La Fanciulla e il Cacciatore - L'ombra della Neve

di Ser Balzo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Neve ***
Capitolo 2: *** Il Principe e il Cacciatore ***
Capitolo 3: *** La Dama del Bosco ***



Capitolo 1
*** Neve ***


La Fanciulla e il Cacciatore - L'ombra della Neve




         Un magnifico ed evocativo disegno offerto dalla gentilissima
nonchè talentuosa Nashira. Mica pizza e fichi.





1. Neve



Cammina.

Il suo passo è così leggero che non lascia impronte sulla neve fresca. L’unico rumore è il sussurro prodotto dal suo lungo vestito scarlatto che accarezza la terra.

Nevica. Gli alberi, tronchi scuri e nodosi, sono l’unica nota di contrasto in quel bianco altrimenti così puro e avvolgente.

Alberi e neve, fin dove cade lo sguardo. Sembra di essere da un’altra parte, su un altro mondo, dove  le cose non nascono, non crescono e non muoiono. Si sente quasi smarrita, di fronte a quella cristallina immensità, eterna ed incorruttibile.

Grossi fiocchi cadono sui suoi lunghi capelli corvini. Bianco accecante su nero profondo.

Chiude gli occhi, per meglio sentire la neve cadere. E’ un suono meraviglioso, quello della neve che cade. Solo in un luogo dove tutto è quiete può essere udito.

E’ un mormorio, un sussurro. Una sinfonia di silenzi.

Ama il suono della neve. E’ difficile tenerla a bada, quando i fiocchi candidi cominciano a poggiarsi sulla nuda terra. Vaga nei boschi come stordita, ebbra di quell’immacolato candore che ricopre tutto, animali, rocce, funghi, alberi. Tutto.

Ma c’è qualcosa.

E’ lontano, profondo, cubo. Un rombo sordo. Sembra un tuono, ma lei sa che quando nevica non ci sono tuoni.

Un altro rombo. E poi un altro, e un altro ancora.

Che sta succedendo? Non aveva mai udito una cosa del genere, prima d’ora.

Aumenta il passo, sempre di più, sempre più veloce. I tuoni diventano sempre più numerosi, si affastellano, cercando di rubarsi la voce l’un l’altro.

Com’è possibile? Per qualche istante crede che tutto quanto sia soltanto un parto della sua mente.

Poi arriva ai margini della foresta, e li vede.

Uomini.

Tanti uomini.

Avanzano insieme, schiacciati l’uno contro l’altro, in una informe selva color blu scuro di carne, legno, acciaio. Tengono le loro lunghe armi sulla spalla, mentre vanno verso la morte al ritmo secco e disadorno dei tamburi e alla musica grottescamente allegra dei pifferi.

Qualcosa si schianta a terra, ogni tanto, sollevando sbuffi di neve e zolle di terra. Non riesce a vedere cosa sia, è troppo veloce. Ma di qualunque cosa si tratti, è pesante. Pesante e pericolosa. Ad un certo punto, una di queste cose atterra davanti agli uomini, rimbalza, e si apre un varco sanguinolento in mezzo alla massa di carne umana. Per un attimo gli pare di scorgere una forma sferica.

Davanti agli uomini in blu compaiono altri uomini, di colore diverso, però. Anche essi avanzano in quello strano modo, stretti gli uni contro gli altri. Rimane affascinata dalla cadenza sincrona dei loro movimenti.

I due schieramenti continuano ad avanzare, fin quando non sono molto, molto vicini. Poi qualcuno grida, e la massa blu erutta una colonna di scoppi fiammeggianti. Vede gli altri uomini cadere come spighe di grano maturo, prima che un fumo azzurrognolo nasconda tutto alla sua vista.

Rimane sconvolta. Come si puo' morire a quel modo? È come rimanere fermi e impalati dinanzi ad un lupo feroce. È stupido.

Perché gli uomini non si sono buttati a terra? Perché non sono scappati, non si sono nascosti? Trova tutto quanto decisamente ridicolo, eppure stranamente affascinante. C’è qualcosa, in quella massa di uomini in blu, in quei tamburi, in quella fiammata, che la ammalia.

Un altro rombo si aggiunge alla tempesta che infuria. Questo, però, è di tipo diverso. È più sordo, continuo, una vibrazione della terra.

Si sdraia sulla neve e poggia un orecchio per terra.

Sono cavalli. Ma non una decina di animali pigri e mansueti, come quelli che ha visto qualche giorno prima giù, vicino alla cascata.

Sono centinaia, migliaia. Un infinità di bestie lanciate al galoppo. E stanno venendo verso di lei!

Una fitta d’ansia zampilla nel suo cuore. Prova l’impulso di andarsene, di correre via, verso il seno materno della foresta. Eppure qualcosa la tiene inchiodata lì.

Vuole sapere. Vuole vedere.

E poi, finalmente arrivano.

Come un'impavida legione di eroi, una sconfinata distesa di cavalieri sbuca dalla foschia. Sono verdi come la foglia, grigi come il ferro, rossi come il fuoco, azzurri come il cielo: mai aveva visto tanti colori tutti insieme. Sopra di loro, gli stendardi garriscono spavaldi. Mulinando acciaio e urlando come bestie infernali, si infrangono sui loro nemici come un’onda inarrestabile di maremoto.

Rimane in piedi, immobile come una statua, sconvolta e rapita da quella scena così maestosamente incredibile. È qualcosa di così potente e sublime che gli invade prepotentemente l'anima, scacciando via tutto il resto.

Solo in quel momento ode il fruscio alle sue spalle. Prova a girarsi, ma è già troppo tardi.






NOTE DELL'AUTORE (che d'ora in poi saranno in questo formato, che è più comodo): Ok, la devo smettere di pubblicare storie. Sto diventando molesto. Solo che in questi giorni ho una botta di creatività parecchio intensa, e non me la sento di sprecarla. Perciò, ahivoi, vi beccate quello che esce dalla mia testa bacata.
Comunque, spesso basta poco per avere un'idea: ho visto il video di Lithium, degli Evanescence (mi dispiace, niente di alternativo o filosofico. Ma che vi posso dire? La voce di quella donna mi ha stregato) e qualcosa è scattato. Neve, foreste e pischelle che vagano in lunghi vestitoni
e... ta-dan, ecco che sboccia una nuova storia. Beccati questa, Fabio(93).
Sperando che tutto ciò vi sia di gradimento, mi inchino e riverisco, e al prossimo capitolo!

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Capitolo 2
*** Il Principe e il Cacciatore ***





1.

Il Principe e il Cacciatore

 

 



Neve, neve, nient’altro che neve. Odio la neve.

Dastan si dondolò sulla sella, inquieto. Si sforzò di penetrare con lo sguardo la tormenta rabbiosa che lo circondava da ogni lato, ma senza alcun risultato.

La bufera nascondeva completamente il campo di battaglia. Il villaggio di Eylau, che avrebbe dovuto essere alla sua sinistra, era completamente invisibile. Ogni tanto si scorgeva il lampo di qualche cannone russo, ma a parte quello, solo il rombo dell’artiglieria e il crepitio dei moschetti portato dal vento sembrava indicare che si stesse svolgendo una cruenta battaglia.

Principe, il suo agile cavallo, scosse la testa sbuffando indispettito.

Hai dannatamente ragione, vecchio mio.

Accarezzò il collo dell’animale intirizzito, liberandogli la criniera dalla neve e dal ghiaccio. Era dall’alba che il tredicesimo reggimento di Cacciatori a Cavallo di Sua Maestà Imperiale attendeva impassibile su quel crinale, in silenzio e perfettamente schierato.

Nessuno parlava. Quella mattina il cielo era terso e il bagliore del sole nascente si adagiava sulla neve candida come un leggero velo aranciato. Sembrava l'inizio di una splendida e gloriosa giornata, almeno fino a poco tempo prima: un banco serrato di nubi era comparso dal nulla e in men che non si dica la cavalleria dell'Imperatore si era ritrovata nel bel mezzo di una tormenta di neve. 

Il vento fischiava rabbioso e sputava la neve in faccia agli uomini, rattrappiti dal gelo sopra le selle. Il ghiaccio si accumulava sulle visiere degli sciaccò, bagnava le eleganti divise, intorpidiva le membra. La visuale era ridotta a qualche metro di distanza, dopo di che, tutto spariva in un indistinta nebbia informe, che vorticava e dava vita ad un esercito di ombre. Ad un certo punto, a Dastan era sembrato di vedere qualcosa muoversi nella tormenta. Inconsapevolmente, la mano gli si era stretta intorno all’impugnatura della sciabola.

Alla fine, dopo un tempo che parve quasi infinito di silenzi e cupi borbottii, il Cacciatore Charles Montgros, un tipaccio grande e grosso con una sconfinata passione per le donne facili e le risse, decise di interrompere tutto quel mutismo con una parola che sarebbe diventata celebre solo qualche anno dopo, e su un campo di battaglia ben più famoso.

«Merda! Ho il culo congelato, tra poco mi cadrà come un grosso pezzo di ghiaccio. Ma quando ci muoviamo?»

Il sergente LaBeouf, alla sua destra, sogghignò sotto i folti baffi biondo rossicci incrostati di ghiaccio. Era accanto al grosso Cacciatore, ma dovette comunque urlare per sovrastare l’ululato del vento. «Siamo la cavalleria di riserva, Montgros. Probabilmente non ci manderanno a inseguire i fuggitivi, alla fine della giornata.»

«Non so» rispose Charles «ho un brutto presentimento.»

«E’ questa neve» chiosò con l’aria di chi se ne intende Bernard Martin, un tipo alto e allampanato dallo sguardo torvo e dalle poche ma efficaci parole. «Sono gli spiriti della foresta. Sono inquieti.»

«Vaffanculo a te e ai tuoi folletti» rispose elegantemente Charles. «Io dico che ci dobbiamo muovere.»

Il sergente LaBeouf si rizzò sulla sella e fissò il grosso Cacciatore con aria eccessivamente seria. 

«Diamine, soldato Montgros, credo proprio che tu abbia ragione. La tua idea è senza dubbio un colpo di genio. Dovresti correre dal generale a riferirgliela. Anzi, dritto dall’imperatore! Riesco quasi a sentirlo: “Per tutti i tamburi, Charles, mio caro ragazzo, come ho fatto a non capirlo prima? Sono proprio l’ultimo dei deficienti!”»

«Magari ti farà maresciallo» interloquì Victor Beaumonde, un ex tagliaborse agile come una lepre e furbo come una volpe.

«Ha ha. Cristo santo, Victor, mi fai spisciare. Perchè non  te ne vai un po’ a fanculo?» 

«Ci siamo già, direi» rispose Dastan, lo sguardo fisso davanti a se’.

Quella frase spense di colpo qualunque tipo di ilarità. Il vento si fece di nuovo sovrano.

«Sei il solito piantagrane, Dastàn» sogghignò Victor.

«E tu sei un maledetto francese, Victor. È Dàstan, non Dastàn

«Pure noioso. Noioso e piantagrane. Non potevi avere un nome normale? A tua madre non piacciono i francesi?»

«Se ti avesse conosciuto non avrebbe avuto altra scelta. Credo sia orientale... egiziano, siriano, o giù di lì...»

«Dastàn il Saraceno...»

«Vuoi che dica a Charles di fracassarti di botte?»

«Chi, il gigante? Quello è così lento che nel tempo in cui alza le mani io gli ho già abbassato i pantaloni.»

«Non sapevo ti piacessero gli uomini» si intromise Charles con un ghigno.

«Solo quelli ricchi e affascinanti» rispose Victor, restituendogli un sorrisetto.

«Silenzio! Arriva qualcuno!» gridò il sergente LaBeouf.

Tutti si voltarono verso sinistra, da dove si udiva chiaramente uno scalpiccio di zoccoli. Dastan rimase a guardare oltre il muro di cavalli ed eleganti sciaccò, finché la fonte di quel rumore sbucò dalla foschia al gran galoppo, noncurante della pericolosità di tale andatura sulla neve, seguito dal suo Stato Maggiore che cercava disperatamente di stargli alle calcagna.

Era un uomo solo, eppure ne valeva un centinaio. Montava un focoso cavallo arabo e indossava una sgargiante uniforme azzurra bordata d’oro, ripiena di cordoni, nastri e nappine svolazzanti. In mezzo a tutto quell’azzurro, sbucava un volto fiero incorniciato da dei poderosi mustacchi e da una cascata di ricci ribelli.

Tutti conoscevano il leggendario coraggio di quello spavaldo guascone. Era il maresciallo Murat.

«Guardate, è Murat. Murat!» Il nome dell’impetuoso comandante passò di bocca in bocca, propagandosi come una virulenta fiammata.

«Che succede? Si va? Si va?» domandava febbrilmente Charles, dondolandosi sulla sella.

Ma come uno spettro evocato dalla tormenta, il maresciallo Murat sparì come era venuto.

«Ehi, ma dove va?» disse Charles, deluso. «Torna qui!»

Passarono lenti minuti scanditi dal morso gelido del vento, durante i quali Dastan si chiese se l’apparizione del maresciallo non fosse stata un’allucinazione data dalla neve. Poi, rapido come il fulmine, un ordine si propagò per le file di cavalieri.

«Sguainare le spade! Pronti alla carica!»

Gli uomini estrassero la propria arma dai foderi di acciaio, portandola vicino alla spalla. In una giornata di sole sarebbe stata una scena magnifica, ma tutto era nascosto dalla neve.

Erano stanchi, semicongelati e intirizziti, ma erano pure sempre cavalieri. Dragoni, Corazzieri, Lancieri, Ussari, Cacciatori e Granatieri a Cavallo: diecimila e settecento uomini del fior fiore della cavalleria di Francia. 

«Si va! Si va!» gridava estasiato Charles.

Dastan deglutì la propria agitazione, cercando di mandarla il più a fondo possibile. Respirò a fondo, cercando di controllare i battiti del proprio cuore. Sapeva che ben presto la paura sarebbe scomparsa, seppellita dall’adrenalina e dall’esaltazione che solo una carica di cavalleria poteva dare.

Il maresciallo Murat sbucò di nuovo dalla nebbia, accompagnato da una squadra di ufficiali.

Al suo passaggio, lance, sciabole e spade si levarono in alto, a sfidare il cielo.

«Viva Murat! Viva l’Imperatore!»

Le trombe squillarono, sovrastando la tormenta, e quella grande marea di uomini e cavalli si mise in marcia, sferragliando e tintinnando. Nonostante la neve attutisse il rumore, il terreno vibrava sotto gli zoccoli di tutti quegli animali.

«Viva l’Imperatore!»

Le interminabili file di cavalieri aumentarono progressivamente la velocità, passando al trotto. Non avrebbero potuto andare più veloci, o i cavalli avrebbero rischiato di rompersi le zampe affondando nella neve.

«Viva l’Imperatore!»

La cavalleria passò accanto ad un reparto di fanteria che avanzava lentamente. Gli uomini si tolsero gli sciaccò e li agitarono in aria.

Dastan non si accorse neanche della loro presenza: erano troppo lontani da lui, e in ogni caso era  impegnato a guardare avanti. Ancora non riusciva a scorgere alcunché, dinanzi a se’. Era come se galoppasse in mezzo al nulla. 

Una strana morsa cominciò a comprimergli il petto. Non vedeva niente, non sentiva niente, non sapeva dove stava andando... un terribile senso di smarrimento rischiò di fargli perdere il controllo. Soltanto la consapevolezza della presenza delle migliaia di uomini intorno a lui lo mantenne lucido.

Poi, come una boccata d’aria fresca, la nebbia sparì e il mondo si rivelò dinanzi ai suoi occhi.

Eylau bruciava. La cittadina era avvolta dalle fiamme, devastata dal cannoneggiamento delle truppe dello Zar. I reggimenti di fanteria, simili a grossi e informi animali, fiammeggiavano consumandosi lentamente. Il vento che gli rombava nelle orecchie gli impediva di udire le scariche di fucileria, ma riusciva comunque ad avvertire il rombo dei cannoneggiamenti.

La guerra era sangue, sudore, feci e budella, ma quando entrava in gioco la cavalleria diventava gloria, onore, coraggio. Tutto scompariva in una luce accecante. Quando la cavalleria carica, ragazzo mio, Dio si ferma a guardare. Era una delle frasi preferite di suo padre. Una frase che poteva apparire esagerata, quasi ridicola: eppure quando ti trovavi in mezzo a migliaia di uomini lanciati al galoppo sfrenato verso un muro di nemici, sprezzanti del pericolo, della vita, di tutto, mentre il vento ti urlava nelle orecchie e gridavi per scacciare via la morte, quella frase non aveva niente di stupido. Era la pura e semplice verità.

Fu come se la tempesta di neve avesse intessuto un’incantesimo per fiaccare gli animi di quegli uomini. Una volta fuori dalla tormenta, un boato di gioia percorse le file di cavalieri. Come una valanga inesorabile, la cavalleria di riserva passò al galoppo, lanciandosi a tutta velocità contro le file nemiche.

La carica di quei diecimila cavalieri fu uno spettacolo straordinario: i russi, che fino a poco prima potevano quasi accarezzare la vittoria, si videro comparire davanti un’interminabile schiera che nonostante avesse passato tutta la mattina sotto la neve riusciva comunque ad essere sgargiante e scintillante. Il verde dei Cacciatori e dei Dragoni, l’azzurro degli Ussari, il blu dei Lancieri e dei Corazzieri, gli elmi crestati, le spade, le corazze: un’inarrestabile ondata di carne e acciaio.

Dastan vide gli ufficiali sbracciarsi e sbraitare per far assumere agli uomini la formazione a quadrato, l’unica in grado di tener testa alla cavalleria: ma per muovere centinaia e centinaia di uomini occorre del tempo. Tempo che non c’era.

Li vide avvicinarsi sempre di più, a velocità vertiginosa. Qualcuno gridò qualcosa, e le linee nemiche si riempirono di lampi giallastri. Qualche cavaliere cadde, rotolando nella neve, ma la salva era stata tirata troppo di fretta e troppo disordinatamente perché potesse avere qualche effetto.

Il terreno scompariva davanti a lui a velocità esorbitante, divorato senza sosta da quel mostro gigantesco fatto di cavalli, uomini e gloria.

Non ci volle che qualche secondo. E infine, con uno schianto che fece tremare il terreno, i diecimila cavalieri impattarono contro le linee russe.

Dastan non ebbe neanche occasione di vibrare qualche colpo: i fanti ruppero le righe, fuggendo disordinatamente, cercando scampo ne piccolo bosco che si trovava appena a qualche centinaio di metri alla loro destra. Ad un certo punto credette pure di udire Charles urlare «Adoro quando scappano!», ma non ne ebbe la certezza.

Il suo sguardo si soffermò su uno sparuto gruppo di soldati che si stringevano attorno alla bandiera del reggimento: una mezza dozzina di Ussari gli girava intorno, cercando di sottrargli il prezioso stendardo.

All’improvviso, il vento cessò di colpo. La bandiera smise di garrire al vento, afflosciandosi sull’asta.

Fu un attimo. Un fulmine a ciel sereno trafisse Dastan.

Fra gli alberi, fino a quel momento nascosta alla sua vista dalla bandiera, c’era una ragazza. Alta e pallida, capelli corvini e occhi blu, indossava un lungo ed elegante vestito rosso. Era una presenza così fuori luogo da risultare decisamente inquietante.

"Sono gli spiriti della foresta. Sono inquieti."

Le parole del tetro Bernard gli tornarono alla mente. Possibile che quella ragazza fosse...

...uno spirito?

Dastan non dovette attendere molto per avere la sua risposta. Alle spalle della ragazza, avanzando quatto quatto comparve un grosso Dragone. Lei non sembrò essersene minimamente accorta: guardava rapita verso il campo di battaglia.

Dastan provò a gridargli qualcosa, ma la sua voce si perse nel caos generale.

Il Dragone si alzò in piedi. Era una bestia, alto più di Montgros.

Un orso in giubba verde.

Con la rapidità di un fulmine, il soldato afferrò la ragazza, mettendogli una mano sulla bocca e la spada sulla gola. Gli occhi della ragazza si spalancarono, sprofondando nel terrore. Era uno sguardo di angoscia così puro che Dastan sentì uno spuntone di ghiaccio lacerargli il cuore.

Poi il vento si alzò di nuovo e la ragazza scomparve.

Una pallottola gli sfiorò il gomito. La mente tornò alla battaglia, e Dastan si vide improvvisamente accerchiato. Una baionetta tentò di affondare nella sua gamba. Dastan deviò con la sciabola il colpo, spronò il cavallo e si aprì a suon di fendenti una via d’uscita, lontano dagli alberi e dai loro segreti. 

 

Terrore.

Le sconvolge l’anima, squassandogli il corpo e lasciandolo fiacco e tremante. Le ottenebra la mente, impedendogli di pensare. Sente solo il fetore del suo aggressore, e il suo respiro marcio e ansimante.

La lunga lama d’acciaio le preme sulla gola. Non osa muovere un muscolo, ma anche volendo non ci potrebbe riuscire. La sua linfa vitale è scomparsa, fuggita via da quell’essere malvagio.

«Ciao, bellezza. Cosa ci fa un bocconcino simile in un posto così pericoloso?»

La sua voce è ruvida e secca come un tronco morto. Un nuovo spasmo di terrore la travolge, macchie violacee si addensano ai lati del suo campo visivo. Si sente mancare. Si ritrova a pensare con piacere all’eventualità di svenire.

«Sì sì, un posto pericoloso. Ma fortunatamente ci sono qui io. Ti proteggerò io, mia principessa, oh sì...»

La neve ha smesso di cadere. Se n’è andata via. L’ha lasciata sola.

Si sente morire, e prega che quel mostro la faccia finita il prima possibile.

«Ti proteggerò io. E tu mi sarai riconoscente, come solo le brave ragazze sanno fare...»

«Ehi Gaspard, che succede?»

Tre uomini sbucano dal folto della foresta. Hanno giubbe verdi, e un minaccioso copricapo con una lunga coda di cavallo nera. Se non fosse terrorizzata, troverebbe la cosa buffa, quasi divertente.

Si sente travolgere dal sollievo. Quegli uomini sono qui per salvarla, ne è certa.

«Ma guarda un po’ cosa abbiamo qui» dice uno dei nuovi venuti, quello che ha un grosso sfregio sulla guancia destra. «Dove hai trovato questo gioiellino, Gaspard?»

«Era qui, guardava la battaglia. Un vero colpo di fortuna.»

«Già, Gaspard, un vero colpo di fortuna». I tre uomini si avvicinano a lei. I loro sguardi non sono benevoli. Hanno gli occhi di lupi che si portano controvento, per non allertare i cervi con il proprio odore.

«Ricordi il patto che abbiamo fatto, Gaspard? Il bottino va diviso equamente...» l’uomo sfregiato fa saettare la lingua, come un grosso e pallido rettile.

Sente il suo ghermitore irrigidirsi. «Va bene. Ma la voglio prima io. Non voglio rischiare che me la roviniate.»

«Come vuoi, Gaspard... basta che respiri.»

La presa sul suo collo si allenta. Per un breve, folle attimo, crede che il suo rapitore la voglia liberare. Poi una violenta spinta la fa cadere a terra, a faccia in giù sulla neve.

«Vediamo che cos’hai sotto questo bel vestitone...»

«Sì, facci vedere...»

Sono voci cattive, pregne di una sconcertante malvagità. Quegli uomini vogliono qualcosa da lei, ma non sa cosa.

Quando lo capisce, un brivido freddo le gela la spina dorsale, mentre una scossa le fulmina il cuore. Sa come funziona la riproduzione delle specie, ma tutto questo... è qualcosa di terribilmente sbagliato.

Chiude gli occhi, mentre grosse lacrime le bagnano il volto. Le mani sudicie della bestia che l’ha presa la afferrano. E’ la fine.

Nel pieno dello sconforto e della disperazione, lancia un’ultima, disperata preghiera alla foresta, la sua protettrice, sua madre.

Gli alberi sembrano prendere fiato per annunciare il loro verdetto. Ma qualcosa li interrompe.

Non ha il tempo di capire cosa

 

Quattro uomini. Tre, più il gigante accovacciato sopra la ragazza.

La mente di Dastan lavorava a velocità frenetica. In un istante, aveva già deciso cosa fare.

Estrasse le sue due pistole, le puntò contro i tre Dragoni in piedi e fece fuoco. Due cavalieri si accasciarono a terra, uno ferito al petto e l'altro alla spalla, mentre il terzo, illeso, li guardava cadere stupefatto.

Dastan lanciò le pistole per terra: dopo un colpo andavano ricaricate con una procedura lenta e penosa, e lui non aveva tempo per farlo. Liberò i piedi dalle staffe e li appoggiò sulla sella. Poi, con un secco colpo di reni, si lanciò in aria, verso il Dragone rimasto in piedi.

Stupito da quell’imprevedibile quanto spettacolare mossa, il cavaliere non riuscì a reagire in tempo. Dastan atterrò alla sua destra, rotolò sulla neve, e rialzandosi estrasse la sciabola, tracciando un elegante fendente nell’aria gelida.La lama ricurva attraversò senza sforzi il polpaccio del Dragone: l’uomo cade a terra urlando, stringendosi la gamba.

Come una furia, Dastan si girò verso il suo ultimo avversario.

Ora a noi due, maledetta bestia.

Fu in quel momento che si rese conto di aver commesso un tragico errore.

Il gigante gli puntava contro una pistola.

No.

Con un ghigno selvaggio, il Dragone premette il grilletto.

Uno sbuffo di fumo, una fiammata, uno scoppio. Ma Dastan non venne colpito.

Strizzò gli occhi, stupito, chiedendosi perché fosse ancora vivo.

 

La risposta era a qualche metro da lui, avvolta in un elegante vestito rosso. Teneva tutte e dieci le dita serrate sull’impugnatura della pesante spada del Dragone, immersa nel fianco dell’uomo.

Il bestione lasciò cadere la pistola. Il grosso testone ruotò verso la ragazza, fissandola con odio. Poi, come un enorme menhir, il cavaliere cadde a terra, morto.

Dastan corse verso la ragazza, prostrata a quattro zampe per terra. Ansimava violentemente.

Si inginocchiò davanti a lei, sollevandole il mento. «Sta’ tranquilla, è tutto finito. Ti porto al sicuro.»

Vide i suoi occhi spalancarsi dal sollievo. Un timido, lieve sorriso sbocciò sul suo volto.

«Tranquilla, ci sono qui io. Sei al sicuro, adesso. Come ti chiami?»

Diamine, ho salvato una donzella in pericolo. Mi merito come minimo un bacio. 

Il volto pallido della giovane donna si avvicinò al suo. Il cuore di Dastan prese a battere come un tamburo. Si perse in quegli occhi, così intensi, così innocenti, così incredibilmente, immensamente blu. Sempre più grandi, sempre più vicini...

Poi la ragazza emise un singulto strozzato, gli vomitò sulla giubba e si accasciò a terra, svenuta.

Dastan rimase immobile per qualche secondo, come se aspettasse ancora di sentire le labbra della ragazza sulle sue. Poi, con un gemito di rassegnata disperazione, si alzò in piedi, imprecò sonoramente e con un fischio richiamò il suo cavallo.

«Poteva dire qualcosa, poteva fare qualcosa, poteva… tutto, ma non questo!» esclamò rivolto a Principe, che gli si era accostato mansueto. Con un grugnito, issò la ragazza sulla groppa del cavallo. «Maledizione. Ma che cosa gli faccio io alle donne?»

Il cavallo sbuffò, facendo vibrare le froge e agitando leggermente la coda.

«Certo, perché tu sei un grande conquistatore, invece» ribatte il Cacciatore, prendendolo per le briglie Principe.

Improvvisamente, una folata di vento gelido lo fece rabbrividire, portando con se’ uno strano mormorio. Somigliava inquietantemente... ad un sussurro.

Si girò di scatto. Nessuno.

I tronchi degli alberi si accalcavano uno dietro l’altro fino a confondersi in un’indecifrabile oscurità.

C’era qualcosa, lì dentro. Qualcosa che a Dastan non piaceva per niente.

Quindi, con tutto il rispetto, io me la filo di gran carriera.

«Forza Principe, andiamocene.»

Il cavallo non se lo fece ripetere due volte, e cercando disperatamente di ostentare sicurezza portò il suo padrone e quella strana ragazza fuori dalla foresta.

 

 

 

 



NOTE DELL'AUTORE (O L'ANGOLO DELLA CHIACCHIERA): Nonostante abbia una grande passione per l'epoca napoleonica, raramente ho scritto qualcosa al riguardo. Forse perchè, siccome mi piace molto, ho paura di scrivere qualcosa di approssimativo o inesatto. Questa volta, però, ho deciso di fare un tentativo, anche perchè questo non è un romanzo storico e posso permettermi qualche libertà.

La battaglia di Eylau fu combattuta l'8 febbraio 1807 (non crediate che lo sappia a memoria, non rammentavo neanche l'anno) e fu un gran casino: morti di freddo e mezzi accecati dalla tempesta di neve, i francesi finirono per spararsi anche fra di loro (fu il caso delle due divisioni del maresciallo Augerau, il quale era pure malato, che si persero nella tormenta e finirono dritte davanti ai cannoni russi, che ne fecero scempio; come se non bastasse, furono cannoneggiate da dietro anche dai loro compatrioti, che non li avevano riconosciuti per via del tempo decisamente schifoso). Nella cittadina di Eylau, sventrata dai cannoni, si combatteva senza quartiere, casa per casa: ad un certo punto, lo stesso Napoleone venne quasi catturato dai russi. Verso mezzogiorno la situazione era critica: Napoleone decise di affidare il tutto per tutto al maresciallo Murat (famoso per il suo folle coraggio e per l'intelligenza di un comodino: l'imperatore soleva dire che il suo intelletto era come quello "dell'ultimo tamburino"). Diecimila settecento cavalieri (diecimila! Voglio dire, i cavalieri di Theoden erano meno di seimila lance e sembrano un'infinità nel film) piombarono sui russi e li travolsero senza pietà, ribaltando l'esito della battaglia. Fu la più grande carica di cavalleria di tutte le guerre napoleoniche, e di certo la più spettacolare: non credo di essere riuscito a trasmettere la magnificenza e l'esaltazione di quel momento, ma spero di aver tirato su qualcosa di decente.

Ok, ho parlato troppo. Insomma, tutto lo sproloquio è per dire che la battaglia di Eylau è esistita veramente, così come è esistito il tredicesimo cacciatori a cavallo. Non so se la cavalleria di riserva fosse a destra dello schieramento, ne' se ci fosse una foresta nei pressi. Ma il rigore storico non fa certo parte della nostra storia (voglio dire, una ragazza gira per i boschi con un vestitone rosso), perciò mi sono appena reso conto che di tutto quello che ho detto non ve ne frega una mazza. Grazie a Dio sto scrivendo e potete saltare questo pezzo a piè pari.

Perciò inchini e riverenze, e al prossimo capitolo!

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Capitolo 3
*** La Dama del Bosco ***


La Dama del Bosco



Il sole era tramontato da un pezzo quando Dastan, Principe e la ragazza giunsero nei pressi del villaggio di Anon. Si udiva ancora qualche colpo di cannone, ogni tanto, ma la battaglia era ufficialmente finita già da qualche ora.

Anon era uno sputo di case di legno nei pressi della foresta, circondate da una solida palizzata di legno. Dastan aveva avuto modo di scoprirlo durante i giorni precedenti, quando il suo reggimento aveva avuto l’ordine di perlustrare i dintorni del campo di battaglia in previsione dello scontro. Era un luogo tranquillo, silenzioso e appartato: l’esercito pernottava fra le case semidistrutte di Eylau, e l’ultima cosa che Dastan voleva erano altri lupi affamati in divisa.

Due soldati nell’uniforme blu scuro della fanteria leggera montavano la guardia fuori dal portone d’ingresso. Uno dei due aveva poggiato il moschetto alla porta, per sfregarsi le dita congelate, mentre l’altro aveva tutta l’aria di essersi addormentato in piedi.

Dastan imprecò fra se’. Non si aspettava la presenza di militari in quel luogo. Magari qualche sparuto cavalleggero in pattuglia, ma quei due fanti di guardia mostravano chiaramente che un nutrito gruppo di soldati (un battaglione, una compagnia o addirittura un reggimento) aveva scelto Anon per passare la notte.

Rimase lì, sul ciglio della strada, incerto sul da farsi. Ben presto sarebbe calata la notte,  e non poteva dormire all’addiaccio: sarebbe morto congelato, sepolto dalla neve. Gettò uno sguardo alla foresta, accarezzando l’idea di trovare riparo fra gli alberi.

Potrebbe funzionare...

Lì in fondo, in mezzo agli alberi, qualcosa si mosse.

Ok, no. Tutto sommato, anche nella foresta rischio di congelare. E poi, se accendo un fuoco, magari mi beccano... no, non è fattibile. Purtroppo, il villaggio è l’unica opzione.

Come se gli avesse letto nella mente, Principe sbuffò divertito.

«Io non farei tanto lo sbruffone, se fossi in te. Guarda che ho visto come faticavi per non dartela a gambe, oggi.»

Principe agitò pigramente la coda, cercando di ostentare sicurezza.

«Sì, certo. Forza, muoviti, prima che questa poveraccia muoia di freddo.»




I due soldati di guardia riconobbero la giubba verde dei Cacciatori a Cavallo e, con un’occhiata stranita al suo carico particolare, lo lasciarono entrare.

Dastan attese che la porta si aprisse aspettandosi di vedere giubbe blu da ogni parte: oltre l’entrata, invece, non c’era nessuno. Le strade erano deserte. Anzi, la strada: la rete viaria di Anon consisteva in un unica, ampia via, attorno alla quale sorgevano praticamente tutte la case del villaggio.

Gli zoccoli di Principe non facevano quasi alcun rumore mentre calpestavano la neve. Dopo l’ululato della bufera e il clangore della battaglia, tutto quel silenzio aveva un che di innaturale.

Da una casa sulla sinistra della via uscì una donna grassoccia con una cuffia in testa ed un secchio in mano. Dastan colse l’occasione per chiedere ospitalità.

«Scusatemi, signora» disse, con quel poco di polacco che sapeva.

La donna si fermò, sorridendo al cavaliere. «Buonasera anche a voi, monsieur» rispose in un dignitosissimo francese.

Dastan non poté fare a meno di sorridere. «Parlate francese?»

«Quanto basta. Mio marito me ne ha insegnato un po’.»

«Magnifico. Sentite, madame, avrei bisogno di ospitalità. Questa povera ragazza morirà di freddo se non riceve un po’ di calore entro breve.»

Il volto della donna si tramutò in una maschera contrita dalla compassione. «Oh, povera cara. Che le è successo?» domandò avvicinandosi alla ragazza svenuta.

«Degli uomini l’avevano circondata. Non avevano buone intenzioni.»

La donna lo guardò con ammirazione. «Siete un brav’uomo. Voi...» Non appena la donna vide i lunghi capelli neri della ragazza e il suo vestito rosso, cacciò un urlo acutissimo. Principe scartò di lato, spaventato.

«MALEDETTO PAZZO! SCIAGURA, SCIAGURA SU DI TE!» gridò con tutta la voce che aveva in corpo.

Dastan era troppo stupito per replicare. «Madame, io non...»

«PHILIPPE! PHILIPPE! AIUTO!» strillò di nuovo la donna, tirando il secchio addosso a Dastan con sorprendente forza.

Il Cacciatore schivò il grosso proiettile, e istintivamente estrasse la pistola.

Quant’è vero Iddio che la freddo, a questa maledetta cicciona!

Continuando a berciare maledizioni, la donna corse in casa, sprangando la porta. Si udirono voci all’interno della casa, poi la finestra del piano superiore si spalancò, mostrando un uomo sulla sessantina in camicia da notte e berretto. Fra le braccia stringeva un grosso fucile da caccia.

«Vattene, valletto di Satana!» gridò l’uomo, puntandogli il fucile addosso.

«Ehi! Statemi a sentire, signore, si è trattato sicuramente di un malinteso. Io non ho alcuna intenzione di...»

«HO DETTO VATTENE, MALEDIZIONE! PORTA LA TUA MALIGNITÀ LONTANO DA QUI!»

«Ma io non...»

Con uno scoppio, un proiettile sibilò accanto alle zampe posteriori di Principe e si conficcò nella neve con uno sbuffo. Dastan decise che ne aveva avuto abbastanza, e spronando il suo fido destriero mise quanta più distanza possibile fra lui e quella famiglia di svitati.

«SCAPPA, SCAPPA, GUITTO INFERNALE!» gridava ancora l’uomo col fucile.

Galoppando a briglia sciolta, Dastan raggiunse la fine della strada in un battibaleno.Tirando le redini, mise bruscamente fine a quella corsa disperata.

Alla fine della via c’era una piccola piazza rotonda, vuota ad eccezione di un lungo palo di legno, annerito dal fumo e dal fuoco, conficcato nel terreno. Emanava un’aura di solenne e terribile punizione. Dastan non ci mise molto a capire qual era lo scopo di quella semplice ma inquietante struttura.

Ma che gradevole comunità di psicopatici.

Aveva appena localizzato la locanda del villaggio, contrassegnata da una vecchia insegna di legno marcito con su scritto la Dama del Bosco, quando cominciò a nevicare di nuovo. Stavolta, però, i fiocchi cadevano lenti e gentili, morbidi e aggraziati.

Non credere che ti perdoni così facilmente, maledetta bastarda.

Legò Principe davanti alla locanda, poi si issò la ragazza ancora svenuta sulle spalle e fece il suo ingresso nel locale.

Proprio in quel momento, intorno ad un tavolaccio vicino all’entrata della locanda, Charles, Bernard, Victor e il sergente LaBeouf discutevano sulle sorti del loro amico.

Dopo la battaglia, il Tredicesimo Cacciatori a Cavallo aveva avuto il compito di perlustrare la zona, in cerca di beni strategici rilevanti: feriti importanti da salvare o da trarre prigionieri, cannoni abbandonati, vessilli lasciati a terra... tutto poteva essere importante, in guerra.

Il rendezvous era stato fissato per l’indomani mattina alle porte di Eylau. Era singolare tanta libertà affidata ai soldati, ma i Cacciatori a Cavallo erano un corpo di cavalleria leggera, ed era normale che si ritrovassero a svolgere missioni in piccoli gruppi.

Il sergente LaBeouf aveva preso con se’ Charles, Victor e Bernard e insieme si erano messi alla ricerca del loro compagno scomparso. Dopo una giornata di infruttuose ricerche, avevano trovato riparo in quel piccolo villaggio, trovandovi un distaccamento di una trentina di uomini della fanteria leggera comandato da un tenente rubizzo e allegrotto, che in un gran vociare e con numerose pacche sulla spalla gli aveva indicato la Dama del Bosco.

«Io dico che i russi l’hanno fatto secco» sentenziò Charles, trincando vino dal suo boccale.

Il sergente LaBeouf si accarezzò i baffi con una mano, meditabondo. «Nah, il ragazzo è troppo furbo. E poi, il suo corpo non l’abbiamo trovato.»

«Nossignore» rispose Victor «lo abbiamo cercato dappertutto. Ma forse io un’idea ce l’ho» aggiunse, sporgendosi in avanti sul tavolo con fare cospiratorio.

«Illuminaci, Victor» disse Charles con una smorfia.

Victor sorrise, soddisfatto della completa attenzione che gli era rivolta. «Vicino al luogo dello scontro ho trovato quattro cadaveri, tutti Dragoni, e nessun cadavere russo intorno. Quattro morti, da soli, appena dentro la foresta.»

«E quindi?»

«E quindi l’ultima volta che ho visto Dastan, stava galoppando dritto verso di loro.»

Il silenzio accolse quelle parole, cadendo come un macigno su quella tavola.

«Stai dicendo» disse Charles «che li ha ammazzati lui?»

«E’ probabile» confermò Victor «conosciamo tutti Dastan, e sappiamo che ne è più che capace. Quello che non so, è perché l’ha fatto.»

Il sergente LaBeouf era perplesso. «Quindi pensi che li abbia fatti fuori, e che poi sia scappato per evitare il plotone di esecuzione?»
 
«Non lo penso» sentenziò Victor «ne sono certo.» Si stiracchiò soddisfatto, inarcando la schiena all’indietro. «A quest’ora sarà in viaggio verso qualche luogo esotico: ci scommetto la virtù di mia sorella.»

In quel momento, proprio dietro alle sue spalle, fece il suo ingresso di gran carriera l’oggetto delle sue supposizioni, portando sulle spalle qualcosa nascosto da un voluminoso vestito rosso.

Victor vide le facce sbigottite dei suoi compari, e il sorriso beffardo scomparve dal suo volto. «Beh, ma che vi prende? Avete visto il diavolo?»

«Meglio, amico mio» rispose Charles fissando qualcosa proprio sopra le sue spalle «di’ un po’, è carina tua sorella?»

Victor rimase per qualche istante interdetto, poi si voltò sulla sedia con la rapidità del lampo.

Dastan marciava a passo di carica dritto contro il bancone della locanda.

«Che mi venga un colpo! E che diavolo ha in...» appena comprese cosa trasportava il giovane Cacciatore, Victor rimase a bocca aperta.

«Una ragazza. Ho saccheggiato il campo di battaglia per tutta la giornata, e il massimo che ho trovato è stato un orologio d’argento scassato. Lui sparisce per un po’, e torna con una ragazza» disse Charles, vivamente sconfortato.

«Buon Dio, ma dove l’avrà trovata?» si chiese il sergente LaBeouf.

L’unico a non essere sbigottito era Bernard. Fissava la ragazza con manifesto sospetto. «Non mi piace. Le femmine portano guai. Sopratutto se ben vestite.»

Mentre i suoi compari rimanevano impalati ad ammirare la sua entrata in scena, Dastan raggiunse il bancone, dietro il quale si trovavano un uomo tracagnotto e completamente pelato e una giovane donna magra e bionda. L’uomo pelato, che era il proprietario della locanda, si rivolse a lui mentre asciugava un boccale con uno straccio, lanciando uno sguardo ostile alla ragazza che trasportava.

«Posso esservi d’aiuto, signore?» chiese in un francese stentato.

«Ho bisogno di una camera, possibilmente con un camino o una stufa» replicò Dastan, in tono sbrigativo.

L’uomo non si lasciò turbare dal fare brusco del Cacciatore. «Spiacente, signore, le camere sono già state tutte occupate. Anche se volessi, non saprei dove mettervi.»

«Non è per me, è per la ragazza. Se non fate qualcosa, morirà di freddo.»

L’oste distolse lo sguardo, concentrandosi sul boccale di vetro. «Spiacente signore, ma non ho tempo da perdere per soddisfare la vostra lussuria. Se volete darvi da fare con quella baldracca trovate un altro posto.»

Dastan rimase un attimo interdetto. «Io... che cosa? Aspettate, voi avete frainteso...»

«In tal caso, signore, vi faccio le mie scuse. Buona serata.»

Dastan prese un respiro profondo, cercando di mantenere la calma. Poi, con serenità e autocontrollo, estrasse una delle sue pistole dalla fondina e la posò pesantemente sul bancone.

L’oste smise immediatamente di pulire il boccale.

«Ho la vostra attenzione? Bene. Sono appena arrivato in questo villaggio, e già lo odio. Tutti non fanno altro che mettermi i bastoni fra le ruote, e quando la gente mi mette i bastoni fra le ruote divento nervoso. Adesso, o mi andate a cercare una camera, o io vi sparo e me la cerco da solo. Sono stato abbastanza chiaro?»

L’oste guardò la pistola, poi il Cacciatore, poi di nuovo la pistola.

«Forse... forse ho una stanza libera, all’ultimo piano. Vado... vado subito a vedere» e detto ciò, si allontanò dal bancone in tutta fretta.

Dastan lo guardò allontanarsi. Sospirò pesantemente e poggiò una moneta sulla superficie consumata del bancone, rivolgendosi alla donna bionda, probabilmente la moglie dell’oste. «Un po’ di vino, per favore.»  

La pallida e minuta signora sgranò gli occhi con vivo terrore. Il suo sguardo saettò sul truce Cacciatore, poi sulla ragazza che aveva sulle spalle e infine sulla pistola che era ancora sul bancone. Dopo aver esaminato la situazione, emise uno squittio e svenne, accasciandosi pesantemente a terra.

Dastan rimase immobile, la bocca semiaperta.

Ma cosa gli faccio io alle donne?

«Dastan, maledizione!»

La figura imponente di Charles veniva dritta verso di lui, gli occhi ridotti a due fessure. Un senso di pericolo gli formicolò i muscoli, preparandolo allo scontro.

«Charles, quanto tempo.»

Il grosso Cacciatore si fermò davanti a lui, piantando i pugni enormi nei fianchi. In combattimento a mani nude, non avrebbe avuto scampo.

«Dove l’hai trovata?» ringhiò Charles.

«Non è affar tuo.»

«Non te la meriti.»

«Io cosa?»

«Ho sgobbato in mezzo ai cadaveri per tutta la giornata mentre tu andavi a spassartela in cerca di femmine. Non lo trovo giusto.»

Dastan lo guardò scandalizzato «Io non sono andato a donne! Lei era vicino...»
 
Dietro il grosso Cacciatore fece capolino la faccia furba di Victor. «Bonsoir, Dastan. Ti sei dato da fare, vedo. Tutti qui eravamo convinti che fossi scappato. Io starei attento, fossi in te: le belle fanciulle come quella tendono a portare sgradite malattie. Cos’è, vomito quello?» aggiunse poi con un'occhiata alla giubba di Dastan.

Bernard si unì al gruppo, con le mani intrecciate dietro la schiena e l’aria corrucciata. «Quella ragazza porta male, Dastan. Te ne devi liberare.»

«Adesso basta!» esclamò il Cacciatore, esasperato. « Finitela tutti con questa storia! Non ho alcun interesse verso questa ragazza, e non ho intenzione di liberarmene o di approfittare di lei. Ora me ne vado a dormire, prima che perda la pazienza e spari a qualcuno.»

«Come vuoi, Dastan, ma ci devi una spiegazione quanto prima» disse Victor.

«Già. Quei quattro Drag... ehi!»  grugnì Charles, interrotto da una gomitata di Victor. «Di un po’, improvvisamente sei stanco di vivere?».

«Ti facevo solo presente che una mezza dozzina di nostri compatrioti sono giusto in fondo al locale. Non ci hanno sentito, ma prima finiamo questa conversazione meglio è. Non vogliamo che si sparga la voce di questo... imprevisto» sussurrò Victor.

Per una volta, Dastan fu grato all'ex tagliaborse. «Perfetto. Ora, se volete scusarmi, questa ragazza è uno scricciolo ma comincia a farmi male la spalla. Domattina vi spiegherò tutto, promesso.»



La camera era piccola, ma confortevole. Il fuoco danzava allegro nel caminetto, e il letto profumava di lenzuola pulite. Da una piccola finestra tonda si vedeva la neve cadere copiosamente.

Devo ricordarmi di minacciare più spesso i locandieri.

Con un grugnito liberatorio, Dastan adagiò la ragazza sul letto. Le mise una mano sulla fronte, per controllarle la temperatura, e dopo qualche istante ritrasse la mano sorpreso.

Questa ragazza scotta da morire!

La fanciulla era stata troppo tempo sotto la neve. Il suo fragile corpo non avrebbe resistito ancora a lungo.

Dastan meditò se toglierle il vestito prima di infilarla sotto le coperte: sarebbe stata più comoda, senza dubbio.

Ma era solo per gentilezza che stava meditando di farlo? No, non del tutto. La ragazza era parecchio graziosa, e lui aveva rischiato la vita per salvarla. Glielo doveva, era suo diritto dopotutto...

La mano si avvicinò ai lacci del corsetto.

Maledizione, ma che mi prende? Passo troppo tempo con Charles.

La mano deviò dal corsetto e finì sotto l’incavo del ginocchio. Con molta cautela, Dastan sollevò la ragazza e la ficcò sotto le coperte, coprendola fino al mento.

Forse grazie al tepore della stanza, la fanciulla riaprì gli occhi. Le iridi azzurro profondo fissarono il giovane Cacciatore. «Dove... sono?» chiese in un sussurro.

Dastan si chinò sopra di lei. «Non temere, sei al sicuro e al caldo adesso.»

Gli occhi della fanciulla migrarono verso la giubba macchiata. «Mi dispiace.»

«Cosa? Oh, questo... non fa niente. Eri spaventata, è normale.»

«Farah.»

«Prego?»

«Mi... chiamo... Farah.» La ragazza fece un timido sorriso, poi si addormentò.

«Farah» ripeté a se stesso Dastan. «Nome particolare.»

Un po’ come il mio, in effetti.

Prese l’unica sedia della stanza e le mise vicino alla porta, poi si tolse lo zaino, la bandoliera e la cintura con la sciabola e con un gemito soddisfatto si sedette.

Rimase per un po’ in silenzio, ad osservare la ragazza dormire.

Chissà da dove vieni.

Poi le palpebre si fecero pesanti e scivolò in un sonno profondo.

 

***


I suoi sogni sono turbati. Strane immagini le turbinano nella mente: volti confusi, oscurità rossastre, gemiti striduli. Tutto è buio e malvagio.

Ha paura.

Si sveglia all’improvviso. E’ un una stanza. Il fuoco danza, proiettando ombre inquiete sui muri di legno. Vicino alla porta, l’uomo che l’ha salvata dorme, con le braccia conserte e il capo reclinato sul petto.

Il letto è morbido. Le piace stare lì. Vorrebbe sonnecchiare ancora per molto. Ha avuto paura, tanta paura, e ha bisogno di riposo.

L’unico rumore è quello dei ceppi che schioccano nel caminetto. Il resto è silenzio.

Quiete, calma, silenzio. Come nella sua foresta. Come nel grembo materno.

Poi, lo sente. E’ attutito dal rumore della legna ardente e dal respiro pesante del suo salvatore, ma lo riconoscerebbe dovunque, e fra mille suoni.

Il rumore della neve.

Come una scarica di adrenalina, la curiosità pervade le sue membra. Vuole vedere, vuole sentire, vuole scoprire. Non è più nella foresta: è da qualche altra parte.

Non era mai stata fuori dagli alberi. Si sente eccitata, gioiosa. Il mondo l’attende per essere esplorato.

Scosta le coperte e scende dal letto. Sa come non fare rumore, e senza il minimo sospiro si avvicina alla porta. Indugia per un attimo sul viso del giovane Caccitatore, poi socchiude la porta e scivola fuori.

Sul pianerottolo non c’è nessuno. I suoi piedi sembrano sfiorare il suolo mentre scende delicatamente le scale.

Nella sala principale c’è solo un uomo, un soldato profondamente addormentato. Ha le guance rubizze e russa sonoramente. In mano stringe un boccale.

Affascinata, si avvicina all’uomo addormentato. Piegando la schiena, avvicina il proprio viso a quello dell’uomo. Ha uno strano odore, che sembra farsi più forte in corrispondenza del boccale. Lo annusa, poi storce la bocca disgustata. Qualunque cosa l’uomo stesse bevendo, ha un odore terribile.

Gli uomini la affascinano. Sono così variopinti, rumorosi, strani. Non è come nella foresta: lì vige pace e tranquillità. Forse anche troppa.

Fuori dalle finestre, la neve cade copiosa, una cascata silente di fiocchi leggeri. Estasiata, corre fuori.

La piazza è completamente bianca. La sua gioia è incontenibile, appena frenata da quel brutto palo al centro dello spiazzo.

I fiocchi di neve la toccano, accarezzandola col loro bacio gentile. Euforica, comincia a danzare, sollevando la lunga gonna, girando su se stessa, saltellando euforica. Si muove accompagnata da un orchestra silente, eterea, eppure così intensa che la lascia stordita.

La musica è bellissima. Potrebbe andare avanti per sempre.

Poi però qualcosa la blocca, facendole spalancare la bocca in un muto urlo di angoscia.

Una presenza potente si insinua a forza nella mente. Qualcuno la cerca, la vuole, la desidera disperatamente.

Con gli occhi spalancati dal terrore, si volge verso la strada.

Sono qui per lei.

Stanno arrivando.






 

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