I'd miss you

di BlueAngelxx
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Halloween's desires ***
Capitolo 3: *** Back to the beginning ***
Capitolo 4: *** Cross the lines, Cass! ***
Capitolo 5: *** We'll survive Dean, i promise ***
Capitolo 6: *** I've found you litte Angel ***
Capitolo 7: *** Soldiers and Kingts ***
Capitolo 8: *** Winchesters' balance ***
Capitolo 9: *** Blueberry's pie ***
Capitolo 10: *** Old but not Gold ***
Capitolo 11: *** I miss you Cass ***
Capitolo 12: *** An angel? ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Per l’ennesima volta, come ogni giorno da un anno, mi svegliai di soprassalto nel cuore della notte, i miei incubi continuavano a tormentare i miei sogni, impedendomi di dormire tranquillo almeno una notte completa. Mi misi seduto sul letto, cercando di pensare a quello che avrei potuto fare, ormai avevo preso l’abitudine di avvantaggiarmi con il lavoro o risistemare le poco rumorose faccende di casa, anche perchè una volta che mi svegliavo nel cuore della notte non riuscivo mai a riaddormentarmi. Ero abituato agli orari più difficili, d’altronde ero pur sempre un medico eppure non riuscivo a passare le nottate a metà. Quando avevo il turno notturno era tutto più semplice ma quando dovevo lavorare la mattina non sapevo proprio come fare.

Lanciai un’occhiata prima alla sveglia e poi al cielo. Non era possibile! Erano ancora le tre di mattina e, a giudicare dal cielo il sole non era ancora sorto, però si poteva prevedere una bella giornata soleggiata sopra la città di Boston, nel Massachusetts.

Mi alzai per poi andare in bagno, l’immagine del mio ultimo incubo continuava a riecheggiarmi nella memoria quasi fosse marchiata a fuoco nella mia memoria. Sentì un leggero dolore provenirmi dalla costola destra.
<< Cosa c’è Cass? Ancora i tuoi incubi?? >>

La voce preoccupata di mia moglie Anna mi riscosse dai miei pensieri. Io annui silenziosamente. Mi dispiaceva rovinare le sue nottate così, anche se comunque lavorava in casa. Si era messa seduta con le gambe incrociate e mi guardava dolcemente attraverso i suoi occhi nocciola. Ormai non mi chiedeva neanche più di cosa parlassero, sapeva benissimo che non riuscivo a parlarne.

<< Andiamo >> disse alzandosi, la camicia da notte bianca le ricadeva sui fianchi dandole allo stesso tempo un’aria angelica ma piena di forza. << Per stanotte credo che sia meglio che io ti faccia compagnia >>
Ero abituato a passare le nottate da solo con i miei sogni e il caffè, tanto che ormai stavo seriamente pensando di iniziare a scrivere un diario, d’altronde potevano essere tranquillamente scambiati per la trama di un libro. Cercai invano di convincerla ma dovevo ammettere che quando si metteva in testa una cosa era impossibile smuoverla, quasi fosse un generale di una squadra di fanteria. 

Una volta scesi in cucina la vidi armeggiare con il forno a microonde, con la testa appoggiata ad una mano potevo immaginare che mi stesse preparando una camomilla.
<< Anna davvero, non serve che ti preoccupi sono abituato >> in tutta risposta alle mie parole mi si avvicinò, per poi abbracciarmi da dietro e darmi un bacio su una guancia << Non so come aiutarti, lascia almeno che io faccia del mio meglio per starti vicina. Hai questi incubi da quasi un anno e io mi sento inutile Cass >> sentivo una nota di malinconia nella sua voce.

Sorrisi teneramente e le baciai una mano per poi alzarmi dalla sedia e allontanarla.  Se solo avesse saputo cosa nascondevo dentro di me non sarebbe stata così tenera con me, ne ero certo.
. La vidi guardarmi con gli occhi tristi e, non potendo resisterle mi avvicinai per abbracciarla. Lei affondò la testa nell’incavo del mio collo. << Mi dispiace, davvero. Non voglio essere un peso per te >> la senti sussultare, in un rumore che sembrava una via di mezzo tra una risata ed un singhiozzo. Mi si spezzava il cuore a vederla in quello stato. Eravamo sposati da quasi sei anni e non riuscivo a capire perché i miei sogni-incubi mi portassero in una direzione della mia vita che sentivo essere quella sbagliata. 

Sospirai di nuovo mentre sorseggiavo la mia tazza di camomilla e lanciai uno sguardo al calendario appeso sul frigorifero, 31 Ottobre. Con una strana ironia abbozzai una risata di scherno << Oggi è esattamente un anno. >> Non ottenni la minima risposta alle mie parole, sapevamo entrambi cosa voleva dire. Anna rimase in cucina con me per circa due ore e mezzo, dopo decise che sarebbe stata la cosa migliore andare a dormire, d’altronde doveva portare nostro figlio a scuola. Salimmo insieme le scale che dalla cucina portavano alle camere e, mentre lei si diresse verso la nostra camera io decisi di aprire piano piano la porta della camera. C’erano giocattoli sparsi in giro in tutto il pavimento. << ...e meno male che aveva detto di mettere a posto. >> borbottai, facendo in modo di non svegliarlo, avrebbe messo a posto comunque una volta alzato o tornato a casa nel pomeriggio. Entrai, buttando un’occhiata sul cartello scritto da lui e appeso alla parete di fronte la porta, “Dean’s Room” che, secondo lui, avrebbe impedito a qualsiasi futuro fratello o sorella di rubare la sua camera. Appeso all’armadio c’era il costume che aveva deciso di indossare per la festa di Halloween. Lo fissai, cercando di capire perchè avesse voluto proprio quel costume da Cowboy lasciando perdere senza neanche il minimo pensiero i costumi classici da licantropo o da Vampiro.  Avevamo cercato di seguire la sua logica ma non c’eravamo riusciti né io né Anna e alla fine avevamo lasciato perdere, non c’era motivo di scatenare una tragedia. Dovevo comunque ammettere che lo scintillio che avevo visto nei suoi occhi azzurri mi aveva convinto senza se e senza ma. Lo baciai delicatamente sulla fronte, scostandogli i capelli neri dalla fronte. Quanto all’aspetto era quasi la mia fotocopia ma il carattere lo aveva preso tutto da sua madre. Mentre continuavo a guardare mio figlio mi mi venne in mente il viso di un uomo che non avevo mai visto. Ricordava mio figlio Dean anzi, avrei potuto giurare che fosse lui cresciuto, solo che i suoi capelli normalmente bruni e spettinati erano  biondi con un taglio di poco più lungo dei capelli a spazzola e i suoi occhi non erano azzurri come i miei ma di un verde che somigliava al colore di un prato all’inglese. Solo guardando meglio mi accorsi che quegli occhi contenevano una strana malinconia e sembravano arrossati dal pianto. Cosa c’era che si nascondeva?
La sensazione che ebbi in quel preciso momento era quella di uno straniero che visita per la prima volta uno di quei boschi dell’Irlanda nel quale rimane per sempre intrappolato.

Mi tirai su dalla posizione accovacciata che avevo preso per baciare Dean e uscendo cominciai a ripensare a quello che avevo visto. La mia avrebbe potuto anche essere una visione ma guardando quel volto e soffermandomi suoi suoi lineamenti degli zigomi e del mento la prima reazione che ebbe il mio fu un brivido e un calore che partiva da dentro. Non sapevo come potesse essere possibile, però quegli occhi mi nascondevano e allo stesso tempo mi dicevano più di quello che era possibile vedere con una normale occhiata.  C’era un mondo in quel verde. Un mondo che non mi sapevo spiegare perchè avesse bisogno di essere scoperto.

Sospirai, un’altra cosa strana da aggiungere alla mia lista e, dopo aver lanciato un’occhiata al letto in cui Anna si era rimessa a dormire beata, entrai nel mio bagno per preparare la divisa che avrei dovuto indossare una volta arrivato all’ospedale. D’altronde quel giorno in turno in pediatria spettava a me.

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Capitolo 2
*** Halloween's desires ***


Ho scritto questo capitolo tra una pausa e l’altra dal mio lavoro (diciamo così) di baby sitter ai miei cugini più piccoli. Ho avuto un pò di problemi a casa ma, spero che questo non si veda più di tanto nel capitolo.
Iniziamo ad entrare nel vivo della storia...Spero che vi piaccia questo nuovo capitolo =D

 

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Dopo aver finito in bagno diedi un bacio ad Anna e entrai in camera di Dean per salutarlo. Continuò a dormire nonostante il bacio che gli diedi sulla guancia.

Lo senti mugugnare qualcosa << Sammy ti proteggerò io! >>. Abbozzai una risata, da quando aveva conosciuto il suo amico a scuola 4 anni fa  si preoccupava sempre per lui, lui diceva che gli voleva bene come un fratello. La prima volta che era venuto avevo visto un bambino della stessa età di mio figlio, anche se piuttosto alto per la sua età. Gli occhi bruni e i capelli leggermente lunghi tradivano le emozioni di un bambino che, nonostante la sua giovane età, aveva già sperimentato la sensazione della perdita di una persona cara.  

Adesso Dean e Sam erano diventati migliori amici, avevano anche lo stesso gruppo di amici anche se da quel che avevo potuto notare era più aperto e più sicuro di sè. Speravo davvero che la loro amicizia durasse, ero davvero sicuro che avrebbero potuto prendersi cura l’uno dell’altro. 

 

Uno strano dolore alle scapole mi dissolse dai miei pensieri. Ero proprio da buttare, mi ritrovai a pensare mentre accarezzavo la testa di Dean che tirò a sè gelosamente le coperte quasi volesse diventare il bozzolo di una crisalide. Mentre uscivo dalla camera un’altra immagine mi invase la mente.
Di nuovo quello strano ragazzo biondo. Solo che questa volta non era da solo, ma in compagnia di un uomo alto e ben piazzato i due si sorridevano e si abbracciavano quasi non si vedessero da un sacco di tempo. Sentì un dolore all’altezza della bocca dello stomaco. Avevo già provato quella sensazione molte volte. Ero geloso? Di chi? Del ragazzo biondo? Come potevo essere geloso di un ragazzo che non avevo mai visto? 

<< Sammy! >> a quelle parole il gigante si girò. L’espressione e i gesti ricordavano molto quelli dell’amico di Dean. 

Veloce così come era venuta, la mia visione sparì e io decisi che era giunto decisamente il momento per tornare al lavoro. 

Mentre cercavo di fare ordine nella mia testa, con scarsi risultati dovevo ammetterlo, arrivai all’ospedale. Lavorando nella città di Boston ero abituato al duro lavoro anche se, salvo pochi e spiacenti episodi, il mio lavoro di pediatra generale era abbastanza stabile e poco movimentato. 

Passando davanti all’accettazione salutai le segretarie e le infermiere per poi dirigermi verso il mio ufficio per mettere in ordine le ultime scartoffie. Giocherellando con un pallina che avevo sulla scrivania decisi di fare, per quanto possibile, mente locale.

In quell’anno passato mi era capitato di sognare le cose più disparate, da incubi sull’inferno, sui demoni, sugli angeli e su purgatorio e paradiso sempre e comunque in tematiche abbastanza generali. Era inutile ricapitolare che le visioni e le allucinazioni erano una novità aggiunta al buffet delle mie stranezze. 

Dopo aver finito ed essermi cambiato mi diressi verso il reparto. Per raggiungere il mio reparto ero costretto a passare anche per i vari reparti. 

Una volta arrivato incrociai un’infermiera bionda che, dandomi tranquillamente del tu, mi chiedeva di raggiungerla in una stanza dalla quale proveniva la voce di un bambino. 

Avrei potuto scommettere che il più grande non raggiungesse nemmeno gli 8 anni. << Non devi essere triste, vedrai che ci rimetteremo presto. >> disse ad una bambina seduta vicino al suo letto, probabilmente una sua compagna di stanza, che con un pigiama rosa stringeva un orsacchiotto di peluche.
Quello più grande aveva un occhio nero e diversi lividi sulla faccia e sospirando disse << Non devi preoccuparti, io sto bene, è solo un graffio il mio! >>  disse spavaldo. Notai in un attimo l’atteggiamento che avevo visto molte volte fare a Dean quando succedeva qualcosa che lo feriva quando non eravamo a casa. In quel momento riuscì a vedere la fasciatura che partiva dal gomito e ricopriva tutto il braccio fino alle dita. 

L’altra non rispose ma, abbassando lo sguardo con gli occhi lucidi, strinse con violenza il suo peluche. Lui fece una specie di faccia imbronciata e mise le mani sui fianchi come a volersi dare un tono. Non potei resistere e un sorriso di tenerezza mi si dipinse sul volto, solo dopo alcuni secondi realizzai. 

<< Hey Jess. >> dissi sottovoce girandomi verso l’infermiera bionda che mi aveva chiamato poco prima. Lei mi rivolse uno sguardo preoccupato e si avvicinò.  << Chi sono questi due bambini? >>

Lei sospirò e incrociò le braccia. << Hai visto si che roba? Sono due fratelli. Lui ha un’ustione su tutto il braccio. Lei invece fortunatamente sta bene. >>
Notando che non risposi alle sua ultima informazione continuò. << Ci ha chiamato la bambina ieri sera tardi, è scoppiato un incendio a casa loro. >>

<< I loro genitori dove sono? >>

<< Non ci sono e no, non sono orfani. Semplicemente i genitori sono via, anche se devo ammettere che non ho ben capito dove. Per questo motivo li ho fatti stare qui e non li ho mandati via dopo che li avevamo medicati. >>

<< Te l’hanno detto loro? >> lei annui di nuovo sospirando di nuovo 

<< Quanti anni hanno? >>
<< Lui ne ha 7, lei 4 >>

<< Quando è successo? >>

<< Stanotte alle 3 >>

Non riuscì a contenermi e sbottai. << STANOTTE? COME STANOTTE? E PERCHE’ NON MI HAI CHIAMATO? >>

Lei sobbalzò spaventata. << Magari dormivi. >>

A quel punto fui io a sospirare << Jess, quanto tempo è che non dormo di notte? >>

<< Lo so, lo so bene, solo che ogni notte spero che ti addormenti, quindi ci penso sempre prima di chiamarti nel cuore della notte. D’altronde siamo amici no? >>

Strinsi il pugno, come potevano succedere delle cose simili? Erano solo dei bambini!

Jess mi guardò sospirando. << A questa gente non so cosa gli farei! >> 

Era arrivata da parecchio e si era abituata in poco tempo alla vita dell’infermiera professionista. Tuttavia delle cose come quella la facevano spazientire e le impedivano di ragionare. Si faceva sempre prendere l’emotività
e non si era ancora abituata alla vita da infermiera regolare. Tirai fuori dalla tasca due lecca-lecca per poi entrare nella stanza e darne uno a testa ai due fratellini. 

<< Fai attenzione >> mi disse Jess << ...da quel che ho capito lei non parla quasi con nessuno che non sia il fratello. >>
<< Attenzione? >> replicai io, << Non sono mica dei cerberi infernali Jess, sono dei bambini. >>

Lei fece una smorfia, indecisa se prendere la mia ultima frase come un complimento o come un’offesa. 

Decisi di sedermi sul lettino per poter guardare entrambi i bambini negli occhi e vidi lui prendere il lecca-lecca con una lentezza che tradiva allo stesso tempo un non so che di famelico mentre lei, più scontrosa e meno fiduciosa si allontanò. Sentì il fratello scusarsi per la bambina.

<< Da quando i nostri genitori sono andati via lei è molto più scontrosa... >>

Come darle torto, ero sicuro che se avessi fatto una cosa del genere Dean sarebbe venuto a cercarmi per dirmene di tutti i colori. 

<< Assaggialo... >> le dissi comunque senza muovermi << ...è buono sai? Sa di frutti di bosco, a te piacciono? >> nonostante continuasse a guardarmi con l’aria sospettosa e non lasciasse andare un momento il suo peluche la vidi annuirmi e prendere dalla mia mano il lecca lecca con una velocità che era paragonabile solo a quella di una rana che cattura una mosca in trappola. Scartava il mio regalo a testa bassa e io non potei fare a meno di sorridere, i codini la facevano sembrare un batuffolino.

<< Sei un dottore? >> mi chiese e, mentre annuivo riuscivo a vedere lo sguardo attonito del fratello. 

<< Non sembri come gli altri adulti >> sorrisi, non poteva che essere una bella cosa detto da quella bambina. << Ebbene no! >> dissi muovendo l’indice per puntarlo su di lei a mo’ di gioco. << Ma tu mi hai scoperto, io sono un dottore che vive su una nuvola che esaudisce i desideri e fa sparire gli incubi dei bambini [1] >>

Lei sembrò abbozzare un piccolo sorriso per poi riprendere a parlare << Puoi esaurire anche i miei di desideri? Non c’è un numero massimo come i geni delle lampade vero? >>

Sapevo quasi per certo che mi avrebbe chiesto una cosa del genere, però ero abbastanza sicuro di poter fare qualcosa, quei bambini erano sul fondo, dovevo pur provare no?

<< Ferisci i miei sentimenti dicendo che non potrei esaurire i tuoi desideri. Certo che posso sono o non sono un Dottore? >>

Lei a quel punto mi sorrise <<< Il primo è che io abbia di nuovo dei genitori. Il secondo è che mio fratello possa vivere la sua vita senza doversi occupare di me. Il terzo è che lui non venga più preso in giro dai suoi compagni e poi... >> la vidi portarsi il dito alla bocca e pensare. << ...poi vorrei che il mio orsetto diventasse gigante e mi facesse sempre compagnia, ma credo che se avessi dei genitori non mi servirebbe. >>
Sorrisi e le misi una mano sulla testa, mentre il fratello abbassava la testa e continuava a fare finta di essere spavaldo. 

<< Per quanto riguarda i tuoi genitori e tuo fratello io posso darti delle valide alternative, ma ci vuole anche la tua collaborazione. >> lei determinata annui e mi porse il mignolo << E’ una promessa? >>

<< Certo >> le dissi porgendole il mio. Dopo poco la vidi alzarsi e appoggiarmi la mano su un fianco << Su! Vai a cercare i miei genitori >>  mi stava letteralmente spingendo fuori dalla camera

 

Dopo esser stato buttato fuori dalla stanza dalla mia piccola pazienza sentì la sua voce mentre si rivolgeva al fratello << Sembra un bravo adulto, non come gli altri. Sono sicura che ci troverà dei genitori! Sono stata brava vero? >>

Vidi Jessica vicino a me con gli occhi lucidi e le braccia incrociate. << Dottor Novak, a volte ti detesto, mi hai appena fatto cariare un dente, ma poi, questa storia del dottore e dei sogni ma da dove ti è venuta? >>

<< La guardi mai la tv Jess? >> lei scosse la testa

<< Mi pare che non ho tutto questo tempo. >> 

<< Non sai che ti perdi, dovresti farti dare qualche consiglio cinematografico da Dean >> abbozzai una risata e lei alzò gli occhi al cielo. << Povera me. >>

 

***

 

Non feci in tempo a continuare il mio discorso che rimasi bloccato sulla porta mentre il paesaggio intorno a me cambiava di nuovo. Eccola là, un’altra visione. Non ne avevo mai avute e ora venivano tutte insieme, avrebbero anche potuto essere un pò meno ravvicinate, giusto per darmi il tempo di abituarmi. Vidi quella stessa bambina della mia camera solo che però stava davvero parlando con un orso di peluche gigante e il fratello che si divertiva a sollevare una macchina [2]. Per un pò pensai che poteva essere solo una “normale” visione, per quanto potessero essere  definite normali le visioni. 

Riuscì in quel momento a sentire uno strano profumo che sembrava tipico dell’aria nei primi giorni di primavera in cui i fiori iniziano a sbocciare e l’erba comincia a crescere più velocemente. Sembrava quel miscuglio di odori che ti riportano in un punto ben preciso della tua vita. Non seppi ben spiegare qual era il luogo preciso che quello strano profumo mi ricordava eppure sapeva di vita, di realtà, di verità. Quel profumo sapeva di casa mia. Quando riuscì a riconoscerlo riconobbi alcuni degli odori da cui era composto. Aveva qualcosa di fuoco, di cenere e metallo, qualcosa che ricordava la terra bagnata e il fieno, era nitido il profumo dell’erba e delle foglie bagnate dalle gocce mattutine di rugiada e allo stesso tempo riuscivo a scorgere l’odore pungente e, allo stesso tempo dolce e caldo del coriandolo. 

***

 

A far sparire quella sensazione di appartenenza e quel profumo fu proprio Jessica, che scuotendomi una spalla mi riporto al freddo e sterile odore dell’aria dell’ospedale. Ricordo di aver pensato proprio in quel momento che nella mia vita c’era qualcosa di sbagliato. 

<< Cass? >> la sua voce mi rimbombava nella testa quasi fosse un sogno << Cass! >> la seconda volta risuonò più nitido e alla terza ero ritornato al punto di partenza. 

<< Cosa succede? >>

Un principio di tosse mi venne su dalla gola << Niente, è solo la mancanza di sonno. >>
Non avevo proprio necessità di dirle che mi stavano venendo le visioni e che stavo decisamente impazzendo. 

 

***

Il resto della giornata passò tranquilla e io potei fare tutte le mie visite giornaliere senza tuttavia avere strane “foward-visioni” come le avevo ribattezzate. 

Tornando a casa il pomeriggio quasi rimasi perplesso nel vedere Dean che corse ad aprirmi vestito da Cowboy. Dopo avermi salutato con un abbraccio mi disse 

<< Guarda papà! Sembro un bowboy [3 ]vero? >>

Risi mentre lo prendevo in braccio << Si dice Cowboy, Dean >>

lo vidi riflettere un attimo  << Ah già!! >> fece spallucce e dopo di che decretò  

<< Vabbè e’ uguale! >> 

<< Sai Dean, ancora non capisco perchè proprio il cowboy >>

<< Cowboys are cool [4]  >> mi rispose giocherellando con il cappello che aveva in testa. << Poi i vampiri e le altre creature sono cattive! L’ho visto in un documentario. Se esistessero diventerei un cacciatore e le ucciderei tutte >> incrociò le braccia.

<< Esistono dei cowboy cattivi però! >>

<< Si si, però io sono lo sceriffo [5] quindi mi occupo io dei cattivi>>

La logica non faceva una piega, ammisi che aveva ragione e mi diressi in cucina per andare a salutare Anna. Potevo comunque raccontarle solo una parte della mia giornata, certo dirle che avevo iniziato a “vedere” cose strane l’avrebbe solamente turbata. 

 

***

Facendo scendere Dean e osservandolo mentre si dirigeva verso la sua camera per andare a prendere le ultime cose per la festa a cui doveva andare l’immagine cambiò di nuovo. 

C’era il solito ragazzo biondo che mi osservava e mi sorrideva, vestito in modo quasi uguale a mio figlio. << Andiamo Cass! Cosa c’è che non va nel mio vestito? Sembro proprio uno sceriffo! >> 

Di nuovo quella strana sensazione alla bocca dello stomaco. Mi guardava di sbieco e la sua espressione imbronciata mi provocò un senso di tenerezza, sentì in quel momento l’impulso di abbracciare quella strana figura.  I muscoli si intravedevano dal gilet di pelle e il cappello marrone sembrava creato apposta per i suoi occhi verdi. In una frazione di secondo mi ritrovai a pensare che, a prescindere dal fatto che sembrasse o no uno sceriffo era proprio bello. 

***

Quando svanì l’immagine rimasi quasi dispiaciuto, scossi la testa quando sentì la voce di Anna, che andavo a pensare? Ero sposato, non ero gay e come facevo a voler contemplare un sogno? 

<< Vado ad accompagnare Dean alla festa, stasera vai tu a riprenderlo? >>
Io annui alle parole di mia moglie e dopo di che la vidi uscire. 

 

 

Note:

[1]  = La citazione di Clara Oswin Oswald nella puntata 7x06 di Dottor Who 

[2] = Riferimento alla puntata de “Il pozzo dei desideri”.

[3] =  Errore intenzionale

[4] = Ripreso dalle comuni citazioni dell’ 11° Dottore “Bowties are cool” “Fezzes are cool”

[5] = Riferimento alla puntata “Terra di frontiera”

 

Spero vivamente di aver fatto capire qualcosa in più rispetto al prologo, cosa aspetta il nostro Dottor Novak?
Pubblicherò presto il nuovo capitolo =) Mi raccomando! Ditemi cosa ne pensate!

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Capitolo 3
*** Back to the beginning ***


Questo capitolo è venuto giù un pò di getto, ho pensato tanto e il sonno faceva fatica ad arrivare, quindi sia per l’emozione dell’arrivo del mio Pass per la JIB e le canzoni di Max Pezzali (gusti non proprio adatti ad una fanfic su supernatural, lo so) E’ venuto fuori questo... 

 

Fortunatamente la festa di Halloween a cui era andato Dean si svolgeva a casa di Sam, che abitava a soli pochi isolati da loro e per questo Anna non ci mise molto ad accompagnare Dean. In un certo senso infatti fu come se non me ne fossi accorto nemmeno. Non appena la vidi entrare dalla porta io mi sdraiai sul divano, sentivo che gli occhi mi si stavano chiudendo, detestavo dormire il pomeriggio. Avrei tanto voluto dormire la notte. 

Sentì il mio telefono vibrare e lo presi in mano per vedere chi era a scrivermi. 

-Ciao Fratellone! 

-Indovina un pò? Ti ricordi quel progetto per la costruzione di quella nuova scuola vicino la ventesima strada? Beh...stai parlando con il nuovo capo dei lavori! -

Ci misi un attimo a realizzare, che il messaggio era proprio di mia sorella. Non potevo che essere contento e quindi velocemente le risposi.

-Maddai? Non mi dire! Ma è meraviglioso! Dobbiamo festeggiare! Ci vediamo da me per cena? Anna sarebbe felicissima ti avere te e Ruby a cena! -

La sua risposta arrivò tanto velocemente e sullo schermo del mio cellulare era visibile a caratteri abbastanza grandi 

-Ricevuto Doc! Ci si vede a cena. -

Mi alzai per andare ad avvertire Anna anche se si era già messa al lavoro. Capitava spesso che mi spiazzava e io non sapevo mai come facesse a sapere le cose prima che io gliele dicessi. Spesso mi rispondeva dicendomi la classica spiegazione “Sesto senso femminile” anche se io la guardavo spesso sospettoso. Alla fine decidevo sempre di credere a quello che mi diceva lei, forse per evitare problemi troppo assurdi da aggiungere alla mia lista. A volte avevo anche pensato che quello potesse essere definito un comportamento vigliacco e, quasi sicuramente, anche abbastanza menefreghista. Sospirai. 

<< Me l’ha detto tua sorella che sareste venuti a cena. >>

Io fischiai per marcare il concetto, mia sorella era peggio di un grillo parlante. Quando ci si metteva rischiava di diffondere una notizia alla velocità della luce. A volte avevo anche seriamente pensato che avesse il dono dell’ubiquità. 

<< A volte mi chiedo se quella donna riesca a dire una cosa a meno di duecento persone per volta. >> abbozzai una risata che fu subito seguita da quella di mia moglie.
Mi appoggiai al frigorifero per vederla cucinare, o almeno quella era la mia intenzione iniziale. 

 

***

Vidi l’immagine sfocarsi, io mi trovavo nella stessa cucina e vedevo sempre quel ragazzo biondo che trafficava con i fornelli e con una padella in mano.  Avendo, nonostante tutto, una discreta abilità culinaria potei affermare con abbastanza sicurezza dopo due tentativi che quel ragazzo doveva essere negato per qualsiasi cosa che riguardasse la cucina.
<< VAFFANCULO! >> sbraitò lanciando la padella nel lavello dopo aver aperto l’acqua, 

<< SEI CONTENTO ADESSO? >> più che un urlo di rabbia il suo sembrava un urlo di dolore. Non ero sicuro ma mi sembrava di aver scorso una lacrima che scendeva giù da i suoi zigomi. Lo vidi mollare un calcio alla sedia, che cadde giù con violenza, io mi sarei fatto male nella sua stessa condizione, eppure lui non sembrava minimamente interessato a questo. Con un singhiozzo ritirò su la sedia e ci si mise seduto, appoggiò la testa sulle mani per poi passarsela sugli occhi. << Mi manchi, mi manchi in un modo che non riesci nemmeno ad immaginare. Se riesci a sentirmi voglio che tu sappia che se non riporti qui il tuo fottutissimo culo piumato sarò il primo a venire a prenderti! HAI CAPITO? NON HO INTENZIONE DI LASCIARE NIENTE AL CASO! SiA BEN CHIARO CHE HO INTENZIONE DI RIPORTARTI QUI... >>

Diede un pugno sul tavolo al quale era appoggiato e aggiunse un ultima parola, che sembrava quasi un bisbiglio << ...con me. >>  

Un altro singhiozzo, mi si stringeva il cuore a vederlo in quello stato, sentivo lo stomaco farmi male, bruciava e si contorceva in un modo che non avevo mai neanche potuto immaginare. Scossi la testa cercando di far finta di niente, ma quella scena si presentava davanti a me in tutta la sua straziante verità.

In quel preciso momento alzò lo sguardo nella mia direzione, mi stava guardando? No, ovviamente no, perchè poi strinse i denti e respirò in quello che avrebbe potuto sembrare con facilità un grido represso. 

<< Vuoi sapere come mi sento? Non lo so, davvero... >> mise la lingua di sbieco tra i denti  mentre le lacrime continuavano a scendere << Guarda! Spero vivamente che tu mi veda!  Sto così per colpa tua! Se mi avessero detto che mi sarei mai ritrovato così gli avrei tirato un pugno e, invece eccomi qui. Piangendo e pregando un Dio in cui non mai creduto solo per rivederti sorridere un altra ora della mia vita, per mangiare quelle tue frittelle schifose che prepari tutte le mattine! >> 

Sapevo che non mi stava guardando eppure un brivido mi scosse, sentivo uno strano freddo. Sentivo il respiro farsi affannoso e la voglia di gridare.

Lanciò uno sguardo alla pentola << Quelle cazzo di frittelle schifose! Non capisci? Ho BISOGNO delle TUE frittele schifose del CAZZO! >> marcò quelle ultime parole e io, anche se non mi seppi spiegare perch+ non potei fare a meno di arrossire. 

Lo guardai bene, lasciando la parte del viso, che avevo scrutato con un’attenzione quasimaniacale quasi a memoria notando i pettorali che segnavano la maglietta rossa che portava. Quando si alzò per andare a chiudere l’acqua con un colpo violento di una mano sembrò qualcosa che ricordava più un pilota che un cuoco. 

Volevo abbracciarlo e dirgli che andava tutto bene, volevo far smettere i suoi singhiozzi e far tornare il suo sorriso.  Mi venne naturale muovere un passo verso di lui, tesi la mano con l’idea di toccarlo eppure all’improvviso sparì. 

***

In un attimo mi ritrovai nella mia cucina, con la mano tesa verso qualcosa che non sapevo neanche io cosa. Anna fortunatamente era girata e non sembrava essersi accorta di niente. La cosa strana era che quelle visioni diventavano sempre più frequenti. Che stessi davvero smarrendo la ragione? Sospirai, che fosse una punizione per quello che non avevo mai affrontato nel corso della mia vita? 

Mi guardai intorno, non c’era niente di diverso nella mia cucina, eppure c’era qualcosa che non mi convinceva. Avevo sempre avuto quella strana lampada? E il tavolo? Perchè non riuscivo a ricordarmi quando avessi deciso di metterli? Mi guardai intorno e prima che me ne accorgessi Anna mi disse che la cena era pronta e che dovevo andare a prendere Dean. Da quando il tempo scorreva così velocemente?  Passavo davvero così tanto nelle mie visioni? Se era davvero così perchè nessuno se ne accorgeva mai? 

Affollato di domande come ormai succedeva da tutto il giorno decisi di uscire per fare due passi. Afferrai il mio trench, salutai Anna e uscì. 


Fuori soffiava il vento e io fui costretto a stringermi nel mio trench e infilare le mani in tasca, detestavo non riconoscere più la mia vita. Perchè mi sentivo così strano? Diverso? Quello strano ragazzo mi guardava in modo capace di scatenare anche i miei istinti più profondi. Come era possibile? Ero sposato da anni con una donna, a me non piacevano gli uomini. Anche se obiettivamente dovevo ammettere che quel misterioso ragazzo biondo avrebbe avuto la capacità di trasformare un santo in un peccatore...e io lo dicevo persona cattolica, portavo anche il nome di un angelo.
Alzai lo sguardo al cielo, dando un calcio ad una pigna che si trovava sul ciglio della strada, mi aveva sempre rilassato guardare il cielo, anche da bambino. Ero quasi arrivato a casa di Sam quando sentì qualcuno arrivarmi addosso. Non feci caso a chi fosse, troppo impegnato a pensare a chissà quali riflessioni ma sentendo quel  “Scusa, non ti avevo visto” pronunciato ad una voce che sarei riuscito a riconoscere anche dall’altra parte dell’America mi girai per ritrovarmi ad afferrare il polso del proprietario di quella voce. Non mia sconvolgente sorpresa mi ritrovai ad afferrare con violenza il polso di un ragazzo che probabilmente non aveva più di diciassette anni. I lunghi capelli ricci erano di un rosso quasi acceso e gli occhi nocciola mi guardavano con un espressione che altro non era che un misto di perplessità e paura. Appena me ne resi conto lasciai andare il ragazzo che si allontanò da me velocemente, lanciandomi ogni tanto uno sguardo impaurito. Io ero rimasto impietrito. In quel preciso momento mi resi conto che qualcosa non andava in me. Cosa stavo diventando?
Prima di rendermene conto stavo già correndo senza una meta precisa, percorrevo strade secondarie con una sicurezza che non avevo mai sentito mia eppure sapevo perfettamente cosa stavo facendo, l’ultima cosa che mi serviva era quella di sentirmi osservato da una serie di sconosciuti che non avrebbero fatto altro che giudicarmi completamente fuori di testa. Arrivato davanti ad un muro di un vicolo ceco mi appoggiai con le mani e diedi un pugno con la parte laterale della mano. Ne diedi un altro, e poi un altro ancora. La sensazione di impotenza, di rabbia, di disorientamento mi bruciava in petto come fosse una voragine. Avevo vissuto una vita intera convinta di essere un tipo di persona e ora, come anche da un anno a questa parte scoprivo di avere visioni di momenti che non avevo mai vissuto. Perchè ricordavo quei momenti?  Io ricordavo tutto della mia vita e quei momenti non li avevo mai vissuti! Non avevo mai avuto incidenti così gravi da provocarmi un’amnesia! 

***

<< Ritorna al principio... >>[1] sentì la stessa voce che avevo già sentito prima per strada e girandomi lo vidi, era LUI! Il ragazzo biondo delle miei visioni e dei miei sogni. << Come scusa? >> 

<< Ritorna al principio... >> continuava a ripetere quella stessa frase e io non riuscivo a capire. Cosa voleva dire? Il principio? Il principio di cosa? 

Mi si stava avvicinando e io riuscì a distinguere quel profumo di coriandolo che avevo già sentito all’ospedale quella mattina. Inspirai di nuovo, sapeva di realtà.
Ma non potei fare a meno di arrossire quando mi avvicinò. Era bello, bellissimo e io non riuscivo a non pensare ad altro che ai suoi occhi che mi guardavano, era impossibile confondere quell’espressione. Mi sentivo bruciare. Al diavolo tutto! Ripensai ad Anna, a quello che avevo sempre provato nei suoi confronti e non potei faro a meno di pensare che la mia vita non aveva mai avuto davvero un senso. Davanti a quel ragazzo che poteva essere descritto come... come... non riuscivo nemmeno a trovare le parole. Non mi erano mai piaciuti gli uomini, certo perchè nessuno uomo era LUI! In quel momento dimenticai tutto, realtà, fantasia, bugie, visioni. Ebbi la sensazione che il mio posto era sempre stato quello al suo fianco. 

<< Cass... >> lo senti mormorare, il mio nome detto da lui sembrava così giusto, così perfetto. Una giusta melodia.. e dire che mi ero sempre vergognato di dire che il mio nome era ripreso dal nome di un angelo. 

Il momento in cui sfiorò la mia mano e strinse tutto perse di significato e i riusci a sentire una scossa elettrica che non credevo neanche possibile, un calore che non ricordavo di aver mai sentito. 

***

A cancellare la sua presenza fu il vibrare del telefono nella tasca del mio trench. Io strinsi la mano che lui mi aveva stretto e risposi. Il mio tono comunque si addolcì quasi immediatamente quando sentì la voce di Dean. 

-Pronto papà? Dove sei? Sono qui che ti aspetto... tutto bene?


ODDIO! Si era dimentica di andare a prendere Dean! 


-Oddio! Scusa, che ore sono?

-Le sette e mezza.

-Scusa! Arrivo!


Sospirai e mi passai la mano che lui aveva stretto sulla faccia, non riuscì a trattenere un sorriso quando mi accorsi che la mia mano che lui aveva stretto era veramente calda. Avevo sempre avuto le mani fredde in tutta la mia vita e non riuscì a smettere di sorridere mentre ricominciavo a correre verso casa di Sam. Che fosse lui il senso che mancava alla mia vita?


 

Tranquille, sto già scrivendo il prossimo capitolo, questo è solo un pò per sguizzagliare la mia vena depressa degli ultimi giorni. Non ho intenzione di lasciarvi così. U.U 
Nel prossimo episodio scopriremo sia chi è la fantomatica sorella del nostro Cass e perchè dovrebbe andare a cena con Ruby, 
Restate in ascolto, ci si sente presto.

 

[1] = Back to the beginning, ripreso dal titolo del capitolo

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Capitolo 4
*** Cross the lines, Cass! ***


Per questo capitolo la mia playlist è stata prevalentemente di musica Raggaeton e Musica Araba. Il mio i-tunes decide da solo le canzoni =) 

Ho cercato di tirare fuori il lato migliore dei miei personaggi. Spero che rendano tutti come piace a voi :D

 

Io e Dean camminavamo verso casa mentre lui gesticolava con il cappello da Cowboy raccontandomi di quello che aveva fatto alla festa. Gli lanciai uno sguardo sorridente e lui di rimando mi guardò. In una frazione di secondo, nell’istante in cui mosse la testa per guardarmi in faccia avrei potuto giurare che mi sarei aspettato di vedere un paio di occhi verdi. Strizzai gli occhi e me li stropicciai, sapevo bene che mio figlio aveva gli occhi del mio stesso colore azzurro, perchè mi ero aspettato di vederli di un colore diverso?
Avrei potuto giurare che se avessi immaginato qualsiasi altra tonalità non sarei rimasto sconvolto come invece ero. Verde? Perchè continuavo a sentirmi perseguitato da quel dannatissimo colore?
Mentre pensavo non mi ero reso conto di essermi fermato, al contrario di mio figliore che aveva continuato a camminare con la sua andatura. 

 

***

<< Cas? Perchè ti sei fermato? Andiamo che sennò facciamo tardi! >> ancora quella voce, ancora quel ragazzo. Mi guardava negli occhi ma non sembrava arrabbiato, quanto preoccupato. Meno male che quello preoccupato era lui, io mi sentivo un peso sul cuore che non riuscivo a scacciare. Lo vidi avvicinarsi e prendermi le mani. << Vedrai, andrà tutto bene, non devi dimostrare niente a nessuno. >>
Rimasi sorpreso, dovevo ammettere che non era proprio quello che aspettavo di sentirmi dire da lui. << Come? >> dissi mentre lui continuava a sorridermi 

 

***

 

<< Papà? Qualcosa non va? Ti vedo strano... >>  avevo a che fare con i bambini tutti i giorni, eppure tendevo a dimenticare facilmente la loro sensibilità e gli dissi che non c’era niente che non andava. Lui sembrò non esserne convinto e mi lancio uno sguardo alzando un sopracciglio e scrutandomi negli occhi in un’espressione che non sembrava affatto quella di un ragazzino della sua età. 

<< Torniamo a casa dai, vengono le zie a cena. >> 

Fortunatamente le mie parole riuscirono a distrarlo abbastanza da cacciare dalla sua mente l’idea che ci fosse qualcosa che non andava nel mio modo di comportarmi. Lo vidi esultare, era sempre felice di incontrare le zie e mentre lui camminava, anche se a me sembrava più un passo saltellato, cercai di sorridere e non pensare. 

 

Arrivammo circa una ventina di minuti dopo e io sospirai per l’ennesima volta quella sera prima di suonare il campanello. Senti due voci femminili oltre a quella di Anna che conoscevo bene. Ad aprirmi la porta fu proprio mia sorella.

<< Ciao fratellone! >> disse facendo quello che poteva sembrare tranquillamente un saluto militare. Le risposi squadrandola dalla testa ai piedi. Portava un vestito nero coperto, come al suo solito, da uno scialle nero e un paio di stivali bassi. Ero abituata al suo stile sempre abbastanza macabro e il rossetto rosso creava un contrasto evidentissimo con la sua carnagione chiara. Mi sorrise e subito dopo mi abbracciò, cercando di evitare un piccolo Dean che quasi quasi le saltava addosso per la contentezza. Sin da piccolo aveva sempre avuto un debole per mia sorella. Era un pò più bassa e le misi una mano sui capelli bruni in un caschetto lungo per scompigliarglieli un pò. 

<< Dai Cass! Lo sai che mi da fastidio >>
<< Lo so, lo faccio apposta.. >>

Non riuscì a vedere la sua faccia, ma potevo facilmente immaginare che mi stesse lanciando un’occhiataccia. Salutai con un cenno della testa l’altra ragazza bionda che, seduta sul mio divano con le gambe accavallate, sorseggiava un bicchiere di vino. 

<< Ruby >>
<< Cass  >>
Lei rispose al mio saluto in modo analogo. Era sempre molto, troppo semplice essere gentile al telefono, ma di persona quella donna mi urtava... 

 

Non avevo un grande rapporto con la moglie di mia sorella, inoltre sorella di mia moglie ma la sopportavo in quanto era importante per entrambe. A volte cercavo di far buon viso a cattivo gioco ma spesso mi riusciva male. 

Dovevo evitare solo di raccogliere le provocazioni che Ruby mi lanciava. Lanciai un’occhiata a mia sorella che come al solito si era seduta sul bracciolo della sedia accanto a Ruby e mi guardava con sguardo sornione. La detestavo quando mi guarda con quella faccia ma, fortunatamente potevo giustificarmi con il fatto che non ero l’unico con lui lo faceva. Detestavo quando guardava le persone in quel modo, sembrava quasi che per lei fossimo tutti orologi a timer, pronti a spegnersi in ogni momento. << Tess? La smetti di guardarmi con quella faccia? >>
Lei si stiracchio le spalle, e alzò lo sguardo al cielo.  << Oh suvvià Cass, non lo faccio mica apposta, mi incanto. >>
Il sorriso di scherno che mi lanciò qualche minuto dopo mi provocò la geniale, ma allo stesso tempo gelante visione di mia sorella che giocherellava con una falce facendosela passare tra le dita quasi fosse una scolaretta che giocava con un matita in una brutta lezione noiosa. 

Scossì la testa fingendo un brivido << Chiedo scusa Miss Reap. [1]>>

Lei fece una finta smorfia di presa in giro 

<< Si si, fai lo spiritoso... Non sai di cosa parli Cass >>  guardai mia sorella in un misto di preoccupazione e perplessità ma lei fece spallucce e con un sorriso amorevole scompiglio i capelli bruni di Dean. 

Perfetto, pensai tra me e me, io ero già impazzito. Ci mancava solo mia sorella.
Avevamo fatto entrambi carriera, che fosse quello che faceva impazzire?
<< Ricordati di non fare mai carriera Dean, rischi di perdere la ragione.. >> gli dissi alzandomi dalla poltrona e passandogli davanti. 

Lui mi guardò con una smorfia che non ebbe bisogno di parole, era abbastanza comprensibile che non avesse capito quello che stavo pensando. 

 

La cena passò abbastanza tranquilla fino a che Anna non prese lo spumante per brindare al nuovo progetto di carriera di Tessa. 

<< Un brindisi al nuovo architetto di famiglia! >>

Ruby sorrise per poi stampare un bacio a stampo sulle labbra della compagnia. 

<< Sperando di non doverla perdere tra dieci anni. >>

<< Come? >> chiesi, sinceramente interessato, ignorando quasi completamente il tono di Ruby, che mi avrebbe urtato anche se mi avesse detto che era un’oca giuliva senza cervello. 

Fu Dean ad intervenire in quel momento. 

<< Ma come!? Non sai cosa sono i demoni degli incroci? >> mi chiese, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Lo guardai, e meno male che non gli interessavano i film dell’orrore. Non me la raccontava giusta con la sua storia dei documentari...

<< Purtroppo lo so.. >> dissi a bassa voce, quasi impercettibile. << ..ti consiglio di non farci mai affari. Possono essere veramente infidi se decidono di renderti la vita un inferno. >>

<< Che vuoi dire? >> 

Mi ritrovai a balbettare, non sapendo sinceramente cosa rispondere. Dissi le prime cose che mi vennero in mente << Ho letto un libro quando avevo tre o quattro anni più di te sui demoni, raccontava le storie di coloro che, secondo la leggenda avevano fatto un patto con un demone degli incroci e parlavano delle conseguenze del loro patto. >>

Mi fermai un momento. Cosa avevo appena detto? Da dove diavolo mi era uscita quella storia? L’avevo davvero letta in un libro? Dean strabuzzò gli occhi interessato e mise i gomiti sul tavolo interessato alla mia spiegazione. Tessa mosse leggermente la testa di lato e Ruby accavallò le gambe. << Si.. >> continuai << ...secondo la leggenda il re dei demoni degli incroci Crowley dettava le regole nel mondo degli inferi dopo la morte di Lucifero e tutti i demoni erano costretti a rendere conto a lui. Secondo la leggenda inoltre, si racconta di un Angelo che fece un patto con questo Re dei demoni e... >>

Anna si alzò in quel momento, sbattendo le mani sul tavolo e interrompendo le parole che uscivano come un fiume in piena dalla mia bocca. 

<< Non è il momento di parlarne a cena!! >> 

 

***

L’ambiente della mia cucina era sparito un’altra volta e io sbuffai, seriamente annoiato da tutto quel tran tran. Un uomo era seduto su una poltrona con un vecchio bicchiere di vino rosso in mano.
<< Salve Castiel >> mi salutò facendo roteare delicatamente il bicchiere per annusare il profumo che proveniva dal bicchiere 

<< Chi sei? Come mi conosci? >>

Rise di gusto, tanto da farmi pensare che fosse seriamente ubriaco. 

<< So tante cose di te al momento, molte di più di quante ne sappia tu adesso. >> aveva un accento scozzese, pensai in un attimo che quello poteva spiegare il fatto perchè fosse già ubriaco nonostante ci fosse ancora luce. Mossi la testa, vedendo un albero che aveva la stessa tonalità degli occhi del ragazzo che continuava ad ossessionarmi. No ci misi molto a capire che quelle visioni potevano essere collegate tra di loro. 

<< Oh si, e io sono Crowley. Re dei demoni degli incroci e da oggi, sono anche il re dell’inferno mio caro Castiel. >>

<< Cosa? Cosa? COSA? [2] >>

<< Bla, bla,bla... Portali da un Blablaologo [3] >>


Che? Cosa? Ma c’era qualcosa di sbagliato in quel contesto. Dalla sedia faceva capolino la testa bionda di Ruby. Quell’oca giuliva!! Lo sapevo!

<< Beh angioletto per ora ci salutiamo >> mi disse quella specie di Ruby salutandomi come era solita fare mia sorella. Io mi fermai un momento per guardarmi intorno, la mia espressione non doveva essere sembrata molto interessante, non lo mettevo in dubbio. 

<< Tanto tornerò presto, devi sapere che sono tutti molto ansiosi di riaverti qui. Lo ammetto, anche io... devo ancora fartela pagare per quel piccolo affaruccio  >>

 

***

Prima che potessi controbattere l’immagine svanì e io mi ritrovai a casa mia. Mentre tutti chiacchieravano come se non si fossero neanche accorti della mia assenza, mentale certo, ma comunque sempre assenza. Il resto della serata passò tranquillo, senza particolari visioni o accenni ai demoni, angeli o cose strane. 

L’ultima cosa che sconvolse la mia nottata e i miei sogni fu l’ultima frase di mia sorella che, dopo avermi salutato e abbracciato mi disse nell’orecchio una frase che per me allora non aveva alcun senso. 

<< Cross the lines, Cass >> [4]
Era sicuro che me lo avesse detto per un motivo, eppure rimase oscuro per molto tempo, sia al mio buonsenso che al mio sesto senso.

<< Che...? >> non ottenni risposta da mia sorella, ma solo un sorriso enigmatico dei suoi, la guardai male << Tess! Non sei lo stregatto! >> 

<< Potrei essere qualsiasi cosa in questo momento, ma mi piace questo che sono adesso. >>

Un’altra cosa poco sensata da parte di Tessa.  

<< Ah...un’ultima cosa Cass, attento agli incroci... >>

<< Non voglio fare un patto con un Demone. >>
<< Non vuoi rifare un patto con un Demone? >>

<< Ma che stai dicendo? >>

<< Oh niente niente... Credo lo scoprirai da te. >>

 

 

Note:
Lo so, lo so, Tessa è molto stregatto in questo capitolo, ma io la adoro e quindi la faccio molto figa come piace a me ù.ù

D’altronde lei è una mietitrice, se non le sa lei le cose come fanno gli altri a saperle?
Ah anche Crowley mi è piaciuto da morire con le battute di Scrubs :) L’avevate riconosciuta?

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Capitolo 5
*** We'll survive Dean, i promise ***


Tenendo le mani sul lavandino mi guardavo allo specchio, cercando di pensare a quello che avevo appena sognato. Era notte fonda e dalla finestra del bagno riuscivo a vedere le stelle e la luna. Spostando lo sguardo sullo specchiò vidi i miei occhi cambiare da azzurri a neri, diventando come due pozzi senza fondo. Cercai di strillare ma mi accorsi che la mia voce mi era morta in gola. Inutile aggiungere che le cose non fecero altro che peggiorare. 

***
L’immagine sfumò di nuovo e la prima cosa che mi si parò davanti fu una donna con dei lunghi capelli bruni appoggiata alla porta delle mia camera da letto. 
<< Signor Dottor Novak? Ma dai mi stai prendendo in giro? E’ troppo anche per te Castiel >> Ero rimasto impietrito sulla porta del bagno e guardavo quella figura che mi parlava tranquillamente come se mi conoscesse da una vita. << Oh suvvia! Non guardarmi con quella faccia! Sembra la prima volta che mi vedi.. >> non notando cambiamenti nella mia espressione la vidi cambiare poco dopo da sfrontata era passata a  delusa 
<< Ah, quindi per te è davvero la prima volta. Beh però posso fare in modo che non ti dimentichi di me una seconda volta >> stava giocherellando con un pugnale con la mano destra mentre la sua mano sinistra era appoggiata su un fianco. Riuscivo a capire dal sorriso sghembo sulle sue labbra era ovvio che non aveva niente di buono in mente. Potevo anche scorgere un dente leggermente appuntito. Deglutì impietrito mentre lei con un’andatura felina si stava avvicinando alla figura di mia moglie che dormiva tranquillamente nella nostra camera da letto e, nonostante il tappeto, il rumore di ogni singolo passo rimbombava nella mia testa peggio di un colpo di cannone. Appena la vidi entrare corsi in camera, pensando a cosa fare, arrivando giusto in tempo per vedere la strana donna che pugnalava Anna al centro delle due clavicole. 
Riuscì a distinguere una luce che sprigionava dal corpo ormai in fin di vita di mia moglie. Non seppi come reagire e sentì le gambe cedermi e crollai per terra, senza fiato e senza voce. Mi sembrava di soffocare.   In quel preciso momento, buttai lo sguardo con i miei occhi azzurri su quella donna che aveva ripreso il pugnale in mano e lo stava ripulendo con un fazzoletto come fa un macellaio dopo aver macellato la sua vittima.  
<< Meg, Ricordi? >> sbuffò, dopo l’ennesima risposta mancata da parte mia e dopo un tempo che potrebbe essere compreso tra cinque minuti e un’ora Meg, come aveva detto di chiamarsi,  mi si avvicinò lasciando perdere il corpo di mia moglie. 
<< Va bene angioletto, vediamo se questo risveglia la tua memoria. >> Mi aveva bloccato contro il muro e si era appoggiata contro di me. Avrei potuto facilmente scansarmi eppure non sapevo perchè non l’avevo fatto. Aveva posato le sue labbra sulle mie, e io risentì di nuovo quel profumo che avevo già sentito all’ospedale. 
Dopo essersi allontanata dalle mie labbra disse una frase a bassa voce, che tuttavia non riuscì a riconoscere, tuttavia però riuscì a capire una parola << Winchester >> Un brivido mi scese lungo la schiena. Non conoscevo quel nome, non l’avevo neanche mai sentito eppure aveva qualcosa di familiare. 
Lanciai un’urlo senza voce quando scorsi il corpo di mia moglie alzarsi e venir trascinato lungo il soffitto, mentra la sua camicia da notte cominciava ad essere sporca di sangue all’altezza della vita mentre continuava a risuonarmi in testa la sua voce che implorava il mio nome. Cercai di muovere un passo ma mi accorsi di essere bloccato. Non potevo fare niente! Strinsi i pugni e digrignai i denti, non potevo pensare che stesse accadendo tutto veramente, mi girai a cercare Meg ma era sparita e non aveva aggiunto nient’altro. Nella stanza faceva sempre più caldo fino a quando non vidi scoppiare una fiamma. Un incendio? La voce mi si era fermata in gola quasi fosse un cubo di ghiaccio. 
<< Castiel, salutami il tuo fratellino Lucifero giù all’inferno mi raccomando! >> Feci male a supporre che quella voce provenisse da Anna, perchè così non fu. Quella voce aggiunse subito dopo un’altra frase. <> L’ultima cosa che riuscì a sentire fu una risata,  una di quelle che riesce a darti i brividi anche nel midollo.

***
Tossì, mentre l’immagine spariva e intorno a me si presentava una scena che per un attimo sperai che fosse solo un brutto sogno. Anna era morta, aveva un taglio all’altezza della vita e un taglio all’altezza delle due ossa delle clavicole. Sentì le lacrime scendermi ad una velocità che non avrei neanche mai potuto ritenere possibile e mi ritrovai a pormi la fatidica domanda. Qual era la velocità con la quale le lacrime scendevano lungo gli zigomi? Mi diedi uno schiaffo. Come potevo pensare a quello in quel momento? La casa andava a fuoco e Dean dormiva ignaro. Sapevo che per Anna non c’era più niente da fare ma dovevo comunque fare il mio dovere di genitore. Corsi in camera di Dean prendendolo in braccio. 
<< Papà..? Che succede? >> lo senti borbottare nel sonno, non ero sicuro che avesse realizzato cosa era successo. Non ebbi il tempo che lo vidi balzare in piedi e guardarsi intorno << Mamma dov’è? >>  non gli risposi e lo vidi rabbuiarsi, sapevamo entrambi che non c’era tempo da perdere. Corremmo fuori prendendo quello che era il minimo indispensabile e chiamai i pompieri. 

I pompieri arrivarono quando ormai di casa nostra non era rimasto quasi niente. Dean non aveva pronunciato una sola parola e io, capendo come stava lo avevo solo abbracciato, evitando di forzarlo. La prima cosa che potei fare era chiamare i genitori di Anna che si presentarono dopo circa un’ora. 
La madre di Anna prese in braccio Dean, che si accoccolò sulla sua spalla. 
<< Cosa è successo? >> mi chiese il padre. Era un uomo intorno alla cinquantina 
Scossi la testa, << Non lo so...quando mi sono svegliato ho provato a svegliarla ma... niente. E’ rimasta lì immobile.. >> non serviva specificare l’ovvio e suo padre, un uomo abbastanza burbero mi abbracciò. 
Vidi la madre di Anna darmi un mazzo di chiavi << Queste vi serviranno >>
<< Jodi! >>
<< Oh Bobby, Finiscila! Lo sai quanto me che gli serve un posto dove stare! Anna non avrebbe voluto che dormissero in mezzo ad una strada! Lo sai quanto me! >> Accettai le chiavi con un cenno del capo, mentre cominciavo a sentire Dean che singhiozzava e, a malincuore, guidavi verso la casa che quelle chiavi aprivano.


Entrai in casa con Dean in braccio e gli occhi bassi, la mia vita in quelle ventiquattro ore si era stravolta completamente. Appoggiai con una mano le chiavi sul cassettone nell’ingresso e lanciai un occhiata alla foto del matrimonio tra me ed Anna. I suoi capelli racconti in uno chignon  con due boccoli ai lati la facevano sembrare una visione quasi celestiale. Cercavo di capire come potesse essere successo a me, avevo vissuto per una vita intera senza mai pretendere di più quello che avevo. Certo, avevo comunque avuto l’abitudine di andare in chiesa e pregare Dio per quello che non avevo ma, d’altronde ero pur sempre nato in una famiglia particolarmente religiosa. Per quel motivo portavo il nome di un angelo.  Crescendo però, avevo imparato che Dio non esisteva e per questo avevo deciso di diventare un medico. C’era gente che aveva ipotizzato che avessi deciso di diventare pediatra proprio per sopperire alla mia mancanza di fede. “Dio è come un padre assente e pieno di scuse.” Fu quella frase ad uscirmi dalla bocca in quel momento con un borbottio a denti stretti, non avevo mai sentito frase più vera di quella, chi era che me l’aveva detta?? 

Sospirai e feci spallucce, ormai la mia vita non aveva più senso. Anna era morta.
Il mio angelo era sparito e io mi sentivo come sballottato da una parte all’altra come una palla di un flipper. Ma d’altronde chi potevo biasimare se non me? Nell’ultimo anno non avevo potuto starle vicino a causa dei miei incubi e inoltre non le avevo detto del sogno che avevo fatto la sera prima. L’avevo vista morire e non avevo fatto niente! Una lacrima di rabbia mi scese lungo lo zigomo, bruciava di risentimento, di vergogna, di pentimento e specialmente di rabbia! 
Come se non bastasse poi c’era anche da aggiungere che i miei sogni erano peggiorati. Adesso sognavo anche quella maledetta versione bionda e cresciuta di mio figlio Dean.  << Detesterò Halloween per tutto il resto della mia vita! Sempre sarò ancora vivo l’anno prossimo. >>. 
Detestavo quello dell’anno passato perchè aveva dato via ai miei incubi e detestavo ancora di più quello appena trascorso perchè aveva mandato la mia vita tutta a puttane. Adesso ero solo, vedovo, con una carriera che non faceva che farmi sentire peggio e il mio senso di solitudine e di disperazione che aumentava ogni singolo secondo. Posai lo sguardo sul viso addormentato di Dean, respirava tranquillo, anche se era possibile vedere il luccichio delle lacrime sul suo viso. Trattenni a stento le lacrime anche se facendomi forza riuscì ad evitare di piangere, ero rimasto da solo e dovevo occuparmi di mio figlio. 
Ero sicuro che se le cose avessero continuato ad andare con quell’andazzo avrebbero decisamente ricoverarmi in qualche ospedale psichiatrico con una flebo di Torazina o anche con una camicia di forza. Mi tolsi delicatamente il trench senza svegliare Dean che dormiva. La verità mi bruciava nel petto come del sale su una ferita. Avevo visto lo sguardo disapprovazione negli occhi del padre di Anna. Sapevo che già lui e Jodi faticavano a credere alla storia dell’incendio, ma avrei mai potuto spiegargli che avevo visto in una visione mia moglie appiccitata contro il soffitto che prendeva fuoco. No! Era escluso.
 
Avevamo sempre deciso di vivere a casa mia, ma non avrei mai potuto immaginare che sarebbe servito cambiare... e dire che io stavo sperando di traslocare a casa sua per poter affittare il mio appartamento. Tutto in quella casa mi ricordava mia moglie e non faceva che aumentare la rabbia che mi affiorava dentro. Andai su per mettere Dean a dormire, 
<< Ti voglio bene Papà >> borbottò nel sonno nonostante tutto però avevo ancora lui, il mio bambino, l’unica ragione che mi faceva ancora andare avanti. << Andremo avanti piccolo mio, te lo prometto.. >>

Entrai in bagno saltando la camera da letto, piuttosto che entrarci preferivo dormire sul divano al piano di sotto, o anche in camera di Dean per terra. Dovevo cambiare tutto in quella camera prima di riuscire ad entrarci di nuovo, per il momento il senso di colpa mi stava uccidendo. Avevo bisogno di una doccia. L’acqua calda mi sfiorava le spalle e ogni singola goccia che colpiva il collo scendeva lungo la schiena. Avrei potuto giurare che avessero il potere di lavare via tutto il dolore e l’insicurezza accumulata in quei due giorni. Non sapevo che quelle gocce che sfioravano il mio viso fossero gocce d’acqua o effettivamente le lacrime. In quel preciso momento sotto l’acqua un pensiero mi sfiorò. Mi mancava Anna, sentivo che la mia vita era crollata eppure mi sentivo allo stesso modo se pensavo a come mi sarei potuto sentire se avessi dovuto perdere mia sorella Tessa. Ero stato davvero una vita con una donna confondendo completamente i miei sentimenti?

Appoggiai la testa contro il muro gelido, con gli occhi chiusi e l’unica immagine che riuscì a vedere altro non era che ancora quel ragazzo con gli occhi verdi. Nell’immagine nella mia testa non mi stava guardando direttamente eppure io mi sentivo osservato da quegli occhi. Sorrisi di tenerezza, e prima di accorgermene stavo guardando quel viso con precisione e attenzione, esaminavo ogni dettaglio, come volessi mancarlo a fuoco nella mia memoria.  Avevo l’impressione di conoscerlo, ma proprio non riuscivo a capire dove potevo averlo già visto. Avevo bisogno di scovare qualcosa che mi aiutasse a capire. Chi era quell’uomo? Perchè somigliava così tanto a mio figlio? 
Dovevo però ammettere che cominciavo a non vederci più il volto di mio figlio, ma un uomo adulto, gli zigomi erano ben pronunciati e al di sopra della bocca era ben visibile la barba bionda e la mia attenzione si soffermò sull’attaccatura del mento. La sua barba era corta, ma dava comunque l’impressione di essere vecchia di qualche giorno. Chissà perché mi ostinavo a ricordare quell’immagine. 
Mentre cercavo di analizzare i particolari mi ero già ritrovato a fantasticare di passare le dita su quelle labbra, ad immagine il sapore che potevano avere. Qual era la sensazione che si provava a passare le mani su quella pelle? Cosa si nascondeva dietro i i boschi verdi dei suoi occhi? Avrei scommesso qualsiasi cosa che il suo sorriso avrebbe potuto essere in grado di illuminare un’intera città in una notte senza luna... e allora perchè non sorrideva? Perchè il verde dei suoi occhi era circondato dagli occhi rossi di chi aveva pianto troppo? Sbattei la testa volontariamente contro il muro davanti a me, dovevo smetterla con quelle idee. A me non piacevano gli uomini! Cioè, così credevo. Avevo sentito tante storie di uomini sposati incontrare l’amore della loro vita in un uomo e vivere felici e contenti. Forse la domanda che mi ronzava in testa era: Me lo merito davvero di trovare qualcuno dopo Anna? 
Dopo un tempo sotto la doccia che mi parve infinito decisi che era meglio andare a dormire, ne avevo decisamente bisogno. Mi infilai il pigiama e prima di rendermene conto mi ero addormentato.


Vi chiedo scusa, lo so che siamo tutte nervose per la premiere, però vi prometto che il prossimo capitolo avrà novità "bollenti" per il nostro dottorino :D

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Capitolo 6
*** I've found you litte Angel ***


Dedico questo capitolo alle mie bamboline, che ieri mi hanno fatto compagnia nella premiere <3
Alessia, Annina, Rossana, Ilaria, Silvia (che non legge Destiel)  e Beatrice <3



Mi svegliai assonnato ma sereno la mattina dopo , quella notte non avevo avuto incubi. Non sapevo se essere sollevato o sorpreso. Mi alzai per prendere le cose per vestirmi e andare in bagno. Non mi piaceva andare in giro per casa di giorno con il pigiama, lo consideravo un atto di sciatteria. Mi ero alzato con uno strano calore addosso quella mattina, come se il freddo e l’impotenza del giorno prima fossero comunque presenti ma meno sconvolgenti. Alzai gli occhi al cielo dopo essermi sciacquato la faccia con l’acqua calda, era incredibile quello che riuscivano a fare una doccia calda e una bella dormita. Forse era solo la stanchezza che mi impediva di ragionare, 

Dopo essermi vestito ed aver indossato Jeans, camicia e cravatta scesi in cucina per preparare la colazione a Dean che ancora dormiva, non volevo svegliarlo. Era meglio che stesse a casa. Non volevo mandarlo a scuola dopo quello che era successo, anche se Dean ancora non sapeva della morte di sua madre. Stavo armeggiando con la tazza di caffè e mentre preparavo i pancake per Dean feci cadere la tazza, che si ruppe in diversi pezzi, e tutto il caffè al suo interno.
<< Dannazione! >> imprecai schivando la tazza appena in tempo per evitare di macchiarmi con il caffè. Cercai sopra gli scaffali uno straccio ma, non trovandolo spostai la mia attenzione verso un pò di carta o dei fazzoletti. Niente. Com’era possibile che nella cucina non c’era niente? Eppure ricordavo di aver visto Anna tornare con una scatola piena di scatole. Mi fermai un attimo a pensare, come avevo fatto a non pensarci! Dovevano essere per forza nello sgabuzzino. Salì al correndo al piano di sopra per prendere lo straccio. 

Rimasi sbigottito quando mettendo il piede sull’ultimo gradino mi trovai davanti il ragazzo biondo della mia immaginazione che era appoggiato al muro con la testa bassa, le caviglie incrociate e le mani dietro la schiena.

Non osavo dire una parola e gli passai accanto come se nulla fosse, lui non sembrava avermi visto, doveva essere un allucinazione ne ero sicuro. Una volta entrato senti la porta chiudersi, la luce spegnersi e un profumo di coriandolo si diffuse nella stanza. << Cas! >> sentì pronunciare da una voce che non avevo mai sentito. Girandomi di scatto altro non vidi altro che quel ragazzo. Deglutì, notando che mi si stava avvicinando. C’erano ancora diversi passi di distanza tra me e lui e io indietreggiai

<< Cas, cosa stai facendo? Perchè ti allontani? >>
Aveva anche il coraggio di chiedermelo? Uno sconosciuto, in casa mia e per giunta nel  mio sgabuzzino! Che cosa potevo fare? Mi sembrava il minimo allontanarmi!

Ogni passo era sempre più vicino e il profumo di coriandolo stava cominciando a darmi alla testa, respiravo a fatica e avevo caldo. << Allora non è vero che ti dispiace la mia presenza. >> la malizia era intrinseca in quell’affermazione.
Avevo notato che stava fissando la mia cravatta, ma mi accorsi troppo tardi di quello che fece. In meno di un secondo ritrovai le mie labbra sulle sue. Il profumo ormai mi era nel naso e io non riuscivo più a tenere gli occhi aperti. Una scarica mi percorse il corpo, non sapevo di cosa si trattasse però non avevo mai provato una sensazione così in tutta una vita. Aveva una sensazione che sapeva di qualcosa di antico, con un sapore di qualcosa di giusto.

Ansimando con il fiato corto, combattendo contro il mio istinto lo spinsi via. Lui non sembrò demordere e mentre io avevo fatto un passo indietro, andando a sbattere contro li scaffali dello sgabuzzino lui ruotò il polso intorno alla cravatta e tirò di nuovo. Non feci in tempo a scostarmi, forse perchè veramente non volevo, che ritrovai il suo naso attaccato lateralmente al mio e io gemetti. Lui schiuse la bocca, neanche in ogni mio sogno più fervido avrei mai potuto immaginare quello che sentì. La sua lingua sfiorava leggermente la mia e ogni volta che si staccava per riprendere fiato mi sporgevo per riprenderlo.
Mi aveva spinto contro il muro, dal quale mi ero scostato e lui si era appoggiato a me spingendomi contro il muro. Sentivo ogni singolo centimetro del suo corpo premere sul mio. 

Strinse le mani sulle mie, non sembrava avesse la minima idea di lasciarmi.
<< Ullalà! >> Gli senti dire mentre si scostava dalle mie labbra per scendere lungo il mento e raggiungere il collo. << Non preoccuparti angioletto, non vado da nessuna parte... >> disse sussurrando sul mio collo   tra un bacio e una linguaccia. << ...adesso che ti ho trovato non ti lascerò più andare >> era arrivato all’attaccatura dell’orecchio e non potei fare a meno di gemere sentendo il suo respiro.
Aveva mosso una mano e l’aveva appoggiata sul mio petto, all’altezza del colletto della camicia, stava spingendo abbastanza per tenermi fermo. Poco dopo riprese il mio polso tirando in alto la mano e bloccando entrambe le mani in alto. Era di circa dieci centimetri più alto di me, abbastanza perchè anche da leggermente chinato sul mio collo, potesse tenere una mano in alto bloccando i miei polsi. Lanciò un’altra occhiata alla mia cravatta, per poi chinarsi ancora al mio orecchio << Quella la togliamo eh Angioletto? >>

Era palesemente una domanda retorica perchè quasi immediatamente riprese a scendere lungo il meno, sentivo la barba del mento pizzicarmi dove non era impegnato con la lingua. Sapevo che stava scendendo verso la cravatta. Con i denti slacciò il primo bottone della camicia e adesso sentivo il suo respiro e riuscivo anche ad occhi chiusi a riconoscere ogni movimento che faceva per slacciarla, che era intervallato da piccole stuzzicate della sua lingua.  Dopo un tempo che non avrei voluto finisse mai senti la lingua prendere la cravatta con i denti e sfilarmela dal collo.

Appoggiò delicatamente la mano sopra la cintura per passare con la mano al di sotto e toccare con il palmo della mano la pelle. La sensazione fu la stessa di una scossa di elettricità, gemetti ancora e man mano che la mano si spostava e toccava la mia pelle con i polpastrelli con  la delicatezza di un pianista.
Ansimo sempre più velocemente e non seppi mai come feci a biascicare quel << No! >> quando la sua mano scese dal mio petto per arrivare a giocare con la fibia della cintura. 

<< Ah no? >> disse mordicchiandomi il collo <<...a giudicare da come ansimi trattenendo i respiri non mi pare che ti dispiaccia>>

La mano si abbasso al di sotto della cintura per poi fare la giusta dose di pressione, quello che ne uscì sembrò più un grido strozzato che un gemito

<< Oh Si! Di il mio nome Castiel. >>

Sentir pronunciare il mio nome da lui mi provocò una scossa elettrica lungo tutta la spina dorsale. Non sapevo il suo nome. << Non..lo..so >> biascicai tra gli ansimi e i gemiti

<< Oh si che lo conosci.. >> Si chinò sul mio orecchio 

<< Dean >>

Sentire quel nome con la sua voce mi sembro peggio del colpo di una padellata. Avevo già sentito quel nome, da qualche parte, nella mia testa. Pensavo fosse solamente uno dei miei nomi preferiti, un banalissimo dettaglio eppure detto da lui sembrava così giusto, così reale..

Non riuscivo ad immaginare l’espressione che potevo avere con gli occhi aperti, probabilmente sembravo un drogato.

Avevo gli occhi chiusi, ma sapevo che si era allontanato leggermente. Perchè?

La mia risposta arrivo poco dopo. Vidi la porta aprirsi

<> mio figlio aveva appena aperto la porta dello sgabuzzino
Inizialmente non capi la domanda, ma guardandomi prima intorno e poi guardando lui in pigiama intorno capì che doveva essere successo qualcosa. Come mai ero seduto per terra con la cravatta in disordine e la camicia sgualcita? Il piccolo mi si avvicinò stropicciandosi gli occhi << Papà?? >> mi richiamò ancora, << Ho sentito un rumore provenire da qui e sono veuto a controllare. >>
Mi rialzai, per avvicinarmi a lui e riaccovacciarmi << Scusa piccolo, non volevo svegliarti >>

<< Non fa niente papà, ma dobbiamo sbrigarci che sennò facciamo tardi a scuola >>

<< Che ore sono? >>
<< Le sette e mezza! >>

Mi guardai intorno di nuovo, quella doveva essere stata un’allucinazione. E dire che avrei scommesso fosse la verità...

<< Va bene, aspetta che mi sistemo >> dissi prendendo lo straccio per cui ero effettivamente andato nello sgabuzzino. Chiusi la porta. Che cosa era successo?? Non me lo sapevo spiegare.






Note:
Va bene, va bene, è un capitolo corto e vi ho lasciato un pò così...Però avevo bisogno di riposarmi un attimo ù.ù 
Serviva alzare un pò la temperatura...Oggi ho la nottata che ho fatto, i prelievi e la mia fame colossale avevo parecchio freddo e quindi è venuto fuori questo qua. Tutto questo mentre mia madre mi ripeteva di entrare nello sgabuzzino per passare la scopa e pulire con l'aspirapolvere.
Devo ringraziare la playlist di J-ax.

Non so voi, ma a me quel Misha in lavanderia che mugugnava con la bottiglia mi ha steso.. 

Domani mattina inizio a scrivere il prossimo capitolo, mentre inizio a scrivere per il supernatural Promt :D 
Baci baci <3

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Capitolo 7
*** Soldiers and Kingts ***


Dopo quella tragica nottata e quella mattina stille Freacky Friday, ovviamente sorvolando che oggi era lunedì e non venerdì, presi la macchina per portare Dean a scuola. Lui giocherellava con la sicura dello sportello fissando un punto non meglio identificato nello spazio. Sembrava stesse riflettendo, pensando a qualche strano problema universale che a me sfuggiva. Gli passai una mano su una spalla sfiorando appena la maglietta rossa degli AC/DC che portava, spesso mi ero chiesto come fosse possibile che amasse un gruppo che non aveva avuto modo di vivere. In quel breve contatto mi capitò di nuovo di vedere lo strano ragazzo di quella mattina e ritrassi la mano come se avessi appena toccato una superficie rovente. 

Dannazione! Mi ripetei, avevo appena perso mia moglie e quella mattina avevo...visionato? Non sapevo come definire quello che mi era appena successo. Era senza dubbio una scenata che avrebbe potuto bruciare tutti i miei neuroni in un colpo secco. 

*Dean* la sua voce mi ronzava nella testa e io non potei fare a meno di trattenere un respiro strozzato, perchè quella voce mi provocava brividi dalla schiena fino al cervello?
Oh insomma CAS! mi ripetei sempre pensando, avevo appena perso mia moglie.. Allora perchè avevo sognato quel ragazzo? Che volessi davvero bene ad Anna come una sorella? 

 

-Papà?- la sua voce mi riscosse come una secchiata d’acqua gelata e io mi girai a guardarlo con la cosa dell’occhio. Lui continuò, consapevole che lo stavo guardando -...scusa, so che sei arrabbiato con me- sbarrai gli occhi e feci fatica a tenere il volante in mano, anche se erano anni che guidavo senza il minimo problema. -..si, cioè insomma. Ieri sera...- parlava a morsi e bocconi, come se stesse cercando di tirare fuori qualcosa senza piangere. Sospirai, passandogli una mano sulla testa.

-Piccolo..- iniziai, cercando le parole giusto per convincerlo, avevo perso mia madre che ero poco più grande di lui. -..so che pensi che è colpa tua, ma non è assolutamente vero, quando mi sono svegliato mamma erà già...cioè, mamma non c’era già più...- lui abbassò la testa trattenendo le lacrime.
Io non sapevo come consolarlo, l’unica cosa che potevo fare era stargli vicino, abbracciarlo e dirgli che andava tutto bene. Che io e lui ce la saremmo cavata. Era il mio bambino, la ragione della mia vita, sarei stato un padre di cui lui avesse potuto essere fiero. 

Lo vidi tamburellare con le mani sullo sportello a ritmo con una melodia che mi sembrava di aver già sentito. 

-Che cosa canticchi? - -Questa!- disse armeggiando con lo zaino e tirando fuori un CD, per poi infilarlo nella radio e facendo partire la prima canzone.  -Ma questa è la canzone di Rocky! 

Lo vidi annuire compiaciuto incrociando le braccia e mi accorsi di essere arrivato a scuola.

-Meno male, cominciavo a dubitare che fossi veramente mio padre- disse guardandomi e ridendo mentre io rispondevo alle sue parole con uno finto sguardo imbronciato. In quei secondi riuscì a distrarlo un attimo farlo ridere. In quel momento la sua risata trasfigurò in un suono più maturo, più basso e più profondo ma, nonostante tutto, rimase di una tonalità che poteva sembrare tranquillamente il suono che si produce sbattendo una forchetta su un bicchiere di cristallo.

 

Ero appoggiato al cofano della macchina quando vidi arrivare una donna con una ragazza e un bambino più piccolo. Li salutai con un cenno della testa mentre loro si avvicinavano e il più piccolo correva verso Dean preoccupato. Sam aveva l’età di Dean, anche se sembrava molto più grande per via della sua statura. Sospirai, spesso Anna diceva che i ragazzi a quell’età non sono nè carne e pesce e spesso non riescono a controllare i movimenti e a conferma di quell’affermazione vidi il ragazzo inciampare ma poi far finta di niente e riprenderci in estremis 

-Dean!- lo chiamò fermandosi davanti a lui con le mani sulle ginocchia. Non disse niente ma lo guardò e fu tentato di abbracciarlo. La cosa che mi sorprese di più fu il gesto con il quale Dean lo liquidò. Un gesto della spalla e un - Non serve che ti preoccupi, sto bene!-Alzai gli occhi al cielo, dovevo ammettere che aveva sempre il comportamento di chi voleva dimostrare qualcosa. L’unico dubbio che mi attanagliava era...Lo voleva dimostrare agli altri o a se stesso?

 

Lanciai un’occhiata alla scuola, rimanendo sorpreso dell’indifferenza che mi provocava quell’edificio. Possibile che l’idea della scuola mi lasciasse completamente indifferente? 

-Cas?- A richiamarmi fu la voce della madre -se ti serve qualcosa, qualsiasi cosa, non esitare a chiamarci. Io e Jo ti diamo volentieri una mano, sappiamo quello che stai affrontando. 

Ringraziai, sapevo bene che loro capivano la mia sensazione di vuoto. Hellen, Jo e Sam avevano perso una persona a loro cara, un marito e un padre. Lanciai un occhiata alla ragazza, che nel frattempo aveva preso ad accarezzare la testa di Dean che cercava di toglierla quasi fosse stata una farfalla che si posa su un fiore ancora non sbocciato. -Sto bene Jo!- Continuava a ripetere, anche se lei continuava ad insistere che non era vero e cercava di trattenerlo contro le sue forze. Sorrisi, si vedeva che quella ragazza voleva bene a Dean, con tutto il fatto che avesse appena 4 anni più di lui.

Osservai Dean stringere un pugno ma nonostante tutto rimanere immobile.

 

***

L’immagine davanti a me cambiò ancora e io non feci altro che vedere Dean secondo, per poi fermarmi a riflettere, da quando lo chiamavo in quel modo? Aveva in mano quello che a me sembrava una spranga di ferro e colpiva una macchina. -Papà-
Lo senti mormorare. Aveva gli occhi lucidi e un moto di rabbia mi salì dall’interno delle viscere. Perchè ogni volta che lo vedevo era quasi sempre in quello stato?
Ripensai all’episodio di quella mattina avvampando e scuotendo la testa, *Oh insomma Cas,* non era niente di grave sognare scene erotiche con un uomo che non avevo mai visto. Il mio era un pessimo tentativo di auto convincimento. Rinunciai sbuffando, quel ragazzo mi attraeva più di quanto avrei mai voluto ammettere e inoltre ci si metteva anche il senso di colpa. Non avevo potuto fare niente per salvare Anna e inoltre sognavo di pomiciare con un uomo. Un dannatissimo, sexyssimo, esisteva una parola del genere? Dettagli, mi dissi dopo, affascinantissimo, altra parola di dubbia esistenza e... arrapantissimo. Cercavo di convincere me stesso che quelle erano solo visioni quando buttai uno sguardo sulla maglietta che lasciava intravedere i bicipiti. Le immagini diventarono più chiari, e quello che prima vedevo di lui sfocato divenne più chiaro, come se avessi messo per la prima volta a fuoco dopo un’indescrivibile quantità di tempo. Osservai le mani coperte dai guanti, avrei potuto giurare che almeno un migliore di donne si sarebbe fatte volentieri tagliare un dito per stringerle o accarezzare la pelle al di sotto della maglietta. Solo in quel momento mi ritrovai a trattenere il fiato, quando nell’ennesimo movimento mostrò, attraverso il giacchetto di pelle una maglietta consunta degli AC-DC. 

Quando mi ritrovai a sfiorarlo lo vidi girarsi, ma l’immagine svanì troppo presto perchè io riuscissi a dire qualcosa. 

 

***

Tornando all’immagine che mi si presentava davanti notai che nulla sembrava cambiato. Hellen mi fissava triste e Dean combatteva ancora con la ragazza. Mi guardai intorno spaesato. Perchè mi sembrava che in quel quadretto ci fosse qualcosa che non andava? Era quella la sensazione che si provava alla morte di una persona importante? Mi sarei sentito così se avessi perso Dean?
In un attimo mi mancò il respiro. No! Fu la risposta secca che ricevetti dal mio subconscio, lui era un’altra cosa, non c’entrava niente con il rapporto che avevo con Anna. Sarei morto piuttosto che vedere gli occhi spenti di quel bambino, che fossero verdi o azzurri che sia.
Mi fermai un attimo quasi avessi ricevuto una botta in testa, verde? Mi scompigliai i capelli, perchè verde? Perchè? Cosa c’entrava quel colore nella mia vita? Quelle erano solo visioni!! 

 

Dopo aver salutato Jo, Hellen, Dean e Sam ed aver spiegato alla maestra di Dean quello che era successo, andai a lavoro, incontrando solo gente che sembrava avesse mangiato decisamente troppo peperoncino. Non mi ero mai reso conto di quanto sembrasse isterica quella città. 

Come se non bastasse quello che avevo passato quella mattina imboccai in Jessica occupata a discutere con genitori di uno dei miei piccoli pazienti e, a giudicare dal modo in cui andava scemando la conversazione decretai che se la stava cavando egregiamente. Lasciai a lei le redini della situazione ripromettendomi di tornare a controllare se stesse andando tutto bene dopo circa una mezz’oretta. Mi diressi nel mio ufficio ma, Ahimè, incappai in uno dei direttori dell’ospedale che gironzolava come al suo solito con il fazzoletto sul naso accompagnando i suoi passi da starnuti che avvenivano con regolarità. 

-Buongiorno- starnutì -Castiel-  non nascosi la mia meraviglia quando lo sentì pronunciare il mio nome, ero abituato a sentirmi chiamare per cognome e fu difficile nascondere la mia meraviglia. -Hai mai fatto una riflessione sui peccati capitali?- mi chiese direttamente ignorando la mia faccia stupita per poi continuare a parlare notando il mio cenno di diniego con la testa. -No? Oh beh, non è importante. Io personalmente li trovo affascinanti, di diffondo a macchia d’olio, come le pestilenze, per poi generare guerra e carestie. Fino ad arrivare alla morte. I peccati capitali a mio modesto parere sono definiti come dei sottoposti, dei fanti di quelli che noi conosciamo come i cavalieri dell’apocalisse.-

-Ma..perchè mi stai dicendo questo?- non volevo sembrare scortese, eppure il mio senso di curiosità combatte il timore reverenziale verso quell’uomo biondo che, con i suoi occhi di ghiaccio mi fissava. 

-Non vorrai dirmi che non hai mai sentito parlare di crisi d’affetto, fame nervosa dovuta all’invidia, bulimia e obesità dovute alla gola. Senza contare la morte, che viene portata da ogni peccato portato a livelli esasperati. Il mondo si basa su delicati meccanismi tra fanti e cavalieri. E’ una cosa molto simile anche per i sogni sai?-
-So-so-sogni? Che significa?- 

-Che ci fai tu qui Castiel?- la domanda mi colse impreparato, ma tuttavia non mi sentivo sviato dal discorso specialmente perchè non sapevo quale fosse la mia risposta. Lo vidi sorridere sotto i baffi. Notando la mancata risposta che non usciva dalla mia bocca lo vidi starnutire ancora. - Spero che lo capirai- mi disse semplicemente, per poi andare via così come lo avevo incontrato, per lasciarmi a rimuginare su quello che mi aveva appena detto. Fantastico! Come se già non avessi abbastanza gatte da pelare. Camminando intorno per l’ospedale per schiarirmi le idee non potei fare a meno di notare che comunque quello che aveva detto il mio direttore era vero, bastava una persona arrabbiata per dare il via al resto. Una specie di catena del domino. Non potei comunque fare a meno di pensare che aveva ragione anche sui sogni, bastava un piccolo dettaglio per capire che qualcosa non andava, solitamente si è prigionieri di un sogno finchè non ci si rende che c’è qualcosa che è troppo assurdo, troppo paradossale per poter sembrare vero. [1]

Mi ritrovai al punto di partenza e Jessica aveva smesso di discutere con quei due genitori. Entrando nella camera del mio bambino non potei fare a meno di vedere il suo sguardo contrito. Lui abbassò lo sguardo, come se volesse nascondersi da una marachella o da uno sbaglio troppo grande per essere perdonato. 

-Mio padre è arrabbiato con me-

Ancora rabbia? Era tutto il giorno che ne sentivo parlare. -Perchè dovrebbe?-
-Non lo so- disse mentre i suoi occhi si rigavano. Mi tornò in mente la stessa scena di quella mattina mentre Dean mi diceva di essere arrabbiato con me. Che stava succedendo? Perchè la rabbia dilagava? Cosa c’entrava la rabbia con i sogni? Le domande continuavano ad affollarsi alla velocità in cui cominciavano a cadere le gocce di pioggia, sentivo ogni domande premermi nel cervello come la pioggia che sbatte lungo le finestre. 

Solo in quel momento notai l’occhio nero  che aveva sull’occhio. -Tuo padre ti ha picchiato?-
Lui scosse la testa, convinto che fosse giusto che avesse quell’occhio nero che, era accompagnato da un graffio sulla tempia destra. -Jess? Che sta succedendo? - la chiamai mentre lei mi faceva spallucce spiegandomi che non ne aveva idea. 

 

***

 

Girandomi ricevetti un colpo peggiore di quello di quella mattina. Una donna con un vestito rosso e dei tacchi a spillo rossi mi fissava, tenendo le mani appoggiate sui fianchi - Hello Sweety!-[2]

Mi avvicinai. -Ancora tu!-

-Oh suvvia Clarence!-

-Tu hai ucciso mia moglie brutta...-
-Suvvia, non sono cattiva, è che mi disegnano così [3]
-Parlando per noi pochi eletti? [4]
-Quello che ho fatto era necessario-

-Chi lo dice?- 

-Ne parlerai con lui quando sarà il momento-

-Quando?-
-Molto prima di quanto pensi.-

***

Mi liquidò così, bene, pensai, quella era senza dubbio la visione più strana che avevo avuto in quei due giorni. No, fui costretto a ricredermi dopo, decisamente no. Strinsi i pugni, quella avuta con Mr “Faccio diventare gay anche gli etero” era la più strana mai avuta. Avevo una rabbia dentro e fui costretto ad uscire di corsa dal reparto per evitare di picchiare il primo che mi capitava sotto mano. 

-Cazzo!!!- dissi tirando un pugno al muro di fronte a me.

-Lo vedi Castiel? E’ una pestilenza.[5]- riconobbi la voce del mio direttore. Dio solo sa come feci a non girarmi e non mandarlo a fare in culo in quel preciso momento.

Usando tutto l’autocontrollo di cui ero in possesso mi girai, notando che il mio direttore, Pestilenza, come lo avevamo soprannominato per via dei suoi continui malanni se ne era andato. 

Come se non bastasse il mio telefono squillo e rispondendo ebbi la sconvolgente rivelazione che Dean aveva fatto a botte. Quello che mi turbò di più era che il ragazzo era proprio Sam.

Ma si può sapere che cazzo era preso a tutti quanti in quella città??

 

 

Note dell’autrice

 

[1] = Frase modificata dall’originale detta da Di Caprio nel film Inception.

[2]= Per i fan di Dottor Who questa è un cult ;) è la frase dell’unica, mitica insostituibile Dr.ssa River Song <3

[3] = Meg con il vestito rosso mi ricordava molto Jessica Rabbit xD

[4] = Fa dell’ironia, ma sappiamo benissimo chi è Castiel ù.ù

[5]= Il nostro direttore, come abbiamo capito è pestilenza, il cavaliere che mi piace meno, quindi è accorso in aiuto di Castiel nella sua riflessione sui peccati capitali.

Adesso da oggi purtroppo dovrò pubblicare settimanalmente =( Inizio l'università e allora sono ancora un po' incasinata con gli orari...appena mi riabituerò pubblicherò più spesso... Tanto siamo entrate nel vivo =D Cosa succedere al nostro povero Cass? Che volevano dire le parole di Pestilenza? Alla prossima :P Baci baci  

 

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Capitolo 8
*** Winchesters' balance ***


Arrivando a scuola non feci altro che vedere Dean seduto su una sedia nel corridoio con le gambe incrociate e la testa appoggiata su un mano che guardava verso destra, lanciando occhiate a Sam che sedeva di fronte a lui leggermente a sinistra. Passai davanti ad entrambi guardandoli triste e arrabbiato, cosa poteva essere mai successo?
Non potei fare tuttavia a meno di notare che Sam faceva una cosa molto simile a quello che faceva Dean. Hellen non era ancora arrivata e io decisi di scoprire cosa era successo.


-C’è qualcosa che dovete dirmi?- mi presi la briga di parlare al plurale d’altronde, in quei quattro anni in cui avevamo avuto a che fare con Sam io e Anna avevamo sempre cercato di fare il fare il massimo per considerarlo come una parte della famiglia. Questo Sam lo sapeva.

Solo dopo aver fatto la domanda mi resi effettivamente conto della bomba che avevo lanciato e che non tardò ad esplodere. I due ragazzi iniziarono a parlare all’unisono, cercando di far valere le loro ragioni. 

 

-E’ colpa sua!- dissero in coro. 

-Non è vero!- continuarono ancora in coro.
Io alzai gli occhi al cielo e mi misi al centro tra loro due che continuavano a litigare ero sinceramente curioso di scoprire cosa gli stava accadendo a tutti e due. 

Piano, piano- cercai di iniziare per poi mettermi in mezzo a loro due che avevano ricominciato a discutere. - Allora parla prima Sam.- non volevo dare l’impressione di essere di parte.  

-Dean è uno stronzo! Sto cercando di stargli vicino ma mi allontana!- si era alzato e guardava negli occhi Dean che faceva finta di niente e distoglieva lo sguardo. -E’ anche vigliacco perchè non mi guarda nemmeno quando cerco di parlarne!-

Vidi mio figlio fare finta di niente per un pò per poi rivolgere gli occhi azzurri verso l’amico 

-Che cazzo dovrei fare? Ho appena perso mia madre! Dovrei dirti che va tutto bene? Tu non lo sai!-

-Dean ti ricordo che io ho perso mio padre!!-
-Non puoi mettere a paragone un padre con una madre!-

-Non puoi mettere a paragone una madre con un padre!- rimasi impressionato dalle parole dei due ragazzi. Nessuno poteva negare che avessero la lingua lunga.

 

In quel preciso momento uscì il preside. Richard “Dick” Roman. Un brivido gelato mi corse lungo la schiena. Sapevo che era un ottimo preside e la scuola andava bene da quando c’era lui al programma ma, nonostante tutto la sua faccia mi inquietava parecchio. Avevo sempre la sensazione che guardava le persone come se fossero delle bistecche ambulanti. La tragica immagine di Dick Roman con una lingua biforcuta e i denti a punta mi scioccò, anche se comunque lo avevo sempre immaginato abbastanza pessimo.

 

-Leviatano del cavolo- borbottarono i due ragazzi all’unisono guardandosi per poi incrociare le braccia e guardare uno dalla parte opposta all’altra. Ripetei la parola mentre Dean rideva sotto i baffi. -Cos’è un leviatano?- 

Sbuffarono ironicamente insieme -Creature mangiatori di umani. Hanno la lingua lingua e sanguinano melmosa roba nera.- guardai Dick Roman che con la sua solita faccia da schiaffi mi fissava -Signor Novak? Ho bisogno di parlare con lei.-
Evviva pensai tra me e me. Come se non odiassi abbastanza quell’uomo, aveva il brutto vizio di pretendere di sapere cosa pensava la gente a qualsiasi ora del giorno e, secondo il mio parere sapeva anche cosa sognava la gente.

 

***

Sinceramente non ricordo quasi niente di quello che mi disse quell’imbecille patentato montato. Cioè, uno che afferma che nella vita devi essere il primo ad attaccare non poteva avere nemmeno un minuto della mia attenzione. Piuttosto mi persi nei miei pensieri, ritrovandomi a pensare, per l’ennesima volta a Dean secondo.

La strana immagine che mi si prospettava davanti era quella solita di lui che, sorseggiando whisky sedeva sul cofano di una macchina, che a me sembrava essere una Chevy Impala.  

 

-Den devi smetterla di tenerti tutto dentro.-
-Non c’è niente da dire! Papà è morto, non sono stato in grado di proteggerlo. E’ colpa mia. Fine della storia.-
-Non stavo parlando di quello, lo sai bene!-

-Ah parlavi del patto-

-Si! Dean come hai potuto!-

 

Dejà-vú, di nuovo? Perchè avevo la sensazione di sapere di cosa stavano parlando? 

 

-Sei la mia famiglia Sam, non potevo lasciarti morire così-

Famiglia? Un dolore mi prese alla bocca dello stomaco. Ero geloso?
“La gelosia è una forma di invidia* Oh al diavolo pure i proverbi, ci mancavano le parole di poeti da strapazzo per dirmi cosa che già sapevo da me! 

 

-Allora hai lasciato a me il compito di vivere senza di te eh Dean! Sei un vigliacco! Non ammetti mai quello che provi e lasci sempre agli altri!-
Vidi gli occhi verdi infiammarsi e girarsi verso quello strano ragazzo alto. -Era il mio compito proteggere te e papà e ho fallito in entrambi! Almeno questo potevo farlo!-
-Hai venduto la tua anima Dean! Te ne rendi conto??-

Vidi fare spallucce al ragazzo.

 

Cos’era quella sensazione? Strinsi il pugno mentre un pensiero malsano mi sfiorava il cervello. Famiglia? Ero io la sua famiglia!
Vedendolo sorridere di scherno la situazione non migliorò, quel sorriso era MIO! Mi spettava di diritto!

 

***

-Signor Novak?-
Sbuffai riconoscendo la voce di Dick Roman, che voleva ancora quell’imbecille?
-Ha sentito quello che ho detto?-
-Certamente.-
Si contaci! [1] Non me ne fregava un beneamato niente di quello che dicevi. Ma evitando di lasciarlo continuare mi alzai e dissi

 

-Comunque ho intenzione di portare Dean in vacanza per qualche giorno. Come sa abbiamo avuto un lutto in famiglia. Credo che andare qualche giorno fuori sia la cosa migliore. Lui annui e mentre uscivo gli sentivo dire -Mi dispiace per sua moglie-

Si certo, dalla sua faccia sembrava tutto tranne che dispiaciuto.  Uscì dall’ufficio sbattendo la porta trovandomi davanti i due ragazzi che chiacchieravano tranquillamente con Hellen e facevano battute tra di loro. Mi ero palesemente perso qualcosa...
Lei mi fece l’occhiolino. 

-Cas? Ci vuole sempre una donna per risolvere i problemi.-
Non potevo replicare.

 

I due bambini facevano un discorso che sembrava uno molto simile a quello sentito da pestilenza poco prima. Solo che loro due parlavano di Avarizia e Invidia. Ero arrivato a discorso già iniziato eppure sembrava che tutto quanto avesse una sua logica intrinseca. Avevano appena paragonato il loro rapporto a quei due peccati, indubbiamente era particolare, ma volevo sapere dove volevano andare a parare. 

Possibile che esistesse anche solo lontanamente la possibilità di finire a fare un discorso come quello?

Dean affermava che il loro rapporto fosse una via di mezzo tra prendere e avere, solitamente uno era abituato a volere quello che l’altro non voleva dare.  La mia faccia potevo sospettare che avesse un’espressione alquanto scioccata, come potevano essere quelle due emozioni positive? Indovinando la mia espressione rispose Sam.

 

***

 

Sapevo riconoscere benissimo la voce che pronunciò la frase successiva. 

-Hello sweety!- ripeté, come l’avevo vista l’altra volta. L’unico problema è che indossava un vestito diviso a metà, pantalone con una gamba corta e una lunga e maglietta uguale. 

-Si, l’auto conservazione è l’avarizia- continuò, -quando non si vuole dare via quello che si ha. Questi bambini, hanno il loro rapporto e sono gelosi di quello che hanno. Raramente lasciano entrare qualcuno. Ti ricorda niente?- 

Mi fulminò. Certo che mi ricordava qualcosa, solo che non sapevo cosa. 

Lei si mosse continuando a guardarmi ma camminandomi intorno. 

-L’invidia invece è quello che non hanno, la voglia di vivere una vita normale, una vita che purtroppo non avranno mai, la perdita di una madre, la perdita di un padre.- 

Aveva calcato quelle parole come se facessero parte di una situazione analoga, come se fossero un bambino unico. A tornarmi in mente furono Dean secondo e quella specie di Alce[2] con i capelli lunghi. 

-Cominci a capire adesso Clarence?- 

Io sospirai, purtroppo non capivo. 

-Non sei impazzito, sei solo prigioniero-

***

Lei svanì, così come era venuta, lasciandomi con la malsana idea che mi servisse una vacanza. 

Sai Dean- iniziai il discorso rivolgendomi a lui. 

-Stavo pensando che ci serve una vacanza. Ti piacerebbe andare in vacanza?-
Vidi il viso di Hellen illuminarsi insieme a quello dei bambini. -Cas hai avuto un’idea geniale! Ho giusto una casa in montagna dove non vado mai. Sarebbe bellissimo andare per qualche giorno.- 

Ero perplesso. -Sei sicura Hellen? Non vorrei essere di disturbo.-
Con un gesto della mano lei liquidò le mie preoccupazioni e, prima che riuscissi ad accorgermi eravamo già pronti a partire per la casa in montagna di Hellen con Dean che già immaginava di mangiare una pie[3] ai mirtilli.

Sembrava tuttavia una buona idea per finire una giornata che mi sembrava di aver già vissuto una cinquantina di volte.
-Che lunedì infernale- [4] dissi.

-Sai papà, i deja-vu sono solitamente delle anomalie in Matrix?-[5]

 

 

[1]= Conoscete la battuta di Colorado? =) 

[2]= Ho voluto chiamare Sam con il nome che gli dice sempre Crowley, che al momento è quello che mi piace di più e che mi sta dando un sacco di Idee.

[3]= Beh, sappiamo tutte cos’è un pie, e quindi ho messo il termine inglese. 

[4]= Riferimento alla puntata del martedì infernale (una delle mie puntate preferite) =D

[5]= Non serve spiegare no? ;)

 

Note:

Dopo il 7 capitolo lo so che questo fa schifo, ç.ç
Spero di non avervi deluso troppo..ma davvero, non avevo idee per invidia e avarizia. Posso dirvi che nel prossimo la Pie avrà un ruolo importante. If you know what i mean :P 

 

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Capitolo 9
*** Blueberry's pie ***


Ero appoggiato contro il mobile della cucina bevendo una tazza di caffè mentre aspettavo che i due ragazzi ed Hellen si alzassero. Quella notte non avevo avuto incubi ed ero sveglio e pimpante. Avevo smesso di avere gli incubi, che affare! Adesso avevo le visioni, era passata quasi una settimana dalla morte di Anna. Le visioni erano, in un certo senso migliorate. Vedevo cose più chiare e definite, cominciavo ad avere dei riferimenti di tempo. Ero sempre più convinto di aver perso decisamente ogni traccia di sanità mentale che mi era rimasta. Cominciavo a sentire profumi e a sentire sapori che mi riportavano a momenti che sembravano così vividi, così reali, che stavo seriamente iniziando ad avere dei dubbi. Avevo ricevuto telefonate dagli altri miei direttori che, preoccupati per le mie condizioni, avevano deciso di chiedermi come stavo. Dopo qualche giorno avevo deciso di spegnere il telefono. Detestavo, come anche da bambino, quando le persone sembrava sapessero tutto delle tua vita e che tu non potessi sapere niente della loro. Prima mia sorella, poi quei quattro bastardi dei miei direttori. I cavalieri dell’apocalisse, come li chiamavamo noi.
Sospirai, bevendo un’altra tazza di caffè, mentre sentivo i passi di quello che sembrava un elefante scendere dalle scale. Dean saltò gli ultimi due gradini 

-‘Giorno!!- 

-Buongiorno- gli dissi sorridendogli, da quando eravamo andati in vacanza lo vedevo sorridere più spesso ma, c’erano dei momenti in cui lo vedevo incantarsi nel vuoto e, a malincuore sapevo che in quegli attimi era da solo con i suoi ricordi, che io sapevo essere veramente dei brutti affari. 

Senza che gli dicessi niente lo vidi correre verso la crostata che era rimasta dalla sera prima, non avrei  mai potuto immaginare che Hellen fosse una così brava cuoca. Rimasi sinceramente sorpreso da fatto che Sam non mangiasse quasi mai quelle crostate fatte da sua madre. 

 

Dopo aver visto Dean divorarsi quasi mezza crostata quasi risi vedendo il suo viso coperto da marmellata. Il viola dei mirtilli con cui era fatta quella marmellata creava un contrasto notevole con la sua carnagione chiara e i suoi occhi azzurri. Mi avvicinai a lui con il tovagliolo per pulirlo -Dovresti mangiare con la bocca e non con le orecchie sai?- gli dissi scherzoso accovacciandomi vicino a lui per passargli un tovagliolo per pulire le parti colpite dalla marmellata. Stette a farsi pulire a malavoglia e, riuscendo a divincolarsi dopo un pò lo vidi sparire al piano di sopra per vestirsi e uscire. Passava molto tempo fuori con Sam e la neve appena arrivata lo invogliavano ancora di più a giocare tirando palle di neve a Sam.  

 

 -Ti ho mai detto del mio debole per le crostate ai mirtilli?-. Sorrisi sentendo quella voce che tanto mi era mancata.

 Girandomi lo vidi appoggiato con il gomito destro al piano della cucina che mi sorrideva con un’espressione maliziosa. Li lancia uno sguardo interrogativo, dalla prima visione nello sgabuzzino avevo iniziato a interagire con le mie visioni, ma lui nonostante rimaneva uno dei pezzi più complicati. Cercavo di spiegarmi come fosse possibile che sognassi un uomo, e che uomo, aggiunsi tra me e me qualche secondo dopo. Non sapevo se fosse un modo del mio cervello di metabolizzare il dolore della morte di Anna ma, tutto sommato non mi dispiaceva per niente. 

-Cas?- mi guardò per poi liberarsi in una risata. La mia prima reazione fu quella di arrossire, anche se non riuscivo a capire perchè. Si avvicinava a me e mi girava intorno  come uno squalo con la preda mentre io lo seguivo con lo sguardo, cercando di capire anche solo lontanamente quello che stava pensando. Quando fu abbastanza vicino per sussurrarmi in un orecchio bastò una frase per farmi sprofondare nella vergogna assoluta

-Dovresti mangiare i mirtilli con la bocca e non con le orecchie sai?-

Non riuscì a replicare niente per un bel pò, osservandolo negli occhi verdi che mi fissavano. Merda! Ci mancava solo questa!
Immaginai la mia faccia diventare di un dolore che poteva essere facilmente confusa con il colore violaceo tipico di quella marmellata e la sua espressione non fece altro che peggiorare la mia situazione già precaria. Feci per muovere un passo ma rimasi bloccato dalla sua mano che stringeva il mio polso e che mi mi tirava verso di lui. 

-Ehi ehi, dove scappi? Non è mica carico farmi vedere due delle cose che mi piacciono di più al mondo in un colpo solo e poi andartene.- strinse la presa sul mio polso mentre ormai le sue labbra erano ad pochi millimetri di distanza, in quello stallo tipico dell’attesa di un bacio. Mi sporsi un pò per catturare le sue labbra ma senza ottenere alcun risultato accettabile a causa di una sua ritrazione

 

-Ricoperto di marmellata come sei non credo tu possa dettare le regole sai?- disse poi leccandomi le labbra per poi leccare le sue. -Ti ho mai detto che sei più buono ricoperto di marmellata?- 

Io, mentre la sua mano si muoveva sulla mia camicia, riuscì a fare un gemito che sembrava una palese negazione. -No? Oh, beh adesso lo sai.- Disse di nuovo leccando la marmellata dal mio mento senza tuttavia ingoiarla per poi scendere all’altezza della clavicola e leccarmi il collo con la punta della lingua. -Povero piccolo, ti sei sporcato tutto, adesso ci penso io- Riuscì a riconoscere il respiro soddisfatto di Dean che, a detta sua, “ripuliva” la mia faccia dalla marmellata, dopo che io mi stavo ancora chiedendo come fosse possibile ritrovarsi completamente pieni senza rendersene conto.

Sentendo le sue mani bollenti sulle spalle mi accorsi che mi stava sfilando la camicia. Il suo profumo mi aveva dato alla testa, così come al suo sapore. Un’odore di wiskey e mirtillo mi era entrato nel naso, riuscivo chiaramente a distinguere il profumo di biscotto che proveniva dalle torte in fase di cottura.

Quel profumo sapeva sempre di più di casa e, mano a mano che passava il tempo riuscivo a distinguere profumi sempre più precisi e delineati. -Dean- ansimai mentre le sue mani si muovevano esperte sulle mie spalle e suoi miei fianchi 

-Mh?- mormorò lui seccato, come se stessi interrompendo un’attività di vitale importanza. 

-C’è..c’è.. Hellen che..-
-Shh..- mormorò lui in quello che più che un’affermazione sembrava un sospirò che mi fece vibrare la schiena come una piccola scossa elettrica. -Non c’è nessuno, siamo solo Noi. -

-Dean...As..Aspetta-

-Cas, ho aspettato troppo lo sai.-

-Che..?-

Disse l’ultima frase mormorandomi sulle labbra per poi scendere a mordermi leggermente la clavicola -Sono sicuro che tu non voglia saperlo adesso- 

-Cosa te...- trattenni il fiato quando sentì la fibia dei jeans gelata sfiorarmi la pelle.

-Stai parlando troppo..- mormorò sul mio collo per poi passare un dito su una guancia e poi sporcarmi il naso di marmellata per poi leccarlo mentre l’altro dito giocherellava con l’elastico dei boxer. 

-...E tu stai esagerando-

-Oh suvvia, all’Inferno nel girone dei golosi c’è ben di peggio, non credo che mi meriterei di andarci.-

-Non...ci..scommetterei- le mie parole erano rotte dai tocchi dei movimenti di Dean sulle spalle e sulla schiena.

-Ci sono già stato, il girone dei golosi non è così terribile come diceva Dante-

-Mh- gemetti mentre lui mi spingeva verso la prima superficie che trovava. Non avevo idea di qual fosse, il frigo, il lavello, il piano della cucina. In quel momento non mi importava particolarmente. Il mio respiro si fece pesante quando senti il suo corpo addosso al mio, separato tuttavia dalla maglietta.  

I miei ricordi si mescolarono al calore del corpo e delle labbra di Dean che, mescolato al profumo e al sapore dei mirtilli aveva creato un’atmosfera da cui non sarei mai voluto uscire. 

 

Peccato però che a volte si debba tornare alla realtà...

-Papà! Papà! Sveglia! C’è la crostata di mirtilli per colazione-
Saltai dal letto. Cosa? Che diavolo era successo?
Guardando gli occhi assonnati di Dean ancora in pigiama decisi di alzarmi e scendere in cucina, dove vidi Sam mangiucchiare una mela, Hellen cucinare la famosa crostata in questione e  Jo fare i compiti di biologia. 

-Ben alzato Cas!- mi disse rivolgendomi un saluto -la crostata e quasi pronta!-
Sospirai per poi decidere di andare a sedermi -Evviva!! Te l’ho mai detto Jo che la crostata di mirtilli è la mia preferita?
In quel momento un brivido gelato mi percorse la schiena e in un decimo di secodo  mi accorsi che c’era decisamente qualcosa che non andava nella mia vita.

 

***

-Sei sempre il solito esagerato Clarence-

Sbuffai, quando pensavo che le cose non potevano andare peggio eccola lì. 

-MEG!-  Ovviamente era lei, chi altro poteva essere?
Che seduta sul lavello con le gambe incrociate mi fissava.

Non potei fare a meno di notare il suo abbigliamento.
-Che cavolo ti sei messa addosso?-

Alzò gli occhi al cielo per poi fare spallucce e continuò a mangiare quello che sembrava un gelato. 

-Che succede Cas?- disse rivolgendomi la sua attenzione e ruotando il polso 

-Fai poco la saputella!-

-Oh suvvia, ti stiamo dando degli aiutini-

Stavo cominciando ad alterarmi. -Sei sempre meno chiara.-

-Lo so Clarence, è quello che devo fare, d’altronde come non esserlo?-

Saltò giù dal lavandino con un balzo che mi ricordò per un attimo un coniglio. Mi si stava avvicinando. -Sei a buon punto della tua riflessione comunque Cas lo sai vero?-

-Riflessione?-
-Si Cas, a volte è tutto davvero così semplice come sembra!-

 

Va bene, questo capitolo è colpa della 9x3.. Il mio spirito Destiel è volato a livelli biblici xD Vi consolo un po' dopo la brutta scena di April :D Spero, come al solito che vi piaccia. Intanto il nostro Cas sta cominciando ad intuire qualcosa, e voi? =) A presto Baci baci :*

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Capitolo 10
*** Old but not Gold ***


Giacevo sul divano ormai da due giorni, alternando momenti in cui mi alzavo solo per giocare con Dean e Sam e, a volte, aiutare Jo con i compiti di biologia. 

In quel preciso momento guardando il soffitto e riflettendo sul da farsi. Quello che mi stava succedendo dalla morte di Anna doveva essere palesemente un modo per cercare di sfogare lo stress, d’altronde c’era gente che rideva, gente che  piangeva, perché non poteva essere anche quello un buono mezzo? Sospirai, ormai ero convinto di aver perso anche quel briciolo di sanità mentale che mi era rimasto, anche se speravo che fosse solo una fase passeggera. Quando chiudevo gli occhi sentivo la voce e il profumo di Dean che continuava a ripetermi frasi sempre più strane. Senza contare i commenti continui di Meg che, nonostante tutto, mi sembravano abbastanza interessati alla mia salute. Aprì di nuovo gli occhi per lanciare un’occhiata alla porta, stavo diventando apatico. Ma certo! mi dissi poco dopo, quella era una spiegazione più che logica, l’apatia e la noia diventavano un mezzo per sfogare un trauma da stress! Mi stiracchiai, sentendomi comunque più tranquillo di prima. 

Vidi passarmi davanti Hellen con una scopa in mano, la conoscevo da quando il padre di Jo e Sam, era ancora vivo. Invidiavo spesso la sua forza di volontà nel reagire anche alle cose più tremende, non le avevo mai chiesto come si sentisse perché ero sicuro che non sarei comunque riuscito a capirlo e, per quanto sembrasse strano, questa convinzione mi ronzava nel cervello come le mosche con la marmellata. 

Marmellata. 

Non feci in tempo a cercare di togliermi quell’immagine dalla testa che mi ritrovai immediatamente a ripensare alla scena successa appena giorni giorni prima. Non potei evitare di stringere il pugno e girarmi su un fianco con un suono contrariato. Non mangerò più marmellata in tutta la mia vita, lo giuro. Promisi a me stesso mentre tornavo nella mia posizione originale. 

 

-Cas!- sentì Hellen chiamarmi e in quel preciso momento mi colpi come una cascata di acqua gelata che, dovevo ammetterlo, aveva avuto un effetto decisamente benefico. -Devi fare qualcosa! Stai diventando apatico! Dovresti fare qualcosa, a meno che non vuoi che io ti colpisca non la scopa.-

Le lanciai un’occhiata contrariata, non ero mica un ragazzino. Sapevo badare a me stesso. Lo so? Sbuffai, troppi dubbi e troppe domande. Nonostante questo però feci qualcosa e mi pronunciai ripetendole la stessa cosa che avevo pensato in quel preciso momento. Lei alzò gli occhi al cielo per poi uscire dalla porta del salotto e dirigersi in cucina.
Non avevo avuto altre visioni da quella famosa della crostata che continuava a tornarmi in mente quasi fosse un film di una cassetta inceppata e mi sentivo più confuso che mai. Forse era proprio quella la definizione che potevo dare di me stesso.
Complimenti…pensai mentre alzavo la testa per mettermi in una posizione meno stravaccata. Quello che invece sembrava stesse metallizzando la morte di Anna era Dean, io lo conoscevo meglio di quanto lui conoscesse se stesso eppure avevo come la sensazione che il senso di colpa che mi aveva mostrato appena una settimana sarebbe rimasto con lui come un fedele compagno di viaggio, insieme alla solitudine tipica di coloro che rimangono orfani. Lo sapevo, e anche bene purtroppo.

Sentendo un suono provenire dal piano di sopra mi accorsi che c’era Jo che canticchiava una melodia che non riconoscevo ma, allo stesso tempo mi sembrava familiare. Non potei evitare di pensare a Dean che, cresciuto somigliava tanto a Jo. Avrei potuto scommettere che lui fosse esistito veramente le sarebbe piaciuto senza se e senza ma.

Si ma piace anche a te. 

Odiosa vocina della mia coscienza che mi richiamava alle frasi più sconvenienti della situazione, certo che mi piacesse ormai era indiscusso anche se continuavo a chiedermi come potesse essere possibile che fosse solo una visione, insomma…Sembrava così reale.
Come aveva fatto quello sconosciuto in circa dieci giorni a rivoluzionare tutta la mia concezione sulla vita? 

Mia sorella spesso, quando eravamo bambini che, come nei tarocchi, la morte spesso non porta la fine di qualcosa, ma l’inizio di qualcos’altro. Alzai gli occhi al cielo, dovevo pur ammettere che sin da bambina aveva avuto un po' il gusto del macabro e spesso mio padre prima di morire l’aveva definita come “Un piccolo angelo della morte”, ma quando la prima volta disse una cosa del genere in concomitanza con la morte di nostra madre avevo ufficialmente decretato che poteva essere una cosa plausibile.
Che fosse la stessa cosa adesso con Anna?

Mi arruffai i capelli, cercando di sembrare meno pazzo di quanto effettivamente mi sentissi. L’unico problema che al momento mi ronzava in testa era quello che non fossi io che non andavo, quanto il mondo che mi girava intorno.

Sono un cittadino in campagna e un campagnolo in città”

 

Fu quella la citazione che mi ronzò in testa per un attimo, in effetti era parecchio che mi sentivo fuori posto, imprigionato in una vita che sembrava comunque troppo stretta per me. Ero felice, però sentivo sempre che qualcosa mancava. Iniziavo ad avere mal di testa, aggiunsi alla lista delle cose da fare quella di picchiare colui che aveva negato che non fare niente era più stancante che fare qualcosa. 

Chiusi gli occhi, cercando di non pensare, visto che ormai quella sembrava essere diventata la mia occupazione principale. 

 

♦ ♦ ♦

 

-Hello Boy- la voce proveniva da una poltrona girata con lo schienale verso di me e il davanti verso il camino, l’unica fonte di luce in quella stanza buia, girai lo sguardo, vedendo la neve che cadeva fuori dalla finestra. Tuttavia il paesaggio non era completamente innevato e secondo un’approssimazione dovevamo essere circa a metà novembre, quando il freddo e l’inverno iniziano ad arrivare. Poco dopo mi imposi di rimanere concentrato, insomma ero un medico, mica un meteorologo.

-Hello Sweety!- inconfondibile la voce di Meg, c’era anche lei? 

La guardai abbastanza accigliato incrociando le braccia, non mi piaceva la sua faccia.

-Cosa volete ancora da me? E’ colpa vostra se sono in questo casino.- dissi mantenendo la mia espressione, evitando di muovere anche il mio piccolo muscolo facciale. 

-Oh suvvia, come sei sgarbata. Sembra quasi che stia facendo un patto con il diavolo- disse per poi trattenere una risatina. La voce proveniva dalla poltrona, non evitai di esprimere il mio disappunto verso colui che neanche si girava verso colui, ossia me, che a quanto sembrava fosse il suo ospite. -Solitamente sta bene guardare in faccia colui con il quale si sta parlando.

-Devo dire che mi piace questa tua versione Castiel, se non fosse che preferisco la tua versione originale. 

Originale? Di che diavolo stava parlando? 

 

-Vedi Cas, possiamo dire che tutti ti preferiamo nella tua altra versione, questa la trovo anche abbastanza smidollata.

Continuavo a fissarlo senza davvero ben capire che cosa volesse dire con quelle parole. 

-Comunque si, posso affermare con orgoglio che le tue visioni sono merito mio.

Merito?? Se ne prendeva anche il merito? La mia vita stava crollando a pezzi, un pezzo per volta ovviamente, e lui se ne vantava anche… Ma chi si credeva di essere quello lì?

Seguendo il mio pensiero, quasi fosse capace di leggermi nel pensiero mi disse.

-Oddio Cas, sono stufo di fare questi giochetti da pivellini. E’ ovvio che ti ricordi di me quindi finiamola.

No che non mi ricordavo! Si ostinavano tutti a dirmi che li avevo già incontrati e cose del genere, ma mica era colpa mia se non mi dicevano niente quei volti!

Incrociai le braccia mentre vedevo la poltrona girarsi e Crowley guardarmi con il suo solito bicchiere di vino rosso in mano. 

-Voglio delle spiegazioni!- fu la prima cosa che gli dissi guardandolo in faccia mentre si alzava. 

-Non ne dubito, ma non credo quanto potrebbero piacerti. Potresti scoprire cose di te che neanche pensavi possibili.

 

Di nuovo, loro sapevano di me e io non riuscivo proprio a sapere niente di loro. Chi era Crowley? Chi era Meg?

Ripensai un attimo alle parole di Crowley, in un certo senso mi misero un pò d’ansia addosso, come potevo essere qualcosa di diverso da quello che ero già? 

-Io posso metterti davanti alla realtà, ma deve essere una scelta solo tua Cas, io non posso costringerti. Potresti anche scegliere che questa vita la preferisci all’altra, potresti capire che vuoi vivere in questo modo per tutto il tempo che ti rimane.

Non potei fare a meno di ascoltare, certo poi il mistero che girava intorno a questa cosa mi confondeva sempre di più, era inutile dire che non ero certo della mia scelta. Appena una settimana fa ero certo di essere un medico, anche abbastanza promettente e ora mi ritrovavo a discutere con una visione. Che cosa ero diventato?

 

Vidi Meg avvicinarsi, i capelli bruni e gli occhi scuri che mi fissavano, seriamente dispiaciuti. Tu hai ucciso mia moglie fai bene ad essere dispiaciuta. fu quello il mio primo pensiero, salvo poi tornare alla realtà. Anna era morta in un incendio, nessuno aveva ucciso nessuno. Loro erano solo una visione. -Cas!

Senti il tono di voce che, nonostante l’espressione strafottente tradiva molto più di quanto lei volesse ammettere.
Non volevo parlare con loro!

-Lascialo perdere!- disse l’uomo facendo spallucce, 

-Parli facile tu! 

-Senti bambolina, non ti rendi neanche conto della fatica che sto facendo per non ucciderti! Siamo qui perché abbiamo tutti uno scopo, non dimenticare mai che se potessi ti strapperei le budella anche in questo preciso istante.! 


Io in tutto questo avevo sbattuto le palpebre diverse volte e cercato di capire cosa stesse succedendo, ok, potevo tranquillamente aggiungere quella alla lista delle “esperienze ” strane che io avessi mai vissuto.

All’affermazione di Crowley lei si era girata, guardandolo con un sorriso da schiaffi. 

-Non lo metto in dubbio Ferguson, so bene che il tuo disprezzo nei miei confronti non è niente in confronto al livello del mio. Però…- fece una pausa volontaria, marcando quello che voleva dire con uno stacco e un sorriso sornione. -…stranamente non sei ancora riuscito ad uccidermi, nonostante tutto.-

-Certo, è colpa dei Winchester.-

 

Winchester.

Ancora quel nome. Lo sentì rimbombare nella mia testa come un tuono e fui costretto a tapparmi le orecchie. Non riuscì a sentire quello che Crowley mi disse e non riuscì a leggere il suo labiale. Tuttavia credo che il sorriso che mi rivolse Meg potesse essere uno di quelli che non scordi mai più neanche volendolo. 

 

“Non è tutto oro quel che luccica”

 

La voce della donna in quel momento mi colpi come uno schiaffone, sapevo cosa voleva dire. Ma in quel preciso momento mi rifiutai di pensarci sopra. Caddi in ginocchio per poi ritrovarmi seduto con le mani sulle orecchie sul divano nella casa di montagna di Hellen.

 

-Papà!- Dean entrò di corsa sbattendo la porta e correndo sul al piano di sopra con una velocità che non avrei neanche potuto immaginare possibile. Nel giro di un minuto lo vidi scendere con una velocità identica, tanto che per un momento pensai che sarebbe sceso dalle scale rotolando come un tappeto. -Ha iniziato a nevicare!- disse tutto di corsa. Avrei potuto giurare che in quei tre minuti appena passati non avesse neanche respirato. -Dici che nevicherà tanto? Voglio fare a palle di neve!-

 

Sorrisi, ripensando alla frase di Meg. Se quel bimbo che con il suo sorriso splendente non era oro, non avrei mai saputo cosa effettivamente lo fosse.

 

 

Dopo il capitolo della Pie non sapevo se essere più sconvolta di Cas xD Comunque alla fine ho optato per un capitolo di riflessione, sui perché e sui per come della vita. Avete iniziato ad Intuire qualcosa? Sono andata molto OOC con il personaggio di Cas e il piccolo Dean mi piace sempre di più (e dire che inizialmente in questa fanfic non ci sarebbe neanche dovuto essere…povero piccolo ç.ç) 

Devo ammettere che questa versione di Crowley la trovo molto verosimile. Anche se per il momento nella mia testa non è per niente chiaro il motivo per cui si è messo a collaborare con Meg xD Comunque è sempre più chiaro cosa sta succedendo no? :)
Nel prossimo capitolo vedremo il peccato che mi piace di più e che associ meglio al personaggio di Dean dopo quello di Ira. Riuscite ad indovinare qual è? :D
Alla prossima settimana :P <3

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Capitolo 11
*** I miss you Cass ***


Ormai i giorni passavano ad una velocità che non avrei mai potuto ritenere possibile, guardavo fuori dalla finestra senza tuttavia vedere quello che mi circondava, ero stato costretto a tornare in città perché Dean era stato colpito da una febbre che non voleva scendere. All’inizio avevo pensato che potesse essere colpa della neve ma, dopo due giorni in cui la febbre non accenna nemmeno un po' a scendere ero dovuto correre all’Ospedale. Strinsi il pugno, non riuscivo neanche a badare a mio figlio! Ero una delusione.
Mi saltò nella mente la voce di Anna che mi rimproverava con il suo solito tono. In quel preciso momento avrei voluto spaccare qualsiasi cosa che mi capitava a tiro. 

-Pensavo che fallo distrarre fosse la decisione giusta! - urlai ad altra voce, cercando di sovrastare la voce di Anna e la sensazione di inadeguatezza, di rabbia, di impotenza, e di dolore che sembravano divorarmi dall’interno! 

Mi appoggiai con la schiena lungo il muro accanto alla finestra, allacciandomi la vestaglia.

“Non è tutto oro quel che luccica Clarence.”

Le parole di Meg ancora mi riecheggiavano nel cervello. 

 

I miei pensieri furono riscossi da un paio di mani bollenti che mi sfioravano una il petto e una il collo. La presa della sinistra, di poco sopra il mio mento stringeva e spingeva all'indietro mentre la destra mi teneva fermo contro qualcosa.

-Non vorrei rovinarti la mattinata ma visti i precedenti è raro che tu faccia una scelta effettivamente giusta!- 

-Hey!- Dissi cercando di allontanarmi e andare a finire direttamente nella mia posizione di partenza.

 

 

Lui non sembrò demordere. Ovvio non lo faceva mai, perché avrebbe dovuto farlo adesso?

 

-Ti sono mancato Cas?- mi infilò la mano destra nella vestaglia per andare a sfiorare il pettorale destro. Per un attimo sospettai che sarebbe riuscito a prendere al volo il cuore che saltava fuori. 

-Dean..- mormorai, mentre l’altra mano accarezzava il collo e si soffermava sul pomo d’Adamo

-Vedo che ti ricordi come mi chiamo.

 

Spiritoso. 

Sentendo qualcosa di freddo sbattere sulla mia pelle sussultai. Sembrava..vetro? 

-Dean ma che…?
Non feci in tempo a finire la mia frase che mi ritrovai il suo respiro rovente sul collo e mi morirono le parole in bocca. -Mh?-

-Oh suvvia non sei mia madre...Anche se lo troverei dannatamente eccitante. Ciao Mamma!

-Sei..ubriaco?- domanda idiota, era ovvio, avrei scommesso qualunque cosa che non si sarebbe mai comportato in quel modo se non per colpa dell’alcool.

-Zitto.- la voce si abbasso di qualche ottava e io mi ritrovai la faccia bollette, il respiro corto, e la faccia contro quello che avrei giurato fosse il muro della mia finestra, ma nella situazione in cui stavo precipitando avrei volentieri scommesso che avrei perso la ragione qualche secondo dopo.
Mi sbagliavo. Ero vigile, Troppo vigile

 

Mi porse la bottiglia con violenza e la attaccò alle mie labbra tenendomi il mento in alto. Non serviva che disse quello che si aspettava da me, ero perfettamente in grado di capirlo da solo. Ingoiai a forza un sorso di quello strano intruglio e sentì la gola bruciarmi e gli occhi lacrimarmi.  Deci il possibile per tenere  in bocca il resto del liquido senza tuttavia essere costretta ad ingoiarlo.
Ovviamente, il sexy ubriaco dietro di me sembrò accorgersene.

Certo, ha una mano sulla tua gola…ovvio che sente se ingoi.

-Stai pensando troppo- la sua voce mi colpì per l’ennesima volta raggiungendo con un fiato umido il padiglione del mio orecchio. In quel momento, con le mani bloccate e la faccia contro il muro, mentre il suo petto spingeva contro il mio allontanò la bottiglia e tirando dalla cintura della vestaglia
Mi ritrovai girato, con la schiena contro il muro,
-Mhmh- borbottai qualche suono di disapprovazione, mentre continuavo a tenere la bocca chiusa per colpa del liquido. Dean alzò la mano destra e inarcò il collo senza il minimo accenno di delicatezza.
-Trovo che sarebbe un peccato buttare tutto questo ben di Dio, non trovi?- Era ovvio che stesse parlando dell’alcool, e allora perché sembrava che avesse intenzione di spolparmi con un tacchino il giorno del ringraziamento?

Complimenti, ti sei appena dato del pollo. 

 

Il mio cuore manco un respiro quando lo vidi buttare via la bottiglia ormai vuota e lo  sentì tirare l’elastico dei boxer per poi ritrovarmi sotto di lui. Le sue mani tenevano i miei polsi e le sue ginocchia erano all’esterno delle mie.  I suoi occhi sembrarono quelli di un falco che aveva appena catturato la sua preda. 

-Devo ricordarmi….-

-Co…co..Ah!- un gemito strozzato ruppe il mio respiro mentre Dean addentava con la voglia di farmi male il collo. Pregavo che non rimanesse il segno. 

Avrei scommesso qualsiasi cosa che avrei potuto sembrare tranquillamente un senzatetto in quel momento, con la barba sfatta, le labbra gonfie e le guance arrossate.

 

Balle, ammettilo che ti piace che ribadisca che roba sua. 

 

-Dean! Basta…non così…Ti prego.!-

Le mie parole non fecero altro che peggiorare la situazione, lo senti mordere la mia bocca con violenza, sentendo il sapore del mio sangue. 

Sentì il suo corpo strisciare sul mio e la presa sui miei polsi stringersi pericolosamente.
-Ahi..mi fai male..Dean..Dean! Basta ti prego!-

-Non ho intenzione di smettere, non questa volta. Ma se vuoi continua pure a implorarmi-sussurrò avvicinando il suo volto al mio, -Mi eccita questo tuo lato..- mi leccai il labbro inferiore con un sorriso.

 

Rimasi zitto mentre lui continuava a parlare. 

-Basta lo dico io Cas!- disse prendendo i miei polsi con una mano sola. -Non ce la faccio più! Non sai cosa vuol dire sentirti gemere il nome di qualcuno che non io.. Tu sei mio Cas.. Sei roba MIA! 

 

Ripetilo.

-Dillo di nuovo..ti prego-

-A volte mi chiedo se tu lo faccia apposta..-

-Forse, ma è colpa tua. Sei troppo perfetto.

-No, non ci fai, sei proprio bastardo di tuo.

 

Quando mi lasciò una mano gliela appoggiai su una guancia e lo vidi arrossire, peggio di un ragazzino colpevole ad aver rubato una scatola di biscotti. Tutta quella storia sembrava un’amore adolescenziale, che ti colpisce ancora prima che tu possa rendertente conto, che ti tramortisce senza lasciarti la minima possibilità di scampo e, come ogni prima cotta che si rispetti si prende la prima fase in cui ti ripeti che non è possibile.

-Cas?-

-Torna presto… mi manchi.-

 

Disse solo quello prima di giocherellare con l’elastico dei boxer per poi sfilarmeli. Cullato dal respiro di Dean lasciai cadere il discorso nel nulla, non mi sembrava importante. D’altronde come poteva esserlo?

 

 

 

 

Va bene vi ho fatto un capitolo un pò corto. Però il nostro Cas e Dean finalmente hanno avuto un pò di pace. Perccato che le sorprese non sono finite… Vi lascio un piccolo spoiler.
La settimana prossima finalmente sapremo.. cosa è successo a Cas!! Ebbene si ragazze manca solo un capitolo e un piccolo epilogo e poi questa fanfic è finita =(

 

Non mi menate per quello che è successo al piccolo Dean. Mi serviva…ç.ç
La prossima puntata vedrete come e se siete fan del Dottore potreste anche riconoscere qualche citazione del prossimo episodio :P
Adesso ho detto troppo però <3 Questa cosa me l'ha scatenata la puntata di Dean-cane..
Che ci volete fare l'avevo trovata veramente perversa la cosa xD 

Baci baci a tutte, colgo l’occasione per ringraziare tutte quelle che stanno leggendo, seguendo, commentando e spargendo la voce su questa piccola fanfic.
Per quanto riguarda gli orrori di grammatica e il modo di scrivere sto cercando un aiutino per le prozie fanfiction che voglio scrivere <3

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Capitolo 12
*** An angel? ***


Passai quello che a me sembrava un eternità entrando e uscendo dall’Ospedale in cui lavoravo, vivendo i giorni come una serie di susseguirsi di luce e buio, senza tuttavia mai soffermarmi su quello che il passare del tempo comportava. Riuscivo solo a pensare a Dean che, sdraiato su quel lettino non accennava a migliorare e io, insieme a lui, peggioravo ogni giorno che passava. 

La mia unica ragione di vita sembrava affievolirsi ogni giorno di più e io non avevo davvero più idee di come fosse possibile sopravvivere. Cominciavo a capire come si sentivano tutti quei genitori che si fermavano a fare compagnia ai loro bimbi nei corridoi del mio reparto. Lo sapevo, e anche bene, aggiunsi più tardi alla mia riflessione un giorno imprecisato quando, seduto accanto al lettino dell’ospedale, guardavo le flebo che spuntavano dal corpicino del mio bambino.

Nonostante tutto però non avrei mai potuto immaginare cosa significasse, era decisamente peggio. 

 

Mi resi conto di quello che stava succedendo solo dieci giorni dopo, guardandomi allo specchio di casa con le occhiaie e la barba sfatta. Sembro un barbone, fu il mio primo pensiero mentre mi specchiavo, seguito subito da Ma che cosa sto facendo? e poi anche da Perché è dovuto toccare a me?

In effetti erano domande che mi balzavano continuamente in testa. Le mie visioni erano ufficialmente sparite dal giorno dopo a quella che avuto con Dean. Il giorno successivo mi ero svegliato con un segno violaceo sul collo e quello che sembrava un graffio sulla schiena ma, nonostante tutto non avevo avuto la minima conferma di quello che era successo. Non ci avevo più pensato, forse perché mi mancava la voglia di capire o forse perché mi mancava il tempo per farlo. Fatto che alla fine era sparito tutto così come era arrivato, lasciandomi con l’amaro in bocca. Certo, la mia visione era stata vivida e lo provavano anche i segni che portavo con indifferenza sul collo e sulla schiena. Lanciai un’occhiataccia all’ennesimo graffio sulla mia spalla.

 

-Chissà…- borbottai mentre mi infilavo la camicia per tornare per l’ennesima volta in ospedale. 

Non potevo tuttavia ignorare quello che mi era successo in quei venti giorni e, anche se mi ero ostinato a dimostrare a me stesso che effettivamente non mi importava c’era ancora qualcosa che mi sfuggiva. Arrivai all’ospedale più in fretta di quanto mi era mai capitato in tutti quegli anni di vita nella città di Boston e appena entrato fu la voce del nuovo direttore del personale. Noi lo chiamavamo Morte, in onore al cavaliere dell’Apocalisse. 

Lo sentì salutarmi e lo vidi togliersi il cappello -Castiel Novak- da quando era diventato il capo spessissimo lo vedevo girare con quel cappello e, da quando Dean si era ammalato aveva preso a chiamarmi per nome, al contrario di prima, quando era solito chiamarmi con il titolo di “Dottor Novak”. Mentre mi perdevo nei miei pensieri riuscì quasi a sentire il suono della sua voce, facendo quello che sembrava una presa in giro dell’atteggiamento di Morte. 

Inutile dire che avessi mai dovuto descrivere il capo di tutti i mietitori l’avrei descritto proprio così.

Scossì la testa, cercando di evitare il ricordo di Dean che, quando aveva appena tre anni si era nascosto dietro le mie gambe quando, il giorno di Halloween era passato un ragazzo con una falce di plastica e un mantello nero.

Sospirai, appoggiandomi al muro del reparto.

 

-Cas!- 

Hellen? Joe? Sam? Che cosa facevano all’ospedale?
Era una domanda stupida in effetti mi dissi dopo poco, Sam era il migliore amico di Dean ed era una parte della mia famiglia, esattamente come Dean era una parte della famiglia del suo amico. Era normale che venissero a trovarlo anzi, sarebbe stato particolarmente egoista e vigliacco da parte di Hellen non passare nemmeno per un saluto. Abbozzai un leggero sorriso immaginando quel ragazzino esageratamente alto per la sua età pregare Hellen di portarlo a trovare il suo amico e immaginando la faccia contrariata della madre, che avrebbe volentieri risparmiato al suo bimbo una brutta immagine come quella di Dean attaccato ad una macchina.
Prima che Sam riuscisse a dire qualcosa lo vidi correre diretto nella camera, per poi sentire il suo respiro rotto per vederlo sedersi affranto su una sedia. 

-Cas, svegliati…ti prego-

Per un’attimo la voce che sentì pronunciare dalle labbra di Sam non fu la sua, bensì quella del fantomatico Dean. -Ti prego Dean, ti prego svegliati-
Non feci in tempo a riflettere su quello che era appena successo che senti il rumore di scarpe che correvano lungo il corridoio.

Realizzai solo vedendo la figura che si dirigeva verso di me che quella era proprio Jessica, con gli occhi lucidi.
-Cas…- la sentì mormorare mentre si avvicinava a me e si chinava leggermente per riprendere fiato. -Abbiamo un problema..-

-Non siamo su una navicella spaziale Jess, che succede?

La vidi fare un respiro profondo per poi guardarmi come se dovesse darmi una notizia di un condannato a morte.

Non mi sbagliavo.. 

-Ho avuto i risultati delle analisi di Dean…Cas…mi dispiace…-


Sentì il mondo crollarmi addosso, come se mi fosse improvvisamente caduta un’incudine da duemila tonnellate addosso. 

-Cosa vuol dire?-

Oh, lo sapevo bene cosa voleva dire ma mi rifiutavo di credere che stesse succedendo davvero. Sapevo che quando succedevano quelle situazioni di coma, specie in un bambino era rarissimo che succedesse un miracolo, specie per me che ai miracoli non ci credevo più da tempo. Prima che riuscissi a dire qualcosa vidi Sam girarsi verso Jessica, in un’immagine che aveva del surreale. Rividi quello stesso ragazzo delle mie visioni, ormai diventato uomo che abbracciava Jessica, in un vestito da infermiera leggermente più Osè di quello che portava a lavoro.

-Cas..hai sentito?-

-Si.Si.SI! HO SENTITO!- sbottai poco dopo, non riuscendo a contenere il volume della mia voce, io ero sempre stato il primo a chiedere di non urlare eppure adesso non riuscivo a tenermi dentro tutto quello che sentivo. Dean, era l’unica cosa che mi ronzava nella testa, continuavo a vederlo che mangiava la torta, che cercava di convincermi a comprare qualche strano gioco per il computer e altre cose simili. Le vedevo da fuori, come se stessi leggendo un libro che non conoscevo. Corsi fuori dall’ospedale, ripercorrendo quella stessa strada che avevo percorso appena un mese prima. Quel giorno di Halloween che era stato l’inizio della fine della vita come la conoscevo e dire che se me lo avessero detto non ci avrei mai creduto.
La mia vita…sparita…in fretta come i petali di un soffione che volavano via.

 

Appoggiai la mano sul coperchio del cassonetto verde vicino a quell’uscita d’emergenza. Bastò solo quello a farmi tornare in mente il colore degli occhi di quel Dean cresciuto che aveva popolato le mie visioni in quei giorni, per poi sparire così in fretta che non avevo neanche avuto il tempo di capire.
Capire? Mi chiesi poco dopo, non c’era niente da capire, era stata solo una serie di disgrazie. Rimasi li appoggiato a quel muro gelato, cercando qualcosa che alleviasse quel vuoto che mi stava divorando il fegato.

Adesso capisco come si sente Prometeo.
Mi sfregai gli occhi poco dopo, ma che diavolo andavo a pensare! Quello non era certo il momento adatto per mettersi a fare simili battute. Provai anche a sbattere la testa su quei mattoni ma niente, niente riusciva nemmeno per un secondo a far smettere quella sensazione.

Perchè?
Quella domanda continuava a ronzarmi in testa come le api con il miele e la situazione non fece che peggiorare quando sentì un rumore. Feci appena in tempo a scansarmi ed ad evitare quella che mi sembrava una bottiglia. Sospirai sollevato, menomate che avevo i riflessi pronti altrimenti mi sarei ritrovato con la testa rotta e piena di cocci di vetro frantumati. Sarebbe stato da piangere se la situazione non fosse stata così tragica da essere paradossalmente comica. 

A capovolgere la situazione fu l’etichetta che lessi su un pezzo della bottiglia rossa che mi era appena caduto vicino. Vino Rosso.

Non seppi bene in base a cosa feci quel collegamento assurdo però solo un nome mi balzò in mente.

Crowley

 

***

 

-Crowley! Lo so che puoi sentirmi! Ho bisogno di te!

Beh dovevo ammettere che quell’ultimo pezzo mi era uscito particolarmente male ma non era quello l’importante, avevo solo bisogno che funzionasse, non era importante come riuscissi a farlo funzionare.

L’immagine cambiò e io mi ritrovai in quella stessa baita che avevo già visto l’ultima volta che avevo parlato con lui, adesso si capiva che era pienamente inverno, la neve era caduta e gli alberi al di fuori delle finestre erano completamente ricoperti. 

Ancora ti ostini a fare leva sulla meteorologia? 

 

-Hello Cas

-Hello Sweety!

Ovviamente, come poteva mancare Meg? Alzai gli occhi al cielo esasperati mentre la vidi incrociare le braccia e appoggiarsi alla poltrona di velluto rosso sulla quale era seduto lo scozzese che maneggiava un bicchiere da Cognac. 

-Dobbiamo parlare-

-Ci puoi scommettere.-

-Da dove iniziamo?-

-Le solite domande stupide di voi angeli, è ovvio che iniziamo dall’inizio, vuoi iniziare dalla fine?-


Incrociai le braccia stizzito, la sua logica non faceva davvero una grinza ma, peccato per lui non avevo proprio voglia di scherzare.

Fu proprio lui a rompere i miei pensieri. 

-Pillola rossa o pillola blu?[]-

-Come scusa?-

-È la tua ultima occasione, se rinunci non ne avrai altre. Pillola azzurra, fine della storia: domani ti sveglierai in camera tua, e crederai a quello che vorrai. Pillola rossa, resti nel paese delle meraviglie, e vedrai quant'è profonda la tana del bianconiglio.[2] Ti sto offrendo solo la verità, ricordalo. Niente di più.

-Questa è la frase di Matrix.

Lo vidi alzare la testa e guardare in alto esasperato, -Sei stato decisamente troppo con i Winchester, in particolare con quell’Alce.  Comunque chi se ne frega Castiel. Sono il re dell’inferno e faccio come mi pare!

Rimasi un attimo a pensare, non avevo più Dean, non avevo più Anna. La mia vita aveva perso senso da un bel po' ormai. 

-Bando alle ciance ho del lavoro da fare, che vuoi fare Cas, vai o resti?

 

Al diavolo. Ero sicuro che la mia altra vita non poteva essere peggiore di quella che stavo vivendo in quel preciso momento. 

-Blu. 

 

Mi lanciarono entrambi un sorriso soddisfatto.
Il suolo iniziò a tremare e un fischio invase l’aria. Vidi gli occhi di Meg diventare neri e Crowley, rimasto fino a quel momento seduto di alzò. Salutandomi come al suo solito. 

-Ci si vede dall’altra parte Castiel.

Prima che riuscissi a capire cosa stava succedendo rividi Dean, Sam e gli altri sparire come un riflesso di fumo. Solo Anna, che mi fissava in piedi mi guardava con i capelli rossi sciolti e la camicia da notte bianca completamente intonsa. 

 

Sembrava così forte in quel momento, ma allo stesso tempo era come un fiore che poteva spezzarsi in qualsiasi momento, quando l’aveva vista la prima volta le aveva ricordato un angelo.

Una fitta alla testa mi colpì e io trattenni a stento un urlo, d’istinto mi portai le mani alla testa. ANGELI.  Quella parola aveva risuonato nella mia testa quasi fosse il suono cupo di una campana. ANGELI. Riecheggiò ancora, immagini di piume nere mi sfrecciarono davanti agli occhi. <> Una voce di donna risuonò nella mia testa, e dopo pochi secondi vidi una donna con i bulbi oculari vuoti e dopo alcuni secondi il suo grido di dolore fu come una coltellata.
Strinsi più forte le mani contro la mia testa per poi cadere in ginocchio e digrignando i denti. <> sentivo la voce quasi in lacrime di Anna davanti alla mia faccia ma  non riuscivo a vederla. 

Chi erano quelle donne? Cosa stava succedendo?

 

***

Apri gli occhi sentendo qualcosa di bagnato sfiorarmi il corpo mentre quello che sembrava sabbia mi grattava la faccia. Cercai di tirarmi su ma una fitta all’altezza dell’addome mi costrinse a sdraiarmi di nuovo. Mi guardai intorno, ero sulla riva del mare. No, un lago a giudicare dalla vegetazione che mi circondava ma, solo più tardi un brivido di freddo mi ricordò che non doveva essere proprio estate.  In quel momento mi ricordai di quello che era successo. Era stato davvero tutto un sogno il mio?
Rabbrividì. Così erano questi i famosi sogni degli umani.
Se i sogni sono tutti così sono felice di non aver mai sognato

-Cas!- avrei potuto riconoscere quella voce in qualsiasi momento e in qualsiasi posto.

Dean?

 

Alzai lo sguardo per vedermelo accovacciato davanti mentre mi metteva le mani sulle guance. -Ma si può sapere che cazzo hai combinato Cas?-

In quel momento ricordai tutto e a malincuore fui costretto a guardare da un’altra parte. Non ce la facevo. Il suo tono non era arrabbiato o altro, ma io proprio non riuscivo neanche a guardarlo in faccia. Le sue mani calde mi tenevano il viso in alto

-Guardami Cas!

-Non…posso

-No! Non cominciare! Non venirmi a dirmi stronzate! Sono mesi che ti cerco. Non c’è un misero pezzo d’America che io non abbia perlustrato mentre ti cercavo! Non c’è notte che io non mi sia rivolto a qualcuno, o qualcosa. Non c’è notte che io non abbia speso raccontando quello che avevamo passato. Ho parlato per ore dei nostri ricordi, delle nostre disavventure di quelle brutte e di quelle belle. Dei ricordi che ho con te, quindi adesso, dopo tutto questo non puoi venirmi a dire che non hai nemmeno le palle di guardarmi in faccia!-


Mi aveva spiazzato, non sapevo cosa replicare. 

-Ma..-

-No! Niente ma… Cas, non sono arrabbiato con te. Cioè si…all’inizio lo ero ma ho avuto tanto tempo per pensarci. Non vorrei che fossi in nessun altro posto che qui. Siamo una famiglia Cas. Tu sei parte della mia famiglia. Hai fatto uno sbaglio è vero..ma sono sicuro che lo hai pagato.

Dio quanto aveva ragione.

-..beh in effetti.-

Abbozzò una risata e io feci una smorfia che poteva tranquillamente sembrare un sorriso. 

-Non voglio mai più sognare.-

Lo senti ridere, per la prima volta dopo tanto tempo, in quel momento capi che in quel sogno lo avevo sognato triste perché quello non era davvero il mio posto. 

-Hai sognato?-

Annui.

-Un giorno dovrai raccontarmi di quello che c’era in questo tuo sogno.-

-Lo farò…te lo prometto. D’altronde abbiamo tutto il tempo del mondo.-

 

Lo pensavo davvero. Avevo fatto la scelta giusta. In quel momento i miei pensieri tornarono a Meg e Crowley.

Grazie Ragazzi…

 

-Contaci…dobbiamo recuperare questi sei mesi persi.

Sbarrai gli occhi. Sei mesi? Avevo dormito per 6 mesi??

Ecco perché gli angeli non sognano.

 

-Andiamo a casa Cas.-

Feci per alzarmi ma mi resi conto che le mie gambe non mi tenevano. Dean sospirò per poi mettersi il mio braccio al collo e tirarmi su. Non feci in tempo ad accorgemermene che mi ritrovai le sue labbra sulle mie e, allontanandosi mi sorrise a trentadue denti.

E così fini quella mia stramba avventura di sogni e visioni. Tra le braccia di Dean che mi stringeva e strofinava il suo naso contro il mio sapevo di essere al mio posto, n quel momento nient'altro era importante, lui era il mio angelo.

 

Con quel pensiero in mente salì sull’Impala in direzione del rifugio dei Men of Letters[]

 

 

Note dell’autrice.
Eccoci qua, abbiamo finito questo viaggio…ci ho messo un mese e mezzo a finirla =)
Questa è stata la mia prima fanfic quindi vi chiedo perdono per gli errori che ho fatto e le incongruenze… Però era tanto che volevo scrivere una cosa del genere e partire da un sogno mi piaceva tantissimo come idea. Adesso sono felicissima di averlo fatto ù_ù Spero sia piaciuto questo capitolo
Tuttavia però non finisce qui =) D’altronde manca poco tempo al natale in questa fanfic :D
Volete leggere subito come si sono ripresi i nostri ragazzi? O volete aspettare natale? Io a natale sarò su a Milano da una mia amica però pubblicherò comunque =)
Non penso però che ci saranno altri spin-off. La cosa che adoro di più del Destiel sono le AU quindi credo che scriverò un’altra AU
(Niente cose complicate questa volta lo prometto *annuisce*)

Vi ringrazio a tutte per avermi accompagnato in questo primo viaggio :)
Per la prossima prometto di cercarmi qualcuno che mi aiuterà con le correzioni xD 

 

<3 A presto 

E.

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