I pezzi del tuo cuore

di Mitsuki91
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***
Capitolo 4: *** IV ***
Capitolo 5: *** V ***
Capitolo 6: *** VI ***



Capitolo 1
*** I ***


Ha partecipato al “Contestdel banale” indetto da Medusa Noir sul forum di EFP

NOME (su EFP e su forum, specificando quale si preferisce per il banner): Mitsuki91
TITOLO: I pezzi del tuo cuore (<- titolo bellamente sparato a caso)
TRACCIA SCELTA (basta il numero): 1 (avevo chiesto: è un OC che si interessa a Severus Piton professore)
ELEMENTI BONUS: ballo, non si parla di Corvonero e Tassorosso, Oc contesa tra diversi pretendenti/triangolo amoroso (questo ultimo non sono riuscita a svilupparlo come volevo, nel senso che ho tagliato tutta una parte – cioè l’altro pg che si contende la tizia che però ama Sev – quindi se non me lo vuoi considerare fai pure… Nel senso: c’è un “terzo” nel rapporto, ma a lei comunque non interessa da quel punto di vista…)
RATING: giallo (giusto perché spero che ci siano sentimenti un po’ profondi, ma potrebbe essere anche verde)
GENERE: introspettivo, sentimentale
LUNGHEZZA STORIA: long. Non ho ancora suddiviso in capitoli… Non conta, vero?
NOTE: è una What if alla fine. Per il resto segue il canon.
AVVERTIMENTI: /
INTRODUZIONE: “La prima impressione che Sara Moon ebbe dell’uomo fu di severità. Il suo nome ricalcava bene il suo essere, ma, a differenza di tutti gli altri suoi compagni di casa, Sara non lo odiava a prescindere, né ne era spaventata.”
NdA: Dato che le Mary Sue sono ben accette, non mi sono posta molti problemi nel fare abbondante self-inserction: già si nota dalla scelta del nome u.u (in realtà non sapevo come chiamarla e ho fatto la pigra .-.)
Ora parliamo un po’ della storia. Scriverla è stata un PARTO =..= è LUNGHISSIMA e non voleva essere scritta… Siccome ho notato dopo il limite delle pagine, ho tagliato. Tagliato, tagliato e ancora tagliato… Passando molte cose sotto silenzio e sperando che siano passate lo stesso, ecco. Le cose che più rimpiango di aver tagliato sono l’altro “lato” del triangolo (Sara doveva essere contesa anche da Draco, che avrebbe anche fatto da Serpeverde… Perché solo Sev è il Serpeverde qui presente, in pratica .-.) ma, soprattutto, la fine. È rimasta tutta molto vaga, come cosa; con la loro storia che praticamente non è ancora iniziata (anche se inizierà a breve, nel senso: il finale non è aperto). Mancano un sacco di cose, ma non potevo davvero fare di più… Ho scritto ben 28 pagine quando il limite era 20 =..= cioè, se vorrai escludermi a priori, non mi arrabbierò; anzi, ti capirò. Comunque spero – ed è questa la mia più grave paura – di aver fatto comprendere l’”affezionamento” di Severus a Sara durante tutto il corso della storia… Nel senso… Lui nega fino alla morte (quasi-morte XD) quello che prova, perché è ancora troppo attaccato a Lily, e solo alla fine riesce a capire che può accettare i suoi sentimenti e ciò che prova. Ma comunque ha iniziato a voler bene a Sara già da molto tempo prima, anche non in senso prettamente romantico (soprattutto all’inizio), ma le voleva bene. Ecco.
Altra cosa: non son sicura di essere riuscita a gestire bene una storia “banale”. Insomma, da una parte non sono ricaduta nel “cliché” di “al terzo capitolo finiscono a letto insieme”; ma dall’altro molti passaggi mi sembrano comunque troppo forzati. Forse perché non sono riuscita a scrivere tutto quello che volevo, ecco. Le due cose che ho detto prima sono quelle più “grandi”, ma ho bypassato anche tanti dettagli e, si sa, sono quelli a fare la differenza. Io spero di aver fatto tutto a dovere, comunque, e di averti dato una storia come volevi.
Ripeto: se per un motivo o per un altro non posso partecipare… Pace. Quantomeno ho scritto questa storia, che avevo in mente da un po’.
PS= il punto di vista è prevalentemente di Sara. Ci saranno però delle scene dove emergeranno anche i pensieri di Sev… Questo perché l’uomo lo conosciamo e l’ho dato un po’ più “per scontato”, ma certe cose dovevo per forza dirle.


I pezzi del tuo cuore


La prima impressione che Sara Moon ebbe dell’uomo fu di severità. Il suo nome ricalcava bene il suo essere, ma, a differenza di tutti gli altri suoi compagni di casa, Sara non lo odiava a prescindere, né ne era spaventata.
Dacché aveva memoria, Sara era sempre rimasta affascinata dalla magia. Era una Mezzosangue, nata da padre Purosangue e da madre Babbana, e il riuscire a vivere in entrambi i mondi l’aveva portata a considerare la magia come un qualcosa di meraviglioso – proprio come accadeva ai Nati Babbani – e non di scontato; un privilegio a cui lei aveva avuto accesso e che intendeva coltivare con perizia. Severus Piton sembrava un uomo molto competente nella sua materia, a differenza, ad esempio, di quell’inetto di Allock, che considerava le ore di lezione un modo per vantarsi.
Fu per questo che, più che arrabbiata, si ritrovò delusa dalla semplice “A” scarabocchiata in alto sul suo compito. Lei ci aveva messo impegno; proprio non capiva cosa avesse sbagliato.
Così, dopo che la giornata scolastica si fu conclusa, Sara marciò spedita verso l’ufficio del professore. Si aggiustò il cravattino rosso e oro, nervosa, e, finalmente, si decise a bussare.
“Avanti.”
Entrò nell’ufficio, che era un luogo abbastanza tetro, con tutti quei barattoli pieni di ingredienti per pozioni.
“Signorina Moon?” chiese il professore, alzando un sopracciglio.
Sara immaginava che non molti Grifondoro gli facessero visita per chiedergli spiegazioni. Probabilmente neppure studenti di altre Case lo facevano.
“Buonasera, professor Piton. Sono venuta per chiedergli spiegazioni in merito al voto del compito… Quello che ha riconsegnato oggi in classe.”
La bambina si era avvicinata, posando sulla cattedra il foglio e attendendo una risposta.
“Ha preso la sufficienza, mi pare.”
“Sì, però non capisco dove ho sbagliato. Se è così gentile da spiegarmelo, aggiorno i miei appunti…”
Il professore le lanciò un’occhiata penetrante, che la fece sentire in imbarazzo. Poi, dopo quelle che parvero ore, l’uomo fece apparire una sedia e la invitò ad accomodarsi.
“Gli occhi di scarafaggio non sono indicati per la preparazione di pozioni cambia colore, innanzitutto.”
“Il libro che avevo preso in biblioteca per documentarmi diceva così.”
“Sta forse mettendo in dubbio la mia parola?”
La traccia di ironia nella voce era palese.
“No, certo che no. Mi chiedo solo perché in biblioteca ci sia un libro sbagliato.”
Sara, invece, aveva parlato con calma, senza prendere in giro il professore. Probabilmente quello sarebbe stato l’intento di ogni suo compagno di Casa, ma lei, invece, era seria come non mai. Aveva davvero a cuore quel tema e voleva capire come avesse fatto a sbagliare così.
“Che libro era?” chiese il professore, dopo averla osservata attentamente. Probabilmente cercava tracce di sarcasmo, o di una rispostaccia, che tuttavia non era riuscito a cogliere. Un po’ più rincuorata – non aveva tolto punti a Grifondoro, quindi l’aveva presa seriamente – Sara rispose.
Gli scarafaggi: dalla loro natura al loro utilizzo nelle pozioni moderne.” recitò.
“E ovviamente non ha guardato la data di pubblicazione, vero, signorina Moon?”
Lei si sentì avvampare per l’imbarazzo.
“No, in effetti no.”
“Non si doveva far ingannare da quel “moderne”: il libro risale a più di vent’anni fa. Nel frattempo sono state fatte interessanti scoperte che lo smentiscono.”
Sara abbassò lo sguardo, intrecciando le mani in grembo.
“Ho capito. Starò più attenta.”
Passò qualche secondo, prima che la bambina ebbe il coraggio di alzare di nuovo lo sguardo.
“Poi? Che altri errori ci sono?”
Fu quasi sicura di vedere un lampo di sorpresa passare sul volto del professor Piton.

***

Era diventata ormai un’abitudine.
Tutti i pomeriggi, dopo le lezioni, Sara si recava nell’ufficio del professor Piton per fare i compiti.
Era iniziata con una richiesta di chiarimenti; poi, al compito successivo, la bambina aveva pensato bene di prendere tutti i libri sull’argomento in biblioteca e di portarli dal professore.
Lui l’aveva guardata metà stupito e metà scocciato, ma lei aveva appoggiato tutto sulla parte sgombra della scrivania e aveva detto: “Non la disturberò, davvero, professore. Voglio solo essere sicura delle mie fonti, per non fare più errori imbarazzanti.”
Il professor Piton non aveva detto nulla e si era limitato ad ignorarla, andando avanti nel correggere i compiti del terzo anno. Ogni tanto Sara, timorosa, lo interrompeva per chiedergli chiarimenti in merito a qualche spiegazione controversa o quando due testi si contraddicevano fra loro. Severus Piton rispondeva, senza particolari inflessioni nella voce, e poi ritornava ai suoi compiti.
Non sembrava irritato dalla sua presenza, e questo rincuorò molto la bambina, che sotto sotto aveva sempre avuto paura che il professore la cacciasse via in malo modo.

***

Fare i compiti e studiare in Sala Comune era sempre una pessima idea. Tutta la sua Casa si riteneva in dovere di dare di matto – ad esclusione di Percy Weasley, che tentava inutilmente di riportare l’ordine – così fra chi si esercitava in incantesimi, chi leggeva ad alta voce, chi giocava a Mazzobum e chi, come Colin Canon, continuava a cercare di parlare con lei, Sara non ne poteva davvero più.
Aveva provato ad andare a studiare in biblioteca, che tutto sommato era una buona soluzione, ma ovviamente non ci si poteva esercitare con gli incantesimi. Aveva cercato quindi qualche aula vuota, ma era nervosa e aveva paura che entrasse qualcuno… O che non entrasse affatto. Studiare da sola non le riusciva, le metteva ansia. Però Ginny sembrava persa nel suo mondo; Annie si tappava sempre le orecchie e rileggeva ad alta voce le cose da studiare almeno cinque volte di fila; Colin chiacchierava e non la smetteva più; David e John non studiavano affatto e si mettevano a ridere e a scherzare e creavano solo confusione.
In sostanza, l’unica soluzione che avesse trovato era quella di andare tutti i pomeriggi nello studio del professor Piton. Se all’inizio i barattoli pieni di ingredienti strani l’aveva inquietata, ora stare in quel luogo la faceva sentire calma. L’uomo non si interessava a lei – a meno che lei non gli domandasse qualcosa – ma era comunque una compagnia. Sara aveva associato a quel posto la calma e si sentiva più concentrata, così aveva preso l’abitudine di studiare lì.
Se all’inizio Severu Piton era rimasto stupito da questo comportamento, con il tempo fra loro si era consolidata una sorta di routine. Sara entrava nello studio portando i libri, si sedeva, faceva i compiti. L’uomo finiva di correggere temi o preparava le lezioni. Si ignoravano a vicenda ma, al contempo, si facevano compagnia. Con il tempo Severus iniziò a dare consigli alla bambina, anche non inerenti alla sua materia e anche se lei non li chiedeva.
“Fai un movimento troppo brusco con la bacchetta.” Disse un giorno, guardandola appena mentre si esercitava con il Wingardium Leviosa “Devi ruotare il polso in maniera più morbida.”
Lei si era bloccata, stupita, nel bel mezzo dell’esercizio. Aveva borbottato sottovoce provando e riprovando l’incantesimo per cercare di non dare fastidio all’insegnante. Tossì, poi, con un cenno del capo verso il professore, tornò ad osservare la sua piuma.
“Wingardium Leviosa!”
La piuma si alzò in volo dolcemente. Sara si girò verso il professore e sorrise. L’uomo borbottò qualcosa, compiaciuto, poi si rimise a lavorare sui compiti.
La bambina, invece, aveva poggiato la testa sulle mani e si era messa ad osservarlo. Dopo un po’ di tempo, lui alzò lo sguardo ed esclamò: “Che c’è?”
Sara continuava a sorridere.
“Lei è proprio una persona gentile, lo sa, professor Piton?”
L’uomo alzò un sopracciglio, sconcertato. In tutti quegli anni d’insegnamento gli avevano detto di tutto, ma mai si sarebbe aspettato che un suo alunno lo definisse gentile. Soprattutto non un alunno Grifondoro.
“Gentile, io? È sicura di star bene, signorina Moon? Credevo che gli studenti avessero un’altra opinione di me…” disse, in modo ironico.
“Ma certo. Una volta ho letto un libro dove c’era una persona proprio come lei: fredda e scostante all’apparenza, ma sotto sotto dotato del cuore più grande di tutti. Alla fine era lui a salvare i due protagonisti.”
Il professore le lanciò un’occhiataccia, tanto che Sara temette di essersi spinta troppo oltre. Arrossì e abbassò lo sguardo, tornando a leggere il libo di incantesimi.
L’uomo non rispose, ma lei rimase convinta che quelle parole fossero l’assoluta verità.


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Capitolo 2
*** II ***


Era finito il suo primo anno ad Hogwarts e adesso si stava preparando per affrontare il secondo. La notizia che Ginny Weasley era stata manipolata dall’erede di Serpeverde l’aveva lasciata molto male: se ci ripensava ancora adesso, si sentiva in colpa a non aver capito tutto prima. Poi l’anno scolastico era stato costellato da persone che venivano pietrificate… Nonostante tutto, però, Hogwarts le piaceva. Era un posto fantastico dove studiare e il mistero era stato comunque risolto l’anno prima: non c’era nessun motivo per non tornare.
E poi c’era lui.
Severus Piton.
Il professore la rilassava. Mentre era a casa, durante le vacanze estive, aveva faticato a concentrarsi sui compiti. Ormai studiare con la presenza dell’uomo era diventata un’abitudine: chiusa nella sua cameretta, si sentiva troppo sola per riuscire a concentrarsi. C’era troppo silenzio.
Durante le vacanze aveva scritto a Ginny per chiederle come stava e da quel momento avevano iniziato una fitta corrispondenza. Erano diventate amiche, così come era diventata amica di Colin, che continuava a mandarle gufi pieni di lettere e foto delle sue vacanze. Ogni volta che le guardava non poteva fare a meno di sorridere: Colin era sì un gran chiacchierone, ma aveva anche un cuore d’oro.
Tornare il primo settembre era stato bellissimo ed emozionante come l’anno precedente.
Dopo la prima giornata passata in Sala Comune a chiacchierare con i suoi compagni, Sara aveva ripreso a scendere nei sotterranei per studiare assieme al professore di pozioni.
L’uomo aveva accolto con un sopracciglio inarcato la sua prima visita.
“Buongiorno, professor Piton!” aveva esclamato lei, sorridendo.
Lui aveva scosso leggermente la testa e aveva ripreso a leggere il libro che aveva in mano.
“Ha passato una buona estate?” insistette lei, posizionando i testi scolatici sull’ampia scrivania dell’uomo.
“Signorina Moon, devo toglierle subito dei punti per l’invadenza? Quello che faccio d’estate sono affari miei.”
Sara non se l’era presa per niente per quella risposta fredda; anzi, aveva sorriso ancora di più constatando che Severus Piton non era cambiato di una virgola.
Stare in sua compagnia era rilassante come sempre.

***

Un giorno il professor Silente in persona aveva bussato e, senza attendere risposta, era entrato nell’ufficio.
“Oh, ma che sorpresa! Signorina Moon, non credevo di trovarla qui!”
Il luccichio divertito nei suoi occhi fece intendere a Sara che, invece, il vecchio la sapesse lunga. Lei, per nulla turbata dall’interruzione, sorrise e salutò il preside, mentre il professor Piton alzava gli occhi al cielo.
“Buongiorno a lei, professor Silente! In realtà io vengo qui ogni giorno dopo le lezioni dall’anno scorso… È un posto che riesce a concentrarmi, studio molto bene.”
“In effetti” disse il preside, facendo apparire una comoda poltrona e sedendosi accanto alla studentessa “I professori mi dicono che la sua media è impeccabile. Severus, non mi offri del tè?”
“Certo, Albus.” rispose l’uomo.
Sara notò che le sue labbra erano leggermente contratte, segno che era scocciato. Represse una risatina e si sforzò di rispondere al professor Silente.
“Sì, è vero.”
Quando il professor Piton tornò con due tazze di tè fumante, Silente scosse piano la testa.
“Oh, Severus, ma l’ospitalità dov’è andata a finire? La signorina Moon gradirà di certo farci compagnia.”
Sara stava per rispondere che no, non voleva in alcun modo dare disturbo, anzi; ma Piton aveva già appoggiato le tazze e ne aveva fatta comparire un’altra davanti a lei, appellando il bollitore.
La tazza era bianca con dei decori a forma di Cioccocalderoni, cosa che fece sorridere la ragazzina.
Quando l’uomo le versò il tè Sara vide che era fortemente indispettito, così cercò di non intromettersi nella conversazione fra i due adulti e di finire di bere il prima possibile.
Silente e Piton parlarono del più e del meno – o, meglio, Silente parlò, cercando di cavare a Piton una qualche risposta, che arrivava sempre a monosillabi – mentre Sara ascoltava con un orecchio e con gli occhi cercava di leggere e capire cosa il suo libro di Erbologia dicesse sulle Mandragole.
“Oh, ma stiamo disturbando la signorina Moon, è così concentrata!” esclamò infine il preside.
“Ma no, professore…” cercò di dire lei, ma Silente non glielo permise.
“Non ti preoccupare, ora me ne vado e vi lascio alle vostre attività. Severus, dovresti offrire più spesso il tè a questa ragazzina, che è così gentile da venirti a trovare tutti i giorni!”
Sara arrossì per l’imbarazzo; il professor Piton, invece, lo ignorò.
“Arrivederci, Albus.”
“Alla prossima!”
Nessuno disse niente per parecchio tempo. Sara, a disagio, si fissò la veste della divisa per cinque minuti buoni, prima di avere il coraggio di alzare lo sguardo. Non voleva che lui pensasse che lei si sarebbe aspettata del tè tutti i giorni… Quando riuscì a guardarlo di nuovo, vide che Piton si era limitato a riprendere la sua attività – ovvero correggere i compiti – e non aveva nessuna espressione particolare. Un po’ rincuorata, si decise a riprendere il tema di Erbologia.
Nonostante tutto, la volta dopo, il professor Piton le mise davanti la tazza decorata a Cioccocalderoni piena di tè fumante. E così quella dopo, e quella dopo ancora, e tutte le seguenti…
“Grazie.” sussurrava lei, sempre. Il professor Piton non le rispondeva mai, ma una volta poté giurare di aver visto un lieve sorriso increspargli le labbra.

***

“Non mi dirai che ti piace Piton!” esclamò Ginny, in Sala Comune, dopo che per l’ennesima volta la vide rientrare appena in tempo per la cena.
Sara la ignorò e andò dritta verso i dormitori, dove lasciò la borsa, prima di rifondarsi di nuovo giù per le scale.
“Che dicevi?” le chiese poi, ansimando, mentre loro due e Colin varcavano il ritratto della Signora Grassa.
“Ti ho detto che secondo me ti sei innamorata di Piton! Passi più tempo con lui che con noi!”
Sara arrossì, ma sperò con tutto il cuore che non si notasse, dato che era già accaldata per la corsa fatta.
“Ma no… Che stai dicendo, Ginny? Lo sai che vado lì perché mi concentro e basta…”
“Io non lo so” intervenne Colin “Come fai a preferire quel… Quel… Mostro Serpeverde fatto a persona a noi?!”
“Ehi!” esclamò lei, piccata “Piton non è un mostro! E' una persona gentile!”
Ginny e Colin si guardarono, stralunati, prima di alzare gli occhi al cielo.
“Gentile… Come no…” sussurrò lui.
“L’abbiamo persa… E' proprio cotta!” esclamò lei.
Sara fece finta di non sentirli e accelerò il passo per superarli.

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Capitolo 3
*** III ***


Il suo terzo anno si aprì all’insegna dell’emozione. Le delegazioni di Drumstrang e Beuxbatons erano meravigliose, il Torneo Tremaghi era una novità elettrizzante su cui spettegolare.
Quando Harry Potter venne scelto come quarto campione, Sara decise di sospendere il giudizio per evitare di contrariare Ginny, che sapeva se la sarebbe presa. Già era in rotta con suo fratello – perché lui non credeva affatto ad Harry – così lei evitò di far parola dell’accaduto e cercò, insieme a Colin, di distrarla e farla ridere.
Dopo la prima prova, divenne evidente che Harry non aveva mai inserito volontariamente il suo nome nel Calice di Fuoco. Il volo era stato spettacolare, vero, ma combattere con dei draghi non era cosa da tutti i giorni e sicuramente una persona sana di mente avrebbe evitato di farlo, se non costretto. Non a quattordici anni, almeno.
Ora, comunque, passata anche l’euforia per la vittoria della prova, un nuovo evento si delineava all’orizzonte: il Ballo del Ceppo.
Sara sapeva di essere troppo piccola per partecipare al ballo, ma non voleva scoraggiarsi.
“Basta trovare qualcuno di più grande che ci inviti.” le disse saggiamente Ginny, mentre scendevano a colazione.
Mancavano tre settimane al Ballo, era ancora relativamente presto, anche se l’atmosfera festosa ed eccitata aveva già contagiato tutti.
“Se potessi, ti inviterei io.” Intervenne Colin “Ma, a parte l’età, a me non interessano per niente queste cose. Ammetto che sarebbe bello restare, ma mi gusterò lo stesso un bel Natale a casa…”
“Tu sei pazzo.” gli rispose Ginny “Io non mi perderei l’evento per nulla al mondo, anche se dovessi imbucarmi alla festa… Al primo che me lo chiede rispondo sicuramente di sì…”
“Che piattola di facili costumi.”
Si girarono tutti e tre e videro Draco Malfoy che li stava superando per entrare nella Sala Grande. Ginny lo fulminò con lo sguardo, ma poi, per niente scalfita dalla presa in giro, decise di ignorarlo e di dirigersi tranquillamente verso il tavolo dei Grifondoro.
“Comunque, Sara… È inutile che sbirci verso il tavolo dei professori: dubito che Piton t’inviterà mai.”
“Cosa?!” esclamò la ragazzina, sedendosi e arrossendo “Non stavo affatto guardando verso Piton!”
Colin soffocò le risate addentando una brioches, mentre Ginny assunse l’espressione da ‘io la so lunga’.
Sara voltò loro le spalle, fingendosi offesa e spezzando il pane tostato che aveva in mano. In realtà, fino a che non l’avevo detto Ginny, non si era neppure resa conto di dove vagasse il suo sguardo. Ma, se c’era una cosa che non poteva negare nemmeno a se stessa, era che l’altra sera aveva sognato di ballare con il professore.
Non capiva cosa le stesse succedendo. Aveva sempre avuto una buona opinione del professore, vero, nonostante tutti la prendessero per pazza, ma non avrebbe mai pensato di… Provare qualcosa, ecco. Piton non era certo quello che si definisce un bell’uomo; era grande, per diamine; era sempre silenzioso e quasi mai gentile; eppure… Eppure Sara non poteva non pensare a quella tazza decorata a Cioccocalderoni che il professore le metteva davanti tutti i pomeriggi, piena di the fumante, da quando Silente era venuto nel suo ufficio… I suoi consigli per lo studio, il suo non essere una presenza ingombrante ma in qualche modo amica
Sì, Sara apprezzava decisamente il professore. Ma non era ancora pronta per gestire i sentimenti che, confusi, si stavano facendo strada dentro di lei.
La ragazzina lanciò un’ultima occhiata al tavolo degli insegnanti, poi, sorridendo, prese un Cioccocalderone da un piatto lì vicino e lo addentò, soddisfatta.

***

Mancava meno di una settimana al Ballo.
Sara era distratta. Nessuno le aveva chiesto di andarci e il tempo stringeva, così lei non sapeva che pesci pigliare e continuava a mordicchiare la punta della piuma e a torcersi le mani, senza davvero vedere le parole scritte sul libro che aveva davanti.
“Non stai studiando seriamente.”
La ragazzina alzò lo sguardo e vide il professor Piton posarle la sua tazza davanti, per poi fare il giro della scrivania e sedersi.
Sara sospirò.
“Si nota così tanto?”
“Sì, parecchio. Se non hai intenzione di studiare ti consiglio di andare a fare qualcos’altro, sicuramente più produttivo.”
Lei si morse il labbro. Osservò il professore prendere un sorso di the e, senza pensarci davvero, esclamò: “Professore! Non potrei venire con lei al Ballo del Ceppo?”
L’uomo si bloccò per un secondo con la tazza a mezz’aria e l’espressione stupita, poi riprese il suo solito contegno.
“Stai scherzando.”
Sara abbassò lo sguardo, costernata e sinceramente imbarazzata dalla figuraccia appena fatta.
“Ecco… Vede… Nessuno mi ha ancora invitato e se qualcuno non lo fa non posso andarci, quindi… Mi spiace, non volevo essere irriverente…”
“Non mi interesano degli stupidi problemi adolescenziali, quindi se vuoi andare a quel ballo alzati e vai ad invitare qualcuno. Qualcun altro.” Puntualizzò l’uomo, riprendendo a bere il suo the con tutta calma.
Sara arrossì ancora di più. Si sentiva ridicola e, stranamente, delusa.
“Ha ragione.” mormorò.
Poi, tanto per non prolungare ancora quel silenzio imbarazzante, decise di prendere il suo the e berlo, facendo finta di niente. Sbirciò il professore di sottecchi e lo vide rilassato e impassibile, come se non fosse successo nulla. Decise di far finta di nulla anche lei e lasciò andare la postura rigida che aveva mantenuto fino a quel momento.
Nonostante tutto, si sentiva come svuotata da un peso, tanto che riuscì a riprendere la concentrazione e a studiare.

***

Alla fine l’aveva chiesto a Dean Thomas.
Lui aveva accettato subito, sentendosi quasi sollevato, come d’altronde lei.
La mattina del gran giorno lei e Ginny salutarono Colin con un grande abbraccio e lo videro avviarsi, insieme a pochi altri studenti, verso le carrozze che l’avrebbero portato in stazione; poi salirono di corsa le scale fino alla loro Sala Comune e poi al dormitorio, dove si chiusero assieme alle altre ragazze per i preparativi.
La mattinata passò fra la scelta dell’abito e degli accessori; poi tutte e tre le ragazze scesero per il pranzo con un’aria carica di aspettative.
“Ma tu hai davvero intenzione di ballare con Neville per tutta la sera?” chiese Annie, giocando con un ricciolo della sua folta chioma bionda.
“Non lo so. Perché no? Potrebbe essere un ottimo ballerino.” rispose Ginny.
“Ma insomma, non ti piace veramente, giusto?”
“Oh, andiamo.” si intromise Sara. Anche lei stava giocando con una ciocca dei suoi capelli castani e si mordeva il labbro inferiore “L’importante è andarci, no? È per questo che lei ci va con Neville… Anche io non avrei scelto Dean, come prima opzione…”
“Certo, perché tu avresti scelto Piton.” sghignazzò Ginny “Secondo me avresti dovuto chiederglielo, sul serio.”
Sara arrossì e borbottò qualcosa, contrariata. Non aveva voluto rivelare nemmeno a lei che in realtà gliel’aveva chiesto davvero. Sicuramente l’avrebbe presa in giro a morte.
“Beh, io invece sono più che felice di andarci con Adrian.” concluse Annie, sospirando e congiungendo le mani, come in preghiera.
Adrian era uno studente di Serpeverde del quinto anno; un tizio all’apparenza poco raccomandabile.
Sara scosse impercettibilmente la testa, lanciando un’occhiata a Ginny, che stava per partire con la sua predica. Nessuna delle due era riuscita a comprendere quella strana infatuazione… Ma, forse, lei non era la persona giusta per parlare. Dopotutto anche lei aveva una cotta per… No, forse non proprio una cotta. Beh, insomma, era lo stesso interessata a Piton.
Quando ripresero a parlare del ballo, Sara scacciò questi pensieri dalla sua testa e si concentrò nuovamente su abiti e annessi. Dopo pranzo, le tre ragazze passarono tutto il pomeriggio a prepararsi in vista del grande evento.

***

Dean sorrise compiaciuto quando la vide, cosa che fece ben sperare a Sara di aver scelto giusto.
Indossava un lungo vestito da strega color rosso fuoco, esattamente il rosso di Grifondoro, che aveva dei decori verde chiaro vicino all’orlo delle maniche e della veste. Le scarpe erano anch’esse verdi, abbinate.
“Stai davvero bene.” le disse il suo accompagnatore, cosa che la fece sorridere.
Scesero in Sala Grande, che per quella sera era stata decorata nel migliore dei modi. Rimasero a bocca aperta di fronte agli alberi pieni di fiocchi, al ghiaccio fatto apparire per magia, alle fatine che svolazzavano dappertutto.
Assistettero emozionati all’apertura delle danze da parte dei campioni, poi Dean le propose di ballare.
Sara si buttò subito in pista con entusiasmo e si mise a volteggiare assieme al suo cavaliere. Vide Ginny con Neville un po’ più in là e cercò loro di far segno, senza riuscirci; poi notò Annie e Adrian seduti ad un tavolino che conversavano fitto fitto.
Dopo diversi giri di pista, lei e Dean decisero di prendersi una pausa e di bere una Burrobirra.
Si sedettero ad un tavolo vicino a quello di Annie, che però era sparita con il suo ragazzo già da un po’. Mentre Dean prendeva da bere, Sara fece vagare lo sguardo per la sala, finché non si accorse del professor Piton che si osservava accigliato il braccio sinistro.
Era in una posa così buffa e aveva una faccia così seria che alla ragazza venne da ridere, ma si trattenne appena in tempo: Dean era tornato con due calici fumanti.
Bevvero, brindando a quella serata, poi Sara, ancora euforica per tutto, gli chiese di potersi allontanare un attimo. Il ragazzo, che nel frattempo era stato raggiunto da Seamus, acconsentì con un cenno della mano, così lei si alzò e cercò di nuovo con lo sguardo il professore.
Lo trovò seduto ad uno dei tavoli più grandi, in compagnia di Silente e della McGranitt.
“Professor Piton!” esclamò, tendendosi il vestito con le mani per non inciampare e correndo nella loro direzione.
Severus alzò lo sguardo e vide la ragazza corrergli incontro. Il cuore gli mancò mezzo battito: il sorriso così ampio e felice gli ricordò, per un istante, quello di qualcun altro. E poi, i colori. Rosso e verde, come se fosse stato fatto apposta. L’uomo riprese subito il controllo di sé, concentrandosi sui capelli castano scuro e sugli occhi azzurri della ragazza.
Non è lei, si disse, dandosi anche dello stupido per averlo pensato, nonostante si fosse trattato solo di un attimo.
Nel frattempo, Sara era giunta al tavolo.
“Professore!” esclamò, del tutto dimentica della figuraccia di appena una settimana prima, ma, anzi, animata dall’atmosfera della serata “Balla con me!”
La McGranitt la guardò perplessa, mentre Silente si limitò a nascondere con una mano il sorriso. Severus Piton, invece, rimase seduto composto, impassibile.
“Devo forse togliere dei punti a Grifondoro? Dov’è il rispetto? Non mi pare che tu possa darmi del tu.”
“Oh, andiamo, Severus.” intervenne Albus, prima ancora che la ragazzina potesse aprir bocca “È una serata di festa. Se non oggi, quando?”
“Esatto!” esclamò Sara, mentre lo sguardo della McGranitt si faceva sempre più scandalizzato “Andiamo, professore, almeno un ballo me lo devi!”
“Io non devo proprio niente a nessuno.” rispose l’uomo, che stava iniziando ad irritarsi.
“Su, Severus, che male può farti?” chiese di nuovo Silente, dando man forte alla ragazzina.
Sara aveva cercato di assumere l’espressione più implorante di cui fosse capace.
Severus Piton aveva fulminato con lo sguardo il preside, prima di alzarsi. Aveva le braccia incrociate, ben chiuse attorno al busto, e non sembrava intenzionato ad aprirle.
“Bada bene: solo un ballo, e solo perché me lo sta chiedendo Albus Silente in persona. E sappi che non so ballare.”
Sara sorrise, entusiasta, poi gli afferrò un gomito e si voltò, cercando di portarlo in mezzo alla pista. Sentì l’uomo lanciarle qualche improperio, sottovoce, e il suo sorriso si allargò.
Quella sera nulla avrebbe potuto far esplodere la sua bolla di felicità.
Il professor Piton si fermò ai margini della pista e fece ricadere le braccia lungo i fianchi. Sara gli mise le mani attorno al collo.
“Accidenti, sei alto!”
“Sei tu che sei bassa. E perché ti ostini a darmi del tu?”
“Ma io crescerò. E prometto che in classe non lo farò. Però andiamo, ormai ci conosciamo da tre anni, no?”
“Due e mezzo. E noi non ‘ci conosciamo’.”
“Ecco, un motivo in più per iniziare a farlo.”
“Non vedo tutta questa moti…”
“Oh! Questa canzone è bellissima!”
Severus si arrese. Non aveva voglia di portare avanti quella conversazione, così spero che la sua tortura finisse presto.
“Avanti, professore! Le mani vanno sui fianchi!”
Lui le lanciò un’occhiataccia.
“Dai, è solo un ballo! Non passiamolo a discutere!”
“Io non vorrei passarlo e basta.”
“Il professor Silente ci sta guardando.”
L’uomo si girò appena e vide il preside alzare il calice verso di loro. Sbuffò, poi mise le mani sui fianchi della ragazzina. Albus Silente gliel’avrebbe pagata… Prima o poi.
Si mossero piano, praticamente dondolando sul posto, nonostante la canzone avesse un ritmo decisamente più incalzante.
“Andiamo! Questo lo chiami ballare?” chiese Sara, lanciandogli un’occhiata contrariata.
“Te l’ho detto che non so ballare. Accontentati.”
“Però potresti metterci un po’ più d’impegno!”
“No.”
“Ti potrei insegnare.”
“No.”
“Guarda che sono brava.”
“Non imparerò mai a ballare.”
“Dai, non dire così. Davvero, se ti insegno…”
“Dubito che riuscirai tu ad insegnarmi a ballare, se non c’è riuscita…”
Severus si bloccò. Che stava dicendo? Spalancò la bocca, poi, rapidamente, si staccò dalla ragazza. Chiuse le mani a pugno e si girò, allontanandosi a rapidi passi.
Sara era troppo stupefatta per tentare di fare qualsiasi cosa. Quando si riscosse, il professore era già lontano.
“Ehi!” lo chiamò, mettendo le mani ai lati della bocca e cercando di farsi sentire al di sopra della musica. Lui non si girò.
“Ma che significa? Che era, questo?” insistette lei, ma senza avvicinarsi.
Il fatto era che non aveva mai visto il professore comportarsi in quel modo. Conosceva il suo essere silenzioso e tranquillo; conosceva il suo essere ironico e derisorio nei confronti degli studenti; conosceva il tono compiaciuto che utilizzava con i Serpeverde; conosceva la sua gentilezza nascosta e anche la sua irritazione quando Silente lo costringeva a fare qualcosa che non voleva. Ma mai e poi mai aveva visto questa furia decisa, che sembrava tutta rivolta contro se stesso.
C’entravano forse quelle parole? “Se non c’è riuscita…”… Chi? Chi non era riuscita ad insegnare a Severus a ballare?
“Forse era un pezzo del tuo cuore, Severus?” mormorò Sara, sottovoce, le mani ormai abbandonate lungo i fianchi. Era la prima volta che pronunciava il nome dell’uomo e quel suono non le dispiacque affatto.
Il professore, nel frattempo, era uscito dalla Sala.
Sara rimase a fissare il portone, pensierosa, finché Neville non la raggiunse.
“Ehi! Hai visto Ginny?” le chiese, agitato.
Lei si riscosse.
“Cosa? No, no…”
“Oh, beh. Che ci fai qui tutta sola, comunque?”
“Nulla.”
“Allora ti andrebbe di ballare un po’?”
La ragazzina sorrise. Quella non era la serata giusta per fare riflessioni mistiche, ma solo per divertirsi.
“Certo, perché no?”

***

Severus Piton non aveva fatto più menzione di ciò che era accaduto al Ballo e lei aveva deciso di assecondarlo. Continuava ad andare da lui praticamente tutti i giorni, con i libri sotto braccio, e studiava mentre l’uomo sbrigava altre cose, come correggere compiti, leggere libri o preparare pozioni.
Sara aveva iniziato ad interessarsi sempre di più all’uomo. Si rendeva conto che si era presa una cotta gigantesca, colossale, che non accennava a diminuire. Non poteva credere che i suoi sentimenti fossero esplosi in quel modo, che l’avessero invasa così prepotentemente, lasciandola impreparata di fronte ai loro silenzi tranquilli.
Iniziò a parlare.
Durante quella che ormai era diventata la loro pausa the, Sara si ritrovava a chiacchierare del più e del meno, spesso da sola, dato che il professore non rispondeva quasi mai. Quantomeno non le aveva detto di chiudere la bocca, come invece si era aspettata lei.
Dopo due o tre giorni di timore, la ragazzina iniziò a fare l’abitudine anche a questa nuova routine. Studiava, si esercitava, poi bevevano il the e lei nel frattempo chiacchierava. Di solito di cose banali, delle lezioni, degli amici.
Severus la osservava. Sempre con il suo sguardo impassibile, non la stava veramente a sentire, ma guardava il suo sorriso, la luce nei suoi occhi, i suoi movimenti. Non era davvero interessato alla vita della ragazzina, ma non aveva trovato motivo di interromperla, all’inizio, così, con il tempo, era diventata un’abitudine anche per lui.
Una volta finita la pausa, entrambi ritornavano alle loro precedenti attività, fino all’ora del congedo.


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Capitolo 4
*** IV ***


Il suo quarto anno si rivelò deprimente sotto diversi punti di vista, un po’ come quello di tutti i suoi compagni. La Umbridge la faceva da padrona e non permetteva loro di usare incantesimi difensivi, tanto da allargare il malumore già circolante.
Lord Voldemort era tornato e la scuola era divisa a metà fra chi aveva fiducia in Harry e chi invece era scettico. Lei, ovviamente, insieme a Ginny e Colin, supportava il suo compagno di casa. A tal proposito avevano litigato furiosamente con i loro compagni: Annie, che era diventata la ragazza ufficiale di Adrian, credeva a quest’ultimo e non voleva sentir ragioni; così come David e John, che ritenevano impossibile diffidare del Ministero.
Le loro opinioni era così divergenti, la litigata era stata così accesa, che fra di loro non si erano più rivolti la parola, arrivando addirittura a togliersi il saluto.
“Sai, Sara… Non vorrei dovertelo dire, però… Credo che tu debba darci un taglio con la tua cotta per Piton. Davvero.”
La ragazza alzò lo sguardo dal giornale, osservando perplessa Ginny.
“Che stai dicendo?”
L’amica si fece ancora più vicina, cercando di non farsi sentire da orecchie indiscrete.
“Ecco… Il professor Piton era un Mangiamorte, no?”
Sara continuava ad essere perplessa.
“E allora? Silente si fida di lui. Ha cambiato parte.”
“Ma insomma!” esclamò Ginny, nervosa. Fece vagare lo sguardo per la Sala, stando attenta a che nessuno le sentisse “Già non capisco come tu possa essere tranquilla dopo che ti ho rivelato che Severus era un Mangiamorte…”
Sara appoggiò il giornale sul tavolo e toccò la fronte con una mano. Sospirò.
“Ne abbiamo già discusso, Ginny. Come di tutto il resto. Silente si fida del professor Piton, ma non è solo questo. Io lo conosco. Forse non a fondo, forse non bene, ma converrai con me che, come studentessa, lo conosco meglio di chiunque altro. Lui è una persona gentile. Devi ficcartelo bene in testa, Ginny: è scostante e burbero solo all’apparenza, in realtà scommetto che ha il cuore più grande di tutti noi assieme.”
Ginny incrociò le braccia, piccata.
“Certo. E sono apparenti anche tutti i punti che toglie a Griondoro, vero?”
“Tutti i professori tolgono punti.”
La ragazza alzò gli occhi al cielo.
“Basta. È impossibile parlare con te. Ricorda solo una cosa: ho ragione io, ne avrai la prova.”
“Certo, certo.” le disse Sara, agitando una mano.
“Non fare quella che dà ragione agli scemi.”
“E allora tu non fare la scema.”

***

Il professor Piton, vedendo che Sara si ostinava ad esercitarsi negli incantesimi pratici di Difesa con le Arti Oscure, decise di aiutarla.
La ragazza si impegnava al cento per cento e, ogni volta che un incantesimo le riusciva, gratificava il professore con un sorriso sincero. L’uomo sorrideva compiaciuto, come quando un suo studente Serpeverde riusciva perfettamente nella sua materia, e Sara si beava di quel sorriso ricambiato, mettendoci sempre più impegno nell’esercitarsi. Era un circolo virtuoso.
Così, quando venne creato l’ES, lei si dimostrò sin da subito una delle allieve più promettenti. Con alcuni incantesimi minori se la cavava già bene anche alle prime lezioni, e al massimo perfezionava mira e potenza, riuscendo già ad Ostacolare e Schiantare senza alcuno sforzo.
Solo quando arrivarono a lavorare su incantesimi più complessi si trovò in seria difficoltà.
“Avanti, devi solo concentrarti su un ricordo felice.” la spronò Harry, passandole accanto.
“Ci sto provando!” esclamò lei, sbuffando, irritata dagli insuccessi.
“Quell’umore non ti aiuterà di certo.” le disse Ginny, mentre il suo cavallo d’argento galoppava nei dintorni.
Colin, invece, come lei, non era ancora riuscito a produrre nulla di decente, se non uno sbuffo di vapore.
“Grazie, eh.” rispose Sara, sempre più abbattuta e irritata.
Raccolse le forze, chiudendo gli occhi.
Un ricordo felice… Felice…
Il volto di Severus Piton le balzò davanti agli occhi. Pensò a quando stava in silenzio a leggere un libro mentre lei faceva i compiti. Pensò a quella mezza canzone che avevano ballato l’anno prima, alle sue mani sui fianchi. Poi vide l’espressione compiaciuta di quando era riuscita ad apprendere perfettamente l’incanto Reductor. Si figurò la sua possibile espressione di fronte ad un Patronus Corporeo e, senza rendersene conto, sorrise.
“Expecto Patronum!”
Prima ancora di aprire gli occhi capì che ce l’aveva fatta, sentendo il gridolino eccitato di Ginny.
Era un animale che aveva già visto fra quelli degli altri, anche se…
“È una cerva!” esclamò Harry, agitando la bacchetta e facendo comparire il suo Patronus.
“Hai ragione.” disse Sara, sorridendo.
“Chissà che significa.” intervenne Colin, che si era arreso e non stava neanche più tentando di produrre l’incantesimo “Per caso ti piacciono i cervi?”
“Non lo so. Non particolarmente. Insomma, non ci ho mai pensato… Credevo che sarebbe stato un gatto, sinceramente.”
“Bah.” disse Ginny “Neanche io sapevo che sarebbe stato un cavallo, se ti consola.”
“Il mio è un cervo perché è associato a mio padre.” concluse Harry “Anche tu avrai i tuoi motivi, magari ancora non li sai. Anche io l’ho scoperto dopo.”
“Beh, c’è tempo.” ripose lei, sorridendo per il suo successo.

***

La battaglia al Ministero era cominciata.
Era stato strano volare a cavallo di una creatura invisibile; era stato strano addentrarsi in un luogo così silenzioso e senza che nessuno li fermasse; ma ora non c’era tempo per riflettere sull’assurdità della situazione… Sara doveva solo pensare a combattere, a schiantare quanti più Mangiamorte possibile, a ritrovare gli altri e ad andarsene da quel luogo, con o senza profezia.
Ginny si era slogata la caviglia, Ron sembrava impazzito e Hermione era svenuta. Neville sanguinava dal naso e Luna sembrava l’unica illesa, così loro due cercarono di radunare gli altri per evitare che capitasse loro qualcosa di brutto.
Alla fine, in ogni caso, si ritrovarono tutti nella stanza con l’arco, la bacchetta alla mano, urlando incantesimi su incantesimi mentre cercavano di rimanere in vita. Sara si accorse con sollievo che altra gente stava arrivando, gente che era dalla loro parte. Remus Lupin, che conosceva per via del suo incarico da professore, si frappose fra lei e Bellatrix Lestrange; così la ragazza cercò di individuare Luna e gli altri e, nel contempo, di non farsi colpire da nessun incantesimo oscuro.
Vide Neville in seria difficoltà, senza bacchetta e con il naso rotto, così corse nella sua direzione appena in tempo per parare una maledizione. Poi sentì Harry urlare, vide un lampo di luce rossa e non fece in tempo a schivarla.
Batté la testa e l’ultimo suo pensiero fu quello di doversi rialzare, prima di perdere definitivamente i sensi.
Quando riaprì gli occhi, vide del bianco attorno a sé. Ci mise un secondo per mettere a fuoco, poi si rese conto di essere in infermeria.
Una macchina nera alla sua destra attirò la sua attenzione. Voltandosi, scoprì che era niente di meno che Severus Piton, che stava seduto composto e la osservava.
“Severus!” esclamò.
“Irriverente come al solito?” chiese lui, alzando un sopracciglio.
Sara si rese conto di averlo chiamato per nome e arrossì. Cercò di sistemarsi meglio sui cuscini, ma sentì una fitta di dolore alla testa.
“Non agitarti.” le disse il professore.
Per un momento, Sara credette di vedere l’ombra della preoccupazione negli occhi neri del professore.
“Visto che sono appena scampata da morte quasi certa, posso permettermi di chiamarti per nome, giusto?” chiese, facendo gli occhioni dolci.
Lui alzò lo sguardo al cielo.
“Non rigirarti la frittata come vuoi.”
“Uh! Un modo di dire babbano!”
“E allora?”
“Allora nulla. Che ci fai qui, comunque?”
“Sono venuto a vedere come stavi. Ma forse facevo meglio a starmene in ufficio.”
“Dai, non dire così.”
Sara allungò una mano e la appoggiò su quella del professore, che però si ritrasse. Lei fece finta di nulla e continuò a sorridere: anche se per un momento, il fatto di essere entrata in contatto pelle contro pelle le aveva dato un brivido.
Dopo qualche istante di silenzio, in cui Sara aveva fatto vagare lo sguardo e si era resa conto che Ron e Hermione dormivano profondamente nei letti accanto al suo, il professore parlò.
“Perché l’hai fatto?”
“Fatto cosa?”
“Lo sai. Andare al ministero.”
Lei lo guardò intensamente.
“Harry era agitatissimo. Era questione di vita o di morte.”
“Potevi tornare a cercarmi.”
“Ma tanto sei stato tu ad avvertire l’Ordine, no?”
Severus rimase stupito per un momento, poi si fece pensieroso.
“E tu cosa sai dell’Ordine?”
“Nulla. Ho sentito una volta Ginny parlarne ad Hermione, ma… Non mi ha mai voluto dire niente. Ha detto che dovevo dimenticarmene.”
“Esattamente.”
Sara si alzò di scatto a sedere, ignorando il mal di testa.
“Ma io voglio esserci! Voglio partecipare! Se dobbiamo combattere Tu-sai-chi, allora…”
“Sei una ragazzina. Non combatterai proprio nessuno.”
“Eppure mi pare che stasera io l’abbia fatto!”
“E non avresti dovuto!”
Sara rimase spiazzata di fronte al tono di voce di Severus. Si era arrabbiato.
Lei abbassò lo sguardo, pensierosa.
“E invece devo. Bisogna combattere, Severus; c’è una guerra, sta iniziando.”
“È una cosa seria, non un gioco da bambini!”
“Proprio per questo. Credi forse che me starei ferma e buona mentre altri si divertono a condizionare non solo il mio futuro e di chi mi sta intorno, ma il destino dello stesso mondo magico? Bisogna combattere.”
Il suo sguardo era così ardente e deciso che a Severus, ancora una volta, venne in mente quello duro di Lily, quando gli aveva detto che avevano scelto due strade differenti. Bastò un battito di ciglia e gli occhi, prima verdi splendenti, diventarono di nuovo azzurri e innocenti.
Quelle sensazioni lo stavano turbando profondamente. Sara e Lily erano due persona diverse, questo lo aveva ben presente. Nessuno sarebbe potuto mai essere come lei, come la donna di cui era innamorato… Eppure, ogni tanto, le loro immagini si sovrapponevano in modo così spontaneo da essere fastidioso e irritante.
“E poi, che succederà?” chiese, cercando di riordinare le idee.
“Dopo cosa?”
“Dopo che avrai combattuto.”
Sara sembrò rifletterci un attimo, poi alzò il viso e sorrise, un sorriso così luminoso che, ancora una volta, fece andare l’uomo in confusione.
“Beh, forse verrò nel tuo ufficio, appoggerò i libri e tu mi aiuterai con i compiti… Poi arriverà l’ora del the e mi porterai la solita tazza, ma stavolta con anche un bel piatto pieno di Cioccocalderoni…”
Severus alzò un sopracciglio.
“Tutto qui? Rischieresti la vita per un piatto di Cioccocalderoni?”
“Certo che no. Rischierei la mia vita per poter continuare a vivere in questo modo, anzi, forse anche in modo migliore. Sono le piccole cose a fare la felicità, non trovi? Il male bisogna estirparlo alla radice, perché rischia di compromettere tutto e di causare sofferenza alla base, ma una volta sconfitto non c’è bisogno di avere gloria e onori, quanto di continuare a vivere serenamente con le cose che più ci hanno fatto felici.”
“Interessante.”
“Trovi anche tu, Sev?”
Sentendo quel nomignolo, l’uomo si irrigidì completamente, stringendo le mani a pugno.
“Ehi, che succede?” chiese Sara, preoccupata.
“Non farlo. Non farlo mai più.” esclamò lui, alzandosi. Le labbra erano diventate una riga sottile e gli occhi sembravano mandare lampi.
“Cosa…?”
“Non chiamarmi mai più in quel modo.” disse, prima di voltarsi deciso e di marciare fuori dall’infermeria, prima ancora che lei potesse rendersi conto dell’accaduto.
Come l’altra volta.
“… Anche questo è un pezzo del tuo cuore?” sussurrò Sara, mordendosi il labro inferiore e guardando la porta da dove l’uomo era appena uscito.

***

Dopo due giorni passati in infermeria, Sara aveva avuto dei dubbi. Durante tutte le ore di lezione si era interrogata sul fatto se fosse o meno il caso di andare dal professor Piton, come al solito, facendo finta di niente, oppure di evitare.
Alla fine aveva ceduto. Aveva osservato una sconsolata Gnny scuotere la testa e si era diretta quasi correndo verso i sotterranei. Aveva bussato.
“Avanti.”
Era entrata come al solito, si era seduta al solito posto, aveva aperto i libri.
Il professore stava correggendo dei temi e non aveva detto una parola.
Andarono avanti così per qualche ora, fino a che non venne il momento del the. Il professore si alzò e andò a prepararlo, come al solito.
Quando Sara vide che l’uomo aveva appoggiato la tazzina davanti a lei, alzò lo sguardo. Severus si scostò e, con la bacchetta, diresse un vassoio lievitante che aveva alle spalle verso la scrivania.
Sara sorrise.
Era pieno di Cioccocalderoni.

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Capitolo 5
*** V ***


Il quinto anno iniziò in maniera particolare.
Sara si sentì strana al pensiero che Severus avrebbe insegnato Difesa Contro le Arti Oscure e non Pozioni. Anche il cambio di ufficio la fece rimanere perplessa.
Lei vedeva Severus perfetto per l’oscurità un po’ tetra dei sotterranei, per la calma fredda che i barattoli di ingredienti di pozioni sembravano emanare.
La prima volta che mise piede nel suo nuovo ufficio, rimase altamente disturbata dalla finestra, che lasciava entrare i raggi del sole rendendo inutile l’utilizzo della torcia.
“Questo posto è strano.” gli disse, come prima cosa.
“Ti abituerai.”
“E tu, ti sei già abituato? So che ti è dispiaciuto lasciare il tuo vecchio ufficio.”
Severus alzò un sopracciglio.
“Come fai ad esserne sicura?”
“Ti conosco.” rispose lei, sorridendo e sedendosi dall’altro lato della scrivania.
L’espressione di Severus si fece sarcastica.
“Oh, so che non mi credi, ma è così. Io so che tu adori la penombra, che le pozioni ti fanno sentire tranquillo perché sono un lavoro dove è richiesta la massima precisione. So che ami leggere alla luce fredda del fuoco blu e che ti piace ricontrollare ogni giorno l’ordine degli ingredienti sugli scaffali.”
L’uomo rimase abbastanza colpito da quel discorso.
“E come fai a sapere tutte queste cose?”
“Ti osservo.”
Sara sorrideva serena, tuttavia quelle parole ebbero il potere di turbare profondamente Severus.
In ogni caso, la ragazza si limitò a fare i compiti come al solito e a gustarsi il suo the con i Cioccocalderoni. In fin dei conti, Severus non poté dirsi dispiaciuto dalla sua presenza. Ci aveva fatto l’abitudine, ormai; era diventata un po’ una costante nella sua vita.

***

Sara stava male.
Esternamente rideva e scherzava e sembrava sempre la stessa, ma dentro era una sofferenza continua.
Amava Severus Piton. Di questo era assolutamente certa. I suoi compagni la prendevano sempre in giro per quella che credevano una cotta, ma lei avrebbe davvero voluto essere qualcosa di più per Severus e, ogni volta, stava male al pensiero che l’uomo potesse non vederla in quel modo.
Lei ce la metteva tutta, davvero. Aveva iniziato ad osare un po’, ad esempio rimanendo con la piuma in bocca a fissarlo finché lui non alzava lo sguardo da qualsiasi cosa stesse facendo.
“Che fai?” chiedeva sempre.
“Ti osservo. Sei bello.” rispondeva lei, e Severus alzava gli occhi al cielo e borbottava qualcosa come “Se stai cercando di farti alzare i voti, non è la strategia giusta, anzi. Dovrei togliere dieci punti a Grifondoro per la tua sfacciataggine…”
In ogni caso, non veniva mai presa sul serio.
Dall’altra parte, invece, sembrava che i ragazzi avessero iniziato a notarla. O meglio, un solo ragazzo: Colin Canon.
Loro erano sempre stati amici, lui sapeva della sua cotta per Severus: anche per questo, Sara non sapeva come fare, come gestire la cosa. Lui cercava di restare da solo con lei, di farla ridere, di abbracciarla o toccarla in ogni modo, facendo passare ogni suo gesto per pura amicizia. Lei cercava di mettere dei paletti, senza successo.
Una volta, dopo che lui l’aveva tenuta stretta a sé in un abbraccio decisamente troppo lungo, con la scusa che l’aveva incontrata per caso in mezzo al corridoio e che era felice di rivederla, lei si mise a ridere, nervosamente.
“Sai, Colin, un giorni di questi penserò che tu ti sia innamorato di me, se continui così!” aveva esclamato, cercando di sdrammatizzare e di avvertirlo allo stesso tempo.
Colin, però, le aveva fatto un sorriso dolce e le aveva sfiorato la guancia.
“Beh, e se anche fosse?” aveva chiesto, con un tono di voce basso e profonda.
Lei era andata in panico. Fortunatamente era stata salvata da Ginny, che li aveva visti e che aveva agitato la mano dal fondo del corridoio.
“Ehm… Oh… Ginny, ciao!”
Aveva lasciato Colin sulle spine, lo sapeva, ma allo stesso modo sapeva che un rifiuto netto avrebbe compromesso irrimediabilmente la loro amicizia. Sperava che lui capisse che non era il caso d’insistere.

***

Dopo le vacanze di Natale, Severus la informò che non doveva più venire da lei il lunedì pomeriggio, dato che sarebbe stato occupato a fare altro. Non scese nei particolari neppure quando lei glielo chiese, così ipotizzò che fossero affari dell’Ordine e si arrese, sentendosi però parecchio delusa sia dal fatto di non poterlo vedere, sia dall’indifferenza quasi totale con cui lui le aveva comunicato la cosa. Come se gli fosse indifferente quella routine che, negli anni, avevano stabilito.
Certo, era già capitato altre volte che non si potessero vedere – o erano malati o il professore non c’era, soprattutto durante gli ultimi due anni – ma erano stati eventi sporadici, non premeditati. Invece, in quel caso, si trattava proprio di un’imposizione netta e continuata nel tempo.
Il primo lunedì dopo le vacanze, allora, non sapendo che fare, Sara iniziò a vagare per il castello.
Era salita sempre più in alto, superando addirittura la torre di Divinazione, chiedendosi dove sarebbe arrivata, se ci fosse una soffitta o un qualcosa di simile in una delle torri non utilizzate del castello, quando incontrò Silente.
L’uomo aveva le mani incrociate dietro la schiena e fischiettava allegramente, osservando fuori da una delle finestre che si aprivano su quel corridoio.
“Preside!” esclamò, prima di pensare che, forse, lui non voleva essere disturbato.
Silente, comunque, non smise di sorridere, ma si voltò dalla sua parte.
“Ah! Signorina Moon! Che ci fa in giro in questo posto così poco conosciuto?”
“Ehm, io… Camminavo…”
“Non è dal professor Piton?”
“Beh, ecco… Aveva da fare…”
Il tono era decisamente abbattuto. Silente sorrise, con una strana luce negli occhi.
“Oh, giusto… È lunedì, vero? Non si preoccupi, sono faccende dell’Ordine.”
“Ah.”.
Adesso era sorpresa: come mai Silente parlava in tutta tranquillità dell’Ordine della Fenice?
“So cosa ti stai chiedendo. So che sei sorpresa, ma so anche che sei già venuta a conoscenza dell’Ordine per…. Uhm… Vie traverse? E so anche che sei interessata a farne parte…”
“Sì!” esclamò Sara “Sì, sono interessata! Professor Silente, che devo fare?”
“Ah… Mia cara ragazza… Ammiro il tuo entusiasmo. Tuttavia, non ammettiamo membri minorenni… Né chi non ha concluso gli studi. Questo” aggiunse Silente, osservandola al di sopra degli occhiali a mezzaluna “Perché dobbiamo essere assolutamente sicuri che le persone sappiano quantomeno difendersi. E serve un’educazione di base. Capisci, vero?”
La bolla d’entusiasmo si era sgonfiata rapidamente come era nata, ma la ragazza percepì comunque un interessamento da parte del preside. Forse c’era speranza.
“Sì, lo capisco. Mi impegnerò, professor Silente, glielo giuro. E, una volta finita Hogwarts, sarò pronta a schierarmi al suo fianco.”
“Benissimo, allora.” rispose l’uomo, sorridendo “Confido anche che non faccia parola con nessuno della nostra chiacchierata…”
“Chiacchierata? Quale chiacchierata?”
“Aaaah… Ottimo, ottimo.”
Silente aveva ripreso ad osservare fuori dalla finestra. Sara era rimasta lì, ad osservarlo, senza sapere bene che dire o se andarsene. Alla fine, dopo essersi torturata per un po’ il labbro inferiore, le parole uscirono da sole.
“Professore…”
“Sì, signorina Moon?”
“… Io tengo molto al professor Piton.” disse, a voce bassa, le guance che si erano imporporate per la vergogna. Non sapeva come mettere la questione, ma credeva che i suoi sentimenti per Severus fossero noti al preside e che lui li approvasse, persino. Non sapeva come: era una sensazione che sentiva “a pelle”.
Silente sorrise.
“Questa è proprio una bella cosa.”
“Io…”
“Mi sono ricordato di avere un impegno. Mi scusi, signorina Moon, ma non posso più rimanere con lei a parlare amichevolmente… Un’altra volta?”
“Oh… Sì… Un’altra volta, certo.”
Sara era confusa e anche un po’ delusa. Sembrava che il professore volesse defilarsi, ma non ne capiva il motivo.
Alla fine, dopo qualche minuto, la ragazza decise di tornare nella torre di Grifondoro.

***

Il giorno dopo, Silente decise di andare a trovare Severus Piton per un the.
Ovviamente, nello studio era presente anche Sara, che stava finendo un tema di Erbologia.
La ragazza parve sinceramente stupita di vederlo lì.
“Buon pomeriggio… Signorina Moon… Severus… Disturbo?”
“Albus… Non sapevo che saresti venuto.”
“Oh, non importa, non importa… Giravo solo un po’ per il castello, ho pensato di controllare che la nostra studentessa si facesse ancora aiutare da te… In effetti è curioso come questa specie di legame sia cresciuto negli anni, non trovate?”
Sara arrossì, ma non disse niente e cercò di far finta di niente. Perché il professor Silente era venuto lì?
Severus strinse un po’ le labbra, chiedendosi la stessa cosa, però rimase impassibile.
“… Vado a preparare il the.”
Nella stanza rimasero solo Silente e Sara.
Lui fece comparire una comoda poltrona, si sedette, la guardò e le fece l’occhiolino. Lei non sapeva che dire.
Fortunatamente Severus ritornò pochi minuti dopo, facendo levitare con la magia le tazze e il solito vassoio di Cioccocalderoni.
“Oh! Dolcetti!” esclamò il preside, battendo le mani. Tutto contento, prese un biscotto e lo immerse nel the, prima di mangiarselo.
Per un po’ fecero merenda in silenzio, poi Silente disse: “Severus, non trovi anche tu che la signorina Moon sia una brava studentessa?”
L’uomo osservò il preside come se volesse capire dove stava andando a parare.
“È diligente, sì.”
“Ed è anche una bella ragazza, non trovi?”
Sara quasi si strozzò con il the, diventando paonazza. Ma che stava facendo quell’uomo?!
Probabilmente era la stessa cosa che stava pensando Severus.
“Non posso mostrare alcuna preferenza per i miei studenti, Albus, lo sai meglio di me.” rispose, come a dire “Non ti azzardare più neanche per sbaglio.”
“Suvvia, Severus, avere preferenze è normale. Certo, non è professionale… Però vedo che hai instaurato proprio un bel legame con la signorina Moon. Non è così?”
Silente si era rivolto a lei, che si guardò intorno, allarmata.
“Ehm… Sì…” pigolò, cercando di scomparire ma con scarsi risultati.
“Ti assicuro, Albus, che sono stato sempre più che professionale nel valutarla.”
“Oh, non lo metto in dubbio. Ma adesso stiamo parlando di altro, no? Di rapporti umani…”
“In realtà” rispose Severus, alzandosi e fulminando l’uomo con lo sguardo “Non stiamo parlando proprio di niente.”
Silente sostenne il suo sguardo per qualche istante, poi sospirò e si alzò, facendo scomparire la poltrona.
“Beh, io vado. Buon proseguimento di giornata… Signorina Moon…”
Il preside uscì così in fretta che Sara ancora non sembrava essersi conto di nulla. Era rossissima in faccia, con la bocca spalancata e continuava a fissare la porta. Qualche secondo dopo l’uscita in scena di Silente, scattò, come una molla.
Non aveva il coraggio di guardare il professor Piton in faccia, così si limitò a raccogliere in fretta e furia la sua roba e a mormorare dei saluti, prima di uscire dall’ufficio.
Corse per i corridoi finché non ritrovò Silente.
“Professore!” esclamò, vedendolo. L’uomo si girò a guardarla, sorridendo, mentre lei cercava di riprendere fiato.
“Mi dica, signorina Moon.”
“Ecco… Io…”
All’improvviso, lei si sentì di nuovo timida e impacciata. Chiuse gli occhi, inspirò e cercò di calmarsi.
“Allora va bene?” chiese infine.
“Cosa, signorina Moon?”
Lei lo guardò dritto negli occhi, scoprendo di essere più determinata che mai.
“Va bene, se mi sono innamorata del professor Piton?”
Silente continuava a sorridere, benevolo.
“Io credo che il professor Piton, più di molti altri, meriti l’amore. Ma questa è una cosa che deve rimanere fra me e te…”
Sara annuì.
“Quindi… Credo proprio che tornerò nel mio studio a sbrigare tutte le faccende da preside che mi competono… Povero me, l’età avanza e non ho più l’energia per certe cose!”
Silente si allontanò lungo il corridoio.
La ragazza avrebbe voluto fermarlo, avrebbe voluto chiedergli spiegazioni sulla frase che aveva detto prima. Ma, per il momento, riusciva a pensare solo ad una cosa: Silente le aveva dato la sua benedizione. In maniera implicita, forse, ma l’aveva fatto.
E lei non poteva essere più felice.

***

Per tutta la serata, Sara parve essere nel mondo delle nuvole.
Ad un certo punto, Ginny ebbe il buon senso di chiederle cosa avesse.
“Sono solo felice. Ecco… Silente… Lui appoggia i miei sentimenti.”
“Che sentimenti?” si intromise Colin, mettendole un braccio attorno alle spalle. Erano seduti tutti e te su un divano, in Sala Comune, e quel gesto a Sara sembrò fin troppo confidenziale. Forse quello era il momento per chiarire tutto.
“I miei sentimenti per Severus.”
I due amici la guardarono con occhi sgranati.
“Sara, non puoi parlare seriamente… Ancora con quella cotta…” disse Ginny.
“E invece parlo molto seriamente, Ginny. Io non ho una cotta per Severus… Io ne sono innamorata.”
A quelle parole, Colin si rabbuiò. Si alzò dal divano e si diresse fuori dalla Sala Comune. Sara, ormai conscia che era giunto il momento di affrontare la situazione, dopo aver scambiato una breve occhiata nervosa con Ginny, lo seguì.
Lo trovò nella prima aula vuota. Aveva i pugni serrati e le dava le spalle, guardando fuori dalla finestra.
“Colin.” lo chiamò lei, piano.
“No.”
Il ragazzo si girò e lei vide la rabbia sul suo volto. Si avvicinò, fino a che non rimasero cinque centimetri scarsi a dividerli.
“Come puoi dire di amarlo? Come puoi… Tu meriti di meglio!”
Ora la rabbia aveva lasciato il posto al dolore. Sara sapeva che era arrivato il momento di mettere le cose in chiaro.
“Colin… Senti… In questi mesi ho fatto finta di niente perché non volevo rovinare…”
“Non dire che non volevi rovinare il nostro rapporto!”
“Ma è così! Io non provo le stesse cose che provi tu. Io non sono innamorata di te, Colin!”
“Puoi anche non amarmi, ma di sicuro non puoi stare con Piton!”
Stavolta fu lei ad arrabbiarsi.
“E chi lo dice cosa posso o non posso fare?!”
Colin si allontanò, visibilmente ferito.
“Lui… Lui è un insegnante, tu… È sempre così chiuso ed è cattivo con i Griondoro… Non capisco cosa… Non puoi davvero…”
“Colin.” lo richiamò lei, dispiaciuta di aver urlato. Si avvicinò e gli poggiò una mano sul braccio.
“Mi dispiace, mi dispiace davvero non poter ricambiare i tuoi sentimenti. Ma…”
Avvenne tutto in fretta: lui si girò e l’afferrò per le braccia, prima di chinarsi e baciarla. Per il primo istante, Sara rimase impietrita, incredula. Non sapeva come reagire. Poi Colin tentò di forzarle le labbra con la lingua, così lei si divincolò e lo spinse via.
Non si era nemmeno accorta delle lacrime, che avevano iniziato a rigarle le guance.
“Cosa… Io… Mi spiace, Sara…”
Lei non rimase ad ascoltarlo: corse via, via da quell’aula e via da Colin.
Non poteva credere a quello che lui aveva fatto. Non solo perché era stato il suo primo bacio, e lei non avrebbe mai voluto darlo così, ma anche e soprattutto perché credeva di conoscerlo… Si fidava di lui. Ma lui era andato troppo oltre, aveva superato un confine che non avrebbe mai dovuto varcare e, soprattutto, l’aveva fatto con la forza.
Tornò nella torre di Grifondoro e si chiuse in dormitorio, e a nulla valsero le sollecitazioni di Ginny per farsi raccontare l’accaduto. Pianse per parecchio tempo, finché non si addormentò, esausta.

***

Aveva deciso di non perdonare Colin, non per il momento, ma, tutto sommato, era bastata una notte per ritrovare l’equilibrio e per far ordine nei propri sentimenti.
Il ragazzo aveva cercato di scusarsi con lei, ma Sara aveva continuato a camminare senza ascoltarlo. Ginny era rimasta indietro, sicuramente per farsi raccontare l’accaduto, mentre lei rimuginava sul fatto che gli avrebbe tenuto il muso per un po’, per poi permettersi di scusarsi. Comunque, avrebbe messo dei paletti ben fermi alla loro amicizia. Gli voleva bene, dopo tutti gli anni passati insieme, ma purtroppo il suo cuore batteva per una sola persona.
Severus.
Aveva deciso che, quel pomeriggio, gli avrebbe parlato. Gli avrebbe detto tutto ciò che provava, anche se ciò avrebbe significato un cambiamento nel loro rapporto. In peggio, ovviamente: non credeva che l’uomo avrebbe accolto in modo entusiasta la dichiarazione.
Fu con uno spirito diverso, quindi; con le gambe tremanti e con il battito accelerato, che si presentò fuori dall’ufficio del professore quel pomeriggio.
All’inizio non riuscì a spiccicare parola. Si mise a fare i compiti, come al solito, ma non era concentrata. Severus andò a preparare il the e lei entrò in panico.
Dopo che ebbe giocato per più di dieci minuti con il suo Cioccocalderone, il professore decise che ne aveva abbastanza.
“C’è qualcosa che ti turba?” le chiese.
Lei sobbalzò, come se fosse stata punta.
“Cosa? No, ecco… Io…”
“Non mi inganni.”
Sara fece un respiro profondo: era giunto il momento.
“Io… Mi sono innamorata di te.”
Quando trovò il coraggio di rialzare lo sguardo, vide che Severus era tornato a correggere un tema, in tutta tranquillità.
“Severus…” iniziò, incerta su cosa dire.
L’uomo si fermò per un momento con la piuma a mezz’aria, poi, lentamente, l’abbassò.
“No.” disse solo.
“Severus…”
“Ho detto di no. Non esiste.”
Ora il professore la stava guardando negli occhi.
“Ma io…”
“Togliti dalla testa questa stupida cotta adolescenziale e torna ad essere una ragazza normale.”
“Ma io…”
“Non voglio sentire storie.”
Sara si alzò, rovesciando la sedia. Era arrabbiata, ma non sapeva spiegare come mai era scattata così: forse era il suo rifiuto netto, il suo non volerla ascoltare a tutti i costi.
Batté le mani sulla scrivania.
“Non m’interessa se tu non mi vedi in quel modo, era una cosa che già sapevo e avevo preventivato, ma non puoi sminuire così i miei sentimenti! Non puoi davvero pensare che sia solo una cotta, non puoi essere convinto che un’adolescente non sappia amare!”
Per un momento, un breve, brevissimo momento, a Sara sembrò di scorgere qualcosa di diverso dalla solita aria neutra dietro agli occhi di Severus. In ogni caso, era così arrabbiata che radunò in fretta e furia le sue cose e fuggì letteralmente via dall’ufficio.
Non aveva voglia di tornare nella Sala Comune. Vagò finché non trovò quello che doveva essere un appartamento, nella Torre Ovest. Si lasciò cadere sul divano color crema, esausta, mentre le lacrime iniziavano a bagnarle il viso.
Non era più arrabbiata: era ferita, delusa, svuotata. Pianse finché non si addormentò, dimenticandosi persino della cena.

***

Tornò.
Con il senno di poi, si rese conto che la sua reazione era stata decisamente esagerata.
Non aveva nessun motivo per evitare il professor Piton.
Severus, si corresse mentalmente. Il fatto che non lo avesse chiamato per nome denotava il suo nervosismo, che si sforzava di nascondere dietro una corazza di impassibilità.
Lui la accolse come sempre, lei lo salutò e poi si mise a fare i compiti. Come sempre.
Fecero merenda con the e biscotti, poi lei riprese a studiare e lui a leggere.
Poco prima di andarsene, comunque, Sara insistette. Voleva che lui quantomeno accettasse le sue parole.
“Severus, so che non mi credi, perciò continuerò a ripeterlo, ogni giorno. Mi sono innamorata di te.”
L’uomo l’aveva guardata, aveva scosso la testa ed era tornato al suo libro.
Lei se n’era andata, ma era tornata il giorno dopo. E quello dopo ancora, e anche il successivo.
Fino alla fine dell’anno.

***

Il mondo si era appena rovesciato, era crollato e si era rigirato su sé stesso.
Silente era morto. Ed era stato Severus Piton ad ucciderlo.
Sara non aveva dubitato neanche per un secondo delle parole di Harry. Sapeva che, a prescindere dall’odio che il ragazzo aveva nei suoi confronti, lui era una persona giusta.
Ma sapeva che anche Severus era una persona giusta.
Assassino, dicevano tutti.
Forse un tempo, pensava lei.
Ma non ora. No, Sara conosceva Severus. Certo, c’era sempre quella parte di lui nascosta e non visibile, ma sapeva a cosa associare le espressioni del suo viso, quando una smorfia celava un complimento e quando invece prendeva in giro la gente.
Sara lo sapeva. Ne era perdutamente innamorata, ma ciò non sminuiva l’obiettività della sua conoscenza. Non poteva davvero…
“Io te l’avevo detto.”
Ginny aveva usato un tono duro, eppure i suoi occhi erano lucidi. Come se avesse voluto sbagliarsi, davvero.
“No.” rispose lei, senza neppure alzare la voce.
“Sara…”
“No.”
Colin era seduto dall’altro lato di Ginny e le osservava, preoccupato. Lei sapeva che era diviso fra il dispiacere per lei e la speranza che questa fosse la volta buona che se lo levasse dalla testa. Dopotutto, provava ancora qualcosa per lei.
“Non puoi negare che…”
“No.” ripeté ancora, stavolta più forte. Si alzò dal divano.
“Non negherò ciò che ha fatto, Ginevra.” disse, il tono calmo nonostante la rabbia che sentiva dentro “Ma non mi farai mai, mai, mai ammettere che Severus è un Mangiamorte. Non m’importa ciò che pensi. Non m’importa ciò che pensate tutti. Preferisco credere che tutto sia stato addirittura deciso da Silente in persona… Non smetterò mai di avere fiducia in Severus.”
Anche Ginny si alzò, improvvisamente furente.
“Come puoi dire una cosa simile?! Come puoi negare l’evidenza?! Lui ha venduto i Potter al Signore Oscuro, gli ha rivelato la profezia! Come osi dire che Silente…!”
“SEI TU CHE OSI!”
Ginny rimase a bocca aperta di fronte alle urla dell’amica. Non se le aspettava.
“Cosa…?” fece per chiedere, ma Sara l’anticipò.
“Tu osi dubitare di Silente e della fiducia che aveva in Severus! Stai facendo passare il genio che era per un mentecatto! E io ne ho abbastanza!”
Furiosa, la ragazza uscì dalla Sala Comune e iniziò a girare per il castello, senza una meta precisa. Le lacrime cadevano lungo le guance ed erano bollenti; bruciavano quasi come il suo cuore ferito.
Sapeva che, dopo quelle parole, Ginny non l’avrebbe più perdonata. Forse nemmeno Colin, ma in questo momento Sara non voleva pensare a lui.
Sarebbe rimasta sola. Ma, in ogni caso, non avrebbe mai smesso di credere in Severus Piton, nell’uomo che amava.

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Capitolo 6
*** VI ***


L’estate era passata in una bolla di dolore e stordimento.
Subito dopo aver partecipato al funerale di Silente, Sara era stata ritirata da scuola in fretta e furia. Lì aveva avuto la prima vera litigata con i suoi genitori, che la volevano portare all’estero prima che la situazione precipitasse: aveva lottato con le unghie e con i denti e, alla fine, aveva ottenuto il permesso di restare in Inghilterra. Sua madre, che era una Babbana, se ne era andata invece in Francia, da parenti. Suo padre, Purosangue, era rimasto solo per starle accanto e per vigilare su di lei, senza però schierarsi apertamente nella guerra. Cercava di mantenere un “basso profilo”, di modo che la famiglia non venisse presa di mira.
Quando entrambi passarono i controlli anti Nati Babbani, tirarono un sospiro di sollievo. Poi uscì la notizia che Hogwarts era stata resa obbligatoria per tutti gli studenti inglesi.
Sara non aveva dubbi: sarebbe tornata, ad ogni costo. Non sapeva se avrebbe mai rivisto Severus; di sicuro si sarebbe trovata sola e senza amici; però era determinata più che mai a fare la sua parte per combattere il “sistema”.
La mattina in cui partì, sull’espresso per Hogwarts, lesse sulla Gazzetta del Profeta che Severus Piton era stato eletto preside. Questo la confortò e la spaventò in egual misura: lo avrebbe rivisto, sì, ma se avevano fatto preside lui, voleva dire che il male era entrato anche fra le mura protettive del castello.
In ogni caso, non si fece scoraggiare. Durante il bacchetto lo osservò, ma lui non la guardò neanche per sbaglio. Dopo il primo giorno di lezioni – fortunatamente senza Carrow, che erano gli altri Mangiamorte mandati da Voldemort – Sara decise che avrebbe fatto di tutto per vederlo, per parlarci. Doveva dirgli che credeva in lui, che non aveva mai dubitato.
Rimase fuori dal gargoyle di pietra dell’ufficio del preside. Voleva entrare, ma non sapeva la parola d’ordine.
Sapeva che Silente aveva la fissazione dei dolci, quindi provò a dire nomi di dolci a caso, senza successo. Ad un certo punto si bloccò, mentre un pensiero ridicolo e speranzoso la pervadeva.
Tentar non nuoce, si disse.
“Cioccocalderoni.”
Il gargoyle si inchinò e fece un passo di lato. Sara sorrise, confortata dal pensiero che Severus avesse scelto proprio quella parola.
Salì le scale a chiocciola, troppo impaziente per riuscire ad aspettare. Bussò.
“Avanti.” disse l’uomo, e lei si sentì sollevata nel sentire quella voce conosciuta.
Entrò.
Severus la osservò per un lungo momento.
“Come hai fatto ad arrivare qui?”
“Ho indovinato.”
L’uomo non smetteva di fissarla, ma la sua espressione era impassibile.
“E dunque, che sei venuta a fare?”
Sara si avvicinò, poggiò la borsa dei libri sul tavolo e si sedette. Sorrise.
“Come potrei rompere quella che ormai è la nostra tradizione?”
Severus parve confuso, così lei gli afferrò le mani e si sporse sulla scrivania, per avvicinarsi.
“Sev, sono tutte bugie.” lo vide irrigidirsi, ma solo dopo si ricordò che lui non voleva essere chiamato con quell’abbreviazione “O meglio, io so che tu hai ucciso Silente… Lo so, non so perché tu l’abbia fatto, eppure sono certa che dev’esserci un motivo, dietro; un qualcosa di valido. Non sei colpevole. E non lo dico solo perché contino ad essere innamorata di te: lo dico perché ti conosco.”
Severus era basito. Come poteva quella ragazza credere ancora in lui? Nessuno credeva mai in lui, davvero. Nemmeno… Nemmeno lei era stato disposto a perdonarlo. E ora questa ragazzina ammetteva candidamente di essere dalla sua parte.
Probabilmente si era inimicata tutta la scuola; o meglio, tutti gli amici che aveva, dato che era una Grifondoro eccellente. Lo era stata, almeno. Adesso proteggeva lui, l’assassino.
Non sapeva che dire.
“Oh, Severus, hai visto?” esclamò il ritratto di Silente, alle sue spalle “Sapevo che qualcuno ci sarebbe arrivato. Era una soluzione così semplice… Francamente gli altri mi hanno un po’ deluso, anche se li capisco.”
Sara distolse lo sguardo dal volto del professore per fissare il preside.
“Professor Silente…”
“Non dire nulla. Nessuno deve saperlo, no?” Silente le fece l’occhiolino.
Sara sorrise.
“Certamente.”
Severus tolse le sue mani dalle sue e ritrovò la sua solita espressione. La ragazza pensò però di riuscire a scorgere un barlume strano nei suoi occhi… Felicità? Era felice perché lei gli aveva creduto?
“Dunque, signorina Moon… Quest’estate ha studiato, o si è rilassata e basta?”
Sara tolse i libri dalla cartella, sempre sorridendo, aprendo il quaderno dove aveva fatto i compiti, per mostrarlo al preside.

***

Ginny, ormai, non le parlava più. Colin era arrabbiato, si sentiva tradito due volte, e la salutava a stento. Però Sara sapeva che gran parte della sua rabbia era dettata dal fatto che lui la desiderasse ancora.
Lei camminava a testa alta. Sapeva che Severus non aveva ucciso Silente volontariamente, anche se non poteva dirlo.
I Carrow erano terribili, davvero, e non solo per le punizioni che infliggevano – che facevano infliggere loro a chi aveva fatto qualcosa di contrario alle regole –. Erano terribili perché raccontavano menzogne spacciandole per verità assolute, menzogne riguardanti Babbani e Sanguesporco.
Lei rispose una volta sola. La cruciarono, mentre la classe assisteva inorridita. Sara vide un lampo di dolore negli occhi di Colin e in quelli di Ginny, ma nessuno fiatò.
Quel giorno andò da Severus come al solito, che si mostrò preoccupato e che la medicò nel miglior modo possibile, dopo che comunque l’aveva già fatto madama Chips. Vederlo così in ansia… Sara era in un certo senso felice. Quell’espressione sul viso lo rendeva terribilmente umano… E lei si era abbandonata alle sue cure, solo per poterlo sentire così vicino. Le mani sul suo corpo, il respiro e il suo profumo.
Dopo, comunque, lui l’aveva messa in guardia e le aveva intimato di evitare “simili sciocchezze” per il futuro. Era così arrabbiato e preoccupato insieme che lei non se lo fece ripetere due volte e, da quel momento, non reagì più in classe. Nel frattempo, comunque, cercava di capire come se la stesse passando il Mondo Magico in generale.
La situazione era pessima.
Una volta i Carrow arrivarono nell’ufficio del preside per discutere con Piton di faccende del Signore Oscuro, così lei fu costretta a nascondersi in camera, una stanza da cui si accedeva da una piccola porta posta sotto il ritratto di Silente. Non doveva fare alcun rumore, così aveva paura di muoversi, ma nel contempo non poteva fare a meno di osservarsi in giro: era la prima volta che si trovava in una delle stanze personali di Severus, anche se immaginava che quella del suo vecchio ufficio di pozioni fosse più consona. In ogni caso, il letto aveva coperte scure e c’erano davvero poche cose in giro; i mobili non avevano soprammobili o oggetti di altro genere appoggiati; gli unici elementi di arredo erano i libri.
Amò lo stesso quella stanza, con tutta se stessa.

***

Diversamente dagli altri anni, dato che ormai nessuno più le rivolgeva la parola, Sara decise di passare Halloween con il professor Piton. Come ogni volta, quindi, pronunciò la parola d’ordine, salì la scala a chiocciola ed entrò nell’ufficio.
Severus sembrava arrabbiato.
“Vattene.” le disse, prima ancora che lei si avvicinasse alla scrivania.
Sara si bloccò sul posto.
“Cosa?”
“Ho detto di andartene.”
“Ma… Perché? È Halloween, ho pensato che avremmo potuto…”
“Vattene!” urlò l’uomo, e il suo tono fu così duro che la ragazza si sentì così ferita da star male. Girò i tacchi e corse fuori, via da quell’ufficio.
Si chiuse in un’aula vuota, pallida come non mai, e decise di scendere solo quando ormai il banchetto era iniziato.
Non capiva cosa fosse successo. Il comportamento di Severus non era il solito; non riusciva a venirne a capo.
Era così immersa nei suoi pensieri che non si era resa conto di essersi seduta accanto a Ginny. Lei, comunque, non aveva detto nulla e stava giocando con il cibo, senza mangiare.
Improvvisamente, Sara si rese conto che anche lei doveva passarsela male. Di Harry non si avevano notizie, lui l’aveva mollata alla fine dell’anno scorso… E ora neanche Ron ed Hermione erano tornati a scuola; non ci voleva molto a trarne le conclusioni. Si sentì estremamente dispiaciuta per l’amica e si rese conto che, probabilmente, anche lei aveva sofferto. Forse era stata troppo ingiusta a condannarla, forse si era isolata volontariamente accusandola di qualcosa che non era mai successo.
“Ginny.” sussurrò, timida.
Lei alzò lo sguardo, la vide, sospirò e poi riprese a giocare con il cibo.
“Come… Come stai?” insistette lei.
“Da schifo.”
“Mi dispiace.”
Lei alzò di nuovo il viso, il labbro inferiore che tremava.
“Almeno tu sai che è vivo… La persona che ami… Io non so nulla.”
“Mi spiace, Ginny, non so come… Cosa…”
“Non puoi farci niente. Passerà: devo avere fiducia in Harry. Forse è la giornata, perché è l’anniversario di morte dei suoi genitori e io… Penso a tutte le volte che invece lui si è seduto qui con noi, al banchetto, ed era così felice… Quando magari invece dentro soffriva, ma nessuno…”
Sara aveva avvertito un brivido. Non era riuscita a capirne il motivo, così smise di ascoltarla ed analizzò le sue parole: che aveva detto di tanto strano?
Poi, dei flash: tutte le volte che aveva visto Severus arrabbiato. Al Ballo del Ceppo, dopo che le aveva parlato di una “lei”; quando erano entrati al ministero, quando le aveva detto di non chiamarlo “Sev”… I pezzi del suo cuore. E stasera. Un altro pezzo del suo cuore. Ma cosa volevano dire?
Il lampo. La comprensione sottoforma di scia argentea, la scia della cerva. Lei non riusciva a raccapezzarsi di come il suo patronus avesse potuto assumere quella forma, ma ora… Harry le aveva già dato la risposta anni prima… Perché il suo patronus era un cervo, e rappresentava suo padre, e la cerva… Lei, già allora, prima ancora di capirlo razionalmente, si era legata a Severus. Fin troppo.
Tanto da capirne il cuore.
Lei.
Si alzò di scatto, come punta, e Ginny la guardò con una strana espressione. Si sentiva pallidissima.
L’anniversario di morte dei genitori di Harry…
Corse.
La prima volta che provavo ad andare da lui ad Halloween…
Corse più forte, diretta verso l’ufficio del preside.
La cerva… I pezzi del suo cuore.
Si fiondò su per le scale, aprì la porta dell’’ufficio e non vide nessuno. Silente la stava osservando e le fece un cenno verso il basso.
Sara girò attorno alla scrivania e aprì la porta della camera, senza nemmeno bussare.
Severus era sdraiato sul letto e le dava la schiena. Quando sentì la porta aprirsi, sobbalzò e si girò.
Stava per insultarla, forse per dirle di andarsene, ma stavolta lei non l’avrebbe fatto. Chiuse la porta dietro di sé, mentre gli occhi le si riempivano di lacrime.
L’odio per Harry. Il suo racconto di quando aveva visto suo padre torturare Severus, che Ginny mi aveva riferito. L’intervento di Lily. Sanguesporco.
“Si può sapere cosa non ti è chiaro del concetto…?”
“So.”
La profezia.
“Cosa?”
Sara si avvicinò, si fece cadere sul letto e avvolse Severus in un abbraccio. Lui si irrigidì.
“So che la ami ancora. Avrei dovuto capirlo tanto tempo fa.”
Nella sua mente, i pezzi del puzzle si stavano incastrando perfettamente, ricostruendo la storia. Non sapeva come, dove, quando, perché. Sapeva solo che Severus amava Lily, che l’aveva insultata, che l’aveva persa, che aveva fatto tutte le scelte sbagliate e che poi, probabilmente senza saperlo, aveva venduto la sua famiglia a Voldemort. E, forse, da quello stesso giorno, era passato dalla parte del bene. Per salvarla, senza riuscirci.
“Cosa…? Tu…?”
Severus era incredulo, non capiva. Non voleva prendere in considerazione l’idea che lei avesse scoperto davvero… Il suo segreto… Come era possibile che…
“Ma lei ti ha perdonato, Severus. Ti ha voluto bene, perché ha capito. Sa quello che stai facendo, sa che lo stai facendo solo per proteggere suo figlio.”
Ecco cosa voleva davvero dirgli, ecco con che spirito era corsa fino in quel luogo: non era tanto la consapevolezza dei sentimenti dell’uomo, non era tanto il rendersi conto di non aver mai avuto un posto speciale nel suo cuore o di non poterlo mai avere… Era venuta lì perché conosceva Severus, perché ora, con il senno di poi, sapeva che lui non si era ancora perdonato. Che non si sarebbe perdonato mai. E lei questo non lo poteva sopportare.
Severus aveva capito che Sara era davvero riuscito a scoprire il suo segreto. Non sapeva come comportarsi. Da una parte voleva staccarsi da lei, mandarla via, rimanere solo in quella camera ad annegare il suo dolore. Dall’altra, le parole che lei avevano appena detto rappresentavano per lui una speranza, una luce, una possibilità che si era sempre negato, in tutti questi anni. Rimaneva fermo, incatenato a quelle parole.
“Lei veglia su di te, io lo so. Ha protetto suo figlio con il sacrificio della carne e ora protegge te con la sua anima, io ne sono sicura. Ti ha perdonato, Severus.”
Poi, senza che nessuno dei due ne fosse pienamente consapevole, Severus si strinse di più a lei e soffocò un singhiozzo contro il suo collo. Le lacrime arrivarono dopo, facendo compagnia a quelle che già scendevano copiose dagli occhi della ragazza.
“Lei ti ha voluto bene, Severus.”
Per tutta la notte, Sara continuò a dire cose come questa, a consolarlo, finché entrambi, esausti, non crollarono.
Severus avrebbe tanto voluto crederci.

***

Il giorno dopo si svegliarono ancora semi-abbracciati. Severus dormiva con la testa sul suo seno e lei aveva una mano fra i suoi capelli. Rimase così per un po’, gustandosi quel momento di intimità rubata, quando anche lui aprì gli occhi e si rese conto della situazione.
Si spostò, senza riuscire a guardarla in faccia.
“Severus…”
“Dovresti andare, ora.” disse lui, la voce un po’ roca per il sonno e per il pianto della sera prima.
“Io… Vado in bagno.”
Sara si sistemò come poteva, lavandosi la faccia e cercando di lisciare le pieghe dei vestiti.
Quando uscì, vide l’uomo seduto sul bordo del letto. Aveva i capelli che gli coprivano il volto e la superò in fretta per entrare nel bagno.
Lei lo aspettò.
Lui sbuffò, contrariato dalla sua presenza.
“Severus, devo dirti una cosa.”
L’uomo la ignorò e si diresse verso l’armadio. Lei si alzò e gli prese un braccio.
“Questo non significa assolutamente niente.” disse lui, tornando suo malgrado a guardarla negli occhi “Non devi pensare che sia cambiato qualcosa nel nostro rapporto, o che…”
“Lo so.” lo anticipò lei. La sua voce era dolce e dolorosa insieme, tanto che Severus se ne sentì trafitto “Ma volevo dirti un’altra cosa.”
Lui continuò a guardarla.
“Credo davvero in ciò che ho detto ieri, in ogni singola parola.”
“… Ma tu non puoi saperlo davvero.”
“No, ti sbagli.”
Severus sembrava perplesso, e anche un po’ addolorato. Le labbra erano diventate una riga sottile, ma i suoi occhi esprimevano smarrimento.
“C’è una cosa che mi ha aiutato a capire, anche se ci ho messo molto tempo.”
“Non devi…”
“Dirlo a nessuno?” finì lei “Non lo farò. Ma il punto è un altro.”
Sara ai allontanò di qualche passo. Andò verso la finestra, si mise ad osservare fuori.
“Io credo davvero che la sua anima sia rimasta a vegliare su di te. Anche su Harry, è vero, però… Lei dev’essere qui, attorno a te, nell’aria.”
“Non penso che…”
“Se è davvero qui, allora, nel tempo, deve aver iniziato a proteggere anche le persone che ti stanno accanto. Anche me, Severus.”
Lei si girò, per fissarlo ancora negli occhi.
“Ho capito di amarti tempo fa, è vero, ma anche quando tutto aveva un sapore ancora innocente il mio cuore ti aveva già scelto. Era stato guidato, affinché io capissi i segnali, e suppongo che sia stata la stessa a Lily a farlo.”
“Io… Non capisco.”
“Ti ricordi l’Esercito di Silente?”
“Certo, ma cosa c’entra con… Quello che mi stai dicendo?”
Sara prese la bacchetta. Se l’avvicinò al viso, chiudendo gli occhi, poi si preparò per l’incantesimo. Guardò Severus e pensò che ora lo conosceva davvero, a fondo.
“Expecto Patronum!”
La cerva d’argento uscì dalla sua bacchetta, fece un giro per la stanza e poi si fermò accanto a lei.
Severus aveva sgranato gli occhi e non sapeva che dire. Perché quella era Lily.
“Capisci cosa intendo dire? Lei ha cercato di dirmelo, ma io non potevo sapere… Eppure, per me, questa è la prova che sia ancora qui, a proteggerti.”
La cerva sparì e Sara si avvicinò all’uomo. Gli posò una mano sul cuore, poi lo fissò negli occhi.
“Lily.” disse, a metà fra la gioia e il dolore.
Severus non sarebbe mai stato suo, lo sapeva.
L’uomo percepì una lacrima scivolare lungo la sua guancia. Una sola.
Sara lo abbracciò, cercando di infondergli tutto il suo calore, e lui non si sottrasse.
“Adesso devo andare.” disse infine, certa di doverlo lasciare solo per metabolizzare il tutto.
Quando uscì dalla porta, Severus continuò ad osservare il punto in cui era sparita per molto tempo.

***

Il giorno dopo era tornata.
Severus non aveva accennato alla cosa, così anche lei non ne aveva più parlato.
Alla fine del loro incontro, gli aveva detto la solita frase.
“Severus, mi sono innamorata di te.”
Sorrideva, serena.
Lui l’aveva guardata, aveva scosso la testa ed aveva borbottato.
Lei si era sentita più che mai felice.

***

La guerra stava avanzando, lo sapeva. La gente scompariva e il mondo magico era in panico. Ad Hogwarts non se la passavano meglio: o si stava alle regole, o si subivano le peggiori torture.
Sara aveva iniziato ad incantare un amuleto. Era un semplice cerchio di giada, piatto, da appendere come ciondolo. L’aveva scelto perché le pareva che avesse lo stesso colore degli occhi di Harry. Di Lily.
Lo incantava con potenti Scongiuri e Contromaledizioni. Cercava di infondergli un potere protettivo, di modo che chiunque lo portasse riuscisse a sopravvivere a qualche anatema o ferita oscura.
A Natale lo regalò a Severus. Andò a trovarlo nel suo ufficio e glielo diede, chiedendogli di indossarlo. Sapeva che non era nel suo stile, ma lei aveva seriamente paura che lui potesse morire.
Non voleva perderlo.
Severus si mostrò sorpreso dal regalo, le chiese come avesse fatto ad incantarlo. Poi fece apparire una sottile catenella d’oro, ci mise il ciondolo e se l’appese al collo, nascondendolo sotto le vesti.
“Grazie.” disse.
Lei sorrise, sollevata.
“Mi piaci sempre di più.” rispose.

***

Il tredici marzo, il giorno del suo compleanno, lui le regalò una piccola valigetta contente diverse pozioni e ingredienti. Rimpolpasangue, essenza di dittamo… Cose estremamente utili.
Incantò la valigia in modo da rimpicciolirla e l’attaccò ad un portachiavi.
Lei gli gettò le braccia al collo e lo strinse. Lui, invece di sottrarsi, ricambiò l’abbraccio, dopo un primo momento di stupore.
“Severus, posso essere almeno un po’ felice?” gli aveva chiesto.
L’uomo aveva sospirato.
“Spero che tu possa esserlo.”
Sara aveva sorriso e si era alzata sulle punte. Prima che lui potesse impedirlo, gli aveva sfiorato le labbra con le sue.
“Allora non arrabbiarti.” aveva detto, il cuore che batteva a mille “Regalami quest’attimo di felicità. Spero che un giorno ci possa essere un po’ di spazio nel tuo cuore, per me.”
“Sara…”
“Non dire niente. Non oggi, non adesso. E bada che non ti sto chiedendo di dimenticarla: devi solo fare un po’ di spazio in più.”
Severus aveva scosso la testa e borbottato, come al solito.
Ma lei sapeva che quel regalo valeva più di mille parole. Che lei sapesse, finora il professore non aveva mai regalato niente ai suoi studenti… Invece quella volta aveva scelto lei, donandole qualcosa di utile per la sua salvezza.
A modo suo, ci teneva… Ed era questo pensiero a confortarla.

***

La battaglia era arrivata, come un fulmine a ciel sereno.
Lei aveva corso, disperata, abbattendo quanti più Mangiamorte possibili. Ad un certo punto aveva intercettato Harry, Ron ed Hermione.
“Vi prego!” aveva detto ad Harry, afferrandolo. Aveva le lacrime agli occhi “Avete visto Severus? Dov’è?”
Loro non l’avrebbero aiutata, sicuramente. Ma Harry, stranamente, la fissò negli occhi, serio.
“Voldemort l’ha chiamato.”
Un gemito disperato uscì dalle sue labbra.
“Stiamo andando. Vieni.”
Sara si aggrappò ad Harry, ormai totalmente in panico, mentre il ragazzo cercava di coprire tutti con il Mantello dell’Invisibilità.
Il viaggio verso il Platano Picchiatore le parve infinito. Una volta che ebbero tutti strisciato nel sottopassaggio, Harry fece segno di stare zitti e di fermarsi.
Sara non riusciva a capire bene. Aveva un brutto presentimento.
Poi Harry avanzò, e lei credette di morire.
Severus era in una pozza di sangue. I suoi occhi videro il ragazzo e gli fecero cenno, imploranti.
“Guar… da… mi…”
Harry raccolse i ricordi.
“Sara…” le sussurrò Hermione, ma lei si era già inginocchiata vicino al collo del professore e cercava di fermare il sangue con le dita.
Percepì che gli altri se ne stavano andando: non le importava.
Poi si ricordò dell’amuleto e delle pozioni che lo stesso Severus le aveva regalato.
Ingrandì la valigetta, che portava sempre con sé, e prese ad armeggiare con i contenitori. Vide che con il Dittamo il sangue aveva smesso di scorrere, così scostò le vesti e constatò che l’amuleto si era rotto, probabilmente per la forza del Maleficio che aveva dovuto assorbire. Almeno, in questo modo, la ferita era stata “pulita” dalla Magia Oscura e avrebbe potuto rimarginarsi.
Fece bere a Severus una Rimpolpasangue, con difficoltà. I suoi movimenti erano precisi e il suo sguardo attento, quasi senza emozione. Ma il suo volto era pallido.
“Non morire.” sussurrò ad un certo punto, con la voce tremante.
Continuò ad armeggiare attorno alla ferita dell’uomo.
Severus, dal canto suo, la osservava e cercava di restare a galla in mezzo al mare di dolore.
Poi accadde una cosa strana: i contorni della ragazza si sfuocarono e lei si sdoppiò… Ma non era Sara.
Con un sussulto al cuore, si accorse che l’altra figura che lo stava osservando era Lily. Le era mancata così tanto… Così tanto…
Lily vestiva di bianco e aveva uno sguardo gentile e luminoso. Allungò una mano e gli toccò il viso, per poi scendere sulla sua ferita.
“Vai avanti, Severus.” gli disse.
Lui voleva protestare, voleva dirle che non avrebbe più voluto perderla. Era pronto a morire pur di restarle accanto.
“So cosa provi per me, ti sono grata. Non dimenticherò mai quello che hai fatto, come hai protetto Harry. Ma adesso devi andare avanti, Severus. Fallo per te. Io, ormai, non posso più far parte della tua vita, né della tua morte. Lo sai.”
E poi Lily si allontanò, e divenne una figura sempre più sfuocata, finché non sparì del tutto. Il mondo ridivenne chiaro ai suoi occhi, e lui vide Sara continuare a premere contro la sua ferita.
“Non morire.” la sentì sussurrare.
In quel momento, capì cosa avesse voluto dirgli Lily. Sapeva già da prima che per loro non c’era mai stato futuro, nemmeno una speranza. Ma lei aveva ragione: la sua vita non era finita. L’aveva perdonato, esattamente come aveva detto Sara.
In quel momento, Severus Piton cominciò a perdonarsi da solo. Non sapeva cos’avrebbe fatto d’ora in avanti, ma sapeva che non sarebbe morto. Aveva solo trentotto anni, era giovane, e poteva permettersi, finalmente, di distaccarsi dal ricordo di un amore mai nato. Aveva espiato le sue colpe: ora doveva solo ricominciare a vivere.

***

Quando Severus aprì gli occhi, la prima cosa che vide fu il volto di Sara.
Realizzò di essere in infermeria, sdraiato su un letto. Non doveva essere passato molto dalla battaglia, dato che la ragazza aveva ancora il viso sporco e le mani macchiate di sangue.
“Non sforzarti, madama Chips dice che non riuscirai a parlare per un po’ di giorni.”
Madama Chips? Ma era davvero finita? Aveva vinto qualcuno?
Un altro volto entrò nel suo campo visivo: Harry Potter, che dall’espressione che aveva doveva decisamente aver visto i suoi ricordi.
“Professor Piton, io… Non so cosa dire. La ringrazio infinitamente.”
Ma se aveva visto i ricordi, perché era ancora vivo?
“Silente aveva previsto tutto.” disse lui, come intuendo la domanda dell’uomo “Voldemort aveva preso il mio sangue per rinascere… Il sangue con la protezione di Lily. Per questo, se era lui ad uccidermi, io non potevo morire. Ma l’Horcrux è andato distrutto e, quindi, lui è morto veramente. Siamo di nuovo liberi, professore.”
A quelle parole, il sollievo lo pervase. Allora non era stato tutto inutile…
“Professore, le volevo ridare questi.”
Gli porse una fiala: i suoi ricordi.
Severus la prese, poi, dopo un secondo appena di riflessione, la porse a Sara.
Lei parve incredula. Lui sorrise.
Lei la prese, sorridendo a sua volta.

***

La ricostruzione procedeva lenta.
I funerali delle vittime di guerra si tennero tre giorni dopo la battaglia, nel parco di Hogwarts.
Sara aveva saputo che Colin era morto. In fondo al cuore, le rimase sempre il rimpianto di averlo rifiutato, anche solo per il fatto che avrebbe potuto farlo felice per gli ultimi anni della sua vita.
Ma il suo amore, in ogni caso, era solo per Severus.
Lui si era rimesso in piedi presto, aiutando come gli altri nella ricostruzione. Chi lo vedeva mormorava, rispettoso: ormai erano venuti tutti a conoscenza della sua storia.
Severus ignorava tutti. Solo Sara riusciva a rimanergli accanto, perché non aveva il timore degli altri.
Qualcuno giurò che lui, più di una volta, le avesse persino sorriso.



Ed eccomi qui, a fine storia.
Che dire? Spero che l’abbiate apprezzata almeno un po’ :)

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