Il sapore agrodolce dell'inchiostro di Dominil (/viewuser.php?uid=49959)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 ***
Quest'opera è
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La vicenda qui di
seguito narrata non è mai accaduta, gli Avenged Sevenfold
non mi appartengono e l'opera non ha fini commerciali e di lucro.
Nessun diritto si
ritiene leso o violato.
Il sapore agrodolce
dell'inchiostro
Capitolo 1
"So here I am, it's in my hands
And I'll savor every
moment of this.
So here I am, alive at
last
And I'll savor every
moment of this."*
Una sigaretta venne
distrattamente
lanciata sul ciglio della strada, una leggera nuvola di fumo si
intravedeva ancora. Solo in quel momento il proprietario, seduto sul
marciapiede e con i gomiti sulle ginocchia, iniziò a
prestarvi
attenzione.
I
suoi occhi erano stanchi, un po'
rossi, sembrava quasi avesse la febbre; la stanchezza si percepiva
dai suoi respiri profondi e dal modo in cui continuava a guardare la
cicca: senza sbattere le palpebre.
Un'altra
giornata di lavoro stava per
volgere al termine e il suo corpo ne sentiva tutto il peso, quasi non
poteva credere che tra non molto avrebbe potuto rilassarsi sul divano
con una bella birra ghiacciata.
A
quel punto avvertì dei passi alle
sue spalle, pesanti e un po' scoordinati, così si
voltò. Un ragazzo
alto e piuttosto robusto era arrivato davanti alla vetrina del suo
piccolo negozio che era dietro di lui e fissava Jimmy, che di solito
si occupava di accogliere i clienti e prendere le prenotazioni,
intento a sfogliare una rivista poggiata sul bancone.
Lo
sconosciuto lo aveva ignorato del
tutto e continuava a fissare le pareti tappezzate di foto del negozio
non sapendo bene cosa fare. Avrebbe giurato che gli stessero sudando
le mani dal modo in cui se le stringeva ed era quasi tentato ad
alzarsi e a bloccare quel tic fastidioso.
Non
poteva saperlo, ma era proprio il
suo sguardo insistente a mettere a disagio il futuro cliente che
avrebbe desiderato solo voltarsi e chiedere chi cazzo era e se la
smetteva di fissargli la schiena in quel modo. Lo innervosiva essere
al centro dell'attenzione di persone che non aveva mai visto prima,
voleva solo prenotare il suo tatuaggio e tornarsene a casa senza
troppe storie.
“Puoi
entrare.” disse quello seduto
sul marciapiede con un leggero sorriso ed un cenno della mano.
L'altro
ragazzo ricambiò un po'
dubbioso però poi fece qualche passo fino ad aprire la porta
di
vetro che richiuse con poca delicatezza.
“Salve...”
iniziò quando arrivò
davanti al bancone, in una posizione un po' rigida; a stento riusciva
a mantenere il contatto visivo con Jimmy che, d'altro canto, aveva
solo alzato leggermente lo sguardo continuando ad essere poco
interessato alla situazione.
“In
cosa posso esserti utile?”
rispose però, consapevole che se non si fosse comportato a
modo il
suo socio gli avrebbe rotto le scatole per giorni. E non aveva
nessuna voglia di litigare.
“Volevo
prenotare un tatuaggio**,
ecco ho il disegno.”
Da
una tasca estrasse un foglio
ripiegato in quattro che poi aprì e mostrò
all'altro. Una scritta,
Thicker than
water,
troneggiava in alto e sotto c'erano tre figure lievemente sfumate di
viola simili a tre putti mentre di lato, come per collegare i due
elementi, erano posizionate due stelle e due rondini.
Jimmy
osservò
attentamente il disegno, ne era rimasto affascinato. Il ragazzo
sembrava avere le idee molto chiare ed era piuttosto raro che
accadesse in quel negozio. Spesso si era ritrovato a dare consigli su
colori, caratteri e forme pur sapendone davvero poco, ma d'altronde
quando la gente voleva tatuarsi sentiva la necessità di
essere
guidata. E quindi, pur mentendo molte volte, annuiva a qualsiasi
richiesta appuntando la prenotazione.
Quella
volta invece
era rimasto davvero impressionato da quel disegno e non vedeva l'ora
di osservare l'impatto che avrebbe avuto sulla pelle di quel ragazzo.
“Dove
vuoi
farlo?” chiese, tenendo per sé tutte quelle
riflessioni. “Almeno
quando parlerò con il tatuatore potrà farsi
un'idea del lavoro da
fare.”
“Sul
petto.”
rispose l'altro, indicandosi la canotta nera che indossava.
“Avete
posto la settimana prossima?”
Jimmy
controllò sull'agenda e alla fine scrisse sul retro del loro
biglietto da visita: martedì
7 novembre ore 17.00,
per poi consegnarlo al suo interlocutore che lo afferrò
senza
riuscire a mascherare il proprio entusiasmo. I suoi occhi chiari
brillarono e un largo sorrise sciolse le sue guance.
“Grazie
mille, a
Martedì allora!”
Il
ragazzo uscì senza voltarsi con il suo biglietto stretto
ancora tra
le dita, non si curò di quello ancora seduto sul marciapiede
intento
a fumare un'altra sigaretta, non rimase a guardare l'insegna luminosa
del Syn Gates Tattoo che, nonostante le modeste dimensioni, aveva
iniziato a raggiungere una certa popolarità in
città; non si curò
di nulla di tutto questo, solo che tra qualche giorno avrebbe avuto
nuovo inchiostro sulla sua pelle ed una nuova storia da raccontare.
Di
nuovo un
mozzicone di sigaretta sull'asfalto, di nuovo fumo e tanta stanchezza
in quella giornata che finiva esattamente come le altre e che
lasciava il posto ad un altro giorno passato in quel negozio dove si
stava sì facendo le ossa, ma dove iniziava a sentirsi
stretto. La
figura del cliente che si allontanava aveva catturato la sua
attenzione esattamente come quando era arrivato, lo guardava svanire
senza perdersi nessun dettaglio delle sue spalle larghe e della sua
schiena. Quasi si sentì offeso per non essere stato preso
minimamente in considerazione, non capitava spesso, eppure questo
stuzzicava solo di più la sua fantasia e la sua
curiosità, il che
non succedeva davvero da troppo tempo.
***
Quando
il martedì
successivo Matt entrò nel Syn Gates Tattoo, Jimmy non era al
suo
solito posto dietro al bancone appena dopo l'ingresso e quel posto
vuoto lo destabilizzò un po', non sapendo come fare per
richiamare
l'attenzione su di sé, sempre se ci fosse qualcuno in
negozio.
Si
guardò intorno
con aria interrogativa, non prestò attenzione ai ragazzi
raffigurati
nelle foto alle pareti e fece qualche passo avanti verso una porta
sulla destra su cui erano stati applicati molti adesivi. Riconosceva
quelli di band che lui stesso ascoltava mentre alcuni non sapeva
proprio cosa volessero significare, forse erano marchi di inchiostri
o macchinette per tatuare.
La
sua curiosità
però fu catturata dal manifesto della Central Coast Tattoo
Convention*** che era stato applicato in alto con qualche pezzo di
scotch; non gli sembrò di averne mai sentito parlare, si
chiese dove
avesse vissuto per tutto quel tempo.
Mentre
meditava ad
una sua eventuale partecipazione a quella manifestazione, la porta
che stava fissando si aprì con violenza e Matt fu costretto
a fare
alcuni passi indietro rischiando di urtare l'appendiabiti dietro alle
sue spalle.
Il
ragazzo, alto e
con folti capelli scuri che ne uscì, lo guardò un
po' sorpreso, non
si era accorto che fosse entrato qualcuno; magari era lì da
chissà
quanto tempo e aveva avuto la possibilità di maledirlo
innumerevoli
volte.
Si
ricordò subito
della corporatura robusta che si ritrovò davanti, degli
occhi verdi
e dello sguardo timido e perplesso. L'altro però non
sembrava avere
nessuna espressione in particolare nei suoi confronti, come se fosse
la prima volta che si incontravano.
“È
tanto che
aspetti? Scusa davvero, il mio socio Jim non c'è oggi e non
è
semplice fare da solo quello che di solito si fa in due.”
disse il
tatuatore, portando una mano colorata dietro la nuca.
“È questo il
tuo disegno, vero?” aggiunse, forse troppo velocemente
perché vide
gli occhi dell'altro guizzare da una direzione all'altra senza
realmente capire cosa stesse succedendo.
“S-Sì
è quello,
ma non preoccuparti ero appena arrivato.” rispose, mordendosi
lievemente il labbro inferiore.
“Perfetto
allora
ho già preparato tutto, puoi accomodarti.”
Il
ragazzo gli
indicò la stanza che si rivelava oltre la porta che stava
per
spaccargli il naso e Matt ci entrò titubante, come se stesse
varcando la soglia di un'abitazione non sua in assenza del padrone di
casa. C'era una strana fragranza nell'aria, non sapeva bene come
definirla, forse particolare era l'unico aggettivo che gli
veniva in mente; non gli dispiaceva anzi, trovava che si adeguasse
bene alla stanza e al suo arredamento. Si accomodò sulla
poltrona di
pelle dove era stato steso un lungo foglio di carta, per poi
attendere.
“Ah,
comunque mi
chiamo Brian Haner. La volta scorsa non abbiamo avuto modo di
presentarci.” disse il proprietario quando raggiunse il
cliente.
Un'espressione interrogativa però, incurvò il
viso pieno di Matt,
non riusciva a capire a che scorsa volta si riferisse. Brian
dovette accorgersene, perché aggiunse: “Ci siamo
visti quando sei
venuto a prenotare il tatuaggio, io ero fuori, seduto sul
marciapiede.”
“Sono
un idiota,
scusa.” rispose Matt, esibendo un largo sorriso mentre i suoi
zigomi avvampavano lievemente. “Ero così agitato
che non ci ho
capito niente. In ogni caso mi chiamo Matt Sanders, piacere.”
Non
si strinsero la
mano, Brian gli fece un occhiolino e l'altro continuò a
sorridere
facendo sì che il tatuatore non riuscì a
distogliere lo sguardo per
qualche secondo.
“Jimmy
mi ha
detto che vuoi tatuarti sul petto, se sei ancora di quest'idea puoi
toglierti la maglietta.” propose l'artista, dopo aver
infilato i
guanti di lattice.
L'interlocutore
rispose all'ordine senza battere ciglio così si
sfilò la canotta
dei Motörhead che aveva
addosso, per poi appoggiarla dietro di sé, sul poggiatesta
della
poltrona. Non sembrava a disagio con il proprio corpo, e solo quando
Brian alzò lo sguardo verso di lui capì il
perché: le spalle erano
larghe e ben proporzionate e il torace perfettamente delineato dalla
muscolatura evidente e ben sviluppata. I suoi occhi nocciola si
persero velocemente sugli addominali e poi tornò su fino a
guardarlo
in viso.
“Allora,
dove
applico lo stencil?” chiese con un po' di
difficoltà, visto che le
labbra erano diventate improvvisamente secche e la saliva iniziava a
scarseggiare.
Matt
indicò lo
spazio tra i pettorali e Brian sbatté le palpebre nella
speranza di
ritrovare la giusta concentrazione. Posiziò la carta velina
sulla
pelle per poi posarvi del deodorante in stick così che
l'inchiostro
si trasferisse sulla pelle del ragazzo. Quando staccò lo
stencil si
fermò per una manciata di secondi ad osservare il risultato:
tutte
le linee erano ben evidenti, non avrebbe avuto problemi a proseguire.
“Ti
piace?”
domandò all'altro, dopo aver indicato lo specchio davanti a
lui. “Se
no lo applico in un altro punto o in un altro modo.”
“No,
tranquillo.”
rispose Matt, rassicurante. “Va benissimo così,
puoi iniziare.”
A
quel punto Brian
prese uno sgabellino in un angolo della stanza e lo avvicinò
alla
poltrona. Dopo essersi seduto mise dell'inchiostro nero in un piccolo
recipiente ed aprì un pacchettino da cui estrasse un ago
sterile.
“Data
la
complessità e la grandezza del tatuaggio.”
propose. “Direi che
saranno necessarie diverse sedute. Oggi iniziamo con i contorni degli
angeli, che ne dici?”
“Sei
tu
l'artista, mi fido di te se si tratta di tatuaggi.”
Matt
sembrava un
ragazzo totalmente diverso da quello che aveva visto per la prima
volta, la timidezza pareva essersi dissolta e dalla
regolarità dei
suoi respiri sembrava anche piuttosto a suo agio. Aveva la testa
appoggiata sulla sua canotta e i suoi occhi vagavano sulle pareti,
mentre aspettava che l'ago iniziasse finalmente ad incidere la sua
pelle.
Il
caratteristico
ronzìo della macchinetta lo avvertì che il dolore
stava per
arrivare così sospirò profondamente come per
prepararsi a tutto
quello che di lì a poco sarebbe avvenuto.
“Pronto?”
Matt
annuì così
Brian, dopo aver disteso con le dita la porzione di pelle che stava
per tatuare, posiziò l'ago e iniziò il suo
lavoro. Il ragazzo
gemette silenziosamente, l'istante successivo però le sue
labbra si
distesero in un sorrisetto soddisfatto e compiaciuto.
Amava
i tatuaggi,
amava i numerosi significati che già portava addosso, ma
più di
tutti amava il momento in cui l'ago entrava sempre più a
fondo
lasciandogli segni indelebili. Non era spaventato, come spesso
sentiva dire, dall'immortalità che quei disegni avevano
anzi, ne era
totalmente affascinato; d'altronde quella era forse l'unica certezza
della sua vita: ovunque sarebbe andato, qualsiasi cosa avrebbe fatto,
i suoi tatuaggi sarebbero rimasto proprio lì, sulle sue
braccia e
ora anche sul suo petto, senza modificarsi di una virgola.
Una
scarica di
adrenalina gli attraversò la spina dorsale ma
cercò di contenere i
brividi, non aveva nessuna intenzione di disturbare Brian che fino a
quel momento non aveva pronunciato nemmeno una parola, troppo
concentrato com'era su quella che sarebbe diventata la sua ennesima
opera d'arte. Nonostante ormai la sua carriera fosse ben avviata
quasi quanto la sua fama, non aveva smesso di essere nervoso ed
eccitato per un nuovo lavoro; erano tutti primi tatuaggi, per
lui.
“Come
sta
andando?” chiese diversi minuti dopo, quando era orma ora di
eliminare i primi residui di inchiostro. “Non mi sembra ti
stia
facendo male.”
“Un
po' sì.”
ammise Matt, voltando la testa all'indietro. “Ma è
decisamente
sopportabile.”
Quando
i suoi occhi
si distolsero dalla figura di Brian al suo fianco, iniziarono ad
analizzare con maniacalità le pareti, soffermandosi su lle
applique
a forma di teschio che illuminavano la stanza. Le lampadine erano a
goccia mentre il supporto sembrava di ferro e quegli sguardi
minacciosi lo incuriosirono. Anche la carta da parati era
particolare, rossa con delle decorazioni dorate; Matt si chiese chi
avesse ideato quel particolare arredamento così diverso da
quello
dell'ingresso che risultava invece essere piuttosto minimal e
moderno.
Quella
stanza
invece, adesso che ci faceva caso, strabordava di dettagli con stili
diversi e che quasi facevano a cazzotti: era un mix tra
l'appartamento di un esuberante artista e il castello di Dracula.
“Come
mai hai
arredato questa stanza così?”
Non
riusciva
proprio a tenere la bocca chiusa in certi momenti, soprattutto in
quelli meno opportuni.
Brian
sospirò
quasi infastidito e Matt era già pronto a maledirsi
mentalmente.
“È
colpa del mio
migliore amico Zacky, è fissato con certe cose. Mi dispiace
che ti
metta a disagio.”
“Non
mi mette a
disagio, è solo che non mi era mai capitato di vedere
qualcosa di
simile, e io di cose strane ne ho viste parecchie.”
“Beh
allora devo
presentartelo prima o poi, solo dopo aver conosciuto un tipo del
genere puoi dire di averle viste tutte.”
*
The Taste of Ink, The Used;
**
il tatuaggio che Matt decide di farsi è questo;
ovviamente non so se sia stato concepito come un unico tattoo o no,
è stato a mia discrezione;
***
la convention di cui si parla è davvero esistente e potete
trovare informazioni a riguardo a questo
indirizzo.
Note: questo
è il primo capitolo di quella che sarà una breve
Bratt, composta da non più di 5 capitoli. Spero abbia
stuzzicato la vostra curiosità e che vi spinga a continuare
la lettura!
|
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Capitolo 2 *** Capitolo 2 ***
Inchiostro 2
Il sapore agrodolce
dell'inchiostro
Capitolo
2
Il ronzio della macchina per tatuare riempiva il silenzio della stanza
da molto tempo ormai, Matt e Brian avevano iniziato a parlare sempre di
meno fino a porre fine ad una conversazione fatta di poche parole, ma
molti sorrisi. E quelli c'erano ancora anche in quel momento;
nonostante il ragazzo disteso avesse le labbra serrate, i suoi occhi
chiari si scioglievano in affettuosa gratitudine verso quelle mani che
con sapiente consapevolezza iniettavano inchiostro nella sua pelle.
Brian non aveva
più alzato
lo sguardo e col passare del tempo i suoi zigomi si erano arrossati e
le pupille erano diventate lucide per la stanchezza.
“Ti dispiace
se facciamo una
pausa?” disse poco dopo, spegnendo la macchinetta.
“Ti
offro una sigaretta.”
Matt annuì
con un cenno del
capo e fece per alzarsi, Brian però lo bloccò per
pulire
eventualo residui d'inchiostro. Con una smorfia che l'altro ragazzo
reputò piuttosto buffa,manifestò la sua
soddisfazione
verso il lavoro che aveva fatto fino a quel momento e poi si
alzò dirigendosi verso la porta.
Quello coi capelli
chiari convenne
che non fosse il caso di infilare la canotta così
seguì
il tatuatore nell'atrio ancora vuoto fino all'esterno del negozio.
“Vuoi? Scusa
fumo solo Marlboro rosse.”
Lo so, avrebbe voluto
rispondere Matt, avendo sin da subito notato il tatuaggio che Brian
aveva sulle nocche.
"No grazie, non
fumo... o almeno non più.”
Le sopracciglia
dell'altro si
incurvarono e ritrasse il pacchetto, per poi sfilare una sigaretta e
posizionarla fra le labbra. Quando le sue mani furono di nuovo libere
la accese prendendo subito ad inspirare lentamente con respiri sempre
più profondi.
Non appena il tipico
sapore
amarognolo gli impregnò la lingua, Brian sentì i
propri
muscoli rilassarsi e distendersi, dopo più di un'ora
immobile
nella stessa posizione ne aveva davvero bisogno.
“Sei
diventato una specie di salutista?” chiese poi, non appena si
fermò per buttare via il fumo.
Matt sorrise e
iniziò a muovere i piedi mentre i suoi occhi si abbassavano
sul marciapiede.
“Con questa
pancetta mi ci
vedi a fare il fissato?” rispose senza smettere di tenere le
labbra distese in quel modo particolare che Brian aveva subito imparato
ad associare al viso del ragazzo. “E comunque ho dovuto farlo
per
lavoro...”
Il tatuatore avrebbe
voluto fare
altre domande, scoprire di più su quel tipo che era solo
alla
prima seduta e che avrebbe voluto continuare a tatuare anche per tutta
la vita, se solo glielo avresse chiesto, ma col tempo aveva imparato a
farsi i fatti suoi e a non chiedere nulla alle persone, in un modo o
nell'altro queste avrebbero fatto di tutto pur di ritorcergli tutto
contro, prima o dopo.
Durante quel silenzio
un po' teso,
Brian si era seduto sul marciapiede come la prima volta in cui Matt
l'aveva visto, con le braccia appoggiate sulle cosce e la schiena
curvata in avanti. In quei momenti i suoi occhi diventano scuri e duri,
tornava indietro a quando era un ragazzino che fumava di nascosto nei
bagni della scuola o nel cortile di casa, si immedesimava nel se stesso
del passato ed era felice di essere arrivato lì dov'era,
anche
se ciò aveva significato sacrificare una delle sue passioni
più grandi, alla pari di quella per i tatuaggi.
“Eccomi!”
urlò
ad un certo punto Jimmy, spuntando dall'altra parte della strada. Aveva
un raccoglitore sotto il braccio e un sacchetto stretto in mano; si
avvicinava a passi veloci.
“Che mi hai
comprato?”
chiese Brian, non appena l'amico li raggiunse. Matt salutò
l'altro proprietario del negozio con un sorriso e poi fece un paio di
passi indietro, in certi momenti aveva paura di essere di troppo.
“Caffé
doppio e una
ciambella al cioccolato, poi dimmi che non ti voglio bene. Matt giusto?
Se hai fame ce n'è una anche per te.”
“N-no no
grazie, davvero. Sono a posto.”
“Sicuro?
Tutti quei muscoli non si tengono su da soli.” concluse
Jimmy, facendogli l'occhiolino.
A quel punto Matt
sospirò e
sì, agguantò una ciambella dal sacchetto per poi
darle un
bel morso. Non ci aveva poi messo tanto a cedere, ma sembrava che Jimmy
ci tenesse molto.
“Quefto
cos'è?”
domandò il terzo ragazzo con la bocca piena e le labbra
ricoperta da crema al cioccolato, indicando il raccoglitore.
“Oh,
riguarda la Convention,
c'è il regolamento e tutte le varie stronzate. Solite cose.
Tu
pensa a tatuare amico, per il resto c'è Jimmy Sullivan a
pararti
il culo.”
Dopo questa frase ed
un sorriso smagliante, si diresse verso l'interno del negozio lasciando
di nuovo Matt e Brian da soli.
Il secondo
scoppiò a ridere,
non appena notò l'espressione soddisfatta sul volto
dell'altro,
sicuramente data da quell'appetitosa sorpresa.
***
Quando Matt
tornò al Syn
Gates Tattoo per la seconda seduta, dovette aspettare una mezz'ora
buona prima di entrare nella stanzetta di Brian e sedersi sulla
poltrona di pelle scura. Era passata una settimana dall'ultima volta in
cui aveva iniziato il tatuaggio e questo si stava cicatrizzando a
dovere, a detta dell'esperto.
“Oggi
facciamo la scritta.” esordì. “Almeno ce
la leviamo dalle scatole.”
Il ragazzo disteso
ridacchiò e si preparò rilassando i muscoli
quanto più gli era possibile.
“Thicker
than water*, eh?
Devi essere legato alla tua famiglia.” asserì
Brian mentre
si preparava e tornava mentalmente al punto in cui aveva lasciato il
lavoro la scorsa volta. Per l'ennesima volta si era ritrovato a fare
domande e anche adesso le guance di Matt si erano colorate di porpora e
il suo sguardo si era abbassato. “Scusa, sono un
rompicoglioni.
Sto zitto.”
A quel punto l'altro
ragazzo
alzò la schiena con uno scatto rischiando di farsi infilzare
dall'ago che stava per raggiungere il suo petto.
“Ma no
Brian, sono io che mi
imbarazzo per niente!” esclamò, iniziando ad
agitare anche
le mani. Il solo pensiero che avesse potuto farlo sentire a disagio gli
fece venire una brutta sensazione alla bocca dello stomaco, era stato
gentile con lui sin da subito e non era affatto giusto che, di rimando,
si comportasse in quel modo.
Anche se, in effetti,
Matt si era
accorto solo quando era arrivato per la prima volta in quello studio,
di essere in grado di arrossire.
“Comunque
sì, mi hanno
aiutato molto nonostante io continui a sentirmi un po' un
fallimento.” tentò di esibire un sorriso
rassicurante, ma
dubitò di esserci riuscito del tutto.
Guardando
quell'espressione, Brian
non potè fare a meno di accarezzare il dorso della mano
dell'altro in segno di solidarietà con la punta delle dita,
poi
scosse debolmente la testa e tornò al suo lavoro.
I respiri di entrambi
tornarono
regolari in poco tempo e il ronzìo della macchinetta fu di
nuovo
l'unica compagnia; questa volta però si aggiungeva la voce
di
Jimmy che ogni tanto attraversava la parete: lo si sentiva per la
maggior parte delle volte litigare al telefono con qualcuno.
Anche se non li
conosceva quasi
affatto, Matt si rese subito conto che tra Jimmy e Brian c'era uno di
quei rapporti che si ha la possibilità di instaurare una
sola
volta nella vita; se hai la fortuna di incontrare quella persona, te la
devi tenere ben stretta o rischi di pentirtene fino alla fine dei tuoi
giorni. Un po' li invidiava, inconsciamente desiderava anche lui di far
parte di quella famiglia che solo quei due formavano. Sembravano
bastarsi l'un l'altro, Matt invece aveva l'impressione di avere molto
di più, ma non si sentiva mai sazio.
“Posso farti
io una domanda? Così magari ti senti meno in
colpa.”
“Spara.”
rispose Brian, senza alzare lo sguardo.
“Da
quant'è che conosci Jimmy?”
Il tatuatore si
riavviò i capelli scuri con un veloce gesto della mano,
staccando per un attimo quei piccoli aghi.
“Sai che non
me lo ricordo?
Abbiamo passato così tanto tempo insieme che mi sembra di
averlo
avuto accanto anche quando in realtà non c'era. In ogni caso
l'ho conosciuto quando lavorava in una lavanderia a gettoni qui in
città, io avevo un mucchio di panni sporchi e lui era troppo
strambo per non offrirgli una sigaretta.”
“Mi stai
indirettamente dando dello strambo?” chiese Matt, per poi
alzare un sopracciglio.
Brian
scoppiò a ridere, dovette allontanare la macchinetta e
spegnerla per una manciata di secondi.
“Naaah,
quello non è l'unico motivo per cui offrirei una delle mie
Marlboro a qualcuno.”
“E gli altri
quali sarebbero?”
“Troppo
comodo amico, mi dispiace.” disse stroncando la conversazione.
Matt capì
che non avrebbe
potuto continuare dal modo in cui Brian abbassò la testa e
dalla
concentrazione che prese subito posto nel suo sguardo.
L'artista, d'altro
canto, era
sì preso dal suo lavoro, ma non poteva fare a meno di
continuare
a guardare quella pelle lievemente abbronzata, di sentire i pettorali
sotto i guanti quando, con premura, distendeva la porzione da tatuare;
era rimasto incantato sin dal primo momento dalla corporatura di quel
ragazzo – difficilmente sarebbe passata inosservata
– e
più la guardava e ne sentiva il profumo, più si
sentiva
attratto.
La volta precedente si
era accorto
del profumo di Matt solo quando questo se n'era andato, la sua stanza
non aveva la solita fragranza di sempre e non ci mise molto a ricordare
che c'era molto di quel ragazzo su di lui, nonostante continuasse a
negarlo. Non era esperto in profumi o cose del genere, ma maschile
era l'unico aggettivo che gli sembrava convincente. Un uomo avrebbe
dovuto avere un odore simile a quello, né più
dolce
né più forte.
Si pentì di
puzzare di fumo,
anche se nessuno glielo faceva notare era consapevole del fatto che
fosse così. Quando si avvicinava a Jimmy ci faceva caso,
anche
lui puzzava di sigaretta, ma ci si era talmente abituato che ormai
quasi gli piaceva. Non percepiva solo nicotina quando inspirava, c'era
qualcosa di particolare che rendeva quel profumo unico.
Era Jimmy e sapeva di
fumo e nicotina, con un accenno di una fragranza dolce che non sapeva
definire.
Matt invece aveva un
odore da uomo e Brian non riusciva a smettere di assaporarlo un respiro
dopo l'altro.
“Fatto.”
concluse circa
un'ora dopo, la sua bocca esibiva un sorriso soddisfatto e corse a
prendere un piccolo specchio così che l'altro ragazzo
potesse
guardarsi per bene.
Mentre si sfilava i
guanti in
lattice sperava di aver fatto un bel lavoro, desiderava che Matt lo
ringraziasse con lo stesso entusiasmo della volta precedente e che gli
allungasse una mano con tanto di pacca sulla spalla per salutarlo.
“Grandioso
amico, stai
facendo davvero un lavoro fantastico.” esordì il
ragazzo
seduto senza distogliere lo sguardo dello specchio. “Solo una
cosa, dovresti pulirmi qui.” continuò, indicando
delle
lievi macchie scure quasi all'altezza del pomo d'Adamo. Brian
recuperò velocemente un pezzo di carta che subito
bagnò,
per poi togliere via l'inchiostro. Trovarsi di nuovo così
vicino
al petto di Matt gli fece girare per un attimo la testa, un attimo
così fugace che stentò a credere di averlo
vissuto.
Non sapeva
perché, si sentiva solo dannatamente stupido, ma non avrebbe
mai voluto allontanarsi di nuovo.
Continuò a
strofinare ancora
un po' salendo sulle scapole per poi lasciar scivolare giù
la
mano e portare il viso alla stessa altezza degli occhi dell'altro.
Sentiva che il fiato gli si era fatto corto e che gli occhi verdi si
erano bloccati, stava quasi per ridere per quell'espressione buffa. La
sacralità con cui Matt lo osservava però, lo fece
rimanere serio. Si specchiava dubbioso in quelle iridi chiare,
riconosceva la paura negli sguardi di entrambi, ma era una paura bella
ed eccitante, come quella per le montagne russe.
Nonostante lo stomaco
in gola,
continui sempre a fare un altro giro perché non puoi fare a
meno
di quella sensazione. Era da tanto che Brian non andava in un
parcogiochi e fremeva all'idea di provare ancora il piacere del
brivido. Non sapeva come Matt avrebbe potuto rispondere ad un suo
possibile gesto, e questo lo eccitava terribilmente.
“Volevo
offrirti una
sigaretta.” soffiò ad un paio di centimentri dalla
bocca
dell'altro. “Perché ti trovo un tipo decisamente
interessante.”
Il ragazzo, di
rimando, si morse il labbro inferiore.
“Brian!”
Una terza voce, che
Matt non
conosceva, irruppe nella stanza. Un ragazzo dai capelli corvini e gli
occhi chiari simili ai suoi fece qualche passo fino a raggiungerli per
poi sedersi sullo sgabello che di solito usava il proprietario quando
tatuava.
“Zacky...”
rispose a
mezza voce l'interlocutore, mentre teneva una mano poggiata sul cuore.
Sì che aveva voglia di emozioni forti, ma rischiare un
infarto
per quello spostato non era il caso.
“Ehm, allora
io vado.”
disse Matt allontanandosi da Brian fino ad alzarsi in piedi.
“Prendo appuntamento con Jimmy per la prossima
seduta.”
L'altro ragazzo non
riuscì a
fare altro che salutarlo con un cenno della mano e dire, con un filo di
voce: “Lui è Zacky, l'amico di cui ti
parlavo.”
Aspettò che i due si strinsero la mano e poi si
abbandonò
sulla poltrona dopo aver esalato un profondo sospiro.
“Ho come
l'impressione di
aver interrotto qualcosa.” asserì Zacky, non
appena
sentì la porta chiudersi.
***
Quando Matt si
avvicinò a Jimmy,
questo lo guardò con aria interrogativa. Non lo conosceva
bene, anzi
quasi affatto, ma sapeva riconoscere l'amarezza negli occhi degli
altri. Lui che difficilmente si buttava giù, aveva come un
talento
naturale nel captare i problemi altrui.
“Stai bene?
Brian è stato
indelicato?”
“Tatua alla
perfezione, lo sai meglio
di me.” rispose Matt, un po' scocciato. “Quando
posso venire per
completare il lavoro? Dovrebbe essere necessaria una sola ed ultima
seduta.”
“Guarda che
non mi riferivo al
tatuaggio.” disse Jimmy, guardandolo dritto negli occhi.
“Brian è
impeccabile con gli aghi, mi riferivo alla sua bocca. Quella non la
sa ancora usare molto bene.”
L'altro ragazzo
arrossì e non seppe
dire se l'amico se ne fosse accorto, in ogni caso non lo dava affatto
a vedere. Non sapeva se il riferimento alle labbra del tatuatore lo
faceva imbarazzare o incazzare... forse entrambe le cose.
“Fissiamo un
appuntamento Jim, ho una
certa fretta.”
***
“Eddai
Brian, ci vieni?”
“Zacky sono
pieno di lavoro in questo periodo, non ti ci mettere anche tu per
favore.”
“Sono secoli
che non passiamo una serata insieme, me lo devi. Ho invitato anche
Jimmy.”
A quel punto il
ragazzo si
sentì in trappola e fu costretto ad arrendersi. D'altronde,
se
anche il suo migliore amico aveva accettato, non poteva fare altrimenti.
“E va bene,
va bene, ci vengo. Posso sapere il nome della band che
suonerà, almeno?”
“I
Successful Failure.”
rispose prontamente l'altro. “Non li conosco, ma ho sentito
dire
in giro che spaccano davvero e che stanno iniziando a farsi un nome nel
mondo dell'hardcore.”
Brian
sospirò sonoramente
prima di afferrare il biglietto che l'altro gli porgeva e poi lo
infilò in uno dei cassetti del bancone dove di solito
prendeva
posto Jimmy che, in quel momento, se la prendeva comoda in bagno.
“Ma ha
problemi di vescica?” chiese Zacky, ad un certo punto.
“No.”
rispose l'altro. “È solo troppo stupido per
rendersene conto.”
La terza seduta di
Matt sembrava
essere lontana anni luce, il modo in cui era terminata la precedente lo
metteva a disagio e al tempo stesso lo faceva innervosire. Il pensiero
che sarebbe potuto succedere chissà cosa, gli faceva venire
l'amaro in bocca.
Dopo aver lanciato
un'occhiata
fugace a Zacky, però, si rese conto che non poteva
aspettarsi di
meglio dalla vita, se si era scelto un soggetto del genere come amico.
*abbreviazione di Blood is thicker than water
(il sangue è più denso dell'acqua): la famiglia
è più importante di qualsiasi altra cosa.
Note:
ringrazio le dolcissime
Gatto Magro e Yssel che, per fortuna, mi seguono anche questa volta e
tutti coloro che hanno aggiunto questa fanfiction tra le
preferite/ricordate/seguite.
Scusate il ritardo, ma sono stata in vacanza in Puglia... I prossimi
aggiornamenti saranno più veloci!
Un bacio e alla prossima!
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Capitolo 3 *** Capitolo 3 ***
Il
sapore agrodolce dell'inchiostro
Capitolo
3
L'orologio
analogico sul cruscotto della macchina di Zacky segnava le otto e
qualche minuto, quando arrivò davanti al Syn Gates Tattoo.
Le luci
all'interno dello studio erano ancora accese così diede
qualche
colpo di clacson per avvisare Jimmy e Brian.
I
due proprietari, non appena lo udirono, sbuffarono in sincrono dopo
essersi rivolti un'occhiata veloce.
“Glielo
spieghi tu che non me ne frega un cazzo dei Successful Failure o come
diavolo si chiamano, che ho lavorato come un mulo per dieci ore di
fila e che se prova a premere di nuovo quel fottuto clacson gli ci
spacco la faccia sopra?”
Brian
aveva parlato tutto d'un fiato e a stento l'altro riuscì a
trattenere una risata. La poca pazienza dell'amico era ormai
diventata una sua caratteristica peculiare, ormai anche i clienti
avevano paura di dire qualcosa di sbagliato.
“Respira
Haner e datti una cazzo di calmata, d'altronde usciamo per
rilassarci.”
“Sì
certo, come no.” concluse uscendo dal piccolo bagno che
avevano
usato per rinfrescarsi e cambiarsi.
Con
premura spense la luce principale dell'atrio lasciando solo un paio
di applique di cui si sarebbe occupato Jimmy quando sarebbe uscito e
poi voltò il cartellino sulla porta in Closed
ponendo ufficialmente fine all'ennesima giornata di lavoro. Se
l'erano cavata bene, lui e il suo socio, d'altronde era da un bel po'
che gli affari sembravano andare per il verso giusto; erano proprio
questi auspici a fargli desiderare qualcosa di più grande,
di più
prestigioso, magari in qualche angolo rinomato di Los Angeles.
“Ehi
Bri, Jimmy sta arrivando?”
“Sì...”
rispose solamente, dopo un profondo respiro. “Fumo
velocemente e
salgo.”
Accendere
una sigaretta nell'auto di Zacky era severamente vietato, avrebbe
impregnato di fumo la tappezzeria e chissà, magari anche
incendiato
i tappetini,
usando le sue esatte parole.
Quando
finalmente anche il terzo ragazzo li raggiunse, e Brian aveva
ingurgitato una sufficiente dose di nicotina da calmarsi, partirono.
Dallo stereo provenivano canzoni dei gruppi preferiti del conducente,
si passava dall'horror punk al pop del momento, e Zacky canticchiava
facendo ondeggiare la testa a tempo. Jimmy invece picchiettava le
mani sulle ginocchia, se conosceva un brano. L'ultimo se ne stava sul
sedile posteriore con la schiena perfettamente adagiata e le gambe un
po' larghe, si perdeva ad osservare il paesaggio buio all'esterno e
si stupì quando si rese conto che stavano rallentando: anche
se
stava tenendo d'occhio la strada non si era accorto dell'insegna del
Chain Reaction che troneggiava poco lontano dal parcheggio.
“Io
devo fermarmi a prendere un hot dog, sto morendo di fame.”
Zacky
avrebbe voluto protestare e dire che il concerto era già
iniziato da
un po', ma poi preferì restare zitto anche perché
si rese conto che
in effetti i suoi amici erano rimasti intrappolati a lavoro fino ad
un'ora prima. Jimmy non aveva fame, aveva mangiato un pacchetto di
patatine mentre l'altro tatuava l'ultimo cliente, così
decisero, con
estrema approvazione dell'interessato, di entrare e lasciare Brian da
solo a mangiucchiare la sua cena. Aveva preso anche una birra, nel
locale si sarebbe dedicato solo ad alcolici pesanti.
Trovava
buffo stare poco lontano dal Chain Reaction ed osservarlo, nonostante
fossero passati anni, ancora con occhi sognanti. Aveva quasi
l'impressione di avere di nuovo dodici anni e di guardare
quell'insegna con occhi pieni di speranze mentre sua madre gli
ordinava di accelerare il passo perché avevano un sacco di
cose da
fare. Si era promesso che ci avrebbe suonato, prima o poi, su quel
piccolo palco, e invece le poche volte che aveva varcato quella
soglia era stato solo per ascoltare qualche nuova promessa di Orange
County che raramente si era rivelata tale. Molte volte tutto bruciava
in poco tempo: primo album, singolo di successo e poi boom,
the bottom of rock and roll.
A
lui le cose sarebbero andate diversamente, si ripeteva sempre, lui
sarebbe morto in una villa sull'oceano con la sua chitarra elettrica
sulle ginocchia; fece un sorrisetto che sembrava più una
smorfia,
poi diede un altro morso all'hot dog. Con le labbra sporche di senape
sorseggiò la birra direttamente dalla bottiglia, stava
morendo di
sete.
Quando
ebbe finito e si ritrovò all'interno del locale avvolto
dalla musica
che prese subito a rimbalzargli nel petto, si preoccupò solo
di
tenere lo sguardo fisso sulle sue scarpe: avrebbe trovato Jimmy e
Zacky in qualche modo, o loro avrebbero trovato lui.
***
Era
mattino presto, raramente Brian si svegliava a quell'ora durante
l'estate, ma non poteva rischiare di fare tardi; doveva spedire la
propria domanda di ammissione al conservatorio e, anche se i suoi
genitori non sembravano essere d'accordo, era certo che a fatto
compiuto non sarebbero stati in grado di dirgli di no.
Quando
però, dopo una colazione veloce, raggiunse l'ingresso,
notò dei
fogli sul mobile su cui era stampato il logo della Huntington Beach
High.
Alzò
un sopracciglio per poi soppesare il leggero plico,
inizialmente dubbioso. Si chiese cosa ci facevano lì, sua
madre e
suo padre non avevano ancora accennato ad eventuali iscrizioni ed
invece eccola, proprio tra le sue mani, i documenti perfettamente
compilati.
Brian
Haner avrebbe frequentato una delle scuole della
città, niente Hollywood e niente conservatorio.
Si
morse le
labbra fino a farle sanguinare, voleva trattenersi dall'urlare fino a
lacerarsi alle corde vocali; pensava alla sua chitarra sul letto e ai
disegni sulla scrivania, pensava che avrebbe lottato con le unghie e
con i denti per realizzare i suoi desideri.
***
Come
Zacky aveva predetto, i Successful Failure stavano suonando un misto
fra punk ed hardcore, la voce del cantante era dura e graffiante,
sembrava quasi che ti lacerasse i timpani, se ci si fosse fermati ad
ascoltare più attentamente. Le orecchie di Brian giudicarono
il
resto della band poco rilevante, nulla di nuovo o particolarmente
eccitante, ma quella voce lo aveva completamente rapito. Non riusciva
a capire come potesse anche solo minimamente parergli familiare,
visto che di quei ragazzi non sapeva assolutamente nulla al di fuori
del nome del gruppo.
Allungò
un po' il collo per cercare di sovrastare la folla davanti a lui e
poi si bloccò in punta di piedi, in mezzo al pubblico, con
gli occhi
completamente spalancati.
Con
il microfono in mano, una canotta scura e dei pantaloni dello stesso
colore, c'era Matt che saltellava da una parte all'altra del palco
urlando con tutto il fiato che aveva in gola. Nonostante la
lontananza, Brian riusciva a percepire le vene sul collo e le guance
rosse, non poté fare a meno di arrossire anche lui quando si
rese
conto di chi aveva di fronte.
L'altro
non si era accorto della sua presenza – come avrebbe mai
potuto –
ma solo poterlo osservare da lontano allontanò tutto lo
stress
accumulato durante la giornata e si sentì meglio, sorrise
debolmente
e poi si preoccupò finalmente di ritrovare i suoi amici.
Dopo
aver sgomitato un po' e aver raggiunto l'estremità opposta
del
locale, venne accolto da Jimmy con un: “Hai visto chi
c'é lì
sopra?”
Brian
aveva risposto con un cenno deciso della testa e poi tornò a
rivolgere lo sguardo verso il palco che da quella posizione era
più
vicino e poteva osservare tutto più nitidamente. C'erano i
tatuaggi
sulle braccia, gli occhi verdi e i capelli corti, tutto era al suo
posto, ma quella volta c'era anche quella voce che non aveva mai
sentito in quel modo e che gli piaceva ancora di più, se
possibile.
“Vado
a prendere un paio di drink, torno subito.” fece Zacky
indicando il
bancone. Gli altri due lo lasciarono andare e si concentrarono di
nuovo sulla musica, o almeno Brian lo fece. Jimmy gli diede un pugno
affettuoso sulla spalla e poi fece un sorrisetto di chi la sa lunga.
“Ti
stai finalmente facendo una vita?” urlò,
così che l'amico riuscì
a sentirlo.
Brian
di rimando scosse la testa ridendo e poi mostrò il dito
medio a
Jimmy, il quale disse di sapere già come sarebbe andata a
finire
tutta quella storia.
“Non
so di che storia tu stia parlando, amico.” rispose l'altro,
senza
smettere però di sorridere.
“Zacky
tu lo sapevi che Matt è il cantante della band?”
chiese Brian
quando l'altro fu di ritorno e diede da bere ai due.
“No, perché?
Era così importante?”
“Così,
era solo per sapere.” concluse, un po' più
sollevato. Per un
attimo aveva temuto che i suoi amici lo avessero incastrato in quella
situazione perché si erano messi chissà quale
idea in testa. Certo,
sarebbe potuto succedere chissà cosa tra loro due, ma il
fatto che
non era successa spiegava molte cose; forse non era destino che le
cose cambiassero.
I
tre rimasero lì per tutta la durata del concerto, ogni tanto
chiacchieravano e commentavano i brani. Ad un certo punto Brian si
accorse che Jimmy fissava il bassista, un ragazzo un po' bassino con
una cresta bionda da istrice.
“Ho
come l'impressione di conoscerlo.” disse dopo un po',
rispondendo
alle domande mute dell'amico. “Se la vista e la memoria non
mi
ingannano, deve essere stato un cliente della lavanderia.”
“Com'è
che hai conosciuto tutti lì dentro? Inizio ad essere
geloso.”
disse Brian, provocando risatine da parte di Zacky.
“Ehi
non è colpa mia se le persone hanno voglia di attaccare
bottone,
mentre aspettano che la lavatrice faccia il suo lavoro.”
Al
termine del concerto i ragazzi attesero che i musicisti ripresero
fiato poi Zacky, che aveva delle conoscenza all'interno del locale,
li fece entrare nel backstage senza grossi problemi. Brian aveva
sempre desiderato sapere cosa si nascondesse dietro quel palco e
finalmente poteva vederlo con i propri occhi. Non era nulla di
incredibilmente emozionante, ma era bello calpestare il pavimento che
dava vita alla vera musica. Lì erano racchiuse le ansie e le
paure
più recondite dei musicisti, vi si percepiva l'adrenalina ed
il
terrore.
Nel
momento in cui Matt infilò una maglietta pulita ed
incrociò lo
sguardo di Brian che aveva preso a fissarlo da diversi minuti,
soffocò l'istinto di urlare o di scappare via come una
donnicciola
spaurita. Tra tutte le persone che si aspettava di vedere lì
–
amici d'infanzia o qualche membro della famiglia – non
avrebbe
scommesso neanche un centesimo su Brian, d'altronde non gli aveva mai
neanche detto che aveva una band.
E
invece lui era davvero lì davanti a lui, ancora a fissarlo a
dir la
verità, ma lo aveva stupito e solo questo importava. Non
sapeva
esattamente cosa dire, qualsiasi parola sembrava fuori luogo
soprattutto dopo gli ultimi avvenimenti. Riconobbe subito Jimmy e
Zacky alle sue spalle, il primo stava scambiando quattro chiacchiere
con Johnny, il suo bassista, dal tono concitato sembravano
conoscersi.
“T-Ti
va se ti offro qualcosa?” domandò alla fine Matt,
rompendo il
ghiaccio. Brian aveva fatto un movimento strano con la testa,
difficile definire se fosse un sì o un no.
***
Dopo
diversi brindisi ai Successful Failure e tre quarti d'ora di macchina
per colpa del traffico, Zacky, Brian, Jimmy, Matt e Johnny erano
distesi sulla sabbia della spiaggia di Huntington Beach; il resto
della band aveva raggiunto altri amici ad un falò e
così loro
avevano deciso di rilassarsi un po' con il naso puntato verso il
cielo.
Purtroppo
non c'erano molte stelle quella notte, solo la Stella Polare e poche
altre erano ben visibili. Matt sembrava essere piuttosto esperto in
materia e, anche se un po' brillo, sapeva bene tutti i nomi. Brian si
divertiva a sentirlo parlare e maledirsi quando non era sicuro di
qualcosa, la sua spalla aderiva a quella dell'altro e non si curava
di nient'altro se non di quel contatto. Aveva gli zigomi un po' rossi
per colpa dell'alcol, lo sentiva quando muoveva i muscoli del viso,
ma tanto era buio e nessuno se ne sarebbe accorto.
Zacky
aveva preso a russare accucciato in un angolo, quando Jimmy propose
di fare una gara di rutti, così tentò di
svegliarlo con un paio di
strattoni ma i risultati non furono quelli sperati. Solo Johnny
acconsentì alla sfida, ma dopo tre o quattro partite si era
stufato
di perdere sempre.
“Mi
sembri triste.” disse Matt, dopo un po', quando gli altri si
immersero di nuovo in uno dei loro fitti discorsi. La sua voce era
bassa e un po' roca, doveva sforzarsi per tenere un tono non troppo
alto.
Brian
si sentì colpito dritto al cuore, colto completamente nel
segno,
anche se stare così vicino a quel ragazzo lo rendeva tutto
tranne
che di cattivo umore; a quanto pareva però c'era qualcosa di
negativo, se il suo amico lo percepiva.
“A
dire il vero non lo sono.” rispose, inclinando leggermente la
testa
senza però arrivare ad appoggiarla sulla spalla di Matt.
“Mi sento
bene, invece.”
“Magari
mi sbaglio, ma mi sembravi strano al Chain Reaction. Scusami se
insisto.”
“No
è che...” iniziò Brian. “Ti
sembrerà buffo, però suonare in
quel locale era uno dei miei più grandi desideri, sapevo di
dover
passare di lì se volevo davvero diventare
qualcuno.” Sentì Matt
al suo fianco irrigidirsi, forse si era pentito di avergli fatto dire
una cosa così personale, allora aggiunse: “Non
preoccuparti, non
mi scoccia parlare di queste cose.”
“Sicuro?”
Lo
sguardo dell'altro ragazzo si era addolcito.
“Sicurissimo,
non ho alcun problema.”
In
realtà ce l'aveva, solo con Jimmy si era aperto fino a quel
punto,
ma sentiva il bisogno di confidarsi con Matt, d'altronde avevano
avuto davvero poche occasioni per farlo e non doveva farsene scappare
neanche una. Gli era bastato vederlo imbarazzato davanti alla porta
del negozio, anche solo di schiena, per capire che quello che aveva
davanti era qualcuno di diverso dalle persone che aveva sempre
frequentato. Non c'erano motivi particolari, non ce n'erano mai
stati, sentiva solo di conoscere quel ragazzone grosso e con la
faccia dolce da sempre e che poteva parlargli apertamente come se
conoscesse la sua storia alla perfezione.
Questo
strano rapporto che si stava creando lo attraeva e lo spaventava allo
stesso tempo, ma la curiosità di saperne di più
aveva sempre la
meglio, con Matt.
“Avevo
intenzione di iscrivermi al conservatorio di Hollywood, ma i miei me
l'hanno impedito. Dio solo sa quanto ho lottato e quanto ho suonato,
fino a farmi sanguinare le dita e ad avere così tanti calli
da non
riuscire a muovere la mano per giorni, ci ho provato fino all'ultimo
istante, fino a quando mio padre ha spezzato il manico della mia
chitarra proibendomi da quel momento in poi di suonare. Scusami, ti
sto annoiando.”
Mentre
pronunciava le ultime parole la sua voce aveva tremato lievemente ma
Matt se ne era accorto, aveva capito sin da subito che quello non era
un argomento facile da affrontare per Brian, che faceva ancora tanto
male nonostante gli anni, ma gli scaldò il cuore il fatto
che gliene
volesse parlare. L'insistenza con cui ripeteva di sentirsi un peso
per gli altri, quando parlava di se stesso, lo intenerì e
gli fece
quasi male al cuore; nonostante la stazza, i muscoli, i tatuaggi, gli
occhi neri, Brian aveva difficoltà ad esprimersi con gli
altri, era
come se una gabbia all'interno del suo petto rinchiudesse la sua
anima e, nonostante gli sforzi, non riuscisse a liberarsi. Per
l'altro ragazzo era sempre stato naturale parlare
e gli sembrava strano che qualcuno potesse avere una tale
difficoltà.
“Non
dirlo nemmeno, ci tengo ad ascoltarti.”
L'altro
ragazzo sorrise debolmente e avvicinò una mano alle dita di
Matt che
presero ad accarezzarne il palmo a volte facendogli anche un po' il
solletico.
“Non
ho suonato per anni, ancora adesso faccio fatica a tenere la chitarra
in mano, ripenso a quel giorno e mi blocco. Dopo aver
lottato tanto
mi sono fermato ad un manico spezzato perché era come aver
spezzato
qualcosa dentro di me, il mio cuore, ero troppo piccolo per riuscire
a mettere insieme i pezzi. Allora ho sfogato tutto ciò che
avevo
dentro sui miei disegni ed eccomi qui, con uno studio di tatuaggi e
tante cicatrici sulla pelle, nascoste sotto l'inchiostro.”
Matt
salì dalla mano fino al polso, poi prese ad accarezzare i
contorni
dei primi tatuaggi che sentiva sotto le dita. Non aveva bisogno di
rispondere nulla, sapeva che Brian capiva la profondità di
quei
gesti, cercava di coccolarlo a suo modo e di spiegargli, senza
parlare, che non doveva aver timore di parlare, che adesso che c'era
non se ne sarebbe più andato.
A
quel punto però si sentì fortunato di aver avuto
la possibilità di
inseguire i suoi sogni; non aveva frequentato il conservatorio, ma la
sua famiglia lo aveva sempre appoggiato in tutti i modi possibili.
“La
musica non ti porta da nessuna parte, diceva sempre mio padre, se non
ce l'ho fatta io come puoi pretendere di riuscirci tu?”
riprese
Brian. “Credo fosse troppo deluso da se stesso, non voleva
che io
provassi lo stesso profondo rancore nei miei confronti.”
Lo
sguardo di Matt aveva ripreso a vagare nel cielo senza però
distogliere il contatto dalla pelle del ragazzo al suo fianco, le sue
parole erano un leggero sussurro nelle orecchie che lo faceva
costantemente rabbrividire. Avrebbe voluto allungare un braccio e
avvicinarlo a sé o passargli una mano tra i capelli scuri e
pieni di
sabbia, sentiva il bisogno di scoprire quel corpo addirittura
più
tatuato del suo, ma aveva paura di scoprire mondi nuovi che non era
ancora pronto ad esplorare.
“Com'è
che si chiama quella stella?” chiese un paio di secondi dopo
aver
terminato il suo racconto. “Scommetto che il nome non te lo
ricordi.”
Matt,
di rimando, gli diede un buffetto sulla guancia e sorrise incrociando
gli occhi nocciola di Brian che ora non sembravano tristi e nemmeno
malinconici, avevano solo voglia di stare bene.
Non so perché, ma io negli spazi autore non so mai cosa
dire, mi scuso se sono noiosa delle volte D:
Volevo solo
ringraziare Yssel e Gatto Magro che mi sostengono sempre, durante
questa storia ed anche le altre, Schecter che asseconda sempre, o
quasi, i miei deliri privi di senso e voi fantastiche persone che mi
seguite in silenzio. Mi auguro che questo nuovo capitolo vi dia lo
sspunto per farmi sapere cosa pensate!
Un bacio e al prossimo
aggiornamento ^^
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Capitolo 4 *** Capitolo 4 ***
Il
sapore agrodolce dell'inchiostro
Capitolo
4
Il
mattino seguente, intorno alle undici, le serrande del Syn Gates
Tattoo erano ancora chiuse e nessuno dei due proprietari sembrava
essere in zona. La strada, pur essendo secondaria, era abbastanza
frequentata ed un gruppetto di ragazzi era appoggiato al muro di un
edificio all'angolo. Un paio avevano degli skateboard sotto il
braccio, altri delle cuffiette che pendevano dal collo. Il loro tono
di voce era concitato e le parole pronunciate velocemente,
ridacchiavano prendendo in giro qualcuno della loro classe e poi si
allontanarono verso lo skate park.
Matt
sorrise quando li vide allontanarsi, una voragine gli si
aprì dalla
bocca dello stomaco in giù; nonostante non lo avesse mai
ritenuto
possibile gli mancavano i tempi della scuola, quasi tutte le mattine
incontrava i suoi amici in cortile e poi sgattaiolavano via verso il
parco o la spiaggia. Aveva trascorso davvero pochi giorni sui banchi
di scuola, tra fughe e punizioni. Quest'ultime sì che erano
state
tante, passava quasi più tempo col Preside che con i
compagni di
classe.
Solo
nel momento in cui i ragazzi sparirono in una traversa, si concesse
un respiro profondo: quello era uno dei tanti momenti vuoti in cui
fumare una sigaretta sembrava essere l'unica soluzione possibile, ci
pensava ancora nonostante avesse smesso da diversi anni. Non che gli
mancasse più di tanto, ma c'erano degli istanti in cui ci
sarebbe
stata dannatamente bene.
Aspettò
ancora un quarto d'ora prima di sedersi sul marciapiede,
ridacchiò
all'idea che avesse quasi preso la forma del culo di Brian e poi
controllò di nuovo il foglietto dell'appuntamento che gli
aveva dato
Jimmy, magari aveva sbagliato a leggere.
Pronunciò
data e ora a bassa voce, per poi infilare di nuovo il pezzo di carta
in tasca dopo averlo ripiegato.
Quella
che a Matt la sera prima era sembrata una leggera sbronza, a quanto
pareva aveva avuto effetti più devastanti sugli altri due,
dato che
non si erano ancora presumibilmente alzati dal letto.
Si
voltò prima a destra e poi a sinistra nella speranza di
riconoscere
un viso o una corporatura familiare e, quando non fu così,
estrasse
il cellulare per scrivere un sms a Johnny. D'altronde doveva pur
impiegare il tempo in qualche modo. Insieme a questo, tirò
fuori
involontariamente anche un plettro viola su cui era incisa una M; lo
aveva ricevuto in regalo dai suoi genitori dopo l'acquisto della
prima chitarra classica. Era molto legato a quel piccolo pezzo di
plastica nonostante si fosse dedicato poi quasi esclusivamente al
canto. Lo aveva usato non più di un paio di volte, i bordi
non erano
molto rovinati e ci si poteva ancora suonare. Ormai era diventato il
suo porafortuna preferito ed era riuscito a tenerlo fuori dai guai
nel corso del tempo, il che era già molto.
Mentre
i suoi pensieri erano immersi nel passato, dei passi lenti
raggiunsero le sue spalle e, quando Matt si voltò,
incrociò il viso
e il sorriso luminoso di Jimmy. Anche se con le occhiaie e gli occhi
lucidi, sembrava di buon umore.
“ Scusa
amico.” iniziò non appena si guardarono.
“Non puoi immaginare
quanto alcol abbia ancora in circolo. Dopo avervi portato tutti a
casa, io e Johnny siamo andati a fare ancora un altro po' di
baldoria. Che serata.”
Il
ricordo della notte precedente lo ipnotizzava, glielo si leggeva in
faccia.
“ Brian
sta per arrivare.” aggiunse poi. “Facciamo in tempo
a fare
colazione, se ne hai voglia.”
Matt
alzò un sopracciglio quando l'altro pronunciò il
nome del suo
socio, iniziava a chiedersi cosa ci fosse esattamente tra i due dato
che sembravano quasi vivere anche nella stessa casa; decise che,
anche se fosse, non erano affari suoi e che doveva quindi smettere di
pensarci.
“ Sì
certo, andiamo.” rispose alzandosi in piedi, per poi
affiancare
l'amico. Il bar non era molto distante, dovevano solo attraversare la
strada e fare qualche passo verso destra; quando entrarono
all'interno del locale uno squisito odore di paste calde
catturò i
loro sensi così che i loro occhi puntarono subito sulla
vetrina.
Mangiarono
seduti ad un tavolino, prima di addentare il suo dolce alla crema
però, Matt dovette litigare con Jimmy per pagare almeno la
propria
ordinazione ma non ebbe speranze, alla fine si arrese sorseggiando un
po' del suo frappuccino.
“ Ti
devo una colazione.” sentenziò dopo essersi pulito
la bocca con un
tovagliolo.
Jimmy
gli fece capire che non ce n'era bisogno con un cenno della mano, poi
si concentrò sul suo dolcetto e lo trangugiò
senza quasi neanche
respirare. Durante il caffè però si concesse
tempo, quello andava
bevuto e gustato con calma.
“ Piaciuto
il concerto?” chiese Matt, che subito si sentiva a disagio
appena
calava un po' di silenzio.
“ Ve
la cavate piuttosto bene, devo ammetterlo. E poi quel piccoletto,
quanta potenza nelle dita.”
L'altro
ridacchiò e scosse la testa, d'altronde non poteva dargli
tutti i
torti.
“ E
pensare che ha imparato tutto da autodidatta.”
commentò prima di
volgere un'occhiata all'esterno della vetrata. “Hai mai
sentito
Brian suonare?” azzardò e subito si morse il
labbro inferiore, non
sapeva se avesse fatto la mossa giusta.
Jimmy
sembrò spiazzato per un primo momento, ma ricompose subito
la sua
solita espressione e non gli dispiacque rispondere.
“ Sinceramente?
Solo un paio di volte, solo che lui non se n'è mai
accorto.”
La
sua voce però tradì un po' tristezza, come se gli
fosse stato
negato di assistere ad una delle Sette Meraviglie del mondo.
“ Era
bravo?”
“ Scherzi?!
È velocissimo e suona alla perfezione qualsiasi cosa, mi
chiedo chi
sarebbe potuto diventare se avesse insistito un po' di
più.”
“ Mi
dispiace.” disse subito Matt. Non sapeva esattamente il
motivo, ma
solo sentire le parole di Jimmy lo avevano fatto star male. Dopo aver
ascoltato le parole di Brian la sera precedente, poteva capire
benissimo la malinconia del ragazzo che aveva di fronte;
chissà
quante volte aveva dovuto consolare l'amico o spendere per lui una
parola di conforto, magari avrebbe voluto sprofondare un milione di
volte ma non aveva mai potuto farlo perché Brian aveva
costantemente
bisogno di lui.
“ Non
devi dispiacerti.” La voce del suo interlocutore era ormai
grave.
“Se avessi mai avuto la possibilità di ascoltarlo
come ho fatto
io, adesso passeresti ogni istante della tua vita a mangiarti i
gomiti. Volevo fondare i Pinkly Smooth, una volta, ma purtroppo mi
sono lasciato abbindolare da Brian e alla fine ho lasciato perdere.
Non toccava una chitarra da anni, aveva paura, se fossi stato in
grado di convincerlo adesso saremmo chissà dove. E invece
lui era
troppo preso a fare la gavetta in uno studio qui ad Huntington Beach,
non sono riuscito a fare niente.” Prese un respiro profondo.
“È
l'unico rimpianto che mi porterò nella tomba.”
All'improvviso
Matt, ascoltando quelle parole, si rese conto di non c'entrare niente
con quella situazione, aveva infilato il naso nella vita di persone
che conosceva a malapena e non aveva il diritto di frugare nelle loro
storie in quel modo; Brian si era confidato e anche Jimmy lo aveva
fatto, tutta quell'inaspettata fiducia nei suoi confronti lo
destabilizzava e gli faceva venir voglia di scappare.
“ Andiamo?”
riuscì solo a dire, sperando che il tatuatore fosse riuscito
a
raggiungerli.
Con
un sospiro di sollievo notò che le serrande dello studio
erano
alzate, il cartellino Open
era al suo posto e il culo di Brian ben impiantato sul marciapiede.
Doveva essere arrivato da poco, a giudicare dal viso ancora gonfio e
dalla carnagione piuttosto pallida.
“ Ah
eccovi.” commentò quando li vide arrivare.
“Scusa Matt, dovrò
farmi perdonare in qualche modo sto trasformando queste sedute in un
incubo.” Abbassò gli occhi e scosse la testa come
se si stesse
dando dell'idiota da solo, ma l'altro sorrise debolmente e questo lo
tranquillizzò.
“ Hai
già fatto colazione o vuoi che vada a prenderti qualcosa da
mangiare?” chiese Jimmy interrompendo quel gioco di sguardi
ad
intermittenza.
“ No
grazie amico, solo sentir parlare di cibo mi fa venire da
vomitare.”
rispose con una smorfia che Matt catalogò tra quelle che
più
adorava di Brian. Aveva un occhio aperto ed uno socchiuso per colpa
del sole, il naso arricciato e le labbra accartocciate in un mix tra
un sorriso e una posa schifata.
Più
cercava di allontanarsi da quel ragazzo, più vi si trovava
inevitabilmente legato.
“ Dovresti
ordinarmi di lavorare, sei un cliente troppo buono.”
sentenziò
quello seduto, alzando lo sguardo per incrociare gli occhi verdi
dell'altro.
“ Se
vuoi prendo la frusta.” commentò Matt e nelle
iridi di Brian
apparve un lampo, chiaro e veloce, ma che lo fece accaldare
all'improvviso.
***
Nella
stanzetta l'odore tipico di quelle pareti era tornato ad aleggiare
nell'aria, la fragranza che Matt portava addosso ovunque andasse non
c'era più, segno che mancava da troppo tempo al Syn Gates. E
questo
fece intristire Brian, quando si rese conto che probabilmente il
ragazzo non avrebbe messo più piede lì dentro.
“ Perché
Syn Gates Tattoo?” chiese Matt ad un certo punto ed entrambi
constatarono ridacchiando che si erano scambiati i ruoli. Non era
più
il tatuatore, quello che faceva domande.
“ Tutti
i grandi hanno un nome d'arte, no? E io sono grande, figo, e mi
chiamo Synyster Gates.”
Pronunciò
quella frase dopo aver spento e posato sul tavolino la macchina,
allargando le braccia e facendo ondeggiare le spalle come se stesse
camminando su una passerella. Quella scena fece ridere di gusto Matt
che, come contrasse i muscoli del petto, provò un leggero
dolore.
“ Guarda,
sul figo potrei anche darti ragione!” rispose, mantenendo il
tono
scherzoso dell'amico. “Mi piace Synyster Gates.”
“ Sono
l'idolo di uomini donne e bambini.” cercò di
esibire un sorriso
provocante mentre si rimetteva al lavoro, ma fece solo ridere Matt
ancora di più.
“ Scherzi
a parte.” riprese quello seduto, tentando di tornare serio.
“Mi
piace sul serio.”
Quando
parlò volse lo sguardo verso la testa china di Brian che era
ormai
tornato a tatuarlo e gli venne voglia di infilare le dita tra i suoi
capelli neri, di stringerli con forza. Arrossì e si
vergognò dei
suoi stessi pensieri poi, per precauzione, allontanò le
braccia;
involontariamente il respiro dell'altro gli solleticava la pelle ogni
tanto e questo gli fece scivolare la testa all'indietro mentre con
gli occhi spalancati cercava di concentrarsi sul soffitto.
“ Ti
senti bene? Ti sto facendo male?” chiese Brian alzando il
viso e
trovando il suo amico in una posa da Cristo in croce. “Se
vuoi ci
fermiamo un po'.”
“ Quanto
manca?”
“ Non
più di dieci minuti.”
“ Allora
continua.”
L'altro
fece spallucce ed eseguì gli ordini così si
concentrò sugli ultimi
dettagli e particolari da sistemare. Per Matt fu un'impresa quasi
titanica cercare di rimanere impassibile e continuava a chiedersi
come avesse fatto a trovarsi in una situazione del genere. Non era la
prima volta che Brian fosse così vicino, eppure solo in quel
momento
le sue pulsazioni sessuali si stavano mostrando.
Il
fatto che fosse un uomo non lo metteva a disagio, certo era una
situazione completamente nuova, ma si era sempre promesso di seguire
i suoi istinti e desideri anche nella vita sessuale; in quel momento
avrebbe voluto fare chissà cosa, ma al tempo stesso una
molla dentro
di lui non era scattata e gli impediva di trovare il coraggio
necessario per muoversi.
Brian,
d'altro canto, non si era accorto di nulla e anche lui stava
combattendo contro quella pelle morbida che tanto lo invitava, ma si
era ormai abituato a cedere alle proprie pulsioni nei confronti di
Matt.
Esattamente
come la volta precedente, pulì le sbavature e gli porse lo
specchio,
Matt osservò bene il tatuaggio e sorrise soddisfatto; questa
volta
però aveva i capelli arruffati come se avesse tentato di
strapparseli e gli occhi colmi di un desiderio che Brian cercava di
interpretare. Era troppo preso da quello che stava provando, per
rendersi conto dei messaggi che involontariamente l'amico gli
inviava.
Quando
il tatuaggio fu avvolto dalla pellicola trasparente tenuta ferma da
qualche pezzo di nastro adesivo, Matt si alzò in piedi e si
avvicinò
per abbracciare Brian. Voleva ringraziarlo per il lavoro meraviglioso
che aveva svolto, aveva ardentemente voluto avere qualcosa del Syn
Gates Tattoo sul suo petto e si trovava costretto a dar ragione a
tutti quelli che gli avevano sempre ripetuto di fare un salto in
quello studio.
In
quell'abbraccio si sentivano entrambi a disagio, avrebbero voluto
qualcosa di diverso che non avevano il coraggio di ottenere,
perciò
rimasero per diversi secondi stretti in quel modo e Brian si
rilassò
quando si rese conto di sfiorare la canotta di Matt con la punta del
mento. L'altro ragazzo invece gli soffiava delicatamente sui capelli,
mentre respirava, e l'odore delicato dello shampoo gli fece venir
voglia di abbassarsi un po' e mordere una guancia all'amico.
Che
poi, non si può definire amico,
qualcuno a cui vorresti strappare le labbra per gustarle a pieno.
Alla
fine si divisero con dispiacere di entrambi e, in quel momento, Matt
prese a frugare in una delle tasche dei pantaloni alla ricerca del
suo plettro viola. Non ci aveva pensato fino ad allora ma, da quando
l'idea gli era balenata in testa, si maledisse per non esserci
arrivato prima.
“ Hai
perso qualcosa?” chiese Brian, guardandolo interrogativamente.
“ No
no.” L'altro scosse la testa. “Ehm...
tieni.” concluse, per poi
porgerli il palmo su cui era posato un piccolo pezzo di plastica
viola.
La
M al centro catturò l'attenzione del tatuatore e rimase
lì impalato
senza sapere bene cosa fare.
“ Voglio
regalartelo.” aggiunse Matt. “Puoi farne quello che
vuoi ma per
favore prendilo, è importante per me.”
Con
mano tremante Brian coprì quel palmo col suo e, mantenendo
quel
contatto, si sporse per raggiungere le labbra del ragazzo. Quel
gesto inaspettato e repentino fece rabbrividire entrambi,
l'adrenalina scorreva all'impazzata e aveva subito fatto accelerare i
battiti dei loro cuori impazziti da tempo. Le dita libere di Matt si
aggrapparono ad un fianco del suo amante e strinsero forte il tessuto
della maglietta desideroso di raggiungere la pelle, le loro lingue si
erano facilmente liberate dell'imbarazzo e in quel momento i loro
movimenti si erano fatti più veloci. Le labbra di Brian
sapevano di
sigaretta, non percepiva quel sapore dall'ultima volta in cui aveva
fumato e ritrovarlo in quel momento lo fece sentire a casa. La sua
testa era tenuta ferma dalla mano grande dell'altro ragazzo, le due
dita affusolate e lunghe che gli sfioravano la pelle lo fecero
rabbrividire di piacere.
Quando
sentì il contatto spostarsi e dirigersi verso il petto e
forse
ancora più in basso, Matt si bloccò. Brian se ne
accorse subito nel
momento in cui il loro bacio si interruppe e si sentì freddo
senza
il calore di quel corpo che tanto stava desiderando e che pensava di
aver finalmente conquistato.
“ Matt?”
lo chiamò, con le guance rosse e le labbra torturate da
quella
passione che li stava consumando.
Il
ragazzo però non rispose subito, si limitò a
sbattere ancora un po'
le palpebre e a guardare la porta davanti a lui come se volesse
scappare.
“ N-Non
ci sto capendo niente.” mormorò.
“D-Dio...”
“ Qualsiasi
cosa tu stia pensando, dimmela.” disse Brian in tono quasi
supplichevole, improvvisamente spaventato a morte. Tutto si sarebbe
aspettato tranne una simile reazione, considerato l'ardore di
entrambi nei confronti di quel bacio, ed in quel momento aveva paura
di aver sbagliato qualcosa, di avergli messo fretta o di non essergli
piaciuto. “Parlami.”
“ Ho...
Abbiamo corso troppo. M-Mi dispiace Brian, non è colpa
tua.” La
sua voce era ancora paragonabile ad un sussurro, ad un labile lamento
di chi si sente perduto. “Sono io che ci sto ricadendo di
nuovo.”
Con
queste ultime parole abbandonò la stanza di corsa e non
chiuse
neanche la porta, lasciando Brian lì impalato e desideroso
di
sotterrarsi proprio in quel punto. Aveva preso a tremare e, nella
foga della situazione, il plettro era caduto a terra davanti alle sue
scarpe.
Appena
lo notò lo raccolse subito e lo osservò per
qualche istante con gli
occhi lucidi e colmi di rabbia.
Aveva
fatto qualcosa di sbagliato, ne era sicuro, e probabilmente quella
plastica viola sarebbe stata l'unico oggetto che lo avrebbe legato a
Matt, che gli avrebbe ricordato di quel veloce, ma intenso momento.
Penultimo capitolo ladies and
gentlemen, penultimo capitolo.
D'altronde l'avevo
detto che sarebbero stati al massimo cinque capitoli, no?
Vi anticipo solo che
altre cose su questi due sono work in
progress,
è molto probabile che non abbandonerò questa
trama e ambientazione molto presto ^^
Volevo ringraziare BlackBaby e Yssel che hanno recensito lo scorso
capitolo (oltre ad aver inserito la storia tra le seguite e/o
preferite) e beatenordamned, blackshade_, Ceinwein19, everybodyisdoingtheirtime (gran bel nick *-*), Gatto
Magro, Gloria
Roach, samuel e Vale
Dirnt che
hanno inserito la storia tra le seguite. Infine un grazie enorme anche
a Cathleene6661 che preferisce.
Al prossimo e ultimo
capitolo!
Dominil
(sì, sono tornata al mio nick originale)
|
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Capitolo 5 *** Capitolo 5 ***
Il
sapore agrodolce dell'inchiostro
Capitolo
5
“As
long as you're alive
Here
I am
I
promise I will take you there.”
Le
volte in cui Brian aveva sfiorato la sua chitarra negli ultimi dieci
anni potevano contarsi sulla punta della dita; quando si ritrovava a
pizzicare distrattamente le corde non poteva fare a meno di vagare
con la mente nel passato e il fuoco che gli si era acceso nello
stomaco dopo che le prime note avevano preso a vibrare nell'aria, si
spegneva a poco a poco fino a lasciare solo rimasugli di cenere
sporca e grigia. Poi inevitabilmente finiva per sentirsi
così anche
lui, grigio e sporco, come quelle mattine in cui il cielo sembra aver
rapito il sole e non si può far altro che sentirsi tristi.
Dal
suo piccolo balcone non riusciva a vedere l'oceano, i palazzi
dell'isolato coprivano tutte le visuali e non evocava nessuna
particolare immagine suonare davanti ad enormi pezzi di cemento che
lo guardavano impassibili mentre i graffiti sulla loro superficie
parevano schernirlo. Con quel plettro viola tra le dita però
riusciva a non pensare a ciò che vedeva con gli occhi e si
concentrava solo su ciò che percepiva col cuore: questo
faceva male,
veniva strappato un pezzo alla volta e cominciava a vorticare nella
sua melodia come frammenti di giornale mentre il viso di Matt
continuava a fargli visita dai suoi ricordi facendolo sospirare
rassegnato.
“Sono
io che ci sto ricadendo di nuovo.”
Si
era sentito abbandonato e confuso, quando il ragazzo se n'era andato
senza troppe spiegazioni, ma il solo pensiero che fosse solo un
ennesimo sbaglio lo faceva innervosire. Per quanto continuasse a
lottare e stringere i denti, si ritrovava sempre ad inciampare e a
perdere ciò a cui teneva di più; solo Jimmy era
rimasto e spesso si
chiedeva quando sarebbe arrivato il momento in cui avrebbe dovuto
dirgli addio.
Si
alzò portando con sé la chitarra, non aveva
neanche iniziato a
suonare che era già stufo. Aveva sperato che con quel nuovo
regalo e
tanto dolore fosse riuscito a sbloccarsi e sfogare ciò che
aveva
dentro strimpellando quelle corde a lui tanto care, ma a quanto
sembrava non era così.
Non
ci riusciva, forse non ci sarebbe mai riuscito, forse se Matt fosse
stato lì in quel momento tutto sarebbe stato diverso.
Ed
era questo che desiderava, mentre infilava lo strumento nella sua
custodia scura, che se non fosse stato rifiutato adesso lui e
quell'idiota per cui aveva una cotta se ne sarebbero stati
accoccolati sul divano con una birra in mano o a baciarsi fino a non
sentire più le labbra. Anche se lo infastidiva ammetterlo,
iniziava
a sentirsi solo in quel monolocale alla periferia di Huntington
Beach, dove la precarietà era dilagante e la
dignità assente.
Avvolto dalla quotidianità del suo quartiere, si sentiva
fortunato
ad essere in pari con l'affitto, sapeva bene cosa succedeva a chi
veniva trascinato giù nel baratro di prestiti e strozzini,
non se ne
usciva mai vivi... o tutti interi.
Posò
il plettro sul comodino quando si sfilò i vestiti per
mettersi il
pigiama facendo però attenzione a voltare il lato con la M
così,
dopo essersi infilato sotto le coperte, poteva voltarsi da quella
parte senza sentirsi un totale fallimento.
Erano
passate settimane dall'ultima volta in cui si erano visti e
più
volte Brian avrebbe voluto chiamarlo o farsi vivo in qualche modo ma,
visto che l'altro non sentiva alcun bisogno di chiarirsi, non capiva
perché avrebbe dovuto farlo lui. Non era mai corso dietro a
nessuno,
mai,
e non avrebbe iniziato proprio adesso soprattutto con una persona a
cui si era aperto svelandosi completamente e che non aveva saputo
altro che rispondergli con dei silenzi, di quelli che fanno
più
rumore di un boeing in partenza.
Si
girò da un lato allungando un braccio verso la porzione di
letto
vuota e chiuse gli occhi, Matt continuava a guardarlo con quel suo
sguardo basso e amareggiato e si addormentò, molti minuti
dopo,
mentre si mordeva il labbro inferiore, spaventato.
Anche
l'altro ragazzo se ne stava sul suo letto, seduto e con le gambe
incrociate, la schiena aveva iniziato a fargli male da un po' visto
che era appoggiata alla testata in ferro battuto. In una mano teneva
stretto il cellulare e nell'altra un fogliettino di carta sui cui la
calligrafia di Jimmy faceva mostra di sé, i numeri erano
tremolanti
e i caratteri piuttosto grandi.
“Chiamami,
se hai bisogno.” lesse a bassa voce, come a soppesare l'idea.
Se
gliel'avesse chiesto, gli avrebbe dato il numero di Brian senza
problemi anzi, lo avrebbe spronato a chiamarlo e a chiarirsi, a
chiedergli scusa magari e a rimettere le cose al loro posto. Invece
appallottolò il bigliettino e lo lanciò verso il
cestino all'angolo
della stanza senza però centrarlo e gettò il
telefono sul materasso
non molto lontano dal suo piede sinistro.
Sospirò
profondamente e chiuse gli occhi, le dita premevano sulle tempie e il
cervello cercava una via d'uscita a quella situazione del cazzo. Si
poteva quasi sentire il cigolìo dei suoi ingranaggi che si
sforzavano ad andare più veloci rimanendo però
sempre al punto di
partenza.
Tutte
le volte che aveva provato a comporre il numero di Jimmy si era
ritrovato a sentire la voce dell'interlocutore urlare
“Pronto?
Pronto? Identificati bastardo!” e giurò di aver
sentito “Matt?”
l'ultima volta che telefonò, proprio mentre premeva il tasto
rosso a
destra. Questo lo fece sentire ancora più vigliacco del
solito, ed
era per questo che quella sera era stato così restio a
chiamare. Si
sentiva fottuto, fottuto ed in trappola e questo non poteva che
bloccarlo.
L'ultima
volta che si era gettato tra le braccia di una persona a cui sembrava
importare di lui aveva preso una bella bastonata sulla testa, non
poteva rischiare che anche Brian lo facesse sentire di nuovo uno
schifo come quella volta.
Preferiva
la solitudine, ad essere trattato come un fazzolettino di carta che
viene gettato dopo essere stato usato.
***
Il
Radisson Hotel invase la visuale del finestrino di destra del
furgoncino di Brian che, per colpa della testa di Jimmy, non riusciva
a vederne l'entrata. All'esterno non vi erano molte persone ed il
sole era ancora basso, faceva quasi freddo quando aprì lo
sportello
per scendere.
Ad
entrambi i ragazzi sudavano le mani: era la prima volta che
partecipavano a quella Convention e l'agitazione raschiava
dall'interno. Poteva succedere di tutto – di negativo,
ovviamente –
e la loro breve carriera si sarebbe dissolta come ghiaccio in un
bicchiere di whisky.
Le
piccole aiuole erano ben curate, gli alberi stavano per fiorire e
l'intonaco chiaro non appariva segnato dal tempo; quell'hotel
sembrava brillare in mezzo alla città, tutti i turisti di
Santa
Maria e dintorni alloggiavano lì e non avrebbero potuto
scegliere
location migliore per un evento tanto rinomato in tutto lo Stato e
non solo.
Dopo
la sistemazione dello stand e l'arrivo del primo cliente che aveva
prenotato il tatuaggio in negozio, Brian iniziò ad avvertire
una
strana sensazione che lo rese ancora più inquieto di quanto
già non
fosse: si sentiva vuoto e con il cuore a mille per colpa dell'ansia,
doveva tatuare un semplice dragone ma la mano non voleva smettere di
tremare. A malapena riusciva a tenere la macchinetta ben in posizione
e temeva che l'ago entrasse troppo o che l'inchiostro non fosse
sufficiente a delineare bene i contorni.
Jimmy
se ne stava in piedi al suo fianco e parlava con gli appassionati che
si avvicinavano, era riuscito anche a riempire alcuni buchi vuoti con
un paio di tatuaggi ed aveva ammiccato alle ragazze carine che
sembravano essere più interessate alle doti fisiche di
Brian, che a
quelle da tatuatore; circa tre ore dopo si era concesso una birra e
ne aveva portato una anche all'amico che, tra un lavoro e l'altro,
l'aveva bevuta velocemente rischiando quasi di strozzarsi.
Un
ragazzo, alto e con le spalle larghe, si stava sfilando la maglietta
quando Brian aveva iniziato a darsi dello stupido. Aveva sbagliato ad
accettare di tatuare quel tipo, viste le somiglianze che aveva con
Matt. Mentre lo tatuava, infatti, non poteva fare a meno di ripensare
a quella pelle, a quel respiro regolare, agli occhi verdi che non
facevano che trapassarlo da parte a parte fingendo di osservare
qualcosa oltre le sue spalle. Per non parlare dei sospiri di cui
Brian aveva segretamente goduto e dei movimenti lenti della sua mano
e della sua lingua.
Alzò
il viso, sospirò e poi chiese al cliente un paio di minuti
di pausa
con la scusa che in quella posizione aveva male alla schiena; non che
mentisse, ma erano talmente tanti anni che sopportava quel dolore da
non farci più nemmeno caso.
“Non
preoccuparti, ho bisogno anch'io di riprendere fiato.”
rispose
quello abbozzando un leggero sorriso che Brian aveva voglia di
strappargli infilzandogli le unghie nella carne; dovevano esserci le
fossette di Matt, al suo posto.
“Finalmente
vi ho trovati.” disse Johnny sospirando e dopo essere
arrivato ad
un palmo dai due ragazzi. “Nessuno sembrava sapere
esattamente dove
fosse lo stand del Syn Gates Tattoo.”
Non
appena Brian vide il suo amico così vicino, sentì
il suo cuore
calmarsi e ridurre la frequenza dei battiti, le mani si fecero
più
calde e meno intorpidite; era certo che Johnny non fosse andato
lì
da solo e aspettava con impazienza che anche l'altro facesse la sua
comparsa. I suoi pensieri dovevano essere evidenti agli occhi degli
altri due visto che si lanciarono un'occhiata fugace priva
però di
incoraggiamento, il che lo fece voltare e ricominciare il lavoro da
dove lo aveva lasciato.
Non
poteva permettersi che il cervello vagasse lontano o facesse
supposizioni senza il minimo fondamento, doveva rimanere concentrato
il più possibile e, se si fosse arrabbiato, avrebbe
rischiato di
uccidere qualcuno con uno dei suoi aghi.
“E
comunque ci sono le cartine con le postazioni.” aggiunse
Jimmy
dando una pacca sulla spalla del ragazzo con la cresta bionda.
“Lascia
perdere, non ho un buon rapporto con loro.”
Brian
non li sentiva nemmeno, si era talmente concentrato sul
ronzìo della
sua macchinetta da non udire nemmeno i passi dei due amici
allontanarsi e Jimmy urlare: “Andiamo a prenderci una
birra!”
mentre con una mano sfiorava le dita di Johnny che le ritrasse
all'improvviso come se si fosse scottato. Allo stesso modo aveva
ignorato il resto della sala, il resto dei tatuatori e il resto dei
clienti, persino quello che se ne stava in piedi davanti al tavolino
e che lo guardava emozionato torturandosi le pellicine intorno alle
unghie.
"Hai
posto per un piccolo tatuaggio?"
Brian
alzò il viso, la
lentezza con cui eseguì il movimento serviva a metabolizzare
il
suono della voce che aveva appena sentito.
I
giorni terribili che
erano trascorsi non avevano ormai alcun senso, c'era solo quel timbro
basso dalle venature roche e il largo sorriso che gli riempì
lo
sguardo.
"C-Che
devi tatuarti?" chiese dubbioso, sicuro
di essere un po' arrossito. Da una parte voleva essere arrabbiato,
dall'altra quel paio di fossette agli angoli della bocca lo
distoglievano da qualsiasi pensiero od intenzione.
"Sì."
rispose solo, attendendo la domanda che di lì a poco sarebbe
arrivata.
"Eh?"
"Sì
Brian, sì." disse
Matt curvando la schiena e appoggiando i gomiti sul tavolo.
"Risponderò sì ad ogni tua domanda, ogni tua
richiesta e
voglio che quando mi abbraccerai o accarezzerai il mio corpo ti
ricorderai che per te sarà sempre un sì. Vuoi
scappare ad Honolulu?
Sì Brian. Fare bungee jumping? Sono fottutamente pronto. Non
so,
fare la pazzia più grande della tua vita? Facciamola, io la
mia la
sto vivendo adesso."
Brian
strabuzzò gli occhi e sbattè la palpebre
più volte sorprendendosi
di ritrovare ancora Matt lì davanti a lui. Aveva, per
precauzione,
spento la macchinetta e adesso il cliente li guardava con
un'espressione interrogativa sul volto incrinando quel momento che
era sembrato non arrivare mai ma che alla fine il destino aveva
deciso di compiere.
Ogni
parola, a quel punto, non avrebbe avuto senso, sarebbe stata oscurata
dalla bellezza del discorso che Matt gli aveva appena rivolto e dalla
totale devozione che quegli occhi verdi rivolgevano solo e soltanto a
lui.
“Finisco
qui e mi occupo di te.” rispose solo trattenendo un sorriso
che,
seppur mascherandolo, era largo ed intenso. Matt acconsentì
con un
cenno del capo ed andò a sedersi al posto di Jimmy per poi
voltarsi
verso la schiena dell'altro ragazzo. Nonostante la maglietta blu
scuro si intravedeva la forma dei muscoli di tanto in tanto,
soprattutto quando Brian spingeva l'ago un po' più in fondo;
avrebbe
voluto allungare una mano ed accarezzarlo con delicatezza solo per
fargli capire che gli copriva le spalle e non se ne sarebbe
più
andato, stavolta per davvero, ma convenne che era meglio non
distrarlo e che avrebbe avuto tutto il tempo del mondo per farsi
perdorare l'assenza.
Quando
finalmente quel ragazzo si alzò e andò via,
guardandoli sempre in
quel modo un po' dubbioso, Matt prese il suo posto con grande gioia
di Brian che per tutto il tempo non aveva fatto che aspettare quel
momento con dita tremanti.
“Lo
vuoi davvero il tatuaggio?” gli chiese, iniziando a cercare
una
boccetta nuova d'inchiostro nero.
“Pensavi
che non dicessi sul serio?”
“No,
pensavo che certe cose farebbero meglio a rimanere tra me e
te.”
rispose facendogli l'occhiolino e provocando risate da parte
dell'altro. “Avrei un'idea migliore.” aggiunse
sfiorando con le
dita coperte dai guanti il bicipite destro su cui vi era una porzione
di pelle bianca ed inviolata.
“Mi
fido di te, Brian.”
Intanto,
all'esterno dell'hotel, Jimmy e Johnny se ne stavano appoggiati al
muro a bere tranquillamente le loro birre mentre i loro sguardi
vagavano per il parcheggio. Non avevano parlato molto da quando erano
arrivati lì, si erano più che altro limitati a
lanciarsi sguardi
fugaci e il più alto non faceva che ripetergli, solo con lo
sguardo,
di non aver paura.
“Io
non ho paura.” sbottò ad un certo punto Johnny,
abbassando la
bottiglia dall'altezza del viso. “Dacci un taglio con quella
faccia.”
“Allora
perché ti sei allontanato quando ti ho
sfiorato con la mano? Non l'ho neanche fatto apposta.”
Chiunque,
al posto del bassista, non ci avrebbe creduto, ma quando si
è
invischiati in certe cose è impossibile notare anche le
intenzioni
più evidenti.
“Se
lo dici tu.” rispose, dopo un sospiro. “Secondo te
quei due hanno
fatto pace?”
“Neanche
a chiederlo, appena torniamo dentro tutta la sala li starà
fissando
mentre si limonano senza pietà.”
***
“Allora,
ti piace?” chiese Brian non appena ebbe pulito le ultime
sbavature
d'inchiostro. La pelle bruciava ancora un po' e la si sentiva gonfia
sotto le dita, ma il turbine che investiva Matt in quel momento gli
impediva di provare qualsiasi cosa fosse vicina al dolore, era come
se la sua pelle fosse anestetizzata.
“È...
Sì mi piace tantissimo.” sussurrò
abbassando lo sguardo sul
tatuaggio, come se si vergognasse a lasciar trasparire in quella
maniera tutto ciò che stava provando. E la voragine nello
stomaco
che Brian era riuscito ad aprire con un solo sorriso, si allargava
sempre di più mentre notava i vari dettagli delle rose che
adesso
decoravano il suo braccio, appena sopra il microfono. Erano piccole e
delicate, probabilmente non le avrebbe mai scelte, ma Brian aveva
occhio per certe cose ed aveva fatto un lavoro perfetto. Si chiedeva
solo cosa lo avesse spinto a ritrarre quel soggetto.
“Queste
rose sono sinonimo di vita.” spiegò, non appena
Matt glielo
chiese. “Siamo io e te che siamo appena nati e che ci stiamo
intrecciando, abbiamo entrambi le spine ma riusciamo a non farci del
male. Magari ce ne faremo, anzi di certo, però continueremo
a
crescere insieme dalle stesse radici, a condividere l'acqua e la
terra, a sbocciare e morire fino a perdere tutti i petali.
Sarà
bello farlo insieme, sono stanco di stare da solo.”
Le
loro mani si avvicinarono, le dita si incastrarono completamente e il
loro palmi aderirono in una presa salda più solenne e sacra
di
qualsiasi promessa di matrimonio. Le loro ginocchia si sfioravano
quando tentarono di bruciare la distanza tra i loro corpi fino a far
incontrare le labbra che per giorni si erano disperatamente cercate.
Le delusioni che Matt aveva sopportato in passato non c'erano
più,
l'angoscia di Brian neanche e non aveva intenzione di chiedere
nessuna spiegazione all'altro: erano insieme finalmente, non aveva
bisogno di altro.
Nessuno
prestò attenzione a quei due ragazzi che in quel momento si
tenevano
stretti e desideravano solo scoprirsi a poco a poco, conoscere i
reciproci difetti e affrontare tante albe e tanti tramonti insieme,
il loro bacio era tenero e silenzioso, era una piccola farfalla che
volava via dal Radisson Hotel, che si perdeva nel cielo, che giurava
amore eterno alle stelle.
Ultimo
capitolo finalmente online, iniziavate ad avere paura che l'avessi
abbandonata, vero?
Invece no, era nel mio pc da un po' ma sono successe diverse cose che
mi hanno tenuta lontana dal computer (ed anche per questo non ho ancora
risposto alle recensioni che sono cinque,
dio grazie siete tutti meravigliosi *-* ma prometto che
risponderò, oh yes). In ogni caso immagino vi chiedate cosa
mi si sia successo: ho passato il test di Lingue Orientali alla
Sapienza e mi trasferirò quindi, tra un paio di settimane, a
Roma.
Sappiate comunque che non ho intenzione di abbandonare il sito, le
storie e tutte le varie cose di cui vi avevo parlato nello scorso
capitolo, al massimo ci metterò solo un po' di
più a sfornarle.
Che ve ne pare come finale? Spero vi abbia riempiti di zucchero a
sufficienza, io avevo tutti i denti cariati quando ho finito di
scriverlo!
Vi ringrazio dal primo lettore all'ultimo, chi ha recensito, chi no,
chi ha odiato la storia e chi l'ha amata, ringrazio ognuno di voi.
Grazie perché se non ci foste probabilmente non sarei qui a
scrivere o comunque non sarei la persona che sono adesso, ogni singola
parola che mi scrivete mi arricchisce e mi rende migliore.
Un bacio e spero di tornare presto con missing moments, sequel e
prequel vari (non manca proprio niente, sì)!
Dominil.
P.S. I versi ad inizio capitolo sono tratti da The Taste of Ink dei The
Used.
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