Anni difficili

di pozzanghera
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un giorno qualunque ***
Capitolo 2: *** Tu non lo sai ***
Capitolo 3: *** Misery ***
Capitolo 4: *** Angelo della nebbia ***
Capitolo 5: *** Love Today ***
Capitolo 6: *** Sulla mia strada ***
Capitolo 7: *** Come musica ***
Capitolo 8: *** Natale senza regali ***
Capitolo 9: *** Il mare d'inverno ***
Capitolo 10: *** Solamente un incubo ***
Capitolo 11: *** I migliori anni della nostra vita ***
Capitolo 12: *** Alla mia età ***
Capitolo 13: *** Per la vita che verrà ***
Capitolo 14: *** I'm with you ***
Capitolo 15: *** Cade la pioggia ***
Capitolo 16: *** Piccola stella senza cielo ***
Capitolo 17: *** Crazy little thing called love ***
Capitolo 18: *** Yesterdays ***
Capitolo 19: *** Make you feel my love ***
Capitolo 20: *** Ecco che ***
Capitolo 21: *** Siamo soli nell’immenso vuoto che c’è ***
Capitolo 22: *** La voce del silenzio ***
Capitolo 23: *** Notte prima degli esami ***
Capitolo 24: *** You will never know ***



Capitolo 1
*** Un giorno qualunque ***


Si sciacquò il viso per la terza volta, “sei invincibile” disse alla figura riflessa nello specchio. Uscì dal bagno, prese lo zaino e scappò verso la fermata dell’autobus dove quattro ragazzi assonnati erano in attesa. Li salutò e si mise dietro di loro, vicino al recinto di una casa. Cercava di non farsi sopraffare dall’ansia, ma tutte le volte che c’era un compito in classe si sentiva lo stomaco chiuso, le gambe instabili quasi avessero voluto scappare via e non riusciva a tenere ferme le mani. Era sempre stato così, non era una grande studiosa, era il tipo da “signora, sua figlia è intelligente ma non si applica”, aveva sempre dato il minimo cercando di ottenere il massimo. Salì sull’autobus e per l’ennesima mattina, dovette stare in piedi. Ma la cosa che più le disgustava di quei viaggi in autobus erano due compagni di classe che facevano i cretini infondo. Fingeva sempre di non conoscerli, le venivano naturali le facce schifate ad ogni loro battuta scema o risata sguaiata, li odiava. Si chiedeva costantemente cosa diamine vivessero a fare certi soggetti, poi pensando a sé si rendeva conto che neanche la sua vita aveva gran senso e si sentiva sopraffatta da un senso di angoscia. Quando le porte si aprirono, fu trascinata fuori da qualche decina di studenti, una volta sul marciapiede si guardò attorno in cerca di vie di fuga. “Andiamo?” le chiese un ragazzo brufoloso, ma Andrea non lo ascoltava. Lei voleva scappare. Ma quei cinquecento metri le sue gambe li conoscevano bene, e anche oggi l’avrebbero condotta lì.
La prima ora sembrava non passare mai, la professoressa di matematica interrogava e parlava, parlava, poi correggeva qualcosa che un alunno aveva scritto alla lavagna e continuava a parlare. “Possibile che alle interrogazioni parli solo lei?” sussurrò al ragazzo brufoloso al suo fianco. Lui alzò le spalle e continuò a disegnare. Quando la campanella suonò Andrea si sentì quasi svenire: il professore d’italiano doveva aspettare fuori la porta perché entrò prima che la collega uscisse.
“Ci siamo” disse Elena voltandosi, ma Andrea sembrava in trance e la ragazza le punzecchiò la mano con la matita. Andrea scattò sulla sedia e tutta la classe scoppiò in una risata: l’ansia a quanto pare aveva contagiato solo lei. “Girati che il tenente ti manda fuori” disse con un tono finto arrabbiato.
“Avete due ore e vediamo di essere puntuali stavolta. Prendete due fogli e le penne, voglio solo quelli sul banco, se vedo cellulari li porto dal preside”. Prese un gesso e scrisse in un corsivo appena comprensibile sulla lavagna: L’amore.
I ragazzi fissavano la lavagna, vedendo il professore voltarsi nuovamente verso di loro lo guardarono perplessi. Nessuno aveva scritto quella parola, che titolo poteva mai essere?
“Vogliamo cominciare? Due ore passano in fretta” disse con quel tono antipatico che gli era valso il titolo di stronzo dell’epoca.
“Professore mi scusi, ma è tutto qui?” chiese Elena non sapendo bene come l’avrebbe presa, a volte sembrava uscito da un manicomio!
“Si.” Fece una pausa, si alzò e si mise davanti la cattedra guardano i giovani davanti a lui: “avete studiato,no? Fino a prova contraria avete un cuore, siete capaci di amare. Vi siete fatti un’idea dell’argomento. Qualcuno di voi scrive poesie d’amore nei gabinetti della scuola!” Tutti scoppiarono a ridere ma il professore era serissimo “ora cominciate”.
Che palle! pensò Andrea, strinse la penna tra le dita come se questo potesse aiutarla. Sembrava un compitino di quelli che assegnano ai bambini delle elementari. E lei le elementari le aveva già concluse da un pezzo, cosa doveva scriverci? Che la mamma e il babbo si amano, che vorrebbe anche lei un amore così o…. si mise all’opera, e scrisse d’impulso tutto ciò che le venne in mente. Alla fine fu soddisfatta, tanto quel compitino lo avrebbe letto solo il prof. Fece sparire la brutta, l’avrebbe conservata, magari ci avrebbe riso su prima o poi.

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Capitolo 2
*** Tu non lo sai ***


Con lo sguardo basso, guardava il foglio che teneva tra le mani: era decisamente il momento più imbarazzante della sua vita. Non riusciva ancora a credere a cosa era accaduto nei minuti precedenti: il professore d’italiano che consegna i compiti, dice che ci sono due compiti da otto e la invita (costringe) ad andare alla cattedra a leggere davanti alla classe il suo tema.
Andrea si schiarì la voce, chi non si schiarisce la voce quando è nervoso? Poi prese a leggere, con la voce stranamente bassa e tremolante, era la prima volta che leggeva qualcosa davanti tutta la classe.

Cos’è l’amore? Se alle elementari mi avessero chiesto una cosa del genere, non avrei avuto dubbi: l’amore è quello che prova il mio babbo per la mia mamma e la mia mamma per il mio babbo, ma anche quello che entrambi provano per me. Se mi ponessero ora la stessa domanda, non sarei capace di dare una risposta. Da bambini è tutto più semplice, si guarda la vita con tutta l’ingenuità di questo mondo. Ho quasi diciotto anni e non so cosa sia l’amore. Due compagni di classe dicono che l’amore è condividere un progetto comune, una vita comune, ma è davvero tutto qui? Un progetto, come se si trattasse di un’impresa! Poi c’è la vita insieme fatta di litigi, incomprensioni, ci si lascia e si dice che finisce l’amore. Ma allora cos’è l’amore? Dicono sia un sentimento. Anche l’odio lo è, anche la paura lo è. Forse il problema sta nella difficoltà a definire qualcosa di così astratto, così invisibile eppure così forte. Il nodo allo stomaco, gli occhi che brillano, le palpitazioni del cuore, la testa tra le nuvole, sono solo alcuni sintomi di questa “malattia” che colpisce il corpo e la mente. Sì perché l’amore visto da fuori è una malattia.

Sollevò lo sguardo verso la ragazza al secondo banco, la sua voce aveva quasi smesso di tremare. Lei non lo avrebbe mai capito a chi era dedicato quel tema, anche se ad Andrea forse non sarebbe dispiaciuto. Si schiarì di nuovo la voce prima di riprendere.

E come tutte le malattie, di troppo amore si può morire, ma anche di poco amore. In un rapporto perfetto deve esserci il giusto amore, o almeno dovrebbe, ma esiste il rapporto perfetto? Nella vita ho capito una cosa: niente è perfetto, eppure vedendo l’amore tra due persone a volte l’unica cosa che siamo capaci di dire è che sono fatti l’uno per l’altra. Sono perfetti. Si completano a vicenda. L’amore allora lo definirei come quella forza che spinge due persone ad aiutarsi a vicenda, due che altrimenti sarebbero soli e in quanto tali, fragili. L’amore non è solo il voler bene a qualcuno, è qualcosa di infinito, è quella forza che ci spinge a dare la vita per qualcuno. Non importa se questo qualcuno è il nostro fidanzato, il nostro amante, nostro figlio, nostro fratello, nostra madre, il nostro migliore amico o la nostra patria. Per ricordare Giacomo Leopardi “chi più si ama meno può amare” perché l’amore è tutto fuorché l’egoismo. In conclusione l’amore non è qualcosa di definibile, non può stare negli schemi, è qualcosa che non ha confini. C’è una frase di una canzone di Ligabue che dice: l’amore conta, conosci un altro modo per fregar la morte?

“Puoi andare a posto” disse mentre Andrea si allontanava a testa bassa con il viso rosso dalla vergogna. Aveva letto un tema così delicato e intimo davanti a tutta la classe, non poteva crederci, proprio lei che in italiano aveva il cinque politico!
“Mi piace di questo tema il percorso che intraprende: cerca di definire l’amore ma non ci riesce, ammette che non è possibile. Tutti voi avete dato un significato, ma non vi ho chiesto una definizione. Quello che volevo erano delle riflessioni, un percorso!” disse il professore gesticolando con quelle sue odiose manine grassocce. Poi si tolse gli occhiali e invitò un altro alunno a leggere.
Non sapevo fossi una scrittrice, mi hai commosso ;)
Era il bigliettino di Elena, uno dei tanti che mandava al banco alle sue spalle allungando la mano fingendo di stiracchiarsi. Andrea lo nascose nel borsellino, non era in vena di risposte benché ogni minima attenzione di Elena la mandava in estasi.

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Capitolo 3
*** Misery ***


Salì le scale di casa a due a due, non vedeva l’ora di comunicare il voto del compito, era troppo entusiasta. E pensare che bastava così poco a cambiarle la giornata: il giusto messaggio di primo mattino, un cornetto con crema a colazione, un bel voto inaspettato o….i soliti litigi tra i genitori. Le urla le sentiva da fuori. Quando entrò nessuno dei due se ne accorse, era come un fantasma in casa sua, nella sua stessa vita. Posò la borsa sul divano e andò in cucina: in quell’istante i due litiganti si ammutolirono. Alle volte sembravano due bambini capricciosi che vedendo l’adulto, smettono di litigare. Peccato che gli adulti avrebbero dovuto essere loro! Andrea si mise a mangiare sola, come sempre, mentre il padre si sistemava davanti la tv e la madre andava a risistemare qualcosa dopo il solito com’è andata a scuola. Sola, in un pianeta popolato, in una casa abitata ma sola. Mangiò nel più breve tempo possibile, poi andò in camera sua. L’ultima cosa che avrebbe fatto in quel momento era studiare, così accese il computer, mise le cuffie alle orecchie e aprì un enorme pacco di patatine. Volarono via le ore senza che se ne accorgesse. Le sue giornate erano tutte così. I suoi genitori litigavano tutti i giorni o quasi sempre per le solite ragioni economiche, lei si era viveva in un mondo tutto suo e loro non sembravano accorgersene. Se la cavava a scuola, non dava segni di particolari problemi, non fumava, non beveva, non usciva mai di sera insomma era una ragazza normale, o almeno così credevano loro. Aveva sempre rigato dritto, le poche discussioni erano per motivi futili, questo faceva supporre che andava tutto bene, non importava se lei non parlava mai con loro. Il dovere, solo il dovere e alla sua età il dovere era andare a scuola e studiare punto.
Lei stava male, si sentiva terribilmente sola anche se davanti ai coetanei si fingeva sorridente e soprattutto ironica, non si era mai confidata con nessuno e a dire il vero non c’era nessuno con cui lo avrebbe fatto. Non aveva amici, a parte il suo compagno di banco Michele ed Elena. Ma Elena non era proprio un’amica, era qualcosa di più, ultimamente poi fantasticava spesso su di lei e di sicuro non si hanno certe fantasie sulle amiche. Elena era….beh, era qualcosa che non riusciva a definire. Michele invece lo conosceva dal primo giorno delle scuole elementari, era praticamente un fratello per lei. Non era molto affascinante, ma era premuroso, gentile e le faceva anche delle piccole sorprese. Poi c’erano due ragazze che aveva conosciuto su internet, con le quali chattava tutti i giorni, le reputava delle amiche anche se abitavano lontano e non le aveva mai viste dal vivo. Le aveva conosciute in una chatroom per lesbiche, entrambe lo erano. Quanto a lei….non si era mai posta il problema di definirsi lesbica piuttosto che etero, si era sempre creduta etero prima di capire che provava qualcosa per Elena. Non si era mai immaginata in una famiglia tradizionale con un marito e dei figli, non aveva mai fantasticato di come sarebbe stato percorrere la navata in abito bianco con un principe azzurro in attesa però avere un maschio vicino era quello che si aspettava accadesse. Quasi per caso era entrata in quella chatroom, tra maschi che si fingevano ragazze e ragazzine coi denti da latte che si atteggiavano a donne mature che le davano consigli e parlavano senza inibizioni della loro sessualità. Per qualche motivo che non sapeva, si sentiva a suo agio davanti quel monitor a chiacchierare con gente che non conosceva, anche se forse la conoscevano meglio di chi la incrociava tutti i giorni.
6 pronta per l’interrogazione di diritto?
Fu un messaggio di Michele a riportarla ai suoi doveri da brava figlia: dopo un pomeriggio a perdere tempo era giunta l’ora di fare qualcosa.

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Capitolo 4
*** Angelo della nebbia ***


Ci sono giorni in cui vorresti scomparire, giorni in cui per quanto possa essere circondato da persone che ti vogliono bene, ti senta solo. Era uno di quei pomeriggi di novembre ed Andrea con una scusa era uscita di casa dopo aver mangiato frettolosamente. Non faceva molto freddo, il sole tiepido era confortante, ma c’era vento, troppo vento. Se ne stava seduta su uno scoglio a riva, sicché era impossibile arrivare alla punta della scogliera come faceva di solito perché le onde infrangendosi sugli scogli sollevavano troppa acqua. Lei se ne stava lì a disegnare, come faceva sempre. Dalla sua matita veniva sempre fuori un viso dolce, aggraziato, con gli occhi piccoli, il naso pronunciato, le labbra sottili ed i capelli lunghi. Non disegnava mai le spalle, solo il volto e quei capelli lunghi e mossi che non finivano: il foglio era sempre troppo corto. Una volta che ebbe finito, sollevò gli occhi verso il mare…chissà perché ogni schizzo che faceva somigliava ad Elena.
Tra gli scogli qualcosa attirò la sua attenzione, forse un indumento abbandonato o forse no? Si alzò in piedi e vide che c’era qualcosa che si muoveva, non era proprio un indumento, era piuttosto….un cane?
Cercando di non scivolare passò di roccia in roccia fino a raggiungere quel punto a metà della scogliera. Sì, era un cane, un piccolo meticcio nero. I suoi occhi marroni tradivano la sua paura. Cercò di prenderlo ma lui si irrigidì, era terrorizzato.
“Tranquillo, non voglio farti del male” sussurrò come se il cane potesse capirla. Ma i loro sguardi stavano comunicando, lui diventò meno rigido e si lasciò prendere.
E ora? Pensò che sarebbe stato impossibile raggiungere la riva con quel cane in braccio. Si aprì la giacca e lo infilò dentro, e lentamente tornò a riva scivolando senza cadere due o tre volte. Si sedette dove la sabbia era asciutta e lo vide. Era davvero carino, quando gli accarezzava la testolina pelosa lui chiudeva gli occhi e faceva tanta tenerezza.
Aveva sempre desiderato un cane e quel meticcio nero era spuntato nella sua vita per caso, o forse era il destino e se era destino, avrebbe fatto di tutto per mantenerlo. Prese la borsa e tornò a casa, il cagnolino sembrava trovarsi a suo agio nella giacca, emanava un  bel calduccio. A casa come al solito non c’era nessuno, prese una ciotola con dell’acqua e della carne in scatola, il suo amico a quattro zampe aveva senza dubbio fame. Lui intanto annusava dappertutto e Andrea lo guardava divertita, era spaesato ma stava prendendo confidenza. Dopo la perlustrazione si sedette a terra accanto a lei, avevano entrambi addosso lo stesso odore di salsedine  e questa cosa fece ridere Andrea come non accadeva da tempo.
Quando tornò la madre con la spesa, loro stavano giocando con una palla da tennis e per poco la donna non inciampò trovandolo ai suoi piedi mentre la annusava.
“Lui è Robbie” disse Andrea mentre lo riprendeva in braccio.
“È di un tuo amico?”
“No, è mio”
“A si? E da quando?”
“L’ho trovato oggi pomeriggio alla scogliera”
“Ma non dovevi andare da nonsochì a studiare?”
“Si, ma dopo sono andata  a fare una passeggiata….” bugie, sempre bugie, e la madre sembrava crederle sempre.
“Non possiamo tenerlo”
“Perché?”
“Non posso occuparmene, ho già l’attività che mi riempie la giornata” rispose brusca la madre.
Andrea abbassò lo sguardo sul cagnolino, lui sembrava essere immune dalla cattiveria degli umani.
“Posso farlo io” a quel punto dovette farle pena perché la madre stranamente acconsentì, finchè non si trova il padrone o un’altra sistemazione e DEVE dormire in giardino fu l’accordo ma andava bene così, in quel momento quei due occhietti sembravano averle illuminato la vita.

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Capitolo 5
*** Love Today ***


Le giornate trascorrevano lente, e il Natale era ormai alle porte. Ogni giorno che passava, Andrea si legava sempre di più all’ultimo arrivato in casa: lo portava a passeggio prima di andare a scuola, dopo pranzo e anche dopo cena. Condividevano tutto: la colazione al mattino, il gelato il pomeriggio, e a volte anche il letto perché Andrea non ce la faceva a vederlo tutto solo in giardino mentre tentava di prendere calore su un vecchio maglione di suo padre. Quasi tutti i pomeriggi andavano in spiaggia e Andrea giocava con lui, non se ne stava più a riva a disegnare, anzi da quando c’era lui non lo faceva quasi più. Finalmente aveva qualcuno con cui parlare, con cui confidarsi che certamente non l’avrebbe giudicata. Lui la guardava fisso negli occhi e sembrava capire tutto quello che lei diceva, quegli occhi le arrivavano diritti al cuore. A lui non importava se aveva un paio di jeans troppo larghi, se le piacevano le ragazze o se non aveva l’ultimo cellulare uscito, se spesso si sentiva a disagio con i bipedi o se odiava ballare, a lui sembrava solo importasse il suo sorriso. Sì, da quando c’era Robbie, Andrea era sempre di buonumore perché se anche litigava con qualcuno, se era nervosa, se aveva preso un brutto voto a scuola allora lui riusciva sempre a riportarle quella luce negli occhi che in pochi erano riusciti a vedere.
Le vacanze di Natale sono belle per tanti motivi ma Andrea ne aveva due tutti suoi: poteva stare tutto il giorno con Robbie ed Elena le inviava almeno 50 sms al giorno. Che gran bella cosa le promozioni natalizie delle compagnie telefoniche! Quei messaggi la facevano sentire importante, ogni volta che sentiva il cellulare vibrare le sembrava di essere la persona più felice del mondo. Ridevano e scherzavano come non facevano mai a scuola poiché Andrea stava sempre sulle sue, quanto a vedersi fuori, abitavano troppo distante per uscire insieme. Le sarebbe piaciuto prenderle un regalo, andare da lei la mattina di Natale e vedere la sua faccia mentre lo apriva, ma quei 35 km non sapeva come distruggerli: i mezzi pubblici per arrivare da lei erano rari, i suoi lavoravano sempre, avrebbe potuto chiedere un passaggio in motorino a Michele e poi….se anche ci fosse andata, cosa le avrebbe detto? Si sarebbe sentita troppo in imbarazzo e poi l’avrebbe sicuramente disturbata. Elena non era come lei, era una ragazza solare, con tanti amici, una vita normale, una famiglia affettuosa….cosa aveva a che fare lei con tutto questo? Ora però c’era il piccolo meticcio nero, e gli dava tutto il suo amore perché lui era il suo unico vero amico.
Ma Elena restava l’argomento preferito di cui parlare,Elena, sempre Elena. Se Robbie avesse potuto parlare le avrebbe detto di confessarle tutto, che questo rimpianto le avrebbe sempre e solo causato dolore. Ma anche in quel caso, Andrea non lo avrebbe fatto, sapeva di essere solo un’amica per lei e anche se non le bastava, non poteva farci nulla.
Ogni tanto aveva la testa tra le nuvole, persa in tutto quello che avrebbe voluto, ma non poteva fare. Lanciò il bastone lontano come sempre e Robbie corse a prenderlo, sentì la tasca vibrare, si fermò a leggere
Tu starai pure col tuo amore, ma è sempre un cane
Sarà pure un cane, ma è + dolce di te torna pure a sculettare dai tuoi amici

Sempre a stuzzicarsi stavano! Alzò lo sguardo ma Robbie non tornava. Fu invasa da una paura che non conosceva. Prese a correre col cuore in gola, non poteva essere lontano….

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Capitolo 6
*** Sulla mia strada ***


Fece appena pochi passi, quando lo rivide finalmente che giocava con una ragazza. A quel punto il suo cuore si fermò ed ebbe ancora più paura. Se fosse la sua padrona? si disse mentre li guardava impietrita. Prese a camminare verso di loro con le gambe che la reggevano appena.
“Ciao” disse alla ragazza.
“Ciao, è tuo?” rispose lei sorridente.
“Si, ti ha importunata?”
“Stava per aggredirmi” rispose con tono quasi convinto.
“Si, devo dire che è proprio un cane aggressivo, pensa che la notte mi scalda i piedi!”
Lei scoppiò a ridere e Andrea ne fu felice, due cose amava nelle donne: il sorriso ed il sedere.
“Sara” le disse mentre allungava la mano.
“Piacere, Andrea….e lui è Robbie”
Sara prese da terra il bastone che Andrea aveva lanciato poco prima al cane e lo tirò lontano. Quattro zampe corsero nella direzione del bastone.
“Non sei di qui, vero?”
“No.”
“Ti ha tradita il tuo accento…ti va una passeggiata o preferisci Dracula?” chiese Andrea indicando il libro ai suoi piedi.
“No, va bene. Ormai è quasi buio e si legge male” raccolse il libro, la coperta su cui era seduta e gli occhiali e si incamminarono.
Sara sembrava un po’ a disagio, probabilmente la sabbia sotto i piedi cominciava ad entrarle nelle scarpe e la sensazione doveva essere spacevole.
“Il tuo cane è carino, quanti anni ha?”
“Beh…..l’ho adottato da circa un mese, ma il veterinario dice che ha sette o forse otto anni” stranamente si sentiva in imbarazzo. Non amava le domande, dagli sconosciuti poi….
“Io sono arrivata, abito lì” disse Sara indicando una villetta al di là della spiaggia.
“Vieni spesso qui?”
“L’estate e poi a volte a Natale e qualche weekend”
“Ho capito….beh, ciao”
“Ci vediamo domani?”
“Si….va bene”
“Alle quattro qui?”
“Ok” rispose leggermente imbarazzata Andrea, mentre rimetteva il guinzaglio a Robbie.
Era un appuntamento? Forse, o forse no. Non era una cosa importante, non era una sua amica non era….non era un appuntamento, allora cos’era?
Tornando a casa prese il cellulare, le erano arrivati due messaggi:
ci vado subito, qnt 6 asociale ti odio spero che ti sbranino i lupi
6 ancora viva?skerzavo, non prenderla male
Sorrise e si infilò il telefono in tasca, Elena poteva attendere ancora e magari sentirsi anche un po’ in colpa per quelle offese che certo non si risparmiava.
Per circa un’ora non era rimasta a fissare il display in attesa di un messaggio, forse cominciava a fare progressi.
Guardò Robbie, da quando c'era lui era davvero cambiato tutto...

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Capitolo 7
*** Come musica ***


Se c’è una cosa che accomuna tutte le donne, è senza dubbio l’indecisione sull’abbigliamento da indossare in qualunque occasione. Andrea non era mai stata il tipo di ragazza che perde le ore a prepararsi, non le piaceva fare shopping né tantomeno indossare vestiti eleganti. Quel giorno non sapeva se optare per un abbigliamento casual o per uno un po’ più importante, non aveva ben capito se il suo era un appuntamento e non sapeva cosa aspettarsi. Decise di chiedere consiglio ad Alessia, una ragazza che sentiva in chat
Ciao...ho un quasi appuntamento con una tipa che ho conosciuto ieri, cosa metto? Sono nel pallone XD
Che vuol dire che hai un quasi appuntamento???
Mi ha chiesto di vederci……ieri l’ho incontrata per caso
Che razza di appuntamento è?
Non è un appuntamento -.-
Metti qualcosa di non troppo impegnativo….ma che fai tradisci ELENA?
Tradire? Io???? Mai ;-D

Decise di seguire il consiglio, lei non era molto pratica di appuntamenti e roba simile, ma voleva sentirsi a suo agio, avrebbe indossato un paio di jeans, una t-shirt nera, un paio di all stars e una felpa gialla. Si preparò in fretta, come al solito, poi guardandosi allo specchio chiese al cagnolino sdraiato sul suo letto se stesse bene,ma il cane sembrava non fregarsene. Si guardò ancora una volta, gli mise una bandana rossa e uscirono. Aveva un’ansia addosso che le sembrava di soffocare, eppure non era nulla di importante, solo una passeggiata sulla spiaggia.
Arrivò in anticipo, quella maledetta ansia la spingeva sempre ad arrivare agli appuntamenti troppo presto, per poi essere obbligata ad aspettare e accumulare altra ansia. Almeno guardare il mare la rilassava un po’. Sara arrivò poco dopo e sembrava terribilmente a suo agio, più si avvicinava e più Andrea si sentiva un manico di scopa.
“Ciao” le disse avvicinandosi e dandole tre baci, due sulla guancia destra, uno sulla sinistra.
Addirittura tre? pensò Andrea sforzandosi di fare un sorriso. Era decisamente a disagio.
“Non lo liberi?”
“Come? Ah, si, subito” tolse il guinzaglio al suo amico a quattro zampe e lo vide correre via, si voltò verso la ragazza. “Sei in anticipo”
“Beh, anche tu”
“Ti va di ….” chiese indicando il bagnasciuga davanti a loro.
Andrea accennò con il capo e cominciarono a camminare e chiacchierare. Da quel momento in poi l’ansia svanì a poco a poco e si lasciò andare. Ad un certo punto Sara quasi inciampò e finì su Andrea che premurosamente la aiutò non cadere. Avevano qualcosa in comune: erano parecchio distratte quando chiacchieravano, era come se tutto intorno a loro non esistesse. Come se fossero le parole a creare il loro mondo. Scoprirono di avere diverse cose in comune, di pensarla allo stesso modo su diverse cose e Andrea dovette ricredersi sui figli di papà, non sono tutti snob e con la puzza sotto il naso come aveva creduto fino a quel momento.
“Magari domani ci vediamo prima”
“Perché?”
“Ti stai morendo di freddo” rispose Sara scaldando il braccio di Andrea
“Avrei dovuto prendere la giacca”
“Direi di si”
“Robbie!” disse in tono di rimprovero verso il cane.
“Che c’è?”
“Ha perso la bandana….era il tuo regalo di Natale, furbetto!”
“Dai, lascialo stare che è un cane!....allora a domani?”
“Aspetta, no!”
“Perché?” quel rifiuto le sembrò così assurdo.
“Domani è la vigilia, si prepara il cenone”
Il mattino seguente le arrivò un sms da Sara, aveva urgenza di vederla così corse da lei. Non aveva molto tempo poiché la madre diventava paranoica i giorni di festa e la costringeva a rivedere tutte le decorazioni quindici volte,ad aiutarla a preparare le portate di un pranzo che nessuno avrebbe gustato e a sistemare camera perché non si sa mai, gli ospiti potevano vedere il suo disordine e rimanerne scandalizzati.
Sara la aspettava il spiaggia, sempre al solito punto. Aveva ritrovato la bandana persa da Robbie e voleva ridargliela il prima possibile, il cagnolino non poteva certo passare il Natale senza il suo regalo!

Andrea ne fu molto felice, la ringraziò, la abbracciò e scappò via, prima che la pazza si accorgesse che era uscita dalla finestra.
Era già arrivato Natale, un nuovo anno era alle porte e sarebbe stato l’anno in cui Andrea sarebbe diventata maggiorenne. Aveva così tanti progetti….

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Capitolo 8
*** Natale senza regali ***


Il giorno  di Natale fu esattamente come tutti i Natali che Andrea ricordasse: messa al mattino, giro tra i conoscenti per gli auguri, poi pranzo a casa degli zii dove rimasero fino a tardi a giocare a tombola. La cosa che odiava immensamente di questi pranzi e delle riunioni in famiglia erano le domande a bruciapelo di quella vecchia acida di sua zia, capaci di mettere in imbarazzo chiunque. Per fortuna Alberto, il suo cugino maggiore sapeva come risponderle indignando troppo spesso i presenti, ma a mali estremi….estremi rimedi. Si sentiva molto fortunata a non doverli frequentare, un po’ per la distanza un po’ perché in fondo, tra loro non c’era molto attaccamento, troppi litigi in passato avevano corroso i loro rapporti. Ma la famiglia è la famiglia e nel bene e nel male resta qualcosa in cui rifugiarsi, questo aveva capito nella vita anche se la loro ipocrisia a volte non riusciva a digerirla. Si alzava ad ogni portata e con la scusa di aiutare in cucina o di andare in bagno, messaggiava con Elena. Quando avrebbe voluto essere abbracciata a lei in un lettone, sole con il loro amore....
Finito lunghissimo pranzo se ne andò sul vecchio dondolo sul retro, ricordava ancora tutte le volte che il nonno in estate le leggeva le favole finché prendeva sonno. Da dentro provenivano le urla di chi, avendo bevuto troppo, leggeva un numero per un altro.
“Con chi messaggi?” le chiese spuntando all’improvviso alle sue spalle.
“Mi hai fatto prendere un colpo”
“Scusami eh!” si accese una sigaretta e proseguì “ti sei fidanzata e non mi dici niente? È tutto il giorno che stai col telefono in mano”
“Guarda che è solo un’amica” disse inspiegabilmente imbarazzata
“E per scrivere a un’amica ti nascondi qui? Fa freddo ed è quasi buio”
“Anche tu sei qui fuori….i tuoi ancora non sanno che fumi?”
“Diciamo che i genitori non vogliono proprio vedere….”
“Già…”
Avevano entrambi lo sguardo perso verso la siepe e pensavano a quanto avrebbero preferito essere altrove. Andrea poggiò la testa sulla spalla di Alberto, il suo respiro la faceva sentire al sicuro, quanto avrebbe voluto un fratello maggiore che la proteggesse e la consigliasse…
“Sei mai stato innamorato?”
“Io amo la mia ragazza…”poi fece una breve pausa, non sapeva se dirlo o meno “te lo dico prima di tutti, ho intenzione di chiederle di sposarmi”
“Davvero?” lo guardò. Lui annuì. Gli era spuntato un sorriso sul volto che gli aveva illuminato gli occhi. Sembrava sereno e felice.
Sentirono delle urla dall’interno, la situazione iniziava a degenerare, tanto per cambiare. Vecchi rancori e un po’ di vino della riserva di famiglia portavano sempre allo stesso risultato: litigi inutili tra uomini che le donne avrebbero tentato di contenere.
“Promettimi solo che non avrai una famiglia così matta”
“Dicono che sia genetico”
Scoppiarono a ridere, infondo non era così male il clima familiare, ci erano abituati.
Si fece riaccompagnare a casa, tutta quella confusione, tutta quella gente la facevano sentire ancora più sola. Nell’auto suo cugino provò a farle confessare la misteriosa persona con cui messaggiava ma Andrea continuava a dire che era un’amica e Alberto finse di crederci. La verità è che un cuore innamorato batte più degli altri e quando si toccava un certo argomento, Andrea arrossiva in un evidente imbarazzo e tendeva a cambiare discorso.
Questo lo sapeva bene Alberto che la conosceva da sempre, ma aveva rispetto per lei e se non voleva parlarne c’era un motivo, ma di lui si poteva fidare e poteva farlo in qualunque momento. Ma la verità è Andrea non si fidava di nessuno e quello che provava per Elena era qualcosa di ingiustificato, di sbagliato, qualcosa che sarebbe passato con il tempo o almeno così si diceva. Non ne avrebbe parlato con nessuno. Mai.
Nel giardino c’era il suo amore a quattro zampe che le fece una gran festa, quasi come non la vedesse da giorni. Entrò in casa e si sdraiò accanto a Robbie sul divano. Era così stanca che prese sonno subito, ma dopo meno di un’ora fu il cellulare a svegliarla.
Domani ci vediamo? Mi annoio terribilmente uffa :(
Era Sara, fu sorpresa da quel messaggio, non era abituata ad una presenza così costante nella sua vita, una persona che conosceva da quando? Quattro giorni?
Ma era carina, avevano diverse cose in comune e le piaceva la sua compagnia, le rispose e accese la tv.

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Capitolo 9
*** Il mare d'inverno ***


Il mattino seguente si mise a studiare, da quando era in vacanza non aveva ancora aperto libro e aveva un mare di compiti da svolgere, pagine e pagine da studiare….
Dormito bene?
Ed eccolo qui, il messaggio di prima mattina di Elena. Decise di non rispondere sforzandosi di concentrarsi sui suoi doveri. Ma dopo dieci minuti la tentazione fu più forte della sua forza di volontà.
Sisi, da qnd nn mi tocca vederti la mattina dormo benissimo
Ma qnt 6 simpa??? Domani vengo in città,mi fai compagnia?

Panico. Ok, ok respira e rispondi.
Ho di meglio da fare
Tipo?coltivare i funghi?
Tu vedo che mi capisci :-)

Era sempre così, Elena le proponeva di uscire o di studiare insieme ma lei rifiutava anche se era la cosa che più avrebbe voluto al mondo. Aveva paura. Aveva paura di non riuscire a trattenersi cosa che già a scuola faceva molto male e l’ansia, quella maledetta ansia non avrebbe saputo gestirla ne era certa.
Il pomeriggio andò in spiaggia, aveva appuntamento con Sara, ormai le sembrava quasi normale uscire con lei, le sue ansie sembravano superate. Guardò il cielo, si era chiuso, sarebbe venuto a piovere? Sperava tanto di no, non aveva neanche la giacca col cappuccio!
“Ciao” ma prima che potesse risponderle, la ragazza le stava già baciando una guancia.
“Ciao…andiamo?”
“Mmmm che ne dici se passiamo a prenderci un gelato? Mi hanno detto che c’è una cornetteria qui vicino”
“Ma non fa un po’ freddo?”
“Eddai ne ho voglia” disse facendo gli occhi dolci.
“Ok,ok potrei mai dirti di no?” si avviarono verso la cornetteria che era a pochi passi dalla spiaggia. La verità è che Andrea amava mangiare il gelato in inverno, d’estate non lo mangiava mai perché le colava tutto addosso e si sentiva una bambina impacciata. Le sembrava strano il fatto che esistesse qualcuno con cui aveva tutte quelle cose in comune, amava perfino il gelato in inverno!
Il croissant era un locale piccolo e accogliente, ci profumava sempre di vaniglia e crema al cioccolato, aveva solo due tavolini all’interno e i giovani si accalcavano all’esterno. Tutta quella confusione non piaceva per niente ad Andrea e nemmeno a Sara, che dopo aver preso i gelati facendo a spintoni per arrivare al bancone, la trascinò in spiaggia. Si sedettero sulla sabbia umida mentre Robbie tentava di ottenere un po’ di gelato dalle due ragazze che lo allontanavano.
“Me ne fai assaggiare un po’?”
“Ma non se ne parla”
“Eddai….”di nuovo quei maledetti occhi dolci e Andrea cedette.
“Hai….aspetta” prese uno dei fazzoletti sotto al cono e le pulì la guancia. Lei la fissava. Le venne un’improvvisa voglia di assaggiare quelle labbra.
“Che c’è? Sono ancora sporca?”
“No….è che mi è venuta voglia di….” si morse il labbro inferiore e si schiarì la voce. Sara si avvicinò.
Lasciò cadere il resto del cono sulla sabbia mentre si abbandonava a quel bacio, il primo che dava ad una ragazza. Si lasciò trasportare da quelle labbra morbide e da quella lingua che sembrava essere tutt’uno con la sua.
Quel bacio dovette durare parecchio perché venne a piovere e loro erano lì, sotto l’acque che quasi non se ne erano accorte. Sara le mise una mano sul petto allontanandola dolcemente e le sussurrò qualcosa che lei non capì, ma si alzò e la seguì di corsa sotto la pioggia.
Corsero lungo la spiaggia, attraversarono la strada e poi un enorme giardino. Si ripararono sotto un gazebo in legno anche questo grandissimo. Avevano il fiatone, scoppiarono a ridere, cosa c’era di più buffo dell’essere sorpresi dalla pioggia in un momento in cui si è così fragili?
Sara la invitò ad entrare ed Andrea si sorprese dell’enorme spazio dentro quella villetta che si affacciava sulla spiaggia, si aspettava una casa delle vacanze, semplice e trascurata ma era tutt’altro. Era una casa curata nei minimi dettagli, aveva anche un caminetto e un garage. La camera di Sara era grande anche se un po’ fredda, senza foto né quadri appesi al muro ma con tanti libri sparsi qua e là. La fece sedere sul letto mentre andava a prendere qualcosa da bere. Nell’interminabile attesa Andrea si affacciò, le mancava l'aria lì dentro. Sembrava che il mare fosse sotto la finestra, appena al di là del prato. Vide Robbie tutto infreddolito sotto il gazebo, solo e bagnato. Si sentì terribilmente in colpa, uscì lo abbracciò e se ne tornarono a casa.

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Capitolo 10
*** Solamente un incubo ***


Sara ci rimase molto male quando tornando in camera non la trovò più e la evitò per diversi giorni aspettando che le mandasse almeno un messaggio. Andrea neppure se ne accorse della lontananza di lei, la sua vita tornò ad essere la stessa che era prima dell’incontro con Sara. Poi c’era stato quel bacio che la faceva sentire parecchio a disagio. Avrebbe dovuto respingerla anche se un po’ in fondo le era piaciuto.
Il pomeriggio dell’ultimo dell’anno Andrea era con il suo fedele amico al mercatino natalizio quando la incrociò. Il suo cuore prese a battere come non mai, le mani cominciavano a sudare, le accennò un impacciato sorriso e lei congedò i genitori per raggiungerla. Se ne andarono a chiacchierare sulla scogliera. I giorni di festa c’erano parecchie coppiette che si sbaciucchiavano e guardavo il mare abbracciati. Magari un giorno lo avrebbe fatto anche lei…
Si scusò per essersene andata, non sapeva cosa le aveva preso ma in quell’istante sentiva che quello non era il posto giusto. Sara finse di comprendere, infondo cos’erano loro due se non semplici conoscenti?
Andrea era una ragazza un po’ strana, fuori dal comune e forse le piaceva proprio perché era diversa da tutte le altre persone che conosceva, parlava poco e ascoltava molto, non l’aveva mai sentita giudicare nessuno, sembrava una persona comprensiva e evidentemente anche soggetta a colpi di testa. E poi…aveva uno sguardo attento, osservava tutto quello che la circondava, quasi come se volesse assorbirne l’essenza.
Riuscì a strapparle un altro appuntamento a casa sua sapendo bene che sarebbero state sole.
Andrea arrivò puntualissima, il ritardo era la cosa che più odiava al mondo, si era vestita in fretta ormai non le importava più di apparire trasandata. Le portò due bastoncini di zucchero bianchi e rossi , lei aprì la porta e vedendoli sorrise, non era ancora pronta e la invitò ad entrare. Lei si raccomandò con la sua guardia del corpo a quattro zampe di fare il bravo e si accomodò su un divano nel salotto mentre Sara decideva il maglioncino più adatto al pantalone che aveva scelto. Sembrava metterci un’eternità.
Finalmente arrivò, aveva completamente stravolto il suo abbigliamento, tanto che Andrea si chiese su chi dovesse far colpo con quella gonna così corta e quella maglia così scollata. Le propose di stare in casa a guardare un film ma era un pomeriggio di sole, era inutile starsene a casa quando si poteva prendere un po’ d’aria e quel poco di buono che l’inverno offre. A malincuore Sara accettò anche se odiava quei minuscoli granelli nelle scarpe e poi aveva i tacchi, che si rivelarono una pessima scelta. Pochi passi dopo Andrea si accorse della difficoltà della ragazza e la trascinò su una panchina nel patio di un lido deserto.
“Ma tu parli sempre così poco?”disse Sara per interrompere Andrea che continuava a giocare con Robbie.
“Mi hanno tolto il diritto alla parola parecchio tempo fa”
“Scema!”
Passarono qualche istante silenziose, poi Sara sapeva che toccava a lei il primo passo, si impose su Andrea sedendosi su di lei, le accarezzò le guance sentendole avvampare leggermente poi quando i loro sguardi si incorciarono prese a baciarla. Lei inizialmente di ghiaccio, si lasciò trascinare dal momento. Le passò le dita tra i capelli, poi le sue mani scesero lentamente fino al sedere. Prese ad accarezzarla delicatamente, una mano si infilò sotto la gonna e il suo corpo sembrava accendersi ma…erano in spiaggia. La ragione a quel punto prevalse, la allontanò nel modo più dolce possibile e la fece sedere nuovamente accanto a sé.
“Non capisco, non ti è piaciuto?”
Lei arrossì appena e annuì.
“E allora?” Sara le prese le mani continuando a guardarla. Lei aveva lo sguardo basso su Robbie.
“Si è fatto tardi, dobbiamo andare”
“Ma…” prima che potesse dire altro, Andrea stava già risalendo a passo spedito le scale verso il lungomare.
La seguì fino a casa sua, la invitò ad entrare ma lei non volle. Disse di avere da fare e sparì.
Un paio di giorni dopo Andrea si presentò di nuovo sotto casa sua con un dvd. Il padre aprì sospettoso, lei disse con fermezza di essere un’amica di Sara e di averci litigato. Sara assistette alla scena irreale e prima che il padre potesse fare altre domande, la salutò e la fece entrare. Andarono in camera sua a guardare una commedia natalizia con una tazza di cioccolata calda e una fetta di pandoro. Guardarono il film abbracciate strette strette sotto un plaid sul letto di Sara. Il telefono di Andrea di tanto in tanto vibrava, ma lo aveva rimasto sull’attaccapanni in salotto, nessuno lo sentì.
“Ma io ti piaccio?” chiese porgendole l’involucro del dvd.
Lei annui, poi incrociando quegli occhi verdi disse “si”.
Sara sorrise, le buttò le braccia al collo e la baciò, Andrea finì di peso sul letto e quel momento durò fin troppo poco. Il giorno dopo Sara sarebbe partita e non si sarebbero riviste presto, si promisero però che si sarebbero sentite.
Tornando a casa, aprì il suo cellulare trovò diversi messaggi di Elena, li lesse e sorrise. Era troppo felice in quel momento per rovinarlo.

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Capitolo 11
*** I migliori anni della nostra vita ***


Non volevo provare qualcosa per una ragazza, ho sempre pensato che non fosse normale, che fosse una cosa contro natura due uomini insieme, due donne insieme è una cosa disgustosa, da depravati. Ma forse non lo pensavo io, forse era solo quello che hanno voluto farmi credere. Ho sempre soffocato tutto quello che provavo, ma ora non credo che ne valga la pena...fingere di essere qualcun altro per cosa? Per fare un piacere agli altri? Io per Elena farei qualunque cosa, ma non come se fosse un’amica o una sorella, con lei farei davvero qualunque cosa, ma Elena è Elena e...non lo so, non credo che possano esserci altre che mi possano piacere così tanto. La vedo ogni giorno e riesce a piacermi ogni giorno di più...vorrei poterle dire che tutte le altre a confronto sono brutte, ma non perché siano brutte per davvero, è solo che lei è...in una parola, perfetta. Si, Elena sei perfetta. E sono due anni che io ti osservo,che io ti sogno, che vorrei addormentarmi accanto a te, vorrei svegliarmi col tuo profumo addosso, vorrei litigare mentre facciamo colazione, vorrei fare l’amore sotto la doccia, vorrei venire a scuola mano nella mano con te. Amo tutto di te, la smorfia che fai quando ti prendo in giro, il modo in cui gesticoli quando sei nervosa, amo il modo in cui sposti la ciocca dei tuoi capelli lunghi sul lato destro della fronte, amo le tue mani, le tue labbra, amo di te che riesci a farmi ridere, che mi fai venir voglia di litigare e di far pace, amo di te...non lo so perché ma amo anche le tue insicurezze...se solo potessi vederti come ti vedo io. Sei perfetta, non ti manca nulla. E poi c’è Sara, non so cosa possa avere una ragazza come lei da piacermi, forse è per non sentire più quel vuoto, forse mi dà tutte le attenzioni di cui ho bisogno...se fosse solo questo non sarebbe giusto. Io voglio Elena.

La sua mano scriveva velocemente durante l’ora di diritto, e lei fingendo di prendere appunti mentre guardava le spalle della ragazza seduta davanti era costretta a stare in una posizione parecchio scomoda per non far leggere al suo compagno di banco. Quel foglio sarebbe finito in un diario che nessuno mai avrebbe letto. La scrittura era uno sfogo, i suoi pensieri dovevano restare segreti. Con il tempo forse li avrebbe cancellati, le sarebbe piaciuto dagli fuoco come a dimostrare che appartenevano a qualcun altro o magari a un’altra vita, forse un giorno lo avrebbe fatto.
Rivolse lo sguardo alla finestra, peccato che fosse dalla parte opposta dell’aula, le sarebbe piaciuto osservare il viavai di persone due piani più sotto. Il suo cervello non riusciva a stare concentrato, poi c’era lei seduta lì avanti che lo rendeva impossibile.
“Domani sostituisco il prof di lettere, gioite, abbiamo due ore...per le interrogazioni”
Al suono della campanella, il professore riuscì appena a recitare la sua minaccia che tutti erano usciti a cambiare aria. Andrea non fumava e l’intervallo lo passava in corridoio a chiacchierare o a osservare le coppie che nascevano e morivano nel cortile della scuola.
“Oi, ma se domani non entriamo?” disse Michele, il suo compagno di banco addentando l’ennesima patatina.
“Me ne dai due?”
Il ragazzo le porse il pacchetto, “Allora? Dai, ci facciamo un giro...tanto nessuno entra”
“Tu dici che nessuno entra tutti i giorni”
“Ma perché tu sei preparata? Io no...”
“Nemmeno io”
“Allora non entriamo”
“Ok” rispose lei con un sorriso beffardo.
“Andrea, non fare come al solito che poi entri”
“Uffa!”
Non entrare a scuola uguale bighellonare per una mattinata intera con qualche compagno di classe, telefonare a qualcuno che entra per scoprire puntualmente che il prof di turno non ha interrogato. Tutto questo è stupido, vale la pena rischiare di essere sgamati dai propri genitori per non fare assolutamente nulla? Io dico di no.
Ma a lei infondo non importavano i voti, non le era mai piaciuto andare a scuola ma nonostante questo ci andava sempre, era un obbligo, solo questo.
Ci rinuncio a studiare diritto domani nn entro
Quando lesse il messaggio lei era comodamente sdraiata sul divano a guardare la tv con Robbie da un pezzo.
Elena è l’unica che ha studiato fino a quest’ora, ci scommetterei l’anima...e ora che fa? Dice che non entra? Ma va! Non ci credo nemmeno se la vedo con i miei occhi.
Il giorno seguente si alzò e seguì la solita routine: si alzò, si lavò la faccia, si cambiò, fece colazione, controllò se Robbie avesse acqua e croccantini, prese la borsa e uscì facendo attenzione che Robbie non la seguisse, ma come ogni mattina lui era sui suoi passi uscito chissà come.
Lo salutò e salì sul’autobus. Scese alla solita fermata dove l’aspettava Michele. Questi prendendola con forza per un braccio la riportò immediatamente sull’autobus.
“Raggiungiamo gli altri al capolinea”
“Che? Ma ti sei impazzito? Io non ci vengo” disse liberando il braccio dalla forte presa dell’amico.
“Appena vedi quanta gente siamo poi vedi come non ci ripensi”
Intanto l’autobus era ripartito e dopo qualche minuto scesero al capolinea, ad attenderli all’angolo in fondo al marciapiede proprio nel punto più buio di quella zonaccia, c’era più di metà della classe. Andrea restò sbalordita, possibile che avessero tutti paura delle finte minacce del prof di diritto? Erano sempre finte le sue minacce.
“Vabbè io torno a casa, non mi va di perdere tempo, me torno a dormire” disse Mario mentre rimetteva in moto il motorino.
“Noi pensavamo di approfittare della casa vuota per...”disse Samanta stringendosi al braccio del compagno di banco Antonio che aggiunse “...studiare” tutti risero.
“Beh, chi resta?” chiese Michele, ma tra chi tornava a casa e chi andava col fidanzato rimasero in cinque: lui, Andrea, Elena, Paolo e Martina.
“Che facciamo?” chiese Paolo riprendendo lo zaino da terra.
“Non lo so...”
“Io chiamo mamma e avviso” disse Elena allontanandosi dal gruppetto che la prendeva costantemente in giro per l’attaccamento morboso nei confronti della madre.
Andrea scoppiò a ridere “Certo che possiamo fare una rivoluzione”
Gli altri sorrisero, nessuno di loro era abituato a bigiare ma quella mattina di sole invernale ne valeva la pena. Fecero un breve programma: avrebbero preso il primo autobus extraurbano, sarebbero scesi in piazza e avrebbero raggiunto un’insenatura o un parco sul lungomare dove nessuno li avrebbe visti. Salirono su un autobus vuoto, Paolo vicino Elena e Andrea vicino Michele, Martina che era la più esperta in campo di marinature scolastiche restò in piedi a illustrare le diverse alternative che avevano una volta arrivati. Ad un certo punto si mise a fare la lap dance con un sedile e per poco non cadde quando il conducente frenò di scatto, scoppiarono tutti a ridere. Erano euforici, l’adrenalina faceva uno strano effetto.
Scesero in piazza e con loro immenso stupore c’era il mercato settimanale, il che aumentava la possibilità di essere visti da genitori-parenti-amici di genitori-o chiunque altro avrebbe fatto la spia. Attraversarono in fretta le bancarelle coprendosi con i cappucci diretti ad un parco per bambini dove si rilassarono per un po’prima di accorgersi di avere fame. Martina propose un alimentari che era poco distante, così lei e Paolo, che per tutta la mattina non aveva fatto altro che leccare i piedi ad Elena come sempre, raccolsero i soldi e si allontanarono con le ordinazioni.
“Fossero tutte così le mattine a scuola io ci andrei volentieri”
“Vabbè dai che ci divertiamo”
“Detto dalla supersecchiona!” rispose spintonandola.
“Possibile che voi due non facciate altro che litigare?”chiese Michele mentre si alzava.
“È lei che comincia!”
“Ah, io?”
“Finitela….piuttosto Elena che fai, gliela dai a Paoluccio tuo? Sono anni che ti sbava dietro”
“Michè ma ti sei impazzito?”
“Ha ragione, quello quando ti vede lascia la bava che manco le lumache…”
“Piuttosto mi faccio suora”
Andrea la guardò. Era bellissima, se solo avesse voluto avrebbe avuto tutti i ragazzi ai suoi piedi.
“E tu?” chiese il ragazzo ad Andrea.
“Io che?”
“Non hai nessuno sotto mano?”
Andrea alzò il medio e Michele le sorrise “penso che ogni giorno sia come una pesca miracolosa, e che è bello pescare sospesi su di una soffice nuvola rosa...”
“Io come un gentiluomo e tu, cooome una sposa, mentre fuori dalla finestra si alza in volo soltanto la polvere..c’è aria di tempesta”
“Sarà che noi due siamo di un altro lontanissimo pianeta, ma il mondo da qui sembra soltanto una botola segreta….”
Il ritornello lo intonarono tutti e tre contemporaneamente, gesticolando come per imitare Renato Zero, ma non la finirono, videro tornare Martina e Paolo e si fermarono. I due, che avevano preso una quantità di cibo esagerata fecero loro un grande applauso mentre si avvicinarono.
Seduti su un muretto spazzolarono via tutto e passarono il resto della mattina ridendo, scherzando e cantando. A mezzogiorno presero un autobus per tornare nuovamente al capolinea e poi a casa.
Michele era di nuovo vicino Andrea e chiacchieravano sotto voce quando una vecchietta di fronte a loro chiese se fossero andati a scuola, loro annuirono e sorrisero sotto sotto, lei disse che erano proprio una bella coppia e loro precisarono di essere solo amici. La nonnina non sembrava crederci, Michele arrossì.
Andrea rivolse lo sguardo fuori dal finestrino, era bella la vita lontano dai banchi di scuola. La paura di essere scoperti, la compagnia, i canti in un parchetto vuoto, il ritorno a casa fingendo di essere andati a scuola sono qualcosa di impagabile.

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Capitolo 12
*** Alla mia età ***


Ci sono dei gesti inaspettati che la vita o più semplicemente qualcuno ci regala, la cosa bella della vita è sorprendersi…
Era un sabato, ma non un sabato qualunque, era un giorno speciale per coloro che ci credono, ma Andrea era sempre stata piuttosto cinica. La verità è che nessuno mai aveva pensato a lei in un giorno così, nessuno mai le aveva donato un gesto. Si alzò come tutte le mattine e mentre faceva colazione, accese il cellulare per dare il buongiorno a quella che credeva fosse il suo raggio di sole.
Alle 9 in stazione e non darmi buca ke passiamo la giornata insieme…a dimenticavo buongiorno e buon valentino <3
Si stropicciò gli occhi, un altro giorno senza entrare a scuola? Si, si poteva fare. Prese la borsa con i libri che c’erano dentro tanto non le sarebbero serviti, chiuse Robbie in casa per non farsi seguire, aveva fretta e per la prima volta in vita sua corse alla fermata euforica.
Arrivò troppo presto, maledisse quasi la sua euforia. Mentre attraversava il parcheggio per entrare in stazione vide Elena con la sua amica Lavinia. Viaggiavano sempre insieme, vivevano vicine e avevano la stessa età ma Lavinia aveva scelto un altro indirizzo, così era in un’altra sezione. Andrea la conosceva poco e la riteneva troppo invadente per approfondire le conoscenze. Si abbassò tra due auto per non farsi sgamare ma non servì perché le due ragazze le passarono davanti.
“Ciao” le disse Elena
“Ciao” rispose rialzandosi fingendo di essersi allacciata le scarpe.
“Come mai da queste parti?”
Andrea sentì le parole bloccate in gola “beh, ho preso l’autobus fin qui”
“Allora andiamo?”
 “No ecco…oggi non entro” disse sentendosi impacciata.
Elena le rivolse uno sguardo sospettoso “mica starai scappando di casa?”
“No”
Ora il suo sguardo sembrava ancora più incuriosito. Le tirò un pugno sulla spalla e le vide allontanarsi. Il peggio era passato. Binario 4, 20 minuti di ritardo. Cominciamo bene! Pensò mentre andava a prendere due cornetti e un succo per fare colazione. Tornò a sedersi sulla panchina gelida e quei quaranta minuti di attesa le parvero l’infinità. Scesero pochissime persone e la riconobbe subito, con un cappottino marrone piuttosto elegante con in mano un piccolo trolley nero. Le venne un gran sorriso. Si abbracciarono, poi senza dire una parola Andrea prese il trolley e uscirono, fecero colazione su un muretto e presero un autobus che le portasse al mare. Fecero poca strada a piedi, e già erano dentro. Sara tirò su qualche avvolgibile del piano terra poi la condusse per mano in camera sua mentre Andrea trascinava il trolley su per le scale. Sara sorrideva, non aveva ancora detto una parola ma era bellissima, si era anche vestita bene.  La camera era buia e Andrea restò sulla porta mentre Sara sollevava appena l’avvolgibile, quel tanto che bastava per vedersi nella penombra.
“Non sapevo che saresti venuta” disse nell’ennesimo momento imbarazzante di quella giornata.
“Altrimenti?”
“Altrimenti avrei comprato dei baci….credo”
Sara aprì il trolley e tirò fuori il tubo di baci più grande che Andrea avesse visto.
“Tu puoi darmene quanti ne vuoi”  disse allungandole i cioccolatini.
“È strano averti qui”
“Perché?”
“Non lo so…” rispose poggiando i cioccolatini sul comodino.  Lasciò cadere la borsa a terra e la avvicinò a sé.
“Non ti piacciono le soprese?”
“No, non molto”
Lei sorrise. Si guardarono negli occhi per un lungo interminabile momento poi Sara si alzò sulle punte e la baciò. Le tolse con forza la giacca, Andrea era di pietra, faceva davvero freddo o forse no?
Chiuse gli occhi e prese a baciarla. Iniziò a spogliarla, infilò le mani sotto la maglietta e sentì la pelle calda sotto i suoi polpastrelli di ghiaccio che la facevano rabbrividire. Quando Sara si tolse la maglietta Andrea si bloccò di nuovo. Sara le baciava il collo dolcemente mentre cercava di tirar su la maglietta  ma Andrea la fermò bruscamente.
“No”
“Perché?”
“Non sono pronta”
“Non sei pronta?”
“No”
“Per cosa?”
“Lo sai” parlava meccanicamente, le era sfuggita la situazione di mano
“Sai, mi dai l’impressione di essere un’altra persona….dov’è la ragazza con cui messaggio?”
“Non farne un dramma, non sono pronta”
“Non ci credo, c’è dell’altro…dimmi la verità”
Andrea abbassò lo sguardo.
“Spiegami, per favore” disse quasi  con le lacrime agli occhi.
Andrea si reinfilò la felpa,  prese la sciarpa, la giacca e la borsa pronta ad andar via. Sara la trattenne per un braccio.
“È anche la mia prima volta, non ti devi vergognare”
Andrea si liberò dalla presa e corse via. Sara si sedette sul letto e sentì dei grossi lacrimoni rigarle il viso.
Cosa c’era che non andava? C’era solo una piccola, insignificante cosa, una persona nel suo cuore ma come poteva spiegarlo? Non avrebbe capito.  Non si sceglie chi amare, non si può imporre qualcuno diverso da colui che il nostro cuore desidera. E ora lo sapeva.
Vagò per qualche ora poi tornò a casa dal calore del suo Robbie. Le arrivò un messaggio che la fece sorridere. Era Elena, sempre lei.

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Capitolo 13
*** Per la vita che verrà ***


Ho aspettato questa giornata per tutta la vita. Ho immaginato migliaia di volte come sarebbe andata.
Un mazzo di fiori a darmi il buongiorno, una mega festa che avrei ricordato per sempre. Avrei voluto tanti invitati, tanta musica e tanto spumante, balli scatenati e tanto divertimento, io al centro dell’attenzione solo per un giorno… e invece quando è arrivato il momento non ho voluto nulla di tutto questo.
Certo, avrei potuto organizzarla una mega festa ma la gente mi reputa asociale, strana, anormale, che senso avrebbe avuto?
Così non li ho delusi e ho deciso di evitare tutti, solo per un giorno. Se un altro giorno non entro a scuola che male può farmi? Se un giorno me ne sto qui sulla mia scogliera che male faccio?
La verità è che avrei voluto affrontare questo giorno come se fosse stato uno dei tanti, ma lo sanno tutti che oggi è il mio compleanno perché quella maledetta di Elena ieri ha sparso la voce (come se ieri non me ne fossi accorta).
La odio. Perché ci tiene tanto a farmi del male? Perché ci tiene tanto a farmi soffrire? Non lo vede quanto ci sto male? Forse no,lei è come tutti gli altri, vedono solo quello che gli pare...
18 anni eppure boh, non me li sento...ma uno a 18 anni dovrebbe sentirsi adulto o automaticamente diventarlo?
Vorrei solo che qualcuno fosse qui, magari Sara, anche se l’ultima volta abbiamo litigato, forse non ci rivedremo più….non lo so. Non ci riesco a fare l’amore con lei, è tutto così sbagliato...riesco solo a deludere le persone a quanto pare.
Ora vorrei ricevere un regalo. Non uno qualunque ma uno di quelli che non ti aspetti, figuriamoci a immaginarne il contenuto! Ma chi dovrebbe portarmelo?
Sono sola nell’ultimo posto al mondo dove sentirsi allegri. Almeno ho lui, che mi è sempre vicino quando ne ho bisogno, mi dà tutto quello che mi manca. Mi segue sempre, è sempre con me quando ho bisogno di abbracciare qualcuno, riesce sempre a portarmi un sorriso anche quando sono arrabbiata. È il regalo più bello che potessi ricevere dalla vita.

Sospirò, le onde si infrangevano leggere sugli scogli, le piaceva tanto respirare quella brezza, sentire sul viso il sapore del sale. Rimase sulla scogliera tutta la mattina, sola con Robbie a farle compagnia. Scesero parecchie lacrime su quelle guance. Si sentiva sola. Tornò a casa alla solita ora, come se fosse entrata a scuola.
La madre era sulla soglia preoccupatissima, avevano chiamato da scuola la mattina chiedendo se ad Andrea fosse successo qualcosa. Le fece una gran paternale sulle sue responsabilità, sul fatto che fosse cresciuta e su quanto si fosse preoccupata, aveva chiamato tutti gli ospedali e poi i carabinieri, pensava che le fosse successo qualcosa, che l’avessero rapita…
La solita esagerata pensò Andrea mentre mangiava più in fretta che poteva prima di richiudersi in camera. Per tutto il pranzo finse di ascoltare con lo sguardo basso, senza dire una parola, stava male ma a chi avrebbe potuto dirlo? La madre non avrebbe capito, non le chiese neanche perché non era entrata a scuola, era convinta che la figlia fosse stata tutto il giorno in giro con qualcuno a divertirsi invece di adempiere ai propri doveri. E anche quando Andrea lo negò non servì a nulla. Con lei era come combattere contro i mulini a vento.
Se ne tornò in camera e rimase per un po’ sdraiata sul letto, ormai anche le lacrime erano terminate, era senza forze. Quando sentì la madre uscire, sapeva bene che non sarebbe tornata prima delle otto, prese un pacco di mms, la borsa, il guinzaglio e se tornò al mare. Quelle acque salate riuscivano a contenere tutti i suoi pensieri, tutti i suoi segreti. Quella distesa enorme d’acqua era l’unica cosa che la tranquillizzasse, era in perfetta sintonia con quel posto, ci era cresciuta e non lo avrebbe cambiato con nulla al mondo.
Era sulla scogliera da quasi mezz’ora a mangiucchiare il suo snack preferito, con Robbie che sonnecchiava sulla sua gamba quando si sentì chiamare.
“Hey!” rispose salutando il ragazzo moro che la raggiungeva lentamente cercando un equilibrio tra gli scogli.
“Hey….posso farti gli auguri?”
“Perché la gente ama tanto invecchiare?” chiese continuando a guardare il mare.
“Non lo so, dovresti chiederlo a loro....sai, Elena era molto preoccupata per te, ha fatto chiamare casa tua”disse sedendosi sulla roccia accanto a lei.
“Quella stronza mi ha messo seriamente nei guai”
“Abbiamo provato a mandarti dei messaggi, te ne saranno arrivati almeno mille”
“Volevo solo starmene da sola...è chiedere troppo?”
“Cosa c’è che non va? A me puoi dirlo” con una tenerezza infinita prese il suo viso tra le sue mani. La guardava fissa negli occhi, Andrea stava per piangere. Ancora.
Avvicinò le sue labbra a quelle della ragazza che lo respinse immediatamente con forza.
“Scusami...non volevo” disse lui arrossendo.
“Michele...non è colpa tua...”le tremava la voce e le lacrime iniziarono a scendere “Michele...a me piacciono...a me piacciono le ragazze”
Ecco, lo aveva realizzato, era la prima volta che quelle parole uscivano dalla sua bocca, era la prima volta che lo diceva a qualcuno e non era stato poi così tanto difficile.
“Wow!” non sapeva cosa dire. Il ragazzo l’avvicinò a sé e rimasero per qualche tempo a fissare il mare.

 

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Capitolo 14
*** I'm with you ***


Faceva piuttosto freddo a star ferma ad aspettare ma a certi inviti non avrebbe più detto di no.
Quando la vide scendere dall’autobus le sue gambe cominciarono a tremare, era forse un appuntamento quello? Deglutì, la sua gola era irrimediabilmente secca.
“Buongiorno”
“Buongiorno” rispose Andrea sorridendo, lei sembrava appena essersi svegliata e quell’aria frastornata la rendeva davvero carina.
“Stai ridendo di me?”
“No è che…ahahaha…hai un ciuffo che va per fatti suoi”
Elena le diede uno spintone ed andò a specchiarsi ad un finestrino di un’auto. Si sistemò i capelli alla meglio con le mani ma non ebbe neanche finito che Andrea alle sue spalle le alzò di nuovo quel ciuffo, lei le diede una gomitata e si risistemò i capelli. Ma Andrea era in vena di giocare, con lei diventava una grandissima stronza senza sapere il perché. Continuarono per un po’, Andrea le scompigliava i capelli e Elena la picchiava, tentava di sistemarseli mentre Andrea glieli scompigliava di nuovo. La smise solo quando si accorse di aver davvero esagerato. Abbassando la testa le chiese scusa offrendosi di aiutarla a sistemare i capelli, ma Elena odiava quando qualcuno le toccava i capelli era il suo punto debole. Con un’espressione più incavolata che mai si risistemò i capelli per l’ultima volta, tornando ad essere impeccabilmente perfetta agli occhi della ragazza alle sue spalle che aveva sempre i suoi capelli lunghi raccolti in una coda.
“Ora possiamo andare?”
“Certo” sembrava davvero arrabbiata.
Passeggiarono per il centro città distanti, come se non si conoscessero. Entrarono in villa, Elena avanti e Andrea al seguito. Elena si sedette su una panchina, aprì lo zaino e si mise a studiare storia.
“Dai, mi hai fatta venire qui per vederti studiare?” le strappò il libro di mano.
“C’è l’interrogazione….vuoi ripetere con me?”
“Si  vabbè tu sai tutto io niente, va sempre così” rimise il libro nello zaino e si sedette accanto a lei.
“Cosa vuoi fare?”
“Non lo so, abbiamo…”prese il telefono dalla tasca “quasi un’ora e mezza, possiamo…”
“Ripassare” disse sollevando l’indice.
“Non pensarci nemmeno”
“Ok che vuoi fare?”
“Non lo so, parlare”
“Io e te?” la guardò in un modo parecchio sarcastico.
“Perché?”
“Perché tu non sei capace di parlare”
“Grazie…wow…però! Fai male, domani avrò duecento lividi”
“Ti sta bene, così impari”
“Ma tu sei sempre così stronza?”
“Senti chi parla!”
“No sul serio, lo sei sempre” le restituì il libro e prese a camminare. Si fermò a guardare il ruscello che divideva il parco a metà, dall’altra parte c’era un papà col suo bambino che giocava a pallone. Anche lei da piccola usciva spesso con il padre, ora era diventato un’ombra nella sua vita, ma quando era successo?
“Non volevo offenderti”
Andrea si voltò e sorrise “ho cominciato io”
“Facciamo pace?” disse lei aprendo le braccia in quel gesto che Andrea odiava tanto.
“Si” fece due passetti indietro.
“Ancora un altro e ci caschi dentro”
“Hai ragione”
“Non mi vuoi abbracciare?”
“No.”
“Ma io ti voglio bene…vedi, io e te non riusciamo mai a parlare…perché?”
“Non lo so, forse perché ti odio”
Tornarono a sedersi sulla panchina, quel sole tiepido in un mattino così freddo era ciò di meglio poteva offrire la vita.
“Perché dici sempre di odiarmi?”
“Lo sai che scherzo” disse lei senza smettere di fissare il vuoto.
“A volte sembra che lo dici con convinzione”
“Beh, è un gioco, come prima quando ti stuzzicavo”
“Se ti faccio una domanda rispondi seriamente?”
“Si” rispose senza sapere in che guaio si era appena cacciata.
“Ti sei mai sentita come se amassi qualcuno così tanto da avere paura di amarlo?”
Le si fermarono le parole in gola, sentì come un forte pugno allo stomaco, era esattamente quello che provava per lei “Che?”
“Niente, lascia stare. Dobbiamo andare”
“No. Spiegami”
“Non c’è niente da spiegare”
“È Paolo?”
“No”
“E chi?” incamminandosi verso la scuola non disse più alcuna parola.
 

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Capitolo 15
*** Cade la pioggia ***


“Hai fatto i compiti?”
Quella voce odiosa le bloccò lo stomaco, diventò prima rossa dall’imbarazzo e poi bianca dal terrore, era come se tutta la classe guardasse solo lei.
“Ecco, veramente io…” stava cercando una scusa, perché in tre mesi d’estate non ho fatto i compiti?
“Vieni alla lavagna”
Si svegliò di soprassalto da quello che era il suo incubo ricorrente, ma non doveva preoccuparsi la scuola era lontana. Il paesaggio correva veloce di fronte a lei, guardò l’orologio: sarebbe già dovuta essere arrivata a destinazione da almeno mezz’ora. Era triste e la musica non bastava  a coprire i suoi pensieri, in certi momenti nulla ci riusciva.

Scendendo dal treno scivolò sull’ultimo gradino, finendo col sedere sul marciapiede freddo e bagnato, maledisse quella pioggia. Era parecchio giù in quei giorni, nulla sembrava andare per il verso giusto. Le parole a volte colpiscono e affondano e se n’era resa conto.Uscì dalla stazione, ora arrivava il momento più difficile: mettere in pratica le indicazioni che aveva trovato sul web. Doveva solo trovare il tram 27, che passava proprio per il centro, e scendere alla dodicesima fermata. Sfortunatamente non c’erano corse a prima di un’ora e non poteva aspettare, sembrava che il destino ce l’avesse con lei. Salì su un taxi e si fece portare in una strada che conosceva solo di nome: Via Matteotti. Il tassista era simpatico ma troppo caro per le sue tasche, avrebbe rinunciato al pranzo. Vagò un po’ su e giù per la strada prima di leggere il suo cognome sul citofo
no, per fortuna aveva quasi smesso di piovere.
Si sedette su una panchina ad aspettare e fu sopraffatta dai pensieri. Prese il telefono e lesse per l’ennesima volta.
è un raga del mio gruppo è + grande ed è uno spettacolo della natura ti basta? Ke pettegola ke 6
Non le aveva detto il suo segreto per giorni e poi glielo aveva confessato tramite sms, chissà perché…chissà qual’era la sua espressione quando pensava a lui.
Quando la vide si alzò in piedi, le sorrise  ma lei evitò lo sguardo, accelerò il passo
 e cercò di chiuderle il portone in faccia invano, perché Andrea era proprio dietro di lei. La seguì per le scale di corsa, con il fiatone.
“Sara!” disse con la voce che le rimaneva dopo il secondo piano. Il cuore stava per scoppiare. La ragazza raggiunse il quarto piano ed entrò in casa. Era riuscita a seminarla dopo pochi gradini. Sentì vibrare il telefono in tasca.
VATTENE
Ti voglio parlare
NO

Si sedette sul primo gradino davanti casa della ragazza, prese un foglio e si mise a scrivere.

Non aveva mai scritto a qualcuno cose importanti, scrisse quello che le veniva e in pochi minuti ebbe finito. La rilesse e la infilò sotto la porta, se l’avesse presa la domestica gliel’avrebbe consegnata? Scese la prima rampa girandosi ad ogni gradino ma nessuno uscì da quel portoncino verde.
Con la fortuna che aveva ultimamente cosa poteva sperare? Si mise a pensare alla sua vita: era mai stata davvero fortunata? O forse la fortuna è una questione di prospettive?
Stavolta riuscì a prendere il tram ed arrivare in stazione in poco tempo. Il suo stomaco cominciava a borbottare ma aveva pochi spicci in tasca. Forse sarebbe stato meglio che fosse rimasta a casa.
Salì sul treno in sosta e si sedette al primo posto libero vicino al finestrino, mancava ancora mezz’ora alla partenza.
Vide una ragazza conosciuta, abbassò il finestrino e sorrise, era proprio lei.
Scese dal treno evitando i gradini con un gran salto.
“Hey”
“Non puoi tornare qui e pensare di farti perdonare con le belle parole” disse stringendo in mano il foglio che le aveva scritto poco prima.
“Mi dispiace davvero, non so che m’è preso” disse guardandola negli occhi.
“Bentornata”
“Che?”
“Alla ragazza di cui mi sono innamorata” la abbracciò forte e Andrea scoprì che infondo un abbraccio non è una cosa poi così brutta.
“Ma non è per la lettera, è per il gesto” disse tenendole la mano destra.
“Ok”
“Ti vuoi mettere con me?”
“Ma non dovrei chiedertelo io?”
“Se me lo chiedessi ti direi di si, sei tu quella che ha paura”
“Allora si”
Le diede un bacio sulla guancia e scappò via. Andrea rimase imbambolata per un po’ prima di risalire.
Wow, è davvero questo che si prova ad essere fidanzati?
Nota dell'autore: non vorrei deludere i lettori, nè tantomeno scoraggiarvi nel proseguire la lettura ma ho ancora qualche colpo di scena per voi e spero di non annoiarvi...

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Capitolo 16
*** Piccola stella senza cielo ***


Queste cose non fanno per me, come diavolo avrà fatto a convincermi? Maledizione!
Il campanello prese a suonare insistentemente e Robbie si mise ad abbaiare verso la porta, come se Andrea non fosse abbastanza nervosa!
“Un attimo!” urlò dalla sua stanza, ma fuori continuavano a bussare, sembrava si fosse bloccato il pulsante o magari ci fosse rimasto attaccato qualche dito. Si infilò la felpa ed il paio di jeans che aveva addosso poco prima e andò ad aprire.
“Ancora stai così?” Andrea rimase un istante senza parole, il ragazzo era davvero carino e aveva un profumo inebriante. Aveva scelto l’accompagnatore giusto ma non era la serata giusta.
“Non sto molto bene, mi dispiace…non vengo” disse fingendo una voce rauca.
“Mi prendi in giro?” disse il ragazzo chiudendo la porta alle sue spalle. “Andiamo a cercare qualcosa da farti mettere che è già tardi”
Lo seguì in camera sua, ormai c’erano vestiti ovunque “Almeno un paio di scarpe coi tacchi le hai?” disse con una faccia disgustata facendosi spazio tra le sneakers a terra.
“No”
“Le prenderemo da tua madre” e cominciò a rovistare tra i vestiti sul letto.
Andrea prese una scatola nera sotto una pila di scatole colorate.  Tirò fuori un paio di sandali neri tanto alti quanto belli e sospirò, non li aveva mai messi. Certe cose non facevano per lei, erano troppo scomodi ma le piacevano lo stesso e così li aveva comprati, per un’occasione che forse non sarebbe mai arrivata. E invece era lì, quella sera.
Diede qualcosa da provare all’amica, e mentre lei andava in bagno, lui rimaneva solo con Robbie. Non gli era mai capitato di stare da solo nella stanza di una ragazza né di dover dare consigli sull’abbigliamento femminile, ad una per la quale aveva una cotta poi…che situazione! Si sarebbe comportato da amico infondo aveva ragione Andrea: erano praticamente fratelli.
Michele guardò l’orologio per l’ennesima volta, era tardissimo, sarebbero stati gli ultimi ad arrivare…semmai ci fossero arrivati.
Sorrise guardando certe magliette buttate sul letto, troppo femminili per lei. Forse appartenevano a qualcun'altra, o forse non la conosceva abbastanza, magari aveva qualche altro segreto o forse tutte le donne erano così misteriose. Ne aveva viste molte entrare e uscire dalla vita dei suoi tre fratelli, lui non sapeva neanche i loro nomi. I fratelli volevano solo divertirsi dicevano di essere giovani ma lui no, avrebbe voluto una storia seria, una ragazza carina, sincera e con la testa a posto, non aveva molte pretese, voleva l’amore e perché no, anche sistemarsi un giorno.
Andrea entrò con la faccia sconsolata, si guardò all’enorme specchio in piedi in camera sua “No, questo non va” e prima che lui potesse aprir bocca, era già tornata in bagno.
Dopo l’ennesima mise, nessuna la soddisfaceva ma Michele doveva portarcela a quella festa, così insistette per farle tenere una gonna a tulipano nera e una canotta color malva, molto femminile. Andrea odiava le gonne ma ormai non aveva più tempo di cambiarsi, giusto il tempo di truccarsi e il ragazzo la trascinò fuori.
“Ma secondo te devo salire su quel coso conciata così?”
Senza rispondere il ragazzo le porse il casco.
“Ma almeno regge le salite?”
“Se non ce la fa scendi e spingi” rispose incavolato mentre metteva in moto.
La scuola era finita da qualche giorno ed il caldo era esploso all’improvviso, ma la sera sulle due ruote c’era da rabbrividire, senza contare che con quella gonna le sembrava di essere nuda. Si strinse forte a Michele che nel frattempo accelerava ancora, sembrava impaziente di arrivare.
“Dici la verità non sai la strada” urlò per sovrastare il rumore del vecchio cinquantino.
“Perché?”
“Abbiamo superato quella casa poco fa”
“Hai ragione ma il locale deve essere qui…da qualche parte”
“Gira a destra”
“Perché?”
“Non lo vedi il cartello?”
Il ragazzo si voltò e le sorrise, forse la fretta non ripagava.
Percorsero una stradina di campagna evitando parecchie buche e finalmente videro un grande edificio illuminato. Totalmente anonimo e in contraddizione con il paesaggio circostante. Era una vecchia masseria ma era stata totalmente ristrutturata, ora sembrava il deposito di una fabbrica abbandonata se non fosse stato per la musica e le luci quel posto incuteva un certo timore.
La festa era iniziata da un pezzo, dentro la discoteca c’era il putiferio. Andrea perse di vista Michele appena entrati, si guardò attorno ma non c’era nessuna faccia conosciuta. Era la prima volta che entrava in una discoteca, faceva un caldo esagerato, c’era pochissima luce ed era impossibile ambientarsi, probabilmente non avrebbe riconosciuto nessuno in mezzo a quella confusione, e come se non bastasse tutto questo, aveva anche dei vestiti che non le appartenevano. Intravide il tavolo dei drink, prese qualcosa da bere un po’ troppo forte per lei e lasciò il pacchettino insieme agli altri sul tavolo lì accanto.
Si sentiva soffocare e forse non era la calca.
“Facciamo un brindisi alla festeggiata” gridò il dj interrompendo la musica e facendo illuminare un punto all’estremo della pista. Non riusciva a vederla bene ma sotto quel riflettore sembrava ancora più bella, quei suoi capelli lunghi così luminosi, quel sorriso disagiato, quelle sue guance rosse dall’imbarazzo...
 “Ma la festeggiata non balla? Vuole essere incitata?” partì un grande applauso seguito da qualche coretto e la ragazza si diresse al centro della pista a ballare. Le luci tornarono basse e Andrea tentò di raggiungere la festeggiata, ma dopo parecchie gomitate dovette arrendersi: Elena stava ballando con un ragazzo magrolino molto alto, se fosse stato lui? Sentì un forte dolore all’addome.
Uscì da quel posto più in fretta che poté fregandosene di tirare spintoni qua e là.
Fuori si stava molto meglio, finalmente tornò a respirare, quella luna rossa era molto confortante.

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Capitolo 17
*** Crazy little thing called love ***


Il trucco era ancora intatto, era passata solo un’ora da quando era uscita da quel posto. Si avvicinò ancora di più allo specchio, stentava a riconoscersi. Non portava una gonna da circa dieci anni, non era abituata a vedere le sue gambe in un riflesso, per non parlare del trucco...
Perché? Perché non sono nata maschio? A quest’ora sarei a ballare con lei…perché?   
Si passò una mano sulla guancia, il fondotinta cominciava a venir via. Avrebbe voluto strapparsi la pelle, cancellare quel volto. Si sentiva stanca.
Due braccia le cinsero i fianchi e quel viso dolce comparve sulla sua spalla destra. Le sorrise.
“Ti amo” le sussurrò nell’orecchio.
Ora la presa si faceva più stretta ma forse andava bene così, cominciava ad abituarsi.
“Ti amo anche io” disse guardandola dal riflesso dello specchio.
Si voltò e la baciò.
“Stai molto bene così” e guardava la sua mano scendere dolcemente dalla spalla all’anca di Andrea.
Andrea la baciò di nuovo, la prese per mano e la portò nel suo letto. Fu la prima volta che fece l’amore.

 
Una volta che vanno via tutti, una volta che si spegne la musica, le luci, l’eccitazione finisce e ciò che le restava erano due gambe pesanti e due piedi gonfi. La festa era stata un vero successone, era felicissima di tutto, peccato solo che Mirco avesse avuto la meravigliosa idea di presentarsi con la tipa antipatica che frequenta e poi è mancato qualcuno. Ma in fondo l’assenza di quel qualcuno l’aveva già prevista.
Caricò in auto gli ultimi regali, non li aveva aperti tutti. Alzò lo sguardo al cielo, sopra la collina cominciava ad albeggiare. Si affacciò nell’auto, il padre aveva preso sonno sui sedili posteriori, ma li avrebbe riportati a casa la mamma che seppur stanca non lo dava mai a vedere. Era una donna forte e sorridente, la ricordava così da sempre, era una figura rassicurate e affettuosa. 
Si spogliò, sotto il getto di acqua calda tutta la stanchezza sembrava andar via, aveva solo un leggero mal di testa, forse aveva esagerato un po’ con lo spumante. Ma non voleva saperne di dormire: si avvicinò ai regali e si riprovò l’orologio che le aveva regalato Mirco. Aveva il cinturino nero con il quadrante grigio e le lancette verdi. Lo adorava, quel ragazzo aveva dei gusti meravigliosi, per non parlare di quanto le piaceva. Lo conosceva da sempre, abitava vicino casa sua ed un tempo andavano al catechismo insieme. Quando era piccolo era molto dispettoso ma con gli anni era diventato bellissimo e gentile come nessun altro.
Elena lo amava forse dalla prima volta che lo aveva visto anche se lui si divertiva ad alzarle la gonna e a spintonarla in chiesa.
Guardò l’orologio, poi impostò i minuti precisi. Non lo avrebbe mai messo, lo avrebbe nascosto, d’altronde le cose preziose vanno tenute segrete. E il suo amore era così, troppo importante per bruciarlo in un’estate.
Già, perché il suo amato Mirco oltre ad essere gentile e carino, era un grandissimo stronzo, di quelli che lasciano una ragazza dopo qualche mese. Non era fatto per durare, a volte sembrava provare piacere per la sofferenza altrui e poi la considerava un’amica o almeno così le aveva sempre detto. Ma forse la sua era solo paura di lasciarsi andare, paura di amare davvero.
Aprì tutti i regali che le restavano: un cellulare nuovo, un buono per una vacanza, un altro orologio, tre collane, due bracciali, una fotocamera e un peluche piccolo e morbido. Una piccola tigre dal visino dolce contenuta in una bustina azzurra accompagnata da un bigliettino senza mittente. Controllò bene la scrittura, forse la conosceva, anzi ne era certa. Il giorno dopo avrebbe indagato, magari le avrebbe mandato un messaggio. Perché non l’aveva vista?
Si sdraiò sul letto e prese sonno quasi subito con la piccola tigre a farle compagnia sul cuscino.

 
Aprì appena gli occhi, aveva caldo ma non poteva muoversi, Sara era sopra di lei e dormiva ancora. Aveva un’espressione arrabbiata, le sopracciglia inarcate e le labbra curve in un’espressione di collera.
Le accarezzò i capelli, erano più scuri di quelli di Elena e forse anche più lunghi. Sollevò lo sguardo, quell’odore cominciava a farsi soffocante.

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Capitolo 18
*** Yesterdays ***


Fu l’estate più bella che ricordasse, o almeno quella che le aveva cambiato la vita. Sara cominciava a piacerle davvero anche se ogni cosa sembrava riportare ad Elena e le faceva battere forte il cuore. Le veniva come un vuoto sulla bocca dello stomaco, era pesante e faceva male ma allo stesso tempo era piacevole, proprio come una dipendenza.
Sara non le provocava tutto questo, ma la faceva sorridere e le faceva venir voglia di scherzare e alle volte anche di fare l’amore. Questa era la cosa più importante, la sua dipendenza sarebbe scomparsa con la lontananza. Prima o poi avrebbe smesso di paragonarla ad Elena in ogni cosa, prima o poi l’avrebbe dimenticata completamente. Cominciò a non rispondere più ai suoi messaggi, ma era come se più la evitasse e più Elena cercasse le sue attenzioni, mandando sempre più messaggi ai quali lei puntualmente non rispondeva. In passato quando Elena era distaccata, Andrea aveva fatto del suo meglio per farsi notare, aiutarla in un certo modo e la loro amicizia era sempre stata così, frequenti incomprensioni e insolite riappacificazioni.
Aveva uno strano modo di amare, se ne stava rendendo conto proprio ora che aveva qualcuno che l’amava, non si era mai sentita compresa da nessuno. Ogni relazione che vivesse era tormentata, alle volte le capitava di stressare troppo un rapporto, di consumarlo in fretta, perdendo subito interesse per le persone, altre invece era distante quasi a non importarsene. Con Sara le cose sembravano diverse, non si sentiva troppo legata e nemmeno troppo poco, ma forse il loro rapporto reggeva ancora solo perché Sara la cercava e lei era lì, che per la prima volta in vita sua si sentiva importante per qualcuno che camminasse a due zampe.
L’ultimo anno scolastico cominciò come tutti, o quasi. Già dal primo giorno i prof esordirono con i loro: quest’anno avete gli esami, vediamo di studiare sempre e non solo l’ultimo mese, e lo ripetevano tutti i giorni come se gli studenti non lo sapessero o sottovalutassero la cosa. Doveva essere un classico modo di spaventare i maturandi che di anno in anno si rinnovava ma con scarso successo.
Le distrazioni, le finte febbri e le assenze ingiustificate si ripeterono come tutti gli anni, soprattutto per Andrea che quest’anno aveva sempre un buon motivo per non entrare. E poi, entrare significava passare cinque lunghissime ore ad evitare Elena, a fingere che non le piacesse, che di punto in bianco non le importasse più nulla di lei. Lei sembrava arrabbiata, la evitava senza nasconderlo troppo, rendendo il distacco di Andrea ancora più facile. Non si rivolgevano parola, giusto qualche frase di circostanza quando capitava dopo l’assurda lite del primo giorno. Dal giorno successivo Andrea si sedette in prima fila, dalla parte opposta dell’aula. Nessuno capiva cosa stava succedendo, nemmeno il suo migliore amico che la provocava spesso con battutine su Elena rendendo Andrea nervosa e scontrosa.
Un giovedì mattina per la prima interrogazione dell’anno il prof d’italiano aprì come di consueto il libro ad una pagina a caso: 132, 13+2=15. La quindicesima era lei, maledisse il pomeriggio precedente trascorso al telefono con Sara. La fortuna degli anni precedenti, quando era sempre l’ultima ad essere interrogata sembrava averla appena abbandonata. Si alzò e in tre passi raggiunse la cattedra. Il professore da vicino non era solo più antipatico, era anche più brutto e aveva un terribile tanfo di naftalina, d’altronde i tipi così andavano conservati bene, fortunatamente sono in via d’estinzione.
Il tenente, così lo chiamavano tutti poichè raccontava sempre dei suoi tre anni trascorsi in marina, fece una domanda che Andrea nemmeno sentì. Si sentiva soffocare, avrebbe voluto sfondare la porta e andare via.
Durante le interrogazioni si sentiva sopraffare dall'ansia, non guardava mai la persona seduta alla cattedra, le metteva ancora più ansia, fissava un punto imprecisato davanti a lei, in questo caso i fogli di giornale attaccati ai vetri delle finestre, messi lì per non far entrare il sole. Quell’aula non aveva le tende, nessuna le aveva in quella scuola, nei mesi caldi ognuno provava a rimediare un po’ di ombra come meglio poteva. Ma quell’anno l’inverno sembrava aver fretta di arrivare e a metà ottobre erano tutti con la giacca in aula giacché per i riscaldamenti ci voleva ancora tempo. La scuola era un posto invivibile in ogni stagione, l’estate faceva caldo, l’inverno si battevano i denti…avrebbero dovuto abolirle.
“Allora?” chiese il prof, mentre Andrea si schiarì per la terza volta la voce.
Spostò lo sguardo su colei che l’anno precedente le aveva sempre suggerito durante le interrogazioni e la vide  bisbigliare con la compagna di banco. Sorridevano sotto sotto, sembravano provarci gusto. Tornò a fissare i fogli di giornale: quell’interrogazione tragica e quelle risate sulle disgrazie altrui le fecero venire un gran nervoso e un’ingiustificata voglia di piangere. Dopo una paternale infinita sull’obbligo di studiare per gli esami e un due ben meritato tornò finalmente a sedersi. Le gambe quasi non la reggevano più.
Avrebbe voluto sfogarsi, scrivere l’ennesima pagina nera del suo diario ma non sapeva da dove cominciare, erano tre mesi che non scriveva, aveva anche smesso di disegnare di punto in bianco senza sapere il perché. In un certo senso aveva perso se stessa e non se ne era resa conto.
L’anno scolastico, proprio l’ultimo era iniziato piuttosto male, non aveva la testa per studiare, nemmeno quel minimo che aveva fatto gli anni precedenti. Avrebbe voluto scappare via con Sara e vivere insieme su un’isola deserta. Come sopravvivere lo avrebbero scoperto.

NdA: mi piacerebbe sapere cosa ne pensate di questo capitolo, per i prossimi ho in serbo qualche sorpresa per i fan di Elena... a presto

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Capitolo 19
*** Make you feel my love ***


Fissava l’orologio, altri tre minuti e sarebbe finita un’altra giornata a scuola. Quella mattinata sembrava non passare mai. Fuori era nuvoloso, di lì a poco sarebbe piovuto ma non le importava.
Appena fuori prese a correre, vide la transenna e passò di sotto. Entrò senza badare alle donne in divisa verde che facevano le pulizie. Salì a due a due i gradini per il terzo piano e arrivò nel piccolo atrio. Aveva il cuore in gola. Si ritrovò davanti una grande porta metallica chiusa.
ORARIO VISITE: 16.30-18.00
Provò a spingere la maniglia antipanico ma era chiusa a chiave. Maledizione
Si sedette su una delle sedie in plastica consumata affiancate al muro, di fronte a lei un telefono a gettoni, una finestra aperta a far arieggiare un luogo dove i riscaldamenti sono accesi senza interruzione. Paradossalmente la cosa più nuova in quel posto era la maledettissima porta chiusa, per il resto sembrava di essere negli anni Ottanta. Si affacciò dalla finestra  e sentì un disgustoso odore di cibo, davvero nauseante. Corse giù per le scale deserte mentre fuori un fulmine illuminò il cielo per un istante poi si udì un tuono forte che fece spegnere e riaccendere le luci. Varcò la soglia da cui era entrata: pioveva a dirotto e tanto per cambiare, non aveva con sé l’ombrello ma nulla l’avrebbe fermata.  Corse sotto la pioggia slittando due o tre volte e giunse alla cucina, gli addetti stavano ripulendo frettolosamente e non si accorsero di lei che passava per prendere le scale. Salì lentamente le scale cercando di non fare rumore, avere uno zio che lavora come addetto alle pulizie le era tornato utile. Aprì la porta del terzo piano e tirò un sospiro di sollievo.
Attraversò due volte il lungo corridoio prima di individuarla. Si mise ai piedi del letto e la osservò leggere. Dopo qualche istante lei sollevò lo sguardo e le venne un’espressione che Andrea non seppe identificare. Era sorpresa di averla lì. Le sorrise.
“Ciao”
“Ciao”
Andrea si tolse lo zaino e si sedette sulla sedia accanto al letto. Elena chiuse il libro.
Rimasero in silenzio per un po’ poi Elena le offrì dell’acqua. Andrea rifiutò, prese a guardarsi le mani, forse sarebbe stato meglio andare a casa. 
“Come mai sei venuta a trovarmi?”
“Si diceva fossi in ospedale e…”
“…e ti sei preoccupata?”
Andrea la guardò e si morse un labbro, le parole con lei rimanevano sempre soffocate, bloccate in testa.
“Cosa ti sei fatta?”
“Dopotutto niente di che, poteva andare peggio….cosa avete fatto oggi a scuola?”
“A scuola?” Andrea si mise a ridere, riusciva a non smentirsi mai, lei e lo studio. “A scuola non si è parlato di un certo incidente di una certa secchiona”
“Secchiona a chi?” le tirò un pizzico e Andrea le fece il solletico. Ridevano come due bambine.
“Eravamo tutti preoccupati” disse Andrea tornando seria.
“Ho solo avuto un piccolo incidente con la bici, tutto qui…il tipo è svenuto…credeva che fossi morta”
“Perché?”
“Dopo un volo di qualche metro ho perso i sensi”
“Ma sei sopravvissuta, chi ti ammazza a te!”
Ora prese quel bicchiere d’acqua che prima aveva rifiutato, l’angoscia era scomparsa, iniziava davvero a rilassarsi. 
Si tolse la giacca e chiacchierarono per un po’ della scuola e delle lezioni che sventuratamente Elena si era persa. Le fece vedere l’enorme livido viola che le ricopriva la coscia, dal gluteo fino al ginocchio. Andrea le accarezzò quella parte della gamba dolcemente per non farle male. Faceva un po’ impressione ma sarebbe potuta andare peggio con il volo che aveva fatto. Tutto sommato doveva solo subire un intervento alla rotula e camminare con le stampelle per un po’.
“Cosa darei per stare al posto tuo…”
Elena la guardò con aria interrogativa.
“Vorrei anche io la scusa buona per non dover andare a scuola”
“Io vorrei poterci andare invece”
“Sei sempre la solita, dovresti godertela questa vacanza”
Andrea estrasse il telefono dalla tasca, dodici chiamate perse da casa, un messaggio, erano le quattro e probabilmente la madre aveva già chiamato Chi l’ha visto.
“Devo andare”
“Già?”
“Si è fatto tardi”
“Aspetta”
“Che c’è?”
Elena esitò un po’ avrebbe voluto chiederle perché si era comportata come una stronza fino ad allora. “Grazie” 
Andrea si infilò la giacca, prese lo zaino e una volta sull’uscio si voltò.
Il tuo sorriso ha qualcosa di luminoso che non riuscirò mai a disegnare.

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Capitolo 20
*** Ecco che ***


Erano passati diversi giorni da quando Elena era ricoverata, quel pomeriggio le aveva preso una piccola confezione di cioccolatini, magari l’avrebbe tirata sù. La mattina c’era stato l’intervento, in classe erano tutti agitati e c’era chi aveva tentato più volte di telefonare alla mamma di Elena o alla sorella con scarsi risultati, entrambe non avevano risposto. Erano tutti lì a dire che era successo qualcosa ma Andrea era tranquilla, se lo sentiva, era andato tutto bene, Elena era forte e non poteva accaderle nulla.
Salì come al solito dalle scale di servizio, ormai erano diventate il suo passaggio segreto verso il suo amore nascosto, era la strada che solo lei conosceva. Arrivata al secondo piano maledisse il suo odio verso le sale mobili, le sue gambe diventavano ad ogni gradino più pesanti ma avrebbe resistito, ancora un piano e sarebbe arrivata. Allungò la mano sulla maniglia, solo a quel punto si accorse che stava tremando e che non era poi tanto sicura che non fosse accaduto nulla. Si appoggiò al muro e, portandosi la mano destra sul cuore capì che di momenti come quelli non ne aveva vissuti in vita sua. Cominciarono a scendere delle lacrime salate mentre il suo sguardo rimaneva fisso in un punto imprecisato nella penombra di quell’atrio. Aveva perso il controllo, non riusciva a controllarle quelle maledette lacrime, scendevano e basta.
Dopo un po’ si fece forza, si asciugò le lacrime con le maniche della felpa, soffocò l’istinto di scappare e si decise ad entrare. Dall’altra parte del corridoio, una signora passava lo straccio e lei, passando in punta di piedi si intrufolò nella stanza 14. Elena era dove l’aveva lasciata il giorno precedente, nel primo letto a sinistra. Dormiva con la bocca socchiusa, le venne un sorriso. Era così buffa, così bella…
Rimase in piedi qualche istante, aveva paura di svegliarla con i suoi movimenti, poi facendo meno rumore possibile prese una sedia accanto al letto di una signora.
“Sei una sua amica?” chiese lei sussurrando
Andrea annuì.
“I suoi sono andati via poco fa, l’intervento è andato bene”
Andrea accennò un sorriso e portò via la sedia.
Elena era sempre molto espressiva o forse era lei a notare ogni minimo segno sul suo volto, in quel momento aveva un’espressione accigliata come se stesse sognando qualcosa di brutto. Lei era lì a guardarla e non le importava di ciò che accadeva lì fuori, si sentiva in pace con il mondo.
Aprì lo zaino e tirò fuori il libro di diritto, magari avrebbe potuto studiare un po’ prima che lei si svegliasse.
Ah, se solo Elena fosse sveglia!
Nella sua testa echeggiava la voce arrabbiata di lei dal  primo giorno di quell’anno scolastico, quando avevano litigato. Erano tutti nel cortile in attesa che un nuovo anno iniziasse ed Elena si era avvicinata a lei e Michele. Andrea fece finta di non vederla e quando udirono la campanella si spintonarono tutti verso la piccola porta di ingresso, fu lì che senza nemmeno rendersene conto la spinse a terra. Elena si rialzò incavolata nera decisa a capire cosa balenasse nella testa di quella che credeva una sua amica. Litigarono, Elena pretendeva delle scuse e delle spiegazioni di quanto era accaduto a partire dalla fine dell’anno, ma lei si nascose dietro alibi inesistenti fino a dirle che era una ragazza stupida, egoista e…. no, quella parola non avrebbe dovuto dirla. Come se non bastasse, avevano iniziato a malignarci sù quelle gran pettegole leccapiedi della prima fila, così c’era chi diceva che Elena voleva rubare Michele ad Andrea (giacché erano tutti convinti che stessero insieme) e chi diceva che Andrea se l’era presa con Elena per i voti di fine anno.
Si rese conto che quella sedia non era per niente comoda, la posizione per studiare era introvabile, o forse era colpa sua e di quella creatura che aveva di fronte. Prese un quaderno e cominciò a disegnare.
Fuori si era fatto buio,  vide l’orologio: le quattro.
Strappò via il foglio dal quaderno e lo sistemò tra un bicchiere e una bottiglia sul comodino accanto al suo letto. Per strada si mangiò i quattro cioccolatini della confezione che si era dimenticata di lasciarle, il suo stomaco borbottava e anche sua madre lo avrebbe fatto se non fosse tornata in fretta.

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Capitolo 21
*** Siamo soli nell’immenso vuoto che c’è ***


Si alzò, e come tutte le mattine si vestì, si lavò la faccia e si preparò la colazione. Fuori faceva molto freddo e la cosa era piuttosto insolita, era metà marzo e quell'anno la primavera non voleva proprio arrivare. Sollevò l’avvolgibile: lui non c’era, forse stava dormendo o aveva troppo freddo per affacciarsi in cucina.
Attraversò il giardino chiamandolo più volte ma nulla, pensò che forse era andato in conquista di cagnette, era un cane così bello che quando andavano a passeggio tutti lo volevano accarezzare.
Chiuse il cancello e si avviò alla fermata dell’autobus, era raggiante nonostante la giornataccia che si prospettava. Elena sarebbe uscita in mattinata e l’indomani sarebbe tornata a scuola.
Quelle cinque ore volarono, quando tornò a casa la madre era fuori la porta con un’espressione un po’ troppo cupa perfino per lei che faceva diventare ogni cosa una tragedia.
“Che succede?”
“Ecco….” deglutì “Robbie…”
“Si? Che è successo?”
“È…eccco….lo ha trovato il vicino nel suo terreno”.
“Lo andiamo a prendere?”
La madre indicò un piccolo cumulo di terra senza erba, proprio di fronte la cucina, dove dormiva sempre lui.
Andrea sentì scendere delle lacrime calde sulle guance, la gola diventò secca e si inginocchiò vicino alla tomba del suo amico.
“Vieni a mangiare” e rientrò lasciandola sola in quel momento così assurdo.
Vale davvero la pena amare qualcuno? Ne vale davvero la pena se devo soffrire così tanto?
Non affonderò più la mano nel suo bel pelo nero, non lo guarderò più negli occhi…
Pianse per tutto il pomeriggio soffocando le urla nel cuscino. Non mangiò nulla quel giorno.
Il mattino seguente quando aprì gli occhi il mondo intorno a lei era appannato, si strofinò più volte gli occhi prima di alzarsi. Poggiò i piedi a terra e alzandosi si rese conto di avere un gran mal di testa.
Non importava, barcollando arrivò in cucina e sollevò l’avvolgibile. Non era un incubo, era successo davvero.
Fece colazione e uscì di casa, sarebbe voluta andare in qualunque posto purché lontano da lì, ma pioveva e la scelta era piuttosto limitata, decise di andare a scuola.
“Ieri ti ho scritto un messaggio” disse Elena appena si fu liberata dall’intera classe che l’abbracciava.
“Eh?” Andrea sollevò appena lo sguardo fisso a terra.
“Ti ho scritto un messaggio, ti è arrivato?”
“No…”
“Comunque grazie” e allargò le braccia per abbracciarla, ma lei si allontanò e sollevando le spalle entrò in aula. Ogni volta che Andrea evitava un suo abbraccio, Elena la rincorreva per tirarle un calcio dritto sulla natica sinistra, Andrea si arrabbiava e le dava un gran spintone, ma stavolta era con le stampelle e non poteva.
“Cos’ha?” chiese a Michele.
“Niente, perché?
“Boh, è strana”
“Dimmi quando sembra normale! Vuoi una mano ad entrare?”
Elena lo guardò, avrebbe voluto dirgli quanto era stata dolce e anche se sembrava la persona più menefreghista dell’universo, infondo era una persona buona.
“No, ce la faccio. Lo sai che mi hanno fatto salire con l’ascensore? Che figata!”
“Martini, vieni”
“No, professoressa, non vengo”
“Dai, vieni”
“No, mi metta due”
“Due, cara signorina è per chi non studia, non per chi non viene alla cattedra. Avanti, vieni”
“Le ho detto che non vengo”
La sua voce tremava quasi, erano tutti zitti, Andrea era la migliore della classe in spagnolo e mai avrebbe saltato un’interrogazione.
“Va bene, enneccì, non classificato, te la vedrai col preside”
Andrea serrò la mascella, perché quel mondo non capiva?
“Si può sapere che ti prende?” Elena le correva dietro poggiando e risollevando velocemente le spamelle, rischiando di cadere nel cortile dissestato della scuola, lasciò una stampella e le prese il polso. Andrea con forza si liberò lasciandola cadere sulla stampella a terra.
Si voltò, la vide ma proseguì.


NdA: Mi voglio innanzitutto scusare per aver tardato così tanto a pubblicare il capitolo, nella speranza che non mi abbandoniate, vorrei rassicurarvi sul fatto che la storia sarà conclusa e vi anticipo che ci saranno ancora altri 3 o 4 capitoli. Detto questo grazie e alla prossima.

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Capitolo 22
*** La voce del silenzio ***


TIC, TAC, TIC, TAC…
In certe situazioni il tempo non passa mai.
Andrea guardava le mani che facevano su e giù per la coscia, lentamente. Le ventiquattrore precedenti erano la dimostrazione che infondo siamo solo dei comuni mortali.
Il preside continuava a parlare e parlare senza che la madre riuscisse a fiatare mentre lei, che si sentiva soffocare dal caldo di quell’ufficio, avrebbe solo voluto scappare via. Dopo un po’ entrò la prof di spagnolo e si sistemò accanto al preside, in piedi a fissare Andrea con aria di rimprovero. In quell’istante pensò che avrebbe preferito essere inghiottita dalla sedia piuttosto che subire un’altra lavata di testa. Si immaginò la scena improbabile: la sedia come una pianta carnivora che la risucchia sotto lo stupore di tutti. Ad immaginare le loro facce le venne un sorriso.
“Ha qualcosa da ridere?” chiese con tono grave la prof.
Lei negò, poi intervenne il preside “Signora deve capire che questi ragazzi giocano un po’ troppo con gli insegnanti. Io lo so cosa dite in giro, se l’insegnante non è soddisfatto della…diciamo vita amorosa allora è stressato, se la prende con voi….vero?”
“No..”
“Dici la verità”
“Signor preside, mi consenta di intervenire ma non sono qui perché mia figlia ha offeso l’insegnante o sbaglio?”
“No, non sbaglia”
“Andrea, perché non sei andata all’interrogazione?” chiese la madre con tono compiaciuto.
“Non avevo studiato”
“Perché?”
“Era morto Robbie” lo disse a bassa voce, ancora non le sembrava vero. Quel vuoto era l’unica presenza che riuscisse a sentire e faceva male.
La madre annuì e poi partì alle difese della figlia, dopo un po’ la obbligarono ad uscire mentre decidevano la giusta punizione.
Tre giorni di sospensione con obbligo di frequenza e tutto perché ho rifiutato di andare all’interrogazione? Mi sembra una gran fregatura, quando lo fanno gli altri non li sospendono…
“Un’altra cavolata e rischi l’anno” le aveva detto la prof di spagnolo, ma lei non sembrava realizzarlo. Tutto quello che le stava accadendo non era reale, era solo un brutto incubo dal quale si sarebbe svegliata e Robbie sarebbe stato lì, al mattino ad aspettarla per accompagnarla alla fermata e lei lo avrebbe accarezzato ancora, gli avrebbe sussurrato che gli voleva bene.
Sentì i suoi occhi gonfi, stava per scoppiare a piangere ma non doveva. La porta del bagno si aprì e lei rapidamente si strofinò gli occhi. Si voltò e alla sua destra c’era Elena che la fissava, Andrea rimase pietrificata, abbassò lo sguardo e fu a quel punto che sentì una stampella cadere a terra e il rumore di uno schiaffo, poi il dolore e le lacrime scendere. Continuava ad avere lo sguardo basso, non voleva che la vedesse ma lei era lì. Senza dire una parola si voltò e si sciacquò il viso.
“Tu non sei quello che vuoi far credere di essere”
Silenzio.
“Tu non sei menefreghista, non me la dai a bere, togliti pure la maschera non ha più senso portarla ora”
Le raccolse la stampella e se ne uscì senza dire una parola.
Cinque anni per capire che m’importa di te? Cavoli devi essere proprio un medium, Elena!
Ho sempre pensato che io e te saremmo state la coppia perfetta: te che giudichi sempre tutto e dici che ti importa delle persone anche se poi dimostri il contrario e io…io che fingo che non mi importi di ogni pugnalata che li vita mi conferisce e ci sto male in silenzio io che ti amo ma inutilmente perché ami lui e io non potrò mai essere lui. Tutto sommato è meglio star soli non avere nessuno tra i piedi, non importarsene se il resto del mondo sta male.

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Capitolo 23
*** Notte prima degli esami ***


Ho un’ansia
Anche io
Ti va di vederci?
Quando? Domani c’è la prima prova
Tra mezz’ora, alla piazzetta davanti la scuola, ti rubo poco tempo promesso :-*

Dieci minuti dopo Andrea era già lì, aveva fatto una gran corsa in bicicletta e ora si ritrovava a fare avanti e indietro tra una panchina ed un pino. Forse non avrebbe dovuto accettare, forse sarebbe dovuta restare a casa a studiare o forse si poneva troppi problemi, prima o poi avrebbe dovuto lanciarsi in quella vita che non le apparteneva.
Quando la vide scendere dall’auto il suo cuore prese a battere all’impazzata. Fece un gesto di saluto alla ragazza che l’aveva accompagnata, era bella quasi quanto sua sorella.
Indossava un paio di jeans stropicciati e una t-shirt scura, un po’ troppo grande per lei, forse si era appena alzata dai libri. Era così diversa dalla ragazza precisina che conosceva…
“Ciao” disse illuminandosi con un sorriso, possibile che fosse davvero in ansia?
“Ciao” rispose Andrea curandosi di tenere le mani ben ferme in tasca.
Attraversarono la piazzetta silenziose e presero a camminare sul lungomare guardando il marciapiede sotto le loro scarpe. Forse Elena era davvero in ansia, non aveva ancora detto nulla ed era decisamente strana la cosa. Si fermò e poggiando i gomiti alla ringhiera di ferro arrugginita prese a guardare il mare. Andrea fece lo stesso, il mare era così calmo quella sera.
“Che ti prende El?”
“È che sta per finire tutto, poi che faremo?”
“Non lo so, saremo tutti più liberi, ci pensi? Che bello!”
“Non credi che ci mancherà tutto questo?”
“Tutto cosa? I prof che ci minacciano la bocciatura, le interrogazioni, il doversi alzare presto la mattina, i compiti, i litigi stupidi e inutili, i viaggi in autobus, i bulletti, i bagni che puzzano di fumo, gli sfottò….”
“Non ci sono solo le cose brutte” disse lei con le lacrime quasi agli occhi.
Avrebbe voluto abbracciarla ma sentiva che non era il momento, vide che aveva la pelle d’oca allora si tolse la camicia a maniche lunghe che portava sulla t-shirt e gliela mise sulle spalle. Lei sorrise e poggiò la testa sulla sua spalla, Andrea a fatica allontanò l’istinto di cingerle i fianchi. Forse quei momenti le sarebbero mancati. Forse lei le sarebbe mancata, ma non poteva continuare a starle vicino, avrebbe continuato a soffrire, da quel momento ognuno avrebbe preso la sua strada, era meglio così.
“Cosa vuoi fare nella tua vita?”
“Non lo so”
“Non ce l’hai un sogno?”
“Si, mi piacerebbe avere una moto e….non so, girare l’Europa in moto”
Elena la guardò con aria stranita “cosa vuoi fare quando avremo finito?”
“Boh!”
“Davvero non lo sai? Io penso che andrò all’università” disse con tono quasi malinconico.
“Ma dai! Non me lo aspettavo proprio da te” disse Andrea riuscendole a rubare un sorriso.
“Ti rendi conto che sono passati già cinque anni?”
“Finalmente”
“Tu fingi che non ti importi, lo so che hai un cuore anche tu...”disse pizzicandole un fianco “cinque anni fantastici”
“Già, cinque anni...ricordo la prima volta che ti ho visto in quell’aula in fondo al corridoio, il primo anno...eri entrata prima di me e ti eri presa il posto in ultima fila”
“Che tu il giorno dopo hai rubato”
“L’ho conquistato”
“Ah, certo”
“E tu da quel momento mi hai odiato”
“Già, come si fa a non odiare una come te?”
Chiacchierarono per un po’ come due buone amiche e presto, troppo presto Elena dovette tornare a casa. Andrea restò  ancora un po’ a fissare il mare: quell’anno era finalmente finito, finalmente avrebbe lasciato il paesino, si sarebbe dimenticata dei genitori, di Sara e di quanto le aveva fatto male lasciarla, del vuoto lasciato da Robbie e anche di Elena. Da quel momento avrebbe fatto di tutto per non rivederla, da quel momento avrebbe fatto di tutto per non affezionarsi a nessuno.
Gli anni delle scuole superiori qualcuno dice che sono i migliori anni della nostra vita, sono gli anni in cui si cresce, si matura, si intraprende un cammino che culmina con gli esami di maturità. Se sono davvero una prova di reale maturità io non lo so, ma spero tanto che i prof non siano “fiscali” che ci lascino fare quello che dobbiamo fare, ovvero copiare. Per il resto non credo che mi mancherà tutto questo. Da domani non avrò più nessuno a controllare che abbia fatto i compiti. Da domani si comincia una nuova vita lontano da tutto questo.

 


















NdA: Siamo giunti al penultimo capitolo, spero di non avervi annoiato, l'ultimo capitolo arriverà presto, se avete delle aspettative commentate pure...

 

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Capitolo 24
*** You will never know ***


La mattina della terza prova, Andrea fu accompagnata a scuola dalla madre che insistette per farle fare un’abbondante colazione al bar. Odiava i croissant e soprattutto odiava essere trattata come una bambina che deve ancora imparare a camminare, così finirono per litigare e lei per fare tardi.
Arrivò nel cortile della scuola che erano presenti tutti: da Elena a Luciano, ovvero dalla secchiona all’ultimo della classe. La accolsero con un applauso, era la prima volta in cinque anni che arrivava in ritardo benché le porte dell’edificio fossero ancora chiuse e non fosse un vero ritardo. Sorrise e fece un leggero inchino, sarebbe stata la penultima volta che metteva piede lì dentro. Sorrise perché le aspettava un’altra vita o forse sorrise perché in certe situazioni è l’ansia a comandare.
Si avvicinò al suo gruppo, anche gli altri erano in agitazione, non facevano altro che parlare di esami e delle prove precedenti facendo aumentare l’ansia collettiva.
“Secondo me non fanno fuori nessuno”
“Boh! Dobbiamo stare attenti a inglese, secondo me mette un brano impossibile per far bella figura” rispose Elena.
Era così bella alla luce di quel sole, ma forse era quel momento a rendere tutto così diverso perché Elena era bella sempre ai suoi occhi.
“Ma voi ve lo immaginate un altro anno qua dentro?” disse Michele portandosi l’indice e il medio alla tempia fingendo di sparare con il pollice.
“E voi lo immaginate dove sarete tra un anno esatto o magari tra cinque anni? Ci mancherà tutto questo” disse Elena quasi con rammarico.
Certo, lei poteva stare tranquilla tanto aveva studiato ed era la prima della classe, non l’avrebbero mai bocciata.
Aprirono le porte ed il fiume di maturandi entrò lentamente dirigendosi verso il corridoio assegnato, Andrea si sentì soffocare e, lasciandosi trasportare dalla folla, giunse al corridoio del secondo piano proprio dove aveva trascorso quei cinque anni indimenticabili. Si mise al quarto banco sulla sinistra proprio dietro Elena come in tutte le altre prove.
Anche se non potevano comunicare la sua vicinanza la faceva sentire in un certo senso protetta. Quelle tre ore volarono. Consegnò prima di tutti, consapevole di aver fatto quasi tutto bene e si diresse verso l’uscita. Scendeva i gradini lentamente, le gambe acquistavano vigore ad ogni passo, era un momento meraviglioso, l’ansia della mattina si era sciolta pian piano e gli esami erano finalmente finiti. Certo, mancava l’orale ma aveva altri dieci giorni per pensarci. Stranamente stava bene, si sentiva libera.
Era nel cortile quando sentì bussare alle sue spalle. Si voltò e fu sopraffatta da un abbraccio. La strinse a sé e le sussurrò “mi mancherai”. Quell’abbraccio, che aveva evitato per quattro anni fu la cosa più bella dei cinque anni passati lì dentro. Sentì quel corpicino schiacciato contro il suo e quell’odore inebriare i suoi sensi. Ci avrebbe fatto l’amore lì, in quel momento in quello spazio così tanto odiato eppure così amato.
Quasi a voler rovinare quell’istante magico, Elena si staccò e le ricordò che qualche sera dopo avrebbero fatto una cena di classe, il giorno prima che cominciassero gli orali nel tentativo di accattivarsi i prof. Andrea odiava queste cose e lei lo sapeva bene, ma le promise lo stesso che ci sarebbe andata.
La mattina della domenica seguente fu svegliata da un messaggio di Elena che le ricordava nuovamente la tanto attesa cena di classe, come se fosse stato possibile dimenticarsene e le diceva che doveva esserci perché doveva darle qualcosa di importante.
Quella domenica si vestì per bene e prese l’auto dei suoi. Parcheggiò nella piazzetta poco distante dal ristorante e si avviò all’entrata. Vide tutti i suoi compagni di classe ben vestiti e ben sistemati e si sentì fuori luogo. Tornò indietro e incrociò Michele, che la seguì in auto e le chiese spiegazioni.
“Io….io non so che ci faccio qui” rispose quasi con le lacrime agli occhi.
“Andiamo, abbiamo passato cinque anni insieme a quelli, ci conosciamo tutti, non hai motivo di….”
“Per favore, và via”
Il ragazzo scese e se ne andò con gli altri, Andrea era una persona strana, nessuno la capiva, come avrebbe potuto farlo lui?
Elena la aspettò fuori finché non entrarono tutti, poi si rassegnò ed entrò anche lei. Dopo il cibo, le risate e le raccomandazioni dei prof, si mise in auto. Andò sul lungomare dove aveva passeggiato con Andrea poco più di una settimana prima e strappò la lettera che le aveva scritto lasciando che il vento ne portasse via ogni frammento.
Era stata una stupida, ad Andrea non importava di nessuno, come avrebbe potuto importarle di lei? Era solo un’egoista che fingeva di esser buona con lei.
 Avrebbe voluto piangere, ma la sua era solo una gran delusione.



N.d.A. Siamo alla conclusione della storia (delusi vero?), che vi sia piaciuta o meno finisce qui...ma la vita della protagonista continua e se ne avrete voglia, a breve pubblicherò il continuo (mi fermo qui per non dare altre anticipazioni).
Il mio ringraziamento va a te che stai leggendo, a te che sei arrivat* fin qui e a tutte quelle persone che mi hanno scritto o che hanno commentato la storia.
di cuore, GRAZIE.
R.P.

 

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