La mia vita secondo gli Abba

di Ms_Arj
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Waterloo ***
Capitolo 2: *** Take a chance on me ***
Capitolo 3: *** The winner takes it all ***
Capitolo 4: *** WHY DID IT HAVE TO BE ME? ***



Capitolo 1
*** Waterloo ***


-Questa è la mia prima storia quindi siate clementi... Spero che vi piaccia e vi faccia venir voglia di leggere il resto! Arj-
 
- 1° cap - Waterloo - 

Il Professore era un uomo molto impegnato: viaggiava per la maggior parte del tempo andando su e giù per l’Europa e l’America, tenendo seminari e corsi nelle maggiori università. Era così ricercato e richiesto che non aveva tempo di tenere in ordine tutti gli appuntamenti, ne tantomeno di preparare le lezioni o i discorsi per le conferenze. Per questo aveva bisogno di un assistente. Qualcuno che fosse in grado di organizzare la sua vita in modo che non ci fossero intoppi nei piani. Beh UN assistente non sarebbe mai riuscito a gestire tutto, ecco perché il Professore ne aveva due. Uno più navigato ed esperto che aveva già lavorato con lui per almeno un anno e quindi sapeva come gestire i suoi impegni, e un altro: solitamente un giovane appena laureato e inesperto, pieno di sogni e ambizioni che molto presto avrebbe capito come funziona il mondo.
Si può tranquillamente affermare che il Professore in questione, era in ambito filosofico/letterario come Miranda Presley, se avete visto “Il Diavolo veste Prada” capirete, ma senza i vestiti e con tanti libri. Essere suo assistente, anche solo per “pochi mesi” voleva dire avere porte aperte in tutte le università che si potessero dire valide; ciò comportava dottorati, assegni di ricerca molto alti e importanti e un futuro sicuro in ambito universitario.
MA, c’è sempre un ma in queste situazioni, non era così semplice. Dopo una delle più estenuanti selezioni fatte di presentazioni di curriculum, esame scritto e colloquio, prima con il primo assistente, e poi, solo se “degni di nota”, con il Professore in persona si veniva invitati a presentarsi la mattina successiva per l’assunzione dell’incarico. Qui entra il nostro MA. C’era, ovviamente, un ostacolo da superare quando si parla di questo tipo di persone: in questo caso erano 30 giorni. Era il tempo massimo di sopportazione da ambo le parti: Professore e primo assistente da un lato e laureato dall’altro. Molti scappavano dopo il primo giorno o veniva chiesto loro di non ripresentarsi, alcuni arrivavano alla fine della prima settimana, pochi superavano le due settimane e solo pochissimi resistevano di più. Se si erano superati i primi 30 giorni voleva significare che si aveva abbastanza pelo sullo stomaco, coraggio e determinazione per sopportare un uomo tanto intelligente quando indisponente con il prossimo. Vi chiederete come sia possibile che già dopo il primo giorno a molti fosse chiesto di non tornare se avevano dovuto superare una selezione così lunga e ferrea, beh molti sono bravi sulla carta ma poi, se messi alla prova, non sanno come cavarsela nel mondo reale. E così era: hai primi segni di tentennamento venivano semplicemente licenziati e la ricerca ricominciava. Una ricerca fatta su 4 continenti, in base a dove fosse il professore in quel momento.
Io sapevo già che non sarei mai stata presa. Il Professore prediligeva i laureati in lettere, meglio se classiche, e denigrava i “filosofi” che venivano considerati degli “inetti, buoni solo a leggere libri e a fare discorsi senza capo ne coda”. Era un uomo molto concreto il Professore: non si lasciava “infinocchiare da discorsi senza senso o con poco succo, discorsi che non portano da nessuna parte”. Amava i giovani eruditi di greco, latino, filologia e archeologia, anche se queste non erano le sue materie di interesse, perché poteva assorbire da loro cose che non aveva mai potuto studiare da se. Dal canto mio non ero minimamente interessata ai suoi ambiti di ricerca: filosofia della scienza, epistemologia, logica non mi avevano mai entusiasmato molto. Ero più un’amante degli studi sociali: pedagogia, psicologia e sociologia non che filosofia del linguaggio, forse l’unica cosa che avevamo, potenzialmente, in comune.
Quindi capirete bene che non avevo alcuna chance di cavarmela ne in questa ne in una prossima vita…


-Presto metterò il secondo capitolo, intanto aspetto i vostri commenti e i vostri consigli! Arj-

 

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Capitolo 2
*** Take a chance on me ***


- Ecco l'inizio vero e proprio della nostra storia, il secondo capitolo segna l'entrata in gioco di parecchi personaggi, spero vi piacciano! Arj -
 
- Cap 2° - Take a chance on me -

Una mattina mia madre, quella santa donna e le sue idee del cavolo, se ne uscì dicendo: “Ho fatto stampare a papà il tuo curriculum e l’ho portato ieri mattina a casa del Professore! È in città e sta cercando un assistente. A quando pare il suo è stato accettato in non so quale università famosa e adesso gliene serve uno nuovo!! Devi presentarti oggi pomeriggio in Via Matteotti alle 15. PUNTUALE!” Ecco, datemi un buon motivo per non darle un colpo in testa e vedere cosa ha dentro se un cervello funzionante o aria fritta!
Mio malgrado e senza alcuna voglia presi la macchina e andai a casa del Professore, evitando come la peste di far vedere a mia madre come ero vestita: jeans, maglietta con sopra la scritta: “La scuola è quell'esilio in cui l'adulto tiene il bambino fin quando è capace di vivere nel mondo degli adulti senza dar fastidio –M.M.” (Maria Montessori) e converse tutte colorate e scarabocchiate dopo una settimana di tirocinio all’asilo comunale. Ah già dimenticavo: una crocchia fatta male e ancora mezza blu dopo l’esperimento del “dipingiamo l’oceano” di quella mattina e, ciliegina sulla torta, orecchini a forma di pezzi di pizza. Ok forse mi ero impegnata per sembrare ancora più trasandata e inappropriata del solito, ma ero convinta che se davvero ero la persona giusta avrebbe guardato il mio cervello e non i miei vestiti!
Ed eccomi fuori dall’immensa casa, la stessa che per anni avevo guardato e ammirato andando a prendere un gelato. Sempre chiusa se non per pochi giorni all’anno: quando il Professore era in città o uno dei figli veniva a far visita alla nonna, che viveva nella casa di riposo dove avevo fatto volontariato per un paio d’anni al liceo. La casa dei miei sogni: almeno da fuori.
Erano dieci minuti alle tre quindi avevo ancora tempo per andarmene se avessi voluto. Ma ecco, fuori dal cancello c’erano quattro ragazzi e una ragazza tutti vestiti bene e con la borsa di pelle superfine sotto il braccio. Io avevo la mia solita borsa da università, in pelle, si, ma usurata dal tempo e dall’uso, bistrattata e a tratti macchiata. Appresi che aspettavano ad entrare quando l’unica ragazza disse: “Oh grazie al cielo! Adesso siamo a meno uno… dobbiamo ancora aspettare questo tizio e poi possiamo suonare!!”. Non capivo le sue parole ma poi vidi un foglio appeso sul cancello: “SI PREGA DI SUONARE IL CAMPANELLO D’INGRESSO SOLO QUANDO PRESENTI TUTTI I CANDIDATI IN LISTA…” e poi una lista di sette nomi, tra cui il mio, che capii molto presto essere gli altri poveri cristi che tentavano la sorte. Alcuni di loro erano molto sicuri di se, la ragazza in primis, altri sembravano titubanti. Solo io però sembravo non preoccuparmi di ciò che sarebbe accaduto. Quando, dopo pochi minuti, l’ultimo ragazzo arrivò, suonammo il campanello, staccammo la lista e la ragazza la consegnò a quello che sembrava il maggiordomo. Entrammo in un ampio ingresso, poco luminoso ma molto ben curato in stile liberty, come, ebbi modo di scoprire più tardi, tutto il resto della casa. Il maggiordomo ci chiese di aspettare il primo assistente il cui nome suonò come “Mr. Frown”, un nome una garanzia dato che in inglese frown è cipiglio.
Fui l’unica a non sedersi su uno dei divani o su una delle sedie, sempre liberty, presenti nel salotto ma preferì guardarmi attorno. Appeso alla parete vicino all’ingresso c’era un grande quadro con raffigurato un gruppo poco omogeneo di persone: padre e madre, seduta, e due ragazzini uno molto alto per la sua età e l’altro molto largo per la sua età che rispecchiavano bene i genitori. In basso c’era un cane seduto ai piedi della padrona: un bellissimo Bovaro del bernese dal pelo lungo e ben curato. Mi fermai a guardare il quadro cercando di capire chi di quelli fosse il Professore, anche se poi vidi che la targhetta diceva “Rione Santa Caterina - Asti, 1889”, quindi era ovvio che nessuno di quelli poteva essere il Professore. Quando Mr. Frown arrivò nella stanza tutti assunsero un aria austera e cupa, come prima di un compito in classe che sai già andrà male; e come dargli torto!!
Mr. Immanuel Frown era un uomo alto e asciutto, capelli neri e occhi verdi e penetranti, portava un paio di jeans blu scuri con camicia azzurra Oxford giacca in tweed verde e snikers in tinta. Aveva un paio di occhialini alla John Lennon che gli incorniciavano il viso insieme alla barba folta. Sembrava un tipo austero al tatto e molto sicuro di se, conscio della propria posizione di potere ma pronto a non abusarne. “Prego, seguitemi nella biblioteca dove, per voi, è stato allestito uno spazio consono per svolgere l’esame scritto.” L’italiano perfetto anche se con un leggero accento inglese, rendevano Mr. Frown ancora più austero di prima ma, entrati nella biblioteca, capimmo perché.
Ad attenderci c’era una stanza molto grande ariosa e piena fino all’orlo di librerie e volumi di ogni tipo, genere letterario, secolo e forma, uno spettacolo per gli occhi e per l’olfatto! Al centro della sala c’erano tre tavoli: due più grandi, comodi per ospitare tre persone ciascuno, e un altro più piccolo con una sola sedia. Ci divise per corso di laurea e con mia somma gioia mi toccò il solitario tavolo in ciliegio che sembrava più una scrivania che un semplice tavolino di cortesia. Ci disse che davanti a noi c’erano dei fogli con domande a crocette, domande aperte e la traccia per un breve resoconto di 500 parole da scrivere. Il tutto doveva essere fatto e consegnato in un’ora. Detto ciò fece partire il tempo e cercai di fare del mio meglio. Risposi a tutte le domande a crocette in pochi minuti, fui presa dal “sacro fuoco della filosofia” per le domande aperte ma arrivata al brano da 500 parole trovai un buco nero ad aspettarmi: “ Descriva il candidato il motivo per il quale ha deciso di fare questo colloquio e cosa si aspetta da questa esperienza”. Sono rimasta sconvolta… cosa potevo scrivere: “ Mi ha obbligata mia madre, mi aspetto di essere rifiutata.” Dieci parole erano un po’ pochine e non potevo certo lasciare le altre 490 in balia di loro stesse nell’etere. Dopo dieci minuti buoni che ci pensavo Mr Frown chiamò la mezz’ora. Erano già passati trenta minuti e io non avevo idea di come impegnare i restanti, o meglio, non avevo idea di cosa scrivere in quelle 500 parole poi l’idea… e produssi questo:
“In realtà non ho deciso io di fare questo colloquio, mia madre ha portato il curriculum e questa mattina mi ha semplicemente informata che mi sarei dovuta presentare oggi alle 15 per sostenerlo. Quindi non so nemmeno cosa aspettarmi da questa esperienza. Presumo che questi giovani che stanno accanto a me e scrivono come forsennati sui loro fogli protocollo abbiano molte più capacità di me, sicuramente sono più eruditi e colti. Molti di loro sanno di greco e latino e conoscono le opere del Segre, io invece leggo romanzi rosa per tirarmi su di morale e Nietzsche quando sono troppe felice per tornare ad uno stato di quiete. Ho una laurea in filosofia e scienze umane, mentre loro sono classicisti o letterati moderni; io voglio insegnare in un liceo mentre loro probabilmente puntano ad usare questa esperienza come “trampolino di lancio” verso il mondo universitario! 500 parole sono davvero molte per descrivere motivazioni e aspettative, e io di motivazioni e aspettative ne ho ben poche. Conosco bene gli ambiti di ricerca del Professore e sono molto lontani da ciò che io ho studiato così assiduamente negli ultimi due anni; anche se, devo ammetterlo, le sue teorie sul linguaggio mi hanno conquistato per un certo periodo, prima di accorgermi di una fallacia intrinseca della quale, tempo dopo, si ravvide anche l’autore. Inoltre conosco la vita che mi aspetta, se mai dovessi essere presa in considerazione, cosa ignota agli altri candidati che tentano la sorte con me oggi. Loro sono motivati perché guardano al futuro, ma io in potenza ne ho già uno “sicuro” che mi aspetta, quindi le mie sono solo motivazioni esperienziali. Appunto l’esperienza: cosa mi aspetto? Mi aspetto ciò che segue: rispetto, cordialità, di imparare cose nuove e conoscere posti mai visti, di poter visitare le più importanti e rinomate università del mondo e vedere le città più belle che a loro si accompagnano. Inoltre mi aspetto di non essere trattata come una schiava, ma da persona con dei diritti. Non mi aspetto, certamente, di essere presa in considerazione per il posto ma almeno che me lo venga detto in modo garbato, come credo si meritino anche gli altri giovani qui presenti con me. Eccoli, scrivono e riscrivono e riconteggiano per essere sicuri di non oltrepassare le 500 parole, questo limite massimo da non superare. Io ho smesso di preoccuparmene alla 221 parola, quindi ora sto solo cercando di arrivare al numero massimo senza troppe divagazioni. Per concludere vorrei solo aggiungere una cosa: adoro questa casa, mio nonno abitava qui vicino e ci io passavo davanti ogni sabato pomeriggio andando a prendere il gelato ma la vedevo sempre chiusa e buia. Quando era aperta era perché uno dei proprietari veniva a far visita alla Sig.Emma, la madre del Professore, che era in una casa di riposo qui vicino, e questo lo so perché ero una delle volontarie dell’istituto. Mi è sempre dispiaciuto molto che rimanesse chiusa così a lungo, era ed è rimasto un peccato non renderle giustizia vivendoci.”
Lo so cosa state per dire “sono 501 parole”, ma mi sembrava giusto concludere così: fuori dal limite massimo. E misi il punto appena in tempo: trenta secondi dopo averlo fatto finì il tempo e riconsegnai i fogli. Mr. Frown ci diede un foglio aggiuntivo da compilare con i dati e i numeri da contattare nel caso avessimo fatto un lavoro accettabile. Poi alle 16.30 fummo congedati. In tutto questo tempo non vedemmo mai il Professore e non venne mai fatta menzione alla sua persona come essere vivente.
Uscita andai per la mia strada, ignorando palesemente la ragazza che mi faceva mille domande su cosa avessi scritto nel compito, quali domande erano capitate e soprattutto cosa avessi messo nelle 500 parole, sottolineando che lei l’aveva preparato a casa e se l’era studiato a memoria per essere sicura di non sbagliare e di fare colpo. Dopo averla ignorata fino alla macchina, salì, misi in moto e la lasciai li nel parcheggio a rimuginare e a parlare con se stessa.
Il ritorno a casa fu traumatico: vi risparmierò tutta la ramanzina di mia madre su abbigliamento e quant’altro per dirvi solo che mai mi sarei immaginata in quel momento ciò che sarebbe successo l’indomani.


-Allora cosa ne pensata dei personaggi che ho introdotto qui?? Piacciono?? Ho cercato di descrivere al meglio persone con cui ho ha che fare tutti i giorni (purtroppo ci sono persone come la sig.ina Ameise in ogni università) Spero che vi sia piaciuto- Arj-

 

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Capitolo 3
*** The winner takes it all ***


- Lo so manco da un po' ma purtroppo gli impegni universitari mi hanno impedito di continuare la storia. Ora ho un pochino (poco poco) di tempo in più e scriverò ancora, presto!! Arj-
 
- 3° cap - The winner takes it all - 

La mattina successiva, non dovendo andare all’asilo, decisi che potevo anche permettermi di dormire fino a tardi. Non immaginavo di essere svegliata dal suono del telefonino, che all’alba delle 9:45 iniziò a suonare come un forsennato “We will rock you” dei Queen. Ancora mezza addormentata risposi: “Pronto chi parla?” dall’altra parte del ricevitore sentì una voce bassa e molto inglese dire: “Sono Mr. Jones, il maggiordomo del Professore, la chiamo per informarla che è riuscita a superare la prima selezione e che è tenuta a presentarsi alle 14:30 oggi pomeriggio per sostenere il colloquio con Mr. Frown. Sono dispiaciuto di averla svegliata ma era la prima della mia lista. Buona giornata”. In un nanosecondo ero sveglia, completamente attenta a ciò che succedeva attorno a me. IO ERO STATA RICHIAMATA?? Veramente?? A quanto pare non era uno scherzo. Ok forse era uno scherzo e volevano parlarmi di quanto fosse inappropriato il mio “tema”…
Mi alzai, preparai e scesi a dare la notizia ai miei che, con mia somma gioia, erano già usciti. Un biglietto sul tavolo della cucina recitava: “Io e tuo padre siamo andati a Bosco. Torniamo stasera buona giornata!”. La mattina passò nell’incredulità generale e arrivato il momento di uscire mi vestii in modo meno trasandato ma sempre molto da me: pantaloni, maglietta e converse; fermai i capelli in modo che non mi venissero davanti agli occhi e partii.
Al mio arrivo scoprì che c’erano altri tre candidati: la ragazza, il ragazzo ritardatario e un altro che era seduto al banco con la ragazza (mi pare). Vedendomi arrivare la ragazza venne verso di me, nel suo bel vestito blu con scarpe e borsa in tinta, e mi disse: “ Ieri non ci siamo presentate a dovere! Mi chiamo Carlotta Ameise; lo so è un cognome insolito ma mio padre è austriaco. Mi sono laureata in lettere classiche all’Università di Siena, la migliore in Italia! Conosco 4 lingue oltre l’italiano e il tedesco ovviamente: latino, greco classico e moderno, spagnolo e inglese, ovviamente! Tu?”
Mr. Jones apparve dal nulla un secondo prima che aprissi bocca: salvata in extremis per fortuna! Ci invitò ad entrare e ci disse di attendere nel salotto come il giorno prima.
Risultato: Carlotta iniziò a fare il terzo grado al ragazzo seduto al banco con lei il giorno prima. Il ritardatario invece si avvicinò a me e disse, con molta nonchalance: “Quella tipa è insopportabile!! Sarà presa sicuramente. Mi meraviglio che mi abbiano richiamato: il compito è stato un disastro per non parlare del tema… un incubo!! Comunque io sono Leone ma tutti mi chiamano Leo. Lettere moderne Alma Mater Bologna, ma ho una specialistica in Antropologia. Tu devi essere quella “alternativa” di cui parlavano ieri i tipi seduti al mio tavolo. Io ero troppo agitato per guardarmi attorno!!” non sapevo cosa rispondere ma poi dissi: “ Si sono io l’alternativa: e comunque anche io sono molto stupita di essere qui. Ho scritto peste e corna nel tema e il resto non è stato un granché! Anche io credo che quella sottutto sarà presa; ma credo anche che sarà spedita per la sua strada un meno di 24 ore! Comunque mi chiamo Adelina ma tutti, grazie al cielo, mi chiamano Ade, come il dio degli inferi. Ho studiato filosofia e scienze umane a Pavia.” Detto questo non riuscimmo ad intercettare il nome dell’altro ragazzo perché Mr. Frown e Mr. Jones apparvero nel salotto. Li seguimmo attraverso il corridoio a destra che portava allo studio di Mr. Frown dove trovammo tre sedie ad aspettarci. “Voi potete sedervi. Lei sig. Calligaris mi segua pure nello studio” lo sconosciuto aveva un nome, o meglio un cognome. Noi tre restammo li seduti ad aspettare. Carlotta attaccò a fare il terzo grado anche a Leo ma lui glissò abilmente tutte le domande.
Dopo circa quindici minuti uscirono e fu il turno di Carlotta. Pietro, questo era il nome del ragazzo, sembrava traumatizzato, sotto shock per quel breve colloquio. Non tentammo nemmeno di chiedergli come era andato o cosa gli avesse chiesto di così sconvolgente. Parlando del più e del meno passarono altri venti minuti, dopo i quali, Carlotta usci trionfante dallo studio. Mr. Frown era dietro di lei e disse: “ Bene voi dovreste essere gli ultimi due candidati giusto? Prego entrate pure insieme.” Carlotta era allibita, io ero shockata e Leo non sapeva cosa dire. Che io sappia non era mai successo che due candidati venissero chiamati dentro allo stesso tempo per il colloquio. Titubanti entrammo nello studio. Quest’ultimo era abbastanza grande e spazioso con una grande libreria a muro che incassava la porta, una scrivania con due sedie e la grande finestra dietro la poltrona in pelle. La scrivania era una di quelle vecchie scrivanie di fine ‘800 con tanti cassetti e secreti per nascondere documenti e quant'altro. Guardando a destra si poteva notare che la libreria lasciava il posto ad una sorta i credenza con al suo interno altri libri e piccoli manufatti, provenienti da ogni dove. A sinistra invece c’era un tavolino pieno di carte e fascicoli ben tenuti e catalogati. Sopra troneggiava un grande quadro ad olio raffigurante un paesaggio tipicamente inglese con un cottage e una strada di campagna alla Jane Austin.
Mr. Frown prese posto alla scrivania e attese che ci sedessimo prima di parlare: “ Suppongo sarete sicuramente sorpresi di essere stati chiamati dentro entrambi” il cenno d’assenso fu l’unica cosa che riuscimmo a produrre entrambi, all'unisono; poi Mr. Frown riprese “Beh non c’è da stupirsi, non è mai successo! Comunque io e il Professore abbiamo analizzato le vostre prove scritte e ci sembrate entrambi molto qualificati: lei miss sembra avere un’ottima preparazione in campo filosofico e a quanto pare consce il lavoro del Professore e sa come muoversi nella ricerca; lei invece Mr. Gori è un eccellente osservatore e si vede chiaramente che ha inquadrato a prima vista i suoi colleghi, inoltre è molto ben preparato. Entrambi sembrate poco inclini a volere questo posto ed è ciò che stiamo cercando! Il Professore si è reso conto che troppe volte i candidati vengono pronti a tutto, “letteralmente pronti a tutto”, pur di ottenere un posto. Esempio ne sono i vostri due colleghi qui fuori: molto ben dotati entrambi, ma senza spina dorsale e, come ha ben scritto lei miss, intenti ad usare questa opportunità come “trampolino di lancio” per una carriera universitaria. Sono proprio i soggetti come loro che si rivelano essere dei completi fallimenti in meno di 24 ore.” Il mio sguardo e il mio sorriso si rivolsero a Leo che ricambiò. “Posso sapere perché sorridete in quel modo?” Io presi coraggio e risposi: “Poco prima di entrare commentando il comportamento di Miss Carlotta ho usato le sue stesse parole: il meno di 24 ore. Tutto qui…” “Bene posso ricominciare allora. Dicevo: voi due invece ci sembrate diversi dagli altri candidati, sicuri di non essere presi e certi di essere inappropriati per questo mondo. Beh vi offro la possibilità di cambiare idea: voi due, insieme, siete la scelta migliore, ma il Professore vuole parlare anche con Miss Ameise per correttezza e per vedere se almeno con lui non si comporterà da arrampicatrice sociale.”
A me rimaneva vagamente oscura una cosa e così cercai di attirare l’attenzione di Leo, che sembrava avere il mio stesso dubbio, e poi dissi: “Mi scusi Mr. Frown cosa intende con ‘…voi due, insieme…”. A entrambi sembra che ci stiate prendendo tutti e due ma non può essere: sono più che certa che il Professore non ha mai avuto più di due assistenti, conosco bene la sua politica, la Sig.ra Emma parlava spesso del figlio maggiore citando quanto fosse preciso e fedele alle sue idee.” A questo punto Leo intervenne: “Si esattamente, anche io ho sentito dire che non accetta mai più persone e, poi, cosa se ne farebbe di tre assistenti?” a queste domande Mr. Frown non volle rispondere dicendoci: “Il Professore vi spiegherà tutto nei dettagli”. Poi si alzò e andò alla porta e aprendola trovò Carlotta che cercava di origliare senza successo. Ci congedò e chiese di tornare l’indomani alle 10:30 per il colloquio finale con in professore. Noi andammo verso la porta dove trovammo Mr. Jones che rientrava in casa con un grosso cane al guinzaglio. “Søren seduto!” il bellissimo bovaro di nome Søren obbedì all’istante. Carlotta era spaventatissima e uscì quasi correndo verso il cancello. Anche il povero Pietro andò velocemente verso il cancello mentre io e Leo ci fermammo a guardare un attimo il cane “ Davvero un bellissimo esemplare, complimenti!” commentò Leo. “Questo cane è membro della famiglia da generazioni da padre in figlio, da madre in figlia. Fa parte della tradizione e del nome della famiglia del Professore. Lui è l’ultimo esemplare ha tre anni.” Dopo queste poche parole Mr. Jones rientrò in casa e noi ce ne andammo.
Leo mi chiese di prendere un caffè per discutere un attimo quello che era successo e così entrammo nel primo bar vicino. Non sapevamo cosa dire, ne tanto meno cosa aspettarci dal colloquio con il Professore che si sarebbe tenuto il giorno dopo. Fatto sta che, quando ci lasciammo, eravamo più confusi di prima.


- Aspetto i vostri commenti e i vostri consigli! Arj-

 

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Capitolo 4
*** WHY DID IT HAVE TO BE ME? ***


-Angolo Autrice-
Ho avuto tempo negli ultimi giorni di fermarmi a pensare e ecco come va avanti... Avevo già pronto da un po' questo capitolo ma volevo far procedere la storia nella mia testa prima di pubblicarlo... Spero piaccia.
Lo dedico a PervincaGranger7, sperando di non deluderla -Arj =
)

- 4° WHY DID IT HAVE TO BE ME? -
-Dopo una serata passata a spiegare ai miei cosa era successo e una notte quasi totalmente in bianco, ecco mi affacciavo al sole del mattino. “Il mattino della verità” come lo aveva definito Leo il giorno prima quando c’eravamo lasciati, ancora increduli, dopo la notizia bomba: entrambi presi come assistenti del Professore. Non ci credevo ancora, era impossibile! Persino Guen, mia amica e confidente da più di due decenni, alla notizia ha esclamato parole non ripetibili e decisamente stupite, e come darle torto!
Dopo essere uscita di casa di buon’ora per evitare le mille raccomandazioni dei miei , chiamai Leo per trovarci al bar per la colazione in attesa delle 10.30 e quindi del “momento della verità” (questa è mia). Ci trovammo da Vincenzo, tesi entrambi come corde di violino, lo stesso sguardo perso e ancora un po’ incredulo del giorno precedente. Insomma sembravamo due pazienti fuggiti dalla neuro e ancora sotto pasticche!! Quando poi venne il momento prendemmo coraggio e ci avviammo verso la casa del Professore; fuori ad aspettarci c’era, appostata come una lince sulla preda, Carlotta che appena ci vide li lanciò in un terzo grado sul nostro colloquio del giorno prima, con domande del tipo: “perché vi ha chiamato tutti e due? cosa vi ha detto? Vi ha rimproverato per gli scempi che avete scritto? Perché non rispondete? Vi sto antipatica per caso?”- e poi la ciliegina sulla torta, la mia preferita in assoluto, una perla -“ non capisco cosa ci trovi in voi, siete mediocri! Siete assolutamente sicuri che vi abbia detto di tornare anche oggi? Forse avete capito male…”. Ero molto tentata a rispondere a tutte queste domande e affermazioni ma, fortunatamente, riuscii a trattenermi abbastanza a lungo, anche aiutata dagli sguardi rassicuranti di Leo,  da resistere fino a quando Mr. Jones non apparve in salotto dicendo “ Miss Ameise, prego, venga con me l’accompagno dal professore.” Carlotta, tutta cinguettante, si alzò andò verso il maggiordomo e, sfoggiando uno dei suoi sorrisi migliori a 32 denti, lo seguì nel corridoio di sinistra.
Passarono parecchi minuti prima che io e Leo ci rivolgessimo la parola, o almeno così parve,  nessuno dei due aveva più molto da dire in fin dei conti. Poi mentre commentavamo il quadro appeso alla parete,  quello che mi aveva colpito così tanto la prima volta che ero stata in quella casa, apparve nel salotto Mr. Frown. Questa volta sfoggiava un paio di jeans slavati una maglietta di Hulk con giacca in tweed e snikers abbinate verdi. A quanto pareva a quell’uomo doveva piacere molto il verde!! Ci guardò per un lungo secondo e ci disse: “Bene seguitemi nel mio ufficio il Professore vi aspetta.” L’impavido Leo, che da quel momento prese il soprannome di “RikHeart”, saltò su all’improvviso e dicendo “Ma Carlotta? Non c’era lei con il Professore??” “Si ma hanno quasi finito” - disse Frown – “e il Professore vorrebbe parlarvi in un posto più tranquillo, la signorina Carlotta sta dando spettacolo di se”. Ci fu chiaro che stava facendo una scenata e che molto probabilmente il Professore l’avrebbe lasciata nelle mani di Frown per il congedo.
Ci accomodammo nello studio, inondato del sole del mattino e ancora più bello del giorno prima con tutti i libri e gli oggetti più strani. In attesa del Professore diedi un occhiata ai libri, ai titoli in verità, e vidi che c’erano titoli e collane di tutte le specie: libri di narrativa, saggistica, libri di medicina e di architettura per non parlare della fila riservata ai libri filosofici. In quella parte della collezione, che solo dopo capii essere sterminata, c’erano pezzi unici che valevano piccole fortune. Leo era più attirato dai manufatti e dalle statuine che c’erano nella credenza e sul tavolo. Ad un certo punto l’ho sentito esclamare: “Che invidia!! Voglio andare anche io in Micronesia a farmi tatuare!!” con il mio “A chi lo dici” partì una risata che coinvolse entrambi e che sarebbe andata avanti all’infinito se non fossimo stati interrotti dalla porta che si apriva dietro di noi. Un uomo sulla sessantina, alto, capelli e barba del colore delle nubi primaverili cariche di tempesta, occhiali a mezzaluna sul naso un po’ a patata, labbra sottili e mani grandi e, in apparenza, buone apparve. Perfetto nella giacca tweed grigio scuro e pantaloni neri con camicia azzurro Oxford che spuntava dalla giacca. Il Professore si fermò e tutto d’un tratto disse “Sono felice che vi divertiate, tra poco non sarà più così quindi suppongo che possiate godervelo, finché dura”. Il mio “No, scusi signore” e il “Mi spiace non si ripeterà” di Leo, seri e contriti, erano il segnale che era arrivato il “momento serietà” della giornata.
Il Professore prese posto alla scrivania mentre noi ci accomodammo sulle due poltrone che erano rimaste esattamente dove le avevamo lasciate il giorno prima. Dopo qualche attimo di silenzio finalmente iniziò a parlare e catturò la nostra completa attenzione.
“Lei deve essere la signorina Adelina Anselmi e lei il signor Leone Gori, presumo. Be non c’è bisogno che io mi presenti perché è chiaro che entrambi mi conoscete. Se permette”- disse rivolgendosi a Leo - “ partirei dalla signorina, così per galanteria. Bene signorina Anselmi, leggendo il suo compito e dal suo curriculum si capisce bene che lei è molto preparata ma ben motivata a non volerlo questo posto” Io stavo per rispondere ma il Professore riprese “ facciamo così io parlo, poi quando ho finito le do la parola e può controbattere a tutto ciò che le sto per dire. Allora dicevo: lei non vuole questo posto, ma l’ho osservata è attenta e molto precisa nel lavoro, ha risposto alla prima parte del compito in pochissimo tempo eppure è fatto molto bene. Chiaro, conciso e arriva dritto al punto. Il brano invece mi ha colpito molto: è stata coraggiosa a scrivere ciò che pensava e non ciò che scrivono gli altri candidati. Devo ammettere che il fatto che il mio lavoro non le interessi mi ha colpito ma poi continuando la lettura ho notato che lei mi conosce meglio di molti altri pretendenti. Conosce la mia famiglia, sa cosa viene richiesto ai miei assistenti e che è molto raro che essi siano italiani. A quanto pare conosce così bene il mio lavoro da poterlo criticare ancor prima che sia fatta un’autocritica da parte del sottoscritto.” Il piccolo cenno con la mano di fece capire che era venuto il mio turno così presi il coraggio a quattro mani e risposi: “ Be innanzi tutto è un onore conoscerla di persona. Il secondo luogo terrei a sottolineare che, come ho scritto, è stata mia madre a portare il curriculum. Dal canto mio posso dire che ho già un “lavoro” se così si può chiamare e sapevo che sarebbe stato molto difficile superare il primo step del colloquio, quindi confidavo nel semplice non essere richiamata. Ma a quanto pare non è così che devono andare le cose e ora sono qui. Per il resto si è vero conosco lei, la sua famiglia e i suoi studi”. “Bene – riprese il Professore – “ signor Gori il suo curriculum è veramente inaspettato, un po’ come il suo compito: in apparenza scarno e senza succo ma se lo si legge attentamente emergono tutti gli elementi vincenti. Il brano poi, un vero e proprio spaccato di vita. Come ha descritto i suoi compagni e il loro modo di fare e come è riuscito al solo sguardo a inquadrarli nel loro status è impressionante. L’unica che, in apparenza, non ha saputo collocare è proprio la signorina Anselmi alla quale si riferisce come “fricchettona dai capelli blu” ma che non analizza oltre. 500 parole spese a parlare degli altri e non di se stesso, sono rimasto colpito davvero!” Leo, con un mezzo sorriso disse guardandomi “scusa non riuscivo a inquadrarti bene con quell’aria spersa che avevi” poi rivolto al Professore riprese “Anche per me è un onore conoscerla ovviamente, e per il testo volevo mostrarle come sono coloro che vengono a fare il colloquio, pensando che in fondo lei non poteva vederci di persona e forse non poteva nemmeno aver un idea di come si vedono loro da fuori. Inoltre mi sembrava di aver fatto emergere me stesso dalle domande quindi mi pareva più giusto scrivere degli altri nel brano”. A quel punto la porta si aprì ed entrò Mr. Frown dicendo “L’ho calmata e congedata, signore, e il suo ufficio è tornato come prima”. “Bene – riprese il Professore – si accomodi qui accanto a me, stavo giusto arrivando al punto. Vi sarete chiesti come mai siete qui entrambi, ecco il motivo è semplice: due soli assistenti non mi basteranno più dato che a partire da settembre reggerò la cattedra di Filosofia del Linguaggio all’università di Pavia. Mr. Frown sarà impegnato con me nella preparazione e nello svolgimento del corso quindi mi serve qualcuno che mi prepari i testi per i convegni, che riguardi tutti gli appunti e si occupi delle relazioni con le varie università europee che richiedono la mia presenza. Inoltre nella seconda parte dell’anno accademico prossimo andrò a Boston per un corso e si dovranno organizzare tante cose. Una sola persona non può sostenere un lavoro del genere con i tempi stretti e pressanti che ci saranno. Ecco perché, parlando anche con Mr. Frown, abbiamo deciso di cercare due persone che lavorino insieme e che siano capaci di fare in modo che tutto fili liscio. Abbiamo già cercato in diverse città europee e non pensavo di trovare due giovani così adatti proprio qui, nella mia città natale; ma a quanto pare mi sbagliavo. Quando trovai questa perla rara” disse rivolgendosi all’assistente “ lavorava in un pub a Londra, voi invece vi trovo in un asilo comunale e in un vigneto. Direi che ho fatto il salto di qualità, almeno all’apparenza.” Sorrise rivolgendosi a Mr. Frown poi prese la cornetta del telefono e fece un numero. Dopo pochi istanti entrò il maggiordomo, vestito di tutto punto che disse “Ha chiamato?” Il professore annuendo disse: “Horace potresti chiedere a Hetty di aggiungere due posti a tavola, vorrei finire il discorso con questi due ragazzi ma noto che il tempo stringe. 12.30 come sempre andrà bene. Grazie Horace”. “Subito signore” e girando i tacchi uscì dalla stanza. Effettivamente era già mezzogiorno, il tempo era volato. Altre cose vennero dette da li al pranzo fino al momento in cui ci congedammo. Tornando a casa io e Leo ci lanciammo in una conversazione talmente fitta che non notammo nemmeno Carlotta che ci aspettava fuori dalla casa del Professore, appostata come un allocco pronta a farci tante domande quante le stelle del cielo. Noi la ignorammo e lei se la prese così tanto che si sentivano le urla e i rimproveri anche quando, seduti da Vincenzo, ordinammo due caffè.
“Ok! Questo vuol dire che devo trovarmi una casa qui. Non posso continuare a vivere in albergo!”. Leo era serio e questa sua esclamazione mi perse alla sprovvista. In effetti non aveva torto, doveva trasferirsi e cambiare totalmente il suo stile di vita. Parlammo un po’ del vigneto che il professore aveva menzionato mentre elogiava il suo assistente. Leo mi disse che ci lavorava per fare un piacere al nonno; con la crisi poteva assumere meno braccianti ma le vigne e la cantina non vanno avanti da sole e quindi lui si era offerto di andare a lavorare la, giusto il tempo di trovare un impiego e far passare l’estate. In più il nonno abitava nel chianti e aveva anche svariati oliveti, quindi oltre curare le vigne ci sarebbe stato bisogno di lui anche con la raccolta delle olive e la preparazione dell’olio. Quando mi chiese dell’asilo gli dissi che era solo temporaneo, la maestra che sostituivo era in maternità dall’inizio dell’anno e mi avevano chiesto di sostituirla per il  secondo quadrimestre, a settembre sarebbe tornata e tanti saluti. Io comunque avevo accettato di buon grado: primo perché amavo i bambini; secondo perché al provveditorato mi avevano detto che ci sarebbe voluto un po’ di tempo prima che si presentasse l’occasione di fare una supplenza. Inoltre all’asilo dove lavoravo c’era mio nipote, mio fratello si era da poco ritrasferito qui dopo alcuni anni passati in Alto Adige per lavoro, e per me era un’occasione per godermelo un po’ dato che non l’avevo quasi mai visto negli anni passati.
Poi tornammo all’argomento casa: doveva darsi una mossa, a quanto pareva dovevamo iniziare la settimana successiva e il tempo stringeva. Nel mentre che lui si lamentava io chiamai Guen, la mia amica che oltre essere come una sorella, solo un po’ più bassa, era anche un’agente immobiliare con i controfiocchi! Le spiegai la situazione e mi disse di passare in ufficio che avremmo fatto quattro chiacchiere. Leo era stupito della mia intraprendenza; non si aspettava forse tutte queste conoscenze o questa capacità di mantenere il sangue freddo che mi caratterizza. Ad ogni modo andammo da Guen, e dopo un lungo colloquio lei e Leo presero appuntamento per vedere le case il giorno successivo. Io ero distrutta, avevo bisogno di un bagno e di dormire quindi li lasciai a parlare di bagni cechi e camere a soppalco. 

-Angolo finale- 
Ecco spero che vi sia piaciuto... Lascate un commento se volete... A presto - Arj

 

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