Three worlds, one meeting

di SherStiel
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The Doctor ***
Capitolo 2: *** The second point ***
Capitolo 3: *** Start ***
Capitolo 4: *** The shapeshifter ***
Capitolo 5: *** It is a killer ***
Capitolo 6: *** Sherlock's plan ***



Capitolo 1
*** The Doctor ***


SuperWhoLock – Three worlds, one meeting
Part one,
The Doctor

 

– Siete voi i fratelli Winchester?
Era comparso così, dal nulla. Anzi, dal bagno.
Erano le quattro del mattino, Sam e Dean erano andati a dormire in una delle abituali camere di motel dopo aver finito una caccia. Questa volta si era trattata di una strega. Quanto le odiavano, le streghe. Riuscivano a fregarti nascondendo quei dannati sacchettini pieni di schifezze morte ovunque. Per fortuna l’avevano scampata anche questa volta e si erano concessi una bella dormita come premio. Almeno era quello che speravano, finché un tizio non aveva eluso come se niente fosse tutti i loro sensi, affinati come quelli di una animale selvatico grazie agli anni di caccia. Ed era sbucato dal bagno.
Dean si era appiattito contro il letto, per poi riconnettere velocemente i fatti e impugnare il coltello di Ruby, seguito dal fratello che trovò per prima la pistola. In tre secondi scarsi, erano pronti a contrattaccare al minimo segno di pericolo.
– Non mi avevano detto che eravate così aggressivi. – sembrava quasi offeso del trattamento ricevuto. Poi si bloccò, come preso da un’improvvisa illuminazione. – Avete ragione, scusate! La luce è dietro, io sono un’ombra per voi.
Si stava probabilmente riferendo alla flebile e intermittente luce del bagno alle sue spalle. Detto questo, puntò un aggeggio luminoso e rumoroso verso il muro; la luce si accese.
Sam e Dean erano immobilizzati. Non dalla paura, ci mancherebbe altro, ma dalla sorpresa. Poteva essere considerato tutto meno che pericoloso, da quel che sembrava. Si muoveva a scatti, compiendo balzi da una parte all’altra della stanza, facendo piroette su se stesso mentre esaminava la stanza. A fare la prima mossa fu Sam.
– Chi sei?
– Il Dottore.
– Dottore chi? – aggiunse subito Dean, facendo una smorfia.
– Solo il Dottore. Bene! – esclamò improvvisamente e con un tale impeto da far sobbalzare i due fratelli, non lasciandogli tempo di proferire parola – Venite? Ho un lavoretto per voi. – si avviò poi verso il bagno.
– Ehi amico. Metti caso che ti seguissimo. La porta è di là. – disse, indicando la parte opposta. – Non possiamo andare giù per il gabinetto come Nemo. Lui ingorgherebbe tutto.
Sam si voltò, contrariato dal fatto che l’avesse messo in mezzo alla discussione. L’altro replicò con un sorrisetto, alzando le spalle.
– Ho detto che sono il Dottore, seguitemi se non ci credete.
I momenti per attaccarli erano già stati fin troppi e nessuno di essi era stato minimamente preso in considerazione, quindi i due decisero di fidarsi, per il momento. Entrarono in bagno, trovando una cabina blu nella doccia.
– Ehi. Sam. – sussurrò Dean al fratello – Questa non c’era ieri sera.
– No Dean. Non c’era.
– Entrate pure – invitò il Dottore, con un sorrisetto che preannunciava tutto.
I due entrarono, titubanti e pronti a metter mano alle armi. Il Dottore li aveva fatti entrare conciati così solo per guadagnarsi la loro fiducia. Non intendeva fargliele usare. Erano armi.
Passarono più o meno due secondi prima che entrambi uscissero di corsa dal Tardis, precipitandosi l’uno a guardarlo da lontano e a tastarlo, l’altro a controllare che non fosse attaccata al muro. Dopo essersi guardati negli occhi, rientrarono, con lo sguardo smarrito.
– È-è più grande all’interno! – urlò Dean al Dottore, che non aspettava altro.
– Lo so – disse, entrando e richiudendosi la porta alle spalle – me lo dicono tutti. – E, finita la frase, tirò una leva che fece tremare tutto.
– Questo spostamento è piuttosto difficile, tenetevi forte prima di cadere.
I due si guardarono di nuovo, pentendosi già di aver dato ascolto a quel tizio. Mai fidarsi dei tipi con i papillon.
Il Dottore tirò un’altra leva e, saltellando dall’altra parte della console girò una manovella. Schiacciò poi un campanello, come quello delle reception, girandosi verso i due ospiti, aspettandosi una reazione; ebbe di rimando solo un’occhiataccia di Sam. Finì la sua strana esibizione schiacciando un pulsante, che provocò un brusco arresto dei sussulti.
Si girò verso i passeggeri, sfoggiando un ennesimo sorriso. Notò solo allora che il più basso dei due aveva il fiatone e gli occhi spalancati.
– Cosa c’è? – gli chiese, avvicinandosi.
– Non gli piace volare. E questo sembra avergli ricordato una perturbazione. – Rispose Sam per lui.
– Beh, effettivamente abbiamo volato, solo che è un tantino più complicato del semplice e leggiadro volare. È più… complicato, già. Bene! – seconda esclamazione eccessivamente esclamativa – ora credo che dovrei informarvi. Oppure l’avrei dovuto fare prima. Mmm. Sapete, non so bene quale sia l’ordine esatto in successione cronologica, eppure io dovrei saperne di successioni cronon…
– Chi sei e cosa vuoi. Per terzo, cosa ci fai nel nostro bagno. – Sam sapeva essere deciso, quando voleva. E voleva capire cosa combinava il Dottore nel suo bagno in affitto.
– Cosa ci facevo, veramente. Comunque, sono il Dottore e vorrei il vostro aiuto per una cosuccia. Ho sentito un po’ in giro e sono arrivato alla conclusione che la cosuccia riguarda il vostro campo e voi siete bravi in questo. A proposito, chi di voi due è Sam e chi è Dean?
– Io sono Dean, lui è Sam. Però non hai soddisfatto bene la prima domanda. Nemmeno la seconda e la terza. Prenditi il tempo eh, fai con calma ma spiega tutto.
– Sono il Dottore, solo il Dottore. Sono un Signore del Tempo, nello specifico; senti? – chiese, picchiettandosi il petto – due cuori. Poi passo alla domanda tre, così ci togliamo le risposte più brevi. – continuava a muoversi in modo insolito e a parlare molto; entrambi facevano innervosire non poco Dean. – Questa è una macchina del tempo, si chiama Tardis. Tempo e relativa dimensione nello spazio. Sono venuto nel bagno per prendervi, per il punto due. – lasciò un po’ di tempo ai due per metabolizzare quello che aveva appena detto con la sua solita velocità e apparente semplicità. – Sono atterrato in bagno perché si è rifiutata di atterrare in un parcheggio. – aggiunse poi.
– Ah. Quindi tu sei il supremo re del tempo, viaggi con una cabina del telefono e sei atterrato nel nostro bagno per una missione segreta? – chiese Dean.
– No. Sono un Signore del Tempo e questo è un Tardis, con le sembianze di una cabina della polizia, non del telefono. Per il resto ci hai preso, più o meno. – sembrava ancora offeso dal modo in cui il ragazzo si rivolgeva a lui. Del resto aveva più di mille anni, un po’ di rispetto l’avrebbe meritato.
Di risposta, Dean si girò e uscì dalla porta blu, borbottando qualcosa fra sé e sé. Non fece però in tempo a chiudere la porta che tornò subito dentro con gli occhi sbarrati, fissando Sam e indicando la porta. Non erano più nel motel, non erano più nemmeno nella cittadina in cui si erano fermati per la notte. Ed era giorno. Ed erano passati sì e no cinque minuti da quando si erano svegliati, nel cuore della notte. Dean rientrò di nuovo nel Tardis, sfoderando il coltello di Ruby dai jeans e puntandolo verso lo strano uomo vestito in modo bizzarro.
– Chi sei?
– Tu li batti tutti, nemmeno a Rickey dovevo ripetere le cose così tante volte. Sono il Dottore. Dottore chi? Solo il Dottore. Sono un Signore del Tempo, per te una specie di alieno, se così il tuo piccolo cervello è facilitato a darmi un’etichetta.
– Come faccio a sapere di potermi fidare di te? – Dean non accennava a indietreggiare.
– Fidandoti. Guarda il fratello, è sorpreso. Fai anche tu la faccia sorpresa… un po’ più sorpresa… fa niente, non viene mai a comando. Ascoltate, ora vi spiegherò anche il punto due. Se poi accetterete di aiutarmi ve ne sarò grato e vi riporterò a casa.
– Dove siamo?
– A Londra.
– È impossibile. Eravamo nell’Ohio.
– Cosa in “tempo e relativa dimensione nello spazio” non ti è chiaro?
– Io chiamo Cas. – Dean aveva definitivamente perso la pazienza, mentre Sam sembrava quasi disposto ad ascoltare; non gli era mai capitato un caso simile non sembrava ordinario né tantomeno il Dottore sembrava minaccioso.
– Non puoi. – lo interruppe il Dottore.
– Perché?
– Perché qui non c’è Castiel. Se me lo dicevi prima l’avrei fatto venire con noi, ma ora è troppo difficile tornare indietro e lui non è indispensabile.
– È una macchina del tempo, no? Cosa lo rende difficile se ci hai portato dall’Ohio a Londra in meno di venti secondi?
– Se ascolti il punto due ti risulterà più facile capire.

 



Salve a tutti! È la seconda FF che carico, però questa volta ho deciso di farla a puntate, dato che non riesco a scrivere storie brevi. Per ora ci sono solo Supernatural e Doctor Who, a breve verrà inserito anche Sherlock (BBC) nella serie. Questa, per il momento, è la prima parte.
Spero vi piaccia e se volete, lasciate commenti, sia positivi che negativi.
Alla prossima puntata, TO BE CONTINUED :3

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Capitolo 2
*** The second point ***


SuperWhoLock – Three worlds, one meeting
Part two, 
The second point

 
Sam si avvicinò al fratello, cercando ti tenerlo calmo.
– Ascolta Dean, non abbiamo poi molte alternative. Ci troviamo veramente a Londra e non possiamo farci molto, l’unico che ci può riportare a casa è lui, quindi ci conviene ascoltarlo, almeno, no? Non credo di essere in grado di pilotare una cabina blu più grande all’interno.
Dall’altra parte della console, il Dottore annuiva silenziosamente con un’espressione soddisfatta. Il ragazzo, invece, cedette, dando fiducia al fratello e, soprattutto, all’uomo di cui non sapeva ancora nulla.
– Perfetto, allora rispondiamo pure a questa domanda. Comincio con il dirvi che non vi sarei mai venuto a cercare se non ci fosse stato un problema che non riuscirei a risolvere da solo. Un amico mi ha contattato, dicendomi di aver visto qualcosa di inspiegabile, di mai visto né udito prima. Ci abbiamo messo un giorno intero per capire dove questo qualcosa o meglio, qualcuno, si nascondesse. Il problema è che nemmeno io l’ho mai visto e, nonostante abbia pensato una settimana su cosa fosse o da dove venisse, non ho trovato una risposta.
– Però, come mollate in fretta. Solo una settimana? Amico, noi abbiamo cercato per più di vent’anni un demone.
– Ti assicuro che una settimana è più di quanto mi sarebbe servito per catalogare una qualsiasi specie vivente. Terrestre o non. Tu hai un quarto di secolo o poco più di esperienza, io ne ho dieci di secoli.
Quest’ultima affermazione lasciò perplessi i due ragazzi. Gli avrebbero riso in faccia, se non si fossero effettivamente spostati dall’Ohio alla capitale inglese in così poco tempo. Beh, avevano già sperimentato il teletrasporto molteplici volte con Castiel ma quell’uomo non li aveva ancora toccati. Per di più, se fosse stato un angelo, non si sarebbe fatto poi troppi scrupoli. Sarebbe arrivato, gli avrebbe messo due dita sulla fronte e stop. Lui, invece, si era presentato come il Dottore e sembrava ben diverso da tutti quelli che avevano sempre incontrato. A cosa credere dunque? Con le informazioni in loro possesso era effettivamente difficile credere che avesse mille anni, specialmente perché ne dimostrava non più di loro.
– Comunque. – continuò tranquillo – Ho fatto delle ricerche, giungendo fino al vostro mondo.
– No aspetta, non ti seguo. – lo fermò Sam – Cosa intendi per “il vostro mondo”?
– Intendo dire che questa non è la Londra che conoscete. Meglio, è molto simile, ma non è la vostra Londra. Vedete, è probabile che ora, da qualche parte nell’Ohio o del Kansas ci siano due voi del tutto o in parte simili a voi due qua. Questo perché esistono, nell’Universo, infiniti mondi paralleli, simili gli uni agli altri.
– Quindi tu non ci hai solo teletrasportato, in teoria. – chiese Sam.
– No, vi ho anche spostato in un altro mondo, in pratica.
– Se ti servivamo noi, perché non sei andato a prendere quelli di questo mondo? Non ti risultava più facile?
– No, perché quello che ho cercato di identificare viene dal vostro, non dal loro. Anzi, a dire la verità è probabile che i voi di questo luogo non facciano nemmeno la vostra stessa vita, perché in questo mondo in particolare non ci sono le cose che cacciate voi. Ecco perché sono venuto a prendere voi. Per chiedervi un favore.
– E non potevi prima spiegarci tutto e poi chiedere se avremmo accettato l’incarico?
– Non avreste accettato, lo sapevo già. Siete troppo diffidenti, dovevate avere una prova reale e concreta.
– Quindi, spiega meglio cosa dovremmo fare noi qua. – chiese Dean, che sembrava non aver afferrato tutto quello che i due si erano detti.
– Vi sto chiedendo di aiutarci a identificare e neutralizzare la creatura che, non so come, è riuscita a passare dal vostro mondo al nostro.
– Intendi dire che dobbiamo ucciderla?
– No. Prenderla e riportarla nel vostro mondo. Perché dovreste ucciderla? – lo sguardo del Dottore era contrariato.
– Un’ultima cosa, – chiese Sam – perché parli al plurale? Chi dobbiamo c’è oltre a te?
– L’amico che si è accorto che qualcosa non andava. Ho preferito spiegarvi tutto io prima di farvelo incontrare, perché non vorrei che bisticciaste. Se accettate di aiutarci, vi porto anche da lui. In caso contrario vi riporto a casa subito, ma non potrò tornare indietro se ci ripensaste, perché passare da un mondo all’altro oltre che difficile è pericoloso, si rischia il collasso di entrambi i mondi. Il mio anzi, i miei amici li conoscete già, è solo che non li avete mai visti di persona. Che facciamo?

 · · ·

– Oh fantastico. Ce l’hai fatta alla fine!
– Non è stato facile, sono molto diffidenti. Digli di non calcare la mano, questa potrebbe essere la volta buona per un pugno.
– Non gli farebbe male. Beh, entrate pure.
I tre entrarono nel piccolo appartamento londinese. Che cosa esattamente li avesse spinti ad accettare di fare una caccia in un mondo parallelo non era chiaro, ma del resto quella era ormai la loro vita. Saving people hunting things, the family business, no? Che le persone fossero del loro o di qualche altro mondo, poco importava.
Ora che si erano accertati che il Dottore era un amico, almeno, potevano tenere la guardia un po’ più bassa, anche se erano come sempre pronti all’azione. In quel momento erano pervasi dalla curiosità, come due bambini. Le due persone che andavano ad incontrare le conoscevano ma non le avevano mai viste, aveva detto il Dottore. Però il tizio che gli aveva aperto la porta sembrava non avere nulla di famigliare.

 



E anche la seconda parte è fatta. Non pensavo neanche di prolungarla così tanto... Beh, spero che "prenda", almeno un po'.
Buona lettura e al prossimo capitolo! :)

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Capitolo 3
*** Start ***


SuperWhoLock – Three worlds, one meeting
Part three, 
Start

 
Non fecero nemmeno caso al fatto che li stavano trattando come due bambini appena entrati all’asilo. Si era svolto tutto molto velocemente. Nelle loro menti, un attimo prima stavano dormendo nel loro squallido ma famigliare motel e l’attimo dopo si erano ritrovati in un appartamento londinese con una spiegazione dei fatti accaduti a dir poco stramba, perfino per loro.
– Io sono John. Vi aspettavamo. Grazie per essere venuti e scusate in anticipo.
– Beh, non che avessimo avuto molta sce…
– Scuse per cosa? – lo fermò Sam.
– Oh, lo capirete presto. – disse l’uomo, socchiudendo gli occhi in un’espressione di intesa che però non era chiara a Sam. Li condusse tutti e tre nel piccolo soggiorno, prendendo una sedia dalla cucina e mettendola vicina alla poltrona vuota illuminata dalla finestra. Di fronte ad essa c’era un’altra poltrona su cui era seduto un uomo dai capelli scuri che li fissava attentamente, spostando lo sguardo preciso da Sam a Dean e viceversa, mettendo in soggezione il maggiore.
– Prego – disse John, indicandogli poltrona e sedia – lui vi spiegherà tutto.
Sam si mise sulla poltrona, Dean sulla sedia e attesero una qualche reazione dell’individuo davanti a loro, mentre il Dottore e John osservavano la scena da lontano, sussurrandosi qualcosa ogni tanto.
Una minima reazione dall’uomo tardò non poco ad arrivare. Continuava a fissarli con il suo sguardo penetrante e le punte delle dita unite, non dicendo una sola parola. Ad un certo punto, come se si fosse appena risvegliato da chissà quale sogno, tese la mano a Dean, non alterando però il suo sguardo.
– Piacere Dean. Mi chiamo Sherlock Holmes.
A quelle parole, Dean dapprima sorrise, poi collegò i pezzi. Mondo parallelo. Londra. John. Alzò lo sguardo verso l’uomo che gli stava porgendo la mano, sgranando gli occhi. Questo provocò una reazione significativa da parte di Sherlock, che distese il viso in un’espressione di sorpresa. Dalla destra dei due fratelli arrivò una risatina del Dottore e un’ampia smorfia da parte di John, che sperava potesse fare la persona normale, per una volta, e presentarsi come tutti.
– È così che ci si presenta, John. – disse con stizza Sherlock, rispondendo ai suoi pensieri.
– Dannazione, così li spaventi e basta. Come faccio a farti capire cos’è l’empatia?
– Quindi… t-tu sei John Watson? – chiese Dean ancora scombussolato.
– Già.
– Accidenti Dottore, sì che li conosciamo!
– Ve l’avevo detto. Però mister empatia mi ha detto di non dirvi nulla. E quando Sherlock Holmes comanda, anche un Signore del Tempo deve obbedire. – disse, ridacchiando.
– Cosa gli è successo, Dottore?
– In che senso?
– Se n’è accorto subito. Da quello alto me lo sarei aspettato, ma non da lui. Quanto tempo li hai tenuti nel TARDIS?
– Non più del… oh, potresti avere ragione! Se si confronta l’energia del vortice spazio-tempo necessaria per far diventare River quella che è diventata con quella emanata dal Tardis per spostarsi in un’altra dimensione, forse potresti avere ragione tu. A quanto pare ne emana abbastanza da far crescere il quoziente intellettivo di coloro che ne vengono a contatto; almeno temporaneamente. – parlava velocemente e probabilmente l’unico che lo seguiva veramente era Sherlock, che annuì quando il Dottore ebbe finito.
Sam e Dean non sapevano cosa dire, John continuava fare segno di no con la testa, impotente però di fermare i due che riuscivano ad incasinare ancora di più la situazione.
– Allora, – esordì alla fine – puoi spiegargli perché si trovano qua una volta per tutte? Sennò puoi andare a parlare con il Dottore di là di fisica mentre glielo spiego io.
Sherlock sembrò subito titubante, poi si girò di nuovo verso i due fratelli, cominciando finalmente la spiegazione tanto attesa.
– Il Dottore vi avrà già anticipato qualcosa. Io vi spiegherò tutto come si deve; le domande a dopo. Questa è una dimensione diversa da quella in cui vivete voi; ciò vuol dire che molte cose sono simili, ma altre completamente diverse. Da dove venite voi, per esempio, io sono in un libro. Ora, non vi saremmo mai venuti a cercare se non ci fosse stata una ragione più che appropriata, perché come il Dottore vi avrà già detto, è molto pericoloso attraversare dei mondi paralleli. Abbiamo chiamato voi perché il problema viene dal vostro mondo. In qualche modo - per aiuto di qualcuno, forse, o trovando accidentalmente o non una scappatoia – quello che voi solitamente cacciate nel vostro mondo è ora a piede libero nel nostro. Noi non vogliamo per forza ucciderlo, questo sia chiaro; è solo che non può girare qua. Siamo riusciti a fare delle ricerche e arrivare fino a voi. Ora vi chiediamo solo di usare i metodi a voi noti per riuscire a prenderlo. Noi abbiamo fallito.
Sam e Dean si sussurrarono all’orecchio il da farsi.
– Accettiamo – disse Sam per entrambi dopo qualche minuto. – Però dovete darci informazioni circa cosa stiamo cacciando e, prima ancora, un test.
– Di che tipo?
– Del tipo “vogliamo essere sicuri che non ci sia quegli stronzi di angeli in mezzo a questa storia”. – si intromise Dean.
– Lo trovo giusto – rispose subito il Dottore.
 
Dean accese il fiammifero, buttandolo sull’olio santo che avevano versato sull’asfalto della stratta via vicino all’edificio che ospitava, a quanto pare, il 221b di Baker Street.
– Passate tutti e tre attraverso quel fuoco e vi ascolteremo. Solo gli angeli riuscirebbero a fare quello che avete fatto voi.
Passarono tutti e tre, velocemente per non bruciarsi. Sam e Dean tirarono un sospiro di sollievo. Se fosse stato un angelo a dargli delle illusioni, sarebbe dovuto essere uno di loro, per riuscire a monitorare il continuo svolgersi della vicenda.
Il Dottore si chinò per terra, una volta che il fuoco fu spento, e prese con l’indice una piccola quantità di olio che era scampato alle fiamme. Se lo portò alla bocca, facendo strane smorfie, come se avesse mangiato una cavalletta.
– Da dove viene questo? Non è olio normale.
Dean tirò fuori da una tasca interna del giubbotto in pelle una piccola fialetta ormai quasi del tutto vuota e la lanciò al Dottore.
– Me ne porto sempre un po’ dietro da quando sono comparsi gli angeli. Non ci si può fidare di loro. A parte Cas. È olio santo, loro non possono attraversarlo o morirebbero.
– Ingegnoso. – gli rispose, sorridendo e riportandogli la fialetta.

· · ·

– Sono accaduti molti furti a Londra nell’ultimo periodo, circa due mesi. Sono stati tutti presi e sono in carcere, ma tutti si dichiarano innocenti; non sarebbe questa la sorpresa, ovviamente. Tutti loro sono stati incastrati dalle telecamere o da testimoni. Tutti hanno eseguito i furti a volto scoperto. Tutti sembrano avere lo stesso schema. Molti di loro non avevano nulla in comune e quando dico nulla, intendo dire che dapprima solo io, poi anche il Dottore, abbiamo provato  a far luce su questa faccenda poiché già al secondo furto mi sembrava strana.
– Scusa un attimo – interruppe Sam – le abilità di Sherlock eguagliano quelle dello Sherlock Holmes dei libri di Doyle, Dottore?
– Assolutamente sì. Sono esattamente le stesse, con la differenza che lui ha come ulteriore arma tutte le scoperte da metà del 1800 ad oggi.
– E cosa mi dici di te?
– Lui mi supera in conoscenze su tutto l’universo e in intelligenza. Non sa osservare, ma ha centinaia di anni per imparare… – disse Sherlock, riprendendo la discussione in mano. Sam si riappoggiò alla poltrona, pensieroso ma attento.
– Indagando, abbiamo ben presto trovato valide alibi per tutti loro, ma rimanevano le testimonianze e, soprattutto, i video ad incriminarli. Ho controllato io stesso, con i miei metodi e posso garantire con assoluta certezza che anche le altezze, che da persona a persona variavano anche di molto, sono in tutti i casi uguali.
– In che senso? – disse Dean.
– Nel senso che l’altezza delle persone che hanno commesso il furto e quelle delle persone incriminate sono le stesse. Se anche fosse stato un travestimento, una persona non può veramente cambiare altezza. Non in questo mondo.
– Perché il Dottore non è tornato indietro nel tempo? In fondo da quello che ho capito quella cabina blu è una macchina del tempo, no?
– T.A.R.D.I.S. Tempo e relativa dimensione nello spazio, in effetti. Avrai sentito di teorie che dicono che il battito delle ali di una farfalla che non dovrebbe esserci, provocherebbe un uragano. Baggianate, i paradossi si sistemano da soli. Detto ciò, io non posso ripercorrere la mia linea temporale. Ero già qua quando tutto questo è successo, sfortunatamente.
– A proposito, come stanno Amy e Rory?
– Benone! Dopo un casino in cui tutto il tempo stava per collassare, si sono sposati. Ora li ho lasciati un po’ che non ci sentiamo, in effetti.
– È tutto qua quello che avete? – li interruppe Dean. – Sherlock Holmes mi può dire solo che ci sono stati dei furti e che i ladri che sono stati presi non sono davvero i ladri? Non metto in dubbio le vostre conclusioni, ma almeno ci vorrebbe una base di partenza più solida.
– Voi prendete informazioni dagli articoli giornalistici; questo vi basta. Abbiamo pensato delle teorie, ma non è il nostro campo il sovrannaturale. Qua non succede nulla di simile, tutto ha un nesso logico e scientifico. Non sapremmo dirvi contro cosa ci stiamo battendo.
– Come siete giunti a questa conclusione? Come sapete che è del nostro mondo? – chiese Sam.
– Ho qualche aggancio qua e là e questo. – rispose il Dottore, tirando fuori dalla tasca interna della sua giacca marrone il suo cacciavite sonico. – Non sei l’unico ad avere oggetti utili in tasca – aggiunse poi riferito a Dean.
– Avete qualche idea? – disse John, che era rimasto fino ad allora in disparte.
– Dando tutto quello che ci avete detto per vero, ci troveremmo di fronte a qualcosa che riesce a prendere le sembianze degli altri senza farsi notare e usare questa abilità per fare furti. Solo furti? Non ci sono stati assassinii?
– No, solo furti. Sia di poco conto che importanti.
Dopo qualche secondo di riflessione, una luce balenò negli occhi di Sam e Dean. Si voltarono uno verso l’altro e, simultaneamente, arrivarono alla stessa conclusione.
– Mutaforma!



Ed eccomi con il terzo capitolo! Spero che, se siete arrivati fin qua, continui a piacervi. Se volete lasciare recensioni, non fatevi scrupoli; ne sarei felicissima. 
Al quarto capitolo! :3

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Capitolo 4
*** The shapeshifter ***


SuperWhoLock – Three worlds, one meeting
Part four, 
The shapeshifter

 
– Mutaforma? ­­– Chiese il Dottore per tutti e tre.
– Certo, è l’unica cosa possibile. I mutaforma – cominciò a spiegare Sam – sono in grado di prendere le sembianze di chiunque. È come un cambio di pelle, nel vero senso della parola. Così diventa facile assumere l’identità di chiunque uno voglia a sua insaputa. Ne abbiamo avuti diversi tra i piedi, e sono riusciti anche a farci andare in prigione… – il viso di Sam e Dean si incupì; ai quei mutaforma non era legata solo una brutta esperienza, ma anche molte vite, perse.
– Riescono ad acquisire tutto di quella data persona? Impronte digitali, genetiche, altezza, ricordi… – Sì, tutto. – Sherlock aveva ascoltato la breve spiegazione con le punte delle dita unite, impassibile; solo gli occhi facevano intravedere una particolare attrazione dal “caso”, finchè non alzò la testa e si rivolse al Dottore.
– Non posso, vero?
– No.
Si rimise allora nella sua posizione.
– Non può cosa? – chiese Dean.
– Prendere un campione di quell’individuo. È del vostro mondo, non di questo e le regole del qui presente Signore del Tempo mi vietano praticamente tutte le cose interessanti. Che ci posso fare qua? Ormai il caso è loro, noi non possiamo aiutarli in alcun modo.
– Falso. Con due secchioni così ci sarebbe più facile trovarlo, prima che metta nei guai altra gente innocente.
– Come? – Sembrava quasi riluttante a chiedere a qualcuno spiegazioni.
– Tu sei un ottimo combattente – si intromise Sam – e hai i riflessi prontissimi, John Watson è un ex militare e anche se medico sa il fatto suo. Vi mettiamo in mano le armi giuste e non ci sarà nulla da spiegare. Seguiremo le vostre tracce; prima finiamo il lavoro, prima torniamo nel nostro mondo e possiamo tornarcene a dormire.
– Ehi aspettate voi due. Cosa vorreste dire con “armi”? È un ladro, non un assassino e per di più non è nemmeno dove dovrebbe essere. Dove diamine ce l’avete la moralità voi due? Non tollero armi. – Il Dottore pareva coerente su questo fatto.
– Non è un essere umano, è un mostro.
– Ho visto di peggio. E anche voi.
– Quei cosi possono essere più pericolosi di quanto credi. Sarebbe uno sbaglio lasciarli liberi. – Sbottò Dean.
– Voi non avete mai trovato alcuni di quelli che chiamate mostri disposti a non esserlo? Non avete mai incontrato persone che non volevano essere ciò che erano? Che erano state obbligate a diventare ciò che erano? Contro la loro volontà o per il volere del destino?
Quelle parole li riguardava da vicino, più di quanto il Dottore potesse pensare. Loro per primi non avrebbero voluto fare quella vita, ma erano stati costretti. Oltre a questo, non avevano forse incontrato, nei loro anni da cacciatori, diverse persone che non avevano colpa di ciò che gli era accaduto? Come potevano fare finta di nulla davanti a questo?
– Ha scelto lui di infrangere la legge. – si oppose Dean, meno determinato di prima.
– Qui non c’è più la pena di morte dal 1998. Non potete decidere voi il destino di una vita, come non può decidere nessun altro. Lo troviamo, ci difendiamo se necessario, arriviamo a un accordo o lo catturiamo. Una morte deve essere un fatto accidentale, non voluto. Questo vale anche per voi. – aggiunse, rivolto a Sherlock e John.
– Sono pulito, io indago sui crimini, non vengo indagato per averli commessi.
– Ma se tu…
– Zitto Dean! – urlò Sam, mettendo una mano sulla bocca del fratello – non è detto che sia già successo, probabilmente non sa nemmeno chi è. Sarebbero notizie anticipate, con conseguenze disastrose per loro. Guarda l’anulare di John – aggiunse, sottovoce per non farsi sentire – secondo Doyle si sposa appena dopo il secondo libro pubblicato, ora non ha nemmeno l’ombra di una fede nuziale. Non puoi spoilerargli l’esistenza di Moriarty, anche se potrebbe ucciderlo.
Il Dottore annuì silenziosamente, mentre Sherlock fremeva per avere informazioni, benché sapesse che non poteva e che non le avrebbe chieste.
· · ·
Le tracce li avevano condotti fino ad un appartamento a Lincoln Road che si affacciava a Bush Hill Park. Ci avevano messo poche ore a trovare il posto e pareva che nemmeno il Dottore riuscisse a seguire i meccanismi logici che utilizzava Sherlock Holmes nelle sue ricerche. A parte ammonire Dean di tanto in tanto, girava con il seguito da una parte all’altra di Londra senza fornire spiegazioni, finchè non arrivarono a Lincoln Road.
– È quella finestra.
– Come ci sei arrivato?
– Osservando quello che tu hai guardato.
– Non farci caso, è sempre così. – rispose John, in tono di scusa.
– Allora, come agiamo?
– Non ha superpoteri, si può immobilizzare senza problemi. L’unica cosa è che se dovesse attaccare, dovete usare questi. – disse Sam, tirando fuori dei coltelli d’argento.
– Dove li hai presi questi? – chiese John.
– Quando siamo entrati in quello strano negozio con l’insegna… blu? Non è facile trovare oggetti in argento. Ah già. Perché siamo entrati in quel negozio?
– Per farvi prendere quei coltelli. ­– rispose Sherlock.
– E tu come…
– Shh, qualcuno ha acceso la luce. Come facciamo ad essere sicuri che sia lui?
– Illuminandogli la faccia o riprendendola con un telefonino. Se gli occhi riflettono e diventano bianchi, allora è il nostro uomo.
– Allora andiamo.
 
L’aria era fresca ed era già calato il sole da alcune ore quando Dean si arrampicò, con l’aiuto di Sam, fino al primo piano con il cacciavite sonico del Dottore in mano. Aveva assicurato che sarebbe stato più sicuro che riprenderlo in faccia. Riuscì ad aggrapparsi alle inferriate e, facendo tutte le smorfie possibili, allungò un braccio verso la finestra aperta, schiacciando il bottone per far attivare il cacciavite, con la caratteristica luce verde. Scendendo, perse poi la presa e ripiombò sull’asfalto, con un sonoro tonfo. Porse il tanto amato cacciavite sonico al Dottore, mentre si rialzava dolorante, zoppicando per qualche passo.
Il Dottore esaminò i dati raccolti, guardando la luce verde con attenzione, per poi rimettersi in tasca l’oggetto e battere le mani, con un ampio sorriso.
– È il nostro uomo. Donna. Non lo so. Ora tocca a voi. Difendetevi, non attaccate e buona fortuna.
– Tu non vieni?
– No. Devo preparare il Tardis per un altro viaggio. Lei se la prende se la uso come un oggetto e voi non volete rimanere qua troppo. – disse, aggiustandosi il farfallino.
– Lei?
– Shh. È una lei, ma shh. Vai a fare il tuo lavoro.
– Sembra Johnny Depp quando si muove così. – disse Dean mentre il Dottore se ne tornava indietro, non dopo aver ripetuto a tutti di pensare prima di agire. – Ce l’avete qua un Johnny Depp? Capitan Jack Sparrow?
– Fa parte di un’antica canzone, credo. – rispose Sherlock.
– Oh. Mai visto sotto questo punto di vista. Beh, ora dobbiamo andare. Avete tutti i coltelli? Bene. Andiamo a caccia.
 
Dean e John salirono le scale, Sherlock, il più veloce, restò in strada pronto a rincorrere il mutaforma se fosse riuscito a scappare. Sam seguiva il fratello a debita distanza. Avevano una sola occasione o avrebbero rischiato di perdere le tracce, non potevano sprecarla.
Nel buio, Dean faceva gesti per ripetere a John cosa fare che, nonostante qualche piccola difficoltà, riuscì ugualmente a capire e rispondere, nel più totale silenzio.
Si avvicinarono alla porta dell’appartamento. Silenziosi.
Dean, pistola nei jeans e coltello in mano, guardò John, che annuì. Contò con le dita, lentamente.
Uno.
Due.
Tre.
Un colpo secco ruppe la serratura della porta in legno con un gran frastuono, John entrò per primo e diede l’ok a Dean. Era eccitato da quella situazione, lui che passava gran parte del tempo nell’appartamento di Baker Street a scrivere o leggere.
Perlustrarono le stanze più vicine, nulla. Intanto, Sam si era avvicinato alla porta, attendendo ancora per entrare.
– Qua! – La voce di Dean.
Quando John e Sam arrivarono, Dean stava ancora cercando di immobilizzare la figura che continuava a dimenarsi con tanta foga. John si avvicinò in modo professionale, puntandogli la pistola alla tempia.
– Pallottole d’argento. O stai fermo o ti faccio star fermo io. – Mentiva, ma le sue parole erano fredde e nette. All’improvviso, la quiete. Sam aiutò il fratello a legare il mutaforma e John fece cenno a Sherlock dalla finestra.
Quando la situazione si fu calmata un po’, accesero la luce.
Dei lunghi capelli castano chiaro e due occhi grandi e verdi fecero sobbalzare Sam e Dean, che si allontanarono dal mutaforma, quasi inorriditi.
Bela?! 



Ed ecco anche il quarto capitolo, ahimè corto e con uno spaventoso abisso temporale dal terzo. Sorry.
Mi sento cattiva a finirli così, anche se non è certo una delle storie più avvincenti e che ti tengono attaccate allo schermo...
Spero comunque che continui a piacere, anche a solo una persona. :)
Al prossimo capitolo, che ormai si avvicina alla conclusione.
Bye

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Capitolo 5
*** It is a killer ***


SuperWhoLock – Three worlds, one meeting
Part five,
It is a killer

 
Com’era possibile? Bela era morta. Un cerbero l’aveva uccisa, proprio quando i fratelli Winchester cercavano disperatamente un modo per salvare Dean dalla stessa fine. Poi, come un flash, si ricordarono che non erano a casa. Il TARDIS, il Dottore, Londra, Sherlock Holmes. Bela poteva ancora essere viva, perché in quella realtà non c’erano i cerberi, non c’era Crowley o Lucifero.
Però quella che avevano di fronte non poteva essere Bela, perché era il mutaforma e il mutaforma prende le sembianze di qualcuno che ha visto. Sperarono che l’avesse vista in una foto, in un’altra città o chissà dove, ma non che l’avesse uccisa per prenderne il posto, come purtroppo era già successo in passato. Bela sarà stata anche una ladra e una persona egoista e meschina, ma nessuno poteva meritarsi davvero un cerbero sguinzagliato direttamente dall’Inferno e un’anima dannata per l’eternità; Dean in particolare sapeva cosa voleva dire.
Sherlock entrò nella stanza e, senza esitare, ammanettò la ragazza, lanciando un’occhiata agli altri tre, che erano rimasti con le mani in mano. Sam e Dean si guardarono e Dean fece per parlare, ma fu preceduto dal mutaforma.
– I fratelli Winchester. Mi credete se dico che sono – si osservò il corpo – sbalordita? Siete in gamba. Nemmeno qua uno può sgarrare. Ora cosa mi farete? Mi infilerete un coltello del set buono nel cuore, vi volterete e tornerete a casa?
– No. Ma devi tornare con noi. – disse Sam.
Il mutaforma sembrava colpito; aveva sempre sentito parlare dei Winchester, di quello che avevano fatto in giro per gli States. Qualche volta aveva anche preso le loro sembianze, ma non si era mai azzardato a fare quegli stupidi colpi come qualche suo simile aveva fatto.
– È ancora viva? La ragazza di cui hai le sembianze. Bela Talbot. – Quella collana. Dean aveva notato quella collana floreale di diamanti. L’aveva già vista da qualche parte.
– Non è fantastico? Mi ritrovo a Londra, una Londra che non avevo mai visto – a proposito, questa me la spiegate poi – e mi ritrovo davanti Bela! Siete stati visti insieme qualche volta, sapevo che la conoscevate. Diciamo che l’ho scelta come ricordo di casa. Ne sentivo la mancanza…
– È ancora viva?
– No.
Un flashback. Quel modo di parlare, di muovere la bocca e il collo. I capelli mossi raccolti dietro con due ciuffi lasciati liberi davanti. La collana. Ecco dove l’aveva già vista; al ballo. Quello per riprendere la mano del marinaio, del fantasma. Quando Bela aveva rubato quella mano per rivenderla. Dean provò rabbia. Ripensò a quando l’avevano salvata, quando stava per affogare. Il fantasma colpiva solo chi aveva ucciso un famigliare. Lei aveva ucciso i suoi genitori, fatto un patto con un demone. Nonostante tutto, provava compassione per Bela. L’Inferno non era un bel posto.
Rabbia. Questa volta non per Bela; per il mutaforma. Aveva capito solo dopo qualche secondo che aveva detto no. Prese quella ragazza tanto somigliante a Bela per le spalle, alzandola quasi di peso, stringendo le mani sempre più forte. Aveva detto no. Magari in quel mondo, Bela era contenta, felice, onesta. Forse la possibilità che aveva sprecato da loro, in quella Londra l’aveva presa al volo, vivendo una vera vita. Forse era innocente. Forse.
– Perché?
– Perché cosa? – le spalle le dolevano, ma continuava con la sua faccia tosta.
– Perché l’hai uccisa? Cosa ti aveva fatto?
– Assolutamente nulla. Te l’ho detto, era uguale a Bela. L’ho seguita un po’ tra l’altro. Volevo sapere se era come lei fino in fondo invece pensa un po’! Era la perfetta ragazza di campagna che si era trovata un lavoro onesto in città. Frequentava bei posti, vedeva amici… Stavo per andare ad una festa con la sua migliore amica. Volete venire anche voi?
Dean prese il coltello dalla tasca posteriore. Spinse il mutaforma contro al muro con un braccio e alzò l’altro che brandiva l’arma; voleva farle male. Non ucciderla, sarebbe stato troppo generoso.
Sam intercettò il movimento, prendendo il polso tremante del fratello.
– Dean, dobbiamo portarla da noi. Ricorda che qua siamo solo ospiti. – Lo sguardo di Sam rispecchiava quello del fratello; anche lui era arrabbiato, ma riusciva a mantenere la calma. Lui pensava al dopo. Il mutaforma non sarebbe stato rimesso a piede libero, non dopo aver ucciso qualcuno. Solo che potevano farlo solo nel loro territorio. Dovevano solo aspettare.
Sherlock osservò attentamente la scena e capì cosa avevano in mente.
– L’omicidio è un reato anche da voi, ma non posso certo aiutare Lestrade a prendervi nel vostro mondo, quindi sappiate che sono con voi. Il mio schieramento dalla parte della giustizia è totale, ma l’antica legge del taglione non mi è mai davvero dispiaciuta. Se uno comincia qualcosa, deve aspettarsi delle conseguenze. È venuto qua e ha dettato legge, facendo finire molte persone in carcere per nulla. Per loro non possiamo fare niente, come spiegare che i mostri esistono? – A quella parola, pronunciata con un tono amaro da Sherlock, il mutaforma si irrigidì. Non voleva essere chiamata mostro, tantomeno mischiata con altri, come i vampiri, quei succhiasangue. – Però finchè nessuno muore è una cosa. Quando scappa il morto… Non dirò nulla al Dottore, ma voi non siate ovvi nel mostrare il vostro comportamento.
– Mi associo – disse John.
La ragazza parve disorientata poi spaventata ma, si disse, in fondo dove aspettarselo. Che differenza c’era dal tentare la sorte prendendo le sembianze dei Winchester per svaligiare banche e uccidere al fare la stessa cosa con altre persone? Se non fosse stato per loro, l’avrebbero mai presa? L’avrebbero mai colta in flagrante? Forse no, in effetti. Doveva aspettarselo? Beh, non se lo aspettava. Il terrore prese il posto dello spavento. Cominciò a urlare e tiare calci a Dean, il più vicino. Non aveva pensato che potevano ucciderla sul serio; era un gioco.
Dean, colto alla sprovvista, fu colpito al linguine e indietreggiò tamponando il tavolino di legno adiacente al muro; fece cadere alcune foto. Le persone nelle foto erano sconosciuti. Una donna dalla carnagione olivastra, capelli e occhi scuri. L’uomo, più pallido e secco, portava un paio di occhiali da vista e presentava un principio di calvizie. Tutte le foto li ritraevano insieme, in una erano al mare, un’altra era stata scattata con un cellulare o una macchina fotografica tenuta in mano dalla donna; mentre si baciavano bagnati fradici. Ne era rimasta una in piedi, quella del loro matrimonio. Erano sposati. Perché non abitavano più in quella casa? Cosa ne era stato di loro?
Sam prese da dietro il mutaforma, bloccandogli i movimenti del busto. Sherlock tirò fuori dello scotch dalla tasca del cappotto e, con qualche difficoltà, gli legò le braccia, in modo che Sam potesse lasciare la presa. Lasciò le manette. John tentava di tener ferme le gambe e, con l’aiuto di Dean, riuscirono a tenerle abbastanza strette da permettere a Sherlock di svolgere lo stesso lavoro. La ragazza continuava a strillare, con quella dannatissima voce uguale a quella di Bela. Dean andò in camera da letto, dove nell’oscurità erano tenute altre foto, e strappò un lembo del lenzuolo azzurro. Imbavagliò il mutaforma, che cercò disperatamente di morderlo. Finalmente non si sentiva più la sua voce.
– Come lo portiamo fuori? – disse Sam quando tutti ebbero ripreso fiato e la ragazza si fu calmata un po’.
– Chiamo il Dottore. – disse John prendendo il cellulare.
– Il Dottore ha un cellulare? – Sam pareva stupito.
– Viaggia in una cabina che ha anche il telefono, furbo. A proposito Sherlock, cosa ci facevi con dello scotch in tasca?– Dean si era in parte calmato. Non sentire quella voce lo aiutava. Non pensare che Bela fosse morta due volte anche.
– Non funziona. Ha un cellulare e prima che possiate farmi domande stupide sì, prende dappertutto ed è tecnologia aliena quindi no, non posso studiarla. Lo scotch è utile, l’ho usato di recente e me lo sono scordato in tasca. – Era incredibile come Sherlock fosse sempre così freddo e preciso. Amava il sarcasmo, era evidente, ma anche quando gli aveva dato il suo sostegno nel coprire i loro piani, la voce rimaneva distante. Solo con John parlava come una persona normale, ma neanche sempre.

 · · ·

Arrivò prima il rumore, meccanico ma contemporaneamente vivo. Sam e Dean lo sentirono da fuori per la prima volta. Era bellissimo, caratteristico e irriproducibile. Gli arrivò alle orecchie come un canto dal ritmo ondulatorio. Poi, piano piano, il TARDIS cominciò ad apparire; subito etereo, poi sempre più palpabile e nitido, fino ad essere una cabina della polizia inglese anni ’60 nel bel mezzo di un salotto a Lincoln Road. Stava male tra tutti i mobili in legno e il divano a fiori.
Dalla cabina, uscì il Dottore sorridente.
– Allora? Com’è andata?
Gli fecero vedere il mutaforma legato e opportunamente imbavagliato, che continuava a supplicare con gli occhi di essere lasciato andare. Lo sguardo del Dottore si intenerì e gli si avvicinò, inginocchiandosi vicino al corpo della ragazza.
– Era necessario legarla? – chiese, mentre sguainava il cacciavite sonico dal taschino.
– Sì. – rispose Sherlock prontamente – E anche imbavagliarla. Non toglierglielo.
Il Dottore guardò tutti e quattro, poi tornò ad analizzare il mutaforma che continuava ad agitarsi come un bruco che viene schiacciato. – Nessun ferito. Bel lavoro.
– Senti Gandalf – iniziò Dean – ora che abbiamo disinfestato la Terra di Mezzo possiamo tornarcene a casa? Non so se ricordi, ma ci hai interrotto in piena notte e abbiamo girato con voi un giorno intero.
– Avete ragione. Io intanto ho convinto il TARDIS a far entrare tutti, anche se non le piacete. Specialmente lei.
­– Come faremo con l’identità di Bela?
– Finirà sotto forma di cartella su una scrivania, poi probabilmente in un archivio. La metteranno sulla lista delle persone scomparse e difficilmente il corpo verrà ritrovato. Sarà una dei tanti…
Non c’era bisogno di spiegare al Dottore che la ragazza di cui aveva preso le sembianze era morta. Ignorava però che i fratelli la conoscessero e che gli dispiaceva davvero di averla persa, ancora, senza conoscerla in quella “versione”. Tante cose poteva accettare, davvero un’infinità, ma che qualcuno uccidesse qualcun altro no. Non c’era bisogno della violenza gratuita, in nessuna parte dell’Universo.
Fece salire tutti nel TARDIS e, destreggiandosi tra le luci azzurre provenienti da sotto la console, tirò leve e premette tasti che solo lui conosceva. Sam e Dean si guardarono intorno questa volta, scorgendo quattro scale, due che andavano in basso, sotto ai loro piedi, e due che portavano in alto finendo davanti ad un’apertura semplice che portava chissà dove. Dean passò di fianco alla poltrona che assomigliava a quelle presenti sulle imbarcazioni, rivestita di pelle, e salì la scala. Fu fermato da Sherlock, che lo avvertì riguardo al fatto che il TARDIS era infinito. Perso lì, fai fatica a ritrovare la strada giusta che porta alla giusta console. Dean tornò subito indietro.
Uscirono dall’astronave per entrare nel salotto di Baker Street. Si sentiva la signora Hudson al piano inferiore che armeggiava con qualcosa.
Sherlock sprofondò subito nella sua poltrona, lasciando a John il compito di salutare educatamente i Winchester, mentre chiamò il Dottore a sé.
– Quell’essere ha detto di aver ucciso l’ultima donna di cui ha preso le sembianze. Loro la conoscevano, Dottore. Il biondo si è arrabbiato molto e anche l’altro benché non l’abbia dato a vedere, forse ci tenevano.
– Perché me lo dici?
– Per informarti di tutto. Ci vediamo allora, Dottore. Grazie per l’aiuto. Non avete rifiutato, anche se non vi trovavate nel vostro mondo; ve ne devo dare merito. – Sam e Dean rimasero a bocca aperta. La freddezza di quell’uomo era stata marcatissima per tutto il giorno e, giusto nel momento in cui li doveva salutare, aveva tirato fuori dei modi più che affabili. Gentili, quasi ammirabili. Con un sorrisetto forzato che non lo sembrava. Del resto, era Sherlock Holmes.
Il Dottore e i fratelli rientrarono nel TARDIS, dov’era rimasto il mutaforma legato. Ormai aveva smesso di muoversi. Forse si era stancata, pensò Sam.
Ora dovevano attraversare un mondo, per entrare in uno parallelo adiacente, il loro. Si prepararono, reggendosi alla ringhiera in metallo lucido che girava tutt’intorno alla console e veniva interrotto solo dalle scale e dalla rampa per uscire. Ci furono parecchi sussulti e la ragazza rotolò avanti e indietro, perché né Sam né Dean l’avevano tenuta e il Dottore era troppo impegnato per occuparsene o anche solo per accorgersene. Poi, quando cominciavano a trovare l’equilibrio, tutto cessò e il Dottore alzò le braccia, alzando i pollici di entrambe le mani verso i fratelli. Atterrati.
Uscirono e si ritrovarono nel parcheggio del motel, con qualche auto parcheggiata e la loro inseparabile Impala.
Presero il mutaforma e lo portarono di peso in camera, mentre la luna che nel giro di un paio di giorni sarebbe diventata piena illuminava di una luce argentea le loro figure. Era il momento degli addii. Non che gli dispiacesse, del resto avevano fatto i mercenari per una notte ed erano stati praticamente rapiti.
– Vi devo un favore. Troverò il modo di sdebitarmi, ve lo prometto. Trattatela bene. – Disse il Dottore, prima di richiudere la porta della cabina che illuminata dalla luna pareva ancora più mistica dietro di sé e sparire, con quel suono metallico ma vivo, senza salutare veramente. Sam e Dean non sapevano che non gli piacessero gli addii. E poi non era un addio, aveva un’ultima cosa da fare, per sdebitarsi con i Winchester.

 


Quinta parte! Questa volta ho cercato di scriverla rispettando il commento dei primi due capitoli. Spero di non aver toppato XD
Non è finita, ci sarà anche quello che penso sarà l'ultimo capitolo, salvo cambiamenti in via di realizzazione.
Per altri commenti, sempre aperta e grazie se siete arrivati fin qua :)
Al sesto capitolo!

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Capitolo 6
*** Sherlock's plan ***


SuperWhoLock – Three worlds, one meeting
Part six,
Sherlock's plan
 
Sentì un fruscio alle sue spalle, una presenza che prima non aveva notato. Si girò brandendo il cacciavite sonico, con lo sguardo incerto.
– Chi c’è? Sono armato!
– Di un cacciavite sonico? – La voce, calda e profonda, gli era più che famigliare. Dalla scala sbucò l’uomo da cui proveniva, Sherlock Holmes. C’era qualcosa di diverso però. Indossava una camicia bianca, mentre il Dottore avrebbe giurato che indossasse qualcos’altro prima.
Scese le scale lentamente, aggiustandosi i polsini della camicia e, all’ultimo gradino, il colletto.
– Fa caldo qui, Dottore.
– Chi sei tu? – gli girò attorno, cercando di cogliere i particolari che solo Sherlock sembrava notare; azionò poi il cacciavite, osservando attentamente i dati che solo lui riusciva a decifrare nella luce verde brillante. – Oh. Un anno più vecchio.
– Già. Non sei facile da trovare, però io non mollo l’osso facilmente. Voglio sapere com’è finita.
– Deve ancora finire. Come hai fatto a salire?
– Mi sei venuto a prendere tu. 23 Novembre, comunque. Cinque e un quarto del mattino, Baker Street. Grazie del passaggio. Allora, andiamo? So già dove trovarla.
Il Dottore sorrise, dando le spalle a Sherlock e precipitandosi alla console, dove cominciò a schiacciare pulsanti e a tirare leve come suo solito, andando da una parte all’altra. Si chiese se Sherlock non la sapesse pilotare; non se ne sarebbe stupito più di tanto. Beh forse un pochino sì.
– Baker Street, 3 settembre, nove in punto. Non sbagliarti, non voglio creare un paradosso in casa mia.
Il Dottore digitò coordinate e ora poi, chiedendo a Sherlock di tenergli premuto un bottone, continuò a girare intorno alla console, mentre al centro di essa il cilindro luminoso continuava ad andare su e giù, come nei primi motori a scoppio inventati dall’uomo; solo milioni di volte più complesso e potente.
Atterrarono ancora una volta in casa di Sherlock, dove John li stava aspettando con l’aria impaziente.
– Cosa sta succedendo? Tu, Sherlock, te la fili mollandomela addormentata in camera mia senza darmi spiegazioni, poi torni con il Dottore che abbiamo lasciato solo una settimana fa. Tutto a posto, se mi spiegassi qualcosa. – Non doveva avergli detto proprio nulla, perché raramente John si alterava così tanto. Il viso di Sherlock si addolcì un po’.
– Ho rintracciato Bela Talbot e il Dottore per far sì che i Winchester non siano sulla nostra lista di persone a cui dobbiamo favori. Ah, John… scusa per Clarice.
– Chi?
– Poi capirai. – John non sospettava nulla. Nulla del piano intricato che Sherlock aveva progettato. Sherlock non aveva mai creduto alle parole del mutaforma. Se si prestava un po’ d’attenzione, si poteva notare che il linguaggio del corpo lo tradiva in modo irreversibile. Bella scoperta sapere che anche in un mondo parallelo ci si muoveva e ci si tradiva nello stesso modo.
Ci aveva messo un paio di giorni per trovare la vera Bela, rinchiusa e legata in una stanza d’albergo pagata anticipatamente per tre settimane. Alla sua irruzione nella camera, l’aveva trovata spaventata, disidratata e affamata. Gli raccontò che un uomo sulla trentina, non troppo alto e con i capelli chiari – che collegò subito all’ultima persona sbattuta in carcere ingiustamente – l’aveva sorpresa in casa e rapita. Il racconto diventò macabro e grottesco quando, tra le lacrime, gli disse che aveva assunto la sua forma. I capelli, gli occhi verdi, il viso, il corpo… tutto. Sotto i suoi occhi, l’uomo si era letteralmente trasformato, costringendola a guardare.
Sherlock si prese cura di lei di nascosto per qualche giorno, in modo che si calmasse e avesse il tempo spiegare il suo piano. Il mutaforma aveva rubato anche sotto le sue sembianze, ma peggio ancora aveva ucciso. Era venuto fuori sui giornali la mattina dopo la loro incursione con i Winchester. La “festa” a cui stava andando prima che la sorprendessero, avrebbe probabilmente avuto lo stesso esito. Bela Talbot era ricercata da Scotland Yard per omicidio e nemmeno Sherlock Holmes poteva trovare prove per scagionarla.
Per cinque giorni, Sherlock la andò a trovare, portandole da mangiare e qualcosa con cui vestirsi da casa sua. Si mostrò estremamente cordiale per i suoi standard. Forse per quegli occhi. Assomigliavano molto agli occhi di Irene…
John era all’oscuro di tutto, non gli serviva il suo aiuto per portare da mangiare a una ragazza. Quando si ristabilì completamente, Bela aveva ormai piena fiducia in Sherlock, tanto da accettare il suo piano. Le spiegò cos’era successo la notte di una settimana prima, da dove veniva il mutaforma e dei Winchester, che l’avevano portata via, da loro. Chi era lei per quei due fratelli americani e quanto, sebbene non lo dessero a vedere, tenevano a lei. Accettò quindi la proposta di Sherlock di seguire il Dottore e scappare dal mondo che ormai la definiva solamente un’assassina.
Di mattina presto l’aveva condotta nell’appartamento di Baker Street, svegliando John e ordinandogli di fare la guardia a Bela. Sarebbe tornato dopo poche ore.
Si mise invece a girovagare per Londra. Aveva tempo, non prese taxi; girò tra strade e parchi, arrivando fino al porto e cogliendo l’occasione per fare qualche veloce indagine su un paio di casi da risolvere. Andò anche da Mycroft, indaffaratissimo a riposarsi nel suo silenzioso club privato. Era divertente infastidirlo, di tanto in tanto. Tornò a casa verso mezzogiorno, intento a riferire tutto a John.
Solo un anno dopo, il 23 Novembre, trovò il Dottore che lo stava aspettando all’angolo tra Baker Street e Melcombe Street. Si nascose nel TARDIS e un abile trucchetto del Dottore riuscì a farlo tornare alla notte di quattordici mesi prima, dove si nascose in attesa che i Winchester sgombrassero il campo. Era molto appagante sfruttare così bene una macchina del tempo. Era un ciclo continuo nello spazio tempo, ma nulla rispetto alla vita del Dottore, che lo faceva di continuo.
 
Andò in camera di John, dalla quale uscì tenendo in braccio Bela Talbot.
– L’ho anestetizzata. Non volevo vedesse il TARDIS; sa già abbastanza da non spaventarsi una volta arrivata. – passò il tavolino ed entrò nel TARDIS, atterrato tra le due poltrone in mezzo al salotto. La signora Hudson non sarebbe stata contenta di sapere che una navicella spaziale era atterrata sul suo tappeto.
Sherlock appoggiò Bela sul sedile in pelle beige e la legò con la cintura, poi salì a bordo anche il dottore, lasciando il povero John senza risposte. Dopo più di un anno di attesa, il suo piano poteva finalmente giungere a una conclusione.
– Perché – chiese il Dottore interrompendo i suoi pensieri – mi hai fatto venire quattordici mesi dopo? Non bastava un mese?
– Me la sono presa comoda. Non sapevo se sarei riuscito a trovarla a Londra o se avrebbe accettato il mio aiuto. Del resto, solo per me è passato un anno.
 
L’atterraggio, brusco a causa dell’ennesimo attraversamento da una dimensione all’altra, fu incredibilmente preciso: atterrarono di fianco all’Impala di Dean ferma nel parcheggio di un anonimo motel americano. Sherlock fece scricchiolare leggermente la rampa che portava alla porta del TARDIS, mentre aveva ancora in braccio Bela.
Il Dottore produsse un sordo “toc toc” sulla porta contraddistinta da una targhetta argentata che presentava il numero 221. Gli aprì Sam con il coltello di Ruby in mano, che poi cacciò subito in tasca quando riconobbe il Dottore. Erano passati tre giorni da quando li aveva lasciati e intanto si erano presi qualche giorno libero per riposarsi; non si aspettavano però una loro visita. Con loro c’era anche Castiel, a cui Dean stava raccontando animatamente la vicenda accaduta. Tutti si fermarono quando videro entrare i due e Dean sbarrò gli occhi quando il suo sguardo cadde su Bela.
Sherlock la adagiò sul letto libero, sopra le coperte verde petrolio. A passo svelto, uscì dalla stanza tornando nel TARDIS e lasciando al Dottore i saluti.
– Ehm… È Bela, era viva ma accusata di omicidio, l’abbiamo portata qui perché non potevamo protegggerla. Sa tutto di voi ed è una brava ragazza, trattatela bene. – Imbarazzato, uscì dalla stanza, lasciandoli attorno alla ragazza. Aveva notato Castiel, ma non sapeva che era lui l’angelo. Scese velocemente i gradini che lo separavano dall’asfalto del parcheggio, mentre Sam, uscito precipitosamente dalla porta, gli urlò un “grazie”. Non voleva sapere cos’avevano fatto del mutaforma, ma in fondo erano bravi ragazzi, pronti a proteggersi l’un l’altro come raramente aveva visto fare.
Entrò nel TARDIS, pronto a riportare Sherlock a casa. Poi avrebbe fatto una scappatina da Amy e Rory; era un po’ che non li andava a trovare.
Mentre il TARDIS ripartiva, scomparendo poco per volta, Sam, Dean e Cas erano in cerchio attorno al letto mentre Bela riacquistava conoscenza, sorpresa ma non spaventata dalla nuova vita che gli si apriva davanti.
 


Ed eccoci alla fine. Spero che la storia sia piaciuta e che non sia stata scontata :)
Ringrazio tutti coloro che sono arrivati fin qui e spero che leggiate altri racconti, quando avrò il tempo di scriverli...
Alla prossima!

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