Giovani lezioni per vecchi che non sono tali

di Kastel
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Primo capitolo ***
Capitolo 3: *** Secondo capitolo ***
Capitolo 4: *** Capitolo terzo ***
Capitolo 5: *** Capitolo quarto ***
Capitolo 6: *** Capitolo cinque ***
Capitolo 7: *** Capitolo sei ***
Capitolo 8: *** Capitolo sette ***
Capitolo 9: *** Capitolo otto ***
Capitolo 10: *** Capitolo nono ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


-Il genio è frutto dell'impegno-, dice il proverbio, ma anche il talento deve essere levigato come una gemma, altrimenti resta misconosciuto.

Yukio Mishima, Lezioni spirituali per giovani samurai, dal capitolo L'impegno

 

 

 

“Voglio parlare da solo con lui.”
Se Aomine non si fosse allontanato così velocemente da non farsi quasi notare gli avrebbe chiesto di tirargli un pizzicotto.
Il vicecapitano della squadra era interessato a lui, un semplice membro della terza squadra.
Era un sogno, vero? Perché dubitava molto che fosse la risposta ai suoi sforzi continui e ai suoi allenamenti extra.
Akashi, infatti, non era a conoscenza del lavoro che Kuroko svolgeva per poter raggiungere anche solo un minimo i suoi compagni di squadra. Era rimasto affascinato, invece, da altro, che solo i suoi occhi potevano osservare.
E' curioso, si disse, che lo avesse notato solo in quel momento? Possibile che gli fosse sfuggito così facilmente?
“Posso farti qualche domanda?”
Lo avrebbe scoperto facilmente.

 

“Capisco... È molto interessante.”
Kuroko fissò Akashi negli occhi, ascoltando quali conclusioni il ragazzo avesse tratto.
“È la prima volta che vedo una persona come te. Dai tutto per il basket, anche se gli altri non riescono a vederne i risultati.”
L'espressione di Kuroko, a quella frase, fu talmente eloquente che Akashi si pentì subito di aver pronunciato quelle parole.
“AH! Mi spiace, non era mia intenzione offenderti! Solo... Sono colpito.”
Lo sguardo di Akashi rimase fisso in quello dell'altro ragazzo, che man mano che Seijūrō continuava il suo discorso rimaneva sempre più stupefatto.
“Non sei molto veloce, eppure i tuoi riflessi non sono male. Credo anche tu abbia un'intelligenza cestistica sopra la media. Soprattutto, la quantità di allenamenti a cui ti sei sottoposto ti ha fruttato parecchia esperienza di gioco. Però... La cosa che non comprendo maggiormente è il perché quando ti guardo non percepisco niente.”
Kuroko sbatté più volte le palpebre, senza capire cosa intendesse dire Akashi. Il ragazzo, intuendo ciò, pensò bene di continuare.
“Solitamente tutti quelli che praticano uno sport, man mano che accumulano esperienza, iniziano ad emettere un'aura di forza o debolezza. È una cosa inconscia e incontrollata. Eppure... tu non ce l'hai. Né nello sport, né nella vita quotidiana. È come se ti mimetizzassi.”
Kuroko distolse lo sguardo, come se temesse di rivelare troppo su di sé. Ciò colpì Akashi, che si chiese per quale motivo dovesse nascondersi sfuggendo
da lui.

E se, in realtà, fosse fatto apposta? Se si, quali motivi potevano essere?
Subito la sua mente formulò una parola, che gli sfuggì incontrollata dalle labbra.
“Il pudore...”
Fu quasi un sussurro, eppure fece ritornare lo sguardo di Kuroko verso di lui. Ma invece di approfondire il discorso Akashi preferì passarci sopra.
“Comunque... Ecco cosa ti rende speciale, il tuo punto di forza. Sarà la tua più grande arma e sopperirà ogni debolezza.”
Non era la prima volta, nel corso di quella lunga conversazione, che il viso di Kuroko mostrasse la sorpresa. Ma in quel momento Akashi poté leggervi altro, dentro lo sguardo stupito del ragazzino.
Una pizzico di speranza.
“La mia non presenza... è il mio punto di forza? È possibile una cosa del genere?”
Probabilmente, pensandoci successivamente, ciò che Kuroko ricordò maggiormente di quel discorso fatto in una tiepida serata di primavera inoltrata fu il pesante silenzio che seguì la sua affermazione, come se Akashi dovesse soppesare ogni parola per poter esprimere meglio il suo concetto. E la risposta che le sue labbra pronunciarono non fu esattamente quella che Kuroko si era immaginato.
“Scusami, ma questo è tutto quello che posso dirti.”
In un attimo a Kuroko sembrò che quella piccola speranza, che tanto aveva coltivato con le parole di Akashi, crollasse come un castello di carte in balia di un vento troppo forte.
Ma il ragazzo non aveva ancora concluso il suo discorso.
“Ciò che ti sto dicendo è qualcosa che esula dai fondamentali. Dovrai inventarti uno stile tutto nuovo, provando e anche sbagliando.”
Si girò per prendere la borsa, segno che il discorso si stava avvicinando alla sua naturale conclusione.
“E comunque non potrei insegnarti niente se non fossi sicuro di te stesso. Inoltre io ho già i miei compiti di vice capitano e i miei allenamenti, non ho il tempo di starti dietro.”
Kuroko rimase in silenzio mentre Akashi gli si avvicinava per uscire dalla palestra, essendo già anche fin troppo tardi.
“Comunque mi aspetto molto da te, quindi ti darò qualche consiglio.
Per prima cosa, per inventare qualcosa di nuovo devi uscire dai canoni prestabiliti. Secondo, questa tua forza non cambia il fatto che sei comunque debole. Usa questa forza per la squadra, non per te stesso.”
Prima che Kuroko potesse capire fino in fondo il significato di quel consiglio finale Akashi si girò, fissandolo con un sorriso tranquillo, dato dal fatto che sapeva di aver ragione anche quella volta.
“Per concludere... questo non è propriamente un suggerimento, ma quando avrai trovato la soluzione vieni da me. Probabilmente la risposta che troverai non si potrà verificare con un normale test.”
Sorrise, alzando la mano in segno di saluto.
“Ricordati, il genio è frutto dell'impegno. Ciao, Kuroko.”
E finalmente nella palestra cadde il silenzio, lasciando un pensoso Kuroko a riflettere sul significato di quella conversazione.

 

“Midorima, hai origliato la conversazione?”
Guardò alla sua destra, dove stava il suo compagno di shogi. Era evidente che lo stesse aspettando e che, di conseguenza, avesse ascoltato tutta il discorso.
“Ero solo curioso di scoprire di più sul ragazzo che tanto ti ha colpito.”
Iniziarono ad avviarsi verso il cancello esterno, mentre Akashi rifletteva su Kuroko. O meglio, se solo Midorima lo avesse lasciato pensare con calma.
“Comunque... credi davvero che possa essere utile?”
Ecco la domanda che si stava ponendo lui stesso. Non la più pressante ma quella più attinente al discorso che stavano facendo.
“Chissà. Ho avvertito in lui un certo potenziale, ma non è un mio amico. Non è un mio compito occuparmi di lui.”
Anche se non era vero. Non del tutto.
Non è un mio amico, ma è qualcosa di più.
Forse... Nessuno.
Forse... Tutto.
Intanto voleva tornare in fretta a casa.
Aveva un libro da rileggere.

 

 



Note.
Ebbene, finalmente si, ce l'ho fatta. Il primo capitolo è uscito fuori.
Questa long è, per certi versi, un parto e lo sarà per tutti i capitoli successivi. La difficoltà principale sarà gestire tutto quello che voglio inserirci dentro. E non è poco, ve lo assicuro.
Intanto ringrazio già Kalahari per i tanti imput che mi ha donato.
Un paio di parole sulla citazione: Yukio Mishima sarà il filo conduttore di questa fic. È un autore che mi è stato suggerito per capire meglio la mentalità di Akashi e ci ho trovato pure un sacco di suggerimenti per Kuroko. Comunque sia spiegherò man mano nel corso della storia cosa mi ha insegnato.
I dialoghi di questo capitolo (e dei prossimi) sono copiati dalle scan italiane, modificati un po'.
Avverto già che non sarò costante con la pubblicazione perché non è detto che riesco a scrivere in tempi brevi tutto.
Un saluto e al prossimo capitolo.

 

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Capitolo 2
*** Primo capitolo ***


Ora i vecchi non si limitano a chiedere rispetto, hanno appreso il metodo per dominare abilmente i giovani adulandoli e comprimendoli astutamente.
Yukio Mishima, Lezioni spirituali per giovani samurai, dal capitolo Il rispetto per gli anziani

 

 

Lasciò scorrere l'indice tra i vari volumi della fornita libreria del padre, accompagnando quel movimento con gli occhi, sempre vigili e attenti. Spostò più volte la manica dello haori nel tentativo di non farsi intralciare durante la sua ricerca, trovando solo in quel momento scomoda la sua abitudine di indossare il kimono come abito da casa. E, finalmente, la sua mano si chiuse sul libro di piccole dimensioni che tanto stava cercando.
Nel silenzio della grande e antica casa si poteva udire solo i passi di Seijūrō, i piedi coperti dai tabi per non soffrire troppo il freddo di una stagione non ancora particolarmente calda. Vagava per i corridoi indeciso se andare nella propria stanza o nel irori, anche se poi alla fine decise per la sala da tè. Uscì sull'engawa lasciando scorrere lo shoji, rabbrividendo un poco per il freddo pungente di quella serata. Si strinse maggiormente allo haori cercando di non tremare eccessivamente, camminando per il corridoio che affiancava dal giardino, in penombra a causa della luce fioca delle lampade esterne. Infine raggiunse la sala da tè, chiudendo il fusuma e accendendo una candela per poter leggere.
Non era una stanza particolarmente utilizzata e si poteva notare dal fatto che il riscaldamento non era acceso, eppure nonostante la indubbia comodità che avrebbe avuto nella sua stanza gli sembrava più solenne leggere quel libro in quel luogo.
Solo quello aveva ereditato dalla madre (oltre all'indubbia bellezza): un amore particolare per quella stanza non troppo grande. Il padre, invece, all'opposto odiava quella sala proprio perché sembrava una specie di cella, frutto di una tradizione millenaria. E proprio per questo era anche l'unico posto dove Seijūrō poteva stare tranquillo e meditare. Quindi poteva concedersi la lettura del capitolo che tanto gli ronzava in testa.
Per un normale studente giapponese il testo che si presentò davanti al ragazzo sarebbe sembrato solo una accozzaglia di errori ortografici. Bifolchi, avrebbe pensato Akashi, poiché dimostravano l'ignoranza loro e dei genitori. Come si poteva non insegnare alle nuove generazioni una cosa così importante come l'ortografia classica? Evidentemente non avevano letto bene il libro che teneva in mano, soprattutto il paragrafo dedicato al rispetto agli anziani. Perché avrebbero compreso l'importanza di non lasciar cadere in disuso le tradizioni e le conoscenze passate. Che onore poteva esserci solo nel futuro? Nessuno.
Si mise seduto sui talloni, così come richiedeva la giusta lettura di un saggio come “Lezioni spirituali per giovani samurai”, cercando il giusto equilibrio sul tatami. Sfogliò i vari capitoli finché non trovò quello che gli interessava maggiormente.
Purtroppo, leggeva, mi accorgo dolorosamente che dal dopoguerra è scomparso in Giappone non solo il pudore femminile ma persino quello maschile. Non posso limitarmi a lamentare questa tendenza del mondo moderno. Perché io stesso, a mia insaputa, sono influenzato dall'epoca in cui vivo e sto gradualmente perdendo il mio pudore maschile. Me ne accorsi quando mia moglie partorì per la prima volta ed io rimasi nella clinica in ansiosa attesa; e quando finalmente il bambino venne alla luce, mi precipitai ad un telefono pubblico per comunicare a mio padre la nascita del suo primo nipote, ma dimenticai ripetutamente d'inserire la moneta da dieci yen e non riuscii a comunicare. Quando infine mi ricordai della moneta e potei parlare con lui, fui stupito dalla sua voce imprevedibilmente aspra. Non sembrava affatto felice della notizia. In seguito ne compresi il motivo: mio padre è un uomo nato nell'era Meiji, e ha un pudore d'altri tempi. Si vergognava persino del fatto che suo figlio fosse andato in clinica ad attendere che la moglie partorisse. Un figlio che aveva raggiunto il massimo della spudoratezza telefonandogli con voce emozionata dalla clinica. Un uomo giapponese, quando la moglie partorisce, dovrebbe celare i suoi sentimenti, uscire con gli amici o comunque fingere indifferenza. E questo, ritengo, non per un senso di disprezzo verso la donna, bensì per il timore e il trepido rispetto verso un dominio prettamente femminile, ed anche per un atteggiamento di sfida mascherante una certa timidezza virile.
Ed era questo, pensava Akashi, che Kuroko faceva. Non mostrare troppo i suoi sentimenti ma, al contrario, lasciarli in una dimensione di virilità, qualcosa che solo poche persone potevano comprendere a dovere.
Sorrise un poco accorgendosi che le sue sensazioni, ancora una volta, non avevano sbagliato. Anche se...
Sei così convinto che valga la pena stargli dietro?
Chiuse gli occhi insieme al libro, sospirando.
Secondo te no?
È interessante, te lo concedo, ma se non si dimostrerà utile cosa può interessarci del fatto che è stato cresciuto nella maniera corretta? Non dimenticarti, Seijūrō, che un vero uomo non guarda ai propri sentimenti ma ai propri obiettivi. Non lasciarti trasportare troppo.
Lo so. Non ho scordato nulla.
Il suono della porta che scorreva piano interruppe ogni suo pensiero. Aprì gli occhi trovandosi davanti il viso stanco del padre.
“Cosa fai qui?”
“Volevo solo rileggere un libro. Arrivo subito, Padre.”
Si alzò in piedi, raggiungendo il genitore e soffiando sopra la fiamma della candela.
Solo lui, però, vide la sua stessa ombra, nel tremore della sua scomparsa, sorridere soddisfatta.

 

 

 

Le buone maniere non presuppongono tuttavia ubbidienza all'altrui volontà. Sebbene l'etichetta sia per un uomo una premessa essenziale, cui deve assolutamente assoggettarsi, si è diffusa ai giorni nostri la strana credenza che un atteggiamento sincero e spontaneo possa giungere più direttamente all'animo di chi ci ascolta. Soprattutto colui che è ambizioso è invece tenuto a rispettare l'etichetta, più di chiunque altro; se lo farà, potrà persino esibirsi danzando nudo mentre beve il sake, essendosi ormai conquistata la fiducia d'interlocutore che giudicherà la sua danza come un atto estremamente spontaneo e rassicurante. Questa tattica non funzionerebbe affatto se egli fosse solito comportarsi con sregolatezza. È per questo che esiste un'etichetta, capace di mantenere la dignità dell'uomo, ed è solo lasciando trasparire da essa la naturalezza, l'immediata spontaneità della natura umana, che si accresce il proprio potere sul prossimo.
Nel medesimo istante, in un altro quartiere di quella grande capitale che è Tōkyō, Kuroko stava sfogliando lo stesso libro che aveva fatto compagnia ad Akashi in quelle ore di solitudine alla ricerca della medesima comprensione. Edizioni identiche, come se chi avesse comprato i due libri fosse stata la stessa persona. O, forse, solo la medesima tipologia di donna.
Stava seduto sulla poltrona accanto all'unico letto in stile occidentale del piccolo appartamento dove abitava con i suoi genitori e sua nonna paterna, Noriko Kuroko. In silenzio, per non svegliare la donna che riposava tranquilla, si riabituò a quel tipo di scrittura che aveva parzialmente dimenticato, in modo da poter rileggere il paragrafo di suo interesse.
Alzò lo sguardo su Noriko quando la sentì gemere, segno che si stava risvegliando. Ricordava ancora quando il padre aveva scelto di dare alla madre un letto in stile occidentale: poco importava se lo aveva fatto per la sua salute e per la sua comodità, le urla per “l'aver osato, ancora una volta, che il vergognoso occidente entrasse nella loro casa” non erano mancate. Nonostante ciò, l'anziana signora si era arresa quando aveva compreso di non aver alcun alleato. O meglio, di non avercelo in quella specifica battaglia.
“Tetsuya...”
Il ragazzo abbassò il libro per concentrarsi sulla voce tremula di lei.
“Sono qui.”
Come sempre, avrebbe voluto dirle, come ogni giorno da quattordici anni. Si limitò solo ad osservarla ed ascoltare quello che gli avrebbe detto.
“Tetsuya... ascoltami...”
Il ragazzo chiuse gli occhi, sospirando silenziosamente. Anche se quello che lei voleva narrare gli era già noto non poteva scappare via. Il rispetto che provava per lei glielo impediva.
“La famiglia Kuroko esiste fin dall'alba della creazione del teatro Nō. Ha vissuto di pari passo con questa nobile arte. I nostri spettacoli... Ah, Tetsuya, se tu avessi potuto vederne anche uno solo recitato da tuo nonno capiresti cosa voglio dire. Siamo sempre stati gloriosi. I nostri gesti, il nostro modo di respirare, di interpretare il ruolo affibbiatoci sono sempre stati fonte di ammirazione per chiunque ci osservasse. Quanti allievi abbiamo avuto! Quanta gloria! Siamo sempre stati amati e venerati come dei! E poco importa se ci hanno definito retrogradi e nazionalisti, se ci hanno disprezzato per il nostro amore per il Nō. Noi abbiamo sempre alzato la testa e recitato per chiunque volesse vederci, anche per quegli sciocchi plebei o stranieri che non possono comprendere fino in fondo. Devi sentirti fiero di essere un membro della nostra famiglia, Tetsuya, perché noi siamo degli artisti.
Ah, nipote mio... se solo tuo padre non avesse rifiutato di prendere le redini della compagnia... Pfuì, accettare di lavorare come scribacchino per uno sciocco uomo invece che portare avanti la nostra gloriosa tradizione... Ma cosa posso farci, tuo nonno è sempre stato troppo buono. Ha permesso che il nostro buon nome diventasse polvere, che noi stessi iniziammo a rappresentare solo un passato oramai scomodo. E io, da sciocca, ho permesso che tutto ciò diventasse realtà... Tetsuya, ricordati, sii un uomo deciso e con la spina dorsale. Non essere come quegli sciocchi che ti hanno preceduto. Tu sei la mia gioia, ciò che può ridare la speranza alla nostro meraviglioso nome.
Tetsuya... mi raccomando, non deludere le aspettative di tua nonna. Ricordati cosa ti ho insegnato e sii fiero del nome che porti.
Hai capito, nipote mio?”
Se solo la donna non fosse stata così concentrata su di sé avrebbe potuto notare lo sguardo triste di Tetsuya, che fissava la copertina del libro che teneva in grembo. Invece il ragazzo fece un breve sorriso e annuì, fissandola gentilmente.
“Ho capito.”
E, ancora una volta, pensò che avrebbe voluto bruciare quel dannato libro che tanto gli aveva insegnato.
Almeno, forse, avrebbe avuto il coraggio di rifiutarsi di essere il burattino di quella donna.

 

 

 


Note.
È un dispiacere dovervi informare del fatto di non abituarvi troppo ad aggiornamenti così rapidi. Il fatto è che questo capitolo lo avevo in mente da un po', quindi scriverlo è stato semplice. E comunque ho un po' di ricerca da fare prima del prossimo, quindi...
Allora. Queste note sono esplicative per ogni termine giapponese che ho usato, in modo da farvi comprendere cosa avete appena letto. Iniziamo.

Il kimono e le sue vari parti.
Il kimono è l'abito tradizionale giapponese. Anche se originariamente veniva utilizzato per indicare ogni tipo di abito adesso si usa solo per l'abito lungo tradizionale. Viene usato da ambo i sessi e ad ogni età. Il kimono maschile è più semplice di quello femminile e formato solo cinque parti. Per comodità vi illustrerò solo le parti o gli accessori che ho nominato.
Haori: soprabito che rende il kimono più formale. Lungo fino all'anca o alla coscia, ha sopra un'immagine che rappresenta o uno spaccato di vita quotidiana o un paesaggio tipico.
Tabi: sono dei calzini con separazione infradito da usare con i sandali.
Se siete interessati a tutte le parti e a loro utilizzo potete guardare su Wikipedia o sul portale Sul Giappone, da cui ho tratto le informazioni.

 

La casa tradizionale giapponese.
La casa tradizionale giapponese è molto semplice e a stretto contatto con l'ambiente. Rappresenta l'anima di chi la abita ed è modellata per adattarsi alle stagioni grazie alle varie parti che la compongono.
Irori: è la fonte del riscaldamento della casa, anche se io l'ho più immaginata come una stanza che è il centro della casa. Purtroppo non mi è chiaro se sia una stanza o solo il riscaldamento e mi scuso già per questa imprecisione.
Engawa: corridoio con un tetto spoviente che collega esterno e interno. In inverno può diventare un'estensione della casa, in estate diventa una parte del giardino. Questo è permesso grazie agli shoji, che sono delle porte scorrevoli in legno e carta. Filtrano la luce.
Fusuma: porta scorrevole di carta.
Tatami: sono le stuole di stoffa che coprono il pavimento. Sono anche l'unità di misura tipica giapponese.
Sala da tè: Piccola (dalle dimensioni di una capanna) e situata all'interno del giardino, qui viene svolta la cerimonia del tè.
Esiste anche una parte dove si trova l'altare shintoista domestico, ma lo inserirò in un prossimo capitolo.
Tutte queste informazioni le ho prese dal sito Architettura & Viaggi.

 

Nomi giapponesi.
L'unico nome giapponese presente in questo capitolo è quello della nonna di Kuroko.
Noriko (scritto con i caratteri 法子) significa “Norma, legge” (Nori, ) insieme al carattere Ko () che significa bambina.
Preso da MIST Fansub, un forum che ho trovato online facendo ricerca.


Con queste note anche questo capitolo finisce qui. Grazie per la lettura e al prossimo. 

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Capitolo 3
*** Secondo capitolo ***


Kiku: Insomma, perché crede che la sua vita sia finita?
Perché, seppure non è ancora incomincia?
Jirō: È finita ancora prima di iniziare.

Yukio Mishima, Kantan, da Cinque nō moderni

 

 

 

Teneva gli occhi chiusi da dietro la masukami, seduto immobile al centro della stanza. Una luce soffusa, data da una lampada da terra, illuminava fiocamente i pochi mobili che si trovavano nella sua camera, gli unici spettatori di quella danza.
Riaprì piano gli occhi, anche se ciò non lo aiutava a vedere maggiormente lo spazio intorno a sé. La maschera, infatti, non gli permetteva di avere una visione chiara del mondo che lo circondava. Non che questo fosse un vero problema, anzi, lo aiutava ad immaginare di essere su un vero palcoscenico piuttosto che nella sua camera. Di conseguenza ogni spazio e oggetto venivano trasformati: la libreria dietro di lui era dove stavano i suonatori, la scrivania alla sua sinistra era il jiutai-za mentre la porta il makuguchi. E solo lui udiva le voci e i suoni del No-kan e dei tre tamburi che accompagnavano quella scena in particolare. Canticchiava a bassa voce, per tenere il tempo e per capire quando muoversi.
Nonostante si trattasse di movimenti basilari come alzarsi in piedi o solo sbattere un piede a terra tutto doveva essere enfatizzato dal suo corpo. Non era facile interpretare Atsumori, con quei pochi movimenti ed eppure così significativi.
Non indossava lo splendido kimono in broccato di seta pieno di particolari che il ruolo richiedeva e sapeva che ciò influiva parecchio sulla sua interpretazione, poiché ad esempio la manica sinistra del suo abito non era più lunga della destra (e ciò dava ovviamente meno risalto ai movimenti che quella mano compiva). Ma in fondo si stava solo esercitando, l'importante era essere capace di ricordare a memoria quei pochissimi passi che doveva compiere e farlo nella maniera corretta.
Se qualcuno avesse visto il suo viso al di sotto della masukami che portava avrebbe potuto notare che era quasi in uno stato di trance dallo sforzo di immedesimarsi nel samurai che verrà ucciso da quello che avrebbe potuto essere il suo stesso padre. Le sopracciglia inarcate nello sforzo di donare ai movimenti l'epicità che era propria ad Atsumori; gli occhi fissi su un punto non ben precisato, che non vedevano quello che aveva intorno a sé ma solo quello che la mente stava visualizzando; la bocca socchiusa, dove si potevano notare i denti serrati in una durezza che non gli era propria ma necessaria per ciò che stava facendo; le guance arrossate per il caldo che il kimono gli stava donando, nonostante avesse deciso di non indossare la lunga parrucca nera proprio per non ritrovarsi in un bagno di sudore.
Man mano che la danza si avvicinava al suo momento clou Kuroko acquisiva maggior sicurezza nei movimenti. Si muoveva nella piccola stanza con quella precisione che faceva comprendere che si era allenato parecchio per raggiungere quel livello. Esattamente come nel basket Kuroko si impegnava ogni giorno per migliorare, ma se nello sport lo faceva per se stesso non poteva dire lo stesso per il teatro. Quelli erano pensieri che, spesso, lasciava cadere nel pozzo che la sua mente aveva costruito per non permettergli di perdere ogni insegnamento che sua nonna (la donna che alla fine lo aveva cresciuto) aveva tanto faticato ad inculcargli.
E stava finalmente arrivando al finale di quel passaggio. Ora si spostava con maggior frequenza e le movenze erano aumentate, così come stava iniziando ad usare di più il ventaglio che portava in mano.
E sembrava quasi che ci fosse qualcuno con lui, visto che aveva piegato un poco il busto in un saluto che sembrava un ossequio. Il suo nemico mortale, Kumagai Naozane, lo aveva accolto con un movimento che era lo specchio del suo. Quindi il ragazzo non aveva più motivo di attendere, doveva combatterci contro. Anche perché il suo gesto di sbattere a terra il piede e muovere il ventaglio minacciosamente non aveva sortito alcun effetto. Nella maniera più enfatica possibile, dopo aver gettato a terra il ventaglio (e se fosse stato in un vero teatro qualcuno lo avrebbe raccolto e portato via dalla scena), estrasse la katana senza il filo che portava alla vita, pronto a colpire il suo nemico immaginario.
E ce l'aveva quasi fatta, dopo aver girato un poco su se stesso, ad abbattere la sua furia su Naozane. Bastava solo abbassare la spada e...
“Tetsuya! Vieni a darmi una mano!”
E la voce della madre interruppe la sua esibizione al vuoto della sua camera, poco prima che potesse raggiungere il suo effettivo finale.
Si slacciò la maschera dal volto, lasciando uscire il fiato che aveva trattenuto. Gettò un'occhiata all'orologio alla parete, accorgendosi che era davvero tardi: aveva completamente perso di vista l'orario e si era dimenticato che doveva aiutare la madre con sua nonna.
Sospirò un poco, arrendendosi all'idea che un bagno e la lettura del nuovo libro che aveva appoggiato alla scrivania (“Le strategie di Coach K”, l'ennesimo libro sul basket che aveva comprato) dovevano attendere.

 

 

 

Un leggero trotto era il passo scelto da Akashi per poter completare quel percorso ad ostacoli, di bassa difficoltà. Era il modo migliore di concludere quella sessione di allenamento durata quasi quattro ore.
Tirò le redini verso destra, dando il comando al cavallo di girare un poco verso quella direzione per poter prendere la giusta distanza dal primo ostacolo. Un colpo di talloni deciso e Atsumori, il suo Selle français, partì in un piccolo galoppo per aver la velocità necessaria a superare il primo ostacolo. Un piccolo salto elegante ed eccolo dall'altra parte, pronto a completare il percorso.
Era uno spettacolo per gli occhi vedere il loro allenamento poiché, insieme, erano perfetti. I salti bilanciati e il trotto elegante dello stallone erano controbilanciati dai movimenti precisi di Akashi sulla sella, risaltati grazie alla divisa che gli fasciava il corpo. Una vera meraviglia, che spesso gli portava più pubblico di quanto effettivamente potesse meritare. Anche se la sua tecnica era, oltremodo, perfetta.
Finì quel piccolo percorso e si fermò davanti al cancello lasciato chiuso per non far scappare i cavalli non ben ammaestrati. Scese agilmente dalla sella e aprì il cancello, pronto a riportare Atsumori nella sua stalla.
Mentre si stava avviando sentì qualcuno avvicinarsi piano a lui. Girò il viso un poco, trovandosi davanti l'autista di famiglia, evidentemente pronto a riportarlo a casa una volta messo il cavallo a riposo.
“Arrivo subito.”
“Non si preoccupi, faccia pure con calma.”
Come se suo padre la pensasse nella medesima maniera. Sospirò un poco mentre accompagnava Atsumori con una mano, accarezzandogli il muso piano. Una volta arrivato alla porta lasciò che la fronte sua e del cavallo si incontrassero, in un segno di affetto che solo a lui poteva donare. Come se quel cavallo fosse, alla fine, l'unico che gli volesse bene per com'era e non per quello che avrebbe dovuto essere.
Dopo averlo premiato con una carota e messo a riposo Akashi si tolse il casco e la giacca rossa, riprendendo fiato. Nonostante fosse una domenica pomeriggio fredda sentiva parecchio caldo. Nonostante ciò non si tolse i guanti, forse perché non aveva voglia di sporcarsi le mani.
Camminò piano tra i vari cavalli che stavano dentro il maneggio, rallentando il più possibile il ritorno a casa. Quel giorno era dedicato all'equitazione e al voto della settimana, ovvero un giudizio che avrebbe dovuto fargli capire se il suo comportamento era impeccabile o se dovesse migliorare qualcosa. L'idea era, ovviamente, di suo padre. E in maniera altrettanto ovvia il ragazzo preferiva godersi la compagnia dei cavalli piuttosto quella di suo padre. Almeno loro mica lo giudicavano sempre.
infine arrivò dall'autista di suo padre, che però non era venuto a prenderlo a mani vuote.
“Ah, signorino, ho trovato ciò che stava cercando. Tenga.”
Aprì la portiera porgendo un libro appena acquistato, “Origini e storia dei cognomi giapponesi”. Akashi lo prese in mano e annuì, sedendosi e iniziando a sfogliare il volume finché non giunse alla K.
E si mise comodo mentre iniziava a scoprire chi era, nella realtà, Kuroko Tetsuya.

 

 

 

 

Note.
Ancora una volta mi tocca scrivere un sacco di note perché sono una fissata coi in termini.

Teatro Nō: per noi occidentali questa tipologia di teatro è molto complessa. Venne fatta principalmente per la corte ed è per questo un tipo di arte elevata, la cui interpretazione viene lasciata allo spettatore. Basata su danze, canti e una recitazione molto enfatizzata è qualcosa di particolare, che non si può descrivere a parole. Insomma, bisogna vederlo.
Nel Nō sono importanti anche le maschere. Sono fatte in modo tale che le espressioni cambiano in base alla luce e alla inclinazione del viso. Inoltre non permettono di avere una visuale molto ampia di quello che succede. Le usano principalmente lo Shite (primo attore) ma molti ruoli (come ad esempio i demoni) le impongono. La masukami è un tipo di maschera.
Ogni spazio ha un nome specifico: ad esempio lo jiutai-za è dove stanno i componenti del coro, il magukachi l'entrata principale.
Lo strumento che ho citato, il no-kan, è un piccolo flauto traverso.
Nel teatro esistono diversi tipi di spettacoli. Quello che io cito, Atsumori, è della tipologia dei guerrieri e deriva dai Heike Monogatari (let. I racconti della famiglia Taira). La storia di Atsumori è, appunto, la sua sfida contro Kumagai Naozane e la sua sconfitta che lo ha portato alla morte. La particolarità di questa storia è che Naozane aveva un figlio della stessa età di Atsumori e quindi si pentì amaramente del suo gesto, addirittura arrivando a prendere i voti per farsi monaco.
Se volete vedervi la danza che ho cercato di scrivere la trovate su Youtube. Invece tutte le informazioni sul teatro le ho trovato su wikipedia.


Il libro di Kuroko esiste seriamente, ma non so esattamente di che parli.


 Parlando di Akashi l'unica nota è sulla razza del cavallo che ho scelto, la Selle français, il cavallo da sella francese.
È considerato uno dei migliori sangue caldo da competizione al mondo ed è uno stallone che nasce da vari incroci con dei purosangue inglesi e stalloni normanni. È molto bello, se cercate sulla sua pagina wiki trovate una sua foto. Purtroppo bianco non c'è come mantello ma mi piaceva troppo la razza in sé.

 

Con questo ho finito, al prossimo capitolo.

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Capitolo 4
*** Capitolo terzo ***


-Di noi due, però, ero stato il solo che li avesse guardati; a Sonoko erano sfuggiti completamente. In famiglia l'avevano abituata a non vedere le cose che è meglio ignorare.-
Yukio Mishima, Confessioni di una maschera

 

Lasciò scorrere la fusuma quanto bastasse per poter accedere nel bustuma, dove ovviamente non trovò nessuno. Non si aspettava di certo di vedere il padre inginocchiato davanti all'altare: quello era diventato un suo compito.
Accese l'incenso e lasciò che il forte profumo invadesse la stanza, chiudendo poi gli occhi e iniziando a pregare per Kimiko Akashi. Ovvero colei che lo aveva cresciuto ed educato.
Kimiko era stata una donna dotata di una bellezza splendente, ereditata appieno dal figlio. E in lei non era esistita dissonanza tra fisico e animo, poiché ogni parte del suo aspetto ricordava un lato del suo carattere. I lunghi capelli infuocati richiamavano l'animo ardente e feroce, che le aveva permesso di ottenere tutto ciò che desiderava; gli stretti occhi castani, freddi a discapito del colore che portavano, erano lo specchio della sua razionalità e del suo bisogno di raggiungere il traguardo che si era prefissata; il suo viso ovale e regolare (che assomigliava parecchio a quello del figlio) per la maggior parte del tempo era serio e privo di quella dolcezza che rendeva tale una donna, e nonostante ciò era comunque bellissima e splendida. Il fisico, poi, non era semplicemente snello o formoso. C'era qualcosa, in quel corpo, che dava un'idea di forza e sicurezza, qualcosa che non poteva essere arrestato né a parole né coi i gesti. Era la rappresentazione del nome che portava. Era un'autentica Imperatrice.
Per quanto però avesse ben in mente com'era stata sua madre a livello visivo (grazie anche alle foto che il padre conservava gelosamente, come il più prezioso dei tesori) non riusciva a ricordare perfettamente che tipo di rapporto avesse avuto con lei. Certo, non lo aiutava il fatto che lo aveva lasciato quando lui aveva solo dieci anni, ma pur tornando indietro nella memoria non riusciva a trovare una traccia della sua presenza nella sua vita. Tutto quello che ricordava di lei era il Kurotomesode che la donna indossava abitualmente, come a sottolineare a quale casato appartenesse. L'assurda freddezza che aveva nei suoi confronti, quasi non fosse stato suo figlio. E la sala del tè, dove...
Spalancò gli occhi, ritrovandosi a fissare il ritratto di Kimiko con uno sguardo perplesso. Perché diavolo era rimasto in quella stanza per così tanto tempo? Doveva sbrigarsi se non voleva fare tardi a scuola.
Si alzò in piedi dopo aver salutato un'ultima volta la madre, tornando poi nella sua stanza a prendere la borsa.
Se solo avesse potuto ricordare, allora, forse non sarebbe rimasto così tranquillo. Né avrebbe iniziato a leggere “Cinque nō moderni” con tutta la calma di questo mondo mentre si incamminava a prendere il treno.

 

 

“Come va? Sei riuscito a capire che tipo di basket vuole Akashi?”
Camminavano fianco a fianco in quella strada deserta, svuotata dal tram tram quotidiano di pendolari e studenti. Erano le sette di sera e solo chi, come Kuroko e Aomine, aveva finito gli allenamenti o le mansioni degli uffici era ancora in giro, diretto verso casa o in altri luoghi. Era quel momento di stallo tra chi viveva di giorno e chi di notte.
Alla domanda di Aomine l'altro ragazzo non poté fare a meno di sentirsi scoraggiato, arrivando addirittura a dimostrarlo con un'espressione stanca e amareggiata.
“Non ancora.”
La risposta di Aomine non fu altro che la conferma di quanto il vice-capitano fosse complesso agli occhi di chiunque.
“Non mi sorprende. Anzi, mi sta venendo il dubbio che volesse solo prenderti in giro!”
La risata del ragazzo, priva di qualsiasi malizia, fece quasi più male a Kuroko della risposta che gli aveva dato. Nonostante ciò la sua espressione, tranquilla e seria, non cambiò di una virgola, poiché tale idea non gli era mai venuta.
Aveva una mezza idea su come Akashi fosse fatto.
Gli era bastato osservarsi allo specchio e fare qualche aggiustamento qua e là.
“Dubito molto che Akashi-kun voglia farmi qualche tiro mancino. Non mi sembra proprio il tipo.”
Aomine spostò lo sguardo sulla vetrina di un negozio, iniziando a ragionare su cosa Kuroko gli avesse appena detto.
“Aomine-kun, visto che tu lo conosci meglio di me, cosa ne pensi di lui?”
“Uhm... Non credo che tu ci sia andato troppo lontano nel giudicarlo. Sembra proprio un bravo ragazzo. È intelligente e nota tutto quello che gli sta attorno. Non posso proprio lamentarmi di lui come playmaker.”
Lo sguardo di Kuroko si fece concentrato mentre tirava le somme e cercava di capire su cosa puntare.
“Allora non devo cercare di diventare un playmaker, non che ciò abbia mai funzionato in terza squadra. Non voglio e non posso intralciare Akashi-kun.”
Aomine lo osservò un poco sorpreso.
“Perché pensavi a quel ruolo?”
“Non sono portato a fare canestro, quindi pensavo di concentrarmi sui passaggi. E quello mi sembrava il ruolo migliore per aiutare la squadra. A quanto pare invece dovrò concentrarmi su altro.”
“Uhm...”
Era quasi comico vedere come Aomine si stesse sforzando per aiutare Kuroko. Il ragazzo lo fissò aspettando di vedere cosa si sarebbe inventato.
“Forse ho un'idea... Che ne dici di una specie di passaggio curvo? Tipo il Passaggio Banana!”
Per l'appunto. Kuroko pensò che Aomine non lo aveva deluso le sue aspettative neanche quella volta.
“. . . È impossibile.”
La risposta di Aomine fu stroncata sul nascere perché il suo occhio fu attirato dalla vetrina di una libreria.
“Scusami, c'è un libro che volevo comprare.”
“Ah... Va bene, ci vediamo domani.”
Si salutarono con un gesto della mano e Kuroko entrò nel negozio, dirigendosi subito nello scaffale dove stavano i libri sullo sport.
Quello che si accingeva a comprare era il quinto libro sul basket nel giro di un mese. Eppure ancora non bastava. Per quanto leggesse teorie su teorie di passaggi, gioco di squadra, strategie e tattiche percepiva che tutto ciò era una perdita di tempo. Imparava ma non riusciva a trovare un riscontro pratico di ciò che aveva appreso.
Sospirò girando il viso per poter vedere altri titoli e capire su quale buttarsi quella volta. Il suo sguardo, invece, si perse nella sezione Hobby-Giardinaggio.
Si avvicinò allo scaffale, vagando su di esso alla ricerca di quella scintilla che gli avrebbe dato le risposte che cercava.
Per prima cosa, per inventare qualcosa di nuovo devi uscire dai canoni prestabiliti.”
Spostò il dito sul dorso delle copertine, scartando velocemente i libri che non erano di suo interesse.
Secondo, questa tua forza non cambia il fatto che sei comunque debole. Usa questa forza per la squadra, non per te stesso.”
La sua ricerca si fermò non appena riuscì finalmente a trovare il libro perfetto per ciò che aveva in mente. Lo tirò giù dallo scaffale, prendendolo in mano e osservando il titolo, con lo sguardo concentrato.
Che ne dici di una specie di passaggio curvo?”
Quella che all'inizio pareva un'idea pazzesca e fuori di testa cominciava a prendere forma nella mente di Kuroko, come se avesse finalmente trovato la chiave per sbloccare quel tesoro che era la sua non presenza.
Strinse con forza “L'arte del manipolare lo sguardo” come se da esso dipendesse tutto.
E forse, alla fine, era proprio così.

 

 

Note.
Questa volta, fortunatamente, ci sono poche note.

Avevo già parlato, nella nota sulla casa tradizionale giapponese, della stanza con l'altare buddista domestico. Questo luogo è il butsuma.

Il Kurotomesode è un tipo di kimono formale, usato soprattutto dalle donne sposate e dalle madri degli sposi. Ho scelto tale kimono perché hanno stampati cinque kamon (stemmi famigliari) sulle maniche, sul petto e sulla schiena. Il perché la donna è così ossessionata dalla famiglia lo scoprirete più avanti, ma credo vi siate già fatti un'idea vaga.

Il nome Kimiko (后子) significa imperatrice (kimi) in combinazione con bambina (ko).

 


Con questo ho finito, al prossimo capitolo.

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Capitolo 5
*** Capitolo quarto ***


-L'ostinazione di voi donne è terribile. Sono letteralmente stupefatto.-
Yukio Mishima, Katan, tratto da “Cinque Nō moderni”

 

“Akashi-kun.”
Alzò lo sguardo da libro che stava leggendo per incrociare gli occhi inespressivi di Kuroko, anche se, in quel momento, poteva vederci tutto tranne l'immobilità e la freddezza. Sembravano quasi quelli di una persona qualunque.
La biblioteca si era svuotata da pochi minuti a causa dell'inizio delle varie attività dei club. Quel giorno invece per loro non erano previsti allenamenti a causa di una ristrutturazione delle palestre dove si allenavano e così lo stesso per ogni club sportivo. Akashi, che non aveva voglia di tornare a casa nell'immediato, si era sistemato in biblioteca per poter leggere in santa pace. Non si aspettava di certo di essere disturbato da qualcuno: non aveva detto a nessuno dove avrebbe passato il resto della giornata.
“Kuroko, cosa ci fai qui?”
“Ho approfittato della cancellazione degli allenamenti per poter svolgere il lavoro per il comitato. A volte è un po' difficile conciliare entrambe le cose.”
Lo fissò negli occhi e Akashi sostenne lo sguardo, capendo che il ragazzo non gli si era avvicinato per puro caso. Prese il segnalibro e lo lasciò scivolare sulla pagina che stava leggendo, chiudendo poi il libro e appoggiando una mano sotto il mento.
“Credo che tu sia venuto qui perché volevi parlarmi. Non è così?”
Gli fece segno di sedersi, intuendo che sarebbe stato un discorso abbastanza lungo.
Kuroko esitò un attimo, guardandosi intorno per vedere se la loro chiacchierata avrebbe potuto infastidire qualcuno. Ci mise poco a capire che ciò non sarebbe successo. Poté quindi concentrarsi solo su di lui.
“Akashi-kun... ho trovato la risposta.”
A quell'affermazione lo sguardo del ragazzo si fece più attento e vigile.
“Direi che mi hai fatto aspettare a sufficienza. Ma se la risposta sarà soddisfacente non saranno stati tre mesi vani.”
Sorrise fissandolo, pensando a come preparare la valutazione. Potevano già farlo domani? Oppure...
“Avrei però una richiesta.”
Ogni pensiero di Akashi si fermò a quelle parole, capendo che Kuroko aveva già pianificato prima ogni cosa.
“Quale?”
“Vorrei che verificassi ciò in una partita.”
Akashi alzò un sopracciglio un poco perplesso, poi chiuse gli occhi annuendo una volta sola.
“Devo parlarne con il capitano ma non credo ci siano problemi. Domani ti faccio sapere.”
Kuroko annuì piano per poi piegare il busto in avanti, deciso ad alzarsi e continuare il suo lavoro. Si fermò però quando lesse il titolo del libro che l'altro ragazzo stava leggendo.
“Akashi-kun...?”
“Si?”
“Sei... un appassionato del teatro Nō?”
Sul tavolo di legno era appoggiato un piccolo libricino dalla copertina nera e una semplice scritta bianca come titolo, “Cinque Nō moderni”. Era rovinato a causa delle riletture e delle orecchie fatte sulla cima di varie pagine, a segnare i passaggi che evidentemente avevano colpito il proprietario del volumetto.
“Potrei forse farti la stessa domanda?”
Lo sguardo di Akashi si fece affilato, studiando quello di Kuroko, che per tutta risposta sfuggì via, ritrovandosi a fissare la parola Nō scritta con l'ortografia
classica.

“Io...”
Tutto ciò che Akashi registrò da quei movimenti fu tradotto in una sola cosa.
Preferisce non parlarne.
Sorrise mentre appoggiava la mano sulla copertina, coprendo titolo e autore, per costringere gli occhi di Kuroko a tornare sul suo viso.
“Nella realtà me ne sto interessando da poco. Non è una consuetudine della nostra famiglia assistere ad opere teatrali. Anche se... Mia madre da giovane lo faceva spesso.”
Kuroko socchiuse la bocca sorpreso, non avendo mai sentito parlare della madre del giovane. Non che avesse mai prestato attenzione ai pettegolezzi e alle voci sul conto di Akashi perché tendeva a ignorare tutto ciò. Non era interessato a sapere quale fosse il tipo di ragazza che avrebbe potuto rubare il cuore al giovane (per la cronaca il pubblico femminile era diviso tra il genere “angelo del focolare” e “donna con dignità e amor proprio”) e neanche a quanto ammontasse il patrimonio di famiglia (stimato ad almeno qualche milione di yen). Semplicemente Akashi era Akashi, niente di più, niente di meno.
Però...
“Tua madre, Akashi-kun?”
La curiosità ebbe il sopravvento.
“Mia madre, Kimiko Akashi. Il libro è suo, come si può notare dalla scrittura.”
Aprì il libro in una pagina segnata a caso, dove all'interno era presente una nota scritta con una calligrafia impeccabile ed indubbiamente femminile.
Agire così nel malaugurato caso che il piccolo assomigli troppo a quello smidollato del padre.
Kuroko lesse la frase più volte, cercando di capire cosa intendesse dire Kimiko con quella frase. Eppure più studiava quelle parole meno avevano un senso.
“Akashi-kun... cosa significa quell'appunto...?”
Il ragazzo girò il libro in modo da capire di cosa stesse parlando. Sorrise appena, senza che i suoi occhi fecero altrettanto.
“Ah sì... Posso leggerti il passaggio a cui si riferisce.”
Chiuse gli occhi per qualche secondo in modo da concentrarsi a dovere, poi prese fiato e iniziò.
 

Jirō
   
Ma doveva nascere proprio un altro essere simile a me?
  
Che orrore!
Bella ragazza (urlando)
  
No, smetti!
Jirō (percuotendo violentemente l'interno del cesto con il posacenere che era posato accanto al cuscino)
  
Prendi questo! E questo!
Bella ragazza
  
Smettila! Che fai? Smettila!
Jirō
  
È morto...
Bella ragazza
  
Il mio bambino! Poverino, poverino...
Jirō
  
Così è meglio. Se fosse vissuto e cresciuto avrebbe sofferto per la somiglianza con il padre. È sempre la stessa storia.


La voce volutamente bassa e per questo profonda si spense, così come il libricino venne chiuso con uno schiocco improvviso. Fu quel suono, forte in quel silenzio come un colpo di pistola, a risvegliare Kuroko dallo stato di trance ove era caduto.
“A-Akashi-kun...”
“Cosa?”
“T-Tua madre... non pensava... seriamente di... fare qualcosa del genere, vero...?”
Non ci fu subito una risposta da parte del ragazzo. Kuroko poté osservarlo abbassare lo sguardo ed accarezzare dolcemente il libro, come se fosse stato il più meraviglioso dei peluche e non la più inquietante delle promesse.
“Solo nello sfortunato caso fossi nato come mio padre.”
Quella frase, pronunciata con tutta la tranquillità possibile, provocò dei brividi lungo la schiena di Kuroko.
“Stai scherzando...”
“Io sono come te. Non scherzo mai.”
Lo sguardo di Kuroko si spense ulteriormente, come se la mente del ragazzo non riuscisse a registrare seriamente le informazioni che Akashi gli stava dicendo.
“Ma... perché...?”
“Chi fa parte della famiglia Akashi deve essere perfetto perfino fisicamente. Se così non fosse allora bisogna eliminare ciò che è difettoso.”
Dovette essere sicuro di aver capito bene cosa l'altro gli aveva detto. Veramente...
“... Tuo padre avrebbe accettato tutto ciò così facilmente?”
“Se voleva continuare a tenere il cognome Akashi doveva.”
“E tu...?”
“Io?
“Davvero... avresti accettato di morire... così?”
Il silenzio che scese dopo quella domanda fu così pesante che Kuroko avrebbe voluto veramente poterlo tagliare per non udirlo più. Era insopportabile, quel fischio senza voce che nascondeva quella di Akashi.
Alla fine uscì, senza timidezza o paura, così sicura che Kuroko si chiese com'era possibile possedere degli ideali così puramente distorti.
“A questo mondo solo i vincitori hanno ragione. Se non fosse stato così allora che senso avrebbe avuto sopravvivere?”
Il suono della sedia che veniva tirata indietro fu come uno sparo che indicava la fine della loro conversazione, poiché per Akashi iniziava ad essere tardi.
“Ora scusami ma ho delle faccende da sbrigare. Domani ti dirò se è possibile fare quello che mi hai chiesto.”
Mise via il libro, facendolo definitivamente sparire dalla vista di Kuroko, che non lo stava assolutamente guardando.
C'era il vuoto, in quegli occhi. E l'unica cosa che il rosso ci lesse dentro fu una parola.
Paura.
Kuroko ha paura di tutto questo, forse perché non riesce a comprendere.
Abbassò lo sguardo facendo una strana smorfia, sentendosi quasi... deluso.
Eppure...
“Tu... dovresti capirmi meglio di chiunque altro.”
Un sussurro che l'altro ragazzo riuscì a sentire e che gli fece spalancare gli occhi.
“Cosa...?”
“Ci vediamo domani, Kuroko.”
Rimase solo il silenzio a far compagnia a Kuroko, come il compagno che avrebbe dovuto fargli comprendere ogni parola di Akashi. Invece lo lasciò ancora di più confuso.

 

 

Cosa ti avevo detto? Non dovevi crederci troppo.
Non è facile pensare con la testa che sta esplodendo no non lo è affatto
No... ancora...
Pensare mentre cerchi un equilibrio sul muro mentre cerchi di non stare troppo male non è facile ma lui continua ancora a parlare ossessivo pieno di sicurezza e odio
Vuoi provarci ancora? Fai pure, ma non sperarci troppo. Lui non è te. Nessuno può capirti... tranne me.
E ancora quella voce è così sicura mentre tu senti di poter vomitare da un momento all'altro ma è solo perché lui vuole farti desistere ed eppure
Ancora... una... possibilità...
Lo senti ridere mentre cadi in ginocchio e vomiti l'anima come se avessi sforzato troppo te stesso ed è così fa male fa tanto male
Pfui. Concedigliela pure se ciò ti fa piacere. Tanto tornerai sui tuoi passi il prima possibile, quando capirai che ho ragione.
Così come dev'essere.


La voce finalmente tacque e Akashi poté alzarsi in piedi, tremando violentemente per lo sforzo fisico fatto.
“Dannazione...”
Solo il buio di una giornata che stava morendo lo udì.

 

 

 

Note.
Finalmente si inizia a intravedere perché ho scelto l'arancione come colore per questa fic.
Allora! Ho solo un paio di note velocissime da fare che riguardano Akashi e Kuroko.

 

-Il tipo di ragazza che interessa ad Akashi è la donna che possiede della dignità.
-Kuroko fa parte del comitato bibliotecario studentesco, che presumo si occupa appunto della biblioteca.

 

Approfitto di questo spazio per farmi

                               Pubblicità!

 

Sul mio Livejournal potete trovare una AkaKuro rossa che non posso pubblicare qui su EFP poiché un po' troppo spinta. Se vi interessa leggerla potete trovarla a questo link:
http://kastel-3.livejournal.com/2524.html

Ringrazio tutti coloro che continuano a seguire questa fic. Mi raccomando, se qualcuno non vi piace non esitate a lasciarmi una recensione, che sono il mio feedback per comprendere l'andamento della fic!
Con questo ho finito, al prossimo capitolo.

 

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Capitolo 6
*** Capitolo cinque ***


La misura del potere di una donna è data dal grado di sofferenza con cui quella donna punisce chi la ama.

Yukio Mishima


 



Chi fa parte della famiglia Akashi deve essere perfetto perfino fisicamente. Se così non fosse allora bisogna eliminare ciò che è difettoso.
Accarezzava distrattamente la pagina che stava leggendo senza riuscire seriamente a concentrarsi su di essa, incapace di non ripensare al discorso affrontato con il vice-capitano poche ore prima.
A questo mondo solo i vincitori hanno ragione. Se non fosse stato così allora che senso aveva sopravvivere?
Sospirò chiudendo il libro, sapendo che per quella sera non sarebbe riuscito a studiare a dovere storia giapponese.
Non gli era mai capitato di non riuscire a ribattere alle parole di qualcuno. Gli altri lo consideravano, a prima vista, un tipo chiuso e timido poiché non si faceva notare, ma non era assolutamente così. Forse non aveva tanta fiducia nelle proprie capacità, ma ciò non gli impediva di rispondere a dovere se era il caso. Eppure... Ciò che Akashi gli aveva detto lo aveva colpito, molto di più di quanto avesse potuto immaginare.
Soprattutto...
“Cosa ti turba, Tetsuya?”
La voce delicata e tremante di Noriko distolse Kuroko dai suoi pensieri. Il giovane alzò lo sguardo sulla donna, sorridendole dolcemente.
“Varie... cose.”
“Se vuoi parlarmene io sono qui, nipote mio. Ti ascolto.”
Rimase un poco in silenzio ascoltando il respiro calmo e controllato di sua nonna, come se gli servisse per ritrovare il filo logico dei suoi pensieri, per decidere se e cosa dire.
Alla fine la voce riuscì ad uscire, rielaborando ciò che aveva pensato fino a quel momento.
“Nonna... Secondo voi una madre può desiderare la morte del proprio figlio?”
Si prese il suo tempo per rispondere, Noriko, così tanto che Kuroko si domandò se non si fosse addormentata. Non sarebbe stata di certo la prima volta che accadeva. Stava quasi per alzarsi e lasciare la stanza per permetterle di riposare quando la sentì iniziare quello che si prospettava un lungo discorso.
“Nipote mio, posso comprendere il tuo turbamento: sei nato in un epoca dove la famiglia è tutelata in tutto e per tutto. Eppure... Non per tutti è così.
Ci sono persone che magari sacrificano un figlio per poter far sopravvivere gli altri. Altre madri ancora decidono di sacrificare loro stesse per concedere ai propri bambini una vita agiata. Oppure sono i padri ad abbandonare ciò che hanno costruito apposta per donare una vita agiata alle loro creature.
So che per te è difficile da capire, ma spesso sopravvivere comporta delle scelte che la società considera inaccettabili solo a parole, quando è lei stessa ad obbligarti a prendere determinate decisioni.”
Kuroko rimase in silenzio, trovando assai complesso assimilare ed accettare un tale concetto. Non perché fosse irreale o assurdo, solo... era giovane. Non era ancora suo compito essere costretto a contemplare un mondo tanto crudele.
“E... se invece una madre lo fa per mantenere... alto, l'onore della propria famiglia?”
Un conto però era un discorso sulla sopravvivenza. Poteva comprendere se si trattava di una questione di vita o di morte. Poteva sforzarsi. Poteva provarci.
“Farebbe la cosa migliore. L'onore, Tetsuya, è l'unica cosa veramente importante, qualcosa che neppure i soldi possono comprare. Se un figlio non è degno del cognome che porta allora è meglio ucciderlo prima che possa arrecare danni.”
Un altro era il concetto stesso di onore famigliare. Qualcosa che per lui erano solo parole astratte di una donna troppo anziana e disillusa dal proprio amato figlio. Una conoscenza che il padre gli aveva impedito di scoprire proprio poiché era ciò da cui era scappato tanti anni prima.
Strinse con forza i braccioli della poltrona dov'era seduto, lasciando che Noriko parlasse a vanvera su ricordi che erano progenie di quel discorso, frammenti sparsi di persone che Kuroko non aveva la minima idea di chi fossero o se le avesse mai conosciute.
Nella sua mente solo una frase che ora riecheggiava come le lancette di un orologio enorme e ingombrante.
Tu... dovresti capirmi meglio di chiunque altro.
Spalancò gli occhi, sorpreso.
Solo lui riuscì a sentire la frase che pronunciò, sussurrata con tono tanto basso che pareva un sospiro del vento.
“Lui... sa?”

 

 

 

“Siamo stati fortunati che oggi era anche previsto un test per promuovere i giocatori in seconda squadra.”
Si erano allontanati un poco da tutti, parlando quasi a sottovoce per non farsi sentire da nessuno.
Kuroko, che fino a quel momento aveva tenuto lo sguardo sui polsini per sistemarli meglio, si ritrovò ad alzarlo per poter osservare Akashi in viso.
Nessun segno della chiacchierata del pomeriggio prima, nessun segnale di un'eventuale arrabbiatura o delusione. Eppure non gli era di certo sfuggito il
cambio di umore da parte del ragazzo prima che se ne andasse...

“Per evitare ulteriore confusione non abbiamo detto a nessuno di te e del nostro test personale.”
Annuì distrattamente, anche se aveva ascoltato metà delle parole che gli erano state dette.
E se si fosse sbagliato? E se nella realtà avesse solo visto male? In fondo Akashi era un ragazzo per certi versi incomprensibile, distante, proprio perché non lasciava trasparire troppo le sue emozioni. Quindi...
“Ti pregherei di concentrarti su ciò che ti sto dicendo, Kuroko, a meno che questo test non sia più di tuo interesse.”
Lo sguardo del ragazzo a quel richiamo si fece più attento. Abbassò di poco il viso in segno di scuse.
“Si, Akashi-kun.”
“Molto bene. Allora, il test sarà una partita cinque contro cinque tra i ragazzi della seconda e terza squadra. Tu non dovrai far altro che dimostrare cosa sai fare per portare la tua squadra alla vittoria, venendo valutato dal capitano e dal coach. Queste sono le condizioni per superare il test.”
Kuroko annuì piano, fissandolo negli occhi mentre la mano destra stringeva il polsino sinistro con forza.
“Ricordati: questo è un caso eccezionale. Di conseguenza, la tua unica possibilità. Buona fortuna.”
Fece per girarsi ed andare accanto al coach e al capitano. Prima che potesse muoversi però Kuroko lo chiamò.
“Akashi-kun...”
“Cosa c'è?”
Lo fissò un attimo prima di scuotere la testa.
“Niente."
Non era di certo il momento per parlare del giorno prima, non nell'attimo antecedente una partita di così vitale importanza per lui.
Respirò a pieni polmoni, chiudendo gli occhi per concentrarsi meglio.
Non ti arrendere, Tetsu.”
Socchiuse gli occhi, fissando i giocatori che iniziavano a prendere posto a centrocampo.
Finché non lo farai niente potrà essere dato per scontato, né la vittoria né la sconfitta. Solo nel momento in cui perderai le speranze, solo allora, sarà davvero finita.”
Akashi, che lo osservava dalla sua postazione, rimase un poco sorpreso dal suo cambiamento.
Raramente aveva visto una persona con una tale decisione e forza in sé, come se tutto dipendesse dal momento che stava vivendo.
E, per Kuroko, era realmente così.

 

 

“Bene, diamo il via alla partita tra la seconda e la terza squadra!”
Un fischio e tutti i giocatori iniziarono a muoversi nel campo, inseguendo la palla e bloccando chiunque fosse una minaccia per la propria squadra.
Solo un membro della seconda squadra non riusciva ad agire, girando freneticamente la testa in tutte le direzione a lei possibili.
Dove diavolo era finita la persona che doveva marcare?!?
Continuò a guardarsi intorno, senza notare che il ragazzo tanto convulsamente cercato si era avvicinato a un proprio compagno, facendogli segno di passargli il pallone.
Quello che successe dopo nessuno riuscì a vederlo. Solo, era come se la palla si fosse magicamente spostata da una parte all'altra del campo, così veloce che pareva quasi un proiettile. E proprio grazie a ciò la terza squadra aveva potuto segnare il primo punto.
Unicamente chi stava fuoricampo, consapevole di cosa guardare, aveva potuto comprendere la dinamica della scena, rimanendo qualcuno sorpreso, qualcun altro stupefatto e uno solo assolutamente soddisfatto dallo spettacolo a cui aveva assistito.
Nijimura, il capitano, non riusciva a spiccare una parola. Fissava il campo senza aver neanche capito cosa diavolo fosse successo. O meglio, con un solo punto oscuro in tutta quell'azione che era durata meno di un minuto.
“Come hanno fatto a non vederlo...? Passi la poca presenza, ma da qui a perderselo così...”
“Misdirection.”
La voce tranquilla di Akashi attirò l'attenzione di Nijimura, che girò un poco il viso per poterlo osservare meglio.
“È una tecnica usata dai prestigiatori per distogliere lo sguardo degli spettatori quando usano i loro trucchi. Per esempio, se devono preparare un trucco con una mano, muovono l'altra vistosamente per distrarre lo spettatore.
Non è una tecnica esclusiva della prestidigitazione, anzi, può essere usata per altro. Del resto l'occhio umano ha diversi comportamenti incondizionati.”
Prese una palla con la mano destra, fissando Nijimura in viso.
“Tieni lo sguardo su di me.”
E Nijimura lo avrebbe anche fatto molto volentieri se solo il ragazzo non avesse lanciato in alto il pallone, distraendolo da quel proposito.
“Visto? Non ci sei riuscito. L'occhio umano ha la tendenza a seguire ciò che si muove velocemente. E se un oggetto che è di fronte a noi scompare...”
Lanciò il pallone in avanti, centrando la cesta. Nijimura istintivamente girò il viso per vedere dove fosse finito, distogliendo ancora una volta l'attenzione da Akashi.
“...volgeremo lo sguardo verso di lui. Ciò non cambia se si parla di persone, ovviamente.”
Girò il viso in modo da poter continuare ad assistere alla partita, notando che la terza squadra era in vantaggio.
“Il termine misdirection indica proprio chi riesce ad usare a proprio vantaggio tali riflessi incondizionati dell'occhio umano. E lui ha imparato ad applicarla al
basket.”

Tornò con lo sguardo su Nijimura, continuando la sua spiegazione.
“Mettiamo il caso in cui debba effettuare un taglio. Ciò che farà sarà usare il movimento degli occhi e il linguaggio del corpo per attirare lo sguardo del marcatore o sul pallone o su altri giocatori. Ed è proprio combinando ciò alla sua poca presenza che lo fa scomparire agli occhi del proprio avversario, esattamente come se fosse un fantasma.”
“Capisco. Quindi sapevi già che avrebbe sviluppato tale tecnica?”
“Non proprio.”
Distolse lo sguardo dal capitano, seguendo invece i movimenti di Kuroko nel campo, analizzandoli.
“Certo, è andato nella direzione dove lo avevo spinto, ma non mi sarei mai immaginato che avrebbe basato tutto sulla misdirection.”
Si concesse solo allora di sorridere nella maniera più appagata e compiaciuta possibile.
Ha proprio superato le mie aspettative.”


 

Note.

In questo capitolo nessuna nota esplicativa, per una volta.
L'esempio l'ho preso dal buon vecchio Kise, mi sembrava perfetto per spiegare a parole il concetto di misdirection.
Ne approfitto per ringraziare KamGD per avermi betato la storia e La strega di Ilse per avermi aiutato a dare gli ultimi ritocchi, oltre a Mughetto della neve e Giuliacardiff per le recensioni lasciatemi.
Con questo vi saluto, al prossimo capitolo.

 

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Capitolo 7
*** Capitolo sei ***


Non esiste virtù nella curiosità. Anzi, c'è caso che sia addirittura la voglia più immorale che un uomo può racchiudere in sé.
Yukio Mishima, Confessioni di una maschera 


Mia madre aveva una bambola bellissima.
Sembra assurdo pensare che una donna adulta potesse giocare ancora con dei balocchi, eppure nei pochi ricordi che ho di lei la vedo sempre alle prese con questo bambolotto dai capelli rossi e gli occhi ambrati, divertendosi a metterlo in tutte le posizioni possibili ed immaginabili.
Eppure, nonostante sarebbe dovuta essere una cosa divertente, non ho mai visto mia madre sorridere, neanche una volta. Ripensandoci adesso, la vedevo spesso piangere in camera, con accanto quella meraviglia che pareva la copia perfetta di un bambino. E non uno qualunque. Doveva avere proprio dei gusti strani per voler replicare il proprio figlio con la plastica e la porcellana.
Ogni tanto anch'io andavo a giocare con quel bambino che non era tale, anche se spesso ci rinunciavo perché ovviamente un oggetto inanimato non può reagire. Immaginate cosa ciò possa significare per un bambino se non possiede una fantasia così smisurata da tramutare quell'immobilità in un vantaggio. E, se devo essere sincero, non è una dote che mi appartenga. Preferisco essere coerente con la realtà e spaziare solo su ciò che posso controllare.
Ancora oggi ricordo il nome con cui mia madre chiamava quella bambola senza vita.

 

 

“Hibiki...”
La sveglia, nonostante il tono allegro e alto con cui avvertiva il giovane che era ora di alzarsi, non riuscì a coprire quel nome, che rimbombò nelle orecchie del giovane con forza e insistenza.
Chissà perché aveva ripensato a quella vecchia bambola. E chissà dov'era finita, tra l'altro. Probabilmente buttata insieme ad altri ricordi e oggetti della madre.
Si mise seduto stiracchiandosi, facendo mentalmente una lista delle cose che avrebbe dovuto fare durante la giornata.
Alzarsi. Andare a salutare la madre. Fare colazione. La scuola. Andare al club. Tornare a casa. Studiare. Dormire.
Di tutto quel programma solo una cosa era di suo reale interesse, almeno per il risultato che avrebbe portato.
Sbadigliò alzandosi definitivamente, dando il via a quella giornata che si preannunciava parecchio lunga.

 

 

 

E ancora non aveva avuto l'occasione di parlare con Akashi.
Kuroko sospirò silenziosamente, fissando il paesaggio che stava fuori dalla finestra, sapendo che tanto l'insegnante non avrebbe notato nulla. Uno dei pochi vantaggi dell'essere invisibile a chiunque.
Voleva discutere con il ragazzo dei suoi sospetti. Non era piacevole convivere con un dubbio del genere, poiché non riusciva a comprendere la ragione di tale comportamento. Perché studiare le sue origini? Perché andare a scoperchiare un tale vaso di Pandora, con tutto ciò che comportava?
Non era semplice convivere con il perenne peso di una tradizione famigliare simile. Non era facile sapere che qualcuno aspettava solo di usarlo per far tornare i Kuroko al loro splendore. Ed era proprio per questo che non aveva mai detto a nessuno delle sue origini. Le aveva chiuse in un cassetto, nella speranza di poter almeno dimenticare a scuola che non aveva le forze per opporsi a quella presenza opprimente che era sua nonna.
Tornò a concentrarsi sulla lezione, preferendo rimandare ogni tipo di ragionamento.

 

 

 

“... Shinta.”
Kuroko ascoltò i vari nomi, aspettando il suo in trepidante attesa.
Era andato ottimamente il test, no? La terza squadra aveva vinto, soprattutto grazie a lui e ai suoi passaggi. Quindi non c'erano motivi per non farlo avanzare, no?
“Questi erano i ragazzi promossi in seconda squadra.”
A quelle parole abbassò lo sguardo, sentendosi deluso. Akashi... Gli aveva mentito? Sarebbe rimasto per sempre lì, senza aver la possibilità di dimostrare quanto poteva impegnarsi per il basket?
“Infine... Kuroko Tetsuya.”
Alzò lo sguardo sentendosi chiamare, gli occhi che si spalancavano man mano per la consapevolezza di ciò che stava succedendo.
“Da oggi ti unirai alla prima squadra.”
Alla fine, Akashi Seijūrō non gli aveva mentito. E, come avrebbe scoperto più avanti, mai lo avrebbe fatto, per quanto la verità avrebbe potuto fargli male.
Avrebbe ripagato a dovere tale sincerità.
“Kuroko.”
Si riscosse dai suoi pensieri quando sentì il professore chiamarlo. Gli si avvicinò, fissandolo in viso.
“Il coach mi ha raccontato tutto. Hai lavorato duramente e ciò è stato ripagato a dovere. Proprio per questo non ho nessuna obiezione. Fai del tuo meglio, Kuroko.”
Il ragazzo gli sorrise un poco, riuscendo solo a dire un sì come risposta. Sapeva bene che l'uomo era stato il primo a preoccuparsi per lui, capendo che non sarebbe mai stato abbastanza per la forte e potente Teikou. Eppure non si era voluto arrendere, anche per dimostrargli che si sbagliava.
Perfino un piccoletto come lui poteva fare la differenza se sfruttato nella maniera giusta.
“Scusatemi, è qui Kuroko-kun?”
Si girò al suono di quella voce femminile che lo cercava, alzando una mano per attirare la sua attenzione.
“Ehm... sono io.”
“Eh? Aspetta... CHE COSA?”
Il ragazzo non fu affatto stupito di vedere la giovane osservarlo in maniera confusa, cercando di capire se la stesse prendendo in giro o meno. Chissà cosa si era immaginata. Sicuramente non una persona così invisibile e anonima come lui, che pareva in procinto di spezzarsi da un momento all'altro.
Ma nessuno si fece avanti per dichiarare concluso quello scherzo durato anche troppo a lungo. Nessuna mano si alzò per indicare che il vero Kuroko Tetsuya era un ragazzo alto e forte. Momoi dovette arrendersi all'evidenza: il nuovo membro della prima squadra era quel ragazzino anonimo e quasi
insulso.

“O-Ok... Come ti dicevo da oggi ti allenerai insieme agli altri giocatori della prima squadra. Vieni, ti porto in palestra.”
In assoluto silenzio camminarono fino a giungere a un edificio più grande e, apparentemente, tenuto meglio rispetto a dove si era allenato fino ad allora. Fissò la grigia facciata, che dava quasi l'idea di un carcere piuttosto di un luogo dove si preparavano dei giovani studenti delle medie.
Appena entrati Momoi richiamò l'attenzione di tutti i ragazzi sul nuovo arrivato, suscitando diverse reazioni.
Nijimura si limitò ad osservare il giovane con uno sguardo non particolarmente convinto, ringraziando la ragazza per averlo portato da loro.
Aomine sorrise felice, come se non stesse aspettando altro che vederselo apparire davanti.
Akashi, dal canto suo, gli sorrise gentilmente, salutandolo.
Come un unico sguardo i ragazzi della prima squadra fissarono Kuroko, pronti ad accoglierlo fra di loro.
“Benvenuto nella prima squadra del Teikou. Vedi di ricordarti bene il nostro motto, Cento battaglie cento vittorie, perché è il tuo scopo qui è uno solo.
Vincere.”

 

 

Se Kuroko pensava di essersi abituato con Aomine ad allenarsi duramente, bastò una sola mezz'ora dentro quella palestra per spazzare via ogni minima
speranza di essere alla loro altezza.

Fu costretto a fermarsi senza fiato, quasi tremante. Veramente si stava parlando di una squadra delle medie? Gli sembrava quasi impossibile da credere.
“Aomine-kun... Gli allenamenti sono sempre così pesanti?”
“Eh? Lo sono? Beh, abbiamo parecchi esercizi da fare e visto che siamo in pochi non ci si ferma mai...”
“È molto più difficile che in terz...”
Un conato di vomito interruppe il suo discorso, facendo comprendere quanto scarto ci fosse fra lui e gli altri ragazzi.
“Tetsu! Non vomitare qui!”
Si appoggiò per terra, tremando per lo sforzo fisico di trattenersi dal dare di stomaco nuovamente.
Alzò lo sguardo sui ragazzi che stavano continuando l'allenamento, incuranti del fatto che il nuovo non riuscisse a reggere quei pochi esercizi a loro famigliari. In particolare si concentrò su Akashi, in quel momento a riposo per riprendere un poco il fiato. Nonostante fosse quello a lui più vicino fisicamente (essendoci fra loro una differenza di pochi centimetri di altezza) sembrava diverso, come se quel corpicino in realtà nascondesse una forza e volontà superiori a tutti i presenti in quella palestra. Non era fisicamente più forte di Murasakibara né amava maggiormente il basket rispetto ad Aomine, solo, possedeva quella scintilla in più che gli permetteva di essere al loro stesso livello nonostante tutto.
Kuroko lo osservò mentre riprendeva ad allenarsi con Haizaki (punendolo nel contempo perché non arrivava mai puntuale), ignorando la voce di Momoi che gli chiedeva come si sentiva.
Non riusciva a togliersi dalla testa che in tutto quello c'era qualcosa di malsano, una sensazione che gli dava i brividi lungo la schiena nonostante fosse grondante di sudore.
A questo mondo solo i vincitori hanno ragione.
“Quindi ci credi seriamente... Akashi-kun?”

 

 

“Bene, per oggi abbiamo finito! Ottimo lavoro!”
Un sospiro di sollievo si diffuse in tutta la palestra mentre tutti si fermavano come un unico corpo.
“Ehi Tetsu, oggi ti fermi a fare qualche canestro, vero?”
Bastò una sola occhiata al viso di Kuroko per far comprendere ad Aomine che forse no, quel giorno non si sarebbe fermato affatto ad allenarsi con lui. Anzi, era palese che si stesse domandando dove diavolo le trovava le forze per esercitarsi ancora.
“C-Come non detto Tetsu, vai a casa a riposarti.”
Kuroko non disse niente, avviandosi agli spogliatoi. Aomine sospirò un poco, lasciando rimbalzare la palla a terra.
“Secondo te resisterà?”
La voce di Momoi espresse il dubbio di tutti i presenti, anche se lei era realmente preoccupata per le condizioni di Kuroko.
“Massì, si abituerà presto, vedrai.”
“Nah, non è buono invece.”
A parlare era stato Murasakibara, il centro, che pareva più un gigante che un semplice studente delle medie a causa dei suoi 186 centimetri di altezza.
“Poco importa se era il suo primo giorno, è stato comunque patetico. Continuo a pensare che dovrei distruggerlo.”
“Pure io. Al solo vederlo mi viene l'incazzatura.”
Haizaki, l'ala piccola, si inserì nel discorso con il solito modo di fare strafottente, ben felice di dire la sua su un qualcosa che detestava tanto.
“Mica stavo parlando con te.”
“AAAH? Vuoi botte, per caso?!?”
E si sarebbero picchiati se non si fosse messo in mezzo Midorima, che zittì entrambi con un semplice “Smettetela”.
“Comunque sia... Akashi, per quanto riguarda ciò io sono perfettamente d'accordo con loro. Sei sicuro che sia la scelta migliore?”
Il ragazzo, che stava aiutando a mettere via i palloni, si fermò.
“Bé, avevo messo in conto che sarebbe potuto succedere. Certo, se non riesce a tenere il passo con gli allenamenti è un bel problema, ma direi di lasciarlo lavorare per ora. Tanto la sua utilità la vedremo presto in partita.”
“In partita...?”
“Ma come Akashi, non glielo avevi ancora detto?”
Nijimura interruppe Midorima avvicinandosi, fissando il vice-capitano in maniera sospetta.
“In questo periodo dell'anno si svolge un piccolo torneo tra le dieci migliori scuole del distretto. Non è una competizione vera e propria, però le partite sono parecchio accese, molto di più di quanto sarebbe in una semplice amichevole.”
“Non è la settimana prossima?”
“Esatto. Di norma la nostra scuola impedisce a due giocatori forti di partecipare per rendere la sfida più interessante e agguerrita. Quest'anno, eccezionalmente, sarete voi matricole a giocare. Certo, noi giocatori più grandi saremmo in panchina per ogni evenienza, ma pregate che ciò non accada. Non credo che nessuno di voi voglia essere retrocesso.”
Nijimura lanciò una palla ad Akashi, facendogli segno di metterla via. Dopodiché si avviò agli spogliatoi, parlando per un'ultima volta a tutti loro.
“Ovviamente, essendo Kuroko stesso una matricola, parteciperà come sesto uomo. Se non potremmo usarlo, però, sarà retrocesso all'istante.”
E se ne andò alzando la mano in segno di saluto.
Rimasero un poco in silenzio prima di decidersi ad andarsi a cambiare, tranne Aomine che se ne andò ad allenarsi in un'altra palestra. Mentre camminavano per raggiungere gli spogliatoi Midorima affiancò Akashi, girando un poco il viso per poterlo osservare.
“Secondo te è una buona idea usarlo così presto?”
Akashi lo guardò sottecchi, sorridendo con il suo modo di fare tipico, sicuro di sé.
“E quanto dovremmo aspettare? Meglio capire subito se vale la pena tenerlo o meno. Anche perché...”
Midorima lo guardò negli occhi, spalancando i propri sorpreso. Non aveva mai visto quella espressione nello sguardo di Akashi. E non riusciva a capire come mai, improvvisamente, si fosse fatto così freddo da sembrare la lama di una forbice fin troppo affilata.
È meglio smetterla di illudersi per tempo, prima di restare delusi. No?”

 

 

 

From: Ogiwara
Sub: Cellulare!

 

Kuroko, ma ti hanno regalato un cellulare? Pure a me, così possiamo scriverci più spesso!

 

 

To: Ogiwara
Sub: Re: Cellulare!

 

Si, pochi giorni fa.
Finalmente sono stato promosso in prima squadra. Anche se gli allenamenti sono più duri di quanto avevo immaginato mi impegnerò per arrivare a giocare in partita.

 

 

“Sei ancora qui?”
Kuroko chiuse il telefono con un semplice movimento delle dita, girandosi a fissare Akashi che usciva dagli spogliatoi.
“Ti stavo aspettando, Akashi-kun.”
A quelle parole il ragazzo lo fissò incuriosito.
“Per quale ragione?”
“Volevo parlarti a quattrocchi su un paio di argomenti.”
Akashi rimase un attimo in silenzio, prendendo intanto il telefono per controllare l'orario.
“Va bene, ma non ho molto tempo a disposizione. Andiamo verso la stazione nel frattempo.”
Camminarono fianco a fianco, nel più completo silenzio. Se qualcuno li avesse visti da lontano si sarebbe domandato che strana amicizia potesse essere la loro, dove nessuno dei due parlava all'altro.
“Allora, cosa volevi dirmi?”
Fu Akashi a rompere il ghiaccio, fin troppo curioso di sapere l'argomento di quella chiacchierata.
“Ecco... volevo ringraziarti, Akashi-kun.”
Lo osservò senza pronunciare una parola, aspettando che il ragazzo continuasse il suo discorso.
“Senza di te non avrei mai avuto questa opportunità. E per questo ti sarò eternamente grato.”
Akashi sorrise, pronto a rispondergli che in realtà la maggior parte del lavoro l'aveva fatta lui stesso, anche se indubbiamente aveva avuto il merito di aiutarlo a far sbocciare il suo talento. Soprattutto era ancora tutto da decidere. Quindi no, non era il caso di ringraziarlo.
“Però... Ciò non ti autorizza a studiare la mia famiglia.”
Ecco, questo non era assolutamente previsto.
Akashi si fermò, forse per la prima volta in vita sua sinceramente sorpreso della piega che aveva assunto quel discorso. Osservò Kuroko, anch'egli immobile davanti a lui, con uno sguardo che ad Akashi piaceva ben poco.
Non era furioso, ma poco ci mancava.
“Non provarci neanche a mentirmi: è palese che lo hai fatto.”
Chiuse gli occhi per riordinare le idee, optando poi per la verità. Oramai era inutile nasconderlo.
“No, non ne vedo la ragione. Anche perché ti ho lasciato parecchi indizi per fartelo intuire.”
Lo sguardo di Kuroko si fece più duro.
“Perché lo hai fatto?”
E Akashi sostenne lo sguardo, pronto a far valere le sue motivazioni, per quanto sottili e fumose fossero.
“Perché io e te siamo uguali.”
Kuroko ricordò subito le parole pronunciate in biblioteca.
Tu... Dovresti capirmi meglio di chiunque altro.
“Non siamo uguali, Akashi-kun. Siamo diversi.”
Tutto si sarebbe aspettato da Akashi, tranne sentire le sue risate. Forti, decise, quasi a prenderlo in giro in maniera crudele.
“Chi lo sa... Forse hai ragione tu. O forse no.”
Quella immobilità causata dalle loro parole si ruppe non appena Akashi mosse il primo passo verso di lui, affiancandoglisi e fissandolo in viso. Kuroko rimase invece con il suo rivolto verso la penombra della strada deserta, incapace di affrontarlo.
“Puoi sempre agire come me e trovare la risposta di persona. Sempre che tu ne abbia il coraggio.”
Rimase immobile, deglutendo rumorosamente.
Sai, ad indagare su certe cose rischi solo di restarne scottato. Sono sicuro che non è quello che vuoi... Vero?”
Akashi si allontanò sorridendo, fissandolo un'ultima volta prima di salutarlo definitivamente.
Ci vediamo domani, Kuroko.”
E sparì dietro l'angolo, correndo per prendere il treno.
Solo una volta che i passi di Akashi smisero di sentirsi nella via Kuroko trovò la forza di muoversi, girandosi per guardare dov'era sparito il ragazzo.
Non era riuscito ancora a rispondergli. Ma quella volta non c’entrava niente il non sapere cosa dire.
Si strinse le mani intorno alle braccia, dandosi un abbraccio per calmare se stesso, cercando di regolare il respiro.
Era stato come essere rinchiusi in una stanza al buio sapendo che c'è qualcosa dentro a quell'oscurità.
Era quasi terrore quello che aveva provato.
Perché, adesso, c'era solo una domanda che gli ronzava in testa, che martellava il suo cuore e gli aumentava quella sottile paura che provava.
Io... Con chi diavolo ho a che fare?

 

 

 

 

 

Note.

Finalmente ci addentriamo nella vicenda (e, me lo dico da sola, era pure ora).
Qui non ho niente da aggiungere, a parte un grazie a La strega di Ilse per avermi sistemato la storia. 

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Capitolo 8
*** Capitolo sette ***


Con il passare degli anni, quanto è stato sublime ed elevato va tramutandosi a poco a poco in una farsa.
Yukio Mishima, Cavalli in fuga



Non ricordo con precisione quando le parole di mia nonna hanno iniziato ad apparirmi delle falsità.
O meglio.
Fin da quando ero piccolo passavo molto tempo con lei: entrambi i miei genitori erano impegnati con i rispettivi lavori, quindi era naturale per me trovare mia nonna ad aspettarmi all'uscita da scuola, così come era scontato andare a casa sua per aspettare il loro ritorno.
Dentro a quell'abitazione in stile tradizionale, circondata da un giardino rigoglioso e splendido, ascoltavo mia nonna raccontarmi delle storie meravigliose con accanto una tazza di tè. E non erano semplici racconti: cosa poteva stimolare la fantasia di un bambino meglio di mostri, samurai senza paura e spiriti irrequieti? E come poteva fermarsi il bambino di fronte alla possibilità di dare vita lui stesso a quei mondi così affascinanti?
È stata questa la ragione che mi ha fatto avvicinare al mondo del teatro Nō, la promessa di essere io stesso l'attore principale ed unico di storie senza eguali, qualcosa che né i videogiochi e neppure i libri potevano raggiungere.
Ovviamente mia nonna fu ben felice di insegnarmi ad essere uno Shite, anzi, fu fin troppo zelante quando mi vide pronto ad apprendere. Perfino l'io di cinque anni fa comprese che c'era qualcosa di stonato nel suo modo di fare. E dire che era solo un gioco per me, niente di serio o di improntato al futuro.
Mia nonna smise di raccontarmi quelle fiabe epiche, perché ovviamente il loro lavoro l'avevano fatto. Oramai ero diventato, volente o nolente, il suo burattino, lo strumento per permettere alla nostra famiglia di tornare ad essere la Soh-ke.
Ma feci finta di non vedere. Anzi, mi divertivo ad indossare quei kimoni eleganti e a imparare a muovermi sul palcoscenico, perché mia nonna, in fondo, non mi aveva mentito: potevo davvero essere l'eroe delle storie che qualcuno aveva creato per me. Scoprii anche che alcune opere erano state modificate da mio nonno che, essendo a capo di una delle cinque scuole, aveva questo potere. Erano dei cambiamenti meravigliosi ai miei occhi di bambino, perché erano il regalo che lui aveva lasciato a me, suo nipote. Un augurio di raggiungerlo e superarlo un giorno non troppo lontano.
Era lontano il giorno in cui tutto ciò si sarebbe infranto come uno specchio colpito da un pugno.
Una ferita che sanguina, una cicatrice che fa male.
Nonostante tutto.

 

 

 

“... Ko.”
Guardava fuori dalla finestra, incurante di tutto e tutti.
“... Roko.”
Neppure quella voce in sottofondo poteva disturbarlo dal viaggio che la sua mente aveva intrapreso verso lidi ben diversi di quella misera stanza.
“KUROKO!”
Al terzo richiamo capì di non potersi più concedersi tale diritto.
Girò il viso con calma, quasi a voler prendere in giro quella voce autoritaria che aveva osato disturbarlo mentre stava ragionando su qualcosa di così importante.
“Kuroko Tetsuya! Vedi di stare attento alla lezione!”
Il ragazzo si limitò ad annuire, abbassando poi lo sguardo sulla pagina del quaderno interamente scarabocchiata. Per metà era piena di schemi su possibili traiettorie dei passaggi e i margini di miglioramento che poteva raggiungere, mentre il resto erano dei passi della danza di Atsumori, disegnati in maniera molto grezza e sparsi come chicchi di riso buttati durante un matrimonio.
Solo in un piccolo angolo era diverso, come se le parole che erano segnate sopra fossero state tracciate distrattamente e quasi di malavoglia.

 

Domani saprò.
Saprò chi è davvero Akashi Sejiuro e perché ha studiato così intensamente la mia storia.
Capirò (forse) la verità.
Mi domando solo quanto sarà dolorosa.

 

 

 

“Hai visto?”
Un brusio di voci, un misto tra odio e ammirazione, era il sottofondo del loro passaggio.
“La più forte delle squadre... La Teikou!”
Di sicuro il loro non era un'entrata in scena tra le più silenziose. Ma a loro poco importava, soprattutto per quanto riguardava il capitano, che stava cercando di non perdere quel poco di pazienza che Dio o quel che era gli aveva donato nei confronti di Haizaki.
“Se non si muove...”
E anche le matricole, le vere star della giornata, non consideravano i loro avversari un vero problema.
“È vero che contro alcune di queste squadre non abbiamo mai giocato, ma non mi sembrano poi questo granché.”
“Midorima, per favore, smettila di mangiare schifezze.”
“Comunque sia non dobbiamo abbassare la guardia.”
“Io non mi preoccuperei così tanto, anche se saremo solo noi matricole a giocare non credo ci saranno problemi.”
Aomine girò di poco il viso, fissando il volto del ragazzo che camminava accanto a lui.
“Perciò Tetsu... non essere così nervoso.”
Come fosse stato una marionetta a cui qualcuno aveva tirato troppo bruscamente i fili Kuroko quasi saltò sull'attenti, irrigidito tutto d'un colpo.
“Eh? Hai detto qualcosa, Aomine-kun?”
Aomine lo fissò, chiedendosi se sarebbe riuscito a rilassarsi prima dell'inizio della competizione o sarebbe svenuto d'ansia.
“Per l'appunto. Sbaglio o sei riuscito a passare il test anche se hai fatto un solo canestro? Rilassati!”
“Beh, l'altra volta ero preparato mentalmente. È vero che anche la terza squadra ha giocato varie partite, ma io sono sempre rimasto bordocampo a tifare. Ora invece non solo ho l'uniforme ma sono anche in panchina.”
Fissò a terra, cercando di apparire un poco sicuro di sé nonostante tutto. Poteva farcela. Bastava solo rilassarsi e parlare come prima, tranquillamente.
“Questa è la p-prima partita a c-cui partecipo.”
Se solo il concetto di “Prima partita a cui partecipo” non fosse un sinonimo di “ANSIA”.
“Non balbettare... ASPETTA, SEI SERIO?”
A quella frase tutti compresero il perché fosse così tanto nervoso. Ed anche che, probabilmente, sarebbe stato quasi meglio non avercelo proprio come riserva.
“Ehi... Vedi di non intralciarci almeno.”
Kuroko abbassò il viso, annuendo lentamente. Sapeva benissimo che c'era un dislivello tra lui e le altre matricole, ma potevano tutti stare tranquilli: lui era solo una riserva, niente di più. Non sarebbe sceso in campo a meno che non ci fossero stati problemi od imprevisti. Una probabilità su un milione, in pratica.
“Nijimura... è Haizaki.”
Forse due su un milione.
“HAIZAKI? DOVE CAZZO SEI?”
“Ehi scusa, ma mi sono beccato un raffreddore.”
Come se il suono di dita che pigiavano i tasti su quello che pareva un joystick riuscisse a dare quel tocco di credibilità che serviva alla storia di Haizaki.
“COSA? UN RAFFREDDORE?”
“Seeeeh, un raffreddore con un febbrone da cavallo... Ti giuro, ho anche la tosse... COUGH COUG...”
“MERDA!”
Se lo scopo di Nijimura era quello di privare Akashi del proprio cellulare ci stava riuscendo in maniera perfetta.
“Ha dormito troppo e ora finge di essere malato. Vedi di punirlo A DOVERE, capito?”
“Capito.”
Di tutto quello solo una cosa era certa, per quanto ancora non compresa da Kuroko (non avendo potuto ascoltare la telefonata): che, davvero, era meglio lasciare le probabilità da parte.
Sempre.

 

 

“Dunque, visto che Haizaki non sarà presente ci sarà un cambiamento nella formazione dei titolari.”
Il coach li guardò uno ad uno mentre parlava, tenendo la cartelletta in mano. Nessuno dei cinque giocatori fissava l'uomo, chi perso nei propri pensieri, chi carico e chi ancora con un'aria annoiata sul viso, come se tutto ciò fosse totalmente inutile.
“Il quintetto sarà quindi composto da Akashi, Aomine, Midorima, Murasakibara e, al posto di Haizaki, Kuroko. È tutto.”
Se quello era uno scherzo NON era divertente.
Kuroko rimase paralizzato lì dov'era seduto, fissando il supervisore sconvolto. Aveva capito sicuramente male. Non toccava già a lui scendere in campo. Non era pronto. Non lo era PER NIENTE. E forse avrebbe protestato se Aomine non gli avesse preso il braccio e tirato su, carico come non mai e pronto a combattere. Quanto invidiava quel tipo di sicurezza che nasce solo dalla forza.
Avrebbe voluto rilassarsi e sentirsi un pelo più tranquillo, ma...
“La partita della Teikou sta iniziando!”
“Il loro avversario, il Nanbara, non ha mai partecipato ad un campionato nazionale negli ultimi anni, ma si è sempre classificata bene nei preliminari.”
“Eccoli, eccoli! Ma...”
“... La Teikou ha solo quattro giocatori?”
“Ah no! Ce n'è un altro!”
“Ma... Ma non si nota proprio!”
“Come diavolo fa ad essere un titolare? È come se fosse invisibile!”
… Era impossibile anche solo smettere di tremare di fronte a così tante persone che avevano già espresso un loro giudizio. Fu un miracolo che riuscì a fare il saluto, per quanto la sua voce fosse un tremito unico. Era talmente agitato che neanche si accorse dello sguardo preoccupato che Aomine gli diede mentre si decideva quale squadra avrebbe ottenuto la palla per prima.
E Murasakibara riuscì a vincerla, che fu presa al volo da Akashi.
“Calma Kuroko, bisogna partire piano.”
Lo SBAM che sentì non era tra le risposte contemplate.
Girò il viso di lato, trovandosi davanti la visione di Kuroko caduto come una pera cotta sul pavimento della palestra, apparentemente senza essersi fatto nulla di grave. Akashi rimase senza parole, così come Midorima e Murasakibara. E come potevano commentare quel battesimo di fuoco se non con un “che diavolo stai combinando?!”
Fortunatamente il ragazzo si alzò immediatamente, facendo capire che non era niente di grave alla fine.
“Scusate, sono inciampato. Sto bene.”
Ma bastò guardarlo bene in viso per rendersi conto che no, non era affatto così. Si poteva definire un “Sto bene” un naso che perdeva sangue?
“Tetsu!!!”
Insomma, era appena passato un secondo e già era riuscito ad infortunarsi. Non si poteva dire che l'esordio di Kuroko come titolare della prima squadra della Teikou sarebbe passato inosservato, anzi. Tutto l'opposto. Non che questo ovviamente dava agli altri giocatori la spinta per impegnarsi.
“Non posso crederci... Oltre ad essere un peso mi sta facendo passare la voglia di giocare!”
“Seriamente... Che ha che non va?”
Non era facile spiegare cosa ci fosse di sbagliato in lui (se sbagliato potesse definirsi il termine corretto). Era più semplice comprendere cosa ci fosse di errato nel fatto che lui, in quella squadra, era l'unico a non avere un'abilità innata o una forza fisica tale da sopperire ogni tipo di lacuna. C'era un tale dislivello tra lui, che aveva creato uno stile personale con lo studio e l'impegno, e loro, che erano nati con il talento, che sarebbe bastato solo quello a far capire cosa c'era che non andasse in lui. Era il rendersi conto che non era perfetto. Era la consapevolezza del non essere abbastanza. Era il terrore del comprendere che ciò lo bloccava ancora prima di poter dimostrare quanto valeva.
Un conto era una battaglia, un altro la guerra vera. E lui aveva solo dei proiettili a salve per combattere.

 

 

Eppure anche Nijimura non era nato con il loro talento.
Kuroko, seduto in panchina in attesa che il sangue smettesse di uscire, stava osservando il loro capitano stracciare i propri avversari con una facilità che aveva dell'incredibile.
Il suo non era talento. Non era quel genere di abilità innata che il destino aveva graziato le matricole della Teikou. Era, piuttosto, una questione di forza. Era dotato di quell'energia e potenza fisica che gli permetteva di raggiungere, se non addirittura (momentaneamente) superare, i ragazzi del primo anno.
Osservarlo sfrecciare tra i vari avversari non era semplicemente fantastico: era un vero piacere per gli occhi. Vedere il volto spaesato e sconvolto dei ragazzi della squadra opposta di fronte alla sua velocità e capacità di reazione era meraviglioso. Nijimura era nato per ottenere su di sé il fiato sospeso e sorpreso del pubblico che lo osservava. Eppure a lui non importava: combattere era l'unica cosa che gli interessava, onorare il motto della squadra era il suo scopo. Se poi ciò portava anche popolarità allora era un altro discorso.
La presenza di Nijimura, comunque sia, non coprì l'evidente talento degli altri titolari. Per essere precisi, lo esaltava. Era come se lui fosse in campo non solo per guidare e sostituire Kuroko ma fosse il pennello che dava forma alle vere capacità dei ragazzi del primo anni. Tanto che, ad un certo punto, Murasakibara superò praticamente tutti con un'unica mossa, che fece salire l'entusiasmo di tutto il pubblico.
“Cosa? Un Alley-Oop? Ma questa è una semplice partita delle medie o no?”
“Incredibile! Sono inarrestabili!”
“E tranne Nijimura sono tutte delle matricole!”
Ovviamente, ad uno sguardo più attento, ci si poteva rendere conto che in realtà il talento non poteva sopperire alla mancanza di resistenza: non erano al livello di Nijimura sotto quel punto di vista, abituato a giocare a partite molto più pressanti e pesanti. E nonostante ciò erano di gran lunga migliori di chiunque in quel campo.
Kuroko osservava tutto ciò e si domandava solamente una cosa.
Sarebbe mai arrivato il giorno in cui il suo impegno sarebbe bastato per essere al loro stesso livello?

 

 

“Si è fermato il sangue che perdevi dal naso?”
“... Sì.”
Ma il tempo per fermarsi a pensare e sperare era finito. Era giunto il momento, quello vero, di dimostrare ciò che poteva fare. Poco importava se gli sembrava una missione impossibile quasi, che si sentisse soffocare da tale responsabilità. Sapeva di non avere molte scelte: o accettava o affogava.
La vittoria o la retrocessione.
E dopo tutta la fatica fatta per essere lì, a lottare insieme ad Aomine, non poteva lasciarsi sfuggire quella occasione. Anche perché, nonostante la chiacchierata di quella sera doveva parecchio ad Akashi.
Nonostante ciò che sapeva avergli fatto alle spalle.
Nonostante conoscesse cosa aveva appreso su di lui.
O forse era proprio per questo.
Combattere per dimostrargli che lui non era un burattino di una donna che aveva perso i propri artigli (o meglio, così faceva comodo pensarla: quale tigre morente sarebbe riuscita a condizionare così tanto la propria preda?). Combattere per se stesso.
E forse, anche un poco per chi gli aveva offerto tale possibilità.

 

 

Solo che se già il primo passaggio era stato un fallimento non voleva immaginarsi i successivi.
Eppure, nella sua mente, tutto era calcolato alla perfezione: la forza da mettere nel colpo, la distanza, la velocità, la traiettoria. Ogni minimo particolare era stato levigato ed ogni errore corretto.
Ma tutto ciò si frantumò con la mancata presa da parte di Murasakibara. La palla rotolò fuori campo, dove fu concessa la rimessa per la squadra avversaria.
Il pubblico non aveva neanche compreso cosa fosse successo. Se già era complesso capirlo per chi si trovava in campo diventava praticamente impossibile per degli esterni. E ovviamente nessuno, a partire dallo stesso Murasakibara, era contento.
“Ehi... Ti stai prendendo gioco di me?”
“Affatto.”
“Guarda che ti distruggo.”
“Non farlo, per favore.”
Come fosse possibile che quei due stessero discutendo normalmente con la mano di Murasakibara che premeva su quella di Kuroko in un tentativo di schiacciarlo, non era chiaro a nessuno.
Kuroko sapeva bene cosa tutti stessero pensando. Lo leggeva sui visi di tutti i suoi compagni di squadra. Oh, per lui abituato a giocare con lo sguardo altrui era come chiedergli di leggere un qualsiasi libro: naturale come respirare. E per questo che la sua unica reazione, appena compreso ogni significato dietro il volto preoccupato di Aomine, quello interessato di Midorima e quello dubbioso di Akashi, fu solamente stringere forte i denti, senza pronunciare una parola.
Può provarci quanto vuole, ma se non si impegna sarà solo un peso. Se farà altri errori sarà fuori. Perché uno stile interessante non può sopperire l'evidente mediocrità di un giocatore inutile.
E se perfino i consigli di Akashi non servirono a niente quella volta poteva significare che, davvero, lui non era pronto. Con tutto quello che ciò avrebbe portato.

 

 

Avevano vinto, questo era vero, ma non di certo per merito suo. Anzi, lui era stato solo un peso, così inutile che aveva rischiato di affondare la squadra con sé. Era un qualcosa che in una squadra come la Teikou (improntata sulla vittoria assoluta e totale) non serviva a niente, neanche come riserva.
Sospirò, lasciando cadere le bacchette sul pranzo praticamente intonso. Gli era passata la fame. E se non fosse stato tanto perso nei propri pensieri forse avrebbe considerato di non sprecarlo e regalarlo ad Aomine, che a quanto pareva aveva lasciato a Momoi il compito di preparargli il pranzo. Certo, se quella massa nera e indefinita si potesse definire “pranzo”.
Solo quando una mano passò fra i suoi capelli scompigliandoli con affetto si risvegliò, trovandosi a fissare il pranzo sorpreso.
“Non preoccuparti, c'è un'altra partita. Non abbatterti ora, Tetsu.”
“Aomine-kun...”
Per la prima volta in quella lunghissima giornata Kuroko riuscì a sorridere un poco, per quanto tirato e poco entusiasta fosse.
“Si... Farò del mio meglio.”
Aomine rispose al suo sorriso, salutandolo poi con la mano. Doveva muoversi, se non voleva finire la pausa pranzo senza aver toccato cibo.
Kuroko era così concentrato su Aomine (e sull'appetito appena ritrovato) che neanche si accorse dello sguardo di Akashi su di lui. Una via di mezzo tra il pensoso e l'interessato.
Sapeva bene che Kuroko, con ogni probabilità, si era bruciato la sua occasione. Poco importava che fosse alla sua prima partita in assoluto: in una squadra come la loro non ci si poteva permettere di sbagliare e l'ansia non era una scusa accettabile. Non avrebbe partecipato alla partita prevista nel pomeriggio, poco ma sicuro.
Eppure c'era qualcosa che non gli tornava. Durante il test tutto era filato liscio come l'olio: i passaggi, la misdirection, ogni cosa. Certo, la caduta ad inizio partita non aveva aiutato, all'opposto: lo aveva reso così visibile che neanche se si fosse messo a ballare in cerchio avrebbe sortito il medesimo effetto. In pratica aveva reso vana la misdirection.
Ok, un mistero era stato risolto. Ma gli mancava comprendere il perché i passaggi fossero stati così scoordinati. Cosa aveva sbagliato? Che cosa non aveva calcolato?
Probabilmente il suo ragionamento sarebbe proseguito ancora a lungo se solo la voce di Murasakibara non fosse entrata nel suo campo uditivo, distraendolo.
“Eh? Ma questo non è il portafoglio di Mine-chin?”
“Che cavolo è andato senza i soldi?”
Lo sguardo di Akashi si concentrò sui movimenti di Kuroko, che si era alzato in piedi per avvicinarsi a Murasakibara.
“Glielo porterò io.”
“Mmmh, ok, pensaci tu.”
Akashi vide il portafoglio lanciato e la mano di Kuroko che se lo fece sfuggire. E fu in quel momento che la sua mente comprese.
Eccolo, il secondo errore. L'ingranaggio che era andato fuori controllo. Come diavolo aveva fatto a non pensarci prima?
Forse non era troppo tardi. Ora che aveva capito potevano porci subito sopra una pezza. Potevano farcela.
Gli sarebbe bastato solamente dirglielo.

 

 

 

“No. Non ha senso osservarlo oltre. Verrà retrocesso. Fine della discussione.”
Stava solo pregando di svegliarsi perché la scena che aveva davanti era solo frutto di un incubo. La realtà non poteva essere così crudele da avergli veramente stracciato ogni possibilità di impegnarsi per dimostrare le sue abilità.
Chiuse gli occhi, sentendo gli occhi iniziare ad inumidirsi. No, aveva solo sbagliato ad illudersi. Era stato uno sciocco a credere di poter avere una seconda occasione dopo il fallimento di poche ore prima. Non biasimava il coach: anche lui avrebbe agito così se fosse successa una cosa del genere. Non erano mica in una squadretta qualsiasi. Erano la Teikou, i Re delle squadre medie. E il livello dei giocatori era il motivo principale di quel risultato.
L'impegno non era un valido motivo per premiare qualcuno se ciò non portava riscontri.
“In tal caso retroceda pure me!”
E nonostante ciò c'era ancora qualche testardo che desiderava ancora aiutarlo.
Tutti i presenti (il coach, Nijimura, Kuroko) osservarono sorpresi Aomine, che fissava l'uomo con una forza e decisione negli occhi che faceva ben intendere quante e quali speranze avesse sul ragazzo che stava cercando di proteggere.
“Se anche nella seconda partita non funzionerà mi retroceda insieme a lui.”
Nijimura gli si avvicinò piano, osservandolo come se fosse impazzito. O forse era preoccupato, pensò Kuroko. Del resto Aomine era uno dei giocatori più validi e uscirsene con una proposta del genere era controproducente per loro.
O, più semplicemente, lo considerava un deficiente.
“Sei stupido?”
Gli diede un colpo non troppo forte sulla fronte, come a sottolineare che gli mancava la materia prima oltre che un minimo di buonsenso.
“Almeno dì che abbandonerai il club se proprio vuoi minacciarci, idiota.”
Kuroko, se fosse stato in un'altra situazione, probabilmente avrebbe almeno sorriso: Aomine era scemo poiché ingenuo. Lui non sapeva come il mondo potesse essere crudele con qualcuno proprio a causa del suo essere un asso.
Invece il suo sguardo si spostò sull'allenatore, che osservava Aomine sorpreso. Probabilmente cercava di comprendere cosa passasse per la testa del ragazzo senza riuscirci minimamente.
“Nutri davvero così tanta fiducia in lui?”
Ci mise un poco a rispondere. Era strano credere che una persona così spensierata come lui potesse soppesare le parole da pronunciare ed eppure era proprio ciò che stava facendo.
Stava giocando il tutto per tutto: tanto valeva impegnarsi fino in fondo.
“Nella realtà no.”
Oppure lo stava solo difendendo per un qualche contorto senso di giustizia che però non sbocciava in una fiducia reciproca.
“Solo... Credo che un giorno quel ragazzo rappresenterà la nostra salvezza. Non capisco bene il perché... Ma è questo ciò che percepisco quando lo guardo.”
O forse, anche se non si rendeva conto, nutriva una fede nei suoi confronti così grande da dargli addirittura il ruolo di salvatore.
Kuroko deglutì, sentendosi improvvisamente a corto d'aria. Qualcuno si stava affidando a lui, gli stava donando le sue speranze. Solo che, a differenza della prima persona che gli aveva dato una tale responsabilità, si stava esponendo personalmente per dargli la possibilità di non deludere tali aspettative. Non si era limitato a dargli un dovere, si stava impegnando per difendere quella minima speranza.
Fu la prima volta dove, veramente, si sentì quasi libero dentro una speranza.

 

 

“Va bene, potrà giocare la partita di oggi. Sappi che però mi aspetto che tu rispetta il patto in caso di fallimento da parte sua.”
Poco importava che sia Nijimura che il coach considerassero la sua scelta allucinante: era riuscito nel suo scopo. Ora poteva concedersi di mangiare.
“Oh merda... Dov'è il portafoglio?”
Se solo trovasse i soldi...
“Oh no... Mica l'avrò perso!”
“Tieni, Aomine-kun.”
Una mano pallida reggeva l'oggetto tanto cercato dal ragazzo, porgendoglielo gentilmente.
“Oh grazie, Tet... ASPETTA, DA DOVE ESCI?”
Ci mancò poco che fece un salto all'indietro per lo spavento. Era davvero incredibile la mancanza di presenza di Kuroko, come se avesse un interruttore che si attivava solo quando lo desiderava. E meno male che Aomine era uno di quelli più abituato alla sua trasparenza.
Percepì subito che c'era qualcosa che non andava. Non che Kuroko fosse un chiacchierone, ma almeno qualche parolina la pronunciava quando erano insieme.
“Perché... Hai detto quelle cose?”
Voleva sapere. Comprendere. Capire. Per liberarsi di quel brutto pensiero che era scattato nella sua testa.
Lui è come lei. Spera, prega, e intanto mi distrugge ogni volta.
“Hai sentito tutto?”
Aomine si grattò la nuca distogliendo lo sguardo.
“Bé... Non mi sembrava giusto che un ragazzo come te non avesse avuto la possibilità di sfruttare la propria occasione. Ti sei impegnato così tanto... E sono convinto che la buona volontà venga sempre ripagata con un'opportunità. Tutto qui.”
Non ebbe subito una risposta. Semplicemente perché Kuroko non sapeva cosa dire.
Sospirò un poco, calmando quella vocina nel cervello che tanto lo aveva tormentato fino a poco fa. Era stato uno sciocco anche solo per aver pensato di comparare due persone così diverse come sua nonna ed Aomine. Il ragazzo, semplicemente, era uno ingenuo idealista. Era quasi confortante nel suo essere così generoso per questa ragione.
Non lo aveva aiutato per mero opportunismo ma per gentilezza. Qualcosa che gli mancava da così tanto tempo che sembrava quasi incredibile.
Sorrise un poco, fissando Aomine negli occhi.
“Non posso permettere che Aomine-kun venga retrocesso.”
“Allora basterà solo impegnarti nella prossima partita. Non è difficile!”
Alzò il pugno portandolo davanti al proprio viso, sorridendo fiducioso.
“Hai ancora una possibilità. E sono sicuro che l'afferrerai al volo. Ce la farai!”
Per la volta in vita propria Kuroko avrebbe voluto permettersi di piangere davanti a qualcuno. Perché raramente gli capitava di sentirsi così felice da commuoversi.
Batté il pugno con quello di Aomine, annuendo.
“...Sì!”

 

Lontano da loro c'era qualcuno. Li stava osservando, appoggiato al muro per reggersi in piedi. Era così pallido che se qualcuno gli fosse passato accanto si sarebbe chiesto se fosse stato il caso di portarlo in un ospedale per farlo controllare.
Stava lì, semplicemente in piedi, con uno sguardo che era indecifrabile.
Odiodoloreschifocontraddizionenauseavomito
Si piegò in due e vomitò l'anima, stringendosi lo stomaco con forza. Sentiva la testa scoppiare ma non poteva staccare lo sguardo da quella scena.
Era una battaglia così feroce fra due tipi di sentimenti diversi che stavano per spezzare in due la persona che li stava provando.
Volontà di aiutarlo, stargli vicino perché sa, perché Aomine è un idiota.
Volontà di spezzarlo, di ucciderlo perché sa, perché lo odia.
Chiuse gli occhi coprendosi il volto con le mani, tremando.
Alla fine solo una frase venne pronunciata, con una voce come se uscisse dalla profondità dell'Inferno stesso.
Daiki... Sei un idiota.”

 

 

 

 

 

Note.

Questo capitolo è stato il parto vero e proprio. Totale. Unico. Via, via.
Ringrazio La Strega di Ilse per l'aiuto datomi e per le recensioni lasciatemi.
Comunque ho giusto un paio di note da scrivere.


La Soh-ke è la famiglia principale nella scuola del Teatro Nō. Come ho scritto nel testo sono cinque: la Kanze (観世), la Hosho (宝生), la Komparu (金春), la Kita (喜多) la Kongo (金剛). E solo il capofamiglia della Soh-ke ha diritto di scelta sul tipo di opera da rappresentare ed eventuali modifiche.

 

L'altra nota è più di ordine amministrativo.
Ho deciso di eliminare i titoli dei capitoli perché non mi piacciono molto e ho ben poca fantasia nel crearli.
La seconda è che parto per una settimana, da mercoledì a mercoledì. Non mi porterò dietro il pc ma cercherò comunque di lavorare al capitolo nuovo nonostante tutto.

 

 

Per il resto ho finito. Al prossimo capitolo.

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Capitolo 9
*** Capitolo otto ***


Quando pensiamo all'altrui felicità, affidiamo agli altri, e sogniamo a nostra insaputa, una nuova forma di realizzazione dei nostri desideri e ciò può renderci più egoisti di quando pensiamo alla nostra felicità personale.

Yukio Mishima, Colori Proibiti

 

 

Solo una volta ho potuto partecipare al gioco che mia madre mise in scena con la sua splendida bambola.
L'ho osservata mentre, in religioso silenzio, prendeva il mio più bel kimono (le si poteva rimproverare di essere una pessima fasulla madre se neanche possedeva un cambio d'abito adatto al suo balocco) e lo faceva indossare a Hibiki. Ancora oggi, nonostante gli anni passati, mi ricordo bene di cosa provai quando quella cerimonia bizzarra e quasi grottesca finì: solo una fastidiosa e orribile sensazione di trovarmi davanti a un bambino in tutto e per tutto uguale a me, come se quella perfetta riproduzione di infante fosse un mio fratello fatto di porcellana e plastica. Ma ben presto quei sentimenti mutarono in orgoglio non appena io stesso fui vestito, segno ben evidente che sarei stato partecipe dei loro divertimenti. E per la prima volta in tutta la mia vita mi sentì fiero di essere il figlio di quella donna dispotica ma al medesimo tempo meravigliosa, perché tali trastulli erano proibiti persino a mio padre.
Il gioco che mia madre prediligeva era il mettere in scena la cerimonia del tè. Portava Hibiki nella sala nel bel mezzo del giardino e fingevano di servirsi il tè a vicenda (anche se ovviamente per la bambola ciò era un gesto impossibile da compiere).
Solo che non potevo sapere che quel semplice diletto si sarebbe trasformato in una lezione di vita per me.
Per quanto dolorosa fosse.

 

 

“Akashi-kun, sei sicuro di sentirti bene?”
Seduto sulla panchina al fianco del vice-capitano Kuroko gli osservò il viso, studiandolo con estrema attenzione.
Bene non era propriamente il termine che si accalcava nella sua mente per essere usufruito in quel contesto. Se avesse dovuto utilizzare una parola che potesse descrivere il volto mortalmente pallido del ragazzo (messo in risalto dagli appariscenti capelli color rosso incendio) sarebbe stato dolore. Sofferenza era invece ciò che gli occhi trasmettevano, perché dolore non riusciva a trasmettere con sufficiente impatto quella sfumatura che serviva per comprendere gli occhi spenti e distanti del ragazzo, quasi fosse così preso dai suoi pensieri da rendersi assente a chiunque, compreso se stesso.
“Non preoccuparti Kuroko, sto bene.”
Eppure ancora negava, tentando di nascondersi agli altri. Come se ciò fosse minimamente possibile. Ma non poteva di certo cavargli di bocca quello che voleva sentirsi dire. Si limitò quindi a restare in silenzio, preferendo concentrare la sua attenzione su altro.
Ad esempio, dove diavolo era finito il capitano? Oramai la partita sarebbe iniziata a breve... Non poteva mancare proprio il perno della squadra.
“Ehi ragazzi, guardate chi ho trovato!”
Come quasi avesse letto nel pensiero tutti quanti Nijimura si fece avanti sorridendo soddisfatto, quasi fosse successo qualcosa di spettacolare durante la sua assenza. E probabilmente era il qualcuno che si stava trascinando dietro al pari di un sacco di patate, con la particolarità che portava i colori della Teikou.
“Avanti, saluta tutti.”
Gli bastò semplicemente alzare il braccio per mostrare chi diavolo fosse quel povero disgraziato che aveva avuto la sfortuna di far arrabbiare il capitano. Il nome che uscì fuori fu pronunciato con una nota di stupore e preoccupazione, perché quel ragazzo era ridotto alla stregua di un punchball, il volto pieno di pugni e sberle.
“H-Haizaki... Ma che diavolo ti è successo?!”
A rispondere fu Nijimura, che per narrare quello che era accaduto usò un tono particolarmente allegro e spensierato, scelto proprio per sottintendere che non si sarebbe fatto nessuno scrupolo nel ripetere il gesto finché non fosse entrato bene in testa a tutti quanti in squadra un semplice ed elementare concetto.
Fate delle cazzate? Tranquilli, non accadrà ancora a lungo.
“Sapete, dei ragazzi della seconda squadra l'hanno trovato in una sala giochi qui vicino, quindi ho deciso di farci un salto.”
Se il risultato di “fare un salto” voleva dire trovarsi ad un passo dalla morte allora davvero era meglio non correre troppi rischi. Del resto bastava solo una persona come ammonimento, poiché nessuno di loro era così stupido come Haizaki. Neppure il coach ebbe pietà per il ragazzo, che fu subito messo come titolare per quella prima parte di partita.
“Tu invece giocherai nel secondo tempo. Hai capito, Kuroko?”
Gli bastò annuire una sola volta per far intendere che aveva compreso, poi rivolse l'attenzione sulla partita appena iniziata.

 

 

Partita che rappresentava il limite delle matricole.
Non ci voleva di certo un osservatore particolarmente sagace per rendersi conto di come fossero stanchi: bastava guardare i loro movimenti, scoordinati e privi dell'energia che li aveva caratterizzati nella sfida precedente. Nessuno di loro riusciva ad impegnarsi a dovere, facendo anche degli errori abbastanza dozzinali e che non rispecchiavano assolutamente le loro abilità reali. L'esempio più palese fu Aomine, che non riuscì a centrare un canestro praticamente a portata di mano. Tutti osservarono il pallone che oscillò per alcuni secondi tra l'anello di metallo e la libertà, scegliendo infine di fuggire e di non accontentare il ragazzo.
“Merda!”
Non si risparmiò nemmeno il pubblico nel sottolineare il calo di prestazioni della squadra formata solo da matricole.
“Ma cosa diavolo è preso alla Teikou? Sembrano spenti!”
“Semplicemente sono stanchi. Alla fine la loro resistenza non è ancora sufficiente.”
Nijimura pronunciò quella frase quasi come avesse voluto rispondere al pubblico e non solamente esprimere la sua opinione sulla scena a cui stava assistendo.
“Però per Haizaki questa è la prima partita... Perché diavolo sta giocando in maniera così penosa?”
Ovviamente non ascoltò la vocina saggia del compagno di squadra che si domandava, giustamente, se non fosse stata la punizione di Nijimura a dimezzare le sue abilità.
Anche il coach osservava. Osservava che sapeva bene che in un torneo normale mai sarebbero stati costretti a giocare due partite di seguito. Eppure non era una buona motivazione per non essere perfetti. Non importava la stanchezza, il non aver ancora sviluppato abbastanza resistenza o la mancanza totale di essa. Loro non erano una squadra qualsiasi: loro erano la Teikou, dove ogni battaglia doveva equivalere ad una vittoria. Il loro motto non era mica una mera frase creata per accontentare i palati più fini ed esigenti, era una dichiarazione d'intenti. E chi non la rispettava meritava solo la retrocessione, poco importava quanto talento e abilità Dio avesse donato a tale persona. Nessuno poteva sporcare quella volontà che li animava, per quanto crudele e controproducente potesse essere, visto che si parlava di ragazzini.
Girò lo sguardo verso Kuroko, lo specifico caso che rappresentava il frutto perfetto delle sue riflessioni. Uno stile così imprevedibile ma imperfetto, un'arma vincente se calibrata nella maniera corretta e un peso se si faceva un minimo errore di calcolo. Un ponte sospeso, che poteva rappresentare solo due cose.
La salvezza o la morte.
E per il bene di Kuroko doveva essere la prima.
Assolutamente.

 

 

“Nel secondo tempo Kuroko sostituirà Haizaki. A parte ciò non ho altre direttive. Perché sapete cosa fare.”
Ed infine il tempo di attraversare il ponte era giunto.
Kuroko annuì alle parole del coach, chiudendo poi gli occhi per concentrarsi.
“Su, matricole, non potete permettervi di sbagliare. Sapete bene quale sarebbe lo scotto da pagare.”
Non c'era bisogno di sentirsi dire da Nijimura cosa sarebbe successo se avessero perso: tutti loro non avrebbero visto le divise da titolari per parecchio tempo. Per lui sarebbe significato non poterla mai più indossare, poiché quella era la sua unica ed ultima possibilità. Fallire lì significava perdere tutto, essere tagliato fuori da qualsiasi possibilità di dimostrare le sue abilità.
Doveva mettercela tutta, al fine di poter vincere o anche solo dire, nella peggiore delle ipotesi, “Ci ho provato”. Ma era escluso ciò.
“Sono contento che tornerai di nuovo in campo, Kuroko.”
Aprì piano gli occhi, mettendo poi a fuoco il viso di Akashi. Lo analizzò rapidamente, notando come finalmente stesse tornando ad essere il volto di un vivo e non di un morto, non più pallido come la neve ma accaldato dalla lunga fatica. Non gli suscitava né doloresofferenza: era di nuovo Akashi, per quanto nessuno avesse notato che lui era sparito. Socchiuse gli occhi sentendo quasi... Un moto di tristezza nei confronti del ragazzo.
Possibile che nessuno riusciva ad osservarlo senza fermarsi al solo guardarlo?
Possibile che fosse così bravo a nascondersi?
Possibile...
“Kuroko? Mi ascolti?”
Spalancò gli occhi, accorgendosi che Akashi, nel frattempo che lui si era chiuso all'interno dei propri pensieri, gli stava parlando di qualcosa, probabilmente della strategia da adottare.
“Scusami. Stavi dicendo?”
Il ragazzo lo guardò un poco in viso senza direi niente. Solo dopo quello che parve un tempo infinito (che Akashi si concesse per poter comprendere se Kuroko aveva intenzione di stargli dietro o meno) ripeté la frase che Kuroko aveva lasciato cadere fra i vari pensieri che preferiva lasciare da parte per il momento.
“Che se farai come la partita di prima non cambierà niente. Devi essere tu a modificarti in base a noi.”
“Che intendi?”
“Devi aggiustare la forza dei tuoi passaggi. È vero che lo stress ha inciso di parecchio nella prima partita -com'è evidente dalla rovinosa caduta che hai fatto-, ma è anche vero che tu hai sempre sincronizzato i tuoi passaggi per i movimenti della seconda e terza squadra. La prima, invece, si muove parecchio più velocemente. Se non ci raggiungerai sbaglierai.”
Kuroko lo fissò attento, considerando come Akashi fosse un passo avanti a lui. Gli era bastato davvero così poco per analizzare e comprendere il suo errore?
“Un'altra cosa ancora. Tu lo sai chi possiede una forte presenza?”
Kuroko si ritrovò ad aggrottare le sopracciglia, perplesso. Non che fosse la prima volta che Akashi fosse criptico ma non gli sembrava il caso di comportarsi così ora, non prima di un secondo tempo così decisivo.
“Forse... Un persona con una personalità gioiosa?”
“Forse. Ma premetto una cosa: ciò che sto per dirti non è facile da spiegare, per cui cerca di seguirmi.”
Aspettò che Kuroko annuisse per continuare il suo discorso.
“Vedi, le persone con una forte personalità sono espressive, dimostrano facilmente e volentieri le loro emozioni. E tu non puoi permetterti ciò.”
Allungò un dito per toccargli il petto, alzando lo sguardo per poter fissare meglio quello di Kuroko. Dal canto suo Kuroko lo osservò, stupendosi per qualcosa che non aveva mai notato prima.
I suoi occhi sono del colore del tramonto.
“La misdirection funziona come finta solo se ad essa viene associata la mancanza di presenza. Quindi... Smetti di esistere. Smettila di mostrare ciò che provi. Devi essere solamente una macchina che punta ad ingannare i propri avversari. Solo così potrai vincere. Hai capito?”
Bastò un battito di ciglia.
Bastò solo che Murasakibara si girasse e lo fissasse, strofinandosi gli occhi e senza comprendere cosa stesse accadendo (perché qualcosa stava succedendo).
Bastò un sospiro per concentrarsi e diventare niente.
Bastò solo quello e Kuroko smise di essere ciò che era sempre stato.
Semplicemente svanì, esattamente come se non avesse più consistenza.
“Si, Akashi-kun.”

 

 

E così accadde.
Esattamente come nel test la palla era diventata viva, sgusciava via da qualsiasi traiettoria e tattica. Nessuno riusciva a capirne la ragione. Ma, molto semplicemente, Kuroko aveva smesso di esistere. Respirava e si muoveva, ma nessuno lo percepiva. Era un spettro che con la mano socchiusa e gli occhi impassibili donava al pallone quello a cui lui aveva rinunciato spontaneamente: il pubblico e il suo stupore. Il tramite di tale privilegio per la palla fu Akashi: era suo il compito di far filtrare i passaggi e passarli ai compagni, semplicemente perché ogni azione era incentrata su di lui, il playmaker. E ciascuno poteva notare cosa comportava la buona riuscita del lavoro faticoso di Kuroko.
C'era chi, come Murasakibara, si ritrovava a chiedersi cosa stesse succedendo, anche se finalmente riuscì a vedere un'utilità in Kuroko (rendendogli finalmente palese la presenza di una schiappa come il ragazzo). Altri, come Midorima, rimase stupito dell'enorme differenza tra uno stile strano arrancante e invece uno stile particolare vincente. E invece altri ancora, come Haizaki, si stupivano e basta, incapaci di distogliere lo sguardo da quei passaggi così studiati e contorti.
E sotto lo sguardo soddisfatto di Aomine ed Akashi, sotto le frasi concise e stupefatte di spettatori privi di comprensione e di avversari incapaci di reagire iniziò a girare una voce.
Un giocatore che aveva la capacità di sparire e ricomparire come e quando pareva a lui. Che poteva mettere in crisi qualunque squadra.
Un vero e proprio fantasma.

 

 

“Sapevo non vi sareste lasciati battere così facilmente.”
Nijimura stava parlando a tutti le matricole mentre si stavano finendo di prepararsi per tornare a casa, negli spogliatoi.
“È ovvio che non sarebbe successo. Nessuno desidera perdere.”
Akashi sorrise piano, allacciandosi nel mentre la scarpa destra. Tutti gli sguardi si spostarono su di lui, ascoltando il suo discorso.
“Cento battaglie, cento vittorie. Noi dobbiamo rispecchiarci in ciò, a qualsiasi costo e a qualsiasi sacrificio.”
Tutti rimasero in silenzio, lasciando che quella schiacciante verità rimanesse nell'aria, a pressarli con il suo peso. L'unico che commentò fu Nijimura, sbuffando e facendo
una smorfia contrariata.

“Grazie, ma avrei preferito dirlo io. Sai, ancora resto il capitano, qui.”
Akashi si girò, con già la borsa a tracolla sulla spalla. Fissò il ragazzo negli occhi, inizialmente senza dire una parola. Trascorsero alcuni secondi di assoluto silenzio in cui i due ragazzi si confrontarono silenziosamente, salvo poi poter osservare la sconfitta di Akashi quando il ragazzo distolse lo sguardo per fissare gli armadietti.
“Hai ragione.”
Furono le sue uniche parole prima di uscire, lasciando intendere che aveva intenzionalmente lasciato cadere la cosa perché rispettava Nijimura come persona superiore a lui. L'unico motivo per cui poteva considerare accettabile una perdita era dover lottare contro qualcuno che non considerava come pari ma di un livello diverso dal suo. E questo tutti l'avevano capito, Nijimura in primis. E comprendeva benissimo che il loro equilibrio si basava anche su questo compromesso. Non era un rapporto burrascoso ma allo stesso tempo era proprio quello a rendere il tutto equilibrato. Senza tale presupposto, probabilmente, Akashi non si sarebbe fatto nessun problema a sollevare, in modo cortese, qualche obiezione. Nijimura sospirò, incitando tutti a muovere “i loro belli culetti”.
Solo Kuroko, solo lui, si accorse che nel comportamento di Akashi c'era qualcosa di strano, di stonato. Finì di vestirsi e andò a vedere cosa stesse facendo il ragazzo nell'attesa.
La prima cosa che lo colpì fu che Akashi aveva gettato tutto il peso del suo corpo sul muro, reggendosi ad esso. Era come se fosse troppo stanco o stravolto per riuscire a stare in piedi, trasformandosi in una foglia accartocciata che cercava di ritrovare il proprio equilibrio durante una caduta incerta. Lo raggiunse subito, toccandogli una spalla come segno di aiuto. Ciò che ottene in risposta fu un respiro troncato, come se fosse stato colto in flagrante nel fare qualcosa di scorretto.
“Akashi-kun...?”
Kuroko si ritrovò a fissare gli occhi rossi del ragazzo, quel rosso che tanto gli ricordava un tramonto morente. Erano stanchi e arrossati, né doloranti sofferenti.
Solamente stanchi e anche un pelo assonati.
“Sto bene. Veramente. Non sono abituato a due partite di seguito, tutto qui. Non ancora almeno.”
Si tirò su a fatica, rimettendosi in piedi. C'era ancora la strada di casa da fare e nessuno lo avrebbe portato in spalla, poco ma sicuro.
“Mi stavi cercando per una motivazione specifica, Kuroko?”
Cambiò subito argomento, ritrovando la forza per fissare il ragazzo negli occhi e sostenere il suo sguardo, sforzandosi di ignorare ogni minimo segnale che riguardasse la
sua salute.

“Volevo solo dirti grazie.”
Akashi lo guardò senza controbattere, aspettando il resto del discorso.
“Probabilmente a quest'ora sarei stato retrocesso se tu non mi avessi fatto notare i miei errori. Quindi grazie.”
Fece un piccolo inchino di ringraziamento, quasi si fosse trattato di qualcosa che riguardava la sua stessa vita. Akashi, per tutta risposta, allungò una mano per sfiorare una ciocca di Kuroko, fissandolo negli occhi con uno sguardo indecifrabile. Kuroko socchiuse un poco la bocca sorpreso, senza riuscire a comprendere.
“Fortunatamente ho avuto una seconda possibilità di farlo.”
Kuroko lo guardò in maniera interrogativa, senza assolutamente raccapezzarsi di fronte alla frase del compagno di squadra.
“Cosa intendi...”
“TETSU! ANDIAMO!”
La voce forte e profonda di Aomine congelò ogni loro discorsi, così come il braccio che rapì letteralmente il ragazzo coi capelli azzurri bruciò ogni possibilità di chiarimento. Akashi rimase solo, la mano lasciata a mezz'aria come se stesse aspettando il ritorno di Kuroko. Cosa che non avvenne.
Fortuna che ti è riconoscente, eh.
Chiuse il pugno con forza, evitando di ascoltare, per la prima volta nella sua esistenza, la sua voce ridergli nella testa, divertita come non mai.

 

 

 


Note.

Pfuaaaaaa!
Scusate, ma finalmente questo capitolo è finito. FINITO! Potrei ballare dalla gioia.
Ho provato a variare un poco anche le relazioni fra i personaggi, ovviamente non solo fra Akashi e Kuroko ma anche tra Akashi e Nijimura. Se è OOC come idea non esitate a dirmelo.
Chiedo anche perdono per il ritardo (MOSTRUOSO) ma purtroppo ero a corto di idee e mi dispiace.
Con questo è tutto. Al prossimo capitolo.

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Capitolo 10
*** Capitolo nono ***


La stanchezza lo colpì come un macigno. Distrutto, perso.
Aprì gli occhi infastidito da una luce incessante, che gli faceva pulsare le palpebre.
Era domenica, quella successiva alle partite.
Era quasi mezzogiorno.
Si stiracchiò, prendendosi il tempo per riordinare i pensieri e le sensazioni che percepiva.
Stanchezza, senza alcun dubbio. Due partite in una sola giornata avevano spezzato le sue energie.
Sonno, malefico compagno che non lo lasciava smettere di sbadigliare.
Nausea, che… Nausea?
Spalancò gli occhi, coprendosi la bocca con la mano. Scostò le coperte di lato, lanciandosi nel bagno il più velocemente possibile. Una volta arrivato ci lasciò anche l’anima, nel gabinetto.
Gli occhi rossi lacrimavano dalla fatica, l’aria scappava via lontana. Alzò il viso, guardandosi allo specchio. O forse era meglio di no. Sospirò lavandosi il viso, facendo in modo di tornare presentabile, se non per altri almeno per sé.
Tornò in camera, mettendosi a sedere sul letto. Rimase a fissare il soffitto per qualche istante, perso nel decidere se tornare a dormire o mettersi a preparare un pranzo leggero che il suono del telefono lo distrasse, facendogli allungare il braccio e prendere il cellulare per capire chi lo cercava.


Ciao Akashi-kun,
Mi dispiace disturbarti in questa domenica di riposo. Sono Kuroko. Mi domandavo se ti andava di farti offrire qualcosa per il disturbo arrecato in questi mesi.
Un saluto.

Kuroko

 

Akashi lesse il messaggio più volte, poi lanciò il telefono sul letto, sdraiandosi ad osservare il sole che illuminava la stanza in stile occidentale. Strano, per una casa in cui si respirava solo tradizione trovare un luogo simile, ma non aveva avuto scelta. Era stato il padre a decidere che il figlio avesse bisogno di un letto più comodo di un futon. Fosse stato per lui si sarebbe accontentato del letto basso tipicamente giapponese, ma non c’era stato verso di far cambiare idea al padre.
Si alzò e andò verso l’armadio, aprendo l’anta principale. C’erano i suoi vestiti dentro e lui prese una camicia e un paio di pantaloni, osservando come combinassero assieme. Si fermò poi, aprendo un poco la bocca.
Lui… si stava facendo bello per Kuroko?
Impossibile, disse la voce dentro di lui. Non pensarci neanche, piuttosto vai in divisa.
Eppure, nonostante il tono severo, prese a rovistare nell’armadio.
Sì, stava facendo esattamente quella cosa frivola che si fa quando si esce con qualcuno.
Provare i vestiti.
Se da una parte voleva apparire normale, per quanto possibile, non voleva nemmeno sembrare sciatto. O che Kuroko non meritasse un vestirsi decente. No, si disse, meglio maglietta e pantaloni, così, semplice. Oppure la camicia…? Non sapeva proprio scegliere.
Una smorfia contrita si disegnò sul suo volto mentre la camicia veniva lanciata per terra. Meglio la maglietta, si disse. Sì, ma quale…? Dannazione a suo padre che insistesse avesse così tanti abiti!
Alla fine, esasperato, scelse una maglietta nera, semplice. E un cappellino da baseball.
Si guardò allo specchio, facendo un piccolo, timido sorriso.
Sì, così era perfetto.

 

“Akashi-kun!”
Il ragazzo stava guardando l’ora quando sentì la voce di Kuroko chiamarlo. Si girò verso di lui, muovendo la mano in segno di saluto.
“Scusami, aspetti da tanto?”, chiese Kuroko ed Akashi scosse la testa, sorridendogli.
“Vogliamo andare?”, disse mentre s’incamminavano verso una pasticceria tradizionale, dove Kuroko avrebbe offerto ad Akashi quello che voleva.
Si sedettero fuori: era una splendida giornata di sole e solo qualche nuvola passeggera sporcava il cielo. Kuroko sorrise ad Akashi nel suo modo che il ragazzo dai capelli rossi riteneva impacciato ma per nulla scontato. Un vero sorriso, insomma.
“Prendi pure quello che desideri. Ho appena ricevuto la paghetta!”
“Non preoccuparti, prenderò solo una bibita.”
Kuroko lo guardò negli occhi. Aveva notato che Akashi era leggermente pallido, ma non pensava stesse male. Come avrei potuto immaginarlo?, si disse, Del resto Akashi è così, un mistero.
Akashi sostenne lo sguardo per un poco, poi il rumore dei passi di persone che uscivano dal locale lo distrasse e Kuroko ne approfittò per abbassare il viso e contrarsi sul menù, prima che Akashi si accorgesse che provava disagio nel mantenere il contatto visivo. Il ragazzo era anche così: qualcosa che disturbava la sua quiete e tranquillità. Non sarebbe stato un pomeriggio facile.

 

“Dunque pensi sia solo merito mio per i risultati che hai ottenuto?”
Kuroko smise di degustare il dolce che aveva preso per concentrarsi su Akashi. La domanda l’aveva spiazzato. Appoggiò il cucchiaino sul piattino che accompagnava la pietanza per poi distogliere lo sguardo, non per imbarazzo bensì per riunire le idee.
“Non lo so. Tu cosa dici?”, Kuroko puntò gli occhi su quelli di Akashi, puro tramonto, che aveva preso a tormentare la cannuccia di metallo che accompagnava la sua bibita.
“Molto furbo rigirarmi la domanda. Lascia che ti spieghi, allora”, Akashi chiuse un momento gli occhi, solo per poi lasciarli posarsi sul viso di Kuroko, che sostenne lo sguardo.
“Sarebbe facile risponderti che sei una mia creatura. Sarebbe lusingante per me, ma non veritiero”, abbassò gli occhi, fissando il bicchiere oramai mezzo vuoto. Prese la cannuccia tra l’indice e il pollice, girando la bevanda con fare calmo e composto. Kuroko osservò il gesto elegante e privo di sbavature. Persino in un’azione così semplice Akashi sapeva farsi riconoscere.
“La verità è che ti ho solo dato una spinta. Avrebbe potuto farlo chiunque, alla fine. Hai compreso tu cosa fare e come agire nel migliore dei modi. È stato ciò che ti ha portato al successo. Il tuo impegno, la tua dedizione: sono qualità importanti, non scordartelo mai.”
Kuroko lo guardò stupito, preso in contropiede. Akashi era un ragazzo onesto, lo sapeva, non avrebbe mai mentito su qualcosa del genere.
“Quindi tu pensi che io sia così, Akashi-kun?”, disse Kuroko e Akashi annuì.
“Lo credo davvero”, rispose solo, mostrando un piccolo sorriso e Kuroko non poté fare a meno di arrossire un poco, sperando che non si notasse troppo. Il bocciolo che era quel sorriso… Kuroko non l’avrebbe mai dimenticato, nonostante tutto.
Akashi chiuse gli occhi e tornò serio, finendo di bere. Kuroko non riuscì più a toccare il suo dolce, lo stomaco contratto in un dolore piacevole. Cosa gli stava succedendo…?
“Non mangi?”, la voce di Akashi risuonò nella sua mente e Kuroko trattenne il respiro, come se gli avessero gettato un secchio d’acqua addosso e voleva solo poter rispondere ma aveva la lingua incollata al palato così secca così dura.
“Sì… Scusami, Akashi-kun”, alla fine la voce arrivò alle corde vocali, dando forma a una risposta. Akashi lo guardò senza dire niente, limitandosi a seguire i suoi gesti con gli occhi, soffermandosi sulle labbra sottili, che s’increspavano ogni volta che il cucchiaino le raggiungeva; gli occhi azzurri che seguivano i movimenti delle dita sottili e delicate, che però sapevano lanciare un pallone da basket dall’altra parte del campo; i capelli; i denti; le orecchie; tutto.
Cos’è, ci stiamo innamorando?, Akashi in tutta risposta allungò le mani e strozzò quel collo così minuto così sottile così tuoahahahahahstaiammazzandotestessoAKASHI!”, la voce di Kuroko risuonò alta e preoccupata e Akashi non poté fare a meno di svegliarsi da quella visione che sapeva di incubo. Un dolore sottile accompagnò la realtà e Akashi guardò la sua mano: pezzi di vetro erano sparsi intorno al suo pugno. Aprì a fatica la mano, trovandola tagliata.
“Akashi-kun! Cos’è successo?”, in tutta risposta il ragazzo scosse la mano dolorante, raccogliendo i pezzi creando una piccola montagnetta.
“Nulla. Ho stretto troppo il bicchiere senza volerlo. Non preoccuparti, Kuroko”, fu la risposta di Akashi, che si alzò.
“Scusami, devo andare. Ci vediamo domani, Kuroko”, e prima che Kuroko potesse fermarlo Akashi era già scappato via, sporcando la strada di gocce di sangue.

 

“Davvero ha fatto ciò? Che strano ragazzo.”
Kuroko aveva raccontato tutto alla nonna una volta tornato a casa. La donna l’aveva ascoltato, ridendo al piccolo incidente accorso ad Akashi.
“Non lo trovo molto divertente...”, ribatté Kuroko e la nonna smise. Nella stanza scese il silenzio, rotto solo dal ticchettio dell’orologio sul comodino vicino al letto.
“Tetsuya… Perché ti preoccupi tanto?”
Kuroko tenne lo sguardo basso, incapace di rispondere. Già, perché?
“Non mi dirai che...”
“NO!”, urlò con veemenza Kuroko, sapendo già dove voleva andare a parare la donna. “No! È… un amico, per quello mi preoccupo così.” Amico… una parola di un certo peso. La nonna, però, non poteva sapere quanto pesasse al nipote tale termine.
“Meno male, Tetsuya. Lo sai, vero, che dovrai sposare una brava figliola, possibilmente di una famiglia che pratica il Nō?”
Kuroko si limitò a fissare per terra, annuendo con poco entusiasmo.
“Sì, nonna.”


Fa male, eh?
Akashi, nel frattempo, era tornato a casa e si stava bendando la mano ferita. Sarebbe potuto andare in pronto soccorso ma non voleva suo padre lo sapesse.
Come se a lui gliene importasse qualcosa di te. Sono io che gli interesso, no? Come la mamma…
Zittostaizittotiodiosparisci
A nessuno importa di te!
Akashi si coprì le orecchie con le mani, sentendosi male. Voleva vomitare, voleva…
Akashi!
Akashi.
Kuroko l’aveva chiamato, quel pomeriggio. Senza il kun. Senza onorificenza varia ed eventuale. Solo il suo cognome. Solo quello.
Sospirò, prendendo fiato. Poi andò in bagno, guardandosi allo specchio.
Occhi dorati l’osservavano.
Un pugno li dissolse.

 

 

 

Note

È una follia, lo so.
Riprendere questa long dopo ben sette anni di pausa è una follia. Non so neanche qual era l’idea originale tra un po’! Però voglio provarci, voglio vedere fin dove arrivo.
Questo capito è stato scritto dopo sette anni dall’ultimo pubblicato. Non è il capitolo che doveva seguire teoricamente l’ottavo, ma un nuovo inizio.
Ho eliminato Mishima. Perché? Non mi rappresenta più oramai. Anche la mia scrittura, credo, sia cambiata. Spero solo di non essere andata troppo OOC. Ditemi voi.
Un saluto da Kastel.

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