ragazza, ordinandole: “Vieni qui, mortale.”
Sirona inorridì quando si rese conto che le sue gambe stavano obbedendo al richiamo e tentò di opporsi a quella forza con tutta se stessa, ma invano.
Appena fu alla portata del Cavaliere, questi l’afferrò e la utilizzò come scudo umano, costringendo Lovernios a fermarsi.
“Se vuoi liberarti di me, dovrai uccidere anche lei.” disse, di nuovo, la voce del mostro. Lovernios rimase immobile. Sirona reagì. “Se è l’unico modo uccidimi! Non importa se vivo o se muoio, ho solo te al mondo!” urlò la giovane, prima che le dita artigliate del mostro si stringessero intorno al suo collo, spezzandole la voce.
Lovernios cadde in ginocchio, mentre il mostro gongolava. Sirona sapeva che l’avrebbe uccisa comunque, e con lei Lovernios. Perché l’uomo non lo capiva?
Fu un istante. Lovernios balzò in piedi e, prima che il Cavaliere dell’Incubo potesse reagire, gli mozzò la testa con un solo fendente di Rhuntde. Poi il giovane afferrò Sirona e la trasse lontano dal cadavere del mostro, che si levò in aria per poi esplodere,
L’onda d’urto scaraventò a terra i due giovani, lasciandoli al suolo privi di conoscenza.
 
La ragazza si sentì scuotere e pian piano si risvegliò. Si rigirò lentamente su un lato e aprì gli occhi. Si alzò a sedere e vide chi l’aveva svegliata.
“Wolfe?” domandò, meravigliata. “A quanto pare.” rispose l’altro.
“Non dirmelo, sono morta.” disse Sirona, guardandosi intorno. Non c’era niente da vedere, tutto intorno a lei era buio, eccezion fatta per il suo ex amato.
“No, non sei morta, ti ho solo trattenuta un po’, ma non ho molto tempo.” spiegò Wolfe, sedendosi davanti a lei.
“Non capisco. Dove siamo?” domandò Sirona, sempre più confusa. “Non è importante. Ti volevo parlare di quella notte. L’ultima, per me.” rispose il giovane, serio in volto.
La giovane annuì, decisa a non interromperlo. “Non devi sentirti in colpa per quello che è successo. Eravamo ubriachi marci, la morte di Jackal ti aveva stravolta. Volevi andartene, io tentavo di convincerti che sarebbe stato un grossissimo errore. Ti ho fatto bere.” s’interruppe. “Dio, è già un miracolo che tu non sia morta. Penso di aver fatto la fine che meritavo, in fondo.”
“Perché mi dici questo?” domandò Sirona. “Qui ho avuto modo di riflettere e non voglio che tu viva con il peso di quel ricordo. Forse dopo averti detto questo starò un po’ meno male.” rispose Wolfe.
“Vuoi che dica qualcosa a Puma se la vedrò?” domandò Sirona. Il giovane scosse la testa. “Non credo le importasse molto di me. Adesso il tempo è scaduto, devo andare”.
Furono le sue ultime parole, prima di allontanarsi nella direzione opposta a quella di Sirona, nelle tenebre.
 
“Lovernios, svegliati!” la voce di Sirona arrivò alle orecchie del giovane biondo riverso sul pavimento. Lovernios aprì gli occhi e si alzò, la giovane era seduta accanto a lui.
“Non pretenderai di essere sempre tu a far riprendere me!” sorrise Sirona.
“Dove siamo?” domandò Lovernios.
“Esattamente dov’eravamo prima, nel salone. Certo, hanno cambiato l’arredamento!” rispose Sirona. La stanza era grande, sontuosamente arredata ma i mobili e le vetrate erano completamente a pezzi, come se fosse esplosa una bomba.
“Se non fosse per questo disastro, direi che abbiamo sognato.” commentò Lovernios, guardandosi intorno. Sirona annuì e si alzò in piedi, per poi aiutare il mercenario.
“Temevo che avessi fatto una brutta fine.” mormorò Lovernios, rivolto all’amica. “Grazie! Riponi un’immensa fiducia nelle mie capacità!” replicò lei, offesa.
“Conosco te, ma so di cos’è capace Anya.” si giustificò Lovernios. “Comunque anch’io pensavo che tu avessi bisogno di me. Invece stavi per buttare tutto alle ortiche a causa mia!” proseguì Sirona.
“Credi davvero che non sapessi che ti avrebbe uccisa in ogni caso?! Ma ho avuto paura, davvero.” disse Lovernios, raccogliendo Rhuntde.
 
Sirona l’osservò, mantenendosi a distanza. Raccolse Foxy: la sua spada era miracolosamente intatta, a conferma della sua resistenza. Il ricordo di Karen balenò nella mente della giovane, che pianse in silenzio.
“Manca anche a te, vero?” domandò Lovernios, che si era portato accanto alla ragazza. “Tantissimo, la mia famiglia era lei.” annuì Sirona, lasciandosi andare alle lacrime, per la prima volta senza vergogna.
“In che senso anche a te?” domandò la giovane, non appena i singhiozzi s’interruppero a sufficienza da lasciarla parlare.
“Karen ti ha donato Foxy, mio padre mi donò Rhuntde. Quando ero ancora posseduto dal Cavaliere  l’ho ucciso.” rispose Lovernios, mentre i suoi occhi azzurri si facevano lucidi.
“Non sei stato tu ad ucciderlo, è stato il Cavaliere dell’Incubo.” disse Sirona, tentando di consolarlo. Nonostante tutto, credeva in ciò che aveva appena detto.
Lovernios si limitò ad annuire, assorto. Non era certo che il suo conflitto con l’anima del Cavaliere si fosse concluso quel giorno, in fondo il male non si può estinguere del tutto.
 
I due rimasero qualche minuto in silenzio, ognuno assorto nei suoi pensieri, poi uscirono dal castello.
“Adesso che cosa facciamo?” domandò Sirona. Tutto sommato i due non avevano più motivo per restare insieme: Anya era sparita e la Soul Edge era sconfitta. Per il momento.
“Vorrei finalmente tornare da mia madre, devo parlarle.” rispose Lovernios. “Io dovrò inventarmi qualcosa, adesso.” disse Sirona, parlando più a se stessa che al compagno di viaggio.  
“Nel paese dove abito c’è una grande armeria e il proprietario si lamenta sempre dell’incapacità dei suoi aiutanti, vorrebbe qualcuno di più esperto.” disse, con apparente noncuranza, Lovernios.
Sirona sorrise. “Sbaglio o mi stai invitando a venire con te?” domandò, poi. “Non posso lasciarti da sola, finiresti nuovamente nei guai!” replicò Lovernios.
“Non ti permetto di parlarmi in questo modo, Lovernios, sai benissimo che sono io che devo vegliare su di te!” rispose Sirona, fingendosi scandalizzata. “Sbaglio o è un sì?” domandò Lovernios.
Sirona annuì. “Sei certo di quello che fai, Lovernios?” domandò la giovane, facendosi seria.
“Sì, assolutamente. Forse abbiamo qualche possibilità di vivere una vita serena.” rispose Lovernios, anche lui serio.
“Insieme?” la domanda fu più veloce dell’autocontrollo di Sirona, che arrossì violentemente. “Mi sembra presto per dirlo.” rispose Lovernios, un po’ stupito.
“Già! Tu non sei stravolto?” domandò Sirona, tentando di sminuire l’accaduto. Il giovane annuì. “Ci aspetta un lungo viaggio, dovremmo recuperare le forze”.
 
Quella notte, mentre Sirona si coricava nel letto accanto a quello di Lovernios, la giovane ebbe modo di  ripensare a tutto quello che l’era accaduto dopo l’incontro con il giovane biondo.
Quell’incontro le aveva sconvolto e, in qualche modo, salvato la vita. Lei teneva realmente a lui, ma in effetti non sapeva che rapporto era il loro, sarebbe stato soltanto il tempo a deciderlo.
L’aspettava una nuova vita, con tutti i ricordi della vita precedente finalmente nitidi, indimenticabili.
Karen, Wolfe, Jackal, Puma… la stessa Foxy. Se n’erano andati per sempre ma Sirona non li avrebbe mai più dimenticati, mai più rinnegati. Tutto sommato erano stati la sua famiglia, anche se per poco.
Ora che sapeva chi era, Sirona sapeva di poter guardare con serenità al futuro, diventando finalmente padrona del proprio fato.
 
L’angolo dell’autrice
 
Tremate, tremate, le vampire metereopatiche sono tornate!
Per cominciare mi scuso per l’osceno ritardo con cui pubblico questo capitolo, ma prima sono andata un po’ in crisi per motivi assolutamente personali, poi mi sono lasciata prendere dai dubbi su questo scritto, tanto che pensavo di cancellare il terzo capitolo, ripubblicarlo ampliato e modificare il finale. Alla fine ho deciso di lasciare così il testo, con la speranza che il mio prossimo fantasy sia migliore: ho già cominciato a scriverlo e finalmente riprenderà la mia serie “Le sette spade di Efesto”.
Che dire, vi ringrazio per aver seguito e recensito questa storia, spero di ritrovarvi alla prossima.
 
Carmilla Lilith.
 
  P.s. Non c’entra assolutamente niente, ma dopo aver schifato i Nightwish per il cambio di cantante, sto ascoltanto Imaginereum... ed è tanta roba!

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