La folie de Célie, le miracle de Célie (La pazzia di Célie, il miracolo di Célie)

di Beeble
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Francis e Célie ***
Capitolo 2: *** Célie e Francis ***



Capitolo 1
*** Francis e Célie ***


 
LA FOLIE DE CÉLIE,

LE MIRACLE DE CÉLIE
 
(La pazzia di Célie, il miracolo di Célie)
 


 
Il caso, la follia ed i miracoli esistono se ci si crede: possono essere più legati di quanto non sembrino.
Le trame del primo, i meandri della seconda sono ciò che, probabilmente, porta alla potenza dei terzi.
Ciò che sta nel profondo non verrà mai perduto, mai per sempre.
La felicità trova sempre il modo di tornare.
 


Célie passava ogni giorno davanti a quel bar, non si fermava mai, sempre di fretta, il lavoro aveva il primo posto e nulla era più importante.
Lei era un medico di prim’ordine, un chirurgo stimatissimo, una donna dal cuore sensibile, sicura di sé e di ciò che faceva.
Francis era un cameriere in quel bar “Coeur de pirate”, chiamato così in onore della bella e brava cantante canadese che il proprietario adorava.
Da quella vetrata poteva osservare una grande via di Parigi, ma riusciva a vedere solo lei.
Passava sempre lì davanti fra il suo primo e quinto caffè servito.
Bella, passo sicuro, ben vestita, con una borsa blu sulla spalla.
 

Era impossibile che gli fosse sfuggita, che non l’avesse vista fra la folla, la riusciva sempre a distinguere, ma al decimo caffé non era ancora passata, palesemente in ritardo.
Quasi preoccupato per la sua assenza sbagliò due ordini.
Finalmente al ventesimo caffé la vide, era lei, il passo era frettoloso ed i capelli disordinati, come quelli di chi si è alzato da poco e non ha avuto il tempo di riordinarli.
Talvolta capitava anche a lui, visto che portava i capelli lunghi fino alle spalle.
“Isis, per favore, coprimi per cinque minuti” Francis supplicò la sua collega.
Lei annuì con un breve sorriso.
Francis si lanciò fuori dal locale, fra la folla, alla ricerca dell’unica donna capace di distrarlo ogni mattina da svariati mesi, il suo ritardo, secondo lui, era un segno.
“Scusi, mi scusi” disse finalmente dopo averla raggiunta “posso parlarle un attimo?” disse titubante.
“Ci conosciamo? Sono in ritardo...” disse lei ansante.
“No, ma lei passa ogni mattina davanti al mio bar: “Coeur de pirate” oggi era in ritardo... le andrebbe di bere un caffé insieme a me domattina? Anche prima dell’apertura ufficiale se ha paura di fare tardi...”
La donna rimase senza parole... “Un caffé, perché no... e lei mi spiegherà come riesce a spiarmi...”.
Sorrise e si allontanò senza lasciare a Francis il tempo di rispondere.
Così il mattino dopo, come promesso, lei si recò nel posto indicato prima dell’apertura.
Célie e Fancis si presentarono, lui le spiego come la mattina avesse imparato, per qualche strano motivo a distinguere solo lei.
Célie gli parlò del lavoro che faceva, il cardiochirurgo, e gli spiegò il suo ritardo.
“Totò, il mio gatto stava male - spiegò sorridendo - l’ho portato dalla mia vicina che ha esperienza in fatto di gatti, a quell’ora nessun veterinario è aperto... infine aveva solo un raffreddore... è buffo quando starnutisce”.
Non ci volle molto perché entrambi capissero che il loro incontro non era stato un caso.
Continuarono i loro incontri prima dell’apertura del bar, poi iniziarono ad uscire insieme: le vie della capitale francese presero il profumo dei loro ricordi, acquistarono il suono delle loro voci, ogni angolo visitato aveva per loro una storia da raccontare, da riscrivere ancora una volta, da ascoltare.
Francis e Célie si fidanzarono e dopo poco più di un anno convolarono a nozze.
Amici e parenti non se l’aspettavano, ma chiunque dopo averli visti insieme avrebbe notato che erano semplicemente due anime gemelle.
La vita insieme non era tutta rose e fiori ma generalmente felice e serena.
 
 
Un giorno Célie tornò dal lavoro esausta, completamente svuotata, gli occhi rossi.
Aveva un urgente bisogno di parlare con Francis.
Era successa una cosa terribile.
Era la prima di questo genere da quando era lei a dirigere le operazioni al cuore.
 

Una ragazza appena diciassettenne aveva una grave patologia al cuore e doveva essere per forza operata per sperare di sopravvivere, il cuore era già troppo affaticato.
Célie le aveva parlato il giorno prima, aveva dimostrato la maturità di una persona adulta, la consapevolezza dei rischi dell’intervento che raramente aveva sentito. I suoi genitori le erano molto vicini. Inoltre non era la prima volta che affrontava mesi di ospedale e terapie varie.
Questa operazione avrebbe dovuto tenerla abbastanza lontana da lì per un po’.
Quel giorno, l’operazione era iniziata presto e dopo 6 ore avevano dichiarato concluso l’intervento.
Un successo.
Ma nel momento in cui tutti tirano un breve sospiro di sollievo, i muscoli si rilassano, tutto è sotto controllo, tutto è andato per il verso giusto... il cuore di Elisée smette di battere.
La defibrillazione era stata inutile.
Qualsiasi altro intervento tentato non aveva avuto effetto.
Lei era lì, immobile con quel suo mezzo sorriso sulle labbra, lo stesso di quando l’anestesia l’aveva addormentata. Così sarebbe rimasta per sempre. Morta.
Célie aveva avvertito i genitori in lacrime.
La professionalità non avrebbe potuto insegnare come affrontare queste situazioni.
L’intero reparto era rimasto scosso da questo avvenimento.
 

Francis non era ancora a casa, probabilmente stava finendo di riordinare il bar di cui era diventato co-proprietario.
Célie, stanca, si stese sul divano e il peso della giornata la fece addormentare quasi subito risparmiandole per quel momento ogni pensiero sulle vicende recenti.
Quando dopo qualche minuto il campanello suonò, lei scattò subito in piedi per correre ad aprire la porta e riabbracciare il marito: spesso dimenticava di portare via le chiavi di casa.
Ma, spalancata la porta, davanti a lei c’erano solo due agenti di polizia: sembrava un incubo e probabilmente per Célie era esattamente così, un incubo reale.
Francis era all’ospedale, un’auto l’aveva investito mentre era sul marciapiede, il guidatore era ubriaco. Non sapevano dirle di più. Lei non chiese nulla. Solo impallidì.
Uno dei due uomini tirò fuori dalla divisa un piccolo bigliettino rosa.
“Credo che questo fosse per lei... l’abbiamo trovato vicino ad un mazzo di rose accanto a suo marito” disse a bassa voce.
Célie lo afferrò e con le mani tremanti l’aprì.
 

Oggi sono passati due anni esatti dal giorno in cui ti rincorsi fra la folla, in ritardo, fuori dal nostro bar. C’è ancora Totò, che con in suoi acciacchi ci fa arrivare ancora, di tanto in tanto, in ritardo al lavoro.
Ma soprattutto, amore, ci siamo noi due.
Una sola anima.
Ti amo,
Francis”















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Note dell'autrice:
La storia consta solo di due capitoli quindi non disperate, a breve pubblicherò il secondo, nonchè ultimo capitolo.
Fatemi sapere cosa ne pensate anche solo con due parole.
Un grazie a chi legge e commenta.

Fabiola

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Capitolo 2
*** Célie e Francis ***


Gli agenti si offrirono di portare la donna all’ospedale; lei pareva non essere in grado di parlare, era in stato di shock, pensarono.
Non piangeva, nemmeno una lacrima.
Gli agenti giunti all’ospedale la ‘consegnarono’ ad un medico che la condusse in una sala d’attesa.
Dopo un paio d’ore la situazione si era stabilizzata.
Célie lo poté vedere. Le dissero che Francis non respirava da solo, che se avessero staccato la macchina dell’ossigeno, lui sarebbe morto, che non capivano ancora se potesse essere dichiarata la morte cerebrale, che, probabilmente, non si sarebbe mai rimesso.
Mano a mano che medici ed infermieri aggiungevano dei dettagli, però, ogni parola sulla diagnosi di Francis si faceva confusa e scompariva oltre l’inconscio nella mente di Célie, in un luogo dove probabilmente nemmeno lei avrebbe potuto mai più trovarla.
“Guarirà” decretò sicura alla fine di tutto.
I medici scoprirono che lavorava lì, provarono a chiamare i colleghi del suo reparto, contattarono i parenti, gli amici, fecero giungere psicologi e psichiatri... ma nessuno poteva farle vedere qualcosa che lei non vedeva.
“Rimozione a causa dell’alto livello di stress - borbottò lo psicologo - non è pericolosa”.
Célie non poteva capire quanto la situazione di Francis fosse grave, ma per nulla al mondo accettava di tornare a casa.
La stanza di Francis era la sua casa.
Con il trascorrere dei giorni nella stanza comparve un letto anche per Célie, un piccolo frigo, alcune piante e infine Totò.
Il primario, che conosceva Célie, aveva acconsentito con qualche dubbio ed un grande cuore a queste concessioni.
Ogni tanto la donna usciva dall’ospedale per fare la spesa, informava le infermiere dello stato d’animo del marito - che solo lei sapeva interpretare - portava il caffé a Francis ogni giorno alle 09.00 ed inconsapevole che lui non lo bevesse, un’infermiera la sera, senza farsi notare, lo portava via.
Mai, nessuno, da quando era arrivata l’aveva vista piangere, utilizzare parole di compatimento per quell’uomo privo di vita per tutti tranne che per lei.
 
 
Era passato un anno dall’incidente di Francis quando il primario decise che, per il suo bene, Célie doveva tornare gradualmente a vivere a casa sua. I suoi genitori, seppur anziani, erano d’accordo: si sarebbero trasferiti con lei.
I medici glielo spiegarono con molto tatto. Lei non prese la proposta troppo male, anzi, asserì che capiva che il marito volesse i suoi spazi.
Mancavano pochi giorni al trasferimento definitivo di Célie a casa sua.
Erano rimasti nella stanza solo il letto e Totò. Tutti gli effetti personali erano tornati a casa.
Il campanello della stanza suonò ripetutamente.
Un’infermiera accorse, Célie non aveva mai suonato il campanello... che fosse successo qualcosa?
Entrando, l’infermiera, fra tutte le cose che poteva aspettarsi vide ciò che ormai non sperava più: Célie piangeva, anzi, singhiozzava e guardando la donna vestita di bianco disse “Francis non parla, non dice nulla... perché? che è successo? Mi stringe solo la mano...”.
Era come diceva: la mano di Francis era saldamente stretta a quella di Célie.
Accorsero, come si fa per i grandi eventi, tutti i medici disponibili e fu chiamato qualche collega della cardiochirurgia.
Qualcuno spiego di nuovo, con calma, tutto l’accaduto, e mentre le parole giungevano alla sua mente, anche le parole racchiuse in quell’antro irraggiungibile della mente affioravano, quelle che ora era in grado di accettare.
Si scusò per ciò che aveva fatto in quei mesi ed andò a parlare con il primario.
Lui disse che non aveva nulla di cui scusarsi, che era la benvenuta, che ora avrebbe potuto fare come credeva meglio, in fondo, era lei che aveva fatto il miracolo.
Gli psicologi dissero che era guarita da sé, una cosa più unica che rara, decretarono.
Francis iniziò a respirare senza l’ausilio di alcuna macchina.
Mosse ancora le mani con piccoli gesti.
Era inequivocabilmente vivo.
Célie gli metteva Totò in grembo e parlava di tutti i loro ricordi insieme per le vie parigine.
Parlava a non finire.
“Ti ricordi quella volta, sulla riva della Senna”
“una a..a...” era un mugolio, ma bastava.
“Francis... mi senti? Era una rana... sì, mi saltò sulla mano...”
 
Da quel giorno, Francis recuperò la parola in maniera prodigiosamente veloce.
Riprese a muoversi autonomamente.
Nessuna lesione.
Come se avesse dormito per un anno.
Inoltre ricordava tutto: carezze, lacrime, voci di amici e parenti, il profumo del caffè, la presenza del suo gatto.
Disse che era ciò che l’aveva fatto sentire vivo.
Ciò che l’aveva spinto a continuare a tentare di stringere la mano di Célie.
Quando fu il momento di lasciare l’ospedale, ricevettero i saluti commossi dell’intero reparto.
 
Dopo alcuni test psicologici di accertamento, Célie fu riassunta nel suo reparto.
Francis, comunque ancora co-proprietario del bar, ottenne di fare una modifica al nome del locale.
“Cèlie: Coeur de pirate”.
Perché era stato un coraggio da pirata a salvarlo dalla morte, era stato il grande coraggio di Célie nonostante la follia causata dal dolore del suo incidente.
 
Qualche mese dopo scoprirono che Célie aspettava un bambino.
Anzi, una bambina.
 
Nacque nel mese in cui Totò li aveva fatti incontrare, il mese in cui tutto rifioriva.
 
La chiamarono Elisée.





Angolo dell'autrice:

Se qualcuno legge e commenta mi fa moooolto moooolto piacere!
Fatemi sapere che ne pensate... ;)
Alla prossima,
Fabiola


 

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