With or without you

di kk549210
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La bambina spicca il volo... ***
Capitolo 2: *** Weekend caraibico ***
Capitolo 3: *** Natale in casa Rabb ***
Capitolo 4: *** Ossessioni ***
Capitolo 5: *** Nubi all'orizzonte ***
Capitolo 6: *** Madre surrogata ***
Capitolo 7: *** Una vera sorella ***
Capitolo 8: *** La bufera infernale ***
Capitolo 9: *** Il crollo di casa Rabb ***
Capitolo 10: *** Danni collaterali ***
Capitolo 11: *** Delitto passionale? ***
Capitolo 12: *** Pace a te! ***
Capitolo 13: *** Cuore di madre ***
Capitolo 14: *** With or without you ***
Capitolo 15: *** Indagini a Boston ***
Capitolo 16: *** Crossing Jordan ***
Capitolo 17: *** Ritorno al College ***
Capitolo 18: *** Wish you were here ***
Capitolo 19: *** Sulla scena del crimine ***
Capitolo 20: *** Condizioni critiche ***
Capitolo 21: *** Io non ti lascio ***
Capitolo 22: *** Perdonami, Harm ***
Capitolo 23: *** Risvegli ***
Capitolo 24: *** Anno nuovo, vita nuova ***
Capitolo 25: *** Annunciazione ***
Capitolo 26: *** Gabriel e Maria ***
Capitolo 27: *** Apprendistato familiare ***
Capitolo 28: *** Il quadro più bello ***
Capitolo 29: *** Questa nostra famiglia è bellissima… ***
Capitolo 30: *** Natale in famiglia ***
Capitolo 31: *** Complimenti, dottoressa! ***



Capitolo 1
*** La bambina spicca il volo... ***


WITH OR WITHOUT YOU


Disclaimer: I personaggi e il marchio JAG appartengono a Donald P. Bellisario. Questa FF è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.


NdA: A chiusura di “Cuore di padre”, avevo dichiarato di voler dar seguito a quella prima, lunghissima storia. Ora vorrei quindi proporre una mia personale versione della vita coniugale – e familiare – di Harm e Mac. La vita continua, ben oltre l’ E vissero felici e contenti. Perciò non mancheranno difficoltà e momenti critici, ma ci sarà anche qualche sorpresa inaspettata. Spero che questa nuova fanfiction incontri il vostro apprezzamento e  vi ringrazio in anticipo per la vostra attenzione.



-Sei emozionata, Mattie? Tra poche ore sarai a Boston. Il college, nuovi amici, nuova vita… - disse Mac seduta sul letto con lei.
-Sì, Sarah. Ma sono anche felicissima. Tu e papà mi state facendo un grandissimo regalo. Non vedo l’ora di essere all’MIT.  Studierò sodo, non vi deluderò!
-Siamo tanto fieri di te, tesoro! Sono convinta che darai il meglio di te… - rispose Mac abbracciandola forte.

Mattie non riusciva a chiamare “mamma” Mac. Le era affezionata, le voleva un bene dell’anima. E le era profondamente grata per il grande amore che aveva per Harm e per quanto lo rendeva felice e sereno. Loro due erano proprio una coppia perfetta, creata per stare insieme, da sempre e per sempre. Ma la ragazza non se la sentiva di donarle quell’appellativo così dolce e intimo. Il nome con cui aveva imparato a chiamare la donna che le aveva donato la vita, che l’aveva amata e cresciuta e che le era stata strappata via da un tragico incidente stradale. Con Harm invece era molto più facile. Chiamarlo “papà” le veniva molto spontaneo, anche se spesso si rivolgeva a lui anche per nome. Tom, il suo padre naturale, aveva fatto troppi errori con lei e con sua madre. Aveva preferito loro la bottiglia. E quando Mattie aveva avuto quel terribile incidente di volo che l’aveva quasi uccisa, l’aveva abbandonata, dandosela a gambe senza farsi più vedere né sentire. Harm ora era il suo vero padre. Lui l’aveva scelta, quando la conosceva appena, proponendosi e battendosi per essere suo tutore legale. Mattie non avrebbe mai dimenticato il giorno in cui lui si era presentato all’hangar della Grace Aviation per comunicarle che di lì a due settimane ci sarebbe stata l’udienza per la tutela. Quella scena era come stampata nella sua memoria e nel suo cuore. Pur desiderando fortemente essere presa sotto l’ala protettiva di quell’uomo così forte, bello e sincero, lei aveva cercato di dissuaderlo. “Tu hai il tuo lavoro e la tua vita, che cosa ci guadagni a farmi da tutore?” gli aveva chiesto. “Te” aveva risposto lui.
No, Mattie non se la sentiva ancora di chiamare “mamma” Sarah MacKenzie. E un po’ si sentiva in colpa. Ma in fondo non si può chiedere troppo a una ragazza di diciassette anni.

- Allora, belle ragazze, siete pronte? – Harm fece capolino sulla soglia della stanza – Forza, che l’aereo non aspetta! Ma cosa ci hai messo in queste valigie, Mattie? Del piombo? Se superano il peso consentito, la tassa la pagate voi. Mi sembra che ultimamente, con la scusa del college, vi siate un po’ troppo sfogate con lo shopping…
- Il solito vecchio palloso! – esclamò Mattie fingendosi offesa. 
 
 

-Buon viaggio, cara! E fatti onore all’MIT, geniaccio! – disse Sarah abbracciandola all’aeroporto.
-Ehi, piccolina! Falli neri, tutti quei nerd! – Harm se la strinse forte al cuore e le sussurrò all’orecchio – E mi raccomando, non farmi diventare nonno!
-Ma tu sei proprio fissato… il solito papà geloso! – lo canzonò la ragazza, mentre si inoltrava attraverso il controllo bagagli. 

-Ora che siamo rimasti soli, che ne dici di riprendere la luna di miele? – propose Harm prendendo la moglie per la vita. 
-Giù le mani, marinaio! Tra mezz’ora devo essere al Pentagono e tu sei già in ritardo per l’udienza… - Mac frenò prontamente i suoi ardori.
- Volevo giocare un po’ agli sposini senza figli… ma mi farò coraggio e resisterò fino a stasera – rispose Harm con un sospiro.
Senza figli. Già.” pensò lei.

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Capitolo 2
*** Weekend caraibico ***


-Hai avuto davvero un’idea fantastica, amore! – esclamò Harm stiracchiandosi pigramente al sole – E’ il miglior regalo di compleanno che potessi chiedere!
-A Washington cominciava a fare un po’ freddino… e io avevo voglia di un’altra luna di miele – rispose Mac.
-Sottoscrivo in pieno, Sarah! Ma se andiamo avanti di questo passo, per le nozze d’oro saremo indebitati fino al collo… ora abbiamo anche una figlia all’università, non dimenticartelo! –  scherzò lui, fingendo di calarsi nel severo ruolo del paterfamilias.
“Una figlia” pensò Mac.
-Non fare lo spilorcio, Harm! – rise lei dandogli un pizzicotto – Guarda che spettacolo! Che sole… questa sabbia bianchissima… e il mare, semplicemente meraviglioso!
-Come i miei occhi? – disse lui stuzzicandola.
-Ma che razza di vanitoso mi sono sposata!  - scattò lei divertita - Avrei dovuto pensarci non una, ma mille volte… ma dove ho messo il cellulare?
-E a che ti serve il cellulare, Mac? – fece lui guardandola serio – Non vorrai mica metterti a lavorare? Questo weekend dev’essere di completo riposo… - e si stiracchiò di nuovo, beandosi al sole caldo delle Isole Vergini.
-No, no. Niente lavoro. Voglio solo chiamare Vik. Lui sì che è un ammiratore adorante… scommetto che se lo chiamo, si precipita subito qui a spalmarmi la crema solare sulla schiena!
- Che brutta…  ! Parli di seconda luna di miele, poi tiri in ballo quell’odioso di Vukovic! Mi fai andare di traverso il latte di cocco! – disse lui fingendo di tossire.
- Senti un po’, gelosone, ti va di fare un tuffo? L’acqua è fantastica! – propose lei alzandosi in piedi e raccogliendo la maschera da immersioni.
- No, vai tu… Io resto qui a ricaricarmi le pile al sole. Ma mi raccomando, non lanciare razzi segnalatori a Vukovic, quando sei in acqua!
- Va bene – rise Mac dandogli un bacio. 

Harm riprese la lettura di un libro che da un po’ aveva dovuto abbandonare per stare dietro alla sua vita sempre più intensa. Il JAG, le qualificazioni di volo - “A quarantacinque anni smetto”, si era detto -, la sua meravigliosa famiglia. Dopo aver lottato un po’ con l’intenso riflesso del sole che lo colpiva nonostante le lenti scure dei Ray-ban da pilota, depositò il libro sul tavolino e chiuse gli occhi, abbandonandosi ai suoi pensieri. Gli ultimi sei mesi erano stati semplicemente meravigliosi e quella breve vacanza che Mac aveva progettato per il suo compleanno ne sembrava davvero il compimento. Gli sembrava di vivere in un piacevolissimo sogno da cui temeva che prima o poi qualcuno o qualcosa lo avrebbe bruscamente ridestato. La routine familiare era serena e appagante. Sarah era sorprendente, giorno dopo giorno! Lasciata fuori dalla porta di casa la dura scorza da marine che sfoggiava quando era in servizio, con lui si rivelava sempre più dolce, tenera, appassionata, comprensiva. Era come se tutta la tensione che c’era stata tra loro in quei lunghi nove anni al JAG si fosse dissolta come per magia. O meglio, si fosse sfogata tutta in quei continui battibecchi irrisolti che avevano costellato la loro precedente vita da colleghi e sedicenti amici. Effettivamente anche il fatto di non lavorare più insieme, che sulle prime li aveva un po’ spiazzati, ora rivelava solo aspetti positivi. Il tempo che passavano insieme era solo loro, di Harm e di Sarah, e non del capitano Rabb e del colonnello MacKenzie. E a coronare la loro felicità c’era Mattie. Una ragazza fantastica, forte e dolce, resa più matura delle sue coetanee dalle esperienze dolorose della vita, che però non avevano intaccato il suo carattere allegro e tenace. Il rapporto tra lei e Sarah era intimo, confidenziale, affettuoso, profondo. Come quello tra madre e figlia, tanto che spesso lui si sentiva messo in minoranza da quelle due straordinarie donne che gli avevano rapito il cuore. Ora Mattie era andata al college e il suo cuore di padre sanguinava un po’ di nostalgia, ma zampillava anche di gioia, perché il suo tesoro aveva finalmente spiccato il volo verso la vita. Insomma, a quel primo tagliando semestrale, la sua vita e il suo matrimonio risultavano semplicemente perfetti. A parte il fatto che Sarah non sapeva cucinare quasi per niente.

- Brr! – proprio su quest’ultimo, prosaico pensiero ricomparve la paladina dei fornelli che si avvolgeva rapida nell’asciugamano per riscaldarsi dal bagno. 
- Bella l’acqua? – chiese Harm mentre la strofinava dolcemente per aiutarla ad asciugarsi.
- Fantastica! Ho fatto anche un po’ di snorkeling. Ci sono pesci coloratissimi… niente meduse, per fortuna! E tu, che hai fatto di bello?
- Niente di speciale… ho letto un po’, poi ho seguito il filo dei miei pensieri. E mi è venuta un’idea geniale. So già cosa regalarti per il tuo compleanno… un regalo speciale, mica voglio essere da meno…
- Ah sì? – fece lei incuriosita.
- Sì, un regalo che farà contenti tutti e due…“Chissà cosa avrà in mente! Tornare a Parigi?” pensò lei con aria sognante. - Pensavo di iscriverti a un corso di cucina… - “Appontaggio duro, pilota! Fine della fantasia romantica…” La delusione di Mac era evidente sul suo viso. - Perché fai quella faccia? Non puoi continuare a propinarmi del take away cinese fritto nell’olio consunto… sempre che tu non voglia ritrovarti vedova nel giro di poco… e finire a Leavenworth per omicidio premeditato! 
Mac si mise a ridere. Harm aveva ragione. Quando non era lui a cucinare, le quotazioni della loro mensa calavano precipitosamente.
- Ah, a proposito di gastronomia… quest’anno non ho avuto la mia torta di compleanno. Delle candeline faccio volentieri a meno, ma sulla torta non transigo! Devi pagare pegno…
- E a quale sanzione mi condanna, vostro onore? – scherzò Mac.
- A farmi un sacco di coccole!
- Ah, sei un coccolone! Harmon Rabb jr, il vecchietto Top Gun! L’uomo di ferro che non deve chiedere mai… chi l’avrebbe mai detto!
- Donne, sempre ferme agli stereotipi… basta che vediate un paio di ali dorate e vi fate strane idee. Sarò grande e grosso – e vecchietto – ma sono un vero coccolone. Dopotutto, sono o non sono il gemello di Bud?

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Capitolo 3
*** Natale in casa Rabb ***


Tutta la grande famiglia Rabb si era riunita per la cena della vigilia. La prima, nella casa di Harm e Mac. Mattie era tornata da Boston per le vacanze natalizie. La tribù dei Roberts aveva percorso a piedi i pochi isolati, carica di pacchetti e di pentole che mandavano deliziosi effluvi. Non potevano certo mancare Trish e Frank, ansiosi di festeggiare insieme al loro carissimo figlio e alle sue adorabili donne. E l’ammiraglio Chegwidden,  che non aveva potuto raggiungere la propria figlia in Italia, era stato molto contento di partecipare al convivio della gaia compagnia. 
- Papà, voglio baciare Mattie ma non so come fare – confidò AJ a un orecchio del padre, per non farsi sentire dagli altri.
- Ehi, ometto! Non sei un po’ troppo piccolo per queste cose? E lei è una ragazza grande… – gli disse Bud prendendolo da parte con aria molto seria.
- Solo un bacetto, papi. E poi io non sono piccolo, ho già sette anni e mezzo – protestò il bambino.
- Eh già, un uomo fatto… – sorrise suo padre –  Datti una calmata… Ma se proprio non ce la fai, portala sotto il vischio…
- Il vischio? – chiese il bambino incuriosito.
- Sì. Vedi quel ramoscello sopra la porta, quello con il fiocchetto rosso? La tradizione vuole che quelli che ci passano sotto, si debbano baciare – suggerì Bud strizzando l’occhio al suo figlio maggiore – Ma non esagerare, capito?
- Grazie per il consiglio, papà – disse AJ abbracciandolo. 
 
 
Una serata tranquilla. Volti sereni e sorridenti attorno alla tavola. E i tre Roberts più piccoli non si erano ancora accapigliati, tenuti a bada dai giocattoli che Babbo Natale aveva stranamente recapitato in anticipo a casa degli zii. L’alleanza culinaria tra Harm ed Harriet aveva raggiunto con successo il suo obiettivo. La cena era davvero deliziosa e tutti erano intenti a godere delle gioie del palato. A parte i padroni di casa, che non la smettevano di tenersi per mano e di sussurrarsi parolette dolci all’orecchio.
- Eccoli lì i due piccioncini… sono quasi nove mesi che tubano e non si sono ancora stancati, a quanto pare! – rise Mattie scuotendo i riccioli.
- Beata gioventù… – sospirò malinconico l’ammiraglio.
- Si vede che non avete ancora fig… - esclamò divertito Bud, ma fu interrotto da Harriet che gli mollò prontamente un calcio sotto il tavolo per impedirgli di fare una battuta inopportuna e sgradevole - … finito la luna di miele! – si corresse al volo, salvandosi in corner con un sorriso sornione.
Tutti risero alla battuta di Bud. Trish e Frank, in particolare, sembravano i più felici. Finalmente Harm aveva trovato casa.
- Dai Harriet, andiamo in cucina a prendere l’arrosto… o questi cannibali ci assalteranno con forchette e coltelli! – propose Mattie con slancio.
- Vengo anch’io ad aiutarvi! – esclamò AJ alzandosi di scatto da tavola e dando la mano alla sua ragazza.
La scenetta che seguì sciolse il cuore di tutti i presenti, in particolare di Bud e Harriet. Il bambino, con molta grazia, condusse Mattie fin sotto il vischio. Si alzò in punta di piedi per raggiungere la sua guancia, e lei prontamente si abbassò per accogliere quell’omaggio così galante del suo piccolo ammiratore e per ricambiarlo con un altro bacio affettuoso. AJ arrossì tutto.
- Chissà da chi avrà preso, quel birbante! – rise Mac.
- Dal suo padrino, da chi altri? – propose Harm con un sorriso a trentadue denti.
- Che scemo che sei! -  lo zittì lei con un bacio.  
 
 

Più tardi, rientrati a casa dopo la funzione natalizia celebrata dal cappellano Turner, i coniugi Roberts erano nella loro camera.
- Allora Harriet, mi vuoi spiegare perché a cena mi hai quasi staccato la gamba sana? Cosa avevo detto di male? – disse Bud infilandosi sotto le coperte accanto alla moglie.
- Ho sentito che stavi per fare una battuta sui figli e ho voluto fermarti in tempo…
- Ma cosa c’è di male, tesoro? Non ti ricordi com’eravamo noi nei primi tempi del nostro matrimonio, prima di mettere su questa specie di squadra di minibasket che ci gira per casa?
- Bud, la faccenda è seria. Non è cosa da prendere alla leggera. Sarah ha una brutta malattia all’utero…
- Qualcosa di grave? – chiese lui con aria preoccupata.
- No, ma…
- Per fortuna… mi hai fatto venire un colpo. Pensavo a qualcosa di davvero brutto…
- … però ha delle probabilità molto basse di avere un bambino…
- Basse quanto?
- Sarah mi ha detto intorno al 4%...
- Poverina, deve starci tanto male… e mi dispiace tanto anche per Harm. Sì, lui ha Mattie, però si vede che ha proprio voglia dei avere dei figli suoi. Non vedi come è dolce con i nostri bambini? Ma perché non me lo hai detto prima, tesoro?
- Non volevo tradire il suo segreto… è una cosa così delicata…
- Va bè, cara… almeno adesso ci starò più attento ed eviterò l’argomento.
- Bud…
- Che c’è, Harriet?
- … ho pensato che potremmo aiutarli…
- Ma in che modo? 
 

-Harriet… hai un cuore d’oro! E io sono l’uomo più fortunato del mondo. Non ho sposato una donna, ma un angelo! Ti amo sempre più… – disse Bud abbracciando felice sua moglie - … Però dovremo essere discreti e farci avanti solo se ce lo chiederanno…      

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Capitolo 4
*** Ossessioni ***


Mentre aspettava che la ginecologa entrasse nello studio per la visita di controllo, Mac si sfilò la fede e ne lesse l’iscrizione. Proprio come aveva fatto quella prima sera a Parigi, un anno prima. La loro luna di miele era finita da un pezzo, anche se Harm non se n’era ancora accorto. Era l’uomo più dolce e premuroso che lei potesse desiderare, ma a volte le sembrava proprio che non riuscisse a comprendere i suoi veri bisogni. Era sempre molto assorbito dal suo lavoro, in cui si piccava ancora di essere il migliore. Dopo il trasferimento di Sturgis al JAG di San Diego, era diventato il fiore all’occhiello di Cresswell ed era in predicato di ottenere finalmente la sospirata promozione a Capitano di Vascello. E il volo? Harm non riusciva ancora a rinunciare alla sua carriera parallela di pilota di caccia. Ogni volta che se ne andava su una portaerei dislocata in qualche angolo sperduto di un oceano, fosse anche per una missione del JAG, lei stava in ambasce per tutto il tempo. Si angosciava al pensiero sconvolgente che lui potesse schiantarsi durante un appontaggio e non le lasciasse neppure una tomba su cui piangerlo. E poi c’era Mattie. Pur volendole tutto il bene del mondo, Mac si sentiva quasi un’estranea tra loro. Come la seconda moglie di un vedovo o di un divorziato con figlia a carico. Anche solo il fatto che quell’adorabile ragazza non l’avesse mai chiamata mamma la rendeva imbarazzata ed inquieta. E Harm, il suo papà, sembrava così appagato da quel ruolo che nemmeno si rendeva conto di quanto lei desiderasse avere un figlio loro.     

-E’ pronta, colonnello? Ora sentirà un po’ di freddo per via del gel – disse la dottoressa Atkins accendendo l’ecografo.
“Se fossi una donna normale, tra poco nel monitor comparirebbe il mio bambino. E potrei sentire il battito del suo cuore”.  
-Niente di nuovo dall’ultimo controllo. Si consoli, tutto sommato è una buona notizia.
“Magra consolazione, questa del 4%...”
-Non si può fare nulla, per esempio chirurgicamente? – chiese Mac timidamente, aggrappandosi a un’impossibile speranza. Già tre anni prima aveva ricevuto un diniego a quella stessa domanda.
-Purtroppo no. L’utero è gravemente compromesso dall’endometriosi. Le tube di Fallopio sono un po’ più sane, ma la situazione non è molto incoraggiante – rispose la ginecologa con tono serio.
-Non mi può prescrivere neppure qualche farmaco?
-Al limite del progesterone. Ma ci può essere il rischio di una gravidanza ectopica e ci sono tanti altri effetti collaterali.
Mac non chiese ulteriori chiarimenti. Si rivestì e uscì dallo studio con in mano la preziosa prescrizione. Quegli ormoni avrebbero fatto il miracolo.   
 
 
 
Harm stava trafficando in bagno. Come al solito era in un ritardo pazzesco. Alzarsi dal letto al mattino era sempre stata un’impresa per lui, ma negli ultimi tempi non bastava una gru per strapparlo all’abbraccio soffice del cuscino. Ora doveva farsi la barba, ma non trovava un rasoio decente nemmeno a pagarlo a peso d’oro.
- Saraah!  - gridò alla moglie che stava sorbendo in cucina il primo caffè della giornata – Dov’è finita quella confezione di rasoi nuovi? Non me l’avrai fregata di nuovo?
- Non colpevole, vostro onore! Guarda meglio… - fece eco lei.
Harm si mise a cercare in tutti gli angoli. “Com’era bello quando volavo per la CIA. Nessuno si formalizzava se non mi radevo tutti i santi giorni”. Con le guance impiastricciate di schiuma, infilò la testa nel mobiletto di Sarah. Vicino alla confezione incriminata – “Allora li aveva presi proprio lei…”- trovò una strana scatoletta di plastica bianca con dentro una lucetta verde e dei numeri, degli stick simili a quelli dei test di gravidanza e un flacone di farmaci che non aveva mai visto in casa. “Progesterone. Effetti collaterali: sincope, insonnia, depressione, aggressività,  anemia, gastrite…”
 

-Sarah, che cosa sono questi? – chiese mostrandole il monitor e gli stick.
- Niente. Strumenti per individuare l’ovulazione – rispose lei distrattamente, sgranocchiando un biscotto e leggendo il giornale.
- Da quanto tempo li usi?
- Da un po’…
- E questo? – Harm le indicò con aria preoccupata la boccetta degli ormoni. Con tutti gli effetti indesiderati che aveva letto, c’era ben poco da stare tranquilli.
- Progesterone, per favorire il concepimento. – disse lei continuando a masticare – Me lo ha prescritto la ginecologa…
- Ma Sarah, non è pericoloso??? – fece lui inarcando le sopracciglia.
- No. Dai, non preoccuparti… - Mac alzò finalmente la testa dal giornale e lo guardò negli occhi con aria angosciata - Ma sono già  tredici mesi che siamo sposati e…
- Amore – disse Harm accarezzandole il viso – Non ti preoccupare, se deve succedere, succederà… però tu devi prima di tutto stare tranquilla, il tuo corpo non è una macchina… - la abbracciò forte – E se il bambino non arriverà, troveremo altre strade per averne uno. Ci sono tanti modi per diventare genitori. Tu però mi devi promettere di non angosciarti così. Me lo prometti, cara?  - e la fissò dritta negli occhi.
- Va bene, Harm. Te lo prometto.

 
Seppur a malincuore, Mac aveva mentito a suo marito. Non ce la faceva proprio a tranquillizzarsi. E nemmeno ci provava. Era tesa, stanca, depressa. L’idea di non riuscire a diventare madre la tormentava di giorno e di notte. Come un’invincibile ossessione. Per strada, vedeva solo donne incinte che ostentavano proterve i loro ventri ipertrofici. A tutti gli angoli di strada incrociava giovani madri ricurve sulle carrozzine o bimbetti sorridenti nei passeggini. E testoline di neonato che sporgevano dai marsupi la assalivano persino al supermercato. Per di più, c’era quell’orrido tic-tac incessante che le martellava il pensiero e le orecchie, come un acufene ansiogeno. Il suo orologio biologico che correva all’impazzata. Ora aveva trentanove anni. Ancora poche pagine di calendario e i quaranta l’avrebbero azzannata. 

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Capitolo 5
*** Nubi all'orizzonte ***


-Anche questa missione è conclusa – disse il capitano Rabb scendendo dall’elicottero e togliendosi giubbetto e cuffie – e nel migliore dei modi, direi.
-Sarà come dice lei. – ribatté il tenente Graves – Intanto in aula ha fatto a pezzi il mio cliente. E io sono uscita sconfitta ancora una volta.
-Ma che dice, tenente? Lei si è comportata egregiamente. E il marinaio di seconda classe Minnifield ha evitato la prigione. Se l’è cavata con un semplice congedo con disonore. È giovane, può ancora trovarsi un buon lavoro e fare carriera da civile. È un ottimo elettrotecnico, in fondo.
-Sarà… ma mi sento una mezza fallita, per non dire una fallita intera.
-Non si abbatta così. Lei ha la stoffa per essere un ottimo avvocato. E con l’esperienza vedrà che arriveranno anche le vittorie in aula. In questo processo si è battuta davvero al meglio. Purtroppo le è toccato un vecchio volpone come me come avversario.
La giovane donna sorrise alla battuta del suo superiore. Usciti dall’area di atterraggio, si diressero al parcheggio della base navale di Norfolk.
-Ha bisogno di un passaggio, tenente? – chiese Harm avvicinandosi alla sua Corvette, prima di accorgersi che la sua collega si agitava con grande entusiasmo, salutando un uomo che se ne stava appoggiato alla sua vettura dall’altro lato della piazzola. Un giovane tenente dal ghigno sardonico.
-No, signore. La ringrazio molto. Ho già provveduto – rispose con un sorriso perso la Graves.
-Catherine – la ammonì Harm con fare da fratello maggiore – sta ancora perdendo tempo dietro a quello? Fossi in lei, lascerei perdere. Vukovic, più che un ufficiale, mi sembra un vero farfallone amoroso.
-Ah sì, capitano? Lei mi sembra un po’ troppo esperto della questione, con rispetto parlando.
Harm sorrise. Tutti al JAG dicevano che Vik somigliava a lui da giovane. “Ma al contrario di lui, io non sono mai dovuto correre dietro a nessuna” pensò con un pizzico di orgoglio maschile.
-Non dimentichi le regole. Non vorrà mica buttare all’aria la sua promettente carriera per una storiella senza futuro. L’accusa di fraternizzazione non è cosa da prendere sotto gamba…
“Parla il buono. Quello che ha passato nove anni appresso alla MacKenzie. Ma chissà, forse anche a me andrà bene… Prima o poi Gregory la smetterà di correre dietro a tutte le gonnelle…”
 
 
 
Harm rientrò a casa soddisfatto e felice. Non tanto per l’ennesima vittoria in corte marziale, ma perché dopo una settimana di assenza poteva finalmente riabbracciare la sua Sarah.
Mac era nello studio a consultare dei codici. Della cena nemmeno l’ombra. “Poco male.” pensò Harm “Sono stanco schiantato, ma mi metterò ai fornelli e mi farò perdonare per questa assenza. Il lavoro è lavoro, però. Anche lei a volte sta fuori per giorni”. Entrò nello studio a salutare la moglie, poi volò dritto in cucina ad esplorare il frigorifero. Il deserto dei Tartari, o giù di lì. Recuperò una confezione di pesce surgelato dal freezer e rianimò tre peperoni miracolosamente sopravvissuti in fondo al frigo.
A tavola si accorse che la moglie era strana. Non aveva voglia di parlare e fissava intensamente il piatto o gli lanciava occhiate inviperite.
- Qualcosa che non va, cara? – chiese lui per mettere fine a quel penoso silenzio. Si era aspettato ben altra accoglienza al suo ritorno a casa.
- No, no. Va tutto a meraviglia – rispose ruvidamente senza alzare gli occhi dal piatto– A te com’è andata sotto il caldo sole della Florida?
- Bene. Ho vinto la causa, ma anche all’imputato non è andata male. Solo congedo con disonore.
- Ah. Mi sembri un po’ arrossato, tesoro – sottolineò lei con tono acido, guardandolo finalmente in viso – Non è che sei stato un po’ troppo in spiaggia a prendere il sole con quella biondina della tua collega?
- Ancora con quella storia… uffa, Sarah! Guarda che l’ho capito che il tenente Graves non c’entra un bel niente. È solo un preteso per litigare. Dai, sputa il rospo! Sono stanco morto e non ho le forze per mettermi a decifrare i tuoi messaggi criptici…
- Il rospo? I rospi li mangio io, per colpa tua. Non ci sei mai quando ho bisogno di te! – esclamò lei con tono rabbioso.
- Mi sembra che anche tu vada fuori sede, qualche volta. E poi, il lavoro è lavoro. Non sono andato in Florida in vacanza. Obbedivo a un ordine di Cresswell! – replicò Harm cominciando a spazientirsi.  
- Non sai che abbiamo perso un’altra occasione per concepire un bambino? Questi erano i giorni buoni!
-Ah… E io cosa sono allora, la tua banca del seme personale??? Pensavo di essere il compagno della tua vita, non un distributore automatico! Ma se preferisci considerarmi così, ti lascerò in frigo delle provette pronte all’uso. Così potrai darti al “fai da te”… ti ricordi come diceva Brumby?
- Cosa c’entra ora Mic? Questa tua uscita mi sembra del tutto fuori luogo…
- Come la tua, non c’è che dire! Sono sfinito. Non ce la faccio proprio a stare dietro alle tue menate. Buonanotte! Me ne vado a dormire.  

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Capitolo 6
*** Madre surrogata ***


-Mi dispiace di avere alzato la voce, ieri sera. Perdonami – le disse Harm accogliendola con un sorriso mentre preparava la colazione.
-Anch’io ho esagerato, Harm. Ma in questo periodo sono sempre più tesa.
“Cosa credevi, che non me ne fossi accorto? Non sono insensibile fino a questo punto!” pensò lui, ma non ebbe il coraggio di dirlo alla moglie per non ferirla ancora di più.
- Il tempo passa e sono sempre al punto di partenza. Siamo sposati da quasi un anno e mezzo e non c’è ancora nessun bambino all’orizzonte.
-Non puoi chiuderti in te stessa. Ti fa solo male. – disse dolcemente Harm baciandola sulla fronte e sedendosi a tavola con lei -  E non devi pensare che questo sia un problema solo tuo. Mettere al mondo un figlio è un progetto a cui dobbiamo lavorare insieme. Ci siamo promessi o no di essere fedeli l’un l’altra, nella buona e nella cattiva sorte? Guarda che la fedeltà non è solo non trovarsi degli amichetti… è soprattutto essere sinceri e condividere tutto quello che la vita ci riserva.
- Mi sento tanto giù. Una mezza donna… - fece lei con aria sconsolata.
-Dai, lo sai bene che non è vero. Sei una donna meravigliosa. – la rassicurò lui accarezzandole il viso - E sarai una madre altrettanto fantastica. Perfetta no, non aspettartelo. Fare i genitori è come camminare sempre sulle uova. Nessuno ti dà il libretto delle istruzioni.
Mac abbozzò un sorriso.
      Mattie me lo ha insegnato proprio bene. E poi, per avere dei figli ci sono tante altre strade. L’inseminazione artificiale, l’adozione… Senti, Sarah… perché non avviamo l’istruttoria per adottare un bambino? E’ da un po’ che ci sto pensando. Piccolo, grande… anche due, se vuoi. In questa famiglia siamo tutti figli unici. Sì, io ho Sergej, ma non è la stessa cosa… Penso che avere un fratello o una sorella con cui crescere sia davvero fantastico! Guarda i figli di Bud…
“Già, i coniglietti di Harriet”.
- Non lo so. Vorrei avere un figlio nostro… - disse lei con tono deluso.
- Ma sarebbe comunque il nostro bambino. Per essere genitori non serve metterci il DNA, basta il cuore… - Harm inarcò le sopracciglia - Che ne dici, allora? Avviamo le pratiche per l’adozione? La faccenda potrebbe andare per le lunghe e noi non siamo più due ragazzini… E’ meglio lasciare aperta anche questa porta…  
- Non so, non sono tanto convinta…
- Va bene, cara. Intanto però la prossima volta che vai dalla dottoressa Atkins vengo anch’io. Non voglio lasciarti sola… 
 
 
“Madre surrogata”. Questa era stata la proposta della ginecologa. Harm non l’aveva scartata a priori  e si era subito sottoposto agli accertamenti andrologici del caso. Mac invece era sempre più perplessa. Era nient’altro che una soluzione di ripiego. Pensare che una perfetta sconosciuta, un’estranea avrebbe portato in grembo il proprio bambino la faceva sentire svuotata, depauperata della gioia più bella che una donna possa provare. Ma piuttosto che niente, è meglio piuttosto. Almeno quel figlio avrebbe avuto il sangue suo e di Harm. “Con la tua bellezza e il mio cervello, sarà perfetto” le aveva detto Harm alla nascita di AJ, proponendole di avere un figlio insieme di lì a cinque anni. “E perché non con la tua bellezza e il mio cervello?” aveva ribattuto lei scherzando. Sì, sarebbe potuto essere davvero un bambino perfetto, con gli occhi e il sorriso di Harm. Ma Sarah non riusciva lo stesso a darsi pace. L’inquietudine e la delusione di non poter essere veramente madre non la abbandonava un minuto.

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Capitolo 7
*** Una vera sorella ***


-Ciao Harriet. Ti disturbo? Al Pentagono ho finito prima del solito e sono passata per parlare un po’ con te.
-No, figurati… Sono sola in casa. AJ è all’allenamento di basket e gli altri sono ancora all’asilo. Ma sono d’accordo con Bud che vada a prenderli lui, oggi. Abbiamo tutto il tempo che vogliamo – disse la donna accarezzando dolcemente il braccio dell’amica – Vieni, andiamo in cucina. Ho una torta nel forno.
Harriet, la matriarca. La casalinga tutt’altro che disperata.
                Siediti Sarah, vuoi un caffè?
Davanti alla tazza fumante, Mac trovò il coraggio per aprirsi alla sua migliore amica. La moglie di Bud era una donna mite e comprensiva, ma anche forte e risoluta quando le circostanze lo richiedevano. Al JAG si favoleggiava persino che una volta, mentre Mac e Harm erano creduti dispersi in Afghanistan, avesse preso a pugni quell’odiosa del tenente Singer. La sola idea che quell’arrampicatrice godesse a una notizia così drammatica l’aveva mandata letteralmente in bestia. E anche l’amore e la tenacia con cui era stata vicina a suo marito nei tragici e difficili giorni della riabilitazione avevano rivelato la sua fibra robusta, che lei teneva celata ai più dietro un’apparenza dolce e remissiva.
-Harriet, ti devo dire una cosa… – esordì Mac con un profondo sospiro.
-Parla pure, Sarah… sono tutta orecchi – disse lei con un sorriso radioso e incoraggiante. Aveva percepito da subito che la sua amica aveva qualcosa che la turbava.
-La scorsa settimana sono andata dalla dottoressa Atkins…
-Brutte notizie, cara? – Harriet si sedette vicino a lei e le prese una mano tra le sue.
-La mia endometriosi è molto grave… le possibilità di restare incinta sono sempre più basse… - fece Mac scoppiando in lacrime.
“E’ arrivato il momento che io e Bud temevamo. Ma non temere, amica mia, ci sono io qua con te!” pensò la signora Roberts e la abbracciò forte, stringendola con calore e affetto. Mac si abbandonò completamente tra le braccia della sua amica e lasciò che le lacrime scorressero liberamente. Ora non si vergognava della sua debolezza. Harriet era una delle pochissime persone davanti a cui non aveva pudore di piangere. Lei poteva capirla nell’intimo del suo cuore. Nonostante la vita le avesse donato quattro splendidi bambini, aveva provato sulla propria pelle il dolore lancinante e la frustrazione che la mancata maternità può suscitare. Aveva perso due figli subito dopo averli dati alla luce. Harriet dal canto suo sapeva quanto Sarah desiderasse essere madre e quella notizia le era arrivata dritta al cuore come un colpo esiziale.  Le due donne rimasero a lungo abbracciate, in un silenzio che curava e confortava più di mille parole.   
-Non temere, amica mia. Ci sono io qui con te! – sussurrò teneramente Harriet quando Mac si staccò dall’abbraccio. La moglie di Harm si fece di nuovo coraggio. Doveva alla sua amica la parte più straziante della sua confessione.
-La ginecologa ha detto che a questo punto l’unica soluzione è quella di cercare una madre surrogata. Un utero in affitto, insomma… - lo disse senza prendere fiato, come per allontanare da sé il peso di quella rivelazione terribile.
-E Harm che cosa ha detto? – chiese Harriet tenendole la mano e mettendo i suoi occhi in quelli di Mac.
-Lui preferisce l’adozione, me lo ha fatto capire più volte. Ma non si è tirato indietro. Ha anche già fatto tutti i controlli necessari. È in perfetta salute, lui. Sono io quella sbagliata!Un'altra lunga pausa di silenzio regnò nella stanza.
- A me questa soluzione sembra un inaccettabile ripiego. Non riesco nemmeno a pensare che il mio bambino sia cullato per nove mesi nel corpo di un’estranea… - disse Mac con le lacrime agli occhi.
- Non è detto che debba essere per forza un’estranea… - suggerì timidamente Harriet.
- E come è possibile? La Atkins ha detto che ci sono agenzie che si occupano di questa faccenda. Potremmo anche trovare una donna che abita dall’altra parte del paese…
- Sarah, quella donna potrebbe essere più vicina di quanto tu immagini…
Mac si asciugò le lacrime e guardò l’amica dritta negli occhi. Non riusciva proprio a capire. Ma Harriet continuava a sorriderle e a stringerle la mano tra le sue. Con l’amore e la soavità di una sorella. Harriet? Un bagliore di luce sfolgorò tra i pensieri confusi di Mac.
- Harriet… Tu? – le chiese con sorpresa.
- Sì, Sarah… posso essere io quella donna.
- Ma non sarà pericoloso per te?
- No, dopo la morte della piccola Sarah – e qui la sua voce si incrinò per il rimpianto – mi sono fatta rimuovere il fibroma. È per questo che tra AJ e James ci sono quattro anni di differenza.
- Harriet, non posso chiederti questo… è davvero troppo!
- Ma non sei tu a chiedermelo… lo faccio volentieri. Dopotutto, ho già avuto cinque gravidanze e il pensiero di una sesta non mi pesa affatto – le rispose con un luminoso e aperto sorriso. Un pizzico di ironia non poteva che alleggerire la situazione.
Harriet non era una coniglia scodellabambini, come aveva pensato Mac tutte le volte in cui l’aveva invidiata per quella nidiata di piccoletti biondi che riempivano tutta la sua vita. Era una delicata propaggine della natura naturans, una creatura generosa che voleva donare la sua fertilità per la gioia altrui.
-Ma Harriet, dovrai sottoporti a delle pesantissime cure ormonali. E Bud?
-Bud è d’accordo con me. Lo facciamo con tanta gioia… per te e per Harm. Siete i nostri migliori amici, la nostra famiglia…
-No, non sei un’amica… sei una vera sorella!
E l’un l’altra abbracciava.

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Capitolo 8
*** La bufera infernale ***


La domenica subito dopo il quarantaquattresimo compleanno di Harm, in casa Rabb si aspettavano ospiti. I piccoli Roberts erano andati a Disneyworld con i nonni materni e Harm si era dato d’attorno per quasi tutto il giorno prima per preparare il brunch. Una morigerata festicciola con Bud e Harriet.
Mac era tesa e irritata. Harriet aveva già iniziato la cura ormonale, e quindi lei sapeva che il discorso sarebbe inevitabilmente caduto sull’impianto. Se all’inizio era stata entusiasta della proposta della sua amica del cuore, ora voleva tirarsi indietro. Anzi, era furiosa. Con Harm, con Harriet. Persino con Bud. Si sentiva come messa all’angolo. Relegata in un cantuccio della sua stessa vita, come una marionetta abbandonata in un ripostiglio dopo aver recitato la sua parte. Tutti gli ormoni che aveva assunto in quei mesi avevano mandato in corto circuito i suoi neurotrasmettitori, ma lei non lo voleva ammettere. Neppure con se stessa.
- Per favore, Sarah, mi passi le tortillas ripiene? – chiese Bud a Mac – Harm, questo brunch è fantastico! E la torta al cioccolato mi fa impazzire…
“Il solito Bud, pensa solo a rimpinzarsi. Non ha nemmeno più il cuore. È stato fagocitato dallo stomaco” pensò lei mentre gli riempiva il piatto.
-La dottoressa Atkins ha detto che la prossima settimana è quella giusta – disse Harriet con un sorriso.
-Ottimo! – replicò Bud strizzando l’occhio ad Harm e dandogli una pacca sulla spalla.
“Fantastico! Fanno proprio tutto senza di me. Come se fossi diventata di colpo trasparente”. Ma doveva mantenere la calma.
-Come sono felice! – esclamò Harm con gli occhi lucidi – E tu come ti senti, tesoro? – disse allungando una mano per fare una carezza a Mac.
La sua bile, a lungo repressa, ruppe finalmente gli argini. Sottrasse la guancia e si girò di scatto verso il marito.
-Sentite un po’… perché non ve lo fate da soli, questo bambino? –  disse con tono rabbioso.
-Prego? – Harm finse di non aver capito.
-Sì, perché non lo fai direttamente tu con Harriet??? – replicò lei guardandolo inferocita – Senza bisogno di tutte queste manovre…   
-Ma Sarah, sei impazzita? – Harm era esterrefatto.
Mac guardò Harriet dritta negli occhi e le puntò contro l’indice accusatore: - Guarda che lo so che sotto quell’aria da innocentina nascondi una voglia matta di andare a letto con mio marito! –
Harriet era sconvolta. Non pensava che nel cuore della sua amica potessero annidarsi sospetti così terribili e irrazionali.
-Sarah… come puoi nemmeno pensare una cosa del genere? – si schermì, sperando che Mac ritornasse a più miti consigli.
Bud sgranava gli occhi pietrificato dallo stupore, incapace di reagire. Lo tsunami Mac si era abbattuto su quella giornata serena e non c’era modo di fermarlo.
-Lo vuoi? – Mac continuò a inveire contro la povera Harriet – Prenditelo pure, il bel capitano Rabb, il sogno proibito di ogni casalinga disperata… eccotelo servito su un vassoio d’argento! – Si alzò da tavola di scatto – Tanto tuo marito se ne sta buono buono… pensa solo a rimpinzarsi, lui!
-Sarah, smettila! Stai diventando pesante! – gridò Harm spazientito.
-Dai Sarah, calmati! Come puoi pensare queste cose di Harriet e di Harm? – disse Bud con voce ferma ma irritata.
-Bravo, Bud! Sei proprio un amico fedele. – replicò lei sarcastica – Capace persino di prestare la tua biondina al tuo migliore amico.  
E scappò via di corsa, sbattendosi dietro la porta. Saltò sulla Corvette di Harm e corse via sgommando.



Harm era costernato. Si vergognava del comportamento di Sarah con i loro amici. E sul momento non riusciva a capire il motivo di tanta violenza verbale da parte di una persona che non aveva mai trasceso.
Cosa avrebbe potuto fare, ora? Dove cercarla? Lei era scappata via e chissà dove era andata a finire. Dopo essersi tristemente congedato da Bud e Harriet, la cercò al cellulare ma lei rifiutò la chiamata e si attivò la segreteria. “Dimmi dove sei, Sarah”. Lasciò questo messaggio per almeno una dozzina di volte,  mentre vagava in auto per la città.  In una sorta di pellegrinaggio nei loro luoghi, nella speranza di trovarla e con l’angoscia di ricevere la chiamata di qualche ospedale. Dopo un’ora e mezza, stanco e scoraggiato, tornò a casa. Nel vialetto c’era la Corvette. Per fortuna Sarah era tornata, sana e salva.  Si fece coraggio ed entrò, pronto ad affrontare qualsiasi cosa, anche il litigio più duro e violento. Ma non era preparato a quello che trovò in cucina.

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Capitolo 9
*** Il crollo di casa Rabb ***


Mac  era uscita di casa piena di rabbia e di furore.  Aveva preso la Corvette di Harm con il preciso intento di ferirlo al cuore. Se si fosse schiantata contro un albero, lui avrebbe sofferto fino a impazzire. Per l’auto, ovviamente. Guidando ad alta velocità, nel giro di una mezzoretta aveva cominciato a sentirsi più leggera, come se la rabbia piano piano svaporasse fuori con i gas di scarico dell’auto. Ma quella momentanea calma dopo la tempesta durò poco.  Le subentrò una tristezza cupa, un fortissimo senso di colpa per aver perso il controllo ed essersi lasciata dominare dalle proprie ossessioni. Aveva aggredito e offeso Harm che, ora ne era convinta, la amava più che se stesso. Aveva trattato come una donnaccia Harriet, che da lei avrebbe dovuto ricevere solo amorevole gratitudine. E persino Bud, sempre fedele e sensibile, non era stato risparmiato da quella gragnuola di colpi. Non avrebbero mai potuto perdonarla.  A questo punto voleva solo stordirsi, non pensare a quanto era stata orribile.
 
 
Harm la trovò in cucina davanti a un bicchiere e a una bottiglia di vodka vuota per tre quarti. Non tenevano in casa superalcolici, visti i trascorsi di lei. Solo la birra che lui beveva dopo il lavoro, o qualche bottiglia di vino da offrire agli ospiti in occasioni speciali.
“Almeno non si è fatta un graffio… Ma perché si è rimessa a bere?”  pensò preoccupato.
- Bentornato amore! Dai, vieni a festeggiare come si deve… – lo accolse lei con voce impastata, offrendogli il bicchiere con mano traballante – Che belli i negozi aperti di domenica!
-Sarah, smettila! Non sai quanto male fai, sia a te stessa che a me  - prese il bicchiere e la bottiglia e li andò a svuotare nel lavello.  Si sentiva tanto inerme e annichilito.
-Oh Harm, Harm… Sant'Harmon Rabb della California, santo protettore di tutte le derelitte… tranne che di tua moglie…
-Non ti riconosco… tra ormoni e alcol ti sei fritta il cervello – la rimproverò lui con dolce durezza.
-Sono stata cattiva, vostro onore… tanto cattiva… – proseguì lei nel suo sproloquio.
Poi iniziò a sentirsi male. Le girava la testa e aveva la nausea. Harm se la caricò in braccio e la portò subito in bagno, dove lei vomitò a lungo. Era bianca come un cencio lavato. Quando finalmente riuscì a stare in piedi da sola, lui aprì il miscelatore della doccia e iniziò a spogliarla.
-Oh, che bravo il mio marinaio! È un’ottima idea per festeggiare… – Mac cercava goffamente di attirarlo con sé sotto il getto dell’acqua.
-Smettila… Non voglio una donna ubriaca. Non ti voglio! – le disse duramente mentre cercava di lavarla alla bell’e meglio.  
La avvolse nell’accappatoio, la accomodò sulle sue ginocchia e tenendola ferma iniziò ad asciugarla con paterna cura. Sì, Sarah era proprio una bambina. Una bambina testona ed egocentrica.  E lui la voleva come compagna, non come figlia. Le mise il pigiama e la fece coricare, rimboccandole le coperte, mentre lei bofonchiava parole incomprensibili e tentava confusamente di sedurlo.
Harm si sedette ai piedi del letto a guardarla mentre il sonno riparatore la vinceva a poco a poco. Quella giornata che doveva essere di festa si era trasformata in un inferno. L’infausto coronamento di mesi di  più o meno patente tensione. Sarah ora era sparita e al suo posto era rimasta Mac, l’incompleta, la donna irrisolta che si metteva al riparo sotto la divisa dei Marine per non svelare a nessuno la sua vera natura. Harm si sentiva schiantato e sfinito, tradito e usato. Non voleva quella donna. Non la voleva più.
 
 
 
- Ieri hai dato il peggio di te. E non è poco.
- Ho sbagliato, non dovevo bere.
- No, Mac. L’alcol è solo la punta dell’iceberg.  
- Sono nervosa. Sono stanca. Tu non mi capisci…
- Questa robaccia buttala nella spazzatura – disse Harm agitandole sotto il naso il flacone del progesterone che l’aveva trasformata in una belva in libertà – Di questo passo, non vorrei che tu mettessi le mani addosso a qualcuno…
Mac ammutolì e fissò gli occhi su un punto indefinito della stanza.
- A questo punto il progesterone non ti serve più… - aggiunse Harm giocherellando nervosamente con l’ultimo bottone dell’uniforme, come faceva spesso in aula quando iniziava un interrogatorio – Mac, guardami negli occhi, almeno… - Ma lei si era trincerata nel suo silenzio e aveva lo sguardo caparbiamente perso nel vuoto – Non ce la faccio più a reggere questa situazione. Sono mesi ormai che non mi fai più capire che cosa ti frulla per la testa. È meglio chiuderla qui, prima che ci facciamo dell’altro male. Puoi tenere tu la casa, non  mi interessa. Voglio solo smettere di litigare… e appena avrò trovato un altro posto dove stare, toglierò il disturbo.
Vedendo che sua moglie non mostrava nessuna reazione, Harm prese cappotto e cappello e uscì di casa con gli occhi umidi e il cuore in frantumi. 

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Capitolo 10
*** Danni collaterali ***


- La situazione mi sembra molto complicata, Bud. Non so come faremo a difendere il maggiore Jackson. E Vukovic e la Graves mi sembrano molto agguerriti – disse Harm seduto nel salotto di casa Roberts. Non aveva proprio voglia di tornare in quella che ormai non sentiva più casa e così, dopo il lavoro, si era fermato da Bud a cena e a discutere del caso che Cresswell aveva loro affidato.
- Ti riferisci al fatto dei danni collaterali?
- Che cosa sono i “danni collaterali”, papà? – chiese AJ, lasciando il grande puzzle di Mickey Mouse che i nonni gli avevano comprato a Disneyworld. Era incuriosito da quella strana espressione che aveva sentito varie volte nelle discussioni dei grandi e di cui parlava anche la TV.
Il capitano Roberts si sentì imbarazzato a quella domanda così inaspettata da parte del suo figlio maggiore. Quasi più che se gli avesse chiesto di spiegargli come nascono davvero i bambini. Ma AJ aveva già otto anni e mezzo ed era un bambino molto intelligente e curioso, quindi non c’era da stupirsi che cominciasse a fare domande sul mondo degli adulti.
- Sono le vittime civili di una guerra – arrangiò Bud, sperando di cavarsela con quella formula concisa.
- Cioè? Non capisco… - fece il bambino con aria ancora più interrogativa.
- Sono i non combattenti che muoiono… - si arrampicò sugli specchi Bud.
Harm decise di venire in aiuto del suo amico. Prese il suo figlioccio sulle ginocchia e gli disse: - Hai presente quando c’è una guerra? – Il bambino annuì. – Muoiono tanti soldati, ma anche persone che vivono lì vicino, come donne o vecchi. Persone che non combattono. La loro casa crolla per sbaglio e loro non ci sono più -.
- Che cosa brutta! Io non vorrei che la mia casa crollasse… - disse il bambino con aria sconsolata.
- AJ, è ora di andare a letto… O domattina ci vuole la ruspa per farti alzare - intervenne Harriet a chiudere quella conversazione così seria.
- Va bene, mamma – ricevette il bacio della buonanotte dal padre e dallo zio Harm e si avviò docile con la madre al piano di sopra.
- Mammina, –  confidò mentre lei gli rimboccava le coperte – io da grande non voglio fare la guerra. Non voglio uccidere nessuno!-
- Certo, tesoro mio – disse Harriet dandogli un bacio – Da grande farai quello che vuoi tu.
 
 
 
- Come crescono questi bambini! – fece Harm con un sospiro – Vedrai quando saranno adolescenti… non si limiteranno a farti domande. Aspetta che comincino a uscire la sera e…
- Ormai i capelli bianchi mi sono già venuti… cosa mi aspetta ancora? Forse di diventare magro per la preoccupazione… Oppure di affogare la mia crisi di mezza età in gigantesche torte al cioccolato...
Bud aveva intuito che il suo amico non era lì per parlare di lavoro, ma per trovare conforto. Harm abbozzò un sorriso.
- Beato te, Bud, che hai il cioccolato con cui sfogarti! Io non so più dove sbattere la testa… - disse sconsolato.
- Va così male?
- Eh già. Quando sentivo parlare di “separati in casa” mi sembrava una contraddizione in termini bella e buona. Anzi, mi faceva proprio sorridere. Ora purtroppo sto sperimentando sulla mia pelle quanto è dura. L’altro giorno ho cercato di cucinare un po’ per cena. Lei mangia sempre delle schifezze. Sai cosa mi ha detto? “Cosa te ne importa di cosa mangio? Non te ne frega più niente di me, ora che dormi nella stanza degli ospiti”. Io non ce la faccio più. Appena trovo un’altra casa per me e per Mattie, me ne vado. È proprio finita.
- Harm, mi dispiace tanto, per tutti e due. Ma dopo quella scenata al tuo compleanno… io e Harriet non ce la siamo sentita più di cercarla.
- E perché mai? Voi non avete colpa. È lei che ha fatto di tutto per farsi terra bruciata intorno. Ma io la amo ancora, Bud – disse tormentandosi l’anulare da cui si era tolto la fede, lasciando bene  in vista il segno dell’abbronzatura. Come una ferita - Solo chi non ha mai veramente amato può smettere di amare.
“Come è possibile? La ama ancora e vuole divorziare?” pensò Bud.
- Forse ti chiederai come sia possibile… Le contraddizioni dell’animo umano, amico mio. E tu sai che uomo incasinato riesco ad essere, quando mi ci metto d’impegno. Non so vivere né con lei, né senza di lei.

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Capitolo 11
*** Delitto passionale? ***


 
-Cosa abbiamo? – chiese il medico legale, una giovane donna vistosamente incinta.
-Una donna di circa venticinque anni con ferita da arma da fuoco… ci dev’essere stata una dura lotta, questa stanza è un vero casino! E guarda quanti lividi ha la vittima… sul viso, sulle braccia – rispose il detective.
-Dev’essere morta da almeno dodici ore – rispose lei osservando il cadavere e prendendogli la temperatura. Poi, rivolgendosi al collega che l’accompagnava – Ci pensi tu a prendere le impronte e le tracce organiche?
-Sì, non ti preoccupare – rispose il secondo patologo, un piccolo medico dall’aria intelligente – Guarda, oggi è il nostro giorno fortunato. Questa qua potrebbe essere proprio l’arma del delitto…
-Una calibro 9, a occhio e croce – esclamò il detective. 
 
 
 
 
-Non c’è foro di uscita. Devo estrarre il proiettile per il confronto balistico… - disse la dottoressa esaminando il cadavere all’obitorio – Povera ragazza, cosa avrà fatto di male per meritarsi questo…
-Dall’esame tossicologico risulta che era piena di cocaina – rispose il collega – Forse l’assassino è qualche sua cattiva compagnia…
-Eh sì, ha anche le narici molto irritate. A che punto sei con le impronte? – fece lei.
-Ce ne sono due serie chiaramente riconoscibili. Una della donna, per l’altra il computer sta ancora cercando. Poi ce ne sono altre, ma sono tutte confuse…
-E le tracce organiche?
-Una cosa per volta, ho solo due mani e una testa… e poi stanotte Madeline ha pianto in continuazione… sono distrutto! Tra un po’ la smetterai di fare l’eroina dell’obitorio… vedrai che bel divertimento avere un bambino!
-Il solito cinico! Io non vedo l’ora… ma guarda, c’è una corrispondenza…
Si girarono entrambi verso il computer. Sul monitor era comparsa una faccia. Quella del probabile assassino.
-Mark Di Serio… questo nome mi dice qualcosa. Come si chiama la vittima? – fece lui.
-Macey Di Serio… lui è il marito!
-Delitto passionale?
-Chissà. Ma guarda meglio… Mark Di Serio, tenente della Marina! I conti tornano… la calibro 9 è la loro pistola d’ordinanza…– esclamò la dottoressa.
-Accidenti… chiami tu in Centrale? Non voglio essere io a dare la bella notizia a tuo marito… JAG o NCIS, non so bene di chi sia la competenza in un caso come questo. Fatto sta che tra poco avremo tra i piedi un robusto rompipalle di Washington… o addirittura un’intera squadra!
    

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Capitolo 12
*** Pace a te! ***


- Colonnello MacKenzie, si accomodi. Ho un caso molto delicato da assegnarle.
- Mi dica, signore.
- Una settimana fa il figlio minore del generale Warwick ha investito con lo scooter un’anziana donna. Una testa calda, quel ragazzino. La signora si è fratturata il femore ed è stata operata d’urgenza. Non si sa se potrà recuperare appieno la funzionalità motoria. Ha quasi ottant’anni. Adesso la famiglia ci chiede i danni…
- Un caso piuttosto comune, se non fosse per il coinvolgimento del figlio di un alto ufficiale dell’esercito…
- Stia attenta, colonnello. La faccenda non è semplice come sembra. Serve tutta la sua diplomazia per gestire questo caso. E’ una famiglia radical chic. Alta borghesia di sinistra. Per loro anche i democratici sono troppo di destra. La figlia della signora è  Ruth Coen O’Connor, docente di filosofia alla Georgetown University.   Mi capisce, viene da una delle più importanti famiglie dell’ebraismo progressista newyorkese. Il genero invece è un alto funzionario del Ministero dell’agricoltura. Un irlandese testone che non so come abbia fatto a fare carriera. Da studente era in prima linea nelle manifestazioni contro la guerra in Libano. Insomma, due sassi nella scarpa della nostra amministrazione. Anche lei addirittura ha rischiato di essere arrestata. Si era fatta promotrice di una campagna di obiezione fiscale alle spese militari. Per di più, hanno addirittura accolto in casa dei bambini islamici. Cose da pazzi comunisti. Non mi stupisce che abbiano il dente avvelenato contro le forze armate, soprattutto ora. Cerchi di arrivare a un accomodamento. Tenti di convincerli a un rimborso di tipo assicurativo. Evitiamo di finire in tribunale, ha capito? Non vorrei finire sulla graticola… sa, i  media e i gruppi politici indipendenti…
- Sì, signore. Capisco perfettamente la delicatezza della situazione. Mi darò da fare per fissare al più presto un colloquio.
 
 
 
Il giorno dopo Mac si recò nell’appartamento degli O’Connor. Era come intimidita e frastornata. Mai prima di allora si era sentita a disagio nel presentarsi a dei civili in divisa, com’era d’obbligo quando era in servizio. Ma ora la sua vita stava andando letteralmente in pezzi. Il pensiero ossessivo del bambino che non era riuscita a concepire non la abbandonava un minuto. La rottura con Bud e Harriet, che aveva trattato con irrazionale cattiveria e che non aveva più avuto il coraggio di richiamare. E soprattutto, lei e Harm che ormai vivevano come separati in casa e non riuscivano più nemmeno a parlarsi, se non per lo stretto indispensabile. C’erano dei giorni in cui nemmeno si incrociavano. Lui sgusciava fuori di casa all’alba e non ritornava se non a notte fonda. E si era persino tolto la fede. Mac si lisciò la giacca dell’uniforme. Quell’uniforme che per tanti anni era stata per lei come una seconda pelle, l’emblema della sua stessa identità, ora le bruciava addosso più della veste avvelenata di Deianira. Avrebbe voluto strapparsela e piangere per la frustrazione, ma si fece coraggio e suonò il campanello.
- Buon pomeriggio – sulla soglia la accolse una donna sui quarant’anni, minuta e sobriamente elegante.
- Buon pomeriggio, sono il colonnello Sarah MacKenzie – fece Mac un po’ intimidita.
- Ruth Coen O’Connor. Prego, signora, si accomodi – rispose la padrona di casa porgendole la mano con un inaspettato sorriso.
- Mamma Ruth, chi è? – un bambino nero di circa quattro anni fece capolino sulla porta.
- E’ una signora che deve parlare con mamma, Tommy…
- Com’è vestita strana… – ribatté il bambino – Non ti deve portare via, vero?
- No, caro – Ruth rassicurò il bambino prendendolo in braccio – Dai, facciamo entrare la nostra ospite…
Di fronte a quella strana accoglienza, Mac si sentiva ancora più intimidita, ma si accomodò con la signora O’Connor in un ampio e luminoso soggiorno dalle pareti foderate di quadri e di libri.
- Colonnello, scusi il comportamento del mio bambino - Ruth mise a terra il piccolo che stava giocherellando con la sua treccia – Tesoretto, che ne dici di continuare a colorare quell’album di Winnie Pooh che ti ha portato la tata?
- OK, mamma – disse il bambino e andò a un tavolino basso in un angolo della stanza, dove aveva lasciato a metà il suo piccolo capolavoro.
- Ci scusi di nuovo, colonnello. La madre naturale di Tommy è in carcere e lui era presente al suo arresto. Come può capire, ha una certa soggezione nei confronti delle divise. “Di bene in meglio” pensò Mac - Io e Patrick lo abbiamo in affido da circa un anno…
- Non si deve scusare, signora… è un bambino – disse Mac, cercando di nascondere l’imbarazzo.
- Mi chiami Ruth – la invitò la professoressa con un sorriso che illuminò i suoi tratti marcati – Vede, Sarah… posso chiamarla così? – Mac annuì debolmente – La nostra è una famiglia un po’ particolare. Non siamo molto allineati, per così dire… ma al Pentagono l’avranno sicuramente informata…
- Sì, ho sentito qualcosa… - commentò Mac con finta indifferenza. Prima dell’incontro, aveva consultato un fascicolo dettagliato con informazioni su di loro.
- A noi non importa molto di quello che dice la gente. Cerchiamo di difendere i valori in cui crediamo, a testa alta. E di insegnarli a nostri figli…
- Signora… Ruth – fece Mac cercando di interrompere la fluente apologia della signora O’Connor.
- Mi scusi. Sono una chiacchierona. E lei di sicuro non avrà tempo da perdere per sentire il mio comizio... Veniamo al punto. Mia madre è ancora in ospedale e soffre molto. Io e mia cognata facciamo i salti mortali per accudirla. Lei è avvocato, avrà consultato la documentazione relativa alla richiesta danni…
- Sì, sono qui proprio per questo. Proponiamo un risarcimento…
“Proponiamo… ecco lo spirito di corpo! Come se all’atto di indossare la divisa abdicassero anche al libero arbitrio…” 
- Siamo molto amareggiati dall’accaduto, ma sia io e mio marito che mio fratello, che è avvocato come lei, non vogliamo trascinare in tribunale un ragazzino di 16 anni. So come sono i ragazzi… ne vedo tanti all’Università. Sono un po’ più grandi, ma non così maturi come ci vogliono dare a intendere … Se fosse possibile vorremmo però che il ragazzo imparasse la lezione… che facesse  un po’ di servizio sociale… non so, con gli anziani o con qualsiasi altra categoria in difficoltà…
- Va bene, vedremo in che modo si può fare…
- Mi raccomando. Non vogliamo vendetta, ma solo giustizia. E che il figlio di quel generale non si copra dietro alla divisa del padre e faccia pagare la sua incoscienza ai contribuenti…  è importante, più per lui che per noi o per nostra madre. E’ giusto imparare fin da ragazzi ad assumersi le proprie responsabilità…
“Ferma la signora! Ma anche ragionevole… E io che pensavo di trovarmi davanti un’arpia inferocita armata di falce e martello…”
    È quello che mi hanno insegnato i miei genitori ed è quello che mi preme trasmettere sia ai miei figli che ai miei studenti… Se ci pensa, non dev’essere un’etica tanto diversa dalla sua. Penso che nelle forze armate si agisca allo stesso modo con i sottoposti…
Mac annuì.
- Mamma, guarda che bello Tigro! – Tommy arrivò ad interrompere il discorso sentenzioso della madre.
- Sei bravissimo, amore! – Ruth ricompensò con un bacio il bambino, che trotterellò via tutto soddisfatto – Tommy è un bambino molto sensibile.
- E anche molto bello – aggiunse Mac con una vena di malinconia, che Ruth colse al volo.
“Questa donna nasconde qualcosa dietro quell’aria dura da marine. Sembra che le manchi qualcosa. Come se avesse dentro un vuoto incolmabile”.
- Sì. Ed è una gioia vederlo sereno… Fino a due mesi fa c’erano con noi anche due sorelline pakistane, ma ora sono tornate con i genitori. Il distacco non è stato facile, mi creda… ma anche quello è amore. “La sterile ha partorito sette volte, e la ricca di figli è sfiorita”… questi nostri bambini sono come tutte nascite miracolose. A una mamma si richiedono solo cuore grande… e braccia robuste! – sorrise Ruth.
    
 
 
In quel momento si aprì la porta dell’appartamento ed entrò un uomo alto e brizzolato.
- Papino! – gridò Tommy correndogli addosso.
- Ciao bellino! – rispose il padre prendendolo in braccio - Buonasera,  Patrick O’Connor. Le chiedo scusa per il ritardo, ma sono riuscito a sganciarmi solo ora dall’ufficio.
- Piacere, Sarah MacKenzie.
- Ciao, mia cara –  salutò la moglie con un bacio molto dolce.
Mac notò che tra i due c’era una certa differenza di età. Doveva aver letto da qualche parte sul loro fascicolo che Ruth era la sua seconda moglie e che Patrick aveva una figlia adulta ed un nipotino. Ma in un solo sguardo aveva colto tra i due un’armonia speciale, più forte e ben temperata di quella che c’è tra coetanei.      
- Patrick – disse Ruth – io e il colonnello abbiamo già trovato un accordo.
- Molto bene. Non vogliamo vendetta, ma solo giustizia. Quel ragazzo si è comportato da vero pirata della strada – ribadì O’Connor – Per i dettagli strettamente tecnici però le chiedo di contattare mio cognato. La parte più difficile l’ha lasciata a noi… Aaron non è uno stinco di diplomazia. Ma mi sembra che non ci siano stati problemi?
- No, assolutamente – rispose Mac con sincerità.
- Bene. Allora, brigante, vuoi salutare questa signora così gentile? – chiese Patrick al bambino.
- Ciao – fece Tommy con la mano e scappò via.
- E’ un birbone… - sorrise teneramente Ruth – Grazie, Sarah –
- Di nulla. Buonasera – rispose Mac.
- Arrivederci. E’ stato un piacere conoscerla. E la prego, ci faccia sapere che cosa deciderete per il ragazzo. Ci preme molto  – fece Patrick stringendole la mano.
- Non mancherò.
 - Shalom lakh! – disse Ruth congedandola.

 

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Capitolo 13
*** Cuore di madre ***


Lasciando l’appartamento degli O’Connor, Mac si sentiva confusa più che mai. Si era preparata a un colloquio duro e battagliero, in cui avrebbe dovuto mettere in campo tutto il suo raziocinio e la sua capacità professionale di mediazione. Non a raccogliere le confessioni familiari di una perfetta estranea. Ma quella sconosciuta, Ruth, accogliendola nella sua casa e parlandole con grande semplicità e serenità, le aveva in realtà mostrato senza riserve la sua vita e il suo cuore. Un cuore di madre. “La sterile ha partorito sette volte, e la ricca di figli è sfiorita”. Con quella citazione biblica, la professoressa Coen O’Connor le aveva fatto intendere che anche a lei era preclusa la possibilità di partorire un figlio suo, ma che proprio per questo aveva trovato una strada tutta sua per essere madre. Un piano B che la rendeva oltremodo felice e carica d’amore. Mac aveva invidiato tante volte Harriet, la ricca di figli, ma non riusciva a fare lo stesso con Ruth. Anche se il suo rapporto con Patrick sembrava l’esatto opposto di quello che lei ora stava vivendo con Harm. Anzi, le era grata, poiché con grande delicatezza e discrezione le aveva come teso una mano amica. E quell’ultimo augurio di pace che le aveva rivolto l’aveva davvero riconciliata con se stessa. Guidando sulla strada di casa, Mac ripensò allo spasmodico desiderio di gravidanza che l’aveva tormentata negli ultimi mesi e che stava per distruggere la sua vita e il suo matrimonio. Voleva generare per essere una madre perfetta. Quello che la sua non era stata. Una luce rischiarò il suo cuore tormentato. Sua madre le aveva sì dato la vita, ma poi l’aveva abbandonata, il giorno stesso del suo quindicesimo compleanno. E ora lei rimpiangeva non sua madre, ma di non aver avuto nella sua vita una donna come Ruth, che sanasse le ferite del suo cuore e la rigenerasse nell’amore! Ora per lei non era più importante rimanere incinta, ma costruire una famiglia con Harm. E meno che mai contava da chi questa sarebbe stata composta. Voleva aprirsi con suo marito, fargli capire che lo aveva raggiunto in quel cammino che lui aveva già percorso da tempo. In cuor suo covava un’unica paura, che fosse ormai troppo tardi.

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Capitolo 14
*** With or without you ***


-Galindez, mi chiami il capitano Rabb! – chiese il generale Cresswell all’interfono.
-Subito, signore!
 
-Capitano, mi è arrivato proprio ora un fax dal capo della Squadra Omicidi di Boston. Il tenente Mark Di Serio è stato arrestato per l’omicidio della moglie. Pare che ci siano pesanti prove indiziarie a suo carico. Lei dovrà condurre un’indagine del JAG sul caso. Mi raccomando, massima collaborazione con polizia e ufficio del coroner.
-Agli ordini, signore!
-E mi saluti sua figlia. Penso che sarà contento di farle visita. Ho scelto lei anche per questo. Può andare!
-Sì, signore. Grazie, signore! – fece Rabb con un sorriso.
 
 
Lasciando l’ufficio di Cresswell, Harm si sentiva rinfrancato. Gli era stato assegnato un piacevole fuori programma. Avrebbe potuto riabbracciare Mattie e approfittare di qualche giorno fuori Washington per stemperare la tensione che si era accumulata nelle ultime settimane. Il pensiero di collaborare con qualche detective metropolitano fanatico o con patologi ingobbiti sui cadaveri non lo allettava troppo, ma il gioco valeva la candela. Prima di partire, però, doveva fare una cosa molto importante. Tirò fuori la chiavetta USB dalla tasca e si diresse verso il suo ufficio.
 
 
Mac era tesa e ansiosa. Non era ancora riuscita a parlare con Harm e questo l’aveva fatta precipitare in uno stato di confusa sospensione. Temeva che il loro rapporto fosse ormai irrecuperabile. Seduta sulla poltrona nel suo ufficio al Pentagono, si stirò le braccia dietro la testa per distillare i pensieri.
Aprì distrattamente la casella di posta. Una email attirò in particolare la sua attenzione, lasciandola letteralmente di sasso. Era di Harm. Con il cuore in gola, fece clic sulla bustina senza nemmeno badare alla natura dell’allegato che accompagnava il messaggio.
“Questa volta è proprio finita. Mi avrà mandato i documenti del divorzio da firmare”.
 
Da: h.rabb@jag.dc.us
A: s.mackenzie@pentagon.us
 
Oggetto: With or without you
 
Sarah,  
“Da quanto tempo non mi chiama più così? Ormai per lui sono Mac, solo Mac. Lo farà per ben dispormi a concedergli il divorzio…”
queste ultime settimane sono state terribili per me. “Per me no? Mi ha quasi ucciso con la sua indifferenza e la sua assenza…”
Ma anch’io ho le mie colpe e so di averti fatto soffrire molto. Dobbiamo parlare, affrontare i nostri problemi per crescere insieme oppure… no,  non voglio neppure pensare alla mia vita senza di te, anche se per la rabbia ho parlato di divorzio. Così però non si può andare avanti, mi sembra di impazzire. Ultimamente mi sono sentito schiacciato, dominato dalle tue ossessioni, a volte anche un po’ usato.
Devo andare a Boston per seguire un caso. Starò via solo un paio di giorni, poi avremo tutto il tempo per parlare e recuperare il nostro rapporto, se anche tu lo vuoi.
So che non sono abbastanza bravo a esprimerti i miei sentimenti. Ti prego, guarda l’allegato e forse tutto ti sarà più chiaro.
A presto, amore. Abbraccerò Mattie anche per te.
Sempre tuo, Harm.”
 
Mac riprese a respirare. Il cuore le batteva a mille. Aprì impaziente l’allegato, un video. Inserì le cuffie nel pc per non farsi sentire negli uffici vicini e avviò il file. Harm suonava la chitarra e cantava. Le note e le parole di una celebre canzone le invasero le orecchie e l’anima.
 
See the stone set in your eyes
See the thorn twist in your side
I wait for you

Sleight of hand and twist of fate
On a bed of nails she makes me wait
And I wait without you

With or without you
With or without you

Through the storm we reach the shore
You give it all but I want more
And I'm waiting for you

With or without you
With or without you
I can't live
With or without you.

 
Mac non fece nulla per nascondere le lacrime. Uno spiraglio di luce si era aperto. Doveva solo aspettare qualche giorno, poi lei ed Harm avrebbero ripreso il loro cammino. Faticoso, ma insieme. 

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Capitolo 15
*** Indagini a Boston ***


Disclaimers: Il marchio e i personaggi di “Crossing Jordan” sono di proprietà di Tailwind Productions, NBC Universal Television, MGM, Sony Pictures Entertainment. L’inserimento di tali personaggi e/o situazioni in questa FF non è a scopo di lucro.
 
 
Al Dipartimento di Polizia di Boston, Harm chiese del detective Hoyt della Omicidi, responsabile delle indagini per il caso Di Serio. Fu indirizzato a un ufficio al quarto piano. Bussò alla porta.
-Avanti! – una voce all’interno lo invitò ad entrare.
“Devo essere diplomatico e misurare le parole, se voglio evitare che questo qua mi metta i bastoni tra le ruote” pensò Harm varcando la soglia.
-Buongiorno. Sono il capitano Harmon Rabb del JAG di Washington. Sono qui per collaborare alle indagini sul caso Di Serio. 
-Detective Woody Hoyt. Si accomodi – disse un giovane poliziotto dal ciuffo ribelle, accogliendolo con modi affabili che non nascondevano però un fare indagatore. Dopotutto, quell’uomo alto con l’uniforme della Marina era venuto a invadere il suo territorio.
“Ah, è pure un Top Gun, il capitano… oggi ho proprio vinto alla lotteria” pensò Woody adocchiando il distintivo appuntato sulla divisa di Rabb.
“Eccolo qua… l’ispettore Callaghan belloccio. Speriamo che non sia un esaltato…” anche Harm stava studiando il suo interlocutore.
Ha ricevuto la documentazione relativa al caso? – chiese il detective abbozzando un sorriso di   circostanza –
-Certamente. L’ho già esaminata a fondo…
“Ufficiale, gentiluomo e… primo della classe!“ Woody sentiva un’istintiva allergia a quel nuovo gallo che aveva messo le zampe nel suo pollaio.
-Le indagini di laboratorio sono ancora in corso, ma la maggior parte dei rilevi ottenuti finora porta a Di Serio…
-Mi scusi, detective…
“Almeno si scusa, è già qualcosa…”
-Mi dica pure, capitano. C’è qualcosa che non la convince?
 “Mi lascia parlare… forse non è così male come avevo pensato”.
-Vedo qui dalla documentazione che avete le impronte di Di Serio nell’appartamento e su una calibro 9… siamo sicuri che sia l’arma del delitto?   
“Ha detto siamo… allora vuole fare squadra… stiamo a vedere” un barlume di speranza si accese nella mente del detective.
-Intende oltre ogni ragionevole dubbio? – fece Woody con un timido ma sincero sorriso.
“Intelligente, il ragazzo! Si vede che le grane non piacciono neanche a lui. Un punto a suo favore”
-Sì. E’ meglio non rischiare di trascinare in Corte Marziale la persona sbagliata. Penso che non convenga né a noi, né a voi… - Harm inarcò le sopracciglia con un’aria intenta.
“Questo marinaio non è poi così male… diamogli fiducia…”
-No, capitano. Parte degli esami di laboratorio sono ancora in corso…
“E allora che aspetti, Woody, andiamo a sollecitarli un po’… Non voglio fare la muffa nel tuo ufficio, e immagino nemmeno tu… Woody, ma che razza di nome è?”
-Mi capisce, non sto difendendo Di Serio. Se è colpevole, deve pagare. Anche se è un ufficiale di Marina… anzi, a maggior ragione. Voglio solo che venga fuori la verità. E la giustizia trionfi – puntualizzò Harm cercando risposta negli occhi del suo interlocutore.
“Verità e giustizia… Polizia e JAG, una faccia, una razza. Hai la stoffa per essere un buon compagno, Harmon”
-Ha qualche idea? Ho sentito dire che al JAG non siete solo avvocati, ma anche investigatori… - Woody ammiccò, sperando che Rabb raccogliesse l’offerta.
-E’ lei che gioca in casa… –  fece Harm  abbozzando un sorriso – ma visto che i patologi stanno ancora lavorando…
-… che ne dice di andare a fare un giro all’Ufficio di Medicina legale? – chiese il detective tutto sorridente per l’intesa insperatamente raggiunta.
-Che proposta romantica! -  Rabb sfoderò un sorriso luminoso - Sa, lei mi legge nel pensiero, detective… - “Come Mac una volta…” pensò amareggiandosi per un momento, ma si riprese subito. C’era un’indagine da svolgere e, a dispetto dei pregiudizi iniziali, quello con Hoyt si stava rivelando un incontro molto promettente.
-Allora andiamo, capitano!
-Harm… - lo corresse istintivamente Rabb.
-Woody…
-OK, Woody, andiamo!
Mentre uscivano, Hoyt ne approfittò per scrivere un sms alla moglie. “JAG arrivato. Niente male, anzi”. Harm pensò: “Woody è un bel tipo. Ma non potrà andarmi altrettanto bene all’ufficio del coroner”.

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Capitolo 16
*** Crossing Jordan ***


-Ciao, Lily!
-Ciao, Woody! – rispose una giovane donna che incrociarono sul corridoio. “Ma chi è questo qua in divisa? Ah sì, dev’essere il rompipalle del JAG di cui parlavano Bug e Jordan. Cavolo, che bell’ufficiale, però…”     
-Il capitano Harmon Rabb del JAG, Lily Lebowski, la psicologa dell’obitorio.
-Piacere, Harm.
La donna ricambiò il sorriso affascinante che aveva appena ricevuto.
-Lilly, sai dov’è Jordan? – chiese il detective.
-È nel laboratorio delle prove. Penso che stia facendo l’esame balistico per il vostro caso.
Camminando per il corridoio dell’Ufficio del coroner, Woody salutava e scherzava con tutti quelli che incrociava.
-Sei proprio di casa, qua… - osservò Harm.
-Eh sì, diciamo così… - fece Woody con un sorriso malizioso, facendogli  strada nel laboratorio.
La dottoressa Jordan Cavanaugh, con ancora addosso occhialoni e cuffie, aveva appena appoggiato la calibro 9.
-Ciao tesoro! – disse Woody dandole un bacio.
“Piuttosto espansivo, il nostro Woody. Chissà cosa ne pensa sua moglie…” pensò Harm che aveva notato la fede all’anulare del detective.
-Harm, ti presento la dottoressa Cavanaugh… Il capitano Harmon Rabb, Jordan… mia moglie – disse lui con tono orgoglioso.
“Ecco il perché del bacio… i vantaggi della vita civile! A noi tocca dare del lei anche ai nostri parenti in divisa, figuriamoci baciarci sul lavoro…”
-Piacere, dottoressa. E congratulazioni – aggiunse con un sorriso, indicando il ventre rigonfio della donna.
-Grazie, capitano. Ah, mi scusi la mascherata– disse togliendosi cuffie e occhialoni. Harm la giustificò con un brillante sorriso – Guardiamo un po’ cosa esce dal confronto balistico… siete qui per questo, immagino…
-Sì – rispose Woody – e anche per l’esame delle tracce organiche. A che punto è Bug?
-Dovrebbe arrivare a momenti…
Lo schermo del computer iniziò a lampeggiare “Trovata corrispondenza”.
-Il proiettile è stato sparato proprio da quest’arma – disse Jordan guardando i due uomini.
-È questa la pistola che avete trovato sulla scena del crimine? – chiese Harm indicando l’arma appoggiata sul tavolo.
-Sì – rispose Jordan.
-È uguale alla mia. È la nostra arma d’ordinanza – fece con aria seria Harm.
Un piccolo medico indiano entrò nel laboratorio. Aveva un’aria pensierosa.
-Ah, ecco Bug – disse Woody.
“Bug??? Ma nessuno qua ha un nome normale?” si interrogò Harm.
-Ciao Woody… Jordan… - e si fermò a scrutare l’ignoto gigante in divisa.
“Lo scocciatore di Washington?” chiese con uno sguardo a Woody.
“Un tipo a posto…” gli comunicò telepaticamente l’amico.
 - Lei dev’essere l’ufficiale del JAG incaricato del caso. Dottor Mahesh Vijay. Bug. Piacere.
-Capitano Harmon Rabb. Harm.
-Bug, hai buone notizie? – chiese Jordan.
-Mezze e mezze. Ci sono delle tracce organiche che non riesco a identificare. Non trovo corrispondenza nel DNA. Sono di sicuro di una terza persona. Forse della stessa che ha lasciato le impronte confuse… però sui lividi del corpo ho trovato qualcosa di particolare… come dire, una specie di marchio… Ma non sono riuscito a riconoscerlo. Non ho nulla con cui confrontarlo…
-Un segno come questo? – chiese Harm mostrandogli l’anello dell’accademia.
-Può essere… facciamo un confronto – disse Bug.
 
 
-Sono uguali. Di Serio è il nostro uomo – disse Harm.
-Senza alcun ragionevole dubbio, Harm? Quelle tracce senza proprietario non mi convincono – osservò Woody.
-Ma come facciamo? Se non troviamo un DNA corrispondente, non abbiamo altre piste da seguire… - osservò Jordan. Bug annuì.
-L’unica è risentire De Serio. Chissà che non confessi. Oggi pomeriggio lo interrogherò io, come da prassi…  anzi, avrei dovuto iniziare proprio di lì. Al JAG mi tireranno le orecchie… Ma intanto, ho già infranto tanti protocolli che ho preso anche appuntamento per pranzo con mia figlia. Studia qui a Boston, gliel’ho promesso…
-Permesso accordato, capitano! – rise Woody.
-Buona giornata a tutti – fece Harm congedandosi.
 
 
 
 
-Avevi scritto “Niente male”? Mi hai portato qua quel bel pezzo di ufficiale e gentiluomo… – scherzò Jordan quando rimase sola con suo marito.
-Ah sì? – fece Woody afferrandola alla vita –  Al prossimo marinaio presunto omicida, mi faccio mandare dal JAG una bella avvocatessa bionda tutta curve…
-Il solito scemo! Non ne hai abbastanza di queste? – rise lei indicando la sua pancia.
-E tu, cicciona, vuoi correre dietro a quel fustacchione con le ali?
-No, quando ho il poliziotto più bello del mondo! Ma il nostro capitano Rabb mi sembra uno a posto…
-Sì, all’inizio mi sembrava solo un pallone gonfiato… ma ora devo proprio dire che mi piace lavorare con lui.

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Capitolo 17
*** Ritorno al College ***


La giovane ragazza bionda ascoltava musica nell’iPod. Bussarono alla porta. La sua compagna di stanza, chiusa nel bagno a fare chissà cosa, non diede segno di vita. Bussarono di nuovo, con più insistenza. La ragazza si alzò di malavoglia dal letto. Era vestita con un paio di shorts e una magliettina. Ma poco male. Se alla porta ci fosse stato il Principe azzurro, avrebbe potuto fargli vedere in anteprima gran parte della sua mercanzia. E quell’ochetta secchiona di Mattie sarebbe rimasta con un palmo di naso. Ma che Principe azzurro! Allo studentato giravano al massimo dei brufolosi studenti di informatica. Noiosissimi nerd che avevano la testa solo nei pc. Roba davvero contro natura.
-Ehi! Devo avere vinto alla lotteria nazionale! – fece aprendo la porta.
Sulla soglia c’era un ufficiale di Marina. Alto, bello e con un paio di occhioni cerulei da mandare in visibilio qualsiasi essere di genere femminile. Un sogno con le ali, come quelle dorate che portava appuntate sul petto dell’uniforme blu.
-Ciao – rispose lui piuttosto bruscamente. Era visibilmente imbarazzato, per non dire irritato da quell’accoglienza così inopportunamente espansiva. Quella ragazzina sconosciuta lo stava letteralmente spolpando con lo sguardo – C’è Mattie?
-Entra. “Ha tutte le fortune, quella lì… media altissima,  sta simpatica a tutti perché ha il brevetto da pilota… e ora si presenta alla porta questo bel maschione in divisa che la cerca…” Mattie, hai visite!
Mattie uscì  dal bagno, ancora alle prese con la sua chioma medusea.
-Harm! Sei arrivato, finalmente! – esclamò buttandogli le braccia al collo.
-Ciao, piccola – il capitano Rabb le diede un bacio affettuoso sotto lo sguardo inviperito della compagna di stanza.
-Scusa, sono un po’ in ritardo. Oggi ce la stiamo prendendo un po’ comoda perché abbiamo lezione solo nel tardo pomeriggio…
-Guarda, non c’è fretta. Ti aspetto all’ingresso, OK?
-Va bene.
-Fossi in te mi vestirei. Fa un gran freddo, oggi. Non vorrai buscarti un raffreddore…  – disse seccamente Harm alla piccola sconosciuta seduttrice, prima di chiudersi la porta alle sue spalle.    
 
 
 
-Lizzy, perché mi guardi così? Cosa ti sei messa in testa?
-Chi è quel gran pezzo di…
-Zitta, cretina… quello è il mio padre adottivo.
-Ah, davvero? Quello di cui parli sempre… il Top Gun della Marina? Che razza di figone… ha un sedere da paura! Dammi  il suo numero, voglio chiedergli un appuntamento.
-Guarda che è felicemente sposato – la zittì Mattie dicendo una mezza verità.
-Ma io non sono mica gelosa…
-Smetti di dire cavolate. E fammi andare.
 
 
 
-Come vanno le cose, papà? – chiese Mattie vedendo che Harm era teso.
-E’ un vero casino. Io e Sarah siamo in crisi. Crisi nera. Sono a pezzi. Però prima di venire qua le ho scritto. Spero di riuscire a recuperare. Non saprei proprio come fare senza di lei.
-Sai, Mac mi ha accennato qualcosa. E ho sentito anche Harriet. Mi ha detto che hanno litigato e non si parlano più.
-Harriet è fin troppo buona. E’ stata Mac a insultarla senza motivo. Anzi, a insultarci tutti e tre. Ma non voglio parlarne, ora. Non voglio rovinarti questo bel momento. Dimmi piuttosto, come ti va?
-I corsi sono molto interessanti. Il prof di meccanica è fantastico. Dovresti vederlo, un vecchio pancione con gli occhialetti tondi e il farfallino. Ma è favoloso… tutti dicono che la sua materia è arida, ma lui la rende divertentissima…
-Con studenti appassionati come te, penso che fare il prof sia intrigante come pilotare un Tomcat. E dire che quando ti ho conosciuta non volevi nemmeno andare a scuola…
-… merito del papà meraviglioso che mi sono conquistata! – Mattie sorrise con gratitudine.
Harm si sentiva rincuorato. Era oltremodo felice di vedere la sua piccolina che si costruiva un po’ alla volta la sua vita e il suo futuro. E sentirla serena ed entusiasta dei suoi studi lo riempiva di orgoglio paterno. Davvero, quella missione  a Boston era un’oasi felice in una vita ormai inaridita.
- Come ti trovi con i tuoi compagni?
- C’è un sacco di gente simpatica… e ora sono entrata anche in due nuovi club studenteschi: “Crittografia” e “Star Trek Fanfiction”…
- Ah, Mathilda Johnson Rabb… Roberts! Lo sapevo che prima o poi la compagnia di Bud avrebbe avuto effetti devastanti… e i ragazzi?
- Eccolo… il padre rompipalle! Ma sei proprio fissato! No, non ho un ragazzo. Tanti amici, ma nessun ragazzo. Mica sono una ninfomane come Lizzy…
- Chi?
- La mia compagna di stanza… l’hai conosciuta prima…
- Eh già, purtroppo. Spero che non faccia così con tutti i maschi che incontra… poveretti! Anche se a diciotto anni spesso si va poco per il sottile…
- A parole, fa la schizzinosa. Ma poi, basta che respirino…
Harm scoppiò a ridere, rischiando che gli andasse di traverso il pranzo. Poi squillò un cellulare.
- Sarà Lizzy che vuole unirsi a noi… - scherzò lui.
- Speriamo proprio di no… comunque guarda che è il tuo.
- Ah, sì. Scusami, cara… Rabb. Ciao, Woody. Cosa dici? Mi sembra un’ottima idea. Basta decidere… chi di noi due fa il buono e chi il cattivo… – disse ridendo – Ti va un caffè o ti raggiungo alla Centrale? Ok, a tra poco…
- Devi andare… vero? – Mattie assunse un tono sconsolato.
- Sì, Mattie… ti va di accompagnarmi fino al Dipartimento di Polizia? Così stiamo ancora un po’ insieme… poi puoi tornare in metro o in taxi…
- Che figata… la polizia! Non bastava la Marina… Ci manca solo che mi porti all’obitorio, poi  ho completato la raccolta degli orrori…
 
 
 
 - Ciao Woody, eccomi qua! Ti presento mia figlia. Mattie, questo è il detective Woody Hoyt!
- Piacere, Mattie!
- Salve… “Uau, non sapevo che a Boston ci fossero dei poliziotti così carini” pensò Mattie in un attimo di turbamento.
- Ho saputo che studi all’MIT. Devi essere una cervellona! E io che pensavo che là fossero tutti brutti nerd brufolosi. Tu sei proprio l’eccezione che conferma la regola.
La ragazza arrossì a quel complimento così galante. 
- Harm, vi lascio ai vostri giochetti da sbirri. Io torno indietro… Spero di vederti presto! Nel frattempo, non farti sparare da qualche delinquente – Mattie si mise in punta di piedi per baciare sulla guancia il proprio padre adottivo.
- Tranquilla, bambina! – disse lui con aria sicura.
- Ciao, Woody! Piacere di averti conosciuto!
- Ciao…    Che bella ragazza! – disse il detective mentre Mattie si allontanava, scorgendo nello sguardo di Harm una vena di malinconica dolcezza, mista a felicità ed orgoglio – Spero che anche mia figlia sia così, da grande!
- Ah, allora è una bambina… - fece Harm riferendosi alla gravidanza di Jordan.
- Sì – a Woody brillavano gli occhi.
- Sono davvero felice per voi! – disse Harm, dandogli un’amichevole pacca sulla spalla. Era davvero felice per loro. Ogni volta che una coppia aspettava un bambino, gli si riempiva il cuore di infinita dolcezza. Era grato a chiunque partecipasse così all’opera creatrice di Dio. Sapeva però che la strada tracciata per lui era un po’ diversa. Sperava solo di poterla percorrere con Sarah. Mattie c’era già.
- Allora, chi fa il poliziotto buono e chi il cattivo? – chiese Woody distogliendolo dai suoi pensieri – Testa o croce?
- No, non sono uno da lancio della monetina. – rispose lui, memore di un topico momento – Io faccio il buono, OK? Se risulta colpevole, il mio superiore potrebbe anche assegnarmi la sua difesa. Non si sa mai…

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Capitolo 18
*** Wish you were here ***


Quel caso era un vero rompicapo. La tecnica collaudatissima in anni di esperienza, quella del buono e del cattivo, non aveva dato i risultati sperati. Eppure lui e Harm avevano recitato la loro parte con superlativa maestria, come un’affiatatissima coppia di detective metropolitani. Di Serio aveva ammesso solo di avere picchiato duramente la moglie. Del resto, i segni dell’anello sul corpo della vittima erano una prova schiacciante. Ma l’omicidio no, non l’aveva confessato. Non era crollato, né incalzato dalle sue minacce, né blandito dalle attenuanti messe sul piatto dal capitano. Nella testa di Woody frullavano più dubbi che certezze. Le tracce di una terza persona sconosciuta e, soprattutto, la cocaina. Il tenente non gli sembrava un consumatore di droghe e anche Harm, che di militari aveva molta più pratica di lui, condivideva la sua stessa impressione.
Ora il detective Hoyt aveva bisogno solo di rilassarsi. A casa, con Jordan e con Harm, il suo nuovo sorprendente amico che aveva invitato a cena. L’unico incerto della serata era che né lui né sua moglie erano cuochi di livello, quindi sperava di non deludere troppo il loro ospite.
 
 
-Buonasera, capitano! – disse Jordan accogliendo Harm.
- Harm. Soprattutto quando non sono in divisa! – le rispose lui con un sorriso, additando il suo abbigliamento tutt’altro che formale.
- OK, Harm! – Jordan prese la bottiglia di vino che lui le porgeva.
- Scusami, sono stato indelicato… ho pensato solo a noi maschietti!– sorrise Harm schermendosi, pensando alla disattenzione che aveva avuto nei confronti del suo stato– Ehi, Woody! Buonasera!
- Ciao Harm, benvenuto!
- Non ti preoccupare. Sono la figlia di un irlandese. Praticamente allattata con il whisky. Mio padre è un ex barista…
- … ed ex poliziotto – aggiunse Woody.
- Una specie di figlia d’arte,  insomma… - rise Jordan –
- Anche tu? Mio padre e mio nonno erano aviatori di Marina!
 
 
La cena si rivelò al di sopra delle aspettative.  “Per fortuna Jordan non ha bruciato tutto come al suo solito… e poi Harm non mi sembra un tipo schizzinoso. Non penso che la Marina abbia mai assunto degli chef francesi per cucinare il rancio”.
- Guarda che non mi chiamo Woody per Woody Allen. Nel Wisconsin nessuno è così colto. Sai, io sono un ragazzo di campagna. E’ lei la donna metropolitana. Nata e cresciuta a Boston. Mio padre era impallinato con i presidenti del passato. E così io mi chiamo Woodrow Wilson e il mio fratellino  Calvin Coolidge…
- Beh, almeno tuo padre era fantasioso. Pensa, il mio si chiamava Harmon Rabb! E io, a dispetto delle misure, sono Junior! – ribatté Harm, scherzando con leggerezza sulla scarsa inventiva del suo amato padre.
- Un po’ come Indiana Jones… Henry Jones jr! – suggerì Jordan.
- Più o meno – rise Harm.
- A proposito di ragazzi di campagna, non dimenticherò mai la prima volta che ti incontrai su una scena del crimine… - disse Jordan a Woody.
- Ah sì! Io le dissi che avevo voglia di lavorare in una grande città e che mi ero trasferito dal Wisconsin e lei mi disse “Si vede”…
- Ci credo, indossava una cravatta orrenda! – ricordò divertita la moglie.
- Avete l’aria di due che si conoscono da molto – disse Harm incuriosito.
- Eh già, da cinque anni. Ne abbiamo avute di avventure… - fece Woody.
- … e di alti e bassi sentimentali! Se non fossimo rimasti coinvolti in un disastro aereo, non ci saremmo nemmeno messi insieme… - confessò Jordan.
“Mi sembra una storia nota” pensò Harm “Due indecisi presi per i capelli… Ma loro sono tanto felici e affiatati…”
- Io non sono stato da meno. Ci ho messo ben nove anni a dichiararmi a Sarah, mia moglie. Ma anche lei non mi ha aiutato granché, a dire il vero… – disse Harm con una punta di amarezza, che i due sposini non poterono  non cogliere.
- Tutto OK, Harm? – chiese Woody.
- Diciamo di sì. Non voglio rovinarvi la serata con i miei problemi coniugali…
- Se vuoi sfogarti, non ti preoccupare… - propose amabilmente Jordan.
- No, lasciamo stare… Grazie comunque - rispose Harm con un sorriso che illuminò i suoi ospiti.
- Hai una figlia bellissima, Harm. Sai, Jordan, studia all’MIT! – disse Woody per cambiare argomento.
- Complimenti!
- Sì, è la mia figlia adottiva. Studia ingegneria. Voleva seguire le orme paterne ed entrare in accademia ad Annapolis, ma un brutto incidente di volo le ha fatto cambiare idea… Ma in fondo, che importa? A me va bene qualunque cosa la faccia felice… - disse Harm radioso – Tra un po’ scoprirete anche voi cosa vuol dire…
- Eh già… Non vedo l’ora di incontrare questa piccolina! – la futura madre si accarezzò il ventre.
- Hai visto come sono fritti Bug e Lily? Madeline sta mettendo i denti e piange in continuazione… -disse Woody rallentando un po’ l’entusiasmo della moglie – Dovrai proprio allentare la tua carriera di patologa… e di poliziotta!
- Woody, sei un genio! – esclamò Jordan baciando sonoramente il marito.
- Perché, cosa ho detto? Pensavo di averne sparata una delle mie… - fece lui con aria sorpresa.
- Woody, Harm… domani andiamo tutti e tre a casa Di Serio per la ricostruzione del delitto! – la dottoressa Cavanaugh era eccitatissima.
- Ricostruzione del delitto? – Harm inarcò le sopracciglia, molto sorpreso.
- Sì, una specie di gioco di ruolo che faceva con suo padre fin da piccola. Sarebbe stato meglio che giocasse con le bambole, ma con questa tecnica siamo riusciti a risolvere un sacco di casi… - spiegò Woody.
- Beh, proviamo anche questa strada… c’è quella faccenda della cocaina che non mi convince. E Di Serio… - disse Harm
- … non ha la faccia dell’uxoricida! – concluse il giovane detective. 
“Quando la smetterai di terminare i miei pensieri? …. E tu di iniziare i miei? …. Mac, quanto vorrei che tu fossi qui… e non lontana anni luce, nell’anima”.
- Ottimo Woody! Siamo perfettamente in sintonia – sorrise soddisfatto il capitano Rabb – Scommetto che risolvete tutti i casi…
- Non proprio tutti… - sospirò Jordan adombrandosi. Woody la abbracciò. C’era un solo caso che non era riuscita a risolvere, quello di sua madre. A dieci anni, tornando da scuola, aveva trovato suo padre che piangeva sulla soglia. La casa piena di poliziotti, non certo in visita di cortesia. E sua madre assassinata sul pavimento. Una ferita lacerante che a distanza di quasi trent’anni non si era ancora rimarginata nel cuore di Jordan. Un’ossessione che ancora la tormentava e di cui faticava a parlare, se non con le poche persone con cui condivideva tutta la sua vita.
Harm percepì che c’era in lei un turbamento molto forte. Un peso che la opprimeva interiormente e quasi la soffocava, nonostante la gioia di un marito innamorato e di una nuova vita che cresceva in lei. Lo intuì perché lui stesso aveva provato qualcosa di molto simile, per suo padre. Ora ne era guarito, ma la piaga che aveva portato per tanti anni nel cuore gli aveva insegnato che le parole hanno ben poco valore terapeutico. Non voleva invadere l’intimità di una persona che aveva appena conosciuto, ma l’empatia spontanea e naturale che provava per Jordan e Woody lo spingeva a mostrare loro la sua vicinanza. Notò che in un angolo della stanza c’era una chitarra acustica. Sì, ecco! La musica, il linguaggio universale che unisce tutti gli uomini, al di là di qualsiasi confine. L’unica medicina veramente efficace per ogni cuore sanguinante.
- Chi di voi suona la chitarra? – chiese con un sorriso.
- Io, mi rilassa un sacco -  fece Jordan più serena.
- Anch’io, sai? – confessò Harm.
- Questa è quella che Woody mi ha regalato come dono di nozze…  Ma ne ho anche un’altra nello sgabuzzino… Dai Woody, alzati  e valla a prendere!
- Sì, padrona! Mai contraddire una donna incinta… Non voglio mica trovarmi per figlia una Minotaura!
Harm e Jordan risero  di gusto. Poi Harm si alzò per passare alla donna il prezioso strumento. Aveva già intuito cosa intendeva fare la sua nuova amica.
- Forse non è molto accordata – disse Woody porgendo la chitarra vecchia ad Harm – Jordan non la suona da mesi.
- No problem. Si sistema in un minuto. Cosa vuoi suonare? – chiese Harm.
- La conosci “Wish you were here”?
- Pink Floyd… neanche a chiederlo! – “Ecco perché Hoyt l’ha sposata. Anche lei ha poteri telepatici…”
- Io sarò prima e tu sarai secondo… ?
- Lascio a te l’onore di essere David Gilmour… - fece Harm con un sorriso.
- Spero di riuscire a suonare decentemente, con questa pancia – scherzò lei.
Le note iniziarono a stemperarsi nella stanza. L’atmosfera prese a riscaldarsi, a divenire ancora più intima e familiare. Woody era deliziato nel sentire quell’armonia così perfetta, così dolce e coinvolgente. Era davvero felice che dal JAG fosse venuto il capitano Harmon Rabb jr. Lui, e nessun altro.
 
How I wish, how I wish you were here.
We're just two lost souls
Swimming in a fish bowl,
Year after year,
Running over the same old ground.
What have we found
The same old fears.
Wish you were here

 
 
Jordan pensava a sua madre. Quanto avrebbe voluto averla lì con sé, ad accompagnarla verso quel momento così bello eppure così fragile della sua vita. Un passaggio fondamentale e rischioso. Quello di essere madre, non solo nella carne, ma anche nell’anima.
Harm in quel momento aveva in testa solo Sarah. Abbracciarla, stringerla, donarle di nuovo tutto il suo cuore. Perdonarla per essere perdonato. Farle sentire che tutto sarebbe andato bene. E camminare di nuovo insieme a lei nel sentiero della vita.  

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Capitolo 19
*** Sulla scena del crimine ***


Woody ruppe i sigilli sulla porta dell’appartamento dei De Serio. “Tanto ce li ho messi io”, pensò e fece entrare Jordan  e Harm.
- Allora Jordan, tu fai Macey e io Mark – disse alla moglie, mentre Rabb si metteva in un angolo del salotto per osservare quello strano spettacolo.
- Stiamo litigando… forse per la droga – propose Jordan dando inizio alla ricostruzione.
- Sì, io voglio che tu smetta. Allora ti prendo con forza per un braccio… - aggiunse Woody mimando la scena.
- Io mi divincolo, ma tu mi stringi ancora più forte…
- Sono davvero arrabbiato e ti colpisco al viso col dorso della destra, con l’anello dell’accademia…
- Io cado all’indietro sul divano…
- Riesci a rialzarti, ma io continuo a colpirti. Tu mi insulti, allora io, fuori di me dalla rabbia estraggo la pistola e…
 


La porta dell’altra stanza si apre di colpo. Sulla porta compare un uomo basso ma molto muscoloso, armato di pistola. Woody fulmineo gli si lancia addosso per bloccarlo. Inizia una dura lotta.
- Jordan, scappa! – urla Harm mentre corre in aiuto del detective.

La donna si mette al riparo sul pianerottolo. In altre circostanze non sarebbe battuta in ritirata, ma ora suo marito ha un valido rinforzo. E lei non può certo mettere a rischio la vita della loro bambina.
Nella violenta colluttazione parte un colpo. Poi si sente Woody che grida:
- Polizia di Boston, la dichiaro in arresto!

Jordan rientra nell’appartamento con il cuore in gola. Woody ha bloccato a terra e ammanettato l’ospite indesiderato. Ma poco lontano, Harm giace a terra privo di sensi.

- 911… mandate un’ambulanza al 354 di Albany Street. C’è un ferito da arma da fuoco. Appartamento 7b. Sì, è privo di conoscenza…

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Capitolo 20
*** Condizioni critiche ***


-Sono la dottoressa Cavanaugh. Ho prestato i primi soccorsi – dice Jordan ai paramedici – Ha perso molto sangue… i parametri vitali ci sono, ma è ancora privo di conoscenza.
I soccorritori con un cenno d’intesa la lasciano salire sull’ambulanza.
-Sei un ragazzo fortunato, Harm – lo rassicura accarezzandogli i capelli – Il Boston Medical Center è dietro l’angolo… Non mollare!
 
 
 
Jordan camminava nervosamente su e giù per il freddo corridoio dell’ospedale. Harm era stato portato d’urgenza in sala operatoria e a lei non era stato permesso di entrare per assistere all’intervento. E Woody li aveva lasciati soli per concludere l’operazione di arresto e interrogare l’aggressore alla Centrale. La dottoressa provava un forte senso di disperazione e di impotenza. Era passata attraverso tante situazioni critiche e le aveva superate, nonostante tutto, con forza. Allora la tensione, la paura, e anche eventuali ferite erano sparite con facilità. Ma ora si sentiva fragile e spaurita come un uccellino implume caduto dal nido. “Maledetti ormoni!” rimproverò se stessa tentando di ricacciare indietro le lacrime. Si sentiva profondamente in colpa. Era stata lei a trascinarlo in quella messinscena che ora rischiava di costargli la vita. Un’immagine agghiacciante le danzava davanti agli occhi e lei in quel momento non si sentiva abbastanza forte da riuscire a scacciarla. Il corpo di Harm freddo e senza vita sul tavolo d’acciaio della sala autopsie, aperto dalla lama del suo bisturi.
Woody le si avvicinò piano e l’abbracciò. Jordan gli si abbandonò addosso, cercando il suo calore e il suo conforto. Lui le scostò i capelli dal viso e le asciugò le lacrime.
- Coraggio, amore. Il nostro amico capitano ha una fibra indistruttibile. Hai sentito quante ne ha passate? E’ scampato persino a un campo minato in  Afghanistan… è sopravvissuto su un F-14 schiantato. E ha tenuto duro per ore in mezzo all’Oceano.
- Non dovevamo andare in quel maledetto appartamento! Accidenti a me, quando mi è venuta quell’idea balzana…
- Smettila di rimproverarti. E poi Harm è di ferro. Ce la farà! Ora però vuoi ascoltare una buona notizia?
- Sì, va bene. – disse Jordan riprendendo la calma.
- Il palestrato dell’appartamento aveva addosso un chilo di cocaina.
- Era il pusher della Di Serio?
- Sì, George Hefkin… Uno schifoso che mandava in giro i ragazzini a spacciare. Oltre che schifoso, anche un gran furbacchione. Era riuscito a non farsi mai beccare…
- … ecco perché non avevamo né impronte né DNA – concluse Jordan – Mi stai dicendo che il caso è risolto?
- Sì. Bug me lo ha confermato. Ha fatto tutti gli esami. Il terzo uomo era lui. L’ho minacciato ed ha confessato. Non è tutto, era anche l’amante della vittima…
- …  e l’ha uccisa perché lei non voleva più coprirlo.
- Più o meno. Ho già avvertito la Walcott. Ora il caso passa a lei. Lo farà a pezzi in tribunale. – disse Woody tutto soddisfatto.
- Spero proprio che gli diano l’ergastolo. Anche per quello che ha fatto ad Harm.
- Harm… ora dobbiamo avvertire la sua famiglia e il JAG.
- Come facciamo? Ho qui il suo cellulare… possiamo cercare i numeri… Non mi va che sua moglie e sua figlia lo sappiano da qualche militare in divisa che si presenta alla porta…
- La moglie non la conosciamo nemmeno… ma a Boston c’è Mattie. Però è una ragazzina di diciotto anni… e io l’ho vista per cinque minuti…
- Woody, se Harm supererà l’intervento….
- … non dirlo neanche per scherzo. Quando Harm uscirà dalla sala operatoria…
- … avrà bisogno di avere accanto qualcuno della famiglia! Woody, devi chiamare la figlia. E’ la più vicina e almeno tu la conosci… anzi, valla a prendere! 
- Intanto però devo chiamare anche il JAG… Di Serio dovrà essere processato da loro per percosse, ma quello è il problema minore…
- Va bene, io resto qui ad aspettare.

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Capitolo 21
*** Io non ti lascio ***


Trr… Trr… il cellulare vibrò nella tasca di Mattie. Il professor Green stava assegnando la tesina di meccanica e la ragazza, tutta presa com’era dal suo docente preferito, non se ne accorse.
- Allora, signori. Come vedete questo è lo schema del motore a iniezione, su cui abbiamo già speso parte delle nostre lezioni. Come esercitazione di laboratorio vi assegno un progetto, da svolgere  da soli o a piccoli gruppi. Non più di quattro studenti, però. Al rientro dalla pausa natalizia mi dovete presentare una applicazione pratica dell’uso di questo motore.
- Dobbiamo portarle solo il progetto o anche un modello in scala? – chiese uno studente allampanato dal fondo dell’aula.
- I modelli sono ben accetti, anche se non obbligatori. Mi accontento anche solo di una riproduzione virtuale in 3D. Progetti realistici, però. Non voglio vedere né razzi spaziali né lavatrici che camminano da sole… OK,  Sanders?
Tutta la classe scoppiò a ridere, mentre il ragazzo che aveva fatto la domanda arrossì fino al midollo
- Sono a vostra disposizione per tutti i chiarimenti del caso nelle mie ore di ricevimento. Potete avvalervi anche della consulenza degli assistenti del Dipartimento di elettronica, il dottor Stuart e la dottoressa Waits. Buon lavoro, ragazzi, e arrivederci alla prossima settimana.
Green si tolse gli occhialetti tondi, prese il fazzoletto dalla tasca della giacca e iniziò a detergersi il sudore dalle guance rubizze e ispide.
Trr.. trr…  Raccogliendo il netbook e il manuale di meccanica, Mattie si accorse finalmente che qualcuno la stava cercando. Un numero sconosciuto.
- Pronto!
- Ciao Mattie! Sono Woody, ti ricordi di me? – fece una voce maschile dall’altra parte.
“Il poliziotto carino che mi ha presentato Harm. Uau… ma cosa vorrà?” pensò la ragazza passando di botto dall’eccitato al preoccupato.
- Mattie, ascolta. Io sono qui all’MIT, davanti all’ingresso dell’edificio A. Ci possiamo vedere?
- Sei qui… ma cos’è successo? Qualche studente pazzo ha accoltellato un prof? – scherzò la ragazza.
- Mi puoi raggiungere? – rispose lui con tono serio.
- Sì, certo. Arrivo tra cinque minuti.
 
 
 
Il viso di Woody era molto tirato. Mattie aveva già vissuto più volte la tragedia sulla sua pelle. Non aveva dimenticato quando, una notte, aveva ricevuto al telefono la notizia della morte di sua madre. O quando Harm aveva maldestramente tentato di nasconderle che Tom, suo padre, era riprecipitato nell’alcolismo e l’aveva abbandonata. Si avvicinò al poliziotto presagendo già che fosse successo qualcosa di brutto.
“No, Harm, no! Non puoi lasciarmi anche tu!”
- Ciao, Mattie – disse il detective mettendole una mano sulla spalla.
- Ciao. E’ successo qualcosa ad Harm? – chiese la ragazza con l’angoscia negli occhi, sperando di essere smentita.
Woody l’abbracciò d’istinto – Non ti preoccupare, andrà tutto bene – le disse stringendola forte – E’ stato ferito… lo stanno operando. Ma andrà tutto bene, non avere paura.
“Sono io che gliel’ho tirata… quando gli ho detto di non farsi sparare da qualche delinquente”
- Vieni, cara. Ti porto da lui.
Mattie annuì e lo seguì docilmente, a testa bassa.
 
 
 
All’ospedale Mattie fu condotta da Woody al reparto terapia intensiva, dove Harm era stato portato subito dopo l’intervento chirurgico. Nel corridoio c’era una giovane donna incinta che guardava attraverso il vetro. Aveva un’aria molto stanca e preoccupata.
- Ciao, Jordan – fece Woody mettendole un braccio intorno alle spalle – Ecco Mattie, la figlia di Harm.
- Ciao, cara. Io sono la moglie di Woody – disse la donna alzando la testa e facendo una carezza alla ragazza.
- Piacere. Ma che cosa è successo? Non mi raccontate bugie, vi prego!
- Harm è stato colpito da uno spacciatore, il vero colpevole del caso su cui stava indagando con Woody. L’hanno operato per estrarre il proiettile. Ha perso tanto sangue, ma per fortuna la pallottola non ha leso i centri vitali.
- Posso andare da lui? – chiese Mattie guardando con ansia al di là dal vetro. Nella stanzetta dalla luce soffusa, Harm era inchiodato al letto in una nuvola di fili che lo collegavano ai monitor di controllo.
- Dobbiamo aspettare il medico – le rispose Woody.
- Devo avvertire Sarah… scusatemi - disse la ragazza allontanandosi di alcuni passi per telefonare.
“Povera ragazza!” pensò Jordan “Ha perso tutti, non può perdere anche Harm”. Ora che aveva conosciuto Mattie, si sentiva ancora più in colpa.
 
 
 
 Mattie entrò in punta di piedi per non disturbare il sonno di Harm – Dobbiamo aspettare almeno 48 ore per sciogliere la prognosi. Per ora lo teniamo in coma farmacologico. Ha subito un trauma importante. E anche l’intervento è stato difficile. Può entrare solo la figlia, per pochi minuti, però – aveva detto il medico con un’espressione molto seria.
- Papà… sono qui – sussurrò avvicinandosi e prendendogli la mano – Sono stata davvero una sciocca a dirti di non farti sparare! Te l’ho tirata… - Si mise a piangere. Non poteva sopportare di vederlo in quello stato, lui così forte e indistruttibile, con il torace fasciato e la mascherina dell’ossigeno, attaccato a  macchine che tenevano sotto controllo i suoi parametri vitali – Papà… non farmi brutti scherzi, capito? Non mollare. Tu sei forte. Abbiamo ancora tante cose da fare. Navigare nel Mediterraneo, sciare ad Aspen, volare sul monte Mc Kinley. Devi venire alla mia laurea. E poi voglio dei fratellini. Non mollare. Guarda che io non ti lascio.

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Capitolo 22
*** Perdonami, Harm ***


“Stiamo per atterrare all’aeroporto Logan di Boston. Allacciate le cinture di sicurezza”. La voce della hostess nell’altoparlante riscosse Mac dallo stato di torpore a cui si era abbandonata nell’inane tentativo di non pensare. “Hanno sparato ad Harm”.  Chiudere gli occhi non le era servito a nulla.  Angoscia, tormento, paura non l’avevano abbandonata un secondo. Quelle parole di Mattie le rimbombavano nella testa come un tuono minaccioso. E la conferma era arrivata anche da Cresswell, avvertito in via ufficiale dalla Polizia di Boston. “Hanno sparato ad Harm”.  Davanti agli occhi di Mac, la porta del futuro sembrava chiudersi inesorabilmente. L’aereo aveva cominciato la sua discesa. Un fragore assordante, come di migliaia di sistri d’argento, le spaccava i timpani. Non aveva mai avuto problemi in volo, ma quella volta le sembrava di impazzire. C’era come un trapano che le sfracellava il cranio e lei non vedeva l’ora di essere a terra.  Anche se laggiù anche l’ultimo barlume di speranza si era forse smorzato per sempre. Le parole crudeli che gli aveva rivolto, il suo ostinato chiudersi in se stessa, l’ossessiva ricerca della maternità che l’avevano portata a considerarlo non più il compagno della sua vita, ma come un mero strumento di riproduzione… tutto ricadeva sulla sua testa come una fitta grandinata di piombo. Voleva avere ancora cinque minuti con lui. Per guardarlo negli occhi almeno un’ultima volta e chiedergli perdono.
 
 
Salendo in taxi diretta al Boston Medical Center, Mac riaccese apaticamente il cellulare. La città si stava pigramente risvegliando nella mattina tardo autunnale. Gli alberi dei viali, ormai spogli delle loro dorate corone, non facevano che amplificare la malinconia e la colpevole angoscia che lei covava nel cuore. E l’area nebbiosa e plumbea le schiacciava l’anima con oscuri presagi.
Bip. Bip. Un sms in arrivo. Stava per cancellarlo – “La solita pubblicità da risveglio”- quando si accorse che era di Harriet.
“Carissima Sarah, ti siamo vicini. Un abbraccio fortissimo, B&H”.

Quelle poche parole le riscaldarono il cuore e le riaccesero un barlume di speranza. I suoi amici l’avevano perdonata, anche se era stata davvero orribile con loro. Ora sentiva che anche Harm l’avrebbe fatto. Non poteva lasciarla così.
“Aspettami, amore mio. Sto arrivando”.   
 
 
All’ospedale trovò Mattie addormentata su una sedia in corridoio, con la testa abbandonata sulla spalla di una sconosciuta che le accarezzava i capelli. La notte doveva essere stata molto dura. Sui loro volti tensione, stanchezza e dolore si fondevano, stravolgendo i loro lineamenti.
 
 
Jordan aveva vegliato tutta la notte con Mattie, davanti alla stanza di Harm. – Resto io qui con lei – aveva detto a Woody – Tu domani devi andare al lavoro. Io ho già parlato con Garrett e mi ha dato un permesso. Meglio assecondarla, la psicopatica incinta, se non vuole ritrovarsi steso in Autopsia 1… E poi me la cavo discretamente con i ragazzi, non dimenticare che ho avuto in affido Kyla per un mese -. All’alba la ragazza era crollata tra le sue braccia e lei era rimasta a custodire dolcemente il suo sonno e quello di Harm, ancora in coma al di là del vetro. “Non temere piccolina, tra un po’ tuo padre si sveglierà e tutto tornerà come prima. Meglio di prima”.
La dottoressa, con gli occhi tirati e appesantiti dalla terribile nottata insonne, scorse una donna che stava percorrendo il corridoio con passo trafelato. Quando fu più vicina a loro, capì che era la moglie di Harm. Destò Mattie con una carezza e si alzò per accogliere Sarah con un greve peso sul cuore. Nonostante la lunga esperienza all’obitorio, non era ancora vaccinata al dolore.
- Buongiorno… - disse Jordan tendendole la mano.
- Sarah! – Mattie si riscosse dal sonno e le buttò le braccia al collo. Mac se la strinse forte, vicino al cuore, e scoppiò a piangere.
Jordan si allontanò per non disturbare la loro intimità e per cercare il medico di guardia.
- Potete entrare da lui. Il medico ha dato l’OK – disse ritornando dopo alcuni minuti.
- Grazie, di tutto – fece Mac prendendole con calore la mano tra le sue.
La dottoressa Cavanaugh sorrise. Mattie l’abbracciò forte. Quella donna appena conosciuta, con dolce discrezione,  le aveva infuso una forza inattesa.
 
 
Harm continuava a dormire il suo sonno chimico, sereno ma imperscrutabile.
- Mamma, – disse la ragazza con spontaneità - non avere paura! Papà si sveglierà presto… Ora però stai un po’ sola con lui… Ne avete bisogno.
 
Rimasta sola nella fredda stanza in penombra, Mac si accostò con timore e tremore al capezzale di suo marito. Vederlo così debole e indifeso la inondò di angoscia e al contempo di tenerezza. Avrebbe voluto proteggerlo, combattere contro quel mostro che se lo voleva portare via. Gli prese la mano tra le sue e gli parlò dolcemente.
- Perdonami, Harm. Sono stata cocciuta, ossessiva ed egoista. Tanto egoista. Avevo la cosa più preziosa del mondo e l’ho fatta in mille pezzi. Ti ho fatto soffrire senza motivo. Tu mi chiedevi  di condividere con te tutta la mia vita, come tu facevi con me. Ma io mi sono chiusa nelle mie paure e nelle mie fissazioni. Mettere al mondo un figlio dovrebbe essere un gesto d’amore, ma io ne ho fatto una questione di orgoglio personale. L’ho capito solo ora. I figli sono figli, comunque vengano. La cosa che conta è il cuore. Quando me lo dicevi io non ti ascoltavo nemmeno, ero troppo piena di me per farlo. E ora, anche se vorrai lasciarmi, non importa. Mi importa soltanto vederti felice.

Sarah non sapeva se Harm riuscisse a sentirla. Ma il solo fatto di avergli spalancato il suo cuore, senza protezioni e senza infingimenti, come mai aveva fatto davvero con lui, cominciò a infonderle serenità. La tensione delle ultime ore si stava allentando e veniva sostituita da una tenue ma persistente speranza. Harm si sarebbe ridestato dal coma e la vita sarebbe andata avanti. In qualunque modo.
Le mancarono le forze. Si abbandonò a sedere su una poltrona in un angolo. Solo in quel momento si rese conto che Mattie, poco prima, in quella stessa stanza semibuia, le aveva fatto il più bel dono che potesse desiderare. E pianse di gioia.

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Capitolo 23
*** Risvegli ***


- Abbiamo sospeso il coma farmacologico. Ora dobbiamo solo aspettare che si risvegli da solo.
Così aveva sentenziato il medico, tre giorni prima, ma il bell’addormentato non mostrava ancora l’intenzione di destarsi.
Woody era andato in ospedale per vedere come andavano le cose. Lui e Jordan avevano deciso di cercare di stare il più possibile vicini a Sarah, compatibilmente con i loro stressanti impegni di lavoro. Si sentivano entrambi in colpa per quello che era successo e, anche se avevano passato pochissimo tempo con lui, si sentivano affezionati ad Harm.
- Ciao, Sarah –  le disse  sorridendo.
- Ciao – rispose lei con aria mesta – Niente di nuovo… - e indicò Harm ancora inchiodato al letto.  
- Non ti preoccupare. Sai, ti capisco bene – soggiunse lui mettendole una mano sulla spalla – anch’io ho vissuto una situazione simile. Otto mesi fa Jordan ha subito un delicatissimo intervento per la rimozione di un grosso meningioma. Io e gli altri ragazzi dell’obitorio – siamo tutti una famiglia, sai?- l’abbiamo vegliata a lungo. Coraggio, Harm si sveglierà presto. E tu non sei sola
Mac sorrise debolmente.
 
 
Il freddo gelido che penetra fin nel midollo. Sarah ubriaca che vomita. Le onde altissime dell’oceano. Le pale frenetiche degli elicotteri di soccorso che si allontanano. Un uomo armato. Woody, Jordan… Il respiro caldo di Skates che lo riporta alla vita. Jordan che gli accarezza i capelli e dice “Non mollare”…
Harm riaprì gli occhi. Un soffitto azzurro sopra di lui. La penombra. Spossatezza e torpore addosso. Girò debolmente la testa e vide Mattie e Sarah, la sua Sarah, vicino al suo letto. Avevano un’aria così affranta che lo fecero preoccupare.
- Ehi! – disse con un filo di voce.
In un secondo le due donne della sua vita furono sopra il suo viso.
- Harm, amore mio!
- Papà!
- Non ricordavo che foste così belle…
Entrambe sorrisero. Mac in particolare rammentò con immensa gioia che lui le aveva detto le stesse parole in Paraguay, all’Hotel Nuevo Simpatico, dopo averla strappata alle grinfie spietate di Sadik Fahd. Il suo amato Harm era davvero ritornato.
- Ora però lasciatemi respirare – disse lui centellinando il fiato ancora debole.  
 
 

-Perdonami, Harm. Sono stata ossessiva, cocciuta, egoista. Tanto egoista… - esordì Mac quando furono soli.
- Sst, tesoro. Perdonami tu. Anch’io non sono stato da meno. Non riuscivo a capire quanto tu stessi soffrendo…Mac si chinò su di lui per baciarlo.
- Ahi! Fai piano, per favore… Sto insieme solo con la colla e i punti – scherzò lui, reprimendo una smorfia di dolore.
- Scusami, Harm.
- Basta con le scuse. Avremo tempo per parlare… tutta la vita, più o meno…
Lei sorrise rincuorata.
- Sarah, cara… Sai dove sono le mie cose? – chiese lui un po’ preoccupato.
- La divisa è andata…
-… poco male.
- Ma Jordan aveva preso in consegna il resto… l’orologio, gli anelli, le decorazioni e il distintivo. Li ho nella borsa.
- Prendi l’anello, Sarah… - chiese Harm sussurrando dolcemente.
-Quello dell’Accademia? – ribatté lei facendo finta di non capire.
Harm inarcò le sopracciglia e la guardò dritta negli occhi.
- Vedi? – disse alzando debolmente la mano sinistra e mostrandole l’anulare nudo.
-Sì, eri molto arrabbiato con me… me lo meritavo… - disse Mac con aria molto sconsolata.
- Sst… lasciami parlare. Ho tolto l’anello… non per rabbia o per rifiuto… - riprese fiato – ma per tenere su di me il segno di una ferita. Il segno del mio amore per te – sospirando ancora, dopo una lunga pausa di silenzio, durante la quale la moglie stava in trepidante attesa - Mettimi come sigillo sul tuo cuore, come sigillo sul tuo braccio, perché forte come la morte è l’amore.
Mac si commosse fino alle lacrime.
- Dai, non fare la sentimentale, Mac!
- Senti chi parla… - protestò lei asciugandosi le guance.
- Mi vuoi rimettere la fede, mia cara sposa? – chiese Harm scrutandola con i suoi occhioni spalancati.
Mac prese l’anello dalla borsa e glielo infilò al dito.
- Ti amo, Harm – disse baciandogli e accarezzandogli la mano.
Harm sentì il cuore riempirsi di una gioia nuova, carica di speranza. Al contrario di lui, Sarah era sempre stata un po’ avara nelle manifestazioni verbali. Preferiva essere rassicurata e confermata da lui, piuttosto che aprirgli il suo cuore. Ora davvero una nuova luce si apriva sul futuro.   
 
 
 
Harm era seduto a letto, alle prese con il fiero pasto ospedaliero.
- Blerr! Si mangiava meglio sul sottomarino russo – esclamò poco soddisfatto.
- Dai, Harm! Non fare lo schizzinoso. Dopodomani ti dimettono – lo consolò la moglie.
Woody e Jordan fecero capolino sulla soglia.
- Guarda, brontolone! Hai visite… - disse Mac.
- Ciao, caro. Come va? – Jordan lo salutò con un sorriso.
- Ehi, ragazzi! Che piacere vedervi! – disse Harm prendendo la mano di Woody.
- Il caso è risolto. – gli comunicò il detective – Avevamo visto giusto. Di Serio non era l’assassino… il vero colpevole è già dentro. Con l’aggravante del tuo ferimento e di spaccio di droga.
- Fantastico! Giustizia è fatta! – disse Harm sorridendo – E Di Serio?
- Lo processerete solo per aggressione. È venuto un tuo collega a prenderselo… un tenente giovane, un autentico pallone gonfiato!
- Vukovic – dissero in coro Harm e Mac, ridendo.
-Sì, proprio lui!
-Ancora una volta siamo sulla stessa lunghezza d’onda, amico mio – disse Harm strizzando l’occhio a Woody.
Mac e Jordan scossero la testa ridendo di gusto.
- Jordan, sono in debito con te. Mi hanno detto che sei stata tu a salvarmi la vita.
La dottoressa Cavanaugh sorrise. Era una gioia insolita e straordinaria salvare una vita, per lei che aveva sempre e solo a che fare con i morti.
- Non perdiamoci di vista, eh? Vogliamo conoscere questa piccolina – disse Mac accarezzando la pancia di Jordan.
Harm osservò estasiato quella tenera scena. Negli occhi di sua moglie c’erano pace, gioia e serenità.

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Capitolo 24
*** Anno nuovo, vita nuova ***


Harm si sentiva come nato a nuova vita. Il ritorno a casa, la sua casa, era stato foriero di notevoli e inevitabili novità.  Al tedio e alla tempesta dei mesi precedenti era subentrata una dolce e apparente tranquillità, che lo lasciava però inappagato e inquieto. Temeva infatti che il buon rapporto che si era instaurato tra lui e sua moglie  fosse un fuoco di paglia. Harm sentiva l’urgenza di un vero ubi consistam, per costruire qualcosa che andasse al di là delle promesse che si erano scambiati in ospedale, presi dall’emozione del momento critico. Era consapevole del fatto che con le loro sole risorse non sarebbero riusciti a progredire molto nel loro cammino insieme. Aveva quindi proposto a Mac di chiedere aiuto a uno specialista e affrontare insieme una psicoterapia. Lei, a tutta prima un po’ restia, si era lasciata convincere. E ora la pace e la serenità del nido si stavano lentamente e faticosamente ricostruendo. Ma lo sforzo profuso non gli sembrava più vano, come in passato.

- Cara, a cosa stai pensando? – chiese alla moglie vedendola molto pensierosa.
- Niente, Harm. Niente di importante – rispose lei.
- Non è possibile. È da cinque minuti che ti sei incantata a fissare il piatto. So che i broccoli non ti fanno impazzire… ma da qui a farne un oggetto di approfondita indagine filosofica…
- Non lo so…
- “Non lo so” è un’espressione proibita. Vuol dire evitare il problema – fece lui con tono scherzoso.
- Oh no! Non parlare come il dottor Benjamin… Mica siamo in seduta!
- No, certo… ma dobbiamo fare tesoro delle sue indicazioni. Allora, cosa c’è che ti preoccupa tanto?
- Pensavo... tra pochi giorni sarà Natale. Anche se con Bud e Harriet le cose si sono sistemate, non mi va di festeggiare con loro. Vorrei rimanere a casa, con te e con Mattie.
- Tutto qui? – disse Harm inarcando le sopracciglia – Hai ragione, amore. È un’ottima idea. Dopo il trambusto delle ultime settimane sarà bello starcene noi tre soli, nell’intimità della nostra famiglia.
Mac sorrise. Ora finalmente, dopo tanti dubbi e angosce, anche lei si sentiva davvero parte della famiglia Rabb.   
- A proposito di famiglia, che ne dici di riprendere quel discorso lasciato a metà? – fece lui prendendole la mano e guardandola dritta negli occhi.
- Quale? – Mac era stupita e sorpresa.
- Non vorrei mettere troppa carne al fuoco, ma… dopo le feste, quando riapriranno gli uffici dei servizi sociali… che  ne dici di avviare le pratiche per l’adozione? Non faccio che pensarci da quando siamo tornati da Boston!
- Va bene, tesoro mio!  
 
 
  
Anno nuovo, vita nuova. Era questo che Harm si andava ripetendo in quei giorni. Le festività natalizie erano trascorse serenamente. Mattie era stata quasi tutto il tempo al pc, per terminare il suo progetto di meccanica – “Per quelle nozioni di base che ho, mi sembra un ottimo lavoro. Anche questa volta rapinerai un’A+…” le aveva detto lui con orgoglio – oppure per chattare con gli amici dell’MIT. E lui ne era naturalmente un po’ geloso. Finalmente arrivò il giorno fissato per l’inizio dell’istruttoria per l’adozione. Sia lui che Mac erano molto tesi ed emozionati. Entrarono tenendosi per mano nell’ufficio della signora Gray, l’assistente sociale che si occupava di affido e adozione.
 
- Da quanto tempo siete sposati? – chiese la Gray dando inizio alle domande.
- Quasi due anni – rispose Harm.
- E vi conoscete da molto?
- Da dodici – disse Mac con un sospiro.
- Qualcosa che non va, signora Rabb? – l’assistente sociale la scrutò attraverso le spesse lenti da vista.
- No, niente…
- Siete consapevoli del fatto che adottare non è una cosa semplice?
- Certo, sappiamo che la procedura è complessa… e poi, noi non siamo più così giovani – disse Harm sfoderando il suo irresistibile sorriso.
- Non mi riferivo a questo… l’adozione non è avere un figlio per soddisfare un proprio bisogno, ma dare una famiglia a un bambino – disse un  po’ bruscamente la signora Gray.
“E’ quello che ho fatto con Mattie, anche se non era proprio una bambina…” pensò lui.
- Ne siete davvero coscienti?
- Sì – disse Harm con decisione.
- E lei, signora?
- Sì – Mac era un po’ meno convinta, ma riuscì a non farlo trapelare. Il duro addestramento dei Marine ha i suoi vantaggi, in fondo.
- Signora Gray – intervenne lui – siamo perfettamente consapevoli del passo che stiamo affrontando. Ne abbiamo parlato a lungo e siamo disponibili ad accogliere bambini di qualunque età… anche fratelli, nel caso se ne presenti l’occasione…
- Un impegno piuttosto ambizioso, il vostro. Cosa ne pensate dell’adozione aperta? – chiese l’assistente sociale, proseguendo la sua indagine conoscitiva.
- Non abbiamo nessuna preclusione – rispose Mac – In fondo, è giusto che un bambino conosca le proprie origini…
- Bene, questo è stato un primo incontro informativo. Se siete ancora dell’idea, nei successivi mi affiancherà la psicologa del centro, la dottoressa Finnegan.
“Un’altra strizzacervelli…” pensò sconsolata Mac.  
- Dovrete ripercorrere la vostra storia personale e familiare, per chiarire le vostre motivazioni. Serve più a voi che a noi, credetemi. Poi parleremo anche delle prospettive future… dell’ideale genitoriale che vi siete formati, insomma… e vi faremo dei test su possibili situazioni critiche.
- Va bene, siamo pronti – fece lui.
-Dovremo anche prendere informazioni su di voi, dai vostri parenti, amici o datori di lavoro, per poter valutare al meglio la situazione.
“Fantastico!” si disse Harm.
- Sappiate che la strada è tutta in salita. Non lo dico per scoraggiarvi, ma solo a titolo informativo. Terminata l’istruttoria, potreste dover aspettare mesi, oppure anni… Non è facile trovare l’abbinamento giusto. Vorremmo evitare al massimo di fare errori sulla pelle dei bambini… non sempre quello che sembra ottimale sulla carta funziona poi in concreto…
- Certo, non ci sono problemi da parte nostra – disse lei. Harm annuì.
 
 
 
Nonostante la signora Gray avesse prospettato loro un percorso tutt’altro che lineare e idilliaco, i coniugi Rabb uscirono soddisfatti da quel primo colloquio. Harm in particolare era molto fiducioso. Sapeva che doveva tenere i piedi ben saldi per terra, ma la sua mente volava alto e l’agile speranza precorreva già il lieto evento che, ne era sicuro, prima o poi avrebbe rivoluzionato totalmente le loro vite.
 
- Pronto, mamma?
- Harm, caro. Come stai?
- Bene, mamma. Scusa, mi potresti mandare a Washington quella cosa di cui parlavamo l’altro giorno?
- Sì, tesoro mio. Te la spedisco subito. La riceverai nel giro di pochi giorni.
- Grazie, mamma. Sei unica!   

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Capitolo 25
*** Annunciazione ***


L’estate era già alle porte. Mac era piuttosto abbattuta. La signora Gray non si era più fatta viva, e lei si era ormai convinta che la pratica dell’adozione non avrebbe portato a nulla. Harm non condivideva questo suo pensiero negativo, anzi continuava a coltivare in cuor suo una solida speranza che cercava in tutti i modi di infondere anche alla moglie.


- Che bella questa cornice digitale! – disse Harriet.
- È un regalo di Mattie. Me l’ha portata quando è venuta a casa per le vacanze di Pasqua – fece Mac.
- Davvero un’ottima idea. Molto meglio che tenere le foto chiuse in un album, in un cassetto. Così puoi avere sempre sotto gli occhi i bei ricordi che ti scorrono davanti. Bisogna che ce ne compriamo una anche noi. Ma che graziosa questa piccolina… chi è?
- È Harmony, la figlia di Woody e Jordan. I nostri amici di Boston – rispose Mac.
- Jordan, la dottoressa?
- Sì. Non siamo ancora riusciti a rivederci, così ci hanno mandato alcune foto via email…
- Che carina! Non mi dire che…
- Eh sì, l’hanno chiamata così proprio in onore di Harm.
- E bravo il nostro capitano Rabb, continua a far strage di cuori! – rise Harriet.
Mac non poté far a meno di condividere l’allegria della sua migliore amica. Il simpatico momento fu interrotto dallo squillo del telefono.

- Pronto.
- Signora Rabb? – chiese una voce femminile dall’altro capo – Sono Martha Gray, l’assistente sociale.
- Buongiorno, signora Gray. Mi dica…
- La sto chiamando perché dai servizi sociali di Miami mi è stato sottoposto il caso di due fratellini. Io e la dottoressa Finnegan abbiamo studiato tutti gli incartamenti e abbiamo sentito di colleghi di là.
- Sì.
- A seguito di un’accurata valutazione del caso e del vostro profilo genitoriale, abbiamo pensato a voi.
- Grazie, signora.
- Dovreste passare qua in ufficio nei prossimi giorni.
- Sì. Mi scusi, la posso richiamare più tardi per fissare l’appuntamento? Devo sentire anche mio marito.
- Ovviamente. In quell’occasione, se sarete ancora dell’idea, vi darò i recapiti dei colleghi di Miami, che vi accompagneranno a conoscere i bambini.
- Grazie, signora Gray! A presto.
- A risentirci, signora Rabb.
Mac attaccò il telefono con un’aria radiosa.

- Buone notizie? – chiese Harriet con un sorriso. Sapeva dell’istruttoria per l’adozione e sperava che si trattasse proprio di quello.
- Buonissime, Harriet… ci sono due bambini a Miami che aspettano una nuova famiglia… - rispose l’amica commossa.
- Sono felicissima per voi! – disse raggiante Harriet. “Anche i bambini aspettano, non solo le mamme” pensò.
E l’un l’altra abbracciava.
 


 
Harm si sentiva al settimo cielo. L’uomo più felice del mondo. Il loro viaggio sarebbe stato difficile e tempestoso, ne era ben consapevole, ma avrebbe portato a un porto saldo e sicuro. Finalmente nella famiglia Rabb non ci sarebbero più stati né orfani, né figli unici. Dopo l’incontro con la signora Gray, si era messo in gran segreto a preparare un nido tenero e accogliente ai due piccolini. Li portava già nel suo cuore, pur avendoli visti solo in fotografia. E voleva fare una bella sorpresa alla sua Sarah.
- Harm, non trovo più la chiave della camera degli ospiti! Dove l’hai cacciata? – chiese Mac.
- Non guardare me… io sono ordinatissimo! – rispose Harm con sorrisetto.
- Sì, certo… potrei far pagare il biglietto, per il tuo museo delle cianfrusaglie. Dove li mettiamo a dormire, i bambini?
- Beh, su delle amache… sono  comodissime – rise lui.
- Il solito cretino… - fece lei un po’ seccata.
- Dai, amore. Ci penseremo al ritorno. Ora però rischiamo di perdere l’aereo…

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Capitolo 26
*** Gabriel e Maria ***


-Malcom Jackson, piacere di incontrarvi – lo psicologo dei servizi sociali era un trentenne afroamericano – Non fatevi ingannare dal mio aspetto da giocatore dell’NBA…
Harm e Mac sorrisero. Non avevano certo il costume di giudicare le persone dall’apparenza. E la loro lunga esperienza di avvocati faceva loro intendere che quel ragazzone dal largo sorriso empatico e dalla stretta di mano energica doveva essere un ottimo professionista.
-… vedetela come una sorta di abito di scena – disse indicando la sua tuta da ginnastica – un modo per entrare meglio in confidenza con i bambini e i ragazzini. È dura per un uomo, in un ambiente di lavoro tutto femminile. Come se l’universo dei bambini fosse di appannaggio solo delle donne…
“Questo Jackson è proprio un tipo a posto” pensò Harm.
-Scusatemi, sono un gran chiacchierone. Ma veniamo al nostro caso. Gabriel e Maria Garcia Iguaràn, 4 mesi e 4 anni, sono due fratellini rimasti da poco orfani. I genitori, Aureliano e Tranquilina erano due giovani cubani, con regolare permesso di soggiorno. Due persone semplici, ma del tutto integrate nella comunità, molto ben volute…
-I bambini sono cittadini americani? Così ci hanno detto ai servizi sociali di Washington – disse Mac.
-Sì, sia Maria che Gabriel sono nati qui. I loro genitori sono immigrati  quando non avevano ancora vent’anni. Dopo l’incidente abbiamo cercato di contattare i parenti a Santiago de Las Vegas, ma non abbiamo trovato nessuno disponibile ad accogliere i bambini.
-È comprensibile. Con tutti profughi che attraversano il mar dei Caraibi su dei barconi… - concluse Harm.
-Eh, già. I Garcia Iguaràn vedono la disgrazia come un’occasione per i bambini di avere una vita migliore. Dovete capirli… - disse lo psicologo.
-Certamente – sorrise Mac.
-E così è stato dichiarato il loro stato di adottabilità. Ora Gabo…
-Gabo? – chiese Harm stupito.
-Sì, lo chiamano tutti così. Come dicevo, ora Gabo e Maria sono ospiti di un’anziana signora della parrocchia che già si occupava di loro quando i genitori erano al lavoro.
-È un’ottima cosa. Molto meglio che finire in una casa famiglia, tra persone sconosciute – disse Harm, ricordando quando anche Mattie aveva rischiato di essere affidata allo Stato. 
- Ora andiamo, la signora Kincaid ci aspetta – propose Jackson.
 
 

 
Wanda Kincaid era una vedova settantenne che abitava in un condominio di periferia.  
- Buongiorno, Malcom! –
- Harmon e Sarah Rabb, la signora Kincaid – disse Jackson facendo le presentazioni.
- Chiamatemi Wanda – disse sorridendo la piccola signora con gli occhi azzurri e una gran testa di riccioli grigi.
- E io sono Harm – fece Harm stringendole la mano con calore.
- Siete venuti a conoscere questi due piccoli tesori…

Mac e Harm annuirono sorridendo. In quel momento fece capolino dall’altra stanza una graziosa bambinetta con le treccine e una tutina gialla. Maria. La piccolina si strinse a una gamba di Malcom e cominciò a scrutare i due sconosciuti con i suoi occhioni scuri.
- Ehi, Maria! Cara, vieni… questi due nuovi amici sono venuti a conoscerti… si chiamano Sarah e Harm – disse Wanda.
- Ciao – fece timidamente la bambina, senza muoversi e continuando a fissare Harm e Mac con occhi indagatori.
- Ciao – dissero loro. Mac si avvicinò a Maria e le fece una carezza. La bambina rispose con un sorriso. Anche Harm le si accostò, ma lei mise su il broncio.
- Sei brutto! – gli disse fissandolo.
L’aspirante padre si sentì a dir poco abbacchiato. Mai nella vita un essere di genere femminile l’aveva disprezzato a quel modo. E sentirsi rifiutato da quella che doveva divenire sua figlia rischiava di portare ai minimi storici la sua incrollabile autostima.
- Tesoro, facciamo conoscere a Harm e Sarah anche il tuo fratellino? – disse lo psicologo accarezzando la testolina di Maria e guardandola dritta negli occhi.
La bambina tese una mano a Mac e una a Malcom e li condusse nella sua cameretta. Harm si tenne qualche passo indietro, insieme alla signora Kincaid. A debita distanza. “Maria potrebbe anche mordere questo mostro bruttone” pensò.
Nella piccola stanza, accanto a un letto con le lenzuola colorate, c’era una culla di vimini. Maria si aggrappò al bordo, con l’aria fedele e protettiva di un cane da guardia.
- Gabo – disse con orgoglio agli adulti.
Mac e Harm, incoraggiato amorevolmente dalla signora Wanda che lo spinse in avanti, si chinarono sulla culla. Un bambolotto con gli occhioni scuri e la testolina piena di capelli rispose gaiamente al loro sorriso, poi si rabbuiò improvvisamente e si mise a frignare.
- Non vi preoccupate – li rassicurò la Kincaid. – E’ l’ora della pappa. Quando ha fame, non c’è santo che tenga…
- Gabo mangia sempre. Lui è piccolo – sentenziò la sorellina con tono un po’ saputello – Io sono già grande. Vuoi vedere Arcadio? – chiese a Mac.
- Certo. È un tuo amico? – disse lei.
Harm ricevette Gabriel dalle braccia di Wanda. Il piccolino mostrò di gradire il suo abbraccio caldo e si calmò. Maria guardò in silenzio la scena e fece un timido sorriso di approvazione. In fondo quello strano gigante doveva essere buono, se trattava così bene il suo amato fratellino.
Lasciando la stanza, Harm colse al volo quel piccolo spiraglio positivo “Le mie quotazioni stanno risalendo. Non sarà una conquista facile, ma è già qualcosa…” pensò rincuorato.


- Avete altri figli, Harm? – chiese l’anziana signora mentre preparava il biberon.
- Sì, Mattie. La mia figlia adottiva. Ha già diciannove anni – rispose lui con un sorriso.
- Allora è già esperto di pappine e pannolini… Gabriel sta entrando nella fase dello svezzamento…
- No, sono un perfetto imbranato in materia… – ammise candidamente Harm – Quando l’ho conosciuta, Mattie aveva quattordici anni.
- Beh, figliolo, questa è la parte più facile – disse  Wanda con dolcezza materna - … questi due angioletti sono deliziosi, ma hanno un grande dolore da superare. Maria in particolare… Gabriel è piccolino, ha necessità molto elementari, ma Maria ha bisogno di tante cure e attenzioni. Mia zia diceva sempre “figli piccoli, mal di braccia… figli grandi, mal di cuore”….
Harm annuì.  Mattie gli aveva fatto sperimentare a più riprese sia il mal di braccia che quello di cuore.
- Vuole dargli lei il latte?
- Sì. Mi farebbe molto piacere – disse lui entusiasta.
Gabriel si abbandonò tra le braccia del suo futuro padre e iniziò a succhiare avidamente, tutto concentrato nella sua attività preferita.
- Questi tesori… - continuò la signora Kincaid – se potessi li terrei con me. Ma sono sola… le mie figlie hanno la loro vita… la più grande, Lucy, sta addirittura in Italia. Lavora al consolato, a Firenze. Ah, sono una povera vecchia, non ho niente da offrire a questi bambini. Lei e Sarah potete fare molto per loro…
- È lei che sta facendo davvero tanto…
- Poveri Aureliano e Tranquilina. Non avevano cinquant’anni in due. Due ragazzi speciali, tanto religiosi. Ci siamo conosciuti alla parrocchia di Padre Stephen. Tranquilina cantava nel nostro coro. Un angelo. – Wanda si commosse - Poverini, lavoravano tanto per dare un futuro migliore ai loro figli. Ma quella maledetta mattina, lei aveva appena finito il turno al bar… portava Aureliano al cantiere. Un colpo di sonno e quel Tir se li è portati via in un lampo.
“La strada è come la guerra, ormai” pensò Harm. Quanti orfani. Lui, Mattie, e ora anche Gabriel e Maria. Ma il nido si sarebbe ricostituito. L’amore avrebbe vinto la morte.
Il bambino aveva finito la poppata. Harm si alzò in piedi per aiutarlo nella digestione e ne approfittò per posare una mano sulla spalla di Wanda per consolarla.
- Voglio che Maria e Gabriel mantengano il più possibile il contatto con le loro radici. È essenziale conoscere la propria storia, per crescere bene – le disse.
- Si sta scegliendo la strada più difficile… lei è molto saggio, Harm! – esclamò la donna, ripagata da un luminoso sorriso. “L’apprendimento attraverso il dolore…” meditò lui tra sé.
Gabriel suggellò il momento con un boato che usciva dalla sua tenera boccuccia.
- Figliolo, lei sembra proprio nato per fare il papà!
- Grazie – rispose Harm con un sorriso di beatitudine. E il suo cuore di padre gli sussultò nel petto. 

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Capitolo 27
*** Apprendistato familiare ***


Tutta la nuova famiglia Rabb era sulla spiaggia, con Malcom e Wanda al seguito. Era l’ultimo giorno a Miami e volevano passare alcune ore spensierate prima della partenza.
- Ha avuto un’ottima idea, Malcom! – disse Harm allo psicologo.
- È per questo che sono venuto a lavorare in Florida… sole, mare, ragazze in bikini… - aggiunse lui strizzando l’occhio.
Harm gli manifestò tutta la sua cameratesca comprensione con un largo sorriso.
- Sono cresciuto al freddo. A Brooklyn… in una famiglia di donne! Ho sei sorelle minori. La più piccola va ancora al liceo.
- Complimenti! – disse Wanda.
- Mio padre fa il ginecologo. Non si è fatto mancare il lavoro! – Jackson era proprio fiero della sua famiglia. Era quella la molla che lo aveva spinto ad occuparsi di bambini in difficoltà.
- L’importante è che sua madre fosse d’accordo… - scherzò Mac. Anche Malcom scoppiò a ridere.
- Io invece sono nato in California e sono finito al freddo e al gelo di Washington… - aggiunse Harm.
L’allegra combriccola si sistemò sotto una tenda. Gabriel era sul suo passeggino, ben coperto da un cappellino che lo proteggeva dal sole. L’aria di mare lo metteva di buon umore e lui muoveva le manine e emetteva entusiastici gorgheggi. Ma la più felice del gruppo era Maria. Saltellava intorno e scalciava la sabbia, impaziente di buttarsi a mollo.
-Voglio fare il bagno! – sentenziò cominciando a spogliarsi.
-Aspetta, piccolina! Devo metterti la crema solare – la bloccò dolcemente Mac, seduta su una sdraio vicino a Wanda.
-No, voglio fare il bagno! Non voglio la crema! Non mi piace… preferisco il gelato! – ribatté buffamente la piccola.
-La crema solare non si mangia, tesoro – la rassicurò Wanda.
-Dopo mi fai fare i tuffi, gigante? – chiese Maria ad Harm. Dato che se ne stava ferma a farsi spalmare come un panino, voleva ottenere la giusta ricompensa.
-Certo, bellina!
La bambina cominciò ad agitarsi ancora di più. Harm le mise i braccioli e la prese in braccio.
-Come sei scivolosa! Sembri un’anguilla! – le disse sistemandole una buffa cuffietta da bagno.
-Voglio fare i tuffi dal trampolino! – squittì lei.
-Hai fatto un ottimo acquisto, Maria. Guarda, Harm è più alto anche di me – fece Malcom mettendosi spalla a spalla con il nuovo padre della bimba.
I tre entrarono in acqua. Dopo alcuni tuffi e sbruffi, lo psicologo si allontanò con una scusa, lanciando un’occhiata d’intesa ad Harm. Papà e bambina rimasero in acqua a ridere e giocare.
 
 
-Sono proprio felice per questi tesori. Lei e Harm siete i migliori genitori che potessero desiderare – disse Wanda sorridente.
-Grazie, Wanda. Lei è molto gentile.
-Non è solo buon cuore, Sarah – confermò Malcom – Si fidi anche del mio giudizio professionale. Lo scriverò sulla mia relazione. Dovrete continuare a farvi seguire dai miei colleghi di Washington. Per i primi sei-otto mesi sarete, per così dire, in prova. E se tutto va bene, la conferma dell’adozione dovrebbe arrivare non più tardi di un anno. 

Al momento di uscire dall’acqua, Maria si lasciò avvolgere di buon grado in un telo di spugna soffice e profumata. Harm iniziò a strofinarla con tenerezza.
-Sai una cosa,  Harm?
-Cosa, tesoro?
-Sei strano ma tanto bello… - gli disse a un orecchio, buttandogli le braccine al collo e stampandogli un sonoro bacetto sulla guancia ispida.
Il neopadre arrossì emozionatissimo. Aveva conquistato anche il cuore di quella piccola, meravigliosa donnina. E lei per tutto il viaggio verso casa non si staccò un attimo da lui.  
 
 

- Ecco la nostra bella casina! – disse Mac varcando la soglia con Gabriel in braccio e Maria per mano.
“Dove li metto a dormire questi due tesorini? Harm è il solito cialtrone… Mi toccherà scassinare la porta della stanza degli ospiti. O peggio ancora, chiamare un fabbro” rimuginò un po’ in ansia.
– Harm, dove vai? Devi ancora scaricare l’auto! – urlò all’indirizzo del marito, che se stava scomparendo al piano di sopra, macinando i gradini a due a due.
- Non c’è problema, amore. Tanto Arcadio è al sicuro, lì con Maria! – ribatté lui senza nemmeno voltarsi indietro.
“Che cretino! Pensavo di avere due bambini, ma ne ho tre! Altro che sconto del supermercato… quello in omaggio è grande, grosso… e ha quasi quarantacinque anni!” pensò lei sconsolata.
Dal piano di sopra venivano strani rumori di ferraglia. Cosa cavolo stava combinando quel penecefalo vitaminizzato invece di aiutarla? Non era certo quello il momento di perdersi nel paese dei balocchi del bricolage per smontare la casa…  
- Venite su tutti e tre! – gridò Harm.
- Non siamo a Union Station. Non c’è il montacarichi! – Mac era passata al registro arrabbiato. Quanto le seccava, che i bambini assistessero a una scaramuccia coniugale proprio appena arrivati a casa!
Maria non se lo fece ripetere due volte. Si inerpicò su per le scale, seguendo la voce di suo padre. Harm la prese in braccio e la portò nella sua nuova cameretta.
- Ti piace? – le sussurrò.
- Sì, tanto – fece lei abbracciandolo forte – Sarah, Sarah, vieni di sopra con Gabo! Subito! - gridò con entusiasmo.
“Il piccolo Harm ha trovato una socia. Spero non le abbia già fatto infilare le dita in qualche presa!” pensò Mac scuotendo la testa e avviandosi su per le scale, mentre Gabriel faceva larghi sbadigli.
 
 
La stanza degli ospiti era aperta. Fatto inaudito, per non dire miracoloso! Ma non era più la stanza degli ospiti. Le pareti, prima completamente  bianche,  avevano ora un alto zoccolo giallino delimitato da un nastro di carta da parati con Winnie Pooh e i suoi amichetti. Ai due lati della stanza, il vecchio letto con nuove lenzuola vivaci e un piccolo lettino con le sbarre, in legno, riverniciato di nuovo. Completo di paracolpi e biancheria azzurra. Un comodino tra i due letti, un fasciatoio, una seggiolina e un piccolo scaffale con ripiano per scrivere completavano l’arredamento. Sarah aveva le lacrime agli occhi… ecco cosa aveva armeggiato suo marito in gran segreto, nei giorni prima di partire per Miami. L’aquila aveva preparato in gran segreto il nido per i suoi pulcini.   
- Harm, è bellissima! – gli disse la moglie intenerita.
- Sì, mi piace tantissimo! – gridò Maria saltando sul suo nuovo letto. Anche Gabriel sembrava smanioso di provare la sua nuova tana. La mamma lo depositò dolcemente nel lettino.
- Ho pensato che sia giusto che continuino a dormire insieme. Dev’essere così bello essere fratelli… – pensò con una punta di tristezza alla gioia che era mancata sia a lui che a sua moglie.
- È un’ottima idea. E questo, Harm? Non l’hai certo comprato da Wal-Mart!
- È tutto bello, bello, bello! – Maria si mise a trafficare tra i libri dello scaffale.
- È il mio lettino. Di quando ero piccolo. Ho chiesto a mamma di mandarmelo, il giorno stesso in cui abbiamo iniziato questo nostro cammino… sapevo che sarebbe arrivato un piccolo Rabb dormiglione a occuparlo.
- Ecco che cos’era quel pacco misterioso in cantina… è il pensiero più dolce che tu potessi avere –disse Mac dandogli un bacio.
No, Harmon Rabb jr non era un bambinone di quasi due metri. Era un padre di famiglia sensibile e affettuoso. Non era più una testa calda come quando lei lo aveva conosciuto. Ora era il suo cuore ad essere caldissimo.
  Maria acchiappò Arcadio con una mano e con l’altra trascinò via Mac. Era curiosa di esplorare la sua nuova casa.
Gabriel si era già abbandonato al sonno. Harm tirò la tenda e accarezzò la testolina del suo amato bambino.
- Sogni d’oro! Ti voglio bene, Gabriel Garcia Rabb! – disse piano piano, mentre da una borsa da viaggio tirava fuori una cornice che depositò sul comodino.  Chiuse la porta dietro di sé pensando con grande pace e serenità: “Papà, ora ho un figlio anch’io. Non volerò più sui caccia. Vola tu per me, al di là delle nuvole”.

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Capitolo 28
*** Il quadro più bello ***


La notte era molto calda. Harm stava dormendo con un braccio intorno alla vita di Mac, quando fu svegliato di soprassalto da un pianto disperato. Maria. Anche Mac si riscosse dal torpore.
- Sono le due e mezzo – disse lei, sicura del suo infallibile orologio interno.
- Vado io, cara – la rassicurò Harm buttando un occhio alla radiosveglia e infilandosi una tshirt – Tanto Gabo non tarderà a reclamare il suo biberon. E’ goloso come un orso bruno, quel nanetto!

Maria si era messa a sedere, tutta sudata, alla luce fioca della piccola lampada a forma di luna accesa sul comodino. Harm la prese in braccio e sedette sul letto. Le asciugò le lacrime e le accarezzò i capelli.
- Mamma e babbo dentro il mare… - piagnucolò la bambina.
- Era solo un brutto sogno, piccolina – la consolò lui – Sai, è molto bello andare in mare. Io e Sarah siamo andati tante volte su delle navi grandi grandi… Un giorno ci andiamo tutti insieme…
- Con Arcadio? – fece Maria indicando il suo coniglio di peluche.
- Certo, amore mio.
La piccola gli si strinse più forte al petto. Harm continuò ad accarezzarla teneramente, in silenzio. Qualche minuto più tardi anche Gabriel si svegliò e iniziò a strillare. Il suo piccolo stomaco voleva essere riempito di latte. Continuando a tenere Maria in braccio, il padre si alzò per prendere su anche il piccolino.
- Gabo ha fame. Lui è piccolo – disse la sorellina.
- Eh sì, non ce la fa proprio ad aspettare la colazione – disse Harm solleticando dolcemente la pancia del piccolino. Maria sorrise felice.
- Non ce la fai a tenerli tutti e due in braccio, non fare il solito supereroe – disse Sarah entrando nella cameretta e chinandosi sul lettino di Gabriel.
- È tutto tuo, il signorino – le rispose Harm con un sorriso.
Sua moglie prese in braccio il bambino, che si placò quasi del tutto, limitandosi a fare dei sonori versetti. Aveva già intuito il suo gradevolissimo destino. Sarah lo portò via con sé per dargli il biberon.
- Sarah è bella. – disse Maria quando lei e Harm furono rimasti soli - Come la mamma…
- Sì – fece lui con un largo sorriso – E tu sei bellissima. Ora però devi dormire, tesoro mio.
Mise a letto la bambina, la coprì con il lenzuolo e le diede un bacio sulla fronte. Si sedette accanto a lei per accompagnarla tra i bei sogni, cantando a mezza voce.

Good night, good night
Look at that moon shine so bright
And tonight he smiles
Especially for you

Sleep tight, sleep tight
Know everything is alright
And tonight I will be here
Watching over you

For tonight I will be here watching over you
Tonight I'll be here watching over you

Sweet dreams, sweet dreams
It is never as real as it seems
And in the morning when you wake up
I will be right here

Sleep on, sleep on
For no matter how dark or how long
It may seem that your night is
I will still be here

I will still be here watching, watching over you
So sleep, little darling, sleep on through

So be still, be still
For you know that I always will
Tonight and forever
Be watching over you

For tonight and forever, be watching over you
So sleep, little darling, sleep on through

I will be watching over you.


Maria dormiva ormai serenamente. Suo padre si alzò per ritornare a dormire. Con una mano accarezzò la foto di Aureliano e Tranquilina sul comodino, con il cuore pieno di gratitudine perché avevano donato la vita a quei due bambini meravigliosi.
 

 
Rientrando nella sua stanza, Harm scorse una scena tenerissima. Il quadro più intimo e dolce che avesse mai osservato in vita sua. Nonostante la stanchezza che gli appesantiva le palpebre, decise comunque di fermarsi sulla soglia a contemplarlo in raccolto silenzio. Sarah era seduta sulla poltroncina di vimini nell’angolo vicino alla finestra con Gabriel accoccolato tra le braccia. Il piccolino si era addormentato sereno dopo l’avida poppata notturna. Un raggio di luna filtrava all’interno della stanza a illuminare il volto raggiante di Sarah, che accarezzava la testolina scura del suo bambino abbandonata sul suo seno. Harm si illuminò a un estatico sorriso e sentì una ineffabile dolcezza distillarsi nel profondo del suo cuore. Gabriel e Maria avevano trovato casa, il calore di un padre e di una madre. E, quello che più contava per lui, in Sarah la gioia era finalmente piena e autentica.

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Capitolo 29
*** Questa nostra famiglia è bellissima… ***


-Un po’ mi dispiace… ora non sono più la tua bambina…
- Ehi, Mattie! Fai la gelosa adesso? – disse Harm pizzicandole scherzosamente una guancia – Tu sarai per sempre la mia bambina. La mia meravigliosa primogenita – e la strinse forte a sé.
“Se non ti avessi incontrato, tesoro mio… sarei ancora perso dietro ai miei fantasmi e alle mie paure. Un bambinone irrancidito pieno di complessi. E oggi non ci sarebbe questa fantastica famiglia” pensò con commozione.
“Glielo dico o non glielo dico? Speriamo che non si metta lui, a fare il geloso…” rimuginò tra sé la ragazza.
Nel suo lettino vintage, Gabriel si sentiva un po’ trascurato. Ancora non riusciva a mettersi seduto, ma scalciava e si agitava in un animato spettacolino di fanciullesco egocentrismo. Harm lo prese in braccio e rivolse a Mattie un’occhiata molto eloquente.
- Com’è pesante il mio erede! – esclamò con una smorfia mettendolo sul fasciatoio.
- Pesante non mi sembra l’aggettivo giusto… – rise Mattie. “Glielo dico o non glielo dico?” – Papà – soggiunse approfittando del fatto che Harm era tutto preso dal piccolino che sgambettava come un ranocchio e non si faceva cambiare il pannolino – Ti devo dire una cosa…
- Dai, ciccio! Stai un po’ fermino… ho solo due mani!
- Papà…  “Distratto sì, ma non su un altro pianeta!”
- Sì, Mattie. Mi devi dire una cosa… Guarda che due o tre neuroni che funzionano, li ho ancora! – disse lui girandosi a guardarla, senza però mollare il proteiforme esserino.
“Ecco… ora mi ha piantato addosso quegli occhi indagatori. Clemenza, vostro onore!”
- Beh, sai com’è all’MIT… si conosce gente… si fanno laboratori di gruppo…
- … si studia anatomia invece che ingegneria – sorrise lui a denti stretti, preparandosi già al peggio. Tirò su Gabriel pulito e sorridente – E così aspetti un bambino! – concluse la frase girandosi e fissandola dritta negli occhi.
- Ma no, Harm! Lo sai che sei davvero fissato?  - fece lei seccata, con le mani sui fianchi – volevo dirti che ho un ragazzo… Anthony. Studia informatica ed ha un anno più di me.
-È un bravo ragazzo?
-Sì, non si droga. Non è un terrorista. Non spara alle vecchiette. Non dice nemmeno le parolacce e si è già laureato con il massimo dei voti.  
-Un mostro, in poche parole. E tu, gli vuoi bene?
-Sì, tanto. – rispose Mattie raggiante – E lui ne vuole a me.
-Allora è questa la cosa importante… da quanto tempo va avanti? Attenta o questo ti mangia i capelli… – Gabriel stava già allungando una manina per ghermire uno di quei boccoli così invitanti.
- Da due mesi… aspettavo di dirtelo di persona, non sapevo come l’avresti presa – fece lei porgendo un dito al piccolino, che dovette accontentarsi di una preda molto meno ambita.
- Ma per chi mi hai preso? Per un cavernicolo? Sono peloso, ma mica vado in giro con la clava! – rise Harm.
- Sei sempre stato un po’ rompi…
- È vero… ma devo esserlo. Sono o non sono tuo padre?
- Sì – disse Mattie con orgoglio.
-Se sono un po’ palloso è per il tuo bene. Non voglio che tu faccia sciocchezze. Sono stato giovane anch’io, sai?
La ragazza sorrise.
        Sai quante stupidaggini ho fatto. Non voglio che tu soffra.
-Sì, papà.
-Devi portarlo a casa, per farcelo conoscere. Al Ringraziamento, oppure in un’altra occasione più informale…
-Oh no, fidanzati in casa!
Harm si illuminò tutto.
-Ora andiamo dagli altri…
-Grazie, papà. Questa nostra famiglia è bellissima… - disse guardando dalla finestra Sarah, Maria e i Roberts che erano già in giardino.
 

 
Uscendo di casa, Harm acchiappò con una mano il passeggino di Gabriel.
-Siamo proprio fortunati, noi fratelli Rabb… - disse Mattie.
-Ah sì?
-Abbiamo l’incredibile Hulk per padre!
Harm si mise a ridere e depositò il bambino a sedere su una copertina sul prato.
-Zio Harm! Zio Harm! – AJ si precipitò subito vicino a Gabriel – Posso prenderlo in braccio? Ti prego!
-Non ce la fai a tenerlo, sei troppo piccolo – disse Harriet preoccupata che l’entusiasmo di suo figlio potesse nuocere al bimbo.
-Non è vero! Sono grande, io! Ho già nove anni… dai, zio… Ti prego! – fece il primogenito dei Roberts fissando il suo padrino con sguardo supplichevole – Lo tengo solo un pochino…
-E va bene… solo un pochino. Però stai molto attento… - acconsentì Harm mettendoglielo in braccio.
AJ era alle stelle. Anche Gabriel era contentissimo. Quel bambino biondo che lo riempiva sempre di baci e di carezze gli piaceva tanto.
A ognuno il suo. Maria e Nicki erano tutte impegnate a servire il tè alle loro bambole. Bud giocava a baseball con James e Paul. E il terzetto delle donne si era ricostituito. Harriet e Sarah accolsero con affetto e con muliebri schiamazzi la bella notizia che Mattie aveva un ragazzo.
Harm seguiva distrattamente la conversazione,  tutto preso com’era a controllare AJ e Gabriel.  
Il bambino si allontanò di qualche passo dal gruppo degli adulti, fiero di portare in giro quel suo caro frugoletto. Un cuginetto tutto nuovo che era arrivato come per miracolo nella sua vita.   
-Sei proprio bello, Gabo – gli disse dandogli un bacio. Il piccolino sorrise tutto contento – Ti confesso un segreto. Da grande farò il dottore. Così curerò tanti bei bambini come te…  

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Capitolo 30
*** Natale in famiglia ***


- Mattie, sono un po’ teso…
-Dai, Tony! Di che cosa hai paura? Mica ti mangiano, i miei… quando non sono in divisa, poi, sono davvero alla mano!
-Sarà anche come dici tu, ma ho un po’ la tremarella… arrivare così, alla vigilia di Natale. Non mi hanno mai visto… E poi tuo padre non è un aviatore, oltre che un avvocato? Il solo pensiero mi mette un po’ soggezione…
- Guarda che è un tipo molto simpatico! E poi ora vola solo per hobby…
Mattie aprì la porta di casa e introdusse  il suo ragazzo, tenendolo per mano.
-Mamma, papà! Sono a casa! – disse annunciandosi.
-Ciao, tesoro – disse Sarh uscendo dalla cucina con il grembiule tutto infarinato.
- Mamma, questo è Anthony!
- Piacere di conoscerti, io sono Sarah. Scusa se sono tutta sporca, sono in cucina con i bambini e un’amica…
- Piacere mio, signora.
- C’è anche Harriet? – chiese Mattie tutta entusiasta
- Sì.
- Che bello! E papà?
- È nello studio…
- Eccolo, papà – disse Harm comparendo nel soggiorno con Gabriel in braccio – Vieni qua, piccola mia! Sei sempre più bella!
- Anthony, come avrai capito… questo è mio padre…
- Sono felice di conoscerti – disse il capitano Rabb con un sorriso che non nascondeva un’occhiata indagatrice. Quel ragazzo magro con gli occhiali sembrava un po’ secchione, ma aveva tutta l’aria di essere uno davvero a posto.
- Piacere mio, capitano.
- Mi chiamo Harm… - replicò lui con un sorriso più largo e accogliente. Anthony arrossì imbarazzato.
- Vieni, Anthony… che ne dici di lasciare le signore in cucina e di andare a fare quattro chiacchiere tra  uomini? – propose indicando con un sorriso se stesso e il bambino.
- Mi chiami pure Tony… - fece il ragazzo annuendo.
- Baba babà – gorgheggiò tutto allegro il piccolino. 
 

- Harriet! Che bello rivederti – disse Mattie entrando in cucina e abbracciando la sua zia preferita.
- Ciao, tesoro!
- Lo voglio anch’io, un bacio – fece Maria tirandola per un braccio. E anche Nicki e AJ vollero la loro parte.
- Allora, bambini.  Ora che è arrivata anche Mattie, ci rimettiamo al lavoro? Questa sera saremo un sacco di gente… - disse Harriet.
- Mamma, vado bene così? – chiese Maria affondando le sue piccole dita nell’impasto dei biscotti di zenzero.
- Sì, amore. Basta che tu e Nicki non vi mangiate tutto quanto prima di metterlo nel forno.
- Sono un po’ preoccupata per Tony… ho paura che papà lo faccia scappare – disse Mattie infilandosi un grembiule.
- Ma no, cosa dici… Harm abbaia, ma non morde – la rassicurò Sarah. Harriet rise di gusto.
 
 
 
-Passano gli anni, e aumentano gli amici! Salute a tutta questa bellissima famiglia! – esclamò Bud alzando il calice come un perfetto anfitrione.  Intorno alla tavola, tanti visi sorridenti riecheggiarono il fausto augurio. Harriet, Harm e Sarah, Mattie e Tony, Trish e Frank, l’ammiraglio AJ e l’ospite d’onore, nonna Wanda, che era volata da Miami per riabbracciare i suoi adorati piccolini.
- Come li invidio, questi giovani! – disse il padrone di casa guardando con gioia i due nuovi piccioncini, Mattie e Tony, e strizzando l’occhio ad Harm.
- Parla per te, vecchio mio! L’altro giorno al supermercato la cassiera mi sorrideva tutta ringalluzzita… - rispose l’amico un po’ ferito nell’orgoglio.
- Il solito vanitoso! – lo rimbeccò Sarah.
-… poi però si è rabbuiata, quando ho tirato su Gabo dal carrello. Avrà capito che non aveva proprio speranze, poverina. Ma ora dov’è finita quella peste? – fece passando dallo scherzoso al preoccupato.
Il piccoletto stava sfrecciando felino, gattonando pertinacemente in direzione dell’albero di Natale. Le palline luccicanti mandavano strani sfolgorii tanto attraenti. E c’erano delle strane lucette ballerine. Si mise in ginocchio e allungò la manina per afferrare una di quelle meraviglie dalle mille luci. Il padre lo agguantò in tempo, prima che combinasse qualche malestro. Gabriel manifestò a tutti la sua delusione con un pianto stizzoso.
-No, no, Gabino bello! – disse il piccolo AJ intervenendo con la sua valigetta e lo stetoscopio di plastica al collo – Ora ti curo io…
- Che strano il mio figlioccio – disse Harm scherzoso– generalmente si gioca al dottore con le bambine…
- Si vede che non ha preso da te… – rise Bud.
- Si è fissato che vuole fare il medico – disse Harriet con un sospiro.
“Non sono fissato” pensò il bambino, tutto preso a visitare Gabriel “ I grandi non capiscono… è questa la mia strada!”

 
Dopo cena, AJ fu distolto dal suo grave compito per sedersi al pianoforte con Wanda, che in gioventù aveva insegnato musica alle scuole medie. Tutti si radunarono intorno per i canti natalizi.  E armonia, gioia e letizia regnarono sui gai volti e in tutta la casa. 

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Capitolo 31
*** Complimenti, dottoressa! ***


Una tranquilla serata estiva. La casa addormentata. Dopo un’intensa giornata di giochi, i bambini erano crollati dal sonno. Maria e Gabriel Garcia Rabb. L’adozione era effettiva da circa un mese. All’atto di registrarli ufficialmente come loro figli, Harm e Sarah erano stati concordi sul doppio cognome. La loro storia non doveva essere spezzata, le loro vite meritavano di poter contare su radici solide e profonde. E in questo modo, si sarebbero troncate sul nascere tutte le domande inopportune e un po’ maligne che i conoscenti o i genitori dei compagni di scuola fanno sempre sui figli adottivi. Sorgeva la notte, dolce e chiara. Harm scrutò il cielo e salutò le stelle. Si sentiva in vena di bilanci. In fondo, quella era una sorta di notte prima degli esami anche per lui.
-Sei emozionato, caro? – gli chiese sua moglie vedendolo così assorto e cogitabondo.
- Si vede così tanto? – nonostante il lungo cammino fatto in quegli anni, Harm non aveva perso del tutto il vizio di rispondere a una domanda con un’altra domanda. Ma ora era del tutto perdonabile.
- È da quando sei rientrato a casa che salti come una cavalletta. Sei peggio di Gabo. E ora ti sei imbambolato a guardare le stelle.
-Si vedono così di rado, che ne ho approfittato. Mi fanno pensare a tante cose. A quando volavo, alla sera in cui ti diedi l’anello di fidanzamento… ti ricordi?
Sarah annuì con gli occhi che si inumidivano.
    … ai primi passi di Gabo… che buffo che era! E a Mattie che torna a camminare… 
Contemplare le stelle era per lui come specchiarsi sull’abisso della propria interiorità. Come in uno stato di indefinita solitudine, si staccava dalle mille faccende quotidiane, dal vortice tumultuoso della vita professionale e familiare. E si guardava da fuori. Non gli dispiaceva affatto, quel senso di sospensione rispetto al fluire del tempo e della vita, spesso più improntata al fare che all’essere.
-I tuoi occhi non sanno mentire. Stai facendo un bilancio degli ultimi anni…
Harm annuì sorridendo.
  E allora, Harmon Rabb jr, capitano di vascello e ammiraglio di questa famiglia… in che acque sta navigando questa flottiglia?
-Sono molto felice, Sarah. Non abbiamo più la vita avventurosa di un tempo, ma tante piccole gioie che sono molto più importanti. È proprio vero che nella vita c’è un tempo per ogni cosa.
-Sai, è un po’ che ci sto pensando…
-A cosa, amore? – chiese lui alzando le sopracciglia, al suo solito.
-Ti piacerebbe allargare la nostra famiglia?
Harm ammutolì e guardò sua moglie dritta negli occhi, che brillavano luminosi. Possibile che aspettasse un bambino? “Mai dire mai” si disse.
    Perché non rispondi?
-Hai qualcosa di speciale da dirmi? – chiese lui.
“Eccolo, il vecchio Harm. Lo scantonatore professionista. Non perderà mai il vizio…” pensò Sarah.
-Sì. Che ne dici se adottiamo un altro bambino? Ora però rispondi…
Ancora una volta Harm si prese un po’ di tempo. Non si sentiva deluso o frustrato, ma indefinitamente felice. Ora era Sarah ad averlo superato, nel cammino della vita e dell’amore. Il fatto di non avere generato era passato davvero in subordine. Amava Gabo e Maria incondizionatamente, come se fossero pezzi della sua carne, del suo cuore.
- Non lo so, Sarah… al momento non mi sento molto pronto. Magari tra un po’… Questi due mi ciucciano tutte le energie. Gabo ha cominciato a correre e più che un bambino sembra un frullatore… e poi c’è Mattie…
Sarah vide dipingersi sul volto di suo marito il terzo stadio dell’apprensione emotiva: dopo l’iperattività e la meditazione, le lacrime. Gli accarezzò dolcemente la guancia e gli sussurrò: - E’ meglio andare a dormire… domani sarà una giornata impegnativa. 
 
 
Sul prato davanti al Rettorato dell’MIT, un nugolo di macchie nere. In tocco e toga, i neolaureati in discipline tecnologiche e scientifiche. Dietro di loro, la massa festosa e multicolore di familiari e parenti. Gabriel era seduto sulle ginocchia di suo padre e si agitava come un cavallerizzo da rodeo.
- Tatie! Tatie! – esclamò con entusiasmo.
- Zitto! Ora Mattie diventa inventiere – lo rimbrottò Maria con l’aria di chi la sa lunga. Harm e Sarah si guardarono e sorrisero al buffo linguaggio della loro bambina.
 
 
-I candidati si alzino – disse con solennità il rettore. I puntini neri si serrarono in file compatte – Con l’autorità conferitami dal Dipartimento dell’Educazione e dallo Stato del Massachusetts, oggi 15 luglio 2009, vi proclamo Dottori in Scienze.
Alla consegna delle pergamene, seguì il tradizionale lancio in aria del tocco. Una nuvola nel cielo sereno di Boston.
 
 
-Complimenti, dottoressa! – dissero Harm e Sarah, abbracciando a turno la loro cara bambina.
-Tatie, Tatie! – Gabriel voleva essere preso in braccio.  Mattie lo accontentò volentieri.
Anche Maria non voleva essere da meno e si aggrappava con energia alla gamba della neolaureata.
-Maria, non ce la faccio a tenervi tutti e due!
Harm prese in braccio la bambina che, tutta giuliva di non essere stata lasciata a terra, si chinò a stampare un bacione sulla guancia della ragazza. Anche se vestita così sembrava più un corvaccio che la sua bella sorellona.
- Guarda che sono geloso! – sorrise Tony, facendo il solletico a Gabriel. Il bambino iniziò a ridere e schiamazzando planò volentieri tra le braccia della madre. Ora Mattie poteva ricevere baci e complimenti anche dal suo ragazzo.
-Woody e Jordan ci aspettano a pranzo… un piccolo festeggiamento per un grande evento – disse Harm.
- Ma la festa di laurea, quella in grande, con tutti gli amici… la faremo a Washington! Vedrai che cosa ti organizzo, tesoro! – soggiunse Sarah tutta soddisfatta.
 
 
-Non sarà quello della Marina, ma guarda qua – disse Mattie indicando con orgoglio l’anello dell’MIT.
Harm sorrise altrettanto soddisfatto. Era così contento che gli sembra di avere sbattuto la testa sull’esatta sommità del cielo.
-Progetti per il futuro? – le chiese mettendole un braccio intorno alla spalla.
-Vorrei specializzarmi in ingegneria aerospaziale …
-Non aviatrice, ma astronauta! – rise il padre.  
 
 
 
Tardo pomeriggio, qualche giorno più tardi. La casa risuonava degli allegri schiamazzi dei ragazzi. Mattie e Tony alle prese con i bambini. Harm era nello studio a riguardare dei codici per l’udienza dell’indomani. Sarah stava facendo un giro di telefonate per organizzare la festa di laurea della sua cara primogenita, prima di mettersi in cucina con Mattie a preparare la cena. Ed ecco qualcuno suonò alla porta.
Sulla soglia, una donna di una sessantina d’anni, molto smagrita, gli occhi bistrati e l’aria spossata.
-Ciao, Sarah!
Mac la scrutò attentamente. Aveva qualcosa di vagamente familiare, ma a tutta prima non riusciva a capire dove mai l’avesse conosciuta. Vide confusamente, poi vide chiaro, con gli occhi della mente e della memoria. Si stupì e si indignò.
-Che cosa ci fai qui? – chiese all’importuna visitatrice.
-Voglio solo parlarti…
- Non ho niente da dirti. Vattene – e richiuse la porta senza dire altro.
Mattie aveva osservato la scena da dietro le tende, incuriosita dal fatto che nessuno fosse entrato in casa.
- Chi era, mamma? – chiese a Sarah quando fu rientrata all’interno.
-Nessuno – rispose lei.
 
 
 
NdA: Ho iniziato questa torrenziale fanfiction con la partenza di Mattie per l’MIT e ho quindi voluto concluderla con il coronamento dei suoi studi.  Ora, questo secondo episodio ha un finale volutamente aperto. Per lasciare in sospeso le vicende dei nostri protagonisti. E per proseguire, chissà, quando tempo e mente libera, energie e ispirazione torneranno a visitarmi.
Ringrazio di cuore Paolo, ovvero il mio “gemello” Bud, lettore e critico privato. Chi ha recensito, germangirl, ginny1063, jiojio, matty89 e normaber; chi ha inserito questa storia tra le “seguite”, bale86, gaia1986 e normaber. E anche chi ha apprezzato la FF semplicemente leggendola in silenzio. I più sinceri ringraziamenti vanno anche a chi si fermerà a leggere questo racconto in futuro.

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