Danze dall'inferno

di PeaceS
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo I - il risvolto della medaglia ***
Capitolo 3: *** Capitolo II - Un mondo nuovo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Danze dall’inferno

 
 
Non c’è nulla di più prezioso del tempo, poiché è il prezzo dell’eternità.
Louis Bourdaloue

 
Un tuono scosse le fondamenta e un fulmine illuminò il cielo plumbeo in uno scatto furioso, accarezzando – di striscio – i volti dei presenti nella Sala meeting a Malfoy House.
Quel giorno era gremita.
Un chiacchiericcio continuo rimbombava tra le quattro pareti di pietra grezza, sfiorando solo di striscio le orecchie dell’uomo seduto a capo di una lunga tavolata di cedro scuro.
Aveva gli occhi obliqui e rossi fissi davanti a sé e sembrava guardare il vuoto quasi con espressione ossequiosa, ma un sogghigno terrificante gli aveva storto la bocca sottile e aveva fatto rabbrividire di paura tutti i presenti.
Il marmo lucido e bianco quasi scricchiolò sotto l’ennesima pressione degli agenti atmosferici e Lord Voldemort accarezzò con lo sguardo l’immensa vetrata alla sua destra, tempestata dal continuo ticchettio iroso della pioggia.
Sorrise ancora, con una luce folle nelle iridi vermiglie.
“Miei Mangiamorte!” sibilò, attirando l’attenzione della Sala e zittendo gli animi.
La sua lingua biforcuta saettò in avanti, divertita, e l’Oscuro Signore ghignò ancora, sentendo lungo la spina dorsale il solito brivido che gli causava detenere il potere su tutte quelle persone.
Il pensiero di poterli piegare, spezzare, sottomettere. Il fatto che tutti fossero terrorizzato dai suoi occhi, che avessero paura anche solo a guardarlo dritto in volto.
Socchiuse lo sguardo, inspirando con dolcezza.
“I tempi stanno per cambiare, definitivamentebisbigliò, febbrile, accarezzando con i polpastrelli pallidi il muso della sua Nagini, che alzò di poco la testa per ancorare gli occhi nei suoi, curiosa.
“Allora è vero!” Mcnair quasi balzò a sedere dalla sedia, ansioso e sgomento.
Bellatrix lo zittì con un occhiata raggelante, raschiando l’aria tra i denti in un sibilo tremolante.
“Sì, mio caro amico” annuì Voldemort, spostando lo sguardo da Nagini alla sua bacchetta, quasi soggiogato dai giochi d’ombra che le sue mani grifagne creavano sul tavolo.
“Avverrà un disastro… l’apocalisse! Il tempo non può essere cambiato in modo così drastico, moriremo tutti” urlò l’uomo, saltando in piedi completamente travolto dal panico.
Per la sala serpeggiò lo sconcerto e alcuni mormorii si alzarono nuovamente nell’aria, infastidendo il serpente attorcigliato al braccio di Tom Riddle, che sibilò indispettito.
“Avada Kedavra!” l’urlò dell’Oscuro Signore zittì nuovamente gli animi, ma nessuno osò guardare il corpo di Mcnair scivolare lungo il pavimento lucido e produrre un suono inquietante, un tonfo secco che spense i bollori di qualsiasi Mangiamorte.
“Chi mi è fedele non dovrebbe dubitare di me… non è vero, Jugson?” e questa volta gli occhi vermigli del Lord si posarono sull’uomo alla sua sinistra, dai folti capelli biondo sporco legati in un codino basso e i grandi occhi azzurri, quasi liquidi per la paura.
“Mai, mio signore” balbettò Albert Jugson, stringendo da sotto il tavolo la mano della donna al suo fianco, ma senza osare distogliere lo sguardo da quello del suo padrone.
“Bene, molto bene” asserì quello, abbassando nuovamente la bacchetta.
Jugson continuò a rimanere immobile come una statua e Voldemort sogghignò ancora, spostando nuovamente lo sguardo sulle sue mani pallide.
“Il tempo… che cosa preziosa e utile” bisbigliò, carezzevole, alzandosi fluidamente e lasciando svolazzare la sua veste nera dietro le sue spalle.
Camminò tra i Mangiamorte, per la Sala vuota, e si beò del panico che creava tra i suoi servi; respirò a fondo la paura e l’inquietudine, quasi aleggiando sul marmo. Il suo passaggio lasciò un tenue profumo di veleno che avvolse tutti i presenti in una grande nube tossica.
“Ma, soprattutto, mutevole” mormorò, prima di bloccarsi alle spalle del giovane Draco Malfoy, che sobbalzò violentemente quando gli sfiorò la nuca.
Bellatrix, silenziosamente, esultò quando il suo Signore si rivolse direttamente a suo nipote e li osservò entrambi con dedizione, quasi deliziata da quella visione.
“E io, questa volta, so’ di avere la vittoria in pugno!” sillabò, venendo illuminato sinistramente da l’ennesimo fulmine.
Draco Malfoy rovesciò lentamente il capo, pallido come un cencio e smagro come mai prima di allora: sembravano passati anni da quando il ragazzo orgoglioso e baldanzoso aveva varcato le soglie di Hogwarts, sicuro di sé.
“Portami Harry Potter, e avrai ogni cosa tu voglia”
Gli occhi d’acciaio di Draco brillarono tutto d’un tratto, affascinati da quel tono cadenzato e lugubre.
“Porta a termine la tua missione, e camminerai al mio fianco”
E un tuono sembrò sancire quella promessa.
“Portami la vittoria, Draco Malfoy, e il mondo sarà ai tuoi piedi”
Ah, la vanità, il peccato più grande di un Serpeverde.
Ah, l’ambizione, la loro dote più spiccata.
Draco Malfoy annuì, quasi incantato dalle promesse sussurrate da quegli occhi vermigli.
Un gemito si alzò – strozzato – nell’aria.
“Bene, mio giovane amico” disse Lord Voldemort e invitò Draco ad alzarsi, con un gesto leggiadro delle mani.
Il ragazzo balzò in piedi, inchinando il capo.
Il Signore Oscuro allacciò una catenina d’oro al collo del giovane, sigillandola con un incantesimo.
Una grossa clessidra brillava sulla camicia madida di Draco.
“Tornerai indietro di sette anni, dove per la prima volta hai incontrato Harry Potter. Lì impedirai che incontri i Weasley e tutti coloro che l’hanno aiutato ad essere dov’è ora” iniziò e Draco, se possibile, sbiancò ancora di più.
“Rimedierai ai tuoi errori e diventerai il suo unico amico; lo convincerai che il potere è l’unica cosa che conta nella vita… insieme all’immortalità.
Lo trascinerai con te a Serpeverde e lì, tutto avrà il suo corso; appena ti sarai accertato che Potter è veramente convinto di quel che dici, passerai alla Mezzosangue” sibilò con voce perfida.
Bellatrix spalancò gli occhi neri, vittoriosa.
“Dovrà ucciderla?”
Lord Voldemort scosse il capo, senza mai distogliere lo sguardo vermiglio da quello d’acciaio del suo servo.
“No. Quella ragazza – nonostante abbia il sangue sporco – ha potere. Tanto potere… e sono sicuro che sarebbe un punto a nostro favore dalla nostra parte” mormorò e Bellatrix strinse le labbra rosse.
“Immagina cosa sarebbe in grado di fare con la magia oscura, cosa scaturirebbe da quella testolina così preziosa” bisbigliò l’uomo, accarezzando la clessidra.
“Ma mio signore…” si lamentò Bellatrix, zittendosi di scatto quando Voldemort la guardò, imperioso.
“Ho detto che la voglio” e con questo considerò chiusa la questione, visto che Bella annuì, abbassando lo sguardo.
“Tutto verrà cambiato, mio giovane amico, e tu dovrai tornare a casa – con sette giri – appena ti sarai assicurato che loro siano effettivamente dalla nostra parte.
Ripeto: il tempo farà il suo corso e sta tranquillo, perché io sarò l’unico a ricordarmi di te” mormorò e, senza nemmeno dargli adito di parlare o fare qualcos’altro, gli racchiuse una boccetta tra le mani e afferrò con forza la clessidra.
“Buon viaggio” rise perfido e – con sette giri – fece scivolare quell’oggetto prezioso.
Draco chiuse gli occhi, annaspando: tutto gli scivolò dalle dita, divenne fosco, lontano… illusorio. La nausea gli attorcigliò le viscere, il suo cuore perse qualche battito.
Il tempo andò indietro, sempre di più, e quando riaprì gli occhi si ritrovò a Diagon Alley; Draco sbatté ripetutamente le palpebre, sorpreso, ma capì perché era arrivato lì.
Di lì a poco, Harry James Potter avrebbe varcato le soglie di Madama McClan e lui avrebbe fatto – per la prima volta – la sua conoscenza.
Questo significava che le danze avevano finalmente inizio.

 
 

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Capitolo 2
*** Capitolo I - il risvolto della medaglia ***


Capitolo I –
Il risvolto della medaglia

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“Non c’è nulla che sia buono o cattivo, a renderlo tale è il pensiero”
William Shakespeare
 
 

Conoscete la sensazione stramba di quando si ha un déja-vù?
Il vivere un giorno e avere il sospetto di averlo già vissuto precedentemente? Ecco, quella di Draco non era affatto una sensazione, ma una realtà: lui stava per rivivere una giornata già vissuta e – quella –  era la sua occasione per riscattarsi.
Non esisteva nessun e se? Lui aveva fatto una scelta che lo aveva portato a disprezzare Potter, inimicarselo, e – ora – poteva cambiare il passato. Stravolgerlo.
Era apparso a Diagon Alley, dove per la prima volta aveva incontrato Harry, ed era sicuro che tutto era iniziato lì, quando dalla vetrina della bottega di Madama McClan, aveva intravisto Hagrid e il suo sorriso solare; l’occhiata che gli aveva rivolto quel bambino occhialuto – quando aveva offeso il Mezzogigante – era stata più che eloquente: vissuto in una famiglia che non gli aveva dato nulla, se non batoste su batoste, non accettava chi insultasse l’unico che lo aveva salvato da una vita di assoluto degrado. Quello che, a quanto pare, si era rivelato il suo primo e unico amico.
E quella volta, Draco, avrebbe dovuto giocare d’astuzia… e conoscere sia Potter che la Granger non faceva che volgersi a suo favore: sapeva i loro punti deboli, quelli di forza; ciò che li irritava, ciò che li compiaceva. Lui poteva mettere ogni tassello al proprio posto e farlo come più gli garbava, stravolgendo una vita intera...  e crearne una nuova.
Intravedere la sua versione undicenne – comunque – fu facile: aggrappato alle braccia dei suoi genitori, sembrava così invasato e super eccitato che parecchi occhi già erano posati su di lui, divertiti, attirando irrimediabilmente l’attenzione.
Distrarre Lucius e Narcissa e far sparire il suo formato mini, alla fine, fu un impresa; non se ne stava mai fermo e chiacchierava fino allo sfinimento, senza mai prendere fiato e, Draco, concordò con se stesso che fastidioso e molesto erano aggettivi che gli si addicevano alla grande.
Riuscì ad afferrarsi all’ultimo minuto, quando sua madre e suo padre lo lasciarono all’entrata della bottega di Madama e – chiudendosi a riccio nel mantello nero che indossava – tappò la bocca a quel nano e riuscì a mormorare un incantesimo restringente; il sé undicenne si dibatté, cercò di morderlo, ma alla fine rimpicciolì fino ad entrare nella sua tasca.
Svenuto, perché sveglio proprio non voleva subirselo.
Draco ingerì la pozione age – preparata con gran strategia dall’Oscuro Signore -  e cominciò a rimpicciolirsi: il mantello gli cadde dalle spalle come una coperta e la camicia si allungò sulle sue maniche fino a poterci danzare dentro.
Ora, fisicamente, era in tutto e per tutto un undicenne.
E Salazar, aveva dimenticato un cambio di vestiti. Che sciocco!
Ora il pantalone strusciava sull’asfalto e Draco, prima di essere visto dai suoi genitori o qualcun altro, s’infilò nella bottega.
Si ricordò – mentalmente – di non nominare Serpeverde fin quando, Potter, non sarebbe stato lontano da Grifoni… doveva fare leva sulla sua ignoranza: Harry non conosceva ancora niente di Hogwarts e questo era già un gran vantaggio per lui; avrebbe anche dovuto modificare la memoria del sé undicenne o magari apparirgli in sonno e dargli qualche dritta su come comportarsi su Potter.
“Buongiorno” esclamò con voce tremante, cercando di imitare la vivacità – ma anche l’aristocrazia dei Malfoy – di un bambino che sta per imbarcarsi e andare ad Hogwarts.
“Hogwarts, vero?” e senza nemmeno dargli il tempo di dibattere, una donna tarchiata e sorridente lo sbatté su uno sgabello.
Draco sbuffò, notando le occhiate delle sarte ai suoi vestiti disastrati: quelle sciagurate mica sapevano che poteva permettersi il negozio con loro dentro.
“E allora?” sibilò, fissandole in segno di sfida.
Le assistenti arrossirono e si affaccendarono velocemente attorno a lui.
Draco comincio a sudare. Era preoccupato da morire e non vedeva l’ora di ritornare al suo presente e – magari – per la prima volta, dalla rinascita di Voldemort, rilassarsi. 
Sospirò.
“Ciao” bisbigliò una vocina accanto a lui, facendolo sobbalzare violentemente e infilzare dagli aghi di quelle arpie.
Potter era lì, al suo fianco, basso, impaurito, mingherlino ed eccitato come lo ricordava; aveva i capelli neri disparati in ogni direzione e gli occhiali tondi sul naso tenuti con lo scotch.
Proprio come lui indossava vestiti larghi e malridotti, anche se – decisamente – per circostanze diverse.
“Ciao!” salutò Draco, tutto pimpante, guadagnandosi un sorriso incerto e preoccupato da Potter.
“Vai anche tu ad Hogwarts?” domandò Draco, fintamente curioso, giusto per sciogliere il ghiaccio e renderlo meno nervoso.
Harry annuì, entusiasta e Draco sogghignò: era così facile raggirarlo ora, solo e confuso com’era.
“Anche io, sai? Sono così in ansia!
Se da una parte sono super eccitato, dall’altra – che rimanga tra noi – ho una paura folle!” borbottò a bassa voce, con un espressione affranta che non gli si addiceva nemmeno lontanamente e… zac!
Harry Potter adescato.
“Non sai quanto ti capisco” sospirò Harry, guardando comprensivo i vestiti larghi di Draco. Quest’ultimo rise.
“Ce la faremo, vedrai” disse, ammiccando nella sua direzione.
Poi, illuminandosi, vide che dalla vetrina principale era apparso il Mezzogigante… e per lui era arrivata l’ora di dare la seconda zampata. Quella decisiva.
“Ehi, guarda quello!” esclamò, indicando ad Harry il punto esatto in cui Hagrid mostrava i grossi gelati tra le dita, per fargli capire che – purtroppo – non poteva raggiungerlo.
“Quello è Hagrid” disse Harry tutto contento.
“Lavora a Hogwarts” aggiunse, gonfiando il petto tutto orgoglioso.
Draco finse di spalancare gli occhi per lo stupore “Woah!” cinguettò, disgustando persino se stesso per quel tono tutto zuccheroso.
“Che forza!” ribatté e, soddisfatto, vide che Harry sorrideva felice; in effetti, ammise tra sé e sé, fare amicizia con Potter non era così difficile come aveva creduto all’inizio della missione e persino a undici anni.
Bastava solamente fare leva su quel lato buonista che – ora che era agli inizi – poteva essere soppresso e fatto a pezzi come un inutile edera velenosa.
“Vero? Anche a me piace tanto!” disse Harry, guardandolo sinceramente compiaciuto.
Come no, pensò Draco, sorridendo tutto zuccheroso.
“Ecco fatto, caro” disse Madama McClan, sospingendo Draco molto gentilmente dallo sgabello.
“Bene, ci vediamo ad Hogwarts… com’è che ti chiami?” domandò Malfoy, assumendo un espressione angelica che avrebbe fatto accapponare la pelle a suo padre.
Harry gli tese la mano, la stessa che sette anni prima aveva rifiutato e che ora – di sua spontanea volontà – gli stava porgendo.
Draco sorrise, trionfante.
“Io sono Harry” si presentò, sorvolando volutamente sul suo cognome.
“Io mi chiamo Draco! Allora a presto, Harry” e dicendo quello afferrò il pacco che gli stava porgendo Madama e uscì dal negozio, senza trattenere un ghigno vittorioso.
Potter non faceva che facilitargli il compito e le cose stavano andando esattamente come dovevano andare… e, quella volta, la storia sarebbe stata diversa.

 
Dopo i rimproveri di suo padre – basati sul suo abbigliamento – e sul fatto che avesse lasciato che qualcuno più grande gli lanciasse un incantesimo, unica scusa decente che aveva trovato per giustificare quello che indossava, Draco riuscì a sfuggire dalle grinfie dei suoi genitori giusto in tempo per incontrare la sua seconda preda.
E fu strano, fu nuovo, perché ne era sicuro: quell’incontro non lo avrebbe dimenticato mai, anche se era stato programmato tutto nei minimi dettagli.
Hermione Granger fissava con la bocca semi aperta la vetrina del Ghirigoro e sembrava completamente estasiata dalla vista dei molteplici libri esposti; le manine erano poggiate sul vetro della libreria e gli occhi bruni abbagliati dalla bellezza di quei tomi.
Draco prese un profondo respiro e si motivò mentalmente come aveva fatto prima con Potter: aveva una missione da compiere e se non voleva morire prematuramente o far schiattare i suoi genitori per mano di quel sadico di Voldemort, doveva portarla a termine. 
“Sono belli, vero? Mia madre, a casa, ha creato una biblioteca che è quasi più grande di quella di Hogwarts… e io ci passo giornate intere” disse, avvicinandosi a quella figura e attirando – proprio come voleva – la sua attenzione.
Aveva gli occhi grandi e spaesati, ma lei gli sorrise timidamente quando mormorò quelle parole.
“Anche tu andrai ad Hogwarts?” domandò curiosa e – a quella vicinanza – Draco poté contare le piccole efelidi che le sporcavano il naso deliziosamente all’insù.
Non che si sorprendesse dell’imperfezione di quella pelle da bambola di porcellana: Hermione Granger era tutta sporca – lo era per antonomasia – e quello non avrebbe potuto cambiarlo nessuno.
“Oh, certo che sì!” rispose comunque, annuendo convinto.
I capelli ricci e crespi di lei vennero smossi delicatamente dal vento estivo di fine Agosto e Draco le spostò una ciocca insistente dietro l’orecchio, sospirando nel vederla arrossire a quel contatto improvviso.
Non era difficile gestire lei e le sue emozioni… lei e Potter erano entrambi visibilmente insicuri – posti davanti ad un mondo sconosciuto – e quindi facilmente modellabili.
Bastava solamente tenerli lontani da ciò che li aveva resi i loro stessi del futuro per rendere la missione un successo assicurato.
Draco sorrise.
“Come ti chiami?” domandò, entrando nel negozio seguito immediatamente da lei.
Evitò l’accalco di persone camminando di fianco e salutò con un cenno del capo il proprietario, che ricambiò con un generoso gesto del capo; anche lui, naturalmente, era passato sotto le grinfie di suo padre.
Quelli erano i tempi in cui Lucius aveva potere e fama e – automaticamente – era conosciuto da quasi tutto il Mondo Magico Britannico.
“Hermione. Hermione Granger e tu?” incespicò la ragazzina, aggrappandosi al suo braccio per non perderlo di vista.
Draco sciolse la presa e, mordendosi la lingua con forza, le prese la mano fino a guidarla accanto lo scaffale che conteneva i testi di Hogwarts.
“Draco Malfoy”
Hermione gli sorrise ancora, mostrando i denti davanti piuttosto grandi e Draco ricambiò, impedendo al suo nasino aristocratico di arricciarsi dal disgusto.
Afferrò “storia di Hogwarts” e la mostrò al proprietario, che con un cenno gli fece capire che poteva considerarsi quella copia pagata e Draco fece dietro-front, uscendo dal negozio.
Essere ricchi – per fortuna – era un vantaggio bello grande se voleva riuscire in quello che avrebbe dovuto portare a termine: con un gesto plateale della mano, porse il libro alla Mezzosangue, che lo guardò sorpresa.
“C’è scritto tutto ciò di cui hai bisogno di sapere su Hogwarts” spiegò alla sua occhiata attonita. 
“Non posso accettare” esclamò Hermione, senza però fiatare quando lui glielo infilò con forza tra le mani.
Il vestito estivo che indossava si alzò insieme al vento e la gonna a pieghe bianche creò un alone attorno il suo corpicino piccolo e teso.
Sembrava così piccola e innocente, in quel momento…
“Leggilo e ad Hogwarts me lo restituirai” insistette Draco, facendo spallucce.
Hermione, allora, si strinse il libro al petto e lo ringraziò con un meraviglioso sorriso, inclinando il capo e annuendo entusiasta.
“Grazie” mormorò flebile, mentre un sogghigno si dipingeva sulle labbra sottili di lui.
Da quanto desiderava che lei fosse docile come in quel momento? Ora, il sapore della vittoria, era magnifico e dolce come il miele.
“Secondo me, saresti una perfetta Corvonero” bisbigliò, afferrando un ricciolo tra le dita e tirandolo con dolcezza.
“Corvonero?” domandò lei curiosa, ingoiando a vuoto quando si rese conto che si era avvicinato ancor di più.
Draco inspirò il suo profumo e si sorprese di sentire una leggera fragranza di miele – lo stesso della sua vittoria – e Iris.
“Il dormitorio ad Hogwarts per coloro che sono più intelligenti” spiegò lui, indicando il libro tra le sue braccia e ammiccando. Hermione arrossì ancora di più e lui allargò il suo sorriso.
“Lo credi davvero?” disse lei, scrutandolo con attenzione, come se volesse captare segni di menzogna nel suo sguardo. Peccato che lui fosse il re delle bugie e che comunque, quella… non lo era.
“Sì” mormorò in risposta e, sentendo lo stomaco contorcersi, vide un bagliore illuminare quegli occhi bruni.
Era soddisfazione, trionfo e un inquietante dolcezza.
“Ora devo andare, Hermione. Ci vediamo sull’Espresso… e mi aspetto grandi cose da te” disse Draco, indietreggiando verso la strada affollata di Diagon Alley con un sogghigno sulla bocca.
Non Grifondoro o sarebbe andato tutto a puttane, ma Corvonero.
Nessun Weasley, solo Potter e lui, che avrebbe tenuto d’occhi ad entrambi.
Lui, che quella volta avrebbe vinto.

 
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King’s Cross era sovraffollata.
Uomini in ventiquattrore che correvano a destra e manca, fidanzati che si abbracciavano con una forza inaudita e bambini che piangevano, aggrappati alle gonne delle madri.
I treni partivano con un suono malinconico, ma potente, come a voler ricordare che erano lì… e che portavano lontano da tutto e tutti.
Draco, prima di recarsi alla stazione – dove sarebbe giunto Potter da un momento all’altro – aveva fatto una visitina ai Weasley; senza farsi vedere aveva messo mani a quell’orribile macchina che li avrebbe portati al binario e… diciamo che avrebbero avuto un leggero ritardo, tutto qua.
Naturalmente non era stato né Lucius né sua madre ad accompagnarlo, ma Dobby – l’elfo domestico di casa Malfoy – e appena questo era stato sicuro che fosse salito sull’espresso per Hogwarts, Draco se l’era dato a gambe per raggiungere la parte Babbana della stazione.
“Scusi, sa’ come posso raggiungere il binario nove tre quarti?”
Ma davvero lo stava domandando ad un controllore o stava avendo le allucinazioni? Draco si schiaffeggiò la fronte, arrampicandosi sulle spalle di Potter prima che combinasse altri guai.
“Harry!” cinguettò, facendosi guardare male dall’uomo e sorprendendo Potter, che rovesciò il capo verso di lui, sorpreso.
“Ehi, Draco… per fortuna che sei qui!” disse disperato, stringendo le mani sul carrello e guardandosi attorno spaesato.
Draco fece spallucce, superandolo e avviandosi verso il muro che divideva la banchina numero nove dal dieci “Sai come andare al binario?” domandò Harry, preoccupato, seguendolo come un cagnolino sperduto.
Indossava un pantalone meno largo di quello che aveva addosso a Diagon Alley – come la camicia a quadroni e la maglia azzurra – ed era decisamente più presentabile… capelli a parte.
“Devi correre verso il muro e schiantarti dentro” disse senza preamboli, mentre quello lo fissava con tanto d’occhi, come se fosse impazzito.
Draco sbuffò.
“Non sto scherzando, Harry… fidati di me” e con quella frase avrebbe capito se veramente Potter si fidasse di lui. Aveva bisogno che lo facesse ad occhi chiusi e che lo seguisse ciecamente.
O, a Serpeverde, non sarebbe mai riuscito a trascinarcelo.
“D’accordo” mormorò dubbioso Harry, fissando il muro con un incertezza che gli fece venire l’orticaria.
Tralasciando quel piccolo dettaglio, però, lo vide chiudere gli occhi – prendere un profondo respiro – e… correre.
Corse fino al muro di mattoni e venne risucchiato, completamente invisibile agli occhi di quei Babbani troppo indaffarati per vedere realmente.
Ce l’aveva fatta. Harry si fidava di lui.
Draco lo seguì di volata, superando senza tentennamenti la barriera che portava dritto dritto al binario nove tre quarti: la locomotiva scarlatta quasi brillava sotto la luce del sole settembrino e gli studenti si accalcavano uno sopra l’altro per entrare nei vagoni, eccitati.
“Bello, vero?” soffiò all’orecchio del ragazzino, che annuì.
Sembrava completamente abbagliato da quello spettacolo unico e Draco sogghignò, afferrandolo per un braccio “Vieni, o ci perdiamo i vagoni migliori!” disse, trascinando il baule di Harry per i gradini e depositandolo nel vagone apposito per i bagagli.
Draco si ricordò di non soffermarsi assolutamente sui primi vagoni e nemmeno quelli centrali: incontrare Weasley era l’ultima cosa che voleva e quelli erano perlopiù popolati dai Grifondoro, i Tassi e i Corvonero.
“Ma sono tutti occupati?” domandò Harry, vedendolo superarli tutti di gran carriera, senza nemmeno guardarci all’interno.
Draco sbuffò “Sì, di solito molti arrivano di gran anticipo per prendersi i posti migliori” rispose angelico, avventurandosi verso gli ultimi vagoni, di solito presi dai Serpeverde.
Evitò grazie alla memoria quelli dov’erano seduti Tiger e Goyle, che gli avrebbero rovinato il piano con i loro commenti stupidi e razzisti, e aprì l’ultimo, occupato già da due ragazzini.
“Theodore, Blaise” salutò, venendo ricambiato da un cenno dei due, che volsero immediatamente lo sguardo verso Harry, che quasi rimpicciolì su se stesso.
“Lui è Harry, un mio amico” lo presentò, mandando occhiatacce che avrebbero raggelato anche l’inferno.
Non che Zabini e Nott fossero due stupidi: li conosceva da quando portavano tutti e tre il pannolino e capirsi con uno sguardo non era mai stato difficile; difatti, Blaise e Theodore abbozzarono un sorriso, salutando entrambi con le manine.
Draco entrò nel vagone e si sedette accanto a Blaise, trattenendosi dallo scoppiare a ridere; Salazar, erano dei pupattoli!
Tre nani di tutta carriera – da quella prospettiva – che ad occhio esterno sembravano così sicuri di loro stessi… ma con così poca esperienza. Con così poca fiducia.
“Harry, questo qui – e indicò il ragazzo di colore seduto accanto a lui – è Blaise” presentò, facendoli stringere la mano con vigore per poi passare al ragazzino con i capelli neri e i tratti un po’ coniglieschi.
“Lui, invece, è Theodore” completò, mentre Harry si sedeva proprio accanto a Nott e si guardava attorno curiosamente.
E pensare che era tutta colpa sua se la sua infanzia era stata priva d’affetto. Se suo padre gli raccontava ogni sera la storia di un bambino che era sopravvissuto… e che avrebbe portato ogni prestigio alla loro casata se sarebbe diventato amico suo.
Se lo avesse trascinato dalla loro parte.
Tutto per lui. Sempre tutto per Harry.
“In che dormitorio andrai, Harry?” domandò Blaise, spostando gli occhi neri e obliqui su di lui, che sussultò.
Draco nascose il sorriso che gli stava nascendo sulle labbra, poggiando il capo sul cuscino dietro di lui.
O forse a Serpeverde, ragazzi miei,
voi troverete gli amici migliori
quei tipi astuti e affatto babbei.
Ah, quanto aveva ragione il Cappello Parlante?
“Oh, beh… non lo so’ ” bisbigliò Harry, spaesato, fissandolo in cerca d’aiuto.
Draco quasi riusciva a sentire il rumore della trappola che cadeva e si chiudeva su quel bambino, intrappolandolo. Riusciva a vederla sopprimerlo e renderlo tutt’altra persona.
“Beh, c’è Tassorosso, che è per quelli che non hanno una dote particolare” iniziò, rabbrividendo al pensiero di poter essere smistato lì.
Suo padre gli aveva sempre detto meglio niente che Tassorosso, anche se Draco non aveva mai capito perché.
“Corvonero, che si dice siano i più studiosi e intelligenti” continuò, scuotendo il capo perché non sarebbe finito lì nemmeno tra cent’anni.
Era troppo pigro per fare il mulo sui libri.
“Grifondoro… quelli coraggiosi, ma – a parer mio – anche quelli più spacconi e prepotenti” borbottò, mettendoci la sua giusto per fargli capire che quello era off-limits per lui.
“E infine Serpeverde. Per quelli astuti, abbastanza intelligenti, ma anche svogliati; per quelli che hanno intenzione d’avere fini ed onori. Io, Theodore e Blaise vogliamo essere smistati proprio lì” disse Draco, a cui brillarono gli occhi senza nemmeno saperlo.
Harry lo fissò, affascinato.
“Serpeverde è per chi non ha intenzione di soccombere… ma riemergere” sussurrò e qui seppe che era suo.
E qui seppe che l’aveva conquistato.
“Verrai anche tu a Serpeverde, vero, Harry?” domandò Blaise, storcendo la bocca carnosa in un sogghigno e accentuando ancora di più i suoi zigomi alti.
“Già, Harry… verrai a Serpeverde con noi, vero?” gli diede man forte Theodore, alzando gli occhi blu su di lui e fissandolo pieno d’aspettativa.
Ah, perché loro sapevano perfettamente che se qualcuno attirava la sua attenzione era perché c’era qualcosa di speciale che lo spingeva a volerlo… completamente.
Harry annuì “Beh, anche se ho il dubbio che finisca a Tassorosso” borbottò, grattandosi la nuca imbarazzato.
Draco rise, socchiudendo gli occhi grigi e scuotendo il capo.
“Non sei così sfigato, Harry” bisbigliò, stringendo i pugni per la vittoria.
Avrebbe proprio dovuto vederlo, suo padre, ora: stava esaudendo i suoi sogni, desideri… e, una volta tornato a casa, sarebbero diventati reali. Veri.
Dopo così tanto tempo e così tanta fatica, il potere era suo.
E lui sarebbe stato finalmente libero di vivere come voleva.
Quella volta aveva vinto lui.
… E glielo dimostrarono proprio loro poche ore più tardi, quando approdarono nella Sala Grande per lo smistamento.
La sala gremita, molteplici occhi posati su di loro, il mormorio che dilagava incessante; l’aspettativa, l’attesa, l’ansia e la gioia.
Ma Draco non provava nulla di tutto ciò. Aspettava solamente che quella lista scorresse velocemente e si posasse sui capi di chi desiderava si posassero.
E avvenne.
“Granger Jean Hermione”
La prima della sua lista, che salì su quei gradini con passo malfermo e gli occhi preoccupati, che immediatamente lo visualizzarono tra la folla.
La Mezzosangue gli regalò un sorriso solare che ricambiò immediatamente, per rafforzare la scelta che le aveva inculcato nel cervello.
Non Grifondoro, non Grifondoro, si ritrovò a pregare, mordendosi con forza le labbra nel sentire il cuore battergli furioso nel petto.
Il cappello continuò a tentennare sul suo capo e Draco perse un battito, ansioso.
“Corvonero!”
Un applauso scrosciante risuonò al tavolo alla loro destra ed Hermione sorrise più che poté, correndo verso i ragazzi vestiti di blu e argento.
Sedendosi, lo salutò con una mano.
Stava vincendo lui.
Sembrava tutto così incredibile… ma ce la stava facendo.
“Malfoy Lucius Draco”
I suoi occhi non si distolsero mai da quelli di Harry, anche mentre si sedeva e il cappello gli sfiorava solamente il capo, per poi urlare immediatamente “Serpeverde” come se già sapesse.
Come se fosse scontato.
Draco fece l’occhiolino ad Harry, che sorrise in risposta e andò a sedersi al tavolo accanto a quelli dei Corvi – dai colori verde argento – che subito l’accolsero con un applauso rigoglioso.
E allora ora doveva aspettare solamente il momento decisivo, quello che avrebbe deciso che cosa sarebbe successo. Quello che gli avrebbe detto se quel viaggio era andato a vuoto o no.
Se era all’altezza o no.
“Potter James Harry”
Draco si aggrappò al bordo del tavolo, mentre i professori e tutti gli alunni si sporgevano per guardare meglio il bambino sopravvissuto.
“Potter? Salazar, Draco! Perché non ci hai detto che era Potter?” bisbigliò Theodore a bassa voce al suo fianco, mentre lui gli intimava silenzio per sentire meglio.
Vide Weasley sporgersi per vederlo meglio e sgranare gli occhi e Draco rafforzò la sua presa.
Prima che il cappello scivolasse sui suoi occhi, Potter lo guardò un ultima volta, speranzoso. E Draco capì.
Capì e sorrise, perché il cappello non tentennò un secondo: urlò “Serpeverde” con quanto fiato avesse in gola.
E sì, la vittoria era sua.

 
_____________________________________________________________
 
Era arrivato il momento di andare e mettere in guardia il suo sé undicenne.
Draco non avrebbe lasciato niente allo sbaraglio e non avrebbe permesso nemmeno a se stesso di rovinare il suo piano, quindi – quando tutti andarono a dormire – lui uscì di soppiatto per rifugiarsi nel bagno di Mirtilla Malcontenta, dove era sicuro di non incontrare nessuno.
Cacciò il suo mini sé dal mantello della divisa e lo riportò a grandezza naturale, sdraiandolo sul pavimento dalle piastrelle fredde; bevve la pozione invecchiante – che lo avrebbe portato alla sua età – e aspettò.
Aspettò fin quando i suoi vestiti si rimpicciolirono fino a doversi spogliare. Aspettò che aprisse gli occhi e che il suo mini sé cacciasse un urlo, spaventato.
“E tu… e tu chi sei?” balbettò, indietreggiando verso la porta di uno dei cunicoli, spaventato.
Draco si sedette sul pavimento, avvolgendosi nel mantello e guardandolo seriamente.
“Ricordi quella volta che, per attirare l’attenzione, cadesti dal salice piangente nel giardino di Malfoy House? E che, nonostante questo, Lucius non fece altro che dire le ferite non faranno che rafforzarlo?” disse Draco, facendo sgranare gli occhi alla fotocopia di se stesso.
Lo vide distogliere lo sguardo e stringere i pugni, come la bocca in una linea sottile; si ritrasse, portandosi le ginocchia al petto e non osò guardarlo ancora.
“Il giorno dopo nostra madre fece abbattere quell’albero, nonostante fosse il suo preferito” bisbigliò Draco e qui lo vide sbarrare gli occhi fino all’inverosimile.
“Io sono il te del futuro, mocciosetto”
Lo vide rovesciare il capo verso di lui e fissarlo attentamente: dai capelli ossigenati agli occhi grigi, al collo sottile alla catenina che pendeva sul petto: un serpente attorcigliato su se stesso.
“Com’è possibile?” sussurrò, incredulo, trattenendo il fiato.
“Ci è stata affidata una missione… una missione importante che, se portata a termine, ci porterà oneri e potere infinito.
Ricordi cosa voleva nostro padre?” disse Draco e l’undicenne sgranò gli occhi, annuendo immediatamente.
“Potter è a Serpeverde e deve restarci, intesi? Sono qui per darti delle dritte, per fare in modo che ci sia amico in modo permanente” continuò, deciso, mentre gli occhi gli brillavano di una luce nuova, determinata.
“D’accordo” lo seguì il piccolo, suscitandogli un sorriso.
“Ne sono due. La Granger e Potter ed entrambi devi tenerli lontani da Weasley… chiedi aiuto a Nott e Zabini, sono gli unici abbastanza intelligenti da farsi domande ma farsi gli affaracci propri.
La Granger è una Mezzosangue, ma deve essere dalla nostra parte: quella crea guai ed è abbastanza intelligente da affossarci tutti, capito?
Sii gentile con lei e magari cerca di tenerti per te la storia dei Mezzosangue.
Dimentica tutto quello che ti ha insegnato Lucius, capito? Lui – nel mio futuro – ci ha portato solamente allo sfacelo… e ora abbiamo l’occasione di redimerci.
Ora abbiamo l’occasione per vivere una vita nuova, dove noi siamo i più potenti” sussurrò Draco, con voce febbrile, fissando il suo sé undicenne con una pazzia nello sguardo che vedeva rispecchiarsi nelle sue stesse iridi grigie.
“Scommetto che sono due paladini della giustizia” sbuffò il ragazzino e Draco ridacchiò, annuendo.
“Fa’ capire loro che il potere è l’unica cosa che conta e fallo con astuzia, striscia come un serpente e tutto andrà come stabilito.
Ricorda: dimentica tutto ciò che Lucius ti ha insegnato e sii quello che loro vogliano che tu sia”
E capì che aveva capito quando lo vide stringergli la mano con convinzione, nello sguardo la luce della vittoria.
Prese la clessidra che riposava sul suo petto – accanto la catenina che gli aveva regalato sua madre anni prima – e se Voldemort, al suo arrivo, aveva fatto sette giri in senso orario… lui ne fece altri sette, ma in senso antiorario.
E quando aprì gli occhi, un esistenza – un mondo – completamente diversi si palesarono al suo sguardo.
Aveva cambiato ogni cosa… tranne se stesso e questo non fu affatto un bene.

 

 
Angolo Autrice:
Questo capitolo è “transitorio”, cioè fa di passaggio a quelli successivi, in cui si entrerà nella storia vera e propria.
Sono vari spezzoni – messi apposta – per ricostruire le tappe che ha dovuto ripercorrere Draco, e i metodi che ha dovuto usare, per compiere la missione affidatagli da Lord Voldemort.
Volevo ringraziare le venti persone che mi hanno messo nelle seguite, le quattro nelle preferite e le deliziose persone che hanno recensito e che io non smetterò mai di ringraziare.
Spero che questo capitolo sia di vostro gradimento e per qualsiasi dubbio, spoiler o altro, potere trovarmi qui

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Capitolo 3
*** Capitolo II - Un mondo nuovo ***


Capitolo II –
Un mondo nuovo


 

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“Il tempo libera gli uomini dagli affanni”


 
 
“Ti stavo aspettando”
Una voce serpentina lo avvolse con una scarica elettrica, rimbombando tra quelle mura grezze e spoglie, cupe, come un tuono in lontananza.
Draco si girò di scatto, ingoiando a vuoto dinnanzi agli occhi rossi e obliqui di Lord Voldemort, che sogghignava divertito.
“Mio signore!” annaspò Malfoy, inginocchiandosi ai piedi dell’Oscuro Signore con il capo basso e accorgendosi solo in quel momento che non erano né a Malfoy House e tantomeno al maniero di uno dei suoi servi più vicini.
I tappeti persiani erano di ottima fattura e le teche appese ai muri contenevano armi di tortura che avrebbero fatto impallidire anche i più impavidi Grifondoro; la stanza era rettangolare e il soffitto infinitamente alto, affrescato da grandi battaglie in movimento.
“Hai portato a termine il tuo compito, mio giovane Malfoy… e tutto è andato come doveva; il nostro potere è infinito e tutta l’Inghilterra è ai nostri piedi” sussurrò l’uomo con soavità, avvicinandosi con un sorriso folle sulla bocca sottile.
Era avvolto da una tunica di velluto nero e la sua pelle d’alabastro spiccava alla luce delle lanterne d’oro appese al muro; il suo naso non erano più due narici schiacciate, ma il suo volto era quello di un uomo… come se tutto fosse stato cancellato e poi riscritto.
Aveva cambiato il mondo.
“Mi hai lasciato un pensatoio dove avresti saputo le nozioni più importanti, in modo che tu non possa rovinare quello che hai costruito con le tue stesse mani” iniziò, indicando il recipiente ricamato d’argento sulla scrivania di mogano alla sua sinistra.
Emanava una luce azzurrognola.
“Guarda ciò che tu stesso volevi che guardassi e ritorna alle tue mansioni” finì l’Oscuro Signore, indietreggiando con i piedi scalzi e sorridendo ambiguo.
Draco tremò e – senza riuscire a contestare quell’ordine – s’inchinò un ultima volta prima di raggiungere frettolosamente il pensatoio; doveva essere andato qualcosa storto se aveva chiesto esplicitamente al suo signore di guardare nei propri ricordi.
“Non avere paura giovane Draco, non c’è niente di cui tu debba preoccuparti” ridacchiò Tom Riddle, sedendosi su una poltrona di pelle nera, dove accavallò le gambe e continuò a fissarlo con i suoi occhi rossi e inquietanti.
Immerse completamente il volto in quel liquido trasparente, trattenendo il fiato: si trovava ad Hogwarts, nel giardino principale della scuola – a pochi passi di distanza dalle arcate – ed Harry Potter lo fissava serio attraverso gli occhiali dalla montatura quadrata.
“Non dirmi bugie, Draco! È stato lui ad uccidere i miei genitori!” lo sentì sibilare a bassa voce alla sua miniatura, che lo guardò determinato attraverso le lunga ciglia bionde.
Lui ha dato la possibilità ad entrambi di vivere, Harry. Tuo padre, se il suo migliore amico non l’avesse tradito e Silente non si sarebbe impossessata di quella cosa, probabilmente sarebbe stato ancora vivo – e lo saresti anche tu – e lo stesso vale per tua madre” bisbigliò, afferrando il ragazzo mingherlino di fronte a sé per il polso sottile.
Harry sospirò, mordendosi con forza le labbra per impedirsi di scoppiare a piangere come un bambino.
“Non essere sciocco, Harry; i tuoi genitori si sono messi contro qualcosa più grande di loro e sono sicuro che – se mai ritornasse – lui ti aiuterebbe a farli tornare” mormorò Draco, affievolendo la scelta e sogghignando nel vedere l’amico sgranare gli occhi smeraldini.
“Di cosa stai parlando?” sbottò brusco, trascinandolo per un braccio verso il Lago Nero e guardandosi attorno con sospetto, come se avesse paura che qualcuno potesse sentirli… o che – semplicemente – potesse intuire i loro discorsi dallo scintillio del suo sguardo.
“Era immenso, idiota! Ogni cosa che lui voleva, era sua e basta e nessuno poteva contrastarlo. Le sue conoscenze per le arti oscure erano infinite e sicuramente non sarebbe stato un problema resuscitare due morti” disse con scherno, osservando divertito lo scintillio di desiderio che prevalse nelle sue iridi.
Harry annuì, convinto e Draco sorrise.
“E comunque sai che sono io la tua famiglia” disse melenso, guadagnandosi l’ennesimo sorriso sincero dal bambino che gli stava di fronte.
“E io la tua” annuì Harry, battendogli un pugno sulla spalla.
 
La scena cambiò.
Draco aveva dodici anni e sorrideva verso una bambina dai capelli ricci e crespi, che ricambiava pienamente con i denti lunghi davanti.
Erano seduti sotto il salice piangente che distava da metri dal Platano Picchiatore e ridacchiavano su qualcosa che – in quel momento – non capì appieno.
“Sei un idiota, Malfoy” e questa volta, Hermione, scoppiò a ridere, spintonandolo con dolcezza e scuotendo il capo.
Draco si vide passare una mano tra i crini biondi e pallidi, che brillavano alla luce del sole settembrino di quello che, ad occhio e croce, era il loro secondo anno.
“Ritornando a discorsi seri, Hermione… hai capito quello che ti ho detto?” domandò, guardingo, fissandola negli occhi con una luce che – lui stesso del futuro – di primo acchito non capì.
“Non ne sono sicura, Draco; tu mi parli di queste scelte, di quest’uomo che promette il mondo, ma che disprezza i Babbani e i miei genitori lo sono” disse la ragazzina, stringendosi il libro di pozioni al petto e guardandolo preoccupata.
Draco sospirò e la sua mano – facendogli sgranare gli occhi – andò a stringere quella di lei.
“Tu ti fidi di me?”
Quelle parole si persero nel vento che tirò proprio in quel momento, portando con sé l’ansia, il timore di una risposta negativa.
Sempre”
E la scena s’interruppe proprio su lui che l’abbracciava di slancio, stringendosela al petto.
Draco annaspò, incredulo: sì, era stato intelligente, aveva tessuto una tela sottile, perfida e velenosa, ma riconosceva quello sguardo. Sapeva cosa c’era in quegli occhi.
E non gli piaceva per niente.
 
Ora si ritrovava nella Sala Comune dei Serpeverde, seduto accanto ad Harry su un divanetto di pelle nera; l’orologio a pendolo sul camino di mattoni batté le tre di notte, facendone tremare le fiamme bluastre all’interno.
“Dice che la pozione è quasi pronta” disse Harry, con gli occhi socchiusi e il capo rovesciato verso l’entrata del ritratto.
Draco si vide attorcigliare una lettera, ma non riuscì a leggerne il contenuto e serrò i denti, preoccupato per se stesso.
“Avevi ragione tu… il Signore Oscuro è la strada giusta; lui è l’unico che può farmi riavere la mia famiglia, una vita prettamente normale e tutto ciò che non ho mai avuto da bambino” bisbigliò, stringendo le dita in un pugno e sfiorandosi la cicatrice di volata, come a volersi accettare che fosse lì.
Aveva tredici anni e il volto stanco – pallido – quasi stremato.
“Ti fa allenare ancora come un pazzo?” mormorò Draco, rigirandosi la fascetta d’argento che portava all’anulare sinistro.
Harry sorrise con una vena folle che sembrò rispecchiarsi in Lord Voldemort e annuì, sbadigliando vistosamente.
“Devo allenarmi se voglio uccidere Sirius Black!”
Il divanetto sfumò come i loro volti, cambiò forma e divenne una stanza buia, che non sembrava avere consistenza.
Il volto di Hermione brillava nitido.
“Che succede?” il suo se stesso del passato sembrava preoccupato e stringeva le mani sulle spalle dell’amica con una stretta che sembrò pressante persino a lui.
“Sono… sono anni che lo sopporto. Anni che ignoro le sue frecciatine e il suo disprezzo; sono anni che cerco di convincermi che studiare non è male e non c’è motivo per cui debba vergognarmi e gli stessi anni Weasley mi ripete che sono un insopportabile so-tutto io!
Gli stessi anni che mi ripete che mai nessuno mi vorrà” sibilò dura, assottigliando gli occhi bruni e storcendo la bocca in un ghigno infernale che lo fece tremare.
“Cosa vuoi?” bisbigliò Draco, prendendole il viso tra le mani e avvicinandolo al proprio.
Incatenò lo sguardo al suo e sospirò, sconfitto.
“Voglio conoscere Lord Voldemort… e unirmi a lui. Dimostrerò a tutti questi idioti chi è il topo da biblioteca” e il bruno delle sue iridi brillò, facendogli mancare il respiro.
Fu sbalzato letteralmente all’indietro, contro la biblioteca accanto la scrivania e crollò seduto sul tappeto persiano con il respiro accelerato e il cuore impazzito.
“Ritorna alle tue mansioni, mio giovane amico” la voce dell’Oscuro Signore non ammetteva repliche e Draco balzò in piedi, fuggendo letteralmente dalla stanza.
Aveva scatenato qualcosa che non poteva controllare… qualcosa che non era in suo potere e che avrebbe potuto persino causare disastri uno dopo l’altro; cambiare il tempo era pericoloso – da pazzi – e lui era stato l’unico ad averlo fatto in un modo così drastico.
Aprì la prima porta che gli saltò agli occhi e ci entrò alla velocità della luce, chiudendosela alle spalle con un tonfo che rimbombò nel silenzio di quella stanza piombata nella penombra.
Si girò lentamente, sentendo la nuca bruciare sotto uno sguardo pressante e trattenne il fiato – sprofondando in una completa apnea. –
Una donna sedeva su quello che aveva tutta l’aria di essere un trono d’oro massiccio e aveva il capo poggiato pigramente contro un palmo rovesciato verso l’alto.
La bocca di more era tesa in un ghigno ironico, mentre – con la mano destra – muoveva il polso delicatamente, come se stesse dirigendo un orchestra, come se desse forza agli incantesimi che stava maneggiando con troppa leggerezza.
Un corpo si contorceva ai suoi piedi, dove sandali dal tacco centoventi scintillavano alla luce del lampadario di cristallo di quella sala larga e alta; il vestito nero che la donna indossava accarezzava appena i cinturini di strass che avvolgevano la caviglia sottile e risaliva con un profondo spacco inguinale che le lasciava scoperta la gamba pallida e slanciata.
La seta le lambiva in modo idilliaco i fianchi stretti, ripercorrendo il busto rigido e aderendo al seno piccolo, coperto a malapena da una scollatura a barca di un delizioso pizzo color avorio – unico colore presente oltre al pallore innaturale della sua pelle. –
Gli occhi grandi e bruni erano truccati pesantemente con dell’ombretto nero e le ciglia lunghe le sfioravano come nuvole passeggere le guance scarne.
Il suo volto era simile ad un teschio.
“Sei tornato a casa, amore” sospirò con voce bassa, roca.
L’ambra dei suoi occhi – piccole chiazze che le sporcava l’iride – erano lava liquida.
Draco indietreggiò, sgranando lo sguardo terrorizzato.
“Amore?” boccheggiò, fissando incredulo i ricchi lunghi che le arrivavano ai fianchi di un intenso castano scuro, quasi nero.
Hermione Granger sorrise, mostrando una fila di denti bianchi come perle in netto contrasto con la bocca scura.
“Sì, amore. Ti senti bene?” domandò ironica, alzando un sopracciglio.
Il corpo ai suoi piedi aveva smesso di muoversi e – spostandosi verso destra – Draco vide che, sotto gli strati di lividi e tumefazioni, c’era il volto spaventato di un uomo; i capelli bianchi e radi, gli occhi castani lucidi di lacrime… “Lumacorno?” mormorò, riconoscendo sgomento il corpo flaccido e scomposto del suo professore, molto più magro di come lo ricordava.
“Sì, tesoro. Tu volevi tanto ucciderlo ed Harry ha provveduto a portarlo dritto da te” ora il volto della Granger era duro come la pietra e lo fissava senza alcuna espressione di sorta.
Draco tremò ancora, incredulo.
“Ucciderlo?” riecheggiò, lasciando cadere le braccia lungo i fianchi e respirando a fatica.
Che aveva fatto?
Che aveva combinato?
“Draco, mi dici che ti prende?” sbottò Hermione, irritata, alzandosi di scatto e creando un alone nero dietro le sue spalle magre.
Non riusciva a crederci… quella non era Hermione Granger. Non le assomigliava nemmeno lontanamente: il volto scarno – scheletrico – lo sguardo spento – vuoto -, la bocca piena – intrisa di veleno – erano solamente l’immagine distorta, il riflesso di uno specchio rotto, di chi era in realtà.
“Nulla, nulla. Sono solo confuso” borbottò Draco, fissando l’ammasso di carne ai piedi di quella magnifica regina.
“Comunque” aggiunse frettoloso, indicando Lumacorno con un cenno del capo “Non mi interessa più” e forse, scioccamente, aveva pensato che lei lo avrebbe lasciato andare, memore di chi era stata… ma si era sbagliato e di grosso.
Illuminata dalla luce del lampadario, alzando il braccio sinistro e mostrando il marchio lucido e maligno sulla sua carne infetta, Hermione puntò – senza alcun sentimento nello sguardo – la bacchetta contro l’uomo-
“Avada Kedavra!”
Un lampo di luce verde, la stanza risucchiata dall’ossigeno e Lumacorno lo fissò senza vita, riverso sul pavimento in una posizione quasi innaturale.
“Adoro quando lo fai” un applauso vivace e poi una voce sibilante: Draco rovesciò il capo all’indietro, trovandosi faccia e faccia con la morte.
Che aveva fatto?
Che aveva combinato?
Harry Potter si fece avanti, avvolto dalla stessa tunica nera che – poco prima – aveva visto indosso al loro padrone, senza produrre alcun suono con i piedi scalzi; la bocca sottile, pallida, era tesa in un sogghigno deliziato mentre fissava Hermione tra le ciglia folte e nere.
I suoi occhi – un tempo verde smeraldo – ora erano sbiaditi: al suo posto, un bianco pallido si faceva spazio, confondendosi con la sclera.
Harry tese la mano verso di lei e la fede d’oro doppia che indossava si ricongiunse alla gemella con un tintinnio quando Hermione si affrettò a stringerla.
Erano sposati.
Che aveva fatto?
“Lo so” mormorò Hermione, con voce grave.
Draco indietreggiò, ammutolito.
Loro erano… sposati.
Non era possibile! Aveva analizzato appositamente i suoi pensieri durante quegli anni e il suo sguardo quando fissava la Granger era inconfondibile: lui era attratto da lei e quest’ultima in egual modo.
“Sei tornato presto”
Questa volta si rivolse a lui, ma con un atteggiamento più sciolto di Lord Voldemort; Harry si comportava con lui come un amico – un conoscente – e non un servo e questo gli assicurò la vita. Almeno per il momento.
“Sì, non c’era molto da fare” rispose Draco, inghiottendo a vuoto e rispondendo con nonchalance.
Hermione subì uno strano tic all’occhio sinistro, ma non si mosse dal fianco del marito.
Merlino, era stato la causa del cambiamento di quelle due persone. Aveva macchiato le loro anime pure e le aveva trasformate in un nero così scuro che – ora – era inconfondibile. Sporco.
“Tra poco avremo visite, preparatevi” disse Harry, facendo spallucce e baciando Hermione su una spalla nuda di sfuggita prima di uscire dalla stessa porta da cui Draco non si era mosso da quando era entrato.
Fissò Hermione negli occhi.
“Visite?” mormorò, pallido, seguendo con lo sguardo l’incedere dei fianchi di lei, che si avvicinò lenta.
Con la stessa mano che aveva stretto quella di Potter, lo accarezzò sulla guancia – lasciando una scia infuocata – lasciandogli un ringhio a fondo gola.
“Non toccarmi” sibilò, incattivito, spostandole di scatto la mano con cui l’aveva sfiorato.
Hermione, invece di offendersi, sorrise: alzò gli occhi al cielo e senza produrre alcun rumore con le labbra mosse la bacchetta. Aveva insonorizzato la stanza.
Non c’era granché, lì… solo strumenti di tortura inimmaginabili. Un letto di ferro munito di chiodi, gabbie minuscole, spade, pugnali e chi più ne ha più ne metta.
“Mi sei mancato” sussurrò Hermione, accostando la fronte alla sua e sospirando sulla sua bocca in modo lascivo.
I loro corpi aderirono e qualcosa s’impiantò in lui velocemente, senza nemmeno dargli il tempo di capire cosa fosse… se non calore. Calore cocente e basta.
“… Io ti sono mancata?”
Draco sentì la testa girare repentina e il profumo di Hermione entrargli sotto pelle, fin dentro le ossa; più che una sensazione sconosciuta, sembrava che avesse provato – insieme a lei – quelle cose mille e mille volte.
E allora capì.
“Sì”
Il suo se stesso del passato aveva fatto l’errore di innamorarsi e ricordi che non aveva mai vissuto l’assalirono improvvisamente: il libro che le aveva regalato al Ghirigoro, i complimenti quando era riuscita ad entrare a Corvonero e il rossore sulle sue guance quando le faceva complimenti sulla sua intelligenza.
Gli abbracci di slancio e le fughe di nascosto.
“Va bene così” bisbigliò lei sulla sua bocca, prima di aggrapparsi alle sue spalle e circondargli la vita con le gambe nude.
Il primo bacio, ad Hell Manor.
Hermione intrufolò la lingua tra le sue labbra e gli accarezzò il palato con lentezza, affossandogli le guance con i pollici e strusciando il proprio bacino contro il suo. E respirò il suo respiro. E s’impossessò della sua saliva.
E fu sua.
Gli graffiò i fianchi coperti dalla seta, lo spacco che le denudava le gambe, il punto d’incontro che li avrebbe visti amanti.
E ricordò di quando – per la prima volta – era stata veramente sua. Non di Potter né di Weasley, ma sua.
Le accarezzò il seno ricoperto dal pizzo color avorio, tremando nel sentirla tremare. Annaspando nel sentirla annaspare.
Gemendo nel sentirla inarcarsi, gemere.
Era la stessa sensazione che aveva provato ad allora o almeno che ricordò di aver provato: la stanza delle necessità vuota, se non per un letto senza lenzuola e il camino senza fuoco; nessuna finestra, nessuna luce, solo i loro occhi incatenati, le loro mani intrecciate.
E i sospiri, quelli che li aveva bruciati. I gemiti, che li avevano portati alla follia estrema.
“Draco”
Sì, Draco, non Harry.
Era lo stesso pensiero che aveva formulato ad allora, soddisfatto, fiero di come il suo nome risuonasse tra quelle labbra.
Ma Merlino, era la Granger! Fino e pochi minuti prima l’aveva odiata fin nel profondo e poi lei lo aveva toccato… rovesciandogli nelle vene un fuoco inestinguibile, ricordandogli un passato che non era stato vissuto da lui.
“Cazzo!” sbottò Hermione improvvisamente, staccandosi repentina dal suo corpo e aggiustandosi il rossetto sbavato e la gonna alzata.
Confuso, la vide prendere un profondo respiro e lanciargli un occhiata eloquente prima che la porta si spalancasse per la seconda volta ed Harry avanzasse impetuoso, trascinandosi dietro una ragazza dai capelli rossi.
Cazzo, ripeté mentalmente la parola che aveva pronunciato la Granger ma per motivi diversi.
“Visto chi è venuto a farci visita?” ridacchiò il ragazzo dai capelli neri, sbattendola violentemente sul pavimento di pietra e facendo sobbalzare sia Draco che Hermione, ancora immobili.
Ginevra Weasley gemette, legata per i polsi e le gambe senza potersi muovere. Senza potersi proteggere.
Non è possibile, pensò ancora Draco, angosciato.
“Per amor del cielo, Potter! Certe volte dimentico che voi Serpeverde non avete coraggio ad affrontare gli altri in modo leale” sibilò, con i capelli rossi a coprirle il volto pallido e la cicatrice che partiva dalla tempia sinistra e terminava sul collo sottile.
“Sta zitta, Weasley… il tuo puzzo da traditrice del proprio sangue da questa distanza!” sbottò Potter, con scherno, calciandola su un fianco con la punta degli stivali.
Draco guardò la scena incredulo, il petto che si alzava e abbassava frenetico.
Cristo.
“Lascia questi tuoi commenti razzisti per la tua puttanella, megalomane!” sputò Ginny, furiosa, muovendosi come un anguilla nel cercare di liberarsi dalle corde.
Hermione sogghigno.
“La sua puttanella è sua moglie, dolcezza o te lo sei dimenticato?” mormorò soave, inginocchiandosi ai suoi piedi con un sorrise folle sulla stessa bocca che aveva baciato pochi minuti prima.
E lesse negli occhi di ambedue le donne la verità, quella che sembrava celata dalle loro gesta, dalle loro parole. Erano antagoniste, contendenti dello stesso uomo pazzo.
“Giuro su tutto ciò che ho di più caro che appena mi volterai le spalle – appena farai un passo falso – ti accoltellerò con così tanta forza da ucciderti all’istante.
Mio fratello non sarà morto per il periodo premestruale di una stronzetta” bisbigliò la Weasley, con gli occhi castani ridotti in due fessure.
Draco s’immobilizzò.
Weasley.
“Credevi… credevi davvero che avrei lasciato vivere quell’insulso uomo dopo quello che mi ha fatto passare per cinque anni? Hm?” sussurrò Hermione, calandosi come un falco sulla ragazza e fissandola con uno sguardo che – a parere di Draco – era più che inquietante.
Non era lei, ma la rabbia a parlare e in un attimo gli balzò in mente il ricordo dove lui parlava di Ron Weasley come chi non gli desse pace.
I ruoli si erano invertiti: non c’era stato nessun Troll nei bagni e nessuna Hermione nascosta in uno dei cubicoli a piangere per un commento sgarbato del rosso; c’era stata solo una Corvonero sempre pronta a correggere gli altri e a mostrare la propria intelligenza.
Una Corvonero che aveva frequentato assiduamente due Serpeverde.
Merlino… lo aveva ammazzato lui.
Aveva ammazzato Weasley con le proprie mani.
“Va all’inferno!” urlò Ginny, sputandole in un occhio.
E si scatenò veramente l’inferno: Hermione Granger si alzò quasi a rallentatore dalla posizione accovacciata che aveva assunto per parlare faccia a faccia con la nemica e i suoi occhi bruni assunsero una sfumatura rossastra che fece tremare la donna ai loro piedi.
“Crucio!”
Perché Voldemort aveva sempre avuto ragione. Lei era importante, fondamentale, e possedeva un potere imparagonabile se coltivato e indirizzato sulla giusta via; la sua bacchetta rilasciava scintille rossastre e sembrava maneggiata con una cura quasi incurante, come se non si rendesse nemmeno conto di averla tra le mani.
I capelli sembrarono animati di vita propria e s’alzarono aperti a ventaglie attorno il suo volto distorto dalla rabbia: ora c’era solo una rabbia distruttrice.
Crucio!”  e lo urlò con così tanta rabbia che gli strilli della Weasley divennero preghiere, scongiure.
Tremava in preda alle convulsioni, sbattendo a destra e manca sul pavimento di pietra: dalla sua bocca uscì un rivolo di sangue e le sue tempie si scoprirono tumefatte dalle ripetute botte contro la pietra quando Hermione bloccò l’incantesimo.
Gemette, rantolando disperata.
“Non attaccarmi malattie, ti prego” sibilò con sdegno verso il marito, afferrando un lembo del vestito e uscendo frettolosa dalla stanza delle torture.
“Seguila” disse Harry, indicando la porta con un cenno del capo.
Draco tentennò solamente un secondo prima di seguirla di slancio, aprendo la porta senza sforzo e percorrendo il corridoio buio pesto: sentiva i suoi passi a poca distanza da sé e a malapena vedeva dove metteva i piedi.
Riusciva solamente a pensare che era colpa sua, solo colpa sua. Il rimorso lo inghiottì interamente, sotterrandolo sempre più a fondo… togliendogli sempre di più il fiato.
Riconobbe il suo profumo anche ad un metro di distanza e – a tentoni – afferrò il braccio di Hermione con fin troppa forza: lei lo sospinse con sé nell’ennesima stanza.
La sua stanza.
“La ucciderà?” quello fu l’unico pensiero che riuscì a formulare ed Hermione, allontanandosi da lui, si diresse verso lo specchio ovale alla destra del letto a baldacchino dalla tende di velluto nero.
Fissò il suo riflesso e i suoi occhi ritornati bruni, sogghignando amara.
“Ginevra Wealsey è la sua ossessione dai tempi di Hogwarts, Draco; se la scoperà fin quando lei non troverà nuovamente il modo per fuggire e lui non si rimetterà a giocare a gatto e topo” mormorò, insonorizzando nuovamente la stanza e lanciando la bacchetta sul comò di legno scuro di fronte all’unica finestra senza mai distogliere lo sguardo dal suo riflesso.
Inclinò il capo, lasciando che i riccioli le scivolassero lungo le spalle nude.
“Perché l’hai sposato?” sussurrò Draco, raggiungendo il letto e sedendosi sulle lenzuola verde-smeraldo con un sospiro.
Non era arrivato da nemmeno mezz’ora e già sentiva di stare per crollare.
Si era aspettato… si aspettava che tutto sarebbe cambiato, ma mai fino a quel punto: Harry Potter non poteva più nemmeno essere considerato un uomo ed Hermione Granger era una fredda assassina. Ed erano sposati.
E il suo se stesso idiota imprudente di quella dimensione era innamorato di lei, che era la moglie di quello che sembrava la fotocopia di Lord Voldemort.
“Quando al primo anno il Signore Oscuro promise ad Harry la sua famiglia ed un potere inimmaginabile e lui accettò, diventando il suo protetto – il suo figlioccio – non c’è stata più scelta per nessuno, Draco.
O con lui o sotto terra e io ho scelto la strada più facile… quella che ci hai indicato tu di seguire” rispose, lasciando cadere il vestito ai suoi piedi con un gesto fluido, senza nemmeno vergognarsi della propria nudità.
“Ma sei Mezzosangue” constatò lui con voce incolore, distogliendo lo sguardo dal suo corpo illuminato dalla luna e strappandole un sorriso.
“Sai bene che ad Harry più che la purezza di sangue gli è sempre interessato solo il potere… non uccide i ribelli per il loro status sanguigno, ma perché gli vanno contro” disse, sdraiandosi sul letto e portandosi le ginocchia al petto in un gesto che a Draco, in quel momento, sembrò dolce e tenero.
Le accarezzò i capelli, continuando a ricordare.
Ricordare lei e le sue risate, quel libro che continuava a conservare. Lei così dolce e vera, prima di prendere gusto nell’uccidere.
“Lui è ossessionato dal mio potere tanto quanto è ossessionato dal fatto che la Weasley gli sfugga e lo combatta con tutte le sue forze. Sapeva di noi, ma si è preso quello che voleva perché è ciò che fa: afferra e fa appassire tutto ciò che tocca” sospirò Hermione, mentre lui si sdraiava al suo fianco e assumeva la sua stessa posizione, continuando a guardarla.
Il seno svuotato, i fianchi magri e la pancia piatta… le costole che sembravano voler bucare la pelle cerea; le gambe lunghe e magre, troppo magra. Sembrava che non mangiasse da secoli.
“Ci ucciderà entrambi”
“Non lo farà… sembra che con il farci fare gli amanti voglia redimersi nell’averci diviso” e con questo si accoccolò accanto a lui, che la strinse anche se mentalmente continuava a maledirsi.
Voleva strozzarsi da solo. Anche se non aveva vissuto lui in prima persona i momenti con lei, sembrava che però – vivendo in quell’universo parallelo – li sentisse appieno.
Tutti i ricordi – anche solo se respirava nella sua direzione – venivano a galla e lui li riviveva, vi si riconosceva.
Ed era incredibile. Era da pazzi. Si odiava e la odiava.
Che aveva combinato?
“Mi dispiace” bisbigliò Draco, nel buio, sentendola respirare contro il suo collo lentamente, con dolcezza, andando a ritmo con il suo. E lo stesso faceva il suo cuore.
Ed era vero.
Draco poteva anche essere un bastardo Serpeverde, insensibile e viziato, ma sapeva cosa voleva dire uccidere, essere umiliati… indossare una maschera per sembrare qualcun altro e Voldemort gli aveva mentito.
Quella realtà non era affatto migliore della sua, anzi.
“Non è colpa tua, tesoro” mugugnò lei con voce impastata, affondando ancora di più il volto contro la sua spalla.
Draco se la strinse contro – facendo quello che il suo se stesso aveva fatto e avrebbe fatto – mordendosi la bocca pallida.
“Sì che lo è, ma ora dormi”
E la sentì annuire, poggiare le labbra contro la vena che pulsava sul suo collo arcuato e respirare appieno il proprio profumo.
Guardò impassibile il soffitto: era sfuggito da una realtà che lo vedeva perdete – che lo avrebbe visto assassino – ed era piombato in un universo che lo vedeva innamorato, che poteva considerarsi peggio, amante di una Mezzosangue – che era moglie di un megalomane – e ugualmente un assassino.
Che aveva combinato?

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