Io sono di legno

di PeaceS
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo I - Caput Draconis ***
Capitolo 3: *** Capitolo II - Lux mea ***
Capitolo 4: *** Capitolo III - Mea culpa ***
Capitolo 5: *** Capitolo IV - Bloom ***
Capitolo 6: *** Capitolo V - Together ***
Capitolo 7: *** Capitolo VI - Win ***
Capitolo 8: *** Capitolo VII - Stay ***
Capitolo 9: *** Capitolo VIII - Kiss ***
Capitolo 10: *** Capitolo IX - Mine ***
Capitolo 11: *** Capitolo X - Pieces ***
Capitolo 12: *** Capitolo XI - Moment ***
Capitolo 13: *** Capitolo XII - Night ***
Capitolo 14: *** Capitolo XIII - My ***
Capitolo 15: *** Capitolo XIV - Warrior ***
Capitolo 16: *** Capitolo XV - Scare ***
Capitolo 17: *** Capitolo XVI - Couple ***
Capitolo 18: *** Capitolo XVII - Mors tua vita mea ***
Capitolo 19: *** Capitolo XVIII - Always ***
Capitolo 20: *** Capitolo XIX - Love ***
Capitolo 21: *** Capitolo XX - Battle ***
Capitolo 22: *** Capitolo XXI - Because ***
Capitolo 23: *** Capitolo XXI - The end ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


A me, perché non riesco a smettere di scrivere
A SweetTaiga, che senza volerlo mi ha dato ispirazione
A Labyrinhtum, che con le sue "correzioni" veloci non fa che migliorare le mie storie
A Draco e Hermione, che si innamorano sempre in situazioni difficili




Io sono di legno




"Il legno sembra fermo, ma è sottoposto a pressioni interne che lentamente lo spaccano. La ceramica si rompe, fa subito mostra dei suoi cocci rotti. Il legno no, finché può nascondere, si lascia torturare ma non confessa.
Io sono di legno."
(Giulia Carcasi, Io sono di legno)




 

Un silenzio straziante e insopportabile avvolgeva le torrette svettanti, le mura sgretolate e gli abitanti di Hogwarts da due minuti buoni; niente si muoveva, tutto era immobile: i granelli di polvere a malapena volteggiavano nell'aria tersa di dolore e lacrime, sudore e sangue. La paura accarezzava perfidamente chiunque si trovasse dalla parte opposta del nemico dagli occhi rossi e, probabilmente, molti attendevano la fine di tutto ciò.
Il fumo di quel fuoco appena spento appannava la vista, inumidiva gli sguardi e, in segnali incomprensibili, mormorava addii che pochi avrebbero capito; il vento scompigliava i capelli e portava nuovi odori - odori di una guerra che ancora doveva spegnersi - odori di una guerra che veniva portata avanti da troppi anni.
Molti erano stanchi, lui era stanco. Un lui che era sempre stato dalla parte sbagliata, ma agevolata in tutto e per tutto. Un lui che non contava niente e che - a differenza di molti corpi caduti - anche se ucciso non avrebbe suscitato nessun dolore, nessuna angoscia.
Era stanco. E aveva paura. Draco Malfoy aveva paura, come non ne aveva mai avuta in vita sua.
Aveva paura di uccidere, quando suo padre ne aveva sempre decantato la gioia; aveva paura di impugnare la bacchetta, quella volta, perché non era in grado di restare immobile dinnanzi al tonfo di un corpo crollato sul terreno, senza vita. Aveva paura di sbagliare, perché ogni omicidio fallito era un cruciatus sulla sua pelle, su quella dei suoi genitori; ogni singhiozzo trattenuto era un peso sul suo cuore che, lentamente, andava a spegnersi sempre di più.
« Draco, vieni immediatamente quì! » fu il sussurro di Lucius a rompere il silenzio, a catalogare l'attenzione sulla sua figura, meno inquietante del solito; le occhiaie gli appesantivano lo sguardo guardigno, implorante, addolorato. In quei tre anni che Lord Voldemort era risorto, il caro e vecchio Lucius, sembrava essere stato piegato in due - quasi spezzato come un ramoscello nelle mani del vento -. Tendeva la mano al suo unico figlio, rigido e gelido dall'altra parte della radura; il suo unico figlio, con i suoi stessi occhi, ma dello stesso colore degli occhi di sua madre. Lei, maledetta, che l'aveva reso - molto in fondo - un sentimentalista.
« Draco, tesoro... » anche Narcissa prese parola, stringendo la mano del marito e unendosi a quel richiamo tormentato, triste, simile ad un pianto trattenuto.
Avevano paura, ora. Draco sogghignò, amareggiato. Avevano paura, ora, di perdere il loro unico e prezioso figlio. Lucius aveva paura, ora, quando da piccolo non aveva mai tempo per lui, tempo per una carezza o una presenza che - in una famiglia normale - avrebbe dovuto essere superflua.
Aveva paura, ora, sua madre, quando per amor di suo padre aveva sempre cercato di non far trasparire alcun sentimento capace di rovinare il buon nome di famiglia. Quando la mancanza di un abbraccio - per i Malfoy - era solo per fortificare la tempra morale.
Perché l'amore - per i Malfoy - è per i deboli. Ma per Draco no.
Draco amava la sua famiglia, più di qualsiasi altra cosa, e sapeva che la sua famiglia amava lui, ma... per un momento, per un solo momento, avrebbe voluto che loro glielo dimostrassero.
Gli errori dei padri ricadono sui figli, mai detto era così vero; la voglia di Lucius - quella di voler rendere orgoglioso il proprio padre, riportando il nome di famiglia allo splendore iniziale - era stata trasmessa a Draco che, fin da piccolo, aveva messo da parte se stesso per rendere fiero lui, sangue del suo sangue, per farsi guardare in modo diverso.
Forse con lo stesso scintillio nello sguardo di quando Lucius parlava di Potter.
Scintillio bramoso, desideroso e carico di aspettative.
Fin da piccolo la storia del bambino che è sopravvissuto gli era stata inculcata nel cervello; Draco era stato cresciuto con l'intenzione di trascinare Potter dalla loro parte, farselo amico, poi - quando Harry non aveva ceduto al fascino del potere che i Malfoy e l'Oscuro potevano offrirgli - addestrato a combatterlo, superarlo, esserne superiore e infine ucciderlo.
Suo padre voleva renderlo un assassino.
Doveva davvero diventare un assassino perché lui gli volesse bene?
Perché lui lo amasse?
« No » mormorò Draco, ignorando lo sguardo sgranato di sua madre.
No, perché non ci stava più a venire ignorato.
No, perché non ci stava più a non essere amato.
« Draco! » sibilò suo padre, ordinandogli con lo sguardo di raggiungere la sua famiglia.
Quella famiglia che aveva distolto lo sguardo quando era stato cruciato senza pietà.
Quella famiglia che - in anni e anni - non aveva fatto altro che inculcargli cose sbagliate nel cervello; non gli avevano insegnato cosa era giusto e cosa era sbagliato. Tra i purosangue non esisteva bene o male, ma solo il potere e chi sapeva maneggiarlo.
L'Oscuro Signore non aveva fatto altro che fare sprofondare la sua famiglia nella vergogna, e ora Draco sembrava non avere nient'altro per cui combattere.
Suo padre aveva lasciato che i Malfoy cadessero in disgrazia, che suo figlio venisse trattato alla stregua di un prigionero nella sua stessa casa.
« No » ripetè Draco, alzando la voce per rafforzare il concetto.
Era un codardo, un Malfoy, un viziato purosangue, ma non un assassino.
Era stanco di essere qualcuno che non era per farsi amare.
Lui non odiava Potter, in realtà non gli fregava un cazzo della sua guerra personale e il suo decantare l'amore insieme a Silente.
Lui non odiava i Mezzosangue, che fossero o no inferiori a Draco non riguardava affatto, guardasi quello stesso Mezzosangue che impartiva ordini a tutti loro, che proclamavano di odiarli.
Draco non adorava Voldemort e la sua causa, se avesse dovuto ascoltarlo seriamente, e prenderlo di parola, ora, avrebbe già dovuto ucciderlo per la sua impurezza di sangue; questo, probabilmente, avrebbe voluto far capire a suo padre: stavano prendendo ordini da un Mezzosangue, era giusto poi uccidere quelli della sua razza solo perché lui, da bambino, non era stato amato?
C'entrava sempre, l'amore, Silente aveva proprio ragione.
E se Draco avesse davvero deciso di seguirlo, ora sarebbe un mostro senz'anima.
Pochi gli erano fedeli, il resto erano terrorizzati da una ritorsione.
"Pensaci, Draco, la vita di Silente o quella della tua famiglia?"
Come poteva mandare i suoi genitori al patibolo? Nonostante tutto, anche se per i Malfoy era impossibile amare, Draco lo faceva. "Smettila, Draco! Amare non è una debolezza; ricorda tu sei un Malfoy... ma l'altra parte del tuo sangue è BLACK!"
Rircordò le parole di sua madre con un sorriso: se amare non era una debolezza perché, allora, tanto disprezzavano - lei e suo padre - quel sentimento?
« Bene, bene, giovane Draco... vedo che hai fatto la tua scelta. Lucius, cresci male la tua progenie. Oltre che codardo tuo figlio è anche un traditore! » sibilò Lord Voldemort, mentre un mormorio sconcertato si alzava tra i Mangiamorte e Lucius ingoiava a vuoto.
« Lui non è un codardo! Anche se tardi ha capito da che parte stare e lo sta facendo a costo della sua vita! » urlò Neville Paciock, affiancandolo con suo immenso stupore.
Lo stava difendendo, con il suo buonismo Grifondoro, anche se in sette anni di scuola non aveva fatto altro che offenderlo e prendersi gioco di lui.
« Tu non sei un assassino, Malfoy, e non c'è niente di cui vergognarsi » disse seriamente, guardandolo negli occhi.
Paciock era... orgoglioso di lui? In quelle iridi brune brillava un sentimento che, Draco, non aveva mai visto negli occhi dei suoi genitori. Quante volte aveva desiderato vederlo brillare in quelle iridi grige? Quante? E quante volte, invece, aveva solo intravisto delusione e indifferenza? Quante?
« Non ho bisogno che tu mi difenda » sibilò Draco,alzando il mento e ignorando lo sbuffo rassegnato del ragazzo.
Quest'ultimo, probabilmente, non sapeva che quello era il suo modo di dire grazie.
La signora Weasley, con marito a seguito, seguì l'impavido Neville, sfidando - con quegli ultimi sprazzi di lucidità che la guerra aveva portato via con sé - con gli occhi Lord Voldemort, che sembrava essere arrivato al limite dell'umana sopportazione.
"Mostra sempre fredda indifferenza, Draco, ma non lasciare mai che il tuo cuore smetta di battere. Lascialo spezzarti lo sterno, amare è un dono, non una maledizione".
« Harry sarà anche morto, ma ha combattuto per noi, ha sacrificato la sua intera esistenza per assicurarci un futuro migliore, roseo. Lui è vivo dentro di noi, e noi ci uniremo a te quando l'inferno gelerà! Esercito di Silente! » un boato di risposta si levò dalla folla, e nemmeno gli incantesimi tacitanti di Voldemort riuscirono a fermarlo.
Draco capì che era arrivato il momento di combattere quando il Signore Oscuro cominciò a parlare. « Molto bene. Se questa è la vostra scelta, allora, torneremo al piano originale. L'avete voluto voi » e Draco avvertì più pericolo in quella voce serica che nelle più potenti delle maledizioni.
Con uno sventolio di bacchetta il cappello parlante volò dall'ufficio di Piton alle mani dell'Oscuro Signore e andò a posarsi sul capo di Neville, che venne immobilizato con un Pitrificus Totalum. « Non ci saranno più smistamenti alla scuola di magia e stregoneria di Hogwarts. La casa e i colori del mio antico e nobile antenato, Salazar Serpeverde, basteranno per tutti » sibilò Lord Voldemort e, proprio sul capo di Paciock al suo fianco, il cappello prese fuoco.
L'alba fu squarciata dalle urla del ragazzo, mentre i Mangiamorte si muovevano come un uomo solo per fermare - in tal caso - i ribelli. Poi successero così tante cose velocemente che Draco non seppe dire quale fu la prima: un rumore di zoccoli si levò dalla foresta e una pioggia di frecce infuocate ruppe i ranghi dei Mangiamorte, mentre Grop - il fratellastro di Hagrid - arrivò urlando nella radura.
La battaglia iniziò di nuovo.
Draco riuscì a schiantare il padre di Pansy prima di correre - insieme a tutti gli altri - all'interno delle mura; « Stupeficium! » gridò, prima di venire attaccato da Tiger senior, alle sue spalle. Evitò per un pelo che uccidessero Weasley femmina, buttandosi su di lei, e poi arricciò il naso: da dove era uscito tutto quel coraggio e buonismo tipico dei Grifondoro? Non lo sapeva, non lo sapeva affatto, ma una cosa la sapeva di sicuro.
Non avrebbe mai potuto essere un Grifondoro, mai, perché teneva alla sua pelle di serpente più di qualsiasi altra cosa. Teneva alla sua famiglia più di sé stesso.
Non vide il resto della battaglia, semplicemente lasciò che sua madre lo abbracciasse di spalle e lo materializzasse in un posto che nemmeno lui conosceva.
"Mostra a tutti la tua facciata, Draco. Illudi anche tuo padre che niente ti batti in petto, che sei un pezzo di marmo, immobile e freddo. Ma tu non sei di ghiaccio né di marmo, ma sei di legno. Puoi sembrare anche duro, impenetrabile, inspezzabile... ma solo tu saprai ciò che c'è dentro di te. Noi Black, Draco, siamo di legno, a differenza di quello che credono in molti"
Lui era di legno.

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Capitolo 2
*** Capitolo I - Caput Draconis ***


Capitolo I -
Caput Draconis

 

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"La perplessità è l'inizio della conoscenza"
( Kahlil Gibran)






Hogwarts era ritornata allo splendore iniziale: le sue torrette svettanti, il Platano Picchiatore e la piccola radura che precedeva il Lago Nero, erano stati ricostruiti con dedizione, come se il fuoco non avesse mai lambito ogni singola pietra della scuola di magia e stregoneria, come se gli incantesimi e i giganti non avessero distrutto ogni statua o cosa che si fosse trovata sul loro cammino.
I mattoni, i gargoyle, gli alberi secolari e ogni quadro erano ritornati al proprio posto, suscitando - ancora, di nuovo, - le stesse emozioni di anni fa, quando uno studente varcava la soglia di quella che sarebbe diventata casa.
Quel giorno, il sole delicato di settembre, accarezzava la magia che vezzeggiava in quel luogo - che poteva respirarsi a pieni polmoni - e i visi degli studenti, maturati dopo la guerra, distrutti dopo la battaglia.
Molti studenti si erano riversati fuori dalle mura, ridendo, ma solo due visi non sorridevano. Solo due visi si guardavano, lasciando che il vento portasse via il sapore acre della sconfitta. Del dolore.
« Sì, insomma, credevo che... » balbettò Ron Weasley, imbarazzato, grattandosi la fronte con un sospiro, mentre le orecchie diventavano scarlatte e il viso andava in fiamme. Si fronteggiavano, uno di fronte all'altro, e lui quasi non aveva il coraggio di guardarla negli occhi.
Le arcate proiettavano appena la propria ombra su di loro e pochi metri li dividevano dall'entrata... per poter scappare. Più velocemente possibile. Ma ancora nessuno dei due si era mosso, forse per potersi ferire di più. Forse per farsi male di meno. Insieme o no, lo sapevano entrambi, si sarebbero feriti lo stesso.
« Lo so » sospirò Hermione, stringendosi i libri al petto e ignorando le spalle del suo ragazzo rilassarsi impercettibilmente. Si vedeva lontano un miglio che voleva trovarsi dappertutto tranne che lì, a dirle quello che proprio non riusciva ad uscirgli dalle labbra.
Non era una sorpresa quel comportamento: quando si trattava di ferirla, Ron cercava di radunare tutto il tatto possibile, che poi si trasformava in dolce goffaggine, intenerendola.
« Lo sai? » domandò Ron, guardandola curiosamente.
« Oltre ad essere la strega migliore del nostro secolo - modestia a parte - posseggo quello che viene chiamato intuito femminile, Ronald » continuò Hermione, sorridendogli in un modo che voleva essere incoraggiante, anche se le riusciva a stento. Sentiva il volto congelato e la schiena così rigida che - se si fosse impuntata ancor di più - si sarebbe spezzata in due parti. Come un ramoscello. Lei, spezzata dall'amore. Era possibile? Poteva succedere che, una donna intelligente e acuta come lei, finisse per innamorarsi e rimanerne ferita?
Hermione strinse ancor di più il libro di pozioni al petto, quasi solcando la copertina di cuoio con le unghia lunghe.
« Ho capito quello che volevi dirmi ancor prima che mi trascinassi fuori dalla biblioteca » finì, questa volta sospirando afflitta.
Aveva capito tutto quello che lui voleva dirle ancor prima che la precedesse per i corridoi, senza nemmeno prenderla per mano.
Aveva sentito il cuore incrinarsi appena un po' quando lui le aveva sussurrato "devo parlarti" senza sorriderle, senza afferrarla e stringerla in un abbraccio; lui era così delicato quando si trattava di tenerla forte a sé, anche se, nonostante la presa su di lei, Hermione l'aveva sentito perennamente sfuggevole, simile al fumo che scivola dalle dita.
Era così stanca di rincorrere qualcosa che non si sarebbe mai lasciata afferrare, di qualcuno che non aveva bisogno di lei, di quel che era, ma dell'immagine che dava. Aveva bisogno di qualcuno che sarebbe rimasto, anche se non per sempre - non aveva mai avuto quella presunzione - ma almeno quell'attimo in cui avrebbe sentito il cuore battere all'unisono con il suo.
« Mi dispiace, Herm » mormorò Ron, abbassando colpevole il viso.
"Oh, al diavolo!" pensò la ragazza, cercando di riprodurre uno dei suoi sorrisi più dolci e solari. « Non è colpa tua, Ron. E non ce l'ho con te, davvero, quindi non preoccuparti » disse Hermione, accarezzandogli il viso; Ron appoggiò la guancia sulla sua mano, socchiudendo per un millesimo di secondo gli occhi.
Sentì la barba incolta graffiarle appena il palmo, come lui le stava graffiando il cuore, ma non fiatò. Come sempre.
« Saremo sempre amici, vero? » sussurrò Ron, guardandola sinceramente con gli occhi azzurri spalancati, in attesa di una risposta. Come sempre.
Quegli occhi bruni che avevano visto il mondo, che racchiudevano l'universo, si chiusero: tra quelle palpebre passò un lampo di malinconia, un tuono di tristezza, ma sulle sue labbra rosee e carnose si dipinse un sorriso meraviglioso, simile ad una rosa in sboccio in un deserto arido. Speciale.
« Certo, Ron. Credevi forse di liberarti di me così facilmente? » ridacchiò Hermione, mentre in uno slancio di felicità Ron la stringeva in uno di quegli abbracci fraterni, che poi, negli ultimi tempi, si erano trasformati in qualcosa di più. Abbracci che aveva desiderato - fin troppe volte - come l'aria. Hermione li adorava, sapevano di casa e vecchio, come quando indossava un maglione vecchio di sua madre e risentiva il suo odore, quello che la tranquillizzava e cullava. Lui era così. Aveva quasi l'odore di sua madre, ma si stava affievolendo: oramai, tra loro, più niente veniva naturale. Era tutto troppo forzato, quasi come un'abitudine di cui non poter fare a meno.
Aveva capito tutto quello che lui non le aveva detto fin dall'inizio, quando aveva visto i suoi occhi guardarla dispiaciuta.
« Grazie » mormorò Ron, lasciandola andare e sorridendole come solo lui sapeva fare: dolcemente, con gli occhi azzurri che si socchiudevano appena e le lentiggini che spiccavano sotto il sole estivo di settembre. Lo stesso sole che accarezzò le sue guance, accaldandole, e i suoi occhi, quasi asciugandoli dalle lacrime che facevano forza per non uscire.
« Vai! » rise Hermione, sospingendolo sotto le arcate, leggermente, mentre lei rimaneva immobile sotto quel salice piangente, in attesa che lui le desse le spalle per accasciarsi contro la corteccia con gli occhi serrati. Era ruvida, la sentiva prepotente contro la schiena, ma non si mosse.
Aveva bisogno di quell'appiglio per non cadere.
Non doveva piangere.
Non poteva piangere.
Strinse le dita ancor più forte attorno al libro, quasi facendosi male il petto quando se lo schiacciò contro con forza. I riccioli bruni le ricaddero davanti al viso, coprendole il profilo pallido - così in contrasto con quei capelli così ribelli, troppo simili a lei. -
In realtà aveva sempre saputo che ,prima o poi, quello che legava lei e Ron si sarebbe spezzato: avevano passato troppo tempo insieme e vedersi in un certo modo quasi li spaventava dopo tanti anni vissuti in simbiosi. Lei ci aveva provato. Aveva scoperto di provare qualcosa di più per Ron al terzo anno, e avrebbe dovuto capire che non avrebbe funzionato quando aveva compreso che lui, al quarto, aveva cominciato a captare che lei era una ragazza da poter invitare al ballo. Molto probabilmente la paura della guerra imminente li aveva spinti l'uno tra le braccia dell'altro, legandoli in quel rapporto di amore\amicizia.
Ci avevano provato a stare insieme in quei mesi: la guerra era finita e il loro bacio era stato distruttivo e pieno di paura, quasi come una tempesta, ed entrambi erano consapevoli che poteva essere il primo e l'ultimo; si erano stretti con così tanta enfasi da unirsi in una sola cosa. Tutto faceva male, ma lui continuava ad essere delicato nei suoi confronti: non le aveva spezzato le ossa per intrufolarsi in lei, lo aveva fatto piano, insinuandosi come un serpente.
Ron ci aveva creduto all'inizio, forse più di lei: le sue attenzioni erano sincere e voleva davvero costruire qualcosa quando la guerra era finita e loro erano stati finalmente liberi, ma Hermione era troppo per lui. Troppo severa, troppo impegnata, troppo matura e seria dopo una guerra fatta di lacrime.
Ron aveva bisogno di qualcuno che gli sorridesse, non che gli impartisse ordini. Forse qualcuno che lo facesse sentire più sicuro di sé, affidandosi al suo essere uomo e ragazzo. Qualcuno che fosse capace di farlo ridere anche se la morte di suo fratello gli gravava sulle spalle. Ron aveva bisogno di scacciare i suoi fantasmi, non di renderli più gravi... e lei, di fantasmi, ne era sommersa fino al collo.
Nonostante il dolore sordo che sentiva proprio al centro del petto, Hermione non poteva negargli la sua amicizia: non era colpa sua se quella "cosa" che c'era tra di loro non funzionava; non poteva rinchiudere l'amico in una relazione in cui lui si sentisse imprigionato e non amato. Non voleva rinchiudere nessuno in gabbia, anche se lei non era contemplata in quel nessuno, perché in una gabbia dorata ci si era rinchiusa da sola. E non trovava più la chiave.
« Che delusione, mi aspettavo almeno un cazzotto » sbuffò con tono deluso una voce alle sue spalle, facendola sobbalzare.
Seduto sull'erba, sotto l'ombra del salice, Blaise Zabini la guardò con i suoi occhi neri e un sorrisetto divertito sulle labbra carnose. Al suo fianco - senza proferir parola - e in netto contrasto con la sua pelle color moka, se ne stava Draco Malfoy, il mento appuntito poggiato sui pugni chiusi e gli occhi grigi fissi sulle biglie quasi sprofondate nell'erba alta.
« Tipo quello che quasi ruppe il setto nasale di Draco al terzo anno » disse Blaise, prima di scoppiare a ridere sotto lo sguardo scocciato di Draco, che alzò gli occhi al cielo. Il petto le si alleggerì appena, facendola rabbrividire. La presa sul libro si afflievolì, donandole conforto.
« Ron è troppo alto, non potrei mai arrivare sul suo naso senza procurarmi uno scaletto... in quel caso, purtroppo, se la sarebbe già data a gambe » rispose Hermione con un mezzo sorriso, cercando di ricacciare indietro le lacrime con forza.
La stessa forza che ruggiva, fiera, nel suo petto gonfio di sconforto.
« Ho sempre pensato che lui fosse troppo poco per te » disse Blaise, lanciando con forza una biglia che andò a cozzare contro quella rossa di Draco, che si spostò di lato. Hermione arrossì, Draco fece una smorfia e Blaise esultò, tendendo una mano verso l'amico: « Ho vinto, amico, sgancia venti galeoni » ridacchiò, facendo scuotere il capo alla riccia, che si sedette a poca distanza da loro.
Un'unghia era spezzata e la copertina del libro rovinata: Blaise fece finta di non notare nulla, abbassando il viso sulle biglie, pensieroso.
« Non mordiamo, Granger » sibilò Draco, notando con fastidio che lei - volutamente - si era messa a distanza di sicurezza da loro due.
« Io sì » rispose Hermione, sogghignando quasi nello stesso modo che era solito fare lui. Blaise scoppiò a ridere e Draco alzò un sopracciglio, guardandola stranamente. La Granger sapeva fare battute. Wow, forse il mondo stava per capovolgersi.
Il sole la illuminò, accarezzando le guance rosse e il sorriso appena accennato, che sapeva di un libro scritto a mani nude, con impegno e dedizione. Sapeva di chi aveva visto tutto nella vita, e aveva afferrato quel sorriso dai meandri dell'oscurità di un petto inaridito da sangue e dolore.
Con un gesto secco il Serpeverde afferrò la propria borsa a tracolla, frugandoci dentro fino a sentire il metallo tra le dita lunga e pallide: afferrò i soldi di Zabini e li buttò sull'erba, fissandolo minacciosamente e puntandogli un dito contro: « Questa è l'ultima volta che gioco a biglie con te, Zabini » sibilò, mentre il ragazzo di colore ammiccava sensualmente con gli occhi obliqui.
Hermione aprì il libro di pozioni, lasciando che il sole l'accarezzasse ancora e le infondesse un po' di calore, riscaldando le sue ossa gelide; slacciò il gancetto del mantello e si tirò su le maniche del maglione e della camicia, incrociando le gambe e cominciando a sfogliare le pagine del libro con interesse.
Il giorno dopo il professor Lumacorno avrebbe tenuto una lezione con quelli dell'ottavo anno e avrebbe affidato una prova alla classe per testare le loro capacità. E mai dirsi che Hermione Granger non fosse preparata a una prova così importante.
« Pagina 140 » mormorò la voce strascicata di Draco, prima che si alzasse spazzolando l'erba rimasta sui pantaloni neri della divisa. Hermione alzò lo sguardo, coprendosi gli occhi con una mano: i capelli di Malfoy, alla luce del sole, brillavano come filigrana d'oro, che, a ciuffi, gli ricadeva sulla fronte piana. La pelle pallida era solcata da una sola cicatrice sul sopracciglio, mentre gli occhi grigi sembravano aver perso la baldanza di tanti anni prima.
Draco le dedicò un saluto distratto, lasciandola da sola sul prato con Zabini, che avvicinandosi a lei vide che pagina 140 parlava della Pozione della pace. Si guardarono stupiti negli occhi, capendo che Malfoy - in qualche modo - conosceva la pozione che avrebbero fatto il giorno dopo durante la prova.
« Quel bastardo non l'aveva detto nemmeno a me » sibilò Blaise imbronciato, promettendo vendetta all'amico. Invece, Hermione lasciò che l'imitazione pallida di un sorriso le solcasse le labbra: Malfoy aveva qualcosa che batteva dentro il petto, ogni tanto. Probabilmente il mondo stava per capovolgersi.


***



« Stavi parlando con Zabini » ripeté per la decima volta Harry, corrucciando le sopracciglia scure e guardandola come se fosse Merlino in persona. Con una giravolta evitò un primino in crisi, ritornando di fianco alla riccia con la stessa espressione sconvolta.
« Il fatto che io abbia parlato con Zabini ti sconvolge molto di più del fatto che io e Ron ci siamo lasciati? » domandò Hermione, guardandolo in modo eloquente; Harry arrossì, grattandosi il capo, imbarazzato.
« Smith, se ti vedo ancora in giro con quelle pasticche vomitose giuro che ti faccio vomitare io, a forza di punizioni! » urlò Hermione ad un ragazzino del secondo anno, Grifondoro, che si affrettò a nascondere le pasticche nella divisa e correre nella direzione opposta alla loro: i corridoi erano già una calca di gente, solitamente, ma all'ora di cena erano un vero e proprio ring per arrivare alla Sala Grande. A forza di pugni e calci.
« Scusa, Hermione, ho perso di vista l'obiettivo iniziale » sospirò Harry, accarezzandole con dolcezza una spalla. Convincere lui e Ron a ritornare ad Hogwarts era stata una vera e propria impresa, ma ne era valsa la pena: senza il sostegno di Harry e la vivacità di Ron, casa sua non sarebbe stata la stessa. E poi, entrambi avevano bisogno di un diploma, essere eroi del Mondo Magico non li giustificava di certo ad evitare lo studio e lavorare grazie alla loro fama!
« Mi dispiace tanto, tesoro. E nonostante Ron sia il mio migliore amico... beh, è un idiota! » disse convinto, annuendo alle sue stesse parole. Hermione rise, prendendo Harry a braccetto e trascinandolo verso la Sala Grande, finalmente a pochi passi da loro.
« Non abbiamo litigato, Harry, tranquillo. Ci siamo lasciati in modo pacifico, quindi questo vuol dire che non devi dividerti tra noi due » disse la riccia, dandogli un delicato buffetto sulla guancia e facendolo sorridere.
« Questo non toglie il fatto che Ron sia un idiota » rise Harry, entrando nella Sala Grande e beandosi del chiacchiericcio che la riempiva.
I quattro tavoli brillavano maestosi al centro della Sala, mentre la professoressa Mcgranitt li guardava dalla sua postazione privilegiata. Dal posto di Silente, che, dovette ammettere Harry, aveva rimpiazzato benissimo.
Scoppi, urla, pianti.
Fred, Remus, Ninfadora.

« Vieni... » mormorò Hermione, trascinandolo al tavolo dei Grifondoro e intuendo i suoi pensieri: quei ricordi balzavano nella mente di tutti coloro che erano rimasti ad Hogwarts per combattere.
Solo chi aveva visto poteva capire.
Solo chi aveva provato quel dolore sulla pelle socchiudeva gli occhi e ricordava ogni singolo momento.
Ogni singola persona morta.
Ogni lacrima spesa.
Chi aveva partecipato alla battaglia ricordava ogni ferita curata, ogni corpo caduto, ogni urlo dettato dallo strazio o dalla rabbia.
Harry ricordava.

Hermione ricordava.
Persino Draco Malfoy ricordava ogni momento, cercando di fermare il tremolio alle mani che lo coglieva impreparato.
« Ho saputo che hai preso a pugni Ron. Se è così, hai il mio assenso, sorella » un tornado dai capelli rossi li superò, sedendosi al tavolo dei Grifoni con l'espressione curiosa di chi vuole conoscere tutta la storia e non solo quella mormorata.
In quell'ultimo periodo, si sorprese Hermione, Hogwarts era diventata piena di pettegoli; ogni cosa che succedeva tra quelle mura correva come niente, quasi come se ci fossero spie ad ogni angolo.
« Me l'ha detto Calì, che lo è venuto a sapere da sua sorella Padma che, a sua volta, lo è venuto a sapere da Pansy Parkinson, che stava ascoltando la conversazione tra Nott e Zabini, che sembrava presente all'incontro di box » rispose Ginny alla sua muta domanda, mentre Harry - che si era perso al "Calì e Padma" - si era seduto al fianco di Seamus, servendosi della gustosa cena offerta dagli elfi.
« Beh, dì a Calì che dicesse a Padma che riferisse a Pansy che si facesse una lavata di orecchie, perché io non ho preso a pugni proprio nessuno e Zabini - che era presente - lo sa benissimo! » rispose Hermione, sedendosi accanto ad Harry e ignorando la risatina di Dean.
Si servì anche lei di una porzione abbondante di patate e rosbeef, sorridendo a Ron che - trafelato - si era appena seduto tra Harry e Seamus.
« Nessun occhio nero? » disse Dean, prima di scoppiare a ridere con Ginny, che gli diede il cinque. Ron alzò gli occhi al cielo, scuotendo il capo: molto probabilmente la voce era arrivata anche a lui, ecco perché reagiva in quel modo. Ad Hermione, invece, quelle voci non arrivavano proprio; i pettegoli - oltre Ginny, naturalmente - sembravano tenersi alla larga da lei e facevano bene. Lei li odiava.
« No, Dean, ma mi hanno detto che tu, invece, ti sei beccato un bel calcio nelle parti basse per averci provato con Greengrass junior » sibilò Ron, soddisfatto, servendosi della cena e beandosi del rossore - appena accennato sulle guance scure - di Dean.
« Hermione Granger? Il Capocasa, Hermione Granger? » un ragazzo del quarto anno le si avvicinò, distraendola dai suoi amici e guardandola serio e scuro in volto. Era alto, dinoccolato e biondo, indossava la cravatta Serpeverde e dall'espressione sembrava essere molto più grande, anche se i suoi occhi ancora da bambino e le guance paffute dicevano tutt'altro.
Con quegli occhi sembrava aver visto un mondo che non voleva. Aver provato cose terribili senza poter far nulla per fermarle. Hermione annuì, indicando con il dito la spilla che le brillava sul petto. Il ragazzino sospirò, rilassandosi impercettibilmente.
« C'è stato uno scontro al terzo piano, signorina Granger, e il nostro Caposcuola è rimasto ferito. Ha chiesto espressamente di lei » mormorò a bassa voce, avvicinando appena la bocca sottile al suo orecchio, per fare in modo che sentisse solo lei. Hermione guardò di scatto verso il tavolo dei Serpeverde, accorgendosi solo in quel momento che Draco Malfoy mancava.
L'altro Capocasa dei Serpeverde era la Grengrass, ma lei stava cenando tranquillamente, discutendo a bassa voce con la Parkinson, intenta a servirsi delle patate a forno. Si alzò di scatto, aggrottando le sopracciglia: perché Malfoy aveva chiesto di lei? E perché c'era stato uno scontro al terzo piano?
« Grazie mille... » disse Hermione.
« Blythe King » rispose Blythe alla sua silenziosa domanda, inclinando il capo gentilmente. Hermione sorrise, accarezzandogli il capo prima di dirigersi velocemente fuori dalla Sala Grande, sotto gli occhi curiosi dei Serpeverde - che la videro in compagnia di un loro compagno - e dei professori, che l'avevano appena vista entrare nella Sala.
Sentiva i passi di Blythe alle sue spalle, quasi come se camminandole dietro volesse proteggerla da eventuali attacchi, ma nessuno dei due fiatò: Hermione camminava a passo spedito e il ragazzino faceva lo stesso, entrambi ansiosi di voler arrivare al terzo piano il più veloce possibile.
Sì, Draco Malfoy era stato il suo primo incubo, colui che per i primi anni di scuola aveva avuto il potere di farla piangere e farla star male come nessun'altro - oltre Ron - aveva saputo fare. L'aveva disprezzato per il suo essere così arrogante e odioso, come se il mondo gli appartenesse e lui fosse superiore a tutto; ma ce ne voleva per odiarlo.
No, Hermione non sapeva odiare e questo l'aveva saputo quando aveva guardato Lord Voldemort negli occhi. Lui, che sapeva odiare e lo faceva fin troppo bene, era stato divorato e corrotto da dentro. E di lui non era rimasto niente. L'odio era un sentimento troppo distruttivo e nessuno, che aveva conosciuto l'amore, poteva odiare veramente, se non un mostro.
Fatto sta che comunque Hermione non avrebbe augurato la morte nemmeno a Draco Malfoy.
Bambino distrutto.
Ragazzo in cerca d'attenzioni.
Uomo impaurito dal proprio destino.
Arrivati al terzo piano, Blythe la superò a grandi falcate, entrando nel bagno di Mirtilla Malcontenta, che finì di urlare. Hermione si bloccò di scatto quando vide che Draco Malfoy, il borioso Draco Malfoy, se ne stava accucciato contro un cunicolo, tenendosi stretto al petto il braccio; aveva un occhio rosso - che da lì a poco, molto probabilmente, sarebbe diventato gonfio e viola - e una piccola chiazza di sangue si stava allargando sotto di lui.
« Per l'amor del cielo, Malfoy! » urlò Hermione, scansando gentilmente Blythe e catapultandosi dal ragazzo per constatare lei stessa le sue ferite. Draco ghignò appena, ringraziando silenziosamente Blythe, che abbassò il capo in segno di profondo rispetto.
« Che ti è successo? Chi è stato? Dobbiamo avvertire immediatamente la preside e portarti in infermeria! » sembrava un fiume in piena, non smetteva di parlare e intanto controllava freneticamente le ferite, per accertarsi che non ci fosse niente di grave.
« Fermati, Granger! » sbuffò Draco, guardandola male e sobbalzando quando lei gli toccò il braccio ferito con fin troppa veemenza.
« Scusa » mormorò Hermione, respirando a fondo prima di strappargli la camicia - già rotta in più punti - e guardare allibita il taglio che andava dalla spalla all'avambraccio. Chi gli aveva fatto questo? Chi poteva essere così cattivo da procurare una ferita così profonda, così dolorosa, ma non letale?
Malfoy era stato colpito con l'intento di farlo soffire, non di ucciderlo.
« Ho fatto chiamare te, Granger, perché non voglio informare né la Mcgranitt né la Chips di questo. Voglio stare tranquillo, e tu sei l'unica che conosca incantesimi curativi abbastanza potenti » sospirò Draco, appoggiando il capo contro le mattonelle fredde e socchiudendo gli occhi, mentre Hermione annuiva.
Prese la bacchetta e a bassa voce cominciò a mormorare alcuni incantesimi curativi: quelli che aveva appreso in viaggio con Harry e Ron, che in molte volte avevano salvato la vita a tutti e tre.
Voglio stare tranquillo.
« Sono stati quelli della mia casa » mormorò Draco, senza guardarla negli occhi. Hermione si bloccò, sgranando appena gli occhi: sapeva perché lui aveva chiamato lei, ma non riusciva a comprendere il perché gli stesse dicendo tutto quello. Che lei fosse la più brava del loro corso oramai era risaputo da tutti, e Malfoy sapeva anche che fin troppe volte erano rimasti feriti negli scontri svoltisi durante la seconda guerra magica. Ma perché dirle che erano stati loro? Solo perché lei glielo aveva chiesto?
Con i polpastrelli accarezzò il taglio, sporcandosi le dita di quel sangue così puro, lo stesso che per anni li aveva resi diversi, distanti.
Sono stati quelli della mia casa.
« Ferula » sussurrò Hermione, fasciandogli la spalla e il braccio per bloccare il sangue che zampillava - in modo tetro - sulle piastrelle.
Sono stati quelli della mia casa.
« Lo hanno fatto perché sei passato dalla nostra parte, vero? » mormorò, mentre Draco sogghignava, stringendo i denti quando la Granger gli toccò preoccupato una gamba - constatando che era rotta. -
« Secondo te? Ho tradito gli ideali di una vita, di una vita intera. Ho tradito la loro fiducia e sono andato contro ogni cosa che credevamo » sibilò Draco, guardando Blythe alle spalle della ragazza, che socchiuse gli occhi.
« Avete tradito i loro ideali, non i nostri. Nessuno di noi ha mai creduto veramente in qualcosa e nessuno di noi ha mai giurato fedeltà eterna all'Oscuro. Lo facevamo perché eravamo costretti, perché loro ci credevano » sussurrò Blythe, sorprendendo Hermione per il tono e il modo in cui si era rivolto a Malfoy: gli dava del voi, come se lui fosse il suo padrone e lui un umile servo.
« E vi hanno ferito solo per orgoglio, perché i genitori della maggior parte di loro si trovano rinchiusi ad Azkaban, mentre vostra madre e vostro padre sono ancora a piede libero » mormorò Blythe, mentre Hermione si alzava, riponendo la bacchetta nella tasca del mantello.
« A quest'ora non c'è nessuno nei corridoi, dobbiamo accompagnarlo nei dormitori e da lì devi aiutarmi con alcune pozioni » disse Hermione, afferrando Malfoy per le spalle e lasciando che il suo peso ricadesse su di lei, aiutata immediatamente da Blythe, che afferrò Draco per i fianchi, facendosene peso anche lui.
Draco si morse con forza le labbra per non urlare dal dolore e da quella vicinanza assurda. Lei era calda e soffice, e stretta in quel modo a lui riusciva a sentirla interamente, e sembrava così fragile da poter crollare da un momento all'altro sotto il suo peso.
« Ti da fastidio che ti stia così vicino? » Hermione parlò piano, sorprendendolo, e Blythe distolse lo sguardo, guardando da tutt'altra parte, mostrandosi indifferente. Draco lo ringraziò silenziosamente prima di rivolgersi alla Granger, che camminava quasi zoppicando, ma con gli occhi sempre ritti davanti a sé.
« Non prendertela, Granger » mormorò Draco, senza dire nient'altro: non prendertela, perché non era colpa sua se la vicinanza risultava difficile persino a lui. Se in tutti quegli anni gli erano state insegnate le cose sbagliate.
Gemette appena quando appoggiò, per sbaglio, la gamba per terra. I suoi compagni, quelli con cui aveva condiviso il suo stesso dormitorio e il suo stesso cibo, che molte volte si erano ritrovati a casa sua per galà o riunioni, l'avevano attaccato; "traditore", ecco come l'avevano chiamato.
Era un traditore, ma non si sentiva così; non aveva mai creduto a tutto quello, e ora le uniche regole a cui voleva sottostare erano quelle che si imponeva da solo, per rialzarsi in modo degno.
Era un Malfoy, dopotutto.
Camminarono per i corridoi silenziosi senza fiatare, scendendo le scale lentamente - per non fargli pesare le parti ferite - e dopo venti minuti buoni arrivarono finalmente nei sotterranei, fermandosi dinnanzi ad un muro completamente illuminato di verde. Draco, sempre con l'aiuto dei due, avanzò fino ad arrivarci proprio davanti:
« Caput Draconis » disse, e questa si aprì, rivelando una sala spaziosa, illuminata sempre di quel tenue verde. Hermione, dapprima sorpresa per il fatto che Malfoy non si fosse fatto scrupoli a rivelargliela, rabbrividì: ogni mobile, poltrona o quadro, in quella stanza, sembrava gelido, e quella Sala sembrava creata apposta per dimostrare finezza e algidità.
Salirono le scale per arrivare ai dormitori maschili e Hermione si bloccò di scatto: stava per entrare nella stanza del suo nemico di sempre, e questo cominciava ad agitarla. E anche parecchio. « In queste condizioni non potrei nemmeno strapparti un capello, Granger, ma se è questo che vuoi... farò uno sforzo » disse Draco, guadagnandosi un'occhiataccia dalla Grifondoro.
Aveva quasi dimenticato quelle sue frecciatine sarcastiche, ma non se ne dispiacque: sembrava essere ritornata indietro, almeno per un po', dove l'odio per il sangue era più piacevole dell'odio che si prova quando si viene torturati dallo stesso viso che ora la guardava, ghignante. Ma Draco non era Lucius, e di questo ne aveva dato prova un anno prima, durante la prima battaglia.
Draco non era Lucius.
« Blythe, mi serve che tu vada a frugare tra le scorte della Chips... mi serve l'Ossofast e del dittamo » mormorò, prima che il Serpeverde, con un saluto veloce, sparisse dalla sua vista. Fece sedere Malfoy su quello che gli disse era il suo letto, slegandogli le bende e notando che la ferita non si era rimarginata: l'incantesimo aveva solo bloccato il sangue per un po'.
« E' una ferita magica, e per richiuderla mi serve il dittamo, con Ron ha funzionato. L'Ossofast mi serve per la gamba, dovrebbe risanarti le ossa nel giro di questa notte » spiegò Hermione, bloccandosi quando vide, sul fianco, delle ferite vecchie, mai risanate.
Draco seguì il suo sguardo e il grigio dei suoi occhi divenne piombo, indurendosi in modo velenoso.
« Voldemort non accettava i fallimenti » sussurrò, sorridendo in modo strano. Hermione si alzò la manica della camicia, dove la scritta Sanguesporco brillava ancora, marchiata a fuoco sulla pelle. « Bellatrix non accettava i Sanguesporco » disse lei invece, coprendosi - con vergogna - quella ferita. Ora lo portava scritto sulla pelle che non era degna. E sarebbe stato per sempre.
« Bellatrix adorava un Sanguesporco » sbuffò Draco, sorprendendola. Hermione lo guardò oltre le ciglia - simile a pizzo nero - e Draco sbuffò. « Non dire niente » disse, alzando gli occhi al cielo.
Grazie.

***


Dopo aver curato le ferite di Malfoy ed essersi assicurata che ingoiasse tutto l'Ossofast, senza sputarglielo in faccia, ritornò nei suoi dormitori, con la testa da tutt'altra parte. Erano le undici passate, ma trovò qualcuno ad aspettarla: Harry e Ron - per ingannare il tempo - giocavano a scacchi magici, mentre Ginny leggeva una rivista di Quidditch con le gambe incrociate e gli occhi puntati sull'orologio a muro accanto al camino.
« Hermione! » urlarono all'unisono, alzandosi di scatto quando la videro oltrepassare il ritratto con passo strascicato e capelli gonfi, frutto del suo passarci continuamente le mani. Con le mani intimò al terzetto di sedersi di nuovo, accomodandosi anche lei con un sospiro.
« Sono distrutta » sbuffò, accettando di buon grado una cioccorana da Ron, che le sorrise.
« Dove sei stata? Eravamo tutti preoccupati! » disse Ginny, guardandola arrabbiata.
« Con Malfoy » disse Hermione, e Ron stramazzò a terra.
« Tu cosa? » urlarono Ginny ed Harry all'unisono, intonando anche lo stesso tono incredulo e iroso. Hermione guardò Ron preoccupata, ma prima che potesse dire qualcosa, Ginny le puntò il dito contro: « Muovi quel culo dalla sedia e giuro che ti impastoio » disse, dando un calcio negli stinchi nel fratello per constatare se fosse morto o meno. Ron gemette e la rossa riportò l'attenzione all'amica, accigliata.
« Ero con Malfoy » ripeté Hermione, alzando un sopracciglio scuro, cominciando a credere di aver perso - almeno celebralmente - i suoi amici.
« E questo l'abbiamo capito, ma cosa Merlino hai fatto con Malfoy fino a quest'ora? » sbottò Ginny, con le mani sui fianchi e un'espressione fin troppo simile a quella di mamma Molly. Harry, alle sue spalle, annuiva.
« Anche se questi non sono affari vostri, sono stata con Malfoy fino a quest'ora per curarlo » disse Hermione, e Ron, che si era appena ripreso, sentendo quelle parole stramazzò di nuovo al suolo. Ginny alzò gli occhi al cielo, battendosi una mano sulla fronte, esasperata.
« Curarlo? Si è ferito? » la furia rossa si calmò, sedendosi al suo fianco con espressione curiosa.
« Da quelli della sua stessa casa, ecco perché ha mandato a chiamare me; ero l'unica che sapesse maneggiare bene alcuni incantesimi curativi » disse Hermione, mentre Harry si faceva pensieroso.
« Merda » mormorò il bambino sopravvissuto, sedendosi di scatto sulla poltroncina che aveva occupato prima che arrivasse Hermione.
« Che c'è? » domandò Ginny, alzando suo fratello da terra e facendolo sedere al suo posto, facendogli aria con le mani.
« Gli faranno lo scalpo, a quell'idiota » sibilò Harry, guardando Hermione, preoccupato. Lei annuì, appoggiando stancamente il mento sulle mani congiunte: se in un corridoio isolato lo avevano attaccato di soppiatto, figurarsi in un dormitorio dove la preoccupazione di intrusi e professori era superflua se non nulla?
Gli avrebbero fatto lo scalpo, ma se Hermione conosceva Harry - almeno quel poco - sapeva che avrebbe fatto qualcosa.
Solo lui poteva fare lo scalpo a Malfoy, mai dirsi il contrario.

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Capitolo 3
*** Capitolo II - Lux mea ***


   Capitolo II -
Lux mea








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"Dove c'è molta luce, l'ombra è più nera"
(Johann Wolfgang Goethe)





Sentiva freddo.
Nonostante la coltre di coperte che la sopraffacevano, Hermione tremava impercettibilmente, sentendo freddo fin nelle ossa; rannicchiata su se stessa in una strana posizione fetale, sembrava volersi proteggere da qualcosa di invisibile, mentre le mani strette a pugno e le unghie conficcate letteralmente nei palmi la tenevano sveglia - tra illusione e realtà - con il tenue dolore che si stava procurando da sola.
Gli occhi bruni erano socchiusi, le labbra martoriate schiuse e le gote rosse - colpa dei continui sfregamenti della manica del pigiama bianco che indossava - ancora bagnate di lacrime.
Non poteva piangere, ma continuava a farlo, nascosta come una ladra.
Aveva vergogna delle proprie lacrime - di quei sentimenti agoniosi. -
Il cuscino sotto il suo capo aveva preso la forma dei suoi denti - colpa di quei gemiti trattenuti, di quei singhiozzi zittiti - mentre i suoi capelli sembravano gli unici rimasti illesi dalla furia di quel pianto rabbioso, funesto, che l'aveva travolta all'improvviso, come una tempesta con tanto di uragano; lui, ancora una volta, aveva avuto il potere di strapparle quelle lacrime dal cuore, facendole vomitare l'anima insieme al dolore sordo che sentiva proprio al centro del petto, che a malapena si muoveva - consentendole di respirare - , un dolore che cercava di lacerarle lo sterno e farla a brandelli. Sette anni di pianti nascosti, ecco cosa le aveva regalato Ron.
Sette anni di risa e sorrisi arpionati nel cuore, ecco cosa le aveva regalato Ron.
Hermione si asciugò l'ennesima lacrima scivolata, senza nemmeno lasciarla trovare riposo tra le sue labbra, e scostò le coperte dal corpo infreddolito, spostando le tende rosse del letto a baldacchino e poggiando i piedi nudi sul pavimento gelido, rabbrividendo appena e risvegliandosi da quello stato catatonico in cui era caduta nemmeno mezz'ora prima, quando Ron le aveva dato la buonanotte.
La stanza era silenziosa, la luna brillava appena lì, tra quelle nuvole che la stringevano in un abbraccio caldo, che la cullavano come nessuno faceva con lei; le sue compagne di stanza dormivano e il loro respiro accompagnava quei pensieri spenti, che si susseguivano senza un filo logico, senza una ragione precisa.
Era strano: da quando aveva conosciuto Ron non aveva desiderato nient'altro che stargli accanto come donna, fidanzata e viverlo appieno, costruendosi una vita normale, amarlo semplicemente e farlo alla luce del sole, legandolo a sé indissolubilmente e non lasciarlo mai andare, quasi come se solo lei avesse voce in capitolo e lui fosse obbligato ad amarla.
Quando ci era finalmente riuscita... quando quel sogno si era coronato, infiammandole il cuore e l'anima, si erano lasciati. Lui l'aveva salutata come sempre, con un bacio sulla guancia e gli occhi insonnoliti, il sorriso genuino di chi non sa cosa sta succedendo realmente, ed Hermione era rimasta imbambolata, seduta lì, sulla poltrona dove era crollata al ritorno dell'incontro con Draco, completamente basita.
Con la mente era rimasta a quel bacio sulle labbra e l'abbraccio cullato capace di scacciare via gli incubi, e sarebbe stato pure normale, si erano lasciati in mattinata, ma niente era normale quando si trattava di lei.
Era stata al settimo cielo in quei mesi, sembrava che ogni suo obiettivo prefissato si fosse realizzato, ma era stata così sciocca da desiderare quello che agognavano tutte le ragazze della sua età: un principe azzurro.
Aveva fatto affidamento su Ron, riponendo i suoi sentimenti tra quelle grandi mani, senza pensare che lui avrebbe potuto chiuderle e schiacciare ogni cosa, annullandola.
Lui l'aveva ridotta in cenere e nemmeno se n'era reso conto.
Afferrò con mani tremanti il mantello della divisa, chiudendolo sul corpo coperto da quella che sembrava una soffice nuvola bianca e lasciò che il cappuccio celasse in parte lo scintillio del suo sguardo spento, ancora bagnato da quei pezzi d'anima persi su quel viso stanco.
Attenta a non fare il minimo rumore uscì dalla camerata, dirigendosi fuori dai dormitori femminili: la Sala Comune era vuota, come il suo cuore, e con passo calibrato, si avvicinò alla poltrona dove Ron era stato seduto prima, con i soliti occhi azzurri curiosi e un po' arrabbiati - colpa della sua sparizione improvvisa. -
Cosa credeva? Lei non faceva pazzie per amore.
A malapena credeva di poterlo fare ancora.
Strinse l'imbottitura tra le dita, mordendosi appena le labbra e chiedendosi se fosse stata meno rigida cosa sarebbe successo tra loro due. Si chiedeva se lei fosse stata più adolescente se lui avrebbe resistito. Sorrise, amara; Merlino, da quando era diventata così frivola?
Cambiare per un uomo, che le saltava in mente? Aveva chiuso la questione sotto l'ombra di quel salice piangente, perché ora si trovava a rimuginare sul suo carattere chiuso e scostante? Lei era fatta così, non poteva - non riusciva - a cambiare per un ragazzo che non l'amava per com'era, per quello che le batteva dentro.
Anche se lo desiderava come l'aria.
« Stupida » soffiò a bassa voce, riferendosi a se stessa.
Chiuse gli occhi, stringendoli fino ad abbagliarsi la vista.
Era così stupida.
Non riusciva ad amare come un'adolescente, ma soffriva come una bambina.
Cosa c'era di sbagliato in lei?
Stupida.
Uscì dal ritratto con passo lento, senza nemmeno illuminare la bacchetta per farsi strada tra quei pezzi di pietra e vita; i piedi nudi la portavano dove lei non aveva il coraggio di andare e non negò loro di condurla lontana dalla sua pazzia. Stava davvero impazzendo per amore?
« Stupida » ripeté con più convinzione, scuotendo il capo, avvilita.
No, non stava impazzendo per amore, semplicemente non aveva il coraggio di ammettere che aveva fallito.
Per la prima volta in vita sua, Hermione Granger, aveva miseramente fallito; aveva messo tutte le sue forze in qualcosa che si era rivelato un totale disastro. Aveva perso la partita contro l'amore e a malapena riusciva ad accettarlo. E, molto probabilmente, era quello il motivo per cui faceva fatica ad addentrarsi in territori che non conosceva: niente andava come voleva e lei odiava costruire castelli, per poi vederli crollare come sabbia.
La stessa sabbia che ora le stava scivolando dalle dita, scandendo i secondi, i minuti, le ore dove il dolore per quella sconfitta le bruciava più della scritta "Sanguesporco" sull'avambraccio.
« E' tardi » riconobbe quella voce ancor prima di vedere il suo volto.
Hermione si guardò attorno, accorgendosi solo in quel momento di trovarsi nel bagno di Mirtilla al terzo piano; sembrava che ora lei avesse bisogno di lui, non il contrario, e questa consapevolezza la fece tremare appena.
Il fantasma non c'era, probabilmente se ne stava malinconica in una delle tante tubature della scuola, a chiedersi il perché fosse toccato a lei un destino tanto crudele e lo sgocciolio dell'acqua nei lavandini era l'unico rumore che accarezzava il loro udito, andando a ritmo con il suo respiro impazzito.
« Sono un Caposcuola » rispose Hermione, come se quella fosse una buona scusa per trovarsi fuori dal proprio letto a quell'orario indecente.
« E poi... tu non dovresti trovarti a letto? Hai una gamba rotta se non te ne sei accorto! » sbuffò Hermione, avvicinandosi a Malfoy, seduto comodamente a gambe incrociate contro lo stesso cunicolo dove l'aveva trovato ferito, e tastando con i polpastrelli la gamba ferita. Lui non sobbalzò, era un buon segno, forse era già guarito. E, soprattutto, era un ottima scusa per cambiare abilmente discorso.
« Mi hai fatto bere così tanto Ossofast che mi hai stordito, Granger, a malapena la sento la gamba » disse Draco, guardandola scocciato.
« Che cosa?! » quasi urlò Hermione, tappandosi la bocca subito dopo, guardandolo sconvolta.
« Hai esagerato un po' tanto con le dosi » rincarò Draco, con una smorfia sulle labbra.
Hermione, solo in quel momento, si accorse che il labbro superiore di Malfoy era a forma di cuore; un piccolo neo sporcava il rosa delicato dell'arcata che univa quel delizioso labbro né troppo sottile né troppo carnoso, quasi vantandosi del suo colore scuro - in così netto contrasto con l'epidermide pallida e il rosa della bocca. -
Lui non si vergognava della sua impurezza, anzi, sembrava andarne fiero.
« Mi dispiace, ma, comunque, se non ti ha ucciso vuol dire che la dose non era letale. Fattore essenziale, direi » rispose Hermione, distogliendo lo sguardo dalle sue labbra e sorridendo sorniona.
« Volevi uccidermi, maledetta Mezzosangue?! » sbraitò Draco, guardandola male da sotto le lunga e angeliche ciglia bionde, simili ad aureole.
« Tu emani luce, eppure sei l'emblema dell'ombra, perché? » mormorò Hermione, zittendo - sorprendentemente - il Serpeverde.
Guardava i suoi capelli biondi, i suoi occhi grigi e la sua pelle diafana, chiedendosi come potesse qualcuno con un'anima così scura somigliare ad uno degli angeli più belli del paradiso.
« Tu hai i capelli scuri e gli occhi scuri, sei quella che più si avvicina al sinonimo di ombra, eppure sei l'emblema della luce. Questo che vuol dire? L'aspetto inganna sempre, Granger » rispose Draco, laconico. Hermione si inginocchiò di fronte a lui, inclinando docilmente il capo: Malfoy era davvero l'emblema dell'oscurità? Nutriva ancora tutti quei pregiudizi nei suoi confronti?
Quella guerra li aveva segnati fin nel profondo, cambiando radicalmente le loro sorti, i loro pensieri, le loro anime instabili; Malfoy, destinato ad una vita d'orrore, aveva deciso di afferrare il drago per il muso, cambiando le sue sorti e decidendo di combattere per sé, per un cuore che - molto probabilmente - nemmeno credeva di avere.
A lei, in realtà, non era mai importato così tanto quella guerra tra case: sempre tirata in causa, si sentiva ferita fin nel profondo, diversa - in un certo senso - ma non si era mai permessa di giudicare qualcuno in base al suo sangue... ma sempre in base alle sue scelte. E, in fondo, Draco aveva fatto la scelta giusta.
Aveva messo la sua famiglia, il suo modo di pensare e tradizioni che venivano mandate avanti da secoli da parte e solo per se stesso.
Hermione aveva sempre pensato che, ai seguaci di Lord Voldemort, non importasse molto della propria vita: chi potrebbe mai scegliere una vita di dannazioni per un briciolo di potere? Potere che poi veniva tolto insieme alla dignità servendo un essere così vile e losco, che per un passato tormentato aveva deciso di cambiare le sorti del Mondo Magico... a modo suo.
Un essere che non accettava se stesso, che volentieri si sarebbe strappato quel sangue nelle vene che l'avevano reso diverso, solo.
Ad Hermione non era mai importato, in realtà, del sangue che la rendeva differente, ed ora era stanca di mandare avanti quella perenne battaglia tra Serpeverde e Grifondoro, Purosangue e Mezzosangue, la guerra l'aveva già destabilizzata da tempo, oramai, e non aveva più la forza di ribattere, di combattere qualcosa che non poteva combattere.
Non aveva perdonato a Malfoy ogni insulto detto, ogni lacrima versata e ogni cattiveria fatta negli anni, ma nemmeno gliene faceva colpa; erano stati ragazzini, e Draco era così perso nell'ombra di suo padre - con pensieri che nemmeno gli appartenevano - da seguirlo ciecamente.
Solamente dopo si era reso conto a cosa andava incontro, a cosa gli toccava fare per mantenere alto il nome di famiglia... caduta nel fango anche grazie a quel padrone che Lucius tanto idolatrava.
In un certo senso Draco era così simile a Voldemort: desiderava solo un briciolo d'amore da parte di chi non era in grado di amare nel modo giusto.
Hermione si chiedeva se realmente avessero sotterrato l'ascia da guerra.
Lui l'aveva fatto? Il modo in cui le parlava era completamente indifferente, come se stesse parlando con qualcuno che conoscesse da tempo, ma con cui aveva parlato poche volte, in poche circostanze.
Lui la stava trattando come un suo pari, e questo le piaceva.
Tanto.
« Non avrai sangue puro nelle vene, Granger, ma hai più cervello - e magia - tu che tutta Hogwarts messa insieme. Non fraintendermi, questo l'ho sempre pensato - anche quando la convinzione che tu fossi inferiore era prepotente in me. - Forse era questo a farti odiare così tanto, tu, una misera Sanguesporco, che riusciva a superarmi in qualsiasi materia; era un affronto per il mio orgoglio, per mio padre - che credeva il sangue rendesse superiore a qualsiasi persona o cosa. - Mi sminuivi agli occhi dei miei genitori, ma ora che importa? Che importa? Cambiare così tanto per una persona vale la pena? Diventare qualcuno che non si è per essere amato... no, oramai non importa più. Che tu sia mezzosangue, che io sia Purosangue. Che tu sia la salvatrice, che io sia il Mangiamorte. Non mi importa più niente, oramai siamo nella stessa sorte, siamo finiti sullo stesso tragitto che il destino ha scritto per noi, ma non importa più. » mormorò Draco, sorridendo amaro.
Non importava più.
Probabilmente non importava più perché tutto quello non poteva essere cambiato, perché il destino si era già compiuto e loro si erano già feriti; ma, ora, il destino li aveva messi di nuovo sulla stessa strada, a guardarsi negli occhi, a compiangere i propri errori, a parlare dei propri difetti, a confessare i propri sbagli.
Il destino sapeva essere crudele, perché confessare le proprie debolezze al nemico era come pugnalarsi dritti al petto, eppure sembrava che entrambi ne avessero bisogno: in un certo senso sapevano che niente sarebbe uscito da lì, tutto era arpionato sulla loro pelle, inciso come un marchio sulla loro carne, e ora entrambi sapevano come lacerarsi, come far crollare l'altro, ma nessuno dei due lo avrebbe fatto.
Avrebbe significato perdere su tutti i fronti, rendere reali le loro paure, quei sussurri che invadevano la loro folle mente. Non importava più.
Hermione fissò il ragazzo negli occhi, alzando lentamente il braccio, fino a toccare la sua guancia con i polpastrelli. Draco sbatté confuso le palpebre, notando quanto il suo tocco fosse delicato.
Sentì le sue dita sulla sua pelle come fuoco, lo stava bruciando, ma nessun livido comparve sulla sua guancia.
Lei non era in grado di ferirlo, probabilmente non lo aveva mai fatto consapevolmente, ed era piacevole constatarlo con quel tocco che lo rendeva meno sporco.
Lei, così sporca a modo suo, lo rendeva meno sporco.
Stava impazzendo.
« Hai gli occhi rossi » sussurrò Draco, rompendo il silenzio che si era venuto a creare e guardando le palpebre gonfie e le pupille rosse della Granger, che distolse lo sguardo dal suo, aggrottando le sopracciglia.
Aveva pianto.
« La donnola ti ha ferito a tal punto da farti piangere? » domandò, mentre lei si sedeva a poca distanza da lui, con il capo appoggiato contro la porta di un bagno, le gambe al petto e il mento appoggiato teneramente sulle ginocchia.
« Credo che a ferirmi sia stato il perdere una cosa così importante » rispose Hermione, liberandosi in parte del peso che le opprimeva il cuore.
Non voleva parlarne con qualcuno che conosceva solo quella parte che adorava mostrare; il suo lato oscuro era un segreto custodito troppo gelosamente per mostrarlo a chi l'avrebbe giudicata senza andare in fondo alla questione e Malfoy lo sapeva - eccome se lo sapeva. -
Oramai lui aveva imparato a non giudicare, non dopo il male che l'aveva avvolto con così tanta enfasi dopo averlo fatto senza ragione, senza fondamenta, facendolo sprofondare nel buio più nero.
« L'orgoglio ti lacera fino a questo punto? » domandò Draco, guardandola sorridere in modo obliquo, strano, buio quasi quanto il suo, mai visibile, mai concreto.
« Vorrai dire, forse, perché il non vincere in qualcosa ti fa sentire così inferiore? » sibilò Hermione, stringendo i pugni e assottigliando gli occhi.
Occhi che bruciavano d'orgoglio e fierezza.
Stesso orgoglio che ora la stava spezzando in due.
« Perché quando non ti riesce qualcosa ti senti inferiore? E questo che dovresti domandarti, Granger » mormorò Draco, mentre lei continuava a sorridere in quel modo.
« Forse perché un bambino biondo mi ha fatto sentire in questo modo per il mio sangue, per un qualcosa che non era in mio potere. Da allora ho cercato di tenere sempre tutto sotto controllo, di non perdere mai più, perché le cose che non riuscivo a tenere a bada facevano molto più male ... ciò che non è in mio potere e che non posso cambiare, controllare, sono quelle cose che mi lacerano di più. » disse Hermione, rovesciando il capo all'indietro e guardandolo negli occhi.
« Quindi, in questo momento, ti senti inferiore perché una testa rossa ti ha lasciato e tu non hai potuto far nulla per fermarlo? » domandò Draco, scandalizzato, rivoltando la frittata a modo suo.
Hermione scoppiò a ridere, scuotendo il capo.
Meglio, molto meglio, quel sorriso le si addiceva molto di più.
La luce che emanava era più rassicurante dell'oscurità che credeva di racchiudere nel cuore.
Lei era la luce, a lui toccava essere lo specchio della sua ombra ancora per un po'.
Ma per ora non gli dispiaceva.
« Non ti credevo capace di fare battute, Malfoy » lo riprese Hermione, divertita, mentre il mantello scivolava appena dal suo corpo, mostrando il candore di quel pigiama, quasi dello stesso colore del suo corpo piccolo, quasi tenero.
« Sto imparando » rispose Draco, disegnando ghirigori fantasiosi con la bacchetta, che seguiva la scia della sua mano creando quello che i loro occhi e la loro mente volevano vedere.
« Perché? » ecco, era quella la domanda che le premeva di più.
Perché.
Draco aveva deciso di passare dalla parte dei buoni.
Perché?
Draco aveva deciso di cambiare, ma così lentamente da risultare quasi invisibile quello sforzo.
Perché?
La scusa della convenienza non funzionava: quando aveva detto no, Harry si fingeva morto tra le braccia di Hagrid, quindi le probabilità di perdere e morire erano confermate al cento percento.
« Perché ho una mente per pensare, due occhi per guardare e una bocca per parlare. Me ne sono reso conto troppo tardi, forse, ma ce li ho » rispose Draco, mentre la bacchetta disegnava un... cuore. Non quello che disegnano le ragazzine sul diario, ma un cuore con tanto di arterie e vene pulsanti, ed era bianco, e puro.
« E un cuore? Ce l'hai un cuore, Malfoy? » domandò Hermione, sfiorando il cuore sospeso a mezz'aria con le dita.
« Non ne sono sicuro » bisbigliò Draco, mentre il cuore si dissolveva tra quelle dita, come fumo, come se non fosse mai esistito.
Lei si inginocchiò di nuovo di fronte a lui, e a quella distanza sembrava quasi una bambina; i riccioli ricadevano come una cascata sulle sue spalle piccole, e, Draco, solo in quel momento si accorse che era dimagrita tantissimo dalla battaglia finale.
Lo sterno - che si intravedeva appena dal pigiama abbottonato rigidamente - quasi mostrava le ossa che lo tenevano.
Il viso era smunto, magro, ma in perfetta simmetria: gli occhi grandi erano bruni come i capelli e le sopracciglia folte non le appesantivano lo sguardo sorprendentemente luminoso.
Il naso era appena all'insù, e Draco lo ricordava arricciarsi - perennemente disgustato - in sua presenza. Ora era fermo, non faceva più quel gesto quasi involontario, che non avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura, sotto sotto lo feriva; lui avrebbe dovuto provare disgusto in sua presenza, non il contrario.
Le labbra, notò, erano carnose e Malfoy si chiese quando i dentoni fossero spariti. Al quarto anno. Maledetta.
Hermione allungò nuovamente il braccio verso di lui, ma questa volta gli toccò il petto.
Bum, bum.
Tremò.
« Lo senti? » sussurrò Hermione, inclinando il capo.
Bum, bum.
Il suo cuore batteva furioso, ora, gorgogliando sorpreso.
« Lo senti? » disse di nuovo la Mezzosangue, sfiorando il petto coperto dal maglione con lo stemma dei Serpeverde. Bum, bum.
Socchiuse gli occhi.
« Sì » rispose Draco, ingoiando a vuoto nel vederla sorridere.
Era la prima volta che gli sorrideva in quel modo, illuminando tutto attorno a sé. Una fossetta comparve sulla sua guancia e gli occhi si strinsero fino a diventare due fessure.
Era bella.
La Granger era bella, ma non nel modo che volevano tutti. Non aveva nulla di particolare, ma erano i dettagli a far mancare il fiato, ed era strano come nessuno l'avesse mai notato.
A quella vicinanza Draco poteva vedere poche efelidi chiare sporcarle il nasino alla francese, accarezzando l'epidermide pallida, e i ricci attorcigliarsi tra di loro, come piccoli serpenti che si abbracciano in modo sensuale, intimo, ricadendo come una criniera disordinata, ma che le donava terribilmente. Sembravano creati apposta per lei, leonessa pronta a sbranare.
Gli occhi erano fin troppo grandi sul suo viso, quasi stonavano, ma si accorse che era una meravigliosa illusione creata dalle ciglia lunghe, scure, come pizzo aggrovigliato che creava ombre sulle sue guance scarne. Ora che non era stanca, poi, poteva vederli spalancati e osservare il colore dei suoi occhi che, a metri di distanza, non aveva mai notato.
Erano marrone scuro, niente di speciale, ma infondevano un calore che Draco, dentro, non aveva mai sentito.
Erano pozzi senza fine, come un vortice in cui era difficile risalire. Ma, accarezzando l'iride, qualche pagliuzza ambrata li rischiarava con dolcezza, e lì avvenne la contraddizione: quegli occhi erano un tunnel senza uscita, ma al contempo la stessa luce che portava alla salvezza.
Abbassando lo sguardo notò che il labbro superiore era molto più carnoso di quello inferiore e, anche se sorrideva sempre, sembrava donarle un'espressione perennemente imbronciata.
No, nel complesso non aveva niente di particolare, ma a quella vicinanza era bella da far mancare il fiato.
« Allora ce l'hai un cuore » mormorò lei, spezzando il silenzio che si era venuto a creare tra loro due.
« E batte forte » finì Hermione, mentre una scarica elettrica gli attraversava la spina dorsale.
Velocemente, sovrastando ogni rumore.
Violentemente, quasi rompendogli le ossa.
Il suo cuore, ora, quasi rischiava di rompere il legno che lo circondava, e, per un attimo, sperò che smettesse di battere per non renderlo nudo ai suoi occhi.


***


Il giorno dopo il tempo cominciò a guastarsi: il sole continuava ad illuminare il castello e giocare con lo scintillio delle acque del Lago Nero, ma grosse nuvole cominciavano già a coprire la bellezza e la luminosità di quella grossa palla infuocata, rincorrendosi da una parte all'altra del cielo, incupendo appena l'azzurra coperta che sovrastava tutti loro. Hermione Granger le guardava, ignorando completamente il libro aperto sulle ginocchia incrociate; il suo pensiero era concentrato su quello che era successo la sera prima: oltre ad essere sorpresa di sé stessa per essere uscita dalla Sala Comune senza un motivo valido - se non quello della pazzia interiore e lacrime strazianti - il discorso che aveva portato con Malfoy rasentava pura follia.
Toccarlo, parlargli come se lo conoscesse da anni, aveva dell'incredibile: lui non si era ritratto al suo tocco e aveva risposto alle sue domande, riuscendo pure a strapparle un sorriso sincero in quell'angoscia totale che l'aveva avvolta la sera prima.
L'aveva sentito umano come non mai, fatto di carne e sentimenti, lacrime e sorrisi, emozioni e un cuore che batteva ritmico nel suo petto ed era incredibile; doveva dire, però, che lo preferiva in quel modo. Sarebbe rimasta sempre una Mezzosangue, di questo ne era certa, ma vederlo così la faceva sentire meno piccola e inferiore.
Incredibile, lui l'aveva resa così insicura di se stessa da farle venire complessi esistenziali a dodici anni.
Lei non era niente.
Era metà e metà.
Non era né una semplice Babbana né una strega a tutti gli effetti. Ecco perché tutto quell'accanimento sui libri, sul voler essere perennemente la migliore: voleva dimostrargli che anche se era metà e metà... aveva più magia e conoscenza lei in un mignolo che loro in tutto il loro misero corpo.
Poi tutto quello si era trasformato in paura: paura di non essere mai abbastanza, di deludere se stessa e gli altri, di perdere l'unica cosa che la rendesse speciale.
Maledetto, lui l'aveva resa così insicura di se stessa da farle venire complessi esistenziali anche a diciassette anni, ma non per l'aspetto fisico - come ogni adolescente che si rispetti. -
Confessare quel che provava, proprio a lui, era stato un rischio che aveva corso senza pensarci, come se un istinto primordiale avesse permesso al suo cuore - e alle sue labbra - di vomitare tutto quello che aveva dentro.
Si era liberata di quel serpente che le mordeva le viscere, che le stringeva il cuore, che le asfissiava il cervello.
« Ciao piccola » Harry quasi apparve dal nulla insieme a Ron, baciandola delicatamente sulle guance e sedendosi al suo fianco, distraendola dal filo rovente dei suoi pensieri.
Si stava perdendo in essi.
Stava bruciando insieme a essi.
« Salve, dispersi » sbuffò Hermione, notando solo in quel momento la divisa da Quidditch. Incredibile, Ron teneva molto di più a quel gioco che a lei.
« Scusa, Hermione, ci stavamo allenando per la partita di sabato prossimo » si scusò Harry, sorridendole dolcemente e per un attimo si sentì in colpa: aveva confessato a Malfoy il suo dolore e non al suo migliore amico.
Aveva confessato al suo peggior nemico le proprie debolezze e non al suo migliore amico.
« Capisco » rispose, lasciando che la mano di Harry le accarezzasse una spalla, dolcemente, come se volesse comunicarle qualcosa: e lo capì solamente guardandolo negli occhi, quella giada che non conosceva paura o menzogna, e nuovamente il senso di colpa la dilaniò; era preoccupato, e cercava di capire cosa non andasse in lei semplicemente studiandola, aspettando, molto probabilmente, che fosse lei a confessargli tutto.
« Hermione, tutto bene? » non fu Harry a prendere parola, ma Ron, che interruppe il loro contatto visivo con quella semplice frase che Harry le aveva chiesto con lo sguardo.
"Parlane con me, ti prego" sembrava urlarle, eppure non aveva il coraggio di dirgli che questa volta non era il suo sangue ad essere sporco, ma la sua anima.
Era sporca, ma non per aver confessato tutto al suo peggior nemico, ma semplicemente perché aveva paura.
Paura che lui la giudicasse, che l'allontanasse, quando - in fondo al cuore - sapeva che lui non l'avrebbe mai fatto. Quant'era contorta, Merlino.
« Trio dei Miracoli, la Mcgranitt richiede la vostra preziosa presenza in presidenza » Hermione non era mai stata così felice di vedere Pansy Parkinson in vita sua. Persino i suoi lineamenti duri - illuminati dalla luce angelica che le aveva affibbiato - parvero dolci ai suoi occhi.
« Grazie, Parkinson » le disse, un po' perché l'aveva salvata dalla domanda "tutto bene", un po' perché le aveva impedito di rispondere "si" facendole mentire ai suoi amici e un po' perché aveva fatto un enorme sforzo - per i suoi canoni - scomodarsi per informarli di una cosa che non riguardava né lei tantomeno la sua casa.
Pansy, dapprima stupita, corrucciò le sopracciglia: da dove veniva tutta quella gentilezza?
« Ehi, Mezzosangue, per caso ti sei bevuta il cervello? » sbraitò, stringendo le labbra sottili e fissandola, stupita, con gli occhi neri come l'ebano contratti.
« Ho detto grazie, Parkinson, al mio paese si risponde prego » la rimbeccò Hermione, chiudendo il libro con un tonfo e alzandosi dal prato, spazzolandosi l'erba dalla gonna e fronteggiando la Serpeverde, che aprì la bocca a palla: i capelli, più lunghi dell'anno prima, si mossero appena accarezzati dal vento, e con quell'espressione - wow, aveva un espressione diversa da quella disgustata - non sembrava così vacca.
« Beh, Granger, a quanto pare abbiamo tutti capito che non veniamo affatto dallo stesso paese, fortunatamente » sibilò Pansy, dura, incontrando gli occhi verde smeraldo di Potter, che la trafisse con lo sguardo.
La guardava come se fosse uno scarafaggio da schiacciare ed eliminare definitivamente, come se quella Mezzosangue fosse molto più importante di lei.
« Che c'è, Potter? Che hai da guardare? » sibilò, indietreggiando. Harry sogghignò, avvicinandosi a lei quel tanto per avvicinare la propria bocca al suo orecchio: « Nascondere la tua paura di essere inferiore ad una Mezzosangue con due insulti da quattro soldi... mi fa tenerezza. Sei così povera dentro, Parkinson, da darmi la nausea » sussurrò, lasciandola di stucco al centro dello spiazzato, un po' persa e spaesata, e seguendo Hermione e Ron a passo spedito, entrò nella scuola e strinse la mano di Hermione sotto lo sguardo preoccupato di Ron, tremendamente silenzioso.
« Si può sapere che avete tutti e due? » domandò, esasperato.
« Niente » risposero Hermione ed Harry all'unisono, guardandolo come se lui fosse impazzito e non loro, che lo stavano escludendo - sicuramente - da qualcosa.
C'era quel legame - quel filo rosso - che univa quei due in un modo in cui Ron non riusciva a capire.
Non riusciva a spezzare quel rapporto, non riusciva ad intrufolarcisi, non riusciva a fare niente per capire... e rimaneva sempre fuori, sempre ferito, sempre incosciente; davvero contava così poco da non capire che cosa avessero i suoi migliori amici?
Da non capire cosa si dicessero con uno sguardo?
« Oppure niente che vogliano farti sapere, Pel di carota » rise una voce vicino i Gargoyle di pietra che davano l'accesso all'ufficio della preside; Draco Malfoy storse le labbra nella pallida imitazione di un sorriso sarcastico.
« Oh, ma sta zitto, Malfoy » sbuffò Ron, alzando gli occhi al cielo.
« Il non voler ammettere l'evidenza è il primo passo verso l'accettazione. Andiamo, Weasley, tutte quelle carezze, quel guardarsi... puzza persino ad un Serpeverde come me » cincischiò Draco, giocando con la cravatta verde-argento: in realtà sapeva perfettamente che Potter non si sarebbe fatto la Granger nemmeno sotto tortura, la vedeva troppo come una piccola e indifesa sorella - cosa che in vita sua non avrebbe capito - ma sapeva anche la piccola debolezza del pezzente: chissà perché - Merlino, quanto poteva essere idiota? - era geloso marcio di Potter.
Era proprio idiota, appunto.
Vide le sue orecchie farsi scarlatte e i suoi pugni chiudersi di scatto, partendo di quarta nella sua direzione. Scansò, per un pelo, un pugno che era destinato al suo zigomo.
« Dovrai fare molto di più per colpirmi, Weasley, sono un cercatore, quindi sono molto veloce a schivare » rise Draco e proprio mentre Ron stava per caricare l'ennesimo pugno, fu lui a precederlo: caricò un cazzotto proprio al centro dello stomaco, facendolo piegare in due dal dolore.
« Basta! » disse Hermione, afferrando Ron per le spalle e sorreggendolo, mentre Draco la fulminava con un occhiata.
« Questi non sono affari tuoi, Mezzosangue! » disse, puntandole il dito contro, e se Harry scattò, saltandogli addosso per quell'insulto, Hermione sorrise: Mezzosangue. Era un nomignolo, qualcosa che oramai aveva imparato ad usare con leggerezza, come se il suo peso per lui non contasse più.
Draco non aveva usato quel dispregiativo per insultarla, farla sentire inferiore, ma solo perché l'abitudine si era fatta sentire prepotente e si sa', l'essere umano quando è arrabbiato è debole, molto più del normale.
Con un incantesimo li spinse lontani, dividendoli, e proprio in quel momento apparve la McGranitt: la sua espressione non prometteva nulla di buono, e lo si intuiva dalla linea sottile delle labbra strette e gli occhi, che mandavano lampi.
« Nel mio ufficio, ora, tutti e quattro » sibilò la preside con voce roca, indicando l'entrata della scala a chioccola e guardandoli ad uno ad uno dall'alto, avvolta nella sua aura di potere assoluto, capace di incutere timore e paura ad un solo sguardo.
La McGranitt era la donna più incredibile che Hogwarts avesse avuto come preside.
Ad uno ad uno i ragazzi entrarono nella presidenza, senza esalare un solo sospiro: la professoressa li precedette, sedendosi sulla poltrona un tempo occupata da Silente, da Piton, e incrociò le mani sotto il mento - mentre il preside Silente, dall'alto della sua postazione, li guardava con dolcezza. -
« Credevo... speravo che con la guerra ogni risentimento fosse passato, che dopo la sofferenza e il dolore voi foste maturati, che aveste messo da parte ogni futile litigio, ma vi avevo sopravvalutati. Mi sono sbagliata e mi rammarico di questo » iniziò amareggiata, interrompendo con un occhiata gelida Harry, che stava per prendere parola.
« Non questa volta signor Potter, non questa volta. E' passato un anno dalla guerra, un anno in cui il Mondo Magico si è ripreso a stento, e a quanto vedo siete ancora così cocciuti da odiarvi per qualcosa di inesistente! » continuò, quasi urlando l'ultima parola.
Hermione guardò Draco al suo fianco, che con gli occhi grigi osservava di sottecchi il volto di Silente, ricambiato pienamente: sembravano parlarsi e capirsi a volo, mormorando parole che a lei non era concesso conoscere; per un attimo ne fu gelosa: Draco si era confessata con lei la sera prima e anche se non ne aveva il diritto voleva solo lei conoscere quei segreti che lo rendevano così oscuro, così luminoso e differente da come si dipingeva con le sue stesse mani.
Lui ce l'aveva.
Solo lui conosceva il buio che risiedeva in lei, come una macchia nera che sporca tutto il resto.
Solo lui ce l'aveva, ed Hermione non sapeva nemmeno il perché.
« Due famiglie sono state ritrovate fatte a pezzi nello Yorkshire » mormorò la McGranitt, facendoli sobbalzare.
Draco tremò, Harry sgranò gli occhi ed Hermione si avvicino impercettibilmente a Ron, che le diede la mano.
Ecco, erano ritornati indietro: il dolore, la paura li avvicinava, li stringeva in un abbraccio putrido, letale, senza amore, ma così confortevole da non poterne fare a meno.
« Stavano dalla parte di Lord Voldemort » continuò la preside, questa volta guardando Draco, che distolse lo sguardo da Silente e lo posò su di lei: niente traspariva dal suo volto - rigido come la pietra e freddo come il marmo - ma nei suoi occhi Hermione la vide.
La paura accarezzava le sue iridi come un serpente tentatore, stringendo la sua pupilla dilatata in una morsa crudele.
« Non ti chiedo di combattere questa guerra, Harry, non questa volta. Volevo solo informare voi e il signor Malfoy - altamente coinvolto in questa storia - che un gruppo di persone sta sterminando tutti coloro che nella guerra finale hanno scelto la... parte sbagliata.
Probabilmente una persona che ha perso tanto, troppo, ha deciso di riscattare i Mangiamorte con la loro stessa moneta. Hanno lasciato una scritta nel buio ad ogni visita fatta, si fanno chiamare i Santi.
Santi perché portano giustizia, Santi perché distruggono vite. Santi perché hanno ucciso bambini innocenti.
L'ordine della fenice è stato ricostruito, lentamente - insieme ai vecchi membri - se ne stanno aggiungendo altri; tua madre, Draco, ha deciso di entrare a farne parte. Questa volta siete voi ad essere in pericolo e spero che riconosciate i vostri errori, stringendovi la mano e aiutandovi l'un con l'altro.
Non si fermeranno davanti a questo castello, Potter, e quando vorranno fare piazza pulita qui... dovremmo essere pronti, dovrete essere uniti, ecco perché - sotto proposta di Silente - e per la scenetta di poco fa devo mettervi in punizione » disse seria, mentre la mascella dei cinque quasi toccava terra.
« Ma... » iniziarono Draco e Harry, venendo nuovamente interrotti da un occhiata assassina della McGranitt.
« Draco Malfoy ed Harry Potter ho detto niente ma. Quest'anno sarete controllati strettamente da me stessa; da domani condividerete una stanza su nella torre nord, e convivrete a stretto contatto.
Alternerete i giorni dove mangerete al tavolo dell'altro, seguirete le lezioni insieme e passerete il tempo libero uno in compagnia dell'altro. Forse così eviteranno di fare lo scalpo al signor Malfoy e il signor Potter cominci ad imparare che le apparenze ingannano, sempre.
Buona serata » e con questo li congedò, ma nessuno si mosse: uno strano tic aveva preso possesso dell'occhio destro di Draco, e la palpebra si muoveva così velocemente da risultare quasi buffo agli occhi di tutti. Harry era rimasto con la bocca spalancata, aspettando che Silente uscisse dal quadro e dicesse "E' tutto uno scherzo, Potter, ritorna a giocare con le tue pluffe a quel gioco idiota e senza senso!", ma niente, tutto rimase immobile.
« Buona serata » ripetè la preside, questa volta spazientita, e fu Hermione ad afferrare quei tre per la collottola della divisa e trascinarli fuori dalla presidenza, nel corridoio.
« Vaffanculo Malfoy! »
« Vaffanculo Potter! » e all'unisono si diedero la buona notte, salutandosi con un dito medio e prendendo - imbufaliti - strade diverse.
Hermione e Ron rimasero lì, imbambolati, ancora con le parole della Mcgranitt arpionate nel cervello: una nuova guerra. Aveva fatto capire chiaramente ai cinque che non erano coinvolti, che il tempo degli "eroi" per loro era finito, ma Hermione sapeva che niente era finito, che tutto era appena nuovamente iniziato.
Era di nuovo stanca, come se fossero passati cent'anni e lei nemmeno se ne fosse resa conto, trovandosi il peso degli anni sulle spalle e sul viso.
Ron le accarezzò una spalla, quasi intuendo i suoi pensieri, stringendo la sua mano tra la propria, così grande e già sudata; appoggiò il mento sulla sua spalla e sospirò tra i suoi capelli, scompigliandoli appena.
« Sono così stanco » mormorò lui, abbassando gli occhi azzurri e stringendo la sua mano ancor più forte, con così tanta forza da farle mancare il fiato e ferirla, soffocando anche il suo cuore, la sua razionalità, facendo aumentare la sua angoscia, facendole salire alla gola un magone così straziante da farla tremare dentro.
« Così stanco... » ripeté, e una lacrima sfuggì dagli occhi di Hermione, quasi squarciandole il viso tant'era acida e distruttiva, annullandola per quell'orgoglio che si stava sotterrando insieme al suo cuore.
Lui era stanco e la stringeva.
Lui aveva paura e si avvicinava.
Lei era solo la sua ancora.
Lei era un porto sicuro solo in momenti estremi.
Doveva allontanarsi da lui prima che l'annullasse, prima che fosse troppo tardi, prima che la spezzasse definitivamente e lei non potesse più rialzarsi, ricomporsi, andare avanti senza rimanere legata a quel ricordo.
Il ricordo del suo fallimento, del suo cuore spezzato, del suo deficit totale.
Le sue braccia la circondarono in una morsa, ed Hermione non si sorprese di non sentire il cuore battere. Lui, allora, era solo dolore?
« Scusa, Ron, devo andare » disse, districandosi dalle sue braccia e guardandolo in viso, impassibile.
Le sue dita si strinsero attorno al suo braccio magro, trattenendola con forza, impedendole - per la prima volta in vita sua - di scappare.
« Parlami, Hermione, dimmi cos'hai » sussurrò Ron, con gli occhi pieni di dispiacere.
Cosa voleva che facesse? Che gli vomitasse addosso ogni suo risentimento? Ogni parola non detta e ogni rancore che riservava?
« Cosa dovrei dirti? » le labbra si mossero da sole, spinte da una forza che lei non aveva. Non più. Non per lui.
Non per quel "loro" inesistente.
« Cosa ti succede, per esempio » sbuffò Ron, fissandola insistentemente.
Tutto.
« Niente Ron, ora lasciami andare » disse Hermione, tenendo la voce ferma - nonostante il magone che minacciava di chiuderle la gola - e il mento ritto.
Sua madre le rimproverava sempre le apparenze, diceva che erano quelle a salvare tutto, come una spolverata di correttore su un paio di occhiaie da pianto o un rossetto su una bocca morsa più e più volte durante un pianto furioso.
Le apparenze, diceva tra un sussurro e un'altro, sono quelle che lasciano intatto l'orgoglio di una donna a pezzi.
Le apparenze, mormorava ancora, sono quelle che ti salvano il culo dinnanzi al nemico.
« So' che non è niente, non mentirmi Hermione, ti conosco! » sibilò furioso, stringendo ancor di più il suo braccio tra le dita, quasi lasciandole lividi con le impronte delle sue mani.
« Mi stai facendo male » mormorò, riferendosi al suo braccio, al suo cuore, al suo orgoglio.
Fu il tempo d'un battito d'ali, un gufo s'innalzò in lontananza - sbattendo le sue ali con forza e gufando con ira - e si ritrovò le labbra di Ron sulle sue; furono tenere, delicate, arrabbiate.
La stava baciando con paura, con forza, con angoscia.
Le stava rubando il respiro lentamente, avvelenandola, gelandole persino il sangue nelle vene.
Mi stai facendo male.
Lo schiocco di quello schiaffo risuonò duro tra quelle mura, quasi come il suono di una frusta alle orecchie di un cavallo indifeso; Ron si allontanò con la guancia rossa e le orecchie scarlatte, guardandola dispiaciuta.
« Hermione... io... » balbettò, massaggiandosi la parte lesa con occhi tristi, quasi come quelli di un cucciolo abbandonato.
Lo era lui o il contrario?
In quel momento era Hermione a sentirsi tremendamente sola, quasi svuotata da quel sentimento che per anni l'aveva animata.
« Io non sono un oggetto » sussurrò con un filo di voce, pericolosamente vicina a schiantarlo lontano da sé, alle lacrime, allo scoppiare dolorosamente.
Indietreggiò lentamente, senza staccare gli occhi da lui, imprimendosi l'immagine di quel volto colpevole nella mente: il sapore delle sue labbra sulla propria bocca era acido che le scendeva giù per la gola, i suoi occhi erano pezzi di cielo che nascondevano un Dio crudele, vendicativo, pronto a sacrificare vite innocenti per un proprio piacere.
Mi stai facendo male.
Ingoiò a vuoto e girò i tacchi, lasciando che quel ticchettio inquietante si facesse spazio tra quelle mura spoglie.
Il suo mento era ritto, ma il suo volto rigato di lacrime.
I suoi occhi erano orgogliosi, ma inondati dal dolore di un qualcosa che era caduto in mille pezzi.
Le sue spalle erano rigide, come sempre, ma tremavano.
"Le apparenze, bambina mia, salvano sempre. Mostra un algido cuore, una buona facciata, anche se dentro tutto si sta distruggendo, anche se in realtà sei solo polvere. Sii di legno, amore mio, e prometto che prima o poi - se non all'inizio, ma alla fine - tutto si aggiusterà" le aveva detto sua madre, e poteva anche mostrare un immagine fasulla di sé, ma dentro il vuoto l'aveva già inghiottita.
Lei era già piegata.

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Capitolo 4
*** Capitolo III - Mea culpa ***


Capitolo III -
Mea culpa






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 « Sei un vile traditore » e fu così che Blaise Zabini iniziò quella domenica schifosa già di per sé.
Dopo aver bevuto la bellezza di cinque caffé macchiati, essersi rovinato il fegato ed essere entrato in affari con Dean Thomas per importi illegali dall'Italia, aveva fatto la sua entrata teatrale alle nove di mattina nella sua camerata, svegliando i suoi compagni di stanza con quel buongiorno assolutamente delizioso, rivolto alla zuccherosa creatura che, avvolta nelle sue candide lenzuola di seta verde\argento, spalancò gli occhi grigi nella pallida imitazione di un demone in piena trasformazione.
« Tu... ti credevo mio amico! » sibilò in modo melodrammatico, toccandosi il cuore con una smorfia sulla bocca carnosa e socchiudendo gli occhi fintemente addolorati.
Se Draco ringhiò, incapace di proferire parola appena sveglio, Theodore Nott cercò - con la sua solita eleganza - di soffocarsi con il cuscino dalla fodera argentata.
« Uniti da un legame d'amicizia indissolubile... mi hai pugnalato alle spalle » continuò Blaise, asciugando lacrime invisibili dai suoi occhi obliqui.
« Che Salazar lo fulmini! » biascicò con voce impastata Theodore, sperando in cuor suo che l'amico si soffocasse con la propria saliva.
Draco, invece, si limitò a piagnucolare.
« Dove credi di andare, sottospecie di scimmia sottoevoluta! » ringhiò Blaise verso Goyle, che sgusciato da sotto le coperte cercava di sfuggire dal solito teatrino settimanale, inchiodandolo sulla moquette dal colore nero.
« Dov'ero? Ah, certo... come hai potuto? Come? » sbraitò ancora, crollando seduto sulla sponda del letto di Draco; Goyle fece una smorfia, Theodore premette ancora più forte il cuscino sulla propria testa e Draco si limitò a richiudere gli occhi e sbavare appena sul lenzuolo.
« Sei stato ferito e non hai informato me, tuo eterno protettore! » ed ecco che erano arrivati al nocciolo della questione.
Blaise incrociò le braccia al petto, offeso, e Goyle ne approfittò per rinchiudersi nel bagno, sfuggendo ad una sfuriata in piena regola alle nove di mattina; Theodore guardò - per quanto gli occhi assonnati gli permettessero - curiosamente lo scenario che gli si presentò davanti: Draco aveva appena sbuffato, aprendo definitivamente gli occhi, e stava guardando Blaise con espressione assassina, mentre quest'ultimo continuava a fare l'offeso, con le guance gonfie e un broncio simile a quello di un bambino a cui è stato negato un giocattolo.
« Probabilmente, Italiano dei miei stivali, non te l'ho detto proprio per evitare che facessi una scena come queste nella Sala Comune! » disse, promettendo a sé stesso di azzannare Blythe appena fosse passato sotto le sue grinfie: lui era l'unico - oltre i suoi carnefici - a sapere dello scontro avvenuto al terzo piano... e proprio non riusciva ad immaginare quei codardi riferire ad un ragazzo di due metri per cento chili di aver malmenato il suo miglior conoscente.
« Draco, dovevi dirmelo! Avrei provveduto a stanare quei figli di... » iniziò Blaise, schioccando le dita e venendo interrotto sul più bello da Draco, che scosse il capo, infastidito.
« No, Blaise, no. Si scatenerebbe una catena infinita e metterei te - oltre me - contro il nostro dormitorio; sono troppi serpenti velenosi e non voglio né morire avvelenato né essere additato come un codardo.
Ho smesso di ascoltare i loro giudizi un anno fa » sbuffò Draco, sbadigliando e mollandogli un calcio da sotto le coperte per averlo svegliato all'alba.
« Mi interessa poco o niente della loro ghiandola velenosa, Malfoy! Io sono più velenoso di loro » disse Blaise, e dal sorrisetto che piegò le sue labbra carnose, Draco, capì che la questione non era finita lì: conosceva l'amico quel tanto da sapere che si sarebbe vendicato in un modo assolutamente grandioso, macchinando piani alla stregua del Conte di Montecristo.
« Siete disgustosi » borbottò Theodore, rigirandosi nel letto a baldacchino e soffocando uno sbadiglio nel cuscino che, fino a pochi secondi prima, aveva tenuto sul viso nel tentativo di soffocarsi.
« Tu pensa al modo di dire alla tua fidanzata secolare che sei innamorato di sua sorella, Theo, non all'amicizia che lega me e Draco, capace di superare tempeste e monti insormontabili! Non capisco il motivo della tua gelosia, davvero » cinguettò Blaise, ritornato di buon umore, evitando per un pelo una pantofola - con tanto di serpenti e vipere allegre - e sorridendo velenoso verso Theodore, che gli regalò un dito medio e un "vaffanculo" detto con tutto il cuore.
« Ritornando a noi, caro, un uccellino mi ha anche sussurrato che le mani della Granger sono più che abili » continuò il ragazzo di colore, guardandosi le unghie perfettamente curate e facendo balzare Draco fuori dal letto, che con un'espressione assassina sembrava confrontare la scelta di ammazzare prima lui o l'uccellino.
« Dimmi, Draco, ti è piaciuto farti trastullare dalla Mezzosangue? » sibilò Blaise, perfido, e Draco decise che, decisamente, avrebbe ucciso prima lui; con un urlo degno di Bruce Lee in uno dei suoi scontri più difficili, si lanciò contro l'amico con una forza che - appena sveglio - non sapeva nemmeno di possedere: allacciò le braccia al suo collo e lo spinse oltre la sponda del letto dov'era seduto, attutendo la caduta sulla moquette con la schiena possente di Blaise.
Cercò di soffocarlo, di zittire i suoi urli "d'aiuto" con un piede conficcato quasi in gola, ma la fine del mondo avvenne quando - senza nemmeno farlo apposta - Draco lo graffiò appena sulla guancia.
Apriti cielo.
In un nano secondo fu buttato dall'altra parte della stanza con un calcio micidiale nello stomaco, sbattendo contro il letto di Theodore - che bestemmiò - e si ritrovò a fissare gli occhi increduli di Blaise, completamente sconvolto.
« Hai... tu hai... hai o-osato rovinare il mio viso. Il mio prezioso viso. La mia bellezza. Tu hai osato rovinare un monumento di bellezza mondiale! » urlò il mezzo Italiano, additandolo come un invasato scappato da Azkaban dopo anni e anni di tortura ininterrotta.
« Cazzo, Blaise, quanti problemi! E' solamente un graffietto » sbottò Draco, massaggiandosi la testa e ignorando i miagolii disperati di Theodore, che desiderava ardentemente dormire in santa pace, senza le loro urla arrabbiate o disperate.
« Graffietto? Graffietto? Io ci lavoro con questa faccia, amante dei Mezzosangue! » sbraitò, girando il capo quasi a cent'ottanta gradi verso Goyle, che, con solo un'asciugamano addosso mostrava la sua pancia che con le tette di una donna sessantenne e l'ombelico grande quasi quanto una piscina sembrava quasi una faccia sorridente, ignaro di tutto aveva fatto una doccia ed era rientrato in stanza, credendo che il peggio fosse finito... quando, in realtà, era appena iniziato.
« Che mi guardi, specie di essere umano con il corpo di un rinoceronte e il cervello di gallina? » mormorò con voce pericolosamente bassa verso Goyle, che si grattò il capo, quasi imbarazzato.
« Perché porti le mutandine con cuori rosa e verdi? » domandò perplesso, mentre Draco a stento trattenne una risata, liberata senza nessun problema da Theodore, che guardando il sedere di Blaise vide una bella porzione delle sue mutande, con tanto di Merlino con un cappello che faceva pandan con i cuoricini.
« Sono sexy » sibilò in risposta, afferrando la bacchetta dalla tasca posteriore dei pantaloni e puntandola verso l'asciugamano di Goyle, che con un movimento fluido del polso di Blaise cadde sulla moquette, facendo quasi salire un conato di vomito ai due poveri malcapitati alle sue spalle.
« E tu, elefante, perché hai una nocciolina al posto della proboscide? » disse con un sorrisetto, ammirando tra sé e sé la propria cattiveria, segno distintivo di cui non avrebbe mai fatto a meno.
« Per le mutande consunte di Merlino, Zabini, copri questo scempio! » sbraitò Draco, scansandosi prima di venire investito dal vomito di Theodore, che debole di stomaco aveva riversato la cena della sera prima sul pavimento.
« Ehi! » borbottò Goyle, sentendosi chiamato in causa.
« Che Morgana l'aiuti a diventare qualcosa che si avvicini, se non lontanamente, almeno umanamente ad una cosa normale » sospirò Blaise, agitando nuovamente la bacchetta e avvolgendo Goyle in un lenzuolo di Draco, che dopo non avrebbe esitato a dare fuoco senza pensarci due volte.
Se il buongiorno si vede dal mattino... beh, che giornata di merda era iniziata!

Non che la situazione a Grifondoro fosse diversa; quella domenica sembrava distrastosa per tutti e ad Hermione si era presentata sottoforma di una bionda e stupida oca che ragionava su argomenti stupidi e insensati.
E lei odiava discutere con chi non voleva ascoltare.
No, no e no.
Non lo accettava, era contro ogni sua maledettissima morale.
« Quindi, in poche parole, mi stai dicendo che chi mette una gonna più corta e una camicia più aderente è una donna di facili costumi? » Lavanda Brown poteva guardarla con tutte le espressioni indignate che possedeva, Hermione non avrebbe cambiato idea.
Né ora né mai.
« Se andassimo tutti i giorni in una discoteca potrei anche darti ragione, ma no, siamo in un istituto privato e dobbiamo essere adeguate per la giornata che dobbiamo affrontare! Dovremmo studiare, non attirare le attenzioni dei ragazzi, Lavanda » disse fermamente convinta, legando i riccioli bruni in una coda veloce e comoda.
« Collegio privato, non di suore » sibilò la sua compagna di stanza, agitando la bacchetta e trasformando la sua coda in una crocchia ordinata.
« Questo non ci da il diritto di girare per la scuola vestite come se fossimo uscite da una discoteca e non un'aula! » sbottò Hermione, mentre Lavanda passava un lucidalabbra rosa sulle proprie labbra piene.
« Ma nemmeno a conciarci come se fossimo appena uscite da un convento » rispose ironica Calì, arricciando il naso alla vista delle occhiaie che appesantivano lo sguardo di Hermione, causa dello studio che la teneva sveglia fino a tardi.
« Di questo passo non troverai mai un rimpiazzo! » mormorò con tono quasi preoccupato, come se davvero le importasse qualcosa che lei e Ron si fossero lasciati.
Hermione non aveva bisogno di un rimpiazzo, ma di qualcuno che la completasse, cosa che poteva considerarsi assai diversa. Con l'ennesimo sventolio di bacchetta, Lavanda, le lanciò contro un incantesimo non - verbale, facendole quasi venire un infarto. « Ora sei quasi decente » disse, prima di uscire dalla stanza ed evitare una boccetta di profumo, che si schiantò proprio contro il muro accanto alla porta, lanciato da un Hermione furiosa.
« Non osare mai più puntarmi la bacchetta contro, Brown, o giuro che te la... » urlò, venendo interrotta da una piccola furia rossa, che entrò con un'espressione tra il sorpreso e il preoccupato.
« Dimmi che non stavi per dire le parole "bacchetta", "infilare" e "su per il culo" nella stessa frase o potrei farti una statua d'oro, Hermione » rise Ginny, entrando definitivamente nella stanza e spaparanzandosi sul suo letto, con le gambe incrociate e un sorriso sornione sulle labbra.
« Mi manderanno al manicomio quelle due, Ginny » sbuffò Hermione, guardandosi con una smorfia allo specchio; sì, d'accordo, le occhiaie erano sparite, ma lei non era lì per quello.
Hermione aveva sempre avuto la convinzione che chi avesse il coraggio di innamorarsi di lei dovesse amarla per il suo cervello, il suo carattere e non per il suo aspetto; la bellezza sarebbe appassita negli anni, la compatibilità, le passioni in comune, il carattere e tutte quelle cose che rendevano una persona diversa dalle altre, sarebbero rimasti fino alla fine.
« Ma hanno ragione per una parte, Hermione » disse Ginny, raggiungendola e fermandosi alle sue spalle, dove le accarezzò dolcemente il collo scoperto dai capelli.
« Ron non si fa problemi, se qualcuno gli chiede di uscire accetta, cercando di rimpiazzarti senza nemmeno preoccuparsi dei tuoi sentimenti... tu perché continui a chiuderti nel guscio che, in sette anni, ti ha permesso di farti notare solamente da lui? » domandò, guardandola come se fosse un delicato vaso di cristallo e con quelle parole avesse paura di romperla.
Ma Hermione aveva smesso di ascoltare i giudizi delle persone anni prima, quando aveva capito che non poteva piacere a tutti... che non tutti avrebbero potuto apprezzare quello che le batteva dentro. Quel che era.
« Semplicemente non mi va di farmi notare per quello che non sono... » rispose Hermione, guardando la sua figura allo specchio e chiedendosi cosa ci fosse che non andasse.
Era lì, era lei, cosa c'era di sbagliato?
« D'accordo, hai vinto, ma almeno togli la divisa quando non c'è lezione » rise Ginny, agitando la bacchetta e mormorando un "Accio": i vestiti, dopo una manciata di secondi, si depositarono tra le sue mani entrando direttamente dalla porta.
Con espressione soddisfatta, Ginny, le buttò un paio di pantaloni neri e una maglia sul letto rifatto alla perfezione, mentre Hermione afferrava la semplice maglia rosso carminio, che l'amica aveva richiamato con la magia, tra le mani, rigirandosela tra le dita quasi sorpresa dalla semplice bellezza di quella maglia, soprattutto di Ginny, a cui piaceva vestirsi in un modo appena più appariscente del suo.
« Questa me la regalò Harry pochi mesi prima che ci lasciassimo... fa a pugni con i miei capelli arancioni e mi fa ricordare troppo » mormorò l'amica, aiutandola a togliersi la divisa e infilarla su per le braccia.
La maglia le stava una meraviglia e Ginny le sorrise incoraggiante, mentre lei aggiustava - appena arrossita sulle guance - lo scollo a barca che lasciava intravedere la valle dei seni. La stoffa accarezzava morbidamente i fianchi e non era niente di eccessivo.
« Vedi? Si può essere belle anche con qualcosa di semplice, l'importante però è scegliere accuratamente ciò che si indossa, anche un accessorio - che la Mcgranitt degenera durante le lezioni, ma non il sabato e la domenica - può cambiare completamente un look » disse Ginny, facendole l'occhiolino.
« Sono stanca di ragazzi e amori infranti, Gin, le mie storie finiscono sempre con un cuore spezzato... e cercarmi qualcuno che debba sforzarsi d'amarmi solo perché io mi sforzo di essere carina proprio non mi va » disse Hermione, quasi come se quella fosse una semplice costatazione su quanto il tempo fosse guasto quel giorno e non una frase così triste, che probabilmente - molto infondo - le spezzava il cuore.
Ginny le accarezzò i capelli, poggiando la fronte sulla sua nuca, standole vicino anche solo respirando appena tra i suoi riccioli ribelli; aveva messo il pantalone nero e forse erano anche pronte per scendere giù a fare colazione, ma quella bolla di silenzio che le aveva avvolte improvvisamente era stata capace di farle sprofondare nei propri pensieri.
« Devo dirti una cosa, Hermione » iniziò Ginny, attirando la sua attenzione, ma prima che potesse dirle altro una furia da una zazzera di capelli neri e scomipigliati entrò nella stanza, gli occhiali scomposti sul naso e la bocca tirata in un sorriso solare, che si affievolì alla vista di Ginny, che bloccò la sua frase sul nascere.
« Scusa se sono piombato quì, Hermione, ma Lavanda e Calì mi avevano detto che eri pronta e continuavi a tardare a scendere in Sala Comune » si giustificò Harry, tendendole la mano.
Ginny si staccò da lei e sentì chiaramente lo scoppio di quella bolla che le aveva strette, spezzando quell'attimo di armonia. Hermione strinse la mano di Harry, ma per un attimo qualcosa le disse che stava sbagliando, che probabilmente avrebbe dovuto rifiutare quella mano, ma il suo migliore amico la strattonò verso di lui, sorridendo come se non avesse un problema al mondo.
« Ha ragione Harry, un certo languorino comincia a farsi sentire » Ginny liquidò la questione con lo sventolio distratto della mano, saltellando fuori dai Dormitori femminili con la sua solita aria spensierata.
E' colpa mia.
Hermione si lasciò trascinare fuori dal ritratto della Signora Grassa, notando a malapena l'assenza di Ron alle loro spalle; c'era qualcosa di strano che aleggiava tra Ginny ed Harry, come un tacito accordo che nuoceva ad entrambi, ma tremendamente segreto da roderli dall'interno.
Hermione spostava lo sguardo dall'uno all'altro con gli occhi assottigliati, chiedendosi perché. Le stavano nascondendo qualcosa.
Perché?
« E' colpa mia » mormorò, con una voce così bassa che a malapena venne udita.
Era forse colpa sua?
« Questa mattina Ron è andato ad allenarsi, credo che ci aspetti nella Sala Grande » borbottò Harry, rompendo il silenzio che si era venuto a creare e spezzando la tensione che quasi poteva tagliarsi con un coltello.
« Ma gioca sempre a Quidditch? Ce l'ha una vita sociale, quell'idiota? » domandò Ginny, sorridendo a Dean Thomas, che si aggregò felicemente a loro e facendo quasi inciampare Harry sui propri passi.
« Tra poco iniziano le elezioni per i nuovi componenti della squadra e Ron, come tutti gli anni da quando è stato eletto portiere » rise Harry, mentre Hermione abbozzava un sorriso al ricordo del Confundus che aveva lanciato su quella montagna di Mcleggen; era così innamorata allora, ed era molto più semplice.
Sentiva quel sentimento che le batteva dentro puro e invincibile. Ma tutto era cambiato, loro erano caduti e il dolore aveva preso posto dell'amore.
Loro non si amavano, loro si aggrappavano.
« Chissà perché è così insicuro » sbuffò Dean, entrando per primo nella Sala Grande e arrossendo appena sulle guance scure quando Ginny si aggrappò al suo braccio, con Hermione ed Harry a seguito, che tossì come la Umbridge quando qualcosa non andava per il verso giusto.
« E' sempre stato così, anche se dopo la guerra è cambiato molto... » proferì Hermione, stringendo il braccio di Harry e intimandogli con un occhiata di starsene fermo e zitto.
Era stato lui a lasciare Ginny, quindi che bloccasse i suoi attacchi di gelosia fraterna.
« E' colpa tua » disse Harry e per poco Hermione non inciampo; legare quella frase al pensiero che le ronzava nella mente era... strano, quasi inquietante.
E' colpa mia?
« Ron ha acquistato sicurezza da quando vi siete fidanzati... l'hai aiutato ad uscire dal suo guscio e farlo emergere » finì la frase in bellezza, facendola sospirare e ingoiare quel magone che le aveva bloccato il respiro.
E' colpa mia.
Ron non l'aveva aiutata ad acquistare una nuova sicurezza né tantomeno l'aveva fatta sentire una donna affascinante, sensuale; certo, Hermione aveva diciotto anni e credeva che l'aspetto fisico non fosse importante, ma aveva desiderato - una volta - di sentirsi desiderata.
Non desiderata perché indossasse gonne allucinanti e maglie dallo scollo vertiginoso. Hermione voleva sentirsi desiderata per la sua intelligenza e la risposta pronta, per la sua sfacciataggine e timidezza; Hermione voleva sentirsi desiderata per la sua semplicità e per il sorriso che sfoggiava ogni giorno, anche se non ne aveva voglia.
Voleva sentirsi desiderata anche solo se indossava un jeans o la divisa scolastica.
« Ti sta bene questa maglia » il sussurro di Harry le soffiò via i riccioli dalla guancia arrossita, lasciandola lì mezza imbambolata. E' colpa mia.
« Ehi, Granger, dove le avevi lasciate quelle per tutto questo tempo? » Blaise Zabini urlò quella frase con tutto il fiato disponibile in gola, facendo girare mezza Sala Grande verso di lui. Non che a quel Serpeverde da strapazzo dispiacesse l'attenzione... ma a lei imbarazzava giusto un pelino.
Specie se l'attenzione era catalizzata sul suo decolté.
« Oh, ma sta zitto! » sbuffò Hermione, sedendosi al tavolo dei Grifondoro e desiderando sprofondare nell'entroterra.
Non che fosse così prosperosa, intendiamoci, lei era molto esile: prima della guerra era già magra di suo, ma dopo la morte di Fred e la ricerca dei suoi genitori tutto si era complicato e quei chili che non aveva bisogno di perdere... purtroppo se n'erano andati di per sé; era anche bassa e al fianco ad Harry e Ron quasi si sentiva uno gnomo.
Comunque aveva una terza scarsa che aveva visto tempi migliori.
Okay, una seconda.
« A cosa si riferiva? » ed ecco che Ron arrivava e parlava a sproposito.
« Alle sue tette » ed ecco che Ginny rispondeva innocentemente a tutte le sue domande.
Ron quasi soffocò con il pane tostato, guardandole in modo sfacciato il petto.
« Ronald Bilius Weasley! » strepitò Hermione, schiaffeggiandolo dietro la nuca e coprendosi con un braccio... anche se non c'era proprio niente da coprire, visto che era tutto coperto.
« Che c'è, Granger, non ti va a genio che Weasley ti guardi? » ci mancava Zabini all'attacco, che attirò nuovamente l'attenzione della Sala Grande su di loro e su di lei, rossa come un pomodoro.
« Stai un po' zitto? » sbraitò Hermione in risposta, mentre il ragazzo di colore piegava le labbra piene in un sorriso subdolo.
« Eppure non mi sembravi tanto scettica quando hai trastullato Draco Malfoy! » sembrò quasi che la sua voce profonda e roca uscisse a rallentatore dalla sua bocca ed Hermione giurò di vedere gli occhi di Ron uscire fuori dalle orbite.
Merda.
« Tu... cosa hai fatto? » lo strepitio di Ron non aiutò di certo la situazione, sembrava che Hogwarts, in quel momento, avesse solamente orecchie per loro; sarebbe stato un triangolo perfetto: l'eroina del Mondo Magico che ha una tresca con il suo peggior nemico che all'ultimo momento si è ricreduto, mettendo da parte il suo migliore amico ed ex ragazzo.
« Potrei ucciderti se gli dai corda » sibilò Hermione verso il rosso, sperando che capisse la sua disperazione e mettesse fino al tremendo imbarazzo che l'aveva assalita a quelle parole.
« Per le mutande consunte di Merlino, Hermione, che significa che hai trastullato Draco Malfoy? » sibilò a voce più bassa, lasciando cadere la fetta di pane tostato nel piatto mezzo vuoto.
« Non significa niente, Ronald, e pure se fosse questi non sono affari tuoi! » la voce di Hermione salì di due ottave ed Harry ritenne opportuno intervenire, prima che la sua migliore amica affatturasse il suo migliore amico e lui perdesse il portiere della squadra.
« Meglio non discuterne quì, andiamo... » afferrò Ron per la manica della divisa da Quidditch e cercò di tirarlo su, ma il ragazzo non si mosse, continuando a fissare Hermione negli occhi.
« Forse oggi non ha messo la divisa proprio per questo motivo... fare colpo su qualcuno con un vestiario che mette in risalto i propri punti di forza » rincarò Blaise, ringraziando tutti i protettori di Hogwarts che Draco non fosse ancora presente.
Se l'avesse sentito gli avrebbe sicuramente tappato la bocca con cinque o sei calci ben assestati nelle parti basse.
« Questa è stata bella » rise Ginny, alzando il pollice verso Blaise, che ringraziò inclinando il capo.
« Ginny, ti prego, non metterti anche tu con questa idiozia! » sibilò Hermione, mentre Ron si alzava in tutto il suo metro e novanta e la fissava con i suoi occhi azzurri incendiati.
« Beh, sai che ti dico? Dì a Draco Malfoy che è tutta apparenza. Sei frigida e rigida come un palo » e mormorò quell'ultima frase con così tanta cattiveria che Hermione sobbalzò.
« Forse ero frigida e rigida perché il palo a malapena si vedeva e io a stento lo sentivo » e con quella frase ad effetto che lasciò Ron con la bocca mezza aperta e una Ginny in brodo di giuggiole, diede le spalle a tutti e uscì con gran stile dalla Sala Grande, tanto da guadagnarsi un fischio d'ammirazione da Theodore Nott.
"E' davvero colpa mia, allora?"
Probabilmente non era Ron a farla sentire meno femminile... ma lei stessa non lo era.
« Idiota » sibilò tra sé e sé, ma questa volta non era riferito a lei quell'insulto, ma a quello stronzo di Ronald Wealsey.
Le sembrava essere ritornata a due giorni prima, quando aveva vagato per il castello con le lacrime agli occhi e il cuore in tumulto, sofferente per quell'uomo che era stato speciale, ma che si stava rivelando un bambino.
« Stupido » continuò, stringendo i pugni con forza e calciando la porta del bagno di Mirtilla Malcontenta.
Sembrava che quel bagno fosse diventato ritrovo per malati di cuore.
« Oh, oh, la piccola Mezzosangue ha un problema? » Mirtilla uscì da uno dei cunicoli fluttuando dolcemente, con un sorrisetto sulle labbra. Non le era mai piaciuto quel fantasma: era una vittima, certo, ma anche una terribile stronza.
« Questi non sono affari tuoi » disse Hermione, sedendosi sul pavimento accanto ad uno dei lavandini che permettevano l'ingresso nella camera dei segreti.
Come al primo anno, quando lui l'aveva insultata e lei si era rinchiusa nel bagno a piangere.
« Io posso capirti... » si lamentò Mirtilla, fermandosi davanti a lei.
« Va via! » urlò così forte che per un attimo si sentì in colpa, ma Mirtilla non esitò a strillare più di lei e tuffarsi nella tazza del water, quasi allagando il bagno.
Lei e Ron non avevano mai fatto l'amore e tantomeno lei l'aveva mai visto nudo, tranne quelle poche volte - sempre con dei pantaloni - durante la ricerca degli Hocrux; lei non aveva il diritto di dire che lui era... impotente come lui non aveva il diritto di poter parlare della sua presunta frigidità.
Hermione era vergine, punto, e non perché aspettava il principe azzurro o altre fandonie simili; semplicemente non si era mai sentita pronta per fare un passo del genere.
Non considerava la sua verginità così preziosa, ma nemmeno così inutile da regalarla al primo che si dichiarava apertamente a lei. In realtà nemmeno ci aveva pensato in quegli anni: con Harry come amico e Voldemort alle calcagna - con dissennatori, lupi mannari e disastri a seguito - quelle cose da ragazze le aveva accantonate in un cassetto, aspettando il momento giusto per tutto.
Si era sentita pronta quando aveva baciato Viktor al quarto anno e si era sentita prontissima quando aveva baciato Ron durante la battaglia finale; non aveva avuto ripensamenti, anzi, non si era mai pentita di quel gesto fatto.
Ron aveva provato a fare l'amore mesi prima che iniziasse la scuola: passare del tempo insieme e da soli era normale per due diciottenni ed Hermione aveva casa libera fin quando non avrebbe trovato il sistema giusto per ridare la memoria ai suoi genitori; lui era stato delicato come non mai, l'aveva baciata lentamente, assaporando il momento e poi - arrossendo come un bambino - l'aveva accarezzata sui fianchi.
All'inizio non aveva provato fastidio... Ron non era invadente ed era comunque normale che due fidanzati si concedessero carezze più intime; poi però lui era diventato più audace e lei era entrata in panico: certo, si conoscevano da ben sette anni, ma l'amore lo stavano assaporando poco a poco.
Lui non sapeva tutto di lei e quest'ultima voleva che conoscesse ogni suo lato prima di concedersi pienamente a lui. Non ne era stato dispiaciuto e non gliene aveva fatto una colpa; lo aveva apprezzato per quel gesto e probabilmente l'amore per lui era cresciuto un po' di più dopo quella grande dimostrazione d'affetto... ma allora perché ora le stava rinfacciando ogni cosa?
"E' colpa mia"
Hermione si portò le ginocchia al petto, poggiandoci delicatamente il mento.
"Devi piangere?" Sorrise, scuotendo il capo; forse era matta: una voce dentro di lei le chiedeva se voleva piangere, le diceva che era colpa sua, le mormorava che Draco non era male e che Ron era uno stronzo.
Da quando la sentiva? Pochi giorni, da quando credeva di aver perso la sua sanità mentale per quell'amore che nemmeno poteva più chiamarsi così.
« Mi chiedo cosa ci trovino i Babbani in questa » un pacchetto di sigarette fu buttato ai suoi piedi e Draco Malfoy si sedette di fronte a lei, con le gambe incrociate e la borsa a tracolla aperta.
Hermione afferrò il pacchetto di sigarette incuriosita, ma non si sorprese della presenza del Serpeverde; sembrava che oramai lui sapesse sempre dove trovarla e come trovarla.
« E' la loro invenzione più stupida dopo le pistole » mormorò Hermione, mentre Draco apriva il pacchetto e ne sfilava una delicatamente, rigirandosela tra le dita incuriosito.
« Blaise le vende di nascosto ai figli di Babbani insieme a Dean Thomas; me ne ha dato uno prima che uscissi dal dormitorio, dice che schiarisce le idee, ma non ho capito cosa intendeva » disse Draco, chiedendosi cosa dovesse farci con quella cosa.
« Questa si fuma, Malfoy » sbuffò Hermione, abbozzando un sorriso alla faccia stranita di Draco, che guardava la sigaretta in modo sospettoso.
« Blaise è un idiota, in tutti i sensi, quindi posa questa cosa e continua a gingillarti con i tuoi oggetti da mago Purosangue » e quasi furono le ultime parole famose perché Draco Malfoy si sentì punto nell'orgoglio.
La sua faccia divenne una maschera indignata e i suoi occhi lanciarono fulmini, mentre le dita da pianista strapparono quasi con forza l'oggetto dalle mani di Hermione, che lo guardò meravigliata.
Aveva arricciato le labbra in modo superbo, alzando il sopracciglio destro e albino con superiorità; sembrava volerle comunicare che non voleva ritornare ai suoi gingilli da Purosangue, come se lei si fosse offesa con la propria frase.
« Fammi vedere come si fa, Mezzosangue! » ordinò imperioso, mentre Hermione lo guardava offesa per quell'ordine.
« Non sono la tua serva, Malfoy! » sbottò, alzando il mento con fare orgoglioso e incrociando le braccia al petto; quel gesto sembrò catturare l'attenzione di Draco, che spostò lentamente lo sguardo sulla linea morbida dei seni.
« Draco Lucius Malfoy! » ed ecco che anche Draco gemeva per lo scappellotto - anche bello pesante - ricevuto sulla nuca.
« Che c'è? » sbraitò ancora mezzo imbambolato, massaggiandosi la parte lesa.
« Stavi guardando ! »
« Mpff » rise Draco, senza meravigliarsi del suo tono arrabbiato.
Sembrava così pura lì, seduta e vestita delle sue insicurezze, abbracciata da quei errori che l'avevano resa donna, matura, consapevole di quel cuore che le batteva dentro; era una bambina cresciuta troppo in fretta, lei, e sembrava aver paura di qualsiasi cosa che facesse riferimento a quella crescita veloce, ancora non completa.
« Voi uomini siete dei porci »
Aveva la bocca carnosa imbronciata e aveva portato le braccia a proteggersi il busto, come se fosse nuda davanti ai suoi occhi. Ma non lo era, ed era quello il bello.
« E' l'effetto vedo non vedo che ci fa quest'effetto, Mezzosangue » rise Draco, mentre la vedeva lasciar cadere le braccia e arricciare il naso.
Si grattò imbarazzata una spalla, quasi conficcandosi le unghia nella maglia di stoffa.
« Non si vede niente, vero? » bisbigliò, arrossendo sulle guance.
Pura.
« No » mormorò Draco e probabilmente la risposta fu positiva, perché Hermione gli sfilò la sigaretta dalle dita, poggiandola sulle labbra e accendendo una piccola fiammella con la bacchetta; Draco sobbalzò quando vide del fumo uscire dalle narici della Granger e per un attimo - stupidamente - si chiese se stesse andando a fuoco.
« Fumi, Granger! » esclamò sorpreso, additandola, ed Hermione scoppiò a ridere.
« Appunto, Malfoy, fumo. Quando qualcuno usufruisce della sigaretta viene chiamato fumatore... supposizione esatta, direi! » disse, allontanando la sigaretta da sé con aria disgustata e passandola al ragazzo, che la fissò interrogativo.
« Devo anche insegnartelo? » sbottò Hermione, scuotendo il capo.
« E secondo te come imparo? » sibilò sornione, guardandola in modo eloquente.
« Sono affari tuoi! La sigaretta è letale e non voglio essere la colpa di un tuo futuro tumore » disse Hermione, riavviandosi un ricciolo che le era caduto sugli occhi, che fissavano insistentemente il volto pallido di Malfoy - impegnato a guardarla in cagnesco -.
« Tucosa? »
« Una cosa che non ti piacerebbe provare » sbuffò la Grifondoro, ma far cambiare idea ad un Malfoy era come spostare un macigno d'un quintale.
Testardo.
Draco si portò il filtro alla bocca e senza nemmeno farla apposta aspirò, volendo invece sospirare scocciato alla faccia saccente della Granger; il fumo gli andò di traverso e per un attimo credette di morire: la gola andò in fiamme e gli occhi si incendiarono.
« Complimenti, Malfoy, ora puoi considerarti un idiota a tutti gli effetti » disse Hermione, applaudendo ironicamente al ragazzo che si fece così rosso in viso che, anche a non volerlo, scoppiò miseramente a ridere.
La sua pelle pallida andava in netto contrasto con le guance rossissime per lo sforzo della tosse e assomigliava ad un Tedesco ubriaco.
« Non... » tossì Draco, volendo intimarle di non ridere, ma l'attacco di tosse proprio non riusciva a farlo parlare; era terribile fumare e si ricordò, tra uno sputacchio e l'altro, di uccidere Blaise Zabini e le sue stupide idee.

***


La voce che Hermione Granger avesse litigato con Ronald Weasley in Sala Grande per Draco Malfoy aveva fatto il giro di Hogwarts in men che non si dica; il lunedì fu quasi disastroso per la Grifondoro, che sentiva sussurri e sguardi indiscreti seguirla dappertutto.
Aveva deciso, inconsciemente, di non indossare mai più qualcosa di diverso dalla divisa, se non durante le uscite ad Hogsmeade e voleva davvero uccidere Zabini per la brillante idea che aveva avuto di mettere quella voce in giro.
Lei aveva litigato con Ron perché era un idiota, non per colpa di Malfoy, e c'era di mezzo il mare tra le due cose.
Fatto sta, comunque, che quel giorno i riflettori non erano puntati su di Harry - che come un condannato a morte camminava tra i corridoi - ma su di lei e solo lei, che con la divisa rigorosamente in regola camminava a testa alta.
Quasi si vergognò quando si ritrovò a sperare che la punizione della Mcgranitt avvenisse il più presto possibile, così tutti si sarebbero concentrati sulla nuova novità e avrebbero lasciato perdere lei.
« Non voglio » e di certo Harry non l'aiutava: ripeteva quella frase da quando era scesa - pronta e linda - nella Sala Comune...ed erano ancora nei corridoi per dirigersi nella Sala Grande per la colazione.
« E' la centonovesima volta che me lo ripeti, Harry, caro. Ho capito perfettamente che non vuoi! » sibilò stizzita, colpendolo con un pugno sulla spalla.
Non aveva trovato Ron ad aspettarla come sempre e da questo aveva capito che ce l'aveva con lei per il giorno prima. Cosa che - onestamente - non la riguardava nemmeno da lontano: era lui che era stato cattivo, non il contrario.
« Non essere acida, Hermione » sbuffò Harry al suo fianco, sorpassando un branco di primini ed entrando in Sala Grande prima che lei lo ammazzasse alle spalle, riuscendo - finalmente, direbbe qualcuno - dove Voldemort aveva fallito.
Si stavano dirigendo verso il tavolo dei Grifondoro quando un tossicchìo fece sorridere malignamente Hermione: la Mcgranitt stava indicando, con un occhiata omicida, il tavolo dei Serpeverde; un tacito e dolce invito per il bambino sopravvissuto, che sgranò, incredulo, gli occhi smeraldini.
« Non era negli accordi, questo! » urlò, attirando - come sempre, ultimamente - l'attenzione completa della Sala; sarebbe stata anche una scena divertente, visto che Harry indicava il tavolo verde-argento con disgusto e aveva gli occhi spalancati - come un invasato appena scappato da Azkaban - ed aveva appena urlato contro la preside.
« Se non vuole restare a quel tavolo per il resto dell'anno, Signor Potter, le conviene sedersi » e quella minaccia appena sussurrata fu più che efficace, perché Harry Potter - quasi per la prima volta in vita sua - si tappò la bocca e si diresse verso il tavolo dei Serpeverde, sedendosi al fianco di Draco Malfoy, sicuramente già informato della cosa... vista la faccia.
« Ehi Harry... non essere così acido! » ribatté Hermione allegra, dimenticando del tutto la faccenda dell'omicidio precoce da parte del suo migliore amico e salutando con la manina i due zombie.
Soddisfatta si sedette al tavolo dei Grifondoro, sospirando beata e notando a malapena Matt Lewis - dei Corvonero - raggiungerla con la sua solita camminata sciolta.
« Ciao Hermione, posso unirmi a te? » e quello fu un buongiorno che Hermione non si sarebbe mai aspettata.
Certo, aveva più volte parlato con Lewis, andava molto d'accordo con i Corvonero e lui era un ragazzo fin troppo intelligente, sicuro e allegro, con una personalità davvero piacevole, ma lui non le aveva mai chiesto di potersi unire a lei.
« Certo, Matt, accomodati pure » rispose, sorridendo lievemente e trattenendosi dall'arrossire.
Il ragazzo seguì - rilassandosi impercettibilmente - l'invito, sedendosi al suo fianco e afferrando un bicchiere di succo di zucca. Era molto carino, Matt: era semplice, non si vantava né dei suoi voti sorprendentemente alti né delle numerose corteggiatrici; aveva corti capelli castani, che portava sempre in un taglio sbarazzino, alla moda, giusto per adolescenti che tengono al proprio aspetto e alla propria reputazione.
I suoi occhi erano verdi, ma non come quello di Harry, più scuro, più nel castano, quasi come quelle foglie che cadono in Autunno, cadendo senza mai ferirsi, librandosi nell'aria sempre più libere.
L'unica cosa che la frenava, probabilmente, era il fatto che fosse Purosangue. I suoi genitori non erano Mangiamorte e razzisti come quelli di Draco, certo, ma erano pur sempre Purosangue... e questo la teneva a distanza, quasi preoccupata di infastidirlo. Era arrivata fin a quel punto.
« Senti, Hermione... sabato prossimo c'è la prima uscita ad Hogsmeade e mi hanno detto che è stato aperto un nuovo bar molto carino; mi chiedevo se ti andava di andarci con me » il tono era tranquillo e il suo sorriso sereno, ma Hermione aveva visto nocche sbiancarsi per lo sforzo di stringere il bicchiere tra le dita.
"Ron non si fa problemi, se qualcuno gli chiede di uscire accetta, cercando di rimpiazzarti senza nemmeno preoccuparsi dei tuoi sentimenti... tu perché continui a chiuderti nel guscio che, in sette anni, ti ha permesso di farti notare solamente da lui?"
« Io... » il respiro le si bloccò in gola, quasi in modo crudele.
Dean Thomas, seduto ad un posto di distanza da loro, li guardava di sottecchi in modo curioso, probabilmente aspettandosi un suo rifiuto.
"Beh, sai che ti dico? Dì a Draco Malfoy che è tutta apparenza. Sei frigida e rigida come un palo!"
Tutte le cose che le aveva detto Ron le salirono alla mente come un traverso di bile, rischiando di avvelenare ogni buon proposito si fosse posta nemmeno pochi secondi prima; lei era frigida e rigida, lei era la ruota di scorta nei momenti di pura disperazione.
« Certo, mi farebbe molto piacere » rispose, sorridendo cordiale.
Il veleno le umidì le labbra.
« Grandioso! » esultò Matt, dandole un delicato bacio sulla guancia e andando via proprio mentre Ron faceva la sua entrata in Sala Grande. I suoi occhi azzurri erano dispiaciuti e arrabbiati nello stesso istante ed Hermione si chiese come facesse ad essere così contraddittorio.
Probabilmente quella mattina si era svegliato con il proposito di chiederle scusa, ma quella scena non gli era piaciuta a tal punto da farlo sedere accanto a Seamus, lontana a tre posti da lei.
« Idiota » sussurrò e Dean, che la sentì, soffocò a stento una risata.
« Finalmente te ne sei accorta » Ginny apparve alle sue spalle, come sempre, e le sorrise.
E' colpa mia.
Ogni volta che guardava gli occhi marroni della sua migliore amica, qualcosa si smuoveva in lei, straziandole il petto; non sapeva perché, ma il cuore si fermava un millesimo di secondo, cominciando a battere furiosamente quando lei le sorrideva.
Ginny non le aveva mai detto perché - precisamente - lei ed Harry si fossero lasciati; semplicemente si era accoccolata sotto le sue coperte, quel giorno alla Tana, e aveva stretto il suo pigiama tra le dita.
Non aveva né pianto né singhiozzato, aveva chiuso gli occhi e si era lasciata accarezzare i capelli, come una bambina bisognosa d'affetto. Aveva sussurrato "è colpa mia", come se bastasse come spiegazione e non aveva più aperto bocca.
Le sue unghia le graffiavano la pelle, ma Hermione non aveva fiatato; aveva lasciato che Ginny la graffiasse, la stringesse, la ferisse... non poteva fare nient'altro per farla stare meglio, per sentire quel dolore un po' suo, e non si era mai pentita di quella notte passata in bianco.
« Voleva chiederti scusa per ieri, ma come gli salta in mente? Che chiudesse la bocca invece di andare in giro a chiedere scusa! Ma poi si comporta in questo modo ogni volta che il tuo nome viene affiancato a quello di qualcun'altro che non sia lui. Ridicolo » disse, mentre gli occhi le si illuminavano di una nuova luce.
« E tu, piccola diavoletta, dimmi perché Lewis era seduto al tuo fianco e ti ha baciato in modo così tenero la guancia! » domandò, servendo di uova e pancetta con una nuova energia.
"E' colpa mia" aveva sussurrato, ed Hermione non aveva mai visto i suoi occhi così tristi, così spenti. Erano diventati due pozzi oscuri da cui era impossibile risalirne, mentre l'angoscia ristringeva quel buco senza fine, facendole mancare il fiato.
« Matt mi ha chiesto di uscire... e non chiamarmi diavoletta » rispose Hermione, pentendosi subito dopo della notizia appena data; Ginny spalancò la bocca in modo teatrale e la guardò come se le avesse appena detto che Merlino fosse risolto e l'avesse chiesta in sposa.
« CHE COSA? Uscirai con Lewis? » sicuramente non poteva urlarlo più forte, perché Harry, dal tavolo dei Serpeverde, la sentì perfettamente... e anche Lewis dal tavolo dei Corvonero, che arrossì dalla punta dei capelli fino a quelle delle scarpe, fulminando chiunque volesse congratularsi con lui con una pacca sulla spalla.
« Uscirai con Lewis? » e anche Harry non aiutava la situazione, visto che si era appena alzato dal tavolo delle Serpi e teneva la bocca spalancata in un'espressione assolutamente sbalordita - come se a lei non fosse permesso uscire con qualcuno - mentre Draco Malfoy, al suo fianco, fissava il tutto con indifferenza, divertendosi giusto un pelino per la reazione di Potter e chiedendosi - naturalmente senza mostrare nulla - da quando Lewis si interessasse alla Granger.
« Grazie, Ginny, sei davvero molto discreta! » sibilò Hermione, intimando ad Harry di sedersi con un occhiata e maledicendosi da sola; in due giorni, senza nemmeno volerlo, era diventata il centro di ogni pettegolezzo possibile e il fatto che i professori durante la colazione non fossero presenti - tranne per Hagrid che ascoltava il tutto fin troppo interessato - e la Cooman che guardava la sua palla per niente interessata ai loro battibecchi, non aiutava di certo a calmare gli animi.
« Scusa » bisbigliò la rossa, dispiaciuta, sedendosi lentamente.
« Scusa, Hermione, ti devo parlare » disse Harry, afferrandola per un gomito e trascinandola fuori dalla Sala Grande con... Draco Malfoy alle calcagna.
« E tu che vuoi? » sbraitò, fermandosi vicino ai portoni della Sala Grande e fissando Malfoy, che alzò gli occhi al cielo e represse a stento un impeto di rabbia.
« Non so' tu, idiota, ma io non voglio ritrovarmi espulso solo perché devi parlare della tua situazione sentimentale con la Granger, quindi... » rispose con sufficienza, mentre Harry si trattenne a stento dallo strappargli il collo a morsi.
« Bene! » urlò, sbattendo i piedi per terra e continuando la sua marcia verso le serre.
« Bene! » ribadì Draco, seguendolo imbufalito.
Hermione si chiese cosa avesse fatto di male nella sua vita per meritarsi tutto quello: prima la scenata di Zabini, poi quella di Ron ed infine Harry; stava sfiorando l'esaurimento nervoso e non le piaceva per niente.
L'erba alta quasi la fece inciampare sui suoi stessi piedi, ma prima che incespicasse Draco - che si trovava silenzioso alle sue spalle - la sospinse in avanti, facendole ritrovare l'equilibrio; era davvero incredibile: gli amici di una vita si stavano rivelando degli idioti senza cervello e lui, che aveva fatto solo scelte sbagliate, si ritrovava con un minimo di sale in zucca.
« Grazie » borbottò, senza trovare risposta.
Harry si fermò a pochi passi dalla serra n.°3, sospirando e riavviandosi i capelli neri con espressione afflitta.
« Mi dici che ti prende? Tra poco iniziano le lezioni! » sbuffò Hermione, mentre Draco sbadigliava vistosamente, annoiato da tutta quella sceneggiata: aveva già Blaise che si dilettava in quella arte, con Potter era un po' troppo.
« Lewis... non è quello giusto per te, Hermione. Sappiamo tutti che la sua arte è abbindolare le quattordicenni e mollarle subito dopo il suo scopo principale » disse, puntandole il dito contro e ammonendola.
Hermione di primo acchittò lo fissò, sbattendo ripetutamente le ciglia, poi, contro ogni buon senso, scoppiò a ridere. Harry la fissò come se fosse impazzita e Draco abbozzò un sorriso, ammettendo tra sé e sé che se quella era la pazzia della Mezzosangue... beh, ben venga, era piacevole.
« Tu... davvero... Oh, Harry! » diceva tra un singhiozzo e l'altro, asciugandosi le lacrime dagli occhi.
« E' già impazzita » mormorò Harry, schiaffeggiandosi la fronte.
« Carina » sogghignò Draco, facendosi guardare male dal "il bambino che per sfortuna è sopravvissuto".
« Sta zitto, Malfarrett » sibilò imbronciato, mentre Hermione continuava a sgascianarsi ignorandoli completamente.
« Sennò che fai, signor "sono il Salvatore del Mondo Magico e questo mi dà il diritto di far rimanere vergine la mia migliore amica?" » sì, d'accordo, la frase era un pochetto lunga, ma aveva sortito l'effetto desiderato.
Harry ringhiò.
« Ti spacco la faccia, signor "mi sono ricreduto all'ultimo minuto" » disse, scricchiolando le dita in modo minaccioso e facendosi guardare in modo ironico da Draco, che ridacchiò.
« Che paura, San Potter! Ma mi basta un mantello nero per metterti in fuga » sghignazzò, ricordandosi di quel memore terzo anno dove quell'idiota di Potter sveniva quando si parlava di Dissennatori.
« D'accordo, basta voi due » sbuffò Hermione, che calmata dalla crisi di risa si era intromessa tra loro due, poggiando le mani sui loro sterni... lì, proprio dove batteva il cuore, e Draco lo sentì nuovamente impazzire.
Socchiuse gli occhi, beandosi di quella sensazione sconosciuta, completamente nuova.
Lui aveva un cuore.
« Harry, se è questo che ti preoccupa... insomma, sono sette anni che mi conosci! Credi davvero che io mi faccia abbindolare da due occhioni e qualche avance? Sono Hermione Granger, per Merlino! Deciderò io se Lewis non è quello giusto per me e intanto usciamo come amici, non come fidanzati.
E tu, Draco, smettila di provocarlo; non arriverete nemmeno a dicembre se continuiamo così! Ora a lezione, forza » disse, riavviandosi un ricciolo che era sfuggito dalla coda alta e trascinandoli - con le mani appoggiate sulle loro schiene - verso l'entrata della scuola.
« Tregua, okay? » disse, ancora a contatto con loro.
Arrivarono sotto le arcate e lì, mentre tutti si recavano a lezione, Blaise Zabini sorrise angelicamente.
« Ehi, Granger, da quando tocchi e parli così intimamente con Draco? L'avevo detto io che vi trastullavate » e dopo quell'ultima sparata, che si guadagnò l'odio profondo di Draco Malfoy, si scatenò un putiferio di mormorii.
A quanto pareva la giornata non era ancora finita.

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Capitolo 5
*** Capitolo IV - Bloom ***


 

"A F. che ha perso una persona a cui teneva tanto.
Sii forte e torna a sorridere, io sarò lì a tenerti ogni volta che sentirai il bisogno di cadere"


 

Capitolo IV -
Bloom 

 

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« Scusa »
« Non mi interessa »
« Ti prego, scusami » Hermione Granger chiuse il libro di Artimanzia - aperto con gran fatica sul tavolo rotondo - con un tonfo sordo, facendosi guardare un pò male da Madama Prince e qualche quindicenne in piena crisi da G.U.F.O; dagli scaffali vicini proveniva un tenue trambusto che la bibliotecaria ignorava pesantemente, massaggiandosi le tempie e cercando di non compiere un omicidio colposo, anche se - in fondo - sapeva che nessuno avrebbe sofferto la morte di quei... due idioti.
« Non farmi essere ripetitiva, Ronald » sibilò Hermione, sbattendo la piuma sul tavolo e legandosi, stizzita, i ricci in una coda alta e disordinata.
Il volto pulito, privo di trucco o imperfezioni cutanee, era tirato e stanco, come al solito, e Ron cominciava a spazientirsi per quella cocciutaggine, come al solito.
« Non essere la solita bacchettona, Hermione » rispose a tono, mentre un Harry Potter più che scarmigliato usciva dagli scaffali - da cui provenivano quei sinistri e sospetti rumori - insieme ad un incazzato Draco Malfoy, che ringhiò alla vista di quella palla al piede di Weasley.
Si erano azzuffati, come al solito.
« Ancora quì a invocare perdono, rosso? Vatti a fare un giro che è meglio! » sbraitò, ignorando quella pazza isterica della bibliotecaria e sedendosi con un tonfo accanto alla Granger.
« Ci scusi, Madama » disse Hermione, sorridendo stancamente alla donna, che liquidò la questione con un'occhiataccia e uno sventolio distratto della mano. Erano pur sempre i salvatori del mondo magico.
« Fatti gli affari tuoi, Malfoy! » la voce disgustata di Ron la diceva tutto su quello che pensava di quell'unione forzata ed Hermione, sotto sotto, giurò di aver sentito un pizzico di gelosia in quel tono arrabbiato; quel testone dai capelli rossi aveva paura che Harry diventasse il migliore amico di Malfoy... coprendo la risatina che le salì alla gola con un colpo di tosse, fissò Harry in modo eloquente.
Harry e Draco insieme, mpff, sarebbe stato più facile vedere Voldemort ballare la salsa mezzo nudo.
« Finitela, ragazzi. Ron, scusa se te lo dico, ma se Hermione in questo momento vuole essere lasciata in pace, torturarla incessantemente non le farà cambiare idea, prova un'altra volta. E tu, Malfoy, tieni a freno quella tua lingua da serpente velenoso! » sibilò Harry, mentre Draco alzava gli occhi al cielo e apriva - più incazzato di prima, se possibile - il libro di Trasfigurazione avanzata.
« Bene! » sbuffò Ron, alzandosi dal tavolo e uscendo dalla biblioteca.
« Grazie, Harry » mormorò Hermione.
« Grazie, Merlino! » sbottò Draco sarcastico, afferrando una pergamena e una piuma, chiedendosi - terrorizzato - da dove dovesse iniziare; odiava Trasfigurazione molto più di quell'inutile materia di Cura delle creature magiche, ed era tutto dire!
Quella vecchiaccia assegnava compiti lunghi metri e metri e pretendeva anche che li consegnassero il giorno dopo averli assegnati.
Vecchiaccia.
« Perché te la prendi così tanto per un compito, Malfoy? » domandò Hermione, guardandolo di sbieco e afferrando il libro di Trasfigurazione tra le mani; le sue dita lunghe e pallide si muovevano veloci su quelle pagine antiche, sfogliando il testo come se lo conoscesse a memoria.
« Non mi piace Trasfigurazione » borbottò Draco, mentre Harry sospirava afflitto e annuiva alle parole del nemico.
Il sorriso di Hermione travolse entrambi, quasi illuminandoli più del sole che, impaurito da quella luce, si nascondeva tra nuvole grosse e nere.
« La Trasfigurazione è un arte e va maneggiata con cura; è meravigliosa come materia, ve lo assicuro, e si tratta solamente di un pò più di applicazione e tutti i tasselli torneranno al posto giusto » disse e Draco poté notare fin troppo bene i suoi occhi brillare.
Era completamente travolta dalle sue stesse parole, incantata dalla magia di quei libri che riuscivano a trasmetterle più di un essere umano, più di un regalo costoso o un bacio rubato dalla persona amata; animata da quel sentimento spostò gli occhi bruni sui due ragazzi che l'ascoltavano, persa in un odore inesistente, quando, inaspettatamente, Draco spalancò gli occhi fino all'inverosimile: la pupilla inghiottì l'iride, mentre la bocca, ora violacea, si spalancava in una smorfia di pura sofferenza.
« Draco... » bisbigliò Hermione, prima di tapparsi le orecchie quando un urlo disumano uscì dalle labbra sottili del Serpeverde, che sembrò cadere in un vortice di pura agonia.
La sua stessa voce sembrò graffiargli la gola, stringergli la carotide e togliendogli il respiro.
Il capo ciondolò a destra, inerme, e ciuffi biondi ricaddero dinnanzi ai suoi occhi persi; sembrava brancolare nel buio e, impaurito, non sapere uscirne; un alone buio lo stava trascinando verso il basso e niente l'avrebbe accolto, se non l'impatto contro la dura e pietra lastra del dolore.
E avrebbe fatto male.
« Ora state esagerando! » urlò Madama Prince, accorrendo al loro tavolo e bloccandosi, sconvolta, quando vide Draco Malfoy cadere in ginocchio. Stretto al petto, come qualcosa di prezioso, il suo braccio destro.
L'ennesimo urlò squarciò il silenzio e se Madama Prince si era dileguata, pallida in volto, tutti gli altri erano accorsi a vedere cosa stava succedendo: Hermione si era inginocchiata di fronte al ragazzo cereo, tremante, e sconvolta vide sangue rosso gocciolare dalla camicia madida e pura.
Tic tac, produceva quel sinistro ticchettio che, nel silenzio agghiacciante, rimbombava sinistremente; come un orologio scandiva i secondi e le urla di Draco, straziandole il petto per quella scena senza eguali.
Rosso, rosso, rosso.
Hermione a malapena capiva da dove usciva tutto quel sangue, imbrattando il volto pallido di Draco, che, come porcellana, si sporcò, mentre alcune vene bluastre spiccavano sulla guancia, sulla fronte e quelle sul collo diventavano così piene che, per un attimo, temette scoppiassero dallo sforzo.
« Draco... » sussurrò di nuovo, mentre lui alzava gli occhi grigi sul suo viso, senza guardarla veramente, perso, tremante.
« Il marchio, Hermione, il marchio! » disse Harry, afferrando il braccio di Malfoy e strappandogli le maniche della camicia con forza: lo spettacolo che si presentò davanti gli occhi della ragazza fu raccapricciante; Hermione trattenne a stento i conati di vomito alla vista di quel teschio che... si stava sciogliendo su se stesso.
Era come se stesse bruciando e la carne del braccio insieme ad esso, inesorabilmente e dolorosamente. Quel tatuaggio, che sembrava impresso sulla carne con dell'inchiostro nero come l'inferno, stava colando insieme al sangue sul pavimento di pietra grezza; « Merlino... » disse Harry, ingoiando a vuoto, mentre Draco si accasciava su se stesso ancor di più.
Sembrava un pezzo di carta che si accartoccia, ed Hermione sperava che non fosse così, perché la carta non sarebbe tornata mai allo stato originale. Sarebbe rimasta stropicciata e segnata. Inutile, da buttare.
Draco continuava ad urlare come se lo stessero scorticando vivo, con la testa poggiata sull'avambraccio e il braccio teso dal suo nemico che, in quel momento, fissava senza parole quello scempio disgustoso.
Gemeva incontrollato, rantolando come in fin di vita, mentre rivoli di sangue macchiavano di rosso le sue labbra sottili. Stringeva e apriva gli occhi come se avesse la vista appannata, ma non c'era uno sprazzo di lucidità nel suo sguardo; sembrava un folle, perso nel filo rovente e aggrovigliato dei suoi pensieri senza senso.
« Fermalo, Harry, fermalo! » gemette Hermione, riferendosi al dolore in cui, Draco, sembrava esserne completamente avvolto, simile ad una coperta stretta attorno al collo, in grado di soffocarlo, inghiottirlo, legarlo e chiuderlo in gabbia.
Hermione lo accarezzò delicatamente, sporcandosi le mani senza curarsene; era come se stessero uccidendo un unicorno, così puro nella propria innocenza e incoscienza: era quasi osceno vederlo agonizzare in quel modo, simile ad un bambino troppo piccolo per patire quel dolore, per poterlo sentire fino in fondo, nella carne.
Hermione tremava insieme a lui, incapace di entrare in azione, di proferir parola. Si sentiva inutile, era inutile e questo le causò uno spasmo al cuore, che le arrivò in gola rischiando di soffocarla.
Quando la preside Mcgranitt corse nella loro direzione, del braccio di Draco era rimasto solamente carne putrefatta: sembrava che lo avessero sciolto nell'acido, sfregiandolo senza alcun risentimento.
« Cosa... » sussurrò, mentre il Serpeverde si accasciava, quasi incosciente, tra le braccia di Harry ed Hermione.
« Non lo so » mormorò Harry, prima che l'ennesimo urlo squarciasse il silenzio.
Sul petto di Draco, scoperto dalle mani fredde di Hermione, era comparsa una "S" con una croce rovesciata marchiata a fuoco; incisa come il teschio sciolto sul suo braccio, etichettato come un animale da macello, di nuovo, punito con il sangue, di nuovo.
« I Santi » sussurrò la Mcgranitt, mentre Draco annaspava tra le braccia di Hermione.
« Professoressa, abbiamo un problema » sibilò Harry, ergendosi in tutto il suo metro e settanta e guardando la preside con gli occhi verde smeraldo incendiati da un nuovo sentimento.
« Decideremo insieme, signor Potter, ora dobbiamo trasportare il signor Malfoy in infermeria » rispose a tono la Mcgranitt, mentre Hermione accarezzava le cicatrici del ragazzo dai capelli biondi, che alzò gli occhi spaesati su di lei.
« Fa male » bisbigliò Draco, stordito, guardandola come un bambino che ha perso la mamma in un supermercato e ora la cerca con foga, con paura.
« Andrà tutto bene, bel bambino biondo, ora la mamma è con te » Hermione l'aveva detto a voce così bassa che Draco credette di sognarlo, come una visione; aveva desiderato così tante volte che sua madre pronunciasse quelle parole, quando suo padre lo puniva per aver fatto qualcosa di grave, quando il Lord scaricava la sua rabbia sulla sua carne pallida, sul suo cuore martoriato.
Era come una ninnananna, dolce e tintinnante, che gli permise di chiudere gli occhi e scivolare in quel sogno senza sogni, in quel dolore solo fisico, tra quelle braccia forti e fragili, in quell'amore che non aveva mai sentito sulla propria pelle.
"Dormi bel bambino biondo, ora la mamma curerà le tue ferite e ti proteggerà ovunque tu sia" era la stessa che canticchiava la sua mamma quando dormiva e non riusciva a sentirla, quando il dolore era troppo forte e gli tappava con forza le orecchie.
"Sempre".
« Andrà tutto bene, anche se fa un po' male » sussurrò Hermione, tenendolo tra le sue braccia e cercando di infondergli quel calore che aveva perso, che non sapeva di tenere chiuso dentro e lo cullò con dolcezza, mentre il suo sangue puro le imbrattava le mani e la divisa.
« Hermione, cara, lascia che ... » iniziò la Mcgranitt, ma Hermione scosse il capo proprio mentre Nott e Zabini entravano trafelati nella biblioteca, sgranando gli occhi dinnanzi al corpo dell'amico tra le sue braccia, davanti a quei capelli biondi sporchi di rosso, quegli occhi grigi chiusi e quelle mani strette tra le sue.
Agitò la bacchetta con la mano libera, alzando il corpo di Draco gradualmente, sospeso a mezz'aria come se stesse fluttuando, ma non lasciò mai la presa su di lui; se ne stava prendendo cura come quando era stato ferito nel bagno del terzo piano, come avrebbe fatto - molto probabilmente - con qualsiasi altro essere umano, ma con più dolcezza, più enfasi, come ci si prende cura di un bambino bisognoso.
Camminava dietro di lui silenziosamente, spaventando alcuni studenti che si ritrovarono - sfortunatamente - sul suo passaggio; la voce che avesse ammazzato Draco Malfoy perché l'aveva lasciata fece il giro di Hogwarts, ma questa volta nemmeno un fiato uscì dalle sue labbra. Hermione si limitò ad accompagnare il Serpeverde in infermeria, rimanendo immobile al fianco del lettino dalle lenzuola bianche, che si macchiarono presto con il suo sangue.
Era dappertutto, in un modo quasi inquietante: sulle lenzuola, su quei capelli biondi, sulle sue mani, sulla sua divisa, sulla sua anima; la guerra era nuovamente iniziata e stava già distruggendo il suo mondo, sgretolandolo in mille pezzi.
Aveva da poco affrontato tutte quelle morti, ricostruendosi una vita che a malapena si teneva in equilibrio e ora tutto stava succedendo da capo.
Era così stanca.
« Malfoy è in buone mani, Hermione, andiamo... » sussurrò Harry, prendendola per un braccio e trascinandola - con delicatezza - inerme per i corridoi; non tornarono nella Sala comune dei Grifondoro, fingere che non fosse successo niente era troppo anche per loro.
Assistere a tutto quello e rimanere immobili, impossibilitati, sentirsi impotenti era la cosa peggiore che potesse esistere al mondo. Vedere quel ragazzo steso lì, su quel pavimento di pietra grezza, e non poter fermare quelle urla disumane, era stata un'esperienza che Hermione non avrebbe mai più voluto ripetere; i suoi libri non erano serviti, quella volta, e nemmeno la sua mente perennemente lucida e pronta.
Quegli occhi grigi la imploravano di fermare il dolore e lei rimaneva immobile, quasi senza nemmeno respirare, con il cuore in gola - stabile, chiuso in una gabbia, stretto in una morsa - e le mani tremanti e pallide che non riuscivano a trovare il manico della bacchetta.
L'aveva cullato, l'aveva stretto, perché era... solo.
Lo vedeva nei suoi occhi, lo sentiva nelle sue urla e per un attimo, per un solo millesimo di secondo, senza nemmeno saperlo, Draco gli aveva mostrato le sue paure; quelle che l'avevano spinta ad accarezzarlo come una madre, quelle che l'avevano portata a sussurrargli quella ninnananna, che era solita cantarle la sua mamma quando proprio non riusciva a dormire.
"Andrà tutto bene, mia piccola principessa, ora la mamma è con te" sussurrava, stringendosela al petto dolcemente.
"Dormi, mia piccola principessa, ora la mamma curerà le tue ferite e ti proteggerà ovunque tu sia" mormorava, danzando leggiadra per la stanza rosa che le aveva costruito con tanta dedizione appena aveva saputo che nella sua pancia c'era una bambina.
Draco aveva paura di restare solo, senza nessuno che lo accudisse o aiutasse; Draco aveva paura che nessuno lo accarezzasse quando era ferito e non aveva nemmeno la forza d'alzarsi.
Aveva paura di morire da solo e lo aveva visto quando si era avvicinata, sporcandosi con il suo sangue.
Come poteva un ragazzo di diciassette anni aver paura di tutto ciò? Lei, durante la guerra, aveva avuto paura di morire... ma mai sola, mai abbandonata, e tutto quello la rincuorava; sapeva che avrebbe trovato delle braccia a sorreggerla e dei sorrisi a tenerla viva dentro, sempre, e solo in quel momento si rese conto che, Draco Malfoy, non avrebbe tenuto nessuno al suo fianco. Nessuno sarebbe stato disposto a reggere un Mangiamorte pentito, né i suoi compagni di sempre - in attesa di vederlo debole per azzannarlo - né i buoni, che probabilmente - addolorati dalle perdite - avrebbero dato il colpo di grazia.
Era solo e aveva paura.
« Lo so', signor Potter! » Hermione nemmeno si era resa conto di essere appena entrata in presidenza né tantomeno di ritrovarsi gli occhi di tutti i presidi passati puntati su di sé e sul sangue che la imbrattava.
La Mcgranitt non aveva nemmeno lasciato entrare Harry che aveva proferito quella frase, chiudendo con stizza una lettera e consegnandola a Fanny, che con uno stridiio volò fuori dalla finestra aperta; aveva scritto ai signori Malfoy? Aveva detto loro che il loro adorato pargolo era ferito? Avrebbero rischiato tutto piombandosi ad Hogwarts?
Hermione sospirò, socchiudendo - stanca - gli occhi ambrati.
Si abbracciò stretta, mentre Harry la faceva sedere al suo fianco, cercando di infonderle calore strofinandole le braccia; eppure, Hermione, era sicura che il calore fosse sparito nell'esatto momento che aveva visto Malfoy crollare su quel gelido pavimento di pietra.
Non avrebbe augurato quello nemmeno al suo peggior nemico. Figurarsi a lui, che in quegli ultimi tempi sembrava così indifeso. « Non conosco questa magia di cui si stanno servendo e non riesco nemmeno a concepire come facciano a compiere questo scempio all'interno di Hogwarts, protetta con ogni forma di sicurezza possibile » disse la Mcgranitt, mentre un mormorio si alzava tra i quadri.
« E se volete prendere parte a tutto questo, allenarsi privatamente è la miglior cosa che potete fare » mormorò poi la preside, massaggiandosi le tempie con fare stanco.
Hermione strinse i denti, aprendo di scatto gli occhi e fissando il volto rugoso e ansioso dell'anziava.
Era stanca.
Voleva che tutto quello finisse.
Era arrabbiata.
Voleva mettere un punto dove quei Santi avevano messo una virgola.
Era angosciata.
Era preoccupata per Malfoy e non sapeva nemmeno perché lo era così tanto, ma vederlo crollare come un castello di sabbia - calpestato da un bambino capriccioso - davanti ai suoi occhi, era stata la peggior cosa che avesse mai visto.
« Mi sta dicendo che dovremo ricostruire l'ES? » domandò Harry, interessato.
« No, signor Potter, questa guerra non interessa tutti, non è di tutti, ma di chi, come il signor Malfoy, ha avuto la sfortuna di trovarsi dalla parte sbagliata » rispose la preside con tono triste.
Era quello il problema: nessuno avrebbe difeso figli di Mangiamorte... Serpeverde era sola quella volta, in balia del dolore che avevano causato, tra le grinfie della stupidità che le aveva dato la fama di "cattivo" della situazione.
Nessuno si sarebbe preso la briga di morire per loro, solo perché il potere aveva fatto scintillare i loro occhi e aveva corrotto i loro cuori; erano soli, alla mercé dello strazio, del sangue con cui si erano sporcati - irrimediabilmente - le mani.
« Sono soli » sussurrò Hermione, cogliendo - disgustata - l'assenso della Mcgranitt.
« Io ho combattuto la guerra perché volevo che il mondo fosse migliore, perché non volevo che ci fossero distinzioni di sangue e famiglie Babbane mutilate per un ideale inaccettabile... ora non è lo stesso? Credete davvero che uccidere tutti i Purosangue sulla faccia della terra riporterà in vita i deceduti della guerra? Credete davvero che uccidendo bambini, donne e uomini potrà lenire il vostro dolore?
Io ho combattuto la guerra perché volevo sorridere e affrontare un nuovo giorno senza avere la preoccupazione che il mio migliore amico, il mio fidanzato e i miei futuri figli, morissero ammazzati da un branco di psicopatici addolorati!
Sempre questione d'amore, eh, professor Silente? » sibilò Hermione, guardando l'uomo dagli occhi azzurri, che ricambiò il suo sguardo con dolcezza.
« E solo l'amore può fermarlo, mia cara » sussurrò, sorridendole dolcemente e proponendole un altro dei suoi indovinelli; solo l'amore e il potere dell'amicizia avevano ucciso Lord Voldemort, solo grazie all'aiuto dell'Ordine della Fenice - quella grande famiglia dimezzata, amorevole, sempre in guerra - erano riusciti a scamparla e sopravvivere.
« E' solo questione di guardare il mondo con un'altra ed ennesima prospettiva, signorina Granger » continuò il preside, mentre lei, in cuor suo, sospirava afflitta: la guerra non era finita, anzi, era appena iniziata.

E quell'amore che Silente tanto decantava, per la prima volta nella storia di Hogwarts, si respirava a pieni polmoni nei sotterranei dei Serpeverde; la voce che Draco Malfoy fosse stato ferito gravemente aveva fatto il giro dei dormitori e, quello verde-argento, era rimasto sinceramente allibito.
Quello che aveva raccontato Theodore Nott, prima di afferrare il pigiama dell'amico Malfoy, era agghiacciante e quasi oltre natura: chi poteva avere il potere di fare così male e a così debita distanza? Serpeggiava lo sconcerto, la paura e l'ansia di poter essere i prossimi, di essere carne da macello e avere una condanna troppo pesante sulle loro teste; Blythe sostava silenzioso, come tutti gli altri, nella Sala Comune.
Gli occhi neri, persi in un limbo freddo e cupo, fissavano il vuoto, mentre le spalle incurvate tremavano appena.
« Ci uccideranno tutti! » Pansy Parkinson si lasciò andare dinnanzi al camino dalle fiamme verdi, sprofondando nella poltrona argento con espressione corrucciata.
Un mormorio concitato si espanse tra i ragazzi del settimo e "ottavo anno", quasi tutti presenti a quella riunione che nessuno aveva richiamato, ma che sembrava essersi formata da sola.
« Siamo fottuti » mormorò Daphne Greengrass, dando man forte all'amica, stringendo tra le dita l'imbottitura della poltrona dov'era sprofondata quest'ultima. Sentiva odore di guai nell'aria, sentore di morte e presagi, odio e infelicità.
« Quanti di voi hanno il marchio? » domandò Theodore, cupo, alzando gli occhi su di loro e fissandoli ad uno ad uno, truce. Centinaia d'occhi si scontrarono, ansiosi e impauriti, consapevoli di essere marchiati per la vita, di essersela giocata per uno stupido ideale.
Serpeverde tremò all'unisono, silenziosa.
« Che domande idiote, Theodore! Sai bene che tutti in questa stanza hanno il braccio e la vita segnata! » sibilò Tracey Davies, stringendosi il ponte del naso tra l'indice e il pollice; Astoria, alle sue spalle, annuì.
Blythe strinse gli occhi con forza, trattenendosi dallo sputare addosso a tutti quegli stronzi ipocriti; tremavano, ora, che il pericolo incombeva sulle loro teste come una spada di Democle.
Avevano paura, ora, che non c'era nessuno a parargli il culo.
« Continuate a pensare a voi stessi, mentre il nostro Capocasa è in infermeria con il braccio squarciato e una "S" marchiata a fuoco sul petto! Merlino, non cambierete mai, mai, e a volte mi viene solo la nausea a pensare di essere stato smistato in questa Casa! » sputò velenoso, zittendo tutti con il veleno che imperniava le sue parole.
« Codardi » finì, alzandosi e lasciandoli lì, allibiti, e uscendo dalla Sala Comune con passo malfermo, instabile.
Codardi infami, ecco cos'erano quella branca di serpi senza cuore; Draco era quasi morto e loro pensavano a come salvarsi la pelle.
Draco.
Blythe barcollò appena, respirando a fondo: la paura di perdere Draco, l'unica persona che gli era rimasta al mondo, lo terrorizzava; lui si era preso cura della sua anima quando si era completamente fatta a pezzi, macchiata di sangue, macchiata del peccato più infimo del mondo.
Quando aveva ucciso suo fratello.
Blythe si bloccò, ingoiando a vuoto.
Quando suo padre aveva visto il corpo straziato del figlio, riverso sul pavimento del salotto della loro casa nello Yorkshire, era impazzito dal dolore; aveva afferrato Blythe per la gola, pronto a spezzargli il collo e ucciderlo, come lui aveva fatto con il suo primogenito, con l'orgoglio della sua Casata, con l'unico figlio che avesse mai amato veramente.
Aveva ucciso il grande Jason King, Mangiamorte di ottimo livello, ragazzo promettente, adorato e venerato da tutto e tutti, invidato, temuto; Jason, con l'Avada Kedavra facile, con l'amore di quel padre insensibile, che nella sua misera esistenza da sottomesso aveva visto in lui una luce ambigua, forte, su cui aveva ripiegato tutte le sue forze.
Non esisteva nessun Blythe, era solo un inutile ripiego, un errore sbucato dal nulla.
Non esisteva nessun Blythe, fin quando non aveva baciato suo fratello sulla bocca e gli aveva spezzato il collo, proprio come aveva cercato di fare suo padre prima che venisse fermato.
Era stata sua madre a cancellargli la memoria, a fargli credere che Jason fosse morto in missione per Voldemort, per mano di un gruppo d'Auror; ma il Signore Oscuro sapeva che non era così, eccome se lo sapeva.
Appena aveva saputo della morte di Jason l'aveva richiamato a Malfoy Manor, impassibile e terrificante come solo lui sapeva essere; sul viso di suo padre vigeva un'espressione di sorpresa, non riusciva nemmeno a sospettare perché il suo ultimo e scialbo figlio fosse stato richiamato dall'Oscuro: che motivo poteva avere Lord Voldemort? Blythe non contava niente, a malapena esisteva, non era capace di nulla se non di leggere i suoi preziosi libri, quelli che gli propinava sua madre ogni giorno.
L'aveva guardato a fondo, esaminandolo con i suoi occhi rossi, accarezzandogli l'anima con quelle iridi serpentesche, con quel sogghigno appena accennato sulle labbra sottilissime, l'espressione di chi ha trovato un tesoro prezioso.
"Sei mio" aveva sibilato, prima che un cruciatus rischiasse di spezzargli le ossa.
Aveva solo tredici anni quando era crollato sul pavimento di marmo bianco del salone immenso di Malfoy Manor, con il sangue alla bocca e il fiatone - come se avesse corso miglia, come se si fosse schiantato da metri di distanza. -
Solo tredici anni quando il secondo cruciatus gli aveva stracciato la carne, sbattendolo in modo rude a destra e manca.
Tre, quattro, cinque, sei, sette... urla, rantoli, gemiti spenti, sussurri inestinguibili e l'espressione impassibile di suo padre; la voglia di afferrare la bacchetta e uccidere anche lui, quel volto che gli aveva rovinato la vita, l'esistenza e l'anima.
Il suo sangue che colava a spruzzi sul bianco candore del marmo, la risata di Bellatrix che risuonava come una nenia fastidiosamente viva, pulsante - come il suo cuore, che pompava veleno terribilmente tossico. -
Era quello il suo scopo e Blythe non l'aveva capito fin quando non aveva sentito fiamme dolorosamente calde avvolgergli il braccio destro: dalla bacchetta dell'oscuro era uscito un fascio di luce nera che aveva l'aveva avvolto dal polso all'avambraccio; l'odio cresceva insieme al dolore, insieme allo strazio del proprio corpo martoriato.
Quando aveva riaperto gli occhi, sul suo braccio, il marchio nero faceva bella mostra di sé, quasi deridendolo per la sua debolezza; aveva preso il posto di suo fratello e l'aveva fatto uccidendolo.
Lord Voldemort aveva visto del marcio e l'aveva alimentato, quasi uccidendolo.
Si era puntato la bacchetta alla tempia.
Non aveva mai usato un Avada Kedavra, probabilmente non era nemmeno capace di produrne uno, ma Blythe non sarebbe mai stato suo.
Stava litigando con suo fratello, come sempre, e lui lo stava insultando, come sempre.
Gli stava rinfacciando quella vita di fallimenti in faccia, sbattendogli le sue grande gesta proprio lì, in quella stanza che da piccoli avevano condiviso, in quella stanza dove si erano promessi di stare sempre insieme, di affrontare le avversità per mano, come fratelli, come eterni complici.
"Non concluderai mai niente"
"Andiamo, Bly, sei la seconda ruota di scorta!"
"Finiscila di starmi attaccato al culo, sei ridicolo"
Aveva visto le sue mani agire da sole e ingaggiare una lotta con lui; Jason si era difeso, gli aveva persino puntato la bacchetta alla gola: era pronto ad ucciderlo tanto quanto lui. Le sue labbra piene stavano per pronunciare quella formula, quella finale, quella che l'avrebbe finalmente liberato di lui, sua eterna palla al piede.
"Fanculo, Jay" aveva urlato, afferrando la sua testa tra le mani.
L'aveva baciato sulle labbra, aveva chiuso gli occhi per un millesimo di secondo, gli aveva trasmesso il veleno che gli scorreva dentro, l'odio che pompava insieme al suo sangue e come Giuda, poi, aveva girato con forza le braccia.
Quel crack che era rimbombato tra le mura non l'avrebbe dimenticato nemmeno con un oblivius. Forte, malefico, come il tonfo del corpo di suo fratello, crollato sul pavimento senza vita.
L'aveva trascinato ai piani inferiori, ignorando gli strani scricchiolii che produceva la sua testa ogni volta che tozzava su uno scalino.
L'aveva depositato lì, nel salone, mentre una pozza di sangue si allargava sotto di lui, che con gli occhi spalancati fissava inespressivo il soffitto, posto in una posizione quasi innaturale, con il capo riverso e le braccia messe in un'angolazione strana. Blythe cadde in ginocchio, mentre la gola si chiudeva in una morsa, strozzandolo, soffocandolo, opprimendolo; sarebbe morto e lo sapeva, lo sentiva nell'aria che respirava e infettava, nelle vene - dove il sangue sembrava scorrere il contrario. -
Stava morendo.
« Dimmi, come ci si sente? » Blythe tremò quando quella voce gli perforò i timpani, strisciando nel suo stomaco come un serpente e bloccandogli qualsiasi facoltà, persino quella di proferir fiato.
« Dimmi, cosa si prova? » continuò quella voce, mentre il braccio andava letteralmente a fuoco, come se lo avesse messo a mollo nella benzina e una miccia avesse appiccicato il fuoco.
Draco.
Lui gli aveva dato dell'idiota quando aveva cercato di uccidersi; lo aveva pregato di smetterla e quando proprio non aveva voluto sapere di abbassare la bacchetta lo aveva disarmato, scompigliandogli i capelli e abbracciandolo.
Draco.
Lui che lo aveva difeso da tutto e tutti, come un fratello maggiore, come un ancora di salvezza, come la luce che porta via l'oscurità.
Draco.
Il marchio, per la seconda volta in una giornata - a due persone indissolubilmente vicine - si sciolse su se stesso, ma questa volta nessuno sentì le urla di Blythe.
Nessuno si straziò con i suoi gemiti, i suoi rantoli e nessuno vide quell'ombra sparire nei corridoi adiacenti a quelli dei sotterranei. Blythe cadde a suolo con un tonfo, proprio come suo fratello un anno prima, ucciso per mano sua. Il sangue, ora, oltre a macchiare le sue mani e la sua anima, imbrattava anche il suo corpo inanimato.

***


Quella notte, mentre Hermione Granger sgattaiolava via dai dormitori femminili e si dirigeva silenziosamente in infermieria, il corpo di Blythe King - miracolosamente vivo - veniva trovato da un Blaise Zabini completamente sconvolto, una croce d'argento rovesciata veniva disegnata a fuoco sul portone di Hogwarts.
I Santi erano più agguerriti che mai e avevano sferrato il primo attacco, questa volta la giustizia si sarebbe fatta sa sé e niente sarebbe sfuggito o sopravvissuto alla sua furia.
Perché il dolore, molte volte, è più potente di una rabbia cieca e inestinguibile.

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Capitolo 6
*** Capitolo V - Together ***


"A mia mamma, l'unica che starà con me sempre e comunque.
Insieme, per sempre"

 

Capitolo V –
Together

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"Nulla è per sempre, ma se ci credi sarà infinito"




Una volta aperti gli occhi, Draco, sorrise: imbottito di medicine e calmanti, guardò quella che considerava – per un solo attimo – una dolce visione giocata dalla febbre alta; due occhi bruni, grandi e ansiosi, lo fissavano con tenerezza al suo capezzale, stringendolo in un muto abbraccio, avvolgendolo in una stucchevole preghiera.
Quelle lunghe ciglia erano imperlate di lacrime, ma ora non piangeva, lo guardava senza proferir parola, con la consapevolezza che – molto probabilmente – il giorno dopo nemmeno avrebbe ricordato il suo volto inclinato e i riccioli che le incorniciavano il volto pallido e magro.
« Sei venuta » sussurrò Draco, forse sperando che la morte fosse diventata più bella e ora lo stesse portando via.
« Non ho potuto fermarlo » rispose, con voce dispiaciuta, ma ferma, stabile, un porto sicuro – quello che era sempre stato e che non avrebbe mai smesso d'essere. -
« Verrai con me, vero? » mormorò Draco, fissandola disperato e aggrappandosi al suo braccio, mentre il panico lo assaliva.
Lei doveva restare con lui, aiutarlo ad affrontare la morte più serenamente, senza la paura che gli stringeva il cuore in una morsa, senza la paura di restare solo e immobile dinnanzi ad una cosa così grande, troppo persino per lui; « Non andrai da nessuna parte, Draco, ora dormi » sussurrò, ma il ragazzo scosse energicamente il capo.
Le afferrò con forza il mento, mentre il braccio gli tremava con violenza, insieme alla sua anima in tumulto; lei lo guardò spaventata, allargando gli occhioni e fissandolo preoccupata, ma la cosa che lo rincuorò, facendogli calmare il battito del cuore, fu quella stretta sicura che continuava a infondergli calore.
La sua mano era calda e lo teneva ben saldo alla realtà.
« Dimmi che sarai con me, quando succederà. Prometti che sarai con me! » bisbigliò Draco, febbrile, toccandole il viso come un disperato, sfiorandola con foga, mentre lei gli fermava il polso con dolcezza, accostando la guancia sul suo palmo aperto.
« Prometto che quando succederà sarò lì con te » lo assecondò e Draco si rilassò, socchiudendo gli occhi appannati.
« E non avrò paura? » sbadigliò, girandosi su un fianco e rannicchiandosi in una posizione fetale, portandosi le ginocchia al petto come un bambino.
« No, perché ci sarò io con te » rispose, accarezzandolo sul capo ripetutamente.
Draco chiuse gli occhi, in beatitudine, tremando sotto quel tocco caldo, materno, amorevole, in grado di spezzare le sue barriere e squarciargli la pelle.
« Sempre » mormorò, prima di addormentarsi e sognare due occhi bruni vegliare il suo cammino, proteggerlo nonostante il passato, perché ora – con quelle mani strette – guardavano solo il futuro buio che l'aspettava. Insieme.
"Sempre".

***
 

 

« E' mio figlio, maledizione, mio figlio! » Narcissa Black si alzò di scatto, sbattendo con foga i palmi aperti sul tavolo di mogano scuro.
Gli occhi azzurri erano spalancati, lucidi, intrisi di un sentimento che – in quel momento – le stava facendo sanguinare il cuore; sapere suo figlio lì, in un letto, da solo, ferito, la spezzava in due. Aveva la schiena così inarcata che la spina dorsale, attraverso il vestito di seta, sembrava essere stata disegnata a penna; le unghia conficcate nei palmi penetravano nella carne e le procuravano un tenue dolore che – confronto a quello che le palpitava dentro – era niente.
« Non possiamo andare lì, Narcissa, abbiamo Auror e Santi alle calcagna e in questo momento non so chi sia peggio! » Lucius Malfoy fece una smorfia disgustata dalle fiamme alle sue spalle, mentre sua moglie, tremando impercettibilmente, si girava verso di lui con un'espressione irosa e altezzosa dipinta sui tratti dolci e aristocratici.
« Basta, Lucius, basta; ti ho seguito in ogni dove, in qualsiasi scelta, sbagliando e vincendo con te. Ho lasciato che la nostra famiglia venisse calpestata, che mio figlio venisse minacciato e torturato, solo per amor tuo, solo perché era troppo tardi per tirarsi indietro; ora basta.
Se non vuoi raggiungere tuo figlio, d'accordo, non mi interessa... ma non privarlo a me! Ora sono libera di fare le mie scelte, di proteggere mio figlio a costo della vita, di essere finalmente una madre! E se questo ti turba puoi anche smettere di scrivermi e parlarmi tramite questo stupido camino » disse Narcissa, alzando orgogliosamente il mento e fissandolo con disprezzo.
« Narcissa, smettila di essere una maledetta sentimentalista e ascoltami! » urlò Lucius, ma lei – con le spalle ritte e un leone fiero e ruggente nel petto – si era smaterializzata ai confini di Hogwarts, coprendo i fluenti capelli biondi con un cappuccio nero come la notte.
Alti cancelli di ferro battuto la sovrastavano, mentre la solita magia l'avvolgeva: da quando non metteva piede ad Hogwarts? Respirò a pieni polmoni l'odore di casa e famiglia, quella che – anni prima – non l'avrebbe mai abbandonata... prima che Lucius le portasse via ogni cosa, persino l'amore per se stessa. Prima che Lucius le promettesse una vita luminosa, sfarzosa, piena di un amore inesistente.
Lui le aveva portato via tutto, persino il suo cuore, spezzando quelle braccia che non stringevano suo figlio da fin troppo tempo.
Draco.
Una lacrima le accarezzò il volto, mentre il suo patronus volava verso l'ufficio della Mcgranitt, leggero e meraviglioso come solo lui poteva vantare d'essere; una fenice araba, quella che rinasce dalle proprie ceneri, volava alta nel cielo, abbagliandola con il suo candore e facendola sorridere teneramente: il suo patronus era cambiato dalla fine della seconda guerra e sapeva perché: la fenice rinasce dalle proprie ceneri, come aveva fatto il suo bambino.
Draco era rinato dalle ceneri del dolore, dalle fiamme che l'avevano avvolto dopo aver condotto una vita che non gli apparteneva, che non era sua e che non aveva mai avuto il coraggio di contestare; aveva aperto gli occhi e aveva deciso di tenere intatta la sua anima... lui aveva deciso di scegliere, come lei non aveva mai avuto il coraggio di fare – come lei non aveva mai avuto il coraggio di pensare, anche solo per un attimo. -
« Sei venuta! » la Mcgranitt corse nella sua direzione, aprendo i cancelli con uno sventolio di bacchetta e guardandola con una nuova speranza negli occhi. Persino la donna anziana aveva sperato fino all'ultimo che rinsavisse, salvandosi e salvandolo; solo lei aveva capito troppo tardi... solo lei non aveva preso una scelta fino a pochi secondi prima, alzando finalmente il capo e dicendo "no", come non aveva mai fatto, come aveva urlato suo figlio dinnanzi a Lord Voldemort.
« Dimmi che sta bene » sussurrò Narcissa, tremando nel mantello nero e stringendosi in un abbraccio vuoto.
Sola.
Quella volta era sola, ma non si sarebbe data per vinta: avrebbe combattuto con le unghie e con i denti per il suo bambino, senza se e senza ma, questa volta sarebbe stata forte, nessuno l'avrebbe spezzata, niente l'avrebbe fermata.
Quel dolore era solo la prova che aveva fatto la scelta giusta, che aveva imparato ad essere se stessa e verificando che poteva contestare suo marito, poteva essere qualcuno anche senza di lui.
Un sorriso le nacque sulle labbra sottili: non sola, con lui.
Sempre con lui.
Draco non l'avrebbe mai lasciata e questo le dava solo la sicurezza che lui era l'unico da salvare, l'unico da tenere stretto al petto; lui era l'unica scelta da fare, l'unica opzione che avrebbe mai avuto.
Sempre con lui.
« E' vivo » la rassicurò la Mcgranitt, chiudendo i cancelli alle sue spalle e lasciandola entrare, facendole strada verso quel cuore che palpitava distrutto, solo, in cerca di parole che nessuno poteva sussurrargli se non lei. In cerca di abbracci, carezze e una presenza che solo sua madre poteva dargli... che solo lei poteva regalargli.
Suo figlio era lì e lei non agognava altro che vederlo e poterlo stringere, sussurrargli tutto l'amore che teneva ancorato dentro e non farlo mai più sentire solo.
Draco non era mai stato solo, mai, anche se lui pensava il contrario, lei era sempre stata lì – nascosta in un angolo – a sorvergliarlo e amarlo.
Entrarono all'interno di Hogwarts, silenziosa e buia, e solo il ticchettio delle loro scarpe si udiva tra quelle mura di pietra; nessun fantasma era presente, come tantomeno i professori.
Narcissa aveva una mano sul cuore e il fiato di chi ha corso, di chi trema silenziosamente, nel buio, in solitudine. In ansia, in completa balia dell'ignoto, tra le mani dello strazio che a malapena le permetteva di sbattere le palpebre, con la paura di aver perso l'unico uomo della sua vita che l'amava per quel che era. Per l'amore che dava.
« E' qui » disse la donna anziana, sorridendole e accentuando le rughe attorno gli occhi vissuti, stanchi, sopravvissuti a troppo.
Narcissa spalancò le porte dell'infermeria, bloccandosi alla vista di quel capo piegato sulle lenzuola bianche e madide del letto di Draco; i capelli ricci, aperti a ventaglio, contrastavano con il candore di quella immensa stanza, mentre due braccia si dividevano tra i due lettini messi a poca distanza.
Hermione Granger dormiva col capo poggiato sul petto di suo figlio, con la mano stretta tra quelle pallide di Draco e l'altra tra quelle del piccolo Blythe, pallido come cera e immobile come una statua.
« Signor... » Narcissa fermò le parole della Mcgranitt, scuotendo il capo con fermezza e addolcendo lo sguardo dinnanzi al sorriso appena accennato sulle labbra sottili del figlio che, nonostante stesse dormendo e il dolore alla ferita che gli avevano procurato, sembrava nella più beata serenità che avesse mai provato.
« Li lasci riposare, la prego » mormorò, afferrando una sedia e sedendosi vicino alla ragazza, tra il letto di Draco e quello di Bly; accarezzò il volto di suo figlio, baciandolo tra i capelli biondi e dedicò la stessa attenzione al piccolo Serpeverde, mentre Hermione sembrava troppo persa nei suoi sogni da accorgersi della sua presenza.
« Baderò io a loro, questa notte » finì, slacciandosi il mantello e lasciandolo cadere sul pavimento bianco; il vestito azzurro, che le stringeva la vita sottile e si allargava fino ad arrivarle alle caviglie, si intonava con i suoi occhi socchiusi, persi in un tempo dove niente si muoveva e tutto andava per il verso giusto, verso quella direzione che aveva sempre sognato e una realtà che non guastava, che era perfetta così, in quella semplicità che aveva donato alla sua famiglia tranquillità e serenità. Dolcezza e amore.
« Come vuoi » sussurrò la Mcgranitt, congedandosi e chiudendosi la porta alle spalle, mentre Narcissa, con dita tremanti, si azzardava ad accarezzare i ricci della ragazza, che si accoccolò ancor di più sul petto di Draco.
Lei lo aveva vegliato mentre – come una stupida – la madre di quell'angelo lottava contro l'amore che nutriva per suo marito e quello verso il figlio, cullandolo al suo posto e non facedolo sentire... solo.
Lei, che era stata torturata da sua sorella.
Lei, che sul braccio portava la scritta "Sanguesporco", sofferta, fatta col sangue e le lacrime, tra un pianto trattenuto e urla intrattenibili.
Lei, che avrebbe dovuto dare il colpo di grazia a suo figlio, lo aveva vegliato al suo posto, addormentandosi su una sedia scomoda in un infermeria che puzzava di medicina e stantio.
« Mmm, dormi amor mio, la mamma ora è qui con te » sussurrò, accarezzando il capo di quei due testardi, scelti per uno scempio che non avrebbero supportato nemmeno i più grandi degli eroi.
I suoi bellissimi bambini.
« Mmm, dormi mio più grande tesoro, prometto che non ti lascerò mai solo » continuò, mentre Draco apriva appena gli occhi assonnati, ancora perso in quel limbo che l'aveva avvolto quella mattina.
« Mammina? » il fatto che fosse incosciente fece sorridere Narcissa: Draco non avrebbe pronunciato quella parola nemmeno sotto tortura, Lucius gli aveva insegnato che quel termine era da plebei e che la donna che lo accudiva era sua madre, qualcosa che avrebbe dovuto lasciar perdere una volta cresciuto.
Una persona futile della sua vita, utile solamente ad accudirlo e togliergli ogni cosa, anche il più sottile sentimento che avrebbe potuto rovinare il buon nome di famiglia.
Narcissa non era niente, ma Lucius non avrebbe mai capito l'amore che li legava, l'importanza di non perdersi mai e tenersi sempre vicini, anche se maledettamente distanti.
Il mio sangue.
« Sono io, amore mio » bisbigliò, perdendosi nei suoi occhi grigi addolorati, ora più rassicurati, ora meno soli.
Ora era con lei.
« Sei qua con me » sussurrò Draco, cercando il suo sguardo e trovandolo, pronto, amorevole, dolce e sicuro e sorrise, perdendosi nella dolcezza di quelle carezze mai ricevute.
« Non sono mai andata via, Draco, mai » disse Narcissa, sfiorandogli il braccio fasciato e sorridendogli come non aveva mai fatto.
« Sei bella, mammina » bisbigliò Draco e una risata cristallina uscì dalle labbra sottili di Narcissa, che lo accarezzò ancora una volta sul capo.
« La mamma canterà per te tutta la notte, amore, dormi sogni tranquilli » sussurrò, mentre una lacrima solcava il volto di suo figlio, che non la guardava veramente, che aveva lasciato alla mercé di quelle persone senza cuore.
Su quel viso che assomigliava al padre, ma quel cuore che non aveva niente in comune con lui; Narcissa aveva lasciato Draco da solo e non l'avrebbe mai dimenticato, non avrebbe mai smesso di darsi la colpa di tutto ciò.
Vita mia.
« Saremo insieme... » iniziò Draco, mentre Narcissa portava la mano gelida del figlio sul proprio cuore, che batteva così veloce da farle mancare il fiato.
« Nelle notti buie e insonni » continuò lei al suo posto, stringendolo come non aveva mai fatto.
« Dormi, amor mio, la mamma non ti lascerà mai più » bisbigliò Draco, mentre Hermione apriva appena gli occhi, immobilizzandosi dinnanzi a quella ninnanna; niente li accompagnava, ma madre e figlio sembravano così in simbiosi da rendere il tutto così dolce, unico, meraviglioso.
« Mmm, son qui con te, bel bambino biondo, chiudi gli occhi e fai bei sogni... la mamma canterà per te tutta la notte » sussurrò Narcissa e Draco chiuse gli occhi, mentre Hermione azzardava ad alzare il capo, sbalordita.
« Mmm, lascia che la mamma ti vegli, amor mio, lascia che ti tenga, lascia che ti ami, perché la mamma non andrà mai via, amor mio » finì, sorridendo nel sentire il respiro stabilizzato di Draco e nel constatare che Hermione fosse sveglia.
« Io... » balbettò la riccia, venendo bloccata da una mano alzata della donna.
« Grazie » sussurrò Narcissa, senza mai lasciare Draco, senza mai distogliere gli occhi dal volto pallido del figlio, in completa e assoluta beatitudine.
« Non ho fatto niente, signora » rispose Hermione, abbassando il capo imbarazzata.
Lei le aveva sempre messo soggezione, con quel corpo esile e quel volto indistinguibile – quello di una vera e propria Black, duro come il marmo, ma fine, con lineamenti quasi impalpabili, disegnati con dedizione – le incuteva terrore, riuscendo a farla sentire sciatta, quasi brutta in confronto alla sua bellezza eterea e ora si trovavano sedute vicine, a guardare un ragazzo distrutto dalle proprie scelte, ma non solo.
Mai più solo.
« Hai fatto più del dovuto, più di quello che ho fatto io – che sono sua madre. - Draco aveva bisogno di qualcuno che gli tenesse la mano in questo lungo e tortuoso cammino e tu, nonostante i vostri – i nostri – trascorsi l'hai fatto senza battere ciglio; non conosco il sentimento che ti anima, signorina Granger, ma per ora mi basta sapere che hai tenuto mio figlio in braccia sicure, stringendolo in una fortezza insormontabile.
Non chiedo di meglio, non ho mai chiesto di meglio, in realtà » disse Narcissa, guardandola forte e decisa.
Hermione riusciva a vedere così tante crepe in quel muro di legno che mostrava Lady Malfoy con fierezza: erano profonde, rosicchiate dalla muffa e da tare, ma, sorprendentemente, ne andava orgogliosa.
Sapeva che era distrutta, si sentiva distrutta, ma non se ne vergognava: quelle crepe le mostrava, ma non ascoltava i risolini delle persone e tantomeno le dicerie, anzi, le accarezzava e passava avanti, sorridendo all'invidia delle altre persone.
Lei si era alzata.
Lei era viva.
Lei era lì e questo importava.
« Lei è corsa qui e questo basterà di sicuro a Draco » mormorò Hermione, arrossendo appena e attorcigliandosi – nervosa e in soggezione – un ricciolo attorno l'indice dalle unghia mangiucchiate.
Narcissa sorrise, accarezzandole una spalla di sfuggita; non si sentiva sporca, non sentiva nessun peso, nessuna maledizione sulle sue mani... in realtà lo aveva sempre saputo: erano loro ad essere sporchi dentro, non il contrario, non era mai stato il contrario.
Erano solo ad essere sporchi, loro che riuscivano ad odiare persone che nemmeno conoscevano, solo perché avevano sangue diverso, solo perché si erano imposti un ideale.
Narcissa ora provava vergogna: aveva torturato quella stessa ragazza che stava stringendo dolcemente suo figlio, senza battere ciglio dinnanzi al passato che l'aveva ferita. Che l'aveva quasi uccisa.
Sua sorella Bellatrix aveva ragione: Hermione Granger era una ragazza pericolosa, ma oltre alla sua spropositata intelligenza, lo era anche perché non aveva paura di niente, né di passare oltre né di perdonare.
Hermione non era capace di odiare ed era questo che la rendeva così terrificante agli occhi dei nemici.
L'amore.
Restarono in silenzio, osservandosi di tanto in tanto di sottecchi, anche se Narcissa lo faceva apertamente, fissandola negli occhi, scrutandole dentro, cercando di capire chi era, com'era, analizzandola, studiandola e sorridendo... perché capiva ogni maledettissima cosa di lei con un solo sguardo e lo si capiva da come stringeva gli occhi di ghiaccio in un'espressione pensierosa.
Lei assomigliava così tanto a Draco, con i suoi capelli biondo chiaro e la tempesta che dominava nel suo sguardo; erano due serpenti, loro, sempre pronti a colpire ed avvelenare. Sempre pronti a scappare quando le cose si mettono male.
Tentatori e meschini.
Belli e terribili.
I fiori del male dal quale sorge la bellezza.
L'alba sorse, illuminò i loro visi stanchi, ma svegli: Narcissa non le aveva chiesto di andare via e lei non si era mossa dalla sua postazione iniziale. La sua mano destra stringeva ancora quella del piccolo Blythe, ma quella sinistra aveva abbandonato quella di Draco; ora c'era sua madre con lui, a cullarlo e rassicurarlo, ma – contro ogni previsione – facendole sudare i palmi e ingoiare a vuoto, gli aveva stretto il mignolo, coprendo quel contatto con le lenzuola bianche e madide.
Lui era caldo, incredibilmente caldo, e la stava riscaldando.
Quel contatto le aveva trasmesso una piccola scossa, ma niente era paragonabile a quelle fiamme che le avvolgevano le mani; il giorno prima era stata lei a strofinargli le braccia e il corpo per riscaldarlo dal freddo e gelido dolore che lo stava avvolgendo, ma ora era il contrario.
Lui nemmeno se n'era reso conto, ma aveva aperto il palmo della mano, quasi invitandola ad incastrare le proprie dita tra le sue.
E, completamente stordito dal sonno profondo in cui era caduto per le medicine, Draco aprì gli occhi quella mattina, trovando quattro paia d'occhi ad osservarlo; diverse emozioni lo attraversarono e trasparì tutto dalle sue labbra leggermente schiuse e gli occhi completamente dilatati.
Non era ancora in grado di fingere, come aveva sempre fatto, non era ancora in grado di nascondersi, come ogni attimo della sua intera esistenza.
Era lì, era Draco, il vero e unico.
Hermione arrossì nuovamente, grattandosi imbarazzata il capo.
« Shhh » sussurrò Narcissa, posando un dito sulle labbra del figlio e zittendolo prima che aprisse bocca per parlare.
« Va tutto bene, amore, pensa solo a riposare » sussurrò, accarezzandogli una guancia e facendo si che Draco sussultasse sotto tutte quelle dolci e amorevoli carezze e quelle tintinnanti e meravigliose parole.
Mamma, non Madre.
« Vado ad avvertire la Mcgranitt e Madama, so che sei in mani sicure » disse Lady Narcissa, prima di alzarsi e svolazzare nel suo vestito azzurro, baciare nuovamente suo figlio sulla fronte e lasciare una scia di un delizioso profumo – dolce, come l'odore di quelle caramelle alla frutta che Hermione da piccola mangiava a volontà – alle proprie spalle.
Draco puntò gli occhi su di lei, come due pugnali pronti a trafiggerla, come due grandi fulmini pronti a colpirla – come due freccie pronte a trapassarle il cuore che le batteva a mille. -
Hermione si sentiva agitata come non mai: il volto di Draco non era duro come al solito, anzi, sembrava ancora perso in quel limbo maledetto dov'era stato trascinato contro la sua volontà, era come un bambino pronto a crollare e le metteva paura.
Draco era fragile e la terrorizzava, perché – in quel terribile momento – lei aveva più paura di lui.
« Sei fredda » sussurrò, toccandosi i capelli biondo platino e guardandola di sottecchi; Hermione sobbalzò, sgranando gli occhi: teneva ancora la propria mano intrecciata con la sua e quando cercò di ritrarre il braccio, rossa come un pomodoro, lui fece forza, trattenendola.
Non distolse mai lo sguardo dal suo, sicuro.
« Ieri non lo eri » continuò Draco, riferendosi a quando era stato ferito; Hermione lo guardò curiosamente, inclinando – sorpresa – il capo: i riccioli ricaddero come una cascata sulle sue spalle e – per la prima volta – Draco notò delle sfumature rossicce tra il bruno scuro dei suoi capelli.
Nonostante fossero crespi, da quella distanza, poteva vedere ogni singola ciocca intrecciarsi su se stessa, abbracciare l'altra intimamente, stringerla e asfissiarla come solo due amanti sanno fare.
Erano belli i suoi capelli, nonostante ora fossero gonfi per la notte passata insonne di fianco a lui; oh sì, l'aveva intuito che lei era rimasta a vegliarlo, aveva sentito le sue dita toccarlo timidamente e questa volta toccava a lui riscaldarla, perché era gelida, perché lei era riuscita – straordinariamente – a trasmettergli l'angoscia che provava per lui... per loro.
« Mi sentivo in colpa, come se fossi responsabile di quello che ti è accaduto; non sono riuscita a fermarlo e mi sentivo inutile » il fiume di parole che uscì dalle sue labbra fu come lava incandescente; Draco la guardò, stringendosi il ponte del naso tra indice e pollice.
« Potrai essere anche la strega più brillante che questo secolo abbia conosciuto, ma cerca di ragionare... non sei né Merlino e tantomeno Morgana, non puoi sapere tutto e – cosa più importante – non puoi salvare tutti, Mezzosangue » sospirò Draco, fissandola in modo eloquente.
« E te? Posso salvare te, Draco? » fu come un soffio di vento, dolce, delicato, appena udibile, ma forte, tanto da sentirlo chiaro, inconfondibile.
Draco tremò, stringendo con forza le sue dita: poteva essere salvato? Era ancora in tempo?
Quegli occhi scuri, bruni, accesi da una nuova speranza, gli urlavano di sì.
Puoi essere salvato.
Ora.
« Hermione? » Harry sgattaiolò all'interno dell'infermeria, con una coperta ingombrante tra le braccia e la faccia di chi ha dormito poco e niente.
Draco lo guardò stranito, regalandogli un dito medio come un delizioso e indimenticabile "buongiorno" ed Harry fece una smorfia, che – sotto sotto – il Serpeverde giurò assomigliasse più ad una risata.
« Ti sei ripreso bene, a quanto vedo, Malfarrett! » sbuffò, aprendo la coperta con un gesto secco e buttando ogni cosa commestibile esistente nel Mondo Magico; cioccorane, gelatine tutti gusti + 1, gomme bolle bollenti, zuccotti di zucca e un'infinità di cioccolata che, appena avvistata, a Draco brillarono gli occhi.
« Questa l'ha fatta Zabini, dice di non poter venire perché c'è troppo movimento lì nei sotterranei...l'attacco tuo e di King ha spaventato molte Serpi » disse Harry, poggiando una torta alle fragole sul comodino alla sua destra; gli occhi di Draco si addolcirono e saettarono verso il letto di Blythe, ancora pallido come un morto.
Così piccolo e dentro già troppo grande.
« Ehm, ecco, ho ascoltato un pizzico di conversazione tra la Mc, tua madre e Madama Chips, dicono che si riprenderà presto – è riverso nello stesso stato comatoso in cui eri tu – e che dovrai restare qui ancora per qualche giorno... ho anche ascoltato il pezzo di quella maledetta che diceva qualcosa sul fatto che la punizione non è affatto finita e io dovrò venire a trovarti ogni santissimo giorno.
Queste, comunque, le ho portate perché per due giorni ti faranno mangiare solo medicina e brodino » disse Harry, aggiustandosi gli occhiali tondi sul naso e arricciandolo appena per il sorrisetto ironico che era nato sulle labbra di Draco.
« Non sapevo fossi gay, San Potter »
« Fottiti » Harry schioccò la lingua, regalando un dito medio simpatico e sincero al nemico di sempre e, con un gesto secco, afferrò Hermione per il cappuccio della divisa e la trascinò fuori dall'infermeria; fece finta di non notare il braccio scivolare via da sotto le lenzuola e nemmeno lo sguardo smarrito di Malfoy, che lo fucilò con gli occhi grigi contratti.
« Dormire con la Serpe non farà diminuire le voci di corridoio, piccola » sibilò Harry, sbattendosi la porta dell'infermeria alle spalle e sorridendo falsamente alle tre donne strette tra di loro e intente a confabulare a bassa voce; la Mcgranitt alzò gli occhi al cielo, indicandosi gli occhi con due dita e indicando subito dopo lui, facendogli intendere che lo teneva d'occhio per bene.
« Due Serpeverde feriti e immobili in un infermeria vuota, pensa prima di parlare, Harry! Dopo il dolore che hanno patito con quell'attacco diretto non volevo di certo che qualche nostro compagnio commettesse una sciocchezza dettata dal dolore e desse ad entrambi il colpo di grazia » nella voce di Hermione traspariva una punta amara e arrabbiata, sembrava che tutto quello stesse per sfociare in odio a chi aveva ferito senza pensare alle conseguenze, senza pensare alla loro vita che stava – di nuovo e ancora, ancora e ancora – per capovolgersi.
« Ti ho aspettata tutta la notte, ma non sei mai arrivata » Harry si bloccò nei pressi della Sala Grande, di fianco alle grandi arcate che mostravano il parco, dove il sole ora stava illuminando le acque oscure del lago, gli alberi secolari della foresta e i rami inquieti del Platano Picchiatore.
Che ora erano? Hermione non lo sapeva, aveva passato la notte in bianco e le mani dell'amico, posate sulle spalle rigide, non l'aiutavano di certo; sentiva le sue dita penetrare nella carne, quasi trapassare i vestiti e trasmetterle qualcosa che Hermione non riusciva a definire.
« Mi dispiace, Harry » soffiò, stanca, poggiando il capo sulla spalla dell'amico e guardando le sirene emergere dal lago; strinse gli occhi, meravigliata, e vide la chioma bionda di una di loro.
Le sirene non uscivano mai dal lago e l'ultima volta che l'avevano fatto era al terzo anno, quando si erano riscontrati dei problemi alla prova del Torneo Tremaghi.
« Harry... perché ci sono sirene fuori dal lago? » sussurrò Hermione, attirando l'attenzione dell'amico e catalizzandola sul volto della sirena, dove gli occhi si posavano sul terreno circostante, come se cercasse qualcuno o qualcosa.
Quasi incantata da qualcosa, Hermione, scavalcò il muro delle arcate che la separava dall'entrata principale di Hogwarts e dal lago, camminando spedita e ignorando i richiami di Harry; più lui le diceva di aspettarlo più le sue gambe si muovevano, quasi correndo per arrivare dinnanzi a due paia d'occhi gialli.
« Hermione! » l'urlo di Harry era lontano e le sue mani fin troppo vicine a quelle di quell'essere che la guardava; la sirena allungò la sua mano squamata, simile ad una pinna, verso di lei e allargò gli occhi in un'espressione quasi deliziata.
Hermione si sentiva completamente incantata da lei: non era un pesce tantomeno una donna, ma un serpente incantatore che la stava trascinando verso di sé, scuotendo sensualmente la sua chioma – simile a tante piccole vipere – e muovendo la bocca pallida e carnosa senza emettere suono; cosa stava cercando di fare? Hermione non riusciva a capirlo, si sentiva solamente senza forze, come se la notte passata in bianco si stesse facendo sentire tutto d'un colpo, facendola sentire pesante, come piombo, come un'ancora che sprofonda sempre di più.
Harry cercò di afferrarla per il mantello della divisa, ma Hermione aveva già afferrato la mano della sirena, sprofondando le unghia in quei palmi squamati e facendo colare alcune gocce di sangue nelle acque scure del lago.
Era lei che si stava facendo male: sobbalzando, Harry, vide le unghie di Hermione saltare uno dopo l'altra quando aveva toccato quella sirena.
Infida.
In un attimo la vide sprofondare sempre più giù, sparire in quelle acque oscure e diventare tutt'uno con esse: le acque si ghiacciarono e diventarono una sola lastra che comparò quella che avvolgeva il suo cuore immobile.
« Hermione, maledizione, Hermione! » urlò, senza fiato, saltando sul ghiaccio e scivolando lungo steso; Harry annaspò, colpendo – con i pugni chiusi – con forza il ghiaccio.
Niente.
Uno, due tre...
Quattro, cinque, sei.
Niente.
Ora sentiva il cuore battere furioso e l'angoscia palpitava insieme all'ansia; i denti cominciavano a battergli per il freddo improvviso che scuoteva le fronde degli alberi e i suoi vestiti.
« Deprimo! » il ghiaccio si inclinò e lunghe increspature si formarono sulla lastra spessa e liscia.
« Ardemonio » non gli importava che avesse usato una maledizione potente, che probabilmente non era nemmeno capace di controllare, sapeva solo che quella vampata maledetta aveva completamente sciolto il ghiaccio e l'aveva fatto sprofondare nelle acque stranamente gelide del lago.
Solo un incantesimo potente poteva causare ciò: niente, niente, poteva condizionare gli agenti atmosferici, se non un grande mago capace di maneggiare la bacchetta più del consentito.
Le fiamme che aveva evocato si spensero insieme a lui, che si bloccò nel bel mezzo del lago; tanti piccoli aghi gli stavano penetrando fin sotto la carne, pugnalandolo togliendogli il respiro.
Harry si tolse velocemente il mantello, tossendo ripetutamente e tuffandosi: gli occhi verdi – spalancati fino all'inverosimile e attenti a qualsiasi movimento – si muovevano frenetici sott'acqua; andava sempre più giù e l'ossigeno cominciava a venire meno, ma Harry sapeva che non sarebbe tornato su senza Hermione.
Le acque erano troppo scure e il freddo cominciava ad appannargli i pensieri, ma l'idea di risalire non gli saltava nemmeno in mente: cercava, cercava, cercava senza sosta, muovendo le mani e le gambe in modo scordinato.
Hermione.
Si sentì afferrare per un braccio, ma non si mosse di un millimetro: l'acqua cominciò a penetrargli nei polmoni e l'aria sparì tutto d'un colpo... era la stessa sensazione che aveva provato quando aveva visto quei riccioli bruni sparire tra quelle acque; il sole cominciò ad intravedersi appena, era come correre tra gli alberi e non intravedere mai la luce per la natura troppo fitta, troppo asfissiante, da togliere il fiato.
La pressione che stavano esercitando sul suo braccio era niente al confronto ai pugni che sembrava ricevere nello stomaco; Hermione, la sua Hermione!
« Merda, Potter, sta fermo! » una voce femminile che non riconobbe gli urlò quella frase, ma la sua mente non la registrò affatto; Harry non riusciva ad aprire gli occhi e tantomeno a respirare.
Sentiva il suo corpo un unico spasmo e stava perdendo lucidità.
Hermione, dov'era Hermione?
« Porco Merlino, respira! » urlò di nuovo quella voce, ma a malapena la sentiva, era così lontana, come miglia da lui.
Un colpo sul petto lo fece tremare e due braccia lo girarono su un fianco: sentiva la testa così leggera, quasi come un pallone, ma tutto questo passò in secondo piano quando l'acqua gli graffiò la gola; Harry spalancò gli occhi quando vomitò tutta l'acqua che aveva ingerito, sputando e annaspando.
Ancora e ancora, ancora e ancora, fino a vomitare persino l'anima.
Due mani lo tenevano, cercavano di tenerlo caldo mentre batteva i denti e spalancava la bocca per vomitare ancora e ancora.
« E' viva quasi quanto lui » una volta aperti gli occhi, Harry, si ritrovò a fissare quelli preoccupati di Blaise Zabini, bagnato dalla testa ai piedi, ma non ebbe la forza né di parlare né di muoversi; si sentiva come se avesse ingerito un macigno che gli impediva di fare qualsiasi movimento, facendogli male persino quando respirava.
« Stai bene? » il ragazzo dalla pelle color moka gli tese la mano, ma era ancora troppo stordito per capirci qualcosa.
« Ehi, Granger... Granger, apri quei maledettissimi occhi! » Harry spostò lo sguardo verso il volto di Pansy Parkinson, intenta a fare la respirazione a bocca a bocca alla sua Hermione.
Hermione, la sua Hermione!
« Avanti... » gli occhi neri di Pansy erano ricolmi di un sentimento che nel suo sguardo non riusciva a riconoscere: era preoccupata, ma era anche arrabbiata e lo mostrava con i ripetuti colpi sul petto di Hermione, completamente immobile.
« Ce la fai, si, ce la fai! » Pansy ruggì, esultando quando Hermione tossì, girandosi su un fianco per cacciare l'acqua che le impediva di respirare.
« Va tutto bene, Potter, è viva... puoi mettere da parte la tua faccia da cucciolo bastonato » disse, ma qualcosa nei suoi occhi la zittì.
Gli occhi verdi del ragazzo sopravvissuto erano spenti, le labbra violacee e le vene sulle tempie gonfie, come se stesse compiendo un enorme sforzo; la faccia rossa, le gambe strette e il corpo steso sul terreno fangoso, era quella la posizione strana di Harry, intento a ciondolare – inerme – il capo.
« Vedi, Potter, è facile colpire i tuoi punti deboli! » Harry parlò con una voce doppia, inumana, e i suoi occhi divennero bianchi, privi di pupilla e iride, solo la sclera dominava a contrasto con i suoi capelli neri.
Una risatina sarcastica uscì dalle sue labbra sottili e Pansy tremò, indietreggiando fino a toccare la schiena con il petto di Blaise, raggelato.
La Mcgranitt, affannata, si fermò ad un metro da loro.
« Credevo saresti stato nostro alleato! Tu li hai combattuti, i tuoi genitori – i tuoi amici e i tuoi amati – sono morti per loro; credevo che avresti sterminato questi bastardi, che li avresti uccisi in lente torture, godendo nel vedere il loro sangue scorrere... ma mi sbagliavo!
Sei sporco dentro, Potter, e questa volta ti sei messo dalla parte sbagliata » il suo sibilio era terrificante e il suo sguardo ancor di più. L'ennesimo risolino ed Harry alzò il capo verso i due Serpeverde.
« Potter non potrà proteggervi a lungo, miei cari serpentelli; cadrete l'uno dopo l'altro, vi schiacceremo come scarafaggi! Giuro che questo è solo l'inizio, il bello ancora deve venire » sussurrò, prima di urlare.
Si contorceva sul terreno e la cicatrice a forma di saetta si aprì completamente, macchiando il suo volto di sangue rosso scuro, confinante quasi con il nero.
« Harry... » mormorò la Mcgranitt, mentre Hermione apriva gli occhi e arrancava verso di lui.
Aveva il braccio completamente squarciato e le mancavano le unghia; un graffio partiva dal sopracciglio e finiva lungo la guancia, ma sembrava avere ancora la forza per raggiungere Harry.
Le urla di Harry svegliarono quasi tutto il castello tanto erano alte: la camicia era andata letteralmente a fuoco e una "S" si stava disegnando sulla carne, marchiandola.
Rossa.
Indelebile.
« Merda » gemette Hermione, abbandonandosi sull'erba e alzando gli occhi al cielo.
Erano nella merda.

***


La faccia di Ginny diceva tutto: era pallida, troppo pallida, e i suoi occhi bruni fulminavano chiunque si avvicinasse, le labbra erano arricciate in un'espressione irosa, arrabbiata, confusa.
Non sapeva nemmeno lei cosa provava, si sentiva solamente spossata, con il cuore a pezzi e impotente.
Ginny era impotente.
I suoi migliori amici erano stati attaccati e lei dov'era? A dormire, senza nemmeno sentire qualcosa, senza nemmeno provare un minimo di dolore: quando suo padre era stato attaccato al quinto anno, aveva sentito il cuore battere forte, anche senza sapere nulla, anche a migliaia di distanza... ma con loro niente.
Era nei migliori dei sogni, non aveva sentito niente di niente, il vuoto, solo la beatitudine di un sonno pieno.
« Ginny, smettila di incolparti di qualcosa che tu non puoi controllare! Cosa potevi saperne tu? » Ron si sedette al suo fianco, scompigliandole appena i capelli rosso fuoco e sospirando, poggiando il mento sulle mani congiunte.
Ginny si massaggiò le tempie, trattenendosi dal prendere suo fratello a sprangate: era indecisa tra il ringraziarlo o il picchiarlo.
« Hai ragione tu » sussurrò, abbandonandosi sulla poltrona e sperando – almeno un po – che il senso di colpa sparisse e la lasciasse in pace.
Solo perché i suoi migliori amici erano stati salvati da due Serpeverde e non da lei.

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Capitolo 7
*** Capitolo VI - Win ***


 

Capitolo VI -
Win

 




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Aveva le mani congiunte in preghiera poggiate sotto la guancia destra, mentre i riccioli bruni erano aperti a ventaglio sul cuscino dalle lenzuola bianche; Madama Chips aveva detto che il tentato annegamento non aveva influito sui suoi organi interni, ma la notte passata in bianco e la lotta contro la sirena l'avevano mandata in un sonno profondo.
Aveva parecchie bruciature sul polso - dove era stata afferrata - e sul resto del corpo, ora scoperto da una casacca bianca ospedaliera; non aveva più le unghie sulle dita, diceva Madama che non aveva nessuna pozione o incantesimo in grado di poterle guarire e Draco si chiese se faceva male come sembrava o di più, se non di meno.
Tra le gambe nude e pallide c'era aggrovigliato il lenzuolo bianco che – sorprendentemente – quasi si confondeva con il colore della sua pelle; aveva portato le ginocchia al petto, come se in quella posizione volesse proteggersi da qualcosa – qualcuno – e ci riuscisse alla grande, dato il mezzo sorriso che vigeva sulle labbra piene di Hermione.
Aveva un graffio sulla guancia e l'espressione di chi non ha paura, di chi la solitudine e la morte – del dolore – non la teme di certo; sul braccio, marchiata come lui, la scritta “Sangue sporco” brillava tetra, sporcando il candore della sua carne, facendogli attorcigliare le viscere e temere che lei ricordasse.
Era come se fosse stato lui a procurarle lo sfregio che si sarebbe portata dietro per anni, che non sarebbe guarito né nel cuore né sulla sua epidermide... e aveva paura.
Se avesse ricordato il suo volto in quella stanza – i suoi occhi terrorizzati – il battito del suo cuore frenetico, l'incarnato sempre più pallido – morto – lei lo avrebbe odiato; delle volte si era chiesto se qualcuno non le avesse lanciato un incantesimo per la memoria o era così concentrata ad urlare dal dolore per accorgersi che lui era a pochi metri da lei a guardarla agonizzare. Ma Draco sapeva che Hermione ricordava perfettamente chi fosse presente e – incredibilmente – sapeva anche che lei lo aveva perdonato; era così insano da parte sua perdonarlo e proteggerlo.
Aveva rischiato di morire – di nuovo – per colpa sua. Loro l'avevano attaccata perché sapevano, in qualche modo, che lei lo stava aiutando... che lei – ora, sorprendentemente, in un'assoluta pazzia – lo stava proteggendo.
Harry, sdraiato sul lettino adiacente al suo, si agitava – al contrario dell'amica – tra le lenzuola; gemeva e aveva aperto i punti che ci erano voluti per chiudere la “S” sul petto, da dove colavano piccole gocce di sangue rosso. Era stato portato lì in condizioni pietose e il suo senso di colpa accresceva sempre di più, divorandogli le viscere e il respiro; guardò verso Hermione e si alzò dal letto raggiungendo il suo con passo malfermo.
Sua madre non lo aveva abbandonato un attimo, ma aveva detto che aveva una questione da risolvere con la Mcgranitt e che non sarebbe rimasto solo in infermeria: lei aveva indicato Hermione con il capo e gli aveva intimato silenzio, come se sapesse qualcosa. Come se contasse ogni suo battito quando lei lo guardava.
Come se sentisse il suo cuore accelerare quando lei gli sorrideva.
Si sedette sulla sponda del letto e le strinse delicatamente il braccio con le dita ceree; lei si mosse sotto il suo tocco e tremò impercettibilmente, avvicinandosi ancor di più al calore che emanava da quando lei lo aveva toccato: il suo calore non l'aveva più lasciato e lo sentiva perennemente, non lo lasciava mai, lo sentiva dentro e lo irradiava fuori.
Le proprie dita scesero lentamente, accarezzando con dolcezza i gomiti, le mani ferite, i fianchi e fermandosi sulle gambe; ingoiò a vuoto e per un attimo credette di impazzire: la stava toccando come non aveva mai fatto in vita sua, lasciando che i polpastrelli penetrassero nella pelle e lasciassero un segno al suo passaggio.
Un livido dentro lei, su di lei, e ancora non riusciva a smettere di distogliere lo sguardo. La stava toccando e dentro sentiva la consapevolezza di non voler smettere.
Hermione aprì improvvisamente gli occhi, ma Draco non si spostò di un millimetro: aveva la mano poggiata sulla sua caviglia e il pollice toccava – senza delicatezza – l'osso. I suoi occhi bruni prima lo guardarono confusi e poi – come se improvvisamente avesse capito cosa stesse succedendo – arrossì violentemente sulle guance.
« Draco, che succede? » bisbigliò Hermione, sicuramente tentata dall'afferrarlo per il colletto del pigiama e sbatterlo con la testa sulla tastiera del lettino cigolante.
Draco sorrise ricordando il pugno che lei gli diede al terzo anno: gli aveva quasi rotto il setto nasale; « Niente che tu non voglia » sussurrò in risposta, trattenendo un sogghigno quando vide un sopracciglio scuro della riccia saettare verso l'alto.
« Sei impazzito?! » sibilò, guardando frenetica verso il letto di Harry – fortunatamente – troppo impegnato a dormire che dar retta ai sussurri al di fuori dei suoi sogni.
Sussurri bassi, concitati, ma così forti da rimbombare tra quelle mura: non erano parole d'amanti, ma di un qualcosa che stava uscendo fuori, alla luce del sole, fuori dal corpo e dall'anima, lasciando cicatrici risanate e cerotti freschi.
Draco, veloce come non lo era mai stato nemmeno sulla scopa, la sovrastò con il suo corpo, arrivando a pochi centimetri dal suo viso e facendole mancare il fiato: i suoi occhi grigi erano troppo lussuriosi, divertiti, sinceri, meravigliosamente grandi da quella distanza.
« Draco! » la voce strozzata di Hermione rassomigliava più ad una risatina che ad un richiamo severo e le mani di Draco l'arpionarono al materassino, facendola tremare quando le sfiorò appena le labbra con le proprie.
Niente che tu non voglia.
In realtà non lo sapeva: il corpo di Draco era così caldo, le sue mani troppo veloci, le sue labbra dolci e il suo respiro fresco – sapeva di dolore, di piacere, di un lento e profondo brivido – .
Hermione risucchiò l'aria tra i denti e lui depositò un leggero bacio sul labbro inferiore; in realtà nemmeno lei lo sapeva, ma – ora – conosceva il profumo di Draco.
Era una tortura instabile, il suo profumo sapeva di impotenza e consapevolezza, di medicina e fiori appassiti – miele e legno – sorrisi mai espressi.
A malapena l'aveva baciata, sentiva appena le sue mani sulla propria pelle, ma era così piena di lui che – per un attimo – sentì di poter scoppiare.
Draco respirò sulla sua bocca e lei ingoiò il suo respiro, facendo in modo che entrasse fin nei polmoni – che circolasse nel suo sangue – che diventasse tutt'uno con lei.
Hermione incassò la testa nel cuscino, lasciando che il suo corpo si incastrasse alla perfezione con ogni curva – come un puzzle – come una vita che, finalmente, si completa. Le dita di Draco si strinsero nei suoi capelli ricci e – guardandolo – Hermione sentì un groppo in gola che, per un infinito attimo, le impedì di fiatare.
« Niente che tu voglia » la sua voce era maledettamente roca, dolce, quasi come se fosse ancora imbottito di medicine e stesse cantando ancora quella ninnananna con sua madre.
Le sue labbra le baciarono l'angolo della bocca schiusa, il mento appena tremante e la gola pallida, seguendo una scia immaginaria e non lasciando niente al caso, mentre un calore al basso ventre la coglieva impreparata; Hermione arrossì e Draco rise a bassa voce, appoggiando il capo sul suo petto.
Non paragonarlo ad una debolezza.
Tremò tra le sue braccia, temette di cadere in mille pezzi – di essere ricomposta da lui – e ingoiò i gemiti che cercavano di graffiarle la gola. Aveva la vista appannata e dopo tutto quello che era successo sarebbe stata volentieri per sempre tra quelle braccia; erano confortevoli – calde – e protettive, capaci di toccarla nel profondo – trapassare carne e ossa – di scuoterla con violenza.
Non c'era niente di dolce nella barba ruvida che le strofinava la pelle, che le arrossava il cuore e formicolare ogni parte del suo essere; Hermione si sentiva presa in contropiede: il cuore le batteva all'impazzata nel petto e riusciva quasi a coprire ogni rumore, suonando incessantemente nel suo sterno – così debole, quasi vicino alla rottura – dove palpitava feroce, ansioso di volerle arrivare in gola e strapparle ogni sospiro ansante.
« Guardami. Non distogliere mai lo sguardo. Mai » sibilò Draco a voce bassa, fissandola con il grigio dei suoi occhi: la guardava, la studiava, le portava via ogni singola cosa.
Mai.
Le afferrò il mento tra le dita ed Hermione sentì quel punto bruciare intensamente, come se le stesse graffiando l'epidermide – come se la stesse torturando –.
Guardami.
Draco le poggiò definitivamente le labbra sulla bocca, mentre lei gli circondava il collo con le braccia ferite; niente le urlava di star ferma, la sua mente era così vuota da metterle paura, da incuterle terrore.
Non distogliere mai lo sguardo.
La sua lingua le accarezzò il palato, si intrecciò con la sua senza remore – senza nessuna debolezza – ed Hermione lo sentiva prepotente su di sé.
Un sospiro.
Mai.
Uno schiocco sulla bocca.
Guardami.
Infossò ancor di più il capo nel cuscino e le sue dita strinsero le lenzuola bianche senza che nemmeno se ne accorgesse: fasciate si confondevano con quel colore così candido, così diverso dal fuoco che le bruciava dentro – che rischiava di farla impazzire. -
Stava bruciando lentamente, indissolubilmente, senza che volesse salvarsi.
Hermione non voleva essere salvata: le piacevano quelle fiamme che la stavano avvolgendo, quel calore inimmaginabile che la stava accarezzando, stringendo e ballando insieme ad ogni brivido che le vibrava dentro.
Voleva chiedergli il perché di tutto quello, ma la voce le mancava, il cervello le mancava, come la razionalità e la voglia di respingerlo via da sé.
Guardami.
« Non smettere » mormorò Draco sulla sua bocca.
Mai.
Con una risatina, Hermione, venne avvolta insieme a lui nelle lenzuola, rotolando su un fianco e ritrovandosi faccia a faccia con lui: nessuna imperfezione, niente che sporcasse il suo viso angelico.
Chissà se Draco sapesse cosa fossero i cherubini di Botticelli... probabilmente no, ma era poca la somiglianza, lui emanava un senso di distruzione struggente, così diverso dal sorriso sereno di quegli angeli dipinti.
Lui aveva le labbra screpolate da una tristezza che si stava cancellando da quegli occhi lucidi di speranza e paura.
« Mai » concluse Hermione, seria.
A che gioco stavano giocando? Sapevano entrambi che nessuno sarebbe uscito vittorioso da tutto ciò, il fuoco diventava sempre più alto e le fiamme sempre più calde.
Non smettere.

***
 

« Mi prude! » la voce lamentosa di Harry le arrivò per l'ottantesima volta all'orecchio ed Hermione si trattenne solamente perché due sere prima si era ritrovata sotto le lenzuola con Draco Malfoy.
Quel Draco Malfoy e se Harry l'avesse saputo non l'avrebbe presa per niente bene: ritrovarsi a pochi metri di distanza da due persone perse in un'intimità irrespirabile e sapere che a rotolarcisi lì sotto sono il suo peggior nemico e la sua migliore amica l'avrebbe mandato in bestia.
« Grattati » rispose, infilandosi una maglia blu notte e guardando di sbieco il letto vuoto di Draco.
Non avevano più discusso di quello che era successo sotto le lenzuola: quando sua madre era entrata in infermeria lui si era rimesso nel suo letto e il giorno dopo aveva lasciato l'infermeria, senza più farle visita. Non che le dispiacesse: doveva chiarire tra sé e sé quello che era successo e con lui nei paraggi non sarebbe stata abbastanza lucida da poterlo fare; era stato tutto troppo nuovo o semplicemente troppo per farla rinsavire.
Non le era dispiaciuto e questo era il punto: non pretendeva nulla da lui né altro, il sapore delle sue labbra era ancora su di lei, ma non voleva che lui ritornasse e le dicesse che voleva provare ad avere una specie di relazione con lei: Malfoy non era un tipo da relazione e nemmeno lei; le bastava uno sguardo più prolungato o ri-iniziare da dove avevano interrotto.
Oh, Merlino, le era piaciuto!
« Sei pensierosa, Hermione, mi dici che succede? » mormorò Harry, seduto sul suo letto dell'infermeria e cercando di infilarsi la maglia che penzolava dal suo braccio dolorante. Hermione si avvicinò, silenziosa, sfilandogliela di mano e alzandogli le braccia con delicatezza: lo aiutò ad infilarla, attenta a non sfiorargli il petto e lui le strinse il fianco con una mano, guardandola con i suoi occhi smeraldini.
« Sai che puoi dirmi qualsiasi cosa, Herm » sussurrò al suo orecchio, poggiando il mento sul suo petto.
Da quando era caduta in quella trappola e si era risvegliato in uno stato pietoso, Harry era diventato oppressivo: aveva paura che qualcuno le rifacesse del male e questa volta ci riuscisse, ma dimenticava troppo spesso che era lei ad avergli salvato il culo più volte e tutta quella apprensione non faceva che farle mancare il fiato.
« Sono solo stanca » disse, sforzandosi di sorridere e sentendosi male; non aveva mai mentito ad Harry, ma in un certo senso sentiva quella cosa sua e sua soltanto e non le andava di dividerla con qualcun altro, anche se quello era il suo amico di sempre. Le dita di Harry afferrarono i suoi polsi, mentre i suoi occhi la guardavano intensamente, come se volesse leggerle dentro: i suoi pollici salirono piano, accarezzandole l'avambraccio ed arrivarono fino ai bicipiti. Hermione respirò a fatica, guardandolo confusa. « Non mentirmi, Hermione » mormorò, guardandola dal basso con una smorfia sulle labbra sottili. Sembrava così perso nel mondo che lo ospitava da anni e non l'abbandonava mai ed Hermione lo conosceva così bene da sapere che i segreti che gli stava riservando lo ferivano più del lecito.
Non lo capiva, certe volte i suoi sguardi parlavano di tutt'altro e aveva paura di aver ragione quella volta: Harry la fissava e non era lui, ma qualcosa di profondo che profanava il suo sguardo sempre sincero.
Stava cercando di dirle qualcosa, di trasmetterle qualcosa che lei non voleva capire, che lei rifiutava a priori.
La sua mano le accarezzò il viso ed Hermione affannò leggermente, fissandolo disperata.
Ti prego, Harry, non farlo.
Le sue dita callose affondarono nelle guance e il respiro di Hermione accelerò ancor di più.
Ti prego.
« Harry, ti prego » bisbigliò tremante, senza sentire la porta dell'infermeria aprirsi piano, lentamente, quasi senza nemmeno cigolare.
Il cuore se ne stava immobile al centro del petto e lei a malapena aveva mosso le labbra, continuando a non distogliere lo sguardo dal suo e tremare dentro, quasi contagiata dal quel limbo oscuro in cui vagava Harry – da solo, con un cuore che non sapeva decidere – con un anima fatta in mille pezzi.
« No » sussurrò lui in risposta, stringendo la presa sul suo polso e lasciando che le dita dell'altra mano penetrassero ancor di più nella carne sensibile.
No.
Hermione respirò a fatica, mentre qualcosa le si rompeva dentro: la consapevolezza, lui, le sue mani, il suo no.
Ti prego, Harry.
« Credo che il “ti prego” stia a significare mollami, non prendimi, Potter! » arrivò come una raffica di vento gelido, simile al ghiaccio che si forma sui soffitti e cola lentamente lungo i muri: un lungo e gelido brivido che lascia senza fiato.
Che toglie il respiro.
Due occhi grigi si fissarono sui due immobili al centro della stanza, immobili e gelidi, simili a due lame: Hermione tremò ed Harry si staccò di scatto, fissando Draco sorpreso.
« Malfoy! » esclamò Harry, fissando il volto pallido del nemico e accigliandosi, come se la frase appena pronunciata rassomigliasse ad una benedizione e non un avvertimento.
Draco sospirò, sbattendo ripetutamente le ciglia bionde e chiudendo con forza i pugni: Hermione scosse la testa e lui sogghignò, incrociando le braccia al petto.
« Ti hanno mai detto che “le donne non si toccano nemmeno con un fiore”, Potty? » rincarò la dose, mentre la consapevolezza cominciava a farsi strada in Harry, che scosse il capo, incredulo.
« Questi non sono affari che ti interessano, Malfarrett! » sputò Harry, velenoso, mentre Hermione si trovava tra due fuochi che non sapeva come spegnere.
Draco era così freddo da sembrare un pezzo di ghiaccio, livido, liscio e duro come il marmo, quasi mitigato in quella bellezza raffinata, scalfita dalla guerra che incombeva sulle sue spalle fragili.
Harry... Harry era tutto un altro paio di maniche: era un fuoco che danzava e non si estingueva, caldo, sapeva di fare male, voleva far male e bruciare senza mai fermarsi. Harry portava quelle cicatrici con orgoglio, mostrandole e facendosene carico, lui poteva combattere il mondo e sconfiggerlo, sempre.
« Muovi quel culo, non ho intenzione di aspettarti ancora per mangiare qualcosa di decente! » non sapeva cosa rispondere, Draco aveva dato le spalle ad entrambi, ma aveva alzato il mento appuntito e storto i lineamenti, algido come sempre, ma con un disprezzo che – non sapeva nemmeno perché e probabilmente, Hermione, non avrebbe mai voluto saperlo – la ferì.
« Vengo... vengo! » sbuffò Harry, ma Hermione rimase immobile, in piedi, ritta come una regina spodestata, come una moglie tradita; aveva dipinta sul volto una strana espressione di consapevolezza, come se dopo molto tempo avesse finalmente capito cosa non andasse.
E' colpa tua.
Le sfuggì un respiro strozzato, mentre una mano chiusa a coppa le andava a coprire la bocca aperta.
Hermione, devo parlarti
Ginny.
Lei lo sapeva.
Ginny.
Lo aveva sempre saputo.
Tutte le volte che aveva detto “devo dirti una cosa” e che si era bloccata perché Harry era presente; quei dubbi che non voleva rivelarle, quelle lacrime causate da qualcosa che non aveva mai avuto il coraggio di dirle.
E' colpa tua.
Con una mano si strinse una ciocca di capelli e la tirò con forza, mordendosi le labbra e guardando il soffitto con un magone alla gola: Ginny non aveva nemmeno messo piede in infermeria in quei giorni e non solo lei aveva notato quell'assenza.
Anche lui lo sapeva e non le aveva mai detto niente.
Cosa credeva? Cosa credevano entrambi? Che, forse, lei fosse innamorata dell'unico uomo che non l'aveva mai ferita? L'unico che l'aveva accettata per quel che era; Hermione non aveva mai, mai, pensato Harry sotto una luce diversa.
Lui era suo, ma come amico, come fratello, come sangue del suo sangue, come un respiro che le metteva forza, che le faceva venir voglia di continuare, di urlare e aspirare più aria possibile, di combattere, di essere lei e nessun altro. Di essere lei e basta.
Punto.
Non c'era nient'altro, non c'era mai stato nient'altro che quello e l'aveva sempre detto a Ginny, sempre, come lo aveva ripetuto infinite volte a Ron.
Le dita penetrarono nella guancia, i denti affondarono nella lingua e il cuore si arrestò per un millesimo di secondo. Hermione si sentì venir meno e probabilmente sarebbe rimasta lì, in contemplazione del vuoto – del dolore che aveva causato senza saperlo – se una mano non le avesse accarezzato delicatamente il polso scoperto.
« Non uscivi e cominciavo a preoccuparmi » la voce di Ginny era materna come il suo tocco, ma nel suo sguardo vigeva una strana inquietudine.
« Guardami e dillo » sussurrò Hermione, abbassando lentamente lo sguardo verso di lei e fissandola immobile.
E' colpa mia.
« Ginny, sono io, sono Hermione! Perché non me lo hai detto? Perché non mi hai afferrato e urlato in faccia tutto questo?! » disse disperata, afferrando l'amica per le spalle e scuotendola con forza, con un angoscia che le spezzava le ossa.
« Ti ho odiata così tanto... con un intensità tale da sorprendermi, con una ferocia incredibile, maligna; ma poi tu mi guardavi e sembravi non saperne niente, non eri la carnefice del mio dolore, ma vittima come, esattamente come me.
Harry non lo fa con cattiveria, tu – come me e lui – sai che al cuore non si comanda e innamorarsi della propria migliore amica sicuramente non è la migliore delle scelte se fosse dipeso da lui.
Non te l'ho detto perché sarei passata per quella che rovina le vite e sfascia le amicizie.
Non te l'ho detto perché Ron avrebbe dato di matto e io non volevo che venisse ancora ferito, non dopo quello che ha passato dopo la guerra.
Non te l'ho detto perché così è, dovevi scoprirlo da sola e fare quello che ti diceva il cuore, non la razionalità » non aveva mai distolto lo sguardo dal suo, continuava a fissarla sicura, senza il minimo cenno di tentennamento.
La mano di Ginny si intrecciò alla sua, tenendola ancorata alla realtà, tenendola lì, con lei, facendola soffrire insieme a lei.
« E' colpa mia » bisbigliò Hermione, accostando la fronte sulla sua e respirando a fatica.
Due dita le accarezzarono la guancia bollente e due occhi marroni si fissarono nei suoi, determinati e dolci, amorevoli e fuggevoli; lei era lì, presente, e non la stava cacciando, ma le stava urlando che qualsiasi scelta avrebbe preso sarebbe stata comunque presente.
« Non è colpa di nessuno, Hermione » sussurrò Ginny, abbassando appena il capo e lasciando che una tendina di capelli rosso fuoco le coprisse il volto lentigginoso.
Le sorrise come se non l'avesse ferita a fondo, ripetutamente, senza nemmeno rendersene conto.
« Tu sai... tu sai che se anche provassi qualcosa per Harry – diverso da quello che provo ora, diverso da ogni cosa che ho provato fino ad ora – non ci proverei nemmeno, vero? Dimmi che lo sai, io non avrei mai avuto il coraggio di ferirti e tradirti fino a questo punto! » disse con enfasi, mentre due occhi verdi si nascondevano tra la porta e lo stipite, mentre quello che era un sussurro si espanse come un frastuono immane.
Il cuore del bambino sopravvissuto tremò, si strappò in mille pezzi e lo rese un uomo misero, vuoto, al quale hanno appena cancellato un punto fondamentale della propria vita e – con inchiostro indelebile – ci hanno messo una perenne e incancellabile virgola.
« Tu sei la mia migliore amica, Gin, e non riuscirei mai a farti del male » disse e il suo cuore si alleggerì quando lei le sorrise, sospirando e rilassandosi quando le baciò con dolcezza una guancia.
« Mi dispiace aver dubitato di te » rispose Ginny, mentre una zazzera nera scompariva tra i corridoi insieme ad un leggero ticchettio.
« Oh, ma ora basta con queste paranoie, vieni su! » la rossa la prese sottobraccio, trascinandola verso la Sala Grande, gremita di studenti affamati.
Parecchi occhi la fissavano di sottecchi, ma non gli diede peso: il suo sguardo era puntato al tavolo Grifondoro, dove un Draco Malfoy era seduto incazzato nero, con il ringhio a fondo gola e l'espressione di chi desidera sprofondare o morire, sarebbero andate bene entrambe le cose.
« Ciao » salutò Hermione che fu costretta, dalle braccia di Ginny, a sedersi di fianco a Draco; lui non rispose, ma sentiva i suoi occhi su di sé, bollenti, strazianti, simili ad una carezza – carezza da un guanto frastagliato da ferro – e tremò impercettibilmente.
Non fiatò, prese solo il suo piatto di patate a forno e pollo, sobbalzando quando una mano le strinse con forza il polpaccio; i suoi occhi bruni incontrarono quelli grigi di Draco, impassibile: niente traspariva dal suo volto, se non gelida indifferenza.
Le sue dita salirono con una lentezza esasperante e lei arrestò bruscamente il respiro, ingoiando a vuoto e stringendo con forza la forchetta tra le dita.
« Che fame! » sbuffò Ron, sedendosi accanto a Ginny e Dean e riempiendosi il piatto di pietanze; ignorò volutamente Draco e – se non fosse stato così testardo – probabilmente avrebbe notato una mano nascosta tra le pieghe dell'immensa tovaglia rosso-oro.
« Sì, che fame » mormorò Hermione in risposta, mentre alle loro spalle, due occhi si fissavano tra quello spazio vacante tra la coscia di Hermione e il braccio di Draco.
Un sorriso andò a dipingersi sulle labbra di Blaise Zabini, subdolo, calcolatore, soddisfatto.
Blaise guardò il capo della Granger inclinarsi appena e l'altro braccio stringere il tavolo con forza: le dita di Draco salivano sempre di più e lei era sempre più rossa, senza fiato, senza forze.
Era in balia di un qualcosa che la rese – senza remore o paure – meravigliosa.
Gli ormoni sembravano salire ad una temperatura indecente e, quasi come falene attratte dalla luce, alcuni occhi si posarono su di lei.
Sempre più su.
Poteva vederla tremare, mentre Potter la guardava con una strana espressione, quasi ferita; ma lei era troppo impegnata a mordersi le labbra con forza, a stringere i denti e trovare una soluzione tra l'affatturare Draco o baciarlo con dolcezza.
Lei alzò appena il viso e i riccioli le ricaddero come una deliziosa cascata sulle spalle fragili, scuri, intrecciati, in quel momento quasi invitanti.
Sempre più su.
Hermione inspirò, aprendo le labbra.
Blaise sorrise.
Ancora.
« Ciao » Matt si sedette tra Hermione e Draco, spezzando quel legame, facendo strozzare Blaise con le patate e il biondo con la saliva. Quest'ultimo strinse il coltello tra le mani così forte che – per un attimo – Hermione temette volesse ucciderlo a suon di coltellate.
« Ciao » rispose imbarazzata, mentre lui le baciava la guancia con dolcezza.
Merda.
« Scusa se non sono venuto a trovarti in infermeria, ma avevo così temi da consegnare che non sapevo come e dove dividermi » sospirò Matt, mentre Draco la fissava impaziente del seguito.
Merda.
« Non preoccuparti, Matt, non eri mica costretto » Hermione rise nervosamente, sentendosi gli occhi di Ron attaccati addosso.
Ma in che situazione si era cacciata?
Merda.
Blaise sorrise di nuovo.
« Interessante » sussurrò il ragazzo di colore a Theodore, inclinando ancor di più le labbra e mostrando i denti bianchi in una pallida imitazione di un sorriso.
Davvero interessante.

***
 

 

Il dormitorio Serpeverde era silenzioso, quasi come sempre, e se Pansy Parkinson aveva quasi mutilato il bracciolo della poltrona preferita di Blaise – minacciando tutti di morte violenta se avessero ancora parlato della questione “Santi” in sua presenza – quest'ultimo non le aveva dato corda, accomodato docilmente tra i cuscini verde-argento del divanetto accanto al cammino dalle fiamme azzurrognole.
« Perché sorseggi succo di zucca in un bicchiere di cristallo? » domandò Theodore al suo fianco, alzando appena gli occhi dal libro di Artimanzia.
« Fa scena, amore » disse ovvio, mentre i suoi occhi brillavano di perfidia.
« Anche la canna fa scena? » domandò Theo, alzando un sopracciglio scuro con sarcasmo, mentre Blaise lo guardava con un espressione che urlava “sei stupido come sembri o cosa?”
« Quella è per i nervi, dolcezza » rispose, ciccando nella borsetta di Millicent, nascosta chissà dove a mangiare dolci.
« Comunque, dicevo: una scommessa, Theo. Una scommessa da cinquemila galeoni » disse Blaise, bevendo un sorso di succa di zucca e facendo girare il contenuto roteando dolcemente il polso.
A Theodore cadde il libro di mano.
« Che scommetti? » domandò, allentandosi il colletto della divisa e arrossendo appena sulle orecchie.
Blaise spense il filtro della canna, godendo nell'avere tutta l'attenzione puntata su di sé.
« Due mesi per Draco e la Granger.
Due mesi per innamorarsi e dirlo a tutti.
Due mesi per una scazzottata di gelosia da parte di Draco.
Due mesi per farlo sorridere.
Due mesi per farlo tornare a vivere.
Cinquemila galeoni, Theodore, ci stai? » sussurrò febbricitante, guardandolo con sfida e una luce folle nello sguardo.
Due mesi per farlo tornare a vivere, Theo, due mesi.
Ci stai?
« Sorprendimi e giuro che quei cinquemila galeoni saranno sganciati con piacere » rispose Theodore, stringendogli la mano e sorridendo nel suo stesso e identico modo.
Era fatta.
Due mesi, due soli mesi.
Vinci.

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Capitolo 8
*** Capitolo VII - Stay ***


Capitolo VII –
Stay

 




Jadin
Ho detto tutto.
Chi dice di essere nella luce e odia suo fratello, è ancora nelle tenebre” 

 


 

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« E te? Posso salvare te, Draco? »
Draco Malfoy scansò un primino di Tassorosso, girando su se stesso per non colpire un Grifondoro del terzo, impegnato a trafficare con un Corvonero del quinto che lanciava occhiate guardinghe al gruppo di persone che si accalcava l'una sull'altra per avere la precedenza; « Il tuo Prefetto è in giro per i corridoi, Sleeve, ti conviene nascondere qualsiasi cosa tu stia vendendo illegalmente e recarti a lezione. Senza fare colazione, possibilmente, non vorrei che la Mcgranitt, oggi, si ritrovasse con qualche alunno di meno » la sua voce suonò calma e disinteressata, ma più minacciosa di urla e sbraiti, Steeve Jhonson se la diede a gambe ancor prima di visualizzare la sua figura, lasciando cadere un paio di pasticche vomitose e altre schifezze "made in Weasley", venendo seguito a ruota dal Corvonero.
« E te? Posso salvare te, Draco? »
Hogwarts era in visibilio: Natale era alle porte e come ogni anno addobbi e studenti felici saltellavano per i corridoi, dove un'aria gelida filtrava dai grandi archi che sovrastavano l'entrata principale che conduceva alla Sala Grande; il consiglio studentesco aveva allestito un piccolo ballo che si sarebbe tenuto il ventitré dicembre, il giorno prima della partenza, e le uscite a Hogsmeade erano aumentate il doppio per chi doveva ancora trovare il vestito e il regalo giusto da portare a casa.
Draco si sentiva come gli scatoloni messi a ogni angolo della scuola: pieno di un sentimento nuovo e impossibile da tenere a freno, confuso come non lo era mai stato e colorato dentro - dove un disgustoso arcobaleno aveva preso possesso della pietra fredda e grigia del suo cuore. - Non gli erano mai piaciuti i colori, ma quelli gli si addicevano, erano, in un certo senso, parte di lui.
Era il primo Natale che passava a Hogwarts e il primo Natale che passava con una donna che, ora, poteva chiamare "mamma" senza la paura di sorridere ed essere cruciato; probabilmente era una sensazione di benessere che gli riempiva lo stomaco, come se si fosse appena rimpinzato di dolci e doveva ammettere che non era così male. Davvero. L'unica cosa che riusciva a renderlo pensieroso e a volte cupo era quella domanda che lo pressava da un paio di giorni e non lasciava mai la sua mente:
« E te? Posso salvare te, Draco? » la voce di Hermione era calda come il sole di settembre e dolce come la torta alle mele che gli cucinava sua madre quando era alto solo cinquanta centimetri; sentiva lo stesso brivido dietro la nuca di quando lei aveva sussurrato quella frase e scariche altrettanto forti dietro la schiena, dove la spina dorsale si arcuava di tanto in tanto al pensiero delle sue labbra rosse e piene.
Poteva essere salvato? Draco continuava a chiederselo, ma davvero non riusciva a trovare risposta; quella mano tesa nella sua direzione era tremendamente invitante eppure aveva paura. Come quando quegli occhi rossi l'avevano fissato con la morte negli occhi, il bruno di quello sguardo gli incuteva timore. Non voleva perdere e sapeva che se avesse accettato quello sguardo come suo, qualcosa l'avrebbe ferito fino a farlo star male; Draco non voleva: il legno cominciava a cedere e alcune increspature già si notavano attraverso la sua corazza.
Che cosa sarebbe successo se avesse accettato quella salvezza? Che cosa sarebbe successo se si fosse sgretolato? Non voleva ridursi in pezzi, ma non voleva nemmeno escludere la possibilità di essere - finalmente - se stesso.
Lei ne era capace.
Lei sapeva tirare fuori quel lato.
Lei cominciava a far parte di quel lato.
Si sentiva diviso tra due fuochi, ma se sapeva che uno rappresentava il bene e la salvezza, non conosceva la funzione dell'altro fuoco: non sapeva cosa ne avrebbe ricavato e come sarebbe uscito da tutto quello e ci stava andando con cautela... ma, purtroppo, già ci si stava bruciando, senza impedire questo processo, senza provare nemmeno ad allontanarsi.
« E te? Posso salvare te, Draco? »
Gli piaceva, maledettamente.
Draco voleva bruciare tra quelle fiamme, solo che non riusciva ad ammetterlo: quel calore lo sentiva suo, era suo, ed era capace di fargli vibrare l'anima, ma lo respingeva inutilmente; quella stessa anima che aveva creduto persa ora urlava senza fermarsi, riuscendo a farlo impazzire e fargli perdere la ragione.
Lei, solo lei e sempre lei.
Aveva perso il lume della ragione insieme a lei, con lei, solo con lei e sempre con lei.
Era un qualcosa che gli riempiva l'anima e il cuore e, quest'ultimo, da quando lei gli aveva sfiorato lo sterno, batteva ogni giorno, con violenza e lo faceva per non fargli dimenticare che c'era ed era lì, pronto a sfracellarsi, pronto a sbalzargli fuori dal petto e non tornare mai più indietro, pronto a innamorarsi e diventare nuovamente di pietra alla prima delusione.
« Chi è che ti ruba i pensieri, Caposcuola? » Daphne gli sfiorò il lobo dell'orecchio con le labbra, sorridendo maliziosa e bloccandolo a pochi passi dall'entrata della Sala Grande, comparendo alle sue spalle come un fantasma... ma molto più pericoloso, micidiale, cattivo; la sua mano piccola e pallida era posata sul suo fianco rigido e il mento posato sulla spalla, mentre gli occhi azzurri osservavano le persone sfiorarli appena per poi sorpassarli, ignorarli, oppure guardarli di sottecchi e cercare di capire i loro sussurri, senza sentire l'odio che quasi affogava le parole, le dita che cercavano di sfregiare la carne e la speranza di far del male all'altro con una perfidia quasi innata.
« Nessuno, ma nemmeno questo ti riguarda, vero, Daphne? » mormorò Draco, inclinando il capo e lasciando che le unghie della bionda penetrassero nella divisa, sul bicipite, mentre la sua frangia gli solleticava la guancia destra. Daphne rise, alzandosi sulle punte e allacciandogli le braccia attorno al collo; il suo primo istinto fu di sciogliere quella stretta e indietreggiare, sapendo quanto fosse velenosa, sicuramente, Daphne non ci avrebbe pensato due volte a morderlo.
Sentiva il suo seno aderire alla sua schiena, la gonnellina della divisa sfiorargli le natiche e il suo fiato - che sapeva di menta, di odio - era quasi piombo tant'era irrespirabile. Draco annaspò.
« Non metterci nessuna speranza, Draco; siamo stati marchiati come carne da macello, la storia si sta ripetendo e questa volta siamo noi i protagonisti. Non puoi essere salvato, nemmeno se t'inculi il Salvatore del nostro Mondo; ora siamo noi i prescelti e preparati a morire con dignità perché - che tu lo voglia o no - ci aspetta l'Inferno » sibilò Daphne e Draco gelò completamente.
Non capiva cosa Daphne avesse captato nel suo sguardo, ma lei aveva compreso e gli stava togliendo qualsiasi speranza. Gli stava urlando che era nato come Serpe e sarebbe morto come una lurida e viscida Serpe; nessuno l'avrebbe salvato, nemmeno lei e, come richiamata, la S sul suo petto bruciò come ciocchi ardenti su carne viva.
Draco stinse i denti e lei ridacchiò, baciandogli delicatamente le labbra strette e soffiandogli sulla bocca, suscitandogli ancor più rabbia; cercò di respirò a fondo e di sfuggita vide gli occhi di Theodore evitarlo.
Abbassò il capo e spostò con forza i capelli dagli occhi stretti in due fessure. Daphne lo lasciò solo con la consapevolezza di avere il potere di poterlo spezzare ancora e ancora.
Il volto di Hermione sfumò e la "S" bruciò con furia omicida.
« E te? Posso salvare te, Draco? »
« Mi rendi le cose troppo facili, Malfoy » Ron lo sorpassò, ficcandogli una spallata ben assestata e sorridendo ironico; prenderlo per la cravatta rosso-oro e sbatterlo al muro, sfogare la propria frustrazione su di lui e prenderlo a pugni, sarebbe stato fin troppo facile, ma colpirlo con quelle nocche sbiancate dallo stringere troppo i pugni non gli avrebbe dato le stesse soddisfazioni di farlo a pezzi dentro, come lui aveva fatto a pezzi lei.
Weasley voleva la stessa cosa che bramava lui, ma solo per egoismo.
Lui aveva lasciato andare quella che Draco considerava una salvezza, senza curarsene affatto e ora che l'aveva vista lì, salva, nelle mani di qualcun altro, il rosso cominciava a vacillare. Ed era bene. Sarebbe stata una lotta inutile da parte sua, essere il suo migliore amico non l'avrebbe tenuto nelle sue grazie per sempre.
Sbagliare era umano e Weasley lo era fin troppo.
« Anche tu, Weasley, mi rendi le cose troppo facili; il tuo essere irrimediabilmente idiota mi ha permesso di entrare nelle grazie della tua ex senza il minimo sforzo » rispose, incrociando le braccia al petto e spostando le labbra nella pallida imitazione di quel ghigno che, anni fa, sfoggiava giusto per il gusto di farsi odiare. Da tutti. Da Potter. Da lui. Da quegli occhi bruni.
« Mi diverte la tua costanza nel volerla allontanare da qualcuno, ma fidati Weasley, io sono il male minore. Quello che ti ferirebbe di più sarebbe scoprire che il tuo migliore amico - quello cui ti sei sentito costantemente inferiore - sta cercando di prendersela; non sarebbe carino vederli insieme, non è vero?
Escluderti per chiudersi in un mondo dove tu non entreresti nemmeno morto. Vederlo toccare qualcosa che hai sfiorato prima tu, vedere lei amarlo come non ha mai amato te.
Davvero carina come cosa, vero, Weasley? Ti sto aiutando, davvero, quindi resta tranquillo nella tua bolla di estrema ignoranza e idiozia. Io le sto facendo semplicemente conoscere qualcosa che tu non sei stato in grado di darle... sai, quel lato per cui lei non ti ha mai dato l'accesso » l'allusione al sesso - assolutamente falsa - e la rivelazione che Ron temeva più di tutte furono quasi la miccia che diede il via all'esplosione finale.
Le orecchie di Ron divennero scarlatte e scattò così velocemente che fu quasi impossibile evitarlo: lo colpì proprio sullo zigomo e a Draco sembrò di sentire le ossa scricchiolare mentre una macchia nera gli copriva la visuale.
Aveva quasi lo stesso destro di Hermione, ma più forte, deciso, forse più cattivo.
« Ronald! » l'urlo di Hermione superò il chiacchiericcio degli studenti, furioso e preoccupato, seguito immediatamente dalla sua figura.
La sua voce era roca e il suo sguardo aveva seguito la direttoria di quella mano e angosciato il colpo che aveva fatto accasciare il corpo esile - magro, smunto, quasi scheletrico - di Draco Malfoy.
Era pallida quel giorno, più del solito, ma i suoi occhi - nonostante fossero contornati da pesanti occhiaie violacee - erano ugualmente un fuoco che divampava rabbioso, simili a pezzi di pietra incastonata - pietra che ora brillava per la furia omicida che le distorceva i suoi lineamenti stanchi, spossati. -
« Cosa ti è saltato in mente? Sei impazzito? » sibilò, inginocchiandosi di fronte a Draco e toccandogli con delicatezza lo zigomo rosso; aveva perso i sensi e Hermione, per un attimo, si chiese se fosse davvero così fragile come sembrava.
Era di una tenerezza unica, steso lì e colpito con così tanta forza. Strinse i denti e affondò le dita nella carne pallida di Draco.
« E te? Posso salvare te, Draco? »
« Lo difendi pure? Quest'essere immondo - cui ti sei appena inginocchiata - ti ha insultato fino e un anno fa e ti considerava feccia; era presente quando sei stata torturata, quando sei stata marchiata come un animale e non so se tu lo hai dimenticato, ma ha cercato di ucciderci nella stanza delle necessità.
Considera il tuo sangue sporco e indegno, te solo un mezzo per non essere ucciso dai Santi; non so cosa ti attiri di lui e il perché ti faccia prendere in giro da scarti del genere.
Ti consideravo intelligente e la mia migliore amica, ma se vai a letto con il nemico e non mi dici che il nostro migliore amico si è confessato... beh, non sei nessuna delle due cose » Ron sembrava un fiume in piena, non si fermava, aveva il volto pallido e gli occhi infuocati, il vuoto nel petto e il veleno sulla lingua.
La stessa lingua che le aveva accarezzato il palato e si era stretta con la sua in una dolcezza unica ora la stava avvelenando senza remore, ferendola e straziandola dall'interno, senza preoccuparsi del sordo silenzio che vigeva nel suo petto.
Il suo cuore si era fermato per un attimo, l'aveva guardato e probabilmente - per un millesimo di secondo - l'aveva odiato con intensità.
Poteva?
Poteva odiarlo?
Lui e la sua insicurezza, lui e il suo nemmeno accorgersi di spezzarle il cuore. Ma quella volta era diverso, lui lo sapeva eccome, stava calcando quelle parole con ferocia e non si preoccupava dei suoi sentimenti, quella volta la tenerezza non centrava un bel niente.
« Se continuerai a mettere il tuo orgoglio e il tuo senso d'inferiorità davanti a tutto e tutti, perderai ogni cosa, Ronald. Per ora, però, ti sei limitato a perdere me.
Trenta punti in meno a Grifondoro e, se continuerai con questa pagliacciata, sarò costretta a informare la preside dell'accaduto e allora non sarà più di mia competenza questa situazione. Buona giornata » il gelo che aveva avvolto le labbra di Hermione e il tono che aveva usato aveva fatto fermare parecchie persone, stupite.
« Innerva » sussurrò poi, toccando le guance di Draco con la punta della bacchetta e sorridendo appena quando i suoi occhi grigi s'inchiodarono nei propri, confusi.
Hermione lo rassicurò con uno sguardo, accarezzandogli la parte ferita e sospirando; « va tutto bene, ora ti accompagno in infermeria » mormorò, aiutandolo ad alzarsi e così applicata a sostenerlo da non vedere il sogghigno sulle sue labbra rivolto verso Ron.
Le labbra erano tese con dolcezza quasi snervante, rosee e sottili, mentre quella lingua di serpente - velenosa e letale - accarezzava i denti bianchi, quasi con soddisfazione; Draco ammiccò e Ron lasciò cadere le braccia lungo i fianchi.
Era stato così stupido a sottovalutarlo in quel modo, come un uomo qualsiasi, come un umano preso dai propri sentimenti e l'aveva fregato, mettendolo nel sacco come un idiota qualsiasi. S
erpeverde fino all'ultimo, calcolatore fino al midollo.
Doveva aspettarselo, avrebbe dovuto prevederlo.
Il braccio di Draco circondava la vita di Hermione, l'altro le sue spalle. La mano di lei, piccola e bianca, stringeva il suo mantello con forza, come un appiglio, e Ron - anche a quella distanza - poteva vedere le dita contratte e strette, tremanti, ed ebbe paura.
L'aveva persa e se ne accorse quando lei abbassò il capo e le spalle, incurvandosi come solo una volta aveva fatto: quando Harry si era consegnato e sapeva che erano sconfitti, che sarebbero morti, che non l'avrebbero mai più rivisto.
Lei se ne stava andando con la sicurezza di non ritornare mai più, di aver perso - lei, lui, loro - e, dolorosamente, sentì il cuore crollare miseramente.
« Mai, mai sottovalutare il nemico, Weasley. Ci insegnano anche questo a Serpverde » la voce di Blaise alle sue spalle risuonò cupa, quasi spenta, forse pericolosa, forse serpeggiante.
I suoi occhi scuri lo guardavano dall'alto, ma erano diversi dal solito: non c'era niente di gentile nella pupilla dilatata e il gelo che vigeva sovrano nel suo sguardo.
« Avevi la possibilità... lei avrebbe scelto sempre te e tu lo sai bene; hai distrutto tutto perché non sei capace di controllarti. Anche questo ci insegnano a Serpeverde.
Controlla le tue emozioni, nascondi ciò che sei e ciò che hai e sarai sempre, e dico sempre, vincitore » continuò, mentre il viso era adombrato dalle nuvole nere che scurirono la distesa che sovrastava le campagne desolate della Scozia.
Era strana l'aria che tirava: così tesa, tersa di aspettative e rumori - giuramenti fatti al vento, tirati tra mari e monti e arrivati tra quelle mura già un tempo sgretolate. -
Rimbombavano maledizioni tra i tuoni che fecero tremare le fondamenta; qualcosa era alle porte e nessuno di loro era preparato.
« Sarete i primi a morire, come lo siamo stati noi un anno fa » Ron strinse i pugni e guardò il volto del ragazzo con un sorriso ironico dipinto sulle labbra sgretolate dal dolore.
Blaise rise, alzando il volto verso il soffitto e inclinando il capo.
Aveva ragione, purtroppo: sarebbero caduti uno dietro l'altro e stavolta il pericolo era più grande; nessuno conosceva chi si nascondeva dietro questi attacchi. Nessuno conosceva i Santi e nessuno si sarebbe schierato dalla loro parte.
Le apparizioni di quelle "S" marchiate a fuoco sulla pelle erano sempre più frequenti e loro non potevano nascondersi quella volta, scappare non sarebbe servito... loro li avrebbero trovati, anche in capo al mondo.
Una goccia di pioggia accarezzò l'erba alta che circondava il parco magico e un tremore incontrollabile colse le mani di Blaise, tradendolo per la prima volta in vita sua.
Sarebbero morti tutti, uno dopo l'altro, e quel presentimento - presagio - diventava sempre più presente, angosciante, faceva mancare l'aria come una coperta attorcigliata attorno al collo.
In un attacco d'ira afferrò Ron per la collottola, sbattendolo al muro e superandolo di parecchi centimetri: Hermione, a metri di distanza, sentì il tonfo, ma non si girò, continuò a camminare ritta, come se quel tonfo e quello scricchiolio d'ossa non fosse mai arrivato al suo udito.
« Giuro Weasley, giuro sulla cosa più cara, che qualsiasi cosa accadrà voi sporchi Grifoni, verrete seppelliti nella mia stessa sporca e viscida tomba » sibilò a un dito dalle sue labbra, sputando veleno, liberandosi in parte del peso che lo opprimeva.
Lo fece di nuovo, facendo cozzare la schiena di Ron contro la pietra fredda, beandosi dei suoi occhi offuscati dal dolore. Lo lasciò improvvisamente, guardandolo accasciarsi contro il muro e indietreggiando appena, senza pentirsi minimamente del gesto appena compiuto: aveva cose più preoccupanti da pensare; cose che, da quando due giorni fa una civetta delle nevi aveva depositato una lettera sul suo grembo, erano diventate fastidiosamente martellanti.
Sua madre gli aveva scritto. Lei, la grande Katelyn Zabini, gli aveva scritto una missiva.
Lo faceva solo quando c'era un nuovo pretendente in vista e Blaise odiava essere ricevuto a Zabini Manor solo per conoscere quei porci che volevano entrare nelle grazie di sua madre solo per scoparsela.
Non che lei fosse meglio: se li scopava e poi li sposava, solo per soldi, naturalmente. Come se tutto quello fosse naturale oppure anche solo lontanamente normale.
Gli uomini ricchi che sua madre sposava avevano una certa mentalità, cosa che, Blaise, non accettava di buon grado. Così seri, così all'antica, con pensieri bui, oscuri, pieni di falle e valli deserte.
Blaise entrò nella Sala Grande, lasciando Ron alle sue spalle e dirigendosi verso il tavolo delle Serpi, dove si stava consumando una silenziosa colazione. Si sedette di fianco a Theodore, ancora tremante: quel Natale, quel Natale sua madre lo voleva a casa; "ti piacerà, ne sono sicura" aveva scritto, come tutte le altre santissime volte... e come sempre era sicuro che non gli sarebbe piaciuto, come lui non sarebbe piaciuto all'altro.
Sua madre avrebbe dovuto saperlo, i tipi che frequentava non accettavano uno come lui.
Avrebbe dovuto accorgersene dopo i primi due mariti avvelenati.
"Non succederà mai più, amore mio. Quando senti dolore, chiudi gli occhi e vedi che il mondo ti sembrerà più bello. Prometto che la mamma sarà qui a proteggerti" diceva ogni volta che veniva frustrato, cruciato, a volte persino strangolato da quegli uomini che lei sposava per fama e soldi.
All'inizio andava tutto bene, come in quelle favole cui tu stesso stenti a credere; tutto troppo perfetto, tutto troppo nella norma. Poi, tra un giorno e l'altro il suo "segreto", quello che era diventato tale dopo aver scoperto che non era gradito nell'alta società, veniva scoperto e il mondo che era stato regalato a lui e sua madre si capolgeva: le botte, quelle pesanti, le cinte, i bastoni, le maledizioni e il dolore.
La prima volta che era successo, con il suo primo patrigno, sua madre aveva cercato di proteggerlo. La grande Katelyn era stata cruciata e aveva portato i segni sul suo corpo statuario e latteo.
Due giorni dopo il suo patrigno era morto misteriosamente e improvvisamente. No, Blaise non era stupido: era cresciuto tra pozioni ed erbe, veleni e antidoti, conosceva ogni cosa... persino quando una persona assumeva del veleno che non lasciava tracce, bruciando solo ogni cosa.
Lei lo aveva ucciso e lui si era ritrovato colpevole di un omicidio che non aveva commesso.
Ogni miserabile notte che passava sognava quegli occhi chiusi pacificamente e quella voce che lo richiamava dal profondo, incolpandolo di ogni cosa. Tecnicamente non aveva versato lui il veleno nel succo di zucca mattutino dell'uomo, ma la colpa era sua.
La volta dopo era stata peggiore. Due, tre, quattro, cinque, sei e sette, otto, ognuno di loro aveva la stessa reazione e se alcuni nemmeno si permettevano di sfiorarla con un dito, lei reagiva sempre peggio agli abusi che lui subiva sotto il suo stesso tetto.
"Chiudi gli occhi, amore mio, ogni cosa passerà in un battito di ciglia" gli sussurrava dolcemente, coccolandolo come un bambino bisognoso di aiuto.
Delle volte aveva paura di restare solo con lei, ma poi il sangue era diventato visibile sulle sue mani: sua madre non centrava niente, era tutta colpa sua.
Solo colpa sua.
Sempre colpa sua.
« Ehi, Blaise, tutto bene? E' mezz'ora che fissi il vuoto » Theodore gli sventolò una mano davanti al viso, ripescandolo dal suo stato di trance. Sorrise con un vuoto nel cuore incolmabile, sentendo le cicatrici bruciare a una a una, come per ricordargli che la tortura stava per ri-iniziare.
Come per ricordargli che non era finita, ma appena iniziata.
« Tutto bene, grazie » rispose, respingendo il cibo con una smorfia e stringendo i denti. Lui non aveva fatto niente, non aveva mai fatto niente: in realtà nemmeno si considerava diverso, almeno non al punto da doversi nascondere.
Disonore, la pecora nera della famiglia, una macchia scura sulla loro casata, erano quelli gli epiteti con cui veniva catalogato: qualcosa da eliminare, come se fosse sporco dentro.
Come un animale.
Blaise aveva due gambe e due braccia, due occhi e un naso, una bocca e due orecchie; amava come qualsiasi altro essere umano, se non di più, ma mai di meno. Soffriva come qualsiasi altra persona, se non di più, ma mai di meno.
Eppure... eppure non andava bene.
Non sarebbe mai andata bene.
« Avvisa tua madre che non puoi tornare a casa per Natale, abbiamo una scommessa da gestire e portare a termine. E poi quasi nessuno ritorna a casa, quest'anno... Hogwarts, per adesso, è il luogo più sicuro per noi » sussurrò Theodore a bassa voce, mentre il soffitto sulla sua testa rispecchiava l'umore dell'amico.
Gli sfiorò delicatamente la spalla, senza farsi notare, ricambiando appena il sorriso che Blaise - tra un gemito e un verso strozzato - gli regalò.
« Hogwarts, per adesso, è il luogo più sicuro per te » bisbigliò Theo, versandosi del succo di zucca e distogliendo lo sguardo dal suo viso. Blaise sospirò: era stato lui a curare le sue ferite quando, troppo profonde, non erano guarite nemmeno con le pozioni rigeneranti di sua madre.
Punti di sutura, ecco come li chiamava e ricordava che facevano un male cane, ma nonostante tutto non aveva mai saputo perché portasse quei segni sul corpo. Gli chiedeva cosa, quando e perché, per risposta aveva sempre ricevuto solo gemiti di dolore e il cuscino strapazzato di morsi per non urlare.
« Puoi... puoi farlo tu? » la sua voce risultò ovattata persino alle sue orecchie, troppo lontana, troppo debole. Theo annuì, guardando alla sua destra: Harry Potter sedeva silenzioso al tavolo dei Grifondoro, perso in un mondo tutto suo; dovevano muoversi e se Draco cominciava a farlo apertamente, loro avrebbero dovuto usare più pazienza.
Pansy occupò il posto al suo fianco, silenziosamente. Certe volte, quella ragazza, gli metteva paura: da quando i suoi erano stati arrestati il suo silenzio era perenne e fastidioso, carico di sottintesi, come se capisse ogni cosa e captasse ogni errore.
I suoi capelli lunghi erano raccolti e lasciavano il viso scoperto, duro e impenetrabile; la mascella era contratta e gli occhi neri fissavano il cibo che si stava servendo con una lentezza estenuante.
Le labbra sottili erano tese, mangiucchiate e sul bordo roseo vide il segno dei denti quasi con precisione disarmante.
« Draco è stato preso a pugni » disse improvvisamente, attirando l'attenzione di alcuni compagni di casa su di sé. Blythe scattò, ma Pansy lo afferrò per il bordo del mantello, sbattendolo duramente sulla panca.
« Calma, nanetto, c'è la Mezzosangue con lui » disse irrisoria, affondando - quasi con cattiveria - il coltello nelle uova.
La sua rabbia era la stessa che aveva usato per salvare la Granger e Blaise rise, alzando il volto verso il soffitto buio. Erano le nove di mattina, ma sembrava notte inoltrata: una donna innamorata era pericolosa, più del consentito... ma una donna innamorata e non ricambiata, lo era più del lecito.
« Che hai intenzione di fare, Pansy? » sussurrò roco, fissandola seriamente. Pansy scosse il capo, lasciando che alcuni ciuffi neri le accarezzassero il volto pallido.
« Niente, Blaise, assolutamente niente.
Il mio unico piacere sarà vederlo soffrire per mano della sua dolce amata, giusto per il gusto di fargli sentire quello che ho sentito io. Per il resto mi aspetto delle scuse plateali per il dolore che mi ha causato » rispose, calma, come se stesse discutendo del tempo e non di altro.
Blaise sghignazzò: le donne, ah, le donne, con il loro sesto senso e la capacità di capire le cose prima degli altri. No, loro non pretendevano cruda vendetta, bastava loro solo la stessa moneta con cui erano state ricambiate.
Merlino, se le adorava!
Le donne come Pansy sapevano essere generose ed egoiste, dolci e velenose, bastarde ed egocentriche. Con quelle mani sapevano accarezzare e uccidere, con le braccia stringere e strangolare.
« Lo hai detto stesso tu, moriremo tutti, Pansy, perché non usare il nostro tempo in un modo migliore che vedere gli altri soffrire? » disse Theodore, spegnendo il sorriso sulle labbra della ragazza.
Probabilmente non era cattiveria - oppure sì, conoscendo Theo e la sua imprevedibilità si sarebbe aspettato tutto da lui - ma Blaise sapeva che in fondo, molto in fondo, tutti volevano bene a "picchia duro Parkinson", il soprannome che le avevano affibbiato al secondo anno, quando aveva picchiato un Serpeverde del quinto perché le aveva detto che era brutta.
Ma Pansy era stata così innamorata da aver perso persino se stessa, allontanandosi da tutto e tutti, chiudendosi in un mondo e lasciandosi trascinare da due occhi che non l'avevano mai guardata; Draco non l'aveva mai inquadrata per quel che era veramente, forse come tutti loro in realtà.
« La mia indole da Serpeverde non me lo permette » rispose, pulendosi delicatamente la bocca con un tovagliolo e contraddicendosi con il brusco movimento delle gambe, che si alzarono di scatto permettendole di fuggire.
Lo faceva sempre, quando non voleva dare risposte. Lo faceva sempre, quando non sapeva cosa ci sarebbe stato dopo. Eppure, Pansy, poi, restava sempre.
Draco la feriva, la insultava, il più delle volte la usava e poteva anche ucciderla dentro, ma lei restava lì a farsi ferire, insultare, usare e persino uccidere. Agognava una carezza e se ne beava.
Lo amava come solo loro vigliacchi sapevano fare: in silenzio, con sofferenza, quasi con odio.
« Falla respirare, d'accordo? E' sotto pressione da un bel po' e con i suoi sotto chiave non sa dove appoggiarsi... » mormorò Theodore, alzandosi e afferrando la borsa per recarsi a lezione.
Si allontanò sotto gli occhi di Daphne, che si portò del caffé amaro alle labbra, sotto quelli di Blaise - perso in quel limbo di solitudine dov'era caduto quando sua madre gli aveva inviato quella lettera.
Si allontanò sotto gli occhi di Astoria, che si trattenne dal darsi a morsi da sola.
« Andiamo? » Theodore guardò Blaise con impazienza, incitandolo a seguirlo.
Lo affiancò e ricambiò il suo sguardo inclinando il capo. « Dici che Draco sta bene? Ultimamente gliene stanno capitando di tutti i colori » disse Theodore, arricciando il naso e guardando verso il tavolo dei Grifondoro, dove mancava il solito trio.
Blaise rise.
« Draco mi sta regalando quei galeoni senza nemmeno saperlo... senza che io faccia niente » disse Blaise, quasi soddisfatto del destino che l'amico si stava creando con le proprie mani, senza l'aiuto di nessuno, senza che nessuno scrivesse per lui quella volta.

Dall'altra parte del castello, invece, Draco stava maledicendo quel maledetto di un Weasley per averlo colpito. Certo, vendicarsi con quelle rivelazioni affatto gradite gli avevano risollevato di parecchio il morale, ma uno zigomo rotto non era certo uno scambio equo.
« Maledizione, Malfoy, com'è che ultimamente sembri Harry? Dove c'è un guaio ti ritrovi tu in bella vista con un cartellone con una scritta luminosa che recita "ehi, sono qui!" » sbuffò Hermione, che - fortuntamente - aveva due ore di buca prima di iniziare con le lezioni.
Ultimamente, con tutto quello che era successo, con sirene, Santi e botte annesse, si era dedicata ben poco allo studio, ma studiare tot. ore al giorno, portandosi avanti e non limitandosi ai compiti assegnati il giorno dopo, si stava rivelando più che utile.
Draco sbuffò, fissandola con insistenza e alzando orgogliosamente il mento. « Non paragonarmi a Potty, Mezzosangue » soffiò sprezzante, mentre Hermione gli accarezzava la guancia spargendo dell'unguento - fin troppo puzzolente - sulle parti lese.
« Simpaticissimo, guarda » sibilò in risposta, mentre la Stanza delle Necessità le offriva un servizio di primo ordine da crocerossina; era il primo posto a cui aveva pensato: non voleva che Madama Chips facesse delle domande e informasse la preside dell'accaduto. Aveva minacciato Ron, ma non voleva metterlo veramente nei guai.
« Mi hai difeso » mormorò Draco a bassa voce, afferrandole il polso e costringendola ad avvicinarsi un altro po'. Non la stava ringraziando né rimproverando: la sua era una costatazione, quasi sorpresa, forse compiaciuta, in quel momento non sapeva dirlo.
Il suo respiro era troppo vicino al proprio e i suoi occhi troppo applicati a fissarla, studiarla, scioglierla.
« E' un reato, signor Malfoy? » mormorò Hermione, ricambiando lo sguardo con sfida, abbozzando un sorriso arrabbiato e abbattuto, ma fiero, quasi orgoglioso di essere lì, nonostante il dolore della perdita che le affievoliva il battito del cuore.
« No, non lo è » rispose, mentre la osservava afferrare una boccetta di unguento per evitare il gonfiore. Era applicata, evitava di guardarlo appieno, ma era vicina, così vicina da poterla osservare nuovamente come l'ultima volta e - si rese conto - gli piaceva guardarla in quel modo.
Era da un centimetro dal suo viso.
Era ipnotizzato quasi quanto lei e gli era quasi impossibile distogliere lo sguardo; il suo respiro gli accarezzava il volto e la bocca schiusa e poteva quasi sentire l'odore del burro e del miele che spalmava ogni mattina su una fetta di pane tostato per la solita e abituale colazione.
« Posso quasi considerarmi la causa di tutte le tue sfortune » mormorò Hermione, continuando a spargere l'unguento sulla guancia; Draco non rispose, trattenendo a stento un sorriso: era vero, da quando lei gli aveva rivolto la parola non gli era successo niente di buono, ma lo stava toccando.
Lo stava toccando e tremava sotto le sue delicate dita, sotto il suo sguardo divertito e un po' dispiaciuto e il sapore del suo respiro che desiderava rubare, rapire, renderlo proprio e soffocare sulla sua bocca rosa e carnosa, piena di promesse e speranze, dolori e angoscie.
Hermione Granger era il suo inferno e lo era stato per sette anni; la sua superbia era irritante come il suo insuperabile orgoglio. Lei, così sporca - come perennemente gli aveva ricordato suo padre - camminava a testa alta ed era capace di superarlo in quasi tutte le materie, permettendosi di insultarlo - colpirlo - odiarlo e guardarlo dall'alto in basso.
Lui, con il sangue più puro di tutta l'Inghilterra messa insieme.
Era coraggiosa e aveva la forza di vivere e pensare come volesse. Lui no. Poi la scoperta del sangue impuro del Signore Oscuro, l'umiliazione della sua famiglia, l'incarico di uccidere Silente; l'incertezza di tutte le sicurezze che l'avevano accompagnato fin da bambino.
Probabilmente l'amore per se stesso aveva superato quello per il suo stesso sangue.
« Forse hai tutte le ragioni del mondo per odiarmi... oltre il solito motivo » continuò Hermione, bisbigliando e abbozzando un sorriso un po amaro, forse consapevole del sbagliato.
« Forse hai ragione » rispose Draco, afferrandole la mano sporca d'unguento e spingendola contro il livido che si stava formando sullo zigomo.
Ora era il suo inferno perché lo spogliava con gli occhi, guardando la sua anima corrotta e vigliacca senza tirarsi mai indietro. Aveva toccato il suo cuore e l'aveva sentito prepotente contro lo sterno, facendogli quasi dolere le costole.
Forse non era in grado d'amare - e questo lo sospettava anche lei - ma la sentiva dentro viva, danzante, un fuoco. Era la sua luce mentre lui si sentiva una stupida falena, irrimediabilmente attratta, impazzita, consapevole di potersi bruciare ma strafottente. Pronta. Senza controllo.
« Mi dispiace » e lì Draco impietrì. Lei gli stava quasi chiedendo scusa per ciò che non aveva fatto.
Draco spinse la sua mano con più forza contro di se, beandosi di ogni cosa di lei. « Parli troppo per i miei gusti » disse con voce acre, alzando il viso e accostando le labbra alle sue. Hermione non si scostò, ma non lo sfiorò nemmeno di striscio, inclinando il capo e lasciando che quei ricci - che aveva imparato ad adorare - cadessero sulla spalla coperta dalla divisa.
Draco soffiò sulle sue labbra e le morse, giusto per farle sentire lo stesso dolore che sentiva lui quando gli stava vicino. Giusto per farla male come stava male lui ogni volta che lo ignorava.
Hermione continuò a non spostarsi: aveva gli occhi socchiusi ed era così piccola confronto a lui, così fragile confronto a lui; strinse le dita tra i riccioli, le tirò qualche ciocca e l'avvicinò ancor di più alla sua bocca, sfiorandole la spalla con l'altra mano.
« Guardami » sussurrò Draco sulla sua bocca, fissandola serio in volto. Lei aprì gli occhi e lui tese le labbra in un ghigno, lo stesso che aveva osservato e disprezzato per anni, lo stesso che la stava spingendo a ricambiare quasi nello stesso modo.
« Mi piace anche così, in questo modo, in questo momento, con degli stronzi alle calcagna e i tuoi ex che vogliono farmi lo scalpo. Mi piace e basta, d'accordo? » disse, sorprendendola.
Il sogghigno di Hermione si allargò, forse come il suo cuore. Di poco, ma di più confronto a prima.
Aveva detto tutto ciò che le bastava, in quel momento, probabilmente per i prossimi giorni... e se sarebbe durato di più non le sarebbe dispiaciuto affatto.

 

**


Le lezioni erano finite da un pezzo, ma Hogwarts era ancora in pieno fermento, come se la giornata fosse appena iniziata; i ragazzi del settimo anno giravano per i corridoi impazziti, cercando di non perdere di vista l’obiettivo iniziale: organizzarsi per il ballo e per le festività natalizie, che avrebbero tenuti alcuni di loro lontani dal castello per un po’.
Ciò che comunque aveva fatto impazzire gli alunni era quel piccolo ballo studentesco: poteva quasi dirsi che il Ballo del Ceppo era stato l’unico allestito ad Hogwarts in quei tempi così bui e molti non ci stavano più nella pelle. Il coprifuoco era un ottimo compromesso tra studenti e insegnanti e altri già parlavano di ritirarsi nei propri dormitori per finire con i compagni i festeggiamenti; Grifondoro stava allestendo tutto alla grande e – sorprendentemente – ancora non erano incappati nella furia “Granger”, ultimamente troppo impegnata per accorgersi dei bisbigli che animavano i suoi compagni di casa e un discreto via vai macchinato alle sue spalle.
Le ragazze speravano in quella sera per ricevere l’attenzione da un ragazzo carino, mentre i ragazzi speravano in un po’ di sano divertimento che lì, tra quelle mura, non era sempre possibile goderne.
Theodore Nott si era tirato, naturalmente – avrebbe detto qualcuno – fuori dai giochi; studiare per i M.A.G.O, aiutare i suoi compagni di casa a non schiattare e cercare di avvicinare, insieme a quell’idiota di Blaise, quel serpente di Draco alla Granger, gli occupava già abbastanza tempo.
Se poi ci si mettevano le due sorelle Greengrass il quadro era completo e anche di merda.
Lo stress cominciava a farsi sentire e non solo a livello mentale, ma anche fisico: si sentiva sempre stanco ed erano più le volte che lasciava il cibo nel piatto che le volte in cui lo mangiava; i mal di testa erano frequenti e ci si era messo anche Blaise con i suoi problemi: Theodore non avrebbe mai dimenticato la prima volta in cui aveva visto le cicatrici dell’amico, mai, e il pensiero che avrebbe dovuto guarire delle ferite simili, di nuovo, ancora, gli veniva la pelle d’oca.
Stare nella Sala Comune era diventato l’unico modo per avere un briciolo di tranquillità: dopo gli accaduti dei giorni scorsi i Serpeverde erano molto silenziosi e cauti, giravano poco spesso da soli e preferivano stare in compagnia tra i corridoi del castello, magari nelle vicinanze di un professore che – se mai fosse successo qualcosa – li avrebbe aiutati prima che schiattassero tra atroci sofferenze.
Oramai era diventata una guerra aperta: nessuno si fidava di nessuno, molti avevano sospettato un infiltrato tra le Serpi e se Draco non fosse stato colpito per primo sicuramente gli avrebbero fatto lo scalpo per il tiro bastardo che aveva giocato durante la fine della Seconda guerra Magica.
Nessuno si fidava di nessuno, uno era pronto ad azzannare l’altro e la situazione era diventata irrespirabile; Draco si era trasferito per la punizione e non averlo sotto mano gli metteva ansia: Theodore aveva la perenne paura che qualcuno lo accoppasse, tra i Santi, Weasley e Potter non sapeva chi fosse più pericoloso, ma dalla faccia – ultimamente – cominciava a preoccuparsi del rosso.
Tirava aria di vendetta e bella pesante, questo era certo. Lo sentiva sulla pelle come una scossa e non gli piaceva.
Astoria, seduta sulla poltroncina adiacente alla sua, girò una pagina di Trasfigurazione Avanzata con forza.
Silenziosa come sempre, inquieta come mai: accavallava le gambe, si toccava i capelli, spostava gli occhi dal libro che – oramai – studiava da un paio d’ore. Di sottecchi la vide sorridere amareggiata e solo un minuto dopo capì perché: Theodore si mosse a disagio sulla poltroncina verde-argento quando un ticchettio di tacchi – fin troppo familiare – rimbombò alla sua sinistra, verso l’entrata della Sala Comune.
Theo non spostò lo sguardo dal libro di Pozioni, ma rabbrividì quando i capelli biondi della persona che aveva appena varcato la soglia della Sala lasciarono un delicato odore di miele per la stanza; Astoria lo guardò con un sopracciglio alzato e due dita gli accarezzarono la spalla. Infide. Fredde. Gli occhi verdi di Astoria si abbassarono e Theo si sentì morire.
Daphne sorrise alle sue spalle.
Le due sorelle Greengrass, oramai, sembravano aver preso gusto a torturarlo con cattiveria.
Continuamente.
Senza smettere mai.
Ancora e ancora.
« Ciao » la voce di Daphne era roca, violenta e aggressiva, come quando facevano l'amore e gemeva al suo orecchio, graffiandogli le spalle con forza e inarcando la schiena per sentirlo con più prepotenza.
Lei sapeva di farlo impazzire e usava tutto a suo favore, Astoria no, appena la sentiva, era delicata, dolce, sospirava sul suo collo inclinato e si mordeva con forza le labbra per non fargli sentire a pieno la passione che le faceva tremare le membra. Si muoveva e gli risucchiava via l’anima.
Theodore strinse le pagine del libro tra le dita, girandone una e inghiottendo a vuoto, mentre pensava che era vero quel che diceva Blaise: era diviso tra due fuochi completamente diversi e ineguagliabili.
Incapace di scegliere.
Incapace di smettere.
Daphne era la sua parte cattiva, quella che danzava e godeva del suo dedicarle continuamente attenzioni; a lei piaceva quando la stringeva con forza e le faceva capire che era solo sua.
Daphne era lussuria e gli faceva respirare altrettanta libidine; lo tentava, lo avvolgeva tra le sue spire e troppe volte aveva cercato di soffocarlo senza che nemmeno se ne rendesse conto.
Lei era quella che faceva storie quando le raccontava qualcosa, pronta a spaccare il mondo se non andava nel verso che voleva lei; era sesso, sesso allo stato puro, così travolgente da togliergli il fiato.
Astoria no, no, lei era la sua parte buona. Astoria no, era dolce, era lenta, asfissiante, toglieva il fiato con una sola carezza ed era capace di farlo impazzire con un solo sorriso.
Astoria era un lungo respiro d'estasi ed era silenziosa, quasi quanto lui.
Sorrideva, molto più di lui.
Lo ascoltava con attenzione e solo alla fine gli dava giusti consigli, quelli di un vecchio saggio che ha visto e assaggiato il mondo; Astoria era un veleno micidiale, ma agiva piano, in modo lento, con dolcezza.
Daphne era tutto e subito, le bastava sbattere i piedi e ogni cosa andava come voleva lei, dove voleva lei e quando voleva lei... Astoria no. Sapeva i punti che doveva toccare e i muri contro i quali andare a sbattere.
« Ciao » rispose Theodore, guardando Daphne sedersi al suo fianco, scuotendo i capelli e sorridendo civettuola.
Astoria accavallò le gambe e Daphne gli accarezzò il ginocchio con i polpastrelli.
Era racchiuso lì, tra due fuochi diversi, ma che riuscivano a farlo impazzire allo stesso modo.
Daphne aveva i capelli del colore del grano, quelli di Astoria erano bruni, come la corteccia di un albero; la sorella più grande aveva occhi azzurri come il cielo in estate e la pelle color della porcellana, la minore gli occhi verdi delle foglie in autunno e le gote rosse come le labbra carnose.
« Più tardi ho bisogno di te » disse Daphne, senza nemmeno arrossire per l'allusione che aveva appena fatto.
Ho bisogno di te.
Astoria distolse lo sguardo, stringendo il libro tra le dita e ignorando la malizia che vigeva negli occhi di sua sorella.
Eterne rivali.
« Non lo so » rispose, mentre Astoria si rilassava impercettibilmente e ringraziava Merlino e Morgana per il sale in zucca che – solo ogni tanto – Nott sembrava mostrare.
« Non era una richiesta, Theodore » la voce di Daphne risuonò secca e gelida come una frustrata di vento invernale. No, non era una richiesta e Astoria sorrise: quando mai le parole di sua sorella lo erano mai state? Non sapeva prendersi niente con intelligenza, era tutto lì, nelle gambe lunghe e negli occhi azzurri; era tutto nella voglia di conquistare ed essere sempre al di sopra di tutto e tutti, ma niente, niente le apparteneva mai veramente.
« Non sono il tuo schiavo, Daphne, cara » rispose Theodore, respirando con enfasi e guardandola arrabbiata. Quello era uno dei tanti motivi per cui Daphne pretendeva che Theodore fosse suo e basta: lui non si faceva problemi a dirle quello che pensava, a metterla al suo posto e sbatterle in faccia la verità, la realtà e dirle che non era la principessa di nessun paese e non poteva comandare chiunque a bacchetta.
Ecco perché sua sorella lo voleva con tutte le sue forze, perché era l’unico che non cadeva ai suoi piedi, ma le stava vicino comunque, ma come voleva lui, non lei.
E, stronza traditrice, sapeva che Astoria ne era innamorata da tempi immemori, forse da quando i genitori di entrambi avevano deciso di organizzare loro un matrimonio combinato.
Fottuta stronza traditrice.
« A dopo » impassibile la vide baciare le labbra dell’uomo che – contro o con il suo volere – si infilava nel suo letto ogni notte.
Astoria sorrise ancor di più: quella volta non aveva vinto lei, no.
Poteva anche sedurre Theodore ogni giorno, convinta di averlo nelle sue grinfie per il contratto che li univa, ma Astoria e lui stesso conoscevano la verità.
Theo spostò lo sguardo da Daphne a lei, tremando nell’incontrare il suo sguardo.
Astoria gli aveva rubato il cuore e sua sorella poteva anche vantarsi d’usufruire del suo corpo, ma solo lei di notte udiva quei “ti amo” detti a bassa voce.
Quella volta, si accorse soddisfatta, aveva vinto lei.

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Capitolo 9
*** Capitolo VIII - Kiss ***


Capitolo VIII -
Hours

 

"L'avrei mandato al diavolo, all'inferno, da qualunque parte, ma giuro, sarei andata a riprendermelo!"



 

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« E' fredda questa notte, Weasley, perché non te ne torni nei tuoi dormitori? » la voce di Blaise rimbombò tra le mura della Torre di Astronomia, dura e vuota, ma Ginny non si mosse dal cornicione della torretta più alta; la vista era da mozzare il fiato da lassù e sarebbe valsa la pena una punizione se qualcuno l'avesse beccata per i corridoi a notte fonda.
I piedi nudi penzolavano nel vuoto, mentre i capelli rossi ricadevano lisci lungo la schiena magra e scarna; il maglione bianco che indossava era molto più grande di lei e quasi si confondeva con la pelle pallida in netto contrasto con il buio della notte, avvolgendola come una soffice nuvola di lana.
« Nemmeno lo sento il freddo, Zabini » bisbigliò Ginny, senza nemmeno abbassare lo sguardo per guardarlo in faccia; fissava ipnotizzata le stelle e poco si preoccupava della sua presenza alle proprie spalle, avversaria, pronta a colpirla senza premurarsi delle conseguenze. Sorrise, nel buio, stringendo la consistenza rude della pietra che la sosteneva, oramai, da due ore buone.
« E fin quando non rompi puoi restare, non ho certo paura di te » continuò, calcando l’ultima parola con tono divertito e fissandolo, finalmente, con eloquenza; Blaise non sapeva se offendersi o meno, ma - cercando di ignorare la sua figura - si sedette ad un angolo opposto al suo, dimenticando la fattura pregiata dei pantaloni neri che indossava, sul pavimento dalla pietra gelida, rabbrividendo per il freddo e accendendosi, ritrovando un nuovo entusiasmo, quel tanto sospirato spinello che - per tutta la giornata - non era riuscito a fumare. Aspirò e blocco il fumo nei polmoni, socchiudendo gli occhi scuri e lasciando che i muscoli si distendessero da soli, a priori, come succedeva ogni volta che quella roba gli andava in circolo.
Rabbrividì, dimenticando – per un lungo e dolce attimo – tutti i pensieri che quel giorno avevano fatto da padrone al suo cervello, al suo cuore, infettando per quelle ore infinite la sua anima. La sentiva già così nera.
« Com'è che la tua roba ha un odore buono e quello che vende Dean puzza? Merlino, che gli fai vendere? » mormorò Ginny, riferendosi all’erba che stava fumando e buttando le gambe verso la saletta circolare dov'erano chiusi, sporgendo la schiena verso il buio di quell'arcata che aerava l'aula e dava piena vista sul parco di Hogwarts.
« Si chiamano "regali pregiati" per chi si mette in pericolo per vendere questa roba; se la Mcgranitt venisse a sapere che un Grifondoro e un Serpeverde collaborano per vendere una sostanza illegale, prima si congratulerebbe con noi per la complicità e poi ci caccerebbe da scuola a calci nel culo. Io e Thomas ci facciamo dei regali quando arrivano le spedizioni dall'Italia e, naturalmente, ci prendiamo il meglio. Non sono scarti quelli che vendiamo, fidati, ma non è arrivano alla “purezza” di quello che ci teniamo per noi » borbottò Blaise, mentre Ginny allungava un braccio verso di lui, sicuro.
Non tremava, non tentennava e a volte Blaise ammirava la sua sicurezza: era la donna più forte e sicura che avesse mai conosciuto, tenace e orgogliosa come pochi e – in un certo senso – da prendere come esempio. Forse per non arrendersi, forse per prendere in mano le redini della propria vita. Come lui non aveva mai avuto il coraggio di fare.
« Mi fai fare un tiro? » domandò, inclinando il capo e venendo illuminata dalla luna; non sembrava vergognarsi di chiederglielo, ma non sembrava nemmeno che si vantasse di saper fumare e volerlo fare: in quell’ultimo periodo aveva venduto quella roba a ragazzine che lo facevano solo per farsi notare da lui o da altri idioti che ripetevano lo stesso sbaglio infinite volte. Sì, Blaise viveva sulla stupidità della gente – e anche sulla sua, se proprio voleva rigirare il dito nella piaga – ma il resto ce lo mettevano loro; certo, non disprezzava chi fumava quella roba, ma nemmeno l’adorava per farlo. Erano sbagli che infondo, da ragazzi, si ripetevano infinite volte. Ma quelle ragazze, poi, non potevano sapere che apprezzava di più un fisico scolpito che un paio di tette grosse; era raro che incontrasse una donna che gli piacesse veramente, di solito i suoi occhi si concentravano su tutt’altra sponda.
Era gay, su questo poteva metterci la mano sul fuoco, ma c’era stata una donna – in passato – in grado di rubargli il cuore; assomigliava tanto a Ginny e non solo fisicamente: era forte e coraggiosa come lei, viva, simile ad un fuoco che, di questo ne era sicuro, non si sarebbe spento mai.
Asia. Quando sussurrava il suo nome nella propria mente lo assaggiava ancora con dolcezza, mentre l’immagine di quella ragazza di origini Italiane gli saltava agli occhi.
La lingua sembrava sentire ancora il suo sapore.
« Tieni » Blaise le passò impassibile la canna, accarezzando appena le mani della Weasley quando le mise tra le dita il filtro.
Lei aspirò, distogliendo lo sguardo dal suo e fissando il soffitto con aria curiosa, forse rassegnata, ma più serena di quella che portava sul viso ultimamente. Sembrava quasi angosciata dagli ultimi avvenimenti, ma ora la vedeva quasi rassegnata da ogni cosa che era successa e che sarebbe dovuta succedere nei prossimi mesi.
Blaise sorrise, abbassando il volto e accarezzandosi malinconico il collo inarcato: aveva avuto la sua stessa espressione sul viso quando aveva scoperto che i genitori di Asia avevano deciso di rompere il contratto matrimoniale con lui dopo anni di forzata conoscenza; prima l’avevano costretto a crescere e convivere con lei, amarla, farsela piacere nei suoi bellissimi pregi e i suoi terribili difetti… quando poi, dopo la rinascita di Voldemort, avevano deciso che era troppo pericoloso affidare il loro gioiello ad un ragazzo che – probabilmente – sarebbe morto o diventato qualcosa di orribile. Ma Blaise sospettava che avessero trovato un pretendente con un conto in banca più alto del suo; Asia gli era stata strappata via con la forza, proprio come gli era stata messa davanti, ma lei non aveva fatto nulla per impedire che i suoi genitori la portassero via da lui.
Gli avevano costruito un castello di sabbia attorno e poi l’avevano calpestato senza chiedergli nemmeno il permesso. Era caduto. Nemmeno se n’erano curati.
Fottuta venduta del cazzo, le aveva urlato contro quando l’aveva vista dal Maginotaio per firmare l’annullamento. Aveva pensato che fosse diversa, che sotto quei vestiti ottocenteschi si nascondesse veramente una persona diversa da tutte le altre, con pensieri propri e ideali fuori dal comune, ma si era sbagliato.
Blaise si sbagliava sempre e comunque e cominciava a trovare ironica la sua intera esistenza: quando le cose cominciavano ad andare nel verso giusto tutto cadeva nuovamente in miseria. Quasi era diventato monotono crollare per poi fare fatica a rialzarsi.
« Cos’è che ti affligge, Weasley? Non ti vedevo così pensierosa da quando hai derubato Piton » mormorò Blaise, ridacchiando al ricordo delle risate che si era fatto durante la seconda guerra, quando aveva scoperto che Ginny era penetrata nell’ufficio del preside e l’aveva derubato a nome di Potter; una mossa così stupida e coraggiosa che – oltre a guadagnarsi la sua ammirazione – lo aveva fatto sorridere a piene labbra in un periodo oscuro per tutti loro.
« Lo ricordo… non sentivo così tanta adrenalina in circolo da quando, al sesto anno di Harry, dei Mangiamorte cercarono di accopparmi per la splendida idea di Malfoy di far schiattare Silente » rispose Ginny con un sogghigno; fece l’ennesimo tiro e scosse il capo, come se non avesse appena ammesso che il suo migliore amico era un “mezzo” assassino. Merda. L’aveva detto con disinvoltura, probabilmente non c’era nemmeno l’intenzione di ferirlo con quelle parole, ma al pensiero che veramente Draco avesse messo al repentaglio la vita di tutta Hogwarts e la sua solo per i suoi genitori… beh, gli venivano ancora i brividi.
Era stato così fragile in quegli anni passati a capire cosa volessero da lui e quale fosse lo scopo della sua esistenza; Blaise l’aveva visto appassire anno dopo anno fin quando, in quegli occhi, aveva trovato la forza di combattere per se stesso e basta. Non per gli altri, ma per lui.
« Tu sai bene che significa essere “senza peli sulla lingua”, vero? » domandò, sbuffando e riprendendosi la canna scuotendo divertito la testa. Il non avere paura delle conseguenze – a volte – era più divertente di una dose di Marijuana; alzare la testa e dire tutto senza avere paura era, per lui e qualsiasi persona provenisse da una famiglia d’alto rango, una vera e propria dose di adrenalina pura.
« Baciami » sussurrò Ginny, rischiando di farlo strozzare con una boccata di fumo. La fissò come se, improvvisamente, fosse impazzita.
« Sono gay » rispose, rivelando ad una sconosciuta un segreto che si portava dietro da tempi immemori.
Ginny sorrise.
« Lo so » bisbigliò, scendendo dal cornicione con un piccolo balzo e attraversando l’aula a piedi nudi. Ogni passo lo spaventava, mettendogli ansia: i suoi occhi marroni erano esageratamente grandi e sicuri e lui cominciava a temere di non riuscire a sfuggirgli.
« Lo sai? » domandò terrorizzato. Era più preoccupato di salvare le apparenze che di un suo possibile bacio; la paura che qualcuno scoprisse quella parte di lui – nascosta per tanti anni – lo terrorizzava tanto da fargli mancare il respiro.
« Zabini, anche i muri sanno che sei gay… in diciotto anni che hai varcato le soglie di Hogwarts non hai mai nemmeno baciato una ragazza » rise Ginny, come se quella fosse la cosa più naturale del mondo e lei non avesse appena chiesto ad un ragazzo – di cui era sicura dell’omosessualità – di baciarlo senza alcuna vergogna.
« Baciami » ripeté poi, inginocchiandosi ai suoi piedi e arrivando all’altezza del suo viso. Inclinò dolcemente il capo e Blaise – se la situazione non fosse stata così critica – sarebbe scoppiato a ridere per la differenza che c’era tra la sua pelle così pallida e la propria, scura come il caffè.
« Se sei sicura della mia omosessualità, Weasley, perché mi chiedi di baciarti? » il tono saccente fece ridacchiare Ginny, che poggiò una mano sulla sua guancia. Era così fredda che gli sembrò di affondare il viso in un cumulo di neve, ma non fu una brutta sensazione.
Aveva le labbra martoriate, di chi se le mordeva da una vita per trattenere i singhiozzi di pianti e pianti trattenuti ed erano ad un solo centimetro dalle sue, strette in una linea che quel giorno non aveva visto sorrisi.
« Ho bisogno di capire… tutto qua » bisbigliò Ginny, lasciando scivolare via la mano. Aveva bisogno di capire se quello che faceva Harry con lei – quando stavano insieme – era sesso o amore; aveva bisogno di capire se la sua era la forza d’abitudine e se, nella sua mente, viaggiava la sua immagine o quella di un'altra. Ne aveva bisogno.
« Baciami » e quella fu l’ultima volta che lo disse, perché in un attimo le labbra di Blaise furono sulle sue. Erano soffici e sapevano di fumo, caffè e la torta ai mirtilli che – sicuramente – aveva sgraffignato nelle cucine poco prima di recarsi su nella Torre di Astronomia.
Il pollice di Blaise si incavò nella sua guancia scarna, permettendo alla sua lingua di penetrare tra le sue labbra e accarezzargli il palato e Ginny, finalmente, capì. L’altra mano di Blaise le tirò una ciocca di capelli con forza, lasciando scivolare il rosso – arancio tra le dita scure.
Ginny ingoiò il respiro del ragazzo che la stava attirando ancor più vicina a lui e capì. Era facile chiudere gli occhi e lasciarsi trasportare da quelle mani grandi e possenti: era tutto troppo facile e – finalmente – capì.
« Era così evidente, avevo la soluzione sotto al naso, ma sono stata così stupida da non accettarlo e vederlo veramente fino ad ora » sussurrò Ginny e – quasi senza accorgersene – lasciò che le unghie penetrassero nel braccio di Blaise, silenzioso e immobile.
Poteva quasi considerarsi la copertura di Harry Potter. Si sarebbe presa a schiaffi da sola per essere arrivata a quella conclusione baciando un gay: Harry non era mai stato veramente attratto da lei, si era solo auto-convinto di volerla bene e desiderarla, ma non era lei che pensava quando erano in intimità. Non era lei che vedeva, che toccava, che diceva di amare.
Coglione. «
Giuro che se mai Potter verrà accoppato da qualcuno sarò solo ed esclusivamente io a farlo » sibilò, riprendendosi e alzandosi di scatto dall’angolo dove era saltata letteralmente addosso a Zabini, pregandolo di baciarla.
Aveva… aveva pregato un uomo di baciarla! E non un uomo qualsiasi, ma un Serpeverde.
Gay.
Se la storia avesse fatto il giro della scuola come pettegolezzo avrebbe perso la faccia e pure la reputazione.
« Tu! Se osi dire in giro quello che è successo, giuro che… » iniziò, interrompendosi quando il cipiglio di Blaise divenne una vera e propria minaccia di morte cruenta e dolorosa.
« I segreti a Serpeverde… rimangono segreti. E come ho detto a tuo fratello: anche questo ci hanno insegnato nella casa degli orrori » disse Blaise, alzandosi di scatto e buttando – con un moto di stizza – il filtro della canna, oramai finita, ai propri piedi e schiacciandola con la punta delle scarpe di pelle di drago.
Aveva un sorriso amaro dipinto sulle labbra, mentre la stessa rabbia che aveva preso possesso di lui quella mattina, all’incontro con Ron, cominciava a circolare nuovamente nel suo sangue; era inquietante il modo in cui ribolliva e Blaise cominciava ad avere paura di se stesso.
« Siete così stupidi e impulsivi voi Grifondoro; voi e questa mania di grandezza, di voler fare gli eroi e i buonisti della situazione… la vita è solo un mezzo, Weasley, un mezzo per arrivare al fine. La morte, alla conclusione di tutto questo, è l’unica certezza che ci rimane, quindi perché crogiolarti in drammi esistenziali che non troveranno mai una risposta?
Perché essere in questo modo, sfrigolare nella gelosia, nella rabbia e provare dolore se poi scomparirà una volta sotto metri di terra? » l’ultima frase l’aveva bisbigliata e ora si trovava così vicino al suo viso da metterle paura.
Era ad un passo dalle sue labbra e lei con le spalle al muro, intrappolata tra la gelida pietra e il metro e novanta del ragazzo che la sovrastava, guardandola negli occhi senza mai interrompere il contatto visivo.
Ginny tremò.
« Ci sono state insegnate cose diverse, Zabini, credo che questo – oramai – sia palese » rispose, alzando il mento in segno di sfida e suscitando ilarità nell’altro. Blaise trattenne a stento un ghigno disgustato, mostrando appena i denti bianchi in netto contrasto con le labbra livide.
« Ci hanno insegnato esattamente le stesse cose, ma il punto ne è un altro: noi Serpeverde abbiamo la vita più corta della vostra e qualsiasi cosa – qualsiasi – facciamo veniamo giudicati sempre peggio. Non c’è via d’uscita per quelli come noi, Weasley e cerchiamo di rendere la nostra entrata all’inferno più plateale possibile » disse, afferrandola per le braccia e baciandola di nuovo… ma questa volta fu diverso. Fu diverso perché la rabbia dei suoi gesti le fece salire – esattamente in gola, tra le ossa, nello sterno – un incredibile adrenalina.
Era come trattenere il respiro sott’acqua e non sentire assolutamente nulla, nessun rumore, nemmeno un sospiro: Blaise aveva il sapore ferroso del sangue racchiuso tra le labbra scure e piene e si aggrappava a lei come un disperato, quasi strappandole il maglione che aveva indossato prima di uscire dai dormitori femminili a quell’ora stramba di notte.
« E sai cosa?... le fiamme non sono così male come sembra » sussurrò sulle sue labbra, ansimando e sorridendo nello stesso istante; il suo pollice affondò nella carne sensibile tra le costole, incavandosi e facendola gemere appena.
Blaise l’afferrò per le gambe, quasi costringendola ad aprirle con il palmo delle mani e – spingendola ancor di più verso il muro – spinse il bacino contro il suo. La baciò con forza, lasciando che le proprie mani rimanessero impronte violacee sul busto, quasi nudo contro il maglione chiaro che – alzandosi – le scopriva le gambe magre.
Ginny gemette e lui spinse nuovamente il bacino contro il suo. Sentiva pienamente la curva dei seni che premeva contro il suo petto, le mani piccole che gli scompigliavano i capelli scuri e un profumo che non riuscì a riconoscere, ma che lo inebriò a tal punto da farlo respirare a pieni polmoni.
Per un attimo dimenticò chi era e fu una sensazione incredibile. Ginny gli tirò una ciocca di capelli e lui respirò ancora tra le sue labbra.
Blaise nemmeno si accorse della figura stagliata contro la porta d’ottone chiusa a metà, troppo impegnato a sospirare tra quelle labbra e quasi tremare tra quelle braccia; quegli occhi verdi sembravano volerlo uccidere tant’erano rabbiosi, ma Harry Potter non si mosse dalla sua postazione. Lasciò cadere le braccia lungo i fianchi e diede un ultima occhiata fugace prima di dare le spalle a quella scena: ricurvo e con i pugni chiusi si avviò verso l’ala opposta del castello, camminando quasi senza vedere veramente ogni passo che percorreva.
Sentiva il cuore pesante, le gambe pesanti e la testa che quasi malediceva ogni passo che avanzava: cadde in ginocchio, sentendo la pelle lacerarsi sotto la pietra fredda dei corridoi che aveva percorso con il fiatone, tremando per la rabbia che sembrava volergli scoppiare dentro ed ebbe paura. Harry aveva paura perché sentiva la magia quasi cercare di implodere e liberarsi. Sentiva il cuore che quasi lo supplicava di sotterrarsi, magari annullarsi, ma di non rimanere sospeso, con un pezzo cadente e uno mezzo rotto.
Il dolore gli martellava le tempie e gli impediva di respirare, trascinandolo giù, verso il buio.
« Ti ho trovato, finalmente » bisbigliò una voce nel buio, mentre una figura avanzava verso di lui, messo in ombra dalle lanterne che si spensero al suo passaggio; Harry alzò lentamente lo sguardo verso l’uomo che lo sovrastava, trattenendo il respiro nel constatare che – gli occhi che brillavano da sotto il cappuccio nero come la pece – erano privi di pupilla. Erano interamente rossi, spaventosamente grandi e inquietanti ed Harry era sicuro… non aveva mai visto niente di simile.
« Chi sei? » mormorò Harry, senza riuscire a distogliere lo sguardo da quello dell’uomo che lo sovrastava: cercò di alzarsi, ma le gambe sembravano di pietra e gli impedivano qualsiasi movimento. Sembrava in trappola.
« L’unico in grado di ucciderti, Potter » bisbigliò l’uomo, guardandolo dall’alto e sorridendo in modo macabro. Aveva il capo inclinato e lo osservava con dolcezza, quasi come se assaporasse quel momento da una vita e – finalmente – fosse riuscito nel suo scopo.
Con le dita pallide lasciò cadere il cappuccio nero come la pece dal volto soddisfatto ed Harry trattenne il fiato: le labbra violacee e sottili lasciavano intravedere gli incisivi laterali superiori simili a zanne, mentre i capelli biondi miele sembravano sposarsi perfettamente con la pelle pallida come il latte. Harry, se avesse avuto la forza di muoversi, sarebbe sicuramente scappato a gambe levate: quell’uomo gli metteva i brividi e ogni cosa di lui gli urlava di dargli le spalle e correre via, lontano da lui, mettersi in salvo.
« Cosa sei? » bisbigliò, ingoiando a vuoto e fissando – allibito – la bocca dell’uomo allargarsi ancor di più in un sorriso e mostrare i denti quasi con la soddisfazione nel vederlo tremare dinnanzi all’impossibilità di poter fare qualsiasi cosa.
« Aleksej Romanov, signor Potter e credo che lei sappia cosa sono, ma preferirei un tono più reverenziale nei miei riguardi, vista la paura che regna nei suoi occhi » rispose Aleksej, riferendosi al tono disgustato e sorpreso che aveva usato quando aveva mostrato i denti aguzzi. Si vedeva lontano un miglio che era un vampiro: il petto si muoveva solo ed esclusivamente quando pronunciava qualche parola ed era pallido come un lenzuolo, quasi come un morto che – inesorabilmente – comincia a marcire dopo giorni il suo decesso.
« E’ abbastanza difficile penetrare in questo castello, non è vero, signor Potter? » mormorò Aleksej, girandogli attorno come un predatore fa con la sua preda; russo dalla punta dei capelli fino a quello delle scarpe, lo si intuiva persino dall’accento duro che accompagnava ogni singola sillaba che pronunciava.
Lì, tra il mantello sbottonato e la camicia semi-aperta, c’era – come marchiato a fuoco – un tatuaggio: un aquila bicipite con una corona e uno scettro; tutto sembrava chiaro, ma Harry non riusciva a collegare quell’uomo a niente che ricordasse.
Sembrava un ricordo lontano, sbiadito.
« Guardami, Harry Potter. Guardami. » sussurrò Aleksej, piegandosi sulle ginocchia e arrivando all’altezza del suo viso: era spaventosamente vicino al suo e lo guardava pieno di aspettative e desiderio. Le dita dell’uomo si poggiarono con delicatezza sulla sua guancia e la cicatrice bruciò come la gota sfiorata: il fuoco – quello che non sentiva dalla morte di Lord Voldemort – sembrò sciogliergli la carne come fosse acido.
Harry gridò quasi come se lo stessero scorticando vivo, mentre le unghia dell’uomo penetravano sempre più a fondo, nella carne, quasi come se volessero toccare le ossa.
« Shhh » disse, poggiandogli un dito sulle labbra e intimandogli di fare silenzio, quasi divertito dal come allargasse la bocca per riprendere fiato da quella tortura.
« Questo è solo l’inizio » continuò poi, alzandosi e fissandolo nuovamente dall’alto. Ad Harry sembro di vedere ogni sua mossa a rallentatore: il braccio calarsi lungo i fianchi, lo sguardo di chi aveva finalmente vinto un grande premio. La lingua accarezzò i denti e il suo collo scricchiolò pericolosamente.
Romanov l’afferrò per il collo, alzandolo con una sola mano. Sembrava possedere la forza di cento uomini e non sforzarsi nemmeno: i denti si allungavano a vista d’occhio, quasi pronti ad azzannarlo; la sua bocca era pericolosamente vicina al suo collo ed Harry cominciava a temere.
Stava morendo per davvero? Era così facile? Aveva passato sette anni a sfuggire al mago Oscuro più potente di tutti i tempi e ora si ritrovava come creta nelle mani di un vampiro.
Mille domande gli affollavano la mente e lo confondevano sempre di più: come aveva fatto ad entrare nella scuola? Era un alleato dei Santi? E, cosa più importante, c’era un infiltrato che l’aveva aiutato?
Non riusciva a trovare nemmeno una risposta e più che preoccuparsi per se stesso, vicinissimo alla morte, il suo primo pensiero furono i suoi migliori amici. Si domandò se fossero al sicuro e se anche loro avrebbero subito quella lunga tortura prima di assaporare la fine. La fine.
Non gli sembrava vero: era arrivata la Signora con la falce anche per lui; non sapeva definire le sue emozioni e non sapeva dire se fosse felice o amareggiato. Era arrivato tutto troppo tardi e allo stesso tempo troppo presto. Era stato pronto un anno fa e al contempo non lo era in quel momento. Stava morendo. Non ricordava nemmeno più come respirare e non era nemmeno commovente come dicevano: nessuno spezzone della sua vita gli passò davanti agli occhi e fu quasi deprimente.
« Per amor di Dio, fratello, ora prendi ordini anche da maghi? » il sibilo di serpente che aveva fatto tremare le mura attorno a loro fece bloccare Romanov sul nascere; i suoi occhi rossi si sgranarono fino all’inverosimile, prima di bloccarsi su una figura che – pericolosamente – Harry sentiva dietro di sé.
« Anastasija » il vampiro lo lasciò andare ed Harry crollò sul pavimento come un sacco di patate: girò il viso verso la voce e una visione lo accecò. Un odore di violette gli arrivò all’olfatto come un bagno caldo e lo avvolse con tenerezza; due occhi rossi privi di pupille si inchiodarono nei suoi, ma gli fecero meno paura. Erano due rubini incastonati in due grandi occhi da cerbiatta.
« Va tutto bene » sussurrò Anastasija, come l’aveva chiamata l’uomo che lo aveva attaccato improvvisamente. Teneva i capelli biondo\ramati sciolti sulle spalle fragili e piccole; sembrava avere quindici anni, non di più e la sua pelle era bianca come quella di Aleksej.
Gli tese una mano che – in quel momento – sembrò una salvezza.
Harry non sapeva di chi fidarsi, ma accettò la sua mano di volata, senza farselo ripetere due volte: con leggerezza, Anastasija, lo trascinò dietro la sua schiena, quasi nascondendolo agli occhi dell’uomo che fissava il tutto con rabbia.
Che situazione di merda, avrebbe detto Draco ed Harry gli avrebbe dato ragione, anche se di nascosto.
Era racchiuso tra due fuochi che sembravano volersi divorare tra loro ed era impressionate l’elettricità che correva tra i due, simile ad un fiume in piena che sembrava voler colpire l’altro con violenza.
« Tu… come osi presentarti al mio cospetto! » l’urlo rabbioso di Aleksej aveva risvegliato i quadri e tutti correvano da una parte all’altra in pieno fermento. Harry indietreggiò e la ragazza rise a pieni polmoni, mostrando un paio di canini degni dell’avversario.
« Sono secoli che non mi vedi, fratello e così mi saluti? » rispose Anastasija, senza muoversi di un millimetro quando lui le afferrò con forza il polso. Erano ad un metro di distanza, ora, e si fissavano con sfida e rabbia.
« Feccia » sibilò Aleksej, soffiando come un gatto e assottigliando lo sguardo. Harry si sentì toccare una spalla e sobbalzò quando vide la Mcgranitt alle sue spalle, stretta nella sua insostituibile vestaglia scozzese; aveva il viso tirato e preoccupato e fissava la scena con un misto di pena e angoscia.
« Non ho più il tuo stesso sangue nelle vene, non posso considerarmi in alcun modo feccia, Romanov » mormorò in risposta Anastasija, mordendo con forza il polso che la teneva e tirando con rabbia, strappando un pezzo di carne dal braccio di colui che aveva chiamato fratello.
Ora che li guardava bene, però, notò una certa somiglianza nei tratti che prima non aveva notato: oltre i colori che li accomunavano, c’erano dei lineamenti che quasi li rendevano uguali. Il naso piccolo e all’insù, le labbra sottili e il viso asimmetrico, simile anche nelle espressioni che – messi vicini – li rendevano fratelli di sangue in tutto e per tutto.
« Romanov è anche il tuo cognome, Anastasija, non dimenticarlo! Sei stata e sei tutt’ora una Romanov! » urlò Aleksej, mentre sangue nero come le ali di un corvo macchiava la camicia madida che gli stringeva il busto.
« Anastasija Romanov è morta secoli fa, fratello, questo non devi dimenticare » sibilò la ragazza, poggiando un palmo aperto sulla spalla del fratello e spingendo con forza il braccio verso la schiena: Harry sentì un sinistro scricchiolio e dall’urlo dell’uomo capì che gli aveva appena spezzato un braccio.
« Puttana » e le stesse labbra che avevano pronunciato quell’insulto la baciarono sulle labbra. Ad Harry, quel bacio, sembrò quello della morte. Aleksej sospirò sulle labbra della sorella e sembrò quasi sputare veleno. Lei non si mosse, lui la fissò per un secondo che sembrò infinito.
Le accarezzò i capelli e tese le labbra, poi si trasformò in un pipistrello: la sua pelle si scurì fino a diventare nera come il carbone e il suo corpo si deformò, rimpicciolendosi fino a diventare grande quanto il palmo della sua mano. Aleksej sparì come era arrivato, volando velocemente verso la parte opposta alla loro senza che qualcuno lo fermasse.
« Un vampiro trasformato quando viene ferito guarisce dopo nemmeno due secondi, è inutile fermarlo tanto quanto attaccarlo… troverebbe lo stesso un modo per uscire da questo castello sano com’è entrato » mormorò Anastasija, pulendosi stizzita le labbra.
Il bacio della morte, davvero carino da parte di suo fratello fare quei gesti esclusivamente per lei. Erano secoli che non lo vedeva – nel vero senso della parola – e la prima cosa che aveva fatto era stata insultarla; era da lui, dopotutto, riservava ancora rancore per aver dato le spalle alla sua famiglia quando era stata completamente distrutta.
Harry Potter la guardò confuso e lei rise appena: come avrebbe potuto spiegare a quel ragazzo che per diciassette anni non era stato solo? Come faceva a dirgli che sua madre l’aveva proclamata, anni fa, sua madrina? Un vampiro che si era nascosto nell’ombra fino a quel momento, facendogli credere che oltre gli amici di famiglia non avesse nessun altro su cui contare.
« E tu chi sei? » domandò Harry, ancora sconvolto per essere stato appena attaccato e poi difeso da quelli che avevano tutta l’aria di essere fratello e sorella. Respirò a fondo: la prospettiva di morire gli era sembrata così vicina e allettante che – in quel momento – si rese conto che i problemi che credeva aver definitivamente cancellato li aveva solamente seppelliti per qualche tempo e ora risalivano a galla come un fiume in piena, travolgendolo pericolosamente.
« Sono la tua madrina, Harry » bisbigliò Anastasija in risposta, fissandolo dispiaciuta e guardando la Mcgranitt annuire, quasi acconsentendo la verità scomoda che aveva appena sputato, come se lui le avesse chiesto l’ora e lei – come niente fosse – gli aveva detto che ore erano.
Harry la guardò imbambolato per due minuti buoni… poi, quasi facendole temere di avergli fatto venire un infarto, svenne.

***


« Come va lo zigomo? » Draco sobbalzò quando, sceso dalla sua stanza, si era ritrovato - nel piccolo salottino nella torre Nord che aveva come “sala comune” con Potter – Hermione Granger gentilmente svaccata sul divanetto di pelle nera a leggere “Vampiri e altre razze Oscure, come eliminarli”, come se fosse mezzogiorno e non le due di notte e non si trovasse in quello che era stato eletto – per punizione – come dormitorio dei due ragazzi più sfortunati di Hogwarts.
« Che ci fai qua, Granger? Ma lo sai minimamente che ore sono? » disse Draco, sbadigliando e stropicciandosi gli occhi come un bambino. Hermione sorrise, indicando le scale sulla parte destra che portavano alla stanza di Potter: la porta della sua camera era aperta.
« Harry mi sembra strano nell’ultimo periodo e lo sto trascurando così tanto che quasi mi vergogno di me stessa; ero venuta qua per parlargli, erano le dieci quando ho trovato la sua camera vuota » rispose Hermione, mordicchiandosi le labbra preoccupata e sospirando, chiudendo con un piccolo tonfo il libro aperto sulle ginocchia.
« Sarà sicuramente in giro a rompere le palle » sbuffò Draco, raggiungendola e stravaccandosi al suo fianco. Se Hermione indossava ancora la divisa scolastica, perfettamente ordinata, Draco aveva un pigiama di seta verde che sembrava sposarsi alla perfezione con il suo incarnato pallido. Il livido sulla guancia, però, era ancora violaceo.
« Smettila di guardarmi con compassione, Granger, ho avuto dolori peggiori da patire… come un braccio spezzato da un inutile Ippogrifo! » disse, fissandola in modo eloquente e avendo il potere di farla ridere.
I suoi lamenti, quell’anno, erano quasi il suo malsano divertimento.
« Ippogrifo che hai quasi fatto ammazzare, Malfoy! » sbuffò Hermione, mentre lui faceva spallucce.
« Occhio per occhio, baby, così funziona dalle mie parti » disse ironico, sbadigliando ancora una volta e poggiando il capo sul bracciolo del divano, socchiudendo appena gli occhi. Hermione inclinò la testa, spostando il libro e portandosi le ginocchia al petto, osservando il volto rilassato di Draco, quasi sempre più presente nelle sue giornate.
Ora… sembrava quasi scontato averlo al suo fianco. Quando camminava e lo incontrava nei corridoi, quando lui le si affiancava per parlarle o quando erano soli e il mondo spariva anche se non si toccavano nemmeno di striscio.
« Ah, insomma, Mezzosangue! Non crucciarti in questo modo, sicuramente Potter starà bene. Quello sta sempre bene, maledizione, oramai dovresti sapere che il suo organismo rigenera Felix Felicis di sua spontanea volontà » sbuffò Draco, mettendosi a sedere e guardandola seriamente. Hermione annuì e lui sospirò, afferrandole la mano e stringendogliela con forza, quasi volesse urlarle che lui era lì e, insieme a lei, avrebbe aspettato che quell’idiota sarebbe rientrato solo per farla sentire più serena, ma con le labbra serrate, strette in una linea sottile, quasi come se avesse paura di dirlo a voce alta.
« Grazie » bisbigliò Hermione a bassa voce, senza ricevere risposta: era sempre così, tra loro due. Se lei parlava e parlava, fino allo sfinimento, fino a restare a corto di parole, lui rimaneva zitto; Hermione doveva dirgli quello che non le piaceva, quello che la frenava, quello che la spaventava anche se loro non erano assolutamente niente. Niente di niente. Hermione si sentiva in dovere di chiedergli scusa quando sbagliava, quando esplodeva e quando fraintendeva.
Lui si limitava a parlarle con gli occhi, a fissarla e magari, quando proprio era di buon umore, prenderle la mano e stringerla fino a sentire le ossa scricchiolare. Hermione aveva piccoli lividi sparsi sul corpo e poteva pure vantare di sapere il giorno e il come se li fosse procurati: era lui che nemmeno se ne rendeva conto quando la toccava e quasi non le dispiaceva; forse era stupido da dire, ma erano segni che le ricordavano che niente è come sembra e che tutto – sempre – può cambiare, se lo si vuole.
Draco afferrò il ricciolo bruno che le era caduto davanti gli occhi, tirandolo con poca forza e costringendola a guardarlo: le sue labbra, sottili e schiuse, le sorridevano appena un po’. « Guardami » sussurrò tra i denti e le sembrava quasi un ordine.
La sua voce era perentoria, ma il suo sguardo no. Le dita di Draco lasciarono andare la ciocca di capelli, che – quasi come una molla – rimbalzò su se stessa. Le sue dita scesero lentamente, le accarezzarono prima le tempie e poi, con delicatezza, le chiusero le palpebre.
Al buio, però, poteva ancora sentire il suo profumo. I suoi occhi le bucavano la pelle e le sue mani lasciavano solchi profondi ovunque si soffermassero; lo sentiva ovunque e da nessuna parte ed era una sensazione che le chiudeva lo stomaco.
Poi, di nuovo, senza alcun avviso, lui la baciò.
Le sue labbra sapevano di “prego” e piacere, di lui e forse un po’ anche lei. Hermione poggiò la mano sulla sua guancia e lui le accarezzò il palato con la lingua; tremò appena e Draco le afferrò le spalle con forza, quasi trapanando le spalle con i pollici pallidi.
Lo sentiva su ogni centimetro di pelle e il suo respiro nella sua bocca quasi le fece venire un giramento di testa.
« Forse è meglio fermarsi qua » mormorò Draco, ma Hermione sorrise. In quel momento, per Draco, il suo viso era la cosa più straordinaria che ricordasse di aver visto in tutta la sua vita; emanava una luce che quasi lo feriva, ma non fece mai l’errore di distogliere lo sguardo. I suoi capelli erano una cascata di riccioli bruni e le poche efelidi sul suo viso catturavano il suo sguardo. A volte nemmeno riusciva a distogliere lo sguardo da lei e si limitava ad osservarla un po’ di nascosto, giusto per bearsi dei suoi difetti.
« Forse è meglio alcune decisioni non prenderle proprio » bisbigliò Hermione, questa volta prendendo lei l’iniziativa: le sue labbra, al contrario di quel che si pensava, non si incastravano alla perfezione, anzi, lottavano per adattarsi l’una all’altra, mentre i loro nasi appena si sfioravano, schiacciandosi di tanto in tanto quando i loro visi si inclinavano e cambiavano posizione, senza mai prendere aria, quasi come se non ne avessero bisogno.
Era perfezione assoluta il modo in cui non si appartenessero affatto, mentre il desiderio quasi li uccideva per quanto fosse diventato bisognoso. Toccarsi lo era diventato. Anche solo guardarsi lo era diventato.
Le loro gambe si incastrarono, avvolgendosi una attorno l’altra e il tempo quasi si fermò. Draco la sovrastò con il suo corpo e persino Hermione dimenticò la questione “Harry” per pochi minuti; gli stessi minuti in cui Draco era sopra di lei e la guardava. Gli stessi minuti in cui lui si staccò dalle sue labbra per sospirare sulla sua guancia: il suo naso seguì la linea del viso, scendendo poi sul collo e baciandone la cavità, verso la clavicola appena scoperta dalla divisa.
Di nuovo quel calore nel basso-ventre la investì e lui, come se l’avesse intuito, spinse delicatamente il bacino verso il suo. Hermione avvampò, mordendosi – questa volta con forza – il labbro inferiore.
Draco rise, abbassando il capo e staccandosi giusto quel poco per incontrare il suo sguardo preoccupato. « Fidati, è meglio fermarci qui » disse, staccandosi definitivamente dal suo corpo e rimettendosi seduto all’altra estremità del divano, con una mano nei capelli e l’altra sprofondata nei cuscini di piuma verde.
Non era razionale, anzi, Hermione quasi la considerava una pazzia, ma se ogni momento le era sembrato giusto con Draco – tanto che il desiderio era forte – ora qualcosa, nella sua mente, le urlava di fermarsi un attimo e riflettere. Non sul chi, ma su di lei.
Senza nemmeno guardarlo in viso, Hermione, circondò il suo indice con le dita, quasi come fa un bambino con un adulto; le sue mani erano piccole confronto a quelle di lui ed era quasi una bella sensazione sentirlo più grande, massiccio, era come se si sentisse al sicuro con quelle braccia che, in quel momento, si contrassero con un movimento violento, ma appena percettibile.
Lui le girò il palmo della mano e intrecciò le dita alle sue, continuando a guardare dritto davanti a sé. Nessuno dei due disse un'altra parola, si limitarono a restare in silenzio e tenere salda quella stretta; di Harry nessuna traccia e nemmeno del loro respiro.
Si sentivano a malapena, ma Hermione – con un mezzo sorriso – sentiva il cuore di Draco battere accelerato e quasi rimbombare tra quelle mura.
Il legno sembrava aver ceduto il posto ad una sottile pellicola.

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Capitolo 10
*** Capitolo IX - Mine ***


Capitolo IX –
Mine

 
 

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« Harry, Harry, ora calmati! » la voce di Silente – che proveniva dal quadro appeso su in alto, alle spalle della scrivania della preside – ebbe il potere di rasserenarlo – almeno in parte – dopo un ora estenuante di urla continue. Con un sospiro, il bambino sopravvissuto, crollò seduto sulla poltrona più vicina a sé, esausto e confuso, adirato si scompigliò furiosamente i capelli, guardando il ritratto dell’uomo – con cui aveva avuto a che fare per ben sette anni –  con rabbia e stanchezza; lo studio della preside era un insieme di voci, bisbigli e bestemmie, tanto che – per qualche secondo – Harry si tappò con forza le orecchie, solo per il gusto di sentire solo ed esclusivamente i suoi pensieri e non quelli degli altri… magari metterli in ordine e rendersi conto di tutto quello che era successo. Si sentiva uno straccio e ne aveva un buon motivo, quella volta: quando si era risvegliato, grazie all’Innerva della professoressa Mcgranitt, si era ritrovato ad un palmo dal naso dal volto rugoso della donna e in quel momento, quasi terrorizzato all’idea, aveva capito che quello che aveva fatto non era stato affatto un sogno.
Anastasija era ancora lì, bella e terrificante come la ricordava, e il livido alla tempia e il taglio alla gola gli avevano rimembrato che anche Aleksej Romanov era reale. Tutto aveva semplicemente dell’incredibile ed Harry ancora non riusciva a digerire la notizia che, quella donna\ragazza, gli aveva rifilato tra capo e collo, senza alcun tatto. Non ci aveva nemmeno provato, a dire il vero: si era limitata e dire il tutto con semplice nonchalance, come se stesse parlando del tempo e non di altro, ecco.
« Ascoltami, caro ragazzo, ascoltami. So che in questo momento sei stanco e amareggiato, ma è importante ascoltare gli altri quando ce n’è bisogno e questo tu lo sai bene, forse più di me.
Dopo l’attacco diretto di questa sera siamo tutti in serio pericolo: i Santi hanno alleati che noi non credevamo potessero vantare d’avere e la cosa comincia a sfuggirci di mano; non voglio credere – e nemmeno immaginare – che qualcuno dall’interno li stia aiutando ad infiltrarsi tra queste mura… ma, Harry, entrambi sappiamo che il dolore può portarci a compiere pazzie che, prima, nemmeno credevamo di fare.
È essenziale, mio caro ragazzo, che tu rifletta su questo: le emozioni comandano le nostre azioni più di qualsiasi altra cosa; guardati bene attorno, Harry, perché niente più è come sembra. Coloro che consideravi nemici, ora, sono la tua unica salvezza » disse serio, guardandolo attraverso gli occhialetti a mezzaluna e trasmettendogli, ancora, quella sensazione di sicurezza, affetto e la sensazione di potercela sempre fare.
« Perché non mi è mai stato detto della tua esistenza? » Harry spostò lo sguardo su Anastasija, sperando che presto tutto finisse e che quelle situazioni assurde si trasformassero in un lontano ricordo. Tutto quello aveva sentore di deja-vù: aveva conosciuto Sirius, il suo adorato padrino, esattamente in quel modo e anche di lui non ne aveva saputo l’esistenza fino al terzo anno, quando l’uomo era scappato da Azkaban.
« Non dirmi che anche tu sei una psicopatica sospettata di pluriomicidio! » sbuffò, strappando un sorriso alla Mcgranitt e un sogghigno flebile in lei, completamente immobile alla sua destra. Sembrava fatta di granito, senza alcun sentimento che le colorasse gli occhi rossi, la bocca sottile oppure le guance pallide.
Era una donna di marmo e ferro, irremovibile nella sua bellezza e… tristezza. Perché Harry ne era convinto: condurre un esistenza del genere non poteva essere altro che triste. Immobile in quel corpo a guardare ogni persona a cui tenesse morire. Era un involucro di marmo destinato a rimanere impassibile dinnanzi a qualsiasi intemperie, costretto a subire.
« I vampiri sono soggetti altamente pericolosi e di conseguenza segnalati al Ministero; non possiamo camminare come niente fosse tra voi maghi, Harry, come voi maghi non potete camminare tra i Babbani senza che questi rimangano spaventati, affascinati dalla vostra magia e le vostre capacità.
Anche noi abbiamo piccole comunità stabili, ma usciamo allo scoperto solo di notte, quando non siamo vulnerabili e quando nessuno può vederci; ho conosciuto tua madre quando aveva poco più di diciassette anni: aveva appena concluso i suoi studi ad Hogwarts e… cercava. Cercava qualcosa che l’aiutasse a trasformare quella magia che racchiudeva in sé in una vera e propria arma. Tua madre voleva un arma per aiutare l’Ordine… e ci è riuscita, dopo anni.
Tu non immagini il potere che racchiudeva in quella bacchetta e tra quelle mani; era straordinario, potevo percepirlo a pelle e il suo scopo era trovare qualcosa che riuscisse a far uscire l’intero Ordine della Fenice vincitore dalla prima guerra magica.
Trovò in me una maestra, un amica e infine quella sorella che aveva perso per la sua magia; in poco tempo divenne quella che gli Anziani definiscono un ottima strega bianca. Erano straordinari i poteri che usava ed era straordinario il modo in cui i suoi poteri riuscissero ad essere pari e pari a quelli dei suoi nemici. – Anastasija si sedette, prendendo fiato e questa volta fissandolo attentamente. – Guardami, Harry. – continuò, abbassando appena la voce. –
Tua madre ti ha affidato a me perché io ti insegnassi a difenderti, perché io mi prendessi cura di te e ti indirizzassi sulla strada giusta. Non potevo farmi vedere, non finché tu saresti stato qui o dai tuoi zii, con i tuoi amici perennemente presenti e mi scuso. Avresti dovuto sapere della mia esistenza fin dall’inizio, ma come ti ha già una volta riferito Sirius: la protezione di tua madre era la cosa migliore per te, in quei periodi bui, ed era l’unica arma che potesse tenerti lontano da Voldemort. 
Non sono mai andata via, però. Da quando ho trovato il corpo di tua madre, morto, non ho mai smesso di vegliare su di te; sono diventata invisibile solo per vederti crescere e magari accarezzarti quando dormivi troppo pesantemente per accorgertene.
Sono stata sempre con te, quando ti sei battuto con lui, e la mia mano stringeva la tua bacchetta solo per darti più forza, sicurezza; volevo molto bene a tua madre, nonostante esseri come noi, si mormora, non siano dotati di sentimenti. E voglio bene anche te, su questo non dubitarne mai.
Ora, però, hai bisogno di allenarti e anche tanto. Le lezioni di Difesa contro le Arti Oscure non basteranno per quelli come me… per quelli che i Santi hanno intenzione di reclutare. Ci voglio conoscenze che superino la normalità stabilita, per uscirne vincitori da tutto questo.
Non ci andranno leggeri, Harry ed è questo ciò che mi preoccupa: tua madre ti ha protetto fino alla tua maggiore età, finché ogni Hocrux è stato distrutto, ma ora il tuo nemico non è più Tom Riddle. Hai bisogno di allenarti per riuscire, almeno, a non rimanerne ucciso.
Come lo sono stata per tua madre, sarò un insegnante anche per te, ma ho bisogno che tu – e qualsiasi altra persona lo dirai – mantenga il segreto.
Ci sono punizioni molto severe per noi vampiri che violiamo il patto » disse Anastasija, guardandolo attraverso le lunga ciglia bionde. C’era qualcosa in lei… quasi familiare. Il suo odore, il colore dei suoi capelli, i denti che mostrava appena attraverso le labbra rosse, gli erano familiari. Tutto in lei sapeva di qualcosa che aveva già vissuto. E adorava quella sensazione.
« Quindi, da domani, Harry, tu formerai un esercito. E ricorda: non fidarti di una persona solo perché lo hai fatto in passato; tutto cambia, caro ragazzo, anche le cose e le persone che noi vorremmo restassero immutate… e non dimenticarti di divertirti, domani sera! » disse Silente dal ritratto, facendogli l’occhiolino. Harry aggrottò le sopracciglia, soffermandosi sulla fine della frase: cosa intendeva per “divertiti domani sera?” « Perché… cos’è domani sera? » domandò, sbiancando e guardando la Mcgranitt, quasi temendo una sua risposta.
« Ballo di Natale, signor Potter, credeva forse di potersela scampare? » disse soddisfatta la Mcgranitt, servendosi del tè per ritrovare le forze perse dopo una nottata come quella.
Harry strabuzzò gli occhi: se n’era dimenticato.
Con tutto quello che era successo, tra attacchi dei Santi, compiti, i litigi con Hermione e tant’altro, aveva quasi dimenticato il ballo. Che Merlino gliela scampasse, quello era l’ultimo dei suoi pensieri, e per un attimo maledisse il consiglio studentesco per la brillante idea di alleggerire i pensieri in periodi come quelli.
Merda, merda e merda!
 

***

 
Ventitré dicembre, sei di mattina, vento, neve e insulti. Mentre le torrette e il parco di Hogwarts venivano ricoperti da un delizioso manto bianco e il vento scuoteva le foglie secche e morte del Platano Picchiatore, Hermione Granger lanciava fatture e insulti contro il bambino – per poco – sopravvissuto. Harry cercava di evitare i fasci di luce che cercavano di colpirlo e sembrava più che stesse danzando sulle note di una canzone stramba piuttosto che cercasse di non rimanere ucciso in quel litigio che, a suo parere, non aveva né capo e né coda.
Nemmeno il tempo di varcare le soglie della saletta in comune della Torre Nord che lei aveva cominciato a sbraitare: « Irresponsabile, idiota, come hai osato sparire per tutto questo tempo? » e così via per mezz’ora, nella ira più nera, mentre Harry – disperato – guardava Draco in cagnesco, che se la rideva. Era il sogno di una vita partecipare ad una situazione come quella, specie se sarebbe stata contro Potter, e ora era in estasi totale: seduto a gambe incrociate sul divanetto di pelle nera si spostava solo per non beccarsi, per sbaglio, una maledizione indirizzata al moro. Era tutto così bello!
« Mi hanno attaccato! » urlò Harry, in preda al panico, coprendosi il capo con le braccia e pregando i protettori di Hogwarts di uscire – almeno in parte – incolume da quella schermaglia, innocente, tra amici.
« Chi? » domandò Hermione, abbassando la voce di qualche ottava e – finalmente, avrebbe volentieri urlato Harry – la bacchetta.
« È una storia lunga » bisbigliò il ragazzo, cadendo a peso morto sul divano e facendo la linguaccia al serpente seduto al suo fianco. Draco sogghignò, soddisfatto – per il momento – di quella performance mattutina.
« Ho tutto il tempo del mondo… anche perché, idiota, ho passato la notte in bianco per colpa tua e ho avuto il tempo di ripassare, mangiare a sbafo per la preoccupazione e tormentare Malfoy perché il tuo sedere – salvo ancora per poco – non entrava da quella porta! » sibilò Hermione, sedendosi, senza alcuna grazia, tra i due e fissando l’amico in attesa del verdetto.
E fu davvero lunga come storia. Harry iniziò da quello che aveva visto nella Torre di Astronomia: Ginny e Blaise, insieme, in atteggiamenti intimi; poi Aleksej, il vampiro e la sua morte sicura. Infine Anastasija e la scoperta che era la sua madrina, la salvezza, la familiarità; poi l’esercito, quello che avrebbe dovuto tenere su per sconfiggere i Santi.
« Romanov, Harry? Aleksej e Anastasija Romanov? » disse Hermione, allibita, afferrando – senza nemmeno guardarlo in faccia – Draco per la collottola e risbattendolo nuovamente sul divano.
« Sì… perché? » domandò, aggrottando le sopracciglia e rendendosi conto che, senza nemmeno volerlo, aveva raccontato tutto anche a Malfoy. Non che fosse contrario, infondo lui sarebbe stato il primo ad essere reclutato.
« I Romanov sono stati una grande famiglia imperiale, Harry. Russia, 1900, poco più, poco meno.
Nicola II e Aleksandra Fëdorovna, l’imperatore e la zarina,  avevano cinque figli: Ol’ga, Tat’jana, Marija, Anastasija e infine Aleksej Romanov. È inquietante, molto inquietante, perché secondo la storia la famiglia imperiale viene uccisa nel 1918. Solo… solo due corpi non furono ritrovati » e con quelle parole sgranò gli occhi: poteva essere possibile? I due vampiri che si erano quasi dichiarati guerra tra quei corridoi potevano essere Anastasija e Aleksej Romanov, figli dell’imperatore di tutte le Russie? Erano passati secoli da allora. Secoli in cui molte ragazze si erano spacciate per Anastasija, mentre il misterioso caso di Aleksej era sempre rimasto nell’ombra, quasi come se qualcuno continuasse ad insabbiare le prove o evitare che si facesse luce sulla questione.
Ora capiva.
« A quei tempi i vampiri riuscivano a confondersi facilmente tra la folla: quando ci fu la grande rivolta non ebbero nemmeno bisogno di nascondersi; non era strano che i ribelli uccidessero per farsi largo o semplicemente per sopravvivere e loro riuscivano a trascinare i corpi e nasconderli per cibarsene anche senza suscitare grande attenzione. Le persone sparivano come niente e non si sospettava di certo dei vampiri.
È possibile che qualcuno li abbia trasformati… ma la famiglia aveva una cella a parte e i vampiri trasformano solo se lo vogliono, intendiamoci; qualcuno, quella notte, voleva che Anastasija e Aleksej sopravvivessero » mormorò Hermione, quasi affascinata dalla piega che aveva preso quella storia.
Aveva studiato a scuola il periodo sottostante a Nicola II e sua madre, quando era piccola, le raccontava sempre la storia di Anastasia, la bellissima principessa, l’unica sopravvissuta della sua famiglia… anche se molti erano più che sicuri che fosse morta, ora quella che tanti consideravano una “favola” si stava concretizzando ai suoi occhi.
« Ricordavo qualcosa del genere. Quando hanno pronunciato il loro cognome, “Romanov”, qualcosa mi è scattato nella mente… ma non riuscivo a collegarlo a niente; ora che me lo stai facendo notare, anche io, alla scuola Babbana, avrei dovuto studiare il tempo in cui regnò Nicola II » disse Harry, mentre Draco li fissava come se – improvvisamente – si fossero trasformati in due giganti scarafaggi.
« Bene, visto che vi vedo così concentrati nel cercare di risolvere questo dramma, io me ritorno in camera a dormire, possibilmente… visto che qualcuno mi ha impedito di chiudere occhio per colpa di un idiota. Buona fortuna per i Romanov e l’esercito, Potter, spero che ti accoppino! » e forse con quelle parole sperava di svignarsela, magari andarsene veramente nella sua stanza e chiudere occhio per qualche ora, ma fu afferrato – di nuovo, maledizione – per la collottola e ribattuto – cazzo – su quel divano che, a fine giornata, avrebbe dato sicuramente fuoco.
« Dove credi di andare? » il sopracciglio scuro di Hermione era saettato sulla sua fronte, sparendo quasi all’attaccatura dei capelli ricci e il suo sguardo – con il tono altamente sarcastico – gli stavano semplicemente indicando che lui non si sarebbe mosso di lì.
« Nella mia stanza? » sbuffò Draco, quasi imitando il suo sguardo omicida senza sortire lo stesso risultato.
Naturalmente.
« Puoi quasi considerarti il mio secondo in questo esercito che sta per formarsi, Malfoy… quindi non avere tanta fretta » ridacchiò Harry, svaccandosi soavemente ancor di più sul divano e beandosi del suo sbiancare repentinamente al suono di quelle parole. 
« IO COSA? »
L’urlo micidiale che uscì dalle labbra sottili e regali di Draco Malfoy fece ruzzolare un elfo dalle scale della Torre Nord, volare via la civetta bianca intenta a recapitare una lettera proprio al suddetto e quasi strozzare Theodore Nott, che non sentì l’urlo, ma un brivido freddo lungo la spina dorale, quasi come se avesse intuito che qualcosa stesse succedendo… e che quel qualcosa non gli sarebbe piaciuto affatto.
« L’hai sentito anche tu? » Blaise, che era rientrato da poco e l’aveva trovato seduto su una delle poltroni verde smeraldo della Sala Comune dei Serpeverde, annuì, storcendo il naso e grattandosi, preoccupato, la testa.
« Non avere Draco nelle vicinanze mi preoccupa » sospirò il ragazzo di colore, congiungendo le mani e poggiando il mento sui polsi, pensieroso.
« Draco è al sicuro, Blaise, il suo unico pericolo è essere strozzato da Potter, non altro » disse Theodore, mentre la stanza piombava nel silenzio e le immagini della notte appena trascorsa gli balzavano nella mente; era tutto così confuso e aveva bisogno di parlarne con qualcuno, ma sapeva che Blaise non apprezzava affatto quella sua “indecisione” sulle sorelle Greengrass. Nonostante Daphne fosse una stronza patentata, l’amico la considerava come una sorella ed era già tanto che mantenesse il segreto. Blaise era stato il primo a sapere dei suoi sentimenti per Astoria e non lo aveva giudicato come Theo aveva creduto: semplicemente lo aveva pregato di non dirgli altro e di decidersi presto, perché tra quell’armatura di ferro che Daphne si era costruita… c’era anche un cuore; cuore che comunque lui avrebbe distrutto se avesse continuato a vedere Astoria di nascosto.
Odiava quella situazione eppure ci si trovava proprio nel mezzo. Non riusciva a sfuggire dalle grinfie di Daphne, ma nemmeno a girare la faccia agli occhi dolci di Astoria ed era una eterna indecisione che – alla fine – avrebbe ferito tutti.
« Perché sei sveglio, Theodore? Hai visto qualcuno, stanotte? » Blaise lo fissò in modo eloquente da sotto le ciglia scure, aspettando impaziente una sua risposta e, forse, sperandone in una nettamente negativa.
« Perché mi fai domande di cui conosci già la risposta? » mormorò Theodore, quasi vergognandosi di sostenere il suo sguardo.
Aveva il cuore diviso in due e cominciava a vacillare… tutto quello cominciava a fargli male ed era stanco. Aveva passato la notte con Daphne e lei si era comportata in un modo così strano per i suoi canoni: gli aveva raccontato di come avesse passato la giornata, di quanto fosse stressata per lo studio e poi… avevano fatto l’amore; non come sempre, c’era stato qualcosa in quegli occhi che gli aveva fatto tremare le gambe. Lei non aveva distolto lo sguardo dal suo e aveva continuato a fissarlo come se non ci fosse un domani, come se quella – tra di loro – sarebbe stata l’ultima volta.
Theodore quasi aveva sentito la schiena spezzarsi per il peso che gli era crollato, improvvisamente, sulle spalle: la consapevolezza che lei sapesse e ne soffrisse lo aveva piegato. Letteralmente.
« L’hai guardata negli occhi? » la domanda di Blaise dapprima lo spiazzò, facendo in modo che lo guardasse stranamente, ma poi capì.
Sì, Theodore l’aveva guardata negli occhi, e aveva visto la determinazione che la rendeva diversa dalle altre. Aveva visto la paura di non farcela, di perdere e farlo pesante, quella volta.
L’unica cosa che non aveva capito era se la sua paura fosse di perdere contro sua sorella o lui.
« Le hai detto tutto, vero? » bisbigliò Theodore, poggiando gli avambracci sulle gambe e abbassando sconfitto il capo. Blaise rise, scuotendo il capo e stringendo le labbra.
« No, Theo, no. Lei l’ha capito da sola, non è stupida e tu lo sai bene. È venuta da me e mi ha chiesto perché io non le avessi detto niente, perché mi ero messo contro di lei, nascondendole una cosa così grande. Non ho aperto bocca, solo per amicizia tua.
Ora tu, per amicizia mia, prendi una decisione e la smetti di restare tra due fuochi che – alla fine – finiranno per ucciderti » sibilò, mentre lo sguardo dall’amico si perdeva nel vuoto.
« Vorrei tanto che fosse così facile, maledizione, Blaise… non è così facile! Devo stare con Daphne perché i suoi e miei mi ucciderebbero se mi tirassi indietro, ma al contempo mi sono affezionato, non posso negarlo.
Daphne mi trascina giù con lei e certi giorni, quando sono da solo, non riesco proprio a risalirne. Ma poi c’è lei, lei che mi regala solo bene, solo emozioni, solo sorrisi. Astoria è il mio opposto e mi completa, Daphne è uguale a me e mi distrugge.
Dimmi come faccio a scegliere, perché – davvero – io non lo so » mormorò Theodore, guardandolo disperato e in panico per la prima volta in vita sua.
Blaise avrebbe voluto rispondergli che stava chiedendo di decidere ad un gay che aveva appena fatto sesso con una donna e quindi non era un ottima mossa, ma si limitò a sospirare pesantemente, chiedendosi quando sarebbe finita quella giornata.
« Scegli quella che non ti abbandonerà mai, Theodore, perché poi avrai perso due volte. Una per aver lasciato la donna che credevi di amare di meno – ma che poi hai capito di amare di più –  e due perché sei stato mollato da colei che credevi t’amasse più di qualsiasi altra cosa » Pansy si intromise nel discorso quasi come se fosse stata sempre presente, entrando in scena in ciabatte e sedendosi accanto a Theodore, incrociando poi le gambe, come se nessuno dei due l’avesse appena fucilata con un occhiata.
Aveva un pigiama di seta azzurro e una scatola piena di cioccolatini. « Che c’è? È la mia scorta » borbottò, facendo la linguaccia a Theodore che stava fissando la scatola con un sopracciglio alzato, palesemente divertito.
« Sai, vero, che non si può tenere cibo in camera? » disse Blaise, afferrando un cioccolatino e ficcandoselo in bocca con gusto. Pansy alzò gli occhi al cielo.
« Zabini, sono o non sono una Serpeverde? Per Salazar, ho una certa reputazione anche io! » disse, prendendo un altro cioccolatino e ripetendo la stessa azione di Blaise, ma masticando con più attenzione, quasi lasciando che il cioccolato si sciogliesse tra le labbra.
« Guarda che nascondere una scatola di cioccolatini nell’armadio non fa di te una cattivona » sbuffò Theo, scuotendo il capo divertito. Pansy fece spallucce, quasi come se non fosse interessata alla sua opinione.
« La cioccolata aiuta molto, sai? Dice che curi il cuore quando è spezzato, il corpo quando è stanco e la mente quando è confusa » disse la ragazza, storcendo le labbra nell’imitazione di un sorriso.
I tre si guardarono in faccia e – quasi come se si fossero letti nel pensiero – presero tre\quattro cioccolatini a testa; li mangiarono quasi tutti insieme e scoppiarono a ridere a bocca piena quando si resero conto del gesto.
Pansy appoggiò la testa contro la spalla di Theodore e probabilmente non era la prima volta che lo faceva, ma l’aveva quasi dimenticato.
Aveva dimenticato l’odore che aveva un amico e pure il proprio, a dire il vero: le sembrava di aver vissuto in una bolla tutto quel tempo; Theodore le accarezzò i capelli e probabilmente non era la prima volta che lo faceva, ma lei l’aveva quasi dimenticato, ma le piacque lo stesso.
« Va bene, Pansy. Va bene fare affidamento su qualcuno, qualche volta, anche se non è nella nostra natura » sussurrò Theo al suo orecchio, facendole chiudere gli occhi. Si rilassò contro il suo corpo e – dopo mesi che si era trattenuta – lasciò sfuggire al suo controllo una sola lacrima.
Era stata così stupida: quando i suoi genitori erano stati arrestati e Draco l’aveva lasciata – completamente – si era sentita sola.
Pansy si era sentita senza alcuno appiglio a cui aggrapparsi ed era arrivata ad odiare persino se stessa, ma aveva dimenticato coloro che – in passato – non le avevano mai negato una mano. Si era rifiutata di vedere e si era ridotta in pezzi, solo perché i suoi occhi erano troppo concentrati a perdersi nel nulla.
Aveva dimenticato che gli abbracci rendevano meno tristi, meno soli, ed erano capaci di ricomporre anche quando si è a pezzi.
« Lo so » bisbigliò, mentre lui le asciugava la guancia con i polpastrelli. Non erano da loro quei sentimentalismi, ma tutti avevano bisogno di qualcuno quando non si ha più niente da perdere, credere, sperare. Pansy aveva, in quel momento, bisogno di sentimentalismi più di quanto aveva creduto.
Non si era resa conto di non essere sola fino a quel momento, tra quelle braccia, persa in quell’odore, nel sentire quella voce, nel sentire quel calore. Non era più sola.
« Ragazzi… vi rendete conto che tra qualche ora abbiamo un ballo? » sbottò Blaise, guardando l’ora sull’orologio a pendolo accanto al camino e facendosi venire un traverso di bile.
Pansy e Theodore si guardarono prima negli occhi, poi sogghignarono perfidamente: con uno scatto si catapultarono su Blaise, quasi rovesciando la poltrona su cui era seduto per il peso eccessivo, e cominciarono a scompigliargli capelli, Pansy gli diede persino un morso sul braccio – che quasi lo fece urlare dal dolore – mentre Theo si limitava a cercare di renderlo impresentabile il più possibile.
« Ora sei abbastanza sveglio da resistere per qualche ora, giusto per andare al ballo! » rise Pansy, crollando seduta sulle ginocchia di Blaise e trattenendo a stento i singulti per l’aspetto di quest’ultimo.
« Bastardi, traditori, infami! » sbraitò Blaise, rischiando di svegliare l’intero dormitorio Serpeverde. Theodore gli tappò la bocca con un pugno, mentre con l’altra si teneva la pancia per le risate.
« T-togl… Argh! »
« Shh ! »
« Mi ha dato un calcio nella pancia! »
« Pff… »
« Siete due idioti! »
 
 
E un paio d’ore più tardi ci volle tutta la pazienza del mondo per nascondere le occhiaie di chi – come loro – quella notte invece di dormire aveva fatto tutt’altro. Il ballo era iniziato, i preparativi erano pronti e Hogwarts era in pieno fermento, dimentica degli attimi di terrore che avevano scosso quelle mura.
Harry era sceso insieme a Ron e Draco – che già si erano spinti per le scale e si ritrovavano con un bernoccolo a testa – con un sobrio ed elegante smoking nero… uguale a quello di Malfoy; Draco l’aveva quasi accoppato quando l’aveva visto uscire dalla stanza vestito, in tutto e per tutto, uguale a lui, cominciando a  insultarlo con uno stile che si riassumeva in:  “copione di merda” e “incapace di portare vestiti eleganti” aggiungendo anche “toglitelo subito, Potter, sfigureresti a mio confronto” continuando ad apostrofarlo con epiteti poco gentili che Harry aveva ignorato volutamente, camminando a petto gonfio per i corridoi e salutando gentilmente qualche ragazza che conosceva anche solo di vista.
« E sta zitto, Malfoy! I vestiti per questo tipo di feste sono tutti uguali per noi maschi » sbuffò Ron, alzando gli occhi al cielo per le continue lamentele del nemico.
« Al ballo del Ceppo non ricordo che tu eri uguale a tutti gli altri, donnola! » sibilò Draco, sogghignando al ricordo del vestito ridicolo che aveva dovuto indossare il rosso. Ron arrossì, rabbrividendo disgustato anche solo al pensare la puzza della sua prozia Tess, tutta racchiusa in quel tessuto che aveva dovuto indossare per forza, schifato al massimo.
Bleah.
« Sta un po’ zitto! » sbottò Ron, mollandogli uno spintone e sorridendo felice quando Harry gli sequestro la bacchetta. « Non ho bisogno di quella per farti lo scalpo, Weasley » ruggì Draco, assottigliando lo sguardo e venendo bloccando – appena in tempo – da un Harry fin troppo cinguettante.
« Buonasera, professoressa Mcgranitt! Bella festa, vero? » disse a denti stretti, mollando un pizzicotto al biondo che teneva fermo per le braccia e sorridendo in un modo così finto che avrebbe potuto fare concorrenza con la buona e vecchia professoressa Umbridge.
« Fai schifo come attore, Potter » sussurrò Draco a bassa voce, facendo ciao-ciao con la manina alla preside.
« Ottima festa, signor Potter… se almeno fosse arrivato in Sala Grande, per dirlo. Mancate solo voi, quindi vi consiglio di avanzare il passo perché le danze sono già aperte » disse, indicando con un braccio l’entrata della Sala e beandosi dei loro gemiti di sofferenza. In realtà non avevano nemmeno provato a cercarsi una dama: con tutto quello che avevano avuto da fare era passato di mente anche l’idea generale di passare una serata normale.
Ma, Draco, dovette ammettere che gli addobbi erano più che meravigliosi: fiocchi di neve grandi quanto il suo pugno cadevano dal soffitto e si depositavano sul pavimento coperto da un grosso tappeto rosso; gli alberi erano ad ogni angolo e la musica quasi accarezzava e rendeva speciale quella serata: senza nemmeno rendersene conto, con gli occhi, cercò lei.
« Perché sembrano tutte… torte giganti? » borbottò Ron, riferendosi alle dame presenti quella sera. Harry scoppiò a ridere e, mentalmente, quasi gli diede ragione; le ragazze non avevano molte occasioni per sfoggiare un abbigliamento diverso dal solito e – quando potevano farlo – a loro piaceva esagerare.
Ce n’erano di tutti i gusti: rosa, verde, porpora, rossi e chi ne ha più ne metta; per la maggiore erano abiti lunghi e larghi, tipici vestiti che alle ragazze piaceva chiamare da “principessa” ed Harry non aveva mai visto tanti sorrisi tutti assieme.
Quasi nessuno di loro sembrava sapere che stava per scatenarsi una guerra… oppure, semplicemente, a nessuno importava. Si infilò una mano nella tasca e guardò Draco di sottecchi: stava fissando il tavolo dei buffett da due minuti buoni senza fiatare, come se non avesse intenzione di attirare l’attenzione su di se… e su di chi stava fissando.
Dal canto suo, Draco, non riusciva davvero a smettere di guardarla. Ogni giorno, fissarla, si rivelava una sorpresa: scopriva sempre qualcosa di nuovo in quel viso che – in quel momento – rideva radioso ad una battuta che, molto probabilmente, aveva detto la femmina Weasley.
Aveva uno di quei abiti che sembravano cuciti apposta per il corpo che li indossava; era di un azzurro chiaro, quasi come il cielo quando niente lo turbava, quasi come i suoi occhi quando la guardava.
Le spalline sottili le solcavano le spalle nude e trattenevano lo scollo a barca, delineando appena la linea del seno. Scendeva morbido sui fianchi – quelli che aveva appena sfiorato, quelli che aveva accarezzato – lungo fino alle caviglie sottili. Portava un paio di scarpe aperte color dell’oro, con qualche strass sul cinturino e il tacco basso, che slanciava la sua figura – una figura che aveva imparato a riconoscere persino dall’ombra. –
Aveva lasciato i ricci sciolti lungo le spalle e la schiena e, Draco, quasi inalava voler sentire il suo profumo – quello che lo travolgeva anche a metri di distanza – e solo le labbra piene erano state accentuate da un lucidalabbra nudo, quasi invisibile. Era qualcosa di meraviglioso, anche se lei a malapena se ne rendeva conto.
« Ehi, Hermione! Siamo qua! » urlò Harry, agitando le braccia e invitandola ad unirsi al gruppo. Hermione sorrise nella loro direzione, afferrando un lembo di vestiti e correndo appena verso di loro: la gamba si scoprì appena, ma Draco ricordò perfettamente quella notte.
Le sue mani erano state fuoco sul suo corpo, leggere, dolci, pretenziose come le labbra che aveva accarezzato appena con le proprie. Draco ingoiò a vuoto e lei gli sorrise.
« Wow, siete uno schianto! » disse, scompigliando i capelli ad Harry e depositandogli un bacio sulla guancia. Ancora doveva perdonare Ron dal modo in cui lo ignorava e un sogghigno andò a formarsi sulle labbra di Draco a priori.
« Ho bisogno d’alcool » mormorò Draco, ma Ginny – avvolta da un vestito blu notte senza spalline – sembrava che avesse già previsto tutto: gli passò un bicchiere dove girava uno strano liquido ambrato e gli sorrise in modo subdolo.
« Devi berlo tutto d’un sorso, Malfoy, o non fa effetto! » disse, mentre Draco lo annusava e storceva disgustato il naso.
« Vuoi avvelenarmi, Weasley? » sbottò e Ginny rise.
« Certo, non è mica una novità! »
« Sì che voglio! »
Ginny e Ron risposero nello stesso istante, guadagnandosi un occhiataccia da Draco e una risata da parte di Harry, che riconsegnò la bacchetta al Serpeverde. « Divertente, davvero divertente » borbottò Draco, bevendo il liquido tutto d’un sorso e facendo una smorfia che – questa volta – fece ridere Hermione.
« Sei malefica, Weasley! Non dirmi che gli hai fatto bere quella roba… » la voce di Blaise fece rilassare Draco, che salutò l’amico con un occhiolino, guardandolo poi da capo a piedi per assicurarsi che stesse bene.
« Almeno se è ubriaco constatiamo se è divertente » disse Ginny, facendo alzare gli occhi al cielo a Blaise. « Non lo è » l’assicurò Theodore, apparendo alle spalle di Harry e facendogli quasi venire un infarto; a braccetto, avvolta in un abito nero a tubino, Pansy Parkinson sorseggiava da una coppetta quello che sembrava succo di zucca… ma che era tutt’altro. Aveva i capelli legati, si accorse Harry, e il viso truccato completamente scoperto; i suoi occhi neri erano gonfi, come se avesse passato una nottata intera a piangere, ma le labbra truccate di rosso sorridevano, come se qualcuno l’avesse consolata.
« Una volta, ad una festa a Malfoy Manor, si ubriacò pesantemente e una donna lo portò in una delle stanze per fargli fare uno spogliarello. Quella donna era una sua prozia, pervertita, pedofila – visto che lui aveva quindici anni e lei settanta – e anche acida, visto che, una volta piombati nella stanza per riprendercelo, quasi ci ha accoppati con il bastone » disse Theo, mentre Draco rabbrividiva al ricordo e Pansy tratteneva a stento le risate.
Ricordava benissimo quelle notti a Malfoy Manor: i balli che intratteneva Lady Narcissa erano meravigliosi e sfarzosi e superavano di gran lunga le aspettative di qualsiasi uomo o donna d’alta società.
Ogni cosa e dettaglio era curato nei minimi particolari e la festa iniziava e finiva in grande stile, proprio come ci si aspetta da dei Purosangue come i Malfoy; peccato che, per ragazzi come loro, fossero comunque noiosi: circondati da adulti e argomenti più o meno seri, preferivano buttarsi – di nascosto – sui super-alcolici. E ne veniva fuori un putiferio. Una volta Blaise, ubriaco marcio e fatto peggio, aveva avuto la brillante idea di dar fuoco ai suoi peli pubici, giusto perché quella depilazione era più veloce e istantanea della ceretta o del rasoio. Inutile dire che aveva corso per tutta la casa con il suo coso di fuori – spaventando un paio di anziane signore – e aveva trovato sollievo solamente quando aveva poggiato i “gioielli di famiglia” sulla statua di ghiaccio che raffigurava il blasone dei Malfoy.
« Beh, non che tu sia meglio, Theo; una volta ti trovammo vestito nel laghetto fuori casa perché cercavi le sirene per dire loro di non fidarsi di una certa “Ursula” perché voleva prendere i poteri di Re tricosa   » sbuffò Draco, mentre Blaise se la rideva sguaiatamente al ricordo.
« Dovremmo rifare una di queste feste, sai? » disse il ragazzo di colore, rivolgendosi all’amico. Pansy scosse il capo.
« Per quale scopo? Quello per cui voi vi ubriacate e io devo darvi calci nella pancia per evitare che le vostre piccole mani si attacchino alla mia gonna perché volete che io vi aiuti? Passo, grazie! L’ultima volta Blaise mi ha rovinato un vestito che avevo pagato trecento galeoni » sbuffò Pansy, visto che – quasi sempre – lei era l’unica del gruppo che rimaneva più o meno sobria. Almeno quel poco da ricordare il proprio nome.
« Mi piacerebbe vedervi tutti ubriachi; almeno da poter vedere il vostro lato più “docile” » proferì Hermione, divertita dai loro racconti.
« Potrai vederci in queste condizioni appena la maggior parte di questi guastafeste ritornerà a casa per Natale. Lì ci sarà da divertirsi » borbottò Blaise, versandosi del liquido contente in una boccetta di pelle nera nel bicchiere e alzandolo in onore della vincita della scommessa.
Il giorno dopo sarebbero partiti tutti per le vacanze e lui non vedeva l’ora di attivare il piano “Draco\Granger”. Era più che ansioso e la prospettiva cominciava a farsi allettante.
« Anche se… qui le cose cominciano a scaldarsi » sghignazzò Harry, guardando Ginny passare un altro bicchiere a Draco.
 
E… non ebbe torto. Due ore dopo, Draco Lucius Malfoy, l’erede della nobilissima casata, fu riportato sulle spalle su nella Torre Nord da un povero Blaise, che cominciava a bestemmiare in Aramaico.
Aveva perso il conto di quanti bicchieri quell’idiota aveva ingurgitato e quando aveva visto che le cose cominciavano a precipitare – proprio quando, per caso, aveva urlato ad una ragazza che sembrava sua nonna quando l’avevano vestita per il funerale – aveva deciso che per lui la festa era finita. Almeno in pubblico.
Ron, Harry, Ginny, Hermione, Pansy e Theo lo seguivano a poca distanza, ridendo di tanto in tanto quando Draco – con il viso rivolto verso di loro – sorrideva in modo ebete e faceva “ciao ciao” con la mano.
« Che diavolo c’era in quei drink, Ginny? » domandò Ron, quasi spaventato dall’espressione angelica che il nemico, in quel caso, sfoggiava tranquillamente, come un bambino pacioso e tranquillo.
« È un esperimento di Dean… devo dirgli che è una bomba » rispose la sorella, quasi orgogliosa dell’operato dell’amico.
« Quel ragazzo inventa solo cose illegali! Devo farmi dare la ricetta, non farmene dimenticare, Theo! » disse Blaise, affannando per il peso – che si sentiva, eccome se si sentiva – dell’amico che portava sulle spalle.
« Siamo arrivati » mormorò Hermione, aprendo la porta a Blaise e – con un urlo – venendo trascinata sul divano insieme a Draco: l’idiota, perché solo così poteva chiamarlo, l’aveva afferrata per il lembo del vestito che manteneva tra le mani per non inciampare e tirandosi dietro anche lei.
« Sei calda » bisbigliò Draco al suo orecchio, facendola arrossire. Hermione si allontanò di scatto, simulando un colpo di tosse per coprire l’imbarazzo.
Si accomodarono tutti sui due divanetti di pelle nera e Pansy aveva seguito quella “processione” solo perché non aveva intenzione di perdersi qualche teatrino di Draco; quest’ultimo aveva la brutta abitudine di dire ogni singola cosa gli passasse per la mente, quando era ubriaco. E, per lei, era più divertente starlo a sentire che rimanere alla festa.
« Merlino, hai l’alito che puzza di… ma quanta roba c’era lì dentro? » sbottò Harry, fucilando Draco che – con una risatina – aveva appena alitato sulla guancia di Hermione, immobile come un pezzo di marmo.
« Potter! » lo richiamò Draco, alzandosi dal divano e avvinandosi al ragazzo barcollante, con un tono strascicato e la bocca impastata. Traballò e Theodore si spaparanzò meglio per sentire cosa avrebbe detto.
« Che c’è? » domandò Harry, assottigliando lo sguardo e fissandolo in attesa.
« Tu mi stai sulle palle » borbottò, indicandolo e guardandolo con sufficienza. Harry alzò un sopracciglio, come se quello che avesse detto fosse stata una storia che aveva sentito mille volte.
« Ma devo ammettere che hai coraggio da vendere, anche se sei fastidioso. Ma mi stai sulle palle. Tu e quell’aria da “ho salvato il mondo e soffro perennemente”; non sei l’unico che ha avuto dei problemi, sai? Tutti noi, dal primo all’ultimo in questa stanza, ha avuto una vita di merda » sbuffò Draco, mentre Harry raggelava.
« Cazzo, Potter, so che hai avuto una vita difficile, ma porco Merlino! Questo non ti da il diritto di portarla avanti come la più invivibile » continuò Draco, sedendosi sul pavimento a gambe incrociate. Ginny accavallò le gambe, interessata al discorso e Blaise la guardò di sottecchi.
« E, per la cronaca, loro saranno i secondi del secondo nel tuo esercito! » disse, indicando i tre Serpeverde alle sue spalle e facendo quasi venire un traverso di bile ad Harry.
« Esercito? Che esercito? » domandò Theodore, fissando il bambino sopravvissuto con le sopracciglia corrugate.
Harry si schiaffeggiò la fronte.
« Era un segreto, Malfoy! Un segreto! Sai cos’è un segreto? » sbraitò Harry, trattenendosi dallo strappargli la testa a morsi. Draco fece spallucce, come se l’affare non gli riguardasse.
« Ah, Blaise, amico. Credevo che scherzassi quando al sesto anno dicesti che la Weasley era carina… ma arrivare a fart… » stava per finire la frase quando, Hermione – per la pace dell’Universo intero – gli saltò addosso e gli tappò la bocca con il gomito conficcato tra le labbra.
Ron guardò sua sorella. Blaise sbiancò. Ginny fissò Harry come se la colpa fosse sua e Theodore quasi cadde dalla poltrona.
« VOI COSA? » l’urlo collettivo quasi fece saltare Blaise per aria, che si rintanò in un angolino del divano e guardò il resto dei presenti con un espressione quasi terrorizzata.
« Diglielo tu! » disse Blaise, guardando Ginny con disperazione e quasi pregandola con uno sguardo. La rossa sorrise in modo angelico, fissando suo fratello con l’aria più dolce che possedesse nel repertorio “prendere per il culo”.
« Sai, Ronnie, quando un maschietto e una femminuccia sono coscienti delle proprie “capacità” e sono annoiati dalla vita e dalla propria esistenza, capita che caschino in quella meschina cosa chiamata “intimità”. Non è come ti hanno raccontato mamma e papà, i bambini non nascono sotto i cavolfiori e… » iniziò, venendo interrotta da un urlo disumano. Ron era balzato in piedi e aveva le orecchie che andavano a fuoco.
Spostava lo sguardo dalla sorella al Serpeverde, probabilmente domandandosi chi avrebbe dovuto uccidere per primo. Balbettava frasi sconnesse ed Hermione – se avesse avuto ancora un briciolo di considerazione – avrebbe cercato di calmarlo o sicuramente gli sarebbe venuto un infarto, ma si limitò a restare a terra, in braccio a Draco – tappandogli ancora la bocca con il gomito – mentre lui, con la scusa che era ubriaco, le toccava i capelli e le palpava qualsiasi cosa gli passasse per mano.
« Donna… donna… donna scarlatta! » urlò Ron, indicando la sorella. Ginny si chiese se quello fosse un insulto, guardandolo stupita per il vasto vocabolario di insulti che possedeva.
« Aaaargh! » sbraitò insensatamente Ron, prima di fiondarsi su Blaise per cercare di ammazzarlo. Pansy non si mosse di un millimetro, proprio come Harry, fissando la scena e rimpiangendo un pacco di cioccolatini per assistere allo spettacolo.
Gli unici che si degnarono di fare qualcosa furono Theodore e Ginny: se il primo con tanta pazienza cercava di fermare il rosso, la seconda fu più veloce. « Elettro! » urlò, puntando la bacchetta contro il fratello e causandogli una scossa elettrica, che lo bloccò per ben cinque minuti.
« Sei carina » mormorò Draco ad Hermione, che alzò gli occhi al cielo; Harry, dal divano, gli mollò un calcio nel fianco.
« Ti va di essere la mia fidanzata? » e lì Hermione non si trattenne: scoppiò miseramente a ridere, mentre Harry mollava l’ennesimo calcio a Draco.
Eppure… non c’era niente di più dolce del bacio che lui le diede di sfuggita all’angolo della bocca.
 

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Capitolo 11
*** Capitolo X - Pieces ***


Capitolo X -
Pieces






« Perché questo posto sembra un porcile? » George Weasley calciò il corpo di Blaise Zabini lontano da Hermione che – confusa al massimo e con un cespuglio al posto dei capelli – si alzò a sedere di scatto mezza intontita e mezza addormentata, guardando il fratello del suo ex fidanzato con l’aria di chi non sa nemmeno dove si trova.
« George? Che ci fai qui? » borbottò Hermione, cercando di allontanare il braccio di Harry dal suo stomaco: George, senza troppe cerimonie, calciò via anche lui, aiutandola ad alzarsi senza alcuno sforzo e guardando gli altri occupanti della stanza con un sopracciglio alzato.
« Che mi sono perso, Hermione? » domandò, indicando con il mento Theodore Nott spaparanzato su Pansy Parkinson, rannicchiata su un fianco. In realtà, dopo aver messo a letto Draco – che ora ronfava allegramente nella sua stanza – avevano chiacchierato del più e del meno fino alle cinque di mattina, crollando sul pavimento uno dopo l’altro e senza nemmeno pensare, in realtà,di ritornare ognuno nei propri dormitori.
« Andiamo nelle cucine? Ho bisogno di fare una sana colazione per riprendermi del tutto » sbadigliò la ragazza, che indossava ancora il vestito del giorno prima. George la guardò da capo a piedi, fischiando a quella vista più che gradevole e strizzandole l’occhio con fare ammiccante.
« Sei uno schianto, Caposcuola! » disse, porgendole il braccio come un vero gentiluomo e portandola fuori dalla Torre Nord. Hermione sorrise, poggiando il capo sulla sua spalla e stringendosi contro di lui. Le era mancato il suo profumo e il suo fare scherzoso che – incredibilmente – sapeva cancellare ogni dolore. George, che il dolore lo teneva dentro, sapeva cancellarlo dai cuori di chiunque incontrasse.
« Come stai, George? E come mai sei qui? » domandò, mentre continuavano a scendere un’infinità di scale per arrivare a destinazione. Il ragazzo fece spallucce, guardandosi attorno con aria malinconica: non era cambiato nulla, ma sembrava cambiato tutto, persino l’aria che respirava aveva un sapore più acre del normale, capace di sciogliergli la lingua, il cuore e l’anima in un fiume di acido; lo stesso che ora sembrava scorrergli nelle vene. Merlino, se faceva male.
« Ho chiesto alla Mcgranitt il permesso di fare un giro da queste parti, magari salutarvi – visto che non ci sono state molte occasioni per vedervi – e passare un po’ di tempo insieme… non ritornavo dalla… beh, dalla sua morte e mi chiedevo come sarebbe stato. Ma poi mi ha raccontato che Harry e Malfoy sono stati messi in una specie di “punizione” – bella merda, eh? Harry non se ne scansa una! – e poi mi ha detto che li aveva mollati nella Torre Nord per mancanza di posti e per una sicurezza maggiore. Credevo di trovare quei due ammazzati di botte, ma invece ho trovato tre Serpeverde e due Grifondoro collassati su un pavimento » disse, guardando Hermione in modo eloquente; quest’ultima arrossì, scuotendo il capo e abbozzando un sorriso.
« Ieri è stato allestito un ballo e so che è una cosa pazzesca, ma la Mcgranitt ha accettato la richiesta del consiglio studentesco solo perché le sembrava un giusto “modo” per distrarre la menti e riconciliare i diversi dormitori dopo la guerra… e dopo tutti gli attacchi che sono successi qui ad Hogwarts.
Tua sorella ha fatto ubriacare Malfoy e ci siamo ritrovati a dovergli fare da balia. È incredibile come un uomo cambi quando è sotto effetto dell’alcool e non sai quante volte abbiamo dovuto impedire Harry di accopparlo.
Ron – dopo aver quasi ammazzato Zabini – si è portata via Ginny – che a sua volta ha quasi ammazzato lui – e noi abbiamo cercato di mettere a letto Draco, che ti dico, si è addormentato dopo ore e una ninnananna che, molto probabilmente, Harry gli rinfaccerà a vita. Siamo crollati stanchi morti anche noi e onestamente non ci abbiamo nemmeno pensato a ritornare nei dormitori… qualcuno, comunque, aveva dell’alcool in circolo e non ci fidavamo a farlo girare da solo per Hogwarts, almeno non con i tempi che corrono. Girano brutte persone, ultimamente, per i corridoi di notte » spiegò Hermione, cercando di non tralasciare nulla e spiegare almeno in parte la presenza dei Serpeverde e il legame che, lentamente, stavano cercando di instaurare. Non era poi così male come avevano creduto, in fondo, erano tutti umani e come tali sapevano incastrarsi bene tra di loro.
« E… si comportano bene con te, Hermione? » domandò George, fermandosi di fronte al ritratto che li avrebbe condotti nelle cucine: solleticò la frutta e la aiutò a entrare. Gli elfi erano in pieno fermento, ma trovarono spazio – estasiati – per farli accomodare e per servirli di ogni pietanza possibile e immaginabile. « Grazie » mormorò Hermione, afferrando tra le mani una tazza di cioccolato fumante e riscaldandosi le mani intorpidite dal freddo; George si tolse il giaccone e lo posò sulle sue spalle, venendo ringraziato da uno dei sorrisi di Hermione, uno di quelli speciali, che lo rasserenò in parte.
« La guerra ha cambiato molte persone, George, e credo che tu questo lo sappia bene; molti seguivano gli ideali di Lord Voldemort perché erano minacciati, altri perché lo consideravano un dovere e – fidati – probabilmente lo era.
Il dormitorio dei Serpeverde ora è un misto di paura e inquietudine, disprezzo e qualcosa di nuovo che aleggia nell’aria: ora sono liberi di pensare con la propria testa, di seguire i propri ideali e – magari – di fare le proprie scelte; per loro è qualcosa d’incredibile, farlo, sai? A noi sembra una sciocchezza, sono cose che abbiamo sempre fatto e quindi ci sembra scontato, ma loro…loro, ora e solo ora cominciano a vivere veramente.
Non è scomparso l’astio che covano per me e gli altri Grifondoro, ma va scemando e noi – preside e professori compresi – non potevamo chiedere di meglio, in effetti. Questa collaborazione ci serve e se loro ci aiutano… possiamo uscirne vincitori, ne sono sicura » disse Hermione, afferrando un biscotto al cioccolato e facendo spallucce. Ci credeva davvero e questo s’intuiva dal modo in cui ne parlava.
George scosse il capo: non poteva aspettarsi altro da lei.
« Quell’idiota di Ron si è lasciato sfuggire più del consentito, non è vero, fratello? » George, come gli capitava sempre quando sentiva quella voce, sobbalzò: Fred, seduto a gambe incrociate sul pavimento, gli sorrise giocoso. Tremò, annuendo nella sua direzione e beccandosi una linguaccia.
Fred non aveva le sembianze di quando era morto – quindi George aveva escluso che fosse diventato un fantasma – ma poteva avere sei\sette anni al massimo; aveva i capelli rossi sparati da tutte le parti, in disordine – come nelle fotografie che gli mostrava sempre sua madre da quando se n’era andato – e le lentiggini quasi gli coloravano l’incarnato già ambrato di per sé. Gli occhi, castani, erano vispi e allegri e non sembravano rendersi conto della situazione in cui si erano cacciati, del fatto che fossero proprietari di un qualcosa che non poteva considerarsi né ultraterreno né terreno.
Fred Weasley era qualcosa, in quel momento,e George non sapeva dire cosa.
« E tu George, come stai? Ho sentito che hai ripreso a lavorare al negozio » domandò Hermione, osservandolo preoccupata da sotto le ciglia scure e con la bocca sporca di cioccolata; George rise e con un fazzoletto le pulì le labbra. Fred, ancora nella stessa posizione in cui era comparso, alzò gli occhi al cielo.
« George ha la fidanzatina, George ha la fidanzatina, George ha la fidanzatina! » cantilenò, divertito, indicando il fratello gemello e scoppiando a ridere. Con un sospiro, George, gli fece segno di tacere. Non aveva raccontato a nessuno di quella specie di “visione” perché, purtroppo, era più che sicuro che fosse impazzito alla morte di suo fratello e che tutto ciò fosse solamente un frutto del suo dolore. E non voleva che sparisse, non più.
All’inizio aveva avuto paura, certo: gli aveva urlato di andarsene, di sparire, aveva cercato di allontanarlo da sé il più lontano possibile, ma Fred sembrava non sapere di essere morto; gli aveva chiesto perché fosse così arrabbiato con lui e poi, prendendo un biscotto dalla credenza e porgendoglielo, gli aveva chiesto di fare pace… perché loro erano fratelli e il loro legame non poteva spezzarsi per uno stupido litigio. Fred aveva detto che erano gemelli e non potevano stare lontani più del consentito. George, a quel punto, era scoppiato a piangere.
Aveva urlato perché aveva sentito il cuore cadere a pezzi, aveva chiuso gli occhi perché aveva sperato che lui sparisse tra una strizzata d’occhi e un'altra, ma niente.
Fred era ancora lì e solo lui poteva vederlo. Era costantemente al suo fianco, ogni parte andasse e ogni posto visitasse; quando era in bagno, lo prendeva in giro perché puzzava, quando era in negozio si divertiva a giocare con le loro invenzioni, i prodotti e persino i clienti, ma non aveva mai fatto del male a nessuno, fisicamente, ma uccideva George, mentalmente e sentimentalmente. Non sapeva catalogare quella cosa, non sapeva se fosse una visione distorta della sua mente o un gioco crudele del destino ma George – oramai – era abituato a quella presenza.
Gli sembrava di avere un… figlio e di dovergli dare le dovute attenzioni. Giocava con lui, Fred faceva il bagno con lui e George lo amava come lo amava lui.
Ah, ma non era un amore qualsiasi, no, questo George l’aveva sempre saputo; l’amore era troppo sporco per descrivere il legame che stringeva Fred e George in una cosa sola, una cosa che superava perfino la morte. Era qualcosa di superiore che abbatteva barriere che – un uomo normale, un sentimento superfluo – non avrebbe potuto né abbattere e tantomeno superare.
George si era abituato man mano alla sua presenza e – ora – quasi gli sembrava scontato averlo accanto ogni secondo, come se non fosse mai andato via… come se fosse stato sempre lì con lui. Ma era un bambino – o almeno ne aveva le sembianze – e a volte non sapeva come comportarsi.
Fred, quando era a casa e credeva che lui non lo guardasse, abbracciava stretto la mamma e poggiava il capo sul suo grembo: e – con il cuore a pezzi – George sapeva che lei lo sentiva, perché sorrideva al vuoto e tratteneva a stento le lacrime, porgendo la mano a George e abbracciandolo di slancio, stringendo anche Fred senza nemmeno accorgersene.
Il piccolo non sembrava nemmeno preoccupato dal fatto che i suoi fratelli fossero molto più grandi di lui, in realtà non sembrava nemmeno accorgersene. Per lui era tutto normale.
Assorbiva qualsiasi informazione tramite le chiacchiere che si facevano in famiglia e poi gli chiedeva perché era successo quello o quell’altro, ma mai perché nessuno pronunciasse il suo nome e perché mai non ricordasse nulla di tutto quello.
Di notte, poi, accanto a lui, gli sussurrava che la mamma lo stava chiamando e che era triste, quindi spariva per un paio d’ore e tornava con il sorriso sulle labbra: ora la mamma sorrideva e stava bene, quindi non c’era niente di cui preoccuparsi… voleva solo che lui le stesse un pochino vicino, questo diceva al suo ritorno, mostrandogli un sorriso sdentato.
George era sicuro chelei lo sentisse sempre accanto a sé quando c’era, perché la mattina dopo che Fred gli aveva sussurrato quelle parole nel buio della sua stanza, la ritrovava più serena, con un sorriso che ricordava i tempi in cui tutti loro erano vivi e le facevano le feste, tormentandola. I tempi in cui loro erano lì e avevano il potere di renderla felice.
« Sto bene, Hermione. Sto bene » bisbigliò, inclinando il capo e posando lo sguardo sul fratello, ora serio, intento a scrutarlo attentamente. Fred sembrava capire immediatamente quando la tristezza lo sopraffaceva e diventava… dolce, giocherellone, un bambino innocente che cerca di rendere le cose più facili e meno dolorose.
Ma, probabilmente, lui non sapeva che il dolore era proprio quello.
« Va tutto bene, fratellone? » bisbigliò Fred, avvicinandosi e poggiando una manina sulla sua. A George sembrava così concreta che rabbrividì, senza fiato. Amava quando lo toccava e, Merlino, stava impazzendo, ma non voleva chiedere aiuto.
Se la sua pazzia era tenere Fred più vicino possibile, allora ben venga, sarebbe stato pronto a perdere il lume della ragione.
« Va tutto bene, sto bene » ripeté, ma questa volta rivolgendosi al piccolo, che sorrise, strizzandogli l’occhio.
Hermione corrugò le sopracciglia, fissandolo preoccupata: George fissava il vuoto con una dolcezza disarmante – triste, angosciante, ma dolce – e sorrideva appena, quasi come se volesse rassicurare qualcuno che… beh, non esisteva. Seguì la sua linea di sguardo e posò la tazza con un piccolo tonfo sul tavolo di legno, ritrovandosi a guardare il nulla. O un tutto sottoforma di niente.
« C’è qualcuno? » domandò, ma George scosse la testa. Fred ridacchiò, nascondendosi dietro la schiena del fratello e giocando – molto probabilmente – a nascondino.
« No, Hermione, siamo soli » rispose e questa volta non poté trattenere un sorriso sincero quando Freddie scoppiò a ridere, sganasciandosi dietro la sedia da cui era nascosto. Avrebbe dovuto chiedere aiuto, forse qualcuno non l’avrebbe catalogato come pazzo e sarebbe stato ben disposto ad aiutarlo.
Ma era davvero sbagliato? Voler tenere Fred vicino, era davvero così sbagliato?
Il bambino gli saltò in grembo, facendogli le linguacce e abbracciandolo di slancio. Non ricordava che Fred fosse così affettuoso, ma probabilmente – essere ignorato da tutti – lo portava a voler chiedere più attenzione.
« Sai, vero, che puoi dirmi qualsiasi cosa in qualsiasi momento, George? » mormorò Hermione, toccandogli delicatamente il dorso della mano e fissandolo con dolcezza, probabilmente nello stesso modo in cui lui fissava la… cosa.
Non avevano mai avuto un legame forte, lui e Hermione, ma lei era così quieta e tranquilla, così comprensiva nel suo silenzio, che si era stretto a lui senza nemmeno che se ne accorgesse davvero. Era stata l’unica che aveva accettato con sé dopo la morte di Fred ed era stata l’unica che non aveva cercato di farlo riprendere con la forza… finché non si era sentito veramente pronto; non aveva avuto molta voglia di vedere gli altri, in realtà, le loro lacrime non facevano che peggiorare il suo dolore… le loro parole di conforto, invece, sembravano compatirlo e lui odiava essere compatito.
Lei – a differenza di tutti, come sempre – preferiva stare in silenzio: ogni mattina bussava alla sua porta, gli preparava una cioccolata calda con dei biscotti appena sfornati e gli proponeva di fare colazione insieme. Lui non acconsentiva nemmeno, lei semplicemente entrava in casa e preparava la tavola. E facevano colazione in silenzio, guardandosi solamente negli occhi e piegando le bocche in tristi sorrisi.
Quello era stato subito dopo la guerra, il periodo del mutismo ostinato e della grande depressione, come l’aveva chiamata sua madre; niente e nessuno riusciva a farlo riemergere dal baratro che l’aveva accolto – lui nemmeno voleva uscirci, a dire il vero – e si era lasciato irrimediabilmente andare. Non mangiava, non si lavava, non dormiva e non metteva il piede fuori di casa: passava le sue giornate a ciondolare per casa o a guardare il soffitto con aria assorta.
E Hermione, con l’aiuto di Ron, con tanta pazienza gli puliva casa, lo aiutava a fargli il bagno e a vestirlo. Gli comprò persino una televisione babbana, che gli costrinse a vedere ogni sera; pranzavano insieme e cenavano insieme – quasi come una strana famiglia composta da due adolescenti e uno più grande, ma molto più piccolo di come sembrava – mentre Ron si occupava del negozio insieme all’aiuto degli altri fratelli.
Hermione non aveva nemmeno pensato di rifiutare la richiesta di aiuto da parte di Ron, in realtà, si era trasferita a casa di George e basta, comportandosi con lui come una madre premurosa… perché la sua, di madre, era troppo preoccupata a piangere il ricordo di Fred.
Avevano iniziato a piccoli passi… prima una parola, poi due e infine intere frasi; per terminare, per la gioia di Ron, erano iniziate nuovamente le battute. George si era ripreso pian piano, instaurando un rapporto speciale con lei e il fratello minore, che non l’aveva abbandonato un attimo.
« Lo so, mammina » rispose scherzosamente, baciandole la guancia e staccandosi solamente quando – mezzo scarmigliato e con la camicia abbottonata al contrario – fece il suo ingresso Draco Malfoy.
« Ehi, furetto! » lo salutò George, mentre Draco – senza parlare – alzava una mano nella sua direzione, come se gli stesse chiedendo del tempo per rispondere o semplicemente di abbassare la voce. « A voce più bassa, grazie » bisbigliò, tenendosi la fronte con una smorfia sul viso.
« Medicina babbana, ottima contro i mal di testa  » disse George, cacciando un’aspirina dalla tasca posteriore dei jeans e offrendola al povero Malfoy, più pallido del solito e con due occhiaie spaventose. Ora, più che mai, sembrava un vampiro vicino al collasso.
« Vedo che ricordi » mormorò Hermione, riferendosi alle volte in cui aveva dovuto comprare scorte di aspirine per le febbri improvvise – e i mal di testa assurdi – che venivano a George durante quel periodo.
« Scherzi? Sono una manna dal cielo queste aspicose! » rise George, mentre Hermione chiedeva gentilmente un bicchiere d’acqua agli elfi e scioglieva la polvere dell’aspirina al suo interno. Draco si sedette affianco a Hermione, lamentandosi a bassa voce con versi grotteschi e senza senso: prese l’aspirina senza neanche domandare cosa fosse e sbadigliò, chiedendosi cosa ci facesse il Weasley-senzadiploma da quelle parti.
« È la stessa domanda che mi sono posto io, Malfoy, quando ho visto il tuo migliore amico spaparanzato su Hermione » rispose George alla muta domanda del ragazzo, mentre Draco si appuntava – mentalmente – di dover fucilare Blaise e pure Theodore, giusto per sicurezza visto che di amici ne aveva due.
« Ho saputo che ti hanno quasi accoppato… non che la cosa mi sorprenda – anche se questa volta la colpa non è di Harry – ma ti auguro buona fortuna. Te ne servirà tanta, credimi » disse, mentre Draco si faceva una di quelle grattate che avrebbe tenuto lontano la sfortuna non per il gesto, ma per lo schifo.
« Scollati, Potter, sei fastidioso! » la voce di Pansy Parkinson precedette la sua figura esile, che fece il suo ingresso trionfale nelle cucine. Anche lei indossava il vestito della sera prima ma ora i suoi capelli erano sciolti sulle spalle nude.
« Ma chi ti pensa, carlino? » sbottò Harry a suo seguito, grattandosi la cicatrice e illuminandosi alla vista di George. Quasi gli saltò addosso, scompigliandogli i capelli e facendogli le feste.
« Come stai, George? » domandò, mentre Blaise e Theodore – che avevano seguito quei due e si erano subiti i loro litigi – si sedevano e chiedevano cibo con mugugni incomprensibili persino agli elfi.
La metà della ricompensa che il Ministero aveva offerto a Harry Potter era andata alla famiglia Weasley, specie George che stava aprendo altre filiali del negozio in giro per l’Inghilterra… e tutto questo, ancora una volta, grazie a lui; non ce l’aveva mai avuto con Harry, sapeva che tutto quello che era successo non era di certo colpa sua, anzi. George non aveva mai smesso di trattarlo come uno di famiglia, ma sembrava aver legato ancor di più con quello che, oramai, considerava un fratello “acquisito”.
Fred se ne stava, come sempre, seduto sul suo grembo in silenzio, aspettando che quella specie di riunione finisse per tornare a giocare con il suo “fratellone”. George raccontò che le cose stavano andando più che bene e che il negozio andava una meraviglia da quando Ron aveva preso la strada per Hogwarts; Harry aveva riso, scuotendo il capo e accettando – ringraziando con uno sguardo luminoso – delle uova e del bacon dagli elfi.
« So che ti sei immischiato in un'altra guerra, Harry… » disse George, mentre il silenzio cadeva nella cucina e i Serpeverde si stringevano tra di loro come a volersi difendere da quello che – sapevano – era un attacco diretto a loro stessi.
« Sai come la penso su determinate cose, George e qui mi sembra di essere ritornato sotto il regime di Lord Voldemort. Certe persone stanno uccidendo esseri umani per il loro sangue – questa volta puro – e per la loro provenienza.
Tutti nella vita facciamo scelte sbagliate, l’importante, poi, è ricredersi » rispose Harry con una smorfia, con la bocca piena e lo sguardo di chi, come Hermione, ci credeva davvero in quello che diceva.
I Serpeverde potevano anche essere un branco di bastardi, egoisti e alcuni traditori, ma le persone che stava conoscendo avevano capito. Draco si era ricreduto ancor prima che i Santi entrassero in azione e quindi glielo doveva: si sentiva come in debito nei suoi confronti, perché Draco aveva scelto da che parte stare e lo aveva fatto andando contro ogni buon senso, credendo nella parte che – finalmente – sapeva di essere giusta.
« Avrai molte persone contro di te, questa volta » proferì il ragazzo, mentre Hermione strappava la sigaretta che – di nascosto – Blaise cercava di rifilare a Draco. « Lascialo in pace, idiota, fumare fa male e lui non sa nemmeno farlo! » sibilò, mentre Draco arrossiva e Blaise scoppiava a ridere per la scoperta sensazionale.
« Non mi è mai importato avere qualcuno dalla mia parte, George, questo lo hai sempre saputo e… volete stare un po’ zitti voi tre? » sbraitò Harry, mentre Hermione spezzava in due parti – e anche soddisfattissima – la sigaretta.
« Spero davvero per te che questa cosa vada a buon termine » disse George, alzandosi e stiracchiandosi le spalle. Sorrise a tutti i presenti, mentre Fred – invisibile – gli prendeva la mano.
« Vado a salutare Ron e Ginny, sto un po’ con loro e poi vado via… ci vediamo, ragazzi! » salutò, lasciandosi abbracciare da Hermione e Harry, che lo pregò di scrivergli più spesso e di venire a trovarli con altrettanta frequenza.
« Credo sia meglio lasciarli soli » disse Hermione ad Harry una volta che George ebbe varcato il ritratto. L’amico annuì, sospirando e chiedendosi come se la passasse veramente: certo, fisicamente era migliorato molto dall’ultima volta che l’aveva visto, ma in fondo a quegli occhi vedeva ancora un mare di tristezza infinita. E faceva male sapere che, quel dolore, era stato lui stesso a causarlo.
« Draco, mi sa che Blaise ha cercato di rubarti la “fidanzatina”: quando ci siamo addormentati, più di una volta, l’ho beccato nel tentativo di palpare la Granger nel sonno… beccandosi più di una gomitata in pieno petto » rise Pansy, mentre Blaise si guardava bene dal dire che cercava solo di evitare che Potter la palpasse e non il contrario.
« Fidanzatina? » sbottò Draco, arrossendo sulle guance e trattenendosi dal picchiare Blaise sul posto. Tutti scoppiarono a ridere, mentre Hermione si limitò a piegare le labbra in un sogghigno che non portava niente di buono.
« “Sei carina… ti va di essere la mia fidanzata?” » mimò Pansy, sbattendo civettuola le ciglia verso Hermione e sorridendo in modo ebete. Harry dovette ammettere che, maledizione, ci assomigliava in modo incredibile al Malfoy ubriaco.
« No… non dirmelo » mormorò Draco, infilandosi le mani nei capelli, disperato, e chiedendosi che diavolo gli era saltato in mente. Hermione rise.
« Non preoccuparti, Malfoy, sapevo che eri ubriaco » disse la riccia, rassicurandolo con uno sguardo.
Draco inghiottì a vuoto.
Sì, certo, era ubriaco… ma tutti sapevano che l’alcool poteva considerarsi al pari di un “veritaserum”.
« “In vino veritas” » cincischiò Blaise.
Ecco, appunto.
 
Due ore dopo – vestiti, lavati e profumati, ma soprattutto sobri – lo strano gruppo che si era venuto a formare dopo il ballo di Natale si disperse: Theodore, insieme a Pansy, che sembrava seguirlo ovunque andasse, aveva deciso di restare su nella Torre Nord per mettersi in pari con i compiti, scoprendo che, la compagnia della Granger, non era affatto male durante una sessione di studio. Blaise era sparito adducendo scuse tipo “il dovere mi chiama” e “Affari di stato” e Theo non aveva capito se era uscito per incontrare Thomas per i suoi importi illegali o stava macchinando qualcosa per la scommessa.
Harry era sparito con Ron per una partita di Quidditch e solo Draco – che sembrava un’anima in pena – girava per la saletta comune della torre come un dannato senza far nulla. Theodore lo osservava di sottecchi, chiedendosi cosa lo preoccupasse così tanto, mentre Hermione si limitava ad alzare gli occhi al cielo nel sentirlo borbottare tra sé e sé frasi incomprensibili.
E, Theo, avrebbe dovuto aspettarsi che – in un momento di distrazione e vulnerabilità momentanea – la gatta avrebbe affilato gli artigli. « Allora, Draco, ora vuoi dirmi chi è la tua donna “misteriosa”? » domandò Pansy, inclinando il capo e guardando l’amico dall’altro capo della stanza bloccarsi improvvisamente. La piuma di Hermione quasi bucò la pergamena.
« Pansy… smettila » abbaiò Draco, fulminandola con uno sguardo e cercando di bloccare sul nascere una discussione che, a parer suo, non aveva né capo né coda, né inizio e tantomeno una fine, figurarsi un senso logico.
« Andiamo, Draco, potresti dire alla tua ex fiamma il nome della donna che hai puntato per spezzare… come tutte le cose e le persone che passano nelle tue mani » bisbigliò Pansy, poggiando il mento appuntito sui polsi congiunti e guardandolo con un sorrisetto irritante sulle labbra.
Stronza, pensò Hermione, rischiando di rovinare il compito di Trasfigurazione.
« Stronza » sibilò Draco, guardando la Mezzosangue di sottecchi per osservare una sua reazione: se ne stava seduta immobile, con il capo chino sulla sua pergamena e – dal profilo marmoreo e immobile – sembrava impossibile leggerle dentro. Come sempre.
« Basta, Pansy! » disse Theodore, bloccando sul nascere qualsiasi cosa stesse per uscire dalla sua bocca sottile. Ma lei aveva notato bene lo sguardo preoccupato che Draco aveva posato sulle spalle ricurve della Granger e, purtroppo, il suo sesto senso non si sbagliava mai.
Davvero? Era stata messa davvero da parte per una Mezzosangue? Le cose tra lei e Draco erano finite da un pezzo, ma si sentiva ugualmente ferita all’interno; suo padre le aveva sempre detto che qualsiasi cosa avesse voluto l’avrebbe ottenuto, perché una Purosangue ottiene sempre quel che vuole. Ma suo padre mentiva.
Pansy aveva solo preteso un po’ d’amore da parte di Draco, solo un briciolo, ma non aveva mai ottenuto niente: lui era come un muro di granito e sembrava quasi impossibile che fosse capace d’amare; e, ora, scopriva che una Mezzosangue era riuscita a scalfire quel ghiaccio che circondava Draco da sempre, oramai, mentre lei a malapena aveva ricevuto un sorriso da parte sua.
Si sentiva umiliata, perché nonostante il sangue che le scorreva dentro era stata messa da parte.
Si sentiva ferita, perché aveva sempre saputo che Draco era capace di amare e la consapevolezza di non essere riuscita a essere entrata nel suo cuore le puntava l’orgoglio più del consentito.
Un sorriso amaro le increspò le labbra: cosa aveva la Granger più di lei?
Hermione alzò lo sguardo verso di lui e Pansy capì. La Mezzosangue aveva l’amore più di lei e sapeva amare e farsi amare come lei non era mai stata capace; il suo sguardo trasudava amore, ogni suo movimento e singolo gesto. Poteva quasi considerarsi ributtante per il modo in cui quasi tutto il mondo si accorgeva che amava  e il rammarico di molti nel constatare che solo pochi avevano il privilegio.
« Basta cosa? La ruota gira, Draco… o credevi davvero che il male che hai causato non torni mai indietro? Ti ho già detto quel che penso, caro. Più sarai innamorato e io più sarò felice, perché alla fine ne resterai scottato tremendamente, perché tu sai che sei in grado di amare… ma sai anche che nessuno è in grado di amare te » mormorò Pansy, sboccando veleno. Draco fu costretto ad ingoiarlo, limitandosi a bloccarsi al centro della stanza e fissare la sua ex ragazza.
Lei non abbassava lo sguardo, sosteneva il ghiaccio che le stava circondando il cuore e i fulmini che lui cercava di mandarle contro: Pansy scosse il capo e uscì dalla saletta, lasciando solo un pesante silenzio alle sue spalle.
Non dava tutti i torti a Draco, comunque; chi mai sarebbe stato in grado di amarla? Lei era simile a Malfoy in tutto e per tutto e non era di certo un vantaggio; era come una maledizione: il loro destino era limitarsi ad amare e non venire mai ricambiati. Era così, per questo motivo Draco aveva paura, ecco perché evitava l’amore come la peste. Lui ci credeva eccome, lui amava eccome, ma aveva paura.
« Ti piace così tanto stuzzicarlo? » la voce di Potter la raggiunse prima della sua figura e, girandosi di scatto, lo vide seduto sull’ultima rampa di scale della Torre, con una sigaretta tra le dita e lo sguardo di chi non ha niente da perdere.
Lui non aveva niente da perdere, proprio come lei.
« Questi non sono affari che ti riguardano, Potter! » sibilò, mentre guardava spirali di fumo disegnare ghirigori nell’aria, mentre la bocca di Harry si stirava in un sorriso ironico.
« Sei proprio una miserabile, Parkinson » sussurrò il moro, mentre una parte di lei accordava con le sue parole. Lo era. Era una maledetta miserabile che elemosinava attenzioni da qualcuno che – maledizione – non le aveva portato altro che sofferenza.
« Tu non sei da meno, questo lo sai, vero? » bisbigliò Pansy, mentre il mozzicone della sigaretta andava a fare compagnia alla cenere e lui si alzava di scatto, superandola di parecchi centimetri e poggiando senza alcuna delicatezza una mano – grande quasi quanto la sua faccia – tra lo stomaco e il seno; Harry la sbatté rudemente al muro, abbassando il capo per guardarla dritto negli occhi.
« Rimarrai sola » sputò, mentre lei affannava e la sua mano seguiva il ritmo incessante del suo petto, che continuava ad alzarsi e abbassarsi velocemente.
« Essere il Salvatore non ti risparmierà di fare la mia stessa fine, Potter » rispose Pansy, sogghignando con cattiveria.
Harry sospirò sulla sua bocca e socchiuse gli occhi, lasciando che la frangia gli coprisse lo sguardo: la sua mano salì fino alla gola e le strinse la carotide, mentre lei rimaneva immobile tra il muro di pietra grezza e il suo corpo.
« Miserabile » ripeté Harry, quasi con rabbia.
Pansy afferrò il suo polso con forza e face penetrare le unghia lunghe e curate nelle vene bluastre appena rialzate contro la carne pallida: lui gemette e lei sorrise. Harry la spinse con più prepotenza al muro e – lasciando che lei tremasse tra le sue braccia – la baciò.
E fu… devastante.
Le labbra di Harry sapevano di rabbia e rancore, odio e rassegnazione: la travolse e – in un attimo – lasciò che lei cadesse; le sue mani erano dappertutto: un secondo prima erano tra i capelli e il secondo dopo sui fianchi, sul viso e sul petto, dove il cuore le batteva all’impazzata nel petto.
Pansy aveva baciato altri ragazzi in vita sua, ma quella volta fu diverso. Quella volta il nulla aveva un sapore diverso, un sapore piùdolce e violento, quasi invitante; Harry respirava sulla sua bocca e lei non poteva far altro che trattenere il respiro e lasciare che lui la riempisse completamente e indissolubilmente.
La sua lingua penetrò nella sua bocca e le accarezzò il palato, mentre i suoi denti penetravano sulle sue labbra con l’intenzione di ferirla e sentire che sapore avesse il suo sangue. Sangue puro, sangue nero e straziato.
« Allora anche il diavolo ha un cuore… questo non me lo sarei mai aspettato » sussurrò Harry, staccandosi da quel bacio e guardandola negli occhi. Pansy non capì e lui sorrise, allontanandosi di un paio di passi e lasciandola libera dalla pressione del suo corpo.
« Davvero interessante » finì, dandole le spalle e salendo le scale per entrare nella Torre Nord. Pansy rimase immobile per un paio di minuti a guardare il vuoto, gelata da quel cambio improvviso degli eventi.
E a volte, credeva, che il destino fosse un gran bastardo e che si stesse prendendo gioco di lei!
 
***
 
Quella sera Draco non si fece vedere: le parole di Pansy sembravano averlo turbato più del consentito, perché dopo la discussione avuta con quest’ultima aveva spiccato il volo e non si era più visto.
Hai solo paura che venga attaccato di nuovo” si ripeteva Hermione da un quarto d’ora buono, il tempo che aveva impiegato nel cercare Draco per tutto il castello; lo aveva trovato nel bagno di Mirtilla, seduto contro uno dei lavandini con il capo riverso verso il soffitto e una sigaretta tra le dita.
Gli occhi bruciavano nel guardare la pietra, mentre la stessa cosa faceva la sigaretta, consumata dall’aria – mentre lui si lasciava consumare dall’odio e il dolore – : se ne stava fermo, con le labbra sottili schiuse e le gambe stese, come un Dio greco scolpito nella pietra.
« Va via » Hermione sobbalzò quando si accorse che quelle parole erano appena state sussurrate da Draco, con una durezza che poteva quasi concorrere con quella usata anni addietro. Con la stessa durezza con cui era stato scolpito il suo viso e il suo cuore.
« Ti cercano tutti » mormorò in risposta Hermione, come a voler giustificare la sua presenza lì. Draco digrignò i denti e un muscolo guizzò sulla sua mascella serrata: le dita quasi schiacciarono il filtro e lo portarono alle labbra martoriate, che si strinsero per aspirare il fumo della sigaretta.
« Va via » ripeté, questa volta ammorbidendo la voce e guardandola negli occhi: il grigio era ghiaccio e lei tremò dal freddo. Era così grezzo, quando voleva, quasi come se ritornare alle vecchie abitudini fosse obbligatorio per lui, impossibile da evitare come respirare.
« La mia assenza non risolverà i tuoi drammi esistenziali » sbuffò Hermione, guardandolo con sfida. Draco si trattenne dal colpire il pavimento o il lavandino contro il quale era appoggiato, limitandosi a stringere gli occhi con rabbia.
« Perché devi essere così testarda? » sibilò, mentre lei si accovacciava di fronte a lui e gli strappava la sigaretta dalle dita, buttandola ai propri piedi e schiacciandola con la punta delle scarpe da ginnastica che indossava.
« Perché devi essere così … così!? » sbottò Hermione, esasperata. Si spostò con rabbia un ricciolo dagli occhi e lui sbuffò.
« Per darti fastidio, è naturale, Granger! » rispose Draco, alzando un sopracciglio e beccandosi un cazzotto sulla spalla. Hermione si sedette al suo fianco, incrociando le gambe e abbassando il capo: Draco inclinò il capo – curioso – quando la vide arrossire attraverso la cascata di riccioli che le copriva il viso.
« E per quanto può contare il mio parere… secondo me non è affatto possibile non amarti. Ci vuole solo pazienza, Draco, ma è una dote che viene usata con tutte le cose difficili e solo per ottenere tante cose buone.
Basta andare oltre e mostrare a chi ami quello che c’è sotto tutto quello strato di “difficile” che ti avvolge e sono sicura che è più che buono quello che c’è là sotto.
Io lo so » sussurrò Hermione, sfiorandogli il petto: il cuore, come sempre in sua presenza, accelerò.
Draco socchiuse gli occhi, lasciandosi andare contro la porcellana alle sue spalle. « Io non ne sarei tanto sicuro » bisbigliò in risposta, mentre le sue mani gli afferravano il mento e lo costringevano a guardarla.
Aveva lo sguardo di chi è convinto e vuole lottare, di chi vede e vuole continuare a vedere. Perché diavolo la Mezzosangue doveva vedere del buono anche dove non c’era? Perché vedeva del buono anche in lui, che le aveva reso la vita un inferno? La odiava quando lo faceva.
La odiava perché, alla fin fine, ci credeva davvero in quello che diceva e riusciva a convincerlo sempre e comunque.
« Io, invece, sono così testarda perché convincerti è impossibile… è naturale, Malfoy! » disse, storcendo le labbra in un sorriso.
E lo sentiva… il legno stava completamente cedendo, lasciando spazio a lei.

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Capitolo 12
*** Capitolo XI - Moment ***


Capitolo XI –
Moment

 
 
 
 

“A LuluBroken_Heart, che non esita a rendere reali i miei personaggi, sei un portento, ragazza!”

 
 
 
Hogwarts, quel venticinque dicembre, era completamente ricoperta di bianco; le torrette svettanti, il parco e le arcate – insieme alla Foresta Proibita, che si intravedeva in lontananza – erano uno spettacolo unico: fiocchi di neve, grandi quanto un pugno di un bambino, ricoprivano l’aria circostante e tutto di quel panorama sembrava gridare Natale.
Hermione non si era mai soffermata, sinceramente, su quella festività: non aveva nulla di speciale per lei – che non era nemmeno Cristiana – e non si era mai applicata con attenzione sull’atmosfera che vigeva per il castello; gli alberi maestosi, le decorazioni curate nei minimi dettagli e i… sorrisi. Hermione non si era mai soffermata sui sorrisi e la serenità che portava il Natale.
Il venticinque dicembre tutti tornavano bambini e scartavano il regalo, mangiavano cioccolata e lasciavano da parte il dolore, le preoccupazioni per tornare a quell’età dove l’unico problema era come raccontare alla mamma di aver rotto il suo vaso preferito.
Erano due giorni che – oramai – la Torre Nord era diventata il suo secondo dormitorio: dormiva, studiava e passava il suo tempo lì, in compagnia di Harry, Draco, Blaise e Theo, mentre Pansy sembrava essere scomparsa dopo il litigio con Draco. Non aveva visto Ron nemmeno di striscio, ma sembrava che Harry si stesse allenando a Quidditch in sua compagnia e lo vedesse spesso, ma Hermione, dopo quelle parole, dopo il loro litigio, non aveva voluto nemmeno guardarlo più in volto e incontrarlo nemmeno per sbaglio; lui, che l’aveva conosciuta così bene, non ci aveva messo molto a giudicarla con troppa, tanta facilità, deludendola.
Un po’ le mancava il suo modo di distrarla, di farla ridere anche in situazioni disastrose, ma era stato così doloroso essere ferita da lui, di nuovo, ed era stanca di passare sotto un tritacarne ad ogni litigio solo perché lui non si curava dei suoi sentimenti e del suo essere una persona.
Hermione non era di legno, era fatta di carne e ossa, ma anche di emozioni e faceva male, tanto male.
Era il venticinque dicembre ed Hermione cominciava a capire il significato del Natale solo dopo aver perso il suo migliore amico e la sua famiglia;comunque, una volta aperti gli occhi dopo l’ennesima nottata passata a parlare e parlare, guardarlo e parlargli, quel venticinque dicembre, Hermione, invece di trovare Harry spaparanzato sulla moquette rossa ai piedi del divanetto di pelle – che oramai era diventato il suo secondo letto – aveva trovato una scatoletta di legno accanto al suo viso.
Era grande quanto la sua mano e aveva intarsiature d’argento sul dorso: tante piccole rose gialle erano disegnate con grande maestria su tutta la scatolina, ornate da grande pietre di topazio; Hermione trattenne il fiato e l’aprì, sgranando gli occhi.
“Ora posso essere salvato” stava scritto sul bigliettino al suo interno, con una calligrafia elegante e sinuosa, mentre un ciondolo quasi brillava alla luce mattutina che filtrava dalle grandi arcate.
Era un leone completamente placcato d’oro, con due rubini incastonati al posto degli occhi, dei smeraldi piccoli sulla coda attorcigliata – che sembrava richiamare un serpente –  e tante strisce di diamanti sul dorso dell’animale, che quasi spiccavano contro il colore completamente giallo. Hermione rimase basita e accarezzò con i polpastrelli quello che – sicuramente – era venuto a costare una fortuna.
Tutto, tutto riconduceva a loro: il leone che rappresentava lei, l’orgoglio, la forza, mentre i rubini e l’oro richiamavano il colore del suo dormitorio. La coda attorcigliata era simile ad un serpente e faceva parte del corpo del leone, uniti, in slegabili, mentre il verde dei smeraldi e il bianco vivo dei diamanti richiamavano i suoi colori; era tutto un insieme coordinato di indizi che richiamavano semplicemente loro e quel che erano: scoordinati, ma armoniosi. Non combaciavano mai, ma insieme si sposavano meravigliosamente, in un modo incredibile che le fece venire la pelle d’oca.
« E te? Posso salvare te, Draco? »
Era incantata da così tanta bellezza, ma non avrebbe mai accettato: quel ciondolo valeva più del suo conto Babbano e quello alla Gringrott e… sinceramente, non pensava di meritarlo.
« E te? Posso salvare te, Draco? »
Hermione voleva salvare Draco perché era così che doveva andare; non aveva mai avuto scelta, non era mai stato salvato e non aveva mai potuto salvarsi e, ora, era arrivato il momento che qualcuno lo facesse. Non per i regali, ma per il suo sguardo perso, che le urlava – senza saperlo – di essere nelle sue mani. Hermione voleva salvarlo per i suoi occhi, perché ora la guardavano e non facevano altro che farla impazzire. Ancora e ancora e ancora.
Draco era nelle sue mani e lei non aveva intenzione di chiuderle con forza.
Draco era nelle sue mani e a lei piaceva pensarlo, perché sentiva che non sarebbe potuto andare lontano. Non da lei, non in quel momento… perché Hermione lo stava salvando.
« È molto bello » sussurrò una voce alle sue spalle, facendola sobbalzare; Hermione si girò di scatto, guardando la ragazza all’in piedi alle sue spalle.
Era avvolta da un sottile vestito azzurro di veli, come se non sentisse il gelo che filtrava da ogni più piccola fessura e  i capelli rossicci raccolti in una crocchia disordinata, mentre qualche ciocca le accarezzava il volto pallidissimo e gli occhi grandi e… rossi.
« Anastasija Romanov? » mormorò Hermione, indietreggiando appena e fissandola sorpresa. La ragazza annuì, sedendosi a poca distanza da lei e afferrando la scatolina tra le dita lunghe, da pianista.
Hermione si sentì in soggezione e quasi se ne vergognò: era… da mancare il fiato. La perfezione di ogni lineamento, di ogni movimento era sorprendente e, per la prima volta in vita sua, si sentì inferiore. Si sentì meno e… niente. Non era niente.
« Ha un significato speciale in Russia*, sai? » bisbigliò Anastasija, storcendo le labbra in un sogghigno. Hermione scosse la testa, quasi incantata dai suoi occhi rosso rubino.
« Il leone è luce, forza, coraggio e saggezza, ma è anche un animale selvaggio e passionale, che ha la presunzione di voler possedere qualsiasi cosa su cui metta gli occhi.
Il leone è distruzione ed è sinonimo di violenza.
Il serpente è il male per eccellenza – questo lo sapevi anche tu – ma anche simbolo di rinascita, lussuria, piacere. Il serpente è capace di traviare, mente e lo fa per piacere personale, ma se imbocca la propria coda prende il significato dell’infinito.
Insieme, come raffigurati in questo ciondolo, sono male e bene. L’equilibrio tra il buio e la luce, tra l’amore distruttivo e quello coscienzioso.
Il leone, messo così, prende posizione ed è il vincitore, mentre il serpente non può fare altro che essere parte di lui, nell’ombra, quasi sottoposto a lui.
Con questo ciondolo, la persona che te l’ha donato, ha voluto dire che con violenza hai preso possesso di ogni cosa che gli appartiene e si sta offrendo completamente a te. Ti sta trascinando verso di sé e non hai scampo » disse, quasi ammaliandola con la sua voce e le sue parole.
Hermione inghiottì a vuoto: Draco, con quel regalo, aveva voluto dire veramente quello che raffigurava?
Lui, a differenza di Ron, era entrato prepotente nella sua vita, in modo inaspettato, travolgendola, facendole girare la testa. Le aveva spezzato ogni singolo osso per diventare tutt’uno con lei, lasciando che le membra prendessero la forma del suo corpo, squarciandole letteralmente lo sterno e sincronizzando il proprio battito con il suo.
Draco era stato schioccante e anche se erano l’opposto, sembravano completarsi quasi con perfezione: luce e buio, male e bene, amore e odio, forza e astuzia, coraggio e conservazione.
Aveva la pelle dilaniata e le sue impronte su ogni singola parte disponibile visibile e non.
« Sei incatenata, ora e le appartieni » finì, alzandosi di scatto e guardando fuori dalle arcate con sguardo vago e perso.
Hermione sorrise: lei gli era sempre appartenuta, in realtà, e con quelle catene lei stessa vi ci era avvolta. Lei, uno spirito così libero, aveva deciso di incatenarsi indissolubilmente ad una persona.
Avevano le membra, le ossa e le vene legate tra di loro, strette così tanto da essere in slegabili. Loro erano in slegabili.
Ma le bastava chiudere gli occhi per capire il come e il perché. Le bastava ricordare il suo sguardo per rendersi conto che era così che doveva andare.
Lo sentiva così prepotente e lo anelava.
« Perché… sei qui? » domandò Hermione, rimanendo seduta e stringendo la scatola tra le dita.
Anastasija volse lo sguardo verso il soffitto, inclinando il capo e sorridendo; Hermione si morse le labbra, sospirando sconfitta. Si sentiva così in basso e non le era mai capitato: non si era mai messa a competizione con gli altri e farlo ora la metteva a disagio e quasi la faceva sentir peggio. Tremò e distolse lo sguardo: cos’era che la preoccupava? L’essere messa da parte per lei o che ora ci fosse lei a salvare Harry e a prendersi cura di lui?
« C’è aria di tempesta nell’aria, signorina Granger. Sento odore di morte e aleggia, aleggia sulle nostre teste e non va via » mormorò Anastasija, mentre Draco – già vestito di tutto punto – scendeva dalla camera e si fermava sulla rampa di scale per ghiacciarsi al sentire quelle parole. Strinse la balaustra tra le dita sottili e assottigliò lo sguardo glaciale, rimanendo nascosto.
« Lo sento sotto la pelle, come se mille aghi cercassero di squarciarmi le vene » continuò, mentre la pupilla andava verso l’alto e lasciava spazio alla sclera completamente bianca.
Sembrava essere in trans, completamente persa nel limbo di sensazioni che le scuotevano la carne. Draco spostò lo sguardo su Hermione, intenta a fissare la ragazza all’in piedi.
« È così vicino… » bisbigliò, cadendo in ginocchio, quasi piegata da un entità sconosciuta e invisibile. Il volto scattò verso l’alto e un pipistrello entrò dalle grandi arcate, sorvolando nel piccolo salottino e fermandosi di fianco ad Anastasija.
« È qui » finì, mentre – sotto gli occhi sbarrati di Hermione – quel pipistrello s’ingrandiva, prendeva forma, senso, e diventava quello che era in realtà: un ragazzo.
Aleksej Romanov distolse lo sguardo da sua sorella per posarlo sulla riccia, che strinse le dita attorno il manico della bacchetta e digrignò i denti.
« Lei starà buona per un po’, ti va bene?  » sussurrò Aleksej, sorridendo macabro e calciando il corpo della sorella, che immobile – come sotto effetto di un Petrificus Totalus – cadde con un tonfo sulla moquette.
Hermione si alzò di scatto, tenendo la bacchetta salda davanti a sé, mentre Draco scendeva qualche scalino, silenzioso. Il suo istinto gli gridava di scappare, di salvarsi la pelle, di essere Serpeverde fino in fondo… ma l’aveva detto la Romanov, lui ed Hermione erano incatenati e senza di lei, Draco, non poteva fuggire. Era ancorato al terreno. Era ancorato a lei, maledizione.
« Ritira gli artigli, bambolina, potresti farti male » mormorò Aleksej, con un tono quasi lascivo. I suoi occhi rossi la percorsero interamente, senza lasciarsi sfuggire nulla: dai ricci ribelli, che come una criniera le incorniciavano il volto, alla felpa larga e i pantaloni della tuta che indossava – proprietà di Harry. – Ed era spaventoso il modo in cui la guardava. Sembrava che volesse divorarla o bruciarla oppure entrambe le cose, Hermione non sapeva dirlo.
Hogwarts era un teatro immenso e ora che i sipari erano finalmente scesi sul palco, i loro attori calavano le maschere per mostrarsi interamente. Ringraziavano e lasciavano i panni di una vita mai vissuta su quelle grucce, sapendo di non poter più tornare come prima.
Anastasija Romanov agonizzò sul pavimento e Aleksej – in un attimo – fu a pochi centimetri dal suo viso. Con le dita percorse la sua mandibola, il naso e le labbra strette in una linea sottile: sorrise, soffiando sulla sua bocca.
« Vuoi davvero salvare tutto questo, Hermione Granger? Tutto ciò che vedi e tocchi è solo una parte della storia. Della vera storia. Tu puoi avere di più, puoi essere di più.
Ho visto come guardavi Anastasija. Lei non è niente che tu non potresti essere. Mi basta un sì, e tutto ciò che vuoi sarà tuo » bisbigliò, mentre Draco guardava fisso il vuoto. Vedeva il suo sguardo ricambiare quello di Romanov, gli occhi completamente pendenti dalle labbra rosse di lui e una strana inquietudine prese possesso della parte più irrazionale della sua testa.
Lei si stava immischiando in una guerra che non la riguardava solo per… lui e non era abbastanza. Non poteva esserlo, non per lei.
« È questo che ti hanno chiesto di fare? Di cercare di convincermi a passare dalla vostra parte? » il volto di Hermione era impassibile e la sua voce incolore. Fissava Aleksej con la mandibola contratta e le dita attorcigliate con forza attorno la bacchetta di legno.
« Se non puoi abbattere il nemico… fattelo amico » sogghignò Romanov, rispondendo alla sua domanda quasi in modo ironico. Il volto di Hermione si contrasse, disgustato.
« Ma non hai risposto alla mia domanda. Vuoi davvero salvare tutto questo? Credi che ne valga la pena? » sussurrò Aleksej e Draco si tese fino allo spasmo, ingoiando a vuoto.
Le mani di Hermione s’infilarono tra i suoi capelli, mentre le unghia penetravano nel cranio. Con uno strattone, questa volta, fu lei ad avvicinarlo a sé, poggiando la bocca sul suo orecchio e facendo venire un traverso di bile a Draco, che trattenne il respiro.
« Preferirei combattere altre mille guerre e proteggere ogni singolo Serpeverde delle prossime dieci generazioni piuttosto che essere dalla vostra parte.
Vale la pena salvare chi vuole essere salvato, Romanov e chi crede di poter essere salvato » rispose Hermione, lasciando la presa e allontanandosi quasi come se non sopportasse più quella puzza di zolfo e inferno o la prospettiva di restare accanto a lui un secondo di più.
« Sarebbe un peccato ucciderti… ma sembra che sia l’unica soluzione » sbuffò Aleksej, mentre dalle labbra di Hermione scappava un risolino sarcastico.
E, in quell’esatto momento, le maschere caddero.
« Laniatus! » la voce di Draco risuonò secca come il suono di una frusta sulla carne e dura come un cancello di ferro battuto che sbatte ripetutamente contro se stesso.
Tagli lunghi e profondi cominciarono a squarciare la pelle pallida del vampiro e sangue nero come le ali di un corvo cominciò a colare sulla pietra grezza del pavimento. Aleksej gemette.
« Tu! » urlò, indicando Draco – che ora era a pochi passi da Hermione – con una smorfia sul viso. Non c’era un solo lembo di carne che non fosse stato colpito dalla maledizione lanciata da Draco, ne era ricoperto dalla testa ai piedi e Aleksej tremò, stringendo i denti.
« Fractum » e tornò all’attacco. Draco spinse Hermione di lato, continuando a maneggiare la bacchetta come se conoscesse quegli incantesimi da una vita.
Hermione… Hermione li conosceva, ma non aveva mai, mai osato usarli: erano incantesimi oscuri e lo si intuiva dal male che procuravano alla persona; la bacchetta puntò il braccio e questo si ruppe, mentre le ossa scricchiolavano in modo macabro.
Aleksej gemette ed Hermione sussultò.
La furia cieca di Draco era impressionante e… distruttiva. I suoi occhi grigi quasi non li riconosceva, erano cupi e dissonanti con il resto del volto, quasi congelato in una calma fredda e divoratrice.
« Inflammábit» questa volta lingue di fuoco circondarono il corpo del vampiro, che cadde in ginocchio, accanto la sorella. Anastasija aveva detto che la magia non poteva scalfire la pelle di diamante di uno di loro, ma Draco lo stava facendo… come? Hermione non riusciva a spiegarselo e aggrottò le sopracciglia.
Il suo sguardo cadde sulla ragazza e si accorse che più il fratello si indeboliva e più lei acquistava forze, come se stesse rinsavendo da quello stato in cui era caduta e l’incantesimo si fosse sciolto.
« Draco, basta » bisbigliò Hermione, stringendo il braccio del ragazzo tra le dita e cercando di tirarlo indietro. Lui non l’ascoltò.
Continuava a ripetere gli stessi incantesimi e continuava a ferire l’altro, mentre il sangue continuava a scorrere per la stanza. Macchiava ogni cosa ed Hermione si sentì nauseata.
« Draco, ti prego… fermati! » disse con foga.
Se voleva essere salvato doveva tenere la propria anima intatta. Lui non era un assassino e lo aveva provato. Ora doveva solamente provarlo a se stesso.
Draco si girò di scatto, ansante, con il petto che si alzava e abbassava ripetutamente, come se avesse corso per miglia e miglia senza mai fermarsi. Era stanco e confuso. « Guardami » mormorò Hermione, afferrando il suo volto tra le mani e costringendolo a ricambiare il suo sguardo. Draco gemette e Aleksej lo fece a suo seguito, ma il suono che fuoriuscì dalle labbra del biondo serpente sembrò superare di gran lunga il dolore fisico che stava provando il vampiro.
Il suo era un dolore che non poteva essere curato con delle pozioni o del buon riposo: Draco stava lottando contro se stesso e la sua rabbia, contro quel mostro che avevano fatto crescere dentro lui apposta… richiamandolo ripetutamente anche se assente.
« Va bene così… va bene »
Draco scosse il capo.
« Tu non sei così »
Draco si bloccò, stringendo gli occhi con forza e lasciando che l’ennesimo gemito uscisse dalle sue labbra, distese finalmente dalla linea che le aveva tenute contratte fino a quel momento.
« Tu puoi essere salvato, non lasciare che gli altri te lo impediscano »
E a quelle parole si arrese definitivamente, crollando contro quel corpo che lo sosteneva e lasciandosi andare in un lungo respiro ansante, addolorato, quasi senza speranza.
Ma Draco lo sapeva… lui, la speranza, la stava stringendo tra le braccia.
 
 
 
Harry James Potter avrebbe voluto davvero puntare la bacchetta alla gola di quel vampiro e urlare una bella maledizione senza perdono, ma oltre a sapere che non avrebbe funzionato, qualcun altro ci aveva pensato al posto suo.
Ron era ancora scioccato al suo fianco, mentre lui non faceva altro che marciare per la stanza, con le mani congiunte dietro la schiena e lo sguardo furioso puntato dappertutto tranne che nella sua direzione; Draco Malfoy si manteneva il capo seduto sul divano di pelle, quasi divorato dagli avvenimenti successi.
Aleksej era scappato e Anastasija si era ripresa solamente quando lui era stato abbastanza lontano da essere fuori tiro. Hermione non sembrava nemmeno scossa, mentre la sua madrina aveva maledetto ogni protettore di Hogwarts e vampiro sulla faccia della terra, furiosa per essersi fatta mettere fuori gioco come una pivellina. Non poteva molto contro suo fratello, il suo sangue glielo impediva ed erano letteralmente nella merda.
Harry si odiava. Non era riuscito a proteggere Hermione e l’aveva lasciata nelle mani di quel mostro: se non fosse stato per lui, ora, probabilmente lei sarebbe già morta.
« Sei stato bravo, non avrei potuto fare di meglio » mormorò verso Draco, che sobbalzò, alzando gli occhi di scatto e fissandolo come se gli fossero spuntate due corna sulla testa.
« Mi stai ringraziando, San Potter? » sibilò Draco, sogghignando amaramente. Aveva appena dimostrato che il suo lato oscuro non era mai sparito, ma si era solamente assopito per aspettare il momento giusto e balzare fuori.
Hermione, al suo fianco, gli strinse il braccio con forza.
« » rispose Harry con una smorfia, guadagnandosi un sorriso di incoraggiamento da parte della sua migliore amica. Ron rimase in silenzio, vicino l’uscio della porta, mentre Anastasija legava e scioglieva i capelli in un tic fastidioso, mormorando frasi sconnesse.
« Hai fatto la cosa giusta, Draco, non importa che… » iniziò Hermione, venendo interrotta da uno sbruffo ironico uscito dalle labbra del ragazzo. Blaise si fermò di fianco a Ron, silenzioso e preoccupato.
« Tu non conosci la natura di quegli incantesimi, tu non sai » sibilò Draco, stringendo le labbra e maledicendosi.
In fondo non era poi così distante dall’immagine che gli altri avevano di lui: la maschera era caduta e la sua vera natura era venuta a galla; era davvero uguale a suo padre e non aveva esitato ad usare gli insegnamenti da lui impartiti per fare del male. Non importava chi, anche se Romanov aveva intenzione di ferire Hermione, era sceso ai livelli dei Mangiamorte.
Cattivo sangue non mente mai.
« Avrei fatto lo stesso. Natura o non degli incantesimi, avrei usato anche una Maledizione senza perdono per salvare Hermione » sbottò Harry, zittendolo con un occhiata truce.
Era la stessa cosa che avrebbe fatto lui, giudicarlo non sarebbe servito a niente. Giudicarlo per il suo cognome non sarebbe servito a niente. Era per quello che si stava torturando, Harry l’aveva capito e cominciava ad irritarsi.
« Harry… Harry ha ragione » mormorò Ron, parlando per la prima volta da quando era entrato. Tutti gli occhi si posarono su di lui ed Harry si rilassò, sorridendo: il suo migliore amico stava ritornando e non poteva esserne che felice.
Ron era cambiato da quando Fred li aveva lasciati, ma Harry sapeva che dietro quella facciata di rifiuto ci fosse ancora il ragazzo impacciato che aveva conosciuto sul treno anni fa.
Non apprezzava Draco, probabilmente non l’avrebbe mai fatto, ma Harry era sicuro che – per non perdere Hermione e lui stesso – avrebbe cercato di perdonare. « Ho capito, ho capito! » sbuffò Draco, intercettando il sorriso di Blaise, ora sereno e tranquillo.
Incredibile, i Grifondioti lo stavano consolando. Sentì le dita di Hermione percorrere delicatamente il suo braccio, quasi come una dolce carezza: la sentiva appena, ma era prepotente e stava lasciando lunghe scie rossastre al suo tocco.
Lei lo bruciava.
Hermione lo consumava.
« Miseriaccia, credo che dovremmo davvero prendere lezioni da Anacosa se non vogliamo rimanerci secchi! » disse Ron, facendo ridere Harry ed Hermione.
Blaise lo spalleggiò scherzosamente e Draco scosse il capo, tossendo per mascherare una risata. Stava diventando sempre più poco se stesso o almeno sempre più poco l’immagine che gli altri davano di lui.
Sentiva il peso del suo cognome diventare sempre più leggero, sempre meno oscuro e gli stava bene.
Ora non c’era più nessuna protezione che lo salvaguardasse, ma non gli dispiaceva: la Mezzosangue sembrava perfettamente in grado di prendersi cura di ogni cosa che prima era nascosta.
« Daphne è stata attaccata! » la voce di Pansy era un misto tra orrore e angoscia: il suo volto era macchiato di sangue e i suoi vestiti imbrattati di rosso. Gli occhi neri guizzavano da una parte all’altra, mentre Draco balzava all’in piedi e Blaise sgranava gli occhi.
« Era un… era un fottuto diversivo! » sibilò Harry, fissando attento il volto di Pansy per accertarsi che non fosse ferita.
« È in infermeria con Theodore e Astoria » sussurrò quest’ultima, rispondendo alla muta domanda dei suoi amici. In un attimo la sala si svuotò: Anastasija urlò nuovamente, sbattendo i tacchi e seguendo Draco, Blaise ed Hermione.
« Stai bene? » sussurrò Harry verso Pansy, rimasta immobile al centro della stanza. Ron arrossì e prese quella che considerò la migliore scelta: darsela a gambe.
« Fottiti, Potter! » sbottò Pansy, mentre il petto si alzava e abbassava. Probabilmente aveva corso o forse aveva solo voglia di dimenticare di avere appena visto la sua unica amica stramazzata al suolo in un lago di sangue.
« Cazzo, ti ho fatto una domanda, Parkinson! Stai bene? » urlò Harry, alzandosi di scatto e già stanco di prima mattina. Pansy sobbalzò e – mordendosi con forza le labbra – mostrò il taglio sul braccio scoperto.
Harry la raggiunse a grandi falcate, afferrandole con forza l’arto ed esaminando per bene la ferita: non sembrava profonda, ma doveva bruciare tanto dal rossore e le escoriazioni che lo circondavano.
« Sta ferma » bisbigliò Harry, puntando la bacchetta contro il taglio e mormorando “Ferula” a bassa voce, lasciando che – soddisfatto – delle bende stringessero il braccio della Serpeverde e bloccassero l’uscita copiosa di sangue.
« Non avevo bisogno del tuo aiuto » sussurrò Pansy, distogliendo lo sguardo dal suo e fissando il vuoto alle sue spalle.
Harry sogghignò e – lasciando che lei arrossisse – le baciò il punto esatto dove aveva visto il taglio. Pansy sobbalzò nuovamente e lui l’afferrò per la collana a forma di serpente che portava al collo: le loro labbra si toccarono e lei rilasciò un lungo sospiro nella sua bocca.
« Sta zitta » sbuffò Harry, prima di morderle con forza il labbro inferiore e costringerla a schiudere le labbra: in un attimo la sua lingua fu all’interno della sua bocca, intenta ad accarezzare i denti bianchi e il palato, quasi facendo violenza su entrambi.
Pansy si aggrappò alle sue spalle, chiudendo gli occhi e gemendo appena quando Harry la sbatté rudemente – di nuovo – al muro. La sua mano prima le stringeva i fianchi, poi le mani sporche di sangue e ancora il viso imbrattato, senza curarsi di niente.
« Che. Merlino. Ti. Fulmini! » sillabò Pansy, ansante, quando lui si staccò dalle sue labbra. Harry rise, tirandole con forza una ciocca di capelli e seguendo la mascella con la punta del naso.
« Ribadisco: sta zitta » sussurrò Harry, ribaciandola e spingendo il bacino contro il suo. Pansy mugolò e lui ingoiò a vuoto.
« Potter, quale parte dell’Infermeria non hai capito? Scendi, ora, o salgo io… e davvero non mi interessa sapere cosa state facendo tu e quell’altra! » urlò Draco dalle scale, facendo alzare gli occhi al cielo al suo nemico secolare.
Harry si staccò dal corpo freddo di Pansy, che ora sembrava rovente, guardandola interamente: aveva i capelli scompigliati e le labbra gonfie di chi poteva essere baciata all’infinito, le guance rosse come non le aveva mai avute e gli occhi lucidi.
« Vieni  » mormorò, porgendole le mano e lasciandola di stucco. Le sue dita si tendevano nella sua direzione e bruciavano ancora della passione che l’aveva travolto nemmeno cinque secondi prima.
« Ora » le ordinò, duro, serrando la mascella.
Pansy si morse le labbra e – titubante – accettò la stretta: non sapeva nemmeno perché faceva quello che lui le diceva, ma riusciva davvero ad acconsentire solamente quando si comportava in quel modo. Le piaceva davvero essere trattata male? Era davvero quello l’unico modo per relazionarsi ad una persona? Quasi non gemette nel pensare quelle cose, lasciando che il sapore ferroso del sangue coprisse qualsiasi altro sapore avesse nella bocca. Il suo labbro stava sanguinando per la forza in  cui spingeva i denti nella carne.
Era davvero una miserabile.
« Daphne starà bene » la rassicurò Harry, addolcendosi appena un po’.
« Sei bipolare o cosa? » domandò Pansy, storcendo la bocca in una smorfia e strizzando gli occhi.
« Smettila con questa maschera di durezza, Parkinson… non ti si addice nemmeno » sussurrò Harry, raggelandola. Scendevano le scale ancora per mano e Draco li aspettava sull’ultima rampa, con un sopracciglio alzato e un sogghigno disgustato sulle labbra.
« Potrei vomitare » disse, dando le spalle ad entrambi e dirigendosi verso i corridoi assolati.
« Stimolo che ho io ogni volta che ti vedo, Malfoy » rispose Harry, sbattendo civettuolo le ciglia.
« Spero che Morgana ti eviri, Potter » sibilò Draco, mentre Pansy alzava gli occhi al cielo per quelle schermaglie. A quei due non li fermava nemmeno la morte, maledizione!
« Più tardi possibile, Malfoy o … » iniziò Harry, venendo bloccato da uno strattone di Pansy, che lo fulminò con un occhiata.
« Direi che è abbastanza » sbottò furiosa, lasciando la presa e superandoli con passo imbufalito.
« Non è per te, Potty, lascia perdere » mormorò Draco, affiancando Harry e guardando i capelli dell’amica seguire il passo cadenzato dei fianchi morbidi.
« Potrei dire la stessa cosa per Hermione, Malfarrett  » rispose il bambino sopravvissuto, infilandosi le mani nelle tasche e storcendo le labbra in un sorriso macabro.
« È gelosia quella che sento, Potter? » domandò Draco, rovesciando il capo nella sua direzione e lasciando che qualche ciocca bionda gli cadesse dinnanzi gli occhi grigi.
« Falle male e giuro che morirai tra atroci sofferenze, Malfoy » sibilò Harry, scatenando una risata convulsa in Draco.
« Non ti darò lo stesso avvertimento per Pansy… perché sarà lei ad avvelenarti » sogghignò, fissandolo in modo eloquente.
Oh sì, questo Harry lo sapeva bene: più la toccava e più sentiva la pelle putrefarsi; agiva come veleno e lui lo sentiva eccome scorrere nelle vene, giù per la gola, in ogni parte del corpo quando la sfiorava.
« Ma si sa’… si diventa dipendenti da qualsiasi sostanza, prima o poi » disse Draco a bassa voce e seguendo Pansy nell’infermeria.
« Il mio sangue non è compatibile con il suo » sentirono dire da Astoria appena misero piede nella stanza. Aveva il volto impassibile tirato e guardava Theodore con aria di sfida.
« Sei sua sorella, com’è possibile? » urlò Theodore, mentre Madama Chips cercava di calmarlo. Il volto di Astoria non si mosse di un millimetro.
« Non ti fidi di me, per caso? » disse ironica, alzando un sopracciglio e incrociando le braccia la petto, come se stesa in quel letto non ci fosse sua sorella.
« Astoria, guardami e non contarmi stronzate! È tua sorella, maledizione; metti me un secondo da parte e pensa che ha il tuo stesso sangue nelle vene! » sbottò Theo, fuori di sé.
« Il mio sangue non è incompatibile con il suo  » ripeté Astoria, come una nenia.
« Giuro, Astoria, dopo questa stammi lontano! » urlò Theodore, scompigliandosi con forza i capelli.
« Il tuo amore per lei mi disgusta »
« Il tuo poco amore per lei, invece, mi fa capire che infondo non sei peggio di tua sorella »
Astoria strinse i denti, alzandosi di scatto e uscendo dall’infermeria stizzita, lasciandosi dietro solo facce basite.
Lei non era sua sorella… non dal momento che non faceva altro che disprezzarla!

 

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Capitolo 13
*** Capitolo XII - Night ***


Capitolo XII –
Night

 



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Un calcio: la sedia si ribaltò e cadde all’indietro, producendo un sinistro tonfo che si spense dopo parecchi echi rimbalzati per la stanza vuota.
Il secondo calcio colpì il letto alla sua sinistra: il lenzuolo bianco – come quello che ricopriva il corpo candido di Daphne – gli cadde sulla gamba, questa volta producendo un fruscio delicato, come il gemito che uscì dalle labbra della bionda alla sua destra; Theodore si fiondò versò la ragazza, afferrando di slancio la sua mano e stringendosela al petto. Daphne si mosse, ma non aprì gli occhi: dalla camicia da notte, sbottonata appena per lasciare intravedere la valle dei seni, proprio sulla gola – che sembrava muoversi solo per consentirle di respirare –  una S marchiata a fuoco brillava come sangue vivo sulla carne cerea. Theodore voleva morire.
Daphne poteva essere stronza e menefreghista quanto voleva, ma non meritava tutto quello; non meritava il dolore che stava subendo e nemmeno quella sorella – che tutti credevano “migliore” – così gelosa da non provare a salvargli la vita. Daphne era in pericolo di vita e nessuno poteva aiutarla, nemmeno lui, che in quel momento avrebbe sacrificato tutto pur di vederla viva e… lì, con lui.  Non poteva fare niente, aveva le mani legate e Daphne, intanto, moriva lentamente in quel letto immacolato.
La porta dell’infermeria si aprì, rivelando il corpo esile e piccolo di Astoria, avvolta ancora nella divisa scolastica, ma accompagnatrice di una nuvola nera che non l’avrebbe lasciata, che continuava ad aleggiare attorno al suo corpo come una manna.
Stronza.
« Le donerò il mio sangue ad una condizione » bisbigliò, camminando a passi leggeri verso di lui e guardandolo con gli occhi verdi grandi e dolci, ingannatori: come poteva una persona rivelarsi il contrario di quello che si pensava? Theodore credeva di conoscere Astoria e Daphne, ma si era sbagliato. Si era sempre sbagliato.
« Cosa vuoi? » mormorò Theo, alzando gli occhi velati e fissandola senza vederla veramente: portava i capelli bruni raccolti in una crocchia disordinata e ora era a pochi passi da lui: poteva sentire il suo calore, il suo respiro.
Theodore tremò, consapevole di essere nelle sue mani.
« Annullerai il contratto matrimoniale con lei e chiederai ai miei genitori la mia mano, come sarebbe dovuto essere fin dall’inizio » disse Astoria, digrignando i denti nel constatare quanto si fossero irrigidite le spalle del ragazzo.
Era davvero così difficile stare con lei? Lui le ripeteva costantemente quanto l’amasse, ma non le aveva mai promesso di lasciare Daphne per lei… perché? Cosa aveva sua sorella che lei non possedeva? Nemmeno i filtri d’amore più potenti al mondo erano capaci di cancellare l’amore che Theodore provava per quella sciocca ragazza: con quelli, Theodore era rimasto sospeso tra loro due, senza saper scegliere.
Sua sorella era una sciocca a pensare che si sarebbe arresa così facilmente: per anni era stata seconda in tutto, seconda a lei, ma ora le cose sarebbero cambiate… ora aveva un asso nella manica che nemmeno Daphne Greengrass avrebbe potuto contrastare… e ce l’aveva voluto lei. Cosa credeva, che dopo aver visto l’indecisione di Theodore si sarebbe fermata? Non era così stupida e sempliciona, questo avrebbe dovuto saperlo. Era sua sorella, dopotutto.
Daphne davvero aveva creduto che si sarebbe limitata ai filtri d’amore e non aveva fatto parola con nessuno di tutto ciò. E, naturalmente, si era ritorto contro lei stessa… sia l’amore che provava per la sorella sia la scelta del silenzio.
« Voglio il voto infrangibile, Theodore Nott e avrai salva la vita di mia sorella » sussurrò Astoria, inginocchiandosi ai suoi piedi e guardandolo dal basso: quella volta, il veleno, era visibile tra quelle iridi.
Quella volta, il veleno, lo vedeva camminare sotto pelle.
Theodore rimase immobile, combattuto tra la voglia di urlare dalla frustrazione o ucciderla, perché sentiva che in lei non c’era nulla della ragazzina di cui si era innamorato: dov’era la timida e dolce Astoria? Cosa ne aveva fatto quella donna, di lei? A malapena la riconosceva sotto quelle spoglie e la odiava. Odiava il suo sguardo consapevole e maligno, il suo sorrisetto vittorioso e carico di aspettative.
La odiava e la voglia di ucciderla saliva rapidamente dentro di lui, come un fiume in piena, come un traverso di bile.
Theodore alzò gli occhi scuri sulla sua figura esile, accarezzando lo sterno magro e le spalle esili, il volto pallido e le iridi chiare: lei gli strinse la spalla tra le dita, scendendo lungo il braccio e tracciando ghirigori immaginari sul palmo aperto.
Theodore respirò a fatica.
« Ora! »
Astoria gli alzò le maniche della camicia, affondando le dita nell’avambraccio nudo e graffiandolo appena: Terence Higgs, con i suoi lineamenti duri e da mastino, comparve nell’esatto momento in cui la ragazza pronunciò quella frase, puntando la bacchetta contro i loro bracci uniti. I suoi capelli castani erano ritti e radi sul capo grosso, mentre gli occhi neri – piccoli e vicini – lo guardavano divertiti.
« Prometti tu, Theodore Nott, di annullare il contratto matrimoniale con Daphne Greengrass e chiedere la mano di Astoria Greengrass? E, inoltre, prometti di non dire nulla di quello che Astoria ti riferirà e di questo voto?  » pronunciò solennemente, con la sua voce roca e bassa, quasi simile ad una condanna, ad una carezza fatta con la carta vetrata.
Gli occhi di Theodore si puntarono sul volto di Daphne e questa volta decise che aveva fatto abbastanza. Aveva sbagliato tutto e almeno quello glielo doveva; voltò di scatto il volto verso Astoria, che storse le labbra in un sorriso di scherno: quella volta aveva vinto lei.
« Prometto »
Lingue di fuoco suggellarono la sua rovina.
Due labbra si posarono sulle sue, ma Theo non sentì altro che gelo: due cubetti di ghiaccio avevano accarezzato lentamente la sua bocca e ora sgorgava veleno lungo la sua gola. Era suo. Aveva vinto lei, come aveva desiderato fin da bambina.
Si era reso conto troppo tardi che per Astoria era solo un premio, qualcosa da sottrarre a sua sorella, un giocattolo da tenere stretto al petto… e per quanto Daphne fosse fredda ed egoista, non si sarebbe mai abbassata a tanto. Non ne aveva bisogno. Astoria lo sapeva, sapeva tutto quello e aveva giocato bene le sue carte, ma Theodore sapeva che c’erano troppe coincidenze: Daphne era stata colpita fino a farla star male e Astoria era comparsa con quel patto.
E capì.
Theodore sgranò gli occhi, trattenendo il fiato e alzando allibito lo sguardo su di lei.
Lingue di fuoco suggellarono il suo silenzio.
« Sei sempre stata tu… tu, sei tu la traditrice » mormorò, raggelando nel constatare che lei non si affrettava a dissentire, ma sorrideva come se la sua stupidità e tardività la divertisse.
« La vita va’ così, Theodore. Niente, niente è come sembra, ma almeno abbi la decenza di ringraziarmi: ti sto salvando il culo » sibilò, indietreggiando fino ad avvicinarsi all’uscita dell’infermeria.
« Domani mattina donerò il sangue a Daphne… fa bei sogni, amore » finì, uscendo insieme ad Higgs e lasciandolo solo.
Che aveva fatto?
Che aveva fatto?
I suoi amici erano in pericolo e lui non poteva nemmeno dire loro chi era la serpe in seno: Daphne era salva, ma niente avrebbe impedito ad Astoria di ucciderla; portarla in fin di vita non era stato così doloroso per lei, quindi – Theodore ne era sicuro – non ci avrebbe pensato due volte ad ucciderla, se ce ne fosse stato bisogno.
« Che ho fatto? » mormorò, scompigliandosi furiosamente i capelli e accasciandosi sul corpo inanime di Daphne.
Lingue di fuoco avevano suggellato la morte dei suoi amici.
 
Dall’altra parte del castello, invece, in quella notte di Natale – che aveva portato più di un dolore e più di una gioia – due occhi si fissavano nel buio di una stanza arredata verde-argento.
Due respiri, in quell’attimo, invece di suggellare morte, stavano diventando tutt’uno per suggellare promesse che nessuno dei due aveva intenzione di pronunciare: i loro sguardi incrociati dicevano tutto e anche le mani di lui, posate sul ciondolo che pendeva sul materasso morbido insieme ai capelli bruni e ricci di lei.
Più di una stella cadente cadde, illuminando i loro volti a pochi centimetri l’uno dall’altro: i loro nasi si sfiorarono e le loro labbra si toccarono con delicatezza.
Hermione trattenne con forza il respiro, socchiudendo gli occhi e lasciando che Draco sprofondasse le dita nei suoi capelli, spingendo con forza la catenina contro di sé e costringendola ad avvicinarsi ancora di più alle sue labbra.
La sua lingua le accarezzò il palato ed Hermione, in quel preciso istante, capì che non avrebbe mai dimenticato il suo sapore; era tutto lì, sulle sue labbra, nella sua bocca, giù per la gola sino ad arrivare nelle ossa e spezzarle. Fino ad arrivare nelle ossa e ricostruirle.
Sentiva il suo sapore di menta dappertutto e il cuore le sussultò in gola quando il suo corpo si incastrò al proprio: non combaciavano per niente, ma si completavano. 
Le loro membra quasi combattevano per legarsi, ma una volta riuscite, Hermione, sapeva che sarebbero stati in slegabili.
Tremò.
La mano di Draco lasciò la catenina e le toccò lo sterno: la staticità del suo cuore era incredibile, come il cambiamento repentino e il battito accelerato; lui le morse la bocca, facendo sprofondare i denti nella carne sensibile del labbro inferiore ed Hermione gemette. Per il dolore. Perché lui… perché lui le stava dimostrando che non gli importava.
Draco le stava dimostrando che il suo sangue non lo disgustava: si stava sporcando, si stava sporcando di lei.
Gemette. Per il dolore. Perché Draco era sporco di lei. E si sentì morire. Si sentì rinascere.  
Tremò ancora e lui la strinse con più forza: la stessa forza che stava usando per renderla viva ancora una volta; Hermione non si era mai sentita in quel modo e allora capì: non poteva considerarsi una fenice, perché lei non stava rinascendo dalle sue ceneri, ma stava bruciando e basta. Lei era un fuoco che ora ardeva vivo. Stava danzando, stava distruggendo se stessa, ma si sentiva maledettamente viva.
E allora si sentì pronta: con i polpastrelli gli sfiorò il braccio, lasciando che le dita scorressero lungo l’avambraccio coperto. Draco sussultò e lei spinse con più forza l’indice contro quel tatuaggio; Hermione sapeva che era lì, lo sentiva, ma non si lasciò scoraggiare.
Il suo sangue e quel teschio erano tutto ciò che li aveva sempre divisi: il diverso e la paura, che si sa’… non vanno mai a braccetto. Ma era Natale e ora quel sangue sporcava le sue labbra e quelle dita stringevano quel teschio, mettendo da parte ogni rancore e lasciando che il passato rimanesse passato.
« Ti sento » bisbigliò Draco, allontanandosi dalle sue labbra e respirando a fatica.
Hermione sapeva che sentiva le sue dita, il suo calore e anche il fatto che a lei non importava. Non più. Ora quando lui sfiorava la scritta “Mezzosangue” non la sentiva più bruciare e ora sapeva che poteva andare oltre, ora che lo sentiva interamente, completamente, indissolubilmente dentro lei.
Questa volta fu lei a baciarlo e tolse il fiato ad entrambi: si lanciò contro di lui e fece coincidere le loro labbra in un lungo e agonioso bacio.
E poi… bruciarono, letteralmente.
Il letto a baldacchino e i loro corpi furono avvolti dalle fiamme, ma i loro respiri erano troppo presi l’uno dall’altro per accorgersene: Hermione sprigionò una vampata di fuoco e le lingue avvolsero dolcemente anche il corpo di Draco; continuarono a baciarsi, ma questa volta c’era qualcosa nei loro movimenti che rendeva ogni cosa diversa.
I movimenti veloci, frenetici, violenti, come se toccarsi ne dipendesse la loro stessa vita: Draco le strappò i bottoni della camicia, mordendole con forza la spalla. Le loro mani ora non si accarezzavano, ma si stringevano, si graffiavano e rimanevano la propria impronta ad ogni lembo di pelle superata.
Hermione gemette e lui le fu sopra con un movimento veloce delle gambe: la sua lingua non lasciava quella di lei, mentre le sue mani erano dappertutto. Prima sul seno, poi lungo le spalle in un brivido lascivo che le fece tremare le membra e poi sulle gambe nude. I collant erano stati strappati e giacevano sul pavimento, accanto le loro scarpe, ora la camicia di lui, poi la gonna di lei.
La loro pelle si strofinava l’una contro l’altra, si arrossava e poi le fiamme sfiorarono il soffitto, annerendolo: completamente nudi e privi di ogni inibizione, di ogni freno e pensiero che potesse frenare la lussuria che bruciava qualsiasi cosa, Draco penetrò secco in lei.
La mano di Hermione si poggiò sulla sua guancia e le sue dita tirarono un ciuffo di capelli biondo platino: tremò ancora una volta e girò il capo verso l’alto, staccandosi da quel bacio che era durato troppo, troppo poco o troppo e basta.
Un'altra spinta.
I denti di Draco penetrarono nella sua spalla e strisciarono dolorosamente fino allo sterno, fermandosi dove il suo cuore batteva martellante nel petto. La mano destra di lui le strinse un fianco, l’altra intrecciò le dita con le sue, così strette da farle male, ma era un dolore dolce. Hermione l’avrebbe sopportato per sempre. Per quanto, per loro, la parola sempre avesse un valore preciso.
Un’altra spinta e tutto divenne sempre più veloce, sempre più affannoso: le fiamme vorticarono, diventarono un turbine, bruciarono tutto, bruciarono loro. Draco gemette, Hermione si aggrappò con forza alle sue spalle e questa volta i loro petti combaciavano, erano tutt’uno.
Hermione urlò. Lo sentiva così dentro, così in profondità, da non sentire nient’altro che lui. Draco era dentro di lei e la riempiva completamente, indissolubilmente, fino in fondo, fino al punto di rottura.
« Anche io. Anche io ti sento » sussurrò Hermione in risposta, prima di inarcare la schiena e stringere con forza le gambe.
Strizzò gli occhi e si sentì spezzare. Era sua. Era suo.
Ora, l’uno dentro l’altro ed Hermione non aveva sentito niente di più incredibile.
« Buon Natale » disse poi, baciandogli il naso e poggiando il capo sul suo petto: quello era stato il suo regalo, ma non si sarebbe mai aspettata nulla del genere; quando si guardò attorno del letto a baldacchino erano rimaste solo ceneri e lenzuola bruciate.
Le fiamme avevano bruciato anche loro, ma di un fuoco di cui entrambi non avrebbero mai fatto a meno.
E, mentre ciocchi ardenti lasciavano segni indicibili sulla loro pelle, mentre il fuoco scoppiettava allegro in quella stanza ignara, immobile e ferito, Harry Potter, dalla saletta in comune, strinse gli occhi e la bocca in una smorfia, cercando di trattenersi dal distruggere tutto quello che lo circondava.
Il cuore, sentiva il cuore un deserto così arido da mettergli i brividi: niente, niente batteva e tutto si ribatteva, in cerca di una via d’uscita.
Non c’era bisogno che andasse a controllare per sapere quello che stava succedendo al piano di sopra, ma non aveva nemmeno la forza di salire e riempire di pugni quel maledetto, che gli stava portando via la luce. Malfoy aveva vinto, incredibile ma vero.
Aveva vinto su Ron e anche su di lui, distruggendolo la notte di Natale come ogni notte prima di quella, ma ora la goccia aveva fatto traboccare la pozione: si era preso tutto e a lui non era rimasto niente.
« Lui è fatto così… non rimane assolutamente nulla al suo passaggio »
Harry non si era nemmeno accorto che Pansy se ne stava rannicchiata sulle scale che portavano verso la stanza di Draco: aveva le ginocchia portate al petto e i capelli che le coprivano il volto; sembrava che gli avesse letto nel pensiero, perché aveva quasi mormorato quello che lui stava pensando. Ma cosa aveva portato via a Pansy? Oltre lei stessa? In passato l’aveva vista girare attorno a Malfoy come se lei fosse la terra e lui il suo asse, ovunque andasse – alla fine – Pansy girava sempre attorno a lui.
Non avrebbe mai creduto che un Serpeverde sarebbe arrivato ad amare fino al punto da annullarsi, ma la Parkinson ne era la prova.
« Sei ridicola » bisbigliò Harry, togliendosi gli occhiali e passandosi – stanco, distrutto – una mano sugli occhi. Pansy sogghignò, poggiando il capo contro la pietra dura e fredda dove teneva poggiata anche la schiena.
« Buon Natale, Potter » rispose, lasciando che una sola e unica lacrima le solcasse il volto. La stessa lacrima che rigò la guancia di Harry, nascosto dall’avambraccio alzato e poggiato sulle ginocchia. Casa sua era diventata una terribile prigione di vetro e non poteva nemmeno scappare come un codardo.
Era costretto a rimanere lì, tra quelle mura, sotto lo sguardo di Pansy Parkinson e lo sfrigolio di quei gemiti al piano di sopra: a niente era servita la discrezione di Hermione e quella di Malfoy, gli occhi di Harry avevano visto bene i loro corpi sparire oltre quella porta e poi il silenzio. Quel silenzio che l’aveva ucciso.
« Sta zitta » mormorò Harry e Pansy scoppiò miseramente a ridere, rovesciando il capo verso di lui e guardandolo con i suoi occhi neri come la pece.
« Se la ragazza per cui hai sacrificato tutto, anche la possibilità di essere felice, si sta scopando il tuo peggior nemico… non sfogare le tue frustrazioni su di me, Potter! Siamo nella stessa e identica situazione di merda » sbottò Pansy, affondandosi le unghia nei palmi e guardandolo con astio.
« E no, maledizione, non voglio star zitta! » sibilò, alzandosi di scatto e spazzolandosi la polvere dalla gonna. I suoi mocassini non produssero nessun rumore sul pavimento e probabilmente per questo, prima, Harry non l’aveva sentita.
Stava per uscire dalla sala e lasciarlo solo, quando lui l’afferrò malamente per il braccio: strinse così forte da farla gemere e alzò lentamente lo sguardo solo per fulminarla. Pansy non si mosse di un millimetro e lui nemmeno.
I loro occhi sembravano creati apposta per odiarsi e quasi faceva male il modo in cui lo facevano. Lei non era l’unica ad essere insulsa, questo Harry l’aveva capito da un bel po’; condividevano lo stesso dramma, quasi la stessa vita e la ridicolicità in cui erano caduti entrambi era da odiare.
Pansy distolse lo sguardo e fissò il fuoco nel camino affievolirsi sempre di più, fino ad arrivare a spegnersi. Si morse con forza le labbra e ingoiò a vuoto. Anche loro si stavano spegnendo pian piano? Era la stessa fine che avrebbero fatto o si sarebbero riaccesi? Probabilmente quella era la condanna per chi amava troppo. Per chi amava e odiava con la stessa intensità, in egual modo, come se non ci fosse nessuna differenza.
« Guardami » bisbigliò Harry, aumentando la presa sul suo braccio e graffiandola lungo l’avambraccio. Quella era la punizione per chi annullava se stesso per amore, per chi si era già annullato per amore.
« Che vuoi da me, Potter? » domandò Pansy, esasperata, ricambiando lo sguardo e stringendo le labbra nel constatare che non c’era nessuna luce, ora, a rinfacciargli che quando si stava dalla parte del bene si viveva meglio. Per amore tutti diventavano uguali, buoni e cattivi, ricchi e poveri… tutti diventavano miserabili, nessuno escluso.
« Diventare meno umano » sussurrò Harry, guardandola dal basso con quel cipiglio che non si addiceva affatto al suo viso.
Pansy si abbassò lentamente su di lui e avvicinò la bocca sottile al suo orecchio: Harry rabbrividì e lei sogghignò « Lo diventerai sempre di più, Potter. Questo non ti uccide, ti svuota che è diverso » mormorò, infilando le dita nei suoi capelli neri e respirando con fatica.
« E diventerai sempre più miserabile, perché al peggio non c’è mai fine » bisbigliò infine, facendo per alzarsi da quella posizione, ma venendo bloccata dalla mano di Harry, che le strattonò il colletto della camicia.
« Siamo già alla fine, Parkinson… non te ne sei accorta? » sibilò, bloccando qualsiasi protesta o parola e fiondandosi sulle sue labbra: ma questa volta fu più dolce, meno divoratore; accarezzò lentamente la sua bocca e respirò a tratti, tirandole appena i capelli e trascinandola sul divano al suo fianco.
« Il peggio sono loro, ma la fine sei tu » disse a bassa voce, baciandola ancora e ancora.
Ancora e ancora, lentamente, dolcemente, con una tenerezza che a Pansy fece pensare qualcosa di fragile e prezioso, che viene maneggiato con calma e assoluta consapevolezza.
Harry Potter stava usando il suo corpo con la consapevolezza che era vuoto, con la calma e la minuzia, sapendo che essere miserabili insieme a qualcun altro… è molto meglio che essere miserabili soli e distruggersi senza trovare soluzione.
 

***

 
« Buon Natale, Ginny »
Ron prese il pacchettino rettangolare che teneva nascosto nella vestaglia, porgendolo alla sorella e arrossendo zona orecchi. I suoi occhi azzurri la osservarono con tenerezza aprire il pacchetto e aprire la bocca in una perfetta “O” nell’accorgersi che in quella scatola – decorata rosso ed oro –  c’era un ciondolo a forma d’orologio che,  aprendosi con un lento cigolio, mostrava la foto della loro famiglia: quella che era stata scattata anni prima in Egitto. Lei aveva appena dodici anni e… ed erano tutti vivi. Fred e George salutavano con entusiasmo verso l’obiettivo e sua madre le stringeva con affetto la spalla, in volto un sole che non si sarebbe spento mai.
« Grazie » bisbigliò, tirando su con il naso e cercando di non piangere. Era stato così fin dall’inizio: lei si era ripromessa di non piangere, di essere quella forte, di essere quella che avrebbe consolato gli altri.
Con il braccio tirò Ron verso di lei, abbracciandolo di slancio e nascondendo il volto nella sua spalla. Sì, si era ripromessa tutto quello, ma sapeva che niente sarebbe stato lo stesso senza suo fratello.
Ron ricambiò l’abbraccio, poggiando il mento sul suo capo goffamente. Ginny strinse con forza i denti, ma un gemito sfuggì dalle sue labbra: Ron la strinse con ancora di più, cullandola dolcemente e sospirando.
« Sono tuo fratello, Ginny… se vuoi piangere, puoi farlo. Giuro che non lo dirò a nessuno » disse, imbarazzato e – con sollievo – la sentì ridere contro il suo petto.
« Sei proprio uno stupido, Ronald » bisbigliò ridendo, mollandogli un cazzotto sulla spalla e tirando nuovamente su con il naso.
Ecco, lui era più bravo in quello che a consolare: diceva cose stupide al momento giusto e strappava un sorriso alle persone tristi. « Questo è da parte mia e di George, dice che è per ringraziarti di essere stata presente al negozio quando lui non c’era » disse e Ginny annuì, allacciandosi la catenina al collo e stringendo il ciondolo tra le mani. Chiuse gli occhi e ringraziò Merlino che la Sala Comune dei Grifondoro fosse vuota, perché – sorprendentemente – diede un bacio sulla guancia di Ron e gli sorrise come, probabilmente, in diciassette anni della sua vita non aveva mai fatto.
« Grazie, Ronnie »
« Prego e… non. Chiamarmi. Ronnie! »
 

***

 
 
« La mamma non mi vede, vero? »
George guardò verso il basso, mentre sua madre era distratta a preparare la solita cioccolata calda prima di andare a dormire. Fred lo guardava con i suoi grandi occhioni rassegnati, mentre lui faticava a trattenere le lacrime: scosse il capo, tristemente, e Fred sorrise.
« Senti, Georgie… io tra poco dovrò andare via, ma puoi dare gli auguri di buon Natale a mammina e dirle che non deve piangere più? Tra poco sarà di nuovo felice, dovrà aspettare solo poco poco, ma deve promettermi di non piangere più » bisbigliò e George sgranò gli occhi: di cosa stava parlando? Perché doveva andare via? Fece per aprire bocca, ma lui scosse la testa e sorrise giocoso, indicando il camino: in un attimo scoppiettò e una figura avvolta in un mantello nero apparve tra le fiamme.
Molly fece cadere una tazza per lo spavento e guardò Angelina sorridere a piene labbra verso George, che sgranò gli occhi.
« Lo so che è tardi, ma non volevo aspettare domani… questo è il mio regalo per te » mormorò Angelina, porgendo un foglio a George. Il ragazzo lo afferrò con mani tremanti, mentre Fred rideva a crepapelle affianco a Molly.
« Sono incinta di quattro mesi, George » disse e un'altra tazza cadde dalle mani di Molly. Fred accarezzò con dolcezza il pancione di Angelina, stringendo la gonna di sua madre tra le dita e volgendo lo sguardo verso George.
« È maschio »
« Fred II » bisbigliò George e Fred annuì, mentre Molly si tappava la bocca con una mano, piangendo a dirotto.
Angelina sorrise e lo stesso fece il piccolino al suo fianco, facendo ciao-ciao con la manina: man mano la sua figura sparì, diventando sempre più opaca, sempre meno reale. Molly singhiozzò e George alzò gli occhi al cielo, scoppiando a ridere.
Si alzò di scatto e con le braccia circondò le spalle di entrambe le donne, stringendole in un abbraccio di gruppo che li riscaldò in quella giornata d’inverno « Non piangere, mamma… tra poco avrai un bel da fare con un altro Fred in arrivo! » disse George, mentre Angelina si toccava dolcemente il ventre.
Non aveva voluto fare le analisi fino ad allora… sapeva che c’era qualcosa lì dentro, ma aveva voluto aspettare fino a Natale per rendersi certa di tutto ciò: si era aspettata di tutto, tranne la reazione di George.
« Buon Natale » disse ad entrambe, baciando sua madre sulla guancia e Angelina sulla bocca.
Quello era il regalo più bello, questo era certo. Il regalo più bello che potesse aspettarsi e sorrise, per la prima volta felice dopo la morte di suo fratello.
 

***

 
Blaise sospirò, inclinando il capo. Si guardò attorno e sospirò di nuovo, chiedendosi perché diavolo quella serata fosse così malinconica. Sospirò di nuovo. Ancora.  Blythe assottigliò lo sguardo, fissandolo con una rabbia omicida nello sguardo « Smettila, mi irriti » sbottò, stringendo i denti.
Blaise sospirò, ancora. « E che mi annoio » borbottò, roteando il piede ripetutamente e sbuffando.
Ancora.
« Senti, fa quel che vuoi, qualsiasi cosa, ma smettila! Mi manderai al manicomio! Sono ore che fai così, santissimo Merlino! » sbraitò Blythe, mentre le mani gli tremavano per la rabbia.
Un sorrisetto perfido si dipinse sulle labbra di Blaise, che lo guardò come se fosse stato una manna dal cielo « Qualsiasi cosa, eh? » sghignazzò, strofinandosi le mani l’una contro l’altra con un espressione soddisfatta.
Blythe sbiancò.
« Oh no! »
« Oh sì! »
« Ti prego, Blaise, no! »
« Zitto, oramai il danno è fatto! »
E mai parole furono più vere: perché Blaise Zabini era già un disastro naturale normalmente, ma annoiato nella notte di Natale poteva considerarsi un vero e proprio  urgano.
Minerva Mcgranitt non scoprì mai chi fu il colpevole della inondazione a Grifondoro, che costrinse i pochi ragazzi rimasti a dormire nella Sala Grande e nemmeno chi – alla Fred e George Weasley – sradicò i cessi dal bagno delle ragazze e li mise all’entrata dei Corvonero, con il biglietto “l’intelligenza  non è tutto, Corvi della malora… io sono figo e pure intelligente, prendete esempio da me!” che aveva fatto impazzire letteralmente i ragazzi e nemmeno, santissimo Merlino, chi fece entrare mille topi nel dormitorio dei Tassorosso.
Il giorno dopo non aveva mai avuto così tanto lavoro da fare: tra riportare i bagni al terzo piano, ripulire il tutto per l’odore terribile che avevano lasciato, riasciugare il dormitorio dei Grifondoro e acciuffare tutti i topi nel dormitorio dei Tassi, a metà giornata poteva considerarsi sfinita e anche incazzata nera.
Se avesse acciuffato il colpevole l’avrebbe ridotto in fin di vita, magari l’avrebbe spedito nel mondo Babbano a calci nel sedere, fatto fare il barbone per tutta la sua misera esistenza e pentire di essere nato… ma, purtroppo, non aveva uno straccio di prova.
A cena si guardava attorno con aria sospetta e oltre a vedere i volti di Hermione Granger e Draco Malfoy perplessi all’inverosimile, non aveva notato nulla di strano: non più del solito, almeno. Solo Blaise Zabini aveva l’aria trionfante di chi aveva dormito alla stragrande la sera prima e aveva la vita più soddisfacente di tutte, ma anche quello non l’aiutò: Blaise Zabini aveva sempre quell’espressione trionfante sul volto, come se fosse il centro del mondo o altro.
E il fatto più orripilante era che lui veramente si sentisse il centro del mondo: non aveva messo la sua firma, ma Blaise sentiva che sarebbe stato ricordato insieme ai due Weasley e mai cosa fu più eccitante per lui.
Al diavolo la morte o altre idiozie come quelle, a lui importava rimanere nella storia, altroché! « Ti servirebbe quella roba abbronzante, Theo… sei così pallido! » borbottò, guardando l’amico fucilarlo con un occhiata.
« Siamo a dicembre, è normale essere pallidi, Blaise! » sbottò Nott, che si guardava attorno nervosamente: Daphne, quella mattina, si era ripresa dal coma in cui era caduta. Astoria aveva mantenuto la sua promessa, ma non ci aveva messo molto per fargli mantenere la sua. Quello stesso pomeriggio aveva rotto il contratto matrimoniale con Daphne e, in vita sua, non l’aveva mai vista così furiosa: aveva urlato, sbraitato, gli aveva lanciato contro tutto ciò che le passava sotto mano… poi, infine, spezzandogli il cuore, aveva pianto.
Aveva pianto e gli aveva chiesto di andare via, di lasciarla sola. E Theodore lo aveva fatto: non si era più presentato in infermeria, ma temeva che Astoria le avesse fatto visita per dirle il resto. Per rinfacciarle che quella volta aveva vinto e che non poteva farci niente.
« Io non sono pallido » disse ovvio Blaise, guardandosi nella superficie della brocca dell’acqua con un sorriso soddisfatto.
« Tu sei di colore, Zabini… non puoi essere pallido! » urlò Theo, esasperato, mentre il resto della tavolata lo guardava silenzioso: come tutti gli anni tutte le tavolate erano state tolte e ora sedevano tutti insieme.
Harry quasi si strozzò con le patate a forno.
« Questo, a casa mia, viene chiamato razzismo! » strepitò Blaise in risposta, guardandolo indignato e sbattendo la forchetta nel piatto.
Theodore si trattenne dallo schiaffeggiarsi da solo. Perché Blaise era così? Perché? E dove era scritto che lui dovesse subirselo ventiquattro ore su ventiquattro? Dove? L’avrebbe ammazzato, oh, se l’avrebbe ammazzato!
« Sei un idiota, lo sai, vero? » sibilò Theo, assottigliando lo sguardo e fissandolo con astio.
« E tu un disamorato della malora! »
« Smettetela » mormorò Pansy, che si stava massaggiando le tempie con inerzia.
« Coglione! »
« Troglodita! »
« Qualcuno mi dice perché la stanza di Draco è completamente distrutta? » e, sapendo che con i “basta” non si sarebbero mai zittiti, Pansy passò con l’astuzia, facendo leva sulla curiosità di Blaise.
Hermione arrossì dalla punta delle scarpe fino a quelle dei capelli, distogliendo lo sguardo e facendo finta di guardare, interessata, Higgs scaccolarsi nella sua beata idiozia.
« Fiamme, fiamme dappertutto » bisbigliò Harry, stringendo con forza la forchetta tra le dita e trattenendosi dal lanciare una maledizione senza perdono sul biondo platinato.
Hermione si sarebbe sotterrata dalla vergogna. Nessuno dei due sapeva cosa era successo la sera prima, ma c’era stato qualcosa, qualcosa che aveva sprigionato quelle fiamme che avevano distrutto tutto tranne… loro. Draco si ritrovava qualche scottatura, ma Hermione ne era stata immune, così quella mattina si era recata in biblioteca per cercare di capire.
Solo nel reparto proibito aveva trovato quello che cercava.
Non poteva parlarne con Harry, perché la situazione in cui l’aveva scoperto era più che indicibile, ma nascondendo i particolari era corsa dalla professoressa Mcgranitt per delle spiegazioni; il libro aveva descritto esattamente quello che era successo e l’aveva chiamata ascensione.
Hermione era una ignis e la cosa la spaventava più del dovuto.

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Capitolo 14
*** Capitolo XIII - My ***


Capitolo XIII -
My






Due dita pallide strinsero con forza quel maglione di lana, afferrandolo e tirandolo su dal pavimento di pietra: la “R” sul petto prese fuoco e le fiamme si estesero fino alle maniche bordate con cotone d’oro, mentre il rosso della lana diventava cenere tra le sue mani; non si bruciò nemmeno quando le lingue infuocate le strinsero la pelle con inerzia, accarezzandole la carne con dolcezza. Le sembrava che quel fuoco fosse fatto d’aria: la stringeva, la stringeva, ma non le faceva male e questo la spaventava.
Strofinò le dita quando si accorse che il maglione di Ron era bruciato interamente, lasciandole solamente la mano sporca di cenere e il corpo tremante; la Torre Nord era vuota, i ragazzi erano in giro a fare rifornimento d’alcool per quella sera, magari per distrarsi, magari per non pensare a quegli attacchi che diventavano sempre più frequenti, magari per non pensare che, quella volta, erano tutti coinvolti e nessuno di loro – forse – ne sarebbe uscito intero o peggio, vivo.
Hermione Granger tremò, mentre il fuoco accarezzava la scritta “Sanguesporco”, delineando la cicatrice che le straziava l’avambraccio e rendendo la scritta rossa, quasi viva nel passato che l’aveva resa dolorosamente vera.
« È un dono molto raro » Anastasija apparve – come sempre – alle sue spalle, guardando meravigliata il fuoco che sprigionavano i suoi pori, che l’avvolgeva come una nuvola letale, fatta di cenere e rosso, come la maglia che indossava.
« È un dono che non so gestire » bisbigliò Hermione, alzando i polpastrelli e fissandosi le dita pallide.
Draco non era stato ferito dalle fiamme, ma Hermione non conosceva il perché e aveva paura. Aveva paura di ferire qualcuno, di ferire lui e non poteva permetterselo: aveva promesso di salvarlo, non di ucciderlo.
« Imparerai. Sei una strega rossa, Hermione, il fuoco è dentro te, il fuoco è te, non ti divorerà… a meno che non sia tu a chiederglielo » rispose Anastasija, facendole spalancare gli occhi.
« Gli Ignis sono creature rare, è un potere con cui ci si nasce ogni secolo e in questo ricorrente, creature così si sono quasi estinte. Molti farebbero carte false per essere così, Hermione e tu non devi rinnegare quello che sei.
Una volta imparato a maneggiarlo, non ne avrai più paura e niente potrà fermarti » continuò, accomodandosi sul divanetto di pelle nera e accavallando le gambe nude.
Quel giorno, Anastasija, indossava un vestito rosso fuoco: Il corsetto le strizzava il seno, ma Hermione sapeva che non aveva bisogno di respirare, che era tutta apparenza il colore roseo sugli zigomi pronunciati e che quindi quei lacci potevano stringere fin quando volevano, non ne risentiva, non più, almeno; il velluto le accarezzava sensualmente i fianchi stretti, mentre la gonna le fasciava le gambe fino alle caviglie, mentre uno spacco – che arrivava fino alla vita piccola e sottile –  mostrava la sua pelle candida. Anche le labbra erano rosse, mentre i riccioli erano legati in una crocchia disordinata, che lasciava il collo pallido scoperto: sulla cavità, quasi sullo sterno, si intravedevano le cicatrici di due canini.
Hermione rabbrividì: era di una bellezza da mozzare il fiato, ma di una tristezza unica, gelida. Troppe volte l’aveva paragonata ad una bambola di porcellana, immobile nella sua bellezza, ferma nella sua eterna magnificenza.
Anastasija era una Dea, e aveva il potere di creare una nuova vita e – come ogni Dio che si rispetti – aveva anche il potere di toglierla, di rendere le altre persone come lei. Cosa si provava ad essere vuoti? A non avere alcun scopo nella vita, se non placare la bestia che cresce e prende posto della propria umanità?
« Non sapevo esistessero anche le streghe rosse. Ero informata su quelle bianche e quelle nere, le prime con il potere straordinario di poter guarire e le seconde di ferire o addirittura uccidere, ma non ho mai sentito parlare di streghe “rosse” » mormorò Hermione, rimanendo all’in piedi e inclinando il capo, senza fermare le fiamme, come se facessero parte di lei, come se fossero lei.
« Le streghe rosse vengono dette anche volgarmente streghe d’amore. Ma sono tutte bugie, quelle leggende narrano il sbagliato; le streghe rosse non si interessano a incantesimi d’amore o a lanciare il malocchio sull’ennesimo uomo traditore. No, è molto più complicato.
Si parla di streghe rosse perché il loro potere viene fuori quando perdono ogni inibizione e – inconsciamente – ogni freno che le rende loro stesse. Si chiamano streghe rosse perché il loro potere viene fuori, di solito, quando vengono intaccate dalla passione e dal piacere che concede la carne.
Ci sono le Ignis, come te, che hanno il potere del fuoco: non un potere semplice, tu sei il fuoco e puoi attaccare, guarire e volgerlo a tuo piacere. Sei solo la carnefice, ricorda, mai la vittima.
Le Mata*, che sono sorelle della madre terra: loro sono la terra e si nutrono di essa, mentre possono controllare qualsiasi cosa abbia a che fare con Madre Natura; parliamo di terra, pietre, alberi e molte volte loro riescono a parlare con gli animali e “comandarli”.
Le Atl*, coloro che invece di essere fuoco, sono acqua. Possono diventarlo, possono sprigionarlo e possono comandarla come a loro meglio piace. Un giorno – se ne incontrerai una – dovrai stare molto attenta: di solito a loro non piacciono molto le Ignis.
E infine, per la schiera delle streghe rosse, ci sono le Shu*, senza offesa, per me sono le più forti. Loro sono in grado di condizionare gli agenti atmosferici, possono magari diventare un fulmine e fulminare le persone, creare un acquazzone dal nulla, bruciare come il fuoco… racchiudono tutti e tre le categorie, ma sono le più rare. Quasi estinte, secondo me.
Per ora posso aiutarti io con vari allenamenti di auto-controllo, mentre aiuterò gli altri con questi frequenti attacchi, magari infondere una base a quei novellini e condurli sulla giusta via per “combattere”. Ma quando sarà finita Hogwarts, potrai cercare le tue consorelle e accrescere il tuo potere, renderlo parte di te, renderlo te » Anastasija non aveva quasi preso fiato in tutto quel discorso e se rimanere affascinati dalla sua voce era oramai un abitudine, rimanere incantati dal racconto era quasi d’obbligo.
Hermione era sempre stata affascinata dal sapere e conoscere quelle cose era meraviglioso: non sapeva nulla sulle streghe rosse, ma aveva intenzione di approfondire le ricerche, conoscerne di più.
« Lo faresti davvero? Aiutarmi, intendo » domandò Hermione, congiungendo le mani dietro la schiena e inclinando il capo: i ricci le accarezzarono le spalle, e le gambe si strusciarono tra di loro, coperte da un paio di pantaloni neri come l’onice.
Anastasija annuì, sorridendole con dolcezza e familiarità.
« Ma non credo che tu ne abbia bisogno… sei o non sei la strega più brillante di questo secolo? » ridacchiò Ana, mostrando i canini sporgenti e scoppiando in una risata cristallina.
« Ho passato molto tempo nell’ufficio della preside, mentre voi vi sollazzavate qui, sulla Torre. Naturalmente lei e Silente ti hanno elogiato fino all’inverosimile e sotto sotto anche Piton l’ha fatto… aggiungendo, però, complimenti del tipo “saccente so-tutto-io” e altri epiteti carini  » continuò, mentre Hermione alzava gli occhi al cielo e sorrideva.
« Non siamo mai andati molto d’accordo, sì » acconsentì la Grifondoro, accomodandosi al suo fianco e – quasi senza rendersene conto – spegnendo finalmente il fuoco che l’avvolgeva. Sospirò, rilassandosi e guardandosi le mani in cerca di scottature o altre lingue infuocate: niente, sembrava essere sparito come era apparso.
« Controllo, Hermione, hai bisogno solo di controllo » le raccomandò Ana, picchiettandole delicatamente una guancia.
« Su quello che ci siamo dette… può rimanere tra di noi? » domandò Hermione, mordendosi le labbra e guardandola interdetta. Non le piaceva tenere segreti con i suoi amici o in generale con le persone a cui teneva, ma quella volta era vitale che tutto quello rimanesse tra lei e Anastasija: Harry non avrebbe sopportato una sua possibile partenza una volta finita la scuola e lei non voleva ferirlo.
Per Draco… per Draco non lo sapeva, ma non era sicura che ci sarebbe rimasto male quanto il suo migliore amico.
« Silenzio di tomba » bisbigliò Anastasija, mimando di cucirsi la bocca e buttare la chiave. Hermione le sorrise, riconoscente, rilassandosi dopo due giorni di totale inferno e dubbio.
« Miseriaccia, Harry, perché non puoi aiutarmi? » la voce di Ron, dalla tromba delle scale, le raggiunse prima che comparisse, insieme ad un fracasso incredibile che solo la sua persona poteva portare.
« Tu ti dimentichi la bacchetta in dormitorio? Tu te le trascini in braccio, Rosso della malora » sbottò la voce di Draco, che fece sogghignare Hermione: era il solito, oramai cominciava a credere che i battibecchi gli piacessero più del consentito.
« Ammazzati, furetto »
« Dopo di te, donnola »
« Che Merlino vi fulmini, e basta, porco Salazar! » urlò Harry, comparendo esasperato alla porta della Torre Nord e chiedendosi cosa avesse fatto di male nella vita per meritarsi quei due alle calcagna.
« Questa si chiama “tensione sessuale”, ragazzi miei. Sfogate e adios, almeno non rompete le palle » disse Blaise, e dai rumori in sottofondo, Hermione, era sicura che qualcuno si era rifatto le scale con il culo per terra.
« Vi odio e dovete starmi lontani » sibilò Ron, apparendo alle spalle dell’amico con i capelli rossi scompigliati e una cassa piena di bottiglie tra le braccia. Draco, alle sue spalle, lo scimmiottò.
« Chi ti caga, Weasley » borbottò Blaise, con Theodore e Astoria a seguito. Tutte le bacchette dei “maschietti” erano puntate su altre casse, tutte galleggianti sulle loro teste ed Hermione arricciò le labbra: che intenzioni avevano? Sapevano, vero, che non ne sarebbero usciti vivi con tutta quella roba? Sospirò, scuotendo il capo.
« Finirete in coma etilico » disse, indicando le casse e arcuando le sopracciglia in un cipiglio severo. Draco le sorrise in modo sfavillante.
« Meglio in coma che in compagnia di questi decerebrati » rispose angelico, sbattendo civettuolo le ciglia bionde.
« Zitto e subisci, perché è la nostra stessa sorte, Serpe della malora » sibilò Harry, grattandosi la cicatrice e svaccandosi accanto ad Hermione, che gli accarezzò con dolcezza i capelli.
« Godetevi questi due giorni, perché poi inizieremo con gli allenamenti e non avrete così tanto tempo per ubriacarvi! » sghignazzò Anastasija, alzandosi dal divanetto e ticchettando con i tacchi alti fino alla porta. Ron la guardò con la bava alla bocca, Blaise le fece l’occhiolino e Theo arrossì vagamente, abbassando lo sguardo.
Harry, invece, sembrava immune alla sua bellezza: i suoi occhi smeraldini la guardavano con affetto fraterno, non con la solita malizia che qualsiasi uomo la guardasse sembrava possedere. Era dolce, come – a suo tempo – quando ancora in lui c’era qualcosa di umano, lo era stato Aleksej Romanov.
« Hai definito tutti i dettagli con la Mcgranitt, ecco perché sei sparita? » domandò, teneramente, con gli occhiali appena storti sul naso e il solito sorriso da eterno Peter Pan sulla bocca.
Ecco cosa adorava Hermione in lui: nonostante la guerra e le risme mentali, le persone perse e i sensi di colpa, Harry non perdeva mai quel lato da bambino eterno, che – insieme a Ron – l’avevano reso il suo migliore amico, quello che era in grado di farla sorridere anche quando il mondo andava in pezzi.
Hermione si accoccolò al suo fianco, pensando che le era mancato il suo profumo e le sue braccia calde, che la circondarono con dolcezza. Sì, decisamente le era mancato in tutto e per tutto, specie in quegli atteggiamenti intimi che solo loro condividevano.
« Sì, è così. Stiamo rifinendo le ultime cose e poi vi renderemo partecipi di tutto » rispose Ana, mandandogli un bacio volante e salutando tutti con la mano, mentre spariva per la tromba delle scale con un sono ticchettio. I ragazzi ricambiarono all’unisono, sentendo l’eco della sua risata spegnersi sempre di più.
« È successo qualcosa? » le mormorò Harry all’orecchio, mentre Ron si sedeva alla sua sinistra e gli altri prendevano posto sulle poltrone. Hermione scosse il capo, abbozzando un sorriso e sospirando sul suo collo: lui la strinse con più forza e Draco tossì sonoramente, guardandoli di traverso.
« Eh? Che c’è? Sei geloso, biondastro? » sibilò Harry, velenoso, mentre Hermione lo zittiva con uno scappellotto sulla nuca.
Il sole stava tramontando e non c’era spettacolo più bello di quello: i raggi aranciastri accarezzarono i loro visi, colorandoli e rendendoli più vivi, meno cupi, forse più allegri. Erano insieme, con l’odio incosciente che si prova per il compagno di scuola, con la malizia degli adolescenti, che cominciano a tastare il territorio, che cominciano a sentire i primi ormoni sballottare. Erano insieme, tastando l’amore, l’amicizia, il rancore e tutto andava bene, anche se faceva male.
Tutto andava bene.
« Di te? Ma non farmi ridere, Pottah! » sputò Draco, sogghignando e riavviandosi i capelli biondi. Strinse i denti, cercando di non lanciarsi su quell’idiota occhialuto di Potter e rompergli la faccia – come avrebbe voluto tutto l’Universo – e calmarsi.
In realtà, l’unico di cui avrebbe sempre avuto paura, era proprio Potter. Lui era l’unico che la conosceva affondo, che aveva condiviso con lei qualsiasi momento – intimo o no – e di conseguenza, era lui il pericolo più grande.
Lui, che ora la stringeva.
Lui, che ora si beava del suo sorriso.
« Ah – Ah, Draco, non si dicono le bugie » bisbigliò Blaise, beccandosi un calcio da Draco, che sorrise velenoso nella sua direzione.
« Ah – Ah, Blaise, tu invece parli troppo! » sibilò, carezzevole, mentre il ragazzo di colore bestemmiava in aramaico per il dolore.
« Spero che Hermione, un giorno, te lo stacchi a forza, con i denti » sbottò, mentre Hermione arrossiva e lo guardava scandalizzata. « Ehi! » sbraitò, offesa, colpendolo con la prima cosa che le era capitata per mano: il libro di Antiche Rune. Ottocento pagine. Rilegato in cuoio.
Blaise ululò dal dolore.
« Che il Barone Sanguinario beva del vino elfico dalla tua testa, donna maledetta! » strepitò, mantenendosi una gamba e la testa, presa in pieno.
« Ben ti sta! » borbottò Ron, aprendo una bottiglia di whiskey incendiario e disponendo i bicchieri sul pavimento, in cerchio « E mentre aspettiamo la Parkinson, beviamoci su! » disse, versando il liquido ambrato nei bicchieri e sedendosi sul pavimento freddo: venne seguito dai presenti, che si accomodarono a poca distanza l’uno dall’altro. Le loro ginocchia si toccavano, come i loro gomiti, ed era anche una bella sensazione restare così, a riscaldarsi, con la bocca tesa in un sorriso e le risate che portavano quei momenti.
Astoria non aveva ancora aperto bocca, come Theodore – più pallido del solito – e se la cosa era sospetta gli altri non lo diedero a vedere; quella era la loro notte, della loro vita, per dare un po’ di sfogo alla loro schifosissima adolescenza, che si mostrava a tratti.
« Al mio tre – disse Ron, afferrando il bicchiere tra le dita e ingoiando a vuoto. –
Uno – e qui tutti presero il bicchiere e lo alzarono a livello della bocca. –
Due – continuò, mentre tutti storcevano il naso per la puzza d’alcool. –
Tre!  » e tutti ingollarono il whiskey tutto d’un fiato, trattenendo i conati di vomito che salirono alla gola come un traverso di bile per il sapore acido della bevanda.
Hermione rabbrividì, posando il bicchiere e sorridendo stupita di quello che quei pazzi la portavano a fare: in fondo non avevano tutti i torti, perché no? Erano solo loro, quindi perché non bere e magari dimenticarsi per un attimo di essere quelli che avrebbero dovuto inforcare le bacchette e combattere? Perché no? Perché non sorridere come un ebete per una sera?
« Salazar, se faceva schifo! » borbottò Astoria, scuotendo il capo ripetutamente e scatenando l’ilarità in tutto il gruppo, tranne che in Theo.
« Già, fa proprio schifo » disse ironico, afferrando la bottiglia e riempiendosi nuovamente il bicchiere; Daphne era ancora in infermeria e si sentiva d’impazzire: aveva deciso di non volerlo vedere e Madama Chips quasi si era messa a fare la guardia per fare in modo che non entrasse di straforo.
Maledizione! Sarebbe impazzito di quel passo e avrebbe spaccato tutto, perché aveva bisogno di vederla, toccarla, sentirla. Aveva bisogno di guardarla, di accarezzarla, magari stringerla così forte a sé da sentirsi mancare.
« Passa, Theo! » borbottò Blaise, afferrando la bottiglia e riempiendo nuovamente tutti i bicchieri, mentre Theodore già beveva tutto d’un fiato e rimediava l’ennesimo giro.
« Non essere triste, lei si riprenderà presto » la voce di Draco si sentì appena, fu quasi come un soffio all’orecchio di Nott, che alzò di scatto gli occhi blu sull’amico, che gli sorrise o – come sempre – sogghignò.
« Lo so » rispose, abbassando il capo e trattenendo il vomito quando Astoria gli strinse il braccio con dolcezza, impalpabile come sempre. Avrebbe trovato il modo – se lo era giurato – di avvisare tutti.
Non sapeva come, ma ci stava lavorando: Astoria poteva averlo incastrato come voleva, ma niente l’avrebbe fermato, nemmeno lei e i Santi. Non si erano fermati a Lord Voldemort, non si erano sottoposti alla loro famiglia e alla morte vicina e non l’avrebbero fatto nemmeno con loro.
« Ron, ricordi quella volta che dormimmo tutti e tre nello stesso letto ed Harry – per vendicarsi del calcio che gli menasti nel sonno – ti infilò un ragno finto in bocca? Per calmarti ci vollero tre ore d’orologio e una pozione della Pace da parte di tua madre » rise Hermione, al ricordo di quella sera alla Tana.
Le orecchie di Ron divennero scarlatte come la maglia che indossava Hermione e arrossì dalla punta dei capelli fino a quelle delle scarpe: la ragazza si morse le labbra e – senza riuscire a trattenersi – scoppiò a ridere.
In realtà era ancora arrabbiata con lui, ma in quel momento davvero non ce la faceva a tenergli il broncio: aveva una faccia troppo divertente! « Ricordo anche quando George appese un lenzuolo sporco di sangue fuori dalla finestra dove dormivate tu e Ginny urlando per caso che avevi appena perso la verginità e che Ron era diventato finalmente un uomo » disse Harry, scoppiando miseramente a ridere al ricordo della faccia di Molly Weasley. George era stato messo in punizione per una settimana – nonostante avesse venti e passa anni – ma ne era valsa davvero la pena.
« Eppure, dalle fiamme dell’altra notte, sembra proprio che quel lenzuolo avrebbe dovuto appenderlo Draco  » borbottò Blaise, angelico, beccandosi un occhiataccia dall’intero gruppo: cercò di proteggersi dai cazzottoni che cercavano di mollargli a comitiva. Bastardi, facevano le ammucchiate!
Draco la guardò di sottecchi, ma lei ricambiò pienamente lo sguardo: aveva le labbra lucide e rosse, ancora sporche di whiskey e le guance rosee, mentre Blaise le riempiva l’ennesimo bicchiere e lei lo ingollava ferocemente, come se le piacesse.
Sorrideva, come se non avesse un pensiero al mondo e lo faceva meravigliosamente: i denti brillavano come la pelle pallida e la seconda bottiglia venne stappata. Non avevano più parlato dell’altra sera, in realtà sembravano volersi evitare, ma Draco sapeva che era tutto apposto: lo vedeva nei suoi occhi, nel desiderio che vigeva nel suo sguardo come nel proprio, quasi bisognoso di lei.
« … Voglio volare » borbottò Harry, alzandosi di scatto con un scintillio malvagio negli occhi.
« Volare? » domandò Draco, il cui sguardo si era appena acceso.
Harry annuì.
Draco sogghignò.
« Accio scope! » urlarono all’unisono, con le bacchette puntate in avanti e – come si aspettarono – le scope volarono tra le loro mani con estrema velocità. Draco afferrò la bottiglia di vodka assoluta – regalo da parte di George – e si mise in sella alla sua Firebolt, seguito a ruota da Harry, che afferrò – si manteneva leggero, lui – una birra bionda.
« Ehi, Granger… ti fidi di me? » gli occhi di Draco brillavano mentre le porgeva la mano, dalle dita lunghe e pallide, da pianista.
Hermione rise, scuotendo il capo « No, certo che no! Che domande fai, Malfoy? » disse, divertita, mentre lui ammiccava sensualmente.
« E fai bene! » mormorò, prima di afferrarla di slancio e caricarsela – come un sacco di patate – proprio sulle gambe.
Hermione urlò, aggrappandosi al suo mantello e Draco scese in picchiata, seguendo la tromba delle scale a rotta di collo, con Harry alle calcagna. Sganasciato dalle risate la vide nascondere il volto nel suo maglione, ma la sentiva ridere: alcuni singulti le scuotevano le spalle, mentre sentiva i denti contro la lana soffice dell’indumento che indossava.
Tremò, tracannando l’ennesimo sorso di vodka e sterzando per evitare che si schiantassero contro Pansy, che sembrava apparsa dal nulla: Hermione urlò nuovamente, insultandolo « Rallenta, maledizione! » sbraitò, senza venire ascoltata minimamente. Con la coda dell’occhio, Draco, vide Potter afferrare Pansy per un braccio e caricarsela dietro, mentre la mora sgranava gli occhi dal terrore e lo guardava come se fosse impazzito.
« Fammi scendere, porco Salazar, fammi scendere! Oh Merlino santissimo, Potter, se non vuoi che ti ammazzi, fammi scendere! » la sentiva sgolarsi, mentre Harry rideva come un pazzo, frenando all’improvviso e partendo nuovamente come un razzo.
« Cerca di non farti beccare, Sfregiato e… chi arriva prima all’entrata della Sala Grande vince! » disse Draco, aumentando il tono per farsi sentire e accelerando – con sommo terrore di Hermione. – E forse, proprio per la paura o perché era già mezza ubriaca – afferrò la bottiglia e ne bevve un gran sorso, trattenendo un brivido di disgusto.
Draco rise nuovamente, stringendola con forza – quasi come se non ci fosse un domani – e facendo girare la scopa a trecentosessanta gradi. Hermione strillò come un invasata, mentre la vodka si versava lungo le scale e lei vedeva il mondo sottosopra: sentiva le braccia di Draco tenerla forte a sé, mentre i capelli rimanevano sospesi a mezz’aria, come una cascata.
« Io già lo so. Che ti fidi di me, intendo » respirò al suo orecchio, sulla sua pelle, facendola rabbrividire e salire tutto quello che si era bevuto dritto alla gola: aveva voglia di vomitare, di baciarlo e magari fingere che là fuori non c’era nessuna guerra.
Il mondo tornò normale e Draco ricominciò a correre: Harry li sorpassò, ma andò a destra, mentre l’altro svoltò a sinistra, evitando di schiantarsi contro qualche albero o passare di striscio per il terzo piano, che sembrava il preferito di Gazza.
« Vomiterò, sono sicura che vomiterò » balbettò Hermione, zittendosi nel sentirlo ridere. Lo faceva veramente, mostrando i denti e buttando la testa all’indietro, mentre gli occhi si riducevano in due spilli e brillavano dalla gioia. O dalla pazzia. Ma ad Hermione, in quel momento, piacevano entrambe.
« Ci schianteremo… o peggio, ci espelleranno! » urlò, aggrappandosi al suo collo e allungando la sua risata.
« È l’ultimo anno, Hermione, apri gli occhi e goditi la vista! » le rispose, eccitato, mentre un quadro gli urlava dietro per averlo spaventato a morte. Draco scese una nuova rampa di scale e lei – finalmente – guardò lo spettacolo che le si presentava dinnanzi agli occhi: ogni forma o cosa era indistinguibile, c’erano solo macchie di colore e profumi sfumati che le arrivavano all’olfatto.
C’era solo Draco e i suoi capelli biondi. Draco e il suo sorriso divertito. Draco e il suo profumo prepotente, che la sera prima aveva rischiato di farla impazzire. Hermione urlò, ma questa volta rise anche, mentre l’adrenalina superava l’eccitazione.
Le sue mani, la sua bocca tra i capelli, le gambe quasi intrecciate tra di loro: i respiri ansanti e la corsa che accelerava sempre di più, scavalcando quasi le leggi della fisica, della ragione. Risero all’unisono, aggrappandosi l’uno all’altro.
Draco frenò all’improvviso ed Hermione si accorsa che erano i primi ad arrivare: avevano vinto. « Non merito nemmeno un bacio della vittoria? » mormorò Draco al suo orecchio, mentre lei gli faceva la linguaccia, come una bambina.
Sentiva la testa girare come una trottola e la nausea aumentare e la sensazione aumentò quando Draco le posò le labbra sul collo, e le sentì morbide, vellutate; erano le stesse che si erano posate alla valle dei suoi seni, sulla sua bocca. Tremò, aggrappandosi ancor più forte a lui.
« Al diavolo la vittoria, Granger! » bisbigliò, afferrandole con forza il mento e baciandola con trasporto. Hermione si aggrappò alle sue spalle, intrufolando la lingua nella sua bocca e sospirando sulle sue labbra schiuse.
Era strano come il diavolo in persona potesse regalarle l’entrata in paradiso, assicurandole un posto in prima fila. Hermione si staccò, riprendendo fiato e scese dalla scopa, indietreggiando e ondeggiando – ubriaca, felice, se stessa – con i ricci che le ricadevano sulle spalle, gli occhi accesi dal desiderio. « Prendimi, se ci riesci » soffiò, scoppiando a ridere e cominciando a correre.
Draco lasciò cadere la scopa sul pavimento, scavalcando il pezzo di legno e lanciandosi all’inseguimento della Mezzosangue, mentre teneva la bottiglia stretta tra le dita pallide; vedeva le sue gambe strusciarsi l’una contro l’altra, le guance rosse, le labbra schiuse e ancora gonfie per il bacio che le aveva rubato prima.
Vide i suoi polpastrelli accarezzare il muro alla sua destra e i suoi passi ondeggiare, ogni tanto frenare: Hermione svoltò un corridoio, divertita, e si infilò in uno stanzino per le scope. Era vuoto, probabilmente Gazza l’aveva ripulito da tempo, e c’era solamente una sedia malandata, mezza nell’angolo – probabilmente rotta e abbandonata lì dal custode. –
C’era buio pesto, ma ci pensò Hermione ad illuminare ogni singolo angolo di quella stanzetta: prese di nuovo fuoco e questa volta, avvolta dal riverbero rossastro delle fiamme, apparve quasi inquietante ai suoi occhi. Ma era bella, diavolo, se lo era.
I suoi occhi bruni brillavano di una brama che gli fece tremare le vene nei polsi, mentre quelle labbra – che non avrebbe mai smesso di baciare, su cui sarebbe morto e risorto altre mille volte – si tendevano in un sorriso sinistro, sensuale, che non aveva mai visto sul viso di Hermione Granger. Ma quanto poteva dire di conoscerla? Nessuno, nessuno poteva dire di conoscere del tutto una persona, nemmeno quando questa si spogliava dalle paure, dai segreti più reconditi e oscuri; eppure la desiderava anche così, anche con quel lato buio che lo infiammava terribilmente, facendogli quasi perdere il senno.
« Guardami  » bisbigliò lei, roca. E lo stava facendo, la percorreva centimetro per centimetro, quasi come un assetato nel deserto. La sua pelle serica, il seno che si alzava e abbassava – per il respiro accelerato, per la corsa, per il fuoco che le incendiava l’anima – , accentuando la rotondità dei seni, le cosce e il volto, la cosa più meravigliosa che avesse mai visto. Che avrebbe mai voluto vedere. Il ciondolo che le aveva regalato riposava tra la valle dei suoi seni e l’accarezzò con lo sguardo, avvicinandosi lentamente, quasi come un rapace.
« Draco » mormorò Hermione, quasi supplicandolo con la voce.
Impazzì.
Impazzì di lei e delle occhiate che gli lanciava, quasi inconsapevole, ancora ubriaca.
Lasciò cadere la bottiglia sul pavimento, mormorando un incantesimo che sigillasse la porta e li rinchiudesse dall’interno – senza permettere a nessuno, dall’esterno, di poter entrare – mentre il fragore di cocci rotti rimbombava tra quelle mura spoglie e il liquido incolore si spargeva sul pavimento di pietra grezza.
Draco non ebbe paura delle fiamme e si avvicinò ancora di più, schiacciandola al muro con il proprio corpo: il calore non lo toccò e nemmeno una bruciatura comparì sulla sua pelle. Non aveva paura delle fiamme, no, finché le sprigionava lei non ne avrebbe mai avuto paura.
Poggiò il palmo aperto sul suo petto, dove il cuore batteva all’impazzata.
Un battito.
La baciò con prepotenza, mordendole con forza il labbro inferiore e succhiandolo avidamente, mentre lei gemeva contro di lui, buttandogli le braccia al collo e facendo in modo che le fiamme li avvolgessero interamente, come da scudo – come se, in un certo senso, fosse sprigionato dalla loro libidine. –
Due battiti, frenetici.
Draco si sedette sulla sedia malandata, trascinandosi Hermione, che si sedette a cavalcioni su di lui; questa volta si addolcirono e le loro mani divennero tenere, malinconiche, si assaporarono quasi con strazio.
La bocca di lui si staccò dalla sua, riprendendo fiato e scendendo lungo il collo, sulla gola – mordendola dolcemente – fino ad arrivare alla valle dei seni: lì, quasi smanioso, si staccò solo per toglierle la maglia rossa. L’ammirò interamente, mordicchiando il cotone candido del reggiseno bianco che indossava, spingendo i pollici nelle costole e beandosi dei suoi gemiti, che erano un misto di piacere e dolore.
Com’erano loro, insomma.
Le fiamme si attenuarono e la lingua di Draco guizzò lungo il suo torace, arrivando all’ombelico, mentre lei lo staccava da sé per liberarlo dal mantello e dal maglione, mordendolo sulla scapola sinistra con forza.
« Hermione, Hermione, Hermione » ripeté lui, come una nenia, stringendosela contro fino a far mancare il respiro ad entrambi. Le loro ossa s’incastrarono, mentre le loro membra quasi lottavano per collidere tra di loro.
Hermione si alzò e Draco le sbottonò i pantaloni, accompagnando la loro scesa lungo le gambe con una carezza, baciandole l’interno coscia, il ginocchio, mentre lei si sfilava le scarpe da ginnastica con un gesto brusco.
Hermione, Hermione, Hermione. Oramai la sua mente non sapeva pensare altro e credeva davvero d’essere impazzito. Completamente, perché lei oramai le aveva tolto il sonno. Irreversibilmente, perché non c’era modo di scappare, era una gabbia e all’interno vi ci era chiuso da solo e ci stava anche con piacere.
Era legato a lei, ora, e non poteva più scappare. Non voleva scappare.
I suoi pantaloni fecero la stessa fine di quelli di lei e finalmente la loro pelle entrò in contatto, nuda, bruciante, vogliosa sempre di più; Hermione lo baciò ancora e ancora, rubandogli persino il respiro e regalandogli il suo, pieno di speranze, pieno di un amore che – in diciassette anni di vita – non aveva mai conosciuto.
Lei gli graffiò le spalle e lui penetrò secco, spingendo il suo capo contro il proprio per continuare a baciarla e tappare l’urlo che stava per uscire dalla sua bocca.
Hermione, Hermione, Hermione.
La sua mente era in grado di formulare un altro pensiero, qualcosa di diverso da quei capelli ricci, da quelle labbra che sapevano d’alcool e amore; com’erano arrivati a quello? A dipendere dalla bocca dell’altro, a non riuscire a restare separati. In quei mesi era cambiato tutto, eppure tutto era rimasto uguale.
E mentre i loro corpi continuavano a muoversi in sincrono e il piacere si mescolava al dolore, Ron, Blaise, Theodore e Astoria si guardavano nelle palle degli occhi e lasciati soli in quella sbronza colossale si buttarono sul poker… e ne uscirono delle belle.
Ronald riempì un posacenere da solo, bevendo e fumando come un turco, mentre Blaise stava scommettendo tutto il suo patrimonio e Theodore bestemmiava in turco per tenersi lontana Astoria, che non cagava di striscio il suo comportamento antipatico e sgarbato.
E iniziava il gioco: Ron diede le carte e Blaise si accese una canna con faccia nevrotica, tirando così tanto dal nervoso fino a strozzarsi e formando una nuvoletta di fumo che riuscì a sballare perfino i quadri appesi alla parete.
« Non barare » sibilò il rosso, verso il Serpeverde con un cipiglio severo e da gran duro. Blaise sogghignò. Ron assottigliò lo sguardo e la partita iniziò; c’era una cosa da dire sul gioco d’azzardo, lì ad Hogwarts, ed era che i figli di Babbani – ogni venerdì sera – dopo la cena e le lezioni, mettevano su un vero e proprio circoletto per dementi, come li aveva apostrofati acidamente Hermione anni prima.
E il vero divertimento – almeno a Grifondoro –   era insegnare ai Purosangue le regole basilari, facendo credere loro che fosse facile, e metterli nel sacco giocandosi il tutto e per tutto; Ron aveva perso tanti di quei galeoni con Dean Thomas che avrebbe potuto sfamare l’intero Congo e non erano tutti soldi suoi… nemmeno sapeva quanti debiti aveva con Harry, povera anima pia.
Blaise aveva imparato con Draco e Theodore grazie ad alcuni Corvonero e sapevano che ora era guerra aperta. Le facce diaboliche che avevano assunto quei due bastardi erano da ridere, ma erano serie da fare schifo, ‘manco stessero praticando Occlumanzia o altre tecniche per oscurare i pensieri all’altro. Theodore li guardò schifati.
« Passami quella maledetta birra, Nott, che qui si fa notte » mugugnò Ron, lamentandosi, e Theodore gliel’avrebbe lanciata volentieri dietro la testa, ma evitò la discussione sul nascere e si limitò a passargliela e tenerne una per sé.
Erano tesi come corde di violino e Blaise non fece nemmeno una delle sue solite battutacce, cosa che sbalordì non poco i due poveri disgraziati presenti, che dovettero sorbirsi tutta la partita con tanto di occhiatacce e insulti, bestemmioni e oggetti lanciati da una parte all’altra.
Quando verso le tre quei quattro barboni rientrarono, con tutti i vestiti stropicciati, Hermione tutta ubriaca che a malapena si reggeva in piedi e Malfoy che aveva la faccia più beota mai vista sulla faccia della terra, trovarono Zabini a ballare… mezzo nudo. E certo, signori e signori, Blaise Zabini toccò letteralmente il fondo quando si abbassò i pantaloni e s’infilò i boxer nel sedere, ballando col culo all’aria e sculettando al limite della decenza.
« Ho vinto, ho vinto, ho vinto e ho vinto! » urlò, facendo volare i pantaloni dall’altra parte della sala e poggiando i palmi sulle ginocchia, dando modo al suo sedere di muoversi con più sensualità.
Harry per poco non vomitò tutto quello che si era scolato, anche perché il volo non aveva di certo aiutato l’alcool a digerire meglio: beccò Malfoy con la sua scopa sulla testa, restituendola al proprietario dopo averla trovata in Sala Grande senza l’idiota e la sua migliore amica – e dal loro aspetto sospettò che avessero festeggiato la vittoria a modo loro. –
Era da manicomio, perché Ron crollò con la faccia contro il pavimento, maledicendo tutta la sua progenie e quella sfiga che – quando si trattava di lui – sembrava infilarsi i maledetti occhiali a culo di bicchiere di Potter.
« Vi odio, vi odio tutti » disse, battendo ripetutamente la testa, mentre Hermione scoppiava a ridere indecentemente, crollando seduta sul pavimento per tenersi la pancia.
« Blaise, ti prego, calmati » ma il ragazzo di colore sembrava davvero su di giri, perché – con le scarpe da ginnastica e i calzini neri alzati fino alle ginocchia – aprì la porta della torre e cominciò una maratona… che quel gruppo mal assortito non dimenticò nemmeno negli anni avvenire.
« Blaaaaaaaaaaaise! Porco Merlino, sei nudo, torna qua! » sbraitò Draco, correndo alle spalle dell’amico con i capelli ritti in testa all’idea di essere beccati dalla Mcgranitt in una situazione del genere.
Quel bastardo di Blaise sembrava – nonostante i litri di vodka che si era scolato – impossibile da acciuffare: correva come un invasato, con i capelli neri al vento e l’espressione vittoriosa di chi ha sconfitto Lord Voldemort e intanto allargava le braccia, facendo venire un traverso di bile al biondo, che lo seguiva come un pazzo scappato dal reparto igiene mentale del San Mungo.
« Porc… sta andando verso l’ufficio di Gazza, deficiente, acchiappalo! » sibilò Harry, ma troppo tardi: la porta di mogano si aprì di botto e Blaise ci finì proprio dentro, schiantandosi dentro come un idiota. Come nei cartoni animati – che Harry aveva tanto visto da bambino – scese lentamente verso il basso, con il volto spiaccicato contro la porta e le chiappe al vento, cadendo al suolo con un tonfo sordo.
Avevano fatto tre piani di corsa e avevano il fiatone, ma la faccia tramortita di Blaise, quella pallida del custode e la situazione in cui si erano cacciati diedero ai due nemici di sempre il fiato per scoppiare a ridere come due beoti, accasciandosi sul pavimento di pietra insieme all’amico e sganasciandosi dalle risate, alla faccia del moro che aveva perso i sensi.
« Studenti fuori dai dormitori, studenti fuori dai dormitori! » urlò Gazza, indicando terrorizzato il sedere scuro di Zabini completamente scoperto e questo insospettì Harry: se avesse riconosciuto gli studenti li avrebbe già afferrati per le orecchie e trascinati dalla preside, aspettando solo una punizione per poterli appendere per i pollici nelle segrete… ma no, gridava semplicemente “studenti fuori dai dormitori” con una faccia disgustata e anche rossa, cercando di non fissare Blaise mezzo nudo.
« Infilati il cappuccio in testa, Malfoy! Gazza non ci ha riconosciuti » bisbigliò Harry, seguendo il suo stesso consiglio e afferrando Blaise per le gambe: in un nano secondo se lo caricò sulle spalle, mentre Draco gli faceva un cenno affermativo « Io a destra e tu a sinistra, cerchiamo di distrarlo » mormorò il biondo serpente, e prima che il custode capisse cosa stava succedendo, Draco gli menò una spallata che quasi lo mandò a gambe all’aria: Harry prese la parte opposta e Gazza ritenne più opportuno inseguire a rotta di collo l’idiota che l’aveva urtato con l’esatta intenzione di fargli male.
« Fermati, disgraziato, fermati! » lo sentiva sbraitare Harry, mentre girava a destra per prendere le scale del dormitorio dei Tassorosso e arrivare più velocemente alla Torre. Ma se la fortuna gli aveva sorriso per il giro in scopa, non aveva atto lo stesso quel momento, perché sull’ultima scalina del terzo piano, la vestaglia scozzese – sempre uguale – della preside Mcgranitt spiccò nel buio… e venne trascinato nel suo ufficio senza una scusa che giustificasse la sua corsa con uno studente mezzo nudo, ferito e ubriaco marcio, Serpeverde, sulle spalle.
E furono guai.
 
« Come avete osato? Mai e dico mai, da quando insegno in questa scuola, è successa una cosa tanto deplorevole… e stupida! »
Erano passate oramai due ore da quando Draco l’aveva scampata da Gazza ed era stato convocato nell’ufficio della vecchiaccia grazie a quello spione di Potter e cominciava a stracciarsi letteralmente le pluffe.
Draco sapeva che la donna stava mentendo: ai tempi dei gemelli Weasley e ancor prima i Malandrini, erano state fatte cose peggiori… ma naturalmente quelli erano Grifondoro, mentre quello trovato in mutande era rigorosamente – anche se fuori di testa – Serpeverde.
« Siete in punizione… tutti e tre! » sbottò, mentre Harry e Draco si chiedevano che volesse proporre più, visto che già convivere a stretto contatto era già grave di suo.
Poi sembrava aver visto le loro facce, perché con un gesto brusco indicò la scatola di biscotto di fianco a parecchi gingilli strani. Harry fu il primo a prenderne due, pizzicando la gamba di Malfoy per intimargli di prenderne uno pure lui; Draco alzò gli occhi al cielo: prima li insultava, poi offriva biscotti e poi li metteva in punizione.
Certo che era strana.
« Dopo Natale, d’accordo? Vi farò godere queste vacanze in santa pace e poi, appena iniziano le lezioni, luciderete per bene ogni angolo del castello… perché considero indecorosa la sfida che avete lanciato a Zabini e ritenetevi fortunati che non vi ho sospeso » disse, quasi sadica, facendo venire uno stocco ad entrambi, che si appuntarono mentalmente di fucilare Zabini appena fosse sveglio.
« Sicuro che stia bene? È ancora svenuto… » mugugnò la Mcgranitt, guardando con faccia disgustata uno dei suoi studenti sbavare indecentemente. Aveva lasciato perdere quando Harry l’aveva supplicata di non usare l’Innerva, perché quello era ubriaco da fare schifo e si sarebbero beccati una punizione ben più corposa se la preside l’avesse scoperto.
Se ne tornarono nella torre tutti mogi e trovarono lo sfacelo più totale: Ron sbavava proprio come Blaise – ed Harry a quel punto si chiese quanta roba di erano scolati da soli – e ronfava allegramente sulla pancia scoperta di Hermione, sdraiata di schiena sulla moquette con i ricci sparsi e le braccia e le gambe allargate, come se prima di crollare avesse avuto intenzione di fare un angelo di neve; Theo dormiva accuccio lato in angoletto, mentre Astoria – la più lucida di tutti – aveva optato per il divano.
Pansy, povera anima pia, che dopo essere stata trascinata in scopa ed essere stata costretta da un Ron spiritato a fare una partita di poker, dormiva su una poltroncina con le ginocchia portate al petto e il capo posato sullo schienale.
Draco mollò senza grazia il suo amico sul pavimento, facendogli battere la testa con forza e svegliandolo di colpo, mentre schioccava la lingua, furibondo « Brutto bastardo fedifrago! » sibilò, giusto per non svegliare la Granger, mollandogli un calcio ben assestato nelle costole.
Blaise, ancora ubriaco e tutto assonnato, gemette, senza reagire. Fu tempestato di pugni e calci e lasciato lì con un cane, con nemmeno la forza di strisciare come un verme: Draco alzò il viso con alterigia, calciando via Weasley dalla sua Mezzosangue e prendendosela in spalla, trascinando entrambi nella sua camera; la stessa cosa fece Harry, sospirante, che tanto per aver visto quella scena rimollò un calcio a Blaise e prese – tanto per sfregio e perché gli dispiaceva vederla rannicchiata in quel modo – Pansy tra le braccia, rintanandosi gufando nella sua camera.
E finì così la serata di quei beoti, ubriachi fino al midollo e stupidi anche peggio e quando la mattina dopo – all’ora di pranzo, a dire il vero –  si svegliarono nella Torre regnò il silenzio più assoluto: i magnifici sette si rivolgevano la parola bisbigliando, camminavano con una faccia bianca cadaverica per la torre e pregarono gli elfi – felicissimi anche – di servire la colazione lì, nel silenzio più assoluto.
Harry per poco non baciò in bocca la sua migliore amica dopo che questa cacciò degli analgesici Babbani per il mal di testa, beccandosi un calcio negli stinchi da Draco, che sibilò velenoso nella sua direzione, come un vero serpente.
Blaise aveva la faccia di un cadavere sull’orlo del collasso, con due occhiaie che facevano concorrenza con quelle di un vampiro e Ron non era conciato diversamente.
« Abbiamo ancora altra roba… » alitò proprio quest’ultimo, fissando le altre tre casse accatastate in un angolo.
« La finiamo questa sera, in una sfida » bisbigliò Blaise, che era un ammasso di lividi irriconoscibile. Naturalmente non ricordava nulla della sera prima, ma qualche bastardo  a caso – Theodore Nott – gli aveva scattato una foto che lo ritraeva mezzo nudo correre giù per la rampa di scale, con quei due alle calcagna che lo avevano ridotto in quello stato.
« Rivoglio tutti i soldi » sibilò Ron, sdraiato sulla moquette con un panno avvolto nel ghiaccio posato sulla fronte. Blaise, steso sul divano, sogghignò. « Meglio riformulare la frase: riperderò tutti i soldi » lo scimmiottò il ragazzo di colore, beccandosi uno scappellotto da Hermione, che di sentire delle loro beghe proprio non ce la faceva più.
Si alzò di scatto, mandando al diavolo tutti quanti – anche Harry e Draco, che non centravano e niente e la guardarono con tanto d’occhi – e uscì di scena, borbottando come una teiera per essersi presa una sbronza con quegli idioti e aver evitato di essere espulsa per un pelo.
Continuò a borbottare improperi fin quando non arrivò nell’ala ovest del castello, nei pressi della Torre di Astronomia, dove sapeva trovarsi le stanze di Anastasija. Completamente nascosta agli occhi di tutti, a pochi passi dalla classe della Cooman, c’era lei. La porta appariva solamente agli occhi di chi sapeva della sua permanenza al castello ed Hermione vide parecchie rifiniture d’oro comporre un grosso disegno: un drago dalle grosse ali bianche, che si muoveva sinuoso tra nuvole bianche – raffigurate ad arte. –
La ragazza si morse con forza le labbra, sospirando: i suoi piedi l’avevano condotta lì senza che nemmeno se ne fosse resa conto e la cosa cominciava a farsi seria; la voglia di prevalere su tutti stava crescendo prepotente in lei, senza nemmeno darle il tempo di pensare lucidamente.
Bussò, sperando che la vampira non stesse facendo nulla di importante da poterla disturbare e aspettò. La porta si aprì, rivelando i capelli rossicci della donna e il volto giovane e perfetto di Ana, che si spostò di lato per entrare.
« Stai bene, piccola? » domandò, sorpresa di ritrovarsela in camera.
Era tutto buio, lì, ma Hermione riusciva a vedere perfettamente la stanza da letto che la circondava: la pietra grezza non dava un aspetto più grossolano all’arredamento elegante, anche se a modo suo. Il letto a baldacchino, accarezzato da tende di velluto rosso sangue, torreggiava al centro della stanza, costruito da legno così scuro da tendere al nero. Una scrivania accanto all’arcata immensa di fronte all’entrata era immersa da scartoffie e cartelle, il legno era dello stesso colore del letto, dove c’era accostato un baule abbastanza grande.
Tende rosso sangue ricoprivano le arcate e ad occhio erano di velluto anch’esse, poi un piccolo comò e un frigo in fondo alla stanza che fece corrucciare Hermione: che diavolo ci faceva un frigobar nella stanza di un vampiro? pensò scioccata, sbattendo ripetutamente le lunga ciglia.
« Scusa se ti disturbo, Anastasija, ma… volevo parlarti di alcune cose che riguardano i Santi » mormorò Hermione, mentre la ragazza l’invitava a sedersi sul letto e si dirigeva verso il frigo: sotto lo sguardo basito di Hermione afferrò una tazza di ceramica, cominciando a sorseggiare lentamente.
« Non sapevo che… si beh, che i vampiri bevessero » borbottò la riccia, mentre Ana sogghignava sinistramente.
« È sangue. Non fare quella faccia, sono donazioni che riesco a procurarmi in sordina  » disse, agitando la mano come per scacciare una mosca molesta.
« Buon appetito, allora – e qui una faccia disgustata da fare schifo – comunque, tornando a noi, forse ho capito quando ci attaccheranno… direttamente » disse Hermione, mettendo la vampira sull’attenti.
« Avremo una lunga giornata, allora » sbuffò Anastasija, sedendosi a gambe incrociate sul letto e guardandola attentamente.
Uscirono da quella stanza alle otto di sera, quando oramai era scesa la notte e – con la luna piena e rossa – tra le vie di Londra, qualcosa di più.
 

***

 
Fuoco e fiamme, ecco cosa lasciarono i Santi al loro passaggio. Nello Yorkshire, in una delle sue tante lande desolate,  una piccola villetta fu rasa al suolo: niente fu lasciato al caso, nemmeno il buco nero – dove prima risiedeva l’abitazione – che raffigurava una grossa S infuocata.
Aleksej sogghignò, pulendosi la bocca sporca di sangue e guardando l’operato con espressione soddisfatta. Tutti morti, perfino gli elfi erano stati sgozzati senza risentimento, mentre i bambini erano stato un blando pasto per lui e alcuni dei suoi amici.
« Ben fatto, signori! » sibilò, battendo le mani ai presenti e ridendo apertamente, come se non avesse appena ammazzato una famiglia di otto persone, bambini compresi.
Con quell’ultimo ghigno presente sulle labbra si materializzò, senza sapere di avere scatenato una reazione a catena che non avrebbe più potuto fermare.

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Capitolo 15
*** Capitolo XIV - Warrior ***


Capitolo XIV -
Warrior






Anastasija strinse i denti con forza, sentendo le ossa scricchiolare pericolosamente. Lo sentiva, lo sentiva così prepotentemente da sentire il fiato mancare: Alekseij la stava chiamando con il sangue e la sua anima – che sembrava apparire sempre nei momenti più peggiori – si dibatteva per raggiungere sangue del suo sangue.  Spostò gli occhi verso la figura imbacuccata in sciarpe e guanti alla sua destra, sogghignando appena con le labbra rosse.
« Purgatum »
Fiamme rosse e languide lambirono il braccio di Hermione Granger che – con gli occhi serrati – cercava di far scorrere quel calore dal petto alle dita, frementi, come se avessero capito di essere il centro di quell’energia distruttiva.
« Purgatum » ripeté, stringendo le labbra e cercando di mantenere l’equilibrio, mentre, attorno a sé, gli altri trattenevano il respiro.
Anastasija, più pallida del solito, si fece da parte e il suo sogghigno divenne sempre più diabolico.
« Avanti, Hermione, mettici più rabbia! » sibilò e la riccia, come se fosse completamente soggiogata dal freddo delle sue fiamme, sprigionate dal suo corpo, mentre lei provava la magia più difficile di tutte: cercando di domarle per attaccare.
Se essere una Ignis all’inizio l’aveva terrorizzata, in quel momento vedeva il lato positivo della cosa: poteva aiutare Harry e Draco in quella guerra con un potere che nessuno conosceva.
Purgatum.
Era quella la magia d’attaccato, la parola che avrebbe dovuto pronunciare prima di scatenare un Inferno di fuoco. Non sembrava nemmeno così terribile. Purgatum. Purificazione. Eliminazione. Il fuoco avrebbe espiato le loro colpe. Il fuoco li avrebbe liberati dal loro male.
« Purgatum! » urlò e questa volta i ragazzi dovettero abbassarsi per non venire lambiti e bruciati dalla lava incandescente che scaturì dalle dita pallide della ragazza.
Anastasija respirò a pieni polmoni, mentre vedeva quegli occhi bruni accendersi di una luce particolare, viva, bruciante. I suoi occhi divennero di un arancione strabiliante, simili a ciocchi ardenti, e le fiamme sgretolarono i muri delle celle sotterranee, dove Anastasija li aveva portati per allenarsi.
Era buio e tetro e alcune catene appese al muro producevano sinistri rumori, ma se le fiammelle verde dapprima li avevano quasi resi ciechi per la scarsa veduta, ora il sotterraneo era illuminato da una nuova luce.
Purificazione. Eliminazione. Era quello il profumo che emanavano quelle fiamme, mentre le catene e le sbarre si liquefacevano al contatto col fuoco. No, quelle non erano fiamme normali, per niente. Era un potere che veniva dritto dall’anima e che, volente o nolente, avrebbe eliminato e purificato ogni cosa.
« Miseriaccia! » alitò Ron, con le mani sul capo e lo sguardo sbarrato: tutti sapevano cosa stava guardando. Gli occhi di Hermione erano di una bellezza straordinaria, ma non incutevano terrore, anzi; era qualcosa che travalicava ogni cosa di umanamente possibile.
E Draco, ancora una volta, riuscì a perdersi in quello spettacolo unico: le fiamme la lambivano, la stringevano e quegli occhi brillavano d’orgoglio, fierezza, simile allo sguardo di un leone che è pronto a sbranare la propria preda.
No, non c’era nulla da sorprendersi: lei era capace di tutto, anche di sopraffare la morte, volendolo.  « Merlino! » sbottò Harry, prima di correre nella sua direzione e afferrarla per i fianchi, evitando che si spiaccicasse con la faccia sul pavimento di pietra grezza.
« Tranquilli, ragazzi… fatele aria, è solo stanca » bisbigliò Anastasija, battendole le mani e guardandola con perverso compiacimento.
« Ci sei riuscita, finalmente. Divina, assolutamente divina!» si complimentò, mentre Hermione sorrideva sfinita.
Erano settimane che si allenava e ora finalmente ce l’aveva fatto, ricreando quella magia d’attacco che Anastasija aveva cercato di insegnarle; diceva che aveva fatto un giretto nel sud America e che aveva trovato cose davvero interessanti. Come, per esempio, un gruppo di Ignis alquanto incazzate che aveva quasi dovuto pregare per saperne un po’ di più su di loro.
Quasi era stata incenerita per quella mocciosa, ma – vedendo quello spettacolo unico – ne era valsa davvero la pena. Sorrise, veramente, per poi spostare lo sguardo su quella ventina di mocciosi raggruppati tutti in un angolo.
« Sono gli unici di cui mi fido davvero e che hanno lottato già una volta al mio fianco durante l’ultima guerra magica » disse Harry, sorridendo addolcito.
« E naturalmente sono molto più pochi dell’anno scorso, giusto? » mormorò Ana, mentre Blaise sospirava depresso, visto che quel testone di Theo non aveva voluto dirgli che diavolo gli passasse per la testa.
Si era rifiutato categoricamente di portarsi Astoria e aveva minacciato tutti di morte cruenta se ne avessero fatto parola con lei… in compenso non aveva fatto storie con Daphne, che ancora in via di guarigione si guardava attorno con un sogghigno disgustato.
« Perché, lei crede che ci sia qualcuno che voglia difenderci? Tutto questo sarà inutile, finiremo tutti quanti al creatore ancora prima di pronunciare “Avada Kedavra”! » sibilò ironica, mentre i Grifondoro s’infiammavano alle sue parole.
« Non fare tanto la santarellina, Greengrass! Voi serpi siete stati i primi a voler portare Harry alla gogna!  » sbottò Dean Thomas, inalberandosi e fissandola con rabbia.
Daphne puntò gli occhi gelidi su di lui, guardandolo con scherno. « Sta zitto, Thomas, che fai un favore all’universo. Voi siete qui solo perché il vostro orgoglio vi impedisce di girarci le spalle, ma covate così tanto rancore nei nostri confronti che non biasimate affatto i Santi! » sputò velenosa, lanciando quella stoccata micidiale e zittendo gli animi.
Anastasija sospirò: purtroppo aveva ragione lei. Tutti, in quella stanza, volevano combattere solamente per riscattare il bambino sopravvissuto… ma nessuno avrebbe rischiato le penne per quei ragazzi. In quella stanza c’era tanto astio e nessuno avrebbe difeso l’altro da un attacco alle spalle.
« Basta, state zitti. Non m’importa cosa vi ha spinto qua, a farvi allenare per combattere i Santi… ma sia chiaro. Al minimo cenno d’avvisaglia, di traditore o peggio, spione, giuro che prima vi dissanguerò e poi ballerò sulla vostra inutile carcassa. Ci siamo spiegati bene? » e il tono lugubre di Anastasija e i suoi occhi rossi come l’Inferno più buio, convinsero i presenti a tenere la bocca ben chiusa.
« In poche parole: o moriamo per mano tua o per mano dei Santi, giusto? » frecciò Seamus Finnegann,  sarcastico, guadagnandosi un battito di mani da Ana, che sbatté civettuola le lunga ciglia.
« Dieci punti a Grifondoro! » cinguettò melensa, mentre Harry si tratteneva dallo sbellicarsi dalle risate. Cazzo, quando si arrabbiava era un vero portento! La vide girare come un avvoltoio tra i pazzi che era riuscito a raccattare e schioccare la lingua infastidita.
Erano una decina di Grifondoro, otto Serpeverde e due Corvonero, tutto là. Tutti diciassettenni, tutti impauriti e ad occhio e croce a malapena sapevano usare l’Experliarmus. Ana respirò a fondo, massaggiandosi le tempie. Diavolo, se c’era da lavorarci!
« Okay, abbiamo Hermione ed è già un gran passo avanti, quindi direi che non siamo in completo svantaggio. Crediamo di sapere con certezza quando attaccheranno… » iniziò Anastasija, venendo interrotta da un occhiata curiosa di Neville Paciock, sempre più uomo e coraggioso, per orgoglio della vecchia nonna e dello stesso Harry, che gli sorrise sghembo.
« Appunto, come facciamo a sapere il giorno in cui quei maledetti ci verranno a fare la pelle? » abbozzò, timido come sempre, ma questa volta senza arrossire. Hermione sorrise, ma questa volta aveva assunto la stessa aria diabolica della vampira.
« La fase della Strega, la luna nuova. Avverrà il ventinove aprile, quest’anno, e sarà il novilunio perfetto… perché, dall’alba dei tempi, si dice che i vampiri scelgano sempre le notti di rinascita per accrescere i loro poteri e diventare – in un certo senso – invincibili. Mio fratello, encomiabile testa di cazzo, accecato dal suo narcisismo sceglierà sicuramente questa notte, ma, giusto per esserne sicuri, gli farò visita al più presto » borbottò Ana, schioccando la lingua irritata e incrociando le braccia al petto.
« Non ci saranno molti vampiri, comunque… non credo che Alek sia riuscito a convincerne molti, tranne quelli impuri che non hanno una ceppa da fare che rompere le palle a noi. Attenti al collo, i vampiri sono così veloci da potervi spezzare in due prima ancora di visualizzarli; attrezzatevi di spade d’acciaio, visto che abbiamo la pellaccia dura e puntate alla testa: una volta tagliata provvederò io a farli incenerire strappandogli il cuore » iniziò, mentre parecchi di loro impallidivano e diventavano cianotici a sentire quelle parole.
« Per i Santi, dobbiamo aggrapparci a delle tattiche. Sono maghi come voi, ma sembra che a pochi interessi chi di voi muoia… se ci sono di mezzo i serpentelli  » e qui scoccò un occhiata ai Serpeverde, che cincischiavano come se il fatto non li riguardasse.
« Ci faremo aiutare dai professori: magie di attacco e difesa, conosciuta o sconosciuta, maggiore al vostro livello o minore non mi interessa. Vi metterete d’impegno e cercherete di imparare il più possibile.
Il professor Lumacorno mi ha dato il suo consenso nell’aiutarvi con alcune pozioni che potrebbero servirci durante l’attacco: bombe, pozioni per addormentare o addirittura uccidere, quindi passerete del tempo anche con lui, oltre che con me e il professor Vitius. La preside cercherà di non farci beccare, coprendoci le spalle » disse Anastasija, guardandoli ad uno ad uno con occhio cinico.
Sì, era arrivato il momento di combattere, ma questa volta ad armi pari e Ana guardò Harry: quella volta non sarebbe morto nessuno, no, avevano già perso troppo in quegli anni ed era arrivato il momento di dire basta.
Socchiuse gli occhi, mentre Harry le dedicava una leggera carezza sulla spalla nuda. Ed era arrivato anche il momento di scoprire i piani di suo fratello, attaccarlo e infine… ucciderlo.
 
 
Quella sera, i soliti sette mentecatti, perché oramai solo così potevano essere chiamati, erano come sempre svaccati nella Torre Nord, che da un periodo a quella parte era diventata un vero e proprio porcile. Tra Draco Malfoy ed Harry Potter che non facevano altro che punzecchiarsi, Hermione Granger che studiava come un invasata e come se non ci fosse un domani, Ron Weasley e Blaise Zabini che consumavano il loro tempo a giocare  a poker – giocandosi pure il fegato, visto l’alcool spropositato che ingurgitavano – e Theodore Nott che cominciava a chiedersi quando sarebbe arrivata la sua fine, non c’era più pace.
A loro, poi, si erano aggiunti anche Daphne Greengrass, intenta a ripassare alcuni incantesimi che le aveva dato Anastasija, Neville Paciock con Ginny Weasley a seguito e la bolgia era diventata invivibile. « Che Merlino ti fulmini, maledizione! » urlò Ron, buttando all’aria il mazzo di carte e guardando, come uno spiritato, Blaise Zabini, che snocciolò la situazione con un gesto seccato della mano.
« Zitto e sgancia i soldi, pezzente! » sibilò con alterigia, mentre Pansy Parkinson – appena apparsa alla porta di mogano – li guardava schifati oltre ogni dire.
« Siete la vergogna di tutti i maghi » sbottò, sedendosi accanto a Draco e scuotendo il capo, mentre Daphne le passava alcune fotocopie dei “compiti” speciali che Ana aveva assegnato loro quel giorno.
Neville si guardava attorno come se l’avessero lanciato in una dimensione parallela, ma si guardò bene da dire qualcosa a proposito, limitandosi a storcere la bocca in un sorriso divertito « Certo che se un anno fa mi avessero detto che mi sarei ritrovato in compagnia di un gruppo di Serpeverde sarei scoppiato a ridere senza ritegno » mormorò, benevolo.
Ginny guardò Blaise di striscio, mordendosi con forza le labbra: da quando Ron aveva quasi ammazzato Zabini, questo non si era fatto vedere nemmeno di striscio. Non che si disperasse, chiaro, ma Ginny ancora si chiedeva come aveva fatto a finire nel letto di un Serpeverde. Gay. Ma che per tutto il tempo – mentre si erano dati da fare – l’aveva guardata in faccia e non le aveva chiesto una volta di girarsi, togliendole tutti i dubbi che sfogasse per lei solo perché non c’erano chiappe invitanti a Hogwarts. Perché? Era questa la domanda che si poneva ogni giorno.
Perché?
Blaise Zabini aveva fatto sesso con lei, in modo rude, in modo dolce, senza mai staccare lo sguardo dal suo. Perché? « Guarda che mi consumi » bisbigliò Blaise, facendo in modo che sentisse solo lei, seduta di tre quarti sul pavimento tra il divano di pelle nera e il tavolino di acero scuro.
« Sia mai che consumi il grande Blaise Zabini. Ma vatti a ricoverare, spostato » sibilò in risposta, girando l’ennesima pagina del libro che stava studiando e afferrando la  birra babbana che si era scolata fino a quel momento, tracannando l’ennesimo sorso.
Blaise sorrise di sbieco, rubandogliela dalle mani e poggiando le labbra carnose sul collo lungo della bottiglietta scura, mentre Ginny scuoteva il capo.
« Sì, magari mi ci porto pure te. Zitta e in un letto sei centomila volte meglio » sbuffò Blaise, beccandosi un calcio di traverso dalla sua adorata rossa.
« Donna della malora! Spero che Morgana ti togli il gusto del sesso e dell’orgasmo » sibilò a bassa voce, mentre Ginny sogghignava a mezze labbra e si accendeva una sigaretta alle rose.
« Me l’hai tolto tu tempo fa, Zabini, quando abbiamo fatto sesso per la prima e ultima volta » frecciò apatica, quasi facendolo strozzare con la birra.
« Eretica! » urlò, vedendola sganasciarsi come una pazza e facendosi guardare strano da tutti. Ah, al diavolo la Weasley! Cosa credeva? Che non avesse visto come l’aveva osservato tutta la sera? Certo, non come un affamata nel deserto come aveva desiderato, ma lo aveva studiato con molta attenzione.
Quegli occhi bruni, poi… che credeva, non avesse visto il lampo di dubbio e malizia che li aveva attraversati? « E comunque, non sembravi così dispiaciuta quando hai urlato come un invasata il mio nome » sibilò, cattivo, facendola arrossire e guadagnandosi un libro dietro la testa. Era di spalle, quindi non vide chi era stato, ma spalancò la bocca a palla verso i presenti.
« Traditori! Fate sempre i bastardi a comunella quando si tratta di me, eh? » sbraitò, alzandosi di scatto e massaggiandosi la parte lesa.
Hermione alzò gli occhi al cielo, mentre Ginny – che aveva visto benissimo chi l’aveva colpito – si copriva la bocca per non ridere apertamente in faccia a quel beota « Tu, Weasley, invece di pensare alla vita sessuale di tua sorella, dovresti creartene una tu e cominciare a rispolverarti un po’ le regole del gioco! » sibilò il ragazzo di colore verso Ron, che divenne cianotico nel giro di due secondi.
« Ma ammazzati, Zabini! » salto su’ il Grifondoro e arrivarono pure alle mani – sotto lo sguardo divertito di Draco, che si stava godendo lo spettacolo – se con la telecinesi non fossero stati sbattuti sul divano con forza.
« Fermi e zitti, mi state disturbando »
Era stata Hermione, che con la sua calma invidiabile e i suoi occhi marroni, accesi dall’irritazione, li fissava con astio. Ron sbuffò, risedendosi sulla poltrona rosso-oro che era apparsa ore prima con un livido viola sullo zigomo e i capelli rossi scompigliati e lo stesso fece Blaise, sul divanetto di pelle, che si mise a gufare come un ossesso.
Uomini, pensarono all’unisono tutte le donne presenti.
« Potter, smettila, Potter! » tutti quanti si girarono per vedere Pansy Parkinson – con la sua flemma invidiabile – assestare un pugno ad Harry e spaccargli gli occhiali in due.
« Ma sei impazzita, psicopatica della malora? » tuonò Harry, piagnucolando e tenendosi il naso sicuramente rotto. Draco scoppiò a ridere e Pansy assottigliò gli occhi neri come la pece.
« No, non sono impazzita, ma tieni le tue zampacce lontano da me! » sibilò rabbiosa, mentre Blaise si versava del whiskey in un bicchiere e se lo sorbiva tutto tranquillo come fosse tè, guardando la scena come se fosse stato a teatro.
« Volevo solo un po’ di coccole, serpente velenoso » borbottò Harry, mentre Hermione – con uno sventolio di bacchetta – gli curava il naso anche a distanza e gli aggiustava gli occhiali.
Senza nemmeno guardarlo. Strano. « Ehi, Herm, non è che stai pasticciando con quei libri? Ultimamente sei migliorata parecchio » borbottò, guardandola di striscio e vedendola sobbalzare.
« Sto solo cercando di salvarti la pellaccia per l’ultima volta » ironizzò Hermione, facendo sogghignare Ron per i ricordi che gli erano sfrecciati nella mente. Già, era lei la mente lucida del gruppo, quelli che li salvava sempre in extremis come nemmeno gli Auror erano riusciti a fare. Le sorrise e venne ricambiato pienamente, in ricordo di quello che erano stati, di quello che erano. Ma sì, il tempo avrebbe anche potuto farli litigare a morte, portarli ad ucciderli l’uno contro l’altro, ma loro non si sarebbero mai divisi. Il loro amore – del tutto fraterno – sarebbe sempre stato lì, presente, costante, in simbiosi con loro, con ciò che erano riusciti a diventare dopo tutto quello che avevano passato.
Sempre insieme, ecco qual’era la promessa. Nel bene e nel male. In salute e in malattia. Harry, Ron ed Hermione non si sarebbero mai divisi, perché solo grazie all’amicizia che li aveva uniti dal principio li aveva salvati, li aveva visti crescere e diventare quel che erano.
Piccoli maghi, ma con grandi poteri.
« È permesso? » gli occhi verde – come le foglie in autunno – di Terry Steeval comparvero alla porta d’acero scuro, facendosi guardare curioso da mezza Torre. Arrossì malamente, perché non si aspettava che ci fosse tutta quella gente, e si grattò il capo, imbarazzato, abbozzando un sorriso tutto timido che fece salire il traverso di bile a Blaise.
Ecco, ora ci mancava solo l’ex innamorato della rossa e stavano apposto! Lo guardò di malo modo, schioccando la lingua irritato, e tornò a gufare e bersi il suo whiskey in tutta tranquillità.
« Ciao, Terry. Che fai sulla porta? Entra, su » disse Hermione, sorridendo dolcemente verso il ragazzo Corvonero, che molte volte aveva passato giornate interminabili in biblioteca con lei.
« Ecco, non mi aspettavo tutte queste persone, ma sono venuto appena ho saputo da Cho e Luna! » disse, guardando principalmente Harry, che sospirò, mordendosi le labbra e scusandosi con lo sguardo.
« Mi spiace non averti avvisato, Terry… ma non sapevo ancora di chi potermi fidare ciecamente » borbottò, vergognandosi di se stesso. Terry aveva fatto parte dell’ES e aveva combattuto contro Lord Voldemort, dirgli che poco si fidava di lui era come dire lo stesso agli altri presenti.
« Non devi scusarti, in fondo lo sanno anche i muri che mio padre fa parte dei Santi » mormorò Terry, lasciando tutti di stucco.
« Tuo padre COSA? » urlò Blaise, balzando in piedi e sguainando la bacchetta insieme a tutti i Serpeverde presenti. Terry si fece indietro, alzando le mani come per proteggersi e guardarli ad uno ad uno con aria supplichevole, ma quando parlò si rivolse solamente ad Harry.
« Te lo giuro, Harry, io non condivido affatto le idee di mio padre! Quest’estate me ne sono andato di casa e mi ha ospitato Luna, che poi mi ha avvisato di quello che stavate facendo… non lo sento da allora e – in realtà – odio quello che sta facendo. Non posso stare con le mani in mano quando posso in parte rimediare il sangue che sta anche sulla mia testa » mormorò, guardandolo afflitto.
Harry aveva saputo che la madre di Terry, una mezzosangue, era stata uccisa quando il Ministero era nelle mani dei Mangiamorte. Probabilmente per quel motivo suo padre, ora, faceva parte di quei uomini che avevano intenzione di sterminare l’edera dalla radice.
« Io non mi fido! » sbottò Draco dal bancone che divideva in due parti il piccolo salottino della Torre. Lo aveva fatto apparire lui due giorni prima, perché diceva che il tavolino non poteva contenere tutto quello che doveva contenere – cioè gli alcoolici – insieme ad un tavolo grande che ora ospitava tutte scartoffie e appunti per le lezioni speciali.
In effetti era vero, dovette ammettere Hermione con un sospiro. Draco era spaventato e mettersi qualcuno –  di cui non erano sicuri – in casa era da suicidi. Con la coda dell’occhio vide Harry mordersi con forza le labbra e passarsi una mano tra i capelli già disastrati di suo e sorrise, già conoscendo il suo verdetto.
« Lui è James » e Terry, facendo sgranare gli occhi a tutti, si spostò di lato: un bambino di nemmeno cinquanta centimetri stava alle sue spalle e si guardava attorno con gli occhi sbarrati e spiritati. Sembrava tanto spaventato che in un attimo gli animi si calmarono.
« La notte che scoprii che qualcosa non andava, seguii mio padre. Dove poteva andare un uomo addolorato dalla perdita di sua moglie… vestito interamente di bianco? Cominciavo a capire, ma anche a rifiutare. Quella notte si recarono dagli Avery. Rasero al suolo tutto il maniero, ma fuori, nascosto accanto al pozzo della casa, c’era James; ha cinque anni e si è salvato solamente perché era rinchiuso nelle segrete e – sentendo le urla – è riuscito a scappare per il giardino maledetto. Ma era pur sempre figlio di Rafeline Avery e prima che scoprissero che qualcuno era scappato al massacro, l’ho smaterializzato via, a casa di Luna, dove lei si è presa cura di noi fino all’inizio delle lezioni » mormorò, guardando la massa liscia e uniforme dei capelli neri di James.
« Non è mai stata registrata la sua nascita e io quest’anno compirò gli anni per prenderlo sotto la mia giurisdizione. Ho intenzione di prendermi cura di lui... anche perché c’era un motivo per cui l’avessero rinchiuso nelle segrete. Oltre ad essere nato fuori dal matrimonio, James ha un potere speciale  » continuò Terry, sorridendo dolcemente al marmocchio, che alzò gli occhioni grigi su di lui, agitato.
« Lui è un manipolatore. Può, solo toccando una persona, manipolare le sue emozioni e i suoi pensieri a suo piacimento; ora è troppo piccolo per farlo e quando tocca qualcuno riesce solamente a trasmettere la paura e l’angoscia che lo attanaglia, ma diventerà un grande mago, proprio come ha detto Silente » disse divertito, mentre James alzava le braccia esili e magre per farsi prendere in braccio.
Era un chiodo: quel bambino era così magro da far spavento e molti di loro rabbrividivano; attraverso la maglia blu che indossava, Harry riusciva a vedere e quasi a contare le sue costole, mentre aveva l’impressione che se solo l’avesse stretto un po’ più forte, si sarebbe potuto spezzare.
Il volto era scarno, incavato, quasi mostruoso, ma la bellezza di un bambino, la ingenuità e l’innocenza, erano racchiusi nei suoi occhioni da cerbiatto, così grandi e spalancati da far mancare il respiro.
« Potete sottopormi al Veritaserum, lanciarmi maledizioni per impedirmi di parlare con chiunque, ma la verità è che io sono qui per discolparmi… e per proteggere James da chiunque voglia fargli del male » finì, mentre Hermione si lasciava andare contro il divanetto imbottito e rilasciava un lungo sospiro.
Quel bambino… sembrava così piccolo e indifeso, quasi bisognoso d’aiuto. « Ti sottoporremo solamente all’incantesimo che usammo durante l’ES per scoprire se ci fosse stata una spia, per il resto… beh, sei il benvenuto » disse Harry, sorridendogli per fargli capire che veramente lo era.
Tutti si rilassarono e Terry si fece avanti, tenendo sempre James tra le braccia.
« Nessuno sa chi è suo padre, ecco perché, a differenza di tutti gli Avery, lui è normale. Sua madre era l’ultima, scappò di casa e per un anno non si fece vedere; quando ritornò aveva un bambino tra le braccia e la consapevolezza che non sarebbe andata lontano. Tutti conoscono la storia di Rafeline, serpeggiava in sottofondo ad ogni ballo d’alta società. Fu uccisa per disonore, ma a quanto pare mentirono su suo figlio » bisbigliò Daphne, mentre Pansy annuiva di colpo, ricordando i bisbigli di una sua bisbetica prozia – anni fa, durante un ballo a casa Malfoy –  che sapeva tutto di tutti e che quando sarebbe morta avrebbe fatto un piacere al mondo.
« Quei bastardi dissero che avevano ucciso anche il bambino… ma forse si sono accorti che aveva un potere speciale, in lui, e l’hanno rinchiuso finché non fosse maturato tanto da poterlo sfruttare » disse, mettendo una capelli neri dietro l’orecchio e fissando il bambino con più dolcezza del solito, sorprendendo tutti.
« Qui sei al sicuro, James » mormorò e il bambino, che con Luna era stata più reticente, sorprendendo Terry e gli altri, sporse le braccine verso Pansy. Un po’ impacciata e insicura lo prese e James – senza pensarci due volte – poggiò una manina ossunta sulla sua guancia.
Fu buio. Era come essere sotto legiliments, ma non faceva male: era meno invasivo, più dolce. « Lo ha fatto anche con me. Attraverso le emozioni che sente – grazie al suo potere – riesce a capire quando qualcuno gli è ostile o no » spiegò Terry, mentre una lucina si accendeva nella testa di Theodore.
Il marmocchio… il marmocchio riusciva a capire chi era ostile! Forse aveva trovato qualcuno che li avrebbe salvati dal baratro. Forse, quel bambino, era la manna dal cielo che stava aspettando.
« Silente dice che questa cosa deve restare tra di noi e che a lui farà bene stare un po’ coi bambini » ridacchiò il Corvonero, mentre Pansy si scuoteva e guardava – sorridendo timidamente – James.
Per Harry, che aveva sempre visto il suo lato velenoso e scostante, fu quasi una scoperta: il volto di Pansy aveva lasciato la durezza e ora era così dolce e luminoso da… togliergli il respiro, ecco.
« Non essere triste, Pà. Non sei sola » James aveva parlato a voce così bassa che solo lei riuscì a sentirlo, ma furono le parole più belle che le avessero mai detto. Il suo sorriso si illuminò, divenne dolce, riverente.
« Grazie, Jamie. E non esserlo nemmeno tu, ora non sei solo  »
E da lì non lo staccarono più da Pansy, ma Terry non sembrò prendersela eccessivamente, perché sedendosi accanto ad Hermione – e facendo imbestialire Draco – si ricopiò gli appunti delle lezioni “speciali” e ce ne furono per le lunghe.
Come osava starle così vicino? Pensò Draco, sdegnato, versandosi un bicchiere di brandy e guardando la scena con un diavolo per capello.
Si accorse anche che a forza di stare in quella torre stesse diventando un alcolizzato, visto che iniziavano a bere dalle dieci di mattina e finivano alle quattro di notte, ma se ne fregò: in fondo era metà Black e metà Malfoy, essere alcolizzati era di famiglia.
Che Merlino fulminasse i Santi, Hogwarts, Steeval e pure tutti i Mezzosangue sulla faccia della terra! Pensò furibondo, mollando un calcio nella gamba di Potter per stizza.
Quello, che se ne stava tutto imbambolato appoggiato al bancone per guardare Pansy parlottare con il marmocchio, bestemmiò pesantemente, facendosi guardare male da tutti, mentre la Parkinson aveva tappato in tempo le orecchie del bambino.
« Maledizione a me e che non ti ho accoppato quando ne avevo l’occasione, Malfoy! » e da lì una serie di imprecazioni che fecero impallidire anche i più arditi.
Vennero cacciati a pedate nel sedere, come se poi quella Torre non fosse stata affibbiata a loro per punizione, e se ne andarono per un diavolo per capello.
« Muori, sfregiato! » gli urlò dietro Draco, ancora incazzato nero.
« Dopo di te, amante dei Mezzosangue » e lì non ce ne fu per nessuno: Draco era sbiancato e poi si era buttato su Harry e arrivare alla rissa fu facile.
Se ne diedero di tutti colori, quasi ammazzandosi come cani e poi si ritirarono nelle loro rispettive stanze con due occhi viola a testa, un sopracciglio rotto per Harry e un polso slogato per Draco e un grandissimo “vaffanculo” che ancora aleggiava nell’aria.
 

***

 
Blaise si accese una sigaretta, alzando il volto verso la fine del corridoio e sorridendo appena, sogghignando come una iena e chiedendosi come fosse finito in quella situazione.
“A dopo” le aveva sussurrato, in modo che sentisse solo lei, dandole poi le spalle e uscendo dalla Torre. Lei lo aveva capito e non ci aveva messo molto per seguirlo. Anche sul suo volto alleggiava un espressione sorridente, quasi consapevole di quello che sarebbe successo. Di quello che già stava succedendo.
Era strano. Per tutta la vita sei convinto di qualcosa e poi tutto crolla, come un castello di sabbia. Come se non fosse mai esistita nessuna convinzione, come se tutto fosse labile come il fumo, come se fosse facile sfuggire, come se il passato non fosse mai esistito.
Blaise allargò il sorriso, mostrando una schiera di denti bianchi, in netto contrasto con la pelle color moka; giocava al gatto e topo, si ritrovò a pensare Ginny, indietreggiando in quel corridoio buio, dove il silenzio e la notte regnavano sovrani.
Hogwarts era piombata nel sonno da ore, oramai, ma loro ancora si accarezzavano con gli occhi, stringendosi anche senza toccarsi.
 
La stava soffocando.
 
Più si avvicinava e più si sentiva di venir meno sotto quegli occhi languidi, lussuriosi, che non abbandonavano mai il suo corpo. Erano di una bellezza stupefacente e lei si sentiva tremare come una foglia, con lo sguardo appannato dal desiderio.
 
Le stava chiedendo di abbandonarsi.
Abbandonarsi a lui.
 
Ginny non ricordava di aver mai provato qualcosa di simile dentro sé, se non con Harry, ma ora c’era consapevolezza in quegli occhi. Ora, l’uomo che la guardava, desiderava lei e basta.
 
La voleva interamente, indissolubilmente, completamente.
 
Quegli occhi desideravano i suoi capelli rossi, i suoi occhi marroni e la sua pelle lattea, il suo corpo minuto, il suo carattere forte. Blaise non immaginava un'altra donna lì a sfuggirgli, ma lei e basta.
Lei, che lo stava facendo impazzire con quell’espressione di puro appagamento femminile; l’orgoglio, ah, l’orgoglio femminile… quant’era affascinante. Ginny aveva preso fuoco sotto il suo desiderio e sembrava apprezzare la lussuria che lo accecava e non gli permetteva di vedere nient’altro che lei.
Era malato, diamine, se lo era, ma la consapevolezza che Ginny sapesse quanto la desiderasse non faceva altro che aumentare la voglia di possederla.
« Guardami » mormorò Blaise e lei lo fece, passando dai suoi occhi obliqui dal suo naso fine, alla bocca carnosa agli zigomi pronunciati e lentamente, quasi senza fretta, come se volesse assaporarlo.
Ah, l’orgoglio. Ecco perché le Grifondoro avevano quel tocco in più che facevano perdere il senno; quando il loro sguardo bruciava, lo faceva anche il loro animo ed era meraviglioso vederle infiammarsi, mentre nel loro sguardo passava un barlume di piacere nel constatare quanto il loro potere fosse forte.
Lei si morse con forza le labbra rosee e lui non aspettò oltre, altro, e in un attimo le fu accanto, incastrandola tra il muro e il proprio corpo, senza lasciarle via di fuga, senza lasciarla nemmeno respirare per il bisogno impellente di sentire la sua carne a contatto con la propria.
Blaise le afferrò i capelli sulla nuca, appropriandosi della sua bocca con una brutalità che – forse – nemmeno voleva usare; i loro corpi sfregavano l’uno contro l’altro e le loro lingue sembravano essersi ritrovate. Sembravano non aver fatto altro nella vita che lottare tra di loro, accarezzarsi, cercare di prevalere l’una sull’altra. Le mani di Blaise erano veloci, scattanti, a volte tenere, a volte così violente da lasciarle segni rossastri sulla pelle accaldata.
Ginny sospirò sulla sua bocca e inclinò il capo, permettendogli di afferrare le sue gambe e portarsele alla vita, mentre il proprio bacino quasi agognava di sfregarsi contro il suo. Lentamente – questa volta – la lingua di Blaise guizzò sul suo mento e poi lungo la gola, dove morse ancora e ancora, ancora e ancora.
Ora le mani del ragazzo erano nel suo interno coscia e stringevano con rabbia, passione, mentre tutto attorno a loro spariva, diventava un cumulo di colori e suoni ovattati, sospiri e gemiti. Tutto sembrava spegnersi e riaccendersi ad intermittenza, mentre i loro visi trasfiguravano in maschere di piacere puro.
A che gioco stavano giocando? Questo nemmeno loro lo sapevano, ma quando – ancora una volta – i loro occhi s’incrociarono, non fu abbastanza toccarsi in quel modo. Senza nemmeno staccarsi cominciarono a muoversi per il corridoio del quarto piano, completamente desolato. Le fiammelle languirono al loro passaggio, mentre i quadri nemmeno sembravano disturbati dal loro sonno profondo. Le mani di Blaise intaccarono in un pomello d’ottone e i suoi occhi s’illuminarono.
Bingo, pensò, aprendo la porta dello stanzino delle scope – che oramai sembrava un porcaio per gli studenti di Hogwarts – e trascinandola con sé. Questa volta le strappò senza nemmeno pensarci la camicetta della divisa, beandosi del reggiseno rosso fuoco che le copriva i seni piccoli e sodi.
« Ah, quanto adoro la tua malizia, Weasley » sibilò, mentre lei lo zittiva attaccandolo al muro. Questa volta conduceva lei e sogghignò, scoprendosi più eccitato del solito. Le gambe – scoperte dalla gonna e coperte da calze nere e spesse – si mossero di un passo per annullare definitivamente la distanza e il suo seno aderì completamente al suo petto, facendolo impazzire.
« Invece sai io cosa amo? Condurre il gioco » mormorò Ginny, schioccando la lingua e fissandolo con sfida.
« Bugia » sussurrò Blaise, afferrandola per il braccio e quasi ribaltando le posizioni: ora era lui a sovrastarla e lei attaccata al muro, completamente soggiogata dal suo sguardo ipnotico.
« A te piace essere sovrastata, perché la soddisfazione di non essere spezzata ti anima a tal punto da aver permesso a Potter di averti per un anno intero »
Eccolo, secco, doloroso, come una spina dritta al petto. Da quanto aspettava che quelle parole uscissero dalla bocca di qualcuno? Lei non voleva pena, commiserazione, no. Non se ne faceva niente di tutto quello, Ginny Weasley ci sputava miseramente sopra.
Lei aveva sconfitto Harry Potter, perché aveva combattuto per lui fino all’ultimo. Aveva ignorato chiunque, persino i sentimenti di Harry per averlo, per farlo sentire un verme per non amarla come lo amava lei.
E aveva vinto, perché lei non si era lasciata spezzare, no. Era viva e vegeta, con il cuore un po’ recalcitrante, ma ancora così giovane e vivo, tutto da vivere.
Ginny sorrise, buttando la testa all’indietro e scoppiando in una risata così cattiva che sembrò stringergli il cuore  « A quanto pare non sei l’unico a cui piace acchiapparlo in un determinato posto, Zabini… non sei felice? » sibilò, dura come il marmo, facendolo assottigliare gli occhi.
Ah, che Merlino lo maledicesse, ma lui amava anche quello delle donne: la cattiveria pura, intrisa, che sapevano scatenare una marea di emozioni.
Sapevano colpire e quando lo facevano… faceva un male cane. Le donne non lo facevano mai se non sapevano dove affondare, ma quando capivano… quando capivano non c’era nulla che potesse tenerle.
Le unghie di Blaise le strapparono i collant e le graffiarono le gambe, ma lei rimase nella stessa posizione di prima, immobile come una Dea e impietosita come un Dio dinnanzi a morti ingiuste. Ma questo lui già lo sapeva. Ginevra era una Dea e considerava il resto solo formiche, perché niente era in grado di uguagliarla. Niente era in grado di spezzarla. Nemmeno la morte di suo fratello, da cui si era alzata dignitosamente.
« Ah, mea Dea » sospirò sulla sua bocca, baciandole con dolcezza la clavicola.
Ginny tremò, guardandolo con occhi infiammati: sembrava venerarla, con quei suoi occhi da serpente. Chiuse gli occhi, mordendosi le labbra quando sentì le mani dell’altro raggiungere sempre di più l’orlo della gonna.
Poteva permettersi di pensarlo?
Mea Dea. Sembrava una maledizione, una condanna, non un elogio. Blaise le morse la spalla e lei inclinò il capo, lasciando che le labbra si schiudessero per il piacere. Ora le mani di Blaise erano sparite sotto la sua gonna e lei fremeva tra le sue braccia, senza però abbandonare quell’espressione da regina.
Mea Dea. Era quello. La sua Dea. Lo aveva detto in latino, come se volesse che solo lei capisse quelle parole. Come se volesse che quello rimanesse il loro piccolo segreto.
E, per un po’, lo sarebbe stato ancora.

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Capitolo 16
*** Capitolo XV - Scare ***


Capitolo XV -
Scare






Il buio lo avvolgeva, si accorse quasi con terrore.
Nemmeno uno spiraglio di luce filtrava da quella coltre di oblio e nero, bloccandogli il respiro e portandogli via il senno. Niente lo circondava, solo il vuoto che si estendeva a vista d’occhio dinnanzi a lui.
Buio, solo buio che – dolorosamente – si appoggiò sul suo sterno e gli fece ciondolare sinistramente il capo. Tremò, come un neonato.
Buio, solo… buio.
In quell’ultimo periodo era stato così abituato alla luce che ora gli sembrava potesse venire accecato. Si sentì male.
Doveva uscire… doveva uscire da lì. Non sopportava il buio troppo pressante, non l’aveva tollerato nemmeno da bambino – che con mormorii indistinti sotto le coperte faceva apparire le fate, l’unica magia che poteva permettersi senza bacchetta – e non era mai stato solo in quel…buio. Credendo nelle fate – cosa ridicola per un Serpeverde come lui – queste da piccolo non lo avevano mai lasciato solo, anzi, l’avevano accompagnato nelle notti insonni, nelle sue paure più recondite e ora si sentiva in trappola, braccato come un animale. Si sentiva in trappola come… in passato, ma ora non riusciva a sopportarlo.
Ora che aveva conosciuto la luce, la libertà, non riusciva a sopportare di ritornare in cella, nell’ombra. Non riusciva a concepire di tornare indietro quando – per lui – la vita era girata nel verso giusto fino a quel momento.
Ma Draco avrebbe dovuto saperlo… le cose belle durano poco o avvengono solo nella propria testa. Non era preparato a quello, ma accadde.
E, questa volta, perse.
Draco Malfoy respirò a fatica, annaspando e girando su se stesso per trovare una via d’uscita; una risatina… una risatina infantile rimbombò in quell’antro oscuro e, illuminando ogni anfratto – e angolo della sua anima – Hermione Granger comparve a pochi metri da lui, con un sorriso sulle labbra piene che… non le apparteneva. Non era suo.
Non era lei.
Si trovava in una cella, si rese conto. Umida e sporca, dalle piastrelle da cui grondava sangue e veleno, dall’odore tumefatto che gli arrivava alle narici.
Ancora una volta tremò, fissando Hermione negli occhi.
« Strano sapere che hai paura del buio e della prigionia quando, amore,  sei sempre strisciato nell’ombra e nel buio azzannando come un maledetto serpente mezzosangue nelle celle di Malfoy Manor, nei sotterranei della tua bella casa » sussurrò Hermione con voce sepolcrale, gelandogli il sangue nelle vene.
« Sento la sporca puzza della tua paura fino a qui, caro il mio serpente » continuò sprezzante, prendendolo in giro.
Ogni sua sicurezza si spezzò, divenne cenere, venne portata via dal vento e inghiottita dal mare. Ogni ricordo divenne lontano, simile ad un sogno troppo magnifico per essere anche solo lontanamente vero.
Che cosa si aspettava? Che esistesse davvero la salvezza per quelli come lui? Che esistesse l’espiazione? Il perdono?
Aveva davvero sperato che il suo cuore, un giorno, avrebbe battuto per qualcuno? O che qualcuno, in un remoto futuro, avrebbe accettato quel che era? O quello che era stato? Sciocco.
Rise. Draco rise di se stesso, mentre sentiva i singulti scuotergli le membra e il dolore destabilizzargli la mente. Il cuore. L’anima.
Si tenne lo stomaco, singhiozzando lacrime e risa, ingoiando fiele e amarezza. Dolore e consapevolezza. Draco lo sapeva. L’aveva sempre saputo.
Non c’era salvezza per quelli come lui, solo l’inferno.
« Sono felice che tu ti diverta » mormorò Hermione, arcuando le sopracciglia scure e guardandolo con gli occhi bruni contratti. Annegati nell’odio. Nel rancore.
Non c’era scintilla d’umanità in quello sguardo… come, dopotutto, non c’era mai stato nel suo cuore di serpente.
Di cosa si sorprendeva? Di essersi illuso fino a tal punto?
Fino a confondere un sogno con la realtà?
Draco aveva sempre saputo, in cuor suo, che era stato sempre tutto fasullo; le braccia di Hermione, le sue labbra, i suoi sorrisi… non erano mai esistiti. Niente era vero.
Anche il suo cuore traditore, fermo, immobile. Addolorato.
Socchiuse gli occhi, sentendo – questa volta – ridere lei.
Suo padre gliel’aveva sempre ripetuto: un Malfoy non ama. E non può farsi amare.
« Dimmi, Draco, credi davvero che tu possa amare qualcuno… quando non ami nemmeno te stesso? »
“E te? Posso salvare te, Draco?”
« E credi davvero che qualcuno possa amare te, un… Malfoy »
“E te? Posso salvare te, Draco?”
Rideva di lui, della sua paura, delle sue debolezze. Stava sputando sul suo sangue, sul suo cognome. Sul suo cuore inanime. Ma aveva ragione. Nessuno poteva amarlo, nemmeno lui lo faceva.
« Sei solo spazzatura. Spazzatura che presto, stanne certo, mi premurerò di schiacciare »
Cattiva.
Cattiva.
Il suo cuore era ridotto in una poltiglia, in un ammasso informe di carne viva e pulsante. Maledetto, batteva ancora e ancora, nonostante fosse diventato meno di niente.
Reietto.
In fondo… in fondo ci aveva sempre sperato, anche se non aveva voluto ammetterlo. Aveva creduto a quelle parole. Aveva creduto in quella salvezza.
Pazzo, si disse.
Spazzatura.
Tu sei pazzo se credi di poter essere salvato, continuò mentalmente, tremando nel sentire il vuoto a livello dello sterno.
E te? Posso salvare te, Draco?”
No, lui non poteva essere salvato.
Era male e da tale sarebbe morto.
No, lui non poteva essere salvato.
Non era quello il suo destino. Non era quella la sua strada.
Era male e da tale sarebbe morto.
Era innamorato e così sarebbe stato schiacciato. Dalla donna che gli aveva rubato ogni cosa, anche la motivazione per combattere per la propria vita. Anche l’ultimo respiro.
Insetto, si disse.
Era un insetto indegno. Schiacciato dal suo stesso dolore. Straziato dal suo stesso sogno traditore. Schiavizzato dalla donna che aveva amato in un illusione.
Sciocco, Draco.
Credevi davvero che fosse stato così facile?
« Nessuno ti ama, nessuno ti ama » cantilenò Hermione, ridacchiando come una bambina. Una folle. Ed era stata pazzia pensare che lei potesse aver dimenticato sette anni di angherie e soprusi in così poco tempo. Era pazzia pensare che tale candore potesse sporcarsi con la sua anima nera.
Sciocco, Draco, ripeté mentalmente.
Credevi davvero che una come lei… potesse salvare uno come te?
Con un gesto secco, Hermione, si alzò la manica del maglione nero che indossava, mostrandogli il braccio con espressione seria e piena di dolore, mozzandogli ancora una volta il fiato.
Gli spezzò ogni speranza. Stracciò ogni fibra. Liquefece ogni sua singola cellula.
« Tu eri presente… e non mi hai aiutato! » urlò Hermione, con gli occhi contratti in dolore fasullo e in un odio feroce.
Sì, era stato lui. Lo aveva sempre saputo e… aveva sempre temuto il momento in cui lei glielo avrebbe rinfacciato. Aveva sempre temuto quel momento e ora che si trovava lì, non fece altro che restare in silenzio.
No, lui non poteva essere salvato.
A un Malfoy non era concesso.
Hermione aveva i ricci che le accarezzavano il volto pallido, arrossato sulle gote solo per lo sforzo di urlargli contro. Gli occhi da bambola di porcellana ricambiavano il suo sguardo, sprezzanti.
« Sei stato tu. Tu a farlo! »
Una spada le comparve nella mano destra e gli trapassò la spalla. Nemmeno un gemito gli uscì dalle labbra. Nemmeno un lamento, mai, perché lei aveva ragione.
Lui era stato presente quando sua zia le aveva causato quello scempio e non aveva mosso un muscolo per aiutarla.
Era rimasto immobile… come sarebbe rimasto immobile se sua zia l’avesse uccisa.
Bastardo.
Malfoy.
Quella era una spiegazione sufficiente. Per salvare se stesso – un anno fa –  e la sua famiglia sarebbe passato sul corpo di chiunque. Anche sul suo.
E si odiava, per quello.
« Mostro! » strillò Hermione, rigirando la lama nella carne, ma senza che potesse godere di un misero grido.
Non si inginocchiava. Rimaneva in piedi, a farsi torturare, senza nemmeno alzare lo sguardo dalla lama che lo rintuzzava, trapassava. Ma niente, si disse, niente era confronto al vuoto che sentiva dentro.
Aveva vissuto in quel modo per diciassette anni… ma ora… ora si sentiva un miserabile. Si sentiva senza scopo, senza ragione. Senza luce o coraggio per andare avanti. Si sentiva svuotato da ogni cosa, persino dalle lacrime che premevano per uscire.
Conoscere il paradiso ed essere ricacciato all’inferno era una sensazione che non avrebbe augurato nemmeno al suo peggior nemico. Nemmeno a se stesso.
« Hn, guarda. Sei vuoto. Un misero guscio vuoto » lo canzonò, ancora, senza smettere.
“E te? Posso salvare te, Draco?”
Stupido uomo. Credevi davvero che sarebbe stato così facile? Che avresti mai meritato qualcuno che t’amasse?
Stupido, stupido.
Nessuno ti ama, ben che meno lei.
Hermione gli estrasse velocemente la lama dalla spalla, mentre con un gorgoglio inquietante – il sangue – le macchiò il viso di rosso. Non fu magnanima né dolce perché, con una velocità assurda, gli colpì anche l’altra spalla.
Non sentiva il dolore, no. Nemmeno il sangue che gli sporcava i vestiti, i capelli di un biondo quasi opalescente, le labbra schiuse da cui non trapelava un solo fiato.
“E te? Posso salvare te, Draco?”
Cadde in ginocchio, completamente sopraffatto da lei. Lo sguardo basso e vuoto e la consapevolezza che la morte – ora – non gli faceva così paura.
Lei era peggio. Mille volte peggio.
Perché gli stava dicendo la verità.
Era un mostro e nessuno lo amava. Non l’aveva fatto suo padre né sua madre, Blaise, lei, Theodore… tutto diventava sfocato, tutti ridevano di lui. Della sua debolezza. Del suo dolore.
« Draco, svegliati » la voce di Hermione gli parve lontana, ora, ma non si curò della donna che gli stava davanti. Forse stava perdendo i sensi.
Si sentì colpire nuovamente: ad occhi sbarrati vide che, questa volta, Hermione gli trapassò lo stomaco. Sgorgò altro sangue e allora si permise di gemere, senza fiato.
« Mostro »
« Draco, per l’amor di Dio, svegliati! »
Quelle due voci si sovrapponevano, non ne conosceva il senso… e forse nemmeno gli importava.
Cadde supino, sovrastato, ancora e ancora, dal corpo di Hermione. Sinuosa e voluttuosa, avvolta in abiti Babbani, ma così bella da far mancare il respiro.
Bella, troppo con quella bocca di rosa storta in un ghigno perfido, carico di aspettative.
Forse non era così male morire per mano sua.
« Nessuno ti ama… e mai nessuno lo farà »
« Malfoy, ricordi? Mesi fa ti domandai se avrei potuto salvarti. Io lo ricordo, Draco! Ricordo tutto, anche la tua risposta. Dicesti di sì, Draco. Dicesti che potevi essere salvato. Che volevi essere salvato da me, quindi apri questi maledettissimi occhi, d’accordo? »
Di nuovo, pensò tramortito.
Quella voce si era nuovamente frapposta con quella che le stava davanti e forse, si disse, era il desiderio nascosto del suo cuore a fargli sentire quelle cose.
Socchiuse gli occhi, gemendo appena quando un tacco cercò di ferirgli la carne, ma… lo trapassò.
Era fatto d’aria o era morto? Si chiese scioccamente.
« Svegliati, Draco è solo un brutto sogno »
E ci crebbe. Solo per attutire il dolore. Magari per farsi trascinare in un limbo oscuro, crebbe a quella voce d’angelo. Una mano bollente lo afferrò, lasciandogli una scottatura lungo tutto il braccio, ma continuò a non lamentarsene. Forse davvero stava morendo o già lo era.
Poi la luce lo avvolse, più calda del fuoco e accecante del sole.
Avvolto in un bozzolo di pace che – molto probabilmente – solo nella morte si prova, aprì gli occhi grigi e… si ritrovò quelli di Hermione Granger a pochi centimetri dal viso.
« Merlino » singhiozzò la ragazza, buttandogli le braccia al collo e stringendoselo contro.
Draco si chiese, nuovamente, se fosse morto o letteralmente impazzito. Prima lei lo pugnalava a morte e poi lo abbracciava.
Ma, si disse, preferiva l’ultima versione.
Il calore che emanava Hermione era una vera goduria per il suo corpo freddo e instabile e le sue mani lo accarezzavano leggere, dolci, palpitanti.
Erano sporche di sangue, si accorse e aveva gli occhi sbarrati quando se ne rese conto.
Sì, Draco preferiva quegli occhi bruni più dolci che arrabbiati. Ma non sopportava le lacrime, quindi scosse il capo quando li vide diventare lucidi: lui, si rese conto amaro, non li meritava.
« Va via » mormorò, fiacco per la perdita di sangue.
Lei dapprima lo guardò confusa e poi quasi incredula: la stava scacciando dalla stanza che avevano condiviso in quei mesi e sembrava spaventato da lei, dal suo tocco.
Cos’era successo?
Era terrorizzato, si accorse Hermione. Non la guardava nemmeno negli occhi ed era tutto sporco di sangue. Cosa gli era successo? Come avevano fatto?
Credeva che fosse un semplice incubo quando l’aveva visto steso nel letto, spaventato, con delle convulsioni che quasi l’avevano sbattuto sul pavimento di pietra grezza; aveva chiamato Harry a gran voce, implorandolo di aiutarla, e poi… poi aveva visto gli squarci comparire sulla sua pelle.
I vestiti laceri.
Il sangue.
I gemiti di Draco e… le sue lacrime.
Qualcuno era riuscito ad entrare nei suoi sogni ed era riuscito a ferirlo a tal punto.
Lo avevano quasi ucciso, si rese conto, sgomenta.
« Draco… » bisbigliò, alzando un braccio per accarezzarlo, ma i suoi occhi febbricitanti la bloccarono ad un solo metro da lui.
La guardava come se fosse un mostro.
« Non toccarmi, mezzosangue! »
 
Un quarto d’ora dopo, nella saletta della Torre, tutti si guardavano negli occhi senza riuscire a spiegarsi l’accaduto. Non si capacitavano di come i Santi – perché solo loro avrebbero potuto fare una cosa del genere – fossero penetrati nel sonno di Draco e l’avessero quasi ucciso.
« Cosa ti ha detto? » domandò Blaise, dopo un estenuante silenzio che – per i suoi gusti – si stava protraendo per troppo tempo.
Nessuno parlava, sembravano dei rimbambiti!
« Non toccarmi, mezzosangue »
E scese nuovamente il silenzio.
Blaise cominciò ad agitarsi sulla sedia e quasi mandò all’aria il tè che Ginny aveva preparato per tutti, svegliati nel cuore della notte da una retata che… era venuta nel momento e nel posto in cui nessuno si sarebbe aspettato.
Erano furbi, molto furbi, ma avevano colpito – ora più che mai – la persona sbagliata, perché gli occhi di Hermione Granger, in quel momento, erano un antro buio e vuoto. E Blaise conosceva gli occhi di chi cercava vendetta. Di chi si svuotava di tutto per cercare pace nella morte.
« Maledizione, qualcuno dice qualcosa? » urlò allora Pansy, con la maglia da cacciatore di Harry come pigiama; nessuno, naturalmente, aveva osato commentare: erano le quattro di mattina e dire che erano avviliti era poco.
Con le occhiaie fin sotto i menti, Draco nelle mani di Theodore – che bestemmiava come un turco per cercare di curarlo – Hermione che sembrava caduta in una specie di trance e Harry sull’orlo di una crisi di nervi, la situazione stava degenerando.
« Somnia realis  » mormorò Hermione, allora, alzando lo sguardo su tutti loro.
Blaise – in attesa che snocciolasse tutto il suo sapere ( Ringraziando Merlino o sarebbero stati tutti letteralmente nella merda ) – versò due dita di whiskey incendiario per tutti, sapendo che non sarebbe andata a buon fine.
« Non è magia oscura… almeno se non la si usa come tale. È un incantesimo che ha più di duecento anni e veniva usato dai Druidi per mostrare ai propri nemici le loro paure, tramite i sogni.
Non volevano sporcarsi le mani, quindi quei poverini che venivano sottoposti all’incantesimo o crepavano nel sonno, credendolo reale e quindi non svegliandosi più o schiattavano proprio perché il sogno diventava così reale che le loro paure arrivavano ad ucciderli… davvero » mormorò, pragmatica come sempre.
Harry sbuffò, imbufalito, ingollando il whiskey come acqua e chiedendosi perché – quando succedeva qualcosa – ci stava sempre lui in mezzo.
« La strega migliore di questo secolo… grazie per il suggerimento, Hermione. Avevo dimenticato che quella pozione guarisce dall’interno e non rimane cicatrici » disse Theodore, scendendo dalle scale a chiocciola che portavano nella stanza di Draco.
Quasi saltarono tutti dalle sedie e lui li bloccò con la mano prima che esplodessero e gli riempissero la testa di domande « Sta bene. Terrorizzato, ma sta bene » borbottò, puntandosi la bacchetta contro e mormorando un “gratta e netta” visto che era ricoperto di sangue dalla testa ai piedi in modo disgustoso.
Blaise lasciò perdere il bicchiere e si attaccò direttamente alla bottiglia.
« Quei bastardi » sibilò Daphne, mentre una testolina compariva attraverso lo spiraglio della porta della Torre e quasi faceva venire un infarto a tutti quanti.
Dieci minuti più tardi, tra le braccia di Pansy, il piccolo James – che aveva captato la loro angoscia come un faro in mezzo al mare – ciucciava da un biberon latte e biscotti.
« Che carino, quasi quasi lo faccio un figlio…   » sghignazzò Blaise, beccandosi una gomitata nelle costole e dicendo qualcosa che, non seppe, fece ruotare la ruota del destino.
« Con un padre come te verrebbe fuori un mostro » sibilò Ginny, scuotendo il capo solo disgustata all’idea.
« Certo, perché con una madre come te come credi che verrebbe fuori? Hitler II, la vendetta! » sbuffò Ron, mentre Blaise – giusto per ringraziarlo dell’aiuto morale – gli passava una bottiglia di vodka alla fragola.
« E tu che ne sai chi è Hitler? » borbottò Harry, guardandolo stranito attraverso le ciglia nere.
Ron arrossì dalla radice dei capelli fino a quella delle scarpe, cominciando a balbettare « Oh, beh… ehm » cincischiò, cominciando ad attirare gli sguardi di tutti, che si posarono come falene su di lui.
« Luna è andata in Germania, quest’estate e ha studiato la storia del luogo prima di partire » sussurrò Hermione, continuando a guardare il fondo della tazza del suo tè freddo e intatto, mentre nella sala si levava un coro di “oooh” deliziati.
Se possibile, Ron diventò ancora più rosso, rassomigliando vagamente ad una torcia umana. Sul viso del bambino sopravvissuto, invece, si dipinse un sorriso diabolico  « E così... ti piace estremo, eh? » sibilò, riferendosi al fatto che la loro amica fosse poco sana di mente.
« Ma vaffanculo, Harry! » gli sbraitò dietro Ron, lanciandogli una bottiglia di vodka appresso e fumando come una locomotiva a vapore.
Almeno loro si divertivano, pensò Hermione.
Per un attimo tutti quanti avevano dimenticato la questione Draco, chiuso nella sua stanza da letto sotto sedativo. Per un attimo tutti avevano accantonato quello che li aveva svegliati a notte fonda, con un urlo che era di paura pura.
Draco.
Aveva tremato, in quel sogno frastagliato da onde di terrore. Ma no, Draco non aveva urlato. Aveva creduto il suo sogno così vero da riuscire a farsi ferire in modo letale, ma non aveva dato soddisfazione al suo nemico di urlare.
Non toccarmi, mezzosangue!
Quelle parole continuavano a vagare nella sua mente senza un senso logico. Per un attimo aveva creduto di essere ripiombata al suo secondo anno, poi al terzo, al quarto e infine al quinto, dove lui la odiava.
Dove Draco era solo Malfoy, figlio orgoglioso di Mangiamorte e rincarnazione del male.
Per un attimo aveva creduto di morire, soffocata da quelle iridi metalliche che le avevano rovesciato addosso tutto il loro odio. Era stata come una colata di cemento e – anche a distanza d’ore – si sentiva ancora sopraffatta.
Ma avevano sbagliato i conti. Si erano messi contro la persona sbagliata e questa non era Draco, no.
Era lei.
E non c’era niente di più pericoloso di una donna fiera e orgogliosa che sente i suoi beni e affetti minacciati da qualcosa.
Niente.
« Perché non uccidi la donna bionda? » James parlò per la prima volta che era entrato nella saletta, quella notte, e non faceva altro che guardare Theodore.
Tutti si zittirono e sobbalzando, si chiesero come un bambino potesse parlare di omicidio. Aveva detto… « James! » sussurrò Pansy, sconvolta, guardandolo attraverso le lunga ciglia nere.
Il bambino, in compenso, scivolò dalle sue braccia e piantò i piedini nudi a terra, fissando Theodore come si fissa qualcuno che ha il mondo in mano e… non gl’importa.
James, così piccolo e tenero in apparenza, fissava il ragazzo come fosse un miserabile, con il mento alzato e un sorriso di compatimento sul volto.
« Uccidi la donna bionda o moriremo tutti! » disse rabbioso, prima di sfuggire dalle mani dolci della Parkinson e rifugiarsi giù per le scale dove – tutti sapevano – sarebbe andato da Terry.
« Di chi diavolo parlava, Theo? » mormorò Hermione, alzando gli occhi gelidi su di lui.
Scosse il capo, serrando le labbra e guardandoli con una muta disperazione. Dietro di lui, parole incandescenti dettati dalla bacchetta che teneva stretta tra le dita, recitavano una sola frase “Voto infrangibile”, strappando il fiato a più di una persona.
« Che significa? » urlò Harry, alzandosi di scatto e lasciando cadere la sedia alle sue spalle, con gli occhi spiritati fissi in quelli del moro.
Theodore scosse il capo, ancora con la bocca serrata.
« Significa che ci serve James, subito » sibilò Hermione, zittendoli ad uno ad uno con un occhiata imperiosa.
« Se Theodore ha stretto il voto infrangibile significa che qualsiasi cosa abbia promesso non può infrangerlo o morirebbe e James è l’unico che può penetrare nei ricordi altrui senza infrangere nessuna legge e farci sbattere ad Azkaban prima che uno di noi pronunci “spia” » finì cupa, mentre Pansy usciva velocemente dalla stanza per raggiungere il bambino.
Quella notte sembrava molto più lunga di quanto lo era in realtà.
 
Due ore dopo, richiamato al rapporto anche Draco – che se ne stava a debita distanza da tutti, specie da Hermione – videro a lavoro un vero e proprio portento di bambino.
Pansy l’aveva trovato fuori dal dormitorio dei Corvonero proprio mentre Terry era uscito per cercarlo e senza sentire né se e né ma se li era trascinati su nella Torre; ora, sotto lo sguardo imbronciato di Terry – che proprio non voleva che James usasse i suoi poteri così piccolo – stavano tutti ingurgitando biscotti al cioccolato con il latte, chi ancora whiskey e vodka e altri pure un dito di cianuro se non fossero stati fermati.
Bella accozzaglia, pensò Anastasija, entrando a passo di carica e facendo una smorfia.
Ragazzini.
James aveva entrambe le manine poggiate sulle guance di Theodore che – per sicurezza – avevano sedato. Quello se ne stava svaccato sul tavolo con due occhioni dilatati e un sorriso sulle labbra mezzo ebete « Lasciatelo così, vi prego  » ironizzò Draco, bevendo il suo caffè nero con due occhiaie da far spavento.
« Stai meglio? » pigolò Hermione, con vocina sottilissima che fece intenerire Harry.
Ma non Malfoy, a quanto pare « Benissimo » sibilò, schioccando la lingua irritato e – proprio per mandare in bestia tutti quanti – accendendosi una sigaretta di Blaise e cominciando a tossire come un dannato.
« Idiota »
« Stronzo »
« Pezzo di merda »
E finiti gli insulti di Harry, Ron e Blaise a seguito, in risposta si limitò ad alzare il dito medio ed evitare lo sguardo di Hermione.
Non riusciva… non riusciva a guardarla. Si sentiva un verme.
Aveva davvero pensato che Hermione, con un cuore così puro da riuscire a perdonarlo e amarlo per quel che era, fosse arrivato a sporcarsi le mani del suo sangue per… vendetta?
Era lui che non meritava nemmeno di sfiorarla con lo sguardo.
Era lui il male, non lei.
« Daphne? »
La bionda ignorò il richiamo sorpreso di Pansy, scavalcando tutti quanti e fermandosi di botto dinnanzi a Theodore e James. Nei suoi occhi azzurri passò un lampo di preoccupazione, ma fu così veloce che – molti – pensarono fosse stata solo la loro fervida immaginazione.
« Hn, finalmente l’avete ucciso? » sogghignò perfidamente, dando a tutti l’impressione di essere la sorella oscura del malefico biondo.
« Non può uccidere la donna bionda » mormorò James con tono vacuo, attirando l’attenzione di tutti. Teneva ancora le mani sulle guance di Theodore e ciondolava sinistramente il capo.
« La donna bionda l’ha costretto perché lui l’ha pregato di salvare l’altra » continuò, mentre Daphne gelava letteralmente.
« Lei l’ha costretto a quel voto cattivo, perché non è riuscita a farlo innamorare di se » confessò Jamie, perso nelle emozioni e nei ricordi di Theodore, completamente andato.
Era in quella sorta di limbo onirico, completamente avvolto dalle immagini di Theodore che cercava – senza conoscere le conseguenze – di salvare quella ninfa bionda dalle grinfie di quel demone travestito d’angelo.
« Lei è una spia ed è sempre qui con noi. Si è venduta l’anima per lui e… lei, sua sorella » bisbigliò, puntando poi gli occhi su Daphne.
E tutto le fu chiaro. Ogni porta si aprì nella sua mente e ogni pezzo di quel maledetto puzzle andò al suo posto.
Sua sorella era furba, ah, se lo era, ma aveva sottovalutato lei e i ragazzi di cui Theodore si era circondato.
Nessuno, nessuno metteva piede nel suo territorio in quel modo e Daphne già sapeva la fine di quella storia.
Avrebbe dovuto ucciderla, perché se con le pozioni d’amore non aveva fatto altro che divertire Daphne, con il voto infrangibile l’aveva letteralmente mandata in bestia.
Theodore non doveva essere toccato, questo avrebbe dovuto saperlo.
« Tua sorella è la spia? » mormorò Blaise, sgomento, quasi sentendosi male.
Lui, tutto quel tempo, aveva sentito le sue parole da colomba innamorata, consolato quelle lacrime da coccodrillo e ora… « Stronza » urlò, alzandosi di scatto proprio come Harry pochi minuti prima.
Gli aveva mentito, l’aveva messo contro Theo e Daphne, non aveva mai capito. Tutto divenne sfocato, vitreo, mentre l’odio gli corrose le viscere in maniera così dolorosa da procurargli un conato di vomito.
Spia.
Avevano vissuto in simbiosi per anni, lei era scappata nella sua tenuta estiva, in Italia – a casa sua – quando c’era stata la seconda guerra magica. Lui l’aveva protetta, come una sorella e lei li stava… tradendo.
« Blaise, Blaise, Blaise!  » urlò Daphne, afferrandogli con forza il viso e bloccandolo prima che potesse commettere qualche sciocchezza.
Con la bacchetta chiusa tra le dita illividite, la guardava come un pazzo.
Un pazzo tradito.
Un pazzo tradito da quella che considerava una sorella.
« Non spetta a te vendicarti, Blaise. Sta calmo, sta calmo » sussurrò la ragazza, trasformando la sua presa in una dolce e lunga carezza.
James si era staccato da Theodore ed era corso tra le braccia di Terry, mentre Theo ridacchiava mezzo andato ancora sulla tavola. Nella Sala era sceso il silenzio assoluto e tutti gli occhi erano puntati su di loro.
Non spetta a te vendicarti.
« Vorresti uccidere tua sorella? » mormorò Blaise, amaro, guardandola negli occhi.
Non spetta a te vendicarti.
Daphne socchiuse gli occhi e, facendo quasi imbestialire Ginny – che si trattenne dall’afferrarla per i capelli e giocare la briscola con le sue orbite azzurrine – lo baciò delicatamente sulla bocca.
Ma pochi sapevano cosa significava davvero. Non era un gesto libidinoso, quello. No. Era un gesto d’affetto fraterno, quello che aveva unito Blaise e Draco con le sorelle Greengrass.
Era una promessa.
« E tu? Sei troppo puro di cuore per arrivare a sporcarti le mani del sangue di tua sorella » bisbigliò Daphne, strappando un gemito agonioso a Blaise, che la fissò angosciato.
« Sta tranquillo, Blaise. Credo che lei sarebbe più felice se ad ucciderla ci fossi io, non tu. Ti vuole troppo bene, nonostante dubito che abbia un cuore per provare qualcosa »
Asteria… sì, Asteria lo considerava un fratello e nonostante fosse una spia, una traditrice, non avrebbe retto il colpo di essere ucciso proprio da lui, che l’aveva sempre messa allo stesso piano di sua sorella.
Mai sotto di lei, mai e per questo si era fatto amare oltre ogni limite.
« La sua antagonista sono io »
Non spetta a te vendicarti.
« E voglio assoluto silenzio, intesi? Questa storia potrebbe essere a nostro vantaggio. Qualcuno che porti notizie sbagliate al nemico può rivelarsi più utile di un infiltrato… alla fine, mi occuperò io di lei » disse Daphne, cogliendo assenso in tutti nella Sala.
Blaise la vide andar via a spalle ricurve, come se improvvisamente il mondo le fosse crollato addosso. Socchiuse gli occhi, crollando seduto; come… come faceva? Aveva parlato della morte di sua sorella per mano sua come si parla del tempo o della quotidianità.
« Non le lasceremo fare quello che ha in mente, Blaise. Per uccidere un nemico ci vuole un cuore ardito, per uccidere un amico… ancora di più » bisbigliò Hermione, attirando la sua attenzione.
Non le lasceremo fare quello che ha in mente, aveva detto. Ma nessuno conosceva abbastanza bene Daphne per sapere che non si sarebbe fermata davanti a nulla.
Asteria aveva toccato il fondo… e sua sorella aveva deciso di chiudere definitivamente la questione.
Con la morte di una delle due.
 

***

 
Il sole era sorto su Hogwarts da ore, oramai, e dopo quello che era successo tutti ringraziarono il fatto che fosse domenica e non un giorno qualsiasi della settimana.
Passare la notte in bianco e recarsi a lezione avrebbe ucciso i loro neuroni – già precari – e sotterrato le loro povere menti. Così, mentre la mandria si ritirò per dormire, solo due figure rimasero nella Torre distanti l’uno dall’altra… ma vicine.
Tanto vicine.
Draco Malfoy si sentiva così insofferente che anche ingurgitare una fialetta di anti-dolorifico gli bastò e forse – pensò stizzito – il dolore non derivava solo dalle ferite.
Hermione non aveva cercato di parlargli più dopo l’uscita di prima e si era messa in disparte, seduta sul divanetto di pelle con un grosso librone rilegato in cuoio sulle gambe portate al seno con una facilità assurda.
Solo ora, stranamente, si accorgeva che era dimagrita parecchio negli ultimi tempi. Le occhiaie che le appesantivano lo sguardo d’ambra erano in netto contrasto con l’incarnato troppo pallido, mentre la bocca era sempre più rossa.
Cosa le stava succedendo? I lineamenti del viso – fini e dolci come li ricordavano – erano tirati e stanchi e ricci sempre più scomposti e lunghi sulla schiena ricurva e fragile.
Un fascio di luce le illuminò gli occhi grandi e le ciglia lunghe e ricurve che – in quell’esatto momento – crearono ghirigori fantasiosi sulle guance smunte e pallide, macchiate appena da una manciata di efelidi.
Il nasino si arricciò e la scena sarebbe parsa anche buffa se, tremando, Hermione non si fosse coperta gli occhi con le mani chiuse a coppa; era stremata, si rese conto Draco.
E lui l’aveva trattata come un estranea per tutto quel tempo.  Solo poche ore, ma per Draco… starle lontano, non poter respirare il suo profumo o godere della sua compagnia – quasi diventata indispensabile in quegli ultimi tempi – era stato così doloroso da competere con quello che aveva sognato quella notte stessa.
« Sei un mostro » sussurrò, alzando gli occhi su Hermione e attirando la sua attenzione completamente su di sé.
« E nessuno ti ama » bisbigliò, mentre vedeva lo sguardo della ragazza spalancarsi fino all’inverosimile.
Draco, invece, socchiuse il suo, tremando.
« Sei un Malfoy, non puoi amare e non puoi essere amato. Questo, stanotte, mi hai detto prima di pugnalarmi.
È colpa tua, hai urlato, pugnalandomi di nuovo » disse, ancora, ferendo più lui che lei.
Lo guardava… e vedeva sgomento, terrore, colpa.
« E hai ragione, mezzosangue. Hai avuto così ragione... sono un Malfoy e non merito di essere amato come non sono capace di amare.
A casa mia sei stata quasi uccisa, ma non ho mosso un muscolo. Potrò redimermi quanto mi pare, ma il male sarà sempre qui – e si passò una mano sul cuore, ora un tamburo impazzito – presente, palpabile, a ricordarmi che non c’è pace per quelli come me » sussurrò e lei capì.
Oh, se capì.
Ecco perché adorava Hermione Granger. Era intelligente, caparbia, certo, ma intelligente. Niente isterismi, niente lacrime, ma solo un languido sorriso che si spense come una fiammella esposta ad un vento troppo forte. Troppo doloroso.
Che, in un secondo, le portò via tutto.
« Non ero io in quel sogno. Non mi sognerei mai di darti la colpa di qualcosa che, in fondo, non hai mai voluto nemmeno tu.
Amare e farsi amare è un dono, Draco e nessuno può impedirlo… nemmeno il nostro sangue. Nemmeno le differenze razziali.
Amare è un dono, ricordatelo sempre, e non sparisce alla prima avvisaglia.
Tu sei amato e sai amare, io lo so’. L’ho visto.
L’ho sentito »
Ecco perché amava Hermione Granger.
Perché lei sapeva, aveva sempre saputo.
Lei gli aveva dato una possibilità e aperto una strada diversa da quella tracciata dai suoi genitori.
Insieme a lei aveva conosciuto il paradiso… nelle fiamme stesse dell’inferno. E l’avrebbe sempre amata per quel motivo.
« Tu sei amato e sai amare, Draco, ma è giusto che trovi prima pace in te stesso e poi nell’amore negli altri »
E in quel momento l’amò ancora di più.
Amò i suoi occhi d’ambra, coscienziosi, che gli stavano urlando che avrebbero aspettato. Lei lo avrebbe aspettato.
Amò i suoi capelli ricci, indomiti, ribelli, come il suo animo. Lei, che non poteva essere piegata. Lei, che non poteva essere spezzata.
Amò il suo corpo esile, il fuoco puro che sprigionavano le sue cellule.
La sua bocca carnosa tesa in un sorriso… d’amore. Lei lo stava amando solo sorridendo.
« Blaise mica ha fatto pienone di whiskey, stanotte? Ho bisogno di un goccino per riprendermi » ed Harry Potter apparve sulla soglia che portava alle camerate ancora tutto scarmigliato, con due occhiaie di uno che ha passato nottate migliori e tre graffi sulla guancia che fecero fischiare Draco ammirato.
« Pansy ha affilato gli artigli, eh? » ridacchiò, beccandosi in risposta un dito medio.
Harry afferrò la bottiglia di whiskey e si versò due dita, pensando che nell’ultimo periodo grazie a Ron e Blaise era diventato un ubriacone all’ultimo stadio. Bere alle dieci di mattina.
Sbuffò, guardando la sua migliore amica.
« Che le hai fatto? » la domanda gli uscì spontanea.
Fu solo un secondo, un battito di ciglia. L’aveva guardata e aveva capito.
Hermione era distrutta, letteralmente e quel coglione non se ne accorgeva nemmeno se gli avesse piantato sul naso un paio di occhiali a culo di bicchiere.
« Di che parli? » borbottò Draco, afferrando il pacchetto di Blaise e accendendosi una sigaretta alla menta per non guardarlo negli occhi.
Tossì, di nuovo.
« Non sai fumare e ti ostini, finirai solo per strozzarti un giorno » sibilò sarcastico, scroccando anche lui da Blaise, tanto sicuramente non se la sarebbe presa.
« Parlo di Hermione. La stai stremando, Malfoy » sibilò Harry, che già avvezzo con il fumo e altro sputò fuori una manciata di fumo azzurrognolo che quasi soffocò Draco.
« Tu sei fuori. E smettila di intrometterti, Potty! » sputò velenoso, guardandolo attraverso le ciglia bionde e angeliche.
Harry stirò un sorriso acido, che gli gelò il sangue nelle vene.
« Ultima chiamata, Malfoy. Se vengo a sapere che la fai star male, giuro sulla cosa che ho più cara al mondo che ti spacco la faccia! » disse con voce roca, assottigliando gli occhi smeraldini.
Draco sogghigno.
« Provaci se ci riesci »
E detto fatto, Harry caricò un pugno che finì dritto sulla mascella di Malfoy.
Draco ricambiò il favore nonostante il dolore delle ferite inferte.
Era quello l’unico modo, pensò prima di caricare l’ennesimo pugno.
L’unico modo per non sentirsi inferiore ad Harry e quello che era per Hermione. Lui, sempre presente. Sempre lì, alle spalle fragili di Hermione a… proteggerla da chiunque non fosse lui.
Serrò gli occhi, gemendo quando Harry lo colpì nello stomaco, proprio dove la spada era penetrata poche ore prima. Il dolore, eppure, non sembrava così forte confronto a quello emotivo.
« Basta, basta, smettetela! »
E solo allora si accorsero cos’era che stava distruggendo lentamente Hermione.
Il fuoco.
Un lampo di scintille divampò dal suo corpo piegato e avvolse tutta la torre, sgretolando i mattoni e sciogliendo qualsiasi cosa incontrasse sul suo cammino.
Harry eresse una protezione su lui e Malfoy prima che le fiamme li carbonizzassero e – quando ripresero fiato e tutto fu finito – guardarono ad occhi sbarrati il corpo tremante di Hermione Granger.
Era completamente stremata, avvolta in una nube di cenere con le gambe portate al petto e le mani nei capelli.
« Hermione… » bisbigliarono in coro, richiamandola.
Ma lei scosse il capo, come in trance.
« Statemi lontani »       
E con quello li piantò in asso, andandosene giù per la tromba delle scale e lasciandoli a guardarsi nelle palle degli occhi.
« Non sta bene » sentenziò Harry, guardando il nemico preoccupato.
Draco annuì e guardò il punto dove era sparita Hermione: l’aveva notato anche lui, ma cos’era?
Non era la rottura tra di loro, perché ben prima l’aveva vista stremata.
« Indagheremo » dissero insieme e se Ron li aveva sentiti dalla porta, fece finta di niente.
Ci mancavano solo Harry Potter e Draco Malfoy nei panni di due detective impazziti.

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Capitolo 17
*** Capitolo XVI - Couple ***


Attenzione:
Il capitolo è scritto in un modo molto più particolare dei successivi. Non è un capitolo vero e proprio, ma è come se fosse di passaggio, perché ho descritto ciò che succede alle varie coppie della storia in spezzoni. Il prossimo capitolo, tranquille, sarà come tutti gli altri, ma spero che questo vi piaccia lo stesso.
Colgo la palla in balzo per ringraziare tutte le mie recensitrici, che hanno reso questa storia speciale e la amano come l’amo io stessa. Siete speciali e non vi ringrazierò mai abbastanza; ringrazio anche le lettrici silenziose – fatevi sentire, fanciulle, non mordo! – che hanno inserito la mia storia nelle seguite, ricordate e preferite… siete tantissime e vi adoro indistintamente, perché mi fate sentire davvero – non scherzo – speciale come non mai.
Ora vi lascio al capitolo, che spero non vi deluda.
Buona lettura!

 
 
Capitolo XVI –
Couple 
 

Draco Malfoy era sempre stata una persona relativamente calma e – soprattutto – realista; aveva superato molti ostacoli, sempre ostentando la sua facciata dura e marmorea e non si era mai sconvolto eccessivamente per qualcosa, nemmeno quando a tredici anni Hermione Granger l’aveva preso a pugni.
Nemmeno quando –  sconvolgendo se stesso – aveva pensato che quando si arrabbiava era terribilmente sexy.
Ma quello era troppo, perfino per lui.
« Che cazzo… » alitò, mentre Harry Potter, la sua spina nel fianco, il suo grande e unico nemico, colui che non avrebbe fatto a cambio con nessuno perché lo sapeva, qualcuno che gli tenesse testa come lui non esisteva, entrò nella Torre con un paio di pantaloni neri, anfibi, maglione e mantello dello stesso colore e la faccia completamente pitturata di grasso.
Aveva tolto gli occhiali e girava ostentando un sorriso fiero per il suo operato e – con una faccia da schiaffi – sbatté sul ripiano dove Draco stava appoggiato con i fianchi un sacco pieno.
« Le indagini iniziano ora » disse, cacciando dalla casacca un completo uguale al suo, un barattolo di grasso e una… parrucca.
« Quella la devi mettere per forza, i tuoi capelli platinati si riconoscono a miglia di distanza » sibilò, soddisfatto.
Inizialmente Draco pensò che fosse uno scherzo. Lui non avrebbe mai indossato una parrucca, ma quando osò aprire la bocca e sputare un « Tu sei fuori, sfregiato, io non mi concio con un plebeo! » capì che Harry Potter – quella volta, quel giorno – non scherzava affatto.
Ingaggiarono una lotta furibonda, dove i « Toglimi le mani di dosso, bastardo! » e « Infilati questa fottuta parrucca, stronzo! » regnavano sovrani.
Era un aggroviglio di corpi, bestemmie, cazzottoni e quando Draco sfuggì dalle grinfie di quell’essere immondo, si guardò terrorizzato nello specchietto ovale dalla cornice dorata nella colonnetta incastonata accanto il bancone alla sua destra, pensò che la morte stava per arrivare. Ma per Potter, non per lui.
I suoi capelli.
I suoi meravigliosi capelli biondi erano stati coperti da una parrucca nera. Una parrucca nera con dei disgustosi ricci.
E la sua faccia.
La sua regale faccia che curava con creme specifiche.
La sua bellissima faccia era stata insozzata con del grasso nero, coprendo i suoi splendidi lineamenti regali, degni di un principe.
« Morirai. Giuro che morirai » piagnucolò, guardandosi allo specchio quasi disperato.
Si chiese perché fosse destinato a soffrire al fianco di San Potter, perché il destino fosse così crudele con lui, povero angelo fustigato dalla vita.
« Sta zitto e seguimi »
Harry lo afferrò per il cappuccio del mantello e lo trascinò fuori dalla torre, lungo la tromba di scale e il settimo piano, dove i suoi rimbrotti quasi facevano eco nel corridoio deserto.
Alcuni quadri ridacchiarono, additandolo.
E fortunatamente le armature rimasero al loro posto, allineate a destra e sinistra, sennò Draco avrebbe sclerato. I quadri, ok, ma essere preso per il culo anche dalle armature era troppo pure per lui.
Una rampa di scale.
La statua della strega Orba si animò solamente per ridere sguaiatamente, additandoli.
Due rampe di scale.
Il quadro delle streghe di Salem si illuminò a festa perché queste per seguirli con lo sguardo e prenderli per il culo, invece di una candela accesero tutto il tavolo di cedro.
Tre rampe di scale.
Le armature appartenuti a tutti i Re di Inghilterra si sfracellarono al suolo per sganasciarsi alla faccia loro.
« Bravo, sfregiato, siamo diventati lo zimbello di Hogwarts! »
E giù a lamentarsi fino al piano terra, accanto le porte della Sala Grande; erano le quattro del pomeriggio, quindi c’erano pochi studenti all’interno… e niente Hermione.
Harry bestemmiò.
« Dove diavolo si è cacciata? » sibilò a bassa voce, coprendosi il viso con il cappuccio e trascinando Draco per un braccio fuori le arcate, nel giardino, dove il Lago Nero splendeva sotto i raggi di un sole tiepido.
Alcuni uccellini intonarono una melodia e, più lontano, dei corvi gracchiarono la loro marcia funebre. La stessa che si svolse nel suo cuore. La stessa che lo fece a pezzi.
Ecco dove si era cacciata Hermione: sotto il suo salice piangente, con le gambe incrociate e un libro aperto, lo sguardo addolcito e i ricci al vento. La divisa era spiegazzata e due mani le tenevano un palmo con dedizione.
Matt Lewis. Non lo vedeva accanto Hermione da mesi e l’aveva quasi cancellato.
Aveva quasi dimenticato di come quegli occhi verdi la guardassero, del fatto che quasi le assomigliasse.
Matt Lewis. Sembrava che fosse stato creato apposta per stare con lei. Apposta per completarla, per portala su un piedistallo di cristallo.
« Ma quello non è Lewis? » borbottò Harry, nascondendosi dietro un albero – di volata – prima di essere visto da Hermione.
Aguzzò la vista e sbuffò, inacidito. « Ma per caso è sordo? Mesi fa gli avevo detto di stare lontano da Hermione? Maledizione! » sibilò, mentre Draco si lasciava scivolare lungo il tronco dell’albero e sedendosi sull’erba alta.
Appoggiò i gomiti sulle ginocchia portate al petto e sorrise verso il cielo, lasciando che una farfalla bianca gli si posasse sulle dita arcuate, artigliate quasi tra di loro; inclinò il capo, strappandosi la parrucca dai capelli biondi, che brillarono come argento alla luce pallida del sole.
« Malfoy, ma che ti prende? » disse Harry, sorpreso, guardandolo dall’alto.
Matt si avvicinò ad Hermione, che scosse il capo a qualcosa che lui le aveva detto, sorridendo divertita.
Matt era intelligente, Corvonero come sarebbe dovuta essere lei. Gli piaceva studiare proprio come lei, che ora rideva spensierata, scacciando alcune nuvole nere che avevano osato accostarsi al sole.
Ma Draco lo sapeva.
Era ancora lei il sole.
« Draco… » mormorò Harry, scivolando al suo fianco e guardandolo dispiaciuto.
Si tolse il cappuccio dai capelli corvini e sospirò, zittendosi.
I corvi, da lontano, continuarono ad intonare la loro marcia funebre, quasi deridendolo. I rami del platano picchiatore si mossero, impazziti, come il suo cuore contro lo sterno.
E batteva. Batteva come se fosse vicino alla morte, come se per lui non ci fosse stato un domani e probabilmente era così.
In fondo lo sapeva anche lui… quando aveva iniziato a battere l’aveva fatto solo per lei e avrebbe smesso di battere per lo stesso motivo.
« Non è come credi »
Draco scoppiò miseramente a ridere, lasciando che quel suono agghiacciante gli scivolasse come il suono di vetri infranti contro l’orecchio, ferendolo.
Se mai fosse esistito un Dio, sicuramente se ne stava lì a sbellicarsi dalle risate, alla faccia sua. Lui se ne stava lì, nascosto dietro un albero con Potter che cercava di consolarlo.
Ridicolo.
« Non credo niente. Lei non è mia »
Si sentiva e quelle parole risuonavano false persino al suo orecchio. Era una bugia, una grande bugia, come quelle che diceva a Lucius quando era piccolo.
“Certo, papà. Certo che voglio la morte dei mezzosangue” come se a lui importasse veramente. Come se a lui importasse qualcosa oltre l’affetto che voleva da suo padre.
E lo sapeva, diavolo se lo sapeva.
Hermione era sua anche quando respirava e lo faceva nella sua direzione, guardandolo in un modo che non esisteva. Che non era mai esistito. I suoi occhi erano fuori dal mondo e riuscivano a farlo sentire a posto.
A casa.
Ma sapeva altrettanto che non poteva avanzare alcuna pretesa; l’aveva lasciata andare, perché sapeva che non era l’inferno che lei voleva. E quello era l’unico posto che poteva garantirle.
Lei non voleva quelle fiamme e nemmeno il dolore che scaturivano. Non le meritava. E lui era solo un povero diavolo. Un demone dal cuore rotto, inutilizzabile, che lei aveva cercato di aggiustare, ma che non sarebbe mai tornato al suo posto.
Hermione viveva nel suo piccolo paradiso e – incredibile – era riuscita persino a portarcisi lui, spalancandogli le porte anche contro ogni regola. Lei aveva spezzato tutto e l’aveva trascinato con sé.
L’aveva trascinato in quell’oblio fatto di sospiri e gemiti, di ti amo mai detti e sorrisi sdentati. E, ancora più incredibile, era riuscita nel suo intento iniziale. L’aveva salvato.
Lui, che era male e sarebbe morto come tale, ora aveva il cuore che batteva come un tamburo, come il tuono che fece tremare le fondamenta della stessa Hogwarts.
Ci era riuscita e – con un sorriso – Draco cercò di ricordarsi di doverle fare i suoi complimenti.
Il legno era scomparso e aveva lasciato un cuore deforme e debole scoperto, nudo dalla sua facciata.
Lei era penetrata lentamente e aveva strisciato fino a formare crepature in quel solido legno che lo avvolgeva. Lo aveva sfondato, se n’era beata, e lui l’aveva cacciata.
Perché, Draco sapeva anche questo, gli angeli erano fatti per restare in paradiso e i diavoli all’inferno.
E loro erano troppo lontani.
« Vieni, andiamo via » borbottò Harry, alzandosi e spazzolandosi il mantello dai residui di erba e fango.
« Va tu, ti seguo tra qualche minuto »
Niente insulti, nemmeno uno sguardo. Era strano come un nemico si rivelasse quasi un bisogno, quando diventava difficile persino respirare.
Harry se ne andò e Draco rimase lì, ad osservare un passerotto che volò lontano appena l’ennesimo tuono che scaturì nell’aria, facendo urlare una ragazzina accanto al lago, facendo ridere quello che probabilmente doveva essere il suo fidanzato.
Lo vide abbracciarla e trascinarla verso le arcate, mentre lei arrossiva e lui rideva dolcemente per quella sciocca paura.
Il sole questa volta si adombrò letteralmente e nuvole grondanti d’acqua lasciarono lo spiazzato deserto e buio, quasi quanto le acque del lago.
Sembrava che la notte avesse deciso di scendere prima e oscurare le torrette svettanti di Hogwarts, mentre grosse gocce d’acqua cominciarono a battere contro le vetrate, nel lago – risvegliando il sonno delle sirene – sul suo viso.
Il grasso scivolò via dal suo volto insieme l’acqua e Draco si scoprì incapace di piangere. Prima aspettava solamente la pioggia per camminare a testa alta e poter lasciare al suo cuore di sanguinare e i suoi occhi sfogarsi, piangere, portandosi via pezzi d’anima.
Ora no, guardava solamente il vuoto che sembrava spandersi sotto il suo sguardo e sorrideva. Sorrideva perché ora c’era solamente quello e spettavo a lui salvarsi da solo.
« Draco »
Chissà perché il suo nome sulla sua bocca suonava quasi come una benedizione, al contrario di ciò che aveva sempre pensato.
« Piove, cosa fai qua fuori? »
E come sempre lei si frappose tra lui e il buio, inginocchiandosi dinnanzi al suo sguardo e fissandolo con i suoi occhi bruni. In quel momento erano esageratamente grandi e sembravano poterlo contenere tutto, dalla testa fino ai piedi.
Da quella angolazione sembravano poterlo contenere tutto e trascinarlo nel suo mondo. Nel mondo che girava tra quelle iridi dalle chiazze ambrate, il nocciola delle foglie secche e il bruno della corteccia degli alberi.
« Draco, ti senti bene? »
La sua voce era bassa e le ciglia troppo lunghe, ora creavano ombre sul suo volto bagnato e pallido.
Il suo tono era roco e graffiante, come ogni volta che avevano fatto l’amore e sembrava preoccupata da come rilasciò un sospiro ansante con le labbra schiuse.
Erano rosse, ma non gonfie. Forse lui non l’aveva baciata o era lei che non si era lasciata baciare.
« Draco! »
I riccioli le ricaddero come una tenda sul volto, travolgendo anche lui, nascondendoli dal resto del mondo, come se fossero di troppo. Erano bagnati e grondavano acqua e lei tremava dal freddo.
« Cos’è successo? »
Continuò a non rispondere, anche quando lei gli sbottonò i calamai argentati del mantello e lo posò sulle loro teste, rendendoli un bozzolo buio. Caldo. Come erano sempre stati da mesi a quella parte.
Ora sentiva il suo respiro sulla propria bocca, lascivo, e sapeva di dentifricio e ansia.
Sapeva di miele, come lei.
« Forse avevi ragione tu » bisbigliò Draco, come se oramai riuscisse ancora a sorprendersi su quante cose lei avesse ragione.
« Io ho sempre ragione. Ma su cosa? » sospirò Hermione, guardandolo con un misto di confusione e dolcezza.
Draco prese la sua mano intorpidita dal freddo e la portò al suo petto, coperto da un maglione di cotone nero. Le dita di Hermione si schiusero sulla stoffa e – con un sorriso – tremò insieme a lei.
Ed Hermione lo sentiva.
Diavolo, se lo sentiva.
Sotto le sue dita quel cuore batteva violento, come se avesse voluto urlargli che lui c’era. Che c’era sempre stato. Sempre. Ed Hermione rise, scuotendo il capo.
« Su questo » sussurrò Draco, guardandola con i suoi occhi grigi.
Gli stessi occhi che credevano nell’inferno, ma che guazzavano nel paradiso.
Hermione lo sapeva, l’aveva sempre saputo: Draco poteva anche considerarsi un demone, un diavolo punitore, ma lei lo sapeva. Lui era un angelo come tutti loro, era solo diverso.
Le sue ali erano nere, invece che bianche, ma lei le amava lo stesso.
« Hai ragione. Avevo ragione »
E se anche nel bozzolo in cui si erano rinchiusi fosse buio, tutto divenne luce quando – con gli occhi socchiusi – lei lo baciò dolcemente sulla bocca.
Fu veloce, come se una farfalla avesse aperto e chiuso le sue magnifiche ali, un attimo che fermò ogni cosa.
Insieme al suo sguardo si chiuse anche il mondo e Draco tremò ancora, ma questa volta perché lei aveva posato le mani sulle sue guance, continuando a guardarlo e toccarlo come se fosse l’unica cosa preziosa che possedesse.
E Draco capì. Non era lui l’edera velenosa da estirpare, ma quell’insicurezza che cercava di trascinarlo verso il basso. Quel passato che non era mai contato, anche se lo perseguitava.
Probabilmente non glielo avrebbe mai detto, ma ora sapeva come andava.
Il mondo girava attorno a lei e non avrebbe mai smesso.
« Su tutto » continuò Hermione, staccandosi dalle sue labbra solamente per portare la sua mano sul suo petto, coperto dalla camicia e dal maglione della divisa.
Lui le sbottonò i bottoni iniziali e posò le mani gelide sul suo petto bollente e sorrise.
Il suo cuore stava intonando la stessa melodia del proprio, come se si fossero messi d’accordo e ora stessero cantando solo per loro.
« Cantano » disse Draco, mentre lei lasciava cadere il mantello e lo avvolgeva nel fuoco che sprigionava da ogni poro.
« Solo per noi » finì Hermione.
E ancora una volta non si era alzato da solo, ma c’era lei oltre quel tunnel che ogni giorno sembrava volerselo portare con sé.
Sì, quei cuori cantavano solo per loro.

 
«Coloro che vivono d'amore vivono d'eterno »
 

Fu qualcosa di nuovo fare l’amore, quella notte.
Fu come la prima volta, non come ritrovarsi dopo una tempesta.
Fu di più.
La luce della luna che filtrava attraverso le pesanti tende di velluto verde smeraldo li abbagliava d’argento e rendeva quasi le cose surreali, ma l’odore tra quelle lenzuola era reale e sapeva di loro.
Sapeva di dopobarba e muschio, di miele e pelle.
Era strano toccarsi con le dita bollenti e lasciare solchi nella carne, venire trascinati da qualcosa di potente, quasi primordiale. Sembrava che ad entrambi non importasse trovare il piacere, ma solo il punto d’incontro che li avrebbe fatti diventare una cosa sola.
Perché le loro labbra sapevano ancora di pioggia e lacrime, quasi di consapevolezze.
E ora guardarla ancora sotto di lui, con le mani aggrappate alle sue spalle ampie e la bocca schiusa che seguiva la sua, quasi avida del suo respiro, era qualcosa di magnifico e sacro. Perché ora lei sapeva che quel respiro che le apparteneva.
Che le era sempre appartenuto.
Perché fare l’amore con la consapevolezza d’amare era come affogare. Ma affogare di volontà propria.
L’acqua nei polmoni, il respiro ansante – quasi assente – le gambe che cercavano appiglio tra di loro, attorcigliandosi come se non avessero voluto più slegarsi, una volta finito.
I petti che coincidevano, beandosi del battito dei cuori che sembravano toccarsi oltre la pelle, le ossa, i tendini.
Fu come affogare, ma affogare di volontà propria.
Sì, quei cuori continuavano a cantare solo per loro.
Con un colpo di reni, Hermione, invertì le posizioni. Gli fu sopra, completamente nuda, coperta solamente dall’amore che provava per lui. Coperta solamente dalle imperfezioni che la rendevano una Dea.
Ai suoi occhi continuava ad essere qualcosa di sacro.
Con le mani gli accarezzò le braccia, spingendo i polpastrelli dove le vene sembravano spiccare più di altre, gonfie e piene di fuoco.
Lo stesso che regnava nelle sue iridi brune.
Lo stesso che gli stava strappando l’anima dal corpo.
Lo baciò e rilasciò un sospiro nella sua bocca, invadendolo completamente, lasciandolo in balia dell’acqua e in un attimo ne fu sopraffatto.
Da quella posizione riusciva a vedere il collo inclinato, avvolto solamente dalla catenina d’oro con il ciondolo che le aveva regalato a Natale. Lo sterno sopraffatto dall’emozione, che si alzava e abbassava con una facilità impressionante, come se quel respiro accelerato fosse normale.
Forse in sua presenza lo era sempre stato.
Vedeva il suo seno piccolo e sodo, che riusciva a stare perfettamente nel suo palmo ruvido. I fianchi stretti e morbidi, ancora segnati dai suoi morsi voraci.
Una leggera peluria – chiara come quella tra le gambe schiuse – susseguiva lungo la pancia piatta e il loro punto d’incontro.
Lentamente, con inerzia e una dolcezza che sembrava non aver mai usato, lei scivolò su di lui, accogliendolo completamente.
Fu qualcosa di nuovo, come una prima volta che riempiva il cuore di veleno e l’antidoto nel sangue.
Le loro mani s’intrecciarono e lei cominciò a muoversi lenta, come a voler assaporare ogni singola spinta, ogni singolo punto che si fondeva insieme a lui.
Una mano si piantò sul suo petto e le unghia questa volta graffiarono il punto esatto dove sentiva battere il suo cuore.
Draco ansimò e lei sorrise, abbassando il capo e coprendo entrambi con i suoi riccioli.
No, non era come morire, ma vivere attraverso gli occhi di qualcun altro. Vivere con il cuore di qualcuno piantato nel petto.
A nessuno dei due importava del piacere, in quel momento. Ad entrambi sembrava importare solamente continuare a guardarsi negli occhi, perdersi, fondersi e diventare non una cosa sola, ma unica.
Una spinta.
Lei lo baciò ad occhi aperti, quasi costringendo le palpebre a restare socchiuse. Osservava il suo viso, come a non voler perdere alcun particolare, nemmeno come il suo naso si schiacciasse per lasciare alla sua bocca più spazio.
Due spinte.
Lei lo abbracciò di slancio e i loro petti combaciarono: la sua mano piccola era ancora lì, ma questo non gli impedì di sentire il suo cuore battere ad intermittenza, come se non avesse forza a sufficienza.
Come se il suo battito compensasse per entrambi.
Tre spinte.
Il suo volto era una smorfia di piacere e lei non faceva nulla per fermarlo, anzi. Aprì di più le gambe e affondò ancora di più, fino a sentire il punto di rottura.
Fino a non sentire nient’altro che lui.
Fino a sentire la testa girare improvvisamente, in un vortice di grigio e argento, oro e rosso.
Grigio come i suoi occhi. Argento e oro come i suoi capelli. Rosso come le sue labbra martoriate a sangue.
E lo sentiva interamente, da cima a fondo, senza tralasciare nulla.
E lo sentiva completamente, come se non ci fosse altro che lui dentro di lei.
E lo sentiva indissolubilmente, perché sembrava che non potesse far altro che rimanere soggiogata da quei movimenti, da quello sguardo, da quelle mani da pianista.
E respirò, mentre lui le graffiava la schiena e le natiche.
E tremò, affondando il viso nella sua spalla.
E – entrambi – amarono quei cuori che continuavano a cantare.

 

Quei gemiti e sospiri, però, quella notte non turbarono Harry Potter.
Chiuso nella sua stanza, con le ginocchia ossunte portate al petto, storse appena la bocca per sorridere.
No, quella notte lasciò fuori dalla porta l’amarezza che l’aveva accompagnato in quei mesi, facendole scivolare tra lo spiraglio dello stipite di cedro scuro e le fessure del muro di mattoni grezzi.
« Stanno facendo sesso »
« Probabile » rispose alla ragazza seduta mollemente sul suo letto, dandole le spalle solamente per accendersi una sigaretta.
La fiammella gli scaldò appena le dita e Pansy alzò gli occhi d’ossidiana su di lui, sondandolo senza scomporsi eccessivamente  « Sei tranquillo » disse, accettando la sigaretta accesa che lui le stava porgendo, mentre lui se ne accendeva un'altra con la bacchetta.
« Non dovrei? » borbottò Harry, soffiando fuori il fumo con un occhiata sorpresa rivolta a Pansy, che arricciò la bocca sottile in una smorfia sorpresa.
« Una settimana fa ti toglievo le lamette di mano per non farti tagliare le vene e ora che li senti fare sesso – quando poi credevo che si fossero lasciati – te ne stai lì tutto beato » sbottò, risentita dal come stesse apparendo lei come una pazza visionaria.
Harry sorrise, alzando il braccio e tirandole una ciocca di capelli neri come l’ebano, così lisci al tatto da sembrare seta al suo tatto.
« Ti senti ancora una miserabile, Pan? » sussurrò, storcendo la bocca in un sorriso e facendole mancare il respiro.
Harry non aveva gli occhiali, quella sera, e ora i suoi occhi erano così vividi da incuterle timore. Così vividi da avvolgerla e stringerla.
“Sei proprio una miserabile”
Questa volta sorrise anche lei « No » soffiò e lui allargò il suo sorriso, afferrandola di peso e portandola sdraiata al suo fianco, a pochi centimetri da lui.
« Nemmeno io »



« Nascere è cadere nel tempo »
 

Ginny certi giorni si chiedeva “perché”.
Non “perché” specifici, ma “perché” e basta, su tutto, su ogni cosa che la circondava.
E quel giorno, seduta sulla tazza del water in uno dei cubicoli del bagno di Mirtilla Malcontenta, al terzo piano, si chiese perché.
A Ginny, certe notti, arrivavano alcune risposte ai suoi “perché”, ma non quel giorno.
Con un gemito di compatimento – solo verso se stessa – si lasciò andare con i gomiti sulle ginocchia, portandosi le mani nei capelli e stringendo con forza alcune ciocche rosse tra le dita violacee.
Aveva colpito il muro così forte che, molto probabilmente, si era rotta le nocche, ma quel giorno sembrava non sentire nemmeno il dolore. Tutto girava così velocemente e tutto – nello stesso istante – sembrava così fermo da farle venire la nausea.
« Dio santo » singhiozzò, per poi mordersi un pugno con forza, per non lasciarsi sfuggire il grido che le graffiava la gola per uscire fuori. Lasciò che i denti scavassero nella carne, tra le nocche, nelle dita.
Lasciò che la sua mano diventasse bianca e che il dolore le si rovesciasse nelle vene come acido corrosivo. Non era abbastanza. Non lo sentiva abbastanza.
Cristo, quel bastoncino era lontano da lei, scagliato sul muro e poi scivolato sul pavimento, ma sembrava ancora che stesse tra le sue dita e bruciava. Bruciava di paura. Insicurezza. Dolore.
Dondolò su se stessa e quando il sangue cominciò a macchiare il pavimento di pietra grezza lasciò andare la mano dalla sua bocca e nello stesso momento un singhiozzo scaturì nell’aria tesa.
« Ginny, apri la porta »
« No, va via, va via! » strillò, coprendosi gli occhi con le mani e macchiandosi il viso di rosso.
Certe notti si chiedeva “perché a me?” e rimaneva senza risposta.
Sua madre a volte le rispondeva perché sì, è così che deve andare e lei pensava che non fosse giusto. Lei non lo meritava, non lo sopportava, non ce la faceva. Era al limite.
Le stava scivolando tutto dalle dita e per quanto lei tenesse serrate le mani, tutto continuava a cadere. Niente restava e lei cadeva insieme al resto. Non resisteva, non riusciva ad aggrapparsi a nulla.
« Ginny, ti prego »
Singhiozzò ancora, arcuando le dita negli occhi per vedere ancora in più profondità il buio che la stava inghiottendo ancora. Le lacrime le bagnavano il viso, ma le mani non scivolavano, rimanevano lì e cercavano di accecarla.
“Perché a me?”
“Perché sì, è così che deve andare”
“Anche per Fred?”
E lì non arrivava risposta, come quella notte di cui non riusciva a vedere via d’uscita.
Era stata sconfitta, sotterrata e il terreno era troppo profondo per risalirne, per respirare finalmente.
« Ahlomora »
Sentì dei passi che si avvicinavano e le mani bollenti di Blaise si posarono sulle sue, portandole lontane del suo viso fradicio. Ma il suo petto continuava ad alzarsi e abbassarsi, la gola graffiarsi per i singhiozzi che le uscivano da bocca come conati di vomito. Conati di dolore.
« Cristo, Blaise! » urlò, piegandosi ancor di più su se stessa.
« Dimmi che c’è » bisbigliò lui, cercando di asciugarle il volto e guardandola.
Stava affondando con gli occhi nei suoi e si disperava perché non capiva. Non capiva perché si fosse chiusa lì, a urlare e piangere come una disperata. A piangere come una bambina.
« Non posso farlo. Non posso farlo » singhiozzò, aggrappandosi al suo maglione e fissandolo negli occhi, mentre lui – inginocchiato come mai in vita sua – la fissava in cerca di cosa la stesse distruggendo.
« Che succede, Ginny, spiega! » quasi la pregò, chiudendole le mani a coppa sul viso per costringerla a guardarlo negli occhi. Ancora e ancora.
E allora, con mani tremanti – macchiate di sangue. Di dolore – lei gli indicò l’angolo del cunicolo, alla sua destra. Blaise si sedette sul pavimento gelido e allungò il braccio per afferrare quel bastoncino bianco tra le dita, in netto contrasto con la sua pelle color moka.
Sul quadratino trasparente c’era una linea blu notte, con una bacchetta magica accanto. Alzò il volto su di lei, senza capire « È un test di gravidanza magico. Quando la linea è blu significa che aspetti un bambino e le bacchette magiche indicano di quanti mesi sono » gemette, tappandosi la bocca con una mano per non gridare.
Per non gemere. Per non fiatare.
No, non ce la faceva. Non lo sopportava.
Blaise la fissò, sbigottito.
« Cristo, Blaise, non guardarmi così! È tuo, maledizione! » strillò, completamente fuori di sé.
Crollò seduto, continuando a guardarla incredulo.
È tuo, maledizione!
« Non posso farlo, Blaise. Non posso togliermelo, anche se i miei fratelli mi ammazzeranno, anche se mia madre mi chiuderebbe in casa e non mi lascerebbe uscire più.
Non posso farlo, perché so’ che se lo farei mia madre mi odierebbe ancora di più… e anche Fred » mormorò, stringendosi le ginocchia al petto.
Non poteva. Era l’unica cosa che Fred odiava: chi non si prendeva le sue responsabilità e lasciava che fossero gli altri a rimetterci.
Quando era ancora in vita le diceva continuamente che un bambino non era mai un errore e se i genitori erano così stupidi da non prendere precauzioni, allora era d’obbligo per loro cercare di rendere quella creatura almeno felice.
Era d’obbligo per loro cercare di non far pesare a quella creatura di essere un errore.
E non poteva. Ginny non poteva proprio infangare la sua memoria togliendosi quel bambino; Blaise poteva dire quello che voleva, poteva rifiutare, andare via, ma lei non poteva.
Dentro lei bruciava ancora la sconfitta di non essere riuscita a salvare suo fratello e ora non poteva. Non ci riusciva.
« Speriamo almeno che abbia il colore dei miei capelli… i tuoi sono orribili » sospirò Blaise, poggiando il mento sul suo ginocchio e guardandola con un sogghigno sulle labbra.
Ginny rilasciò un respiro brusco e si lasciò andare sul pavimento in modo scomposto.
« Tu sei pazzo » bisbigliò, lasciando che lui appoggiasse la fronte contro la sua, fissandola serio come non mai.
« Lascia perdere, Weasley. Se io sono un coglione non vuol dire che debba andarci di mezzo un bambino. Ce la caveremo, anche se non siamo il centro del mondo l’uno dell’altro » disse, mentre lei affondava le mani nei suoi capelli e tremava impercettibilmente.
« Se è femmina… la chiamerò Hope »
Perché in fondo – Ginny avrebbe dovuto saperlo – la speranza è sempre l’ultima a morire.

 
« C’è solo una cosa più bella della vittoria. La vendetta! »

 
Daphne aveva sempre avuto tutto ciò che nella vita aveva desiderato.
Sangue nobile, ricchezza infinita, amori frivoli e cari affettuosi; si era sempre portata in cima e non aveva mai lasciato nulla al caso. Le bastava schioccare le dita per ottenere quello che voleva o uno sguardo languido per avere ciò di cui aveva bisogno.
Eppure una cosa non era mai riuscita ad averla, nonostante i suoi continui sforzi.
Certe persone credevano – molto stupidamente anche – che per amare un familiare ci fosse già il legame sanguineo e che questo fosse una spiegazione plausibile per amarsi l’un con l’altro.
Lei con Asteria aveva fallito, fin dall’inizio.
Nonostante fosse sua sorella, nonostante l’amasse più di se stessa e non le avrebbe mai fatto del male – non intenzionalmente, almeno – non era mai riuscita a legarla a sé.
Non era mai riuscita a farsi ricambiare.
Da bambina aveva sempre cercato di essere perfetta ai suoi occhi, giocando con lei e insegnandole come una Greengrass avrebbe dovuto comportarsi. Aveva sempre cercato di essere perfetta per fare in modo che fosse orgogliosa di lei, per essere un vanto.
Da adolescente aveva cercato di proteggerla da occhi esterni, dal male che c’era nel mondo reale, lontano dal loro mondo dorato.
Daphne aveva sempre ottenuto ciò che voleva, ma l’amore di sua sorella sembrava off-limits per lei. E si odiava.
Si odiava perché Asteria era arrivata a ferirla brutalmente pur di redimersi agli occhi degli altri. Pur di brillare. Pur di essere più di lei.
Aveva iniziato con le pozioni d’amore che propinava a Theodore e lei era stata zitta. Aveva lasciato che sua sorella provasse. Provasse a portarle via tutto, senza fiatare, perché non le importava. Non le era mai importato.
« Stai bene? »
Asteria avrebbe potuto anche strapparle via il sangue dalle vene, lei glielo avrebbe lasciato fare.
« Si, sto bene, sorellina » bisbigliò, alzando gli occhioni blu solamente per vederla alzare gli occhi di scatto dal libro che stava leggendo. O almeno che fingeva di leggere.
La fissò sorpresa.
« Sono felice che tu ti sia ripresa »
Bugiarda.
Infame bugiarda.
Daphne avrebbe lasciato che lei la pugnalasse, che le avesse strappato il cuore dal petto e pure gli occhi dalle orbite. Tutto, anche l’anima per lei. E sapere di essere stata tradita proprio da sua sorella le aveva strappato via ogni speranza.
Non c’era posto per lei nel suo cuore.
Non c’era mai stato.
« Asteria? » la richiamò, inclinando il capo e sporgendo il braccio verso di lei, che subito si aggrappò alle sue dita. La sua mano era fredda, come quel cuore che le batteva in petto.
Se buttarsi da un ponte l’avrebbe resa felice, Daphne l’avrebbe fatto. Avrebbe chiuso gli occhi e si sarebbe buttata di sotto, con un sorriso sulle labbra.
Se Asteria le avesse chiesto il mondo, lei glielo avrebbe portato. Non avrebbe esitato ad uccidere ogni essere vivente sulla faccia della terra e renderla un cratere fumante, solo tra le sue mani.
« Dimmi »
Se lei le avesse chiesto di lasciare Theodore… Daphne l’avrebbe fatto. Avrebbe lasciato andare via l’unico uomo che avesse mai amato, solo per lei. Solo per l’anima sua.
« Ti voglio bene » mormorò, dandole un bacio a schiocco sulla bocca umida.
Eppure non poteva fare nulla per lei. La sua scelta era stata quella: o lei o Daphne e non aveva scelta.
Sarebbe stata lei a stringerle le mani alla gola, a spingere fino a sentire le ossa scricchiolare. A spingere dove un tempo aveva accarezzato. A spingere fino a farle e farsi male.
Asteria sorrise, illuminandola interamente.
Lei aveva scelto. Aveva scelto di non volerla nella sua vita e lei non poteva fare nient’altro che aspettare.
Aspettare per ucciderla, quando avrebbe voluto solamente uccidere se stessa.
« Anch’io » replicò, dandole un delicato buffetto sulla guancia.
Theodore si sedette silenzioso alle spalle di Asteria, che si lasciò abbracciare da dietro.
Quella stanza non era mai stata così fredda, come i dormitori di Serpeverde a quell’ora di notte; senza Pansy e Millicent – chissà dove – sembrava spoglia e vuota.
I quattro letti erano in ordine, come gli stendardi verde-argento, i colori predominanti tra quelle quattro mura. Il caminetto rimandava un colore verdognole, mentre le fiamme sembravano tenersi per sé il loro calore.
Daphne si strinse le ginocchia al petto, tremando.
Anch’io.
Bugiarda.
Bugiarda infame.
Ecco cos’era.
Un infame bugiarda e la odiava.
Anch’io.
E la amava.

 
« Non sempre dalle ferite scorre sangue »

 
C’era silenzio in quella radura.
Fiori di ogni specie si muovevano allo stesso ritmo del vento, accarezzati ancora dalla pioggia caduta fino e poche ore prima.
Era in una campagna, si accorse.
Una campagna silenziosa, piena di alberi verdi e fiori sbocciati e sapeva di un passato che la portò a sorridere e mostrare i canini alla luna, che rimandò la sua luce su di lei, quasi impalpabile tra quei ciuffi d’erba alta.
« Sei venuta »
Anastasija stirò il vestito di maglia arancio che indossava, alzando gli occhi rossi sulla persona che era appena apparsa dinnanzi a lei. Le sembrava di guardarsi in uno specchio.
L’uomo che si era appena smaterializzato aveva la sua stessa faccia tirata, quasi stanca avrebbe detto se non avesse saputo che i vampiri non potevano essere stanchi.
« Vlad » mormorò lei, lasciando che lui prendesse una sua mano tra le sue e le baciasse le nocche.
Aveva gli occhi dal taglio a mandorla completamente rivolti verso di lei e i capelli biondi come il grano. La sua pelle granitica, però, invece di essere fredda come il ghiaccio era sorprendentemente tiepida.
« Allora? Mi aiuterai? » domandò Ana, a bassa voce, e lui sospirò, inclinando il capo.
Aveva le spalle larghe ed era alto, tanto da doversi abbassare di parecchio per guardarla bene in volto. Ed era bello, tanto da far mancare il fiato. Tanto da portarlo via, il fiato.
« Ti aiuterò » acconsentì, sorridendo nel sentirla rilassarsi sotto il suo tocco gentile.
« E cosa vuoi in cambio? »
Ora il silenzio divenne pesante e l’odore di Vlad, zolfo e fiori, divenne quasi prepotente, divoratore. Prese posto dell’ossigeno, del suo petto, della sua testa.
« Ti aiuterò a uccidere tuo fratello in cambio di te. La tua vita, il tuo sangue, questo e il mio prezzo, Anastasija Romanov » bisbigliò, arricciando le labbra e mostrando i canini in una pallida imitazione di un sorriso.
« Un matrimonio »
« Il nostro » annuì Vladimir Novikov, stringendo con ancora più forza la sua mano al petto.
« E sia » acconsentì Anastasija, serrando gli occhi quando Vlad – per onorare il patto – le baciava con dolcezza le labbra.
Si stava dando in pasto ad un uomo, quando si era ripromessa che non l’avrebbe mai fatto. Gli avrebbe messo la sua vita tra le mani e il sangue sulle labbra, nelle vene, per sancire un unione sacra per tutti i vampiri.
Se lui l’avesse tradita, lei sarebbe bruciata.
Se lui si sarebbe stancato, lei sarebbe morta.
« Domani notte »
Funzionava così, quando il partner si nutriva tramite un rito della propria compagnia. Questi sarebbero diventati una cosa sola, uno il cuore, l’altro l’anima. Uno il braccio, l’altro la gamba.
Sarebbero diventati l’uno parte dell’altra.
E lei, la notte successiva, avrebbe dato la sua vita a quell’uomo. Per Harry Potter. Per salvarlo.
Anastasija rise: sicuramente, Lily, sarebbe stata orgogliosa di lei… in fondo non era l’unica che si era sacrificata per il bambino sopravvissuto.
E ora, dalle sue ferite, sgorgava veleno.

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Capitolo 18
*** Capitolo XVII - Mors tua vita mea ***



Angolo autrice:

Come sapete dimentico sempre la fine… quindi lo metto all’inizio; questo capitolo è un po’ più lungo rispetto agli altri, ma ne sono abbastanza orgogliosa, quindi spero che vi piaccia e non vi deluda.
Come sempre, se volete spoiler, notizie e quant’altro sulle storie, potete aggiungervi qui e giuro che mi renderete la donna più felice del mondo!
Colgo l’occasione per ringraziare, ancora una volta, tutte le mie recensitrici – vi amo, donneh! – e anche le lettrici silenziose, che spero si faranno avanti per esprimere un loro parere.
Con questo vi lascio al capitolo, che spero sia di vostro gradimento.
Buona lettura!

 

Capitolo XVII –
Mors tua vita mea

 
A volte ti rendi conto che la tua vita è stata un infinito pozzo senza fine quando non vedi più un uscita, quando tutto ti sembra superfluo, quando il tuo tutto – scivolandoti tra le dita – diventa irrimediabilmente niente.
Draco, nella sua vita, aveva lottato tanto e per tante cose: la sua libertà, il suo libero arbitrio, contro suo padre, il Lord Oscuro… il suo stesso sangue; prima aveva creduto che solo il potere potesse avere importanza nella sua vita, poi aveva accantonato questo pensiero quando la morte non era più un immagine fugace, ma una vera e propria sicurezza.
Quando gli aveva voltato le spalle, suo padre – senza non scuotere il capo – aveva avuto l’abitudine di ripetere costantemente « Mors tua vita mea » perché era stato palese persino a lui che due Malfoy, in due fazioni opposte, erano di  troppo.
“Morte tua, vita mia”, era sempre stata quella la verità: la morte di uno dei due li avrebbe portati ad essere vincitori di quella battaglia. Vincitori di quel sangue che li aveva divisi fin dalla nascita.
Eppure… eppure ora quella vincita non aveva il sapore della vittoria; non aveva il retrogusto dolce del trionfo.
Draco – ora, in quel momento – sentiva solo un gran senso di amarezza e stordimento. Qualcosa che gli portò via il respiro e, in un soffio, anche l’anima.
“Morte tua, vita mia”, diceva. E ora la sua morte non faceva che trascinarlo con sé, in quella tomba che non aveva alcuna consistenza.
Alcun sapore.
Nessun sentimento.
« Mi dispiace tanto, signor Malfoy »
No, non era vero. A nessuno dispiaceva per Lucius, probabilmente molti avrebbero visitato la sua tomba di marmo nero solo per sputare sulla lapide, sulle uniche parole che lui aveva voluto incidere sopra per tutta la vita: “Pureblood” per non dimenticare.
Non un padre, un marito, un uomo, ma un purosangue.
« Anche per sua madre » asserì la Mcgranitt, stringendogli con timidezza una spalla e guardandolo attraverso gli occhiali dalla montatura leggera, ma inflessibile.
Già, chissà dov’era sua madre, in quel momento.
Stringendo le dita sul legno della scrivania di mogano, Draco impallidì: chissà se era ancora viva.
Sua madre risultava scomparsa e nella villa dei Malfoy, quella a Mayfair – dove il corpo di suo padre era stato ritrovato riverso al suolo senza vita, con una S stampata a fuoco sul petto trafitto – erano stati trovati segni di lotta.
Vestiti di seta liscia trovati fatti a brandelli, ciocche di capelli biondi come l’oro, mobili distrutti e una famiglia… rovinata. Una famiglia che aveva lottato contro il loro stesso ego, il loro stesso amore – a volte smisurato – troppe volte sacro.
L’amore che Narcissa aveva provato per Lucius, ancora una volta, l’aveva portata alla morte.
Anche lei aveva lottato contro di lui – per l’anima di quel figlio che ora non sentiva nulla –  ma Draco sapeva che il detto di suo padre non valeva per la donna che l’aveva cresciuto, amandolo con tutto se stesso.
No, nonostante Draco odiasse il rapporto che univa i suoi genitori – morboso quanto sacro – sapeva che… se sarebbe morto uno, l’avrebbe fatto anche l’altro; erano come un indicibile catena, stretta in una morsa e inseparabile a qualunque intemperie.
E con uno schiocco di dita, lui li aveva persi entrambi.
Era strano come un attimo prima credeva di avere tutto – persino il mondo tra le dita – e un millesimo di secondo dopo tutto gli scivolava tra le fessure, cadendogli ogni cosa di mano, indifferente, mentre tutto si rovesciava nel nulla che si era aperto sotto i suoi piedi. Nel vuoto che lo stava accogliendo dolcemente, come due braccia – quasi invitanti – ma frastagliate di ferro e ghiaccio.
Aveva perso, ancora una volta.
Contro suo padre, come sempre.
Per quel sangue che – ora – gli scorreva al contrario nelle vene, come sarebbe stato per tutto il resto della sua vita.
Quella volta suo padre aveva avuto torto. La sua morte non era stata una vittoria né una rinascita vera e propria.
La sua morte stava portando solo la consapevolezza che era sempre stato solo, ma ora era una constatazione. Ora era la realtà.
Non era solo perché lui gli aveva voltato le spalle, perché una causa li aveva divisi, ma perché c’erano… metri, metri di terra sulla testa di suo padre.
« Devo tornare a casa per organizzare i funerali » nonostante sentisse il fiele e la bile sulla punta della lingua – mentre la voglia di vomitare si faceva largo nel suo stomaco – la sua voce sembrò impersonale e fredda.
Completamente estranea al tumulto che gli scuoteva le membra, straziandogli la carne con morsi rabbiosi, increduli, marchiandolo con ira e dolore.
Draco annaspò, ciondolando il capo inespressivo, quasi senza vita e – gelando i presenti nella stanza – scoppiò a ridere freddamente, mentre stalattiti di ghiaccio gli gelavano il sangue.
Se lui aveva perso fin dall’inizio, dalla sua infanzia fino alla morte di suo padre, quest’ultimo aveva vinto anche nella morte.
Gli stava portando via il senno, la lucidità mentale, la felicità, quell’anima che aveva disprezzato fin dalla sua nascita.
« Certamente… » rispose la Mcgranitt, agitandosi sulla sedia, a disagio.
Il metallo di quegli occhi era un pozzo di gemiti e lacrime, gelo e disprezzo e lei non aveva mai visto nulla di simile.
Draco serrò lo sguardo: aveva vinto lui, perché – come aveva voluto fin dalla sua nascita – stava sotterrando il suo cuore insieme a lui.
« Andiamo con lui! » la voce di Blaise Zabini si sovrappose a quella della Mcgranitt e rovesciando il capo, Draco, sentì qualcosa spezzarsi dentro.
Da quando aveva degli… amici?
Tremò, stringendo i pugni fino a conficcarsi le unghia nei palmi, fino a farsi sbiancare le nocche e sentire le ossa della mano scricchiolare: da quando aveva degli amici? Da quando?
« Non potete! » sbottò la Mcgranitt, scandalizzata, fissando quel branco di ragazzi battaglieri sull’uscio della porta del suo ufficio.
Da quando aveva voltato le spalle a suo padre.
« Sì, che possiamo! Se Malfoy va via, noi andremo con lui » disse Harry, alzando il mento in modo arrogante e fissando la preside con la sua solita flemma, mentre veniva spinto di lato da… da una ninfa.
Draco, in vita sua, non aveva mai visto nulla di così magnifico e se ne compiacque, mentre il piacere si mescolava al dolore che trasformava il suo sangue in acido caldo.
Hermione – avvolta ancora dalla divisa scolastica – ignorò tutti e lo raggiunse, inginocchiandosi ai suoi piedi senza mai distogliere gli occhi dai suoi, senza mai interrompere quel contatto nefasto che li strinse inconsapevolmente.
« Il mio piccolo bambino biondo » sussurrò Hermione, gemendo quando lo sentì sobbalzare al richiamo della ninnananna che sua madre gli cantava da piccolo.
Aveva i suoi bei riccioli liberi sulle spalle esili e gli occhi bruni che – completamente avvolti dall’ambra dell’iride – sembravano pozzi di lava liquida, fissi nei suoi.
Draco, questa volta, la guardò disperato.
Quel legno che l’aveva difeso in tutti quegli anni da attacchi esterni ora gli si era bloccato in gola e non faceva altro che strappargli insensibile il respiro; sentiva un bozzolo di lacrime cercare di lottare per uscire, liberarsi, ma al contempo uno spesso strato di legno conficcarsi sempre più in profondità.
« Son qui con te, bel bambino biondo » bisbigliò, mentre lo studio della Mcgranitt cadeva nel silenzio più assoluto.
I quadri sembravano aver perso fiato e voglia anche solo di guardare quella scena, così intima da obbligare tutti loro di distogliere lo sguardo; dal quadro posto sul caminetto di pietra grezza, Silente si asciugò una lacrima sfuggevole, mentre i ragazzi si chiudevano a panino tra di loro, come a volersi proteggere.
L’aria era satura di dolore e lacrime, ma nessuno aveva il coraggio di singhiozzare liberamente e lasciare quel magone sciogliersi. Tutto era avvolto nel silenzio, nei gemiti presenti solo negli occhi bagnati di singulti.
Le poltroncine di puff rosso, il calore delle fiamme, la scrivania alle spalle dei due ragazzi, i muri di pietra… tutto perse consistenza, colore, sapore. Ogni cosa divenne una macchia indistinta di suoni, bisbigli, ansiti.
 « Son qui con te »
E allora Draco, per la prima volta in vita sua, da lucido, da uomo, da Serpeverde, si permise di crollare.
Da lucido, da uomo, da Serpeverde… e da Malfoy, scivolò di fronte ad Hermione, lasciando che la pietra si conficcasse nelle sue ginocchia – come lei – lasciò che un singhiozzo gli sfuggisse dalle labbra e che quella lava scivolasse lungo le sue guance.
« Va tutto bene, Draco. Va bene che tu pianga, sei umano. Un umano fatto di carne, ossa e sentimenti e va bene; non ti punire, piangi. Piangi finché vuoi » sussurrò al suo orecchio, con la voce dolce come la melassa, vischiosa come il miele, chiudendolo in un abbraccio che cercò di tenerlo integro.
E lo fece.
Da lucido, da uomo, da Serperverde, da Malfoy e da Draco, soffocò il volto nella spalla di Hermione, mordendola con forza senza che questa fiatasse; morse il maglione, la camicia, tremando nel sentirla piangere con lui… per lui.
Singhiozzò, mentre un singulto gli squassava lo sterno, la carne, le membra e le lacrime scivolavano come un fiume in piena sul suo volto, quasi come se – adesso che le aveva liberate – non volessero fermarsi più.
E pianse, mentre Hermione lo cullava dolcemente, stringendoselo al petto come un bambino bisognoso, come da piccolo faceva sua madre quando il mondo diventava troppo grande persino per lui, un piccolo principino.
Pianse, fino ad essiccarsi gli occhi.
Urlò, fino a sentire la gola prudergli e la voce mancargli.
E la strinse, fino a sentire le ossa scricchiolare e farsi da parte per accoglierla, per imprimere ogni sua forma dentro di sé.
« Va tutto bene » continuava a dire, accarezzandogli i capelli e baciandogli la tempia, mentre Draco ne dubitava fortemente.
Sentiva solo il dolore cercare di sotterrarlo, di colpirlo con forza, di farlo soccombere… mentre lei lo teneva per mano e non gli permetteva di scendere, ma solo di risalire e annaspare nelle sue stesse lacrime.
Ma urlò ancora, aggrappandosi con le unghia alla schiena di Hermione, che non fiatò.
Urlò sempre più forte, graffiandola per non cadere, per non lasciarsi afferrare da quella mano grifagna che cercava di… ucciderlo, renderlo ancora una volta vuoto.
« Non sei solo, non sei solo » cantilenò e – trattenendo il fiato – Draco sentì una mano sul braccio.
Blaise lo guardava con sicurezza, con i suoi occhi neri duri come la pietra; strinse la sua presa e lo tenne, come Hermione « Non sei solo » disse, ripetendo le parole di Hermione.
Non sei solo, ripeté l’amico con lo sguardo, fissandolo intensamente.
E, in un attimo, si ritrovò circondato: pilastri su pilastri si accalcarono attorno a lui, tenendolo in piedi, salvo, integro, un sol pezzo.
Theodore, Pansy, Daphne, persino Potter si affianco ad Hermione, seduto sul pavimento con le gambe incrociate e lo sguardo nel suo. E, sorprendentemente, quello fu il pilastro più duro e resistibile tra tutti quei sguardi.
Perché… perché quegli occhi verdi gli assicurarono che sarebbe passata, non ora, ma presto.
Perché Harry – che ci era già passato, su tutto, su troppo – gli assicurò che avrebbe fatto meno male, presto.
« Presto » lo rassicurò con voce roca, come se gli avesse letto nel pensiero.
E quello fu il pensiero che lo cullò fino a chiudere gli occhi e abbandonarsi – sfinito – contro il corpo di Hermione.
Presto.
 
Il giorno dopo, varcare le soglie di Malfoy Manor fu come essere sbalzato dietro nel tempo, quando la paura di entrare da quel portone di mogano scuro era così tanta da farlo tremare dall’interno.
I pavoni erano spariti e lo zampillio della fontana al centro dello spiazzale aveva cessato di scorrere; tutto era immobile, persino i corvi avevano terminato di gracchiare al suo arrivo alla tenuta.
Eccola, casa sua.
Maestosa e imponente come il suo padrone, tetra e scura come il cuore raggrinzito che l’aveva costruita; avvolta da una cappa oscura di nuvole cariche di pioggia, la struttura stile ottocento gli ricordava che le sue origini lo avevano allontanato da tutto.
Persino dall’essere un essere umano.
A tenergli la mano, alla sua destra, c’era Hermione; era calma, nella sua espressione non si leggeva nulla che non fosse la preoccupazione che nutriva nei suoi confronti. Sembrava non ricordare il giorno in cui era stata trascinata lì e torturata come carne da macello, ma Draco sentiva ancora le sue urla rimbombare tra le mura di marmo rosato, i suoi gemiti nascosti dietro la schiena di sua madre, la risata isterica di sua zia Bellatrix e il tremolio convulso delle spalle di suo padre.
Alla sua sinistra, Blaise gli strinse una mano sulla spalla, cercando di infondergli coraggio.
Oppure di dirgli che compiangere un padre che nella sua vita non aveva fatto che distruggere quella degli altri non era un errore. Draco non lo sapeva, non voleva nemmeno saperlo, in realtà.
Straordinariamente riusciva a ricordare solamente le cose buone di lui, di come quando era piccolo e lui cercava di viziarlo in tutti i modi possibili; strappando un sorriso a se stesso, ricordò quella volta che aveva cinque anni e gli aveva chiesto un unicorno.
Prima gli aveva tolto ogni speranza, esclamando un « impossibile! » poi ricordò che una settimana dopo, messo in una gabbia dalle sbarre dorate – come quella che l’aveva rinchiuso per tutta la sua vita – c’era un unicorno meraviglioso, che nitriva spaventato a chiunque cercasse di avvicinarsi.
Aveva speso più di quattordicimila galeoni per averlo e Draco ricordò che la sua eccitazione era così grande che lo aveva abbracciato stretto, urlando un « grazie papi! ti voglio benone! » strappandogli anche un sorriso.
Le enormi vetrate del maniero erano state coperte da pesanti tende di velluto viola, mentre ogni mobile era stato coperto da lenzuola di seta bianca, come a voler ricordare che quel maniero era disabitato, ma conservava ancora il tenore di vita di chi l’aveva abitato per tantissimi anni.
Alle sue spalle, Harry chiuse la fila delle persone che erano entrate con lui, cercando di non sbattersi il portone impotente alle spalle.
Alla fine erano riusciti a convincere la Mcgranitt ad assentarsi quattro giorni da scuola, per supportare Draco nell’organizzazione del funerale di suo padre, non senza qualche moina e minaccia di scappare lo stesso da Hogwarts per seguirlo.
Sembrava passato un secolo dalle partite di poker nella torre e le sfide con Potter, il rincorrersi con Hermione, il rimproverare Blaise. Sembrava una vita lontana, che non gli apparteneva, come se l’avesse sempre vissuta attraverso un binocolo.
« Un brandy? » rovesciò appena il capo sulla spalla per guardarli ad uno ad uno e tutti annuirono, seguendolo attraverso la sala d’ingresso.
Attraversarono un corridoio lungo e spoglio, che si illuminava – tramite le lanterne – man mano che avanzavano; attraversarono parecchie porte di mogano scuro, fino all’ultima del corridoio, che Draco aprì lentamente, con un cigolio.
« Togliete i lenzuoli dai divanetti e sedetevi » mormorò, entrando in una stanza ampia e buia, da una moquette rosso sangue e un lampadario a grandi gocce di cristallo; Draco si diresse verso la vetrinetta di legno scuro e afferrò una bottiglia di whiskey incendiario e brandy invecchiato di dieci anni, mentre nessuno osò afferrare i lenzuoli per scoprire i mobili d’alta fattura: i ragazzi si sedettero sulla moquette, fissandolo silenziosi.
« Scusate per i mobili, ma il ministero dopo la fuga di mio padre ha coperto tutto » disse, richiamando i bicchieri di cristallo con un incantesimo di appello.
Erano in cerchio e si guardavano e Draco si beò del loro silenzio; la cosa che apprezzava di più – in quel momento – era che nei loro occhi scorgeva dolore, dispiacere, ma non pietà.
Draco non l’avrebbe sopportato. Tutto, ma non la pietà o la compassione.
« Ricordi quando Lucius comprò le scope a tutta la squadra di Quidditch a Serpeverde? » disse Pansy all’improvviso, facendo sogghignare Harry.
« Ed Hermione smontò l’eccitazione di Draco con un “almeno nessuno della squadra Grifondoro si è comprato l’ammissione” ? Quel giorno era così furioso che quasi distrusse la sua stanza » rise Blaise, scuotendo il capo e facendo sogghignare i due soggetti della questione.
« O quella volta che ci inseguì con il bastone perché azzoppammo il suo cavallo da corsa? » abbozzò Theodore, al ricordo della corsa frettolosa e delle risate che avevano riempito la cavalleria di Malfoy Manor.
Draco ricordò quell’episodio con una risata a fondo gola, mentre Hermione osservava preoccupata le sue occhiaie e l’incarnato più pallido del solito.
« Beh, anche se pezzo di merda… un padre è un padre, quindi un brindisi a lui! » Harry Potter alzò il bicchiere di cristallo ricolmo di brandy e lo fissò seriamente, occhi negli occhi.
« Ad un padre!  » dissero tutti in coro, seguendo il gesto del moro.
Ingollarono il brandy tutto d’un sorso, rabbrividendo per il contenuto forte della bevanda.
Chissà… chissà se il corpo di sua madre sarebbe mai tornato indietro o i Santi l’avrebbero tenuto come monito per chi avesse osato contrastarli.
L’aspettativa di non vederla più, di non potere più bearsi del volto dolce e fiero di sua madre, gli attorcigliò le viscere; perché? Perché gli avevano portato via anche lei?
Avevano spezzato la sua famiglia come niente, piegandola come nemmeno Lord Voldemort aveva saputo fare.
Draco sogghignò, scuotendo il capo disperato. No, il Signore Oscuro sottovalutava l’amore di una famiglia, il bene che si prova per qualcuno di così visceralmente importante da portarti a morte certa.
I Santi… i Santi erano stati dalla parte del bene, una volta e sapevano. Eccome se sapevano. Avevano fatto leva sull’amore e stavano spezzando tutti, senza alcun scampo.
« Il funerale si terrà fuori dalla tenuta, nel cimitero alle spalle del Maniero. Non voglio nessuno in questa casa, rimarrà così com’è… vuota » prese parola, fissando un punto precisato dinnanzi a sé.
« Quando – e qui sbatté le ciglia un paio di volte, per ricacciare indietro le lacrime – quando mi riporteranno il corpo di mia madre, il funerale si terrà nella serra. Era il suo posto preferito della casa » mormorò, versandosi un altro bicchiere di brandy.
Hermione sospirò, accarezzandogli una guancia « Tua madre è viva. Ne sono sicura » bisbigliò, sospirando nel sentirlo scuotere il capo.
Blaise incontrò il suo sguardo e le mimò di non preoccuparsi, come se fosse facile.
« Penseremo noi alle missive e al resto dell’organizzazione, tu non preoccuparti e dì solo come vuoi come si dispongano gli addobbi » disse Pansy, mentre Harry serrava appena la mascella nel sentirla usare un tono accondiscendete e sottomesso, come era solito usare mesi prima in presenza di Malfoy.
« Fate le cose in grande, sono sicuro che avrebbe voluto così » mormorò sconfitto, scostando le mani di Hermione da sé e uscendo dalla sala, lasciandoli soli.
Blaise crollò sulla moquette, devastato da quella giornata.
« Non guardarlo in quel modo, Potter. Era suo padre » sbottò Theodore, alzando la voce e guardando Harry, che spostò gli occhi smeraldini – privi di qualsiasi sorta di espressione – sul volto furioso di Nott.
« Non lo sto guardando in nessun modo » rispose, facendo serrare le labbra ad Hermione, che strinse gli occhi e la bocca in una smorfia.
« Basta, smettetela! » sbottò, zittendo entrambi.
Theodore chiuse la bocca spalancata in un ringhio feroce – probabilmente per dare una risposta altrettanto arrabbiata – e la fissò come un animale in gabbia.
« Lucius Malfoy sarà stato anche un Mangiamorte, ma amava suo figlio… come ogni padre su questa terra; Draco sa cos’ha fatto e ha odiato ritornare qui, dove siamo stati torturati e quasi uccisi, ma non riesce ad odiarlo, quindi smettetela.
Harry, mi dispiace contraddirti, lo sai, ma Theo ha ragione; era suo padre, sangue del suo sangue, carne della sua carne ed è inevitabile che lo ami, come è inevitabile che soffra per la sua morte.
Noi l’abbiamo conosciuto come nemico… lui – prima ancora che si rivelasse tale ai suoi occhi – l’ha conosciuto come l’uomo che gli ha dato la vita, che l’ha cresciuto e amato.
Quindi smettetela, non fate che farlo soffrire ancora di più! Draco sembra quasi sentirsi in colpa per soffrire una morte che è normale che soffra  » e con questo zittì veramente tutti, che abbassarono il capo sulla moquette, colpevoli.
L’unico che si permise di scivolare contro il muro e sorridere fievolmente – nascosto tra lo stipite della porta e la porta stessa – fu Draco.
Che gli succedeva? Ultimamente sembrava che l’unica che riuscisse a capirlo, a farlo sentire umano e tremò. La consapevolezza che oramai il suo mondo girasse attorno a lei era così tale da fargli mancare il respiro.
Cos’era? Cos’era quella stretta al cuore quando lei non gli era vicino? Oppure il sangue che defluiva al contrario quando lo era troppo? Si sentiva così vuoto di se stesso e così pieno di lei da non riconoscersi.
Com’era possibile? Hermione gli era entrata così sotto pelle da diventare tutt’uno con lui. Da respirare con lui, per lui e oramai riusciva a vedere solamente lei davanti a sé.
Nient’altro. Nemmeno uno spiraglio di buio o di un'altra luce.
Solo… lei.
« Che tu ci creda o meno, fa questo effetto » Draco aggrottò le sopracciglia quando si ritrovò Ronald Weasley a pochi passi da lui, con il volto imbarazzato ricoperto di lentiggini.
Si lasciò scivolare a pochi metri di distanza e con un sussurro disse « Muffliato » depositando poi la bacchetta alla sua destra e fissandolo con le labbra strette.
« La Mcgranitt mi ha avvisato solo ora che eravate tutti qui » mormorò, guardandosi attorno con gli occhi rivolti al passato.
“Hermione, Hermione” A Draco quasi sembrava di risentire le urla di Weasley dalle prigioni, disperate, addolorate, rabbiose. I calci contro le sbarre, i singulti… tutto era così chiaro e vivido nella sua mente che gli sembrava di essere sbalzato nel passato.
« Sei venuto a deridermi, Weasley? » sussurrò Draco, alzando gli occhi su di lui solo per un millesimo di secondo, prima di ritornare a guardare un punto imprecisato davanti al muro.
« Per quanto tu sia un bastardo… no, non sono venuto qui per questo. So’ quant’è difficile organizzare un funerale e pensavo che avreste avuto bisogno di un aiuto » disse, con una smorfia sulle labbra pallide e sottili.
Già, Weasley aveva perso suo fratello, nell’ultima battaglia.
« Passa. A volte avrai gli incubi, altre ti chiederai perché a te, perché lui. Certi giorni ti sentirai rassegnato, altri giorni il fiato ti mancherà così tanto da farti temere di non potercela fare.
E non preoccuparti, per la maggiore ricorderai le cose più stupide, che magari avevi rimosso dalla mente » gli spiegò, come se gli avesse letto nella mente.
Draco continuò a non muovere un muscolo, tantomeno disse qualcosa.
« Altre volte pregherai e griderai “perché lui e non me?” e probabilmente Hermione ti prenderà a schiaffi, urlandoti di non dire mai più nulla del genere.
Farà male, così male che – all’improvviso – la morte ti sembrerà solo un dolce sonno, per quanto violenta possa essere. Il dolore te lo porterai dentro, per sempre, ma prima o poi l’accetterai e vivrai più tranquillamente » continuò, lasciando che le ciglia rosse gli ricoprissero lo sguardo di fiordaliso.
Lasciando che le ciglia ricoprissero il dolore che racchiudeva tutto nelle iridi, nel cuore.
« Ma la vita è così, ti da qualcosa e te ne strappa un'altra e… e a te non ti resta che guardare e limitarti a sopravvivere » finì, allungando le gambe davanti a sé e appoggiando la zazzera rosso carota al muro.
« La ami ancora? » quelle parole uscirono dalle labbra di Draco prima che potesse fermarle e si maledì.
Salazar, si ritrovava a casa sua, seduto sul pavimento a discutere con Weasley sul dolore di perdere una persona… e finendo per domandargli cosa provasse per Hermione.
« Quando la lascerai le urlerò “te l’avevo detto”, perché di un Serpeverde non ci si può fidare… figurarsi di un Malfoy » sogghignò Ron, spalancando gli occhi e mostrando – in un fugace sorriso blando – una fila di denti bianchi come perle.
Draco continuò a non assumere espressioni di sorta.
« Se continuerai a starci insieme, probabilmente, le urlerò “ti farà del male, lascialo!” perché di un Serpeverde non ci si può fidare, figurarsi di un Malfoy » continuò, alzando gli occhi al soffitto e stringendo le mani a pugno.
« Ma lei si fida e ama Draco, non Malfoy, e io mi limiterò solamente ad essere felice con lei, per lei » sussurrò, passandosi una mano sui pantaloni neri e consunti che indossava.
« E la amo, chiunque la ama, Malfoy. Basta guardare il suo sorriso, i suoi capelli indomiti per amarla e venerarla. Basta sentire le sue parole per difendere anche il più spregevole dell’uomo, per adorarla.
La amo… ma domandati questo: chi non lo fa? » rise Ron, scuotendo il capo per le sue stesse parole.
Parole veritiere, Draco lo sapeva.
Il sangue di Hermione Granger poteva anche essere il più sporco sulla faccia della terra, ma valeva oro zecchino.
Valeva oro colato, come lei.
« E lascia perdere tutto e tutti, il treno della felicità passa una sola volta, quindi perché perderlo? Lei è speciale… e ama a modo suo. Ama in un modo speciale, in un modo viscerale, che ti strappa anche l’anima, quindi lascia perdere, Malfoy.
Il tuo sangue non potrà mai essere più importante di Hermione, non quando ti entra dentro e diventa parte di te » e dicendo quello si alzò, spazzolandosi la polvere dai vestiti e stampandosi un sorriso sul volto allampanato.
« Condoglianze » finì, entrando nella stanza con un insolita calma.
Incredibile, persino Weasley aveva capito quello che Potter non aveva voluto capire.
Ma se Harry era ancora troppo accecato da quello che Lucius gli aveva portato via, Ronald era sopraffatto dal dolore di ciò che aveva perso e… capiva.
Ed era strano – ridicolo – accorgersi di amare una persona ad un funerale di una persona a te cara.
Era morboso accorgersi di non poter vivere senza quella persona al funerale di tuo padre, riverso su un pavimento polveroso a chiacchierare di lei con il suo ex fidanzato.
“Hermione, Hermione… guarda che mi porti a fare” pensò, socchiudendo gli occhi e rilassandosi quando sentì il suo profumo avvolgerlo.
Hermione, come il giorno prima, si inginocchiò davanti a lui e lo strinse, aggrappandosi alle sue spalle come un ancora di salvezza. Anche se lo era lei. Anche se lo era sempre stato lei.
Non glielo avrebbe mai detto, l’avrebbe fatta piangere, disperare. Si sarebbe fatto amare, venerare e lei sarebbe stata sua anche tra le lacrime e il dolore, anche se faceva male solo respirare.
Ma l’amava e questo era tutto ciò che gli restava.

 

***

 
I funerali di Lucius Abraxas Malfoy si tennero una mattinata uggiosa di febbraio e pochi portarono il suo saluto, quel giorno.
Il retro di Malfoy Manor era cupo, ma spazioso: sembrava contenere più di duecento loculi e tutti erano maestosi, scuri, avvolti da rampicanti fioriti e angeli in preghiera.
Una distesa verde di parecchi ettari, silenziosa e stretta da ogni tipo di fiore e piante, veniva adombrata dal recinto di ferro battuto delle cancella del Manor, quel giorno aperto ai pochi familiari rimasti in vita, agli amici di famiglia e a conoscenti.
E – proprio al centro – un magipastore guardava una tomba nera ai suoi piedi, recitando a voce alta il rito.
Parlava, parlava, ma non ne diceva una giusta.
Tra quattrocento persone che Pansy aveva inviato la missiva della celebrazione del funerale, ne erano presenti solo dieci e questo diede a Draco molto su cui riflettere; tutti sapevano le circostanze in cui suo padre era defunto e nessuno se n’era dispiaciuto.
Le persone che avevano detto a gran voce di rispettare suo padre si erano tirate indietro, erano sparite, e allora Draco sapeva: Lucius si era comprato ogni cosa, persino lo sguardo ammirato che le persone gli rivolgevano prima della grande guerra.
E ora si trovava lì, sorretto dal suo bastone, poggiando di peso il suo corpo sul pomello placcato d’oro che più volte suo padre aveva fatto roteare, completamente senza forze; non mandava giù niente da giorni, oramai, ed era debole come non mai.
Ma non diede mai la soddisfazione a quelle persone di vederlo piangere e soffrire; altero come un principe, con gli occhi di ghiaccio fissi sulla scritta “Pureblood”, marchiata a fuoco su quel marmo nero.
Un angelo di due metri, che dal volto inespressivo fissava il cielo, assomigliava terribilmente a sua madre e Draco – sgomento – non poté impedire di lasciarsi sfuggire un gemito; suo padre poteva considerarsi un bastardo, un uomo senz’anima, ma era inutile che lo negasse: aveva amato sua madre più di qualsiasi altra cosa.
Aveva fatto creare per lui quella statua anni prima, quando era appena iniziata la guerra, e Draco riconobbe quell’espressione in quella del ritratto di Narcissa nel salottino da tè.
Era completamente placcata d’oro e un delicato sorriso le addolciva i lineamenti, mentre avvolta in quello che era un vestito lungo e modesto era inginocchiata sulla tomba di suo padre.
Perché lo proteggesse.
Perché lo perdonasse.
Un leggero venticello portò via le parole del magipastore, che in quel momento stava pronunciando le ultime parole del rito « Cenere alla cenere » mormorò, mentre Hermione si aggrappava alla sua mano e nascondeva il viso nella sua spalla, coperta da un completo nero di ottima fattura.
« Polvere alla polvere » e qui Blaise gli strinse il braccio, alzando orgogliosamente il mento contro i bisbigli di quelle poche persone che erano presenti.
Pureblood”
Per non dimenticare.
« In alto le bacchette »
Quel giorno uggioso di febbraio, solo nove persone alzarono le bacchette al cielo e non furono quelle invitate, ma gli amici di Draco Malfoy, compreso Harry Potter, il suo acerrimo nemico.
Nessuno salutò l’anima di Lucius Malfoy, mentre una magia incontrastabile volava alta nel cielo ed esplodeva in miliardi di luci, che si accasciarono sulla tomba nera.
Pureblood”
Per non dimenticare.
La bara fu calata e il magipastore depositò la terra sul loculo con un colpo di bacchetta.
Draco lanciò un ultimo sguardo alla statua e poi alla bara. Ecco cosa aveva portato la sua ossessione per il sangue e il potere.
Pureblood”
E nessuno aveva dimenticato.
 
Dall’altra parte del paese, mentre Draco Malfoy compiangeva la morte di suo padre, due occhi rosso cremisi si aprirono nel buio e due canini bianchi come perle brillarono sinistri tra quegli alberi secolari.
Vladimir Novikov fissò soddisfatto la fascetta dorata che gli brillava all’anulare sinistro, accarezzando con lo sguardo i diamanti d’oro bianco incastonati nell’oro giallo dell’anello. Finalmente, finalmente in quella fede c’era scritto quel nome.
Aveva aspettato cento lunghi anni prima di poter mettere le mani su Anastasija Romanov… e ora era sua.
E suo fratello, che tanto l’aveva disprezzato e minacciato di starle lontano, gliel’aveva offerta su un piatto d’argento, solo per ucciderlo.
Quant’era strana e contorta la vita, pensò divertito.
Alekseij Romanov aveva temuto – fino e cento anni prima – che potesse sfiorare la sua piccola e adorata sorellina e ora l’aveva sposata solo perché doveva ammazzarlo come un cane.
« La vendetta è dolce » soffiò, fissando la tetra dimora che si ergeva dinnanzi ai suoi occhi.
Circondato da edere velenose e fiori mascherati, Vlad alzò lo sguardo sulle torrette svettanti di quel castello apparentemente diroccato; erano bravi a nascondersi, ma il puzzo di morto era inequivocabile. E lo sentiva alle narici come se si stesse decomponendo sotto il suo naso.
« Alek, Alek, Alek » sospirò, sorridendo divertito ed ignorando i graffi che delle spine arcuate gli stavano procurando alla gamba.
Probabilmente se fosse stato un essere umano, sarebbe morto per avvelenamento in men che non si dica.
« Cento anni a combattermi e ancora devi imparare a non lasciare la puzza dei tuoi cadaveri in giro » mormorò, spiccando un balzo di tre metri e arrampicandosi contro un balconcino di pietra scura, che quasi si sgretolò sotto il suo peso. Con le ginocchia piegate attutì il colpo.
Le vetrate decorate raffiguravano santi in preghiera e se ci fosse stato un crocifisso appeso all’entrata del portone di mogano, Vladimir avrebbe pensato ad una chiesa abbandonata.
« Tanto vale » sbuffò, colpendo con un pugno la vetrata.
I santi gli erano sempre stati sulle palle con quell’aria di compatimento.
Con l’ennesimo salto atterrò in una saletta circolare, ignorando il cigolio che le scarpe nere producevano sul vetro infranto; le pareti rosso sangue gli ferirono lo sguardo, ma si abituò in tempo per poter osservare i divanetti di pelle nera completamente ribaltati, il parato distrutto – a suon di magia, probabilmente – e le tele di alcuni quadri completamente districate dalle loro cornice.
Sembrava essere passato un tornado di lì e nemmeno un fiato si udiva tra quelle mura.
Troppo silenzio.
Avanzò fino a toccare il pomello d’ottone della porticina di mogano e uscì in quello che sembrava un labirinto: un corridoio immenso seguiva un'unica linea dritta e a destra e sinistra non c’era un unico spazio libero. Tutte porte. Miliardi di porte.
Scalpiccii, sospiri, gemiti.
Che diavoleria era mai quella? Dov’era finito?
« Cazzo » sibilò, rendendosi conto che avrebbe dovuto andare a naso se voleva ricavare qualcosa di utile.
Socchiuse gli occhi cremisi e con un dito si toccò la tempia, dove un ciuffo di capelli biondo grano gli sfiorava la fronte piana; ora la puzza di morto era così forte da fargli venire la nausea.
Sempre ad occhi chiusi s’incamminò nel corridoio, mentre scie immaginarie – date da odori su odori – lo guidavano ad una sola strada: quella che sapeva irrimediabilmente di morto.
Superò parecchie porte e le sue scarpe non producevano il singolo rumore sulla moquette nera.
Poi… la bile gli salì in un modo così prepotente in gola da costringerlo a fermarsi: spalancando gli occhi si ritrovò davanti una porta più piccola delle altre, ma blindata.
« Umani » sospirò, scuotendo il capo e premendo i polpastrelli contro l’acciaio e il ferro della porta. Sospinse di poco e questa cominciò a cedere lentamente, quasi arrovellandosi su se stessa.
Assottigliando gli occhi – e cominciando anche a spazientirsi e maledire sua moglie – mollò un cazzotto che aprì letteralmente un varco davanti a se; infilando il braccio all’interno riuscì a far scattare le catene che la tenevano rinchiusa con così tanta scrupolosità.
« Merda » fu l’unica cosa che gli uscì dalle labbra quando la porta si aprì sotto i suoi occhi.
Non vedeva uno scempio del genere da… da mai, a dire il vero; le pareti, il pavimento, le finestre, era tutto macchiato di sangue, come se fosse passato un tritacarne da quelle parti. L’odore era così nauseabondo che dovette tapparsi il naso con la giacca di velluto nero.
« Vada via… vada via! Se… se arrivano la uccidono » bisbigliò una vocina, attirando la sua attenzione.
Una donna, appesa al contrario contro un muro, lo guardava con aria spaesata e disperata, affannando con il petto completamente nudo. La veste che indossava era lacera e scopriva la sua carne martoriata in più punti.
I capelli biondi ricadevano come una cascata davanti ai suoi occhi, ricoperti completamente di sangue rosso, come il suo viso graffiato, mutilato, colpito più volte.
« Chi sei? » mormorò Vlad, avvicinandosi quel tanto da poterla guardare negli occhi azzurri come il cielo. Uno era stato strappato con forza dall’orbita.
« Narcissa Malfoy » sussurrò, tremando quando alcune voci rimbombarono nel corridoio.
Vlad si guardò velocemente attorno: non c’erano finestre da quelle parti né altre fessure dove avrebbe potuto afferrare quella umana e portarla lontana da lì; non che sua moglie gli avesse detto di salvare qualcuno, ma sicuramente avrebbe apprezzato il gesto umanitario.
« Narcissa Malfoy, io sono Vladimir Novikov e ho sposato una rompiballe » sbuffò, strattonando le catene e stringendole con così tanta forza che si scardinarono dal muro: alcuni pezzi di soffitto crollarono insieme alle viti che la tenevano sospesa a mezz’aria.
La donna crollò tra le sue braccia, completamente senza forze, e dall’odore di sangue e le ferite fresche dedusse che non doveva essere lì da molto e senza nemmeno esercitare molta fatica se la caricò in spalle, dove la sentì rilasciare un sospiro.
« Hogwarts. Devo andare ad Hogwarts » disse e lo sguardo di Vladimir s’illumino: allora stava salvando un pezzo grosso!  
Sua moglie sostava in quel castello di maghi e se quella Narcissa voleva essere portata lì significava che la conosceva.
Bene, si era guadagnato una notte di sesso violento con sua moglie.
« Giù le mani, Novikov! » un ruggito furioso fece spuntare un sorriso sulla bocca morbida di Vlad, che assaporò quel momento con un lungo brivido di aspettativa.
Di solito si diceva che la vista del nemico è insopportabile, ma Vlad accarezzò con lo sguardo i lineamenti di Alek, che erano una maschera furiosa.
« Che diavolo ci fai qua? » urlò Romanov, con gli occhi spalancati e ticcosi, fissandolo con odio profondo.
E Vlad assaporò ancora più a fondo quando disse – con soddisfazione - « Tua sorella voleva tastassi il territorio » mormorò con voce carezzevole, poggiando delicatamente il corpo di Narcissa Malfoy alla sua destra.
Alek era solo ed era quello il problema di quell’uomo: era una macchina da guerra, fin quando non veniva accecato dalle emozioni.
Umano, troppo umano, proprio come sua sorella.
« Che centra Anastasija? » bisbigliò Alek, assottigliando lo sguardo pericolosamente, mentre una sensazione di orrore si faceva largo nel suo petto.
« È mia moglie » e come a voler rafforzare il concetto, con un sogghigno alzò la mano che portava la fede d’oro, quasi come un trionfo.
Quasi come una coppa d’oro.
Aveva vinto.
« Tu… » alitò Alek, sentendo le mani tremare.
« Io, dopo cento anni, sono riuscito a prendermi quello che mi apparteneva, Romanov.
La profezia parlava chiaro, lei è sempre stata mia, sempre! » sibilò, stringendo la mascella così forte da sentire i denti scricchiolare pericolosamente.
Aveva vinto, dopo lunghi cento anni aveva finalmente vinto.
« Lei non ti appartiene e non ti apparterrà mai » soffiò Alek, mentre uno strano ghigno si dipingeva sulla bocca di Vlad, che socchiuse gli occhi rossi.
« “Quando il sangue reale finalmente ti apparterrà, rinascerai e il tuo nemico cadrà” ti dice niente? Me l’hai tenuta lontana solamente perché avevi paura che quel nemico fossi tu, non perché tenevi così tanto a tua sorella » disse, mentre un ruggito scaturiva dal petto di Alekseij, che lo fissò furioso.
« Lei è mia »
Vlad assunse una smorfia disgustata a quelle parole, gemendo fuori di se quando comprese realmente quelle parole.
« Dio Santo… è incesto! » mormorò, indietreggiando inconsapevolmente alla portata morbosa del sentimento che Alek provava per la sua Ana.
« Perché credi che l’abbia trasformata? Quando la nostra famiglia è stata sterminata nella rivoluzione e lei è stata rapita, ci ho messo mesi prima di riprendermi e trovarla.
Era stata fatta prigioniera, completamente alla mercé di quelle persone disgustose che la torturavano giorno e notte, continuamente.
Ma lei era stata mia umana e non poteva morire, lasciandomi solo; lei era un imperatrice e sarebbe vissuta come tale… al mio fianco.
Lei è mia e lo sarà presto, senza o con quella fede » disse Alek, sicuro di se come non lo era mai stato.
Ecco perché Anastasija si era allontanata da lui ed ecco perché lui stava facendo di tutto per distruggere Harry Potter e i suoi amici, alleandosi con i nemici di Ana.
Voleva prima annientarla e poi… prenderla con sé.
« Sei disgustoso » ribatté Vlad, senza stupirsi più della pazzia del suo nemico.
Ecco perché aveva preso quella profezia sul personale, allontanandolo da sua sorella per cento anni.
Ecco perché.
« “La maledizione sarà nulla e il protettore marcirà” » continuò a ricordare Vlad, mentre la profezia di Cassandra continuava a scorrere nella sua mente come una cascata.
« “Il suo amore malato soccomberà e quello puro vincerà” » finì Alek, guardandosi le unghia con un sogghigno.
« Va all’inferno! » sputò Vlad e lo scontro con lui fu micidiale, simile allo scontro frontale di due camion: il fragore fece tremare le fondamenta e i loro petti stridettero collidendo uno contro l’altro.
« Dopo di te » sibilò Alek, mordendogli con forza una spalla e strappandogli un pezzo di carne con i denti.
Il volto di entrambi divenne una maschera d’orrore: gli occhi rossi erano spalancati in egual modo e l’iride si sciolse lentamente lungo le loro guance pallide, simile all’acciaio; i loro canini divennero zanne lunghe venti centimetri ed erano coltelli pronti a mutilare, uccidere.
I capelli si ritirarono dal cranio, lasciando il capo scoperto e nudo, mentre le loro unghia si affilavano, allungavano, quasi simili a spade acuminate.
Narcissa si rannicchiò nel suo angolo, ascoltando ciondolando su se stessa i loro gemiti, i rantoli, ignorando gli schizzi di sangue che continuarono a macchiarla, rendendola ancora di più irriconoscibile.
Vedeva con un solo occhio.
Le grida, i sospiri, il suono della carne che viene trapassata – straziata – e quello delle ossa che vengono spezzate, era tutto lì, e continuava a ronzarle attorno come una continua e terrificante nenia.
Vlad spezzò una gamba ad Alek e affannò quando questo trapassò il suo stomaco da parte a parte, mettendolo in ginocchio « Oppure ci andremo insieme, trascinandoci dietro anche la piccola Anastasija » sogghignò al suo orecchio, prima di lussargli una spalla.
Vlad urlò, piegandosi su se stesso.
« A forza di apparire codardo e sfuggirti per il resto della mia misera vita da immortale, non lascerò che tu le metta le mani sopra anche all’inferno » sibilò al suo orecchio, prima di mozzargli letteralmente il braccio destro con i denti e facendolo quasi impazzire di dolore.
E non mentiva: quando lo vide abbastanza sopraffatto da non riuscire ad alzarsi dal pavimento, afferrò nuovamente Narcissa di peso, infilandosi nella stessa stanza dov’era atterrato nemmeno mezz’ora prima.
Sangue nero come le ali di un corvo zampillava al suo passaggio come una lunga scia di morte e atterrare nuovamente sullo spiazzato di prima fu un sollievo.
L’aria fresca gli accarezzò il volto e stringendo la donna a sé si smaterializzò lontano da lì, lasciandosi risucchiare da fiamme violette e verdi, atterrando ai piedi di un cancello maestoso, mentre luci lontane gli suggerivano che era arrivato dove voleva.
Hogwarts.
 
 
Le luci dell’infermeria erano tutte accese, nessuna esclusa; un bisbiglio pacato si udiva oltre l’ultimo paravento a destra accanto all’entrata e Draco si muoveva come un animale in gabbia.
Sua madre. Sua madre era lì ed era viva.
Era viva.
Tutto il dolore, lo stress accumulato quel giorno si sciolse, facendogli temere un collasso. Il suo cuore batteva così forte nel suo petto che sembrava voler balzare fuori e, alzando appena gli occhi grigi, incontrò lo stesso sguardo turbato di Anastasija.
« Ah, maledizione! Mi molli, mi molli! Sono un vampiro, cazzo, non ho bisogno di essere curato » la voce rimbombante di un uomo risuonò tra le mura e Draco si ritrovò a guardare lo stesso uomo che aveva portato sua madre lì, ad Hogwarts, lontana dai Santi.
Aveva un buco non indifferente nello stomaco ed era completamente ricoperto di sangue. Guardava come un felino pronto ad attaccare quella santa donna della Chips, che non ci pensò due volte a mandarlo al diavolo.
« Grazie a Dio si è tolta dalle palle! » sbottò, riavviandosi i capelli biondi con un gesto secco della mano e catalizzando poi l’attenzione su di loro.
« Ciao » pigolò a voce bassissima, sbattendo civettuolo le lunga e angeliche ciglia quando lei si alzò come una furia da dov’era crollata quando l’aveva visto arrivare quasi fatto a pezzi.
« Ciao? Ciao? » sbraitò e Draco si tappò le orecchie con le mani chiuse a coppa, mentre un leone dai capelli biondo\rossicci spingeva con una spallata il marito lontano da sé.
« Tu, brutto bastardo, mi ritorni sulla soglia mezzo morto… e mi dici “ciao”? » urlò incredula ed Hermione si chiese chi diavolo era quell’uomo. Lo vide stropicciarsi le mani come un bambino e abbassare lo sguardo come se fosse stato rimproverato dalla madre.
« Tuo fratello non ci va alla leggera » sbuffò, ciondolando in avanti quando lei ringhiò, come un animale ferito.
« Lo so perfettamente, per questo ti avevo chiesto una ricognizione, Vladimir! Non ho detto “va lì e fatti ammazzare come un cane”, ma va lì e scopri qualcosa che ci possa aiutare. Deficiente! » sputò velenosa, facendolo alzare gli occhi al cielo.
Harry aggrottò le sopracciglia, chiedendosi perché se la stesse prendendo così tanto.
« Senti, la puzza di sangue era nauseabonda e quando ho scoperto che quella Narcissa ne era la fonte, non sono riuscito ad andarmene come nulla fosse! Andiamo, era più morta che viva. La stavano facendo a pezzi » asserì serio e Anastasija crollò nuovamente seduta accanto a Draco, che era sbiancato a quelle parole.
« No, perdonami… hai fatto bene a salvarla » mormorò, distogliendo lo sguardo dal suo quando lo sentì inginocchiarsi ai suoi piedi.
Vlad le accarezzò l’interno del polso lentamente, disegnando ghirigori immaginari e macchiandola di sangue.
« So che sei preoccupata per la tua vita, visto che ora è irrimediabilmente legata alla mia, ma non mi farò uccidere, Ana. Conosco tuo fratello da più di cento anni e conosco i suoi punti deboli come i suoi punti di forza » bisbigliò, strusciandosi come un gatto e facendola arrossire.
Dio, quell’uomo era sesso allo stato puro. Anche solo quando la guardava accendeva un fuoco in lei che non riusciva a spiegarsi ed era… meraviglioso, ecco. E Ana sapeva che era il sangue di lui che le scorreva nelle vene a renderlo così irresistibile e amabile ai suoi occhi, ma non proprio non riusciva a pensare ad altro.
Anche solo a stargli lontana.
« Perdonami, mi sono fatta prendere dallo spavento » si sforzò di dirgli ed Hermione sbiancò quando adocchiò le fedi uguali alle dita di entrambi.
« Oh, santo Merlino… mai voi siete sposati! » urlò, alzandosi di scatto e fissando entrambi con la bocca aperta a palla.
La Mcgranitt fucilò entrambi con un occhiata.
« Oh, ma guarda! Non ho mai visto un umana così carina » cinguettò Vlad, guadagnandosi un calcio nella tibia da parte di sua moglie e un occhiataccia da Draco.
« La mia umana » sibilò a bassa voce, facendo sorridere Hermione.
Ana stava per aprir bocca e spiegare la situazione, quando qualcosa andò storto: un gemito agonioso si levò alla loro destra e – girando tutti quanti il capo – videro a rallentatore la testa di Harry abbassarsi incredula sul pavimento e Pansy riversa al suolo.
Harry cadde in ginocchio, spalancando gli occhi quando un urlo fece scoppiare tutti i vetri dell’infermeria, facendoli saltare uno dopo l’altro.
I ragazzi urlarono, coprendosi le teste con le mani e ferendosi con i pezzi di vetro, ma lui no, rimase immobile e senza fiato.
Pansy rantolò e un rivolo di sangue le uscì dalla bocca, di un denso color vermiglio.
« Pansy… » bisbigliò, afferrandole con forza un polso e tremando nel sentirla urlare sempre più forte, mentre il suo corpo si scuoteva con forza sul pavimento di pietra grezza.
Si dibatteva, gemeva, urlava e… impallidiva.
« Pansy! » strillò Harry, afferrandola per le braccia quando lei balzò a sedere, annaspando in cerca d’aria.
La camicetta… la camicetta sotto le sue dita si sciolse letteralmente, come a contatto con l’acido, e una macchia rossastra cominciò ad allargarsi sullo sterno, poco sopra il seno che si alzava e abbassava per la fatica di respirare.
Una “S” marchiata a fuoco cominciò a prendere forma sulla sua pelle diafana, suscitandole altri singulti e dibattiti, mentre Harry assistenza allibito senza poter far nulla per fermare quello scempio.
Urlava come se la stessero scorticando viva, come se quel dolore fosse troppo grande per essere supportato da un corpo così esile.
E quando crollò tra le sue braccia, senza forze, con la bocca attaccata al suo collo, la “S” spiccava maligna, come impressa con un tizzone ardente.
« Cazzo! » gemette Blaise, che aveva la camicia strappata più in punti per la forza dell’esplosione delle vetrate.
« Santo Salazar… Pansy! » disse Draco, accorrendo accanto il corpo dell’amica e inghiottendo a vuoto quando ricordò il dolore che aveva patito quando quello scempio era toccato a lui.
Le toccò la fronte, era bollente.
« Potter, dobbiamo… » gemette, quando lui lasciò andare Pansy tra le sue braccia e si alzò, ciondolante.
Aveva gli occhi verdi contratti in un espressione strana, quasi senza vita, ma così consapevole da togliergli quasi il respiro; scosse più volte il capo e risucchiò l’aria tra i denti.
« Harry? » lo richiamò anche Hermione, indietreggiando quando lo vide chiudere e riaprire i pugni di scatto, come preso da uno strano tic nervoso.
Harry non rispose, ma s’incamminò fuori dall’infermeria, spalancando i portoni con un solo sguardo: attorno a sé cominciò ad addensarsi una nuvola nera, tossica, che fece gemere persino Vladimir, incredulo.
« Harry! » urlò Ron, ma era troppo tardi: aveva varcato le soglia dell’infermeria e si era incamminato sul corridoio opposto.
Sentiva i suoi passi rimbombare tra i muri, i quadri borbottare al suo passaggio, ma era tutto lontano. Tutto troppo lontano. I suoni gli arrivavano ovattati e piedi si muovevano da soli, come in trans.
La voce di Lord Voldemort gli risuonava nelle orecchie in una costante e continua nenia, simile al sibilo di un serpente. Lui lo sapeva, l’aveva sempre saputo « Tu sei uguale a me, Harry Potter » diceva e in quel momento capì perché.
Sentiva così tanta rabbia scorrergli nelle vene da poter commettere un omicidio a sangue freddo e non pentirsene.
« La vendetta, Harry, ti ha reso l’anima nera come la mia… l’unica differenza, è che la tua è ancora integra » continuava, divertito, quando giocava con la sua mente come al gatto con il topo.
Salì sulla torre e il torpore di quella che oramai era diventata la sua casa lo investì a pieno: i libri sparsi sul pavimento, i vestiti rimasti sui divanetti, il caminetto scoppiettante e le bottiglie lasciate ad ogni angolo erano la prova vivente che nessuno di loro doveva mettere piede lì dalla morte di Lucius Malfoy.
Tutti tranne lei.
Harry sogghignò quando Theodore alzò lo sguardo su di lui e lo stesso fece Asteria, sorpresa « Harry! È successo qualcosa? Sembri stravolto » disse, sbarrando gli occhi quando lui le volò direttamente addosso con un urlo rabbioso.
Strinse le mani sulla sua tiroide, spingendo i polpastrelli sulla gola e strappandogli letteralmente il fiato.
Gemette, disperata, mentre i ragazzi affollavano la Sala e rimanevano senza fiato davanti a quello scempio.
« Da… Daphne! » rantolò, fissando sua sorella con gli occhi disperati.
Daphne non mosse un muscolo dalla sua postazione sull’uscio della porta e allora Asteria spalancò lo sguardo, inorridita.
Loro sapevano.
« Sono stanca dei tuoi giochetti, Asteria, ci siamo intesi? Ora tu apri la tua bella boccuccia e mi dici tutto quel che sai o giuro che morirai qui, in questo istante, come il cane rognoso che sei! » sibilò Harry, al suo orecchio, con un tono così velenoso che le fece ghiacciare il sangue nelle vene.
Draco la guardò dall’alto in basso con disgusto e passò una fialetta ad Harry, che lo guardò sorpreso « Veritaserum » spiegò e il ragazzo dalla cicatrice a forma di saetta sogghignò, afferrando con una mano la mandibola di Asteria e costringendola ad aprire la bocca.
Lei si disperò, scalciò, cercò di buttarlo lontano da sé, ma quel livido le scivolò giù dalla gola e tutto perse di consistenza, colore.
« Avanti, parla. Che diavolo avete intenzione tu e quei maledetti dei Santi? » ringhiò Harry, mentre Theodore raggiungeva Daphne e la copriva dallo sguardo di Asteria, che ciondolò inerme il capo prima di rispondere.
« Al sorgere della luna nuova attaccheranno Hogwarts, per sterminare Serpeverde ed Harry Potter, che ha osato tradirli per la causa » pronunciò atona, confermando le parole di Anastasija nemmeno pochi mesi prima.
« Una ventina di vampiri, una decina di mannari e quaranta tra maghi e streghe » continuò, facendoli sbiancare ad uno ad uno.
Cazzo, ma erano una frotta!
« Chi sono i traditori in questa scuola? » domandò Ron, affiancando l’amica e fissandola con disgusto malcelato.
« Brown, Grifondoro e Abbott, Tassorosso » li allibì, facendoli guardare nelle palle degli occhi, increduli.
« La Brown ha perso suo padre l’estate scorsa e odia i Weasley. La famiglia Abbott è stata sterminata nel pieno della seconda guerra magica » continuò, facendo arrossire Ron alla zona orecchie.
« Ci mancava solo l’ex amante mezza pazza di Weasley » sbuffò Draco, guadagnandosi un occhiataccia proprio da quest’ultimo.
« Oh, ma sta zitto » sibilò, scuotendo il capo.
« Come avvengono questi attacchi? » domandò Theodore e qualcosa si contrasse nelle iridi di Asteria, prima che tornassero docili e vuoti.
« Un incantesimo che ci ha insegnato Romanov. Di solito li scaglio io o la Abbott. La Brown non ne è in grado » spiegò, mentre Harry serrava ancora più forte le dita attorno la sua tiroide, assottigliando gli occhi smeraldini.
« Perché? Perché? » sputò a pochi centimetri dal suo viso, fissandola con rabbia.
« La perfezione mi da la nausea. Mia sorella è così contenta di essere il centro del mondo di chiunque che non si è mai accorta che sangue del suo sangue – in realtà – non è nemmeno figlia del suo stesso padre.
È così presa da se stessa e la sua perfezione che ignorarmi la divertiva persino… pensa di poter essere superiore, superiore a me. Ma questa volta l’ho superata d’astuzia » sussurrò, con tono spettrale.
Daphne socchiuse gli occhi, tremando impercettibilmente.
Da quello sguardo capì che ora veramente non c’era via d’uscita, se non la morte di una delle due.
Mors tua vita mea, era quella la verità.
La morte di uno delle due, per la vittoria.
Per la vita.

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Capitolo 19
*** Capitolo XVIII - Always ***


Capitolo XVIII –
Always

 

 

 
Ad Annalisa, che è un tormento”

 
 
Blaise Alexander Zabini poteva considerarsi l’uomo più sfortunato sulla faccia della terra.
Sì, signori e signore: a diciassette anni, dopo aver intrattenuto relazioni prettamente omosessuali, aveva fatto per la prima volta in vita sua sesso con una donna… e l’aveva messa incinta.
Ma questo non era tutto, Mrs e Miss! Oltre averla messa incinta, lei aveva ben cinque fratelli maschi. E non era ancora finita, Monsieur e Madame!
Oltre averla messa incinta e i cinque fratelli maschi – senza contare il padre –  lui era odiato cordialmente da tutta la famiglia, che vantava un animo pacifista e questo era tutto dire.
Perché Serpeverde era già tanto, ma Zabini era troppo!
E ora, a distanza di pochi giorni –  dopo averlo scoperto, si ritrovava nell’ufficio della Mcgranitt, con un attacco di nervi, panico e ansia, l’incarnato malaticcio e una lettera inviata ai parenti di lei per invitarli nell’ufficio della preside per discutere di una questione urgente.
E lui era morto.
Il piccolo Zabini sarebbe nato sfortunatamente senza padre, ucciso dalla famiglia di sua madre. Torturato, evirato come un cane e infine ucciso e buttato in una fossa comune, giusto per sfregio finale.
E addio al suo bellissimo volto, il suo corpo statuario, il suo carattere meraviglioso… « Porco Salazar, Blaise! Smettila, mi stai facendo innervosire » sibilò Ginny, fulminandolo con i suoi occhi nocciola contratti.
Hm, non era comunque da scartare l’ipotesi che sarebbe stata proprio la madre ad ammazzare il padre del piccolo – o piccola – visto che più incazzata di così non esisteva donna sulla faccia della terra.
« Prenda un biscotto » borbottò la Mcgranitt, che quando aveva saputo per poco non se l’era mangiato, urlandogli contro improperi che da una preside – per etica e morale – non sarebbero dovute uscire.
Poi si era calmata ed era sbiancata al pensiero di dover affrontare i signori Weasley e una Zabini, ponderando persino l’ipotesi di dover usare la magia per proteggere il suo studente; Ginevra più di essere avvelenata – prerogativa della signora Zabini – non avrebbe corso altri pericoli.
« Non voglio un biscotto, ma un armatura » pigolò Blaise, terrorizzato.
La Mcgranitt gli scoccò un occhiata dura, ignorando le risatine bastarde di Silente e Piton alle sue spalle, che si sganasciavano al pensiero di potersi godere una scena del genere solo come spettatori.
« Ci pensavi prima di fare quello che hai fatto! » sbraitò, facendolo sobbalzare sulla sedia e diventare più cianotico.
Nella sua… nella sua rispettabilissima scuola era successo quello; precauzioni per non lasciare entrare i ragazzi e le ragazze nei dormitori dell’altro, le ronde dei Caposcuola e dei Prefetti, l’occhio sempre vigile e costante e… – maledizione – si ritrovava una studentessa incinta.
Era rovinata. E il padre del bambino morto.
Semplice e diretto.
Blaise piagnucolò di nuovo e lei scoccò un occhiata d’avvertimento a Ginevra, prima che lo zittisse veramente a suon di cazzotti: altro che mogli picchiate dai mariti, quel giorno – la piccola Weasley – era un vera e propria belva.
« Non è stata colpa mia » singhiozzò isterico e Ginny si chiese dove fosse finito l’uomo sensuale e violento che più di una volta l’aveva sbattuta al muro, facendo con lei del fantastico sesso.
« No, infatti io ho fatto s… » iniziò, furibonda, prima di venire bloccata da un urlo apocalittico della Mcgranitt, che si alzò di scatto dalla sua poltrona.
« Non osi finire quella frase, signorina Weasley!
Oltre incinta – ne sia certa – si ritroverà anche sospesa! » ululò la preside, prima di accorgersi che aveva sganciato una bomba senza volerlo.
I signori Weasley erano appena apparsi nel camino e – a quelle parole – se Arthur svenne, stramazzando al suolo, Molly divenne così cianotica che Ginny temette un infarto.
« Mamma… » mormorò Ginny, ma la donna – con le labbra strette in una linea sottile – bloccò le sue parole sul nascere; scosse la testa, aprì la bocca e la richiuse.
Inspirò e aspirò lentamente, poi – con un colpo di bacchetta – e sempre in religioso silenzio, rialzò suo marito dal pavimento su cui era stramazzato e lo fece adagiare su una poltroncina appena smaterializzata dalla Mcgranitt.
Ginny cominciò a contare alla rovescia, socchiudendo gli occhi e storcendosi le mani nell’attesa che sua madre – invece – le storcesse il collo.
Blaise tremò.
« Innerva » e con un colpo di polso, la matrona, risvegliò il marito.
Arthur prima annaspò, poi si guardò attorno confuso e infine sembrò ricordare, perché ridivenne cianotico « Oh no » bisbigliò, coprendosi il volto con entrambe le mani.
« Oh » ribatté invece Molly, con una voce che stridi in modo preoccupante.
« No » sbottò l’uomo, levandosi le mani dalla faccia e guardando la figlia come a voler cercare conferma o aiuto.
« E invece sì! » e via con un urlo alla Banshee che fece accapponare la pelle a Blaise.
Molly – la furia – Weasley, si voltò verso la figlia con due occhi simili a fanali e l’espressione simile a quella di una iena. Ginny sbiancò e Blaise si rannicchiò sulla poltrona.
« Ginevra Weasley! – e qui tremò persino la Mcgranitt – come hai osato? » sillabò, artigliando le dita e chiazzando il viso di rosso per la rabbia.
« Come è potuto accadere? Noi ci fidavamo di te e tu ci hai deluso enormemente! » strillò, senza notare il labbro inferiore di Ginny tremare violentemente.
« Solo quest’anno compi diciassette anni e già aspetti un bambino! Come farai con lo studio? Come lo manterrai? » continuò a sbraitare, quasi facendosi venire un coccolone.
« Sei solo una bambina » sospirò anche Arthur, sbarrando gli occhi quando si accorse che stava per succedere.
E – infatti – due secondi dopo, Ginevra Molly Weasley scoppiò a piangere, aggrappandosi alla camicia di Blaise in modo disperato e singhiozzando sulla spalla del moro.
« Ginny… andiamo, non piangere! » borbottò Blaise, accarezzandole i capelli e ignorando insistentemente gli occhi dei due genitori della ragazza puntati addosso.
La Mcgranitt tossicchiò e Silente si lasciò sfuggire una risata, zittita Piton, che alzò gli occhi al cielo.
« No! Lo sapevo, non ci vorranno mai! » si disperò, buttandogli le braccia al collo e inzuppandogli la camicia di lacrime.
Blaise le diede qualche colpetto sulla spalla « Ma dai, su! Non è così » borbottò, burbero e Molly sospirò, crollando seduta accanto al marito con una mano sulla fronte.
« Ah, Ginny! Non dire sciocchezze. Sei nostra figlia è normale che ti vogliamo! » sbuffò Molly e Ginny – in un attimo – le volò tra le braccia, come quando era bambina.
Sua madre sapeva di vaniglia e casa. Di madre e dolcezza. Di perdono.
« Io non posso, mamma; non posso togliermi questo bambino e non voglio » singhiozzò, scuotendo il capo e lasciando che sua madre le accarezzasse dolcemente i capelli rossi, la fronte tiepida e le guance bagnate.
Molly sorrise, baciandole la tempia come a volerla rassicurare.
« Ne abbiamo uno in arrivo possiamo occuparcene anche di due! » rise, in fondo rincuorata dal fatto che la sua famiglia si sarebbe allargata ancora di più.
« Oh, ma… non c’è bisogno. Io posso prendermi cura del bambino e anche di lei » disse Blaise e sganciò la seconda bomba.
Katelyn Zabini era appena apparsa anche lei nel camino e – proprio come Arthur – stramazzò al suolo; il padre di Ginny, invece, si limitò a sbiancare « Io credevo che… credevo che fossi sola » balbettò, mentre Molly afferrava burbera la donna svenuta e la faceva sedere al suo posto.
« Non essere sciocco, Arthur! » disse la matrona, mettendosi le mani sui fianchi e guardando il ragazzo di sua figlia con occhio critico.
Analizzò la pelle scura, i capelli neri, le mani da pianista e… l’espressione terrorizzata; ridacchiò, divertita.
« Io sono Molly Weasley, ragazzo e credo che d’ora in avanti mi vedrai molto spesso » rise, allungando una mano nella sua direzione e aggiungendo un « non mordo, tranquillo » come se fino a qualche minuto prima non avesse urlato come un indemoniata.
« Piacere » bisbigliò, prima di urlare e balzare letteralmente dalla sedia quando un incantesimo gli sfiorò l’orecchio.
Katelyne Zabini si erse in tutto il suo metro e ottanta, fissando il figlio indignata e allibita « Tu » sillabò, storcendo la bocca carnosa in una smorfia.
Blaise inghiottì a vuoto, nascondendosi dietro le spalle della sua specie di suocera, che sospirò.
« Blaise Alessandro Martinez Zabini! » e quando usava anche il suo cognome da nubile, erano guai.
Gli occhi verdi di Katelyne si assottigliarono pericolosamente, ma non osò lanciare un altro incantesimo con la donna come scudo; si limitò a scuotere la criniera dai folti capelli neri e a fissare il figlio con rabbia.
« Vieni fuori, ora! » strillò, mentre Arthur e Ginny incassavano la testa nelle spalle.
« Mamma, ti prego! » piagnucolò Blaise, aggrappandosi alle spalle di Molly.
Katelyne allargò le narici e queste fremettero.
« Ora! » sibilò velenosa e il ragazzo – come un condannato a morte – si fece alla destra della sua “futura” suocera.
« Mamma, io… » Blaise cercò di parlare, almeno spiegarsi, ma – con un sorriso affabile che non prometteva nulla di buono – sua madre gli puntò nuovamente la bacchetta contro.
« Experlliarmus! » e boom, il ragazzo fu lanciato dietro le spalle della Mcgranitt da un fascio di scintille rossastre.
Katelyne si sedette nuovamente, veleggiando nel suo vestito di tulle rosso.
« Ora mi sento molto meglio » sospirò, afferrando un biscotto allo zenzero e ignorando le maledizioni della preside, che la maledisse in tutte le lingue del mondo.
« Ti sembra il modo? » sbraitò l’anziana,  appoggiando delicatamente il corpo di Blaise accanto a Ginny e chiedendosi cosa avesse fatto di male per meritare tutto ciò: tre persone svenute in una sola mezz’ora. Un record.
Nemmeno quando aveva avvisato la morte di Mirtilla i genitori della ragazza avevano reagito in quel modo. Incredibile.
« Non mi offri un tè, Minerva? » cinguettò la donna, posando gli occhi di giada su Ginny, che ricambiò diffidente.
La preside annuì, muovendo prima il polso e mormorando un “Innerva” contro Blaise e poi servendo del tè nelle tazzine di porcellana ai suoi ospiti.
Molly si sedette accanto al marito, centellinando la sua bevanda; conosceva solo di fama la signora Zabini e naturalmente era bella come le era stato descritto. Ma non gelida e apatica come dicevano, questo era certo.
« Sei tu la poverina che si è fatta incastrare, allora? » mormorò e quando Ginny annuì, Katelyne sospirò, scuotendo il capo.
« Mi dispiace per te » ridacchiò e Ginny scoppiò a ridere, accarezzandosi il ventre con una dolcezza che fece salire le lacrime agli occhi a sua madre.
« Non è così terribile, signora; Blaise è un gentiluomo e si è assunto tutte le responsabilità… anche se credo che tra lui e il bambino che nascerà non so’ chi sarà più immaturo » disse serena e Katelyne rise, annuendo.
« In effetti mio figlio è molto fanciullesco » sospirò, sogghignando quando Blaise incontrò il suo sguardo di soppiatto e divenne nuovamente cianotico.
« Lei sa’ tutto? » domandò con tono imperioso e Blaise si sciolse, capendo perché aveva reagito in quel modo.
Sua madre temeva che aveva messo incinta Ginny apposta, per non essere giudicato da… beh, da quello che era « È bella » mormorò, fissando sua madre intensamente e facendo arrossire Ginny.
« Un osso duro, si piega, ma non si spezza. È un tornado, mamma.
Travolge con la sua allegria e i suoi modi di fare ed è intelligente, astuta, ma anche gentile. Lei sa odiare come sa amare » sussurrò Blaise e per un attimo sembrò parlare a se stesso.
Si, pensò.
Era quello il motivo per cui era stato attratto da lei, nonostante fosse l’unica.
« È un fuoco che brucia e non si spegne e sono stato con lei perché adoro i suoi capelli rossi e le lentiggini sul suo volto; adoro quando mi guarda e sembra capirmi, intendermi, leggermi » e qui spostò lo sguardo sulla ragazza, che gli sorrise ancora.
Si, ripeté mentalmente.
Non era stato il desiderio di piacere agli altri, di non essere diverso… lei lo aveva rapito quella notte alla Torre e lo aveva fatto in un modo così abile da non fargli capire nulla, da attrarlo come una falena alla luce.
« Solo Merlino sa’ poi quanto la adori quando s’impunta e cerca di non piangere, perché è forte e lei sa’ di esserlo. Non lo so, mamma, non lo so se è amore, non so nemmeno perché quando lei mi è così vicina sento di stare apposto.
Al mio posto e sento che è giusto così.
È lei il mio posto » sussurrò, tendendo la mano a Ginny, che la afferrò a volo.
Una sola volta era stato innamorato di una donna, ma quella volta era diverso: Ginny era passione di vivere e di farlo sempre a testa alta.
Non sapeva perché sentiva il suo corpo accendersi quando lei lo stringeva, anche solo quando imitava il suo ghigno e rideva.
« Alla tua età è normale provare confusione, voler provare sempre cose nuove. Tu non sai se questo è amore, ma da come lo descrivi… lo sembra » mormorò sua madre, con gli occhi lucidi, mentre Ginny appoggiava la fronte alla sua.
Le loro dita si intrecciarono e sembrarono incastrarsi alla perfezione, come quel puzzle che si ricostruiva lentamente.
Blaise non sapeva se la sua omosessualità era stata confusione o altro, ma era certo che le gambe di Ginny, il suo seno che si schiacciava contro il proprio torace e i suoi gemiti, erano tutto ciò che lo mandava in rovina, con il cervello in fumo.
Ginny accostò la fronte alla sua e Molly si soffiò rumorosamente il naso, facendo ridere Katelyne.
« Non sappiamo se è amore. Ma anche tu sei il mio posto » bisbigliò lei, baciandolo di volata sulle labbra prima di staccarsi e ridere.
Silente si asciugò una lacrima di volata e Piton mimò di ficcarsi due dita in gola.
Sì, era quello era il loro posto.
« Famiglia Weasley\Zabini… bah, non suona così male » borbottò Katelyne, ammiccando verso suo figlio.
“Come no” pensò Silente, divertito a suo modo.
« Abbiamo da fare » bisbigliò con fare cospiratore e – afferrando Severus per la collottola della mantella nera – se la defilò per i quadri dei vecchi presidi, uscendo dall’ufficio per il quadro delle streghe di Salem, che salutarono cinguettanti.
« Perché non mi lasci in pace, Silente? Pure morto devo subirti? » sbraitò Severus Piton, che si lasciava trascinare con un broncio che, in vita, lo aveva marchiato come “musone”, il modo in cui lo chiamava Lily quando frequentavano ancora Hogwarts.
« Il giovane Harry ha bisogno del nostro aiuto! » cinguettò il vecchiaccio, facendogli battere la testa contro la ghigliottina della prima regina d’Inghilterra, che li salutò tutta compita dalla sua pozza di sangue.
« Ancora? » sbottò, chiedendosi perché dovesse subirsi il moccioso anche da un maledetto quadro.
Era una tortura!
Il vecchio camminò ancora in un quadro che raffigurava un giardino fiorito, la tavola rotonda dei Cavalieri di re Artù, si ritrovò a salutare pure Morgana, che li cacciò di malo modo e finalmente si ritrovarono in un ritratto di natura morta, nell’infermeria.
« Harry, figliolo » mormorò e Severus finalmente lo notò: era seduto accanto ad un lettino e aveva i gomiti poggiati sulle ginocchia e il volto tra le mani.
Era sempre più simile a suo padre.
I capelli neri e sconvolti, ribelli, il naso dritto e poco appuntito, la mascella spessa – ora accarezzata da un filo di barba. –
Poi alzò gli occhi verso di lui e vide i suoi occhi.
Erano di sua madre.
« Professore » salutò cordiale, storcendo la bocca in un sorriso.
Anche le labbra erano quelle di Lily: sottili, con l’archetto a forma di cuore.
« Come stai, Harry? » domandò Silente, bonario.
L’infermeria era vuota e puzzava ancora di medicine e stantio; le finestre erano aperte e filava appena un leggero venticello. Harry accarezzò un vaso dai motivi floreali su un treppiedi accanto il comodino del letto di Pansy e sospirò.
« Potrei stare meglio » ammise, mentre Severus si chiedeva che diavolo ci faceva al capezzale di una Serpeverde. Di quella Serpeverde.
« Hai traviato i miei studenti migliori » sibilò all’orecchio del vecchio, che rise.
Draco con la Mezzosangue, Blaise con la piattola e ora quello. Sbagliava o il mondo si era capovolto da quando era morto?
Silente e le sue idee di merda!
« Ma tu non eri innamorato della Granger? » soffiò, facendo sbiancare lo studente, godendo poi nel vederlo arrossire e diventare simile ad un pomodoro.
Harry balbettò imbarazzato e Silente si lasciò sfuggire una risatina, mentre Piton sghignazzava bastardamente.
« Credo che Hermione continuerà a fare parte di me. Lei è un amica, una sorella e una madre; lei è la mia forza e la mia voglia di andare avanti, di combattere sempre per le cose giuste.
Amo ogni cosa di lei, perfino il suo modo di essere puntigliosa » rise Harry, abbassando il volto su Pansy e accarezzandole con dolcezza la mano inerme.
« Ma so’ quando arriva il momento di lasciare andare qualcuno e per me è arrivato il momento di lasciarla andare; se… insisterei, se continuerei su questa strada, non farei altro che ferirla » mormorò e Silente annuì, guardandolo con tenerezza.
Harry non distolse mai lo sguardo da Pansy.
« E lei? » domandò Piton, fissandolo dall’alto con alterigia.
Silente lo guardò di sottecchi, soddisfatto: ecco perché aveva portato con sé Severus, perché anche se era duro e inflessibile, era diretto e semplice.
Harry sbuffò.
« È capricciosa, viziata, lamentosa. Non sorride quasi mai, sa’ solo ghignare e sembra quasi che capisca quel che senta solo guardando le mie espressioni.
È vendicativa, sciocca, frivola, a volte anche cattiva; mi offende, mi mette al mio posto e mi da’ dell’idiota » elencò, facendo spalancare la bocca di Piton come quella di una iena, ma prima che potesse aggredirlo – e dirgli di guardarsi allo specchio – lo bloccò con una mano.
Harry sorrise, baciando le nocche della ragazza, quasi in segno di riverenza.
« Ma è forte e debole nello stesso istante, quasi uno scoglio pronto a sgretolarsi, anche se non lo ammetterebbe mai.
È orgogliosa e subdola, ma ha un sorriso che scioglierebbe anche i ghiacciai.
Lei è una miserabile, proprio come me, ma a differenza mia sputa sugli altri e continua ad andare avanti, superiore.
Si preoccupa degli amici, anche se non lo mostra ed è bella » disse, sorridendo divertito.
Lei era una maledetta miserabile, proprio come lui, ma lei sapeva andare avanti a testa alta. E aveva due piccole mani meravigliose, come i suoi occhi d’ossidiana.
Sì, Hermione Granger sarebbe stata per sempre la sua amica, sua sorella e anche sua madre, ma Pansy Parkinson era l’amante perfetta e un connubio delizioso tra fragilità e forza. Armonia e passione.
Ed era sua, pensò Harry, orgoglioso.
Sua, quando lo baciava e gli strappava lucidità e raziocinio.
Sua, quando lo accoglieva dentro di sé fino al punto di rottura, fino a non sentire nient’altro che lui, beandosi dei suoi respiri, dei suoi gemiti e abbeverandosi del suo ossigeno. Rendendolo suo.
« Vado a vomitare » borbottò Severus, beccandosi una gomitata da Silente.
« Purtroppo è la stessa cosa che avrebbe detto lei » sghignazzò Harry, riavviandosi i capelli neri.
« Mi conosci così bene, Potter » sospirò una voce flebile, facendolo sobbalzare.
Pansy aveva aperto gli occhi e lo guardava divertita, con i capelli scompigliati e la bocca tesa in un sorriso.
« Mi sottovaluti » rispose Harry e lei spostò lo sguardo sulla mano che lui teneva tra le sue.
« Aspettavo che ti svegliassi » si giustificò, cercando di sciogliere la stretta.
Pansy rise e strinse le dita attorno alle sue, guardandolo maliziosa.
« Grazie per i complimenti, Potter. Sei sempre così gentile » disse soave ed Harry arrossì vagamente e lei sembrò apprezzare, perché – come aveva fatto lui poco prima – gli baciò le nocche.
« Nessuno l’ha mai fatto » bisbigliò Pansy, riferendosi al bacio sulla mano e al fatto che lui la conoscesse così bene.
Nessuno era mai andato così oltre.
Lei non era così interessante o affascinante, questo Draco non aveva mai mancato di farglielo notare; aveva il volto schiacciato e la voce trillante. A lei non piaceva leggere – affatto – e i discorsi seri la annoiavano.
Harry sembrò leggergli nel pensiero, perché sorrise.
« È questo il bello » disse, facendo spallucce e passando un dito tra le sue sopracciglia corrugate.
« Non tutto deve essere un mortorio. E tu stai bene così come sei » borbottò.
Ecco, lei era l’esatto opposto di Hermione, ma sapeva essere abbagliante ugualmente.
E a lui piaceva.
Piaceva esattamente così.
 
Dall’altra parte del castello, invece, Vladimir sbuffò, incrociando le braccia al petto e fissando sua moglie con un cipiglio duro e severo.
« Se ti dico no, è no » sbottò, facendo spalancare un ghigno da iena sul volto di sua moglie.
« Oh, andiamo, Vlad! » cinguettò, strusciando il suo nasino contro la guancia dell’uomo, che mise su’ un broncio bambinesco, fissandola.
« Tuo fratello ti vuole e metterti nel bel mezzo della battaglia non mi sembra la miglior cosa » berciò, furioso, mentre lei si sedeva a cavalcioni sulle sue gambe e faceva le fusa come una gatta.
Vlad espirò a fatica, mugugnando qualcosa di incomprensibile.
« Ma ci sarai tu a proteggermi » pigolò a bassa voce, lasciandogli un dolce bacio a fior di labbra sulla bocca.
Vladimir le scoccò un vado sguardo d’avvertimento con gli occhi rossi, ricordandole che anche il suo auto-controllo aveva un limite. Ana si limitò a ridacchiare come una bambina, allacciandogli le braccia al collo.
« E poi prima di sposarci mi avevi promesso niente “marito padrone” » lo rimbeccò lei, spintonandolo leggermente sulla spalla.
Vlad sbuffò, abbassando lo sguardo sulle loro mani congiunte come un bambino « Io non voglio che tu ti faccia male » borbottò, rilasciando un sospiro malinconico.
Ana alzò gli occhi al cielo, alzandosi dalle sue gambe e riavviandosi i capelli biondo-rossicci con un gesto secco della mano.
« Se ti preoccupi di venire ferito, Vlad, mi sono informata sull’argomento. Visto che il legame che unisce me e Alek è molto più potente di quello che unisce me e te, quindi – se sarà lui a ferirmi – il nostro corpo morirà insieme, mentre il nostro legame si scioglierà » disse, lasciandolo di stucco.
Vlad strinse i denti, sogghignando amaramente: Anastasija aveva ancora l’illusione che lui l’avesse sposata per la profezia, quella che aveva decretato la sua morte se non avesse sposato lei, sangue reale e sorella del suo nemico.
Ma era qualcosa di più complicato. Qualcosa che travalicava ogni suo limite, ogni cosa possibile: Anastasija era quel mondo parallelo in cui poteva rifugiarsi, quello in cui aveva tutto ciò che voleva e il mondo racchiuso tra le dita.
Lei era la sua salvezza. La sua luce.
La terra sotto i suoi piedi.
Lui, per lei, era solo colui che avrebbe salvato il suo protetto.
« Se tu muori, io verrò con te » mormorò, continuando a stare seduto e a guardarsi le mani, immobile.
Era scontato, persino superfluo che lo dicesse.
Aveva aspettato cento anni per averla finalmente al suo fianco, per darsi una chance e cercare di farsi amare e se la morte sarebbe stata così infima da portarsela via, lui l’avrebbe seguita senza pensarci due volte.
Lei era sua e nemmeno nella morte gli avrebbe sfuggito.
« Vlad, io… » sussurrò Ana, facendo un passo avanti e bloccandosi quando sentì una bestemmia colossale dalla tromba delle scale.
« Non mi interessa, Luna! Noi non staremo così tanto bene se ci sei tu in pericolo  » sbottò Ron, apparendo su alla torre con i capelli tutti sparati per aria e l’espressione furibonda.
Dietro le sue spalle, con un aria vaga e due grandi occhi azzurri, Luna Lovegood lo seguì.
« Oh, ma guarda… una Mnemosine » sussurrò Vlad, evitando lo sguardo di Ana e puntandolo su Luna.
La ragazza, sorpresa, inclinò lo sguardo.
« Una che? » borbottò Ron, sbattendo ripetutamente le ciglia e arrossendo come ogni qual volta che si trovava in presenza di Anastasija.
E Vlad, di cui aveva una paura folle, ma dettagli.
« Le Mnemosine sono le “figlie” della Dea Mnemosine, madre delle ninfe e… Dea delle memorie » soffiò Anastasija, sondando i grandi occhioni scoloriti di Luna.
I capelli biondo sporco erano legati in una treccia molle e la divisa malandata non intaccava la bellezza rara, d’acqua e sapone, della ragazza; l’espressione vaga, sognante, confermarono i dubbi di Vladimir.
« E…? » li esortò Luna, sorridendo e sedendosi sul divanetto di pelle e fissandoli piena di aspettativa.
Aveva dei ravanelli come orecchini e dei tappi di burrobirra legati al collo con una catenina d’argento, dove ora riposava anche una piccola coroncina d’oro.
Ron arrossì quando vide Ana sorridere maliziosamente.
Quella collana gliel’aveva regalata lui.
« Esistono poche al mondo con un dono come il tuo e – molte volte – questo non si palesa nemmeno, lasciando la Mnemosine nell’ignoranza; ci vuole esercizio e tanta, ma tanta pazienza, ma hai il potere delle memorie.
Puoi modificare i ricordi a tuo piacimento, renderli tuoi, eliminarli, giocarci.
È strabiliante » disse Vlad, guardandola compiaciuto.
Luna attorcigliò le dita tra di loro, quasi pensosa e lo fissò.
« Credevo fosse una leggenda. Non si dice che le “figlie” di Mnemosine sono tutte impazzite? » cinguettò, con le labbra tese in un sorriso stravagante.
Vlad alzò un sopracciglio, stranito e divertito allo stesso tempo: non c’era alcun dubbio su ciò che era.
Ron si sedette accanto la ragazza, preoccupato e le accarezzò dolcemente un braccio « Non ci sto capendo niente » ammise, facendo ridere Luna di buon gusto.
« No, ma hanno questa strana propensione alla stranezza » disse Ana e Ron alzò un sopracciglio.
« Allora è proprio lei! » rise, beccandosi uno schiaffetto leggero sulla spalla, che sembrò più una carezza.
Luna socchiuse gli occhi, lasciando che le lunga ciglia bionde le creassero una deliziosa aureola sulle guance rosee.
Ron la fissò: era troppo bella per essere vera.
« Questo potere… può essere usato anche a distanza? » domandò Luna, interessata e Vlad annuì, incerto.
« Sì, ma ripeto: ci vuole tantissimo esercizio e volontà per riuscire a dominarlo alla perfezione » disse e Ron sembrò persino di sentire alcune rotelline roteare nella testa della sua Corvonero preferita.
« In battaglia potrebbe essere un arma utile » constatò, facendo sbiancare il compagno e illuminare gli occhi di Vlad, che sogghignò in un modo quasi inquietante.
« Più che utile. Wow, un dono del genere è… potremmo far cadere il nemico modificandogli i ricordi e rendendoli terribili o cancellarli e fargli fare tabula rasa! » disse eccitato, sporgendosi avanti – dalla sedia su cui era seduto – e fissandola concitato.
« No » sbottò Ron, venendo bellamente ignorato.
« Naturalmente mi servirebbe una mano, non credo che sarei in grado di far uscire questo dono “fuori” da sola. Ma tu come te ne sei accorto, scusa? » domandò Luna, inclinando il capo.
Ana si sedette sulle gambe del marito, sorridendo sorniona.
La Torre Nord era ancora incasinata: bottiglie su bottiglie erano accatastate sul mobiletto ai piedi del divanetto di pelle, alcune lenzuola erano buttate nella saletta a casaccio – quando la sera prima avevano passato la notte lì, non volendo dividersi per la notte. –
Le tende erano state tirate e dagli archi di pietra filtrava il sole di quella giornata che non sembrava avere mai termine: dalle scalette che portavano nelle stanze rispettive di Draco e Harry, non arrivava un suono, vuote.
« Vivere duecento e passa anni e conoscere ogni cosa ed essere vivente su questa terra, porta a riconoscere chiunque. E noi vampiri – poi – abbiamo un olfatto e una sensibilità più sottile della vostra, e riusciamo a distinguere poteri da altri » spiegò Vlad, cercando di ignorare l’odore di Ana, che – come sempre – cercava di sconvolgergli i pensieri.
Era avvolta in un delizioso vestito di tulle azzurre, senza spalline, ed era meravigliosa; i capelli sciolti sulle spalle e alcuni strass sulla fascia che le strizzava il seno, la rendevano più simile ad un angelo che al demone che in realtà era.
Sospirò, beato.
« Oh, ma che bello! » cinguettò Luna, battendo eccitata le mani.
Ana rise, alzando un sopracciglio.
« Amo l’ottimismo » ridacchiò, accarezzando i capelli del marito e immergendovi il naso.
La frase che aveva detto prima era stata… un colpo o un fulmine a ciel sereno, ancora non sapeva spiegarselo; in realtà non sapeva niente, Vlad era sempre stato un mistero per lei.
Le poche volte che l’aveva visto era stato per vederlo combattere contro suo fratello e le era sempre apparso meraviglioso, come un demone tentatore.
Misterioso, maestoso, dal profilo regale e il corpo possente, l’aveva sempre guardata con quella bruciante passione, come se lei gli appartenesse.
Come se gli fosse sempre appartenuta.
« Ho detto no! » sbraitò Ron, spalancando la bocca indignato e incrociando le braccia al petto, furibondo.
Luna lo ignorò, ancora.
« Quindi mi aiuterai tu? » domandò a Vlad, serena, come se stesse discutendo del tempo e non della sua presenza in una battaglia.
Ron sospirò, imbronciandosi; che si aspettava? Luna amava i suoi amici e voleva proteggerli.
Ma… quello! Insomma, non si era nemmeno sconvolta di avere un dono come quello, che diamine.
« Un amica speciale » ammiccò Vlad, stringendo le mani sui fianchi della moglie e strappandole un sorriso.
« Ma insomma, qualcuno mi ascolta? Luna! Non sai nemmeno se davvero sei una di queste Mnecosa! E, se davvero lo sei, è un potere enorme! Non ne hai paura? » sbottò Ron, attirando finalmente gli occhi di Luna su di sé.
La ragazza sembrò pensarci su, portandosi un dito accanto le labbra e inclinando ancora di più il capo.
« Mamma diceva che ci viene dato quello che possiamo sopportare, quindi perché dovrei avere paura di qualcosa che è nato e cresciuto con me?
Probabilmente, se non fosse stato per questo signore gentile, non avrei nemmeno saputo di avere un simile “dono”, quindi non lo credo nocivo o altro, almeno non per me.
E poi la mamma diceva sempre che io ero speciale, e aveva ragione, no? » disse divertita, scrollando il capo e guardandolo con aria sognante.
La stessa che gli aveva fatto battere il cuore.
« Tu sei speciale comunque » borbottò Ron, burbero e lei rise, baciandolo sulla guancia.
E che continuava a farglielo battere con prepotenza.

 
***

 
Hermione legò la missiva ai piedi del volatile poggiato sul suo braccio con cura, continuando ad accarezzare l’aquila dalle piume brune e cercando di non assumere nessuna espressione di sorta.
Draco era alle sue spalle, seduto sull’erba alta, e non sapeva a chi era destinata la lettera che stava spedendo.
Accarezzò ancora una volta l’aquila reale che le aveva prestato Draco e tremò impercettibilmente nel rendersi conto che stava facendo tutto alle sue spalle, come una ladra. Come una traditrice.
« Va, e portala solo al destinatario che ti ho indicato » bisbigliò, alzando il braccio e lasciando che l’uccello volasse via, con qualche giravolta maestosa che la portò a storcere le labbra in un debole sorriso.
Era narcisista come il padrone, su questo non c’erano dubbi.
« C’è qualcosa che non va, vero? » il sussurro di Draco si perse nel fruscio delicato del tempo, che accarezzò le fronde degli alberi della foresta proibita e le acque calme del lago nero.
Era seduto sotto il salice piangente, quello dove – per la prima volta – si erano parlati civilmente. Quello dell’inizio dell’anno.
Quello dove aveva notato il metallo dei suoi occhi e il dolore nelle sue iridi.
Quello che l’aveva illuminato di una luce diversa, morbida, unica.
Il parco era silenzioso, solo il Platano Picchiatore risuonava come un eco, accanto le serre vuote; Draco la fissò dritta negli occhi, guardandole l’anima, il cuore e stringendo le labbra, disperato.
Hermione lo raggiunse e si sedette a gambe incrociate proprio di fronte a lui, portando le proprie dita ad intrecciarsi con le sue.
Strette.
Inslegabili.
Unite.
Era arrivato il momento.
« Si sta avvicinando il momento della battaglia » mormorò Hermione, guardandolo dritto negli occhi, sicura, tormentata.
Il cuore di Draco perse un battito.
Non sapeva come né perché, ma aveva una brutta sensazione: i capelli ricci e bruni di Hermione al vento, i suoi occhi ambrati lucidi e le loro mani unite… gli sembravano comunicare qualcosa.
E sentì – fin dentro le ossa – che questa cosa non gli sarebbe piaciuta.
« I Santi verranno qui per prendere i Serpeverde, Harry, te e io non lo so’ se ce la faremo, se ne usciremo vincitori, ma sono sicuro che tu starai bene.
Che tu sopravvivrai » continuò, con la sua voce modulata, dolce, vischiosa come il miele.
Quella sensazione acuì e Draco sentì il cuore battere così veloce nel petto da sembrare volere sfondargli lo sterno e uscire, violento, prepotente.
« Tutti sopravviveremo, Hermione » bisbigliò Draco, stringendo ancora più forte la presa sulla sua mano e ignorando i segni rossastri che le stava lasciando sulla epidermide pallida.
Hermione annuì, sorridendo.
« È molto probabile, certo; ma come avrai notato, il mio potere sta crescendo a dismisura e io comincio ad esserne sopraffatta.
Sembra troppo forte per me e Ana era stata chiara: il fuoco deve essere me, io lui, e non devo farmi bruciare… ma molto spesso mi capita di scoppiare ed è pericoloso. Per me, per te e tutti quelli che mi circondano » disse, gelandogli il sangue nelle vene.
Draco cercò di reprimere la voglia di massaggiarsi il petto e urlare, continuando a fissarla.
« E io ho bisogno di aiuto. Un aiuto che solo le mie consorelle possono darmi » bisbigliò Hermione, socchiudendo gli occhi e storcendo la bocca in una smorfia.
Ed esplose.
Il mondo gli esplose dinnanzi agli occhi, bloccandogli il respiro; la vista gli si appannò e il cuore smise per un millesimo di secondo di battere, per tornare a farlo più furioso di prima.
« Quando sarà finita Hogwarts, andrò via e non so’ quando ritornerò, Draco » finì, lasciando che una lacrima le solcasse la guancia, crudele.
Se ne sarebbe andata e lo avrebbe lasciato solo, in compagnia delle sue paure.
Hermione sorrise, baciandogli l’interno del polso quasi con dedizione; lì sentiva la vena pulsare più veloce del normale e l’accarezzo con la bocca carnosa e leggera.
Le sentì appena sulla pelle, ma lì, proprio dove il suo sangue defluiva con più potenza, gli rimase un marchio: il segno di una bocca a forma di cuore spiccava livida, come segnata da un tizzone ardente.
« Ogni volta che penserai che ti ho abbandonato, ti basterà guardare questo segno per ricordarti che tornerò. Non so’ quando, Draco, e nemmeno se mi vorrai ancora quando lo farò, ma io tornerò sempre da te » gli promise, senza mai distogliere lo sguardo dal suo.
Draco abbozzò un sogghigno placido, quasi dolce e in contrasto con i suoi occhi… tristi.
« Certo che tornerai sempre da me, Mezzosangue. È così che deve andare » mormorò con voce roca, sbilanciandosi appena quando lei gli buttò le braccia al collo, impetuosa.
Lo baciò sulla bocca con rabbia, dolore, dolcezza.
Era sempre stato così tra di loro: si facevano male e poi si ritrovavano, amandosi ancora più di prima.
Oh, se suo padre avesse saputo.
Se suo padre avesse saputo che Draco sapeva amare – e anche in modo prepotente – e amava irreversibilmente una mezzosangue, lo avrebbe presto a bastonate.
Eppure a Draco piaceva; gli piaceva sentire il suo cuore gioire, morire e rivivere. Gli piaceva sorridere in riflesso alla Mezzosangue, sentire le mani tremare e sudare quando facevano l’amore e prendevano letteralmente fuoco.
Non c’era niente di giusto, coerente e buono in quel sentimento, ma era vero, vivoe faceva parte di lui.
Indissolubilmente.
« Sempre »
Sì, sempre per sempre.

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Capitolo 20
*** Capitolo XIX - Love ***


Capitolo XIX -
Love



 
Gli allenamenti si erano intensificati e il piccolo “Esercito di Silente”, quello che si era ricostruito e che poi avevano rinominato “P.S.C.A.S” che era letteralmente: per salvare le chiappe ai Serpeverde, non aveva mai un attimo di fiato.
Ana e Vladimir erano duri e inflessibili, pretendevano sempre il massimo e si dividevano i lavori: Ana lavorava con loro sugli incantesimi da imparare e Vlad – invece – si concentrava sulla forza fisica; fioretti, spade, pugnali… lavorava sulla velocità, sui muscoli e le ragazze ritornavano ai dormitori sempre più sfinite.
Era sorto marzo e oramai ogni albero e fiore era in sboccio: la primavera era alle porte e aveva portato via – per un po’ – i grossi nuvoloni e gli scrosci di pioggia che avevano caratterizzato l’inverno.
I ragazzi, di comune accordo, avevano cercato di non avvicinarsi alle “spie” e di stare loro letteralmente lontane di metri per non essere nuovamente attaccati: fuori da Hogwarts, però, la guerra avanzava impetuosa; sempre più famiglie dal ramo oscuro erano stati ritrovati morti nelle proprie dimore e vere e proprie stragi stavano scuotendo la società magica.
« Drumstrang è stata quasi rasa al suolo » mormorò Hermione cupa, attirando l’attenzione di tutti gli arruolati dell’ES, che la circondarono.
« Drumstrang? » domandò Harry, allibito, sedendosi sul bracciolo della poltrona rossa su cui era seduta la sua migliore amica e sporgendosi verso di lei, con le labbra schiuse dalla sorpresa.
Hermione annuì e spiegò la Gazzetta del Profeta con un cipiglio severo, leggendo ad alta voce per fare in modo che la sentissero tutti.
« Drumstrang, la scuola di magia seconda solo ad Hogwarts, ieri notte – all’alba delle undici di sera – è stata letteralmente rasa al suolo da un gruppo di estremisti.
I Santi, il nome dell’ennesimo gruppo affetto da onnipotenza, hanno operato una magia di gruppo che ha sfaldato le fondamenta della scuola, facendola crollare su se stessa.
Nessuno sa’ come abbiano fatto a scorgere l’indirizzo della rinomata scuola e per ora i morti risalgono a cinque, con più di cinquanta feriti… » sbuffò l’ultima frase, accartocciando il giornale e buttandolo dall’altra parte delle celle, furiosa.
Si alzò di scatto e s’infilò una mano tra i capelli ricci, storcendo la bocca in una smorfia.
« Siamo nella merda – passatemi il termine! – » sbottò, mentre tutti quanti, ora immobili, la guardavano fare su e giù.
Le celle dei sotterranei erano umide, ma grazie alle lanterne poste ad ogni angolo della stanza rettangolare erano finalmente illuminate sempre a giorno; un paio di poltroncine di diverso colore erano state poste agli angoli, per il resto continuava ad essere spoglia, cupa.
Tranne per le catene ai soffitti, che mettevano davvero i brividi.
« Hermione… ma che ti prende? » domandò Luna, stranita, seduta in disparte a gambe incrociate sulla pietra dura e fredda insieme ad una donna che – da quando era arrivata una settimana prima – non aveva mai mostrato il suo volto, coperto da un cappuccio di un mantello color panna.
Una Mnemosine più anziana non c’era, aveva detto Vlad e a Luna sembrava piacere pure tanto visto che ci passava le giornate intere.
« Che mi prende? Ci stanno sfidando, Luna! Loro vogliono che noi veniamo fuori per dimostrare al resto del Mondo Magico che ci siamo messi con tutti coloro che sono Mangiamorte dichiarati! E, al quel punto… » mormorò, stizzita, facendo sgranare gli occhi alla maggior parte dei presenti.
« A quel punto avremo tutti contro » finì Ron per lei, allibito.
« Maledizione! » sbottò Harry, rabbioso, calciando la poltroncina su cui s’era adagiata Hermione nemmeno un quarto d’ora prima.
Ana intrecciò le dita con aria pensosa, fissando le torce con vacuità negli occhi vermigli e socchiusi.
« Non fatevi incantare dalla rabbia, ragazzi. Vogliono questo: che noi perdiamo la pazienza » asserì, mentre Vlad l’affiancava e annuiva, accorato. 
« L’ordine si sta allenando e informando sui probabili esseri che dovremmo affrontare, quindi voi state buoni e tranquilli » disse, fissando in special modo Hermione ed Harry, che ghignarono all’unisono.
« Siamo nella merda » ripeté Harry e Draco alzò gli occhi al cielo.
Anastasija scosse il capo e, facendo un cenno ad Hermione, questa insonorizzò la stanza.
« La Greengrass non si vede in giro da un po’ di tempo e questo può essere solo a nostro vantaggio. E io ho un piano di riserva » disse, attirando nuovamente l’attenzione di tutti quanti.
Blaise si sedette su una poltroncina di velluto verde, accavallando le gambe e facendosi guardare storto da Ron.
« Ah sì, e quale? » domandò, ignorando il ringhio in sottofondo del suo adorato “cognato”.
No, Ronald non aveva proprio preso bene la notizia della gravidanza di Ginny: prima era svenuto, poi aveva urlato, in tutto questo aveva cercato di affatturarlo – finendo per fare incazzare sua sorella e finire steso per una fattura orvoncolante – e infine aveva deciso di ignorarli entrambi, ricordandosi però di aggredire Blaise appena ne aveva l’occasione.
Per non parlare di Potter: era sbiancato, arrossito, poi acquistato un colorito verdognolo; aveva imprecato, chiesto “perché?” e poi aveva sbottato “è tutta colpa mia”. Infine – dopo un calcio da Pansy e un occhiataccia da Blaise – aveva mugugnato “cazzo, un altro Zabini al mondo!”
« La giratempo. È nelle mani di Luna, se qualcosa dovesse andar storto… lei ritornerà indietro nel tempo e impedirà che qualcuno di noi si faccia seriamente male » disse, e tutti tirarono un sospiro di sollievo.
Ma Hermione chiuse gli occhi, mordendosi le labbra.
Cose orribili succedevano a chi cambiava drasticamente il tempo e – per quanto potevano evitare di farsi del male veramente – non potevano cambiare la storia né il futuro.
Chi moriva, doveva morire.
Era quello il destino e non poteva essere cambiato.
« Si avvicina sempre di più aprile e io non ho un buon presentimento » mormorò Draco, affiancandola.
Gli accarezzò distrattamente un braccio, poggiando la guancia nell’incavo del suo collo e respirando prepotente il suo profumo: muschio e more.
Hermione tremò.
« Non ti succederà nulla » lo rassicurò, stringendo le labbra in una linea sottile.
No, l’aveva promesso. Lo avrebbe protetto a costo della vita e non aveva paura; anche lei non aveva un buon presentimento, ma sapeva – sentiva – che a Draco non sarebbe successo niente.
Non poteva permetterlo.
Ma non era una questione d’onore, no; oramai tutto ciò che legava lei e Draco superava perfino la linea logica dell’umana esistenza.
Lui le era entrato persino nel sangue e faceva parte di lei. Era lei, ed Hermione non avrebbe mai permesso che qualcuno avrebbe potuto ferirlo.
E… si era innamorata.
Già. Si era innamorata di Draco Lucius – bastardo – Malfoy; quello che l’aveva tormentata per anni, facendola diventare insicura, una donna che aveva paura di se stessa.
Si era innamorata di quegli occhi grigi simili al metallo fuso, di quelle labbra sottili… di quel sangue che li aveva divisi, ma che ora erano tutt’uno.
« Sei dimagrita ancora, Hermione » sbuffò Draco, palpandola senza vergogna e lasciandosi fucilare dal bambino sfortunatamente sopravvissuto e il Pezzente malpelo.
« Potresti smetterla? Grazie » borbottò Hermione e Draco alzò gli occhi al cielo, incrociando le braccia al petto – imbronciato come un bambino. –
« Già, Malfarrett! Smettila! » sbraitò Harry, aggiustandosi gli occhiali tondi scivolati sul naso e brandendo un fioretto, che gli aveva messo in mano Vlad, come un badile.
Draco sogghigno, perfido.
« Ti piacerebbe, eh? Mi dispiace per te, Potty-Potty, ma io non la smetto… specie se me lo dici tu! » ghignò ironico e, con un occhiata obliqua, sorrise a Vlad quando armò anche lui.
« Vediamo che sai fare » cinguettò Harry, prima di affondare il fioretto ai fianchi di Draco, che si difese prontamente.
Hermione li ignorò, alzando gli occhi al cielo e raggiungendo Ana per gli esercizi da Ignis.
« Sono un Purosangue… lo dimentichi sempre, Potter » soffiò Draco, ironico e su questo Harry dovette dargli ragione.
Malfoy era veloce sia in attacco che in difesa: si muoveva ferino, veloce, e aveva una forza nelle braccia eccezionale; un attimo prima difendeva un suo attacco, l’attimo dopo faceva leva con il fioretto e lo spingeva ad un metro di distanza.
« Wow! » disse Harry, lasciando cadere il fioretto e facendo sbrilluccicare i suoi occhioni verdi.
Draco gonfiò il petto, orgoglioso.
« Mi insegni? » cinguettò il bambino sopravvissuto, sbattendo civettuolo le ciglia e fissandolo tutto zuccheroso.
Draco lo guardò disgustato.
« ‘Manco morto! » sbottò, indignato, dandogli le spalle tutto convinto e cercando di raggiungere Blaise… per ritrovarsi a sbattere la fronte sul pavimento di pietra grezza perché quell’idiota di Potter aveva avuto la brillante idea di saltargli in spalla.
“Ma porca putt…” pensò Draco, stordito per la botta.
« Potter! » urlò, furioso.
« Malfy! » gli fece eco Harry, ancora dolce come la melassa.
« Spero che tu muoia » sibilò Draco, girandosi a pancia in su’ e toccandosi la fronte sporca di sangue.
« Oh, anche io ti voglio bene! »
« Ma schiatta… »
Luna soffocò un sorriso e rabbrividì quando le mani di Abgail, la Mnemosine che la stava aiutando a tenere sotto controllo il suo potere, le toccò dolcemente la spalla; era molto gentile e aveva una voce sottile – dolce – che le ricordava tantissimo la sua mamma.
« Mettili a fuoco, Luna. Cerca di vederli ad occhi chiusi, di visualizzarli » sussurrò Abgail al suo orecchio e Luna socchiuse lo sguardo, affascinata.
Lasciò che la sua mente si sgombrasse da qualsiasi cosa, che diventasse assolutamente vuota… e le sembrò di volare; non sentiva la pietra sotto di sé né la voce di Abgail e persino Ron – che ultimamente popolava i suoi pensieri più del lecito – sparì completamente.
E, finalmente, vide.
La figura di Harry spiccava di un intenso rosso e le sembrava fosse fatto di fuoco: la sua mente era caotica, ma lui l’accolse facilmente, senza nemmeno accorgersi di averle aperto la porta dei ricordi.
Una girandola immensa di colori, alcuni sgargianti, altri cupi.
Luna li divise, con un agilità che non sapeva nemmeno da dove provenisse, e – incuriosita e totalmente estranea a chi la circondava – si addentrò nei colori più cupi, che variavano tra il nero e una vasta gamma di grigio.
Il fiato le mancò improvvisamente e tutto divenne fosco, veloce, e girò alla velocità della luce.
Si sentiva spaesata e non capiva più quello che succedeva, fin quando non strinse i pugni e tutto si fermò, diventando immobile.
Una donna dai capelli rosso scuro stava inginocchiata ai piedi di una culla di legno scuro e guardava – con le lacrime agli occhi e uno sguardo adorante – il bambino aggrappato alle sbarre.
“Harry…” sussurrò la donna, accarezzando le dita cicciotte del bambino e sorridendo rassicurante quando il piccolo alzò gli occhi verdi – uguali ai suoi – su di lei.
“Harry, la mamma ti ama” bisbigliò, asciugando le grosse lacrime del bambino.
Aveva il viso tondo e ovale, sottile e pallido, ma era così bella da far mancare il fiato.
E Luna capì: quello era il ricordo più vecchio e doloroso di Harry. Il più inconscio e lei ci era arrivata senza nemmeno saperlo; quella… quella era la mamma di Harry, ed era la donna più bella che avesse mai visto.
“Il papà ti ama” continuò Lily, senza soffocare un singhiozzo, mentre il bambino la fissava quasi estasiato.
Sembrava abbagliato da sua madre e lo dimostrò schiacciando il visino alle sbarre della sua culla, cercando di avvicinarsi ancor di più a lei.
“Harry, sii prudente” bisbigliò, accarezzando la guancia di pesca del suo bellissimo bambino e baciandogli la fronte con dolcezza.
“Sii forte” mormorò, prima di chiudere gli occhi scatto nel sentire dei passi sulle scale.
Lo baciò ancora una volta e ancora e ancora, prima d’issarsi lentamente e alzare le braccia in segno di difesa contro la culla.
I suoi occhi verdi brillavano di coraggio e orgoglio, amore materno e forza.
Pronta a morire.
Pronta a difendere la sua creatura.
Luna fu sbalzata improvvisamente all’infuori del ricordo e in un lampo sbatté a due metri di distanza da dov’era seduta, battendo la testa con un mugolio.
Harry, dall’altra parte della stanza, inginocchiato sul pavimento di pietra e con le lacrime agli occhi, la fissava senza fiato.
« Sei stata tu? » domandò, con una mano sul cuore e un magone alla gola.
Aveva lo sguardo sbarrato, intriso di dolore, e Luna annuì.
« Lei… » annaspò Harry, senza soffocare un singhiozzo, mentre tutti si zittivano e li fissavano confusi.
« Lei era una donna meravigliosa » rispose Luna e i suoi occhi grandi e azzurri si riempirono di dolcezza.
Harry si portò una mano chiusa a coppa sugli occhi ed Hermione si inginocchio al suo fianco, fissando Luna senza capire.
« Era eccezionale e si è sacrificata per te » sussurrò ed Hermione sgranò lo sguardo, fissandola incredula.
« Ci sei riuscita? » domandò e l’altra annuì ancora, mentre la riccia passava le braccia esili attorno il collo del suo migliore amico.
Luna si riavviò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, ancora incantata dalla donna che aveva visto in quei ricordi; il dolore nel lasciar andare Harry, la forza d’animo di frapporsi tra lui e Voldemort, con il mento alzato in segno di sfida.
Aveva abbracciato la morte a testa alta, senza vergognarsene, e aveva tenuto in vita la speranza dei Maghi.
« Prova con qualcun altro, Luna. Prova ancora » mormorò Abgail al suo orecchio, poggiando i palmi aperti sulla sua schiena e incitandola.
« Riprova a vederli »
E Luna richiuse gli occhi, lasciando ancora Harry nei suoi ricordi – quelli che lui aveva vissuto insieme a lei quando aveva varcato la sua mente – concentrandosi sulla figura al fianco del bambino sopravvissuto.
Hermione aveva un aura meno densa, di un tenue dorato e la sua mente era più ordinata, pulita e i colori sgargianti erano molti di più confronto a quelli di Harry; Luna, come aveva fatto prima, si addentrò in quelli grigi e cupi – visto che, con i suoi nemici, avrebbe dovuto concentrarsi su quelli – ed Hermione fece poca resistenza… per poi abbattere le difese sotto la sua insistenza.
Di nuovo il tempo le scorse via dalle dita, divenne impalpabile, inutile e veloce: Luna strinse di scatto i pugni e tutto si fermò, riprendendo forma e colore.
“Smettila, smettila!” una donna dai capelli ricci e corti fissava astiosa l’uomo che la fronteggiava, furioso.
Aveva due grandi occhi bruni e un espressione indignata, mentre lui affannava di poco con il petto: aveva gli occhi castani e i capelli poco stempiati sulla nuca.
“Smetterla? Jean, tua figlia è un mostro!” urlò, indicando una bambina – di quattro anni – alle spalle della donna.
“Hermione non è un mostro. Ma è speciale” asserì Jean, poggiando una mano sulla spalla della piccola e stringendo le dita sulla stoffa del vestito azzurro che fasciava il corpo di Hermione.
Questa guardò la scena inespressiva, troppo immobile e coscienziosa per avere solo quattro anni.
“Far scoppiare il camino è essere speciali? Far volare oggetti è essere speciali? Ma ti senti quando parli? Tua figlia è posseduta ed è il demonio!” sputò ancora l’uomo, velenoso.
La bambina strinse i pugnetti di scatto e il vaso alla sua destra, poggiato su un treppiedi di legno – involontariamente – andò in mille pezzi.
“Vedi? Io chiamo l’esorcista” balbettò l’uomo, indietreggiando impaurito e fissando le due con la bocca stretta in una linea sottile.
“Se non vuoi che mandi te dall’esorcista, Josh, è meglio che tu te ne vada!
Hermione non ha bisogno di un padre che la disprezzi e starà meglio anche senza di te” urlò Jean, fissandolo con gli occhi d’ambra intrisi di rabbia e disprezzo.
“Certo che me ne vado, non starò in questa casa un minuto di più!” berciò Josh, afferrando alcune valige poste già all’ingresso e uscendo di corsa, sbattendosi la porta alle spalle.
La bambina, improvvisamente, scoppiò a piangere.
La madre si inginocchiò dinnanzi a lei, accarezzandole con dolcezza i capelli ricci e bruni e ricambiando il suo sguardo con tenerezza.
“Non piangere, amore. Non piangere” sussurrò, afferrando il suo visino tra le mani e asciugando la lacrime con i pollici.
Luna era… stupita. Aveva sempre creduto che i genitori di Hermione fossero stati felici di scoprire che era una strega e poi – aggrottando le sopracciglia – non ricordava affatto che Hermione non avesse un padre.
“Mamma…” singhiozzò la piccola, aggrappandosi disperata alle braccia della madre e fissandola con gli occhi diluiti dalle lacrime.
Jean scosse il capo, guardandola determinata.
“No, amore mio, no. Non pensare mai che tu abbia qualcosa di diverso o cattivo, mai; tu sei speciale, piccola mia.
Sei tanto speciale, amore mio e nessuno capirà mai questa cosa” bisbigliò la donna, baciandole le guance con tenerezza.
Hermione singhiozzò ancora, buttando le braccine al collo della madre e affondando il viso nel suo collo. Jean la strinse con forza e Luna mandò giù le labbra, triste.
Come si potevano dire delle cose così spregevoli ad una bambina di così pochi anni? Urlarle contro, dirle che era un mostro.
“Sei speciale, Hermione. Tanto speciale” continuò a canticchiare la donna, alzandosi dal pavimento e cullando la bambina.
Luna fu sbalzata nuovamente fuori da quei ricordi e – sdraiata sul pavimento – si ritrovò a fissare gli occhi vuoti di Hermione.
Ora non abbracciava più Harry e la fissava con il capo inclinato e la bocca socchiusa, pallida.
A Luna non piaceva vagare nei ricordi altrui, specie quelli tristi, e se ne rese conto proprio in quel momento; le persone rivivevano quei momenti con lei e non potevano far nulla per fermarla.
Era così doloroso, così invasivo, ma Abgail l’aveva avvertita: era quello il suo potere e lei poteva… modificare tutto. Cancellare quei ricordi dolorosi o modificarli.
O farli rivivere a quella persona mille e mille volte, inginocchiandola, accecandola.
« Tu sei speciale! » ribadì Luna, rabbiosa, ricordando le parole di quell’uomo ignobile e fissando Hermione determinata.
Questa si lasciò sfuggire un lamento, coprendosi il volto con entrambe le mani.
« Non è più tornato tuo padre, vero? » e a quelle parole, Draco, sbiancò.
Aveva capito – in un certo senso – che la Lovegood stava facendo ad Hermione la stessa cosa che aveva fatto ad Harry: era riuscita ad entrare nei suoi ricordi e a farglieli rivivere.
Ma aveva visto anche lo sguardo addolorato di Hermione, così vacuo da trasmettergli angoscia e quella frase… aveva sempre creduto che fosse stata felice, che la sua infanzia fosse stata, comunque, rosea.
« No. Mia madre si è risposata due anni dopo e mio padre è Mattew Granger, non quell’uomo! » urlò rabbiosa, alzandosi di scatto e uscendo dai sotterranei quasi di corsa.
Il ticchettio furioso delle sue scarpe rimbombava tra quelle mura e Draco la inseguì, con il fiato in gola.
« Hermione! Hermione! » la richiamò, balzando avanti prima che questa accelerasse ancora di più il passo e afferrandola per il gomito, arrestando la sua corsa.
I suoi capelli ricci gli frustarono il viso, ma la cosa più dolorosa fu… vedere le lacrime sul suo volto; i suoi occhi bruni erano due pozzi bui, infiniti, così pieni d’angoscia che gli strinsero il cuore in una morsa.
« Hermione »  ripeté, affannando.
Lei scosse il capo, stringendo le labbra con forza, e Draco la schiacciò con dolcezza al muro – ricoprendola con il suo corpo – respirando a pochi centimetri dalla sua bocca.
Hermione si aggrappò alle sue spalle e si lasciò sfuggire un singhiozzo, mentre le loro gambe si aggrovigliavano tra di loro senza che nessuno dei due si smuovesse.
Indossavano entrambi la divisa, ma Draco poteva sentire il cuore di lei battere anche a quella distanza.
Anche coperto dai vestiti, dal cemento.
« Che mi avesse chiamato mostro lo ricordavo, perfettamente, ma che avesse intenzione di chiamare l’esorcista… Dio, questo lo avevo completamente rimosso » gemette, con il volto chiazzato di rosso.
Draco le accarezzò una guancia. Una, due, tre, ancora e ancora. Ripetutamente.
Le baciò i punti in cui le lacrime avevano solcato la pelle. Una, due, tre, ancora e ancora. Ripetutamente. Fino ad asciugarle e accaldare le guance.
« I Babbani non capiscono la magia, Hermione. Non capiscono quando una persona è speciale o no e ne hanno paura.
Ecco perché non li sopporto, perché per loro il “diverso” è sinonimo di distruzione » mormorò.
E ancora una carezza. Due, tre, ancora e ancora.
Hermione tremò tra le sue braccia, allacciandogli le braccia al collo e appoggiando la fronte contro la sua.
« La mia mamma è Babbana e ha sempre pensato che io fossi speciale, non un mostro… e lo stesso il mio padrino » mormorò, abbassando le ciglia imperlate di lacrime sulle guance e strappandogli un sorriso.
« Tua madre ti avrebbe amato anche con corna e coda. È pur sempre tua madre. Per il tuo patrigno… si vede che ha occhio e orecchie per intendere » bisbigliò, lasciandosi rubare un bacio a fior di labbra.
Quel bacio sapeva di lacrime e sale, ma fu dolce e sapeva anche di grazie.
Draco non era bravo a consolare le persone, ma… ecco, non aveva mai visto Hermione piangere e no, non gli piaceva proprio. Anche se era più vera, tanto da sciogliersi come burro tra le sue mani e sì, lui le avrebbe portato una stella se solo glielo avesse chiesto.
Solo per vederla sorridere.
Solo per vederla felice.
« Hm, che costellazione ti piace? » mugugnò sulla sua bocca ed Hermione sbatté ripetutamente le ciglia, stranita.
« Quella del drago » rispose senza pensarci.
Fece per chiedere perché, ma Draco la ribaciò, facendole dimenticare tutto.
Tranne… beh, tranne che era speciale.
 
***
 
« Ah, amico mio, mi sei rimasto solo tu »
La voce rintonante di Blaise si spense con un mugugno su per la Torre, baritonale.
« Draco è perso con la Granger, Theo sta recuperando il tempo perduto facendosi Daphne come se non ci fosse un domani… Goyle non può considerarsi un essere umano figurarsi un amico – ma figurati se mi metto a pensare a lui, che vedo a malapena a colazione, pranzo e cena – e Blythe ha fatto la fine dei Titani nelle mani di Zeus.
Ginny questa sera mi ha cacciato dal suo letto e ora mi ritrovo qui, con te, che sei l’unico disposto a parlarmi » mormorò, con fare melodrammatico, fissando la bottiglia di scotch invecchiata di vent’anni con un occhiata piena d’ammirazione.
« Io sapevo che eri scemo, ma parlare perfino con una bottiglia… » Harry gli spuntò alle spalle, serafico, e quasi gli fece prendere un infarto.
Tutto scarmigliato e con il pigiama si sedette al tavolo, facendosi versare con piacere un dito di scotch.
« Ma che ore sono? » sbadigliò, mentre Blaise si attaccava direttamente alla bottiglia.
Questo fece spallucce « Le tre » disse, bevendo a piccoli sorsi la bevanda e guardando oltre le arcate, dove la luna brillava alta nel cielo.
Harry si strozzò con lo scotch.
« CHE COSA? E tu alle tre di mattina te ne stai qua a parlare con una bottiglia? » sbraitò, fissandolo incredulo mentre questo sospirava, distrutto.
Blaise continuò a bere, poggiando il mento contro un palmo aperto e sbadigliando rumorosamente « Pansy non è incinta, Potter. Ginny sì, ed è irascibile » borbottò, accendendosi una canna e aspirando fino a tossire.
Harry lo guardò con pietà.
« E il tuo migliore amico non ti ha abbandonato per una femmina » continuò piagnucolando, ricordando la reazione impassibile di Draco quando gli aveva riferito – con massima nonchalance – che Ginny era incinta.
Auguri e figli maschi, aveva detto il bastardo, dandogli una pacca sulla spalla.
Muori impotente, aveva risposto Blaise, offeso.
Anche perché a lui sarebbe piaciuta una femminuccia, a dirla tutta.
Comunque, quell’anno non poteva andare peggio di così: tra gli sbalzi d’umore di Ginny, la melassa mielosa che sganciava Draco quando la Mezzosangue era a pochi metri da lui – sostituendola ad un veleno letale appena lei scompariva – e la totale assenza d’attenzione che tutti nutrivano nei suoi confronti, Blaise poteva dirsi depresso al massimo.
« Sei così abituato ad avere tutta l’attenzione su di te, che trascuri gli altri e nemmeno te ne accorgi » disse Harry, sorseggiando lo scotch e fissandolo divertito.
Blaise mise il broncio.
« Ginny – ora che è in uno stato interessante – ha bisogno di essere ricoperta di attenzione e anche che tu abbia più pazienza del normale » continuò, mentre dei passi e uno sbadiglio precedevano la presenza di Draco Malfoy.
« Mi fischiano le orecchie » borbottò la bionda serpe, rubando il bicchiere dalle mani di Harry e tracannando con un solo sorso il contenuto.
Blaise lo fissò in segno di sfida « Credo che sia normale: stavamo parlando della tua totale mancanza da quando hai infilato la testa sotto le sottane della Granger »
Draco sospirò, sedendosi accanto all'amico con uno sbuffo e massaggiandosi le tempie con movimenti circolari.
Certe volte, Blaise, quando ci si metteva sapeva essere davvero fastidioso... anche se, in un certo senso, era stato un vero bastardo; “auguri e figli maschi” non era il commento che ci si aspettava da un amico, ma il problema – parliamoci chiaro – non era suo. Esistevano gli incantesimi contraccettivi, i preservativi Babbani e una miliardi di opzioni per non mettere incinta la propria ragazza, maledizione!
Se non fosse così, ora, al mondo, ci sarebbero così tanti bambini da dichiarare un allerta generale per l'incremento spropositato delle nascite.
Draco sogghignò.
« Io non ho abbandonato proprio nessuno, Blaise. Sei sempre tu che mi sei stato attaccato come culo e camicia, mai il contrario » sibilò soave, versandosi della vodka nera e ridacchiando alla faccia offesa di Blaise.
« Io e te eravamo inseparabili! » sbottò il ragazzo di colore, passandosi una mano sul petto e schioccando la lingua, fintamente distrutto.
« Susu, vedi che è solo un incomprensione... » cercò di consolarlo Harry, dandogli alcune pacche sulle spalle e fulminando Draco con un occhiata, intimandogli il silenzio o – almeno – un minimo di delicatezza.
« Eravamo migliori amici! Ci chiamavano i cavalieri della tavola rotonda! E tu, tu, traditore, mi hai abbandonato per una femmina!
Come hai potuto? Io avevo bisogno di te! » ed eccolo che crollava lì, sul tavolo, con la testa tra le braccia e le spalle scosse dai singulti.
« Andiamo, Blaise... non fare così » miagolò Harry, continuando a dare pacche sul capo del ragazzo, quasi come se fosse un cane.
Fulminò di nuovo Draco.
« Mi hai ferito così tanto... » infierì ancora Blaise, inconsolabile.
“Dì qualcosa!” mimò Harry con le labbra verso il biondo, indignato, mentre questo si accendeva una sigaretta alle rose con un sopracciglio alzato.
Alla fine aveva imparato solo grazie a Blaise ed Hermione non ne era certo felice: appena sentiva la puzza di fumo sui suoi vestiti o sulla sua bocca, gli metteva il broncio per settimane.
« Non ci casco più alle tue commedie, Zabini » soffiò, sbuffando fuori una nube di fumo.
Blaise, in risposta – tutto d'un tratto – alzò il capo dalle braccia e incrociò le braccia al petto, mettendo solamente il broncio e ignorando il « Ma vaffanculo! » di Harry, che credeva davvero in un crollo di nervi.
« Tu e Potter sarete i padrini della bambina » disse, sorridendo affabile e bastardo come sapeva esserlo solo lui.
Draco ed Harry sbiancarono all'unisono.
« CHE COSA? » urlarono insieme, spettinandolo con la sola forza dell'ugola.
Blaise sbatté civettuolo le ciglia nere. « Tu e Potter sarete i padrini di mia figlia » ribadì, ridacchiando perfido quando li vide crollare seduti sulle loro rispettive sedie, pallidi come morti e velenosi come pochi.
« No » alitò Harry, scuotendo ripetutamente il capo.
« Assolutamente no » gli diede man forte Draco, immaginando una nana dalla pelle scura con la stessa tendenza al melodramma come Blaise.
« Qui, invece, c'è gente che vorrebbe dormire » Hermione apparve alle spalle di quei tre, facendo venire un infarto a tutti – nessuno escluso – e li fissò astiosa per l'orario tardo in cui avevano deciso di urlare e svegliarla.
« E allora? » le braccia erano incrociate al petto, il piede ticchettava furiosamente contro il pavimento di pietra e un sopracciglio scuro era sparito all'attaccatura dei capelli come un avvertimento di morte lenta e cruenta.
Inghiottirono tutti a vuoto.
« Ho chiesto a Draco ed Harry di essere i padrini di mia figlia, ma non vogliono... » si lamentò Blaise, mentre Draco adocchiava le gambe di Hermione, che spuntavano oltre la sua camicia madida, quella che lei usava per dormire dopo che avevano fatto l'amore.
Aveva i capelli scompigliati e la bocca ancora gonfia e ci avrebbe volentieri… « Consideralo fatto. Draco sarà il padrino di tua figlia » e dicendo questo non aspettò nemmeno che il suo fidanzato ribattesse, perché lo afferrò per la collottola della camicia e lo trascinò nuovamente nella loro stanza.
« Amo quella donna » sospirò, deliziato.
« E la bottiglia. E te stesso, visto che ogni volta che nelle vicinanze c’è una superficie riflettente ci sei tu che ti mandi baci e ti mormori quanto “diavolo sei bello” » la voce soave di Ginny lo fece mettere sull’attenti, come un soldato ed Harry scoppiò a ridere.
In effetti, Ginny aveva sempre fatto quell’effetto a tutti: era sempre così dura, inflessibile… non accettava mai uno sgarbo; crescere con cinque fratelli l’avevano resa fiera e poco incline alle lacrime e Harry aveva sempre apprezzato quel suo lato mascolino, mescolato con la sua femminilità sempre più evidente, prorompente.
I capelli rossi, gli occhi bruni, la pelle lattea... il seno florido, le gambe tornite, il sorriso perenne; era impossibile non cadere ai piedi di quell’Atene, sempre pronta alla guerra. Sempre vincitrice.
« Ciao, tesoro » miagolò Blaise, terrorizzato.
« Vieni a letto, idiota » sbuffò la ragazza, scuotendo il capo e tendendogli la mano con dolcezza, in uno di quei tipici attacchi che la rendevano quasi come le altre ragazze.
Ma Ginny non sarebbe mai stata come le altre: avrebbe sempre tenuto il pugno di ferro e il tono duro, ma complice.
Odorava di menta e lavanda.
Blaise la seguì e rise quando i suoi capelli – simili a lingue di fuoco – gli frustrarono il volto; indossava un pigiama bianco con tanto di pecore e, piccola com’era, a Blaise sembrava di stare alle spalle di una bambina.
Le piccole stanze che erano comparse nella Torre Nord erano ancora un mistero per i ragazzi: da una settimana a quella parte si erano accorti di quelle porticine nel salottino e – addentrandosi al loro interno – avevano sorriso al pensiero gentile che aveva avuto la Mcgranitt; erano stati disposti dei letti per i ragazzi, quelli che, insieme ad Harry e Draco, erano entrati a far parte – senza nemmeno accorgersene – di quella punizione che li aveva portati ad essere una grande ed unica famiglia.
Comunque, la stanza che Blaise aveva preso per sé e Ginny era circolare e aveva un piccolo letto a baldacchino proprio al centro. Un camino di mattoni acceso accanto all’arco di pietra che affacciava sul lago nero e un bagno personale.
« Non volevo cacciarti » appena s’infilarono sotto le lenzuola di cotone bianco, Ginny sussurrò quella frase.
Il suo umore alternante era ancora una sorpresa per lui, ma sottostarvi era una delle punizioni per essere complice del suo stato gravido.
« So’ che non puoi stare senza di me… » cinguettò, beccandosi una cuscinata in piena faccia.
Ginny scoppiò a ridere.
E poi, com’era successo la prima volta, qualcosa strappò il fiato ad entrambi; lì, a pochi centimetri l’uno dall’altra, si studiarono attentamente, con una minuziosità che – incredibile – non li mise nemmeno in soggezione.
Blaise strofinò il naso contro il suo e sospirò, ammaliato, sulla sua bocca.
Lui la conteneva completamente: salendole sopra, la coprì interamente, prendendola tutta; era due volte lei e la loro pelle era così in contrasto da sembrare come il giorno e la notte.
Blaise la baciò e intrufolò la lingua nella sua bocca, lentamente, in una lunga ed estenuante carezza. Strinse un fianco tra le dita e le passò la lingua per il bordo delle labbra carnose.
E, come la prima volta, dimenticò tutto tranne lei. Completamente inebriato dal suo profumo. Assuefatto dal suo muoversi leggera contro il suo corpo, sinuosa, affamata.
La lasciò respirare e si staccò dalle sue labbra, scendendo lungo il mento e poi verso il collo, beandosi nel sentirla arcuarsi contro di lui. Per sentirlo. Per sentirsi.
Le passò una mano grande e scura sotto la schiena e la spinse con ancora più forza contro il proprio corpo: la linea dei seni si schiacciava irrimediabilmente contro il suo petto e le sue braccia andarono a circondarsi al suo collo, mentre le gambe si aggrappavano disperate alla sua vita.
E fu come respirare dopo lunghi e interminabili minuti d’apnea.
Blaise le mordicchiò una spalla, sbottonandole la camicia del pigiama e accarezzandole nel mentre la spina dorsale, facendola tremare contro di lui.
Ah, che potere che aveva.
Ginny gemette, infilando le dita nei suoi capelli neri come l’inchiostro.
Ah, che incantesimo che le aveva fatto.
Sprofondò il capo nel cuscino e sospirò – deliziata – quando lo sentì passare la lingua attorno l’aureola scura del capezzolo, completamente persa.
Era alla sua mercé.
Completamente nelle sue mani.
Indissolubilmente sua.
Sempre sua.
Solo sua.
Ginny invertì le posizioni e salì a cavalcioni su di lui: i suoi capelli rossi crearono una tendina tra di loro e lei attirò il suo volto contro il proprio, guardandolo soggiogata.
« Gin… » sospirò lui, stringendo le mani attorno le sue natiche e cercando la sua bocca come un assetato.
Liberarsi dei vestiti fu semplice, come lo fu liberarsi da maschere, armature, costrizioni; la stanza rimpicciolì, sparì, divenne un grande buco nero e i loro occhi si incontrarono, si fusero, non si staccarono più.
Carne contro carne, era tutto ciò che chiedevano.
Calore contro calore. Ansito contro ansito. Cuore contro cuore.
Blaise l’afferrò saldamente per i fianchi e la fece scivolare sulla sua erezione con un colpo secco che la fece gemere e sentirlo interamente.
Gli graffiò le spalle e rilasciò un lungo sospiro, buttando il capo all’indietro e stringendo ancora di più le gambe attorno la sua vita.
Centimetro dopo centimetro la fece scivolare su e poi di nuovo giù, in un instabile tortura che li destabilizzò.
Su e giù.
Illuminata dal riverbero del fuoco era uno spettacolo: la smorfia di piacere sulla sua bocca, gli occhi bramosi incatenati ai suoi… Blaise aumentò il ritmo, affannoso.
Su e giù.
« Blaise, Blaise, Blaise… »
Sentirla gemere il suo nome era un orgasmo già di per sé, ma vederla aggrapparsi alle sue spalle per tenere il suo ritmo lo fece contrarre contro di lei: in un attimo ribaltò nuovamente le posizioni, sovrastandola ancora.
Affondò i palmi aperti nel materasso e spinse con forza, baciandola per impedirle di urlare.
Bevve le sue urla. I suoi gemiti. I suoi sospiri.
Avanti e indietro.
Avanti e indietro.
E fu piacere assoluto: l’orgasmo lo travolse con spasmi violenti, scuotendolo fin dall’interno.
L’unica cosa da cui non distoglieva lo sguardo, però, erano i suoi occhi.
Gli sarebbero rimasti per sempre impressi nella mente, a fuoco, come un marchio. Come un monito.
Perché nuda, contro di lui – travolta da un piacere inspiegabile – capì che se lei era sua, lui era irrimediabilmente suo.
Per sempre.

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Capitolo 21
*** Capitolo XX - Battle ***


Capitolo XX –
Battle
 
 
 
 
 
L’aria sfrigolava.
C’era una tale eccitazione che le particelle d’ossigeno sembravano inesistenti, quasi risucchiate dal vento; poche ore prima che arrivasse l’alba – il giorno della Luna della Strega – tutti sentivano di essere rinchiusi in una bolla di gas.
Mancava l’aria. Mancavano i battiti.
Poche ore prima della battaglia.
Poche ore per commettere pazzie, fare confessioni, piangere. Poche ore per tutti gli addii.
E se da una parte del castello, Anastasija Romanov lasciava cadere il capo sul cuscino, trascinando con un risolino Vlad con sé, dall’altra parte due occhi bruni si dischiusero nel buio.
Hermione tremò, respirando a fatica.
« Mia »
Troppo possessivo, maschilista: quel termine non si addiceva al suo animo – per natura – ribelle e indipendente, ma Draco Malfoy aveva ragione.
Era sua.
Era sua quando respirava, camminava e vedeva la sua figura dappertutto; era sua quando il suo pensiero fisso riusciva a farla impazzire.
Era sua perché lo amava e non riusciva a smettere. Perché era tutto ciò che desiderava e nient’altro.
E si avvicinava la fine.
Sette anni di scontri, battibecchi, lacrime, paure ed erano arrivati ad un punto in cui era impossibile tornare indietro. Un punto di non ritorno. Un punto in cui si erano incontrati e non erano più riusciti a slegarsi.
La maschera era caduta. Il legno aveva ceduto.
Lui, ora – per sempre – era suo.
« Guardami » mormorò Draco, come una nenia.
La sovrastava con il suo corpo caldo, nudo, scarno; poteva contare le costole che cercavano di bucare la sua pelle cerea: le baciò ad una ad una, salendo verso lo sterno, carezzando con i polpastrelli l’osso sacro.
Era suo.
La carne bruciava a contatto e le sue unghie lasciavano un solco lungo la spina dorsale di lui; riusciva a toccarla interamente e le sembrava quasi che – con maggiore forza – avesse potuto spezzarla.
Ma non aveva bisogno di piegarlo.
Lui, ora – per sempre – era suo.
Poche ore prima della battaglia.
L’ora degli addii.
Baciarlo non era abbastanza, rubargli il respiro – l’ossigeno – non la soddisfaceva. Voleva di più.
« Dimmelo » bisbigliò Draco sulla sua bocca, affannando.
Hermione immerse una mano nei suoi capelli biondi e gemette nel sentirlo penetrare lentamente dentro sé. Osservò quella filigrana d’oro puro tra le sue dita e sorrise: erano dello stesso colore opalescente della luna, pallida e alta nel cielo nelle notti più buie e tempestose.
« Ti voglio »
Dirlo ad alta voce non era così scandaloso come suonava nella sua mente; aveva un suono dolce, quasi ipnotico alle sue orecchie.
Draco respirò ancora sulla sua bocca, facendola tremare.
Ancora e ancora.
« Ripetilo » gemette lui, scivolando all’indietro e poi nuovamente in avanti.
Ancora e ancora.
« Ti voglio » ripeté nuovamente, strofinando le labbra contro le sue e avvelenando entrambi: perché sì, ora era chiaro; si trattava di amore, non di desiderio, niente che potesse paragonarsi anche solo al piacere della compagnia dell’altro.
Era amore.
Qualcosa che travalicava la logica, il senno, la ragione; qualcosa che toglieva il respiro, il sonno, il cuore.
Era gioia, dolore, ansia, buio, luce, la notte a guardare la luna svegli – speranzosi -, la voglia di vivere l’altro e stringere il presente tra le braccia, ignorando passato e futuro.
Era loro, insieme, stretti – uniti – e basta.
Ad Hermone non importava cosa pensasse Draco: lei sapeva che lui provava i suoi stessi sentimenti; le bastava guardarlo negli occhi per capire e… amarlo ancora di più.

 
***
 
Avevano passato la notte nella saletta della Torre Nord, sdraiati sulla moquette rossa e gli occhi versi il soffitto.
Quei giorni erano stati rinchiusi nella stanza di Theodore, quasi senza parlare, e sapevano entrambi che cosa sarebbe successo una volta avvenuto quel giorno.
Loro non erano così fortunati. I marchi sui loro bracci lo urlavano. Le “S” sui loro sterni lo urlavano.
Daphne gli strinse la mano e rovesciò il capo verso di lui, i capelli aperti a ventaglio sul pavimento.
Il voto infrangibile era chiaro: non si sarebbe sciolto finché uno dei due non sarebbe morto. E si avvicinava l’ora.
Theodore sapeva che, se non sarebbe morta Asteria, lo avrebbe fatto lui; non c’era via d’uscita né qualsiasi altra scelta.
L’orologio a pendolo sul camino di mattoni batté le sei di mattina; niente si muoveva, tutto era immobile.
Era strano… avevano passato sette anni chiusi a Serpeverde, tra di loro – guardandosi le spalle, senza fidarsi nemmeno di loro stessi – e ora tutto era cambiato. Ora a malapena uscivano dalla Torre, senza mai ritornare al dormitorio, lo stesso che aveva visto le loro paure, visto le loro maschere.
Insieme ai Grifondoro. Gli stessi che si erano amalgati con loro così bene da sembrare da sempre una famiglia… la stessa che nessuno di loro aveva mai avuto.
Ora era lì, formata dall’ennesima guerra.
Daphne, al suo fianco, socchiuse gli occhi azzurri e lui si trattenne – di nuovo – dal prenderla con forza tra le braccia e abbracciarla fino a far mancare ad entrambi il respiro.
Non poteva, il voto infrangibile vigeva sul loro capo come una spada di Damocle. E Theo si odiava.
Non poteva partecipare alla battaglia, non poteva urlare a Daphne che l’amava più di se stesso e non respirare sarebbe stato più facile per lui; il tempo scorreva, le lancette andavano avanti e lui poteva solamente guardarla.
« Finirà tutto presto » gli promise Daphne, accarezzandogli con i polpastrelli le guance umide.
Era sempre stato diviso tra due donne, perso tra una bugia e una verità. Ammaliato da una pozione e amato da due fazioni, in un modo diverso, ma così uguale da – certe volte – impedirgli di distinguere.
Asteria e Daphne lo avevano amato nello stesso identico modo, prima che la prima trasformasse il suo amore in ossessione.
« Non finirà mai, per noi » sussurrò Theodore e Daphne chiuse gli occhi, mordendosi con forza le labbra.
Era vero.
Per loro non sarebbe mai finita, perché avrebbero perso.
« Merlino… » singhiozzò Daphne, aggrappandosi al suo braccio disperata, cercando di inghiottire le lacrime e mandare indietro quel fiume di dolore che la stava travolgendo.
Avrebbe dovuto uccidere sua sorella.
Stava per uccidere sua sorella.
« Lo so’ » bisbigliò Theo, sorridendo amaro.
Faceva più male del consentito, anche se lei li aveva traditi tutti quanti; odiarla li trascinava verso l’amore che li aveva tenuti a galla per tutti quegli anni e li uccideva.
« Gli uccellini cantano, è troppo tardi per fare sesso » Blaise apparve come un fantasma e si beccò un bestemmione da parte di Daphne e un posacenere dietro la testa da parte di Theodore. Di cristallo. Con trecento mozziconi che si ficcarono tutti nei suoi capelli.
« Spero che un gruppo di vampiri – stanotte – vi risucchi fino all’ultima goccia! » sbraitò Blaise, sedendosi sul divanetto di pelle e incrociando le braccia al petto, imbronciato.
« Ammettilo che ti stai cagando sotto » rise Daphne e lui le fece la linguaccia.
« Io non posso partecipare » borbottò Theodore, cupo e gli occhi di Blaise si illuminarono di una luce perversa.
Si strofinò le mani tra di loro e sorrise angelico « Bene, allora farai compagnia a Ginny » sogghignò, spaparanzandosi meglio sul divano e afferrando una sigaretta dal pacchetto sul tavolino basso ai suoi piedi.
Se l’accese e appoggiò la testa sullo schienale, aspirando a pieni polmoni una boccata di fumo.
« Ci hai litigato, vero? » sorrise Daphne, portandosi le ginocchia al petto e appoggiando il mento sulle braccia – che circondavano dolcemente le gambe . –
Blaise annuì, abbozzando un ghigno.
« Non avrei mai potuto farla partecipare a questa battaglia. C’è in ballo troppo, oltre lei » rispose, riavviandosi i capelli.
L’aveva cacciato dalla stanza quando le aveva proibito categoricamente di presentarsi e gli aveva urlato contro che lei era libera di fare le proprie scelte. Naturalmente Blaise non l’avrebbe lasciata vincere così e forse lo avrebbe odiato, ma poco prima di mezzanotte l’avrebbe rinchiusa nella stanza di Draco con Theodore.
Lei, il bambino… non poteva rischiare. Nella vita aveva perso troppo e ora voleva essere accorto.
Ora aveva detto basta.
« Vi odio. Non potete dormire come tutte le persone normali? » Harry Potter – che aveva appena aperto gli occhi – entrò e si diresse verso il bancone, servendosi un bicchiere di Gin.
« Cazzo, Potter, sono le sette di mattina! » si disgustò Theodore, fissandolo con rimprovero.
Maglia al contrario e pantaloncini azzurri che mostravano i boxer, Harry lo guardò con gli occhiali storti sul naso « Di già? Allora ci vuole la dose doppia » si limitò a borbottare, versandosi dello scotch nello stesso bicchiere.
Blaise lo guardò di sottecchi.
« Stessa miscela, grazie » disse e Harry annuì, mischiando le due bevande in una tazza da caffè e porgendola a Blaise, per poi svaccarsi accanto a lui.
Bella giornata di merda.
« Magari dovevo aggiungerci del Jack » sbuffò il bambino sopravvissuto, guardando nel bicchiere e trovandoci chissà che di interessante.
« Magari sei diventato un alcolista » sbadigliò Pansy, bofonchiando un buongiorno mezza disastrata, con indosso solo una maglia di Harry.
Li fissò tutti e due, guardò il pendolo che proprio in quel momento segnò le sette del mattino e sospirò.
« Che ci hai messo lì dentro? » domandò sospettosa, avvicinandosi al bancone e fissando quei due ubriaconi sul divano.
Harry fece spallucce « Gin e scotch, ma fa schifo… però se devo morire lo faccio con il fegato spappolato, no? » cinguettò tutto zuccheroso, sbattendo le ciglia angelico.
Pansy afferrò direttamente la bottiglia di Gin, con aria lugubre, e si sedette accanto Blaise, che le scompigliò i capelli.
« Alla salute » borbottò Pansy, attaccandosi alla bottiglia.
Bella giornata di merda, confermato al cento percento.
 
Il fatto che le lezioni si svolgessero normalmente e che gli studenti non fossero stati informati che quella notte, proprio quella notte, si sarebbe svolta una battaglia proprio fuori le mura di Hogwarts, dava la nausea sia ad Harry che a Draco.
Insomma, loro stavano per schiattare e nemmeno un “buona fortuna, coglioni”.
Degenerati.
« Non è giusto » piagnucolò Draco, con il labbruccio, trascinandosi verso i sotterranei insieme ai Grifondoro, con cui avevano lezione.
Hermione alzò gli occhi al cielo.
« Mi dici di che diavolo ti lamenti? » sbottò, mentre Pansy lo guardava male e Blaise sbadigliava vistosamente, visto che notte più in bianco di quella non l’aveva passata.
« Mi lamento che sto per tirare le cuoia e nessuna donna si butti ai miei piedi, disperata, e nessun uomo mi faccia un regalo prima di schiattare » sibilò Draco, sarcastico, mentre Harry si bloccava nel bel mezzo del corridoio.
Tutti quanti lo guardarono, sorpresi.
« Ehi! Io ho rischiato di morire per sette anni e mai nessuno l’ha fatto… ha ragione lui, è un ingiustizia! » disse, indignato, mentre Hermione alzava gli occhi al cielo e Pansy gli mollava uno scappellotto dietro la nuca.
« Muoviti, scemo! »
E fu con un sorriso che Harry entrò nella classe di Lumacorno e affrontò la lezione, completamente perso nei ricordi passati. Dove c’erano lui, Ron ed Hermione… dove affrontare una nuova avventura non li spaventava affatto.
Ora era tutto cambiato: preoccuparsi, stare attenti, pensare che forse era difficile combattere, che un po’ in fondo faceva paura.
Guardò Pansy, che fino a poche ore prima aveva pianto fino a consumare le lacrime, impaurita.
Guardò Ron ed Hermione, che scherzavano come sempre, abituati da quella solfa.
Guardò Draco, che oramai rassegnato faceva la sua pozione, toccando Hermione di tanto in tanto per assicurarsi che fosse ancora lì. Che stesse bene.
Guardò Blaise, che aveva appena gettato un verme nelle mutande di Dean… no, lui era sempre lo stesso. Coglione era e coglione rimaneva.
« Almeno una cosa positiva vuole farla… impedire a Ginny di partecipare » mormorò Ron, finita l’ultima lezione della giornata e si dirigevano nella Sala Grande.
Harry lanciò un occhiata al ragazzo di colore, che si era fermato sotto le arcate e aveva afferrato Ginny per un braccio, intercettata proprio quel momento. Stavano litigando.
Harry guardò l’orologio: erano le sei e trenta.
« Non osare dirmi cosa fare! La vita è mia e decido io cosa diavolo farne! » urlò Ginny, sospingendolo con i palmi aperti contro il muro con espressione furiosa.
« Davvero, bimba, sei eccitante quando fai l’indipendente e l’incazzata al massimo… ma ora non ho tempo » cinguettò Blaise e prima che Ginny potesse mandarlo a quel paese o afferrare la bacchetta, lui se l’era già caricata in spalla.
« BLAISE! Mettimi giù, mettimi giù! » strepitò Ginny, mentre Draco – con un leccalecca in bocca – li fissava con un sopracciglio alzato.
« Dove la porti? » urlò Ron, attirando un bel po’ di sguardi ma fregandosene altamente.
« Nella stanza di Draco, la chiudo dentro » rispose Blaise e al pollice alzato di Ron – e un bestemmione da parte di Ginny – cominciò a dirigersi verso le scale al lato nord.
« Anche io sono incinto, nessuno mi chiude nella torre? » sibilò Draco, sarcastico, facendo ridere Harry e Dean.
« Io invece sai cosa sono? Affamata. Muovetevi, non voglio morire digiuna » sbottò Hermione.
Eccoli là, tutti che parlavano di morire… ma che era, un augurio a farlo?

 
***
 
Le acque del Lago Nero si smossero delicatamente, accarezzate dal vento leggero di Aprile, insidioso e gelido.
La Foresta Proibita sembrava richiamarli a sé con il gracchiare sinistro dei corvi e il fruscio delicato degl’alberi, mentre la luna – quel giorno allineata perfettamente con il sole, quindi invisibile ad occhio umano – si nascondeva e giocava con le ombre, rendendole fittizie e molteplici.
Anastasija volse il capo verso destra, mentre il castello si stagliava imponente e magnifico alle sue spalle: i suoi occhi fissarono oltre la foresta e Vlad la raggiunse, avvolto da un paio di pantaloni di pelle e baciandola delicatamente sul capo.
Aveva il torso completamente nudo e un tatuaggio – che raffigurava un leone che azzannava una rosa – gli copriva tutta la schiena pallida e larga. Una cicatrice partiva dalla scapola e finiva verso il fondoschiena, coperto dalla molla dei pantaloni di pelle.
« Stanno arrivando » mormorò Ana, mentre un piccolo esercito si disponeva alle sue spalle.
Vlad sogghignò, rovesciando il capo all’indietro e inspirando l’odore di odio e sangue che sentiva nell’aria: aspettativa, morte, dolore. Vittoria. Era tutto lì, tralasciato dai loro ormoni, sentibile attraverso la loro pelle.
« Andiamo, tesoro… diamo loro quel che vogliono » miagolò Vladimir, completamente soggiogato dal potere che sentiva scorrere nelle sue vene.
Si leccò le labbra con un gesto lento e sensuale e Ana, lentamente – affascinata – vide il suo volto cambiare; l’iride rossa si sciolse lungo la guancia, fino ad arrivare al mento appuntito e solidificarsi, come cemento.
La forma dell’occhio si assottigliò fino a diventare simile a quella di un felino e la pupilla lasciò posto alla sclera completamente bianca.
La bocca rossa si spalancò in un ghigno infernale e i suoi canini si allungarono fino al mento, spessi e duri, simile a due zanne; le unghia della sua mano, come i denti, si allungarono e allargarono fino a diventare pugnali d’acciaio puro.
Era pronto.
« Sono qua » mormorò Hermione, alzando gli occhi verso la Foresta, racchiusa tra Harry e Draco.
Aveva le gambe fasciate da un paio di jeans logori e l’espressione concentrata di chi non fa altro che pensare a qualcosa di particolare: i suoi occhi bruni erano, nel buio di quella notte, due pozze ambrate… alimentate da un fuoco che cercava di farsi spazio dentro lei; i capelli ricci erano legati in una crocchia disordinata e si aprirono a ventaglio – liberi dalle forcine –  quando, dal nulla, apparvero venti vampiri.
Le accarezzarono le spalle nude, scoperte da un top vinaccia che le dava maggiore libertà nei movimenti: parecchi occhi si posarono su di lei, sorpresi.
« Una Ignis » sussurrò un ragazzo sulla ventina, perforandola con due occhi color cremisi agghiaccianti.
Si sollevò un mormorio sconvolto.
« Non ne vedevo una da secoli » mormorò una ragazza dalla folta chioma rossiccia, accarezzata da un vestito di seta verde.
Apparvero una trentina di umani, tutti vestiti di bianco: una maschera dello stesso colore copriva metà dei loro volti e Ana si mosse delicatamente al fianco di Luna, avvolta dagli stessi pantaloni di pelle di Vlad, con un corpetto dello stesso tessuto.
L’erba scricchiolò sotto i suoi piedi, i respiri si condensarono e l’aria divenne pesante, irrespirabile. Tra gli umani, Anastasija, sentì anche l’odore di Asteria Greengrass.
Le bacchette – le spade – sfrigolarono in quell’esatto momento: il pendolo di Hogwarts, lontano dalla loro portata, suonò la mezzanotte. Ana sentì l’esatto momento in cui la luna si scoprì e la illuminò, travolgendola completamente con i suoi fasci.
Era rossa, come il sangue.
La sua vera natura, di botto – improvvisamente – si risvegliò, soffocandola: il cuore batté per un millesimo di secondo prima di pietrificarsi nuovamente e diventare più duro di prima; dove non scorreva più sangue – nel cuore, nelle vene, nelle arterie – cominciò a scorrere il potere.
Gli sfrigolò le membra, gl’incendiò i sensi e la trascinò in un baratro oscuro dove vinse la sua vera natura. Il suo volto divenne uguale a quello di Vlad e Ana rovesciò il capo all’indietro, gemendo soddisfatta quando i canini si allungarono spropositatamente, pronti ad azzannare.
Pronti ad uccidere.
« Non mi avevi detto che c’erano tutte queste persone » sibilò al voce di un uomo vestito di bianco verso Alekseij, che non aveva occhi che per lei.
Un grosso fragore li distrasse e tutti puntarono lo sguardo verso il portone della scuola: era appena stato sigillato con forza e dalle arcate s’intravidero la preside con una ventina tra uomini e donne, pronti a raggiungerli con le bacchette spianate.
« Sorpresa! » cinguettò Abgail, abbassando per la prima volta il cappuccio dai suoi tratti.
Aveva grandi occhi di un azzurro scolorito, come se fosse vissuto troppo a lungo – come se fosse stato cieco – come se avesse visto troppo, mentre la sua pelle era pallida come la luna piena. Il naso lungo, con una piccola gobba sulla cima e la bocca sottile e rossa.
« Romanov! » urlò allora l’uomo, stringendo i denti e guardando Alek con gli occhi ridotti a due fessure. Alle loro spalle, una decina di dissennatori, si levarono nell’aria. 
« Non m’interessa chi è presente… l’unica cosa che mi interessa è lei » sussurrò, accarezzando con gli occhi rossi il volto di sua sorella.
Vlad strinse le dita attorno il polso di Ana, sorridendo angelico e Alek ringhiò, fissandolo con i canini scoperti.
« Ci sono tutti quelli che hanno tradito la causa » disse quello che – molto probabilmente – era il capo dei Santi.
Draco strinse la mano ad Hermione e lei, a sua volta, strinse quella di Harry; alzò il mento, orgogliosa e fissò con il fuoco negli occhi tutti i presenti della fazione opposta.
« Gli unici traditori siete voi! Abbiamo lottato così tanto affinché queste guerre finissero… affinché questo strazio avesse fine ed è tutto andato in fumo.
Coloro che erano dalla nostra parte sono morti per assicurarci un futuro senza morte, un futuro senza sofferenze e distinzioni di sangue e voi avete distrutto tutto questo! Voi avete sputato sulla memoria dei nostri – dei vostri – defunti!
Siete ignobili » urlò Hermione, stringendo ancora più forte la mano delle sue due ancore.
Guardò di nuovo Draco e allora capì che non c’era soluzione: o la morte di quelle persone o la sua vita. Ed Hermione già sapeva l’esito di tutto ciò.
« ESERCITO DI SILENTE! » li richiamò, alzando le mani intrecciate con le sue uniche speranze e ricevendo in risposta un urlo unanime. Un urlo di chi avrebbe combattuto per riavere la propria vita.
La propria libertà.
E sorrise, perché era quella la risposta alla morte e la distruzione che avevano portato i Santi: uniti nella mente e nell’anima, nel sangue, ora e per sempre.
Era arrivato il momento di incrociare le armi. Di combattere. E lo capì quando sentì lo sferragliare di un tuono sulla sua testa; i vampiri si mossero, irrequieti, e Vlad scricchiolò il collo, soddisfatto.
Hermione voleva urlare “ti amo”, prima che i Santi si muovessero in sincrono per attaccarli. Voleva abbracciare Draco, dirgli che era la cosa più importante che possedesse, ma si limitò a stringere il ciondolo che lui le aveva regalato a natale e a fissarlo in un modo che lo fece sciogliere.
« Tornerò da te » promise Draco, come lei gli aveva promesso che – se sarebbe partita una volta finita Hogwarts – sarebbe tornato da lui. Ed Hermione sorrise, annuendo vigorosamente.
« Sempre » mormorò Hermione, prima di inarcare la schiena e tremare quando, all’urla di guerra di Harry, il fuoco si risvegliò in lei.
Ciondolò dolcemente i fianchi e alzò le mani verso l’alto, mentre l’Ordine della Fenice e gli altri componenti dell’ES combattevano con una forza sovrumana.
Hermione spalancò gli occhi di brace, sogghignando in un modo che non le apparteneva.
Draco si allontanò prima che lei aprisse la bocca di more e mormorasse « Purgatum »
E le fiamme si scatenarono in quella radura.
Draco si abbassò in tempo, prima di venire travolto da una bordata di fiamme rosse e gialle, in un onda d’urto così violenta che bruciò i primi dieci vampiri in una botta sola.
Luna era seduta sul terreno, con le gambe incrociate e le mani strette in quelle di Abgail: gli occhi erano chiusi e il capo inerme. Ron danzava al fianco delle due con la bacchetta in pugno, pronte a difenderle da chiunque osasse sfiorarle.
Le due si fusero, divennero una cosa sola, caddero in un inferno di colori e girandole e vi si persero: Luna gemette e si focalizzò su una sola mente, arrivando a quei ricordi che tutti tanto temevano di rivivere… che tutti evitavano e cercavano di eliminare.
E, ancora una volta, vide.
Un uomo di colore correva a perdifiato tra le mura cadenti di Hogwarts, sgretolatesi sul pavimento aperto in più punti; si guardava attorno con gli occhi fuori dalle orbite, mentre la battaglia – fuori dalle mura – si scatenava più maligna che mai.
E poi, dopo quelli che gli sembrarono attimi interminabili, si bloccò di scatto: un corpo senza vita giaceva in un angolo sperduto della Sala Grande, insieme a tutti gli altri morti della battaglia. L’uomo cadde in ginocchio accanto il corpo scomposto della donna, accarezzandole i capelli biondi come il grano e gemendo disperato nel vedere i suoi occhi azzurri senza vita.
NO!”
Luna tremò quando riconobbe l’uomo e strinse i denti, furiosa; stranamente, come qualsiasi cosa che riguardava il suo potere, seppe cosa fare. Con la mente completamente dedita a quel ricordo, immaginò come sarebbe potuta andare e fu la stessa cosa che vide Kinglsey Shacklebolt, vecchio Auror e ora capo dei Santi.
Ora, accanto alla donna, ne giaceva un'altra, più anziana, con la pelle scura e gli occhi neri come l’ossidiana. Aveva il petto completamente squarciato e le gambe poste in una posizione innaturale.
« Mamma! » rantolò l’uomo, terrorizzato, strappandosi il cappuccio dal capo e stringendo gli occhi in una sottile fessura.
Ora, ancora nella sua mente, c’era una bambina dai folti capelli castani e gli occhi azzurri della donna, ma con la sua pelle scura; gli dava le spalle, delusa, e si allontana irrimediabilmente da lui.
Mi hai delusa, papà” diceva, con il suo tono da soprano, scuotendo il capo dai ricci ribelli e fissandolo con odio.
Vado dai nonni, non voglio più vederti!” continuò, allontanandosi sempre di più, irrimediabilmente, senza che lui potesse fermarla o altro.
Kinglsey rantolò sull’erba alta della radura esterna di Hogwarts, tenendosi il capo con entrambe le mani.
« Mary, Mary no! » continuò a voce alta, mentre la battaglia imperversava attorno a lui.
Luna trattenne le lacrime con forza e tirò su con il naso, costringendosi a pensare a quello che lo avrebbe più ferito… per indebolirlo, per fare in modo che non impartisse ordini; tutti sapevano quanto la morte della moglie avesse distrutto Kinglsey, ma nessuno era arrivato a pensare che lui li avesse traditi.
Che si fosse messo contro di loro.
“È tutta colpa tua se la mamma è morta!”
E un urlo di rabbia e dolore invase la radura, ma non fermò la battaglia.
Draco Malfoy affondò la lama – tenuta in bilico tra le mani pallide – nel collo del vampiro che si era avventato su di lui, recidendogli il capo da destra e sinistra. Questo divenne polvere con uno schiocco secco.
« Hermione, alla destra di Ron! » urlò Harry, scagliando un “Experlliarmus” alla cieca tra dieci Santi e colpendone solo uno, che volò ad un metro di distanza da lui, incosciente.
Hermione elevò uno scudo di fuoco sull’amico e le fiamme si levarono così alte da risucchiare particelle d’ossigeno a parecchi compagni. Quasi a lei stessa.
Luna si distrasse e quello fu fatale.
« Uccidete la Ignis, ora! » sbraitò Kinglsey ed Hermione non ebbe nemmeno il tempo di girarsi, che Alek fu alle sue spalle.
« Shhh, bambina, shhh. Non agitarti » bisbigliò al suo orecchio.
Draco, tra il fumo dell’erba e gli alberi bruciati, il frastuono di lame che si scontravano e corpi che cadevano, sentì quell’urlo agonioso sovrastare tutto, ogni cosa, persino il battito del suo cuore.
La bacchetta gli cadde di mano e il sangue gli scorse al contrario nelle vene, mentre il cuore si bloccava alla vista di una lama trapassare da parte a parte il corpo sottile e magro di Hermione Granger.
« No… » mormorò, seguendo con gli occhi sbarrati il suo corpo cadere al suolo.
Trapassò lo stomaco e girò insensibile nella ferita, strappandole un singulto di dolore. Hermione cadde in ginocchio, sopraffatta, e affondò i palmi nel terreno; il sangue cominciò a gocciolare sull’erba bruciata, scivolando insensibile dallo squarcio nel suo stomaco.
Quel sangue che li aveva divisi.
Quel sangue che – ora – amava più del suo.
« NO! » urlò, venendo bloccato dalle braccia di Harry.
Cercò di liberarsi, cercò di raggiungerla, ma quelle braccia lo stringevano troppo forte per sfuggirgli. Gli occhi di Hermione si scurirono e lo cercarono tra la folla, individuandolo subito.
Si bearono della sua immagine, se ne innamorarono ancora e ancora.
Ma lui non poté raggiungerla. Draco non poté che urlare « No » e ancora no, fino a farsi male la gola, mentre lei giaceva lì, agonizzante.
Il dolore scoppiò in modo così violento che gli strappò ogni cosa, persino la capacità di respirare; i suoi occhi non vedevano altro che lei: quel volto pallido, che aveva accarezzato fino allo sfinimento. Quegli occhi scuri, che aveva odiato, che aveva amato, che lo avevano reso quel che era ora.
Che gli avevano insegnato ad amare.
Quel corpo che oramai conosceva a memoria, dalla prima cicatrice all’ultima, a nei nascosti, a imperfezioni sottili e perfezioni per lui fin troppo visibili.
Una pozza di sangue si era allargata sotto di lei e i suoi occhi non lasciavano mai i suoi.
Ma Draco riuscì a leggere sulle sue labbra… riuscì a farlo, quella volta. Hermione, sorridendo, mimò prima una « I », strappandogli il respiro.
« L » continuò, tremante, mentre Harry stringeva ancora di più la presa su di lui, visto che Alek era ancora alle spalle dell’amica e Ana gli chiedeva di intrattenerlo il più possibile.
« O » mimò ancora, mentre lui – lentamente – cominciava a rendersi conto della frase che Hermione cercava di comporre.
« V » sussurrò per lei, che rise, sputando poi un rivolo di sangue nella pozza già sotto il suo corpo.
« E » mormorò Hermione, mentre Alek strappava la lama dalla sua ferita e lei gemeva ancora più prepotente, cercando di frenare le lacrime.
Draco si dibatté ancora, senza successo.
« Y » disse al suo posto, trattenendo come lei i singulti.
« O » formò Hermione con la bocca sporca di sangue.
« U » bisbigliarono insieme.
Ana si materializzò alle spalle di Alek e affondò i denti nel suo collo proprio quando lui era intento a girare ancora la lama in Hermione: Alek urlò e lanciò Ana contro un albero, raggiungendola immediatamente.
« Il tuo maritino ha finito di proteggerti, amore? » sibilò, schiacciandola contro la corteccia con il proprio corpo.
Ana sbatté le ciglia, civettuola.
« Non credo proprio… è dietro di te, idiota » mormorò, prima che – nuovamente – dei denti s’infilassero nel collo già disastrato di Alek, che urlò furioso.
Ingaggiarono, come l’ultima volta, una lotta furiosa: Vlad si lanciò contro Alek e gli morse con rabbia una spalla, strappandogli un pezzo di carne; caddero entrambi sul terreno umido e Alek gli si mise a cavalcioni, sovrastandolo.
« Lei è mia! » urlò furioso, con gli occhi fuori dalle orbite.
Vlad ghignò.
« Ma non credo proprio » rise, mentre Alek cadeva in avanti per un calcio in piena schiena da parte di Anastasija.
Cadde in faccia giù e annaspò, nel terreno.
« È finita, Vlad. Basta con tutto questo, basta » mormorò Ana, ma lui scoppiò sguaiatamente a ridere, girandosi verso di lei con gli occhi ridotti in due fessure.
« Anastasija, Anastasija, Anastasija » ripeté Alekseij, come una nenia.
Assaporò il suo nome, lo fece suo.
« Sei sempre stata così ingenua, anche da piccola » bisbigliò, fissandola con il capo riverso verso di lei.
Aveva la bocca violacea tesa in un sorriso dolce e ora il suo volto era tornato umano: i canini erano spariti e i suoi occhi tornarono rossi; Ana indietreggiò e Alek le tese una mano dal terreno su cui era sdraiato.
« Ricordi, Ana? Dove c’ero io, c’eri tu. Mi seguivi dappertutto e una volta – quando avevi cinque anni – mi chiedesti anche di sposarti.
Ti promisi che l’avrei fatto.
Non ho mai rotto quella promessa, Ana, mai; tu mi amavi tanto quanto ti amavo io… tu eri mia tanto quanto io ero tuo » sussurrò e Anastasija scosse il capo, indietreggiando.
« Ma loro non avrebbero capito… i nostri genitori non avrebbero mai apprezzato tutto questo e io non potevo deluderti, Ana.
Feci entrare i ribelli al palazzo e li feci uccidere per te, solo per te » continuò, febbrile, mentre l’orrore e la consapevolezza si dipingevano nello sguardo della sorella.
« No » gemette la ragazza, indietreggiando ancora.
Se avesse potuto… se il suo corpo avesse potuto, ora, grosse lacrime le avrebbero solcato il volto.
“No” pensò ancora, disperata.
« Ma non avevo calcolato che avrebbero preso anche me e te  »
Ad Ana sembrava rivivere quei momenti uno dopo l’altro. Di sentire le urla di sua madre, suo padre… le sue sorelle. Le sembrava di poter sentire la puzza di bruciato, le lacrime scorrere veloci sulle sue guance.
Il dolore, lancinante.
« Ma ti ho salvato, Ana! Ho salvato me e anche te… e l’ho fatto solo per stare insieme. Perché noi siamo fatti per stare insieme » disse, carezzevole, mentre lei cadeva in ginocchio, ai suoi piedi, completamente distrutta.
“No” pensò ancora, mentre le sembrava di rivedere quei cappi ai colli delle sue adorate sorelle, le torture inflitte alla sua dolce madre.
« Avrei preferito morire! Avrei preferito morire mille e mille altre volte piuttosto che salvarmi e condurre questa inutile vita!
Li hai fatti ammazzare sotto i miei occhi!
Mamma, papà… Ol’ga, Tat’jana, Marija… come hai potuto? Erano la nostra vita! » urlò con quanto fiato avesse in gola, passandosi – disperata – le mani sul volto.
Le sue sorelle che cercavano di proteggerla da quelle mani, da quelle risate e suo padre che le aveva strette, cullate, mormorando parole dolci, a bassa voce. Non lo aveva mai fatto.
Aveva detto loro di amarle, solo in punto di morte.
« Li raggiungeremo presto, Ana » e questa volta nemmeno Vlad poté prevederlo.
Alek fu così veloce e fece un gesto così disperato che lasciò sia il suo nemico che sua sorella senza fiato: cuore a cuore, abbracciati in una morsa così stretta da spezzare le ossa, Alek trafisse entrambi con una lama.
Trapassò lo sterno dei due fratelli, facendoli cadere all’indietro: Ana sul terreno e Alek su di lei, col sorriso sulle labbra. Con il manico scese verso il basso, giù per lo stomaco e il cuore di pietra di entrambi si lacerò, spaccandosi in due.
« Strappargli il cuore è l’unica cosa che li fa morire » mormorò Alek e lei si aggrappò alle sue spalle, mentre sangue nero come le ali di un corvo zampillava tra di loro.
Lo stesso sangue.
Vlad urlò e strappò la lama dal corpo di entrambi, calciando via Alekseij e afferrando di slancio Ana, che sogghignò.
« Non me l’ha strappato » disse, facendolo ridere e poggiare la fronte sulla sua.
Harry – alla loro destra – evitò per un pelo che un maledetto bastardo gli mordesse il collo e urlò « Expecto Patronum! » alla sua sinistra, dove un cervo d’argento riuscì a scacciare una decina di dissennatori.
Hermione era tra le braccia di Draco, che cercava di tamponare la sua ferita alla bella e meglio e lui stava strappando così tanti cuori dal petto dei vampiri che oramai aveva perso il conto: Seamus e Dean erano riusciti ad atterrare cinque o sei Santi con gli incantesimi che avevano imparato durante l’allenamento e la Mcgranitt – per proteggersi – ne aveva uccisi già quattro.
« Harry! »
Il bambino sopravvissuto si girò di scatto e affondò la lama nel petto di un Santo, mentre Pansy – a quattro metri da lui – urlava « Crucio! » verso l’ennesimo nemico.
Recise la testa ad un altro quando se lo ritrovò di spalle, pronto ad ucciderlo.
« Asteria » Daphne apparve accanto al Lago Nero ed Harry visualizzò immediatamente la sua voce: la vide poggiare una mano sulla spalla della sorella e questa girarsi di scatto, impaurita.
« Daphi! » disse quella, lasciando cadere il cappuccio dai capelli biondi come il grano.
Le spade collidevano ancora, come gli incantesimi più proibiti. Due Avada Kedavra illuminarono le sorelle Greengrass di una luce verdastra, ma niente le colpì.
« Asteria… » ripeté Daphne, accarezzandole i capelli biondi con dolcezza.
La sorella minore sorrise e – scuotendo il capo – capì.
« Sono felice che sia tu a farlo, Daphi » bisbigliò Asteria, socchiudendo gli occhi azzurri e allacciando le dita alle sue, con delicatezza.
« Perché? »
Già, Daphne se lo chiedeva ogni maledetto giorno.
Perché?
Perché sua sorella l’aveva tradita? Perché l’aveva venduta ai Santi, arrivando quasi ad ucciderla per prendersi Theodore e tradendo persino la sua stessa casa? La sua stessa famiglia.
« Io non sarò mai te »
Daphne abbracciò sua sorella, stringendosela al petto con forza.
« Ti voglio bene, Asteria » mormorò Daphne tra i suoi capelli, ricordando ogni attimo condiviso con lei.
Ogni secondo, ogni sentimento, ogni dolore.
« Anche io… e no, Daphi. Non cambierò mai idea, ti ho venduta e lo rifarei altre mille volte. Per dimostrarti che posso ingannarti. Per dimostrarti che posso vivere senza di te » ridacchiò, gemendo appena quando Daphne la strinse più forte.
Pazza… pazza traditrice.
« Avada Kedavra » e fu dolce, veloce.
Avada Kedavra e lei si accasciò tra le sue braccia, ancora calda e tremante.
Avada Kedavra e fu dolce, ma doloroso.
I ricordi di quando era bambina e il mondo le sembrava passabile… se solo avesse avuto con sé sua sorella; pietre che diventavano castelli, fiori che diventavano bacchette.
Il mondo le sembrava più bello quando Asteria rideva e l’abbracciava, urlando per la felicità.
Arrivò il dolore, ma fu solo buio. Buio e vuoto, come quando dormi e non senti nulla, non sogni nulla… sei solo inesistente.
Un guscio vuoto.
« Daphne, attenta! » urlò Blaise, ma lei non lo sentì.
Sentì solamente l’ennesimo boato e un corpo travolgere il suo e quello di Asteria, costringendole sdraiate sul terreno. Lo scoppiò fu assordante e Daphne – per parecchi secondi – credette di aver perso l’udito.
Si alzò stordita e sentì la fronte calda: si toccò l’attaccatura dei capelli e la vide sporca di sangue. Nella caduta aveva battuto leggermente la testa.
Si guardò attorno, spaesata e immediatamente visualizzò il corpo di sua sorella: si gettò su di lei, prima di… prima di scorgere un altro corpo.
Blaise.
Nell’esplosione si era lanciata su di lei e Astoria ed era stato lanciato lontano, contro un albero; lo vide al suolo, con il volto coperto di sangue e le braccia aperte. I capelli neri erano sconvolti e macchiati e i suoi occhi erano chiusi.
« Blaise! » strillò, senza fiato, disperata.
« Blaise! » singhiozzò ancora, sconvolta, sorpassando il corpo di sua sorella e lanciandosi verso di lui.
No, no, no!
No…
« Blaise! » ripeté tra i singulti e le lacrime, scuotendo il corpo dell’amico con forza, rabbia, dolore.
No...
Si accasciò contro di lui, urlando dallo strazio che le stava divorando lo sterno, inghiottita dalle lacrime, dal battito violento del suo cuore.
Le sembrava un incubo in cui tutto va male e sembra quasi irreale dal modo in cui il mare ti rema contro, spezzandoti irrimediabilmente.
Aveva il volto sporco di fuliggine e le labbra schiuse; le sembrava che dormisse dolcemente e Daphne sentì che in fondo era così che doveva essere.
Dormire, senza più svegliarsi.
Sono felice che sia tu a farlo, Daphi”
Il suo respiro si cristallizzò e il suo corpo divenne di ghiaccio: Daphne si sarebbe anche fatta inghiottire dai dissennatori in quel momento, che sicuramente avrebbero banchettato fin troppo su di lei.
Si sarebbe fatta baciare, così non avrebbe più ricordato la bacchetta puntata alla schiena di sua sorella. Non avrebbe ricordato il corpo di Blaise sotto di sé, così grande, ma così indifeso… e lo avrebbe fatto se, appoggiando la guancia contro il suo petto – piangendo – non avesse scorto il battito leggero dell’amico.
Blaise respirava. Anche se a fatica, respirava.
« Vi prego, aiutatemi! Aiutatemi, respira ancora! » strepitò fuori di sé, aggrappandosi alle braccia di Blaise e guardandosi attorno in cerca di aiuto.
« Vi supplico! » strillò ancora Daphne e finalmente qualcuno li raggiunse: Ron – con l’aiuto di Terry ed Harry – scacciò i dissennatori e si caricò il ragazzo in spalla, cercando di aggirare il centro esatto della battaglia e raggiungere Hermione e Draco dalla parte opposta della radura, quasi accanto le arcate.
« Hermione, anche se è ferita, difende ancora chi cerca di attaccare lei e Malfoy. I feriti, accanto a lei, saranno al sicuro » disse Ron, sbuffando al peso eccessivo del ragazzo.
« Harry… me la fai una promessa? » mormorò Terry, mentre Daphne – con un urlo rabbioso – si gettava nella battaglia e Ron distoglieva lo sguardo con tatto.
Il bambino sopravvissuto annuì.
« Se dovesse succedermi qualcosa, qualsiasi cosa, mi prometti che James non venga spedito in orfanotrofio? Mi prometti che te ne prenderai cura?
La tua è l’unica ala sicura, Harry. Promettimi che James starà con te e che non soffra mai la diversità, mai il potere del suo cognome, del suo sangue » disse il ragazzo, guardando dritto davanti a sé.
Harry lo fissò sconvolto e – con un impeto d’orgoglio – annuì vigorosamente all’amico.
« Non ti succederà niente, Terry, ma conta su di me » sussurrò, alzando fieramente il mento e passandosi una mano sul petto, in una tacita promessa che avrebbe mantenuto a costo di tutto.
A volte combattere toglieva le forze, le speranze, la voglia di farlo ancora. Toglieva il respiro dai polmoni, il sangue dalle vene, il cuore dal petto. E faceva male.
Faceva male urlare quando un amico cadeva sul terreno, alzando un cumulo di terreno. Faceva male la consapevolezza di non rivederlo più; la consapevolezza che quella era l’ultima volta.
Faceva male sapere che avresti potuto fare qualcosa, ma è troppo tardi.
È sempre troppo tardi.
Harry lasciò cadere il corpo di Blaise accanto a Draco, girandosi di scatto per pararsi dall’attacco di un mannaro.
« I mannari! Ci siamo dimenticati dei mannari! » urlò Harry, venendo sbalzato ad un metro di distanza da una zampata di quell’uomo lupo enorme.
Combattere spezzava gli ansiti, i respiri, rendeva il tutto un lungo gemito terrorizzato. Camminare con la morte, sentire il suo fiato sul collo a volte faceva paura… altre volte portava solo rassegnazione.
Oramai lo spiazzato alle spalle di Hogwarts era solamente un cratere fumante e il tempo non scorreva mai. I movimenti sembravano lenti, più dolorosi, e le azioni strazianti – invece – si susseguivano più velocemente del normale.
Pansy cadde, chiudendo gli occhi quando il fiato caldo e fetido del Lupo Mannaro arrivò a pochi centimetri dal suo volto, piagnucolando disperatamente.
« Harry, Harry! » strepitò, cercando di spingere quel corpo lontano da sé.
Allontanandogli il viso, una zanna le squarciò completamente la mano, provocandole uno spasmo di dolore lancinante.
Pansy urlò ancora, mentre le unghia dell’animale sprofondavano nel suo petto; uno zampillio di sangue le sporcò i capelli neri come l’inchiostro.
« Harry… » lo chiamò ancora, tirando su con il naso e sforzandosi di non piangere.
Aveva il volto completamente sprofondato nel fango e il sangue e quando osò aprire gli occhi d’ossidiana, il suo sguardo si colmò di un verde meraviglioso: il corpo fu lanciato via da lei e Pansy distolse lo sguardo quando Harry – con un colpo solo – pugnalò dritto al petto l’animale, con una spada d’argento.
« Sono qua » mormorò in un attimo, avvicinandosi a lei e stringendola in un abbraccio.
Pansy annuì, buttandogli le braccia al collo e affondando il viso nel suo petto.
A volte combattere non lasciava spazio ai sentimenti: o uccidevi o rimanevi ucciso, due erano le opzioni; certi attimi la polvere del terreno diventava intossicante e irrespirabile e bloccava, lasciando cadere tutti in ginocchio.
E rialzarsi – con le proprie gambe, le mani ancorate al terreno – diventava sempre più difficile: sembrava alzarsi con un macigno, magari due o tre, sulle spalle e oramai i lividi sulle ginocchia erano troppi da sopportare.
Insopportabili da subire.
« Dietro di te! » gridò Pansy, stringendolo ancora più forte e costringendolo a terra, insieme a lei, mentre un Avada Kedavra li superava di slancio, velocemente.
« Sono rimasti nove dell’Ordine, compresa la Mcgranitt » contò Hermione, mentre Draco lanciava un “Crucio” al Santo che aveva attaccato Harry e Pansy.
« Neville, Seamus, Goldstein e Corner sono… morti » bisbigliò, guardandosi attorno con un magone alla gola.
Inghiottì le lacrime, continuando a fare la conta dei morti.
« Anche Macmillan di Tassorosso, Harper e Derrick di Serpeverde » sussurrò, lasciandosi stringere da Draco con gli occhi offuscati dalle lacrime.
« Lavanda e Abbott in egual modo » disse, chiudendo gli occhi nel vedere anche vecchi amici Auror cadere uno dopo l’altro.
Dedalus Lux, Hestia Jones e… Hagrid.
« No, no » mormorò Hermione, tenendosi con una mano la ferita e con l’altra il petto, dove sembrava che il cuore volesse sbalzargli fuori con violenza inaudita.
Il dolore la investì come una doccia gelida, travolgendola e sbattendola verso il basso, per poi riportarla su’, come in riva ad un mare ghiacciato.
Hermione singhiozzò.
Le sembrava che avessero perso più loro che la fazione opposta: erano più i morti che i sopravvissuti e questa consapevolezza la spezzò in due; non riusciva più a vedere né Ron né Terry e nemmeno Harry e Daphne erano nel suo raggio visivo.
E quella consapevolezza la piegò ancora di più.
Le sembrava di poter morire anche lei, lì, e non provare più niente.
Le sembrava di chiedere di poter morire anche lei, proprio lì, per non poter provare più niente.
« Sono… sono rimasti due vampiri, tre Lupi Mannari e una decina di Santi » continuò, bevendo le proprie lacrime.
La Mcgranitt e gli altri rimasti cercavano di combattere i Lupi Mannari, Alek giaceva sul terreno, tenuto a bada da Ana e Vlad e l’ultimo vampiro combatteva contro Harry.
Rimanevano i Santi: Kingsley era tenuto a bada da Luna e Abgail e ora era arrivato il suo turno di fare qualcosa.
« Porta gli altri lontani da qua, Draco e no, non accetto un “no” come risposta » bisbigliò e il suo ragazzo annuì, afferrando Blaise e gli altri feriti, portandoli lontani da lei.
Hermione socchiuse gli occhi e schiuse le labbra, inspirando ed espirando a fondo: Ana le aveva detto che lei doveva essere il fuoco; doveva sentirlo, manovrarlo… e perdersi insieme ad esso per possederlo completamente.
La perdita di sangue l’aveva infiacchita e ne aveva perso così tanto che nemmeno poteva quantificarsi la pozza allargatasi sotto di lei, ma Hermione focalizzò la scintilla dentro di sé e si concentrò su essa.
Era quasi finita.
« Purgatum » mormorò, cominciando a sentire le particelle d’ossigeno sfrigolare, annullarsi, ricomporsi.
« Purgatum » ripeté, artigliando le dita ed escludendo qualsiasi suono, ogni distrazione.
Il fuoco fu lei. Lei divenne fuoco.
Il mondo esplose e lei non sentì nient’altro che quelle fiamme scoppiarle da dentro, farla diventare viva: allargò le braccia e le allungò verso l’alto.
« Purgatum » e l’inferno scese in terra.
Fu come lo scoppiò di una bomba: una bordata di fiamme avvolse la radura e i dieci Santi rimasti invita; li bruciò completamente, fino alle ossa… fino a rimanerne solamente le ceneri.
E finì.
Finì realmente.

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Capitolo 22
*** Capitolo XXI - Because ***


 Capitolo XXI –
Because


 
 
 
Conoscete la sensazione che si prova quando il mondo ti crolla contro? Quando si riceve una brutta notizia – del tutto inaspettata – e la bile ti inacidisce così tanto lo stomaco da procurarti crampi e spasmi, che si estendono fino alle viscere – attorcigliandole senza pietà – e risalgono verso il cuore, stringendolo così tanto da farti temere un infarto?
A Ginny sembrava di soffocare.
L’infermeria era gremita e a malapena c’era spazio per i feriti, ma lei rimase immobile contro quel letto macchiato di sangue – che a stento riusciva a contenerlo e che al contempo sembrava inghiottirlo – fissando ad occhi sgranati il ragazzo che non aveva fatto altro che causarle guai.
Il padre di suo figlio.
« Dove sono? » la voce di Theodore – al suo fianco – tremò.
Era impallidito e fissava Blaise riverso su quel lettino senza fiato, temendo una risposta. Temendo la verità.
« Mi dispiace » bisbigliò Draco, spostandosi verso destra e mostrando due lettini uniti e due mani congiunte – strette anche nella morte. –
In quel sonno eterno sembravano entrambe serene, felici, quasi dolci ed erano due magnifici angeli con quei capelli biondi macchiati di sangue e l’incarnato pallido, sporco in più punti. E a Theodore sembrò di morire insieme a loro.
Con loro.
Ginny, al suo fianco, cadde in ginocchio accanto a Blaise, ma lui si limitò a fissarle. Si limitò a guardare i loro occhi chiusi, le loro bocche chiuse e le fossette sui visi prettamente uguali, come se prima di dormire avessero sorriso.
E – conoscendole – probabilmente l’avevano fatto.
Theo s’infilò una mano nei capelli neri e si morse le labbra fino a sentire il sapore acre del sangue nella bocca. Indietreggiò, tremando, senza mai distogliere gli occhi dai suoi angeli.
Erano morte… e probabilmente l’avevano fatto per lui. Se Daphne non avesse dovuto uccidere sua sorella, non si sarebbe lasciata andare – non avrebbe mai permesso che qualcuno la colpisse, per poi lasciare Asteria sola.
Con le spalle toccò lo stipite della porta e senza guardarsi indietro scappò; corse lontano da tutto e tutti… probabilmente, per non fare mai più ritorno.
Per non rivedere mai più quella scena, per non sentire la colpa attenagliargli le viscere e divorargli il cuore.
Per lasciarsi morire, magari, insieme a loro.
Con loro.
« Non è colpa tua, Draco » sussurrò Hermione dal suo lettino, fissandolo tra il determinato e il moribondo.
Era così stanca, dopo aver combattuto così tanto e con tanta tenacia… che Draco si sedette accanto a lei, accarezzandole con dolcezza i capelli ricci e crespi « Perché non dormi, hm? » bisbigliò con voce carezzevole, baciandole le nocche escoriate delle mani con riverenza.
L’infermiera era gremita di gente, dolore, ansia… e a stento conteneva i feriti.
A malapena tratteneva lo strazio.
Draco si allontanò da Hermione solo per aiutare Ginny ad alzarsi dal pavimento gelido, prendendola facilmente tra le braccia e depositandola sul lettino di Blaise che – facendolo sorridere – anche dal coma sembrò rimpicciolirsi per farle spazio.
« Non stressarti, d’accordo? Il bambino ne risente e l’ultima cosa che vogliamo tutti è far star male il mio figlioccio. Blaise starà bene » sussurrò a bassa voce, asciugandole le lacrime che le stavano solcando il volto pallido e coprendola con un lenzuolo.
Harry – a pochi metri da lui – alzò gli occhi verdi intrisi di lacrime e abbozzò un sorriso riconoscente in netto contrasto con lo sguardo umido e la bocca screpolata in più punti, morsa con una ferocia inimmaginabile.
Dietro le sue spalle, Terry giaceva morto.
Era strano come la vita voltasse improvvisamente le spalle anche ai più valorosi… i puri di cuore e faceva male la consapevolezza di essere niente – nessuno – tra le braccia della cupa Signora con la falce.
« Siete stati tutti coraggiosi » mormorò la Mcgranitt, prendendo parola e sorridendo tremula.
Ma cos’era il coraggio quando tutto crollava e il cuore sprofondava?
Che significato aveva il coraggio quando si moriva a diciannove anni per una colpa che non si ha?
Ogni singolo morto, Draco, se lo sarebbe portato sulla coscienza; i nomi dei deceduti, le loro urla, le loro lacrime… Draco le avrebbe portate per sempre nel cuore – segnate col sangue – segnate per la vita.
James strinse la mano di Harry, ingoiando le lacrime e lasciando che Pansy gli accarezzasse il capo, accorta.
Cos’era il coraggio quando si lasciava un bambino così piccolo? Un bambino che ora avrebbe guardato la vita diversamente, con una coscienza maggiore.
Con un dolore nel cuore.
« Bravi, bambini » sussurrò Molly, affiancando la preside e guardandoli con uno sguardo dolce e materno.
Sospirò nel vedere i loro sguardi distrutti e passò per i vari letti; accarezzò il capo di Hermione, quello delle sorelle Greengrass. Strinse la mano di Harry, quella di Ron, che aveva una gamba ingessata e il volto più pallido del solito.
Quante persone avevano perso ancora? Quante?
Baciò la fronte della sua piccola Ginny e quella del suo fidanzato, riverso in un coma profondo e – ad apparenza – quasi irreversibile.
Quanti ne dovevano perdere ancora, prima che tutto finisse? Quanti?
« Bravi » ripeté, stringendo la mano di Dean Thomas, che con un braccio rotto e una gamba malridotta stringeva le labbra per non singhiozzare.
A volte Harry desiderava essere morto in quella stanza, in quella culla dove aveva sentito morire suo padre e visto morire sua madre; avrebbe preferito che quell’anatema avesse funzionato… e lui – forse – non avrebbe sopportato quello che era costretto a sopportare da anni.
Pansy strinse lui e James in un abbraccio, di slancio, ed Harry capì anche che altre volte non aveva senso quello che formulava in giorni in cui era angosciato… perché senza essere il prescelto non avrebbe conosciuto Ron, Hermione, la famiglia Weasley, Pansy.  E il mondo sarebbe stato solamente un bozzolo buio sottoposto alla cattiveria di Voldemort.
« Siamo vivi » disse Draco, guardando Hermione con quella solita luce che appariva nel suo sguardo quando la fissava.
Erano vivi.
Ed era così inutile che lo fossero. Così inutile.
L’infermiera era gremita di persone, quel giorno, e lo spiazzato di Hogwarts era stato bruciato e raso al suolo.
Il Ministero della Magia fu avvisato proprio in quel momento e la Mcgranitt dovette fare la conta dei morti.
Sul campo erano scesi ventidue studenti, quindici erano morti insieme a cinque componenti dell’Ordine della Fenice, il resto erano in infermeria con qualche arto rotto.
E faceva così maledettamente male.
L’infermeria era gremita di dolore e morte.
« Andrà tutto bene » mormorò Ron, accarezzando il capo di Luna e fissandoli determinato, come se fosse l’unico rimasto integro in quel momento.
L’unico a cui ci si potesse aggrappare.
E Luna annuì energica, stringendo la mano del ragazzo e sorridendo dolcemente.
« Sopravvivremo »
E quella era l’unica soluzione.
 
***
 
Passarono due giorni e tutta la Gran Bretagna seppe quello che era successo: ai funerali degli studenti – svolti sotto richiesta dei genitori o tutori nella scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts – metà Ministero e comunità magica era presente per rendere onore e omaggio a chi, ancora una volta, aveva sacrificato la propria vita per il bene di migliaia di persone.
Per il bene di tutti.
Foto incorniciate furono messe sotto le arcate dell’entrata principale, drappeggiate da grossi drappi di velluto nero: foto, dediche, pupazzi e candele, furono messe ai piedi di ogni pagella.
Harry chiese la completa adozione di James, in quanto maggiorenne e unico che fosse disposto a prendersi cura di lui: non ci volle molto o chissà che, essere il prescelto – per una volta – andò a suo favore.
Gli esami si avvicinavano ed Hermione faceva ancora uso della sedia a rotelle per muoversi da un posto all’altro, accompagnata perennemente da Draco – che non la lasciava mai – come se potesse scappare.
Come se dovesse andar via da un momento all’altro.
E Blaise era ancora in coma.
« Sono andata dal Medimago, oggi pomeriggio » sussurrò Ginny, seduta accanto al suo letto e sorridendo dolcemente con una mano sul ventre.
Blaise non si mosse.
Ginny si riavviò una ciocca di capelli rosso fuoco dietro l’orecchio e strinse la mano del ragazzo, continuando a sporgere la bocca in quel sogghigno divertito.
« Dice la mamma che è normale in una famiglia con dei precedenti… e, beh, all’inizio sono rimasta un po’ scioccata.
Insomma, due gemelli! » rise, asciugandosi una lacrima birichina che le era sfuggita dagli occhi castani.
Si portò una mano di lui sulla guancia, stringendo gli occhi con forza e continuando ad accarezzarsi il ventre; non erano passati nemmeno tre giorni e Blaise le mancava come l’aria.
Le mancavano le sue sciocchezze, il suo sorriso, la sua dolcezza e la sua strafottenza. Lui era sempre così gentile con lei e Ginny non l’aveva mai accontentato in niente.
« Porco Salazar… due gemelli? Dimmi che uno lo vendiamo e giuro che non scappo ai Caraibi » bisbigliò una voce roca, facendola sobbalzare violentemente sulla sedia.
Ginny scoppiò a ridere quando vide che Blaise aveva aperto gli occhi di poco e la guardava con un sorriso pigro sulle labbra.
« Oh santissimo Godric! » urlò la ragazza, buttandogli improvvisamente le braccia al collo e facendolo gemere dal dolore.
« ‘Gioorno, bimba. Anche io mi sono mancato, tranquilla » ridacchiò Blaise, mentre lei gli afferrava il viso tra le mani e lo baciava dappertutto, dalla bocca – alle palpebre – ad ogni parte del viso.
E piangeva. Lo stringeva e nello stesso tempo beveva le proprie lacrime, stringendoselo al petto come se non ci fosse un domani.
« Sei sveglio… sei sveglio » gemette senza fiato, strappandogli un sorrisetto irritante.
« Ma sono veramente due gemelli o l’hai detto per sconvolgermi dal coma e farmi svegliare? » borbottò, guardingo, mentre lei rovesciava il capo all’indietro e scoppiava a ridere.
« Diciamo che la notte che mi hanno detto che il trauma cranico ti aveva portato in un coma protettivo, ho ricevuto una brutta batosta, così tua madre e mia madre hanno pensato bene di portarmi dal Medimago per una visita di controllo… forse sapere il sesso del bambino mi avrebbe aiutato a stare meglio » spiegò Ginny, afferrando la borsa a tracolla accostata ai piedi del letto e tirando fuori una fotografia.
Era al terzo mese di gravidanza e nel mondo Magico le visite erano diverse: il Medimago poggiava la bacchetta sul ventre e un ologramma mostrava il feto. E la sua borsa era un po’ stretta, perché ne conteneva due.
« Ne sono due. Un maschietto e una femminuccia » sussurrò Ginny e ora il suo volto era solare, così dolce da far sorridere anche lui dalla gioia.
« Beh, Hope era già assodato, tuo fratello George ci ha soffiato il nome di suo fratello… come vuoi chiamarlo? » domandò Blaise, facendole brillare gli occhi.
« Io avrei un idea » mormorò vaga, mordendosi le labbra e aspettando che Madama Chips si accorgesse che Blaise – oramai – era sveglio.
Blaise lo guardò curioso e lei gli scoccò un bacio sulla bocca.
« Noah, praticamente “pace e luce” » bisbigliò, facendo sorridere il ragazzo steso sul letto.
E no, non c’era nome più perfetto.
 
Dall’altra parte del castello, Anastasija fissava con una smorfia due marmocchi quasi inorridita; i capelli rossi – che aveva tagliato il pomeriggio prima – ora sfilavano in un taglio maschile che, da lontano, la faceva rassomigliare ad un ragazzo.
« Aumentano a vista d’occhio » balbettò terrorizzata, mentre Vlad, alle sue spalle, ridacchiava divertito.
James e Teddy – il figlio di Ninfadora e Remus – la fissavano tutti paciosi e tranquilli, ma la luce diabolica che brillava nei loro occhietti, Ana la riconosceva benissimo… le sembrava quasi di poter fissare suo fratello Alek quando cercava di ucciderla.
« Ma dai, uno ha cinque anni e l’altro due, che ti potranno mai fare? » rise Vladimir, mentre Teddy si aggrappava sulle spalle di James e cambiava colore di capelli da un placido castano a un azzurro cielo.
« Sia ha paura? » cinguettò, gonfiando le guanciotte piene e incespicando nella z.
James alzò le spalle.
« Non le piacciono i bambini » ridacchiò, come se quella notizia lo divertisse esageratamente.
Teddy sbatté gli occhioni nocciola, sorpreso.
« Disce nonnina che io piascio a tutti » borbottò Ted, che sembrava amare la s più delle altre parole.
Harry, appena l’aveva sentito parlare – dopo nove mesi che non aveva potuto vederlo – era scoppiato a ridere: non aveva nulla dei genitori, se non gli occhi castani di Remus e il potere speciale di Tonks, ma era un delizioso connubio tra entrambi i genitori. Ed era adorabile… quindi perché non affiancarlo a James e vedere quanti disastri avrebbero combinato entrambi?
« Punto primo: non chiamarmi zia, mi mette i brividi.
Punto secondo: parla bene, sei un uomo oramai e quella esse mi fa attorcigliare le viscere » disse Ana, con le mani sui fianchi e un espressione autoritaria.
Teddy si corrucciò.
« Sia, mi fai vedere i dentini? »
Ana si schiaffeggiò la fronte e si chiese perché mai dovesse fare da babysitter a quei due mostri; non erano né figli suoi e né altro, quindi perché applicarsi?
« Falli fare un giro del parco, Ana. Noi dobbiamo studiare » borbottò Harry, girando l’ennesima pagina di Pozioni Avanzate e chiedendosi perché – con tutte le guerre che aveva affrontato – non potessero regalargli il diploma.
Che ingiustizia, cazzo!
« Non credevo che la guerra ti avesse causato danni celebrali, Potter… ma a quanto pare mi sbagliavo » sillabò Anastasija, guardandolo indignata, nemmeno le avesse chiesto di spogliarsi e ballare nuda la samba.
Non che fosse una cattiva idea, naturalmente.
« Blaise si è svegliato! » Draco aprì la porta di scatto, ansante, e tutti balzarono dalle sedie, spaventati da quello scoppiò improvviso.
Hermione sorrise dolcemente.
« Bene, pausa studio forzata! Andiamo da quel testone » cinguettò Harry, prendendo la palla al balzo.
Il fatto che Hermione non avesse lasciato passare nemmeno tre giorni per cominciare a studiare come un mulo – costringendo anche tutti gli altri – la diceva tutta. Era pazza, pazza da legale.
« Chi è Baise? » borbottò Teddy verso James, che si fece prendere in braccio da Harry.
« Un altro zio » spiegò tutto compito, mentre Hermione – visto che era leggero come una piuma – si sedeva Teds sulle gambe e azionava il “galleggiamento” della sedia a rotelle.
« Woah, ma ne sono un sacchiscimo! » cinguettò il bambino, battendo le mani entusiasta e accoccolandosi sul petto di Hermione, che gli accarezzò i capelli.
Non poteva affaticarsi tanto per colpa dello squarcio nello stomaco e la gamba malridotta, ma aveva detto il dottore che era un miracolo che fosse sopravvissuta… quindi non si lamentava e sopportava buona, sperando di poter ritornare presto alla sua “normalità”.
« Sì, ne siamo tantissimi » ridacchiò Hermione, mentre Draco, con la bacchetta, la indirizzava giù per le scale.
Il bambino la guardò con gli occhioni languidi e sorrise con qualche dentino mancante « Tu sei quella che mi piasce di più inscieme a sio Harry e sio Drago » disse tutto pacioso ed Hermione lo baciò sulla fronte.
« Se dici a zio Drago che a me piace di più Harry che lui, sputa davvero fuoco » bisbigliò con una mano sulla bocca, facendo spalancare gli occhioni del bambino dallo stupore.
Hermione sogghignò.
« Siooooooo Drago! Sia Hem mi ha appena detto che le piace sio Harry più di tutti, anche di te! » e con tutta l’innocenza del mondo, Teds sorrise tutto zuccheroso, facendo salire un traverso di bile a Draco.
« La Mezzosangue ha detto cosa!? » sbraitò, spettinandoli entrambi con la forza dell’ugola.
I suoi capelli biondi – che prima erano stati perfettamente pettinati e portati all’indietro – ora erano una massa scomposta sul cranio e le chiazze rosse sul suo meraviglioso visetto non gli donavano affatto.
« E dov’è il fuoco? » s’indignò Teddy, guardando lo zio acquisito con una smorfia delusa.
Draco guardò Hermione con gli occhi ridotti a due spilli e questa sorrise dolce come la melassa, sbattendo civettuola le ciglia scure.
« Fuma dalle orecchie, tesoro, non lo vedi? » sghignazzò perfida, beccandosi un ruggito a fondo gola dal fidanzato.
Fidanzato. Che suono dolce che aveva quella parola quando si riferiva a Draco; dolce, strano, ma giusto.
« Hermione, amore, vaff… »
« Ci sono dei bambini, Draco! » lo interruppe Hermione, canzonatoria.
Il biondo sbuffò.
« Blaise come ha preso la notizia dei gemelli? » domandò la Grifondoro una volta arrivata nei pressi dell’infermeria.
« “Dimmi che uno lo vendiamo e giuro che non scappo ai Caraibi” è stata questa la sua risposta » ridacchiò Ginny, aprendo le porte dell’infermeria con un sorrisetto sulla bocca e gli occhi che brillavano di una luce allegra.
« Come vedo il coma non ha mitigato la sua stupidità » commentò Harry, mentre Pansy correva verso il letto dell’amico, che aveva ancora il capo fasciato e lo tempestava di tanti piccoli bacetti sul viso.
« Potter, ne sono due. Due, non so’ se ti è chiaro » sibilò in risposta il moro, facendo ridere i presenti.
« Come ti senti, testone? » domandò Hermione e – quando Blaise rovesciò il capo verso di lei – sgranò gli occhi neri.
Hermione arrossì, mordicchiandosi le labbra: già era difficile farsi scorrazzare a destra e manca e farsi aiutare dalla Parkinson – insomma, dalla Parkinson! – quando doveva andare in bagno o farsi una doccia, poi essere fissata come un aliena non aiutava affatto.
« Un mese e torno come nuova, Blaise » abbozzò, mentre Draco le accarezzava dolcemente il capo.
Nessuno era mai stato così accorto come lui e purtroppo Hermione conosceva anche il motivo: non era tutto dato dalla situazione delle sue gambe, ma anche la partenza imminente, che pesava sulle loro teste come una spada di Damocle.
Più gli esami si avvicinavano, più la consapevolezza di dover andare via le portava via il respiro.
Stava per abbandonare la sua famiglia.
« Ehi, aspettate un secondo… e questo chi è? » sbottò il ragazzo di colore nel vedere Teddy saltare sul suo letto per guardarlo da vicino.
« Oooh, ma sio Blaise è come il scioccolato! » cinguettò ed Harry e Draco trattennero a stento una risata.
« Questo moccioso non ha mai visto un nero in vita sua? » sbottò Blaise, assottigliando gli occhi.
I capelli di Teds divennero di un rosa shocking.
« No, Andromeda sta invecchiando e non lo lascia uscire di casa molto spesso… ma con i due bambini in arrivo e James con noi, sarà nei paraggi molto spesso » spiegò Harry e Blaise – proprio in quel momento – proprio come Draco, capì che con Ginny e Pansy dalla parte di quel bastardo, sarebbero stati a stretto contatto con lui. E Weasley.
E santissimo Merlino!
« Oh no… » gemette Blaise, sprofondando il capo nel cuscino di piume pallido quanto e come il lenzuolo.
« No, Salazar, no » gli diede man forte Draco, piagnucolando come un bambino e sprofondando il capo tra i ricci di Hermione.
« Perché? » continuò il ragazzo di colore, mentre Teddy saltellava tutto cinguettante sul suo letto, facendolo gemere per il dolore alle costole.
Draco represse un singhiozzo, depresso.
« Perché a me? » bisbigliò Draco, finendo la frase che Blaise aveva iniziato.
« Ma che avete da lamentarvi? » borbottò Harry, sedendosi sulla poltroncina accanto al letto e spaparanzandosi con le gambe sul lettino.
Blaise lo guardò schifato.
« Averti a contatto ventiquattro ore su ventiquattro per il resto della mia vita, ecco di cosa ho da lamentarmi »
Harry soppesò quello che gli disse e quando cominciò veramente a capire, sbiancò: guardò prima Ginny, poi Pansy e infine Draco e Blaise.
« Ma porca putt… »
« I BAMBINI! » sbraitò Hermione, incrociando le braccia al petto e fissandoli con astio.
« ana » finì James, facendo calare un silenzio inquietante nell’infermeria.
« Alla faccia, questo le conosce meglio di me » disse Blaise, alzando il pollice verso il ragazzino e venendo ricambiato con una risata.
« No, James, no! Porco Merlino, non si dicono le parolacce! » lo rimproverò Pansy e Ginny si schiaffeggiò la fronte.
« Porco Merlino è una bestemmia, Parkinson »
« Cazzo »
« Che Morgana ci aiuti… » sospirò Hermione, scuotendo il capo.

 
***
 
Maggio arrivò impetuoso e lo studio travolse completamente i ragazzi.
Gli esami si avvicinavano e con Hermione che aveva ripreso funzione di sé e delle proprie gambe, non avevano un attimo di pace; tra gli attacchi d’ansia di Ginny e le sue maledizioni su tutta la stirpe dei Zabini, le fughe di quest’ultimo per l’ira della fidanzata, l’attaccamento morboso – che faceva saltare le coronarie sia a Ron che ad Harry – di Draco verso Hermione, non si stava un attimo tranquilli.
E oltre agli esami, si avvicinava la partenza di Hermione.
La sera prima – chiusa nella stanza di Ana – quando credevano che tutti fossero a cena, le aveva sentite discutere: la vampira aveva contattato alcune Ignis tramite Abgail e le aveva messe in contatto con Hermione.
Aveva sentito nominare Santo Domingo, la Siberia, l’America e persino l’Italia e ora sentiva un ansia a fondo stomaco che stava divorando qualsiasi cosa.
Erano tutte così lontane… e l’avrebbero portata via da lui.
No, Draco non era un tipo morboso ed eccessivo e l’avrebbe lasciata andare, come lei desiderava. Magari avrebbe aspettato, magari no.
Oppure lei sarebbe tornata con qualcun altro… oppure lui stesso – quando lei avrebbe fatto ritorno – sarebbe stato con qualcun'altra.
E faceva male.
« Theodore non è più tornato, vero? » Blaise spezzò il silenzio, alzando gli occhi neri dal libro di Trasfigurazione avanzata e posandoli sui presenti.
Draco quasi spezzò la piuma che teneva tra le dita.
« No, la Mcgranitt ha detto che ha superato le barriere della scuola e non si è visto più » mormorò Pansy, guardando fuori dalla finestra con una strana malinconia nello sguardo.
« Si farà vivo quando se la sentirà » bisbigliò Draco, sfogliando il libro di Artimanzia senza osare alzare lo sguardo su di loro.
Stava per finire ogni cosa e metà era già finita.
« Torneremo tutti, un giorno » sussurrò Luna, con gli occhi un po’ vuoti e troppo grandi per il suo volto pallido e smunto.
E poi sorrise, di uno quelli grandi e sinceri, gioiosi, che in parte riscaldarono i presenti.
Perché tutti, un giorno, sarebbero ritornati alle origini.

 
***
 
Il sole, l’erba, le risate, il Lago.
Hermione sorrise verso Draco,  che afferrò James di peso e se lo caricò in spalla, correndo per lo spiazzato di Hogwarts e facendo ridere il bambino spensieratamente – come, in fondo, non faceva dalla morte di Terry. –
Si portò una mano al ventre, mordendosi le labbra con forza e scuotendo il capo, provando pena per se stessa; quattro giorni prima si era accorta di un ritardo mensile, che non le era mai capitato, e aveva esultato dalla gioia.
Aveva esultato.
Cosa voleva? Incastrare Draco? Magari tenerselo stretto e vicino con un figlio, un erede, per fare in modo che… che non la lasciasse per qualcun altro?
Perché Hermione lo sapeva, prima o poi sarebbe successo: niente dura per sempre e in special modo l’amore tra un Purosangue e una Mezzosangue.
Per due persone così diverse… e lui avrebbe trovato di meglio; magari una Purosangue con i capelli domabili e il sorriso migliore, la mente sgombra dallo studio e il voler salvare perennemente il mondo.
Il ciclo, comunque, era arrivato e si era scoperta ancora più delusa.
Quello non era il suo posto e non poteva attaccarsi visceralmente ad una persona, nemmeno se questa era Harry. Nemmeno a Draco.
Aveva scoperto che le streghe rosse non si legavano sentimentalmente: dopo l’ascesa, il loro potere accresceva in un modo così spropositato da escluderle dal resto del mondo.
Le Ignis uscivano solo di notte, per distruggere… per sfogare il loro istinto sessuale, con il quale avevano scoperto quel potere. Con il quale era avvenuta l’ascensione.
Ed era quello il suo destino: allenarsi fino a combattere il suo potere, renderlo suo – renderlo immortale – e magari cercare qualcuno occasionale… diventare ciò che aveva sempre odiato.
Nessun matrimonio, nessun figlio, nessun Draco.
« Hermione, stai bene?  » James le venne vicino, con le guance arrossate e i capelli sconvolti.
No, affatto.
« Sto bene, piccolo » mormorò, chiudendo il libro di Trasfigurazione e sorridendogli dolcemente.
« Non è vero » sussurrò James ed Hermione sobbalzò, distogliendo immediatamente lo sguardo.
Aveva ragione.
E lei aveva paura.
« Va a giocare, Jamie » rise Hermione, sospingendolo verso Draco che – questa volta – invece di afferrare il bambino alzò lei di peso.
Se la caricò in spalla, strappandole un grido di pura sorpresa e cominciò a correre verso il lago.
« Draco! Draco, fermati! » strepitò, colpendolo sulle spalle con pugni leggeri e ridendo nello stesso momento.
La lasciò andare nel lago, insieme a lui.
Affondarono nell’acqua, i vestiti divennero pesanti, i capelli grondandi d’acqua: quando cercò di riemergere lui la trattenne, afferrando il suo viso tra le mani e baciandola con forza.
Con violenza. Con l’anima.
Hermione si aggrappò a lui e continuò a tenere quel contatto anche quando riemersero – insieme – attaccati. Bagnati. Senza fiato.
Le sue mani tra i capelli, sul viso, con i pollici ad incavargli le guance, la sua lingua tra le labbra; i vestiti incollati al corpo e lui pure, che s’incastrava alla perfezione con lei.
Che s’incastrava con forza, insistenza – a volte non ci stava – altre volte non poteva starci, ma lui continuava. Era sua e la marcava, lo urlava, le strappava la vita e il fiato, l’anima.
Era sua e lo sapeva.
E non se ne vergognava.
Durante la battaglia gli aveva sussurrato ti amo, perché era così che doveva andare… perché così era e così sarebbe rimasto.
Lo amava quando sorrideva, camminava, sbuffava e le ripeteva che era fastidiosa; lo amava quando l’abbracciava e il suo profumo diventava il proprio ed era la cosa più bella del mondo.
Lo amava quando dormivano assieme e le sue braccia la cullavano. Lo amava quando si svegliava e i suoi occhi l’osservavano.
Amava come e quanto amava lei e come e quanto si facesse amare.
E non glielo avrebbe ripetuto mai più, perché era così che doveva andare, perché così sarebbe rimasto: un sussurro portato via dal vento, ma che lasciava echi… strascichi, cicatrici.
Un impronta che nessuno dei due avrebbe mai più cancellato.

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Capitolo 23
*** Capitolo XXI - The end ***


Angolo Autrice:
Non sono mai stata così triste in vita mia.
La fine di “Io sono di legno” è la fine di qualcosa in cui ho creduto realmente, fin dall’inizio; questa storia mi ha fatto conoscere persone meravigliose, come la mia Debora, e mi ha aiutato a credere in me stessa.
“Io sono di legno” è stata la prova che – anche se perdendomi in alcuni capitoli – se voglio… beh, posso ed è questa l’unica cosa che conta per me.
Voglio ringraziare le meravigliose lettrici, anche passeggere, che hanno letto questa storia, per curiosità – per sfizio – perché vi andava di farlo.
Voglio ringraziare le meravigliose “160” persone che mi hanno messe nelle seguite, le “22” nelle ricordate e le “52” nelle preferite: la maggiore di voi non hanno recensito, ma con questo piccolo gesto mi avete dimostrato che ci siete, che mi avete dato fiducia – dato fiducia alla mia storia – e io non finirò mai di ringraziarvi. Avete alzato la mia autostima e avete reso reale i personaggi che hanno vissuto in questi capitoli… dal primo all’ultimo.
E infine, ma non meno importante, vorrei ringraziare le ragazze che hanno recensito questo racconto: chi ha pianto con me, chi ha riso con me… chi ha bestemmiato quando qualcosa non andava come si voleva, chi ha mandato al diavolo Blaise perché di più idiota non ce n’è; vi amo dalla prima all’ultima, senza distinzioni, perché siete voi l’anima di questa storia.
Perché grazie a voi è andata avanti e si è mantenuta viva.
A Herm_Malfoy, che ha persino creato un gruppo in mio onore; grazie di tutto, di essermi diventata amica, di seguire e amare ogni cosa che io scriva.
Mi hai spronato, lusingato e sei stata al mio fianco sempre, in ogni capitolo, anche quando nessuno recensiva e tu eri l’unica a farlo. Anche quando ti mandavo degli anticipi, ti mostravo dei progetti futuri, e tu ne sei sempre apparsa entusiasta.
Grazie a questa storia ti ho conosciuta e non smetterò mai di ringraziare. Sei speciale e grazie di tutto, davvero.
A Streghetta_31, perché mi ha seguito e mi ha sempre detto ciò che pensava dei miei capitoli; non c’è mai stata una volta in cui mi hai detto “non mi piace” e non c’è stata una volta in cui non mi sia battuto il cuore ad ogni tuo complimento. Grazie per essere arrivata qui. Grazie per ogni parola spesa per me.
Grazie a GiulioValerio95, che è arrivato all’ultimo minuto e Kami sama, che a tempo record ha recensito tutto. Grazie, grazie e grazie.
E infine grazie ad Annalisa e Roberta, che hanno le mie stesse passioni e che condividono con me tutto, anche la loro vita, il loro cuore.
Loro hanno corretto i vuoti delle mie trame, loro mi hanno convinto a pubblicare ogni cosa scrivessi, ogni cosa mi passasse per la mente… loro sono convinte che ogni cosa scriva sia importante, bella, speciale.
Vi amo, infinitamente.
E, per la cronaca, ci sarà un sequel – sì, ci sarà – e lo pubblicherò tra un po’ di tempo; non so’ se ci saranno le stesse persone a seguirmi, quindi io vi saluto qui.
Grazie ancora a tutte voi, di immenso cuore.
Buona lettura.

 
Capitolo XXI –
The End
 
Il fatto che, appena finita la battaglia – con studio ed esami a seguito – i ragazzi non si fossero staccati gli uni dagli altri la diceva lunga di quanto poco apprezzassero la fine della scuola.
In realtà era arrivata un po’ la fine di tutto.
La fine delle cazzate da adolescenti, la fine dello studiare sempre all’ultimo minuto – e poi avere un brutto voto al compito – quello del Quidditch, dello sfuggire dai fantasmi burloni della scuola.
Era arrivata la fine dei rimproveri dagli insegnanti, di dormire nella stessa camerata e stare svegli fino all’alba, magari a bere, magari solo a guardarsi negli occhi e ridere.
Insieme alla fine di Hogwarts, era arrivata anche la fine della loro adolescenza: stavano varcando la linea degli adulti, mettendo fine alle botte, gli insulti, i primi amori.
Era tutto lì, in quel sole estivo che accarezzava i volti di tutti loro.
All’entrata della scuola, proprio sotto le arcate che avevano visto la battaglia, le foto di Neville, Seamus, Goldstein, Corner, Lavanda, la Abbott, Mcmillan, Harper, Derrick, Hagrid, Terry, Asteria e Daphne erano state attaccate ai mattoni di pietra, drappeggiate da tendoni neri che non incupivano i loro volti sorridenti.
Avevano perso così tanto e avrebbero perso ancora di più se Blaise non si fosse svegliato dal suo coma; i loro volti sorridenti, la determinazione con cui avevano affrontato l’ennesima battaglia, era viva nei loro sguardi catturati dall’obbiettivo e – la Mcgranitt – si era assicurata che nessuno di loro sarebbe mai stato dimenticato.
Un encomio speciale, insieme all’Ordine di Merlino, era stato consegnato ad ogni famiglia e alla nonna di Neville, rimasta sola, ed era stato dato ogni aiuto possibile a tutti loro.
Ma non era possibile riprendersi.
Blaise zoppicava ancora e aveva lo sguardo perso nel vuoto un po’ troppo spesso, proprio come Pansy e Draco. James mangiava poco e niente dalla morte di Terry e Harry cercava di prendersene cura più che poteva, mantenendo la promessa fatta all’amico prima che venisse ucciso.
« Ancora non posso crederci che è finita » mormorò Ron, appoggiando il capo contro la corteccia del salice e alzando gli occhi azzurri al cielo.
Erano seduti tutti quanti nello spiazzato principale di Hogwarts, mentre aspettavano le carrozze per ritornare a casa… per cominciare una nuova vita.
Tutti tranne Theodore, che sembrava scomparso. Nessuno più l’aveva visto, semplicemente aveva preso le sue cose e se n’era andato da Hogwarts, senza dire nulla a nessuno, nemmeno Draco e Blaise.
Nessun indirizzo, nulla di nulla; solo un biglietto con scritto “mi dispiace”, macchiato di lacrime e forse qualcos’altro.
Hermione, che da quando era terminata la battaglia aveva preso il vizio di fumare, afferrò un pacchetto di sigarette dalla borsa a tracolla che indossava, accendendosene una alle rose con espressione pensosa.
« Chissà… chissà quando ci rivedremo » mormorò, prima che tutti gli occhi si posassero su di lei.
Aveva ancora il busto fasciato sotto la maglia di cotone che indossava e le occhiaie – la piccola cicatrice sul sopracciglio – quasi appesantivano il suo volto ancora provato dall’ultimo mese.
« Che vuoi dire con questo? Noi andremo a vivere insieme, te lo sei dimenticato? Avevamo deciso di prendere casa, io tu e Ron » disse Harry, aggrottando le sopracciglia e guardandolo confusa.
Pansy gli poggiò una mano sul braccio, intimandogli con lo sguardo di calmarsi ed Hermione si morse il labbro inferiore con forza, abbassando gli occhi sulle sue mani intrecciate.
Draco, al suo fianco, le accarezzò dolcemente la schiena, quasi come se volesse dirle che lui era lì. Che c’era sempre stato.
« No, Harry. Io devo andare via » bisbigliò, mentre Luna si staccava meravigliata da Ron e la fissava sorpresa.
James, tra le braccia di Harry, alzò gli occhi su di lei ed Hermione li vide colmarsi di comprensione « Oh, credo che tu abbia ragione » sussurrò, sorridendole un po’ triste.
Hermione strinse prima la mano di Harry e poi quella di Ron e li fissò orgogliosa, intenerita. Aveva il cuore colmo di tristezza e gioia.
« Ragazzi, non posso rimanere qui. I miei poteri aumentano e mi sono sconosciuti… non posso dominarli – non posso conoscermi – senza un aiuto e quell’aiuto sono le mie consorelle.
Non so’ dove siano né dove dovrò arrivare. Non so’ nemmeno quando tornerò a casa e mi dispiace; mi perderò ogni cosa, come lavorare insieme, comprarci una casa come tanto desideravamo… ma tornerò e so’ di ritrovare sempre i miei migliori amici ad aspettarmi, pronti a riaccogliermi » e non finì nemmeno di completare la frase che si ritrovò soffocata da braccia, baci, lacrime.
Non finì nemmeno di completare la frase che si ritrovò soffocata da gioia, dolore, ansia, amore.
Loro, insieme – tutti – erano amore.
« Casa nostra è dove sei tu » disse Harry, baciandole con dolcezza le labbra e sorridendole con il cuore a mille, perché era vero.
Hermione e Ron erano la sua famiglia da sette lunghissimi anni: dove c’era uno, c’era sempre stato l’altro e andava bene. Amava i Natali passati assieme, le partite di Quidditch vinte – quelle perse – le cene, i pranzi e le colazioni nel caos più totale.
Amava i rimproveri di Hermione, la leggerezza di Ron e tutte le toppe che erano riusciti a ricucire insieme, uniti.
Loro erano la sua casa, la sua famiglia… e questo non sarebbe mai cambiato, nemmeno tra cent’anni.
« Vi voglio bene, ragazzi! » miagolò Hermione, asciugandosi una lacrima birichina che le era sfuggita dallo sguardo bruno.
Pulendosi il pantalone dall’erba e alzandosi in tutta la sua statura, Hermione Granger alzò la bacchetta verso l’alto – puntata verso il cielo, in direzione del sole – e fissò con un sorriso la sua casa; le torrette svettanti, le mura di pietra e le arcate maestose: i corridoi infiniti, le scale a cui piaceva cambiare, le aule vuote – piene – e la Sala Grande che era stata il palcoscenico delle loro vicende. Dei loro intrighi.
Guardò la vita che aveva vissuto pienamente, dove aveva conosciuto Ron, Harry – il suo Draco – le persone che, amandola e odiandola, l’avevano resa quel che era ora.
Centinaia di diplomanti di tutti i dormitori si riversarono nel giardino, alzarono all’unisono – come lei – il braccio verso l’alto: la Mcgranitt li osservava a pochi metri di distanza, con la bocca screpolata tesa in un sorriso e gli occhi lucidi.
« Arrivederci, Hogwarts » mormorò, venendo seguita da tutti.
Non era un addio, no… ma un arrivederci. Un “ci rivediamo presto” perché casa sarebbe rimasta tale. Per sempre.
« Vale lo stesso per te? » bisbigliò Draco, al suo fianco, afferrandole la mano libera e facendo scaturire dalla propria bacchetta mille scintille colorate, le stesse degli altri studenti, che scoppiarono nel cielo come mille petardi.
Un saluto degno di essere considerato tale. Un omaggio a chi li aveva protetti e amati. Un omaggio alla donna magnifica che li fissava come una regina impetuosa – commossa – proprio a pochi metri da loro.
Hermione rovesciò il capo verso di lui, emozionata e Draco conobbe la risposta prima ancora che lei aprisse bocca.
Sempre.
« Ti amo » e fu abbastanza.
Troppi dicevano quelle parole per sfizio o per vizio, ma loro no, mai. Quella era la prima volta – dopo la battaglia e anche prima – che lei gli diceva “ti amo” con quello scintillio nello sguardo. Con quel sorriso sulla bocca.
E fu più che una risposta, ma una rassicurazione: perché se due come loro amavano, lo facevano forte, fino a farsi male – fino ad uccidersi – ed era per sempre.
« Ti amo » disse roco, facendola tremare: le gambe quasi le crollarono, ma lui la sostenette, ignorando gli sguardi. Ignorando chiunque che non fosse lei.
Che dicessero quel che volevano… era quella la prova del fuoco, quella che non aveva mai avuto il coraggio di affrontare: il giudizio degli altri, la paura di non essere mai abbastanza ora non erano niente.
Dicessero quel che volevano, lui ora aveva il cuore al posto giusto, dove avrebbe dovuto essere e amava.
Amava una regina dagli occhi bruni e i capelli crespi, con un sorriso splendente e un cuore enorme… che faceva per due. Che batteva per loro due.
Hermione gli buttò le braccia al collo, impetuosa e – sotto lo sguardo di chiunque, anche della preside – lo baciò passionale.
Il fuoco divampò in lei, li avvolse, li accolse, ma non li bruciò. Li fece suoi, li strinse, ma non li ferì.
Un applauso scrosciante seguì il loro bacio, ma nessuno dei due vi badò: si rubarono i respiri, il fiato, l’ossigeno, l’anima.
Si rubarono il cuore, la ragione, il senno.
« Un albergo ad ore prima che lei parta no, eh? » borbottò Blaise, beccandosi uno scappellotto da parte di Ginny e facendo ridere tutti gli altri.
« Guarda questa tua mentalità dove ci ha portato… » sospirò Ginny, melodrammatica, riavviandosi una ciocca di capelli rosso fuoco e scuotendo il capo con un sogghigno cattivo sulla bocca.
« Ehi, donna! Non offendere il frutto del mio seme! » sbraitò quello, fissandola indignato e strappando una risatina ad Harry e Pansy, che alzarono gli occhi al cielo.
« Non cambierai mai, Blaise » disse Pansy, prendendo Terry in braccio e lasciando che questo gli posasse la testa sul collo nudo.
Gli accarezzò il capo, con dolcezza.
Si sentiva tremendamente protettiva nei suoi confronti: era un bambino così piccolo e innocente, che non aveva mai avuto una famiglia, l’amore che essa portava… una madre.
Sì, Pansy si sentiva come una madre per lui e poteva quasi dire che lo adorava come una madre; il suo odore di bambino e i suoi sorrisi – in quel periodo così radi – erano un piccolo raggio di luce nel suo mondo.
« Com’è che a me molli calci quando voglio coccole e a lui te lo strapazzi quattro - cinque volte al giorno? » sibilò Harry al suo orecchio, facendola ridere di gusto per il ricordo che le aveva portato alla mente.
E l’uomo che la stava guardando eloquente era anche lui un eterno bambino, che aveva bisogno di una famiglia. Che aveva bisogno di essere amato.
« Harry, dolcezza… va’ all’inferno! » cinguettò melensa, strappando una risatina a James e un broncio adorabile da parte di Harry.
« Giuro, il tuo amore per me mi riscalda il cuore » proruppe sarcastico, catturando lo sguardo di Luna e Ron, che scossero il capo quasi all’unisono.
Harry… beh, Harry non aveva mai visto un amore dai romanzi rosa: si basava su Hermione e Malfoy, lui e Pansy, e a volte arrivava alla conclusione che l’amore non era sempre frasi e carezze, dolcezze e moine, ma anche passione e dolore. Gioia e ansimi. Baci e bestemmie.
Eppure, eppure, tutte le volte che guardava quei due sfiorarsi con un solo sguardo o prendersi per mano, capiva che l’amore dei romanzi rosa – quello che tutte le donne desideravano – esisteva davvero.
Non avevano bisogno di baci e carezze, di toccarsi perennemente o di accertarsi che l’altro fosse sempre lì… loro lo sapevano a priori, sembrava che uno ruotasse al centro dell’universo dell’altro e ad Harry sembrava di rivedere i suoi genitori. Adorava guardarli.
« Ehi, ragazzi, foto di gruppo! » urlò Dennis Canon e tutti si misero in posa.
Quando restituì la foto, loro capirono che la perfezione era lì: nell’abbraccio di Hermione e Draco, che fissavano l’obiettivo con due facce uguali e buffe. Nei sorrisi raggianti di Luna e Ron, che scioglievano il mondo solo a guardarsi e nella linguaccia di Ginny verso Blaise, che rispondeva alla smorfia con la bocca completamente aperta.
E in Harry, che aveva la mano appoggiata sul capo di James e il sorriso rivolto verso Pansy.
Sì, la perfezione era tutta lì… in quella che loro avevano imparato a chiamare famiglia.

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