Le rose, seppur straziate, sfioriscono sempre in bellezza.

di Demoiselle An_ne
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


“André! André, svegliati! Dobbiamo andare!” Era la voce di Alain che lo chiamava e gli intimava di darsi una mossa. André si ridestò dal sonno con un momentaneo stato di sorpresa, poi ricordò di colpo. Dovevano uscire. Al pensiero di ciò che stava per fare percepì un sentore di nausea stringergli lo stomaco, stava quasi per dire ad Alain che non se la sentiva. Che “la soluzione ai suoi problemi” lo ripugnava, ma poi si disse che se non avesse fatto un tentativo di certo sarebbe impazzito. E poi che figura avrebbe fatto di fronte ai suoi compagni? Così, con un sospiro si vestì meccanicamente e rapidamente furono in strada. André, Alain e qualche altro loro compagno in cerca dei divertimenti che solo la notte poteva loro offrire. Quando furono di fronte a una di quelle che venivano chiamate “Casa di tolleranza” per poco André non fuggì via, Alain parve accorgersene infatti lo rimbeccò dicendo “André, non fare il codardo. Sai meglio di me che per dimenticare il comandante hai bisogno di questo” poi, come se si fosse accorto di aver esagerato, dandogli una vigorosa pacca sulla spalla disse col solito tono scherzoso “Che vuoi fare, castigarti? Fai prendere aria a ogni parte di te, ahahah”. André sforzò un sorriso e gli diede una leggera gomitata, deglutì e con passo pesante entrò in quella che comunemente veniva definito, bordello. L’aria era satura di fumo, mista ad alcol e qualcosa di dolciastro che non riuscì ad identificare, si sentì la gola ardere. Imprecò mentalmente per essersi fatto trascinare fin lì. Come poteva fare una cosa come questa? Sapeva benissimo quanto fosse sciocco rimanere lì, inerte in attesa di qualcosa che non sarebbe mai arrivato. Lì a farsi consumare dal desiderio inappagato di Oscar, la sua Oscar. Quella rosa che era cresciuta insieme a lui ed era sbocciata inconsapevolmente, mostrando una bellezza infinita e un animo forte e puro. Anche se quel sentimento non corrisposto non faceva altro che procurargli sofferenza, André non riusciva a far altro se non restare in silenzio e soffocare i propri sentimenti. Tutto al solo scopo di starle accanto, senza però segretamente alimentare la flebile speranza che un giorno le cose sarebbero cambiate. Si sentiva consumato da tanto dolce e triste dolore, era come una falena fatalmente attratta dalla luce, per questo si era trascinato dentro quel piccolo inferno di lussuria dove non c’erano santi, ma solo diavoli e anime in cerca di sfogo per i propri istinti. Alain posò una mano sulla spalla di André facendolo sobbalzare “Aspetta qui André, mi sono informato e mi hanno detto che in questo posto c’è qualcosa che fa al caso tuo. Vado a vedere se è disponibile”. André ebbe un fremito, come se il suo corpo lo stesse avvertendo che si era infilato in una situazione sgradevole, qualcosa di ambiguo e più grande di lui, in preda ad un prepotente nervosismo iniziò a torturarsi le mani. Poco dopo giunse l’amico con un grande sorriso stampato in volto dicendogli “La tua soluzione è disponibile, segui la gentile signora che vedi laggiù”, così dicendo puntò il dito in direzione di una vistosa signora d’età che in quel momento stava armeggiando con una candela, e aggiunse “Stasera offro io, vai e torna vincitore!” detto ciò gli diede una spintarella e si congedò con una sonora risata. Con passi pesanti e strascicati André andò verso quella donna che aveva tutta l’aria di essere stata bella una volta, ma che adesso non sembra altro che una grottesca maschera di ciò che era stata. La donna lo guardò come se volesse divorarlo e disse sorridendo “Incredibile, un bel giovane come te in un luogo come questo. Come mai sei qui? Lei non ti ricambia?” André seguì la donna su per la lunga scala dove lo stava guidando e tossì irritato da quelle domande, la donna colse al volo e lasciò cadere la questione. Non appena furono giunti a destinazione, la vecchia cortigiana si congedò augurandogli una buona serata e sorridendo sempre in maniera beffarda. André entrò nell’oscura stanza, l’unica luce proveniva da una candela abbandonata su un cassettone impolverato. La giovane presente nella stanza si mosse in direzione della luce per farsi rimirare. Ciò che André vide fu una cosa che lo fece barcollare, gli mancò il respiro e per un attimo si convinse di essere finito nel più dolce degli incubi. Come avrebbe fatto?

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


André rimase lì pietrificato ad osservare la sua anima sgretolarsi e ricomporsi più devastata di quanto non fosse mai stata. Voleva dire qualcosa, non spaventare quella donna che c’era lì davanti a lui ma dirle di avvicinarsi alla luce e di mostrarglisi completamente. Nessuna di queste cose però, preva essere anche solo lontanamente attuabile, perfino la voce sembrava aver battuto a ritirata! Si maledì per questo. Anche una ragazza con una somiglianza, seppur straordinaria ma pur sempre una somiglianza, riusciva ad ipnotizzarlo. Si sentì vittima di un qualche oscuro maleficio, inerte e privo di peso e forma stava lì. Sì giaceva lì, come un osso di seppia trascinato a riva dalla corrente, ad osservare quella ragazza anche se si trattava solo di una “copia”. La osservò come un qualcosa di evanescente, destinata a sparire da un momento all’altro; fu proprio il desiderio di saperla concreta che sembrava penetrargli fin nelle viscere e nei meandri più remoti dell’animo, a spingerlo a scuotersi e a parlare così (non senza un certo sforzo) disse “Signorina, potreste mostrarvi meglio alla luce? Vedo solo parte del vostro volto…” . Quella figlia della notte, così simile alla fiera Oscar, lanciò uno sguardo penetrante in direzione di André come se volesse catturarne avidamente l’essenza. Ma fu questione di pochi secondi, poi con fare imperturbabile affermò “Mi dispiace, ma non posso farlo. Sai ragazzo? Dopo non credo che verresti con me”, André scorse nel buio una chiostra di denti lucenti farsi strada con un sorriso amaro e tirato. Cosa avrebbe potuto fare? Lui desiderava guardarla, sapere se davvero quella figura misteriosa avrebbe potuto tramutarsi in una soluzione realistica quanto dolorosa. Si era arreso, aveva deciso di cedere ad una forma di sfogo ai suoi occhi deplorevole quanto squallida. Era arrivato allo stremo, sapeva che sarebbe precipitato nel limbo delle incertezze e nell’inferno della coscienza, ma non poteva più soffrire a quel modo. “Sono un uomo, un uomo come tutti. Forse perfino più debole, vedi Oscar? Riesci a capire dove mi sono spinto per non sgretolarmi sotto il tuo fiero sguardo? Io ti amo Oscar, ti amo come non ho mai amato e mai amerò nessuno. Ma bisogna fare i conti con la triste agonia che questo amore mi ha seminato nel cuore. Per questo perdonami.” Questi furono gli ultimi pensieri che André rivolse alla sua Oscar, prima di avvicinarsi a quella dama tanto ambigua. “Voglio solo guardarvi, concedetemelo. Ve ne prego”. La donna rimase sorpresa da tanta gentilezza, nessun cliente si era mai comportato così. Mai in nessuna occasione. Dedusse che quel ragazzo, dal cupo fascino e con uno sguardo che sembrava celare in sé la storia più vecchia del mondo, di esperienze con donne del suo tipo non dovesse averne avuto. “Benvenuto nel girone dei lussuriosi, tesoro” pensò mestamente, ma non disse nulla. Si limitò a pregare che quel ragazzo non l’avrebbe schernita duramente alla vista di ciò che aveva comprato per una notte, pregò che non fosse come gli altri. Desiderò che il suo istinto avesse visto giusto, con passo lento si accostò alla luce flebile per permettere una visione chiara e completa del suo viso. O almeno di ciò che restava del suo viso. André rimase senza fiato, povera creatura. Chi aveva osato deturpare un viso così angelico? Chi aveva strappato impunemente i petali di quella meravigliosa rosa? La giovane che gli stava di fronte, era sì uguale ad Oscar ma con una grande differenza. Una grossa cicatrice orizzontale le deturpava il viso, partiva dall’orecchio sinistro e spietata, arrivava sino alla fine della guancia. La ragazza osservò André e capì di averlo scosso. “Riesci a capire perché non volevo farmi vedere, ragazzo?” “Chi vi ha ridotto così?”, la voce di André tremò. Non riusciva neanche a immaginare quanto aveva sofferto la poverina, a pensarci gli salivano le lacrime agli occhi. A sorpresa, la donna s’irrigidì e disse “Non è affar tuo, non ne parlo mai e non lo farò con un cliente proprio stasera. Anzi, muoviamoci. Hai pagato mi pare, e di certo non per aver compassione di me…” André la interruppe e disse “Come vi chiamate?” voleva sapere di più su quella donna, aveva visto in lei la stessa tristezza che era incisa nel suo di sguardo e il fatto che fosse così simile ad Oscar non faceva altro che aumentare l’interesse nei suoi confronti, non senza risvegliare la parte più fisica di lui. “Eléonor. Non per farmi gli affari tuoi, ma credo seriamente che venire con me possa farti bene, hai l’aria di chi ha percorso il tortuoso labirinto dei sentimenti senza però trovare l’uscita. Brutta cosa i sentimenti, ti rovinano sempre. Dimenticala per stanotte, domani potrai tornare a struggerti per lei. Ma adesso non pensarci, la notte nasconde inghiotte tutto”. André pensò a quanto fossero vere quelle parole, ma ancora non riusciva a lasciar andare il pensiero di star tradendo Oscar. Forse perché quella che aveva davanti era una rosa come lei, solo diversamente soffocata dall’egoismo altrui. Mentre Oscar era stata soffocata con un’uniforme, Eléonor era stata soffocata dalla mano crudele di chissà chi. Glielo avrebbe chiesto proprio in quel momento se la ragazza non avesse iniziato ad armeggiare con la sua divisa, confondendolo. E fu allora che ebbe la più grande delle sorprese...

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


L'improvviso risveglio del suo corpo lo lasciò impietrito.
André non respirava più ormai, si limitava a rantolare. Com'era possibile che una donna che non fosse la sua amatissima Oscar, seppur tanto somigliante, fosse riuscita a risvegliare in lui istinti che lui aveva segregato, istinti dei quali l'unica a possedere la chiave era Oscar stessa. Gli pareva impossibile.
Ma se da un lato vedeva crescere il proprio desiderio, e le fitte tiranniche che il suo corpo gli lanciava per spingerlo a non fermarsi ma a proseguire e ad affondare disperatamente e completamente in lei, c'era una parte di lui che con supplichevole imperiosità gli intimava di arrestarsi all'istante. Perché? 
Perché se non l'avesse fatto sapeva quale sarebbe stato il suo prezzo dopo, l'inferno e il senso di sporcizia che non l'avrebbe mai abbandonato. 
Imbrattato per sempre dagli umori di una donna che non fosse Oscar, la sola a cui aveva giurato fedeltà per sempre. Da ben venti lunghi anni ormai. 
Si sarebbe sentito come il peggiore dei traditori, che cosa sciocca! Pensò tra sé, Oscar non gli aveva mai chiesto quel tipo di fedeltà e mai l'avrebbe fatto. Anzi, quando le aveva dichiarato impetuosamente i suoi sentimenti lui per poco non aveva lasciato che la ricerca spasmodica e concreta di un unione con lei non ponesse fine al rapporto più bello mai instaurato tra due esseri umani. Lei era rimasta lì, a piangere e aveva invocato lo svedese. Tutto ciò che lui non sarebbe mai stato, dunque. Eppure il loro rapporto era sopravvissuto a quel gesto dalle sfumature disperate che il suo amore lo aveva spinto a compiere, e lui in cuor suo continuava a sperare e a sentire i lacci invisibile di quel legame indissolubile stringerlo. Non poteva farlo, non poteva e non voleva, quel gioco ambiguo lo avrebbe trascinato in un abisso oscuro da cui non sarebbe mai riemerso. E poi come poteva proprio con quella donna? Eléonor sembrava condividere la sua sofferenza, gliel'aveva letto nello sguardo quasi fosse un marchio impresso col fuoco. 
"O- Oscar...scusami. Ma non posso" Elaine non meno ebbra del sapore e della voglia di lui si arrestò di colpo, gli si congelò il sangue nelle vene e quella cicatrice risalente ad un tempo figlia di un'altra vita le parve riprendere a bruciare.
"Chi hai chiamato?" chiese scostandosi e aggiustandosi la svolazzante gonna, sprofondando in una nera vergogna. 
"Perdonami, ma non posso farti questo. Non posso, né a te né a lei" sospirò André, rendendosi conto che ciò che aveva pensato gli era salito alle labbra senza che se ne rendesse conto.
"Lei, chi? Non inventare scuse ragazzo, ci sono uomini che sono talmente perversi che nel vedere il mio volto mi bramano come se fossi qualcosa da divorare e altri come te. Uomini a cui risulto ripugnante e si ritirano con le più improbabili delle scuse. E' per come sono, non è vero?". Eléonor sentiva la collera e il dolore straripare a fiotti, inondarla fin nel profondo del suo animo.
"Sì, è per come sei. Ma non come credi tu, tu somigli troppo ad Oscar e non potrei mai farlo. Sarebbe sbagliato, credimi hai risvegliato in me il desiderio ma non so dirti se questo sia dettato dal fatto che sembri quasi lei oppure no. E poi, ho visto affiorare qualcosa nel tuo sguardo qualcosa che conosco bene. Sofferenza e privazione. Privazione dell'amore, di quell'amore che da solo può spazzare ogni remora e ogni dolore. Se venissi con te stanotte, per quanto il mio corpo lo desideri, sarebbe la cosa più sbagliata. Finiremmo per metterci in gabbia da soli".
"La vita è fatta di gabbie, non lo sai? Il mondo stesso è una gabbia, il solo fatto che siamo obbligati a respirare per vivere è una gabbia.  Gabbia più, gabbia meno. Cosa ti cambia? E se lei non ti vuole, che senso ha lasciarsi morire giorno dopo giorno in uno stato di perenne e futile attesa? Credimi, trovo ammirevole ciò che subisci e la tua costanza in questa perenne fedeltà...ma fossi in te, non mi annienterei per qualcuno che non ci vuole. Che ci usa, ci rovina e ci abbandona". 
L'ultima frase Eléonor l'aveva detto pensando più a sé che al suo lodevole interlocutore. André parve scorgere questo tono di rimprovero rivolto verso sé stessa, perché subito dopo chiese "Cos'è successo al tuo volto?"
Eléonor, che intanto si era appoggiata al cassettone impolverato come se fosse uno scoglio a cui attaccarsi durante una tempesta, parve innervosirsi e scosse la testa come a voler scacciare qualcosa di molesto. Qualcosa di cui lei sola, sembrava conoscerne l'orrore.
André le si avvicinò intenerito, sapeva che quella che aveva di fronte era una cortigiana ma, qualcosa gli disse che lei lì non ci era finita spontaneamente. Ce l'avevano rinchiusa. Senza esitazioni le prese la candida mano e con delicatezza la condusse fino al letto per permetterle di sedersi.
"Ti prego, parlamene", Eléonor si sentì vacillare. D'improvviso le parve di aver bisogno di tirar fuori tutto il dolore che ancora non aveva tirato fuori dopo tanto. Non seppe se a convincerla furono gli occhi più fiduciosi e belli che avesse mai visto o la notte. Sì, perché di notte è così. Ci si sente più coraggiosi e liberi di parlare, la signora dal lungo manto nero celava tutto con cura e silenzio. E così avrebbe fatto anche stavolta si disse.
" V-vedi, io sono qui perché non ho saputo oppormi al volere della mia famiglia..." André sentì una fitta, quella storia gli ricordava il motivo di tante sue sofferenze... "Non ho saputo dire di no. Ho sposato l'uomo sbagliato. Un uomo che avrebbe potuto essere mio padre, un uomo che in me ha visto un corpo da possedere nelle notti di solitudine. Non ha mai voluto che gli dessi figli. Ne aveva già e diceva che un figlio mi avrebbe rovinato il corpo..." scacciò una lacrima e riprese "Un giorno conobbi un giovane, suo figlio. Aveva la mia stessa età, credo sia stato amore a prima vista...capisci che intendo?" André annuì completamente in tensione, eccome se lo capiva!
"Ci amammo molto finché ci fu possibile, poi mio marito ci scoprì. L'uomo che mi ha amata così a lungo, non l'ho più rivisto. Non so nulla. A me però non andò bene, mi procurò lo squarcio che adesso vedi e mi condusse qui. Con l'ordine di concedermi a chiunque, ogni tanto torna..."
André era agghiacciato, iniziò a provare un sincero affetto per Eléonor. In un fulmineo istante decise che l'avrebbe aiutata e che sarebbe tornato. La strinse a sé e trattenendo le lacrime disse "Mi dispiace, ti aiuterò. Te lo giuro...". Lei rimase folgorata, ma com'era possibile? Lei era una donnaccia, sfigurata per giunta e poi si erano visti  per la prima volta e già nutriva tanto per lei? Impossibile, è compassione pensò amaramente. Fu sul punto di ribattere quando sentirono bussare con forza, sobbalzarono spaventati. Era Alain.
"André, dobbiamo andare! Sbrigati, il comandante ci farà a pezzi se non ti muovi!".
André ebbe appena il tempo di sussurrare "Tornerò" che già era fuori con Alain e gli altri pronto a tornare da Oscar.
André, quel nome restò sulle labbra di Eléonor per tutta la notte. Non l'avrebbe dimenticato e sapeva che sarebbe tornato.

Era ormai l'alba quando i soldati rientrarono, André stava per varcare la soglia quando sentì la voce che fin troppe volte aveva tormentato i suoi sogni. 
"Dove sei stato, André?"
Oscar.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


"André, ti ho fatto una domanda!" avrebbe voluto trattenere quel tono di comando, far trasparire un po' della preoccupazione angosciosa che quella notte si era impadronita di ogni parte di lei fin quasi a svuotarla.
Niente, era più forte di lei, non le riusciva. Anni e anni passati come comandante si facevano sentire, una sorta di deformazione professionale. Ma dov'era quella deformazione professionale quando quella notte aveva visto il letto di André vuoto e abbandonato, quasi grigio senza la presenza del suo fedele amico? Non ve ne era stata traccia, quella notte aveva pensato solo a dove potesse essersi cacciato LUI. Quel materasso desolato le aveva lasciato solo mille domande a ronzarle in testa, fra tutte "dove sarà adesso? Perché non mi ha detto che usciva?"
Notare l'assenza di Alain e di un altro paio dei suoi soldati non l'aveva certo tranquillizzata. Era a conoscenza dello stile di vita condotto da Alain e questo non aveva fatto altro che accrescere la sua inquietudine, le sfumature libertine che coloravano la vita di quel soldato dall'infinita sfacciataggine l'avevano indotta a credere che avesse trascinato André a bere e poi in una rissa...o peggio, in un bordello. Un sudicio bordello, quel luogo vizioso dove le sottane impertinenti delle cortigiane avrebbero potuto strusciare in maniera inequivocabile contro André con estrema facilità e slancio.
Quel pensiero le si era insinuato nella testa come la più fastidiosa delle pulci, si era sentita avvampare di rabbia, sdegno e chissà cosa di fronte a un'idea simile.
Pensare che aveva perfino pensato di uscire a cavallo per cercarlo e riportarlo indietro! La parte crudele di se stessa le aveva sussurrato "sei ridicola, con quale diritto andresti lì ammesso che lo trovassi? Tu non hai diritti su di lui, è un uomo adulto. Un uomo adulto e non impegnato. Bello e dal carattere invidiabile..." e più di tutto la vocina sembrò sottolineare "tu non l'hai voluto, non è un fratello per te?" mentre s'incamminava per i corridoi non aveva potuto trattenersi dal dire ad alta voce "ma certo che è un fratello!". Eppure non riusciva ancora a dar nome a quei sentimenti morbosi che pian piano le si erano infiltrati sotto la pelle e le scorrevano nelle vene come veleno, aveva preferito aspettarlo sveglia e berci un po' su. Nonostante tutto però, non era riuscita a star ferma e aveva  percorso incessantemente a grandi falcate il perimetro della sua stanza. E si era sentita come una bestia in gabbia, aveva imparato a memoria i contorni di ogni angolo di quelle quattro mura. Quando il sonno era finalmente giunto a reclamarla però i suoi sogni non erano stati certo quieti. Tutt'altro.
Aveva rivisto lo sguardo di André rivoltole quel giorno, il giorno in cui le aveva rivelato il suo essere donna e tutto il suo devastante amore.
Due fuochi gelidi e smeraldini le avevano perforato l'anima privandola del respiro per quelle che le erano parse ore. L'aveva guardata come mai nessuno l'aveva guardata prima di allora. Come un uomo guarda una donna.
In un attimo le aveva lacerato la candida camicia e le aveva sbattuto contro la verità: lei era una donna. Nonostante avesse permesso agli strascichi dell'insoddisfazione paterna di andare contro natura in una sorta di titanismo sfidando le leggi della natura e, nonostante avesse permesso all'uniforme di celare l'evidenza: lei era donna. In tutto e per tutto donna e quindi un essere umano destinato a fronteggiare i propri sentimenti e le proprie debolezze.
Il sogno aveva cominciato a procurarle delle fitte lancinanti, a partire dal ventre per poi assediarla del tutto, quando aveva udito la voce di André mosso da una terrificante disperazione dirle "Una rosa è una rosa anche se essa sia bianca o rossa. Una rosa non potrà mai essere un lillà..."
Si era svegliata scossa da brividi di freddo acuti come il dolore della più accuminata delle lame, il cielo screziato da tinte surreali sembrava osservarla con indulgenza.
L'inquietudine non era stata così indulgente, anzi continuava farla da sovrana.
Oscar ripensava a quella notte infinita in cui luci e ombre si erano mescolate come nel più sfrenato rito di baccanti e sentiva l'ansia di sapere ingigantirsi ogni secondo che passava per cedere il posto al successivo.
André di certo non sembrava rassicurarla, non quella volta. Stava lì a fissarsi i piedi come alla ricerca di una ragionevole spiegazione, sentendosi sempre più un verme e avvertendo una forte soggezzione cibarsi di lui. Oscar non doveva sapere, cosa avrebbe pensato di lui dopo? Quanto perverso l'avrebbe giudicato sapendo che era quasi sprofondato nel corpo di una donna che tanto gliela rammentava? Lui doveva aiutare Eléonor, non poteva evitarlo. Ma non poteva neanche mentire ad Oscar, così optò per una mezza verità.
"Sono stato in giro con Alain", poi notò le pesanti ombre scure sotto gli occhi di Oscar contrastare con quell'incarnato perlaceo e aggiunse "Non hai dormito? Non mi dire che eri in pensiero per me..." un sorriso spontaneo e puro gli si disegno sul volto al pensiero di Oscar in ansia per lui, al contempo si maledì per averla fatta stare in apprensione.
"Ho sognato, non è stata una notte tranquilla. Ma non è per te, non temere. Ricorda che io non ho diritti su di te, sei libero di fare ciò che vuo..." dannato orgoglio, vedendo la tristezza dipingersi sul volto come una malinconica pioggia autunnale, si pentì di essere stata tanto rude, ma il danno era fatto.
"Vai a riposare un po' André, non voglio vederti in giro prima del tuo orario di turno".
André chinò il capo in cenno d'assenso e si congedò.

Per tutta la giornata André cercò di evitar di restare solo con Oscar, temeva delle domande. In più era spaventato dal fatto che potesse scoregere nel suo viso tracce di qualche colpa.
Oscar lo capì, ma non tentò di avvicinarlo, forzarlo a parlare non sarebbe servito a nulla. Decise che avrebbe parlato con Alain.

Quando Alain si trovò di fronte il suo comandante non poté trattenersi dal pensare che era la più fiera delle creature che avesse mai visto. Algida, coraggiosa e inconsapevolmente bella come solo le rose sanno essere, stava lì a scrutare l'orizzonte oltre i vetri anche se a sfilarle davanti probabilmente erano i suoi pensieri.
"Mi avete fatto chiamare?" Oscar trasalì appena ma annuì prontamente.
"Alain, devo parlarti di André..." Alain sorrise, se l'aspettava.
"Stanotte siete usciti..." Alain le gettò un'occhiata allarmata, se si fosse venuto a sapere sarebbero finiti tutti nei guai.
"Tranquillo, non ho fatto rapporto" aggiunse lei, "dove siete andati?"
Cosa? Il comandante si stava per caso preoccupando per André? Pensò Alain con disprezzo, quella donna aveva pian piano distrutto André e adesso se ne interessava? Ma come poteva? Le mancava forse la terra sotto i piedi?
"Vi ringrazio, sì e allora?"
"E allora dove siete stati?" il tono di Oscar era incalzante e non ammetteva frottole.
"In giro..."
"In giro, dove?"
"Cosa importa?" Oscar batté la mano contro il muro energicamente.
"Bada a come parli Alain, voglio saperlo. Non puoi trascinarti André nelle tue avventure notturne!"
"Non posso?"
"No, non puoi! Non André, lui non è come te. E la sua vista è precaria, lo sai benissimo...è pericoloso"
Alain rise sprezzante, mentre Oscar cominciava a desiderare di cancellare quel sorrisetto odioso dalla faccia.
"Io posso, André ha una vita sapete? O credete di esistere voi sola? André è un uomo come tutti, con dei bisogni..."
Oscar impallidì, allora non si era sbagliata... Alain colse il momento di esitazione per continuare ad infierire, non gli erano mai andate giù le donne che pretendono di avere il controllo su tutto e tutti. Oscar non faceva eccezione, anzi forse proprio per l'amicizia che lo legava ad André questo non faceva che aumentare il suo disappunto.
"Ascoltatemi..." Alain aveva preso a giocherellare con un fermacarte posato lì vicino, "Non avete mai pensato che André possa essere un uomo prima che il vostro attendente? Ormai è adulto e finora si è privato della possibilità di crearsi una vita propria, una famiglia...tutto per cosa? Per stare dietro le pretese assurde di una donna viziata ed egoista come voi. Io mi sto solo prodigando perché questo avvenga, e se siete impallidita è perché sapete di esser colpevole. Egoista fino al midollo, voi non l'avete voluto. Per voi è un capriccio, credo che sia più riprovevole il vostro di comportamento del mio. Continuare ad aver vicino un uomo pur non provando nulla per lui del semplice affetto. Pur sapendo ciò che questi prova, fossi in voi la notte non riuscirei a chiudere occhio". Oscar sapeva che in fondo Alain non aveva detto nulla di falso, le venne voglia di urlare. Di lanciarsi in una folle galoppata e non tornare più. Perché non lo aveva lasciato andare? Non gli aveva chiesto di seguirla, ma non lo aveva neanche scacciato con convinzione. Per la prima volta in vita sua era senza parole, arrabbiata col mondo ma soprattutto con se stessa. E con Alain, le aveva detto le cose come stavano in maniera schietta e l'aveva ferita e umiliata.
"André non è un capriccio!" aveva gridato gettando la sedia a terra.
"Come dite voi, in ogni caso io ho detto la mia e non voglio sapere altro. Fate pure rapporto se volete, ma state pur certa che stasera usciremo di nuovo", Alain lasciò la stanza con spavalderia.
Oscar sentì i pensieri affollarsi e un'unica decisione farsi strada nella mente...

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Capitolo 5
*** Capitolo 6 ***


Alloraaaaa, vorrei ringraziare tutte le persone che mi seguono in questa mia malsana idea! Grazie per le recensioni, per la pazienza e la bontà...
Sono un po' di corsa e ho aggiornato proprio per mantenere la parola data... Spero di non deludervi, questo capitolo è un po' un preludio di quel che si sta preparando...per favore non lapidatemi! Ahahahah, chiedo scusa se non ho risposto a tutte le recensioni...presto farò anche quello. Grazie soprattutto per la solidarietà mostratami, mi avete fatta sentire subito a casa e non è poco visto che io ho anche il disagio di respirare...ahahah!


André non riusciva a crederci, non aveva certezze ma il suo istinto continuava ad urlargli che solo una persona poteva averli seguiti: Oscar.
Quel pensiero continuava ad angosciarlo senza sosta, come un fustigatore che tormenta senza tregua il suo prigioniero.
Conosceva bene l'opinione di Oscar riguardo i bordelli e le povere anime che vi mercanteggiavano il proprio corpo, il disgusto che gli avrebbe riservato ogni volta guardandolo gli mandava l'anima in frantumi. Nonostante non lo amasse, di certo non lo guardava con disprezzo e il sentore che da quella sera le cose sarebbero potute cambiare proprio non gli andava giù.
Si sentì morire al pensiero che quello sguardo,  che celava in sé una bellezza pari all'aurora, sarebbe presto stato contaminato dal tarlo dell'orrore.
Non sapeva se lo avesse visto in compagnia di Eléonor, se avesse visto quanto Eléonor le somigliasse o ancora se avesse visto quel bacio traditore. Ciò che contava davvero era trovarla, parlarle e se glielo avesse permesso, farle capire che nessuna avrebbe mai potuto sostituirla.
Poi l'angoscia e la paura furono sostituiti da un'altra cosa, dalla folle speranza.
E se li avesse seguiti per gelosia? Ma no, cosa andava a pensare! La gelosia non aveva mai, neanche lontanamente, sfiorato la candida indole di Oscar. Troppo perfetta lei, troppo inflessibile. Di sicuro la sua era preoccupazione fraterna.
Si diede dello stupido, prima o poi avrebbe dovuto rinunciare ad Oscar e di certo a fare le spese di quel distacco sarebbe stato sempre e solo lui.
Che rabbia! Una rabbia cieca, che spazza via ogni sentimento e ogni remora. Avrebbe voluto colpirla e farle male, senza timore alcuno, ma si conosceva: ben presto i sensi di colpa avrebbero bussato alla porta di quella cosa tremula che molti chiamano coscienza, cosa che per lui non era nient'altro che una grossa fregatura. Codardo, si disse, sei senza spina dorsale, molti al posto tuo si sarebbero già messi al riparo da questo sventurato amore a senso unico.
Gli doleva la testa e gli occhi bruciavano, aveva bisogno di mandare in licenza sia il suo cervello che il suo cuore.
Oscar poteva aspettare, dopotutto erano venti insostenibili anni che lui aspettava, una notte non le avrebbe cambiato le cose.

Quanto si sbagliava non lo sapeva, non ancora.
Oscar era rientrata in quel silenzio e mentre tutti dormivano, avvertiva sempre di più un mostro famelico fermentare in lei e azzannarle il petto.
Avrebbe voluto prenderlo per le spalle e schiaffeggiarlo per la sua condotta, ordinargli di sparire per sempre...e perché no? Piangergli contro. Era a conoscenza dei limiti di André e sapeva come farlo sentire in colpa, ma piangere sarebbe stata una tacita ammissione del suo essere rosa e non lillà, ammettere di essere debole e dargli un senso di potere. Questo mai! Fuori discussione, era lei la più forte e con la stessa noncuranza di sempre avrebbe continuato a vivergli accanto come se non avesse visto nulla.
Come se le labbra di lei sulle sue, la sua lingua imperiosa a contatto con quella di André, non la toccassero minimamente. Mani che esplorano temerarie, sospiri di piacere e desiderio fusi in una musica dal suono tentatore.
Stava immaginando più di quanto in realtà vi fosse stato, non andava bene. Si sentiva preda del delirio, febbre e ubriachezza.
Il mostro ruggì ordinandole di farlo uscire, quel pensiero la tormentava e non avrebbe trovato pace tanto presto.
Stancamente si rintanò nel suo studio e sprofondò nella morbida sedia pronta a dare asilo a quel corpo appesantito da una giornata infinita. In men che non si dica il sonno se la portò via.


Correva, correva verso André ma per quanto corresse la distanza aumentava. Correva e scansava rovi che le graffiavano le carni, rapaci notturni che le lambivano gli occhi ma lei non si arrestava. Non poteva, André si stava allontanando sempre più, doveva fermarlo.
Lo scenario cambiò:  si trovò in quel bordello e al centro della stanza vide una donna senza volto  ridere di lei,  puntarle contro l'indice e lei non poté non soffrirne. Invocò André, ma lui già sul posto rise insieme a quella donna senza volto cingendole la vita.

L'urlo che cacciò squarciò il cielo ormai vestitosi con le luci di prima mattina, il volto imperlato di sudore e forti tremori ovunque
Solo un sogno, era solo un sogno.
Si riscosse e notò di esser vestita esattamente come la sera prima, mantello incluso, aveva bisogno di lavar via tutta quella negatività e di riprendersi. 
Dopo essersi concessa un bagno ristoratore si preparò a quella giornata e a come evitare André, il mostro sarebbe potuto uscire senza preavviso e non se la sentiva di scommettere sul suo autocontrollo.

André non si stupì del comportamento di Oscar, ma non poteva nascondere quanto la cosa lo ferisse.
Ultimamente quando aveva bisogno di qualcosa si rivolgeva ad Alain, in più di un'occasione gli aveva sbattuto la porta in faccia e quando imperterrito chiedeva di lei la risposta era sempre "il Comandante è occupato, non può ricevere".
Si sentiva frustrato e avrebbe dato qualunque cosa per parlarle anche solo per un minuto, ormai erano giorni che si ritrovava a vivere per inerzia...come se lei gli avesse negato anche la vita, oltre al permesso di vederla.
Si vede però, che alle volte quando si prega le preghiere sono talmente accorate da essere ascoltate...
André osservava il crepuscolo con aria distratta, anche i colori sembravano aver perso il loro senso e la colpa non era solo della vista, la colpa di tutta quel suo torpore interiore ce l'aveva anche Oscar.
Già, Oscar... Oscar che in quel momento stava rientrando da un'udienza con la regina. Come se un demone si fosse impossessato del suo corpo decise di sorprenderla e di tenderle una trappola, così che lei non avrebbe potuto sfuggirgli.

"Comandante, vi serve aiuto con il cavallo?"
"No, grazie Pascal, faccio da me"
Silenzio, André percepiva solo i rumori degli zoccoli farsi sempre più nitidi man mano che questi si avvicinavano e intanto contava i suoi battiti cardiaci temendo scioccamente che questi fossero troppo rumorosi.
La porta delle scuderie si aprì e una lastra di luce aranciata penetrò illuminando tutto donando tinte surreali, questione di qualche secondo e la porta si richiuse, André scorse la sagoma di Oscar intenta ad armeggiare con le briglie di Cesar e non riuscendo a dominarsi si ritrovò alla sue spalle in un battito di ciglia.
"Oscar"
Oscar spalancò gli occhi sbigottita, come aveva fatto ad entrare? Lei non ce lo voleva lì, a dire il vero non lo voleva da nessuna parte.
"André, perché sei qui?" nel dirlo ricacciò in dentro ogni tipo di emozione utilizzando quel tono neutro che tanto indispettiva il suo amico.
"E me lo chiedi? Sono giorni che mi eviti, è successo qualcosa?" scelse la strada dell'ingenuità, per parlare con Oscar bisognava sempre soppesare le parole.
"Io non ti sto evitando, vedi..."
"Non mentirmi, Oscar. Sarebbe un'offesa alla nostra lunga...amicizia" l'ultima parola la disse tra i denti, quasi sputandola.
"Non ti sto mentendo" replicò lei con un tono che non convinse nessuno dei due.
"Allora guardami"
"No"
"Sai che potrei leggerti la menzogna negli occhi, vero?"
Silenzio.
"Voltati, per favore" ma senza aspettare risposta, fu lui a farla voltare e ciò che lesse nel suo sguardo lo colpì privandolo dell'aria per qualche secondo.
Oscar aveva uno sguardo spento, intriso di amara delusione, André chinò il capo all'apice della vergogna.
"Mi hai visto, non è vero?", lei annuì.
"Oscar, non so fin dove tu abbia visto ma ti assicuro che non è come pensi tu"
"André io non penso a nulla, sono questioni private che tu sei in grado di gestire da solo. Non sono tua nonna"
André si sentì ferito come mai prima di allora, forse più di come si era sentito per la storia della camicia, non le importava nulla allora?
"Oscar, ti sei chiesta perché ero tra le braccia di una giovane così simile a te?"

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


"André, stasera usciamo di nuovo. Torniamo a trovare la tua amica, che ne dici?"
Alain era piombato lì nei dormitori e con la sua discutibile delicatezza di sempre, aveva ridestato l'amico da una lettura di Rousseau. André si era stropicciato gli occhi intorpidito e con tono stascicato aveva detto "Di già? In questi giorni sei insaziabile...
Ad ogni modo, che voleva Oscar?", lo spudorato soldato studiò a lungo l'amico per decidere se dire o meno la verità...ma poi riflettendoci, come avrebbe potuto? Impossibile, André si sarebbe messo a sbraitare solo al pensiero di lui che attaccava deliberatamente il bel comandante. No, meglio lasciar stare.
"Ma nulla, stai tranquillo... Piuttosto, che mi dici? Stasera andiamo?" La scintilla si accese nello sguardo di André, come una vecchia casa abbandonata che improvvisamente si bagna della prima luce mattutina. Non c'erano dubbi, Eléonor doveva averlo risvegliato, si convinse Alain.
"Per me va bene, cerchiamo solo di non farci scoprire. Sai, non vorrei che Oscar..."
"Oh ma dai! Quella frigida del comandante non si accorgerà di nulla..." la risata simile a un latrato che seguì fece germogliare in André una rabbia glaciale e dal gusto amaro.
"Non rivolgerti a lei in quel modo." le parole di André giunsero alle orecchie di Alain come un secco colpo d'ascia. Sempre ostinato il suo amico, per quanto ferito potesse sentirsi mai avrebbe ammesso il nome della causa di tanto travaglio interiore: Oscar. Incredibile come ciò che più danneggia tanto più attrae, pensò Alain.
"Ehi, era così per dire. Non lo faccio più, promesso!" il tono era ironico, ma sapendo di aver toccato un nervo scoperto nel dirlo pose le mani davanti a sé come una sorta di scudo.
André grugnì un "sì" rilassandosi appena, lo sguardo ancora adombrato.
Le parole graffianti di Alain lo avevano colpito, Oscar frigida? Cosa ne sapeva lui di tutto quel bagaglio pesante come un macigno che Oscar si portava dietro? Non era stata colpa sua, ma della sua educazione. Inoltre lei non era tipo da svelarsi agli altri tanto facilmente, ma a lui era stato concesso di vedere un pezzetto di quella Oscar addormentata; o meglio tramortita e appiattita dal rigido mondo in cui era stata costretta ad adattarsi per non soccombere. André aveva visto una cosa che nessuno aveva mai visto in lei, forse neanche Oscar stessa: l'ardore. Sì, l'ardore che le dilaniava il petto ogni volta che il nome del conte svedese s'insinuava in qualche conversazione o che questi le rivolgesse uno sguardo o un sorriso. 
Per quanto doloroso fosse André dovette ammettere a se stesso che vederla concedersi quelle debolezze gli aveva procurato anche un piccolo piacere e quel piccolo piacere si era poi tramutato in un flebile richiamo di speranza.
Sperava che un giorno quell'ardore cambiasse direzione, che si volgesse a lui. 
Dunque no, Oscar non poteva essere frigida. Anzi.
"André, tieniti pronto"
"Sono sempre pronto".


Oscar non poteva crederci, ma come le era venuto in mente? Non avrebbe dovuto farlo, invece eccola lì. Una stupida, ecco cos'era. Seguire André per far cosa? Riportarlo indietro? Con quale motivazione?
Eppure lei era lì, a seguirli furtiva e silenziosa più delle stesse tenebre che li avvolgevano. Lasciò che il suo corpo aderisse a quel lurido muro mentre l'umidità le perforava la schiena, non poteva rischiare d'esser vista. Anche se lì ci fossero stati dei rovi contro cui ripararsi li avrebbe sfruttati senza indugio, l'orgoglio prima di tutto. Non avrebbe di certo retto l'umiliazione, né tantomeno lo scherno che Alain o André stesso le avrebbero rovesciato addosso come acqua gelida vedendola lì.
Li vide dal suo angolo buio entrare con spensieratezza in quel luogo di perdizione, si calò il cappuccio della scura mantella sugli occhi ed entrò. 
Non appena vide le possenti schiene dei suoi soldati sparire oltre la scricchiolante scala a chiocciola si avvicinò alla cortigiana col viso martoriato da un pesante mascherone di trucco.
"Cosa posso fare per te, giovanotto?"
"Sono con i giovani che sono appena saliti di sopra..."
"Amico di Alain?" Oscar annuì, le mancavano le parole ed era sul punto di ripensarci.
"Una cosa di gruppo, eh?" la donna sorrise mostrando un ghigno malizioso che fece accapponare la pelle della povera Oscar...
"Sali pure". Prima che le gambe prendessero l'iniziativa e la trascinassero via Oscar salì i gradini due a due, una volta in cima si guardò intorno spaesata, e adesso? A risolverle il problema fu un tono concitato che avrebbe riconosciuto ovunque. Con passo felpato si avvicinò alla porta socchiusa alla sua destra.
"Perché non mi ascolti? Eléonor, ti prego, vieni via con me. Abbandona questo posto, puoi cambiare. Tu non sei destinata a questo luogo concepito per il piacere altrui..."
"Scappare? E per andare dove? Mio marito mi troverebbe, si vendicherebbe. André è pericoloso, lì fuori non c'è più posto per me. Non dopo ciò che sono diventata..." la voce di Eléonor era stanca, troppo. Come poteva permettere a quel ragazzo sbucato dal nulla e che di lei nulla sapeva, di esporsi tanto? Sarebbe stato stupido ed egoistico da parte sua. Aveva già giocato a dadi con la sua vita e il destino aveva vinto beffandosi di lei, per quanto cercasse di rialzarsi continuava a cadere e non avrebbe permesso ad André di cadere con lei.
"Non è vero, lì fuori qualcosa sta cambiando. Se non ti ribelli anche tu, marcirai qui dentro. Desideri questo?", André non aveva intenzione di cedere. L'avrebbe salvata a qualunque condizione.
"No, ovviamente, Ma tu cosa vuoi da me? Perché lo fai? Non credevo che saresti tornato eppure l'hai fatto"
"Non lo so"
"Sì, invece"
"Mi ricordi qualcuno, ti basta?"
"Ma io non sono lei"
"Lo so"
"E allora?"
"E allora, lasciati aiutare!" André era disperato, voleva fare qualcosa per quella creatura a cui la sorte aveva voltato le spalle, desiderava riuscire con lei dove con la sua amata era stato impossibile.
La strada è sempre decisa, non però in senso fatalistico. Sono il nostro continuo respirare, i gesti piccoli o improvvisi e grandi che siano, lo scorrere imperterrito del tempo a deciderla naturalmente.
Fu un gesto di Eléonor a decidere il percorso futuro di tutti loro.
Repentina si avvicinò ad André e affondando le mani nei suoi capelli corvini, andò col volto teso alla ricerca delle sue labbra.
Labbra da prima timide ed ingenue che poi si schiusero audaci alla ricerca del bacio interrotto la volta precedente. 
Per qualche attimo, qualche secolo, André dimenticò tutto e si abbandonò alle onde di quel momento che lo schiantavano senza sosta contro le rocce della sua disperazione. Per un po' riuscì a credere di aver trovato la pace tanto auspicata, fu davvero poco. 
"No, Elé non posso..."
Oscar questo non lo vide però, si fermò a quel bacio e chiuse la porta. Era fuori dal suo mondo, fuori da André e questo perché la sua ostinazione le aveva sempre impedito di vedere il legame che realmente la univa al suo attendente. La stessa persona che con lei aveva diviso una vita, adesso era un uomo e lei riusciva finalmente a rendersene conto. Troppo tardi.
Vederlo lì lasciarsi andare tra le braccia di un'altra era stato un duro colpo. Una ferita di cui sarebbe potuta perire lì davanti, André l'aveva sostituita con una cortigiana. Una donna che di sicuro con sapienza avrebbe saputo soddisfare i suoi bisogni.
Una donna cresciuta come una donna, una persona che di certo non si sarebbe lasciata pregare. Si maledì per essersi intrufolata lì e si maledì ancor di più per non aver arrestato le lacrime che come sale su ferite mai sanate le scorrevano sul viso.
Ma perché pingeva? Non era "solo" André quello che aveva visto? Lei non aveva diritti su di lui, doveva accettarlo.
Cercò dentro di sé la forza per rianimarsi quando sentì la porta della camera adiacente aprirsi con un sinistro cigolio.
"Ciao, Marguerite! E' sempre un piacere venirti a trovare, a presto!"
"Ciao, Alain...quando vuoi..." le voci impastate dal piacere erano ammorbidite, ma il tono di Alain era inimitabile. 
Doveva nascondersi, non aveva tempo di pensare, ma dove?
 Poi la vide, la porta più vicina recava un fazzoletto giallo attaccato alla consunta maniglia. Entrò, non sapeva ancora in che guaio si era andata a cacciare.
Fulminea chiuse la porta e ciò che vide le fece capire di esser finita in un grosso guaio.
Una cortigiana non propriamente vestita intenta a ricomporsi.
"Ehi, tu! Non si bussa? Non hai visto il fazzoletto giallo? Significa che non sono ancora pronta a ricevere!"
Oscar si scusò con un cenno del capo, il cappuccio scivolò via rivelandola.
"Oh, ripensandoci...che bel soldato! Con te verrei anche senza compenso..." seguì una risata carica di malizia che ad Oscar non piacque affatto, la ragazza cominciò a girarle intorno come un leone che avvista la sua preda.
"A dire il vero, io..." si era cacciata in trappola da sola, che idiota!
"Mettiti comodo, su!" con forza sorprendente la cortigiana spinse un'Oscar sempre più disgustata e allarmata contro il letto...
"No, non hai capito, ho sbagliato stanza...devo andare", la porta era fuori discussione...doveva fuggire dalla finestra.
"Uffa, alle altre tutto il divertimento e a me? Sono brava sai?"
"Non lo metto in dubbio..." ma cosa le toccava dire e sentire? Non avrebbe più messo piede in un bordello in vita sua! Approfittò del momentaneo gongolare di quell'assatanata per dire "Ma vedi se mi trovano qui saranno guai...fammi scappare dalla finestra e prometto che tornerò!" 
"Promesso?" quel tono languido le imponeva di fuggire, Oscar annuì e tanto bastò per convincere la sua nuova spasimante.
Una volta fuori lasciò che l'aria fresca le lacerasse i polmoni, per le prigioni della mente c'era tempo...adesso doveva solo correre e precedere André e gli altri.


André era ancora a metà tra lo scombussolato e il soddisfatto quando si avviò verso l'uscita con Alain, stava già calcolando quante ore sarebbe riuscito a dormire...
"Ehi, tu!" André si voltò sorpreso, "Sì?"
"Il ragazzo che era con voi, dov'è?"
"Quale ragazzo?"
"Quello che vi ha raggiunti poco dopo... Mi pare fosse biondo..."
André batté le palpebre confuso, non c'erano giovani biondi con loro...
Sgomento si rese conto che solo una persona poteva averli seguiti.
Oscar.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Molti di voi non ricorderanno questa storia, sono ferma da quasi un anno e tante cose sono cambiate in questi mesi. Ho avuto un periodo molto difficile, periodo che non auguro a nessuno, se ora sono qui è perché sono pronta a scrivere di nuovo. Qualcuno mi ha fatto tornare la voglia e mi ha dato il giusto coraggio, anche se non sa di averlo fatto. Grazie.  Non so quante di voi riprenderanno questa storia, se deciderete di non farlo non potrò biasimarvi. Io intanto lo posto, se non dovesse andare, grazie comunque per aver seguito quando fu.

Un paio d’ore prima, studio del generale Jarjayes.
La luce del tramonto trafiggeva i vetri immacolati delle finestre e si stagliava su ogni cosa presente in quel serio e austero, quanto ricco studio. Augustin de Jarjayes si massaggiò le palpebre trafitte da quella luce fastidiosa. Gli ci voleva un goccio, non ne poteva più: erano ore che era chino su quelle reali e noiose scartoffie, stava per alzarsi e andare verso la vetrinetta contenente i liquori quando giunse la fedele Marron.
“Chiedo scusa, signore” – disse bussando delicatamente ed entrando calma e ferma – “Ci sono due giovani nobili, stranieri a quanto pare, che chiedono di lei. Dicono di conoscerla e affermano di avere un’udienza programmata con lei…” .
L’inflessibile uomo si meravigliò, a tal punto da sgranare gli occhi e con l’incertezza a rimarcargli la voce, chiese “Ti hanno detto chi sono? Non aspettavo nessuno…”
“Dicono di appartenere alla famiglia Moore, suppongo siano inglesi…”.
Il tempo si fermò, il silenzio avvolse tutto e nulla apparve concreto o prensente.
Al generale mancò l’aria, come poteva essere? Perché lì? Perché adesso? Si era illuso di esser fuggito da quella famiglia moltissimo tempo fa, rivide delle immagini spaventose scorrergli nella mente. Immagini che credeva appartenessero alla mente di qualcuno che non fosse lui, si aggrappò con entrambe le mani al bordo in ciliegio del suo vecchio scrittoio. Il bianco delle nocche si stagliò netto con la bella tinta di quel legno, poteva contarne le venature, le vedeva disegnare scene di guerra e creature assetate di sangue pronte a divorarlo. Era un incubo, non poteva essere, il  fato non poteva chiedergli un simile conto dopo tutti quegli anni. Aveva già pagato troppo, come un popolano oppresso dalle tasse e dalla propria condizione di inferiore, lui aveva scontato la sua pena tempo addietro…e allora perché?
No, era tutto maledettamente reale e l’espressione apprensiva dipinta sul volto della fedele Marron glielo confermava. Fuggire, anche se possibile, sarebbe stato inutile, era inutile, era in trappola. Un animale braccato, un leone, come quello del suo stemma. Ma lui non aveva arma alcuna per difendersi, deglutì aria e con la paura a modulargli il vocione da uomo d’onore e di guerra disse “Sì, credo di conoscerli…falli accomodare, subito”.
Quell’uomo tanto temuto e rispettato si vide strappare dolorosamente i gradi dal petto, non erano gradi: pezzi di cuore. Il suo. E questo è ciò che sarebbe avvenuto se non avesse giocato bene quella battaglia, doveva farcela, i passi falsi non erano in programma.
Sentì dei passi provenire dal corridoio e lentamente si posizionò sulla sedia dietro quello scrittoio che tante volte lo aveva accolto, impose vigore e forza alla propria postura e con noncuranza congedò Marron.
I due giovani che gli si pararono davanti, coprendo la porta come a volerlo imprigionare lì, sorrisero con una cordialità che non gli apparteneva. Se li ricordava bene, di cordiale avevano ben poco.
“Augustin, zietto, come state?”- fece il giovane uomo con strafottenza, imprimendo sul suo volto un sorriso di selvaggia soddisfazione nel vedere il generale fremere. “Non sono tuo zio, lo sai bene, Michael. Cosa volete? Perché siete qui?”.
Michael Moore fu repentino e spudoratamente tirannico, si sporse verso il generale e fermandosi a pochi centimetri dal suo viso disse a denti stretti “Non siete in condizione di porre domande, vi pare? Non siete cambiato affatto, il solito uomo, pomposo, austero e autoritario. Non fa presa su me e mia sorella, mi spiace per voi. Qui se c’è qualcuno che può chiedere, siamo noi. Voi dovete solo obbedire oppure volete che…” – “Calmati Michael! Sei un gentiluomo, devo forse ricordartelo?”- a parlare era stata la giovane ferma nell’angolo della stanza, ora fattasi più vicina al fratello esercitò una leggera pressione sul braccio di questi per allontanarlo dal generale. Gli occhi dei due uomini si posarono su quella donna esile ma dalla bellezza pericolosa. Il generale non poté non pensare a una tigre, era così fin da bambina. Certe cose non cambiano mai, si ritrovò a rimuginare, gli anni che passano vi si posano sopra con grazia ma senza alterarne nulla. Non sapeva se questo fosse un bene, temeva di no, e a confermarglielo erano i bagliori mandati da quegli occhi glaciali con delle venature violette, ora più vivide che mai sotto i raggi dorati del tramonto.
“Uhm, sì, credo tu abbia ragione Rebecca…”- Michael si schiarì appena la gola e si sedette accanto a sua sorella, proprio di fronte al generale.
Rebecca prese la parola e con tono zelante, scacciando via l’arsura con un grazioso ventaglio riccamente decorato disse “Generale, sapete perché siamo qui. Sapevate che prima o poi saremmo venuti a bussare alla vostra porta, non negate. Se siamo qui non è certo per piacere, ci siamo stati costretti. Voi meglio di me sapete cosa si può essere spinti a fare alle volte, che sia per esigenza o semplice e volgare desiderio di agiatezza”- l’accento le cadde sulle ultime sillabe e il generale non poté non sentirsi messo alla sbarra – “Io non ho mai…” tuonò lui, Rebecca pose  un palmo d’alabastro tra se e il generale per stroncarlo sul nascere – “Per una volta nella vostra ipocrita vita fate silenzio e ascoltate, le conseguenze qui le pagherete solo voi se non imparerete a piegarvi!”. Michael fissò ammirato la sua sorellina amatissima e le fece un applauso appena accennato, Augustin sentì la voglia di tappare la bocca a quei disgraziati, sanguisughe, con un solo colpo di spada. Ingogliò il boccone amaro, sapeva di bile e vergogna. Vergogna cocente, doveva tacere e ascoltare, pregare il buon Dio che le conseguenze non fossero tanto devastanti. Trasse un sospiro per richiamare tutte le forze e la pazienza che aveva a disposizione e si preparò ad ascoltare. Neanche nei suoi incubi più tetri e tenebrosi si sarebbe mai aspettato quello che di lì a poco sarebbe stato costretto a fare.
“Lei dov’è?”- domandò Michael interrompendo il flusso di pensieri del generale e fissandolo con impazienza- “Lei chi?”- Augustin aveva capito, ma doveva prendere tempo- “Sapete di chi parlo, vostra figlia. La donna vestita da uomo, a quanto si dice in giro…”-attonito, l’uomo si vide costretto a rispondere.
“Mio figlio è in caserma al momento, che volete da lui?” – “Mi pareva fosse una lei…”-sottolineò Rebecca con fare canzonatorio- “Vorrei vederla, non si dica in giro che non conosco la mia futura sposa!”-esclamò Michael, lanciatosi in una risata malvagia e perversa.
“Siete qui per questo, dunque! Non potete farlo, lei non accetterà mai!”. Augustin Reynier de Jarjayes non era mai stato un uomo dallo spiccato istinto paterno, soprattutto con Oscar. Non nel modo in cui ci si aspetta lo siano i padri con le figlie, almeno, ma le voleva bene e in quel caso sentì l’istinto urlargli di difenderla e tutte quelle sensazioni si raccolsero in un groviglio. Quasi a formare una palla di cannone che gli si agitava nell’animo e si propagava per tutto il corpo, Oscar era stato il suo orgoglio e non avrebbe certo accettato di disonorare l’intera famiglia con quel matrimonio che sarebbe risultato come un’esilarante, quanto crudele, barzelletta agli occhi di tutti. Anche se si trovò costretto a pensare che se non avesse imposto quel matrimonio a sua figlia, forse quella scomoda situazione sotterrata dal tempo sarebbe potuta riemergere e lui solo poteva immaginare quanto dolore, quanto fango e quanta  vergogna avrebbero portato. C’era anche la volontà di Oscar da calcolare, difficilmente se la immaginava a piegarsi a un simile ruolo, l’aveva cresciuta forte e fiera. Un’amazzone, una quercia inossidabile. Come convincerla senza rivelarle nulla? Non avrebbe sopportato lo sguardo deluso e disgustato di Oscar, si era sempre elevato a modello con lei e lei non aveva mai messo in discussione la sua scelta di crescerla come un uomo, il suo soldato, la sua sola speranza di perpetrare nel tempo. Se avesse saputo di quell’accaduto, probabilmente lo avrebbe incolpato per sempre. L’avrebbe ritenuto debole e indegno, non poteva permetterlo. Assolutamente.
“Non c’è altro che io possa darvi, che non implichi Oscar?”, doveva tentare il tutto per tutto, magari si sarebbero accontentati di una lauta somma. “Signore, come voi ben sapete e come già vi ho detto, se siamo qui è solo a causa vostra e da tempo la famiglia Moore non verte in condizioni di agio. Avete altre figlie non maritate? Non credo, non siete mai stato particolarmente legato agli esseri umani, mi pare. L’unica alternativa è il vostro discutibile esperimento, quello che vi ostinate a chiamare figlia, ma che credo abbiate martoriato nell’animo fino a confonderla sulla scelta di vivere come soldato o come donna. In quanto donna anch’io, mi raccapriccia sapere che le avete imposto un simile destino, pur affascinandomi l’idea di una vita più libera. Dall’altro lato mi diverte oltre ogni dire sapere che vi porteremo via l’erede. Non accettiamo compromessi, il matrimonio. Altrimenti…be’, sapete bene a cosa andate incontro. I reali sarebbero felici di sapere chi è in verità uno degli uomini su cui ripongono maggior fiducia, no?”.  Rebecca prese fiato e fece l’occhiolino al generale.
“Lei non accetterà mai!” “E’ una donna! Farà come voi le dite, siete passato sopra tanti cuori e tante teste. Cosa cambierebbe? Un insetto in più, uno in meno… Dunque, non fateci perdere altro tempo, e non siate scortese con le vecchie conoscenze. Vogliamo da bere, giusto Rebecca?”
 
Scuderie di villa Jarjayes.
“Allora, Oscar? Perché non mi rispondi? Troppo scomodo sentirsi dire le cose apertamente? Stavolta l’uniforme non ti servirà come scusa, con me non è mai servita. Avresti potuto essere qualunque altra cosa, i miei sentimenti non sarebbero mutati. Se mi hai visto con quella donna è perché ti somigliava. Io so bene che la gelosia non rientra certo in te, mio gelido comandante, ma mi sembra di scorgerne un po’. Altrimenti perché prendersela così e seguirci?”. André le si avvicinò sempre più, Oscar riusciva a sentire il cuore pomparle nel petto come impazzito. Contò le pagliuzze in quello sguardo verde smeraldino e pensò che non poteva e non doveva cedere. Lei non era gelosa, non poteva esserlo. E di cosa poi?
Si sentiva come in trappola, lei era un animale libero e forte, non si sarebbe mai piegata e come in tutte le battaglie che si rispettino non chinò il capo.
“André, io…”                               
Un sonoro cigolio fece sussultare i due giovani, come colti sul fatto. Anche se di concreto non c’era niente, era solo una lotta di anima e sentimenti. Niente che si potesse comprare, toccare, vedere o annusare. Anima e basta. Bellezza effimera e impalpabile, la loro lotta si sarebbe potuta paragonare a un duello con la spada: André impugnava il sentimento, Oscar la ragione.
“Madamigella Oscar, dopo cena vostro padre desidera avere un colloquio con voi nel suo studio. Da soli”.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Matrimonio. Suo padre parlava di matrimonio, Oscar lo scrutò come se colui che le stava davanti non fosse suo padre, come se si trovasse in un luogo estraneo e come se tutta la scena la stesse vivendo da fuori . Non le apparteneva nulla in quel momento, era lì eppure ovunque. Non era in nessun luogo in realtà, forse stava impazzendo – “Non qui, non ora”- pensò. Cercava di scuotersi da quella situazione, di uscire da quel limbo mentale, ma per quanto vi si sforzasse, vie di uscite non ne vedeva e tutto le appariva mostruosamente reale.
“Padre, voi non potete dire sul serio. Non potete costringermi, perché dovreste farlo ora se non lo avete fatto a suo tempo con Girodelle?” – il generale fu spiazzato da quella logica, si maledì per non averla costretta a suo tempo con il giovane Girodelle. Almeno quel giovane aveva sangue nobile nelle vene, aveva un titolo, era indiscutibilmente bello, di buon animo e di valore. Soprattutto, amava la donna celata dal soldato. Quella che nessun altro aveva mai visto in lei. Eppure non lo aveva fatto, forse perché in cuor suo sapeva di non voler e poter forzare ulteriormente Oscar, aveva già forzatamente plasmato la figlia a suo tempo. Chiuse gli occhi e inspirò tanto profondamente da far sbiancare le narici, doveva restare calmo, non doveva prendersela con Oscar. Non stavolta, ma lei avrebbe fatto meglio ad obbedire senza lottare. Le cose erano cambiate, ne andava della reputazione del casato de Jarjayes e quindi lei doveva piegarsi da brava figlia o l’avrebbe piegata lui. A qualunque costo. Tracannò avidamente il liquido ambrato del suo bicchiere e invitò Oscar a fare lo stesso, bere li avrebbe rilassati entrambi.
“Oscar, non c’è scelta, devi farlo e basta. E’ per il futuro dei de Jarjsyes, come soldato sei stato impeccabile ma, è giunto il momento di essere una donna e una moglie di valore. Dopotutto sei donna, una bella donna, non ancora maritata e le malignità di corte strisciano come infidi serpenti tra noi già da un po’. Non puoi deludermi, non farmi ricredere su di te. Avrei forse dovuto fare quel passo che feci con te, con tua sorella Camille? Forse, se mi fossi deciso prima, lei mi avrebbe dato maggior orgoglio. Sei stata un bravo figliolo, ora desidero che tu sia una brava figliola. Non vorrai farmi credere che avrei dovuto farti maritare a quindici anni come tutte le altre tue sorelle? Non  lasciare che la famiglia Jarjayes termini con te e con me, Oscar”.
Suo padre era sempre stato un maestro nell’arte di farla sentire in difetto e inadatta, per anni le aveva rinfacciato in ogni carezza repressa, in ogni minimo rimprovero e in ogni minimo sguardo quanto si vergognasse di lei in quanto nata donna. Si dice che tutti portino un fardello, una croce, sulle spalle: quello di Oscar era quello di esser nata inequivocabilmente donna. Quella vergogna l’aveva tormentata senza tregua e ogni giorno della sua vita per lunghissimo tempo, l’aveva avvertita viscida e dolorosa ogni volta che lavandosi era costretta a guardare il suo corpo, ogni volta che aveva dovuto indossare le fasce. A volte le aveva messe tanto strette,quasi come per punire quella parte del suo corpo così femminile, così debole e sgradita, da farsi male fin quasi a privarsi del respiro. Come se stringere tanto potesse permettere a quella parte del suo corpo di sparire. Per non parlare di quando le fu chiaro che era nata donna e che mai avrebbe potuto cambiare le cose, quel giorno il generale le aveva addirittura bruciato gli indumenti che recavano quella traccia nitida e scarlatta, le aveva detto di non parlarne con nessuno. L’aveva quasi fatta affogare con la testa nella vasca colma d’acqua recante il suo sangue. Quei ricordi le facevano male, troppo forse. Si sentiva presa in giro, una vita passata a negare la sua natura, a vivere l’attrazione per Fersen con vergogna, e ora la voleva donna. Era stato anche tanto spregevole da mettere in dubbio la scelta fatta tra lei e sua sorella Camille, di un anno più grande, tanto da farla sentire un essere senza un’identità.
Stavolta non si sarebbe lasciata ingannare, era stanca di fare il suo gioco di sottomissione e al contempo desiderava vedere il volto di suo padre accendersi d’orgoglio, non glielo avrebbe mai detto ma era così.
“Padre, perché ora? Perché non prima? Perché io? Voi mi nascondete qualcosa, non c’è altra spiegazione…”
Il pugno che la colpì in pieno volto, lo sguardo furente e allarmato di suo padre avevano fugato il benché minimo dubbio. Aveva ragione. Lei non si sarebbe sposata, non senza aver scoperto prima la verità. Così, mentre il generale continuava a sbraitare lei corse via. Nella sua camera, aveva bisogno della calma ovattata del suo porto sicuro per riflettere. Avrebbe voluto parlarne con André. La violenza con la quale quel pensiero le si stagliò nella mente le lasciò il fiato corto, l’idea di sposarsi con quel Moore mai visto ora le procurava un sentore di soffocamento. Le parole pronunciate da André poche ore prima le rimbombarono nelle orecchie “Stavolta l’uniforme non ti servirà come scusa, con me non è mai servita” André che l’aveva sempre vista non come un uomo, come donna sì, ma soprattutto come Oscar e basta. Lui aveva visto davvero tutto di lei e pur vedendo quanto fosse complicata, alle volte violenta nelle reazioni, altre lunatica o rude e scostante, le era rimasto accanto. E allora perché ora si prendeva gioco di lei con quella storia della gelosia? E perché andava a sollazzarsi tra bordelli e bottiglie con Alain? La cosa che non capiva più di tutte, però, era il suo volersi interessare così tanto all’amico di sempre, che Alain avesse ragione? Che si sentisse privata delle attenzioni esclusive che André le aveva sempre riservato? O c’era di più? Come faceva saperlo? Per ora l’unica certezza risiedeva nel fatto che André non avrebbe dovuto sapere di quel matrimonio, anche se il desiderio di parlarne con lui era forte. Un confronto era quello che le ci voleva, solo lui poteva offrirglielo. Con le membra spossate da quella giornata degna dell’ “Odissea”, l’inquietudine ad agitarsi nello stomaco e l’elettricità provocatale nello strato sottostante la pelle, si rigirò ancora un po’ in quel letto improvvisamente inospitale e si addormentò.
                                                                                §§§
In una distinta locanda, quella stessa sera, poco lontano da palazzo de Jarjayes.
“Rebecca, come fai a essere così tranquilla? Non ti capisco, pensavo tu più di me bramassi la rovina di quell’uomo! Invece gli hai lasciato dettare le condizioni…”
Rebecca Moore si avvicinò a suo fratello e premendogli un dito sulle labbra disse “Oh, voi uomini non avete proprio pazienza. Se ho fatto ciò, non ti viene in mente che abbia un piano? Dimmi che ore sono, caro”.
Michael la scrutò profondamente scettico, gettò un’occhiata all’orologio alla sua destra e disse “Mezzanotte, perché?”
“Non dovrebbe mancare molto, è un uomo puntuale, a quanto dicono, non dovrebbe tardare. Per una volta la fama di nostro padre, in quanto uomo favorevole all’uguaglianza e il suo continuo impegno ci saranno utili. Tu non guardi troppo lontano dal tuo naso”- gli diede un colpetto sul naso e ridendo di fronte all’espressione spaesata dipinta sul volto del fratello, proseguì dicendo – “ho intrattenuto una corrispondenza molto utile, la persona che incontreremo a breve, ci porterà all’uomo che può aiutarci a portare a termine il nostro piano. Sono molto famosi, sai?”.
Rebecca Moore aveva appena pronunciato tali parole quando si sentì bussare delicatamente contro il legno della porta, sobbalzarono entrambi – “Che ti avevo detto?”- strizzò l’occhio al fratello ed andò ad aprire la porta, l’uomo che le stava davanti, non c’erano dubbi, era l’avvocato dei poveri : Maximilien de Robespierre. Indirizzarlo verso i loro scopi non sarebbe stato facile, l’uomo era contrario a spargimenti di sangue inutili, ma ci sarebbero riusciti.
“Rebecca Moore, è corretto, madame?”- Rebecca studiò con fare civettuolo il nuovo venuto e disse – “Sì, signore, piacere di conoscervi”- tese una affussolata manina in direzione dell’uomo, il quale si protrasse in un elegante baciamano, troppo facile, si disse Rebecca. Agli uomini bastava un ammasso di belle membra per capitolare, escluso suo fratello, detestava l’intero genere maschile –“Il piacere è mio, con tutto quello che vostro padre ha fatto per i più deboli e per la Francia nel corso degli anni, incontrarvi era il minimo che potessi fare”- detto questo, Robespierre tese educatamente la mano ad un Michael sempre più esterrefatto e velatamente geloso degli sguardi che intercorrevano tra i due. I tre si accomodarono su tre poltroncine di un verde infeltrito, attorno a un tavolo di legno su cui troneggiava una bottiglia di buon vino.
“Non che non sia felice di avervi incontrato, non scambiate la mia per maleducazione, è per semplice curiosità che ve lo chiedo: a cosa devo l’onore di questo incontro?”- Rebecca versò da bere ai due uomini e con tono vezzoso disse- “Ci servirebbe l’aiuto di un vostro caro amico il problema è che, a quanto sembra, non è un uomo molto avvicinabile e non nutre certo fiducia nelle donne. Anzi, per quanto ne sappiamo noi, le disprezza…”- Robespierre iniziò a sudare freddo, aveva capito quei due dove volevano andare a parare, si diede dello sciocco per non averci pensato prima. Interrompendo la giovane, disse con tono cupo –  “Saint-Just. A che vi serve? Per quanto possa conoscerlo e stimarlo, non condivido i suoi metodi... Se volete che interceda con lui, è un affare che richiede sangue. Non posso promettere nulla, prima ho il dovere morale di sapere chi deve scovare e perché. Credo capirete…” – Michael capì, finalmente il mistero si stava dipanando ai suoi occhi. Le tinte che la situazione stava assumendo erano sempre più fosche, certo il fine giustifica i mezzi, non potevano permettersi di sporcare le proprie mani con sangue tanto prezioso quanto corrotto e vile. La nobiltà era pur sempre la nobiltà, anche se la persona provvista di titolo era gretta, crudele e meschina. Oltre che viscida. Tutta la battaglia si sarebbe svolta su un campo minato, in equilibrio precario e con strategie non proprio cristalline. Fu lui a prendere la parola stavolta – “Si tratta di un forte oppositore alla giusta causa popolare. Conoscete il Duca Laurent – Maurice de Germain? Fratello dell’altrettanto rivoltante Henri – Sebastien de Germain…”- Robespierre si irrigidì. Era una pazzia, sapeva che Saint-Just non si sarebbe fatto problemi morali di alcun tipo, quei due erano sulla sua lista nera da tanto ormai. Anche se gli avessero chiesto uno solo dei due Duchi, lui di certo li avrebbe di buon grado uccisi entrambi. D’altro canto, immaginare la testa di una di quelle bestie su un piatto d’argento, procurò anche a lui un moto di piacere. Quasi fisico, poteva affermare. Con la voce arrochita dal desiderio di vedere quelle sanguinarie fantasie realizzarsi disse, contro ogni fibra del suo corpo e del suo animo di giustiziere – “Ragionate, non si può fare una cosa del genere! La monarchia sta decadendo, d’accordo, ma così facendo si verrebbe a creare uno scandalo di proporzioni maestose. Non nego che anche a me farebbe piacere vedere non uno ma tutti e due i duchi, esalare l’ultimo respiro… Oh, basta così. Non si può, è protetto nella sua torre d’avorio… Avete idea di quanto sarebbe difficile e rischioso?”.
Rebecca puntò i propri occhi in quelli di Robespierre e col tono più candido che riuscì a trovare replicò “Ma non vogliamo ucciderlo, ci serve un rapimento. Dobbiamo sapere delle cose da lui, cose che nessuno sa e che certo egli non confiderebbe in maniera spontanea. Vi proponiamo un accordo: voi ce lo portate e ce lo fate interrogare, successivamente potrete tenerlo con voi in cambio di un consistente riscatto. La rivoluzione è alle porte, per combattere e difendersi c’è bisogno di armi e solo così potrete ottenerle. Il Duca, suo fratello, di certo non si farà scrupolo a piegarsi se la posta in gioco è così alta. Vi do la mia parola, lo giuro sulla memoria del nostro venerato e rispettabile padre. Michael è d’accordo con me, voi che ne dite?”.
Nessuno di loro poteva prevedere le conseguenze che quel patto avrebbe implicato, Robespierre aveva un brutto presentimento che lo tormentava, alla fine, spinto dalla necessità, cedette.
                                                              §§§
Palazzo Jarjayes, giorno successivo, stanza di André Grandier.
Il generale lo fissava con aria apprensiva, gli aveva appena chiesto di seguirlo in giardino per parlare tranquillamente, aveva urgenza di interloquire con lui. André non ne conosceva il motivo, ma era certo non fosse nulla di buono. Il pensiero corse ad Oscar.
 



Spazio dell'autrice.
Questo capitolo è forse un po' noiosetto, me ne rendo conto. Pazientate! Il mistero si infittisce e la situazione si complica ulteriormente.
N.B. Il fratello del duca de Germain è chiaramente fittizio e già uno è troppo, figurarsi due! Ma la storia necessita di lui, vedrete.
Io vi ringrazio per il sostegno mostratomi a distanza di quasi un anno, bentrovate alle pazientissime lettrici di vecchia data e un caloroso benvenuto alle nuove!
Un grazie anche alle venti persone che mi seguono e alle due che mi hanno inserito nei preferiti, è bello sapere tanto apprezzamento.
Alla prossima, care madamigelle! ;)

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


André ancora non poteva credere alle parole del generale, Oscar DOVEVA sposarsi. Che lei lo volesse o no e lui aveva il compito di convincerla. Tutto questo gli riportò alla mente la volta in cui, anni prima, il generale gli aveva ordinato di parlare con Oscar per convincerla ad essere un soldato. Allora l’anima di André si era appena affacciata all’idea che quel sentimento che da sempre nutriva per Oscar non era solo fraterno.
A distanza di anni quel sentimento mal taciuto era cresciuto a dismisura e gli divampava nel cuore come un incendio che niente avrebbe mai potuto placare. Che fare? Si sentiva beffato dalla Dea Bendata per l’ennesima volta, perché proprio lui? Quanti avvenimenti si erano dovuti succedere nel tempo perché lui incontrasse la donna della sua vita? Lui non poteva amarla, né  sperare di poterle donare un futuro roseo a causa di mere differenze sociali. Già, mere, ma quanto contavano allora? Si convinse di esser nato nel momento sbagliato, questo suo struggersi per lei l’aveva convinto che forse anche solo il fatto d’esser nato fosse un errore madornale. Una parte di lui sentiva però quanto fosse giusto essere lì, come avrebbe fatto lei senza lui? Non era per presunzione, conosceva la sua Oscar: senza lui probabilmente non sarebbe stata così forte perché nessuno l’avrebbe amata come solo lui sapeva fare. Sarebbe stata forte fino a un certo punto, André sembrava il solo a vedere quel limite. Era anche il solo in grado di vedere con ogni cellula del suo essere Oscar, in ogni minima ombra, luce e sfaccettatura. Quanto l’amava! Lei sapeva, sì, ma non completamente e probabilmente se avesse solo avuto un’idea più definita del sentimento che animava l’amico forse ne sarebbe stata spaventata. Pur non rientrando la paura nelle caratteristiche di quella donna. Oppure, forse, ne sarebbe stata lusingata. Quanti forse!
Se solo lei avesse espresso, anche solo velatamente, il desiderio di fuggire da quella gabbia lui l’avrebbe assecondata. Egoisticamente ne sarebbe stato lieto, l’idea di qualcuno che potesse anche solo sfiorarla o persino pensare di entrare nel suo mondo lo tormentava senza tregua. Tutto lacera e niente distrugge, vero, ma lui si sentiva vicino alla distruzione. Non poteva farle questo, non l’avrebbe fatto. Per volere egoistico, perché la conosceva, ma soprattutto perché sapeva che nessuno avrebbe mai potuto influenzarla. Oscar era sempre stata così, un rapace libero e indipendente, nutrito solo dal desiderio di libertà e giustizia. Forzarla l’avrebbe massacrata nel profondo, André lo sapeva bene, provare a plagiarla sarebbe stato un insulto all’intelligenza di entrambi. E poi, lui non voleva! Nessuno l’avrebbe mai costretta, mai più. Eppure ce l’aveva con lei, sapeva che nonostante tutto suo padre esercitava un certo potere sulla sua figura. Non si era mai perdonata di esser nata donna, in certi momenti neppure lui la perdonava per questo. Era certo che se lei non fosse stata donna, lui non avrebbe perso la ragione e non sarebbe morto con l’immagine di lei, tangibile seppur lontana, nel cuore.
“Cosa mi hai fatto Oscar? Perché posso provare ad allontanarmi e appartenerti sempre? Perché? Oscar, io ti amo dal profondo del mio cuore, che c’è di sbagliato in questo? Perché devo ferire te, e per primo me, anche stavolta? Perché posso lasciarti e mai abbandonarti? Perché? Perché? Ti prego, amami…”
Questo avrebbe voluto gridare André, avrebbe voluto issarla sul cavallo e portarsela via.
                                                                      §§§
Laurent non era mai stato un uomo timorato di Dio, non aveva mai badato ad essere un uomo corretto o generoso e mai una volta lo scrupolo aveva sporcato la sua coscienza. Quella sera fu diverso, non lo avrebbe mai detto ma, per un secondo pensò che se fosse morto quella sera, pensò che di certo sarebbe finito all’inferno. Semmai esisteva. Qualcosa doveva esistere, pensò nell’osservare quella figuara asessuata con il volto di una maschera bianca e rigida. Senza bocca. Due occhi di brace che lo fissavano e risucchiavano tutto ciò che li circondava, anche lui si ritrovò senza bocca e quindi l’urlo d’allarme gli morì in gola. La lama che riluceva contro i pallidi raggi lunari, che bagnavano le finestre, non c’entrava niente. No, a fargli paura era stato quello sguardo. Così, in una notte fatta di paura e silenzio,  il Duca Laurent-Maurice de Germain fu portato via. Il pendolo battè dodici rintocchi. L’ora delle streghe.
Non sapeva dove si trovasse, l’avevano bendato, tutto ciò che riusciva a percepire era odore di polvere da sparo, vino e legno. Si sentiva stordito e si convinse di non esser lì realmente.
“Vecchio depravato, ti ordino di parlare. Dov’è? Dove sta? Che ne hai fatto? Devo saperlo, se non me lo dici ti ucciderò con le mie stesse mani e mi ci farò un bel bagno in quel tuo sangue nobile quanto immondo!”
Quella voce non riusciva proprio a distinguerla, più scavava nella sua memoria e più non riusciva a trovare un nesso. Si ridestò e il suo orgoglio ruggì come una tigre malese, ricordò quando suo padre lo aveva costretto a sparare a quel servo perché aveva imbrattato il casato Germain con la sua impudenza. “L’orgoglio prima di tutto, Laurent! Non piegarti mai, capito?”, quelle parole lo colpirono in pieno e con tono minaccioso disse “Non so di cosa tu stia parlando, vigliacco! Tu puoi vedere me, io non posso vedere te…perché dovrei dirti quello che non so?!”.
Un dolore lancinante gli trafisse la mano destra e involontariamente si ritrovò ad urlare come un animale sgozzato, quel bastardo lo aveva colpito. “Non mentirmi! Io so cosa avete fatto, voi tutti! Pretendo di saperlo, dov’è? Se non me lo dici ti taglierò anche l’altra mano, è con quelle che hai macchiato tante anime, fosse per me non meriteresti un secondo di più in questo mondo. Sai di cosa parlo, pensa all’affare più sporco della tua vita!”.
Laurent finalmente capì, un impeto di rabbia lo travolse, non poteva confessare! L’aveva giurato, farlo avrebbe significato essere la barzelletta di Versailles. Solo sua maestà sapeva e per sommi capi, aveva modificato la situazione per uscirne con l’onore indenne.
“Non parlerò, sappilo. Non so come tu conosca la storia, ma io sarò muto”.
Il suo aguzzino gli strappò la benda dal volto, era lo stesso di prima. La maschera bianca infieriva su di lui, “E’ qui, vero? “. Una risata sinistra deturpò il volto del duca “Sì, questo posso dirtelo. Ora uccidimi pure, l’onore è la prima cosa e se parlassi tante persone ne uscirebbero macchiate. Uccidimi e sarai un assassino, io rimarrò un uomo rispettabile e da dove sarò potrò osservarti mentre ti affanni nelle ricerche…da quel che so non ti resta molto tempo, arriverai tardi…”
Quel sadismo fu la cosiddetta goccia, il vaso trabboccò e ne sgorgò  sangue. Copioso. Il duca lasciò questa terra fiero della sua scelta.
“L’hai ucciso? Cos’hai fatto? Dobbiamo fuggire, ora!”
                                            §§§
Robespierre entrò in quella cantina buia e squallida e la prima cosa che il suo corpo avvertì fu il puzzo di sangue e l’odore della morte, vide un’ombra accovacciata ai piedi del cadavere e urlò “Tu, idiota, guarda cos’hai fatto! Che ti passa per il cervello? Dovevi catturarlo, non ucciderlo…sai cosa accadrà quando si verrà a sapere? Non ci serve questa propaganda!” – livido in volto afferrò Saint-Just per il bevero della giacca e con occhi iniettati di sangue disse “Io me ne lavo le mani, annega da solo, sadico che non sei altro!”.
Saint-Just gli lanciò uno sguardo colmo di risentimento e sfida “Purtroppo non sono stato io, ma i tuoi amici britannici. Hanno fatto un ottimo lavoro, ma io sono più meticoloso…”-disse arricciando il naso, Robespierre lo strattonò violentemente e lo lasciò ricadere a terra- “Dannazione e adesso?”
“Adesso ci disfiamo del corpo e daremo la colpa ad altri… Hai idee migliori? Piuttosto, sai perché l’hanno fatto?” – “No…”
                                                                        §§§
La mattina successiva, palazzo Jarjayes.
“Entra pure, André” Oscar si stiracchiò pigramente e si allontanò dal piano, André la guardò con fare imperscrutabile poi scoppiò a ridere. Oscar lo osservò interdetta, ma che aveva?
“Tuo padre è venuto da me domandandomi di parlarti. Immagini il motivo?”. Oscar fissò André con sguardo vitreo e riassumendo il controllo di sé, disse “Lo immagino, sì… Perché ridi?”
“Mi chiedi perché rido, Oscar? Perché non ne posso più, è ironico il fatto che sia proprio io a doverti convincere. Non trovi sia un insulto all’intelligenza di entrambi? Io sono stanco, Oscar. Non mi sento di parlarti di matrimonio, sai bene come la penso per quel che riguarda te e le tue decisioni. Nessuno può condizionarti, men che meno io. Altrimenti, già da un po’…lascia stare. Tanto seguirai gli ordini di paparino come sempre e io non potrò fare altro che tacere. Da una vita sono spettatore e nient’altro, vedo il sipario alzarsi e calare. Conosco le battute a memoria, i passi e mai mi allontano rassegnato. Come un lettore avido, mi sono affezionato ai personaggi della commedia e mio malgrado ne sono parte. La scena non cambierà finché non batterai il tuo nemico più temuto: te stessa. Semmai decidessi di distruggerti, anche stavolta, potrei non voler restare. Potrei voler dare la mia dipartita, lasciare lo spettacolo, tanto continuerà, tu che diresti?”.
Oscar aveva taciuto e ascoltato in silenzio, incassato i colpi. Che André avesse ragione? L’occhio malinconico la studiava attendendone la reazione, non poté non trovarlo bellissimo. Avrebbe accettato la dipartita di André? Avrebbe continuato da sola? Il sol pensiero le toglieva aria, la uccideva. Non lo avrebbe mai confessato, ma André era un’estensione indispensabile del suo corpo e del suo animo. Di tutte le cose che le aveva detto, non ne aveva tralasciata una. Orgoglio, rabbia, indignazione, stupore. Lei non era avvezza a situazioni del genere e l’unico uomo col quale era stata a stretto contatto la stava trattando come una donna. Il solo, il primo.
“André, non so cosa farò, come sai, tu sei libero e la vita non è l’opera che affermi tu. Puoi andartene quando vuoi, io deciderò più avanti se sposarmi o no. Di sicuro non conosco quest’uomo e voglio capire chi è e perché mi reclama come moglie. Mio padre nasconde qualcosa, intendo scoprirlo. Se tu vorrai essermi d’aiuto ne sarò lieta. Nel caso contrario, farò da sola. Non offendere mai più la mia intelligenza, sai bene che ho sempre scelto da sola. Ce l’hai con me perché pensi che io non voglia farti frequentare quella donna? Sbagli, in tutti questi una cosa ho sempre voluto: vederti felice, se è con lei, ben venga”.
Nel dirlo gli occhi le si erano velati di lacrime, ultimamente erano in un  purgatorio emozionale senza fine e non ne capiva il motivo. Il pensiero di lui con un’altra la infastidiva, si sentiva privata di qualcosa, non sapeva di cosa. André, dal canto suo rimase amareggiato ma anche stavolta non poté non illudersi che qualcosa in Oscar si fosse smosso e pertanto decise di aiutarla. Avrebbe aiutato anche Eleonor, la sua amica. Nient’altro che compagna di sventura, naufraghi che si sostenevano. Tuttavia, non smentì Oscar, lasciò credere al suo soldato che Eleonor fosse qualcosa di più. L’istinto glielo suggeriva, si aggrappò con tutte le forze all’idea che il generale potesse celare qualcosa di losco.  Come Icaro che si avvicinò al sole, lui decise di volare ancora accanto ad Oscar. L’opera non era finita e le maschere non ancora calate.
“Lo farò” disse infine.
Marron corse trafelata e senza bussare spalancò la porta, col fiato corto e i polmoni in procinto di esplodere disse
“Oscar, sia sua maestà il Re che la Regina ti richiedono a corte. C’è stato un omicidio e c’è un’altra cosa che devi sapere…”
 
 
 
 

 
ANGOLO DELL’AUTRICE.
Care e pazienti madamigelle, vedo che l’entusiasmo cresce e il sostegno pure. Io vi ringrazio di cuore, se mi sono rimessa in gioco è anche e soprattutto merito vostro. Grazie per il tempo, l’entusiasmo e la pazienza. Dubito sempre di me, voi mi invogliate a scrivere e a non mollare. Chiedo scusa per l’attesa, ma ho avuto un esame dietro l’altro all’università! In più ho dovuto aiutare con un trasloco, capirete il macello. Domenica parto per le vacanze e rientrerò una settimana prima di ferragosto. Non potevo lasciarvi così per un bel po’, non abbandonerò la storia. L’ho promesso! Infatti partirò armata di carta e penna, chissà che non ne esca un capitolo decente. Spero che questo capitolo non vi deluda, se pazienterete ancora un po’, vedrete che arriverranno le turbolenze. Spero di non avervi annoiate, buone vacanze.

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


“Ecco, vedete, Oscar…quello che sto cercando di dirvi è che qualcuno vi ha chiesto in sposa. Un inglese. Lo sapevate?” – lo sguardo velato di ansia e materna preoccupazione che la regina le rivolse smosse qualcosa in Oscar.  Quelle parole, erano come il cappio che si serra intorno al collo di un condannato, il tempo stringeva e lei doveva uscire da quella situazione. Non voleva sposarsi, non con un uomo che neanche conosceva. Sposarsi, il pensiero le procurava un prurito alla gola…una risata, ecco cos’era. Una sana e crassa risata le si agitava dentro, avrebbe voluto che qualcuno splancasse la porta che lei stessa si era chiusa alle spalle pochi istanti prima e le gridasse contro il viso “Ci sei cascata!”. Tutto ciò non avvenne, purtroppo. Oscar trasse un profondo sospiro e con un tono neutro disse “Mi è stato comunicato dal generale di recente, non l’ho ancora incontrato e non ho ancora deciso il da farsi. Maestà, vi sono grata per quanto dettomi” - si protrasse in un inchino ancor più profondo verso la sua regina, il naso solleticava il pavimento color ceruleo tanto era inchinata, quando sua maestà compì un gesto assolutamente inaspettato: si abbassò alla sua altezza e, fronte contro fronte, occhi negli occhi e respiri che parevano sincronizzati, le parlò con voce dolce e soave dicendo “Oscar, se non volete farlo basta un cenno. Io adopererò tutto il potere di cui dispongo perché voi possiate esser libera da questo gravoso onere. Non voglio che la mia più cara amica debba avere a soffrire come capitò a suo a tempo a me per prima, sapete a cosa mi riferisco…vero?”. Certo che lo sapeva! La regina si riferiva alle catene di costrizione che le avevano attanagliato il cuore proibendole di sposare l’uomo a cui si era donata, imponendole un uomo alla cui vista il cuore le restava immobile. Quasi quel pezzo di carne e sentimenti insieme non le appartenesse, quando davanti a sé c’era Luigi, lei non era lì, era con la mente al suo unico e grande amore. Fersen.
Oscar l’aveva perdonata forse per questo, sapeva quanto quell’uomo rappresentasse per la sua regina.
“Sì, credo di saperlo…”
“Bene, Oscar, allora non lasciatevi intimidire in alcun modo! Voi siete la libertà delle donne del nostro secolo, voi potete cose che nessuna può. Non lasciate che vi mettano le catene al cuore…” – Maria Antonietta aveva parlato con così tanta veemenza che ora i suoi occhi brillavano di pianto, ad Oscar parve quasi di udire il canto delle cicale. La tristezza le lambiva il cuore alla vista della sovrana così angustiata per la sua sorte, erano così diverse loro due e al tempo stesso così simili. Entrambe condividevano un destino imposto, erano come due foglie che si aggrappavano l’una all’altra sospinte da un violento monsone.
“Ve lo prometto, mia Regina, ora alzatevi. Per favore, non sta bene che la sovrana di Francia si abbassi a tanto” – Maria si levò in piedi e con lo sguardo rasserenato disse – “Ora andate dal re, anche lui vi aspetta. Deve parlarvi di un crimine orribile… E poi di ciò che vi ho appena detto, vi prego di non farlo attendere oltre…il duca de Germain lo sta tediando in maniera molto pesante e non vorrei si spazientisse. Il conte de Mercy è qui fuori pronto a scortarvi negli alloggi di sua maestà e ad annunciarvi”.
Oscar era ormai alla soglia quando la regina la richiamò- “Oscar, avete promesso…”
“Sì, maestà…”
Lei? Lei era la speranza delle donne del suo tempo? Possibile? L’unica cosa che aveva sempre segretamente bramato era avere il consenso di sua padre, avrebbe voluto essere in parte uguale agli altri…ora non ne era più sicura, ciò che più desiderava era essere semplicemente libera da quel grosso impiccio.
“Madamigella, vi prego di seguirmi…”- a parlare era stato il conte de Mercy, il suo sguardo era tirato e le piccole rughe che gli increspavano la fronte mal celavano la sua preoccupazione. Inoltre, mentre Oscar lo seguì, notò che in maniera quasi ossessiva si tormentava i baffoni sale e pepe. Sì, non c’erano dubbi, doveva essere accaduto qualcosa di veramente terribile e tuttavia preferì non domandare nulla: avrebbe scoperto tutto sul momento.
Cosa che effettivamente fece, quando ebbe accesso agli alloggi reali non ebbe neanche il tempo di levarsi dal consueto inchino reverenziale che il sovrano la mise a parte di ciò che era accaduto.
“Madamigella Oscar, il duca Laurent-Maurice de Germain è stato brutalmente assassinato. Il suo corpo è stato trovato sulle sponde della Senna, riverso, da un vagabondo e…”- Luigi si interruppe nel leggere lo sconcerto del soldato, e forse…cos’era? Un barlume di gioia? – “Madamigella, lasciatemi finire…si sospetta di un rapimento finito male. Le piste da seguire sono una miriade e solo voi potete sciogliere questo rebus. Capite? La corona ha fiducia nelle vostre capacità…”
“Maestà, permettetemi, cosa volete che faccia? La situazione non è semplice e la condotta del duca non era certo esemplare…non pensate che possa esser stato freddato da qualcuno mandato da uno dei suoi innumerevoli nemici?”
“Come vi permettete?  Frivola donna che non siete altro!” – Oscar trasalì, quella voce profonda e a tratti roca non era di sua maestà, a parlare era stato uno degli uomini più spregevoli che lei avesse mai incontrato. L’altro de Germain. Uno sparo e l’immagine di quel bambino la colpirono ancora, bastava il ricordo a farle perdere le staffe. Per quanti mesi si era tormentata dopo la morte di quella povera creatura e anche successivamente al duello? Tanti, il tarlo della rabbia l’aveva assillata tanto e quell’ingiustizia pareva corroderla ancora dall’interno. Sì, avrebbe accettato! Avrebbe dimostrato a quel demonio del duca quanto fango vi fosse all’interno del suo casato. Ghignò al pensiero e con tono formale disse: “Perdonate, duca, non era mia intenzione turbarvi. Erano solo congetture, solo il tempo ci dirà la verità “- detto questo scoccò un’occhiata saettante in direzione dello spocchioso nobile che dal canto suo accusò il colpo in silenzio.
“Andrete al più presto a fare un sopralluogo nella zona da me indicatavi, tenetevi pronta. Ora de Germain, penso che potete andare. Ho da comunicare ancora qualcosa al comandante, il conte de Mercy vi scorterà fuori”, un inchino e de Germain sparì.
“Tornando a noi comandante, se conosco la sovrana vi avrà già detto tutto quanto di quell’incontro con Moore… Non so che intenzioni abbiate, ho da avvertirvi però che il giovane mi ha già portato anche i documenti che recano il consenso del sovrano inglese. Il tempo stringe, dunque, decidete cosa fare. Ponderate saggiamente la cosa e comunicatemela quanto prima, badate: è un favore esclusivo che vi è concesso unicamente per il ruolo che avete qui. Neanche vostro padre sa che avrete del tempo per decidere. Vi chiedo di mantenere il segreto…”
“Certo, maestà”
 
Oscar non poteva crederci,  doveva condividere il carico gravoso di tutte quelle informazioni con André e subito anche!
La fretta di parlare con lui era talmente tanta che non si accorse del giovane fermo davanti ai cancelli di Versailles, l’impatto fu così violento da farla barcollare.
“Ma che diavolo…”
“Ehi, fate più attenzione!” – un accento inglese. Ad Oscar si ghiacciò il sangue nelle vene, con fare guardingo appuntò lo sguardo sulla figura appena travolta, l’uomo le lanciò di rimando un’occhiata volta a studiarla bene poi, con tono ironico disse “Oh cielo, la mia futura sposa, sembrate proprio un giovanotto e quest’uniforme non rende giustizia al corpo femminile che vi si cela dentro. Sono Michael Moore, come avrete capito, aspettavo proprio voi! Sono giorni che provo a stanarvi…”. Oscar lo ingnorò e con una mal celata ira a velarle il volto continuò a guardarsi intorno alla ricerca di André, Moore interruppe la sua ricerca e con un tono che voleva essere canzonatorio disse “Siete proprio come quell’attendente che ho dovuto mandar via esplicitamente, totalmente incurante delle regole della buona educazione!  Vi sto parlando e dovreste essere tanto gentile da dedicarmi la vostra attenzione, vi pare?”- Oscar si era fermata al fatto che quel damerino avesse mandato via André come fosse stato il suo padrone. Adesso la sua ira era evidente e con un tono più tagliente di qualsiasi altra lama disse “Non ne avevate il diritto, non vi azzardate mai più o io…”
“Suvvia, presto saremo una famiglia! Madamigella, perdonate mio fratello, io sono Rebecca Moore”- la giovane a cui Oscar non aveva prestato attenzione fino a quel momento, le fece un’ orribile impressione. Se possibile ancor peggiore dello stesso Michael, con il capo chinato in un mellifluo inchino nel frattanto pareva avere uno sguardo furbo e calcolatore che lampeggiava di un violetto innaturale.
Con un gelido cenno del capo Oscar la liquidò e alla fine, comprendendo che non avrebbe potuto far diversamente, li condusse verso palazzo Jarjayes.
                                                              §§§
Poco prima che la cena fosse servita Oscar cercò André in lungo e in largo, senza fortuna. Marron le comunicò con suo sommo fastidio che era uscito, per andare dove poi? Oscar aveva paura di sapere e un sospetto le si insinuò in mente. Lei.
Per tutta la cena non pensò ad altro, era ossessionata e non le andava giù. Fu così sprovveduta da non notare le occhiate che le scoccava uno dei suoi commensali, in altre circostanze non sarebbe stata così stupida, ma André non c’era e lei non riusciva a pensare ad altro. Si sentiva completamente abbandonata e si diede mentalmente dell’idiota. Non potendo tollerare oltre si congedò a cena ultimata e si fece preparare un bagno, non appena la sua pelle entrò in contatto con l’acqua si sentì meglio e lasciò vagare i pensieri.
Quell’acqua era ciò di cui aveva più bisogno, come un neonato baciato dal primo raggio di sole lei si concesse un pesante sospiro e si concentrò sulla consistenza fragile delle bolle di sapone che l’avvolgevano.
“André, perché te ne sei andato? Non oggi, avevo bisogno di te”. Troppe, troppe cose perfino per lei.
A scuoterla ci pensò il cigolio della porta mal lubrificata. “Marron, ti avevo detto di lasciarmi sola. Marron?”
Silenzio. Solo il suo respiro.
“André, se sei tu, aspetta! Non sono presentabile…” – André si era accorto di aver sbagliato a lasciarla sola, sì, doveva esser lui! Un sorriso le illuminò il bel volto ma  si spense con la rapidità con cui era nato.
Silenzio. Stavolta i respiri erano due. Il suo e quello di un’altra persona.
“Chi c’è?” – una strana ansia si impadronì dei suoi sensi e una mano invisibile le si serrò attorno alla gola bloccando il passaggio dell’aria, poi una figura fece capolino dal paravento.
“Uscite subito! Come osate?”
“Oh, su, voglio solo guardarvi. Chi non vorrebbe farlo? Dopotutto siete un mistero sia per uomini che per donne e siete anche molto bella”.
Quegli occhi. Quell’infida creatura fece il giro attorno alla tinozza e le si pose alle spalle, fece per alzarsi ma quelle mani estranee la ricacciarono giù in quell’acqua a un tratto tanto scomoda che pareva fatta di chiodi.
“Uscite!”
“Dobbiamo chiarire un paio di cose, prima…”
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Intanto a Parigi, in un luogo dimenticato da Dio…
André non credeva ai suoi occhi, ma cosa…? Dov’era?
“Eléonor, sono André…dove ti sei nascosta?” – il giovane osservò con circospezione il lurido e misero ambiente circostante, poi una cosa lo colpì: un lenzuolo legato alla finestra e il suo districarsi fuori di lì, impietrito si affacciò e vi trovò Eléonor appesa un po’ più giù.
“Eléonor, ti ucciderai! Sei impazzita?”

“André, che ci fai qui? Vai via! Io devo scappare, verranno ad arrestarmi…non puoi capire”
“Per  l’amor di Dio, Eléonor! Il lenzuolo è talmente logoro che non reggerà, vieni su. Ti aiuterò io, ma ti supplico, torna su…”

 
 
 

ANGOLO DELL’AUTRICE
So di essere in ritardo, mi scuso, gli esami sono ricominciati e sono sommersa. Ciò nonostante, ecco qui un capitolo che non contribuisce a darvi soluzioni evidenti al mistero…ci sono degli indizi, fate attenzione.
Grazie per le recensioni che mi avete lasciato, spero di non avervi deluso. Mi auguro commentiate, un abbraccio e alla prossima! (prometto maggior puntualità)

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