Forse un angelo

di Feel Good Inc
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il viaggio ***
Capitolo 2: *** La stanza ***
Capitolo 3: *** La spiaggia ***
Capitolo 4: *** La festa ***
Capitolo 5: *** La scogliera ***
Capitolo 6: *** La pineta ***
Capitolo 7: *** Il faro ***
Capitolo 8: *** L'alba ***
Capitolo 9: *** La stazione ***
Capitolo 10: *** L'angelo ***



Capitolo 1
*** Il viaggio ***


FORSE UN ANGELO

Benvenuti a tutti voi… Questa è la mia prima long-fic su “Card Captor Sakura”! Ebbene sì, alla fine ce l’ho fatta a scriverne una… E se devo essere sincera, mi è piaciuto moltissimo scriverla… Tanto che, visto che l’ho già completata, spero di poterne iniziare presto un’altra…

Allora, lo spunto è la splendida canzone degli Studio 3. Ogni capitolo si sviluppa su un verso o due, o su una strofa intera. Si tratta, inoltre, di una What-if: Li non ha ancora trovato il coraggio di dichiarare a Sakura i suoi sentimenti, e in più le nasconde che a breve dovrà tornare a Hong Kong… All’inizio di questa storia, i due ragazzi partono insieme a Tomoyo per passare un fine settimana al mare, festeggiando il compimento della missione di Sakura. Provate a immaginare cosa succederà…

Dedico questa song-fic a tutte quelle assidue lettrici che hanno espresso il desiderio di vedermi cimentare in una storia a più capitoli. Spero di poter soddisfare le vostre aspettative, ragazze…

Buona lettura!

 

 

Forse un angelo

 

 

Capitolo 1

- Il viaggio -

 

 

“Ti vedo ridere, sei così semplice

Mi sembra facile capire che sei unica…”

 

 

«Tomoyo, ti vuoi dare una mossa?»

«Arrivo… Oh, no!…»

«Che cosa c’è?»

«Catastrofe! Guardate, si è scucita la tracolla con la videocamera!»

«Dai, non è niente di grave…»

«Vuoi scherzare? E se perdo la videocamera? Qui bisogna correre ai ripari, prima di causare una perdita del genere…»

«Tomoyo, scusami, ma se perdiamo il treno giuro che…»

«Ehm… Ragazze…»

«E adesso che c’è?»

«Il treno sta per partire.»

Iniziammo a correre nella stazione ferroviaria. Fui il primo a saltare a bordo. Mi voltai a tendere la mano a Sakura; lei si aggrappò a me per entrare nel treno, e fu seguita da Tomoyo, che si chiuse alle spalle il portello nello stesso istante in cui il treno iniziava la sua corsa sui binari.

Mi affrettai a lasciare la mano di Sakura, sentendomi arrossire. Non sembrò accorgersi del mio imbarazzo; si incamminò tranquillamente nel corridoio trascinandosi dietro la borsa da viaggio.

«Dai, cerchiamo dei posti», disse, ancora ansante per la corsa. «Non preoccuparti, Tomoyo, sistemeremo la tua tracolla.»

Feci per seguirla, ma all’improvviso mi sentii tirare la maglietta. Mi voltai e incrociai lo sguardo estremamente serio di Tomoyo.

«Li, quando hai intenzione di dirglielo?»

Ricambiai il suo sguardo, perplesso.

«Di che cosa stai parlando?»

«Lo sai benissimo.»

Feci finta di niente, ma il mio cuore era già in tumulto. Mi sistemai lo zaino in spalla e iniziai a camminare nel treno, evitando lo sguardo di Tomoyo, ma sentendomela costantemente al fianco.

«Non so.» Mi uscì solo un sussurro. «Vorrei parlarle subito… Ma è così difficile…»

Lei mi si portò accanto.

«Devi trovare il coraggio. Ora che la storia delle Carte sembra finita, devi cogliere l’attimo.»

Continuai a non guardarla. Lei non poteva capire. Non era solo questione di dire a Sakura ciò che provavo per lei… C’era anche qualcos’altro che avrei dovuto cercare di dirle. E forse era ancora più difficile.

La testa di Sakura si affacciò da uno scompartimento alla mia destra. Mi voltai e me la ritrovai tanto vicina da farmi sobbalzare. Feci un passo indietro, rischiando di inciampare in Tomoyo.

«Ragazzi, entrate qui, questo scompartimento è vuoto…»

Come al solito non si accorgeva di quello che mi faceva provare…

Possibile che fosse davvero così cieca? O forse fingeva solamente di non vedere?

Pensare che mi sentivo un perfetto idiota ogni volta che la guardavo… Di sicuro lo davo anche a vedere…

Tomoyo mi passò accanto lanciandomi un’occhiata sfuggente. Entrò nello scompartimento seguendo Sakura, e io mi sforzai di ricompormi. Andai a prendere posto in un sedile vuoto, appoggiando lo zaino su quello accanto.

Sakura venne a sedersi di fronte a me e mi sorrise allegramente.

«Beh, eccoci qua. La nostra prima vacanza insieme. Anche se è solo un fine settimana… Ma sempre meglio che niente, non credi, Li?»

Mi limitai ad annuire. Averla così vicina, ed essere condannati a non poterla avere, era una sofferenza immane, che mi toglieva il fiato e le parole.

Tomoyo sedette accanto a Sakura, ma quasi subito si rialzò, frugando nella tracolla ed estraendone l’inseparabile videocamera.

«Beh, ragazzi, io vi lascio. Scusatemi, ma ho intenzione di filmare ogni singolo istante di questi due giorni, perciò vado subito a fare una bella panoramica del treno.»

«Vuoi che veniamo con te?», si offrì Sakura, ma Tomoyo la immobilizzò con un gesto.

«No, no, voi state qui. Così potrete prendere qualcosa da mangiare anche per me quando passerà il carrello…»

Ancora una volta mi guardò di sfuggita, poi si diresse alla porta dello scompartimento e ci salutò con la mano prima di chiudersela dietro.

E solo quando fu uscita capii che aveva fatto in modo di lasciarmi solo con Sakura.

Mentre me ne rendevo conto, Sakura mi guardò e sorrise di nuovo, per poi rivolgere lo sguardo al finestrino.

Accidenti.

E adesso?

Dovevo dirglielo. Assolutamente. Non potevo sperare in un’altra occasione.

No, un momento, non era vero: per due giorni saremmo stati insieme, noi due e Tomoyo, in un albergo in una cittadina in riva al mare, per rilassarci dopo la conclusione della missione di Catturacarte di Sakura che aveva coinvolto tutti noi… Le occasioni non sarebbero mancate.

Sì, però Tomoyo aveva ragione. Dovevo cogliere l’attimo.

Ma come potevo dirglielo? Cosa diavolo dovevo dirle?

Perdonami, Sakura, ma ho perso la testa per te…?

Scusami, ma mi sono completamente innamorato di te…?

Ti amo…?

Questa poi era la più difficile… Anche se era la più vera.

Ma… E poi?

Ti amo, ma devi sapere che tra poco dovrò tornare in Cina dalla mia famiglia…?

Decisamente spiazzante.

Non potevo farle questo. Era troppo difficile per me, e lo sarebbe stato anche per lei.

La guardavo in silenzio, sentendo il rossore salire sul mio viso fino alla radice dei capelli.

Ma perché, accidenti, era così bella?…

Lei si voltò di colpo verso di me.

«Ehi, ma che cos’hai?»

Mi scossi.

«Niente», bofonchiai confuso.

«Oh.» Sakura abbassò lo sguardo sulle proprie ginocchia. Sembrava imbarazzata quanto me. «Senti, Li… Devo dirti una cosa.»

Il cuore mi mancò almeno tre battiti.

«Ah… Dimmi…»

«Ecco…» Alzò di nuovo gli occhi su di me, e quel verde me lo sentii dentro l’anima. «Io… Non credo di averti ancora ringraziato per quel giorno. Sai, quando… Quando mi hai aiutato a vincere la sfida con Clow Reed. Quando ti sei rialzato e mi hai dato le tue ultime energie perché tutto finisse bene… Senza di te non ce l’avrei mai fatta.»

Mi sentii mancare un altro battito mentre cercavo di sorriderle.

Mi ricordavo bene di quel giorno. Sì, mi ero rialzato, anche se ero sul punto di svenire, e mi ero rialzato per lei, per salvarla, per aiutarla a salvarci tutti, perché la mia forza stava in ciò che mi legava a lei, proprio come valeva per le Carte, per Kero-chan e per Yue. E l’avevo tenuta stretta e avevo condiviso con lei tutto ciò che mi restava, e alla fine la luce aveva sconfitto il buio. E alla fine avevo cercato le parole adatte, perché era il momento, perché dovevo dirglielo…

Ma come al solito non ce l’avevo fatta.

Ecco, adesso, dovevo farcela adesso.

«Non devi ringraziarmi, Sakura…», esordii, senza sapere bene se e dove sarei andato a finire.

«Invece sì, Li, devo ringraziarti. Perché… Perché tu ci sei sempre stato. E ci sei ancora. E questo è molto importante per me… Questa è la nostra amicizia. E ci sarà sempre.»

Oh, no…

E adesso, come avrei potuto parlarle? Come avrei potuto rivelarle che l’amavo da sempre, e poi dirle che, pur odiando quella prospettiva, presto avrei dovuto lasciarla?

Perché, purtroppo, le cose stavano così. Non avevo più alcun compito in Giappone, e le mie sorelle mi avevano già contattato per chiedermi di tornare a casa. Avevo deciso di rivelarle i miei sentimenti perché non sopportavo l’idea di andarmene senza parlarle… Ma ora? Ora cosa dovevo fare?

Ora non potevo fare più nulla.

Distolsi lo sguardo. Mi alzai e mi affacciai al finestrino, lasciando che il vento mi frustasse il viso e sperando che si portasse via tutto il rossore che mi sentivo addosso. Dopo pochi istanti, sentii un movimento accanto a me, e mi ritrovai Sakura al fianco. Vicinissima. La guardai e la vidi sorridere, con lo sguardo che vagava lontano, fuori dal treno. Quanto era bella… Mi costrinsi a toglierle gli occhi di dosso; ma poi, lentamente, lei scese a posarmi la testa sulla spalla. Mi sentii evaporare.

Restammo lì per un bel pezzo, in piedi, l’uno accanto all’altra, con il vento sul viso e tra i capelli.

Sarebbe stato davvero il momento perfetto…

Ma cosa sarebbe successo dopo?

Ero davvero in grado di affrontare la sua reazione?

Ed ero davvero in grado di farle capire quanto disperatamente l’amassi?

Così passò il tempo e passò buona parte del viaggio, tra domande senza risposta e parole che avevano paura di uscire allo scoperto. E così, quando Tomoyo tornò nello scompartimento, io avevo sprecato l’occasione, come mille altre volte.

Al sentirla entrare, Sakura si sollevò dalla mia spalla e si voltò.

«Ehi, Tomoyo… Alla fine ce l’hai fatta! Credevo non tornassi più…»

Tomoyo sorrise allegramente mentre spostava lo sguardo da lei a me.

«Oh, ci ho solo messo un po’ più del previsto. Ma comunque immagino che siate stati bene anche senza di me.»

Avvampai, rendendomi conto che doveva aver visto Sakura con la testa sulla mia spalla. Chissà che cosa diavolo aveva capito… Sakura, dal canto suo, non fece una piega. Rise serena, mi guardò e disse poche parole, luminose come un fiotto di luce nella nebbia.

«Sì, sono stata benissimo qui con Li.»

La guardai sedersi di nuovo nel suo posto e mettersi a trafficare con la borsa. Quel suo sorriso mi incantava ogni volta. Era come se tutto intorno sparisse nel nulla, perché tutto diventava nulla in confronto a lei. Lei era speciale, era unica; ed era ormai da una vita che lo sapevo, che sapevo di amarla. Continuai a guardarla finché mi accorsi che, da dietro le sue spalle, Tomoyo stava cercando di attirare la mia attenzione.

“Gliel’hai detto?”, articolò solo con le labbra.

Scossi la testa.

Lei sembrò decisamente contrariata. O sconfortata.

Sospirai tra me e me e tornai a guardare fuori dal finestrino. Per Tomoyo era tutto troppo semplice. Ma lei non sapeva, non poteva capire come mi sentivo. Non sapeva dei miei dubbi, dei miei ripensamenti, delle mie aspettative e delle mie paure. Non poteva sapere, perché nemmeno io avevo le idee chiare…

Sarebbe stato un lungo weekend.

 

 

Come avrete constatato, questo capitolo è solo una sorta di prologo, quindi non è che succeda chissà che… Però, se decidete di continuare a leggere, vedrete che la storia si farà man mano più dinamica.

Prometto di inviare il secondo capitolo molto presto. Io ho già tutta la storia pronta, ma se la pubblicassi subito tutta, dove sarebbe il bello della long-fic? Comunque non voglio essere troppo cattiva, non vi lascerò troppa suspense…!

Un grazie in anticipo a chi deciderà di recensire…

Alla prossima!

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Capitolo 2
*** La stanza ***


FORSE UN ANGELO

Ecco pronto il secondo capitolo… Innanzitutto ringrazio chi ha commentato il primo capitolo, ossia: Sakura Bethovina, Sakura93thebest, Evans Lily, Sakura93, Ponpon e Sakura182blast… Siete troppo gentili, spero non mi farete montare la testa!! Per rispondere alle domande della mia ormai amica (diciamo che ormai ci conosciamo!!) Evans Lily, la storia prevede 10 capitoli, tutti dal punto di vista di Li.

Come promesso, qui ci sarà senz’altro un po’ più dinamismo che nel primo capitolo, senza contare una situazione molto imbarazzante, direi quasi tragicomica, in cui Li si ritroverà coinvolto. Non voglio anticiparvi troppo, però…

Buona lettura!

 

 

FORSE UN ANGELO

 

 

Capitolo 2

- La stanza -

 

 

“E quante notti spese per immaginarmi insieme a te…”

 

 

«Scusi, signore, abbiamo prenotato qualche giorno fa per questo weekend e…»

L’addetto alla reception alzò distrattamente gli occhi e studiò Sakura, tranquilla di fronte a lui, prima di tornare a concentrarsi sui fogli che aveva davanti.

«Certamente. A nome di chi?»

«Beh, è stato mio fratello a telefonare… Toy Kinomoto…»

Finalmente l’uomo diede ascolto a Sakura e consultò un registro, scorrendo con il dito una lista di nomi.

«Ah, sì. Ecco qui. Tre persone. Kinomoto, Daidouji e Shaoran, giusto?»

«Giusto.»

Il receptionist si voltò, prese una chiave tra quelle appese al muro e la consegnò a Sakura.

«Ecco qui, signorina. Stanza 118, secondo piano. Divertitevi, ragazzi.»

Prima che Sakura potesse aggiungere qualcosa, l’uomo si era precipitato a rispondere al telefono.

«Stanza 118?», ripetei io lentamente. «Cioè una sola stanza?... Ehi, ma voi due lo sapevate?»

Mi sentivo arrossire sempre più intensamente. Vidi che anche Sakura era a disagio. Scosse la testa ed evitò il mio sguardo.

«No. Deve esserci stato un errore.»

Tomoyo ridacchiò.

«Dai, Li, mica ti mangiamo…!»

«Non ho paura», sbuffai, cercando di dissimulare il nervosismo. «Solo che questa cosa non è molto normale…»

«Li ha ragione, Tomoyo», mormorò Sakura piano. «Ad essere sincera, non vedo il lato comico.»

Ero perfettamente d’accordo con lei…

Tomoyo rise di nuovo e mi afferrò un braccio, incamminandosi verso l’ascensore. Mi impuntai.

«Ehi, molla! Molla, ho detto! Tanto non ci vengo, non mi puoi costringere!»

«Allora dove pensi di dormire per le prossime due notti?»

«Ah, non preoccuparti, troverò un posto, io mi adatto facilmente…»

Tomoyo smise di tirarmi a sé e si sporse a sussurrarmi all’orecchio.

«Li, lo vuoi capire che ti si stanno presentando le occasioni migliori per parlare con Sakura?»

La fissai sconcertato. Quella ragazza era incredibile. In quella situazione così imbarazzante, andava a pensare che io potevo parlare con Sakura? Certo che era davvero un’amica…

In quel momento anche Sakura ci arrivò accanto. Entrammo tutti e tre in ascensore. Sbirciai Sakura di sottecchi, e sul suo viso vidi riflesso il mio stesso imbarazzo. Solo Tomoyo sembrava davvero serena, se non entusiasta…

Il viaggio in ascensore durò fin troppo poco. In men che non si dica ci ritrovammo al secondo piano. Tomoyo uscì per prima; io aspettai che Sakura la seguisse. Quando mi passò davanti, alzai gli occhi da terra e vidi che mi guardava. E provai il solito vuoto allo stomaco, quello che ti prende quando salti in un precipizio, con un elastico o meno.

Mi incamminai dietro di loro, maledicendo mentalmente Toy, che a mio parere era l’unico responsabile dell’errore dell’albergo: evidentemente non aveva specificato la necessità di una stanza a parte per il sottoscritto…

Poi arrivammo alla nostra stanza, e mentre Sakura apriva la porta, io fui praticamente spinto dentro da Tomoyo.

Incastrato. Segregato. Maledetto Toy. Maledetta reception.

La 118 era spaziosa e ben illuminata, con una grande finestra che dava dritto sul mare. Mi soffermai solo superficialmente sull’arredamento; guardai invece con più attenzione i posti letto. Un singolo e un letto a due piazze.

«Beh», fece Tomoyo, affiancandosi a me e guardandosi intorno con aria critica, «direi che io e Sakura possiamo dormire nel lettone, così Li non rischia l’infarto per arrossimento eccessivo…»

Le scoccai un’occhiataccia, ma mi sentii avvampare ancor più di prima.

Sakura sedette sul letto a due piazze e mi guardò. Anche lei era un po’ rossa, ma sicuramente era più tranquilla di me. Sorrise timidamente.

«Non so cosa diavolo abbiano combinato con la nostra prenotazione», disse. «Comunque, sono contenta di stare qui con voi. Mi basta questo.»

Ricambiai il suo sguardo.

E mi dissi che sì, anch’io ero contento. Al di là di tutto il resto.

 

 

Era notte fonda.

Mi giravo e rigiravo in quel letto accostato al muro, ma non riuscivo a prendere sonno.

Beh, che scoperta. Come potevo dormire, in quella situazione?

Non era solo il fatto di dover dividere la stanza con due ragazze. Era anche la pura e semplice vicinanza di lei a togliermi il sonno.

Sakura respirava piano, nella parte del letto a due piazze più vicina a me. Dalla finestra proveniva una lama di luce che calava direttamente sulla sua guancia, così che, a meno di non darle le spalle, potevo vedere perfettamente il suo viso illuminato dalla luna. Anche nel sonno, era l’immagine stessa della grazia e della bellezza. Non riuscivo a smettere di guardarla e di sognare, di illudermi che anche lei mi stesse sognando.

Quante volte avevo vissuto notti simili?

Ore e ore passate al buio nel mio letto a pensare a lei, a chiedermi se fosse sveglia, a pensare a come sarebbe stato dirle che l’amavo, che l’avevo amata fin dal primo istante e che l’avrei amata per sempre…

Per l’ennesima volta ripercorsi la nostra storia.

Era iniziato tutto come un caso, un incontro voluto dal destino. Lei era la Catturacarte, la prescelta di Clow Reed; io avevo una missione che la comprendeva. Ci eravamo incontrati, ci eravamo scontrati, e inizialmente non mi era piaciuta, perché era una rivale, perché io dovevo dimostrare di essere più in gamba di lei. Ma poi era cambiato tutto. Con la sua dolcezza, lei aveva iniziato a farsi strada nel mio cuore, ad arrivare lì dove nessuno aveva mai messo piede, a capirmi e a farmi capire se stessa. Ci eravamo ritrovati più vicini che mai, uniti, amici. E inevitabilmente mi ero innamorato di lei.

E quante volte avevo sognato di dirglielo… Ma c’era sempre stato qualcosa a frenarmi. Prima le mie naturali difficoltà di esprimere ciò che avevo dentro. Poi la consapevolezza che lei amava un altro. Ma anche adesso che avevo imparato a conoscere i miei sentimenti, e che sapevo che l’altro in questione non occupava più quel posto speciale nel cuore di Sakura, ugualmente non riuscivo a dichiararmi. Forse avevo paura di soffrire per una sua reazione, di perdere la sua amicizia. Forse ero solo incapace di ammettere una cosa tanto forte. Non lo sapevo nemmeno io. Sapevo solo che era dura, insostenibile, e che ora che stavo anche per tornare in Cina la cosa era ancora più difficile da gestire.

Ripensai alle parole di Tomoyo, che continuavano a ronzarmi nelle orecchie con insistenza costante.

«Li, lo vuoi capire che ti si stanno presentando le occasioni migliori per parlare con Sakura?»

Lei voleva solo vederci felici. Lei era una vera amica.

Quella sera aveva fatto di tutto per lasciarmi solo con Sakura il più possibile, come quello stesso pomeriggio in treno, e probabilmente si era addormentata con la speranza che io approfittassi del suo sonno per parlare con Sakura.

Ma io ero rimasto lì ad occhi spalancati nel buio sempre più fitto, mentre il respiro di Sakura si faceva regolare, ascoltandola scivolare nel mondo dei suoi sogni, sempre sperando che lì ci fosse un piccolo posto anche per me. Senza il coraggio né le parole di prendere un’iniziativa e aprirle il mio cuore.

E anche adesso la ascoltavo dormire e guardavo la luna riflettersi sul suo viso e sognavo senza alcun bisogno di dormire.

Tomoyo aveva ragione. Dovevo parlarle, e dovevo farlo al più presto.

Poco importava che stessi per tornare a Hong Kong. Questo era meno importante, gliel’avrei detto in seguito. Ma al più presto dovevo assolutamente dirle che l’amavo… Perché non aveva senso continuare a fingere, e perché se l’avessi fatto, ben presto sarei morto dentro.

La guardai un’ultima volta e poi chiusi gli occhi.

L’indomani avrei smantellato tutto: dubbi, paure ed esitazioni.

Già… Ma come accidenti avrei fatto?

 

 

Ve l’avevo detto che la situazione sarebbe stata tragicomica… Povero Li, eh? Però vedrete che questa cosa gli servirà…

Ancora grazie a chi continua a seguirmi… A prestissimo!

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Capitolo 3
*** La spiaggia ***


FORSE UN ANGELO

Terzo capitolo: continuano le situazioni imbarazzanti per Li… Ma non mancano i suoi dolci pensieri verso Sakura, che è ciò che rende questo personaggio davvero speciale… (Giusto per inciso, esiste un fan club di Li Shaoran? Io mi iscriverei subito!)

Tornando a noi, grazie per essere ancora qui. E di nuovo buona lettura!

 

 

FORSE UN ANGELO

 

 

Capitolo 3

- La spiaggia -

 

 

“Un viso angelico, mi basta un attimo e

Diventa un brivido sognarti qui vicino a me…”

 

 

«Sakura… Ascolta, è importante… Io…»

«Li, che ti prende?»

«Ti prego, ascolta, devo dirtelo…»

«Ehi, Li, tutto bene? Dai, apri gli occhi!»

Una luce improvvisa mi ferì le palpebre ancora chiuse. Mi svegliai, stringendo gli occhi davanti ai raggi di sole che entravano a fiotti dalla finestra. Era stato solo un sogno…

Perché nei sogni sembra tutto più facile?

Con un gemito mi portai una mano al viso e mi sollevai su un gomito. Quando alzai la testa, vidi una sagoma stagliata contro la finestra.

Sakura aveva ancora indosso una vestaglia, se ne stava appoggiata con una mano sul davanzale, e mi guardava. Io mi persi nell’osservare i suoi contorni indistinti nella luce del sole già alto.

Un angelo… Doveva essere un angelo. Quella ragazza non poteva essere umana, era troppo bella, troppo bella per me che continuavo a sognare di poterla avere…

«Allora, ti senti bene?» La voce di Sakura sembrava preoccupata. «Parlavi nel sonno…»

Ops!

«Ah… No, niente… Stavo sognando.» Distolsi subito lo sguardo da lei. «Cosa… Cosa dicevo?»

«Non so, non ho capito bene… Però continuavi a ripetere il mio nome…»

Imbarazzo a mille.

«Non ti ricordi cosa stavi sognando?», continuò Sakura, esitante.

Scossi con energia il capo.

«No. Evidentemente non era importante.»

«Oh. Beh, meglio così…» Lei si allontanò dalla finestra e si diresse in bagno. «Ehm… Io vado a vestirmi», mormorò, lievemente imbarazzata, come se solo in quel momento si fosse resa conto di trovarsi sola in camera con un ragazzo, in vestaglia.

Mi sentii arrossire come al solito e subito guardai altrove. Non volevo farla sentire in imbarazzo come lei aveva involontariamente fatto sentire me.

Nello stesso istante in cui si chiudeva alle spalle la porta del bagno, sembrò leggermi nel pensiero e mi gridò attraverso il muro: «Tomoyo è già scesa. Ha detto che voleva fare una “panoramica dell’albergo”, o qualcosa del genere.»

Accidenti, Tomoyo… Stava facendo proprio di tutto per lasciarci soli. Avrei dovuto esserle grato…

Recuperai i vestiti dalla borsa ai piedi del letto, poi sentii scorrere l’acqua della doccia.

Oh, no, cavolo. Stava per venirmi un infarto. Ma come le saltava in mente?...

Per fortuna la tortura fu relativamente breve. Alla fine Sakura uscì dal bagno, già vestita e con i capelli un po’ umidi. Schizzai in piedi senza guardarla.

«Tutto tuo», disse passandomi accanto e tenendomi aperta la porta.

Mi rifugiai in quei due metri per tre sospirando di sollievo. Mi guardai allo specchio, e mi venne voglia di tirare un pugno alla mia immagine riflessa.

Perché, perché avevo accettato di andare a passare quel weekend con lei? Ero davvero disposto a fare il martire in quel modo? La situazione stava diventando insostenibile.

E intanto pensavo che prima o poi avrei dovuto dirle tutto…

Quando finii di provvedere alle mie incombenze, tornai nella stanza infilandomi una felpa sulla maglietta. Mentre emergevo con la testa dalla felpa, vidi Sakura seduta tranquilla sul letto, che mi guardava.

«Li, ma davvero hai bisogno della felpa? Con questo bel tempo?»

Evitai di nuovo il suo sguardo.

«Beh, lo sai che soffro il freddo…»

«Già, scusami.» Percepii un sorriso nella sua voce, anche se continuavo a non guardarla. «Non ci avevo pensato. Beh, comunque non l’avevo mica dimenticato… Ti ricordi che ti ho fatto una sciarpa proprio per questo motivo, no?»

Un pugno allo stomaco.

E come potevo non ricordare?

In quei giorni veniva a scuola completamente assonnata. Più di una volta ero stato sul punto di alzarmi a sostenerla, durante quelle lezioni in cui sembrava esausta. Mi preoccupavo da morire, pensavo a chissà quale problema potesse avere in quel periodo; invece lei semplicemente non dormiva più, perché di notte era impegnata a preparare una sciarpa per me, perché mi aveva invitato ad una festa all’aperto e sapeva che non tolleravo il freddo… E l’aveva fatto anche per ringraziarmi, perché in quel periodo le avevo dimostrato che anch’io potevo ascoltare lei, che anche lei poteva contare su di me, che il nostro rapporto di complicità non era a senso unico come era sembrato spesso…

Come potevo dimenticare? Come potevo dimenticare come mi ero illuso che in quel gesto, in quella sciarpa ci fosse qualcosa in più della riconoscenza e dell’amicizia?

Basta, basta ricordi, ora bisognava guardare al presente.

Mi sedetti sul letto, di fronte a lei. Sakura mi guardò allegramente. Ogni traccia del precedente imbarazzo sembrava sparita.

«Sakura, senti…»

Oddio. Avevo iniziato. Avevo iniziato davvero.

«Dimmi», sorrise lei tranquilla.

Cadde il silenzio.

«Ecco…», feci alla fine…

Ma prima che potessi aggiungere qualsiasi cosa, si sentì un leggero bussare alla porta.

«Servizio in camera», giunse una voce femminile.

Sakura si alzò, andò ad aprire e ringraziò gentilmente la ragazza che ci aveva portato la colazione.

Quando la congedò, si voltò di nuovo verso di me e venne a sedersi al mio fianco, posando il vassoio tra di noi.

«L’ho chiamato io, così quando tornerà Tomoyo potremo fare colazione insieme. Cosa stavi per dirmi?»

La guardai. Così terribilmente vicina, così tremendamente lontana. E così ingenua. E forse proprio per questo così bella e pura…

Scossi lentamente la testa.

«Niente.» Cercai di sorriderle. «Volevo proporti di scendere per la colazione, ma visto che hai già provveduto tu…»

Sakura rise.

«A quanto pare sono stata previdente.» Prese una fetta biscottata, una confezione di marmellata in miniatura e un piccolo coltello da pane. «Beh, buon appetito, Li.»
Circa due minuti più tardi Tomoyo si riaffacciò nella nostra stanza, ed ogni mia eventuale intenzione di provare di nuovo a parlare a Sakura uscì pian piano dalla porta che si chiudeva alle sue spalle.

 

 

«Ma è meraviglioso!»

Sakura si portò la mano agli occhi e guardò verso l’orizzonte, dove il mare sembrava stendersi all’infinito. Io mi voltai a guardare lei. Il vestito leggero era dilatato dal vento, e i capelli svolazzavano come piccole onde a definire i contorni del suo viso.

Tu sei meravigliosa”, avrei voluto dirle…

Tomoyo lasciò cadere la borsa da spiaggia e si portò la videocamera all’occhio.

«Questo posto sembra quasi una favola», mormorò in tono sognante.

Sakura si voltò sorridendo verso di me.

«Tu che ne pensi, Li?»

Tanto per cambiare, distolsi subito lo sguardo da lei.

«Sì, è…È molto bello.»

Ci incamminammo lentamente lungo il bagnasciuga. Ad un tratto, Tomoyo si fermò.

«Direi che qui è perfetto.» Lasciò per un istante la videocamera, giusto il tempo di sfilarsi il vestito e di emergerne in costume da bagno. «Forza, ragazzi, comincia la vacanza.»

No, Tomoyo, non esattamente.

Non era la vacanza, ad iniziare…

Iniziava il momento più imbarazzante di quei due giorni.

 

 

Cercavo disperatamente di non pensare. Eppure devo riconoscere che è difficile mantenersi lucidi, quando sei al mare, in una spiaggia semideserta, solo con due ragazze, una delle quali è quella di cui ti sei innamorato da sempre e per sempre.

Cercavo di non pensare e di concentrarmi sugli scherzi che si facevano Sakura e Tomoyo. Guardavo Tomoyo che per vendicarsi di uno schizzo troppo alto cercava ridendo di affogare Sakura…

Poi Sakura riemerse in superficie. A due centimetri dal mio viso.

Si spostò dagli occhi i capelli bagnati e mi guardò mentre riprendeva fiato.

La sorpresa e l’imbarazzo furono tali che io stesso rischiai di affogare, mentre mi allontanavo precipitosamente. Lei mi fissò con un sorriso intimidito.

«Scusami, Li… Non volevo spaventarti.» Si voltò di nuovo verso Tomoyo. «E tu, questa me la paghi!»

Nuotò velocemente nella sua direzione, mentre Tomoyo se la filava via ridendo come una matta. Il suono delle loro risate si perse in un eco nella mia mente.

No, Sakura… Non mi avevi spaventato… Non più del solito.

Solo che era così difficile averla così vicina e non riuscire a dirle quanto io…

Sospirai, poi presi fiato e mi immersi.

L’acqua fredda sembrò placare il caldo che sentivo sulle guance.

 

 

«Mamma mia, che nuotata!»

Tomoyo si lasciò cadere, ansante e soddisfatta, sulla sabbia al mio fianco. I capelli raccolti in due code si erano fatti crespi per via della salsedine, ma lei sembrava non farci caso: sorrideva con l’aria di una bambina felice.

«Sakura sta cercando delle conchiglie. Vuole portarne a casa una bella collezione.» Mentre terminava la frase, smise di sorridere e mi guardò. «Ancora non le hai parlato, vero?»

Arrossii e tuffai la testa nel libro che tenevo aperto sulle gambe e che da un pezzo avevo smesso di leggere.

«Accidenti, Li, questa mattina sei stato solo con lei per un’ora almeno… Possibile che tu non abbia trovato il modo per…?»

«Senti», mormorai a denti stretti, «ma perché ti sei fissata con questa storia?»

Lei non rispose. Mi sentii subito un ingrato.

«Oh… Scusami, Tomoyo. So che stai cercando di aiutarmi. Però… Ecco…»

«Sakura è la mia migliore amica», disse lei tranquillamente, senza accuse né risentimenti, «e tu sei il mio migliore amico. Io non sopporto di sapere qualcosa che Sakura non sa, così come non sopporto di vedere te star male e rigirarti per sempre in questo dubbio, senza trovare il coraggio di rischiare. Li, devi farlo per te, non per me. Per te e per lei. Perché è giusto così.»

Sospirai e feci scorrere lo sguardo lungo la spiaggia. Sakura era lì, lontanissima, intenta a cercare conchiglie, in quel suo costume da bagno verde, della stessa sfumatura dei suoi occhi. Una visione nella luce del sole…

«Questa sera qui in spiaggia ci sarà una festa», mi giunse di nuovo la voce di Tomoyo. «Me lo ha detto il receptionist stamattina. Magari sarà l’occasione adatta. Non credi?»

Mi limitai ad annuire.

Chissà, forse aveva ragione anche stavolta.

Quella sera avrei dovuto correre il rischio.

Perché era giusto così.

 

 

Spero abbiate notato che, come vi avevo promesso, la storia si sviluppa, non resta statica e introspettiva come sono di solito le mie one-shot… E visto che siamo in tema, cosa ne pensate di questa mia svolta?

Avrete anche notato che Tomoyo ha un ruolo di una certa importanza in questa storia. In effetti, credo che lei sia la tramite perfetta tra Li e Sakura. Ce l’avessi io, un’amica così!

Spero che vogliate pazientare fino al prossimo capitolo… E spero che non rimaniate troppo delusi.

A presto!

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Capitolo 4
*** La festa ***


FORSE UN ANGELO

Ehilà, eccomi di nuovo qui! Ci tengo a scusarmi per il ritardo… Il fatto è che con la scuola che è ricominciata, mi è stato più difficile collegarmi… Spero non vi siate spazientite troppo, voi che mi aspettavate!

Questo sarà un capitolo un po’ malinconico, nel senso che il mio povero dolcissimo Li subirà un brutto colpo (ma del resto anche Sakura soffrirà, per motivi analoghi…) e giungerà ad una decisione diversa da ciò che ci si poteva aspettare alla fine del capitolo precedente. Ma tranquille, amiche mie, vedrete che col tempo…

 

 

FORSE UN ANGELO

 

 

Capitolo 4

- La festa -

 

 

“Ma forse è giusto sia così, conoscerti ed illudersi…”

 

 

Aspettavo in piedi nell’ingresso dell’albergo, cercando invano di non sentirmi un perfetto idiota.

È difficile non sentirsi un idiota, quando si indossa uno stupido abito tradizionale per andare ad una stupida festa in spiaggia.

Un momento: non era certo l’abito, né la festa in sé, a farmi sentire così. Era più il fatto che era la prima volta che indossavo un vestito del genere per un’occasione che non fosse la cattura di una Carta di Clow. Però Tomoyo era stata a dir poco categorica.

«Si tratta di una festa elegante, perciò niente maglioni e pantaloni sformati, ma abiti come si deve.»

Alla fine avevo dovuto arrendermi, e adesso me ne stavo lì con quel vestito cinese che di solito indossavo solo per aiutare Sakura nelle sue battaglie contro il cosmo, sentendomi completamente sbagliato.

La sensazione si acuì quando le mie due amiche uscirono dall’ascensore.

Tomoyo era fantastica. Sul serio. Il lungo kimono bianco risaltava in modo quasi innaturale contro i lunghi capelli neri che aveva lasciato sciolti. Quando mi vide, sollevò allegramente un braccio e mi salutò, con uno sguardo del tipo: Niente male, ottima scelta.

Dal canto mio, allargai le braccia, come a dire: Avevo solo questo, che ti aspettavi?...

Poi Tomoyo si voltò e tirò qualcuno a sé.

Sakura uscì impacciata dall’ascensore e si guardò intorno.

Era un sogno ad occhi aperti.

Aveva un kimono rosa, del colore dei fiori di ciliegio, ma con ricami di mille altri colori dalle mille sfumature. Lei non aveva nulla di particolarmente diverso: era sempre la stessa, con la stessa pettinatura, senza trucco, naturale come sempre; però aveva comunque qualcosa in più, qualcosa di magico. E non dipendeva certo dal vestito. Il vestito sbiadiva se la guardavo negli occhi.

Mi sentii riempire il cuore da quel senso di vuoto, di inadeguatezza, che mi assaliva sempre più frequentemente negli ultimi tempi. Decisamente, non potevo sperare di averla, non potevo sognare di lei, era una creatura al di fuori della mia povera portata… Era un angelo o anche qualcosa di più…

Solo in quel momento mi accorsi che Sakura mi aveva visto, e che mi fissava.

Lei e Tomoyo si diressero tranquille verso di me. Ad ogni suono di passo, un battito del mio cuore saltato.

«Scusa il ritardo, Li», disse Tomoyo.

Io mormorai un «Non fa niente…» e continuai a fissare Sakura. Che mi guardava a sua volta.

«Li…»

«Eh… Che… Che c’è?»

Sakura mi sorrise.

«Niente. Sono contenta che tu abbia messo questo vestito. Ti sta benissimo.»

Stavo per evaporare.

In teoria avrei dovuto essere io a farle dei complimenti.

Ma Sakura mi sorprendeva sempre.

Lei si voltò verso le porte dell’albergo.

«Beh, allora andiamo?»

Tomoyo la seguì; percepii distintamente una sua risatina mentre mi passava accanto.

Io le andai dietro come un automa, sentendomi non più in grado di connettere.

 

 

Era solo il tramonto, ma la spiaggia era già piena di gente.

«Andiamo a sederci laggiù», disse Tomoyo, indicando una fila di tavoli all’ombra di una pineta poco lontana. «Potremmo prendere qualcosa da mangiare e poi fare un giro. Ovviamente ho con me la videocamera, non potevo rinunciarci proprio stasera…»

Vidi Sakura voltarsi assolutamente interdetta verso di lei, che mostrava orgogliosa una borsetta.

«Tomoyo, sei incredibile, non ti smentisci mai…»

Lei si limitò a ridere. Io scossi la testa sorridendo, ma di colpo le parole che Tomoyo aveva detto mi sembrarono assumere un nuovo significato, solo per me.

«… Non potevo rinunciarci proprio stasera…»

Era così sicura che finalmente avrei parlato a Sakura?

Beh, io non lo ero. Per niente.

Ci incamminammo verso la pineta, dove la lunga fila di tavoli si stendeva fino ad un piccolo chiosco.

Quando arrivammo, Sakura si voltò verso me e Tomoyo.

«Voi andate a cercare un tavolo libero. Io vado al chiosco a prendere qualcosa.»

«Se… Se vuoi…» Esitai per un istante, poi mi ripresi. «Posso aiutarti.»

Sakura mi guardò sorridendo.

«Sei gentile, ma non occorre che…»

«Secondo me è un’ottima idea», intervenne subito Tomoyo. «Andate in due, così potrete prendere più cose, no? Io invece cerco un tavolo.»

«Oh… Bene, allora», fece Sakura, senza accorgersi dello sguardo complice che Tomoyo mi scoccò.

Quella pazza l’aveva fatto di nuovo.

Ero di nuovo solo con Sakura.

Ci dirigemmo al chiosco delle ordinazioni; io mi scervellavo per trovare qualcosa da dirle. Certo, non era affatto il momento adatto per una dichiarazione, ma potevo almeno dirle qualcosa di carino. Solo per farle capire quanto ero contento di essere lì con lei.

Ma le parole non arrivarono mai.

Vicino al chiosco c’era una schiena fin troppo familiare. Quando la persona in questione si voltò, vidi che anche il viso era fin troppo familiare. E lo vide anche Sakura.

«Yuki!»

Lui si voltò verso di noi e ci vide. Sorrise apertamente.

«Ma guarda, è la mia piccola Sakura!»

Solita fitta di gelosia allo stato puro.

Sakura gli corse incontro. Yuki si chinò su di lei.

«Che ci fai qui?», dissero nello stesso istante, per poi scoppiare a ridere contemporaneamente.

Rimasi indietro ad osservarli.

Io avrei mai avuto quella complicità con lei?

«Prima tu…»

«Sono qui di passaggio. Sono solo venuto a trovare un amico. E tu, invece?»

«Io sono qui per il weekend con Tomoyo e Li.» Sakura si voltò verso di me. «Ehi, Li, vieni!»

«Ci sei anche tu, Li», sorrise Yuki mentre mi avvicinavo con riluttanza. «Sono contento di vederti.»

Avrei voluto poter dire la stessa cosa. Ma proprio non lo pensavo. Così mi limitai a salutarlo freddamente.

«E così siete venuti alla festa del paese, eh?» Yuki non sembrò preoccuparsi della mia freddezza e si concentrò di nuovo su Sakura. «Beh, è una bella coincidenza.»

«Sì, è vero», rise Sakura. «Senti, vuoi unirti a noi?»

La guardai di sottecchi, sperando di non incenerirla con lo sguardo.

«Ti ringrazio, Sakura, ma sono già con quel mio amico…»

Musica per le mie orecchie.

«Oh… Beh, ad ogni modo ci vediamo in giro, va bene?»

«Va bene. A presto, Sakura. Salutami tanto tuo fratello, appena lo senti… Ciao, Li.»

«Ciao, Yuki…»

«Ciao», biascicai io.

Non appena Yuki si allontanò, lo sguardo di Sakura si intristì. La fissai sconfortato. Ora in me oltre alla gelosia c’era la preoccupazione. In realtà non sopportavo di vederla così. Quel ragazzo le aveva rifilato la sua prima delusione d’amore, accidenti, e lei doveva soffrire ancora terribilmente.

Quando si accorse che la guardavo, cercò di sorridere.

«Tranquillo. Non sto male. Te l’ho già detto una volta che non sono più innamorata di lui, e che forse non lo sono mai stata. È solo che…» Si guardò i piedi. «Beh, è così strano…»

La capivo. Come sempre. Le posai una mano su una spalla, esitante.

«Dai, non pensarci. Perché non vai a sederti con Tomoyo? Ci penso io alle ordinazioni.»

Sakura mi guardò e sorrise in modo più sincero.

«Grazie, Li… Sei proprio un amico.»

Scostai la mano dalla sua spalla e le sorrisi. Poi lei si allontanò verso i tavoli, cercando Tomoyo.

Io sospirai e mi misi in fila per ordinare.

Era inutile. Non sarebbe mai cambiato nulla.

Sakura diceva di non amarlo più, e probabilmente lo pensava davvero, ma la verità era che sarebbe sempre rimasta legata in modo indissolubile a Yuki. Era stato il suo primo vero amore, non poteva sperare di dimenticarlo davvero. Proprio come io non avrei mai potuto dimenticare lei…

E non potevo nemmeno sperare di poter essere tanto importante per lei da far sì che dimenticasse Yuki…

Era stato bello illudersi, per quella giornata, e anche per quella precedente, e dirmi che presto le avrei parlato dei miei sentimenti più nascosti e che forse avrei scoperto che lei mi ricambiava. Era stato bello, ma tutte le illusioni finiscono.

In quel momento persi ogni intenzione di parlarle.

Tanto non sarebbe servito a niente.

Non mi restava che tornare in Cina così come ne ero venuto, in silenzio, e senza dirle quanto era stato importante per me stare in Giappone, perché vi avevo trovato lei, e perché forse quando l’avevo conosciuta già l’amavo, pur senza saperlo, e già mi illudevo.

Forse era questa la cosa giusta. Forse Tomoyo sbagliava, e l’unico modo per non soffrire era quello con cui ero sempre andato avanti: fingere e tacere.

Quando arrivò il mio turno e ordinai qualcosa da mangiare e da bere, ero deciso.

Non dovevo dirle niente.

Non sarebbe servito a niente.

Non sarebbe cambiato niente.

Mai.

 

 

Mi dispiace molto aver distrutto Li in questo modo. Se fosse per me, non lo farei mai soffrire… Ma come lo si può trovare, un ragazzo dolce come lui?... Però guardate che Sakura non è in mala fede, è sincera quando dice di non amare più Yuki, e nel prossimo capitolo dimostrerà a Li qualcosa di importante… Vedrete… Se continuerete a leggere! E spero di farvi aspettare meno, stavolta…

Alla prossima!

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Capitolo 5
*** La scogliera ***


FORSE UN ANGELO

Bentornati e grazie di essere ancora qui! Questo è un altro capitolo in cui sembra che Li si arrenda alla certezza che non potrà mai sperare nell’amore di Sakura… Tuttavia, come vi avevo accennato, qui lei gli dà un segno, una dimostrazione di affetto che non ha bisogno delle parole, e vi assicuro che questo sarà molto importante per entrambi…

 

 

FORSE UN ANGELO

 

 

Capitolo 5

- La scogliera -

 

 

“Ti regalerei una stella, ma non servirebbe a nulla

Luce dopo la tempesta, un desiderio resterai

Semplicemente stupenda, unicamente te

Forse un angelo sei…”

 

 

«Hai visto Sakura?»

Si stava facendo tardi. La festa era quasi finita, e di lì a poco ci sarebbe stato lo spettacolo finale, i fuochi d’artificio. Sakura sembrava sparita, in quel mare di gente, e io iniziavo a preoccuparmi sul serio.

Tomoyo mi guardò con occhi allarmati e scosse la testa.

«Non la vedo da un pezzo. Credo che rivedere Yuki l’abbia scossa parecchio, anche se si sforza di non darlo a vedere.»

Strinsi i pugni e guardai per l’ennesima volta lungo il bagnasciuga, su e giù, più volte, sperando di vedermela comparire al fianco all’improvviso, a cancellare ogni mia preoccupazione.

Mi sentivo malissimo. Sakura stava soffrendo in silenzio, ed io non ero con lei. Si era allontanata con il suo dolore e la sua confusione, e io non potevo fare niente per farla star meglio. Avevo voglia di prendermi a schiaffi, ma non avrei risolto nulla.

«Li, penso che dovresti andare a cercarla.»

Mi voltai. Tomoyo mi guardava seria e inflessibile.

«Non fraintendermi. In questo momento non mi riferisco a quel che devi dirle. Penso solo che le farebbe bene averti accanto adesso. Le ha già fatto bene una volta… Ricordi?»

Abbassai lo sguardo. Certo che ricordavo. Sakura mi aveva già detto che, se non fosse stato per me, non sarebbe riuscita ad affrontare la delusione nei confronti di Yuki… Allora avevo saputo consolarla, e dovevo farlo anche adesso. Ne sarei stato in grado. Sollevai di nuovo gli occhi su Tomoyo.

«Va bene, ma come faccio a trovarla?», sbottai sconfortato.

Con mia grande sorpresa, Tomoyo sorrise.

«Perché non ti lasci guidare dal tuo cuore?»

 

 

Mi sedetti sulla cima della scogliera e guardai in basso, sempre più scoraggiato. La spiaggia si stendeva sotto di me, piena di persone e voci e colori, ma vuota, perché lei non c’era. O almeno, io non l’avevo trovata.

Non era bastato cercarla in ogni punto di quella maledetta spiaggia. Se dovevo ascoltare le parole di Tomoyo, e farmi guidare dal mio cuore, beh, io l’avrei cercata in cielo, da dove credevo fosse venuta… Ma questo era impossibile, riflettei mentre alzavo gli occhi e guardavo la luna.

«Dove sei finita, Sakura?», mormorai nella notte.

E poi, all’improvviso, un’ombra lontana oscurò una stella, poi un’altra, e un’altra, finché si fece sempre più vicina. Volteggiò intorno al faro, alto sulla mia testa, e poi iniziò a scendere sulla scogliera.

Sbarrai gli occhi. Non riuscivo a crederci.

L’avevo cercata lassù, e l’avevo trovata.

Grande, Tomoyo.

Sakura smontò dallo Scettro che aveva trasformato grazie alla Carta del Volo, e su cui aveva volato all’amazzone, impacciata dal kimono; poi saltò sulla scogliera, poco distante da me. Tramutò di nuovo lo Scettro della Stella in Chiave del Sigillo, infine si voltò e mi vide.

«Li? Che fai quassù?»

Cercavo lei… Come al solito…

Non dissi nulla. Mi limitai a guardarla, sperando che finalmente si sfogasse, che riversasse tutto quel che aveva dentro, dandomi il modo di ascoltarla, capirla, consolarla.

Sakura si avvicinò lentamente e venne a sedersi accanto a me. Quando mi fu vicina, anche se il cuore mi arrivò in gola, potei vedere alla luce della luna che sul viso aveva tracce di lacrime.

Non mi guardava in viso.

«Mi dispiace di essermi allontanata senza dirvi nulla. Volevo solo… pensare.»

Annuii in silenzio. Non volevo metterla sotto pressione con domande inutili e stupide frasi di circostanza. Se voleva sfogarsi, doveva essere lei a parlare. Portai di nuovo lo sguardo sulla spiaggia, aspettando.

Lei però non disse nulla. Forse non sentiva il bisogno di parlare, forse le bastava aver pianto sola lassù nel suo mondo di stelle, forse io non le servivo.

Per un istante quel pensiero mi fece male. Avrei tanto voluto dimostrarle quanto le ero vicino. Ma non potevo, se lei non me lo permetteva, se lei non lo voleva.

Ma non era così. Lei aveva bisogno di me come io avevo bisogno di lei. E me lo dimostrò senza parole, prendendo la mia mano nella sua e stringendola forte, lassù su quella scogliera a un passo dal cielo.

Quando sentii la sua stretta, abbassai lo sguardo sulla sua mano e mi sentii avvampare. Ma per fortuna questa volta la penombra sarebbe stata mia complice, e non avrei avuto bisogno di nascondere il mio rossore. Al contrario, in quel buio potevo ricambiare la sua stretta senza paura.

Restammo così per molti, lunghi minuti. E mi bastava questo per essere felice. Avrei voluto che quella notte non finisse mai, se mi permetteva di stare lassù con lei e trasmetterle attraverso il tocco di due mani tutto ciò che non ero in grado di dirle e di darle altrimenti.

Alla fine, Sakura fece per alzarsi.

«Sarà meglio che andiamo. Tomoyo sarà preoccupata.»

Ci alzammo insieme, e Sakura non lasciò andare la mia mano.

Mi sentivo al di sopra della luna.

Nel momento esatto in cui fummo in piedi, il primo fuoco d’artificio partì dabbasso ed esplose sopra le nostre teste. Lo seguimmo con gli occhi, e osservammo quella pioggia di colori scendere a bagnare il mare.

Mi voltai a guardare Sakura. Se ne stava lì con il capo reclinato, gli occhi persi nel cielo; il blu si specchiava nel verde. Nei suoi occhi rilucevano tutte le stelle che avrei voluto saperle regalare.

Sarebbe stato il momento ideale per…

Ma ripensai a ciò che avevo deciso poche ore prima, quando l’avevo vista correre incontro a Yuki.

Io non sarei mai stato per Sakura ciò che lei era per me. E lei per me era tutto. Era il mondo intero, era la speranza, era la vita giunta all’improvviso quando meno me l’aspettavo, era l’arcobaleno dopo la pioggia.

Ed era inutile parlarle, non sarebbe servito a niente.

Lei era solo un sogno, il mio sogno più grande, e tale sarebbe rimasta per sempre.

E in quella luce sembrava ancor di più l’angelo che credevo che fosse…

Distolsi lo sguardo. Avevo deciso, non le avrei detto nulla. Perciò, perché continuare a sognare? Avrebbe fatto ancora più male, poi, il risveglio.

Però la sua mano sulla mia non era certo un sogno, era vera, era meravigliosamente reale…

Prima che me ne rendessi conto, lo spettacolo pirotecnico era già terminato.

Sakura sembrò riscuotersi. Si voltò a guardarmi e sorrise lievemente.

«Dai, andiamo.»

Lasciò la mia mano, lentamente, come se nemmeno lei lo volesse… Poi si voltò e si incamminò per scendere dalla scogliera e tornare in spiaggia.

Sospirai. Avevo deciso che non mi sarei più illuso, e invece ci ero cascato ancora, ci cascavo ancora.

Non si può sperare di poter avere un angelo tutto per sé.

Sakura non sarebbe mai stata mia. Per questo non potevo dirle nulla.

Dovevo continuare a vivere in quel buio, finché me ne sarei andato, sarei tornato in Cina, e probabilmente non avrei più visto lei né la luce che mi aveva infuso nell’anima.

 

 

Non disperate, la fic è ancora lunga, e Li ci mette poco a cambiare idea… Almeno in questa storia!

Grazie di nuovo a tutti voi che ancora leggete… Il vostro pensiero mi stimola a continuare a scrivere, e questo, credetemi, fa bene soprattutto a me. Se poi a voi piace ciò che scrivo… Beh, allora beneficiamo tutti della cosa!

Vabbè, mi sono persa in una considerazione strettamente personale… Ora vi lascio, così se volete potete correre a inserire un commento… Mi farebbe molto piacere…

A presto!

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Capitolo 6
*** La pineta ***


FORSE UN ANGELO

Ehilà, bentornati! Dunque, in questo capitolo si approfondisce ciò che Sakura sta cercando di dimostrare a Li, ossia la sua amicizia e la sua riconoscenza per la vicinanza di lui; e questo approfondimento porta Li a nuovi dubbi, dubbi che poi culmineranno in una decisione. Per saperne di più, non vi resta che continuare a leggere…

 

 

FORSE UN ANGELO

 

 

Capitolo 6

- La pineta -

 

 

“Come una musica, sei la mia favola che

Io vorrei vivere e rivivere insieme a te

E quante notti spese per immaginarmi insieme a te…”

 

 

Quando arrivai ai piedi della scogliera rocciosa e mi ritrovai di nuovo sulla sabbia, Sakura era già lì ad aspettarmi. Mi sorrise e si incamminò al mio fianco.

I miei passi erano sincronizzati con i battiti del mio cuore. Mi ripetevo che dovevo smetterla di sentirmi così in sua presenza, che ormai avevo deciso di ignorare ostinatamente i miei sentimenti per lei, perché era inutile continuare a pensarci; ma ugualmente non riuscivo a smettere di guardarla di sottecchi, di arrossire stupidamente, di pensare a quanto era bella e a quanto l’amavo…

Ci dirigemmo di nuovo alla spiaggia, ancora gremita di gente, dove i festeggiamenti non erano finiti del tutto. Nell’aria della notte si propagavano ancora musica e risate.

Ma prima che giungessimo in vista della spiaggia, Sakura mi prese di nuovo la mano. Mi immobilizzai, provando il solito, familiare imbarazzo.

«Ho cambiato idea, Li», mormorò. «Non mi va di trovarmi di nuovo in mezzo a tutta quella gente. Ti prego, non torniamo là. Andiamocene da qualche altra parte.»

Il cuore mi si fece leggero come un palloncino.

Preferiva stare sola con me, piuttosto che tornare in spiaggia.

Con me.

«Dove vorresti andare?», mormorai, guardando la luna riflessa nei suoi occhi.

Sakura si voltò verso la pineta e me la indicò.

«Laggiù non c’è più nessuno. Ti va di…?»

«Certo che mi va», dissi subito, senza nemmeno lasciarle terminare la frase.

Tenni la sua mano nella mia mentre la guidavo dolcemente alla pineta.

Accidenti, mi sentivo davvero stupido. Non dovevo essere così felice. Io non avevo più nessuna intenzione di parlarle del mio amore per lei, giusto? Quindi non c’era motivo di sentirmi così emozionato… Lei aveva solo bisogno di stare ancora un po’ da sola, e il fatto che avesse scelto di stare sola con me non significava nulla, se non che mi considerava un amico vero, al punto da condividere con me anche i silenzi e il dolore… Niente di più. Non c’era niente di più. Dovevo convincere questo maledetto cuore a smettere di battere in modo così assordante…

Sakura aveva ragione. La pineta era ormai deserta. Anche i tavoli che la costeggiavano ed il chiosco delle vivande e delle bibite sembravano abbandonati. Doveva essere più tardi di quanto credessimo; in effetti, i rumori dalla spiaggia diminuivano sempre più, e il posto sembrava svuotarsi.

«Vuoi sederti un po’?», chiesi esitante a Sakura, passando accanto allo stesso tavolo cui eravamo stati solo poche ore prima, insieme a Tomoyo, dopo aver incontrato Yuki.

Sakura scosse la testa e strinse la mia mano.

«No. Continuiamo a camminare.»

La guardai. Sembrava confusa, smarrita, fragile… Più che mai, sembrava un angelo caduto dal cielo.

E sentivo di amarla ora più che mai…

Camminammo lentamente in quella galleria di sempreverdi. I rami sulle nostre teste si facevano sempre più fitti, impedendo alla luce della luna e delle stelle di continuare ad illuminare il sentiero. Questo non ci fermò: continuammo a camminare senza meta; del resto non mi importava di sapere dove saremmo andati a finire, mi bastava sentire la mano di Sakura nella mia.

All’improvviso la sentii fermarsi al mio fianco.

«Li, guarda!»

Mi fermai anch’io. Eravamo finiti in uno spiazzo dove c’era più luce. Un piccolo laghetto, presumibilmente solo una pozza d’acqua salata, si stendeva davanti ai nostri occhi, e riflessi di stelle scintillavano sulla sua superficie calma. Sakura ammirava la scena con aria estasiata.

«Questo posto è bellissimo…»

Mi voltai a guardarla.

Sì, era davvero bellissimo. Una favola.

Subito mi sentii arrossire. Come facevo a ritrovarmi sempre in situazioni così imbarazzanti, insieme a lei? Lasciai andare la sua mano e fissai insistentemente la superficie del laghetto, cercando di dissimulare il mio nervosismo.

Sakura si lasciò cadere in ginocchio sulla sponda della pozza. Sul suo kimono comparve una lunga macchia scura di terra, ma lei non sembrò darvi peso. Allungò una mano e fece scorrere le dita nell’acqua, lentamente, avanti e indietro, in un gesto quasi ipnotico. Rimasi lì a guardare la sua schiena, senza sapere cosa fare o dire, ma sentendomi come sempre totalmente inadeguato.

«Li…», sussurrò ad un tratto lei, senza guardarmi. «Mi dispiace se… se non sono riuscita ad aprirmi con te. Stavo solo cercando di non stare peggio… Ma a quanto pare, così facendo non riesco a stare meglio.»

Sentii delle lacrime tremare nella sua voce. Mi dava le spalle, ma ero certo che stesse davvero piangendo.

Poi iniziò a parlare, e tutto venne fuori in modo fluido, e io rimasi semplicemente immobile ad ascoltare.

«Non credevo che rivedere Yuki sarebbe stato così doloroso. Voglio dire, non è la prima volta che lo vedo dopo che… Insomma, dopo quel chiarimento tra me e lui. Però è stato veramente strano. E mi ha fatto male perché… Adesso so che non potrò mai dimenticarlo.» Sollevò un braccio e si passò una mano sugli occhi. «Mi ero illusa di poter dimenticare in fretta, ma a quanto pare non è così. Fa malissimo, quando fai di tutto per non pensare ad una cosa e poi te la ritrovi sempre davanti…»

Come la capivo… Io vivevo così da sempre… O perlomeno, da quando avevo conosciuto lei…

«Comunque voglio chiederti scusa», continuò Sakura in un sussurro. «Avrei dovuto far finta di niente, perché so che davvero non lo amo più; invece mi sono mostrata confusa e spiazzata e… Probabilmente ti ho messo in imbarazzo. Mi dispiace, Li.» Si voltò a guardarmi, e stavolta vidi chiaramente le sue lacrime, ma anche l’accenno di un sorriso. «Ti sono così grata… Tu ci sei davvero sempre…»

Mi sentii come se un macigno mi fosse scivolato lentamente dalla gola allo stomaco.

In un certo senso, mi aveva confermato di non essere più innamorata di Yuki. E dovevo essere felice di questo.

Ma in più, mi aveva detto chiaramente che era felice che io fossi lì con lei, in quel momento e in tutti gli altri momenti.

Ed io mi sentivo tremendamente in colpa.

Presto non sarei più stato al suo fianco, e ancora non avevo nemmeno avuto il coraggio di dirglielo.

Sakura si alzò lentamente, mi si portò di fronte e si rifugiò tra le mie braccia. Rivissi il momento in cui aveva cercato il mio conforto, il giorno stesso in cui Yuki l’aveva respinta gentilmente… La strinsi a me con dolcezza, sentendo il cuore battermi sempre più forte nel petto, ma sentendomi anche un ipocrita.

Oramai dubitavo profondamente della decisione che avevo preso, quella di non dirle nulla. Anzi, la rinnegavo.

Perché non le avevo ancora parlato?

Perché non riuscivo mai a parlarle liberamente?

C’erano solo due cose che avrei dovuto dirle. Ti amo e Presto dovrò dirti addio. E non ero riuscito a dirle nessuna di quelle due semplici ma difficilissime frasi.

Perché doveva essere sempre tutto così difficile?

La tenni a lungo stretta a me, ascoltando l’affievolirsi del suo sfogo, che con le lacrime portava via anche tutto ciò che c’era stato in lei di Yuki. Pensavo a come sarebbe stato, quella notte, tornare di nuovo in albergo e passare un’altra notte a chiedermi a come sarebbe stato trovare le parole e ad illudermi ancora di poterla avere solo per me, ora che aveva strappato via l’altro dal proprio cuore…

No, quella notte non potevo tornare in albergo con tutti quei pensieri e quelle parole non dette.

All’improvviso mi venne un’idea.

«Sakura… Voglio portarti in un posto.»

 

 

Curiosi, eh?? Vedrete che il prossimo capitolo sarà decisamente romantico… Come quelli a venire, del resto…

Un abbraccio enorme e tantissimi GRAZIE a voi fedeli lettori… Alla prossima!

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Capitolo 7
*** Il faro ***


FORSE UN ANGELO

Eccoci di nuovo insieme! Mi spiace se stavolta vi ho fatto aspettare un po’ di più… Comunque vi ringrazio per i commenti che nel frattempo non sono certo mancati! Siete gentilissime, ragazze!!

Se ben ricordate, avevamo lasciato Li e Sakura nella pineta, mentre Li diceva alla ragazza di volerla “portare in un posto”… Dal titolo di questo capitolo capirete subito qual è il posto in questione (stavolta non sono stata molto brava a giocare con la suspense, eh?). Però se volete sapere cosa succederà là, beh, dovrete continuare a leggere… E spero che non rimarrete delusi…

 

 

FORSE UN ANGELO

 

 

Capitolo 7

- Il faro -

 

 

“Ti regalerei una stella, ma non servirebbe a nulla

Luce dopo la tempesta, un desiderio resterai

Semplicemente stupenda, unicamente te

Forse un angelo sei…”

 

 

«Dove andiamo?»

Sorrisi lievemente mentre Sakura prendeva di nuovo la mia mano e mi seguiva sul sentiero nella direzione da cui eravamo venuti.

«Vedrai.»

E lei semplicemente si fidò. Mi seguì attraverso la pineta, di nuovo in spiaggia, su verso la scogliera.

«Ma… Stiamo tornando al punto di partenza?», sorrise.

«Non proprio. Dai, siamo quasi arrivati.»

Ci inerpicammo sul ripido sentiero che scalava la scogliera e, arrivati in cima, ci fermammo a riprendere fiato davanti al faro.

Sakura alzò lo sguardo sull’alta costruzione, poi si voltò di nuovo verso di me, con aria interrogativa.

Sorrisi più apertamente.

«Mentre ero quassù ad aspettarti, ho notato che la porta non era chiusa a chiave.»

 

 

Non ero mai stato in un faro, prima di quella volta. Innanzitutto, non avevo idea che ci fossero tante scale. In secondo luogo, fui sorpreso di non trovare nessuno, nemmeno un guardiano notturno.

Beh… Meglio così.

Quando emergemmo nella stanza principale, là dove si sprigionava la luce che guidava le navi nella notte e nelle tempeste, Sakura andò entusiasta ad osservare il panorama.

«Oh, Li…»

Non disse altro, ma dallo sguardo che mi rivolse capii quanto era contenta. E mi bastò.

Mi portai accanto a lei e anch’io lasciai correre gli occhi sulla vista del mare calmo illuminato dalla luna e dalle stelle. Sì, era stata davvero una buona idea… La luce del faro girava e girava al centro della stanza, alle nostre spalle, illuminando a tratti quella vista. Mi voltai verso Sakura e la vidi stagliarsi contro quella lama di luce.

Un angelo…

Per l’ennesima volta in quel giorno mi ritrovai incapace di paragonarla a qualsiasi cosa che appartenesse a questa terra. No, lei non era umana, lei trascendeva questo mondo, lei apparteneva al cielo, a quelle stelle che adesso sembravano circondarci…

Finora ero stato abbastanza sicuro di me, nell’improvvisa decisione di farle una sorpresa e di portarla lassù; ma adesso avevo perso tutta quella sicurezza, e ancora una volta mi sentivo piccolo e vuoto accanto a lei.

Sakura mi guardò sorridendo.

«Perché hai voluto portarmi quassù?»

Mi scossi.

«Perché… Perché questo è il posto più adatto per sentirsi lontani da tutto ciò che c’è laggiù. È il posto ideale per essere se stessi… E per sognare.»

L’avevo detto. Non avevo la minima idea di come avessi fatto, ma l’avevo detto.

Sakura sorrise più apertamente. Mi si avvicinò e, come il giorno precedente, in treno, posò la testa sulla mia spalla, facendomi avvampare un’altra volta.

«Grazie, Li… È la più bella cosa che potessi fare per me.»

Mi lasciai andare. Stavamo sognando, no? Allora cosa costava lasciarsi andare?

Abbandonai la guancia contro i suoi capelli e chiusi gli occhi, pur sentendomi il viso in fiamme.

«Non mi devi ringraziare. Tu hai sempre fatto tanto per me… Non immagini quanto.»

Ero stupito di me stesso. Piacevolmente sorpreso. In fondo non era poi così difficile aprirle il mio cuore…

Restammo lì a lungo, immobili, con la luce del faro che a volte colpiva le nostre schiene e proiettava lontano le nostre ombre come se fossero state una sola.

Alla fine capii che forse il sogno doveva finire, che forse era il caso di svegliarsi.

«Dovremmo tornare in albergo…», mormorai.

Sakura si sollevò di scatto e mi guardò implorante.

«Oh, no, Li, ti prego… Restiamo. Stiamo qui, per stanotte.»

Sgranai gli occhi. Nello stesso istante mi accorsi che mi era rimasta vicinissima, tanto che sentivo il suo respiro sulla guancia, e mi scostai subito, terrorizzato da quella vicinanza.

«Come? Vuoi… Vuoi passare la notte qui?»

Sakura annuì.

«Solo per stanotte… Hai ragione tu, è il posto migliore per sentirsi lontani dal mondo. E credimi, in questo momento sto così bene qui che non ho affatto voglia di tornare al solito mondo.» Sorrise. «Che ne dici? Chiamo Tomoyo e le dico di non preoccuparsi?»

 

 

Certo, avevo sperato che Sakura si sentisse meglio lassù, ma non mi sarei mai aspettato che avrebbe voluto restarci per la notte. In altri termini, non mi sarei mai aspettato di avere un’occasione così perfetta per parlarle…

Ma allora cosa c’era, stavolta, a trattenermi?

Rimasi immobile a fissare il soffitto. A tratti, il faro faceva scorrere il suo fascio su di me, ma non me ne curavo. C’era molta più luce nel mio cuore. Perché quella notte era stato illuminato dal tocco di un angelo.

Sakura era distesa accanto a me, con gli occhi già chiusi, incurante del faro.

Non sarebbe stato così difficile tendere il braccio, sfiorarle la spalla, scrollarla gentilmente, dirle che dovevo parlarle, guardarla negli occhi e poi buttare finalmente giù la maschera…

Ma era inevitabile, era evidente, c’era ancora qualcosa a trattenermi.

Ancora adesso non so bene per quale motivo non la svegliai, quella notte.

Forse mi rifiutavo ancora di approfittare del suo momento di confusione, scatenato dall’aver rivisto Yuki, e non volevo farle pensare semplicemente che fossi pronto ad approfittarmi della sua prima debolezza per pensare ai miei comodi.

Forse non ero ancora sicuro che parlarle fosse la cosa giusta, e ancora mi dicevo che per il bene di entrambi sarebbe stato meglio dividermi da lei senza averle detto nulla, perché non avrei sopportato l’eventualità di poter perdere la sua amicizia.

Forse erano entrambe le cose.

Fatto sta che rimasi lì immobile a guardarla per buona parte della notte, mentre lei mi dormiva accanto, con una mano stretta ad una manica della mia tunica, e rimasi lì a sognarla senza poter dormire, ad immaginare di donarle la luna e le stelle e tutto l’universo, a compiangermi nella consapevolezza di non poter fare nulla, nella certezza che lei non sarebbe mai stata nulla più che un desiderio destinato a restare irrealizzabile.

Non ricordo il momento in cui riuscii a prendere sonno…

Ma ricordo benissimo quel che accadde la mattina seguente, al mio risveglio.

 

 

Ecco che torna la suspense! Chissà cosa succederà nel prossimo capitolo… Io, ovviamente, lo so!! Che ne dite di scoprirlo anche voi?

Alla prossima, allora!

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Capitolo 8
*** L'alba ***


FORSE UN ANGELO

Bentornati! Su questo capitolo non vi anticipo nulla, vi dico solo che è davvero decisivo… In che senso? Provate un po’ a immaginarlo…

 

 

FORSE UN ANGELO

 

 

Capitolo 8

- L’alba -

 

 

“Mi hai catturato l’anima e l’hai chiusa dentro te

Io non posso più resistere, incontrollabile la voglia di dirti che

Ti vedo ridere, sei così semplice

Indispensabile sapere che per me sei un angelo…”

 

 

Quando aprii gli occhi, quella domenica, il mio primo pensiero fu che quello era l’ultimo giorno in cui, in teoria, avrei avuto l’occasione di parlare a Sakura dei miei sentimenti. Quella sera stessa saremmo ripartiti.

Mi tirai su a sedere. Mi trovavo in una stanza grande, circolare, con al centro quella che sembrava una lampada spenta. Non indossavo la mia tenuta notturna, ma nientemeno che il mio abito tradizionale. Come diavolo ero finito là? Cosa era successo prima che mi addormentassi?

Poi mi ricordai tutto. Dopo la festa avevo portato Sakura al faro, e lei mi aveva chiesto di restare a dormire lassù. Mi voltai a cercarla con lo sguardo.

Non c’era.

Scattai in piedi, di colpo perfettamente sveglio. La luce del sole, proveniente dalle pareti aperte del faro, mi investì. Era solo l’alba, ma il sole già splendeva in modo innaturale nel cielo a oriente, perdendosi in mille sfaccettature di riflessi sulla superficie del mare, lontano fino all’orizzonte. Mi affacciai a guardare fuori.

Sulla sporgenza della scogliera c’era una sagoma umana in kimono rosa.

Mi voltai. La botola da cui eravamo saliti la notte precedente era aperta. La imboccai e scesi quelle mille scale d’un fiato, senza nemmeno chiedermi perché avessi tanta fretta di andare da lei…

Arrivai fuori, nella luce dell’aurora, e mi fermai accanto al portone del faro, guardando dritto verso il promontorio.

Sakura era là, stagliata nella luce, proprio come mi era apparsa la sera precedente. Una visione. Una brezza leggera le scompigliava i capelli e faceva svolazzare le lunghe e ampie maniche del suo kimono. Era immobile, concentrata sull’orizzonte. Rimasi immobile a guardarla, senza più il coraggio di fare quella dozzina di passi che ci dividevano, quei passi che nascondevano tutti i silenzi e le paure di parlarle.

Poi, come se percepisse una presenza dietro di sé, Sakura si voltò nella mia direzione. Mi vide. E mi sorrise.

Un sorriso d’angelo.

Non c’era più traccia, nel suo viso, della tristezza e della confusione che aveva mostrato la sera prima, al laghetto nella pineta. Era serena, addirittura felice. Felice di vedermi.

«Buongiorno, Li!»

Mi avvicinai lentamente fino a trovarmi a solo tre passi da lei.

In quel momento, vedendola così, capii molte cose.

Non potevo semplicemente sperare di non soffrire tacendole i miei sentimenti. Non potevo ricorrere a stupide scuse, per non ammettere che invece avevo solo paura della sua reazione. Non potevo non dirle che l’amavo, che vivevo di lei, che la sognavo al mio fianco, che ormai la mia anima apparteneva a lei, lei che mi aveva catturato quasi come fossi una Carta di Clow…

«Sakura… Devo parlarti.»

Ecco fatto. Non c’era più modo né tempo per tirarsi indietro. Questa volta no.

«Cosa c’è?», disse lei, in tono vagamente allarmato. «È successo qualcosa?»

«No… No, tutto a posto. Ecco, io…» Feci un passo verso di lei, sentendomi il volto in fiamme, ma non mi curavo più di nasconderlo. «Io… Io voglio dirti che…» Improvvisamente mi ritrovai vicinissimo a lei. Sakura sollevò lo sguardo e mi rivolse un sorriso incoraggiante.

L’abbracciai.

Lei si irrigidì un po’, evidentemente sorpresa e confusa da quel mio gesto così inusuale, perché non ero mai stato tanto diretto nel manifestare le mie emozioni… Io stesso non riuscivo a credere a ciò che stavo facendo, e a ciò che stavo per dirle, ma sapevo che era importante, che era incontrollabile, che non potevo più fingere. Alla fine, Sakura alzò le braccia e ricambiò la mia stretta.

«Li, che cosa c’è?», ripeté pianissimo.

Serrai gli occhi, quasi a volermi nascondere la vista di ciò che sarebbe accaduto dopo. E altrettanto piano le dissi quelle parole che da sempre avevo pronte sulle labbra, ma che mai ero riuscito a tirare fuori…

«Sakura… Io ti amo…»

Fu come se tutto restasse sospeso, come se il corso stesso della vita e del cosmo si fermassero, per un istante lungo come un’eternità.

Gliel’avevo detto davvero… Per l’ennesima volta in quei due giorni insieme a lei, mi stupii profondamente di me stesso.

Sakura lasciò scivolare le braccia lungo i fianchi, sciogliendo l’abbraccio, e si tirò indietro.

Aprii gli occhi e vidi il suo viso completamente stravolto.

Non mi mossi. Non c’era altro da fare né da dire. Rimasi semplicemente immobile a guardarla, rimpiangendo il momento in cui l’avevo stretta a me e avevo potuto evitare il suo sguardo color giada; ma non distolsi i miei occhi dai suoi, volevo che sapesse che ero sincero, che quelle parole non le avevo dette superficialmente, che ci credevo, e che ci credevo da sempre…

Poi Sakura indietreggiò di un altro passo, quasi rischiando di mettere un piede in fallo e scivolare dalla cima della scogliera…

Mi guardò ancora incredula per un altro interminabile minuto, come se non si rendesse pienamente conto della situazione. Un lieve accenno di rossore le colorò le guance, rendendola ancora più bella, ma quel rossore certo non era nemmeno paragonabile a quello che mi sentivo io sul viso. Alla fine distolse lo sguardo e mormorò poche parole.

«Li… Dobbiamo tornare in albergo.»

Mi passò accanto senza sfiorarmi, e si incamminò lungo la scogliera, verso la spiaggia.

Io rimasi lì per un istante, senza muovermi, senza seguirla con lo sguardo, ma guardando adesso il mare pieno dei riflessi dell’alba. Quando trovai il coraggio di voltarmi di nuovo verso Sakura, la vidi già lontana da me.

Ed era davvero così. Aveva iniziato ad allontanarsi. E non l’avrei riavuta mai più così vicina come prima.

Mi lasciò così, di nuovo assalito dai dubbi, a chiedermi se non avevo fatto male a rinnegare la mia decisione, quella di non parlarle prima di partire per Hong Kong, e a domandarmi se non sarebbe stato meglio lasciarla come un’amica, un’amica che se non altro sarebbe rimasta tale per sempre, invece di rischiare di perdere quell’amicizia di cui avevo tanto bisogno. Mi lasciò con tutti i motivi per cui mi ero detto che non dovevo assolutamente dirle quelle due parole.

Ma se da un lato quei dubbi mi rodevano dentro, dall’altro non rimpiangevo nulla.

Mi incamminai a mia volta lungo la scogliera.

Ora non mi restava che andare avanti.

In attesa di darle un altro colpo.

In attesa di tornare a casa e lasciarla per sempre.

 

 

Finalmente siamo dunque giunti al momento della dichiarazione! Allora, ci tengo subito a dire una cosa: l’elemento del faro lo si potrebbe interpretare come uno spunto tratto dal libro e dal film “Scusa ma ti chiamo amore” (di Federico Moccia). Vorrei precisare che non si tratta affatto di un plagio, anche se il faro in questa storia è importante e lo sarà anche in seguito… Solo che mi sembrava un elemento essenziale per la dichiarazione di Li, perché, come scritto nel capitolo precedente, un faro “è il posto più adatto per sentirsi lontani da tutto ciò che c’è laggiù… per essere se stessi… per sognare”… Perciò vogliate scusarmi se vi è sembrato che io mi sia ispirata troppo a Moccia: figuratevi che non è nemmeno stata una cosa intenzionale…

Comunque, se vorrete vedere come andranno avanti le cose, vi do l’appuntamento al prossimo capitolo… A presto!

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Capitolo 9
*** La stazione ***


FORSE UN ANGELO

Benvenuti nel nono capitolo… Vi anticipo subito che per i tre ragazzi è ora di tornare in città… In più, è ora che Li sveli a Sakura qualcos’altro, che le faccia la sua seconda confessione… Forse avrete capito di che si tratta, o forse no… Ad ogni modo, buona lettura!

 

 

FORSE UN ANGELO

 

 

Capitolo 9

- La stazione -

 

 

“Ti regalerei una stella, ma non servirebbe a nulla

Luce dopo la tempesta, un desiderio resterai

Semplicemente stupenda, unicamente te…”

 

 

Sakura si mise la borsa da viaggio in spalla, salutò un’ultima volta l’addetto alla reception e si diresse alla porta. Nel farlo mi passò accanto, mi lanciò uno sguardo di sfuggita e distolse immediatamente gli occhi.

Era tutto il giorno che andavamo avanti così.

Quella mattina, tornati in albergo, a Tomoyo era bastata un’occhiata per capire cos’era successo. Aveva guardato Sakura che le sfrecciava accanto e andava a barricarsi nel bagno della stanza 118, poi si era voltata verso di me con aria scoraggiata.

«Gliel’hai detto, vero?», aveva mormorato con voce appena udibile.

Io avevo scrollato le spalle.

«Come vedi, non è servito a molto», avevo ribattuto poi, nello stesso tono basso e arrendevole.

Lei si era rattristata.

«Mi dispiace.»

Già. Dispiaceva anche a me.

Mentre guardavo Sakura, ancora ostinata nel far finta di niente, uscire dalla porta dell’albergo, seguita da Tomoyo, che mi fissava di sottecchi con aria triste, capii che davvero la stavo perdendo per sempre.

Sospirai e uscii anch’io.

Stavamo tornando alla stazione.

Stavamo tornando a casa.

E ancora dovevo dirle che presto io sarei tornato alla mia. Lontano da lei.

 

 

Avevo sperato in una reazione diversa. Non pretendevo certo che mi gettasse le braccia al collo, che piangesse di gioia e che mi confessasse che anche lei mi amava segretamente… Mi sarebbe bastato che non ignorasse la situazione. Invece, per tutto il viaggio, Sakura non mi evitò, fu quella di sempre, solo un po’ più forzata, come se si ostinasse a credere che non fosse successo nulla, e questo faceva mille volte più male che se mi avesse detto esplicitamente che non ricambiava i miei sentimenti.

Il messaggio, comunque, era lo stesso.

Lei non mi ricambiava. Io ero il suo migliore amico, certo, ma nulla più. Dovevo farmi bastare questo. Dovevo accontentarmi del fatto che ancora parlava e rideva con me, che mi indicava nuvole strane dal finestrino del treno, e che mi stava facendo il favore di non ignorarmi completamente.

Non era altro che il mio desiderio irrealizzabile.

Se pensavo che, solo due giorni prima, in quello stesso treno, lei aveva tenuto la testa sulla mia spalla e mi aveva fatto sentire al centro del mondo…

Ora mi sentivo solo spento dentro.

Era il tramonto inoltrato quando fu ora di scendere dal treno.

Tomoyo saltò a terra per prima. Sakura la seguì guardandomi solo di sfuggita. Non le facevo un torto, se voleva continuare a fingere, ma non potevo impedirmi di star male.

La macchina venuta a prendere Tomoyo era già arrivata. Lei si voltò verso di noi.

«Ciao, ragazzi. Mi sono divertita molto, con voi. Ci vediamo a scuola, va bene?»

«Ciao, Tomoyo», la salutò Sakura, sempre forzatamente allegra.

Io le rivolsi solo un cenno della mano, ma Tomoyo capì. Tomoyo aveva sempre capito, anche se io credevo che nessuno potesse capirmi.

Salì in macchina e si allontanò nel crepuscolo.

«Che strano, Toy dovrebbe essere già qui», bofonchiava Sakura, guardando su e giù lungo la banchina della stazione, evitando di soffermarsi su di me.

Mi guardai i piedi. Finora ero rimasto concentrato sulla prima delle due cose che avrei voluto e dovuto dirle. Ma la seconda questione, che avevo relegato in secondo piano, era importante quanto la prima, e andava affrontata subito.

Mi decisi. Era il momento di dirle anche ciò che finora le avevo tenuto nascosto. Avrebbe sofferto, così come avrei sofferto io, ma arrivati a questo punto non c’era davvero altro da fare.

«Sakura…», mormorai.

«Giuro che appena lo prendo, gli faccio passare la voglia di arrivare in ritardo.» Non mi aveva sentito. O forse fingeva anche stavolta. «Dove diavolo sei, Toy?...»

Abbassai di nuovo la testa. Se non mi avrebbe ascoltato, pazienza. Ma dovevo dirglielo.

«Tra una settimana torno a Hong Kong.»

In quell’istante, un treno partì sferragliando dal binario alle nostre spalle. Nel rumore assordante, Sakura si voltò a guardarmi. Bastarono i suoi occhi a dirmi che aveva sentito perfettamente.

Sostenni il suo sguardo, stavolta senza arrossire, senza paura, perché non c’era più motivo di averne, perché non c’erano più segreti.

Per un lungo minuto, il rumore del treno in partenza ci impedì di dire o fare qualsiasi cosa.

Quando alla fine il suono sferragliante si perse in lontananza, si udì il suono di un clacson.

«Ehi, Sakura!»

La voce di Toy.

Sakura si voltò automaticamente nella direzione da cui si avvicinava la macchina di suo fratello.

E mentre non mi guardava, stavolta fui io a scappare da lei.

«Ci vediamo», mormorai, poi mi sistemai la borsa in spalla e le diedi le spalle.

Iniziai a correre per uscire dalla stazione.

Sentii che mi chiamava, o forse lo immaginai soltanto. Ma non mi voltai.

All’uscita mi fermai a riprendere fiato. Anche stavolta, non mi guardai indietro.

Mi incamminai più lentamente, mentre il cielo iniziava già a riempirsi di stelle, ripensando a ciò che avevo visto negli occhi di Sakura quando le avevo detto che sarei partito. La confusione che vi avevo scorto faceva lo stesso effetto di un’accusa silenziosa. Potevo immaginare benissimo cosa pensasse: Prima mi dici che mi ami, e mi sconvolgi, e poi ugualmente senza preavviso mi dici che te ne vai?

Avevo fatto sempre e solo degli errori con lei.

Ma che altro potevo fare, accidenti?

Affondai le mani nelle tasche. Pensandoci bene, forse era quello il motivo per cui non le avevo ancora detto che me ne sarei andato. Forse speravo di non aver bisogno di andarmene. Sarebbe bastato un suo sorriso, una parola soltanto, quel giorno al faro, e subito avrei lasciato perdere, e sarei rimasto per sempre al suo fianco. Probabilmente per questo avevo nascosto a lei e perfino a Tomoyo l’eventualità che tornassi in Cina.

Non lo sapevo. Non ne ero certo. Era tutto troppo complicato. Io avevo solo una testa, solo un cuore, e non riuscivo a tenerci troppe cose insieme chiuse dentro. E in quel momento come sempre, sia la testa che il cuore erano pieni di lei, e non c’era spazio per nient’altro.

Mi passai una mano tra i capelli, sospirando sconfortato, e in quel momento vidi la macchina di Wei avvicinarsi, diretta certamente alla stazione.

Mentre il maggiordomo mi vedeva, accostava al marciapiede e scendeva per prendere il mio zaino, e mentre rispondevo laconicamente al suo saluto, mi dissi che quella notte avrei dovuto iniziare a preparare un altro bagaglio.

 

 

Ebbene sì, stiamo per giungere alla fine della storia. Cosa succederà?

Se vorrete accompagnarmi fin lì, vi aspetterò con il decimo e ultimo capitolo…

PS. Carissima Evans Lily, non preoccuparti… Mi fa sempre piacere leggere le tue recensioni e sono sempre felicissima di sapere che mi segui con attenzione… Detto questo, ringrazio anche tutti gli altri recensori, in particolare le fedelissime Sakura Bethovina, Ponpon, Sakura182blast e Sakura93thebest. Spero di rivedervi tra i prossimi commenti… E spero di non deludervi!

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Capitolo 10
*** L'angelo ***


FORSE UN ANGELO

Ebbene, lettori e lettrici, siamo arrivati alla fine. Questo è l’ultimo capitolo, il bivio in cui Li Shaoran vede da un lato Sakura e dall’altro il ritorno in Cina. Una piccola anticipazione: proprio come nell’anime, in questo capitolo un ruolo fondamentale spetterà al maggiordomo Wei… Vi ho incuriositi? E allora, che aspettate a leggere?...

 

 

FORSE UN ANGELO

 

 

Capitolo 10

- L’angelo -

 

 

“Ti regalerei una stella, ma non servirebbe a nulla

Luce dopo la tempesta, un desiderio resterai

Semplicemente stupenda, unicamente te

Forse un angelo sei…”

 

 

Quella notte non avevo chiuso occhio.

Quando suonò la sveglia, ero già praticamente pronto.

Per l’ennesima volta nelle ultime centosessantotto ore, ossia in quella settimana eterna, i miei occhi si soffermarono sul telefono.

Mi sarebbe bastato sentire la sua voce solo per una volta, per l’ultima volta, prima di voltarle le spalle per sempre…

Non ero tornato a scuola, dopo aver salutato Tomoyo e Sakura quella sera alla stazione. Mi ero detto che non ce n’era bisogno. Stavo per tornare in Cina; che importanza aveva continuare ad andare a scuola fino all’ultimo giorno, solo per incrociare gli occhi tristi di Tomoyo e quelli sconvolti di Sakura?

Mi ero aspettato almeno una telefonata. Mi sarebbe andata bene anche se mi avesse chiamato per aggredirmi, per dirmi che le dovevo una spiegazione, per chiedermi come mi saltava in mente di sconvolgerle in quel modo la vita. Giuro che non me ne sarebbe importato, se avessi potuto sentire la sua voce un’ultima volta. Ma lei sembrava sparita.

E per questo motivo dovevo sentirmi ancor più convinto della mia partenza.

Ma per questo motivo soffrivo immensamente di più.

Alle otto e mezzo, Wei bussò alla porta della mia stanza.

«È pronto, signorino?»

Annuii lentamente, costringendomi a distogliere lo sguardo dal telefono.

«Sì. Possiamo andare.»

 

 

Wei non imboccò la strada per l’aeroporto.

«Ehm… Scusa, Wei, devi aver sbagliato…»

«Certo che no, signorino. La strada è questa.»

«Cosa? Ma no, l’aeroporto è dall’altra parte della città…»

«Oh, ma io non devo affatto portarla in aeroporto, signorino.»

Lo fissai nello specchietto, assolutamente sconcertato.

«Che cosa vuoi dire?»

In quel preciso momento, Wei accostò la macchina e si sporse a frugare in una valigetta sul sedile accanto. Quando trovò quel che stava cercando, si voltò verso di me e me lo mostrò.

«Sono desolato, signorino Li, ma ora devo bendarla.»

Spostai lo sguardo sulla benda che stringeva in mano.

«Cos’è, uno scherzo?», borbottai contrariato.

«Niente affatto. La prego, non faccia storie. Le assicuro che si tratta di qualcosa di molto importante.»

 

 

Non avevo la minima idea di ciò che stesse succedendo. Ero solo vagamente consapevole che Wei mi stava portando chissà dove e che, se avesse insistito con quella storia assurda, mi avrebbe fatto perdere il volo per Hong Kong.

«Siamo arrivati, signorino.»

Lo sentii spegnere il motore, aprire la portiera e scendere dalla macchina per venire ad aprire la mia. Mi aiutò ad alzarmi, ma non accennò a volermi togliere la benda. Nell’aria c’era un odore strano… Salmastro?

Iniziavo a spazientirmi sul serio.

«Wei, vuoi spiegarmi…?»

«Un momento solo, la prego, devo trovare una cosa. Oh, eccola qui.» Si portò alle mie spalle e iniziò a trafficare con la benda. «Bene, signorino, ora può guardare.»

Tornai alla luce del sole, che quasi mi accecò, e mi ritrovai a fissare il mare.

Rimasi immobile a lungo, senza capire, con gli occhi che andavano alternativamente dall’orizzonte sfavillante della mattina alla spiaggia stesa davanti ai miei occhi. Io quel posto lo conoscevo bene… Troppo bene.

Alle mie spalle, Wei si schiarì la voce e si fece avanti per porgermi qualcosa.

«Credo che ora dovrebbe leggere questa.»

Presi dalle sue mani una busta bianca, non sigillata, su cui era scritto solo Per Li. Quasi la strappai mentre la aprivo e ne estraevo un foglio vergato da una calligrafia sottile, che conoscevo bene quanto quella spiaggia.

 

 

Mi dispiace se hai pensato che sono sparita, ma avevo bisogno di pensare.

Quello che mi hai detto, quella mattina al faro, mi ha completamente spiazzata. Ma lascia che ti spieghi.

Quella mattina stessa, quando mi sono svegliata, mi sono guardata intorno e ti ho visto accanto a me. E ho iniziato a pensare a quanto era bello averti accanto sempre, in ogni circostanza, nel bene e nel male, come il migliore amico che potessi avere. Ti ho guardato dormire per un po’, poi mi sono sporta verso di te e ti ho dato un bacio su una guancia. Tu non te ne sei accorto, non ti sei svegliato, hai solo sorriso nel sonno. Chissà cosa stavi sognando.

E quando, poco dopo, mi hai raggiunto sulla scogliera e mi hai abbracciato e mi hai detto che mi amavi…

Non so cosa ho provato di preciso. C’era solo una grande confusione in me, ma al tempo stesso c’era qualcos’altro, qualcosa che ancora non sapevo decifrare…

Ma tu eri il mio migliore amico, e sarebbe stato troppo strano se ora non fosse stato più così. Perciò quel giorno mi sono detta che forse era meglio far finta che non fosse cambiato nulla, continuare come prima, perché non mi sentivo pronta a rinunciare alla tua amicizia e a tutto ciò che avevamo costruito insieme, fino a quel punto.

Ma poi, quella stessa sera, tu mi hai detto che saresti partito.

Non ti ho cercato più, e me ne vergogno, ma avevo bisogno di pensare.

In questa settimana ho pensato moltissimo. Non solo a quel singolo giorno, a quella singola notte lassù al faro, a quella singola mattina e alle parole che mi hai detto. Ho pensato a tutto quel che avevo, e a tutto quel che stavo per perdere.

Ho pensato tanto, e adesso devo dirti a quale conclusione sono arrivata.

Torna là dove è iniziato tutto. Ti aspetto.

 

 

Alzai lo sguardo, sentendo il cuore battermi all’impazzata nella gola.

Ripiegai il foglio, lo cacciai di nuovo nella busta e mi misi la lettera in una tasca interna della giacca, all’altezza del cuore.

Torna là dove è iniziato tutto…

«Wei, aspettami qui. Ho qualcosa da fare.»

«Buona fortuna, signorino.»

 

 

La scogliera era ancora più bella di quanto me la ricordassi. Alcuni gabbiani solitari iniziavano a vagare nel cielo, sfiorando con le ali la punta del promontorio dove avevo abbracciato Sakura e le avevo detto le parole più difficili e più vere che avessi mai pronunciato in vita mia.

Ecco là il punto dove era iniziato tutto… Il punto della scogliera in cui mi aveva preso per mano e avevamo guardato insieme i fuochi d’artificio, dimentichi solo per qualche minuto di tutto il resto del mondo sottostante…

Sakura non era lì.

Mi fermai, ansante per la corsa.

Un momento, forse non era quello il posto che lei intendeva. Dove eravamo stati, quella notte? La pineta… Il laghetto di acqua salata… E alla fine…

Sollevai lo sguardo.

Il faro mi sovrastava, abbagliante nella sua vernice bianca stagliata contro il sole della mattina.

Ma certo. Era lì che era iniziato tutto. Era lì che mi aveva guardato dormire e mi aveva baciato nel sonno… E io avevo continuato a dormire…

Il solo pensiero mi fece avvampare…

Ripresi di nuovo a correre. Imboccai la porta del faro, salii quattro gradini alla volta, sbucai dalla botola.

Ed eccolo lì, il mio angelo, appoggiato ad una parete, gli occhi persi nel sole e nel mare, i pensieri lontani anni luce da questo mondo, persi nel mondo di stelle cui lei apparteneva…

Come già era avvenuto quel giorno, sulla vetta della scogliera, Sakura sembrò percepire la mia presenza. Si voltò e mi guardò.

Tutto sembrò fermarsi ancora una volta, mentre lei si allontanava dal muro e si avvicinava con passi esitanti a me, che la fissavo senza fiato, e non solo per via della corsa…

«A volte è difficile interpretare i propri sentimenti», esordì lei tranquilla. «A me è capitato di recente. Credi di pensare una cosa, di provare un sentimento, e invece provi tutt’altro, solo che non l’hai mai capito.»

Non potevo darle torto…

«E alle volte, come è successo a me, per capire la verità devi rischiare di perdere. Perdere qualcosa o… qualcuno.»

Sakura si fermò davanti a me. I suoi occhi erano pieni di lacrime. Le mani mi tremavano, impedendomi di asciugare quelle lacrime…

«Li, io ti ho sempre voluto un bene dell’anima. Ero convinta che saremmo stati sempre insieme, che avrei sempre potuto contare su di te, e tu su di me, perché eri il mio migliore amico. Ma sbagliavo. E non mi riferisco al fatto che tu ora stai per andartene.» Prese fiato. «Mi riferisco al fatto che non ho mai saputo aprire gli occhi sul mio cuore. Non ho mai capito quanto in realtà quell’amicizia nascondesse. Fin quando non ho rischiato di perderti, non sapevo quanto in realtà ti amavo…»

Sgranai gli occhi. Il cuore accelerò, batté fortissimo, e diventò impossibile distinguere un battito dall’altro. Sentivo il calore invadermi il viso, risalirmi sulla pelle fino a farmi arrossire completamente, ma stavolta non mi dava alcun fastidio l’idea di arrossire davanti a lei.

In quel momento, mi sembrava più luminosa della luce del sole che la circondava come un’aura.

E poi Sakura si strinse al mio petto, come aveva fatto quella notte nella pineta, e non vidi più i suoi occhi nei miei, ma la luce non sfumò.

La strinsi forte a me. Avrei voluto tenerla così per sempre, non lasciarla mai.

Passò qualche istante, poi da qualche parte intorno al faro si sentì il rombo lontanissimo di un aereo.

«Questo dovrebbe essere il mio…», dissi stupidamente.

Sakura mi strinse un po’ più forte.

«Non voglio che tu mi lasci, Li. Ti prego. Ho bisogno di te… Io ti amo…»

Nella vita si poteva essere davvero così felici come mi sentivo io in quel momento?

La allontanai dolcemente dal mio petto e le presi il viso tra le mani, sorridendole.

«Non ti lascio, Sakura. Non ti lascerò mai.»

Le lacrime iniziarono a scendere dai suoi occhi di giada. Ma ora sapevo che erano lacrime di gioia.

Sakura si sollevò sulle punte dei piedi e avvicinò le labbra alle mie, fino a sfiorarle.

Chiusi gli occhi, e da quel momento cominciai a vivere la mia favola insieme al mio angelo.

 

 

A tutti voi che siete rimasti con me fino alla fine vadano i miei sinceri ringraziamenti.

Non avevo mai nemmeno sperato di poter scrivere una mia versione della dichiarazione di Li a Sakura. Mi sembrava che dovesse essere per forza quella, quella che avevo visto nell’anime, nella penultima puntata, e che io non avessi il diritto di cambiarla, perché era bella così. Ma ora ho sentito l’esigenza di cambiare perché, sul serio, non sopporto com’è andata a finire nella realtà. C’erano troppe cose in sospeso…

Così, ecco come è nata questa storia. E se l’avete letta, e se vi è piaciuta, io davvero non ho bisogno d’altro.

Un abbraccio a tutti.

 

PS. Ehi, mentre pubblicavo questa fic non sono rimasta con le mani in mano! Perciò, se vorrete continuare a seguirmi, vi anticipo che sto per spedire una nuova one-shot su questo anime… Alla prossima!

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