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La
Filosofia del Banale: perché i Babbani preferiscono
non sapere
MordicusEgg
Con
un saggio introduttivo di Wilhelm Wigworthy
________
Alla
Signora Egg,
la
Moglie Migliore del Mondo,
per non
aver inarcato le sopracciglia
quando
ha saputo dell’impresa letteraria che mi accingevo a compiere,
o per
non averlo fatto in mia presenza
M.E.
________
Introduzione
Non c’è mondo più
magico di quello Babbano.
Me
lo ripeteva di continuo, mio nonno. Era un appassionato d’altri tempi, è ovvio.
Non riusciva a staccar gli occhi da un grammofono, ad evitare d’incantarsi
dinnanzi alla splendida perfezione d’un telegrafo, così discreto ed ingegnoso,
di andare in sollucchero di fronte ai primi modelli di televisore.
Sono
cervellotici ed eccentrici, diceva anche. Di necessità hanno fatto virtù: così,
sprovvisti di bacchetta, hanno trovato il modo di sviluppare una tecnologia che
noi maghi difficilmente comprendiamo e ancora più raramente riusciamo ad
apprezzare.
Mio
nonno non era l’unico, in famiglia, a parlar sempre di Babbani:
mio zio Gerald, infatti, lo seguiva a ruota, ma dissentiva su un punto
fondamentale: non sono cervellotici, ma capricciosi. Si rifiutano, sosteneva con
veemenza, di credere alla nostra esistenza ed è sostanzialmente per invidia,
nonché per una sorta di maligna competizione, che hanno creato tante
diavolerie, che il Gramo se li porti: telefoni, calcolatrici, trebbiatrici,
ventilatori, trattori persino! È più che probabile che mio zio Gerald parlasse
tanto male di loro – e dei loro trattori in special modo – più per risentimento
che per altro: li aveva infatti amati follemente, così si affrettarono a
raccontarmi le sue sorelle, finché un dì, impossessatosi d’un trattore e preso
dalla smania di provarlo, tentò di cavalcarlo. Cadde rovinosamente sul sedere
pochi minuti dopo, e ciò determinò, oltre che un’imbarazzante apparizione con
le brache calate al San Mungo, un imperituro livore verso il mondo Babbano. Sicché ogni volta che ne parlava diventava livido:
una curiosa forma di commemorazione, se vogliamo, dei lividi che tanti anni
prima aveva esibito altrove.
Sebbene
li si apostrofi da più parti come esseri ottusi e poco intelligenti, essi hanno
sempre rivelato una grande fantasia ed una grande propensione alla
sperimentazione. Questa non è la sede per un confronto sulla questione,
semplicemente perché la questione è chiusa: i Babbani
sono meravigliosamente ottusi. Sfrenatamente convinti dell’assenza della
Magia, sordi ai pianti delle Banshee come agli ululati dei Lupi Mannari, ciechi
persino agli incantesimi più vistosi, improvvisamente privi di olfatto anche
quando incappano in ragguardevoli cacche di Porlock,
essi preferiscono ottundere i loro sensi, smussare le loro incertezze, sposare
con convinzione l’idea che tutto sia normale, sempre. Ciò, lungi
dal renderli stupidi, ne ha fatto dei grandi inventori, degli intraprendenti
scienziati e, per gli appassionati, delle piccole, meravigliose fonti di gioia.
È in quest’ottica che questo celebre volume va letto. Perché nessuno ha saputo
dirlo meglio del Professor MordicusEgg.
Geniali,
divertenti, dinamici o stolti che siano, si può esser certi di una cosa
soltanto: iBabbani preferiscono non
sapere.
Wilhelm
Wigworthy
_____________
Weird
Notes:
- La
Filosofia del Banale: perché i Babbani preferiscono non sapere è un libro citato nei libri di Harry
Potter, in Animali Fantastici: dove trovarli e in Pottermore. Fu pubblicato
dalla casa editrice Polvere&Muffa nel 1963.
-
Wilhelm Wigworthy, al quale ho fatto scrivere l'introduzione, è il fortunato
autore di Vita domestica e abitudini sociali dei Babbani Inglesi,
Libercoli Rossi, 1987.
Le mie
intenzioni, immagino, le avete capite: J.K. Rowling, Dio la benedica, ha
pubblicato e reso disponibili per noi Babbani i volumi, finora appannaggio dei
soli Maghi, di Animali Fantastici: dove trovarli, Il Quidditch
attraverso i secoli e Le Fiabe di Beda il Bardo. Così, visto che
sono leggendariamente pigra ed incostante, oltre che deplorevolmente occupata
con lo studio, mi sono detta: perché non scrivere di sana pianta un altro dei
libri presenti nella Biblioteca di Hogwarts e nelle case di molti Maghi e
Streghe (almeno quelli che non provano ripugnanza per i Babbani)? Ed ecco La
Filosofia del Banale: perché i Babbani preferiscono non sapere. Quest'idea,
della quale quasi certamente mi pentirò, anche se ispirata dalla lettura dei
libri di cui sopra, ha inoltre e senza alcun dubbio subito l'influenza della
meravigliosa raccolta di One-Shot, ciascuna dedicata ad un libro magico, Di libri e di altre sciocchezze -
Biblioteca minima per maghi e streghe lettori di dierreviche, tra l'altro, ha destinato uno
dei capitoli proprio a Vita Domestica e abitudini sociali del Babbani
Inglesi. Perciò che fate ancora qui? VOLATE a leggerla!
Quanto a
me, che altro ho da dirvi? Aggiornamenti il lunedì, si spera con regolarità.
Caramelle a chi recensisce e cacche di Doxy (in busta
chiusa) a chi non lo fa.
Bye!
1.Il
matrimonio è una catena così pesante che a portarla devono essere almeno in
tre.
Quando
le mie ossa non avevano ancora adottato lo spregevole vizio di scricchiolare ed
io ero un giovanotto di belle speranze, lavoravo con un entusiasmo del tutto
incompreso dagli altri presso la Sezione Spiriti dell’Ufficio Regolazione e
Controllo delle Creature Magiche1.
L’aria lì era tetra, è vero. Per lo più si passava il tempo a tentar di
convincere i morti di essere morti e i parenti del Caro Estinto che sì,
nonostante fosse tecnicamente passato a miglior vita, la sua miglior vita
l’avrebbe comunque trascorsa accanto a loro e che no, non c’era una via per
spedirlo dall’altra parte in modo permanente, nemmeno con un calcio ben
assestato. Si lavorava poco e si brontolava troppo, specialmente quando un
Fantasma ti passava inavvertitamente attraverso. Soprattutto si discuteva molto
su quell’”inavvertitamente”.
Io
però amavo quel lavoro, un po’ perché ero un tipo stravagante, persino per
quelli dell’Ufficio Regolazione e Controllo delle Creature Magiche, un po’
perché esso mi permetteva di studiare la reazione dei Babbani
a un fenomeno così magico come quello ectoplasmatico. Ebbene, sin da allora ne
approfittavo per coltivare la mia più grande passione: carpire le ragioni che
si nascondono dietro i comportamenti Babbani. È una
materia d’indubbio fascino, ne converrete, nonostante gli altalenanti
atteggiamenti di parte della comunità magica.
Per
un detto che risale ai tempi di Herpo lo Schifido2,
“il Babbano la magia, prima la fiuta, poi la
rifiuta”. Il meccanismo con cui i Babbani si sforzano
di mantenersi ignari della Magia è stato fatto oggetto di discussioni (si legga
a tal proposito l’opuscolo “Magia? Bah! Sciocchezze!” della babbanologaEglantyneThomasinaDirk3)
ed è pari allo sforzo compiuto da maghi e streghe perché ignari siano ed ignari
restino. Ho visto Babbani palesemente affatturati che
andavano in giro lamentando strani raffreddori, improvvisa balbuzie e acne
purulento (in almeno due di questi casi si trattava degli effetti,
rispettivamente, di una Fattura Tartagliante e di un Furnunculus
di livello sopraffino, anche se sgradevole). Un volta mi sono imbattuto in un
aspirapolvere, aggeggio di fattura babbana utilizzato
comunemente per le pulizie, che era stato stregato perché arpionasse il
malcapitato e ci ballasse un valzer forsennato: pure in quel caso, la signora Babbana che lo possedeva, per nulla convinta che lo strano
comportamento fosse di natura magica, si precipitò a scrivere una lettera di
lamentele alla casa produttrice per “l’ignobile malfunzionamento
dell’apparecchio, per quanto non mi capitasse una serata danzante così
incantevole da anni”. Usarono su di lei un Incantesimo della Memoria solo per
rispetto del protocollo e solo dopo le insistenze del Capufficio, un notorio
esempio di pedanteria. Ma torniamo ai Fantasmi.
Com’è
noto, i Babbani non possono vedere i Fantasmi, ma non
sono del tutto ciechi alle loro manifestazioni. La storia è piena di Spiriti
che, peccando d’imprudenza o di malafede, hanno infestato troppo rumorosamente
o troppo furiosamente edifici frequentati da Babbani,
sicché persino loro si sono accorti della presenza di coinquilini invisibili.
Anche in questi casi è scattato però – e per nostra fortuna - il loro
meccanismo di autodifesa: le giustificazioni che si sono di volta in volta dati
sono numerose e tutte abbastanza spassose (“problemi dell’Impianto Elettrico4”,
“sovraccarico di tensione”, “leggera, del tutto naturale e solamente
provvisoria inclinazione del pavimento, che ha fatto scivolare la sedia,
camminare la bambola ed aprire il frigo5”,
“aumento fisiologicamente improbabile ma non impossibile della mobilità del
collo”).
Così,
una volta, m’imbattei per lavoro in una coppia di giovani Babbani
che, a loro insaputa, vivevano fianco a fianco con un Fantasma particolarmente
bizzoso. Si chiamava Fergus Salamander ed era uno che
apprezzava moltissimo la propria condizione attuale, nonostante la sorte tragica
che gli era toccata: era infatti morto suicida dopo aver erroneamente scambiato
un inerte groviglio di polvere e pelucchi per il suo
affezionato Puffskein ed averlo di conseguenza dato
per defunto. “Il suo grigiore mi atterrì enormemente”, mi spiegò con lugubre
compiacimento. La verità era che il Signor Salamander
non vedeva l’ora di trovare una ragione per tirare le cuoia: era nato per
morire, non c’era dubbio. Gli riusciva così bene: trascinava delle pesanti
catene, scivolava con la leggerezza di un soffio, rantolava a giorni alterni ed
esibiva sempre il cipiglio più grave che avessi mai visto. Parlava di sé con
una sorta di sgomenta soddisfazione: “Ho solo abbandonato l’imbarazzante
abitudine di vivere”. Seguiva un sospiro che emulava con una precisione tutta
studiata l’ultimo respiro esalato.
I
Brown, invece, erano una coppia di giovinastri Babbani che, com’ebbi modo di capire, si erano uniti in
matrimonio per puro caso. O per il rinfresco, chissà. Quello che era chiaro era
che si odiavano: litigavano furiosamente e ciò principalmente perché il loro
rapporto si basava su una serie di cortesi bugie. L’unica cosa che li aveva
tenuti insieme, distraendoli dalle beghe familiari, era stato l’interesse per
quegli inspiegabili rumori e i sospetti segnali provenienti dall’appartamento
di fronte. Spaventato all’idea che potessero subodorare la verità, chiesi loro
che cosa ne pensassero: credevano si trattasse di un fuggiasco, un ricercato,
un romantico fuorilegge. “Tutt’al più, un alieno” soggiunsero eccitati. Li squadrai.
Valutai l’opportunità di sfoderare la bacchetta e cancellare ogni traccia del
fu Fergus Salamander dalle loro menti. Poi decisi che
non ce n’era bisogno: il meccanismo Babbano di
autodifesa aveva funzionato ancora. Sono tuttora convinto che, se anche loro
avessero potuto vederlo, ingobbito e teatralmente malinconico, lo avrebbero
semplicemente bollato come “il vicino pallidino dell’appartamento di fronte”.
Imparai
allora che il matrimonio è una catena così pesante che a portarla devono essere
almeno in tre.
1.Le sezioni dell’Ufficio,
com’è noto, sono tre: Sezione Spiriti, Sezione Animali e Sezione Esseri. La
suddivisione nell’una o nell’altra di tutti i non-Maghi ha storicamente fatto
emergere diversi problemi: gli Spiriti si rifiutavano di rientrare fra gli
Esseri, nonostante la loro intelligenza umana, mentre non mancavano gli
estremisti che richiedevano che i Babbani
rientrassero fra gli Animali. Tutti sanno come andò a finire con i Centauri e i
Goblin. Sta di fatto che la Sezione Spiriti più delle altre risentì d’una
ingiusta nomea e coloro che vi lavoravano venivano sbeffeggiati e accusati di
non avere alcuna importanza all’interno della gerarchia degli Uffici.
“Trasparenti come gli Spiriti” fu un’offesa in voga per molto tempo. Per parte
mia, posso dire di non essermi mai sentito trasparente, eccetto che agli
occhi di Kenny Strogoff dell’Ufficio Applicazione
della Legge sulla Magia. Ma lui era un caso a parte: portava lenti spessissime
e continuava a urtare contro le pareti.
2.Greco e Rettilofono,
il primo ad aver dato vita ad un Basilisco. Un tipo poco raccomandabile,
nonostante gli eccentrici mustacchi a punta.
3.Nota Babbanologa
del secolo scorso. Godeva di grande stima nell’ambiente accademico, finché non
venne fuori la sua macabra abitudine di conservare unghie, capelli e vari
pezzetti di Babbani nella credenza di casa, con la
speranza di attirarne altri sotto il suo tetto e poterli studiare da vicino.
4.Misterioso e affascinante
arnese, composto di fili, che rende possibile l’elettricità. Non siamo ancora
riusciti a comprenderne il funzionamento, ma se è per questo nemmeno molti Babbani lo hanno fatto.
5.Abbreviazione di
“frigorifero”. Simpatico strumento che serve a mantenere al fresco il cibo e ad
essere decorato con mille, inutili pezzetti metallici appiccicosi.
________
È
Lunedì, mi dicono. Tendo a disconoscere l’esistenza dei Lunedì normalmente.
Comunque tendo anche a credere alle mie fonti, perciò è Lunedì. E avevo detto –
anzi, molto più compromettente, avevo SCRITTO – che avrei pubblicato. Spero di
non aver fatto un pasticcio, con questo capitolo. In ogni caso, ecco un po’ di
note:
- Herpo
lo Schifido è davvero l’inventore del Basilisco.
Immagino sappiate la storia: uovo di gallina covato da un rospo. La Dirk invece me la sono inventata, come il Fantasma, il
Kenny Strogoff delle note e come il detto sul Babbano e la Magia.
- Il Puffskein
è citato ne Gli Animali Fantastici. È una graziosa palla di pelo,
normalmente color crema e non grigio, ma possiamo supporre che Salamander non fosse molto incline alle pulizie quand’era
in vita. In ogni caso, ha smesso di preoccuparsene, una volta dall’altra parte.
- Quanto al Kenny Strogoff di prima, quello praticamente cieco, non so se
avete colto il riferimento. Michele Strogoff è il
protagonista dell’omonimo romanzo di Jules Verne, il quale (Michele, non Jules) pensa bene di
fingersi (e finge con straordinario talento) cieco, per la gioia della sua
fidanzata che, ignara, se lo trascina per mezza Russia fra intemperie, disastri
naturali che nemmeno in 2012 e un’invasione tartara, che, non so se
sapete, non è esattamente innocua come la salsa tartara.
- Io sono fra i Babbani che non hanno mai compreso cosa esattamente sia un
Impianto Elettrico.
- Dimenticavo: la frase che
dà il titolo al capitolo è attribuita dal mio amico Google a Alexandre Dumas
(Padre). Io gli credo.
- Tutte le vicende sulle
Sezioni Animali, Spiriti ed Esseri possono essere approfondite ne GliAnimali
Fantastici.
Fine!
Segnalatemi qualsiasi cosa vi faccia storcere il naso, compreso il caso in cui
sia l’intero capitolo a provocare questo sgradevole effetto collaterale.
Ho
mandato tutte le caramelle a chi se le meritava ed anche tutte le cacche di Doxy. Queste ultime però dovrebbero avere un notevole effetto
ricostituente, perciò non vogliatemene.
2.È una grande abilità saper nascondere la
propria abilità.
Ad
un certo punto della mia vita, con sommo stupore della Moglie Migliore del
Mondo, ottenni la cattedra di Babbanologia alla
scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts. In quanto
Professore, mi capitò di essere spedito dal Preside sulle tracce di bambini
nati Babbani che avevano dato chiari segni di
possedere la Magia. Di solito questa circostanza impensieriva i genitori Babbani, spessissimo li confondeva, talvolta li
terrorizzava, quasi mai li inorgogliva. Era molto difficile per loro
comprendere di avere un figlio che, all’età di tre anni e senza alcun
preavviso, aveva richiamato a sé i giocattoli senza muovere un muscolo, o una
figlia che si divertiva ad intrecciarsi i capelli, quindi intrecciare la coda
del gatto, quindi intrecciare qualsiasi cosa fosse intrecciabile, compresi i
tubi del bagno. Così, nei casi più delicati, mi si riconosceva una competenza
tale da poter trattare con i genitori senza che questi, in uno scatto d’isteria
non troppo dissimile da quello che coglie i Maghi e le Streghe ai primi,
disastrosi esempi di Smaterializzazione, tentassero di prendermi a randellate,
cosa che in un’occasione o due sono arrivati a fare. Un tale riconoscimento delle
mie qualità chiaramente mi lusingava, ma non nascondo che talvolta il pensiero
che qualcuno a scuola volesse liberarsi di me ha sfiorato la mia mente1.
Venni
così in contatto con una sfilza di Babbani dai
comportamenti decisamente interessanti, almeno per uno studioso: una signora
che andai a visitare era ancora convalescente dalla notizia che la figlia
sarebbe entrata ad Hogwarts ed iniziava a tremare
ogni volta che qualcuno pronunciava le parole Mago, Magia o Magenta (quest’ultima sostanzialmente per
un falso allarme); un uomo sulla quarantina invece aveva la scortese abitudine
di torcere il collo a chiunque si proclamasse Mago o Strega, motivo per cui i
suoi figli gemelli preferirono adottare i nomi in codice dalla discutibile
efficacia Goma
e Gresta; e poi c’era il povero Babbano che esibiva il viso paonazzo di chi annaspa sotto
un peso tremendo: nel suo caso, la consapevolezza che il figlio poteva
trasfigurarlo in un coniglio alla prima sgridata. Capite come, in ognuna di
queste incursioni, mi si richiedesse un intervento preciso, diciamo con un
margine d’errore di un pelo di Kneazle.
Ricordo
vividamente una di queste visite. Armato di buona volontà e di una copia di “Babbani &
Baccani: come frequentare i primi ed evitare i secondi”, mi recai in Devon, presso l’abitazione di Maggie Burke, Babbana e madre di Alphonse, un vispo undicenne che aveva
da poco ricevuto la propria lettera da Hogwarts.
Curiosamente, la Signora Burke non solo non sembrava aver mai notato le
stranezze del figlio fino all’arrivo della lettera, ma, adesso che aveva
appreso della sua natura, non se ne mostrava affatto preoccupata. Rimasi
allibito: era, questa, una novità per me. In effetti la Signora Burke era colta
da crucci di tutt’altra natura: ci sarà
freddo ad Hogwarts? Rischia di raffreddarsi? Quanti
maglioni devo dargli? E se cadesse? E se litigasse con qualcuno? E se si
ammalasse? E se esplodesse? Nella sua mente – e non solo nella sua mente:
anche nel suo salottino, mentre io, sprofondato nella sua poltrona a fiori,
sorseggiavo del delizioso tè alla cannella – si agitavano vorticosamente le
domande che ogni madre apprensiva, Babbana o meno, si
pone di fronte all’incombente separazione dal figlio.
Pesano troppo le bacchette?
Affatto. E se gli finissero in un
occhio?Ci vorrebbe notevole impegno
per fargliele entrar tutte. Nessuna rassicurazione da parte mia sortiva il
benché minimo effetto su di lei: dopo venti minuti d’implacabile pulsione
inquisitoria, Maggie Burke era ancora lì, trepidante, a riempirmi la tazza di
tè ogni volta che reputava ce ne fosse troppo poco, e a chiedermi in modo
tutt’altro che metaforico se suo figlio avesse potuto perdere la testa o un
qualsiasi arto mentre era a lezione. Mentre mi affannavo a risponderle che ogni
pratica del genere era ormai caduta in disuso2e
che Alphonse, verosimilmente, non sarebbe stato decollato, spostai l’attenzione
su un manufatto Babbano che stava in un angolo:
“Posso chiedere di che si tratta?”, le chiesi con vivo interesse.
“Una
racchetta elettrica per le mosche”, mi rispose fiaccamente.
“Oh,
interessante” dissi con giubilo. “Ho sempre trovato terribilmente affascinante
l’elettricità. Sa,” aggiunsi a mo’ di chiarimento, “noi non abbiamo nulla del
genere.”
“No-non
avete elettricità?” chiese lei, visibilmente scossa. Fu come aver dato il pepe
alla Salamandra. Ricominciò a rigurgitare le sue angosce, ora corroborate dalla
certezza che suo figlio non avrebbe avuto come sopravvivere in un cupo castello
senza energia elettrica.
A
questo punto, dovetti riparare nel territorio amico delle frasi di circostanza.
Dopo aver azzardato una citazione di Beda il Bardo,
mi ritirai in buon ordine e da quel momento in poi il mio contributo alla
conversazione si limitò a una serie di «ah sì», « ma no, per Merlino» e «oh ma
cosa mi dice». Quindi chiesi di poter conferire col piccolo Alphonse. Permesso
che mi fu accordato di malavoglia.
Alphonse
si trovava in una disposizione di spirito diametralmente opposta a quella della
madre. Durante tutta la nostra passeggiata in giardino, non fece che saltellare,
raccontandomi tutto quanto c’era da sapere sulle sue tonsille e sulla
trepidazione con cui aspettava di entrare ad Hogwarts.
Quindi puntualizzai: “È ben strano che non si sia verificato alcun segno di
Magia, prima dell’arrivo della lettera. Di solito i bambini li manifestano ben
prima degli undici anni.”
“Oh,
ma a me son capitate tutte prima, quelle cose.”
Inarcai
le sopracciglia.
“Sì,
c’è stata la volta in cui ho fatto sparire i croccantini di Stu.
Poi quella in cui l’ho fatto volare per qualche minuto. E poi quella in cui…” E
andò avanti ad elencare fieramente le prodezze di cui era stato capace, la
maggior parte delle quali compiute ai danni del povero carlino di casa.
“E
poi ancora -”
“E
come mai non hai fatto cenno delle tue gesta a tua madre?”
Lui
mi rifilò uno sguardo compunto, come se fosse desolato di scoprirmi tanto
stupido da non comprendere le sue palesi ragioni.
“Per
non far preoccupare la mamma”. Stu si affacciò dalla
porta di casa, scodinzolando. Alphonse, intercettatolo, partì di corsa e la
nostra passeggiata finì lì. Non mi dispiacque: avevo saputo quanto mi serviva
sapere, inoltre temevo che la madre, impensierita dall’assenza del bambino,
uscisse da un momento all’altro per setacciare il giardino in cerca dei suoi
resti.
Quando
rientrai per salutare la Signora Burke, che tra l’altro mi aveva fatto dono di
un bellissimo affettaverdure che prevedevo mi sarebbe stato invidiatissimo dai
colleghi3,
lei asserì con convinzione: “Non può partire per Hogwarts”.
Aveva un tono sicuro, a tratti incrinato da una sottile scheggia d’isteria,
della quale peraltro sembrava più che consapevole.
“Perché
no?” chiesi, senza scompormi.
“Perché…
ha avuto il raffreddore”.
Sbattei
le palpebre un paio di volte, in risposta.
“Un
paio di settimane fa” aggiunse. E sorrise, desistendo una volta per tutte
dall’intento di trattenere il figlio in casa.
Sorrisi
anch’io. Quindi le posi la fatidica domanda: “Davvero non si era accorta che
Alphonse aveva abilità che vanno oltre le possibilità Babbane?”
Il
suo sorriso divenne ironico: “Ma certo che mi ero accorta che in lui c’era
qualcosa di speciale. Sapevo anche che me lo teneva nascosto per evitare che
perdessi la testa.” Qui parlò in senso metaforico, certamente. “Altrimenti come
crede che sarei potuta essere così preparata?!”
Le
reazioni dei Babbani alla Magia possono essere varie
e tutte degne d’interesse. Quella volta scoprii che non sempre preferiscono non
sapere. A volte preferiscono fingere di
non sapere. E nascondersi a vicenda i propri talenti. E fingere di non sapere
perché gli vengono nascosti.
Dice
sempre la Moglie Migliore del Mondo, dimostrando grande perspicacia, che è una
grande abilità saper nascondere la propria abilità.
1.Tuttavia potrebbe trattarsi
di suggestione: in quel periodo leggevo moltissimi romanzi gialli, come “Berretto
Rosso Sangue”, “Fate assatanate” e “Quella volta che un anatema squarciò le
tenebre”.
2.Nonostante le lamentele di un
muffito gargoyle che un tempo stazionava al quarto
piano, di fronte alle scale, e che, sputacchiando abbondantemente, usava
rivendicare per sé il titolo di “autorevole pedagogo”. Fu accidentalmente
infranto da un vecchio Custode intento a spolverarlo. Nessuno se la sentì di
sollevare dubbi su quell’”accidentalmente”.
3.Previsione curiosamente
smentita dalla realtà. Non tutti hanno buon gusto.
---- Eccomi qui.
Sì, oops, sono passati due Lunedì.
Prima di eclissarmi, mi ritaglio uno
spazietto per ringraziare tutti i recensori, seguaci e preferitori.
Non ringrazio i ricordatori, perché non ce ne sono. E vi dico che il prossimo
aggiornamento dovrebbe arrivare Lunedì prossimo, ma non lo garantisco per via
della sessione d’esami.
Cattiva, sessione d’esami. Brutta e cattiva.
Userei epiteti più coloriti, ma non vorrei si vendicasse.
A presto!
WS
Ma che dico,
aspetta. La frase che dà il titolo al capitolo è tratta dalle Riflessioni morali di quel simpaticone
di LaRochefoucauld.
I Berretti
Rossi, diffusi nel Nord Europa, sono simili a nani e hanno la sgradevole
abitudine di abitare campi di battaglia o un luogo in cui sia stato versato
sangue umano. Sono particolarmente pericolosi per i Babbani
che vagano solitari nelle notti buie. Tutto questo chiaramente è spiegato ne Gli Animali fantastici, non me lo sono
mica inventato. Quello che ho inventato è il testo Babbani & Baccani: come frequentare i primi ed evitare i secondi, nel
caso vi venisse in mente di cercarne menzione nei libri di HP.