Speciale

di AryYuna
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


   In tutta sincerità trovo la puntata 9x15 una delle più cretine - o forse la più cretina insieme alla 10x10 - di tutto NCIS, ma per motivi a me oscuri in mezzo all’idiozia generale della trama gli autori hanno pensato bene di introdurre Wendy… la quale, visto che ormai sembra che il canon sia rimasto caro solo a qualche fan, non è più l’insegnante di musica del liceo di Tony, ma una giornalista -.- Amante del canon, della continuity e di Tony, la sottoscritta ha deciso di fare un po’ d’ordine nelle cose, e magari di trovare un motivo dietro l’inspiegabile decisione di Gibbs di mettere proprio DiNozzo a lavorare con la giornalista. Che, detto tra noi, mi sta anche un po’ sulle scatole. Ah, e non mi importa che Wendy dica che si sono lasciati nove anni e mezzo prima perché, da quanto dicono, sono dieci anni e mezzo, non nove. La matematica, autori, la matematica.
   Bene, ciò detto, spero la storia vi piaccia :) Info canon prese dalle puntate e - dove la memoria faceva cilecca - da ncis.wikia (ecco perché il mio Tony è nato nel ’72 indipendentemente da quanto lo abbiano invecchiato nelle serie più recenti). Seconda storia su NCIS, la prima con un caso. Porca miseria se è difficile descrivere delle indagini, a quanto pare gli anni passati a sfondarmi di telefilm su rai2 non bastano! XD
   
   Un enorme - ma che dico gigantimmensenorme - grazie a
FrancyChan, la migliore beta del mondo, che ha avuto la pazienza di leggere e betare questa fanfiction in italiano e inglese in modo attento e… professionale, ecco. Grazie, Francy, sei la migliore beta del mondo! :D
   
   Potete trovare la versione inglese qui.
   
   Disclaimer: purtroppo NCIS non mi appartiene. Se così fosse, non sarei qui a scrivere fanfiction, vedreste le mie idee sullo schermo. E Tony sarebbe sposato a una ventitreenne italiana di nome Arianna. E McGee avrebbe ancora una famiglia normale (almeno lui!). E Senior non sarebbe mai comparso u_u Ma NCIS non è mio…
   

Speciale

   
   Capitolo 1
   
   Completati i rapporti della giornata, la squadra di Gibbs lasciò il proprio spazio nell’ufficio al terzo piano della Base Navale di Washington DC. Non tutti i membri della squadra tornarono a casa, però.
   L’Agente Speciale Anthony “Tony” DiNozzo salutò i suoi colleghi, salì in macchina e lasciò il parcheggio, indeciso su cosa fare. Non voleva tornare a casa e ritrovarsi solo a ripensare alla giornata, a ricordare un passato morto e sepolto, a rivivere un dolore mai davvero superato.
   Una parte di lui sarebbe voluta andare dove andava ogni volta che non voleva restare solo coi suoi pensieri, ma per qualche motivo l’idea di bere bourbon col suo Capo in mezzo alla polvere non gli sembrava la scelta giusta - probabilmente perché Gibbs era in parte responsabile per come si sentiva in quel momento: che diavolo pensava quando aveva scelto lui come agente di collegamento con la stampa, con Wendy?
   Questo però gli lasciava una sola scelta: tornare in ufficio. Sbrigare le pratiche in arretrato, avvantaggiarsi con i rapporti del mese… almeno si sarebbe tenuto occupato, e non avrebbe avuto tempo di pensare.
   Tornò alla Base Navale e parcheggiò nuovamente nel suo posto auto, sbuffando tra sé mentre cercava nello zaino un cambio - non aveva intenzione di tenere gli stessi vestiti due giorni di fila, senza contare che gli altri avrebbero notato che aveva passato la notte in ufficio, cosa che non voleva assolutamente.
   Chiuse la macchina e si voltò per dirigersi all’ascensore, quando notò la Mini Cooper di Ziva ancora ferma al suo posto. Accigliandosi, posò nuovamente lo zaino in macchina e si avvicinò curioso… e cauto, con Ziva non si poteva mai sapere.
   Quando fu abbastanza vicino, vide la donna seduta dietro al volante, l’espressione indecifrabile mentre fissava qualcosa che aveva tra le mani.
   « Ziva? » chiamò incerto, e per la prima volta da quando la conosceva vide la donna trasalire cercando di nascondere l’oggetto che aveva in mano - era la scatolina dell’anello di Ray?
   « Tony! » esclamò lei abbassando il finestrino, e la sua voce aveva una nota acuta non da lei. « Credevo fossi andato via, cosa fai ancora qui? »
   « Potrei farti la stessa domanda » rispose lui con un sorriso.
   « Uh… Avevo… dimenticato una cosa » rispose Ziva a disagio, e la scusa suonò talmente patetica alle sue stesse orecchie che si affrettò ad aggiungere « Tu, invece? »
   Tony si strinse nelle spalle, ma non rispose.
   « Come mai sei ferma qui nel parcheggio? » chiese invece.
   Qualcosa dovette scattare in Ziva a quelle parole, perché improvvisamente sbatté le palpebre come per risvegliarsi e si mise sulla difensiva.
   « Ciò che faccio o non faccio non credo siano affari tuoi » rispose brusca, e Tony vedeva nei suoi occhi che era nervosa all’idea di essere stata scoperta in un momento in cui era vulnerabile, in cui la sua maschera da assassina del Mossad era assente. E lui ne sapeva abbastanza di maschere da non prendersela per il suo tono duro, ne sapeva abbastanza del bisogno di nascondersi dietro una facciata che tenesse gli altri a distanza per proteggere se stessi da decidere di non indagare oltre. Alzò le mani in segno di resa.
   « Pardon » disse con un sorriso. « Blocca le porte, però, non si sa mai che tipi si aggirano da queste parti di notte, e non vorrei dover scoprire i loro cadaveri qui domattina e doverti arrestare: mi fai già paura quando nessuno ti sta accusando di omicidio ».
   Ziva sbuffò, ma gli era grata per aver scelto di non insistere, e anche per il messaggio nascosto dietro lo scherzo: stai attenta. Ricordò le parole del Detective Nick Burris (1) sull’importanza dell’amicizia e sorrise.
   « Buonanotte, Tony ».
   Lo guardò allontanarsi e sparire dietro uno dei piloni del garage, chiedendosi cosa ci facesse davvero ancora alla base. Sperò che fosse solo passato a prendere qualcosa… o magari qualcuno. Magari la biondina dell’archivio prove, con cui lo aveva sorpreso a flirtare in più di un’occasione. Per qualche motivo, sperò per lui che fosse davvero così, che non fosse sul punto di passare una notte da solo, magari in ufficio. Che avesse trovato qualcosa - o qualcuno - con cui… distrarsi: aveva visto com’era stato negli ultimi giorni, quando c’era la Miller, e sperava sinceramente che ritrovarsela di fronte dopo tanto tempo non gli avesse fatto troppo male.
   Mise in moto, dando un’ultima occhiata alla scatolina che le aveva regalato Ray, e lasciò il garage.
   Poco dopo, quando lei era ormai fuori portata visiva, Tony prese il proprio zaino dalla sua auto e si affrettò verso l’ascensore, il sorriso che si era dipinto sul volto quando aveva parlato con Ziva ora completamente svanito. Vedere la scatolina quadrata tra le sue mani gli aveva riportato alla mente proprio i ricordi che era tornato alla base per reprimere. Comprendeva fin troppo bene come doveva essersi sentita Ziva quando era finita la sua storia di Ray. Dietro la facciata della fredda ex agente del Mossad, tutti loro sapevano che c’era una donna molto più fragile e sensibile di quanto lei volesse far credere agli altri, ed essendo stato lui stesso ad un passo dal matrimonio, Tony sapeva cosa doveva aver provato la sua collega…
   Uscì dall’ascensore sul terzo piano, chiudendo con decisione quei pensieri in fondo alla sua mente, determinato a concentrarsi sul lavoro. Accese il computer e la lampada, posò lo zaino a terra e pistola e distintivo nel cassetto. Tirò fuori i resoconti del mese e le altre pratiche meno importanti che finivano per accumularsi perché non c’era mai abbastanza tempo e, con un sospiro, si mise al lavoro.
   Erano quasi le tre quando finalmente crollò sul rapporto che stava compilando - qualcosa sull’ultima sessione obbligatoria al poligono per la squadra di Gibbs.
   Si svegliò quasi quattro ore dopo, meno riposato di quanto avrebbe voluto, ma con tutti il tempo di lavarsi alle docce della palestra, cambiarsi e fingere di essere venuto da casa come ogni mattina.
   « Buongiorno, Capo! » salutò con più allegria di quanto strettamente necessaria rientrando nello spazio della sala squadre dedicato al team Gibbs.
   L’ex Marine era già al telefono, e si limitò a salutarlo con un cenno senza apparentemente distogliere la propria attenzione dalla telefonata, ma Tony sapeva che nulla sfuggiva allo sguardo del suo capo, e non si fece illusioni: sapeva di non avere l’aria riposata che stava fingendo.
   « D’accordo » disse l’uomo rivolto alla persona dall’altra parte del ricevitore, e DiNozzo stava già agganciando il distintivo alla cintura.
   « Chiamo McGee e Ziva? » chiese chinandosi a prendere lo zaino.
   Gibbs gli lanciò le chiavi del furgone.
   « Tu fai benzina, io chiamo gli altri ».
   « Ricevuto, Capo ».
   
   La scena del crimine era il salotto di una villetta in un quartiere residenziale.
   La vittima, il sottufficiale Mary Beth Adler, era sul pavimento tra il divano e i resti di quello che era stato un tavolino di vetro. Dalla posizione del corpo, dal tavolino rotto, dalle lampade rovesciate e i soprammobili sparsi sul pavimento, era chiaro che fosse avvenuta una colluttazione.
   Tony raccolse le schegge di vetro sporche del sangue della vittima mentre Ducky e Palmer la esaminavano, e le mise in una busta per le prove. McGee stava scattando foto alla stanza, mentre Gibbs e Ziva erano fuori a interrogare i vicini.
   « Che puoi dirmi, Duck? » chiese Gibbs rientrando. Ziva non era con lui, quindi probabilmente stava ancora parlando coi vicini - cosa che certamente non le avrebbe fatto piacere, odiava raccogliere le testimonianze.
   « È morta ieri sera, tra le nove e le dieci, quasi certamente la causa della morte è stata questa ferita alla testa causata dalla caduta sul tavolino » rispose l’anziano coroner mostrando, tra i capelli sporchi di sangue raggrumato della vittima, il taglio profondo lasciato da un grosso pezzo di vetro.
   « Quindi il colpevole è il tavolino » ridacchiò Palmer guadagnandosi un’occhiataccia da Gibbs e uno sbuffò di rimprovero da Ducky. « Chiedo scusa » mormorò aprendo la sacca nera per il cadavere.
   Alzando gli occhi al cielo per il suo assistente, Ducky riprese a esaminare la donna.
   « Ha lottato a lungo prima di soccombere al suo assalitore » disse indicando i segni sulle braccia e sul viso.
   Gibbs annuì e i due coroner chiusero il corpo nella sacca nera mentre i suoi agenti finivano di fotografare, misurare e repertare. L’ex Marine osservò il suo primo agente lavorare in silenzio, cercando di comprendere cosa gli passasse per la testa. Aveva notato appena arrivato in ufficio la pila di rapporti ordinatamente completati di DiNozzo, e aveva compreso che per farlo doveva essere rimasto tutta la notte in ufficio; sospetto confermato dalle ombre scure che il suo secondo aveva sotto gli occhi. Non disse nulla - ma era sicuro che Tony si fosse accorto del suo sguardo - e insieme ai due giovani agenti attese pazientemente il ritorno di una Ziva piuttosto seccata. Tornati alla base, i tre agenti più giovani si misero subito al lavoro.
   Dopo aver consegnato le prove da esaminare ad Abby e aver brevemente informato Vance, Gibbs entrò nell’area dedicata al suo team e i tre agenti scattarono subito in piedi disponendosi intorno a lui di fronte al monitor.
   « Sottufficiale Mary Elizabeth Adler » iniziò McGee premendo un bottone sul telecomando per far apparire il file della donna sullo schermo. « Ventinove anni, nata a Seattle, dove i genitori vivono ancora, insieme al fratello quindicenne. Entrata in Marina appena finita la scuola, inviava ogni mese lo stipendio a casa finché due anni fa non si è sposata, ha litigato con la famiglia e ha cancellato i genitori dalla lista dei contatti di emergenza. È tornata a casa nove giorni fa dopo essere stata imbarcata per tre mesi ».
   Tony gli prese il telecomando e proseguì.
   « Il suo superiore parla bene di lei, mai avuto un richiamo, esegue gli ordini, non si lamenta. A livello personale, pare che dal matrimonio fosse molto cambiata: più chiusa, riservata. La sua migliore amica, il sottufficiale Carol Raven, dice di averla vista nascondere dei lividi con fondotinta, ma lei ha liquidato la cosa con scuse stupide ».
   « Violenza domestica » dedusse Gibbs.
   « Così pare. Stando alla Raven, il marito è un poco di buono, e la causa della rottura coi genitori. È stata la Raven a trovare il sottufficiale Adler stamattina, doveva andare a prenderla per uscire insieme, e l’ha trovata sul pavimento del salotto. Il marito non c’era ».
   Ziva fu la successiva.
   « Henry Adler, trentadue anni, marito della vittima » disse facendo apparire una foto degli Adler al loro matrimonio. Henry Adler sembrava una specie di gorilla biondo accanto alla figura minuta della moglie. « Lavora per una compagnia telefonica. I vicini e la migliore amica dicono che è un tipo schivo e riservato, estremamente geloso e possessivo nei confronti della moglie. Litigavano spesso, praticamente ogni sera che lei passasse a casa; lui urlava, la insultava e il giorno dopo sembrava che non fosse successo niente, fingevano entrambi bene in pubblico ».
   Finito il briefing, Gibbs ordinò a McGee e Tony di prelevare l’uomo al lavoro e scese da Abby, lasciando a Ziva il compito di chiedere a Ducky se ad autopsia completata era in grado di aggiungere qualche dettaglio all’esame preliminare fatto sulla scena del crimine.
   
   « Non capisco perché rimanesse con lui: era praticamente un animale! » commentò McGee salendo in macchina e allacciandosi la cintura di sicurezza mentre Tony metteva in moto.
   L’agente più anziano si strinse nelle spalle.
   « Non è il primo caso di violenza domestica che incontriamo, e non sarà l’ultimo » rispose solo.
   « Già, e continuo a non capire perché qualcuno debba restare con un mostro simile. Non poteva davvero credere che lui la amasse » ribatté McGee.
   « L’amore funziona in modo strano ».
   « Sbagliato, volevi dire ».
   Tony sorrise amaramente.
   « Già. Sbagliato ».
   Stettero in silenzio per un po’. McGee osservò l’agente seduto al suo fianco cercando di capire a cosa stesse pensando. Non era mai cosa facile con DiNozzo, dato che spesso il suo cervello sembrava essere da tutt’altra parte rispetto a ciò che il suo corpo faceva. Dopo aver lavorato fianco a fianco con lui per otto anni - più qualche caso isolato quando ancora era alla base di Norfolk - McGee ancora non poteva dire di conoscere il suo collega per davvero, ma in quel momento, bocca chiusa e occhi sulla strada, Tony non sembrava così impossibile da leggere per una volta.
   « A proposito di amore » iniziò lentamente. « Tu e Wendy Miller. Com’è che non ne hai mai parlato? » chiese pronto a sfruttare il raro momento in cui l’agente aveva la guardia abbassata.
   DiNozzo trasalì quasi impercettibilmente al nome della sua ex fidanzata, maledicendosi per essersi lasciato cogliere di sorpresa.
   « Non era importante » rispose stringendosi nelle spalle.
   Quella storia mi ha devastato. Non ho ancora ritrovato tutti i pezzi. Perché aveva parlato?
   « Uh-uh… E com’è che Gibbs la conosce? »
   Tony non rispose subito. Maledetto Adler che lavorava così lontano dalla Base Navale: avrebbe dato qualsiasi cosa per un viaggio in macchina più breve.
   Sentendosi lo sguardo del giovane addosso e comprendendo che il suo collega e amico non si sarebbe arreso senza una qualche risposta, Tony sospirò.
   « Stavamo insieme quando sono entrato all’NCIS. Noi… ci saremmo dovuti sposare » disse a voce bassa.
   « Cosa?! » esclamò McGee spalancando gli occhi. Tony DiNozzo… stava per sposarsi? (2) Si riprese più in fretta che poté dallo shock, sapendo che non era la linea di azione giusta se voleva davvero sapere cosa fosse successo e perché Tony fosse stato così strano per tutto il tempo in cui aveva lavorato fianco a fianco con la sua ex - era abbastanza sicuro che l’agente più anziano non volesse davvero lasciarsi sfuggire quel dettaglio, e che si stesse probabilmente già rimproverando per averlo fatto. « Uh… Quindi… Uh… Come vi siete conosciuti? » chiese allora.
   Tony sorrise divertito. Sapeva perfettamente che non era quella la vera domanda che avrebbe voluto fargli il giovane.
   « Ci siamo conosciuti a scuola »
   Gli occhi di McGee, se possibile, si spalancarono ancora di più. Tony non gli era mai sembrato tipo da arrivare a sposare il suo amore del liceo. Ma dopotutto, non gli era mai sembrato tipo da sposarsi in generale…
   « Eravate in classe insieme? » chiese, sentendosi improvvisamente una tredicenne pettegola.
   Tony ridacchiò.
   « Ho frequentato l’accademia militare, Pivello, un’accademia maschile » rispose, e quando notò con la coda dell’occhio la confusione sul volto dell’amico spiegò: « Era la mia insegnante di musica » godendosi la reazione ancora più sconvolta dell’agente.
   « Stai inventando tutto » disse infine McGee.
   DiNozzo rise sommessamente scuotendo la testa.
   « No, Tim. Non sto inventando niente ».
   
   Aveva diciotto anni la prima volta che l’aveva vista. L’anziano professore di musica della scuola era andato in pensione, e la classe era momentaneamente scoperta. Tony e i suoi compagni si stavano chiedendo chi sarebbe stato nominato per coprire la cattedra vacante, quando Wendy Miller era entrata in classe, sorridente, giovane e bellissima.
   Qualcuno aveva fischiato, guadagnandosi una punizione dal comandante Campbell, che seguiva la signorina Miller e che
nessuno aveva notato. Dopo aver presentato la nuova insegnante alla classe, il comandante era uscito, lasciando la giovane alla sua prima lezione in un collegio maschile pieno di adolescenti in preda agli ormoni.
   Nessuno fece troppa attenzione all’argomento del giorno, ma in breve musica divenne la materia preferita di tutti.
   Dal canto suo, la signorina Miller era consapevole dell’effetto che aveva sugli studenti e, se da una parte cercava di evitare che i ragazzi esagerassero e la mettessero nei guai, dall’altra parte si sentiva lusingata dalla loro attenzione.
   Ma fu un sabato sera che per la prima volta le attenzioni degli studenti - di
uno studente in particolare, che aveva notato a lezione perché era uno dei pochi a suonare bene il piano - la colpirono sul serio.
   Gli studenti dell’accademia potevano lasciare il campus per il fine settimana, se volevano, e andare a trovare le famiglie, e quelli dell’ultimo anno che sceglievano di restare in collegio, avevano il permesso di passare il sabato sera dove volevano a patto che rientrassero in dormitorio entro il coprifuoco.
   Tony e un limitato gruppo di amici stavano tornando al campus dopo la loro serata, quando il ragazzo si accorse di una figura conosciuta che fissava sconsolata il motore della propria auto dall’altra parte della strada.
   « Signorina Miller, serve aiuto? » chiese il giovane DiNozzo avvicinandosi all’insegnante in difficoltà, osservato dai compagni che ridevano e si spintonavano a vicenda.
   « Non lo so, non ho idea di quale sia il problema » rispose la donna alzando lo sguardo su di lui.
   « Se vuole, nel locale c’è un telefono: posso chiamarle un carro attrezzi e poi darle un passaggio a casa ».
   Ignorando i fischi e i cori di incitamento dei suoi compagni, Tony sorrise alla sua insegnante, beandosi della sua risposta affermativa. Accompagnò la giovane donna nel locale, salutando gli amici con un cenno di trionfo, e rimase con lei fino all’arrivo del carro attrezzi.
   Fuori dall’aula, Wendy Miller era molto diversa. Se in classe a volte scherzava con gli studenti e flirtava per incastrarli nelle interrogazioni - unendosi poi alle risate del resto della classe - fuori dalle mura della scuola era una donna di venticinque anni fin troppo sognatrice per il suo bene, e nient’affatto la mangiauomini che il suo aspetto suggeriva.
   Parlarono a lungo, mentre aspettavano il carro attrezzi e mentre erano nell’auto di Tony, diretti a casa di lei. In meno di mezz’ora erano passati da “signorina Miller” a “Wendy” e Tony era passato dal non vedere l’ora di vantarsi con gli amici a desiderare di rivedere
Wendy, uscire con lei sul serio.
   Quando fermò la macchina sotto casa di lei, rivolgendole un sorriso che non nascondeva nessun secondo fine, lei gli sorrise di rimando e lo baciò sulla guancia.
   « Sei un bravo ragazzo, Tony » disse prima di scendere dalla macchina.

   
   « Eccoci qui » annunciò il Primo Agente Operativo (3) con voce forzatamente allegra spegnendo il motore.
   McGee annuì distrattamente, rimuginando sulle parole del suo collega. Era curioso di sapere come continuasse la storia - Dio, sembrava davvero una tredicenne pettegola! - ma non voleva pressare troppo: nonostante tutto il suo mettersi in mostra, Tony era una persona riservata e non amava parlare di nulla di realmente importante che lo riguardasse. Era il motivo per cui dopo tanti anni McGee ancora sapeva poco e niente della sua famiglia. E di Wendy.
   Scesero dall’auto, ed entrarono nell’alto edificio a vetri che ospitava la compagnia telefonica per cui lavorava Adler. A memoria sua, McGee non poteva dire di aver mai visto un caso più semplice: dopo aver ucciso la moglie, Henry Adler aveva passato la notte a bere - stando all’odore ancora percepibile di alcol - e il mattino seguente era andato a lavoro come ogni giorno; quando gli si erano presentati di fronte e gli avevano mostrato i distintivi era sembrato piuttosto sorpreso, ma non era fuggito via, cosa per cui il giovane agente gli era grato: detestava quando i sospettati tentavano di scappare.
   « Signor Adler, dobbiamo chiederle di seguirci » disse Tony.
   « Perché? Cos’è successo? »
   Non era scappato, ma faceva il finto tonto. Beh, non poteva pretendere troppo, pensò McGee.
   L’uomo fu stranamente sconvolto quando Tony parlò dell’omicidio della moglie, talmente tanto che non cercò nemmeno di opporsi ai due agenti e li seguì come in trance. Rimase in silenzio per tutto il tragitto alla Base Navale, e non si lamentò quando lo lasciarono nella Sala Interrogatori Uno e uscirono per andare ad avvertire Gibbs.
   « Beh, questo è strano » commentò Tony richiudendo la porta dietro di loro.
   « Finge » rispose l’altro agente facendo spallucce.
   « Beh, in tal caso DiCaprio dovrà dire addio anche al prossimo Oscar, perché non ho mai visto qualcuno fingere così bene ».
   McGee stava per ribattere che lui conosceva qualcuno che fingeva tanto bene da far paura e ci lavorava fianco a fianco, ma per fortuna si bloccò in tempo: Tony non avrebbe di certo apprezzato l’osservazione.
   I due agenti trovarono Ziva in ufficio; la donna indicò loro le scale che portavano all’ufficio del Direttore.
   « Trovato qualcosa? » chiese Tony fermandosi alla propria scrivania e appoggiandovisi contro a braccia conserte, cercando di ignorare gli sguardi indagatori non troppo nascosti dei suoi colleghi. Non credeva di essere così facile da leggere, ma a quanto pareva le sue solite maschere non stavano facendo il loro lavoro a dovere.
   « Ducky conferma che è morta cadendo sul tavolino di vetro » rispose Ziva fingendo indifferenza. Sapeva che Tony aveva intuito che qualcosa non andava quando si erano incontrati nel parcheggio la sera prima - cosa ci faceva comunque il Primo Agente Operativo all’NCIS a quell’ora? - e aveva fatto finta di niente per lei, e voleva restituirgli il favore. Avrebbe indagato più tardi. « Non c’è stata violenza sessuale, e prima di morire la donna ha lottato a lungo, stando ai lividi che aveva sul corpo. Il sangue sui pezzi di vetro è della Adler, le impronte nel salotto appartengono a lei, al marito e all’amica che ci ha chiamati stamattina ».
   « A questo punto basta solo che Gibbs lo faccia confessare e possiamo arrestare Adler » disse McGee.
   Come a farlo apposta, l’ex Marine uscì in quel momento sul mezzanino sopra la sala squadre e prese le scale.
   « Adler è nella Uno, capo » lo informò Tony, e Gibbs gli fece cenno di seguirlo, mentre i due agenti più giovani si affrettarono, in mancanza di altri incarichi, ad appostarsi nell’osservatorio della Sala Interrogatori, pronti a godersi lo spettacolo.
   Henry Adler aveva ancora lo sguardo perso nel vuoto. Sedeva immobile come DiNozzo e McGee lo avevano lasciato, e sembrava non essere del tutto consapevole di dove si trovasse.
   « Shock? » ipotizzò Ziva.
   McGee non rispose subito. Non riusciva a concepire che quel mostro potesse essere sconvolto per la morte della moglie, ma Tony aveva ragione, fingeva troppo bene.
   I due agenti più anziani entrarono nella stanza al di là del vetro e presero posto di fronte ad Adler. L’uomo non diede segno di essersene accorto.
   « Che voleva Vance da Gibbs? Non poteva già volere un rapporto sul caso, no? » chiese McGee.
   Ziva sbuffò.
   « Non credo. Credo fosse per il caso di ieri… e per la collaborazione tra l’NCIS e la stampa » rispose con una smorfia.
   L’altro agente la guardò curioso per un momento, ma non fisse nulla, voltandosi a guardare l’interrogatorio che stava iniziando.
   Tony era in piedi, appoggiato al muro a braccia conserte dietro Henry Adler. Gibbs stava mostrando le foto del corpo del sottufficiale ad un sempre più sconvolto Adler.
   « Tu l’avresti mai detto che Wendy Miller è più vecchia di Tony? » chiese ad un tratto McGee alla sua collega.
   Ziva emise un suono a metà tra uno sbuffo e una risata.
   « Di certo non sembra più giovane, con quelle zampe di pollo così evidenti » rispose senza distogliere lo sguardo dalla scena al di là del vetro.
   « Zampe di gallina, non di pollo. E Wendy non ha le zampe di gallina: sembrate coetanee! » ribatté l’altro agente.
   « Stai dicendo che sembro più vecchia di Tony, McGee? » chiese Ziva a bassa voce girandosi verso di lui con aria minacciosa.
   « Uhm… No, no, certo che no. Dico che Wendy non sembra… » balbettò il giovane, ma la sua collega gli si avvicinò di qualche passo sorridendo in modo pericoloso, convincendolo a cambiare strada. « Sembra, certo che sì. Sembra molto più vecchia di te. Moltissimo ».
   Ziva annuì soddisfatta e tornò a guardare l’interrogatorio.
   Gibbs stava raccontando ad Adler la ricostruzione dei fatti, mentre Tony gli passeggiava intorno facendo battute sarcastiche. L’uomo, dapprima confuso e addolorato, divenne via via più sconvolto quando comprese finalmente che i due agenti lo ritenevano responsabile della morte di sua moglie.
   « No! » gridò quando l’ex Marine gli raccontò di come Mary Beth doveva essere stata spinta sul tavolino dal marito. « Non è andata così! Abbiamo litigato, è vero, ma poi io me ne sono andato, e lei era ancora viva! »
   Gibbs e Tony si scambiarono uno sguardo.
   « Quindi qualcuno sarebbe entrato in casa vostra dopo che lei se n’era andato e l’avrebbe uccisa? » chiese l’agente più giovane.
   « Sì… non lo so… »
   « Mi risulta un po’ difficile crederlo, Henry. Un uomo in grado di picchiare a quel modo sua moglie è chiaramente capace di ucciderla » ribatté l’agente.
   « Ve lo giuro, non l’ho uccisa! Abbiamo litigato, non l’ho picchiata, era… un litigio. Lei… »
   « “Lei” cosa? » pressò Gibbs, il gelo nella voce.
   « Lei… Lei mi tradiva » rispose l’uomo con aria sconfitta. « Mi tradiva con… qualcuno ».
   Tony sollevò un sopracciglio.
   « “Qualcuno”? » ripeté, scettico.
   Adler sembrava a disagio.
   « E visto che, secondo lei, la tradiva con “qualcuno”, a lei sembrava giusto picchiarla. Perché non anche ucciderla? » insistette l’altro agente, il disprezzo che trasudava da ogni parola.
   « Non l’ho uccisa » fu tutto ciò che disse l’uomo, e con quelle parole sembrò come chiudersi in se stesso.
   Dall’altra parte del vetro, McGee e Ziva video Gibbs e Tony aprire la porta della Sala Interrogatori senza dire altro, e li raggiunsero nel corridoio.
   « Ziva, interroga di nuovo l’amica del sottufficiale e chiunque la conoscesse abbastanza bene tra i suoi compagni. Vedi se riesci a trovare informazioni su questo presunto tradimento » ordinò Gibbs.
   « Credi che possa entrarci qualcosa? »
   « Adler non parlerà oltre » rispose l’ex Marine. La donna annuì e lasciò i tre agenti per andare da Carol Raven. « McGee, cerca tra i tabulati telefonici e della carta di credito qualcosa che punti ad un amante ».
   « Se anche la Adler avesse tradito il marito, non significa che lui non l’abbia uccisa. Potrebbe anzi essere un movente vero e proprio » osservò il giovane.
   « Se Adler non parla, le sole prove indiziarie e il parere dei vicini non ci basteranno » gli fece notare Tony, e McGee annuì e si avviò lungo il corridoio.
   « Io telefono alla famiglia: anche se aveva interrotto i rapporto coi genitori, sentiva il fratello ogni tanto. Magari sa qualcosa » disse Tony e fece per seguirlo, ma Gibbs lo fermò.
   « Tutto ok? » gli chiese.
   Lui non rispose subito. Era in effetti sorpreso dalla domanda così diretta, ma riuscì a nascondere la propria reazione dietro il suo solito sorriso spensierato.
   « Tutto bene, capo » rispose con nonchalance allontanandosi.
   Non era sicuro che Gibbs gli avesse creduto, era in effetti abbastanza certo del contrario, ma non gli andava di parlare con lui. Non di Wendy. Non finché non avesse capito perché lo avesse assegnato come collegamento con la stampa - con la sua ex fidanzata - pur sapendo come si erano lasciati. Più ci pensava, meno riusciva a comprenderlo.
   Gibbs rimase qualche secondo ancora in piedi fuori la Sala Interrogatori, fissando l’angolo dietro cui era sparito DiNozzo. Non capitava spesso che il suo agente non rispondesse a una sua domanda diretta, che gli mentisse così. Sospirò ripensando alla sua decisione di farlo lavorare con la Miller. Aveva davvero creduto fosse la scelta giusta. Ora non ne era più così sicuro.
   
   Dai tabulati telefonici di Mary Beth non risultarono chiamate sospette: per lo più erano telefonate verso il fratello e la maggior parte verso la sua migliore amica. I movimenti della sua carta di credito non indicavano niente di sospetto. Poiché Adler sembrava determinato a non fornire loro alcun nome, potevano solo sperare che Ziva riuscisse a ricavarlo dalle persona più vicine alla vittima. DiNozzo si mise al telefono coi genitori per informarli dell’accaduto e per parlare con il fratello minore della vittima, ma non scoprì nulla sul fantomatico amante.
   Tony si offrì di comprare il pranzo per tutti, mentre aspettavano la donna con le informazioni di cui avevano bisogno, per evitare di trovarsi ancora sotto gli sguardi indagatori dei suoi colleghi. Andò al cinese all’angolo e ordinò per sé e per gli altri tre agenti, cercando di non lasciare la sua mente vagare troppo nell’attesa. Fino ad ora, era riuscito ad evitare di restare solo con Gibbs abbastanza a lungo da non dover affrontare le sue domande, e McGee era riuscito a chiedergli ben poco - sorrise tra sé ricordando l’imbarazzo del giovane mentre cercava di iniziare il discorso - ma sapeva che Ziva non avrebbe trattenuto a lungo la sua curiosità. E poi c’era Abby, e Tony sapeva che da lei non sarebbe riuscito a fuggire. Sperò di riuscire ad evitarla ancora per un po’, ma sapeva di non poterlo fare per sempre.
   Soprattutto, non voleva.
   Teneva ad Abby come a una sorella minore, e non avrebbe mai voluto rinunciare alla sua amicizia, ma l’esperta forense a volte sapeva essere… soffocante. Non riusciva a concepire l’esistenza di segreti tra amici, mentre lui semplicemente non riusciva ad aprirsi per davvero. Non poteva. Ma dopo undici anni, la giovane scienziata aveva ormai capito che, come Gibbs, nemmeno Tony era davvero capace di negarle qualcosa, e che avrebbe dovuto solo insistere un po’ di più per ottenere le risposte che voleva. E insistere non era mai un problema per Abby Sciuto.
   Tornò in ufficio con la busta del ristorante e distribuì i cartoni ai suoi colleghi.
   « La prossima intervista la faranno Tony e McGee! » furono le parole con cui poco dopo Ziva annunciò il suo ritorno. Gibbs alzò un sopracciglio e la fissò impassibile. La giovane agente arrossì e passò ad informare i suoi colleghi di quello che aveva scoperto. « Il sottufficiale Adler passava il tempo libero a casa o con la sua migliore amica. Nessun amante, stando al suo superiore e i pochi amici che aveva in Marina » raccontò sedendosi alla propria scrivania e iniziando a mangiare dal cartone di cinese che Tony le aveva preso.
   « Quindi Adler si è inventato tutto » interruppe McGee, ma la donna lo fermò sollevando le bacchette.
   « Ho detto stando al suo superiore e i pochi amici che aveva in Marina. La sua migliore amica, il sottufficiale Raven, non è apparsa affatto sorpresa quando le ho chiesto dell’amante della vittima » disse godendosi le espressioni incuriosite dei suoi colleghi.
   « E? » incalzò Tony.
   « E… non sa niente. O meglio, ha detto di non saperne niente, ma sono sicura che stesse mentendo ».
   I quattro agenti si scambiarono un’occhiata da sopra i loro take-away, mentre le loro menti cercavano di trarre la conclusione più logica.
   « Perché mentire? » disse McGee dando voce ai pensieri di tutti. « È un movente per Adler, e stando alla sua prima deposizione, la Raven era tra quelli che lo ritenevano un pessimo marito per il sottufficiale… ».
   « A meno che non stia cercando di proteggere questo amante » proseguì Ziva.
   « Quindi o è qualcuno a cui lei tiene » ipotizzò l’esperto informatico, « o magari un loro superiore, che può averle intimato di tacere ».
   Gibbs sorrise tra sé osservando i due agenti più giovani ragionare ad alta voce. Somigliava tanto a quei - come li aveva chiamati DiNozzo? - raduni intorno al fuoco (4) che il suo secondo aveva istituito nei mesi in cui era stato team leader.
   « O magari è lei ».
   Tutti e tre gli altri agenti si voltarono verso Tony, sui loro volti vari livelli di confusione, scetticismo e noia.
   « Lei? Lei sarebbe l’amante? » ripeté Ziva.
   Il Primo Agente Operativo si strinse nelle spalle.
   « Ha tanto senso quanto le altre ipotesi, ma in più spiegherebbe perché Adler non ha voluto fare nomi ».
   Gli altri tre ragionarono per un momento sull’ipotesi di DiNozzo, poi Gibbs annuì.
   « Vai con Ziva a prenderla » disse.
   « Credi che nasconda qualcos’altro? » gli chiese l’agente prendendo distintivo e pistola e facendo segno ad una scocciata Ziva di seguirlo.
   Il loro capo non rispose. « McGee » disse invece. « Riprendi i tabulati telefonici e controlla se la Adler ha telefonato alla sua amica ieri sera prima di morire ».
   Tony e Ziva fecero in tempo a sentire la risposta affermativa del loro collega prima che le porte dell’ascensore si chiudessero sulla sala squadre.
   
   Per qualche motivo, Tony si aspettava che il viaggio per andare a prelevare la Raven non sarebbe stato silenzioso. Non che riuscisse a dare torto ai suoi colleghi: al loro posto sarebbe stato anche lui divorato dalla curiosità di conoscere i dettagli della relazione più lunga che il loro donnaiolo collega avesse mai avuto. Solo che non era al loro posto, era al proprio posto, e non voleva parlare di Wendy.
   Per qualche motivo, sapeva che avrebbe dovuto farlo. Ancora.
   « Cosa ci trovavi in lei? È più vecchia di te. E di solito esci con donne al limite della maggiore età » fu la domanda spaventosamente brusca - oh, Ziva, se vuoi sapere i segreti di un amico non puoi usare la stessa strategia che usi con un sospettato di omicidio - della sua collega.
   « Per tua informazione, non sono mai uscito con nessuna donna sotto i venticinque anni e, beh, non so in Israele, ma qui la maggiore età è diciotto anni . Ventuno per gli alcolici, ma quello è un altro paio di maniche » rispose Tony con un largo sorriso.
   Ziva si accigliò per il modo di dire sconosciuto, non si lasciò sviare.
   « Se lei ne aveva venticinque, eri tu ad essere minorenne? » chiese con tono fintamente noncurante.
   L’agente più anziano sbuffò una risata: era assurdo come l’ex assassina del Mossad fosse perfettamente in grado di recitare in modo credibile quando sotto copertura, come riuscisse a far confessare anche i sospetti più recalcitranti con domande e sguardi ben mirati, ma fosse così smarrita quando si trattava di rapporti interpersonali. Erano più simili di quanto chiunque dei due avrebbe mai ammesso. E fu per questo che non se la prese per le domande così dirette, e decise di rispondere senza cercare di deviare il discorso.
   « Avevo da poco compiuto diciotto anni » disse. Prese un respiro prima di continuare. « Ero all’ultimo anno di liceo - di collegio ».
   
   Dopo quella prima sera, benché a scuola mantenessero i loro rispettivi ruoli di alunno e insegnante, Tony e Wendy presero a vedersi regolarmente.
   Liquidati gli amici curiosi di sapere come si fosse conclusa la serata con la bella professoressa con un’alzata di spalle e un « È un’insegnante e io uno studente, come credete che si sia conclusa? Mi ha ringraziato e detto che aver aspettato con lei il carro attrezzi non mi dispenserà dal compito in classe », Tony era passato a prenderla sotto casa sua due settimane dopo. Ai suoi amici aveva raccontato di avere un appuntamento con la rossa che aveva rimorchiato al locale qualche settimana prima, e per evitare di essere scoperti insieme aveva portato Wendy a cena dall’altra parte della città. Non era un posto lussuoso perché, nonostante le sue insistenze, non avrebbe mai lasciato che la ragazza con cui era uscito pagasse il conto - indipendentemente da quanti anni avesse la suddetta ragazza e dal fatto che lei avesse un lavoro - e non poteva permettersi nulla di troppo costoso: suo padre aveva acconsentito a pagargli la scuola solo perché legalmente obbligato a farlo - e aveva minacciato di lasciarlo a secco ora che era maggiorenne - ma non aveva alcuna intenzione di tornare sulla sua decisione di diseredarlo presa sei anni prima, per cui a Tony restavano ben pochi soldi.
   A Wendy però non importava. Le piaceva Tony, era un bravo ragazzo, molto meno infantile e più e carino di quanto lasciasse intendere a scuola, e in tutta sincerità le piaceva un po’ di romanticismo vecchio stile.
   Il ragazzo, dal canto suo, era abbagliato da lei. Era bella, era divertente, era intelligente. Ed era matura. Non si era fermata all’apparenza, non lo aveva avvicinato per il nome di suo padre, non se n’era andata quando aveva scoperto che non era in buoni rapporti con la sua famiglia ed era stato diseredato all’età di dodici anni. Aveva visto il vero Tony e le era piaciuto.
   Dopo il primo appuntamento ve ne fu un secondo, e un terzo, e un quarto. Dopo due mesi, Wendy lo aveva invitato a salire da lei, ed era stata la notte più bella che avesse mai passato con una ragazza. Tony DiNozzo non era affatto inesperto tra le lenzuola, ma era la prima volta che stava con una ragazza più grande - e più esperta. Era stato fantastico.
   Aveva passato il fine settimana da lei, e il lunedì mattina aveva raccontato di essere stato da alcuni cugini nel Maryland.
   Stettero linseme quasi sei mesi. Ma verso la fine di febbraio, mentre Tony riaccompagnava Wendy a casa dopo la loro serata insieme, furono visti da alcuni studenti della scuola.
   Entro una settimana, a Wendy fu intimato di lasciare la scuola, se non voleva subire provvedimenti seri, e Tony fu richiamato nell’ufficio del comandante per ricevere la sua punizione e l’odiata frase « ringrazia il nome di tuo padre se non ti sbattiamo fuori ».
   Wendy partì quel giorno stesso, lasciando a Tony una lettera di scuse e la promessa che non lo avrebbe dimenticato.

   
   Il sottufficiale Raven sembrava terrorizzata più che confusa, quando i due agenti le chiesero di seguirli all’NCIS. Era impallidita, e aveva balbettato che non ne comprendeva il motivo, che aveva detto tutto ciò che sapeva. Alla fine aveva riguadagnato il sangue freddo e aveva cercato di fuggire, solo per scoprire che un’ex assassina e un ex atleta non sono facili da seminare.
   Due ore dopo, era nella Sala Interrogatori Due, di fronte agli Agente Speciali Leroy Jethro Gibbs e Ziva David - la quale era piuttosto incazzata per essere stata ingannata non una ma tutte e due le volte in cui aveva parlato con lei.
   « Sottufficiale Raven, aveva una relazione col sottufficiale Adler? » le chiese Gibbs fissandola dritto negli occhi. Ziva accanto a lui si dondolava sulle gambe posteriori della sedia giocherellando con un coltello.
   La Raven trasalì, ma non rispose.
   Al di là del vetro, DiNozzo e McGee si godevano la scena.
   « Nessuno lo sapeva, siete state brave a coprire la cosa » proseguì l’ex Marine. Ziva continuò a fissarla con sguardo freddo, gingillandosi col coltello.
   « Se Vance vedesse Ziva con quel coltello in mano saremmo tutti nei guai » considerò McGee.
   Tony ridacchiò.
   « Prova tu a dirle che è contro le regole quando ha quello sguardo ». McGee sembrò inorridire al pensiero. « Mai far incazzare Ziva: la povera Carol sta per scoprirlo a sue spese ».
   E infatti, poco dopo, l’ex agente del Mossad decise di aver atteso troppo che il sottufficiale si decidesse a rispondere e si alzò si scatto in piedi. Non disse nulla, iniziò solo a passeggiare avanti e indietro lanciando occhiate di fuoco alla donna seduta di fronte a Gibbs, passandosi il coltello da una mano all’altra e stringendo i pugni intorno all’impugnatura.
   Carol Raven impallidì ulteriormente, e aprì la bocca per parlare. Non ne uscì alcun suono, e la richiuse prima di prendere un respiro e ritentare.
   « Siamo amiche da anni. Ma poi, quando ha conosciuto Adler e si sono sposati… Lui era un animale. La picchiava ogni volta che era a casa, ma lei era innamorata e non voleva lasciarlo. Lo copriva addirittura, quando qualcuno le chiedeva dei lividi. Solo a me diceva la verità, quando veniva da me piangendo ».
   Ziva si era fermata dietro Gibbs, il coltello ancora stretto in mano, lo sguardo fisso sulla donna.
   « Un anno fa… Era venuta da me, ricoperta di lividi. A stento si vedeva il colore della sua pelle sotto tutto il viola. Le stavo prendendo del ghiaccio, quando… è successo. Non so come, ma… » si interruppe. Prese fiato. Continuò. « È andata avanti per un anno, e nessuno ha mai sospettato nulla ».
   « Ma poi suo marito vi ha scoperte » disse Gibbs e la donna annuì.
   « Era furioso. La minacciò di rendere pubblica la nostra storia, e… anche se il DADT (5) non esiste più, Mary Beth sapeva che le cose sarebbero finite male per noi due. Ci siamo lasciate ».
   Ci fu qualche minuto di silenzio. La Raven aveva finito il suo racconto. O almeno così credeva.
   L’ex Marine prese dalla cartellina che aveva davanti un foglio e lo mostrò al sottufficiale.
   « Questi sono i tabulati telefonici di Mary Beth » disse solo, ma bastò a farla trasalire. « Prima di morire, il sottufficiale Adler ha fatto una telefonata. A lei. Secondo il nostro medico legale, è morta meno di mezz’ora dopo aver fatto quella telefonata ».
   La donna si agitò sulla sedia, cercando di evitare lo sguardo dei due agenti.
   « Dieci dollari che Gibbs la fa piangere » propose McGee.
   « Venti che la fa piangere Ziva » rilanciò Tony con un sorriso.
   L’agente più giovane scoppiò a ridere.
   Al di là del vetro, la donna in questione si rimise a passeggiare, lanciando in aria il coltello e riprendendolo al volo. Il sottufficiale Raven chiuse gli occhi, ma non rispose subito. I due agenti attesero pazientemente.
   « Sono andata da lei » disse la donna con un filo di voce. « Aveva litigato con Henry perché lui era convinto ci vedessimo ancora ». Fece una pausa e aprì gli occhi. Lacrime le caddero lungo le guance.
   « Maledizione, ha pianto da sola » si lamentò Tony.
   « Cos’è successo quando l’ha vista? » incalzò Gibbs.
   « Abbiamo… discusso. Le ho detto di lasciare Henry, di tornare con me: ero pronta ad affrontare qualsiasi conseguenza con lei, non volevo più vederla ridotta così… ». Fece ancora una pausa, e in un battito di ciglia cambiò espressione. « Ma lei non voleva lasciarlo. Lei lo amava. A me non ha mai detto “ti amo”, mentre a Henry, che la picchiava… ». Non c’erano più lacrime nei suoi occhi. « Abbiamo litigato. Non volevo… ucciderla. Ma se amava tanto Henry nonostante la riempisse di lividi… Volevo un po’ di quell’amore anche io. Non volevo ucciderla. È caduta sul tavolino di vetro, e non si è mossa più ».
   McGee sembrava interdetto.
   « Sembrava un caso linearissimo » commentò.
   « Mai farsi ingannare dalle apparenze » rispose Tony, e l’altro pensò che non c’era frase più adatta all’amico.
   Il sottufficiale Raven stava intanto confessando di essersi resa conto di quello che aveva fatto e di aver avuto paura. Aveva atteso il giorno dopo per fingere di aver trovato il cadavere, sapendo che Henry era solito passare la notte ad ubriacarsi dopo i litigi con la moglie.
   Fu con estremo piacere che Ziva le mise le manette e le lesse i suoi diritti, mentre Gibbs rimetteva il foglio coi tabulati telefonici nella cartellina.
   Due ore dopo, i rapporti sul caso erano completi e Gibbs congedò i tre agenti più giovani.
   Tony salutò i colleghi e prese la macchina diretto a casa, ma a metà strada accostò, indeciso. L’idea di tornare a casa e trovarsi solo nel suo appartamento per qualche motivo lo spaventava.
   Chiuse gli occhi, le mai strette intorno al volante, respirando a fondo. Non voleva tornare a casa. Non voleva ritrovarsi a pensare ancora a lei. Voleva tornare a tre giorni prima, quando lei era chiusa nel suo passato e lui poteva fingere di essere andato avanti, di essere cresciuto per davvero. Ma con gli sguardi silenziosi di Gibbs e le domande di McGee e Ziva gli era impossibile tornare nel suo bozzolo e ignorare il ritorno di Wendy - le sue parole.
   “Non ero pronta ad incontrare l’uomo della mia vita. E tu lo eri”.
   Che cazzo dovrebbe significare?
   Deciso a non tornare a casa, e ancora di più a non restare lì in macchina a pensare, Tony rimise in moto e guidò fino in centro. Lì parcheggio nel garage di un locale ed entrò deciso a passare la notte in un letto che non fosse il suo.
   
   
   
   Spazio dell’autrice
   Non era mia intenzione scrivere una storia così lunga, ma dopo aver superato le venti pagine ho pensato fosse meglio dividerla, così ecco che da one-shot è diventata una “two-shot” XD
   Spero rimaniate con me anche per il secondo capitolo, che - vi avverto fin da ora - sarà un po’ più lungo (cosa strana per me, io non scrivo mai capitoli così lunghi!), ma è già scritto e sarà online tra una settimana circa.
   Aspetto di sapere cosa ne pensate :)

   
   Note e spiegazioni varie:
   (1) Episodio 9x13 “Un uomo disperato”, titolo originale “A desperate man”
   (2) Non ho ben chiaro come, se Tony non ha mai parlato di Wendy, tutti sappiano che lei era la sua fidanzata. Ergo per me
non lo sanno. Semplice, no? Il trucco per risolvere i buchi di trama. O i pezzi che mi sono persa io…
   (3) In inglese “Senior Field Agent”. Nella versione italiana, il rango di Tony è stato nominato credo
una volta (episodio 2x20 “Fratellanze”, titolo originale “Red cell”); in quella inglese molte di più. Personalmente non comprendo molte delle scelte di traduzione… ma questa è la mia fanfiction e “fanfiction mia, regole mie” u_u
   (4) La parola usata in inglese è “campfire”. Nella quarta serie viene tradotto “raduno”, da qualche altra parte che non ricordo “consiglio di guerra”. Ho scelto di ritradurre in modo più vicino all’originale possibile, e ho scelto “raduno intorno al fuoco”.
   (5) “Don’t Ask, Don’t Tell”. Era la politica vigente in America fino al 2010 riguardo l’omosessualità nei servizi militari. Per info, wiki è come sempre la salvezza dell’umanità.
   

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


   Secondo ed ultimo capitolo! Voglio ringraziare ancora una volta la Divinità della Pazienza aka la mia meravigliosa beta FrancyChan per aver betato questa fanfiction in italiano e in inglese! Sei fantastica! :D
   E poi voglio ringraziare
Meggie90 e Alex995 per le loro bellissime recensioni.
   
   Capitolo 2
   
   Lasciò l’appartamento - di… Lisa? Louise? qualcosa del genere - mentre era ancora buio, e tornò al proprio per una doccia veloce e per cambiarsi. Non aveva dormito molto - forse un’ora, ma la ragazza di cui non ricordava il nome era valsa la mancanza di sonno - e aveva bisogno di qualcosa che lo facesse apparire più riposato di quanto non fosse, per evitare il secondo giro di domande e sguardi. Dio, sperò seriamente che Abby non avesse intenzione di tendergli qualche imboscata e fargli il terzo grado quando meno se lo aspettava, era stato abbastanza difficile evitarla per un giorno intero.
   Il problema, però, era che dopo dieci anni e mezzo nell’MCRT (1) tutti i suoi colleghi avevano imparato a riconoscere alcune delle sue maschere e ad aggirarle - Abby coi suoi abbracci e la sua insistenza, Gibbs coi suoi sguardi penetranti e gli scappellotti, Ducky con le due osservazioni pazienti e gli inusuali silenzi che sapeva tirare fuori al momenti giusto. E Tim e Ziva, con le loro domande. Perché anche loro ormai avevano capito come fare ad avere risposte da lui, sapevano quando insistere e quando arrendersi. Cavolo, persino Jimmy (2) aveva imparato a decifrare parte del codice DiNozzo.
   Era ancora presto quando uscì di casa e riprese la macchina. Determinato a non insospettire ulteriormente Gibbs, decise di fare un giro prima di andare all’NCIS - sperando di occupare abbastanza tempo da non arrivare in ufficio prima del suo capo. Non che non fosse mai arrivato al lavoro prima dell’ex Marine - specialmente nei mesi in cui la squadra di Gibbs era stata composta solo da loro due, capitava spesso che fosse lui a raccogliere le telefonate riguardanti nuovi casi da parte del centro interventi - ma il team leader sapeva che quando ciò accadeva era perché qualcosa non andava.
   Parcheggiò nel garage della Base Navale alle sette e cinquantacinque, soddisfatto di sé, e prese l’ascensore per il terzo piano dipingendosi il suo sorriso da va-tutto-bene sul volto.
   Gibbs non c’era, ma la sua giacca piegata sulla spalliera della sedia indicava che era solo andato a prendere il suo caffè mattutino e che il piano di Tony aveva funzionato. Mentre posava lo zaino a terra, dall’ascensore emerse Ziva, che gli rivolse un lungo sguardo prima di salutarlo e prendere posto dietro la propria scrivania.
   Maledizione. Il suo piano non era servito a niente se Ziva lo aveva fissato in quel modo appena arrivata. Eppure era abbastanza sicuro di non avere un aspetto tanto terribile.
   McGee arrivò poco dopo ma, se notò qualcosa di strano, non lo diede a vedere.
   Non ci furono le solite schermaglie mattutine tra i tre agenti; tutti e tre si misero diligentemente al lavoro in attesa dell’eventuale caso del giorno. Quando Gibbs tornò col proprio bicchiere di Starbucks e sedette dietro la propria scrivania, i tre continuarono a esaminare i casi irrisolti alla ricerca di possibili nuove piste.
   Per quasi quattro ore non vi furono battute o scherzi o commenti stupidi da parte del loro Primo Agente Operativo; i due più giovani continuarono a scambiarsi occhiate confuse - e preoccupate - e a cercare sul volto del loro leader se avesse intenzione di prendere qualche provvedimento. Non che ci fosse in effetti un motivo logico per un qualsiasi provvedimento: il loro collega stava semplicemente lavorando con professionale serietà come qualsiasi uomo o donna dovrebbe fare in ufficio. Ma semplicemente non era Tony. E tutti e tre sapevano bene che se il loro collega non perdeva tempo a scherzare era segno che qualcosa non andava, e che stava cercando di evitare di pensarci concentrandosi sul lavoro. Per quanto le maschere di Tony fossero preoccupanti di per sé, la loro assenza sapeva esserlo di più: un DiNozzo che non riusciva a mantenere la propria facciata era un DiNozzo che non sapeva come affrontare qualsiasi problema si trovasse di fronte in quel momento, e questo lo portava a trovare soluzioni… pericolose.
   Avevano notato tutti e tre le ombre scure sotto gli occhi del loro collega il giorno prima, e vedevano bene come esse fossero ben più pronunciate quel giorno. Avevano già visto DiNozzo con quell’aspetto, e non era mai finita bene: dopo la morte di Kate, quella di Paula, la disastrosa conclusione dell’operazione Grenoiulle, la partenza di Jeanne, la morte di Jenny, l’operazione Domino, la morte di Rivkin e il viaggio in Israele, il caso Dana Hutton, la presunta morte di EJ… (1) Tony era uscito a fatica dalla spirale auto-distruttiva, e ogni volta era stata più difficile della precedente.
   Dal canto suo, Tony era consapevole degli sguardi preoccupati dei suoi colleghi più giovani e aveva notato anche quelli del suo capo, ma al momento non voleva badarvi: era stanco per la mancanza di sonno, e stava già facendo del suo meglio per mantenere il suo cervello concentrato sul file che aveva in mano, non riusciva contemporaneamente a tirare fuori battute idiote per non far preoccupare i suoi colleghi.
   E poi, non erano loro a dirgli che doveva smettere di fare l’idiota e iniziare a comportarsi da persona matura?
   Aveva quarant’anni, era ora di comportarsi da uomo adulto.
   « Forse ho qualcosa » richiamò l’attenzione McGee rompendo lo strano silenzio. Si alzò e puntò il telecomando contro lo schermo tra la sua scrivania e quella di Tony. « Scott Grey, dieci anni. Figlio di Arthur e Jenna Grey, entrambi in Marina, è stato rapito a febbraio di due anni fa » illustrò indicando la foto del ragazzino sul plasma.
   « Mi ricordo di lui » disse Gibbs annuendo con aria cupa, e tutti loro comprendevano e condividevano il suo stato d’animo.
   Era stato un caso orribile, di quelli che qualunque membro delle forze dell’ordine teme di dover affrontare, e odia con tutto se stesso. Il ragazzino era stato rapito all’uscita di scuola, nessuno aveva visto nulla: un momento prima era lì, e quello dopo era sparito.
   Avevano ritrovata due giorni dopo il corpo del piccolo tra la spazzatura in un vicolo. L’autopsia aveva rivelato che il bambino era stato picchiato a lungo prima di essere soffocato a morte. Quella sera, nessuno di loro era voluto tornare a casa, troppo sconvolti dall’accaduto e determinati a trovare giustizia per il piccolo e i suoi devastati genitori. Ma dopo due settimane, in mancanza di passi avanti, avevano dovuto archiviare il caso tra quelli irrisolti, in attesa di nuove piste.
   « C’è stato un altro caso. Anzi, due: altri due bambini, undici e dieci anni, rapiti e ritrovati pochi giorni dopo. I luoghi di abbandono sono diversi e molto distanti tra loro, ma il modus operandi sembra lo stesso » McGee informò i suoi colleghi. Non ci fu la solita eccitazione di quando riuscivano a riaprire un caso irrisolto. La voce del giovane era sommessa, e i suoi colleghi lo ascoltavano in silenzio, fissando mestamente lo schermo. « Entrambi spariti da scuola allo stesso modo. Ed entrambi… » McGee si interruppe per premere nuovamente il tasto sul telecomando. Sullo schermo apparvero affiancate le foto delle tre vittime: tutte e tre avevano capelli rossi e occhi verdi.
   « Un serial killer con una vittimologia precisa » riassunse Ziva.
   « Perché non abbiamo fatto prima il collegamento? » chiese Tony.
   « Non rientravano nella nostra giurisdizione. I genitori della seconda vittima, l’undicenne Bobby Summers, hanno un ristorante qui a Washington, mentre il padre di Alex McCoy lavora per una compagnia assicurativa e la madre è casalinga. A fare il collegamento è stato il dipartimento di polizia di Washington, che ha indagato le ultime due vittime come collegate ».
   « Quando sono stati rapiti? » si informò Ziva.
   « Bobby è sparito l’undici febbraio dell’anno scorso ed è stato ritrovato due giorni dopo. Alex è stato rapito… il dieci febbraio di quest’anno e ritrovato due giorni fa ».
   La risposta di McGee cadde nel silenzio.
   I quattro agenti rimasero nei loro pensieri per lunghi minuti, prima che il leader si riscuotesse e iniziasse a dare ordini.
   « DiNozzo, Ziva. Andate a parlare con gli agenti che si sono occupati degli altri due casi ». I due si alzarono, zaino in spalla, per eseguire l’ordine del loro capo. « McGee, recupera tutto quello che abbiamo sul caso Grey ». L’agente più giovane annuì e si mise al lavoro.
   Gibbs rimase per un attimo seduto alla sua scrivania fissando lo schermo al plasma di fronte a lui, su cui ancora campeggiavano ancora le foto dei tre bambini.
   Detestava i casi che coinvolgevano bambini.
   
   « Guido io » disse Ziva quando, dopo una silenziosa discesa in ascensore, lei e Tony arrivarono al garage.
   « Uh, no, grazie. Ci tengo ad arrivare a destinazione ancora vivo » rispose il collega con un sorriso forzato. Era ancora distratto dagli ultimi minuti in sala squadre, dalle foto dei tre bambini, dai dettagli cruenti dei loro casi.
   Ziva finse di mettere il broncio e salì in macchina dal lato del passeggero, chiedendosi intanto come meglio approcciare il discorso che aveva intenzione di fare al suo collega - mentre lui cercava di capire come evitare il secondo round di domande. Non era davvero il momento di parlare della sua passata vita privata, non ora che avevano scoperto di avere un killer seriale di bambini a piede libero.
   « Allora… » esordì Ziva, ma Tony la interruppe subito.
   « Non ora ».
   « Non sai nemmeno cosa stavo per dire » obiettò la donna aggrottando le sopracciglia. Il suo collega le lanciò uno sguardo di sbieco.
   « Non ora » ripeté.
   L’ex agente del Mossad sospirò.
   « Quando, allora? »
   « Non ora » disse Tony per la terza volta, e Ziva comprese che non sarebbe riuscita a convincerlo a parlare.
   Per il resto del tragitto rimasero in silenzio.
   Scesero dall’auto di fronte al Dipartimento di Polizia di Washington, e DiNozzo entrò a passo sicuro seguito dalla sua collega: in quanto ex poliziotto - e dato che Gibbs non aveva abbastanza pazienza per lavorare fianco a fianco con la polizia o, peggio, per mettersi a discutere di giurisdizione - capitava spesso che il capo scegliesse lui come collegamento coi dipartimenti di polizia con cui la squadra si trovava a dover lavorare di tanto in tanto.
   Beh, non solo coi dipartimenti di polizia, a quanto pare.
   Si incontrarono col detective che aveva fatto il collegamento tra le due vittime figlie di civili e, con la promessa di tenerlo informato sugli sviluppi, ottennero in consegna le prove raccolte e i rapporti.
   Con l’auto carica di scatoloni - Abby sarebbe stata contenta di avere tanta roba da analizzare - i due agenti tornarono alla Base Navale.
   Fortunatamente per Tony, Ziva sembrava aver rinunciato per il momento a tempestarlo di domande. Ma il Primo Agente Operativo sapeva che Abby non sarebbe stata altrettanto facile da frenare quando le avessero portato gli scatoloni di prove.
   Maledizione.
   Le sue aspettative non furono disattese. Quasi si fossero messe d’accordo - e Tony aveva la netta impressione che lo avessero fatto sul serio - appena ebbe portato lo scatolo, Ziva lanciò un’occhiata ad Abby e lasciò in fretta il laboratorio, prendendo l’ascensore per il terzo piano prima che Tony avesse il tempo di voltarsi verso la porta. Avendo campo libero, la giovane esperta forense non finse nemmeno di non aver aspettato con ansia quel momento, e con aria minacciosa - beh, minacciosa per Abby, quindi più tenera che altro - puntò un dito contro Tony e sibilò « Non pensare nemmeno di fuggire prima di avermi dato una spiegazione valida, Mister ».
   Tony sospirò. Non aveva senso fare finta di niente, per cui cercò di svicolare in altro modo.
   « Era già finita quando sono entrato all’NCIS. Non c’era motivo di parlarne ».
   Abby continuò a guardarlo male.
   « Stavi per sposarti, Tony. E non me lo hai mai detto ».
   Perché era per tutti così strano che Tony DiNozzo fosse stato sul punto di sposarsi? Dannazione, se Wendy non si fosse lasciata sfuggire quel dettaglio, probabilmente si sarebbero arresi molto prima!
   Lo sguardo della giovane goth si addolcì.
   « Tony » disse piano, facendo un passo verso di lui. « Siamo amici. Perché non sapevo nemmeno che avessi mai avuto una ragazza di nome Wendy fino a qualche giorno fa? Eppure credo di essere l’unica a cui tu abbia mai mostrato la tua “agendina delle donne” ».
   L’agente sbuffò.
   « Wendy non è sull’agendina ».
   « Lo so. Lei… era speciale per te, vero? ». L’uomo trasalì, sollevando finalmente lo sguardo dallo scatolone delle prove e posandolo sulla giovane scienziata. « Stavi per sposarla. Era speciale » ripeté lei guardandolo fisso negli occhi.
   E Tony realizzò che forse non era solo perché non riuscivano a immaginarlo fidanzato che la notizia che si fosse proposto a Wendy aveva colpito tanto i suoi colleghi - i suoi amici.
   « Sì » rispose solo. Poi fece un respiro profondo e sedette su uno degli sgabelli di fronte al banco.
   
   Non vedeva Wendy da anni. Dopo quell’ultima lettera in cui si scusava e gli diceva che avrebbe lasciato la Costa Est, la donna non si era più fatta viva, e lui non aveva alcun mezzo per sapere cosa fosse stato di lei da quando era stata allontanata.
   Aveva finito la scuola, e con essa erano finiti definitivamente i rapporti con sui padre, non più costretto a pagargli la costosa retta dell’Accademia per motivi legali.
   Aveva ricevuto una borsa di studio per lo sport all’Università dell’Ohio, dove aveva trascorso gli anni più belli della sua vita: finalmente libero da qualsiasi legame con la sua famiglia, aveva stretto amicizia con ragazzi che studiavano e facevano sport per il piacere di farlo, e non perché spinti dai loro ingombranti genitori; era entrato nella squadra di basket, il cui coach aveva riconosciuto in lui un talento che meritava di essere coltivato a livello professionistico; aveva giocato la fatidica partita contro l’Università del Michigan che aveva infranto le sue speranze di un futuro da atleta insieme al suo ginocchio, e si era laureato in Educazione Fisica pensando che dopotutto se era riuscito a rimettersi in piedi dopo l’operazione nonostante i pronostici non troppo favorevoli del medici avrebbe potuto far fruttare la sua passione per lo sport almeno in qualità di allenatore.
   E poi aveva salvato quel bambino dall’incendio, e per la prima volta aveva sentito di
aver fatto la differenza. E aveva deciso che era quello che voleva fare. Era come tornare alla sua prima passione, quella nata nelle sere solitarie dopo la morte di sua madre, quando restava dimenticato nella sua stanza senz’altra compagnia che la tv - senz’altra compagnia che Thomas Sullivan Magnum IV, l’investigatore privato che aveva conquistato il primo posto tra i suoi eroi d’infanzia.
   Era entrato all’Accademia di Polizia, dove si era diplomato a pieni voti ed era stato reclutato dal Dipartimento di Polizia di Peoria.
   Quattro anni - e due dipartimenti - più tardi, era in un bar di Baltimora col suo partner, Danny Price, ad affogare gli orrori del loro ultimo caso nell’alcol.
   « Non ci credo, è impossibile! » stava dicendo Danny fissando il ghiaccio nel bicchiere, l’aria già vagamente inebriata.
   « Ti dico che è vero » insistette Tony con un ampio sorriso. Era al Dipartimento di Polizia di Baltimora da alcuni mesi, e lui e Danny avevano subito legato. Non avendo famiglie proprie, e avendo quelle d’origine tagliato con loro tutti i ponti, erano ben presto divenuti l’uno per l’altro la famiglia che mancava loro.
   « Le Final Four? » chiese il detective Price con aria scettica. DiNozzo annuì fissando il proprio bicchiere per un momento prima di buttarne giù il contenuto. « Porca puttana! » esclamò l’amico scoppiando a ridere.
   Tony si voltò verso di lui pronto a raccontargli le sue prodezze sul campo, ma si bloccò improvvisamente.
   « Il mio partner! Nelle Final Four! Avrai una foto, un video… qualcosa che lo provi, vero? Perché ti renderai conto che… Tony? ». Danny aveva continuato a parlare, distratto dal pensiero del suo amico alle finali dell’NCAA
(4), ma quando si era voltato verso di lui lo aveva visto con lo sguardo fisso, gli occhi spalancati e - a rischio di usare un’odiosa frase fatta - l’aria di aver appena visto un fantasma. « Tony, che ti prende? »
   Seguì lo sguardo dell’amico per comprendere il motivo della sua reazione e vide, accanto all’ingresso del locale, una donna dai capelli scuri e un fisico da paura. « La conosci? » gli chiese sollevando un sopracciglio.
   Ma Tony non rispose. Tirò fuori il portafoglio e ne cacciò una banconota da cinquanta, che lasciò sul bancone accanto al proprio bicchiere vuoto; poi si alzò e senza dire una parola - senza dare segno di aver sentito il suo partner che lo chiamava sorpreso - si diresse verso la donna bruna.
   Wendy impallidì a sua volta quando lo vide, per poi aprirsi in un sorriso che le illuminò gli occhi.
   « Tony! » esclamò chiudendo lo spazio tra di loro.
   Il giovane non disse nulla, ma quando lei gli toccò delicatamente la guancia, chiuse gli occhi inspirando il suo profumo.
   Rimasero così per lunghi secondi. Quando Tony aprì gli occhi, le restituì il sorriso.
   « Mi sei mancata ».
   Passarono la serata a offrirsi a vicenda da bere e ad aggiornarsi a vicenda sulle loro vite.
   Wendy raccontò di aver preso la macchina dopo aver lasciato la lettera sotto la porta della sua camera al dormitorio dell’Accademia e aver guidato tutta la notte cercando di decidere cosa fare. Il giorno dopo si era ritrovata non sapeva come a Baltimora, ed era rimasta lì per gli ultimi dieci anni, dove aveva iniziato a dare lezioni private di pianoforte per pagarsi la scuola di giornalismo, suo sogno da sempre. Ancora non era riuscita a entrare nell’ambiente che le interessava, ma aveva scritto articoli qua e là per qualche rivista minore.
   Gli disse che non lo aveva mai dimenticato. Che a volte pensava ancora a lui. Che si era chiesta cosa fosse stato di lui.
   Erano ormai le due del mattino quando lasciarono il locale ridendo, abbracciati - o forse reggendosi a vicenda - e presero un taxi insieme fino all’appartamento di lei.
   Non vi fu bisogno di parole: Wendy prese Tony per mano e lo condusse attraverso il salotto e il corridoio alla sua camera da letto. Al di là della soglia, si alzò in punta di piedi e lo baciò, come se fossero passate dieci ore e non dieci anni.
   
   « Poliziotto » sussurrò Wendy tracciando col dito la parola sul petto nudo di lui.
   Tony la strinse a sé, baciandole i capelli. Dio, quanto gli era mancata.
   Non disse nulla, beandosi della sua vicinanza, della sua pelle liscia e morbida sotto le dita, del suo respiro che gli faceva il solletico. Non era nemmeno sicuro di cosa risponderle - era una domanda? Un commento? Una critica? Finché Wendy fosse stata lì tra le sue braccia, non importava.
   « Mi piace » disse lei infine, e stettero in silenzio per lunghe ore, l’uno tra le braccia dell’altro, nudi tra le lenzuola. Forse dormirono, a un certo punto. Ma quando si svegliarono, fu come se non fosse passato nemmeno un secondo.
   Tony sapeva che Danny lo avrebbe riempito di domande sulla bruna misteriosa quando si fossero rivisti alla stazione di polizia - e sapeva anche di star facendo tardi - ma non gli importava.
   Wendy era tornata.

   
   « Fa troppo commedia da poco degli anni Novanta dire che sembrava non fosse passato nemmeno un giorno, eh? » Tony cercò di buttarla sul leggero, sorridendo forzatamente.
   Abby non rise. Aveva uno sguardo strano e sembrava sul punto di abbracciarlo - beh, non che fosse una cosa così strana che Abby volesse abbracciare. Alla fine optò per la Abby Sciuto che non tirava fuori spesso, ma che i suoi amici sapevano esistere sotto l’eccentrica specialista forense e la troppa energia.
   Annuì. Sorrise.
   E Tony le fu immensamente grato.
   Con un sorriso - reale, stavolta - da parte sua, l’agente si alzò e lasciò alla scienziata campo libero per controllare le prove raccolte dalla polizia.
   Tornato alla sala squadre, trovò McGee e Ziva davanti ai computer. Il capo non era in vista, e in tutta onestà il Primo Agente Operativo ne fu sollevato: non credeva di riuscire a reggere gli sguardi penetranti di Gibbs subito dopo aver avuto a che fare con Abby.
   La tregua fu breve. L’ex-Marine scese le scale che portavano all’ufficio di Vance mentre lui prendeva posto alla propria scrivania ed entrò nello spazio riservato al suo team chiedendo un aggiornamento.
   « Stando alle testimonianze raccolte dalla polizia, tutti e tre i bambini sono stati rapiti all’uscita di scuola. Scuole diverse, però. Non ci sono collegamenti ovvi né tra i genitori né tra di loro… a parte l’aspetto fisico, certo » iniziò McGee.
   « Nessuna richiesta di riscatto in nessuno dei tre casi » proseguì Ziva. « Niente telefonate sospette. Niente di strano nei giorni precedenti. Niente di niente ».
   « Li ha scelti a caso » dedusse Tony.
   Gibbs lo fissò per un lungo momento.
   « Nessuna vittima viene mai scelta a caso, DiNozzo » lo corresse, e l’agente fece un mezzo sorriso.
   « Giusto, Capo ».
   Gibbs continuò a guardarlo per qualche altro secondo, abbastanza per farlo sentire a disagio - abbastanza per rendere chiaro che non era per il suo commento sulla scelta delle vittime - e poi si voltò verso l’esperto informatico.
   « McGee » disse.
   « Sì, Capo » fu la risposta pronta.
   « Prendi Ziva e vai a parlare di nuovo coi testimoni degli altri due rapimenti ».
   « Uh… ho letto i rapporti della polizia, nessuno ha visto niente » obiettò il giovane aggrottando le sopracciglia.
   « Regola Numero Tre, Pivello: mai credere a quello che ti dicono, controlla sempre » spiegò Tony prima che il Capo avesse il tempo di lanciare una della sue occhiatacce.
   « Uh, giusto. Subito, Capo » disse McGee alzandosi e prendendo la sua roba mentre Ziva faceva lo stesso.
   « Vedo se Ducky ha già riesaminato i referti delle autopsie » si offrì DiNozzo dopo che i due agenti più giovani furono spariti dietro le porte dell’ascensore. Non aveva intenzione di rimanere nemmeno per un minuto solo da con Gibbs, e non attese la risposta dell’ex-Marine prima di alzarsi e affrettarsi verso l’ascensore interno.
   Non che una gita in obitorio fosse tanto più sicura: Ducky aveva già mostrato pochi giorni prima di essere tanto interessato quanto gli altri suoi colleghi alla misteriosa quasi-signora-DiNozzo. E cercare di sfuggire agli sguardi indagatori di un laureato in psicologia era difficile quasi quanto evitare quelli di Gibbs.
   Maledizione.
   « Ehi, Ducky! » salutò quando le porte della sala autopsie si aprirono.
   « Oh, Anthony! » lo salutò l’anziano coroner alzando gli occhi dalle foto della autopsie che stava esaminando. « Avevo l’impressione che avresti cercato di evitarmi il più a lungo possibile. Ne deduco che tu stia fuggendo da Jethro e abbia deciso che tra noi due il minore dei mali sia io, hm? » commentò con l’aria di chi la sa lunga.
   Ecco, appunto.
   Dov’era Palmer quando aveva bisogno di lui?
   Fortunatamente, come a farlo apposta, l’assistente medico legale fece in quel momento il suo ingresso in sala autopsie, sollevandolo dall’onere di rispondere - e rivolgendogli uno sguardo strano.
   « Hai avuto il tempo di rivedere i referti della polizia? » chiese l’agente, ora più tranquillo, ignorando la domanda dell’anziano medico.
   Quest’ultimo sospirò.
   « Le giovani vittime presentano lo stesso tipo di ferite. Tutte e tre sono state picchiate con rabbia, e poi strangolate » illustrò tristemente. « La seconda vittima aveva dei tagli provocati da delle schegge di vetro. Abigail ti potrà dire di più al riguardo ».
   Tony annuì. Rimpianse di aver evitato le domande su Wendy: non importava quanto doloroso fosse pensare a lei, pensare a ciò che questi bambini avevano dovuto sopportare prima di morire era molto peggio, e gli ricordava cose a cui non avrebbe voluto pensare mai più. (5)
   « Le percosse non sembrano guidate da nessun pensiero razionale » proseguì il coroner, « mentre il soffocamento finale è stato… meticoloso ».
   L’agente alzò un sopracciglio, interrogativo.
   « Rapido e il più indolore possibile » elaborò il medico legale.
   « Rimorso? » chiese Tony. Rimorso. Non cambiava quello che aveva fatto questo mostro.
   « Possibile » fu la risposta. « Maggiormente sull’ultima vittima che sulle due precedenti ».
   Rimasero tutti e tre in silenzio per alcuni minuti, poi Tony fece un respiro profondo per prepararsi alla domanda - e alla risposta - successiva.
   « Ti sei fatto un’idea del quadro psicologico? » Al di là del fatto che è uno schifoso bastardo.
   « La rabbia - la furia - mostrata dalle contusioni e le lesioni lasciate dalle percosse è totalmente in antitesi con il modo in cui ha uccido le sue vittime. Il mio parere è che abbia riversato qualsiasi proprio problema su questi bambini, finendo poi per pentirsene.
   « Comodo » sbuffò l’agente con una smorfia.
   Ducky non riuscì a rimproverarlo, ma fu colpito dal fatto che il giovane avesse dato voce a quel pensiero.
   « La maggiore accuratezza nello strangolamento della terza vittima indica che abbia in qualche modo… affinato la sua tecnica, o facendo pratica dopo l’omicidio del piccolo Summers » ipotizzò l’anziano medico legale, e Tony trattenne il respiro per un momento al pensiero che potessero esserci altre vittime, « oppure - ed è l’alternativa per cui mi sento di propendere - studiando ».
   « Cioè sarebbe uno studente di medicina? » esclamò Palmer sgranando gli occhi, inorridito all’idea che un suo pari fosse un serial killer di bambini.
   « Oppure un appassionato. Non c’è la precisione di chi ha provato praticamente, ma di certo una conoscenza quantomeno teorica deve averla. Inoltre, il fatto che tutte e tre le vittime siano state rapite nello stesso periodo indicherebbe che si tratti di una data importante per l’assassino. L’aspetto fisico è un’altra cosa che accomuna le tre troppo giovani vittime: ciò indica che fossero per lui un sostituto per qualcuno. Spiega anche la rabbia nelle percosse ».
   « Uomo? » chiese l’agente con voce sommessa. Sentiva l’improvviso bisogno di fuggire dalla sala autopsie. Era pronto a parlare di Wendy con chiunque, anche con Gibbs.
   « Ritengo di sì. Giovane, di certo non oltre i venticinque anni ».
   Tony annuì.
   « Grazie, Ducky » disse improvvisamente stanco, se per l’orrore di questo caso o perché avesse dormito cinque ore in due notti non ne era certo.
   Si voltò per lasciare l’obitorio, ma la voce di Palmer lo fermò.
   « Aspetta, salgo con te: devo portare ad Abby dei proiettili da analizzare per l’agente Balboa » disse correndo al bancone in fondo alla stanza e tornando verso di lui alla stessa velocità con un vasetto con due proiettili in mano.
   Ducky aspettò che uscissero per concedersi un sorriso: era sempre più fiero del proprio giovane assistente. Sperava solo che almeno con lui Tony decidesse di aprirsi.
   « Non posso ancora crederci che tra tre mesi mi sposo! » esclamò allegramente Palmer mentre lui e Tony aspettavano l’ascensore. Aveva un sorriso da orecchio a orecchio che lo faceva apparire più giovane di quanto già non fosse, e sembrava sul punto di mettersi a saltellare.
   Tony scosse la testa, ma sorrideva anche lui. Era contento che Jimmy avesse trovato una ragazza come Breena, insieme stavano davvero bene. Insomma, un’imbalsamatrice e un medico legale, quale coppia è meglio assortita? Rise tra sé.
   Palmer gli lanciò un’occhiata che voleva essere nascosta, ma che fu fin troppo palese per l’agente, e il sorriso svanì dalle labbra di Tony.
   Mai sottovalutare Palmer, pensò, chiedendosi quanto sarebbe risultato strano se avesse rinunciato improvvisamente a prendere l’ascensore e si fosse precipitato su per le scale.
   « Voglio dire, io mi sposo! Con Breena » continuò il ragazzo, ora con finta nonchalance. « Lei è così… bella… Non sembra il tipo di ragazza che guarderebbe uno come me. E invece… ». Fece una pausa sognante. « Sai, quando passo davanti alle gioiellerie ancora ho la tentazione di entrarci e comprare l’anello. Ci metto un po’ a ricordarmi che l’ho già fatto. Quando mi ha detto di sì… »
   « Jimmy, se devi chiedere, chiedi » lo interruppe Tony con un sospiro stanco.
   Palmer smise di parlare e si voltò verso di lui mentre le porte dell’ascensore si aprivano.
   « Non voglio chiedere. Voglio che tu parli se ne hai voglia » rispose guardandolo negli occhi.
   Tony entrò in silenzio in ascensore seguito dall’assistente medico legale.
   « Nemmeno io ci credevo quando mi disse di sì » disse appoggiandosi contro la parete dell’ascensore, le mani in tasca, lo sguardo a terra.
   Palmer premette il bottone per il piano di Abby. Tony fece un sorriso storto.
   « Un piano solo non basterà se vuoi davvero che parli » disse.
   Il giovane lo guardò per un secondo, mentre le porte si chiudevano.
   « Vuoi parlare? » chiese serio.
   Tony sembrò considerare la domanda - o l’assistente di fronte a lui - per un istante, poi si allontanò dalla parete e fece scattare l’interruttore per bloccare l’ascensore. Le luci mutarono. Palmer alzò le sopracciglia.
   « Non credi che l’agente Gibbs stia distruggendo i freni a sufficienza? » chiese preoccupato cercando di ridere.
   Tony ghignò.
   « Gli dirò cosa pensi della sua… abitudine » lo prese in giro.
   Palmer sbiancò, inorridito.
   « No! Scherzavo, stavo solo scherzando, giuro! L’agente Gibbs può fare ciò che vuole con l’ascensore… »
   Il Primo Agente Operativo scoppiò a ridere.
   « Rilassati, Jimmy: la ditta degli ascensori si è rassegnata a fare la manutenzione ogni mese invece che una volta l’anno ».
   Il giovane si rilassò visibilmente, poggiandosi con la schiena alla parete opposta a Tony. Quest’ultimo chiuse gli occhi per un secondo, raccogliendo i pensieri - e il coraggio - prima di parlare.
   « Non sapevo nemmeno che esistessero le misure per gli anelli » esordì.
   
   Come aveva sospettato, Danny lo tempestò di domande non appena lo vide arrivare: chi era la misteriosa donna, dove si erano conosciuti, perché non gliene aveva mai parlato, cosa avevano fatto tutta la notte - e questo lo chiese con un sorrisetto ammiccante - cosa aveva intenzione di fare ora.
   L’ultima domanda era la più facile e la più complessa allo stesso tempo: Tony voleva recuperare il tempo perduto, voleva passare con lei ogni istante libero, non voleva lasciarla mai più.
   Ripresero a vedersi, ed era bellissimo poterlo fare alla luce del sole. Iniziarono ad uscire come una coppia normale, a camminare abbracciati come due adolescenti, a cenare fuori quando potevano.
   Danny assistette ad una vera e propria metamorfosi da parte del suo partner, e se da una parte non si fece sfuggire occasione per prenderlo in giro - come farebbe qualsiasi buon amico - dall’altra fu sinceramente contento per lui.
   Dopo qualche mese, Wendy insistette per presentare il suo ragazzo ai suoi genitori, e non potendo fare lo stesso per lei, Tony organizzò una cena a casa sua con Danny e l’allora sua fidanzata. Per l’occasione si improvvisò anche cuoco - face abbastanza pratica nei giorni precedenti usando come cavia proprio il suo partner, che non mancò di fargli notare che era probabilmente l’unico Italiano a non essere capace di fare la pasta.
   Un anno e mezzo dopo il ritorno di Wendy nella sua vita, Tony era per strada in attesa di un informatore quando vide un tizio uscire da una gioielleria con un sorriso felice sul volto e una scatolina quadrata tra le mani, e fu preso dall’irrefrenabile impulso di entrare a sua volta. Un quarto d’ora più tardi aveva la stessa espressione un po’ demente dell’uomo di prima e nella tasca interna del giubbino una scatolina di velluto bordeaux premeva contro il suo petto.
   Si vide con l’informatore - dopo essersi dipinto sul volto un’espressione più adatta ad incontrarsi con un drogato - e chiamò Wendy per dirle che sarebbe passato a prenderla quella sera alle otto per portarla in un posto speciale.
   Alle otto e cinque, la donna si vide aprire cavallerescamente la portiera della Mustang di Tony dal suo bel poliziotto, che per la prima volta indossava una giacca e una camicia elegante sopra i jeans - era abbastanza sicura che fossero un prestito di Danny, ma non mancò di fargli notare quanto stesse bene vestito così, godendosi la sua espressione imbarazzata.
   Fu la serata che ogni donna romantica - e sotto sotto ogni essere umano - sogna: Tony la portò in un ristorante elegante, le avvicinò la sedia come un perfetto gentiluomo, fece portare il vino e la riempì di complimenti. E a fine serata le porse la scatolina di velluto.
   L’anello si rivelò un po’ stretto e, imbarazzato, il giovane promise di portarlo ad allargare il giorno dopo, ma Wendy era talmente felice che continuava a fissare l’anellino e la sua solitaria pietra bianca piangendo e ridendo allo stesso tempo.
   Dopo averla riaccompagnata a casa, Tony si ritrovò incapace di rimettere in modo la macchina. Sedette al buio dietro al volante sotto casa di lei, rivedendo nella sua mente la sua espressione mentre rispondeva alla sua proposta.

   Aveva detto di sì.
   
   « Quelli sono davvero di Balboa? » chiese Tony per cambiare discorso indicando i proiettili nel vasetto che Palmer aveva in mano.
   « Ehm… no. Sono del dottor Mallard, un ricordo di una bella spia russa, di quando si è ritrovato prigioniero con lei in Vietnam. O in Corea. Non mi ricordo più » rispose il giovane imbarazzato.
   Tony scoppiò a ridere facendo scattare di nuovo l’interruttore di arresto. Un po’ traballante, l’ascensore riprese la sua corsa per il piano del laboratorio forense.
   L’agente lasciò la cabina con un cenno che nascondeva un sentito ringraziamento all’assistente coroner. Il giovane sorrise di rimando premendo il bottone che lo avrebbe riportato in sala autopsie.
   Con un respiro profondo, Tony entrò nel laboratorio stranamente privo della solita musica spaccatimpani, e vi trovò la giovane scienziata che metteva Gibbs al corrente delle sue scoperte.
   « Ducky dice che la seconda vittima aveva delle ferite dovute a frammenti di vetro. Dalle analisi degli specialisti forensi della polizia sembra che fossero frammenti di un bicchiere, c’erano tracce di scotch » stava dicendo la giovane.
   « Era ubriaco mentre picchiava il bambino » dedusse l’ex-Marine con espressione cupa. « O almeno stava bevendo ».
   Abby annuì tristemente, intercettando per un momento lo sguardo di Tony che entrava e voltandosi in fretta di nuovo verso il computer.
   « Uh… Non c’erano impronte sui tre corpi, il che farebbe pensare che l’assassino portava i guanti. Sto esaminando le prove dell’ultima scena del crimine e confrontando i risultati con quelli delle due precedenti. Essendo così recente potrei trovare qualche traccia che la polizia non ha avuto il tempo di cercare ».
   Gibbs annuì cupamente.
   « Ducky ha steso un profilo preliminare sull’uomo che cerchiamo » riferì Tony avvicinandosi ai due cercando di ignorare gli sguardi che gli stavano rivolgendo. « Sotto i venticinque anni, studente o appassionato di medicina. Lo strangolamento secondo lui indicherebbe rimorso, mentre era spinto da rabbia quando ha picchiato a sangue i tre bambini. A quanto pare gli sembrava normale fino a un momento prima di soffocarli » disse incapace di nascondere il disprezzo dalla sua voce.
   Abby lanciò un’occhiata a Gibbs.
   L’ex-Marine sospirò. Odiava i casi che coinvolgevano bambini.
   
   Anche reinterrogare i testimoni si rivelò una pista senza sbocchi. I tre agenti erano ora impegnati ad esaminare le riprese delle telecamere intorno ai luoghi in cui erano stati ritrovati i corpi.
   Alle ventuno e quindici, Gibbs spedì i propri agenti a casa, interrompendo sul nascere le loro proteste facendo notare loro che crollare per il sonno non avrebbe aiutato le tre piccole vittime e le loro famiglie. Lanciò uno sguardo carico di significato verso il suo Primo Agente Operativo, e il giovane rispose con un sorriso finto alzandosi con lo zaino in spalle pronto ad ubbidire.
   Chissà perché, il team leader sapeva che DiNozzo non sarebbe tornato a casa nemmeno quella notte.
   
   Il vero problema del passare più notti di seguito senza una dormita decente era che, indipendentemente da quando si impegnasse, nascondere la stanchezza ai suoi colleghi non faceva che esaurire le sue poche energie.
   Deciso a trovare giustizia per i tre bambini brutalmente pestati ed assassinati, Tony decise di concedersi almeno qualche ora di sonno per essere lucido e concentrato il giorno dopo.
   Solo… non a casa sua. Non da solo, coi suoi pensieri liberi di vagare tra Wendy e le atrocità del loro corrente caso - e dei ricordi che esso aveva risvegliato.
   Non risvegliato, DiNozzo. Non si sono mai addormentati quei ricordi, uh?
   Frenando i suoi pensieri prima che andassero proprio dove non li voleva, Tony parcheggiò accanto ad un locale, si tolse la cravatta e si aggiustò i capelli nello specchietto retrovisore. Quando su soddisfatto della trasformazione da poliziotto-a-fine-turno a mi-sono-vestito-bene-per-la-serata, scese dall’auto, la chiuse ed entrò sicuro nel locale.
   Nove ore dopo, soddisfatto per la scopata e la dormita, lasciò la casa di Mary - stavolta ricordava persino il suo nome - e tornò a casa per farsi la doccia e cambiarsi.
   Riuscì addirittura ad arrivare dopo McGee e Ziva, e si unì immediatamente ai suoi colleghi nell’esaminare le riprese delle telecamere.
   Gibbs passò metà della mattinata con Vance e i genitori delle tre vittime e quando raggiunse la sua squadra giù in ufficio era comprensibilmente di cattivo umore. Purtroppo nessuno dei tre agenti aveva buone notizie da dargli, per ora.
   Lavorarono tutta la mattina sui video di sorveglianza, ma non avendo né una descrizione del loro sospetto né di un’eventuale mezzo di trasporto, era praticamente impossibile trovare qualcosa. Il problema era che non avevano alcuna pista da seguire.
   Ducky aveva raggiunto il medico legale della polizia per dare un’occhiata all’ultima vittima prima che il piccolo fosse riconsegnato ai genitori, per cui i quattro agenti contavano che il suo ritorno portasse la svolta di cui avevano bisogno per il caso, o che lo facessero Abby e i suoi “bambini”, come lei chiamava i suoi strumenti. Fino ad allora, però, non potevano fare altro che riesaminare le deposizioni dei testimoni e i video.
   Ziva si era offerta di andare al ristorante cinese lì vicino e prendere take-away per tutti. Tornò poco più tardi con due larghe buste di plastica e distribuì i cartoni di cibo tra i colleghi.
   « Metti pausa! » esclamò mentre posava il cartone di pollo alle mandorle sulla scrivania di McGee. Il giovane agente trasalì e alzò lo sguardo su di lei.
   « Eh? » chiese non troppo intelligentemente.
   « Il video, McGee! Torna indietro! » rispose la donna spazientita indicando il computer.
   Aggrottando le sopracciglia, il giovane ubbidì, mentre i due agenti più anziani si alzavano dalle loro scrivanie e si avvicinavano a loro volta.
   « Qui, ferma » disse Ziva ed indicò un uomo che passeggiava per la strada vicina al luogo in cui era stato abbandonato il corpo di Bobby Summers. Il giovane che aveva indicato indossava dei jeans e una felpa e…
   « Ha i capelli rossi! » esclamò Tony correndo al proprio computer. Né Gibbs né McGee sembrarono comprendere cosa i loro colleghi avessero trovato nel ragazzo rosso sullo schermo, ma le loro speranze di sollevarono al pensiero di una svolta.
   DiNozzo aprì il video che aveva controllato quella mattina e dopo un po’ di armeggi riuscì a richiamarlo sullo schermo al plasma accanto alla sua scrivania.
   C’era lo stesso tizio, con jeans, maglietta e giubbino.
   « C’è anche nel video che stavo guardando io » spiegò Ziva.
   « E il fatto che abbia i capelli rossi potrebbe essere legato alla scelta delle vittime » fece eco Tony.
   « Quindi i bambini rappresenterebbero… se stesso? » ipotizzò McGee.
   Gibbs rimase per un attimo a pensare. Poteva essere una coincidenza che quel tizio si fosse trovato a passare vicino ai luoghi in cui erano stati ritrovati i bambini, ma si trattava di posti diversi, lontani tra loro. E poi lui non credeva nelle coincidenze. Ordinò ai tre agenti di seguire il giovane dai capelli rossi tra i video per cercare di ricostruirne gli spostamenti e con un po’ di fortuna risalire ad un veicolo.
   « E manda a Abby un fermo immagine in cui si veda la sua faccia » disse a McGee prima di prendere il proprio cellulare per chiamare Ducky.
   Decisamente rinvigoriti dal nuovo sviluppo, i tre si misero subito al lavoro, i cartoni di cibo lasciati a raffreddarsi dimenticati accanto ai computer.
   Il telefono di Gibbs squillò un’infruttuosa ora dopo.
   « Arrivo, Abs » fu tutto ciò che rispose il team leader.
   I tre agenti più giovani si scambiarono uno sguardo d’intesa e seguirono il loro Capo senza dire nulla. Volevano sentire qualsiasi cosa avesse trovato Abby.
   « Wow, la squadra al completo » li accolse la scienziata con un mezzo sorriso.
   « Cos’hai, Abs? » chiese diretto Gibbs.
   « Un DNA » rispose lei fiera di sé. Richiamò le informazioni sullo schermo, ma non apparvero né nomi né foto.
   « Abby? » incalzò l’ex-Marine.
   « Non ho detto “un nome”, Gibbs, solo “un DNA” » si giustificò lei. « Sotto le unghie della terza vittima la polizia ha raccolto dei frammenti di pelle. Ho un DNA, e potrà esserci utile quando avrete un campione da paragonare » disse. I quattro agenti non nascosero la loro delusione, ma la giovane continuava a sorridere. « Nessuno vuole sapere cos’altro ho trovato? » chiese loro ammiccante.
   Gibbs grugnì qualcosa che sapeva di impazienza, e con uno sbuffo Abby tornò alla tastiera.
   « Ho confrontato la foto che mi ha mandato McGee con l’archivio. Non tutto, ovviamente, ci vorrebbero giorni, ma ho ristretto il campo per età e colore dei capelli. Lo sapete che i rossi sono meno del due percento della popolazione mondiale? »
   « Abby » la avvertì Gibbs.
   « Oookaaay. Comunque non è schedato, non è in Marina o nell’esercito e non lavora per noi. Questa era ovvia, ma il mio programma va in automatico a cercare anche tra i nostri dipendenti. Questo è quello che non ho. Quello che ho sono altre tracce di scotch. Il nostro uomo adora bere quando picchia le sue vittime. La novità, però, è che ora so che beve roba costosa. Sono riuscita a risalire alla marca di scotch che ha preso e… » sospese la frase, facendo apparire le informazioni sullo schermo, « la vendono solo tre negozi nell’area dei tre stati » annunciò fiera voltandosi verso di loro con una mezza piroetta che sulle zeppe che portava avrebbe dovuto essere impossibile.
   « McGee, Ziva » ordinò Gibbs e i due si affrettarono ad eseguire il comando inespresso. « Bel lavoro, Abs » disse poi alla giovane dandole un bacio sulla guancia.
   Lei sorrise soddisfatta tornando ai suoi computer e al bicchierone di Caf-Pow lì accanto, mentre i due agenti lasciavano il laboratorio.
   « Tutto ok? » chiese il team leader quando le porte dell’ascensore si chiusero dietro di lui e del suo Primo Agente Operativo.
   Tony trasalì. Troppo preso dal caso e dalla svolta che avevano finalmente trovato, aveva seguito il Capo senza pensarci ed era ora intrappolato nella cabina di metallo senza via di fuga dagli sguardi e dalle domande di Gibbs. Ci mise qualche secondo perché il suo cervello registrasse la domanda e l’espressione del Capo.
   « Uh? » fu la sua risposta poco eloquente. « Sì, tutto ok » rispose comprendendo finalmente che Gibbs si riferiva al caso. Riuscì anche a sorridere, sollevato.
   L’ex-Marine annuì.
   « Stavo pensando » esordì Tony qualche minuto dopo mentre lui e Gibbs aspettavano seduti alle proprie scrivanie. Il Capo alzò un sopracciglio. « Secondo te quanti anni può avere il nostro sospetto? »
   Gibbs lo fissò per un istante, non comprendendo dove il suo secondo volesse andare a parare.
   « Diciotto, diciannove » rispose lentamente.
   « Gli servirebbero documenti falsi molto ben fatti per comprare alcolici… » osservò il giovane.
   « … figuriamoci alcolici particolari venduti solo da tre negozi in tutto il District Columbia » completò Gibbs.
   I due rimasero per un momento in silenzio rimuginando su quest’ultima considerazione. Il trillo del cellulare del team leader interruppe le loro riflessioni.
   « Gibbs » rispose lui. Ascoltò per qualche secondo e poi si voltò verso DiNozzo. Il giovane alzò la testa speranzoso. « Bene » disse prima di riagganciare.
   « Hanno un nome? » chiese immediatamente il Primo Agente Operativo.
   « Meglio » rispose il Capo.
   
   Erik Drake, diciannove anni, lavorava part-time come magazziniere nel secondo negozio in cui McGee e Ziva erano entrati a chiedere. Il proprietario del negozio aveva chiamato il giovane perché gli portasse il registro dei clienti abituali, e i due agenti lo avevano subito riconosciuto dai video che avevano passato la mattina ad esaminare.
   Il ragazzo non si era nemmeno insospettito quando il suo Capo lo aveva informato che i due non erano clienti ma agenti dell’NCIS; il suo primo pensiero era stato “agenti di cosa?”, due secondi dopo si era ritrovato in manette nell’auto dei due federali diretto alla Base Navale. Mezz’ora dopo sedeva su una delle scomode sedie di metallo della Sala Interrogatori, in attesa.
   Gibbs fece in suo ingresso con una spessa cartellina in mano. Sedette di fronte a lui e distribuì diverse foto sul tavolo. Non disse nulla, aspettò finché Drake non posò gli occhi sulle immagini dei tre bambini sulle scene del crimine, trasalì e si voltò in fretta verso il muro.
   « È opera tua » disse l’ex-Marine con voce fredda.
   Nell’osservatorio, i tre agenti più giovani assistevano all’interrogatorio. Ducky era tornato poco prima con la conferma delle loro ipotesi, ed era ora nel laboratorio di Abby a farsi raccontare gli ultimi sviluppi da Palmer.
   Non avevano impronte con cui collegare Drake alle tre vittime, e non avevano basi per pretendere un campione di DNA da confrontare con quello trovato sotto le unghie del piccolo Summers; solo una confessione avrebbe potuto dare loro la sicurezza di avere l’uomo giusto. Beh, non che in effetti ne avessero bisogno per esserne convinti: il fatto che Gibbs lo credesse colpevole era più che sufficiente per la sua squadra, ma alla legge serviva qualcosa di più.
   Il ragazzo intanto continuava a guardare ovunque tranne che verso le foto sul tavolo. Teneva le braccia strette intorno a sé, un’espressione strana sul volto - senso di colpa?
   « Scott Grey. Aveva dieci anni. Frequentava la scuola elementare della Base Navale di Norfolk e prendeva lezioni di piano nel pomeriggio. Sognava di essere ammesso alla Julliard, da grande » raccontò Gibbs indicando la fotografia della prima vittima senza staccare gli occhi dal ragazzo dall’altra parte del tavolo. Questo strinse più forte le braccia intorno al proprio corpo ma non diede altro segno di aver sentito. « Bobby Summers. Undici anni. Giocava a basket dopo la scuola e la sera badava alla sorellina di due anni mentre i genitori si occupavano del ristorante » continuò l’agente passando alla seconda foto. Il ragazzo non guardò nemmeno quella. « Alex McCoy aveva dieci anni. Il genietto della sua classe. Aveva vinto un premio per un progetto di scienze, uno di quei diorama a forma di vulcano che colano lava per davvero. Era fiero di sé perché aveva fatto tutto da solo. Il padre gli aveva promesso di portarlo a pescare domenica prossima come regalo ».
   Questo sembrò riscuotere il ragazzo. Alla parola “padre” trasalì e i suoi occhi scattarono per un secondo alla foto del piccolo McCoy. La sua espressione cambiò: non c’era più senso di colpa, i suoi occhi erano improvvisamente più freddi, più simili a quelli del brutale assassino che era.
   Bingo.
   Gibbs sollevò lo sguardo verso la telecamera.
   « Che sappiamo sul padre? » chiese Tony ai suoi colleghi cogliendo il cenno del team leader.
   « Uh ». McGee armeggiò per qualche secondo col proprio palmare. « Peter Drake, cinquantotto anni. Precedenti per rissa, aggressione, violenza su minore. Al momento è in carcere - di nuovo. Due anni fa la moglie è morta di overdose ».
   « E il figlio ha iniziato a picchiare e uccidere bambini » completò Ziva.
   Gibbs intanto stava tirando fuori altre foto dell’ultima vittima: una della sua classe, una accanto al vulcano che gli era valso il premio; una coi genitori. In quest’ultima, il bambino aveva un largo sorriso fiero; aveva la coccarda del primo posto appuntata sul petto e la madre gli dava un bacio sulla guancia, mentre il padre, dall’altra parte, gli teneva una mano sulla spalla, l’orgoglio chiaro nei suoi occhi.
   Drake strinse la mascella.
   « Perché picchiare e uccidere se stesso a dieci anni? » considerò Tony.
   McGee cercò ancora sul suo palmare.
   « La prima condanna del padre risale a quando Erik aveva dieci anni e mezzo. Rissa in un bar. Fu arrestato e passò la notte in cella. Era incensurato all’epoca, e sarebbe potuto tornare a casa il giorno dopo, ma tra i tizi che finirono in ospedale c’era un poliziotto, e Drake finì per essere condannato a sei mesi ».
   « Ma perché prendersela con se stesso, allora? » chiese Ziva. « Perché non col padre? ».
   Anche gli altri due agenti se lo stavano chiedendo. Ma poi Gibbs iniziò a giocherellare con la foto del piccolo McCoy coi suoi genitori, e Drake divenne sempre più teso.
   « Forse non è con se stesso che se l’è presa » disse McGee, e i suoi colleghi rimasero per un attimo a pensarci.
   « Cos’è successo alla madre dopo la condanna del padre? » chiese ancora Tony.
   « Fu ricoverata in ospedale per… overdose. La prima di una lunga serie, sembra » rispose il giovane.
   « Il mondo gli è crollato addosso. Un momento prima aveva la sua famiglia, quello dopo il padre è in prigione, la madre è in ospedale e lui ha perso tutto » concluse l’agente più anziano. Sospirò. « La condanna del padre per violenza su minore… era lui il minore, vero? »
   Non ci fu bisogno della conferma di McGee, erano tutti giunti alla stessa conclusione.
   « Nessuna delle tre vittime aveva un padre violento o una madre drogata. Erano famiglie perfette. Come la sua prima dell’arresto del padre » proseguì Ziva. « Era… invidioso ».
   L’esperto informatico annuì.
   « Lui ha perso tutto a dieci anni, mentre questi bambini, pur somigliandogli tanto, avevano ancora le loro famiglie unite ».
   « Resta da capire come è arrivato a loro ».
   « Nel registro clienti del negozio dove lavora Drake ci sono le scuole delle tre vittime » si ricordò Ziva. « Rifornivano d’acqua e bibite le mense ».
   « Può averli visti durante le consegne, averli notati per qualcosa che hanno detto o fatto, o solo perché gli somigliavano tanto. Poi ha deciso di rapirli e… sfogarsi » concluse cupamente Tony.
   McGee inviò sul cellulare di Gibbs le loro ipotesi e le informazioni che avevano appena trovato a loro sostegno, e il team leader rivolse al vetro alla telecamera un breve cenno - un silenzioso “bel lavoro, ragazzi” - prima di tornare all’interrogatorio. Continuò a giocare con la foto per un po’, spingendo il giovane sospettato al limite della sua capacità di autocontrollo prima di iniziare a snocciolare i fatti sulla sua vita.
   McGee continuò ad inviargli sul cellulare informazioni varie - non avevano avuto tempo per un vero e proprio briefing dato che la ricerca di un testimone era diventata un arresto, ma finché si trattava solo di leggere messaggi Gibbs sembrava contento di affidarsi ad un minimo di tecnologia. Tim un po’ meno, essendo limitato agli sms data l’arretratezza del telefono del Capo.
   Meno di mezz’ora dopo, il giovane Drake esplose. Si alzò di scatto, mandando la sedia di metallo a sbattere rumorosamente contro il pavimento, e iniziò a gridare contro il padre che gli aveva rovinato la vita, contro l’ingiustizia della vita, contro il fatto che sognava di entrare alla scuola di medicina, ma non avrebbe mai potuto perché non poteva permetterselo, contro tutto e tutti. Pian piano le grida scemarono e il ragazzo si lasciò cadere lungo la parete accanto allo specchio, piangendo.
   I tre agenti dall’altra parte seguirono tutta la scena.
   « Alla fine li soffocava per rimorso. Per salvarli dalla torture che lui stesso stava infliggendo loro ».
   
   Era sera tardi quando i rapporti su quel caso orribile furono terminati e Gibbs spedì i propri agenti a casa. Li osservò mentre uno dopo l’altro spegnevano stancamente i computer e le lampade e prendevano la propria roba.
   « Casa, DiNozzo » sottolineò quando anche il suo agente più anziano si alzò per prendere l’ascensore. Lo vide fermarsi per un secondo, e poi affrettarsi dietro gli altri.
   Rimasto solo nel’ufficio, sospirò. Sperò davvero che il suo agente seguisse il suo ordine - e soprattutto che lo avesse percepito come un ordine - e andasse a casa. Era stata una settimana lunga, e tutti loro avevano bisogno di una pausa finalmente. Aveva anche una mezza idea di chiedere a Vance di dare loro il fine-settimana libero, ma non era certo che avrebbe fatto del tutto bene.
   Sperando di aver preso la decisione giusta, si alzò e spense a sua volta computer e lampada, e si diresse a casa e al suo ultimo progetto, una casa delle bambole per la figlia di una sua vicina. Era la prima volta che costruiva una casa delle bambole da quando Kelly non c’era più. Aveva deciso tanto tempo prima che non avrebbe mai più intagliato mobili in miniatura quando la sua bambina non poteva più averne, ma la piccola aveva un sorriso dolce e allegro, troppo simile a quello di Kelly per non vederne la somiglianza. Per non voler fare di nuovo qualcosa per Kelly.
   Stava intagliando il divanetto da mettere accanto alla poltroncina quando sentì la porta d’ingresso aprirsi e dei passi attraversare il salotto.
   Quasi trattenne il respiro quando la porta del seminterrato si aprì lentamente. Ma poi i passi si fermarono, tornarono indietro, si fermarono di nuovo, si avvicinarono alla porta del seminterrato. E proseguirono.
   Gibbs non sollevò lo sguardo da quello che stava facendo, aspettò che il suo visitatore prendesse il suo solito posto ai piedi delle scale. Ma questi non lo fece. Si fermò in cima e sedette sui primi gradini, in silenzio.
   Il team leader sospirò tra sé. Probabilmente avrebbe dovuto essere già contento del fatto che fosse venuto nonostante tutto. Ma aveva sperato in qualcosa di più.
   Tony rimase in silenzio seduto in cima alle scale per quasi un’ora mentre Gibbs lavorava al resto del salotto della casa delle bambole. Ogni minuto che passava, all’insaputa l’uno dell’altro, i due uomini si chiedevano se non fosse il caso di dire finalmente qualcosa, perché il silenzio nelle serate che avevano spesso trascorso insieme nel seminterrato non era mai stato così teso, ma ogni volta l’uno finiva per rinunciare perché era il suo agente ad essere venuto a casa sua, e l’altro… rimandava e basta, aspettando di capire perché fosse venuto lì.
   Alla fine Tony fece un respiro profondo e chiuse gli occhi, lasciando che le parole uscissero da sole.
   « Quando scoprii di Danny, il mondo mi cadde addosso » iniziò. Gibbs fece un’impercettibile pausa nel carteggio del tavolino rotondo e chiuse gli occhi grato per un istante. « Era il mio partner, ed era mio amico; era la prima persona con cui avessi mai davvero legato. Scoprire che mi aveva mentito, che era un poliziotto corrotto… Ma decisi di non denunciarlo. Non potevo. A quel punto, però, c’erano ben poche scelte che mi restavano. La più facile, quella verso cui ero più spinto, era mollare tutto, cambiare città e lavoro. Era la scelta migliore. E la scelta che piaceva di più a Wendy ».
   
   « Un lavoro più sicuro, che non mi faccia temere che ogni volta che qualcuno bussa alla porta sia per dirmi che non tornerai più » disse la donna quando lui le espose la sua idea. Sembrava sinceramente preoccupata per lui, e sollevò la mano per accarezzargli il viso. L’anello le stava d’incanto.
   Erano in pieni preparativi per le nozze, che avevano fissato di lì a sei mesi, e dovevano ancora decidere dove andare a vivere. Il fatto che lui fosse praticamente sul punto di essere disoccupato - aveva intenzione di dimettersi quanto prima - portava però un grosso problema: i soldi.
   « Magari un bel lavoro danaroso » rise lei facendo scivolare la mano sul petto di lui con aria maliziosa.
   « Come gigolò, magari? » la prese in giro lui, e lei scoppiò a ridere dandogli una spinta giocosa. « Lo sai che in un modo o nell’altro mi prenderò cura di te. Troverò presto un lavoro, ci sposeremo, andremo a vivere insieme e saremo felici per sempre » le promise.
   « Ma dove ho trovato un uomo così dolce e romantico? »
   
   Dopo aver parlato con Gibbs e aver ricevuto la sua offerta di lavoro - perché l’ex-Marine poteva fare il duro quanto gli pareva e rifiutarsi di pronunciare quelle parole, ma il motivo per cui si era ritrovato da solo a Baltimora era che aveva appena fatto fuggire l’ultimo pivello assegnatogli a forza da Morrow, e che lo ammettesse o no era la prima volta da quando Franks se n’era andato che aveva trovato davvero piacevole lavorare in squadra con qualcuno - Tony era tornato a casa di Wendy con una bottiglia di champagne economico e un sorriso a trentadue denti. La donna si mostrò contenta per lui, e nell’impeto del momento gli promise che lo avrebbe seguito ovunque, che avrebbe mollato il suo lavoro a Baltimora e avrebbe cercato fortuna nella capitale.

   
   « Per anni ho creduto che fosse quello il problema, l’aver lasciato il suo lavoro. Probabilmente l’aveva fatto solo per me, perché aveva capito quanto tenevo a questo lavoro. Forse credeva di poter fare a meno del suo… ma alla fine si era accorta che non valeva la pena, che io non valevo la pena. La casa qui era pronta, stavamo per sposarci… e la sera prima del matrimonio lei si presentò da me e mi restituì l’anello. Niente spiegazioni. Una scusa patetica che nemmeno ricordo e dieci minuti dopo aveva lasciato Baltimora, cambiato numero di cellulare ed era sparita nel nulla. Doveva esserci un motivo, no? » disse Tony con aria misera.
   Gibbs continuò a lavorare ai mobili in miniatura, ma non era lì la sua concentrazione. Ricordava fin troppo bene la sera in cui Wendy aveva lasciato il giovane, perché era stata la prima in cui questo si era presentato a casa sua. Era rimasto seduto sui gradini del portico, aspettando il suo rientro a casa, e quando lo aveva visto aveva sorriso come se non fosse accaduto niente e gli aveva mostrato la confezione da sei di birre che aveva portato. Per festeggiare la fine dell’addestramento, aveva detto. Erano entrati e avevano passato la serata a guardare la partita e prima di andarsene, quasi come a ricordarsene solo in quel momento, Tony gli aveva detto che Wendy se n’era andata. Era stata la prima volta in cui aveva avuto una dimostrazione diretta di quanto il ragazzo fosse bravo a recitare - a fingere.
   « Ma ora torna e mi dice… mi dice che non era pronta per quello giusto » concluse il giovane, l’aria confusa e… turbata.
   Il team leader posò finalmente la credenza sul tavolo e si voltò sullo sgabello verso le scale. Tony era ancora seduto in cima, i gomiti sulle ginocchia, la testa china.
   Rimasero in silenzio per lunghi minuti.
   « Perché hai nominato me agente di collegamento con la stampa? » fu la frase che ruppe il silenzio. E Gibbs se l’aspettava, se l’era aspettata per giorni, per la verità. L’aveva vista negli occhi del suo agente le poche volte in cui aveva incrociato il suo sguardo, nelle occhiaie dovute alla mancanza di sonno, nelle scuse per non trovarsi da solo con lui nella loro area della sala squadre.
   « Perché l’amavi » rispose.
   Tony sbuffò.
   « Sono passati quasi undici anni » ribatté.
   « E la ami ancora » fu la pronta risposta dell’ex-Marine.
   L’agente alzò finalmente la testa e per la prima volta si voltò verso il seminterrato, incrociando lo sguardo del suo Capo.
   « Volevi giocare a fare Cupido? » chiese sarcastico.
   « No. Volevo darti la possibilità di chiudere una volta per tutte o continuare. Di aprire finalmente il nuovo capitolo della tua vita che hai rimandato per quasi undici anni ».
   « Senza offesa, Gibbs, ma la mia vita sono affari miei » scattò Tony.
   « Undici anni, Tony. Undici anni, e cos’è la prima cosa che hai fatto quando ti sei ritrovato da solo con Wendy? »
   Il giovane non rispose. Era sicuro che McGee non avesse raccontato nulla al Capo, ma in qualche modo lui sembrava sapere sempre tutto. Sbuffò tra sé, dopo undici anni ormai avrebbe dovuto essere abituato ai poteri quasi psichici dell’ex-Marine. Dopotutto, quell’uomo aveva per anni costruito barche nel suo seminterrato ed era riuscito a tirarne fuori almeno una - che era ora nell’archivio prove dell’NCIS e che Abby andava segretamente a controllare una volta a settimana per essere certa che non fosse svanita nel nulla attraversando le pareti.
   « Mi dispiace ».
   Se non lo avesse sentito con le sue orecchie non ci avrebbe mai creduto.
   « Cos’è successo alla Regola Numero Sei? » chiese Tony con una risata nervosa.
   « Non vale tra amici » rispose il Capo e poi, sentendo l’imbarazzo del suo agente, aggiunse: « Non quando sono tre giorni che non torni a casa, che non fai battute o citi film idioti ».
   Tony rise.
   « Credevo detestassi le mie citazioni di film. E a proposito, lo sai che il Duca dice “Non chiedere mai scusa, è segno di debolezza” in “I cavalieri del nord-ovest”? Sei tu che l’hai copiata a lui o lui a te? »
   Gibbs scosse la testa, riprendendo la minicredenza e continuando ad intagliarne gli scaffali.
   « Grazie » disse dopo un lungo silenzio il giovane. « Non fraintendermi, è stato… devastante, rivederla. E doverci lavorare è stato doloroso. Ma almeno… ». Fece una pausa, cercando le parole giuste. « Ho avuto la mia chiusura ». Sbuffò una breve risata. « Avevi ragione. Tanto per cambiare ».
   Gibbs non ne era così sicuro. Non avrebbe voluto causargli dolore, anche se l’aveva fatto con le migliori delle intenzioni. Ma era contento che in qualche modo Tony lo avesse perdonato.
   Posò mobiletto e coltellino sul tavolo e si alzò dallo sgabello.
   « Hai già mangiato? » chiese al suo agente.
   « Uh, no, ho solo… fatto un giro in auto prima di venire qui » rispose Tony a disagio.
   Gibbs lasciò correre la palese bugia: non voleva sapere cosa avesse fatto per davvero il suo agente nell’ora trascorsa tra quando aveva lasciato la Base Navale e si era presentato a casa sua.
   « Ho un paio di bistecche in frigo ».
   Il giovane sembrò illuminarsi. Si alzò scuotendosi la polvere delle scale di dosso e seguì il Capo - il quale a metà strada sollevò la mano e gli diede uno scappellotto.
   « E io non copio dai film di John Wayne ».
   « Ricevuo Capo ».
   
   Spazio dell’autrice
   E siamo alla fine!
   Grazie per aver resistito fino a qui! Spero abbiate ancora un po’ di forza per lasciarmi un commentino ;)
   Note un po’ lunghe, perché ormai si è scoperto che sono prolissa XD

   
   Note e spiegazioni varie:
    (1) MCRT - È l’acronimo di Majior Case Response Team, che si può tradurre come “Team di risposta ai casi più gravi”. La squadra di Gibbs è l’MCRT di Washington. Non ho ben capito se l’NCIS abbia un MCRT in ogni città in cui ha una sede, sinceramente… ma che ci frega, a noi interessa il team di Gibbs, no? XD
   (2) In qualche puntata che non ricordo della quarta o quinta serie e poi nella 6x16 “Tropici” (titolo originale “Bounce”), viene mostrato che Tony e Jimmy avevano stretto una certa amicizia mentre Gibbs era in Messico. Non so perché gli autori continuino a dimenticare le parti che preferisco della continuity, ma io non ho intenzione di dimenticarle, ergo Jimmy Palmer non è solo la metà comica di Ducky, è parte integrante della squadra. E poi, povero, finalmente lo hanno aggiunto nei titoli di testa dopo dieci anni! XD
   (3) Quando leggo fanfiction, odio non cogliere i riferimenti alle puntate, per cui ne faccio qui un breve elenco per i fan smemorati come me (completo di mini-spiegazione-di-cui-a-nessuno-frega sul perché abbia fatto riferimento a queste particolari scene):
   Kate muore nella 3x02 “Uccidete Ari - seconda parte” (titolo originale “Kill Ari - part II”): mi piace pensare che i suoi colleghi non abbiano superato facilmente la sua morte. A me è dispiaciuto tanto che per anni non ho sopportato Ziva per principio XD Mi piace vedere che in serie più recenti ci siano stati ancora riferimenti sparsi a Kate.
   Paula Cassidy (con cui Tony ha un flirt nella 1x08 “Minima sicurezza”, titolo originale “Minimum security”) muore nella 4x19 (“Scrupoli”, titolo originale “Grace period”). Tony resta sconvolto dalla sua morte e la puntata si conclude con lui che dice finalmente “ti amo” a Jeanne, piangendo. È a tutt’oggi la mia puntata preferita di tutto NCIS.
   L’operazione Grenoiulle, dopo essere durata per tutta la quarta serie, si conclude con l’esplosione della macchina di Tony e la morte di Rene Benoit nella 5x01 “La confessione” (titolo originale “Bury your dead”).
   Jeanne parte nella 5x14 “Affari interni” (titolo originale “Internal affairs”). Ho visto e rivisto la scena di fronte all’ascensore tra lei e Tony un milione di volte (“Dimmi, c’era qualcosa di reale?” “No”
ç_ç ).
   Jenny muore nella 5x18-19 “Il giorno del giudizio” (titolo originale “Judgment day”). Tony si sente in colpa perché lui e Ziva avrebbero dovuto essere la sua scorta. Durante l’indagine, Tony scende in sala autopsie e beve, abitudine a cui viene fatto riferimento anche nella seconda puntata della sesta serie.
   L’Operazione Domino riguarda la prima parte della sesta serie e si conclude nella 6x09 “L’ostaggio” (titolo originale “Dagger”) con la morte di Michelle Lee. C’è una scena che amo molto in cui Tony si sfoga con Ziva perché crede che la trappola in cui i due sono rimasti feriti sia stata orchestrata da Vance; poco dopo, scopre che è stato Gibbs (secondo sfogo, in sala autopsie).
   La morte di Rivkin e il viaggio in Israele avvengono nella 6x25 “Vendetta” (titolo originale “Aliyah”). Anche qui, il nostro DiNozzo si sente in colpa dapprima per aver ucciso l’amico/amante di Ziva e poi per il fatto che la donna resta in Israele. Il senso di colpa lo porterà ad indagare sulla sparizione di Ziva e a volerne vendicare la morte… per poi scoprire che la nostra amata agente del Mossad era viva e prigioniera (7x01 “La solita routine”, titolo originale “Truth or consequences”).
   Dana Hutton (episodio 7x21 “Ossessione”, titolo originale “Obsession”) è una giornalista da cui Tony si sente ossessionato durante un caso. A ben guardarla (e l’ho notato dopo aver letto una magnifica fanfiction in inglese) somiglia a Jeanne. Lo so, lo so, forse è solo la fangirl che è in me a parlare, ma voglio credere che il motivo per l’ossessione di Tony fosse questa (presunta) somiglianza.
   EJ sparisce e viene data per morta nella 9x01 “Istinto animale”, titolo originale “Nature of the beast”, per poi ricomparire (e andarsene definitivamente) nella 9x12 “La fronda”, titolo originale “Housekeeping”.
   (4) NCAA sta per “National Collegiate Athletic Association”. Le Final Four sono le quattro squadre che escono vincitrici dal campionato di basket universitario negli Stati Uniti e si contendono il titolo finale. Info prese da ncis.wikia per il canon e wikipedia per sopperire alla mia ignoranza in materia di sport.
   (5) Oh, sì, sono
una di quelle fan che adora immaginare l’infanzia di Tony come orrenda. Beh, non è colpa mia se gli autori hanno accennato ad un’infanzia orrenda per sei serie prima di scritturare Wagner e innamorarsi di lui tanto da ripulire la fedina di Senior, no? -.-
   
   

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