Rabbit heart and Lion heart

di MedusaNoir
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo primo ***
Capitolo 3: *** Capitolo secondo ***
Capitolo 4: *** Capitolo terzo ***
Capitolo 5: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Rabbit heart and Lion heart





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Prologo




Non era ancora suonata la campanella della fine delle lezioni e già Brienne aveva dovuto abbandonare la classe di Inglese per raggiungere l’ufficio del preside, in fondo al corridoio che partiva dalla caffetteria.

Come al solito, era stata convocata a causa del comportamento indisciplinato di uno studente; come al solito, lo studente apparteneva alla sua classe di Biologia e, come al solito, era stato beccato a fumare nel cortile della scuola.

Non dovette neanche varcare la soglia della presidenza per accertarsene, perché l’odore di nicotina le invase violentemente le narici; una sorta di follia la colse, dare le spalle ai doveri di capo del Consiglio Studentesco e tornare alla sua lezione, ignorando l’ennesima richiesta del suo superiore, ma durò ben poco: Brienne Tarth era una donna d’onore e non si sarebbe mai tirata indietro.

Mai, nonostante i tentativi del preside di utilizzarla come “spaventapasseri” per tutti gli studenti fuori controllo.

Fece un respiro profondo, si sistemò rapidamente i corti capelli biondi e il colletto della camicia che spuntava fuori dal cardigan grigio, poi bussò.

«Avanti.»

«Voleva vedermi, preside?» chiese educatamente Brienne, come se nelle ultime due settimana non avesse ripetuto quella domanda almeno tre volte.

Il preside Tully scattò in piedi, cerimonioso, giocando con la lunga barba rossa striata di bianco che incorniciava il suo volto rugoso. «Ah, signorina Tarth, benarrivata.» Le fece cenno di prendere posto sulla sedia vuota.

Prima di eseguire l’ordine, Brienne rivolse un fugace sguardo alla chioma bionda che spuntava dello schienale della sedia accanto alla sua, notando che lo studente che – come al solito – avrebbe dovuto riportare in classe non tentava neanche di mantenere una postura adeguata al luogo in cui si trovavano; una gamba nascosta dai jeans era poggiata sopra un bracciolo, con arroganza.

«Mi duole farti perdere tempo,» esordì il preside, torturandosi di nuovo la barba, «ma ho reputato opportuno chiamarti per risolvere una questione piuttosto incresciosa…»

«Andiamo, vecchio, basta con i preamboli» lo interruppe una voce alla sinistra di Brienne. «Siamo ospiti abituali del tuo ufficio, che bisogno c’è di essere formali ogni volta? Dillo: ho fumato un’altra volta a scuola e la donzella dovrà avvertire il comitato, così mi metteranno una nota di demerito che non varrà assolutamente niente, perché mio padre paga ogni singola sedia su cui poggiate il vostro culo. Possiamo andare adesso?»

Jaime Lannister, le sue famose buone maniere e la capacità di ricordare a tutti, professori e preside, di essere in grado di buttarli per strada da un giorno all’altro – il che era la ragione per cui nessuno lo aveva ancora cacciato dalla King’s Landing High. E le sue minacce non erano a vuoto: era stato soprannominato Headslayer per aver fatto trasferire in un altro istituto il vecchio preside Aerys Targaryen.

Se non si fossero trovati nella presidenza, probabilmente Brienne lo avrebbe preso a pugni.

“E gli farei parecchio male,” realizzò, perché la sua stazza non era come quella delle altre studentesse. Brienne era alta quasi due metri e aveva le spalla larghe di un nuotatore, oltre a un viso ben poco conforme all’idea di bellezza che aveva il mondo.

Brienne Tarth faceva paura, era quello il motivo per cui il preside credeva che riportare Lannister in aula quasi ogni giorno potesse spaventarlo e indurlo ad abbassare la cresta, ma non avrebbe mai funzionato: se anche lo avesse preso a pugni, “Headslayer” si sarebbe fatto una risata prima di risponderle con la stessa moneta. Perlomeno lui non faceva differenze tra ragazzi e ragazze.

Hoster Tully lanciò uno sguardo di fuoco a Lannister, ma invece di urlargli contro riportò gli occhi su Brienne e le disse: «Potresti pensarci tu? Mi faresti un grosso favore.»

«Certamente, signor preside.»

Senza aggiungere altro, Brienne strattonò Lannister per la manica del giubbotto rosso e oro e lo alzò in piedi, lieta almeno che il ragazzo non opponesse resistenza.

«Andiamo.»

«Con calma, donzella, non c’è fretta.»

Aveva ragione: appena usciti dell’ufficio del preside, furono investiti da una folla di studenti che si dirigevano presso la caffetteria della scuola per godersi il meritato pranzo.

«Dammele» mormorò a denti stretti Brienne.

Lannister sollevò un sopracciglio, ma il suo ghigno trattenuto le fece capire che ci aveva visto giusto. «Che cosa?»

Brienne frugò nelle tasche del suo giubbotto, ignorando i suoi «Ehi!», fino a quando non ebbe trovato un pacchetto di sigarette.

«Queste» rispose, prima di gettarle nel secchio della spazzatura accanto a loro.

«Che peccato» sospirò Lannister. «Ne ho solo altri due a casa.»

Estrasse l’accendino e se lo rigirò fra le dita, finché Brienne non gli spinse le spalle contro il muro. «Non devi farlo a scuola

«Sta’ calma, donzella! Non perdere tempo ad arrabbiarti, tanto si sa che mio padre sistemerà le…»

«Non mi importa di tuo padre, Headslayer» sbottò, strappandogli anche l’accendino dalle mani. «Potrà anche tirarti fuori dai guai, ma io devo fare il mio lavoro.»

«Speri di essere notata così?» la canzonò Lannister. Approfittò della sua momentanea incapacità di replicare per allontanarla da sé, poi – mani in tasca e sorriso sardonico sul volto – girò l’angolo oltre la caffetteria.

«Ti restano ancora due ore di lezione prima di tornare a casa!» gli gridò dietro Brienne, sfiancata dal suo atteggiamento.

«Lo so, lo so! Vado solo in bagno, o vuoi tenermi d’occhio anche mentre piscio?»

Lo lasciò andare, maledicendolo in silenzio per tutto il tempo che avrebbe continuato a farle perdere.

 

*****

 

L’aria alla King’s Landing High si stava facendo fin troppo soffocante per Jaime, che era fuggito via all’ultimo suono della campanella di quel giorno, lasciando perdere le attività extra previste per il pomeriggio. Era stanco di quella scuola, dei professori e della presunzione degli studenti del penultimo anno come lui, che sembravano avere come unico scopo nella vita quello di ottenere più crediti extra possibili per poter accedere ai migliori college – come Dorne o, per chi voleva scappare dalla propria vita, la lontana Meereen.

Jaime avrebbe voluto scappare anche lui, ma non con la scusa di un college lontano da King’s Landing: voleva andarsene e ricominciare da zero, dimenticare il suo nome, la sua famiglia e tutto ciò che faceva parte del suo passato.

Masticando una gomma durante il tragitto verso casa, Jaime si chiese se avrebbe trovato più aria, tra le pareti della villa, rispetto a quella che la scuola gli negava.

“Fino alle cinque,” si rispose, “poi Cersei tornerà e ricominceranno i problemi.”

Si era chiesto più volte come sarebbe stata la sua vita se avesse fatto scelte diverse: un padre orgoglioso dei suoi risultati scolastici, un fratello di dieci anni con cui giocare a fare i cavalieri e una sorella da prendere in giro per l’eccessiva attenzione al proprio aspetto fisico.

Ma non aveva avuto possibilità di scelta, quella era la cruda verità. A Jaime Lannister non era mai stata data l’opportunità di scegliere chi amare e questo aveva mandato tutti in malora.

«Sing, sing, sing, sing» cominciò a canticchiare tra sé dopo aver sputato la gomma, cercando di cancellare quei pensieri negativi dalla testa, invano. «Everybody start to sing like dee, dee, dee, bah, bah, bah, dah…»

Quando pensava alla propria esistenza, la vedeva rappresentata in un quadro surrealista: un deserto con rocce come lame di un temperino, pronte a colpirlo in qualsiasi momento, e sopra un sole che cercava di splendere, ma che una montagna celava in parte.

Quella montagna era costituita da miriadi di globuli rossi, tutti del suo stesso tipo – e della sorella. Jaime e Cersei condividevano la casa, la classe di Sociologia e il sangue, ma durante la gravidanza della madre avevano condiviso anche l’utero; Jaime e Cersei erano nati insieme e insieme se ne sarebbero andati, questo era ciò che sosteneva sua sorella, ma non aveva idea di quanta felicità gli dessero quelle parole.

La felicità che precedeva la presa di coscienza della loro situazione.

«When the music goes around, everybody’s goes to the town…» cantò a voce leggermente più alta, sperando che servisse a qualcosa.

Avrebbe dato tutto pur di essere un ragazzo normale.

Con una famiglia vera, non un padre freddo e assente che pensava solo al mantenimento del buon nome dei Lannister, un fratello affetto da nanismo e una madre morta dandolo alla luce; una famiglia dove il padre non odiasse il figlio minore, una famiglia dove lui fosse libero di trattarlo come un bambino e non come una persona che era dovuta diventare adulta troppo presto, una famiglia dove sua sorella non fosse altro che una sorella.

Forse, in un qualche paese dell’estero, avrebbero accettato un matrimonio tra consanguinei; forse nessun dio, in quello sconosciuto e remoto paese dell’estero, avrebbe potuto giudicarli.

Forse esisteva davvero, quel paese, ma non sarebbe bastato a salvarlo dalla paura più grande: quella di sapere che Cersei – la bella Cersei Lannister, reginetta della scuola, fidanzata con il popolare Robert Baratheon – lo vedeva solo come un fratello.

Diede un calcio a una lattina, che si andò a schiantare contro un palo. «Swing, swing, swing, swing, listen the trumpet swing» insistette. «Blow, blow, blow, blow, listen to the trombones go!»

Jaime Lannister odiava la sua vita e voleva fare il possibile per distruggerla, così non avrebbe pensato agli occhi di sua sorella – come i suoi.

Ai suoi capelli – maledettamente come i suoi.

Alle sue…

Questa volta il suo piede incontrò il ferrò del cancello di Casterly Rock. Jaime, dolorante, portò lo sguardo sul leone che svettava  poco lontano, in cima all’arco che fungeva da entrata nella villa.

Il leone, simbolo di coraggio – c’era qualcuno che volesse prestargliene un po’?

“Non possiamo scegliere chi amare,” si ripeté ancora una volta, aprendo il cancello.






Vorrei ringraziare prima di tutto A g n e per avermi fatto da beta (♥), poi voi per aver letto: invio a tutti cioccolata&caramellegommose :3
Ho scritto la mia prima AU sul fandom di GOT (a pensarci bene, credo sia la mia prima AU in assoluto) e, beh, spero vi sia piaciuta.
Anche questa storia partecipa alla Mistery Weekly Table-y dello PY, con i prompt:
- AU
- Rabbit Heart (Florence + The Machine)
- Sing, Sing, Sing (Benny Goodman)
- immagine

Cosa dire? Mi sarebbe sempre piaciuto scrivere una storia AU, ma non sapevo da dove iniziare; guardando alcune puntate della terza stagione di GOT, poi, Jaime e Brienne mi sono sembrati (DI NUOVO) così carini... ehm, due personaggi che interagiscono tanto bene tra loro che mi hanno finalmente ispirata.
Non ho niente da dire su Brienne, che spero di essere riuscita a mantenere IC, ma per quanto riguarda Jaime preferisco precisare che c'è un motivo per cui, a primo impatto, può apparire OOC: ho cercato di trasportare il suo amore per la sorella ai giorni nostri, dove due amanti incestuosi non siedono su un trono (per generazioni), aggiungendo anche un (apparente? Chi lo sa) disinteresse di Cersei nei suoi confronti. Pensandoci, nella mia testa è venuto fuori un ragazzo che si sente inadeguato e che prova una maggiore empatia per il fratello rispetto al resto della famiglia; ma non aggiungerò altro, perché il resto arriverà dalla bocca di altri personaggi.
Un'ultima informazione: non appariranno personaggi della "nuova generazione", ma mi concentrerò sui personaggi già nati al tempo di Aerys II; per necessità di copione, ho inoltre dovuto adattare la loro età alla storia.

Grazie ancora per aver letto ♥

Medusa, a Lannister

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Capitolo 2
*** Capitolo primo ***


Capitolo primo

 Click.

Click.

Click click.

Il puntatore del mouse si fermò sulla scritta “Cersei Lannister” in attesa che la pagina si caricasse. Con aria annoiata, la ragazza di fronte allo schermo del computer osservò i dati che spuntavano sulla destra.

 

Frequenta: King’s Landing High

Risiede a: King’s Landing

Religione: Culto dei Sette Dèi

Impegnata con: Robert Baratheon

 

Cliccò sull’ultima informazione, arrivando al profilo di un avvenente diciottenne dallo sguardo pieno di vita, che brandiva con fierezza una coppa d’oro delle dimensioni della sua testa. Scorrendo le ultime immagini caricate, la sua fidanzata lo vide circondare con un possente braccio le spalle dell’amico Ned, ballare in discoteca con un bicchiere di qualche cocktail pesante in mano, stringere alcune ragazze sconosciute, tenere per mano la bella Cersei – e solo in quella foto, notò lei, gli mancava il sorriso.

Sorse invece sul volto della maggiore dei Lannister quando lo notò, un sorriso simile a un sogghigno: suo fratello minore – il nano – avrebbe detto che quell’espressione rivelava i suoi pensieri, che somigliavano a un “Se non sono felice io, non hai diritto di esserlo neanche tu.” Avrebbe avuto ragione.

Il suo IPhone squillò, costringendola ad alzarsi dal letto per rispondere; quando vide il volto grasso di Wanda, Cersei storse il naso e chiuse la chiamata, pur consapevole che presto o tardi le sarebbe toccato parlarle. Chiuse con un colpo secco il portatile e si sedette alla scrivania per finire i compiti: come prevedibile, era riuscita a scrivere il tema di psicologia e a terminare gli esercizi di fisica, ma trigonometria le dava ancora qualche problema. Estrasse la penna decisa a concludere tutto prima dell’appuntamento con le sue amiche, ma poggiandola sul quaderno si accorse che era finito l’inchiostro; nel cercarne un’altra nei cassetti della scrivania, le sue mani trovarono una vecchia cornice che Cersei aveva perfino dimenticato di avere messo via. La foto era stata scattata sette anni prima e ritraeva la famiglia Lannister al completo.

“No, non siamo tutti. Lo siamo stati solo fino all’arrivo del mostro.”

Il “mostro” sorrideva tra le braccia del fratello maggiore, agitando la piccola manina. Aveva tre anni, ma la sua statura non sarebbe cresciuta di molto nel corso del tempo: avrebbe fatto meglio a non ridere quel patetico assassino. Se non fosse stato per lui, in quella foto – accanto all’austero Tywin Lannister, il direttore della Westeros Bank – sarebbe apparsa anche Joanna, bella e fiera com’era stata perfino il giorno della sua morte, quando dando alla luce Tyrion aveva represso i gemiti di dolore mordendosi le labbra. Invece della vecchia famiglia, “quella vera” come la chiamava Cersei, restavano solo suo padre e i due gemelli. Jaime aveva gli stessi occhi verdi e i capelli dorati della sorella, ma era stato il solo a voler tenere in braccio Tyrion, l’unico a considerarlo parte della famiglia. Cersei accarezzò l’immagine del fratello gemello, soffermandosi a riflettere su quanto il suo volto – come quello di lei – promettesse bellezza e popolarità fin dai dieci anni…

Eppure la popolarità di cui godeva Jaime era ben diversa da quella di Cersei: a lui non interessava uscire con gli studenti di ottima famiglia e ottenere buoni vuoti e riconoscimenti dalla scuola; Jaime sembrava divertirsi solo facendosi riprendere in continuazione dai professori e ascoltando musica a tutto volume. A Cersei non dispiaceva avere l’impressione di ascoltarla insieme a lui, divisi com’erano da una sottile parete rossa, ma avrebbe voluto che suo fratello fosse meno infantile e più predisposto allo studio. D’altra parte, le redini della società del padre sarebbero state prese da lei, per cui non doveva preoccuparsi dell’istruzione di Jaime.

Questo le fece ricordare che doveva ancora concludere gli esercizi di trigonometria. Ripose nel cassetto la cornice e tolse il tappo alla nuova penna, ma in quel momento il suo telefono segnalò l’arrivo di un messaggio.

“Lysa è arrivata, maledizione.”

Avrebbe dovuto rimandare lo studio alla sera, perché quello che doveva fare al momento era più importante di qualsiasi ripasso. E rispondeva al nome di “shopping”.

Non che lei acquistasse abiti nei centri commerciali, ma aveva bisogno di guardare le vetrine con le sue amiche per scegliere il vestito più adatto e scattargli una foto, così che il sarto rinomato che aveva vestito i fratelli Lannister fin da bambini potesse cucire una creazione simile a quella adocchiata da lei. Simile, non identica: il suo sarto avrebbe dato vita a un abito che solo lei avrebbe potuto indossare.

Si mise un filo di trucco, confidando nella sua bellezza naturale, e afferrò la borsetta che giaceva sul letto. I suoi passi risuonarono nella casa vuota: suo padre era ancora a lavoro, la tata di Tyrion lo aveva accompagnato dalla fisioterapista e Jaime era chissà dove nella città. Cersei sperava solo che non si mettere nei casini, un giorno o l’altro.

Lysa e Wanda attendevano nella macchina che il vecchio Hoster Tully aveva prestato alla figlia, ma Cersei passò loro accanto e salì nella decapottabile rossa che Tywin le aveva regalato per il sedicesimo compleanno; non disse nulla, aspettò solo che le sue amiche la raggiungessero.

«Sei bellissima oggi, Cersei.» Walda la Grassa montò a fatica nei sedili posteriori, armeggiando con il seno prosperoso che le ostacolava ogni movimento. Si diceva che Walder Frey avrebbe dato come dote delle figlie e delle nipoti una somma pari al loro peso e solo questo poteva spiegare la costante presenza di ragazzi intorno a lei.

«Come se fosse possibile per lei essere brutta» ridacchiò Lysa, prendendo posto nel sedile del passeggero. Scosse la testa per far ondeggiare i lunghi capelli e Cersei pensò che se stava cercando di risultare bella anche lei aveva decisamente fallito in partenza.

Walda e Lysa, le ragazze che ronzavano sempre intorno all’ape regina: Walda era del terzo anno come lei, Lysa del secondo e la loro amicizia con Cersei le rendeva orgogliose e corteggiate da diversi studenti della King’s Landing High. Loro credevano che lo facessero per il fascino innato o una sorprendente intelligenza, ma Cersei era l’unica a vedere realmente come stavano le cose. E cioè che Hoster Tully e Walder Frey grondavano denaro, l’uno proprietario del prestigioso hotel Trident nonché preside della scuola e l’altro direttore della più grande compagnia di assicurazioni del paese.

Lo vedeva bene, perché era lo stesso motivo che aveva spinto lei ad avvicinare le sue ragazze. Con il tempo erano diventate “amiche”, si poteva dire, ma non le avrebbe mai degnate di confidenze preziose. Le interessava solo stringere legami con le loro famiglie.

Mise in modo e avvertì la brezza primaverile agitarle i capelli dorati, annuendo di tanto in tanto per fingere di ascoltare le incessanti chiacchiere di Lysa. I suoi pensieri erano concentrati sull’abito perfetto che avrebbe indossato in occasione dell’incoronazione da reginetta della scuola; doveva trovare la stoffa e le scarpe adatte, oltre a occuparsi del completo di Robert, ovviamente coordinato al suo. Ricordò la foto che aveva visto poco prima, ricordò anche la freddezza con cui lui le aveva preso la mano: non c’era amore tra di loro, solo lo stesso tipo di legame che teneva unite Cersei, Lysa e Wanda.

Oltre a un ardente desiderio di vendetta.

 

*****

 

«È permesso?»

«Oh, sei qui, meno male!»

Brienne rimase sulla soglia, in attesa che l’unico studente facente parte del SAC recuperasse dal tavolo i fogli della riunione e li raccogliesse in una cartellina, che mise poi diligentemente nella borsa. Lo osservò con cura, soffermandosi sulle dita che si affrettavano tra le fotocopie e i documenti, sui radi peli che spuntavano dagli avambracci scoperti, sul riflesso della luce artificiale dei lampadari sugli occhi scuri, sulle labbra increspate nel costante sorriso; Brienne non lo osservò con lo sguardo del capo del Consiglio Studentesco e vide tanti particolari che i suoi compagni – ne era certa – non avevano mai notato.

Soprattutto perché erano impegnati a elogiare il fascino e il talento sportivo del fratello maggiore: capitano della squadra di football, organizzatore delle feste più popolari nonché fidanzato dell’indiscussa reginetta della scuola, Robert Baratheon aveva il fascino necessario a far passare chiunque in secondo piano. Chiunque, perfino suo fratello Renly, che tutta la scuola amava per l’ottimo ruolo svolto nel SAC da quando aveva iniziato a farne parte. Renly non sembrava curarsi di essere messo in ombra da Robert, però, e al contrario era ben felice di aiutarlo quando le sue folli idee rischiavano di farlo finire nei guai.

«Il preside Tully vuole che gli porti questi documenti» esordì Renly, annientando il silenzio che era calato nella stanza, mentre estraeva altre cartelline dall’armadio all’angolo. «E la professoressa Tyrell esige che Jon le consegni la lista degli studenti del terzo anno che non hanno intenzione di frequentare il college, così potrà “metterli a cucire rose e fare soufflé, almeno si renderanno utili”, parole sue.»

«Il consiglio è andato bene?»

«Ottimamente, direi. Eccetto per il momento in cui il vecchio Frey ha rischiato di passare a miglior vita in nostra presenza; per fortuna qualcuno gli ha ricordato che ha un matrimonio da organizzare, altrimenti sarebbe restato in silenzio fino a perdere conoscenza.» Renly rise, divertito dalla sua stessa battuta. Brienne represse un sorriso.

«Ha intenzione di far parte del SAC anche il prossimo anno?»

«Sicuro, uno dei suoi figli più piccoli sta per iscriversi alla nostra scuola, insieme a un paio di nipoti. Nipoti del ragazzo, intendo dire. Che hanno la sua stessa età.»

«Walder Frey dovrebbe capire che è arrivato il momento di smettere di giocare.»

«Non lo farà» asserì Renly con una smorfia. «Sforna assicurazioni ogni giorno e quelle che servono a lui sono i suoi figli: non si darà pace finché non sarà certo che almeno un figlio su cento sia degno di ereditare la Frey Insurance.»

«A proposito di genitori, ho incontrato Rickard Stark mentre venivo qui, l’ho visto parlare con il docente di Biologia.»

«Ah, il professor Pycelle! O “maestro”, come preferisce essere chiamato lui. Ecco, immagina che bel comitato è il nostro: Frey e Pycelle rischiano di lasciarci le penne durante ogni riunione, Olenna Tyrell non fa che sparare frecciatine a Stark e ai “lupi”, come lui chiama i suoi figli, senza dargli il tempo di replicare e poi ci sono io, il più giovane, che deve badare a tutti loro. Ora capisco perché il preside Tully fosse così restio a farmi entrare nel comitato. Troppe responsabilità, certo, ma credevo si riferisse agli studenti.» Mise sottobraccio le cartelle prelevate dall’armadio e ne consegnò una a Brienne. «Bene, andiamo.»

«A chi devo portarla?»

«A Jon Arryn, così ne approfitti per farti dare quella lista – sperando che la professoressa Tyrell non voglia davvero prendersela con quei poveri studenti del tuo anno! Sai dove si trova l’ufficio del counselor, vero?»

Brienne annuì. «Ci ho passato parecchio tempo, negli ultimi mesi.»

«Bene. Ti va di prendere una boccata d’aria?»

La proposta di Renly fu improvvisa quanto piacevole. Brienne avrebbe dovuto ammettere che doveva ancora scrivere un tema per il giorno successivo, presentare il verbale dell’ultima riunione del consiglio studentesco e in più, come lui le aveva chiesto, passare da Arryn, ma nel cielo c’erano poche nuvole, l’aria era calda e il suo cuore batteva più velocemente quando aveva Renly accanto.

«Sì» acconsentì, seguendolo fuori dall’edificio scolastico.

«Mi servirebbe del riposo di tanto in tanto» confessò lui. Si sedette sugli spalti del campo da football e inspirò profondamente. «Le lezioni, il consiglio, gli esami di fine anno… Non ho più tempo neanche per guardare un film.»

«Tuttavia il lavoro che stiamo facendo adesso ci sarà utile in futuro.»

Renly ridacchiò. «Tipico di te, Brienne Tarth, sottolineare l’aspetto onorevole e vantaggioso di tutto ciò. A proposito di “vantaggioso”, come sta andando il ruolo di Ditocorto nel consiglio studentesco?»

«Baelish? Fa bene il suo lavoro, riesce sempre a trovare i fondi per organizzare gli eventi scolastici. Ha chiesto di potersi occupare personalmente del prom.»

«Mi sembra un’ottima idea, se davvero è in grado di far apparire soldi dal nulla come si dice.»

«È così.»

“Le lezioni, il consiglio, gli esami di fine anno”: tutto ciò avrebbe dovuto spronare Brienne ad abbandonare quella pausa e tornare tra le mura della scuola, ma poter passare qualche minuto in compagnia di Renly sembrava quasi un sogno…

«Ehi, Renly!»

… un sogno destinato a finire in fretta.

Brienne osservò – e quanto poi se ne pentì – gli occhi del suo amato illuminarsi senza l’aiuto della luce del sole o di una lampadina alogena, mentre si posavano sul ragazzo in pantaloncini corti che si era avvicinato agli spalti.

«Loras, ciao!»

Loras Tyrell era bello; era oggettivamente bello, con i folti capelli ricci ancora bagnati – Brienne immaginò che avesse appena finito di svolgere il suo ruolo come capitano della squadra di pallanuoto – e le guance rasate. La sua era bellezza femminea, delicata, così in contrasto con quella di Robert, eppure le sue ammiratrici alla King’s Landing High erano lo stesso numero del fidanzato di Cersei Lannister. Ammiratrici che, stando a sentire le voci, avrebbero fatto meglio a perdere la testa per un altro ragazzo.

“Come avrei dovuto fare io.”

Brienne si alzò nel momento esatto in cui Loras li raggiunse. «Scusate,» disse, «ma devo correre a consegnare questi documenti prima che Jon vada via.»

«Ah, già, è vero. Mi dispiace averti distratta dal tuo compito, Brienne.» Renly le rivolse una smorfia mortificata.

Lei avrebbe voluto rassicurarlo, dirgli che era stata felice di prendersi qualche minuto di pausa, ma la sensazione di un pugno alla gola glielo impedì; si limitò a fare un brusco cenno di saluto a entrambi e scese gli spalti, sentendosi una stupida.

Non doveva dare adito alle chiacchiere che circolavano nella scuola, era un comportamento da sciocchi: Renly e Loras erano amici da quando il capitano di pallanuoto era entrato alla King’s Landing High tre anni prima e passavano parecchio tempo insieme, ma questo non significava che fra loro ci fosse qualcosa più di una profonda amicizia. Si stimavano reciprocamente, molto probabile, e negli ultimi tempi Renly era stato più vicino a Loras per aiutarlo nella scelta del college; tutto finiva lì, però, e quando Renly avrebbe lasciato la scuola al termine di quell’anno per completare gli studi in una scuola estera…

“Abbandonerà anche me.”

No, non era questo a cui doveva pensare. Una volta che lui si fosse trasferito dalla King’s Landing High, Brienne avrebbe potuto prendere il suo posto nel Comitato Avvertenze Scolastiche; questo significava abbandonare il Consiglio Studentesco, ma lei era certa che Peter Baelish sarebbe stato un valido sostituto. Già, non doveva pensare a cos’altro avrebbe significato dire addio a Renly, senza sapere dove sarebbe…

Il suo sguardo fu attirato improvvisamente da una figura che, vedendola arrivare, si era nascosta dietro uno degli alberi del cortile. Brienne avrebbe fatto finta di niente, se qualche istante dopo non avesse notato una striscia di fumo nell’aria. Pur sapendo cosa – o meglio chi – avrebbe trovato, pur consapevole che poco lontano da lì Jon Arryn stava lasciando l’edificio scolastico per tornare a casa, Brienne fece un balzo per cogliere sul fatto l’incauto studente.

«Oh, sei tu! Mi hai fatto prendere un colpo, donzella» esclamò Lannister con un leggero sussulto. «Dovresti annunciare la tua presenza, la prossima volta.»

Brienne gli strappò la sigaretta di mano, la gettò a terra e la spense con la punta delle scarpe. Era adirata. «È vietato fumare a scuola!» soffiò, fuori di sé. La cartellina che teneva sottobraccio pareva urlare “Urgente”.

«Non lo sapevo, grazie dell’informazione.» Senza penarsi di lei, Lannister estrasse un’altra sigaretta dal pacchetto che teneva in tasca e armeggiò con l’accendino. «Accidenti, non funziona… Non è che hai da accendere?»

Doveva portarlo dal preside, di questo era consapevole; doveva trascinarlo fino al suo ufficio senza perderlo un momento di vista, attendere che Hoster Tully terminasse la sua ramanzina e affidare quello studente ribelle a un professore – ma di professori, ormai, non dovevano essercene più nessuno e ciò voleva dire che avrebbe dovuto assistere lei alla sua punizione. Gettò un’occhiata al parcheggio: Jon stava cercando le chiavi della macchina nella borsa di pelle.

«Non ho tempo da perdere con te» disse a Lannister, sequestrandogli pacchetto e accendino. Fece per andarsene quando lui parlò di nuovo.

«Ehi, niente preside oggi?»

Continuò a camminare.

«Mi stai lasciando andare? E i tuoi doveri di capo del consiglio?»

Non doveva ascoltarlo.

«Oh, là c’è il caro Jon! Potrei raggiungerlo e dirgli che ti ho beccata mentre fumavi; d’altronde hai anche il corpo del reato…»

«Non ti crederebbe mai» mormorò Brienne, ma stava cominciando a perdere la pazienza.

«Beh, ma crederà facilmente alla storia di uno studente scoperto nell’atto di infrangere le regole e lasciato andare senza alcuna punizione. Gli basterà sentire sui miei vestiti l’odore del fumo…»

«Che cosa vuoi?» sbottò infine, inchiodando e voltandosi verso di lui.

Lannister si strinse nelle spalle. «Solo divertirmi un po’.»

«D’accordo, aspetta che vada a parlare con Jon e poi tornerò a prenderti…»

«Oh, ma in quel caso io non sarò più qui» sghignazzò.

«HEADSLAYER!» Brienne gli diede un colpo con il palmo della mano in pieno petto. Ormai era disperata, tra lo stress dei doveri e degli esami, le voci che circolavano nella scuola e la presenza costante nella sua vita della persona che più detestava al mondo. «Devo consegnare questi documenti a Jon prima che vada via, scrivere il verbale della riunione del consiglio, studiare… Cosa devo fare per farti smettere?!»

«Esci con me.»

Sbatté le palpebre, certa di non aver capito bene. «Co-cosa?»

«Non ti sto chiedendo un appuntamento, donzella. Mi dispiace, ma non sei proprio il mio tipo. Voglio solo vedere come sei fuori da scuola e magari sfidarti… che so, a una partita a bowling?»

Ormai erano a pochi metri dal parcheggio, ma Jon aveva trovato le chiavi e stava aprendo la portiera. Le restava solo una manciata di secondi.

«A biliardo» decise in fretta. «Alle nove da Flea Bottom.»

Lannister storse le labbra in un ghigno divertito. «Non vedo l’ora.»

 

*****

 

Il Flea Bottom era, molto probabilmente, l’ultimo posto in cui Jaime avrebbe immaginato di trovare il capo del Consiglio Studentesco: si trattava di un locale malfamato, sul quale circolavano le peggiori leggende metropolitane e che veniva frequentato esclusivamente da poco di buono o studenti che avevano abbandonato il percorso di studi. Il posto perfetto per il ragazzo che stava diventando lui, a pensarci bene: forse Tarth voleva dargli un assaggio di quella che sarebbe stata la sua vita se non avesse smesso di fare il ribelle.

“Ma ne ho bisogno,” pensò, ispirando il fumo dalla sigaretta.

Era il modo migliore che aveva per fuggire, perché lui era strano – malato, degenerato – e allora a cosa serviva impegnarsi per diventare l’erede di Tywin Lannister quando ciascuno dei Sette Dèi giocava a suo sfavore?

Non doveva pensarci. Spense la sigaretta e lanciò un’occhiata alla strada: dovevano essere le nove ormai e Tarth ancora non si vedeva. Gli avrebbe dato buca? No, non era il tipo, era fin troppo onorevole e amante del dovere. Jaime stava pensando di avvicinarsi al parcheggio per andarle incontro, temendo che qualcuno avrebbe potuto aggredirla, ma in quel preciso istante la “donzella” comparve all’orizzonte, le mani che riponevano nella borsa un mazzo di chiavi, e lui continuò a sostare sulla soglia del locale. Vedendola incedere con sicurezza, si chiese anche come avesse potuto pensare che esistesse un uomo tanto stupido da cercare grane con quell’enorme orso biondo.

“Cazzo, se è brutta.”

Per fortuna aveva avuto la decenza di non mettersi un abito scollato o roba del genere – ma, di questo, Jaime fu lieto soprattutto perché così lei stava evitando di offrirsi come bersaglio di un mucchio di motociclisti pronti a deriderla. Attese che si avvicinasse e le rivolse un sogghigno compiaciuto.

«Benvenuta, donzella» la apostrofò con un finto inchino. «Spero che il posto sia di suo gradimento.»

«Altrimenti non l’avrei scelto» si limitò a mugugnare Tarth, superandolo e facendo il suo ingresso nel Flea Bottom. Jaime la seguì immediatamente.

Il locale era rimasto come le due volte in cui lui era stato lì per prendere una sbronza: c’era puzza di fumo e una nebbiolina aleggiava tra i clienti, mentre una barista piuttosto succinta sui trent’anni si faceva largo tra di loro, accogliendo con un sorriso malizioso le pacche sul sedere. Alcuni uomini ancora in abiti da operai si stavano concedendo una birra intorno al tavolo al centro del pub; il loro aspetto era poco rassicurante, ma ben presto per Jaime fu chiaro che non avrebbero fatto del male a una mosca e che, al contrario, il proprietario del locale sembrava utilizzarli per impedire agli altri avventori di prodigarsi in scazzottate. C’erano diversi tavoli liberi, ma Jaime preferì avvicinarsi al bancone e prendere posto su uno degli sgabelli.

“Vediamo se questa pertica riuscirà a reggersi qui sopra.”

Ci riuscì, dopo aver barcollato un po’.

«Ti offro da bere.»

«Posso pagarmelo da sola, Lannister.»

«Allora pagati il tuo primo drink, se tieni tanto al tuo stupido orgoglio. Vorrà dire che ti offrirò il secondo giro, il terzo, il quarto: bevi pure fin quanto riesci a fare entrare in quel tuo gigantesco corpo.»

«Non devi darti arie solo perché sei pieno di soldi.»

«E a che serve essere pieni di soldi se non per darsi arie?» Jaime fece un cenno al corpulento barista. «Una birra scura. E la gentile donzella prende…?»

«Un’altra birra. Chiara.»

Il barista borbottò qualcosa, apparentemente infastidito, poi tirò fuori dal lavandino due bicchieri macchiati e li restituì loro quando furono pieni di schiumosa birra nera.

Jaime ridacchiò. «A quanto pare, devi adattarti al loro menù.»

Tarth aggrottò la fronte, ma non replicò; avvicinò invece il bicchiere al volto, lo annusò e bevve un sorso della birra.

«Perché hai scelto questo posto?»

«È il primo che mi sia venuto in mente pensando al biliardo.»

«Non conosci altri locali? Devi venire in questa… Senza offesa, amico» Jaime si rivolse al barista, che si limitò a grugnire. «Bettola

«Qui non hanno problemi a giocare contro una donna.»

Jaime scoppiò a ridere. «Mi sembra un’ottima motivazione: rischio di infezione e di malattie mortali, norme igieniche neanche prese in considerazione, pessima compagnia, ma non ti trattano come una donzella. Vorrei davvero possedere la tua furbizia, mi aiuterebbe molto nella vita. Perlomeno se avessi intenzione di morire giovane e con un coltello da macellaio infilato nelle budella.»

Lei aggrottò di nuovo la fronte, ma scelse di non rispondere alla provocazione. Quella serata non si stava rivelando divertente come Jaime aveva prospettato. Mandò giù il resto della birra in silenzio, osservando due operai sulla cinquantina che si sfidavano a biliardo; la barista succinta provò ad abbordarlo diverse volte, fingendo di doversi chinare per pulire il balcone e tentando di dargli una bella visuale dell’abbondante seno, ma Jaime non la degnò di attenzione.

C’era una sola donna nella sua vita.

E, a quel pensiero, ordinò rapidamente un bicchiere di vodka, lo bevve in un sorso e lo sbatté sul bancone, alzandosi. «Su, fammi vedere quanto sei brava.»

Lo era, brava. Lui non se ne rese conto finché non si accorse del suo gioco: sembrava che fosse in grado di reggere una stecca tra le mani, ma senza conoscere le regole del biliardo, perché per diversi turni le sue palle non rischiarono nemmeno di entrare in buca; solo in seguito Tarth si rivelò un’ottima giocatrice. Tendeva le braccia sul tavolo, concentrandosi sullo schema migliore da attuare, e dopo un po’ arrivò persino a rilassarsi e a permettersi qualche sorriso di scherno da rivolgere a Jaime. Invece che dargli fastidio, però, quel comportamento lo fece sentire meglio.

«Mi concedi una rivincita, donzella? Credo di essere un po’ arrugginito… La mia stecca è scivolosa, aggiungerei.»

Tarth si tolse il giacchetto e lo lanciò sulla sedia vicina, scoprendo le possenti braccia. La maglietta bianca che indossava enfatizzava ancora di più le ridicole dimensioni del suo seno e Jaime si chiese se in quel luogo nessuno la trattasse da donna perché la massa di imbecilli che frequentava il locale non si era accorta che lo fosse.

«Bella scusa, Headslayer. Perché non ammetti che una donna ti sta stracciando?»

«Concedimi quella rivincita e potrai vantarti che si tratta davvero di questo.»

Dopo un paio di tentate rivincite, tuttavia, Jaime cominciò a irritarsi: “Brienne la Bella”, come era soprannominata a scuola, impugnava la stecca con la stessa attenzione di una spada, tenendola poi ritta davanti a sé mentre studiava le mosse del suo avversario e questo atteggiamento lo innervosiva. Si riteneva bravo nel biliardo – si esercitava spesso con quello che aveva in casa, contro un Tyrion che doveva arrampicarsi su una sedia per tirare - e allora perché sembrava impossibile battere Tarth?

«Sai, donzella, se impiegassi la stessa abilità nel cercarti un uomo, di sicuro saresti piena di pretendenti nonostante la tua brutta faccia.»

«Non mi interessano i pretendenti.»

Ma Jaime doveva aver colto nel segno, perché le guance della ragazza arrossirono lievemente.

«Nessuno vuole sposare la figlia di un gioielliere?» insisté, approfittando del suo momentaneo imbarazzo per mandare un colpo in buca. «Si dice che gli zaffiri che vende tuo padre siano i più pregiati della città.»

Tarth rimase in silenzio, concentrata sul gioco.

«Eppure è impossibile che dentro quell’enorme corpo non ci sia un cuore.»

«Certo che c’è un cuore.»

«E non ha mai battuto per qualcuno? Non ti rattrista essere sempre sola?»

«Non ti ho mai visto con una donna» sbottò, voltandosi verso di lui. «Non sfogare la tua frustrazione su di me come fai sulla scuola.»

Jaime rimase momentaneamente interdetto. «Frustra…? Credi davvero che sia frustrato perché non ho nessuno che mi scaldi il letto?» Ancora una volta, Tarth non rispose, così lui continuò: «Le donne che mi faccio, non le prendo certo da scuola. Faccio un giro in qualche locale, ne abbordo una e me la fotto, e il giorno può pure andarsene a fanculo.»

Non era vero: l’unica persona di cui gli fosse realmente importato qualcosa non lo avrebbe mai degnato di uno sguardo – se non come un fratello. Lui, però, non avvertiva il bisogno di soddisfare le proprie voglie con un’altra donna, stava bene così; forse avrebbe cominciato, un giorno, ma non ora. Ora nella sua mente vagava solo l’immagine di Cersei.

Decise di allontanare l’attenzione da sé. «E tu? Qualcuno ha mai avuto il coraggio di fotterti? Per quanto tempo passi dentro la scuola, gli unici che potrebbero farlo sono il vecchio Tully, i professori o i tuoi sudditi del consiglio… Ah, dimenticavo il piccolo Baratheon: anche lui deve aver preso un posto letto nella scuola. Ma quello non c’è rischio che ti guardi, è troppo impegnato a farselo mettere dentro da...»

Qualcosa lo sollevò da terra e lo spinse contro la parete, facendo crollare a terra la stecca e l’ennesimo bicchiere di vodka che stava bevendo. A pochi centimetri dalla sua faccia, i denti storti di Tarth gli ringhiavano contro e Jaime si aspettò di vedere la sua bocca schiumare.

«Chiudi quella bocca.»

«Perché?» la sfidò. «È Renly il ragazzo perbene che vorresti presentare al tuo paparino?»

«Non parlare di lui

«Gli hai mai detto che ti piace? No, certo che no: sei fin troppo uomo per i suoi gusti.»

«BASTA!»

L’urlo di Brienne la Bella fece voltare tutti i presenti nel pub, che smisero di colpo di ridere e parlare. Jaime la fissò negli occhi azzurri, improvvisamente serio.

«Non lo biasimo» mormorò, calmo. «E non biasimo nemmeno te. Non possiamo scegliere chi amare.»

Le stesse parole che gli avevano attraversato la mente qualche giorno prima, accompagnate dalla stessa malinconia; quasi non si accorse che Tarth l’aveva lasciato andare, che gli aveva rivolto un ultimo sguardo tra il furioso e il sospettoso e che infine, dopo aver raccolto il giacchetto e la borsa, era uscita dal Flea Bottom. Jaime rimase qualche istante assorto nei propri pensieri, la schiena ancora poggiata al muro, poi scosse la testa e decise di riprendersi e di abbandonare quel locale di merda. Avanzò verso il bancone e lasciò una banconota di grosso taglio – neanche controllò quanti soldi fossero – alla barista, che lo stava guardando con gli occhi sgarrati, probabilmente sorpresa della scena che aveva appena visto.

«Ripagaci pure il bicchiere rotto e, che ne so, qualche cazzata come i “danni morali”.»

Gli operai, invece, si erano immersi di nuovo nella loro conversazione, come se una ragazza che urlava contro un suo coetaneo non fosse degno del loro intervento; forse avevano visto delle coppie avere delle scenata del genere, forse non credevano che una donna avrebbe potuto mai rappresentare un serio pericolo per un uomo, a Jaime non importava. Lasciò il Flea Bottom e si diresse verso la strada di casa, consapevole che a quell’ora non ci fossero più autobus e che avrebbe dovuto farsi una lunga camminata; sperava solo che, al suo arrivo, sarebbe stato troppo stanco per passare un’altra notte insonne a pensare a sua sorella.

«Non lo biasimo.»

Alcune voci dal parcheggio del locale attirarono la sua attenzione. Jaime si fermò, pensò per un momento di proseguire e infine udì una voce conosciuta gridare: «Lasciatemi!»

Senza riflettere oltre, si fiondò verso il parcheggio per scoprire un gruppo di cinque uomini ammassato intorno a un gigante dalle fattezze femminili; per qualche strana ragione, il gigante stava avendo la peggio, ma c’era un altro aggressore poco lontano che imprecava, tenendosi tra le mani il volto pieno di sangue.

«Mi ha spaccato il naso! Quella troia mi ha spaccato il naso!»

La sua voce raschiata, decise Jaime, non gli piaceva, così si avvicinò a lui e gli assestò un colpo dietro la nuca per farlo svenire. Poi pensò che la cosa migliore da fare fosse allontanare gli aggressori dalla loro vittima.

«Ehilà, gente!» urlò, facendoli voltare. «Che ne dite di lasciar stare la donzella e farvi offrire qualcosa da bere? La barista mi deve dei soldi.»

Le labbra spezzate di Tarth si mossero a formare, sorprese, la domanda: «Lannister?»

Uno di quegli uomini – quello che sembrava un caprone e che aveva tutta l’aria di essere il capo della gang – scrocchiò le dita e si fece avanti con un sogghigno divertito sul volto barbuto. «Ehi, ragazzi, il figlio di papà vuole offrirci da bere.»

Per tutta risposta, Jaime sfoggiò il suo migliore sorriso. «Mi avete riconosciuto, quindi.»

«Si sente la puzza di Tywin Lannister lontano un miglio, ragazzino.»

«Stando a ciò che si dice di mio padre, dev’essere la mancetta che mi ha dato ieri. Allora, ragazzi, cosa ne pensate? Volete un giro di birra?»

Il caprone scoppiò in una risata sgradevole, rauca, e con un gesto secco della mano fece avvicinare i suoi compagni. «Non ci piacciono i figli di papà» rispose. «Né tantomeno i Lannister.»

«Come non detto, speravo potessimo diventare amici. Ehi, donzella, si va a casa.»

«Io non credo proprio.»

Jaime aveva osato troppo: riuscì a schivare il colpo di uno dei malviventi, ma non fu in grado di proteggersi dal secondo pugno che volò dritto contro il suo stomaco. Fu costretto a piegarsi e il suo avversario ne approfittò per piantare un altro colpo contro la sua schiena. Sentì Tarth gridare poco lontano, ma la fulminò con lo sguardo per avvisarla di non muoversi: quell’unica occhiata gli fece capire che lei stessa era consapevole di non poter fare nulla, perché si teneva il braccio destro come se fosse rotto. Il caprone e il suo gruppo andarono avanti per un po’, riempendolo di calci alle gambe e allo sterno, sputandogli addosso e spingendogli il volto nel fango; Jaime provò a reagire per quanto riuscì, ma era impossibile cavarsela uno contro cinque. E Tarth, per quanto inutile, sembrava essere sparita.

«Eccoli!» sentì poi la sua voce gridare.

Gli operai erano con lei, ma Jaime poté solo immaginarlo, perché la testa gli doleva in modo pazzesco e la sua vista era coperta dal fango. Non riusciva nemmeno a muovere le gambe.

«Lannister!» Tarth si chinò accanto a lui, pulendogli lo sporco dal viso e sollevandogli il mento per controllare una ferita che Jaime non poteva vedere. «Stai bene?»

«Non sono un giocattolo che si rompe facilmente» rispose Jaime con un accenno di risata che lo fece tossire.

Il volto preoccupato e livido di Tarth divenne sfocato, poi scomparve del tutto.








Prima di tutto, perdonate il preoccupante ritardo con cui aggiorno. Mi dispiace, ho impiegato un sacco per scrivere questo capitolo, spero non sarà così anche per i prossimi.
Sì.
Certo.
Voglio proprio vedere, mh.
L'importante è che l'aggiornamento arriverà, su questo non ci sono dubbi.
Un grazie immenso ad A g n e, che mi ha dato una mano ache con questo capitolo nonostante gli impegni in Inghilterra. Ti voglio bene, donna ♥
In questo capitolo (per la precisione nella terza parte) ci sono dei richiami alla storia originale di Mart- della serie tv. Della serie, ovvio. Non si può scrivere sui libri *si appunta anche questo*. Alcune frasi del dialogo fra Jaime e Brienne sono riprese dalla terza stagione ("I don't blame you" e così via), come lo sono il tentativo di stupro da cui lui la salva e la vendetta che subirà. Il capo del gruppetto di assalitori ha l'aspetto di un caprone a causa della barba appuntita che ha nella serie tv; non c'entra niente l'originale Vargo Hoat, il Caprone, perché non si può scrivere sui libri. Pura casualità. Nella serie tv, Jaime salva Brienne a caro prezzo, ma qui ho preferito salvargli la mano: trovato che amputargliene una non fosse adatto al contesto moderno. E poi Jaime mi ha implorato di fargli andare bene almeno una storia.
Il SAC è il Consiglio Avvertenze Scolastiche americano, composto da uno studente, due professori e due rappresentanti dei genitori. Il Flea Bottom è un richiamo al Fondo delle Pulci che nella serie tv dev'essere certamente stato nomintato. Sì, di sicuro. Non mi baso sui libri.
Grazie a tutti per avere atteso e per aver letto anche questo capitolo, grazie anche a chi ha messo la storia nelle preferite/ricordate/seguite o l'ha recensita ♥
A presto!

Medusa, a Lannister

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Capitolo 3
*** Capitolo secondo ***


Capitolo secondo

A Jaime non piaceva rimanere a casa: era la prima volta, in sedici anni di vita, che era costretto a passare le giornate in camera sua, senza poter neanche lasciare il letto e prendersi da bere in cucina.

Un braccio ingessato, frattura allo sterno e lividi lungo tutto il corpo – perfino su quel bel faccino che ora, tumefatto e violaceo, è così diverso dal volto di Cersei – ecco qual era stata la conseguenza per avere tentato di difendere una ragazza dallo stupro. Se contava anche le ore di incoscienza al termine di quella maledetta serata, i debiti che Tarth aveva contratto con lui diventavano incredibilmente difficili da ripagare. Ma se l’era cercata, lo sapeva bene: avrebbe potuto chiedere subito aiuto agli avventori del  Flea Bottom – perlomeno a quelli che sembravano avere un po’ di sale in zucca – o evitare di tirare fuori la solita tiritera sul suo cognome e sui soldi che uscivano dal culo di Tywin Lannister. Era una soluzione perfetta per i problemi scolastici, decisamente meno per quelli riguardanti dei teppisti di merda.

Teppisti che – Jaime si era ripromesso – un giorno avrebbe ritrovato e fatto pentire di tutti i calci che aveva ricevuto.

Suo padre aveva insistito affinché il figlio fosse riportato a casa dall’ospedale il prima possibile, in modo che ad assisterlo fossero i migliori specialisti e non dottorucoli da strapazzo. Jaime non aveva protestato solo perché era stufo degli sguardi curiosi degli altri pazienti, che probabilmente si chiedevano come mai il figlio del direttore della banca avesse trovato grane in un postaccio come il Flea Bottom – non che protestare con Tywin Lannister avesse mai fruttato qualcosa.

Durante la mattina Jaime riceveva la visita di un rinomato medico della città e di una vecchia infermiera; altre due si davano il cambio il pomeriggio e la notte, gustando perlopiù il televisore a ottantaquattro pollici che era nel salone ed entrando di tanto in tanto in camera del malato per controllare le sue condizioni. Quando Tyrion rientrava da scuola, portava libri e quaderni in camera del fratello e faceva i compiti con lui, così da fargli compagnia, e Jaime era felice di poter avere qualcuno con cui scherzare.

Aveva pensato che le parti peggiori della giornata sarebbero state le ore in cui Tyrion era dalla fisioterapista e, eccetto l’andirivieni dell’infermiera di turno, tra lui e Cersei si sarebbe stagliata solo una parete rossa e oro; non aveva però messo in conto le visite della sorella, che avvenivano sempre quando Tyrion non c’era. Cersei sedeva sul bordo del letto di Jaime e leggeva dal tablet le ultime notizie inerenti la politica e l’economia, per poi informalo dei pettegolezzi che giravano a scuola riguardo la sua disavventura. Un giorno gli disse che aveva fatto in modo di metterli a tacere, perché era stufa di sentir sussurrare malignità su di lui. A volte restava nella stanza per un’ora intera, mettendo da parte temi e compiti e i preparativi per il prom, e a Jaime piaceva vederla sorridere, seduta sul letto o sul davanzale della finestra con un libro in mano: sembrava che Cersei sapesse che la sua sola presenza lo allietava più di qualsiasi altro visitatore, ma non poteva immaginare quanto al contempo si sentisse teso e frustrato per un amore che non avrebbe mai potuto soddisfare. Quando sua sorella andava via il dualismo delle sue emozioni raggiungeva l’apice, perché Cersei lo salutava sempre con un bacio sulla guancia, a volte casualmente vicino alle labbra, accarezzandogli i capelli biondi.

Ogni tanto, quando i compiti di capo del Consiglio Studentesco le permettevano un pomeriggio di tregua, anche Tarth veniva a fargli visita. Tyrion gli aveva raccontato che “quel donnone di due metri” non aveva voluto lasciare l’ospedale finché non l’avevano tranquillizzata sulle condizioni di Jaime; lui non stentava a credere che potesse essere la verità e non perché si fidava cecamente, come sempre, delle parole del fratello minore, ma perché non si aspettava niente di meno da una ragazza onorevole come Brienne la Bella.

Durante la sua prima visita, Brienne aveva dei punti sopra l’occhio destro e il braccio ingessato come il suo, ma quel pomeriggio di metà maggio almeno la ferita sul volto sembrava essere guarita. Arrivò mentre Tyrion faceva i compiti e Cersei era fuori con le amiche.

«Dunque… Mi è stato chiesto di fare un tema sulla mia famiglia.» Suo fratello si grattò la testa, guardando la pagina bianca del quaderno come assorto in una profonda riflessione. «“Mio fratello è ok, mia sorella è una stronza e mio padre caga oro.” Che ne dici, può andare?»

Jaime sghignazzò. «Un’ottima sintesi, ma forse sarebbe meglio evitare l’ultima parte: non vorrai che i tuoi compagni vengano a frugare nei nostri cessi.»

«Per il Sette Dei, non lo vorrei mai!» si finse scandalizzato Tyrion. «Ne andrebbe del buon nome della nostra famiglia… E per di più papà non avrebbe un posto dove cagare nel caso gli scappasse qualche lingotto! Che ne dici di “il mio amato padre ci delizia ogni giorno col suo olezzo dorato”?»

«L’oro è un colore, Tyrion.»

«Ma ha un suo profumo.»

«Touché

In quel momento una delle infermiere – rugosa e sulla mezza età, come se Tywin temesse che suo figlio rimanesse a letto per così tanto tempo da dover ripiegare su una donna di un ceto sociale molto più basso – bussò alla porta e, all’assenso di Jaime, introdusse un visitatore nella camera.

«Ha ospiti, signorino.»

“Signorino”: Tyrion ridacchiò, illustrando perfettamente ciò che anche Jaime pensava di quello sciocco appellativo.

«Falla entrare, grazie.» Con le infermiere Jaime cercava di mostrarsi gentile, perché sapeva che trattare bene loro e non i professori avrebbe fatto infuriare suo padre – e lui si era appena reso conto di avere una vena masochista.

Aveva visto il faccione lentigginoso di Tarth dietro la schiena dell’infermiera. Il capo del Consiglio Studentesco entrò nella stanza, stringendo tra le braccia una pila di quaderni che Jaime intuì essere gli appunti delle lezioni che stava perdendo.

«Buon pomeriggio, donzella» la accolse. «Posso presentarti mio fratello Tyrion? Non credo vi siate mai incrociati nella mia stanza.»

Tyrion scese dalla sedia e si avvicinò a Tarth per stringerle la mano. «Ci siamo visti all’ospedale, ma non mi sono presentato. Tyrion Lannister, piacere.»

Jaime fu divertito dall’espressione della ragazza: Tyrion aveva dieci anni, ma il suo comportamento spingeva gli sconosciuti a pensare che fosse la sindrome di nanismo a farlo apparire, oltre che basso, anche così giovane. Tarth rispose comunque alla stretta di mano, parlando al bambino come se fosse in presenza di una persona della sua età.

«Il mio nome è Brienne Tarth e il piacere è mio.»

Tyrion parve compiaciuto dal modo in cui gli si era rivolta e rispose con un sorriso.

«Che cosa porti, donzella?»

Brienne si avvicinò al letto e poggiò i quaderni sul comodino. «Gli appunti delle materie che non stai seguendo. Gli esami sono vicini e potrebbero anche permetterti di farli a casa, se…»

«Non hanno rinunciato a bocciarmi e basta, vero?»

«Non sapendo che tuo padre potrebbe fare pressioni sul SAC.»

«Divertente questa» si intromise Tyrion. «Tutti i tuoi “Lo dirò a mio padre” si sono dimostrati un’arma a doppio taglio.»

«Se mi promuovono o mi rimandano non mi cambia niente.» Jaime sollevò l’unica spalla libera. «Basta che mi lascino in pace.»

«Stai diventando un cliché, fratellone.»

Notò che Tarth stava trattenendo un sorriso e si chiese se avrebbe chiesto ripetizioni a Tyrion per riuscire a chiudergli la bocca. Poi lei si voltò verso di lui e studiò i lividi che aveva ancora sotto gli occhi e sul collo.

«Come stai?»

«Potrebbe andare meglio, ma sto tornando a essere bello come prima. Non voglio rischiare di farmi vedere a scuola con te e costringere i nostri compagni a chiedersi chi dei due sia il bello e chi la bestia.»

«Tornerai a scuola prima della fine dell’anno, quindi?»

«Non ne ho idea, ma a settembre sarò di nuovo lì per farti dannare.»

«Studia» fu l’unica cosa che parve venire in mente a Tarth. Già, Tyrion doveva proprio darle delle ripetizioni. «Biologia ha spiegato molto, ma ho fatto degli schemi…» Nella fretta di prendere il quaderno dalla pila sul comodino, Tarth fece cadere una cornice. La raccolse e la scrutò.

«È la prima volta che ti vedo insieme a tua sorella. Siete quasi identici.»

Con il braccio ancora funzionante, Jaime le strappò la cornice dalle mani. Si accorse che Tyrion aveva aggrottato le sopracciglia, sorpreso.

«Ci credo, siamo gemelli. E ora sei pregata di tenere le mani a posto.»

Non avrebbe voluto essere scortese, ma era stufo di sentirsi dire quanto si somigliassero lui e Cersei. La gente pensava che fosse un complimento, ma per Jaime il motivo di quella straordinaria somiglianza era solo una dannazione.

 

*****

 

«Hai visto com’era figo Loras oggi?»

«L’ho visto mentre si allenava con la squadra, è così… sexy

«Oooh, quanto vorrei che mi invitasse al ballo!»

Cersei sospirò. Probabilmente suo padre, per ottenere gli agganci che avevano fatto di lui l’uomo più potente di King’s Landing, aveva dovuto fin da giovane sorbirsi pranzi d’affari e partite di golf con gente con la quale non avrebbe neppure parlato, se non fosse appartenuta al suo ceto sociale, ma Cersei credeva che non poteva in alcun modo avere incontrato persone più noiose e scoccianti di Lysa e Walda. Passavano il tempo a cianciare sui belloni della scuola, fantasticando su quali di loro le avrebbero invitate al ballo e quale abito avrebbero indossato.

Sfogliò distrattamente la rivista che stava tentando di leggere. «È gay.»

Walda si interruppe, l’espressione sognante distrutta da un paio di parole lapidarie. «Scusa?»

«Loras Tyrell è gay, lo sa tutta la scuola.»

Lysa ridacchiò e Cersei si chiese se fosse più stupida di quanto pensasse – e la riteneva più stupida della cameriera di Casterly Rock che lei stessa aveva fatto licenziare, perché quell’idiota non si era presa neanche la briga di attendere che una Cersei di otto anni fosse uscita dalla sala da pranzo prima di mettersi a frugare tra l’argenteria.

«Sei una forza, Ce!»

“Cersei. Mi chiamo Cersei. E tu farai meglio a ricordartelo, se non vuoi che ti faccia tagliare la testa e la appenda sulle punte del cancello di Casterly Rock.”

«Non era una battuta, Lysa

«Ma dai, Cersei. È solo la voce messa in giro da qualche maligno» commentò Walda, sistemandosi sulla testa un anello di carta come se fosse una corona.

Cersei la fulminò con i suoi occhi verdi. «Pensi di avere qualche possibilità di essere nominata reginetta?»

Walda avvampò vistosamente e si tolse la finta corona, per poi chinare imbarazzata il capo. «N-no, scusa… Volevo solo vedere che ef-effetto avrebbe…»

«Goditi quella tiara di carta, perché non ne vedrai altre.» Cersei scavallò le gambe e si alzò dalla sedia. «Dov’è la vodka?»

«Cersei, non dovremmo bere così presto…»

«Non vuoi essere una ragazza cattiva?»

La smorfia maliziosa sul suo volto convinse Lysa e Walda a scambiarsi un’occhiata complice, per poi correre a estrarre dall’armadio una fiaschetta argentata molto capiente. Ne versarono mezzo bicchiere per ciascuna di loro, ma Cersei fece segno di volerne ancora, così Walda fu costretta a svuotare la fiaschetta. In un attimo la reginetta della scuola fece scomparire gran parte della vodka.

«Cos’hai, Cersei?» le chiese Walda, che fingeva di apprezzare quel liquido trasparente sorseggiandolo lentamente. «Oggi sembri piuttosto tesa.»

Cersei fece ondeggiare la vodka nel bicchiere, in silenzio, e Lysa ne approfittò per rispondere al posto suo. «Mia sorella ha visto Rhaegar ieri! Non voleva dircelo, faceva tutta la misteriosa, ma l’abbiamo sentita parlare con Ned al tel-»

«BASTA!»

Lysa si interruppe, spaventata dal rumore del vetro che sbatté sulla sua scrivania.

«Le stavo solo dicendo…»

«Se avessi voluto che Walda sapesse questa storia, le avrei risposto.»

«Perché non potevo saperlo?»

«Già, perché?»

La lingua di Lysa stava diventando un problema: parlava troppo e le rivolgeva spesso frecciatine condite da uno sguardo indagatore e vagamente appagato. Credeva che fosse così facile trovare un punto di cedimento in Cersei? Non gliene avrebbe data la soddisfazione.

Rhaegar Targaryen e Lyanna Stark si erano fatti vedere in città. Dopo tre mesi dalla loro fuga, si erano deciso a comparire a casa del vecchio preside della King’s Landing High; Hoster Tully era a cena da Aerys e Rhaella Targaryen per informare il suo amico delle novità apportate al sistema scolastico e Catelyn, la sua figlia maggiore, lo aveva accompagnato – Lysa non aveva voluto andarci, si annoiava in occasioni del genere e Cersei si era chiesta se non sarebbe stato meglio, per lei, avvicinare Catelyn al posto di quell’idiota della sorella minore. Poco prima che venisse servito il dessert, la cameriera aveva annunciato, visibilmente agitata, che i signori avevano altri due visitatori.

Catelyn aveva appena accennato alle urla di Aerys, che aveva spinto lei e il padre a congedarsi in fretta, ma si era soffermata sul particolare che credeva fosse più importante per Ned Stark: il pancione di sua sorella.

Cersei non sapeva che Lyanna fosse incinta; non lo sapeva nessuno, neppure Catelyn a giudicare dalla preoccupazione che Lysa aveva sentito nella sua voce – Lysa era così stupida da poter scambiare un tono euforico con del nervosismo, ma Cersei pensava che questa volta avesse ragione. Quella notizia l’aveva fatta andare su tutte le furie: Rhaegar era il suo fidanzato, il loro matrimonio era già stato deciso quando, da un giorno all’altro, quel bastardo era fuggito con Lyanna Stark! Jaime si era preso il merito di aver fatto andare via dalla King’s Landing High il preside Aerys, ma probabilmente Tywin non avrebbe compiuto un atto così decisivo contro quello che avrebbe dovuto diventare suo suocero se il nome dei Lannister non fosse stato infangato con un fidanzamento rotto all’improvviso.

Rhaegar era il ragazzo più popolare della scuola – bello, intelligente, eccelso in tutti gli sport che aveva praticato – e stare con lui era per Cersei la cosa giusta; quando si era vista rifiutata per una ragazzina insulsa come Lyanna non aveva perso tempo a piangere, ma aveva subito indirizzato la propria rabbia verso Robert Baratheon, che a sua volta aveva sperato di avere qualche possibilità con la sorella del suo migliore amico, della quale era innamorato da anni.

«Non possiamo permetterci di essere messi da parte» gli aveva detto e Robert, seppur riluttante, aveva infine accettato la sua proposta.

Cersei sapeva che il suo ragazzo passava gran parte del tempo a destreggiarsi tra altre donne, nella speranza di togliersi dalla testa Lyanna, ma l’unica cosa che contava per lei erano le apparenze. I Baratheon erano un importante partito e dal momento che Stannis studiava ad Asshai e che Renly sembrava più che convinto dei propri gusti sessuali – qualunque fossero le dicerie su lui e Loras che Lysa e Walda consideravano solo come diffamazioni – l’unica scelta disponibile era Robert, che al contempo era anche il più popolare tra i tre fratelli. Non l’avrebbe mai amata come amava Lyanna, allo stesso modo in cui Cersei non lo avrebbe amato come Rhaegar – che l’aveva tradita, aveva messo incinta un’altra mentre erano ancora insieme – ma l’amore non era essenziale nella sua scalata al successo.

«Cersei?»

Si riscosse dai propri pensieri. «Non voglio parlare di loro.»

Walda si sporse verso di lei, sinceramente preoccupata. «Sei ancora innamorata di Rhaegar?»

«Innamorata?» Cersei la scansò con un movimento secco del braccio. «Come ti viene in mente?»

«Già» si inserì Lysa. «Non potrebbe stare con Robert, se amasse ancora un altro.»

Il suo orgoglio ricevette un colpo affilato come l’affondo di una spada. Non voleva che qualcuno pensasse che lei fosse ancora innamorata di Rhaegar – non lo era, non lo era, non lo era – ma neanche che fosse così volubile da averlo dimenticato tanto in fretta. L’amore non era importante per lei, avrebbe potuto fare qualsiasi cosa senza pensare ai sentimenti dell’altra persona.

«Qualsiasi cosa» rifletté ad alta voce.

«Come?»

Cersei scosse la testa e sollevò il mento, cercando di riparare quell’orgoglio ferito. «L’amore non guida le mie azioni. Potrei fare qualsiasi cosa e farla passare per amore.»

«Qualsiasi? Allora bacia il professor Pycelle!» la sfidò Walda, ridacchiando divertita.

«No, aspetta.» Il lampo che balenò negli occhi di Lysa non prometteva niente di buono. «Ho un’idea migliore.»

 

*****

 

«…e l’organizzazione del prom spetta a Petyr Baelish.»

Alle parole di Brienne, Petyr si alzò e si portò una mano al petto, sorridendo in quel modo mellifluo che a lei dava il voltastomaco. «Cercherò di svolgere al meglio il mio ruolo. Spero solo che alcuni di voi possano darmi una mano… Cat, cosa ne dici? Posso contare su di te?»

Catelyn raccolse le fotocopie che aveva fatto per la riunione e aggrottò la fronte. «A cosa posso esserti utile?»

«Il menù della serata ha bisogno di essere esaminato da un occhio femminile. Se vuoi, posso portartelo stasera a casa…»

«Stasera ceno da Ned, ma puoi lasciarlo a Lysa. Ti aiuterò volentieri.»

«Oh.» Petyr si attorcigliò il pizzetto. La sua esclamazione era apparsa come un suono deluso, ma il volto ancora sorridente non lasciava trasparire nulla di simile. «D’accordo, lo affiderò a Lysa. Sono certo che sarà felice di vedermi.» Disse l’ultima frase a bassa voce, tanto piano da poter essere udita solo da Brienne che era in piedi accanto a lui e stava raccogliendo le sue cose; sembrava parlare tra sé e sé.

Brienne non lo degnò di un secondo sguardo, consapevole che Ditocorto era in grado di mascherare qualsiasi emozione, e dopo aver salutato gli altri membri del Consiglio Scolastico si diresse verso l’ufficio del counselor. Controllò l’orologio e decise che, quel pomeriggio, non sarebbe andata a trovare Lannister. Si era recata spesso da lui per un misto di sensi di colpa e rispetto verso la persona che l’aveva salvata da… non voleva neanche pensarci. E ora, al termine della scuola e con l’esame finale alle porte, avrebbe dovuto rendere quelle visite meno frequenti, ma ancora non se la sentiva: Lannister giaceva nel suo letto e di certo non passava le giornate a studiare, e lei che era in debito nei suoi confronti doveva aiutarlo a prepararsi per gli esami nonostante il poco tempo disponibile a entrambi. Però quel giorno aveva avuto la riunione del Consiglio Scolastico e doveva ancora andare a parlare con Jon, quindi era costretta a rimandare. Quel pensiero le strinse inspiegabilmente lo stomaco.

Bussò alla porta del counselor e si portò una mano alla ferita sopra l’occhio, che le doleva ancora a tratti. Lannister aveva rischiato la vita per correre in suo soccorso… Con i suoi modi stupidi e insolenti, certo, però l’aveva tratta di impaccio quando lei ne aveva avuto bisogno. E, ancora una volta, ricordò di essergli debitrice.

«Avanti.»

Brienne entrò nell’ufficio e attese di fronte alla scrivania, mentre Jon le dava le spalle, intento a sistemare qualcosa sugli scaffali.

«Ah, Brienne, sei tu.» Jon le sorrise, affabile. «La riunione è andata avanti per le lunghe?»

«Sì. Gli ultimi giorni sono i più impegnativi.»

«Siediti, siediti!» Raccolse le mani sotto il mento e la guardò attentamente. A Brienne parve che si soffermasse sulla ferita che si stava cicatrizzando. «Come va il braccio?»

«È guarito, non era una frattura grave.»

«Brutta storia, gran brutta storia… Stai bene adesso?»

«Sì.»

Era strano il modo in cui Jon la stava fissando, come se attendesse un’ulteriore risposta; alla fine, il counselor si sistemò gli occhiali sul naso e aprì la cartellina che aveva poggiato sulla scrivania. «Allora… sei interessata alla Law School, a quanto vedo. Qui a King’s Landing ne abbiamo una molto valida.»

«Non punto a quella.»

«Già, lo immaginavo. Il tuo sogno è la Sunspear di Dorne, non è vero?»

Brienne annuì. «È la più valida.»

«Ti ci vedo, sai, a studiare legge. Sei inflessibile, una persona su cui si può sempre contare.» Jon attese ancora che lei parlasse, ma non lo fece. «E tu ce l’hai, qualcuno su cui contare?»

«Come?» Brienne aggrottò la fronte, sorpresa, e Jon le rivolse un sorriso di incoraggiamento.

«Gli studenti contano su due persone: te e Renly Baratheon. Ma lui – non so se hai saputo – è intenzionato a frequentare l’ultimo anno in un’altra scuola…»

Deglutì e annuì un’altra volta. Quel pensiero le dava la nausea, la faceva sentire spaesata.

«Certo che lo sapevi, era ovvio… Sai anche di essere la studentessa più quotata per prendere il suo posto? Dovrai lasciare il Consiglio Scolastico per entrare nel SAC, ma questo non significa un impegno di meno conto; al contrario, oltre gli studenti anche il personale della King’s Landing High conterà su di te.»

«Lo fanno già» disse, pensando al ruolo di spaventapasseri che svolgeva per il preside.

«Senza contare la tua media, che è inferiore solo a quella di pochi altri… La scuola ti porta come un esempio. Sei – ripeto – una persona su cui si può contare per qualsiasi cosa. Ma è difficile sopportare una tale pressione da sola. Hai qualcuno con cui confidarti? Qualcuno con cui parlare delle tue aspettative, dei tuoi sogni? Del tuo futuro?»

«Tu sei qui per questo.»

Jon scosse la testa, sorridendo ancora. «No, Brienne, io sono qui per guidarti nella scelta del college. Sto parlando di un amico. Sei così impegnata con lo studio e il Consiglio Scolastico da farmi chiedere – permettimi la sfacciataggine – se tu abbia qualcuno con cui passare il tempo libero.»

«Non ho… non ho spesso tempo libero.»

«Questo lo so, ma ne va sempre ritagliato un po’.»

Brienne si agitò sulla sedia. Pensava che avrebbe parlato con Jon della Law School, che lui avrebbe saputo indirizzarla alla scelta delle materie dell’ultimo anno che le sarebbero stata più utili per il futuro, non che avrebbe cercato di psicanalizzarla. Non era il momento giusto: doveva tornare a casa per finire i compiti e… Interruppe i propri pensieri. Già, nelle sua vita c’era solo la scuola, ma era fatta così, non poteva mettere tutto da parte per…

«Torni sempre a casa dopo le lezioni e le riunioni?» Fu come se Jon le avesse letto nel pensiero.

«S-sì… No, non sempre. Ultimamente faccio visita a Jaime Lannister. Gli porto gli appunti.»

«Ah.» Sembrava interessato a quella notizia, ma non sorpreso. «E cosa fate? Gli dai solo gli appunti o parlate anche?»

«Beh… A volte ci capita di parlare.»

«Della scuola?»

«Sì. E dalla sua guarigione.»

«Dimenticavo, era con te quella sera.»

«Mi ha salvato la vita.»

«Quindi vai da lui perché gliene sei grata.»

«Sì, esatto.»

«Ma quella sera perché eravate insieme?»

Brienne si torse le mani, irrequieta. Non le piaceva quel tono da interrogatorio né lo sguardo indagatore di Jon. «Dovevo farlo, mi aveva… ricattata. Niente di serio» aggiunse subito, con un improvviso senso di colpa per non avere fatto il proprio dovere quel pomeriggio di alcune settimane prima. «Ma ero obbligata a uscire con lui.»

«Per quanto tempo?»

«Solo quella volta.»

«No, volevo sapere per quanto tempo eri costretta a stare con lui, quella sera.»

Aggrottò ancora la fronte. «Non c’era un orario prestabilito.»

«E quanto siete rimasti insieme?»

«Due ore… due ore e mezza, forse. Era molto buio quando sono andata via.»

«Avresti potuto tornare a casa prima?»

«Sì, immagino di sì.»

«Ma non l’hai fatto. E non gli dovevi ancora niente.» Ora il sorriso di Jon era aperto. Il counselor sembrava soddisfatto mentre si alzava e l’accompagnava alla porta dell’ufficio. «Ti ho già preparato un piano di studi per il prossimo anno, eccolo qui.»

Brienne afferrò il foglio che le stava tendendo. «Credevo ne avremmo parlato insieme…»

«Penso che approverai le mie scelte, e penso anche che un po’ di tempo libero ti farà bene. Va’ a trovare il giovane Jaime Lannister, anche se non dovessi avere appunti da dargli. Fatevi una chiacchierata, parla del tuo futuro.»

«Non mi sembra la persona adatta per un discorso del genere…»

«È un perditempo, è vero, e onestamente io non sceglierei lui per parlare di questioni serie. Ma tu l’hai già scelto.» Con un ultimo sorriso enigmatico, Jon la congedò. «Buona serata, Brienne, e in bocca al lupo per gli esami finali.»

 

*****

 

Si svegliò verso sera, quando il sole oltre la finestra stava tramontando. Avvertiva un peso sul letto e credeva che fosse Tyrion, ma non appena aprì gli occhi scoprì che a sedere al suo fianco era Cersei. Era la prima volta che sua sorella gli faceva visita mentre dormiva.

«Ehi» mugugnò Jaime con la voce ancora impastata dal sonno. Si tirò a sedere per guardarla meglio: ormai le sue condizioni stavano migliorando ed era anche libero di muoversi per casa, di tanto in tanto e con l’aiuto di una delle infermiere. «Ciao.» Lo disse con più dolcezza di quanto avrebbe voluto e sperò che Cersei interpretasse quella inaspettata tenerezza come la confusione data da un sonno interrotto.

Sua sorella stava sfogliando uno dei quaderni che Tarth gli aveva lasciato; non appena udì la voce di Jaime, lasciò andare gli appunti per concentrarsi su di lui.

«Come stai?»

«Voglio fumare.»

Cersei gli rivolse una smorfia divertita. «Alzati e cerca le tue sigarette… Se nostro padre non le ha già trovate e confiscate.»

«Vorrei, ma» Jaime si indicò le gambe «da solo non posso fare niente. Puoi prendermele tu? Ti do qualcosa in cambio.»

«Come siamo gentili oggi» notò Cersei, alzandosi. Senza aspettare ulteriori istruzioni, aprì il primo cassetto della scrivania.

«È il sonno.»

«Ecco qua.»

Jaime estrasse una sigaretta e se la portò alla bocca, poi ne porse una a sua sorella. «Ed ecco a te la tua ricompensa.» Le accese entrambe e osservò Cersei aspirare il fumo, cercando di non pensare alle sue gambe accavallate e coperte solo da un filo di calze. Erano più vicine di quanto fosse in grado di sopportare e dovette fare ricorso a tutta la sua forza di volontà per evitare di posarvi una mano.

«Solo questo? Speravo in un bacio del mio dolce fratello.»

Lo disse senza malizia apparente, ma Jaime dovette cercare in fretta un altro argomento, preoccupato dal battito accelerato e frastornante del suo cuore.

«Allora, dov’è Tyrion?»

«Con la tata, l’ha portato dalla fisioterapista. È passata anche una tua amica.»

Sollevo un sopracciglio. «Un’amica?»

«Brienne la Bella. La Vergine Tarth. O come vuoi chiamarla» rispose Cersei, fissandolo intensamente negli occhi verdi. «Le ho detto che stavi dormendo.»

«Gentile da parte tua.»

Si limitò a stringersi nelle spalle, continuando a tenere lo sguardo sul suo.

«Che c’è?»

Imprevedibilmente, sua sorella sussultò e si voltò, agitata. «Niente.»

«Cersei?»

Sembrava imbarazzata e si ostinava a non dire cosa la rendesse così nervosa: di Cersei Lannister manteneva solo l’aspetto fisico, in quel momento. Alla fine tornò a guardarlo e gli posò una mano sui capelli, come faceva ogni volta che andava via. Jaime avrebbe desiderato che restasse ancora un po’ – ancora una vita, ancora un’eternità.

«La cena è quasi pronta» lo avvertì Cersei. Lasciò scorrere la mano sulla sua guancia e il suo tocco scaldò il cuore di Jaime allo stesso modo in cui gli strinse lo stomaco; senza riflettere, posò una mano sulle dita di sua sorella e strinse le palpebre, assaporando il calore di quel tocco.

Un istante dopo, un paio di labbra morbide e umide si posarono sulle sue.









Buonciao dopo tanti mesi!
Mi dispiace avervi fatto attendere, ma sappiate che i prossimi capitoli sono pronti: aggiornerò domenica prossima!
Allora, prima di tutto ringrazio la mia beta A g n e che è bellissima e bravissima e levubì ♥ Poooi... Vi è piaciuto il personaggio di bimbo!Tyrion? È quello di cui mi ha divertito più scrivere! Il riferimento a Rhaegar e Lyanna era d'obbligo, ma soprattutto perché non ci riesco proprio, a non infilare Rhaegar da qualche parte. Non ci sono citazioni telefilmiche, ma le troverete nei prossimi capitoli; qui posso solo parlare delle ferite riportate da Jaime, che mi sono sembrate essere il sostitutivo migliore a un taglio della mano.
Non uccidetemi per il finale. E non uccidetemi per ciò che accadrà nel prossimo capitolo, perché scriverlo è stato dolorosissimo.
Con quest'ultima nota allegra vi saluto e vi ringrazio per la lettura ♥

Medusa, a Lannister

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Capitolo 4
*** Capitolo terzo ***


Capitolo terzo





Cersei allontanò lentamente le labbra da quelle del fratello, che avevano iniziato a dischiudersi, e spalancò gli occhi verdi pronta a scoprire l’espressione disgustata di Jaime. Era pronta a spiegargli il motivo del suo gesto, prima che lui si facesse strane e inquietanti idee su quel bacio, ma ciò che trovò sul suo volto fu solo incredulità mista all’abbozzo di un sorriso.

E ciò le fece rivoltare lo stomaco dal dolore.

Si alzò di scatto dal letto, dandogli le spalle, ma Jaime le afferrò il polso e la tirò a sé.

“Ti prego, fa’ che voglia solo una spiegazione. Ti prego, ti prego.”

Avvertì le dita del fratello scorrere lungo il suo braccio, raggiungere le spalle, accarezzare il suo collo e voltargli il viso; con ostinazione Cersei guardò un punto fisso del muro, cercando una calma che il suo cuore in tumulto non voleva concederle. Le sue guance erano un bollore e la mano di Jaime riusciva incredibilmente a rinfrescarla, ma non era quello che lei voleva, no, non lo voleva, no, non doveva succedere, no, no, no.

«La cena è quasi pronta» ripeté, cercando invano di divincolarsi da quella leggera presa. Avrebbe potuto alzarsi di nuovo e dargli una leggera spinta – Jaime poteva utilizzare un solo braccio e ancora non era in grado di alzarsi dal letto – ma l’agitazione non le permetteva di compiere qualsiasi azione: era costretta a rimanere seduta lì, con le dita di suo fratello sullo zigomo e la sua vicinanza incredibilmente nauseante. «Devo… finire i compiti, Jaime.»

«Non parlare come una ragazzina.» Del tono canzonatorio tipico del fratello non restava più niente, in quel momento. Parlò con un sussurro, cercando un contatto visivo, per niente preoccupato di un possibile e improvviso arrivo dell’infermiera di turno.

Cersei non voleva guardarlo negli occhi, non voleva costringersi ad ammettere ciò che aveva appena realizzato: Jaime che da studente modello si era trasformato in adolescente ribelle, Jaime che fumava e beveva e non gli interessava farlo di nascosto al padre, Jaime che non portava mai a casa una ragazza, Jaime che riteneva Rhaegar e Robert degli imbecilli, Jaime che cercava di rimanere il meno possibile da solo con la sorella… E se quella sera, al parcheggio del Flea Bottom, il suo gemello non avesse rischiato la vita per difendere Brienne Tarth, ma perché voleva farsi del male?

Che cosa aveva appena combinato lei?

«No, aspetta. Ho un’idea migliore.»

Cersei e Walda rimasero in silenzio, attendendo la sfida di Lysa. Lei, per tutta risposta, le osservò soddisfatta di se stessa per qualche secondo, prima di sorridere in modo sgradevole e dire: «Jaime Lannister.»

«Ma è suo fratello!» esclamò Walda, storcendo il naso disgustata. «Era meglio Pycelle.»

«Lo so, proprio per questo ho proposto Jaime. Allora, Cersei, pensi di riuscirci? Di poter – com’è che avevi detto? – “fare qualsiasi cosa e farla passare per amore”?»

«Sarebbe difficile fargli credere che lo ama… È sua sorella, no? Non ci crederebbe mai.»

«Un bacio, allora. Basta quello. Che ne pensi, Ce?»

Cersei rifletté in un attimo, guidata dall’orgoglio più che dalla ragione, e infine rispose: «Sì, lo farò.»

Si alzò di nuovo dal letto, con più decisione, ma la mano di Jaime aveva di nuovo circondato il suo polso e lei non riusciva a strattonarsi da quella presa.

«Cersei…»

Incontrò i suoi occhi – che erano come i suoi, esattamente come i suoi, verdi e profondi, verdi e colmi di segreti, verdi e imploranti, sebbene di desideri diversi – e provò pietà per lui. E ancora nausea e disgusto. Erano la stessa persona. “Siamo venuti al mondo insieme e ce ne andremo insieme” erano soliti ripetersi da bambini, ma in che modo Jaime aveva interpretato quelle parole?

Si scostò i capelli biondi dal volto e cercò di darsi un contegno. «Mi sono presa la ricompensa che mi ero aspettata per averti passato le sigarette.»

«L’hai fatto solo per quello?»

«Certo che no, si trattava di una scommessa.»

Le dita di Jaime si irrigidirono. Cersei capì che doveva approfittarne, così si staccò dalla sua presa e decise di distruggere tutte le speranze che il suo gemello si era creato nel minuscolo attimo di quel bacio.

«Lysa e Walda mi avevano sfidata a baciarti, perché avevo detto di poter fare qualsiasi cosa e farla passare per amore. Beh, non potevo certo illuderti che fosse amore, no? Non ci saresti caduto neppure se fossi stato un idiota, chi bacia il proprio fratello per amore?»

“Tu” pensò, guardando lo sguardo di Jaime riempirsi di rabbia e vergogna. Portò il suo sulla mano che lui aveva lasciato andare e che, per qualche motivo, era ancora immobile nell’aria, come in attesa di essere presa di nuovo; cercando di imprimere in quel gesto tutto il ribrezzo possibile, se la passò sulla maglietta per fingere di pulirla.

«Non hai prove…»

«Cosa?»

Jaime si morse le labbra, cercando evidentemente un motivo per continuare a illudersi. «Quelle cretine sono nascoste da qualche parte? Come fanno a sapere che hai vinto la scommessa?»

Cersei si strinse nelle spalle. «Forse si aspettano che tu lo vada a raccontare in giro.»

«Non lo farò» sussurrò Jaime, fissando il lenzuolo steso sopra le sue gambe.

Cersei avrebbe voluto correre via dalla stanza, rimanere finalmente sola ed evitare di vederlo cadere in pezzi. Era Jaime, diamine, era Jaime, non un qualsiasi fottuto ragazzo che stava rifiutando, era solo fratello e lo amava come tale, non voleva fargli del male, non voleva, non…

Doveva fingere che quel comportamento fosse normale. Che anche Jaime stesse provando disgusto per quel bacio e che, non appena lei se ne fosse andata, sarebbe scoppiato a ridere per quella situazione imbarazzante. Che tutto si sarebbe concluso lì.

«Vado a cena, dirò all’infermiera di portarti giù.»

«Non serve.» La voce di Jaime continuava a mantenersi bassa, i suoi occhi puntati sulle lenzuola rosse. «Mangerò… mangerò qui.»

«D’accordo. Buonanotte, Jaime.»

Suo fratello non rispose mentre Cersei si richiudeva la porta alle spalle. Inspirò profondamente e attese che il suo cuore cessasse di battere all’impazzata contro la gabbia toracica, prima di presentarsi al cospetto del padre, che avrebbe indagato con lo sguardo, chiedendole cosa la stessa preoccupando. Non poteva rischiare di tradire il segreto di Jaime, non poteva nemmeno rischiare che suo padre ipotizzasse che qualcosa non andasse, no, no, non poteva.

Inspirò ancora, si stirò la gonna e si diresse verso la propria camera, decisa ad attendere il ritorno di Tyrion prima di comparire nella sala da pranzo. Avrebbe informato Lysa e Walda della riuscita della scommessa dopo cena, con tutta calma. O avrebbe aspettato qualche giorno, fingendo di non essere riuscita a trovare Jaime da solo.

Abbassò le palpebre e le sollevò di nuovo, più decisa di prima.

 

*****

 

Il caldo era sempre più pressante man mano che la stagione estiva si avvicinava. Brienne si passò una mano sulla fronte per asciugarsi il sudore, poi strinse tra le braccia i libri che stava portando, preoccupata che le potessero scivolare a terra. Erano le cinque del pomeriggio e finalmente lei era riuscita a liberarsi dagli impegni con il Consiglio Studentesco, impegni resi ancora più gravosi dall’avvicinarsi della fine dell’anno scolastico e del prom; l’unica cosa che avrebbe voluto fare in quel momento era correre a casa e riprendere a ripassare per gli esami finali da dove si era interrotta quella mattina, ma poi un pensiero le aveva attraversato la testa: da quando aveva parlato con Jon Arryn, non aveva avuto molto tempo per passare a trovare Jaime Lannister e l’unica volta che ci aveva provato, circa una settimana prima, la sua bellissima e glaciale sorella le aveva detto che stava dormendo.

Nonostante la somiglianza tra loro, Brienne stentava ancora a credere che Jaime, indisciplinato e ribelle per definizione, e Cersei, la ragazza più corteggiata della scuola, fossero gemelli. Certo, i loro occhi erano dello stesso colore – così come i loro capelli – ma c’era qualcosa che differenziava il verde di Jaime da quello di Cersei… Speranza e invidia? Brienne scosse la testa, dicendosi di non pensare a cose tanto assurde. Jaime e Cersei Lannister, come tutti i gemelli eterozigoti, presentavano alcune differenze tra di loro, esteriormente e interiormente, sebbene quelle fisiche fossero più lievi; non c’era motivo di perdere tempo a rifletterci.

Quando giunse di fronte all’imponente entrata di Casterly Rock, Brienne si chiese se avesse fatto bene a rinunciare allo studio. La risposta le giunse immediatamente: “Ho bisogno di fare una pausa dalla scuola e ho promesso a Jon che sarei passata a trovare Lannister.”

Solo che lei non glielo aveva mai promesso.

Suonò comunque il campanello, attendendo che qualcuno le venisse ad aprire.

“Non sua sorella” sperò. La vista di Cersei Lannister la metteva sempre a disagio: lei era bella, popolare, intelligente e ammirata da tutti i professori e da gran parte degli studenti, mentre Brienne era… Brienne. “La Vergine Tarth.” Ripensare a quell’appellativo rischiò di farle rivoltare lo stomaco.

Udì il suono di qualcosa che veniva strascicato lungo il pavimento, poi il silenzio e di nuovo quel rumore. Quando la porta si aprì, Brienne notò una sedia e, in piedi lì accanto, il piccolo Tyrion.

«I miei non sono in casa e io sono minorenne» recitò il bambino. «Divertente, potrei usare questa scusa per tutta la vita.»

«Forse non ti ricordi di me. Sono…»

«…Brienne, l’amica di Jaime. Non sei un volto difficile da dimenticare.»

“L’amica di Jaime”: non era certo la definizione che Brienne si sarebbe aspettata.

«Sei solo?»

«C’è la tata con me, ma stiamo giocando a nascondino e lei crede che la stia cercando: non ha idea che io sappia già dove si è nascosta – dove si nasconde ogni maledettissima volta. Perciò stavo leggendo un libro in santa pace.» Tyrion le mostrò il volume che aveva in mano.

«Storia dei draghi» lesse Brienne. «Tuo fratello mi aveva detto che ti piacevano i draghi.»

«Già. Sogno di poterne cavalcare uno un giorno, così da volare sopra Casterly Rock e dare fuoco alle chiappe di mio padre. O di mia sorella, ho solo l’imbarazzo della scelta.»

Non aveva mai sentito nessuno parlare in tal modo della propria famiglia, così si ritrovò inaspettatamente ad arrossire. Forse Tyrion se ne accorse, perché le rivolse un fugace sguardo, ma cambiò argomento.

«Sei venuta a vedere Jaime, immagino.»

«Sì, volevo sapere come procedesse la sua guarigione.»

«Domani gli toglieranno il gesso al braccio. Secondo i dottori, inoltre, potrà riprendere a camminare già fra un paio di giorni, anche se dovrà aiutarsi con le stampelle. Poco male, almeno potrà godere del suono degli uccellini. Però» Tyrion si interruppe mentre la scortava al piano superiore «in quest’ultima settimana è stato un po’ strano. Forse gli manchi» ridacchiò divertito.

Brienne arrossì prima che potesse rendersene conto. «Strano in che senso?»

«Oh, non aspettarti che abbia cominciato a studiare! Rimane in silenzio, non fa altro che guardare la televisione e fumare, e un paio di volte l’ho beccato mentre beveva una birra che non ho idea da dove abbia preso. Probabilmente ha corrotto una delle infermiere: sa essere seducente, se vuole. Siamo arrivati. Vi lascio soli, credo sia il momento di andare a cercare la mia tata.»

«Grazie, Tyrion.»

Brienne lo osservò allontanarsi fischiettando, poi bussò piano alla porta. Nessuna risposta. Bussò più forte.

«Avanti.»

Quando entrò fu avvolta dall’odore nauseante del fumo. Lannister guardava la tv sdraiato a letto, senza alcuna sigaretta in mano, ma Brienne immaginò che avesse passato l’intera giornata a fumare. La degnò solo di una rapida occhiata.

«Ah, donzella, sei tu.»

«Disturbo?»

Il sorriso mesto che Lannister le rivolse la sorprese. «Accomodati pure.»

«Tyrion mi ha detto che domani ti toglieranno il gesso al braccio» disse Brienne, prendendo posto sulla sedia accanto al letto.

«E dopodomani potrò camminare di nuovo. Qualcosa che io non so?»

Notò che era infastidito, ma non sembrava che lo fosse dalla sua presenza. Il posacenere sul comodino era completamente pieno.

«Vuoi che lo svuoti?»

Lannister seguì il suo sguardo. «Non sei la mia infermiera.»

«Credevo volessi evitare che lo vedesse tuo padre.»

«Se fosse stato così, non l’avrei messo in bella mostra. E mio padre non sale mai a trovarmi, per la cronaca.»

Brienne aggrottò la fronte. «Come mai? Dovrebbe detrarre del tempo dal suo lavoro per farti visita.»

«Oh, ma lui è spesso a casa! Rientra alle otto di sera ed esce di casa esattamente dodici ore dopo. Ma in quel lasso di tempo non ricorda di avere tre figli.» Lannister sbuffò, piegando le labbra verso l’alto. «E pensare che già un tempo sembrava averne due. Ora gli è rimasta solo…» Non concluse la frase, ma si voltò e cercò sotto le coperte fino a estrarre una sigaretta. «Passami l’accendino, Tarth.»

«Fumare non ti fa bene.»

«E invece ascoltare le tue prediche lo fa?»

Brienne capì che non aveva senso discutere, non in quel momento e in quel luogo: non erano a scuola e Lannister era libero di fare ciò che preferiva della sua salute. Gli passò l’accendino che era sulla scrivania e l’aiutò ad accendere la sigaretta.

«Tyrion mi ha detto che non hai aperto libro in quest’ultima settimana.»

«Tyrion deve smettere di fare la spia» replicò Lannister, ma non sembrava molto interessato a quella questione. «Dimmi qualcosa che io non so. Notizie dal mondo esterno?»

«Fra pochi giorni ci sarà il prom, ho incaricato Petyr Baelish di pensare alla sua organizzazione.»

«Oh, il caro Ditocorto farà un ottimo lavoro. Mi dispiacerà perdermelo.»

«Sarai guarito per allora, potresti partecipare e…»

«Sarcasmo, donzella. Non ho alcuna intenzione di andare al prom.»

«È l’evento dell’anno.»

«E io lo salterò: perfettamente in linea con il mio personaggio. Tu che farai, ci andrai con il tuo amato Renly?»

Brienne non si aspettava di sentirlo nominare. Avvampò violentemente e cercò di nascondere il volto. Sì, sperava che Renly la invitasse al ballo; sì, prima di addormentarsi fantasticava sull’espressione del ragazzo mentre attendeva che salisse sulla limousine che aveva noleggiato; sì, sapeva di non avere alcuna speranza. Non per questo, tuttavia, parlarne con qualcuno – con Jaime Lannister – l’avrebbe fatta sentire meglio.

«Andrò da sola» si limitò a rispondere. «Mio padre mi ha preso un abito per la festa e spera di vedermi indossarlo, non posso deluderlo. Mi accompagnerà lui stesso.»

Da come parlò, Lannister non parve avere udito la sua risposta: «Faresti meglio a togliertelo dalla testa, donzella» disse, fissando la parete di fronte. «Non hai possibilità con lui.»

Lei arrossì di nuovo. «Non ho mai pensato di avere…»

Lannister si voltò per guardarla negli occhi. «Lui si fotte Loras Tyrell, non è una stupida diceria.»

Sentire quelle parole uscire dalla sua bocca fece gelare il sangue a Brienne; erano numerose le voci che a scuola giravano su loro due e già in passato Lannister aveva dimostrato di crederci, ma ora Tyrion l’aveva definita “l’amica di Jaime”, e un amico non sarebbe mai stato tanto diretto con lei. Non le avrebbe mentito in una maniera così crudele.

«Smettila.»

Lannister scoppiò a ridere di fronte al suo dolore. «Perché ti ostini a fingere di non saperlo? Tutta la scuola ne è a conoscenza: quei due scopano come ricci dalla mattina alla sera, Renly si fa infilzare dalla spada di Loras… Scegli tu la versione che preferisci. Il succo è lo stesso. E se credi il contrario, se credi che un giorno Renly si accorga di te e mandi a fanculo il suo bel capitano di pallanuoto per amor tuo… È arrivata l’ora di aprire gli occhi, donzella.»

Non sapeva cosa dire: era andata da Lannister perché credeva di fargli un favore, portandogli gli appunti delle lezioni che stava perdendo, e perché voleva ripagare il suo debito con lui. “Ora basta” si disse. Il debito era stato pagato.

«Ci vediamo a scuola.»

Si alzò, lasciò sul comodino libri e appunti – non notò che la foto dei due gemelli Lannister era sparita – e si diresse a passo di marcia fuori dalla stanza, lasciandolo con le sue sigaretta, la sua birra e la sua solitudine.

 

*****

 

I preparativi fervevano all’interno della King’s Landing High. A pochi giorni dal prom, Ditocorto guidava il resto del Consiglio Studentesco nella scelta delle decorazioni, nella disposizione dei tavoli e nell’organizzazione delle elezioni del re e della reginetta del ballo; sovente delegava i compiti agli altri studenti, ma quando si trattava di accordi e pagamenti era il solo ad avere in mano la situazione.

Renly estrasse da un scatola di cartone le luci con cui addobbare gli esterni, controllando attentamente che nessuna fosse rotta: l’anno precedente Selyse Florent era dovuta correre dall’altro lato della città in cerca dell’unico supermercato ancora aperto per potere acquistare una nuova confezione di luci colorate a poche ore dall’inizio del prom. Quest’anno avrebbero utilizzato solo quelle bianche ed era meglio accertarsi con largo anticipo che fossero ancora in ordine. Guardandosi in giro, Renly si disse di complimentarsi con Ditocorto non appena ce ne fosse stata l’occasione: aveva scelto un tema davvero originale per quel prom, nonostante di primo acchito fosse sembrato poco appropriato. Tuttavia, di fronte a tutto quel bianco, nessuno avrebbe potuto obiettare che “L’inverno sta arrivando” fosse una cattiva scelta.

«Dove posso metterlo?»

Renly si voltò verso Catelyn Tully, che teneva in mano un grosso cesto di stelle alpine. «Portalo nella serra insieme alle altre, così non rischieranno di appassire.»

Catelyn annuì e si allontanò, ma prima che Renly potesse tornare a occuparsi delle luci un’altra studentessa comparve a chiedergli aiuto. «Mi dispiace disturbarti, ma non trovo Baelish…»

«Non mi disturbi affatto.» Renly rivolse un ampio sorriso al donnone che gli si era parato davanti. Nonostante la sua altezza, Brienne Tarth era timida e per nulla spaventosa, sebbene a primo impatto apparisse il contrario. C’era qualcosa in lei – forse l’indifferenza con cui reagiva alle derisioni di alcuni studenti – che suscitava in lui una profonda simpatia. «Di cosa hai bisogno?»

«Ha chiamato il catering, vorrebbe sapere a che ora potrà venire.»

«Accidenti, questo è un compito per Petyr!» esclamò Renly prima di scoppiare a ridere. «Ho provato a sostituirlo, ma ho fallito miseramente. Dev’essere ancora dal preside, si staranno facendo una bella chiacchierata… E noi qui a sgobbare.» Posò una mano sul braccio di Brienne, che si irrigidì. La ritirò quasi immediatamente. “Non ama il contatto umano” pensò. «Vado a cercarlo, tu di’ pure all’addetto al catering che lo richiameremo noi entro un’ora.»

Anche Brienne annuì, ma mentre quell’espressione concentrata donava a Catelyn una bellezza riflessiva – o almeno così aveva sentito chiamarla da Ned Stark – su Brienne serviva solamente a renderla più grottesca. Era una piacevole compagnia, certo, e un’ottima studentesca, però il suo aspetto giocava eccessivamente a suo sfavore, dalla corporatura grossa e mascolina alle lentiggini che le tempestavano il viso. Si chiese se avesse un accompagnatore per sabato.

“Verrà da sola” realizzò. “Le chiederei di accompagnarmi, se solo qualcuno non fosse capace di ingelosirsi perfino vedendomi con lei.”

Lasciò le luci sopra uno dei tavoli ancora ammassati contro il muro e si mosse in direzione della presidenza; Ditocorto si era allontanato mezz’ora prima per discutere del volume della musica e delle ultime spese, ma non aveva ancora fatto ritorno e Renly immaginava bene perché: Petyr Baelish era un mago nell’ottenere ciò che voleva, per cui probabilmente ora era comodamente seduto di fronte alla scrivania del preside Tully, con le braccia conserte e un sorriso accattivante, muovendo spesso il busto in avanti per illudere il suo interlocutore che stessero parlando in confidenza.

Renly sbuffò e scosse la testa divertito, finché il suo sguardo non fu attirato da uno dei numerosi volantini affissi alle pareti: Cersei Lannister sorrideva affabile, i lunghi capelli biondi legati in un’elegante treccia che le arrivava ai seni. Sembrava avere già in pugno la vittoria e di sicuro le sue amiche erano certe dell’inferiorità delle rivali, perché alcuni volantini erano stati attaccati sopra quelli di altre ragazze. Catelyn, rifletté Renly, era veramente l’unica – esclusa Lyanna Stark, che tuttavia non frequentava più quella scuola – a poter competere con lei in fatto di bellezza, ma si era rifiutata categoricamente di mettersi in mostra con una campagna per diventare reginetta della scuola. D’altro canto, i candidati re non avevano neppure perso tempo a pubblicizzarsi: suo fratello Robert e Loras Tyrell erano i favoriti della King’s Landing High, però Renly sapeva di avere anche lui un posto alto nella classifica degli studenti più popolari. Di certo non l’aveva mai avuto Stannis, e forse era per questo che se n’era andato; Selyse, l’unica a cui fosse veramente importato di lui, di tanto in tanto si chiudeva ancora in bagno a piangere.

Era quasi giunto al corridoio della presidenza quando un’ombra apparve dal nulla e lo spinse contro gli armadietti.

«Che cos…?»

Non fece in tempo a terminare la domanda perché un paio di labbra carnose coprirono la sua bocca; realizzando dal profumo che gli arrivò alle narici chi fosse la persona che aveva di fronte, Renly la strinse a sé e ricambiò il bacio.

«Sei pazzo?» esclamò infine, allontanando il ragazzo e sorridendogli. Si guardò intorno. «Qualcuno avrebbe potuto vederci!»

«Mi sei mancato» replicò Loras Tyrell, imbronciando le labbra. Aveva ancora addosso la divisa della sua squadra; Renly si soffermò sulle goccioline d’acqua che scendevano dalle punte dei suoi capelli castani.

«Avevi così tanta fretta di rivedermi che non ti sei nemmeno asciugato?» lo prese in giro.

«Fa caldo, ci penserà il sole. Usciamo in cortile?»

«Non posso, mi sto occupando del prom. Ditocorto è sparito, devo trovarlo per parlargli del catering…»

«Chi se ne importa, del catering» ribatté Loras, avvicinandosi per baciarlo di nuovo.

«Loras, non qui.»

«D’accordo.»

Si spostarono nel bagno degli uomini, sperando che nessun studente ne avesse bisogno. Di sicuro era molto più appartato del corridoio, pensò Renly.

Loras gli passò una mano sulla corta barba. «Ti preferisco senza.»

«Se adori i glabri, trovati un bimbetto.»

«È te che voglio.»

Sapeva come farlo sorridere, allo stesso modo in cui Renly sapeva che Loras amava vederlo sorridere. Affondò le dita nei suoi capelli e gli morse il labbro inferiore, solleticandogli il collo con le dita.

«Come vanno i preparativi?» gli chiese Loras, piegando il capo all’indietro per permettergli di baciarlo sotto il mento.

«Alla grande» rispose Renly in un sussurro.

«Si sa già chi sarà eletta reginetta?»

«Te la giochi con Cersei Lannister.»

Loras lo scacciò ridendo. «Credevo di giocarmela contro tuo fratello, ma devo dire che la corona della reginetta mi donerebbe. Godrei anche solo nel vedere la faccia di Cersei diventare rossa dalla rabbia.»

«A quel punto però dovresti ballare un lento con Robert.»

«Sai chi vedo come il re?»

Renly si accorse dello sguardo accattivante che gli stava lanciando. «Fa’ il serio! Non potrei mai competere contro mio fratello, è molto più popolare di me.»

«Gli studenti ti adorano. Tu fai tutto quello che dev’essere fatto, però non te ne compiaci. Saresti meraviglioso come re…»

Loras concluse la frase baciandolo di nuovo, ma con più trasporto di prima; anche Renly si lasciò andare, assaporando quel breve momento di felicità che si concedevano di tanto in tanto. Rimasero avvinghiati per diversi minuti, respirando l’uno il profumo dell’altro, poi Renly posò una mano sui capelli di Loras.

«Devo andare, mi verranno a cercare se non mi vedono tornare…»

«Vengo da te stasera.»

«No, Robert ha invitato Ned e i suoi amici per fare baldoria… Vediamoci sabato dopo il ballo.»

«Avrai casa libera?»

«Meglio: avrò una limousine tutta per noi.»

Loras sorrise e lo baciò di nuovo mentre tornavano nel corridoio. Fu in quel momento che udirono qualcosa cozzare contro gli armadietti; la testa di Renly scattò verso destra, proprio dove Brienne li stava fissando con il volto completamente rosso.

«Non ti vedevo arrivare…» cercò di giustificarti, tentennante. «Io… È meglio se torno in palestra…»

«Brienne!»

«Non ho visto niente. Non… dirò niente…»

Dopo quelle parole si voltò e si diresse a passo svelto verso la palestra, mentre Renly e Loras si scambiavano uno sguardo preoccupato.

 

*****

 

«Passami l’ombretto!»

«Dove l’hai messo? Non lo trovo.»

«Vicino allo specchio. Su, Walda, sbrigati!»

«Ragazze, a che ora passerà Robert?»

«Doveva stare qui dieci minuti fa.»

La voce controllata di Cersei destò Jaime dal suo sonno. Il ragazzo sollevò leggermente le palpebre, scrutando nell’oscurità della camera; da oltre la parete alle sue spalle le arrivava il chiacchiericcio di sua sorella e delle sue amiche. Non sapeva che ore fossero, era crollato a dormire alle tre e non aveva alcuna intenzione di lasciare la sua stanza, nonostante ora le gambe glielo permettessero almeno in parte.

Era la sera del prom e lui era consapevole che avrebbe fatto meglio a continuare a dormire – obiettivo facilmente raggiungibile, dal momento che nelle ultime notti si era dimostrato difficile per lui prendere sonno.

«Cavolo, Cersei, quel vestito ti sta d’incanto!»

«Mh.»

«Eh, Walda? Non lo pensi anche tu?»

«È magnifico, Cersei!»

«Grazie.»

«Tuo fratello verrà?»

«Non credo.»

«Sta ancora male?»

«È guarito, riesce a muoversi con le stampelle.»

«E allora perché non viene al prom? Uffa, Cersei, mi avevi promesso che mi avrebbe invitata!»

«Che diavolo dici, Lysa? Non ho mai detto niente del genere.»

«A proposito di lui, come…?»

«Hai preso lo champagne, Walda?»

«Eh? Dici a me? Sì, certo, l’ho messo in frigorifero, così sarà fresco quando usciremo.»

«Hai intenzione di scolartelo nella limo, Ce?»

«Al prom ci saranno solo punch e birre analcoliche, e noi dobbiamo festeggiare a modo nostro.»

«Ma prima andremo a cena…»

«Saremo pronte anche per quella, allora.»

Jaime rovistò sul comodino in cerca dell’Ipod ed esultò dentro di sé quando riuscì a trovarlo; si infilò in fretta le cuffie per evitare di sentire altro – cosa gli dava fastidio, la voce di Cersei o la consapevolezza che sarebbe andata al ballo con Robert? O le stronzate che dicevano Lysa e Walda? Impostò la riproduzione casuale e le sue orecchie furono subito invase dalle note di The Bear and the Maiden Fair. Sospirò, sotterrandosi di nuovo sotto le coperte nonostante il caldo.

Quando, alcuni minuti dopo, il suo istinto lo spinse a sollevare nuovamente le palpebre, Jaime notò un raggio di luce sul pavimento, in prossimità della porta che, capì, era stata socchiusa. Abbassò il volume quel tanto che gli bastò per udire Cersei fare il suo nome.

«Jaime?»

Non rispose, ma attese ugualmente che le se ne fosse andata prima di tornare ad ascoltare la musica. Cullato dalle note si immerse di nuovo nei sogni, sperando di lasciarsi l’immagine di sua sorella alle spalle – non l’aveva nemmeno distinta nel buio, e allora perché ora poteva vederla chiaramente con l’abito rosso che indossava, con i capelli raccolti in uno chignon e i piedi nascosti da un paio di scarpe dorate? Nel sogno Cersei non era truccata, non aveva né rossetto né cipria né un filo di matita, non le serviva niente per renderla più bella, perché Cersei per Jaime era la perfezione. Tutti dicevano che loro due erano uguali, e allora perché l’aspetto di Cersei non era corrotto come quello di Jaime? Forse perché tutte le cattiverie di sua sorella non avrebbero mai potuto eguagliare l’orrore dell’attrazione perversa che Jaime provava per lei?

Cersei era al prom, in mezzo a decine e decine di persone dalle facce indistinte, e ballava con Robert Baratheon, con Ned Stark, con Renly e anche con Stannis, con Loras Tyrell e altri numerosi ragazzi che Jaime non riconosceva. Poi, d’un tratto, la folla si divise. Al centro della pista apparve una donna gigantesca costretta a forza in un vestito rosa molto piccolo per lei; aveva un fiocco in testa e si muoveva goffamente sui tacchi, ma dopo qualche passo uno dei tacchi si spezzò e lei cadde a terra. La gente scoppiò in una risata immensamente lunga… E la ragazza non poteva fare niente, perché quando cercava di tirarsi in piedi qualcuno la spingeva di nuovo sul pavimento, poi cominciarono gli insulti; Jaime non li distingueva, ma dall’espressione di lei capì che dovevano essere terribili.

Di colpo, infine, le parole si fecero largo nella sua testa: «Brienne la Bella! La Vergine Tarth! Brienne la Bella!»

Alcuni studenti si avvicinarono a lei e le versarono il miele fra i capelli già biondi e non importava quando Tarth implorasse, non importava che anche la sua vista fosse impedita dal colare del miele, loro continuarono comunque; e, quando ebbero finito, acclamarono a gran voce: «L’orso! L’orso!»

Dal fondo della sala apparve un orso bruno ancora più grande di Tarth, che rimase improvvisamente sola. Tarth correva, sbatteva contro le pareti, cercava qualcosa con cui difendersi, ma trovò solo una misera spada di legno. La agitò contro l’orso pur non vedendolo distintamente, menò un fendente e poi un altro, mancò il suo avversario entrambe le volte. L’orso cercò di toglierle il miele dai capelli e la sua zampa rimase incollata, così lui decise di spalancare le fauci…

Jaime si svegliò di colpo, respirando affannosamente fino a quando non si rese conto che era stato solo un sogno. Tarth… Perché sognava quella ragazza? Perché dal prom la scena era passata al combattimento con un orso?

“Perché il prom è un combattimento con l’orso, per Tarth. Perché per fare contento suo padre indosserà un vestito rosa e si darà in pasto agli studenti.”

Quell’idea continuava ad apparirgli assurda, ma poi, d’un tratto ricordò le parole che Lysa aveva pronunciato quando lui era ancora nel dormiveglia: «Lo scherzo per Tarth funzionerà, non è vero? Mi hanno detto che è tutto pronto per stasera… Non vedo l’ora di assistere alla scena!»

Jaime scostò malamente le coperte, accese la luce e arrancò verso le stampelle. Doveva fare in fretta.











Buona domenica primav- ehm, ok, qua fuori c'è un tempo da Nord. No, direi più da Isole di Ferro. Bella roba.
Come vi è sembrato il capitolo? *schiva i massi* Ok, d'accordo, Jaime starà soffrendo come un cane, ma... *schiva altri massi* Certo, anche Brienne starà malissimo, però... *schiva scoglio* "Soffriranno, ma dopo staranno meglio!" (cit. necessaria)
Per quanto riguarda le citazioni e i rimandi telefilmici, ne ho inseriti un paio: uno in bocca (o meglio "mente") di Cersei e alcune frasi nel dialogo Renly/Loras. Se siete dei veri fan(atici), riuscirete a scovarli u.u E, beh, neanche a dirlo, ma la scena finale dell'orso.
La prossima settimana pubblicherò l'epilogo, che vedrà unicamente i POV di Jaime e Brienne, ma sarà perfino più lungo degli altri capitoli, ehm.
Spero che la storia vi stia piacendo!

Medusa, a Lannister

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Capitolo 5
*** Epilogo ***


Epilogo








Voleva solo rimanere a casa quella sera; chiudersi a chiave in camera fingendo di stare male, sotterrarsi sotto le lenzuola e leggere un buon libro. Forse in tv avrebbero passato perfino un bel film, una di quelle storie d’azione che tenevano con il fiato sospeso per due ore e mezza. Già, era quello che le ci voleva, non un’altra stupida commedia romantica come quella che aveva ingenuamente creduto potesse, un giorno o l’altro, prospettarsi per lei.

Solo che per le ragazze come Brienne Tarth non c’era un lieto fine – men che meno al prom. Renly non avrebbe ballato con lei e, se anche lo avesse fatto, avrebbe pensato tutta la sera a un’altra persona; buffo, avevano sempre detto a Brienne che aveva marcati lineamenti mascolini, eppure ora che essere uomo le avrebbe fatto comodo sentiva come mai la consapevolezza di essere una donna.

“Che importa? Avrebbe scelto Loras comunque.”

La voce di Lannister le rimbombò nella testa: «Non lo biasimo. E non biasimo nemmeno te. Non possiamo scegliere chi amare.»

Brienne affondò il volto nel cuscino, cercando di dimenticare quelle ultime settimane. E il suo aspetto virile, e le spalle larghe, e la consapevolezza di essere più brava a minacciare un uomo che a farlo cadere ai suoi piedi. Da bambina aveva perfino preso lezioni di scherma, dopo che suo padre aveva realizzato che la piccola Brienne non faceva una bella figura in un delicato tutù rosa.

“Se fossi nata in un’altra epoca, avrei potuto fare il cavaliere. Avrebbero comunque deriso una donna in armatura, ma avrei reagito puntandogli la spada contro. In un’altra epoca, forse, sarei stata felice.”

Qualcuno bussò alla porta; intuendo chi fosse, Brienne si limitò a mormorare: «Avanti.»

Come si era aspettata, sulla soglia della camera comparve suo padre. «Hai una visita, Bree.»

Brienne si puntellò con i gomiti sul materasso. Selwyn Tarth, che era rimasto profondamente deluso dalla decisione della figlia senza tuttavia ostacolarla, appariva ora in preda a sentimenti contrastanti: nervoso, speranzoso, lievemente contrariato e allo stesso tempo determinato a essere felice per qualsiasi scelta di Brienne.

“Sarà Baelish” rifletté lei scendendo dal letto e dirigendosi verso il corridoio. “O forse Catelyn, ma è più probabile che sia un uomo, se papà ha riacceso le speranze di vedermi uscire stasera. Resterà deluso: saranno venuti a chiedermi una mano per un problema inaspettato alla festa…”

Smise di pensare quando raggiunse le scale. Da lì poteva perfettamente vedere la persona che era in piedi di fronte agli ultimi gradini, un ragazzo biondo in abito elegante che teneva una campanula nel taschino della giacca e che si reggeva a una stampella; il visitatore dovette udire i suoi passi, perché si voltò verso la scala e fissò contrariato Brienne.

«Non sei ancora pronta? Quanto ti ci vuole a infilare un abito?»

«Lannister» mormorò incredula Brienne. «Che ci fai qui?»

«Ti porto al ballo» si limito a rispondere lui stringendosi nelle spalle.

«Non è uno scherzo divertente.»

«Già, è proprio uno scherzo. Sai, non vedevo l’ora di architettarne uno del genere: buttarmi giù dal letto, uscire vestito elegantemente con una bella stampella a coronare la splendida visione di me, noleggiare una limousine…»

Brienne spalancò gli occhi. «Una limo…? Dove hai trovato chi ti noleggiasse una limousine a quest’ora?»

Lannister sorrise beffardo. «Sono un Lannister, ricorda. Ottengo sempre quello che voglio, e ora quello che voglio è che tu ti infili lo splendido abito che sicuramente tuo padre ha comprato per te, che ti metta una costosissima collana di zaffiri e che venga al ballo con me.»

«Io… io non vengo, Lannister. Ho delegato i miei compiti agli altri membri del Consiglio Studentesco…»

«Chi se ne frega: tu verrai come ospite, non come organizzatrice. Non è d’accordo, signor Tarth?»

Solo in quel momento Brienne si ricordò della presenza del padre alle sue spalle. Lo guardò e notò un’espressione incerta sul suo volto, ma quando si rivolse a Brienne parlò con la sua tipica sincerità: «Ha ragione. Vai, o lo rimpiangerai per sempre.»

A quel punto lei non trovò altra via d’uscita che tornare in camera ed eseguire gli ordini. Stentava ancora a credere che suo padre e Jaime Lannister avessero unito le forze per spronarla a presentarsi al prom; continuò a rifletterci mentre indossava l’abito blu appeso alla finestra, mentre si sistemava i capelli corti e calzava un paio di scarpe con il tacco basso. Quando infine si guardò allo specchio, pensò di sembrare un fenomeno da baraccone, ma si fece forza e scese al piano inferiore.

Lo sguardo di suo padre non tradiva altro se non orgoglio e per un istante Brienne temette di piangere. Concentrò la propria attenzione su Lannister, che persisteva a fissarla con quel sogghigno irritante.

«Tieni» disse Selwyn, prendendo un girocollo di zaffiri e legandolo intorno al collo della figlia.

«Papà, non posso…»

«Hai ragione: devi

Arrossendo, Brienne lasciò che suo padre facesse il suo lavoro e poi si voltò per abbracciarlo. Con la coda dell’occhio notò che Lannister attendeva in silenzio, anche lui con un dono nella mano libera.

«Il braccio è guarito qualche giorno fa, ma rischia di rompersi di nuovo sotto tutto questo peso» scherzò, porgendole una scatola trasparente. «È un corsage. Va legato sul polso.»

«So cos’è un corsage

«E allora smetti di fissarlo e indossalo.»

Ma Brienne continuava a fissare il pacchetto, ora nelle sue mani, senza accennare ad aprirlo. Fu Lannister a doverlo fare.

«Santo cielo, donzella, non sei neanche in grado di accettare un regalo?» la prese in giro mentre le legava il corsage sul polso destro. «Questo è stato difficile da rintracciare anche per me, devo ammetterlo. “Noi non facciamo corsage con le campanule…” “Voi non farete più corsage, se lo verrà a sapere mio padre” ho detto io. Non che abbia intenzione di lamentarmi con lui, ma è sempre divertente vedere l’effetto che quella minaccia ha sulle persone: mezz’ora dopo le campanule erano state trovate e il pacchetto era pronto.»

Brienne ora si guardava il polso, incredula più che mai, tuttavia si costrinse a rivolgersi a Lannister quantomeno per ringraziarlo. «Lannister, io… io ti ringrazio.»

«Oh, quanto sei formale! Avresti potuto farlo in modo più originale. Prendi questo corsage

«Che intendi dire?»

«Non mi chiedi perché proprio le campanule?» Lannister sorrise ancora una volta, ma ora non c’era niente di beffardo nella sua espressione. «È un segno di gratitudine, Tarth.»

Brienne non seppe cosa dire, ma il volto avvampò. Si girò verso suo padre e lo abbracciò ancora una volta per evitare che Lannister si accorgesse del suo imbarazzo, poi seguì il suo accompagnatore nella limousine che aspettava fuori dalla villa; dovette rallentare quando si accorse di avere superato Lannister, che arrancava con la sua stampella, così prese il suo braccio libero e lo aiutò a raggiungere l’auto.

 

*****

 

Erano rimasti in silenzio per tutta la durata del viaggio, Tarth che guardava ostinatamente fuori dal finestrino e Jaime che fissava il sedile vuoto di fronte, battendo di tanto in tanto con la punta del bastone sulle gambe di un ingombrante tavolinetto. Quando apparvero le luci bianche che decoravano l’esterno della scuola, Jaime notò che Tarth cercava goffamente di sistemare il corsage, di aggiustarsi la corta capigliatura bionda e di lisciare le lievi pieghe del vestito. “Sembra un orso in abito da sera” rifletté lui. Ma dovette ammettere che il blu dei suoi occhi era straordinario.

«Aspetta» le disse quando lei poggiò la mano sulla maniglia dello sportello. Attese che l’autista aprisse il suo, girò lentamente intorno alla limousine appoggiandosi alla stampella e, come si conveniva a un cavaliere, aprì la portiera per consentire alla sua dama di scendere. «Lasciami fare il gentiluomo.»

«Non serviva» bofonchiò Tarth, ma afferrò la sua mano e lo seguì verso l’entrata della palestra. Forse non lo lasciò andare perché temeva che potesse crollare a terra, appena uscito dalla fase di guarigione, e Jaime le fu grato perché sarebbe andata certamente così.

Fu divertente notare gli sguardi che lanciarono loro gli studenti, fu divertente anche vederli parlare l’uno all’orecchio dell’altro. Com’era possibile che il rispettabile capo del Consiglio Studentesco fosse venuta al ballo in compagnia di un ragazzaccio come Jaime Lannister? E com’era possibile che lui avesse scelto come dama una donna così brutta?

“Non potevo scegliere Cersei.”

Come era ormai diventata abitudine negli anni e soprattutto negli ultimi giorni, Jaime si impose di non pensare a sua sorella e cercò di concentrarsi sulle decorazioni del prom.

“Devo dire che hanno fatto davvero le cose in grande.”

Decorazioni di ghiaccio artificiale pendevano dal soffitto lungo le finestre, mentre le luci bianche che abbellivano anche l’esterno della palestra erano posizionate lungo tutto il perimetro del soffitto; i tavoli brulicavano di cibo di ogni genere e perfino il punch era di un colore azzurro chiaro. La combriccola di Robert Baratheon – di Robert, non di Cersei, perché non doveva pensare a Cersei, no – non era ancora arrivata, ma c’erano già parecchie persone. Quando Jaime si voltò per chiedere a Tarth se quell’entrata in scena le fosse piaciuta, vide che Catelyn Tully stava venendo verso di loro.

«Brienne» disse, rivolgendo uno sguardo confuso a Jaime. «Non credevo saresti venuta stasera. Come stai?»

Tarth arrossì e Jaime non seppe se fu per una bugia che doveva essere appena stata scoperta o per la mano che continuava a stringere la sua. «Meglio» rispose. «Credevo di essere influenzata o… o qualcosa del genere. Ma poi è passato.»

“Che bugia del cazzo.”

«Ah, allora è così. Temevo che fosse uno scherzo di cattivo gusto ideato da Petyr per essere l’unico ad avere il controllo della situazione qui.»

«Non voglio toglierglielo. Sono qui solo come ospite.»

A quel punto Catelyn lanciò di nuovo un’occhiata contrariata a Jaime, che per tutta risposta agitò la mano nella sua direzione e le regalò un sorriso gioviale. Forse così avrebbe pensato che doveva essersi completamente rimbecillito anche lui, oltre a Brienne Tarth.

«Beh… Allora vado, devo lasciare al dj la lista delle canzoni per la serata, stamattina Lysa mi ha messo nella borsa quella sbagliata. Per questa stupidaggine Ned e io abbiamo dovuto abbandonare la cena prima che finisse. Allora… Divertitevi.»

“Non è certo avara di occhiatacce” pensò Jaime, cogliendo il terzo sguardo lancinante che Catelyn gli lanciò.

«Allora, donzella, ci gettiamo in pista?»

Tarth lo fissò con quegli incredibili occhi blu, senza tuttavia dargli una risposta. «Cosa?»

«Balliamo?»

«Io non so ballare.»

«Figurati io, ho tolto il gesso ieri!»

«No, io… Non voglio ballare, Lannister.»

«D’accordo, allora andiamo a prendere del punch, vuoi?»

«Lannister.» Brienne lo fermò prima che procedesse verso il buffet. Teneva gli occhi fissi al pavimento. «Perché mi hai invitata al ballo?»

“Perché mi incuriosiva sapere che reazione avrebbero avuto i nostri compagni. Perché ballare con una stampella non sarebbe stato abbastanza comico. Perché volevo vedere un orso in abito da sera.”

«Ti ho vista in sogno» si limitò a rispondere.

 

*****

 

«Brienne!»

Riconobbe subito quella voce ed ebbe l’istinto di voltarsi prima ancora di ricordare di darsi un contegno, di non apparire come se si appigliasse disperatamente all’affetto che provava per lui, di serrare le labbra ed evitare di fissarlo con un’espressione inebetita e distrutta. Renly le era corso incontro e aveva il disperato bisogno di parlarle, a giudicare dal modo in cui la stava fissando. Si diede della stupida perché il suo primo pensiero fu di non avere più le dita della mano destra intrecciate con quelle di Lannister.

«Renly» mugugnò imbarazzata, cercando qualcosa da osservare che non fossero la sua bocca e i capelli scuri, ma il ragazzo si spostò per poterla guardare negli occhi.

«Ho bisogno di parlarti in privato, posso?»

Brienne cercò di farsi forza: sapeva benissimo di cosa Renly avesse urgenza di discutere e anche quanto male le avrebbe fatto sentirlo – come se vederlo non fosse stato abbastanza. Dando una rapida occhiata alla palestra, si accorse che Lannister doveva essere ancora in bagno, perché non si vedeva da nessuna parte, né nei pressi del buffet né accanto all’entrata. O forse era uscito a fumare, fregandosene ancora una volta delle regole.

Annuì e seguì Renly nel primo corridoio disponibile.

«Ti ho cercata ieri…»

«Stavo male» mentì Brienne, consapevole tuttavia che ogni bugia le causasse un lieve rossore sul volto. «Non credevo neppure di venire stasera.»

«Oh, mi dispiace. Come stai adesso?»

Perché Renly era così premuroso? Perché non arrivava al punto, invece di soffermarsi a chiederle se fosse guarita? Perché doveva farla innamorare di sé ancora una volta, come aveva fatto ogni giorno da quando si erano conosciuti, da quando il primo anno Brienne era inciampata nei lacci delle scarpe e lui era stato il solo, nel cortile della scuola, a evitare di ridere e ad aiutarla a rialzarsi?

«Sto bene, non c’è bisogno di preoccuparsi» liquidò rapidamente la faccenda.

«Brienne.»

Si era voltata, evitando di nuovo il suo sguardo, ma si rese conto di quanto quel comportamento apparisse infantile, così vomitò le parole che Renly voleva sentirsi dire.

«Non volevo spiarvi, ti stavo solo venendo a cercare dal preside. Te lo giuro, non lo dirò a nessuno, sarò riservata. Io…»

Senza darle il tempo di accorgersene, Renly la abbracciò.

«Spero di non essere cambiato ai tuoi occhi.»

“Non ho più speranze.”

«So che la gente mormora di me e Loras, ma non voglio che i miei fratelli ne abbiano la certezza…»

“Io ce l’ho, invece, e fa terribilmente male.”

«Deridermi sarebbe il minimo: so che non accetterebbero i miei sentimenti, so che mi darebbero del… malato

“Di malato c’era solo il pensiero che qualcuno potesse innamorarsi di me.”

«Non voglio che anche tu mi veda così. Un malato, un pervertito.»

“Non potrei mai.”

«Non potrei mai» ripeté Brienne ad alta voce, ritrovandosi a ricambiare la stretta di Renly. Si aggrappò alle sue spalle, cercando di trattenere le lacrime.

Il ragazzo la lasciò andare dopo qualche secondo, sorridendo e accarezzandole i capelli biondi. «Tengo molto alla tua opinione, Brienne. Tengo alla tua amicizia.»

Fu troppo: Brienne si slacciò completamente dal suo abbraccio, dandogli le spalle per impedirgli di vedere i suoi occhi rossi e cercando di riacquistare un respiro regolare. «Devo tornare.»

«Io andrò via, invece. Qui hanno tutto sotto controllo e, per quanto mi piacciano i festeggiamenti, c’è qualcuno che mi aspetta. Se mi eleggeranno, che altri si predano pure la mia corona. Ti auguro un buon proseguimento di serata.»

«Bu-buona se…»

«Ah, Brienne!»

Consapevole di essere abbastanza lontana perché lui non potesse scrutarle bene il volto, Brienne si girò. «Sì?»

«Chi è il tuo accompagnatore?»

«Jaime Lannister» rispose dopo un attimo di esitazione.

Non si aspettava che Renly avrebbe sorriso e ne fu sorpresa; si sentì come se le stesse leggendo nel più profondo della mente, era questa la sensazione che dava il suo sguardo. «Sono felice per te.»

Lo osservò allontanarsi dopo un rapido cenno di saluto con la mano, finché non fu uscito completamente dalla sua vista, poi rientrò in palestra. E rischiò di scontrarsi con Lannister.

«Dove ti eri cacciata?» le chiese, aggrottando la fronte.

«Stavo… cercando una cosa» rispose evasiva Brienne.

«Sai che quando menti arrossisci? Ehi, cos’hai fatto agli occhi?»

Con uno scatto mosse la testa verso destra, in modo da impedire che Lannister capisse che aveva pianto. Lui la fissò per qualche momento, poi le afferrò di nuovo la mano. «Prima non abbiamo fatto la foto di rito. Andiamo, ora è libero, e…» Si bloccò, fissando l’arco floreale sotto cui Robert Baratheon e Cersei Lannister si erano appena abbracciati in una posa degna di due regnanti. Brienne notò che Jaime aveva serrato la mascella per una frazione di secondo, prima di proseguire: «Aspetteremo che abbiano finito. Altro punch?»

 

*****

 

Cersei volteggiava leggiadra nella pista da ballo, sorridendo al ragazzo che la teneva fra le braccia; di tanto in tanto Robert la concedeva senza riluttanza ad altri cavalieri e anche a loro lei elargiva sorrisi e sguardi languidi. I suoi capelli biondi erano acconciati in un elegante chignon proprio come nel sogno di Jaime, con due ciocche ricce che le ricadevano delicate ai lati del volto. Al polso aveva una rosa rossa. Per diversi minuti Jaime dimenticò di essere al ballo con un’altra ragazza, per un momento ebbe perfino l’istinto di gettarsi tra le braccia di sua sorella prima che lei scegliesse un nuovo cavaliere, ma lo represse e si voltò verso Brienne.

«Non avete proprio voglia di danzare, milady?»

«Non sono una lady.»

«No, non lo sei. Sei un cocciuto capo del Consiglio Studentesco che sogna solo di scappare via da qui»

Tarth sembrava perfino sorpresa che lui avesse indovinato. Non che potesse essere altrimenti: lei e Jaime non erano fatti per vivere a King’s Landing; in realtà non erano fatti per vivere tra le persone. Stava per rispondere alla sua espressione stupita quando fu interrotto dal fischio che annunciava l’accensione di un microfono.

«Prova, prova…» echeggiò tra le pareti della palestra la voce di Lysa Tully. «Bene, direi che possiamo cominciare!»

«Abbiamo cominciato ore fa, stupida gallina» commentò Jaime a bassa voce.

Tarth, accanto a lui, aveva aggrottato la fronte. «Dovrebbe esserci Baelish al suo posto.»

«Eccoti servita.» Jaime le indicò il ragazzo tronfio e soddisfatto che era appena salito sul palco.

«Il nostro caro Petyr» riprese Lysa, e dicendo quelle parole rivolse a Ditocorto uno sguardo carico di desiderio «mi ha concesso di annunciare il re e la reginetta del ballo di stasera.»

“Ma guardatela: sembra che non veda l’ora di farsi sbattere al muro da quel piccoletto!”

«Ho pensato che fossi la persona più adatta» disse Ditocorto, donandole un sorrisetto complice. Le gote di Lysa arrossirono, ma Jaime non trovò nulla di eccitante in quelle parole. «Come si suol dire, prima le signore» aggiunse poi il ragazzo sul palco. Consegnò una busta da lettera dorata all’annunciatrice, che storse il naso vedendo il nome all’interno, ma immediatamente sostituì il suo disappunto con un’espressione raggiante che non avrebbe potuto essere più falsa di così.

«La reginetta del prom di quest’anno è… CERSEI LANNISTER!»

Gli applausi scrosciarono nella palestra mentre gli studenti più vicini al palco si allargavano per fare posto alla reginetta della scuola. Cersei sembrava ancora più bella di poco prima, quando per un momento era rimasta sola e Jaime aveva esitato, e non si profuse in espressioni meravigliate o in ringraziamenti eccessivi mentre raggiungeva Lysa e Ditocorto; salì con grazia sul palco, afferrando la mano di Baelish, e sorridendo alla folla attese che la sua amica le posasse sul capo la coroncina di veri diamanti: alle King’s Landing High amavano fare le cose in grande.

«Vi ringrazio di avermi scelta» disse Cersei al microfono, mostrandosi compiaciuta, ma non troppo. Felice e basta. Poggiò per un istante le dita della mano sinistra sulla coroncina, come ad aggiustarsela sulla testa, ma quel gesto fu chiaro a chi, come Jaime, la conosceva da una vita: Cersei stava toccando ciò che era suo, immensamente soddisfatta di sé, e non aveva mai avuto il dubbio di fallire nell’impresa di ottenerlo. «Sono fiera di rappresentare questa scuola e ringrazio l’intero Consiglio Studentesco, e in particolar modo Petyr Baelish, per la serata di successo che hanno organizzato. E grazie di nuovo a tutti voi per averla fatta funzionare.» Elargì ai suoi sudditi un secondo e più largo sorriso, poi rimase in silenzio, attendendo che Lysa annunciasse il nome di Robert.

“Pensa come ci rimarrebbe male se dovesse aprire le danze con Loras Tyrell” pensò Jaime. “A Robert non fregherebbe un cazzo, ma a Cersei non piacciono gli imprevisti.”

Nonostante come lo aveva trattato, nonostante quel bacio che per pochi, splendidi istanti lo aveva riempito di speranza e che si era rivelato essere solo frutto di una scommessa, Jaime non riusciva ad avercela completamente con lei; vedeva i suoi difetti come aveva sempre fatto, ma era se stesso che biasimava. Per l’ennesima volta, si vergognava di essere la persona che era.

«È giunto il turno di eleggere il re!» esclamò Lysa con voce ancora più squillante. Aprì la busta, gettò una rapida occhiata al suo interno e annunciò: «JAIME LANNISTER!»

Non aveva sentito bene. Tra il brusio della folla che circondava lui e Tarth, la voce negli altoparlanti gli era arrivata così indistinta da fargli credere che Lysa avesse chiamato il suo nome; eppure gli studenti ora guardavano nella sua direzione, sorpresi e in attesa, ma Jaime dovette prima notare lo stupore sul volto della sua dama per rendersi conto di avere capito bene.

«Su, Headslayer, sali sul palco!» lo spronò Lysa, facendogli segno di raggiungerli.

A Jaime quella buffonata non piaceva affatto. Non gli piaceva il clima di festa, non gli piacevano i poveri idioti costretti a noleggiare limousine pur di portarsi a letto le loro dame, non gli piaceva essere al centro dell’attenzione per qualcosa di cui non gli fregava niente; si era precipitato a casa di Tarth per metterla in guardia dallo scherzo che Cersei e le sue amiche le stavano preparando, ma a metà strada aveva deciso di accompagnarla, se necessario, e di cercare di non perderla mai di vista in modo da evitarle l’imbarazzo, quando ne sarebbe arrivato il momento.

Jaime odiava quelle buffonate, ma Jaime odiava anche se stesso e ancor più odiava le emozioni che le dava stare accanto a sua sorella, per questo non si fermò a riflettere mentre avanzava lentamente verso il palco, per questo non lo sfiorò l’idea di andarsene da lì senza reclamare la sua corona.

“Una corona che non merito” pensò e ne fu certo quando, finalmente sul palco, vide con la coda dell’occhio la mascella serrata di Cersei e udì Lysa sussurrarle maligna: «Non mi hai fornito prove: me lo devi.»

Jaime non si accorse nemmeno di chi fu a mettergli la corona in testa, era troppo concentrato a guardare Cersei, che ora era tornata a elargire sorrisi alla folla sotto il palco. Poi, d’un tratto, sua sorella incontrò il suo sguardo. Jaime avrebbe voluto baciarla lì, davanti a tutti, mandando a fottersi quelle leggi che gli vietavano di essere felice con lei.

“Ma lei lo sarebbe, con me?”

«Vuoi dire qualcosa, Headslayer?» gli chiese Lysa, riportandolo alla realtà. Alla consapevolezza che Cersei non avrebbe mai ricambiato il suo bacio, non importa quanto affetto provasse per lui.

«Credo che Cersei abbia già detto tutto» rispose, sorridendo sornione.

Sembrava che Lysa stesse godendo di ogni singolo momento passato sullo stesso palco dai due gemelli e Jaime ebbe l’impulso di buttarla giù dal palco. In uno dei suoi sogni l’aveva fatto, quando Cersei era regina di un vasto continente e aveva una relazione incestuosa con il fratello; era stato perfino un bambino quello che Jaime aveva spinto giù da un torre.

“E se l’ho fatto con un bambino, figuriamoci quante volte lo farei con Lysa Tully.”

«Diamo di nuovo inizio alle danze, allora!» esclamò Ditocorto.

Jaime dovette poggiarsi a Cersei per riuscire a scendere le scale del palco e la mano della gemella sulla sua schiena era calda, così in contrasto con la sua abituale freddezza, e quando furono in pista lo costrinse ad abbandonare la stampella e a farsi portare da lei.

«Dovrebbe essere l’uomo a condurre» le fece notare con una smorfia.

«L’uomo finge sempre di farlo, ma è la donna a muovere entrambi» rispose Cersei, restituendogli anche la smorfia.

Sembra di guardarsi allo specchio. In un specchio splendido, però, privo di imperfezioni e indicibilmente magnifico. Jaime amava quello specchio, lo amava con ogni parte del suo corpo, ma era costretto a guardarlo e basta, come si faceva con tutti gli specchi. Credeva che avrebbe tremato stando tanto vicino a sua sorella, ma la stretta dietro la sua schiena era salda, lui si sentiva al sicuro. Come poteva? Non ne aveva idea, forse stava davvero ballando con uno specchio e non se n’era reso conto.

«Brienne la Bella, eh?» chiese infine Cersei dopo diversi minuti di silenzio in cui aveva cercato di distogliere lo sguardo dal suo, ostinatamente fissato su quegli occhi verdi. «Era l’unica dama disponibile un’ora prima del ballo?»

«Ero io l’unico cavaliere rimasto disponibile, per sua sventura. E suo padre aveva una tale bella collana di zaffiri da farle indossare che non ho avuto il coraggio di costringerlo a lasciarla nella scatola.»

Cersei storse la bocca, pensierosa, e di nuovo concentrò lo sguardo su qualcosa che non fosse il volto del fratello. «Lysa me la pagherà.»

«Ne ero certo.»

«No, Jaime, sono seria, non mi è piaciuto questo scherzetto ai tuoi danni.»

«Tu hai fatto di peggio.»

Non le diede il tempo di ribattere, perché la canzone era finalmente finita e lui poté lasciarla andare in mezzo alla pista, zoppicando fino alla stampella che Tarth stava custodendo per lui.

 

*****

 

Quando Lannister disse all’autista di accostare, Brienne si guardò intorno e riconobbe la strada parallela a quella dove si trovava la sua abitazione; doveva avere un’espressione perplessa, perché non appena il suo cavaliere le aprì la portiera e la vide le rivolse un sorrisetto beffardo.

«Hai paura che voglia ucciderti e rubarti il vestito?»

Brienne scese dalla limousine trattenendo i lembi della gonna, perché temeva che la sua inesperienza con abiti tanto femminili rischiasse di rovinare il regalo di suo padre. «Perché ci siamo fermati qui?»

«Volevo passeggiare, ti va?»

Annuì e lo seguì lungo il marciapiede. Avrebbe potuto trovare strano il comportamento di Lannister, se solo non lo fosse stato da quando si era presentato a casa sua. Jaime Lannister, l’Headslayer, era venuto a prenderla con una limousine e un corsage per portarla al prom: difficile immaginare una scena più surreale. Quella serata era così strana che raramente Brienne si ritrovò a pensare alle parole di Renly e non le venne mai il tremendo desiderio di scoppiare a piangere.

«Ti sei divertita?» le chiese Lannister, camminando con le mani nelle tasche dei pantaloni neri. La campanula si distingueva ancora sulla sua giacca e istintivamente Brienne portò le dita al corsage stretto al polso.

«È stata una bella serata.»

«“Poteva andare peggio”: è quello che stai pensando, vero?»

«Non avrei mai pensato di andare al ballo con te» rivelò Brienne.

Lannister la guardò negli occhi blu. «Io non avrei mai pensato di andarci, con te o con qualunque altra persona. Ma a quanto pare siamo destinati a sbagliarci!» Ridacchiò e a lei parve così sinceramente divertito che azzardò un sorriso.

Camminarono l’uno a fianco all’altra fino al vialetto dell’abitazione di Brienne e si fermarono sotto la porta. Brienne trafficò con le chiavi, alla ricerca di quella giusta.

«Tuo padre è rimasto alzato ad aspettarti?» le chiese intanto Lannister, appoggiando una spalla al muro.

«Mi ha scritto un messaggio: è andato a guardare la partita da un suo amico, credo che non sia ancora tornato.» Finalmente trovò la chiave giusta e la infilò nella toppa. Quando la ebbe girata, si voltò a guardare Lannister e si chiese se si aspettasse di essere invitato dentro; lui, però, l’anticipò.

«È ora di andare, non riesco più a stare in piedi.» Si sfilò la campanula dal taschino e la porse a Brienne. «Tienila tu, non starebbe bene nella camera di un ragazzo.»

Brienne l’afferrò. «Grazie per la serata.»

Lannister la stava di nuovo scrutando negli occhi, in silenzio. Alla fine si girò verso il vialetto. «È stato un piacere, Tarth. Metti una buona parola per me con il preside, mi raccomando, ché non vorrei ci pensasse mio padre.»

Brienne rimase a osservarlo mentre si allontanava e, quando fu quasi sparito dalla sua vista, stava per entrare in casa nel momento in cui dall’altra parte della strada notò una figura che le faceva segno di raggiungerla.

«Qui!» stava quasi sussurrando, ma per Brienne fu facile capire cosa le stesse dicendo. Guardandola meglio, si accorse che si trattava di Walda Frey. Era sul marciapiede, accanto a un cespuglio che la nascondeva per metà, e da come le faceva segno Brienne intuì che dovesse esserci qualche problema con il vestito, perché la ragazza non accennava a muoversi: forse era rimasta incastrata in uno dei rami che sbucava dal cespuglio e non aveva voluto farsi vedere da Lannister in quelle condizioni. “L’avrebbe presa in giro a vita.”

Si avvicinò a lei, domandandosi anche da quando i Frey abitassero da quelle parti, ma a metà strada nel vialetto udì il rombo di un motore.

Due. Tre.

Sempre di più e sempre più vicini.

Intorno a lei comparvero le luci di una dozzina di fari che le puntavano contro; quando finalmente riuscì a vedere che cosa stesse fossero, scoprì dodici o tredici motociclette che cominciavano ad accerchiarla, salendo perfino sul prato della villa; Brienne, spaesata, cercò di ritornare verso la porta, ma un’altra moto si mise fra lei e l’abitazione.

Era in trappola.

 

*****

 

Qualcosa lo fece tornare indietro. L’istinto, il rombo di un motore o la strana nostalgia per quella campanula che aveva lasciato a Tarth. Forse fu il ricordo delle parole dette da Lysa quando lui era ancora immerso nei sogni, forse il desiderio di rivedere la sua dama – per dirle cosa, poi?

Tuttavia, non appena si girò e tornò a incamminarsi verso la villa di Tarth, Jaime ebbe la certezza di avere fatto la cosa giusta: le parole di The Bear and the Maiden Fair invadevano l’aria.

La gamba appena guarita gli faceva male, ma Jaime cercò di non pensarci e camminò più velocemente, zoppicando e imprecando a denti stretti. La scena che gli si presentò davanti, una volta giunto dove aveva lasciato Tarth, lo fece esplodere di rabbia.

Una trentina di studenti era affollata davanti alla villa e cantava a squarciagola, incitando con le braccia un gruppo di motociclisti che stava circondando Brienne Tarth. Quei teppisti erano vestiti come gli uomini che avevano aggredito la ragazza al parcheggio del Flea Bottom e Jaime riuscì perfino a distinguerne chiaramente un paio, che non si erano nemmeno presi la briga di indossare un casco per celare la propria identità. Avanzò ancora zoppicante verso alcuni studenti, tra i quali intravide Lysa e Walda, ma non Robert Baratheon. E nemmeno Cersei.

“Non ha mai amato sporcarsi le mani.”

«A bear there was! A bear, a bear! All black and brown and covered with hair!»

Afferrò il ragazzo che sembrava gridare più degli altri e lo afferrò per il colletto della camicia; nel farlo, la stampella gli cadde a terra, ma Jaime non se ne curò.

“Locke” lo riconobbe. Era uno studente del loro stesso anno, un poco di buono che pensava solo a fare casino.

«Smetti di correre e comb…» stava per urlare Locke, ma fu interrotto dall’azione improvvisa di Jaime.

«Che cazzo state facendo?!»

Locke sembrò sorpreso di vederlo. «Pensavo te ne fossi andato…» Non perse comunque l’espressione divertita e sicura di sé. «Che te ne pare di questo spettacolino, eh? Non sembra anche a te che questa canzone si adatti alla perfezione? L’orso Brienne la Bella!»

«And down the road from here to there, from here to there three boys, a goat and a dancing bear!»

Jaime strinse la presa, sollevandolo da terra. «Lasciatela andare» sibilò, rivolgendogli uno sguardo di fuoco.

«E perché dovremmo farlo? È così divertente! Loro se ne sono fottuti del tuo nome, vuoi provare a dirgli di chiamare il tuo paparino?»

Lo lasciò andare solo per tirargli un pugno in pieno volto. Locke cadde a terra, tra lo sguardo dei presenti, che ora si erano accorti dell’arrivo di Jaime. Lysa era impallidita.

«La vuoi, Headslayer?» gli chiese Locke, pulendosi con la manica della camicia il sangue che era cominciato a sgorgargli dal labbro superiore. «Va’ a prenderla.»

Jaime non se lo fece dire due volte.

«I called for a knight, but you're a bear! A bear, a bear! All black and brown and covered in hair!» cantavano ancora in pochi.

«Mettiti dietro di me!»

Tarth sussultò a quelle parole, non aspettandosi l’arrivo di Jaime, e lo guardò smarrita. «No!»

Come era solito fare, Jaime se ne fregò: la spinse dietro di sé, mettendosi fra lei e un motociclista che si era arrestato di fronte a loro; l’uomo continuava a far rombare il motore, dando l’impressione di essere pronto a investirli senza neanche dispiacersene.

«Togliti di mezzo!» gli urlò.

«Fottiti» si limitò a rispondere Jaime.

Il motociclista stava lasciando andare il freno, quando Walda Frey gridò: «FERMI!»

La canzone cessò immediatamente, così come il rombo dei motori si affievolì.

«Fa’ quello che ti pare» stava dicendo Walda a qualcuno, che Jaime ipotizzò essere Lysa «ma io non mi ci metto, contro i Lannister. E contro Cersei.»

Jaime provò un moto di sollievo quando Lysa diede ordine ai motociclisti di andarsene e lasciarli in pace: probabilmente aveva promesso loro una grande somma di denaro se avessero ubbidito a tutti i suoi ordini, perché loro non se lo fecero ripetere e riaccesero i motori solo per girarsi verso la strada. Quando lui e Tarth furono rimasti soli e anche la folla di studenti si fu dispersa, lasciando solo un prato devastato dalle ruote, Jaime si rese conto che non poteva più reggersi in piedi. Crollò a terra, udendo la gamba fare un suono che non gli piacque per niente, e subito Tarth corse da lui.

«Stai bene?» gli chiese allarmata. Forse temeva che le sarebbe svenuto tra le braccia come settimane prima, ma Jaime sapeva che non sarebbe andata così.

Le rivolse un sorriso beffardo. «Non mi spezzo tanto facilmente.»

«Io… io…» Tarth voleva piangere dall’umiliazione, ma non l’avrebbe mai fatto di fronte a lui, Jaime ne era certo.

«Un “grazie” basterebbe.»

«Grazie, Lannister. Grazie davvero.»

Jaime si tirò a sedere, posando la mano sul braccio di Tarth per farsi leva. Era brutta Tarth, con quelle lentiggini e i denti storti e la stazza di un giocatore di football, era brutta e quel vestito la rendeva solo più ridicola. Ma i suoi occhi blu erano i più belli che Jaime avesse mai visto.

«Jaime» le disse. «Il mio nome è Jaime.»











Eeeeeeee... ecco arrivati alla FINE!
...ma chi voglio prendere in giro, è palese che ci sarà un seguito, questi due non hanno sofferto abbastanza!
IO AMO IL PROM! Amo le cose sceme come le limousine, i corsage, gli inviti, i bei vestiti, l'elezione del re e della reginetta... AMO TUTTO! Dovevo inserirlo per forza. Bene, questa minilong è praticamente una teen comedy. Incest!Teen comedy. Wenchslayer!Teen comedy. Ad ogni modo, non fate mai leggere ciò a Martin.
Brienne che pensa che sarebbe stato meglio nascere nel Medioevo... beh, era di un'ironia tragica troppo bella per non essere messa. Ci sono diversi rimandi: Locke e la scena dell'orso nella serie tv, l'indecisione di Jaime prima del "Ti ho vista in sogno" del libro. Che poi, diciamocelo, "Ti ho vista in sogno" non si può sentire; avrei preferito "Ti ho sognata" o "Ho sognato di te" (traduzione letterale al massimo, quest'ulrima), ma volevo farvi ricordare proprio quella scena. Il finale, poi... Poteva essere altrimenti? Già l'ho dette nelle note di un'altra storia, nel mondo di Martin molto gira sui nomi, e con Jaime e Brienne più di tutti ("Sterminatore di Re", "Il mio nome è Jaime", "Il suo nome è Brienne", "Chiamala con il suo nome, chiamala Brienne"...), per sottolineare la loro ricerca di identità e questo è bellissimo. Jaime riesce finalmente a diventare un "cuor di leone", e il modo migliore per mostrare il suo cambiamento, a mio parere, era inserire quella frase.
Bene, detto ciò spero che la storia vi sia piaciuta! Grazie a chi l'ha appena cominciata e grazie ancor di più a chi mi sta seguendo da mesi, attendendo aggiornamenti che arrancavano a manifestarsi.
Grazie a tutti, e grazie ad Agne, fedelissima beta ♥

Medusa, a Lannister

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